Caro Babbo Natale

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Paris, Paris... ***
Capitolo 3: *** Forse tu non sai chi sono io. ***
Capitolo 4: *** Bon apetit, Monna Lisa! ***
Capitolo 5: *** Una (quasi) notte al museo ***
Capitolo 6: *** Ci vediamo a Disneyland! ***
Capitolo 7: *** ...Jared? ***
Capitolo 8: *** Il mistero dello shatush scomparso ***
Capitolo 9: *** Buon Natale a chi? ***
Capitolo 10: *** Regali inaspettati ***
Capitolo 11: *** Ho una bella storia da raccontarvi... ***
Capitolo 12: *** Special! ***
Capitolo 13: *** Special! pt. II ***
Capitolo 14: *** Special pt. III ***
Capitolo 15: *** Special! Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


18 dicembre, Lapponia
In una fredda notte di un freddo dicembre nella fredda Lapponia, in un’accogliente casetta dal tetto rosso, un corpulento vecchietto dalla folta barba bianca smistava la posta che aveva accanto a lui, in un grosso sacco aperto ai piedi della sua scrivania.
-Videogiochi... bambole... uh, uno scolapasta nuovo, questa va nella lista delle stramberie... scarpe...
Tutti gli anni il contenuto delle lettere che gli arrivavano da tutto il mondo era più o meno lo stesso.
Tutti lì a chiedergli giocattoli nuovi, oggetti introvabili, regalini da appioppare ai parenti...
E lui passava giornate intere a catalogarle tutte, le lettere, una per una.
Quello di quella sera era l’ultimo sacco del giorno.
Era ormai notte fonda quando l’ultima busta fu aperta.
Il vecchietto sospirò soddisfatto al vedere il sacco afflosciato sul pavimento. Vuoto. O forse no.
C’era rimasta una busta bianca, sul fondo.
La prese in mano. Veniva dall’Italia.

Caro Babbo Natale,
ormai sono anni che non ti scrivo più la famigerata letterina, ma quest’anno sono stata costretta. Lo so che il tuo compito è portare regali ai bambini, ma siccome ho degli amici stupidi che fanno cose estremamente stupide, eccone qua una, dopo tutto questo tempo. Meglio se non scendo nei dettagli. Fidati. Ti dico solo che ne va della mia reputazione e della qualità della mia vita futura.
Andando al sodo, non voglio farti perdere tempo, quello che vorrei per Natale è Jared Leto. Okay, in realtà, già che ci siamo, vorrei tutta la sua band, quindi anche Shannon e Tomo, però capisco che tre persone nel sacco dei regali difficilmente ci stanno, e poi in questo caso non sono nemmeno necessari tutti e tre, per cui mi basta Jared.
Ammesso che chi sta leggendo questa lettera idiota sia davvero Babbo Natale e non un postino lappone senza nessunissimo potere magico...
Nel primo caso: se esisti e mi fai salvare la faccia ti sarò per sempre riconoscente.
Nel secondo caso: dimentica tutto e brucia tutto, certe cose sono troppo imbarazzanti per esistere.
Tanti saluti e buon Natale
Valentina


Babbo Natale rimase impietrito con la lettera tra le mani per qualche istante.
Era la più strana che avesse ricevuto da decenni.
Una tizia italiana che, tra parentesi, dubitava della sua reale esistenza e sfacciata com’era glielo diceva pure, gli chiedeva di portarle per Natale quel... come si chiamava? Ah sì, Jared, perché doveva salvare la faccia con i suoi amici?
Peggio, molto peggio dello scolapasta.
Ma la cosa peggiore era quel “se esisti”. Quando l’aveva letto a momenti era caduto dalla sedia. Certo che esisteva! Chi aveva osato spargere la voce della sua non-esistenza?!
-Una cosa è certa: Babbo Natale non permetterà mai che si dubiti di lui.
Avrebbe trovato quel Jared. L’avrebbe impacchettato. E quella miscredente l’avrebbe trovato sotto il suo albero di Natale la mattina del venticinque dicembre.

***

19 dicembre, Italia
-Vale.
-Mh.
-Vale. Che stai facendo.
-Niente. Preparo i bagagli.
-Che bagagli?
Valentina si voltò seccata, distogliendo l’attenzione dalla valigia aperta che troneggiava al centro del suo letto, semisommersa da vestiti spiegazzati e appallottolati.
-La vedi quella? Bene. Quella è la valigia che dovrò portare con me quando emigrerò in Alaska dopo Natale.
Sua sorella Aurora la guardò impassibile. Era abituata alle sue stranezze.
-Posso conoscere il motivo della partenza?
Valentina sedette sconfortata sul letto, senza curarsi di spostare le magliette che lo ricoprivano.
-Sono stati quei due cretini!- piagnucolò. La sorella sospirò e sedette di fianco a lei.
-Io non volevo alzare il gomito, lo giuro! Ma lo sai come sono... alla fine ero un po’ allegra e ho cominciato a parlare a sproposito e...
-E loro hanno minacciato di divulgare il tuo discorso, che ovviamente avevano filmato, giusto?
Valentina cacciò un fazzoletto dalla tasca della felpa e si soffiò rumorosamente il naso.
-Sì! Ho chiesto che dovevo fare perché non accadesse la tragedia e...
-E ti hanno dato una missione impossibile da compiere.
-Sì...
-Che sarebbe?- chiese Aurora, che intanto si era messa a contare i vestiti disseminati ovunque nella stanza, non solo sul letto. La sorella si soffiò di nuovo il naso, rimase un attimo a contemplare il muro con un’espressione addolorata e poi scoppiò di nuovo a piangere.
-Portare qui Jared per Natale!- singhiozzò, accasciandosi drammaticamente sul pavimento.
Aurora mise da parte l’orrenda maglietta scolorita con stampata la faccia di Paperina che aveva in mano.
-Quel Jared?
Valentina nemmeno si degnò di sollevare la faccia dal pavimento e bofonchiò un del tutto sconsolato.
Sua sorella si alzò dal letto e la scavalcò, facendo per uscire.
-Il biglietto aereo per l’Alaska l’hai comprato? Se ti serve aiuto con la valigia, sai dove trovarmi.- disse, andandosene. Valentina rimase spiaccicata a terra con il fazzoletto nella mano sinistra e un paio di jeans nella destra, a darsi mille volte della stupida.
Come aveva potuto bere quel bicchierino di troppo, sabato sera? Per una volta che aveva accettato di uscire con quei babbuini dei suoi amici! Lo sapevano, lo sapeva che non reggeva l’alcol. Doveva restarsene a casa, sì. Adesso aveva due alternative: andare a LA a prendere Jared per portarselo in Italia e salvare la faccia (ma rischiando o di venir coinvolta in un processo da cui sarebbe uscita senza un soldo e per entrare in prigione, o di essere uccisa) oppure poteva rassegnarsi al suo triste destino. Non aveva modo di eliminare le prove del suo discorso –che tra l’altro non ricordava se non per grandi linee- che di sicuro già erano state messe al sicuro e copiate almeno un milione di volte per sicurezza.
Ma la cosa peggiore era quello che aveva fatto per risolvere la situazione. Prima aveva tentato di minacciare quei ricattatori in ogni modo, ma visto che non cedevano, aveva ceduto lei. Alla disperazione. Per cui che aveva fatto? La prima cosa che le era venuta in mente, la cosa più intelligente che avrebbe potuto fare... Aveva scritto una letterina a Babbo Natale.
Se ci ripensava le veniva da piangere. Quelli erano i momenti in cui avrebbe voluto potersi prendere a testate da sola. Ovviamente, una persona intelligente avrebbe fatto proprio come lei, avrebbe chiesto aiuto a un caro vecchietto inesistente, che vive in Lapponia, in una lettera, aspettandosi di svegliarsi la mattina di Natale, scendere in salotto e trovare un cantante, attore pluripremiato, modello bello da mozzare il fiato, sotto l’albero.
Ovviamente.
Consolati, Vale. E' più probabile che ti risponda Babbo Natale, piuttosto che Jared in persona su qualche social.
pensò Valentina, sempre più depressa. Poi si guardò intorno, sospirò e lasciò cadere i jeans. Si alzò, afferrò il suo scassato computer portatile da studentessa universitaria di lettere e si mise sconfortata a cercare un modo per contattare Jared. Almeno ci aveva provato. Ma che poteva dirgli?
“Caro Jared, vieni a casa mia, all’incirca dall’altra parte del mondo, per Natale, ti prego, altrimenti dovrò emigrare in Alaska per il resto dei miei giorni. Ti pago quanto vuoi, ti do tutto quello che vuoi, ti cedo anche tutti i miei regali di Natale, qualsiasi cosa, ma salvami. Grazie. Con affetto, una povera Echelon stupida e disperata” digitò, di getto, su una pagina bianca di word. Rilesse quelle poche righe scritte in un inglese malandato e storse la bocca. Erano patetiche quasi quanto lei. Assurde. Cancellò tutto e si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro depresso. Proprio in quel momento, l’occhio le cadde sulla sua bacheca facebook, che aveva aperto quasi automaticamente appena aveva acceso il pc. Lesse quasi controvoglia la prima news dell'elenco.
-Jared Leto... blablabla... a Parigi per... blabla... il 22 dicembre... interessant... IL 22 DICEMBRE?! PARIGI?! Lo stage!
Valentina si tuffò senza pensarci due volte tra i suoi fogli, accatastati sulla scrivania, quasi rovesciando la sedia. Iniziò a frugarci in mezzo tipo procione che rovista nella spazzatura e quando furono tutti sparsi attorno a lei, ne alzò trionfante uno. Lo lesse con foga, quasi saltando le parole.
"...stage di lingua francese per studenti universitari che si terrà
il 22 dicembre
a Parigi.”
-Oh, Santo Tomo...
Un istante dopo, la casa intera sembrò tremare al suo urlo di gioia.

***

19 dicembre, California
Jared si guardò allo specchio.
Era perfetto. Come sempre, del resto.
Non a caso era Jared Leto. Tutto il mondo lo conosceva, le TV e le stazioni radio facevano a gara per accaparrarsi una sua comparsa o un suo intervento. E adesso stava partendo per Parigi, per l’ennesima campagna pubblicitaria di una nota casa di moda di cui era testimonial.
Era contento di dover tornare a Parigi. Quanto amava la Ville Lumière... Avrebbe passato lì qualche giorno, e poi a casa per Natale! Non poteva andare meglio.
Un’ultima occhiata al suo volto riflesso nello specchio, una sistemata ai capelli, e via, pronto per partire.
Come al solito, all’aeroporto fece del suo meglio per mimetizzarsi tra la folla e così quando salì sull’aereo di linea che l’avrebbe portato fino a New York per il primo scalo. Uno dei problemi della celebrità era il non poter stare mai tranquilli. C’era sempre qualche fan nascosto da qualche parte... non che il loro affetto lo infastidisse, anche se alcuni erano veramente esagerati. Il peggio erano i giornalisti. I paparazzi. Ogni tanto ne sbucava fuori uno dai posti più impensabili.
In fin dei conti, a lui piaceva stare solo, qualche volta. Il pubblico era un qualcosa di grandioso, emozionante. Ma era faticoso. Qualche volta aveva il diritto di riposarsi, o no?
Si accomodò sul suo sedile, accanto al finestrino, tirò fuori il suo adorato blackberry per dare un’ultima occhiata ai messaggi ricevuti prima di doverlo spegnere, poi si voltò verso il finestrino e l’aereo partì.
Lo aspettava un lungo viaggio.
E aveva la sensazione che non sarebbe stato un viaggio come tutti gli altri.




Nota dell'autrice
Questa storia nasce da uno di quei pensieri insensati che vengono qualche volta quando ci si annoia, avete presente? Ecco. Io ho pensato: "Pensa a quante persone nel mondo chiederebbero Jared a Babbo Natale..." 
Da un'idea del genere allo "scriviamoci una fanfiction!" il salto è breve xD
E' una storiella comica, assurda, scritta per ridere, senza grandi pretese. Ho dato il mio nome alla protagonista perché non sapevo che altro nome darle (poca fantasia coi nomi, da sempre ^^"). Spero vi strappi un sorriso!
Saluti!
-Valentina

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Capitolo 2
*** Paris, Paris... ***


Capitolo II


20 dicembre, Parigi

Jared aprì lentamente gli occhi. Davanti a lui trovò solo le lenzuola immacolate sotto le quali era sprofondato. Sbadigliò e si tirò su stiracchiandosi. La stanza di quell’albergo parigino in cui alloggiava era così ordinata, quando era arrivato... Fiori freschi in un vaso sul tavolinetto al centro della stanza, non un capello fuori posto, asciugamani puliti impilati ai piedi del letto...
E adesso era quasi il caos.
La valigia aperta sul pavimento, parecchi vestiti ripiegati alla meglio ammucchiati sul tavolo, fogli sparsi in giro. E per fortuna che quella notte l’aveva passata dormendo, altrimenti sarebbe stato molto peggio.
Si mise a sedere sulla sponda del letto, stropicciandosi gli occhi.
Stupido jetlag maledetto...
Almeno per quel giorno avrebbe potuto riposarsi. Era arrivato apposta in anticipo, per avere una giornata libera e potersi godere Parigi. Anche se era dicembre e faceva dannatamente freddo. A Los Angeles sembrava primavera. Era sempre così quando viaggiava d’inverno, sempre.
Ma in fin dei conti, il freddo non gli aveva mai impedito di fare quello che voleva. Era sopravvissuto al tour mondiale con la band... In Russia sì che faceva freddo, eppure i concerti erano stati sempre eccezionali. E non solo quelli.
Quando uscì dall’albergo, si accorse con suo grande sollievo che era meno freddo di come si aspettava.
Si avvolse attorno al collo la sua sciarpa a righe e s’incamminò lungo l’ampio viale dove si trovava l’hotel.
Pranzò in un bistrot lungo la strada. Stranamente quella mattina nessuno lo riconobbe, a parte un paio di Echelon che gli chiesero una foto per strada. Sì, era proprio una bella giornata.
Il suo umore cambiò immediatamente, appena si accorse che fuori aveva iniziato a piovere.
Pagò il conto e corse fuori dal bistrot, dirigendosi il più velocemente che poteva verso l’albergo.
Purtroppo per lui, a metà strada lo prese un acquazzone micidiale.
Imprecando in tutte le lingue che conosceva, Jared si riparò sotto il tendone di un negozio, indeciso sul da farsi. Aspettò per qualche minuto che la pioggia si placasse, ma la quantità d’acqua che veniva giù dal cielo era sempre maggiore.
Qualcuno ce l’aveva con lui. Sì. Era per forza così.
-Ma porc...- Fu allora che Jared vide un taxi che si avvicinava. Non ci pensò due volte: saltò fuori dal suo riparo e fermò la vettura agitando le braccia come un naufrago che vede arrivare una nave dopo dieci giorni. Il taxi accostò e lui salì di corsa.
–Piove, eh, monsieur?- fece il tassista, che sembrava alquanto divertito. Al contrario di Jared, zuppo dalla testa ai piedi.
-Che spirito di osservazione... oserei dire che non le sfugge niente, mon ami.- borbottò lui, acido, stringendosi nel cappotto bagnato.
Mentre lo portava a destinazione, il tassista non faceva altro che fargli domande, alle quali Jared rispondeva a mezza bocca, troppo impegnato a pensare al freddo che sentiva, bagnato come un pulcino. Si sentiva umide persino le ossa. Cominciava quasi a pentirsi di essere andato a Parigi, tutto il suo buonumore era scomparso.
-Siamo arrivati, monsieur!- Jared accolse quella frase come una benedizione. Pagò il tassista e fece per scendere. Aveva magicamente smesso di piovere, adesso che era arrivato a destinazione in taxi. Ovviamente.
Fece per scendere dalla macchina, quando gli venne in mente che forse un passaggio avrebbe potuto fargli comodo anche la mattina dopo, specialmente in condizioni meteo avverse.
–Quanto vuole per venirmi a prendere domattina verso le dieci proprio qui davanti?- chiese.
Il tassista si voltò. –Del prezzo parleremo domani. Alle dieci in punto sarò qui.
Aveva un’espressione bonaria, un che di familiare.
-Ci siamo già visti da qualche parte?- fece Jared, esitando a scendere.
L’uomo si grattò la folta barba bianca con aria pensierosa, scrutandolo. –Non credo proprio, monsieur.- rispose. Jared accennò un sorriso di cortesia, salutò e finalmente scese, chiudendosi dietro la portiera ed entrando il più in fretta possibile nell’albergo. Doveva asciugarsi, cambiarsi e trovare qualcosa da fare. La sua bella giornata libera era rovinata.

***
20 dicembre, Italia

Valentina chiuse la valigia e la rimirò con le mani sui fianchi, soddisfatta. Non era da lei riuscire a chiuderla così facilmente. Significava o che aveva finalmente imparato a piegare decentemente i vestiti o, più probabile, che l’aveva riempita troppo poco.
A giudicare dal peso, però... forse aveva imparato a piegare i vestiti.
La trascinò in soggiorno e l’abbandonò davanti alla porta.
-Ghe fai?- chiese Aurora, che si era appena alzata, uscendo dal bagno ancora intenta a lavarsi i denti.
-Parto.
-E dofe fai? In Alafka, alla fine ti fei defifa?
Valentina le lanciò un’occhiata dall’alto in basso, altezzosa. Aurora la guardò storto, continuando a spazzolarsi i denti.
-Vado a Parigi, mia cara!- annunciò la prima, in tono teatrale.
La sorella non fece una piega. –A fare ghe?
-A catturar... cioè... partecipo a uno stage di francese.
-Stage di franfefe? E v’è bifogno ghe gi vai fino a Parigi?
Valentina sbuffò, controllando l’ora sul display del cellulare.
-Senti- disse, ficcandoselo di nuovo in tasca e infilandosi la giacca a vento: -è la mia unica occasione per salvare la mia reputazione e per avere il piacere di sapere che i miei ex-amici ricattatori si mangeranno il proprio fegato spalmato sui crostini per il pranzo di Natale. Non posso sprecarla.
Aurora la guardò perplessa, con lo spazzolino in bocca.
Valentina sbuffò di nuovo.
-Jared è a Parigi. Io vado a Parigi.
-Aaaah, ora capifco...- esclamò Aurora, annuendo. L’altra mise su un’espressione compiaciuta, contenta di essere stata compresa. -...e gome penfi di gonvingerlo a venire qui?- proseguì la prima, tranquillamente.
La faccia di Valentina si fece immediatamente scura. –Non ne ho idea, ma in qualche modo farò! Dopotutto, tutti gli uomini hanno un prezzo, lui ce l’avrà sicuramente!- rispose, seccata.
Aurora abbozzò un sorrisino.
-Peccato che con tutti i foldi che ha il fuo preffo farebbe ficuramente troppo alto per te...
-Senti- Valentina divenne paonazza per l’indignazione: -le prossime vacanze di Natale col cavolo che le passo a casa. Hanno fatto bene mamma e papà, che si sono andati a fare un viaggetto. Adesso ci vado anche io e tu resti a casa da sola, gne gne gne, ti sta bene!- sbottò, tirando su di scatto la lampo della giacca e puntualmente prendendocisi in mezzo i capelli.
Aurora si fece seria e la minacciò con lo spazzolino, grondante dentifricio.
-Okay, fai quello che ti pare. Ma! Uno, non metterti nei guai. Due, non finire sul lastrico. Tre, non provare a stirarti le camicie da sola, non sei in grado.
-Da quando in qua sono le sorelle minori a fare le raccomandaz...
-Con una sorella maggiore come te, è inevitabile.
Valentina si morse un labbro, senza replicare.
Aurora tornò in bagno. –Bon voyage, e che Santo Tomo sia con te!- esclamò, col rumore dell’acqua corrente come sottofondo.
Fu così che Valentina partì. Aveva trovato un volo “last-minute-low-cost” per Parigi senza fatica, si era prenotata una stanza in un albergo –economico- in centro e se qualcuno avesse chiesto lo scopo del viaggio, avrebbe tirato fuori la scusa dello stage –al quale non aveva tuttavia nessunissima intenzione di partecipare.
Il viaggio fu tutt’altro che tranquillo. O meglio, lo sarebbe stato, se solo la mente di Valentina non fosse stata costantemente tormentata dal pensiero dell’impresa impossibile a cui stava andando incontro.
Prima doveva trovare Jared, poi doveva avvicinarlo, poi doveva riuscire a parlarci, poi doveva convincerlo a seguirla... infine doveva prepararsi alla sconfitta e prenotare un volo per l’Alaska.
Però, almeno si sarebbe fatta un viaggetto a Parigi.
E avrebbe parlato con Jared. Forse avrebbe anche dovuto rapirlo, ma dettagli.
Arrivò a destinazione quella sera. Una sera molto piovosa.
Non è che ho sbagliato volo e sono finita a Londra? pensò Valentina, in piedi fuori dall’aeroporto con il trolley a fianco e il bagaglio a mano a tracolla.
-Taxi!
I taxi erano costosi, ma non aveva altra scelta. E forse, con un pizzico di fortuna, avrebbe raccolto qualche informazione utile. Salì in macchina, indicò la destinazione al tassista, poi iniziò una specie di terzo grado. Purtroppo per lei, il tassista non sapeva niente di niente.
Che ti aspetti da un francese smilzo che puzza di fumo, col pizzetto, e dotato di un alquanto strano senso dell’umorismo, dopotutto?
Si disse, mentre pagava la corsa, per consolarsi.
Appena il taxi fu ripartito, Valentina si voltò verso l’albergo dove avrebbe alloggiato. Meglio di tanti altri in cui era stata spedita in gita scolastica durante la sua gloriosa carriera di liceale. Lanciò un’occhiata all’altro lato della strada, dove, quasi a mo’ di presa in giro, sorgeva un elegantissimo hotel a cinque stelle e le scappò una risata. Forse, in un universo parallelo, avrebbe potuto permettersi una cosa del genere, e chi lo sa, magari non avrebbe neppure dovuto faticare tanto per trovare Jared.
Tutto sommato quello che le era toccato non era male, lei era una che sapeva accontentarsi. E poi, in quel momento le interessava solo la sua missione.
Fece due chiacchiere con la ragazza alla reception, con le cameriere... Fortunatamente per lei il francese non era un problema. Era sicura al cento per cento che almeno una di loro sapesse qualcosa. D’altra parte, pettegole erano pettegole, con tutta probabilità erano anche informate.
-Ah, quell’americano! Certo che lo so!
Al sentire quelle parole, gli occhi di Valentina s’illuminarono. C’era ancora una speranza.
-Meraviglioso! Sai, sono una sua grande ammiratrice, sarei contenta d’incontrarlo, anche solo per un autografo. Tu mi capisci, no?- spiegò l’italiana, fingendo comunque una certa indifferenza.
La cameriera, una tipetta bionda che avrà avuto su per giù la sua età, ridacchiò con aria lievemente stupida.
-Certo... siamo tutte sulla stessa barca, noi fan!- rispose. Valentina si sforzò di ridacchiare a sua volta, ma aspettava con impazienza di sentire quello che la cameriera aveva da dirle.
-Una mia cara amica, Corinne... sai, ci siamo conosciute a scuola, che lavora presso l’hotel qui di fronte...- attaccò quella. Valentina si sforzò di ascoltarla, ma già dopo venti secondi di digressione dall’argomento Jared all’argomento Corinne, il suo cervello aveva smesso di registrare le sue parole, catalogando il tutto come “non importante”.
-...il signor Leto dovrebbe trovarsi domattina verso le undici presso lo studio fotografico di Jean Paul, che è il cugino di una carissima amica del ragazzo di sua sorella, che si è trasferita in Germania da un paio d’anni e...- Solo allora il cervello di Valentina riprese a funzionare. –Ah, ma davvero? Potresti darmi l’indirizzo? Sai, sono anni che aspetto quest’occasione... non vorrei perdermela!- tagliò corto, con un sorriso a tremila denti, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
Adesso che conosceva il luogo, il giorno e l’ora in cui trovarlo, non se lo sarebbe lasciato scappare per niente al mondo. Era la sua unica possibilità di salvezza.
Quella notte, l’italiana la passò a rimuginare su come convincere quello che era stato per quasi tutta l’adolescenza (ed era ancora, a dirla tutta) l’uomo dei suoi sogni che le serviva assolutamente la sua presenza in Italia il giorno di Natale.
La mattina dopo, quando la sveglia avrebbe suonato, alle sette in punto, Valentina sarebbe stata sicuramente uno straccio. E non avrebbe nemmeno saputo che fare, probabilmente. Però era determinata. Non avrebbe fallito.
 
 
 
 
 
 
-Note dell’autrice-
Rieccomi, dopo pochissimi giorni, col secondo capitolo di questa folle storia.
Mi è bastata una rapida occhiata al mio diario di scuola per capire che, se non volevo che questo capitolo fosse pubblicato a luglio, dovevo agire subito, perciò eccolo qua.
Premetto che non sono mai e poi mai stata a Parigi (con mio sommo rammarico *sigh*), per cui tutti i luoghi che sto descrivendo me li sono inventati di sana pianta... al massimo ho dato un’occhiata a Google Maps tanto per farmi un’idea. In più, mi fa anche strano, in un certo senso, scrivere di questa bellissima città dopo i tragici eventi di questi giorni. Mi vengono i brividi se ci penso. Orrendo.
Okay, la smetto di divagare e concludo.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e che il terzo arrivi non dopo Pasqua.
Se dovesse accadere, colpa del liceo, prendetevela con lui.
Ah, ho seri problemi con i codici html, per cui l'editor mi scrive tutto in corsivo. Spero che riusciate a capire da soli quali parti di testo sono i pensieri dei personaggi... almeno finché non trovo il modo di collaborare coi codici, o non cambio modalità per scrivere i pensieri ^^" chiedo venia.
MarsHugs a tutti,
Valentina

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Capitolo 3
*** Forse tu non sai chi sono io. ***


Capitolo III

21 dicembre, Parigi

Avrebbe dovuto prevederlo, maledizione. Le era successo almeno un milione di volte in vita sua, lo sapeva di essere una sbadata cronica. E ancora non ne aveva preso atto!
Valentina si lanciò fuori dall’albergo senza nemmeno fare colazione, la giacca slacciata, la borsa appesa a una spalla, una sequela di imprecazioni tra le più svariate come colonna sonora. Quasi lanciò le chiavi della sua stanza alla receptionist, buttò là un frenetico “bonjour” e si schiantò contro la porta chiusa dell’hotel, in barba al bel cartello colorato con su scritto di tirare.   –Ahia, mannaggia alle porte!- esclamò, riuscendo finalmente ad aprirla per poi fiondarsi fuori e richiudersela alle spalle di fronte allo sguardo attonito della povera receptionist.
Perché non aveva messo a caricare il telefono, eh? Per quale oscura ragione non aveva collegato alla presa quel maledettissimo caricatore? E ovviamente, quella notte la batteria era morta, e quella mattina la sveglia non aveva suonato, ergo, lei era in ritardo di un’ora sulla sua tabella di marcia!
Cacciò fuori dalla borsa una cartina e guardò il percorso che –per fortuna- aveva segnato la sera prima con un pennarello rosso. Lo studio di quel... come si chiamava? Jean Jacques, Jean... Va be’, che importanza aveva quello stupido nome?
Attraverso la strada e poi vado giù per di là, un paio di svolte a destra, una a sinistra e in una mezz’ora dovrei essere arrivata, e che ci vuole? Al Lucca Comics è stato molto peggio. rimuginò, gli occhi fissi sulla cartina. –Perfetto, andiamo!- così dicendo, Valentina attraversò di corsa la strada, senza quasi guardare a destra e a sinistra. Fu un attimo.
Una manciata di metri più giù dell’hotel cinque stelle, a un passo dal marciapiede, sentì un bruttissimo rumore di freni e si ritrovò quasi spiaccicata sul cofano di un taxi, per fortuna integra.
Era successo tutto talmente in fretta che non aveva fatto nemmeno in tempo ad imprecare. Lei. Invece da dentro la vettura era partita una splendida parolaccia in inglese.
Valentina guardò un attimo il conducente, un grosso tizio dalla folta barba bianca, che la fissava pallido come un cencio, terrorizzato. Fortuna che aveva frenato in tempo. Lei non lanciò nemmeno uno sguardo al sedile posteriore della vettura e riprese a correre come se niente fosse, infilandosi in una viuzza laterale con la cartina spiegata tra le mani.
Una mezz’ora dopo, non era ancora arrivata. In compenso, era stanca morta. Aveva corso fino ad allora, rischiando di essere investita non solo da quel taxi, ma anche da altre due automobili, intruppando in una sedia di un baretto lungo un marciapiede e quasi portandosela dietro insieme al cameriere che proprio in quel momento stava sparecchiando il tavolo... e infine, ciliegina sulla torta, aveva dovuto cambiare percorso perché un dannatissimo tombino era esploso quella notte a causa della pioggia e quindi la strada era chiusa. Di conseguenza aveva fermato proprio il vigile più puntiglioso di tutta Parigi per chiedere indicazioni. Insomma, al momento era stanca, con un diavolo per capello, in ritardo e, ancora peggio, si era quasi persa.
Stava ponderando l’ipotesi di buttarsi nella Senna e farla finita, quando alzò lo sguardo e davanti a lei trovò non solo lo studio di quel Jean-coso, ma anche un taxi parcheggiato all’ingresso.
Taxi che proprio in quel momento stava partendo. Valentina stavolta attese che fosse passato prima di attraversare la strada.
Jared doveva essere già dentro. Perfetto! C’era solo un problema: lui era dentro, lei era fuori.
Non poteva di certo presentarsi alla porta con un: “Salve, sono venuta qui per rapire il vostro modello! Me lo prestate un attimo, poi ve lo rispedisco per posta dopo Natale?” No. Decisamente non poteva.
Studiò un momento la situazione. Altro che studiolo di periferia di un fotografo squattrinato. Quello lì aveva fior di quattrini, e si vedeva.
Fior di quattrini... studio grande... tanto lavoro... fior di segretarie! Pensò Valentina, appostata fuori dalla porta. Mentre si complimentava con se stessa per l’idea geniale che aveva avuto, prese coscienza dello stato indecente in cui si trovava. Capelli per aria, stivali bagnati, giacca macchiata dallo scontro col taxi, occhiaie e aria sconvolta con tanto di luce folle negli occhi. Sconfortata, si appoggiò contro la parete dello studio, con un sospiro. Ma che diamine stava facendo? Tutto ciò era assurdo, patetico... surreale. Ma poi, in fin dei conti, anche se la sua reputazione fosse stata rovinata, che importava? Oddio, importare, importava. Tutti l’avrebbero sfottuta fino alla fine dei tempi. Però, alla fine, pazienza. Se ne sarebbe fatta una ragione.
Si voltò verso la porta, alla sua sinistra. Ormai era in gioco, tanto valeva giocare.
Inforcò gli occhiali da sole ed entrò nello studio con enorme nonchalance.

***
Quella mattina, Jared aveva una strana sensazione addosso.
Mentre addentava uno dei suoi amati pancakes vegani, faceva il punto della situazione, riepilogando tutto quello che avrebbe dovuto fare durante la giornata.
Sembrava tutto sotto controllo. E allora che era quel senso di pericolo che si sentiva addosso?
Il taxi del giorno prima lo aspettava fuori dalla porta, puntualissimo.
-Bonjour, grazie mille, amico. Andiamo allo studio fotografico di Jean Paul Sartre in rue...
-Oh, conosco la strada, nessun problema. Allora, come si trova a Parigi?- lo interruppe il tassista, allegro.
Jared si accomodò sul sedile posteriore, iniziando a guardare fuori dal finestrino, mentre la macchina partiva. –Bene, come sempre. Speriamo che oggi non sia una giornata sfortunata come ier...
Non fece in tempo a finire la frase, che il tassista frenò con un’esclamazione in francese e si sentì un tonfo. Jared alzò di scatto la testa. Gli sfuggì un’imprecazione. Avevano quasi investito una ragazza dall’aria estremamente trafelata, che adesso si trovava appoggiata al cofano con gli occhi sgranati. Un attimo e poi corse via.
-Non ci posso credere, ma chi insegna ai bambini ad attraversare la strada? EH?! Dopo crescono, ed ecco i risultati! E per fortuna non si è fatta niente, quella svitata, altrimenti sarei finito nei guai io!- iniziò a blaterare il tassista, quasi più scosso della ragazza investita. Jared tirò un sospiro di sollievo, superando lo spavento iniziale, e tornò a guardare la città che scorreva fuori dal suo finestrino. Vide di sfuggita la ragazza infilarsi in una strada secondaria in tutta fretta.
Chissà dove andava correndo in quel modo.
Forse aveva un appuntamento.
Appena arrivati allo studio fotografico, Jared ringraziò e congedò l’autista, per poi avviarsi.
Jean Paul era un tipo bizzarro.
I lati della testa rasati, una specie di ciuffo biondo spiaccicato sulla fronte, indubbiamente tinto, magrissimo, avvolto in una camicetta nera con le maniche bordate di pizzo e in un paio di pantaloni a righe, indossava un paio di scarpe di vernice dello stesso colore del ciuffo e guardava tutti dall’alto in basso. Ci guardò persino lui, non appena se lo trovò di fronte.
–Jared Leto, o un suo sosia, suppongo.
Jared annuì. Solo allora Jean Paul abbandonò la sua espressione arrogante e scoppiò a ridere di una tremenda risata nasale che a Jared fece quasi venire i brividi. Gli strinse la mano con entrambe le sue e iniziò a scuoterla vigorosamente. –Benevenuto, benvenuto, ti stavamo aspettando! Posso darti del tu, vero? Tu puoi chiamarmi Gigì se ti va.- iniziò a blaterare. Jared rimase impietrito, fissando inorridito quello strano scherzo della natura che aveva di fronte.
-O...okay. Vogliamo iniziare?- tagliò corto, imponendosi di stare calmo. Il volto di Jean Paul si trasformò improvvisamente nel serioso ritratto della professionalità. –Certamente. Di qua, prego.
Jared lo seguì in una delle stanza adiacenti, dov’era il set fotografico. Non vedeva l’ora di aver finito.

