Sweet home Kanagawa

di Blackmoody
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo: la notizia. ***
Capitolo 2: *** primo: il ragazzo del campo da basket. ***
Capitolo 3: *** secondo: a transfer. ***
Capitolo 4: *** terzo: la Signora dei Canestri. ***
Capitolo 5: *** quarto: vita da allenatrice. ***
Capitolo 6: *** quinto: heartbeating is a dirty job. ***
Capitolo 7: *** sesto: mai stata baciata. ***
Capitolo 8: *** settimo: i got chills. ***
Capitolo 9: *** ottavo: i Viceré. ***
Capitolo 10: *** nono: non dir di me, se di me non sai. ***
Capitolo 11: *** decimo: pretty F-Ace. ***
Capitolo 12: *** undicesimo: la matematica non sarà mai il mio mestiere. ***
Capitolo 13: *** dodicesimo: should i stay or should i go? ***
Capitolo 14: *** tredicesimo: moonlight shadow. ***
Capitolo 15: *** quattordicesimo: (la gelosia) più la scacci e più l'avrai. ***
Capitolo 16: *** quindicesimo: dritti alla meta. ***
Capitolo 17: *** sedicesimo: she loves you just the way you are. ***



Capitolo 1
*** prologo: la notizia. ***


Ebbene, rieccoci qua, pronte a scrivere una nuova FF per la disperazione di tutti

prologo: la notizia.

 

 

 

 

Quella domenica di fine maggio era una giornata veramente stupenda.

Dopo una settimana di piogge e vento il sole era tornato a brillare, illuminando e asciugando ogni cosa. Il cielo incombeva terso e di un azzurro profondo sulla città di Tokyo, cielo contro cui si stagliavano alberi carichi di foglie vibranti creando meravigliosi intrecci. L’aria era comunque già piuttosto calda, essendo primavera inoltrata.

I ragazzi sul campo da basket nel parco del quartiere, però, sembravano non farci caso.

Pareva che si stesse disputando un’accesa partita tra amici. Le due squadre erano miste e si sfidavano con atteggiamento bonario. Il capitano di quella in vantaggio era una ragazza: era bassa e minuta, per essere una giocatrice di basket, ma questo non le creava apparentemente problemi. Si muoveva agile e veloce come un gatto, spiccava balzi eccezionali e centrava tutti, ma proprio tutti i canestri. Indubbiamente ci sapeva fare.

Come se non bastasse, era molto graziosa: snella, capelli lisci di un caldo color castagna e grandi occhi nocciola, e un viso ovale dai lineamenti delicati. Chiunque la vedeva – qualsiasi ragazzo – non poteva fare a meno di riservarle una discreta occhiata di apprezzamento. Eppure, nonostante questo e i suoi sedici anni suonati, Rumiko Ishida non era mai stata con nessuno e non era mai stata baciata. Non se ne faceva certo un cruccio: lei aveva le sue passioni, i suoi interessi, le sue amicizie. E aveva il basket. Che problema c’era, quindi, se ancora non aveva avuto uno straccio di vita sentimentale? Per quello c’era ancora tempo.

La partita stava volgendo al termine: Rumiko si stava pericolosamente avvicinando al canestro degli “avversari” nella sua solita corsa inarrestabile. Con una finta rapidissima la ragazza lanciò la palla che, come prevedibile, centrò perfettamente il canestro: avevano vinto.

– Rumichan! Bel colpo! – trillarono le ragazze in panchina mentre giocatori e giocatrici si abbracciavano e congratulavano tra loro e con i perdenti.

– Grazie! – rispose lei gongolando.

– Mi raccomando, vogliamo la rivincita. – puntualizzò il capitano dell’altra squadra.

E si dettero appuntamento per la domenica successiva.

Ora sul campo quasi in ombra erano rimaste Rumiko e le sue amiche. Improvvisamente una di loro indicò il prato alle loro spalle, dove un uomo sui quarantacinque anni con indosso un completo chiaro stava palesemente aspettando qualcuno:

– Rumiko, ma quello non è tuo padre? – osservò Hikari.

Rumiko si voltò. In effetti l’uomo in attesa era davvero suo padre, sebbene non fosse mai andato prima d'allora a vedere una partita. La ragazza si preoccupò: se era lì per riaccompagnarla a casa, questo significava che doveva parlarle.

– Ehilà, padre! Che cosa ci fai qui? – gridò agitando una mano in segno di saluto.

– Complimenti, tesoro, bella partita. – sorrise l’uomo ignorando la domanda.

Padre. – ringhiò Rumiko con il suo celebre tatto: – Mi spieghi perché sei venuto?

– Per riportarti a casa, ovvio. – fu la risposta, ma il suo tono di voce forzatamente spensierato non convinse affatto la figlia. – D’accordo, d’accordo. Il fatto è che io e tua madre dobbiamo darti una notizia e volevamo che tu fossi a casa al più presto.

Ora sì che c’era da impensierisi. Rumiko aggrottò le sopracciglia: spero che non sia niente di grave, si disse.

Prese la sacca sportiva da terra e si rivolse alle compagne:

– Ci vediamo domattina a scuola. Vi racconterò tutto. – promise.

Poi si allontanò con il padre verso l’uscita del parco, seguita dagli sguardi allibiti delle altre. Benché casa loro fosse lì a Nerima, a due passi dal campetto, il signor Ishida era venuto in auto, segno inequivocabile che lui e la moglie avevano una gran fretta di parlare con Rumiko. Durante il breve tragitto la ragazza rimuginò sulla fantomatica notizia. Magari uno dei nonni si era sentito male ed era finito all’ospedale. Oppure sua madre era incinta.

L’idea le strappò una smorfia per la quale subito dopo si sentì un verme: se la notizia era quella l’avrebbe accolta con sollievo. Ma Rumiko aveva la sensazione che si trattasse di ben altro.

Erano arrivati davanti alla porta di casa, al quarto piano di un condominio in una zona residenziale del distretto. Appena entrati nell’appartamento la signora Ishida fece capolino dalla cucina, salutandoli fin troppo festosamente:

– Rumi, Daisuke, eccovi qui! Caro, glielo hai detto?

– Non ancora, non le ho accennato nulla. È bene farlo insieme, Miyako. – ribattè il padre.

Sedettero tutti e tre sui divani del luminoso soggiorno, cercando invano di apparire rilassati e a loro agio. Poi la madre prese la parola:

– Dunque, Rumiko, io e tuo padre dobbiamo annunciarti una cosa di estrema importanza. Forse non ti farà molto piacere saperla, ma sappi fin da adesso che è inevitabile.

Rumiko si preparò al peggio. L’inizio del discorso non prometteva nulla di buono.

– Riguarda il mio lavoro. – precisò Daisuke con un’espressione seria sul volto.

– Non mi dirai che ti hanno licenziato! – esclamò la ragazza balzando in piedi.

Lui sorrise inaspettatamente, gettandola nel caos più totale:

– Al contrario. Ho ricevuto un posto di direttore in una banca. – annunciò tutto contento.

– Cacchio, ma è fantastico! – Rumiko lo abbracciò: – Le mie congratulazioni, padre.

I genitori si scambiarono un sorriso, pur sapendo che non era ancora finita. La madre sfiorò una mano di Rumiko e precisò:

– Però, tesoro, c’è un piccolo particolare da tenere in considerazione.

Il cuore della ragazza riprese a battere furiosamente: – Ovvero?

– Vedi, papà ha ovviamente accettato l’incarico, – tirò un sospirone, – ma la banca in questione non è qui a Nerima, non è qui a Tokyo: si trova a Kamakura nella prefettura di Kanagawa, Rumiko.

Kanagawa. Kamakura. Per un attimo la ragazza rimase a bocca aperta come un baccalà sotto sale, incapace di spiccicare anche solo mezza sillaba, e infine esplose:

– Kamakura? Ma è una cittaducchia del cavolo a chilometri da qui! Volete dire che ci dobbiamo trasferire?

La donna tentò di farla ragionare:

– Rumi, tuo padre non ha certo potuto rifiutare una simile opportunità, e noi due non possiamo restare qui.

Rumiko si voltò verso di lei, incavolata nera:

– E la scuola? E il tuo lavoro, mamma? Non c’hai pensato? – urlò. – E io? Come faccio a lasciare la mia città, i miei amici, la mia squadra?

– Fammi parlare! – la rimbeccò l’altra; – Per quel che mi riguarda mi sono già sistemata acquistando un fondo commerciale per proseguire la mia attività di orafa. Per quel che riguarda te, ti farai certamente nuovi amici: sei una ragazza socievole, lo sai, e questo ti aiuterà a conoscere tante persone. Per la scuola non preoccuparti, ti abbiamo già iscritta a uno dei migliori licei di Kamakura.

Rumiko la guardò come se fosse un’aliena:

– Fatemi capire. Da quant’è che papà ha accettato il trasferimento?

– Eh beh, – farfugliò il diretto interessato, – in verità abbiamo aspettato due settimane per dirtelo, tesoro.

La poveretta quasi cadde a gambe all’aria sul tappeto:

– Mi prendete per i fondelli? – berciò, esasperata. – Lo sapete da quindici giorni e me lo comunicate solo ora? Siete pazzeschi!

Miyako e Daisuke si scambiarono un’occhiata imbarazzata: avevano aspettato tanto, troppo, ma lei era sempre presa dallo sport, sempre fuori casa con le amiche o chiusa in camera a sgolarsi ascoltando musica…

– Questo non c’entra nulla! – li interruppe Rumiko: – Se aveste voluto me lo avreste già detto! Avevate soltanto paura della mia reazione.

C’era del vero. Comunque, quel che era fatto era fatto.

La ragazza sospirò, cercando di calmarsi: – Immagino che allora abbiate già pensato anche alla casa.

Suo padre annuì: – La abbiamo già acquistata. A vederla nelle foto sembra molto bella e spaziosa. Vedrai, ti piacerà.

Rumiko sorrise mestamente, poi domandò quanto tempo avevano per il trasloco.

– Fra due settimane saremo là. – rispose la madre; – Hai tutto il tempo per abituarti all’idea di lasciare Nerima e salutare i tuoi amici.

A quanto pareva non c’era proprio niente da fare. Ormai la decisione era stata presa, tutto era stato pianificato e sistemato, e lei non poteva rovinare la carriera di suo padre: per quanto desiderasse restare, Rumiko sapeva che era impossibile. Meglio rassegnarsi all’idea.

Stava per andare a farsi una doccia quando le venne in mente una cosa: – Mamma, come si chiama il nuovo liceo che frequenterò?

– È il liceo Shohoku, tesoro. – rivelò Miyako.

– Ho saputo che è uno dei migliori della prefettura. – aggiunse Daisuke.

– Aha. – borbottò Rumiko, alla quale l’aspetto scolastico non interessava più di tanto, e fece spallucce girando i tacchi.

– E soprattutto, – l’uomo fece una pausa effetto, – ho saputo che la sua squadra di basket è tra le migliori otto della prefettura. – concluse, sogghignando soddisfatto tra i baffi.

Rumiko si bloccò e lo fissò bissando la precedente espressione da baccalà essiccato: – Prego?

– Non sto scherzando. – garantì lui, le mani alzate come per difendersi.

La ragazza si illuminò in volto, ridacchiando:

– Sapete, potrei anche cominciare a pensare che questo trasferimento non sia poi una cosa tanto malvagia.

E si diresse saltellando verso il bagno, lasciando i genitori ad ammiccarsi con un sorriso d’intesa: lo Shohoku e il suo ancora fantomatico club di basket avevano forse compiuto il miracolo.

 

 

Rilassandosi sotto il getto d’acqua tiepida della doccia, Rumiko riuscì a riordinare con chiarezza i suoi pensieri confusi.

Ovviamente le dispiaceva dover abbandonare la città in cui era nata e cresciuta e cui era molto legata, e la prospettiva di non rivedere più Hikari, Miki, Mayumi e Miho, i ragazzi della sua squadra e i suoi compagni di classe la rendeva triste. Tuttavia iniziava ad avvertire una vaga punzecchiatura d'adrenalina alla base della schiena: le piaceva scoprire posti nuovi, e amava le novità, i viaggi, le avventure.

Sarebbe rimasta in contatto con i vecchi amici e non li avrebbe mai dimenticati.

L’unico timore che aveva era di non riuscire a farsene di nuovi, di amici: sua madre affermava che sarebbe stato facile per una come lei, ma l’insicurezza rimaneva. La cosa che più la attirava dell’intera faccenda era quella storia della squadra di basket della scuola: indubbiamente non avrebbe potuto farne parte, giacché s’immaginava che fosse esclusivamente maschile, però…

– Però potrò conoscere persone brasate come me! E poi chissà, magari tra loro ci sarà il ragazzo giusto. Carino, simpatico e giocatore di basket. – blaterò ad alta voce.

In poche parole, il suo uomo ideale.

– Seh. Non farti troppe illusioni, Rumiko Ishida. – si corresse severamente: – Scommetto che alla fine non troverò proprio nessuno.

In quel momento non poteva certo saperlo, ma la sua prima previsione si sarebbe rivelata quasi esatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Precisiamo subito una cosa: l’assetto embrionale di questa storia risale nientepopodimenochè al lontano 2003, anno in cui ero ancora una liceale immatura e con chissà quali idee malsane per il capo. Scrissi questo prologo e i successivi sei capitoli e alle prime quattro righe del settimo mi bloccai, colta da un furioso calo d’ispirazione circa la grandiosa opera di Inoue-sensei. E la storia rimase a languire nella sua cartella.

Poi, qualche giorno fa, per un motivo che se ve lo rivelo adesso mi prendete a pallonate in faccia, ho ritirato fuori tutta la serie, me la sono riletta di gusto, ho preso a spulciare tra le fanfics altrui e infine mi sono decisa: ho ripreso in mano la storia laddove l’avevo abbandonata. No, anzi, non è esatto: prima ho rimodernato i vecchi capitoli, rendendoli presentabili al pubblico ed eliminando le trovate dementi.

Quindi eccovela qui, fresca di restauro e spero abbastanza piacevole da invogliarvi a leggerla e a farmela proseguire.

Vi avverto, qui non c’è traccia di yaoi – e nemmeno si fregia di una trama particolarmente originale, o impegnata o che: è solo un leggero, scanzonato, delirante et femminile tributo a un manga che non riesco a smettere di amare.

 

Il titolo originario ve lo risparmio (ignobile vergogna adolescenziale!).

Quello attuale è tratto dalla cover di Kid Rock di Sweet home Alabama, ovvero All summer long, che tra l’altro trovo adattissima come colonna sonora per gli scleri dei nostri eroi.

Rumiko Ishida è, suo malgrado, un personaggio di mia creazione.

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

 

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Capitolo 2
*** primo: il ragazzo del campo da basket. ***


Luin, sei pronta

primo: il ragazzo del campo da basket.

 

 

 

 

I fatidici quindici giorni trascorsero in fretta. I signori Ishida furono impegnatissimi con la compagnia di traslochi e fecero continuamente la spola tra Hikarigaota e Kamakura per verificare che tutto andasse per il verso giusto, per sistemare la casa nuova e per prendere gli ultimi accordi di lavoro.

Rumiko, dal canto suo, salutò i fidi soci tra lacrime e abbracci, strappando loro la promessa di mantenersi sempre e comunque in contatto. Fece anche le sue ultime passeggiate per Tokyo e si ritrovò a frignare un po’ per la tristezza e un po’ per l’eccitazione proprio in una delle vie più affollate della città come una perfetta imbecille.

Così giunse il sabato: la mattina dopo sarebbero partiti per Kamakura una volta per tutte. Rumiko non poteva più tirarsi indietro.

 

 

– Rumiko, tesoro. Svegliati, è ora di partire. Coraggio!

La voce della madre la strappò piuttosto malamente ai suoi sogni, ricordandole che il momento era arrivato. Non aveva dormito molto bene quella notte, nel sacco a pelo, ma si sarebbe rifatta la sera nella sua nuova camera.

Il tempo non era dei migliori: aveva piovuto incessantemente per ore e le strade erano ancora bagnate, mentre le nubi plumbee arroccate in cielo minacciavano di riversare ancora non si sa quali immani quantità d'acqua. Come se non bastasse, tirava un forte vento: un vero e proprio dì di tregenda.

– Ottimo. La giornata più deprimente che potesse capitarmi. – farfugliò infatti Rumiko con una fetta biscottata in bocca, biascicando di malavoglia e studiando le nuvole con espressione omicida. – Sembra che anche il tempo sia scoglionato. Qualcuno potrebbe rammentare a quegli sfigati degli dèi che siamo a maggio?

E attaccò con una tiritera melodrammatica che nessuno considerò e che culminò in un'abbattutissima sentenza: – Sento che questo sarà il giorno più brutto della mia vita.

La madre la abbracciò, sia per farla tacere che per tirarla su di morale, ma non ci fu verso.

Nel salire in macchina la ragazza gettò un’occhiata d’addio al palazzo in cui aveva vissuto quei suoi lunghi, primi sedici anni di vita e si accorse che stava per rimettersi a piangere. La cosa la allarmò: distolse lo sguardo e si impose di essere tosta più che poteva.

Detto fatto: la prima mezz’ora di viaggio fu scandita dai suoi singhiozzi e dagli accidenti che al contempo si lanciava. Soltanto quando l’auto di suo padre uscì dalla città immettendosi in un raccordo riuscì a calmarsi, e si mise a scrutare fuori dal finestrino.

 

 

Dopo un lasso di tempo indefinito la macchina si fermò bruscamente con uno stridìo di freni bagnati.

Che ci fosse una coda?, si chiese Rumiko stropicciandosi gli occhi assonnati. La luce si era fatta più forte: stava uscendo il sole. Le nuvole andavano diradandosi, lasciando spazio a grandi squarci d’azzurro, e sembrava che dai finestrini fosse entrato un leggero odore salmastro. La ragazza si sentì rincuorata. Poi, mentre si scuoteva di dosso gli ultimi rimasugli di sonno, si accorse che non erano più in marcia, bensì giunti a destinazione.

– Ommamma! Per caso mi sono addormentata? – esclamò rivolta ai genitori.

– Esattamente. – sorrise suo padre: – Hai russato per tutto il tragitto.

Rumiko brocciolò qualcosa di incomprensibile in risposta, un tantino imbarazzata, ma un secondo dopo spalancò gli occhi stupefatta e completamente sveglia: di fronte a lei c’era la casa più strepitosa che avesse mai immaginato. Era una graziosa villetta a due piani dalle ampie finestre circondata da un giardino piuttosto vasto, e un vialetto di ghiaia rastrellato con cura conduceva direttamente alla porta d’ingresso, che i suoi avevano fatto tingere di verde tenue.

– Ma è bellissima! – ululò Rumiko precipitandosi verso il portone e sparpagliando borse e zaini sul prato.

– Ci avrei scommesso che ti sarebbe piaciuta, Rumi. – disse la madre.

La ragazza manco la stava a sentire: si era già precipitata all'interno ed era tutta intenta a esplorare il nuovo territorio.

Anche dentro la casa era magnifica: semplice, senza troppe pretese ma assolutamente raffinata, con mobili moderni in stile occidentale e un bel tatami classico come pavimento nelle stanze principali. Rumiko, sempre più incantata, salì le scale di legno che portavano al piano di sopra e rimase a estasiarsi ulteriormente davanti alla sua camera, da tanto che era bella e spaziosa.

Per caso, poi, si affacciò alla finestra e tra gli alberi intravide qualcosa che le fece drizzare le antenne:

– Mammmmmma! C’è un campo da basket qui vicino! – strillò saltellando qua e là.

– Eh? Un campo da basket? – ripetè suo padre, fingendosi sorpreso.

– Sì! Diamine, sono già innamorata di questo posto. – sospirò lei beata, senza sapere che i suoi avevano considerato pure quel piccolo particolare per scegliere la casa.

La signora Ishida li raggiunse, le borse in mano:

– Rumi, perché non vai a fare due tiri mentre io e papà sistemiamo queste cose e prepariamo da mangiare? – suggerì.

– Beh, non importa, se volete vi do un aiutino. – si propose Rumiko, pur morendo dalla voglia di correre fuori.

– Davvero, vai pure se ti va. Qui ce la caviamo anche da soli, non c’è poi tanto da fare. – replicò Miyako agitando blandamente un braccio.

A quel punto non c’era bisogno di farselo ripetere. Afferrato il suo prezioso Spalding, Rumiko si precipitò in strada e raggiunse il campetto, che si trovava veramente a due passi da casa loro. Doveva essere finita in una specie di sogno cestistico.

I minuti passarono rapidamente tra un canestro e l’altro sotto il sole di mezzodì, tanto che l’ora di pranzo giunse alle porte senza che lei ci facesse caso.

– Provo a fare un dunk e poi me ne torno a casa. – decise.

I dunk non le riuscivano spesso, data la sua piccola statura, però ce la poteva fare se ci si metteva d’impegno.

Fece rimbalzare in pallone un paio di volte, prese la rincorsa e spiccò un salto, uno dei più alti che avesse mai fatto: si ritrovò così col volto all’altezza della rete e centrò perfettamente il canestro.

Evvai!, pensò tutta contenta, e rimase a spenzolarsi attaccata all’anello.

Fu per questo che non si accorse del nuovo arrivato che aveva fatto il suo ingresso nel campetto.

Solo quando una voce maschile esclamò “Ehilà, complimenti! Bellissimo dunk!” Rumiko si voltò a guardare, e rimase a bocca aperta: sul limitare del campo c’era un ragazzo alto e ben fatto, palla da basket in mano, viso sorridente e un gran ciuffo di capelli rossi, che la guardava con curiosità e ammirazione.

Rumiko sentì che il cuore le faceva una capriola – anzi, una serie di capriole – e diventò color pomodoro. Era talmente su di giri che si dimenticò di essere aggrappata al canestro e piombò a terra con un urlo, battendo una culata epocale.

– Ehi! Ti sei fatta male? – gridò il ragazzo correndole incontro.

– Eh… no! Non ti preoccupare! Sto bene, davvero. È solo… beh, ero sovrappensiero. – balbettò lei, rendendosi conto di avere il viso bollente.

Quel ragazzo era tremendamente carino.

– Meno male, altrimenti sarebbe stata colpa mia che ti ho spaventata. – rise l’altro.

– Spaventata? Ma figurati! – lo tranquillizzò Rumiko alzandosi in piedi nonostante avesse le ginocchia in gelatina.

Lo sconosciuto scrutò alternativamente la ragazza e il canestro, poi sorrise di nuovo compiaciuto:

– Sai, con uno slam dunk del genere faresti invidia a Rukawa, e quanto gli starebbe bene!

Rumiko ricambiò l'occhiata senza capire: – E chi è Rukawa?

– Non dirmi che non lo conosci! – si stupì lui. – Strano, visto che quel cafone è mooolto popolare tra le ragazze…

– Tra le ragazze di qui, forse, ma io mi sono appena trasferita da Tokyo. – lo interruppe.

Stavolta fu il rosso a sembrare confuso: – Ah, scusami, pensavo tu fossi…

Rumiko scosse la testa divertita. Chiunque fosse quel Rukawa, tra lui e il suo interlocutore non correva certo buon sangue.

– Piuttosto, come ti chiami? – le domandò il ragazzo.

– Rumiko Ishida. – rispose lei, sorpresa di averlo detto senza impappinarsi: – E tu chi sei?

Il rossino sfoderò un sorriso tale da farla quasi svenire:

– Io sono Hanamichi Sakuragi, meglio conosciuto come il Genio del Basket, il Re dei Rimbalzi e Sakuragi l’Immenso! Beh, Hanamichi per gli amici. – recitò d’un fiato.

– Abiti da queste parti? – incalzò Rumiko speranzosa.

– No, ma ci vengo spesso. Mi piace questo campetto. – disse Hanamichi.

– E giochi a basket. – fece lei con un sorrisetto.

– Ovvio! Avevi dei dubbi? – rise il ragazzo.

La nostra si sentiva a due metri da terra: la nuova casa era stupenda, il campo era a due passi e la prima persona che aveva incontrato era un tizio carinissimo, assurdo e giocatore di basket! Che giornata meravigliosa!

– Ti va di fare un partitella con me? – se ne uscì Hanamichi.

– Eh? Certo che…

Stava per accettare con impeto, quand'ecco che la voce della signora Ishida si innalzò squillante dal terrazzo di casa:

– Ruuuuumi! Vieni, che il pranzo è pronto!

La ragazza sospirò, sconsolata: – Mi dispiace, a quanto pare adesso è impossibile.

– Peccato, io ho già mangiato. Beh, fa niente, sarà per un’altra volta. – chiosò il rosso, e le sorrise ancora.

Rumiko annuì, afferrò lo Spalding di malavoglia e si diresse verso la magione, salutando Hanamichi. Aveva voglia di fare a fettine sua madre, ma sapeva che non avrebbe comunque potuto evitare il Primo Pranzo A Kamakura. E poi si sentiva talmente allegra che non riuscì ad arrabbiarsi sul serio.

Quando, poco dopo, si sedette a tavola con i genitori, Daisuke la scrutò ben bene e dichiarò:

– Rumiko, lasciatelo dire, hai una faccia da imbecille felice.

Lei ridacchiò quasi soddisfatta: – È proprio così che mi sento, padre.

 

 

La domenica proseguì tranquilla e paciosa. I coniugi Ishida mostrarono alla figlia una pianta della cittadina, indicandole la strada che avrebbe dovuto fare per arrivare a scuola: il liceo Shohoku, infatti, non era lontano dal loro quartiere, e lei poteva andarci a piedi o in bici. Nemmeno il mare era tanto distante, il che costituiva un ulteriore aspetto positivo. La loro zona era pacifica e piena di verde, senza eccessivo traffico e nemmeno lontana dal centro città.

Rumiko impiegò il pomeriggio gironzolando pigramente nei dintorni, walkman in tasca e cuffie a tutto volume, osservando la gente, le strade e le abitazioni. La pioggia aveva portato via la calura precoce, e l’aria frizzante era un piacere per il respiro. Il sole era tornato in completa auge.

Fu così che quel giorno che all’inizio le era parso tanto schifoso si riscattò agli occhi di Rumiko, la quale arrivò persino a ringraziare i suoi per averla portata a Kanagawa.

– Rumi, è merito del proprietario della banca in cui lavorerà papà a partire da domani.

– Vorrà dire che ringrazierò anche lui. – disse la ragazza ridendo di cuore.

 

 

Ormai era arrivata la sera e la domenica andava finendo, il che ricordò alla nostra che il giorno seguente avrebbe fatto la sua entrata in scena allo Shohoku.

– Comincio a sentirmi nervosa. – constatò mentre preparava i libri, acquistati provvidenzialmente dai suoi nelle settimane precedenti, e i quaderni.

– Rumiko, non puoi pretendere di farti amicizie appena metterai piede in classe. – la ammonì Miyako.

– E chi pretende? – glissò lei sarcastica, guardando con aria sospettosa la divisa femminile: era composta da una giacchetta blu, un gilet celeste, una gonna abbastanza corta a pieghe azzurre, una camicetta bianca (colore che non avrebbe resistito a lungo) e un fiocco rosso da sistemare sotto il colletto.

– Sarò oscena con questa roba addosso. – commentò.

– Starai d’incanto, fidati. – le assicurò la madre dandole un bacetto sulla guancia.

– Ecco perché invidio i maschi!

La signora Ishida le appioppò uno scappellotto sulla nuca.

 

 

Quella notte Rumiko dormì pochissimo, eccitata com’era all’idea del suo primo giorno allo Shohoku.

Si era dimenticata di domandare a Hanamichi quale liceo frequentasse e sperava con tutto il cuore di ritrovarselo davanti l’indomani. Voleva rivederlo a ogni costo: le piaceva davvero tantissimo, per averlo appena incontrato.

– Che record, ragazzi! Sono cotta del primo tizio che ho incontrato! Speriamo sia di buon auspicio… – biascicò con la faccia affondata nel cuscino.

E finalmente si addormentò, ripensando al sorriso di Hanamichi e a quel suo tamarro, inconfondibile ciuffo rosso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

E finalmente il Protagonista (chiamiamolo così sennò si offende) fa il suo ingresso in scena.

Il fatto è che adoro letteralmente Hanamichi e, soprattutto, il carattere che si ritrova, e ho pensato che una come Rumiko non avrebbe potuto che esserne attratta – considerato pure il tipo che è lei.

Ma occhio, perché la faccenda non si esaurisce qui, chiaramente: nel prossimo capitolo la signorina si ritroverà a incontrare il resto (o almeno una parte importante) dello sgarrupato e roboante Shohoku Basketball Team.

Mi rendo conto dell’esigua lunghezza di questo ‘Primo’, e vogliate perdonarmela.

Spero che almeno sia piacevole da leggere!

 

Ringrazio suuubito subito subito i/le rookies che hanno recensito il prologo:

Crici_82  (felice di sapere che l’inizio ti incuriosisce! Vediamo che mi dici del proseguo…)

Zakurio  (la continuo eccome – poiché sono un Genio, come disse qualcuno)

MihaChan  (onoratissima e… eccoti servita!)

Lucilla_bella  (sul serio sono la tua passione? Allora spero che la giudicherai positivamente)

Kenjina  (sì cara, una parte di responsabilità è anche tua ;D son contenta che tu stia apprezzando!)

Kuro  (eeh, la Rumi ha stoffa da vendere – a modo suo…!)

 

E ovviamente chi legge e favva in silenzio. Thanks!

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** secondo: a transfer. ***


Capitolo terzo : LA NUOVA ARRIVATA

secondo: a transfer.

 

 

 

 

La targa all’ingresso della scuola recitava “Scuola Superiore Shohoku”, ostentando una raffinata scritta in caratteri dorati che rilucevano invitanti ai raggi del sole mattutino; il cortile era circondato da un bel muro in mattoni e il ghiaino del grande spiazzo, gremito di studenti, era ricoperto da innumerevoli foglie – foglie che furono irrimediabilmente sparpagliate a destra e a manca quando Rumiko fece il suo ingresso nel cortile, correndo come una forsennata nel timore di essere in ritardo e sollevando un mezzo tornado.

Meno male non era ancora suonata la prima campanella!, si disse con sollievo rallentando l’andatura, mentre osservava i vari capannelli di ragazzi e ragazze ancora belli tranquilli a chiacchierare. Si riaggiustò il fiocco e la gonna, che le erano andati di sghimbescio durante la corsa, e iniziò a guardarsi intorno: il suo scopo ufficiale era quello di farsi un’idea della gente e dell’ambiente e di trovare qualcuno a cui rivolgersi per trovare la sua classe, ma officiosamente era alla disperata ricerca di Hanamichi.

Intanto gli studenti attorno a lei stavano iniziando a notarla, soprattutto la popolazione maschile che non poté trattenersi dallo scambiarsi gomitate e dal commentare quanto interessante fosse la nuova arrivata. Rumiko era però immersa in ben altri pensieri e non ci fece molto caso – e mai ce ne aveva fatto, a voler essere sinceri.

Ed era così concentrata che non si accorse dei due ragazzi proprio di fronte a lei. O meglio, se ne accorse solo quando andò a sbattere contro di loro.

– Ouch! – si lamentò il più alto.

– Occacchio! Scusatemi, non vi avevo visti, avevo la testa da un’altra parte. – e giù inchini per farsi perdonare.

Bell’inizio: era appena arrivata e già aveva fatto una figura di merda!

Quello più basso e robusto, dalla faccia larga e simpatica, si mise a ridere:

– Non ti preoccupare, non è niente! Vero, Mitchan? – chiese all’altro, che era intento a strofinarsi una scarpa, su cui Rumiko aveva lasciato un’impronta bianchiccia di ghiaino.

– Hai ragione, Nori. – assentì questi con un sorriso. – Non è niente di grave.

La nostra lo osservò meglio: accidenti, era molto carino anche lui! Alto, snello, con un bel viso sottile e folti capelli neri dal taglio sbarazzino; aveva pure una cicatrice sul mento, particolare che lo rendeva intrigante il doppio.

– Sei perdonata, fanciulla. – disse rivolto a Rumiko con una strizzatina d’occhio; – Essere investiti da una ragazza come te di prima mattina è quasi un piacere! A proposito, sei nuova, vero?

Rumiko annuì, tutta contenta per i complimenti che il ragazzo le stava rivolgendo:

– Esatto, sono di Tokyo e questo è il mio primo giorno qui allo Shohoku. Mi chiamo Rumiko Ishida.

– Felice di conoscerti. Io sono Hisashi Mitsui e questo è il mio amico Norio Hatta. – rilanciò il moro stringendole la mano.

– Ma puoi chiamarci Mitchan e Norichan, come fanno tutti. – aggiunse Hatta.

Si misero a chiacchierare, e Rumiko venne così a sapere che Mitsui era del secondo anno e che (udite! udite!) faceva parte del club di basket. Lui e Nori erano amici da tempo. Poi la conversazione cadde sulla ragazza:

– In che classe ti hanno messa, Ishida? – s’informò Mitsui.

Lei rimestò nella borsa e ne tirò fuori il modulo d’iscrizione: – Vediamo… Ah, ecco qui! Sono in I-10.

I due ragazzi si misero a sghignazzare: – In I-10! – ripetè Mitsui, – In classe con quel rubacuori di Rukawa! Che ingiustizia, scommetto che ti innamorerai di lui come tutte.

Rumiko aguzzò le orecchie: – Rukawa? L’ho già sentito nominare.

– Mi sarebbe parso strano il contrario… – ribattè l’altro. – Siamo compagni di squadra, e lui è un tipo piuttosto schivo. Non è che mi stia molto simpatico, ma farò uno sforzo e te lo presenterò.

La ragazza si stava arrovellando il cervello: che si trattasse del Rukawa di cui le aveva parlato Hanamichi il giorno prima? Oppure aveva solo lo stesso nome? Se fosse stato davvero lui, era probabile che anche Hanamichi fosse in quel liceo. Forse doveva chiedere a Mitsui.

– Ah, eccolo che arriva! – esclamò Nori d’un tratto, indicando un ragazzo che si dirigeva a tutta velocità verso il cortile in sella a una bici scassatissima, benché sembrasse praticamente addormentato. E quando toccò terra molte ragazze che erano lì vicino diventarono paonazze o assunsero un’aria da triglia in una tale, perfetta sincronia che quasi spaventò l’ancora ignara Rumiko.

– Ehi, Rukawa! Buongiorno! – gridò Mitsui.

– Nh. – bofonchiò Rukawa avvicinandosi ai tre.

Per Rumiko vederlo fu un altro discreto shock: era incredibilmente bello, più di qualsiasi altro che avesse visto fino a quel momento, con una disordinata zazzera corvina e profondi occhi scuri dal taglio allungato, e un volto affilato ed elegante malgrado l’espressione imbronciata e fredda.

La ragazza si sentì avvampare appena.

– Scusami, campione, – proseguì Mitsui, – volevo presentarti la nuova arrivata, visto che è in classe con te.

Dal momento che l’altro non accennava a replicare, Mitsui cinse la spalle di Rumiko con un braccio e declamò con aria scherzosamente solenne:

– Questa è Rumiko Ishida, appena arrivata da Tokyo. Attento a dove cammini perché potresti ritrovartela su un piede.

– Aha. Piacere di conoscerti, Rukawa. – ridacchiò lei.

E in quell’istante ci fu un cambiamento repentino nell’algidità del ragazzo: da impassibile che era, il suo viso parve prendere vita e i suoi occhi si spalancarono, del tutto svegli, mentre fissava Rumiko. Fu un attimo, e bastò.

– Ah, beh. – borbottò – Il piacere è mio, Ishida.

Mitsui fece un sorrisetto. Dunque l’Artica Kitsune nascondeva un sanissimo lato virile e umano, dato l’effetto che sembravano aver sortito su di lui il musetto solare e le labbra invitanti di quella miniatura piombata lì dalla capitale! Un evento che prometteva sviluppi molto interessanti.

– Allora, Rukawa. – riprese ad alta voce, – Che ne dici di accompagnarla in classe? Tanto dovete fare la stessa strada, giuuuuusto?

Rukawa sprofondò ancora di più sotto la frangia:

– Certo. – e senza aggiungere altro si voltò e si avviò verso l’edificio.

Rumiko fece per seguirlo, ma prima salutò Mitchan e Nori che le promisero d’incontrarsi durante la pausa pranzo.

Mentre camminava per i corridoi affollati assieme al ragazzo, Rumiko ebbe modo di notare una serie di cose. Prima di tutto gli sguardi stupiti, incuriositi e assai invidiosi che le scoccò l’ottanta per cento della popolazione femminile del liceo nel vederla al fianco di Rukawa; secondariamente, l’atteggiamento imbarazzato del compagno.

In effetti Rukawa si sentiva strano: non gli era mai successo prima di allora, eppure quando si era ritrovato davanti quella tipina dagli occhi grandi e l’aria intelligente il suo cuore aveva preso a battere furiosamente, e ancora non accennava a smettere. Inoltre questa Ishida non si era comportata come tutte le altre, nel vederlo: non era arrossita fino alle orecchie, non si era messa a sghignazzare con fare isterico, non gli si era appiccicata a mo’ di ameba – atteggiamenti che Kaede Rukawa detestava e che gli facevano considerare le donne una massa di oche decerebrate. La nuova arrivata si comportava in modo naturale e spontaneo con lui, parlava a ruota libera e non appariva assolutamente agitata.

Ed era maledettamente carina.

Per la prima volta in vita sua, Rukawa capì di aver iniziato ad interessarsi a qualcuno e la rivelazione lo sconvolse non poco.

Rumiko, invece, era incredibilmente tranquilla. È vero, aveva fatto amicizia con due meravigliosi giocatori di basket, e le piacevano, però non si era presa alcuna cotta per nessuno dei due. Per quanto infatti Hanamichi fosse meno attraente di Mitsui e Rukawa, Rumiko ormai aveva in testa soltanto lui, e non c’era verso di cambiare idea. Certo che se non lo avesse più incontrato…

No, Hisashi si sarebbe rivelato un ottimo amico, lo sentiva, quindi meglio non pretendere altro. Quanto al taciturno Rukawa, doveva saperne di più.

– Rukawa, senti… – iniziò Rumiko.

Il ragazzo sussultò, lasciandola perplessa: – Cosa c’è?

– Ti scoccia se ti chiamo Rukakun?

– Mh. – si affrettò a monosillabare lui.

– Tu puoi chiamarmi Rumiko, se ti va, invece che per cognome. E poi… fai parte della squadra di basket, vero?

– Mh mh. – doppiò Rukawa, senza sprecarsi.

– No, sai, il fatto è che gioco anch’io a basket. Avevo una squadretta, a casa… casa vecchia, intendo. – spiegò Rumiko.

Giocava pure a basket?, prese mentalmente nota il ragazzo, al settimo cielo.

Come poteva esistere una tipa così? Pareva fatta apposta per lui!

Finalmente arrivarono alla porta della loro classe, proprio nel preciso istante in cui suonava la penultima campanella.   

– Buongiorno! – esclamò Rumiko nel mettere piede in aula.

Al suono della sua voce squillante, tutti si voltarono: le ragazze le sorrisero (tranne alcune, che invece la fulminarono perché era con Rukawa), vari ragazzi risposero al saluto e altri fecero una di quelle classiche facce da carpa al vapore.

– Buongiorno. – replicò una ragazza alta e bruna con gli occhiali; – Sono Yukari Nimura, la capoclasse. Tu devi essere Rumiko Ishida.

– Proprio così. Felice di conoscerti, Nimura. – sorrise la nostra.

Gli altri compagni iniziarono a presentarsi e a darle il benvenuto, anche se non si dimenticarono di rivolgere una parola al taciturno Rukawa, spesso con ammiccamenti più o meno espliciti. Il ragazzo si sistemò al proprio banco, appoggiandovi la testa sia per dormire che per nascondere l’insolito colorito.

Suonò l’ultima campana, e un professore bassetto con due enormi fanali sul naso fece la propria comparsa:

– Buongiorno, ragazzi.

Tutti si precipitarono ai rispettivi posti, tranne Rumiko che non aveva la più pallida idea di dove sedersi.

– Oh, Ishida! Sei appena arrivata, giusto? – si sovvenne l’uomo aggeggiandosi gli occhiali.

Rumiko assentì.

– Molto bene. Benvenuta, dunque! C’è un posto libero davanti al banco di Rukawa, che dorme come al solito. Puoi metterti lì. – suggerì, e la ragazza obbedì facendo pensare alle altre che doveva avere una fortuna sfacciata.

Quella mattina in I-10 non si fece niente. Tutti i professori chiesero diverse cose alla nostra, facendola parlare di Tokyo, delle sue usanze, della sua vita quotidiana, della sua vecchia scuola e del motivo per cui era arrivata a Kamakura. In poche parole, furono orette davvero piacevoli.

Peccato che, per la Legge del Contrappasso, i compiti per casa furono più abbondanti del previsto.

Rumiko stava già conquistando i compagni con il suo comportamento vivace e spontaneo. Il povero Rukawa non riusciva a smettere di guardarla, tra un sonnellino e l’altro.

La ragazza era soddisfatta: gli studenti indigeni non sembravano antipatici e l’avevano accolta nel migliore dei modi; i professori non si erano ancora rivelati tremendi e la scuola in sé non le dispiaceva.

Arrivò presto l’ora della pausa pranzo. Con un boato di gioia i liceali si riversarono come una mandria affamata nei corridoi, con i loro sacchettini di bento in mano. Rumiko stava fissando il proprio, lo stomaco che le rumoreggiava dolorosamente, e addentò di gusto un panino imbottito. Sua madre stava vivendo un periodo di fissazione dura per la cucina occidentale.

Pure Rukawa era intento a sgranocchiare qualcosa, appollaiato sul davanzale della finestra, e di tanto in tanto lanciava occhiate alla ragazza, non riuscendo a trovare nulla di sensato da dirle. Gli faceva sempre un po’ fatica spiccicare più di cinque parole per volta, e in questo caso era ancora più difficile per colpa dell’assurdo sfarfallìo che avvertiva allo stomaco quando Rumiko aveva la malaugurata idea di lanciargli un sorriso.

A un certo punto Mitsui fece capolino sulla porta dell’aula: – Ehilà, Ishida! Come va?

– Salve a te! – rispose lei. – Tutto bene, grazie.

– Sai com’è, ero un po’ preoccupato. Temevo che le fans di Rukawa ti avrebbero spennata! – ridacchiò Hisashi.

– Beh, a quanto pare non hanno ancora provveduto. Ma poi, perché dovrebbero farlo?

Il moro non rivelò nulla al riguardo. Invece si scostò leggermente e Rumiko vide che insieme a lui c’era una ragazza molto carina, castana e dagli occhi grandi, che doveva avere la sua stessa età e sfoggiava due belle guance rosee:

– Rumiko, volevo presentarti Haruko Akagi. – disse Mitsui; – È la sorella del capitano della nostra squadra.

Haruko sorrise e tese la mano a Rumiko: – Ben arrivata. – esordì.

– Grazie. – fece Rumiko accettando la stretta.

Ma la nuova venuta sembrava interessata a ben altro, adesso: guardava in direzione di Rukawa, che non si era mosso dal davanzale, ed era arrossita ulteriormente. Rumiko intuì che Haruko doveva essere innamorata di lui e così, anche per aiutarla a parlarci, lo chiamò:

– Rukakun!

Rukawa non se lo fece ripetere due volte e schizzò vicino a Rumiko: – Nh?

– Oh! Ciao Rukawa! – annaspò Haruko con voce tremolante.

– Hn. – grugnì lui per tutta risposta. Indubbiamente, si disse Rumiko, sapeva essere stronzo.

– Senti, ieri un ragazzo mi ha parlato di te… – cominciò la nostra.

– Pure i ragazzi, adesso? – ghignò Mitsui.

– … ma non ne sono sicura, visto che potrebbe esserci qualcun altro a giro col tuo stesso nome. – proseguì Rumiko, cercando di non mettersi a ridere per la battutaccia: – Quindi volevo sapere se conosci il tipo in questione.

– Come si chiama questo ragazzo? – chiese Haruko incuriosita.

– Hanamichi, Hanamichi Sakuragi.

– Hanamichi! – gridarono Mitsui e Haruko all’unisono con un sorrisone.

– Hai conosciuto Sakuragi? – esclamò (miracolosamente) Rukawa con aria poco contenta.

Rumiko li fissò incredula. Allora Hanamichi andava lì allo Shohoku, se loro tre lo conoscevano!

– Siete suoi amici? – s’informò.

– Sì. – asserirono Haruko e Mitsui.

– No. – rispose Rukawa, che si era fatto torvo.

– Dunque è in questa scuola. – continuò la ragazza sentendosi leggera leggera.

– Ed è compagno di squadra mio e di Rukawa. – concluse Mitsui.

Rumiko non credeva alle proprie orecchie: Hanamichi frequentava la sua stessa scuola e giocava nel club di basket! Troppo bello per essere vero!

Doveva assolutamente entrare in qualche modo nella squadra, a costo di pulire i cessi!, pensò.

Voleva rivederlo e capire se davvero le piaceva così tanto.

Rukawa non potè fare a meno di notare l’espressione che la ragazza aveva assunto quando aveva saputo di Hanamichi. Non riusciva a crederci, ma pareva proprio che fosse interessata a lui, a quel do’hao cerebroleso! Non era possibile!

– Mitsu, come posso fare per entrare nel club di basket? – chiese Rumiko speranzosa.

– Mah, fammi pensare… Puoi travestirti da ragazzo e far parte della squadra. – scherzò l’altro.

– Temo che non funzionerebbe. – ribatté lei divertita.

– Cazzate a parte, dovresti parlare con la nostra manager o con il capitano. Ancora meglio con il signor Anzai, l’allenatore. Loro potrebbero suggerirti qualcosa.

Haruko s’intromise: – Secondo me potresti essere d’aiuto alla manager. Una sorta di vice.

Non era una cattiva idea. Restava solo da chiedere ad Ayako.

– Scusa, hai detto che sai giocare, no? – saltò su Rukawa, che ovviamente ci teneva moltissimo all’avere Rumiko in squadra.

– Sì, ma questo non mi serve a… – contestò Rumiko, e Mitsui intervenne:

– Potresti sentire se ti prendono come aiuto-allenatore. – ed era serio.

Ecco un’altra proposta ragionevole. Alla ragazza piaceva molto, però non era scontato che fosse praticabile.

La pausa pranzo era finita. Mitsui e Haruko si avviarono verso le rispettive classi, non prima che il ragazzo si fosse offerto di accompagnare Rumiko in palestra alla fine delle lezioni: era davvero gentile, notò lei sorridendo in sordina. 

 

 

Finalmente, alle due del pomeriggio, la campanella segnò la fine definitiva delle lezioni per quel giorno. Il suono era orrendo, un gracchìo indefinito e stressante, ma a Rumiko sembrò un trillo argentino, dato che nel giro pochi minuti avrebbe rivisto Hanamichi.

Hisashi la stava aspettando in corridoio, sacca sportiva in spalla e mani in tasca.

Anche Rukawa l’aveva aspettata e si aggregò ai due, mugugnando a ragione che tanto doveva andare anche lui in palestra. Quindi Rumiko fu praticamente scortata sia da Mitsui che da Rukawa fino in palestra. E nonostante avesse al fianco due ragazzi cotali, quasi non ci fece caso: la sua mente era già proiettata in avanti, all’incontro con Hanamichi, ed era tutta elettrizzata. Quando varcarono la soglia della palestra Rumiko si diede un paio di schiaffetti e si ripromise di fare la persona normale, nei limiti del possibile, e di non fare figuracce – ovviamente ignorando che le figure di merda erano parte integrante del DNA del Genio e all'ordine del giorno per l'intera formazione.

Mitsui e Rukawa la lasciarono e si andarono a cambiare negli spogliatoi, e la nostra si ritrovò improvvisamente sola nella grande palestra in cui, al momento, c’erano soltanto due persone: una ragazza ricciuta e abbastanza alta e un ragazzo gigantesco, muscoloso, con un taglio di capelli che ricordava quello tipico dei giocatori dell’NBA. Dovevano essere la manager e il capitano Akagi. Rumiko si fece coraggio e andò loro incontro:

– Scusate, – li apostrofò, – sto cercando il capitano e la manager della squadra.

Il ragazzone si voltò: – Siamo noi. E tu saresti…? – disse. Aveva un cipiglio severo e orgoglioso.

– Sono nuova di qui. Mi chiamo Rumiko Ishida. – rispose la nostra.

– Ah, la famosa transfer di stamani! – esclamò la riccia. – Felice di conoscerti. Sono Ayako Mori.

Si strinsero la mano. Poi fu il capitano a presentarsi: – Io sono Takenori Akagi e, come già sai, sono il capitano della squadra di basket del liceo. Benvenuta. – e le elargì una tale stretta che quasi maciullò le dita di Rumiko.

– Beh, grazie! Vedete, volevo chiedervi una cosa. – cominciò la minuta tokyota. Che doveva dire, ora? Arrossì e andò avanti:

– Ecco, mi piacerebbe molto entrare nel club, anche se so che questo è praticamente impossibile. Avete già una manager e non posso far parte della squadra, essendo una ragazza, ma ci terrei proprio tanto.

Ayako e Akagi la guardarono piuttosto stupiti e lasciarono che proseguisse:

– Sono disposta a fare di tutto, giuro. Pulire la palestra, i palloni, i cessi e i canestri, lavare le divise, fare la raccattapalle e cose del genere, basta che possa diventare una dei vostri. Vi prego! – e s’inchinò.

La manager era quasi commossa: di sicuro c’era una ragione ben precisa se Ishida voleva a tutti i costi entrare in squadra. Era assai probabile che le interessasse qualcuno dei ragazzi, ed era pronta a scommettere che si trattasse di Rukawa – e scommetteva male.

– Per me va più che bene. – assentì. – Devo dire che ci sarebbe bisogno di una vice-manager, vero Akagi?

– Concordo. – confermò il capitano.

Rumiko era felicissima: – Ne sarei onorata, senpai.

In quel momento fece il suo ingresso un vecchietto dall’aria simpatica, basso, largo e vispo: Rumiko, che di basket se ne intendeva, lo riconobbe all’istante come uno dei più famosi allenatori del Giappone, il cosiddetto “Diavolo dai Capelli Bianchi”, quell’Anzai! Era dunque lui il coach dello Shohoku?

L’anziano signore salutò giovialmente Ayako e Akagi, che risposero in tono educato.

Poi gli fu presentata Rumiko, e Ayako gli spiegò la situazione e gli espose la richiesta della ragazza:

– Lei che ne dice, signor Anzai? Può diventare la vice-manager?

L’allenatore non si espresse subito e Rumiko prese a pregare mentalmente tutti gli dèi possibili e immaginabili affinché Anzai dicesse di sì.

Infine il Buddha parlò:

– Oh, oh, oh! Dimmi, Ishida, sei brava nel basket?

Rumiko, Ayako e Akagi rimasero interdetti.

– Sì, posso dire di essere brava. – azzardò la ragazza.

– Vedi, io sarei dispostissimo a prenderti come aiuto-manager, ma ho idea che tu possa essere più utile come allenatrice attiva della squadra. – illustrò Anzai.

– Allenatrice attiva? Io? In che senso? – si meravigliò Rumiko, che non ci capiva un tubo.

– Voglio dire che mi saresti molto d’aiuto per allenare i ragazzi qui in palestra, essendo giovane e conoscendo il basket. Io sono l’allenatore “teorico” dello Shohoku e me ne resto a bordo campo a dispensare consigli, ma tu potresti essere un’allenatrice “pratica”, se capisci ciò che intendo.

Rumiko era rimasta a bocca aperta: l’allenatore le stava offrendo un ruolo straordinario all’interno del club. Allenare la squadra insieme a lui, senza che lei gli avesse ancora chiesto nulla! Questo sì che la esaltava!

Il capitano e la manager, seppur con qualche perplessità, si dichiararono pienamente d’accordo, trovando l’idea ottima.

– Ne è davvero sicuro, signore? – chiese Rumiko per accertarsi di non essersi immaginata ogni cosa.

– Ma certamente! Però prima dovrò metterti alla prova, ragazza mia. Mi piacerebbe vederti all’opera già da oggi, se per te va bene, così saprò prendere una decisione definitiva. Come la vedi, Ishida? – indagò Anzai.

La ragazza lo guardò sfoggiando un’aria pienamente sicura di sé, utile a mascherare il rimescolìo che le tartassava il petto: – Le prometto che non deluderò le sue aspettative, sensei. Tengo troppo a far parte del club per permettermi di sbagliare. – sentenziò.

– Oh, oh, oh! Se la pensi così non fallirai. – decretò l’anziano allenatore, fiducioso.

Ayako e Takenori sorrisero a Rumiko.

Lei, dal canto suo, afferrò la sacca che provvidenzialmente quella mattina si era portata appresso e corse negli spogliatoi femminili, dove potè finalmente dare sfogo alla propria euforia: mentre si toglieva la divisa e indossava shorts e maglietta cominciò a saltare qua e là per lo stanzone, canticchiando con gioia una versione in falsetto del tema di Momenti di gloria e soffocando gridolini di trionfo.

Le era quasi sembrato che Anzai le avesse letto nel pensiero, prima di farle quella proposta. Chissà cosa aveva spinto quell’ometto leggendario a trovarla adatta come allenatrice attiva del team dello Shohoku, almeno a parole, rimuginò allacciandosi le scarpe da basket e tenendosi in equilibrio su una gamba sola.

Improvvisamente si udirono varie voci maschili provenienti dalla palestra e un grande scalpiccìo: i ragazzi della squadra stavano arrivando, e lei non resisteva più dalla curiosità di fare la loro conoscenza.

Con un ultimo saltello aggraziato (all’incirca) Rumiko uscì dallo spogliatoio (sbattendo contro un armadietto), tirò un sospirone e sbraitò risoluta:

– Coraggio, microbo, è il tuo momento!

E si diresse verso la porta continuando a canticchiare mentalmente la celeberrima melodia di Vangelis.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

E dopo Hanamichi, ecco fare capolino in campo anche gli altri pazzoidi dello Shohoku! Non tutti, è vero, ne mancano un paio, ma penso che per questo capitolo la Rumi sia più che a posto.

Volevo soffermarmi un attimo sulla nostra beneamata Kitsune dei Ghiacci: siccome Rukawa, nonostante tutto, mi piace molto, volevo fargli avere un ruolo importante in questo bailamme – e siccome mi sono stufata di vederlo sempre descritto UNICAMENTE come essere insensibile votato solo al basket e/o misogino ho scelto di dargli una bella scossa grazie a Rumiko. Perché è umano e uomo anche lui, suvvia!

Il cognome di Ayako, "Mori", essendo a noi sconosciuto, me lo sono inventato di sana pianta.

 

Mi traslo sui ringraziamenti a:

MihaChan (essì, proprio Hanachan! non potevo farne a meno… e per il resto, sta’ a guardare ;P)

Kenjina (mia diletta! m’inchino di fronte ai complimenti e ti invito a restare connessa, ché le follie proseguono)

Ma tutte le altre dove sono finite? Comunque, grazie a tutti!

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

 

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Capitolo 4
*** terzo: la Signora dei Canestri. ***


Capitolo quarto : CAMPIONE IN GONNELLA

terzo: la Signora dei Canestri.

 

 

 

 

Nel riemergere dagli spogliatoi, Rumiko notò che la palestra si stava affollando di esponenti del soi-disant Sesso Forte che aspettavano l’ordine dei senpai per iniziare gli allenamenti. Nell’attesa che Anzai o il capitano la chiamassero, la nostra rimase nell’ombra della porta, scrutando ben bene i componenti del team: c’erano alcuni ragazzi di statura normalissima, che indubbiamente erano matricole o riserve, e ce n’erano di più alti e robusti, sicuramente del secondo o terzo anno.

