Avrò cura di te

di dreamstory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


-Sai, piccola mia, è tipico delle persone forti certe volte cadere a pezzi-

-Non ti capisco papà, cosa vuoi dire?-, lo guardai con gli occhi nocciola spalancati e mi immersi nei suoi, scrutando a fondo il suo sguardo fiero. Le sue iridi trasparenti mi trasmettevano sicurezza, mi sembrava di vederci del ghiaccio, lì dentro. Ma un bel ghiaccio, quello delle piste di ghiaccio all’aperto che si formavano d’inverno nel centro di New York. Andavamo lì a pattinare  quando le aprivano, era rilassante. Sorrisi dolcemente all’uomo forte che mi teneva tra le sue braccia. Mi strinsi di più a lui e mi addormentai, ripensando a quelle ambigue parole, tanto sapevo che al mio risveglio me ne avrebbe spiegato il senso. Mi sbagliavo, non fece in tempo.

 

-Driin…Driin.- Il suono assordante della sveglia mi fece alzare dal letto. Mi tolsi il pigiama azzurro che mi aveva regalato mio padre prima di morire, quello con fantasie azzurre e bianche e qualche fiocco di neve ricamato sulle maniche. Mi andava piccolo, ma era importante per me. Quel fottuto infarto mi aveva lasciato un vuoto troppo grande.  Sfilai dall’armadio un paio di jeans strappati grigi, una maglietta bianca e mi infilai velocemente una felpa e i miei storici anfibi neri. Velocemente scesi le scale, facendole scricchiolare a ogni mio passo. Raggiunsi la cucina, dove mia madre Mariana e Francisco, mio fratello, stavano facendo colazione. Fran ha un anno più di me e giocava a hockey sul ghiaccio da quando era piccolo; a differenza mia, lui aveva reagito e aveva deciso di continuare a giocare, mentre io smisi subito dopo la morte di mio padre a pattinare.  -Martina, dobbiamo parlarti.-, mi accolse mia madre con un flebile sorriso in volto  -Buongiorno anche a te.-, risposi sedendomi di fianco a Francisco -È una cosa importante.-, sostanziò mio fratello, -questa sera c’è la finale di hockey.- 
-Non verrò a quella stupida partita.-, ribattei io -Tesoro ci sarà tutta la città, è la finale.-, mi ricordò con voce calma mia madre -Non metterò piede in quel palazzetto, lo sapete bene.-, iniziavo a infastidirmi -Invece verrai, devi smetterla con sta cosa cazzo!-, mio fratello si stava arrabbiando, teneva molto a me anche se non voleva farmelo capire. -Un conto è non pattinare, anche se è una cazzata anche questa, e un altro è non entrare più in una pista di ghiaccio.-, continuò Fran palesemente arrabbiato -Francisco modera i termini!-, intervenì mia madre. -No mamma, non si può andare avanti così, papà è morto per tutti non solo per lei!-, gli occhi mi si riempirono di lacrime, afferrai il mio zaino, lo misi in spalla e uscii di casa sbattendo la porta. Attraversai tutto il viale a piedi, era Novembre e la temperatura era già molto fredda, abitavo a Brooklyn, una frazione di New York e l’inverno era un inferno. Gli alberi iniziavano a perdere le prime foglie secche, il cielo era cupo, quella mattina era proprio una merda. Le parole di Francisco mi trafiggevano il cuore ogni volta che ci ripensavo, non era mai stato così diretto quando si trattava di papà. Nella nostra famiglia era stato eliminato, ogni cosa che lo riguardasse era stata gettata, i suoi ricordi svaniti insieme a lui. Ma io pensavo a lui costantemente, era sempre insieme a me come un’ombra; ed era la mia forza, quando il mondo mi crollava addosso, quando non riuscivo ad andare avanti pensavo a lui. Pensavo a quanto avrebbe voluto vedermi reagire, come mi aveva insegnato a fare. Ma io lo deludevo sempre, perché in fondo ero fragile come le foglie, che cadevano dagli alberi perché non ne potevano più.  Ero una sorta di cristallo, un pezzo di ghiaccio che man mano si stava sciogliendo. Le lacrime mi ricaddero sulle guance, scaldandomele leggermente. Mentre l’aria gelida mi penetrava nelle ossa mi accorsi di quanto ancora fossi lontana da scuola. Avevo raggiunto giusto la casa dei fratelli Blanco, uno dei quali veniva a scuola con me ed era il migliore amico di mio fratello, Jorge. Erano tre messicani, che mi conoscevano da quando ero piccola; tutti alti, muscolosi la gente si teneva a debita distanza da loro, erano dei gran pezzi di fighi. Jorge aveva un anno in più di me e gli andava dietro tutta la scuola, se le era fatte tutte. Escludendo me e le mie amiche, che eravamo intoccabili, dato che Francisco ci teneva lontane chilometri dai suoi amici. Non voleva vederci soffrire ed essere mollate dopo una notte di fuoco, ma a me andava bene, non avevo mai nemmeno sfiorato l’idea di andare a letto con uno del suo gruppo. A dire la verità non mi era mai venuta l’idea di andare a letto con qualcuno. Il suono di un motore mi fece sobbalzare, mi voltai e vidi Jorge, che sedeva sulla sella della sua moto con indosso la giacca di pelle nera e i rai ban; ditemi a che cazzo servono gli occhiali da sole in pieno Novembre! -Martina!-, la sua voce mi chiamò appena mi vide. Scese dalla moto e mi raggiunse di corsa. Mi asciugai le lacrime prima che se ne potesse accorgere. -Che cazzo ci fai qui da sola?-, il suo tono era preoccupato. -Ho litigato con Fran.-, risposi cercando il suo sguardo attraverso le lenti degli occhiali. -Dai, ti accompagno io.-, mi disse con un sospiro, conosceva bene mio fratello e sapeva che non mi avrebbe accompagnata da incazzato. -No, ci vado a piedi.-, risposi schietta, non lo sopportavo e dovevo dimostrargli che non avevo bisogno di lui -Ma per favore, non ti lascio qui da sola con questo freddo, appena Fran ritorna nelle piene facoltà mentali mi uccide.-, sorrise e mi porse una mano. -Va bene, va bene…-, roteai gli occhi al cielo e rifiutai la mano. Mi aiutò a salire sulla moto e quando fui su cercai qualcosa a cui aggrapparmi, ma le mie dita scivolarono in ogni punto le appoggiassi. Jorge mi prese le mani e me le mise intorno alla sua vita. Sfrecciò via velocemente, i miei capelli volavano trasportati dall’aria e appoggiai la testa sulla sua spalla cercando di rilassarmi. Era la prima volta che andavo in moto e il mio cuore batteva così forte che mi sembrava di morire; osservavo ogni particolare di fianco a me per cercare di distrarmi e non pensare di essere su una moto insieme ad uno dei ragazzi che odiavo di più. Si fermò quando raggiungemmo la nostra scuola, la Millenium High School. Era una semplice scuola superiore, ma in quell’edificio c’erano tanti tipi differenti di persone, troppi per i miei gusti.  -Bimba siamo arrivati.-, scese dalla moto e feci lo stesso. -Io vado, grazie del passaggio Blanco.-, abbozzai un sorriso leggero e cercai di andarmene ma il mio polso venne stretto. -Cosa c’è?-, chiesi voltandomi per guardare Jorge. -Fran mi ha detto che ci teneva che tu venissi alla partita.-, si sfilò gli occhiali e mi guardò con compassione, il che mi fece provare uno strano effetto. Non avevo mai osservato i suoi occhi da questa breve distanza, sembravano due smeraldi, sembrava stessero per parlare, trasmettevano tenerezza, in fondo. 
-Non verrò alla partita.-

-Ci tiene tanto, ti vorrebbe lì con lui.-, le sue parole mi misero ancora più tristezza, Francisco mi voleva bene, dal altra parte. -Smettila, e lasciami andare.-, con forza lasciai la sua presa ed entrai. Velocemente mi diressi verso il mio armadietto e vidi Lodovica, la mia migliore amica. Ci eravamo conosciute da piccole al DreamPalaceIce, il palazzetto del ghiaccio della nostra città. Per anni io e lei abbiamo pattinato, ero sempre stata la migliore se devo essere sincera, non c’era  gara in cui non avessi vinto l’oro. Lei era una delle poche che mi era stata vicino dopo la morte di mio padre, le devo tanto. Quando mi vide, sul suo volto si stampò un largo sorriso. -Ciao bella, come va?-, le chiesi raggiungendola. Si scostò le ciocche di capelli neri dal volto e mi sorrise nuovamente. -Benissimo! Sta sera c’è la finale e mi piacerebbe che mi accompagnassi.-, cercò di evitare il mio sguardo e si infilò nell’armadietto per prendere i libri e lo richiuse. -Ce l’avete tutti con questa cazzo di partita eh!-, mi fece infastidire il fatto che volessero farmi andare a quella fottuta finale. -Dai non ti arrabbiare, era solo per chiedere, adesso andiamo in classe però.-, mi prese la mano ed insieme raggiungemmo l’aula. Quando finirono le lezioni ed era ora di andare a mensa, mi misi a cercare Francisco; dovevo assolutamente parlare con lui e risolvere quella situazione. Attraversai tutta la scuola fino ad arrivare al suo armadietto, lo trovai appoggiato ad esso, mentre delle ragazze gli parlavano insieme e lui non le cagava di striscio. Lo raggiunsi velocemente e mi feci largo tra le bionde tinte. -Fran, dobbiamo parlare.-, chiuse l’armadietto facendolo sbattere rumorosamente. Incrociai e il suo sguardo e vidi solo rabbia. Tutto solo per colpa mia e per le mie fissazioni di merda, sono una cogliona. -Non c’è niente da dire Martina.-, senza degnarmi di uno sguardo iniziò a palpare il sedere di Tracee Chambers, una delle poche ragazze con cui andava a letto abitualmente. Sul mio viso si formò una smorfia di disgusto per quella scena; cercai comunque di finire la mia conservazione, mi faceva male quell’indifferenza. -Ascoltami per favore.-

-Non vedi? Ho altro da fare.-, sorrise maliziosamente a Tracee e se ne andò con quelle galline attaccate al culo, rimasi di sasso. Non mi aveva mai trattata così prima d’ora.

-Bimba?-, riconobbi subito la voce di Jorge ed alzai lo sguardo specchiandomi nei suoi occhi, era già la seconda volta questa mattina che guardandoli provavo una strana sensazione. -Cosa c’è?-, chiesi cercando di regalargli un tono seccato. -Ho visto che hai litigato con Fran, forse hai ragione, non lo so. Ma in ogni caso ti vorrebbe alla partita, potresti fare questo sforzo per lui.-, il suo tono non era di rimprovero, anzi, era molto dolce.  -Ci penserò.-

-Ti aspetto fuori da scuola, a casa da sola non ci vai.-, cercai di replicare ma mi strizzò l’occhio raggiungendo Diego Dominguez, un ragazzo del gruppo di mio fratello; anche lui faceva parte della squadra di hockey insieme a Jorge e Francisco.  
Mi strinsi nella felpa mentre uscivo da scuola insieme a Lodo, faceva ancora più freddo della mattina stessa, segno che stava iniziando il vero inverno a Brooklyn. Il cielo grigio mi provocò un fastidioso senso di vuoto, era una giornata pesante, il pensiero di mio padre girava fisso per la mia mente e ogni tentativo di scacciarlo era inutile, lui era lì, costantemente insieme a me. -Fammi sapere per sta sera Tini.-, mi ricordò la mia migliore amica facendomi scuotere la testa . -Si, ci sentiamo dopo.-

-A dopo, vado.-, mi stampò un bacio sulla guancia e proseguì verso la sua bicicletta. Era una vera coraggiosa Lodovica, che, in qualsiasi stagione fossimo, utilizzava la sua due ruote azzurra. Anche con il freddo glaciale di Gennaio, non l’avrebbe abbandonata. Mi portai le mani nelle tasche e roteai gli occhi in varie direzioni in cerca del messicano, che doveva riportarmi a casa. Mi diressi verso il parcheggio e lo trovai appoggiato alla sua moto mentre teneva tra le labbra carnose una sigaretta. Lo raggiunsi di corsa e quando mi vide la gettò il mozzicone a terra. -Bene bimba, andiamo.-, mi porse una mano e l’afferrai per farmi aiutare a salire. Mi strinsi alla sua vita e lui schizzò via dal parcheggio. Mi appoggiai alla sua schiena e mi accorsi di quanto fosse piacevole andare in moto, aiutava a riflettere, a vedere il mondo da un’altra prospettiva. Si fermò quando raggiunse casa mia e mi ritrovai di fronte a Francisco, che quando ci vide ci corse come un disperato in contro.

