Safe & Sound

di _candyeater03
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You and I’ll be safe and sound ***
Capitolo 2: *** Just close your eyes ***
Capitolo 3: *** I remember you said don't leave me here alone ***
Capitolo 4: *** I remember tears streaming down your face ***
Capitolo 5: *** No one can hurt you now ***
Capitolo 6: *** You'll be alright ***
Capitolo 7: *** Hold on to this lullaby ***
Capitolo 8: *** All that's dead and gone and past tonight ***
Capitolo 9: *** Come morning light ***
Capitolo 10: *** Everything's on fire ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** You and I’ll be safe and sound ***


You and I’ll be safe and sound



 
Katniss era ancora lontana, anche se solo di poche decine di metri, da Rue, ed io ero pronto a lanciare.
Troppo ingenue erano le due, se credevano di ingannare un Favorito. Perché, diciamolo, quelli come noi vincono due edizioni degli Hunger Games su tre, e sono mediamente più forti di tutti gli alti tributi.

Non sarebbe stato molto complicato. Avrei ucciso la ragazzina, e, all’arrivo della Ragazza in Fiamme, avrei ucciso anche lei.
Perché io stavo mirando a Rue per attirare Katniss, in vero. Come prendere due piccioni con una fava.

Avrei ucciso la Ragazza in Fiamme per eliminare un degno avversario e, soprattutto, per vendicare la mia Lux. Rue, invece, era solo utile da depennare sul mio elenco mentale dei giocatori ancora in vita, per fare in modo che non fosse un fastidio qualora avessi dovuto concentrarmi per uccidere Clove e Cato.

Avevo la situazione in pugno, e non me la sarei lasciata scappare per niente al mondo.
E invece fu proprio quello che feci.

Mi ero proiettato già a casa, nel Distretto 1. Non sapevo che non vi avrei fatto più ritorno.
Non avevo considerato l’ipotesi più dolorosa, anche se quella più probabile. Era così distante, però. Una persona non riesce davvero a immaginarsi morta finché non lo prova davvero. E non direi questo se non avessi esperienza nel campo.

Esaltato dal pensiero di uccidere Katniss, avevo mirato con attenzione al cuore di Rue.
Avevo calcolato il tempo, e niente sarebbe potuto andare storto. Niente. Era solo questione di precisione.

Un secondo di troppo e mi sarei fatto uccidere.
Un secondo in meno e non sarei riuscito a cogliere di sorpresa Katniss, che mi avrebbe colpito con una freccia.

Ragionando e distraendomi dai fatti, avevo lasciato correre il tempo.
L’attimo buono era passato. E sarebbero bastati pochi decimi di secondo di ritardo per stravolgere la situazione.

Incerto, avevo tirato la mia lancia nel petto della ragazzina, mentre la Ragazza in Fiamme stava arrivando.
Il mio sorriso sadico si era spento quando Katniss aveva puntato l’arco contro di me, lanciando una freccia che mi aveva perforato il collo. Ero caduto privo di forze, e avevo fissato assente il cielo.
Mi era fin parso di vedere Lux.

“Vieni, Marvel”, mi aveva sussurrato, “siamo tutti qui.”
L’immagine era diventata più vivida, ed io ero quasi riuscito ad illudermi di non avere avuto un’allucinazione. I suoi occhi verdi mi avevano guardato penetranti. “Vieni, siamo sani e salvi, Marvel”, mi aveva sorriso.

Avevo chiuso gli occhi abbandonandomi a quel sogno surreale, con la traccia dell’ultimo sorriso sul mio volto.






NdA:
Hey! Eccomi di nuovo in questo fandom con il primo capitolo di questa "brillantissima" fanfiction :3
L'idea mi è venuta mentre studiavo inglese (per modo di dire) e ascoltavo il capolavoro di Taylor Swift! Comunque cercherò di aggiornare il più presto possibile, scuola e compiti permettendo.
I personaggi sono i principali più due o tre di cui ho inventato il nome. Sono le tipe del 4 e dell'8 e quello del 3. Ook, a presto!!!

Candy<4




Disclaimer per chi viene dai Sei Giri di Giostra: Ciao ragazze! Purtroppo, come ho già specificato, non avevo altre storie da presentare che fossero multicapitolo e al tempo stesso appartenenti ad un fandom più o meno conosciuto. So che quello che avete appena letto probabilmente non è un granché, e anzi penso sia stata la seconda fic mai pubblicata da me su questo sito. Qui in particolare avevo appena compiuto dodici anni, credo. Insomma, tutto questo per dirvi di avere pazienza per quest'ultimo turno xD
Ovviamente senza nessun obbligo, ma penso che forse potrebbe essere più interessante da leggere l'ultimo capitolo di questa raccolta, se vi può interessare. Si tratta di un "epilogo" visto dal punto di vista delle famiglie dei tributi che ho più o meno procrastinato per quattro anni, tanto che è uscito fuori una specie di collage strano dei vari stili di scrittura che ho attraversato da allora fino al 2020 (quando già scrivevo in modo abbastanza simile ad adesso). Io la butto lì c:
Ci si vede, carissime. Partecipare a questa iniziativa è stato davvero un piacere, grazie a tutte :D

Baci, Candy<33

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Capitolo 2
*** Just close your eyes ***


Just close your eyes



 
Il mio nome è Glimmer”, ero riuscita appena a sussurrare ad un destinatario inesistente, mentre il veleno degli aghi inseguitori cominciava a prendere possesso di me.

Già, perché io ero Glimmer, e non Lux.

Lux era l’euforica rappresentante del Distretto 1 negli Hunger Games. La biondina sensuale con gli occhi verdi profondi come pozzi. Quella che faceva la carina con Cato solo per fare ingelosire Marvel, e che Clove odiava con tutto il cuore.
Lux era solo una maschera di me stessa.

Glimmer, invece, era la bambina timida che non riusciva negli allenamenti. Era quella che aveva paura di una coccinella in volo, quella che alla mensa delle scuole elementari mangiava la mela seduta in una nicchia polverosa, per non sentirsi in dovere di aprirsi con gli altri bambini.

Sì, Glimmer ero io. Lo sono stata per tutto il tempo, solo che probabilmente l’avevo dimenticato.
Perché non è vero che gli Hunger Games cambiano le persone, almeno non permanentemente. Si tende semplicemente a mostrarsi “diversi”, meno vulnerabili, una strategia che potrebbe trasformarsi in un gioco pericoloso.
Perché
 non è bello rinchiudersi a vita in una maschera ideata per spaventare.

Disgustata, mi ero toccata il volto.
Un tempo dai lineamenti morbidi, bello e sensuale, si era gonfiato e deformato irrimediabilmente a causa delle punture di aghi inseguitori. Sopra e sotto gli occhi, come in tutto il resto del viso, si erano formati dei buboni grossi come prugne, che non mi permettevano di riconoscere distintamente le forme delle maestose sequoie, che fino al giorno prima avevo guardato dal basso verso l’alto quasi con devozione.
Una lacrima solitaria era scesa sul mio volto, presto seguita dalle altre. Non avevo più bisogno di rinchiudere i sentimenti dentro di me.
Diciamo che, al momento, la mia massima aspirazione non era quella di una morte stoica.

Ero appena riuscita a distinguere la forma di un ragazzo che stava arrivando verso di me. Era troppo alto e maschile per essere Clove o Lilith, la ragazza del Distretto 4, e troppo poco robusto per essere Cato. Era Marvel.
Il mio cuore aveva sussultato di gioia, e i miei occhi verdi si erano spalancati di colpo. Mi aveva accarezzato cautamente il viso.

“Sì, tu sei Glimmer, e Glimmer è la ragazza che amo”, prima che me ne accorgessi, e forse che se ne accorgesse anche lui, aveva cominciato a piangere. Lo sguardo penetrante dei miei occhi verdi aveva parlato al posto mio.

E allora avevamo iniziato a ridere. Ridere senza un motivo preciso, forse solo perché ridere era meglio di piangere.
Era una risata molto poco credibile, data la quantità di lacrime versate e gli sguardi tristi che ci scambiavamo appena percettibilmente. Non ce ne curavamo molto, al momento.

Quando avevo iniziato a smettere di pensare con sufficiente lucidità, mi ero preparata ad affrontare gli ultimi secondi di vita.
Poi, quanto poteva essere difficile morire? Solo chiudere gli occhi e lasciarsi affondare dalle braccia della morte, all'apparenza così calde e accoglienti.

Quando non ero più riuscita a vedere Marvel e le sequoie, avevo capito che era il momento.
Solo chiudere gli occhi, quegli occhi verdi che da quel momento sarebbero stati destinati a restare chiusi per sempre.






NdA:
Ecco il secondo capitolo 0.0
Ringrazio di cuore e dedico il capitolo a la ladra di libri che ha inserito la storia tra le seguite c:
Il prossimo capitolo è quello di Cato, e non perderò l'occasione di shippare un po' di sana Clato (muahahah! Ora mi diverto :3)
Vabbuò, al prossimo capitolo!

Candy<4
 

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Capitolo 3
*** I remember you said don't leave me here alone ***


I remember you said don’t leave me here alone



 
L’ibrido della ragazza del 5 mi stava mordendo il braccio sanguinolento, e un sorriso si era fatto strada sul mio volto, trasformandosi presto in una risata priva di calore. Io avevo scelto di morire, e nulla se non un intervento divino mi avrebbe fatto cambiare idea.
Questa era l’unica strada che mi permetteva di aggirare il pensiero che mi opprimeva da giorni: Clove non sarebbe più tornata.

La sua determinazione, la sfacciataggine di rispondere ai richiami dell’addestratore con una calma totale, solo per vederlo arrabbiarsi ancora di più, il suo proverbiale sadismo, benevolo prima degli Hunger Games, e poi incontrollato.
Niente di questo sarebbe mai più tornato, e io avrei dovuto imparare ad accettarlo.