Tra tutti svettavano Rukawa, Mitsui e Akagi. Vicino a loro si trovavano un giovanotto niente male, dai capelli nerissimi e con un paio di occhiali sul naso, e un tizio decisamente basso con un bel faccino furbetto.

E Hanamichi?, si domandava Rumiko freneticamente, voltando la testa a destra e a manca nella speranza di vederlo entrare.

Era già sul punto di disperarsi, quando dal corridoio degli spogliatoi maschili fece capolino l’inconfondibile ciuffo rosso del ragazzo, che esclamò: – Ciao a tutti!

– Brutto idiota, sei in ritardo! – lo apostrofò duramente il capitano, tirandogli un gran pugno sul capo.

Do’hao. – rincarò l’Artica Kitsune.

Hanamichi li guardò storto e replicò: – Ehi, Gorilla, guarda che ho le mie buone ragioni per… – ma Akagi non lo lasciò finire e si limitò a ordinargli di mettersi in riga con gli altri.

Rumiko era completamente partita. Il ragazzo dei suoi sogni era proprio lì, e ora stava salutando amichevolmente i compagni, Rukawa escluso. Non le sfuggirono, in effetti, le occhiatacce che i due si scoccavano, solo che non ebbe modo di rimuginarci sopra perché Ayako chiese il silenzio ed esordì dicendo:

– Ragazzi, ho una notizia da darvi.

Il cuore di Rumiko accellerò di battiti.

– Da oggi, se tutto va bene, avremo un nuovo valido aiuto in squadra. Qualcuno che mi darà una mano nel mio lavoro di manager e che vi allenerà attivamente. – spiegò la riccia.

Le sue parole suscitarono la curiosità generale e i giocatori presero a parlottare fra loro, fino a che un poderoso ruggito del capitano non li fece smettere.

Ayako agitò la mano in direzione di Rumiko, invitandola a uscire allo scoperto:

– Ecco qua il nostro nuovo acquisto! – proclamò la manager con fare cerimonioso, spingendo la nostra eroina in avanti; – E nuovo acquisto di tutta la scuola. Ragazzi, vi presento Rumiko Ishida.

– Salve, signori. – azzardò la ragazza.

L’intera squadra si ringalluzzì alla vista di quella tipina in pantaloncini corti neri e maglietta azzurra che sorrideva, e Rukawa più di tutti.

“Accipicchia, se è carina…”

“Sarebbe lei la nuova allenatrice? Allora mi allenerò anche il doppio!”

“Come ho fatto a non notarla stamattina?”

“A volte in questo club càpitano fortune incredibili.”

Pensieri simili serpeggiarono fra i giocatori, incuranti della faccia burrascosa del capitano. Hanamichi, dal canto suo, dopo aver guardato meglio la ragazza, si ricordò improvvisamente di averla già incontrata:

– Ah, ma tu sei la tipa del campo da basket, quella che ha fatto una schiacciata che avrebbe fatto impallidire Rukawa! – gridò, mentre l’interpellato gli sibilava contro cose poco ripetibili.

– Proprio io. Vedo che ti rammenti di me. – disse Rumiko con voce tremante.

– E come potevo dimenticarti? Con un dunk così…! Sono contento di ritrovarti qua. – fece Hanamichi, ignaro della reazione che aveva scatenato nella ragazza con quelle parole.

– Ah. Dunque Ishida è una realizzatrice formidabile? – chiese Takenori con un certo interesse.

– Oh, beh, certo, ma non può competere con il mio Genio Assoluto. – prese a vanagloriarsi Hanamichi. – Hai capito, Rukawa? Lei è molto più in gamba di te, nullità!

– Strafottiti, seghetta.

E via dicendo. Akagi batteva la testa contro il muro e ripeteva “Ma perché? Perché tutte a me?”.

Rumiko, invece, era rimasta un po’ male a quella frase di Hanamichi. Era tuttavia probabile che non lo avesse detto per cattiveria, bensì a causa della sfegatata fiducia che nutriva nelle proprie incredibili capacità. Ayako intervenne con prontezza: tirò una ventagliata tremenda in capo ai due contendenti e li fece smettere una volta per tutte.

Quindi, consolato il capitano, si rivolse di nuovo ai giocatori:

– Bene, posso proseguire? Grazie! Allora, Ishida, ti presento i nostri uomini più validi. I due idioti là, ovvero Sakuragi e Rukawa, già li conosci. Quello è Kiminobu Kogure, che gioca come ala piccola, mentre il ragazzo accanto a lui è Ryota Miyagi, il nostro abilissimo playmaker. – (e qui Ryota si fece raggiante) – E come guardia abbiamo lui, Hisashi…

– Mitsui. – concluse Rumiko per lei: – Ci conosciamo.

Il povero Mitsu ricevette qualche occhiata d’invidia da parte dei compagni, poiché aveva avuto la fortuna di diventare amico della piacente transfer.

Ayako le presentò anche gli altri, tra cui Yasuda, Kakuta e Shiozaki. Erano già passati svariati minuti, se non una mezz’ora, ed era tempo di allenarsi.

Il capitano Akagi battè amichevolmente una mano sulla spalla di Rumiko e le disse:

– A te, Ishida! Per il momento me ne starò in panchina a vedere come te la cavi. Ma quando dovremo fare una partitella tra noi non mancherò. Buona fortuna, e torchiali quanto vuoi.

Detto questo sedette tra Ayako e il signor Anzai, e Rumiko si ritrovò in mezzo ai giocatori con il cuore che batteva forte e un preziosissimo posto di allenatrice attiva non ancora suo. Inspirò pesantemente, incrociò le dita ed esclamò:

– Al lavoro, gente.

 

 

L’allenamento iniziò come di consueto con il riscaldamento: una decina di giri di campo, svariati tipi di corsa, un po’ di stretching.

Rumiko, non volendo fare la figura della bastarda dispotica, non fu tanto dura e gli esercizi furono alquanto facili e tranquilli, sebbene quegli sbavanti dei suoi compagni non facessero nemmeno caso a dove mettevano i piedi.

Poi arrivò il turno dei fondamentali, e dato che la ragazza non conosceva ancora bene il “programma” che i membri dello Shohoku seguivano si limitò a dar loro direttive dal bordo campo, elargendo consigli, indicazioni e qualche occasionale rimbrotto a proposito di passaggi, palleggi, tiri e rimbalzi.

Ma non era a suo agio come invece mostrava di essere: sentiva lo sguardo dell’allenatore puntato ora su di sé, ora sui ragazzi, e sapeva benissimo che Anzai stava intimamente valutando il suo lavoro. Dipendeva tutto da lei, e ne aveva paura.

Comunque non ci pensò più di tanto: bastarono un paio di passaggi ben eseguiti da Hanamichi per gettarla in uno stato di semi-adorazione. Questo non le impedì di cogliere quanto fossero bravi anche Mitsu, Ryota e, soprattutto, Rukawa, stando a quel che vedeva.

Mentre Rumiko si dava dunque da fare come una forsennata, Ayako osservava attentamente la scena: c’era qualcosa di diverso in Rukawa, un’espressione sul volto sconosciuta alla giovane manager, nonostante lo conoscesse sin dai tempi dalle medie. Era stranamente infervorato.

Sembrava che stesse cercando di farsi notare da qualcuno, pensò Ayako; peccato che non ci fossero ragazze lì, a parte lei e… Rumiko? Un’ideuzza si fece strada nella sua testa: che il bel Kaede volesse pavoneggiarsi in silenzio di fronte alla nuova arrivata? Quello era un comportamento da Sakuragi!

E poi, Ishida chi stava guardando? Ma dato che i giocatori si spostavano in continuazione era impossibile capire chi Rumiko stesse fissando con occhi ardenti.

Alla fine arrivò il turno della partitella. Akagi scese in campo con la solita andatura da Gorilla fiero e si accostò alla ragazza: – Ishida, adesso toccherebbe all’incontro tra matricole e alunni del secondo e terzo anno. Lo facciamo tutte le volte.

– Mh mh. – annuì Rumiko distrattamente. Stava rimuginando su qualcosa: – Senti, senpai, posso giocare anch’io?

Il Gori inarcò le sopracciglia folte: – Vuoi davvero giocare?

– Diamine, sì. – trepidò Rumiko con un sorriso speranzoso che fece andare in gelatina più di un giocatore e fece quasi scoppiare un embolo a Rukawa, il quale non riusciva a capacitarsi delle sue stesse reazioni. Davanti a una supplica così accorata nemmeno Akagi seppe rifiutare, e le consentì di essere il “capitano” della squadra dei primini dandole addirittura una maglia con il numero 10 che su di lei sembrava una monacale camicia da notte.

Così la nostra entrò in campo, eccitatissima all’idea di giocare con Hanamichi.

– Ehi, Rumi, pare che siamo rivali, a questo giro. – commentò Mitsui.

– Bada, so essere spietata in campo! – rispose Rumiko scherzando.

– Che ne dici se ti marco io? Voglio vedere come te la cavi a fronteggiare un ex MVP!

– Eri un MVP? – si stupì la ragazza.

– Un giorno ti parlerò della faccenda. Ora pensiamo alla partita!

Hanamichi diede una pacchetta sulla spalla di Rumiko e sfoderò un altro di quei suoi anestetici sorrisi:

– Passa sempre a me, intesi? E fai sfigurare Rukawa! – e le fece l’occhiolino.

Lei non rispose nulla: partita per la tangente, rimirava il Rossino con aria adorante.

Lo avrebbe steso con il suo stile di gioco!

Purtroppo, però, c’era un piccolo particolare che non aveva ancora considerato.

Infatti, proprio mentre i ragazzi si preparavano per la partita, la sorella di Akagi entrò in palestra sorridendo e con le braccia cariche di bottiglie:

Hallo! Vi ho portato da bere!

– Haruko! – esclamò Hanamichi, facendosi più scarlatto dei propri capelli.

A Rumiko non sfuggì il fatto che l’espressione beota che il ragazzo aveva sfoderato nel vedere l’altra era identica a quella che assumeva lei nel guardare lui.

In effetti la Akagi era maledettamente carina, con quegli occhioni da cerbiatta che si ritrovava, ed era piuttosto alta e ben fatta. Niente a che vedere con il suo metro e sessanta scarso.

Fortunatamente la tokyota si ricordò che Haruko aveva un debole per Rukawa, il che poteva essere un punto a suo favore. Inoltre Haruko non giocava a basket, considerò tra sé e sé con un basso ringhio competitivo e i pugni stretti in una posa eroicamente plastica.

Nel frattempo, a pochi passi da lei, pure il Rossino e Kaede erano gasati da far spavento: il primo si riproponeva per l’ennesima volta di stupire Haruko con la sua genialità di basketman, facendo sfigurare l’eterno rivale; il secondo si riprometteva di giocare talmente bene da catturare l’attenzione di Rumiko e farle dimenticare quell’idiota di Sakuragi. La situazione si stava facendo complicata.

Gli altri li scrutavano con grossi goccioloni di sudore sulla fronte: cos’avevano in mente quei tre? Ci si metteva pure Rukawa, adesso? Ayako e Akagi erano prossimi all'esasperazione, ma decisero che per il momento era meglio lasciar correre.

La manager si fece avanti, pallone in mano, e annunciò: – Palla a due!

Il capitano e Kaede si fronteggiarono, aspettarono che lo Spalding raggiungesse il suo massimo punto d’altezza e scattarono in alto: la mano di Rukawa colpì il pallone, che fu prontamente recuperato da Rumiko prima che lo afferasse Kogure.

Dal bordo campo di levò un’esclamazione di stupore: la minuta allenatrice si stava già scaldando!

– Wow, complimenti! – disse Mitsu bloccandole la strada. – Ma voglio proprio vedere come farai a smarcarti!

La nostra sogghignò e, con un movimento rapidissimo, si voltò indietro, lanciando la palla a Hanamichi:

– Grande! Bel colpo, Rumiko! – esultò il Rossino, prendendo a correre verso il canestro.

Mitsui sorrise a sua volta.

Sakuragi era ormai vicinissimo all’area di tiro quando la gigantesca mole del Gorilla gli si parò davanti, costringendolo a una brusca fermata:

– Sei sempre il solito, vuoi fare tutto di testa tua. – lo ammonì il capitano, – E molto spesso ci rimetti! – concluse facendogli volare via il pallone dalle mani.

Ma non aveva fatto i conti con Rukawa, che lo afferrò dal basso lasciando di stucco sia Takenori che Hanamichi. Un coro di strilli eccitati riecheggiò in tutta la palestra: erano arrivate le tre scalmanate del club delle Seguaci Di Kaede Rukawa, al secolo le rappresentanti delle migliaia di ragazze che gli correvano dietro; Haruko si limitò a sospirare con aria estatica.

D’un tratto Kaede riuscì a smarcarsi da Kogure e passò la palla alla ragazza: – A te, Ishida!

Ayako si fece interessatissima: cos’era questa novità del gioco di squadra da parte di Rukawa? Lui che voleva sempre fare tutto da solo ora interagiva con i compagni senza che nessuno glielo dicesse? C’era sotto qualcosa, eccome se c’era.

Rumiko, palleggiando, raggiunse il limite dell’area, fece una finta che confuse Mitsu per un istante e lanciò la palla: era un tiro da tre punti. Il pallone sorvolò le teste dei giocatori senza essere intercettato, disegnò un ampio arco e centrò perfettamente il canestro.

– Ma vai così! – berciarono i membri dello Shohoku, sia dell’una che dell’altra squadra, esplodendo in un boato terrificante.

Ayako c’era rimasta come un pesce lesso: – Accidenti… Ha fregato addirittura Mitsui. – considerò, e il signor Anzai si concesse uno dei suoi “Oh! Oh! Oh!” gaudenti.

Haruko applaudiva elettrizzata, Rukawa sembrava in trance profonda e Hanamichi guardava incredulo Rumiko, chiedendosi dove diavolo avesse imparato a giocare tanto bene, così bene da far quasi sfigurare tutti loro. Il Gorilla annuiva compiaciuto: strano ma vero, Sakuragi aveva avuto ragione a cantare le lodi della Ishida.

Lei sentiva emozionatissima, il cuore le batteva da fare spavento e aveva le gote incandescenti: aveva segnato il primo canestro! Aveva lasciato tutti di stucco, Hanamichi compreso! Si impose però di mantenere il proprio invidiabile aplomb, e il gioco riprese.

Seguirono diversi canestri da parte di Rukawa, Mitsu, il Gorilla e Kogure, oltre alle incredibili intercettazioni di Ryota e alle finte disarmanti di Rumiko.

E Hanamichi? La nostra notò subito che il ragazzo era abilissimo nel prendere la palla su rimbalzo, e tuttavia era ovvio che non sfruttasse fino in fondo questa sua capacità e che si muovesse a casaccio.

Allo scoccare del quintultimo minuto la partita era a favore della squadra dei grandi, un bel 20 a 16.

– Dannazione! – ululò Hanamichi: – Rukawa, che cavolo combini? Visto che ti credi tanto bravo, perché non ti dai una smossa? O in realtà non sai compicciare una mazza?

– Ma stai zitto, idiota. E tu, non sei il Genio del Basket? Quindi vedi di svegliarti! – replicò Kaede, incenerendolo con un’occhiata.

Purtroppo non si accorsero di Ryota, che fregò la palla a Rukawa e partì a razzo verso il canestro, dove aspettava il capitano.

– Eh, no, caro mio! Stavolta non te la faccio passare liscia! – gridò Rumiko, lanciandosi all'insenguimento di Miyagi.

– Tappo contro tappa. – sghignazzò bonariamente Hisashi.

Rumiko grugnì qualcosa di poco ortodosso e volò all’attacco: afferrò il pallone mentre Ryota lo faceva palleggiare e passò subito a Rukawa, che dal canto suo non aspettava altro.

E quando il numero undici aveva la palla tra le mani ed era vicino al canestro era ben difficile impedirgli di schiacciare. Tra un’imprecazione di Hanamichi e uno strillo unanime d’incoraggiamento da parte delle sue fans Kaede saltò, eluse la difesa del capitano e mise a segno uno di quei dunk che gli valevano il titolo di matricola imbattibile.

– Woah! Vai così! La distanza è solo di due punti! – urlò Rumiko trionfante, mentre Haruko si accasciava contro una parete come una pera cotta.

Hanamichi era furibondo: – Che dannato borioso sei, Rukawa!

Doveva segnare a tutti i costi! C’era di mezzo il futuro del suo amore con Haruko!

– Rumi, adesso passa a me!

Rumiko annuì. In quel momento la zona che la separava dal Rossino era libera, perciò effettuò un semplice passaggio. Hanamichi scattò in avanti, evitò facilmente Kogure e segnò. Va bene, era un canestro elementare, da terzo tempo, quello “dei poveri”, ma almeno aveva segnato.

– Oh. – sospirò la ragazza, squagliandosi più di una candela.

Il suo (molto per dire) Hana Dai Capelli Rossi era formidabile.

– Molto bene! – s’infervorò il soggetto in questione. – Diamoci dentro!

I compagni non se lo fecero ripetere due volte, a parte Rukawa che fremeva di rabbia e invidia: ma perché Rumiko doveva essere attratta da quell’imbecille patentato di Sakuragi? Perché non era innamorata pazza di lui, l’imbattibile Kaede Rukawa, come tutte le altre? Quando si dice la sfiga, pensò Rukawa sconsolato: l’unica ragazza che gli piaceva era anche l’unica che non gli sbavasse appresso. La vita sapeva essere ingiusta.

Un grido di Ryota lo riscosse: – Ehi, Rukawa, cos’è questo rincoglionimento? Lo fai apposta per permettermi di prenderti la palla? – e mise in atto il suo avvertimento.

Rumiko sorrise: quel Miyagi era strepitoso! E basso come lei, oltrettutto. Quanto le stava simpatico!

Lo Spalding le arrivò fra le mani quasi senza che se ne accorgesse. Glielo aveva appena lanciato Hanamichi che, non si sa come, aveva miracolosamente stoppato l’inarrestabile playmaker. Era l’occasione buona per sfoderare un altro bel canestro. E la ragazza voleva mettere a segno uno slam dunk che avrebbe fatto svenire il Rossino. Così, raccogliendo tutta la forza che aveva nelle gambe, Rumiko prese lo slancio e saltò. Il canestro sembrava lontano, e temette non di non farcela. Allungò di più il braccio, lo tese al massimo… Sì! C’era quasi! C’era quasi!

Abbassò la mano, come al rallentatore, mentre la palestra si bloccava a guardare col fiato corto, e schiacciò.

Rumiko ripiombò a terra nel silenzio generale: gli studenti sugli spalti, le Seguaci di Rukawa, Ayako, il capitano, il signor Anzai, Haruko e le sue amiche e i ragazzi della squadra la stavano fissando a bocca spalancata, incapaci di proferire una parola che fosse una.

Non era possibile: un dunk simile, segnato da una ragazza tanto piccola…

Fu la tokyota medesima a spezzare l’incantesimo:

– Eh. Aehm. Che succede? – chiese titubante, temendo di aver fatto una gran figuraccia.

Bastò questo per far sì che un grido unanime scoppiasse tra i presenti: – Che donna!

E giù applausi, ovazioni e chi più ne ha più ne metta. Rumiko aveva il volto in fiamme e quasi non respirava dall’emozione. Non le era mai capitato qualcosa del genere. Era la prima volta che diventava oggetto di tifo indiavolato: non c’era persona che non battesse le mani, non c’era giocatore che non la abbracciasse, persino della formazione “avversaria”.

– Mica sarei capace di rifarlo. – gorgogliava per schermirsi.

Nel frattempo Mitsu sventolava entrambe le mani a uno sputo di distanza dal volto di Rukawa, praticamente in catalessi cat-Artica e con la mandibola pressoché slogata dalla sorpresa.

– Rukawa! – esclamò il Gori: – Che cavolo hai?

– Ti sei fatto male? – gli fece eco Kogure, preoccupato.

– E ripigliati, demente. – lo apostrofò Hisashi, che si era stufato di agitare i polsi.

– Vedi cosa succede a fare il gran fico, Kitsune? – frecciò Hanamichi con un sogghigno soddisfatto.

Kaede, per tutta risposta, farfugliò: – Che donna. – ma solamente Mitsu afferrò il concetto e lo tenne per sé. Se avesse divulgato la notizia che l’Imperturbabile Rookie Rukawa, il Ghiacciolo Che Non Deve Chiedere Mai, si era preso una sbandata colossale per l’ultima arrivata, le sue fangherle avrebbero scatenato un uragano d’ira e gelosia contro l’ignara Ishida, e mica sarebbe stato uno spettacolo gradevole.

Rumiko era ancora al centro dell’attenzione generale quando Hanamichi le si avvicinò sorridendo.

Lei si fece cianotica all’inverosimile e lo guardò cercando di apparire padrona della situazione:

– Lo sai che sei stata magnifica? Più magnifica di ieri? – disse il Rossino. – Me lo sentivo che avresti surclassato quel borioso di Rukawa! Guardalo, è impallidito! – ridacchiò; – Ma tu sei allucinante, Rumiko. Sei… sei…

– Sono? – gracchiò lei con la gola secca.

– Sei la Signora dei Canestri! D’ora in poi ti chiamerò così! Che ne dici? Il Re del Rimbalzo e la Signora dei Canestri! Suona bene, non trovi?

– Hai ragione. – balbettò la nostra sentendosi a qualche metro da terra.

Aveva detto “Il Re del Rimbalzo”, che era lui, e “La Signora dei Canestri”, che era lei. Questo significava che aveva pensato a loro come ad una coppia?

– Hai ragione! – ripeté Rumiko in un gran bercio, e prese a schizzare in qua e là per la palestra felice come una pasqua.

Peccato che, mentre lei era appunto intenta a manifestare la sua gioia abbracciando chiunque le capitasse a tiro, Hanamichi si fosse diretto verso la porta, uscendosene con voce da cuculo diabetico:

– Haruchan! Hai visto come sono stato bravo a questo giro?

Rumiko si bloccò. Girò la testa e vide il ragazzo che si pavoneggiava con un sorriso a settantacinque denti e l’aria trasognata davanti agli occhi stellati di Haruko Akagi, che sorrideva a sua volta e che rispose: – Certo, Hanamichi, lo diventi di più ogni giorno che passa. – e lui per poco non si disgregò con amore.

La piccola diavola soffocò un “merda” di disappunto.

Ma le sorprese non erano finite, e dovevano finire in meglio.

Il signor Anzai, infatti, vista l’eccitazione che si era creata in palestra, decise di interrompere lì la partita. Poi, tranquillamente, si alzò in piedi e chiamò a raccolta i giocatori, Rumiko compresa, e la giovane si ricordò all’improvviso che era giunto il momento della verità: allenatrice o no? Incrociò l’incrociabile e si aggrappò al braccio sinistro di Mitsui.

– Miei cari ragazzi, – se ne uscì l’allenatore, – come ben sapete la prossima settimana dovrete affrontare i giocatori dello Shoyo e il risultato di questa partita deciderà il vostro accesso o meno alle semifinali per il campionato interscolastico.

Tutti annuirono e Anzai proseguì: – Stavolta dovrete impegnarvi al massimo. Lo Shoyo si è classificato secondo, l’anno scorso, e questo fa della sua squadra un’avversaria formidabile. Non sottovalutateli! Dovrete allenarvi più che mai per affrontare questa prova, o non saremo mai ammessi in semifinale. Sentite che potrete farcela?

– Certo! – fu la risposta decisa dei componenti del team. Ayako sorrise.

– Non ne dubito. E sono convinto che da oggi le cose gireranno per il verso giusto.

Il signor Anzai guardò Rumiko: – Mia cara Ishida! C’è una cosa che devo dirti, anzi, chiederti.

La ragazza deglutì a vuoto: – Prego, sensei.

– Spero che mi darai una mano in questi sette giorni per preparare questi scalmanati. E spero che lo farai anche prima delle prossime partite. – e le strizzò un occhio.

Lì per lì Rumiko non afferrò bene il concetto, ma subito dopo capì: era diventata l’allenatrice attiva dello Shohoku!

Quella notizia la mandò in tilt. Prima vacillò, chiedendosi se per caso non avesse male interpretato le parole del signor Anzai, quindi una contentezza incredibile s’impadronì di lei: ce l’aveva fatta! Ora faceva parte del club di basket del liceo Shohoku, avrebbe fatto amicizia con i membri della squadra e, cosa fondamentale, sarebbe stata vicina a Hanamichi! Questo era l’aspetto migliore dell’intera faccenda.

Rumiko raggiunse l’apoteosi della gioia quando i giocatori le dissero: – Ishida! Accetterai, vero?

A quel punto non ce la fece più. Si galvanizzò a tal punto che un nodo le chiuse la gola costringendola a gracidare un gaudioso “cazzo sì!”, e giù a stritolare allegramente malcapitati a caso. Infine respirò profondamente, tirò su col naso, si asciugò il sudore, sorrise sicura e asserì: – Potete contarci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Io ve lo dico subito: la Rumi avrà il suo bel daffare per conquistare il cuore del Genio. (e Rukawa non ha la minima idea del macello in cui si sta cacciando!)

Nel frattempo ha raggiunto uno dei suoi due obbiettivi primari, ovvero entrare a far parte del Club di Basket del Liceo Shohoku – anche se non immagina ancora ciò che la attende in mezzo ai nostri sgarrupati. Tuttavia, essendo non esattamente normale neppure lei, credo che non si scandalizzerà affatto…

Ammetto di non essere sicura che sia possibile, per una ragazza, diventare “allenatrice attiva” di una squadra maschile, ma voi prendetela per buona. È più divertente così.

 

Ho visto che siete in molte/i a leggere, anche se per ora commentate in pochi(ssimi) quindi ringrazio tutti coloro che restano nell’anonimato e chi ha messo la storia tra i Preferiti: merci beaucoup!

E ovviamente la socia Kenjina (prevedi bene, mia cara, sta per sbocciare un gran casino :D non ti garantisco, però,

che riuscirà a tenere a bada i pazzoidi, anzi…! e comunque sì, è un ‘microbo’ di tutto rispetto)

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

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Capitolo 5
*** quarto: vita da allenatrice. ***


Capitolo quinto:VITA DA ALLENATRICE

quarto: vita da allenatrice.

 

 

 

 

Fu così che iniziò la nuova vita di Rumiko Ishida.

Quando la mattina seguente arrivò a scuola ebbe subito modo di appurare che già un sacco di notizie sulle sue gesta cestistiche aleggiavano in ogni classe: non appena mise piede in cortile, infatti, molti degli studenti cominciarono a sgomitare fra di loro e sorridere, bisbigliando.

“Guarda, è l’allenatrice della squadra di basket!”

“Io ho sentito che ha battuto Akagi.”

“No, è la ragazza di Rukawa! Hanno detto che è svenuto nel vederla giocare!”

“Ma è vero che ha messo a segno una schiacciata formidabile?”

“Sicuri che non sia la ragazza di Mitsui…?” e via dicendo.

Questo, ovviamente, fece un gran piacere alla miniaturica cestista, che mai e poi mai si sarebbe aspettata di diventare tanto celebre – per quanto il novanta per cento di quei discorsi fossero baggianate. Nella sua vecchia scuola non era molto popolare, se si escludevano i suoi amici. E ora che era arrivata allo Shohoku, eccola già protagonista delle chiacchiere dei compagni. Forse c’era qualcosa che non andava.

Mise piede in aula con un sorriso a trentadue denti stampato sul grazioso visetto che si ritrovava, quel martedì mattina, e trascorse l’intera settimana in questo stato di grazia. Cosa poteva volere di più?

Tutti i pomeriggi, alla fine delle lezioni e dopo un pranzetto tutti insieme a base di straripanti porzioni di bento, Rumiko e i suoi compagni di squadra si fiondavano ad allenarsi ed erano capaci di restare in palestra fino alle sette di sera. I compiti per casa andavano a farsi benedire ma, come sosteneva Hanamichi, vincere contro lo Shoyo era molto più importante di un bel voto. E la nostra, come da copione previsto, gli dava ragione.

Più gli allenamenti proseguivano e più il signor Anzai era soddisfatto della decisione presa il lunedì: quella Ishida aveva talento da vendere; inoltre pareva proprio che i ragazzi fossero decisamente ben disposti verso qualunque tipo di esercizio, adesso che c’era lei… e chissà come mai, si chiedeva divertito il placido Buddha.

Questo non vuol dire che lui si fosse tirato da parte. Rumiko, in quei primissimi giorni, gli domandò spesso cosa le conveniva fare e l’anziano allenatore fu felice di darle una mano. Anche il Gorilla e Ayako erano contenti, per non parlare dei giocatori: Rumiko era un notevole esemplare di donna, eppure non si atteggiava e si comportava con loro in modo del tutto spontaneo, senza pretese o moine, scanzonatamente.

Forse ciò era dovuto al suo completo disinteresse per relazioni col maschio universo che andassero oltre il cameratismo, le sfide e le pacche sulle spalle, almeno fino ad allora. O magari era per il suo carattere schietto e semplice. Comunque fosse, Rukawa trovava di giorno in giorno più arduo mascherare il suo smodato, incalcolabile trasporto per lei, e il resto della ghenga ritenne assai spassoso cominciare a lanciargli amabili frecciate.

Purtroppo tale fatto non passò inosservato tra le file di quelle assatanate delle Seguaci di Kaede, e verso la fine della settimana le acque si agitarono.

Era venerdì pomeriggio, un pomeriggio indolente e silenzioso tra il frinire delle cicale.

Rumiko, in attesa dell’inizio degli allenamenti, era seduta sugli scalini davanti all’ingresso della palestra, la schiena appoggiata contro uno dei pali della tettoia: aveva in mano alcuni fogli e strizzava gli occhi nel violento riverbero del sole per tentare di leggerli. Si era infatti informata sulla squadra dello Shoyo con l’aiuto di Mitsu, per non arrivare completamente impreparata alla partita del lunedì, e ora stava studicchiando la situazione, tutt’altro che rassicurante:

– Accidenti! Questi Diavoli Verdi sono arrivati secondi al campionato per diversi annetti di seguito, battuti solo dal Kainan King, addirittura primo da ben diciassette anni… ma siamo sicuri che siano esseri umani? – borbottava la ragazza; – Il miglior giocatore della squadra ne è anche l’allenatore, hai capito te… dov’è il nome? Ah, eccolo! Kenji Fujima, terzo anno. Non è mica tanto alto, questo qui… gli altri invece sono dei bestioni! Tohru Hanagata 198 cm? Ma si scherza? Beh, come il Gorilla…

Improvvisamente, Rumiko vide proiettarsi intorno a lei varie ombre: alzò la testa e si ritrovò davanti l’intera truppa delle Seguaci in assetto di guerra, con tanto di stendardo con su scritto “Kaede Rukawa”. Gli sguardi di quelle malate di mente non promettevano nulla di buono, constatò.

– Salve. – le accolse in tono sarcastico.

– Molla quelle scartoffie e stacci a sentire, Ishida. – ordinò perentoria e senza tanti preamboli la guida spirituale delle Seguaci, un'allampanata ragazza di seconda, puntandole un dito contro.

– Ditemi pure. – rispose Rumiko che, nonostante le prudessero già le mani, non aveva voglia di mettersi a litigare. – C’è qualche problema? – chiese il più tranquillamente possibile.

– E ce lo vieni pure a domandare? Il problema sei tu! – scattò l’altra, mentre le sue socie annuivano.

– E per chi sarei un problema? – ribadì Rumiko, sostenuta.

– Sei un problema per noi, Ishida! Devi smetterla di stare appiccicata a Rukawa! – berciò la spilungona, incazzata come una biscia.

Rumiko la guardò come se fosse impazzita (e in effetti lo era):

– No, scusa, fammi capire. Io starei appiccicata a Rukawa? Ma se siete voi che lo seguite dappertutto! Lui è mio amico!

– E noi ci dovremmo credere? – intervenne una delle tre strillone della palestra: – Se siete solo amici perché lui è sempre con te? La verità è che lo hai adescato, bastarda, e ti atteggi ad amicona perché ti fa comodo!

– Ben detto! – approvò la “guida”. – Ma la cosa che più ci da sui nervi è il fatto che una novellina come te, che non fa nemmeno parte del nostro club, possa avere un simile privilegio! – gridò tutta infervorata, incoraggiata dalle compagne che sventolavano striscioni e stendardi alle sue spalle.

La nostra, a quel punto, non ci vide più dalla rabbia e si tirò su in piedi, fronteggiando la schiera delle Seguaci nella forte luce:

– Secondo me vi manca qualche rotella. – attaccò con l’aria di chi si sta trattenendo. – Per prima cosa, io non ho adescato Kaede né ho intenzione di farlo, dal momento che mi piace un altro. Secondo, se siamo spesso insieme è proprio perché siamo amici, se questo rientra nella vostra ottica gallinifera. Terzo, ho la netta sensazione che mi stiate dicendo certe cose solo perché siete gelose marce, anche se non capisco di cosa. E infine, credo che sia a causa del vostro cacchio di fan club che Rukawa vi evita: non è sventolando bandiere, strillando slogan e formando gruppi di invasate che vi farete notare come vorreste, dato che date solo l’idea di invasate superficiali. E con questo è tutto. Adiós! – concluse seria, invitandole ad andarsene.

Quelle rimasero zitte alcuni istanti: il discorso della ragazza le aveva colpite profondamente, sotto sotto. E quando esplosero nuovamente in berci rabbiosi contro Rumiko, la guida e le tre strillone sembravano meno convinte di quel che dicevano.

Le cose si sarebbero forse messe maluccio per Rumiko, se in quel momento non fosse arrivato Ryota:

– Ehi, cosa cavolo sta succedendo qui? – esclamò nel vedere quella schiera di femmine urlanti pronte ad avventarsi sull’allenatrice.

– Ehilà, Ryota! – disse lei sollevata; – Non ti preoccupare, solo uno scambio di opinioni tra me e loro. Niente di grave. – spiegò lasciando di stucco le galline, le quali si aspettavano che Rumiko spiattellasse ogni cosa. E invece non le aveva accusate minimamente.

La ragazza rivolse loro un sorriso professionale: – Se non vi spiace, adesso avrei da fare. Arrivederci! – e girò i tacchi una volta per tutte.

Le Seguaci rimasero impalate davanti alla porta della palestra e se ne scapparono via solo quando videro arrivare Rukawa: meglio non importunarlo, per quel giorno. Ryota, nel frattempo, stava facendo il terzo grado all’allenatrice:

– Rumiko, per favore, dimmi cosa volevano davvero quelle allupate. La tua versione non mi convince.

La ragazza ammiccò: – Chiedo venia, signor playmaker, parlerò solo in presenza del mio avvocato. – e si avviò verso gli spogliatoi dopo aver salutato Ayako e Takenori.

– No! Ehiehiehiehi, Rumiko! Aspetta! Dobbiamo finire questo discorso! – le gridò dietro Miyagi, ma non ci fu verso di farla voltare.

– Posso sapere quale discorso dovete finire? – chiese Hanamichi, che era appena arrivato.

– Mah. Quelle galline là fuori stavano indubbiamente litigando con Rumiko e io vorrei saperne il motivo. – spiegò Ryota all’amico.

– Cos’è, t’interessa la nostra bella allenatrice, Ryochan? – disse questi sorridendo.

L’altro arrossì: – Dovresti saperlo che m’interessa solo Ayako. Però visto che sono diventato piuttosto amico di Rumiko vorrei poter fare qualcosa per lei, se ne ha bisogno.

Hanamichi lo guardò: – Conoscendola credo che, se ha dei problemi, potrà cavarsela benissimo da sola.

Il playmaker abbozzò un sorriso e si dichiarò d’accordo, anche se con le Seguaci non si poteva essere mai sicuri. Restarono un minuto senza dire una parola, immersi in chissà quali riflessioni, poi si riscossero e si decisero a raggiungere i compagni nello spogliatoio.

 

 

 

L’allenamento filò liscio come l’olio: sembravano tutti quanti in ottima forma e Rumiko non rimproverò praticamente nessuno. Ce la stavano davvero mettendo tutta, per arrivare pronti alla fatidica domenica. Il Gorilla, inutile dirlo, si comportò da fuoriclasse; Rukawa era scatenato e concentratissimo – e chissà se c’entravano qualcosa la canotta scollata e i calzoncini aderenti di lei! – mentre sia Hanamichi che Ryota erano galvanizzati dagli sguardi attenti di Haruko e Ayako. Mitsui appariva schifosamente sicuro di sé.

Rumiko non poteva certo permettersi di ridacchiare sopra a simili comportamenti esibizionisti, essendo la più interessata a far colpo su Hanamichi. Purtroppo almeno per il momento non sembrava che il Rossino si desse molta pena per caderle adorante ai piedi: appena ne aveva l’occasione si voltava verso la Akagi e sorrideva come un cuculo innamorato, oppure le urlava “Haruchan! Visto come sono bravo?”, il che mandava la nostra in ebollizione. Non che Haruko le stesse deliberatamente sulle scatole. in fondo erano simili, loro due. A entrambe piaceva un ragazzo che non le ricambiava.

E ancora Rumiko non fiutava neanche da lontano di essere l’oggetto del ridestato desiderio dell’Artica Kitsune.

Ayako scuoteva la testa, e insieme sorrideva sotto i baffi: come sarebbe andata a finire non riusciva proprio a immaginarlo. Si era accorta che Ishida era molto interessata a Hanamichi, ma se e quando fosse venuta a sapere dei sentimenti di Rukawa avrebbe accettato di mettersi con lui (cosa assai probabile) o avrebbe continuato a preferire Sakuragi nonostante la sua cotta per Haruko?

– Chi vivrà vedrà! – filosofeggiò a mezza voce la bella manager, scoccando un sorriso disarmante a Ryota e rischiando farlo rovinare a terra.

Erano quasi le sette di sera, quando gli allenamenti terminarono. Dopo aver pulito la palestra, i ragazzi della squadra si salutarono e se ne andarono a casa. Gli unici rimasti erano Ayako, che doveva finire di sistemare alcuni fascicoli, Hanamichi che cazzeggiava e Rumiko, che in teoria doveva rimettere a posto i palloni e che invece fissava trasognata il Rossino. D’un tratto quest’ultimo, che stava armeggiando con il telefono posto sulla scrivania della manager, lanciò un grido:

– Ma come, mamma? Torni a casa tardi? Mi dici come cavolo faccio a mangiare, stasera? Cos… A cena fuori? E che faccio, ci vado da solo? Con quali soldi? Bella roba! No… ma non posso andare da Ryochan, ormai è già partito! Aspett… Va bene, va bene, ho capito, mi arrangio! Ciao ma’! – e chiuse la comunicazione con uno sbuffo secco.

Rumiko gli si avvicinò: – Hanamichi, che succede?

Lui fece spallucce: – Ma nulla, non è grave. Sono solo a casa, stasera, e non so come fare a cenare. – esclamò scocciato.

– Non sai cucinare? – indagò la ragazza, un po’ divertita.

– So preparare l’insalata e cuocere le uova, sai che pasto. – rispose Hanamichi con un altro sbuffo.

Rumiko stava per suggerirgli un assalto a un conbini, ma le balenò in testa, a tradimento, un’idea tentatrice:

– Seeeenti. Che ne dici di venire a mangiare da me? – buttò lì tutto d’un fiato e diventando rossa come le divise dei giocatori.

Il ragazzo rimase interdetto: – Rumiko, ma che scherzi? Non voglio mica disturbarti per una cosa tanto stupida! – ribatté, anche se a dire il vero gli avrebbe fatto comodo.

Disturbo? Lo avrebbe invitato pure a restare a dormire, pensò Rumiko. Poi disse a voce alta:

– Guarda che non saresti affatto di disturbo. I miei sono fuori, però mi arrangio. So cucinare okonomiyaki e oden.

Il viso di Hanamichi s’illuminò: – E le polpette di riso? Quelle come le fai?

La ragazza sorrise e si fece più rossa: – Discretamente bene. Ah, quasi dimenticavo, sono un asso con il sukiyaki. – concluse ammiccando.

– Come si fa a dirti di no? – tuonò gioso Hanamichi, stritolandola; – Accetto l’invito con molto piacere, Rumi! Grazie!

– Grazie a te. – farfugliò Rumiko in estasi, esultando in gran segreto.

Ayako nel frattempo se n’era andata. I due ragazzi dovevano solo lavarsi e cambiarsi, poi avrebbero potuto levare le tende. Rumiko si fece una doccia veloce e si rimise la divisa scolastica, cantando a squarciagola e ballettando per lo spogliatoio vuoto come aveva fatto il primo giorno che aveva messo piede in palestra. Stavolta, però, la sua felicità era ancora più grande: qui si trattava di una cena tête-à-tête con Hanamichi!

Un quarto d’ora dopo era già pronta per uscire, ma il Genio non si vedeva ancora:

– Bisognerà che vada a chiamarlo, altrimenti arriveremo a casa troppo tardi. – borbottò Rumiko nella palestra vuota.

Senza pensarci si avviò negli spogliatoi maschili. Lo sentiva canticchiare nella stanza. Cautamente, la ragazza aprì la porta: stava già per dirgli di sbrigarsi quando si bloccò a bocca spalancata, nell’accorgersi che il Rossino era in mutande.

– Cacchio! – urlarono i due in sincronia, l’una scattando indietro e l’altro cercando di coprirsi alla meglio.

– Scusamiscusamiscusami! – stava gracchiando Rumiko, in preda a un’apparente crisi cardiorespiratoria: – Ti giuro che non l’ho fatto apposta! Pensavo tu fossi già vestito! Quanto sono idiota!

– Ommerda! Scusami te, Rumiko! Che imbecille che sono! Perdonami! – replicò lui altrettanto cianotico.

Rimasero zitti per qualche minuto, mentre Hanamichi si rivestiva. La nostra era in fiamme, letteralmente: aveva visto il Rossino Dei Suoi Sogni praticamente nudo! Era lei che aveva fatto una figuraccia! Da quando in qua una ragazza s’inoltrava senza problemi nello spogliatoio maschile, ben sapendo che c’era dentro qualcuno? Solo una cretina come lei – una che non aveva mai riflettuto sulle differenze di base tra uomo e donna – si disse Rumiko, poteva combinarne una tanto grossa! Non sarebbe più riuscita a guardare in faccia Hanamichi, dopo quello che aveva fatto, o magari sarebbe stato lui a evitarla vita natural durante.

Il ragazzo, tuttavia, non sembrava essersela presa a male:

– Dai, Rumi, ora puoi voltarti! Mi sa che abbiamo fatto entrambi una discreta figura di cacca. – e scoppiò a ridere, con una risata talmente sincera e spontanea che Rumiko vi si unì. Era come se le avesse tolto un peso dal cuore. E cavoli se era bello, mentre rideva.

 

 

 

Nuvole insidiose si stavano addensando nel cielo ormai scuro, quando i due uscirono dalla palestra, e il venticello pungente che tirava contribuiva a rendere la serata ben poco estiva. Il maltempo degli ultimi giorni sembrava non essersi ancora esaurito. L’unica cosa di cui aveva bisogno Rumiko, in quel momento, era un piatto di cibo fumante e il calduccio di casa sua. Hanamichi si stava stringendo nella giacca della tuta, tentando di ripararsi:

– Rumi, non hai freddo? – chiese con un leggero batter di denti.

Ecco, quella poteva essere un’occasione da cogliere al volo, valutò la tokyota. Così gli rispose:

– In effetti sto cominciando a tremare. – e lo guardò di sottecchi.

Il ragazzo non disse nulla, la prese a braccetto e le si fece più vicino. A Rumiko, se non altro, bastò avvampare per riscaldarsi.

Hanamichi si sorprese a fissare l’amica di nascosto, durante il tragitto verso casa, e fu ben stupito quando si accorse che non aveva mai pensato a Haruko, in quei minuti. Rumiko, constatò tra sé, era veramente una persona eccezionale: simpatica, dinamica, spontanea, piena di iniziativa, sempre pronta a risollevare il morale della squadra, intelligente e schietta. Aveva dei difetti, certo: sapeva essere sguaiata e priva di tatto, a volte un po’ goffa, e tendeva a sottovalutarsi. Proprio lei che era una Signora dei Canestri fatta e finita!

Ecco un altro aspetto dell’allenatrice da cui il Rossino si sentiva attratto: la sua bravura nel giocare a basket. Non avrebbe mai trovato una ragazza altrettanto abile sul campo, con uno stile di gioco semplice ma efficace. Senza contare, pensò ancora Hanamichi, che Rumiko era molto, molto carina…

Si arrischiò a scrutarla nuovamente: il viso ovale incorniciato dai capelli rossicci aveva un’espressione sognante, sottolineata dalle guance rosate, e i grandi occhi nocciola erano un po’ socchiusi per via del vento. E per quanto fosse bassa, era fatta molto bene.

Anche la sua bocca gli piaceva tanto, pensò il ragazzo. Era intento a fissare proprio le labbra ben disegnate di Rumiko, quando questa si girò e lo colse in flagrante: Hanamichi si voltò di scatto dall’altra parte, lasciando la nostra sconcertata e con il cuore che batteva all’impazzata.

Hanamichi si domandò cosa diavolo gli fosse preso: lui era innamorato di Haruko! Allora perché gli erano venute in testa certe cose? Che Rumiko era eccezionale, carinissima e con una bocca che lo faceva quasi impazzire?

“Perché è la verità, idiota.” gli ricordò la sua vocina interiore.

“Sì, però io amo Haruko!” s’inalberò Hanamichi contro sé stesso.

“Ma mica state insieme! Quindi puoi guardare altre ragazze.” fece la sua insospettabile coscienza.

Purtroppo non stiamo insieme.” precisò il Rossino.

“E chi ti dice che un giorno non t’innamorerai di Rumiko e ti scorderai di Haruko?” fu la lapidaria, intima risposta.

Il ragazzo rimase di stucco di fronte a tale ipotesi: era mai possibile? Possibile che in un indefinito futuro il sentimento chiaro e radicato che provava per la Akagi potesse affievolirsi e svanire, lasciando spazio a quello per una persona che non fosse lei? Ora come ora gli appariva improbabile.

Decise perciò di non farsi ulteriori seghe mentali sull’argomento. Lui amava Haruko, punto e basta.

Intanto erano arrivati a casa di Rumiko: – Eccoci qua. – annunciò lei allegra, mostrando la sua bella abitazione all’amico.

Mentre Hanamichi osservava a bocca aperta l’edificio Rumiko aprì la porta e lo fece entrare, e in men che non si dica la cena fu pronta – un tripudio di polpette di riso, fagioli di soia e oden che ora fumavano invitanti sulla tavola.

Di fronte all’aria affamata e ammirata del ragazzo, la tokyota s’inorgoglì:

– Spero che ti piaccia tutto, Hanamichi. Serviti pure e buon appetito. – e prese a mangiare.

La serata trascorse in modo estremamente piacevole per entrambi: parlarono della partita che li aspettava e scherzarono sugli allenamenti di quella settimana, ricordando le cose più buffe che erano successe, come alcune cadute di tono dell’Artica Kitsune, che aveva proprio la testa da un’altra parte, e gli sfottò di Ryota e Hisashi che finivano puntualmente in azzuffate di massa.

E a forza di sghignazzate e prese per i fondelli, com’era prevedibile, i due arrivarono a toccare un argomento molto delicato.

– Senti, Hanamichi, a te piace Haruko Akagi? – attaccò Rumiko a bruciapelo. Voleva assolutamente togliersi il dubbio.

Lui per poco non si soffocò con la Coca-Cola:

– Com’è che ti è venuta in mente una cosa del genere? – rantolò.

– Beh, ho avuto questa impressione. Mi sbagliavo? – nicchiò lei, speranzosa.

– Ehm, beh, – balbettò Hanamichi, – ci hai preso. Mi è piaciuta fin dalla prima volta che l’ho vista.

Rumiko trattenne un singulto: – Davvero? Ah, allora… – allora non c’era niente da fare, ecco.

– E tu, Rumi? C’è qualcuno che ti piace fra noi della squadra, vero? – glissò prontamente Hanamichi.

A questo giro fu lei che rischiò lo strangolamento con un boccone di riso: – EEEEH?

– Eddai, non essere timida! A me puoi dirlo, sarò muto come un pesce! – la rassicurò l’ignaro Re dei Rimbalzi; – Sono pronto a scommettere che è Mitchi! Oppure Ryochan, anche se quello è cotto perso di Ayako.

La piccola diavola scosse la testa: – Naaah, loro sono i miei migliori amici.

– Non dirmi che è quel Volpino delle mie ba-shoes! Guarda che prendo e me ne vado! – gridò il ragazzo balzando in piedi teatralmente.

Niente. Rumiko scosse la testa un’altra volta e arrossì:

– Kaede è bellissimo, ma siamo amici, tutto qui. – si affrettò a spiegare.

Il silenzio cadde nella stanza e sui due, che ora si guardavano di sbieco senza sapere cosa dire.

Fu Rumiko a rompere l’incanto quando, senza pensarci, cominciò:

– Quello che mi piace è… cioè, sei… AH!

S’interruppe bruscamente, portandosi le bacchette alle labbra. Che cosa diavolo stava per dire? Stava per rivelare a Hanamichi che era innamorata di lui? Doveva essere impazzita! La situazione le aveva certamente dato alla testa. Guardò il Rossino per assicurarsi che non avesse capito quello che aveva rischiato di sputtanare: il ragazzo stava ridendo di gusto e pareva totalmente privo di sospetti, e lei non seppe se esserne contenta o se mandarlo a cacare per quella devastante assenza di attenzione nei suoi confronti.

– Rumi, lo sai che sei buffa? Non ti fidi proprio, eh? Vabbè, fa niente, vuol dire che me lo rivelerai quando ti parrà il momento. – e le sorrise complice.

Se avessero continuato così il momento poteva andare a farsi fottere, considerò lei mestamente. Poi si alzò per sparecchiare:

– Hana, ascolta. Perché tu e Rukawa vi odiate tanto? – chiese, incuriosita com’era dalla faccenda e per riportarsi su chiacchiere sane.

Hanamichi sbuffò: – Quello lì è soltanto un deficiente pieno di boria, non fa altro che pavoneggiarsi e mettersi in mostra davanti a tutti!

E colui che aveva davanti faceva esattamente lo stesso, pensò Rumiko divertita, e commentò:

– Capisco, ma non sarà anche che sei geloso? A Haruko piace Kaede, no?

Altro sbuffo: – Mi duole ammetterlo, eppure questa è la triste verità. – proclamò il rosso con quel suo fare teatrale. – Comunque mi sta sui coglioni indipendentemente dalla cotta di Haruchan per lui. E come Genio devo toglierlo di mezzo! – asserì.

Rumiko non era ancora soddisfatta: – Questi sono i tuoi motivi, Hana, però non riesco a trovare una risposta al comportamento ostile di Rukawa. Lui non dovrebbe essere geloso di te, dico bene?

Il Rossino si grattò la testa, perplesso: – Mah, in tutta sincerità ho avuto l’impressione che ultimamente sia geloso eccome del sottoscritto. Ommerda! – scattò, come colpito da un fulmine, – Non si starà innamorando di Haruko anche lui, eh? Se dovesse succedere non avrò più speranze! – e giù a tirare testate contro l’innocente tavolo nel tentativo di esorcizzare la terrificante immagine della Kitsune che pomiciava con la Akagi.

Se Rukawa si fosse invaghito di Haruko i giochi erano fatti, rimuginava l'allenatrice osservando con una punta di preoccupazione le escandescenze del compagno. E quando Haruko si fosse levata dalle palle per mettersi con lui, lei avrebbe avuto campo libero con Hanamichi. Che piano idilliaco! Ma si guardò bene dal fare commenti di sorta.

Verso le dieci e mezza, dopo che si furono intossicati di Cola e dango, Hanamichi si decise a tornare a casa:

– Non preoccuparti, mia mamma sarà rientrata, a quest’ora. – garantì per tranquillizzare l’amica, che avrebbe invece inventato di tutto pur di trattenerlo ancora.

– Beh, se è così vai pure. – mormorò delusa. – Allora buonanotte! Ci vediamo domenica mattina.

Hanamichi la guardò: – Grazie di cuore per la buonissima cena, Rumi. E su con la vita, vinceremo di sicuro contro lo Shoyo! – esclamò.

Rumiko ridacchiò: – Cosa te lo fa pensare?

– Ma è ovvio! Sono o non sono Sakuragi l’Immenso? Lascia fare a me e quei bambocci dello Shoyo non avranno scampo. E ti prometto che segnerò più punti di Rukawa! – tuonò, all’apice della propria autoglorificazione.

– Sempre il solito esibizionista. – ghignò la ragazza. – Vedi di non deludermi.

– Te lo prometto. – ripetè Hanamichi, e si meravigliò del tono dolce che aveva usato. Quindi si chinò e schioccò un bacio sulle gote arrossate di Rumiko:

– Buonanotte, mia allenatrice.

Le fece l’occhiolino e si allontanò, senza mai voltarsi indietro. E quando i signori Ishida rientrarono, pochi minuti dopo, si stupirono nel trovare la figlia appoggiata allo stipite della porta con una mano mollemente posata su una guancia e il volto inebetito.

 

 

 

Il giorno seguente, nel tardo pomeriggio, il sonno beato di Rumiko fu interrotto da uno squillo rompiscatole e dalla voce della signora Miyako:

– Rumi! C’è Miyagi-kun al telefono! – la chiamò dal salotto, senza fregarsene minimamente del fatto che la nostra si fosse sbragata sul letto tornando dalla visita medica di routine che l’aveva costretta a bidonare gli allenamenti della vigilia della partita.

Rumiko emerse faticosamente dal groviglio di lenzuola e si trascinò con la stessa grazia di un bradipo giù per le scale:

– Pronto? Ryo? – biascicò afferrando la cornetta.

– Ohi, Rumiko! – la voce dell’amico le perforò un timpano: – Hai programmi per stasera?

– L’unico programma che avevo me lo hai appena mandato in fumo. Che vorresti fare? – brocciolò cupa la ragazza.

– Sbaglio o dobbiamo finire quel discorso famoso? E poi devo sapere alcune cosucce da te. – le spiegò il playmaker, chiedendosi come diamine facesse a dormire a quell’ora.

– Mmmh… quando vuoi che ci incontriamo? – chiese la tokyota recuperando lucidità. Ci fu un attimo di silenzio, poi Ryota rispose:

– Ti va bene vederci alle sei e mezza e restare a cena fuori? Sempre che tu ce faccia a essere pronta entro sessanta minuti.

– Certo che ce la faccio, cafone. – replicò l'allenatrice punta sul vivo. – Alle sei e mezza sotto casa mia, va bene?

– Casa tua? Aspetta, vuoi dire che devo passarti a prendere in motorino? – fece lui, sconcertato.

– Spiacente, è il prezzo da pagare per avermi svegliata. – disse lei compiaciuta.

– Se sei un ghiro non è colpa mia. – ridacchiò il ragazzo.

– Lasciamo stare. Ci vediamo fra un’ora! – e la comunicazione fu chiusa.

Rumiko era ormai del tutto sveglia. Subito volò in bagno per sciacquarsi la faccia, vestirsi e truccarsi un po’, sotto lo sguardo sorpreso della madre.

Quando Ryota suonò al campanello fu la piccola diavola stessa ad aprire, già pronta per uscire: indossava una salopette di jeans dalla gonna corta, un paio di stivali anni settanta di cuoio morbido e uno spolverino in maglia di cotone di un bel rosso scuro. Ryota rimase a bocca aperta:

– Che stile, Rumiko! – esclamò con un fischio d’ammirazione. – Non ti sto facendo il filo. Sto constatando l’evidenza. – si schermì notando la faccia poco convinta della signora Ishida, che lo osservava dalla porta. Rumiko ridacchiò:

– Grazie Ryota, non avevo dubbi. So bene che ami solo Ayako. – e il ragazzo confermò diventando paonazzo.