-Martina sei pazza? Perché non mi hai avvisato che tornavi a casa con…JORGE?!-, lo guardò stupito e io scesi dalla moto.
-Mi ha fatto un favore, non sapevo come tornare a casa.-
-Magari con me, che sono tuo fratello?-, mi fece presente lui. -Ma se sei incavolato con me!-, alzai il tono della voce ma mi pentii all’istante, dato che ero consapevole del fatto che avesse ragione lui.
-Non per questo ti lascerei a scuola da sola!-
-Io vado.-, esclamò Jorge ed uscì dalla via. Abbassai lo sguardo alle punte dei miei anfibi e mi sentii in imbarazzo, feci la prima cosa che mi venne d’istinto fare. Mi avvicinai a lui e lo abbracciai forte, scoppiando in un pianto liberatorio. Ci mise poco a contraccambiare la mia presa e mi strinse sempre di più a lui, quello era il conforto di cui avevo bisogno io. Mi staccai e lo osservai. -Scusami, sono stata una stupida e non ho capito quanto ci tieni che io venga alla partita.-, ammisi. Lo vidi sospirare.  -E io sono stato un maleducato. Ho messo in mezzo papà perché so che è il tuo punto debole, scusa. Abbiamo già perso lui, non voglio allontanarmi anche da te.-, quelle parole mi riempirono dentro, non mi sembravano da Francisco Stoessel, proprio per niente. 
-Ti voglio bene.-, gli sussurrai sorridendo. -Io di più.-, ricambiò il sorriso e mi strinse ancora tra le sue braccia.

 

Ed era arrivato il momento, mancava mezz’ora all’inizio della partita. Ero in camera mia e osservavo la mia minuta figura davanti allo specchio. Mi sentivo così fragile, avevo paura di non farcela. Avevo indosso un maglione pesante color porpora, dei leggins neri e i capelli ricci mi ricadevano sulle spalle; non mi ero truccata molto, solo un velo di mascara e del gloss trasparente sulle labbra. Mi ripetevo che ce l’avrei potuta fare ma non mi sentivo tranquilla.
Presi coraggio, afferrai la mia borsa e raggiunsi Lodovica, che mi aspettava fuori da casa mia.
-Tini finalmente.-, mi sorrise. -Ciao Lodo.-, afferrai la sua mano ed insieme attraversammo i viali per arrivare all’Ice, che si trovava dietro la mia villetta.
Ci sedemmo sul muretto imbrattato di scritte di fronte all’entrata del palazzetto; tra quelle firme c’era anche la mia, in un punto remoto che non avevo intenzione di scoprire.
-Io inizio ad entrare, mi prendo una cioccolata, vieni?-, mi chiese la mia migliore amica . -No Lodo, vengo dopo.-, le sorrisi e lei entrò nella struttura.
Osservai il muretto, poi l’entrata della mia pista. Il cuore mise a martellarmi nel petto, quasi volesse esplodere da quanto dolore provavo. “Sii forte, sii forte”, mi ripetevo sempre. Mi accovacciai di più al muro di mattoni rossi e avvicinai le ginocchia al petto, nascondendo il mio volto tra di esse; irrigidii la mascella per evitare un pianto. 
Dopo qualche secondo una voce mi fece alzare lo sguardo. -Tini!-, sgranai gli occhi alla vista di quelle note iridi celesti e quel sorriso smagliante in volto. -B-Betty?-, riuscii a balbettare cercando di trattenere le immagini che si facevano spazio nella mia mente alla vista di quella donna. -Quanto tempo tesoro! Come sei cresciuta, sempre bellissima!-, sorrise compiaciuta. Ma più parlava e più rivivevo quei dannati flash. -Grazie Betty.-, strinsi i denti e scacciai le immagini, non potevo perdere la buona volontà ora, solo perché avevo rivisto la mia ex allenatrice. -Sai che l’altro giorno stavo proprio pensando a te?-, il suo tono allegro non andava in sintonia con la mia rigidità. -Ah si?-, sorrisi debolmente. -Si! Un ragazzo che fa artistico ed è anche nella squadra di hockey di tuo fratello vuole partecipare ad un concorso per vincere una borsa di studio, ma ha bisogno di una partner.-, mi concentrai sulle sue parole, non pensando ai ricordi sul ghiaccio per un momento, -Mi sono detta, chi meglio della mia Tini potrebbe rivestire quel ruolo?-
-Mi stai proponendo pattinaggio di coppia?-, rimasi un po’ allibita dalla sua vaga proposta. -Si piccola! Tu sei un talento della natura nel pattinaggio artistico, pensa se avessi un compagno che ti facesse volare di qua e di là.-
-Abbiamo già affrontato diverse volte questo argomento, io ho chiuso con questo sport.-
-Ma Tini, pensaci. È un’esperienza nuova e un’ occasione unica.-, cercai  di replicare ma mi poggiò un mano sul braccio e con l’altra frugò nella sua borsa fino a tirare fuori un bigliettino.
-Qua c’è il mio numero. Se cambi idea, fammi uno squillo. Pensaci!-, mi sorrise nuovamente e si gettò all’entrata del palazzetto. Sospirai, chiusi gli occhi e mi misi il foglietto in tasca. 
Scesi dal muretto, divaricai il cancello in metallo grigio ed entrai. 

 

 

Le mie gambe erano bagnate, il contatto con il ghiaccio le rendeva congelate ed in torno a me si fece buio. Rannicchiata in un angolo della pista piangevo disperatamente formando un lago di lacrime. La sua voce rimbombò nella mia testa 
-Tini, Tini, Tini-, più ripeteva il mio nome più il mio corpo veniva tagliato da pezzi di ghiaccio. Mi ferivano ogni parte del corpo e respiravo sempre più affannosamente. 
-Tini, Tini…-, altro ghiaccio, altri tagli, altre lacrime.I ricordi passavano di fronte a me e pattinavano su quella pista, il sangue sgorgava dalle gambe, dalle braccia e il lago di lacrime diventava un lago di sangue.
-Tini, Tini, Tini, Tiiini…-, la sua voce disperata mi chiamava, supplicante, ma io ero ferma mentre altro ghiaccio mi lacerava la pelle. Non riuscivo a muovermi, ero seduta a terra come pietrificata. E poi davanti a me arrivò lui, che dopo un perfetto axel cadde sulla pista senza più muoversi, l’avevo ucciso. Ero io la colpevole di tutto, ero io che non mi ero alzata per aiutarlo. -Noooo-, riuscii ad urlare prima che il ghiaccio spezzò il mio cuore. -Driiin…driiin-, ecco un campanello d’allarme, peccato che ormai io non sentivo più nulla, finalmente con lui, ero beata.

Mi svegliai di soprassalto con il cuore che mi martellava nel petto e il respiro affannoso; mi passai una mano sulla fronte ed era fradicia di sudore. Un vuoto si formò dentro di me ripensando al sogno appena fatto. Sempre lo stesso, da tre anni; mi tormentava. 
Guardai la sveglia, segnava le sette. Scesi dal letto e mi infilai sotto la doccia. Feci scorrere l’acqua fredda sul mio corpo, sussultai quando venne in contatto con essa ma non mi scostai, stetti lì, la mia pelle era ghiacciata, come la mia anima, come il mio cuore. Ero di ghiaccio, in suo ricordo. Uscii dalla doccia e mi vestii. 
Mi diressi subito verso il box senza fare colazione, era tardi e Fran mi stava sicuramente aspettando. Aprii la portiera della macchina di mio fratello quando lo vidi.
-Buongiorno Tini.-, con un tono allegro infilò la chiave e fece partire l’auto. -Ciao Fran.-, sorrisi nel vederlo felice e presi il mio cellulare iniziando a girare sulla home di Facebook. Quasi tutti i miei contatti avevano postato foto della partita della sera prima, mi soffermai su di una in particolare. Ritraeva Jorge, mentre osservava un punto fisso sugli spalti; gli occhi verdi erano accesi, attenti a osservare quel misterioso punto. Del sudore gli ricadeva sui capelli ed era incredibilmente sexy, lo devo ammettere. -Cosa guardi?.-, mi chiese Fran senza distogliere lo sguardo dalla strada. Velocemente feci scorrere l’immagine del messicano. -Le foto della partita di ieri, siete stati bravi.-, erano arrivati primi in classifica e mio fratello ne era molto orgoglioso, come ogni anno non riusciva a batterli nessuno, erano una delle squadre più forti di tutta New York. Lo vidi sorridere compiaciuto. -Bravi? Abbiamo dato spettacolo.-, mosse le mani sul volante e riuscii ad intravedere il suo sguardo fiero.
-Che esagerato.-, scoppiai in una breve risata a cui si unii il suo sorriso. Svoltò nel parcheggio della Millenium e solo ora mi resi conto di essere già arrivati. Devo dire che mi sentivo bene, nonostante il sogno e la notizia di Betty. Chissà chi era il misterioso pattinatore, chissà se mi avrebbe aiutato a rimarginare le mie ferite, chissà se mi avrebbe salvata, ricominciare a pattinare. D’altronde, l’aveva sempre fatto. Mi aveva sempre salvata.
Scesi dalla macchina con lo zaino in spalla e mi diressi verso l’entrata dell’istituto, salutando con un cenno mio fratello. Raggiunsi il mio armadietto trovandomi di fronte alla mora, sorridente come non mai.
-Buongiorno.-, sibilai sbadigliando ed aprendo il mio armadietto, da cui sfilai il libro di biologia. -Buongiorno.-, mi sorrise. Con i libri sottobraccio, ci dirigemmo verso la nostra aula. Mi sedetti di fianco a Debbie Logan, la mia compagna di banco. Era una ragazza timida, non partecipava quasi mai alle feste studentesche, ma spesso la beccavo osservare mio fratello e quel gruppo di coglioni là.  Quando il prof iniziò a spiegare, i miei pensieri erano fissi su ben altro che la biologia. Ricominciare pattinaggio sarebbe stata una follia, ma c’era qualcosa, che mi spingeva a buttarmi, a ritornare sulle quelle piste e magari pattinare in coppia sarebbe stato un buon compromesso. E poi c’era lui, il mio pensiero fisso, il mio papà. Pensarlo mi provocò un nodo allo stomaco e un profondo senso di vuoto. Mi sembrava tutto sbagliato, ma tutto così dannatamente giusto. La mia mente era divisa in due parti, la prima, voleva ascoltare il cuore, e la seconda, era la via della ragione.
Bella merda, no?

