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di SoltantoUnaFenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno - Perdersi ***
Capitolo 2: *** Due - Impazzire ***
Capitolo 3: *** Tre - Fuggire ***
Capitolo 4: *** Quattro - Esplodere ***
Capitolo 5: *** Cinque - Uccidere ***
Capitolo 6: *** Sei - Ascoltare ***
Capitolo 7: *** Sette - Combattere ***
Capitolo 8: *** Otto - Ferirsi ***
Capitolo 9: *** Nove - Ritrovarsi ***
Capitolo 10: *** Dieci - Comprendere ***
Capitolo 11: *** Undici - Conoscersi ***
Capitolo 12: *** Dodici - Raggiungersi ***
Capitolo 13: *** Tredici - Inseguire ***
Capitolo 14: *** Quattordici - Liberare ***
Capitolo 15: *** Quindici - Parlare ***
Capitolo 16: *** Sedici - Rivelarsi ***
Capitolo 17: *** Diciassette - Curare ***
Capitolo 18: *** Diciotto - Raccontare ***
Capitolo 19: *** Diciannove - Tirarsi indietro ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Uno - Perdersi ***


Touma era immobile in quella posizione da chissà quanto. Le mani premute contro il lavandino, le bracia tese, le spalle contratte. Lo sguardo fisso sul proprio riflesso allo specchio.
Occhi negli occhi, stava fissando sé stesso così intensamente e così a lungo che ad un certo punto gli sembrò di non riuscire a riconoscersi più.
Tutto quello che voleva era capire cosa ci fosse di diverso, e perché non riuscisse a togliersi di dosso quella sensazione di strano e sbagliato che si portava dietro da tre settimane, da quando si erano scontrati con quel demone.
Era stato colpito, ma non era stato niente di grave. Eppure il suo cervello sembrava un ingranaggio grippato: continuava a girare, ma era come se slittasse a vuoto. Continuava a tornare a quel giorno.

Freddo.
Umido, polveroso, buio.
Un dolore sordo che si allarga dal polso e risale lungo il braccio, diventando pian piano più intenso man mano che i minuti passano.
Gli occhi che lentamente si abituano all'oscurità. Un chiarore appena accennato e caldo, dalle velate tonalità verde salvia.
Una mano che passa gentile sulla fronte.

Come stai? Ti ha colpito?”
La voce di Seiji che lo riporta indietro dallo strano sogno in cui è caduto pochi istanti prima, ma che sembra durare da un'eternità.

Touma si passò una mano sugli occhi, come se questo gesto potesse snebbiargli un po' la mente e fermare questo loop insopportabile nel quale la sua memoria si era bloccata.
Era quasi come quando si riprende conoscenza, e si cerca di risalire all'ultimo ricordo prima di addormentarsi o di svenire.
La sua mente si ostinava a ritornare lì, come se non riuscisse a ricordare nulla di quello che era successo dopo. E invece sapevaa che erano successe altre cose, e bene o male le ricordava. Sapeva che avevano combattuto, e ancora una volta se l'erano cavata. Il demone era scomparso poco dopo averlo colpito, anche se nessuno dei suoi nakama aveva saputo spiegargli esattamente come fosse andata.
Si erano separati poco dopo, ed era tornato velocemente a casa: il suo nuovo superiore ce l'aveva ancora con lui dalla storia del rapimento, e lui si sentiva costantemente osservato e messo alla prova. Touma pensò che prima o poi lo avrebbe mandato a cagare insieme a tutto il resto, ma per il momento non era ancora accaduto nulla di abbastanza importante da doverlo fare, e così si stava sforzando di rigare dritto ancora per un po'.
Il riflesso nello specchio continuava a guardarlo in una maniera che lo faceva sentire come se tutti i piani verticali e orizzontali della sua esistenza slittassero e si inclinassero, fino a comprimerlo come dentro ad una scatola schiacciata.
Si allontanò dal lavandino con uno scatto ed uscì in terrazza, perché gli sembrava di non respirare più.
Prese aria una, due, tre volte... respirava così velocemente e così a fondo che la testa cominciò a girare, e dovette buttarsi su una sedia.
Sentì di nuovo riaffacciarsi un attacco di panico. Non sapeva se fosse davvero quello, ma negli ultimi giorni ci era andato vicino diverse volte, ed ormai era sempre più difficile riuscire a ricacciarli indietro.
Per l'ennesima volta, affiorò il desiderio chiamare i suoi nakama e raccontargli tutto, ma Touma non voleva spaventarli.
Sapeva che la cosa avrebbe messo in moto una serie di telefonate incrociate che sarebbero culminate con una delegazione di qualcuno di loro che si presentava a casa sua per controllare come stesse realmente, e non voleva.
Non voleva distoglierli ancora una volta dalle loro cose, e non voleva che si preoccupassero per lui.
Non riusciva ad ammetterlo, ma stavolta non li voleva nemmeno attorno.
Era come se sentisse qualcosa di estremamente instabile e pericoloso dentro di sé, che gli faceva desiderare di rimanere solo. Ancor più solo del solito.

 

 

Seiji era in piedi davanti al mobiletto che ospitava il telefono, in casa di Satsuki. Sospettava che la sorella usasse ormai quasi sempre il cellulare, e che continuasse a mantenere una linea fissa solo per lui, per le telefonate che le chiedeva di poter fare ogni tanto. Pensò che non fosse giusto continuare a disturbarli in quel modo, e che avrebbe potuto far trasferire la linea nel suo appartamento.
Forse avrebbe potuto addirittura comprare un cellulare: Kuni-chan gli aveva suggerito che avrebbe potuto accenderlo solo quando doveva telefonare, e sarebbe stato quasi come non averlo. L'idea in effetti sembrava accettabile e Seiji stava cominciando a valutare seriamente di farlo.
Nel frattempo rimaneva in piedi davanti al telefono a cercare di decidere se fosse il caso o meno di telefonare a Touma e sentire come stesse.
Erano diversi giorni che si sentiva inquieto. Ogni volta che pensava al suo nakama non poteva fare a meno di provare uno strano malessere, e più tempo passava, e più si convinceva che ci fosse qualcosa che non andava.
Aveva fatto anche dei sogni, e sopra ad ognuno di essi incombeva un celo nero e grave, carico di nuvole dai riflessi violacei.
Il telefono iniziò a squillare, e Seiji rispose, anche se probabilmente sarebbe stato per Satsuki o per Takeshi.
“Pronto?”
“Seiji?” La voce di Shin sembrava sorpresa.
“Ciao Shin. Non dovresti mostrarti così stupito di sentirmi, se telefoni per parlare con me.”
“Di solito risponde tua sorella...”
a voce era seria e incerta, e Seiji ebbe un brutto presentimento. Non era da lui lasciar cadere così una provocazione.
“Va tutto bene, Shin?”
“Io sto bene. Però... hai parlato con Touma, di recente?”
“No. E' successo qualcosa?”
“Beh, l'ho chiamato ieri. Era un po' che non si faceva sentire, e mi sembrava strano. Ho provato diverse volte, ma mi ha risposto solo la sera. E' strano, in genere richiama appena vede la chiamata, tra un'ora e l'altra di lezione.”
“Ti ha detto il perché?”
“No. Anzi, si è arrabbiato quando gliel'ho chiesto. Ha risposto a monosillabi, e aveva una gran fretta di buttar giù. Mi ha liquidato in tre minuti, e... Seiji, sono sicuro che non stia bene. Non sembrava nemmeno lui.”
“Forse è preoccupato per qualcosa, sai che al lavoro non ha vita facile, ultimamente. Proverò a parlarci, ma tu stai tranquillo, d'accordo? Vedrai che non è nulla. A forza di star sempre solo, starà dimenticando le elementari regole della buona educazione.”
“D'accordo. Speriamo che sia così... Mi farai sapere qualcosa?”
“Certo.”
“Grazie. A presto, Seiji.”
“A presto.”
Seiji mise giù la cornetta. Scese al dojo con l'intenzione di allenarsi un po', ma la sua mente era lontana, persa in un luogo sovrastato da un cielo plumbeo e soffocante.

 

Touma aveva una immagine in mente. Era qualcosa che aveva visto anni prima in un documentario sul comportamento degli animali: una mosca, colpita a morte dal veleno di un ragno, avvolta nella ragnatela.
Gli era rimasta impressa perché l'insetto sembrava incapace di capire di essere in trappola. Non si era dimenato per fuggire. Aveva cominciato invece una serie di gesti privi di senso, come ad esempio passarsi più volte le zampe sul muso, come avrebbe fatto per lavarsi.
L'aveva visto ripetere questo gesto una, due tre, volte, mentre il ragno aspettava che morisse.
Touma ripensò alla dissertazione dell'etologo sulla reazione illogica della mosca, probabilmente causata dal veleno.
Mentre si aggirava per casa, si rese conto di essere esattamente come quella mosca: per quanto gli fosse ormai evidente che le cose non andassero bene, non poteva fare a meno di alzarsi la mattina, prepararsi, andare al lavoro.
Continuare a dormire, mangiare, pensare... portare avanti questo guscio inutile di apparenza, quando l'unica cosa che gli appariva vera, era di essere morto.
Il nucleo più interno era morto, ma tutto il resto di sé si rifiutava di capirlo.
Si allontanò dalla finestra con uno scatto nervoso e urtò uno dei due vasi che erano sulla lunga mensola del salotto. Lo afferrò prima che cadesse con un gesto istintivo e rimase a fissarlo, stretto nella mano.
Aveva sempre amato quei due vasi di ceramica Raku dalle delicate sfumature cangianti. Li aveva comprati con uno dei primi stipendi: sapeva di aver speso un po' troppo, ma i riflessi azzurrati e bianchi gli ricordavano il cielo.
Provò una sorta di terrore nel rendersi conto che, se anche fossero caduti a terra e fossero andati in mille pezzi, non gliene sarebbe importato nulla.
Fissò le striature dello smalto, e tra l'una e l'altra gli sembrò di vedere comparire ricordi dolorosi, intrisi di rosso scarlatto.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasto così, ma quando tornò in sé vide davvero il sangue mischiarsi ai toni luminosi della ceramica.
Forse era stato il dolore alla mano ad averlo riportato alla realtà, perché il vaso si era spezzato in due, ed il profilo tagliente della spaccatura gli aveva ferito il palmo.

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Capitolo 2
*** Due - Impazzire ***


Ryo stava mescolando lo zucchero nel caffè da così tanto tempo che probabilmente entro poco si sarebbe riaddensato di nuovo, magari in forma di zolletta.
Il caffè non gli andava neanche: l'aveva preparato solo per fare qualcosa, visto che si era alzato di nuovo in anticipo e non sapeva come tenersi occupato.
Suo padre era seduto sul lato opposto del tavolo e leggeva il giornale.
O almeno fingeva di farlo.
“Chiamali.”
“Cosa?” Ryo era così assorto che quasi aveva dimenticato fosse lì.
“I tuoi amici: chiamali.”
“Papà, li ho sentiti da poco. E poi ci siamo visti un mese fa.”
Per uccidere un demone.
Rimpatriata per Natale, rimpatriata per Compleanno, rimpatriata per Manifestarsi di forze oscure.

“Te l'ho detto questa estate, e te lo dico ancora perché è chiaro che c'è di nuovo qualcosa che non va: chiamali. Con me non vuoi parlarne, fallo almeno con loro.”
Ryo abbassò di nuovo lo sguardo sul caffè, scrollando appena le spalle.
Il suo istinto, come sempre, era di provare prima a risolvere la cosa da solo. Ma qualcosa era di nuovo cambiato, e stavolta sospettava che sarebbe stato davvero meglio informare gli altri.
Prima c'era stato il ritorno della Kikoutei.
Con la non trascurabile conseguenza che Seiji non era più in grado di canalizzare Kourin per cercare di curare le loro ferite.
E come se tutto questo non fosse abbastanza, da qualche settimana l'armatura bianca sembrava cambiata. Non l'aveva ancora mai indossata – per fortuna avevano sconfitto questo ultimo demone senza che fosse necessario richiamarla – ma Ryo percepiva qualcosa di diverso.
C'era lui, c'erano i suoi nakama, c'era l'unione dei loro cinque poteri.
Ma ora c'era anche qualcosa di più, ed era una sensazione talmente indefinita e sfuggente che non avrebbe saputo nemmeno come spiegarlo.

 

Touma si svegliò nel suo letto, e stavolta la sua mente non aveva proprio idea di quale fosse il ricordo a cui poter tornare. Probabilmente sarebbe ritornata per l'ennesima volta a quel giorno, ma quando Touma sollevò le mani per portarsele al viso, rimase bloccato a metà, congelato in quella posizione.
Fissò con terrore le proprie mani, sporche di sangue rappreso.
Come le maniche della sua maglia, come le lenzuola su cui la notte prima si era buttato.
Le fissò, ed il cuore cominciò a martellare così forte che probabilmente entro qualche istante gli sarebbe venuto un infarto e lo avrebbero trovato stecchito nel suo letto, tutto sporco di sangue non suo.
Perché Touma non aveva la minima idea di cosa fosse successo, ma era sicuro che quel sangue fosse di qualcun altro, perché lui non aveva nemmeno un graffio.
Rimase immobile per un tempo non definito, poi si lanciò in bagno.
Posseduto da una furia che gli impediva di fermarsi, si lavò le mani e le braccia, gettò nella lavatrice la maglia ed i lenzuoli, percorse avanti e indietro la casa alla ricerca di qualsiasi cosa che gli permettesse di capire cosa fosse successo.
Aprì la porta di ingresso all'appartamento, e come temeva trovò la maniglia sporca di sangue. C'era proprio il segno della sua mano, il gesto stampato e scarlatto di aver afferrato la manopola ed aperto la porta. La pulì con rabbia, guardandosi attorno freneticamente. Gli sembrava che tutti gli abitanti del palazzo dovessero comparire all'improvviso nel corridoio. Gli sembrò quasi di vederli mentre osservavano il sangue e gli puntavano il dito addosso.
Per fortuna abitava all'ultimo piano, l'unica altra persona che passava da lì era il signore dell'appartamento accanto.
Lavorava in una fabbrica, e Touma sperò con tutto sé stesso che avesse avuto il turno di notte e non si fosse ancora svegliato.
Tornò dentro, e per un po' si mosse avanti e indietro per la casa, sospinto qua e là da una serie di pensieri incoerenti.
Si rese conto di sembrare un pazzo, così si impose di fermarsi e pensare. Era la cosa che gli era sempre riuscita meglio, ma quel giorno il meccanismo faticava ad innescarsi.
Afferrò uno qualsiasi dei ricordi del giorno precedente, e vi si agganciò, cercando di mettere in ordine quelli successivi.
Era andato a dormire presto, aveva mal di testa. Ultimamente gli era successo spesso, e non era colpa dei libri, anche perché non aveva più molta voglia di leggere.
Si era svegliato a metà della notte, per via di un incubo.
Erano diversi giorni che sognava battaglie lontane, luoghi sconosciuti, volti mostruosi che gli sembrava di conoscere anche se non li aveva mai visti... Si svegliava con la sensazione di aver ricordato qualcosa che in realtà non gli appartenesse, e ogni volta faticava a riprendere sonno.
Questa volta si era svegliato così agitato – da quando aveva rotto il vaso raku gli sembrava che le cose peggiorassero rapidamente – che era dovuto saltar giù dal letto, in preda all'ansia.
La sensazione di soffocamento era tornata, così si era vestito in fretta ed era uscito. Era ancora troppo freddo per mettersi a fare passeggiate notturne, ma Touma aveva cominciato comunque a camminare senza una meta, sperando che l'aria gelida lo aiutasse a tornare lucido.
Cammina.
Pensa.
Cammina ancora.

E aveva continuato a camminare, e pensare, senza che cambiasse niente.
Aveva appena deciso che l'unica cosa da fare fosse tornare a casa e provare a dormire un altro po', quando una voce alle sue spalle lo aveva fatto fermare di scatto.
Si era girato, e in un angolo aveva visto quell'uomo, poggiato allo spigolo di una casa. Le mani incrociate sul petto, lo sguardo aggressivo.
E Touma aveva pensato no, non di nuovo.
Non voleva davvero avere a che fare con altra feccia umana.
Ne aveva avuto abbastanza qualche mese prima, ne aveva abbastanza già di quella sovrumana.
In realtà ne aveva abbastanza di chiunque.
Aveva proseguito, non si era nemmeno voltato quando l'uomo gli aveva blaterato dietro qualche stronzata. Non l'aveva quasi sentito.
Ma il click, quello della pistola puntata contro di lui, l'ha sentito nitidamente.
E poi era come se ci fosse stato un altro rumore uguale a quello, ma stavolta la cosa che aveva fatto click era stato il suo cervello. Si doveva essere in qualche modo spento, perché Touma non aveva idea di cosa fosse successo dopo.
Così accese il computer e cominciò a cercare. Guardò le pagine web di cronaca locale, cercò notizie di aggressioni, di omicidi.
Provò diverse parole chiave.
Provò con il nome del quartiere, cercò di ricordare il nome della via.
Non trovava niente.
Se avesse ucciso quell'uomo ci dovrebbe essere uno straccio di articolo, no?
Touma si accorse di star respirando troppo velocemente.
Lo stava facendo già da un po', e la testa gli girava.
Stava per rinunciare quando un titolo attirò la sua attenzione. Aprì l'articolo, lesse con gli occhi sbarrati e il petto che rischiava di essere trapassato dal cuore, che non sembrava intenzionato a rimanere all'interno della gabbia toracica.
Rimase immobile per qualche istante, poi finalmente sembrò riscuotersi.
Si accasciò su sé stesso, tenendosi la testa tra le mani.
Non è possibile.
Non è possibile.

Non poteva essere successo davvero.
Si sollevò facendo leva sulle braccia, e le osservò tremare.
Non sapeva cosa gli stesse succedendo, ma sapeva di essere diventato pericoloso.
Doveva liberarsi della yoroi, non poteva permettersi di andare in giro con un'arma come quella.
Fece un profondo respiro.
Sapeva che doveva farlo, doveva solo trovare il coraggio di separarsi da Tenku, perché ora sapeva di non esserne più degno. Provò a richiamare la sfera, ma non ci riuscì. Provò così tanto che alla fine si sentì male e vomitò, ma la yoroi non dava segno di volersi spostare.
Eppure era lì, la sentiva chiaramente dentro di sé. Forse ormai era perduta come lo era lui.
Touma si sollevò in piedi, senza riuscire a smettere di tremare.
C'era una sola cosa che poteva fare: doveva sparire; e se non riusciva a separarsi dalla yoroi, allora anche lei doveva sparire assieme a lui.
Doveva farlo subito, prima che i suoi nakama andassero a cercarlo. Non poteva rischiare di trascinarli nella merda in cui stava navigando, e comunque ora sapeva di non essere più degno nemmeno di loro.

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Capitolo 3
*** Tre - Fuggire ***


“Cosa diamine significa che è sparito?!” La voce di Shu era incredula e anche un po' allarmata.
Shin sospirò brevemente. Gli sembrava di star riproponendo – stavolta recitata al contrario – la stessa conversazione avuta un anno prima, quando Shu aveva dovuto dirgli che non sapevano più nulla di Ryo e Seiji.*
“Significa che non risponde al telefono da ieri. Stamattina ho provato a telefonare all'università: oggi non si è presentato, e non ha chiamato per avvertire.”
“E se stesse male? Magari è chiuso in casa e non riesce a rispondere.”
“Ci ho pensato anch'io, ma ormai ad Hirakata non ha più nessuno... Non saprei proprio a chi chiedere di andare a controllare.”
“Andiamo noi, allora! Ci vado io!”
“Non ce n'è bisogno, Shu: ci va Ryo.”
“Ryo?”
“Sì. Quando l'ho chiamato sembrava avesse praticamente già un piede fuori dalla porta. Ha detto due parole, ma ho avuto l'impressione che sapesse già che c'è qualcosa che non va.”
“Qualcosa... di che tipo?”
“Te l'ho detto, non mi ha voluto spiegare. E comunque...”
Shu strinse appena le labbra.
“Sì, lo so, l'ho sentito anch'io. L'abbiamo sentito tutti, credo.”
Shin annuì, anche se l'amico non poteva vederlo. Era per via di quella strana sensazione che aveva finito col telefonare molto spesso ad ognuno di loro in quei giorni, e si era accorto praticamente subito che Touma aveva qualcosa che non andava.
“Quindi ci va Ryo. - Shu si fermò a fare una mano di rapidi conti - Quando partirà?”
“E' già in viaggio. Ha promesso che ci farà sapere qualcosa appena possibile.”
“D'accordo. Grazie di avermi chiamato subito.”
“A presto, Shu.”

 

La foresta era umida e ombrosa. Touma sentì il morbido del muschio sotto i piedi quando atterrò, anche se tra lui e il sottobosco c'era la patina fredda e rigida dell'armatura.
Atterrò dopo aver volato a lungo, e non sapeva nemmeno di preciso dove si trovava. Sapeva solo che era davvero troppo stanco per continuare, ed ora temeva la stanchezza ed il sonno. Li temeva perché lo costringevano ad allentare la presa sulla propria lucidità, e invece lui doveva aggrapparvisi più che poteva. Più a lungo che poteva.
Non aveva idea di cosa sarebbe potuto succedere quando sarebbe stato costretto a chiudere gli occhi.
Non sapeva cosa avrebbe potuto fare, e così era volato via, più lontano possibile. Aveva cercato un posto abbastanza isolato, abbastanza lontano da tutti i centri abitati da essere sicuro di non fare più del male a nessuno.
Era ancora talmente scosso da quello che aveva scoperto - ancora non riusciva ad accettare di aver quasi ucciso una persona – che il suo primo istinto era stato quello di scappare via.
Ora che era lontano da tutto e da tutti, cercò di mettere da parte la vergogna e l'orrore, perché doveva provare a ragionare almeno un po'. Non lo faceva per rimediare o per star meglio, non era davvero il caso.
Lo faceva perché doveva capire cosa gli stesse succedendo.
Capire come poteva fare perché non succedesse più.
Si lasciò cadere in ginocchio, esausto. Il capo ciondolava in avanti, gli occhi erano socchiusi.
Quando aveva letto quell'articolo, quando aveva visto la foto di quel vicolo, con l'ambulanza sullo sfondo e quella enorme macchia di sangue sull'asfalto, aveva pensato che avrebbe voluto morire.
Aveva attaccato quell'uomo a mani nude – a mani nude! - e lo aveva colpito così ferocemente che i medici e la polizia non erano nemmeno stati in grado di fare ipotesi su quale potesse essere l'arma dell'aggressione.
Ma non c'era nessuna arma.
Era lui stesso ad essere diventato un'arma, e anche se in un certo senso lo era sempre stato, ora Touma sentiva che non c'era più un cuore ad impugnarla e tenerla salda nella giusta direzione.
Strinse le mani sulle ginocchia, e lentamente lasciò svanire la yoroi, anche se subito venne investito dall'aria fredda del bosco.
Si era alzato un po' di vento. Ancora poche ore e avrebbe fatto buio, e senza la protezione della yoroi sarebbe stato troppo freddo per rimanere lì. Ma non voleva indossarla. Aveva deciso che non l'avrebbe più fatto, a meno che non fosse assolutamente indispensabile.
Anche se Tenku non era la più irrequieta tra le armature, Touma sapeva bene che richiamarla non sarebbe stato d'aiuto al suo equilibrio, già parecchio instabile.
Si lasciò cadere seduto, poggiando la schiena al largo tronco di un albero. Le foglie vibravano e parlavano nel vento, e Touma respirò a fondo, mentre per l'ennesima volta la sua mente tornava a quel giorno.
Di nuovo il freddo, il dolore del colpo ricevuto al braccio, il risveglio dopo pochi istanti, mentre Seiji lo chiamava piano. E poi i giorni che si susseguivano in solitudine, mentre tutto rimaneva uguale attorno e tutto cambiava e precipitava dentro di lui, fino a che...
Si sollevò di scatto cercando di evitare il ricordo di ciò che era successo la notte precedente, ma non riuscì ad impedire che lo stomaco si stringesse in uno spasmo.
Spalancò gli occhi, respirando piano e ricacciando giù il conato che minacciava di arrivare fino alla gola.
Perché tutto quello che era successo da quel giorno fino ad oggi aveva smesso all'improvviso di essere un'accozzaglia indistinta di fatti e sensazioni, e finalmente aveva preso una forma ed un filo logico.
Ora Touma vedeva come tutto non fosse stato altro che un evolversi di qualcosa, una trasformazione.
E se era lui stesso, quello che si stava trasformando, che cosa stava diventando?

 

Ryo si rese conto che l'ansia stava diventando pian piano sempre più tangibile man mano che si avvicinava alla sua meta; ora che l'alto palazzo in cui abitava Touma era visibile in fondo alla strada, non riuscì a evitare di accelerare il passo.
Arrivò al cancello con il fiatone, e subito frugò nelle tasche in cerca della chiave.
Dato che viveva completamente solo, Touma ne aveva fatto una copia per ognuno di loro, perché – come aveva più volte insistito Shu, che era abituato ad avere sempre tante persone attorno – non si sa mai, avrebbe potuto aver bisogno di aiuto.
Il Plin dell'ascensore gli annunciò che era arrivato al settimo piano, e Ryo notò subito che la porta era stata chiusa, ma non a chiave.
Entrò rapidamente in casa.
Buttò il borsone a terra, fece il giro delle stanze, ma non chiamò: nel momento stesso in cui aveva messo piede dentro all'appartamento, era stato sicuro che Touma non fosse in casa.
La cucina era piuttosto trascurata, e il frigo sembrava non venisse riempito da un po'. Il letto era disfatto, il cassetto del comodino aperto.
Anche in sala regnava uno strano disordine e c'era qualcosa di diverso, ma Ryo non riusciva a capire cosa fosse.
Cominciò ad agitarsi davvero quando entrò in bagno: dall'oblò della lavatrice pendevano alcuni panni sporchi: erano stati buttati lì, ma il lavaggio non era stato fatto partire. Si chinò in avanti, e ciò che temeva gli apparve evidente: erano intrisi di sangue.
Tornò in sala, in cerca di una spiegazione. Si avvicinò al computer portatile, che era aperto e ronzava piano, mentre lo schermo era andato in stand-by.
La batteria era rovente, e Ryo pensò che fosse molto strano che Touma lo avesse lasciato così.
Così lo fece ripartire, e rimase piuttosto perplesso quando vide quale fosse l'ultima schermata che era stata aperta. Lesse rapidamente, mentre il suo cervello non poteva fare a meno di lanciarsi in varie supposizioni.
Infine estrasse dalla tasca il cellulare, e richiamò velocemente un numero.
“Ryo! Sei arrivato ad Hirakata?”
“Sì. Touma non c'è. E... credo che abbiamo un problema.”

 

* Capitolo 4 della mia FF “Il giorno dell'incertezza”.

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Capitolo 4
*** Quattro - Esplodere ***


“Cosa facciamo, adesso?” La voce del samurai dell'acqua suonò incerta e quasi incredula.
“Non lo so, Shin. Dobbiamo trovarlo, questo è sicuro. Il problema è che potrebbe essere ovunque.”
“Lo so. - Per una volta, la capacità di volare di Touma non sembrava una buona cosa. - Ma perché è sparito, invece di chiamarci?! Lo avremmo aiutato!”
“Shin, io credo che... ha letto quell'articolo, sarà stato sconvolto. Non so se è coinvolto in questa aggressione, ma probabilmente lui è convinto di sì. Forse non ha avuto il coraggio di parlarcene.”
“Ma di cosa si vergogna!? Siamo noi! Siamo i suoi nakama! Accidenti a voi tre e alla vostra smania di starvene sempre da soli!”
Ryo si lasciò sfuggire un sorriso un po' teso.
“Avvertiamo gli altri?”
“Sì. Tu chiama Shu, io riprovo a telefonare a Seiji.”
“Stamattina non c'era, vero?”
“Non so, in casa di Satsuki non mi ha risposto nessuno. Ora riprovo.”
“D'accordo. Non so, penso che dovremmo riunirci tutti prima possibile.”
“Sì, credo anch'io. Veniamo lì ad Hirakata?”
“Proviamo. Ma non so proprio dove potremmo iniziare a cercare.”
“Una cosa per volta. Intanto ti raggiungiamo.”
“D'accordo. Ci sentiamo presto.”
“Ciao, Ryo. Cerca di stare tranquillo, ok?”
“Anche tu.”
Shin chiuse la chiamata e velocemente ne avviò un'altra. Dopo pochi squilli rispose una voce femminile.
“Pronto?”
“Satsuki? Sono Mouri Shin. Scusami per il disturbo, avrei bisogno di parlare con Seiji.”
“Ma come, non vi ha avvertito? Seiji è partito questa mattina.”
“Partito? - Ma perché i suoi nakama erano tutti così? - Partito per dove?”
“Ha detto che va ad Hirakata. Mi sembra di aver capito che Touma non sta bene.”
“Sì, in effetti è così. - Shin stava diventando un maestro delle bugie bianche. - Non sapevo avesse intenzione di raggiungerlo... Grazie, e scusami ancora se ti ho disturbato.”
“Ma figurati, nessun disturbo. E comunque è colpa di quel testone di Seiji. Spiegategli che esiste una cosa chiamata “comunicazione verbale”, se ci riuscite.”
Una risata leggera sfuggì tra le maglie della preoccupazione e raggiunse le labbra di Shin.
“Sono molti anni che ci proviamo, credimi. A presto, Satsuki.”
“A presto.”
Shin richiamò di nuovo il numero di Ryo: a quanto pareva, tra poco avrebbe avuto compagnia.

 

Si stava facendo sera.
Seiji aveva attraversato campagne silenziose, osservato le persone accalcarsi in piccole stazioni, ed ora vedeva il cielo farsi scuro sopra alle prime costruzioni di Hirakata: pensò che entro poco avrebbe avuto delle risposte.
Non sapeva se sarebbero state buone; a dire il vero era quasi certo che non gli sarebbero piaciute, ma ugualmente voleva sentirle.
Era rimasto in ascolto per diversi giorni, cercando di lasciare il più possibile aperto quel canale di comunicazione che lo legava ai suoi nakama. Non era una cosa regolare, di certo non era come alzare una cornetta e parlarsi. A volte era sgombro e lasciava passare tante cose, a volte era chiuso. A volte le voci si affollavano le une sulle altre e non si distingueva niente, come quando uno di loro stava male e gli altri se ne accorgevano, mischiando allarme ad altro allarme.
Ma al contrario che con il telefono, attraverso il loro legame non era possibile mentire.
Stavolta Seiji si era concentrato sulla voce di Tenku, che non era rimasta mai muta. Ma il cielo era percorso da correnti impetuose, e tutto quello che aveva ascoltato era stato vento e burrasca.
Ma finalmente era arrivato: la frenata del treno premette sul suo corpo, spingendolo ad alzarsi con uno scatto. Scese dal treno, uscì dalla stazione.
Con una serie di passi fatti mille volte, raggiunse la strada su cui si affacciava il palazzo di Touma. Istintivamente alzò lo sguardo verso le finestre della cucina, e sorrise vedendo che la luce era accesa.
Accelerò il passo ed arrivò davanti al cancello. Suonò il campanello, ma la voce che rispose non era quella che si aspettava.
“Seiji, sei tu?”
“Ryo??”
“Vieni su.”

 

“Seiji, per favore, puoi venire qui con noi? - La voce di Shu era un po' esasperata. - Rileggere quell'articolo per la millesima volta non ci dirà dove si trova Touma!”
“Scusate.” Seiji si alzò dal tavolo sul quale continuava a ronzare il piccolo portatile. Ancora non riusciva a credere a quello che sembrava stesse succedendo, ma i suoi nakama avevano ragione: continuare a rifletterci non li avrebbe aiutati a trovare una soluzione. Non con le poche informazioni che avevano.
Li raggiunse sui divani e sedette accanto a Ryo.
Poco dopo che Seiji era arrivato all'appartamento, scoprendo che purtroppo non era stato Touma ad aver lasciato accesa la luce della cucina, lui e Ryo erano stati raggiunti dagli altri.
Per una volta, il suo muoversi indipendentemente dagli altri ha fatto sì che si riunissero prima, invece di finire coll'allontanarli: Seiji viveva molto lontano da tutti loro, era un bene che fosse partito la mattina stessa, prima che tutto il problema venisse a galla.
Purtroppo nessuno di loro sapeva molto di cosa stesse succedendo, così avevano impiegato pochi minuti ad aggiornarsi l'un l'altro, per poi spenderne molti di più nel cercare di decidere cosa fare.
“Bene: appurato che non è venuto a cercare nessuno di noi, e che probabilmente è scappato a nascondersi da qualche parte, come facciamo a capire dove?”
“Ci sono due posti in cui ci si può nascondere: nella confusione di una grande città, o in qualche luogo disabitato.”
“La grande città la escluderei. Se davvero Touma ha... beh, ha aggredito quell'uomo, di certo non andrebbe in un posto pieno di persone.”
“Eppure continua a sembrarmi impossibile. Touma che fa... Non riesco nemmeno ad immaginare che possa perdere la testa, figuriamoci arrivare a... ad attaccare una persona in quel modo! Non riesco a immaginare niente che possa giustificare una cosa del genere! Abbiamo capito male, è evidente. Ci deve essere un'altra spiegazione.”
“Ryo, nessuno di noi vuole crederci, ma se non fosse lui stesso, l'aggressore, perché sparire in questo modo?”
“Forse è stato attaccato e trascinato via da qualche parte!”
“No. E' andato via di sua volontà.”
“E come fai ad esserne così sicuro, Shin?”
Shin sospirò, abbassando lo sguardo. Se ne era accorto praticamente subito, ma per qualche motivo non ne aveva ancora parlato con nessuno di loro.
“Perchè ha preso su la busta che tiene nel comodino.”*
Il silenzio cadde nella stanza: ognuno di loro sapeva che un gesto come quello equivaleva ad un addio.