I due amici partirono così con una leggera sgommatina e in un battibaleno furono nel centro della città. Fecero un giro e si concessero un aperitivo ruspante, parlando del più e del meno senza toccare le questioni più importanti. Di quelle arrivarono a parlare verso sera, quando, dopo una visitina per negozi (durante la quale Rumiko trovò il modo di acquistare una felpa nuova) sedettero sulla spiaggia:

– Ryo, di cosa volevi parlarmi? – esordì la nostra giocherellando con un sassolino.

– Cosa volevano da te quelle esagitate di ieri, in realtà? – domandò il playmaker.

Rumiko sospirò, lanciando il sasso verso il bagnasciuga:

– Mi hanno accusata di aver adescato Rukawa, visto che stiamo spesso insieme, e non vogliono capire che siamo semplici amici. – spiegò.

– Sei sicura che Rukawa non ti piaccia, Rumi? – s’informò Ryota.

– Sicurissima. – scosse la testa: – È bello da far paura, però ha quel carattere assurdo… e poi piace a tutte! Sarebbe banale prendersi una cotta per lui.

Ryota scoppiò inaspettatamente a ridere: – Sei veramente incredibile! In questo somigli molto ad Ayako. Siete entrambe forti e con le vostre idee personali. Pensa che Ayako conosce Rukawa fin dalle medie, eppure non ne è mai stata innamorata. Dice che non è poi quell’essere meraviglioso che le altre si immaginano e osannano.

– Ha ragione. Kaede è talmente strano… – disse la minuta coach: – Freddo, scostante, scorbutico e asociale fino all’inverosimile. Ma forse è solo una posa.

– È per questo che sei diventata sua amica? Per smascherarlo e farlo scongelare?

– Mi piacerebbe. Sai, sono una curiosona. – rise la ragazza.

Ryota stette un attimo in silenzio: – Secondo me potresti farcela. Rukawa si comporta in modo molto diverso dal solito, quando è con te. Sembra felice e del tutto a suo agio, anche perché non gli stai appiccicata come una patella in calore.

Quello che si guardò bene dal rivelare fu l’impressione generale che Kaede fosse attratto da lei.

– Senti, – riprese titubante, – c’è qualcun altro che ti piace, allora?

– Sì. – fece Rumiko, restia. – Se mi posso fidare…

– Starò zitto come un branzino. – promise Ryota.

– Tanto più che se parli ti spello vivo.

– Ragionevole.

La ragazza sapeva che non la avrebbe tradita. Quindi gli confessò di essere totalmente cotta di Hanamichi fin dal giorno in cui si erano incontrati, una settimana prima, e di non riuscire a toglierselo dalla testa. Miyagi annuì: aveva intuito qualcosa Le riferì allora che il Rossino gli aveva raccontato della cena a casa di Rumiko, mentre si rivestivano a fine allenamento:

– Ha detto che è stato molto bene. – concluse con un sorriso.

La nostra stava guardando il mare, lasciando che i granelli di sabbia le scivolassero tra le dita:

– E non ha detto altro? – chiese.

Ryota scosse la testa: – Era abbastanza confuso. Mi dispiace, ma non ha fatto commenti su di te. O meglio, non mi ha detto nulla di ciò che tu vorresti sentirgli dire. Ti trova molto simpatica e carina, però è perso per Haruko e lo sai.

– Capisco. – mormorò Rumiko, anche se non si era fatta illusioni.

– Non ti abbattere. Io credo che le cose potranno cambiare. Le cose, e i sentimenti di Hanamichi. – disse il ragazzo in tono fiducioso.

E i tuoi, scricciolo, aggiunse tra sé e sé. Ma se una donna avesse preferito sul serio il Rossino a Kaede Rukawa, che grande giorno sarebbe stato!

La tokyota si girò verso di lui con espressione pimpante e annunciò:

– Se mi aiuterai a conquistare Hanamichi giuro che farò di tutto per far sì che Ayako si arrenda a te.

– Oooooooh! Ti adoro, amica mia! – sbraitò Ryota saltandole al collo.

– Ce la faremo! – urlò Rumiko, galvanizzata.

– Sì! – approvò il playmaker scagliando il proprio casco in aria e ricevendolo in testa un istante dopo.

Rimasero a fare baldoria sulla spiaggia fino a notte fonda, contenti di poter contare l’uno sull’altra. Corsero ad acquistare cibo e lattine di Asai e se le scolarono mentre intonavano stonatissime versioni delle canzoni di Grease e improvvisavano balletti sabbiosi sotto lo sguardo bonario delle stelle.

Ai problemi di cuore avrebbero pensato più avanti. C’era una partita che li aspettava, adesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Aggiornamento natalizio per festeggiare e per augurarvi BUONE FESTE!

Non so se si nota, ma qui qualcosa inizia a smuoversi, soprattutto in Hana: diciamo che potrebbe cominciare a vacillare. Quella che invece ancora non ci capisce un benemerito tubo è la Rumi stessa, che vede soltanto lui (e fa bene)…

Nel frattempo preparatevi all’incontro Shohoku VS Shoyo, poiché arriverà un terzo man in question a incasinare la situazione.

Abbiate comunque fiducia in Rumiko!

 

Ringraziamenti al volo a tutti quanti, e in particolare a:

MihaChan (ma a me i tuoi commenti piacciono! e sono contenta che tu continui ad adorare questa pazziata <3)

Nebbiolina (non confermo né smentisco perché sono di parte, però spero che ovvia non si riveli ;P grazie mille!)

Kuro (eheh, mi diverto troppo a mostrare il lato vulnerabile di Rukawa… e questo è ancora nulla!)

Kenjina (socia, in una riga hai colto il succo dell’intera vicenda *_* e qui tutto rotolerà alla grande, hai voglia te… ;D)

 

Un brindisi collettivo, buon Natale e alla prossima! ­_Black

 

 

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Capitolo 6
*** quinto: heartbeating is a dirty job. ***


Capitolo sesto : BATTICUORE

quinto: heartbeating is a dirty job.

 

 

 

 

Rumiko camminava verso la palestra a passo deciso: Ryota e Mitsu le avevano detto di farsi trovare là davanti per poi andare al palazzetto dello sport per la fatidica partita.

Ma quando la ragazza fu più vicina alla porta dell’edificio si accorse che ad aspettarla non c’erano i suoi due amici, bensì Hanamichi in persona. Si sentì svenire e domandò al Rossino cosa ci facesse lì, il cuore che le saliva in gola.

Lui sorrise e le corse incontro: – Aspettavo te. O te lo dico adesso o non te lo dico più. Io… io… IO TI AMO, RUMIKO!

 

 

– Rumiko, ti vuoi svegliare?

Una voce dal tono piuttosto scocciato interruppe il meraviglioso sogno della nostra, che si rese conto con disappunto di trovarsi nel suo letto, sommersa dalle lenzuola stropicciate, e non davanti alla palestra della scuola insieme a Hanamichi.

– Ma chi…? – bofonchiò sconcertata, non riuscendo a capire quale emerito imbecille avesse osato svegliarla nel momento catartico.

Strofinandosi gli occhi si tirò su a sedere e scrutò la stanza: la finestra era mezza aperta, con la veneziana completamente alzata per far entrare la prima luce mattutina, e in piedi accanto al letto, vestito di tutto punto e con le braccia incrociate, c’era…

– MITSU! Che cazzo ci fai in camera mia a quest’ora? – urlò Rumiko rituffandosi immediatamente sotto le coperte per nascondere la corta camicia da notte e, soprattutto, le guance cianotiche.

Il ragazzo ridacchiò:

– Ho il beneplacito di tua madre, cara mia, quindi potrei farti quello che voglio. – la minacciò scherzosamente avvicinandosi di più al letto.

– Non oserai…! – balbettò Rumiko mentre si seppelliva fino alla punta del naso nel cotone fiorito.

Quel pazzo parlava sul serio? Cos’aveva fumato prima di andare da lei?

Hisashi si chinò sulla ragazza e sorrise con fare accattivante: – Voglio dire che posso… tirarti giù dal letto in un colpo solo, razza di ghiro che non sei altro! – e prendendola per un braccio la costrinse ad abbandonare il beneamato giaciglio, divertendosi come un matto.

– Che coglione che sei. – s’indignò la tokyota nel vano tentativo di assumere un’espressione lucida.

– E tu non farti venire certe ideuzze ambigue. Chissà cosa stavi sognando… – ghignò il cecchino dello Shohoku.

Inutile ribattere. Rumiko si limitò a fulminarlo con lo sguardo, prima di afferrare i vestiti e volare in bagno. L’amico le spiegò che era passato a prenderla per non farla arrivare in ritardo al palazzetto e, già che c’era, aveva avuto la bella pensata di svegliarla di persona.

La signora Ishida si era dimostrata davvero disponibile nei suoi confronti: “Se riesci a riportare nel mondo dei vivi quella scansafatiche di mia figlia ti offro la colazione, Hisashi!”, aveva detto. Rumiko non riusciva a capacitarsi del comportamento insensato di sua madre. Aveva fatto entrare in camera sua un maschio, e senza farsi alcun problema! Non che la cosa le avesse dato fastidio, ma iniziava a dubitare seriamente della sanità mentale della donna che l’aveva messa al mondo.

Una mezz’oretta dopo Rumiko e Mitsui uscirono da casa Ishida: lui indossava la solita divisa scolastica e a tracolla portava il borsone con maglia e pantaloncini; la nostra aveva già indosso canotta e shorts della squadra, coperti da una tuta nera. L’aria era frizzante come la sera prima, con quella brezza leggera, ma il cielo si era finalmente deciso a tornare sgombro e luminoso: tempo un paio di giorni e il caldo avrebbe preso il sopravvento.

Le foglie degli aceri turbinavano intorno ai due ragazzi, durante il tragitto in moto verso il palazzetto dello sport, costringendo Hisashi a rallentare spesso perché lo confondevano non poco. La piccola diavola osservava gli alberi, le case e i giardini ancora silenziosi, pregando mentalmente non ben identificate divinità affinchè andasse tutto bene: desiderava con tutta l’anima che la sua squadra vincesse contro lo Shoyo.

Già, la sua squadra. Era così che la sentiva, ormai, sebbene fosse entrata a farne parte da appena una settimana: si era affezionata a ogni singolo giocatore e aveva preso a cuore il fatto che potessero accedere al campionato interscolastico. Voleva aiutarli in qualunque modo. Ma c’era un’altra ragione per cui pregava e sperava, una ragione ben più egoistica: non doveva assolutamente fare brutta figura di fronte al signor Anzai. Se i ragazzi avessero perso sarebbe stata anche colpa della sua incapacità e della sua presunzione di credersi un’allenatrice. Non se lo sarebbe mai perdonato, se fosse accaduto. Si sentiva come se dovesse sostenere un esame, il che aumentava moltissimo la sua tensione.

E poi c’era il motivo principale: Hanamichi. Dopo il sogno che aveva fatto non vedeva l’ora di rivederlo, anche se da un lato si sentiva assai agitata.

Basta pippe mentali, Rumiko Ishida, si disse con decisione, e si strinse inconsciamente alla vita di Mitsu rischiando di farlo sbandare per la sorpresa.

Infine, sopravvissuti alla tempesta di foglie e all’arietta non proprio tiepida, i due ragazzi arrivarono al palazzetto: il parcheggio era gremito di auto e motorini, cui si aggiunse il destriero di Hisashi, e la gente continuava a entrare nell’edificio nonostante fosse abbastanza tardi.

Quando varcarono la soglia degli spogliatoi, Rumiko respirò profondamente: – Ci siamo quasi.

Nella stanza riservata ai giocatori dello Shohoku c’era già molta tensione, che Akagi e Ayako tentavano invano di acquietare: sembrava proprio che questi Diavoli Verdi avessero il potere di demoralizzare e preoccupare la squadra ancor prima di scendere in campo.

– Chi credete che siano? – stava declamando Takenori: – Esseri superiori? Per voi è sufficiente sapere che sono riusciti ad accedere al campionato per qualche anno di fila per abbattervi in partenza? Cosa farete, allora, quando ci ritroveremo ad affrontare il Kainan King? Scapperete senza troppi complimenti?

Nessuno rispose, lì per lì. Persino Hanamichi era torvo e stranamente silenzioso, sebbene avesse promesso a Rumiko che ce l’avrebbe messa tutta. Erano davvero così forti, i giocatori dello Shoyo?

La ragazza osservò i suoi compagni con aria perplessa, perché non li aveva mai visti giù di morale:

– Ascoltatemi. – iniziò titubante.

Gli altri alzarono il capo non appena sentirono la sua voce, benché lei sembrasse imbarazzata:

– Io non so quanto posso aiutarvi, dato che sono in squadra da poco tempo e che non conosco minimamente lo Shoyo, ma… Insomma, mi siete sempre parsi determinati e combattivi, fin troppo a volte! Non credo sia il caso di avere paura adesso. Se non vi scrollate di dosso quest’ansia rimarrete sconfitti a priori, sia in campo che fuori, e non è quello che vogliamo, no?

I ragazzi la guardarono con crescente interesse e fiducia, ma non fiatarono. Fu Takenori a parlare:

– No, non lo vogliamo. O per lo meno, io non lo voglio. Sono anni che aspetto di accedere al campionato, fin dalla prima superiore, e non ci sono mai riuscito. Questa è la mia ultima occasione e non voglio, non posso lasciarmela sfuggire così. Voi di prima e seconda avrete altre possibilità, ma non io e quelli di terza. Perciò non arrendetevi subito! – concluse con enfasi.

– L’allenatrice e il capitano hanno ragione, gente. Non dobbiamo demoralizzarci! – approvò Ryota balzando in piedi.

Mitsui gli fece eco: – Se ci dimostriamo delle pappemolli simili tanto vale tornarcene a casa, no?

– Non c’è giocatore dello Shoyo capace di battermi! – urlò finalmente Hanamichi, ritrovando il suo solito umore; – Ho promesso a Rumiko di sconfiggerli e lo farò. – e la ragazza si sentì per un attimo al settimo cielo.

Infine si fece avanti Rukawa, che con quella calma impassibile che lo caratterizzava sentenziò: – Lo stesso vale per me. – e scoccò un’indecifrabile occhiata di sfida al Rossino.

Rumiko e il capitano, invece, si scambiarono un sorriso:

– Grazie, Ishida. – bisbigliò il Gorilla.

– E di che, senpai? – ribatté la nostra.

Così la squadra si avviò in campo determinata e sicura come sempre, mentre già si udivano le voci concitate e impazienti del pubblico: la partita stava per cominciare.

 

 

Gli spalti del palazzetto erano straripanti di gente: studenti, curiosi, genitori, i ragazzi del Ryonan, quelli dello Shoyo (che facevano un casino pazzesco per incitare la squadra), il Club delle Seguaci di Rukawa, la gang di Mitsui con Hatta a condurla e, ovviamente, Haruko, Mito, Okusu, Noma e Takamiya, i migliori amici del Rossino. L’atmosfera era già piuttosto calda e Rumiko non potè fare a meno di provare una certa inquietudine, soprattutto quando qualcuno, da una delle prime file, commentò:

– Ecco i giocatori dello Shohoku! Secondo me questa per loro sarà l’ultima partita.

La tokyota deglutì a vuoto: per adesso i presagi di vittoria erano praticamente inesistenti. Sembrava che tutti, compresi i suoi amici, riconoscessero la superiorità dello Shoyo come un dato di fatto inconfutabile. Fortunatamente per il suo umore, che era finito sotto i piedi, qualcun altro gridò, in risposta al commento di prima:

– Io non ne sarei tanto sicuro!

Intanto Hanamichi stava facendo il galletto con Haruko e Rukawa teneva d’occhio la nostra, che adesso sfoggiava la canotta avvitata che si era fatta fare sul modello della divisa della squadra.

– Molto bene, – esordì Rumiko, – cominciamo con il riscaldamento. È vietato fare quelle facce depresse, intesi?

I ragazzi risero, ma non erano nemmeno a metà degli esercizi quando un unico boato si levò dagli spalti:

– Sono i ragazzi dello Shoyo!

Tutti si voltarono a guardare: dalle porte degli spogliatoi stavano facendo il loro ingresso in campo i loro avversari, dalla divisa verde e bianca e lo sguardo tremendamente determinato. Eppure non fu tanto quello a far perdere coraggio a Rumiko, bensì l’altezza media degli sfidanti: a parte quello che apriva la fila, gli sfidanti erano dei veri e propri giganti, alti e robusti, come del resto c'era scritto sui famosi fascicoli.

– Rettifico. – gracchiò la ragazza: – Potete fare quelle facce depresse quanto vi pare e piace.

Le due squadre si riunirono intorno ai rispettivi allenatori per ricevere da questi gli ultimi consigli. Mentre il signor Anzai decideva la formazione iniziale, Rumiko osservò incuriosita il membro più basso dello Shoyo: oltre a essere molto carino, con gli occhi limpidi e folti capelli castano chiaro, sembrava che stesse facendo esattamente la stessa cosa del signor Anzai. Ma come poteva rivestire contemporaneamente il ruolo di allenatore e giocatore?

– Vedo che stai guardando Kenji Fujima. – disse il novello Buddha, intuendo i pensieri della propria vice: – So che può sembrarti un po’ inusuale, ma è il coach dello Shoyo, almeno quando è in panchina. In campo diventa una furia scatenata, da non riconoscerlo.

– Questo vuol dire che non hanno un “vero” allenatore? – domandò lei ancora incredula.

– Proprio così. Però finora Fujima è stato abilissimo sia come coach che come giocatore. Ripeto, finora. – e le fece l’occhiolino: – Adesso anche lo Shohoku può vantare un’allenatrice giovane, quindi chissà, le cose potrebbero cambiare.

Rumiko arrossì lievemente e mugugnò qualcosa come segno d’approvazione. La sua mente, in quel momento, vergeva su ben altri pensieri: com’era possibile che tutti (o quasi) i giocatori di basket di Kanagawa fossero dei tipi dannatamente belli? E ancora non si era accorta di un altro divino cestista, un ragazzo alto e moro con i capelli a porcospino che era appena giunto su uno degli spalti superiori assieme ai compagni di squadra, le cui divise mostravano la scritta “Ryonan High School - Basketball Team”. Il ragazzo in questione, mentre faceva scorrere lo sguardo sulle squadre in campo, notò la minuta fanciulla e rimase lievemente basito dalla sua presenza:

– Uozumi, chi è quella? – chiese all’enorme compagno che sedeva accanto a lui.

– Quella chi? Io vedo solo la manager dello Shohoku. – rispose questi perplesso.

Il moro scosse la testa: – L’altra, la tipetta con i capelli legati che sta parlando con Anzai.

Uozumi scrutò meglio il campo e infine capì:

– Ah! Come, non sapevi che da una settimana a questa parte lo Shohoku ha una vice-allenatrice? È arrivata da poco, a quanto mi hanno detto, è di Tokyo. – spiegò.

Il bel Porcospino emise un basso fischio d’ammirazione: – Viene da Tokyo? Alla faccia! E se è già allenatrice dello Shohoku dev’essere brava…

Il gigantesco Uozumi annuì: – Penso anch’io. Comunque si chiama Ishida, per quel che ne so.

Il ragazzo dai capelli puntuti e la maglia numero sette sorrise in direzione dell’ignara Rumiko:

– Sai cosa, Uozumi? È veramente carina. – disse. Peccato che non si fosse iscritta al Ryonan!

Durante l’intervallo tra il primo e il secondo tempo avrebbe fatto in modo di conoscerla. Assolutamente.

Mentre tra gli spettatori, i giocatori del Ryonan e quelli del Kainan serpeggiavano i più svariati pronostici sulle sorti della partita, questa arrivò al suo momento d’inizio. Prima di entrare in campo, tuttavia, Rumiko dette gli ultimi consigli ai ragazzi della squadra:

– Ricordatevi gli schemi di gioco di cui abbiamo parlato durante gli allenamenti di questa settimana. Niente panico durante l’incontro, perché siete bravi e lo sapete. Hanamichi, – raccomandò al Rossino, – il rimbalzo dev’essere una tua priorità. È l’azione che ti riesce meglio, per adesso.

Sakuragi le fece l’occhiolino per la seconda volta in tre giorni e alzò il pollice per rassicurarla:

– Tranquilla, Rumi, è tutto sotto controllo. – gorgogliò baldanzoso. Dentro di sé, però, avvertì di nuovo la strana sensazione provata la sera del venerdì e dovette fare un grande sforzo per scrollarsela di dosso: c’era Haruko in prima fila che lo guardava trepidante! Cosa poteva desiderare di più?

La nostra, nello stesso momento, stava parlando con gli altri quattro:

Senpai Akagi, credo di non avere nulla da dirti.

Takenori annuì: – Nessun problema, Ishida.

– Ryo?

– Tutto a posto, Rumi.

– Mitsu?

– Idem per il sottoscritto, ma belle.

Rumiko gli tirò una pacca sulla schiena con una sghignazzata e si girò verso Rukawa:

– Rukakun?

Silenzio. Kaede la fissava con faccia assente, come se pensasse a tutt’altre cose: – Rukawa?

– Eh? Ah. Bene. – grugnì lui scomparendo sotto la frangia.

Hisashi e Ryota si scambiarono un sorriso sornione. In quella il signor Anzai avanzò e dichiarò, con la sua solita calma e la sua aria paciosa, che non aveva niente da aggiungere. E anche Fujima, a quanto pareva, aveva terminato il suo sermone.

Ebbe dunque ufficialmente inizio la partita che vedeva come avversari lo Shoyo e lo Shohoku, la prima partita di Rumiko da quando era arrivata lì, seppur in veste di allenatrice: i dieci atleti si fronteggiarono tra le grida entusiaste dei sostenitori dei Diavoli Verdi che acclamavano i loro beniamini, primo fra tutti l’altissimo Tohru Hanagata, capitano dello Shoyo. La nostra si chiese seriamente se i suoi avessero qualche reale probabilità di spuntarla, vista l’atmosfera creatasi – e purtroppo nei primi minuti di gioco le sue più nere visioni si rivelarono fondate, dal momento che i Diavoli Verdi segnarono un bel po’ di canestri e misero a punto azioni incredibili di attacco e difesa: tra l’altezza vertiginosa e la bravura sembravano invincibili.

Giocatori e tifosi dello Shohoku cominciavano a innervosirsi, nel constatare che non avevano ancora segnato alcun canestro, quando Rukawa si fece notare con un’azione spettacolare fregando quei colossi di Nagano e Takano e riuscì a guadagnare i primi due punti.

– Vai così, Rukakun! – si sgolò Rumiko sbracciandosi a bordo campo in direzione dell’amico, frattanto che le galline del Club delle Seguaci esplodevano in strilli di gaudio, Haruko collassava sugli spalti e il resto del pubblico faceva commenti sull’abilità del ragazzo. Al suono della voce squillante di Rumiko Kaede si voltò verso di lei, felicissimo del fatto che lo stesse acclamando; Hanamichi si rodeva il fegato e lanciava accidenti in direzione dell’odiata Kitsune che gli rubava sempre la scena. Fu però proprio il canestro di quest’ultimo che spezzò l’incantesimo poco benevolo che aleggiava sullo Shohoku e restituì la giusta carica ai ragazzi in divisa bianca e rossa.

Il Gorilla si scatenò con i suoi assi nella manica, i mitici “Colpi dello Schiacciamosche” e i suoi incredibili dunk, Miyagi si dimostrò un playmaker geniale, Mitsui mise a segno un paio di quei canestri da tre punti che gli valevano la fama di cecchino implacabile, Kaede si comportò da fuoriclasse come di consueto e anche il Rossino ebbe il suo momento di gloria.

Il primo tempo stava ormai per finire, e il punteggio era di 31 a 24 per i Diavoli Verdi:

– Non è necessario che i ragazzi facciano canestro. – considerò Rumiko con il cuore in tumulto; – Basta che impediscano allo Shoyo di segnare adesso, altrimenti la differenza da colmare diventerebbe troppa.

Hanagata lanciò la palla, ma questa picchiò sull’anello di ferro del cesto e rimbalzò indietro:

– RIMBALZO! – urlò la tokyota con quanto fiato aveva nei polmoni. Dovevano recuperare il pallone, o non avrebbero più avuto possibilità di ripresa. Rumiko strinse i pugni convulsamente e in quell’istante Hanamichi volò oltre le teste degli altri giocatori, afferrò lo Spalding al grido di “Arriva il Re del Rimbalzo!” e il primo tempo si concluse.

A bordo campo, la nostra rimirava il Rossino con volto sognante:

– Il Re del Rimbalzo e la Signora dei Canestri. – mantreggiò tra sé, memore della frase di Hanamichi al suo primo giorno allo Shohoku.

Sfortunatamente non riuscì a complimentarsi per prima con il ragazzo durante l’intervallo, perché qualcuno l’aveva battuta sul tempo. Haruko stava parlando amabilmente con Hanamichi nel corridoio degli spogliatoi e gli stava dicendo le stesse, identiche cose che avrebbe voluto dire Rumiko: – Oh, Sakuragi, sei stato bravissimo! Se non fosse stato per te la differenza di punteggio sarebbe stata troppo alta. Sei il Re dei Rimbalzi! – cinguettava.

Il povero Hanamichi faceva invidia a un pomodoro e ai propri capelli e si gratticchiava la nuca con fare imbarazzato:

– Ma figurati, Haruko, per me son bazzecole. – si schermì con un sorriso a trentadue denti.

Rumiko si trattenne a stento dall’avventarsi sull’altra. Sapeva benissimo che il Rossino non aveva occhi che per la sorella del Gorilla, e nonostante tutto non riusciva a smettere di pensarci. Se solo Rukawa avesse manifestato interesse per Haruko Hanamichi si sarebbe messo il cuore in pace e avrebbe dedicato più attenzioni alla bella allenatrice e… Rukawa? Rumiko ebbe un’illuminazione improvvisa: doveva assolutamente farlo innamorare della Akagi.

Con un saltino gli fu accanto e lo prese sotto braccio, rischiando di mandarlo in deliquio:

– Rukakun, che ne pensi di Haruko? – chiese senza troppi preamboli.

Kaede la squadrò come se cadesse dalle nuvole: – Chi? La Akagi? Perché? – brocciolò stupito.

Rumiko si morse il labbro inferiore: – Tu non preoccuparti, è per mia curiosità. – svicolò.

Il cervello del ragazzo iniziò a lavorare a tutta velocità, per quanto gli era possibile: se Ishida voleva saperlo era perché si era follemente innamorata di lui, e se si era follemente innamorata di lui non ci sarebbero stati più problemi!

Rincuorato, Kaede la guardò dritta negli occhi, preparandosi alla rivelazione fatidica, e rispose:

– Mi interessa un’altra persona, per quanto Akagi sia carina.

Ma Rukawa non riuscì a confessarle niente di più, perché in quell’attimo l’attenzione di Rumiko fu attratta dal tipo che si era appena fermato a pochi passi da loro: la nostra rimase a bocca aperta di fronte a quella visione tutta capelli corvini sparati in aria, occhi accesi, corpo perfetto e sorriso luminoso. Un ragazzo che da solo emanava più fascino Rukawa, Mitsu, Fujima e Ryota messi insieme.

L’apparizione la squadrò con simpatia e interesse, destando l’immediata gelosia del Volpino:

– Tu sei Ishida, vero?

Rumiko impiegò alcuni secondi per riprendersi e riacquistare un’aria presentabile:

– ‘Azz. Sì, sono io, proprio io, Rumiko Ishida. – farfugliò. – E tu saresti…?

– Akira Sendo. Piacere di conoscerti. – proclamò la Meravigliosa Creatura tendendole la mano.

La ragazza la strinse senza riuscire a staccargli le pupille di dosso.

– Che liceo frequenti? – indagò in tono già più comprensibile.

Lui indicò la scritta blu sulla propria tuta: – Il Ryonan, secondo anno. Mi hanno detto che sei la nuova allenatrice dello Shohoku. – disse, e Rukawa lo fissò con stizza crescente.

La tokyota invece rise: – Non esattamente. Diciamo che sono la spalla del signor Anzai. Sono arrivata qui da appena una settimana.

– Beh, sembri già molto a tuo agio. – commentò Sendo.

– È merito nostro. – puntualizzò Kaede intromettendosi.

L’altro si voltò verso di lui: – Salve, Rukawa, non ti avevo visto! Buon per voi che avete una coach tanto bella. – esclamò sereno e mandando l'interpellata sull’orlo di un’implosione embolare. – Se non avete nulla in contrario potreste anche prestarcela per qualche giorno.

– Scordatelo. – lo freddò lapidario il numero undici.

Sendo scoppiò a ridere e alzò le mani in segno di resa:

– Ehi, calmo, stavo scherzando! Comunque, – seguitò rivolgendosi a Rumiko e dandole un foglietto di carta, – questo è il mio numero di telefono. Non mi dispiacerebbe invitarti a uscire, uno di questi giorni, quindi chiamami quando vuoi. Ci vediamo! E in bocca al lupo per la partita! – si congedò, e le strinse di nuovo la mano.

Rumiko rimase lì impalata a boccheggiare, le facoltà neuronali annientate, constatando a malapena che, visto che c’erano ragazzi bellissimi che ti proponevano di rivedersi al primo incontro, la prefettura di Kanagawa era proprio un paradiso in terra.

Dal canto suo Sendo si sentiva un po’ un idiota sfacciato per aver fatto quella proposta a Rumiko senza nemmeno conoscerla bene, ma gli erano bastate due frasi, un sorriso e un guizzo d’interesse in quei grandi occhi nocciola per fargliela piacere.

Rukawa, zitto zitto, ribolliva di rabbia: – Ma chi si crede di essere, quello? – brontolò con voce d’oltretomba, irritato ancor di più dal fatto che Rumiko non metteva mai su quella faccia da triglia quando parlava con lui.

Anche Hanamichi aveva seguito la scena con curiosità:

– Complimenti, Rumi. – ridacchiò soave passandole accanto; – Ora ripigliati, se non ti dispiace, che è finito l’intervallo. – e la ragazza gli diede retta, seguendolo con le sinapsi ancora sottosopra.

Oddèi!, alitò muta la sua coscienza. Per circa due minuti il Rossino si era eclissato dai suoi circuiti mentali.

 

 

La partita proseguì a ritmo serratissimo e i ragazzi dello Shohoku furono più scatenati che mai: Hanamichi, sentendosi invincibile dopo le lodi della bella Akagi, confermò diverse volte la propria genialità nel rimbalzo e Kaede non lasciò scampo ad alcun giocatore dello Shoyo, determinato com’era a conquistare Rumiko prima che ci pensasse Sendo; Mitsui non si lasciava scappare un canestro, Miyagi si muoveva meglio di un gatto e il Gorilla incuteva un tale timore negli avversari (vista la stazza e considerati i suoi ruggiti) da riuscire a sbaragliarli quasi senza sforzo.

La squadra si era appena portata in vantaggio, suscitando l’euforia di Rumiko, Ayako, Kogure e gli altri, quando lo Shoyo si decise a far entrare in campo il proprio asso nella manica: Fujima. Il giovane allenatore raggiunse i compagni con espressione risoluta e scoccò una breve occhiata di sfida a Rumiko, come a voler dire “vedremo chi dei due è il coach migliore” – cosa inutile, giacché lei era soltanto un’aiutante, ma tant’è.

E da quel momento le cose si misero maluccio per lo Shohoku. Kenji Fujima ci sapeva indubbiamente fare, era un playmaker di tutto rispetto e con lui al loro fianco anche Hanagata e compagnia ripresero quota, mettendo in seria difficoltà i nostri eroi: verso la fine del secondo tempo Mitsu era sfinito, il Rossino aveva commesso ben quattro falli e persino il Volpino appariva demoralizzato.

Erano sotto di soli due punti, valutò Rumiko osservando preoccupata il tabellone. Stava cominciando a perdere la speranza: non solo Fujima e i suoi sembravano imbattibili, come lei e gli altri avevano temuto sin dall’inizio, ma pure il pubblico era quasi interamente dalla parte dello Shoyo. Sentire quella gente che osannava i Diavoli Verdi, le voci che s’incrociavano da un lato all’altro del palazzetto, le metteva addosso una gran depressione.

Cosa si aspettava? Si erano davvero illusi di vincere? Eppure avrebbe dovuto essere cosciente del fatto che spesso e volentieri il destino lo piantava a tutti nel didietro.

Destino?, sillabò mentalmente, perplessa. Si potevano davvero affidare a esso le fila della partita? Erano Hanamichi, Hisashi, Kaede, Ryota e Takenori a deciderle, a loro spettava l’ultima parola: mettersi nelle mani della sorte, in questo caso, era l’errore peggiore che potessero fare.

Si sentiva già meglio, e perciò gridò a Kaede, che si era appena impossessato della palla: – Rukawa, ti prego, fai canestro!

Il ragazzo non la deluse.

– Siamo in vantaggio! – ululò Ryota al colmo della gioia, guardando con gratitudine il tabellone che adesso segnava 62 a 60 per loro.

Anche gli altri gioirono. Mancavano pochissimi minuti alla fine: se fossero riusciti a mantenere quel punteggio non ci sarebbero stati problemi.

Rumiko tornò a concentrarsi su ciò che stava succendendo in campo: Kogure, entrato al posto dell'ex MVP, era riuscito a prendere la palla grazie a una stoppata formidabile di Hanamichi e l’aveva passata proprio a lui. Il Re si lanciò all’attacco e il cuore di Rumiko accelerò di un battito, mentre gli astanti trattenevano il respiro, in attesa. Hanamichi strinse con forza il pallone, come se con quel gesto volesse raccogliere le forze che gli rimanevano, malgrado Hanagata e Nagano che gli sbarravano la strada, e saltò: Rumiko lo vide svettare sugli avversari e abbassare il braccio verso il cesto, sempre più giù…

E il pallone entrò nel canestro con una potenza straordinaria: Hanamichi Sakuragi aveva realizzato il suo primo dunk.

Nel silenzio generale l’arbitro fischiò fallo e tuttavia nessuno vi badò, perché l’intero palazzetto era esploso in un grido unanime di stupore e ammirazione acclamando Hanamichi in un’ondata di tifo scatenato che il ragazzo non aveva mai udito: fu costretto a uscire per via dei suoi cinque falli, ma ormai il pubblico era passato dalla parte dello Shohoku e i compagni aveva ritrovato la grinta necessaria, grazie alla sua magnifica azione.

Rumiko, sopraffatta dal batticuore allucinante che l’aveva travolta, cadde pesantemente a sedere sulla panca a bordo campo, avvampando: quel che il Rossino aveva appena fatto le aveva regalato un’emozione senza limiti. Davanti agli occhi le danzava ancora l’immagine forte ed elegante di lui sospeso a mezz’aria, appeso all’anello, e quasi le mancava il respiro. Ma non era soltanto il lato visivo della cosa, no: era ciò che Hanamichi sapeva trasmetterle col proprio gioco.

Il motivo per cui, ora lo capiva, se ne era invaghita senza apparente via d’uscita.

– Rumiko! Abbiamo vinto! Rumiko! – la scrollò la manager.

Hanamichi le corse accanto e, benché stordito da tutto quel successo e dai complimenti che gli rivolgevano, le elargì un largo sorriso:

– Che ti avevo detto? Mai dubitare del Genio!

– Non ho dubitato di te nemmeno per un attimo. – disse piano lei, il cuore in gola.

– Vorrei ben vedere. – rise il ragazzo senza dar segno di aver colto il suo stato d’animo.

I due si unirono ai festeggiamenti con il resto della squadra; l’atmosfera dalle parti dei Diavoli Verdi era un po’ meno gaudiosa, e i ragazzi dello Shohoku ritennero giusto ringraziarli per lo splendido incontro.

Mentre il resto della ghenga continuava a saltellare qua e là in preda a un attacco di allegra follia, progettando di recarsi tutti insieme appassionatamente a sbronzarsi in qualche angolo, Rumiko si frugò in tasca e trovò il biglietto di Sendo. L’avrebbe conservato, pensò distrattamente, ma adesso quello che era successo nell’intervallo non era poi molto importante. Per quanto meno affascinante fosse, la nostra ne era ormai sicura: era innamorata del Rossino e non sarebbe bastata una visione tutta capelli corvini e sorriso smagliante per farle cambiare opinione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Il primo aggiornamento dell’anno andrebbe degnamente festeggiato e avevo quasi pensato di farlo doppio a mo’ di regalo per le feste, ma ho dovuto desistere: essendo arrivata pressoché al limite dei Capitoli-Belli-E-Pronti-Da-Pubblicare mi sa che dovrò allentare un po’ i tempi di pubblicazione, frattanto che ne scrivo almeno un paio di nuovi. Non preoccupatevi, però! La Rumi e gli altri non vi abbandonano, non adesso che si comincia a entrare nel vivo della storia.

Spero di non aver esagerato, piuttosto, introducendo pure quell’altro bel rincoglionito di Akira Sendo… (ah, povero, povero Volpino!)

 

Puntualmente, i ringraziamenti!

A tutti coloro che leggono/favvano/apprezzano e in particolare a:

MihaChan (Hana ruleggia ;P per quanto sia snervante il suo ostinato “maammèppiacelababba”…)

Kenjina (sociaaa! la Rumi ricambia il saluto e porge il suo alla Hime :D soddisfatta della new-entry? e se sul serio lo sviluppo degli eventi continua a essere imprevedibile ne son felice! quanto a Mitchi… mmmh, non parlo!)

Kuro (su di giri? addirittura? allora ti guadagni un posto ad honorem tra i nostri beneamati eroi *.*)

 

Buon divertimento, buon anno e alla prossima! ­_Black

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Capitolo 7
*** sesto: mai stata baciata. ***


Capitolo settimo : MAI STATA BACIATA

sesto: mai stata baciata.

 

 

 

 

Ormai erano passati diversi giorni da quella prima, indimenticabile partita, e i ragazzi dello Shohoku ne avevano appena affrontata un’altra ben più dura e che non avrebbero scordato facilmente: si erano infatti battuti contro il Kainan King e, purtroppo, avevano perso. Non era stata affatto una sconfitta senza onore, però, e questo Rumiko lo aveva ripetuto più volte agli amici. Avevano giocato benissimo, li aveva rassicurati, ed erano in gara per il secondo posto alle nazionali. Ancora una volta, non dovevano abbattersi e dovevano prepararsi al meglio per l’incontro che avrebbe deciso il loro destino definitivo: la partita contro il Ryonan, una volta passata quella contro il Takezato. A quel pensiero la giovane allenatrice non poteva fare a meno di sentirsi stranita. In fondo si sarebbero scontrati due ragazzi che le piacevano, seppur in maniera diversa, vale a dire Hanamichi e Sendo. Un giorno si ritrovò addirittura ad avere dei dubbi su chi sostenere! Ma c’era poco da scherzare: dovevano farcela a tutti i costi.

Nel frattempo erano successe alcune cose: il Gori si era slogato in malo modo una caviglia e il Rossino si era tagliato i capelli cortissimi per espiare un errore commesso durante la partita contro il Kainan. Quando Rumiko lo aveva visto sfoggiare la sua nuova pettinatura era rimasta a bocca aperta dallo stupore, però subito dopo si era resa conto che quel matto di Hanamichi la ingrifava anche di più, così conciato. Peccato che pure Haruko avesse fatto commenti positivi sulla faccenda: forse avrebbero vinto contro il Ryonan, si era detta la tokyota, ma la sua era una battaglia persa in partenza.

 

 

Il sabato mattina successivo alla partita contro il Kainan Ayako andò a cercare Rumiko durante la pausa pranzo e la trovò in cortile a mangiare insieme a Rukawa:

– Chi ve lo fa fare di starvene qua fuori con il caldo che fa? – li apostrofò allegramente sedendosi accanto a loro.

Rumiko ridacchiò arricciando il naso al di sotto degli enormi occhiali da sole vintage che si era messa:

– In classe eravamo un po' assediati.

La bella manager scoccò un’occhiata incuriosita a Kaede, il quale si limitò a fare spallucce: – Le galline. – fu la sua laconica risposta, e si rituffò immediatamente sul suo onigiri.

Ayako sorrise: – Capisco.

Ci fu qualche attimo di silenzio, e alla fine fu Rumiko a riprendere la parola: – Che succede, Aya?

L’altra giocherellò con un ricciolo nero: – Volevo sapere se avevi programmi per stasera, Rumichan. Pensavo di fare un’uscita a tre con Haruko, tanto per passare del tempo fra ragazze e basta. Ne abbiamo abbastanza di bestioni da basket, giusto? – concluse sorniona.

Rumiko scoppiò a ridere, dandole ragione, mentre Rukawa scoccava a entrambe un’occhiataccia.

– E cos’avevi in mente di fare? – domandò l’allenatrice.

– Tutta vita! Ti va di conoscere il locale migliore di Kamakura? Si può bere senza spendere un patrimonio e ballare fino a tardi. – illustrò Ayako.

L’amica la guardò in tralice: – Non mi vorrai mica trascinare in una squallida discoteca, vero?

– Ci mancherebbe altro. Il posto di cui parlo non è una discoteca.

Le risposte della manager avevano stuzzicato la proverbiale curiosità di Rumiko che, oltretutto, aveva una voglia matta di scatenarsi di nuovo a suon di musica, visto che non lo faceva da quando aveva lasciato Tokyo.

– Mi hai convinta. A che ora facciamo? – si decise, senza accorgersi che Kaede stava seguendo il dialogo senza perdersi una sillaba.

Ayako rimuginò un attimo: – Direi subito dopo cena, alle nove. Ci troviamo sotto casa di Haruko e da lì andiamo a piedi fino al locale, che è vicino. – decise.

Rumiko annuì: – D’accordo. Ah, come si chiama il posto?

– Dada’s. – sorrise enigmatica la manager, e se ne tornò in classe rivolgendo loro un ultimo cenno di saluto.

La nostra, invece, guardò Rukawa con aria poco convinta:

– Il nome promette male. Secondo te ho fatto bene ad accettare?

Il ragazzo ricambiò lo sguardo esibendo un’espressione stranamente limpida: – Certo.

Ma preferì tacere sul fatto che anche lui aveva appena preso una decisione importante per la serata a venire.

Il resto della giornata trascorse in maniera sorprendentemente veloce, agli occhi di Rumiko. Sarebbe uscita di nuovo la sera dopo tanto tempo e con persone che ormai considerava amiche, e questo pensiero bastava per spodestarne ogni altro riguardante lezioni, spiegazioni e allenamenti: l’unico spazio vuoto rimasto fu occupato dal suono della campanella che segnò la fine di quella settimana scolastica. La tokyota sarebbe stata ancora più euforica e impaziente se l’invito fosse stato di Hanamichi (o di Sendo, diciamocelo), ma non si può avere tutto dalla vita.

Tornò a casa più in fretta che poteva, correndo nell’aria tiepida della sera, già progettando cosa avrebbe indossato in modo da non fare tardi.

Spiegò ai genitori la situazione e, senza aspettare una risposta vera e propria, mangiò come una furia e si precipitò in camera a cambiarsi: dopo giorni e giorni trascorsi infagottata principalmente in tute da ginnastica le ci sarebbe voluto un po’ per tramutarsi in uno schianto!

 

 

Arrivando sotto casa Akagi, Rumiko scorse Ayako intenta a parlare con il Gorilla davanti alla porta; di Haruko non c’era traccia.

Non appena la vide Takenori la salutò a gran voce dicendo: – Haruko sta finendo di prepararsi. – e Ayako fece un commento divertito sulla lentezza dell’amica.

Finalmente quest’ultima sbucò alle spalle del fratello ed esclamò: – Oh cielo, siete già qui! Scusate se vi ho fatto aspettare.

Aveva un tono talmente dispiaciuto che Rumiko finì col mettere da parte la gelosia che provava nei suoi confronti, almeno per quella sera. Una sorta d’armistizio personale.

Le tre salutarono Takenori, il quale aveva già concordato che sarebbe andato a prendere la sorella alle due, e s’incamminarono verso il centro.

Man mano che si avvicinavano alle strade affollate e illuminate da insegne e lampioni Rumiko veniva assalita da mille dubbi: non andava a giro il sabato sera da secoli, in pratica, e aveva paura di non riuscire più a divertirsi come quando era nella capitale. La cittadina era ancora in gran parte sconosciuta per lei, e non poteva sapere se riservava sorprese belle o brutte. Ma quando scorse la scritta scarlatta e assurda sopra l’entrata del locale – un trionfo di lettere quasi incomprensibili che recitavano “Dada’s” – e mosse i primi passi all’interno, ogni suo dubbio svanì come se non ci fosse mai stato: lei e le altre erano entrate in un luogo caldo, pieno di luci e voci, bizzarro, stravagante, unico e pervaso dalle note di una canzone che fece subito perdere la testa alla minuta allenatrice; la sala era ovale, enorme, con un ampio banco bar in fondo, tavolini e divanetti contro le pareti coperte di fregi di ogni tipo e una balconata che correva lungo tutto il perimetro della stanza, sorretta da colonnine in ferro battuto; era un vero e proprio trionfo di legno e luci strobo che si mescolavano a quelle soffuse dei piccoli candelabri disseminati negli angoli più impensati e delle lampade d’ogni foggia ricoperte di carta di riso dipinta di sfumature rossastre. Al centro della sala c’era la pista da ballo, posta un po’ più in basso rispetto al livello del bar, così che bisognava scendere tre gradini: era ricoperta da uno stranissimo pavimento a specchio e, dalla parte opposta al bancone, occupata da un palchetto.

C’era solo un modo per definire quel posto:

– Ma è assolutamente folle! – urlò Rumiko alle amiche mentre sistemavano le giacche nel guardaroba.

Ayako si voltò ridendo: – Non dirmi che non ti piace!

– No, è proprio per questo che mi piace! È bohemien fino alla morte! – ribattè l’allenatrice con un sorriso radioso.

Una volta liberatesi dei soprabiti le tre basketwomen si fecero largo fra la gente che affollava il locale, fino a raggiungere un tavolino vicino al banco bar, proprio sotto la balaustra. Rumiko si lasciò cadere sulla sedia imbottita con un sospiro di beatitudine:

– E dire che non ci volevo quasi venire. – confessò.

Haruko la fissò con tanto d’occhi: – Perché? Non eri mai stata in un locale? – chiese con la sua solita aria angelica.

La bella Ishida le lanciò un’occhiata che avrebbe incenerito perfino Maki del Kainan:

– Per tua informazione sono più avvezza a certe serate di quanto tu creda. Temevo solo che fosse un posto meno interessante. – rispose gelida.

Ayako trattenne a stento una risata, perché Rumiko era veramente troppo gelosa. Poi la manager chiamò il barman, un ragazzo sui vent’anni di sua conoscenza, e ordinò un Cosmopolitan; le altre due seguirono il suo esempio non appena ebbero finito di scrutarsi sospettose.

– Bene, e ora godiamoci la serata, ragazzuole. – esordì Ayako; – Ho voglia di spettegolare un po’!

– Non ti facevo così frivola, Aya. – la prese in giro bonariamente Rumiko.

L’altra si strinse nelle spalle sorridendo:

– Sarà che a forza di stare tutti i pomeriggi con quei maschi indiavolati ho bisogno di qualche sana conversazione al femminile.

– Ti capisco. – annuì Rumiko con voce tragica.

– Come mai vi costa tanta fatica? – intervenne Haruko: – A me sembrerebbe stupendo. – ed esalò un sospirone lunghissimo, guardando il vuoto con aria sognante.

Ayako scoppiò a ridere di gusto: – Ma dai, Haru! Lo dici soltanto perché ti piace Rukawa!

– E ti pare poco? – ribattè l’amica arrossendo furiosamente.

– Haruko, sei davvero così innamorata di lui? – s’interessò Rumiko.

La Akagi diventò ancora più rossa: – Sì. Beata te che riesci a parlarci! Non è che state insieme?

Rumiko si dimenò sulla sedia, mentre Ayako seguiva interessatissima il dialogo:

– Haruko, non ti ci mettere anche tu, ti prego! Io e Rukawa siamo buoni amici, e lui non mi piace.

– Non ti piace? – le fece eco Haruko, sbigottita. – Non è possibile!

– Eddai, non è detto che piaccia proprio a tutte. – gemette Rumiko. Cosa diamine aveva quell’uomo? Ormoni testosteronici geneticamente modificati? Per quanto, in effetti, fosse un balsamo per gli occhi. – E poi a me piace un altro.

– Oh, ecco, è da tanto che volevo chiedertelo. – saltò su Haruko rianimandosi: – Tu ce l’hai il ragazzo? Sei così bella, Rumiko!

Bella? Dove? Come?, pensò la nostra, ma disse: – No, non ce l’ho. Anzi, non ne ho mai avuto uno.

A quel punto si riscosse anche Ayako: – Vuoi dire che non hai nemmeno baciato nessuno? Mai mai?

Rumiko arrossì: – Mi scoccia ammetterlo, ma è così. – e si concentrò sul suo cocktail.

La manager sorrise con dolcezza: – Rumi, non è una cosa di cui vergognarsi. Io ho dato soltanto un vero bacio, in vita mia, e sono stata con un paio di ragazzi.

– Lo so, ma può sembrare molto strano. – borbottò Rumiko.

Ayako bevve un sorso e riprese:

– Non è affatto strano. Quel che invece mi pare bizzarro è che tu non sia mai piaciuta a nessuno, perché, come diceva Haruko, sei molto carina.

– Ah beh, forse a qualcuno sono piaciuta, solo che non mi sono mai curata di certe cose. Finora. – fece Rumiko.

Haruko la guardò: – Finora? Chi è che ti piace, adesso? – chiese.

La nostra rimase un attimo zitta. Poteva dirglielo? D’altronde erano sue amiche, ormai – soprattutto Ayako, sia ben chiaro.

Chiuse gli occhi e sospirò: – Mi fido di voi, quindi vi supplico di tenere la bocca chiusa. Sono innamorata di Hanamichi.

Ecco, l’aveva detto! Ma la manager lo sospettava già e sorrise di nuovo complice, mentre Haruko, rimasta a bocca aperta, bisbigliò:

– Accidenti, non me lo sarei mai immaginato. Secondo me lui ne sarebbe felice.

Beata ingenuità, si disse Rumiko. Quella torda della Akagi non aveva capito nemmeno lontanamente di essere lei medesima l’oggetto dei desideri del Rossino, e naturalmente la nostra si guardò bene dal farglielo presente. Ayako, intanto, pensava che sapeva più cose delle dirette interessate, dato che come Haruko non aveva idea di piacere a Hanamichi così Rumiko non sapeva di piacere a Rukawa.

Preferì comunque non dire niente, come Ryota, e lasciare che gli eventi facessero il loro corso.

– Ecco da chi vorresti ricevere il tuo primo bacio, Rumi. – ridacchiò.

L’altra distolse lo sguardo: – In effetti… Aya! Ma ti sembrano cose da dire impunemente? – vociò all’improvviso, pur sapendo che la riccia aveva centrato il punto.

– Perché non ti dichiari, Rumi? – propose Haruko in tono appassionato.

Rumiko si domandò se ci era o ci faceva, fissandola come se parlasse arabo:

– Tu lo diresti a Kaede? – replicò seria.

La Akagi chinò la testa e la scosse in segno negativo: – No, mi vergognerei. – ammise.

– Siamo in due. – disse Rumiko con fare più conciliante.

“E perché Hanamichi è cotto di te, ciccia, accidenti all’Universo!”, soggiunse una vocetta scoglionata nel suo cervello.

Trascorsero alcuni minuti prima che le tre riemergessero dalle riflessioni in cui erano cadute, e fu la nostra a riprendere la parola:

– Haruchan, e se ti dessi una mano a conquistare Rukawa?

La graziosa morettina sollevò di scatto il capo dal suo drink: – Cosa? – tartagliò.

– Ma sì! Io e lui siamo amici e di solito mi sta a sentire, perciò perché non fare un tentativo? – insistette Rumiko, e i suoi neuroni lavoravano a tutta birra intrappolandosi nelle solite fantasie senza capo né coda in cui la Volpe Artica svolazzava via mano nella mano con la sorella del capitano e Hanamichi, col cuore spezzato, si rifugiava tra le braccia della tokyota per poi impazzire d’amore per lei.

In realtà, senza nemmeno rendersene conto, Rumiko stava elaborando questa sorta di piano soprattutto per spirito di solidarietà nei confronti della Akagi, e non lo avrebbe ammesso con se stessa neanche sotto tortura. E questo perché non sapeva di trovarsi nella stessa identica situazione di Haruko: se lo avesse saputo, come avrebbe potuto continuare a chiamarla “rivale”?

Intanto l’oggetto dei desideri di Hanamichi stava riflettendo su quella proposta:

– A me non parrebbe vero se tu riuscissi a convincerlo, però ho paura di fare una figuraccia.

– Perché? – fece Rumiko, sorpresa: – Ti assicuro che non andrei a spiattellargli chiaro e tondo che sei innamorata di lui. Un po’ di tatto ce l’ho, credimi!

Ayako sorrise al di sopra dell’orlo del bicchiere:

– Haru, fossi in te mi fiderei. Rukawa non ha mai detto di odiarti. E poi, anche se andasse male, cosa avresti da perdere?

– La faccia e la felicità. – rispose la Akagi in tono lugubre e le altre due sghignazzarono. Ma ormai la morettina si era convinta: – Lascio tutto nelle tue mani, Rumichan. – concesse.

La nostra annuì decisa: – Da stasera darò il via all’Operazione Haruko. – dichiarò solenne.

Però c’era un’ultima cosa di cui voleva parlare. Mentre si alzavano per raggiungere la pista da ballo chiese infatti ad Ayako: – Aya, ma Ryota non ti piace proprio?

La bella manager si bloccò: – Ehi. Com’è che ti è venuto in mente, Rumi? – balbettò, leggermente a disagio.

Rumiko agitò una mano: – Niente, per sapere. Abbiamo parlato di me e Haruko ma non abbiamo detto nulla di te. E Ryochan è molto carino.

– Beh, questo lo so anch’io. Diciamo che… ecco, che è una storia lunga e incasinata che nemmeno io so spiegare. – bofonchiò Ayako, sempre ferma sul posto.

– In parole povere non sa neanche lei quello che prova. – bisbigliò maliziosamente Haruko all’orecchio di Rumiko, che rise sottovoce.

Ayako si girò di scatto e intimò, rossa come un peperone: – Haruko, chiudi il becco!

Durante l’ora successiva, in ogni caso, le tre non parlarono più di ragazzi e paturnie sentimentali, e si scatenarono indiavolate sulla pista da ballo: il dj metteva pezzi meravigliosi che il terzetto conosceva e adorava, ed era fantastico volteggiare liberamente sul lucido pavimento della pista guardando il proprio riflesso capovolto e quello delle miriadi di luci che brillavano tutt’intorno. Rumiko non si sentiva così bene da tempo immemore: ballare senza freni per lei era un modo di scaricarsi e rilassarsi allo stesso tempo, esattamente come accadeva quando giocava a basket. Le sembrava che ogni singola particella del suo corpo sprigionasse un’energia straordinaria che le faceva scordare tutto, Hanamichi compreso.

Quando, alla fine, furono stanche di ballare, Rumiko, Ayako e Haruko tornarono al loro tavolo belle soddisfatte, anche se piuttosto accaldate. Fortunatamente il locale era ben areato e si sentirono presto meglio. Ma si erano appena risistemate sulle sedie che un gruppetto di ragazzi ben piantati e dall’aria poco rassicurante si avvicinò al tavolincino delle tre, sovrastandole e scoccando loro occhiate di apprezzamento.

