Alla ricerca dell'amore perduto

di Nimueh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Black Swan ***
Capitolo 2: *** Una donna per la Jolly Roger ***



Capitolo 1
*** Black Swan ***


Alla ricerca dell'amore perduto


Black Swan

 
Spalle dritte, sguardo fiero, e passo sicuro: ecco l’insegnamento di una vita.
Sembra una persona forte e gli altri penseranno che tu lo sia veramente, mi dicevano i miei maestri. Una principessa, continuavano, non può sembrare un dolce esserino indifeso: il suo compito è governare, il suo polso deve essere fermo contrò le avversità, flessibile nell’astuto gioco della diplomazia, ma indistruttibile.
Eppure c’era qualcosa. Tutto sembrava presagire qualcosa che era più grande di me. Quel piano, che avevo così penato per idearlo, non mi pareva poi così valido.
Avevo preso tutte le precauzioni, non mi sembrava abbastanza.
Cercavo di muovermi con cautela, senza farmi notare troppo. Il mio volto era troppo riconoscibile anche per la gente comune, come se al collo mi pendesse un cartello con su scritto il mio nome a caratteri cubitali. Se qualcuno mi riconoscesse, le persone incomincerebbero a parlottare, e le voci, dapprima basse, diverrebbero alte e arriverebbero fino alle orecchie del principe mio fratello. La principessa Emma non doveva esistere più.
Avevo provveduto a mascherare il mio aspetto il più possibile, ma non sembrava mai abbastanza. Avrei dovuto tagliare i capelli, ma erano l’unica cosa preziosa che mi fosse rimasta, oltre la mia stessa vita. Così li avevo intrecciati in una lunga treccia, che poi avevo avvolto su se stessa sulla nuca. Era un così vano tentativo di celare la lunghezza della mia chioma, fin troppo anomala per una popolana qualunque.
E anche la mia pelle era troppo candida, un colore che le donne del posto non avrebbero mai potuto avere. Il lavoro, il sole, il sudore avevano modificato la loro carnagione, cosa che non era mai successo a me. Presi così della polvere di carbone, e con i polpastrelli creai due occhi nuovi. Il verde delle mie pupille fu esaltato da quei pigmenti scuri, mostrando al mondo una donna nuova, distruggendo lo sguardo limpido della bambina che fin quel momento ero stata.
I miei vestiti non erano più quei leggeri tessuti dalle tonalità sgargianti, oppure dai toni pastello; ma abiti rigidi e scuri, che fasciavano le mie forme sempre tenute nascoste. Avevo un cappuccio calato sul capo quando entrai nella taverna.
Sapevo cosa cercare. Il mio obbiettivo era un uomo, uno di quelli famosi per le sue braverie, di cui le nonne ne narravano le storie con il terrore dipinto sul volto. Il suo vero nome non lo conoscevo, ma il suo titolo era conosciuto in tutti i sette mari. Le persone lo chiamavano Captain Hook.
Non doveva essere difficile scovare un uomo con un uncino al posto della mano sinistra, mi ripetevo come un mantra, studiando l’ambiente in cui mi ero ficcata.
Con gli ultimi spiccioli che mi erano rimasti, dopo la fuga dal castello, avevo pagato alcune persone che rintracciassero per me il pirata, una volta arrivato al porto. Speravo veramente non fossero soldi buttati.
Quell’uomo mi aveva assicurato che il Capitano era solito andare in questa locanda, quando faceva tappa qui, ad Approdo del Re, eppure non si era ancora fatto vedere.
Così presi da mangiare, se così si poteva chiamare. La lontananza dal castello mi aveva insegnato la fame, e il privilegio in cui ero cresciuta. Ogni mio appetito era soddisfatto dal lusso, ogni capriccio divenivano un ordine, mentre in quel luogo e in quel momento non ero nessuno, e il cibo di cui mi nutrivo era la cosa peggiore che avessi mai mangiato, ma l tempo stesso la fame lo aveva reso pari al nettare degli dei.
