Pretty woman

di EriTommo
(/viewuser.php?uid=190128)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'm a bitch ***
Capitolo 2: *** How are you? ***
Capitolo 3: *** Pancakes and juice ***



Capitolo 1
*** I'm a bitch ***


MEGAN: 
"Celine sei ancora li dentro? Ti vuoi dare una mossa?"
Solita storia, ormai erano quasi le nove e trenta e Celine era ancora chiusa in bagno a prepararsi, pensare che io dovevo ancora truccarmi. È vero che non ci avrei messo più di cinque minuti ed è anche vero che dieci minuti di ritardo non cambiavano a nessuno, ma è questione di credibilità e professionalità, se così la si può definire.
"Arrivo, arrivo! Ecco, ho finito! Dio, Megan sei arrivata da soli due mesi e già rompi il cazzo" rispose questa uscendo da bagno in un mini abito blu elettrico e dei tacchi vertiginosi. Nonostante la situazione era comunque bellissima, i capelli arancioni le cadevano ordinati sulle spalle e i suoi occhi erano messi in risalto dalla matita nera che li contornava, infine un acceso rossetto rosso dipingeva le sue labbra, dando un tocco proibito al suo aspetto.
"Vaffanculo" le risposi chiudendomi la porta alle spalle per iniziare a sistemarmi. Mi pettinai e truccai velocemente, raccogliendo i miei lunghi capelli biondi in una cosa alta e dopo aver infilato le scarpe rosso fuoco, ovviamente altissime, osservai l'immagine che mi rifletteva lo specchio.
Una smorfia si dipinse nel mio volto, dire che non mi piacevo era poco, mi disgustavo. Una gonna inguinale mi copriva appena il sedere e un piccolo top bianco arrivava appena sopra il mio ombelico, scendendo leggermente morbido.
Odiavo il mio lavoro, odiavo chi mi pagava e odiavo me stessa per essermi ridotta in quelle condizioni. Appena ne avrei avuto la possibilità mi sarei trasferita lontano da tutta quella merda. Erano solo due mesi che stavo li, ma ormai le mie esperienze le avevo fatte. Celine era stata gentile ad aiutarmi, aveva condiviso il suo appartamento con me e mi aveva insegnato i trucchi del mestiere e le ero riconoscente. Lei è una ragazza forte, ha carattere. Credo abbia solo qualche hanno in più di me, forse 21 o 22.
"Vuoi muovere quel culo" sentii urlare dall'altra parte della porta mente dei colpo rimbombavano nella stanza. Non risposi, mi limitai a uscire di casa seguita da Celine.
Era inizio giugno e le temperature erano calde anche di sera, fortunatamente qui non c'era molta umidità, altrimenti con quei vestiti striminziti addosso sarebbe stato davvero un problema. Io è Celine avevamo il posto vicino, me lo aveva procurato lei, aveva molto rispetto in zona, ormai era una veterana. Raggiungemmo la piazzola in dieci minuti a piedi, era in una strada trafficata, lontana dal centro di Londra. Con non troppa eleganza ci posammo sul muretto dietro di noi.
Dovevo ancora abituarmi a tutti quegli sguardi puntati su di me, a tutte quelle parole offensive che mi venivano rivolte, sia in prima persona che alle spalle, dovevo ancora abituarmi a essere una puttana.
 
HARRY: 
"Harry, non credi che dovresti fermarti? È tutta la sera che tracanni e rischi veramente di finire male oggi. So che per te è dura, ma ci sono io qui, lascia perdere quella bottiglia per un po'" disse Louis posandomi una mano sulla spalla con quella gentilezza che solo lui era capace di trasmettermi.
13.06.2013
13.06.2014
Un anno.
Era passato esattamente un anno da quella giornata di merda.
Quella sera Louis divenne la mia unica famiglia, molto più di un semplice amico, cosa che non era mai stato dato che siamo sempre stati come fratelli, in poche ore era rimasto l'unica persona che lottava ancora per la mia vita, teneva a me molto più di quello che ci tenevo io stesso.
Lui era con me quando il comandante mi aveva dato la notizia.

"Harry, mi dispiace ma i corpi sono stati identificati e i due volti corrispondono a quelli dei tuoi genitori" Erano morti, mamma e papà non c'erano più. Non li avrei mai più abbracciati, non avrei mai più scherzato con mio padre e non avrei mai più sentito la risata cristallina di mia madre. Loro non sarebbero più tornati da quella vacanza a Oxford. Un deficiente ubriaco li aveva travolti uccidendoli sul colpo.

Quanto mi schifavo, io ero nelle sue stesse condizioni: ubriaco marcio, tanto da reggermi in piedi a fatica. Mi ero promesso di renderli orgogliosi di me, ma ho fallito, come sempre.