– Siete sole, belle? – le interpellò quello che sembrava il capo, un tipo dai lunghi capelli scuri legati a coda.

Le ragazze gli lanciarono uno sguardo di avvertimento e rimasero zitte.

– Eddai, andiamo, vi costa fatica rispondere? – disse un altro alle spalle del boss.

– Può darsi. – se ne uscì Rumiko, laconica. Cosa ci faceva gente simile in un posto tanto particolare qual era il Dada’s?

– Allora non siete mute! – ghignò il ragazzo che aveva parlato per primo. – Che ne dite di venire a divertirvi un po’ con noi? Per delle tipe come voi è uno spreco stare qui senza uno straccio d’uomo intorno, no?

Nel sentirsi chiamare “tipa” con quel tono allusivo, cosa che odiava, Ayako fissò dritto in faccia il capo con evidente disgusto:

– Stiamo bene anche senza maschi, stasera, in particolare senza maschi come voi. – frecciò.

Haruko sussultò: – Ayako! – gracchiò a mo’ d’allerta, ma era tardi.

Il ragazzo infatti afferrò la manager per un polso e si chinò su di lei: – Non fare tanto la spavalda, bella, non mi piace essere trattato così da una donna. Però se vuoi continuare a stuzzicarmi ti conviene venire con me, almeno troveremo un posticino più adatto. – sibilò a metà fra il minaccioso e il mellifluo.

Rumiko saltò in piedi, già nera di rabbia: – Sei tu quello che non deve fare lo spavaldo, idiota! Fuori dai piedi! – tuonò serrando i pugni e squadrando il gruppo con quanto più odio poteva.

A quel punto un terzo ragazzo piombò su di lei e la prese per un braccio in maniera poco gentile:

– Tu e la tua amica parlate troppo. Avanti, venite con noi!

E senza fare tanti complimenti i cinque (perché cinque erano) fecero per trascinare le tre amiche verso l’uscita del locale, mentre queste cercavano invano di divincolarsi. Rumiko era furiosa e disperata al medesimo tempo: era tanto contenta per come stava riuscendo la serata! Chi erano quegli stupidi per rovinargliela? Perché doveva finire così? Perché nessuno andava ad aiutarle?

Ma proprio nell’istante in cui stava per urlare tre alte figure (o meglio, due alte e una un po’ meno) si pararono di fronte ai teppisti, che si fermarono di botto, e una voce sicura disse:

– Lasciatele in pace.

– Conviene anche a voi. – aggiunse una seconda.

– E vi consiglio di non cercare di scoprire perché. – rincarò una terza.

Un attimo dopo il quintetto se la stava già filando a gambe levate e Rumiko, Ayako e Haruko fissavano sbalordite i loro salvatori: altri non erano che Rukawa, Ryota e Hanamichi, tutti vestiti di scuro e con un cipiglio molto fiero.

Il fatto che Kaede e il Rossino si fossero alleati per un minuto era già di per sé un fatto da segnare sul calendario!

– E voi che ci fate qui? – esclamarono all’unisono la nostra, la manager e la Akagi.

Ma i tre non risposero subito. Erano troppo impegnati a guardarle a mascella slogata per ragionare come si deve. Ryota boccheggiava di fronte ad Ayako, splendida nel suo abito rosso fiammante e nelle sue scarpe col tacco; Rukawa non riusciva a staccare le pupille da Rumiko, che indossava jeans stretti color crema e una camicetta sixties scollata sui toni del rosa pesca; e Hanamichi guardava Haruko, in canotta a collo alto e gonna nere, in atteggiamento adorante.

E loro non erano da meno: erano spropositatamente affascinanti, quella sera.

Fu la bella manager a rompere il silenzio: – Ragazzi? Com’è che siete qui?

Ryota si riscosse: – Scusa, ero sovrappensiero. – si giustificò arrossendo. – Beh, io e Hanamichi siamo venuti per distrarci un po’ e abbiamo trovato la Kitsune. Però non avevamo idea di trovare voi!

Kaede inarcò le sopracciglia. Lui era andato al Dada’s poiché sapeva che Rumiko era lì.

Frattanto Haruko si adoperava per far tornare il suo cuore a un battito normale:

– Grazie mille per averci dato una mano. – disse con il fiato corto; – Se non ci foste stati voi non so come sarebbe finita.

– È vero. – assentì Rumiko: – Avete salvato la nostra serata. – e sorrise.

Ryota la imitò: – Allora spero che riusciremo a migliorarla ancora. – annunciò senza ombra d’imbarazzo.

Ayako lo osservò di soppiatto e avvertì un leggero tuffo al cuore: che facesse male a considerarlo solo un amico? Forse Rumiko aveva ragione.

– Bene, cosa volete fare? – volle sapere Hanamichi dandosi un’occhiata intorno.

Haruko controllò l’orologio: – Alle due mio fratello viene a prendermi, quindi proporrei di restare qui.

Il Rossino annuì con espressione trasognata: – Per me va benissimo, Haruchan.

La nostra protagonista dovette fare uno sforzo immane per controllarsi. Era gelosa, gelosa da morire nei confronti della Akagi, e le bruciava moltissimo il fatto che fino a quel momento Hanamichi avesse palesemente avuto occhi solo per lei. Le era sembrato che il ragazzo l’avesse guardata a bocca aperta, poco prima, ma forse quella faccia era sempre per Haruko, non per lei. Se doveva starci tanto male allora avrebbe preferito non incontrarlo nemmeno, per quella sera!

– … andare a ballare?

La voce di Rukawa le giunse inaspettata all’orecchio.

– Cosa? – fiatò Rumiko riprendendosi.

– Ti ho chiesto se ti va di ballare. – ripetè il bel tenebroso, che in realtà si stava chiedendo dove avesse trovato l’ardire di rivolgerle un invito esplicito a tal punto.

Rumiko quasi rise per la sorpresa: – Certo che mi va! – rispose, basita e lusingata, mandando Rukawa al settimo cielo.

Non se n’era accorta, ma Ryochan e Ayako stavano già volteggiando sulla pista e Hanamichi era riuscito a invitare Haruko. La ragazza s’infiammò: bene, se quella rompiscatole della Akagi ballava con simile disinvoltura con il Rossino dei suoi sogni, nonostante conoscesse i sentimenti di Rumiko, lei si sarebbe scatenata davanti agli occhi della rivale assieme a Kaede! In amore e in guerra tutto è permesso, no? E quella era la sua battaglia.

Aveva fatto i conti senza l’oste, però. Non immaginava che dimenarsi in pista con il moro le sarebbe piaciuto tanto, e mica solo per la consapevolezza di infierire sulla Akagi: la verità era che Rukawa era talmente bello, con quel suo viso serio, da assorbire di soppiatto ogni sua attenzione. La nostra dovette poi confessare a se stessa di essersi interessata assai poco a quel che facevano il Genio e la morettina, in quell’ora e mezza di danze col Volpino.

Ma poi, chissà, magari era tutta colpa – o merito – dei due Cosmopolitan che si era scolata.

E Hanamichi quella sera non si ritrovò mai a rimuginare sulle inconsuete sensazioni che provava nel vedere Rumiko, né si dovette domandare chi gli piacesse realmente, anzi, non pensò proprio a nulla che non riguardasse Haruko: stava ballando con lei, e questo lo rendeva l’uomo più felice del Giappone!

Peccato che la ragazza si voltasse un po’ troppo spesso in direzione di quel cafone sotto ghiaccio…

 

 

Alle due in punto il Gori accostò la moto al marciapiede davanti al Dada’s. I sei amici erano già fuori ad aspettarlo.

– Com’è andata la serata? – chiese il capitano nel salutare Haruko e le altre.

– Molto bene, nel complesso. – sorrise Ayako dando voce ai pensieri delle amiche.

Takenori squadrò i suoi tre compagni di squadra con una certa perplessità: – E voi che ci fate qui?

– Siamo venuti a svagarci e le abbiamo incontrate. – spiegò Ryota sulla difensiva.

Il Gorilla non sembrò granchè soddisfatto della risposta, ma fece finta di niente e passò un casco alla sorella: – Coraggio, Haru, andiamo a casa o papà e mamma mi spennano. – la esortò; – Riaccompagnerei volentieri anche voialtre, però capirete… – aggiunse rivolto a Rumiko e Ayako con aria di scusa e indicando la motocicletta.

La manager scosse la testa: – Non ti preoccupare. Avevo già messo in conto di tornare da sola.

Nel sentire tale frase Ryota non ce la fece a trattenersi: – Ayachan, sei matta? Hai visto cosa può succedere alle ragazze carine come voi se sono sole! Quindi ti riaccompagno a casa io. – proruppe.

Ayako avvampò: – Se non ti scoccia, ti ringrazio.

Benedetta Rumiko! Le aveva messo in testa strane idee sul conto di Miyagi e ora non riusciva più ad essere naturale con lui! No, la colpa era sua, non dell’amica.

Takenori guardò Rumiko: – E tu come pensi di fare, Ishida?

Ma prima che la nostra avesse il tempo di rispondere Rukawa fece un passo avanti e si offrì in tre parole di accompagnarla.

Rumiko ammutolì, Haruko soffocò un’imprecazione affondando le unghie nella schiena del fratello (che non soffocò un’imprecazione), Hanamichi e Ryota si slogarono la mascella, simili a due baccalà, e Ayako fu presa da un attacco convulso di risarella. Che gli prendeva, a Rukawa?

– Oh. Cioè, voglio dire, per me va bene, se non ti senti obbligato. – gorgogliò Rumiko tutto d’un fiato, augurandosi ardentemente di non essere arrossita. Perché non glielo aveva chiesto Hanamichi, perché?

Haruko trattenne il respiro: allora a Kaede piaceva lei?

– No problem. – la rassicurò il ragazzo, e Rumiko non potè fare a meno di accettare la proposta.

Dopo essersi salutati, Takenori e sorella partirono sgommando e gli altri cinque si avviarono verso le rispettive abitazioni. Il cielo era sereno e incredibilmente stellato: era la notte del novilunio. Rumiko se ne stava con il naso per aria, sperando ardentemente che il giorno successivo non piovesse perché aveva in programma una scampagnata fuori città con i compagni di classe (che la invitavano di rado, ma quando lo facevano era per occasioni speciali).

Kaede la guardava di soppiatto, chiedendosi se dovesse dichiararsi o meno. L’atmosfera era perfetta, stando almeno a quello che aveva visto al cinema, ma lui non s’intendeva di cose romantiche e temeva di fare la figura dell’idiota.

Dunque preferì riservare il coraggio che aveva racimolato per dire qualcos’altro:

– Rumiko, senti, – iniziò in sordina, – sabato prossimo verresti in centro con me? – e si pentì quasi subito di aver formulato l’invito.

La ragazza si bloccò, sempre più sconcertata per come si stava comportando l’amico quella sera.

“Operazione Haruko! Ricordati dell’Operazione Haruko! Ne va del tuo futuro con Hanamichi!” mantreggiò la sua vocetta mentale, e rispose:

– Verrei volentieri, ma temo di avere da fare. – ed era una bugia; – Perché non chiedi alla Akagi di accompagnarti? – buttò lì incrociando le dita.

Stavolta fu Kaede a bloccarsi: – E perché, scusa?

– E perché no? Che ti costa? Ne sarebbe contenta.

– Ma non m’interessa! – sbuffò il ragazzo, contrariato: – Non ho voglia di uscire con lei.

“Porca miseria.”, si arrese la vocetta.

Siccome la nostra restava in silenzio, Rukawa batté nervosamente un piede sull’asfalto:

– Dai, cerca di venire. Sei l’unica che s’intende di roba sportiva. – ritentò, anche se la frase, nella sua mente, era “sei l’unica con cui voglio uscire”. Ma proprio non ce la faceva a confessarglielo. Già era una fatica mettere assieme periodi grammaticali compiuti, per lui, figurarsi concedersi una simile dose di sfacciataggine sincera!

Rumiko sospirò e, sebbene non le scocciasse affatto, rispose con il tono di chi si sente vagamente costretto a dire di sì: – D’accordo, Rukakun, verrò con te. Però sabato mattina abbiamo la partita contro il Takezato. – gli ricordò.

Il bel tenebroso, sollevato, annuì: – Lo so, ma finiamo a mezzogiorno. Possiamo andare dopo.

Valeva la pena spiccicare più di un monosillabo alla volta. Rumiko aveva accettato! Rimaneva, tuttavia, il fastidioso dettaglio della prima risposta della ragazza: perché aveva tirato in ballo Haruko Akagi? Per solidarietà femminile o che? Di sicuro non era stata la reazione in cui Kaede sperava.

– Per me va bene. – disse la bella allenatrice. – Ah, siamo arrivati. – annunciò dopo un attimo di pausa.

Erano infatti di fronte al cancello d’ingresso di casa Ishida e sulla soglia c’era la madre di Rumiko, in vestaglia e con le mani sui fianchi.

Rukawa fece un passo indietro: – Allora a lunedì. E grazie.

– Ma scherzi? Grazie a te per avermi accompagnata. – sorrise Rumiko, e infilò la porta.

Il ragazzo rimase lì imbambolato per un paio di minuti, ringraziando tutti gli dèi e i santi che conosceva per avergli concesso un appuntamento con Ishida e sfidando silenziosamente quell’imbecille di Sakuragi: non sarebbe riuscito a portargliela via.

Poi girò sui tacchi e andò a casa anche lui con la sua andatura indolente.

 

 

Quella notte Rumiko stette sveglia a lungo, fissando il soffitto e pensando a un sacco di cose.

Era triste perché il Rossino, ora se ne rendeva conto, l’aveva a malapena considerata, preso com’era da Haruko; era arrabbiata con quest’ultima e sapeva che probabilmente era tutto inutile; era soddisfatta della serata perché aveva ballato un sacco ed era stata in compagnia.

E soprattutto era confusa a causa del comportamento di Rukawa: era stato il suo partner nelle danze – pur muovendosi poco o nulla –  l’aveva accompagnata a casa ed era riuscito a strapparle un appuntamento. Che avesse una cotta per lei? Il pensiero la sfiorò fulmineo e spiazzante e affatto spiacevole, ma Rumiko lo accantonò con uno sbuffo divertito: Kaede la trattava in quel modo perché era l’unica ragazza in cui vedesse un’amica e non una pazza assatanata che voleva abbrancarlo a ogni costo, ecco perché. Cosa diavolo andava a elucubrare? L’Artica Kitsune innamorata non era un concetto umanamente concepibile.

Si addormentò più tranquilla, concentrandosi sull’immagine del viso sorridente di Hanamichi che le era rimasta in testa dagli allenamenti del pomeriggio, che d’un tratto prese però a confondersi con quello di Rukawa tra i riverberi caldi del Dada’s.

Ma Rumiko si ripetè che era un mero effetto dei tre Cosmopolitan che aveva in corpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Vi confesso che questo è uno dei miei capitoli preferiti – non chiedetemi perché. E scusatemi per l’aggiornamento non proprio tempestivo, ma ho finito giusto adesso di scrivere l’ottavo (volevo aspettare di averne altri due pronti prima di pubblicare questo).

Fantastico, non mi viene in mente nulla di sensato da scrivere @­_@ è che è venerdì e sono cotta e i miei neuroni sono squinternati peggio di quelli di Rumiko e compagnia.

Piuttosto, come vi sono sembrati in versione Saturday Night Fever? Ci mancava il Mitsu, lo so…

Go, Ede, go! Ma non prometto nulla a nessuno ;P

 

Ringraziamenji immancabili:

a tutti coloro che leggono/favoriscono in silenzio e alle socie

MihaChan (resta ferma sì, la nostra gnappa! perché Hana è Hana, e chi lo molla più? <3)

Kenjina (o donna! una dea scesa in terra? addirittura .///.? chiamami Genio che va bene lo stesso ;D! certo che una trasferta di massa a Kanagawa ci spetterebbe di diritto…)

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

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Capitolo 8
*** settimo: i got chills. ***


Capitolo ottavo: LA VIGILIA

settimo: i got chills.

 

 

 

 

– Si può sapere dove cavolo è finito quel demente?

L’irato sbraitare del Gorilla, per una volta, era più che giustificabile. A mezzo minuto dal fischio d’inizio della partita che vedeva i ragazzi dello Shohoku contrapporsi a quelli del Takezato il Rossino non si vedeva ancora, e persino Rumiko cominciava a pensare a lui in termini di “do’hao” e affini: gli ultimi tre giorni erano stati quasi interamente dedicati al suo allenamento intensivo nei tiri da sotto canestro, proprio in vista dell’incontro, e a nessuno piaceva l’idea di aver sprecato tempo.

E poiché era impensabile ritardare il tutto a causa dell’assenza di un cerebroleso come Sakuragi – come Rukawa si premurò di precisare – la squadra scese in campo facendo a meno di lui e pure di Takenori, che voleva evitare problemi alla caviglia in vista dell’indomani. Non che questo creasse problemi di sorta: a metà del primo tempo i ragazzi erano già in netto vantaggio e Rumiko si sperticava incitando il bel Kaede, quella mattina più implacabile che mai.

Qualcuno forse avrebbe dovuto spiegarle che la cosa dipendeva soprattutto da lei e dall’appuntamento post-partita.

Lo Shohoku scivolò nel secondo tempo con la stessa facilità dell’olio sul vetro. Oltre alla Kitsune, infatti, c’erano Mitsu e Ryota a fare incetta di punti, ed era talmente lampante come sarebbe andata a finire che la nostra e il resto dei presenti in panchina si rilassò senza ritegno. Tuttavia la minuta allenatrice non riusciva a non essere almeno un minimo preoccupata per Hanamichi: dove diamine era finito? Era impossibile che si fosse dimenticato dell’incontro! Stava bene? Gli era successo qualcosa di brutto? Stava male qualcuno a casa sua? Rumiko, a dispetto dell’apparente sbracamento, si arrovellava le meningi.

Si era offerta di andarlo a cercare, ma il buon Anzai le aveva fatto capire che la preferiva lì, piuttosto che dispersa per Kamakura sotto il sole di giugno. Così, con estrema e privatissima soddisfazione di Rukawa, la ragazza aveva dovuto restarsene relativamente buona a bordo campo.

Quando finalmente il Rossino piombò nel palazzetto sudato fradicio, col borsone a tracolla, il fiato più che corto e la divisa sgualcita indosso, Rumiko gli balzò praticamente al collo, un po’ insultandolo e un po’ belando di sollievo.

– Allora sei vivo, razza di imbecille! Dove cazzo eri? – lo apostrofò con impeto. Hanamichi boccheggiò.

Il Gori raggiunse i due e, fregandosene dei preamboli, accolse il numero dieci con un ben assestato papagno sul capo:

– Perché credi ti abbia sottoposto all’allenamento speciale, idiota? – gli rammentò, minaccioso.

– Ma è proprio per quello. – si giustificò l’imputato: – Anche stamani ho voluto fare i soliti duecento tiri, e poi…

– E poi cosa? – lo pungolò la ragazza, che tra l’altro si era ben guardata dal mollare la presa su di lui.

Il Genio mise su un adorabile broncio: – Niente, ho schiacciato un pisolino al campetto.

Cadde il silenzio sull’intera panchina dello Shohoku, mentre il Rossino seguitava a grattarsi la base del collo, a disagio, e il capitano temporeggiava incerto sul da farsi; Rumiko aveva sfoggiato due inusuali occhioni stellati e non fu difficile per i suoi compagni indovinare che era ita in brodo di giuggiole di fronte alla costanza, all’impegno e alla serietà che Hanamichi iniziava a dimostrare verso i sacri rudimenti del basket. Le stesse cose, cioè, che ammorbidirono il polso del Gori quando piantò un secondo pugno sul capo del malcapitato, informandolo lapidario che per quel giorno non avrebbe giocato.

L’altro sbottò e si lamentò, punto sul vivo, ma stavolta persino Rumiko si schierò dalla parte di Akagi – soltanto per avere una scusa per tenersi ben stretta al suo braccio, frattanto che lo tratteneva fuori campo. E Rukawa, che lo aveva notato, mise una certa violenza nel suo ultimo canestro.

– Lo Shohoku si aggiudica l’incontro per 120 a 81! – annunciò l’arbitro dopo il fischio conclusivo, e i ragazzi sciamarono, festanti, sui compagni vittoriosi.

L’attenzione del pubblico si traslò sui campioni del Kainan King e del Ryonan, in procinto di giocarsi anche le brache per il primo posto in classifica, e i nostri si precipitarono negli spogliatoi con estremo sollievo, spintonandosi per aggiudicarsi le docce e seminando magliette sudate nei corridoi. Rumiko ridacchiava tra sé sulla soglia con Ayako, gustandosi lo spettacolo, e quasi non fece caso al pallore di Anzai che, salutandole di fretta, arrancò verso l’uscita del palazzetto.

– Allenatore! – lo chiamò la manager: – Si sente bene?

Il novello Buddha le rivolse un cenno affermativo: – Tranquille, è solo il caldo. A domani! – rispose, e si dileguò a fatica.

Le due rimasero perplesse a guardarlo: – Sarà il caso di accompagnarlo? – mormorò la riccia.

– Ma no. Credo che sia accaldato sul serio, nulla di più. – minimizzò la tokyota, distratta dal suono della voce del Rossino.

– Lo spero.

– Buongiorno, Ishida! – fece qualcuno in tono allegro alle loro spalle, e le ragazze sobbalzarono.

Era la Meravigliosa Creatura, al secolo Akira Sendo, con un pallone tra le mani e il suo contagioso, sereno sorriso. L’interpellata avvampò e ricambiò il saluto; Ayako, invece, senza nemmeno aspettare che la star del Ryonan si accorgesse della sua presenza, scoccò un’occhiata di puro stupore all’amica e si allontanò. Non aveva idea che Rumiko avesse conosciuto anche Sendo, e a giudicare dall’atmosfera che si era creata era pronta a scommettere che ci fosse un interesse particolare da parte di almeno uno dei due. Alla prossima battuta che Rumiko avrebbe tirato a proposito delle inumane conquiste di Kaede le avrebbe fatto presente che, in tal senso, erano meravigliosamente compatibili, pensò la manager con una certa malizia.

– Resti a fare in tifo per me, Ishida? – stava intanto domandando il moro con invidiabile aplomb.

– No. Cioè, non è che non voglia, o meglio, non solo. Oddiamine, – gorgogliò lei, che di aplomb non s’intendeva, – devo andare via, ecco.

Sendo inclinò appena il collo e abbassò le palpebre: – Accidenti. – disse piano; – Rimani almeno un po’, dai.

“Dovrei ma dirlo io, accidenti!”, protestò mentalmente la minuta allenatrice. Quella mossa di lui l’aveva annientata.

– Vedo cosa decidono i miei compagni di squadra. – si costrinse a replicare con fermezza.

– Allora non è vero che te ne devi andare. – sorrise Sendo, facendo ruotare lo Spalding tra le dita.

– Sì che è vero. Io e uno dei miei compagni di squadra.

– Ma come? A questo compagno concedi un appuntamento e a me no? – si meravigliò il ragazzo.

Rumiko avvertì le proprie guance tingersi di rosso cupo: – Non è mica un appuntamento! Andiamo a cercare articoli sportivi! – rantolò.

Ci mancava solo che uno come Sendo le mettesse in testa il concetto di un rendez-vous con Rukawa e le sarebbe scoppiata un’arteria.

– Sendo! Hai finito di trastullarti? – tuonò Uozumi dal campo, e la nostra gli fu silenziosamente grata.

– Il dovere mi reclama, Ishida. – sospirò infatti il Porcospino. – Dopo la partita di domani giuro che ti strappo un appuntamento. Ciao!

E corse a raggiungere gli altri palleggiando con calma. Rumiko caracollò in fretta negli spogliatoi e venne accolta dai ghigni da Alien degli amici, ancora avvolti dai fumi benefici delle docce e della vittoria; in un angolo Mitsu e Ryota sfottevano bonariamente Hanamichi e il Volpino si allacciava le scarpe.

Dèi, se era stordita! Non riusciva a capire il motivo per cui la Meravigliosa Creatura volesse tanto uscire con lei, né perché tale consapevolezza non l’avesse già fatta collassare con ardore sulle nere ba-shoes di lui: era bellissimo, era un giocatore da dieci e lode, era solare, era interessato… quale donna se lo sarebbe lasciato sfuggire? Nessuna, obbiettivamente. Capitano di rado simili fortune! Eppure la ragazza era sicura di non provare del reale trasporto verso Sendo. Perché la attirava fisicamente – il contrario sarebbe stato insano – e la mandava in confusione con quel suo squisito modo di fare, ma la cosa si fermava lì. Somigliava di più al rapporto che aveva con Hisashi e Ryota, piuttosto che all’innamoramento sballato e concreto per Hanamichi. O, diciamocelo, che all’intrigante amicizia con il tenebroso Kaede.

– Ishida, ci andiamo a sedere sugli spalti. – le annunciò d’un tratto il Gorilla. La stavano aspettando alla base delle scale riservate al pubblico.

– Volete assistere alla partita? – s’informò riscuotendosi.

– Sempre osservare il nemico in campo neutro, ricordalo. – fraseggiò il capitano.

– Senza dubbio. Ma…

Rumiko si voltò a guardare Rukawa con espressione interrogativa. “Come ci muoviamo, Volpe?”

Il numero undici scrollò le spalle, inarcò impercettibilmente le sopracciglia e si sprecò in un gesto che la sua interlocutrice interpretò, a ragione, come un invito a far decidere a lui il momento migliore per tagliare la corda dal palazzetto e a non farne parola.

E che sensazione splendida era, per il ragazzo, quella di condividere un segreto con Ishida, un segreto che li riguardava!

Crogiolandovisi prese posto in prima fila tra Hanamichi e Rumiko (figuriamoci se permetteva che il do’hao le si mettesse accanto) e si accinse a concentrarsi con scarso impegno, atipico in un fanatico come lui, sull’acceso match appena cominciato.

 

 

A una manciata di minuti dal fischio d’apertura del secondo tempo la minuta allenatrice ne aveva abbastanza di osservare l’innegabile classe di Sendo, che giù in campo faceva faville – anzi, un incendio in piena regola. Grazie al trio formato da lui, Uozumi e l’inconnu Fukuda il Ryonan si manteneva in netto vantaggio sul di-norma-imprendibile Kainan King. I ragazzi borbottavano inquieti, chiedendosi come diavolo avessero fatto a concludere la loro precedente sfida contro il Ryonan con un misero punto di distacco: ora come ora i cinque in questione parevano imbattibili. Sarebbe stata dura, l’indomani, pensavano in molti.

Il Rossino d’improvviso perse le staffe. Si alzò di botto e annunciò che se ne tornava a casa, torvo e con le mani affondate nelle tasche.

– Come, di già? – si lamentò Rumiko, distraendosi volentieri dal Sendo Show.

– Come, solo adesso? – mugugnò al contrario il bel tenebroso.

Hanamichi, caso più unico che raro, non lo considerò minimamente.

– Forza, Nonnetto! Dai, Nobu-scimmia! – ruggì invece all’indirizzo dei Kainan Kings: – Dateci dentro, o la gente penserà che io e la mia squadra siamo delle schiappe!

Poi girò il deretano e abbandonò platealmente gli spalti, lasciando basiti i compagni. La nostra fu tentata di corrergli appresso e andarsene con lui, ma si rammentò della promessa fatta a Kaede e desistette.

La piazzata del Genio era comunque servita a qualcosa. Nobunaga Kyota, l’ennesimo rookie testa calda in quella congrega di fulminati ed esseri divini, mise a segno un dunk spettacolare gabbando Uozumi in persona e lo stadio intero vibrò d’ammirazione mentre tra gli sfidanti cresceva la tensione.

– Così parte la rimonta del Kainan. – commentò Rumiko a mezza voce.

– Bah. Che deficienti. – le fece eco Rukawa levandosi in piedi e colpendole di proposito un calcagno: era il momento.

– Rukawa! Ishida! Ve ne andate pure voi? – proruppe Kogure nel vederli sfilare verso l’uscita.

“Insieme?”, fu l’interessatissimo interrogativo di tutti, che però non aprirono bocca in merito. La ragazza esitò.

– Ormai ho capito quali sono le capacità del Ryonan. – rispose il moro; – Non ha senso guardare oltre.

– È vero. E io ho un impegno. – mentì lei d’istinto. Maledizione, erano amici! Che motivo c’era di tacere su un’uscita congiunta?

Mitsu e Ryota li imitarono, instillando una punta d’irritazione nella Kitsune che non voleva terzi e quarti incomodi, e il quartetto si tolse dai tre passi:

– Quelli là non hanno alcuno spirito di gruppo. – sbuffò Akagi.

Una volta fuori, accecati dal sole allo zenit e colpiti dal caldo che era montato in quelle ore, il cecchino e il playmaker dissero che sarebbero andati in palestra ad allenarsi, in modo da arrivare preparati al massimo il giorno seguente; di sicuro quel coglione di Hanamichi aveva avuto la medesima idea.

– Venite anche voi? – propose Hisashi: – Un due contro due.

– Magari più tardi. Adesso devo scappare. – glissò Rumiko, sempre più stralunata.

– Idem. – si sprecò Kaede, avviandosi con indolenza verso la stazione della metro più vicina.

La tokyota si sistemò il borsone a tracolla e gli tenne dietro, salutando in fretta gli amici: — A dopo!

Non appena i due furono scomparsi dietro l’angolo della strada alberata, Ryota e Mitsui si scambiarono un ghigno che si estendeva fino alle orecchie:

– Secondo te perché sono praticamente scappati e nella stessa direzione? – interloquì il primo.

– Perché l’estate incombe, caro mio, e non si ragiona più! – replicò l’altro in tono allegramente fatalista.

Il più basso ridacchiò: – Se Rumiko cede mi arrendo. Il Volpino è un uomo di levatura superiore.

– Che fai, dai per scontato che ceda? Così di colpo? Cavoli, non c’è gusto!

– Altroché se c’è! Se Ayako cedesse a me con altrettanta facilità…

– Ecco, vai sempre a parare lì. Diamine se sei noioso, Miyagi. – lo stuzzicò l’ex MVP, sardonico.

– Sei tu che non capisci una mazza di sentimenti, cafone.

Mitsu scoppiò a ridere: – Sai che dispiacere! E comunque, non fai il tifo per Sakuragi?

– Ovvio che sì! Però prendo in considerazione anche l’opzione opposta. – confessò Ryota: – Sono un tipo ragionevole.

– Come no. Se ti sente la Rumi ti massacra. – gli ricordò il cecchino.

– Correrò il rischio. – concluse sorridendo il numero sette, ed entrambi si allontanarono dal palazzetto nel frinire estivo delle cicale.

 

 

Va bene, era ufficiale: passeggiare per la città assieme a Kaede Rukawa era una vera e propria Esperienza.

Discreto, taciturno, con quella sua andatura quasi svogliata, il ragazzo la aspettava sempre e non la perdeva mai di vista, per quanto disinteresse ostentasse; la ascoltava, rispondeva gentilmente a monosillabi e di tanto in tanto la guardava con un guizzo di calore nelle iridi altrimenti impassibili.

Era piacevole stare con lui, ecco. E lusinghiero, se si considerano le occhiate a tratti adoranti e a tratti invidiose che si vedevano scoccare dai passanti.

Si fermarono in un negozio di articoli sportivi appena scesi dalla metro, poiché il tenebroso asso dello Shohoku doveva comprare a tutti i costi alcune nuove maglie da usare durante gli allenamenti – quelle che aveva erano consumate dall’usura appassionata. Rumiko, che non seppe evitarsi di dilapidare soldi in un paio di fiammanti All Star scarlatte, lo osservava vagare concentrato tra gli scaffali pensando che, davvero, non esisteva niente che Rukawa amasse quanto il basket: nel giocare, nel muoversi sul parquet lucido del campo, era vivo come non mai. Erano gli unici momenti in cui si scrollava di dosso la sua scorza gelida.

No. Non gli unici.

Con un impercettibile, stordente brivido alla base della schiena, la ragazza si rese conto di aver colto altre volte quell’espressione accesa e cosciente sui bei lineamenti dell’amico e che ciò avveniva spesso quando era con lei. Il brivido s’intiepidì, crebbe e infine si placò.

 “Stai svarionando. E sei una gran presuntuosa, oltretutto.”, la freddò la sua scoglionata vocetta interiore, col solo risultato di rasserenarla.

Era risaputo che ciò a cui l’Artica Kitsune si era votato con l’animo suo intero era soltanto lo sport che praticava; nella sua mente non c’era spazio per innamoramenti fallaci o donne che gli avrebbero fatto perdere tempo. La tokyota lo ammirava per questo. Peccato che non avesse capito nulla.

Rassicurata pagò il proprio acquisto e attese sulla soglia che l’amico facesse altrettanto con le t-shirt firmate che aveva scelto. Poi uscirono di nuovo sul corso affollato, sotto il cielo abbacinante, e Rumiko insistette affinché trovassero un buon posto dove rifocillarsi.

– Ho una fame del diavolo, Rukakun. È da stamani a colazione che non mi riempio lo stomaco. Tu no?

– Hn. – si sperticò puntualmente il moro; – Laggiù ti va bene?

Indicò una modesta trattoria sul lato opposto della via e, senza aggiungere altro, prese l’allenatrice per un polso e se la tirò dietro fino all’entrata. Rumiko lo lasciò fare, troppo affamata per cavillarci sopra, e benedisse la frescura che li accolse all’interno del piccolo locale nonostante il persistente odore di salsa di soia e olio di sesamo. C’erano pochi avventori e i due ragazzi si accomodarono in un angolo, il più lontani possibile dai rumori del traffico e dalle lame di sole che trapassavano le strette finestre. La radio in filodiffusione trasmetteva successi d’occidente e Rukawa, mentre la nostra sprofondava nel menu, disse:

– Dopo pranzo andrei in un negozio di dischi.

Lei a malapena alzò lo sguardo: – Uhu. Devi comprare un album in particolare?

Il bel tenebroso fece spallucce: – Forse. – rispose.

– Mamma mia, quanto siamo prolissi! – rise Rumiko, mettendo giù la carta. Si avvicinò il cameriere.

– Scusa. – bofonchiò Kaede, contrariato e chiaramente in imbarazzo. Cioè, chiaramente per chiunque tranne che per quella tonta di cui si era invaghito.

– Avete deciso cosa ordinare, signori? – s’intromise l’uomo, blocchetto alla mano.

Rukawa annuì: – Una porzione di gyoza e del riso saltato.

Gyoza e riso. – annotò il cameriere; – E per la sua fidanzata?

Rumiko per poco non si strozzò con la saliva. Stava già per correre ai ripari e chiarire l’equivoco, ma la reazione dell’amico la bloccò – per essere precisi, la totale assenza di reazione dell’amico, che non aprì bocca se non per dire, pacato: – Non saprei.

Che storia era quella? D’accordo, chi se ne fregava se uno sconosciuto li prendeva per una coppia, però non era mica normale che il Ghiacciolo Che Non Deve Chiedere Mai, ossia il rookie più misogino di Kanagawa, non s’irritasse di fronte a un tale qui pro quo! Basta, le girava la testa.

Katsudon, ramen alle verdure e yakitori, per favore. – riuscì infine a sillabare.

– Grazie. Vi porto subito una bottiglia d’acqua.

– E una birra, se non le dispiace. – aggiunse Rumiko con un mugugno. Aveva bisogno di bere.

Il pranzo, bene o male, fu abbastanza disteso. Le due lattine di Kirin che la nostra si scolò impunemente ebbero il potere di calmarla e di farle vedere le stranezze del compagno come mere stranezze, appunto, o come sue proprie suggestioni dovute alle frecciate di quell’altro bel tipo di Sendo. Così parlò a ruota libera di quanto era buono il cibo, dell’afa che regnava, di come adorasse le canzoni dei Clash e di Grease (che non c’incastravano niente le une con le altre) e dell’insolito pallore di Anzai. Kaede interloquiva, ovviamente, con frasi monosillabiche e con indecifrabili, intense occhiate attraverso la frangia corvina. E si sentiva da dio: con una vigilia tale l’indomani sarebbe stato il suo grande giorno, pensava.

Terminarono il pasto che erano quasi le tre del pomeriggio. L’afflusso di passanti era un po’ diminuito e pure il negozio di musica vicino al molo era pressoché deserto. Lì, Rukawa fece saltare l’ennesimo embolo alla ragazza scegliendo Combat rock dei Clash (visto che Rumiko gli aveva tessuto le lodi di Should i stay or should i go? e si era messa a cantarla a squarciagola per strada) e facendosi serbare la colonna sonora dell’imbrillantinato musical.

– Come mai questa scelta? – s’informò con leggerezza la tokyota, che ascoltava una compilation di vecchi enka per farsi due risate.

Di nuovo una scrollata di spalle: – Sono curioso. A te piacciono tanto.

“Cacchio, ti vuole morta.”, esalò la solita vocetta.

Inutile negare che, in ogni caso, quali che fossero la ragione e la natura di esso, l’interessamento del tenebroso nei suoi confronti era piacevole.

– Che ne dici, raggiungiamo Mitsui e Miyagi in palestra? – gli ricordò d’un tratto Rumiko, una mezz’ora più tardi.

– Se non ti scoccia. – replicò il ragazzo.

– Macché scocciare e scocciare, gli allenamenti sono sacri!

– Ben detto.

– Hai esaurito le scorte odierne di periodi grammaticali completi?

– Taci.

La risata gustosa della minuta allenatrice gli tintinnò gradevolmente nelle orecchie.

 

 

Il cecchino e il playmaker li accolsero con lo stesso ghigno con cui li avevano salutati, quando Rumiko e Kaede comparvero sulla porta della palestra del liceo.

A nessuno dei due sfuggirono, infatti, le borse identiche che la tokyota e il tenebroso si portavano appresso – quelle del negozio di articoli sportivi – segno inconfutabile che erano andati a fare spese assieme e che lei non era certo tornata a casa per “questioni personali”. Hisashi avrebbe voluto farle un paio di battutacce su quella segretezza congiunta ma ritenne più costruttivo rilanciare la proposta di un due contro due, mentre lei metteva su il broncio: Hanamichi infatti brillava per la sua assenza, di nuovo. Cosa cavolo gli prendeva, al Rossino, quel giorno? Era come se avesse la testa più che mai agli antipodi rispetto a loro.

Il moro e la ragazza comunque accettarono l’idea di Mitsu, prendendo posizione sul campo; vista la scarsa altezza di Ryota e Rumiko, poi, le due formazioni erano ben equilibrate. Si sfidarono per circa un’ora, più che altro divertendosi e smattando, con somma stizza di Rukawa, nonostante la vista della Ishida che giocava (e giocava con lui, per giunta) fosse sempre assai gradevole. Dalle grandi finestre entrava la luce oscillante del pomeriggio.

Il duo capeggiato dal Volpino era appena passato in vantaggio, nell’attimo in cui il Genio li sorprese con un improvviso e poco effervescente ingresso nell’edificio:

– Yo. Ci avrei scommesso che eravate qui. – li apostrofò in tono stranamente serio.

– Hanamichi! – squillò subito Rumiko mollando il pallone e svolazzandogli incontro. Kaede quasi ringhiò.

– Oggi salti fuori nei modi più impensati, Sakuragi. – disse Mitsui; – Credevo saresti venuto qui anche tu.

Il Rossino esitò: – Ero venuto, infatti. C’era anche il Nonno e mi stava aiutando a fare i tiri da sotto canestro. Solo che… – s’interruppe.

Ryota si dondolò sui piedi, intuendo che qualcosa non andava: – Cos’è successo, Hanamichi?

– Di punto in bianco è crollato a terra e ho dovuto chiamare l’ambulanza. – rispose l’altro tutto d’un fiato.

I quattro sbiancarono di botto: – L’allenatore si è sentito male? – gridò la ragazza torcendosi le mani.

Hanamichi annuì, le braccia conserte: – Già. Questo vuol dire che domani non potrà venire a vedere la partita. Quindi mettiamocela tutta, intesi?

– Ma è una cosa grave? – insistette Rumiko, che si sentiva in colpa per non aver dato peso al pallore dell’anziano coach.

– No, per fortuna è un malore passeggero.

– E io… io cosa devo fare se lui non c’è, domani?

Il Genio le cinse le spalle e la nostra schizzò come se avesse preso la scossa: – Tranquilla, Rumi. Tu comportati come sempre e al resto pensiamo noi.

“Sarà…”, nicchiò lei tra sé e sé. Un incontro decisivo senza Anzai equivaleva a un suicidio, in pratica, e certo Rumiko non poteva sostituirlo.

– Povero allenatore. – mormorò Hisashi, affranto: – Dobbiamo più che mai conquistarci l’ammissione al campionato, allora.

Furono tutti d’accordo con lui. Hanamichi si scostò dalla minuta tokyota e, frattanto che Mitsu e il playmaker erano impegnati in un’accesa diatriba circa l’ipotesi che quella contro il Ryonan fosse la partita d’addio per i senpai del terzo anno, raccolse la palla da terra e si sfilò la maglietta con un gesto fluido, restando a petto nudo. Inutile specificare che Rumiko boccheggiò in estasi per una manciata di secondi e che Rukawa s’incupì fino all’inverosimile, di fronte a quel teatrino.

– Molto bene. – annunciò il Rossino: – Mi restano ancora centosettantadue tiri da fare.

Il cecchino si voltò a guardarlo, interrompendo la scazzottata con Ryota: – D’accordo, Sakuragi. Io giocherò in difesa. – si offrì.

– Io eseguirò i passaggi. – si fece avanti il numero sette.

– Io aiuterò Ryota. – dichiarò l’allenatrice.

– E io farò ostruzione dai lati. – terminò il bel tenebroso a mo’ di minaccia, e scattò puntuale la rissa.

Si allenarono in tal guisa fino a tarda sera, concentratissimi. Una sola, misera notte li separava ormai dallo scontro decisivo.

La posta in palio sarebbe stato un biglietto di sola andata per le tanto agognate nazionali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Sono fusa come un paiolo (studio-lavoro-prove-cazzeggio) e non sono neanche a metà del nono capitolo, dove invece mi ero ripromessa di arrivare, ma non potevo lasciarvi senza aggiornamento alcuno anche per questa settimana. E così, il settimo capitolo c’est à vous.

Con il Porco-spino che attacca pure fuori campo e il beneamato Vergine dei Ghiacci che corona un sogno: non ho ancora ben chiaro nemmeno io come faccia Rumiko a mantenere un minimo (storico) di lucidità!

Solo che. Solo che vi aspetta l’indimenticabile partita all’ultimo rimbalzo contro il Ryonan e lei ha le idee chiare e Hana no, e non è detto che sia un male.

E mi raccomando, se mantengo questi tempi più dilatati non preoccupatevi: il gioco non si ferma mai.

 

I doverosi ringraziamenji!

MihaChan (o donnina, presto o tardi anche Ayako dovrà tirare le somme ;P e la Rumi è una roccia…)

Nebbiolina (ti confondi tu e si confondono i nostri matti, credimi! e io mi diverto troppo a scrivere <3)

Sole88 (ma benvenuta nella carovana, signora Sakuragi :D contenta che ti piaccia e… che dire? resta connessa!)

Kenjina (ode alla socia dispersa! quando partiamo ;D? eh, purtroppo il Volpins il fascino ce l’ha, così come Rumi ha gli occhi – e Hana non è da meno! pronta per il prossimo Akintervento?)

E naturalmente a chi in silenzio legge, gradisce e favorisce.

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

 

 

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Capitolo 9
*** ottavo: i Viceré. ***


ottavo: i viceré

ottavo: i Viceré.

 

 

 

 

Alle undici e quarantacinque in punto di quella domenica ventisette giugno l’atmosfera rovente che permeava il palazzetto dello sport preannunciava un qualcosa di molto simile a un Mezzogiorno di fuoco a Kamakura: il Kainan King non aveva ancora terminato di stracciare il Takezato e già all’esterno dell’edificio si andava riunendo una gran folla rumoreggiante, impegnatissima nel decantare le pari abilità cestistiche dello Shohoku e del Ryonan; c’erano Haruko con le sue due amiche, l’immancabile Armata Sakuragi, Nori e il resto della gang Mitsui Anima Ardente e una valanga di fanclubbiste del Volpino in assetto da guerra. E tutti scalpitavano.

Negli spogliatoi, invece, quella più su di giri era Rumiko. Si sbatacchiava da un lato all’altro dello stanzone borbottando tra sé e tormentandosi la punta della coda di cavallo, cercava di rimembrare i consigli e gli schemi di gioco del Buddha e sudava freddo quando si rendeva conto di non ricordarsene neanche uno.

Era troppo agitata, maledizione! Senza che nessuno glielo avesse detto, infatti, si era convinta che la responsabilità dell’andamento di quella partita importantissima cadesse interamente sulla sua piccola persona, ora che Anzai era assente. Un po’ come Hanamichi che si vanagloriava già, autoproclamandosi L’Acchiappapunti.

– Ishida.

La voce profonda del Gorilla sorprese la nostra, mandandola a schiantarsi contro un armadietto.

– Capitano? – grugnì lei mentre si massaggiava un gomito ammaccato.

– Cerca di calmarti. Altrimenti metti in agitazione anche gli altri.

– Mh.

Entrambi gettarono uno sguardo al quartetto di assi attaccabrighe, al momento assisi sulle panche con espressioni diversamente strafottenti: al massimo, pensarono sia Rumiko che Akagi, del nervosismo della vice-allenatrice avrebbero risentito le riserve e quel bonaccione di Kogure, certo non quel branco di teste calde.

– In ogni caso stai tranquilla, Ishida. – sospirò Takenori: – Non pensare di dover sostituire il coach.

La ragazza, per un attimo, non seppe se ritenersi offesa o sollevata: – Ma io…

– Ce la caveremo lavorando di squadra e unendo le idee, intesi? – precisò il Gorilla, incoraggiante.

– Non so su quanti cervelli funzionanti potremo contare, senpai.

Il numero quattro ricambiò il ghigno della nostra: – Pochi. Ma ci abbiamo fatto l’abitudine.

Nel frattempo Ayako era apparsa sulla soglia, avvertendo i membri del team che toccava a loro entrare in campo. Allora, con un sonoro ruggito di massa, i cinque campioni e la panchina sciamarono correndo fuori dalla lockroom, seguiti a ruota dalla ricciuta manager e da Rumiko, che aveva smesso di borbottare.

Sbucarono sotto i riflettori assieme ai loro avversari, salutati dalle urla entusiaste del pubblico e dal ritmico cozzare di bottiglie vuote prodotto dall’Armata Sakuragi; la tokyota aveva messo su un cipiglio quasi feroce, per contrastare l’ansia, e prese possesso del bordo campo destinato allo Shohoku sfilandosi la felpa con veemenza, gesto che non passò inosservato agli occhi di Rukawa, di Sendo e pure di Hanamichi, che per l’ennesima volta si disse che Rumiko era veramente troppo carina. L’Artica Kitsune s’infiammò, ripensando al pomeriggio del giorno prima, e il Porcospino le scoccò uno dei suoi bei sorrisi.

Ma se ne accorse solo Ayako, giacché la nostra aveva le facoltà neuronali annientate dall’occhiata che le aveva appena lanciato il Rossino, e ridacchiò. Se c’era un punto strabiliante in tutto quell’immaginifico intrico d’attenzioni, quel punto era che per la prima volta in vita sua Sakuragi-lo-Sfigato, Sakuragi che era famoso per i cinquanta rifiuti ricevuti, proprio lui, insomma, stracciava i propositi di conquista dei due esseri più concupiti della prefettura.

I ragazzi si erano intanto riuniti attorno alle panche: Mitsui aveva avuto la malaugurata idea di tirare fuori una foto incorniciata del coach, beccandosi gli sbraiti superstiziosi dei compagni, e il capitano aveva rinfrescato la memoria degli astanti sulle tattiche da adottare. In realtà non aveva detto niente di nuovo, limitandosi a definire le marcature uomo a uomo, eppure non sembrava che quell’improvvisare angosciasse gli altri.

Gli organizzatori, poi, passarono a presentare le due formazioni in maniera esageratamente professionale, per una cittadina come Kamakura. Al turno di Ryota la riccia gli indugiò di fronte, le immagini della serata trascorsa al Dada’s che le balenavano in testa, e gli sorrise tendendogli la mano:

– C’è in palio il campionato nazionale, Ryo. – se ne uscì decisa.

Sapeva che era superfluo dirlo. Ma fu grata a sé stessa per averlo fatto, quando il playmaker s’illuminò in viso battendole il cinque.

– Lascia fare a me, Ayachan. – fu l’epica risposta.

Rumiko tentò di imitare l’amica al passaggio di Hanamichi, se non che questi era talmente impegnato a bearsi del sorprendente tifo che aveva scatenato che fu Rukawa, chiamato in campo subito dopo, a stringerle le dita per un istante mentre le transitava davanti – con nonchalance, per far credere che nemmeno ci avesse badato.

Le fanclubbiste belavano in estasi e la minuta tokyota meditava vendetta contro quella tonna della Akagi, la quale aveva avuto l’ardire di vociare un “Sakuragi, sei tutti noi!” facendo così eclissare dalle percezioni del Genio la presenza di Rumiko.

Tuttavia le esultanze dedicate ai cinque in divisa rossa non furono paragonabili all’ondata di grida che sommerse Sendo al suo avanzare sul parquet lucido: il diretto rivale del Volpino Dei Ghiacci era una vera star. E ora che non sorrideva, solenne e concentrato, era doppiamente attraente.

Infine la palla fu lanciata in aria al centro dell’area e la Grande Guerra ebbe il suo inizio.

 

 

Nessuno lo aveva previsto, eppure fu proprio il Rossino il primo a fare scintille, in campo. Fu addirittura il primo a segnare, esibendosi in uno di quei tiri da sotto canestro che tanto lo avevano tenuto impegnato fino al giorno precedente, e Rumiko ululò di gaudio roteando in aria la propria felpa, acclamandolo.

In realtà Hanamichi fece anche del gran casino, ma quello era un dettaglio compreso nel prezzo. Uno dei momenti migliori, a dirla tutta, fu la sua intercettazione total-body ai danni di Fukuda (lo strano individuo che pareva essere il terzo asso del Ryonan): si buttò a pesce sul pallone, ci sbatté sopra una panciata formidabile e, scivolando in avanti, si prese pure una botta sui gioielli di famiglia sconvolgendo mezzo palazzetto.

La tokyota pensò “Speriamo che non gli si sia sciupato!” e subito dopo si dette della pervertita e finse un accesso di tosse sotto lo sguardo divertito di Ayako; l’Armata si sbellicò dal ridere sugli spalti, Mitsu e Ryota sudarono freddo per empatia e Haruko fu l’unica, naturalmente, a non capire cosa fosse successo.

Poi il gioco riprese, e cominciarono a grondare guai. Perché il Gorilla si muoveva a rilento per timore di slogarsi di nuovo la caviglia e non osava, e perché lo Strano Individuo stava dando seriamente del filo da torcere a Hanamichi, dimostrandosi, almeno in apparenza, mille volte più abile di lui.

Nonostante questo il geniale numero dieci seppe stoppare (brutalmente) quella macchina da battaglia di Big Jun. E al time-out richiesto da Kogure, preoccupato per la passività del capitano e per la piega che stavano prendendo gli eventi, fu un magistrale colpo di testa (letterale) del Rossino ai danni del Gori a cambiare le cose: al rientrare in gioco dei Magnifici Cinque si respirava un’aria diversa, una determinazione rinnovata, e la partita prese il volo.

Rumiko, dal canto suo, era distratta. Osservava sì le gesta dei suoi compagni in area, ma vedendosi correre davanti i suoi due Uomini Del Momento le riusciva difficile concentrarsi sul proprio dovere di allenatrice – e non considerava il povero Kaede, ignorandone di proposito le famose, strane attenzioni per non complicarsi la vita. Già Sendo era sufficiente, per quello, con gli occhiolini che ogni tanto le dedicava se transitava nei pressi del bordo campo! Se avesse insistito col discorso che le aveva fatto a proposito di strapparle un appuntamento, sarebbe stata la nostra capace di dirgli di no?

“È che m’incuriosisce, uffa. No, anzi, mi intriga, ma non mi piace. Cioè, sì, ma non in quel senso.” rimuginava persino mentre si affannava intorno a Hanamichi, scaraventato a terra da Uozumi durante un’azione spettacolare stroncata sul nascere e incazzato come un muflone alla carica.

Ed era distratta, inoltre, da ben diverse sensazioni: la scarica adrenalinica che le provocava il suono pulito della palla contro il pavimento, della quale quasi avvertiva la granulosità sui polpastrelli – che prudevano dalla voglia che aveva di giocare – o, ancora, il senso di fluidità che le comunicavano le immagini guizzanti dei ragazzi riflesse sul lucido parquet, e la concretezza delle gocce di sudore messe in risalto dai fari. Percepiva con chiarezza l’ardore di quella decina di scalmanati in calzoncini e se ne beava, sentendosi viva più che mai. Era il potere che il basket esercitava su di lei.

Era ciò per cui né Akagi né Big Jun avrebbero ceduto agli sfidanti l’onore delle nazionali con tanta facilità.

Lo stesso valeva, però, per Fukuda. Il numero tredici del Ryonan aveva difatti una tale fame di gioco che sconquassò in maniera pesante l’autostima del Rossino, nel giro di pochi minuti, e più questi s’infuriava per l’orgoglio ferito più lo Strano Individuo lo umiliava con mosse strepitose. E più questo avveniva più il pubblico sembrava tifare per la squadra in bianco e azzurro, contagiato dalla veemenza del giovane dagli occhi stretti. Rumiko non sapeva se trovarlo antipatico o ammirevole.

Kitcho incalzò e incalzò Hanamichi con spietatezza sempre maggiore fino a che, a due minuti dalla fine del primo tempo, non mise a punto un dunk fantastico, da brivido, e mandò il Re dei Rimbalzi a sfracellarsi a terra oltre il canestro, addosso ai fotografi seduti dietro la linea: l’impatto fu rumoroso, devastante, e più di un uomo venne travolto dal ragazzo in caduta libera. La formazione capeggiata da Uozumi ruggì d’esultanza e i loro sostenitori li imitarono. Il trio formato dal capitano, dal Porcospino fascinoso e dallo Strano Individuo era bestiale, in attacco.

Ma uno sbraitare ben più squillante si fece udire dalla panchina rossa e nera:

– Fermate il tempo, cazzo!

L’arbitro sussultò, domandandosi a chi appartenesse quel modo così poco cortese di esprimersi, e si sbrigò a fischiare l’interruzione di gioco nel vedersi praticamente travolgere dalla figura al galoppo di Rumiko, diretta verso il numero dieci che non si era ancora rialzato. Anche il resto dello Shohoku si riunì attorno all’infortunato, il quale, come la tokyota notò con un rantolo sdegnato, stava perdendo sangue dalla fronte.

– Questo incontro sarà mio, Sakuragi. – sentenziò lapidario Fukuda, guardandolo dall’alto in basso.

– E ficcati una scarpa in bocca, tu! – abbaiò lei al suo indirizzo, senza spaventarlo granché. Dèi, se le stava sulle palle!, decise.

Ayako e Shiozaki prepararono garze e disinfettante e aiutarono Hanamichi a tirarsi su, scortandolo fino al bordo campo, dietro le panche, dove la manager lo fece stendere sul pavimento per tamponargli la ferita; nel frattempo Kogure ne aveva preso il posto e i cinque si andavano organizzando per concludere quei venti minuti recuperando terreno, e l’arbitro era stato costretto a trascinare via la nostra per la collottola onde evitare che si lanciasse addosso al numero tredici per massacrarlo.

– Rumiko, calmati e dammi una mano. – la richiamò la riccia.

– Calmarmi una sega, Ayako! Ma l’hai visto quello? Me la paga, giuro!