L’avevo vendicata, avevo ucciso Thresh, e poi? Poi avevo capito che la vendetta non me l’avrebbe più riportata indietro.
Avevo fatto tutto il possibile per lei, esaudito i suoi ultimi desideri. Beh, tutti tranne uno.

“Cato vincerai per me, vero?” ero riuscito ancora a sentirla.
Dopotutto, Clove aveva solo ignorato l’evidente verità. Tornare nel Distretto 2 da vincitore senza di lei sarebbe stato più devastante che morire.

Era stata uccisa qualche giorno prima, dal colosso dell’11.
Solo allora mi era sembrato di averla vista sorridere davvero. Quasi meccanicamente avevo chiuso gli occhi, distogliendo lo sguardo dal Ragazzo Innamorato e dalla Ragazza in Fiamme, che impotenti ma con sadica soddisfazione stavano osservando la scena, e mi ero perso nei ricordi.
Non avrei potuto dimenticarlo, perché quel momento continuava a ripetersi all’infinito nei miei incubi come un’eco. 


“Cato, Cato!”
Thresh l’aveva alzata da terra come se fosse stata un sacco poco pesante.

Ero riuscito a mandarle un grido di rimando, ancora perso nella foresta. Temevo di non ritrovarla viva, ma non pensavo davvero di trovarla morta. Clove era sempre stata una ragazza che puntava all’immortalità, e ormai mi ero abituato all’idea.

C’era ancora vita in lei
, avevo sentenziato una volta giunto alla Cornucopia, 
ma non sembrava restarle molto tempo, salvo interventi imprevisti degli Strateghi o degli sponsor. Aveva sorriso, mentre una lacrima solitaria le solcava il volto da bambina.
Io, invece, avevo iniziato a piangere senza contegno, come nessuno si sarebbe mai aspettato di vedermi.

“Cato, vendicami, uccidi Thresh”, aveva ordinato con sicurezza.

“Clove, non puoi morire! Io ti amo…” avevo supplicato tutto d’un fiato.

“Anche io, Cato. Non li aspettavo così, gli Hunger Games. Ho trovato degli avversari…degni. Se non sono già morta è perché tu eri con me…Cato vincerai per me, vero?” aveva una calma e una sicurezza tali che non sembrava in punto di morte.
Avrei voluto crederci.

“Sto già morendo con te, non posso farlo di nuovo, no?” cercare di sdrammatizzare in questi casi non è mai una buona mossa, ma avevo tentato lo stesso.
La sua espressione si era fatta immediatamente pensierosa.

“Cato, non lasciarmi qui da sola…” la sua voce aveva iniziato ad affievolirsi.

“Io resto qui con te”, la risposta era stata così spontanea che non mi ero accorto di aver parlato.
Poi l’avevo baciata. Per una volta, per l’ultima volta. 



Ero così assorto che non mi ero nemmeno accorto che la Ragazza in Fiamme stava puntando l’arco contro di me, dritto al cuore, per mettere fine alla mia agonia. Ero già morto, e morire di nuovo sarebbe stato indolore.

Per questo, quando la freccia mi aveva trafitto il petto, aveva fatto meno male di quando era morta Clove.
Le avevo promesso che non l’avrei lasciata da sola, e da quel momento non l’avrei lasciata mai più.






NdA:
Hey, eccoci con il nuovo capitolo di questa fanfiction O.O
Clato rules! Mhh...diciamo che il suddetto capitolo è un modo per shippare spudoratamente Clato! xD
Ringrazio infinitamente gli autori/lettori/non iscritti che leggono questa storia, grazie!
Ci vediamo al prossimo capitolo uu

Candy<4
 

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Capitolo 4
*** I remember tears streaming down your face ***


I remember tears streaming down your face



 
Un forte bagliore mi illumina il volto.
Farò fatica ad abituarmi a questi raggi di sole.

Nell’Arena tutto era gelido e buio, lo erano le lunghissime notti simulate da Capitol City, le ingiuste morti degli altri tributi, a volte causate da noi Favoriti, il mio cuore solo e affranto. Ma non quando eri con me, allora tutto iniziava a schiarirsi, e potevo fingere che non fosse reale.
Tutto, gli Hunger Games, i Distretti, Capitol City. Potevo anche provare a pensare che avremmo vinto, che saremmo usciti vivi dai Giochi.

In verità non ci avevo mai creduto, devo ammetterlo.
La Clove sicura di sé che avevi conosciuto e che amavi non ero io. E ho ancora il rimorso di essere morta senza rivelartelo.

Ti ricordi quando sono morta, Cato?
Io mi ricordo di te. Ricordo le lacrime che rigavano il tuo volto e il mio cannone che sparava. Poi più niente. E pensare che fino a pochi minuti prima ridevo, fredda e sadica, pronta ad uccidere la mia vittima.

Avevo tirato alla Ragazza in Fiamme un forte pugno sulla trachea, in modo che non riuscisse a parlarmi. In modo che non riuscisse nemmeno ad implorarmi di morire.
Stavo per incidere tagli profondi sulle sue guancie, quando una persona non distinta riuscì a sollevarmi da terra con facilità. In preda al panico, avevo constatato che si trattava di quel colosso di Thresh.

“L’hai uccisa tu? Rispondimi!” aveva gridato come un folle, mentre iniziavo a pentirmi di aver menzionato la ragazzina poco prima.

“No no no! È stato Marvel…!” avevo cercato di giustificarmi, prima di capire che incolpare un morto non sarebbe servito a molto per migliorare la mia situazione. “Cato, Cato!” 
Avevo guardato Thresh con orrore e disgusto, mentre stava mostrando la pesante pietra che teneva nella mano sinistra. Con velocità e precisione me l’aveva calata sul cranio, mentre la Ragazza in Fiamme aveva guardato incuriosita la scena.

Avevo sentito il dolore lancinante del rompersi delle ossa del cranio, che si stava portando via tutta la mia energia vitale. Ero caduta al suolo, impotente, accettando la mia morte.
Ti avevo visto correre verso di me, e avevo sorriso, mentre una lacrima mi stava solcando il volto. Una volta arrivato, tu avevi iniziato a piangere senza freno.

“Cato, vendicami, uccidi Thresh”, ti avevo ordinato, facendo molta attenzione a non lasciar trapelare alcuna emozione.

“Clove, non puoi morire! Io ti amo…”
Il mio cuore aveva sussultato di gioia per un attimo.

“Anche io, Cato”, avevo cercato di mantenere calma e compostezza, “non li aspettavo così, gli Hunger Games. Ho trovato degli avversari…degni. Se non sono già morta è perché tu eri con me…Cato vincerai per me, vero?”

Ci speravo con tutto il cuore, e ci spero tuttora.
Ma tu non vuoi, sei triste, vuoi solo morire. Io lo so, io ti sento. Morire non è difficile quanto vivere, ma può essere altrettanto valoroso.
La verità è che abbiamo paura, tanto di morire quanto, a volte, di vivere.

“Sto già morendo con te, non posso farlo di nuovo, no?” avevi tentato inclinando leggermente la testa.
E io non avevo riso, mi sarebbe stato impossibile. Una devastante fitta di dolore alla testa mi aveva impedito di muovermi, e dei puntini gialli avevano iniziato a danzarmi davanti agli occhi, coprendomi la visuale.

“Cato, non lasciarmi qui da sola…” la mia voce flebile aveva supplicato senza speranza.

“Io resto qui con te”, mi avevi rassicurato, accarezzandomi il volto.
Poi mi avevi baciata, ti ricordi? Sì, finché le mie labbra non si erano fatte fredde e insensibili, e i miei occhi non si erano rivoltati inspiegabilmente all’indietro.

Allora avevo sentito il mio cannone, e poi più nulla.
Solo silenzio. Silenzio e luce. E solitudine.
Per l’eternità.






NdA:
Ehi! Per vostra fortuna o meno sono ritornata in gloria (poi dipende dalle opinioni...) con il quarto capitolo O.O
In questo capitolo Clove si rivolge direttamente a Cato, forse non vi piacerà ma mi è venuta un'ispirazione strana...
Ci vediamo al prossimo capitolo, che è quello di Faccia di Volpe :-*
Una o due piccole piccole recensioni non dispiacciono alla sottoscritta fangirl sclerata xD
Ciao!

Candy<4

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Capitolo 5
*** No one can hurt you now ***


No one can hurt you now



 
Corri.

Il mio cervello stava impartendo un chiaro comando. 
Corri, fai veloce e non guardare in faccia nessuno.

Avevo rubato qualche bacca al ragazzo del Distretto 12, e dovevo fare in fretta se non volevo una delle frecce della Ragazza in Fiamme tra le scapole. 
Corri e basta.

Mi ero buttata in mezzo a un rovo vicino. Mi stavano sanguinando copiosamente le dita, a causa di quella caduta brusca, ma non importava.
Ogni appiglio sicuro che mi avrebbe nascosto alla vista degli altri tributi avrebbe potuto essere il Paradiso, secondo il mio punto di vista.

Avevo sorriso, sentendo di nuovo l’aria riempirmi i polmoni liberamente, e avevo chiuso gli occhi.
Avevo avvicinato alla bocca la mia mano, che conteneva un paio di quelle bacche che avevo rubato a Peeta. Avevano un sapore strano, l’acidità del loro succo mi stava riempiendo la bocca.
Entro pochi attimi, la mia lingua si era gonfiata enormemente senza un apparente spiegazione, e avevo iniziato a vedere doppio. Dopo aver osservato allarmata tre di quelle bacche, che ai miei occhi erano sei, le avevo lasciate cadere con disgusto e avevo cacciato un gridolino spaventato.

Morsi della Notte.

Alle scuole medie mi avevano anche interrogato su quell’argomento.
Con orrore, mi stavano iniziando a ritornare in mente tutti i terribili effetti di quelle bacche velenose. 

“I Morsi della Notte crescono generalmente intorno alle aree dei Distretti 2, 5, 7, 9, 10, 11 e 12, perché si adattano al clima continentale”, non ero cambiata molto dalla seconda media, mi ero solo alzata di qualche centimetro.