Lasciai il collo della bottiglia e mi voltai verso il mio amico che mi rivolse uno sguardo di comprensione. Non riuscii a reggere per molto il suo sguardo e d'un tratto la punta delle mie all star bianche divenne molto più interessante. In qualche secondo gli occhi mi si appannarono e quando riportai lo sguardo in quello cristallino di Louis delle lacrime umide scivolarono lungo le mie guance. "Harry" sussurrò il moro abbracciandomi di scatto. Mi lasciai stringere tra le sue braccia. Ero ubriaco e logorato dal dolore e dalla nostalgia, in qualsiasi altra occasione avrei respinto quel gesto d'affetto, Louis era l'unico che mi aveva visto in quelle condizioni 12 mesi fa e in quel momento, sebbene mi costasse molto ammetterlo, avevo bisogno di lui e del suo abbraccio.
"Grazie" sussurrai tra i singhiozzi.
Mi staccai solo un paio di minuti dopo quando il mio respiro era tornato regolare.
"ti dispiace se ti chiedessi di rimanere un po' da solo, ne avrei bisogno" chiesi titubante, mi dispiaceva mandarlo via ma avevo voglia di riflettere.
"Non devi neanche chiedere" rispose questo sorridendomi appena. "Mi raccomando amico, non fare cazzate" continuò indicando la bottiglia accanto a me con la testa "e per ogni cosa chiamami" concluse battendomi la mano sulla spalla e andandosene.

Avevo iniziato a bere alle quattro del pomeriggio, Louis mi aveva raggiunto il prima possibile ma anche lui aveva la sua vita e faceva già troppo per me.
In un anno la mia vita era cambiata completamente: prima della morte dei miei genitori ero un ragazzo abbastanza normale, non esageravo con il bere, fumavo una sigaretta ogni tanto e con le ragazze avevo un bel rapporto; non ero un santo, ma di certo le mie condizioni erano migliori rispetto a quelle di adesso: in un mese avevo iniziato a fumare regolarmente e spesso non solo sigarette, l’alcol era diventato uno dei miei migliori amici e con il passare del tempo anche il sesso mi aiutava a dimenticare quanto, in realtà, fossi solo.

La zona in cui mi trovavo non era abituale per me, la chiamavano “valle di strada” qui se ne vedevano di tutti i colori e un ragazzo ubriaco come me non era un fatto tanto singolare.
Con un po’ di fatica mi trascinai fino alla panchina vicino a un vecchio condominio grigio e mi accesi l’ennesima sigaretta, affondando la testa nelle mani.
 
MEGAN: 
Questa sera per me era andata male, non avevo guadagnato nessun cliente.
Celine era stata più fortunata, verso le undici un uomo distinto, con tanto di giacca e cravatta, l’aveva caricata e se ne era andata. Probabilmente non sarebbe tornata prima del mattino seguente.
Verso le due decisi che era il caso di tornare e così mi incamminai verso quell’orribile condominio poco lontano dalla mia piazzola.
“Non credi che quella gonna sia un po’ troppo corta per girare da sola alle due di notte?”
Ero ormai arrivata a casa quando a pochi metri dal portone un ragazzo seduto malamente su una panchina mi fermò.
“e cosa potrebbe mai accadermi?” risposi pacata. Non vedevo l’ora di liberarmene, a meno che non decidesse di pagarmi, allora li sarebbe stata tutta un’altra storia.
“non è una zona molto sicura questa, potrebbero succedere cose davvero spiacevoli a una ragazza bella come te”
Non riuscii a trattenere una risata.
O era fatto, o era stupido per davvero per non aver capito che lavoro facessi.
Mi avvicinai di qualche passo per poterlo guardare meglio in faccia: “Mi prendi per il culo?” sbottai incredula.
Notai le sopracciglia del ragazzo corrugarsi appena. Poveri figli di papà cresciuti sotto una campana di vetro.
“perché?” chiese questo visibilmente confuso.
Puzzava d’alcol e la bottiglia quasi vuota che aveva accanto confermava il fatto che avesse bevuto.
“sono una puttana” ringhiai a denti stretti.

Non l’avevo mai detto ad alta voce. Non avrei mai immaginato che potesse farmi così male.
Sapevo di esserlo, e lo sapevano anche gli altri, però ammetterlo era tutta un’altra storia.
Il ragazzo socchiuse appena le labbra pronto a dire qualcosa, ma dopo pochi attimi le richiuse senza nulla da dire.

Cercai di ritrovare un comportamento fiero e degno dopo quei pochi attimi di tentennamento.
“ti interessa?” continuai successivamente sempre più inespressiva.
Questo scosse la testa e io senza rispondere continuai per la mia strada.

Appena prima di infilare le chiavi nel portoncino una voce dietro di me attirò la mia attenzione.
“Quanto.. A quanto fai?”
Era il ragazzo di prima, lo avevo riconosciuto dalla voce, senza nemmeno voltarmi.
Era bella la sua voce, nonostante l’alcol aveva un tono leggermente rocco ma era estremamente calma, con un non so che di rassicurante e soprattutto molto sensuale.
Sorrisi appena prima di voltarmi e trovarmi il suo viso a mezzo metro dal mio.