Dopo un’ora di scatti e di cambi d’abito con il chiacchiericcio di Gigì di sottofondo, non si sarebbe stupito se, guardandosi allo specchio, avesse scoperto di avere una mongolfiera al posto della testa.
Stava rivestendosi in un camerino a un angolo della stanza, quando sentì entrare qualcuno.
Non capì quello che stava dicendo la ragazza che era entrata, né quello che le rispose Gigì.
-Ma tu chi sei?- sentì, solo, mentre infilava in tasca il suo blackberry e usciva dal camerino.
-Mi ha assunto la scorsa settimana insieme a Roxanne, non ricorda? Sono Amélie D’Alembert.
Appena vide arrivare Jared, la ragazza tacque.
Jean Paul lanciò un’occhiata al suo costoso orologio e si portò una mano alla bocca con un gridolino raccapricciato. –E’ tardi! E’ TARDISSIMO!- esclamò, impallidendo di colpo. Strinse di nuovo la mano a Jared farneticando cose che quest’ultimo nemmeno ascoltò.
-Amélie, accompagna il signor Leto all’uscita, io devo scappare- concluse, andandosene quasi di corsa.
La ragazza lo guardò allontanarsi perplessa, Jared nemmeno se ne curò.
-Allora? Andiamo?- fece, stropicciandosi gli occhi.
Amélie sobbalzò, annuì frettolosamente.
-Mi segua.
Jared obbedì. Lungo il corridoio, notò che la ragazza camminava in modo strano. Scarpe tacco dodici. Tutte le indossavano, lì dentro.
Ma tu pensa che tipo ‘sto Jean Paul. Anche le segretarie in divisa. E che divisa...
Ma la conferma che quella proprio non sapeva camminare su quei trampoli arrivò un minuto dopo. Amélie fece per prendere dal guardaroba la giacca di Jared, ma si storse una caviglia e crollò malamente a terra, trascinandosi dietro giacca, gruccia e quasi mezzo armadio.
-Tutto bene?- fece lui, aiutandola ad alzarsi. Lei lo guardò appena, tentando di riguadagnare l’equilibrio perduto. Abbozzò un sorriso, ma le venne malissimo. Gli porse la giacca e solo allora si accorsero che era strappata.
Jared alzò gli occhi al cielo. Amélie impallidì.
-Ehm...
-Fa niente, non ti preoccupare.- tagliò corto lui, prendendosi la giacca. Ne avrebbe comprata un’altra.
La ragazza stava per dire qualcosa, ma all’improvviso sgranò gli occhi, come se avesse visto qualcosa che non avrebbe voluto. Jared si voltò nella sua stessa direzione, incuriosito, ma Amélie istintivamente glielo impedì prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a voltarsi verso di lei. Ritrasse subito le mani, imbarazzata. –Per sdebitarmi l’invito a pranzo, signor Leto.- disse, afferrando una borsa dal guardaroba e togliendosi le scarpe. Lui era sempre più perplesso. Stava per replicare, ma Amélie lo prese sottobraccio e quasi lo trascinò fuori dallo studio, senza lasciargliene il tempo.
Si allontanarono velocemente e a malapena udirono il grido d’orrore di Gigì, che si era appena accorto che la vera Amélie si trovava rinchiusa in un bagno da un paio d’ore e che dalla stanza dove tenevano le uniformi delle impiegate mancava un completo.

Jared era troppo sconcertato per fare qualsiasi cosa, così lasciò che Amélie se lo trascinasse dietro per diverse decine di metri, prima di reagire.
-Senti, per la giacca non importa, non c’è bisogno che m’inviti a pranzo.- disse, fermandosi di botto, riprendendo coscienza del suo ruolo nel mondo. Lui era Jared Leto, insomma. Invece quella lì era una sfigata ragazzina francese di almeno quindici anni più giovane di lui, che faceva da segretaria a un tizio estremamente inquietante. E che camminava sull’asfalto bagnato senza scarpe.
La ragazzina in questione si fermò e gli piantò in faccia uno sguardo affannato. Sembrava che stesse cercando di fare qualcosa senza avere la minima idea di come fare.
-Per cui, ti saluto. E mettiti le scarpe.- fece Jared, senza aspettare una sua risposta. Girò i tacchi e s’incamminò, lasciandola impalata in mezzo al marciapiede con quell’aria da deficiente e la bocca socchiusa, come se fosse sul punto di dire qualcosa.
-Ehi! Razza di antipatico che non sei altro! Lo sapevo che eri una diva, ma non mi aspettavo fino a questo punto!
Jared si fermò, interdetto. Veramente, questa non se l’aspettava. Si voltò lentamente, offeso. Paradossalmente, quella scena somigliava a un film western. Sarebbe stato anche buffo, se solo non fosse stato leso l’onore di una diva e quello di una ragazzina che non aveva alcuna intenzione di farsi mettere i piedi in testa.
-Credo di non aver capito bene.- fece Jared, a denti stretti.
La ragazzina non fece una piega, continuando a guardarlo con occhi brucianti d’irritazione.
-Oh, sì che hai capito, invece. Hai capito benissimo.

Valentina non ci stava proprio. No. Dopo tutto quello che aveva passato per colpa di quello stupido uomo di mezza età con i capelli più lunghi e belli dei suoi, non ci stava a farsi trattare in quella maniera.
Non avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe insultato Jared Leto. Ma quel giorno era arrivato, per quanto potesse essere assurdo.
Era quasi andata sotto a un taxi. Aveva già sopportato una sequela infinita di figuracce. Aveva chiuso una tizia in un bagno e le aveva fregato l’identità per potersi avvicinare a lui. Aveva dovuto indossare una stupida minigonna e aveva dovuto camminare su dei trampoli per colpa dei quali si era quasi rotta una gamba. Aveva dovuto parlare con un essere che sembrava uscito da una delle peggiori puntate di “Ma come ti vesti” che si faceva chiamare Gigì. Gigì! Stava camminando scalza sul marciapiede di Parigi. Bagnato. Aveva freddo. E lui, Jared, quell’antipatico megalomane mestruato, osava trattarla in quel modo?! Okay che l’aveva praticamente rapito e gli aveva strappato la giacca, ma non gli aveva mica fatto sparire la sua riserva segreta di guacamole, accidenti!
Jared aveva un’espressione a metà tra l’indignato e il perplesso.
-Ammetto che questa è una cosa che non mi capita spesso. Di solito le donne cadono ai miei piedi- disse, alzando un sopracciglio: -e non mi danno della... diva antipatica. Forse tu non sai chi sono io.
Valentina scoppiò a ridere. –Oh, se lo so! Lo so fin troppo bene, non temere...- rispose, con una punta d’acido nella voce: -E’ per questo che non ti permetto di scaricarmi in questo modo.
-Senti, non so cosa tu ti sia messa in testa, ma io sono qui per lavorare e non per farti da baby-sitter. Perciò facciamo finta di non esserci mai incontrati e addio, okay? Ti saluto.- concluse Jared, facendo di nuovo per andarsene.
Valentina lasciò cadere le scarpe e se ne andò per la sua strada, stizzita. Aveva ragione lui. Che si era messa in testa?
Stava girando l’angolo della strada dove si trovava l’albergo, proprio dove quella mattina era stata quasi accoppata dal taxi, quando si trovò faccia a faccia con Jared. Di nuovo. Lo guardò perplessa. Che diamine ci faceva lì?
Al vederla, lui ebbe più o meno la stessa reazione.
-Mi stai seguendo?!- sbottarono, stereofonici. –No!- risposero, di nuovo all’unisono. Entrambi sbuffarono. La scenetta stava per ripetersi, ma Jared tappò la bocca a Valentina.
-Non seguirmi, va bene? Non. Devi. Seguirmi!
Lei si tolse la sua mano dalla faccia con un gesto secco.
-Io non ti sto seguendo! Casomai tu stai seguendo me, anche se non capisco perché!
Jared si esibì in una risatina irritata. Se andava avanti così, l’avrebbe ammazzata, ne era sicuro. Poi, all’improvviso, si ricordò di quella mattina. La tizia semi-spiaccicata sul cofano del taxi. Smise all’istante di ridere.
-Eri tu!
Valentina sobbalzò. –Io? Io che?
-Stamattina, quella matta che attraversava di corsa la strada... eri tu! Ma allora è da stamattina che mi pedini! Idiota, per poco non ti ammazzava, il tassita, dopo ci sarei finito di mezzo pure io, lo sai questo?
-M...ma... quindi in quella macchina c’eri tu? E io non me ne sono accorta?! Cioè, potevo risparmiarm... vabbe’, lasciamo perdere. Mi dispiace di essere stata quasi uccisa, vostro onore, farò in modo che la cosa non si ripeta.
Jared era lì lì per metterle le mani addosso, ma s’impose di calmarsi. Non poteva andare in giro e strozzare la gente, no, no, non poteva... per quanto in quel momento gli avrebbe fatto piacere. Moltissimo.
-Okay. Va bene. Manteniamo la calma, parliamo da persone civili. Mi spieghi per favore chi diamine sei e che ci fai qui? Magari scopriamo che non c’è bisogno di denunce, avvocati e processi...- le lanciò un’occhiata dall’alto in basso -...da cui tu sicuramente usciresti sconfitta.
Per tutta risposta, lei starnutì un paio di volte. Jared avvertì un lieve senso di colpa strisciargli nello stomaco. Forse era vero che si era comportato come una diva acida. Oddio, era vero anche che aveva ragione, però...
-Non è una storia interessante.- disse Valentina, che aveva fatto appena in tempo a rimettersi le sue scarpe ed era congelata.
-Lo decido io che cos’è interessante e cosa non lo è. Se hai bisogno di cambiarti parlo con quelli dell’hotel e ti faccio entrare.- replicò Jared. Valentina si morse un labbro, come se avesse improvvisamente raggiunto un’importante consapevolezza.
-Tu alloggi qui. Vero?- disse, indicando l’hotel a cinque stelle alla sua sinistra. Jared annuì e lei desiderò ardentemente avere una pistola per porre fine alle sue sofferenze una volta per tutte. –Perfetto. Io alloggio lì.- continuò, indicando il suo hotel: -E se avessi saputo prima questa cosa, molto probabilmente niente di tutto questo sarebbe successo.


 
 
 
-Note dell’autrice-
Forse questo capitolo avrebbe dovuto intitolarsi: “Storia di una divaH antipatica” :’)
No, okay, lo sappiamo tutti che tipo è Jared. In questo capitolo mi serviva il suo lato odioso e quindi ce l’ho messo, tutto qua xD
Spero che questa paginetta, scritta velocissimamente una settimana fa, piaccia a voi più di quanto piace a me (e cioè, sarò sincera, poco). La mia vena comica sembrava essersi esaurita, ma l’ho ritrovata e adesso sto cercando di farla riemergere andando avanti con la storia.
Niente, grazie a tutti quelli che hanno la pazienza di leggere una boiata simile xD
Non c’è bisogno di dire che i nomi e i personaggi francesi presenti sono tutti inventati, right?
Buon Non-Compleanno a tutti.
-Valentina

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Capitolo 4
*** Bon apetit, Monna Lisa! ***


Capitolo IV


Finalmente liberatasi di quella sottospecie di straccetto che la gente aveva il coraggio di chiamare “gonna”, con addosso i suoi confortevoli jeans e una bella giacca a vento, Valentina stava decisamente meglio.
Alla fine ce l’aveva fatta. Era a pranzo con Jared Leto.
Oddio, non era proprio il pranzetto romantico che avrebbe sognato, ma alla fine chi se ne importa, adesso aveva ben altro per la mente... anche se non poteva fare a meno di guardare all’uomo che aveva davanti con una leggera soggezione.
Aveva fatto così tanto per lei, con la sua musica e le sue parole, in quegli anni...
-Allora- fece lui, costringendola ad abbandonare la sua espressione imbambolata e a darsi un certo contegno: -cominciamo con le presentazioni. Tu sai chi sono io, ovviamente, anche perché se no dubito che ci troveremmo in questa bizzarra situazione, ma io non so chi sei tu, Amélie.
Valentina rigirò la forchetta nel piatto. Mai più ordinare la pasta all’estero.
-Okay, ho fregato l’identità a una delle dipendenti di Gigì. Ma l’ho fatto solo a fin di bene!- esclamò, alzando la forchetta e quasi puntandola in faccia a Jared, che si scostò allarmato.
-Eeeee, per quanto io possa avere dei dubbi sulla bontà dei tuoi scopi... tu saresti...?
-Valentina. E sono venuta apposta dall’Italia per...- Valentina si morse la lingua. Non poteva davvero svelargli il suo piano. L’avrebbe denunciata, sarebbe scappato, avrebbe chiamato la polizia, l’esercito, tutti i suoi sforzi sarebbero andati in fumo! No, doveva inventarsi qualcosa.
-...per cercare lavoro.
Jared la scrutava sospettoso mentre mangiava la sua ratatouille.
-E’ la verità?- chiese, a bocca piena.
Valentina fece del suo meglio per essere convincente.
-Perché dovrei inventarmi una scusa del genere?
Lui fece spallucce, rivolgendo di nuovo al piatto la sua attenzione. –Che ne so, io. Voi italiani siete... strani. Ecco tutto.
Valentina lo minacciò di nuovo con la forchetta, stavolta consapevolmente. –Ehi, bada a come parli, signor America.- lo rimbeccò, infastidita.
Jared si pulì la bocca col tovagliolo, impassibile. –Adesso spiegami che c’entro io con la tua ricerca.- disse. Valentina, che nel frattempo aveva pensato bene di bere un sorso d’acqua, a momenti si strozzò.
E adesso che gli raccontava?
L’aiuto venne repentino e inaspettato. Un dono dal cielo.
Un mucchio di flash iniziarono a lampeggiare da fuori la finestra accanto al loro tavolo. Jared sbiancò di botto, con gli occhi sgranati. –Oh, no... mi hanno trovato, maledizione...- mugugnò, già facendo il conto di tutte le possibili vie di fuga per sfuggire all’assalto dei paparazzi. Mentre il suo sguardo vagava disperato per il locale, incontrò la faccia interrogativa di Valentina. Fece due più due.
Loro due, soli, in un ristorantino a Parigi, a pranzo, un maschio e una femmina, durante le feste di Natale.
Il pallore di Jared si fece assoluto.
-T...tu! Adesso penseranno che ho una storia con te!- esclamò, terrorizzato. Valentina deglutì, preoccupata. In effetti, poteva essere un bel guaio. –Stai tranquillo, vedrai che...
Ma in quel momento l’orda barbarica dei fotografi scandalistici irruppe nel locale, seminando il panico tra gli altri clienti e segnando la disperazione definitiva di Jared, che nascose la faccia dietro al tovagliolo.
Dov’è la mia macchina del teletrasporto, eh? E il mio mantello dell’invisibilità?
Valentina si aggrappò al tavolo, stordita dai flash e dalla quantità abnorme di domande di quegli schizzati invadenti.
Guardò disperata Jared, alla ricerca di aiuto. Lui avrebbe saputo come ci si doveva comportare in quelle circostanze, no? Insomma, era famoso da decenni, doveva saperlo! Eppure in quel momento non sembrava proprio saper che fare.
-A...allora, innanzitutto calmini calmini, eh...- balbettò, grattandosi nervosamente il collo. Ma i parassiti non mollavano. Avevano tra le mani un scoop cla-mo-ro-so! Jared Leto che usciva con una ragazza infinitamente più giovane di lui e la portava a trascorrere un romantico week-end nella città dell’amore, in barba a tutti gli eventi che lo aspettavano a Los Angeles! I profitti derivanti da una notizia del genere superavano di gran lunga persino quelli della notizia del braccio rotto di Kristen Stewart!
Valentina sentiva la testa pulsare. Doveva fare qualcosa, subito. Jared sembrava in enorme difficoltà, il che era strano, considerata la sua notissima faccia tosta e la sua parlantina micidiale. Le sembrava di essere finita in un incubo.
-SMETTETELA!- strillò, scattando in piedi. Tutti i presenti, Jared, clienti e camerieri compresi, la guardarono basiti.
-POTREBBE ESSERE MIO PADRE, DANNAZIONE! COME FACCIO A ESSERE LA SUA FIDANZATA, EH?! MA PENSATE A COMPRARE I REGALI DI NATALE, INVECE DI STRESSARE LA POVERA GENTE IN VACANZA!
I paparazzi si lanciarono occhiate stupite e incerte. Valentina si complimentò con se stessa. Aveva vinto. Anche Jared stava per azzardarsi a tirare un sospiro di sollievo.
-E quindi come la spiegate questa faccenda, se non state insieme? Sei la figlia? La nipote? La nonna? La vicina di casa? La baby sitter? La badante? EH?!- Le domande ricominciarono a valanga. Jared nascose la faccia tra le mani con un’imprecazione. Valentina non sapeva più che inventarsi.
-Gentili giornalisti- disse, con voce soave: -risponderemo a tutte le vostre domande fuori dal locale. Non vedete che stiamo infastidendo i clienti? Jared, la giacca, prego. Datemi il tempo di pagare il conto, suvvia.
Jared si alzò e s’infilò la giacca, con pensieri omicidi ben precisi in testa. Quell’italiana l’aveva cacciato in un grosso casino. Avrebbe pagato.
Ho ucciso per molto meno. pensò, seguendola all’uscita, a sua volta seguito dal codazzo di giornalisti.
Appena fuori, tutti tirarono fuori taccuini, penne e registratori, pronti ad accogliere e manipolare tutte le succose notizie che avrebbero ricevuto. Non vedevano l’ora di trasformare un innocuo pranzo in uno scandalo mondiale dal quale Jared avrebbe potuto uscire rovinato.
Valentina sfoderò un sorriso a ottanta denti.
-La verità è che io e Jared non siamo fidanzati...- disse, afferrando la mano di Jared, che in quel preciso istante avrebbe voluto incenerirla. Non capiva che in quel modo peggiorava solo la situazione?
I paparazzi sembravano avvoltoi che girano attorno a una carcassa, con la bava alla bocca e gli occhi luccicanti.
-...ma...- proseguì Valentina: -...siamo venuti qui solo per fare...
Per fare che? Sentiamo! Tanto, peggio di così... pensò Jared, ormai rassegnato al suo triste destino.
-Jogging.- concluse Valentina, e in quel preciso istante si mise a correre a più non posso, trascinandoselo dietro. I paparazzi rimasero un istante immobili, come congelati, perplessi. Poi si resero conto che la loro preda stava scappando e aveva appena rischiato di provocare un tamponamento a catena attraversando la strada, così si lanciarono all’inseguimento.
-Ci inseguono!- fece Jared, correndo a perdifiato dietro a quella squinternata che tuttavia sembrava sapere esattamente dove andare. Lei si voltò un istante, annuì e svoltò in una stradina laterale.
-Almeno sai dove stiamo andando?!- sbraitò lui, constatando che non aveva altra scelta che seguirla, in ogni caso.
-Che ti frega, basta che li seminiamo! Tu fidati di me!- fu la secca e perentoria risposta, che ebbe il potere di zittirlo definitivamente.
Dopo aver girato ogni singolo angolo immaginabile di quel quartiere e aver percorso ogni singola stradina defilata, si ritrovarono a correre lungo la Senna, con i fotografi ancora alle calcagna che strillavano cose tipo “Eccoli! Li prendiamo! Lo scoop non ci scappa!”.
A quel punto, allo scoperto e senza sapere più dove andare, Valentina iniziò a trovarsi in difficoltà. Si fermò un attimo per scegliere la direzione e Jared quasi le finì addosso, per poi voltarsi con apprensione verso i paparazzi.
-Non vorrei metterti fretta- ansimò: -Ma quelli ci raggiungono!
-Di qua!- lo interruppe Valentina, scendendo in un battibaleno sulla riva del fiume, da dove partivano i bateaux mouches. Ce n’era uno che aveva appena levato gli ormeggi e già si stava staccando dal pontile.
-MUOVITI!- ordinò l’italiana, saltando a bordo. Jared non se lo fece ripetere e in un istante furono salvi. I paparazzi rimasero sul ponte, delusi e stizziti per essersi lasciati sfuggire una così succulenta possibilità di scoop.
A quel punto, Valentina scambiò poche parole col capitano, dalla cui faccia si capiva che avrebbe voluto buttarli fuori bordo all’istante, e pagò quanto dovuto.
Jared rimase appoggiato al parapetto, riprendendo fiato. Capitavano tutte a lui. Tutte.
Valentina si appoggiò di fianco a lui con un sospiro.
-Di’ un po’, avevi previsto anche il bateau mouche?- chiese lui.
Valentina gli lanciò un sorriso soddisfatto. –Certo che no.- rispose.
Jared non poté fare a meno di sorridere a sua volta, stupito.
-Niente male per essere un’italiana disoccupata e fastidiosa.
-Grazie. E tu corri bene, per essere un vecchietto.
Il sorriso di Jared si spense di colpo. Valentina si voltò dall’altra parte, fischiettando.
La barca proseguì il suo giro turistico per ancora una mezz’ora. Valentina cominciò a saltellare con aria eccitata e gli occhi lucidi appena passarono accanto alla cattedrale di Notre-Dame e Jared dovette riacchiapparla al volo prima che finisse in acqua per essere inciampata in un salvagente.
Dal canto suo, lui litigò con un gabbiano che giustamente aveva scelto proprio la ringhiera dov’era appoggiato lui per fermarsi un attimo e strillargli in un orecchio.
Per sicurezza, decisero di scendere sulla riva opposta della Senna, vicino al Pont des Arts, dal quale avrebbero potuto tornare senza particolari difficoltà agli alberghi.
-Anche se mi costa ammetterlo, e anche se in questo casino mi ci hai cacciato tu- disse Jared, mentre camminavano lungo la Senna: -forse da solo non sarei riuscito a sfuggire a quelle iene.
Valentina lo zittì con un gesto della mano, sistemandosi i capelli con aria estremamente orgogliosa di se stessa, della sua capacità di inventare/raccontare frottole lampo e delle sue prestazioni atletiche sulle quali non aveva mai fatto affidamento.
-Non serve che mi ringrazi. Il dovere è dovere.- rispose. Era una vita che sognava di dire una frase del genere. Jared la guardò con una mezza espressione di disgusto.
-Non ti sto ringraziando.
-Ah.- la baldanza di Valentina si sgonfiò come un palloncino bucato e lei riprese a guardare a terra, umiliata.
Jared prese fiato e infilò le mani nelle tasche del trench nero con cui aveva sostituito la sua giacchetta strappata di quella mattina. –Tuttavia, non si dica che Jared Joseph Leto è un ingrato.
Valentina lo guardò senza sapere esattamente cosa aspettarsi.
Dimmi che vieni in Italia con me di tua spontanea volontà e mi farai felice per sempre.
-Avanti. Spara. Quanto vuoi per avermi salvato da quelli?- fece lui, tranquillissimo. L’italiana sapeva che se gli avesse chiesto di accompagnarla in Italia per Natale si sarebbe beccata uno schiaffo e oltretutto non l’avrebbe più rivisto. Doveva cercare di farselo amico per poterlo convincere in seguito.
Vedendo che non rispondeva, Jared s’insospettì. Sperava veramente di non doversi pentire del suo slancio di generosità. Valentina si guardò un po’ intorno e il suo sguardo cadde su un cartello.
-Mi accontento di una visita al Louvre.- disse, molto tranquillamente. Jared sembrò sollevato.
-Perfetto. Andiamo.
Valentina sgranò gli occhi. –Come sarebbe a dire? Adesso?- Odiò fortemente la piega ironica che prese la bocca di Jared in quel momento. –Hai qualcosa di meglio da fare?
Entrarono nella piramide di vetro dopo aver fatto solo venti minuti di fila e Jared si presentò alla biglietteria. Valentina lo seguiva ad alcuni passi di distanza, rimuginando su come potesse fare per convincerlo a seguirla in Italia senza ricorrere a metodi troppo drastici o troppo violenti.
-Due biglietti, per favore.
Il bigliettaio, un corpulento uomo in divisa con una folta barba bianca, si guardò intorno. 
-Due?
Jared si voltò per vedere dove fosse finita la sua bizzarra accompagnatrice. Non si sarebbe stupito se l’avesse trovata in qualche situazione potenzialmente pericolosa o paradossale. Per fortuna stava solo guardandosi intorno con aria un po’ da demente, in effetti.
–Sì, la vede quella con quell’espressione poco intelligente? E’ con me, per quanto possa sembrare strano.
Il bigliettaio annuì e gli fornì i biglietti. –Siete stati fortunati, monsieur. Oggi è venerdì, il museo è aperto fino alle 21.30.
Jared lanciò l’ennesima occhiata a Valentina. Fino a quell’ora con lei? Ma neanche morto. Prima se la levava dai piedi, meglio era.
-Ehi, Valentina. Andiamo.


Antichità orientali, egiziane, dell’Africa e delle Americhe passarono velocemente e Valentina non se le godette, immersa nelle sue congetture.
Ma appena arrivarono al primo piano, la faccenda cambiò e lei sembrò scordarsi totalmente di Jared e dello scopo del suo viaggio, troppo impegnata com’era a mangiarsi con gli occhi statue greche e romane e dipinti di tutte le epoche che aveva visto solo sui libri. Dopotutto, per una che studiava anche storia dell’arte, quel posto era tipo paese della cuccagna.
Anche Jared doveva ammettere che forse non era stato proprio un male andare lì.
-Uh! Guarda quello! Lo sai che è stato ritrovato nel Mediterraneo negli anni...
L’unico problema era lei. Non faceva altro che parlare e parlare e parlare... peggio delle snervanti audio guide che distribuivano all’ingresso. Almeno le audio guide non ti acchiappano per la giacca e ti trascinano a destra e manca modello flipper impazzito.
-Valentina. Ti calmi per favor...
-ODDIOMIOLANIKEDISAMOTRACIAAAAAAH!
-O...okay. Adesso però calm...
-Maaaaaaaaaaammaaaaa! Guarda che bella, che spettacolo, guarda la luce come la scolpisce, guarda! Non ti sembra viva? E’ stupenda, peccato solo per la testa...
Alla fine, Jared rinunciò a tentare di calmarla. Era inutile.
Stranamente, fu proprio Valentina, pur nello stato semi-confusionale da fangirleggiamento artistico in cui si trovava, ad accorgersi che, ovunque si girasse c’era sempre lo stesso tizio. Poteva essere una coincidenza. Lì per lì non ci aveva nemmeno fatto caso.
Un tizio comune, con la barba bianca, un ridicolo cappello di lana rosso e un bel paio d’occhiali tondi. Grasso. Se avesse avuto tre anni, probabilmente avrebbe pensato che era Babbo Natale in incognito.
Ma, fortunatamente, era cresciuta abbastanza e a certe scemenze non credeva più da tempo.
Decise di provare se era solo una coincidenza o se i suoi sospetti erano fondati.
-Ehi, Jared, che ne dici di andare a vedere una meraviglia tutta italiana?
Jared si rimirò le unghie, indifferente. –Sarebbe?
Valentina lo prese sottobraccio con un sorriso smagliante, sempre tenendo d’occhio il sospettato.
–La Gioconda.- disse, costringendo Jared a seguirla nella stanza adiacente, piena di turisti. Lui si guardò intorno, incuriosito. –Dov’è?- chiese. Valentina si alzò sulle punte, tentando di sbirciare oltre le teste dei turisti. –Laggiù!- esclamò, indicando un punto indefinito davanti a lei. Jared le si avvicinò, cercando di vedere. La Gioconda sembrava un francobollo, quasi invisibile da quella distanza e con tutte quelle persone davanti. –Accidenti...- commentò Jared, seccato. Troppa folla, troppa attesa. Lui odiava aspettare.
-Ho un’idea- disse, all’improvviso, illuminandosi. Valentina gli rivolse uno sguardo interrogativo.
I due si infilarono tra le persone fino ad arrivare a una distanza accettabile dal quadro.
-Fai finta di svenire.- sussurrò Jared all’orecchio della compagna.
-Che?- fece lei, sicura di non aver capito bene. Il volto di lui si fece di nuovo seccato. –Lo vuoi vedere, quel quadro? Allora svieni. Al resto ci penso io.
-In che senso ci pensi t...
-Fallo e basta.
Valentina sospirò, lo guardò storto, poi si voltò a destra e sinistra, dando un’occhiata in giro.
-Oh, svengo, mon Dieu!- esclamò, alla fine, lasciandosi cadere a peso morto con aria estremamente teatrale. Jared la riacchiappò prontamente. –Sta male, sta male, ha bisogno d’aria! Fate largo, per piacere, non vedete che sta male? Le serve ossigeno, via, scansatevi!- disse, facendole aria con una mano mentre la sorreggeva con l’altro braccio.
Adesso capisco perché ha vinto l’Oscar... pensò Valentina, divertita. Puntualmente, tutti i presenti fecero largo, con mormorii preoccupati. Molti se ne andarono, ma comunque, quelli che rimasero si spostarono verso le pareti, lasciando un largo vuoto in prossimità del quadro.
Jared appoggiò a terra Valentina, fingendosi preoccupato.
-Non è niente, dev’essere stato il caldo, ora ci penso io, tranquilli.
Al sentire quelle parole, Valentina iniziò a preoccuparsi. Che prevedeva adesso il suo brillante piano? Forse, tornata a casa, avrebbe potuto raccontare di essere stata rianimata da Jared Leto? Una cosa del genere, nemmeno nei suoi più rosei sogni adolescenziali.
Jared trattenne un sorrisetto soddisfatto e le mollò uno schiaffo in piena faccia. Valentina saltò su all’istante, pronta a dirgliene quattro, ma si ricordò in tempo della loro recita, per cui si trattenne.
-Oh!- sorrise Jared: -Sta bene, meno male! Visto? Non era niente di cui preoccuparsi!
Lei si esibì in un sorriso tirato, ma lo fulminò con gli occhi. Lui ricambiò con un’espressione estremamente divertita e compiaciuta, mentre le dava una mano ad alzarsi. I visitatori tornarono ai loro posti, ma ormai loro due avevano guadagnato un posto in prima fila e riuscirono a godersi il capolavoro di Leonardo senza tanti fastidi.
-Allora?- le sussurrò lui.
-Allora che?
-Che ne dici della mia performance?
-Meglio di Dallas Buyers Club, oserei dire.
Valentina si lasciò sfuggire un sorriso. Jared tornò a guardare Monna Lisa, soddisfatto.
-Be’, no. Lì portavo i tacchi.