 

Io e Lodovica stavamo raggiungendo con in mano i vassoi del pranzo il nostro tavolo in mensa. Avevo lo sguardo fisso a terra e la mia mente era invasa dallo stesso pensiero che mi perseguitava nelle ore di lezione, quando mi scontrai con qualcuno. Alzai lo sguardo e vidi Ashley Linsey, una delle ragazze che frequentavano Blanco e mio fratello, una vera e propria troia. Mi scostai e proseguii sul mio passo, ma la sua voce mi fece fermare. -Stai attenta puttana.-, questa poteva proprio risparmiarsela. Mi girai di scatto e la fissai negli occhi, aveva un sorriso perfido sul volto.  -Scusa? Ma ti sei vista? Qua l’unica troia che vedo sei te.-, il silenzio calò nella mensa, a scuola avevo una buona reputazione grazie a mio fratello e di sicuro non me la sarei fatta rovinare da una cogliona qualunque. -Beh, almeno io non piango come una bambina dell’asilo ogni volta che vedo una pista, forse c’è una ragione per cui lo fai sempre?.-, o che stronza -Forse perché è morto il paparino?.- continuò mentre sul suo volto si faceva spazio un sorriso compiaciuto. -Sei una stronza.-, pronunciai quelle parole e gli occhi mi si riempirono di lacrime, dov’era Francisco quando serviva? Scaraventai il vassoio a terra e corsi via. Senza una meta precisa, mi sedetti accanto all’entrata di un’aula apparentemente vuota.
Mi appoggiai al muro e mi portai le gambe al petto, scoppiando in un ennesimo pianto, per niente liberatorio; in quel momento avrei voluto più che mai la sua presenza al mio fianco. Il cigolio di una porta mi fece voltare, e mi accorsi che la classe non era vuota come credevo. Sulla soglia apparse Jorge che mi osservò confuso. Mi specchiai nei suoi occhi, in quegli smeraldi che mi piaceva tanto osservare.
-Ma che?-

-Cos’è successo?.-, nella sua voce c’era preoccupazione. -Vattene Jorge.-, gridai coprendomi il volto con le mani. Si sedette di fianco a me e mi mise un braccio intorno alle spalle, attirandomi a sè. -Dai, dimmi cosa è successo.-, con voce comprensiva mi sussurrò quelle parole, e riuscii ad appoggiare la testa sulle sua spalla
-Ashley mi ha dato della puttana.-, mentii, era l’ultima cosa che mi interessava in quel momento. -Bimba, puoi mentire a chi vuoi, ma non a me.-
-Non sto mentendo.-
-Ah davvero? Io credo che ci sia solo una persona che farebbe piangere così Martina Stoessel.-, lo osservai e mi accorsi di quanto mi conoscesse quel ragazzo, che mi aveva vista crescere, nei momenti brutti e in quelli belli, lui c’era sempre stato per Fran e per me. Certo, io e lui non avevamo un gran rapporto, dato che io ho sempre odiato il suo comportamento di merda. Ma sembrava diverso. -E chi?.-, chiesi con voce strozzata pur sapendo che mi avrebbe risposto esattamente
-Alejandro, Alejandro Stoessel.-, quel nome mi rimbombò nelle orecchie un paio di volte, e realizzai. Due anni che non sentivo pronunciar quel nome, cazzo che effetto. Scoppiai in un altro forte pianto e mi raggomitolai nel suo forte petto. Profumava di tabacco e colonia. -Non sei sola bimba, non sei sola.-, mi sussurrò quelle parole e in quel momento furono tutto quello che avevo bisogno sentire. Mi lasciò un piccolo bacio tra i riccioli castani e un brivido mi attraversò il corpo. Mi accoccolai a lui ancora di più.
E mi sentii capita, e mi sentii protetta.
 

*Angolo Autrice*
Salve a tutte! Sono tornata con una versione riveduta della mia vecchia ff. Che dite, vi piace? Spero di aver fatto un buon lavoro, anche se non ne sono proprio sicura. Come primo capitolo, sono successe tante cose. Aggiorno quando raggiungo un po' di recensioni.
Chia :3

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


-Stai meglio?-, mi chiese Lodovica uscendo da quella merda di liceo

Accennai un flebile sorriso,-Si…va tutto bene.-

-Non mi piace quando dici le bugie, ma per oggi posso lasciar correre.-,  mi sorrise e si avventò verso la sua bicicletta, salutandomi con la mano.

Infilai le mani nelle tasche del giubbotto, cercando di riscaldarmele.

Mi fermai quando notai Chanel Maddison, una mia compagna di classe, seduta su di una panchina della scuola con le lacrime agli occhi. Si sistemò il cappellino blu, sempre costantemente presente sulla sua testa, anche in classe, e da esso si fece spazio la sua folta chioma rossa, erano  bellissimi i suoi capelli,  insomma erano particolari. In pochi avevano i capelli di quel colore, nella nostra scuola era l’unica che ce gli avesse di natura e non per stupide tinte. Io invece ero così normale. Capelli castani, occhi castani. Avrei dovuto ereditare gli occhi del mio papà, quelli si che erano belli. Deglutii scacciando immediatamente il pensiero. Mi diressi verso il mio obbiettivo, Chanel. Quando mi avvicinai si asciugò le lacrime con il palmo della mano e mi guardò abbozzando un sorriso poco credibile. Oh, conoscevo bene quei sorrisi falsi, più che bene. Erano stati il mio scudo per anni e anche in quel periodo ne usufruivo, nonostante avessi iniziato ad usarli molto meno. 

-Tutto apposto?-, nessuna risposta, le tremava il labbro inferiore e spostò lo sguardo alle converse nere. Atteggiamento tipico, non riesce più a mentire e divaga, secondo i miei piani tra meno di un minuto dovrebbe scoppiare nuovamente in un pianto. -Ok, ho inteso. Se ti va di parlarne…- non finii la frase che un singhiozzo mi interruppe, quella ragazza stava davvero male. Cosa poteva esserle successo di tanto spaventoso? Quella stessa mattina  non aveva niente, era in classe con me. Mmm…doti anche nel fingere che sia tutto a posto. Avevamo più cose in comune di quanto immaginassi. Mi sistemai al suo fianco e mi accorsi che alzò lo sguardo, la vidi, la osservai intensamente. Stava molto male, quel tipo di dolore che non passava indifferente a chi come me l’aveva provato sulla sua stessa pelle. Le sue iridi avevano il colore del cielo in tempesta, erano di uno strano misto tra azzurro e grigio, non avevo mai visto degli occhi con uno sguardo così intenso, maturo e sofferente. Aveva il volto di una che ne aveva passate tante e non ne può più di lottare. Non l’avevo mai vista in quello stato e non me ne ero mai accorta del suo dolore, era brava a fingere. La vibrazione di un cellulare distrasse la mia attenzione dal suo viso alla sua mano, che con la velocità di un fulmine estrasse il cellulare dalla tasca del giubbino. -P-pronto?-, chiese con gli occhi spaventati e la voce tremante, dall’altro capo si percepiva un forte rumore, o meglio una forte voce; le si rigò il viso, prontamente abbassò il volume spingendo i tasti ai lati del cellulare. -S-si s-scusa.-, continuava a ripetere balbettando, con tono sottomesso e spaventato. C’era qualcosa che non andava, quella ragazza aveva un serio problema. Quando finì la chiamata, non feci in tempo a chiederle spiegazioni che si era già alzata dalla panchina ed era tornata sui suoi passi, sola con il suo dolore.

 

-Orsettina, mi ascolti?-, la sua forte voce mi richiamava e mi chiedevo quando avrebbe smesso di inseguirmi, avevo le gambe a pezzi a furia di camminare.-Non mi piace quel soprannome papà!-, replicai spazientita e finalmente mi fermai, lo osservai e vidi che aveva un’aria frustata.-Sei proprio una peperina te eh?-, sospirai cercando di non sfuriare nuovamente, ero davvero arrabbiata, davvero davvero arrabbiata con lui.-Papà, ascoltami, capisco che non ti vada a genio che io frequenti ragazzi con una brutta fama oppure quelli tipo Fran. Ma in ogni caso, nessuno ti ha dato il diritto di intrometterti nelle mie relazioni! Sono grande e so valutare cos’è meglio per me.-, si avvicinò a me e sospirò. -Lo so, ho sbagliato, non dovevo seguirvi, ma tu per me sei ancora la mia piccolina, capisci?-, cercai di mantenere la calma, -E ho paura di perderti.-, a quelle parole il mio cuore si addolcì. Separai la distanza tra noi buttandomi tra le sue braccia.-Non mi perderai papà, noi staremo sempre insieme.-

 

Sospirai in memoria di quel ricordo, ero ingenua a quei tempi. Proseguii sul viale e una folata di vento mi scompigliò i capelli e penetrò oltre il maglione, facendomi tremare. Era da più o meno mezz’ora che camminavo per Brooklyn ma stava iniziando a fare troppo freddo. Maledii la fantastica idea di non indossare la giacca. Sentii dei passi dietro di me e poco dopo una mano mi toccò la schiena, mi girai, ritrovandomi di fronte a Jorge. L’ultima persona che volevo vedere era proprio lui, dato quello che era successo la mattina stessa.-Cosa vuoi?-, chiesi procedendo sui miei passi senza degnarlo di uno sguardo, si mise  di fianco a me. -Ascolta, so che una situazione strana. Io e te, amici. Cazzo, suona strano. Ma in ogni caso, ci sono cose che ho capito di te che non penso tutti sappiano, non per vantarmi del mio spiccato senso intuitivo…-, sorrise e sbuffai, e li ritornava il solito Jorge. Ma un istante prima il suo tono era serio.-Cerca di parlare seriamente, se non vuoi che me ne vada-, al suono di quelle parole ritornò sul pezzo, evidentemente gli interessava l’argomento, devo dire che questa cosa mi piaceva. A Jorge Blanco interessava della sorte della povera Martina. -Dicevo, ci sono cose che ho capito, che sono riuscito a vedere in te, che…che mi hanno spiazzato. Tu soffri, sempre. E non riesci a metterti alle spalle il tuo passato-, abbassai lo sguardo a terra, consapevole del fatto che stava azzeccando ogni cosa, ero allibita. Nessuno sapeva davvero come sentivo e tanto meno che non riuscivo a mettermi alle spalle il mio passato. La maggior parte delle persone che mi voleva bene credeva semplicemente che mi mancava, ma non c’ero solo quello, e lui se ne era accorto. Tremai per il freddo dopo una nuova folata di vento. Alzai lo sguardo e vidi il suo puntato su di me.-Che c’è?-, chiesi infastidita.

-Credo che tu abbia freddo.-, si sfilò la sua giacca e me la porse,- Non voglio il tuo piumino, sto bene.- sorrisi acidamente, ma lui non me la diede vinta. -Stai congelando, fa un freddo della madonna. Prendilo, non è mica infestato.-, sorrisi involontariamente alle sue parole, scossi la testa e afferrai la giacca, inutile dire che mi stava gigantesca. Annusai il cappuccio, aveva il suo profumo e sorrisi nuovamente.-Mi stai annusando…la giacca?-, mi osservò stranito. -Si, problemi?-, chiesi riportando il cappuccio al suo posto.-Oh, certo che no, tutti mi annusano la giacca in effetti, è una cosa normalissima.-, ironizzò portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni.

-Molto spiritoso, Blanco-, proseguimmo il tragitto e in men che non si dica arrivammo di fronte al “Brooklyn Bridge”, lo splendido ponte della nostra città. Una volta mi ci aveva portata papà, scacciai velocemente il ricordo. -Cos’hai?-, la voce del ragazzo al mio fianco mi fece tornare con i piedi per terra, mi ero dimenticata che fosse al mio fianco.-Niente.-, risposi prontamente. -Ti vedo pensierosa-, come non detto, lui notava ogni minimo cambiamento. -Sai, qui mi ha portata una volta il papà, dopo una gara. Ero arrivata prima e per festeggiare mi portò a mangiare un gelato e facemmo una passeggiata, mi piaceva stare con lui.-, abbozzai un flebile sorriso e vidi Jorge avanzare verso di me.-Non ne dubito, ero un uomo fantastico.-, dette quelle parole abbassai lo sguardo per cercare di non  pensare, invano. -Perché sei così triste quando parli di lui? I tuoi occhi si spengono di un botto e il sorriso ti svanisce all’istante.-, mi chiese mentre avanzavamo senza meta tra i viali di Brooklyn. Me lo chiedevo spesso anche io, ma forse non sapevo neanche il motivo. -Non lo so…credo che sia perché mi manca, tutto qui.-, risposi non convinta delle mie stesse parole

-Sai, tu sei strana, sei un rompicapo. Sei così complicata, prima credo di capirti e dopo sei la persona più misteriosa che io conosca.-, mi spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e non seppi cosa rispondere. Aveva ragione, io ero un grande rompicapo e nessuno avrebbe mai potuto comprendermi. Sospirai.

-Sai che ore sono?-, gli chiesi dopo istanti di silenzio, mentre già mi immaginavo le trentamila chiamate di mamma e Francisco sul cellulare, che da grande genia, avevo tenuto spento.

-Mmm…sette e mezza.-, rimise il suo Iphone in tasca, mentre io prendevo il mio. Lo sboccai, controllai le notifiche, sette chiamate di mio fratello e tre di mamma, mi aspettavo peggio ma comunque era da ore che provavano a chiamarmi. -Cazzo-, imprecai quando vidi altri messaggi su whatsapp di Fran.