Ora, illuminati dalla flebile luce del lampione, potevo vedere molti più dettagli di prima: i suoi capelli erano scuri, molto folti e ricci, i suoi lineamenti erano definiti, labbra abbastanza fine e di un rosa intenso e infine due occhi accesi, nonostante il rossore dovuto all’alcol brillavano di luce propria. Un verde smeraldo caratterizzava quel viso provato, come se fosse estraneo a quel corpo stanco.
Era molto alto e magro, vestito interamente di nero, fatta eccezione per delle consumate All Star bianche che portava ai piedi.
“Quanto hai?” domandai a mia volta incollando il mio sguardo a quei due smeraldi.
Questo di risposta scrollò le spalle infilando una mano in tasca e estraendo un paio di banconote.
“ok, entra” acconsentii io facendo strada fino all’appartamento.

Non ho idea di quanto avesse, ma piuttosto di andare in bianco mi sarei accontentata anche della metà della mia cifra abituale.


Harry:


Celine:


Megan:

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** How are you? ***


MEGAN:
“Sicuro di stare bene?” chiesi per la terza volta al riccio che ormai da quindici minuti era seduto nella mia cucina con lo sguardo perso nel vuoto.
Non mi rispose, il suo viso era impassibile, occhi vuoti e mani strette a pugno.
Non avevo idea di come gestire la situazione, non ero di certo brava a dare consigli in queste occasioni, insomma facevo la prostituta non la psicologa e questo tipo mi aveva già fatto saltare i nervi.
“Senti bello, non so quali siano le tue intenzioni ma ti sarei grata se me ne mettessi al corrente perché io sto iniziando ad irritarmi.” Sbottai esasperata.
Lentamente il ragazzo sposto gli occhi dal vuoto al mio viso, aveva lo sguardo assente ma era impossibile non notare quanto fosse intenso.
“scusa” sussurrò. Era percepibile il puzzo d’alcol anche a quella distanza, probabilmente il giorno dopo si sarebbe svegliato con una grande nausea e un bel po’ di vuoti di memoria.
“ok, facciamo così, considerando che non credo tu sia in grado di ragionare in questo momento io ti faccio le domande e tu risposi” presi in mano la situazione notando la poca collaborazione da parte sua.
“ce l’hai un nome?” continuai, era il minimo dopo che gli stavo facendo da babysitter.
Annuì, Dio lo stavo iniziando ad odiare.
“potresti degnarti di dirmi qual è?” ero al limite della sopportazione, giuro.
“Ha-Harry” biascicò.
“bene Harry, cosa ci facevi in quella panchina da solo a quest’ora della notte?” continuai.
“pensavo”
“ senti cocco, sto avendo molta pazienza con te, non sono una psicologa, faccio la puttana e sinceramente non capisco proprio quali siano i tuoi problemi, se vuoi del sesso da me scordatelo pure, in queste condizioni io con te non ci scopo, sicuramente ti sarai ridotto così perché hai litigato con la tua ragazza super carina e simpatica e ora vuoi dimenticarla con me, sai li conosco quelli come te. Ma non preoccuparti domani sistemerete tutto e vivrete per sempre felici e contenti e quindi tu da me non l’avrai perché non voglio rogne” sentenziai con un po’ di acidità.

In un attimo lo sguardo di Harry divenne buio e la tensione che trasmetteva il suo corpo era percepibile nell’aria. I suoi muscoli, prima rilassati, si irrigidirono all’istante e il bicchiere d’acqua nella sua mano destra esplose in mille pezzi, finendo nel pavimento.
Il sangue inizio a colare dal taglio che attraversava il palmo del ragazzo mischiandosi all’acqua e al vetro nel pavimento.


Mi irrigidii all’istante spaventata dalla reazione del ragazzo. Lo smarrimento che prima attraversava il suo volto era scomparso, al suo posto si leggeva rabbia e nervosismo. Ero consapevole della pericolosità del mio lavoro ma non mi era mai capitato di trovarmi in situazioni del genere.
Automaticamente, senza neanche rendermene conto, iniziai a indietreggiare, proprio mentre Harry si alzò sferrando un pugno al muro.
“Tu non sai proprio un cazzo” sibilò guardandomi con tutta l’intensità che poteva contenere il suo sguardo. La sua voce era ferma e i toni striduli dovuti all’alcol erano scomparsi.
“Tu non mi conosci. Ti credi una donna vissuta perché per chissà quali problemi ti sei ridotta a vendere il culo per vivere, ma di me non sai niente.” Concluse urlando l’ultima parte della frase e si incamminò verso la porta.
“Tieniti i tuoi soldi di merda” e detto questo uscì dal portone lasciando le banconote nel mobiletto accanto all’entrata.