Tra un boccone e un altro, incominciai a pensare alle uniche informazioni che avevo di quell’uomo. Di solito era dipinto come un essere lascivo, avvezzo ai bordelli. Altri invece lo descrivevano come un uomo profondamente innamorato di una donna, che aveva poi perduto. Taluni affermavano che in origine fosse stato un tenente, un ufficiale devoto al regno, al suo re, alle regole. Avevo talmente tante dicerie in testa che non sapevo a cosa credere. Messo in questi termini, sembrava un uomo dalle mille facce, una contrastante con l’altra.
Immaginavo fosse un tipo avvezzo alle belle donne, sempre pronto per una nuova avventura, e forse l’unico modo con cui potevo sperare di avvicinarlo era il mio aspetto.
Alla corte tutti mi ritenevo bella, brava, dolce, una così splendida principessa. All’inizio ne ero onorata, sembrava una bella cosa incarnare tutte quelle qualità, finché non mi accorsi che non potevo esser nient’altro. Tutto ciò che non era degno del Cigno Bianco (così mi avevano soprannominata) non poteva esser portato alla sua presenza, o esser discusso con lei... Ero diventata un bel soprammobile, niente più che un gioiello della corte, ma il destino, che non è mai né benevolo o malevolo, aveva cambiato tutte le carte in tavola.
Pensai di essere sul punto di svenire quando lo individuai, invece l’unica reazione visibile fu la stretta a pugno delle mie mani. Quello che invece era invisibile era lo stupore. Quell’uomo era bellissimo.
Altro che il vecchio bitorzoluto che mi aspettavo di vedere, considerando che dovesse avere più di duecento anni, sembrava un normalissimo (escluso l’uncino) e splendido uomo di mare su venticinque, trenta anni. Era assurdo!
Spiccava in quel locale come una fiammella nell’oscurità. Era più che bello, era affascinante, composto, non un semplice e rozzo marinaio, come mi ero immaginata. Insomma credevo che vivere per secoli su una nave dovesse comportare un certo grado di trascuratezza, eppure non era così.
Era attorniato da una manciata di uomini, il quale aspetto non mi incuteva timore, anzi mi faceva provare un’innata simpatia per quegli omuncoli che la vita aveva gettato in mare.
Dopo non so quanti minuti di riflessione e smarrimento per tutta quell’avvenenza, le mie gambe decisero finalmente di prendere coraggio, e subito mi ritrovai dinanzi a lui.
-Ma chi sono questi aitanti signori?- mormorai lasciva, guardando un uomo a caso della ciurma, l’unico che potesse esser attraente abbastanza da giudicare il mio interesse giustificabile, poiché non volevo che fosse chiaro a chi avevo puntato. L’unico modo per far funzionare il piano era far sì che lui mi scegliesse tra le tante donne che potevano stuzzicarlo in quel luogo. Doveva divenire una vittima del mio fascino.
Lasciai che mio sguardo vagasse su tutti loro, che si soffermasse anche sul Capitano, i cui occhi brillavano di aspettativa, per poi ritornare all’altro uomo, impassibile. Dovevo lanciare l’amo al suo orgoglio.
-Uomini molto affamati, signorina- pronunciò una voce alle mie spalle, il cui timbro mi fece tramare le mani per un secondo. Per un momento una scossa attraversò il mio corpo, che smaniava per girarsi e incrociare di nuovo quegli occhi ardenti.
All’improvviso una punta fredda iniziò a tracciare un linea sinuosa sulla mia scapola, lasciata scoperta dal vestito. Se prima le mani avevano vacillato, in quel momento furono le ginocchia a rischiare di tradirsi. Solamente il gusto della vittoria, la sicurezza di esser stata scelta mi riportò indietro dal quel momento di torpore.
Con lentezza mi girai verso il mio interlocutore. Puntai i miei occhi su di lui, giusto il tempo di vedere il suo orgoglio abboccare, e i suoi occhi rialzarsi dal mio posteriore fino ad arrivare ai miei.  
-Oh, Capitano, la vostra fame sarà presto saziata: siete nel posto giusto- dissi continuando quel gioco di allusioni, che un tempo mi avrebbero imbarazzata a morte, mentre adesso mi infiammava il sangue nelle vene.
