Alleanze e obiettivi

di Silen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alleanze e obiettivi ***
Capitolo 2: *** Alleanze e obiettivi ***
Capitolo 3: *** Alleanze e… obiettivi raggiunti! ***



Capitolo 1
*** Alleanze e obiettivi ***


CT OneShot

Questa breve storia partecipa alla FIRST-AID KIT Challenge!
Prompt 28# Supposte

Ritorniamo un’ennesima volta nel passato giapponese di Inseguire un sogno, afferrare il destino


Alleanze e obiettivi

Nankatsu – Gennaio 1981

Era ormai da mezz’ora che girava a vuoto per la villa, con i capelli sudati e ritti sulla testa, perché, frustrato, si era passato per troppe volte le mani nervose in mezzo.

– Kamisama! – imprecò nel silenzio, ci voleva la bussola per non perdersi in quella specie di enorme mausoleo… Poi maledisse energicamente le manie di grandezza del suo migliore amico: duemila (e va beh, ok, era un’iperbole) stanze per viverci in tre (e va beh, ok, adesso che si era trasferito definitivamente anche lui, in quattro) erano un chiaro segno di megalomania allo stato puro e quasi patologico.

Ma, dopotutto, quando si parlava di Wakabayashi Yūta, ego era una di quelle parole che riuscivano a descrivere l’uomo soltanto in parte.

Aprì un’ennesima porta, di un ennesimo lungo corridoio vuoto, esaminando l’ennesima stanza desolatamente vuota, così decise di tornare sui suoi passi; sentì uno scalpiccio, e, voltandosi, osò sperare mentalmente, però rimase di nuovo deluso: era soltanto il quinto abitante che trotterellava tranquillo per la sua strada, perché lui sapeva, come muoversi perfettamente tra le quattro (o sarebbe stato meglio dire quaranta?) mura, senza problemi nel ritrovarla, oppure tentare a casaccio.

Allora gli balenò un’idea, dato che, dopotutto, un cane sarebbe stato sicuramente in grado di stanare a fiuto quella piccola peste che si era nascosta chissà dove per non farsi mettere la supposta. John, però, sempre altezzoso, proprio come il suo padrone, non lo degnò nemmeno di uno sguardo sbieco o un ghigno beffardo.

– Sei proprio un bastardo di razza, tale e quale a lui… – mugugnò inutilmente alla coda bianca che si allontanava, indifferente ai suoi problemi.

Così tornò in salotto e sedette sul divano per fare mente locale; ora doveva inventarsi qualcosa, creare uno schema d’azione che gli avrebbe permesso di raggiungere il suo obiettivo in formato tascabile e monello. Sorrise leggermente.

Quella stessa mattina, era andato a svegliare Genzō, insolitamente dormiglione, e lo aveva trovato febbricitante e con una malattia esantematica tipica dell’infanzia, che il medico aveva poi diagnosticato come varicella.

Niente di cui preoccuparsi, quindi, però era comunque andato in paranoia, quando aveva scorto lo sfogo rossastro su tutto il corpo del suo secondo figlioccio. Essendo figlio unico, certe volte non sapeva proprio che pesci pigliare con i ragazzini.

~ Non credo che riuscirei mai ad allenare una squadra ~ considerò fra sé, ~ perché mi metterebbero subito i piedi in testa… ~

Meglio, invece, continuare a coltivare il talento del suo piccolo Numero Uno, dopotutto, era sempre stato Gamo, quello con le doti da leader, in nazionale.

Oltretutto, quella era la prima volta che Yūta e Mitsuki lo lasciavano qualche giorno da solo con Genzō, che, sembrava facile gestire la sua esuberanza, ma era molto diverso dal cugino, perché Niko, alla sua età, era stato parecchio più tranquillo e obbediente. Il mini Wakabayashi, invece, era più testardo, più orgoglioso, più prepotente…

~ Tutto suo padre! ~ Poi, era capitata anche quell’immane disgrazia, che all’inizio era apparsa soltanto come una banale influenza; così, preso dal panico, aveva meditato di chiamare, nell’ordine: un’ambulanza, un esorcista, la governante! Ma era da solo, alla villa, perché aveva assicurato ai suoi amici di potersela cavare benissimo, quindi, alla fine, più razionalmente, aveva optato per il dottore.