-Cosa c’è?-

-Fran mi sta cercando da due ore-, risposi digitando il suo numero sullo schermo

-Digli che non vai a casa a mangiare, ceniamo insieme.-, si sedette su una panchina e io sospirai nuovamente.-E cosa gli dico? “Fran sta sera mangio con Blanco perché sono uscita con lui”.-, arricciò le labbra in fare pensoso quando una voce dall’altro lato della cornetta rispose.

-Finalmente ti fai sentire, è due ore che ti cerco!-, mio fratello era un perfetto mix di preoccupazione e arrabbiatura

-Scusami, sono fuori con Lodo e avevo il cellulare spento.-, mi giustificai sperando che non avesse provato a chiamare anche lei. 

-Si, va bene. Io esco a cena, a che ora torni te?-

-Resto fuori anche io, ceno con Lodovica-

-Ok, ci vediamo domani mattina. Non fare tardi.-

-A domani.-, chiusi la linea e mi misi a braccia conserte di fronte a Blanco. -Sei incazzata?-

-No, ma adesso mi devi pagare la cena.-, risposi schiettamente e ci avviammo fino al famoso ristorante cinese in cui mi voleva portare. Attraversammo ancora qualche viale fino a che non ci imbucammo  in una via piccola, da cui proveniva una foca luce. Il locale da fuori sembrava carino, ma dentro era ancora meglio. Le pareti erano dipinte di nero, i quadri appesi sui muri e le sedie spiccavano per i colori accessi, quali rosso, bianco e giallo. -Ti piace?-, mi voltai verso il ragazzo e annuii con il capo. -È bellissimo.-, mi sorrise e si avvicinò ad uno dei camerieri. -Siamo in due.-, il ragazzo sembrò riconoscere Jorge e poi mi osservò da capo a piedi stranito. -Lei é con te?-, chiese con tono stupito. -Già…andiamo.-, rispose il messicano, era palesemente a disagio. -Finalmente hai portato una ragazza!-, il cinese sorrise compiaciuto e Jorge alzò gli occhi al cielo.-È la sorella minore di un amico, non siamo neppure amici.-, mi sorpresi della serietà con cui pronunciò quelle stesse parole, che mi diedero fastidio, non so perché, ma speravo che tra noi stesse nascendo una piccola amicizia, anche minima. Evidentemente lui non la pensava come me. Il cameriere non aggiunse altro e ci accompagnò al nostro tavolo. Cercai di calcare il meno possibile il fatto che ci fossi rimasta di merda, sperando tanto che lui non se ne accorgesse.

-Non dirmi che ti sei offesa.-, il suo talento nel capire il mio stato d’animo          mi iniziava a dare sui nervi, riusciva a comprendere ciò che mi passava per la testa anche solo dalle mie espressione, dai miei gesti.-No, perché dovrei?-, risposi cercando di utilizzare il tono più strafottente possibile, fallendo. Con lui non riuscivo a fingere, riusciva a capirmi. Era l’unico, tutti gli altri li fregavo come niente. Mi ero abituata a far credere alle persone di stare bene, pensavo di essere anche diventata brava, ma poi  arrivato lui, aveva fatto crollare le mie poche certezze. ‘Fanculo.

-Non  lo so, mi sei sembrata offesa.-, rispose sfogliando il menù e lo osservai, mentre era intento a scegliere. Lo sguardo attento, le iridi  verdi più cupe del solito, le guance rosee per il freddo, le labbra carnose e i capelli leggermente rialzati dal gel, che era d’abitudine passarci le dita. Era così perfetto, nella sua imperfezione. E cazzo, quegli occhi e quel sorriso nascondevano qualcosa, che non riuscivo a percepire.

-Martina?-, la sua voce mi risvegliò dai dubbi che si stavano facendo spazio nella mia mente contorta. -Cosa vuoi?-, risposi freddamente cercando di non incrociare il suo sguardo, inutile ricordarlo, mi avrebbe capita con una sola occhiata. Odiavo quella situazione, mi stavo seriamente infastidendo. -Gli ho detto che non siamo amici perché pensavo che non volessi essere mia amica, mi sbagliavo, forse.-, mi chiese con aria perplessa. -Infatti non voglio essere tua amica e non mi sono per niente offesa.-, non sollevai lo sguardo e mi finsi non curante delle sue parole, dovevo cercare di fingere, come con tutti gli altri. Prima o poi si sarebbe stufato di cercare di capirmi. -Ok, allora è tutto a posto?-

-Si.-, certo, tutto perfettamente perfetto, stavo a meraviglia, come no. Per tutto il resto della cena non ci scambiammo molte parole, a parte quando mi fece notare che mentre mangiavo sembravo un camionista e che non se lo aspettava da uno stuzzicadenti magro come me. Parlava proprio lui che sembrava non mangiare da una settimana per le quantità industriali di cibo che riusciva a mandare giù con una sola forchettata! 

Dopo aver pagato uscimmo dal locale e si era fatto buio. -La moto l’ho parcheggiata qua vicino, ti va di fare due passi?-, si strinse nella felpa dei Bulls e mi sentii in colpa per essermi impossessata della sua giacca.

-Alternativa?-, arricciò le labbra fingendo di pensare e poi sorrise.-Potrei portarti così…-, avanzò verso di me con fare divertito e non feci in tempo a chiedere spiegazioni che mi poggiò le mani sui fianchi e mi sollevò da terra, poggiandomi con un movimento fluido, come se pesassi dieci chili, sulla sua imponente spalla.     -Scherzi?-, gli chiesi cercando di sembrare arrabbiata. -Dai, così non ti puoi lamentare.-, iniziò a correre e prese a ridere, io gli martellai più volte il petto con i pugni, mentre la gente ci osservava divertita. Scoppiai a ridere anche io quando corse su e giù per i muretti della parte di Brooklyn che meno conoscevo, certe volte mi tirava sù e mi faceva volare a modi angelo e solo in quei momenti mi sembrò di iniziare nuovamente a vivere; mentre i miei capelli tagliavano l’aria e volteggiavo mi sentivo libera, una sensazione che ero abituata a provare, un tempo. Già, quando pattinavo. 

 

La voce del professore di storia riecheggiava nell’aria ormai da più di mezz’ora, ma io ero concentrata su ben altro. La mia nuova compagna di banco, Chanel, era intenta a scarabocchiare sul suo blocco il volto di un uomo. A essere precisi era di un ragazzo e da quanto sembrava anche molto bello. Da quando l’avevo vista piangere fuori da scuola mi tormentavo cercando di capire il motivo di tanta sofferenza, ma ogni mio tentativo sembrava invano. Era sempre silenziosa, non parlava con nessuno e non la vedevo alle studentesche, proprio come Debbie. Dovevo avere un talento nel capitare in banco con ragazze associali. A differenza di Debbie, però, Chanel era molto bella, con la carnagione olivastra, i capelli mogano, gli occhi grigi e il fisico perfetto sembrava uscita da una di quelle riviste dove le ragazze in copertina ti fanno abbassare l’autostima sotto i piedi. Era alta praticamente il doppio di me, ciò rendeva il suo fisico ancora più slanciato. Era una ragazza enigmatica, introversa e questo la rendeva ancora più affascinante. Non c’erano difetti in quella creatura, non sembrava nemmeno stronza. Non si meritava tutto il male che stava subendo. Non sapevo perché soffriva, per colpa di chi, ma sapevo che non stava per niente bene, mi identificavo in quella ragazza più di quanto credessi. Però nei suoi occhi c’era un velo di tristezza che non passava inosservato, alquanto raro, forse anche peggiore del mio. Prese dall’astuccio dei pastelli colorati e iniziò a colorare il disegno, era stupendo. Il suo tratto era leggero, sembrava accarezzare il foglio e questo produceva un effetto straordinario,  mi chiesi come facesse a essere così brava. Restai qualche minuto in contemplazione di quella meraviglia e mi immersi in pensieri tutt’altro differenti. Mi tornarono in mente i ricordi del giorno prima, quando ero uscita con Blanco, e mi resi conto che era stata una delle poche sere in cui mi ero davvero liberata di ogni pensiero, in cui avevo provato un emozione che non provavo da tanto tempo, la libertà. Sobbalzai sulla mia sedia quando la campanella suonò per il cambio d’ora. Uno strano vociare femminile si diffuse in classe e mi accorsi ben presto del perché. Sulla soglia della porta della nostra aula c’era Jorge, che avanzava verso la mia direzione. No cazzo, no. Si appoggiò al mio banco.-Che cazzo ci fai qui?-, gli chiesi allarmata. -Tranquilla, sono venuta per Fran. Mi continua a fare domande, dice che ha il sospetto che tu sia uscita con qualche ragazzo ieri pomeriggio e anche ieri sera.-, mi spiegò.-E qual’è il problema? Francisco si fa sempre mille idee strane sulla mia vita sociale, non è una novità.-, gli risposi questa volta con tono tranquilla, ero sollevata.-Il problema è che vuole fare un interrogatorio alla sua “Lodita”, che da quanto ho capito non sa dire bugie e che da quanto credo non sa di ieri pomeriggio.-, lì si metteva male. -O cazzo…-. Lodovica era una persona splendida, una migliore amica fantastica, possedeva tutti i pregi possibili immaginabili ma c’era una cosa che proprio non le riusciva: mentire. -Come sei volgare.-, accennò un sorriso provocatorio e lo fulminai con lo sguardo, pensai subito ad una soluzione, ma proprio non mi saltava niente per la testa. I miei pensieri vennero interrotti dall’arrivo nell’aula della mia professoressa di matematica. -Blanco cosa ci fa lei qui?-, chiese subito con la sua perfetta voce da gallina. -Ma che piacere rivederla…la vedo più raggiante del solito, ha fatto qualche trattamento di bellezza?-, che leccaculo. -La smetta Blanco ed esca immediatamente di qui, ormai ho imparato tutti i suoi trucchetti!-, rispose a tono l’oca, che fece volatilizzare in un batter d’occhio il messicano. La lezione passò ancora più lentamente del previsto e per poco non mi addormentai nel pieno della spiegazione. Finite le ore scolastiche io e Lodo uscimmo dall’aula e lei era seriamente pronta a farmi un accurato interrogatorio sul perché quel rincoglionito di Blanco si era presentato nella nostra classe per vedermi. 