 
-Note dell’autrice-
Rieccomi con un nuovo episodio. Il disagio aumenta in maniera esponenziale mano a mano che si va avanti, ma è nell’ordine naturale delle cose, credo :’)
E niente... il mantello dell’invisibilità, special guest, probabilmente non c’entra nulla con Jared, però siccome rendeva l’idea, ce l’ho imbucato.
E niente... Enjoy! Alla prossima :’)
-Valentina

 

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Capitolo 5
*** Una (quasi) notte al museo ***


Capitolo V

Lo doveva ammettere. Quel pomeriggio non era stato così tremendo come si era aspettato.
Oddio, era stato frenetico. Però, tutto sommato, non male.
Si sarebbe quasi azzardato a pensare di aver giudicato male quella buffa ragazzina italiana, ma!, anche se l’avesse fatto, non l’avrebbe mai detto.
Specialmente a lei. Per non farle montare la testa.
Però era una mina vagante.
L’aveva persa di vista un secondo ed era sparita.
-Dov’è finita quella rincoglio...
-Ehi! Signor Leto jr, non me l’avevi detto che i biglietti valevano fino alle 21.30!
Jared si morse un labbro. Eccola, era tornata. E ti pareva.
-Ehm... no. Perché in realtà io dovrei andarmene. E non ho intenzione di saltare la cena.- rispose.
-Oh, per la cena non c’è problema. Ce la passa il museo. Questa è una serata speciale- fece Valentina, mentre fissava un quadro lì di fianco, analizzandone ogni singolo particolare.
Jared sospirò. –Ah, sì? E tu che ne sai?
Guarda tu, eh. Aveva previsto tutto, la streghetta, mi ha incastrato, vedrai...
-Veramente l’ho appena scoperto da un gentile signore, altrimenti non ne avrei avuto la minima idea.
-Quale gentile signore?- chiese Jared, infilando le mani in tasca.
Valentina alzò le spalle. –E chi lo conosce? Era uno con la barba bianca...- rispose. In realtà era andata lei a parlarci apposta, per accertarsi che non li stesse seguendo. Così facendo, aveva ricevuto quella bella notizia. 
Jared annuì. Faceva lo stesso. 
-Be’, tu puoi restare, ma io vado. 
Valentina si voltò, con un’espressione lievemente delusa. –La vita segreta delle star di Hollywood ti reclama, immagino.
Lui alzò un dito, pronto a replicare, ma lei lo interruppe. 
–Ah, no, scusa... Forse è la vita segreta delle rockstar. Chiedo venia.
-Senti...
-No, no, scusa, non prendertela. Perdonami, sai, io sono solo una plebea che ti è capitata tra i piedi per caso, mica è colpa tua. Però- e qui Valentina gli passò davanti per andare ad inchiodarsi davanti a un altro quadro, con un sorrisetto tremendamente irritante: -questa plebea qui ti ha salvato lo shatush, maestà. Sei un pochino in debito...
A quelle parole, Jared si acchiappò frettolosamente i suoi adorati capelli, come per metterli al sicuro. 
-Sei di una perfidia assurda.
Il sorriso di Valentina si allargò. 
-Ho imparato dal migliore. Per caso conosci i Thirty Seconds To Mars? Il frontman mi ha insegnato quasi tutto quello che so su perfidia, acidume, divaggine e... devo proseguire?
Lui incassò il colpo e tacque, guardandola offeso mentre si accarezzava i capelli. 
Valentina avvistò un guardiano e si avviò nella sua direzione per informarsi sul programma della serata. Mentre lo sorpassava, lanciò un’occhiata a quel buffo uomo di mezza età che se ne stava impalato in mezzo alla sala con un’espressione stupenda e i capelli stretti tra le mani. 
-Ma comunque gli sono grata. Per tutto quanto.- disse, passando oltre. Jared sospirò e ficcò di nuovo le mani nelle tasche della giacca. Aveva vinto lei, di nuovo. Avrebbe passato una serata alternativa.
Quando tornò, Valentina aveva la stessa faccia che probabilmente avrebbe avuto se avesse vinto al superenalotto. La sorpresa della serata era la visita guidata alle mummie del Louvre. E lei non vedeva l’ora di conoscere le loro storie.

***
Erano ormai quasi le 21 e un quarto. Valentina si aggirava tra i sarcofagi in modo inquietante, guardandoli dalle più impensabili angolazioni, alla ricerca di qualche segreto nascosto. Jared ormai nemmeno si vergognava più di stare in sua compagnia. Era come anestetizzato. La guida parlava, parlava, parlava, ma sinceramente era una noia mortale che lo costringeva a sbadigliare ogni tre secondi. 
-Ti stai annoiando?- fece Valentina, sbucando da un angolo imprecisato alle sue spalle. Lui sobbalzò e le lanciò un’occhiataccia. –Perché non ti comporti come tutte le persone normali, invece di gironzolare tra questi cadaveri mummificati come una pazzoide?
Lei lo guardò offesa. –Io mi sto annoiando. Andiamo.
-Andiamo dove? Che altro sta macchinando il tuo cervellino sottosopra?
-Andiamo a fare un giretto per conto nostro, lontano da questa guida noiosa, almeno vediamo qualcosa di interessante senza addormentarci. 
Jared rimase immobile, senza alcuna intenzione di assecondarla. Valentina indicò la guida, poi una mummia lì di fianco. 
-E’ più polveroso di quel faraone lì! Sta snocciolando giù date e date da due ore, non ce la faccio più!- piagnucolò, a bassa voce. Lui dovette ammettere che non aveva tutti i torti. 
-E va bene. Un giro veloce e poi ce ne andiamo a dormire, perché dopo una giornata come questa rischio d’invecchiare se non vado a riposarmi in un orario decente.
L’italiana non riuscì a trattenere una risatina. Jared passò subito sulla difensiva. –Che c’è?!
-Invecchiare? Tu? Ma fammi il piacere, non sei invecchiato finora, perché dovresti farlo adesso? A questo proposito... sono anni che mi faccio una domanda... Ma come fai a restare giovan...
-Eeeee sta’ zitta una buona volta, se non vuoi che chiami la polizia!
-La polizia? E perch...
-Ti faccio arrestare per stalking.
-...guarda che bella quella mummia!
I due si allontanarono dal gruppo e dalla guida soporifera, sgattaiolando via tra le teche dei reperti, tra le quali passarono almeno dieci minuti. Poi, Jared notò una porta. Che fosse un’uscita? L’aprì speranzoso e attento a non farsi vedere da Valentina, ma non fece quasi in tempo a togliere la mano dalla maniglia, che lei s’infilò dentro, rapidissima. –O-oooh, hai trovato proprio un bel posto!- esclamò. Jared sbirciò oltre la soglia. –L’uscita?
-Eh no, molto molto molto meglio! Un magazzino!
-Oh no. Cioè... c’è la luce?
Valentina ci mise un po’ a rispondere. –Non riesco a trovare l’interruttore, veramente.
Un’idea iniziò a lampeggiare allora nella mente di Jared, tipo insegna luminosa al neon. “Scappa”. Forse era meschino, da parte sua, fare quello che stava per fare. Però non aveva altra scelta, se voleva liberarsi di lei. Ormai il suo debito l’aveva saldato, poteva svignarsela.
-Continua a cercare- disse: -magari è in fondo alla stanza.
-Ma è troppo grande e troppo piena di cianfrusaglie, non posso esplorarla tutta!- replicò Valentina, tastando il muro alla ricerca di un interruttore. All’improvviso Jared chiuse la porta e lei piombò nell’oscurità più totale. –EHI!
-Ti saluto, tante grazie, alla prossima e... buon Natale!- fece Jared, da fuori, prima di svignarsela, lasciandola in quel magazzino buio e polveroso pieno di oggetti strani.
Soddisfatto della sua malvagità recuperata, l’americano si allontanò dal magazzino il più velocemente possibile e tornò nel punto dove lui e Valentina avevano lasciato il gruppo, poco prima, scoprendo che non c’era più nessuno. A quel punto si avviò verso l’uscita del museo, con un sospiro di sollievo. Non fece in tempo a uscire dalla stanza delle antichità egizie, che le luci si spensero di colpo con uno schiocco secco. Allibito, Jared tirò fuori dalla tasca il cellulare e controllò l’ora. Le 21.45. Il museo restava aperto fino alle 21.30. Gli ci volle un nanosecondo per fare due più due: era rimasto chiuso dentro al Louvre. 
Di notte.
In mezzo a inquietanti mummie ammuffite. 
E aveva rinchiuso l’unico essere umano vivo nei paraggi oltre a lui in un magazzino. 
Non poté trattenersi dallo sputar fuori tutte le parolacce che conosceva in tutte le lingue esistenti e non.
Nel frattempo, Valentina stava prendendo a testate il muro. Se c’era ancora qualche dubbio residuo sulla sua stupidità, in quel momento era stato fugato. 
-JAREEEED! TIRAMI FUORI DI QUI!- strillò, con tutto il fiato che aveva, cercando a tentoni la porta nel buio. Inciampò in uno scatolone e ruzzolò a terra, sbattendo contro un muro mentre un qualcosa di metallico, probabilmente un’armatura, le precipitava addosso con un fracasso tremendo.
Jared si guardò intorno, spaventato. Che cos’era quel rumore di pentole rotolanti che aveva appena sentito? 
Per l’amor del cielo, Jared. Non avrai mica paura dei fantasmi? Tu non hai mai avuto paura di niente, maledizione! Non sarà certo questo il momento in cui comincerai a credere a queste scemenze! Si disse, per farsi coraggio e recuperare un certo contegno. Per prima cosa doveva trovare l’uscita servendosi della fioca luce che proveniva dall’esterno. Si avviò in una direzione a caso, cercando di non urtare le teche e possibilmente di non finire in un sarcofago. 
-Io lo ammazzo. Giuro che appena esco da qui (se esco da qui) lo ammazzo e gli taglio tutti i capelli, a quel figlio di... Aspetta. Povera Constance, lei non c’entra niente. A quello psicopatico inquietante presuntuoso maniaco mangia-erbette precisino...- elencando una serie infinita di difetti assortiti e di insulti inventati, Valentina si liberò dai pezzi di metallo che le erano finiti addosso e si alzò in piedi, allungando le braccia per evitare di spiaccicarsi contro qualche altra cosa e procedendo a caso nel magazzino finché le sue dita non incontrarono una superficie diversa dal muro. Doveva essere la porta. Tastandola, finalmente Valentina trovò la maniglia e l’abbassò con un’esclamazione di vittoria, soddisfatta. Quando aprì la porta, si accorse che anche fuori dal magazzino la situazione non cambiava tanto. –Ma perché cavolo è così buio? Non avrò sbagliato porta?- mugugnò, richiudendo la porta del magazzino.
In quel momento, sentì un rumore poco lontano da lei. Passi. Stava già per correre nella direzione da cui proveniva, convinta che fosse Jared, quando ai passi seguì una voce, che bofonchiava qualcosa di incomprensibile. 
Valentina si bloccò. Non era Jared. 
Riaprì piano la porta del magazzino ed entrò, avendo cura di non richiuderla per non ricominciare da capo. Attese che lo sconosciuto si allontanasse, nel frattempo, strizzando gli occhi per riuscire a vedere qualcosa sfruttando la scarsissima luminosità, attentissima a non farsi sentire, iniziò a cercare tra tutte le cianfrusaglie che riempivano la stanza qualcosa con cui difendersi in caso ce ne fosse stato bisogno.
Dopotutto, era in un posto grande e sconosciuto, pieno di mummie. 
Non le passò nemmeno per la testa che l’individuo che aveva sentito aggirarsi per il museo poteva benissimo essere un guardiano. Un guardiano avrebbe avuto una torcia. Quello non ce l’aveva. Quindi, o era un povero sperduto come lei e Jared, o era un faraone redivivo, oppure era un ladro. Negli ultimi due casi, meglio essere armata. Era persa in queste riflessioni, quando uno scintillio catturò i suoi occhi. Una lancia tribale. Col manico rotto, certo, ma la punta c’era, e quello era l’importante. Soddisfatta, Valentina afferrò la mezza lancia dal pavimento e tornò fuori, silenziosamente.

Jared si trattenne a malapena dallo scoppiare a piangere. Era la terza volta che faceva il giro completo e si ritrovava al punto di partenza, non ne poteva più, era frustrante. Forse doveva semplicemente trovare un posto dove sedersi e aspettare il mattino successivo, sì, così qualcuno l’avrebbe trovato e lui sarebbe stato finalmente salvo. 
Era quasi deciso a sedersi lì per terra e aspettare, ma solo allora gli tornò in mente un minuscolo dettaglio... –Ho lasciato quell’italiana chiusa nel magazzino.
La sua coscienza iniziò a insultarlo pesantemente, ottenendo l’effetto di farlo quasi sentire un mostro. Quasi.
Jared prese un respiro profondo, mentre il suo buonsenso lo scongiurava in ginocchio di non ascoltare la sua coscienza, e si avviò verso il magazzino. Era quasi arrivato, quando sentì un insolito rumore dietro di sé. 
Si fermò, con un altro sospiro. –Senti, Valentina, lo so che adesso mi detesti profondamente, e la cosa non mi tocca, però...- iniziò, voltandosi lentamente. Non fece in tempo a finire la frase, che qualcosa lo colpì in testa e lui perse i sensi. 

Camminando il più rapidamente possibile, e lanciandosi intorno occhiate fugaci, Valentina s’inoltrò tra i sarcofagi, sentendosi da una parte una specie di 007 in missione segreta. Chissà dove si era cacciato quell’americano traditore dei suoi stivali. Che se la fosse svignata, lasciandola chiusa nel Louvre? 
-Spregevole.- commentò l’italiana, tra sé, mentre saliva dei gradini e sbucava in un’altra ala del Louvre. –L’ho sempre sospettato che non fosse tanto socievole, specialmente negli ultimi tempi, ma questa veramente non me l’aspettavo! Che razza di...- Le parole le morirono in gola. Non poteva credere ai suoi occhi. C’erano sul serio dei ladri nel museo! Due, grossi, coi passamontagna, e poi c’era lei, sola, gracilina e per nulla atletica, con in mano un mozzicone di lancia arrugginita e il cellulare scarico in tasca. Non potendo immaginare soluzione migliore, Valentina tornò sui propri passi e si nascose in fondo alle scale. 
E adesso? Che faceva? Ormai era praticamente sicura che Jared se ne fosse andato, e con lui ogni minima speranza di chiamare la polizia con un telefono. Aveva davanti due opzioni: restare rannicchiata lì, sperando di passare inosservata, oppure trovare il modo di far scattare l’allarme senza farsi ammazzare da quei due loschi figuri. 
Allora, calma, hai visto un mucchio di film e letto un miliardo di libri. Sentiti l’eroe. Se fossi l’eroe, che faresti? 
Pochi minuti dopo, un lugubre e sgraziato suono riempì il museo. 
Mentre Valentina passeggiava per i corridoi emettendo tremendi mugolii gutturali che poco avevano di umano, stringeva convulsamente la lancia in mano. Fingere di essere un fantasma era la prima cosa che le era venuta in mente. Forse non era la più utile e intelligente, ma era l’unica. I due ladri interruppero il loro lavoro, perplessi. 
-Che cos’è?
-Sembra una bestia in agonia.
-E se fosse un... fantasma?
-Idiota. I fantasmi non esistono. Qui dentro c’è qualcuno che si sta divertendo a farci uno scherzo.
Decisero di fare proprio quello che Valentina sperava che non facessero: andarono a controllare. Appena li sentì scendere le scale, le si gelò il sangue. Presa dal panico, si tuffò sotto una teca, sperando che non la vedessero. Vedeva i piedi dei due individui avvicinarsi inesorabilmente. Pregò con tutte le sue forze che non la trovassero, ma purtroppo per lei, uno dei due cacciò fuori una torcia, con cui la illuminò in pieno, accecandola e scoprendola. –Accidenti.- fece Valentina, un istante prima di essere tirata fuori da sotto la teca dove riposava il medico preferito di un certo faraone che doveva trovarsi pressappoco da quelle parti. 
-Ma guarda un po’ il nostro fantasma!- ridacchiò uno dei due ladri, costringendola ad alzarsi in piedi. Valentina brandì la lancia tentando di apparire minacciosa, ma con risultati alquanto scarsi. 
-Guardate che sono armata, eh! Smammate, farabutti!- balbettò, beccandosi due sonore risate che l’irritarono non poco. –Che ci fai qui dentro sola soletta, ragazzina?- chiese uno dei due, facendo per strapparle la mezza lancia di mano. Valentina fece un salto indietro, indecisa sul da farsi. –E voi due?- replicò, nel tentativo di darsi un tono. I due si lanciarono un‘occhiata ironica. Valentina annuì. –Scusate, domanda scontata, lo ammetto.
Ci fu un istante in cui nessuno fiatò. Poi, lei indicò un punto alle spalle degli altri due: -ODDIO LA POLiZIA!- strillò. I ladri si voltarono di scatto e lei ne approfittò per tagliare la corda, inoltrandosi tra le mummie. I due, estremamente infastiditi e irritati dalla figuraccia che avevano appena fatto, manco a dirlo le corsero dietro. 
-MAMMAAAAA!- fece Valentina, isterica, mentre correva al buio tentando di seminare gli inseguitori senza ammazzarsi. Si voltò un istante di lato. 
Non l’avesse mai fatto. Inciampò in un sarcofago dorato steso in mezzo al pavimento chissà per quale oscura ragione e ruzzolò sul pavimento, perdendo la lancia e guadagnando un paio di lividi. 

Jared riprese i sensi. Intorno a sé non c’era perfettamente niente. O meglio, non poteva saperlo, visto che non vedeva niente di niente. Provò a toccarsi la testa, che gli sembrava sul punto di esplodere a causa della botta, ma si rese conto di trovarsi in uno spazio estremamente angusto. Nella sua vita solo una volta si era trovato in una situazione del genere: quando, per girare il video di una delle canzoni della band, l’avevano chiuso in una cassa da morto. Forse stavano girando il seguito di Hurricane e lui non se lo ricordav... impossibile. Una cosa del genere avrebbe dovuto ricordarsela per forza.
In più, da fuori provenivano strani rumori che, rintronato com’era, non riusciva a decifrare. 
Almeno, finché non sentì una voce inconfondibile che strillava qualcosa in italiano.
-Valentina! Quella deficiente!- esclamò. Capì che effettivamente era chiuso in una qualche cassa nel momento in cui, un nanosecondo dopo, qualcuno c’inciampò, schiantandocisi sopra per poi cadere a terra. Era sicuramente lei. Ce l’aveva chiuso lei lì dentro, per vendetta, ecco com’era andata la storia! L’aveva colpito in testa e l’aveva chiuso in una cassa del magazzino per vendicarsi, quella megera! Ma non l’avrebbe passata liscia, nossignore! 
-Di’ le tue preghiere, perché questo scherzo non mi è piaciuto per niente!- sbraitò Jared, sollevando il coperchio della cassa (tra l’altro piuttosto pesante... come aveva fatto Valentina a tirarlo su? Doveva essere una forzuta travestita da mingherlina, per forza) e tirandosi su, furioso. 

Quando sentirono qualcuno parlare da dentro il sarcofago, i due ladri inchiodarono. Valentina stessa sgranò gli occhi, allibita. Uno dei due ladri indietreggiò, ma l’altro era ben deciso a farla pagare a quella ficcanaso che aveva interrotto il loro lavoro, per cui riprese a camminare.
Almeno finché, proprio quando stava alzando una gamba per scavalcare il sarcofago, questo non si aprì, inspiegabilmente. Terrorizzati, i due ladri guardarono prima la ragazzina, raggomitolata a terra con un’espressione sconcertata in faccia, poi si guardarono e se la diedero a gambe senza pensarci ulteriormente. –I fantasmi! I fantasmi!- strillò uno dei due, mentre correvano verso l’uscita di servizio più vicina, abilmente nascosta in una zona in ombra. 
Rimasta sola col fantasma, Valentina sentì il mondo caderle addosso. I ladri erano un brutto guaio, ma un faraone morto da secoli e secoli che decideva di svegliarsi di punto in bianco era ancora peggio. 
Quando però il sarcofago si aprì del tutto e ne uscì una familiare figura magra dai lunghi capelli, la ragazza poté tirare il fiato. 
-Jared!- esclamò, incredula. Lui si voltò di scatto, fulminandola con lo sguardo, e uscì dal sarcofago per dirigersi dritto dritto verso di lei con aria minacciosa. 
-Sei una malata mentale! Come diavolo ti è venuto in mente di chiudermi in quell’affare, EH?! Dannazione, tu in Italia non ci torni, no, ti mettono in galera qui, stanotte stessa!- sbraitò, afferrandola per un braccio e tirandola in piedi. Valentina lo guardava spaesata. 
-M...ma non sono stata io! Non sapevo nemmeno che fossi qui, credevo che te ne fossi andat... a proposito- fece, accigliandosi: -Ti sembra carino chiudere la gente nei magazzini dei musei? No, dimmelo, se ti sembra normale, io...
Jared le fece cenno di tacere, irritato. In effetti, non poteva essere stata lei. Come avrebbe fatto a trasportare lì in mezzo al corridoio quel sarcofago? Era troppo pesante, per quanto non fosse uno dei più massicci. –Chi c’era con te?- chiese, rendendosi conto solo allora di aver sentito altre voci. 
-Erano due ladri.- rispose Valentina, tranquillamente. Jared la guardò perplesso. Solo allora le venne in mente che quei due andavano fermati. –I ladri! Dobbiamo prenderli, muoviti!- fece, prendendo a correre verso l’uscita da dove quei due se n’erano andati. Jared le corse dietro senza aver tempo di realizzare la situazione. Mentre correva, però, scivolò sulla lancia che Valentina aveva perso nella caduta, e per non spiaccicarsi al suolo si aggrappò su uno scaffale appeso alla parete, urtando e riacchiappando al volo un vaso e facendo contemporaneamente scattare l’allarme. Rimise a posto il vaso e raggiunse Valentina, che nel frattempo aveva raggiunto l’uscita ed era già fuori. I ladri giacevano a terra in stato confusionale. Jared guardò Valentina, allibito. –S...sei stata tu?- farfugliò, indicandoli. Lei gli rispose con un’alzata di spalle. –Certo che no! Li ho trovati così.
Uno dei due furfanti li vide e li indicò con fare abbastanza ebete: -Renne! Buon Natale!- canticchiò, scoppiando a ridere. Valentina e Jared si scambiarono un’occhiata perplessa, poi si resero conto del fracasso assordante che aveva provocato l’allarme, scattato adesso in tutto il museo, simile alla parata degli apetti che Valentina era costretta a subire ogni santissimo anno in estate a casa sua. Probabilmente si sentiva in tutta Parigi. 
-Andiamocene, prima che arrivi la polizia.- disse Jared. I due corsero via e riuscirono a filarsela giusto in tempo, scavalcando il cancello grazie alla scala che i ladri avevano intelligentemente lasciato nei paraggi.
Furono fortunati a trovare un autobus a una fermata poco lontana dal museo, in modo da non dover tornare a piedi agli alberghi, cosa che, inutile dirlo, sarebbe stata abbastanza faticosa, soprattutto dopo una serata come quella. 
Acquistarono i biglietti dal conducente e furono finalmente liberi di mettersi seduti e tirare un sospiro di sollievo. Nessuno fiatò fino alla prima fermata. Quando l’autista fermò il mezzo, finalmente Jared si decise a dire qualcosa.
-Scusa se ti ho chiuso in quel magazzino buio. 
Valentina, vicino al finestrino, distolse un attimo l’attenzione dal tizio barbuto alla fermata dell’autobus che stava aiutando una vecchietta a salire a bordo e gli lanciò un’occhiata sarcastica. 
Jared si sentì lievemente imbarazzato. Semplicemente, si sentiva in colpa, cosa che non gli accadeva spesso. –Dico sul serio, sono stato un vero...- L’italiana continuò a fissarlo con aria ironica, in attesa. -...buzzurro.- bofonchiò lui, distogliendo lo sguardo. Nel frattempo, la vecchietta e il suo accompagnatore erano saliti sull’autobus, sedendosi dietro di loro, e il mezzo era ripartito.
Valentina annuì e tornò a guardare fuori dal finestrino, proprio nel momento in cui attraversavano il Pont Des Arts. –E va bene. Ti perdono, per questa volta.
Quando si separarono, Jared le strinse la mano e si congedò, sollevato dal fatto che non l’avrebbe più rivista. Dal canto suo, Valentina era tremendamente in ansia. Il suo piano per convincerlo a salvarle la faccia seguendola in Italia era miseramente naufragato ancor prima di poter essere messo in atto e adesso che si stavano separando e lei non aveva più scuse per prendere tempo, non sapeva davvero che inventarsi. Così, lasciò che Jared se ne tornasse nel suo hotel superlusso e lei se ne tornò mestamente alla sua simil-bettola, sconfitta e odiandosi fortemente per questo.
Sperava di riuscire a inventarsi qualcosa, magari con un piccolo aiuto da parte della dea bendata.
Non l’aveva mai avuta dalla sua parte, ma forse, stavolta... Per il momento ci avrebbe dormito sopra. 
-Il sonno porta consiglio...



-Note dell'autrice-
Dopo circa un secolo, mi ricordo di pubblicare il nuovo capitolo.
Chiedo umilmente perdono per il ritardo, gli impegni non mi danno tregua e io molto spesso perdo il filo... 
Spero che il nuovo saggio sulla mia demenza vi piaccia, perdonate se ci sono errori di qualsiasi tipo, se non si capisce qualcosa (anche a causa della formattazione, as usual -.-) eccetera eccetera.
Grazie a tutti quelli che hanno perso e continuano a perdere preziosi minuti per leggere le mie idiozie, grazie davvero e... alla prossima, se gli dei superi mi concedono un briciolo di tempo per scrivere! 
Bye!
-Valentina


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Capitolo 6
*** Ci vediamo a Disneyland! ***


Capitolo VI


22 dicembre, Parigi

La mattina dopo, Valentina, sconfitta e svuotata di ogni forza di volontà, intingeva pigramente un croissant nella sua tazza di latte bianco. Il cappuccino francese era improponibile. 
Doveva trovare un modo per distrarsi. Doveva svuotare la mente per poter elaborare qualche altra strategia. Una vincente, stavolta.
-Forse potrei rapirlo.- quella poco legale ipotesi iniziava a farsi seriamente strada nella sua mente. 
-Irrompo nella sua suite dopo essermi finta un’inserviente, lo narcotizzo e lo nascondo in un piumone. Poi lo porto via con le altre coperte fingendo di doverle portare in lavanderia. Ma poi... come ce lo metto sull’aereo?
L’italiana sospirò, sconfortata, e fu quasi tentata di provare a suicidarsi affogando nella tazza del latte. 
Tanto per migliorare la situazione, le si accostò quella pettegola di Corinne. Da quando le aveva detto di Jared le stava sempre appiccicata. Forse sperava di aiutarla a “conquistarlo”, ma come avrebbe potuto? E in più non immaginava nemmeno lontanamente come stessero in realtà le cose. Valentina non ci teneva a dirle che non era lì per fare la fan scatenata, ma per compiere una specie di auto-salvataggio eroico. 
Corinne si sedette accanto a lei scrutandola con aria indagatrice. 
-Tutto bene?
Valentina annuì, finendo il croissant. 
-Mi sembri un po’ giù.- commentò l’altra, con aria ancora più indagatrice. Valentina bevve il latte e si prese un minuto per rispondere. 
-Ho solo bisogno di svagarmi un po’...
-Le cose con Jared non sono andate come speravi, vero?
Corinne le prese una mano con aria solidale. Valentina fece uno sforzo sovrumano per non guardarla storto. –Già.- bofonchiò. L’altra annuì gravemente.
-Ti capisco, sai... Vedere che il proprio idolo non è così buono e perfetto come pensavi è traumatico...- continuò. Valentina la guardò perplessa.
Buono? 
Perfetto?
Idolo?
Jared?
...eh?
-Senti, Corinne, forse non hai capito...
Corinne annuì di nuovo, guardandola con aria di compatimento. -Capisco, capisco...
-Lui non è il mio idol...
-Andiamo, lo so che ci sei rimasta male.
Be', per esserci rimasta male c'era rimasta male, però...
-Credo che andrò a fare un giro per schiarirmi le idee.- tagliò corto l'italiana, alzandosi e andandosene. 
Prese un autobus a casaccio e, quasi come la sera prima, si schiantò su un sedile accanto a un finestrino, con aria evidentemente da derelitta, perché tutti quelli che salivano le lanciavano occhiate impietosite. 
Forse potrei scongiurarlo in ginocchio di venire con me, potrei persino pagarlo. Magari faccio pena pure a lui. pensò, con un sospiro. Macché, non si sarebbe mai impietosito, non Jared, non per lei, non dopo tutto quello che gli aveva fatto passare.
-Scusi, è libero questo posto?
Valentina nemmeno si girò, annuendo distrattamente. Solo quando l'autobus partì vide, riflesso nel finestrino, il tizio che aveva parlato e si era seduto accanto a lei. Si voltò di scatto.
-Ma... lei...- balbettò, stupita, di fronte al suo vicino di sedile barbuto e panciuto. 
Non era possibile che se lo trovasse sempre intorno. O era esplosa la moda stile Babbo Natale, oppure era uno stalker che la seguiva da quando era arrivata a Parigi. 
-...lei è il turista del Louvre, l'aiutante di vecchiette alla fermata dell'autobus, il tassista, il guardiano del museo o tutti e quattro?- chiese. 
L'uomo la guardò perplesso. 
-Veramente no.
Inutile dire che Valentina rimase alquanto delusa da quella risposta. 
-Ah. Chiedo scusa.- borbottò, tornando a immergersi nella sua depressione natalizia. 
Lo sconosciuto la guardò per un po' senza fiatare.
Seconda fermata.
Terza fermata. 
-Tutto bene?- chiese, alla fine. Valentina alzò le spalle. -Dipende dai punti di vista.
L'altro annuì, lisciandosi la barba con aria pensierosa. 
-Via, sorrida, è Natale, dopotutto. 
Valentina sorrise amaramente. -E io dovrò emigrare in Alaska come regalo. Evidentemente sono stata cattiva, quest'anno. 
-Oh, andiamo. Babbo Natale non spedisce nessuno in Alaska!- replicò l'uomo, con tono lievemente offeso. 
Uao, ancora credeva al vecchietto barbuto, allora forse aveva quella barba per emularlo. 
Era tipo un cosplayer uscito da qualche fiera, sicuro. 
-Non mi ci spedirà lui. Mi ci spedirò da sola.- disse Valentina.
-Sono sicuro che le porterà un bel regalo, non ha la faccia di una che è stata cattiva.- fece il cosplayer della non-fiera, con aria rassicurante. Lei sorrise. 
-Se lo dice lei... 
Decise di non chiedergli il perché del suo aspetto buffo. Non era cortese, dopotutto. 
L'autobus si fermò di nuovo. Valentina guardò fuori dal finestrino.
Perfetto. 
-Bene, io scendo qui. E' stato un piacere.- disse, abbozzando un sorriso abbastanza convincente. Il tizio la fece passare, poi sedette di nuovo. 
-Abbia fede- disse, mentre Valentina scendeva. Lei si fermò un istante. -Il Natale è sempre ricco di sorprese.
-Ci conto. 
Scese e l'autobus ripartì.
Valentina si guardò intorno, le mani sui fianchi. 
Prima tappa: Torre Eiffel. L'aria fina della cima le avrebbe schiarito le idee. 
Ovviamente c’era una fila da far paura. 
Valentina si mise in coda per l’ascensore, solo a guardare le scale le veniva l’affanno. 
Nonostante il suo umore più che nero non riuscì a restare indifferente quando finalmente salì sull’ascensore e iniziò a salire. Era entusiasta come una bambina ed era estremamente contenta del fatto che l’ascensore fosse trasparente, così poteva guardare fuori.
Da tutte le parti travi e travi di metallo, come una ragnatela. Una roba da far paura. 
Quando l’altro ascensore, quello che scendeva, passò di fianco a quello in cui si trovava lei, lì per lì nemmeno ci fece caso. 
Finché non si accorse che dentro quell’ascensore c’era Jared.
Sobbalzò come punta da una vespa, quelli che erano con lei la guardarono allarmati. 
-E’ qui… QUI! E adesso che faccio?! Devo fare qualcosa…- iniziò a farneticare, tra sé, in italiano. Gli altri passeggeri erano sempre più allarmati.
Finalmente raggiunsero la cima. 
Valentina fu la prima a lanciarsi fuori dall’ascensore. Tanto bene uno dei turisti aveva un binocolo al collo. L’italiana glielo sfilò senza tanti complimenti. –Grazie mille, ora glielo ridò… devo solo controllare…
Eccolo là, quell’americano swishoso! Faceva il vago, faceva… 
-Devo acciuffarlo prima che salga su un taxi o che trovi un altro modo per andarsene. 
Valentina quasi lanciò il binocolo al suo legittimo proprietario e si fiondò nell’ascensore che scendeva, senza nemmeno il tempo di sospirare di fronte alla bellezza della Ville Lumière vista da lassù. 
Appena toccarono terra, Valentina scattò via, cercando Jared in mezzo alla gente. Sicuramente se n’era andato, non c’era più niente da fare. Avrebbe dovuto raggiungerlo nel suo hotel e pregarlo di aiutarla. 
Aveva quasi perso le speranze, quando lo vide.
Un tizio vestito da Paperino l’aveva fermato e stava cercando di appioppargli dei biglietti a prezzo speciale per Disneyland. 
-Senta, io vivo in California, c’è il Disneyworld, lì, e poi ho una certa et… insomma, sono un po’ troppo cresciuto per Disneyland, non crede?- stava cercando di replicare Jared, ma quello non lo mollava.
-Non si è mai troppo vecchi per Disneyland.
-Vecchi? Io non sono vecchio! Sta insinuando che sono vecchio?! Cioè… le sembro vecchio?!
Valentina rimase in disparte, cercando una scusa per avvicinarlo, ma alla fine il venditore si arrese e se ne andò. Stava per andarsene anche Jared quando gli squillò il cellulare. 
-Ciao, Mofo.
Valentina vide che si stava voltando e per non farsi vedere decise di mimetizzarsi con un gruppo di spagnoli in gita. Jared non la scoprì, ma lei non riuscì a sentire quello che stava dicendo a Tomo per telefono. 
Tomo mi aiuterebbe a portarmelo a casa, sono sicura. Speriamo che venga qui, almeno ci alleiamo.
L’unica parola che riuscì a leggere sulle labbra di Jared fu proprio “Disneyland”. Poi, lui se ne andò, gli spagnoli se ne andarono, e lei rimase in mezzo alla strada come un’imbecille, mangiandosi le unghie. 
-Ehi, tu!- esclamò, all’improvviso, rincorrendo il venditore-Paperino. –Per quanto me lo cedi il tuo costume?