Quella situazione sembrava inebriarmi. Non avevo mai compreso cose fosse veramente l’attenzione di uomo, e quella di Hook sembrava così dolce e selvaggia allo stesso tempo, da annullare la mia prudenza, le mie paure.
-Quindi voi sapete chi sono- mormorò ammiccando, mentre i suoi occhi scivolavano sul suo uncino. Per la prima volta da quando avevo pensato di trovare quell’uomo, incominciai a chiedermi cosa si provasse ad aver perso una mano. Sembrava così scomodo utilizzare quel pezzo di ferro.
-Sarebbe un po’ difficile non sapere chi siate. La vostra fama vi precede, mio signore.
-Allora siate gentile, rivelatemi il vostro di nome- rispose al mio sguardo sicuro. Sembrava dopotutto che il ruolo di prostituta improvvisata non mi riuscisse troppo male.
Nei suoi occhi aleggiava un baluginio che mi inquietava. Era lo sguardo uomo che sta per azzannare la sua preda.
-Il mio nome è Swan. I miei genitori si chiamavano così- dissi accomodandomi di fronte a lui- ma sono quasi sicura che ci siano particolari di me che vi potrebbero interessare molto di più- continuai candidamente, mentre anche lui prendeva posto.
-Solo Swan? Il nome ti si addice.
Nella frazione di qualche secondo era passato dal voi al tu, senza permesso, senza alcuna causa apparente. Questa cosa mi straniva,  ma in fondo io non ero una prostituta, non potevo sapere che genere di rituali avessero senso tra una donna e un uomo che avrebbero condiviso il letto per una sola notte, e non per amore. Tuttavia la cosa che mi stranì di più fu che non aveva raccolto la provocazione. Strano.
Con un gesto della mano chiamai l’attenzione della ragazza dietro il bancone. Cercai di non far trasparire alcuna delusione dal mio volto, così ordinai da mangiare e bere per tutti quanti, anche se avevo sperato di non dover arrivare in quel punto. Non volevo che entrasse in gioco l’alcool, doveva essere lucido nel momento in cui avrei barattato le mie conoscenze per i miei scopi. Inoltre non volevo toccarne nemmeno una goccia.
-Hai messo da parte la fretta, bellezza?
-Diciamo che mi sono accorta che non siete ancora pronto per un tête à tête- mormorai mentre versavo del vino nel bicchiere che una ragazza aveva posto davanti a lui, non rendendomi conto che mi stava analizzando più profondamente di quanto volessi.
-Tête à tête... una scelta di parole singolare per una ragazza del popolo- rispose serio, fissando i suoi occhi nei miei.
Ero scivolata e lui se n’era accorto. Forse potevo iniziare a perorare la mia causa senza dover imbastire un osceno siparietto nella sua cabina.
-Non sono una ragazza qualsiasi: vi avevo detto che possiedo qualità che potrebbero interessarvi enormemente, se mi permetterete di parlarvene- dissi prendendo coraggio.
Non aveva senso continuare a recitare se lui aveva capito che ero molto di più che una semplice popolana senza arte né parte. Ero così delusa: mi ero così impegnata per sembrare convincente! Se non altro sperai di non aver rovinato tutto con la mia poca dimestichezza con i pirati. Per fortuna mi invitò, con un semplice gesto della mano, a proseguire, cosa che non mi rifeci ripetere due volte.
-Sapevo di potervi trovare qui, Capitano... Ho fatto tutto questo perchè voglio proporvi un accordo, uno scambio.
-Per molto tempo ho vissuto ad Approdo del Re, nel palazzo reale, come serva. Mio padre era uno dei maestri del principe Bealfire. Mi ha fatto studiare e imparare molte cose, che ho deciso di mettere finalmente a frutto, ora che il Re ha deciso di licenziare me e la mia famiglia.
-Continua- rispose intrigato dalle mie parole, sebbene vedessi chiaramente che era distratto. I suoi occhi erano puntati su di me, ma a volte abbandonavano i miei e si spostavano su qualcos’altro di interessante sul mio volto.
-Non posso parlarne così davanti a tutti. Si tratta di dettagli che se ascoltati da orecchie estranee potrebbero far fallire il nostro accordo. 