– Non ha commesso fallo e non l’ha fatto apposta, quindi stai buona qui.

– Checcosa? Non l’ha fatto apposta? – urlò la vice: – È dall’inizio che quello stronzo provoca Hanamichi!

– E lui si è lasciato provocare. Cuccia, Rumi, se tieni a Sakuragi.

– Taci. – soffiò Rumiko a denti stretti, ubbidendo.

Il ragazzo, supino, non aveva aperto bocca neppure per mandare a fanculo lo Strano Individuo, il che era inquietante. Stava a significare che lo smacco subìto lo aveva preso in pieno, abbattuto e sconfitto, e che gli ci sarebbe voluto un po’ per riprendere quota. E tremava, il Genio, tremava di rabbia e d’impotenza, tanto che la ragazza gli afferrò, d’impulso, una mano: era calda e madida di sudore e strinse la sua con una certa violenza, ma Rumiko non mollò la presa.

Capì che Hanamichi la stava usando soltanto a mo’ di antistress, non perché era lei, però le andava bene comunque. Ayako, in silenzio, seguitò a medicarlo, e all’improvviso la lucida testa castana di Haruko fece capolino dalla porta che si affacciava in campo, con le fide socie al seguito.

La nostra si sentì gelare. “Per quale cazzutissimo motivo lei lì si è precipitata qui?” si sbalordirono i suoi neuroni squinternati. “Perchéperchéperché?”

Se la Akagi era corsa dal Rossino incidentato ciò voleva dire, in fondo, che le piaceva? E se le piaceva, lei era forse fottuta?

– Ayako… – azzardò con voce incerta, gli occhi fissi sulla rivale in rapido avvicinamento.

La manager, seria, sollevò un braccio, scosse il capo e fece segno a Haruko di fermarsi. Questa eseguì, rimanendo affannata a guardare le due e il Genio disteso.

La tokyota riprese a respirare: – Aya. Secondo te Haruko è corsa qui perché era preoccupata? – mormorò.

– Certo che sì. Non lo trovi normale? – bisbigliò l’altra di rimando.

– No, cioè. Secondo te è preoccupata perché Hanamichi le piace?

La riccia inarcò scherzosamente un sottile sopracciglio: – Aha, ecco che fai la gelosa, Rumi!

– Abbassa la voce, sconsiderata! – si strozzò l’allenatrice, stritolando le falangi dell’oggetto della diatriba.

– Tranquilla. Mi dispiace per lui, – rispose piano la manager con un’occhiata in giù, – ma Haruko fa sempre così, con chiunque le stia a cuore. È dolce, lo sai.

– Tonta, più che altro. – bofonchiò Rumiko.

Ayako evitò per un pelo di scoppiare a ridere: – Eddai, Rumi, piantala! Ti dicevo, fa così con tutti. Un po’ come tu ti comporti con Rukawa, ecco.

– Io? Con Kaede? Mica sono dolce, io. – farfugliò la nostra. Ebbasta con questo associarla al Volpino!, avrebbe voluto sbraitare.

– Non come Haruko, però si vede che ci tieni. E tu di Rukawa sei amica, giusto?

Se l’era immaginato oppure l’amica aveva posto di proposito un accento sfumatamente malizioso in quella domanda?

– Non è che a lui avrebbe fatto piacere vedere l’interesse di lei? – glissò Rumiko. Di male in peggio, quanto ad argomenti che la innervosivano.

– No, in questo momento no. Si sente troppo umiliato, adesso. E poi, – sorrise, – qui basta la tua mano, Rumi.

La vampata sulle graziose guance della ragazza fu immediata, ma nemmeno stavolta mollò la presa.

In campo scattarono i secondi finali e Hisashi, all’ultimo tuffo, raggranellò tre punti con uno dei suoi tiri eleganti, chiudendo quella manche con un tabellone di 32 a 26 per il Ryonan.

Frattanto Hanamichi, pressoché incurante persino della presenza delle due giovani che gli ombreggiavano il viso dai riflettori – Hanamichi, dunque, continuava a fissare il soffitto: udire le grida di entusiasmo del pubblico, dei compagni e degli avversari, per lui ormai simili a voci estranee, lo rendeva incredibilmente triste.

 

 

– Grande, ragazzi, avanti così! – incitava Mitsu: – Sento che ce la possiamo fare!

L’umore negli spogliatoi dello Shohoku era, nonostante le turbolenze del primo tempo, alle stelle: il cecchino con la maglia numero quattordici stava contagiando tutti col proprio ottimismo. Takenori, Kogure e Ryota recuperavano le forze mentre i due rivali, dopo l’ennesimo scontro verbale, si erano tolti dai tre passi – il moro perché doveva andare in bagno, il rosso per sbollire l’arrabbiatura che gli era rimasta addosso. E non solo, giacché nell’alzarsi da terra si era accorto di aver tenuto la mano a Rumiko durante l’intera durata dei medicamenti e la faccenda lo aveva un po’ agitato.

Non si era neppure guardato attorno alla ricerca dell’amato volto, cosa ancor più grave! E poi c’erano il Fuku-verme e il Volpaccio a dargli sui nervi.

Nella lockroom anche la tokyota brillava per la sua assenza. Stordita e su di giri, aveva preferito strisciare fuori dalla stanza per rinfrescarsi le idee e per fare un giro di ricognizione: poteva sempre tornare utile origliare alla porta dei nemici, no? Specialmente se tra questi figurava uno come il Puntaspilli Numero Sette.

In quella Sendo in persona uscì dall’ala riservata al Ryonan, chiudendosi la porta alle spalle e arginando il chiacchiericcio all’interno.

– Oh.

Rumiko s’impalò a metà di un passo, rischiando di cascare a faccia in giù, e si sentì mezza gelare e mezza bollire a mo’ di teiera.

Lui la vide e le sorrise come al solito, aggiustandosi l’asciugamano di spugna sulle spalle:

– Ehi, coach Occhibelli. – la apostrofò, e le andò incontro. Un orecchio attento avrebbe colto il boato delle sinapsi ishidiane che saltavano in aria.

– Oh. – ripetè lei in maniera assolutamente stupida.

– Che te n’è parso del match, finora? I tuoi uomini si son fatti valere. – proseguì Akira, avanzando.

La nostra rimase immobile: – E vorrei ben vedere. Non sei mica l’unico asso in campo, caro mio.

– Lo so, ed è questo il bello. Tu ti divertiresti a giocare contro gente che non vale nulla? – disse il bruno.

– Certo che no. – rispose Rumiko. – Ehi!

– Cosa c’è?

– Sei troppo vicino! – esclamò l’allenatrice, puntandogli un dito verso il naso dritto, a meno di dieci centimetri dal suo.

Sendo si mise a ridere con quel suo fare allegro e non arretrò minimamente. Nello stesso momento, dal lato opposto del corridoio rispetto a quello da cui aveva svoltato Rumiko arrivarono Hanamichi e Rukawa, i quali si erano malauguratamente beccati sulla via del ritorno in direzione spogliatoio e si erano costretti a fare il tragitto assieme senza scazzottarsi: nel trovarsi davanti l’inaspettata coppia i due giocatori fecero d’immediato un salto indietro, nascondendosi dietro l’angolo del muro.

– Che cazzo fai? – sibilò Kaede al rivale, irritato a morte da ciò che aveva appena visto.

– Che cazzo fai te, Kitsune dei miei stivali! – ribatté il Rossino, a cui davano fastidio sia la vicinanza del numero undici che la presenza del Porcospino. La presenza del Porcospino in presenza di Rumiko, più precisamente. Com’è che gli veniva voglia di tirargli un calcio?

I soggetti sotto osservazione non si erano però resi conto di niente, e pertanto la Meravigliosa Creatura riprese a favellare:

– Allora, Ishida, com’è andato il tuo appuntamento di ieri con quel compagno di squadra? – s’informò.

Ci fu una replicata implosione tra le sinapsi della ragazza:

– Mi sembrava di averti già detto che non era un appuntamento!

– Appuntamento? – ripetè il Genio sconcertato.

– Ah no? – borbottò il bel tenebroso, contrariato, e l’altro drizzò le antenne. E quella che storia era?

Sendo si tolse il telo dalle spalle: – In effetti me lo hai detto. – convenne; – Invece hai taciuto sull’identità del fortunato.

Rumiko s’impettì: – Figuriamoci se ne vengo a parlare con te, campione! – tuonò.

Attraverso il legno della porta della lockroom del Ryonan filtrarono le voci di Uozumi e dell’allenatore Taoka, ricordando ad Akira che la pausa stava finendo.

Perciò il Puntaspilli circondò con un braccio i fianchi sottili della tokyota (le sinapsi raggiunsero il Big Bang) e, intanto che il duo di spie immaginava le peggiori atrocità ai danni dell’avversario, lanciò la sua proposta finale: – Facciamo un patto, Occhibelli.

L’interpellata inarcò entrambe le sopracciglia: – Un patto? – nicchiò con perplessità.

– Se la partita la vinciamo noi, io e te usciamo insieme almeno una volta. – sorrise Sendo. – A più tardi!

Detto questo sciolse la stretta, si gettò l’asciugamano in spalla e rientrò nella stanza raccontando di essere stato al cesso; Hanamichi e Rukawa schizzarono via prima di farsi scoprire da Rumiko e quest’ultima riuscì, bene o male, a barcollare fino allo spogliatoio rossonero – sulla cui soglia sostavano gli altri due, scoglionatissimi.

– Ishida, dov’eri? Adesso rientriamo in campo! – la accolse il capitano.

– Lo so, lo so. – gracchiò lei di rimando, scivolando il più lontano possibile da tutti.

Mentre i giocatori e la manager si riattivavano, il Rossino rimuginava: d’accordo, aveva già deciso di far mangiare agli sfidanti la polvere e gli acari tutti, per prendersi la rivincita sul Fuku-verme e sul Re delle Scimmie. Solo che ora ci si metteva pure il rimescolìo arroventato che l’atteggiamento di Sendo nei confronti dell’allenatrice gli aveva scatenato nelle viscere. S’intrometteva il fatto innegabile che se non voleva lasciarli vincere era anche per non permettere all’asso puntuto di portarsi a spasso impunemente la loro miniatura dai capelli color castagna, ma la ragione di ciò non sapeva spiegarsela.

– Quello è molto Porco e poco Spino, ecco. – uggiolò, non avvedendosi di averlo fatto apertamente.

Rukawa lo fissò, fulminandolo: stava pensando la medesima cosa e volle sottolineare un punto importantissimo.

– Che hai da ingelosirti, tu? Non ti sei manco accorto che ieri Ishida è uscita con me. – lo freddò.

E gli dette le spalle, uscendo dalla stanza con i compagni.

Rumiko gli passò accanto rapida, la fronte corrugata e gli zigomi paonazzi e lo sguardo sfuggente, e il rimescolìo arroventato che gli mangiava lo stomaco divenne più pericoloso di una cassa di dinamite a micce accese.

Era un affronto in piena regola! Non ne capiva il motivo, il Rosso, ma non avrebbe concesso nemmeno all’artico bellimbusto di aggiudicarsi la ragazza.

Perché Rumiko era Rumiko, si disse Hanamichi nel tentativo di semplificare la questione.

Kaede, dal canto suo, era più che mai intenzionato a stracciare il contendente in campo, onde evitare che questi lo stracciasse altrimenti.

E la nostra, superata la fase dazed & confused, si riprese ululando all’indirizzo di Mitsu, Ryota e Akagi: – Vincete o vi disconosco!

Non che il fascinoso Puntaspilli le facesse schifo, anzi. No, era che non le piaceva sentirsi un premio in palio. Ed era che le piaceva il Genio.

 

 

Furono sufficienti i primissimi minuti di gioco per far presente al pubblico l’elevato tasso incendiario di quel secondo tempo.

Il bel tenebroso si era ridestato, ben riposato grazie alla prima metà dell’incontro gestita sottotono, e, forte della propria determinazione a non farsi soffiare la minuta coach, si premurò immediatamente di dimostrare a Sendo di che pasta era fatto.

– Sendo, io ti annienterò. – annunciò addirittura, e la rabbia di Hanamichi raggiunse limiti inauditi: quello gli fregava le battute!

Il numero sette rispose per le rime, e Big Jun e il Gorilla si sfidarono vis-à-vis una volta di più, e praticamente tutti commisero falli sparsi da tanto che erano carichi; gli spettatori e le panchine delle squadre si sgolavano come matti, Haruko era piombata in catalessi sbavante di fronte alle azioni di Rukawa e Taoka l’allenatore cominciava a convincersi della presenza di diversi elementi che potevano girare a favore dei suoi uomini. In quella battaglia serratissima, due erano i soggetti che non riuscivano affatto a concentrarsi: il Rossino e Rumiko, entrambi nervosi e distratti dagli accadimenti dell’intervallo.

Ma poi, finalmente, Hanamichi si riscosse, gabbò lo Strano Individuo con una finta e corse al canestro. Tentò un tiro, e un altro e un altro ancora, e ogni volta recuperò la palla su rimbalzo soffiandola a Uozumi – e al quarto tentativo (che sarebbe andato a buon fine) portò il gigantesco capitano al suo quarto fallo.

Il palazzetto rombò all’unisono, accompagnando un trionfante squillo della nostra:

– Hanamichiiiiiiiiiiii! – lo acclamò, saltando.

Taoka dovette far uscire Big Jun per non rischiare di vederlo espulso troppo presto, e allora fu chiaro che le mosse del Genio erano state un fine play coi fiocchi. E il Genio, com’era ovvio, riacquistò tutta la sua verve narcisistica, e senza il centro avversario in campo lo Shohoku sferrò un attacco formidabile.

Non ci fu rimbalzo che il Re testa calda non conquistò, non ci furono errori nei tiri da tre punti di Mitsu, Ryota era innarrestabile e Akagi mise a segno un alley-hoop spettacolare su un passaggio perfetto di Kaede. Rumiko praticamente danzava di gioia, roboante, a bordo area, agitando i pugni in aria, ridendo e incitando gli amici, col cuore a mille e le orecchie che andavano a fuoco. Al patto stilato dal Puntaspilli manco ci pensava, in quel momento, e i suoi occhi non abbandonavano mai Hanamichi.

E questi, per la prima volta, se ne accorse. Notò che l’attenzione della ragazza non sembrava catturata né dal Volpino né dal Porco: i bellissimi sorrisi che regalava erano quasi sempre indirizzati a lui, a lui soltanto. Non ci capiva un fico secco, e guardarla diventava una droga.

Uozumi rientrò nell’ultimo quarto di partita, concentrato fino alla morte e recando sollievo ad Akira, che era ormai un po’ sotto pressione. Il Ryonan diede il via alla rimonta; l’asso tornò a fare faville e Taoka, sorridendo, colse uno a uno gli elementi che rendevano instabile la formazione nemica.

In primo luogo l’alto numero di falli che ciascun giocatore aveva a carico, poi la mancanza di riserve affidabili e, punto fondamentale, l’assenza di Anzai: era innegabile che giovani come Rumiko, Ayako e Kogure non potessero sostituirlo a dovere, purtroppo per loro.

– Infine, – elencò l’allenatore, – la presenza in squadra di un principiante come Sakuragi!

Ci aveva preso, in un certo senso. Tuttavia un imprevisto scombinò le carte in tavola anche a lui.

A due minuti dalla conclusione l’arbitro fermò nuovamente il tempo: Hisashi era rovinato a terra di botto, perdendo conoscenza per alcuni istanti a causa di una carenza d’ossigeno al cervello dovuta allo sforzo eccessivo. Lo fecero uscire e l’occhialuto numero cinque ne prese il posto vacante mentre Sendo riduceva il distacco a 64-65  e si rammentava pure di ammiccare a Rumiko.

– Fate qualcosa, fate qualcosa! – sbraitava lei.

– Akagi, si può sapere cosa stai combinando? – ruggì invece qualcuno dagli spalti.

L’arrivo di Aota l’Uomo del Judo, vecchio nemicoamico del Gorilla, si rivelò senza dubbio provvidenziale. E fu allora che iniziarono i miracoli.

Perché Hanamichi, balzando in aria, impedì a Fukuda di andare a canestro, e Takenori stoppò Koshino.

Perché Hanamichi, durante l’azione successiva, intercettò una finta da maestro del Porcospino e gli fece volar via la palla dalle mani.

Perché Hanamichi, dopo la rimessa in gioco, fermò Uozumi che stava per segnare decretando così la vittoria del Ryonan.

E perché Hanamichi non passò a Rukawa come tutti si aspettavano: passò a Kogure, snobbato dagli avversari, e Kogure centrò un tiro da tre punti.

– Sessantotto a sessantaquattro per noi! – gridò Rumiko, in piedi sulla panca. – Sì sì sì sì!

– Maledizione. – imprecò Taoka, rendendosi conto di aver sottovalutato tanto il numero cinque quanto l’imprevedibile Genio.

Restavano cinquattotto secondi netti e nessuno li sprecò. Akira fece un altro canestro, rendendo felici i suoi, e lo Strano Individuo riuscì a deviare un lancio del Gorilla: mancavano dieci secondi alla fine. Il pallone colpì l’anello di ferro rimbalzando, Kitcho sorrise, la nostra urlò e tutti trattennero il respiro.

Ma una figura in rosso scattò ad afferrare la sfera arancione prima che ricadesse.

E la schiacciò nel canestro con forza sullo scattare del 2 sul tabellone, nella meraviglia generale: il Rossino aveva conquistato la vetta.

– HANAMICHI, TI AMO! – esplose Rumiko senza rendersene conto, spiccando un salto dalla panchina e catapultandosi in campo seguita dagli altri, euforici e vocianti come lei (e per fortuna, perché tra loro e il pubblico impazzito le sue parole risultarono indistinte). E tutti presero ad abbracciarsi in mezzo all’area, raggiunti dall’Armata Sakuragi, dalla gang di Mitsu, da Haruko, Fuji e Matsui e persino dalle Seguaci al gran completo, contenti come pasque.

La nostra si tuffò tra le braccia del numero dieci, allacciandoglisi al collo e dandogli una testata, ridendo, e poi volò da Rukawa a stritolarselo un po’ – e poi tornò da Hanamichi, e si dedicò anche a Mitsu e Ryota, e abbracciò pure Takenori (che a momenti la soffocava) e si concesse un abbraccio con Ayako e Haruko e uno con Kogure e con ciascuno dei giocatori. E sempre tornò dal Rossino, inebriata dal trionfo e dal gaudio collettivo e da ciò che per lui provava.

Non sarebbe più stata capace di fare a meno di quel Tensai squinternato e dei nuovi Vicerè della prefettura di Kanagawa. Ne era sicura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Opporcamiseria, finalmente risorgo dalle ceneri del non-internet! Dopo quasi un mese stavo andando in astinenza, ma un tecnico geniale (embeh) ha risolto tutto, e giuro che se lo trovo lo bacio pure. Insomma, i’m back, siore e siori, e spero non mollarvi più!

Spero anche d’esser tornata in grande stile con un capitolo di vostro gradimento: non so voi, ma io stra-amo la partita contro il Ryonan – e scriverla è stata una cosa divina & difficile. La parte più ardua è il render bene le emozioni attraverso le parole, piuttosto che con le immagini, e mi auguro d’esserci riuscita. Che mi dite?

Al di là dei punti e dei rimbalzi, la partita si gioca pure fuori campo, nei corridoi, e gli assi son sempre assi.

Occhio al prossimo capitolo! E a proposito, in tutto saranno ventuno, prologo + epilogo compresi.

 

I ringraziamenji che non mancano mai:

MihaChan (ehe, donnina, staremo a vedere quante e come ne vengono a galla ;P ah, poi ti commento!)

Giugiu182 (benvenuta, Volpe-fan! ecco qualcuno che tifa solo per il Ghiacciolo… sai che è ardua? non solo per la Rumi ;D)

Kenjina (o mia socia, che ne pensi dell’Akintervento? prometto di non mancare più per così tanto tempo!)

E a tutti i silenziosi apprezzatori, naturalmente!

 

Buon divertimento e alla prossima! ­_Black

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Capitolo 10
*** nono: non dir di me, se di me non sai. ***


nono: non dir di me, se di me non sai.

 

 

 

 

– Per lo Shohoku! Hip hip…

– … HOORAY!

L’atmosfera si stava già facendo incandescente, nella pizzeria in stile americano adagiata sulla spiaggia principale della cittadina, e i festeggianti non erano nemmeno al primo sorso di birra Asahi. Dopo la premiazione al palazzetto e un salto in ospedale per sventolare l’attestato sotto il naso del novello Buddha, i Vicerè avevano chiamato a raccolta gli amici per fare baldoria fino a crollare di sonno ed eccesso alcolico. Aspettando l’ora di cena – o quantomeno quella per l’aperitivo, come Rumiko aveva suggerito – avevano fatto tappa alle rispettive magioni per cambiarsi d’abito, munirsi di costumi da bagno e borse da mare e poi se n’erano andati a sguazzare come foche gaudenti. Gli altri bagnanti avevano rischiato l’infarto nel vedersi invadere gli spazi del tardo pomeriggio, fino ad allora quieti e rilassanti, da una mandria di scalmanati, tra cui peraltro spiccavano Takamiya (se possibile ancor più rotondo in désabillé) e Hanamichi (con un paio di bermuda più rossi e più fiammati dei suoi capelli). Rukawa, paurosamente gnocco nei suoi slip nuovi di pacca, aveva provocato una discreta emorragia nasale in Haruko, che a sua volta ne aveva provocata una nel Genio, che a sua volta aveva mandato in visibilio la minuta allenatrice – la quale, per concludere il teorema, aveva praticamente steso il Volpino con una combo letale di bikini grigio perla e Rayban a specchio. C’erano Mitsu e Ryota con boxer identici ma di colore diverso, c’era Ayako più che mai splendida in completo nero, c’era il Gorilla un po’ in imbarazzo che guardava i compagni con aria corrucciata e c’erano Mito, Okusu e Noma che marpioneggiavano con ogni ragazza transitante nel raggio di un chilometro.

Insomma, si erano scialati in abluzioni, pallonate, inseguimenti e lotte a colpi di sabbia fin quando il sole non aveva raggiunto l’orlo dell’orizzonte: a quel punto, stanchi e con un principio di fame, si erano sistemati sui teli ad asciugarsi guardando il tramonto. La soddisfazione generale era tale che, nonostante l’atmosfera da cinebrivido e la vicinanza, nessuno aveva assistito a scene di decerebramento romantico da parte di nessuno. Certo, lo smilzo playmaker aveva fatto in modo di sedersi accanto alla bella manager e il Volpino a due centimetri dalla tokyota, ma niente di più.

Se n’erano stati lì a rimirare il mare e il cielo per sessanta minuti d’inusuale pace, mentre gli ultimi bagnanti abbandonavano il campo per tornare a casa, e finalmente, raccolte le carabattole e indossati indumenti più consoni (nei limiti), il team dello Shohoku, i soci di Hanamichi e Hisashi e Haruko con le amiche si erano mossi in blocco verso il locale in legno candido e tetto di paglia che dominava quel tratto di spiaggia.

– Ehi, Quattrocchi, che me la lanci la maionese? – stava dunque vociando il Rossino all’indirizzo di Kogure.

– Ehi, Hana, posso fregarti un paio di patate? – chiese Rumiko, che gli stava al fianco, e senza attendere risposta provvide a servirsi.

Il tubetto giallo disegnò una parabola perfetta attraverso la grande tavola e il Re dei Rimbalzi lo afferrò al volo esclamando:

– Grande Quattrocchi! Si vede che ci sai fare coi tiri da tre punti!

Solo che mancava il tappo, e sotto la stretta possente del ragazzo una consistente dose di contenuto schizzò fuori, inondando i capelli arricciati di Ryota che si strafogava di pizza alle acciughe alla sinistra dell’amico. Seguì un poco elegante boato da parte del numero sette, che in risposta spalmò due dita di ketchup sulla fronte di Hanamichi facendogli notare che stava d’incanto con quel colore addosso, frattanto che Mitsu e le altre teste calde ululavano dal ridere; Akagi si era rassegnato all’evidenza e tracannava Corona in bottiglia, e Kaede sogghignava mentalmente congratulandosi con la mossa di Miyagi.

– Hana, io continuo a rubarti le patatine! – annunciò la nostra, approfittando del fatto che i due si stavano sfidando a suon di ganascini sulle guance.

– Ferma lì, sai! Non vale prendermi in contropiede!

– Sì che vale! Manco le stai considerando, povere patate. – si difese la ragazza a bocca piena.

– Per forza, Ryochan rompe le scatole!

– Ah, io? Brutto scaricabarile che non sei altro, Hanamichi! – grugnì sonoramente l’interpellato.

– Rumi, rendimi le mie patate! Subito! – lo ignorò il Rossino, e prese a fare il solletico a lei perché si arrendesse.

Ma l’unico risultato che ottenne, avvinghiandolesi in quel modo, fu di farla praticamente soffocare con l’enorme boccone, dato che il Tensai dei suoi sogni la stava, per dirla spicciola, palpeggiando. Travolta da un’ondata di calore allucinante (e già si era scottata le spalle), Rumiko passò al contrattacco tra una risata e un colpo di tosse, sputacchiando molecole di patatine e fingendosi decisa a liberarsi dall’abbraccio. Il resto della ghenga si mise a fare il tifo, agitando tovaglioli e tranci di pizza.

A Hanamichi, intanto, erano tornate alla mente le bislacche sensazioni che le sue sinapsi avevano registrato quella mattina durante l’incontro con il Ryonan: il vago imbarazzo nello scoprire di chi era la mano che aveva tenuto nella sua dopo l’incidente del primo tempo, lo scorno provato nell’udire le parole del Pork e del Ghiacciolo. Ghiacciolo che, inoltre, adesso lo fissava con sguardo ferale e pareva sul punto di rovesciargli il tavolo in capo.

E il viso dell’esile allenatrice, così poco distante e così grazioso con gli zigomi rosati e gli occhi accesi.

“Ehi, aspetta un po’.”

Una specie di lampo attraversò la mente sovraccarica del Rossino, come una rivelazione importante, ma si spense prima che lui riuscisse a decifrarlo.

– Rumi! – esclamò quindi nel tentativo di interrompere quell’incasinato flusso di emozioni: – Mi arrendo, ti cedo le patate!

– Allora girati che finiamo il discorso, Genio! – s’intromise Ryota cogliendo la palla al balzo.

– Con piacere, mezza sega. – chiosò Hanamichi, e mollò la presa su Rumiko per tornare a concentrarsi nella sfida a ganascini con l’amico.

La ragazza si abbandonò sulla sedia con aria stravolta: – Ho bisogno di un’altra pizza! – gracchiò.

Rukawa le schiaffò nel piatto metà della propria: – Tieni. Io la riordino.

– Ohi, grazie Rukakun. – disse la tokyota inarcando le sopracciglia e sorridendo. Poi si avventò sul cibo.

– Volpe, ma che galantuomo! – commentarono all’unisono Mitsu e Ayako, facendogli l’occhiolino. Il moro fece solo “tzè”.

 

 

Allo scoccare delle una il limite umano della lucidità era stato ampiamente oltrepassato.

Nel cielo di velluto nero brillavano a grappoli le stelle, l’aria era dolce e le luci del ristorante disegnavano riquadri aranciati sulla sabbia scura e riverberi sulle piccole onde della risacca. I festeggianti, sia quelli in grado di stare in piedi che coloro ormai accasciati sotto l’attacco combinato di birra e cocktails del dopocena, si erano sparpagliati tra l’ampia veranda, i gradini d’ingresso e il bagnasciuga: nonostante fosse domenica sembrava che nessuno avesse ancora intenzione di tornarsene a casa.

Per qualche strano scherzo del caso i primini erano finiti a far bisboccia con la ghenga di Hisashi, mentre quest’ultimo aveva snobbato gli accoliti per far capannello vicino all’acqua con i soliti ignoti, Kogure, Yasuda e perfino Haruko con le fide accompagnatrici; l’Armata si era radunata in un angolo a conversare con alcuni sprovveduti avventori, il capitano contava invano le costellazioni aiutato da due affatto sobri Kakuta e Shiozaki, e Kaede seguitava a scolarsi lattine di Kirin appollaiato sulla pencolante balaustra lignea che delimitava la tettoia, controllando le mosse della nostra e del Rossino. I due, infatti, sedevano scompostamente in cima alle scale e facevano un gran casino, circondati dai bicchieri di gin tonic prosciugati da lei e dalle bottiglie di Heineken svuotate da lui – e Rumiko intanto cantava a gola spiegata Heartbreaker di Pat Benatar, trasmessa in quel momento sulla filodiffusione del locale. Non era intonatissima, ma Hanamichi pareva godersela un mondo.

You're a heartbreakerrrrr, dream makerrrrr, love takerrrr, don't you mess around with me-e-e-eeee!

– Uffa, Rumi, io l’inglese non lo capisco mica bene. – si lamentò il ragazzo all’ennesimo gorgheggio passionale della tokyota.

– Meglio per me. – borbottò il bel tenebroso, ribollendo come una pentola.

– Cazzo brontoli, Volpaccia?

– Niente che ti riguardi, do’hao.

– Checcosa?

– Ziiiiitti, sto cantando. – cantilenò Rumiko facendo oscillare una cannuccia tra le labbra.

– Scusa. – bofonchiarono i due all’unisono, e subito si fulminarono nella penombra.

Decisamente, pensava il Rossino, l’alcol doveva giocargli dei brutti scherzi: non solo si era trovato d’accordo col Verginello Artico (sia pure per un solo istante) ma non gli veniva nemmeno voglia di staccarsi dal legno tiepido della veranda per raggiungere l’amata sulla riva, abbandonando così la minuta coach.

Non gli veniva proprio in mente di mollarla lì da sola – o peggio ancora, col Ghiacciolo a ronzarle attorno.

Non adesso, oltretutto, con la filodiffusione che aveva sostituito il successo della Benatar con Love is in the air e con Rumiko che aveva ripreso a sgolarsi. Perché va bene che Hanamichi non era bravo in inglese, ma due parole come love e air non aveva bisogno di tradurle.

Al ritornello la ragazza balzò in piedi a braccia spalancate, dondolandosi teatralmente sul margine del gradino e proseguendo la propria performance come se si fosse trovata di fronte a una folla in delirio, invece che a una congrega di liceali alticci. E siccome rischiava di cadere a faccia in giù sulle scale da un momento all’altro, Hanamichi non ragionò oltre e la acchiappò per la vita tirandola di nuovo a sedere:

– Ahia, Hana, ho battuto le chiappe! Chevvuoi? – brontolò lei. Però non gli disse di togliere le mani, che se ne stavano ancora lì sui suoi fianchi.

– Manca poco che cadi, furba. – si giustificò lui. – Guarda che sei sbronza.

– Ha parlato quello lucido, ha parlato.

– Ben detto. – approvò Rukawa, che era messo forse peggio di loro messi assieme.

Il Genio, a quel punto, mentre ignorava di proposito i commenti del rivale, si sovvenne di avere un conto in sospeso con l’allenatrice per quanto concerneva la battaglia di solletico svoltasi a cena e di avere le dita in posizione ultrastrategica. Al che, ridacchiando, ricominciò a darle noia in tal senso, sempre più stupito dai brividini tiepidi che la pelle di Rumiko, calda attraverso il cotone della camicia ampia che le copriva costume e shorts, gli comunicava dai polpastrelli in su.

La tokyota, colta alla sprovvista, dapprima si sbrodolò col cocktail che aveva appena portato alla bocca e poi provò a difendersi come meglio poteva, ridendo e accasciandosi progressivamente sul pavimento; il numero undici, intanto, si era messo sul chi vive.

Sghignazza che ti sghignazza i due finirono lunghi distesi sulle assi: la nostra di schiena, con la casacca tutta scomposta e la coda aperta a ventaglio dietro la nuca, le mani aggrappate alla canotta nera di Hanamichi; questi a sovrastarla, inginocchiato tra le sue gambe e proteso in avanti verso il suo viso.

Smisero di ridere di botto, riconoscendo la posizione come Assai Pericolosa, e tuttavia non si risollevarono immediatamente. A Rumiko era andato il cuore in gola e le sembrava di non sentirsi più il cervello, da tanto che la mente le era diventata leggera, e le sue uniche percezioni imparzialmente corporali si riducevano al leggero fastidio dei granelli di sabbia che le raschiavano le scapole ustionate. Per il resto vedeva solo il Rossino sopra di sé, i suoi begli occhi castani un poco spalancati, i corti capelli fulvi illuminati dalle lampadine colorate appese alla grondaia, le spalle ampie e immobili contro il velluto siderale del cielo. E pensava senza pensarci che se si fosse chinato un po’ di più avrebbe potuto allacciargli le braccia al collo e finalmente baciarlo.

E il Mito Vivente combatteva con relativo impegno contro la palla infuocata e sfarfallante che gli rimbalzava impietosa nelle viscere.

Dal bagnasciuga giunse la voce quasi tenorile di Mitsu che cantava she loves you, yeah-yeah-yeah, e fu allora che Kaede scattò.

Scagliando un’innocente bottiglia di birra nella rena sottostante, il bel moro si precipitò sul luogo del misfatto e con un calcio potente e implacabile in pieno stomaco fece ruzzolare l’acerrimo nemico all’indietro, mandandolo a schiantarsi poco gentilmente alla base delle scale; Rumiko rimase pirlescamente lì supina, sconcertata.

– Ma brutta Volpe schizofrenica! – ululò Hanamichi: – Cosa cazzo credi di fare?

– Ti giro la domanda, do’hao maniaco. – lo raggelò Rukawa con vibrazioni omicide nella voce.

– Maniaco sarai ma te, maledetto stronzo! Cos’era quella storia dell’appuntamento, eeeeh?

Il Rookie d’Oro scese i gradini a passi pesanti, fissando l’altro negli occhi:

– Non hai alcun diritto di innervosirti, stupido idiota.

Il resto della banda, intanto, aveva cessato qualsiasi attività per concentrarsi sui due in assetto da guerra, e perfino il Gorilla e Kogure erano lì lì per incitarli alla rissa – cosa alla quale stavano già provvedendo, naturalmente, Hisashi, Ryota e le Armate. I neri occhi di Ayako rilucevano maliziosi, Haruko era arrossita e fissava il tenebroso in posa plastica con uno sguardo che non nascondeva certi pensieri lascivi, e la nostra si era tirata su a sedere con aria interrogativa.

Soltanto la risacca ritmica, in quel clima di tensione, manteneva una certa calma.

– Epperché non dovrei innervosirmi, pallone gonfiato? Stai sempre a sbatterci in faccia il tuo essere così dannatamente fiiiico che tutto ti è permesso e poi vieni a rompermi i coglioni mentre non sto facendo niente di che? Cosa credi di dimostrare? – riprese il Rossino, fronteggiando lo sfidante.

– Lo vedi che non capisci una mazza? – rincarò questi sprezzante. – Ma proprio una mazza.

– Cosa c’è da capire? Non confondermi le idee, invertito!

– Quali idee? Non hai nemmeno un cervello per ragionarci su, do’hao.

Una piccola, allarmante vena comparve pulsando sulla tempia sinistra di Hanamichi.

– Modera i termini, Volpaccia, visto che manco tu sei una cima. – ringhiò; – E parla chiaro!

– Non spreco fiato con te.

– Checcosa?

– Io la vittoria a un imbecille come te non la lascio neanche morto.

Il Genio proruppe in una risata di trionfo:

– Allora riconosci il mio smisurato talento e vuoi sfidarmi, cacchetta!

– Allora continui a non capire un cazzo! – sbraitò Rukawa, ed esasperato gli ammollò il primo pugno.

– Evvai! – esultarono gli spettatori, ai quali risultava cristallino che l’uno parlava della tokyota e l’altro del basket.

– Mi sono persa un passaggio! – esclamò l’oggetto della contesa, protendendo le braccia verso di loro come per mandare la scena in rewind.

Ma il Rossino e il bel tenebroso ormai erano partiti per la tangente e se le stavano suonando di santa ragione, sollevando turbini di sabbia chiara ed emettendo suoni animaleschi, bestemmie, insulti e volgarità assortite, incuranti di lei, dei compagni e della folla di curiosi che si andava radunando lì intorno. Il cecchino, il playmaker e la riccia manager, gli unici ad avere perfettamente chiara la situazione, ghignavano come iene sul bagnasciuga e sapevano che neppure Rumiko aveva colto il succo della faccenda; la Akagi era passata dai pensieri lombrichi a quelli marci di gelosia e scalpitava come un’indemoniata.

– Vai, Sakuragi, dai una lezione a quel bellimbusto! – vociavano Mito, Noma, Okusu, Takamiya, Norio e gli altri della gang di Mitsu.

– Razza di cretini. – brontolava il capitano senza smettere di bere.

– Voglio ancora vino. – ruttava il suo vice dondolando il bicchiere a secco.

Rukawa era furibondo. Quel che più gli bruciava era vedere i sorrisi magnifici che l’allenatrice regalava in continuazione a quel Demente Con La Patente del numero dieci e sapere che lui non si rendeva lontanamente conto di piacerle, anzi: guardava solo la sorella del Gorilla e tentava di farlo sfigurare per fare colpo su di lei. Però osava comunque incazzarsi se gli veniva il sospetto che tra lui e Ishida potesse esserci qualcosa, e si incazzava per il semplice motivo che era geloso del suo successo, mica perché la ragazza gli piaceva e la voleva per sé! E Kaede questo non lo digeriva.

Non se vi aggiungeva, poi, che il destino era un gran pezzo di merda e che beccarli in quella posizione equivoca, prima, gli aveva mandato il sangue alla testa. L’alcol ovviamente non aiutava.

I wanna be sedated!, cantavano i Ramones sulla filodiffusione, e la rissa aveva raggiunto il suo culmine.

– Arrenditi, Volpe! – gridava stupidamente il Genio tirandogli una ginocchiata nelle palle.

– Arrenditi tu, fallito! – s’incaponiva il bel Ghiacciolo ricambiando la gentilezza.

– Ehi, voglio partecipare anch’io! – decise d’improvviso l’ignara Rumiko, facendo per lanciarsi (letteralmente) nella mischia.

Aveva la vaga sensazione d’entrarci qualcosa, ma la sbronza era diventata irreversibile e non riusciva più a connettere a dovere. Per fortuna Mitsu la bloccò al volo, impedendole di cozzare contro i due avvinghiati in una moderna versione della lotta greco-romana e di prendersi un colpo in piena faccia.

– Uffa, Mitsu, voglio fare a botte. – mugolò risentita, divincolandosi.

– Fai a botte con me e Miyagi, che è meglio. Quei cerebrolesi lasciali perdere.

– Posso davvero? – chiese la nostra illuminandosi tutta e pronta a scattare.

– Scherzavo! – risposero in coro Ryota e l’ex MVP.

– Uffa.

La nottata trascorse così, finché i membri della squadra e i loro amici non crollarono addormentati in riva al mare liscio, avvolti in felpe e asciugamani e con le borse a fare da cuscino. Hanamichi e Rukawa erano malconci assai e furono i primi a collassare e gli ultimi a riprendersi, mentre la nostra, Hisashi, Ryota, Ayako e Yohei furono quelli che resistettero più a lungo a chiacchierare e ridere godendosi gli inizi rosei dell’aurora che impallidiva le stelle.

Nessuno si presentò a scuola, l’indomani: verso le otto del mattino una fiumana di genitori sull’orlo di una crisi di nervi invase la spiaggia per appurare che i figli fossero ancora vivi, svegliarli brutalmente e trascinarli a casa con un diavolo per capello.

Al Rossino rimase un bizzarro tarlo in testa, il sentore di aver di nuovo sfiorato un’illuminazione fondamentale e di averla ignorata forse di proposito.

Aveva troppo sonno, tuttavia, per rimuginarci concretamente sopra.

 

 

Con quel lunedì ebbe inizio una settimana frenetica, per i membri del club di basket del liceo Shohoku. In verità oltre agli allenamenti avrebbero dovuto studiare per gli esami sempre più vicini, ma da bravi combinaguai che si rispettino aprirono i libri di testo a malapena.

Il capitano, l’occhialuto numero cinque e Ayako tentavano inutilmente di dare il buon esempio e vedevano i propri onorevoli tentativi snobbati in toto sia dai quattro campioni attaccabrighe che dalla stessa Rumiko – la quale con l’arrivo dell’estate piena perdeva la concezione dell’impegno scolastico (se mai lo aveva nel resto dell’anno) e trascorreva le mattinate in classe a guardare fuori dalle finestre, a ponderare sugli esercizi da fare con la squadra, a punzecchiare Kaede (che per i tre quarti del tempo ovviamente dormiva) e a passargli sottobanco cd e testi di canzoni da lei trascritti su fogli di quaderno a righe. Il bel tenebroso, Hanamichi, Mitsu e Ryota erano, se possibile, ancor più fancazzisti, e nessuno si rammentava di far loro presente che se avessero fallito gli scritti avrebbero visto le nazionali in cartolina.

La mattina del venerdì seguente, poi, la minuta coach decise che quel giorno valeva la pena di saltare la scuola per rilassarsi un po’ in vista delle intense sessioni d’allenamento del weekend: si alzò impunemente alle undici, imprecò contro quella santa donna di sua madre che invece della colazione le aveva lasciato un bigliettino fregiato di un “Digiuna e per stavolta te la passo!” e dopo aver saccheggiato il frigo a casaccio uscì in strada in sella alla bici, con il walkman appeso all’elastico dei pantaloni della tuta griffata Shohoku e lo Spalding in borsa e i Ray-ban a specchio inforcati sul naso.

La giornata era splendida, e dire “splendida” era riduttivo. Nel cielo sfacciatamente azzurro si rincorrevano luminose, spumeggianti nuvole bianche simili a brandelli di cotone idrofilo e ogni cosa, dall’asfalto alle foglie degli alberi carichi, sembrava più distinta e reale del solito; l’aria era calda, appena ventilata, e dal mare giungeva un buon odore salmastro assieme agli stridii incrociati dei gabbiani e al riverbero rassicurante del sole sull’acqua. Di gente in giro non ce n’era molta e Rumiko pedalava che era un piacere, concedendosi persino di bucare stop e precedenze sulle note degli Abba. Fece subito una tappa al campetto da basket vicino casa, quello dove aveva conosciuto il Rossino, e per un’ora buona si dedicò a schiacciate, terzi tempi, tiri da lontano e palleggi rapidi. Quando poi si sentì sul punto di cascare a terra dal bollore andò a ritemprarsi all’ombra di alcuni pini, bevendo acqua e limone e mangiando albicocche. Il frinire delle cicale quasi stordiva.

Si avvicinava l’orario in cui la ragazza doveva raggiungere gli altri in palestra, perciò le toccò balzare nuovamente sul bolide, per quanto fosse tentata dall’ancorarsi lì a frescheggiare fino a cena. Con il leggendario gruppo nordeuropeo che le ugolava nelle orecchie Honey honey planò a rotta di collo sul lungomare, godendosi la brezza che le asciugava la fronte sudata e le liberava la visuale dai ciuffi indisciplinati della frangia; il colore gonfio di cielo e oceano era di una bellezza da togliere il fiato.

Era ormai in prossimità di un molo pedonale. Incitata dal ritmo del proprio pedalare, la nostra prese a cantare in coro con gli Abba:

I heard about him before/ i wanted to know some more/ and now i know what they mean/ he’s a love machiiiiiine/ always makes me dizzy!

Certo che, a ben pensarci, il brano avrebbe potuto riferirsi a Kaede. Lei ne aveva sentito parlare – e parlare in determinati termini – sin dal suo primo giorno a Kanagawa, e il colmo era che Hanamichi medesimo lo aveva tirato in ballo. Però non era al moro che si sarebbe riferita chiamandolo honey e dichiarandogli passione sragionata! E a tal proposito si mise distrattamente a rinvangare i ricordi nebulosi della sera prima: com’era che Rukawa aveva attaccato briga con il Re di punto in bianco? Vi si scervellò per qualche metro di strada, ed era appena approdata alla mistica conclusione di aver irritato l’immusonito rookie con gli atteggiamenti equivoci tra lei e il numero dieci (cosa che le mandò il cervello in blackout momentaneo) quando scorse una sagoma familiare assisa su un ormeggio del molo.

“Opporcamiseria, mi ci mancava solo lui!”

Il Puntaspilli delle Meraviglie, meglio noto come Akira Sendo, sedeva tranquillo sotto il sole del primo pomeriggio, canna da pesca in mano e infradito ai piedi.

Al suono squillante e un tantino stonato della voce di Rumiko alzò la testa dall’ultimo pesce catturato, strizzò le palpebre nella forte luce e, riconoscendola, sorrise in una maniera che era anestetica persino a distanza: – Ciao, Occhibelli! – gridò sbracciandosi.

La ragazza virò verso la banchina con un gran stridere di freni ed evitò per un pelo l’asso del Ryonan:

– Salti fuori come il prezzemolo, tu. O-vun-que.

– Potrei dire lo stesso di te, Occhibelli. Non sei agli allenamenti? – replicò lui col solito fare squisito.

– Ci stavo giusto andando, ma qualcuno mi ha bloccata.

– Avresti potuto tirare dritto snobbando questo sconfitto, Occhibelli. – rise Sendo.

– Oh. Touchée. – arrossì Rumiko, e spegnendo il walkman si concesse di togliersi i Ray-ban.

La calura si era incredibilmente intensificata, notò, ed era pronta a scommettere che dipendesse dalla rilassata presenza del Porcospino nazionale.

– Immagino tu abbia fretta, Ishida. – continuò quest’ultimo mentre riavvolgeva di un pezzo il filo da pesca.

La tokyota si strinse nelle spalle: – Più o meno.

Non aveva tutta questa voglia impellente di scrostarsi da quel tratto di banchina.

– Allora, visto che mi secca farti arrivare in ritardo, ti lancio subito la mia proposta.

– Proposta? – ripetè Rumiko aggrottando la fronte e preparandosi a tagliare la corda. Le proposte di Sendo potevano essere un problema.

– Proposta. – confermò il numero sette con una risata leggera. – Non ho il diritto di chiederti di uscire perché ho perso, giusto?

Lei emise un borbottìo d’assenso poco convinto e lo fissò socchiudendo un occhio.

– Ma posso sempre invitarti a giocare a basket, non è vero?

Rumiko si esibì nella sua migliore espressione di ottuso stupore: – Stai scherzando? Ovvio che puoi farlo! – esclamò.

– Mi piaci quando rispondi così. E mi piacerebbe che tu venissi, un pomeriggio di questi, in palestra da noi per una partitella amichevole. Ne ho già parlato col coach e con i miei compagni di squadra e ti dirò, Ishida, che siamo tutti curiosi di vedere quel che sai fare. Cosa ne pensi?

– Non capisco se mi stai sfidando o meno. – mormorò la nostra rimettendosi gli occhiali.

– Prendila come vuoi tu, Occhibelli! – rise ancora il Puntaspilli: – A me interessa solo giocare con te.

“Qui sono fissati con le frasi ambigue, accidenti a loro.”

L’orologio da polso vintage che la minuta allenatrice portava al polso sinistro segnava già le tre meno cinque:

– E sia, maledizione, ci sto. Quando?

– Lunedì a quest’ora. – rispose lui, – Alla palestra del Ryonan.

– Ho gli allenamenti. – tentò Rumiko alla disperata.

– Hai sempre gli allenamenti, perciò puoi saltarli per una volta. – la abbagliò Sendo sorridendo.

La ragazza si arrese: – Temo di sì. Ci vediamo lunedì, allora.

E con un ultimo grugnito si sistemò i Ray-ban sul naso, si ficcò con forza le cuffie nei padiglioni auricolari e tornò a briglia sciolta sulla strada maestra, pedalando con la solita finezza da gnu che la contraddistingueva nei momenti emotivamente catartici. Akira la guardò allontanarsi con un certo affetto.

L’azzurro potente del cielo, i baluginii del mare e la cacofonia delle cicale che faceva da sottofondo agli Abba finirono per stordirla più di quanto già non fosse, tanto che pur arrivando dagli amici sudata fradicia, barcollante e col fiatone non avrebbe neppure badato alla ramanzina di Akagi, poco più tardi.

Perché not at least, you’re a dog-gone beast!, come gentilmente il walkman le rammentò.

E una partita col Ryonan non era affatto una questione da niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Raggiunto il fatidico traguardo dei dieci capitoli (prologo+9) mi duole annunciare che, da donnina assai impegnata und impelagata quale sono, non ho ancora iniziato a scrivere il prossimo e non so quanto mi ci vorrà. Ah, belli i tempi in cui mi mettevo per l’avanti! Scusatemi previamente per il rilento, quindi.

Intanto vi siete cuccati il Più-Porco-Che-Spino in una delle sue leggendarie sedute di pesca, la Rumi in estrema fibrillazione e uno dei passaggi che più mi son divertita a narrare – vale a dire la nottata di bagordi e Accadimenti Chiave del postincontro…

 

Via libera ai ringraziamenji! Tanto li sapete, ormai. Nello specifico,

MihaChan (woman, ma lo sai che così basta e avanza ;P scusa la mia latitanza!)

Kuro (perché tontolo è tontolo, però non dimentichiamoci che è un Genio :D)

Kenjina (socia, amo i tuoi papiri! sì, la Rumi è bella che ita e dirò a Sendo del suo… premio di consolazione ;3)

E sapete qual è la mia maggiore soddisfazione circa il capitolo scorso? L’aver saputo emozionarvi con la descrizione della partita! Grazie!

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

 

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Capitolo 11
*** decimo: pretty F-Ace. ***


decimo: pretty F-Ace.

 

 

 

 

Quel finesettimana trascorse in placida nullafacenza per tutti.

Rumiko decise che il modo migliore per ignorare gli scombussolamenti ormonali dell’ultima settimana era sbronzarsi in compagnia, evitando accuratamente di rivelare agli amici la proposta indecente di Sendo. Non che fossero cose difficili da mettere in pratica, gli sbronzamenti collettivi, anzi: il rovescio della medaglia era che, una volta raggiunto l’apice alcolemico, controllare le proprie favelle (idiote) era più o meno una Missione Impossibile.

In tutto questo nessuno gettò ai libri scolastici più di una distratta occhiata di compatimento prima di infilare la porta di casa e raggiungere i compari per i suddetti sfaceli.

Il sabato, dunque, le strade del centro videro sciamarsi addosso la ghenga dello Shohoku quasi al completo: la piccola diavola, il suo adorato, il cecchino, il playmaker, la manager e i Quattro dell’Armata Sakuragi si riunirono per una serata di bisboccia nata col proposito di mantenersi su livelli umanamente accettabili e che puntualmente degenerò in un festino cestistico presso il campetto di Rumiko in cui invece dello Spalding vennero usate le lattine vuote di Asahi per centrare il canestro. Fecero un tale casino che la signora Ishida in persona uscì di casa alle tre del mattino, infradito ai piedi e sistola alla mano, per trascinare via la figlia per la collottola e scacciare gli altri decerebrati a colpi d’acqua. Ma, va detto, lo fece con affetto.

 

 

L’indomani la giornata si rivelò essere una domenica con tutti i crismi.

Dal lungomare fin nelle zone più interne il frinire delle cicale era un concerto ininterrotto, la calura aleggiava bonaria tra le vie e sotto il cielo di un azzurro accecante e l’assenza pressoché totale di vento rendeva l’oceano liscio come il parquet di un campo da basket. Perfino la risacca sembrava indolente, quel giorno, e le spiagge brulicavano di bagnanti felici.

Fu perciò con discreto stupore che la signora Anzai, andando a rispondere al trillare del campanello, si ritrovò davanti uno dei ragazzi che suo marito allenava: era convinta che qualunque liceale, in una domenica come quella, fosse corso sul mare per rilassarsi in vista degli imminenti esami. Colui che aveva di fronte, invece, era il ritratto della serietà.

– Buongiorno. Sono Kaede Rukawa. Il signor Anzai è in casa? – si presentò il giovane con un inchino.

La donna sorrise nell’aprire il cancello: – Buongiorno a te. Entra pure, mio marito è in veranda.

Ignorava quale turbolenta selva di pensieri si stesse in quel momento accavallando nella bella testa corvina del giovanotto che, poco abituato a un simile arrovellìo, era se possibile ancor più cupo del solito. Non volendosi intromettere in quelle che presumeva fossero faccende sportive, la signora lo lasciò alle cure del rotondo consorte, assiso nel patio posteriore con una tazza di bancha in mano e beatamente lambito dalla luce che filtrava dai pannelli di carta di riso. Rukawa la ringraziò con un secondo inchino e lei udì i due scambiarsi i convenevoli di rito mentre richiudeva la porta scorrevole.

Se la moglie del Buddha Dai Capelli Bianchi avesse potuto assistere alle occupazioni domenicali dei compagni di squadra del compunto visitatore le avrebbe sicuramente trovate molto più in linea con quella che era la sua idea di svago adolescenziale d’oggidì: Mitsui aveva raccattato Hatta e gli altri per una scampagnata in moto, Ryota era andato a pesca col padre, Kogure aveva deciso di accantonare lo studio e di concedersi un pomeriggio balneare e Akagi si era precipitato al proprio campetto di fiducia per una (affatto necessaria) sessione d’allenamento extra.

Rumiko aveva invitato Ayako per rosolarsi al sole sul terrazzo di casa Ishida, trangugiando fresca limonata alla lavanda e i dorayaki che il padre della tokyota cuoceva al volo sulla piastra e farciva con l’anko che la madre aveva appena preparato. Le due se ne stavano dunque belle pasciute sulle sdraio stinte, occhiali enormi sul naso e radio sintonizzata su Tokyo FM per ascoltare gli ultimi successi nazionali, e si godettero fino in fondo il clima pre-vacanziero: a sera il tutto fu coronato da un’incommensurabile grigliata di pesce e da una cantata a quattro voci sulle note di Kimi ga suki da to sakebitai, singolo di punta dei BAAD, sotto le stelle a grappoli del cielo di giugno.

E tanto la nostra quanto i suoi amici non sapevano che Hanamichi quel giorno non aveva oziato, a differenza loro e dei suoi fidati compari che avevano dilapidato tempo, cervello e denaro in interminabili partite di pachinko: no, il Genio aveva per caso incontrato Maki e Nobunaga del Kainan e si era lasciato convincere ad accompagnarli in treno fino a Nagoya per presenziare all’incontro decisivo per la qualificazione al campionato delle formazioni della prefettura di Aichi. Fu così che i tre scoprirono che Sakuragi e Nobunaga medesimi, e naturalmente il Volpino dei Ghiacci, non erano le sole matricole-rivelazione del Giappone. La squadra del favorito liceo Aiwa, nella quale militava il celeberrimo Dai “Stella di Aichi” Moroboshi, fu infatti sconfitta dagli esordienti del Meiho Kogyo e in particolar modo dal gigantesco Hiroshi Morishige, studente del primo anno; il Kogyo si qualificò come prima formazione di Aichi e l’Aiwa, caso inedito, raggiunse il torneo interscolastico in seconda posizione.

La prospettiva di un glorioso confronto tra rookies d’eccezione infiammò le competitive sinapsi del Rossino e di Nobunaga, rivelando al povero Maki che gasarli più di quanto già fossero per natura era maledettamente possibile.

 

 

Quando la campanella decretò il termine di quell’ultimo lunedì di lezioni, Rumiko si alzò dal proprio banco con un’aria sospetta e circospetta degna di una Bond Girl, grugnì in direzione di Kaede una patetica scusa familiare per defilarsi e strisciò lungo i muri dei corridoi fin nel cortile stando ben attenta a non incappare nel Gorilla – e nemmeno in Hanamichi, poiché era certa che se avesse incontrato l’amato dopo più di trentasei ore di lontananza ogni sua risolutezza si sarebbe sciolta come gelato fuori dal freezer e al Ryonan l’avrebbero vista in cartolina. Invece ci teneva, alla sfida lanciata da Sendo, perché aveva voglia di giocare e perché anche le sue, di sinapsi, propendevano assai per la competizione sfrenata. Come avrebbe potuto piacerle a tal punto il Re dei Rimbalzi, altrimenti?