 

Questa volta è una crisalide che cerca di uscire dal bozzolo. Si sente legato stretto, compresso in un corpo che non è il suo. Tende la schiena, cerca di allargare le braccia, preme a terra con la fronte mentre cerca di liberarsi ed esplodere. Deve uscire. Deve uscire da lì, perché sta soffocando.

Touma si sforzò di aprire gli occhi, sui quali sembrava essersi posata una coltre difficile da sollevare.
La luce bianca e rosata gli lasciò intendere che tra poco la notte avrebbe ceduto il posto alla mattina. Nonostante i suoi sforzi doveva essersi assopito, perché non ricordava nulla della notte appena trascorsa. La testa gli girava, ma cercò di mettersi seduto: si bloccò subito quando sentì il rumore metallico che accompagnava i suoi movimenti: non si era accorto di aver indossato la yoroi.
L'aveva fatto nel dormiveglia, forse per contrastare il freddo?
Finalmente riuscì a sollevarsi seduto e mettere a fuoco ciò che aveva attorno.
E vide che aveva fatto molto di più che richiamare l'armatura: alberi abbattuti, profonde spaccature nella terra, erba bruciata... il bosco sembrava dilaniato da una violenta esplosione.
Si alzò in piedi, cercando di riconoscere i segni di Tenku in tutta quella distruzione, poi si lasciò cadere di nuovo. Le sensazioni provate poco prima, come in sogno, riaffiorarono alla sua mente.
Si prese la testa nelle mani, cercando di pensare. Cosa stava succedendo? E cosa poteva fare?

 

 

*Mi auto-cito, che faccio prima:
Touma aveva una busta in fondo al cassetto del comodino. Era una busta di carta gialla, un po' ruvida, e conteneva qualche decina di fotografie. Per prenderla bisognava spostare un po' di cose – la scatola che conteneva l'orologio di suo padre, un blister di compresse per il mal di testa, un quadernetto nero tutto sgualcito e anche due o tre caramelle mezze sciolte che avevano troppi anni per essere ancora commestibili - ma non era importante, perché non gli capitava di tirarla fuori molto spesso.
Le foto dentro la busta erano tra le cose più preziose che aveva. Anche se non le riguardava quasi mai, le voleva lì, vicino a sé mentre dormiva.”

Dal primo capitolo della mia fic “Ancora una volta”. Touma conserva nella busta tutte le foto scattate insieme ai suoi nakama durante gli anni.

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Capitolo 5
*** Cinque - Uccidere ***


L'appartamento era inondato da una bella luce calda: entrava dalla grande finestra della sala e rendeva più vividi tutti i colori. Schiariva le ombre che la preoccupazione e il poco sonno avevano disegnato su quattro volti.
Un po' d'acqua bolliva per il tè, qualcosa che sfrigolava sui fornelli, e la voce sommessa della televisione diffondeva le notizie del mattino.
“Non hai dormito, vero?”
Ryo si passò stancamente una mano sugli occhi.
“Perchè, tu l'hai fatto?”
“Un po'. A tratti.”
“Siamo tutti preoccupati. - Shin li raggiunse a tavola, rovesciando nei piatti il contenuto della padella – Non credo riusciremo a riposare bene fino a che non sapremo dov'è Touma e come sta.”
“Shhhhhhhh! - Shu alzò una mano verso di loro, lo sguardo spostato a sinistra, verso il televisore. - Guardate!”
Si avvicinarono tutti, mentre Ryo alzava un po' il volume.
Sullo schermo correvano le immagini di una foresta in parte distrutta. Alberi abbattuti e profonde spaccature nella terra accompagnavano la voce del cronista, che parlava di un fenomeno inspiegabile avvenuto poco prima dell'alba.
E mentre lo studioso interpellato dai giornalisti ipotizzava insoliti movimenti franosi del terreno e addirittura la caduta di un piccolo meteorite, non fu difficile per loro riconoscere i segni lasciati dalla Yoroi.
Tenku aveva liberato il proprio potere, e non sapevano il perché. Ma almeno adesso sapevano che Touma era lì, o lo era stato fino a poco prima.
“Ma cosa...”
“Quanto ci vorrà per arrivare là?”
“Qualche ora, credo. Non so fin dove si riesca ad arrivare con l'auto.”
“Andiamo.”

 

Alcune voci risuonarono tra gli alberi, spaventate e tese. Touma non riusciva a distinguere bene, ma sembrava parlassero del bosco e di cosa potesse averlo distrutto in quel modo.
Dopo poco cominciò a sentire dei passi: si avvicinavano, arrivano dalla strada in fondo al pendio e stavano per raggiungerlo. Chi erano quelle persone? Erano lì per lui?
Gli sembrò di non riuscire a ragionare lucidamente: improvvisamente i ricordi si confondevano e faticava a capire dove si trovava, e come ci fosse arrivato.
Sapeva solo che stava arrivando qualcuno.
E che non voleva che lo vedessero.
Con un paio di balzi salì sui rami più alti di uno dei pochi alberi rimasti in piedi.
Rimase immobile ed acquattato tra le fronde, mentre figure in movimento apparivano tra i cespugli, poco più in basso.
Touma non sapeva il perché, ma si sentiva come un animale braccato dai cacciatori.
In trappola come un guerriero ferito e nascosto che i nemici stanno cercando di stanare.
Doveva fuggire, ma gli sembrava che il corpo non gli rispondesse.
Ma l'armatura sì.
Tenku si stava risvegliando di nuovo, poteva sentire chiaramente la sua energia accumularsi al centro del suo petto.
Stava cominciando a rifluire lungo il braccio: il samurai non aveva mai sentito così forte e bruciante il desiderio di liberarla.

 

Era sospeso. Forse stava volando, non avrebbe saputo dirlo.
L'aria fredda sembrava volerlo risvegliare, e Touma aprì a fatica gli occhi.
Sentì il viso frustato dalle piccole ciocche di capelli sfuggite all'elmo e mosse dal vento: per la seconda volta aveva indossato la yoroi senza rendersene conto.
Ancora una volta non riusciva a ricordare cosa fosse successo.
Le nuvole chiare sopra alle quali stava fluttuando si diradarono un po', mosse dal vento. Si formò uno spiraglio che lasciava vedere il bosco sotto di lui.
Touma guardò ciò che rimaneva degli alberi, e i ricordi del suo primo risveglio rifluirono velocemente. Aveva di nuovo usato il potere di Tenku per distruggere? L'aveva fatto ancora?
Cominciò a scendere lentamente, cercando di capire se ci fosse qualcosa di diverso rispetto a prima.
Era troppo confuso ed agitato per riuscire a distinguere, vedeva solo un bosco distrutto,dilaniato dalla forza della sua armatura.
Un attimo prima di posare i piedi a terra, un nuovo ricordo lo attraversò così violentemente che Touma perse la presa sul proprio potere e cadde giù malamente.
C'erano delle persone.
Erano lì attorno, si stavano avvicinando.
Che cosa è successo?

Avrebbe voluto urlare per la frustrazione e per l'angoscia, perché non aveva idea di cosa aveva fatto.

 

“Come sta? Ti sembra ferito?”
“No, non direi. Però non ne sono sicuro, dovrebbe togliere l'undergear.”
Touma vide alcune figure sfocate chinarsi su di lui.
Questa volta non aveva perso conoscenza; era piuttosto come se avesse sognato tutto il tempo. Un'immagine dietro l'altra, un ricordo, e poi un altro, mischiati tra le ombre degli alberi, nel bosco su cui lentamente era scesa la sera.
“Touma! Mi vedi? Riesci a sentirci?”
Doveva avere gli occhi aperti, perché distingueva i loro sguardi. Eppure non riusciva a rispondere. Sentiva la testa pesante e confusa, gli strascichi di tutti quei sogni si mischiavano a ciò che cercava di guardare.
Una mano si posò sulla sua fronte, un'altra sul cuore.
“Touma?”
Altro calore si irradiava lungo le braccia, era quasi sicuro che qualcuno stesse stringendo le sue mani.
“Touma?”
Tutto quel calore stava penetrando attraverso il freddo dell'undergear. Scendeva verso il cuore, sembrava quasi che stesse snebbiando la sua mente.
Si sentì meglio, eppure stava anche peggio: c'era qualcosa dentro di lui che si ribellava e si opponeva a tutto questo. Qualcosa che ringhiava e scalpitava, cercando di scacciare i suoi nakama fuori di sé.
All'improvviso si sollevò a sedere. Prese diverse lunghe boccate d'aria, come se fosse rimasto a lungo sott'acqua. Strinse gli occhi, mentre le voci spaventate degli altri sfioravano la sua mente senza riuscire ad entrare.
Quando li riaprì, tutto sembrava di nuovo nitido.
Quattro paia di occhi lo fissavano aspettando una risposta, ma lui non sapeva bene quale sarebbe dovuta essere.
Si passò una mano sul viso.
“Cosa... Cosa ci fate qui?”
“Cosa ci fai tu, in un posto come questo! Perchè sei scappato quassù? Cosa sta succedendo?”
“Ryo, dagli un po' di respiro.”
“Io... sto diventando... Non lo so. Sto diventando qualcosa.”
“Qualcosa? Cosa vuoi dire?”
“Non lo so!”
“Calmati, ok? - Shin gli prese entrambe le mani, la sua voce aveva qualcosa che gli trasmetteva pace. - Andiamo via da qui, d'accordo? Torneremo indietro tutti assieme, e cercheremo di capire cosa sta succedendo.”
Touma cominciò a scuotere ossessivamente il capo, gli occhi di nuovo serrati.
“No. Non posso. Io credo... credo di star diventando un mostro. Un demone, o... Non lo so. Non posso stare con voi. Non posso stare con nessuno!”
“Un demone? Ma come è possibile?”
“Quando è successo? Sai dirmi quando è cominciato?”
“No. Forse... forse l'ultima volta che abbiamo combattuto. Deve essere successo qualcosa, ma non lo so, più cerco di pensare e più mi sembra di essere confuso!”
Per qualche istante calò il silenzio tra loro.
“Ha senso.”
“Cosa vuoi dire, Shin?”
“Stavamo combattendo, e... all'improvviso quel demone è scomparso. Non ne abbiamo più parlato, ma... sappiamo cosa è successo davvero? Qualcuno di voi sa di averlo colpito con certezza?”
“No, io no. Ero abbastanza lontano, quando è svanito.”
“Anch'io. Seiji? Tu eri lì.”
“Sì, io e Touma eravamo vicini, ma quando lui è stato colpito, per qualche istante non ho prestato attenzione al demone. Quando ho alzato di nuovo lo sguardo su di lui... era scomparso.”
“Forse... Abbiamo pensato che avesse attaccato Touma, ma... Se invece lo avesse colpito per entrare dentro di lui?”
“Come se... si fosse nascosto?”
“Non so, qualcosa del genere.”
“Era molto debole dopo il primo attacco. Forse ha capito che non ce l'avrebbe fatta, e ha cercato di scomparire in quel modo.”
“Non è solo questo. Se avesse cercato solo un nascondiglio, sarebbe uscito appena si fosse sentito al sicuro. Quando ci siamo separati, ad esempio.”
“E quindi?”
“E quindi vuole me! - Touma era rimasto in silenzio fino a quel momento, ma ora improvvisamente gli sembrava di avere di nuovo tutto chiaro. - Vuole usare me e Tenku a proprio vantaggio! Chissà come è entusiasta che io indossi una armatura!”
La voce era amara, gli occhi per un lungo attimo sembrarono quasi folli.
“Se è così... Lo cacceremo via. In qualche modo lo distruggeremo, e sarai libero.”
“No, non sarà così semplice. Lui... è come se si stesse mischiando a me, come se stessimo divenendo un'unica cosa.”
“E allora? Pensi che ti lasceremo qui senza fare nulla? Avanti Touma. Ora non sei lucido, ma... fidati di noi, d'accordo? Fidati soltanto di noi.”
Touma provò ad annuire, ma non riusciva in nessun modo a credere a ciò che promettevano i suoi nakama. Tuttavia si lasciò abbracciare da tutti loro, cercando di aggrapparsi a tutto quel calore che riusciva a permeare almeno un po'.
Si alzarono, e Ryo gli posò una mano sulla spalla, stringendo per un istante.
“Forza. Torniamo a casa.”
Touma annuì appena, ma non si mosse quando gli altri cominciarono a scendere lungo la collina.
“Seiji... puoi aspettare un momento?”
Si fermarono tutti, ma un cenno del capo del samurai della luce spinse gli altri a proseguire.
“Dimmi.”
“Io... devo parlarti di una cosa. Questa mattina, prima che voi arrivaste... - Touma parlava lentamente, sembrava che ogni parola gli costasse fatica – C'erano delle persone, qui. Me le sono trovate attorno all'improvviso, e... Forse non ero tanto lucido, forse questo demone sta già annebbiando la mente, non lo so. Io li ho visti arrivare, e...”
Seiji risalì di qualche passo lungo il pendio. Si fermò quando fu di nuovo accanto a lui.
“Touma, che cosa è successo?”
“Non lo so cosa ho pensato, io non lo so... So solo che mi sentivo braccato, non riuscivo a ragionare...”
“Touma. - La voce di Seiji aveva perso la propria intonazione pacata. - Li hai attaccati? Hai colpito quelle persone?”
“No! No, io... sono riuscito a controllarmi, sono scappato via. Credo di essere volato su prima che mi vedessero. Quando sono sceso li ho visti, erano vicini alla strada, stavano andando via. - Touma sentì le dita delle mani pizzicare e farsi fredde al ricordo di quello che aveva provato. Si era quasi convinto di aver commesso l'irreparabile, quando era riuscito a distinguere le piccole sagome risalire sulle auto con cui erano arrivate. - Ma stavo per farlo. C'è stato un attimo in cui... credo di aver davvero pensato di farlo.”
“Ma non è successo. E' questa creatura che hai dentro ha cercato di spingerti a farlo, ma tu hai resistito. E' tutto a posto, Touma, sei stato forte.”
“E se non ci fossi riuscito? Se la prossima volta non dovessi farcela? Se io... se io attaccassi voi? Quanto posso resistere prima che questa cosa mi faccia perdere il controllo del tutto?”
“Touma, non ti lasceremo diventare un demone.”
“Non è così, e lo sai. Io non posso rischiare di...”
“Devi avere fiducia in noi. Non ti lasceremo solo.”
“Seiji, io... lo so che farete di tutto per impedirlo. Ma lo sai anche tu, non è detto che sia possibile. Il tempo è poco, e non sappiamo se esiste un modo per fermare questa cosa.”
“Non parlare così.”
“No, sei tu che non devi parlare. Ora ascoltami: quando il processo sarà completo e di me non sarà rimasto più nulla... quando sarete certi che non ci sia più modo di fermarmi, voi dovrete uccidermi.”
“Che cosa? Non puoi...”
“Diventerò uno di loro. Lo sto già diventando, sai benissimo cosa significa. Non potete far finta che non sia così, solo perché sono io. - Touma strinse la mano a pugno, la corteccia dell'albero gli graffiò le nocche. Non riusciva ad alzare gli occhi, eppure non era disposto a lasciar cadere questo discorso. - Quando succederà, sarà come se io fossi già morto, lo capisci? Non dovrete esitare, perché non ci sarà più nulla di me. Forse avrò ancora l'aspetto che ho adesso, ma non sarò io.”
Seiji fece ancora un passo verso di lui. Touma non riusciva a capire se fosse arrabbiato o solo serio. Non ci riusciva perché – davvero – questa volta non ce la faceva proprio ad alzare lo sguardo su di lui.
“Non sarà necessario, troveremo una soluzione. La troveremo, perciò non voglio più sentirti fare discorsi del genere.”
“Seiji! - Stavolta aveva alzato la voce. - La smetti?! Ascoltami bene, perché non lo dirò più! Devo essere sicuro che lo farete. Se posso contare su questo, allora aspetterò. Vi darò tutto il tempo che mi rimane, e voi lo impiegherete per cercare di liberarmi. Ma poi dovrete mantenere la promessa non appena sarà necessario. Ma se non siete disposti a farlo, allora ci penserò io. Lo farò prima che tutto sia compromesso, quando sarò ancora in grado di distinguere.”
Seiji aprì la bocca per controbattere, ma la richiuse. Spostò lo sguardo lungo il sentiero che stavano percorrendo i loro nakama. Si erano fermati più in basso, e li stavano aspettando.
Sentì il tocco di Touma su un braccio, la presa era gentile ma decisa. Gli occhi sembravano brillare per la febbre.
“Dovete farlo. E dovrai guidarli tu, Seiji. Sei l'unico che può sopportarlo.”

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Capitolo 6
*** Sei - Ascoltare ***


Una piccola nota prima di iniziare (avrei dovuto metterla subito, ma l'ho dimenticato... XD). Leggendo questo capitolo, vi sarete resi conto che è cambiato qualcosa.
Se c'è qualcosa che vi suona strano, è perchè ho cambiato il tempo delle narrazione, passando dal presente al passato. Immagino non sia gradevole trovarsi un cambio del genere a metà storia, e me ne scuso, ma ormai non riuscivo più a gestire la narrazione così come l'avevo iniziata, e alla fine mi sono decisa a riconvertire il tutto al passato.
Ovviamente ho modificato anche i capitoli vecchi, perciò l'inconveniente sarà evitato almeno per chi comincia a leggere la storia adesso da zero.
Buona lettura, e scusate ancora per il trambusto! <3


L'auto imboccò la curva a velocità troppo elevata. Seiji riuscì a mantenere il controllo della vettura, ma i passeggeri vennero sballottati a destra e sinistra.
La testa di Touma rotolò bruscamente di lato, andando a sbattere contro la spalla di Shu.
Appena erano arrivati all'auto, il samurai del cielo era crollato. Impossibile capire se fosse colpa del demone o se avesse semplicemente ceduto alla stanchezza ed al calo di tensione, così si erano limitati a farlo salire ed assicurarlo con la cintura. Poi erano ripartiti alla volta di Hirakata.
Shu gli sollevò con delicatezza il capo, rimettendolo dritto.
“Seiji, se hai bisogno di sfogare la tua rabbia, sei pregato di trovare un altro modo e lasciar guidare a qualcuno più calmo di te!”
“Sono calmo.”
“No che non lo sei! Non ho voglia di schiantarmi con l'auto solo perché tu e Touma avete dei segreti!”
Seiji fece per replicare, ma poi richiuse la bocca senza aver detto nulla. Ryo, che era seduto di fianco a lui, parlò per la prima volta da quando erano ripartiti.
“Seiji, cosa ti ha detto Touma?”
“E non dire che non è niente di importante, per favore. - Intervenne Shin. - Sei troppo agitato perché possa essere così.”
“Touma ha deciso di parlarne solo con me, ed io rispetterò questa sua scelta. Chiedete a lui.”
Shu fu tentato di ribattere, ma rinunciò. Il tono di Seiji lasciava intendere che non avrebbe detto altro, così ciascuno di loro lasciò cadere a malincuore l'argomento, almeno per il momento.
Shin osservò il nakama seduto accanto a sè: il capo era abbandonato all'indietro, gli occhi chiusi. Di tanto in tanto contraeva il viso in una smorfia, a volte sofferente, a volte rabbiosa.
Si chiese come lo avrebbero trovato quando si sarebbe svegliato. Sarebbe stato ancora Touma, o sarebbe stato diverso?
Dal momento stesso in cui avevano capito cosa stesse succedendo, Shin non aveva potuto fare a meno di lanciarsi in congetture ed immagini allarmanti, nelle quali vedeva il suo nakama cambiare un po' alla volta, fino ad essere completamente sostituito dalla presenza che ora albergava in lui.
Più ci pensava, e più si convinceva che dovevano far presto.
Perlomeno lo avevano trovato ed erano tutti assieme: nonostante tutto, Shin non poteva provare altro che fiducia, quando erano uniti.
 

Sulla grande terrazza dai parapetti di legno laccato soffiava sempre il vento.
A volte era sottile e leggero come una brezza profumata, a volte rombava come se dovesse portare tempesta.
In un caso e nell'altro, era sempre il frutto di tutte le forze opposte e profondamente diverse che si incontravano lì, lungo il confine tra il mondo degli uomini e quello degli Youja.
Kayura aveva stabilito in quel luogo la propria residenza, dalla quale poter custodire il confine tra i due mondi ed adempiere al compito da cui Arago aveva cercato di strapparla, secoli prima.
Il piccolo palazzo di pietra si ergeva al termine di una lunga e sottile striscia di terra che attraversava le acque basse e lucenti sulle quali si rifletteva un cielo dorato dalle numerose lune.
Poco oltre la casa, l'acqua cambiava lucentezza e consistenza, fino a diventare impalpabile come aria. Spingendo lo sguardo il più lontano possibile, si poteva vedere come si trasformasse nel cielo degli uomini.
Inizialmente Kayura aveva faticato ad accettare la propria natura e la verità che le era stata nascosta fin da bambina, quando era stata strappata al proprio clan per divenire uno dei guerrieri al servizio del male.
Tutto ciò che aveva conosciuto vivendo a Bonnokyo aveva cominciato a dissolversi quando si era scontrata con quei cinque giovani guerrieri. Da quel momento in poi, ogni cosa si era susseguita così in fretta che era rimasta a lungo con la sensazione di non riconoscersi, e di non appartenere a nessun luogo.
Per un po' aveva vagato sulla terra, in cerca di qualcosa che potesse far riaffiorare ricordi perduti, o rispondere a qualcuna delle sue domande. Era stata affascinata da tante cose, ma presto se ne era stancata. Il tempo degli uomini aveva un modo di scorrere che Kayura avrebbe potuto definire solamente come estenuante. Giorno dopo notte, dopo giorno, stagione dopo stagione... Per chi, come lei, era abituata alla quieta immutabilità di Bonnokyo, questo ritmo cadenzato e senza fine era difficile da sopportare.
Così era tornata dove aveva trascorso buona parte della vita, ma nemmeno lì aveva trovato il proprio posto: aveva impiegato ancora un po', prima di capire quale fosse il proprio destino.
Lo shakujo avrebbe potuto guidarla fin da subito, ma inizialmente vi si era opposta.
C'erano molte voci che risuonavano in esso.
Quella di Kaosu le trasmetteva una struggente malinconia per tutto ciò che sarebbe potuto essere e non era mai stato, e la spingeva ad allontanarsene.
Anche Shuten vi aveva impresso nitidamente il proprio passaggio, per quanto fosse stato fugace, e quella voce la tormentava più di tutte le altre, sprofondandola nella vergogna e nel rimorso.
Solo quando era riuscita ad accettare anche questo aspetto del proprio passato aveva potuto cedere allo shakujo, ed esso le aveva lasciato trovare, un passo alla volta, la strada che le spettava percorrere.
Anche in quel momento era accanto a lei, poggiato alla sua spalla esile e sostenuto dal braccio nascosto dalla ampia manica del kimono.
Erano entrambi in ascolto delle correnti, poiché da diversi giorni del tempo umano era accaduto qualcosa che li rendeva inquieti.
Kayura percepì le tre presenze non appena si furono materializzate alle sue spalle. Strinse le labbra con disappunto, quando ricordò come si sarebbe rivolta a loro, in un altro tempo.
Questa volta, invece, non disse nulla e lasciò che fossero loro a parlare.
“Anche tu hai sentito cosa sta accadendo. - Colui che aveva portato il nome di Anubis era distante, probabilmente era rimasto accanto alla porta da cui si accedeva al terrazzo. - Farai qualcosa, questa volta?”
“Non è il compito che mi è stato affidato. - La voce era quieta ma ferma. - Non ho voce in capitolo su ciò che accade al di qua ed al di là di questa linea.”
Da quando si era stabilita in quel luogo, tutto ciò che aveva fatto era stato vigilare sulla linea che i Kami avevano posto tra i due mondi. Soltanto una volta gli accadimenti che aveva percepito erano stati tali da farle sentire il desiderio di intervenire. Aveva osservato Suzunagi e le sue mire, tenendosi pronta a tornare sulla terra e provare a fermarla. Ma lo Shakujo le aveva parlato con la voce di Kaosu. L'aveva fermata, invitandola ad avere fiducia nell'unione dei cinque cuori dei Samurai. Aveva atteso, inquieta, e per fortuna i fatti avevano dato ragione ancora una volta al monaco.
“Il tuo compito è vegliare su questo confine, ma questa volta le cose si stanno mescolando. - La voce di Rajura gli giungeva più vicina, qualche passo dietro di lei. - Se uno di loro diventerà uno Youia, la linea di divisione potrà dirsi davvero intatta?”
“Voi credete che spetti a me decidere, ma non è così.”
“Ma non è vero nemmeno il contrario.” Chi aveva indossato l'armatura del veleno si fece avanti, unico tra loro a mostrarsi ai suoi occhi. Lei lo guardò: tra tutti loro, era quello che maggiormente era stato cambiato dall'intervento di Arago. Ora che aveva recuperato buona parte della propria natura umana, i suoi occhi pacati e silenziosamente sofferenti sembravano una sgargiante bandiera di cosa poteva compiere il Male.
Kayura sospirò, riportando lo sguardo all'orizzonte di cielo ed acqua, e strinse un po' più forte lo Shakujo.
“Aspetterò di avere una risposta. Sono certa che Kaosu avrà qualcosa da dirmi.”
“Farai ciò che ti dirà?”
“E' probabile.”
Un attimo dopo, era di nuovo sola.
Sorrise a sé stessa, un po' dispiaciuta, un po' divertita. Fino a quel momento era riuscita a lasciarsi guidare, ma il suo vero spirito non si era mai davvero sopito. Nemmeno quando era tra le file di Arago, l'obbedienza sarebbe stata inscritta tra le sue migliori virtù.

 

Si stava facendo sera. Seiji aveva ceduto il volante a Shu da circa una mezz'ora, dicendo di essere stanco. In realtà, ormai non riusciva più a reprimere l'istinto di controllare a vista Touma, e cercare di percepire più chiaramente possibile cosa stesse succedendo. Si era seduto dietro, accanto a lui, e gli aveva preso la mano, mettendosi in ascolto.
Per un po' non aveva percepito nulla: era tutto così calmo che pian piano aveva ceduto alla stanchezza, appisolandosi appena con la testa poggiata alla sua. Poi era arrivata la scossa: era stata così violenta che per qualche attimo non era nemmeno riuscito a distinguere se fosse arrivata attraverso il legame, e stesse esplodendo solo nella sua testa, o se fosse fuori da sé e li stesse coinvolgendo tutti.
Sentì stridere i freni dell'auto, e venne schiacciato contro la portiera dalla violenta sbandata che stavano prendendo.
Shu diede fondo al proprio sangue freddo per riuscire a rimettersi in carreggiata ed evitare di finire contro uno degli alberi che costeggiavano la strada.
Riuscì a fermare l'auto, ed un attimo dopo il motore si spense, dando segno di non volersi riaccendere. Lui e Ryo saltarono fuori in un istante, mentre Shin e Seiji rimanevano con Touma, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Improvvisamente mille figure scure avevano cominciato a materializzarsi attorno a loro. La prima era apparsa proprio nella traiettoria dell'auto, facendo sterzare violentemente Shu, ed ora ne stavano arrivando tantissime altre. Li circondavano, facendosi via via più fitte, e sembrava avessero ognuna una sorta di doppio, riflesso a testa in giù sopra di sé.
Un esercito di demoni appesi al cielo come pipistrelli in una grotta, ed un altro esercito gemello, che si stava stringendo attorno ai samurai.
Quando Shin riportò la propria attenzione all'interno dell'abitacolo, ciò che vide gli fece dimenticare per un attimo tutte le creature attorno a loro: Touma si era sollevato dallo schienale. Inizialmente la schiena rigida e gli occhi sbarrati avevano fatto credere a Shin che si fosse svegliato, ma dopo un istante si era accorto che non era così: non era di Touma quello sguardo, e non era la sua volontà a muoverlo, quando uscì dall'auto, scavalcandolo con uno scatto improvviso.

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Capitolo 7
*** Sette - Combattere ***


Il cielo è percorso da linee nere che a malapena si distinguono sul grigio opaco che sta nascondendo tutte le stelle. Scorrono come nastri sfilacciati e a tratti assomigliano ad aurore boreali: simili nella forma, ma senza averne conservato nemmeno un colore.
Figure come ombre lo circondano, ed altre sono di fronte a lui. E' certo di conoscere già quelle luci che pulsano lì davanti, ma sono troppo opache e fumose per riuscire a ricordare chi siano, e quando le ha incontrate...

 

Quando Touma si era lanciato fuori dall'auto, per un istante Shin aveva creduto che sarebbe fuggito di nuovo, costringendoli ad un'altra angosciosa ricerca.
Ma Touma non era affatto scappato.
Si era allontanato di pochi passi, e prima che nessuno di loro potesse fare qualcosa, aveva indossato la yoroi, sollevandosi in volo.
Ora fluttuava a pochi metri da terra, esattamente in corrispondenza della linea che separava le due file di demoni. Aveva incrociato le braccia sul petto, e fissava i propri nakama.
Impossibile non notare come apparisse simile ad un generale circondato dal proprio esercito.
Ryo si voltò verso i compagni, immobili pochi passi dietro di lui. L'incertezza nel suo sguardo non era molto diversa da quella che vide nei loro. Tornò a guardare verso il loro nakama, che li fissava con occhi sconosciuti ed incomprensibili.
“Siamo già a questo.” Mormorò Seiji.
Era passata appena qualche ora da quando avevano ritrovato Touma e capito cosa potesse essere successo, e ancora non avevano nemmeno valutato la possibilità che il demone prendesse del tutto il sopravvento e li mettesse gli uni contro gli altri. Non ne avevano avuto il tempo.
Non era la prima volta che – costretti od ingannati – si erano trovati a combattere tra loro, ma non per questo sapevano come comportarsi.

 

Touma – o il demone che albergava in lui - era rimasto qualche istante ad osservarli. Sembrava piuttosto compiaciuto dal trovarseli di nuovo di fronte. Sorrise a labbra strette, ma non parlò.
“Che cosa fa? - Mormorò Shu. - E soprattutto, cos'ha da sorridere?”
“Non è Touma.”
“Lo so! So riconoscere uno Youia, Shin!”
“Sorride perché sa di essere molto più forte e protetto della volta scorsa. - Seiji accennò un sorriso mesto. - Ed è convinto che non lo colpiremo.”
“Fantastico.”
Il rumore della yoroi di Touma che si muoveva li fece immobilizzare. Con un movimento che conoscevano molto bene, il demone prese l'arco e lo fece aprire. Pi richiamò una delle frecce dorate e la incoccò.
Ryo sfoderò le spade e si mise in posizione di difesa, imitato dagli altri.
Il potere di Tenku, o di ciò che era diventato, cominciò a rifluire nella punta della freccia, facendola brillare di una strana luce. Non si stava raccogliendo in volute armoniose, come accadeva quando era Touma a governarlo: questa volta formava piccoli vortici irregolari e veloci, e sembrava quasi strappato alle nuvole scure che erano sopra di loro. Gli ultimi raggi del tramonto le avevano tinte di ombre rossastre, rendendole ancora più cupe ed incombenti.
La freccia lasciò l'arco, investendoli con tutta la sua forza.
Il fatto che non fosse Touma a richiamarla, purtroppo, non l'aveva resa meno potente. Anzi, vi era una sorta di volontà distruttrice che raramente caratterizzava i loro colpi.
Si ritrovarono tutti e quattro a terra, protetti solo in parte dallo scudo fornito da spade e lance.
Prima che potessero rialzarsi, però, furono accerchiati da tutti i guerrieri accorsi al richiamo dello Youia, e che fino a quel momento si erano limitati ad affiancarlo.
Li stringevano in più file da terra, e scendevano a colpirli dall'alto, costringendoli a chiudersi gli uni contro gli altri. Per quanti ne contrastassero, sembrava ce ne fossero sempre di nuovi.
Non erano più forti delle orde di guerrieri che più volte Arago aveva liberato contro di loro, ma continuavano a tenerli impegnati, impedendogli di raggiungere Touma.
Cominciavano a sentire la stanchezza che lentamente li prendeva alle spalle, privi anche del sostegno dato dall'unione dei loro cinque cuori.
Il demone parve sentire che stavano cominciando a cedere, e lentamente prese ad avvicinarsi.
Pi si fermò, come se avesse percepito qualcosa di diverso. Qualcosa, dentro a questo nuovo corpo in cui albergava, che gli permetteva di accedere ad un potere molto più grande.
C'era una sorta di ponte che collegava la sua nuova armatura, insieme a quelle contro cui stava combattendo, ad una forza immensa, che avrebbe potuto renderlo invincibile. Un potere che, alimentato dalla battaglia che si stava consumando, fremeva come brace sotto la cenere, e desiderava ardentemente di essere richiamato.
Sorrise, poi provò a percorrere quel ponte, e vedere a cosa l'avrebbe portato.