Salve, sono Nimueh e spero di aver allietato anche se per pochi minuti la tua giornata, mio caro lettore.
Penso che hai tanti dubbi su questa storia, ma se continuerai a leggere sono sicura che passeranno!
Un paio di precisazioni: Bealfire è il fratello di Emma, quello che nel telefilm è Neal Junior. Ho pensato che fosse poco principesco come nome, e l'ho cambiato con l'altro. Emma, come vedrete, è la sorella maggiore, ma hanno pochi anni di differenza. 
Non è avvenuta nessuna maledizione, e quindi Emma è vissuta nella Foresta incantata con la sua famiglia.


 
Con affetto Nimueh

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Capitolo 2
*** Una donna per la Jolly Roger ***


Una donna per la Jolly Roger

 
Non ero mai stata su una nave. Mai.
Nemmeno quando ero una principessa e potevo fare tutto quello che mi passava per la testa. E al momento, col senno di poi, ho realizzato che non era una cosa che desideravo provare. Essere su una nave, una pirata soprattutto, era terribile.
Mi sentivo uno straccio. Durante le prime dodici ore di navigazione, mi sembrava un sogno. Le acque erano così limpide e bellissime; la costa in lontananza aveva un aspetto così irreale, di una bellezza sovrumana; il vento che mi accarezzava i capelli e gonfiava le vele del vascello.
Era uno spettacolo magnifico: non avevo mai goduto di quella vista nemmeno dal palazzo reale, eppure Approdo del Re era la mia casa, avrei dovuto conoscerla meglio di così.
Fu proprio quel pensiero che scatenò tutta una serie di riflessioni poco felici. In primis lo stomaco incominciò a rifiutare il pasto frugale che avevo ingerito, uscito niente di meno dalle cucine dell’imbarcazione, provocandomi una nausea non indifferente. Mi sembravo tanto come un vaso in bilico, sempre pronto a rilasciare il suo contenuto nauseabondo. Finché non avvenne, come c’era d’aspettarselo.
Era la prima volta che vomitavo in pubblico, e non c’era niente di più umiliante di quello, visto che gli spettatori erano dei pirati. Quegli uomini non avevano un cuore: mi prendevano in giro a causa della mia debolezza.
“Una femmina su una nave porta solo guai”, mi disse una vota un tipo tarchiato, dopo l’ennesimo rigurgito. Si chiamava “Spugna”, un grottesco personaggio che aveva arricchito i miei incubi, come se non avessi già molto materiale...
Tuttavia, in quel putiferio, il pensiero più doloroso era la lontananza dai miei cari. Erano già anni che non vedevo i miei genitori, conoscevo già il sapore dell’abbandono, ma il pensiero di mio fratello continuava a tormentarmi. Anche a distanza di chilometri non riuscivo a credere di non avere più una casa, di non essere più quell’Emma, quella persona solare che riempiva le sue giornate correndo per i giardini e i corridoi del palazzo. Ora ero solo una semplice ragazza qualunque, rinchiusa su una nave, aspettando il peggio.
L’unica consolazione era un ragazzo della ciurma, era l’unico che riuscisse a trasmettermi una vaga sensazione di conforto, logicamente tra un versamento e un altro. Il suo nome era William.
Era l’unico che si avvicinasse dopo aver rimesso per aiutarmi, o che mi sorreggesse la fronte nel momento del bisogno. Gli altri mi guardavano tutti schifati, senza alcuna intenzione di aiutare.
-Sai, il tuo nome mi ispira simpatia. La donna che amo ha il tuo stesso cognome... Quando ho sentito il nome Swan ho pensato che fosse lei, che mi avesse cercato... e trovato- mi raccontò una volta, cercando di distrarmi. Era strano, ma in tutta quella negatività mi sembrava un raggio di sole nell’oscurità.
-Perchè sei qui e non accanto alla tua, di Swan?- gli domandai indiscreta, dopo aver ripreso un posizione eretta. Sentivo il bisogno di parlare a cuore aperto con qualcuno, e anche se non potevo svelare niente di me che fosse vero, il suo atteggiamento si avvicinava molto all’unico amico che in quella situazione avrei potuto avere.
-Lei è ricca, troppo per un semplice artigiano come me... Sai prima di salire su questa nave, ero un fabbro. Mi piaceva tanto forgiare le spade... Una nobile non potrebbe mai stare con uno che vende pezzi di ferraglia al mercato, quindi sto cercando di fare fortuna, nella speranza che lei mi aspetti- mi spiegò amareggiato.
Non fu l’unica volta che parlammo. Con il tempo scoprii persino il nome della sua bella, e con mia grande sorpresa mi resi conto che non mi era nuovo. Era una della figlie di un ambasciatore scelto da mio padre, quando ancora potevo contare di averne uno, di padre. Aveva spedito questa famiglia nel lontano oriente, nel famigerato Paese delle Meraviglie.
Ero piuttosto piccola quando la conobbi. Prima di partire la mia famiglia aveva ospitato la sua, ed ebbi modo di conoscerla. Era una ragazza molto particolare: nello sguardo aveva il fuoco, ma nei modi era spenta, assente.
Mio padre mi diceva sempre che una persona che ha il fuoco dentro, finisce sempre per bruciare anche le persone che la circondano, e sicuramente il povero Will aveva subito una bella scottatura.