“Sono bacche velenosissime, e colui che le mangia muore in modo instantaneo entro cinque minuti”, riuscivo ancora a sentirmi, come in un flash-back. 

“I sintomi sono l’ingrossamento della lingua e l’insensibilità degli arti”, le lacrime stavano scendendo copiose sulle mie guance. 

“Si procede intorno al quarto minuto con la perdita della vista, poi, al quinto, si muore. A Capitol City stanno mettendo a punto un antidoto per il veleno dei Morsi della Notte.” 

Perché non me l’avevano mandato, allora?
Stavo morendo e i miei mentori non provavano nemmeno a salvarmi. La rabbia stava cominciando a prendere possesso di me, ma non potevo dimostrarla, essendo già entrata nella fase dell’insensibilità degli arti.
Continuavo a piangere. No, non potevo morire. Non dopo essere arrivata tra i primi quattro. Quando ero sicura di non poter vincere, rimanevo in vita. Quando, invece, una speranza di vittora stava cominciando a maturare in me, ero in punto di morte.

Mi ero asciugata le lacrime. Dopotutto, io avevo vinto la mia battaglia.
Aspiravo a non essere uccisa negli Hunger Games, e nessuno mi aveva uccisa. Questo, forse, mi avrebbe reso onore.

Un sorriso soddisfatto si stava facendo rapidamente strada sul mio volto. Nessuno avrebbe potuto farmi del male, ora. Né Cato, né Katniss, né nessun altro.
Comunque ero stata ingenua. Mi ero fidata dell’esperienza di Peeta, non avevo capito che nell’Arena non mi sarei mai potuta fidare di niente e di nessuno. Solo di me stessa.
E io non l’avevo fatto.

Avevo cercato di scacciare dalla mente quei tristi pensieri.
Forse morire era più facile di quanto non sembrasse.

Capendo di essere arrivata allo stadio della cecità, avevo lanciato un’ultimo sguardo alla Cornucopia. Poi c’era stato solo buio.
In quel minuto scarso che mi restava da vivere, avevo riepilogato mentalmente tutti gli atti di bontà che avevo visto fare in vita mia, per morire felice, realizzata. Perché la felicità deriva dalla bontà, non dal sadismo come quello di Snow.

Non ebbi il tempo di finire il ragionamento che la mia mente si era spenta.
Per sempre. 






NdA:
Ciao! Mi scuso per aver aggiornato così tardi, solo che avevo perso l'ispirazione :3
Questa mattina, appena sveglia mi sono detta "ma perché oggi non aggiorno safe & sound?", e allora l'ho fatto.
Siamo già giunti alla metà della storia, beh, è un bel traguardo!
Ringrazio di cuore la ladra di libri francy_everdeen che hanno recensito lo scorso capitolo, e tutte le persone che seguono o leggono semplicemente la storia. Grazie :33
Come sempre, le recensioni e le critiche sono bene accette. 
Ciao!

Candy<4

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Capitolo 6
*** You'll be alright ***


You’ll be alright



 
Mi ero buttato a capofitto nel campo.
Forse le spighe alte un metro e mezzo non erano propriamente sicure, ma ogni cosa anche solo apparentemente priva di insidie mi sembrava perfetta.

Poi quel campo indisturbato, al limitare dell’Arena, mi ricordava il Distretto 11.
I campi colorati d’estate che si estendevano per chilometri, i frutteti che infondevano nell’aria un profumo inebriante, il cielo rosato all’alba, gli uccellini mattinieri che si esibivano in timidi canti alle quattro del mattino, ricordandomi che non ero l’unico a non dormire.

Avevo preso un respiro profondo.
Non dovevo pentirmi di aver pensato che ne avrei potuto farne ritorno. Assolutamente no. Dovevo solo sperare che Cato e la Ragazza in Fiamme si sarebbero uccisi a vicenda, e allora mi sarebbero rimasti come avversari solo la ragazza del 5 e l’Innamorato.
Certo, era un bel rischio. Ma la mia vita era fatta di rischi.

Avevo sentito un suono in lontananza. Un rapido susseguirsi di passi pesanti e di respiri affannati.
Qualcuno si stava avvicinando, e avevo temuto di sapere chi fosse. Un tributo con cui avrei avuto infime possibilità di sopravvivenza. Mi aveva visto, ma fortunatamente non sembrava troppo veloce.
In corsa sarei riuscito sicuramente a battere Cato, ma mancavano solo dieci metri prima che mi raggiungesse. 

Nove.
Istintivamente, avevo afferrato la mia spada, che mi sarebbe stata utile, molto utile, ma che non mi avrebbe necessariamente salvato. 

Sette.
Avevo lasciato indietro lo zaino che gli avevo preso mentre piangeva la sua Clove, nella vaga speranza che così mi avrebbe lasciato andare. Comunque mi odiava per averla uccisa, e l’avrebbe vendicata ad ogni costo.
In ogni caso, avrebbe dovuto aspettarselo. Clove aveva commesso il grosso errore di nominare Rue... 

Cinque.
Il resto, invece, l’avevo preso. Il piccolo zaino contrassegnato dal numero 11, che conteneva una confezione di pomata per le ustioni, le provviste, la tintura di iodio. 

Tre, due, uno… 
Si stava avvicinando, ed io non avevo ancora iniziato a correre.

Prima che fossi riuscito a prendere velocità, il Favorito mi si era avventato contro.
Cato era riuscito con facilità a disarmarmi, e stava provando ad atterrarmi per infliggere il colpo mortale. Fortunatamente, non era molto più robusto di me, perciò ero riuscito, seppur per poco tempo, a disarcionarlo. In risposta, lui mi aveva assestato un forte pugno in pieno petto, bloccandomi per qualche secondo.

Stava brandendo un coltello con una smorfia carica di sadismo, odio, amarezza e soddisfazione.
Non si sapeva quale emozione dominasse in lui.

“Perché hai preso ciò che era mio”, Cato mi aveva trafitto lo stomaco con la spessa lama del coltello, e si era appropriato di entrambi gli zaini. “E…per Clove”, l’ultima parola racchiudeva in sé tristezza, amarezza e nostalgia.
Questa volta mi pugnalò al cuore, come per simboleggiare che io avevo ferito a morte quello del mio avversario.

Ecco cosa insegnavano gli allenamenti nel Distretto 2.
A uccidere. Uccidere spietatamente, perché ogni cosa poteva apparire come un nemico.

Cato si era allontanato euforicamente per la dolorosa vendetta, mentre io ero a terra, immobile e inerte.
Probabilmente stavo impallidendo visibilmente per la perdita di sangue.

Il cielo del tramonto si tingeva di bagliori rosati e ambrati.
Avevo sospirato di nostalgia pensando a quante volte mi ero trovato sotto quello stesso cielo, del tutto ignaro di ciò che mi sarebbe successo.
La mia vista stava iniziando ad offuscarsi. Iniziavo a vedere il cielo di un colore verde pallido, quasi come le foglioline primaverili.

Anche se il tutto stava velocemente diventando nero, non piansi.
Se era quello che Capitol City voleva vedere, non l’avrebbe visto. Sarei stato bene, lontano da quella società malsana e crudele, con tutte le altre vittime che gli Hunger Games avevano mietuto in settantaquattro anni, e che avevano capito troppo tardi di non essere la pedina di Capitol City. Perché solo una persona è artefice del proprio destino, e non può essere costretta a schemi calcolati dai potenti.

Avevo chiuso gli occhi, un attimo prima che anche la mia mente si tingesse di nero.






NdA:
Ma salve! Finalmente sono riuscita ad aggiornare, perché tra matrimoni in famiglia (non chiedete dettagli), pattinaggio sul ghiaccio con gli amici (nemmeno ora) e un'improponibile quantità di compiti non ce l'ho fatta prima xD
Ebbene sì, capitolo di Thresh (che prima mi stava antipatico perché aveva ucciso Clove, ma mettersi nei panni di un personaggio è molto psicologico O.O).
Oh, e c'è la mia cara sorellina di nove anni che brandisce una mannaia pronta ad uccidermi perché non ho inserito accenni alla Rue/Thresh (si chiama Resh?), che è la sua coppia preferita. 
Il prossimo capitolo è quello di Rue, quindi prevedo già prima di scriverlo che sarà molto deprimente. 
Ciao!

Candy<4

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Capitolo 7
*** Hold on to this lullaby ***


Hold on to this lullaby



 
La lancia stava già buciando nel mio petto quando avevo visto Marvel cadere a terra, con una freccia che gli trafiggeva il collo.

Katniss era arrivata, era arrivata troppo tardi.
I suoi occhi si stavano colmando di lacrime, come i miei. Ero impotente, intrappolata nella rete dei Favoriti.
Prima non avevo mai creduto che con una semplice trappola avrebbero potuto sconfiggermi. O forse sì, ma mi ripetevo sempre che era meglio non pensarci.

Continuavo ad aggirarmi nell’Arena, uccel di bosco, letteralmente.
Ero l’imprendibile Rue, del tutto incapace con le armi, ma aggraziata e silenziosa, come una presenza inesistente. In effetti era la mia unica speranza. E l’avevo appena vista rompersi come un ramoscello spezzato dal vento.

Le lacrime stavano sgorgando quanto il sangue dalla mia ferita.
Avevo guardato Katniss negli occhi, tanto espressivi che mostravano ogni sua emozione come un libro aperto. Aperto ma, in effetti, molto contorto e complicato da leggere. La ragazza era contemporaneamente sconsolata, furiosa ed impotente, come se avesse voluto agire ma senza sapere come. O, semplicemente, era troppo sconcertata per fare qualsiasi cosa.
In effetti c’era qualcosa che Katniss avrebbe potuto fare. Qualcosa che mi aveva sempre rilassata, che mi aiutava ad addormentarmi più in fretta.