Jared era tranquillissimo, quel giorno. 
Insomma, tranquillo nonostante gli incubi di quella notte, pieni di mummie polverose, acari e ragnatele ovunque… e quella pazza italiana che cercava di rapirlo chiudendolo in un sarcofago con l’aiuto di due ladruncoli, tutti e tre vestiti da Babbo Natale.
Va be’… tanto ormai si era liberato di lei. Era stato divertente, in un certo senso, aveva passato una giornata (e una nottata) fuori dal comune. 
Però adesso basta.
Non voleva sentirne parlare mai più. Né di mummie, né di babbi natali, né di pazzoidi italiane. 
Per rilassarsi, aveva deciso di andare a fare un bel giro per la città, nonostante ci fosse già stato almeno duecentomila volte e avesse seriamente pensato di comprarcisi casa.
Si trovava in piena atarassia, quando, appena mise piede fuori dall'ascensore della torre Eiffel, fu assalito nientemeno che da Paperino. 
-Salve!
Jared lo guardò con diffidenza.
-Salve. 
-Che ne dice di un giretto a Disneyland? Prezzo speciale!
-No. 
Il Paperino rimase con la mano con cui gli stava porgendo il biglietto a mezz'aria. 
-M...ma... scommetto che i suoi figli vorranno andarci...- tentò, incerto. 
-Non ho figli.
-Ah. Nipoti?
-Nemmeno.
-...fidanzate?
-N...cioè, sì. Qualcuna. Ma... non ufficialmente.
-Capisco. Situazione complicata, eh, amico?
Jared si mise le mani tra i capelli quando quello attaccò un monologo infinito su quanto fosse dura la vita e quanto fosse necessario andare a schiarirsi le idee sulle montagne russe. Quando alla fine riuscì a liquidarlo, quasi non gli sembrava vero. 
Rispose al telefono solo perché era Tomo, altrimenti quasi sicuramente avrebbe attaccato. 
-O-oh, il tono da dittatore infuriato no, Jared, ti prego. Ce l'hai con qualcuno?- fece l'amico, appena sentì il suo tono di voce.
-Se sapessi che mi è successo ultimamente, mi capiresti. L'ultima è stata un grottesco francese travestito da Paperino che ha provato in tutti i modi a vendermi un biglietto per Disneyland.- rispose Jared, guardandosi intorno. Si sentiva osservato. Forse qualcuno di quegli spagnoli dietro di lui, con quegli adorabili cappellini colorati, l'aveva riconosciuto. Si avviò a piedi attraverso i giardini, mentre raccontava a Tomo le sue recenti avventure. 
-Che ti dico, vecchio mio? Forse hai preso una botta in testa e ti sei immaginato tutto...- stava commentando quest'ultimo, quando Jared ebbe finito il racconto della notte al museo, ma l'attenzione della DivaH era stata attirata da qualcos'altro. 
-Che diavolo sta facendo...?
Paperino correva verso di lui, con la sua andatura traballante, inciampando dappertutto e starnazzando qualcosa. A Jared per poco non cadde il telefono di mano. Era talmente perplesso che non ebbe la forza di scappare. 
-Jared... ehi, Jared, mi senti? Pronto? Pronto?- faceva Tomo, che non poteva assistere alla scena. 
Finalmente Paperino raggiunse Jared e si prese un minuto per riprendere fiato, mentre lui lo fissava attonito, senza proferir parola.
-Ho capito...- ansimò Paperino, che ancora non aveva ripreso a respirare normalmente.
-Hai capito che cosa?- chiese Jared, senza curarsi minimamente del povero Tomo, che si era messo ad ascoltare nella speranza di capirci qualcosa. 
-Perché non vuole venire a Disneyland.
-...perché?
-Perché c'è già stato mille volte e ha paura che lo prendano in giro. Vero?- rispose Paperino, con aria sicura.
Jared sgranò gli occhi. Il tizio gli mollò in mano un biglietto. -To', per lei è gratis. Non deve rinunciare a divertirsi solo perché inizia ad essere un po' attempato.- disse, solenne. Jared aggrottò la fronte. -Definisci attempato. 
L'altro esitò un attimo, pentendosi del rischioso aggettivo che aveva usato. 
-Be'... uomo maturo molto affascinante. Molto. Molto molto. 
-Ah, ecco. Pensavo che mi stessi dando del vecchio.
-Chi? Io? Non sia mai. Adesso devo andare, ci vediamo a Disneyland! Au revoir, mon ami!
E dicendo così Paperino se ne andò correndo, ma inciampò e percorse i seguenti venti metri rotolando sul prato prima che riuscisse a rialzarsi. Solo quando quel buffo venditore fu sparito dal suo campo visivo, Jared avvicinò il telefono all'orecchio.
-Scusa, Mofo, è che... c'era Paperino e...
Tomo aveva capito tutto. Annuì solennemente dall'altro capo del telefono. -Devi andare. Paperino ha ragione. Ti rilasserai... e poi lo sanno tutti che ti piace andare sulle montagne russe. 
Jared guardò il biglietto che aveva nella mano sinistra. Non era mai stato tanto perplesso in vita sua. 

Da dietro un cespuglio, Valentina era in ascolto. Era riuscita a togliersi quell'ingombrante copricapo solo dopo diversi tentativi, che aveva compiuto nel più religioso silenzio per non farsi scoprire, ma aveva ancora addosso il costume, e, strano ma vero, sudava. Stava facendo la sauna. A Parigi. Il 22 Dicembre. 
-Già... forse hai ragione. Ci farò un giretto oggi pomeriggio. 
Al sentire quelle parole, l'italiana per poco non saltò fuori dal suo nascondiglio per esibirsi in una tremenda danza della vittoria. Non poteva credere che il suo strampalato piano avesse davvero funzionato. Si tolse il costume e schizzò via portandoselo dietro non appena Jared si fu allontanato abbastanza, percorrendo il tragitto fino alla fermata dell'autobus saltellando e cantando come una malata mentale di quelle gravi con in mano una testa di Paperino e il resto del corpo ripiegato sottobraccio. 

Utilizzò uno dei biglietti che si era fatta vendere dal vero venditore-Paperino insieme al costume, inveendo contro i prezzi troppo alti e i taccagni, e subito si fiondò al parco divertimenti, senza perdere un secondo. Non era mai stata a Disneyland, aveva sempre desiderato andarci... e stavolta quel posto avrebbe potuto essere la sua salvezza. 
Mentre aspettava Jared, decise di andare a farsi un giro per il parco. 
Alla fine del giro, che durò più o meno mezz'ora solo perché si era improvvisamente ricordata del motivo della sua presenza lì, altrimenti sarebbe durato moooolto di più, aveva in una mano una nuvola di zucchero filato, in testa un cappello da Paperino, e nell'altra mano... be', quella si era trasformata nell'uncino di Capitan Uncino. 
Di plastica.
Mentre tornava nei pressi di Main Street, per appostarsi, sentì un gran fracasso e, con sua somma gioia, si ritrovò in mezzo alla grande parata natalizia dei personaggi. 

Jared aveva fatto di tutto per rendersi irriconoscibile. Occhiali scuri e cappuccio calato. 
Sarebbe stato tutto perfetto, se solo avesse nascosto meglio i suoi invidiabili capelli shatushati, che gli spuntavano dal cappuccio con lo stesso effetto che avrebbe avuto un'insegna al neon sulla sua testa con scritto: "Here, Jared Leto". 
Passeggiando per il parco, quasi si scordò di tutte le disavventure di quei giorni. Gli sembrava di essere tornato bambino. 
Se solo ci fossero Shan e Tomo... pensò, mentre gli ritornava alla mente una giornata passata al luna-park qualche annetto prima, quando aveva tentato di far prendere un infarto a Tomo nella casa degli spettri, aveva quasi affogato Shannon ed era stato immortalato mentre conversava con i piccion... Forse certe cose era meglio scordarsele, in effetti.
Non si accorse della parata.
O meglio, sentì dei rumori sospetti, ma non ci fece caso. Almeno finché non si ritrovò circondato da Babbi Natali di tutte le forme e misure.
Solo allora si rese conto di quello che stava succedendo, ma era troppo tardi. Prima lo acchiappò Topolino, quando riuscì a sfuggirgli Paperina lo prese sottobraccio, dopo una rocambolesca fuga si ritrovò in mezzo a una marching band di Babbi Natali, per la precisione tra la cassa e i piatti. Un Babbo Natale stava per afferrarlo, quando qualcun altro lo tirò via, salvandolo dalla parata. 
-Grazie... grazie mille, me la stavo vedendo davvero brutt...
-Figurati, Jared. 
Jared alzò lo sguardo e si trovò davanti l'italiana. Proprio lei. Ancora lei. Sempre lei. La guardò a occhi sgranati per qualche secondo, chiedendosi se lo spiasse o se proprio il destino gliel'avesse messa tra i piedi per farlo esaurire definitivamente. 
-E quello che cos'è?
Valentina gli tolse l'uncino dal collo della felpa.
-Bello, eh? L'ho comprato in un negozietto qui vicino. E non mi guardare così, se non era per lui non sarei riuscita a salvarti.
Jared tentò di darsi un contegno. -Okay. Allora, grazie per avermi salvato e...
-...ti va di bere qualcosa? Per riprenderti dallo shock?
-Sì.
Valentina si esibì in un sorrisone che le arrivava da un orecchio all'altro. 
Dieci minuti dopo, erano seduti al tavolo di un pittoresco locale anni '50 a Main Street.
-Non dirmi che la tua presenza qui è un caso- fece Jared, a un certo punto: -perché non ci credo.
Valentina quasi si strozzò col suo tè. -Be'... non è un caso perché ho sempre sognato fare un giro a Disneyland. La tua è un caso, casomai. 
L'americano pensò un secondo a quale insulto fosse più appropriato per una risposta del genere, ma poi lasciò perdere e riprese a bere il suo frullato.
Valentina lo osservava di sottecchi. 
-Che c'è adesso?- sospirò lui. 
-C'è il latte nel frullato?
-Secondo te?
-Secondo me sì.
-E invece non c'è, perché gliel'ho esplicitamente detto, di non mettercelo.
L'italiana non cambiò espressione.
-Secondo me c'è.
Jared la guardò malissimo. Ma smise di bere il frullato. Per sicurezza.
-Allora, visto che ormai siamo amici...- fece Valentina, con un sospiro soddisfatto, quando ebbe finito di bere il suo tè.
-Non siamo amici.
-Se non fossimo amici mi avresti già denunciato.
-Sono ancora in tempo.- sibilò Jared, minaccioso. Valentina lo ignorò.
-Io stavo per andare al Phantom Manor. Vieni con me?- propose, tranquillamente.
Jared lanciò un'occhiata all'orologio del bar. Le quattro e mezza. 
-E questo Phantom Manor che sarebbe, più nel dettaglio?- chiese.
Sul volto di Valentina comparve un sorrisetto inquietante.
-Una meravigliosa casa dei fantasmi. Certo, se hai paura posso sempre andare da sola, eh...
Jared la guardò storto per l'ennesima volta in quella mezz'ora. -Andiamo.

Il tragitto fino alla casa dei fantasmi fu esasperante.
Valentina non faceva altro che saltellare di qua e di là come al Louvre. No, forse un po' meno. A tratti un po' più, veramente. Va be'. 
In ogni caso sembrava un'iperattiva bambina di sei anni. Non stava zitta un secondo. 
E Jared odiava andare in giro con lei.
Per fortuna arrivarono molto presto e per strada incontrarono solo un paio di personaggi, tra cui Louis, lo chef psicopatico de La Sirenetta. 
Solo lui si fermò per salutarli, ma Jared si trascinò via Valentina, liquidandolo in un nanosecondo. La presenza di quel cuoco col faccione di gommapiuma lo inquietava. 
La casetta era situata in un bel parco inquietante. 
Un bel cimitero finto, con lapidi finte, rumori spettrali finti e la finta casa dei fantasmi in mezzo. 
Jared rivolse a Valentina un sorrisetto sarcastico, che lei ignorò. 
Dalla casa provenivano rumori inquietanti. Dietro le finestre si aggiravano ombre indistinte. Con un piede sulla soglia della porta, Valentina si chiese perché non se ne tornava indietro evitandosi quell'ansia non necessaria. 
Perché no. Perché è una questione di principio, ecco perché. si rispose, e decise di entrare fingendo palesemente un'indifferenza che non aveva. 
Dal canto suo, Jared fece finta di non accorgersene e la seguì senza commentare dentro l'inquietante villa, dove li accolsero due membri dello staff altrettanto inquietanti, che li invitarono a entrare col resto del gruppo, stranamente abbastanza scarso, in una saletta lì di fianco. 
Valentina si calmò. Si guardò intorno e vide solo un'orribile carta da parati e dei quadri appesi alle pareti. -Tutto qui?- commentò, sollevata. Jared le fece cenno di voltarsi e lei riuscì appena a vedere i due tizi inquietanti che facevano ciao-ciao da dietro la porta, che si stava chiudendo, più simile a uno dei portelloni a tenuta stagna del Titanic che a una porta normale. Già questo bastò a farla impallidire, con enorme divertimento di Jared, che di nuovo non commentò, osservando i quadri. 
Quasi subito una voce registrata cominciò a raccontare in francese le vicende dei vari personaggi ritratti nei dipinti, il che di per sé non era molto spaventoso, e contribuì di nuovo a calmare Valentina, che passò nella stanza successiva con rinnovato ottimismo.
Quel posto non era così spaventoso, suvvia. 
-Hai paura?- le sussurrò Jared, all'improvviso, facendola trasalire. 
-N...no, certo che no. Di che dovrei aver...- esordì lei, ma le parole le morirono in gola quando la graziosa fanciulla ritratta nel quadro che aveva di fronte, proprio all'altezza degli occhi, si trasformò in uno strano essere cornuto, cogliendola totalmente alla sprovvista. 
Jared ridacchiò: -Infatti, di che dovresti aver paura?- commentò, passando oltre con Valentina che gli faceva il verso dietro le spalle. 
Quando giunse il momento di accomodarsi su dei vagoncini, nella semioscurità, l'italiana fu molto sollevata. Almeno avrebbe potuto chiudere gli occhi... anche se l'ideale sarebbe stato anche tapparsi le orecchie per non sentire quella stramaledettissima musichetta inquietante che la tormentava ormai da una decina di minuti. 
Quando si furono sistemati sul vagoncino, notò che il sorrisetto non accennava ancora a sparire dal volto di Jared, ragion per cui iniziò a sentirsi offesa.
-Che hai da sogghignare in quel modo?- sbottò, mentre il vagoncino si avviava verso il buio. 
Jared alzò le spalle. -Niente... è solo che mi sembri un po'... oserei dire... spaventata?- rispose, in tono beffardo. Valentina gli lanciò un'occhiata di odio. 
-Spaventata? Io? Casomai sei tu ch...
Avrebbe potuto inventarsi mille assurdi insulti per concludere la frase, ma una risata inquietante sparata a tutto volume per i corridoi dell'edificio le impedì di finire, facendola quasi saltare dallo spavento. Jared scoppiò a ridere di gusto, godendosi quella specie di vendetta della sorte che si stava abbattendo sulla sua stramba compagna di viaggio di quei giorni. 
Fortunatamente era buio, perché se avesse visto di che colore era diventata Valentina dopo quell'immensa figuraccia, probabilmente sarebbe morto per il gran ridere.
I minuti seguenti, la poveretta li passò con un solo occhio aperto -quello dalla parte di Jared, così da non fargli vedere che l'altro era chiuso-, cercando di non farsi spaventare dalla mano scheletrica di una sposa fantasma che le passava a un niente dai capelli o dalle luci che all'improvviso le attraversavano il campo visivo. 
Lì per lì quasi non se ne accorse. 
Era troppo impegnata a non aver paura per pensare a Jared, ma all'improvviso lo vide, con la coda dell'occhio, voltarsi di scatto, tanto repentinamente che i suoi lunghi capelli shatushati quasi le swisharono in faccia. 
Per un momento si scordò della musica inquietante che le rimbombava nel cervello. 
-Che succede?- chiese, sperando di aver finalmente trovato un motivo per prendere in giro quell'odioso americano. 
Ma fu solo un momento, perché quando Jared si voltò, era tornato perfettamente calmo, con grandissima delusione di Valentina. 
-Niente. Mi è sembrato che qualcuno mi toccasse i capelli. Sei stata tu?- fece lui. Lei scosse la testa, sbuffando. -Non è che ce l'hanno tutti coi tuoi capelli, eh, Jared, piantala con queste manie di protagonismo, lo shatush ce l'ha metà della popolazione mondiale, ti ricordo che quest'anno va di moda.
-Va di moda grazie a me.
-...no, va di moda perché sì. 
Jared stava per replicare, quando si sentì un rumore assolutamente anomalo e qualcosa gli piombò addosso. Non realizzò subito cosa fosse, Valentina invece sì, e, non riuscendo più a trattenersi, iniziò a strillare, mandando nel panico anche Jared, che si era appena accorto di avere uno scheletro sulle ginocchia, e tutti gli altri passeggeri, che non avevano la benché minima idea di cosa stesse succedendo, ma strillavano per solidarietà. 
Jared lanciò via lo scheletro finto e recuperò l'autocontrollo, col cuore a mille per lo spavento. Anche i nervi di Valentina si calmarono un po', anche se non smise di iperventilare. Era sul punto di mettersi a ridere per il sollievo, ma si voltò e si trovò faccia a faccia con una palla di cristallo con dentro... una faccia, che risplendeva di luce verde mentre faceva un discorso in francese che l'italiana non si prese nemmeno la briga di provare a capire. Il suo mezzo sorriso morì sul nascere.
Non vedeva l'ora di uscire di lì. 
-Mamma, guarda! Il signore che ha fatto cadere lo scheletro se ne sta andando a piedi!- esclamò un bambino, dietro di loro.
Jared sgranò gli occhi e si voltò di scatto, ma non vide altro che un'ombra corpulenta che si allontanava, non era sicuro se fosse quella di un uomo o una di quelle finte che proiettavano lì dentro. 
-Hai sentito?!- sussurrò, prendendo Valentina per un braccio.
Lei lo guardò spaesata. Sembrava matto. Ecco. Sentiva le voci. A posto. Bel guaio che si era trovata. Ma la colpa era la sua, solo la sua... non doveva bere troppo quella ser...
-C'è un tizio che ha fatto cadere lo scheletro! L'ha fatto apposta! Ce l'ha con me!- fece Jared, convinto. 
-Io non ho sentito niente.- replicò lei, dimenticandosi per un attimo di aver paura dei fantasmi. Nel frattempo erano arrivati, finalmente, al capolinea. Scesero dal vagoncino e uscirono. La luce dell'esterno quasi li accecò. 
-Propongo un'attrazione meno pericolosa, adesso.- fece Valentina, stropicciandosi gli occhi e allontanandosi il più velocemente possibile... per poi accorgersi che Jared era rimasto dentro. Inchiodò, mentre pensava con un brivido di orrore all'eventualità di dover tornare lì dentro. 
Fortunatamente, voltandosi lo vide che parlava con una ragazza dello staff che distribuiva volantini della casa stregata poco oltre la porta. Aspettò che la raggiungesse.
-Ha detto che lo scheletro che cade è fatto apposta.- spiegò l'americano, con un'espressione a metà tra il sollevato e il deluso dipinta sul volto. Valentina annuì. 
-Visto, manie di persecuzione? Non c'è nessuno che voglia farti la pelle.- commentò, stiracchiandosi. Jared la guardò storto. 
-A te sì, invece.
Lei gli rispose con una smorfia. 
Si avviarono verso la piazza centrale, senza una meta precisa. Si erano bene o male appena ripresi dallo spavento, Valentina aveva ripreso non solo a respirare normalmente, ma stava persino convincendosi di essersi divertita... ma poi Jared le sventolò davanti alla faccia una foto. 
-Quasi dimenticavo... quella gentile ragazza mi ha dato questa bellissima fotografia. Credo che l'abbia scattata qualche fantasma...- disse, recuperando il suo sorriso. 
Valentina divenne bianca come un cencio e quasi gliela strappò dalle mani per vederla meglio. Lui, che aveva il dono di venire sempre assolutamente bene in foto, quasi fosse progettato per farsi fotografare, era, manco a dirlo, bellissimo. Lei, che anche da bambina riusciva a venire sempre male ed entrava nel panico ogni volta che vedeva un obiettivo, era stata immortalata mentre guardava la sfera di cristallo, per cui aveva la faccia verde, tipo Hulk, gli occhi sbarrati e la bocca storta. 
In quel momento, per l'ennesima volta, desiderò fortemente che una slitta di Babbo Natale la investisse, magari trasformandola in neve.
Jared si riprese la foto senza lasciarle il tempo di gettarla in qualche cestino e se l'infilò in tasca veloce come un fulmine, tanto che Valentina ci mise un istante per rendersene conto. Quando ci riuscì, gli lanciò un'occhiata implorante, alla quale lui rispose con una risatina. 
-La terrò come ricordo di questa bella vacanza, penso che la farò incorniciare e la metterò vicino all'Oscar, in bella vista, che ne dici?
-Mele caramellate, giovanotti?
Stavolta, tutti e due cacciarono un urlo. 
La strega di Biancaneve scoppiò a ridere, quasi le caddero le mele caramellate dalle mani. Jared e Valentina si lanciarono un'occhiata, vergognandosi tutti e due al limite del possibile. 
-Volete una bella mela rossa e zuccherosa?- insistette la vecchietta, con un sorriso a... tre denti. Che era il massimo che potesse offrire.
-Io sì!- fece Jared, in barba alla vita salutista eccetera eccetera, prendendo la mela che gli stava offrendo la strega. Valentina rifiutò l'offerta e si portò via il suo compagno. 
-Non dovresti mangiarla.- gli sussurrò, per strada.
-Perché, scusa?- fece lui, che ancora non aveva iniziato, perplesso. 
Valentina si guardò intorno con aria circospetta. -Ti ricordi cos'è successo a Biancaneve, l'ultima volta?
Jared la guardò per qualche secondo, attonito, con la mela in mano. Poi scoppiò a ridere. -Cioè, t...tu pensi che quella vecchietta mi abbia dato una mela avvelenata? AHAHAHAHAHAHAH-
-E' la strega di Biancaneve! Ci vive con il business delle mele avvelenate!
-Oh sì, certo... e quello laggiù con quella barba è Babbo Natale... e tu sei la Befana, invece?
Più che la Befana, in quel momento Valentina sembrava una pentola a pressione sul punto di esplodere.
-Fai come ti pare, sei abbastanza vecchio per badare a te stesso... almeno sulla carta.- bofonchiò, proseguendo. Jared alzò gli occhi al cielo e la seguì, assaggiando la mela caramellata in barba ai suoi avvertimenti. 
Quando arrivarono nei pressi del labirinto del Paese delle Meraviglie, l'aveva mangiata tutta, e Valentina lo guardava storto, senza dire niente. 
Jared le lanciò un'occhiata perplessa, poi capì il motivo del suo muso lungo.
Niente di meglio che un bello scherzo per farle passare l'arrabbiatura.
...forse.




Note dell'autrice
Ehilà, gente! Tanti auguri in ritardo... ne è passato di tempo dall'ultimo capitolo o sbaglio? Ho avuto seri problemi a continuare, per motivi di tempo e... perché, lo ammetto, non sapevo che diamine inventarmi per rendere la vacanza di Jared ancora più stravagante.
"Ma sì, sì, per Natale finisco la storia, e che ci vuole..."   Ehm. E invece no eheheheheh ^^"
In ogni caso, mentre vi riprendete dalle abbuffate natalizie, eccovi un capitoletto (non so quanto lungo, non so regolarmi con il numero di pagine xD), nella speranza che magari vi strappi un sorriso post-natalizio.
A presto
-Vale

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Capitolo 7
*** ...Jared? ***


Capitolo 7

-Labirinto del Paese delle Meraviglie. Mh, suona minaccioso, non trovi?
Valentina guardò Jared con odio. 
-Solo ai codardi. 
Jared mise su un sorrisetto furbo. -E tu sei una codarda o pensi di riuscire a non perderti, lì dentro?- chiese, con fare canzonatorio. Valentina smise immediatamente di camminare, inchiodando. 
-Mi stai sfidando.
-Ma no... cosa dici...
-Fino a prova contraria, quello che ha fatto la scenata nella casa stregata sei tu.
Per tutta risposta, Jared tirò fuori la foto scattata dalla sfera magica nella casa dei fantasmi e la rimirò con aria critica. 
-Sì... in effetti tu mi sembri tranquillissima, ora che ci penso... a prima vista avrei definito la tua espressione 'stralunata', 'terrorizzata', 'disperata'... ma, a ripensarci, mi sbagliavo...
Jared notò che l'espressione di Valentina in quel momento somigliava in maniera inquietante a quella di Shannon quella volta che lui, per sbaglio, si era portato a casa la sua riserva segreta di caffè e il giorno dopo gliel'aveva riportata con tutte le sue scuse. 
-Andiamo.- sibilò l'italiana, a denti stretti, voltandogli le spalle per addentrarsi tra le siepi del labirinto. Jared la seguì con un sorrisetto.
Lì per lì, Valentina sembrò manifestare ben poco interesse per il labirinto, e nemmeno spiccicò una singola parola, finché, dietro un angolo, non s'imbatté in un pupazzo del Cappellaio Matto a 'grandezza naturale'. 
-Oh, guarda! Questa non me l'aspettavo. E' un po', inquietante, non credi, Jared?- chiese, tutta concentrata a guardare il pupazzo che aveva davanti. 
Quando Jared non rispose, Valentina si voltò...
-Jared?
...ma lui era sparito. 
L'italiana sbuffò, seccata. Le stava facendo un maledettissimo scherzo. Aveva quarant'anni, aveva. Oltre a dimostrarne fisicamente massimo massimo trenta, c'erano momenti in cui mentalmente ne dimostrava sei. 
Scocciatissima, Valentina decise di proseguire il suo cammino, senza andare a cercarlo e senza tornare indietro. 
Avrebbe trovato l'uscita. Era famosa per il suo senso dell'orientamento, ci sarà stato un motivo. L'unico problema era che, essendo arcisicura che Jared la stesse seguendo,  aspettando il momento opportuno per farle prendere un infarto, si sentiva un po' inquieta e ogni tanto si voltava indietro, senza puntualmente trovare nessuno alle sue spalle. 
Camminò un po', cambiando spesso direzione per seminare quell'americano idiota -che era sempre più convinta che avrebbe fatto meglio a rapire direttamente tempo prima, senza sottoporsi a tutte le peripezie che aveva affrontato in quei giorni-, ma si rese conto che non c'era assolutamente nessuno dietro di lei, nemmeno nascosto da qualche parte.
Si fermò, con un sospiro. -Senti, Jared, cominci a stancarmi. Esci fuori, non riuscirai a spaventarmi, andiamo. Lo scherzo è bello quando dura poco.- disse, incrociando le braccia mentre batteva un piede sul prato, nervosamente. 
Di nuovo, nessun segno di vita da parte di Jared o da parte di chiunque altro.
Valentina aspettò due minuti, cercando di mantenere la calma. 
In quei due minuti si guardò intorno.
Si era persa.
Da sola.
Nel labirinto.
Da sola. 
Da sola. 
-E no, però...- piagnucolò, alzando gli occhi al cielo, dopodiché iniziò a vagare a casaccio nel labirinto, cercando di ricostruire il percorso che aveva seguito fino a quel momento, ma senza successo. 
A un paio di svolte s'imbatté prima nell'inquietante figura del Leprotto Marzolino, poi in quella della Regina di Cuori, che le fecero perdere almeno dieci anni di vita per lo spavento. 
Non sapeva nemmeno da quanto tempo stesse correndo per il labirinto, peggiorando la sua situazione a ogni passo, e anche se si era resa conto che il panico non la stava affatto aiutando, non poteva farci niente.
In piena crisi di nervi, rallentò l'andatura, borbottando tra sé e sé maledizioni contro se stessa, i suoi amici, Bacco che, mannaggia a lui, era il responsabile di tutto quel disastro, contro Jared, Corinne, i labirinti, Dedalo, la Francia e persino contro la Regina di Cuori.
Ebbe la strana sensazione che qualcuno la seguisse, ma si convinse immediatamente che si stava lasciando suggestionare dalla situazione.
-Quando uscirò di qui, se uscirò di qui, troverò quel maledetto attorucolo e lo strozzerò con le mie mani. Non riuscirà a sfuggirmi. Come ha potuto farmi uno scherzo del genere? Adesso sarà sicuramente fuggito a gambe levate e starà già facendo i bagagli per tornarsene a casa, com'è giusto che sia, del resto, dato che ha tutto il diritto di passare il Natale a casa... sono una maledetta egoista! No, invece. Sono sfortunata, ecco. Ammesso che anche lui sia riuscito a uscire da qui... E se... E se la mela della strega fosse stata davvero avvelenata?! Oh, maledizione, quindi potrebbe essere ancora qui dentro! Addormentato da qualche parte! Che santo Tomo ci aiuti, dopo se esco dovrò chiamare i soccorsi e poi dovrò trovare una principessa o chi per lei che lo baci e lo svegli. Ma che diamine sto dicendo, come faccio a trovare il vero amore di Jared? Se finora non si è palesato, evidentemente starà su Marte, boh, chi lo sa...
Il suo sproloquio sarebbe probabilmente durato in eterno se, all'ennesimo bivio, non avesse visto lo Stregatto. 
Lo guardò con aria truce, ricordandosi perfettamente che quello svanito gatto ciccione a strisce viola e fucsia non era un granché con le indicazioni stradali. 
Ovviamente, i due cartelli sui quali era beatamente sdraiato erano perfettamente insensati, e quindi abbastanza inutili. 
Nonostante ciò, Valentina li lesse attentamente e iniziò a parlare con quel panzone di un felino finto, più per sfogarsi che per ottenere una risposta, anche se, chiunque l'avesse vista in quel momento avrebbe sicuramente creduto che fosse totalmente fuori di zucca.
Prima gli chiese indicazioni, molto gentilmente, cercando di adottare un gergo che si adattasse alla sua natura nonsense, ma finì inevitabilmente per ricominciare con le invettive, ragion per cui, assorbita com'era nel suo monologo, non si accorse minimamente di Jared, che stava lì a godersi la scena già da un po', a pochi metri di distanza da lei, ridendo sotto i baffi.
-...e quindi, mi capisci, non posso adesso arrampicarmi su una siepe e cercare di vedere l'uscita, primo perché sarebbe inutile, secondo perché probabilmente mi farei mal...
La frase si concluse con un urlo di terrore, quando Jared decise di uscire allo scoperto, piombandole alle spalle con uno dei suoi migliori 'BU', migliore persino di quello con cui aveva spaventato Emma l'estate passata, facendola cadere in piscina con tanto di cellulare nuovo.
Aveva dovuto ricomprarglielo, dopo.
Però era stato divertente.
Valentina scattò in piedi strillando, dando una testata contro i cartelli scritti in nonsensese nel tentativo di allontanarsi dal suo aggressore, che, dal canto suo, era piegato in due dalle risate.
Quando lo riconobbe, l'italiana diventò di un inquietante color bordeaux. 
-Razza di imbecille che non sei altro!- sbraitò, tentando di tornare a respirare normalmente. 
Jared rideva così tanto che a malapena riuscì a parlare.
-Che faccia che hai fatto... avresti dovuto vederti... è stata una scena epica...
Valentina gli lanciò un'occhiata molto più che assassina. 
-Ah, sì? Be'... allora io...- minacciò, ma si rese conto che non sapeva come concludere la sua minaccia.
Jared si asciugò una lacrima con una mano, smettendo faticosamente di ridere.
-...allora tu...?
-Allora... io non ti aiuto a uscire dal labirinto! Se non te ne fossi accorto, ci siamo persi. 
-Forse tu, italiana, io so perfettamente dove andare.
-Ah, sì? E allora sentiamo, da che parte è l'uscita?
A quella domanda, Jared iniziò a perdere gradualmente il suo sorriso. 
-Be', ecco... a destra!- buttò là, cercando di darsi un tono.
Valentina alzò un sopracciglio. -E come lo sai?
-Be'... ecco... c'è il cartello, no?
-C'è scritto QuiperLàdaSuppergiùAtestaingiù, Jared. Non c'è scritto uscita. E di qua c'è scritto Maratondagiragiratonda, che mi sembra anche meno promettente.
-Appunto. Quindi deve essere l'altra.
L'occhiata che Valentina lanciò a Jared fu di immenso fastidio.
Lui si sentì in imbarazzo e, simulando un colpo di tosse, si avviò verso sinistra.
-Tentar non nuoce, no?
L'italiana lo seguì con un sospiro e non fiatò per tutto il tragitto, al che, Jared iniziò a sentirsi in colpa. 
-Sei arrabbiata con me?
-Cosa te lo fa pensare?
-Il fatto che non mi parl...
-Jared. Lo so cosa te lo fa pensare. 
-...ah.
Cadde di nuovo un silenzio di tomba. 
Camminarono ancora per una decina di minuti, lentissimamente, poi Jared si fermò di colpo e Valentina lo imitò, perplessa. 
-Allora, senti. Facciamo un accordo.- iniziò l'americano, esasperato dall'ansia per la sua incapacità di uscire dal labirinto e per la lentezza con cui procedeva la marcia.  
Valentina si mise in ascolto, con le braccia conserte. -Sono tutt'orecchi.- bofonchiò.
Jared prese fiato. Doveva costargli molto richiedere l'aiuto di quell'italiana. 
-Se mi aiuti a uscire da qui il più velocemente possibile, ti invito a cena. Stasera. Però sbrighiamoci ad andarcene da qui. Mi sento osservato. 
Negli occhi di Valentina comparve un barlume di speranza, ma fece del suo meglio per non darlo a vedere. Quella poteva essere la sua grande occasione. 
Avrebbe parlato con lui. Avrebbe utilizzato l'arte della retorica che aveva imparato al liceo per convincerlo a seguirla in Italia e aiutarla.
Finalmente lo spirito del Natale si era ricordato che lei non era stata, tutto sommato, così cattiva da meritarsi l'esilio perpetuo nella gelida Alaska!
-E va bene, accetto. E adesso sbrighiamoci, usciamo di qui. Sto iniziando a diventare allergica alle siepi.