-Cosa vi siete detti tu e Jorge?-, mi chiese una volta uscite dalla classe. -Ecco, di questo proposito, dovrei parlarti di un po’ di cose.-, ammisi mentre avanzavamo verso gli armadietti. Era la mia migliore amica e non potevo di certo nasconderle la quasi amicizia che si stava creando tra me e il messicano. -Ah…riguarda lui?-, continuò mentre aprì l’armadietto. -Si, insomma, ieri sera ci siamo visti.-, a quelle parole fece praticamente saltare in aria l’anta. -T-tu e J-Jorge?-, era decisamente paralizzata e devo dire che me lo aspettavo. -Si, lui sa di papà.-

-Tutti sanno di tuo papà.-, mi fece notare lei. -Sa TUTTO.-, sottolineai bene l’ultima parola, lasciandomi intendere. -Si lo so, lui ti conosce bene. La cosa che più mi sconcerta è il fatto che siete stati insieme ieri sera.-, richiuse l’armadietto e mi guardò con un’espressione alquanto stupita dipinta in volto. -Guarda che mica…-, non mi fece finire la frase che mi interruppe.-A casa di chi?  A casa sua suppongo. È andato proprio fino in fondo? E gli atri fratelli? Gli hai…-

-Ma stai dando di matto? Siamo solo usciti a cena!-, quasi urlai, per farmi bene intendere. La mora tirò un lungo sospiro di sollievo. -Ah, ok! Pensavo aveste fatto chissà che…-, un’espressione divertita prese il posto della precedente. -Sei proprio strana te eh.-, sorrisi anch’io, la presi sotto braccio ed insieme ci avviammo verso la mensa. Quando ci sedemmo al nostro tavolo, mi allarmai vedendo Fran, Jorge e Diego, venire verso la nostra direzione. -Dio, no…-, imprecai sotto voce. -Hey bellezze!-, mio fratello si sedette con il vassoio in mano intorno al nostro tavolo rotondo e venne seguito dai suoi amici. -Cosa ci fai qui Fran?-, chiesi con un mezzo sorriso nervoso.-Volevamo farvi compagnia, non possiamo?-, come no, sei molto credibile fratellino. -Ne sei proprio sicuro Fran? Perché a me sembra che le vostre galline vi stiano aspettando.-, la mia migliore amica indicò il tavolo a cui di solito sedevano loro tre, posteggiato da alcuni giocatori della squadra di hockey e le troie tutte tette tanto amate dai ragazzi. -Credo che per oggi potranno fare a meno di noi dolcezza.-, Diego fece l’occhiolino a Lodo, che rispose con un’espressione disgustata e scuotendo il capo. Incominciai a mangiare interi bocconi del mio hamburger da trecentomila calorie pur di non parlare.-Allora ragazze, come è andata ieri sera?-, quasi mi ingozzai a quella domanda. Con l’ottima recitazione di Lodovica, ero proprio nella merda totale. -Io parlerei d’altro, cosa ci interessa a noi?-, intervenne Jorge e in quel momento gli ero grata in una maniera disumana.-A me interessa. Lodita, cosa mi dici?-, l’italiana abbozzò una faccia confusa e dovetti tirarle un calcio nelle gambe per farle capire. -Ah, si. Ristorante italiano, mmm…una bontà!-, cazzo, peggio di lei a fingere non avevo mai visto nessuno. Era perfino peggiorata dall’ultima volta. -Si, davvero buonissimo. Cambiamo argomento?-, proposi con un sorriso speranzoso. -Ma dove si trova esattamente questo locale? Potremmo andarci insieme qualche volta.-, mio fratello sapeva essere proprio stronzo quando voleva eh. -In centro.-, rispose la mia migliore amica prima che potessi aprire bocca. Evidentemente esisteva davvero, sperai. -Bene, ora direi che si è fatto tardi, no?-, Jorge interruppe il mio dolce fratellino e accennai un grazie con le labbra a cui rispose con un occhiolino decisamente troppo sexy per i miei gusti, si davvero troppo. -Si, andiamo Tini.-, uscii insieme ai tre ragazzi e Lodovica e dopo poco io e Fran arrivammo a casa. Velocemente raggiunsi il piano superiore fino alla mia camera e tirai fuori il libro di storia. Mi immersi nello studio e ci misi un bel po’ dato che non avevo ascoltato neppure una parola della spiegazione. Venni interrotta quando il mio cellulare vibrò sulla scrivania, era Lodo che mi chiedeva se avevo voglia di venirla a prendere a pattinaggio. Le risposi di si, anche se dentro di me iniziava a salire ansia e angoscia. Classico, non mi sarei fatta abbattere da così poco. Io sono forte, era tutto ciò che mi continuavo a ripetere mentre uscivo di casa. Questa volta con indosso una pesante giacca invernale, ripercorrevo la strada che così tante volte avevo attraversato, quella che portava al mio palazzetto. I miei passi erano lenti e traballanti, andavo così piano che una lumaca avrebbe potuto superarmi di un pezzo. Ma alla fine arrivai alla mia meta, un grande cancello in ferro a me molto noto e una pista di ghiaccio aspettavano solo me. Fantastico. Lo aprii ed entrai nell’enorme struttura, intorno ai tavolini del bar c’erano alcuni ragazzi, con la tuta e la borsa dell’Ice. Mi guardai intorno e non vidi la mia migliore amica, ciò voleva dire che era ancora negli spogliatoi, era sempre stata lentissima a cambiarsi e da quanto potei constatare non era cambiato niente. Avanzai verso gli spogliatoi, di cui ricordavo perfettamente ogni singolo particolare. Vuoto. Angoscia. Ansia. Vuoto. Angoscia. Ansia. Mi fermai di colpo quando sentii delle voci provenire da una porta grigia, con il logo dell’Ice stampato sopra e la scritta “Hockey Maschile” e sotto di essa qualche firma, scorsi subito quella di mio fratello e quella di Jorge, che diceva: “Blanco capitano”. Ma smisi di leggerle quando mi accorsi che tra le voci che parlavano, c’era la sua. Blanco. Non mi piaceva origliare, ma la curiosità prese sopravvento in me. 

-È la tua unica possibilità, Jorge. Non ha mai perso una gara quella ragazza.-, a parlare era un uomo, dalla voce forte e ferma. -Ma coach, non pattina da tanto tempo.-, la cosa si faceva decisamente interessante e mi incuriosii sempre di più.

-Ma tu non hai idea forse del talento che ha. Ci sono persone nate per fare una cosa specifica, lei è nata per pattinare. Se avesse continuato probabilmente a quest’ora sarebbe ai mondiali.-, sentii un sospiro e un altro strano senso di vuoto.

-Certo, lo so.-

-Allora sbrigati ragazzo mio, se vuoi vincere quella borsa di studio, Martina Stoessel è la tua unica possibilità.-, rimasi paralizzata a quelle parole. La mia impulsività fece un grande lavoro quando aprii di scatto la porta quasi involontariamente. Jorge mi guardò stupito quando si accorse della mia presenza.  -Non ti voglio più vedere. Sparisci dalla mia vita.-, urlai quelle parole e richiusi la porta sbattendo, corsi fuori dagli spogliatoi e mi scontrai con Lodovica. -Cos’è successo?-, fu la prima domanda della mia migliore amica.-Niente, lasciami sola.-,  velocemente raggiunsi l’uscita, varcai il famoso cancello grigio e mi avventai nella Brooklyn serale. -Martina!-, riconobbi subito la sua voce, ma non mi fermai, proseguii sui miei passi. Dopo poco sentii chiamarmi nuovamente, sentii la sua presenza vicina a me. La sua voce era quasi implorante. Mi raggiunse circondandomi la vita con la sua prese delicata, da morire di infarto praticamente.    -Ascoltami, ti prego.-mi sussurrò in un orecchio, mentre il mio cuore eseguiva dei perfetti axel. -Lasciami, vattene.-

-Non me ne andrò finché non chiariremo questo fraintendimento.-, staccò le braccia dalla mia vita e mi fece voltare verso lui. -Te lo chiedo per favore, bimba.-

-Non c’è molto da spiegare, sei stato carino e gentile con me per tre giorni solo perché hai bisogno di me per fare coppia sul ghiaccio. Mi sembrava strano, ma è colpa mia che sono una scema e ti ho creduto.-, mi presi il volto tra le mani ripensando alle parole che mi aveva detto su papà e mi si strinse il cuore. -Non è così, non puoi nemmeno pensarla una cosa del genere. L’ultima cosa che voglio è vederti soffrire per colpa mia.-, avanzò verso di me. -Ci frequentiamo da tre giorni eppure mi sono accorto che sei cos’ importante per me, cazzo. Quando si tratta di te sono così vulnerabile. E fidati se ti dico che di amiche ragazze ne ho avute proprio poche.-, inarcai le sopracciglia con fare ovvio.-Certo, te le sei portate a letto tutte.-, gli feci notare. -Già, ma con te è diverso, voglio esserti amico, voglio starti vicino. Ho bisogno di te bimba.-, il cuore iniziò a battere troppo forte per i miei gusti e sentii uno strano bisogno di lui. Strano no, lui aveva bisogno di me e io di lui, bisogno del suo capirmi con una sola occhiata, il suo stuzzicarmi di continuo e anche quei sorrisi e occhiolini seducenti che mi facevano impazzire. -Perdonami, ti prego.-, sembrava sincero, ma non sapevo se credergli, in fondo io gli servivo per quella stupida idea del pattinaggio di coppia. Feci per andarmene, ma ancora una volta venni fermata dalla sua salda presa.-Stai qui con me. Ti prego.-, la sua voce tornò ad essere supplicante, e la sua presa diminuì quando si accorse che mi ero fermata, come ipnotizzata da quelle parole, come se ne avessi uno sfrenato bisogno. -Non andartene.-, ripeté nuovamente. Mi specchiai nelle sue iridi smeraldo, che erano sincere come non mai. -Sono qui.-, mi buttai tra le sue braccia, mi strinsi a lui come se non avessi mai avuto bisogno di altro, mentre la sua presa su di me aumentò nuovamente. Affondai il capo nel suo petto, respirando a fondo l’aroma della sua colonia mista a quella leggera di tabacco. Un mix estremamente inebriante. E forse da parte mia era sciocco, ma volevo dare una possibilità alla nostra strana e nuova amicizia. 

 

Passò una settimana da quando avevo scoperto che Jorge Blanco era il misterioso partner. Ci vedevamo poco, dato che mio fratello sembrava scosso da un aumento improvviso del suo comportamento iperprotettivo nei miei confronti. Però ci sentivamo spesso per telefono, mi chiedeva spesso come stavo e ogni volta tentava di non farmi pensare a mio padre, facendo battute stupide e stuzzicandomi come era solito a fare. Da quando ci “frequentavamo”, mi sentivo bene, forse meglio, erra diventato per me una sorta di persona su cui sfogare i miei sentimenti e sapeva sempre come agire; quando era il momento di scherzare, scherzava, quando era il momento di stare zitto, stava zitto. Sembrava ci tenesse davvero a me, forse era semplicemente elettrizzato dal fatto di avere un’amica e non aver mai fatto sesso con lei, allora mi dedicava tutte le attenzioni possibili. In ogni caso, mi faceva bene la sua presenza nella mia vita.

Era mattina e camminavo per i corridoi della mia scuola in compagnia della mia migliore amica. -Allora…ricapitoliamo. Tu hai sentito Jorge dire che vuole essere il tuo partner perché sei la sua unica speranza di vittoria. Ti sei arrabbiata, sei corsa fuori, lui ti ha rincorsa e dopo una serie di frasi dolcissime lo hai perdonato.-, era già la quinta volta che cercava di “analizzare” la situazione. Sospirai e ripercorsi la mia routine, aprii l’armadietto, presi i libri, richiusi l’armadietto. -Si, esatto.-

-Ma non credi che dovresti dirlo a tuo fratello?-, mi suggerì Lodovica. -Così magari ci ritroviamo una rissa fuori casa, col cazzo.-, risposi schiettamente. -Già.-

Quella giornata si prospettava decisamente interessante, si si. Raggiungemmo l’aula e la prima cosa che notai fu il fatto che Chanel non era seduta al suo posto. Cercai di non farmi troppi paradigmi mentali assurdi e mi feci spazio sul mio banco, salutando la mia amica, che raggiunse il suo. -Avete visto Blanco mentre faceva basket senza maglietta?-, una delle pettegole seduta di fronte a me parlava con la ragazza di fianco, mi diede un po’ fastidio quell’affermazione, ma d’altronde era normale. Se Jorge era figo cosa ci potevo fare io? -E poi quando è entrato l’altro giorno per vedere la Stoessel? Da vicino è ancora più bello.-, continuò una delle due. Feci finta di non sentire. -Beh, anche lo Stoessel è tanta roba.-, aggiunse un’altra, fate come se io non ci fossi , pensai mentre scuotevo la testa, sapevano benissimo che io ero presento e per il novantanove per cento l’ultima stava sottolineando il fatto che uno dei più fighi della scuola era mio fratello e che io non sarei mai stata alla sua altezza, ai suoi grandi livelli. Mi venne quei da ridere pensandoci. 

Chanel non si fece viva per tutta la giornata scolastica, il che mi fece preoccupare abbastanza. Non la conoscevo e non sapevo la sua situazione, eppure c’era sotto qualcosa che mi puzzava. Aveva un aspetto così debole e indolenzito in quegli ultimi giorni, che mi vennero in mente i pensieri peggiori. 