 

Ryo ci aveva pensato molte volte, in quei mesi. Da quando la kitoukei era stata riformata nel tentativo di salvare Shin, si era chiesto più volte che aspetto avrebbe avuto una volta richiamata, e cosa avrebbe provato nell'indossarla nuovamente.
Aveva cercato di ricordare come fosse combattere vestendo la vecchia armatura bianca, ma era stato come cercare di ricordare un sogno confuso. Come se la sua mente avesse preferito cancellare il più possibile, o la kikoutei stessa si fosse portata via quel pezzo dei suoi ricordi.
Forse fu per questo motivo che si sentì quasi soffocare, quando si accorse che stava succedendo.
Rekka scomparve, e per un istante gli sembrò che l'attacco subìto si stesse scaricando direttamente sul suo corpo inerme. Il dolore fu intenso, ma scomparve prima ancora che Ryo potesse capire.
L'istante dopo fu buio e silenzio assoluto, ma l'attimo successivo fu come un'esplosione che inglobava tutto, per poi riportarlo indietro, tra i suoi nakama.
L'armatura che ora vestiva non era di aspetto molto diverso dalla prima Kikoutei: bianca per la maggior parte, riluceva di rosso e nero in dettagli che le donavano imponenza. Sottili linee dorate sottolineavano bordi squadrati e punte minacciose. Ma l'avrebbero riconosciuta subito anche se fosse stata completamente diversa: era sufficiente la forza che sprigionava attorno a sé, assoluta e distruttiva come quella della prima.
 

La mano candida strinse con maggiore forza lo Shakujo, mentre la perturbazione liberatasi dalla comparsa della kikoutei si disperdeva, sfumando come una sorta di rintocco.
Se Kaosu aveva qualcosa da dirle, non era ancora giunto il momento. O forse lei non era più capace di ascoltare: Kayura sapeva bene di essere piuttosto irrequieta, e forse questo le impediva di capire ciò che lo Shakujo poteva trasmetterle.
Si avvicinò di più al bordo della terrazza, lasciando il bastone poggiato alla spalla e posando entrambe le mani al parapetto.
Il kimono bianco e rosato che indossava frusciò al vento, aprendosi appena. La cascata di fiori rosa ricamati sul fondo e lungo la caduta delle maniche lasciò intravedere quello sottostante, azzurro intenso.
“Non possiamo davvero fare nulla?” Mormorò.

 

Ryo era così preso dalla sensazione di indossare nuovamente l'armatura bianca, che per qualche istante aveva dimenticato cosa stesse accadendo. Ma quando Touma sollevò di nuovo l'arco, mirando proprio a lui, si rese conto che la Kikoutei aveva deciso di manifestarsi nuovamente proprio quando il loro nemico risiedeva dentro ad uno di loro.
E lui non sapeva nemmeno se sarebbe stato in grado di governarla.
Si voltò verso i propri nakama, che apparivano frastornati quanto lui. Anche se erano di nuovo tutti in piedi, era facile leggere sui loro volti pallidi l'effetto dei colpi subiti e dello sforzo che l'armatura bianca aveva preteso da loro nel materializzarsi.
Se non altro, sembrava che anche Tenku avesse contribuito in ugual misura a cedere parte del proprio potere, ed il demone restava immobile, visibilmente spiazzato.
Si guardarono attorno: il drappello di guerrieri che li aveva attaccati si era dissolto: probabilmente il demone aveva perduto temporaneamente la capacità di richiamarli.
“Dobbiamo colpirlo.”
“Cosa?”
“Shin ha ragione, dobbiamo farlo adesso, prima che si riprenda.”
“Ma è pericoloso. Se il demone lo avesse indebolito? Se impedisse alla yoroi di proteggerlo?”
“Lo so. Ma la Kikoutei è comparsa senza che noi la richiamassimo. Se Touma ti attaccherà, Ryo, riuscirai ad impedirle di rispondere?”
Ryo aprì la bocca nel tentativo di ribattere, ma dopo un istante si rese conto di non poterlo fare.
In quel momento aveva la sensazione di indossare qualcosa di totalmente nuovo e sconosciuto.
Ed in ogni caso, avevano imparato a diffidare della Kikoutei e di quanto poteva influenzare le altre armature.
“E' vero. - Shu sospirò, rassegnato. - Lo colpiremo noi tre, prima che l'armatura bianca prenda iniziative. E speriamo che sia sufficiente a renderlo inoffensivo.”
Sollevarono le armi proprio mentre una nuova freccia veniva richiamata.
Ryo fece un passo indietro, cercando di rimanere concentrato sul mantenere inattiva la Kikoutei.
Forse avrebbe dovuto proprio andarsene da lì, ma non riusciva ad abbandonare i propri nakama in una situazione del genere. In realtà non riusciva nemmeno a distogliere lo sguardo da Touma e dalla freccia pronta a colpirli.
Shin, Shu e Seiji liberarono i propri colpi nello stesso istante in cui la freccia di Tenku abbandonò l'arco. Le quattro onde distruttrici si incontrarono a metà strada, rimanendo per pochi attimi in uno strano equilibrio di forze.
L'aria si saturò dell'energia sprigionata dallo scontro. Ryo poteva sentire chiaramente come l'armatura bianca la incamerasse, diventando velocemente irrequieta. Sembrava che percepisse una minaccia su ognuno di loro, ma non sapesse come interpretarla e come reagire.
Lentamente ma inesorabilmente l'onda d'urto di Kourin, Kongo e Suiko cominciò a perder potenza, ritirandosi. Benchè fosse una sola contro tre, Tenku era invece ancora ben salda, mossa da una intenzione ben diversa.
Riuscì ad aprirsi un varco, fino a raggiungerli ed investirli nuovamente. Li scagliò indietro di qualche metro, ma il demone non diede loro il tempo di rialzarsi. Incoccò una nuova freccia, e li colpì nuovamente, lasciandoli a terra immobili, sprofondati al centro del cratere che aveva aperto nella strada e nella campagna che la circondava.
Li raggiunse in un istante, palesemente soddisfatto. Incoccò un'ultima freccia, deciso a non dare loro il tempo di reagire.
Ryo cercò di sollevarsi, decisamente stordito. Il boato dell'ultimo colpo gli ronzava ancora nelle orecchie, e il corpo non sembrava volergli rispondere alla velocità di cui avrebbe avuto bisogno.
Con un calcio il demone lo ributtò a terra, poi si chinò su di lui, premendogli un ginocchio in mezzo alla schiena per impedirgli di muoversi.
“Questa volta sarete voi ad uscire sconfitti dal nostro incontro. - Sibilò al suo orecchio. - Ora non ho più bisogno di nascondermi.”
Ryo sentì salire la rabbia e lo sconforto. Fosse stato un altro nemico, avrebbe trovato il modo di scatenare contro di lui la propria forza. Ma stavolta si trattava di colpire Touma, e si sentiva totalmente inerme.
Ma la Kikoutei evidentemente non era dello stesso avviso. La sentì reagire alla minaccia, caricandosi. Anche gli altri sentirono il suo rintocco farsi sempre più forte e veloce: l'aria stessa sembrava crepitare.
“No!” Gridò Shin, mentre vedeva Ryo rimettersi in piedi con uno scatto, e Touma balzare via.
Una luce fortissima avvolse l'armatura bianca.
Prima si espanse fino quasi a raggiungere Touma, che si era fermato a poca distanza e volava a pochi metri da terra, poi cominciò a raccogliersi di nuovo verso l'interno, finendo col concentrarsi nelle spade, esattamente nel punto d'unione della doppia katana.
Ryo percepì chiaramente la scarica di energia che si sarebbe liberata di lì a poco, travolgendo Touma con una forza micidiale.
Doveva fermarla, o l'avrebbe certamente ucciso. Ma la Kikoutei sembrava totalmente fuori controllo, e non sapeva cosa fare. Cercò con tutto sé stesso di opporsi, dimenticando il legame con Rekka e cercando invece di creare quello con l'armatura bianca. Riuscì a trovare un canale, ma aprire il contatto fu come aprire il portello di un aereo in volo. Venne totalmente investito dalla forza dell'armatura e per un istante pensò di non resistere.
Con uno sforzo riuscì ad alzare lo sguardo verso Touma, e vide che la forza della Kikoutei sembrava averlo in qualche modo risvegliato. Benchè rimanesse immobile sopra di lui, gli parve che lo sguardo fosse tornato ad essere quello del suo nakama.
Si guardarono negli occhi per un istante, e fu quello che bastava perché Ryo prendesse il controllo dell'armatura e la costringesse a fermarsi.
Si liberò una sorta di onda, che sollevò una forte raffica di vento e piegò le chiome degli alberi. Le nuvole vennero allontanate in tutte le direzioni, lasciando uno spiraglio di cielo sgombro sopra le loro teste.
C'erano già le prime stelle ad illuminare la volta scura, e Ryo riuscì a vederle per un istante, prima di cadere a terra violentemente, privo di sensi.
Shu e Shin corsero verso di lui, ma Seiji non si mosse. Lo sguardo puntato sulla lenta caduta di Touma che, abbandonato in avanti e con il capo chino, toccò terra con un leggero rumore metallico, poi si accasciò giù, immobile. L'armatura scomparve con un leggero crepitio, e poco dopo si dissolse anche l'undergear.
Solo allora Seiji riuscì a scuotersi dal torpore in cui sembrava caduto, e lo raggiunse. Lo sollevò delicatamente, girandolo in modo da vedergli il viso. Non si stupì di trovarlo gelido, totalmente pervaso dal freddo di Tenku.
Il viso si contrasse in una smorfia di dolore, poi lentamente riuscì ad aprire gli occhi. Si guardò attorno, spaventato.
“Touma! Sono qui. Siamo tutti qui. Va tutto bene.”
“No, non è vero... - Tutto ciò che sapeva era di essersi trovato di fronte a Ryo, un attimo prima che la Kiktoukei lo travolgesse. Non sapeva cosa fosse successo, ma poteva immaginarne almeno una parte. Sollevò una mano e strinse con forza la spalla di Seiji. - Hai capito? Hai capito, adesso? Devi fermarmi, Seiji. Devi promettere che lo farai...”
“Touma, ascoltami...”
“Promettilo! - Il capo stava già cadendo all'indietro, privo di forze. Gli occhi erano fessure filtrate da due grosse gocce d'acqua, cielo nascosto da nuvole cariche di pioggia. - Promettimi che mi fermerai.”
Seiji si chinò in avanti. Gli baciò la fronte nel momento in cui le forze lo abbandonavano, mentre la mano scivolava via dalla spalla e Touma chiudeva gli occhi.
“Te lo prometto, Touma. - La voce era un sussurro che nessun altro poteva sentire. - Ti prometto che ti fermerò.”

Ehm... eccomi qua. Dopo... - uhm, sette mesi? - Torno su questi lidi. Chiedo umilmente perdono per la prolungata assenza, e spero di farmi perdonare propinandovi un capitolo particolarmente lungo e denso di avvenimenti. A presto!

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Capitolo 8
*** Otto - Ferirsi ***


Shu fece scorrere una sull'altra le due grandi ante di vetro della finestra del salotto.
L'aria fredda dell'alba lo risvegliò un po': era stanchissimo. Erano tutti molto stanchi.
Dopo l'iniziale stordimento, dopo aver verificato le condizioni di Ryo e Touma, erano risaliti in auto ed avevano rapidamente deciso di dirigersi nuovamente ad Hirakata. Se non altro lì avevano un posto in cui riordinare le idee, senza dover render conto a nessun altro.
Mentre l'auto ripartiva, cercando di aggirare il grande cratere che aveva distrutto buona parte della strada e diversi metri della campagna adiacente, avevano visto comparire una familiare figura candida.
Byakuen li aveva raggiunti con pochi balzi: si era affiancato all'auto in movimento, senza dar segno di volerli fermare.
Aveva corso accanto a loro per quasi tutto il tempo. A volte lungo la strada, altre volte tagliando attraverso i campi e le colline, per poi incrociare di nuovo la loro traiettoria qualche chilometro più avanti. L'avevano persa di vista poco prima di entrare in città, ma non si erano preoccupati: come sempre, sembrava aver capito fin dall'inizio dove si stessero dirigendo.
Shu raggiunse il parapetto e si sporse verso il cortile, cercando di capire se fosse arrivata.
Sentì il familiare brivido di vertigine che lo accompagnava ormai da molti anni.
In realtà, oramai, era sempre più leggero: da quando ne aveva parlato con Touma* – e da quando si era trovato ad un passo dal precipitare nel nulla** – si era finalmente deciso ad affrontare la cosa, e un po' alla volta stava migliorando.
Fece un respiro profondo, guardandosi attorno. La luce che risaliva alle spalle dei palazzi stava lentamente schiarendo il cielo; il silenzio che ancora avvolgeva la città lasciò che il canto di qualche uccello arrivasse fino a lassù.
Nel giro di poco la maggior parte degli abitanti di Hirakata avrebbe iniziato la propria giornata, ma loro avevano altro da affrontare. Ancora una volta, la loro vita scorreva lungo binari diversi da quelli di coloro che li circondavano.
Shu si voltò verso la finestra, nella penombra che avvolgeva il salotto dell'appartamento di Touma.
Shin era nella camera degli ospiti. L'aveva lasciato che si preparava per riposare un po', anche se con un occhio aperto per controllare le condizioni di Ryo, che ancora non si era svegliato dal sonno in cui era caduto dopo aver cercato di controllare la nuova Kikoutei.
Touma era nella sua camera: Seiji aveva insistito perché non rimanessero tutti assieme, e li aveva praticamente cacciati fuori dalla stanza. Si era impuntato a rimanere da solo con lui, e Shu si chiese nuovamente di cosa avessero parlato poco prima di lasciare quel bosco.
Sospirò, lasciando il parapetto e decidendosi a tornare in casa. Avrebbe provato anche lui a stendersi un paio d'ore, sperando che quella tregua che era stata concessa loro durasse abbastanza da provare a capire cosa potevano fare per liberare Touma.

 

Ryo sorrise debolmente a Shu, prendendo tra entrambe le mani la tazza di tè bollente che gli aveva preparato.
Aveva aperto gli occhi da una mezz'ora, e l'aveva trascorsa sul divano, avvolto in una coperta, con le guance rosse e il corpo percorso da brividi. Era preda di una sorta di febbre che, per quanto lo scaldasse, gli dava la sensazione altrettanto forte di avere comunque freddo.
La Kikoutei aveva alterato la sua temperatura, ma al contrario di Rekka, era come se avesse strappato molto del suo fuoco interno. Strinse le dita sulla tazza, cercando di assorbirne il calore.
“Abbiamo alzato il riscaldamento un altro po'. - La mano di Shin si posò gentile sulla sua spalla. - Vedrai che tra poco starai meglio.”
Ryo annuì, tentando un sorriso stanco.
Byakuen era arrivata poco prima, ed ora era accucciato ai piedi del divano. Ryo passò una mano sulla grande testa bianca, cercando di assorbire il senso di calma che gli trasmetteva.
Shin si mosse verso la camera.
“Vado a vedere se anche Seiji vuole un po' di tè.”
“Aspetta. - Shu spuntò dalla cucina, dove aveva continuato ad armeggiare. - Portagli anche qualcosa da mangiare.”
“Proviamo. Conoscendo Seiji, non credo proprio sia in vena di toccare cibo.”
 

La stanza era avvolta dalla penombra. Ormai era mattina inoltrata, ma Seiji aveva preferito lasciare la finestra quasi completamente oscurata. Touma era steso nel letto, ancora profondamente addormentato sotto la coltre di incubi con cui il demone lo teneva nascosto ai propri nakama.
Seiji non si era mai allontanato da lui: sostanzialmente non aveva interrotto il contatto da quando lo aveva raccolto al termine della battaglia.
Anche ora teneva la sua mano tra le proprie.
Nonostante la stanchezza, ancora non poteva cedere. Cercando di mantenere la concentrazione necessaria, teneva in vita il flebile filo che era riuscito ad afferrare quando Touma era tornato in sé, e che ancora lo collegava a lui. Poteva sentire il demone mentre tentava di separarli, cercando di soffocare ciò che restava del suo nakama.
Cercò di visualizzare nuovamente l'immagine di un cielo stellato che pian piano schiariva, attraversato da una luce bianca. Era così che molte volte aveva percepito il proprio legame con Touma, e così cercava di riformarlo.
Seiji combatteva contro il demone cercando di far filtrare la luce di Kourin oltre la barriera eretta dallo Youia, lottando palmo a palmo per conquistare terreno. Ma ormai era così stanco che non riusciva più a distinguere cosa davvero riusciva a percepire, e cosa la sua mente cercava di creare.
Cominciava a perdere il contatto dalla realtà, ma aveva ancora una direzione da seguire: doveva arrestare l'avanzata dello Youia al di fuori dei confini del cuore di Touma.
La porta si socchiuse, mentre Shin bussava piano. Seiji gli sorrise debolmente, ma sembrava non lo vedesse nitidamente.
“Ciao. Ti ho portato qualcosa di caldo.”
“Grazie. Posalo sul tavolo, per favore.”
“Come stai?” Shin si sedette sul bordo del letto, in modo da poterlo guardare negli occhi. Anche se Seiji si era sforzato di essere gentile, la voce tradiva il suo malessere.
“Sono stanco. E preoccupato. - Sollevò una mano per scostare i capelli dal viso, ma il capo era chinato e molte ciocche ricaddero in avanti a coprire gli occhi. - Sto bene.”
“Perchè non mangi qualcosa? Dovresti anche riposare un po': rimarrò io qui con Touma.”
“No. Non posso lasciarlo adesso.”
“Bevi almeno il tè, prima che si raffreddi. Seiji, sei l'unico di noi che non si è ancora concesso un attimo di riposo. Non gli sarai utile, se ti sfinisci fino a crollare.”
“Shin, ti prego. Sono sicuro che Kourin possa fare qualcosa, lasciami fare a modo mio, per favore.”
Seiji aveva scelto parole gentili, ma il suo tono trasmetteva tutt'altro. Shin si stava chiedendo se insistere o lasciar perdere, quando Touma si mosse. Prima fu solo un leggero fremito, poi cominciò a contorcersi e lamentarsi.
“Touma!”
Entrambi furono su di lui, cercando di capire come stesse.
Seiji represse un moto di stizza. Si era lasciato distrarre da Shin, ed aveva interrotto il contatto.
Posò una mano sulla fronte di Touma, cercando di raggiungerlo: non lo sentiva.
Non riusciva a sentire nulla.
“Shin, lasciaci soli, per favore.”
“Ma cosa...”
“Vai di là. Lasciami fare qualcosa. - Touma si tirò a sedere con uno spasmo più violento, poi ricadde steso. - Shin, vattene!”
Il samurai dell'acqua rimase per un attimo immobile, più per lo sconcerto che per una vera volontà di restare. Poi si sollevò, lentamente. Si voltò solamente quando fu sulla soglia.
“D'accordo. - Le spalle erano piegate in avanti. - Ma chiamaci, se hai bisogno di noi.”
Si chiuse la porta alle spalle senza aspettare una risposta, e tornò in sala.
“Ma... stavate litigando? Mi è sembrato di sentire...”
“Non lo so. Seiji è... Forse è solo sconvolto, ma... - Shin si lasciò cadere sul divano, accanto a Ryo. - Sono preoccupato. Quasi non sembrava sé stesso.”
“Non intendi che...”
Il tonfo della sedia rovesciata ed un debole lamento interruppero Shu.
Ryo provò ad alzarsi, ma dovette rassegnarsi al fatto di non averne ancora le forze.
Ma Shin e Shu furono lì in un istante. Spalancarono la porta, e la luce che proveniva dalla grande vetrata della sala iluminò le due figure a terra.
Touma era su Seiji. Pervaso da una forza che non aveva mai posseduto, lo teneva a terra con un ginocchio e gli stringeva al collo entrambe le mani.
 

Sulla terra erano trascorse alcune ore, probabilmente, ma non era semplice averne una misura esatta, da lassù.
Kayura non si era mossa dalla terrazza. Forse la luce era cambiata, o forse era stato il suo animo a farlo. In ogni caso, la seta del kimono appariva più scura. Alcuni fiori si erano tinti di un rosa più acceso, quasi sanguigno. L'azzurro del secondo strato cercava di assomigliare al blu della sera.
Sollevò lo sguardo sulla cima dello Shakujo e vide che gli anelli erano ancora immobili. Il vento soffiava come prima, ma il bastone non vi era soggetto: solo la volontà che vi risiedeva poteva muoverlo.
“Kaosu.”
Sospirò, non ottenendo risposta.
“Kaosu, dobbiamo fare qualcosa. Se non mi darai una direzione, io... la troverò da sola.”
Lo shakujo tacque ancora. Kayura lo abbassò con un gesto di stizza. Rimase immobile, cercando di riacquistare la calma. Impugnato in quel modo, quasi parallelo a terra, il bastone appariva simile ad una spada.
Quando ormai si era convinta che non avrebbe ricevuto risposta, gli anelli cominciarono a vibrare. Lo riportò diritto, trattenendo appena il fiato. La vibrazione divenne più forte, finché gli anelli non presero ad oscillare e saltare in una danza frenetica, riempiendo l'aria del loro rintocco sempre più forte. Una luce dorata la costrinse a socchiudere gli occhi, e quando riuscì a riaprirli, lo Shakujo non c'era più.
Per un attimo pensò che l'avesse lasciata sola per via del suo comportamento poco rispettoso, ma poi capì dove fosse diretto.
Sospirò, un po' rasserenata ma ugualmente impaziente. A quanto pare poteva ancora soltanto aspettare, ma almeno ora sapeva che avrebbe potuto fare qualcosa.
 

Seiji entrò in cucina. La stanchezza aveva trasformato la sua camminata silenziosa in un passo incerto e leggermente strascicato.
Ryo corse con lo sguardo ai segni che aveva cercato di nascondere chiudendo l'ultimo bottone della camicia, e sentì un nodo di sconforto che gli serrava la gola: Shin gli aveva spiegato cosa avevano trovato entrando nella camera di Touma, ma vedere con i propri occhi era un'altra cosa.
Seiji si accorse di come tutti i suoi tre nakama lo stessero fissando, ma evitò di parlare.
Dopo l'aggressione del demone per mano di Touma, non era più riuscito a stabilire nessun contatto. Aveva provato a lungo, ma poi si era dovuto rendere conto che non avrebbe ottenuto nulla. Non in quel momento, e non in quelle condizioni. Se non altro, dopo che Shin e Shu erano riusciti a separarli, Touma era di nuovo caduto nell'inconscienza e sembrava che per il momento il demone non intendesse manifestarsi di nuovo.
Posò in cucina il vassoio che Shin gli aveva portato un'ora prima. Aveva mangiato qualcosa, ma il tè si era completamente raffreddato ed era imbevibile.
Lo rovesciò nel lavandino e controllò se c'era un po' di acqua calda nel bollitore.
“Aspetta. Te lo preparo io.”
Shin cominciò ad armeggiare, ma Seiji ebbe la netta sensazione che cercasse solo una scusa per parlargli.
“Ecco. Tra poco sarà pronto. Bevilo con calma, andrò io di là.”
“No, non ce n'è bisogno.”
“Perchè?” Anche Shu si era avvicinato.
“Lascia che ti aiutiamo.” Ryo era finalmente riuscito a reggersi in piedi e con passo un po' barcollante li aveva raggiunti accanto a fornelli.
“Non dovete preoccuparvi. Prima mi ha preso alla sprovvista, ma non succederà di nuovo.”
“Non è solo quello. Noi crediamo che... non dovresti rimanere così tanto da solo con lui.”
Per un attimo Seiji li fissò tutti, incredulo. Cosa gli stavano dicendo?
“Voi pensate che... credete che il demone stia cambiando anche me? - Gli occhi chiari si tinsero di rabbia. - E' questo che state pensando?!”
“Non stiamo dicendo questo. Ma non sarebbe nemmeno impossibile, non credi? Guarda cosa ha fatto a Touma!”
“Touma non sapeva cosa stesse succedendo. Ed era qua, da solo. Non ha avuto modo di rendersene conto. - Seiji respirò un po' più profondamente, cercando di abbassare il tono della voce. - Ma ora abbiamo capito, e siamo tutti assieme.”
“No, Seiji. Noi tre siamo assieme. Tu sei di là, da solo. E vuoi che le cose rimangano così.”
“Non è questo! Sto solo cercando di...” Si fermò, abbassando i pugni che aveva sollevato con rabbia. Spostò lo sguardo verso la finestra.
“Cercando di fare cosa? Non vuoi nemmeno dircelo? - Shu sentiva che la rabbia accumulata contro questo demone stava per prendere la direzione sbagliata, ma non riusciva a fermarsi. - Come al solito pensi che non saremmo in grado di aiutarti, no? Magari non capiremmo nemmeno di cosa parli!”
“Piantala! Devi smetterla di rinfacciarmi comportamenti che non ho mai avuto! Non è colpa mia se ti ostini a vedermi in questo modo!”
“Ma che cazzo stai dicendo!”
“Possiamo smetterla, per favore? Possibilmente adesso.”
Ryo li guardò entrambi con rimprovero, ma i toni si erano accesi troppo perché riuscissero a fare un passo indietro.
Shu aprì la bocca per rispondere per le rime anche a lui, quando un rumore metallico lo fermò. Si voltarono tutti verso la camera del loro nakama, che improvvisamente aveva ripreso a lamentarsi. Furono lì in un istante, appena in tempo per vedere una luce calda che filtrava da sotto la soglia, per poi espandersi fino ad inglobarli tutti.



*Capitolo 14 della mia fic "Ancora una volta"
**Capitolo 10 della mia fic "Ancora una volta"

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Capitolo 9
*** Nove - Ritrovarsi ***


La prima cosa che Ryo riuscì a sentire, fu di aver indossato l'undergear.
La seconda fu la sensazione di essere immerso almeno in parte nell'acqua.
Si levò a sedere, guardandosi attorno: era già stato in quel luogo. Il colore del cielo, giallo e rosato come sulla terra non era mai, nemmeno al tramonto, e quelle acque immobili in cui si rifletteva... si ritrovò a battere un paio di volte le palpebre per lo stupore: in qualche modo, era tornato a Bonnokyo.
Si alzò in piedi, chiedendosi cosa fosse successo. Era stato quel demone a trasportarli fin là? Li aveva portati in un territorio a lui più congeniale per poterli battere con maggiore facilità?
E dov'erano i suoi nakama? Essere di nuovo in quel luogo, separati, senza nemmeno sapere cosa stesse succedendo... l'idea gli mise una gran fretta di ritrovarli. Mosse qualche passo incerto, ma la verità era che non era ancora davvero ritornato in forze, e non sapeva nemmeno in quale direzione avrebbe potuto spendere le poche energie che aveva.
 

Shin si rese conto in pochi istanti di quale fosse il luogo in cui era stato trasportato. Ricordi che credeva di aver in qualche modo sepolto riaffiorarono violentemente, facendogli contrarre lo stomaco. Aveva sempre voluto pensare che la prigionia nel palazzo di Arago non fosse altro che uno dei difficili capitoli della loro vita di guerrieri, ma essere di nuovo così vicino alla città gli fece capire che non era così.
Probabilmente sarebbe stato sommerso dall'ansia e da brutti ricordi, se non avesse visto qualcosa che lo mise subito in guardia. Poco lontano da lui, resa confusa dalla leggera nebbia che si sollevava dall'acqua, scorse una figura in piedi.
Cominciò a correre in quella direzione prima ancora di avere il tempo di chiedersi chi fosse. A volte il legame con i suoi nakama era talmente forte ed istintivo, da spingerlo ad agire prima ancora che la mente avesse processato cosa fare.

 

Seiji strinse i pugni, cercando di trattenere un moto di stizza. Era solo, in un luogo desolato e pieno di forze contrastanti ed ostili. Poteva fare almeno un paio di ipotesi su come fosse finito lì, ma in ogni caso non aveva idea di dove fossero i suoi nakama, e soprattutto non sapeva dove fosse Touma e come stesse. Di nuovo si rammaricò della propria debolezza: se non avesse interrotto il contatto, poco prima, forse non sarebbero stati sbalzati così lontani l'uno dall'altro.
Ignorando la stanchezza ed il malessere che non avevano smesso di attanagliarlo, cominciò a vagare, cercando di lasciarsi guidare da Kourin. Doveva ritrovare i suoi compagni, e doveva farlo al più presto: non voleva nemmeno immaginare cosa potesse accadere all'interno del cuore di Touma in un luogo come quello, totalmente alla mercè del demone che aveva preso dimora dentro di lui.

 

C'erano momenti in cui indossare l'undergear era così naturale che Shu se ne rendeva conto solo dopo un po' che l'aveva fatto.
Si era accorto di aver lasciato il proprio mondo prima ancora di aprire gli occhi: Kongo era l'unica yoroi a percepire all'istante il distacco dal proprio elemento, poiché era l'unica ad esservi sempre totalmente in contatto. Il primo nucleo della yoroi si era formato attorno al suo corpo spontaneamente nell'istante in cui era stato prelevato dall'appartamento di Touma, proteggendolo e conservando almeno in parte il collegamento con il suo elemento vitale.
E Shu ne aveva davvero bisogno: ritrovarsi di nuovo ai confini di Bonnokyo, senza aspettarselo minimamente, era riuscito a mettergli subito una brutta sensazione.
Una voce familiare lo fece voltare: Shin e Ryo erano spuntati alle sue spalle, e stavano camminando verso di lui. Shu corse loro incontro, impaziente. Perchè mai procedevano così piano? Quando fu abbastanza vicino, vide che Shin teneva Ryo per mano, e lo stava gentilmente guidando. Lui si lasciava quasi trascinare, sembrava troppo debole per fare qualcosa di più complesso che rimanere in piedi e mettere un piede davanti all'altro.
“Shu! - Un sorriso caldo si aprì sul volto del samurai dell'acqua, mentre gli posava una mano sulla spalla. - Ora dobbiamo trovare Seiji e Touma.”

 

Seiji cadde a terra, finendo per la terza volta con la faccia nell'acqua. Cercò di sollevarsi ancora, ma non ne aveva le forze: quel luogo lo indeboliva, impedendogli di recuperare le forze che aveva perduto poche ore prima. Non era stata una battaglia difficile, ma Kikoutei aveva preteso molte energie da Kourin, e lui si era negato il riposo necessario cercando di rimanere in contatto con Touma.
Tutto quello che riuscì a fare fu sorreggersi sui gomiti quel tanto che bastava per riuscire a respirare e trascinarsi fino ad un lungo e basso muricciolo che, emergendo dall'acqua, tracciava un confine apparentemente privo di senso. Vi si aggrappò con le ultime forze, e rimase così, cercando di tornare a respirare un po' più lentamente. Inutile negare l'evidenza: aveva bisogno di tempo per riprendersi, ma purtroppo il tempo era proprio l'unica cosa che non aveva.
Avrebbe voluto appellarsi al nocciolo più chiuso e testardo di sé stesso per rimettersi in piedi ancora una volta, ma stavolta era troppo stanco e vulnerabile per riuscirci.
Non era né la prima né l'ultima volta che si trovava in difficoltà, ma ora sembrava che tutta la sua caparbietà fosse stata spogliata di significato e infine consumata da tutti i cambiamenti a cui era stato costretto negli ultimi mesi. Ed ora poteva quasi sentire lo scorrere impietoso del tempo che quel demone stava impiegando per insediarsi sempre più profondamente all'interno di Touma, mentre lui non riusciva nemmeno a raggiungerlo.
Forse in quel momento era abbastanza disperato da poter ammettere a sé stesso che i suoi nakama avevano sempre avuto ragione, e che la strada ostinatamente percorsa fino a lì, lo aveva portato ad un vicolo cieco.
Invocò silenziosamente i loro nomi, desiderando solamente di averli accanto, poi chiuse gli occhi.