Rimasi attonita a fissare la porta chiusa. Il pavimento era sporco di sangue e lo stesso valeva per la maniglia.
I soldi che aveva lasciato erano accartocciati sul mobile, non erano molti ma non erano miei.
Più di tutto quello che ci eravamo detti la cosa che più mi feriva erano quelle banconote stropicciate. Mi facevano schifo anche quando mi pagavano per il mio lavoro, ma riceverle così, sentendosi urlare in faccia ‘puttana’ era un peso troppo grande.
Probabilmente avevo sbagliato tutto su quel ragazzo, ma ormai era andata, l’unica cosa da fare era provare a rimediare.

Spinta da non so quale coraggio mi fiondai fuori prendendo i soldi dal mobiletto e iniziai a correre, sperando solo di aver preso la direzione giusta.
Non so per quanto corsi, probabilmente neanche tre minuti e poi lo vidi.
Era seduto nello scalino di una vecchia officina a bordo strada e si reggeva il capo con le mani. Una sigaretta era accesa tra le sue dita e le nocche della mano destra erano spaccate.

Mi avvicinai con cautela cercando di riprendere fiato, ero praticamente nuda, uscendo non avevo preso la giacca e i miei piedi erano scalzi. Mi abbassai la gonna in modo poco femminile e timidamente mi sedei accanto al ragazzo.

Harry si voltò appena senza togliere le mani dalla faccia per poi tornare a fissare il vuoto.
Cercai di rimanere più calma possibile mentre il mio fiato tornava regolare. 
Lentamente riprese a fumare, togliendosi le mani dal viso. I suoi occhi erano lucidi ma cercò di non farlo notare, probabilmente aveva pianto e le sue guance erano sporche di sangue, sicuramente quello che stava perdendo dalle mani.

Ebbi la tentazione di accarezzargli il viso, non so se per conforto o per pulirlo, ma mi trattenni. Per tenere occupate le mie mani gli sfilai la sigaretta dalle dita e aspirai il fumo.
Pochi secondi dopo Harry se la riprese e andammo avanti così finché la sigaretta non fu finita. Estrasse il pacchetto dalla tasca e me ne offrì un'altra ma rifiutai scuotendo il capo, così rimise via il pacchetto, iniziando a calciare i sassi con la punta delle all-star bianche.
“scusa” ruppi il silenzio dopo qualche secondo. Non ero mai stata brava in queste cose e mi imbarazzavano molto.
“non dovevo dire quelle cose, non ti conosco e hai avuto tutte le ragioni del mondo a comportarti così. L’unica cosa che ti chiedo è di riprenderti questi, non mi piace venir pagata per quello che faccio, in realtà non mi piace nemmeno fare quello che faccio, ma ne ho bisogno. Però con te non o fatto nulla, se non offenderti forse e quindi non voglio i tuoi soldi” continuai tutto in un fiato infilandogli i soldi nella tasca della giacca di pelle nera.
Harry seguì i miei movimenti in silenzio, parlando solo dopo qualche secondo: “ hai ragione, non dovevi dirmi quelle cose, non mi conosci” disse scrutandomi attentamente il viso. “ma se proprio ci tieni ok, mi riprenderò mi miei soldi. Altro?” chiese con molta amarezza nella voce.
Scossi il capo guardandomi le mani.
Tutta la mia insicurezza stava tornando fuori in quel momento, da quando me ne ero andata di casa mi ero costruita una corazza ma lì, accanto quel ragazzo crollò tutto il mio muro. Sentirmi dare della puttana in quel modo aveva fatto più male del solido, anche se in fondo me l’ero cercata. Però nonostante tutto non ero arrabbiata con lui, era come se sentissi un senso di dovere nei suoi confronti e non riuscivo a spiegarmi il perché.


“E’ profondo?” chiesi indicando la sua mano con il mento.
Come risposta il ragazzo scrollò le spalle e allungo la mano nella mia direzione. La esaminai da vicino, non sembrava molto grave, ma il palmo era ricoperto di sangue e la ferita appariva abbastanza lunga. Non ero un’esperta ma da sempre ero stata obbligata a curarmi le sbucciature da sola.
“se vuoi posso medicartela, hai un posto dove passare la notte? Abiti qui vicino?” chiesi.
“Abito dall’altra parte del fiume, vicino al St James’ park” rispose indifferente.
“e come ci sei finito qui scusa? Ok guarda non mi importa” sorrisi alla sua ennesima scrollata di spalle. “vieni” mi alzai invitandolo a fare lo stesso e dirigendomi verso il mio appartamento.