Forse fu fortuna, forse fu solo il calcolo delle probabilità, in ogni caso, la strada della Maratondagiragiratonda si rivelò essere quella giusta, e i due riuscirono a raggiungere l'uscita del labirinto. 
Appena vide che le siepi sparivano, Valentina iniziò a saltare di gioia.
-Evviva! Ce l'abbiamo fatta! Siamo salvi!
Manco a dirlo, tutti quelli che si trovavano nei paraggi la guardarono strano, ma lei nemmeno se ne accorse. 
Sebbene ancora più contento di quella svitata che lo accompagnava, Jared riuscì a trattenere l'euforia del momento, per amore della sua reputazione. 
Finalmente terminata la sessione di urla di giubilo, Valentina prese Jared sottobraccio con un sorriso soddisfatto. 
-Hai visto? Sei stato fortunato ad incontrare proprio me... sono un navigatore famosissimo, in Italia, sai?
Jared girò gli occhi. 
-Famoso per la sua petulanza, dici?
Il sorriso di Valentina lampeggiò per un istante, ma poi si riaccese, più brillante di prima.
-Anche, vecchio mio. Anche.
Il litigio che stava per nascere fu impedito dal cellulare di Valentina, che squillò all'improvviso. Inutile dire che Jared sobbalzò e iniziò a guardarsi intorno sgomento quando riconobbe 'The Kill' senza aver capito che era la suoneria del telefono dell'italiana. 
Se ne accorse solo quando lei rispose...  e subito dopo si allontanò con aria circospetta, piantandolo in asso.
In quel momento, Jared fu di nuovo dubbio se abbandonarla e fuggire oppure aspettarla, perché, in fin dei conti, lui era un gentiluomo.
Qualche volta.
Alla fine si risolse per la seconda opzione e rimase lì, seguendo con lo sguardo quella strana italiana che gesticolava mentre parlava al telefono, gironzolando lì intorno.
Stava riflettendo sull'assurdità di quella situazione in cui era stato catapultato pochi giorni prima, quando, all'improvviso, qualcuno gli toccò una spalla, facendolo sobbalzare.
-Monsieur?
Jared si voltò di scatto verso il panciuto tizio dello staff che l'aveva interpellato. 
Gli ricordava qualcuno. 
-Eh? Dice a me?- farfugliò. 
-...sì. Si sente bene? O si è perso, per caso?- rispose lo sonosciuto.
-Sì. No. Cioè, sto bene, per miracolo, ma sto bene.
L'altro sorrise sotto la barba candida -che, tra l'altro, Jared un po' invidiava. Avrebbe voluto avere anche lui una barba così soffice.
-Ha intenzione di assistere al favoloso spettacolo pirotecnico di stasera? Io le consiglio vivamente di non perderselo. Il Natale è un'occasione speciale, e bisogna festeggiarla al meglio!- disse, fieramente. Jared si voltò un attimo verso Valentina, che in quel momento sembrava assorta in una conversazione alquanto impegnativa.
-Non lo so, veramente io...- fece per rispondere Jared, voltandosi di nuovo verso il suo interlocutore. 
Che nel frattempo era sparito.
Lui lo cercò per un minuto guardandosi intorno, ma non riuscì a individuarlo da nessuna parte.
Aveva appena deciso di darsi alla fuga per tornarsene a casa sua e dimenticare lo stress di quei giorni, che lo stava evidentemente facendo impazzire, quando Valentina tornò, nascosta dietro una nuvola di zucchero filato.
 -Me lo sono comprato per riprendermi dal labirinto, okay?- esclamò, mettendo le mani avanti in previsione di qualche commento da parte di Jared, che però non commentò. 
-Dammene un po', ne ho bisogno.- disse, invece, staccandosi un pezzo di zucchero filato e mangiandoselo con aria afflitta.
Valentina lo guardò con aria interrogativa un secondo e poi tornò a mangiare il suo zucchero filato.
-Chi era al telefono?- chiese Jared, dopo un po', non senza un po' di timore di scoprire che Valentina aveva dei complici e che tutte le avventure di quei giorni erano la trama di un malvagio piano per ucciderlo.
-Mia sorella.- rispose lei, tranquillamente. 
Jared non fu per niente rassicurato da quella risposta. 
Se la sorella era come lei...
-Voleva solo sentirmi.- continuò l'italiana, che nel frattempo si era incollata le dita della mano destra con lo zucchero filato e stava cercando un modo per ripulirsi senza causare ulteriori danni. 
In realtà, Aurora l'aveva appena informata che quei simpatici amici che aveva non avevano dimenticato il ricatto ed erano passati a cercarla per ricordarle che il tempo a sua disposizione per salvarsi dalla vergogna eterna stava per scadere.
Maledetti.
Doveva ricordarsi di strangolarli, una volta tornata a casa. 
Jared si prese un altro pezzo di zucchero filato.
-C'è una cosa che mi piace veramente tanto.- disse, mentre se lo mangiava.
-E cioè?
-I fuochi d'artificio. E si dà il caso che stasera sia in programma un bello spettacolo pirotecnico. Potremmo mangiare qualcosa qui e andare via dopo i fuochi d'artificio. Che ne dici?
Valentina lo guardò con aria sospettosa. 
-C'è sotto qualcosa? Mi hai denunciato e sta per arrivare la polizia a prendermi? Oh, Jared, sai che creeresti un bel disastro diplomatico tra ben tre paesi, con una cosa del genere, vero?
Jared sospirò. -No.
-No significa che non sapevi del disastro diplomatico?
-No, no significa che non c'è sotto niente. Sei tu la matta, mica io. 
-Ah. Be', allora va bene. Quando si mangia?- fece Valentina, gettando via lo stecco dello zucchero filato con un sorrisone. 

Non fu difficile scegliere dove mangiare. 
Dovevano trovare un ristorante vicino al castello della Bella Addormentata, e la scelta era piuttosto ristretta, se si voleva evitare il ristorante di Cenerentola, che aveva dei prezzi proibitivi che né Valentina, né Jared, tirchi com'erano avevano intenzione di accettare.
Specialmente Valentina, anche se avrebbe dovuto pagare lui. Era pur sempre cibo francese, tutti quei soldi sicuramente non li valeva.
Alla fine, riuscirono a trovare un posto tranquillo e con prezzi più abbordabili dove cenare.
Quando si misero seduti a tavola, per Valentina iniziò il momento più critico della serata:
trovare le parole giuste per raccontare a Jared tutta la sua folle avventura, dall'inizio, e convincerlo ad aiutarla.
Anni e anni a sudare e piangere sulle orazioni di Cicerone, di Isocrate e di Demostene, e adesso non le venivano le parole. Possibile che tutta quella fatica non fosse servita a niente?!
Al contrario, probabilmente rassicurato dall'avvicinarsi della separazione, Jared era stranamente tranquillo.
Mangiavano, e Valentina aspettava il momento migliore per iniziare il suo racconto, ma senza decidersi mai. 
Era una storia assurda, ridicola.
Vera, certo, ma del tutto inverosimile.
Se l'avessero raccontata a lei, non ci avrebbe creduto. Perché mai avrebbe dovuto farlo Jared, che ci si era trovato coinvolto all'improvviso, per puro caso, e al quale ne erano successe di tutti i colori in quei giorni?
Mai e poi mai avrebbe accettato di aiutarla, e Valentina non poteva nemmeno biasimarlo.
-Stai pensando un po' troppo. Devo chiamare la polizia?- fece Jared, all'improvviso, strappando l'italiana ai suoi pensieri. 
-Eh? No! Non sto pensando.- farneticò lei, con la stessa espressione imbambolata di uno che si è appena svegliato e ancora sogna.
Jared prese un respiro profondo, inarcando le sopracciglia. 
-Certo che no, non stai assolutamente pensando. Si vede dal tuo sguardo sveglio.- sospirò.
Valentina abbassò gli occhi sul suo piatto, ancora quasi del tutto pieno. 
-Scusa. In effetti stavo pensando. 
-Eh, lo so. La domanda è: devo preoccuparmi o sono pensieri innocui?
Fu in quel momento che gli ingarbugliati dubbi di Valentina furono messi a tacere per forza dalla sua razionalità.
-Stavo riflettendo su cosa regalare per Natale ai miei. Tranquillo.- mentì, con un sorriso. 
Decisamente non poteva raccontargli quella stramba storia. Avrebbe trovato un altro modo.
Jared non sembrò del tutto convinto, ma decise di lasciar perdere la questione, e così, il resto della serata passò senza intoppi, anzi, Valentina e Jared riuscirono anche a parlare civilmente e lei poté finalmente porgli alcune delle domande che si era sempre fatta su di lui e sulla sua musica.
Solo a un paio Jared non rispose, lasciandole cadere nel vuoto con un sorrisetto:
-Chi è Mary? E l'Argus Apocraphex? 
Non poteva rispondere a quelle. Facevano parte del gioco.
-Oh, suvvia, perché non vuoi dirmelo? Ti giuro solennemente che non lo dirò a nessuno, ma non posso morire senza sapere... Per favore, Jared!- stava piagnucolando Valentina, ancora, mentre raggiungevano il castello della Bella Addormentata per lo spettacolo pirotecnico.
Jared camminava impassibile, con le mani in tasca, e non cedeva.
-Non te lo dirò mai, scoprilo da sola, visto che sei tanto brava.
Se non fosse iniziato lo spettacolo, Valentina avrebbe continuato in eterno, ma, per la fortuna di Jared, presto non sentì più la sua voce petulante, sovrastata dal rumore delle esplosioni e dalla musica.
E in effetti non l'avrebbe sentita nemmeno se ci fosse stato silenzio, perché appena il castello si accese di mille luci, l'italiana divenne troppo impegnata a meravigliarsi per ricordarsi di quello che stava facendo.
Vedeva i personaggi che avevano costruito la sua infanzia volteggiare su quelle mura, in un turbinio di colori, e la bambina che era in lei, complice la magia del Natale, non poteva di certo restarsene in letargo.  
Al vedere la sua faccia estasiata, Jared non poté fare a meno di scoppiare a ridere, era troppo buffa.
Stava riprendendo fiato, quando, in un momento di buio, si sentì improvvisamente tanto stanco e si addormentò di colpo. 
-E' una delle cose più belle che io abbia mai visto! Che ne pensi, Jared?- fece Valentina, voltandosi verso di lui con gli occhi che le brillavano di contentezza, ma Jared non c'era più.
All'inizio pensò che le stesse facendo uno scherzo, come nel labirinto, ma non riusciva a vederlo da nessuna parte.
Lo cercò per un po', vagando in mezzo ai presenti e scordandosi completamente dello spettacolo, ma non lo trovò e a quel punto raggiunse un'importante consapevolezza: se l'era svignata. Stavolta sul serio. 
-Oh, no...- sospirò Valentina, passandosi una mano sulla faccia. 
Il giorno dopo era il 23 dicembre. Jared sarebbe tornato a Los Angeles, e lei non l'avrebbe rivisto fino al prossimo concerto. 
In Alaska.
Se mai avessero deciso di includerla tra le tappe di un qualche tour.
Sconfitta e depressa più che mai per il suo fallimento, Valentina si avviò mestamente verso l'uscita del parco, sperando di trovare una navetta o un passaggio per tornare a Parigi.
Per una volta che era quasi riuscita a portare a termine qualcosa, aveva cincischiato e non c'era riuscita.
Se gli avesse raccontato tutto a cena, sicuramente Jared se ne sarebbe andato comunque, però almeno lei se ne sarebbe fatta una ragione. 
E brava Valentina. Sei riuscita a farti odiare persino da Jared Leto.
Si disse, mentre sedeva sconsolata su una panchina alla fermata dell'autobus, senza nemmeno sentire il freddo che faceva lì fuori. 
Avrebbe preso il primo volo disponibile del giorno dopo, o del giorno dopo ancora, se non ne avesse trovato nessuno, e sarebbe tornata a casa. Non aveva più niente da fare, a Parigi. 



Note dell'autrice
Ma saaaalve a tutti quanti!
Sono ancora viva! Non ve l'aspettavate, vero?
Non vi sto a spiegare la mia vita da liceale dell'ultimo anno, sarebbe superfluo (oltre che angosciante).
Non ho molto tempo, perciò sarò breve.
Leggete il nuovo capitolo e...
Spero non vi siate scordati di me.
Addio :3

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Capitolo 8
*** Il mistero dello shatush scomparso ***


Parigi, 23 dicembre
Che meraviglia, quella calda atmosfera natalizia.
Le luci, il calore del camino, i babbini natalini sparsi per la casa, la neve che cadeva silenziosa fuori dalla finestra…
Valentina non avrebbe cambiato tutto ciò con niente, ne era sicura.
Avvolta nella sua copertina natalizia con cucito sopra un Babbo Natale carico di regali, si crogiolava nel suo meritatissimo dolce far niente, con un sorrisetto beato sulle labbra, quando, con un rumore spaventoso, qualcuno piombò giù dal camino, spegnendolo in una nuvola di fuliggine.
Terrorizzata, Valentina saltò in piedi e dopo un po’, quando la nuvola di fuliggine si depositò su tutti i suoi meravigliosi soprammobili, riuscì a mettere a fuoco il tizio che era piombato in casa sua passando per la canna fumaria.
-Babbo Natale…? Ma che…
Non fece in tempo a finire la frase, che iniziarono a bussare alla porta.
Non aprì subito, troppo sconcertata dall’apparizione improvvisa di Babbo Natale, ma i colpi alla porta crebbero d’intensità e qualcuno iniziò a chiamarla con una voce non familiare.
-Arrivo…- buttò là lei, indecisa, ma da fuori la porta continuarono a chiamarla, e nel frattempo Babbo Natale cercò di svignarsela e i carillon natalizi iniziarono a suonare tutti insieme, producendo un frastuono infernale.
Valentina si tappò le orecchie, cercando di aprire la porta mentre contemporaneamente cercava di acciuffare il vecchietto barbuto, ma il caos era intollerabile e la sua pazienza si esaurì.
-CHI DIAVOLO E’?!- urlò, spalancando gli occhi appena in tempo per accorgersi che stava cadendo dal letto e che ormai non poteva fare niente per salvarsi.
La realtà le crollò addosso come una secchiata d’acqua fredda.
Era stato solo un incubo.
Si trovava ancora a Parigi.
Era il giorno prima della Vigilia di Natale.
Jared era scappato.
Doveva prendere l’aereo.
Bussavano alla porta.
Ah, allora bussavano davvero alla porta…
Inciampando nelle coperte, che si trascinò dietro per metà stanza, Valentina riuscì finalmente a raggiungere la porta e a spalancarla, rivelando una Corinne che sembrava impazzita.
-Oh, finalmente! Pensavo che fossi morta!- esclamò la cameriera francese, appena la porta si aprì.
Valentina la guardò storto. –Che cos’hai da agitarti tanto? E’ crollata la Torre Eiffel? I giacobini hanno bruciato Notre Dame? Che diamine sta succedendo?!- sbraitò.
Corinne iniziò a mangiarsi nervosamente un’unghia.
-Si tratta del tuo amico Jared Leto…- esordì.
Al sentire quel nome, lo stomaco di Valentina si strinse per l’angoscia che il ricordo delle sue innumerevoli figuracce epiche le procurava. –E’ tornato a Los Angeles, sì, lo so, ho fallito miseramente.
Ma Corinne iniziò a scuotere la testa nervosamente.
-E’ scomparso! Non è tornato in albergo, ieri sera… credevo che tu ne sapessi qualcosa, ma a quanto pare è sparito davvero…
Valentina la guardò confusa.
-Corinne. Avrà incontrato qualche bella francese, vedrai che più tardi torna. E poi che dovrei saperne, io? Mica sono sua madre.
-Più tardi? Ma se è già mezzogiorno… e poi lui alle dieci aveva un appuntamento col fotografo nella sala conferenze, e non solo non si è presentato, hanno provato a contattarlo in tutti i modi, ma sembra sparito nel nulla! Ho chiesto a te perché una mia amica, sai, ha due figli piccoli, ha detto di avervi visto insieme a Disneyland, ieri sera… non so, pensavo che tu… Oh, ma non ha importanza, il guaio è che Jared Leto è sparito, nessuno sa dove sia, e il mondo ha bisogno di lui!- farneticò Corinne, con aria lievemente psicopatica.
Dopo essere rimasta in silenzio per una manciata di minuti, a fissare Corinne che si rodeva le poche unghie superstiti, Valentina sospirò.
-Mi stai facendo uno scherzo, vero?
Corinne per poco non le saltò al collo. –Ti sembra uno scherzo?!
-Se anche fosse vero, non mi sembra una cosa così grave. Te lo dico io com’è andata: ieri sera se l’è svignata perché non mi sopportava più, ha passato la serata chissà dove a Parigi e adesso sarà già tornato in albergo, avrà fatto i bagagli e starà per imbarcarsi sul suo volo per Los Angeles.- replicò l’italiana, un po’ seccata: -Ora, se vuoi un consiglio, Corinne, fatti una camomilla e rilassati. Non l’avranno mica rapito gli alieni! E se per un giorno nessuno ha sue notizie, il mondo va avanti lo stesso. Perciò, rilassati e fa’ rilassare anche me, che devo fare le valigie.
Corinne smise di mangiarsi le unghie. –Te ne vai?- domandò, con gli occhi sgranati.
Valentina annuì. –Non ho più niente da fare, qui. Me ne torno a casa per Natale.
-Ma tu non puoi… prima devi ritrovare Jared!- fece l’altra, decisa.
-Oh, no, no… forse non hai capito. Io non c’entro niente con questa faccenda, devo prepararmi psicologicamente per ritirarmi in esilio in Alaska, necessito di vedere per l’ultima volta la mia Italia.
-Non c’entri niente? Ma se tutto questo disastro è colpa tua!
-Mia?! E che c’entro io?
-Era con te Jared, ieri, o no?
Di fronte alla domanda di Corinne, Valentina si mostrò lievemente titubante.
-Sì… però…
-Niente però, niente se e niente ma. Che noi sappiamo, sei stata tu l’ultima a vederlo, per cui… adesso lo cerchi. E lo trovi. Niente discussioni. Il caso è chiuso.- concluse Corinne, incrociando le braccia con un’aria leggermente dittatoriale, di fronte alla quale Valentina non seppe tirarsi indietro.
In più, la sua coscienza iniziava a insinuarle atroci dubbi nella mente.
No, non poteva andarsene così, non prima di aver provato che aveva ragione lei e Jared era sano e salvo a casa sua.
E fu così che Valentina si ritrovò a vagare per Parigi, subito dopo pranzo, sotto un sole troppo debole per scaldarla, divisa tra l’amarezza per aver fallito nella sua eroica impresa di autosalvataggio e la preoccupazione per i dubbi che Corinne era riuscita a conficcarle a forza nel cervello.
Cerca di riflettere, Valentina. Cosa farebbe Sherlock Holmes, in una situazione di questo tipo?
Quando quella domanda le attraversò il cervello, si fermò interdetta in mezzo al marciapiede.
Oh, be’, lasciamo stare. concluse, riprendendo a camminare.
Poi le venne un’idea.
Se c’era qualcuno che poteva sapere dove fosse finito Jared, quello era il tassista.
Fu per questo che chiamò un taxi, non perché ne avesse bisogno. Voleva indagare.
Aveva sperato di trovare il tassista barbuto che l’aveva quasi investita e che aveva scarrozzato Jared per tutta Parigi nei giorni precedenti, ma purtroppo per lei quando salì nel taxi trovò un tipo dai capelli rossi che tutto sembrava meno che un francese.
-Salve!
-Salve.
-Dove andiamo?
-Ah…- Valentina ci pensò un attimo: -Allo studio fotografico di Gig… ehm… di Jean Paul Sartre.
-Quel Jean Paul Sartre? Non sapevo facesse il fotografo…
Cadde un silenzio imbarazzante, che Valentina sfruttò per riflettere sull’immensa idiozia dell’uomo che stava per mettersi alla guida dell’auto in cui lei si trovava, e il tassista utilizzò per impostare il navigatore.
Appena partirono, Valentina iniziò a indagare.
-Mi dica- esordì, con aria vaga: -lei ha per caso portato qualcuno all’aeroporto, stamattina? Tipo un americano dai capelli shatushati, arrogante, con una voce bellissima e le gambe da fenicottero?
Il tassista ci pensò un secondo, lanciandole un’occhiata dallo specchietto retrovisore.
-No. Perché?
-E può per caso scoprire se qualcuno dei suoi colleghi l’ha fatto?
-Be’, no.
Valentia si afflosciò sul sedile, delusa.
Fortunatamente, nel frattempo erano arrivati, per cui pagò il conto e scese dal taxi.
Solo quando fu davanti allo studio di Gigì, realizzò che probabilmente sarebbe stata scuoiata viva, se l’avessero vista.
Ma ormai era tardi per tirarsi indietro. Così, l’italiana s’infilò gli occhiali da sole che miracolosamente trovò in borsa e, facendosi coraggio, entrò.
-Allora? Si batte la fiacca, qui dentro? Eh?- esordì, spalancando la porta.
La segretaria all’ingresso la guardò stralunata.
-Mi scusi, ma lei chi…
Valentina, che non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, incrociò le braccia, senza guardarla.
-Non faccia domande inutili, la prego- rispose, con una risata: -e mi faccia parlare col suo capo.
Ovviamente, la ragazza non si mosse, guardandola ancora ad occhi sgranati, al che, lei si avvicinò alla scrivania, appoggiandovisi con entrambe le mani.
-Ne va del suo posto di lavoro.- avvertì, minacciosa.
La segretaria sbiancò e scattò in piedi. –Vado subito a chiamare Jean Paul!- balbettò, sparendo all’interno dell’edificio.
Valentina sospirò di sollievo.
Doveva essere abbastanza brava da non farsi riconoscere da Gigì.
Si guardò intorno, in cerca di un’idea, e vide il guardaroba.
Quel guardaroba, quel dannato guardaroba che aveva quasi demolito un paio di giorni prima.
C’era una sciarpa, appesa da una parte. Eccentrica. Di qualche stilista famoso, sicuramente, che lei non era in grado di riconoscere, essendo completamente digiuna di nozioni riguardanti il mondo della moda, ma questo non era altro che un trascurabilissimo dettaglio.
Quando, due minuti dopo, Gigì apparve sul corridoio, al seguito della segretaria, con un’espressione a dir poco feroce sul volto, si trovò davanti una tizia dal volto quasi invisibile sotto la coloratissima stampa floreale della sciarpa di Gucci che indossava.
-Si può sapere chi è lei?- strillò, piantandosi davanti alla tizia con aria minacciosa.
Lei non si scompose e lo guardò dall’alto in basso da dietro gli occhiali scuri.
-Fossi in lei modererei i toni.- replicò, con moltissima calma.
Cadde un minuto di silenzio, rotto solo dal ritmico ticchettio della punta della tremenda scarpa sinistra rosa shocking di Gigì, che batteva a terra il piede, nervosamente, in attesa di una risposta che Valentina non aveva.
Fu per questo che, di nuovo, improvvisò.
-Dov’è il modello?- domandò, con aria annoiata.
Gigì s’innervosì ancora di più.
-Quale modello? Chi diavolo è lei?
Valentina si voltò di scatto verso Gigì.
-Ho chiesto dov’è finito Jared Leto, quello che stamattina ci ha fatto fallire il servizio fotografico che avrebbe dovuto figurare nelle prime pagine del prossimo numero di Vogue!- sbraitò: -Lei è un incompetente, il capo redattore non sarà per niente contento, quando riferirò che non rispetta le scadenze!
Il fotografo si fece di un bruttissimo colore bianco-verdognolo, e sembrò persino che gli si spompassero i capelli.
-L…lui non c’era… avevamo appuntamento stamattina, ma non siamo riusciti a trovarlo… e non è stata colpa mia… che avrei dovuto fare?- pigolò, tormentandosi le mani con aria ansiosa.
Valentina tentò di darsi un’aria seria e spietata.
-Com’è possibile che sia sparito?! Quindi lei non ha la minima idea di dove possa essere?
Gigì scosse la testa. Lei sospirò.
-E va bene, allora dovrò trovarlo io. Grazie dell’aiuto e arrivederci.- tagliò corto, girando i tacchi.
-Mi scusi- fece però Gigì: -ma lei chi è?
Valentina si fermò un secondo. –Ehm… io… sentirà ancora parlare di me, le basti questo.
Fece per togliersi la sciarpa con aria teatrale per rimetterla a posto, ma mentre se la sfilava, questa si portò dietro gli occhiali da sole. Valentina se li rimise al volo, ma ormai era troppo tardi.
-Io. Ti. Riconosco.
Il tono con cui il fotografo pronunciò quelle parole avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque.
-Tu sei quella criminale che si è intrufolata nel mio studio e ha chiuso in bagno la mia assistente!- urlò Gigì, con un acuto che rischiò d’incrinare tutti i vetri nel raggio di cinquecento metri.
Valentina lanciò la sciarpa sull’appendiabiti.
-Già… ma sono anche il vicedirettore di Vogue…- provò a protestare, con un sorrisetto terrorizzato, mentre già si apprestava a fuggire.
Gigì diventò paonazzo.
-…io… vi stavo facendo uno scherzo e sono venuta in… incognito.- così dicendo, l’italiana se la diede a gambe, quasi sfondando la porta, e Gigì la rincorse, urlandole di tornare indietro per farsi fare la manicure.
Valentina decise che non voleva sapere nemmeno per sbaglio cosa significasse quella minaccia e corse più veloce che poteva per tutto l’isolato, finché non riuscì a seminare il suo inseguitore.
A quel punto, si fermò per riprendere fiato.
Se nemmeno Gigì sapeva dove fosse Jared, era rimasta un’unica soluzione.
La polizia.
Mentre camminava verso la centrale, Valentina chiamò Corinne, per accertarsi che non ci fossero novità, e lei confermò.
Sfortunatamente, la centrale di polizia era piuttosto lontana da dove si trovava lei in quel momento, e arrivarci a piedi non sarebbe stato facile.
Girato l’angolo, però, per un inspiegabile colpo di fortuna, c’era un autobus fermo alla fermata.
Senza pensarci due volte, l’italiana salì, solo per scoprire che era completamente vuoto. Mancava persino il conducente.
La stranezza della cosa spinse il suo buonsenso a gridarle di andarsene, ma lei, come faceva molto spesso, non lo ascoltò.
Stava cercando di riordinare le idee, quando sentì una voce, proveniente dai sedili in fondo, farneticare qualcosa d’incomprensibile. Incuriosita, Valentina raggiunse il fondo dell’autobus.
Quando vide chi era a parlare, quasi cadde a sedere per terra per la sorpresa.
Era Jared Leto in carne ed ossa, e stava parlando nel sonno.
 



Note dell'autrice
Ahahahahah Isocrate in seconda prova.
Basta.
Perdonate una povera maturanda esaurita.
Spero che il capitolo vi piaccia e vi prometto che quando la maturità sarà finita aggiornerò regolarmente e non una volta ogni due mesi :3
Addio

 

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Capitolo 9
*** Buon Natale a chi? ***


Valentina rimase indecisa sul da farsi per un po'.

Era una situazione surreale.

Non che tutta quella faccenda fosse ordinaria amministrazione... però, ecco, quella restava una strana situazione.

Insomma, c'era Jared Leto che dormiva in un autobus completamente vuoto parcheggiato al centro di Parigi come in un film dell'orrore di serie B.

E poi c'era lei, che aveva il dovere morale di salvarlo da qualunque cosa stesse facendo lì.

Alla fine, si decise.

-Jared- sussurrò, scuotendo l'americano per un braccio. 
-Svegliati, Jared.

Datosi che il bell'addormentato non dava segni di vita con le buone maniere, l'italiana optò per la forza bruta e indelicata.
-JARED, SVEGLIATI SUBITO, BABBEO CHE NON SEI ALTRO.- urlò, con tutta la voce che aveva.

Jared si svegliò di colpo, agitandosi scompostamente alla ricerca di un cuscino che non c'era.
-B...Babbo Natale! Che succede? Dove sono? Questa non è casa mia!
-Infatti è un autobus parigino.

Quando sentì la voce di Valentina e fu minimamente in grado di riconoscerla, l'americano si voltò lentamente.
-Tu.
Lei lo guardò interrogativa.
-Io?
-È tutta colpa tua se sono impazzito e adesso ho le allucinazioni!- strillò Jared, alzandosi di scatto, puntandole contro il dito con aria minacciosa.

Valentina si tirò indietro, intimorita, ma anche abbastanza offesa.
-Nonostante io non abbia alcun dubbio sul fatto che tu sia uno psicopatico... di che allucinazioni vai blaterando, si può sapere? E che cosa ci fai qui, soprattutto?

Jared sembrò perplesso. -Come sarebbe a dire? Non mi ci hai portato tu?
-Direi di no, è da stamattina che ti cerco per tutta Parigi! Proprio adesso stavo andando alla polizia a denunciare la tua scomparsa.
-Allora... è vero.
-Mi spieghi, per cortesia?
-Allora- il tono di Jared si abbassò drasticamente: -io so cosa è successo. Però è assurdo, ti avverto.
Valentina sorrise. -Non sarebbe una novità.

Proprio in quel momento, videro un'ombra salire sull'autobus.
-Scappiamo.- fece Jared, scendendo di soppiatto dalla porta posteriore con l'italiana appresso.

Subito dopo, le porte si chiusero e l'autobus partì, al che, Jared prese un respiro profondo.
-Devo tornare a Los Angeles.- annunciò, con tono deciso.

Valentina sbiancò. Improvvisamente il mondo si era fatto grigio.
-No!- si lasciò sfuggire, in un gemito.
Jared la guardò perplesso. 
-Come?
Lei sospirò, rassegnata. 
Non poteva impedirgli di tornare a casa per Natale, in fin dei conti. 
Era stata un'idiota a imbarcarsi in quella missione disperata anziché minacciare subito di morte i suoi "amici".

-Niente. Dicevo solo che dovremmo andare. Fa freddo e ti stanno cercando tutti.- mugugnò, prendendo la strada del ritorno voltando le spalle a Jared, che la seguì senza replicare, ancora lievemente perplesso.

Quando arrivò il momento della separazione definitiva, Valentina era lo specchio della rassegnazione. Le mancava un cartello con su scritto "fallimento".

-Be'...- esordì Jared, mentre lei fissava ostinatamente l'asfalto sotto i suoi piedi. -Ti direi che è stato un piacere... ma non penso di poterlo definire tale. Però devo ammettere che è stato divertente, alla fin fine.

Lei rispose con un mugugno soffocato.
Jared si grattò la testa, in imbarazzo.
Alla fine quell'italiana era stramba, ma non era tanto male come compagna di avventure surreali. 
Gli aveva fatto rischiare la pelle, ma era andato tutto bene e adesso lui avrebbe senz'altro avuto qualcosa di interessante da raccontare a casa.

Le tese la mano, lei la fissò per un istante, poi alzò lo sguardo senza fiatare.
La strinse.
-Ti aspetto al prossimo concerto in Italia, allora.- fece Jared.
-Tra ventimila secoli. Se avrò i soldi per il biglietto.- replicò Valentina, funerea.
-Non essere tragica. 
-Sono solo realista, Jared. E comunque, è stato interessante conoscerti. 
Lui sorrise. -Alla prossima, italiana. E buon Natale.
-Addio, Leto. Buon Natale anche a te. Abbraccia Tomo da parte mia.

Lo shatush che swishava elegantemente nella fredda aria parigina fu l'ultima cosa che Valentina vide di Jared prima di voltargli le spalle e attraversare la strada.

Il giorno dopo, lei partì per l'Italia, Jared per Los Angeles, e quella pazzesca avventura finì.
 

Aeroporto Charles De Gaulle, 24 dicembre

Jared sedette accanto al finestrino e tirò un sospiro di sollievo.
Gli avvenimenti di quei giorni l'avevano alquanto turbato.

Tralasciando Valentina... aveva l'impressione che gli fosse sfuggito qualcosa, solo che non capiva cosa.