“Canta”, la mia voce si stava riducendo ad un mormorio.
La ragazza mi aveva osservato in un modo strano, come sorpresa dalla mia richiesta. Ad ogni modo, forse spinta dalla pietà, forse dal rimorso di non essere riuscita a salvarmi, aveva iniziato a cantare.

Aveva una voce melodiosa, che mi aveva ricordato mia sorella Myra.
Era alta e bella come Katniss, ma era volata via da me troppo presto. Tre anni prima, negli Hunger Games.

Avevo continuato a piangere a quel pensiero, forse di amarezza, forse di sollievo perché l’avrei rivista, e perché tutto sarebbe finito.
Tutto era confuso nella mia mente annebbiata, nella mente di una dodicenne cresciuta troppo in fretta, ma che, in verità, non era mai cresciuta per davvero. Una dodicenne che aveva scoperto gli orrori del mondo senza esserne pronta. Una bambina che aveva partecipato agli Hunger Games, e che non ne era uscita. Avevo sentito il cannone sparare per Marvel, mentre Katniss iniziava ad intonare la seconda strofa.

Là in fondo al prato, nel folto celato, c’è un manto di foglie di luna illuminato.

I miei occhi si stavano chiudendo, mentre le ghiandaie imitatrici ripetevano la canzone in tono sommesso.
La melodia mi cullava come il dolce fruscio del vento tra le foglie.

Scorda le angustie, le pene abbandona.

Facile a dirsi, più dura ad attuarsi.
Allora le uniche cose che continuavano ad ingombrarmi la mente erano tristi pensieri.

Quando verrà mattina, spariranno a una a una.

Ci sarebbe stato un mondo nuovo, forse.
Un nuovo inizio, una nuova vita. Dove la tristezza non avrebbe più contato nulla.

Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio, qui le margherite ti proteggono da ogni cruccio.

Continuavo ad aggrapparmi con tutte le mie forze a quella ninnananna, come se avesse potuto salvarmi. Come a casa, nel Distretto 11.
Con l’unica differenza che, allora, non mi sarei più svegliata.

Qui sogna dolci sogni che il domani farà avverare, qui è il luogo in cui ti voglio amare.

Addio Katniss.
Addio Peeta.
Addio Cato, Finch, Thresh, addio a tutti.

Per loro avevo provato simpatia, antipatia, ammirazione, talvolta indifferenza. Ma sarebbero stati sempre nel mio cuore, perché non avrei mai potuto scordare le persone che mi avevano accompagnata alla morte, condannati al mio stesso destino.
Che avevano una famiglia, degli amici, qualcuno, come me. 

Grazie.
Perché la mia morte avrebbe significato la salvezza di qualcun altro, forse di Katniss. Perché avevo imparato a vedere la fine della vita come appartenente alla vita stessa. Perché, finalmente, ero cresciuta. Anche se, alla fine, questo non avrebbe contato molto.

Il tremolio delle mie mani era diminuito, come ad indicare che il momento era vicino.
Avevo alzato gli occhi al cielo per l’ultima volta, sapendo che non l’avrei più rivisto. La mia amica stava piangendo, non cantava più. O forse ero io ad aver smesso di sentirla. Mi stavo totalmente abbandonando a quella forza potente che era la morte.

Ma esisteva qualcosa di più forte della morte?
Sì, certo. L’amore. L’amore era più forte della morte. Senza alcun dubbio.

Buonanotte Rue.






NdA:
Bene bene, eccomi qui con il capitolo di Rue!
Scritto quasi totalmente sulla brutta del compito di matematica perché era rimasto del tempo, e poi trascritto al computer oggi :3
Mi scuso per il ritardo, solo che questa era una settimana di scuola particolarmente brutta, e sono contenta di aver finito c:
I capitoli 8/9/10, ovvero i prossimi tre, tratteranno di personaggi "non esattamente conosciuti" nella saga di Hunger Games ma, magari, citati. Come, banale esempio, il ragazzo del Distretto 3. Perciò, mi dispiace o sono contenta per voi, dipende dai punti di vista, per i prossimi capitoli ci vorrà più tempo del solito.
Dopo queste informazioni, mi dileguo (;
Ci vediamo!

Candy<4
 

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Capitolo 8
*** All that's dead and gone and past tonight ***


All that’s dead and gone and past, tonight



 
L’avevo visto scivolare come acqua via dalle mie mani. Tutto ciò in cui confidavo, in cui mi sforzavo di credere e in cui speravo, anche solo per pura disperazione.
Andato, morto, passato. Solo in un secondo, in una notte. Quella che, in futuro, si sarebbe persa nella memoria di infinite Edizioni di Hunger Games. Che si sarebbe agitata e calmata come la marea, trasformandosi da presente a passato con una rapidità impressionante.

Non sarebbe mai stata “la notte in cui Lilith James morì”, nessuno in tutto Panem l’avrebbe ricordata così.
Nemmeno il Distretto 4, nemmeno la mia famiglia. Non sarei stata nient’altro che un’altra anima vagante per l’Oscurità. Senza traccia, senza ricordo. Morta in un modo stupido, indegno di essere visto come una morte valorosa.
E allora non sarei più stata nessuno, senza quei ricordi che rendono vive anche le persone che si sono addormentate per sempre.

Avevo pensato a tutto questo mentre vedevo gli aghi inseguitori che mi cadevano addosso, e sentivo gli altri sempre più lontani che gridavano e gemevano per il dolore. Avevo solo il tempo di rammaricarmi, mentre correvo via sperando di lasciare indietro tutto il mio dolore.
Sedici anni di vita, che vita non era stata. Da quante cose mi ero tirata indietro, inconscia del fatto che sarei finita così, soppressa dalla capitale. Da quei Giochi mortali, ideati da loro stessi. Giochi della Fame, che chiamarono così senza sapere minimamente quanto quel nome si addicesse al significato.

Continuavo a correre. Le punture sulle gambe bruciavano e mi rallentavano, ma non avrei potuto fermarmi.
La Cornucopia, il lago, i miei alleati. Tutto era così vicino, non dovevo arrendermi. Avevo richiamato tutta la forza di volontà che non avevo mai avuto davvero, prima di riprendere a correre.

Marvel era solo pochi metri più avanti, e si trascinava avanti aiutandosi con la lunga lancia.
Clove cercava invano di scacciare gli aghi inseguitori con il grosso coltello dal manico ricurvo, rischiando di ferire gli alleati vicino a lei con ampi movimenti dell’arma.
Cato gridava come un forsennato e sembrava quasi scappar via da qualcosa, forse dall’alveare degli aghi inseguitori, forse dalla Ragazza in Fiamme, forse dalla consapevolezza di essere stato visibilmente indebolito e di aver lasciato indietro una parte della sua squadra. Se un gruppo di persone che si alleavano e poi si uccidevano poteva chiamarsi così.

Mi fermavo ogni tanto per il fiato corto, ma non mi arrendevo ancora.
Una putura sulla carotide mi aveva dato il colpo di grazia, facendomi cadere a terra, ansimante. I miei alleati erano lontani, e le cose perdevano lentamente forma davanti a me. Iniziavo a vedere male attraverso le mie membra ingrossate.

Con un pesante respiro rotto di pianto, avevo alzato le mani al cielo.
Quasi toccavo la luna e le stelle. Le stesse di sempre. Quelle che in tutto Panem ravvivavano il cielo notturno. Che, nel Distretto 4, illuminavano l’impetuosa marea che colpiva gli scogli riempiendo l’aria di salsedine.
Avevo sorriso tra le lacrime salate. Sembra impossibile come possano essere le cose più semplici a dare la felicità nei momenti peggiori.

Non avevo mai pensato di vincere, né di morire. In realtà avevo sempre avuto paura di entrambe.
Ma una escludeva l’altra, e se una non accadeva l’altra doveva accadere per forza. Il mio comportamento era solo un modo irragionevole di posticipare l’inevitabile.

Avevo visto Marvel correre controvento nella mia direzione.
Le speranze che fosse tornato indietro per me si infransero bruscamente quando mi superò di corsa, rivolgendomi una breve occhiata di sufficienza. Aveva solo lasciato indietro la compagna di Distretto, che probabilmente lui amava con tutto il cuore.
Se mi fosse stato possibile ucciderla, sicuramente quella ragazza sarebbe stata già morta. In un modo molto violento e doloroso.

Avevo chiuso le mani che, fino a quel momento, erano state tese verso il cielo.
Le avevo posate molto cautamente sul cuore, per poi scoprire che il battito cardiaco stava rallentando con spaventosa rapidità, nonostante continuasse a tamburellarmi nelle orecchie coprendo ogni altro suono circostante. 

Quindi morire è davvero così? 
Non ero certa nemmeno di essere in fin di vita. Non ero certa di niente, le mie inutili riflessioni non mi avevano aiutato a conoscere meglio la vita. Affatto. Non sapevo niente di me stessa, degli altri, di come affrontare la vita e la morte, quelle due facce così unite di una stessa medaglia.
E morire dopo una brevissima vita di incoscienze mi sembrava solo ingiusto. 

Ma la vita non è mai giusta. E nemmeno la morte, a pensarci bene.
E poi, cosa sarebbe la vita, se fosse equa? Sarebbe qualcosa che solo i deboli non riuscirebbero a sopportare.
Deboli come me. Deboli come ero stata io.

Negli ultimi istanti di vita ero così proiettata nella morte, che non avevo fatto caso a quando la vita aveva lasciato i miei occhi.
Quando, con un gemito soffocato, i miei polmoni avevano smesso di respirare. Quando il cuore aveva smesso di tamburellarmi nelle orecchie. Quando la mia mente si era fatta buia, e i miei ragionamenti si erano spenti di botto. 

Quindi morire è davvero così? Forse. Al momento non lo sapevo.
Ero tanto immersa nell’Oscurità che anche pensare ai raggi del sole mi avrebbe fatto male.
Ma i raggi del sole non arrivavano. Non più, non da me.

E avrebbero smesso di illuminare il mio giorno per sempre.






