Se un ragazzino appicca il fuoco.

di Oppholdsvaer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Può capitare che New York diventi all'improvviso troppo fredda per uno poco abituato all'assenza delle tue braccia, per uno che preferisce tenere i primi quattro bottoni della camicia aperti piuttosto che evitare un'influenza.
Se tu fossi con me in questo privè fumoso rideresti della mia vanità in modo tutt'altro che puramente divertito: calcoleresti la mira necessaria per far sì che i tuoi occhi sul mio sterno nudo mi facciano provare la vergogna del venire colti in flagrante, anziché quel piacere subdolo dell'esser guardati di cui talvolta necessito.
Adesso però la vodka mi fa chiudere le palpebre sull'ultima istantanea di te che i miei occhi avevano conservato, calando finalmente il sipario sulla geometria imperfetta del tuo sorriso e sulla mia lucidità.

Il mondo è diventato nient'altro che un rumore ovattato e funge da confortevole sottofondo alla consapevolezza improvvisa che tra qualche minuto compirò ventun anni.
In circostanze differenti sarebbe piuttosto facile lasciarsi annichilire dalla tua assenza, quindi non biasimarmi, ti prego, se ho bevuto via il primo accenno di dolore assieme all'ultimo bicchiere. Quando non ci sei è talmente semplice scordarsi di te che non farei altro se non volare da una parte all'altra del mondo, via dal tuo viso, solo per riscoprire ogni volta l'ebbrezza di essere liberi dalla catena delle tue carezze, il sollievo di respirare aria buona e non il tuo odore, la soddisfazione di accorgersi che mi è sufficiente frapporre tra di noi qualche oceano perché l'esatta sfumatura azzurra dei tuoi occhi si diluisca dentro a una tequila.

Attorno a me si confondono volti più o meno noti che brindano alla mia vita, persistendo nell'augurarmi che possa esser lunga malgrado io abbia farfugliato più volte che la vorrei solo un po' felice.
"Io la vorrei solo un po' felice", ho detto.

Tra dieci secondi compirò ventun anni.

In piedi su un tavolino di fronte a me sta ballando una ragazza flessuosa che non credo di conoscere.
Vuole che la guardi, e io la accontento.
Le sue labbra dischiuse sono macchiate di vino, sotto il pesante strato di trucco si riesce ancora ad intravedere qualche lentiggine. Mentre i neon del locale la tingono di azzurro e di giallo, penso al fatto che le lentiggini mi sono sempre piaciute.
Il mio cervello ubriaco recepisce i suoi movimenti come più lenti di quanto in realtà non siano e un'amara sensazione di vuoto la fa apparire ai miei occhi molto più bella di quanto potrebbe mai esserlo per me.
Si muove portando le braccia verso l'alto e si lascia andare ad un sorriso mentre il suo vestito si solleva, scoprendo un neo piuttosto grande sulla parte alta della coscia.
Più tardi, in un albergo qualunque, lo bacerò.

"Dieci!"

Le mie dita fredde sfiorano il suo avambraccio in corrispondenza del punto in cui il disegno un po' gonfio di una bussola ne macchia il pallore.
"Ti ha fatto male?"
"No. Per niente."

"Nove!"

"Mi spiace, ma non ti apparterrò mai. Io sono mio."

"Otto!"

"Adesso devi andartene, Harry."

"Sette!"

La sua schiena nuda contro la testiera del letto, lo sguardo liquido, la mia testa tra le sue gambe.
"Guardami."

"Sei!"

"Senti quant'è più bello dire che è una nuvola. Nuvola. Che bello."

"Cinque!"

"Non potete sedervi vicini."

"Quattro!"

"Nuova fiamma per Harry Styles!"

"Tre!"

"Avevi una maglia dei Joy Division."

"Due!"

"Raccontami una storia, una storia che non mi faccia dormire."
"Va bene. C'eri una volta tu..."

"Uno!"

"Io... Io non riesco... Mi manca l'aria."
I suoi occhi tristi si avvicinano, le sue mani si stringono convulsamente tra i miei capelli.
"Allora prendi la mia."
I suoi occhi tristi si avvicinano...

"Auguri!"

Fa freddo.
Avrei dovuto indossare qualcosa di più consono a questi sette gradi sotto lo zero.
Ma quanto mi donano, queste rondini sul petto...