Dopo neanche dieci minuti eravamo di nuovo nella mia cucina. Misi a scaldare un po’ d’acqua per il tè facendo accomodare Harry in salotto, notando lo stato pietoso della cucina, avrei dovuto sistemare tutto prima del ritorno di Celine.
Le scrissi un messaggio chiedendo se sarebbe tornata per la notte e andai a prendere il necessario per la medicazione in bagno.
“fa male?” domandai entrando in salotto.
Harry scosse la testa. “non più di tanto” rispose fissandosi il taglio.
Presi un panno bagnato e una sedia dalla cucina e mi accomodai davanti a lui invitando a porgermi la mano.
Come risposta ricevei solo uno sguardo storto e una timida mano che si allungava nella mia direzione.
“fidati so quello che faccio” sorrisi prendendo la mano di Harry e iniziando a passarci il panno umido sopra.
Come avevo immaginato il taglio non era profondo ma abbastanza esteso, se non veniva curato rischiava di fare infezione.
In silenzio medicai il ragazzo e gli fasciai la mano tagliate. Le nocche della mano sinistra erano aperte ma non c’era molto che si potesse fare per quelle.


“sicuro di star bene?” chiesi notando il colorito pallido che si era diffuso sul suo viso.
“dov’è il bagno?” domandò Harry affannato sgranando gli occhi.
“prima porta a destra” risposi. Non feci neanche in tempo a finire la frase che il ragazzo si era già fiondato verso la strada che gli avevo indicato. Dal salotto si potevano sentire connati di vomito provenienti dal bagno. Di bene in meglio dovevo dire, ci mancava solo questa!


Dopo ave sistemato il disastro in cucina e versata una tazza di tè mi diressi in direzione del bagno bussando leggermente.
Come risposta sentii un mugugno che interpretai come un ‘entra’.
Lentamente aprii la porta trovandomi Harry con la schiena appoggiata al termo sifone seduto sul pavimento.
“come va?” dissi sedendomi sul bordo della vasca.
“una meraviglia” ironizzò lui.
“beh te la sei cercata eh”
La mia affermazione fu seguita da uno sguardo di pietra da parte del ragazzo che sarebbe dovuto servire a fami rimangiare le mie ultime parole ma non fu molto efficace considerando che pochi secondi dopo era di nuovo chino nel water a vomitare.


Sorridendo dell’assurdità della situazione mi voltai un po’ schifata dalla scena.
Cessati i gemiti Harry si alzo e io feci lo stesso per aiutarlo a raggiungere il lavandino dove si lavò la faccia e la bocca.
Gli offrii la tazza di tè che accettò volentieri e con molta calma ci dirigemmo verso le stanze da letto.
“se non vomiti ti lascio il mio letto, io dormo nella stanza della mia coinquilina” dissi entrando nella mia camera seguita da Harry.
“come vuoi, posso accontentarmi del divano se creo disturbo non è un problema”
“si così ti dovesse trovare Celine le prenderebbe un infarto quando ti trova lì, stai qui va. Solo una cosa, non dormire con quei vestiti ludri, dovrei avere una, maglia nel primo cassetto”
“non serve dormo sempre in mutande” disse sfilandosi la maglietta nera.
Involontariamente mi soffermai a guardare il suo petto, era ricoperto di tatuaggi, non troppo scolpito ma con i muscoli ben accennati. Mi affrettai a togliere lo sguardo riportandolo al suo viso.
“torno tra un attimo, tu intanto preparati” dissi uscendo dalla stanza dopo aver preso una maglia che solitamente usavo come pigiama.
Andai in bagno dove regnava ancora la puzza di vomito. Disgustata spalancai la piccola finestra e mi lavai e struccai velocemente. Infilai la maglia e andai i cucina per pendere due aspirine.

Per cortesia bussai prima di entrare nella stanza ricevendo l’ennesimo mugugno da parte di Harry, prima o poi mi avrebbe mandato fuori di testa.


HARRY:
Celine entrò lentamente dopo aver bussato, il suo corpo era coperto da una maglia dei Coldplay che le arrivava fino a metà coscia. Preso da tutte le emozioni del momento prima non mi ero accorto di quanto fosse sensuale il suo fisico. Le gambe erano magre e affusolate, non era molto alta e le curve erano perfettamente proporzionate.
Si avvicinò al letto e si chinò per posare un bicchiere e due aspirine nel comodino.
“vedi di non rompere anche questo” sorrise illuminata dalla debole luce del comodino.
“farò il possibile” scherzai molo più sereno di qualche ora prima.

Aveva davvero un bel viso, i lineamenti erano dolci, gli zigomi non troppo marcati e le labbra rosse.
Il suo sorriso trasmetteva sicurezza e infine due occhi enormi, di un azzurro chiarissimo, brillavano tra il biondo dei suoi capelli.
Struccata e con i capelli sciolti dimostrava molti meno anni rispetto a prima, ma quello che più mi colpì fu la dolcezza della e la naturalezza del suo volto. Senza tutto quel trucco era ancora più bella.
“che c’è?” chiese, notando che la fissavo.
Distolsi subito lo sguardo leggermente imbarazzato. “sei struccata” risposi.
“sai com’è di solito non vado a dormire con tutta quella merda sul viso” ribatté acida.
“voleva essere un complimento il mio, stai molto meglio così”
“si, va beh, grazie” disse impacciata.
“e quando ti fermi a dormire da qualcuno o qualcuno dorme qui, dopo, si insomma, dopo il tuo lavoro, come fai a struccarti?”
“non dormo mai da nessuno e nel mio letto non ho mai fatto entrare nessuno, per carità!” rispose disgustata.