Dopodiché dalla farmacia di Nankatsu gli avevano consegnato a domicilio un pacchetto contenente i medicinali prescritti: antibiotico, vitamine e un antipiretico, in supposta, perché, aveva spiegato il luminare, ai bambini faceva effetto più in fretta.

Quando Genzō aveva capito da dove sarebbe dovuta entrare la medicina, un lampo di sfida era passato nello sguardo di pece già piuttosto impertinente; poi era schizzato via dalla sua cameretta più veloce dello Shinkansen, portandosi dietro una coperta e l’immancabile cappellino rosso, che teneva in testa persino dentro casa.

~ Chissà perché poi… ~ e si appuntò mentalmente di chiedere a Mitsuki il motivo di quel vizio bizzarro che lei e Yūta stavano concedendo al figlio.

E così, mentre rimuginava che fare il genitore non fosse affatto facile come poteva sembrare, era iniziata la sua infruttuosa battuta di caccia.



Shinkansen: il treno superveloce giapponese.

* * *

San Tatsuo alle prese con la caccia all’SGGK, riuscirà a convincere John a dargli una zampa per stanarlo?

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Capitolo 2
*** Alleanze e obiettivi ***


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Le supposte non conoscono confini, né hanno pregiudizi o preferenze culturali!

Questa volta, invece, ritorniamo nel passato tedesco di Inseguire un sogno, afferrare il destino


Alleanze e obiettivi

Poppenbüttel, Amburgo – Gennaio 1981

Alla villa era in corso un’insolita battuta di caccia: quel ragazzino impertinente si era nascosto chissà dove, e lei stava incominciando a spazientirsi sul serio.

Karl-Heinz, un bel gioco dura poco… – strepitò, – Se non vieni fuori immediatamente, il tuo sederino imperiale diventerà bello rosso, e non a causa della varicella! – Ma la sua voce potente si perse nell’eco del corridoio vuoto; sospirò frustrata, stringendo le labbra, e tornò in salotto, dove la sua amica sorseggiava pacifica il tè.

Si accigliò, aggrottando le sopracciglia, e le scoccò un’obliqua glaciale occhiata azzurra, inclinando di lato la testa bionda; lei si poteva rilassare, perché tanto suo nipote si era lasciato mettere la supposta senza fare storie, mentre il suo

Quei due disgraziati, stando sempre insieme, e attaccati come piattole, si erano presi contemporaneamente tutte le malattie esantematiche dell’infanzia, quella era soltanto l’ennesima; ma ora in casa Schneider c’era anche la piccola Marie, e il dottore aveva consigliato di allontanare il fratello, per non rischiare che la attaccasse pure a lei.

Così, si erano messi d’accordo con i Kaltz, e, mentre il Kaiser-Sohn e la nuora erano rimasti a casa, lei e il Kaiser-Enkel si erano trasferiti alla villa per rimanerci fino al termine della convalescenza. Anche perché l’amica era più anziana di lei, poi il marito, Leonhard, era stato da poco dimesso dalla clinica, e doveva pure badare agli altri due fratelli, Mathilde e Gerhard, che, fortunatamente però, avevano già preso la varicella.

Lei era sempre riuscita, con le buone, oppure con le cattive maniere di Oma Kaiser, a far prendere le medicine a suo nipote, che, però, stavolta, aveva partorito la geniale pensata di scappare via come un fulmine biondo, quando aveva adocchiato il terribile oggetto di cura oblungo e potenzialmente fastidioso. E, ahimè, la tenuta del deputato aveva più stanze e corridoi di un convento.