 

Quel pomeriggio, dopo scuola, uscii di casa con le intenzioni di smaltire un po’ di pensieri di troppo, tipo la decisione che ero costretta a prendere. Anche se Jorge aveva detto che avrebbe rinunciato a quella borsa di studio, sapevo benissimo che ci teneva tanto e quindi era mio dovere assumermi quella responsabilità, e scegliere. Una buona volta, dovevo fare chiarezza nella mia vita, cercare di capire ciò di cui avevo bisogno. Sapevo che di Jorge avevo bisogno, ero uno dei miei primi amici veri maschi ed era una sensazione fantastica poter avere una persona con cui potersi sfogare. E dato che io tenevo a lui, nella mia scelta lo dovevo includere assolutamente. Pensare alle conseguenze delle mie decisioni era una delle cose a cui dovevo far più riferimento. Blanco era misterioso, sapeva essere uno sbruffone con il sorriso sempre stampato in volto e con la tremenda ossessione del sesso con ragazze con almeno una quarta e un fondoschiena da urlo, ma riusciva ad essere così protettivo, dolce e sensibile nei miei confronti che certe volte mi chiedevo che dote avesse. Mi sedetti esausta su una panchina laccata in verde, in parte ricoperta da qualche foglia secca caduta dagli alberi. Mi ritornò in mente mio fratello, che dopo tre anni mi aveva finalmente detto quelle fatidiche tre parole: Ti voglio bene. Un tuffo al cuore sapere che gli stavo nascondendo che mi vedevo con il suo migliore amico, a cui mi aveva prettamente consigliato di stare alla larga. Più che consigliato, mi avevo obbligata. Diceva che nessuno di loro era capace di amare, che erano dei poveri pervertiti che sapevano solo abbandonare le ragazze dopo del sesso. Cazzate, Blanco sapeva amare, eccome. In ogni caso, se Fran avesse scoperto che ci “frequentavamo” (da amici, logicamente) avrebbe dato di matto e ne sarebbero usciti con una rissa mica da ridere. Il solo pensiero mi faceva star male. E alla fine di ogni cosa poi, c’era Chanel, che mi preoccupava come non mai. Non sapevo perché mi interessasse così tanto, ma non riuscivo a togliermela dalla testa, ero molto in pensiero per lei, anche se non la conoscevo fino in fondo. E proprio in quel momento il mio sguardo si spostò dove meno doveva cadere e il suono di quel pianto era fin troppo famigliare. Mi girai, consapevole della scena che avrei visto. E non mi sbagliavo, lei era lì, e non era sola.

*Angolo Autrice*
Hey! Ecco un nuovo capitolo,  anche se un po' in ritardo. Speravo di raggiungere più recensioni, infatti per il prossimo punterei almeno a 7 recensioni. Ma fa niente, passiamo alle cose serie. In questo capitolo succedono un sacco di cose e novità, che mettono la nostra Martina in condizione di fare una scelta. Vi piaciuto? Spero che recensirete in tante.

Chia :3

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ecco svelato il mistero. Insieme a lei c’era il misterioso volto che disegnava durante la lezione. Le stringeva un polso e lei cercava di liberarsi, invano, Chanel piangeva, urlava ma veniva strattonata di più, lui era il doppio di lei. Sulla testa non portava il cappellino blu e la sua chioma riccia era raccolta in un disordinato chignon; e proprio sulla fronte, i lividi erano più che evidenti, ed ora spiegato il perché del suo costante cappello. 

Presi tutto il coraggio che avevo in corpo, mi alzai dalla panchina e proseguii in loro direzione. -Chanel!-, la chiamai, con l’ansia che saliva e il respiro poco regolare. Avevo paura, ma non potevo fermarmi. Si accorse della mia presenza e subito sgranò gli occhi preoccupata. Il ragazzo al suo fianco la lasciò immediatamente. Mi avvicinai di più, fino a ritrovarmi di fronte a loro. -Cosa sta succedendo?-, chiesi con voce ferma, si fa per dire.

-Non sono cazzi tuoi.-, mi rispose a tono il moro, la sua voce era fredda, esattamente come i suoi occhi neri, che mi mettevano inquietudine. -Oh, invece lo sono. Guarda com’è conciata. Cosa le hai fatto?-, tirai fuori un mezzo urlo, spaventata dalla condizione di Chanel. -Chi saresti te scusa?-, mi chiese inarcando le sopracciglia. -Martina Stoessel.-, incrociai le braccia al petto. -Ah, ora capisco. Voi Stoessel siete tutti uguali. Tutti stronzi e invadenti, aggiungerei anche ruba ragazze.-, non capii il senso delle sue parole,e lui continuò. -Ora dileguati piccola ficcanaso, non sono cazzi tuoi.-, si avvicinava di più a me ed io indietreggiavo, spaventata. -Si invece!-, urlai io. Intorno a noi, fatalità, non c’era ombra di un passante. Il suo volto diventò rosso d’ira. -Non farlo!-, la voce supplicante della rossa mi riecheggiò nelle orecchie, ma prima che potessi accorgermene lui mi colpì in faccia, facendomi cadere a terra, priva di sensi. 

 

-Martina, chi vuoi essere? Chi vuoi diventare?-, mi chiese il mio papà, mentre la parrucchiera mi sistemava lo chignon, mancavano solo pochi secondi all’inizio della gara e tutto doveva essere perfetto. -Che domande, voglio diventare pattinatrice.-

-Ma sei già una pattinatrice. Che persona vuoi essere?-

-Papà mancano dieci minuti, che domanda è?-, gli chiesi scocciata, ma lui non mollò, anzi, proseguì con la sua domanda inutile, come la definivo io. -Dai Tinita, chi vuoi essere?-

-Ok papà. Voglio essere una persona forte, una persona allegra, una buona amica, una persona che sacrificherebbe tutto per quello che ama fare e per la gente a cui tiene, vorrei essere una persona che sa perdonare, che sa essere sincera quando serve, una persona che accetta tutte le altre, con i pregi e con i difetti e sopratutto vorrei essere una persona capace di amare e di voler bene.-, mi sorrise soddisfatto e per l’ennesima volta era riuscito a farmi dimenticare la tensione pre gara con una delle sue domanda apparentemente stupide. -Questo volevo sentire dalla mia scoiattolina.-

-Papà!-, lo rimproverai io. -Dalla mia Martina volevo dire.-, gli sorrisi e lui mi abbracciò forte, per darmi carica. 

 

Mi alzai da terra e confusa mi guardai intorno, quando un dolore alla testa mi costrinse ad appoggiarmi ad un albero. Mi massaggiai le tempie e provai a camminare un po’, ma i dolori erano tanti e forti. Ero in una zona che non conoscevo, in un parco di fronte ad un cantiere abbandonato. Intorno a me era tutto vuoto, non sapevo cosa fare, il panico stava iniziando ad aumentare. Mi ci doveva aver portata il ragazzo che era insieme a Chanel, lo stronzo. Mi tastai un occhio dolorante, e mi restò sulle mani del sangue fresco. Cacciai un urlo strozzato e mi iniziarono a scendere valanghe di lacrime. Sfilai il cellulare dalla tasca del giubbotto e premettiti sull’unica persona che poteva aiutarmi in quel momento, lui. 

-Pronto.-, la sua voce mi mise un minimo di sicurezza, come sempre da quando lo avevo conosciuto seriamente. Non riuscii a sillabare mezza parola, ero fin troppo spaventata per parlare. -Martina rispondimi, cosa c’è?-, mi uscii un singhiozzo, dimenticavo che aveva il mio numero salvato in memoria. -J-Jorge…lui…mi ha lasciata sola…-, riuscii a pronunciare quelle parole. -Cosa cazzo? Dimmi subito dove sei!-, era talmente preoccupato che non ci misi più di tre secondi per dirgli il nome della via. -Stai ferma dove sei, ti vengo subito a prendere.-, dette quelle parole riattaccai e mi accovacciai al tronco di un albero, per scaldarmi, senza risultato. Mi continuavo a ripetere come facesse Chanel a stare con una persona del genere, quanto male doveva averle fatto. E chissà in quel momento, mentre io ero lì sola, quanto male le stava ancora facendo. Tutto per colpa mia e per la mia stupida impulsività di merda, dovevo aspettarmelo. Mentre altre lacrime solcavano il mio viso, mi rendevo conto che l’unica persona di cui avevo bisogno in quel momento era Jorge. Un clacson improvviso mi fece voltare, facendomi spazio alla visuale di un pick-up, tra cui intravidi il suo viso. Subito scese dall’auto e corse verso di me, con il volto marcato di preoccupazione.  

-Cazzo Martina cosa ti hanno fatto?-, sgranò gli occhi vedendomi, dovevo essere messa peggio di quanto credevo. I suoi occhi smeraldo erano scuri, cupi. Si precipitò verso di me e mi prese in braccio, stringendomi a sè con una delicatezza sovrumana, quasi avesse paura di rompermi. L’ho sempre detto io che sono di cristallo. -Oh bimba stai bene?-, mi sussurrò quella domanda e mi accovacciai di più a lui, respirando il suo profumo, che amavo tanto. -P-più o meno.-, riuscii a blaterale, mentre mi facevo caldo sul suo petto. -Adesso ti porto subito a casa, anzi no in ospedale…o cazzo.-, mi posò delicatamente a terra e si portò le mani alla testa, con fare disperato. -Non portarmi da nessuna parte, voglio stare con te e basta.-, come quasi un sussurro pronunciai quelle parole, colme di verità. Mi alzai da terra e mi buttai nuovamente tra le sue braccia, dove solo mi sentivo protetta. -Ti prego, stai con me.-, ripetei ancora. -Va bene, bimba. Andiamo.-

Mi sollevò da terra e mi portò fino alla macchina, dove mi posò sul sedile in pelle del passeggero. Lui si sedette di fianco a me, di fronte al volante, ma non mise in moto, iniziò invece a scrutare preoccupato il mio viso. Portò una mano verso il mio occhio, facendomi sobbalzare con un solo sfioro. -Scusami, non volevo.-

-Non fa niente.-, abbozzai un sorriso poco convinto. Riprese a sfiorarmi il viso, con il suo tocco delicato che mi faceva venire i brividi in tutto il corpo, e mi sentivo sotto il suo controllo, sotto la sua protezione. Era strano come potesse avere un così grande potere su di me, eppure mi faceva sentire come nessuno aveva mai fatto. Forse voleva dire quello, avere un amico maschio. Se non contiamo il mio migliore amico Ricky, che però era gay e temporaneamente si trovava in Canada. Sentii le sue labbra morbide posarsi sulla mia fronte. -Cosa ti hanno fatto piccola?-, chiese con la mascella serrata, con gli occhi chiusi e i pugni stretti. Era impossibile non notare quanto fosse incazzato e preoccupato allo stesso tempo. -J-Jorge forse non è il caso si parlarne…-, buttai giù per cercare di divagare il discorso. -Dimmelo, ti prego.-, mi chiese ancora con gli occhi chiusi, mentre cercava di mantenere la calma. 

-Promettimi che non farai a botte con nessuno.-

-Non te lo posso assicurare.-

-Jorge…-, al mio pronunciare il suo nome schiuse le palpebre, osservandomi con gli smeraldi ipnotizzanti. -…ti prego.-, finii io, mentre lo osservavo ferma. 

-Va bene, ma dimmi chi ti ha conciata così…vedrò di sfogarmi con altro.-, sospirai alle sue parole. -Non fare cazzate.-, roteò gli occhi al cielo in risposta, ma decisi di prenderla come un “ok”. -Conosci Chanel Maddison?-, chiesi calma. 

-No, chi è?-, chiese con un lungo respiro, evitando il mio sguardo. -Quella alta della mia classe, con i capelli rossi.-

-Ah si ho capito, quella che si è slinguata Fran.-, sbarrai gli occhi alla sua affermazione, e un pensiero cuocente mi bruciò in gola. Era colpa di mio fratello se il suo ragazzo si era incazzato, se lei non si presentava a scuola da un giorno e passa. Ed ecco perché mi aveva detto quelle cose strane, che noi Stoessel eravamo ruba ragazze, stronzi, invadenti. -Si sono baciati, sei sicuro?-, chiesi sperando in una risposta negativa. -Si, mi ha detto che è una bomba a baciare. Solo che subito dopo non ha fatto in tempo a spogliarla che se ne è corsa via piangendo.-

-Oh, Gesù.- borbottai tra me e me, sempre più sconvolta. -Va beh, dicevi?-, il messicano sembrava essersi calmato e questo non fece che sollevarmi. 