Non so perché ma questa notizia mi riempì il cuore di gioia.
“allora vuoi spiegarmi il motivo di tutto quel bere?” chiese innocente.
I miei muscoli si tesero involontariamente, mi era sfuggito che giorno avevo passato.
“anniversario scomodo da ricordare, e tu, come mai sei finita a fare quello che fai?” ribattei veloce, distogliendo l’attenzione da me.
“un paio di situazioni scomode e necessità di soldi per vivere” rispose secca.
“beh comunque grazie per l’aspirina, e per il letto e per questa” dissi indicando la fasciatura.
“non c’è problema” sorrise alzandosi dal bordo del letto. “se ti dovesse servire sai dove trovarmi. Buonanotte” e detto questo uscì dalla stanza.
“notte” sussurrai rimanendo per qualche secondo a fissare la porta chiusa per poi venir sopraffatto dalla stanchezza e addormentarmi tra quelle lenzuola che sapevano da un aroma floreale.

Harry:


Megan:


SPAZIO AUTRICE:
Ciao a tutte, nel primo capitolo non ho scritto nulla e non vi stresserò chiedendovi recensioni, se vi piace la storia e avete critiche, domande o osservazioni da fare sono qui pronta a rispondervi, per il resto buona lettura e ci vediamo al prossimo capitolo!
un bacio, E.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Pancakes and juice ***


MEGAN:
 

Lasciatemi qui per sempre vi scongiuro.
Ero in quello stato di dormiveglia in cui non capivo niente, sentivo ancora l’odore dei Pancakes che avevo sognato, non ero sveglia ma percepivo il sole che scaldava il viso. La temperatura era perfetta, non avevo idea di che ore fossero, sicuramente non tanto presto perché riuscivo a sentire Celine nell'altra stanza che trafficava, quindi era già tornata.
Qualche minuto dopo raccolsi tutte le forze che avevo in corpo per aprire gli occhi e mi ritrovai nella stanza della mia coinquilina.
Dopo qualche secondo di smarrimento mi ricordai della notte precedente e sperai che Harry se ne fosse andato, anche se quello imbarazzato sarebbe dovuto essere stato lui era stata davvero una strana serata.
 

Erano le 9 e 20, un orario accettabile dai.
Dopo essermi lavata i denti e il viso mi diressi in cucina sbattendo su ogni spigolo possibile.
Solo in quel momento realizzai che l’odore di dolci non era solo nel mio sogno ma riempiva tutto l’appartamento, che carina Celine mi aveva comprato la colazione, o meglio speravo fossero comprati perché la mia amica non brillava certo per le sue doti da cuoca.
Peccato però che la scena che mi trovai davanti non fu certo quella che mi aspettavo.

Harry era in piedi nella mia cucina, o meglio, nella cucina di Celine, addosso aveva solo i pantaloni. Nel tavolo c’era farina ovunque e i suoi capelli erano un ammasso disordinato cosparso di bianco. Le pentole sporche erano impilate nel lavandino.
Era di schiena, stava versando l’impasto nella pentola e i muscoli delle braccia erano contratti. Aveva davvero un corpo perfetto, non troppo pompato ma ben definito, sicuramente era uno sportivo.
Non sapevo come sentirmi, se arrabbiata per il disastro che aveva combinato o essergli grata per aver tentato di preparare la colazione.

Proprio in quel momento si girò verso di me e sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi, gli spuntarono due fossette ai lati della bocca, perfino le guance erano sporche di farina, ma rendevano il tutto più sexy anziché più buffo.
 

“Giuro che pulisco tutto dopo” rise scusandosi.
“Buongiorno anche a te, vomitino” non riuscii a trattenere una risata.
“sono imbarazzatissimo, scusa per ieri sera, per quel che mi ricordo mi dispiace davvero tantissimo. So che non sono perdonabile, ma ti ho preparato i pancakes” disse mostrandomi un vassoio pieno.
 

Wow, mi aveva preparato per davvero la colazione. Rimasi un po’ spiazzata, in pochi avevano fatto tanto per me.
“beh grazie” sorrisi leggermente imbarazzata mentre iniziavo a preparare il tavolo.
“che bevi?” chiesi aprendo il frigo.
“uh, se hai succo va benissimo quello” rispose Harry facendo saltare il pancake in padella.
Recuperai due bicchieri, il succo e lo sciroppo d’acero e mi appollaiai in uno sgabello.
 