 

Di Touma non c'era traccia, e davvero non era una buona cosa. E non riuscivano nemmeno a ritrovare Seiji.
Shin sospirò, scoraggiato. In quel luogo Ryo faticava a riprendersi, così gli aveva passato un braccio attorno alla vita, sostenendolo.
“Quello laggiù cos'è?” Borbottò Shu.
“Sembra... una fila di rocce, credo.”
“Un muro, forse. C'è qualcos'altro. - Shu cercò di mettere a fuoco la figura scura che sembrava adagiata a terra. - Restate qui, vado a controllare.”
“D'accordo. Sta' attento. - Shin si accovacciò per permettere a Ryo di sedersi a terra. - Riposa un po', ne hai bisogno.”
“Anche tu non sembri in forze. Sei pallido.”
“No, sto bene...”
“...ma?”
“Ma... beh, non è semplice tornare in questo luogo. Non lo è nemmeno per te, immagino.”
“No. Ma credo che per voi sia diverso, no? Per te, per Shu. Voi avete... Siete stati...”
“Già. - Shin risparmiò a Ryo la difficoltà di cercare le parole per descrivere ciò che lui e i suoi due nakama avevano sopportato durante la prigionia nel palazzo di Arago. - Ma è acqua passata, e adesso non è il momento per pensarci.”
Ryo annuì al volto deciso di Shin, ma non gli sfuggì il leggero tremolio che per un attimo aveva incrinato le sue parole. Purtroppo era vero: non era il momento della debolezza, non potevano ancora fermarsi. Ma si ripromise che quel momento sarebbe arrivato, e allora avrebbe aiutato ognuno di loro a fare i conti con i ricordi che nascevano da quel luogo.


Seiji sentì lo sciabordio di passi veloci che si avvicinavano. Non fece in tempo ad allarmarsi, perché poco dopo avvertì la presenza di uno dei suoi nakama.
L'istante dopo sentì le mani grandi di Shu che lo giravano, sollevandolo un poco e scostandogli i capelli dal viso. Socchiuse gli occhi, riconoscente.
“Shu.”
“Sei ferito, biondino?”
“No. Solo molto... stanco.”
“A questo penso io. - Lo sollevò senza sforzo, passandogli un braccio dietro alle spalle ed uno sotto alle ginocchia. Scrollò leggermente le spalle per costringerlo a posare la testa sulla sua spalla. - Approfitta del passaggio per tornare in forze.”
“Mi dispiace per prima, io ti devo...”
“Sta' zitto e dormi, testone. Andiamo dagli altri.”
Seiji si limitò a sorridere, grato di scoprirsi capace di accettare un aiuto.

 

Quando Shu e Seiji raggiunsero i due compagni, trovarono accanto a loro anche Byakuen. La tigre li aveva raggiunti, e si era fatta carico del peso di Ryo.
Erano trascorsi appena pochi istanti, quando un boato risuonò nel cielo di Bonnokyo, turbandone lo scintillio dorato. La terra prese a tremare, rendendo difficile rimanere in piedi. Shu dovette poggiare un ginocchio a terra per non essere sbilanciato dal peso di Seiji, che era di nuovo vigile e si guardava attorno con aria preoccupata. L'acqua fu percorsa da una bassa onda circolare, che si allargò fino a lambire le loro gambe e si disperse alle loro spalle.
Seguendo a ritroso il suo percorso, riuscirono a vedere chi aveva provocato quell'onda d'urto.
Una figura era in piedi ad una certa distanza, ma la forma allungata dell'elmo e lo scintillio dell'arco dorato la rendevano inconfondibile ai loro occhi.
“Accidenti.” Masticò Shu.
“Si è risvegliato di nuovo.”
“Coraggio, muoviamoci!”
Shin gettò uno sguardo a Ryo, che era aggrappato a Byakuen, poi a Seiji, che non riusciva a mascherare la debolezza. Si chiese come avrebbero fatto ad affrontare un nuovo scontro fratricida, ma ugualmente prese a correre verso Touma, consapevole di non avere comunque scelta. I suoi compagni lo seguirono, ma non dovettero comunque fare molta strada: Tenku si era sollevata in volo e si stava velocemente dirigendo verso di loro.
In un attimo fu sopra di loro, incoccando una freccia e preparandosi a colpirli, quando un guerriero sconosciuto comparve a pochi metri da loro.
Vestiva un'armatura del colore di una giornata di pioggia, coperta in parte da una veste scura. Il capo era nascosto da un pesante elmo ugualmente grigio. Sembrava apparso dal nulla, ed impugnava un'arma dalla foggia insolita, ma che ognuno di loro aveva già visto in passato.
Serrarono maggiormente la guardia, convinti di dover affrontare due diversi attacchi assieme, ma il nuovo arrivato si frappose tra le due parti e si scagliò contro Tenku, colpendola più volte.
“Ma cosa sta...” Shin incrociò lo sguardo dei propri nakama, che sembravano incapaci di reagire.
Il demone che aveva preso possesso dell'armatura del cielo cercò di reagire, ma l'altro non gliene diede il tempo. Era riuscito a malapena ad estrarre una nuova freccia dalla faretra, quando venne scaraventato a terra da un nuovo colpo.
“Così lo ucciderà!” Gridò Ryo, cercando di avvicinarsi, ma si bloccò, riconoscendo un movimento che credeva non avrebbe visto mai più.
Il guerriero sconosciuto sollevò l'arma, ma stavolta non usò la parte a forma di falce: scagliò con grande forza verso il terreno l'estremità opposta della catena, che sprofondò di diversi metri, per dare origine a mille nuove catene, che risalirono in superficie a gran velocità. Si intrecciarono nell'aria, intrappolando Tenku in una rete di metallo nero.
Gli si avvicinò, controllando che non fosse più in grado di reagire, e lo trovò immobile e privo di coscienza. Solo in quel momento si rivolse verso i quattro cavalieri samurai, muovendogli qualche passo incontro. L'istinto diceva loro che non vi era nulla da temere, eppure rimasero immobili ed in guardia. Sapevano bene che nella città degli spiriti vigevano regole diverse da quelle a cui era sottoposto il loro mondo, non potevano fidarsi dei propri sensi come avrebbero fatto a casa.
“Chi sei? - Chiese Ryo. - E quale forza anima l'armatura che stai vestendo?”
Una voce delicata ma ferma rispose dietro alla maschera color del sangue.
“Non abbiate timore, Samurai. Sappiate che non siete più soli nella battaglia che state combattendo. Voi mi conoscete già, così come conoscete la yoroi che indosso. - Fece ancora qualche passo, avvicinandosi a Touma. Posò una mano al centro del petto di Tenku, che vibrava con voce di animale in gabbia. - Il suo nome è Kiryoku, e c'è già stato un tempo in cui ha combattuto contro l'armatura del cielo.”

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Capitolo 10
*** Dieci - Comprendere ***


“Kiryoku... - Mormorò Ryo. - L'armatura del Generale degli Orchi.”
“E' così. Essa è stata nemica di Tenku, finché a Shutendji non sono stati aperti gli occhi.”
“E tu chi sei? Mostraci il tuo volto, per favore.”
Il metallo dell'armatura grigia risuonò appena quando il guerriero portò le mani al volto per sollevare un po' la maschera e sfilare l'elmo. La prima cosa ad esserne liberata furono i capelli, raccolti in un grosso nodo da cui sfuggiva una lunga ciocca. Poi apparve un viso di fanciulla dai grandi occhi azzurro scuro.
“In passato anche io ho combattuto contro di voi, Samurai. - Kayura abbassò un po' lo sguardo, temendo di apparire troppo fiera. - Ma ora sono qui per offrirvi il mio aiuto. Vi prego, non esitate ad accettarlo.”

 

Gli occhi si erano abituati al buio percorrendo la stretta scala che portava alla terrazza, così rimasero per un attimo abbagliati quando uscirono di nuovo all'aria aperta.
Inizialmente Kayura li aveva condotti nella sala al centro del suo piccolo palazzo, ma si era resa conto subito che erano tutti tropo tesi ed inquieti per restare in un luogo come quello, privo di finestre e fin troppo silenzioso. Così aveva deciso di portarli sulla grande terrazza da cui era solita osservare i due mondi, sperando che questo li aiutasse.
Shu adagiò Touma a terra. Gli scostò i capelli dalla fronte, in cerca di qualcosa che lasciasse capire come stava. Non ottenne nessun tipo di risposta, così si rimise in piedi, raggiungendo i suoi nakama. Byakuen era accucciata in un angolo, e Ryo sedeva tra le sue zampe, poggiato a lei. Finalmente cominciava a sentirsi un po' meglio, come se in quel luogo vi fosse una sorta di protezione da tutte le voci che animavamo il mondo degli spiriti e che li avevano disorientati fino a poco prima.
Sollevò lo sguardo verso Kayura, che a sua volta li osservava in silenzio, tenendosi appena un po' distante.
Era bella come l'ultima volta che l'avevano vista: aveva lasciato svanire l'armatura ed appariva molto più minuta e forse più giovane. I lunghissimi capelli dalle tonalità azzurrate scendevano fino all'altezza delle ginocchia: li aveva sciolti, ed ora ricadevano sul ricco kimono a più strati. Le lunghe maniche in cui si intrecciavano bande grigio scuro e dorate coprivano le mani, che teneva unite e posate in grembo.
Fece passare lo sguardo su ognuno di loro, per poi fermarlo su Touma, che giaceva immobile a terra, al centro della terrazza: nonostante l'urgenza di tutta quella situazione, sembravano tutti incapaci di fare il primo passo e tentare di trovare una strada da percorrere assieme per liberarlo.
Shin pensò che un modo per iniziare potesse essere porre qualcuna delle domande che restavano sospese tra loro, rendendoli incerti. Le si avvicinò.
“Quindi ora sei tu a vestire l'armatura di Shuten?”
“No. Mi è stata affidata perché io la custodisca, in attesa che essa scelga il nuovo guerriero a cui legarsi. Oggi ha lasciato che io la indossassi soltanto perché era necessario.”
“E'... diversa.” La voce di Shu suonava ancora un po' diffidente.
“Sì. Ha cambiato il proprio aspetto tempo fa. Quando Kikoutei andò distrutta assieme alle vostre cinque yoroi, anche Kiryoku divenne inaccessibile. - Kayura sollevò la piccola sfera trasparente, dentro cui pulsava quieto il kanji di Fedeltà. - Era ancora qui, ma priva di vita; come le altre tre, credo. Quando Rekka, Kourin, Suiko, Kongo e Tenku sono state riformate, ho sentito di nuovo vibrare la sua essenza. Ma prima di oggi non avevo ancora visto la nuova forma che ha assunto.”
“Sei stata tu a portarci qui?” Chiese Ryo.
“Non esattamente.” Kayura si chiese come spiegare cosa era accaduto. Dopo le sue parole rabbiose, lo Shakujo non si era più mostrato, e lei non aveva ancora avuto il coraggio di provare a richiamarlo. Alzò una mano incerta, girando il palmo verso l'alto.
Chiuse gli occhi, mormorando qualcosa di impercettibile. Quando li riaprì, il bastone era lì. Fluttuava orizzontale a pochi millimetri dalla sua mano, in attesa che lei lo afferrasse.
“Kaosu...” Mormorò Ryo.
“Ho chiesto di potervi aiutare, e la sua risposta è stata portarvi qui. - Kayura abbassò lentamente il bastone, mettendolo verticale. - Devo capire il perché.”
“Quindi ti sei offerta di aiutarci, - La voce di Seiji vibrava di molte note, nessuna delle quali corrispondeva a cortesia. - ma in realtà non hai la minima idea di come farlo, giusto?”
“Troverò il modo.”
“Non abbiamo tempo perché tu cerchi la giusta ispirazione. Ne abbiamo perso già troppo!”
“Seiji! - Shin lo guardava come se non sapesse più cosa aspettarsi da lui. - Smettila, che ti prende?! Da quando ti rivolgi così a chi ci offre il suo aiuto? E non dimenticare che nemmeno noi abbiamo idea di cosa fare...”
“Lo so! - Seiji si portò una mano agli occhi, abbassando la voce. - Lo so bene... ma sento che il tempo sta finendo, e Touma...”
Si fermò un attimo prima di dire qualcosa di troppo, imponendosi si riacquistare lucidità. Si avvicinò di un passo a Kayura.
“Ti prego di scusare la mia rabbia. - Accennò un inchino. - Se troverai un modo per liberare Touma, te ne saremo grati.”
Lei annuì appena. Non le era facile capire fino in fondo cosa stessero provando: non aveva mai avuto amici, né compagni a cui affidarsi. Le uniche figure a cui aveva fatto in qualche modo riferimento erano Arago, fino a che non era stata liberata, e Kaosu. E anche se il secondo meritava di essere considerato un maestro molto più del primo, il contatto con il suo spirito era troppo irregolare ed impalpabile perché Kayura riuscisse a stabilire un vero legame.
Tuttavia aveva osservato a lungo le battaglie di quei cinque guerrieri, e aveva imparato a riconoscere ciò che li legava.
“Credi che ci sia qualcosa a Bonnokyo che possa esserci di aiuto?” Chiese Ryo.
“In realtà pensavo che tramite lo Shakuyo potremmo raggiungere il cuore del vostro compagno e tentare di combattere chi lo sta assediando. Ma è vero, il tempo è poco, e dobbiamo agire il prima possibile.”
“Sì. Anche perché temo che da un momento all'altro possa risvegliarsi ed attaccarci nuovamente...”
“In quel caso sarebbe quasi impossibile arrivare a lui... - Kayura si fermò, colpita da un pensiero improvviso. - Forse... forse so perché Kaosu ha voluto portarvi qui!”
“Perchè?”
“Per bloccarlo! A Bonnokyo c'è qualcosa in grado di intrappolare le yoroi e anche il cuore a cui appartengono. Non sono sicura di sapere come fare, ma...” Si avvicinò al parapetto, cercando di raccogliere le idee.
Ryo fece scorrere il proprio sguardo su ciascuno dei suoi nakama, ritrovando la propria impazienza nei loro occhi.
“Dunque? Puoi spiegarci di cosa si tratta?”
“Sì. - Tornò vicino a loro. - Dovete sapere che la città è in un certo senso viva. Non solo perché abitata da ogni genere di spirito e di youia, ma perché essa stessa è come un enorme essere vivente. Nei suoi canali scorre una linfa, che è come sangue che la nutre.”
“Ricordo di aver percorso quei canali mentre io e Touma cercavamo di avvicinarci ad Arago, ma non mi era parsa niente più che acqua.”
“Quella in superficie lo è, sostanzialmente. Ma man mano che si scende nelle cavità sotto i palazzi, diventa sempre più densa ed intrisa dell'energia primordiale degli spiriti che vennero scacciati dal mondo degli uomini e formarono questo luogo. Essa racchiude una grande energia, in grado di intrappolare chiunque, come un insetto nell'ambra. Al tempo in cui avete combattuto contro Arago, lui era riuscito a piegare alla propria volontà questo fluido, utilizzandolo per controllare e manipolare i demoni e le loro armature. L'ha usata per accrescere i loro poteri, o per impedire loro di ribellarsi.”
“E vorresti intrappolare Touma lì dentro?”
“Potrebbe essere un modo per impedirgli di reagire mentre cerchiamo di metterci in contatto con lui.”
“Non mi pare una cosa molto sicura. Tu stessa non sei certa di cosa potrebbe accadere, non è vero?”
“Non mi fido di qualcosa che è stato uno strumento del male. - Shu era sulla difensiva. - Qualcosa che è nata da uno stuolo di youja!”
“Bonnokyo non appartiene più ad Arago. E ho visto con i miei occhi i suoi effetti su coloro che erano masho: non ha mai fatto loro del male. - Kayura si accucciò vicino a Touma, studiandolo. - In ogni caso, non mi pare che al momento abbiamo molte alternative.”
Seiji sospirò. “Credo che abbia ragione.”
“D'accordo. - Ryo si era alzato in piedi, cercando conferma nel volto degli altri. - Proviamo questa cosa.”

 

Erano scesi lungo un percorso tortuoso, passando attraverso stanze sotterranee scavate nella pietra e stretti cunicoli così contorti da far pensare che non sarebbero più riusciti a risalire in superficie.
Ryo aveva osservato i volti di Shin, Shu e Seiji farsi sempre più pallidi, mentre gli unici suoni che li accompagnavano erano lo scalpiccio dei loro passi e lo sgocciolare della condensa che precipitava dalle alte volte di pietra. Era quasi certo che il luogo in cui erano stati tenuti prigionieri fosse della stessa natura di quelli che stavano attraversando, ma non chiese nulla.
“Ecco.” Kayura si era fermata all'entrata di una grotta, il cui fondo era occupato da una larga pozza di linfa rossastra e densa.
Si voltò ed alzò lo Shakujo verso Shu, che portava Touma. Gli anelli del bastone presero a risuonare, mentre il Samurai del Cielo veniva sollevato e lentamente spostato verso il centro della grotta.
Kayura lo adagiò nel liquido, dove affondò fino a venirne coperto quasi completamente.
Per un attimo non accadde nulla, ma poi dalla superficie dorata e rossa si sollevarono mille scariche bianche. Touma si rizzò a sedere, gridando.
“Touma!”
“Cosa succede? - Ryo si era gettato in avanti, pronto a correre verso il suo compagno. - Cosa gli sta facendo?”
“Fermo! - Kayura gli sbarrò la strada con lo Shakujo. - Non è la linfa, è il demone che si oppone. Sta cercando di liberarsi.”
“E quindi?!” Anche Shu premeva alle spalle di Ryo per intervenire.
“Aspettate.”
Stavano per protestare ancora, quando Touma si acquietò. Ricadde all'indietro, sollevando piccole onde che lo coprirono, per poi scivolare giù in sottili rivoli lungo l'armatura.
Rimasero ad osservarlo per un lungo attimo, cercando di capire come stesse.
“Andiamo. Lasciamo che la città faccia il suo lavoro. Mentre riposate, cercheremo un modo di raggiungere il suo cuore.”
“Ma dobbiamo...”
“Per il momento non possiamo fare altro. - Kayura aveva imparato a capire quando poteva agire, e quando invece doveva attendere che le venisse mostrata la strada da percorrere. - Venite, vi guido in superficie.”

 

Seiji era seduto su quella parete scoscesa già da un po', ma non si decideva ad andarsene. Si era separato dagli altri, assicurando loro che Kourin avrebbe saputo guidarlo fuori da lì, quando si fosse deciso a risalire. Forse avrebbe dovuto raggiungerli, ma non riusciva a staccarsi da Touma.
I suoi nakama erano apparsi altrettanto restii ad andarsene, ma Seiji li aveva convinti a dare ascolto a Kayura. Sapeva cosa stavano provando Shin e e Shu, non era diverso da quello che provava lui stesso. Voleva che almeno loro si liberassero da ciò che quei luoghi esercitavano sui loro cuori.
Quanto a sé, il peso della promessa fatta era tale da rendergli indifferente il luogo in cui si trovava.
Sospirò, passandosi una mano sugli occhi, ma si bloccò a metà del gesto: percepì quella presenza nell'esatto istante in cui si materializzò alle sue spalle. Era molto diversa da come l'aveva conosciuta ai tempi della guerra contro Arago, eppure in lui vi erano tutte le cose che lo avevano sempre composto, armatura compresa.
Seiji si volse lentamente: si era aspettato di vedere il profilo imponente di Shikkoku stagliarsi nella penombra dello stretto corridoio, ma Anubis indossava un semplice juban grigio chiaro con un paio di hakama neri, e Seiji si sentì sciocco ad essersene stupito: la guerra era finita, almeno per coloro che erano stati Masho.
“Puoi raggiungere i tuoi compagni, Kourin. Tenku è al sicuro.”
“No, grazie. Rimarrò qui.”
“Bonnokyo era qui prima che noi nascessimo, e lo sarà per molto tempo anche dopo che saremo morti. Non ha alcun bisogno del tuo sguardo per continuare a vivere. Va' a riposare, non puoi fare nulla adesso.”
“Pensi che potrei lasciare Touma solo in un luogo come questo? Ho conosciuto molto bene le profondità di questa città, non vi abbandonerei nessuno, nemmeno per un istante!”
“L'hai conosciuta come era, ma quel tempo è finito. Ora la città non è né buona né cattiva, come non lo sono io. - Anubis si voltò ad osservare il volto pallido di Seiji. - Come non lo sei tu.”
Seiji non diede segno di aver colto ciò che gli aveva appena detto.
“Rimarrò qui. - Ripetè. - Ho fatto una promessa.”
L'uomo non sapeva se essere disturbato o incuriosito dal modo in cui l'espressione del samurai non cambiava alle sue parole.
“Le promesse degli uomini non significano nulla. ”
“Anche tu sei un uomo.”
“Ho vissuto centinaia di anni fuori dal vostro mondo, non ho memoria di cosa significhi essere come voi.”
“Eppure lo sperimenti ogni giorno. Forse credi che essere tutt'uno con l'oscurità ti renda differente dagli altri uomini, ma non è così. Non è niente di diverso da ciò che proviamo anche noi.”
“Voi continuate a considerarvi umani, ma è soltanto il frutto di una abitudine. Niente altro che un punto di vista.”
Seiji stava per controbattere ancora, ma poi si impose di tacere. Anubis aveva sempre avuto la facoltà di spingerlo a parlare più di quanto fosse abituato a fare, più di quanto volesse.
Avrebbe preferito di gran lunga che se ne andasse, ma l'uomo rimase immobile, lo sguardo dritto davanti a sé, oltre alla pozza in cui era intrappolato Touma.
Dalla sua espressione Seiji non riusciva ad intuire perché si ostinasse a restare, ma in quel momento non era sicuro di avere la forza per cercare di mandarlo via. Sospirò impercettibilmente, poi tornò a guardare giù, vero il centro della grotta.

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Capitolo 11
*** Undici - Conoscersi ***


Anubis sospirò. Era sceso nel ventre della città con la ferma intenzione di rendersi utile. Non era un proposito semplice da attuare per uno come lui, le cui intenzioni dovevano spesso fare i conti con un orgoglio forte ed un temperamento chiuso e ombroso.
Ma tra tutti gli esseri umani, quei cinque ragazzi – ormai avrebbe dovuto proprio abituarsi a considerarli uomini – erano gli unici di cui gli importasse qualcosa. E Kourin l'unico col quale desiderasse davvero entrare in contatto.
In un certo senso, era come se fossero legati fin dal principio, da quando le rispettivi yoroi avevano deciso di vestirli, tracciando un invisibile parallelo.
Si avvicinò di un altro passo, ma come prevedibile Seiji non si mosse né lo guardò.
Anche se Arago non esisteva più, e lui e la sua armatura avevano smesso di servire il male, sapeva bene che il samurai non conosceva nulla di lui, al di fuori dell'essere stato il suo più crudele nemico.
“Il mio nome è Kujuro.”
Seiji non riuscì a trattenere la sorpresa. Si voltò verso di lui e lo fissò: attribuirgli un nome lo rendeva umano ai suoi occhi? In quel momento non voleva pensare a niente del genere.
Non voleva pensare a nulla che non si trovasse al centro della pozza di linfa, racchiuso dal cuore metallico di Tenku.
Non disse nulla, così l'altro proseguì.
“Sasaki Kujuro. Il mio nome non è Anubis.”
“Come il mio non è Kourin.”
“Posso sapere il tuo nome, allora?”
Seiji strinse le labbra. Vedeva bene cosa stesse facendo l'altro, ma non era sicuro di volerlo contrastare.
“Seiji.”
“Nella tua epoca non usa più portare un cognome?”
“Date. Il mio nome è Seiji Date.”
Kujuro riuscì a non lasciar trapelare ciò che quella semplice parola aveva risvegliato in lui: dunque erano legati da ancor prima di essere scelti da Shikkoku e Kourin.
Per non pensare a quanto fosse strano il destino che era stato tracciato per lui, cercò di tornare a ciò per cui era andato lì.
E poiché lasciar trapelare qualcosa di sé era riuscito ad aprire una breccia, decise di farlo ancora.
Chiuse gli occhi, cercando di richiamare ricordi a cui non avrebbe saputo attribuire una data.
“Sono stato anche io quaggiù. Arago si è servito più di una volta dell'energia racchiusa nei canali di Bonnokyo. L'ha usata per accrescere la forza della mia armatura, o per controllare la mia volontà. - Si fermo ad osservarlo: Seiji sembrava ascoltarlo, così proseguì. - Ricordo bene come la mia mente ed il mio cuore cadessero in un sonno profondo. E sono certo che anche per gli altri Masho fosse così. E' molto probabile che la linfa abbia incatenato allo stesso modo il tuo nakama e lo spirito che se ne è impossessato.”
Il samurai tornò a guardare il suo nakama. Se ciò che Kujuro gli aveva detto era vero, la linfa poteva arrestare l'avanzata del demone, impedendogli di danneggiare ancora il cuore di Touma?
“Finchè sono entrambi qui, non può accadere nulla. Perciò ripeto ciò che ti ho detto: torna dai tuoi compagni.”
Seji si passò una mano sugli occhi, sentendosi improvvisamente molto stanco.
“Se anche fosse come dici, non so come sta, né cosa è accaduto fino ad ora. Io non so cosa...”
L'uomo lo interruppe, abbassandosi accanto a lui e parlando con voce più pacata.
“Finchè non troveremo il modo di liberarlo, non potrai saperlo comunque, né fare nient'altro. Non ha senso preoccuparsi ora di qualcosa che non puoi affrontare. - Lo prese per un braccio e lo fece alzare. - Vai a riposare un po'. Sicuramente occorrerà il tuo aiuto tra poco, e dovrai essere in forze.”
Seiji lo guardò negli occhi una seconda volta, poi – inaspettatamente – annuì.
“Vieni, ti mostro la strada. Tornerò io a vegliare Tenku.”

 

Shin sedeva sul bordo di uno dei canali periferici di Bonnokyo, uno degli ultimi prima che le strutture della città lasciassero il posto al basso mare dorato. Qualche ninfea aveva attecchito anche lì, dove la corrente era quasi ferma, e il samurai avrebbe giurato di aver visto guizzare una koi di un colore impossibile sulla terra.
Immerse la mano nel liquido pieno di rilessi: anche attraverso l'undergear poteva sentirne la consistenza. Non era strano che Ryo l'avesse scambiata per acqua, le era simile per molti aspetti. Ma Suiko non la riconosceva, non poteva attingerne alcuna forza.
Forse era per questo che si sentiva così stanco? Non avevano ancora avuto un vero attimo di tregua. Anche ora, che si era allontanato dai suoi nakama per cercare un po' di calma nella solitudine, non riusciva a fermare il senso di inquietudine.
Sfilò la mano dall'acqua, e quando le piccole onde concentriche smisero di perturbarne la superficie, potè vedervi una figura riflessa.
“Naaza.” Mormorò, sollevando lo sguardo su di lui.
Era in piedi sul lato opposto del canale, e sembrava indeciso se raggiungerlo o meno.
Shin non si mosse né gli parlò, e l'uomo decise che poteva avvicinarsi. Saltò il canale con un balzo, poi si inginocchiò lì accanto.
Shin lo osservò, senza sapere cosa aspettarsi da lui, né dal proprio cuore.
Era cambiato molto, ne era certo anche se ne aveva visto il volto solo attraverso la maschera dell'elmo, o per pochi attimi quando era scoperto.
Il volto pallido sembrava più magro ed appuntito. Negli occhi, dal sottile taglio allungato, il lampo di crudele follia era stato sostituito da una sofferenza altrettanto cruda.
Le mani dalle lunghe dita sottili e nodose erano posate sulle gambe e stringevano appena la stoffa bianca degli hakama. Indossava un haori verde scuro che ne nascondeva le forme, ma non era comunque difficile indovinarne la magrezza. Nonostante i diversi strati di stoffa che si vedevano affiorare dal collo, sembrava avesse freddo.
Per un po' nessuno dei due parlò, mentre la koi tornava a nuotare poco distante, e Shin si rese stranamente conto di non sentirsi a disagio.
Ma quando Naaza si mosse e sfiorò il pelo dall'acqua, come lui stesso aveva fatto poco prima, il samurai non potè fare a meno di trasalire.
Il movimento non sfuggì all'uomo, che strinse gli occhi con dolore.
“Non temere, non accadrà nulla. - Mormorò – Non la sto avvelenando.”
Shin provò vergogna e assieme rabbia, ma non fu in grado di dire verso chi.
Fece per parlare, ma rinunciò, abbassando lo sguardo.
“Ho capito...” Naaza si alzò, volgendo lo sguardo lontano.
Fece qualche passo per allontanarsi, e Shin si rese conto di non volere che se ne andasse.
“Aspetta. - Osservò la schiena curva, cercando di decidere se era in grado di dimenticare ciò che aveva visto e sofferto a causa di quell'uomo. - Rimani, se vuoi.”
L'altro annuì, e tornò a sedersi accanto a lui.

 

Shu osservava quelle due figure già da un po'. La terrazza della dimora di Kayura si affacciava sul lato opposto a Bonnokyo, verso il mondo degli uomini, e per poter vedere Shin era dovuto salire sul tetto, poiché da quel lato non vi era altro modo.
Se Shin aveva deciso di combattere l'ansia rimanendo da solo, lui non aveva trovato un modo migliore che restare ad osservare da lontano il suo nakama, e colui che dopo poco era apparso lì accanto. Non riusciva a distinguerne i lineamenti, così restava all'erta.
Era così concentrato su ciò che accadeva lontano, che trasalì quando un'ombra apparve al suo fianco.
Si girò di scatto, cercando di vedere chi fosse a proiettarla.
Era in piedi pochi passi indietro, ma la luce che si stagliava radente alle sue spalle per un attimo lo rese irriconoscibile.
Shu si alzò e con un paio di lunghi passi si spostò di lato.
“Rajura! - Non potè fare a meno di stringere i pugni. - Cosa vuoi?”
L'altro socchiuse l'unico occhio utilizzabile, sollevando un angolo della bocca in un sorriso storto. Non si era aspettato nulla di diverso da lui.
“Niente. Siamo qui per via di ciò che è successo al vostro compagno.”
A Shu non sfuggì il verbo al plurale, così si volse nuovamente verso Shin.
“E' Naaza?”
“Sì. Anche se non credo gradirebbe che tu lo chiami così.”
“E tu? Hai preferenze?” La voce di Shu era un misto di diffidenza e rabbia.
“Un nome è soltanto un nome. So distinguere la sostanza dalla forma che vogliamo attribuirle.”
“Certo. Altrimenti come faresti a distorcerle a tuo piacimento?”
“Mi consideri ancora un nemico, a quanto pare.”
“Il fatto che tu non serva più Arago non ti rende un amico.”
“E' vero. - Rajura si sedette sulla falda, facendo scricchiolare le tegole grigie. - Non è così ovvio.”
Shu rimase ad osservarlo, indeciso se andarsene o meno.
Il masho portava ancora i capelli lunghi: alcune ciocche argentate scendevano sul volto, coprendo in parte la benda nera che nascondeva l'occhio sinistro. Indossava un completo tradizionale di stoffa pregiata blu scuro, su cui si accavallavano fitti ricami di foglie azzurre ed argentate. Anche gli hakama grigio chiaro apparivano morbidi ed eleganti.
Ma Shu si rese conto ad un secondo sguardo di come i bordi fossero consunti e logori, e le cuciture sembrassero ribattute a più riprese. Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma gli sembrò strano.
Non aveva comunque intenzione di saperne di più, e così tornò a guardare verso Shin, lasciando che fosse l'altro a decidere la mossa successiva.