-Il suo ragazzo la picchia, l’ho visto mentre la teneva stretta, aveva il viso coperto di lividi. L’ho chiamata e sono andata lì…-, osservai per una frazione di secondo il suo volto, aveva lo sguardo fisso a terra. -Dimmi che non è stato lui a conciarti in questo modo ma che sei andata a sbattere contro un albero.-, disse serio, indecifrabile. -Jorge sai già che è stato lui, non penso che tu abbia bisogno di una mia conferma.-, spostò le sue iridi e mi osservò preoccupato. -Cercherò di fare finta di niente. Ora però è meglio andare.-, strinse la mascella e mise in moto la macchina. Evitai di guardarlo troppo ma notai le nocche delle mani strette sul volante. -Non portarmi a casa, ti prego.-, gli chiesi osservandolo di sottecchi. -Non ti porto a casa tua, ma a casa mia.-

-Oh…ok.-, spostai lo sguardo fuori dal finestrino, le abitazioni scorrevano veloci sotto il mio sguardo, mi chiedevo cosa avessi fatto per meritarmi tutto questo. I miei pensieri erano spesso rivolti a lui, mi rendevo conto che era la fortuna più grande che mi potesse capitare. Lui mi capiva, mi aiutava, mi proteggeva, c’era sempre per me. Una lacrima mi solcò il viso e la lasciai scendere, non cercai nemmeno di trattenermi; perché erano lacrime felici, in fondo. Nonostante quello che mi era appena capitato, mi rendevo conto che la felicità ce l’avevo al mio fianco, era lui, il mio salvatore. -Porca puttana.-, imprecò accostando in un parcheggio. Si portò la testa tra le mani, proprio come aveva fatto prima. -C-cos’è successo?-, chiesi confusa, mentre lo osservavo decisamente dubbiosa. -È colpa mia vero se piangi? Sono un coglione. La cosa peggiore è che ho ancora voglia di spaccargli le ossa a quello stronzo. Se non fossi qui con me…-, gli portai un dito alle labbra, invitandolo a tacere. -Smettila. Sto piangendo per te è vero, ma non perché lo vorresti uccidere, ma perché mi rendo conto solo ora della fortuna che ho avuto ad incontrarti. Ho chiamato te nonostante sapessi che avresti avuto una reazione brusca, ma alla fine sei l’unica persona che mi fa sentire protetta, non capisci?-, mi sorrise dolcemente, si avvicinò al mio collo e me lo sfiorò con le labbra, per poi risalire fino al mio orecchio. -Grazie.-, mi sussurrò dolcemente, con il suo respiro che si infrangeva sul mio collo, lasciandomi piccole scariche elettriche in tutto il corpo. -L’unico fortunato qui sono io.-, gli angoli delle sue labbra si alzarono, formando un sorriso a dir poco perfetto. Mi mancava quasi il respiro, quella situazione era la cosa migliore che potesse capitarmi, lui era la cosa migliore che potesse capitarmi. Un amico. Sorrisi al pensiero. -Forse sarebbe ora di parlare con Fran. É il mio migliore amico da una vita, è giusto che gli dica che ci vediamo, che siamo amici.-, mi ricordò, facendomi cambiare espressione. -Non mi sembra proprio il caso, mi ha già detto che non voleva che frequentassi uno di voi. Dice che siete stronzi con le ragazze, che ci fate sesso e poi le lasciate. Ha paura che io mi innamori e rimanga delusa.-, inarcò le sopracciglia. -Devo dire che ti ha parlato proprio bene di noi.-, disse sorridendo. -Dice anche che non sapete amare, ma secondo me non è vero. Almeno, io credo che tu sappia amare.-

-Cosa te lo fa pensare?-

-Guarda solo come tratti me, sei una specie di angelo. E io sono solo una ragazzina poco importante, se fai così con me, pensa come faresti con la persona che ami.-

-Tu sei tutt’altro che una ragazzina poco importante per me, è questo il problema.-, mi osservò, mi persi nelle sue iridi, tornate chiare e limpide. -Il problema?-, chiesi confusa. -Insomma, ha ragione tuo fratello, io non ti merito. Non so cosa ho fatto per essere così fortunato. Io non credevo che potessimo diventare amici. Da quando ho iniziato a vederti così triste, il mio unico obiettivo è farti felice, evitare che tu continui a soffrire. Mi sono attaccato troppo a te, capisci? E questo è un problema.-

-Io non la vedo esattamente come te, però fa niente.-, sorrisi e senza accorgermi ne uscì fuori un sorriso provocante, che non andava per niente bene. Arrossii subito ma mi accorsi che lui non osservava il mio volto ma bensì più in basso, verso il mio seno. Spostai anche io gli occhi verso quel punto e mi accorsi che avevo la maglietta troppo abbassata, decisamente troppo. Dovevo evitare di togliermi giubbotto e felpa, decisamente. Mi riallacciai in fretta, con lo sguardo fisso a terra.

-Stoessel, evitiamo queste cose, sono pur sempre un uomo con gli ormoni attivi, ricordatelo.-, avvampai a quell’affermazione, voleva dire che provava attrazione fisica nei miei confronti? Oh cazzo, stiamo parlando di Jorge Blanco! Evitai di farmi troppi film mentali e tornai con i piedi per terra. -Come vuoi Blanco.-, alzai le mani in segno di resa e lui rimise in moto la macchina. Dopo qualche minuto raggiungemmo la sua abitazione, la villa più bella di tutto il quartiere. Suo padre era il proprietario di diverse ditte e guadagnava una fortuna, mentre di sua madre non ne avevo mai sentito parlare. I suoi fratelli praticamente erano come Jorge e Fran, avevo anche sentito parlare di certi incontri clandestini di pugilato a cui partecipavano abitualmente, ma non ero certa, l’avevo solo sentito dire a scuola. Scendemmo dal suo pick-up e ci avviammo verso l’ingresso dell’abitazione. -I miei fratelli non ci sono, mio padre neppure. Potremmo quindi evitare di dare troppe spiegazioni, però adesso chiama tuo fratello e inventati qualche scusa.-, mi disse aprendo la porta d’ingresso. -Si, ora lo chiamo.-, confermai io, prendendo il cellulare e componendo il numero di Francisco. Mi rispose dopo qualche secondo. -Mmm…Tini?-, aveva una voce rauca, mi chiesi se l’avessi interrotto in piene attività sessuali. -Volevo dirti che torno tardi sta sera, sono con una mia compagna di classe, mi riporta a casa lei.-, inventai al momento. -Si, si…io sono da Tracee, ti vengo a prendere domani mattina per portarti a scuola, sta notte non torno.-, c’era da immaginarselo che fosse dalla Chambers. -Va bene, ci vediamo domani mattina allora.-

-A domani.-, finii la chiamata e seguii Jorge all’interno della casa, che aveva un aspetto strano. Era pulitissima, ma arredata male ed i colori erano abbinati alla rinfusa, poco curata nei dettagli. -Dai, andiamo in bagno che vedo di medicarti un po’ quell’occhio.-, annuii in risposta e ci avviammo all’interno della stanza. Aprii un cassetto e ne tirò fuori del cotone ed un disinfettante. -Sai, non sapevo che tu facessi artistico.-, dissi io, mentre bagnava il batuffolo con il liquido verde. -Beh, diciamo che non lo sbandiero ai quattro venti solitamente.-

-Ti vergogni?-

-Non proprio…solo che ho sempre preferito non parlarne troppo, ad essere il capitano di una squadra di hockey devi mantenere una certa reputazione, capisci?-, mi spiegò sorridendo, mentre portava il cotone verso il mio occhio. Lo fermai prima che potesse disinfettarmelo. -Fa male?-, alla mia domanda spaventata sul suo volto comparì un sorriso divertito. -Bimba faccio piano, brucia un po’ ma cercherò di essere il più delicato possibile, ti fidi?-, mi chiese sempre con il sorriso stampato in volto. Annuii incerta, mentre molto cautamente iniziò a sfiorare la pelle dolorante intorno al mio occhio, aveva un tocco delicato, leggero e dolce. Era qualcosa di perfetto, anche se come mi aveva detto mi bruciò un po’, ma davvero poco. -Ok, ho già finito.-, disse richiudendo il barattolo del disinfettante. -Grazie Jorge.-, mi sorrise dolcemente. -Di niente, ma mi chiedo come farai domani ad andare a scuola conciata così.-, in effetti non avevo pensato che sicuramente non sarebbe passato in meno di un giorno ma ce ne volevano minimo due. -Hai ragione, come posso fare?-, gli chiesi in cerca di aiuto, sperando che avesse qualche idea in mente. -Di a tua mamma che hai la febbre, almeno non ti farà di sicuro uscire.-, propose lui, e come idea mi sembrava ottima. -Ma Fran vorrà di sicuro vedermi.-, sbuffò scocciato. -Quante paranoie Martina! Vedrai che andrà tutto bene, ok?-

-Si, va bene.-

-Perfetto, ora però io ho fame, ti va di fare merenda?-, propose.  -Oh certo che si! Anche io ho fame.-, dissi con gli occhi che mi brillavano al pensiero, si avevo decisamente molta fame. -Figurati se la Stoessel non aveva fame!-, fece una piccola risata e io misi un finto broncio, che riuscì in un minuto a togliere, dato che mi prese in braccio e mi portò sul divano, iniziando a farmi il solletico. -Non vale!-, urlai ridendo, mentre si mise a cavalcioni su di me senza fermarsi nemmeno un secondo. -Non piaci con il broncio, sai?-, mi disse con un sorriso provocatorio stampato in volto. -Guarda, non l’avevo capito!-, dissi ironica, soffocando un’ altra risata. -Tregua, ti prego!-, lo supplicai con le lacrime agli occhi dal troppo ridere. 

-Ok, ok.-, mi prese in braccio e mi portò verso il bancone della cucina, mentre, con la testa appoggiata nell’incavo del suo collo, mi persi nel suo profumo. -Martina… vuoi scendere o annusarmi ancora un po’?-

-Dai, fammi scendere.-, risposi ancora ridendo. Mi appoggiò a terra e avanzò verso un mobiletto, dal quale estrasse un barattolo di nutella e del pane a fette. -Vuoi?-, mi chiese indicando la crema al cioccolato. -Che domande!-, esclamai ridendo. -Ok, adesso te le preparo, tu stai lì.-

Aprì il barattolo e con un coltello spalmò la nutella sul pane, me ne porse una e ne addentò un’altra per lui. -Mmm…buona. Direi che adesso potrei anche mangiarne un’altra.-, scosse la testa ridendo alla mia affermazione e mi porse la seconda fetta. 

-Mi chiedo spesso come fai ad essere così magra.-, feci le spallucce.

-Costituzione.-, alzò gli occhi al cielo, -In ogni caso tu mangi più di me!-, replicai io, incrociando le braccia sotto il seno.

-Si ma io sono un uomo che ha bisogno di cibo per avere l’energia giusta, capisci?-

-Capisco.-

-Comunque preferisco le ragazze che non si fanno troppi problemi. Ci sono certe che non mangiano un cazzo solo per rimanere magre.-

-Ti piacciono le obese insomma.-, lo presi in giro ridendo. -Si, io mi faccio sempre le obese.-, mi rispose ironico, dato che le ragazze che si portava a letto erano delle fighe pazzesche.