Sedette pesantemente sul divano e si servì il tè – Perché Karl-Heinz non prende un po' esempio da Hermann, che è sempre tranquillo e obbediente! –

Beate Hulde sorrise, serafica – Non turbarti, cara, lo troveremo… – mentre addentava un pasticcino, – È proprio come Rudolf junior quando aveva la sua età, ma non ancora altrettanto scaltro! – sentenziò convinta.

La madre orgogliosa che c’era dentro di lei sogghignò, compiaciuta, considerando che i suoi maschi Schneider sembravano fatti con lo stampino. – Già, sempre in perenne movimento, e testardo come un mulo! – annuì agitando un biscotto.

– Donne! – tuonò una voce maschile dal vano della porta, – Sono arrivati i rinforzi! –

Le due signore si voltarono, e Oma Kaltz ridacchiò, mentre Karla osservò accigliata il marito, abbigliato come se dovesse andare a caccia sul serio, compreso il berretto di pelliccia in testa, apostrofandolo – Sei ridicolo conciato così, Rudolf senior! – che fece spallucce, – Per stanare il nemico astutamente nascosto, bisogna ingegnarsi: così ho portato con me l’avanscoperta… – e fischiò.

Sauzer si intrufolò in salotto uggiolando euforico; anche se non era un cane da caccia ma un irruente Deutsche Dogge, si era dimostrato altrettanto capace di fiutare l’odore del padroncino ogni volta che spariva. O per andare a giocare a pallone, oppure, come in questo caso, per non farsi infilare uno scomodo ‘proiettile’ nel deretano, come disse Opa in un impeto venatorio un po' scurrile. Le nonne sghignazzarono.

Poi il Colonnello richiamò all’ordine il suo esercito unico per cominciare a perlustrare il territorio ostile in cerca della preda in formato nipotino monello, e girarono in lungo e in largo per la villa, dato che, senza coperte, in giardino sarebbe stato troppo freddo.

Il cane annusava silenzioso, e concentrato nel suo compito, sicuro, ogni volta, della direzione che prendeva, mentre il nonno lo seguiva, da buon cacciatore che era, senza fare il minimo rumore. Finché Sauzer non si arrestò davanti a una porta socchiusa, puntando e scodinzolando col piccolo moncone di coda rimasto.

Rudolf Schneider senior sbirciò dal piccolo spiraglio e lo vide: un ciuffetto biondo che spuntava da sotto un tavolo. – Rimani qui e sorveglia, vedetta canina, mentre io vado ad avvertire le retrovie…! – sussurrò all’orecchio peloso e pendulo, e il Kaiser-Dogge sedette impettito sulle zampe posteriori.



Sohn: figlio maschio. Enkel: nipote di nonni. Deutsche Dogge: Alano.

* * *

Toh, anche qui siamo nel pieno della caccia al Kaiser, però sembra che i crucchi siano più organizzati ed efficienti!

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Capitolo 3
*** Alleanze e… obiettivi raggiunti! ***


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Pare quindi che le supposte non piacciano proprio a nessuno, ma scappare sarà servito ad evitarle?
E, soprattutto, tra i due diversi metodi di "persuasione", nipponico e teutonico, quale sarà stato il più efficace?

Facciamo un ultimo tuffo, ma stavolta col doppio salto, in Inseguire un sogno, afferrare il destino


Alleanze e… obiettivi raggiunti!

Gennaio 1981: Nankatsu – Poppenbüttel

John riapparve con l’aria di una volpe che ha appena trovato un pollaio incustodito.

– Sai dov’è, vero? – esclamò, come se davvero il cane potesse capire le sue parole, e, soprattutto, rispondergli, – Ma non hai la minima intenzione di dirmelo in cambio di niente, vero, bastardo? – Si squadrarono come in una sfida rigorista contro portiere.

Poi l’animale si accomodò sulla poltrona accanto al divano, sbadigliando, ma senza smettere di fissarlo, beffardo, quasi quanto il suo padrone.

Mikami strinse le labbra già sottili, facendole sparire del tutto, poi sbuffò – Veniamoci incontro! – Si sentiva molto idiota a parlare con John come se fosse un essere umano, ma a Yūta dava sempre retta… Poteva comunque fare un tentativo anche lui.