Del capitano e del suddetto, per fortuna, non c’era traccia. Ma come la ragazza mise il culo sulla bici, sana, salva e sollevata, un divertito richiamo le giunse alle orecchie:

– Eeeeeeeeeehi, Rumi!

Lei scattò come una biscia colta in flagrante e scoprì con abnorme raccapriccio che Mito, Okusu, Noma e Takamiya le si stavano facendo incontro con larghi, sagaci ghigni stampati in faccia.

– Lo sa il Gori che gli ringambi gli allenamenti, oggi? – attaccò subito il tondo Takamiya.

– E Hanamichi lo sa? – gli si accodò Okusu.

– Piuttosto, che hai di meglio da fare? – ammiccò Noma.

Rumiko strinse caparbiamente le labbra, confidando nell’aura cazzuta che i suoi amati Carrera anni sessanta le conferivano:

– Una partita. – disse enigmatica, e partì con una sgommata sul ghiaino.

I Quattro dell’Avemaria però non volevano demordere:

– Perché questo atteggiamento misterioso? Io voglio vederti giocare! – le gridò dietro Mito.

– Anch’io. – asserì Noma.

– Io ho pure la telecamera con me, potrei riprenderti! – si offrì Takamiya.

– Conserveremo l’evento per i posteri. – proclamò Okusu.

– Per i postumi, semmai. – lo corresse Mito.

A quella battuta la piccola diavola scoppiò a ridere e con un’inversione a ‘u’ tornò a fronteggiarli:

– Siete proprio curiosi di assistere alle mie prodezze, eh.

Mito sorrise: – Cacchio se sei perfetta per Hanamichi, tu.

L’allenatrice divenne talmente rossa che quasi le uscì il fumo dal naso, e i quattro colsero prontamente la palla al balzo:

– Se ci permetti di venire alla partita poi potremo mostrare il filmato anche a lui. – fece notare Takamiya con espressione candidissima.

– Senza contare che se rimanessimo qui potrebbe scapparci detto che hai dato buca ai ragazzi in favore di un’altra squadra. – rincarò Noma, innocente come un angioletto.

Rumiko ringhiò: – Razza di vili ricattatori!

– E Hanamichi ci rimarrebbe male, credo. Sai che ieri voleva chiamarti? Abbiamo beccato Maki e Nobunaga che lo hanno invitato ad andare a Nagoya con loro per le qualificazioni di Aichi, e lui avrebbe voluto chiederti di raggiungerli. – interloquì di nuovo Mito, fattosi serio; – Solo che il treno partiva presto e non ce l’ha fatta a telefonarti.

La tokyota, completamente rincretinita dal caldo e dal batticuore dovuto a quella piccola e deliziosa notizia, si rese confusamente conto che la sua cotta per il Rosso era divenuta lampante persino agli occhi dei suoi accoliti. Quindi tossicchiò per schiarirsi la gola e rilassò le spalle:

– Se venite con me vedete di mantenere segreta la cosa almeno fino alla fine del campionato.

– Accidenti, ma con chi devi giocare? Con l’NBA?

Rumiko li fissò al di sopra delle lenti scure: – Mi aspettano al Ryonan.

– Traditrice! – uggiolarono all’unisono i quattro sghignazzando come matti.

– Ecco perché non volevo ficcanaso alle calcagna.

E riprese la propria corsa tra il chiarore pomeridiano e le ampie zone d’ombra che pini ed eucalipti disegnavano sull’asfalto; i quattro si affrettarono ad accalcarsi sul solito motorino scassato e la inseguirono alla velocità massima che il vessatissimo trabiccolo consentiva loro.

Alle tre spaccate le ruote della bicicletta della tokyota fregiarono con una corposa strisciata scura lo spiazzo antistante la palestra degli eterni rivali dello Shohoku: Sua Maestà Il Porcospino torreggiava nel vano della porta d’ingresso, sorridente e abbagliante come da abbonamento, e poco più in là si scorgeva la mole di Uozumi che occhieggiava dall’interno. Il motorino dell’Armata Sakuragi arrivò scoppiettando un paio di minuti più tardi.

– Hai davvero preferito me, Occhibelli. – se ne uscì Sendo in tono irresistibile.

– Ho preferito te, Uozumi, Ueda, Yoshino… ommerda, pure Fukuda! – replicò Rumiko sgattaiolandogli accanto per entrare nell’edificio senza farsi toccare.

Loro che ci fanno qui? – brontolò il gigantesco capitano puntando un dito contro i Quattro dell’Avemaria che arrancavano verso l’uscio.

La ragazza sventolò una mano: – Mi hanno ricattata. Filmeranno l’evento.

Uozumi non parve entusiasta della cosa ma decise che non valeva la pena incazzarcisi su.

Intanto gli altri membri del Ryonan avevano interrotto il riscaldamento per salutare la minuta allenatrice e una ridotta folla di curiosi stava prendendo posto sulle balconate della palestra; lo Strano Individuo si manteneva a distanza di sicurezza da quella che rammentava come la pazza scatenata che gli aveva gentilmente consigliato di ficcarsi una scarpa in bocca durante l’ultimo incontro e il coach Taoka si preparava, accigliato, a ricoprire il ruolo di arbitro.

Rumiko si dileguò negli spogliatoi per indossare calzoncini e canottiera, e al suo ritorno il Puntaspilli delle Meraviglie le illustrò le modalità della partita: avrebbero giocato due tempi da quindici minuti ciascuno e le due formazioni avrebbero schierato lei, lui, Fukuda, Sugadaira e Yoshino da una parte e Aida, Ikegami, Ueda, Uozumi e Uekusa dall’altra, rispettivamente nelle posizioni di playmaker, ali, centro e guardia.

La tokyota emise un suono d’inequivocabile gioia, desiderosa com’era di scatenarsi come ai vecchi tempi: – Facciamoli neri.

– Ci puoi contare. – approvò Sendo al settimo cielo.

Il fischio d’inizio non si fece attendere. Il numero sette, Rumiko e Fukuda segnarono un canestro a testa nei primi cinque minuti di gioco firmando un bel 6-0, ma semplicemente perché gli avversari si facevano qualche scrupolo nell’andare addosso alla minuta fanciulla per marcarla e lei, di conseguenza, aveva campo libero per passaggi e tiri. Scocciata da un simile trattamento di favore, la minuta fanciulla in questione commise un clamoroso fallo di ostruzione e ricordò così ai ragazzi del Ryonan che lei era lì per battersi e non per ricevere galanterie.

Uozumi comprese l’antifona e sbaragliò Sendo con uno dei suoi mostruosi dunk, Aida centrò un paio di lanci da tre, Uekusa spinse Yoshino a farsi fischiare fallo a sua volta e ottenne due tiri liberi sancendo un 10-6 per i suoi – al che, com’era ovvio, il Porcospino e la Signora dei Canestri si scatenarono con un contrattacco combinato: Rumiko partì da fondo campo palleggiando, evitò Ikegami con una giravolta, passò a Sendo e Sendo conquistò il centro del parquet attirando Aida e Ueda su di sé; con una finta li gabbò, passò a Sugadaira invece che a Fukuda e Sugadaira passò a quest’ultimo, che si era prontamente portato sotto il cesto.

Il primo tempo terminò 10-8 per il quintetto del capitano e dalla balconata gli spettatori, che erano andati aumentando, si levò un gran battimani. L’Armata Sakuragi era estasiata e poco mancò che a Takamiya cadesse la telecamera di sotto.

Dopo cinque minuti di doverosa pausa per rinfrescarsi e bere qualcosa, i dieci ripresero possesso del campo e la nostra fece minacciosamente scrocchiare nocche e collo per mettere bene in chiaro che aveva ogni (cattiva) intenzione di recuperare punti di lì alla fine dell’incontro. Il Puntaspilli non sapeva se abbracciarla e portarsela via o se farle un monumento.

Il secondo tempo fu serratissimo: volarono canestri su canestri, Sendo e Uozumi si sfidarono personalmente esibendosi in un halley-hoop a testa, ci fu un testa a testa tra Rumiko e Aida e le loro non indifferenti abilità di playmakers, e i Quattro dell’Avemaria si procurarono una bottiglia di Fanta a testa, se le scolarono alla goccia e presero a fare un tifo indiavolato battendole sulla balaustra. Taoka li avrebbe strangolati volentieri con la corda del fischietto.

Si giunse al minuto conclusivo con il tabellone cartaceo che segnava 23-22 per la squadra di Uozumi. Servita dal Porcospino, l’allenatrice si ritrovò lo Spalding tra le mani sudate allo scoccare del trentesimo secondo e valutò in fretta che da dove si trovava non era certa di riuscire a raggiungere l’area sotto il cesto in tempi utili per azzardare una schiacciata. Allora, benché non fosse mai stata una cima in quello, puntò tutto su un tiro da tre e saltò prima che Ueda le si parasse davanti: e la palla entrò nell’anello.

– WOAH! – esultarono Mito, Okusu, Noma e Takamiya mentre un fischio del coach segnalava che la partita era terminata sul 25-23 decretato dalla perfetta parabola di Rumiko.

– La vittoria è nostra, Occhibelli! – esclamò Sendo acchiappandola per i fianchi e sollevandola a mezz’aria. Lei fece una faccia che era tutta un programma e lui la lasciò andare seguitando ad accecarla col proprio soddisfattissimo sorriso da copertina.

– Davvero un’ottima prova, Ishida. – si congratulò Uozumi. – Mi sono proprio divertito.

– Il piacere è stato mio, senpai. – disse la tokyota, rispettosa.

Il capitano la squadrò da capo a piedi: – Ammetto che a guardarti non ti avrei dato un centesimo, quanto a bravura cestistica, e invece Sendo ci aveva visto giusto. Hai mai pensato di entrare in una formazione femminile?

Quell’osservazione la colpì: – Solo vagamente. Magari lo farò all’università.

– Ti consiglio di pensarci su. Hai talento da vendere, Ishida, non sprecarlo. – sentenziò il gigantesco giocatore dandole una cortese pacca su una spalla.

Anche gli altri si fecero avanti per elargire complimenti e ringraziamenti e per invitarla a tornare, escluso Taoka che ce l’aveva ancora a morte con lo Shohoku per aver ribaltato ogni sua logica previsione e aver soffiato ai suoi ragazzi il biglietto per le Nazionali. Rumiko ci tenne a sottolineare che avrebbe disputato volentieri altre partite con loro ma soltanto dopo che lei e i suoi avessero fatto ritorno dal campionato. L’allenatore del Ryonan divenne cianotico.

– Non portarti più dietro quei quattro scalmanati, però. – la pregò Uozumi indicando l’Armata Sakuragi, e i diretti interessati gli risposero percuotendo ancora una volta la ringhiera della balconata con le infernali bottiglie di Fanta. Poi sciamarono verso le scale assieme al resto del pubblico.

– Bucherò le gomme del loro motorino. – promise la nostra nel congedarsi.

Il Puntaspilli delle Meraviglie si offrì di accompagnarla a casa (“e magari prima ci fermiamo a bere qualcosa”) quando avesse terminato di farsi la doccia e cambiarsi, sennonché la piccola diavola lo frenò replicando che voleva tornare immediatamente allo Shohoku per scoprire cos’aveva combinato la sua ghenga prediletta durante la sua assenza, e chi se ne importava se così facendo avrebbe quantomeno dovuto rivelare di essere stata a giocare e non via per il millantato impegno familiare. Lo splendido numero sette sospirò:

– Non mi darai mai nemmeno una chance, giusto?

Rumiko lo fissò di sotto in su: – Ti piaccio veramente a tal punto, Sendo?

La domanda, più diretta di uno shinkansen, gli strappò una risata di cuore: – Lo vedi, Occhibelli? Sei incredibile! Credo di non aver mai conosciuto una ragazza come te, in vita mia. Sei dannatamente carina, non hai peli sulla lingua, sei sveglia e ami il basket. Come ti ho detto tempo fa, mi piacerebbe riuscire a strapparti almeno un appuntamento. – sorrise – Ma dubito che ti prenderai una cotta per me.

– Se ci fossi stato tu nel campetto dietro casa mia, il giorno in cui sono arrivata qui, è molto probabile che me la sarei presa eccome. – concesse lei con le guance roventi e il petto più leggero: parlare col Porcospino con tanta sincerità era liberatorio.

– E chi c’era, invece, in quel campetto? – ammiccò lui.

– Se vuoi una sfida a due vieni e ci troverai me. – glissò brillantemente l’allenatrice.

Sendo scrollò il capo continuando a ridere con garbo:

– Chiunque egli sia, Rumiko Ishida, sarà fortunato se ti avrà. – concluse, e la voce gentile e onesta che aveva quasi la commosse.

Si separarono sulla soglia della palestra con una vigorosa stretta di mano, concordando di tenersi in contatto durante le vacanze e il torneo. Il ragazzo rientrò e la tokyota guizzò in sella alla bici rinfilandosi al contempo i Carrera sul naso, la borsa sportiva sistemata sulla schiena a mo’ di zaino, quindi partì in grande spolvero e imboccò il viale alberato che riconduceva verso il mare.

 

 

Rukawa era nervoso. Maledettamente nervoso.

Recarsi da Anzai per sottoporgli la scottante questione che da mesi lo faceva riflettere non era stata cosa da poco, tanto più che da quando la minuta tokyota dai capelli color castagna era piombata nella sua esistenza si era ritrovato più volte a dubitare del proprio segreto progetto: la decisione di trasferirsi negli Stati Uniti per sfondare nel mondo d’origine del basket non gli era difatti parsa più così assodata, malgrado il Sacro Fuoco della competizione che gli ruggiva nelle vene da ben più tempo di quello che Rumiko gli ispirava. Se l’allenatore fosse stato d’accordo e gli avesse dato la sua benedizione, tuttavia, Kaede era sicuro che non avrebbe avuto più esitazioni.

Ma il Buddha canuto si era dichiarato contrario e sua moglie, nel riportare il ragazzo a casa, gli aveva narrato la storia di Yazawa, giocatore come Rukawa eccezionale e come lui intenzionato a farsi conoscere in America. E ci era arrivato, Yazawa: solo che ci era arrivato troppo presto, con troppa foga e troppa ingenuità, e schiacciato dall’insuccesso aveva finito col suicidarsi.

– Sarebbe a dire che vede in me un nuovo Yazawa?

In palestra, quel lunedì, Kaede non era riuscito a trattenersi dall’apostrofare Anzai con eccessiva audacia. Come se non bastasse, la piccola diavola era sparita dopo l’ultima campanella.

L’anziano coach non aveva perso la calma e la sua risposta aveva sorpreso il giovane:

– Confido nella tua forza di volontà. Perciò ti prego, diventa il giocatore numero uno del Giappone.

E Rukawa aveva scoperto di sentirsi immensamente sollevato. Nessuna decisione drastica da prendere, nessuna fretta aggiuntiva nell’operazione di conquista della piccola diavola, benché lo attendesse un’altrettanto ardua impresa: acquisire maggiori abilità, maggior bravura e maggior fama in modo da non deludere la fiducia che Anzai riponeva in lui, e contemporaneamente spodestare in via definitiva quell’imbecille del suo rivale dalla zucca rossa e vuota.

Rivale che manco a farlo apposta aveva assistito alla sua conversazione con il coach e che come da copione lo aveva miseramente provocato durante la partita d’allenamento. E Rumiko ancora non si vedeva all’orizzonte.

Neppure a Hanamichi era sfuggito il particolare della sua assenza, né gli sfuggiva quanto esso lo destabilizzasse nonostante la fulgida presenza di Haruko sulla porta d’ingresso. La sboronaggine dell’Algida Kitsune e la sfida che questi aveva lanciato a Mitsui per un uno contro uno mentre lui, Sakuragi l’Immenso, veniva costretto alla pratica dei fondamentali come il più scarso dei novellini, avevano fatto il resto: era veramente incazzato, e se Rumiko fosse tornata in quel momento trovandosi davanti il Genio umiliato e il Volpino in auge non se lo sarebbe mai perdonato. Non sapeva bene perché si preoccupasse di cosa avrebbe pensato lei e non del fatto che l’amata Haruko fosse andata via, eppure se ne preoccupava eccome.

La tokyota mise piede in palestra verso le cinque del pomeriggio, e la scena che le si parò davanti comprendeva Mitsu che si bullava di un canestro da tre punti appena infilato, Rukawa che laconicamente ne contestava la validità e Hanamichi che, pur essendo gloriosamente a petto nudo, tentava invano di guadagnare il centro dell’attenzione sostenendo la causa di Hisashi. Ryota, Ayako e i pochi altri rimasti avevano l’aria di chi avrebbe preferito abbattere una colonna di cemento a testate piuttosto che assistere all’ennesimo decerebramento tra i due contendenti.

– Che accidenti state combinando qui dentro? – esordì Rumiko strabuzzando gli occhi.

– Rumi, dove stracacchio eri? – ulularono il playmaker e la manager correndole incontro.

– Rumi, giusto te! – la accolse Mitsui raggiante: – Secondo te il mio tiro era valido?

Il Rossino e Kaede si girarono a guardarla come un sol uomo e lei avvampò all’istante sia a causa della balla che le sarebbe toccato raccontare che della fiera gnoccaggine che aveva dinnanzi.

– A chi devo rispondere per primo? – nicchiò buttando a terra la sacca sportiva.

Ayako la indicò col mento, ghignando: – Suppungo che tu ti sia allenata per conto tuo.

– Più o meno. – gracchiò la ragazza, grata alla riccia per averle fornito involontariamente una scusa perfetta e vaga a sufficienza. – Scusatemi. Quanto a te Mitsu, io mica ho visto nulla. Come faccio a decidere a chi va la vittoria?

– A me. – intervenne Rukawa alzando una mano.

– No, a me. – protestò Hisashi allargando bellicosamente le narici.

– A Mitchi, a Mitchi. – assentì Hanamichi con estrema convinzione.

Kaede lo fulminò da sotto la frangia sudata: – Che c’entri tu? Gira al largo. – lo lapidò, e con un sonoro sbuffo esasperato fece per togliere le tende puntando dritto sulla piccola diavola, che dal canto suo non staccava il proprio sguardo fremente dal Re umiliato.

E il Re a quel punto non ci vide più: – Cosa fai, Volpe, te la dai a gambe? Perché invece non te la vedi col sottoscritto?

– Ommeeeeerda. – esalarono gli astanti all’unisono. Rukawa si bloccò.

– Come hai detto, scusa?

Il Rosso, serissimo, non si arrese: – Io e te non ci siamo mai misurati direttamente. Sarai anche uno dei Best Five della prefettura, sarai anche la promessa della squadra, ma non puoi dare per scontato che riuscirai a battermi se prima non ci provi.

E se lui continuava inoltre ad avvertire un notevole fastidio ogni volta che il rivale girava intorno a Rumiko, soprattutto dopo la festa sulla spiaggia, l’altro non poteva certo permettersi di fare la figura del codardo e del supponente – non con lei presente e non adesso che Anzai lo aveva pregato di assurgere alla vetta del basket nipponico.

Così il duello fu sancito, mentre fuori dalle grandi vetrate dell’edificio il tramonto tingeva il cielo di rosso conferendo al tutto un’atmosfera epica che non guastava affatto.

Mitsu, Ryota e Ayako si affrettarono ad allontanare i compagni dal campo di gioco, compresa la tokyota che scalciava come un canguro e imprecava come uno scaricatore di porto:

– Brutti dementi, io devo assistere! Giù le zampe e levatevi dalle palle!

L’ex MVP chiuse l’uscio della palestra e se la caricò in spalla per condurla all’esterno:

– Rumi, sai bene che lo stiamo facendo per lui. – disse pacato.

– Per evitargli uno scorno clamoroso di fronte ai ragazzi. – gli venne in aiuto il playmaker.

Rumiko dovette riconoscere che con molte probabilità non avevano torto, sfortunatamente per il suo adorato Tensai, e smise di ribellarsi. E seduti che si furono nel cortile con la schiena poggiata contro i muri ancora caldi di sole, ritemprandosi nella brezza serale e bevendo acqua fresca a garganella, i tre amici attesero che lo scontro fatale giungesse al suo termine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Un antico adagio recita “Chi non muore si rivede”, ed ecco che io e la mia storia sugli squinternati eroi slamdunkiani torniamo su questi schermi dopo ben cinque anni. Mi chiedo se abbia senso e se è rimasto qualcuno, là fuori XD

Il punto è che un paio di settimane fa mi sono messa a rileggerla per ruzzo e sono stata travolta da una tale ondata di ammmmòre e nostalgia che non ho saputo resistere: Slam Dunk rimane una mia passione nonostante abbia smesso da secoli di leggere manga, avevo già in animo di riprendere la qui presente fistion in mano ed è un vero e proprio tributo alla (mia) gioventute e al mio imperituro spirito felicione-fancazzista. Insomma, la adoro e scriverla è una pacchia :D

Riassuntino basilare delle puntate precedenti: Rumiko Ishida è cotta di Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa è cotto di Rumiko Ishida, Hanamichi Sakuragi è cotto di Haruko Akagi e Haruko Akagi è cotta di Kaede Rukawa; come se non bastasse anche Akira Sendo trova Rumiko Ishida moltomolto interessante. È un gran macello.

Ma consiglio caldamente a tutti, vecchi aficionados e nuovi arrivati, di (ri)leggere ogni cosa dall’inizio ;)

Se ci siete (ancora) battete un colpo!

 

Io intanto me n’ vo in vacanza a rotolare in sacrosanta beatitudine col mio consorte sulle spiagge sarde; il capitolo undici è pronto e ho talmente voglia di scrivere quelli dopo che credo non faticherò molto a trovare ispirazione ;D

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

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Capitolo 12
*** undicesimo: la matematica non sarà mai il mio mestiere. ***


undicesimo: la matematica non sarà mai il mio mestiere.

 

 

 

 

Chi accumula più di quattro insufficienze ai test di fine trimestre non viene ammesso ai vari campionati interscolastici.

 

Rumiko, Ayako e Akagi fissarono inorriditi lo scempio di segni rossi che avevano sotto gli occhi: i compiti dei quattro assi dello Shohoku erano un tristo tripudio di voti imbarazzati, e Hanamichi batteva tutti quanti con il traguardo record di sette-insufficienze-sette.

– Siamo fottuti. – decretò la tokyota in tono fatalista, e il capitano pensò che per una volta avrebbe usato le stesse esatte parole della ragazza, per descrivere la situazione in cui erano finiti.

Se la squadra avesse dovuto fare a meno di coloro che le avevano garantito la qualificazione al torneo e che ne erano a tutti gli effetti le punte di diamante, le probabilità di uscire vittoriosi dalla prima partita si sarebbero ridotte drasticamente. Magari i primi avversari sarebbero stati deboli e battibili, ma anche in quel caso lo sfacelo sarebbe stato semplicemente rimandato di uno o due incontri: lo Shohoku non era certo il favorito, alle Nazionali.

– Dobbiamo fare qualcosa. – disse lugubremente la manager.

– E cosa? Falsificare i loro risultati? – motteggiò la minuta allenatrice, che con faccia scurissima osservava l’obbrobrio scolastico del suo amato Genio e pensava che al confronto le sue due insufficienze erano oro colato.

– Magari potessimo. – sospirò la riccia.

Il Gorilla parve riscuotersi, colpito da divina ispirazione: – Intercederemo per loro e chiederemo che possano sostenere un esame di recupero. È l’unica soluzione che abbiamo.

Rumiko si cacciò le mani in tasca: – Dovremo strisciare in sala professori. – grugnì.

– E strisceremo. Anzi, striscerò. Domattina cercherò di risolvere la questione. – tagliò corto Akagi.

E il capitano mantenne la parola: l’indomani trascinò Sakuragi, Rukawa, Mitsui e Miyagi, per l’occasione ribattezzati Armata Combinaguai, di fronte agli insegnanti, e con ardore e inchini a profusione li pregò di concedere una seconda occasione a quella manica di decerebrati.

I professori non si dimostrarono entusiasti, e forse avrebbero negato quella grandiosa e inaudita opportunità al club di basket se Aota, il boss del club di judo, non si fosse prostrato a sua volta implorando clemenza per sé e facendo salire l’asticella della scempiaggine che permeava il liceo.

Sopraffatti da tutto quel casino, dal lacrimoso chiasso dell’Uomo del Judo e dalle risate sguaiate dell’Armata Combinaguai, i docenti capitolarono e gli eroici basketmen tornarono a respirare liberamente; nel corridoio si udirono gli ululati di giubilo della piccola diavola.

 

 

Onde evitare che i quattro sciagurati bissassero il disastro condannando la squadra alla rovina e il capitano a una colossale figura di merda con gli insegnanti, vennero prese misure drastiche: il test di recupero si sarebbe tenuto il quindici luglio, poco prima dell’inizio delle vacanze estive, e Akagi stabilì che alla vigilia della data fatidica si sarebbero riuniti tutti a casa sua per una sessione massacrante di ripasso intensivo. Il ventidue del mese era prevista la partenza per il ritiro pre-torneo in quel di Shizuoka, e lui voleva arrivarci senza più crucci di quanti già non gliene procurassero i Combinaguai senza aggiungerci voti scolastici d’infimo livello.

La proposta suscitò fin troppo interesse nel resto della ghenga. A parte Ayako e Kogure, che in qualità di ottimi studenti avrebbero aiutato il Gorilla nella titanica impresa, e Haruko che per ovvie ragioni sarebbe stata presente, si offrirono volontari i Quattro dell’Avemaria, la banda di Mitsui e naturalmente Rumiko, che per niente al mondo si sarebbe lasciata sfuggire una notte in compagnia del suo amato Hana Dai Capelli Rossi. Fu lei a spuntarla, chiaramente: il capitano sapeva che le stava a cuore (anche) il campionato e aveva scoperto l’ascendente miracoloso che aveva su Rukawa, il quale quando c’era la tokyota di rado ormai s’addormentava.

L’allenatrice fu felicissima dell’invito. Dalla sera del testa a testa tra il Genio e il Volpino – al cui termine lei, Hisashi e Ryota avevano tirato su il morale al Re sconfitto a suon di frasi epiche e gavettoni nel cortile della palestra – non aveva avuto granché modo di passare del tempo con Hanamichi, se non sporadicamente in pausa pranzo e agli allenamenti, e di conseguenza era un po’ giù di corda.

Il caldo, gli esami e la crescente tensione per le Nazionali stavano fiaccando tutti quanti.

Le uniche uscite memorabili che avevano avuto luogo dacché luglio era cominciato erano state un paio di puntate tra ragazze al Dada’s e i weekend passati in spiaggia ad abbronzarsi e nuotare. Per il resto c’erano le grigliate in famiglia sul terrazzo di casa Ishida, il solito campetto, Sendo che pescava sul suo moletto di fiducia e Mitsu, Ryota e Ayako che erano diventati praticamente ospiti fissi di Rumiko e che si presentavano sulla sua soglia con o senza preavviso, talvolta muniti di cibo e bevande, talvolta di videocassette a noleggio, talvolta di asciugamani e crema per prendere il sole e talvolta a mani vuote e con sorrisi a trentadue denti sotto gli occhiali scuri. Miyako e Daisuke ci fecero in fretta l’abitudine e presero a chiamare la figlia e i suoi tre amici “le Iene”, generando loro malgrado discussioni di dubbia intelligenza su chi fosse chi.

– Né io né Miyagi possiamo essere Mr. Pink. – sosteneva fermamente Hisashi.

– Men che mai Mr. Blonde. – li derideva la piccola diavola.

– Come no? Io ho i capelli più chiari di lui! – protestava il playmaker.

– Tu saresti Mr. Tappo. – lo rimbeccava puntualmente l’ex MVP.

– Hanamichi sarebbe Mr. Red. – sospirava allora Rumiko.

– Perché sospettavo che lo avresti tirato in ballo? – sghignazzava la manager, e Ryota la rimirava con amore mentre lui e Mitsui si univano alla risata.

Alla fine fu deciso che l’allenatrice sarebbe stata Mr. Orange, Ayako Mr. Pink, Mitsui Mr. White e Miyagi, con sua somma soddisfazione, Mr. Blonde.

Nel pomeriggio del lunedì che precedeva il Test del Destino (Testiny, come lo ribattezzò Rumiko) anche Kaede suonò il campanello di casa Ishida, a sorpresa: aveva con sé una pila di vinili nuovi di zecca, appena acquistati al negozio dove già si era procurato Combat Rock e Grease. La madre della tokyota, che il lunedì teneva chiusa l’oreficeria e se ne stava dunque comodamente distesa sul divano del soggiorno, nell’aprire la porta fece due occhi così e ghignando come lo Stregatto chiamò a gran voce la sua fortunatissima rampolla: quando era giovane lei, si premurò di sottolineare, non aveva mai sperimentato una simile concentrazione di bei ragazzi tra le sue conoscenze; la fortunatissima rampolla quasi si strozzò col frappé al limone che stava bevendo e le lanciò dietro entrambe le ciabatte. Rukawa parve deliziato.

I due s’impossessarono del salotto e del giradischi, Rumiko preparò altro frappé, si svaccarono sul tappeto e ascoltarono The Seventh One dei Toto. Lei poi sfoggiò una copia originale britannica di Ziggy Stardust di David Bowie e si godettero così due ore di buona musica nella stanza fresca e in penombra, canticchiando e disquisendo (lui al massimo a trisillabi) tra le strisce di luce che le veneziane abbassate delineavano su pareti e pavimento.

Kaede si sentì al settimo cielo.

 

 

Alle nove di sera spaccate di mercoledì quattordici luglio il capitano accolse con fiero cipiglio gli ospiti designati. I signori Akagi si erano doverosamente autoesiliati dai parenti per lasciare campo libero ai figli e ai loro compagni, e sul grande tavolo della sala da pranzo facevano bella mostra ordinate pile di fogli bianchi e libri di testo. Ryota si era cinto la fronte con una fascia fregiata con la parola “coraggio”, Ayako si era messa gli occhiali da lettura che le conferivano un’aura più sofisticata e adulta che mai e Rumiko indossava, sopra le usurate scarpette di tela color viola stinto, un inusuale abitino di cotone azzurro che le stava da dieci e che provocò un discreto turbinìo ormonale in Rukawa, bloccandogli sul nascere una sequela di sbadigli.

Per i primi sessanta minuti di studio le cose filarono relativamente lisce: tutti erano sazi, pasciuti, svegli e tenevano a bada la noia, e il Gori era stato abbastanza saggio da creare coppie di lavoro che non sfociassero in delirio – Ayako seguiva Kaede, la tokyota era impegnata con Mitsu, Kogure sudava sette camicie con il Rossino e Akagi in persona tallonava Miyagi, che dal canto suo era però il più concentrato del quartetto.

Alle dieci e un quarto si registrarono i primi segnali allarmanti: Rukawa, forzatamente diviso dalla piccola diavola, iniziava ad accusare colpi di sonno; Hanamichi guardava il povero vice in cagnesco lamentandosi per la fame, Ryota dedicava sempre più spesso occhiate languide alla riccia manager, dimenticandosi completamente degli esercizi che aveva davanti, e Hisashi e Rumiko avevano tirato fuori il walkman e, millantando una “breve sosta”, stavano mugolando sulle note di Birth of cool dei Pizzicato Five. Soltanto un urlaccio del capitano li fece desistere dal perseverare nel cazzeggio.

Alle undici e qualcosa il precario equilibrio si ruppe.

Kogure annunciò il proprio ammutinamento perché era stanco e la truppa delle Persone Serie perse un valido elemento. A quel punto la piccola diavola si fiondò sulla sedia rimasta vacante e corruppe il Genio allungandogli uno dei panini che si era previdentemente portata appresso.

– Rumi, io e te siamo telespastici! – giubilò lui addentandolo.

Telepatici. – fecero in coro Ayako e Akagi.

Telespastico nel suo caso va più che bene. – replicarono all’unisono Mitsui e Miyagi, e Rukawa espresse il proprio accordo con un sonoro grugnito.

Rumiko se la rideva, e mentre si rifocillava Hanamichi s’incantò a guardarla: aveva i capelli sciolti, altra cosa per lei singolare, e le ciocche castane le ricadevano sulle spalle abbronzate, sulla scollatura e intorno al viso colorito. Eccole di nuovo, pensò nebulosamente il ragazzo, quelle labbra strepitose che gli toglievano ogni capacità di ragionare e gli rimanevano stampate a fuoco nella mente quando meno se lo aspettava.

Si accorse all’improvviso di avere la bocca aperta e di aver persino smesso di mangiare, e vide che l’allenatrice stava adesso ricambiando il suo sguardo, paonazza, senza fiato e con l’accenno di un sorriso. Era già capitato, e per l’ennesima volta un barbaglio di consapevolezza lo sfiorò, sempre più vicino e sempre più forte, e ancora una volta lui non seppe coglierlo – non per colpa della sua sola tontaggine, almeno a questo giro: sorprendendolo nullafacente e rincoglionito e con il panino sbocconcellato in mano, infatti, il Gori appioppò uno dei suoi pugni da Hulk sul fulvo capo del Re dei Rimbalzi e lo scosse a suon di sbraiti.

– Fammi vedere cosa diavolo hai scritto in quel compito, sfaticato!

Nel frattempo Ryota si era traslato quatto quatto accanto ad Ayako, Rukawa si era svegliato per tenere d’occhio il rivale, Rumiko era rotolata fino al balcone per evitare un infarto e Hisashi stava cercando di convincere per telefono sua madre del fatto che stava studiando e che non era fuori a farsi arrestare con Hatta e gli altri.

Akagi stava perdendo la poca pazienza di cui ancora disponeva:

– Che accidenti di risposte sarebbero queste? – ruggì in faccia a Hanamichi indicandone sul foglio spiegazzato una che, di seguito alla richiesta Calcolare la pressione cui sono sottoposti 10 kg di ossigeno che occupano un volume di 2 m3 a una temperatura di 1000 K, recitava “una pressione piccola piccola”.

– Perché, sono sbagliate? – volle sapere candidamente il Rosso, trangugiando il pezzo di panino avanzato in un sol boccone.

Do’hao.

– Qualcun altro vuole un tramezzino?

– Possiamo fare una pausa?

– Lo vedi che se ti impegni sei bravo, Ryota?

– Merito della tua guida, Aya-chan!

Il capitano era arrivato al limite dell’umana sopportazione. Con voce sì terribile e tonante da risvegliare i morti (e da far incazzare altamente il vicinato) invocò la sorella, e non appena la leggiadra figura di Haruko fece capolino entro la cornice della soglia del salotto Hanamichi dimenticò con sollievo gli strani sommovimenti che la tokyota gli provocava – perché, ecco, la sua cotta per la bella Akagi era cosa rassicurante e nota: l’Effetto Rumiko, al contrario, era spiazzante.

Haruko era un tantino agitata e i suoi occhioni limpidi corsero all’istante verso Kaede.

– Cosa? Dovrei insegnare anch’io? – balbettò rivolta al fratello maggiore.

– Kogure ci ha abbandonati. – spiegò pratica Ayako.

L’allenatrice sentì una punta di fastidio pungolarla alla base del collo. Ogni volta che le sembrava possibile riuscire ad afferrare quel qualcosa in più con il Genio, ogni volta che l’aria tra loro vibrava o si faceva elettrica, e lei era sicura di non sognarselo, sbucava sempre qualcuno a separarli. E ciò che la inquietava era rendersi conto che di solito il qualcuno in questione erano il Volpino dei Ghiacci o la Tonna, come aveva preso a chiamare mentalmente (e bonariamente) la Akagi: lei s’intrometteva solitamente per caso e catalizzava l’ovvia attenzione del Rossino, ma Rukawa le dava l’impressione di farlo apposta, come nel caso della rissa al locale sulla spiaggia.

Una divina rivelazione sfiorò di nuovo anche Rumiko, e sebbene i fumi dell’alcol avessero distorto i ricordi di quella clamorosa serata non c’era dubbio alcuno sul fatto che il bel tenebroso covasse della nutrita gelosia nei confronti di Hanamichi. E poiché Rukawa si considerava – ed era – migliore del rivale sul campo da basket, il motivo doveva essere di diversa natura, e tale diversa natura doveva riguardare la sfera sentimentale. Quindi, valutò la ragazza tra sé rimanendo alla finestra, o a Kaede in realtà interessava Haruko oppure l’oggetto reale della diatriba era lei medesima. E il modo in cui il moro si era avventato sul Rosso durante la festa, dopo averli visti cadere l’uno sull’altra sulla veranda, le occhiate che le lanciava, l’atteggiamento che aveva con lei soltanto, gli inviti – tutto lasciava supporre che la seconda ipotesi fosse quella giusta.

– Maccheccazzopenso? – uggiolò la piccola diavola senza ritegno, e prese a testate la parete più vicina per allontanare quella che ancora credeva fosse un’assurda presunzione.

– L’abbiamo persa. – sentenziarono Mitsu e Ryota.

– Zitti, coro greco dei miei stivali! – li rimbrottò Rumiko fermandosi, la fronte poggiata contro il muro fresco e liscio. Aveva le guance più calde di una gratella.

Il Gorilla sospirò pesantemente: – Ti senti bene, Ishida?

– Seh, seh, senpai, arrivo. Stavo valutando quanto saremo nella merda se questo ripasso disperato non funziona e loro domani falliscono il Testiny. – mentì la nostra.

– Il… che? – ulularono il Re, il cecchino e il playmaker soffocando dalle sghignazzate.

Rumiko fece roteare le pupille, imbarazzata per le figure barbine che stava collezionando e al contempo seccata dalla lentezza di comprendonio dei suoi squinternati amici:

– Testiny. Test of Destiny.

Le risate raggiunsero il climax, Rukawa aveva la faccia di chi chiaramente non ha capito una beata cippa, Haruko ancora boccheggiava e la manager stringeva le labbra per non sorridere spudoratamente davanti a un Akagi sull’orlo di una crisi di nervi.

– Tornate al lavoro. – sillabò infatti il capitano, perentorio.

Per puro miracolo la manica di decerebrati che gli affollava casa obbedì quasi subito. Hanamichi fece per avvicinarsi all’amata per ottenere una personale, idilliaca oretta di ripetizioni da parte sua, e Rumiko sarebbe entrata tra i due in scivolata a gamba tesa se il Gori non fosse intervenuto per primo ad acchiappare il Rossino per un orecchio:

– Di te mi occupo io, bello. – disse; – Haruko, tu con Rukawa.

L’allenatrice gongolò e seguì i due fin nella camera di Akagi mentre la Tonna arrossiva graziosamente e tremante sedeva all’ambìto posto. Il Gori stabilì che Sakuragi avrebbe dovuto risolvere un complicatissimo problema lì recluso, lontano dagli altri e senza aiuto, per vedere se almeno qualche nozione gli era entrata in quella capoccia dura che si ritrovava.

– Come, senza aiuto? – si sconsolò Rumiko che già contava di appiccicarsi all’amato con la scusa di seguire i suoi progressi nel campo dell’algebra.

– Ishida, fuori. Me lo distrai. – la liquidò il Gorilla spingendola nel corridoio come se fosse stata un gatto, e chiuse l’uscio. – Tu datti da fare, Sakuragi. Svegliami quando hai finito.

– Checcosa? Brutto imbroglione! Oltraggio, inganno e ingiuria! – si udì il Tensai gridare sdegnato oltre il legno della porta, e tuttavia a poco valsero le sue rimostranze e presto ricadde il silenzio.

Rumiko tornò in soggiorno con la coda tra le gambe. L’unica nota positiva, al momento, era il tête-à-tête tra la Tonna e il Volpino: peccato che quest’ultimo fosse crollato miseramente sul tavolo in beata incoscienza. Per dare manforte a Haruko, Ayako si vide costretta a intervenire.

Con un piccolo singulto da diva del melodramma la tokyota zampettò fino al divano con il preciso proposito di sprofondarvi ad ascoltare musica, dato che non sapeva cosa fare, che cominciava ad avere sonno e che il Re era stato imprigionato dall’inflessibile Gori. Il proposito però non si realizzò, poiché Hisashi la placcò un attimo dopo e la pregò, sbadigliando vistosamente, di correggere i suoi compiti di biologia; Rumiko non saltò dalla gioia e comunque accettò, a patto di poterlo fare con le cuffie in capo e la cassetta nuova di pacca di Shooting Rubberbands at the Stars di Edie Brickell in azione nel walkman.

– A patto che tu divida le cuffie con me. – controbatté Mitsui ridacchiando.

 

 

Alle tre passate del mattino si scorse infine la luce in fondo al tunnel.

Rukawa consegnò i propri esercizi a Haruko nonostante ci si fosse addormentato sopra almeno un paio di volte e avesse pure sbavato sulla propria calligrafia, ma lei era talmente in sollucchero per essere riuscita a parlare con l’oggetto dei suoi desideri che mancò poco che s’intascasse il foglio per poi incorniciarlo a mo’ di santino; la riccia manager ridacchiava quieta sotto i baffi, nascondendosi dietro le pagine del libro che stava leggendo da circa un’ora, e sui divani Rumiko, Mitsu e Ryota russavano che era una bellezza, affastellati gli uni sugli altri e provvidenzialmente coperti da una trapuntina di cotone che la giovane Akagi aveva preso apposta per loro.

– Maledetto bastardo, è collassato di nuovo!

Hanamichi era riemerso in quel momento dalla camera di Takenori e fissava il rivale dormiente come se volesse strangolarlo. Aveva terminato a sua volta di sbrogliare il grattacapo matematico affibbiatogli dal Gorilla, e Haruko decise che era tempo di preparare una cenetta notturna per premiare gli sforzi dei presenti. Un buon profumo di pollo, frumento e verdure che sfrigolavano sulla griglia presto aleggiò attraverso le stanze, frattanto che la ragazza cucinava e il Rossino seguitava a vociare indisturbato nel soggiorno, sobillato dalle considerazioni di Ayako sull’importanza del suo ruolo nel campionato: essendo tuttora un principiante era lui quello che più di tutti poteva migliorare nel corso del torneo, e dunque non poteva fallire il test di recupero. Ne andava della vittoria dello Shohoku.

– Chiamatemi Sakuragi il Demone del Ripasso! Stanotte non chiuderò occhio e domani dimostrerò il mio genio. – esclamò lui, galvanizzato a livelli epici, e siccome ancora non era abbastanza lampante quanto fosse su di giri attaccò a cantare una profana versione del Nessun dorma di Puccini, che rammentava di aver sentito alla radio e in televisione in un paio di occasioni.

La combinazione dei suoi baritonali all’alba vincerò rabberciati, dei suoi sbraiti e dell’odorino invitante dello yaki udon di Haruko raggiunse le sinapsi sonnacchiose dei suoi amici, che lesti balzarono a sedere sui sofà credendo che fosse cominciata l’Apocalisse o che fosse già mattina:

– Cacchiosuccedequì? – sussultò infatti il playmaker con un certo sgomento.

– Sakuragi, ora anche la lirica? – sghignazzò Mitsui nello stiracchiarsi.

La piccola diavola fu l’ultima a svegliarsi e trovò che il gorgheggiare romantico del suo amato fosse la sveglia migliore che poteva richiedere. Stava per proporsi come sua Turandot e rispondergli con un il suo nome è amore (citazione che praticamente nessuno avrebbe colto, il Rosso men che mai) quand’ecco che la Tonna arrivò dalla cucina con un vassoio carico di cibo fumante e l’improvvisato cantante d’opera interruppe le evoluzioni d’ugola per andare in brodo di giuggiole: la dolce Haruko era persino una brava cuoca, e aveva preparato quel ben di Dio per lui!

Mentre Rumiko mugugnava propositi di vendetta ai danni dell’ignara avversaria e la scrutava torva con occhi cerchiati di folkloristiche occhiaie, lo yaki udon fu preso d’assalto dal resto della ghenga, Rukawa resuscitò quel tanto che bastava per ricevere una porzione di spaghetti e Miyagi svelò il proprio asso nella manica – anzi, nello zaino: due confezioni da sei di immancabile Asahi.

Il cielo iniziava a schiarire a oriente, una striscia di pallido azzurro che andava crescendo all’altezza dell’orizzonte tra il nero velluto del mare e della notte, e in casa Akagi si banchettò.

Il capitano si destò e raggiunse i compagni, e scoprendo che Hanamichi gli aveva disegnato una barba incolta sul mento con un pennarello indelebile inseguì il colpevole per cazzottarlo a dovere per il sommo sollazzo dei rimanenti Combinaguai, allenatrice compresa. A discapito dell’ormai perduta serietà, la sessione di studio si protrasse fino alle sette del mattino e i nostri eroi brindarono all’auspicata riuscita della Missione Testiny con tazze di scurissimo caffè bollente sul terrazzo dell’abitazione, carichi d’adrenalina e spirito combattivo. E birra.

E quel giorno, giovedì quindici luglio, gli immani sforzi notturni dei valorosi uomini e donne dello Shohoku valsero al Genio, alla Volpe, a Hisashi e a Ryota la conquista delle bramate sufficienze che permisero loro di sfangare l’esclusione dalle Nazionali.

L’avventura poteva continuare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Ho scoperto, non molto tempo fa, che la precisa location in cui si svolgono le avventure dei nostri Eroi è la cittadina di Kamakura, rinomata località balneare della prefettura di Kanagawa (prefettura che comprende anche Yokohama) affacciata sulla baia di Sagami e vicina all’isoletta di Enoshima: se confrontate la sigla d’inizio dell’anime e qualche foto di Kamakura vedrete che il passaggio a livello davanti al mare è lo stesso; mi è stato anche detto (da amiche giapponesi che abitano proprio in quel di Kaganawa) che il nome ‘Shohoku’ è una rivisitazione di quello dell’esistente Liceo Shonan, mentre il Liceo Kamakura sarebbe il corrispettivo reale del Ryonan :)

Intanto i nostri pazzi furiosi si fanno valere (quando mai?) e il campionato si avvicina – ma non prima del ritiro a Shizuoka. E oh, quel ritiro… be prepared, come disse qualcuno!

 

Io continuo a sperare che altri vecchi lettori mi ritrovino e, naturalmente, di guadagnarmene di nuovi **’’

Nel frattempo GRAZIE MILLE a chi legge, segue & commenta, soprattutto alla socia kenjina e a gattabianca!

E mi raccomando, lasciatemi una recensioncina se la storia vi garba ;)

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

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Capitolo 13
*** dodicesimo: should i stay or should i go? ***


dodicesimo: should i stay or should i go?

 

 

 

 

Checcosa?

L’unanime urlo sdegnato di Rumiko e Hanamichi fece vibrare l’aria rovente di luglio nel piazzale antistante il liceo. Entrambi avevano le guance paonazze e lei, dato che si era presa una clamorosa razzata in spiaggia il primo giorno ufficiale di vacanza, assomigliava a una specie di piccolo pomodoro radioattivo; in lui, invece, la faccia quasi non si distingueva dai capelli.

Il motivo del loro sonoro disappunto era la drastica e inaspettata decisione che il signor Anzai aveva appena comunicato alla squadra lì riunita per l’imminente partenza per Shizuoka: Sakuragi non avrebbe preso parte al ritiro pre-torneo dello Shohoku.

Il buon Buddha aveva altri piani per il Genio, ed erano piani che miravano al compimento definitivo della sua formazione basilare da basketman – senza quelli, si premurò di sottolineare l’allenatore, il Rosso non sarebbe mai divenuto un asso a tutto tondo. L’obiettivo da raggiungere erano ventimila canestri in una settimana, ventimila tiri professionali che non fossero né dunk né schiacciate dei poveri e che coprissero l’intera area sotto al tabellone entro la linea dei due punti.

Anzai affidò così al sostituto Suzuki la guida della squadra durante il ritiro e prese Hanamichi con sé, elargendo agli altri ragazzi la propria divina benedizione. La piccola diavola strinse le braccia al petto e proclamò che qualcuno doveva pur aiutare coach e Re in quell’impresa, e che naturalmente quel qualcuno sarebbe stata lei. D’altronde era o non era l’allenatrice attiva dello Shohoku?

– Apprezzo la tua solerzia, Ishida, – declinò gentilmente il Buddha Canuto, – ma proprio perché sei la nostra allenatrice attiva mi servi a Shizuoka. Sarai di grande utilità al signor Suzuki.

Il rantolo disperato di Rumiko fu udito da pochi intimi, e quei (soliti) pochi intimi sghignazzarono come dei matti. Quanti filmini si era fatta su quei sette giorni di ritiro!, pensò la ragazza mentre Akagi la acchiappava per il colletto della polo a righe che indossava e la trascinava via dal cortile senza nemmeno concederle il tempo di elargire un romantico addio al suo amato – filmini in cui si sprecavano scene culminanti in appassionati tête-à-tête tra lei e il Rossino in ameni ambienti quali bagni termali, giardini notturni illuminati da lanterne o eleganti stanze di ryokan con loro due in vestaglia intenti a guardarsi nelle palle degli occhi con amore. Oltretutto aveva di recente scoperto una canzone italiana degli anni Sessanta che in soldoni diceva quanto bello sarebbe diventato il mondo se una come me, uno come te si fossero messi insieme, essendo fatti l’uno per l’altra, ed era dunque il suddetto brano, intitolato Decisione e di tale Armando Trovajoli, che fungeva da colonna sonora per le sue cinematografiche fantasticherie ormai miseramente crollate.

Non bastava più la Tonna a metterle i bastoni tra le ruote, no: ora ci si metteva pure Anzai.

Il risultato fu, insomma, che i sogni di conquista di Rumiko si dissolsero nell’aria assieme al paesaggio che sfrecciava via fuori dai finestrini del treno che in un paio d’ore li portò a Shizuoka, e lei si mantenne talmente scoglionata per tre quarti del tragitto che non si godette nemmeno la vista incredibile che il sole estivo metteva in risalto – Enoshima con i suoi alberi rigogliosi e le acque della baia di Sagami che scintillavano tutt’intorno, l’isola di Oshima che nonostante la leggera foschia diurna si distingueva benissimo dalla stazione di Atami, dove presero lo shinkansen, il Fuji che svettava maestoso nell’entroterra…

Niente servì a strappare la nostra minuta eroina dal suo cupo torpore borbottante, alleviato soltanto dalla copia di Rockin’ On di agosto fresca di stampa in cui aveva affondato naso e lenti scure dei fidi Carrera vintage e dalle cuffie del walkman che teneva ben calcate sulle orecchie; sulla copertina della rivista Bono Vox era immortalato in un grido di vendetta verso cui la tokyota si sentiva particolarmente empatica, e dalle pagine dedicate alla loro intervista i Radiohead la fissavano perplessi.

Il solo che osò sederlesi accanto, sfidando l’aura di sfavìo che la circondava, fu Rukawa, che ovviamente gioiva in cuor suo (a monosillabi) per la splendida assenza del disprezzato rivale dai capelli fulvi: beato e gongolante al di sotto della frangia e della consueta maschera impassibile, il Volpino se la dormì della grossa durante l’intero viaggio da Atami a Shizuoka, la testa corvina pericolosamente vicina alla spalla sinistra di Rumiko. Lei se ne accorse a malapena, ma Mitsu e Ryota registrarono ogni minimo particolare di quel siparietto idilliaco e si sbizzarrirono a scommettere sulle probabilità sempre più alte che il Ghiacciolo Che Non Deve Chiedere Mai aveva di sbaragliare una volta per tutte la concorrenza di Hanamichi.

Soltanto nell’ultimo quarto d’ora di tragitto la ragazza sembrò riscuotersi, improvvisamente toccata dalla consapevolezza di essere praticamente in gita con i suoi più cari amici, diretta in una città rinomata che mai aveva visitato e con la prospettiva di passare un’intera settimana tra partite amichevoli, allenamenti rilassati e, sperava, momenti di godurioso cazzeggio in riva al mare.

– Compari, a me! – chiamò dunque balzando finalmente in piedi, le spesse righe bianche e gialle della Lacoste che facevano a cazzotti con le sue guance color rosso nucleare e gli auricolari di sbieco sul capo.

I compagni la guardarono, sollevati nel vederla tornare quella di sempre:

– Alzati e cammina, Lazzaro! Hallelujah! – la sbeffeggiò subito Hisashi alzandosi a sua volta e guadagnandosi la preoccupata attenzione di mezzo vagone.

– Meno di tre giorni per risorgere, hallelujah, hallelujah! – saltò su il playmaker a ruota, e disturbato dalle loro voci Kaede aprì un occhio con aria truce.

Rumiko stronfiò: – Cacchio vi è preso con i riferimenti biblici?

– A cuccia, voialtri. – ammonì il capitano, che sedeva un paio di file più avanti; il signor Suzuki pareva invece perfettamente a proprio agio, forse avvisato a suo tempo da Anzai circa gli esigui livelli di serietà e sobrietà dei membri della squadra.

– Spara, compare. – sollecitò l’ex MVP rivolto alla minuta coach e ignorando Akagi.

– Vediamo di divertirci, gente!

– È un ritiro, non una scampagnata. – tentò ancora il Gorilla in tono gutturale.

Miyagi scoppiò a ridere: – Tranquilla, ti faremo dimenticare casa. – disse, e Ayako non seppe trattenersi dal ridere di gusto a sua volta; Ryota ne fu talmente felice che quasi pianse.

Al Volpino venne da pensare che gliela avrebbe fatta dimenticare lui, “casa”: quella settimana senza Sakuragi tra i coglioni era la sua Occasione Irripetibile, e non aveva alcuna intenzione di lasciarsela sfuggire di mano.

 

 

Quando il treno aprì le porte, la stazione centrale di Shizuoka fu invasa dalla cicaleggiante e caciarona fiumana degli eroi dello Shohoku. Un pulmino a noleggio (con conducente incluso nel prezzo) li portò fino all’albergo in cui avrebbero alloggiato, il moderno ryokan Ishibashi che si trovava in riva al mare, per il giubilo di tutti meno che di Akagi, il quale ben sapeva che avrebbe avuto il suo bel daffare per recuperare i suoi aitanti guerrieri prima di ogni incontro o allenamento – e probabilmente sarebbero stati pure sbronzi o troppo stanchi.

Il Josei si trovava nel distretto scolastico di Aoi, non molto lontano da lì, e tutti i giorni l’indomito autista li avrebbe scarrozzati fin laggiù dall’Ishibashi e ritorno.

I ragazzi fecero presto la conoscenza degli ospitanti. La formazione cestistica del Josei rientrava tra le migliori otto del paese ed era la più prestigiosa della prefettura di Shizuoka, e tuttavia i suoi membri erano affabili, alla mano e affatto boriosi, compreso Mikoshiba che ne era capitano e asso: accolsero i nostri con grande calore e rimasero favorevolmente colpiti dai bei musetti di Ayako e Rumiko, sebbene il sentirle parlare li avesse spiazzati non poco, dato che non erano esattamente le leggiadre pulzelle che si erano figurati. Ma la cosa sembrò soltanto aumentare il loro fascino agli occhi dei basketmen di Shizuoka.

Per il resto della giornata si fece poco altro. L’allenatore del Josei mostrò allo Shohoku la palestra e gli spogliatoi e prese accordi col signor Suzuki per gli orari e le modalità degli allenamenti congiunti, e venne decretato che l’amichevole tra le due squadre si sarebbe tenuta mercoledì ventotto luglio, alla vigilia del rientro a Kamakura. Dopo il Gori e i suoi occuparono il campo per un paio d’ore di fondamentali, nonostante le blande rimostranze dell’Armata Combinaguai che, adducendo come scusa la fiacca accumulata durante il viaggio e l’orario ormai tardo, avrebbero preferito di gran lunga riposarsi.