-Proprio come Ashley Linsey, giusto?-

-Sai, non ci vado più a letto con lei.-, mi disse tranquillamente. -Perché? Mica era il tuo passatempo abituale, tipo la Chambers per mio fratello?-, gli chiesi inarcando un sopracciglio. -Si, ma da quando ti ha detto quelle cose, non l’ho più voluta tra i piedi.-

-Oh.-, riamasi di sasso a quelle parole, non me lo sarei mai aspettata. -Dai non fare quella faccia sbigottita, lo sai che potrei uccidere tutti quelli che ti fanno del male. Ma Ashley è una donna e io non picchio le donne.-

-Ah, capisco…tu sei gentiluomo.-

-Certo, io sono molto gentile e molto uomo.-, sorrise ed aprì l’anta del frigorifero, estraendo da esso un succo di frutta e una lattina di birra. -Vuoi?-, mi chiese porgendomi il succo. -Si, grazie. È al mirtillo?-

-Si, bimba. Il tuo preferito, no?-

-Si. Come fai a saperlo?-, gli chiesi incuriosita. -Quando venivo da voi a mangiare bevevi sempre quello.-, mi stupì il fatto che si ricordasse di un particolare del genere, ma la mia reazione fu decisamente felice. Era bello sapere che si interessasse a me. -Tua mamma non c’è?-, decisi di chiedergli per smorzare il silenzio che stava calando tra di noi, ma vedendo la sua reazione mi chiesi se non avessi sbagliato qualcosa. -Lei non è qui, adesso.-, mi rispose con tono freddo, distaccato. -Ah, ok.-, avrei voluto chiedergli dove fosse, ma decisi di non continuare. Si sedette sullo sgabello di fronte a me, appoggiando i gomiti al bancone. -È da due anni che non torna più a casa.-

-In che senso?-, chiesi titubante. -Quando mio padre ha iniziato a lavorare di più e tornava a casa tardi la sera lei non è riuscita a sopportare tutta la pressione, ha iniziato a bere, non mangiava più e con il tempo è diventata alcolizzata. L’hanno quindi portata in un centro ma non è più tornata, sono già due anni ormai. Sai, spesso io mi illudo che torni, aspetto sempre che quella porta si apra e che me la ritrovi davanti.-, mi spiegò sospirando. Aprì la lattina di birra e ne bevve un sorso, si passò poi la lingua sul contorno delle labbra. -Mi dispiace Jorge, io non  lo sapevo.-, alzò una mano dopo aver bevuto un altro sorso. -Non ti preoccupare, non potevi saperlo.-, mi sorrise e io finii il mio succo. -Bene, io direi che forse è ora di andare.-, dissi alzandomi dallo sgabello. -Tu non vai da nessuna parte. Se vai a casa conciata così tua mamma capirebbe quello che è successo, non è scema.-, mi ricordò lui. -Si, in effetti capirebbe. Forse è meglio che la chiamo e le dico che torno tardi, mi accompagni te?-

-Certo bimba.-, mi fece un altro dei suoi occhiolini da sballo completo, per poi buttare via la lattina di birra e il mio succo finito. 

-Cosa vuoi fare ora? Non so, vuoi vedere un film?-, mi chiese gentilmente, e mi fece sorridere come ci tenesse. -Vada per il film.-

-Bene.-

Scegliemmo Balle Spaziali, che fra tutti era l’unico non vietato ai minorenni, mangiammo insieme e dopo mi riportò a casa.

 

Qualcuno bussò alla porta della mia camera, e sperai con tutto il cuore che non fosse mio fratello. -Chi è?-, urlai.

-Sono Fran.-, cazzo ero fregata. -Cosa vuoi?-, chiesi speranzosa che non volesse entrare. -Voglio vederti.-, peggio di così proprio non si poteva. -Non sto bene, rischio di attaccarti la febbre.-

-Non me ne frega niente, fammi entrare.-, era abbastanza chiaro che sarebbe entrato con o senza il mio consenso. -Eh va bene, entra.-

La porta si aprì e sull’uscio di essa si fece spazio Fran, che aveva indosso solo un paio di jeans a vita bassa e una t-shirt a maniche corte aderente che gli sottolineava i pettorali. Mi osservò un attimo e poi si soffermò sul mio occhio, che sicuramente era ancora rosso e nero dal livido. -Che cazzo è quel coso?-, sgranò gli occhi osservandolo meglio. -Mi vuoi rispondere?-, mi incalzò, notando il mio silenzio. -Fran, ti prego…calmati.-, lo rassicurai. Si sedette ai piedi del mio letto e mi osservò preoccupato, più o meno la stessa espressione di Blanco, ma con qualche differenza. -Non hai la febbre vero?-, mi chiese tranquillamente, notai che cercava di mantenere la calma, e mi fece decisamente piacere. -No.-, risposi. -Chi cazzo ti ha fatto quel coso?-, la differenza tra il suo tono di voce calmo e il significato delle sue parole creava uno strano controsenso, ma finché non urlava lo potevo sopportare benissimo. -Fran, io mi sono intromessa in fatti di cui non dovevo preoccuparmi.-

-Che fatti?-, mi chiese avvicinandosi di più a me. -Chanel Maddison, il suo ragazzo mi ha dato un pugno.-, risposi usando più nonchalance possibile. -Chanel?-, gli si illuminarono gli occhi all’udire il nome della ragazza, ma più per stupore e curiosità che di felicità. -Si, quella che ti sei slinguato.- 

-Si lo so ho sbagliato, ma cazzo, non ho resistito. Passiamo a te, è stato quello stronzo del suo ragazzo quindi a ridurti così Tini?-

-Si.-, abbassi lo sguardo e mi morsi un labbro, ormai lo sapeva, ormai aveva tutto il diritto di farlo a pezzi. ‘Fanculo! -Sai, quando ha dato uno schiaffo a Chanel perché ci ha visti mentre ci baciavamo l’ho quasi riportato dal creatore, come dice Blanco.-, ammise appoggiando i gomiti sopra le ginocchia e tirò un lungo sospiro. -T-ti piace Chanel vero?-, gli chiesi incerta se volevo sapere la risposta di quella domanda.

-Porca puttana, no!-, ok, quando usava quel tono era segno di una bugia in corso, merda; dopo diciotto anni di vita a mio fratello iniziava a piacere una ragazza,  l’unica ragazza, e deve essere proprio una con un fidanzato psicopatico, mi sembra normale. -Comunque sai come sta lei?-, mi chiese con tono preoccupato. -No Fran,  te l’avrei già detto se lo sapessi.-, sospirò alla mia affermazione scocciata, ma non per me, ma per la rossa, che ci stava creando più problemi del previsto.-E tu invece  sorellina?-, mi diede un buffetto sulla guancia e gli sorrisi dolcemente. -Come ti sembro?-

-Mi sembra che tu stia bene.-, rispose il mio acutissimo fratello. -Però domani vedi di venire a scuola e di rispondere alle chiamate di Lodovica.-, mi schioccò un bacio sulla guancia ed uscì dalla stanza. -Ciao coglione.-, lo salutai come ci era solito fare tra di noi. -Ciao cretina.-, contraccambiò il saluto. Presi poi il mio cellulare dal comodino, e schiacciai sul contatto della mia migliore amica. 

-Finalmente Stoessel eh!-, mi urlò quasi contro quando rispose al cellulare. 

-Scusami Lodo, è successo un casino.-, mi giustificai. 

-E la tua migliore amica non si avvisa per caso?-, mi rispose lei a tono, era sicuramente infastidita ma appena avrebbe scoperto quello che mi aveva fatto quello stronzo mi avrebbe sicuramente capita. 

-Scusami bella, ma…-, venni interrotta da un ticchettio proveniente dalla mia finestra, mi girai e mi ritrovai sconvolta. Jorge era alla mia finestra. 

-Sei morta?-, mi chiese Lodo ora molto più che scocciata 

-A-aspetta…-, portai il cellulare vicino alla coscia e proseguii verso la sagoma del ragazzo, che mi sorrideva. 

-Io non aspetto niente! Dimmi cos’è successo.-, mi riprese Lodo, ma la sentii solo di striscio, dato che non avevo più il cellulare all’orecchio.

-Ti r-richiamo i-io.-

-No!-, schiacciai il bottone rosso per la fine della chiamata e aprii la finestra. -Come hai fatto a salire?-, chiesi a Jorge mentre entrava con in mano un sacchetto, che in quel momento fu decisamente irrilevante sapere cosa contenesse data la situazione. -Sono salito sull’albero, no?-, mi rispose come se fosse la cosa più normale del mondo. -Ah, adesso hai trovato un metodo normalissimo per non dare nell’occhio.-, gli feci notare e lui subito sorrise, uno di quei sorrisi beffardi che solo lui sapeva fare. -In realtà non l’ho trovato adesso, però sono dettagli.-

-Stai scherzando?-, chiesi io palesemente confusa. -No, diciamo che ti osservo da qualche giorno.-, ammise tranquillamente e mi fece seriamente  infastidire. -Ma io ti uccido!-

-Ma dai, sei così carina quando dormi…cambi posizione trecentomila volte, poi però ti svegli da un sogno o da un incubo, non lo so.-

-Sono più incubi che sogni.-, abbassai lo sguardo verso il pavimento della mia camera. -Ehemhem, tuo fratello mi ha raccontato che gli hai detto che il figlio di puttana ti ha picchiata.-, cercò di cambiare discorso. -Si, cazzo è appena successo…voi due siete prorpio una cosa sola! Comunque non si è arrabbiato più di tanto, diciamo che credevo molto peggio.-

-Si lo so, mi ha detto che l’aveva già ridotto per le feste.-

-Già, Chanel.-, sospirò, anche lui aveva già capito tutto e sicuramente non ne era felice. -Comunque ti ho portato la cena, dato che devi fingere di non avere fame e penso che per te sia uno sforzo molto grande.-, mi sorrise e non calcolai che volesse prendermi in giro, ma solo che avesse del cibo. -Ah molto bene, cos’hai portato Blanco?-, gli chiesi curiosa e con l’acquolina in bocca, insomma era tutto il giorno che bevevo e basta, c’era da capirmi se stavo morendo di appetito. -Tranquilla bimba, con calma.-, prese il sacchetto. -Allora, sono passato da McDonald e ho preso quattro cheesburgher, due a testa, spero ti piacciano. In caso contrario puoi accontentarti dei mcnaghets, ne ho comprati quattro e i panini li mangio io. Ah, mi hanno regalato ketchup, maionese e salsa barbecue.-, mi disse estraendo infine dal fondo del sacchetto le tre bustine con all’interno le rispettive salse. -Da oggi sai che io amo i cheesburgher, mi dispiace ma ne potrai mangiare solo due, gli altri sono miei.-, mi sorrise divertito e mi porse i panini. -Dove ci mettiamo?-

-Per terra Jorge, non ho un tavolo in camera da letto.-

-Ok, grazie. Sempre gentilissima mi raccomando.-, mi scoccò uno dei suoi soliti occhiolini e si sedette per terra, seguito da me. -Allora, domani vieni a scuola?-, mi chiese addentando un pezzo del suo panino. -Si, Fran vuole che venga, cosa devo fare?-

-Si, beh, diciamo che darai un po’ nell’occhio.-, mi fece notare. 

-Questa è pessima Blanco.-, gli dissi ridendo. 

-Non era una battuta, però in effetti ci sta.-

-Hai un senso dell’umorismo che lascia senza parole.-

-Megan… o si chiamava Stace? Beh insomma una di loro dice che sono simpaticissimo. Anzi, lo dicono tutte.-

-Infatti sei simpatico, fanno un po’ cagare certe tue battute.-

-Martina, io penso che solo quando sono con te me ne viene una su sette.-, mi rispose mentre già prendeva il secondo cheesburgher. -Ah si?-, gli chiesi con la bocca un po’ piena. Figura di merda. -Si, hai troppa influenza su di me bimba.-, mi rispose, per poi posare lo sguardo sulla mia bocca, si avvicinò lentamente e con il dorso del pollice mi pulì via del ketchup. -Quanto sei carina quando ti sporchi.-, mi disse sorridendo. -Uh, immagino. Quanto te in perizoma forse.-, scoppiò a ridere alla mia affermazione. -Fidati, sei molto più bella te sporca che me in perizoma.-

-Dipende di cosa sono sporca.-, gli dissi alzando un sopracciglio. -No, ti prego bimba, queste battute sconce evitiamole. Ti ho già detto che sono un uomo anch’io.-

-Va bene, va bene uomo.-, dissi ancora ridendo pensando a Jorge con quelle due micro pezze di tessuto che vengono addirittura chiamate mutande.

-Ok, ora devo andare e tu devi chiamare Lodovica.-

-Cazzo, è vero! Me ne ero completamente dimenticata. Ora la chiamo. Ci vediamo domani.-

-A domani bimba.-, raccolse le scatole vuote ed uscii dalla finestra senza problemi. Una volta toccato il suolo, lo salutai dall’alto e scomparì nel buio della sera.


*Angolo Autrice*
Hey! Non voglio dilungarmi troppo, spero solo che il capitolo via sia piaciuto. Non succede niente di che, praticamente tutto Jortini! Alla prossima, recensite in tante...

Chia:3

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