NdA:
Mi scuso per l'infinito ritardo, anche perché avevo il capitolo già pronto da più di una settimana, solo che non sono riuscita a pubblicarlo prima. Volevo farlo ieri o due giorni fa, solo che c'era Divergent in tv e non potevo perdermelo anche perché sono l'unica fan di Divergent sfigata che non l'aveva ancora visto
Ringrazio infinitamente chi è qui a leggere questo capitolo, è molto importante per me :3
Comunque questa era la ragazza del Distretto 4, e ho scritto di lei perché non avevo molta ispirazione per quello del 3. Comunque prima o poi, probabilmente poi, anche il suo capitolo arriverà C:
Ci vediamo!

Candy<4
 

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Capitolo 9
*** Come morning light ***


Come morning light



 
L’erba si impregnava di rosso, nell’aurora risplendevano mille volti, le fronde degli alberi frusciavano a tempo con quella voce.
Quella voce che mi parlava nella mente, poiché il mondo tutto intorno taceva.

Solo un attimo, solo quell’attimo, era bastato.
E una vita si era spenta brillando per l’ultima volta alla luce del mattino, al fuoco del sole che si librava nel cielo. Al fuoco della Ragazza in Fiamme, al fuoco dei Favoriti, al fuoco che riposava dentro ogni animo nell’attesa di sprigionarsi.
Il fuoco degli Hunger Games aveva appena bruciato una vita.



Il sole brillava debole e si stagliava nel cielo plumbeo del Distretto 3, prima che venisse oscurato dagli irrespirabili fumi neri che uscivano dalle fabbriche. La piazza principale era pressoché deserta, le panchine venivano riempite dalle foglie secche che volavano col vento e le altalene, inutilizzate da giorni, si ossidavano lentamente nell’aria.
L’autunno iniziava a farsi sentire nel Distretto più piccolo di Panem, e con quello la perdita dei tributi di quell’anno.  Erano morti entrambi in un modo molto violento, e l’intero Distretto 3 non si era ancora ripreso completamente dal fatto.

Ero solo nel parco e correvo, vantandomi di essere particolarmente veloce per i miei cinque anni.
Troppo piccolo per capire gli orrori del mondo in cui ero nato, ma troppo grande per poterli ignorare del tutto.

“Luke, vieni”, una voce dolcemente familiare mi aveva chiamato, “mettiti il maglioncino, fa freddo.”  
Wiress Sanders, mia madre e mentore del Distretto 3, mi sorrideva da lontano. Era una donna molto taciturna, e se parlava era solo per le raccomandazioni.

Io le correvo incontro, contento di essere stretto da quelle braccia calde e familiari. 
E allora mi sentivo a casa.



Avevo gli occhi chiusi, la bocca incurvata in un debole sorriso.
La mente occupata dagli occhi verdi di Clove socchiusi in quello sguardo sadico con il quale mi aveva visto cadere a terra senza vita. L’unica immagine che avevo voluto imprimermi nella mente prima di morire, senza sapere nemmeno il perché.

La foschia si era rapidamente addensata intorno alla Cornucopia, preannunciando la pioggia imminente. L’umidità raggiungeva le mie mani, che tremavano al contatto con qualsiasi cosa che avesse potuto significare il confine non ancora varcato tra vita e morte.
Il sole piangeva. Forse sanguinava. Salate gocce di pioggia mi bagnavano le guance pallide, scivolando fino a raggiungere l’erba ormai rossastra di sangue. E il temporale mi cadeva addosso, senza però oscurare del tutto la luce del sole, che percepivo appena attraverso le palpebre chiuse.


Quello stesso cielo plumbeo si faceva minaccioso sopra il Distretto 3.
Il giorno in cui un ragazzo e una ragazza sarebbero stati chiamati, forse dalla morte stessa, per partecipare ai Giochi della Fame. E solo uno in tutto Panem ne sarebbe tornato indietro.

Quella stessa piazza principale, molto spesso vuota e deserta, non mossa nemmeno dal vento, era colma di gente.
I dodicenni in prima fila esternavano senza contegno il loro terrore di essere estratti alla prima Mietitura. I diciottenni, negli anni, avevano imparato a mostrarsi spavaldi, quasi entusiasti all’idea dei Giochi, ma dentro di loro avevano voglia di piangere dalla frustrazione.
La terza Mietitura mi spaventava un poco, ma io mi ergevo fiero nel mio completo color crema. Non avevo che tre nomine nella boccia, e, anche se fossi stato estratto, avrei vinto. Dopotutto ero Luke Sanders. Figlio di Wiress Sanders.
Figlio di una vincitrice.

Lizbeth Rivers, l’accompagnatrice del Distretto 3, aveva appena presentato, fremente di desiderio di guardare i tributi partecipare ai Giochi, la ragazza estratta. Era nella classe accanto alla mia, ma io la conoscevo solo di vista. Pareva chiamarsi Hazel.
Aveva uno sguardo spaventato, ma molto più maturo delle altre ragazze estraibili, più grandi o più piccole che fossero. Tristemente consapevole della morte a cui stava andando incontro.

I tacchi a spillo di Lizbeth si erano mossi sul palco, e le lunghe dita della sua mano sinistra avevano afferrato uno dei tanti foglietti dentro alla boccia dei ragazzi.

“Luke Sanders!” aveva gridato, storpiando il mio nome con l’accento capitolino.
Fu molto difficile resistere alla tentazione di correggere la pronuncia della capitolina, una volta salito sul palco.



L’acqua piovana mi stava entrando in bocca, mischiata al sapore delle lacrime e della sconfitta.
Sentivo la Ragazza in Fiamme che si allontanava con passi furtivi, soddisfatta della riuscita del suo intento. Era stata lei la responsabile di tutto. Era lei che avrebbe potuto scegliere se lasciarmi vivere, e che non l’aveva fatto. Eppure non ero arrabbiato con lei. Aveva altri intenti, probabilmente non conosceva le possibili conseguenze. Lottava per la sua vita, non per la mia morte.
Quello che avrei fatto anche io. Quello che nemmeno la natura umana avrebbe potuto impedire.

E tra i miei pensieri mi stavo lasciando morire sotto lo sguardo di tutto Panem, sperando che qualcuno mi avesse guardato con pietà da lontano. Si fosse portato le tre dita centrali della mano sinistra alla bocca, e poi le avesse allungate verso il cielo.


“Luke, ascoltami”, lo sguardo impassibile del mio mentore mi bruciava nell’anima quasi come il localizzatore nel braccio.
Mia madre era vicino a lui, e si limitava a guardare la scena con il vuoto negli occhi. “Non sei molto bravo con le armi, ma hai intelligenza. E velocità. Forse non basteranno, ma vale assolutamente la pena provarci”, Beetee mi guardava attraverso gli occhiali neri, lo sguardo assorto e autoritario.

Mancavano solo pochi minuti all’ingresso nell’Arena.
Io quasi sentivo, dal mio piedistallo di metallo, Claudius Templesmith respirare nel microfono.

“Aggiungiti ai Favoriti solo quando loro avranno bisogno di te. E lasciali soli appena prima che non ne abbiano più bisogno. Chiaro?” mi aveva afferrato per la collottola.
Avevo annuito lentamente.

“Trenta secondi”, una voce metallica fuori campo aveva avvertito lo scadere del tempo.

“Dovrei andare, credo”, avevo mormorato con incertezza.

“In bocca al lupo”, Beetee mi aveva stretto la mano, e forse, quale strano pensiero, aveva accennato un mezzo sorriso.

Mia madre non riusciva a trattenere più le lacrime, e mi aveva abbracciato. Ed ero di nuovo stretto da quelle braccia calde e familiari.
E allora mi sentivo a casa. Per una volta, per l’ultima volta.



L’erba si impregnava di rosso, nell’aurora risplendevano mille volti, le fronde degli alberi frusciavano a tempo con quella voce.
Quella voce che mi parlava nella mente, poiché il mondo tutto intorno taceva.  

Solo un attimo, solo quell’attimo, era bastato.
E una vita si era spenta brillando per l’ultima volta alla luce del mattino, al fuoco del sole che si librava nel cielo. Al fuoco della Ragazza in Fiamme, al fuoco dei Favoriti, al fuoco che riposava dentro ogni animo nell’attesa di sprigionarsi.
Il fuoco degli Hunger Games aveva appena bruciato la mia vita.






NdA:
*Il fandom le lancia i pomodori, e lei se li prende in piena faccia perché sa che se li merita*
Ebbene, cari. Questo era il tanto atteso capitolo sul ragazzo del Distretto 3, che ho chiamato Luke. Questo capitolo è abbastanza lungo rispetto agli altri, e posso dire di esserne abbastanza soddisfatta :) Il prossimo sarà sulla ragazza del Distretto 8, Abigal. Avete presente quella che si è fatta ammazzare dai Favoriti perché aveva acceso un fuoco? Ebbene, quella è lei xD
Poi ci sarà un altro brevissimo capitoletto, diciamo un epilogo. Sono abbastanza triste al pensiero che mancano solo due capitoli alla fine della storia D:...
Voglio ringraziare in modo particolare francy_everdeen, che recensisce e ha la storia tra le preferite; adele_12, che ha la storia tra le preferite; JackiLoveCatoniss4ever, in modo ancora più grande, perché ha recensito tutti i capitoli, ha la storia tra le seguite e ha la pazienza di leggere la maggior parte delle mie storie C:; la ladra di libri, che recensisce e ha la storia tra le seguite e _justbreathe_, che segue la storia. Davvero, sono felicissima che "Safe & sound" vi piaccia, e anche che qualcuno sia qui a leggere le note d'autore ^^. E, dopo l'elogio funebre XD, posso finalmente concludere questo nono e terzultimo capitolo.

Ciao!


Candy<4

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Capitolo 10
*** Everything's on fire ***


Everything's on fire



 
Giudicare un tributo per il numero delle proprie vittime, rapidamente uccise o squartate orribilmente con le più letali armi da taglio, è una cosa totalmente normale.
È una cosa totalmente normale dimenticare le vite perse al Bagno di Sangue o, per volgere la questione sul personale, immediatamente dopo. Non esiste un pensiero comune che la ritiene una cosa orribile, un invalido termine di paragone.