L’allenatore era disperato, e l’Akita Inu era il suo unico alleato in quel momento; così si tolse una scarpa da ginnastica e la mostrò come un premio allettante, poi la lanciò verso la porta. – Se mi stani Genzō dal suo nascondiglio, avrai anche l’altra… –

Il cane drizzò le orecchie a punta ed emise un basso guaito gutturale, per confermare l’avvenuta accettazione dell’equo accordo, poi scattò veloce e afferrò tra i denti il suo “osso”; si voltò brevemente a guardarlo, sollecitandolo a seguirlo, e iniziò a correre.

~ Meno male che non sono del tutto fuori allenamento! ~ e si avviò di corsa anche lui.

La sagoma bianca era ferma, sempre con la scarpa in bocca, davanti alla porta dello studio: – Kamisama! Era così ovvio… – ansò, perché non ci aveva pensato subito?! Bene, tanto di guadagnato, perché quella stanza non aveva uscite secondarie tranne la veranda, e fuori si gelava, quindi il portierino monello era in trappola.

Tolse anche l’altra scarpa, per non fare rumore e consegnarla al bastardo di razza, come pattuito, e lui se ne appropriò soddisfatto; poi aprì silenziosamente uno spiraglio, scorgendo un lembo di stoffa rossa. Infine impostò sul volto un cipiglio severo.

– Genzō! Vieni subito qui! – ordinò spalancando l’uscio. Lui provò a scappare di nuovo, ma l’ex Numero Uno lo parò abilmente prima che riuscisse ad insaccarsi nel vano della porta; lo bloccò definitivamente intrappolandolo nella coperta, per poi trascinarlo fino alla sua stanza, mentre il Numero Uno ancora tascabile scalciava brontolando.

Sembrava che Tatsuo stesse trasportando un sacco di serpenti velenosi e parecchio arrabbiati, mentre il fido John, reggendo tra i denti le sneakers per le stringhe, li seguì, curioso di vedere chi avrebbe avuto la meglio fra i due umani.

– Fammi quest’ultimo favore, dai, ti prego…! – lo supplicò sibilando appena, mentre al contempo buttava il piccolo S.G.G.K. a pancia sotto sul letto senza tanti complimenti. Tenendolo fermo con una mano decisa tra le scapole, afferrò il cappellino rosso e lo lanciò al cane. – Se non ti fai mettere la supposta, ordino a John di mangiarselo! –

Il ragazzino impertinente si voltò appena sfidandolo con lo sguardo di pece – Tanto a te non obbedisce mai! – Gli restituì un’occhiata altrettanto nera e scintillante da dietro le lenti fumé – Scommettiamo? – e sfoggiando una sicurezza di sé che riusciva a tirare fuori soltanto quando si trovava tra i pali, e davanti ad avversari ben più temibili.

Mentre, di nuovo, al contempo rivolse una muta supplica al suo alleato peloso e snob, che, mosso a compassione, annusò il berretto caduto per terra con aria interessata, e sembrava quasi in attesa di rispondere ad un suo ordine o cenno.

Sempre tenendo fermo il suo figlioccio con una mano, casomai gli dovesse prendere un ultimo impeto ribelle, sfilò rapidamente una supposta dalla scatola sul comodino con l’altra, stupendosi della sua stessa manualità, scoperta giusto in quel frangente.

Mentre il bambino osservava, stupefatto, prima il cane, poi il cappellino, infine il suo allenatore, per poi rassegnarsi caparbiamente al suo inevitabile destino terapeutico e distogliere orgogliosamente lo sguardo sconfitto.

Lasciò andare la presa sulla schiena giusto per il breve tempo di scartarla del tutto e abbassare, inesorabile, calzoni del pigiama e mutande; alla fine, sebbene Tatsuo fosse un portiere, il “pallone” oblungo entrò facilmente in rete, mentre Genzō emetteva un grugnito infastidito e nascondeva la testa sotto il cuscino borbottando la sua onta.