 

Ryo era fermo davanti allo shoji da qualche istante. Quando erano rientrati, Kayura li aveva lasciati rispettosamente soli. Ma Shin e Shu si erano allontanati, e lui aveva deciso di lasciare che affrontassero la situazione a modo loro.
Tutto sembrava rovesciato: tornare in quei luoghi aveva cambiato i suoi due nakama; Seiji perdeva lucidità, e Touma – l'unico su cui avrebbe potuto contare per un po' di calma razionalità – non era lì con loro.
Per una volta, Ryo si rese conto di essere il più calmo. Era strano ascoltare il rintocco pacato di Rekka, che scaldava accogliente invece di ruggire distruttrice.
Nonostante l'incertezza e l'ansia, si sentiva saldo e pronto a guidare e sostenere i suoi nakama.
Fece scorrere delicatamente il pannello, annunciando la sua presenza con il passo metallico dell'undergear.
Kayura era in piedi in un angolo della stanza, lo sguardo rivolto al di fuori di una delle strette finestre che si allineavano lungo il muro di pietra. Appariva assorta e Ryo si chiese se si fosse accorta di lui.
“Vieni pure. - Si voltò verso di lui, accennando un sorriso gentile e mostrando di averlo sentito entrare. - Non sei con i tuoi compagni?”
“A quanto pare siamo dispersi qua e là.”
“Dovreste riposare. Quando sapremo cosa fare, di certo sarà necessario unire le forze.”
“Lo so, ma non è facile. Non qui, e soprattutto non per loro.”
“Mi spiace. Speravo di potervi offrire un porto sicuro, ma evidentemente questo luogo non è adatto a voi.”
“Non è colpa tua. Stai facendo molto per noi.”
Kayura evitò di addentrarsi nell'argomento “colpe”. Sapeva bene che una parte delle sofferenze che erano state loro inflitte ai tempi della guerra con Arago, erano passate attraverso il suo braccio. Ricordava l'orgoglio sprezzante con cui aveva fatto sfoggio della sua forza, che a quei tempi credeva di aver ricevuto dall'imperatore del male.
Aveva avuto modo di riflettervi a lungo, in quegli anni, ma non era il momento adatto per pensarvi.
“L'importante, adesso, è trovare un modo per liberare il vostro nakama.”
“Credi di aver capito come fare?”
“Sta accadendo qualcosa nello shakujo. - Da quando erano risaliti dai sotterranei di Bonnokyo, lo aveva sentito pieno di correnti impetuose. - E' come se stesse cambiando voce.”
Ryo osservò il bastone, che rimaneva immobile nell'angolo tra i muri, appoggiato alla pietra.
Si chiese se sarebbe stato in grado di entrarvi in contatto come faceva Kayura, e se avrebbe sentito un'altra volta la voce di Kaosu: da quando si erano riformate le yoroi, avevano quasi sempre avuto la sensazione di poter contare soltanto gli uni sugli altri.
Quasi a rispondere a questo suo ultimo pensiero, il bastone si sollevò improvvisamente dritto. Una luce dorata cominciò a diffondersi, rischiarando la stanza.
Gli anelli presero a danzare attorno al sostegno, risuonando sempre più forte. Poi all'improvviso si fermarono.
Quando lo shakujo parlò, la voce che Kayura sentì fu tale da toglierle il fiato per un istante.
Ryo la vide socchiudere le labbra e spalancare gli occhi, ma lei si ricompose subito.
Afferrò il bastone e chinò il capo, ascoltando attenta, cogliendo ogni vibrazione del metallo, e sforzandosi di non inquinarle con il bruciore della propria vergogna.
Alla fine annuì lentamente.
“Grazie – mormorò – e perdonami, se puoi...”

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Capitolo 12
*** Dodici - Raggiungersi ***


Un nodo duro alla bocca dello stomaco, come un pugno che glielo tenga serrato, costringendolo a rimanere contratto.
Tutto il resto del corpo, al contrario, molle e inerte.
Pesante come piombo.
Gli occhi sono gonfi, le palpebre pesanti sulle pupille stanche.
Touma si chiede se tutte queste sensazioni corrispondano al suo stato reale, o se sia il suo corpo a tradurre con qualcosa di noto il malessere del suo animo.
Se davvero fosse giù immobile con gli occhi socchiusi, come si sente in quel momento, sarebbe buon segno. Significherebbe che non sta facendo nulla di male.
Ma
la verità è che non ha idea di cosa stia accadendo al di fuori della gabbia di incoscienza dentro cui l'ha rinchiuso quel demone. Tutto ciò che riesce a fare, è pregare che le sue mani non si stiano macchiando di sangue.

 

Ryo uscì nel terrazzo con foga, convinto di trovarvi Shu. Lo aveva lasciato lì, poco prima, e soffocò un'imprecazione quando vide che non c'era.
“Shu!” Chiamò, guardandosi attorno.
“Sono qui! - Con un paio di balzi il samurai della terra si era spostato sulla falda che affacciava sulla terrazza. - Cosa succede?”
“Lo Shakujo ha parlato a Kayura. Dobbiamo tornare da...”
Si fermò, vedendo una figura alle spalle del suo nakama.
“Rajura?”
“Lascia stare. - Shu saltò giù nella terrazza. - Cosa stavi dicendo?”
“Dobbiamo tornare dal vostro nakama. - Kayura comparve alle sue spalle. - Finalmente so cosa possiamo fare.”
“Che cosa?”
“Ve lo spiegherò quando saremo lì. Ora andiamo: abbiamo un appuntamento a cui non possiamo mancare.”

 

Shin trattenne un sospiro, osservando di sottecchi Naaza: il masho era tornato a sedere accanto a lui, ma aveva continuato a tacere. Sembrava a disagio, e Shin non sapeva come ricreare la strana quiete che aveva guastato poco prima.
Fu distratto dai propri pensieri dal modo in cui Naaza irrigidì le spalle, mentre seguiva con lo sguardo qualcosa che sembrava aver colto con la coda dell'occhio. Shin si volse nella stessa direzione: alcune figure si stavano avvicinando velocemente, e tra loro riconobbe Ryo e Shu.
Si mise in piedi di scatto, certo che fosse accaduto qualcosa.

 

Seiji socchiuse gli occhi quando uscì di nuovo nella strana luce di Bonnokyo. Alle sue spalle, Kujuro rimaneva nell'ombra offerta dalle mura che costeggiavano lo stretto cammino che avevano appena percorso, e che scendeva nelle viscere della città.
“Da qui in poi dovresti poter proseguire da solo. Ma posso accompagnarti, se preferisci.”
“No, grazie. Tornerai da Touma?”
“Non è quello che ho detto?”
Seiji si limitò ad annuire. Osservò la città, cercando qualche riferimento per orientarsi, e quando si volse di nuovo, l'altro non c'era più.
Si incamminò, cercando di concentrarsi sul percorso tortuoso tra le case di pietra e legno, ma si dovette arrendere presto alla propria mente, che si ostinava a tornare alla grotta da cui si stava allontanando, ed alle due persone che ospitava.
In ogni caso, non ebbe modo di preoccuparsene a lungo: vide Kayura materializzarsi lungo la sua strada, seguita subito dopo dai suoi nakama.

 

Touma conosceva bene il passo di chi vestiva una yoroi.
L'aveva sentito molte volte avvicinarsi, cadenzato e metallico, proprio come in quel momento. Cercò di sollevarsi almeno quanto bastava per poter vedere chi fosse, ma non riuscì nemmeno a muovere il capo.
Inspirò a fondo, cercando di restare calmo, mentre i passi si facevano più vicini, fino a fermarsi. Il rumore delle lamine della yoroi che scorrevano le une sulle altre gli fece capire che lo sconosciuto si stava chinando su di lui, e Touma non poteva fare altro che restare immobile, totalmente inerme di fronte a qualunque cosa l'altro volesse fare.
Una mano guantata si posò sul suo capo, leggera, mentre il pollice sfiorava la sua fronte.
“Tenku. Svegliati.”
Conosceva quella voce, ma era stato certo che non l'avrebbe più sentita.
Sono sveglio, pensò, ma non riuscì a convincere le parole a raggiungere le labbra.
Le mani divennero due. Dal capo si spostarono alle spalle, sollevandolo da terra e girandolo verso l'alto.
“Apri gli occhi.”
Le ciglia vibrarono per lo sforzo, ma le palpebre sembravano troppo pesanti.
“Riprova.” La voce era gentile, ma in qualche modo autoritaria.
Non ci riesco.
Un braccio passò dietro le sue spalle, mentre indice e medio si posavano al centro della sua fronte.
Qualcosa di caldo e poco conosciuto cominciò a diffondersi dalla punta due dita, permeando lentamente in profondità.
Fedeltà.
Saggezza pulsò appena, abituata a rispondere al richiamo di altre virtù. Ma imparò presto a riconoscere questa nuova sorella, che già in passato aveva combattuto al suo fianco.
Il viso del samurai si contrasse nello sforzo, mentre finalmente riusciva ad aprire gli occhi.
Ciò che gli apparve davanti fu un volto serio e gentile, incorniciato da una cascata di capelli rosso scuro.
“Ben svegliato, Tenku no Touma.”
“Shu... Shuten?”
Indossava l'armatura, ma non l'elmo. Anche se era stato rinsaldato, dopo che la freccia di Tenku lo aveva spaccato a metà, Shutendoji aveva scelto di combattere sempre a volto scoperto, dal giorno in cui Kaosu aveva liberato la sua anima dalla presa ferrea di Arago.
“Sono venuto a prenderti. Cerca di alzarti, ti guiderò fuori da qui.”
Touma si mise seduto, mentre pian piano la mente sembrava recuperare brandelli di sensazioni e ricordi.
“Sei venuto a... Shuten, ma tu...”
“Sono morto, sì. - Si alzò in piedi, e porse una mano al samurai perché facesse altrettanto. - Nulla è cambiato, in questo senso.”
“Eppure ti vedo. Sono morto anche io?”
“No. E non morirai, se smettiamo di perdere tempo.” Si volse e fece qualche passo, ma si fermò subito, perché Touma non lo seguiva.
“Non riesci a camminare?”
“No, io... Mi spiace, ma non ho idea di cosa stia accadendo, né di come tu sia arrivato qui. - Si passò una mano sulla fronte, cercando di pensare. - Non ho idea nemmeno di come ci sia arrivato io, quindi non ti seguirò. Per quel che ne so, potrebbe essere un altro trucco di questo maledetto demone per confondermi e spingermi a fare chissà cosa.”
“Non vi è nessun trucco. Sono qui per aiutarti ad uscire dalla gabbia in cui sei stato rinchiuso.”
“Come hai fatto a tornare? E come mi hai trovato?”
“Una volta fuori da qui, sono certo che Kayura avrà tempo e modo di rispondere alle tue domande.”
“Kayura? - Touma si massaggiò le tempie, cercando di pensare. L'ultimo ricordo che aveva era Ryo con addosso una nuova Kikoutei, e il volto di Seiji, che gli sussurrava parole che non riusciva a richiamare. - No. Non mi muoverò da qui senza una spiegazione. Se hai davvero così fretta, comincia a parlare ora.”
Shuten sembrò pronto ad opporsi nuovamente, poi sospirò.
“D'accordo. Non mi aspettavo di doverti convincere, ma forse è giusto così. D'altronde la mia vita sarebbe stata molto diversa, se fossi stato guidato dalla tua virtù. - Fece qualche passo, tornando accanto al samurai. Sembrò riflettere su come spiegare ciò che stava accadendo. - Quel giorno, a Bonnokyo, il mio corpo è morto e buona parte del mio spirito è andato perduto con esso. Ma poiché Kaosu mi affidò per qualche tempo lo Shakujo, una parte di me ha continuato a vivere in esso. A dire il vero, non ne avevo coscienza fino a poco fa. E' stato Kaosu ad imprimermi la forza necessaria perché tornassi ad addensarmi in questa forma.”
“Ma non sei tornato in vita...”
“Certo che no. Esisto solamente qui, in questo spazio sottile tra ciò che è materiale e ciò che non lo è. Come questa – Posò una mano sul petto, facendo risuonare sotto le dita il metallo di Kiryoku. - non è la mia armatura, ma soltanto la parte di essa che si è legata alla mia anima.”
“E sei venuto per... liberarmi?”
“Sembra che io sia portato per questo genere di cose. - Accennò una sorta di sorriso, poi si fece di nuovo serio. - Forse è la strada che devo compiere per meritare di essere stato a mia volta liberato.”
Touma osservò per un istante quegli occhi, cercando di decidere cosa fare. C'era la possibilità che il demone che albergava in lui avesse frugato tra i suoi ricordi, trovando l'immagine di Shutendoji, ed ora la stesse usando per confonderlo e farlo girare a vuoto.
Oppure, semplicemente, che il rimpianto per ciò che era accaduto a colui che era stato il Generali degli Orchi fosse tornato a tormentarlo in quel luogo fatto di sogni indistinti.
Eppure Touma sentiva forte l'istinto – o forse era solamente desiderio – di credere a ciò che Shuten gli stava dicendo. In ogni caso, non aveva alternative migliori.
“D'accordo. Mostrami la strada.”

 

“Come faremo a capire cosa fare?”
Ryo osservava la pozza dai riflessi rossi e ocra. Touma era ancora immobile, nella stessa posizione in cui l'avevano lasciato.
“Shuten ha detto che lo avrebbe risvegliato, ma aiutarlo a liberarsi è compito vostro. - Kayura parlava con voce calma, ma lo sguardo con cui osservava Tenku tradiva un alito di incertezza. - Sono certa che riuscirete a sentire il richiamo del vostro nakama, non appena non sarà più coperto dalla voce di questo youja.”
Shin annuì: il silenzio di Tenku era un taglio netto e doloroso che si era aperto nel loro legame, potevano percepirlo anche senza cercarlo. Era sicuro che, non appena lo strappo si fosse richiuso, loro lo avrebbero sentito.
“Noi possiamo chiamarlo, ma non credo che il demone si limiterà a lasciarlo andare.” Shu sentiva prudere le mani.
“Di questo non dovrete preoccuparvi. - Rajura era poco distante, la schiena poggiata ad una delle pareti della grotta e le braccia incrociate. Gli abiti che indossava poco prima erano stati sostituiti dall'undergear scura. - Noi siamo qui per questo.”
Shu strinse i pugni: non gli piaceva l'idea che quei tre mettessero becco – e peggio ancora mano – in quella faccenda. Spettava soltanto a lui e ai suoi nakama proteggere Touma e combattere per lui.
Seiji gli posò una mano sulla spalla, stringendo quanto bastava per invitarlo a calmarsi.
“So che faticate ancora a fidarvi di noi. - Anubis si era avvicinato. - Ma è necessario che lo facciate. Se pensate che sia meglio, posso dirvi che interverremo solo se le vostre forze non saranno sufficienti.”
Seiji fece per rispondere, ma Shin lo prevenne.
“No, non intendiamo rifiutare il vostro aiuto. - Spostò lo sguardo su Naaza, che aveva indossato l'undergear come gli altri, ma restava in disparte, il capo chino e gli occhi socchiusi. - Vi siamo grati per tutto ciò che potrete fare.”

 

Touma si piegò in avanti, le mani poggiate alle ginocchia ed il petto scosso dalla tosse.
Aveva perso il conto di quante volte la strada gli si era chiusa davanti, cercando di soffocarlo e rigettarlo nel torpore da cui Shutendoji lo aveva risvegliato.
Ad ogni ostacolo sentiva le forze venire meno, ancora troppo intorpidito per riuscire a reagire.
Se fosse stato da solo, di certo sarebbe stato sopraffatto molto prima, ma il masho aveva continuato a farsi strada, abbattendo muri e guidandolo passo a passo.
“Coraggio: sento che siamo quasi arrivati.”
Touma si mise dritto, guardandosi attorno nel pulviscolo che si era sollevato all'ultimo attacco. Tutto ciò che vedeva era una cavità scura, uguale a tutte quelle che avevano attraversato fino a quel momento.
“Io... non vedo nulla.” Per un istante il dubbio tornò a pungerlo.
“Tra poco sarai fuori. Ma da qui in poi sarai solo: questo è un confine che io non posso valicare.”
“Io...” Touma sembrò incerto. Non aveva avuto il tempo di rendersene conto, ma ritrovare Shuten era stato come curare una vecchia ferita. Non si sentiva pronto a lasciarla riaprire subito.
“Non avere timore, e non dimenticare chi ero: un buon comandante non scende in battaglia senza aver predisposto una via per la ritirata. - Il Generale degli Orchi sorrise. - Ho chiesto aiuto. C'è qualcuno, là fuori, che ti fornirà un ponte.”
“Un... ponte?”
“Sì. Lasciati guidare da esso: sono certo che lo riconoscerai non appena vi avrai posato piede.”
“Shuten, cosa ti accadrà ora?”
“A dire il vero, non ne ho idea. Ma non importa: io ho già compiuto il mio destino molto tempo fa. - Gli posò una mano sulla spalla, fissandolo negli occhi. - Tu invece devi tornare al tuo. Ora va'.”
Touma annuì, piegando le labbra in un sorriso malinconico.
“Ti ringrazio.”
“Quando sarai fuori da qui, porta un messaggio da parte mia a Kayura. - Shuten fece un passo indietro, lasciando filtrare una luce bianca che era rimasta nascosta alle sue spalle fino a poco prima. - Dille che non ho proprio nulla da perdonarle.”
Touma sorrise, accennando un inchino.
“Lo farò. Addio, Shutendoji.”
Lo vide aprire le labbra per rispondere, ma lunghi raggi candidi lo avvolsero prima di poter sentire cosa avesse detto.
La luce si scaldò, divenendo un abbraccio denso e concreto che lo chiamava. Touma fece qualche passo, trattenendo il fiato. Quando sentì che il terreno sotto ai suoi piedi era terminato, chiuse gli occhi e si lasciò cadere.

 

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Capitolo 13
*** Tredici - Inseguire ***


Un verso prolungato e lugubre si sollevò dal centro della pozza, facendo risuonare le pareti della grotta. Sembrava il bramito di un cervo, ma poi cambiò, caricandosi di rabbia.
La linfa in cui Touma restava immerso cominciò a gorgogliare, percorsa da mille onde che si disperdevano e si scontravano, senza un punto di origine o una logica apparente.
“Eccolo. - Disse piano Kayura. - Shutendoji lo ha svegliato.”
Ryo si chiese se stesse parlando di Touma o del demone, ma non faceva comunque differenza. Si piegò ancora di più in avanti, teso in una posizione di attacco che lo rendeva simile ad un felino.
Speculare a lui, dal lato opposto della grotta, Byakuen era immobile, i grandi occhi castani puntati sull'armatura di Tenku.
Tutti gli altri – i suoi nakama, Kayura, i masho – si erano spostati lentamente lungo i bordi del piccolo lago sotterraneo, fino ad accerchiarlo completamente.
Seiji sobbalzò, sentendo crepitare accanto a sé una voce di yoroi diversa da quelle a cui era abituato. Era così concentrato su ciò che accadeva attorno a Touma, che era stato preso alla sprovvista dalla vestizione di Rajura. Osservò per un attimo la nuova forma che aveva assunto l'armatura, e si sorprese a chiedersi se anche il masho dell'illusione conservasse memoria del proprio nome, così come Anubis.
Shu osservò Shin, che sembrava stesse lottando con sé stesso per non correre accanto a Touma. Provava lo stesso istinto, ed era certo che fosse così anche per gli altri. Incrociò la sguardo di Rajura, che sembrava quasi più interessato al loro atteggiamento, che a quanto stava accadendo al centro della grotta.
“Cosa c'è? - Ringhiò contro il masho. - Cos'hai da guardare?”
“Vedo che siete turbati. E' necessario che restiate concentrati, qui non siamo nel mondo degli uomini.”
“Non sta a te giudicare ciò che proviamo. Tu non sai nulla di noi!”
Gli si sarebbe volentieri scagliato contro, ma la sua attenzione fu attirata altrove: Touma aveva cominciato ad agitarsi, muovendosi a scatti e cercando di sollevarsi a sedere. La linfa si allungava con dita sottili lungo tutta l'armatura, contrastando i suoi spasmi e costringendolo a restare giù.
Il volto – a quella distanza – era messo in ombra dall'elmo, e non era possibile cogliere la sua espressione.
Il ringhio feroce, che era pian piano scemato fino a divenire un sordo brontolio, cessò. Per un attimo fu silenzio, poi Touma gridò, ed era la sua voce. Rimbalzava contro i muri di roccia, moltiplicandosi, e la grotta lo restituiva simile ad un pianto.
“Cosa sta succedendo?” Chiese Shin.
“Il vostro compagno si è svegliato, e sta cercando di liberarsi.” Kayura aveva lo sguardo fisso su Touma, cercando di leggere l'attimo giusto per agire.
“Basta...” Mormorò Ryo, socchiudendo gli occhi. Ne aveva abbastanza di quello Youja e di ciò che stava facendo.
Sollevò di nuovo lo sguardo, e strinse un pugno, concentrandosi su Rekka.
“Vestizione!” disse piano.
Una dopo l'altra, le quattro yoroi comparvero ad avvolgere i loro corpi.
L'energia dei loro elementi saturò l'aria, e lo youja si fermò, come ad annusarla. Lo capirono perché Touma era di nuovo immobile e zitto, e la linfa era ferma e piatta come una lastra.
Kayura decise che poteva essere il momento: alzò lo Shakujo, puntandolo verso Touma. Un flusso di luce dai riflessi caldi si liberò dal bastone, raggiungendo Tenku e le due forze contrastanti che la abitavano.
“Fate attenzione. - Mormorò, mentre muoveva lentamente il braccio, sollevando l'armatura e liberandola dalla linfa. - Ora non c'è più nulla a trattenerli.”
Tenku saliva lentamente, mettendosi pian piano verticale. Quando fu del tutto fuori dalla pozza, sospesa a mezz'aria al centro della grotta, lo Shakujo si acquietò.
Il volto di Touma era ora visibile, e la sua espressione confusa poteva appartenere tanto a lui quanto allo youja.
Ma poi la sorpresa si tramutò in un ghigno malevolo, e fu chiaro chi dei due fosse ad osservarli, mentre fluttuava davanti a loro.
Una dopo l'altra, figure scure si materializzarono attorno a lui. Come era accaduto la volta precedente, i guerrieri si disposero su due file speculari: una attorno a Tenku, l'altra sospesa al di sopra, con i piedi che sembravano sparire tra le radici che scendevano dal soffitto della grotta.
“Accidenti a lui e ai suoi guerrieri!” Masticò Shu.
“A loro pensiamo noi. - Kujuro aveva sfoderato la spada. - Voi cercate di raggiungere il vostro nakama.”
Seiji incrociò lo sguardo di Ryo, poi annuì.
I tre masho si lanciarono con un balzo verso lo schieramento di demoni, cominciando a combattere.
Le lame affondavano nei corpi di metallo, liberando in nuvole di fumo scuro le anime che li abitavano.
Tenku si mosse, prendendo l'arco dalle spalle ed aprendolo. Incoccò una freccia, e i samurai credettero li avrebbe di nuovo attaccati.
Ma non lo fece.
Puntò invece l'arco verso l'alto, liberando la freccia e con essa la potenza distruttrice dell'armatura.
Il dardo dorato si conficcò nella pietra, e dopo poco cominciò a muoversi verso l'alto, salendo lentamente attraverso la roccia e facendo tremare la grotta. Grossi pezzi del soffitto ad arco cominciarono a cadere nella linfa, facendola sollevare e rischiando di colpire i combattenti che si stavano scontrando.
“Ma cosa sta facendo?” Gridò Shin.
“Non lo so, sembra quasi che...” Ryo non riuscì a terminare, perché tutto cominciò a tremare ancora più violentemente, gettandolo a terra.
Infine la freccia liberò una sorta di esplosione, squarciando il soffitto della grotta. Doveva essere salita fino in superficie, perché la luce cominciò a filtrare attraverso le numerose stanze che aveva attraversato e distrutto.
Il demone guardò su per un attimo, sorridendo compiaciuto, poi si volse a guardare i samurai.
“Addio.” Scandì, sfoderando i denti in un sorriso di scherno, poi si sollevò in volo a grande velocità, schizzando verso l'alto e sparendo attraverso ciò che restava dei piani sotterranei di Bonnokyo.
Tutto ciò che rimase fu una lenta pioggia di scintille dorate, gli ultimi residui della potenza liberata dalla Distruzione del cielo.
“Ma cosa... No!”
“Touma! No, accidenti!”
La grotta non aveva smesso di tremare, sembrava quasi dovesse crollare tutto da un momento all'altro. Ryo, seguito da Seiji, Shu e Shin, tentò di salire verso l'apertura, ma i soldati richiamati dallo youja sbarrarono loro la strada. Benchè molti fossero stati abbattuti dai masho, seppelliti dai grossi blocchi di pietra che cadevano, o inghiottiti dalla linfa, sembrava non dovessero finire mai.
Shu ne abbattè due, cercando di aprirsi un varco. “Dobbiamo sbrigarci!”
Un terzo lo attaccò, ma venne letteralmente tagliato in due dalle lame di Rajura.
“Andate! - Gridò il demone. - Ci occupiamo noi di questi!”
Lui e gli altri due masho si chiusero a cerchio, schiena contro schiena, a proteggere il passaggio verso l'alto.
“D'accordo.” Annuì Ryo, stringendo le spade.
I samurai attraversarono lo squarcio, sempre più grande, mentre la battaglia infuriava e la terra continuava a tremare. Quando arrivarono alla luce del cielo di Bonnokyo, di Touma non c'era traccia. Abbassarono lo sguardo appena in tempo per vedere il terreno che collassava, seppellendo tutto ciò che c'era sotto.


Lo youja si guardò attorno con soddisfazione, mentre atterrava in una zona periferica di Bonnokyo, vicino alle mura. Lì le costruzioni erano rade e per lo più vuote. Si lasciò sfuggire una risata, mentre osservava l'arco che ancora stringeva tra le mani: quella armatura era davvero magnifica.
Con un solo dardo aveva trapassato strati e strati di pietra, e gli permetteva persino di volare. Non se la sarebbe lasciata togliere tanto facilmente, aveva già molti progetti sul come servirsene.
L'ultimo ostacolo, prima di averne pieno possesso, era disfarsi del corpo del suo precedente inquilino.
Poco prima aveva cominciato a risvegliarsi, ma per il momento non era riuscito a liberarsi.
L'ideale sarebbe stato separarsi da lui ed ucciderlo mentre si trovava privo dell'armatura, ma non era sicuro che avrebbe potuto governarla o addirittura indossarla, senza il tramite di quell'essere umano.
Si diceva che fosse la yoroi a scegliere chi vestire, e non voleva rischiare di giocarsela proprio ora.
Forse la via più sicura era quella percorsa fino a quel momento: continuare a corrompere e soffocare l'anima di quell'uomo, fino a cancellarla.
Pazienza se così facendo avrebbe dovuto mantenere sembianze tanto fragili ed insignificanti come quelle.
Un tintinnare metallico alle sue spalle lo riportò alla realtà.
Si girò e vide una figura minuta, avvolta in un kimono a larghe bande grigio scuro e oro, ritta in piedi sulla cima delle mura di pietra che correvano attorno a Bonnokyo.
“Kayura! Come hai fatto a trovarmi?”
“Non sai che il mio sguardo si estende ovunque, dentro e fuori questa città?”
“Cosa vuoi?!”
“Che tu lasci libero il Cavaliere di Tenku.”
“No! Pensa a vegliare sul confine su cui sei stata posta, e non ti impicciare di faccende che non ti riguardano!”
“Sei tu ad occupare un posto che non ti spetta. Lascia andare Tenku, non ti appartiene.”
“Mi appartiene quello che mi prendo! - Richiamò una freccia dalla faretra e la incoccò. - Vattene, o i Kami dovranno trovare un altro custode!”
Lei sollevò il braccio con cui stringeva lo shakujo, decisa a combattere ma incerta su quale arma brandire.
Quando Touma e gli altri samurai erano comparsi a Bonnokyo, era stata presa alla sprovvista: era stata lei a chiedere a Kaosu di poterli aiutare, ma non si aspettava che lui li avrebbe trasportati lì.
Nell'incertezza del momento, Kiryoku era andata in suo soccorso, offrendosi di vestirla e permettendole di combattere.
Ora l'Armatura degli Orchi taceva, e Kayura capì che avrebbe dovuto fare affidamento su altro.
Fissò il bastone che le era stato affidato da Kaosu, aspettando una risposta che non tardò.
Lo shakuyo si illuminò, vibrando. La sua immagine si fece tremolante attraverso la luce, e kayura ebbe la sensazione che stesse perdendo consistenza.
Quando tornò ad essere solido e fermo, aveva cambiato forma: l'impugnatura del bastone era divenuta una lunga e sottile lama di spada. La parte superiore, con la sfera, le ali e gli anelli, ne costituiva l'elsa. Kayura capì che essa era la spada con cui Kaosu aveva combattuto e vinto Arago mille anni prima, quando era comparso sulla terra.
La rigirò, impugnandola dall'elsa e soppesandola: era molto diversa dalla coppia di sottili spade che Arago le aveva donato. Pesava di più, e sprigionava una forza di tutt'altra natura.
La sollevò, rendendosi conto di conoscerla comunque molto bene. Continuava a parlare con la stessa voce che aveva ascoltato fino a quel momento e lei la sentì familiare e forte nelle sue mani.
Con un balzo lasciò la sommità del muro e si lanciò in avanti, gridando.
La freccia lasciò l'arco, andandole incontro.
Kayura la guardò, mentre correva verso di lei e si caricava del potere di Tenku. Sollevò le braccia sopra la testa, impugnando la spada con entrambe le mani, mentre il kimono si apriva, lasciando libere le gambe forti e sottili, e i capelli frustavano l'aria.
L'impatto liberò un boato che risuonò per l'intera città: riverberò fino a quattro figure in armatura.
“Laggiù! - Gridò Ryo, indicando la luce che brillava lontana. - Andiamo!”

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Capitolo 14
*** Quattordici - Liberare ***


Touma si portò una mano al petto, inspirando con forza: per la seconda volta una fitta di dolore lo aveva attraversato, facendolo cadere in ginocchio, nel mezzo del bianco dentro cui era precipitato.
Dopo che lui e Shuten si erano separati, per qualche istante aveva avuto la sensazione di potersi liberare, percorrendo a caduta libera lo spazio fatto di nulla in cui era stato imprigionato.
Ma poi qualcosa era cambiato di nuovo, e la sua corsa si era fermata bruscamente. Era fermo, e sentiva la presa del demone su di sé, di nuovo forte e incalzante.
Ma non era quella stretta ad averlo piegato in quel modo: Touma aveva capito subito cosa stava accadendo, ed era ad un passo dall'urlare per la frustrazione. Quel maledetto demone stava usando Tenku, e per la precisione, stava scagliando le sue frecce.
Touma aveva sentito partire il primo colpo qualche minuto prima. Aveva riconosciuto il potere di Tenku che si raccoglieva al centro dell'armatura, per poi incanalarsi lungo il braccio e fluire dentro la freccia. Avrebbe quasi giurato che il colpo fosse stato scagliato verso l'alto.
Era stato molto diverso da come lo ricordava, perché non era la sua volontà a guidarlo: Tenku si opponeva, cercando di tornare alla guida del suo cuore e di sfuggire a quella del demone.
Era buon segno: se la yoroi reagiva a quel modo, era ancora abbastanza integra.
Ma questo contrasto lo aveva trapassato con un dolore improvviso che gli aveva svuotato i polmoni, stordendolo: era stato come se lo Shinku Ha gli fosse stato strappato direttamente dal petto.
Per un po' non era accaduto altro, lasciando il samurai a farsi domande angoscianti su cosa stesse accadendo, e su quali fossero stati gli effetti di quella freccia, una volta abbandonato l'arco.
Poi l'aveva sentito di nuovo: Tenku stava combattendo, e lui doveva assolutamente fare qualcosa per fermarla e liberarsi, perché non voleva nemmeno immaginare contro chi fosse stata rivolta la forza del cielo.