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Senza neppure sfilarsi le scarpe, Liam si lasciò cadere su quel materasso estraneo con un gemito di sollievo. Di lì a poche ore lui e i ragazzi si sarebbero recati agli studi televisivi di un'emittente spagnola per partecipare ad un programma piuttosto importante; si trattava del primo evento che li vedeva coinvolti dopo una pausa di circa due settimane in cui tutti erano tornati alle loro momentanee vite da umani, improvvisate senza troppo successo tra un red carpet e un nuovo album, vissute come in apnea tra la copertina di un tabloid e un'intervista esclusiva.
Malgrado avesse trascorso la notte ad ultimare i preparativi in vista della partenza, per qualche strano motivo un'insolita agitazione l'aveva tenuto sveglio durante il volo per Barcellona.
Una volta giunto in albergo aveva scoperto di non essere stato lui l’ultimo a raggiungere i ragazzi, bensì aveva constatato che Harry mancava ancora all'appello, e che  Louis continuava ad evitare qualsiasi tipo di contatto con gli altri e ad avere lo stesso sguardo vacuo di quando si erano salutati poco meno di venti giorni prima; ricevuta poi da Zayn la notizia che Louis non era stato presente al compleanno di Harry, nel fare due più due Liam aveva semplicemente pensato: "Non va bene". 
Il groviglio confuso di pensieri che gli premeva sulle tempie divenne d'un tratto inconsistente, mentre il buio dietro le sue palpebre si faceva via via sempre più scuro e torbido. Ancor prima che quello stato di beata incoscienza potesse sfociare in sonno, qualcuno bussò insistentemente alla porta, facendolo trasalire. Borbottò un "eccomi" poco convinto e andò ad aprire.
"Harry è arrivato."
Senza aggiungere altro Zayn entrò nella camera e prese a giocherellare nervosamente con una pianta finta poggiata sul comodino. Aveva la mascella serrata e continuava a passarsi una mano tra i lunghi capelli scuri in un gesto che Liam aveva imparato ormai a conoscere, e che sapeva essere il campanello d’allarme di un qualche malessere. Ancor prima che potesse aprire bocca per chiedergli se stesse bene, Zayn scagliò in un inaspettato impeto di furia l’orrendo vaso contro il muro, facendolo andare in pezzi.
"Perrie è una fottuta stronza acida del cazzo!", urlò buttandosi sul suo letto.
Non va bene, pensò Liam con un sospiro.

Dopo aver raccolto i frammenti di vetro e ascoltato l'infinita lista di insulti e imprecazioni che Zayn gli aveva proposto, Liam si era trascinato stancamente fino alla porta di Niall con l'intenzione di parlare un po', di chiedere all'amico come avesse trascorso quegli ultimi giorni e se avesse per caso idea del perché Louis avesse la faccia di uno sotto tortura.
Bussò più volte senza ottenere alcuna risposta.
"Niall, ci sei?"
Dopo alcuni secondi una vocina flebile giunse alle sue orecchie, e se non fosse stata cadenzata in modo tanto marcato da quel suo accento irlandese, Liam avrebbe avuto difficoltà nel riconoscerla.
"Non proprio...Credo che il porridge di stamattina non mi abbia fatto molto..."
La frase fu interrotta da quello che pareva essere incontrovertibilmente un conato di vomito, tra l'altro piuttosto violento.
Non va bene.
 
"Harry? Sono Liam."
In un attimo la porta si aprì e due braccia fredde gli si avvinghiarono attorno al collo. Seppure piuttosto perplesso dal fatto che Harry fosse nudo come un verme, Liam ricambiò l'abbraccio.
"Ehi...Sono contento di rivederti. Mi spiace non esserci stato, alla tua festa, ma..."
Si interruppe quando realizzò che il corpo del suo amico era scosso dai singhiozzi.
"Harry, cos'hai? E perché diamine sei nudo?"
"Perché sono triste. In aereo ho visto un film deprimente e ho capito che non mi va di morire", gli rispose con la voce spezzata.
Malgrado la confusione si stesse impadronendo di lui, Liam gli carezzò la schiena più volte nel tentativo di sedare il fiume di lacrime con cui gli stava inzuppando la maglietta.
"Ehi, calmati", sussurrò, piuttosto a disagio. Per tutta risposta Harry strinse forte tra i pugni la stoffa della sua t-shirt. La sua nuova t-shirt.
Liam lasciò trascorrere qualche istante prima di schiarirsi la voce e riprendere a parlare.
"Sì, ma perché sei nudo?", chiese nuovamente, stavolta con esitazione.
A quelle parole il suo amico prese a piangere ancor più fragorosamente.
"Perché sono triste, no?", biascicò in risposta come se si trattasse di un'ovvietà, strofinandosi il naso grondante sulla sua maglietta.
Non va bene.
 
"Louis, posso entrare?"
"No."
Colto alla sprovvista da quel tono tanto duro, la mano con cui Liam stava per bussare si bloccò a mezz'aria.
"Per favore, voglio solo parl..."
"No."
Non va bene.
 
 
***
 Si augurò che il battito del suo cuore la smettesse presto di riverberargli tanto forte nelle orecchie, così da permettergli di ascoltare nitidamente il respiro di Louis che a poco a poco si acquietava accanto a lui.
Era una delle sue cose preferite al mondo.
Allungando timidamente una mano prese a sfiorare quel profilo ritagliato dalla penombra senza realmente toccarlo, lasciando che le palpebre e le guance e le labbra di lui avvertissero a malapena l’aria che il suo tocco stava muovendo, senza azzardarsi davvero a posargli le dita sulla pelle, lasciandosi cullare ancora per un po’ dal dolore dolce che gli provocava quell’incertezza che ogni tanto lo coglieva quando di notte si amavano così forte; un'incertezza che lo faceva dubitare del fatto che quel suo amore avesse davvero una forma, un respiro e un nome di cui potersi riempire fino allo sfinimento la bocca durante notti come quelle.
Harry pensò che in quel momento sarebbe stato proprio bello dedicargli un qualche ti amo che fosse modulato col tono giusto di voce, che fosse pregno dell’intensità adatta a fargli comprendere che anche solo a dirglielo, che lo amava, lui sentiva ogni particella delle sue membra e della sua anima un po’ spiegazzata acquistare un senso, un senso più grande e nobile e inspiegabile di uno qualsiasi tra quelli che aveva immaginato da sempre per la sua vita prima che lo conoscesse.
“Ti amo”, e come sempre gli uscì fuori un po’ gracchiante, come una frequenza radio che non prende, come l’eco disarmonico di una chitarra scordata, come la voce intermittente di una donna molto vecchia.
Decise di provarci di nuovo.