– Mikami – Wakabayashi: 1-0! – esultò vittorioso l’allenatore. – Sei sleale… – protestò di rimando il piccolo portiere con la vocina offesa e attutita. Con un sorriso, recuperò il berretto dal pavimento, sostituendolo al guanciale, poi grattò timidamente John dietro le orecchie, sussurrando appena un – Grazie per il gioco di squadra… –

Al che lui, stranamente, ricambiò con una leccata, per poi tornare a rosicchiare le sue scarpe da ginnastica con aria totalmente soddisfatta.

– Devi imparare a saper perdere con dignità, Genzō – suggerì con tono pacato e una carezza leggera fra i corti capelli corvini, e il diavoletto monello infine arreso si rifugiò nel suo abbraccio; poi, con espressione studiatamente afflitta sul musetto da cucciolo, reclamò, come consolazione, un po' di coccole dallo ‘zio’ allenatore.

* * *

Karla e Beate Hulde ascoltarono il resoconto del Colonnello al ritorno dalla ricognizione e si divisero i compiti: la prima avrebbe seguito il marito per aiutarlo nelle operazioni di recupero del nipote monello, mentre la seconda si sarebbe recata nella stanza dei ragazzi ad attendere il ritorno di truppa e prigioniero annesso.

Hermann dormicchiava, ma sentì distintamente il rumore dei passi e del vassoio che veniva appoggiato sul comodino; il profumo di biscotti solleticò le narici sensibili e un piccolo sorriso increspò l’angolo della bocca, ma continuò a tenere gli occhi chiusi.

Poi una mano delicata gli tastò la fronte, ancora calda di febbre, mentre un’altra lieve fragranza gli riempì il naso: quella inconfondibile di vaniglia che emanava sempre la sua dolce nonnina, che posò un bacino sulla guancia e gli rimboccò la coperta.

Il ragazzo attese ancora qualche minuto che lei fosse uscita, poi aprì un occhio e la vide, invece, girata di spalle che guardava dalla finestra, quindi significava che presto Karl sarebbe tornato, volente o nolente, per ricevere la sua “razione”.

Tanto valeva, allora, smettere di fare finta di dormire, perché aveva troppa voglia di assaggiare i biscotti di Oma, che però non si mosse dalla sua posizione contemplativa, così Herri approfittò per prelevare alla svelta il contenuto del vassoio, avvolgerlo nel tovagliolo e tornare a nascondersi sotto il piumone con il suo bottino al cacao.

Nel frattempo, in un’altra parte della villa, la caccia al fuggitivo continuava.

Karl-Heinz, arrenditi! – tuonò imperioso il Colonnello.

Il bambino trasalì e dovette uscire dal suo nascondiglio.

Era stato scoperto ma non si dette per vinto, infatti, cercò di nuovo di scappare; con un’espressione risoluta, si mise a correre verso l’altra porta, la sua unica via di fuga, mentre il nonno si avvicinava minaccioso.

Quando, però, pensava di essere ormai quasi in salvo, la nonna sbucò all’improvviso, afferrandolo per le ascelle, e lo trattenne saldamente.

– Non vale, non è giusto, non è leale! – protestò il piccolo Kaiser strattonando, – Siete due contro uno… – rivolse un glaciale e furioso sguardo azzurro all’alleato peloso, e arricciò la faccia, – E tu sei un traditore: vile e bast… –

Ma quell’ultima parola morì nel palmo della mano di Oma Schneider, che strinse le palpebre in un gelido e muto ammonimento, poi prese a trascinare il nipote, che si agitava, elettrico come un temporale di fulmini, per il lungo corridoio.

Opa e Sauzer li seguirono, con aria vittoriosa, a passo di marcia impettito e trionfante.

– Obiettivo raggiunto! – esclamò, fiero, quando scorse l’altra nonna che li aspettava sull’uscio, – Però adesso dobbiamo fare gioco di squadra… – indicando Karl-Heinz che continuava a scalciare e grugnire come un piccolo cinghiale biondo molto arrabbiato.