 

Kayura riuscì a frenare lo slancio con cui era stata gettata all'indietro, fermandosi a pochi centimetri dalle mura alle sue spalle. Rimase qualche istante così, le gambe piegate, i piedi che spingevano forte a terra nel tentativo di riacquistare in fretta l'equilibrio, il fiato che rapidamente tornava regolare. Era già un po' che stavano combattendo, e nessuno dei due riusciva ad avere la meglio.
Tenku era forte, e la spada di Kaosu lo era altrettanto, se non di più. Ma lei non era lì per distruggere, e non era semplice maneggiare quella forza senza fare danni a Touma ed alla sua armatura.
Scrutò il suo avversario, cercando di decidere cosa fare.
Shuten le aveva detto che avrebbe svegliato Touma, convinto che i suoi nakama lo avrebbero saputo richiamare e guidare fuori dal controllo del demone, ma non aveva funzionato. Forse lei li aveva liberati dalla linfa troppo presto, o forse, semplicemente, quel demone era più forte di quanto avessero creduto inizialmente.
C'era anche la possibilità che il cuore di Touma fosse ormai compromesso al punto da non potersi più opporre o risvegliare, ma era una eventualità che – almeno per il momento – non voleva valutare.
Il demone si sollevò in volo, restando a pochi metri da terra. Kayura alzò la spada davanti a sé e si lanciò di nuovo all'attacco. Caricò il colpo, mirando al centro del petto, ma il demone si parò con l'arco. La lama venne agganciata per qualche istante, e lui lasciò che scorresse in avanti tra la corda e la curva di metallo. Poi ruotò l'arco, cercando di strapparle la spada, ma lei puntò il ginocchio sulla sua spalla e fece leva per liberarla.
Gli anelli tintinnarono, mentre lo scorrere di metallo contro metallo liberava scintille. Kayura si allontanò con un balzo, cercando di recuperare lo spazio necessario per caricare un altro attacco. Il demone fece altrettanto, scendendo a terra a qualche metro da lei.
“Allora, Kayura, ti decidi a levarti dal mezzo?”
“Sarebbe una domanda? Sai benissimo che non lo farò. Lascia libera Tenku, e io lascerò libero te.”
“Non sei abbastanza forte per dettare ordini. - Sorrise malignamente. - Ed in ogni caso non mi colpirai con tutta la tua forza, non è vero?”
Ma non ebbe modo di verificare se la sua ipotesi fosse giusta. Qualcosa lo colpì alle spalle all'improvviso, facendolo cadere a terra.
Cercò di divincolarsi, ma non vi riuscì.
“Sta' fermo, bastardo. - Shu gli era sopra, schiacciandolo a terra con tutta la propria forza. Era sbucato dal nulla, piombandogli addosso e trascinandolo giù con sé. - Ora te ne resti qui buono, capito?”
Il demone provò a liberarsi, dimenandosi in preda alla rabbia: si era lasciato distrarre da quella donna, ed era stato colto alla sprovvista. Rovesciò il capo all'indietro, e vide che altre figure si stavano avvicinando.
“Non lo mollare Shu! Non può sfuggirci di nuovo!”
“Non ci penso nemmeno!”
Lo circondarono, afferrandogli le braccia e le gambe ed aiutando Shu a contrastare gli strattoni con cui il demone cercava di liberarsi.
Non era facile guardare quell'espressione sul volto di Touma, né ascoltare la sua voce mentre li malediceva. E bloccarlo fisicamente non era sufficiente: avevano bisogno di tempo e calma per provare ad entrare in contatto con il loro nakama.
Kayura li raggiunse.
“Non riuscirete a trattenerlo a lungo. Forse dovremmo stordirlo.”
“E come? Vorresti colpirlo? Non possiamo rischiare di fare del male a Touma!”
“L'armatura lo proteggerebbe.”
Seiji intervenne. “Rischieremmo comunque che anche Touma perda conoscenza, mentre occorre che sia il più possibile vigile, se vogliamo provare a raggiungerlo.”
Shin cercò di leggere il volto del samurai del cielo: sembrava impossibile che Touma potesse essere cosciente.
“Quindi cosa facciamo?” Chiese Ryo mentre faceva leva sugli spallacci dell'armatura del cielo per tenerlo giù.
“Ci serve qualcosa per bloccare questo maledetto demone.”
“Proviamo a riportarlo in una delle grotte sotterranee?”
“E se ci sfugge di nuovo mentre andiamo là? Ci vuole qualcosa di più immediato.”
“Mettiamo un sigillo.” Gli sguardi si spostarono su Seiji.
“Un sigillo... - Shin ripensò alle volte in cui avevano sfruttato l'unione delle armature per crearne uno. - Potrebbe funzionare, ma...”
“Ma l'abbiamo sempre fatto in cinque. - Shu completò la frase. - Credi si possa fare anche senza Tenku?”
“A questo posso ovviare io. - Kayura puntò la spada verso il basso, cambiando la presa con cui la impugnava. Gli anelli vibrarono appena, mentre il metallo si illuminava per pochi istanti.
Quando si fermarono, lo Shakujo era ritornato alla sua forma abituale.
“Provate a costruire il sigillo: il bastone farà da ponte per il lato mancante.”
“D'accordo. Ma come bloccheremo Touma nel frattempo?”
“Occorrerà un ulteriore aiuto. - Kayura piantò lo Shakujo a terra, ed in un istante il bastone liberò una colonna di luce che si sollevò fino al cielo. Lei sollevò lo sguardo oltre le mura della città, accennando un sorriso. - Tra poco saranno qui.”

 

Erano pronti: disposti su quattro delle punte di un pentagono immaginario, si scambiarono uno sguardo, poi si fermarono su Kauyra, che occupava il quinto angolo.
Touma era disteso al centro. Il demone si era acquietato un po', ma era sveglio e li osservava tutti con diffidenza e rancore. Su di lui, i tre masho torreggiavano, tenendolo bloccato a terra con la forza.
Ryo li osservò, grato di poter contare su quell'aiuto. Sapeva che presto gli sarebbe stato ancora più prezioso perchè - per poter creare un sigillo sufficientemente forte - di lì a poco avrebbero dovuto spogliarsi delle quattro yoroi, restando pressoché inermi.
Piegò la testa in un cenno che i suoi tre nakama raccolsero.
Ognuno di loro si concentrò sulla propria virtù, cercando di raggiungere il cuore più profondo della yoroi. Le armature brillarono di una luce intensa, poi li abbandonarono, venendo proiettate poco più avanti in posizione di riposo. Kayura sollevò lo Shakujo davanti a sé, aprendo la mano e lasciandolo andare, ed il bastone andò a piantarsi a terra, esattamente nel punto che chiudeva il cerchio formato dalle armature.
Una luce bianca collegò i cinque punti, formando un anello che crepitava di energia fortissima ed instabile. Il demone che albergava in Touma prese a contorcersi, gridando, poi si bloccò.
“Adesso!” Gridò Ryo, e con un balzo entrarono all'interno del sigillo.
Con un movimento opposto, i masho lasciarono libero lo spazio attorno a Touma, uscendo dal cerchio. Kayura si lasciò sfuggire un sorriso, osservando come lo avessero attraversato senza che le yoroi reagissero. Sembrava non avessero percepito alcuna differenza tra la natura dei samurai e quella dei tre che erano stati generali di Arago.
Come avevano già fatto altre volte, Ryo, Seiji, Shin e Shu unirono le mani sul petto del loro nakama, cercando di chiamarlo. La voce del demone era ancora forte, ma il sigillo gli impediva di fermare il loro richiamo.
Nel bianco della stanza senza pareti in cui era stato intrappolato, Touma sentì filtrare le voci che aveva atteso fino a quel momento. Riconobbe subito il ponte di cui gli aveva parlato Shuten, e fu grato di essere stato svegliato dal torpore, perché in un attimo si aggrappò al passaggio che si stava aprendo e sfuggì alla presa di chi aveva cercato di soffocarlo.

 

Un grido li sorprese, concentrati come erano a scendere fino al cuore di Touma. Era la sua voce, ma poi cambiò. Divenne roca e bestiale, e quasi caddero all'indietro quando una figura si materializzò all'improvviso, separandosi da Tenku.
Il demone balzò verso l'alto, tentando di fuggire. Il sigillo si ruppe, nessuno di loro aveva più le energie necessarie per mantenerlo in vita, e i samurai videro lo youja mentre si allontanava, debole e disorientato. Nessuno di loro prestò attenzione a ciò che fu di lui quando i tre masho lo accerchiarono. Non era più un loro problema, e tutto ciò che aveva importanza ai loro occhi era lì davanti, racchiuso dal cuore blu scuro di Tenku.

 

Lo adagiarono a terra, su un giaciglio di strati e strati di seta dai colori brillanti che Kayura aveva fatto apparire al centro della stanza. L'armatura era scomparsa pochi istanti dopo che il demone l'aveva abbandonata, mentre l'undergear si era dissolta mentre varcavano la soglia del palazzo posto sul confine dei due mondi. Ora Touma era coperto solamente dalla maglietta bianca e dai pantaloni sportivi che indossava quando era fuggito da casa.
La pelle delle braccia e del collo spiccava candida sul blu scuro della stoffa, attraversato da sottili righe bianche ed argentee foglie di acero.
Shin gli sfiorò la fronte, convinto di trovarlo freddo come spesso accadeva quando gli equilibri con l'armatura andavano persi. Si stupì, sentendo invece come la temperatura fosse praticamente normale.
“Cosa c'è, Shin? - La sua espressione confusa non era sfuggita a Ryo. - E' molto freddo?”
“No, al contrario. - cercò nello sguardo dei suoi nakama qualche risposta che essi non avevano. - Sinceramente non idea se sia buon segno o meno.”
Kayura si fece spazio tra loro, tenendo tra le mani altra stoffa su cui si inseguivano ricami dai caldi colori autunnali. La dispiegò, stendendola su Touma e coprendolo fino alle spalle.
“Andate a riposare, ora. Il vostro compagno è al sicuro, e resterò io con lui.”
“Kayura, noi ti siamo grati per tutto ciò che hai fatto per noi, - Shin piegò il capo in un inchino, mentre restava inginocchiato accanto a Touma. - ma desideriamo rimanere qui.”
“Per noi è molto importante restare il più possibile uniti.” Aggiunse Ryo.
“Lo so. Ma siete stanchi, e questo luogo non è adatto a voi. Non avrete altre risposte per il momento, e so che non riposereste davvero se rimaneste accanto a lui. Potete star certi che verrò a chiamarvi se dovesse svegliarsi, o qualunque cosa dovesse accadere.”
Ognuno di loro fu tentato di opporsi ancora, ma la stanchezza era fredda e pesante sulle membra, come una dolorosa seconda armatura, e la natura di Bonnokyo rallentava il processo di ripresa.
Seiji parlò per tutti. “D'accordo. Mostraci dove possiamo stenderci per qualche ora.”
Lei si alzò, guidandoli fuori dalla stanza.

 

Shin non avrebbe saputo spiegare perché fosse di nuovo fuori, a vagare lungo i sottili argini di pietra che si snodavano ai confini del mare di Bonnokyo. Aveva fatto in modo che nessuno dei suoi nakama si accorgesse che era uscito di nuovo: non era in vena di inventare scuse o cercare spiegazioni a questo bisogno di restare solo.
Aveva provato a riposare un po' in una delle stanze che Kayura aveva messo a disposizione di ognuno di loro, ma era troppo agitato per riuscire a prendere sonno.
Touma non si era ancora risvegliato, e finché non lo avesse fatto, non avrebbero saputo come stava, e quali conseguenze avesse avuto la prigionia sul suo cuore e sulla sua mente.
Non era semplice restare ad aspettare, senza poter far niente.
Non lo era mai, ma in quel luogo era anche più difficile.
Inoltre, Shin era pungolato da un altro pensiero: non era più riuscito a parlare con Naaza. Sentiva che, se non lo avesse fatto, non avrebbe potuto liberarsi dall'imbarazzo e dal sottile dolore di averlo ferito: non riusciva a dimenticare il suo sguardo.
Aveva provato a dire a sé stesso che quell'uomo – dopo tutto ciò che era accaduto – non meritava di ottenere la sua fiducia solo per aver abbandonato il male, ma sapeva che erano soltanto scuse: gli era bastato guardarlo negli occhi quando era apparso, perché la propria virtù cominciasse a germogliare rapidamente.
E quando era stato il momento di affrontare il demone che si era impossessato di Tenku, i dubbi erano già completamente scomparsi.
Ma ciò che aveva sentito sulla propria pelle, che aveva veduto spargersi nel mare e uccidere ogni cosa, era stato troppo doloroso per essere dimenticato in un istante. Non aveva creduto che Naaza fosse lì per spargere il proprio veleno: semplicemente, vederlo muoversi aveva richiamato alla sua mente ricordi difficili da arginare.
Sospirò. Bonnokyo era un mistero pressoché completo per loro. Avrebbe potuto vagare per ore, e non avvicinarsi nemmeno di un metro a ciò che cercava.
Sollevò lo sguardo verso il cielo, che si era fatto via via più scuro. Era di un blu intenso, che avvicinandosi all'orizzonte diveniva nero. Shin non sapeva se in quel luogo la notte ed il giorno si susseguissero come facevano sulla terra, o se il cielo cambiasse luce e colore in base ad altre leggi che loro non conoscevano.
Chiuse gli occhi, chiedendosi se avrebbe potuto in qualche modo far sentire al masho che lo stava cercando. Si stava pian piano convincendo che esistesse un legame che li univa tutti: qualcosa di diverso da ciò che scorreva tra lui ed i suoi quattro nakama, ma comunque un legame, tangibile e vivo. Congiunse le mani e chinò il capo, chiedendosi quale suono avesse la virtù del generale del veleno. Si mise in ascolto, ma non sentì vibrare il rintocco di nessuna armatura.
Sentì invece un odore intenso pungergli le narici. Profumo di piante aromatiche.
Aprì gli occhi, e socchiuse le labbra in una piccola Oh di stupore: di fronte a lui, dove fino a poco prima c'era stato soltanto il piatto orizzonte infinito del mondo degli spiriti, ora si ergeva una costruzione.
Era una bassa casa di legno e pietra grigia, ad un solo piano. Negli anfratti tra un'asse e l'altra, nelle spaccature delle pietre, spuntavano erbe dalle foglie piccolissime e piante dai boccioli non ancora dischiusi. Al centro si stagliava un alto portone, rinforzato con scure borchie di metallo.
Shin mosse qualche passo, ed un'anta del portone si aprì per metà. La figura di Naaza si stagliò nella fioca luce di candele che proveniva dall'interno.
“Mi hai chiamato, Suiko?” La voce era gentile, ma in qualche modo diffidente, o forse incredula.
“Sì. - Shin abbassò il capo in un inchino. - Desideravo parlare con te.”
“Entra. - Naaza abbassò lo sguardo. - Se vuoi.”
“Grazie.”
Shin varcò la soglia, ed il portone si richiuse alle sue spalle.

 

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Capitolo 15
*** Quindici - Parlare ***


La stanza era difficile da interpretare. Pur essendo quasi completamente vuota, non appariva comunque spoglia. La penombra creata dalle candele era quieta ed accogliente, ma non riusciva a trasmettere un senso di pace. Pareva piuttosto che tutto fosse sospeso, in attesa di una decisione o una risposta.
Colui che era stato il demone del veleno fece qualche passo verso il centro della sala, dove c'era un po' più di luce, e si inginocchiò sul tatami, facendo cenno a Shin di fare altrettanto.
Il samurai si mise di fronte a lui, in posizione speculare. Le loro figure apparivano però piuttosto differenti, poiché Shin indossava ancora l'undergear, mentre l'altro era tornato agli abiti tradizionali con cui lo aveva veduto poco prima della battaglia.
“Hai detto di volermi parlare. Ti ascolto.”
Shin annuì, prendendosi un istante per raccogliere le idee.
“Io... sono venuto per ringraziarti.”
“Non devi ringraziarmi. Non è assolutamente il caso.”
“Non è vero. Questa volta non avremmo potuto davvero cavarcela da soli, il vostro aiuto è stato fondamentale per liberare Touma.”
“Non abbiamo fatto niente di più di ciò che era necessario. - L'uomo accompagnò le parole con un gesto secco del capo ed i capelli oscillarono davanti agli occhi, mischiando il verde argenteo ai riflessi rossastri delle fiammelle. - Ed in ogni caso resta troppo poco, in confronto a tutto il male che abbiamo causato. Io non posso dimenticare, e so che nemmeno tu l'hai fatto.”
“Anche di questo volevo parlarti. Quando ci siamo incontrati, prima che ci aiutaste... io credo che tu mi abbia frainteso. - Cercò lo sguardo dell'altro, che appariva confuso. - Di certo il mio comportamento ti ha fatto pensare che io non abbia fiducia in voi o vi serbi ancora rancore.”
“Non è così?”
“No, non lo è. E se in qualche modo ti ho portato a crederlo, io ti chiedo scusa.”
“E' già abbastanza difficile accettare che tu mi ringrazi. - La voce era ancora bassa, ma vibrava di uno sgradevole misto di rabbia e sofferenza. - Non infierire chiedendomi scusa, ti assicuro che non è affatto necessario.”
“Infierire?”
“Credi che il mio rammarico non sia già sufficientemente profondo senza che tu mi dimostri la superiorità del tuo cuore?”
“No, non è per questo! Naaza, io...”
“Non chiamarmi in quel modo!” Gridò.
Shin sobbalzò a quell'improvviso scatto di rabbia, ma non ebbe il tempo di reagire, perché l'altro chinò il capo, mentre le labbra si piegavano in una smorfia amareggiata.
“Scusami. Solo... non sopporto quel nome. Me lo diede Arago, e non voglio ricordarlo.”
Shin annuì, comprendendo cosa l'altro provasse.
“Qual'è il tuo vero nome?”
“Il mio nome... Il mio nome era Naotoki Yamanouchi.”
Il samurai si piegò in avanti in un breve inchino.
“Io sono Shin Mouri.”
“Mouri? Discendi dalla famiglia Mouri?”
“Sì.”
Naotoki sospirò.
“Dunque non vi è possibilità di contrastare questo destino?”
“Destino?”
“Nella mia vita da uomo, prima di conoscere il mondo delle armature e degli youja, scesi in guerra come soldato. Non ero niente di più che il frutto tardivo e troppo debole di una famiglia di samurai di basso rango, ma mi ostinai a combattere: sul fronte opposto al mio, circondati dall'acqua e dal sale, c'erano i tuoi antenati. - Si passò una mano sugli occhi, apparendo stanco. - A quanto pare siamo destinati ad essere nemici da molto prima e da volontà più forti della nostra.”
“Non devi pensare questo. Io sono certo che non sia questo il destino che ci è stato dato. Forse... - Shin socchiuse gli occhi, cercando le parole per tradurre ciò che improvvisamente gli sembrava la risposta a tante domande. - Io credo che sia un altro il significato del nostro incontro. Se le armature ci hanno scelto e ci hanno posto uno di fronte all'altro, forse è stato proprio per rimediare alla antica inimicizia tra le nostre famiglie.”
“Se è così, la mia colpa è anche peggiore.”
“Perchè dici questo?”
“Ho lasciato che Arago mi prendesse, gli ho permesso di corrompere la mia armatura. Per centinaia di anni ho vissuto come se fossi nato demone, e come se tutto ciò non bastasse, mi sono opposto alla possibilità di sancire la pace tra di noi? Non vi è fine ai miei errori.”
“Non parlare così. Conosco bene le insidie e le difficoltà della vita di chi veste una yoroi, è fin troppo facile perdere il proprio cuore.”
“Eppure a nessuno di voi è accaduto.”
“Siamo stati semplicemente fortunati. Fortunati ad avere una guida, fortunati ad incontrarci e divenire nakama. Se io fossi stato da solo a portare il peso dell'armatura, non sono certo che sarei rimasto sulla giusta via.”
“Smetti di essere così indulgente, io non lo merito!”
“Non sono indulgente, sono soltanto onesto. E e tu dovresti ricordare che non sei l'unico ad aver ceduto ad Arago.”
“Lo so bene, ma la mia colpa è peggiore.”
“Ma perché?! - Shin non riusciva davvero a capire. - Cosa ti rende diverso dagli altri masho?”
Naotoki si alzò in piedi: improvvisamente sembrava non fosse in grado di restare fermo. Cominciò a camminare lentamente per la stanza, cercando le parole giuste per spiegarsi.
“Tu conosci la natura delle yoroi degli altri che erano generali come me?”
“Sì. Oscurità. Illusione. Oni.”
“E la mia?”
“Veleno.”
“Non è così. - Tornò di fronte a Shin, inginocchiandosi nuovamente. - Il nome della mia armatura è Yakushi, Il Budda guaritore. L'oscurità può perdere ma può anche dare pace. L'illusione può ingannare, ma anche consolare... ognuna di esse può avere una valenza positiva o negativa, è il cuore che la guida a determinarlo.”
“Anche per le nostre armature è così: ognuno dei nostri elementi può rivelarsi distruttore.”
“Ma Yakushi... era nata per curare e guarire. E cosa poteva farsene, uno come Arago? - Shin poteva sentire disprezzo nella sua voce. - Così l'ha corrotta. Ha stravolto la medicina che era in essa, per farla diventare veleno. E Yakushi è stata perduta, ed io con lei.”
“Ma siete stati liberati. Le vostre yoroi sono tornate alla loro natura.”
“Per gli altri è stato così, ma per me no. Io... Il danno è stato troppo profondo, ed io non sono in grado di sanarlo.”
“Perchè?”
“Te l'ho detto, Yakushi ha perduto la sua vera natura. Non sono più riuscito a farla tornare come era, non può più guarire nessuno. Forse il male fatto è stato troppo, forse il mio cuore è troppo indegno per poterla rigenerare. Aveva scelto me, ed io l'ho rovinata per sempre.”
Shin poteva sentire la sofferenza di Naotoki. Poteva immaginare molto bene come potesse sentirsi, bloccato a metà del proprio cammino verso la luce, sospeso e frenato dal senso di colpa e dalla disperazione. Ma era convinto che ciò che diceva fosse sbagliato. Yakushi poteva essere sanata, forse lo era già. Era la mancanza di fiducia ad impedirgli di vederlo.
“No, non devi pensare questo. Se davvero il tuo cuore non meritasse più la yoroi, essa ti avrebbe abbandonato da tempo. Devi soltanto guardare a te stesso ed alla tua armatura con occhi nuovi. Credimi, non vi è nessuno che come me possa comprendere quanto può essere importante avere fiducia.”
“Fiducia... in me stesso? Come potrei?”
“Chiunque può sbagliare. E a chiunque è concesso di rimediare. Inoltre... - Shin abbassò lo sguardo, fissando le proprie dita nascoste dal metallo dell'undergear. - Non sei l'unico ad aver avvelenato la propria armatura.”

 

La sensazione fu simile a quella di mettere un piede in fallo e cadere.
Anzi, Shu ebbe proprio l'impressione che il terreno fosse mancato all'improvviso sotto al suo passo, facendolo precipitare nel nulla.
Si svegliò di soprassalto, trovandosi seduto e con il fiato un po' corto.
Si chiese se fosse stato semplicemente un sogno, ma il senso di vuoto che aveva percepito era ancora lì, ad aleggiare nella sua mente annebbiata dal sonno.
Si mise di nuovo steso, cercando di ascoltare, e capì che c'era stata una nuova rottura dell'equilibrio tra lui e i suoi nakama: il legame era instabile, decisamente più asimmetrico di quando era riuscito a cedere al sonno, poche ore prima.
Si alzò e in pochi passi raggiunse la stanza in cui giaceva Touma: forse si stava svegliando, o forse gli era accaduto qualcosa.
Lo trovò esattamente come lo aveva lasciato. Immobile, gli occhi chiusi, il corpo quasi completamente nascosto dalla stoffa. Seduto a terra accanto a lui c'era Ryo. Appoggiato alla schiena di Byakuen, gli accarezzava distrattamente il pelo.
“Non sei andato a riposare?” Gli chiese Shu.
“Ero riuscito ad appisolarmi, ma qualcosa mi ha svegliato.”
“Non sono l'unico, dunque.” Seiji comparve alle spalle di Shu, strofinandosi il volto nel tentativo di scacciare la stanchezza. Sembrava avesse fatto un notevole sforzo per uscire dal sonno profondo in cui era caduto.
“Lo stesso vale per me. Cosa credete che sia?”
“Pensavo riguardasse Touma, ma... ora credo si tratti di Shin.”
“Di Shin?!” Shu non perse tempo a chiedere spiegazioni. Si diresse veloce verso la stanza in cui era andato a riposare il samurai dell'acqua, ma non entrò: la voce di Ryo lo fermò prima.
“Non c'è. Ho controllato appena ho capito.”
“E dove diamine è?”
“Non lo so. Ma è come se la sua voce mi arrivasse da lontano. Come se ci fosse qualcosa a separarci da lui.”
“E allora cosa ci facciamo ancora qui?! Potrebbe essere in pericolo!”
“Non lo è.” Una voce pacata frenò lo slancio di Shu: Kayura era entrata nella stanza, forse da una porta che fino ad un attimo prima nessuno di loro aveva notato.
“Kayura, tu sai dov'è?”
“E' nella dimora di colui che conoscete con il nome di Naaza. E' al sicuro.”

 

Shin sollevò lo sguardo, sbattendo le palpebre come se si fosse appena svegliato. Quasi non si era accorto di aver iniziato a parlare, ma poi aveva raccontato a Naotoki tutto ciò che era accaduto un anno prima. I rapimenti, lo scontro con Izumi, la sua decisione di assorbirlo per dargli un luogo in cui stare e tutto ciò che aveva comportato...* Ogni tanto gli succedeva, e non riusciva a frenarsi. Come quando aveva raccontato delle armature alla sua anziana vicina di casa.**
Come acqua, le sue parole rompevano gli argini e divenivano impossibili da fermare.
“Dunque Suiko ha assorbito quello spirito.” Naotoki sembrava riflettere su ciò che aveva appena ascoltato.
“Sì. Inizialmente potevo percepirlo, poi pian piano ha perso identità, mescolandosi alla fonte dell'armatura.”
“Se è così, perché dici di averla avvelenata?”
“Perchè Izumi era stato contaminato. E' per questo veleno che era divenuto uno youja, e non ha potuto fare a meno di portarlo con sé. Ho impiegato un po' a capirlo, ma ora lo sento chiaramente.”
Poteva percepirlo in ogni istante. Sentiva Suiko che vi si ribellava e ne veniva indebolita. Lo sentiva riverberarsi anche nel proprio corpo, quasi gli scorresse in parte nelle vene.
“I tuoi compagni non lo sanno, vero?”
“No. Non saprei come spiegarlo.”
L'altro lo guardò di sottecchi, stupito di riuscire a comprendere così bene la persona che aveva davanti.
“C'è dell'altro.”
Shin sospirò, ma in realtà era grato di poterne finalmente parlare liberamente.
“Io... ho voluto assorbire quello spirito, e ho combinato solo guai. Ho fatto stare in pena i miei nakama, ho rischiato di rompere il nostro legame, e per colpa mia è stata risvegliata una nuova Kikoutei. - Prese un respiro profondo, cercando di nascondere il groppo che gli si era formato in gola. - Non posso dire loro che ho persino avvelenato Suiko.”
In un certo senso, temeva che i suoi nakama non gli avessero mai davvero perdonato di aver voluto assorbire Izumi. Sollevò lo sguardo sull'altro, che appariva pensieroso. Sembrava volesse dire qualcosa, ma non ne avesse il coraggio.
“Posso... posso ascoltare la voce di Suiko?”
“Credi di potermi aiutare?”
“Beh... - Per un istante apparve imbarazzato. - In fondo stiamo parlando di veleno, no?”
Shin sorrise appena, poi chinò il capo e chiuse gli occhi. Naotoki allungò una mano e la posò al centro del suo petto, mettendosi in ascolto. Non ci mise molto a sentire ciò di cui gli aveva parlato il samurai.
Non ne andava certo fiero, ma era un dato di fatto che conoscesse ogni veleno esistente. Eppure ora sentiva qualcosa a cui non sapeva dare un nome. Lo riconosceva come un letale intruso, ma non ne capiva l'origine.
“Che veleno è questo?” Mormorò.
“Il veleno che gli uomini da molto tempo seminano nella terra e nel cielo. Noi lo chiamiamo inquinamento.”
Naotoki annuì, ritirando la mano.
“Dunque?”
“Io credo... di poterlo richiamare. Non lo conosco, ma mi pare comunque qualcosa che io possa maneggiare.”
“Davvero? - Shin sentì la speranza fiorire con prepotenza. Si sporse in avanti, afferrando la mano che l'uomo aveva appena ritratto. - Per favore... ti prego, libera Suiko.”
“Sarà doloroso, e non posso impedirlo. Il veleno ti attraverserà di nuovo, come quando lo hai assorbito.”
“In realtà... non ricordo molto di quel momento. - Chiuse gli occhi, chinando il capo. - Non importa come sarà, voglio farlo. Voglio che Suiko ritorni come era.”
“D'accordo. Possiamo farlo anche ora, se vuoi.”
Shin annuì: non aveva senso aspettare, ormai aveva preso la sua decisione. Ma c'era ancora una problema.
“Io e i miei nakama siamo... collegati. Non temo il dolore, ma so che anche loro lo percepiranno. Si preoccuperanno e verranno a cercarmi, e non voglio che accada.”
Shin non aveva un'idea chiara di come sarebbe stato, ma era certo di volerli lasciare fuori. Non voleva che lo vedessero in condizioni pietose, né che potessero attribuirne la colpa a Naotoki.
L'ideale sarebbe stato che non venissero mai a sapere di tutta quella storia, ma non era sicuro che sarebbe stato possibile.
“A questo posso porre facilmente rimedio. - L'uomo si alzò, avvicinandosi alla porta e posandovi una mano. - Questa è la mia casa: decido io cosa può permeare attraverso le sue mura e cosa no.”
E detto ciò, premette più forte il palmo della mano sul legno del portone. I cardini e la serratura brillarono per un istante, poi scomparvero. La porta divenne muro, chiudendo fuori tutto il resto del mondo.
 

* Shin sta raccontando ciò che accade nella mia ff “Il giorno dell'incertezza”, ambientata circa un anno prima di questa storia.
** Capitolo 2 della mia ff “Ancora una volta”.

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Capitolo 16
*** Sedici - Rivelarsi ***


“Tu lo sapevi?” Shu sembrava incerto su come avrebbe dovuto prendere questa notizia.
Ryo annuì. “Sì. Poco fa, quando sono andato a cercare Shin, Kayura era lì.”
“Come fai ad essere certa che non corra pericolo?” L'attenzione del samurai della Terra era di nuovo su di lei.
“Il vostro nakama si è recato in quella casa di propria volontà, e so che Naotoki non gli farebbe mai del male.”
“Naotoki?- Chiese Ryo. - E' questo adesso il nome di Naaza?”
Kayura annuì.
“Ma cosa diamine è andato a fare, là?!”
“Shu, non scaldarti per un nonnulla. - Il tono con cui aveva parlato Ryo sottintendeva un come al solito che non sfuggì all'interessato. - Shin avrà le sue ragioni. E comunque sono convinto anche io che non dobbiamo temere nulla da Naaza.”
“Guarda che non volevo insinuare niente. Semplicemente non mi piace quando uno di voi fa le cose da solo e senza avvertire: guarda caso, finisce sempre male.”
“Non esagerare. Non credo che...” Seiji si bloccò a metà frase. Qualcosa era cambiato di nuovo nella sua percezione del legame: il contatto con Shin era scomparso così nettamente e così all'improvviso che per un attimo si ritrovò senza parole.
Scambiò uno sguardo con i suoi nakama, che apparivano confusi quanto lui.
“Cosa... cosa sta succedendo? Kayura, tu lo sai?”
“Io credo che... - Sembrava indecisa su come spiegare ciò che aveva appena sentito. - Credo che Naotoki abbia appena sigillato la sua casa.”
“Sigillato? E Shin è ancora con lui? E' per questo che non riusciamo più a sentirlo?”
“Sì.”
“E perché ha fatto una cosa del genere?!”
“Sinceramente... - Kayura passò lo sguardo su ognuno di loro. - ...non ne ho idea.”