Non si sceglie di diventare assassini. Semplicemente si è costretti ad esserlo.
Nemmeno i volontari lo fanno, contrariamente all’idea comune che le persone hanno di loro. Non scelgono di diventare assassini. Scelgono di essere vincitori, di coprirsi di gloria e ricchezze, di posare la corona sul capo del proprio Distretto. Anche se ciò sottintende uccidere spietatamente, non è ciò che loro vogliono. Non è ciò che vuole nessuno.

Io non ho scelto di dover essere costretta ad uccidere per vivere quando, in quella giornata grigia e orribilmente anonima della Mietitura, resa speciale solo dal suddetto evento, il mio nome era stato gridato e amplificato dal microfono dell’accompagnatrice.
Mio fratello mi aveva guardata con occhi stentatamente rassicuranti, ma che non nascondevano un sentimento di puro terrore. Era troppo grande per offrirsi volontario al mio posto, ma, anche se non lo fosse stato, dubito che l’avrebbe fatto.
Non era un ragazzo particolarmente altruista, né coraggioso. Non venne nemmeno a salutarmi, non venne nessuno, poiché io non avevo nessun altro.

Avevo passato quell’ora totalmente vuota a parlare con Maria, la mia mentore, persona apparentemente simpatica, ma non interiormente.
Mi squadrava continuamente con aria superiore, e parlava con tono di voce mellifluo, come per intendere che, qualora avessi fatto un passo falso, o avessi abbassato inutilmente la guardia, lei mi avrebbe fatta fuori facendolo passare per un incidente.
Non si rivelò migliore in futuro.

Durante la Cerimonia d’Apertura, nessuno si era preoccupato di guardare i due poveri, deboli, tributi del Distretto 8.
Gli spettatori erano in evidente visibilio. Gridavano in estasi i nomi dei Tributi Favoriti, tenendo poco conto di tutti gli altri. Inspiegabilmente, quando tutti i carri fuoriuscirono dal Centro Immagine, l’oggetto dell’ammirazione dei capitolini cambiò.
Quando mi voltai, stizzita più che curiosa, non riuscii a distogliere più lo sguardo, cosa che, probabilmente, non fece impazzire il pubblico.

Erano i due tributi del Distretto 12 a provocare tutto questo scalpore.
Non ricordavo i loro nomi, probabilmente erano Kathlyn e Peter, o qualcosa del genere. L’unica cosa che mi era saltata alla mente su di loro, era stato l’atto eroico della ragazza, offertasi alla Mietitura per salvare sua sorella.
Entrambi erano raggianti nei loro abiti di fuoco, si tenevano per mano e sorridevano al mondo attraverso le telecamere. Mi montò nell’anima uno strano sentimento che, nonostante il mi0 tentativo, era impossibile da confondere con della semplice ammirazione.

Alla fine della Cerimonia, Maria era furiosa.
“Hai un solo obiettivo adesso, da anteporre alla tua vita”, mi aveva intimato con aria evidentemente alterata, senza guardarmi, “devi uccidere Katniss Everdeen.”

Katniss.
Ecco qual era il suo nome.

“Perché devo farlo?” avevo chiesto con aria eccessivamente sottomessa e falsamente sorpresa.
Maria premette violentemente il pulsante contrassegnato dal numero otto.

“Questo è unicamente un mio desiderio”, aveva esordito “ed io per te sono l’ago della bilancia tra la morte e la vittoria, in questi Giochi.” 
L’ascensore si fermò all’ottavo piano con un sonoro scampanellio.

Avevo capito perfettamente.
Maria era il tipo di mentore capace di uccidere i propri tributi, se questi non raggiungevano i suoi fini.

“Okay”, avevo risposto, con una punta d’incertezza nella voce, “e il ragazzo? Peter?” 

Peeta”, mi aveva corretto, prima di ridere acidamente, “quello è un buono a nulla. Se gli va bene, potrebbe anche non morire da solo.” 
Maria scomparve nella sua stanza sbattendo la porta sonoramente, prima che io potessi realizzare ciò che avrei dovuto fare. 

Ucciderai un tributo.
Avrei dovuto uccidere Katniss Everdeen. Un obiettivo che la mia mente non concepiva, ma che sarei stata costretta a compiere. 
Togliere ad altri la vita per salvare la propria, un principio che la gente dei Distretti conosce fin troppo bene. Una cosa che, al contrario degli sventurati ragazzi sorteggiati per i Giochi, Capitol City avrebbe potuto scegliere di evitare.
Non l’ha fatto. E persone innocenti sono da sempre costrette a pagare per colpa loro.

Avevo guardato il riepilogo della Cerimonia con tutta la mia troupe di sostegno, ad esclusione di Maria che si rifiutava di uscire dalla sua stanza.
Infine, con l’amaro in bocca, ero andata a dormire.

 
*


Maria aveva attentamente pianificato l’omicidio di Katniss Everdeen nei giorni successivi.
Sul mio piedistallo metallico, avevo mentalmente riepilogato il piano. 

“Appena suona il gong, non perdere tempo, ma cerca di non esplodere”, sentivo ancora la mia mentore sorridere freddamente scrutandomi coi suoi occhi di ghiaccio, “prendi il grosso zaino verde davanti a te, e seguila senza farti notare.” 

Lo zaino verde si trovava pochi metri davanti a me, indubbiamente vicino a me più che a ogni altro tributo.
Avevo fatto due più due e capito che Maria doveva aver corrotto qualche Stratega, probabilmente attraverso altre persone, non in maniera diretta. Altrimenti il fatto che lei conoscesse il colore dello zaino e l’utilità degli oggetti al suo interno non avrebbe avuto molte altre spiegazioni logiche.

Avevo individuato la Ragazza in Fiamme, come era assurdamente normale chiamarla nella capitale.
Era esattamente davanti a me, circa ottanta metri più avanti. Pensai che, almeno, avrei potuto seguirla senza farmi notare.

Il gong suonò inaspettatamente, ma mi ritrovai ugualmente pronta a correre.
Mi tolsi rapidamente dal centro degli scontri, afferrando il mio zaino al volo e aspettando che Katniss Everdeen decidesse una direzione da prendere. Avevo iniziato a seguirla verso il bosco, ma, essendo lei più veloce di me, ad un certo punto ero arrivata ad averla persa di vista quasi del tutto, capace di seguire soltanto il lieve rumore dei suoi passi.

Avevo perso la cognizione delle ore che passavano, e, quando l’inno di Capitol City esplose in cielo a tutto volume, io stavo ancora cercando.
Seguirono circa due ore di indecisione sul luogo in cui avrei portato a termine la fase successiva del piano. 

“Accendi un fuoco.” 
Per quello non avevo avuto problemi. Dall’inizio ero stata la migliore al corso di sopravvivenza dell’Addestramento a Capitol City. 

“Quindi vuota il contenuto dello zaino verde.”
Lo zaino era enorme, ma vi erano pochi oggetti al suo interno. Un pacco di biscotti, una giacca a vento, degli occhiali, probabilmente per la visione notturna. E sotto, riposta con cura, una tanica di benzina. Non molto grande rispetto alla media, doveva contenere meno di quindici litri, ma sarebbe stata più che abbondante per il compito che dovevo portare a termine. Sicuramente ne avrei utilizzata solo una piccola parte. 

“Poi individuala per accertarti che sia in stato non del tutto cosciente, in modo che non abbia il sangue freddo necessario da poter agire con calma”, allora Maria si era sistemata dietro l’orecchio una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi, con cipiglio severo, “e non proseguire fino a che non riesci a trovarla.” 
Avevo afferrato gli occhiali per la visione notturna, senza i quali non sarei riuscita a vedere molto. Poi avevo girovagato a vuoto per molto tempo, sperando che nessuno sarebbe stato attratto dalle fiamme, trovandomi a circa un giorno di viaggio dalla Cornucopia.
Quando riuscii a scorgerla, strategicamente appostata dietro un cespuglio, Katniss era su un albero, e sembrava sufficientemente distratta da non riuscire a reagire al pericolo con sufficiente reattività.

Mi ero girata per calcolare la distanza con il fuoco che avevo acceso, ma riuscivo a vederlo con difficoltà, quindi avevo deciso di accenderne un secondo più vicino al tributo del Distretto 12. Non ti scoveranno, avevo mentalmente ripetuto, probabilmente sono troppo lontani.
Le ultime parole di Maria mi risuonavano ancora nella mente mentre tornavo indietro a raccogliere i miei scarsi ma utili averi. 

“Poi, beh, fai ciò che devi fare”, aveva accompagnato a quest’ordine un sadico sorriso, “scappa più veloce che puoi e prega di non restarne uccisa.”

Prega di non restarne uccisa. Se avessi avuto fortuna, sarei riuscita a scappare senza recare ustioni troppo gravi.
La probabilità che accadesse il contrario mi spaventava, l’ansia di morire cresceva in me come quella di uccidere. Perdere la vita o togliere a un tributo la possibilità di vincere, di sfamare il proprio Distretto per un anno intero, togliere una persona amata ai suoi cari, agendo di spontanea volontà.

Non del tutto, a dire il vero. Ma a Capitol City non importava.
Ogni tributo era uguale a un altro, distinto e ricordato era solo il vincitore. E, avanzando col tempo, anno dopo anno, anche i vincitori erano uguali tra loro. Tutti distinti e ricordati allo stesso modo. Erano i migliori, mai forti abbastanza per fronteggiare la capitale. Ogni vincitore, ogni tributo, ogni Distretto, retto a stento in piedi nell’illusoria speranza di essere ricordato per le proprie gesta.
Nessuno capiva di essere solo carne da macello. Ricordato solo per essere la vivente rappresentazione della vittoria di Capitol City.