“Ti amo, e quando te lo dico mi sembra di essere, non lo so, siderale. Sconfinato e fermo fermo. Come una stella.”
Louis rise sommessamente.
“Sei un sacco melenso”, disse, con ancora l’ombra di un sorriso a curvargli la voce, e Harry non poté fare a meno che sorridere suo malgrado.
Per qualche minuto tutto tacque.
“Harry, vieni con me. Domani, quando tutti ce ne andremo via, tu vieni con me. Giuro che ti organizzerò una gran festa.”
Allontanò la mano dal suo volto, come se fosse stato appena percorso da una scarica elettrica.
“Abbiamo concordato che non ci saremmo permessi mai più di… Di soffocarci, lo ricordi? Che non ci saremmo imposti mai più niente, che non avremmo concesso al nostro amore di diventare una specie di morbo e… ”
“Harry”, lo interruppe, voltandosi per guardarlo negli occhi, “io vorrei saperti mio.”
Quella solita cosa viscida così simile all’angoscia gli si incastrò in gola, rendendo faticoso ogni respiro.
“Io non appartengo a nessuno. Neanche a te, e mi spiace, ma non ti apparterrò mai. Io sono mio.”
 ***
 
"Il loro nuovo album, Four, ha scalato le classifiche in oltre sessanta paesi...Signore e signori, i One Direction!"
Persa in mezzo alle grida di centinaia di isteriche fan, la base di Night Changes risultava a malapena udibile. La sensazione di profondo disagio che aveva accompagnato Liam per tutta la giornata si era acuita quando, qualche ora prima, si erano ritrovati tutti e cinque per provare l'esibizione. Non si erano scambiati una sola parola, e per di più avevano cantato da schifo.
Mentre Zayn attaccava con la prima strofa, Liam rivolse uno sguardo preoccupato ai ragazzi intorno a lui, osservandoli uno ad uno, sperando con tutto se stesso che la serata andasse per il meglio e che il pubblico non prestasse attenzione al cadaverico pallore di Niall, allo sguardo truce di Zayn, agli occhi gonfi di Harry o alle evidenti borse che contornavano lo sguardo completamente assente di Louis.
Seppur sottotono riuscirono a terminare il brano piuttosto discretamente, e la monotonia delle solite domande del conduttore permise a Liam di assumere il controllo dell'intervista senza che l'attenzione si focalizzasse su qualcuno dei ragazzi in particolare, o ancora peggio, su qualche argomento che sarebbe stato meglio non affrontare.
"Bene...Ho saputo che qualche giorno fa è stato il tuo compleanno, Harry, giusto?"
Come non detto.
Harry annuì senza troppo entusiasmo, come se non si stesse realmente parlando di lui.
Il conduttore - innaturalmente abbronzato per quel periodo dell’anno, notò Liam-  prese a bombardarlo di domande inerenti al party che si era tenuto a New York, agli invitati, a come ci si sentisse a essere tanto popolari a soli vent’anni.
“Per di più a quanto pare hai continuato la tua festa anche al di fuori del locale, non è vero?”
Il tizio strizzò l’occhio a Harry in modo ridicolo, e Liam si voltò con orrore a guardare le foto che stavano comparendo sul monitor alle loro spalle. Sebbene fossero sfocate, era piuttosto chiaro che le immagini ritraessero un bacio piuttosto appassionato tra Harry e una ragazza bionda all’entrata di un noto albergo newyorkese.
Cadde nello studio un silenzio imbarazzante, inframezzato da qualche stupido gridolino proveniente dal pubblico.
“Ma cosa gli combini, a queste povere ragazze?”, rincarò il tizio abbronzato con un enorme sorriso deficiente stampato sul volto, mentre Harry continuava ad arrossire e a muovere la bocca senza riuscire a proferire parola.
“Nessuno lo sa. E pensare che invece è proprio vuoto come sembra.”
Fu come una doccia gelata. Liam pregò con tutto se stesso che quell’ultima frase fosse stata solo uno scherzo del suo cervello esausto, ma il silenzio glaciale che stavolta aveva zittito persino il conduttore idiota gli testimoniò che quelle parole erano state pronunciate per davvero, e che a dirle era stato proprio Louis.  
Senza capire bene cosa fare, Liam si limitò a sorridere alla telecamera.
Non va bene.

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