 

Erano di nuovo in ginocchio uno di fronte all'altro, ma avevano indossato entrambi l'armatura.
Naotoki era teso in avanti, una mano posata sul petto di Shin, l'altra sul suo fianco.
Gli aveva chiesto di avere pazienza: prima di agire doveva capire bene quale fosse la situazione, e quali rischi celasse.
Dopo un po' di quella strana immobilità, Shin si era ritrovato ad osservare Yakushi con maggiore insistenza di quanto le buone maniere avrebbero voluto. Era incuriosito dalla sua nuova forma: non riusciva a capire in cosa esattamente differisse dalla precedente, e se fosse destinata a cambiare ancora, completando il proprio percorso.
Naotoki, in ogni caso, non dava segno di essersene accorto. Appariva concentrato su ciò che stava facendo, e il mutare delle sue espressioni silenziose cominciava a suscitare una certa preoccupazione nel samurai. Molto meglio lasciarlo studiare, e concentrarsi su altro.
Stava facendo vagare lo sguardo sulle fiammelle tremolanti che rischiaravano la stanza, quando l'altro parlò.
“Hai detto che senti il veleno scorrere dentro Suiko.”
“Sì. Sento che sta danneggiando l'armatura.”
“E non lo senti nel tuo corpo?”
Shin strinse le labbra, abbassando lo sguardo.
“Forse. Non riesco a distinguere davvero.”
Naotoki aggrottò le sopracciglia con disapprovazione. Aveva seguito lo scorrere di quel veleno torbido lungo Suiko, e aveva dovuto constatare come se fosse diffuso praticamente ovunque. Era molto, e sembrava avesse contaminato ogni cosa, dal cuore pulsante dell'armatura fino ai rivoli più periferici. Sarebbe bastato un decimo di quella porcheria per uccidere chiunque, ma l'armatura aveva protetto il corpo del samurai fino a quel momento, limitandone in gran parte gli effetti.
“Irresponsabile...” Borbottò tra i denti.
“Come?” Shin non era sicuro di aver capito.
“Ho detto che ti sei comportato da irresponsabile. Mi hai parlato di Suiko, non pensi fosse altrettanto importante dirmi che sta contaminando anche te?”
“Io... non ne ero sicuro.” In parte era vero: dopo tutti quegli anni, cominciava davvero a non distinguere più dove finiva sé stesso ed iniziava la yoroi. Si mischiavano ogni giorno un po' di più, correndo inesorabilmente verso il divenire tutt'uno.
Naotoki gli premette tre dita sullo stomaco. “Hai avuto dolori?”
“Un po' di bruciore. - Si rassegnò a vuotare il sacco. - Più che altro nausea. Spesso.”
Le dita si spostarono sulle tempie.
“E qui?”
“Sì. In realtà ero convinto fosse stanchezza. E la tensione di ciò che era successo.” Riuscì ad apparire più sicuro. Se ne era voluto convincere, durante quell'anno.
L'uomo si alzò, facendo qualche passo per la stanza, più che altro per disperdere la rabbia che stava tornando a galla.
“Meriteresti che ti lasciassi così.”
“Pe... perché?”
“Se non foste venuti qui per liberare Tenku e non ci fossimo incontrati, avresti fatto qualcosa?” Naotoki sembrava più preoccupato che arrabbiato, e Shin si sentì in torto.
“Non lo so. - Sospirò. - Prima o poi avrei cercato una soluzione.”
In realtà si era reso conto che qualcosa non andava dopo pochi mesi.
Era spesso stanco ed indolenzito. I muscoli gli dolevano per un nonnulla, e andando avanti con i giorni la nausea era comparsa sempre più spesso. Gli esami che gli aveva prescritto il medico avevano rivelato una forma di intossicazione, ma le cure non avevano sortito alcun effetto: il veleno continuava a permeare attraverso l'armatura, rendendo vano qualsiasi rimedio. A quel punto non aveva avuto più dubbi su quale fosse il problema, e Shin si era ripromesso di parlarne con Seiji. Ma prima che avesse modo di farlo, il suo nakama aveva detto loro che Kourin aveva perduto i suoi poteri curativi. Dirglielo sarebbe servito solo a farlo sentire in colpa per non poterlo più aiutare, e Shin aveva tenuto per sé quello che stava accadendo.
Tantopiù che – se c'era qualcuno da incolpare – era proprio lui stesso. Era stata sua la scelta di assorbire Izumi, e in conseguenza di ciò i suoi nakama erano stati costretti ad evocare una nuova kikoutei. Non era difficile capire che ciò che era accaduto a Kourin era strettamente collegato alla nuova armatura bianca, e quindi, alla fine dei i conti, tutto tornava proprio a Shin.
Aveva finito col non vedere soluzione, e aveva smesso di pensarci, minimizzando quello che aveva davanti agli occhi.
Naotoki tornò ad inginocchiarglisi di fronte.
“L'armatura non ti proteggerà all'infinito. E' contaminata in ogni sua parte.”
Shin annuì, tenendo gli occhi sulle proprie mani.
“Non hai a cuore la tua vita?”
“Certo che ce l'ho! Ma... non sapevo cosa fare. Ne avrei parlato ai miei nakama, se fosse servito a qualcosa, ma non possono aiutarmi stavolta.”
“D'accordo, lasciamo stare. - Chinò il capo, perdendo nuovamente la sicurezza che sembrava aver acquisito esercitando le proprie capacità. - Scusami se ho perso il controllo, non ho alcun diritto di giudicare le tue scelte. Ho detto che ti avrei aiutato, e lo farò.”
“Grazie.”
“Non ringraziarmi: non sarà piacevole.”

 

Seiji si sedette sul futon. Si passò una mano sugli occhi e poi sulla fronte, spingendo indietro i capelli: era davvero stanco.
Dopo aver perso ogni contatto con Shin, erano rimasti un po' a discutere tra loro. Avevano valutato di andare a cercarlo, ma Kayura era stata piuttosto categorica sul fatto che non lo avrebbero trovato: Naotoki aveva chiuso la propria casa fuori dal mondo, e nemmeno lei poteva raggiungerlo.
Li aveva convinti che sarebbe stato solo un inutile dispendio di energie. Tutto ciò che potevano fare era tornare a riposare, recuperando le forze in vista di ciò che sarebbe accaduto in seguito, quando Shin sarebbe stato di nuovo raggiungibile, o Touma avrebbe ripreso conoscenza.
Seiji sapeva che Kayura aveva ragione, e desiderava davvero riuscire a riposare un po', ma la verità era che non ci riusciva.
Senza troppa fiducia provò a mettersi steso, cercando di rilassare i muscoli e fermare i pensieri, ma dopo poco era di nuovo a sedere, sempre più nervoso e stanco.
Quando Kujuro apparve davanti allo shoji che chiudeva la sua stanza, Seiji non si stupì di riconoscere la sua figura attraverso l'ombra proiettata sulla carta. Forse aveva imparato a conoscerlo in fretta, o forse l'ombra era particolarmente adatta ad esprimerne l'essenza.
“Entra.”
Lo shoji scricchiolò scorrendo di lato, e Kujuro mise piede nella stanza.
“Posso?”
“Non ti ho appena detto di farlo?”
“Volevo essere certo che la tua non fosse pura cortesia.”
Seiji non rispose, così l'altro proseguì.
“Kayura ci ha chiesto di vegliare su di voi mentre riposate, ma non mi sembra che tu stia riuscendo a farlo.”
“Controlli la qualità del mio sonno?” Si mise in piedi, non gli piaceva essere osservato dall'alto.
“Il sonno ha delle qualità? Non capisco di cosa tu stia parlando.”
A Seiji sfuggì un mezzo sorriso, rendendosi conto della modernità del concetto che aveva appena espresso.
“Lascia stare. Diciamo che è un modo di dire.”
L'uomo lo squadrò un attimo incuriosito, poi decise di tornare a ciò per cui era andato lì.
“Non riesci a dormire?”
“No.” Inutile perdere tempo a negare, il suo volto pallido e segnato doveva essere piuttosto eloquente.
“Dovresti almeno deporre le armi.” Lo sguardo di Kujuro era sull'undergear, che Seiji indossava ancora.
“Ho dormito per lunghi periodi con questa addosso, non è certo l'origine della mia insonnia.”
“Ma denota che non ti senti al sicuro. O che comunque non intendi fidarti fino in fondo.”
“E' soltanto una abitudine. Non riesco a dormire perché... sono troppo stanco. Ho davvero dato fondo alle mie forze, ed è talmente tanto che lo faccio, che sembra che il mio corpo non sappia fare altro.” Non era facile ammettere la propria debolezza davanti a colui che era stato suo nemico, ma Seiji stava cominciando ad metabolizzare l'amara lezione appresa poco prima, mentre annaspava tra le basse acque di Bonnokyo.
“L'oscurità potrebbe aiutarti. Persino uno come te non può restare esposto alla luce tutto il tempo.”
“L'oscurità?”
“Hai bisogno di silenzio. Di un silenzio ed un oscurità abbastanza profondi da isolarti da tutto, persino da ciò che si dibatte dentro la tua mente ed il tuo cuore. Shikkoku può darteli, ed io ti aiuterò a riemergerne quando sarà il momento.”
“Shikkoku...” A Seiji sembrò di veder tremolare l'armatura dell'oscurità attorno al corpo dell'uomo, ma Kujuro indossava soltanto i suoi abiti.
“So che non è semplice per voi accettarci, ma spero che tu stia cominciando ad avere almeno un po' di fiducia in noi.”
“Ti ringrazio. E ti assicuro che non c'è nulla che mi impedisca di fidarmi di voi, ma... non posso. Non posso accettare.”
“Ti sto offrendo il mio aiuto perché credo sia giusto. Perché credo ti sia necessario.”
“Lo so.”
“Perché semplicemente non ammetti di averne bisogno? Temi di apparire debole ai miei occhi? - Si avvicinò, facendo in modo di trovarsi esattamente di fronte a lui. - Le decisioni prese per orgoglio non sono mai sagge. E arrivare a distruggersi, per orgoglio, era da idioti nella mia epoca, e sono quasi certo che lo sia anche ora.”
Seiji non diede segno di aver colto il sarcasmo nella voce dell'altro.
“Pensi che io sia mosso dall'orgoglio? Non sono uno stupido.” Seiji sapeva bene di non aver mostrato particolare assennatezza, nell'ultimo periodo: se Touma fosse stato lì con loro, non avrebbe mancato di farglielo notare. Era stato spesso irragionevole e in certe occasioni probabilmente si era comportato da irresponsabile. Ma era sincero quando diceva di non essere mosso dall'orgoglio, non aveva dubbi a riguardo. Non aveva perso il proprio equilibrio fino a quel punto.
“E allora cosa ti impedisce di lasciarti aiutare?”
“Perchè dici questo? Non mi pare di aver sollevato obiezioni quando siete venuti in nostro soccorso. Vi sono grato di ciò che avete fatto, e so bene che non avremmo potuto farne a meno.”
“Ma si trattava di salvare il vostro compagno. Ora che si tratta di te stesso, non sei disposto a cedere, anche se è evidente che sei stremato. Se questo non è orgoglio, cos'altro dovrebbe essere?”
“Non lo è, ti dico! - Si impose di abbassare la voce, almeno per non disturbare Shu e Ryo, che riposavano nelle stanze accanto. La rabbia si trasformò in rammarico, quando riprese a parlare. - Non posso accettare il tuo aiuto, perché non mi fido di me stesso. Lo so che non puoi capire, non conosci molte cose che sono accadute in questi anni. E' vero, il mio cuore desidera il silenzio di cui mi parli. Ma lo desidera così tanto, che non sono sicuro sia disposto a tornare indietro, quando solleverai la coltre di oscurità con cui vorresti coprirmi.”*

 

*Seiji si riferisce ad un episodio avvenuto nella mia ff “Ancora una volta”.
(Baaaasta riferimenti sparsi qua e là!!!! XD)

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Capitolo 17
*** Diciassette - Curare ***


“Ti ho detto che sarò io a riportarti indietro.”
La voce di Kujuro non aveva cambiato tono, né il suo volto aveva tradito alcun sentimento. Seiji rimase per un attimo disorientato: non gli chiedeva spiegazioni, né mostrava sorpresa o disapprovazione per ciò che gli aveva appena rivelato?
Ma il masho non era uno dei suoi nakama, né era tenuto ad impicciarsi di faccende che non lo riguardassero. Seiji si chiese se, evitando di chiedergli di più, gli stesse mostrando solo il suo rispetto, ed apprezzò la sua riservatezza.
Forse quell'uomo era davvero la persona più adatta ad accompagnarlo lungo quel viaggio che lo spaventava tanto: non avevano debiti né aspettative l'uno verso l'altro, e lui sarebbe stato libero di dar fondo alla propria debolezza senza preoccuparsi delle conseguenze.
“D'accordo. - Lo fissò negli occhi, senza chiedersi cosa vi avrebbe visto l'altro. - Dimmi cosa devo fare.”

 

Shu sbuffò, seccato. Cosa diavolo gli era venuto in mente? Si chiese cosa l'avesse spinto fuori dalla dimora di Kayura, lasciando soli i propri compagni ed avventurandosi in un luogo che poteva solo trasmettergli angoscia e spossarlo ancora un altro po'.
Non era in cerca di Shin, no. Avrebbe voluto farlo, ma aveva dovuto accettare che, almeno per il momento, non era possibile: era uscito semplicemente perché non riusciva a stare fermo.
Dopo essersi appisolato per qualche ora, era stato bruscamente risvegliato dalla sensazione che il legame aveva trasmesso ad ognuno di loro, comunicandogli che il suo nakama era sparito chissà dove. Nonostante avesse cercato di tornare a dormire, non vi era riuscito: il sonno era ormai perduto, e l'irrequietezza era salita rapidamente.
Così ora si ritrovava a passeggiare lungo gli strani muriccioli che attraversavano le basse acque di Bonnokyo, osservando in lontananza le mura che circondavano la città degli spiriti.
Non si stupì più di tanto quando scorse una figura in abiti tradizionali stagliarsi a qualche metro, all'incrocio tra due delle passerelle di pietra.
“Rajura.”
L'uomo si limitò a salutare con un cenno del capo, e Shu strinse le labbra con fastidio.
“Cosa c'è? E' successo qualcos'altro?”
“No.”
“E allora cosa vuoi?”
“Ti ho visto qui fuori: stavi forse cercando me?”
“Non iniziare con i tuoi giochetti, Rajura! Sei l'ultima persona che vorrei attorno, e lo sai bene.”
“Sì, lo so. I tuoi nakama hanno accettato il nostro aiuto, ma tu continui ad odiarmi.”
“Te l'ho già detto: non siete più nostri nemici? Bene! Ma non significa che questo vi renda nostri amici.”
“Non accadrà di certo, se non vuoi nemmeno provare a conoscerci. Io lo so che abbiamo delle colpe nei vostri confronti, ma non vuoi darci la possibilità di rimediare a ciò che abbiamo fatto?”
“Ci avete aiutato a liberare Touma. Non ti basta?”
“Se non è sufficiente per te, come può esserlo per me?”
“Cosa...”
“Vi abbiamo aiutato, ma la tua opinione su di me non è cambiata per nulla. Quindi è a te che non basta. - Rajura si passò una mano sulla fronte. - Voglio sapere perché covi tanto rancore.”
“Ti sembra così strano?”
“In verità, no. Mi aspettavo che tutti voi foste ci foste ostili, non credevo vi sareste lasciati avvicinare. Eppure i tuoi compagni mi hanno stupito.”
“Ma io no.”
“Già. Tu sei l'unico a continuare lungo la strada della nostra inimicizia. E a questo punto, io voglio sapere il perché.”
“Sei così abituato a manipolare la realtà, che non puoi proprio accettarla così com'è, vero?”
“Voglio sapere cos'è che non puoi perdonarmi.”
“Non ci arrivi da solo?!” Shu si sentì pronto ad urlare fuori tutta la frustrazione accumulata in quei giorni, ma qualcosa nello sguardo di Rajura lo fermò. Lo fissava senza la solita aria beffarda, ma non aveva assunto nemmeno quella posa penitente e penosa che a Shu avrebbe solo fatto salire ancor di più la rabbia.
Il suo sguardo era stranamente limpido e serio, e Shu dovette ammettere che comprendeva fin troppo bene il bisogno di quell'uomo di sapere la verità. Non era un caso se il kanji a manifestarsi a volte sulla sua fronte fosse Giustizia. Shu non poteva essere che così.
“D'accordo. Ma poi te ne andrai e smetterai di comparirmi attorno in continuazione. - Il masho fece soltanto un cenno, così Shu proseguì. - Quello che non posso dimenticare... è che tu mi abbia mostrato la vera natura delle yoroi. Quel giorno, quando ci scontrammo, mi dicesti che esse erano strumenti di morte, nate solo per distruggere. Non volevo credere ad una cosa simile, ma da allora sono successe tante cose che non hanno fatto altro che confermarmi che avevi ragione.”
Rajura sbattè un paio di volte le palpebre, evidentemente spiazzato.
“Stai dicendo che... non riesci a perdonarmi l'unica volta in cui sono stato sincero con te?”
A Shu sfuggì una sorta di risata. “Così pare. - Alzò lo sguardo, tornando serio. - Questo non significa che io apprezzi le tue bugie. Le odio proprio, a dire il vero. Tu e tutti i tuoi inganni, le tue illusioni... non c'è niente che mi faccia arrabbiare di più che vedere distorta la verità!”
“L'illusione non è soltanto inganno. Può essere anche altro...”
“Come può esserci qualcosa di buono nel mentire e distorcere la realtà?”
Rajura sorrise, pronto a cogliere l'occasione che Shu gli stava servendo.
Sollevò una mano lentamente, ed alle sue spalle cominciò a prendere forma un edificio a due piani, con un bel portico di legno ed una grande Ginko Biloba che quasi avvolgeva la casa, facendo ombra con le sue foglie dalla bella forma di ventaglio.
“Vieni con me: ti mostrerò qualcosa.”
“Come ti viene in mente che io abbia voglia di entrare nella casa di un demone?”
“Il tuo amico l'ha fatto.”
Shu trattenne a stento una specie di grugnito.
“Non ho davvero idea del perché Shin abbia deciso di andare da Naaza, ma so per certo che io non farò altrettanto!”
“Quando eravamo nemici non avevi paura di me. Ora che non combattiamo più su fronti opposti, sei divenuto timoroso?”
“Non mi incanti, Rajura! Stai solo cercando di provocarmi, io non ho paura di te!”
“E allora dimostramelo. Non hai detto poco fa che per te contano solamente i fatti?”
“Accidenti a te!” Inveì Shu, ma rimase dov'era. Rajura sorrise, abbassando lo sguardo.
“D'accordo, non vuoi giocare ed è giusto così. - Piegò il capo in un piccolo inchino, congiungendo le mani. - Ci sono cose che vorrei tu conoscessi. Vorresti entrare nella mia casa, per favore?”
 

Naotoki era in piedi davanti a Shin. Torreggiava su di lui, mettendogli uno strano senso di apprensione. Gli aveva chiesto di non muoversi, e così il samurai era rimasto in ginocchio. Aveva trattenuto il respiro quando gli aveva visto sfoderare due a due le spade, caricarle dell'energia dell'armatura e poi lasciarle andare. Le sei lame ora rimanevano sospese a mezz'aria, formando due file ai lati della sua figura.
La voce di Yakushi suonò con lo scorrere del metallo, mentre l'uomo si inginocchiava di nuovo di fronte a Shin.
“Il veleno che c'è in te è troppo perché io lo possa concentrare in un solo punto ed estrarre: dovrei raccoglierlo al centro del tuo corpo, e ti ucciderebbe prima che io riesca a farlo uscire. - Shin si limitò ad annuire, e Naotoki lesse fiducia dietro al suo sguardo serio ed un po' teso. - Quindi cercherò di farlo confluire in diversi punti, e poi creerò un passaggio. Sei pronto?”
“Sì.”
“D'accordo.”
Chiuse gli occhi, e portò una mano davanti al volto, piegando le dita a formare mudra* che Shin non seppe riconoscere. Gli occhi dalle strane palpebre erano serrati, ma l'espressione del volto lo mostrava intento ad osservare attentamente ciò che aveva di fronte.
Shin sentì qualcosa cambiare nel proprio corpo: come un formicolio, dapprima leggero, poi più intenso e doloroso. Correva lungo le sue membra, sembrava defluire dal torso per raggiungere zone più periferiche.
Doveva essere il veleno che si raccoglieva nei punti che Naotoki aveva scelto. Poteva sentirlo chiaramente: i muscoli presero a bruciare, la pelle si stava rapidamente ricoprendo di sudore gelato.
Lo stomaco si contrasse in uno spasmo, e le tempie iniziarono a pulsare.
Sentì la gola serrarsi: il suo corpo reagiva in un modo che lo fece pensare ad uno shock anafilattico.
Quando Shin cominciò a credere che non avrebbe resistito ancora a quel dolore, vide gli occhi del masho aprirsi di scatto e le sue labbra mormorare qualcosa di incomprensibile.
Le spade si mossero in avanti con uno scatto fulmineo, andando a conficcarsi in sei diversi punti di Suiko.
Le spalle.
Le braccia, esattamente a metà tra polso e gomito.
Le gambe, un palmo sopra al ginocchio.
Shin gridò, mentre lame penetravano l'armatura e poi la sua carne, cominciando a brillare di una luce accecante.
Dalle ferite cominciò ad uscire un liquido scuro. Dapprima fu denso come olio, e prese a scorrere lungo le spade, scivolando lungo il filo della lama e gocciolando giù. Poi si fece più liquido, sgorgando a fiotti e spargendosi tutto attorno.
Shin si accorse che Naotoki non era più di fronte a lui soltanto perché sentì le sue mani sulle spalle, mentre lo sorreggeva da dietro, impedendogli di cadere.
Impossibile capire quanto stesse durando quella tortura.
Il flusso del veleno pian piano rallentò, fermandosi a tratti e riprendendo con gli ultimi fiotti, poi cessò.
Le lame cominciarono finalmente a ritirarsi, ma il dolore era ovunque e aveva troppe forme differenti perché Shin potesse provarne sollievo.
Uno spasmo più forte dei precedenti lo scosse da capo a piedi, riempiendogli gli occhi di lacrime e facendogli rigettare tutto ciò che aveva nello stomaco: l'ultima cosa che riuscì a pensare prima di perdere i sensi, fu che quella roba nera avrebbe rovinato per sempre il legno del tatami.
 

 

L'oscurità di Shikkoku era lucida e morbida come un drappo di seta.
Frusciava ed avvolgeva allo stesso modo di un pregiato kimono, iniziando dai confini della mente di Seiji e cercando di addentrarsi verso il centro.
Il samurai poteva sentirla avanzare, ma si sforzò di non opporvisi.
Kujuro lo aveva fatto stendere, poi si era limitato ad inginocchiarsi accanto a lui ed a posargli una mano sulle palpebre chiuse.
La prima cosa a scomparire era stata la luce. Difficile dire se nella stanza fosse sceso davvero il buio, o se fossero gli occhi a non vedere più il chiarore caldo delle candele. La logica disse a Seiji che avrebbe dovuto aspettarselo, così non si concesse di ritrarsi.
Poi sentì il nero che copriva i pochi rumori che arrivavano fin lì: lo sciabordio leggero dell'acqua contro la pietra della casa, il vento che a tratti fischiava accanto alle finestre per poi cadere... Quando non riuscì più a sentire il respiro profondo di Kujuro, Seiji si sforzò di concentrarsi sul suo tocco. Sulla mano posata sugli occhi, calda e ruvida, che premeva senza far male.
Quando anche il tatto lo abbandonò, seppe di essere solo. Vi erano soltanto lui e l'oscurità, ma aveva ancora sé stesso. Aveva imparato da molto tempo a porre il proprio animo al centro della sua esistenza, evitando di fare affidamento su sicurezze o conforto esterni. I suoi nakama erano l'unica eccezione che si era concesso, pareggiando il conto con l'idea di poter rivestire per loro il medesimo ruolo. Perciò restare isolato da ogni altra cosa non fu terribile come aveva immaginato, e credette che sarebbe riuscito a lasciarsi andare.
Ma poi cominciarono a svanire pezzi di sé: i ricordi si annebbiarono, la razionalità perse la presa sui pensieri, che cominciarono a guizzare come koi spaventate. Seiji iniziò a sentirsi in trappola. Contrariamente a quanto aveva creduto, non era davvero disposto a cedere il controllo.
Kujuro si accorse che le cose non stavano seguendo il giusto corso quando vide il respiro del samurai farsi rapido ed irregolare. A quel punto sarebbe dovuto già essere del tutto privo di conoscenza, ed invece si stava agitando come un pesce nella rete.
Seiji cominciò a divincolarsi, respirando a bocca aperta come se stesse soffocando. Si tirò su a sedere dopo un paio di tentativi, le mani tese in avanti che tremavano, gli occhi spalancati e neri che non vedevano nulla.
“Sta' calmo. - La voce di Kujuro penetrò attraverso l'oscurità, di cui conosceva i percorsi segreti. - Non fare così.”
“Non posso. Non... ce la faccio!”
“Certo che puoi. Devi solo calmarti.”
“Non posso cedere! - Sembrava aver ripreso un brandello di lucidità, e la voce gli uscì come un ringhio. - Lasciami tornare indietro, non funzionerà!”
“Non ho mai lasciato qualcosa a metà. - Lo spinse nuovamente indietro, facendolo adagiare sulla stoffa. - Ti guiderò attraverso l'oscurità, e tu me lo lascerai fare.”
Gli occhi di Seiji, in cui il nero della pupilla aveva coperto quasi completamente l'iride, si mossero freneticamente senza vedere nulla. Prese qualche profondo respiro, mentre il bianco dei denti affiorava tra le labbra tese, poi le palpebre si chiusero.
Kujuro annuì seccamente, poi posò di nuovo la mano sui suoi occhi.
“Non stai perdendo nulla. - La voce si fece bassa, e nella sua durezza prese un tono quasi armonioso che Seiji non avrebbe mai immaginato. - Non hai bisogno di restare in te, perché non sei solo.”
Seiji prese un lungo respiro.
Nasceva sofferente e chiuso, ma divenne libero nello svuotarsi dei polmoni. Quelli successivi furono più calmi e regolari, e il masho sentì che Shikkoku stava finalmente avendo ragione di lui.
“Dormi, Kourin no Seiji.” Sussurrò, raccogliendo le mani in grembo e preparandosi a vegliarlo per tutto il tempo necessario.
 

*Mudrā (in sanscrito) o Inzō (in giapponese) - letteralmente "sigillo" - sono quei gesti simbolici tipici di alcune religioni, oltre che dello yoga, che vengono usati per ottenere benefici sul piano fisico, energetico e/o spirituale. Li potete vedere nella famosa scena in cui Kaosu separa l'armatura di Arago per creare le nove armature di samurai e masho. Grazie come sempre a Kourin per avermene svelato il nome: la sua consulenza si rivela sempre più preziosa!

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Capitolo 18
*** Diciotto - Raccontare ***


Shu sollevò lo sguardo sulle foglie della Ginko Biloba che avvolgeva con i suoi rami buona parte del porticato in legno, per poi salire e coprire in parte la facciata anche al piano superiore.
Rajura era davanti a lui e stava facendo scorrere i due grandi shoji che davano accesso alla sala al pianterreno.
“Prego. - Si fece di lato indicando con un braccio l'interno avvolto dalla penombra. - Benvenuto nella mia casa.”
Il samurai si guardò attorno dubbioso, mentre i suoi piedi calzati dal metallo dell'undergear facevano scricchiolare il legno del pavimento.
Gli shoji vennero richiusi alle sue spalle, e la stanza tornò del tutto buia.
“Seguimi.” Disse il masho dell'illusione, facendogli strada lungo una scala di legno stretta tra due pareti anguste e dall'aspetto un po' instabile. Shu salì un po' a tentoni, chiedendosi come avesse fatto quell'uomo a convincerlo.
La stanza al piano di sopra era grande quanto quella sottostante e sulla parete sovrastante il portico si aprivano tre grandi finestre allineate. Il masho le aprì ad una ad una, e la stanza venne inondata da una luce bianca e calda, totalmente diversa da quella che si erano appena lasciati alle spalle entrando in casa.
Shu dapprima non riuscì a distinguere niente, poi gli occhi si abituarono, e tra le foglie della Ginko cominciò a delinearsi un paesaggio.
Alcuni alberi di Paulonia si ergevano dritti poco fuori dal portico, diradandosi man mano che il terreno scendeva verso una piccola spiaggia di sabbia grigia. L'acqua del fiume, azzurra in alcuni punti e più scura in altri, scorreva placidamente formando una serie di anse, e sulla sponda opposta, tra le fitte chiome di un piccolo bosco, c'erano alcune basse costruzioni tradizionali in legno. A Shu parve di riuscire a distinguere alcune minuscole figure in movimento sui portici o dietro le finestre.
“Siamo ancora a Bonnokyo, se è ciò che ti stai chiedendo.”
“E quindi questo...”
“E' un ricordo. Un'illusione.”
“Perchè?”
“Non ti accade mai di voler rivedere qualcosa? Un luogo nel quale sei stato felice?”
“No. Io vivo già nel luogo in cui vorrei essere.”
“E non desideri mai una vita diversa da quella che stai vivendo?”
Shu fece uscire lentamente l'aria dalle narici, chiedendosi di nuovo quale fosse il gioco a cui stavano giocando.
“A volte vorrei non aver mai trovato la mia yoroi. Ma tu questo lo sai già, no?”
“Sì. Come io vorrei non aver mai messo piede a Bonnokyo. Ma ci sono cose che non possiamo più cambiare purtroppo. Possiamo solo dimenticarle per un po'. Illuderci che siano diverse. - Si avvicinò alla finestra, poggiando entrambe le mano al legno della cornice. - Illudersi che sia un altro il luogo su cui si affaccia la nostra casa.”
“Non è come mentire a sé stessi?”
“Forse. Ma è anche un conforto quando il peso che portiamo diventa troppo grande. Ti stupiresti di sapere quante persone si sono affidate all'illusione, nella storia dell'uomo.”
“Ma non è giusto. Se ti crogioli nell'illusione, non farai nulla per uscire dalla tua situazione. Non è meglio combattere, piuttosto che sognare?”
“Forse nel tuo mondo. Nel tempo in cui sono nato, chi partiva da una condizione inferiore non aveva quasi nessuna possibilità di uscirne.”
Shu si limitò ad annuire, spostando nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra. Non gli era difficile credergli: non amava la storia fatta di date e nomi, ma era sempre stato incuriosito dalla vita quotidiana e dalle condizioni di chi lo aveva preceduto.
“Per te è stato così?”
“Sì e no. - Si allontanò dalla finestra, tornando di fronte a Shu e mostrando con un gesto della mano un basso tavolino su cui erano pronti del sakè e due piccoli bicchieri. - Il nome con cui sono nato è Kuroda Jirogoro, e se vorrai bere con me, ti racconterò ciò che io stesso avevo dimenticato.”
 

Ryo si riscosse dal torpore nel quale era caduto.
Era rimasto assieme a Byakuen nella grande sala in cui era Touma, cercando di sfruttare quel momento di calma per riposare un po', ma era stato svegliato da una nuova interferenza nella sua percezione del legame con i suoi nakama.
Stavolta era la voce di Seiji ad essere un po' coperta, e Ryo se ne stupì, perché fino a poco prima era convinto si trovasse in una delle stanze che si affacciavano su quello stesso corridoio. Si alzò lentamente, chiedendosi se anche il samurai di Kourin avesse deciso di allontanarsi da lì.
Percorse il corridoio ed esitò solo un istante prima di aprire lo shoji ed affacciarsi dentro.
Ciò che vide fu diverso da qualsiasi cosa si aspettasse.
Seiji era ancora lì: disteso sul futon, appariva profondamente addormentato. Accanto a lui c'era Anubis.
Teneva gli occhi chiusi e sembrava concentrato su qualcosa di lontano, ma sollevò lo sguardo su di lui non appena sentì scorrere il pannello di legno.
“Entra pure, Rekka.”
“E'... tutto a posto? Come mai sei qui?”
“Il tuo compagno sta bene. Sta dormendo, ed io sono qui solo per aiutarlo a svegliarsi quando sarà il momento.”
Ryo spostò lo sguardo su Seiji, cercando cosa vi fosse di insolito nel suo dormire.
“Non può farlo da solo?”
“No. Dorme un sonno indotto dall'oscurità.”
“Perché?” Ogni spiegazione sembrava destinata a portare altre domande, ma stavolta il masho apparve indeciso su come rispondere. Il samurai di Kourin gli aveva rivelato qualcosa di molto profondo, che sicuramente gli causava sofferenza. Non poteva a capire fino in fondo il rapporto che legava quei cinque guerrieri, ma era quasi certo che Seiji non avesse parlato ai suoi compagni di questa sua debolezza.
“Posso dirti soltanto che ne aveva bisogno. E che mi ha dato il suo permesso.”
Ryo osservò il volto del suo nakama: appariva sereno e, benchè il suo animo fosse in parte schermato dall'intervento del masho, non sembrava ci fosse nulla per cui allarmarsi.
“Per quanto tempo dormirà?”
“Non so dirlo. Credo lo lascerò riposare fino a che non accadrà qualcosa che richieda la nostra presenza.”
Ryo annuì. Gli risultava tuttora strano vedere in questo ruolo coloro che erano stati nemici ai tempi della guerra contro Arago.
Stava per parlare ancora, quando per la terza volta percepì un cambiamento.
“Shu...” Mormorò, sentendo come anche il contatto con il samurai della terra fosse offuscato da qualcosa.
“E' con Rajura. E' entrato nella sua casa.”