“come va il post sbornia?” domandai a Harry mentre mi raggiungeva con la colazione sedendosi di fronte a me.
“meglio di quello che mi merito” alzò le spalle mettendomi sul piatto due pancakes.
“mi fa piacere” sorrisi iniziando a mangiare.
 

La colazione fu abbastanza silenziosa, non ero abituata a quel genere di cose.
Il silenzio venne interrotto dallo squillare del suo telefono.
“scusa” sussurrò Harry prima di alzarsi per rispondere.

Mi presi qualche secondo per osservarlo mentre era distratto.
Indossava solo i jeans neri di ieri sera. Mi stupii di quanto fosse sexy anche dopo una notte passata a vomitare.
Come avevo notato la sera prima il suo petto e le sue braccia erano ricoperti d tatuaggi, tra tutti spiccavano due rondini sul petto e una farfalla al centro dell'addome.
Il suo viso era ricoperto di farina e lo stesso valeva per i suoi capelli, ma questo rendeva tutto molto più sexy.
Un po' mi dispiaceva non averci fatto niente la sera prima, mi sarei potuta divertire, ma siamo realisti, quelli come Harry non vanno con quelle come me.

Dieci minuti dopo il ragazzo chiuse la chiamata e tornò a mangiare in silenzio senza spiegazioni.
“lavo tutto e poi me ne vado” disse una volta che il vassoio di pancakes fu vuoto.
“lascia pure, faccio io. Tu hai preparato e io spreparo” sorrisi portando le stoviglie nel lavandino.
“sicura? Ho fatto un disastro, mi dispiace” rispose imbarazzato.
“tranquillo, non ci sono problemi davvero”
“beh grazie, prendo le mie cose, uso il bagno e poi me ne vado” concluse incamminandosi verso la mia stanza.

Dieci minuti dopo era già di ritorno.
“grazie per l'ospitalità” tuonò dallo stipite della mia cucina.
“nessun problema davvero” risposi con un sorriso sincero.
Lo accompagnai fino alla porta d'entrata e qui Harry si fermò.
“senti, so che non è il caso ma a me piacerebbe rivederti” iniziò imbarazzato.
Il mio cuore si fermò per qualche secondo. Non avevo idea di come rispondere, ragazzi così per me non erano all'ordine del giorno. Spesso le persone che frequentavo erano più rudi, non cattive, solo meno carine.
“Io..” iniziai senza sapere come continuare.
“Se non ti va non ci sono problemi davvero, scusa per il disturbo” si affrettò a dire incamminandosi verso le scale.
“non è quello” lo interruppi. “solo che sai anche tu com'è la mia situazione”
“e quindi?” ribatté lui “ ti ho solo detto che mi piacere rivederti”
Come risposta ricevette un cenno affermativo con il capo accompagnato da un'alzata di spalle.
Dopo essersi salvato il mio numero se ne andò con uno squillante “Ciao Megan” accompagnato da un sorriso che fece spuntare due tenere fossette nelle sue guance.
 

Rimasi imbambolata per qualche minuto a fissare la porta chiusa finché non la sentii aprire e Celine mi riportò nella terra.
“tutto bene?” chiese divertita.
Annuii semplicemente con il sorriso sulle labbra.
“se il tipo che ho incontrato sulle scale era in questo appartamento sta notte è probabile che tu abbia fatto il miglior sesso della tua via, il che spiegherebbe la tua faccia da ebete” disse scoppiando a ridere e facendo ridere anche me.
“niente sesso sta notte” risposi con un alzata di spalle dirigendomi in cucina “vuoi dei pancakes?”
“ti prego dimmi che non hai cucinato, è un miracolo che non sia saltato in aria tutto”
“non li ho fatti io”
La sua espressione interrogativa mi fece sorridere. “torno a casa e incontro Signor Dio del sesso per le scale e mi dici che non te lo sei scopata, però a meno che non sia il badante o il nipote di qualche nostro vicino di trecento anni non ha motivo di essere qui, hai una faccia da ebete che non si spiegherebbe neanche se avessi appena incontrato Ian Somerhalder e Paul Wesley e infine mi offri dei pancakes che miracolosamente sono finiti nel nostro apparta “ rise “non è che devi raccontarmi qualcosa?”
“forse” ridacchiai dirigendomi in cucina.
“Senti bellezza fai poco la misteriosa”
 

Spiegata la nottata per filo e per segno mentre la mia coinquilina divorava i pancakes rimasti.
“cazzo Megan uno così dovevi legarlo alla porta e non farlo scappare per nessun motivo” esclamò divertita.
“Dai stupida, ieri sera ho avuto davvero paura!” ribattei io, iniziando a lavare le pentole.
 