Herri non aveva fatto nemmeno in tempo a gustarsi il terzo biscotto, che il trambusto irruppe nella camera; restò immobile e silenzioso, attendendo che l’operazione ‘Kaiser supposta’ si concludesse, così sperava, senza troppa onta per il suo amico, che, ahimè, venne costretto a pancia sotto sul letto.

Poi, mentre Beate Hulde lo tenne fermo per le braccia, e il Colonnello Rudolf Schneider, sempre col berretto di pelliccia in testa, per le gambe, Kaiser Karla gli abbassò, senza tanti preamboli, calzoni del pigiama e mutande, e introdusse lo scomodo ‘proiettile’ oblungo nel deretano imperiale. E Kaiser Karl si dovette rassegnare con algido sdegno impotente all’affronto subito. Inoltre, alla fine, Sauzer approvò con un latrato, come se avesse voluto infierire anche lui sul padroncino.

Una volta che i nemici si furono ritirati, per tornare in salotto a godersi tè e pasticcini della vittoria, il campo di battaglia ridiventò silenzioso, ed Hermann si decise ad aprire di nuovo un occhio; scrutò l’amico e si fece sfuggire una risatina.

– Erano in tre contro uno: io te l’avevo detto che non avevi scampo… –

Questi sbuffò e nascose la testa sotto il cuscino; poi, però, agitò un pugno in aria – Il mio piano era perfetto! – si lamentò con la voce ovattata dal guanciale, – Ma non credevo che il Kaiser-Dogge mi potesse tradire in quel modo indegno…! –

Rise di nuovo, e l’amico, offeso, gli voltò le spalle; ma la Scimmia, previdentemente, aveva tenuto da parte qualche biscotto di Oma come consolazione, avendo previsto l’esito infausto e scontato della caccia al Kaiser fin dall’inizio.

Si alzò dal suo letto e si infilò in quello di Karl: non era nemmeno la prima volta che condividevano febbre e malattie varie; ne fece passare uno sotto le sue narici, e per qualche istante il Kaiser restò immobile con aria di lesa maestà, poi un occhio azzurro si riaprì e un sorriso imperiale apparve.

Addentato il biscotto, masticò in silenzio per qualche secondo, poi si illuminò – La prossima volta dobbiamo nasconderci insieme: se siamo in due, possiamo vincere! –

Herri scosse la testa e sospirò, rassegnato – D’accordo, ma ci penseremo quando ci verrà la scarlattina… Ora dormiamo. –



Quando il "destino" si chiama Arpia, tutti prima o poi devono rispondere delle loro azioni.
Il povero Tatsuo, che si era visto fare la pipì addosso dal suo neonato pupillo in “Era già un campione!”, ha avuto la sua schiacciante rivincita, riuscendo persino ad ottenere il rispetto di John; mentre il subdolo piccolo Kaiser, che aveva usato la sorellina innocente per i suoi egoistici scopi ne “L’Imperial' Pannolino”, si è dovuto arrendere a chi ne saprà sempre un bel po' più di lui, di calcoli, stratagemmi e idee geniali.

* * *

Siamo arrivati alla fine anche di quest’ultima parte, e come sempre ringrazio tutti i lettori silenti.
Le panchinare, che oggi mettiamo in ordine di età inverso, Saretta1381, OnlyHope, agatha, eos75; adesso che sta arrivando Nonno Gelo, sulla panca ci si stringe un po' e ci si scalda col plaidone a quadretti… ^_^
Nonché a berlinene (già, John è un degno Waka-cane, direi! XD) e apollonia (però mi sa che per le dosi devi metterti in coda da brava pikkola tossika ^_*). Ma una dedica speciale stavolta va a Manila e Mila83 perché tu is megl’ che uan.

Il consueto ringraziamento finale va soprattutto all’ideatrice di questo simpatico contest :Mnemosyne: aka Reichan86 (casomai capitasse da queste parti e leggesse) dato che mi ha regalato un sacco di spunti, e quindi permesso di scrivere tutte queste shots.

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