 

Shu bevve un sorso di sakè. Aveva un buon sapore, ma lui non aveva l'abitudine di bere a stomaco vuoto. Posò il bicchiere, ed aspettò che Jirogoro parlasse. L'altro vuotò il proprio, poi tornò a guardare il samurai. Quando cominciò a parlare, sembrava guardare qualcosa che poteva vedere soltanto lui.
“Sono nato nel Kanto. La mia era stata una famiglia di alto lignaggio, almeno fino al tempo in cui era mio nonno a guidarla. Ma poi cademmo in disgrazia, e nel giro di poco perdemmo tutto. Mio padre fece di tutto per cercare di risalire la china, ma non fu sufficiente. Quando finalmente si arrese, fu come se avesse perduto la capacità di vedere.”
Si versò nuovamente da bere, ma ne prese solo un sorso.
“A casa avevamo a malapena di che sopravvivere, eppure lui si comportava come se non fosse cambiato nulla. Sfoggiavamo ricchezze che non possedevamo, e nascondevamo la nostra sudditanza a famiglie più potenti. - Piegò la bocca in una smorfia sprezzante. - C'era un gran numero di argomenti che non potevano essere nominati, e mia madre rammendava i nostri abiti alla luce di una candela, perché doveva farlo di nascosto.”
Shu ripensò ad uno degli insegnamenti preferiti di sua madre. La verità è sempre la scelta migliore.
“Da un lato lo disprezzavo per la vita che ci faceva condurre, dall'altro era come se non riuscissi a vedere una strada diversa. - Sospirò. - Forse è da lui che ho imparato l'illusione. E forse è per questo che Mugen mi ha scelto.”
“Qual'è la tua virtù?”
“Nin. Sopportazione.”
Shu sorrise pacatamente. “Qualcosa che potrebbe essermi utile, ma temo di non averla mai imparata.”
“Io credo di averlo fatto quando ho cercato di risollevare la mia vita percorrendo la via della guerra. Non c'era nulla che andasse come avrei voluto, e non ho ottenuto altro che toccare il fondo. Ma era come se l'illusione non potesse lasciarmi: continuavo ad illudermi di poter cambiare le cose, intraprendendo di volta in volta strade sempre più vili.”
Prese di nuovo in mano il bicchiere, ma si limitò a spostarlo sul vassoio.
“E' stato allora che ho incontrato la mia armatura. Quando vivevo come un sicario e non volevo ammettere di aver perduto il mio onore. Lo sai, Kongo? Abbiamo creduto a lungo che fosse stato Arago a donarci le armature da cui attingevamo forza: eravamo stati creati per servirlo, e lui ci aveva dotato delle armi distruttrici per poterlo fare. Ora che ho ricordato ciò che accadde, non riesco a smettere di chiedermi perché. Perchè Mugen ha scelto me? E perché proprio in quel momento?”

 

Shin aprì gli occhi nella penombra. Il dolore era divenuto un eco che si riverberava per il corpo scemando piano. Da sofferenza, si stava rapidamente trasformando nel ricordo di essa.
Aveva i muscoli indolenziti per averli contratti violentemente, e poteva riconoscere la sensazione sulla pelle del sudore freddo che l'aveva intrisa per poi essere lavato via. Deglutì a fatica. La gola era arida e lo stomaco sottosopra, ma si rese conto anche di essersi liberato dalla sensazione opprimente che lo aveva accompagnato negli ultimi mesi: il veleno non c'era più.
Per un po' non riuscì a far altro che osservare il soffitto in legno della stanza, percorso da ombre rossastre e tremolanti create dalle fiammelle delle candele. Quando si sentì abbastanza in forze da provare a muoversi, voltò il capo verso la presenza silenziosa che aveva percepito accanto a sé fin dal risveglio.
Naotoki era inginocchiato accanto a lui. Gli occhi erano chiusi, le sopracciglia curve in un'espressione assorta. Shin osservò il volto scarno di colui che era stato il suo peggior nemico: sembrava più stanco, ma anche più sereno.
“Naotoki...”
“Sei già sveglio. Come ti senti?”
“Debole. Ma decisamente meglio.”
“Riposa ancora un po'.”
“Vorrei provare ad alzarmi, invece. Mi sento come se fosse passato un secolo da quando sono entrato in questa casa.” Si tirò su a sedere, ed il futon con cui era stato coperto scese lungo il torace, mettendo a nudo la pelle. Naotoki si limitò ad indicare con un cenno del capo un semplice yukata di cotone ripiegato a terra.
“Grazie. - Shin riuscì ad infilarlo dopo un paio di goffi tentativi. Le braccia sembrava non volessero ubbidirgli del tutto. - I miei abiti?”
“Non ne era rimasto molto. Ed erano intrisi di quel veleno dal nome strano. - Inarcò un sopracciglio, spostando lo sguardo di lato. - Li avrei bruciati, ma non ero sicuro del tipo di fumi che avrebbero potuto liberare.”
Shin trattenne una risata all'espressione scettica ed un po' buffa con cui il masho aveva parlato.
Lo sguardo dell'altro invece si spostò di nuovo su di lui, sui sottili segni rossi, lunghi appena tre dita, che si intravedevano sotto il bordo delle maniche.
“Si sono già rimarginati...” Mormorò Shin, vedendoli solo in quel momento e passandoci sopra due dita.
“Sì. Ma credo rimarranno le cicatrici.”
Il samurai scrollò le spalle con un piccolo movimento.
“Vorrà dire che serviranno a ricordarmi di non agire più senza considerare le conseguenze delle mie scelte.”
Naotoki non rispose. Si alzò, uscendo dalla stanza, e tornando dopo qualche minuto.
“Questo ti aiuterà a tornare in forze.” Teneva tra le dita una tazza piena di un infuso fumante, ma sembrava indeciso se porgerglielo. Shin capì che temeva un rifiuto, così si limitò ad allungare una mano verso di lui. Gli sembrava così lontano il tempo in cui non c'era stata fiducia tra loro, che quasi non riusciva a ricordarlo.
“Spero non sia troppo amaro...” Scherzò, prendendo la tazza e portandosela alle labbra.
“Io... a dire il vero non ne ho idea.”
Shin rise, e la sua risata era simile a pioggia sottile. Naotoki capì che quello era il suono che aveva la fiducia, e si sentì improvvisamente diverso, simile quasi a ciò che era stato molto tempo prima che Arago entrasse nella sua vita.
Il samurai bevve lentamente, godendo del calore dell'infuso e del silenzio della stanza, poi posò la tazza davanti a sé, e guardò il masho.
“Ora ho il permesso di ringraziarti?”
“Soltanto se vorrai riconoscere che non ho fatto altro che cercare di pareggiare i nostri conti.”
“Non mi metterò a discutere su questioni del genere. Accetta il mio grazie. - Piegò il capo e socchiuse gli occhi. - Per favore.”
Naotoki sbuffò una specie di risata.
“D'accordo. Avremo modo di definire nuovamente la questione.”

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Capitolo 19
*** Diciannove - Tirarsi indietro ***


Shu appariva assorto, e Jirogoro si ritrovò ad attendere una risposta da lui.
Quando si erano incontrati la prima volta – Quando il samurai non era niente di più di un ragazzino e lui era un demone – lo aveva giudicato uno sciocco.
Ai suoi occhi quei cinque non erano altro che un branco di marmocchi trovatisi per caso ad indossare armature degne di ben altri guerrieri.
Ingenui e fin troppo fiduciosi nelle proprie forze.
E Shu era il più stupido di tutti: impulsivo, irragionevole e intriso fino al midollo di concetti di “Bene” e “Male” che sembravano usciti dalle favole che doveva aver appena smesso di ascoltare.
Giustizia.
Solo ad uno sciocco si addiceva una simile virtù: Rajura aveva pensato che non avrebbe potuto capitargli nemico più facile da manipolare.
Da allora erano cambiate talmente tante cose che il Masho era stato costretto a mutare opinione praticamente su ogni cosa che si trovasse a Bonnokyo o nel mondo degli uomini.
Ciò nonostante, non si aspettava di ritrovarsi a quel punto: aveva iniziato a parlare convinto di voler soltanto raccontare la propria storia, ed ora si rendeva conto che non gli bastava.
Per qualche strana ragione, voleva sentire cosa ne pensasse il samurai.
Lo vide sollevare finalmente gli occhi.
“Il mio nome è Shu. - Il masho annuì. - Shu Rei Fan. Quando trovai Kongo ero talmente stupido da pensare che mi spettasse per via della mia forza. O per il mio coraggio, o perché tutti mi avevano sempre detto che ero buono. Quel bambino erediterà il clan, dicevano le donne a mia madre, e io ero praticamente sicuro di conoscere quale fosse il mio destino. Solo a quattordici anni si possono avere così tante certezze, no?”
“Nel mio tempo a quattordici anni si era già considerati adulti, ma comprendo cosa vuoi dire.”
“Da allora le cose di cui sono certo si sono decisamente ridotte. - Scrollò le spalle. - Ci hanno pensato le yoroi a farmelo capire, e tutte le creature che abbiamo dovuto affrontare.”
“Io per primo.”
“Già. Ma non provare a scusarti o ti do un pugno.”
“Non mi scuserò. Ma voglio dirti almeno questo: so che sono passati molti anni da quando Arago è stato battuto.”
“Ne sono passati venticinque.”
“Sulla terra è un tempo lungo, ma qui... abbiamo impiegato molto a liberarci dell'influenza di colui che era stato il nostro padrone, i ricordi sono tornati a poco a poco. All'inizio non sapevamo nemmeno di essere nati umani. Quando finalmente abbiamo riacquistato la nostra vera natura e abbiamo trovato un luogo in cui stare, abbiamo compreso che sulla terra erano accadute molte cose. - Si fermò, cercando di leggere l'espressione di Shu, poi riprese. - Kayura è stata destinata a vegliare sul confine tra i due mondi, ed in ogni caso è guidata dalla volontà di Kaosu, ma noi siamo liberi. Possiamo scegliere a chi votare la nostra spada.”
“Cosa vuoi dire?”
“Avete affrontato battaglie difficili, e almeno per alcune avreste avuto bisogno di qualche alleato. Forse vi sarete chiesti con quali diritto ci degniamo di offrirvi il nostro aiuto soltanto ora, ma come ti dicevo, eravamo come sospesi, totalmente assorbiti dalla nostra trasformazione.”
Il samurai sembrò soppesare le sue parole. In quegli anni l'argomento Masho era venuto fuori di tanto in tanto tra lui e i suoi nakama, ma nessuno di loro si era mai spinto ad immaginarli come possibili alleati. Ora che si erano trovati ad affrontare assieme questa difficoltà, l'idea non sembrava più così tanto assurda.
“Beh, meglio tardi che mai.” Scherzò.
“Significa che accetterete il nostro aiuto, in futuro?”
“Può darsi. - Tornò serio. - I miei nakama hanno deciso di fidarsi di voi, ed io mi fido di loro e del loro giudizio. E in fondo... non c'è motivo per cui non dovremmo volervi come alleati.”
Jirogoro non potè fare a meno di stupirsi: fino a poco prima Shu sembrava fermo nel non volerli attorno. Ma in un certo senso il masho lo conosceva molto bene, e sapeva che la sua virtù gli impediva di chiudere gli occhi davanti alla verità.
“Grazie.”
“Oh, ti prego. Ci manca solo che ci mettiamo a fare convenevoli. Ho già fatto il pieno di assurdità, in questi giorni, non superiamo il limite.”
Jirogoro ridacchiò, e Shu riprese a parlare.
“E per quanto riguarda le yoroi... come ti dicevo, non saprei dire con certezza nemmeno perché Kongo abbia scelto me, quindi non posso rispondere alla tua domanda. Posso dirti soltanto che le yoroi si uniscono ad un cuore che le sappia guidare. Forse Mugen ha visto in te ciò che tu stesso non sapevi riconoscere.”
“Ed io l'ho tradita, portandola ad Arago...”
“Le armature non scelgono tra bene e male. Cercano un cuore degno di loro, e finché esso ne è capace, se ne lasciano guidare. Perciò lascia perdere ciò che è stato, e non sprecare altri venticinque anni a rimuginarci sopra, d'accordo?”
Jirogoro fissò Shu per un attimo, poi scoppiò a ridere, gettando indietro la testa.
"Hai decisamente ragione. Beviamo, dobbiamo suggellare questa grande verità.”

 

“Si sta muovendo.” Shu aveva cercato di non alzare la voce, ma non era semplice restare calmi.
Le palpebre del samurai del cielo tremolarono, nuovamente, ma non aprì gli occhi.
Un moto di disappunto serpeggiò in forma di sospiri e bisbiglii: erano tutti lì attorno, ad aspettare che si risvegliasse.
Poco prima c'era stata una sorta di onda che si era allargata attraverso il nucleo delle armature, raggiungendo i cuori di chi le vestiva.
Naotoki l'aveva percepita, riaprendo i sigilli della propria casa e permettendole di arrivare anche a Shin.
Kujuro aveva appena iniziato a ritirare il proprio manto di oscurità quando Ryo era entrato di nuovo nella stanza, ed assieme avevano aiutato Seiji a riemergere dal silenzio.
Shu e Jirogoro l'avevano sentita nello stesso istante, ed il masho dell'illusione aveva lasciato ricomparire Bonnokyo al di là della porta della casa.
Nel giro di poco si erano ritrovati tutti nella grande stanza dalle pareti di pietra, perché era chiaro che l'animo di Touma stava finalmente cominciando a risalire dall'oblio in cui era stato spinto a forza, ed ora aspettavano che si svegliasse.
Shin allungò una mano su quelle di Touma, provando a chiamarlo piano. Anche gli altri tre samurai si accucciarono lì accanto, mentre i masho si facevano rispettosamente indietro.
Touma si mosse appena, corrucciando il volto in un'espressione sofferente, poi finalmente riuscì ad aprire gli occhi.
“Touma!”
Li guardò ad uno ad uno, cercando si orientarsi. Lo sguardo non era del tutto limpido, ma era senza dubbio il suo.
Quando lo scampolo di soffitto che il samurai vedeva sopra di sé venne coperto da altri quattro volti, la sua espressione si fece talmente confusa che i suoi nakama non poterono fare a meno di scoppiare a ridere, abbracciandolo e nascondendo le lacrime di sollievo gli uni contro gli altri.

 

Touma mosse qualche passo, cercando di riprendere confidenza con il proprio corpo e con ciò che lo circondava. Era strano essere di nuovo sé stessi, ed i ricordi si accavallavano un po', spezzati nella logica e nella consequenzialità come in un sogno confuso. Si avvicinò ad una delle finestre, e strinse i lembi del collo dell'haori, rabbrividendo.
Forse il suo corpo faticava ancora un po' a svegliarsi, o forse l'aria di Bonnokyo era cambiata all'improvviso, divenendo immobile e gelida.
Passi leggeri alle sue spalle gli dissero che non era più solo, ma per qualche motivo non si voltò. Da quando aveva aperto gli occhi si sentiva come se ogni movimento, ogni parola producesse una perturbazione destinata ad espandersi ovunque.
La chioma bionda di Seiji entrò nella sua visuale.
Per un po' rimasero uno di fianco all'altro, osservando il paesaggio immobile al di là della stretta finestra. Poi Seiji si volse, fissandolo con durezza.
“Non farlo mai più.”
“Cosa? Dare ospitalità ad uno youja? - Touma sorrise storto, mentre cercava di venire a patti con quello che era successo. - Ti assicuro che non è stata una mia scelta.”
“Smettila!” Seiji aveva alzato la voce repentinamente, e Touma capì che stavolta non c'erano margini per sdrammatizzare. - Non è di questo che sto parlando.”
“E di cosa, allora?”
“Lo sai da solo, Touma. - Strinse i pugni, mentre abbassava lo sguardo. - Non chiedermi più una cosa del genere. Mai più, hai capito?”
Touma sospirò, sentendosi improvvisamente molto più colpevole. Ricordava bene la promessa che aveva estorto a Seiji: era qualcosa di terribile, ma in quel momento era terrorizzato all'idea di poter diventare un demone. Non riusciva a controllarsi, e per poco non aveva ucciso degli innocenti: era così disperato che gli era sembrata l'unica soluzione.
“Scusami. Sapevo che avreste cercato di liberarmi, ma...” Gli poggiò una mano su una spalla, cercando di fargli alzare lo sguardo, ma Seiji fece un passo indietro, allontanandosi dal muro e da lui.
“L'avrei fatto! - La voce era una lama che sembrava dovesse tagliare in due la sua stessa gola. - Io l'avrei fatto, Touma! Lo capisci?”
“Seiji...” Lo sapeva di avergli chiesto troppo. Lo sapeva nel momento stesso in cui l'aveva fatto, ma solo ora riusciva a sentirne davvero il peso. Poteva vederlo negli occhi spiritati del suo nakama, poteva sentirlo mentre il rimorso gli faceva bruciare la bocca dello stomaco.
Seiji si prese la testa tra le mani, chiudendo le palpebre con forza.
“Io ti avrei ucciso, se fosse stato necessario. - Si lasciò scivolare a terra, senza riaprire gli occhi. - Cosa sto diventando?”
“Scusami. Perdonami, Seiji, scusa... - Touma si era accucciato accanto a lui, abbracciandolo. - Mi dispiace. Non avrei mai dovuto vincolarti ad una promessa del genere. Sono stato egoista e ho pensato solo a ciò che mi spaventava. Mi dispiace...”
“Non farlo mai più. - Cercava di apparire di nuovo calmo, ma Touma sapeva riconoscere quanto fosse sconvolto. - Promettilo.”
Touma sospirò, chiedendosi perchè il loro destino cercasse sempre, in un modo o nell'altro, di spezzare ciò che univa i loro cinque cuori. Non poteva sapere a quali prove sarebbero stati sottoposti in futuro, ma giurò a sé stesso che, qualunque cosa sarebbe successa, non avrebbe mai più messo nessuno dei suoi nakama in una situazione simile.
“Mai più. - Strinse l'abbraccio, cercando di trasmettergli un po' di calma. - Te lo prometto, Seiji.”

 

“Dunque siete decisi a partire subito?”
Il vento sollevava i lunghi capelli azzurrati, scompigliandoli sul kimono grigio percorso da rami scuri e fiori scarlatti. Lo Shakujo riposava quieto sulla spalla.
“Sì. Spero che questo non ci faccia apparire irriconoscenti, ma non possiamo restare di più. Non sappiamo quanto tempo sia trascorso sulla terra mentre eravamo qui, e ci sono persone che si staranno preoccupando per noi.”
Kayura annuì.
“Siete sicuri di stare bene?”
Ryo gettò uno sguardo ai suoi nakama, sparsi qua e là lungo la grande terrazza. I masho si erano congedati poco prima, non appena era stato chiaro che Touma stava abbastanza bene.
“Di certo stiamo molto meglio di quando siamo arrivati qui. - Sorrise. - E lo dobbiamo a voi. Vorrei essere capace di esprimere quanto vi siamo grati.”
“Non occorre, davvero. E' il minimo che potevamo fare. - Fece qualche passo verso il centro della terrazza, sollevando lo Shakujo. - Se siete pronti, aprirò il passaggio.”
Ryo scambiò un cenno con gli altri.
“Siamo pronti.”
Kayura fece compiere al bastone una mezza rotazione, puntandolo davanti a sé. Gli anelli tintinnarono per il movimento, poi si fermarono.
Ripresero a muoversi poco dopo, mentre un cerchio luminoso si apriva nel pavimento di pietra, facendo salire sottili lampi. Quando la luce fu tale da formare una colonna continua che si disperdeva verso il cielo e sprofondava verso il basso, Kayura abbassò lo Shakujo.
“Ecco. Questo vi riporterà a casa.”
“Grazie.”
Si avvicinarono, ringraziandola con un leggero inchino.
Solo Touma rimaneva immobile, poggiato al parapetto. Sapeva che era arrivato il momento di tornare alla sua vita, ma c'era qualcosa dentro di lui che gli urlava a gran voce di non andare.
Da quando si era svegliato aveva accarezzato più di una volta l'idea di restare ancora un po' in quel luogo sospeso, pensando con una sorta di malinconia rassicurante che sarebbe stato una scelta facile, la prima dopo una serie di scelte dolorose, di scelte-compromesso e di scelte-non-scelte, perché il destino aveva già deciso tutto e loro non potevano far altro che piegarvisi.
Ma ora che i suoi nakama erano sull'orlo del passaggio che Kayura aveva aperto per loro, Touma si rese conto di non riuscire a muovere un passo.
Scendere e tornare al mondo degli uomini significava riprendere la propria vita dal punto in cui l'avevano lasciata, e nel suo caso significava anche parecchie cose in più di questo, come ad esempio scoprire cosa era rimasto della sua posizione all'università, dopo essere sparito nuovamente, a lungo, e senza alcuna spiegazione.
O fare i conti col fatto di aver ferito un uomo, senza nemmeno sapere se nel frattempo qualcuno aveva scoperto qualcosa e si era messo sulle sue tracce.
E lui era stanco. Troppo stanco per ricominciare per l'ennesima volta, troppo stanco per pagarne il prezzo.
Si avvicinò al passaggio, rimanendo comunque un passo indietro rispetto agli altri.
“Io... non vengo.”
Si aspettava un coro di esclamazioni e domande, ma ottenne solo silenzio. I suoi nakama sembravano congelati sul posto, come se quella manciata di parole li avesse resi statue di sale.
Nessuno parlava, così Touma proseguì.
“Mi dispiace, ma non me la sento. - Abbassò gli occhi, incapace di sostenere tutti quegli sguardi increduli. - Non ancora.”
Ryo fu il primo a muoversi, allontanandosi di un paio di passi dalla colonna di luce.
“Cosa succede?”
“Niente. Credo che mi occorra soltanto un po' di tempo.”
“Touma, è normale che tu ti senta ancora scosso. - Shu gli posò una mano sulla spalla. - Ma non sarai da solo: non abbiamo certo intenzione di mollarti ad Hirakata e tornarcene a casa.”
“E' proprio questo che non voglio. Ho bisogno di riflettere di riordinarmi le idee. Mi serve tempo, e non ci riuscirei sapendo che ogni ora che mi occorre è un'ora che tolgo a voi, obbligandovi a starmi accanto. Mi conoscete: lo sapete che in certe cose me la cavo molto meglio da solo...”
“Se non ci vuoi ad Hirakata torneremo a casa, ma scendi almeno sulla terra. Come potremmo raggiungerti se resti qui?” Shin sembrava il più ostinato.
“Non voglio tornare a casa. E sono sicuro che Kayura potrà metterci in contatto, se sarà necessario. - Si voltò verso di lei, che annuì. Poi tornò a fissare i suoi nakama, sperando che capissero che non avrebbe cambiato idea. - Andate voi, io vi raggiungerò.”
Il passaggio tremolò, mandò un paio di lampi, poi si chiuse.
Ryo fissò per un attimo il punto in cui fino a poco prima aveva crepitato la porta tra i due mondi, poi tornò a guardare Touma.
“Non riusciremo a farti cambiare idea, vero?”

 

In qualche modo era riuscito a convincerli. Credeva che sarebbe stato più difficile, ma forse anche loro sapevano che non era così ovvio tornare alla normalità dopo che la propria anima si era mescolata a quella di uno youja, rischiando di divenire tutt'uno con lui.
Dato che non sarebbero rimasti tutti assieme a casa di Touma, come avevano deciso inizialmente, Kayura aveva deciso di aprire un passaggio diverso per ciascuno di loro. Sarebbero occorse più energie, ma almeno sarebbero arrivati ognuno a casa propria, risparmiando tempo e strada.
Touma aveva parlato brevemente con ognuno dei suoi nakama, prima che entrassero nel passaggio, ed ora restava solamente Seiji, che aveva continuato a fissarlo da lontano.
Gli andò incontro.
“Sei pronto? Tra poco sarai a Sendai.”
“E tu resterai qui.”
“Seiji, cerca di capire...”
“Non occorre che ricominciamo, ci hai già spiegato le tue ragioni.” Fece per raggiungere l'ultimo passaggio, che l'energia dello Shakujo stava già iniziando a formare.
Touma gli si avvicinò con uno scatto, fermandolo.
“Non è per te. - La mano era stretta attorno al polso, non lo avrebbe lasciato andare finchè non lo avesse ascoltato. - Non è per quello che hai detto. Sei arrabbiato con me ed hai ragione di esserlo. Lo capisco, e non ti sto evitando. Ho solo bisogno di un po' più di tempo, davvero.”
Seiji lo guardò, i suoi occhi erano difficili da interpretare. Non disse nulla, così Touma continuò.
“Hai capito cosa voglio dire?”
“Sì.”
“Dici , ma il tuo volto dice il contrario.”
“Ma la mia bocca non ne ha il diritto.”
“Cosa significa?”
“Mi hai inseguito per così tanto tempo, e io ho continuato ad erigere un muro dietro l'altro. Sapevo che cercavi di aiutarmi, e so che ci hanno sempre provato anche gli altri. - Seiji si voltò, fissando la luce che scorreva viva come una cascata e che lo avrebbe riportato a casa. - Credevo di poter tenere aperto soltanto lo spiraglio che vi concedevo, ma non ho capito cosa significava fino ad ora.”
Touma fece soltanto un cenno, così Seiji proseguì.
“Non eri l'unico a dormire, lo sai? Mentre aspettavamo che tu tornassi, ho riposato nel silenzio creato dall'armatura dell'oscurità. Ed è come se tutto ciò che avevo costruito attorno al mio animo si fosse polverizzato. Come se fossi pronto a ricominciare da capo.”
“Ti ha... resettato?”
Seiji sollevò gli occhi al cielo, mentre una minuscola frazione di sorriso balenava sul volto.
“Se proprio devi esprimerti così...”
“E quindi?”
“E quindi sono abbastanza libero da riuscire a capire. - Si passò una mano tra i capelli, tirandoli indietro anche se il volto era già sgombro. - Ci stai mandando a casa senza di te, e per la prima volta comprendo cosa vi ho fatto passare in tutti questi anni. Cosa significa vedersi chiudere fuori da qualcuno a cui tieni.”
Touma scosse appena la testa. In qualsiasi altro momento sarebbe stato euforico davanti a quelle parole che aveva aspettato così a lungo, ma ora sembrava incapace di qualsiasi sentimento troppo intenso.
“E allora cerca soltanto di non essertene dimenticato quando tornerò.”
“E tu cerca di non tornare troppo tardi.”
“Ci proverò.”
“Touma. Dico davvero.”
“Vai. Resta vicino a quei tre, per favore.”
Seiji annuì, ma era chiaro che avrebbe voluto ribattere ancora. Si allontanò di qualche passo, scambiando un ultimo cenno con Kayura.
“A presto.” Mormorò, mentre entrava nella colonna di luce.
“A presto.” Rispose Touma, mentre la figura del suo nakama si assottigliava fino a scomparire.

 

E così sono riuscita a tornare su questa storia. (meglio tardi che mai! XD)
Mi devo scusare con tutti voi che leggete: questa storia ha subito ben due lunghe pause, e stavolta mi sono fermata proprio ad un passo dalla fine, il che mi faceva dispiacere ancor di più.
Ma ormai ci siamo.
Questo era l'ultimo capitolo. Ora manca soltanto l'epilogo e i consueti saluti e ringraziamenti di rito...
Nel frattempo, un bacione!

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Si era sollevato di nuovo il vento, ma non era facile capire da dove provenisse. Non era come nel mondo degli uomini, dove Tenku gli parlava, e Touma conosceva ogni refolo ed ogni voce.
Quello che aveva ora sopra il capo, che brillava come una lamina ondulata di rame ed era attraversato dalla luce delle stelle come se fosse stato forato da uno spillo, non era cielo.
Forse ne era una sorta di proiezione antica, ma di certo non era Tenku.
Il cielo, quello vero, Touma lo conservava dentro di sé, nell'essenza della yoroi che riposava quieta al centro del suo petto e sembrava d'accordo con lui nel voler aspettare ancora un po'.
Un frusciare di seta ed il leggero tintinnio dello Shakujo gli annunciarono che anche Kayura era uscita sulla terrazza.
Da quando aveva deciso di rimanere a Bonnokyo, Touma l'aveva incrociata soltanto un paio di volte. Anche se era ospite nella sua dimora, non era stato difficile rimanere solo: la casa sembrava si fosse suddivisa in due, lasciando ad ognuno di loro lo spazio per non incontrarsi se non volutamente.
La salutò con un breve inchino, poi tornò a guardare giù. Lei si fermò a pochi passi, osservando il confine e scorgendo probabilmente cose che lui non era in grado di distinguere.
“Tu eri lì quando sono stato... liberato da quel demone?”
“Sì.”
“Lo hai veduto?”
L'ho visto uscire ed ho visto cosa ne è stato di lui. Non potrà più tornare, se è ciò che ti stai chiedendo.”
Touma scosse il capo, cercando forse di mettere a fuoco cosa esattamente volesse sapere.
“Non temo che ritorni, no. Io mi chiedo se...”
Si interruppe.
Nè Kayura né Bonnokyo diedero segno di aver fretta che lui si chiarisse le idee.
“Prima mi sembrava di sentire l'eco delle voci degli uomini.”
“Dentro ad ognuno di voi c'è un po' del custode, a quanto pare.”
Touma scrollò le spalle, come se fosse un argomento che non gli interessava.
“Li sentivo brulicare, correre dietro a cose inutili, farsi del male a vicenda. Li ascoltavo e pensavo alla mia vita sulla terra: dovrei provare almeno un po' di nostalgia, no? O almeno sentirmi parte di loro...”
“Nè tu né i tuoi compagni siete più del tutto umani... questo lo sai, no?”
“Immagino di sì.”
“Quindi cos'è che cerchi di capire?”
“Io... ripensavo a tutto quello che io e i miei nakama abbiamo passato per loro... Per proteggere persone che non sanno nulla di noi, che non ci aiuteranno mai, che sono state persino capaci di allearsi con un demone per farci del male.* E mi sento... non lo so. Come se ne avessi abbastanza.”
“Di combattere?”
“Di tutto. Di stare in mezzo alla gente, di nascondere la mia vera natura. Mi sembra quasi...”
Si fermò, muovendo il capo in un gesto che Kayura non seppe come interpretare.
“Di odiarli?”
Touma sembrò rifletterci.
“Non lo so. Forse. Di certo sono stanco ed arrabbiato, e quindi mi chiedevo... - Si passò una mano sul volto, e finalmente si girò a guardarla negli occhi. - Mi chiedevo se ci sia ancora un po' di quello youja dentro di me.”
Lei mosse lo Shakujo, mettendolo dritto. Touma si chiese se lei stesse aspettando una risposta dal bastone, o se semplicemente stesse riflettendo.
“Io non credo che ci sia più nulla di quel demone. Non in senso letterale, almeno. Però c'è stato, e di certo non possiamo fingere che questo non abbia avuto conseguenze, sul tuo cuore e su come ti senti.”
Touma annuì, ma non sembrava molto rincuorato.
“Quanto tempo credi sia passato sulla terra?”
“Sei certo di volerlo sapere?”
“Ho provato ad immaginarlo, e qualunque sia la risposta, non riesce a convincermi a tornare.”
“Sono passati poco più di novanta giorni.”
Touma trasalì impercettibilmente: non si sentiva affatto diverso da quando aveva deciso di trattenersi ancora un po' a Bonnokyo.
“I masho sono umani, eppure vivono qui. - Sembrò indeciso se proseguire o meno. - Credi che potremmo farlo anche noi? E che potremmo continuare ad assolvere il nostro compito?”
Lei non sembrò sorpresa.
“Come dicevo, voi non siete più semplici esseri umani, come non lo sono loro. Di certo Bonnokyo vi accoglierebbe, ma non sono certa che le vostre yoroi si adattino altrettanto bene a separarsi dagli elementi da cui traggono forza. Forse dovreste rassegnarvi ad una vita che oscilla al di qua ed al di là del confine su cui sono posta.”
Si avvicinò al samurai, e la sua voce prese un tono più gentile.
“Di certo non avrei difficoltà ad aprirvi un varco ogni volta che fosse necessario, ma... non vi è nulla della vostra vita sulla terra che poi rimpiangereste?”
“Io no. - Touma appariva quasi troppo sicuro. Pensò a sua madre, che viveva dall'altra parte della terra: non molto più vicini di quanto non fossero ora. - Ma forse i miei nakama sì. Ancora per qualche anno, almeno.”
“Intendi aspettarli qui?”
Touma tornò a guardare verso la distesa di acqua che si dissolveva in lontananza.
Sarebbe stato come essere morto per il mondo. Per tutti tranne che per una manciata di persone sparse in due luoghi opposti. Era un limite o una liberazione?
Sospirò, chinando il capo.
“Io... non lo so.”

FINE

 

*Touma si riferisce alle vicende narrate ne “Il giorno dell'incertezza”.
 

Ok, è finita. Lo so, è un finale aperto, ma giuro che non l'ho fatto apposta. Non è un modo per tirarvela in lungo, né per aprire la strada a nuove storie. Semplicemente, mi sono messa nei panni di Touma, e non sono proprio riuscita a darmi una risposta.
Ora come ora non so dirvi se lui tornerà sulla terra, né cosa faranno i suoi nakama. Forse le prossime storie mi chiariranno le idee.
Nel frattempo, scusandomi per questo finale che non è un finale, passo ai ringraziamenti.
Grazie a tutti coloro che hanno letto, che mi hanno lasciato le loro impressioni, che si sono amozionati, che hanno apprezzato l'entrata in scena dei masho e che mi hanno dato nuove idee e spinto ad interessanti riflessioni.
Grazie a chi mi ha aiutato a documentarmi, in particolare grazie alla sempre insostituibile Kourin che è un pozzo di scienza nipponica e fandomica.
Grazie a Melanto, Releuse, PerseoeAndromeda e a tutti coloro che sono arrivati in fondo a questa storia.
Un bacio.

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