La giornata passò tranquilla, verso le 20:30 iniziammo a prepararci per andare al lavoro, anche se la mia voglia di fare era in rapita discesa.
“Non per fare la rompi coglioni, ma credo tu sia troppo vestita” commentò Celine appena mi vide.
“lo so” risposi alzando le spalle.
“tesoro, so che è dura, ma arriviamo giuste a fine mese con quello che prendiamo adesso, se iniziamo a passare molte serate in bianco i soldi non ci basteranno per molto” mi rimproverò la mia amica.
“lo so” ripetei “stavo solo pensando di chiedere al night se gli serve una ballerina, non è un gran lavoro ma sempre meglio che stare sulla strada, poi ho fatto danza moltissimi anni prima di trasferirmi”
“beh buona fortuna baby, ho sentito che per lavorare li dentro devi essere molto generosa con il direttore, se capisci cosa intendo” commentò Celine facendo un occhiolino.
“dove sta la novità?” risi “dai andiamo” la spinsi verso l'uscita del nostro appartamento alzando un po' la gonna nera e facendo scendere la scollatura della canotta oro che portavo.
 

Quella sera al lavoro andò discretamente, verso le 23:45 un signore sulla quarantina prese sia me che Celine, avevano organizzato un festino privato con pochi amici e ci lasciarono anche una generosa mancia.
Non ci fermammo a dormire li, per quanto fosse disgustoso era molto meglio lasciare il letto nella notte anziché la mattina quando ognuno aveva ripreso piena coscienza.
 

“ti ha chiamato?” mi chiese Celine una volta rientrate.
Erano le tre e un quarto e stavamo scalzando l'acqua per il tè.
“chi?” chiesi disorientata.
“Come chi Megan! Il signorino ispiro sesso a un kilometro di distanza che ti ha chiesto il numero ieri” rise.
“an” realizzai “ oh non credo, non ho controllato ma non mi pare di averlo sentito squillare”
“che palle” sbuffò lei facendomi ridere.
 

Dopo aver bevuto il nostro tè e mangiato una decina di biscotti a testa decidemmo che era ora di andare a dormire, il giorno dopo sarei andata a chiedere al night per quel posto da ballerina, se così lo volevamo chiamare.

“Svegliaa” urlò la mia coinquilina spalancando le finestre.
“Stronza” borbottai “che ore sono?”
“quasi mezzogiorno tesoro e io sto morendo di fame, quindi devi alzarti” rise saltando sopra il mio letto.
“Celine una volta o l'altra ti ammazzo lo giuro”
Controvoglia mi alzai e mi feci una doccia veloce, dopo aver raccolto i capelli bagnati in una coda accesi la macchina del caffè e misi nel fuoco l'acqua per la pasta.
“ogni volta mi chiedo come tu faccia a bere il caffèlatte e poco dopo pranzare, è disgustoso” commentò ironica.
“ho bisogno della mia dose quotidiana di caffeina se voglio stare in piedi fino a sta sera e a meno che tu non preferisca mangiare alle tre fattelo andar bene” sorrisi ma quella mattina ero particolarmente scontrosa.

Non ero una gran cuoca, ma tra e e Celine di certo non cera paragone, le cose semplici le sapevo fare, pasta, bistecche o qualcosa in padella, mentre la mia coinquilina rischiava di avvelenarci ogni volta che si avvicinava ai fornelli.
Bevvi il mio caffè seduta sul ripiano in marmo della cucina e ripensai alla mattina precedente in cui mi ero svegliata con l'odore di pancakes in casa, per poi trovarmi Harry, o il Dio del sesso come direbbe Celine intento a preparare la colazione.
Mentre la rossa preparava il tavolo io andai alla ricerca del mio telefono, ecco un altro difetto da aggiungere alla lista: ero una delle persone più disordinate della terra.
Lo trovai in camera mia, sotto quella sottospecie di scrivania ricoperta di vestiti.
Appena lo sboccai, oltre qualche notifica di facebok c'era un messaggio da un numero sconosciuto:
 

'Ciao. Sono Harry! X :)'

Involontariamente sorrisi e andai ad annunciare la notizia a Cel.
“Finalmente” urlò lei quasi più esaltata di me “che gli hai risposto?”
“nulla” scossi la testa mentre scolavo la pasta.
“c'è spiegami un attimo, Harry sono il Dio del sesso ti scrive e tu non te lo fili di striscio?” chiese indignata facendomi scoppiare a ridere.
“non è che non me lo filo, dammi un'attimo, dopo pranzo gli rispondo” spiegai portando i piatti in tavola “muovi il culo e vieni a sederti adesso che è pronto."

Harry:


Megan:


Celine:


Spazio Autrice:
Ok dopo tipo otto mesi sono tornata.
Spero vi piaccia so che non è un gran che come capitolo ma se vi fa piacere lasciate un commento o mettete su preferiti e giù di li.
spero di aggiornare prima sta volta ahahah
un besos :)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2981021