Con il senno di poi, non so che fine fece lei e la sua famiglia. Dalla scomparsa dei miei genitori, l’unica persona che fosse a conoscenza della politica del regno era il primo consigliere, il grande e potente Jafar. Ogni decisione era segreta per me, che ero la futura regina, mentre mio fratello conosceva molto più dettagli di me... Forse lui avrebbe potuto dirmi qualcosa in merito, ma non ricordavo niente del genere.
Mi raccontò in seguito che era una giovane piuttosto stravagante e per questo lui se n’era subito innamorato. Immaginavo che una lunga permanenza nel Palazzo della Regina Bianca significasse per gli individui più equilibrati, perlomeno divenire una persona bizzarra, nel migliore dei casi.
L’aveva conosciuta nella città libera di Myr, al confine tra il Paese delle Meraviglie e la Foresta Incantata, dove lui aveva sempre vissuto. Frequentava il mercato in cui vendeva le sue spade, e altre oggetti di sue creazione, cosa di cui si era vantato ampiamente, anche altre volte.
Tutto sommato mi intenerì molto, e fu per questo che decisi di affrontare il Capitano.
Un giorno, dopo aver sostato in un porto per fare rifornimento, mi feci trovare nelle sue stanze, cosa assolutamente oltraggiosa nel mio mondo, fatto di bicchieri di cristallo e lampadari di diamanti.
-Non puoi stare qui senza il mio consenso, amore. Sono le regole di base se non vuoi che ti cacci dalla nave e ti abbandoni su un’isola deserta- dissi vedendomi seduta accanto alla sua scrivania, scrutandomi diffidente. A quanto pareva anche su una nave era sconsiderevole farsi trovare nella camera di un uomo.
Da quando avevamo discusso i termini della mia offerta, non avevamo mai più realmente parlato. L’unico contatto era un buongiorno sussurrato a fatica ogni mattina.
A dirla tutta, non capivo la sua ritrosia, sentivo solamente che c’era qualcosa che non andava. Sembrava stanco, affranto. Mi guardava sempre con una luce strana negli occhi, ma non sembrava lo sguardo di un uomo innamorato, o di un nemico accecato dall’odio.
Avevo sentito tra gli uomini della ciurma che era turbato per qualcosa, ma non sapevo nient’altro. Alcuni dicevano che era tutta colpa della mia presenza, che il Capitano non guardava di buon occhio le donne che soggiornavano sulla Jolly Roger, ma la reputavo una stupidaggine. Che fastidio stavo dando? Passavo le mie giornate a rendermi silenziosamente utile per tutti quanti (oltre i problemi di stomaco).
-Oh, sì, certo, potete farlo, ma dopo chi vi porterà alla Laguna Blu?- risposi spavalda.
-Suppongo che potrei far a meno di te ora che mi hai consegnato la mappa, che tra parentesi non sai nemmeno decifrare- rispose indugiando un po’ troppo nel guardarmi  le labbra, mentre prendeva posto all’altro lato della scrivania.
-Potrete arrivare anche alla laguna senza di me, ma mai al tesoro senza il mio aiuto. Ve l’ho detto, ho studiato approfonditamente, so con certezza della moltitudine di trappole disseminate in quel luogo, le quali non sono di certo segnalate su quel pezzo di carta che vi ho dato.
-Cosa cerchi dunque nella mia cabina? Spero non un posto dove dormire più comodamente...- rispose stancamente, puntando finalmente i suoi occhi nei miei, quasi con timore.
-Voi, ovviamente. Devo chiedervi un favore.
-Le uniche mani che do, passano per luoghi che una signorina per bene non dovrebbe ascoltare, né auspicare- rispose divertito dalle sue stesse parole, e dalla mia più che evidente smorfia di disgusto. In realtà dentro di me fremeva anche qualcosa che non riuscivo ben a identificare, oltre il ribrezzo.
-Ho conosciuto uno dei vostri uomini, uno dabbene. Mi ha trattata con molto garbo e voglio premiarlo.
-Il tesoro che è custodito lì è grande, certo non immenso, ma considerevole. Voi stesso conoscete la leggenda del tesoro di... Tu sai chi.
-Non so come dividerete il bottino con la ciurma, e nemmeno mi interessa in parte, ma vorrei chiedervi di elargire una più che buona paga per tutto il lavoro svolto qui al mastro William Turner, tanto da permettergli di sposare la donna che lo sta aspettando a terra- gli spiegai con voce ferma. Forse troppo.
C’era più della principessa in quel discorso, che della nuova donna che ero diventata. Sperai non lo avesse notato.
-Immagino che se non esaudissi le tue richieste non mi condurresti lì...- azzardò sorridendomi maliziosamente. Era il primo sorriso che vedevo sul suo volto da tanto, tanto tempo. Non me l’aspettavo: credevo che chiedergli una sommetta che intaccasse il suo bottino l’avrebbe messo di cattivo umore. Chi li capiva questi pirati!
-Ovviamente- mentii spudoratamente. Per quanto volessi aiutare Will, non potevo permettermi di ritirarmi da quello scambio, dovevo assolutamente arrivare alla Laguna Blu.
-Sai... C’è una cosa che veramente non mi torna.
-Mi hai offerto l’opportunità di raggiungere questo luogo, in cambio di un passaggio per le Isole dell’Ovest. Non capisco perché tu abbia concesso quest’occasione proprio a me, e alla mia ciurma. Insomma di navi ce ne sono a bizzeffe. Che cos’è che ti serve precisamente da noi?