E poi rifletteva su quel ricordo.
Era stato rapito e portato nell'autobus.
O forse si era ubriacato a Disneyland e aveva un ricordo distorto di tutto quanto? Ma come aveva fatto a ubriacarsi, se non ricordava di aver bevuto niente?

-Buongiorno, signor Leto.

Il filo dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto.

Jared si voltò e impallidì.
-Ma...
-Ho una storia da raccontarle.
 

Italia, 24 dicembre

Valentina camminava con le mani nelle tasche del cappotto, la testa bassa.

Non vedeva niente di quello che la circondava, era troppo immersa nel ricordo della figuraccia immane che aveva fatto con Jared Joseph Leto.

Se un anno prima le avessero detto che sarebbe andata a Parigi per inseguirlo, probabilmente sarebbe scoppiata a ridere fino a morirne.

Passò di fronte a un'edicola e involontariamente abbassò lo sguardo.

Era uscito Vogue.
E sulla copertina c'era Jared.

Valentina inchiodò e rimase a fissare quel nefasto giornale per un paio di minuti, con aria contrariata.
Dentro doveva esserci quel famoso servizio fotografico di Gigì che le aveva fatto passare tanti guai.

-Prendo Vogue, ecco a lei e tenga il resto.

Poco dopo, c'era una triste italiana seduta su una panchina, che sfogliava una copia di Vogue con aria tetra, sbuffando a intervalli regolari.
Quando arrivò all'ultima pagina, chiuse la rivista e la arrotolò.

-Buon Natale, Valentina.-bofonchiò, funerea.

Non fece in tempo ad alzarsi, che le squillò il cellulare.
Un messaggio.
"-1, vecchia mia... quel bell'americano su Vogue ha qualcosa di familiare, no? Buon Natale 😆"

Valentina chiuse il telefono con stizza. Nessuno di quei maledetti ricattatori sapeva delle sue avventure in Francia, e nemmeno ci avrebbero creduto se l'avesse raccontato.

Forse avrebbe dovuto tenersi la soddisfazione per aver passato le vacanze di Natale con Jared a Parigi e ritenersi contenta. 
E basta.
No.
Almeno avesse avuto una foto ricordo da portarsi in Alaska...
Oh, già. 
Alaska.
-Andiamo a preparare le valigie.- si disse, prendendo mestamente la via di casa.

Appena la vide entrare, sua sorella le indicò la sua stanza.
-La valigia per l'Alaska è già mezza piena, se ti interessa.
-Mi interessa.

Da quel momento, Valentina si chiuse in camera e ne uscì solo ed esclusivamente per cena.

Intanto, il famoso video che aveva scatenato tutti quei disastri, salvato in duplice copia in ognuno dei computer degli ex amici di Valentina, aspettava di essere caricato su internet.

Ma la notte di Natale, si sa, è un momento magico. 
Tutto può succedere, in quella manciata di ore che separa il 24 dal 25 dicembre, e Valentina, totalmente insonne, aspettava un evento miracoloso, di qualsiasi genere.

-Potrei persino ricominciare a credere in Babbo Natale, se succedesse qualcosa. Qualsiasi cosa. Basta che succeda.

Era giunto il momento, per la famigerata 'magia del Natale', ovunque fosse, di manifestarsi.

-Mi sta bene anche uno sconto sul prezzo del volo per l'Alaska, se proprio questa situazione non si può aggiustare.
-Valentina. Se non la smetti di mugugnare ti ci mando io in Alaska. Gratis.
-...va bene anche una sorella più simpatica, al limite. O una camera singola.

Sperava davvero che quella notte accadesse qualcosa.


Note dell'autrice
Sono inqualificabile. Scusate. Buon Natale in ritardo :')

-Valentina

 

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Capitolo 10
*** Regali inaspettati ***


Italia, 25 dicembre

-È Natale.

Con quella consapevolezza, Valentina si alzò dal letto, sospirando.

Sarebbe stato il Natale più amaro della sua intera esistenza.
Ma da quel giorno nessuno sarebbe più riuscito ad incastrarla, mai più.

Anche perché sarebbe stata al fresco in Alaska, che effettivamente era piuttosto lontana da tutti quelli che la conoscevano, perciò ci sarebbe voluto un po' di tempo prima che qualcuno potesse (e volesse) giocarle uno scherzo del genere.

Una consolazione, alla fine. Magra, ma pur sempre una consolazione.

-Be', proviamo a goderci questo Natale anche se sarà catastrofico.

La magia del Natale non si era manifestata. Ovviamente.

Molto rassegnata, l'italiana buttò giù sua sorella dal letto, come faceva tutte le sante mattine di Natale e si incamminò ciondolando verso la cucina.

I suoi non si erano ancora alzati, e molto probabilmente sua sorella era rimasta a dormire per terra, il silenzio regnava sovrano.

Le lucine dell'albero di Natale mandavano bagliori colorati che disegnavano sui muri arabeschi fantastici.

Sotto l'albero, i soliti regali, tredici pacchetti, tre per ogni membro della famiglia da parte degli altri.

...tredici? Per quattro persone?

Animata da una irragionevole speranza, Valentina andò a leggere le etichette.

Il tredicesimo pacchetto era per lei.

Ci pensò su un secondo, mordendosi le labbra.

Decise di aprirlo, tanto, a meno che non avessero deciso di mandarle un ordigno, non poteva succederle niente di male.

Non aveva acceso la luce, e nella semioscurità, seppur con l'ausilio dei fasci di luce colorata dell'albero di Natale, non riusciva a vedere cosa contenesse il pacchetto, che all'apparenza sembrava vuoto, allora ci calò dentro una mano.

Ne estrasse un foglietto di carta rigida.
Lo avvicinò alle lucine.

30 Seconds to Mars –sessione acustica, Firenze, 26 dicembre.

Convinta di avere le allucinazioni, Valentina rimise quello che a tutti gli effetti sembrava un biglietto per un concerto  nella scatola, la richiuse, la rimise sotto l'albero, posizionandola esattamente dov'era prima che la aprisse.
Poi si stropicciò gli occhi, li tenne serrati, contò fino a dieci, poi pensò che forse fino a trenta era meglio.

Quando li riaprì, uno per volta, titubante, la scatola era ancora lì.

Rimase a fissarla come in trance per qualche minuto.
Alla fine la afferrò di scatto, la aprì e tirò fuori il biglietto, lanciando via scatola e coperchio.

Il suo urlo di gioia mista a sconcerto svegliò tutti nel raggio di un chilometro e mezzo.

Quando la sua famiglia si precipitò in cucina, Valentina era seduta per terra, ai piedi dell'albero, col suo bel pigiamino a pallini e le pantofole verdi, e fissava il biglietto con le lacrime agli occhi.

Non ci poteva credere, davvero, non ci poteva credere.

-Non so chi di voi mi abbia fatto questo regalo, ma sappiate che vi adoro!- piagnucolò, alzandosi goffamente per abbracciare tutti e dirigersi infine verso la sua colazione.

Ci mise molto poco a capire che nessuno dei membri della sua famiglia le aveva regalato quel biglietto, al che, rimase di stucco.

-Vuoi vedere che quella letterina non è stata del tutto inutile...- andava bofonchiando, mentre cercava sul web notizie di quel concerto acustico del quale non sapeva assolutamente niente.

Scoprì che era un evento eccezionale, una specie di sorpresa di Natale, o forse era solo che Jared aveva deciso di regalarsi un viaggio a Firenze per il suo compleanno e poi... si sa, da cosa nasce cosa.

C'era qualcosa che non quadrava, in quella storia, ma Valentina decise di far finta che fosse tutto perfettamente normale, almeno finché non avesse scoperto la verità.

Il lungo e tortuoso percorso delle sue riflessioni la portò alla fine di fronte alla raggelante idea dello scherzo.

Qualcuno dei suoi amici le aveva fatto avere quel biglietto, finto, per potersi divertire ancora di più alle sue spalle.

Era già nera di rabbia, quando le arrivò una telefonata, e poi un'altra, e poi un'altra ancora, da parte dei suoi aguzzini, che la ringraziavano per i biglietti per il concerto e si auguravano fortemente che non fosse uno scherzo.

-Tu credi a Babbo Natale?- chiese Valentina a sua sorella dopo pranzo, mentre riposavano sul divano per riprendersi dalle fatiche della mangiata.

Lei la guardò storto.

-Ancora con questa storia?

-Già.

-Lo sanno tutti che Babbo Natale non esiste.

Valentina sorrise in maniera inquietante.

-Non ne sarei tanto sicura.

 

 

Los Angeles, 25 dicembre

Jared era stato alquanto vago, quando aveva spiegato le motivazioni della sua improvvisa decisione.

Shannon e Tomo iniziavano a pensare che gli fosse successo qualcosa, a Parigi, di cui non aveva fatto parola con nessuno.

-Dopodomani è il mio compleanno, e si fa quello che dico io. Punto e basta.

Tutti sapevano che quando si metteva in testa qualcosa, era molto, molto difficile, se non addirittura impossibile, far cambiare idea al signor Jared Joseph Leto, per cui, quando se ne era uscito con quella perentoria sentenza, nessuno aveva osato contraddirlo.

Se era davvero impazzito, bisognava assecondarlo, o avrebbero potuto esserci delle conseguenze.

In realtà, Jared non era affatto impazzito. Forse.

Quel tizio, sull'aereo, quello con la barba bianca –tra l'altro stranamente somigliante a una serie di personaggi che aveva incontrato a Parigi, il che gli faceva pensare che fosse scoppiata la moda Babbo Natale- che si era seduto accanto a lui, gli aveva effettivamente raccontato una storia.

C'era una persona, in Italia, che aveva bisogno di lui, ed era, a quanto pareva, una questione di vita o di morte.
Per questo quell'uomo si era offerto di pagare tutto il viaggio e la permanenza a Firenze a lui, Shannon e Tomo, perché con la scusa di un concerto potessero fargli incontrare e salvare quella misteriosa persona.

Ora, presa così, la storia, Jared se ne rendeva conto, era alquanto strana.

Ma quel panciuto signore aveva qualcosa di speciale. Dava proprio l'idea di essere... buono.

E Jared aveva accettato, anche se nemmeno lui riusciva a spiegarsi perché l'avesse fatto.

Forse perché a Natale bisogna essere tutti più buoni, forse perché era semplicemente curioso, in ogni caso Firenze non gli dispiaceva affatto come regalo di compleanno.

Mentre volavano verso l'Italia, Jared rimuginava sugli strani eventi in cui era rimasto coinvolto dal suo arrivo a Parigi in poi, Shannon e Tomo si auguravano fortemente di non doversi pentire della loro scelta di fidarsi dei probabili deliri del primo.

Era sempre stato un po' strano. Speravano che non fosse peggiorato definitivamente entrando in crisi di mezza età.

Si consolarono dicendosi che il giorno dopo, nel bene o nel male, avrebbero scoperto tutta la verità, dovevano solo pazientare.

E prepararsi a tutto. Non avevano idea di cosa sarebbe potuto succedere al concerto.





Note dell'autrice

Visto che siete stati così pazienti con me, vi meritate una pioggia di capitoli tutti insieme!
Che bello pubblicarli tutti su Wattpad e nessuno su EFP, eh?
Bene, devo rimettermi in paro, e sarebbe anche ora...

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Capitolo 11
*** Ho una bella storia da raccontarvi... ***


Firenze, 26 dicembre

Valentina quasi saltò giù dal finestrino per quanto era agitata.

Avrebbe voluto scendere dal treno in corsa, ma purtroppo -o meglio, per fortuna- le porte erano chiuse.

La stazione era affollatissima come al solito, forse anche più del solito.

Era Natale, dopotutto.

Valentina respirò a pieni polmoni l'aria non esattamente pura della stazione e si tuffò tra la gente con la sua adorabile valigetta striminzita.

Non vedeva l'ora di andare al concerto, anche se ancora tutto le sembrava così surreale da indurre una parte del suo cervello ad urlare a gran voce che si trattava dell'ennesima presa in giro.

Nonostante questa previdente parte del suo cervello non facesse altro che sventolare bandiere, suonare sirene d'allarme e cercare in tutti i modi di attirare la sua attenzione, Valentina decise di ignorarla.

Se anche fosse stato un altro scherzo, se la sarebbe cavata, come faceva quasi sempre.

Passò nell'ansia tutta la giornata.

Diciamo che la pazienza non era esattamente il suo forte.

Quasi quasi nemmeno Santa Maria del Fiore riusciva a restituirle l'atarassia, e pensare che di solito ci riusciva così bene...

Quando finalmente venne il momento del concerto, non le sembrava vero.

Immediatamente, con solo due ore di anticipo perché tanto il suo misterioso benefattore si era preoccupato di regalarle il biglietto per le prime file, si precipitò alla fermata dell'autobus.

Aspettò dieci minuti. Che poi divennero quindici. Che poi divennero venti. Poi trenta. Quando si trasformarono magicamente in tre quarti d'ora, Valentina iniziò ad andare nel panico e a lanciare occhiate sempre più preoccupate al display che segnalava l'arrivo degli autobus...

...sul quale all'improvviso comparve una scritta che Valentina non avrebbe mai e poi mai voluto leggere nella sua vita, ma specialmente in quel momento: "Tutte le corse sono state cancellate".

-Non è possibile...- fece l'italiana, che aveva assunto un preoccupante colorito verdolino pallido. 

Con le lacrime agli occhi, si ritrovò ad abbracciare il display, display che rimase freddo e insensibile come non mai, con un comportamento degno del più ostico dei blocchi di marmo, ignorandola.

-Ti prego... mandami un autobus... ti supplico, non puoi farmi questo proprio oggi... ma che ti ho fatto di male?- piagnucolava Valentina, sperando di far breccia nel suo cuore di circuiti, ma, stranamente, senza alcun successo.

-Ho sempre pagato il biglietto, non ho mai preso una multa, ho ceduto il mio posto alle vecchiette e ai vecchietti, non ho mai imbrattato un singolo centimetro di autobus nella mia vita... non mi merito questo trattamento, insomma!

I passanti le lanciavano occhiate allibite e alle volte allarmate, aggirandola senza avvicinarsi nemmeno per sbaglio a quella matta che parlava con il display della fermata.

Dopo un po' un'idea le balenò in testa.

Un taxi! Ma certo!

Senza pensarci due volte, Valentina si staccò dal display, lanciandogli un'occhiata sdegnosa, e chiamò un taxi.

Attenda in linea.

Uno, due, tre minuti di musichetta irritante.

Siamo spiacenti, ma non c'è nessun taxi disponibile per la sua zona.

Valentina quasi lanciò il telefono contro un muro, infuriata.

Allora sarebbe andata a piedi, ecco.

A piedi.

Sì.

Solo allora si rese conto di non conoscere la strada per raggiungere la sua meta tanto agognata, e a quel punto, alla frustrazione subentrò la depressione. Di nuovo.

-Che ho fatto di male, nella mia vita? Che cosa? Sarò costretta a ricorrere al piano Z. Chiamare qualcuno e farmi venire a prendere.

Così dicendo, prese il telefono che fortunatamente non aveva fatto sfracellare contro il muro e chiamò i suoi amici. Uno per uno.

Incredibilmente, nessuno rispondeva.

Erano tutti irraggiungibili, senza esclusioni.

-C'è qualcuno che ce l'ha con me. Allora è vero.- piagnucolò Valentina, iniziando a sbattere la testa contro il muro, senza sapere più che altro fare.

Aveva giocato tutte le sue carte, a quanto pareva era destino che non andasse a quel concerto e non riuscisse a salvarsi dall'Alaska.

-Dopo tutto quello che ho passato per andare a prendere quello stupido americano, non me ne va bene una che sia una. Dev'essere la congiura universale.- borbottò, incrociando le braccia e aggrottando le sopracciglia con aria truce.

Avrebbe richiamato un taxi appena passati cinque minuti. Era il loro lavoro scarrozzare la gente, dovevano farlo, in un modo o nell'altro.

Stava già componendo il numero del servizio taxi, psicologicamente pronta ad affrontare la musichetta assassina per altri, interminabili, minuti, quando una vettura bianca si fermò davanti a lei.

Un taxi!

Senza pensarci due volte, l'italiana saltò su e lasciò l'indirizzo al conducente.

Quello partì a tutta birra, con sua grandissima gioia.

E così Valentina riuscì non solo a recuperare il tempo perduto, ma anche ad arrivare in anticipo, il che, manco a dirlo, la rese immensamente sollevata, consolandola dal pensiero di quanti bei soldini aveva dovuto sborsare per la corsa.

-Arrivederci... e buon concerto!- le disse il conducente, mentre lei scendeva dalla vettura.

Valentina si esibì in un sorriso a ottomila denti.

-Oh... lo sarà. Eccome se lo sarà... grazie!- rispose, lanciandosi fuori perché avevano appena aperto le porte dell'auditorium.

Non si era accorta della bizzarra somiglianza tra l'autista che l'aveva appena salvata e quello che, a Parigi, l'aveva quasi investita.

Riuscì a ricongiungersi ai suoi amici traditori senza grosse difficoltà. C'era poca gente, in effetti.

Quell'elemento aveva un che di sospetto, ma, ovviamente, Valentina non s'insospettì.

Aveva ben altro a cui pensare.

Ad esempio alle occhiate truci dei suoi amici.

-Be'? Non siete contenti? Vi ho portato Jared Leto, come promesso.- esordì lei, mentre li raggiungeva, gongolando.

Le risposero occhiate inquisitorie e un silenzio pesante.

-Dobbiamo ancora vedere se si presenta. E di' un po', come avresti fatto?- chiese uno di loro, il più sospettoso di tutti, a quanto pareva.

Valentina non poteva certo rispondere che non ne aveva la minima idea, per cui tentò di darsi un tono.

-Ho usato il mio fascino irresistibile! E che altro, se no?

Quella risposta scatenò un coro di risate. Valentina non poté nemmeno offendersi, perché in effetti erano più che giustificate.

Stava per rispondere per le rime a quei gran simpaticoni, quando le luci si spensero all'improvviso e l'auditorium piombò nel buio più totale.

Prima che si accendessero le luci sul palco, Valentina si sorprese a chiedersi se la causa di quel buio improvviso fosse un blackout, il che non sarebbe stato strano, conoscendo la serie di sventure che avevano reso le sue vacanze di Natale una specie di giostra senza fine.

Per fortuna, l'attesa durò pochi secondi.

Tomo, Shannon e Jared fecero la loro comparsa sul palcoscenico appena le luci si furono accese.

Valentina incrociò le braccia, soddisfatta.

-Visto? Eccolo là, in carne ed ossa. E shatush.- commentò, alle occhiate stupefatte dei suoi amici.

-Ciao, Italia- disse Jared, in quel momento: -Prima di iniziare vorrei augurare a tutti un buon Natale. Visto che comincio ad avere una certa età (anche se, e su questo siamo tutti d'accordo, non la dimostro), ho deciso di venire a festeggiare con voi, in questa meravigliosa città di questo meraviglioso paese. Spero che non vi dispiaccia.

Visto che non dispiaceva a nessuno, il concerto poté iniziare.

Valentina prese un respiro profondo, chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, si diede un pizzicotto, tanto per essere sicura sicura.

Appurato che non era un sogno, quasi si commosse.

Ce l'aveva fatta.

Fu il concerto più bello della sua vita.

Quando fu tutto finito, una volta che ebbero cantato "tanti auguri a te" a Jared e le luci in sala si furono riaccese, tutti si predisposero per il meet.

Shannon e Tomo parlottavano tra loro dietro le quinte, con aria circospetta.

Jared, invece, sembrava inquieto.

Tutta la storia di quel tizio sull'aereo l'aveva turbato.

Si aspettava un colpo di scena da un momento all'altro, ma siccome non sapeva con precisione cosa sarebbe potuto accadere, non poteva fare a meno di essere lievemente in ansia.

Quella notte aveva sognato che veniva rapito da una mummia del Louvre che lo trasportava con un sacco fino a una slitta, dove lo aspettava una figura barbuta.

Era quella pazza italiana che l'aveva tormentato a Parigi! E aveva una barba, persino più bella e folta della sua, bianca, candida e soffice come una nuvola di zucchero filato!

La prima cosa che aveva pensato quando si era svegliato, in un bagno di sudore freddo, era stata che doveva assolutamente scoprire che prodotti usava quella psicolabile per avere una barba così bella.

Poi era tornato in sé. Fortunatamente.

-Ehm... Jay?

Erano circa cinque minuti che Tomo provava ad attirare l'attenzione di Jared, ma senza successo. Si voltò verso Shannon, sconfortato.

Shannon scosse la testa e lo raggiunse, poi prese il fratello per le spalle e iniziò a scuoterlo.

-Svegliati, vecchietto!- esclamò.

Al sentire la parola 'vecchietto', un brivido gelido percorse la schiena di Jared, che si riscosse immediatamente.

-Che cosa hai detto?- chiese, voltandosi verso Shannon con aria minacciosa.

L'altro non si lasciò impressionare. Tomo sì.

-Abbiamo da fare, datti una svegliata.

Jared sbuffò e non rispose mentre il fratello se ne andava a firmare autografi. Solo dopo si accorse di Tomo.

-Va tutto bene... Mofo?

Lo chef croato sembrava una statua di pietra. Fissava Jared con aria spaventata.

Quando quest'ultimo gli rivolse la parola, sobbalzò e, annuendo frettolosamente, raggiunse di corsa Shannon. Jared scosse la testa e si avviò a sua volta.

Firmarono autografi e fecero foto per circa mezz'ora, dopodiché notarono che erano rimaste solo cinque o sei persone.

O meglio, Shannon e Tomo lo notarono, Jared sembrava ancora immerso nelle sue arzigogolate, nonché misteriose, riflessioni e molto probabilmente non si sarebbe nemmeno accorto se gli avessero rovesciato in testa una pentola d'acqua gelata.

Poi, all'improvviso, qualcosa risvegliò la sua attenzione.

Il suo volto si fece terreo e si alzò in piedi di scatto, additando qualcosa.

-Tu!

Tutti i presenti si voltarono di scatto, allibiti, prima verso Jared, poi verso la fine della fila di Echelon.

Valentina quasi saltò dalla paura.

Tutti, ma proprio tutti, la stavano fissando.

-Ehm... salve.- balbettò, paonazza per la vergogna. Non c'era nemmeno un misero angolino dove potesse nascondersi. L'unica era affrontare un inferocito Jared Leto o darsela a gambe e sparire.

-Che cosa ci fai qui?- fece Jared, senza muoversi di un millimetro.

-Sono venuta al concerto... e il biglietto ce l'ho, se ti interessa!

Tomo e Shannon lanciarono a Jared un'occhiata stralunata.

Lui guardò storto l'italiana e si rimise a sedere.

-Ne riparliamo quando arriva il tuo turno.

E il turno di Valentina arrivò molto presto.

Con tutto il suo gruppetto che era rimasto sul palco ad aspettare gli sviluppi della vicenda, l'italiana si presento davanti a Tomo, che era quello più a sinistra, nonché il più allibito, con Jared che ancora la guardava storto e Shannon che non sapeva esattamente che fare, che dire e, a dirla tutta, nemmeno che pensare.

-Ora tu mi racconti tutta la storia di come hai fatto a sapere che saremmo venuti a Firenze.- ordinò Jared, senza preamboli.

E Valentina gliela raccontò tutta, ma proprio tutta, a partire da quando era tornata in Italia, senza tralasciare niente, e mano a mano che parlava vedeva un'ombra di comprensione sempre più ampia farsi largo sul volto di Jared, mentre lei stessa, Shannon, Tomo e tutti i suoi amici non ci avevano capito un fico secco.

Il raccontò finì e cadde un silenzio pesante.

Jared si accarezzava distrattamente la barba, pensieroso.

-Pensi che potrai darci qualche spiegazione, prima o poi? Oppure vuoi rimanere qui con quella faccia da stoccafisso finché non compi cinquant'anni?- sbuffò Shannon, dopo cinque minuti, esasperato.

-Io intanto posso abbracciare Tomo? Non sono pericolosa. Lo giuro.- sussurrò Valentina. Shannon annuì e lei fece il giro del tavolo per andare ad abbracciare Tomo, il quale sembrava essersi rassicurato sul suo conto e quindi non oppose resistenza.

-Bene- esclamò all'improvviso Jared, battendo una mano sul tavolo.

-Ho capito tutto quello che è successo.

A quelle parole, Valentina lo guardò interrogativa.

-Bravo, complimenti. Io no. Saresti così gentile da spiegare anche a noi?

Jared guardò tutte le facce delle persone che lo circondavano. Erano tutti perplessi.

-A cominciare da quando hai iniziato a perseguitarmi a Parigi?- chiese.

Valentina annuì.

I suoi amici, invece, sbiancarono tutti, e lei non poté trattenere un sorrisetto strafottente.

-Direi che è la scelta migliore. Qui c'è una banda di malfidati che non ci crederebbe mai, se lo raccontassi io.- rispose, mollando Tomo per andare a prendersi una sedia e piantarsi vicino a Jared, tanto per godersi meglio le espressioni dei suoi aguzzini che prendevano gradualmente consapevolezza della sconfitta.

Jared si preparò psicologicamente all'impresa che si apprestava a compiere.

Nessuno gli avrebbe creduto, era plausibile, ma dietro a tutta quella faccenda c'era Babbo Natale.

Ormai ne era sicuro.

Era lui il tassista, era lui il turista strambo e il guardiano al Louvre, era lui che aveva steso i ladri, era sempre lui che aveva incontrato a Disneyland ed era stato lui a tentare di rapirlo. Infine, era senz'altro lui il panciuto e misterioso tizio dell'aereo.

Era una notizia davvero confortante. Allora non era scoppiata la moda Babbo Natale!

Non aveva ancora capito perché Valentina rischiasse la vita, perché era chiaro che Babbo Natale si riferiva a lei, quando l'aveva incontrato sull'aereo e gli aveva detto tutte quelle cose strane, ma ci sarebbe stato tempo per far luce su quel punto.

Tutti i presenti lo fissavano, in attesa.

-Mettetevi comodi, ragazzi. Ho una bella storia da raccontarvi.


****


Lapponia, 27 dicembre

Babbo Natale si tolse gli stivali con un sospiro di sollievo, poi si buttò finalmente sul suo bel divano, davanti al camino.

La slitta era a posto, le renne anche.

Regali tutti consegnati.

Tanti bambini felici.

Le letterine erano tutte in archivio.

Tranne una.

Se ne stava lì sulla scrivania, sola soletta.

Doveva essergli sfuggita quando aveva riordinato.

Si alzò con immensa fatica e la prese in mano.

Era ancora chiusa.

Veniva dall'Italia.


Caro Babbo Natale,

non pensavo che un giorno mi sarei ritrovata a scrivere questa lettera, ma nell'ultimo periodo ho iniziato a capire che tutto è possibile, per cui adesso non me ne stupisco affatto.

Penso che non dimenticherò mai questo Natale.

Dovrebbero farci un film.

Babbo Natale che cerca di rapire il regalo di Natale per una tizia che sta provando a sua volta a rapirlo.

Una trama coinvolgente, non c'è che dire.

Insomma, volevo ringraziarti.

Per tutto.

Perché un Natale così non l'avrei mai immaginato.

E' strano... se non l'avesse capito Jared, io non sarei mai riuscita a risalire a te. E pensare che è stata tutta colpa mia.

Di nuovo grazie, Babbo.

Buone Feste

PS: spero che tu non ti sia offeso quando ti ho scritto che non esisti. Scusa.

Valentina



Babbo Natale ripiegò la lettera con un sorriso soddisfatto e la ripose su una mensola.

Quella non sarebbe finita in archivio.

Tornò a sedersi sul divano ancora più contento di prima.

Anche stavolta poteva a ragione considerare la "missione Natale" perfettamente compiuta.

Tutti erano felici.

Adesso poteva riposare.

 

 

 

 

Note dell'autrice

Non posso scriverci la parola fine. Non posso farlo davvero. Mi piange il cuore. E sapete che vi dico? Non ce la scrivo. Lo lascio così.

E così, siamo giunti alla fine delle rocambolesche avventure della strana italiana e dello strano americano con la loro banda di amici bizzarri.

Era ora.

Già è passato quasi un anno.

Ammetto che avrei voluto pubblicare questo capitolo a Natale. Ma mi rendo conto che è già passato troppo tempo da quando ho promesso di aggiornare ad oggi.

Spero che non mi detestiate per questo.

Forse vi aspettavate un finale diverso. Lo so, anche io me lo aspettavo diverso.

Però è questo, ehi, che ci vogliamo fare? Le storie se lo scelgono da sole, il finale, come l'incipit.

E devo dire che questa ci ha messo parecchio per decidere come voleva finire.

Che dire... spero che i miei deliri non vi abbiano spaventato. Se così fosse mi sentirei in colpa per il resto della vita.

Non posso promettervi che tornerò presto con qualche altra surreale avventura (e qui parte il coro di "chissenefrega", eheheh) però prima o poi succederà, questo è poco ma sicuro.

Alla prossima, elfi di Natale travestiti da lettori.

Lo so che siete sempre stati voi. Altrimenti non si spiega.

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Capitolo 12
*** Special! ***


Stella stellina, il C.I.M. si avvicina…
 


«Studentessa universitaria pubblica racconto su Babbo Natale: è dibattito tra i fan»

«La guerra delle fangirl: Babbo Natale ha davvero rapito Jared Leto?»

«“Caro Babbo Natale”, un invito a non scrivere più letterine?»


Strano ma vero, Valentina da un po’ di tempo aveva il terrore delle edicole.
Non ci passava davanti nemmeno per sbaglio, le evitava come la peste.
Per fortuna che non c’erano foto sue stampate sulle prime pagine dei giornali. Al massimo in quarta, quinta pagina.
Sui trafiletti.
Ma era inquietante lo stesso.
Se avesse saputo che quella che a tutti gli effetti era –o almeno, sembrava- una fanfiction demente su Jared Leto che si trovava in una improbabile avventura, appunto, da fanfiction, avrebbe scatenato quel putiferio, non l’avrebbe mai e poi mai pubblicata.
 
Era appena reduce da tutte le emozionanti avventure di quel Natale strampalato, quando le era balenata in testa la –nefasta- idea di raccontare per iscritto tutto quello che era successo nei giorni precedenti.
Fortuna che doveva laurearsi, aveva dato tutti gli esami ed era a buon punto con la tesi, altrimenti quella sessione sarebbe stata un disastro epocale per il suo percorso di studi.
Non poteva certo uscirsene davanti a tutta la commissione con un “Non ho studiato e non ho preparato la tesi perché sono stata impegnata a inseguire Jared Leto in giro per la Francia”.
L’avrebbero istantaneamente buttata fuori.
Dalla finestra.
 
In ogni caso, aveva suddiviso tutto il materiale in capitoli e poi le era venuta un’idea ancora più brillante, se possibile, di quella precedente, ovvero quella di pubblicare il tutto.
 
Non in cartaceo, ovviamente. Erano anni che aspettava di partorire qualcosa di degno di essere pubblicato in cartaceo, non era certo quella robetta la candidata ideale.
Però l’aveva pubblicata su internet, su una di quelle piattaforme di scrittori e lettori che ormai spopolano in rete.
 
Non pensava di avere tutto quel successo.
 
All’inizio aveva pochi lettori, sempre quelli, fidatissimi, ma poi le cose avevano iniziato a degenerare.
Con le visualizzazioni erano aumentati i voti, ed era salita in classifica, così da attirare ancora più lettori, e così via, in un circolo vizioso di stelline e commenti.
 
Ma la cosa che veramente non si sarebbe mai aspettata era che nascesse un fandom dedicato ai suoi personaggi.
Quella era veramente una cosa inquietante.
 
Ebbene, questi fan avevano iniziato a fare congetture sulla storia.
Sembrava tutto troppo realistico, troppo dettagliato, per essere finto.
E così alcuni avevano iniziato a sospettare che ci fosse qualcosa sotto, un fondo di verità.
 
Prima una domandina a caso tra i commenti, che Valentina aveva liquidato con una risata e una smentita.
“Ovviamente è tutto finto! Non vi sembra troppo assurdo per essere successo davvero?”
Evidentemente no.
 
-Non ci posso credere.
Valentina fu obbligata a fermarsi davanti a quell’edicola.
Uno dei soliti giornaletti che non aveva mai letto in tutta la sua vita la fissava da un espositore, ficcato tra Focus e Cose di Casa.
 