Ero riuscita ad infilare nel mio zaino soltanto la giacca a vento, quando uno spaventoso rumore di passi pesanti e indistinte parole catturò la mia attenzione.
Non ebbi il tempo di voltarmi che un sentimento sconosciuto, di puro e innegabile terrore, prese possesso di me. Spinsi rapidamente dietro un albero i restanti miei averi, in modo da non farmi trovare fornita di cose che il mio aggressore, o meglio, i miei aggressori, avrebbero potuto trovare utili.

Dopo qualche secondo, l’intero branco dei Tributi Favoriti mi aveva irrimediabilmente circondata.
Peeta, il ragazzo del Distretto 12, era con loro, e mi guardava con aria sadica e desiderosa. Provai ad indietreggiare, aggrappandomi all’irragionevole e fievole speranza di poter scappare dal terrificante gruppo dei Favoriti, ma finii per urtare la ragazza del Distretto 1.
Clove, l’unica di cui ricordavo il nome, si fece avanti nel gruppo a spintoni, chiedendo il diritto di pugnalarmi per prima. Il suo compagno di Distretto le diede la sua spada con noncuranza, una lama piuttosto spessa ma all’apparenza facile da usare. Clove aveva rifiutato con un rapido gesto della mano, certa che avrebbe potuto fare di meglio con il suo coltello.

La rassegnazione aveva inevitabilmente preso il sopravvento sull’ansia, che iniziava a placarsi rapidamente.
Sarei morta. Tutti muoiono prima o poi.

La Favorita aveva aperto la sua giacca totalmente foderata di coltelli.
Incitata dai suoi compagni, ne aveva preso uno dall’orribile lama spessa e ricurva.

“Non ti preoccupare ragazzina. Sarò breve”, mi aveva scrutata con sguardo sardonico, come per scegliere dove sarebbe stato più doloroso pugnalarmi.
Avevo preferito non ricordarle che io ero più grande di lei di circa due anni, considerato il fatto che Clove avrebbe potuto ritirare in un attimo la promessa di una morte rapida. “Ti chiami Abigal, giusto? Che bel nome”, mentre mormorava queste parole con tono beffardo, il pugnale mi attraversò lo stomaco senza che me l’aspettassi. Quando Clove lo estrasse per affondarlo una seconda volta gridai di dolore, ma senza riuscire a sentirmi.
I Favoriti ridevano mentre la vita scivolava lentamente via da me.

Ero stata una stupida.
Come avevo potuto pensare che nessuno sarebbe riuscito a trovarmi? Ma dopotutto avevo avuto scelta? Sì, in effetti.
Con le mie capacità di sopravvievenza e un po’ di fortuna forse sarei riuscita a sfuggire agli altri tributi. Magari non a vincere, ma nemmeno a morire in questo modo. Anche senza aiuti dall’ambiente esterno.

Avevo visto i Favoriti avventarsi sul mio zaino, e sentito delusi mormorii dopo aver scoperto che il suo contenuto era solo una misera giacchetta.
Le mie labbra si incurvarono in un debole e quasi impercettibile sorriso.

“È meglio che ce la filiamo, così potranno raccogliere il corpo prima che cominci a puzzare”, il ragazzo del Distretto 2 aveva incitato il gruppo dei Favoriti a muoversi in direzione di Katniss.

Avevo alzato lo sguardo al cielo, rimanendo stupita dalla quasi totale precisione con cui gli Strateghi avevano ricreato il cielo notturno.
Avevo ripetuto nella mente tutti i nomi delle costellazioni che conoscevo. Forse Sirio era più luminosa. Forse la Stella Polare non era così distante da Cassiopea. Non considerando queste imperfezioni, mi figuravo ancora sotto il cielo del Distretto 8, a vivere una vita ignara della misura in cui il mondo è ingiusto.

“Grazie Maria”, avevo esordito con tono beffardo, sapendo che una telecamera stava inquadrando la mia morte in quel momento, “sei stata la mentore migliore che io potessi avere.”
Avevo portato le tre dita della mano sinistra alla bocca, e poi le avevo alzate verso il cielo, sapendo che era un gesto tipico del Distretto 12.

Dopo pochi secondi, avevo visto Peeta ritornare con passo deciso.
“Mi dispiace”, aveva mormorato con aria leggermente affranta, prima di pugnalarmi una terza volta.
Il sorriso che mi rivolse prima di voltarsi fu l’ultima cosa che riuscii a scorgere, prima che tutto si facesse nero. 

Dopotutto, ora sono felice di non avere delle morti sulla coscienza. 
Nessuna, se non la mia.






NdA:
Ciao!
Non mi faccio viva da moltissimo tempo, e forse tutta questa disinvoltura potrebbe sembrare un pochino inadeguata. Ad ogni modo, probabilmente ogni persona sana di mente che sia riuscita ad arrivare fin qui si starà chiedendo il senso di questa cosa strana e lunghissima che ha appena letto. Ebbene, io vedo le cose in un modo molto strano. Non credevo sinceramente che quella povera, piccola, ragazza del Distretto 8 avesse acceso un fuoco nel cuore della notte così, a caso, solo per scaldarsi. Quindi quella che mi ostino di continuo a chiamare mente hem, mia povera mente malata ha partorito tutta questa strana storia. Quindi perdonatemi C:
In ogni caso, questo era l'ulltimo capitolo vero e proprio, e il lungo e commovente discorso finale lo farò nelle Note dell'Autrice che non si merita quella A maiuscola dell'epilogo, che sto già scrivendo. Niente, lettore avvisato mezzo salvato.
Ci vediamo presto hehe ma che stai dicendo?!

Candy<4

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


I remember tears streaming down your face
When I said I’ll never let you go
And all those shadows almost killed your light
I remember you said don’t leave me here alone
And all that’s dead and gone and past tonight


 
Il Distretto 1 è calato in un luttuoso silenzio.
Le ghiandaie imitatrici non seguono il tacito ordine di portare rispetto ai caduti, e canticchiano una melodia paradossalmente allegra. Si zittiscono una alla volta, finché il canto dell’ultima non incute solitudine e malinconia ai silenziosi ascoltatori.


C’è un uomo che non vuole ricordare la freccia che trapassa il collo di suo figlio, che cade inerme dopo aver ucciso la ragazzina del Distretto 11. Prova a fingere di non vedere la scena trasmessa sull’enorme televisore del bar, ma non ci riesce. Non sente più i mormorii dispiaciuti o semplicemente sorpresi delle altre persone nell’edificio. Tutto intorno a lui è un’immagine non messa a fuoco, un dettaglio poco importante.

L’uomo inizia a bere.
Non sa nemmeno che cosa sia, solo qualcosa di decisamente molto alcolico, che pizzica il naso quando si prova ad annusarlo.
Beve per dimenticare. Per dimenticare che suo figlio Marvel, l’ultima persona che aveva al mondo, è morto negli Hunger Games.


Nella zona più ricca del Distretto, una bambina di non più di otto anni piange disperata, le lacrime che le colano sul vestito rosa, da bambolina.
Piange e grida, vedendo il volto della sorella orribilmente sfigurato dagli aghi inseguitori. La madre prova a zittirla con modi bruschi, e, dato che non smette di piangere, il padre le tira uno schiaffo.

La bimba si allontana dai genitori a testa bassa e si asciuga le lacrime con un fazzoletto di carta.
Dopotutto, se Glimmer non ha vinto i Giochi, non ha diritto di essere ricordata. E, per non lasciarsi affogare dal dolore, la tattica migliore è ignorarlo.

Il televisore si spegne, subito dopo lo sparo del cannone.
 
 
 
Just close your eyes
The sun is going down
You’ll be alright
No one can hurt you now
Come morning light
You and I’ll be safe and sound
 

 
Nel Distretto 2 i ragazzi si allenano all’Accademia di Addestramento. Poi c’è chi lavora, anche durante i Giochi della Fame.
In ogni piazza del Distretto c’è un enorme televisore, che mostra gli Hunger Games di continuo. Si sentono i picconi dei minatori scavare nelle cave di marmo, le ghiandaie chiacchierone che girano per i quattro angoli del Distretto a ripetere intere frasi con tono inconfondibilmente umano, il rumore metallico delle spade di due accaniti combattenti all’Accademia.

Quasi nessuno è in casa, ogni abitante ha la mente troppo immersa nei propri pensieri per notare cosa accade attorno.
Oggi l’atmosfera è leggermente diversa.


Dieci persone siedono su uno stesso divano, gli occhi inquieti e puntati sullo schermo della televisione.
Riunite a casa Hadley per la finale, due famiglie si stringono l’una vicino all’altra. Per avere una spalla su cui piangere, o per darne una al vicino.

Trattengono il respiro all’unisono, mentre la freccia della Ragazza in Fiamme attraversa il petto di Cato, e si stringono le mani a vicenda mentre questo dà al mondo il suo ultimo sguardo e spira.
La famiglia più numerosa piange per la morte del maggiore dei figli, l’altra perché ha riconosciuto il ricordo vivido della sua secondogenita nella luce che ormai ha abbandonato gli occhi del tributo finalista del 2.

Piangono il coraggioso Cato e la sanguinaria Clove, e sperano che gli Innamorati Sventurati del Distretto 12 si tolgano la vita sul serio.
Un desiderio vendicativo, quasi sadico. Più che legittimo, dal loro punto di vista. Ma, dopo pochi minuti, vengono incoronati vincitori.

Dopo poco, nella casa si sentono solo singhiozzi.
Di chi crede di essere forte, inumanamente forte. Ma, in un modo o nell’altro, l’umanità prende il sopravvento. Sempre.
 

 
Don’t you dare look out your window, darling
Everything’s on fire
The war outside our door keeps raging on
Hold on to this lullaby
Even when the music’s gone
Gone
 


C’è una stanza enorme, accanto al Consiglio degli Strateghi.
I grandi schermi spenti fanno da specchi ad altri, così da creare surreali effetti di luce. Tutti i mentori dei diversi Distretti confabulano tra loro, riguardo a strategie e scommesse.