-Suppongo che il non rispondere equivalga a una chiusura delle trattative- asserii impassibile, mentre dentro di me il cuore scalpitava per le conseguenze di una rivelazione come quella. Concedergli di sapere troppo, avrebbe messo me nella posizione di svantaggio, in cui stavo cercando di tenere loro. Non potevo svelare nulla.
-Questa supposizione non potrebbe essere più giusta- rispose mantenendo il contatto visivo, per scrutare fin dentro la mia anima pur di trovare le risposte che cercava. Forse era un uomo troppo furbo per le mie capacità, e per i miei ventitre anni, contro i suoi duecento.
-Risponderò solamente se accetterete la proposta per cui sono venuta a parlare con voi.
-Lo sai che lo verrò a scoprire anche se non me lo dici. Tuttavia mi sento molto magnanimo, e se la risposta mi piacerà otterrai ciò che chiedi- rispose con un ghigno, mente incrociava le mani sulla pancia. Immaginavo che il mio sguardo avesse dimostrato perfettamente la mia incredulità. Un pirata magnanimo... Bella trovata, davvero!
-E sia- accetti velocemente, mentre sentivo i succhi gastrici iniziare a corrodermi dentro per l’ansia.
-Non volevo dirlo, ma sono sempre stata affascinata dalle storie che circolano su di voi... E se proprio dovevo scegliere qualche capitano da condurre in quel luogo, dovevate essere voi. E poi insomma, chi meglio di voi può affrontare un viaggio come questo? La Jolly Roger ha persino solcato i cieli fino a Neverland. Avevo bisogno di una nave che reggesse le asprezze di Laguna Blu- spiegai, cerando di mantenere uno sguardo limpido e sincero, ma il dubbio mi consumava le viscere. Tutti mi dicevano che non sapevo mentire!
L’unica speranza era affidata all’uomo vanesio che in lui, poiché avrebbe abboccato a tutti questi complimenti.
-Oh, Love... Cosa si dice esattamente di me in quella landa desolata di Approdo del Re?- mi domandò, reagendo positivamente. Sembrava così facile prenderlo in giro, che quasi non ci credevo.
-Bhè... Le storie su di voi non sono paragonabili alla realtà. Il Capitano Uncino di cui fantasticavo da bambina è solo un decimo di quello che ho davanti agli occhi- mormorai lasciva, sporgendomi in avanti, in modo che si concentrasse esclusivamente sul timbro caldo della mia voce, e sul mio davanzale.
Se prima pensavo di prenderlo in giro, in definitiva non era così: pensavo veramente quelle cose. Hook era un uomo così affascinante...
-Non so se dovrei fidarmi delle tue parole, ma te la sei cavata.
-Conosco bene le pene del giovane Turner, so bene quanto faccia male esser diviso dalla persona che si ama- disse guardando fuori dal finestrino della cabina –farò come dici, non preoccuparti. Mi occuperò personalmente della faccenda- continuò pensieroso. Dall’umore scherzoso, si era all’improvviso adombrato.
Per la prima volta vidi un uomo diverso da quello che avevo intravisto in quelle settimane. Proprio a proposito di quelle dicerie, sapevo che si diceva che il Capitano avesse perso l’unica donna che avesse mai amato. Forse non conoscevo solo un decimo di lui...
Questa storia mi incuriosiva molto. Rendeva quell’uomo come una specie di eroe malinconico, uno di quelli di cui si legge nei romanzi. Lo rendeva ancora più affascinante di quanto già non fosse.
Comunque sia, non dovetti aspettare troppo per scoprire un altro tassello di quel puzzle.
Un giorno, uno dei tanti (non riuscivo più a tenere i conto delle mie giornate!), giravo inquieta per la nave alla riceva di un erba medicinale che potesse alleviare i miei personali tormenti (l’odioso Spugna mi aveva giurato che sarei riuscita a trovare qualcosa), quando mi imbattei in un ricettario. Era nascosto dentro un cassetto, che, a giudicare dagli scricchiolii, non veniva aperto da molto tempo. Dentro c’erano una decina di vasetti contenenti polveri di cui ignoravo la natura, e sotto di essi vi era riposto quel libricino. Sembrava un comune diario di bordo, ma al suo interno trovai ricette di strani unguenti. La calligrafia indicava chiaramente che l’autore di quel testo era una donna, il cui nome, scritto sulla prima pagina, doveva esser Milah.
Avida di informazioni, iniziai a divorare quel volumetto, scoprendo non solo il modo di eliminare per sempre quella stupida nausea, ma soprattutto le origini di quella donna. Secondo i miei studi di linguistica, le espressioni utilizzate in quel libro risalivano a un modo di esprimersi di cerca duecento anni fa, tipico della Foresta Incantata, ma soprattutto di Approdo del Re. L’aspetto della carta confermava quella mia analisi, ma il mio istinto mi suggeriva molto di più delle mie conoscenze, mi diceva che l’autrice non era altro che l’amata del Capitano, poiché  nessun uomo della ciurma avrebbe mai potuto portare con sé una donna, al di fuori di Uncino.
A quanto sembrava la Jolly Roger aveva già ospitato in precedenza una donna., e ciò confermava la freddezza con cui ero stata accolta.
Se le dicerie erano vere, quella donna era morta su questa nave, e quindi la mia presenza aveva rivangato in quegli uomini, compreso logicamente il Capitano, il ricordo di quella perdita.
 