– So bene qual è il vostro concetto di riposo, quindi scordatevelo. – li freddò Takenori col tono di chi conosce a menadito i propri polli, e nessuno fiatò oltre.

Alle sette di sera erano di nuovo al ryokan e malgrado i fancazzisti propositi per la serata né Rumiko, né Mitsu, né Ryota, né tantomeno Ayako (che rimaneva comunque la più ligia al dovere) ebbero forze sufficienti per andare oltre il baccano che stamparono a cena. Mentre il sole scivolava pasciuto oltre il faro di Capo Omaezaki tingendo il cielo di un bel rosso che alla tokyota ricordò l’amata testa del Genio, gli indomiti dello Shohoku mangiarono a quattro palmenti le prelibatezze che il cuoco dell’Ishibashi aveva messo in tavola, poi migrarono in spiaggia per frescheggiare e si godettero lo spettacolo del Fuji che il crepuscolo aveva reso indaco come in certi dipinti antichi.

Il sonno arrivò traditore prima ancora che scoccassero le undici, e con una certa mestizia tutti coloro che avrebbero voluto tirar tardi sul bagnasciuga dovettero cedere e rientrare nell’albergo, dove si augurarono la buonanotte sbadigliando come leoni, fecero una doccia tiepida e collassarono, più incoscienti di Rukawa nei suoi momenti migliori, sui futon profumati di pulito.

Il giorno seguente era venerdì, e Akagi riuscì a tenere a bada la sua truppa di scalmanati ottenendo una completa, soddisfacente e assai produttiva sessione d’allenamento che si protrasse dal mattino fino al primo pomeriggio. Il suo unico cruccio fu recuperare Hisashi che, approfittando di una pausa, si era messo a marpioneggiare con un paio di ragazze del club di volley del Josei – e siccome furono assai lusingate dalle sornione avances del numero quattordici, le ragazze gli lasciarono i propri numeri di telefono e concordarono che avrebbero organizzato un’uscita collettiva l’indomani, che era sabato, chiamando a raccolta altre amiche.

Mitsu sgallettò a tal punto da non accorgersi nemmeno del pugno che il capitano gli appioppò su una spalla nel rientrare in palestra.

Per la seconda volta consecutiva non si produssero decerebramenti alcolici, ma poiché la piccola diavola iniziava a dare segni di scompenso dovuti alla mancanza di Hanamichi, e in particolar modo all’idea che Haruko era rimasta in patria con lui, il gruppetto delle “Iene di Kanagawa” si adoperò in fretta e furia per tirarle su il morale: Ryota svelò così il piccolo tesoro che aveva preparato appositamente per il ritiro, ovvero una musicassetta contenente una compilation a suo dire strepitosa che andava da gruppi autoctoni quali Pizzicato Five, Boøwy, BAAD e Champloose fino agli artisti occidentali che tanto piacevano a Rumiko, come i Teenage Fanclub, Bowie, i Toto, i Blue Swede, Mike Otfield e altri nomi da novanta. Mitsui raccattò non si sa dove uno stereo portatile, la manager ottenne dalla cucina dell’albergo ciotole di edamame e alghe piccanti e una bottiglia di sake e i quattro si traslarono nuovamente sulla spiaggia; qui trovarono Kaede che, di ritorno da una corsa digestiva lungo la riva, senza fiatare rimase con loro fino a notte inoltrata.

La cosa sconcertò non poco la tokyota, dal momento che di solito il Volpino evitava la compagnia altrui come la peste, esclusa la sua, e provocò negli altri tre accoliti moti di bonaria ilarità che stranamente non sfuggirono a Rumiko. Nel suo allegro cervello iniziavano a scoppiettare barlumi di collegamenti e nessi che non poteva più ignorare, e un presentimento stordente le suggerì che qualcosa sarebbe sicuramente accaduto, di lì al ventinove luglio in quel di Shizuoka, e che lei non sarebbe stata in grado di evitarlo.

 

 

Giunse il sabato, ed essendo il sabato sacro persino per il Gorilla questi concesse ai compagni di allenarsi il giusto e di gestire il resto della giornata come meglio credevano.

Kogure, Yasuda, Yoshino, Kakuta, Shiozaki e lo stesso Akagi decisero di andarsene a fare i turisti al Castello di Sunpu; l’ex MVP e il playmaker si barricarono nel ryokan per recuperare le forze e telefonare (Mitsu, perché figuriamoci se Miyagi avrebbe mai tradito l’adorata Ayako con una delle piacenti squinzie irretite dall’amico!) alle fanciulle del Josei per mettersi d’accordo sulle modalità della serata, e Rukawa dileguossi puntualmente a fare jogging. Le ragazze si spalmarono a prendere il sole, fecero il bagno e visitarono il centro città acquistando un paio di abitini a testa e confezioni di pregiato thè verde di Warashina da riportare ai genitori.

Quando tornarono in albergo furono prese d’assalto dai due compari che, già su di giri, le misero al corrente dei piani per le ore a venire: alle nove avevano appuntamento con un nutrito gruppo di genti del Josei presso un locale da loro definito “di grido”, espressione che Rumiko e la riccia trovarono ridicola e che le fece sghignazzare pesantemente. Rientrarono anche gli altri baldi giovani, Hisashi estese loro l’invito e per qualche miracolo dovuto forse all’influsso degli spiriti dei nobili antenati che aleggiavano tra le mura di Sunpu tutti accettarono, capitano compreso.

– Finalmente ti vedo rilassato, Akagi. – commentò il cecchino, faceto.

– Non mettermi alla prova. – lo minacciò l’interpellato senza troppa convinzione.

Il Volpino fissava la minuta allenatrice, annuendo, e Ayako mollò all’amica una gomitata carica di signifcati reconditi: – Stasera dovremo metterci in tiro, signorina. – la punzecchiò.

La tokyota, alla quale le sempre più frequenti occhiate ormonali del bel tenebroso principiavano a regalare strane misture di bollori e sudori marmati, deglutì vistosamente:

– Ma come, non posso venire vestita tipo così? – implorò indicando la propria gloriosa tenuta jeans-arrotolati-in-fondo-&-duo-di-canotte-tono-su-tono-&-scarpette-di-tela-stinta.

Ma la manager fu irremovibile e Rukawa parve annuire con maggior vigore.

In quella fu annunciata la cena e la mandria sciamò contenta nella sala da pranzo, seguendo il profumino di zuppa di miso e carne alla piastra che si spandeva nell’aria. Mangiarono più in fretta del solito, trepidanti, e alle otto in punto corsero nelle rispettive camere e nei bagni per prepararsi, sotto lo sguardo compiaciuto di Mitsu che si era autoproclamato Condottiero Della Serata e che volle sottolineare la propria superiore esperienza mondana prendendosela comoda, attardandosi in sala a sorseggiare la sua seconda birra e riuscendo comunque a essere pronto prima dei colleghi: li attese in strada, gnocco e soddisfatto nella sua camicia chiara, insieme al fido autista che si era offerto di accompagnarli al Blue Note 1988, e non appena furono al completo salirono sul pulmino e partirono alla ventura.

Gli uomini erano più o meno tutti in camicia e pantaloni dal taglio elegante; qualcuno aveva addirittura azzardato una giacca dal taglio sofisticato che chiaramente non aveva mai indossato prima d’allora e che probabilmente nemmeno quella notte avrebbe messo, giacché faceva molto tiepido e la brezza marina allontanava l’umidità che rischiava di calare dal Monte Kuno. Il Gori si rivelò sorprendentemente attraente, in quella versione, e Ryota gli fece presente che con quell’aura da Uomo Tuttodunpezzo avrebbe accalappiato un bel po’ di donzelle – e l’altro, ormai preda del relax finesettimanale, emise un singolo grugnito e manco lo cazzottò.

Ayako aveva convinto l’amica a scegliere il vestito comprato quel pomeriggio e Rumiko era dunque pericolosamente incantevole nel suo babydoll a fiori gialli su fondo verde dalla gonna corta cui aveva abbinato cerchietto e ballerine anni sessanta color limone; la riccia, dal canto suo, quasi mandò al tappeto il suo buon spasimante nel comparire inguainata in un tubino fucsia e nero, i piedi calzati in elegantissime décolletées nere a tacco basso e i capelli vaporosi sciolti sulle spalle.

Il Blue Note si rivelò essere un gran posto: all’ultimo piano di un edificio non lontano dal liceo Josei, era dotato di bancone iperfornito di ogni sorta di alcolico, ampia pista da ballo, tavolini e divanetti a profusione, ottima disponibilità di angolini appartati per il pomicio e bella terrazza sul tetto da cui si scorgevano le luci della città e i profili di palazzi più alti e grattacieli. Le tipe conquistate da Mitsui si erano portate appresso mezza squadra di basket e la loro intera classe, e il nutrito gruppo indigeno aveva già preso possesso di una zona abbastanza vasta da permettere agli Eroi di Kanagawa di accomodarsi agiatamente. Si fecero le dovute presentazioni, i rappresentanti del Sesso Forte rimirarono con gusto il duo di bellezze dello Shohoku, le ragazze non nascosero la propria delizia di fronte all’incredibile concentrazione di piacenza maschile rappresentata da Hisashi, Kaede, Ryota e Takenori e il primo giro di birre venne ordinato.

La musica viaggiava via filodiffusione e, mantenuta a medio volume, favoriva la conversazione. Non essendoci (purtroppo) Hanamichi e sentendosi più tranquilla se si manteneva a distanza di sicurezza da Rukawa – magnetico, maledizione, abbigliato di scuro com’era! – la piccola diavola si divertì a sperimentare per la prima volta in piena coscienza il Brivido Del Baccaglio nei propri confronti e chiacchierò amabilmente con diversi ragazzi del Josei, basketmen e non. Ayako fece altrettanto, sennonché d’un tratto troncò bruscamente un discorso intavolato con un nerboruto kendoka per scivolare a sedere accanto a Miyagi e mettersi a parlare fitto fitto con lui, nessuno seppe mai bene di cosa. Mitsu era scatenato e in piena forma, circondato da una dozzina di pulzelle adoranti, il Ghiacciolo e il Gorilla disquisivano di canestri con un paio di membri della formazione ospitante, Kogure e compagnia se la ridevano con il resto della compagine e bottiglie e lattine di Asahi, Kirin e marche straniere andavano accumulandosi sui tavoli.

Dopo due ore abbondanti trascorse in allegria comparve dal buio il dj che avrebbe animato la serata, prendendo possesso della pedana a lui riservata che prontamente s’illuminò di abbacinanti luci blu, rosa e gialle elettriche: cuffie alla mano e sgargiante camicia aperta sul petto e sulla tamarrissima catena dorata che gli adornava il collo, l’uomo sfoderò la propria collezione di vinili, ne sistemò un paio sulla consolle, alzò un braccio e diede il via alle danze con Footloose.

In un baleno la ghenga dei nostri festaioli eroi invase la pista da ballo. Non si formarono coppie, per quanto Kaede si mantenesse vicino a Rumiko, Ayako non si fosse allontanata troppo da Ryota e Mitsui si tenesse ben strette le sue ammiratrici, e ciascuno si scatenò a suo modo. Tutti facevano avanti e indietro dal bar per reclamare ulteriori bevande, e le scelte musicali del dj contribuirono alla vertiginosa crescita del clima scatenato che andava creandosi: B•Blue, Marionette, Honky tonky crazy e altri successi dei Boøwy si alternavano a hits europee e americane quali Stayin’ alive dei Bee Gees, Funky Town dei Lipps Inc., Hush/I’m alive dei Blue Swede, Like a virgin di Madonna e ballabili storici di Elvis, i Beatles e i Beach Boys, e la tokyota si convinse di essere finita nel proprio paradiso musicale.

Sulle note conclusive di Twiggy Twiggy dei Pizzicato Five il Volpino le si fece dappresso, bottiglia di birra ghiacciata tra le dita, e con un cenno del capo le indicò la vetrata aperta che dava sulla terrazza. Rumiko osservò quel che avveniva intorno a loro e, notando Hisashi alla pomiciata profonda con una delle sue tipe, l’assenza sospetta di Ayako e Miyagi, il capitano impegnato a conversare (udite udite!) con una fanciulletta dai capelli a caschetto e Kogure e riserve completamente sbronzi che imitavano John Travolta, decise che quello era il momento migliore per una boccata d’aria; oltretutto lì dentro faceva un caldo pazzesco, e la quantità d’alcol che anche lei aveva in corpo le aveva fatto dimenticare i timori riguardanti un eventuale, silente baccaglio da parte di Rukawa: erano amici, si ripeteva, e a lui interessava soltanto il basket! Non avrebbe certo perso tempo in sciocche romanticherie, non era nel suo stile.

Seguì dunque il bel tenebroso all’esterno mentre il dj metteva, provvidenzialmente, Dancing in the moonlight dei Toploader. La luna c’era davvero, pressoché piena nel cielo violaceo della notte tiepida, e i rumori della città risultavano ovattati e piacevoli. I due si appoggiarono alla balaustra fatta di spesse, modernissime lastre di plexiglass, e Kaede porse a Rumiko la birra.

– Ottimo dj. – esordì guardandola bere un sorso.

– Cazzo sì. Sta mettendo un pezzo meglio dell’altro a fila. Quasi quasi vado lì e lo bacio! – se la rise lei rovesciando la testa all’indietro e rischiando di rovesciare pure la bottiglia.

L’espressione appena contrariata che il ragazzo mise su la fece sussultare:

– Ehi, scemo, sto scherzando. È che quel tizio è veramente bravo e vorrei farglielo sapere.

Rukawa si rilassò e riprese la birra, tentennando sul posto e fissando la distesa di luci sotto di loro come se avesse in mente qualcosa e non si decidesse a tirarlo fuori. E siccome era notoriamente uno maldestro, con le parole, la piccola diavola provò a dargli l’imbeccata:

– Sei pensieroso o sbaglio, Rukakun? È per il campionato?

– Mh. Sì e no. – borbottò il Volpino. Sapeva che una risposta del genere non avrebbe fatto altro che stuzzicare a morte la proverbiale curiosità della tokyota, ma d’altronde come poteva dirle chiaro e tondo che quella era la migliore occasione che aveva per confessarle i propri sentimenti e spodestare Sakuragi dal posto che aveva occupato nel suo cuore da basketwoman? Perciò cercava di prendere tempo e sperava che lei ci arrivasse da sola.

– Sei strano dal giorno in cui vi ho trovati in palestra a sfidarvi come degli idioti. Era successo qualcosa o che? – ragionò Rumiko a mezza voce, picchiettandosi l’indice della mano destra sulle labbra. – Insomma, sei sempre competitivo, però non ti avevo mai visto così impetuoso.

Il moro dovette fare uno sforzo immane per non imbambolarsi su quel gesto invitante e su quell’ “impetuoso” con cui lo aveva descritto:

– Avevo parlato col signor Anzai. – riuscì a formulare, e subito si bagnò la gola secca con la Asahi.

– Ci avrei giurato. Come minimo vorrà che tu diventi un supercampione nazionale, ci scommetto! E sai cosa? Ti ci vedo. Già sei un talento adesso, figuriamoci tra un po’…

Incoraggiato dal commento, Kaede inghiottì un profondo respiro: – Mi ha raccontato di un suo ex-allievo. Ryuji Yazawa, si chiamava. Ne hai sentito parlare? – disse.

– Credo di aver letto un articolo che parlava di lui. Lo studente giapponese giocatore di basket che si trasferì in America, entrò nell’NBA e nel giro di un paio d’anni passò dalle stelle alle stalle. – annuì la ragazza; – Si è suicidato, alla fine. Non sapevo che lo avesse allenato Anzai.

– Anzai mi ha pregato di non fare come lui. – rivelò d’un fiato il bel tenebroso.

La minuta coach corrugò le sopracciglia, i neuroni evidentemente in gran subbuglio:

– Cosa c’entri tu con Ryuji Yazawa? A meno che… ehi! – esclamò all’improvviso girandosi verso il suo interlocutore e puntandogli un dito contro. – Mica ti vorrai trasferire dagli yankee pure tu? Sarebbe una stronzata bella e buona! E passami quella birra!

Nel tracannare ciò che rimaneva nella bottiglia, Rumiko rifletté in tutta fretta. Se a preoccupare l’amico era la Questione U.S.A. lei probabilmente poteva smetterla di preoccuparsi a sua volta, perché di certo non esisteva alcuna cotta a distrarlo da quelle Importantissime Elucubrazioni Cestistiche e dai sogni di gloria. Tuttavia si rese al contempo conto che veder partire Rukawa le sarebbe dispiaciuto tantissimo, e sentì di non doverglielo nascondere.

– Non vorresti che andassi? – la anticipò il Volpino, a sorpresa.

– Beh, no. – grugnì la tokyota, colpita. – O meglio, mi dispiacerebbe se tu andassi.

Dall’interno del Blue Note si udì l’attacco di Only you dei Boøwy e Kaede si chinò in avanti:

– Perché?

– Perché cosa?

– Perché ti dispiacerebbe?

La piccola diavola sbuffò, imbarazzata: – Eddai, che domande del cacchio fai? Siamo amici. Mica è bello vedersi partire un amico sotto al naso, e per la cacchio di America, poi! Non ti rivedrei più per chissà quanto tempo, mi sa, ed è logico che mi dispiaccia.

Avrebbe voluto un’altra Asahi, imprecò in silenzio, ed era già sbronza abbastanza.

– Non andrò negli Stati Uniti. Prima devo diventare il giocatore numero uno del Giappone. – chiosò Kaede gettandole un’occhiata obliqua e bruciante.

Rumiko proruppe in una risata di sollievo: – Meno male! Per quale oscuro motivo ne stiamo discutendo, allora?

– Volevo sapere la tua opinione. E sono contento.

– Contento di cosa? – indagò lei tornando a farsi sospettosa. Il dj non avrebbe potuto scegliere una canzone diversa, porca miseria?

– Di sapere che ti dispiacerebbe se me ne andassi.

L’alcol doveva aver sciolto la lingua al Ghiacciolo. Intuendo nebulosamente ciò che sarebbe seguito, la nostra arretrò di un passo e abbozzò un ghignetto:

– Ora te lo chiedo io. Perché?

E prima ancora che il ragazzo rispondesse seppe esattamente quali parole avrebbe pronunciato, e ciononostante quasi non credette alle proprie orecchie:

– Perché mi piaci. – sillabò Kaede Rukawa con disarmante chiarezza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Son cattiva a sganciare una simile bomba e a lasciarvela qui, ma un cliffhanger(ino) ci stava ;D

Le scommesse di Mitsu e Ryota al riguardo sono aperte anche per voi!

Mi faccio perdonare mostrandovi gli abiti indossati da Rumiko e da Ayako :)

Una curiosità al volo: i locali di Shizuoka che ho inserito (il ryokan Ishibashi, il Blue Note 1988) esistono davvero; rammento inoltre che la storia si svolge nella prima metà degli anni ’90 – 1993, per la precisione, così ho deciso :D

Il ritiro è appena all’inizio e non so se la nostra piccola diavola arriverà viva alla fine, se il Volpino non molla l’osso XD

What happens in Shizuoka stays in Shizuoka… o magari no.

 

Ringrazio tantissimo chi ha messo/metterà la storia tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha recensito/recensirà (sì, son donna fiduciosa) – di nuovo e soprattutto, kenjina e gattabianca! ;)

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

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Capitolo 14
*** tredicesimo: moonlight shadow. ***


tredicesimo: moonlight shadow.

 

 

 

 

L’indomani mattina – mattina che più che altro si avvicinava a mezzodì – Rumiko si svegliò con uno strascico di mal di testa, le tempie che pulsavano come se qualcuno gliele avesse prese a pallonate per tutta la notte e la bocca vagamente impastata da un ricordo di birra. Il sole della domenica filtrava dalle tapparelle abbassate e il tatami profumava di legno appena intiepidito, e nell’Ishibashi sembrava regnare un gran silenzio.

Rigirandosi tra le lenzuola del futon e avvoltolandocisi dentro come se fossero state un bozzolo e lei un baco da seta con residui di sbronza, la tokyota notò che Ayako, nel letto accanto al suo, dormiva ancora beatamente, i ricci sparsi sul cuscino e le scarpe col tacco accuratamente posate ai piedi del materasso, e non ebbe cuore di svegliarla. Si mise così a osservare il resto della stanza e a cercare di rimettere insieme i pezzi di quel che era successo la sera prima: il suo babydoll a fiori giaceva scomposto a terra, lei non si era tolta il cerchietto giallo dalla testa (ecco spiegata l’emicrania) e il basso tavolo della camera era stato misteriosamente appoggiato contro la porta scorrevole come a voler impedire a qualcuno di entrare qualora gliene fosse venuto lo schiribizzo.

– Ommerda. – farfugliò Rumiko nel cuscino, iniziando a rammentare.

Dopo la fatidica risposta di Rukawa doveva essere rimasta immobile, cristallizzata sul posto e completamente nel panico, fino a che non si era sentita chiamare dalla manager una manciata di secondi più tardi. Ringraziando mentalmente tutti gli dèi e sottodèi che conosceva, e Ayako in particolare, la piccola diavola aveva colto al volo la scusa per darsela a gambe e aveva raggiunto l’amica all’interno del locale, dove ormai non ce n’era più uno sano; aveva scoperto che la riccia e il playmaker non avevano combinato nulla di che – parlato, bevuto e ballato per conto loro perché l’ubriachezza degli altri stava diventando ridicola, asseriva la manager – e che Suffragette city di David Bowie era riuscita a far scatenare in pista perfino Akagi insieme alla sua graziosa fanciulletta dai capelli a caschetto. Insomma, nessuno era rimasto senza dama o cavaliere e Hisashi aveva seguitato a dare il fulgido esempio sbaciucchiandosi a turno le fide, estasiate ammiratrici.

Kaede era rientrato poco dopo e con sorprendente aplomb si era seduto al banco bar ordinando quella che sembrava una boccetta di sake solo per sé.

Erano tornati all’albergo verso le quattro del mattino, tutti un po’ imbambolati, con l’autista del pulmino che canticchiava un vecchio enka e l’alba che cominciava a irradiarsi dal mare.

– Nnnnnnnnnno. – mugolò l’allenatrice coprendosi la faccia con entrambe le mani, le parole del Volpino che la tartassavano a mo’ di ritornello: “Perché mi piaci.”

Mi piaci. Era impensabile che quel Ghiacciolo del numero undici dello Shohoku, Colui Che Non Doveva Chiedere Mai, l’uomo che si era votato al basket e che non dava seria importanza ad alcun essere umano, che proprio lui dunque avesse pronunciato una simile frase: Rumiko tentò di aggrapparsi all’ipotesi di essersela immaginata, di aver capito male, eppure era certa di essere stata lucida abbastanza, in quel momento, da non udire fischi per fiaschi. Sentendosi le guance in fiamme si disse allora che probabilmente era un “mi piaci” da intendersi in altro modo, un “mi piaci” tra amici, tra persone che si dicono “ti ammiro e ci tengo a te”, giacché era quello che lei provava nei confronti di Rukawa – e sì, lo trovava anche un gran pezzo di gnocco, ma non valeva forse lo stesso per Mitsu e Sendo, per i quali non nutriva alcun sentimento romantico?

Eppure non era improbabile che Rukawa ne nutrisse uno per lei, se teneva conto degli sguardi e del suo rivaleggiare eccessivo con Hanamichi, e se così era non sapeva davvero come comportarsi. Non capiva nemmeno, Rumiko, se la cosa le faceva piacere o se la destabilizzava soltanto, e l’assenza del Rossino e l’ingombrante figura di Haruko sullo sfondo non facevano che peggiorare le cose.

Se il Genio avesse continuato a preferire la Akagi e Kaede avesse invece seguitato a provarci, si chiese la tokyota dandosi manate sulla fronte, come diavolo sarebbe andata a finire? Non aveva dubbi sul fatto di essere innamorata di Hanamichi: il guaio era che lui pareva non averne sul fatto di essere completamente perso per Haruko.

Scalciando via le coperte con un gesto da samurai che va in battaglia, la piccola diavola si alzò e scelse a casaccio degli indumenti da indossare, si trascinò fino al bagno per sciacquarsi la faccia, si cambiò abbandonando il pigiama sul lavabo e scese dabbasso. Nel salottino d’ingresso trovò il signor Suzuki che leggeva un quotidiano nazionale e sorseggiava un caffè:

– Oh, Ishida, buongiorno! I tuoi compagni come stanno? – la apostrofò cortese.

– Buongiorno, signor Suzuki. – rispose la ragazza accennando un inchino. – Non li vedo da stanotte e non ne ho la minima idea. Credo che siano ancora tutti a letto.

Il sostituto di Anzai sorrise con una scrollata gentile del capo: – Allora lasciamoli dormire. Oggi è domenica e non è previsto alcun allenamento. Se vuoi fare colazione o pranzo vai pure in cucina, il signor Kobayashi ti preparerà qualcosa.

– Sì, grazie. E sensei, mi lasceranno fare una telefonata dalla reception, secondo lei? Volevo sapere come procedono le cose allo Shohoku. – s’informò Rumiko colta da imprevista ispirazione.

– Non vedo quale problema potrebbe esserci. – convenne il signor Suzuki; – Questo interesse per i progressi di tutti i membri della squadra ti fa onore, Ishida. Sei un’ottima apprendista allenatrice.

La tokyota, pur apprezzando assai l’appellativo, preferì sorvolare sul fatto che a lei interessava più che altro sentire la voce dell’amato e assicurarsi che la Tonna non avesse commesso atti osceni. Pertanto si congedò in grande spolvero e trovò rifugio nella deserta sala da pranzo, dove il suddetto Kobayashi, il cuoco del ryokan, sonnecchiava con i piedi bellamente posati su uno dei tavoli e la televisione sintonizzata su un trucidissmo programma a premi. Tuttavia non espresse alcuna rimostranza quando Rumiko lo svegliò chiedendogli se poteva avere un thé e qualche pietanza per fermarsi lo stomaco, anzi: le cucinò addirittura una ciotola di riso all’uovo e quattro onigiri, oltre a una tazza di sencha e una zuppa di miso, e scambiò con lei qualche battuta circa le ridicolaggini del talk show.

Non appena ebbe finito di mangiare – il signor Kobayashi le aveva portato anche un piattino di daifuku – la nostra si recò al bancone della portineria e domandò tutta compìta se poteva chiamare Kamakura usando il telefono dell’albergo; la moglie del proprietario doveva aver voglia di chiacchierare e farsi un po’ di affari altrui, dato che non fece resistenza e volle addirittura sapere se Rumiko avrebbe telefonato al fidanzato. L’allenatrice avvampò come un fornello e si mantenne sul vago mentre afferrava la cornetta e componeva il numero del centralino dello Shohoku.

All’altro capo del filo si susseguirono una voce registrata, qualche squillo a vuoto e infine si udì qualcuno rispondere: – Hola, qui è la palestra del liceo con la miglior squadra di basket del mondo. Chi è là?

– Mito? Che accidenti ci fai tu in palestra di domenica? – ridacchiò la ragazza nel riconoscerlo.

– Rumi! Che ci fai tu sveglia a quest’ora, piuttosto. – rise lui di rimando; – Noi abbiamo dormito qui perché il vostro adorabile Anzai ci sta facendo sgobbare come muli. Ventimila tiri in una settimana sono una missione impossibile.

La tokyota lo interruppe: – Partecipate agli allenamenti di Hanamichi? Voi?

– So che non siamo le persone più indicate, ma a quanto pare siamo utili all’impresa e lui sta facendo progressi a vista d’occhio. – fece una pausa ad arte – Te lo passo?

– Sìsìsìsìsì, per favore. – annaspò lei senza nemmeno preoccuparsi di fingersi indifferente.

Mito rise di nuovo, complice, e in quella il Rossino parlò strappandogli il telefono di mano:

– Rumi? Rumi, sei tu? – gridò con una certa urgenza, innegabile sorpresa e una sfumatura di gioia che mandò il cuore di Rumiko prima in picchiata nello stomaco e poi a esplodere in gola.

– Hanaaaaaaaaaaaa. – belò la piccola diavola gettando al vento gli ultimi rimasugli di ritegno, perché sentirlo le rammentò che le mancava un sacco e che lo avrebbe rivisto soltanto quattro giorni più avanti; la signora della reception le scoccò un sorriso materno.

– Genio a rapporto, mia allenatrice! Come va a Shizuoka senza di me? Vi avranno battuti miseramente, quelle schiappe del Josei.

Rumiko inghiottì la voglia di dirgli che senza di lui si sentiva peggio di un sashimi senza pesce:

– A dire il vero giochiamo mercoledì. – rispose. – Ieri sera siamo andati tutti con loro a ballare, sono molto simpatici. – aggiunse quindi nel tentativo di suscitare nel Re un pizzico di gelosia. E qualcosa in effetti suscitò, e non fu esattamente quel che s’aspettava:

– Ahssì? E la dannata Volpe Da Frigo come s’è comportata? – indagò infatti Hanamichi meravigliandosi per primo di essere andato a parare proprio su Rukawa. Perché non c’era verso, l’atteggiamento del rivale verso la sua minuta amica e il fatto che le stesse appiccicato non gli piaceva, non gli andava giù per niente. E se putacaso l’aveva anche solo sfiorata… Non ne capiva il motivo ma non poteva negarlo: se il Ghiacciolo Rassegato si fosse avvicinato ulteriormente alla tokyota lui, Sakuragi l’Immenso, lo avrebbe appeso per i piedi a un canestro.

La nostra a momenti sputò un polmone sul bancone per lo stupore:

– Perchettinterèssa? – farfugliò talmente in fretta che il rosso capì poco o nulla.

– Che?

– Eh?

– Che hai detto?

– Io?

– Rumi? Ti sento male!

Rumiko decise di cambiare tattica. D’altronde le palle per affrontare un simile discorso col suo amato per telefono non le aveva mica (o non le aveva in generale) e pensò che se gli avesse raccontato della dichiarazione di Kaede lo avrebbe fatto dal vivo.

– Perché t’interessa? Era una festa, mica una partita! – glissò allora abilmente.

– Per scoprire i suoi punti deboli, no? – esclamò Hanamichi, colto in contropiede, e non era nemmeno una completa fandonia.

Lei scrollò il capo: – Giusto, giusto. Tu a che punto sei con i tuoi ventimila?

– Settemila canestri centrati in quattro giorni! – si vantò prontamente lui. – Me ne restano tredicimila e voi tornate giovedì. Per un comune essere umano sarebbe un’impresa suicida, ma io sono una creatura di levatura superiore e ce la farò. Sai, Rumi, sto facendo progressi incredibili. Potrai vederli anche tu, Mito e gli altri stanno documentando tutto…

– … con la fida videocamera di Takamiya. – concluse divertita la piccola diavola; – Ti stanno aiutando molto, eh?

– Sissignora. Loro quattro e Haruko stanno qui in palestra con me e il Nonno.

Bastarono il nome della Tonna e l’evidente quantità di zucchero nel tono con cui Hanamichi lo aveva pronunciato per far ribollire d’uggia l’allenatrice: se l’Universo fosse stato un po’ meno spregioso di com’era, alla bella Akagi sarebbe toccata la dichiarazione cinematografica di Rukawa e a lei le tubate da cuculo stracotto del Rossino, e non quell’intreccio assurdo che nessuno sapeva come sbrogliare senza far danni! Le veniva da piangere per la frustrazione.

– Bravi, avete messo su una squadra notevole. – riuscì tuttavia a complimentarsi a denti stretti. – So che ce la metterai tutta, Hana.

– Conta su di me.

– Sempre. – affermò Rumiko con un vago tremolìo nella voce.

Con ciò si salutarono e la moglie del proprietario del ryokan, avendo ascoltato la conversazione soltanto dalla parte della tokyota, constatò che “lei e il suo fidanzato si volevano proprio un gran bene”. La giovane coach quasi si squagliò sul pavimento, non disse nulla e batté in ritirata al piano di sopra alla velocità della luce.

 

 

Ayako, Ryota e Hisashi riemersero dal Fantastico Mondo Del Doposbronza verso le tre del pomeriggio e trovarono la piccola diavola che cantava a squarciagola Hooked on a feeling in terrazza.

Puntualmente iniziarono a punzecchiarla per scoprire cosa avesse da ugolare a quel modo spaventando anche i gabbiani che svolazzavano lì sopra, ma poiché nessuno si era accorto della scomparsa congiunta sua e del Volpino dalla pista da ballo, la sera prima, nessuno sollevò quel preciso argomento. Mitsu aveva da vantarsi delle proprie prodezze nel baccaglio e il playmaker asseriva che tra lui e la manager era scoccata la scintilla, quella notte, cosa che la riccia negò con eccessiva decisione:

– Non scriverci romanzi su, Ryota, abbiamo solo parlato! – si sbrigò a cazziarlo.

– Maddavvero? – sogghignarono Rumiko e il cecchino donnaiolo come due Stregatti.

– Ayachan, così mi spezzi il cuore!

Alla fine riuscirono a sapere che la tokyota aveva telefonato a Kamakura e parlato con il Rossino e trascorsero il resto della giornata a spettegolare sulle squinzie di Mitsui e sulla fanciulletta dai capelli a caschetto che sembrava aver conquistato il Gorilla: correva infatti voce che i due fossero rimasti insieme per l’intera nottata e che si fossero scambiati il numero di telefono e la promessa di rivedersi anche a Hiroshima per il campionato.

Kaede non si fece vedere fino all’ora di cena, e pur sentendosi cattivella Rumiko ne fu sollevata.

Nei giorni che seguirono non ci fu molto tempo per elucubrare sulle ultime rivelazioni e neppure, per Rukawa, di sospettare che l’allenatrice lo stesse deliberatamente evitando. Akagi spinse gli allenamenti al massimo, impegnando la squadra di testa e di fisico, e tutti si dedicarono al reale scopo del ritiro con ammirevole devozione. Il basket era pur sempre la passione che li univa, e per quanto amassero il Sacro Cazzeggio non gli avrebbero mai sacrificato l’altrettanto sacro Spalding.

Giunse il mercoledì, data stabilita per la partita conclusiva tra ospitanti e ospitati, e alle undici in punto del mattino i ballatoi della palestra del Josei si riempirono di facce note e di curiosi: c’era la ghenga dei festaioli al completo, compresa la donzella del capitano con le gote rosee e un gran sorriso, e tutti accolsero le due formazioni con uno scrosciare d’applausi e urla d’incoraggiamento.

Allo scattare del primo minuto di gioco fu lampante che i ragazzi di Shizuoka erano degli ossi duri e che Mikoshiba meritava la propria fama di campione; al quattordicesimo i suoi conducevano per 8-2 e Rumiko e il signor Suzuki chiesero il time-out per lo Shohoku.

Gli Eroi di Kanagawa erano un tantinello nervosi e toccò alla manager rammentar loro un paio di cose: – Ragazzi, la nostra squadra ha perso per un solo canestro contro il Kainan, che è tra i Best Four del paese. È logico che i nostri avversari siano agguerriti.

– Si tratterà anche di un’amichevole, – le si accodò la piccola diavola, – ma per il Josei che è tra i Best Eight batterci è una questione di principio.

– Sì, avete ragione. E noi non possiamo mollare, non adesso che Sakuragi si sta dando da fare per conto suo. – convenne il Gori scrutando il tabellone. – Spero.

Rumiko ammiccò: – Esatto. Sapete tutti cosa dirà se perderemo, no?

L’immagine del Re che li prendeva per il culo bullandosi del fatto che senza il suo fulgido apporto non erano stati capaci di farsi valere aleggiò come un ammonimento divino sopra le teste dei giocatori: Mitsu e Ryota emisero un sordo verso di stizza e lo sguardo del Volpino parve infiammarsi come una miccia mentre le narici di Takenori fremevano minacciosamente.

– Dobbiamo vincere a tutti i costi, gente! – tuonarono in coro, e la minuta coach ghignò perché aveva ottenuto la reazione sperata.

Tornarono in campo che sembravano delle furie e giocarono come se quella fosse stata la finale del torneo, facendo capire a Mikoshiba & Friends che erano degli avversari temibili. Riuscirono addirittura a vincere il match per un punto, grazie alla successione impeccabile di un tiro da tre del cecchino con la maglia numero quattro e di una splendida azione in solitaria del solito Rookie D’Oro che mandò in deliquio più di una pulzella (eccetto quelle di Hisashi e quella di Akagi).

Smash, Rukakun! – ebbe la malaugurata idea di esultare la tokyota correndogli incontro al fischio conclusivo dell’arbitro.

Agire d’istinto era sempre stato il suo forte, ma certe volte si rivelava un’idea maledettamente imbecille: così fu anche in questo caso, dato che vedendosela venire addosso al trotto e con un sorrisone luminoso stampato in faccia Rukawa si convinse di averla infine conquistata e allargò appena le braccia per riceverla. Rumiko se ne avvide, si rese conto che nella situazione in cui erano abbracciarlo per fargli le congratulazioni sarebbe equivalso a un suicidio di sinapsi e non solo e frenò impennandosi sulla punta delle proprie ba-shoes; proruppe quindi in una risata simile a quelle di Anzai, appioppò una fin troppo cameratesca pacca sulla spalla destra del bel tenebroso e schizzò oltre, verso quei lidi più sicuri rappresentati da Miyagi, Mitsui e Gorilla.

Kaede rimase con un palmo di naso e comunque valutò tra sé che indifferente non poteva esserle, nel bene o nel male, perché mai si era comportata in quella maniera.

Gli atleti di Shizuoka stavano nel frattempo elargendo strette di mano e complimenti, e poiché il ritiro era ormai giunto al termine e nessuno aveva dimenticato i fasti del sabato trascorso assieme saltò fuori la proposta di una festa improvvisata per quella sera – giusto per salutarsi, dissero. Timorosi di scialare ulteriore denaro in interminabili giri di bevute e di non arrivare sani (quando mai?) all’ora del rientro, l’indomani, i prodi di Kamakura sdoganarono la prospettiva di una bella cena all’Ishibashi che quelli del Josei accolsero con entusiasmo.

– È deciso. Alle sette precise all’albergo. – proclamò Mitsu in qualità di Capo Festaiolo.

– Chi ti dice che i gestori e il personale saranno d’accordo? – azzardò il capitano, che doveva mantenere il proprio status di Persona Seria.

– Nah, li avvisiamo con un po’ d’anticipo e non siamo nemmeno tanti. Non faranno storie. – minimizzò Ryota avviandosi negli spogliatoi.

– E poi il signor Kobayashi e io siamo diventati amici. Cucinerà volentieri per tutti, a patto che lo facciamo partecipare al festino. – rincarò l’allenatrice.

– Poveri loro. – brontolò Takenori, arrendendosi.

 

 

Rumiko ci aveva visto giusto: il cuoco del ryokan accettò di buon grado di preparare da mangiare per la truppa di convitati e servì loro un banchetto più che lauto bagnato da fiumi di sake di qualità sopraffina. Ai ragazzi si unirono lui, il signor Suzuki, l’istruttore del Josei, l’autista del pulmino e gli stessi proprietari della pensione, e benché il tasso di alcol fosse in ascesa libera dacché il party d’addio era cominciato ci furono meno decerebramenti del consueto.

Verso le undici e mezza Ryota riuscì a raggiungere lo stereo che troneggiava sulla mensola vicino alla porta della cucina e piazzò nel mangianastri una cassetta contenente una delle sue Miracolose Compilations. L’assolo di chitarra introduttivo di One way or another fu accolto da uno “yeah!” collettivo e Mitsui diede il via alle danze tra i tavoli con movenze alla Mick Jagger che scatenarono, a sorpresa, l’approvazione degli adulti. Cinque minuti più tardi lo avevano imitato e la sala si era trasformata in una specie di palco karaoke con luci soffuse e bottiglie che facevano le veci dei microfoni.

Accasciate sopra un mucchio di cuscini, la piccola diavola e la manager se la ridevano della grossa assistendo alle esibizioni degli amici e continuavano a tracannare vino di riso in barba all’originario proposito di mantenersi sobrie in vista del ritorno a casa – però quel sake era così buono, abbinato ai dango del signor Kobayashi, e il treno non sarebbe partito prima di mezzogiorno! E dovevano celebrare l’impeccabile lavoro svolto durante quella settimana, e se lo meritavano.

I brindisi infatti si sprecarono, e intanto il playmaker era salito sul tavolino che aveva davanti e aveva intonato Maniac di Michael Sembello dedicandola ad Ayako con vistosi gesti da rock star. Dalle ovazioni che si levarono dalla combriccola sembrava di essere davvero in Flashdance.

– Mi sa che ti sta invitando a ballare, Aya. – se ne uscì Rumiko indicando Miyagi e rammentando vagamente il testo della canzone.

– Ho ballato con lui abbastanza, sabato. – chiosò l’altra, nascosta dietro la propria tazza di sake.

– Vuoi continuare a propinarmi la storiella dell’ “abbiamo solo ballato”? – la provocò la nostra.

Ayako sorrise sorniona: – E tu vuoi dirmi perché Rukawa ti sta guardando con quell’aria spermatica?

I cuscini furono immantinente innaffiati da un potente spruzzo di liquore:

– Spermaticochì? – sputacchiò la tokyota diventando nuovamente color pomodoro radioattivo.

– Ho colto nel segno, eh? C’è qualcosa che devi dirmi, Rumi? – insistette implacabile la riccia.

Rumiko si asciugò la bocca: – Non ne sono sicura.

– Lo stai evitando o è una mia impressione?

– Vado a sciacquarmi la faccia. – sorvolò la coach strisciando via dalla stanza.

Ayako rise: – D’accordo, d’accordo, ti torchio dopo!

La più giovane scomparve nella penombra dell’atrio con un contenuto ruttino e se ne udirono i passi svelti che risalivano le scale; Mikoshiba spodestò Ryota dal podio e prese a cantare su Forever young degli Alphaville, e in quella il Volpino si alzò dal proprio posto: scivolò anche lui oltre la soglia senza proferir parola, e la manager fece tanto d’occhi nel sospettare che stesse seguendo l’amica. Con un cenno la ragazza chiamò a raccolta Mitsui e Miyagi, che subito si avvicinarono incuriositi:

– Che c’è, Mr. Pink? – bisbigliò il primo.

– C’è che la nostra Mr. Orange se n’è andata di sopra e il Numero Undici le sta alle calcagna. – illustrò lei esprimendosi in codice come un’agente sotto copertura.

Il playmaker boccheggiò: – Volpi alla riscossa?

– Credo che Mr. Orange ci abbia taciuto un paio di cose.

– Allora andiamo a vedere che succede. – suggerì Hisashi inarcando maliziosamente le sopracciglia.

– Negativo, Mr. White, – lo trattenne Ayako, – ci sgamerebbero in un baleno. Questo albergo ha una forte carenza di punti d’appostamento.

– Ti adoro, Ayachan. – sospirò Ryota, e si beccò uno scappellotto.

Nel mentre, al piano delle camere, la piccola diavola era uscita dal bagno borbottando e riflettendo sulla scappatoia migliore da prendere per evitare gli interrogatori dei compari.

Richiuse la porta scorrevole, girò sui tacchi e sussultò: Kaede era lì dinanzi lei, in mezzo al corridoio che soltanto i raggi della luna piena, filtrando da finestre e shoji, rischiaravano, e in quell’esigua luce i suoi bei lineamenti risultavano ancora più intensi e magnetici di com’erano altrimenti.

– Opporcamiseria. – alitò stupidamente Rumiko, vacillando. Si sentì in trappola, e fu una sensazione che le regalò uno sfarfallìo non richiesto in fondo allo stomaco.

Il ragazzo non parlò, fissandola con quelle sue dannate iridi scure che baluginavano come stelle in cielo, e piano piano annullò la distanza che li separava. Stordita e col cuore incastrato in gola, la piccola diavola si appiattì contro una parete – e lo sapeva eccome che era la mossa più sbagliata da fare, ma il suo corpo aveva deciso di fare quel che gli pareva: e il suo corpo era attratto come una calamita dall’innegabile, letale gnoccaggine di Rukawa, e il sake e le note di I’m not in love dei 10CC che si udivano dal pianterreno non facevano che amplificare il turbine sconosciuto di sensi che la scuoteva da capo a piedi.

Lui si appoggiò al muro con entrambe le mani, si chinò, socchiuse le palpebre e goffamente, lentamente la baciò. Aveva le labbra roventi e bagnate di vino e profumava di sapone, e una palla di fuoco esplose nelle viscere di Rumiko lasciandola senza fiato e mandandole le ginocchia in gelatina. Non chiuse neppure gli occhi, tale fu la sua incredulità.

Durò un minuto, forse meno, quindi il moro interruppe a malincuore il contatto, le gettò un’ultima occhiata ardente e si allontanò in perfetto silenzio fino a lasciarsi inghiottire dal buio di velluto.

La tokyota emise un singolo singhiozzo, si tappò la bocca con le dita tremanti e con le gambe che a stento la reggevano corse nella propria stanza da letto e si lanciò a peso morto sul futon. Era furibonda, su di giri, basita, confusa, triste e imbarazzata, si sentiva una completa idiota e andare a fuoco al tempo stesso e avrebbe voluto sia un pulsante reset per cancellare tutto che un rewind per rivivere quel minuto all’infinito, e quella botta di emozioni nuove e contrastanti la stese definitivamente.

Era stato il suo primo bacio, il suo primo, fottutissimo bacio!, realizzò un attimo prima di crollare addormentata. E non era stato Hanamichi Sakuragi a donarglielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

E adesso i casi sono tre: o picchiate Ruk, o picchiate Hana, oppure picchiate direttamente me XD

Geeeeeente, qui sta per scoppiare un immaginifico, scapestratissimo macello degno dei nostri squinternati eroi, e il Campionato è alle porte. Altro non aggiungo, questo capitolo parla da sé – sarà un bene o un male? °_°

 

Rinnovo i ringraziamenti per chiunque si sia fermato a leggere, per chi ha piazzato la storia tra le sue preferenze e soprattutto per chi ha commentato come sempre, ovvero kenjina e gattabianca! :)

E mi raccomando, se ciò che leggete vi piace fateci un pensierino e lasciatemi una recensione.

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

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Capitolo 15
*** quattordicesimo: (la gelosia) più la scacci e più l'avrai. ***


quattordicesimo: (la gelosia) più la scacci e più l’avrai.

 

 

 

 

Che qualcosa fosse accaduto lo snasarono perfino Akagi e Kogure, che solitamente non badavano a pettegolezzi e simili bischerate: mentre si recavano alla stazione centrale di Shizuoka per prendere lo shinkansen e tornare a casa, Rumiko si atteggiò come una che aveva appena rapinato una banca e cercava di non dare nell’occhio, col solo risultato che tutti ci fecero caso. Se ne stava in disparte, metà faccia celata dai giganteschi occhiali da sole e l’altra metà piegata in un cipiglio che voleva essere fiero e che sembrava invece la smorfia di una che sta trattenendo una sequela infinita d’improperi.

E in effetti la piccola diavola si barcamenava tra l’istinto di frignare come la peggiore tra le donnicciole e quello di prendere a cazzotti più o meno chiunque – l’ex MVP e il playmaker che la punzecchiavano dacché si erano alzati, la manager che insisteva con le sue domande da sorella maggiore e ovviamente il Volpino, che però se la stava giocando con invidiabile aplomb e si comportava normalmente. Colui Che Non Doveva Chiedere Mai aveva giocato le sue carte, aveva messo in chiaro ciò che provava e ciò che desiderava e ora lasciava, da perfetto gentiluomo, che fosse la dama a prendere una decisione senza farle alcuna pressione.

Sul treno la tokyota scelse di accomodarsi accanto al signor Suzuki e per un po’ parlò con lui del ritiro, di come gli era parsa la squadra, di cosa avrebbe riferito ad Anzai, di cosa pensava dei singoli giocatori; gli chiese anche qualche pronostico sul torneo, dato che conosceva e aveva lavorato con alcune tra le squadre avversarie, e il buon sostituto fu assai contento di risponderle. Poi Rumiko si ficcò le cuffie sulle orecchie, scelse di ascoltare i Tears For Fears e si isolò per il resto del tragitto, compreso quello in regionale da Atami a Kamakura, le braccia conserte e un’espressione ingrugnata degna di Norio Hatta.

Nel frattempo si sforzò di fare mente locale, perché a breve avrebbe rivisto Hanamichi e non era ancora sicura di come la cosa l’avrebbe fatta sentire. Non poteva negare che quel maledetto bacio l’avesse mandata in sollucchero e continuasse a rimescolarle il basso ventre ogni volta che ci ripensava, ma d’altro canto nessuno l’aveva mai baciata prima e non aveva né esperienza né modo di fare confronti. E poi c’era un aspetto talmente egoistico e squallido che la ragazza quasi si vergognava di averlo concepito: in cuor suo sperava che le labbra di Kaede, la sua ardente goffaggine e il fatto che per lei si fosse aperto a tal punto la conquistassero definitivamente, che le facessero dimenticare il Rossino, la gelosia per Haruko, la battaglia vana in cui si era infognata. Sperava così di salvare anche il suo rapporto con Rukawa medesimo, poiché l’amicizia era ormai irrimediabilmente compromessa e soltanto mettendosi con lui avrebbe evitato di perderlo, e tuttavia la prospettiva non le sembrava affatto un Lieto Fine.

Arrivarono in patria che era pomeriggio pieno, e il caldo era tale da aver fiaccato pure le cicale.

Si recarono in massa fino in palestra per recuperare biciclette e motorini, per definire gli ultimi dettagli prima della partenza per il campionato e per accertarsi che Sakuragi avesse portato a termine la missione che Anzai gli aveva assegnato. Rumiko accettò di seguire i compagni per amor di professionalità e per iniziale desiderio di incontrare di nuovo l’amato, eppure man mano che il liceo si faceva sempre più vicino la sua baldanza scivolava via miseramente: sulla soglia dell’edificio fu costretta a rallentare il passo e a rimanere indietro, il cuore che le batteva a mille come un martello pneumatico di fronte alla visione del Genio che, bello e sorridente come non mai, accoglieva la squadra con l’annuncio di essere riuscito nell’impresa dei Ventimila Tiri.

– Aspetta e vedrai, caro il mio Gorilla! – stava declamando il rosso, spalleggiato dalla sua Armata, dal Buddha Canuto che ripeteva solo “oh oh oh!” in tono soddisfatto e dalla Tonna, maledettamente adorabile e compìta con le sue guanciotte colorite che annuiva applaudendo.

Tutti presero a parlare del ritiro e degli allenamenti del giorno dopo (– Alle due qui! – vociava il capitano) e a sfottersi a vicenda (Hanamichi, Mitsu e Ryota in particolare); intanto Rukawa fu chiamato da una parte da Anzai e Suzuki a disquisire, probabilmente, dei suoi ulteriori progressi, e Ayako corse a salutare Haruko e a controllare che la scrivania fosse in ordine.

L’allenatrice non si mosse, sballottata da un alternarsi di emozioni tanto schizofreniche che al confronto Live and let die di Paul McCartney era una passeggiata.

– Ehi! Dove diavolo avete nascosto Rumiko? – saltò su d’un tratto il Re guardandosi intorno.

– Dove diavolo si è nascosta, piuttosto. – rise Hisashi indicandogliela.

Hanamichi la individuò, gli occhi gli brillarono e subito galoppò su di lei per stritolarla in un abbraccio che fortunatamente Kaede non notò. La minuta coach avvertì il groviglio nevrotico che le riempiva il petto esplodere in una patetica voglia di piangere e si irrigidì come uno stoccafisso nella possente stretta del Genio. Lui odorava di buono nonostante il sudore che gli imperlava la pelle, emanava calore ed era innegabilmente contento – se di vedere lei o di vedere gli amici in generale, questo nessuno avrebbe potuto dirlo con certezza.

– Rumi! Allora, non mi fai i complimenti per il mio allenamento speciale?

La tokyota riuscì ad allontanarsi quel tanto che bastò per ritrovarselo faccia a faccia, un misero sospiro a separarli, e non ce la fece più: senza fiato gracchiò un “bravo”, sgusciò tra le sue braccia come un’anguilla, guadagnò l’uscita incespicando come un naufrago che guadagna la riva e in quattro e quattr’otto fu in sella alla bici, sfrecciando giù per il viale come se stesse partecipando al Tour de France.

– Ma che ha? – domandò il Rossino, deluso e sconcertato. Aveva ancora addosso la sensazione del corpo esile di Rumiko premuto contro il suo, e non gli sarebbe dispiaciuto poterla prolungare.

Mitsui e Miyagi gli elargirono una pacca sulla schiena in sincrono:

– Problemi intestinali, è da ieri sera che fa avanti e indietro dal bagno. – mentì il cecchino.

– Niente di grave, però mi sa che ha bisogno di riposo. – minimizzò il playmaker.

Hanamichi si grattò la testa: – Se è solo per questo… Mi è sembrata strana, ecco. – borbottò.

Gli altri due si scambiarono un’occhiata significativa e lo rassicurarono ancora: l’indomani la piccola diavola sarebbe stata in perfetta forma e pronta per la sfida che li attendeva il lunedì.

– La conosci, no? Non molla mai. – sottolineò Mitsu.

Il rosso sorrise: – Sì che la conosco. – affermò con affetto, e tranquillizzatosi girò i tacchi per riunirsi al resto del team.

Ryota emise un fischio in sordina: – Mr. White, credo che ci sia del lavoro per noi.

– Elementare, Mr. Blonde. Appena la tua manager finisce qui andiamo di volata a casa Ishida.

– La mia manager! – sillabò il numero sette, deliziato. – A volte sei simpatico, per essere un cacchio di teppista sfregiato.

Hisashi gli rispose con un amichevole gancio destro sulla mascella.

 

 

– Grazie al cielo sono arrivati i rinforzi, Daisuke! – annunciò con sollievo la signora Ishida rivolta al marito, quando nell’aprire il portone le si pararono davanti i tre compari di sua figlia.

– Le Iene, intendi? – s’informò il signor Ishida dall’interno dell’abitazione, e Ayako scoppiò a ridere.

– Signora Ishida, cosa sta combinando Rumiko? – indagò Miyagi con una punta d’ansia.

La donna fece roteare le pupille, sbuffando: – È rientrata mezz’ora fa, ha grugnito qualcosa sul fatto che a Shizuoka si è divertita, ha sfrattato suo padre dal salotto e ci si è barricata dentro. Sta ascoltando Elton John a manetta.

La melodia di Goodbye yellow brick road che giungeva soffocata fino a lì e la voce stonata della ragazza ad accompagnarla malamente confermarono la versione di sua madre, che invitò il trio a entrare e sbolognò loro il difficile compito di sviscerare la situazione.

– Cos’è questa lagna? Bella, per carità, ma non è da te. – esordì Mitsu mettendo piede nella sala e interrompendo l’allenatrice proprio sul ritornello. – Ci manca solo che tu ti metta a versare lacrime sopra Endless love. Ci dobbiamo preoccupare seriamente?

Rumiko, che era in piedi sul divano in posa eroica e teneva una ciabatta in una mano come se fosse stato un Neumann da migliaia di yen, sgranò gli occhi nel prendere atto che i suoi migliori amici si erano precipitati da lei dopo la sua fuga da Maglia Gialla psicopatica di poco prima.

– Cheddiamine. Non so se siete più assillanti o meravigliosi, voialtri. – li accolse.

La riccia si affrettò a sollevare la puntina del giradischi dal vinile per interrompere la musica:

– Entrambi. Rumi, andiamo, è da ieri sera che cerco di scoprire cos’è successo con Rukawa e tu hai evitato sistematicamente l’argomento. Anzi, ieri sera sei andata di sopra a sciacquarti dal sake e sei sparita! Ti ho trovata in coma etilico in camera, alla fine. – riassunse.