Due schermi si accendono di scatto, uno laterale con l’elenco dei tributi ancora in vita, uno sulla parete di fronte all’ingresso, che mostra ciò che, al momento, sta accadendo nell’Arena. I Favoriti tornano alla Cornucopia, con il ragazzo del Distretto 3 al seguito.
Corre per tenere il passo dei compagni, evidentemente non allenato come loro.

Polvere cinerea immonda l’ossigeno, l’instabile montagna di macerie che s’innalza al centro dell’Arena ostenta un’imponenza non sua.
Il ragazzo proveniente dal Distretto 2 riempie il petto di un’orgoglio velenoso, un rancore inestinguibile. I compagni non prestano attenzione, nella loro ricerca sono ossessivi quanto speranzosi, sconcertati come se la loro stessa anima fosse stata frammentata al pari delle macerie che si polverizzano tra le loro dita.
Il volto del bersaglio è tinto di un pallore mortale, mentre osserva con impotenza il fallimento della propria opera.

I mentori del secondo Distretto esultano follemente nel momento in cui il loro tributo costringe il quattordicenne a rantoli di morte.
Si lanciano in un abbraccio vittorioso e le loro grida riempiono la sala.


Mille lacrime rigano il volto di Wiress. La donna volta il capo, ma la morte della sua creatura le è ripetuta nella mente all’infinito.
Il suo patimento silente contiene la sala, le grida, e tutto il resto.
 


 
Just close your eyes
The sun is going down
You'll be alright
No one can hurt you now
Come morning light
You and I'll be safe and sound


 
Il sole nell’Arena si cela dietro a un orizzonte fallace, e i colori della notte tingono la cupola celeste con prepotenza.
Panem è avvolto dal calore asfissiante di un pomeriggio di metà luglio, e i lavoratori compiono distratti le loro mansioni in attesa del tramonto.
La trasmissione dei Giochi della Fame, signora indiscussa di ogni momento di pausa nonché persistente sottofondo nel lavoro, occupa una posizione di svago nelle menti del quarto Distretto.


Due giovani pescatori avvicinano la barca al molo tra canzonature fraterne.
La rete traboccante, trofeo di una battuta fortunata, si agita quando estratta dalle limpide acque.

Di lontano, il minore scorge una figura. La madre muove verso di loro con passo rapido e nervoso.
Giunge a pochi metri di distanza, le sue gote sono violacee e il viso gonfio di pianto. La sua voce è incrinata dallo sconforto, e alla richiesta di una spiegazione si accascia a terra a causa del panico.

E in un istante le tre figure giacciono sul molo, le loro lacrime ne inondano la superficie.
Un gabbiano verseggia in un’inappropriata gaiezza, librandosi nei cieli del Distretto 4.

La loro sorellina è morta.

Colpo di cannone.

La loro Lilith non c’è più.
 


 
Oooh, Oooh, Oooh, Oooh
La La (La La)
La La (La La)
 


Come un’anima sola, il quinto Distretto riempie i polmoni di viva speranza.
Le famiglie benestanti bramano la momentanea gloria, la maggioranza prega per sconfiggere la fame, superare il rigido inverno. Come un’anima sola, chiunque può sfiorare appena la prospettiva di una vittoria, e brillano gli occhi, brillano i volti.

E la giovane donna dai capelli rossi e gli occhi ambrati, la bambina cresciuta in collegio, la ragazza introversa e brillante diventa la figlia di tutti, la sorella di tutti, la nipote di tutti.

Come un’anima sola, il quinto Distretto sgrana gli occhi alla vista di quelle bacche mortali, alla vista di quel tranello così infantile e ingannevole. Alla vista della lenta e dolorosa fine del tributo che chiunque tratteneva affettuosamente nel cuore.

Come un’anima sola, il quinto Distretto leva un sospiro. Un leggero pianto, un breve lamento.
Il quinto Distretto innalza frustrazione, una dolorosa delusione, un profondo dispiacere.

La folla si disperde in un malinconico silenzio. Ognuno torna alle proprie mansioni, chi al lavoro, chi alla famiglia, chi alla disturbante tranquillità di ogni giorno.
 
 

 
Oooh, Oooh, Oooh, Oooh
La La (La La)
 


Un fischio piatto si allunga tra le pareti della galleria, riecheggia nella penombra della vuota stazione.
Oggi è arrivato il treno.

Il viaggio del cadavere è stato più veloce.
Già da giorni Abigal è sotto terra, rinchiusa in quella bara troppo stretta, troppo bella, troppo costosa.
La piccola Aby. La sua sorellina.

Il giovane uomo rabbrividisce. Il suo sangue in un attimo è bollente, e insieme si fa gelido il suo sudore.
Ricorda il corpo freddo di lei, le membra molli, ricorda il rimprovero scritto dietro a quelle palpebre chiuse per sempre. Ricorda una notte passata a piangere sé stesso, a piangere per il suo egoismo, per la sua codardia, per il suo non poter mai piangere nessun altro.

È arrivato il treno. Ora scende Maria: ha il volto mesto come l’anno scorso, come tutti gli anni.
Il ragazzo la osserva, inspira, si avvicina a grandi passi. Aby non l’avrebbe mai fatto, pensa. La donna lo vede a sua volta e a sua volta gli viene incontro, un poco confusa, vuole sapere cosa voglia da lei. Non l’avrebbe mai fatto, ripete lui nel pensiero.

Adesso è davanti a lei, si guardano negli occhi. 
Sei stata tu, le grida con le iridi, con il cuore, con un palmo rapido che la colpisce in pieno volto.

Mentre lui si allontana in silenzio la mentore lo segue con lo sguardo, senza capire.
 
 

 
Just close your eyes
You'll be alright



La gente del Distretto 11 lavora con la vita, legge gli astri, ascolta il ritmo delle stagioni. Sono uomini e donne legati alla terra, al vento, a tutto ciò che nella natura c’è di piccolo e di meraviglioso.
La gente del Distretto 11 è placida, è paziente, sa custodire il fragile equilibrio della crescita, il segreto della resilienza.

Durante i Giochi della Fame, tutto è immobile.


Tutto è immobile tranne il pianto di una donna, un pianto convulso, dolente, inconsolabile.
La ragazza piange, trema, si regge il tristo volto con le mani callose. La nonna del suo amato le accarezza la spalla, guardandola appena con occhi vuoti.

Perché? Perché le hanno portato via Thresh, il suo Thresh?
Quel Thresh che passava le notti sveglio nei campi, e che ogni sera e ogni mattina passava a salutarla con un bacio? Quel Thresh che la conosceva a memoria, come un libro, che poteva capirla del tutto in qualsiasi momento? Quel Thresh che avrebbe sposato a settembre, con cui ragionava di costruire una casa e un futuro?
Perché?


Tutto è immobile tranne l’urlo di una madre, le labbra storte dall’orrore e dalla sorpresa.
È un grido agghiacciante, terribile quanto la scena che il televisore le mostra. Suo marito la stringe per tranquillizzarla, con le palpebre già colme di lacrime. Adesso vorrebbe portare i bambini via di lì, in un’altra stanza, ma non riesce: vogliono restare, vogliono vedere, hanno capito che qualcosa non va.

Qualcosa non va nella naturalezza con cui Rue si accascia al suolo, lasciando scivolare d’un tratto la luce dalle proprie iridi. 
Proprio come Myra, ricorda la donna, con amarezza. Ella ritorna immobile, piange, singhiozza, per istanti che le paiono eterni.

Finché la Ragazza in Fiamme non intona una melodia.


Durante i Giochi della Fame, nell’intimità di ogni mente, di ogni casa, di ogni famiglia, nel Distretto 11 si leva un canto. È un canto semplice, quattro note soltanto, ed è bello, splendido, forte come la vita stessa.
Il canto della ribellione.
 


 
Come morning light
You and I’ll be safe and sound
Oooh, Oooh, Oooh, Oooh, oh, oh


 



NdA:
Buonsalve, amici tributi!
Ebbene sì, in seguito alla mia resurrezione su questo sito ho deciso (e finalmente, aggiungerei) di terminare questa raccolta una volta per tutte. Dopo ben quattro anni di inattività. Ottimo direi!
Dopo tutto questo tempo l'epilogo potrebbe sembrare un tantino deludente, e magari lo è. Una buona parte è stata scritta nel lontano 2015, mentre un'altra intorno al 2017. Rileggendo quello che avevo già scritto mi sono resa conto di quanto il mio modo di scrivere sia cambiato nel corso di tutti questi anni. Avrei potuto riscrivere tutto daccapo, ma in realtà mi è sembrato meglio lasciarlo così com'era. Se avessi scritto tutto oggi avrei fatto molte cose diversamente, tipo togliere qualche avverbio o qualche parolone gigante di troppo (sì, me stessa del 2017, sto parlando con te), ma sono comunque soddisfatta del capitolo. Vedetelo come una storia, la prova tangibile della mia evoluzione (spero lol).
Nel capitolo precedente avevo promesso una nota d'autrice enorme e strappalacrime, ma onestamente non ricordo cosa volessi dire. In ogni caso, ringrazio tantissimo dal profondo del cuore tutte le persone che hanno seguito, ricordato e preferito questa fanfiction, e ancor di più quelle che hanno recensito. Non esagero se dico che siete stati le gioie della mia vita da studentella delle medie :3 Concludere questa raccolta è per me un profondissimo atto di chiusura, perché è stata la prima multicapitolo che io abbia scritto. Ho tentato poi con altre, quasi tutte fallite e poi cancellate, ma questa mi è un po' rimasta nel cuore. Da sempre avevo l'idea di finirla un giorno, e oggi sono qui per farlo effettivamente. Yay!
Non so se tornerò qui su questo fandom. Maybe? Sono sicura che quando uscirà (coronavirus permettendo) il film di BSS rientrerò in fissa totale, e magari potrei trovarmi nuovamente ispirata. Chissà. Until then!
Ci vediamo, cari. Che è di nuovo un orario improponibile, e ho pure fame.

Candy<4
 

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