*-*-*-*-*-*-*-*
 
-Vedo che stai molto, molto meglio- mi disse Uncino, una mattina guardandomi dalla postazione del timone.
-Sì, tutto merito di un infuso suggeritomi da uno dei vostri uomini- risposi sorridendo, pensando alla miracolosa tisana che avevo trovato nel prontuario della sua amata.
Logicamente non avevo detto niente a nessuno. Immaginavo che se avessi anche solo accennato alla cosa, qualcuno mi avrebbe fatto notare poco gentilmente che non era cortese ficcare il naso.
-Ancora questo voi? Suvvia dammi del tu, è più di un mese che sei su questa nave. Non esistono formalità sulla Jolly Roger- continuò guardandomi bonariamente, cercandomi di convincermi.
Sembrava che nel suo sguardo fossero sparite quelle nuvole che avevano deturpato quelle pozze di cielo, che erano i suoi occhi. Non sapevo come e perché, ma doveva essere così.
-Come vuoi, Capitano.



Salve a tutti, cari lettori!
Ho guardato un po' i numeri di questa ff, e devo dire che sono molto soddisfatta!
Dai commenti ho ricevuto tutti responsi positivi, e questo mi gratifica tantissimo, quindi spero di non aver deluso con questo secondo capitolo coloro che hanno scelto di seguire la storia.
Un paio di precisazioni: ho messo tanta carne a cuocere, ma se avrete un briciolo di pazienza, e se l'ispirazione non mi abbandonerà, prima o poi tutto avrà un senso. Ve lo prometto! ;)

 
Con Affetto Nimueh
 

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