Jared Leto smentisce: mai stato a Parigi con quella tizia. Non sono stato rapito, ero in vacanza.
L’italiana non poteva davvero credere ai suoi occhi. Comprò subito il giornale e iniziò a sfogliarlo alla velocità della luce, bypassando le storie sulla villa di Justin Bieber e sulla scollatura di Rihanna, dribblando da professionista l’intervista a Taylor Swift e il racconto shock di Ariana Grande sulla sua parrucchiera daltonica che le aveva fatto diventare i capelli color puffo.
Più o meno al centro della rivista c’era l’intervista a Jared.
Valentina si sentì mancare quando lesse le domande.
-Forse tutta questa faccenda mi è sfuggita di mano…- pigolò, quando ebbe finito di leggere l’articolo.
Mentre tornava a casa, si fermò a meditare come una povera derelitta sullo scalino della Loggia dei Lanzi, in Piazza della Signoria.
Quando i piccioni non la assalivano per colpa delle cinesine che lanciavano manciate di briciole di pane in giro era uno dei suoi punti di meditazione preferiti.
Era talmente persa nel compianto delle sue scelte disastrose da non accorgersi che alcuni turisti l’avevano persino fotografata, credendo che fosse tipo una statua di cera o un’artista di strada che giocava a stare immobile con quell’aria talmente addolorata da risultare comica.
Le squillò il telefono e nemmeno se ne accorse.
Lo tirò fuori dalla tasca del cappotto e nemmeno guardò il display, rispose in automatico.
-Pronto- mugolò, disconnessa del tutto dalla realtà. Forse era il direttore del C.I.M..
-Adesso che tutto il mondo parla del mio rapimento sarai contenta. Hai combinato il solito macello, stupida italiana pasticciona che non sei altro.- la rimproverò la voce all’altro capo del telefono, in inglese.
Valentina sbiancò, quasi le cadde il telefono di mano.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma le riuscì solo di emettere una sfilza di suoni disarticolati mentre apriva e chiudeva la bocca senza soluzione di continuità.
-Ah, non parli, eh? Forse è meglio. Almeno parlo io e ti sottopongo la questione del giorno- fece quello che doveva essere un Jared Leto particolarmente infuriato e spaventoso. –Come diamine ti è venuto in mente di scrivere quella storia?!- tuonò, tanto forte che Valentina dovette allontanare il telefono dall’orecchio per non finire assordata.
-J…Jared… come… come fai ad avere il mio numero?- balbettò, quando riuscì a ricordarsi come si parlava.
Un attimo di silenzio.
-Cioè, fammi capire- esordì Jared: -Io mi sto seriamente impegnando per risolvere il guaio che tu hai causato, che rischia di raggiungere proporzioni apocalittiche se non insabbiamo il tutto, con una chiamata intercontinentale che, tra l’altro, mi sta costando un patrimonio, e tu ti chiedi come faccio ad avere il tuo numero? Solo perché tu non puoi avere il mio non significa che io non possa trovare il tuo, chiariamo questo fatto.
Valentina prese un respiro profondo.
-Okay. Che facciamo?
-Che facciamo devi dirmelo tu, visto che quella storia l’hai scritta tu. Non voglio farti causa, anche se forse dovrei, quindi vediamo di trovare un’altra soluzione. Ma mettiamo in chiaro che la vera vittima di tutto ciò sono io.
-…e io no, scusa?
-Chi l’ha scritta la letterina a Babbo Natale, l’anno scorso? Chi è che si è ubriacato come una zucca, l’anno scorso, e ha iniziato a blaterare cose ancora più insensate del solito?
-Io.
-Ecco, l’autoevidenza del ragionamento ti riduce al silenzio.- concluse Jared, non senza soddisfazione.
L’italiana sospirò e si passò una mano sul volto.
-Stavo leggendo la tua intervista a…
-Sì, lo so. Ho dovuto mentire per forza.- fece Jared, senza nemmeno farla finire.
Lei annuì, sfogliando pigramente e del tutto a caso il giornale che aveva sulle ginocchia.
-Ma non potrò continuare a lungo. Prima o poi indagheranno, potrebbe veramente nascere uno scandalo, se si scoprisse la verità.- continuò lui, con tono preoccupato.
Valentina sentì improvvisamente una stretta allo stomaco.
-I paparazzi di Parigi…- farfugliò, terrorizzata, appena il ricordo del loro pranzo al ristorante seguito da corsetta digestiva di quel giorno le riaffiorò alla coscienza.
Sentì Jared sospirare. –Appunto. Proprio quello che intendevo.
Cadde un silenzio teso, ma Valentina lo ruppe all’improvviso. Aveva un’idea.
-E se noi…
Jared capì al volo quello che intendeva. Avevano avuto contemporaneamente la stessa illuminazione.
-Non credo sia una buona idea… potrebbe portare ad altri guai… pensa all’ultima volta.
Ma Valentina ormai era lanciata.
-Posso salvarmi dal C.I.M.!- esclamò, scattando in piedi e lanciandosi di corsa verso casa, attraversando un tappeto di piccioni, che nel frattempo erano stati attratti dal panino del solito cinese sprovveduto che lanciava briciole in giro. Non si rendevano conto di che belve quegli animali potessero essere.
Valentina attraversò di corsa mezza Firenze solo per lanciarsi in casa, diretta in sala, dove tirò fuori carta e penna e iniziò a scrivere. Senza nemmeno levarsi il cappotto.
Caro Babbo Natale,
è successa una catastrofe. O meglio, un’altra catastrofe.
È iniziato tutto quando mi è balenata in testa l’idea di mettere per iscritto le nostre vicende, e…
Valentina alzò un attimo la testa.
Forse quella non era la soluzione giusta.
O forse sì. Andiamo, Babbo Natale aveva dei poteri magici, se c’era qualcuno che poteva risolvere la situazione, quello era senz’altro lui.
Era il ventidue dicembre, l’avrebbe letta di sicuro, quella lettera.
Mentre rifletteva sulla data di quel giorno, Valentina si ritrovò con lo strano sospetto che fosse successo qualcosa per cui ogni santo venti-ventisei dicembre dall’anno precedente fino alla fine dei suoi giorni si sarebbe ritrovata a fare cose assurde.
La aspettava una vita di strane giornate di Natale e affini.
Ma la domanda che più la spaventava era un’altra: e se avesse iniziato a trovarsi nei guai anche a Pasqua?
Decise di non pensare a quell’eventualità per non angosciarsi più del dovuto e continuò a scrivere la sua letterina.
Firma, data, indirizzo, francobollo. Bastava imbucarla e dritta in Lapponia!
-Là, ce l’ho fatta!- esclamò l’italiana, tra sé, dando alla cassetta della posta una pacca amichevole mentre contemplava la sua opera con aria soddisfatta.
All’improvviso le parve di sentire in lontananza la voce di Jared che esprimeva –pacatamente e in un linguaggio alto e forbito- il suo biasimo.
Le ci volle poco per rendersi conto che la voce proveniva dalla tasca del suo cappotto.
-Cavoli… il telefono… Jared, pronto? Missione compiuta, siamo salvi!- trillò, estraendo il telefono dalla tasca.
Jared era già abbastanza seccato per tutta quella situazione, in più era da almeno quaranta minuti collegato in una chiamata intercontinentale che gli stava costando un patrimonio. Fece del suo meglio per mantenere la calma. Non fu abbastanza.
A Valentina quasi cadde il telefono di mano per la potenza con cui l’americano espresse tutto il suo disappunto, senza risparmiare né corde vocali, né polmoni, né diaframma.
Quando si calmò, a Valentina fischiava l’orecchio.
-Ho capito. Hai ragionevolmente espresso la tua opinione in merito alla mia soluzione.
-Posso rimarcare il concetto, se non ti è chiaro.- fece Jared, in tono minaccioso.
-No!- esclamò l’italiana, terrorizzata dall’eventualità di perdere anche l’uso dell’altro orecchio. –Cioè… volevo dire… insomma, non importa. Tu sei forse fornito di altre idee? Perché basterebbe che le manifestassi affinché fossero prese in considerazione.
-Allora, prima di tutto non usare quel tono da intellettuale con me. E poi no che non ho altre proposte, altrimenti avremmo seguito quelle e niente sarebbe stato lasciato all’iniziativa di un’italiana esaurita come te.- rispose Jared, facendo del suo meglio per non urlare di nuovo.
Valentina decise di non offendersi. Tanto ormai avevano fatto come diceva lei e non c’era motivo di arrabbiarsi.
-Allora- disse, molto pacatamente: -sta’ zitto. Ho usato un linguaggio troppo forbito per te?
-No- mugugnò Jared, dall’altro capo del telefono. –Sei stata abbastanza chiara.
-Perfetto. Ora dobbiamo solo aspettare che Babbo Natale riceva il nostro SOS e corra a salvarci.- dichiarò Valentina, per tutta risposta, con aria solenne.
-Sembra la trama di uno di quei filmetti di Natale per bambini… ma purtroppo non lo è.
-Jared, smettila. Porterai sfortuna, a forza di lamentarti.
Jared sospirò e di nuovo ringraziò di non aver fisicamente davanti quell’italiana psicopatica, o l’avrebbe strozzata senza pensarci due volte.
-Come faremo a sapere che il vecchietto lappone ha ricevuto “il nostro SOS”?- domandò, reprimendo con un grandissimo sforzo di volontà quei poco natalizi pensieri omicidi.
La domanda colse Valentina alla sprovvista.
-Be’… si manifesterà, in qualche modo.
-E se non dovesse farlo?
-Allora ce la caveremo da soli.
Jared le ordinò di contattarlo appena fosse successo qualcosa, ma ovviamente non le diede il suo numero di telefono –che si era premurato di occultare con lo sconosciuto quando l’aveva chiamata, circa un’ora e mezza prima-, per cui scelsero Facebook come mezzo di comunicazione, dopodiché salutò e riagganciò senza complimenti.
Aveva già speso abbastanza.
Rimasta sola con la cassetta della posta, Valentina decise di aspettare lì finché un postino non fosse passato a ritirare la sua letterina. Era troppo importante per restare lì dentro, abbandonata e dimenticata da tutti.
Non aveva calcolato che il postino sarebbe passato solo la mattina seguente, all’alba, per cui rischiò di congelarsi e di morire di noia e alla fine, a ora di cena, cedette e se ne tornò a casa.
Dopo cena si posizionò davanti a una finestra, su una sedia, per controllare da lì la cassetta della posta.
Riuscì a resistere per un’ora.
Poi crollò addormentata.
La mattina dopo la svegliò il campanello. Era il postino. Con una lettera per lei!
-Ammazza che velocità…- commentò fra sé Valentina, mentre si rigirava tra le mani la busta, proveniente dalla Lapponia, che gli era appena stata consegnata.
Forse le letterine per Babbo Natale si teletrasportavano automaticamente a destinazione appena venivano imbucate. Solo che nessuno lo sapeva perché di solito Babbo Natale non risponde.
 
Cara Valentina,
siamo spiacenti di comunicarle che Babbo Natale non è al momento disponibile a risolvere il suo problema, in quanto è recentemente fuggito dalla Lapponia perché ha deciso di andare in pensione.
Ci faccia il piacere di avvertirci se dovesse ritrovarlo.
Il Natale rischia di essere un fallimento, quest’anno.
Cordiali saluti
Il Segretario Natalizio
 
Quando ebbe finito di leggere, Valentina rimase per un paio di minuti a fissare la lettera, incredula, incapace di formulare pensieri di senso compiuto.
Quando si riprese dallo shock, accese il computer e scrisse a Jared.
Dovevano assolutamente ritrovare Babbo Natale. 




Note dell'autrice

Ta-daaaan! Sorpresa! C'è anche lo special!
Doveva essere di Natale, ma va be', facciamolo di Carnevale e non se ne parli più :')
Vi sembrava troppo bello che me ne fossi andata, eh?
E invece no, muahahaha.

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Capitolo 13
*** Special! pt. II ***


-No, no e ancora no. Levatelo dalla testa, non se ne parla!
Valentina non rispose subito. Rimase un attimo indecisa, con il telefono in una mano e l’altra sospesa a mezz’aria, in uno pseudo gesto oratorio mancato.
-Non andremo insieme fino in Lapponia, dove, ti ricordo, fa un freddo terribile, lasciando le nostre calde casette solo per cercare Babbo Natale.- continuò Jared, imperterrito e irremovibile, senza aspettare una sua risposta che di sicuro non gli sarebbe piaciuta.
-Ma…- provò a replicare Valentina, abbassando la mano, ma lui non la fece finire.
-Niente ma. Consiglio di lasciar perdere tutta questa assurda storia, prima che ci conduca sull’orlo del fallimento, e fare finta che niente sia mai accaduto. Io non conosco te, tu non conosci me, Babbo Natale non esiste e il Natale dello scorso anno è filato liscio come l’olio come tutti gli altri anni. E non mi interessa quello che stai per dire, tanto lo so già.
-Aspetta un secondo, io…
-Stai per dire che non possiamo fare finta di niente, che senza Babbo Natale tutti i bambini del mondo saranno infelici, ma be’, sai che ti dico?, che non è affatto vero. Non so come funzioni lì da voi in Italia, ma in America non è il vecchietto di rosso vestito che s’infila nei camini o utilizza tecniche di scasso sofisticate alla Diabolik che consegna i regali, ma sono i genitori, che a notte fonda si alzano e dispongono i pacchetti sotto l’albero di Natale per la gioia dei loro pargoletti. Perciò, Babbo Natale o no, questi bambini saranno felici lo stesso.
Detto ciò, Jared diede per scontato che non ci fosse più niente da dire e stava già per riagganciare il telefono in faccia a quella psicopatica per poi non dover mai più avere a che fare con lei, quando l’italiana si decise a rispondere.
-Fa’ come ti pare. Io andrò in Lapponia e troverò Babbo Natale, che tu lo voglia oppure no.
Subito dopo la linea s’interruppe e Jared si trovò a cercare di far ragionare un telefono muto.
 
 
Aeroporto di Rovaniemi, Lapponia, 23 dicembre
 
-Ah, bene. Pensavo peggio.- commentò Valentina, appena scesa dal volo che da Helsinki l’aveva portata nella fredda Lapponia. Si aspettava di morire congelata all’istante, invece la temperatura le risultava ancora sopportabile.
Si guardò intorno per qualche secondo, fuori dall’aeroporto, poi vide una figura inquietante venirle incontro traballando. Sentendosi in pericolo, decise di allontanarsi con cautela e nonchalance. Forse quel tizio strano non ce l’aveva con lei. Magari aspettava qualcuno che era sul suo stesso volo…
Invece, nonostante si fosse prudentemente spostata, Valentina si rese presto conto che quella specie di abominevole uomo delle nevi si stava dirigendo proprio verso di lei e l’aveva praticamente raggiunta, al che, l’italiana decise di optare per il piano B e chiamare la sicurezza.
Aveva già preso fiato per chiamare aiuto a pieni polmoni, quando lo yeti le tappò la bocca con una delle sue enormi mani guantate mentre con l’altra si scopriva la faccia, sommersa da strati e strati di lana.
-Non peggioriamo la situazione coinvolgendo la polizia finlandese, grazie.
Valentina sgranò gli occhi e bofonchiò qualcosa di dubbia natura. Forse era un’espressione di meraviglia perché aveva riconosciuto il suo aggressore.
-Se fai qualcosa di strano, qualsiasi cosa che possa vagamente somigliare ad un comportamento inusuale, ti giuro che ti trasformo in un pupazzo di neve e nessuno potrà mai più ritrovarti. Sono stato chiaro?- avvertì quest’ultimo, con un sospiro.
Valentina annuì con aria contrariata e lui le permise di parlare.
-Signor Jared Leto, ma come ti sei conciato?- fece lei, appena ebbe la facoltà di aprire la bocca.
Lui alzò gli occhi al cielo.
-E tu?- replicò, facendole segno di voltarsi.
Dietro di lei c’era una porta a vetri che le rimandò l’immagine di due goffi e variopinti omini Michelin.
Uno dei due era Jared, l’altro era lei.
-Be’- disse l’italiana, voltandosi di nuovo verso Jared: -sono venti gradi sottozero, non potevo di certo venire qui con addosso solo una camicia e un paio di jeans.
In effetti, forse aveva esagerato, doveva riconoscerlo.
Canottiera di lana, maglietta, tre maglioni, cappotto super imbottito, due sciarpe (una dentro il cappotto, l’altra fuori dal cappotto), due paia di guanti, cappello imbarazzante che le copriva metà faccia, ragion per cui per guardare Jared doveva reclinare la testa all’indietro, altrimenti non vedeva niente, calze termiche sotto i pantaloni pesanti, due ulteriori paia di calzettoni e scarponi imbottiti, impermeabili, di una taglia e mezza più grandi dei suoi piedi, corredati di solette termiche.
Ci aveva messo mezz’ora per rivestirsi, prima dell’atterraggio.
Jared la guardava con un sorrisetto ironico. Forse non si rendeva conto che indossavano esattamente la stessa quantità di roba ad eccezione di un paio di guanti.
Per evitare di irritarsi troppo, Valentina decise di cambiare discorso.
-Propongo di andare in albergo per poi riposarsi. Domattina, con il sole, andremo da Babbo Natale.
Il sorrisetto di Jared non solo non scomparve, anzi, si trasformò in una specie di ghigno canzonatorio.
-Italiana…
-Eh.
-Siamo al Circolo Polare Artico.
-E quindi?
-Il sole non sorge d’inverno.
L’occhiataccia che Valentina gli lanciò rischiò seriamente di spaventarlo.
-Allora andiamoci subito. Tanto il villaggio di Babbo Natale è a soli tre chilometri da qui.- ringhiò, per poi voltarsi dall’altra parte e avviarsi con aria solenne verso l’uscita.
Uscita che, ovviamente, mancò -perché cappello e sciarpe le restringevano di parecchio il campo visivo-, ragion per cui andò a sbattere contro il muro, appena a un centimetro dallo stipite della porta, e rimbalzò indietro grazie alle imbottiture di cui si era munita, finendo sdraiata per terra.
Jared avrebbe voluto piegarsi in due dalle risate, ma i vari strati che lo proteggevano dal freddo gli impedivano di muovere circa il novanta percento del suo corpo, quindi si accontentò di una sonora risata, a malapena soffocata dalle sciarpe.
Valentina si rese conto che la sua temperatura corporea stava raggiungendo livelli critici a causa della vergogna e della furia che intanto si stavano impossessando di lei. Provò ad alzarsi in piedi ma fallì miseramente, rotolando sul pavimento varie volte prima di riuscire, al quarto tentativo, a tirarsi su.
Nel frattempo, stava sperando con tutte le sue forze che Jared soffocasse per le sue stesse risate.
Dal canto suo, lui non riusciva né a parlare, né a respirare per il gran ridere. Seguì Valentina fuori dall’aeroporto, con le lacrime agli occhi, ignaro dei processi mentali che intanto erano in corso nel cervello dell’italiana, tutti volti a progettare una vendetta spietata.
La vendetta è un piatto che va servito freddo, pensò lei, mentre attraversava con Jared il piazzale antistante l’aeroporto, coperto di neve.
Un piatto che va servito freddo. Già.
Senza preavviso, Valentina si buttò con tutto il suo peso –accresciuto dalla voluminosa massa di tessuti che indossava- contro Jared e lui non ebbe il tempo nemmeno di realizzare cosa stesse accadendo che si ritrovò immerso, di faccia, in un cumulo di neve, mentre l’italiana lo osservava con le mani sui fianchi e un’espressione di malvagia soddisfazione dipinta sul volto.
-Ancora non hai capito che non devi sfidarmi?- fece, con aria di superiorità. Avrebbe voluto darsi ancora più arie facendo swishare i suoi capelli, ma, causa abbigliamento termico di sopravvivenza, non poteva, così dovette accontentarsi di guardare Jared che sputacchiava neve in giro e starnutiva.
 
Un autobus li condusse fino al villaggio di Babbo Natale.
Valentina era, doveva ammetterlo, piuttosto emozionata.
Aveva sempre amato l’atmosfera natalizia e trovarsi in un luogo dove, praticamente, era Natale tutto l’anno, con gli alberi pieni di luci, la neve, le renne e compagnia bella, le faceva uno strano effetto.
Jared passò tutto il viaggio a guardarla storto con la coda dell’occhio, raggomitolato nella sua armatura anti-gelo, senza proferir parola.
Quando scesero dall’autobus, rimasero per qualche minuto a fissare il grande edificio munito di torri e alberi di Natale luccicanti, senza aver chiaro cosa fare.
-E adesso cosa prevede il tuo piano sconclusionato? Entrare lì dentro e iniziare a chiedere a tutti se hanno visto Babbo Natale?- fece Jared, a un certo punto.
Valentina ridacchiò. –Certo che no! ovviamente ho un’idea migliore!- esclamò, mentre la sua risata si smorzava, piano piano. Alla fine guardò Jared con aria spaesata.
-Ma perché, quella non ti sembra una buona idea?- chiese.
Lui si portò entrambe le mani guantate sulla faccia, dimenticando che i guanti erano ancora gelidi dopo la caduta nel mucchio di neve e, di conseguenza, congelandosi anche il naso.
-Certo che non lo è! Andiamo.
-Che cosa hai in mente di fare?
-Entrare e chiedere a tutti se hanno visto Babbo Natale.
Valentina lo guardò interdetta.
-Ma se hai appena detto che… non importa. Mi sembra un buon piano.
Tutti e due si diressero verso l’ingresso, ma non fecero in tempo nemmeno ad aprire la porta che sentirono uno strano rumore proveniente dall’albero di Natale più vicino.
Dapprima si lanciarono un’occhiata inquieta, poi Jared alzò le spalle e fece per girare la maniglia, ma lo stesso rumore lo bloccò.
I rami più bassi dell’albero si muovevano.
-Forse è un gatto.- suggerì Valentina.
-Certo. In mezzo alla neve. Nella notte e nel gelo perenni. Sicuramente è un gatto.- osservò Jared, acido.
Lei si sentì offesa.
-Una lince, magari.
Lui decise di non indugiare oltre in quella penosa conversazione e si avviò eroicamente verso l’albero per scoprire chi o cosa fosse il responsabile di quei movimenti sospetti. Valentina, molto prudentemente, si auto-incaricò di coprirgli le spalle e lo seguì a distanza di sicurezza.
Jared estrasse dall’intrico di rami una scatoletta.
Entrambi la guardarono con sospetto, poi l’americano si fece coraggio e l’aprì, rivelando un mazzetto di chiavi, con un inquietante portachiavi a forma di faccia di renna dal naso fosforescente.
-Che cos’è?- sussurrò Valentina, facendo capolino da dietro la spalla di Jared.
-Chiavi. Forse sono le chiavi di riserva di questo posto. Oppure le ha perse qualche tizio travestito da elfo che lavora qui.
L’italiana prese in mano il mazzo di chiavi e le osservò attentamente.
-Mmm… non mi sembrano chiavi normali.
In effetti le serrature a cui corrispondevano quelle chiavi dovevano essere ben strane.
Una a forma di stella cometa, un’altra a forma di pupazzo di neve, una a forma di albero di Natale… di certo non avrebbero potuto aprire porte normali. In più, c’era anche la chiave, presumibilmente, di una macchina, con tanto di telecomando.
Valentina alzò gli occhi dal mazzo di chiavi con aria solenne.
-Sono di Babbo Natale, non c’è alcun dubbio.
Jared gliele tolse di mano e se le infilò in tasca.
-Certo. Potrebbero essere delle chiavi giocattolo, invece.- la contraddisse, scettico, ma lei non demorse.
-Si vede che non capisci niente. Sono un indizio. Vuole che lo ritroviamo!
-Certo- ridacchiò l’americano, che non era per niente disposto ad assecondare i deliri di quella psicopatica. Non fino a quel punto, almeno. –Senti, persino io mi ero convinto dell’esistenza di quel tizio magico, l’anno scorso, dopo il concerto a Firenze. Inizio però a sospettare che non esista nessun Babbo Natale e nessuna cosiddetta magia a lui correlata.
-Che cosa staresti insinuando? Sentiamo.- lo sfidò Valentina, con aria minacciosa.
Jared le puntò contro un indice accusatore. –Che ti sei inventata tutto tu. Tutto questo, i rapimenti, i ladri stesi al Louvre, queste chiavi, sono tutte parti del tuo piano malvagio per diventare famosa a mie spese. Sei solo un’approfittatrice che spera di ottenere visibilità attraverso i giornali scandalistici.- rispose, perfettamente convinto di quello che stava dicendo, mentre Valentina lo fissava attonita. Non riusciva a credere alle proprie orecchie.
-Scherzi, vero?
-No che non scherzo. Ne ho viste a centinaia come te. Sfruttatrici che rovinano le povere persone famose per farsi notare. E, sai che ti dico?, adesso me ne torno al calduccio a Los Angeles e non voglio avere più niente a che fare con te, sottospecie di sanguisuga pazza.
-Va bene- fece Valentina, stizzita, porgendogli una mano. –Allora dammi le chiavi. Ti proverò che ti stai sbagliando e salverò il Natale da sola.
L’americano estrasse le chiavi dalla tasca del cappotto e gliele mollò con malagrazia.
-Bene. Grazie. Allora addio.- tagliò corto lei, giocherellando con il telecomando della chiave che doveva appartenere ad un qualche veicolo.
Jared le aveva già voltato le spalle per andarsene, quando lei schiacciò per caso il pulsante della suddetta chiave. Incredibilmente, le rispose il segnale acustico dell’apertura delle porte di un’auto.
Valentina rimase di stucco, il suo infuriato accompagnatore si bloccò con un piede sollevato nell’atto di camminare e un’espressione attonita dipinta sul volto.
Fece dietrofront e tutti e due si avviarono verso il retro della casa di Babbo Natale, dove, secondo le loro orecchie, doveva trovarsi un’automobile.
Appena ebbero completato il giro intorno all’edificio, trovarono ad attenderli solo una slitta.
Valentina si guardò intorno, confusa, alla ricerca dell’auto, ma non riuscendo a vederla da nessuna parte schiacciò il pulsante di chiusura del telecomando.
Ci mancò poco che a Jared venisse un infarto.
Il suono proveniva dalla slitta.
I due si guardarono increduli.
Poi, sul volto dell’italiana si disegnò il suo famigerato sorriso della vittoria, solitamente preludio di una serie infinita di prese in giro che avrebbero potuto protrarsi per tutta l’eternità.
-Stai zitta.- ordinò Jared, accigliandosi di colpo.
-Come vuoi.- acconsentì Valentina, salendo sulla grande slitta rossa che qualcuno aveva parcheggiato lì chissà quando.
C’era un interessante quadro comandi, una via di mezzo tra il cruscotto di un’automobile e il quadro comandi di un aereo.
-Spero che la patente B vada bene anche per le slitte magiche.
Jared le corse subito incontro, ma non salì sul malefico veicolo mortifero sul quale quell’incosciente sembrava trovarsi tanto a suo agio.
-Non penserai mica di… guidare… quella cosa!
Valentina non sembrò averlo sentito. Stava studiando con molta attenzione i vari pulsanti.
-A quanto pare è provvista di cambio automatico, non vedo leve… e nemmeno la frizione. Oh, in realtà non vedo proprio i pedali. Il volante devono essere le redini… anche se non ci sono le renne, mah, strano, forse va anche a diesel.
Sull’orlo di una crisi di nervi, l’americano salì sulla slitta e sedette al posto del passeggero.
-Andiamocene da qui prima che sia troppo tardi, ti prego.
-Stai zitto, Jared. Vattene pure, io faccio da sola. Oh, guarda… che strano pulsante.
Jared stava per dirle di non schiacciarlo per niente al mondo, ma lei fu più svelta.
Subito la grossa e pesante slitta di legno si trasformò in una moderna e maneggevole motoslitta, con un semplice ‘bip’ ad avvertire della metamorfosi in atto.
Valentina sembrava estremamente soddisfatta di quello che era riuscita a fare, l’americano un po’ meno.
Lei temette che gli potesse prendere un colpo e cadesse stecchito con la faccia nella neve senza nemmeno un sospiro.
-Vuoi guidare tu?- chiese, anche se non era sicura che fosse una buona idea.
Immediatamente, Jared sembrò rianimarsi. La guardò incredulo.
-Come?
-Ti ho chiesto se vuoi guidare tu. Ce l’hai la patente, no? Guarda che non te lo chiederò di nuovo.
-Fammi spazio, italiana. Ci penso io.
Pochi minuti dopo, Valentina si pentì amaramente di quello slancio di generosità.
Se lei era un pericolo pubblico al volante, lui era molto peggio. Avevano fatto solo un giro nello spiazzo dietro alla casa di Babbo Natale e già avevano rischiato tre volte di schiantarsi contro un albero.
-Che cosa prevede il tuo piano malvagio per ritrovare il vecchio benefattore di rosso vestito?- domandò Jared, fermandosi.
-Non lo so, io invento sul momento.- detto ciò, Valentina si chiuse in un silenzio meditativo che durò per qualche minuto.
-Premi quel pulsante.- ordinò, alla fine della sua riflessione, indicando da sopra la spalla sinistra di Jared un piccolo tasto azzurro dall’aria abbastanza minacciosa.
Lui si voltò a guardarla scettico e un po’ preoccupato.
-E se fosse quello dell’autodistruzione del veicolo?
-Jared- sbuffò Valentina, seccata: -non è un’astronave, e poi i pulsanti di autodistruzione sono sempre rossi.
-Come lo sai?
-In che universo vivi, si può sapere?
Jared sospirò e chiuse gli occhi mentre schiacciava quel malefico bottone.
Si sentì un segnale acustico e la motoslitta tornò alla sua forma precedente.
Valentina emise un borbottio deluso, ma proprio in quel momento la slitta iniziò sollevarsi da terra, provocando l’euforia dell’italiana e gettando Jared nello sconcerto più totale.
-Non ci posso credere…-commentò quest’ultimo, aggrappandosi al parapetto in un moto di terrore.
Dal canto suo, Valentina, che si trovava al posto di comando, pensò bene di prendere in mano le redini.
-Tieniti forte, vecchio mio, stiamo andando a salvare il Natale!- esclamò.
-Io non sono vec…
-Si parte!
Uno strattone alle redini e l’aggeggio malefico partì a razzo in verticale, verso il gelido cielo della Lapponia.
Il grido di paura di Jared risuonò per tutta Rovaniemi.
Alzando gli occhi, solo qualche bambino capì che quel bolide volante era la slitta di Babbo Natale.
Forse perché gli adulti si rifiutavano di credere ai propri occhi.
Quando la traiettoria si fu stabilizzata, Valentina iniziò a rimuginare sul suo quadro comandi.
Per l’ennesima volta schiacciò un pulsante a caso e subito una voce registrata iniziò a dire qualcosa di incomprensibile in una lingua sconosciuta.
-Potresti parlare in inglese, per favore?- azzardò Jared, che ormai era talmente sconcertato da essere pronto a prendere parte a quel gioco assurdo. Valentina gli lanciò un’occhiata soddisfatta che lui s’impose di ignorare.
-Certamente- rispose la voce. –Mi chiamo Olga, e sono un navigatore elfico di ultima generazione. Dire “renna” per un elenco degli itinerari disponibili. Dire “menta piperita” per l’ultimo itinerario richiesto. Dire “aiuto” per aprire il paracadute. Dire “fuggitivo” per scoprire dove si trova Babbo Natale in questo momento. Dire…
-Fuggitivo!- esclamò Valentina, senza nemmeno farla finire di parlare.
Olga il navigatore sembrò offendersi. –Non ho finito. Fammi finire, maleducata.
Jared lanciò a Valentina un sorrisetto di scherno, lei incrociò le braccia e sbuffò, offesa.
-Dicevo, dire “Befana” per attivare l’assetto bellico, dire “Ohohoh” per avviare il pilota automatico. Ora puoi parlare.
-Fuggitivo.- bofonchiò Valentina, ancora accigliata.
-E anche “Ohohoh”, grazie.- aggiunse Jared, per sicurezza.
-Bene. Sincronizzazione coordinate di Babbo Natale in corso. Pilota automatico attivato. Puoi lasciare le redini, sciocca umana.- rispose Olga il navigatore, con la sua voce robotica.
L’italiana mollò stizzita le redini. –Ehi! Si può sapere che ti ho fatto? Sono stata io ad attivarti, fino a prova contraria!- esclamò, mentre Jared se la rideva sotto i baffi.
-Appunto. Hai interrotto il mio sonnellino rigenerante. E poi il tuo amico mi sta più simpatico di te. Ha una voce bellissima.
-Grazie, Olga cara. Anche la tua è molto gradevole.
Valentina si arrese al complotto che era stato ordito contro di lei e decise di tacere.
-Allora fa’ il tuo lavoro e portaci da Babbo Natale, per piacere.- disse, prima di chiudersi nel suo famoso silenzio dell’onta.
-Approfittane per dormire, Valentina. Ti schiarirai le idee, almeno. Forse.- ridacchiò Jared, dandole una pacca sulla spalla. L’occhiata che l’italiana gli lanciò rischiò seriamente di trapanargli la scatola cranica come un raggio laser.
In effetti, poco dopo Valentina si addormentò, non prima di aver osservato a bocca aperta per un buon quarto d’ora l’aurora boreale che nel frattempo era apparsa di fronte a loro, e non poté prendere in giro Jared per aver flirtato con il navigatore lappone di una slitta magica.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice

Bene, i capitoli sono finiti. 
Per ora.

Grazie per la pazienza che avete con questa povera ritardataria, diciamo che la puntualità non è il mio forte.
Ma d’altra parte, come mi hanno sempre detto, mi chiamo Valentina, mica Velocina.
*lancio di pomodori E navigatori lapponi*
N…non l’ho inventata io questa battuta, oh! Io la subisco e basta! D:
*corre a nascondersi dentro una botte e non esce più*

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Capitolo 14
*** Special pt. III ***


Jared provò a svegliare Valentina in tutti i modi.

Chiamandola per nome, poi per cognome, poi per soprannome, insultandola, scrollandola... ma nessuna di queste tecniche sortì alcun effetto.

Gli venne il dubbio che fosse morta congelata e rischiò di andare nel panico, quando Olga, navigatore elfico di ultima generazione, disse di avere incorporata anche la funzione sveglia.

Bastava dire "Armageddon" per attivarla.

-Armageddon?- fece Jared, perplesso. -Ma scusa, perché proprio Arm...

-Funzione sveglia attivata.- dichiarò Olga, interrompendolo. Detto questo, diede il via a una serie di rumori talmente potenti e talmente molesti che Valentina non avrebbe potuto fare a meno di svegliarsi nemmeno se fosse stata ibernata.

Jared si tappò le orecchie, l'italiana si svegliò di soprassalto, urlando terrorizzata. Manco a dirlo, si scordò di trovarsi su una slitta volante e se Olga non avesse attivato il recuperatore d'emergenza, si sarebbe spiaccicata al suolo dopo un volo di almeno duecento metri.

E si sarebbe schiantata sulla cupola del Brunelleschi, che al momento stavano sorvolando.

-Sei pazza?!- esclamò, affannata, aggrappandosi al sedile della slitta con entrambe le mani. -Se fossi caduta avrei potuto rovinare la cupola!

-Ti preoccupi per la cupola e non per la tua vita?- fece Jared, allibito.

L'italiana annuì con decisione e gli lanciò un'occhiata sprezzante.

-Ovviamente. Che c'è di strano?

-Oh, niente, lascia perdere.

-Dire "Pace perpetua" per espellere l'italiana molesta del veicolo.- intervenne Olga in quel momento.

Valentina si accigliò. -Hai approfittato del mio sonnellino per aizzarmi contro il navigatore? Signor Jared Leto, sei davvero un farabutto di prima categoria superiore.

Jared la guardò con disprezzo.

-Non gliel'ho insegnato io. Pensa quanto sei fastidiosa. Riesci a farti odiare anche dai navigatori.

Lei stava per replicare, quando Olga annunciò che avevano raggiunto un buon punto per atterrare.

Vale a dire il cortile di Palazzo Pitti. Che era pieno di gente.

-Non possiamo atterrare lì in mezzo! Se qualcuno ci vedesse...- provò a obiettare Valentina, preoccupata.

-Dire "Diottrie" per attivare l'invisibilità.

-...diottrie.

Parcheggiata la slitta a Palazzo Pitti ed eliminati almeno due strati di armatura anti-gelo, Valentina e Jared fecero per mettersi alla ricerca di Babbo Natale abbandonandola lì, tanto era invisibile, ma Olga non volle sentire ragioni.

-Vengo anch'io.- disse, appena i due -ancora invisibili- fecero per scendere dalla slitta.

-No, tu no.- fu la pronta risposta di Valentina.

-Perché no?- rispose invece Jared, che aveva tutto l'interesse a portarsi dietro la sua unica alleata in quella surreale avventura.

-Perché no!- fece l'altra, decisa. -E' un navigatore lappone, e io vivo a Firenze da anni, sono perfettamente in grado di orientarmi anche senza il suo aiuto.

-Stento a crederlo.- commentò Olga, con la sua acida voce robotica.

Valentina non si era mai sentita così tanto offesa in vita sua.

Scese dalla slitta e se ne andò da sola, senza nemmeno fare caso se qualcuno l'avesse vista comparire dal nulla. Jared staccò il navigatore e le corse dietro, senza che nessuno si accorgesse di lui.

-Valentina, aspetta! Non fare l'offesa, ho lasciato lì Olga!

Lei nemmeno si voltò.

-Per quanto mi riguarda puoi anche rimanere con lei e cantarle una serenata. Chi fa da sé fa per tre.

-E' una scenata di gelosia? No, perché per un navigatore sarebbe la prima volta...

-Non essere ridicolo. Tieni gli occhi aperti, piuttosto. Babbo potrebbe essere ovunque.

Girarono per due ore, fermandosi solo per mangiare qualcosa, dal momento che a ora di pranzo stavano sorvolando l'Europa, ma anche se avevano battuto tutta Firenze, palmo a palmo, non trovarono nessuna traccia del loro obiettivo.

Stavano già per darsi per vinti e gettare la spugna, quando Olga, nascosta nella tasca interna del cappotto di Jared, si decise a rompere il suo silenzio forzato.

-Rilevo uno spostamento del fuggitivo.

Erano seduti sui gradini di Santa Croce. Valentina si voltò lentamente verso Jared, minacciosa.

Lui si trovò impreparato.

-Cosa?

-L'hai portata.

-Chi?

-Quella.

-Non capisco di cosa parli.

L'italiana sospirò.

-Dov'è andato, Olga?- chiese, rinunciando alla sua ira. Non ne poteva più di correre di qua e di là per cercare quel tizio. Per ritrovarlo era disposta anche a scendere a compromessi con quell'odioso aggeggio.

Jared estrasse il navigatore dal suo nascondiglio e quello emise un segnale acustico prima di rispondere.

-A Los Angeles, Stati Uniti. Distanza: novemilanovecentosessantasette chilometri e cinquantasei.

La risposta di Olga fu seguita da alcuni minuti di silenzio.

Sembrava quasi che Babbo Natale li stesse prendendo in giro. Prima Firenze, poi Los Angeles... a che gioco stava giocando?

Valentina e Jared si guardarono per un istante, perplessi, poi lei sospirò profondamente e si alzò in piedi.

-Va bene, allora andiamo. Non abbiamo altra scelta.- annunciò.

Fu così che lo strano gruppo di avventurieri -Olga inclusa- risalì sul suo atipico mezzo di locomozione, che immediatamente spiccò il volo.

Appena la slitta si fu staccata da terra, si accese una spia verde.

-Olga- fece Jared, allarmato. -Olga, tesoro, che significa quella spia?

Valentina stava per indignarsi per l'appellativo con cui Jared si era rivolto al navigatore, ma si accorse che c'era un problema più grave.

-Credo di saperlo...- balbettò, indicando il piazzale, sotto i loro piedi.

Jared si sporse e inorridì.

Tutti, tutti, i presenti li stavano fissando a bocca spalancata, additandoli, nel più completo e attonito silenzio.

-Comando invisibilità disattivato per eccessivo tempo di utilizzo.- disse Olga, impassibile come al solito.

Valentina e Jared erano diventati bianchi come due fantasmi. Nessuno dei due aveva la minima idea di cosa fare. La slitta restava lì in mezzo, sospesa a mezz'aria, tra gli occhi increduli di centinaia di turisti provenienti da tutto il mondo.

-Ehm... salve!- esclamò all'improvviso Valentina, colta da una specie di ispirazione. Jared le lanciò un'occhiata perplessa.

-Non è quello che sembra... già... questa non è la slitta volante di Babbo Natale, nel caso qualcuno di voi se lo stesse chiedendo. Stiamo... ehm... facendo le prove per... la recita di Natale! Quindi...- proseguì lei, cercando di sembrare il più convincente possibile.

-Dire "Jamm' ja'" per attivare la turbo velocità.- s'intromise Olga, in quel momento.

-JAMM' JA'!- esclamarono Jared e Valentina, senza pensarci un secondo.

La slitta partì alla velocità della luce, lasciando il piazzale immerso in un irreale silenzio di tomba.

Quando furono abbastanza lontani, Olga ridusse la velocità di crociera e tutti poterono tirare un sospiro di sollievo.

Il viaggio durò poco, al massimo un paio d'ore, e per tutto il tempo Olga, Jared e Valentina non fecero altro che progettare strategie di parcheggio alternative per evitare di destare scandalo pure a Los Angeles.

Conclusero che era bene adottare una strategia mimetica, trasformando la slitta in un'automobile e parcheggiandola normalmente. Sembrava il modo migliore per passare inosservati.

Nei pressi della loro meta, Olga rilevò il segnale di Babbo Natale e li indirizzò a Santa Monica.

-Okay, allora, iniziamo col mettere in chiaro che quello che conosce Los Angeles, qui, sono io. Quindi non metterti a comandare come tuo solito, italiana. Stavolta il capo sono io.- fece Jared, appena ebbero trasformato la slitta in auto in un luogo abbastanza appartato, mettendosi alla guida.

Valentina alzò gli occhi al cielo.

-Non avevo intenzione di comandare, se è per questo.

-Ah, no?

-No. Gira a sinistra.

Jared la guardò storto, girando a destra. -Dicevi?

L'italiana sbuffò e si voltò dall'altra parte, offesa. Erano fermi a un semaforo, sul lungomare, e lo sguardo di Valentina vagava fuori dal finestrino senza sapere dove posarsi, finché nel suo campo visivo non entrò una corpulenta e familiare figura.

-Jared! E' lui!- strillò, indicando un tizio con una giacca estiva rossa e un paio di bermuda.

Olga, che stranamente era rimasta zitta per tutto il tempo, confermò con un paio di bip.

-Con i bermuda a dicembre? E spera anche di passare inosservato?- commentò Jared, ripartendo.

-E' abituato in Lapponia, Jared.

-Giusta osservazione.

Impegnati com'erano a pedinare Babbo Natale, non si accorsero di aver attirato l'attenzione di un tizio munito di teleobiettivo che evidentemente stava aspettando di immortalare qualche celebrità a passeggio. Guarda caso, questo tale aveva tra le mani un giornale di gossip, sulla copertina del quale campeggiava una fotografia di Jared Leto e una ragazza che era del tutto identica a quella che gli era appena passata davanti in una macchina di un colore improbabile.

Dopo una decina di minuti, Babbo Natale attraversò la strada e si diresse verso la spiaggia, al che i suoi inseguitori parcheggiarono e gli andarono dietro a piedi, lasciando Olga in macchina a controllare che quest'ultima non tornasse slitta o assumesse qualche altra forma strana.

Il vecchietto si era seduto sulla sabbia e sfogliava una rivista, pacifico e beato come uno che non ha assolutamente niente da fare nella vita.

A pochi passi da lui, Valentina fece cenno a Jared di fermarsi.

-Cerchiamo di non spaventarlo, mi raccomando. Se scappa è finita.- gli sussurrò, senza staccare gli occhi da Babbo Natale.

Jared le rivolse un sorrisetto. -Fino a prova contraria, non è un coniglio e noi non abbiamo nessun fucile. Perché mai dovrebbe spaventarsi?

Lei non cambiò espressione. -Vedendo te si spaventerebbe chiunque.

L'altro si offese a morte, ma Valentina riprese a camminare e lui dovette seguirla senza fiatare, meditando in silenzio la sua terribile vendetta.

-Buonasera, gentile signore!- esordì l'italiana, avvicinandosi al loro obiettivo, che si voltò placidamente verso di loro.

-Buonasera a voi!- rispose, chiudendo la rivista.

-Salve... siamo venuti a riportarla a casa.

A quelle parole della sua interlocutrice, Babbo Natale mise su un'espressione sorpresa.

-Siete della polizia?- chiese, preoccupato.

Valentina e Jared si scambiarono un'occhiata.

-No, vede, siamo Jared e Valentina, quei due che... insomma, io sono Jared Leto, e questa pazza che mi accompagna aveva chiesto a lei di rapirmi, l'anno scorso. Siamo finiti a Parigi, poi ci siamo incontrati sull'aereo... non si ricorda niente?- spiegò lui, tutto d'un fiato, spostando Valentina con un braccio.

Il vecchietto lo guardò sinceramente perplesso.

-Io non vi ho mai visto in vita mia.

-Ecco, siamo quei due sulla copertina di quella rivista che sta leggendo! Eravamo a Parigi e stavate tutti e due cercando di rapirmi, lei e questa svitata qui.- insistette Jared, che iniziava a sospettare di trovarsi in un film dell'orrore dove tutti cercavano di farlo passare per pazzo schizofrenico. Non gli passò nemmeno per la testa che potessero essersi sbagliati e quello lì non fosse Babbo Natale. Era assolutamente sicuro di trovarsi davanti al tizio barbuto che aveva incontrato sull'aereo un anno prima, e non poteva essere una coincidenza.

-Mi scusi, ma lei chi è?- fece Valentina, dubbiosa.

-Mi chiamo Nicholas White, ho un negozio di giocattoli a San Francisco.

-No, tu sei Babbo Natale che sta bluffando, e adesso verrai con noi.- replicò Jared, convinto, aiutandolo ad alzarsi. -E butta via questa rivista.

Nicholas White li seguì protestando pacatamente ma insistentemente fino alla slitta.

O meglio, fino al punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la slitta. Che, però, non c'era.

Valentina notò che Jared manifestava un poco rassicurante tic all'occhio sinistro.

-Qualcosa mi dice che abbiamo dimenticato di pagare il parcheggio.- constatò, calmissima.

-Mi dispiace...- sospirò il vecchietto, sinceramente dispiaciuto.

-Non è possibile!- sbraitò invece Jared, facendo sobbalzare gli altri due. Tirò fuori dalla tasca del cappotto le chiavi della slitta e iniziò a studiarle attentamente.

-Ci dovrà pur essere un comando a distanza...

-Cosa te lo fa pensare?- sussurrò Valentina, cercando di non suonare troppo sarcastica per non beccarsi un pugno.

-E' una slitta magica! Dovrà pur avere dei comandi a distanza.- così dicendo, l'americano schiacciò a caso uno dei pulsanti del telecomando. Tutti e tre rimasero in silenzio, aspettandosi che succedesse qualcosa da un momento all'altro, ma dopo una decina di secondi non era successo ancora niente, al che persero le speranze.

-Sentite- esordì Nicholas White, in un estremo tentativo di liberarsi. -Io non c'entro niente con questa storia, potrei tornare a casa?

Non aveva ancora finito di pronunciare la frase, quando si sentì un segnale acustico e una voce metallica annunciò che per disattivare l'invisibilità d'emergenza dovevano dire "diottrie".

Gli occhi dei due pseudo-rapitori s'illuminarono di colpo.

-Diottrie!- esclamarono, in coro, e davanti a loro apparve una vecchissima utilitaria color mentuccia.

Mentre Valentina e Jared gioivano, Nicholas White lanciò un'occhiata scettica all'automobile.

-E quella dovrebbe convincermi che sono Babbo Natale?

-Oh, lo farà, niente paura!- rispose Valentina, aprendo la portiera posteriore per farlo salire.

Jared si mise alla guida e si diressero verso casa sua.

-Questa è la giornata più lunga della mia vita.- sbuffò Valentina, quando finalmente poté scendere dalla macchina. -Sono solo le undici di mattina e io ho già viaggiato tra la Lapponia, Firenze e Los Angeles. Se lo racconto non ci crederà nessuno.

Jared stava aprendo la porta di casa, mentre Nicholas White si guardava intorno non sapendo bene cosa fare.

-E' proprio per questo che non dovrai raccontarlo. Non come l'altra volta.- fece il primo, lanciandole un'occhiataccia.

Si misero intorno a un tavolo e parlarono per almeno due ore, ma il signor White sembrava davvero non avere niente a che fare con Babbo Natale. Avevano preso un granchio, non c'erano più dubbi.

Alla fine furono costretti a lasciarlo andare, scusandosi e pregandolo di non denunciarli.

-Eppure ero così sicuro che fosse lui...- sospirò Jared, scoraggiatissimo.

Se possibile, Valentina era ancora più abbattuta di lui. Proprio adesso che finalmente era riuscita a convincerlo che non era completamente psicopatica e che Babbo Natale esisteva.

-In ogni caso, il Natale è rovinato.- concluse, cupa. -Direi che ormai posso anche tornarmene a casa.

Mentre s'infilava il cappotto, Jared la guardava accigliato.

-Sai che ti dico?- esclamò, all'improvviso.

-Mh.

-Che i regali li consegneremo noi.

Valentina rimase perplessa per un istante, poi scoppiò a ridere.

-Sei impazzito.

-Dev'essere la tua influenza nefasta. Comunque sia, fa' come vuoi, vorrà dire che li consegnerò da solo e sarò io l'eroe del Natale.

Jared uscì e si avviò verso la slitta, mentre Valentina era rimasta di stucco sulla soglia della porta.

-Ma non abbiamo i regali!- protestò, raggiungendolo di corsa.

-Aprire il portabagagli per ottenere i regali.- gracchiò Olga, impassibile come suo solito.

Valentina sospirò e finì di allacciarsi il cappotto.

-E va bene. Consegniamo questi dannati regali e vediamo che succede.

-Sarà bene iniziare subito a organizzarsi. Dalle tue parti sta già facendo notte, e il mondo è grandino.- disse Jared, con un sorrisetto divertito, richiudendo il portabagagli dopo aver constatato che dentro c'era il magico sacco con cui, un anno prima, qualcuno aveva tentato di rapirlo.

Valentina non poteva credere alle sue orecchie, la soddisfazione per aver finalmente coinvolto anche quella diva insensibile nelle sue folli avventure rischiava di sopraffarla. Tuttavia decise di darsi un tono e non manifestare la sua grande voglia di ballare la macarena per festeggiare.

-Come vuoi. Ma prima vorrei cenare. Anche se è ora di pranzo. Fingerò che sia ora di cena.

Il resto della giornata passò tra planisferi e calcolatrici per mettere a punto tutti i fusi orari del mondo. Quando Jared e Valentina -che aveva ottenuto di poter dormire nella camera degli ospiti anziché sul divano- si ritirarono era buio già da un pezzo e tutti e due non capivano più nemmeno in che area geografica si trovassero.

 

Note dell'autrice

Lo so che vi sono mancata, non c'è bisogno che me lo facciate presente u___u

Buona lettura!

-Valentina

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Capitolo 15
*** Special! Epilogo ***


24 dicembre, Los Angeles

Erano appena le otto del mattino quando la slitta magica, magistralmente manovrata dal pilota automatico, si alzò in volo nei cieli di Los Angeles e si diresse a razzo verso l'oceano. C'era da tener conto della linea del cambiamento di data e di che direzione prendere per riuscire a fare tutto il giro del mondo nella stessa notte, ma, nonostante Valentina e Jared avessero passato quella precedente a rompersi la testa sul planisfero, Olga era programmata per fare tutto da sola, per cui non ebbero problemi. 
A parte quando si trattava di camminare sui tetti. Quello in effetti fu un po' complicato, soprattutto per Valentina, che già aveva problemi di equilibrio sull'asfalto, figurarsi sulle tegole ghiacciate.

-Be'- esclamò lei, a un certo punto, proprio mentre sorvolavano Parigi, -non avremo ritrovato Babbo Natale, ma almeno abbiamo constatato che esiste!

Jared le lanciò un'occhiata dall'alto in basso. –Questo non elimina il fatto che tu sia completamente fuori di testa.

Valentina ammutolì e lo guardò storto.

Quando tornarono a Los Angeles era già l'alba del giorno di Natale. Non sapevano nemmeno loro come avessero fatto, ma ci avevano messo poco meno di un giorno per girare tutto il mondo.

Avevano perso del tutto la cognizione del tempo, a malapena sapevano dove fossero, ma una cosa era certa: erano entrambi sfiniti.

-Dovrei essere a casa prima dell'ora di pranzo. È il giorno di Natale.- sbadigliò Valentina, appena scesa dalla slitta, stiracchiandosi.

Jared stava cercando le chiavi di casa, praticamente incapace di articolare pensieri di senso compiuto.

-Penso che Olga non avrà problemi a riportarti a casa. Insomma... l'Italia per lei è di strada. No?

Valentina annuì, un po' inquieta al pensiero di viaggiare da sola con quel navigatore dalle strane funzionalità segrete.

Jared stava già per procedere ai saluti, stavolta definitivi, quando si accorse che c'era qualcosa di anomalo sul tavolo del soggiorno.

Due pacchetti.

Esitò qualche secondo prima di dirlo a Valentina, giusto per essere sicuro di non avere le allucinazioni.

-Italiana... c'è qualcosa per noi.

Entrambi rimasero in piedi di fronte al tavolo, sul chi vive, come se temessero che i pacchetti potessero esplodere da un momento all'altro.

-C'è un biglietto.- sussurrò Valentina.

-Prendilo tu.- rispose Jared. Lei sembrò allarmata.

-M...ma perché io?

-Perché sei tu quella che scrive le letterine.

Valentina si fece coraggio e prese il biglietto. Stava per aprirlo, quando il campanello iniziò a suonare insistentemente, facendo quasi prendere un infarto sia a lei che a Jared, il quale si precipitò ad aprire.

Non fece quasi in tempo ad abbassare la maniglia che suo fratello irruppe in casa come un tornado, spiaccicandogli in faccia una rivista scandalistica della quale Jared non riuscì nemmeno a leggere il titolo.

-Che diamine stai combinando, si può sapere?!- sbraitò Shannon, incredibilmente munito di occhiali scuri nonostante fosse da poco sorto il sole. –Ti sembra il caso di andartene in giro per il mondo a fare chissà cosa con una che ha poco più della metà dei tuoi anni? Vuoi per caso perdere del tutto la faccia, razza di scellerato?! Credevo che dopo l'assurda storia che ci hai rifilato lo scorso anno per giustificare la data a Firenze avessi toccato il fondo, ma a quanto pare non è finita lì!- proseguì, senza assolutamente notare Valentina, che era rimasta come pietrificata con la lettera in una mano e l'altra sollevata nell'atto di aprirla, e corredando il tutto di una lunga serie di parolacce incomprensibili e molto probabilmente inventate.

Jared riuscì ad allontanarlo di un paio di passi e finalmente fu in grado di leggere il titolo della rivista, datata 24 dicembre, sulla cui copertina campeggiava una foto di lui, Valentina e... Nicholas White davanti ad un'utilitaria color mentuccia.

«"Ragazza? Quale ragazza?" –le bugie diJared Leto e il mistero di Babbo Natale.»


Shannon aspettava a braccia conserte che suo fratello metabolizzasse l'informazione appena ricevuta. Solo quando Jared si voltò verso Valentina per mostrarle la rivista si accorse della sua presenza.

Si tolse lentamente gli occhiali da sole, forse per non impedire al suo sguardo di incenerirla.

-Che cosa ci fai tu qui?

Valentina sentì distintamente i suoi neuroni correre a casaccio nel suo cranio, in preda al panico, urlando come degli ossessi.

-Ecco, io... in realtà stavo per andare a casa. Sai com'è... il pranzo di Natale, i parenti che mi aspettano...

Non aveva minimamente considerato che non sarebbe mai riuscita ad arrivare in tempo per il pranzo di Natale, essendo in Italia già pomeriggio inoltrato. 

-Aspetta un attimo- esclamò Jared in quel momento, traendola d'impaccio senza nemmeno farlo apposta. –ma questa rivista è di ieri. E se...

Shannon e Valentina lo guardarono perplessi mentre lanciava in aria la rivista e afferrava la lettera che l'italiana stringeva ancora in mano.

-Allora, dunque... "Cari amici, grazie per aver consegnato i regali al posto mio. Avevo proprio bisogno di una bella vacanza in un posto caldo. Devo ammettere che mi sono un po' spaventato, quando vi ho visto venirmi incontro sulla spiaggia. Per questo ho mentito sulla mia identità..."

-Che farabutto! Allora era veramente lui!- esclamò Valentina, a voce altissima.

Jared le lanciò un'occhiataccia e continuò a leggere.

-Dicevo, "...ho mentito sulla mia identità, fingendomi Nicholas White. Ovviamente ho riconosciuto Olga, anche se l'avevate conciata veramente male. Chi l'ha scelto quel color mentuccia? Davvero demodé. Comunque, ho pensato che farvi fare un giro intorno al mondo al posto mio potesse essere una buona ricompensa per tutto il gran correre dell'anno scorso. So che adesso tutti i giornali parlano di voi... o meglio, di noi, ma non vi preoccupate. Esattamente ventiquattr'ore dopo la vostra partenza per consegnare i regali tutti dimenticheranno tutto e le notizie spariranno da ogni rivista. D'altra parte, Babbo Natale deve restare avvolto dal mistero. Ne va del mio riposo e, di conseguenza, della mia sanità mentale. Vi ho lasciato un paio di regalini, spero vi piacciano. Vi auguro un sereno Natale... e cercate di non mettermi più nei guai, grazie.

Ps. Valentina, Olga sarà molto felice di portarti a casa. Mi raccomando, non dire per nessuna ragione al mondo camino, o sarai scaricata nella canna fumaria di casa tua.

Saluti!"

Appena Jared ebbe finito di leggere, sia lui che Valentina si voltarono verso Shannon, che li fissava allibito e per la sorpresa si era persino dimenticato di rimettersi gli occhiali da sole.

-Non credo di aver capito bene. In ogni caso mi ricordo ancora tutto- disse, cercando di darsi un tono. –E qui, cari miei, carta canta. Questa è la vostro foto con un vecchietto e ormai tutto il mondo l'ha vista.

Fece per raccogliere la rivista da terra, ma appena la prese in mano si accorse che in copertina era comparsa la faccia di Jennifer Lawrence e persino il titolo era cambiato. Si accigliò e iniziò a sfogliare le pagine, alla ricerca dell'articolo incriminato. Arrivò fino alla fine e non trovò traccia del nome di Jared o di Babbo Natale.

-Ha funzionato- sussurrò Valentina, senza staccare nemmeno per un secondo gli occhi da Shannon. Jared non rispose.

Guardò l'orologio. Le otto meno un minuto.

-Ehi, Shan, ti... ti ricordi qualcosa di Babbo Natale, slitte magiche, viaggi a Parigi...?

Shannon gli lanciò un'occhiata furibonda. –Certo che me lo ricordo! Non penserai mica che sul serio Babbo Natale abbia...

Non fece in tempo a finire la frase che la sua espressione mutò radicalmente, passando da infuriata a tranquillissima in un nanosecondo.

-Oh, accidenti. Che ci faccio con questa porcheria in mano? Jared, sbrighiamoci. Mamma ci starà aspettando. Tomo cucina da almeno due giorni, sarà il caso di andare a comprare qualcosa... che so, del vino? Dei salatini? Insomma, andiamo? Ci sono anche i regali da aprire.

Erano le otto in punto. E Shannon non ricordava assolutamente niente.

Valentina non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.

-Bene, io credo che me ne andrò...- annunciò, prendendosi il suo regalo e lasciando sul tavolo la letterina.

-E' meglio se quella la prendi tu- fece Jared, alludendo alla lettera con un cenno della testa. –Non voglio avere altri guai. E poi sono sicuro che non la butterai per niente al mondo.

Valentina sorrise, quasi commossa, ma notò subito che sul volto del suo interlocutore era riapparso il suo famigerato sorriso di scherno.

-Inoltre potrebbe servirti per i tuoi loschi scopi... o per combinare qualche altro disastro, che forse è anche più probabile- precisò infatti Jared, immediatamente.

Il sorriso di Valentina si smorzò.

-Fossi in te d'ora in poi dormirei con un occhio aperto. Per sicurezza.- bofonchiò. Si accorse che Shannon la guardava con sospetto, probabilmente cercando di capire chi fosse e dove l'avesse già vista e, soprattutto, perché stesse minacciando il suo fratellino.

Lei decise che non aveva tempo di mettersi a rispondere alle sue domande, perciò prese senza ulteriori indugi la via della porta.

Jared la accompagnò fino alla soglia.

-Allora finisce qui, finalmente- sospirò, a dire il vero molto sollevato.

-A quanto pare...- rispose Valentina, un po' imbarazzata. –Però non ce la siamo cavata tanto male. No?

-Anzi, direi che siamo stati bravi. Grazie a Olga, ovviamente...

-...ovviamente. Ora speriamo che non decida di scaricarmi in mezzo all'Atlantico.

-Sarebbe un'azione alquanto saggia, te lo dico.

-Jared. Non vorrai che scriva una lettera anche alla Befana, spero.

A quelle parole Jared si accigliò di colpo.

-Stai scherzand...

-Sì, scherzo. Non ti preoccupare. Da oggi in poi basta con le letterine.

-E basta anche con la vodka, per piacere. Non farti più incastrare con filmati compromettenti in cui fai il mio nome.

Shannon tossì rumorosamente per ricordar loro la sua presenza. Valentina aggiustò la presa sul pacchetto che teneva in mano e tese l'altra a Jared.

-E' stato un piacere. Grazie... per non avermi denunciata.

Jared ridacchiò e le strinse la mano.

-In fin dei conti è stato divertente. Ma non abbastanza da rifarlo, sia chiaro. Buon viaggio. Ti direi di chiamarmi quando arrivi... ma non hai il mio numero.

Valentina alzò gli occhi al cielo. –Buon Natale. È stato un piacere.

Olga partì a razzo e solo allora Valentina realizzò che quell'avventura, surreale e abbastanza pericolosa, era giunta alla fine.

Quando, più o meno all'altezza di Chicago, sua madre la chiamò per chiederle dove fosse e per informarla che l'avrebbero aspettata per pranzare, Valentina rimase interdetta.

Iniziò a contare quante ore di fuso ci fossero tra Los Angeles e casa sua, ma poi si ricordò che stava volando su una slitta magica con la quale, tra l'altro, era riuscita a fare il giro del mondo in una notte e capì che mettersi a fare i conti non aveva molto senso. 

Una volta arrivate, Olga le propose l'opzione 'camino', ma Valentina, memore dell'avvertimento di Babbo Natale, riuscì a farsi scaricare in strada.

-Grazie, Olga. Devo ammettere che, nonostante tutto, sei un ottimo navigatore- disse, mentre scendeva dalla slitta.

-Lo so- gracchiò il navigatore elfico di ultima generazione. La slitta si alzò in volo quando l'italiana aveva ancora un piede a bordo, il che quasi la mandò a faccia avanti sull'asfalto, ma siccome era Natale, Valentina decise di perdonare Olga e far finta di niente.

-Buon Natale- fece la slitta, già all'altezza della grondaia, prima di schizzare via.

Quello fu, dopo due anni, il primo Natale a filare liscio come l'olio.

Per tutti era come se non fosse successo niente.

Valentina non proseguì con la sua storia, che la magia di Babbo Natale aveva provveduto a cancellare da qualsiasi sito internet, Jared poté tornare alle sue cose senza doversi preoccupare di essere rapito o di essere demolito dalla stampa, ed entrambi rimasero con il ricordo di quelle frenetiche giornate, ma non ne fecero parola con nessuno.

La sera, finiti i festeggiamenti, sia l'uno che l'altra si ricordarono di avere un regalo da aprire.

Era una foto, quella foto, di loro due con Nicholas White. 

Valentina sorrise e la ripose tra le sue cose. A distanza di chilometri e chilometri, molte ore dopo, anche Jared fece lo stesso. 

 

 

Parigi, 8 luglio

-E lei chi sarebbe?

-Mi chiama Joanne, sono nuova.

-Favorisca i documenti, prego. E dichiari solennemente di non essere una pazza imbrogliona.

Joanne mise su un'espressione perplessa, ma obbedì.

-N... non sono un'imbrogliona, e nemmeno pazza. Ho sostenuto un regolare colloquio e...

-Sì, sì, interessante. Scusami ma da quando una sottospecie di psicopatica dal vestiario improponibile ha chiuso una mia dipendente nel bagno e le ha rubato l'identità per rapire un noto attore, demolendo del tutto il mio guardaroba, non mi posso fidare più di nessuno.

-Capisco...

Il suo datore di lavoro si esibì in un sorriso melenso e si sistemò la camicetta fucsia che indossava sopra un improbabile paio di jeans con delle toppe verde acido.

-Benvenuta, mia cara! Mi chiamo Jean Paul, ma puoi chiamarmi Gigì!

Joanne sorrise di rimando e fu prontamente spedita alla sua postazione.

Appena rimase solo, Gigì assunse un'espressione accigliata.

-Amelie D'Alembert... come no.

Nel cassetto della sua scrivania c'erano delle foto che era riuscito a raccogliere un paio d'anni prima, con un giro di telefonate ai suoi colleghi che lavoravano sul campo.

Il mondo li chiamava volgarmente paparazzi, ma lui detestava quel nome.

Ritraevano Jared Leto in giro per Parigi in compagnia di quella svitata. Non era ancora il momento, ma il mondo doveva sapere, bisognava solo aspettare l'occasione giusta... e quando fosse arrivata, lui, Gigì, sarebbe finalmente diventato una vera star.

 

 

Fine

 

 

 

 

 

Note dell'autrice

Non so che dire. Forse però è il caso che vi rassicuri: stavolta è finita davvero, niente più special, sequel o altro. Giusto un film e una serie tv, poi basta, ve lo garantisco :')

A parte gli scherzi, non pensavo che ci avrei messo così tanto a finire questa storiella. 
Avevo decisamente sottovalutato l'università.

Mi scuso per non essere riuscita a postare regolarmente e per aver scritto delle immense stupidaggini qua e là (specialmente in questi due ultimi capitoli, in cui tra fusi orari e varie sono quasi impazzita), spero che mi perdonerete. 

Grazie a tutti quelli che sono riusciti a leggere fin qui, forse l'ho già detto, ma vi ammiro moltissimo, io non ce l'avrei mai fatta.

-Vale

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