– E il Ghiacciolo ti ha seguita su ed è risceso dopo cinque minuti. – interloquì Ryota.

La nostra divenne color rosso cupo fino alla punta delle orecchie e ricadde a peso morto sul sofà stritolando la pantofola tra le dita. Assillanti o meravigliosi? Quei tre erano delle spie russe!

– Non è che non volessi dirvelo, almeno per quel che riguarda i fatti di sabato, – mormorò da dietro la babbuccia, – è che non volevo dirvelo con la squadra e Rukawa nei paraggi.

L’ex MVP le si sedette accanto: – Sabato c’è stato qualcosa, fin qui ci siamo. E ieri?

– Merda secca! – imprecò Rumiko rizzandosi sui gomiti; – Possiamo parlarne altrove?

– Basta chiedere. – garantì il playmaker sfoderando dal nulla un tubetto di crema solare che era un limpido invito a trasferirsi sulla spiaggia.

– Shichirigahama! – approvarono infatti all’istante Ayako e Hisashi, i pugni in aria.

– Dicono che stasera ci sia una festa. – rincarò Ryota.

– Potremmo cenare alla baracchina.

L’allenatrice ricordò loro che non vedevano casa e famiglia da una settimana e che magari era il caso di cambiare programma, ma ovviamente quelle faine dei suoi compagni di scorribande escogitarono una soave scappatoia: a turno chiamarono i genitori dal telefono degli Ishida per avvisare che erano stati trattenuti in palestra e che avrebbero mangiato fuori e fatto tardi, e sordi alle proteste e ai lamenti attesero che l’amica indossasse il costume, la presero sottobraccio e si avviarono verso il lungomare nel bel sole dorato del tardo pomeriggio. I signori Ishida gliene furono grati.

Lo spettacolo impagabile del cielo privo di nubi e dell’oceano azzurrissimo e calmo rinvigorì in un baleno lo spirito allegro di Rumiko. L’acqua era tiepida e pulita, e i quattro ci sguazzarono dentro ruzzando come bimbi scemi per un’ora abbondante; poi si spalmarono sui teli da bagno a godersi i raggi finali della giornata che quieta si avviava verso il tramonto, e Hisashi si premurò di acquistare birra per tutti prima che la piccola diavola racimolasse il coraggio necessario per raccontar loro ogni cosa. Partì dalla serata al Blue Note, venendo così a sapere che nessuno aveva minimamente sospettato che lei e il Volpino si fossero appartati sulla terrazza, lì per lì, e riportò alla bell’e meglio la conversazione che avevano avuto. Quando citò il per lei sconvolgente “perché mi piaci”, i suoi tre amici si rotolarono sulla sabbia sghignazzando come Iene animali, piuttosto che tarantiniane:

– Mbeh? Non mi direte che ne eravate al corrente! – s’indignò lei.

– Muoio! – guairono i due giocatori, incapaci di smettere di ridere.

La manager si tirò su asciugandosi gli occhi: – Oh, Rumi, era talmente evidente che gli sei piaciuta fin dal primo momento!

– Perché non me lo avete detto?

Mitsu riprese fiato: – Per non impicciarci. Altrimenti avremmo anche dovuto dire a Sakuragi che sei cotta di lui, non ti pare? – le fece presente.

– Non hai tutti i torti, maledizione. – osservò Rumiko.

– E tu che gli hai risposto? – li interruppe Miyagi bevendo un gran sorso di Kirin.

– Niente di niente. Aya mi stava chiamando e ne ho approfittato per scappare e tornare dentro da voi. È per quello che ho evitato Kaede fino a ieri. E ieri…

Si bloccò, lo stomaco nuovamente annodato dalla solita palla incasinata di fuoco e turbamento. La luce calante si stava tingendo di una straordinaria sfumatura aranciata e qualche centinaio di metri più in là un nutrito gruppo di gente stava approntando quella che sembrava un’improvvisata pista da ballo spianando la rena e piazzando delle torce a delimitarne il perimetro. Il trio pazientò finché la tokyota non fu pronta a svelare l’evento chiave:

– Ieri mi ha baciata.

Se immaginava che ci sarebbe stato un bis di ululati e riso, a quella notizia, si sbagliava. Ayako, il cecchino e il playmaker la fissarono in silenzio, colpiti, e la ragazza si strinse nelle spalle seguitando a parlare a ruota libera: si era resa conto di avere un estremo bisogno di sfogarsi.

– Mi ha baciata e basta, non ha nemmeno fatto uno dei suoi “nh”, e dopo avermi baciata è tornato giù da voi. E il bacio in sé è stato fantastico, o almeno credo visto che non avevo idea di come fosse un bacio, prima di ieri sera, ma lui è mio amico e io non avrei mai voluto che finissimo in questa situazione, perché adesso non so come muovermi, non so cosa dirgli e mi dispiacerebbe perderlo del tutto, e…

– Frena, frena, mia giovane padawan. – disse Ryota dandole un buffetto; – Significa che non sai cosa vuoi?

La coach gonfiò le gote e soffiò, meditabonda: – Io saprei esattamente cosa voglio, lo so da un po’. Vorrei Hanamichi. Il problema è che non so cosa voglia lui, e invece Rukawa lo ha messo nero su bianco e mi corteggia da mesi a mia insaputa. E se rifiutarlo deve comportare che io rinunci alla sua amicizia e mi ostini a picchiare capocciate contro il debole abnorme che Hana ha per Haruko, allora… allora…

– No no no no, non scherziamo! – sbottò la riccia. – Stai dicendo che accetteresti di uscire con Kaede anche se non ti piace davvero?

– Mi piace fisicamente, ecco. – bofonchiò l’altra, a disagio. Ayako aveva colto nel segno.

– Fin lì ci arrivavo da sola, Rumi, sarebbe assurdo se tu affermassi il contrario. Ma se lo ritieni un amico non ne sei innamorata, e se non ne sei innamorata non puoi metterti con lui. Lo vuoi illudere? Vuoi autoconvincerti che sceglierlo sia una soluzione indolore? A me sanno di cazzate. – la incalzò la maggiore, e suonava molto severa.

Il sole era ormai un perfetto disco vermiglio in bilico sull’orlo dell’orizzonte e qualcuno sulla pista da ballo fai-da-te aveva acceso uno stereo portatile: Heaven only knows degli Electric Light Orchestra riecheggiò sull’intera Shichirigahama.

– Se lo scelgo, almeno Rukawa sarà contento. E magari lo sarà Hanamichi, che così avrà campo libero con Haruko, e forse tra un paio di mesi lo sarò anch’io. Non si sa mai. – ipotizzò Rumiko alla disperata, sebbene non avesse dubbi sulla sensatezza delle considerazioni della manager.

– Ti sfugge un dettaglio fondamentale, ma belle. – asserì Mitsu, pacato. – Hanamichi non sa minimamente di piacerti.

La nostra aprì la bocca, la richiuse e si passò le dita tra i capelli umidi: – Cambierebbe le cose? – chiosò dopo qualche secondo.

– Riflettici un attimo. Tu non avresti mai ritenuto il Volpino un papabile fidanzato o spasimante se non si fosse dichiarato, perciò come puoi sperare che Sakuragi s’interroghi su chi preferisce tra te e la Akagi se non farai lo stesso con lui?

– E se Hanamichi così scegliesse me ma solo perché pure lui pensa di non avere possibilità con Haruko?

Miyagi inarcò le sopracciglia: – Temo sia un rischio che dovrai correre. Se vuoi venirne a capo dovranno esserci tutte le carte in tavola, altrimenti non avrai certezze per decidere. Il che teoricamente comporterebbe che anche Haruko venisse informata della cotta di Hana…

– Se poi finisci con lo scegliere Sendo ti faccio un monumento. – commentò Hisashi, e Rumiko se la rise finalmente di gusto. Le avevano tolto un peso dal cuore.

– L’uomo a cui nessuna donna direbbe mai di no ti si butta praticamente ai piedi, ti pomicia con ardore in un corridoio buio e tu comunque sogni che sia Hanamichi a farlo. – pontificò Ryota spalancando le braccia: – Ma dove la ritroviamo una così?

– Certo, se Rukawa prova ad andare oltre le pomiciate…

– Mr. White, non essere volgare!

– Gli ormoni sono ormoni, Mr. Pink.

– Sì, ma i suoi ormoni hanno la faccia di Hanamichi.

– Mr. Blonde, questa te la potevi risparmiare. È un’immagine agghiacciante!

La piccola diavola emise un potente rutto: – Fatela finita, bestie.

– Ha parlato l’imperatrice, ha parlato.

Con l’atmosfera che aveva riguadagnato la propria consueta brillantezza decerebrata, i quattro gettarono al vento crucci e saggi consigli e fecero scorta di birre per la serata. Incuranti del crepuscolo si rituffarono in acqua, schiamazzando con gaudio, quindi raccolsero borse e asciugamani, si rivestirono – bagnandosi puntualmente gli abiti – e saltellando si recarono nel loro adorato ristorante in legno bianco per una cena a base di pizza.

Terminarono la notte in grande stile autoinvitandosi alla festa danzante per ballare come matti sotto le stelle, finché un’appagata stanchezza non li avvolse e li spinse a rotolare fino a casa per una corroborante dormita.

 

 

Il giorno dopo, malgrado l’orario indecente che aveva schiacciato in spiaggia, Rumiko arrivò in palestra di buon’ora e carica di ottimi propositi: era venerdì, e quella domenica sarebbero partiti alla conquista delle nazionali. La cosa le comunicava una notevole dose di eccitazione ed era persuasa che i suoi amici sarebbero stati gasatissimi e ingestibili, in quella penultima sessione di allenamenti, dunque prepararsi per tempo era d’obbligo.

Ayako, Anzai e Kogure era stati più puntuali di lei e stavano già occupandosi di scartoffie e palloni. Si salutarono, scambiarono qualche parola tutti insieme e mentre i primi membri della squadra facevano il loro ingresso nell’edificio la ragazza zampettò prontamente negli spogliatoi: il dialogo illuminante con le Iene la aveva rasserenata, ma di lì a volersi ritrovare davanti Kaede come se nulla fosse ce ne correva.

Indossò senza fretta shorts e canotta da battaglia e si legò i capelli nella sua solita coda alta, e le voci e lo scalpiccìo che distingueva attraverso muri e porte le rammentarono la mattina in cui aveva messo piede allo Shohoku, il suo primo incontro con quella splendida banda di scalmanati, il momento in cui il Buddha la aveva nominata sua vice. Erano trascorsi a malapena tre mesi, e guarda quante cacchio gliene erano già capitate!, pensò.

Riaprì la porta e immediatamente scorse la figura longilinea di Rukawa in fondo al corridoio, intento ad allacciarsi le stringhe delle scarpe. Sulle prime fu tentata di fuggire a nascondersi nel locale delle docce, e fu con inopinabile sforzo che si costrinse ad avanzare valutando tra sé che rimpiattarsi sarebbe stata una mossa più che stupida (il Gori l’avrebbe comunque scovata) e che presto o tardi avrebbe dovuto affrontare il bel tenebroso. Così si diresse verso di lui, impettita e scattosa come un Terminator, e sperò di cavarsela con un neutro “ehi, Rukakun”.

Il moro però non si accontentò: – Rumiko. – la richiamò.

Fancuuuuuulo, sbraitò la vocetta interiore dell’allenatrice, e il Volpino le si accostò:

– Stai bene? – domandò in tono apparentemente laconico.

– Mh. – mugolò lei imitandolo.

– Sei arrabbiata?

Rumiko si voltò e vide che il ragazzo la stava scrutando con sincera apprensione nelle profonde iridi scure, a discapito del viso imperturbabile. “Arrabbiata”, convenne con se stessa, era un aggettivo assai riduttivo per descrivere quello che provava.

– Non lo so. – confessò d’impulso, e si riferiva a più di una questione.

Kaede le carezzò rapidissimo una guancia: – Non c’è fretta. – replicò, e si avviò in campo.

Fanculofanculofanculo!, bissò la vocetta, e con la gota sfiorata che bruciava come se le ci fosse piovuta sopra della brace la nostra si fiondò a sedere alla destra di Anzai.

All’estremità opposta del corridoio Hanamichi, che senza volerlo aveva assistito alla bizzarra scena, udì la propria voce ringhiare: – Cacchio fa quel Ghiacciolo mezzasega?

– Occhio che le Volpi sono furbe! – bisbigliò Ryota alle sue spalle come se avesse intuito i suoi pensieri o se ne sapesse più di lui, e il rosso vacillò appena.

Nei centoventi minuti che seguirono si registrarono picchi epici di fanatismo e concentrazione, tanto che gli Eroi di Kanagawa osservarono il programma di esercizi convenuti senza che i due coach dovessero intervenire granché; la tokyota e Ayako cominciarono perciò a riunire in un’apposita cartella le schede, gli appunti e gli articoli riguardanti le formazioni ammesse al torneo interscolastico e fecero un paio di telefonate per accertarsi che i biglietti per lo shinkansen che li avrebbe condotti fino a Hiroshima fossero stati registrati ed emessi: erano biglietti di sola andata, e non c’era uomo o donna dello Shohoku che non bramasse di rimediare quelli del ritorno il più in là possibile. Il Rossino e il Volpino erano per fortuna troppo e doverosamente concentrati sullo Spalding e sul dimostrare la propria Stoffa Del Campione per cavillare su Rumiko, e lei notò che il suo amato calzava delle splendide, nuovissime e invidiabili ba-shoes nere e scarlatte.

Le rimasero talmente impresse che ad allenamento terminato aspettò il Re nel cortile della palestra, borsone a tracolla e walkman con dentro God shuffled his feet dei Crush Test Dummies, e come lo vide uscire lo apostrofò a bruciapelo:

– Hanaaaaaa! Compri delle scarpe da urlo e nemmeno te ne bulli?

L’interpellato fu felicissimo di sentirla garrula e scazzona come sempre:

– Sapevo che le avresti apprezzate, Rumi! – esclamò. – Le ho prese stamani. Quelle vecchie mi si sono bucate in cima. Lo sai che sono più alto di un centimetro e due?

La ragazza fischiò: – Wow! E quanto le hai pagate?

– Cento yen, ma Baffetto si ostinava a volermele regalare. Hanno i colori dello Shohoku e sembrano fatte apposta per me, non trovi? – disse Hanamichi con un sorrisone.

– Chi diamine è questo Baffetto che ti regala scarpe così belle?

– Quello del Chieko Sport. Alla prossima vieni anche tu con noi, vedrai che ti tratterà benissimo.

Rumiko aggrottò la fronte: – Noi chi?

Il Genio assunse un’aria melensa che la piccola diavola conosceva dannatamente bene: – Io e Haruko. Mi ha proposto lei di andare a fare spese. Non dico che sia stato un appuntamento, anche se Baffetto ormai crede che sia la mia fidanzata, però… – blaterò.

Per l’allenatrice fu come ricevere un calcio nello stomaco, esattamente lì dove tutto si metteva a sfarfallare ogni volta che il Rossino era a meno di un metro di distanza, ed era un calcio assestato con uno stivale borchiato, dal male che le fece. La speranza che la manager, Hisashi e il playmaker avevano contribuito a far rifiorire svanì di colpo, cancellata come una scritta alla lavagna: Don Chisciotte era stato meno testardo e meno imbecille di lei, nel combattere come un cretino contro i mulini a vento, e non c’era mulino a vento pericoloso quanto Haruko Akagi. L’ombra che le calò sul volto era così densa che non passò inosservata neppure a Hanamichi.

E a Hanamichi balenò in mente l’immagine del rivale che toccava la tokyota nel corridoio, e i suoi neuroni collegarono l’evento alla strana ritrosia di lei da quando erano rientrati da Shizuoka, a certe frasi del Verginello Artico, alla rissa sulla spiaggia, a Rumiko che in tono vibrante gli diceva “sempre” al telefono, e ciononostante l’unico interrogativo che prese forma dalle sue labbra fu:

– Rumi, devi raccontarmi qualcosa su quel segaiolo di Rukawa?

Lo sguardo con cui la ragazza lo trapassò avrebbe potenzialmente ucciso un Alien:

– In che senso? – ribatté, gutturale.

– Nel senso… – già, in quale senso?, ragionò lui. Nel senso che continuava a voler strangolare quel baciapiselli quando lo vedeva marcare il territorio intorno alla coach? Nel senso che intuiva la gelosia del baciapiselli suddetto nei suoi confronti e non se la sapeva spiegare? O magari nel senso che forse la gelosia era reciproca e che lui, il Genio, non riusciva più a distinguere se ciò riguardava la sorella del capitano o piuttosto Rumiko medesima?

– Beh, siete stati una settimana fuori, e lo sai, se la Volpe ha mostrato punti deboli io… – si risolse a buttare lì alla fine, facendo leva sul sentimento di sfida cestistica che in quell’assurda situazione era il solo a non essere mutato.

– A Rukawa non piace Haruko. – lo mise a tacere la piccola diavola freddamente.

Il Rossino avvertì una buffa bolla di vuoto scoppiargli in testa e nel petto, stordendolo, e comprese con abbacinante chiarezza che non era dovuta al semplice sollievo.

– Era questo che volevi sapere, no? – concluse Rumiko con voce piatta e distante, e inforcando gli auricolari si allontanò, avvilita e furente come mai prima d’allora.

Hanamichi la osservò pedalare via col cuore che gli martellava impazzito rimbombando fino alle tempie: era mai possibile che quel donnino incredibile avesse una cotta per lui? Era plausibile che una ragazza come Rumiko Ishida, così intelligente, così spigliata, così cazzuta e così bella, una che veniva dalla capitale e che giocava tanto bene a basket, si fosse invaghita di un teppistello di provincia come lui? Ed era concepibile che lo preferisse a Figoni Da Strapazzo quali la Volpe Da Frigo e il Più Porco Che Spino? Se lo fosse stato, capì di botto, lui ne sarebbe stato felice – ma per pura vanità o perché in fondo in fondo ricambiava eccome l’ipotetica cotta della Signora dei Canestri?

La risposta gli rimase ancora oscura. Qualcos’altro era invece innegabile: apprendere che Rukawa non puntava la Akagi non gli aveva procurato alcuna gioia trionfante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Voi che ne dite, il nostro eroe dai capelli rossi starà finalmente cominciando a svegliarsi? :D

E intanto siamo arrivati al Campionato: nel prossimo capitolo voleranno cazzotti con quelli del Toyotama!

Per chi se lo fosse domandato, Shichirigahama è la spiaggia principale di Kamakura, località balneare assai nota e amatissima dai surfisti; i Neumann, invece, sono microfoni professionali molto costosi. *fine dei dieci secondi documentaristici*

 

Continuo a ringraziare di cuore tutti coloro che leggono e seguono, e come sempre una mezione e un grazie mille! speciali per chi ha recensito, ovvero kenjina, gattabianca e lory: signore, i vostri commenti contribuiscono a fare di me una donna felicIe *^*

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

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Capitolo 16
*** quindicesimo: dritti alla meta. ***


quindicesimo: dritti alla meta.

 

 

 

 

Domenica primo agosto fu un glorioso toccasana fin dalle prime luci dell’alba.

Tersa, vivida, calda, assolata e inizio ufficiale del Campionato Interscolastico: con simili premesse nemmeno Rumiko rimase a lungo imbronciata, nonostante la disastrosa scoperta del venerdì e benché il giorno prima avesse fatto di tutto per evitare tanto Hanamichi quanto Kaede, agli allenamenti. Le era sembrato di correre una maratona a ostacoli.

Ma Hiroshima li attendeva e ogni cosa, quella mattina, prometteva trionfi a non finire.

La piccola diavola si recò da sola alla stazione centrale di Kamakura prendendo l’enoden costiero, trolley appresso e cuffie immancabilmente in testa, e gli altri rimasero di stucco nel vederla spuntare nell’atrio ballando come una novella Olivia Newton-John sulle note di Don’t leave me this way dei Communards con il suo tradizionale fare scanzonato. Vederla di nuovo allegra fu un bel sollievo per tutti, sebbene questo contribuì a interrompere le elucubrazioni del Rossino circa la sua recente cupezza: la ritenne uno scoglionamento passeggero, normalissimo, ma un piccolo tarlo gli rimase in qualche meandro del cervello, simile a qualcosa che cogli soltanto con la coda dell’occhio. Il Volpino non seppe invece come interpretare quel ritrovato spirito felicione, per positivo che apparisse.

Il viaggio non si prospettava esattamente breve – cinque ore abbondanti per arrivare sin quasi al capo opposto del paese – e una volta che ebbero preso posto sul vagone loro designato dello shinkansen gli Eroi di Kanagawa si concessero un pisolare collettivo per passare il tempo; il signor Anzai rimase sveglio e vigile, i corposi fascicoli preparati dalla sua vice e dalla manager aperti sotto il naso rubizzo, e attese con pazienza che i suoi valorosi si risvegliassero per sottoporre loro un paio di spinose questioni. I suddetti ripresero conoscenza mentre il treno, superata Nagoya, costeggiava il lago Biwa, blu, maestoso e calmo e incastonato come una pietra preziosa tra le verdi sponde, e così leggendario che al solo osservarlo la tokyota si sentì scuotere da un fremito d’orgoglio.

– Ragazzi, – se ne uscì d’un tratto in Buddha Canuto, – vorrei che deste un’occhiata qui.

In mano aveva una copia della rivista Basketball, per l’occasione interamente dedicata al torneo interliceale, e senza aggiungere altro la allungò ad Akagi indicandogli la pagina da guardare: erano stati pubblicati gli abbinamenti ufficiali tra le formazioni partecipanti.

Tutti si precipitarono attorno al sedile del capitano per sbirciare, e un grido unanime e sgomento si levò nello scompartimento spaventando il resto dei passeggeri:

– Cacchio, questa non ci voleva proprio!

Hanamichi corrugò la fronte e scrutò la tabella elencando tra sé i nomi presenti nel loro stesso blocco: – Sonno Kogyo, Toyotama, Kumamoto Daisan, Hokujo Shisho, Yokotama Kogyo, Aiwa Gakuin… Mbeh? Perché tanta agitazione? Il Toyotama è davvero così in gamba? – domandò riferendosi al loro primo avversario.

– Il vero problema è il secondo incontro. – lo corresse Mitsu, pallido.

– Paura del Sonno? – si stupì il Genio.

– Si legge “Sannoh”, do’hao. – lo rimbrottò Rukawa da dietro con voce catacombale.

Rumiko deglutì rumorosamente: – Non credevo che li avrebbero piazzati nel nostro girone. Già abbiamo l’Aiwa, che di suo non è roba da poco…

– Io non l’ho mai sentito nominare, questo Sonno. – ribadì il rosso, probabilmente in un rozzo tentativo di risollevare il morale minato dei compagni.

– Sannoh Kogyo, i campioni della prefettura di Akita. – declamò il Gorilla, grave come un comandante che prepara i suoi soldati alla battaglia fatale; – L’anno scorso sono stati loro a vincere il titolo.

– E due anni fa. – precisò Kogure.

– E anche l’anno prima. – rincarò la minuta coach.

Lo shinkansen si fermò dolcemente nella stazione di Osaka. Mancava l’ultima ora e mezza di tragitto, e Anzai approfittò della sosta per dileguarsi verso la toilette più vicina.

Sensei, lei lo sapeva, vero? Perché non ha subito detto loro contro chi avrebbero giocato? – lo apostrofò Ayako.

Il Buddha sospirò: – Volevo evitare un’inutile pressione psicologica in sede d’allenamento. Era necessario concentrarci su di noi, prima che sugli scontri futuri. – rivelò allontanandosi.

La riccia cercò lo sguardo dell’allenatrice ed entrambe inarcarono le sopracciglia con palese preoccupazione, frattanto che Kogure ripeteva: – Il Sannoh Kogyo, l’Aiwa Gakuin… Ci sono capitati due tra gli sfidanti più agguerriti dell’intera gara.

– Posso vedere il tuo biglietto? – disse qualcuno alle sue spalle, e un tizio dalla chioma lunga e mossa acconciata a coda gli passò un braccio intorno al collo con aria ostile.

Hisashi, Ryota e Rumiko balzarono immediatamente in piedi:

– E tu chi cazzo saresti? – ringhiò lei fissando in cagnesco il nuovo arrivato.

L’ignoto tamarro dedicò una fugace scorsa d’apprezzamento alle sue gambe e a quelle di Ayako, quindi tornò a strapazzare il povero Kiminobu: – Sei dello Shohoku, no? Avresti fatto bene a comprarne uno di andata e ritorno. Hai appena definito il Sannoh e l’Aiwa le squadre più forti del campionato, e chi ti ha sentito avrà pensato che il Toyotama non vale una cicca. Dovresti stare più attento alle stronzate che spari.

Fu il turno di Akagi di alzarsi: – Suppongo che tu sia del Toyotama. Che diavolo vuoi?

Il treno era ripartito, e il corridoio della carrozza si era riempito di nerboruti individui abbigliati come il misterioso attaccabrighe. Dal fondo il loro allenatore invitava invano alla diplomazia.

– Voialtri bastardi ci stavate insultando. – rispose il capellone.

– Ma se non stavamo nemmeno parlando di voi! – protestò Miyagi, piccato.

– Ah no? Leggete bene cosa dice quel giornale, idioti. – lo freddò il suo interlocutore mollando finalmente la presa sulla gola di Kogure.

La piccola diavola strappò la rivista dalle dita di Takenori e con una smorfia notò le valutazioni scritte in caratteri millimetrici accanto al nome di ciascuna formazione:  – A noi danno una misera C contro la A del Toyotama e la AA del Sannoh. Il ben noto numero 4, il centro Akagi, rappresenta la colonna portante della squadra. Da tenere in considerazione, potrebbe riservare alcune sorprese. Il suo obiettivo? Riuscire a superare il primo incontro. – lesse in tono schifato.

Un silenzio gelido calò sul gruppo di Kamakura e l’uomo del Toyotama sbuffò con disprezzo:

– Siete davvero ottimisti se sperate di poter fronteggiare il Sannoh.

Hanamichi se n’era rimasto stranamente zitto e buono al proprio posto, in tutto ciò, e non appena lo strafottente cestista transitò lì accanto allungò una gamba con assoluta nonchalance e lo fece inciampare, mandandolo a finire a pancia in giù sul pavimento del vagone. Tutti fecero “ooooh!”, la tokyota s’illuminò in volto e il tamarro si sollevò da terra all’istante con la faccia stravolta dalla rabbia.

– Tu, razza di stronzo! – urlò afferrando il Re per i capelli.

– Kishimoto, finiscila! – ululò disperato il tecnico del Toyotama.

– Che sta succedendo laggiù? – intervenne un controllore facendosi avanti.

Il ceffo si arrese e imprecando si lasciò condurre via tra i brusii sconcertati degli astanti.

Il Rossino tuttavia non si scompose affatto: – Ehi, codino, – asserì fiero, – al momento giusto mi ricorderò che hai cercato di schiacciarmi la testa.

– L’ottimista sei tu, Kishimoto, se speri di farla franca con Sakuragi l’Immenso. – convenne Rumiko con un baldanzoso sogghigno, e Hanamichi sorrise di nascosto sentendosi particolarmente felice.

 

 

Nel palazzetto dello sport principale di Hiroshima, tutte e cinquantanove le squadre parteciparono alla cerimonia di apertura della manifestazione. Fu mediamente noiosa e solenne e durò ben oltre l’ora di pranzo, e quando terminò molti degli atleti si ritrovarono nel cortile che circondava l’edificio, davanti al tabellone che riportava in grande le combinazioni delle future partite: c’erano i ragazzi del Kainan, con cui gli indomiti dello Shohoku scambiarono qualche sagace battuta e istigazioni non troppo velate, e dopo un paio di minuti comparvero, non richiesti, anche i bellimbusti del Toyotama. Maki e i suoi fecero loro abbassare la cresta, e ciononostante si sfiorò nuovamente la rissa. La sfida dell’indomani sarebbe stata una lotta all’ultimo cazzotto, comprese Rumiko.

La pensione in cui più tardi i campioni di Anzai scoprirono di essere alloggiati si chiamava Chidori ed era situata in una bella zona residenziale della città, tra i canali del delta del Kyobashi; era gestita da un’amabile famigliola ed era un ryokan di tutto rispetto, con tanto di onsen in giardino, e i nostri ne furono più che soddisfatti.

La sera presto calò, liquida e morbida, dal cielo color oro, e via via che quel giorno di vigilia volgeva a conclusione una sana ansia prese a impadronirsi dei giocatori, che la tennero a bada ciascuno a sua maniera. Ryota si ritirò nella vasca termale, Kaede crollò addormentato senza nemmeno partecipare alla piccola riunione post-cena improvvisata da Takenori, Hisashi e Kiminobu, il Genio intercettò una telefonata di Haruko e le due fanciulle della compagine si appartarono sulla veranda della camera loro riservata per gustarsi un buon thè freddo. Non parlarono di questioni amorose e la tokyota non fece menzione dell’ultimo dialogo che aveva avuto con Hanamichi: erano completamente concentrate sul match che li attendeva e studiarono le informazioni racimolate sul conto degli avversari. L’unico nome che le diceva qualcosa, prese atto Rumiko, era quello del capitano del Toyotama, Tsuyoshi Minami, eppure lì per lì non ne rammentò il motivo.

Ayako se ne andò poi a letto, i ricci neri ancora avvolti nell’asciugamano da doccia, e l’allenatrice raggiunse il Gorilla, il cecchino e il vice per vedere come stavano. Li trovò taciturni e sfuggenti, assillati dalla classifica che il redattore di Basketball aveva stilato a loro discapito, e Akagi confessò di sentirsi teso come mai gli era capitato – perché le nazionali erano sempre state il suo sogno, la sua missione da compiere, e adesso che ci era finalmente arrivato rischiando di uscirne al primo turno non riusciva a smettere di tremare. Mentre i suoi compagni si auguravano un buon riposo lui si dedicò a una corsa intorno all’isolato, sperando così di placare il proprio nervosismo, e nella notte tiepida tutti strinsero i pugni tra le lenzuola sperando nel migliore degli esiti.

Il jogging antelucano funzionò alla grande, e al risveglio il capitano era tornato quello di sempre, in forma e altero, e nessuno appariva più titubante o turbato: era lunedì due agosto, il sole splendeva e l’adrenalina era alle stelle. Saliti che furono sul piccolo bus che li avrebbe condotti al palazzetto loro designato, Hanamichi si sporse dal finestrino per salutare festosamente i proprietari dell’albergo e qualunque ignaro passante che gli capitasse a tiro, e la coach alzò a manetta il volume del walkman di modo che tutti si beassero dei gorgheggi di Freddie Mercury in Don’t stop me now.

Fu con una simile colonna sonora che giunsero a destinazione, sempre più gasati, e come se ci fosse ulteriore bisogno di rinfocolare gli animi il signor Anzai, negli spogliatoi, fece presente che essere classificati come squadra di serie C era più un vantaggio che qualcosa per cui prendersela.

– Con una classificazione del genere nessuno ci riterrà in grado di vincere. Lo capirete a fine partita. – spiegò; – Non so se queste graduatorie siano giuste o meno. Di certo il nostro compito è dimostrare che, per quel che ci riguarda, non lo sono.

Rumiko avvertì una scarica di fiducia per l’avvenire serpeggiarle in corpo e intuì che ai compagni doveva essere accaduto lo stesso:

– Di’ le tue ultime preghiere, Toyotama! – ruggì difatti Takenori, epico come Michael Caine nei panni di John Colby in Fuga per la vittoria, e con un unanime “Shohoku, fight!” tutti si riversarono correndo nel corridoio che conduceva all’arena di gioco.

Gli spalti erano già quasi al completo, nonostante fossero appena passate le nove del mattino. Il grosso del pubblico era composto da studenti del liceo rivale, brutte facce da teppisti che promettevano di scendere in campo per un pestaggio se le cose si fossero messe male per i loro beniamini – e in tal caso, suppose la nostra, avrebbero trovato pane per i loro denti; la curva opposta era occupata dalle Seguaci di Rukawa in assetto da combattimento e striscioni pronti, e in un angolino si erano accomodati l’Armata Sakuragi (bottiglie alla mano), la Ghenga di Mitsui (terrorizzata dalla tifoseria avversaria) e Haruko con le sue dame di compagnia. Poco più in alto la tokyota individuò anche i ragazzi del Kainan, un paio delle squinzie conquistate da Hisashi a Shizuoka e la graziosa fanciulla dal caschetto castano che aveva stregato il capitano.

Aveva ancora nelle orecchie il ritornello della canzone dei Queen, quando l’arbitro fischiò l’inizio dello scontro, ma l’idillio durò assai poco: in meno di un minuto Kishimoto nel ruolo di ala grande, Minami che ricopriva quello di ala piccola e il playmaker Daijiro Itakura segnarono sei punti a fila gabbando con inopinabile precisione i cinque di Kamakura. Al secondo minuto Minami centrò un canestro da tre e i punti salirono a nove, e le provocazioni dei suoi colleghi cominciarono a sortire il loro nefasto effetto sugli Eroi di Kanagawa.

Vessato dalla schiacciante superiorità di Codino e i suoi, il Genio si fece passare la palla da Ryota con il fulgido proposito di dare il via alla rimonta e di fare sfoggio di quanto aveva imparato nella settimana del Ventimila Tiri: lo Spalding disegnò una perfetta parabola e andò a finire, mirabilmente, tra le mani di Nobunaga Kyota che sedeva in tribuna. Rumiko si spalmò tutte e dieci le dita sulla faccia per cancellare quello scempio dalla memoria, il palazzetto scoppiò in una grassissima risata di scherno e immancabile scattò la sostituzione ai danni del Re vergognoso, che continuava a ripetere che non era quello che sapeva fare, che non era quello il suo vero potere.

Yasuda ne prese il posto in campo e Hanamichi sedette pesantemente sulla panca accanto alla piccola diavola mugugnando “merda” a ripetizione come se non ci fosse un domani. Lei non osò guardarlo, da tanto che era mortificata per lui e per quella figura di cacca di tiratura nazionale.

Ayako e il Buddha, intanto, stavano sfogliando i resoconti degli incontri vinti dalla formazione di Osaka: accumulavano sempre punteggi altissimi, ben oltre il cento, ed era lampante che impostavano un ritmo serrato per fiaccare i contendenti e fissare più distacco possibile entro la prima metà di ogni partita, così da garantirsi la vittoria.

– La strategia migliore per vanificare la loro è dunque rallentare la velocità di gioco. – rivelò l’allenatore.

– Per questo ha scelto Yasuda? Come sedativo? – borbottò la sua vice.

– Più o meno, Ishida. Per questo e perché noi abbiamo il dominatore dell’area sotto canestro.

E in quella, come a confermare le sue parole, Akagi realizzò una schiacciata che assicurò allo Shohoku i due punti inaugurali del torneo. La riserva riuscì a creare uno schema che fece del Gorilla il centro effettivo dell’azione, sia offensiva che difensiva, e al decimo minuto il Toyotama conduceva soltanto per 15-14, per l’immensa soddisfazione di Anzai e il crescente sollievo dei suoi valorosi atleti. Giornalisti e appassionati si meravigliarono di fronte all’exploit del numero quattro in maglia rossa, perché per il Giappone lo Shohoku e Takenori Akagi erano stati, fino a quel giorno, dei Signori Nessuno, e i bulli di Osaka compresero che fermarlo era la priorità assoluta.

Non avevano però considerato che il capitano non era l’unico campione di Kamakura: allo scoccare del dodicesimo Kaede si mise finalmente in luce e portò i compagni a un 18-17 che strappò ululati di gaudio alla panchina rossa e nera. Minami rispose con un lancio da tre che riportò il Toyotama in vantaggio per 20-18, e di nuovo Rukawa ne vanificò lo sforzo conquistando, con una clamorosa finta e un altro impeccabile tiro, un importantissimo pareggio.

Per Hanamichi fu un’epifania. Di colpo riconobbe la grandezza dell’odiato Volpino e le sue capacità, quelle cui lui aspirava e che aveva inconsciamente preso a modello, e dietro alla consueta invidia provò un’innegabile ammirazione e maggior rispetto. Si voltò verso Rumiko, sicuro di trovarla intenta a rimirare rapita le gesta del Ghiacciolo come avrebbe fatto qualunque donzella – una donzella dal Ghiacciolo baccagliata, per di più – e stupefatto si accorse che l’amica stava invece fissando Minami con espressione truce, le braccia incrociate al petto.

– Ace Killer. – la udì sillabare tra sé: – Tsuyoshi Minami viene chiamato Ace Killer.

Il rosso non ebbe il tempo di chiederle di più. Come se le avesse letto le labbra, l’asso di Osaka assestò una violenta gomitata sulla tempia sinistra di Rukawa, che lo stava contrastando in campo, e il bel tenebroso si afflosciò a terra privo di sensi. L’arbitro sospese il gioco e nel palazzetto si scatenò il finimondo: il gruppo di Kanagawa balzò in piedi, qualcuno chiamò a gran voce i soccorsi e la minuta coach galoppò sull’assossino come un panzer, le guance roventi di rabbia.

– L’ha fatto apposta! – urlò. – L’ha fatto apposta, il lurido bastardo! Era fallo intenzionale!

– Calmati, Ishida! – la redarguì Takenori sbarrandole la strada.

– Signorina, torni a sedere. – la freddò il giudice di gara. – È stato accidentale.

– Accidentale un par di palle!

L’uomo avvampò: – Signorina, vuole essere diffidata per il resto della partita?

– Ishida, vai in infermeria con Rukawa. Pare che abbia subìto una commozione cerebrale. – la pregò il Gorilla spingendola delicatamente indietro.

– Io lo ammazzo, quello là. – insistette Rumiko. – E forse anche l’arbitro.

Tuttavia obbedì al senpai e seguì i barellieri che avevano appena sollevato l’esanime Kaede per trasportarlo al pronto soccorso interno alla struttura.

Il Rossino la seguì a sua volta con gli occhi, scombussolato per almeno tre motivi: innanzitutto la mossa di Minami che, con la sua dose di infima slealtà, lo aveva indubbiamente infastidito, e chi se ne importava se a farne le spese era stato il Verginello Artico; secondo, il modo in cui la tokyota era scattata per difendere e vendicare il suddetto, scena che gli aveva ricordato come si era avventata su Fukuda dopo che questi lo aveva mandato a schiantarsi al suolo durante l’ultima sfida contro il Ryonan. E terza, l’alienante evidenza che la ragazza lo stava pressoché ignorando dal venerdì.

 

 

L’occhio sinistro di Kaede si era gonfiato fino a chiudersi ed era violaceo da far spavento.

Osservando il dottore che si affaccendava intorno all’amico per accertarsi che non avesse riportato lesioni interne, l’allenatrice si mordeva le nocche con apprensione: se si fosse ricordata prima del soprannome del capitano del Toyotama avrebbe potuto avvertire i compagni, metterli in guardia, e magari Rukawa sarebbe stato più cauto nel proprio corpo a corpo con lui. Il ragazzo si era fortunatamente ripreso, ma finché il medico non le comunicò ufficialmente che questi era fuori pericolo (occhio a melone escluso) Rumiko bestemmiò in gran segreto sudando freddo.

– La commozione cerebrale era lieve e superficiale. Potrai giocare il secondo tempo, se te la senti, a patto che tu stia attento a qualunque accenno di vertigine o dolore. Tampona la zona con del ghiaccio, nelle prossime ore, così da far diminuire la tumescenza. – chiarì l’uomo pulendosi le mani mentre il moro scendeva dal lettino dell’ambulatorio.

– Dottore, se vinceremo tornerò qui ad abbracciarla. – decretò lei con ardore.

– Io non ho fatto niente. È al giovanotto qui che è andata di lusso. – fu la bonaria replica, e con ciò i due liceali presero congedo e uscirono nel corridoio.

– A quanto stiamo? – volle sapere il Volpino, ancora un po’ pallido.

– Trentaquattro a ventotto per gli stronzi.

L’altro scrollò le spalle e si appoggiò al muro: – Mh. Temevo peggio.

– Tu stai bene? Te la senti di rientrare in campo? – indagò la giovane coach scrutandolo di sottecchi, e al cenno d’assenso che ricevette sospirò di sollievo: – Con tutti e cinque voi titolari possiamo rimontare senza troppe difficoltà. Mitsui non ha combinato niente, nel primo tempo, perciò sarà riposato, e con te e Hanamichi nuovamente in gioco…

– Il do’hao finora ha fatto schifo. – grugnì Kaede.

Rumiko gli appioppò uno scappellotto su un braccio: – Eddai. So che ci stupirà, deve solo smetterla d’incazzarsi come una biscia a ogni offesa di Codino. Come Miyagi con quel rospo di Itakura.

– E tu vorresti farla pagare a Minami. – sottolineò il bel tenebroso con un’inflessione eccessivamente tiepida che mise la tokyota sul chi vive.

– Vorrei ben vedere. È stato meschino e brutale e non gliela perdono. Non si feriscono impunemente i miei giocatori.

Si augurò di essere stata sufficientemente convincente nel suo ruolo di vice commissario tecnico iperprofessionale, eppure Rukawa si era fatto languido e intenso come a Shizuoka e la consapevolezza di dover risolvere le cose tra loro, di dovergli dare una risposta definitiva, la fece vacillare. Quello era tutto fuorché il momento adatto, ma comportarsi come se nulla fosse con uno che la stava palesemente per baciare per la seconda volta non era il massimo. Ed era stupido.

Tanto più che lei non desiderava più pomiciate d’alcun tipo, da parte del Rookie D’Oro – nonostante lui fosse sempre più gnocco e nonostante gli sfarfallamenti ormonali che le provocava: lo capì nell’attimo esatto in cui si sporse verso di lei socchiudendo le palpebre in un diurno déjà-vu della notte all’Ishibashi. D’istinto Rumiko si coprì la bocca, arretrò di un paio di passi con un salto da grillo schizofrenico ed esclamò un “No!” che suonò ridicolo persino alle sue orecchie, e Kaede si bloccò con una piega interrogativa dipinta sulla fronte.

– Rukakun, no. Non posso permetterti di baciarmi ancora. Mi lusinga da matti tutto questo, ma non ce la faccio, porca miseria. Mi piaci un sacco e ti voglio un bene dell’anima perché sei uno dei miei più cari amici, non perché sono innamorata di te. È questo il fottuto problema, Rukakun, e se t’illudo oltre sarò una stronza indegna. E non è che non sono innamorata di te punto e basta, no, è che sono innamorata di qualcun altro, e lo sono da prima che ti conoscessi. – sciorinò la piccola diavola tutto d’un fiato, le iridi spalancate e lucide e le gote tinte di rosso porpora. – E come cazzo mi viene da dirtelo adesso che c’è il Toyotama da seppellire, accidenti a me!

Rukawa ascoltò e metabolizzò quelle parole con esasperante lentezza, la testa che pulsava per le botte ricevute, fisiche e non. Pensò che Sakuragi non se la meritava, una così, pensò di fargli comprendere cosa si stava perdendo a forza di manate nei denti come quella sera sulla spiaggia, e pensò a una canzone assurda degli Harpo che s’intitolava Sayonara e raccontava di un tipo cotto perso per una little girl from Tokyo. Pensò che Rumiko gli era piaciuta anche perché non gli sbavava dietro come tutte le altre e che col senno di poi, cheddiamine, continuava suo malgrado a piacergli per questo e perché era stata onesta e diretta come una pallonata sul muso.

Infine gli sembrò di avere la mente meno confusa e al contempo il cuore finito ad altezza ginocchia, e con un profondo respiro si riappoggiò alla parete fresca:

– Ti ringrazio per avermelo detto. – mormorò senza sarcasmo.

– Fammi sapere se potrai mai scusarmi. – gracchiò la nostra in imbarazzo, pur sentendosi già più leggera.

Il bel tenebroso annuì appena, girò i tacchi e si diresse allo spogliatoio dello Shohoku. Lei bazzicò nel corridoio per un paio di minuti per calmarsi prima di tornare in campo.

 

 

Il secondo tempo si aprì all’insegna degli attacchi diretti.

I cestisti di Osaka portarono immediatamente il proprio vantaggio a dieci punti e il Rossino e Ryota azzardarono uno spettacolare alley-hoop che purtroppo Hanamichi annullò con le sue stesse mani, benché la sua prontezza di riflessi e la sua elevazione avessero suscitato grande scalpore. Kaede, che inizialmente non riusciva a calcolare le distanze e mancava i passaggi, ben presto scoprì che affidarsi alla memoria del corpo funzionava e infilò un paio di canestri che nessuno, all’infuori di un asso come lui, sarebbe stato in grado di centrare da guercio. Il rifiuto di Rumiko gli bruciava, e più gli bruciava più si trasformava nel Sacro Fuoco del basket, la sola fiamma che avesse conosciuto finché non la aveva incontrata, e ciò lo confortava a sufficienza.

Poi il Genio si aggiudicò un rimbalzo eccezionale, e dopo l’ennesimo tiro da due di Kishimoto il Gorilla volle fidarsi del collega dai capelli fulvi e gli lanciò lo Spalding: e il rosso lo lanciò dritto nell’anello con la maestria di un professionista consumato, e Anzai, Haruko, Mito, Okusu, Noma e Takamiya esultarono come pazzi; Akagi, Mitsui, Miyagi e Rukawa medesimo rimasero basiti, e la minuta allenatrice stritolò Ayako uggiolando dall’euforia.

– Ha-na! Ha-na! Ha-na! – gridò agitando un asciugamano per aria, e tanto l’interpellato quanto il suo scornato rivale videro la luce che le brillava negli occhi.

Da lì in avanti fu battaglia serrata e gli Eroi di Kanagawa fecero faville. Arrivò l’agognato turno di Hisashi e dei suoi incommensurabili tiri da tre, Ryota scattava come una scheggia e Takenori fornì loro degli assist da fuoriclasse. Il Toyotama non si lasciò mettere i piedi in capo e negli ultimi cinque minuti l’incontro si ristabilì su un pareggio di 81-81.

Il ritmo si fece sempre più frenetico, a discapito delle discussioni all’interno della squadra di Minami, e il Volpino sempre più concentrato e scatenato, incurante del fastidio datogli dalla contusione. Anche l’Ace Killer ebbe un incidente che lo costrinse a recarsi al pronto soccorso, e durante la sua assenza i ragazzi di Kamakura si portarono su un quasi inespugnabile 91-81. Il Re acchiappava rimbalzi su rimbalzi e segnò un altro splendido canestro, e appollaiata sulla panca la tokyota si sgolava a più non posso:

– Dai, dai, dai! Li battiamo, i tamarri! Non mollate, arrivate a cento!

– Brava, Ishida. Se i nostri danno ormai la vittoria per scontata rischiano di scavarsi la fossa da soli. È in momenti come questi che tra i perdenti accadono i miracoli. – sentenziò il Buddha Canuto.

In effetti il ritorno di Minami rinnovò le speranze di Kishimoto e soci, e con le proprie azioni sancì un pericoloso 87-91. Ma Akagi, in uno dei suoi doverosi e frequenti guizzi d’orgoglio, richiamò lo Shohoku alla realtà, e al fischio conclusivo dell’arbitro lui e Hanamichi si contendevano l’ultimo rimbalzo: sul tabellone risplendeva, invariato, quel 91-87 a favore di Kanagawa.

– Sannoh, preparati! – tuonò Rumiko al settimo cielo, e in campo e sugli spalti si festeggiò sventolando stendardi, volando bottiglie vuote e scambiandosi gesti gaudenti.

La manager, approfittando del macello generale, si accostò all’amica e le punzecchiò un fianco:

– Si limona di nuovo nei corridoi, eh? – ammiccò.

La sua interlocutrice diventò cianotica: – Parla piano! Vuoi rovinarmi? – sibilò trascinandola lontano dalle tribune; – E non ho limonato di nuovo nei corridoi, io.

– Però vi ho intravisti, tu e Rukawa, davanti all’infermeria.

– Gli stavo appunto dicendo che non posso stare con lui.

La riccia ne fu sorpresa: – E glielo hai detto nell’intervallo? Povero Kaede, non lo invidio.

– Discutiamone in albergo. Qui ci sono troppi testimoni. – la implorò Rumiko, e Ayako fu d’accordo.

La nostra si voltò allora verso le gradinate, senza volerlo, e tra il pubblico che abbandonava il palazzetto scorse Haruko: si era irrigidita alla balaustra e per una manciata di istanti la guardò con espressione glaciale. Quindi si riscosse e corse a raggiungere le sue dame di compagnia, e la coach rimase col dubbio di esserselo semplicemente immaginato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Ullallà. Sì, sono non in ritardo, di più: sono impegnata, sto scrivendo altre due storie e il Toyotama mi sta profondamente sulle palle, quindi scrivere di Codino e compari è stata dura XD

Spero comunque che il capitolo funzioni e che il Volpino non mi odi troppo. C’est la vie, Ruk!

Un tempo avevo annunciato ventun capitoli in totale, se ben ricordo, ma mi sono accorta che ce n’era uno di troppo e che dunque con questo siamo a quattro dal gran finale, epilogo compreso…

Il film Fuga per la vittoria è una di quelle storie epico-sportive che vanno viste almeno una volta :D

 

Noto con gioia che siete sempre di più, là fuori, e non so come ringraziarvi *^*

In particolare, come da tradizione, ringrazio gattabianca, lory, azumi e olive valance che hanno recensito all’aggiornamento scorso: signore, adorovi ! :,)

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

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Capitolo 17
*** sedicesimo: she loves you just the way you are. ***


sedicesimo: she loves you just the way you are.

 

 

 

 

– Così imparano quegli idioti a scrivere che siamo una squadra di classe C!

La voce trionfante di Mitsui accompagnò la grassa risata di Hanamichi e Ryota, che insieme a lui e al resto della squadra festeggiavano la meritatissima vittoria contro il Toyotama.

– Se siamo riusciti a sconfiggere quei coglioni da A possiamo già considerarci da AA. – rincarò il playmaker con un ghigno da Stregatto.

– Vangelo! – uggiolarono il cecchino e il Rosso.

Seduto compostamente sul tatami della sala da pranzo della pensione Chidori, momentaneamente adibita a sala riunioni dello Shohoku, Akagi stronfiò:

– Vedete di non montarvi troppo la testa, cretini.

Il Genio lo gratificò con una dose di sonore pacche sulle spalle:

– Eddai, Gorillone, rilassati. Lo so che sei contento pure tu. – lo blandì.

Il capitano seguitò a sminuire la partita vinta, ben sapendo cosa li attendeva l’indomani, ma non poteva negare a se stesso di essere più che felice. Inoltre aveva ricevuto una telefonata dall’allenatore Karasawa della Shintai, l’università con la migliore formazione cestistica del paese, e l’uomo si era personalmente congratulato con lui per la riuscita dell’incontro di quel giorno. Per Takenori era stata un’ulteriore conferma del fatto che alla Shintai lo avrebbero accolto con tutti gli onori una volta uscito dal liceo, di lì a qualche mese.

Anche Rumiko esultava con moderazione, appoggiata alla cornice della finestra che dava sul giardino. L’espressione glaciale di Haruko sugli spalti, al palazzetto, le era rimasta ben impressa in mente e prometteva guai, sempre che significasse che la Tonna aveva udito ciò che si erano dette lei e Ayako. E c’era l’ombra del Sannoh a gravare su tutti loro: l’importanza della sfida a venire era pari a quella di una finale, e la tokyota avrebbe dato qualsiasi cosa perché lo fosse davvero. Vincere il campionato, e vincerlo combattendo contro i campioni indiscussi, sarebbe stato un sogno.

– Dovremmo spostarci nel salottino. Il signor Anzai ha portato un paio di videocassette con le riprese del torneo dello scorso anno. – suggerì d’un tratto la manager.

– Sannoh contro Kainan? – chiese la coach, riscuotendosi.

L’amica assentì e fece cenno ai ragazzi di alzare le chiappe dal pavimento e seguirle nella stanza attigua. Rukawa saltò fuori dal nulla, l’occhio sinistro accuratamente incerottato, e si unì ai compagni con un’espressione che Rumiko non avrebbe saputo definire se scontrosa o concentrata – o entrambe le cose, com’era naturale in uno come lui. Lei e la riccia lasciarono la saletta per ultime e Ayako ne approfittò per bisbigliarle: – Kaede è arrabbiato con te per il due di picche?

La piccola diavola esalò un mugolìo d’insofferenza:

– Io mi preoccupo per il team di Domoto che ci aspetta al varco e tu mi vai a distrarre con questi altri casini?

– Ragazza mia, se prima non risolvi i suddetti casini dubito che riuscirai a concentrarti sul Sonno.

– E che altro dovrei fare? Rukawa l’ho scaricato. – sibilò Rumiko fermandosi subito prima della soglia della saletta tv.

L’altra sorrise con fare materno: – Dovresti parlarne con Sakuragi, no?

La minuta allenatrice aprì la bocca per ribattere ancora, la richiuse e scrollando il capo come un cavallo imbizzarrito infilò la porta per andarsi ad accomodare sulla poltrona accanto a quella del Buddha. Avvertì gli sguardi del Re e del Volpino posarlesi addosso ma non diede loro soddisfazione, dedicandosi invece allo schermo nebuloso del grande televisore: Ayako mise una delle cassette, afferrò il telecomando e l’inquadratura di un campo da basket già gremito di atleti comparve sul monitor. Dalle tende tirate si riversava morbida la luce rosata del sole calante.

Trascorsero i venti minuti del primo tempo, e man mano che i giocatori nel tubo catodico segnavano canestri su canestri ai danni del Kainan i commenti degli Eroi di Kanagawa si facevano sempre più sporadici e titubanti; al quarto minuto del secondo tempo il Sannoh conduceva per 89 a 79, senza lasciare spazi vitali a Maki e ai suoi, e sul team di Akagi era calato un silenzio di tomba.

– Embeh? – azzardò Hanamichi notando l’estremo pallore dei compari.

– Si vede che sei proprio un principiante, tu. – grugnì Miyagi: – Sei l’unico tra noi a non essere rimasto colpito dall’enorme potenza del Sannoh, guardando il filmato.

– Non è tipo da fasciarsi la testa prima di essersela rotta, lui. – chiosò Hisashi, quasi accasciato contro lo schienale del divano sul quale Ryota, il rossino e Rukawa erano sprofondati.

Rumiko, benché intenerita dalla spavalderia incosciente dell’amato, non riuscì a farsi contagiare da essa: il divario tecnico e di abilità tra i cestisti di Akita e loro era, o appariva, incolmabile, e di certo non un problema che avrebbero risolto nell’arco di una notte. Il trio formato dal numero nove, capitano e playmaker, dal centro con la maglia targata quattordici e dall’asso con il tredici era una vera macchina da guerra acchiappapunti ed era rimasto invariato dall’anno precedente, il che peggiorava ulteriormente la situazione.

– Scusatemi, faccio un salto in bagno. – annunciò frettolosamente, alzandosi.

La vescica le implorava in effetti misericordia, e prendersi una pausa dal tremendo spettacolo dell’imbattibilità del Sannoh Kogyo le avrebbe fatto bene. Tra il video e i famosi Altri Casini l’aria nella stanza stava per lei diventando eccessivamente tesa.

Era appena uscita dalla toilette dell’ingresso canticchiando Don’t bring me down degli Electric Light Orchestra quando intercettò lo squillo sfiatato del telefono della reception. Non c’era traccia dei proprietari, lì intorno, e dopo una decina di trilli la tokyota si decise a prendere la comunicazione. Magari era Hikoichi del Ryonan con nuove informazioni sul Sannoh, pensò.

Ryokan Chidori di Hiroshima, buonasera. – disse pomposamente nella cornetta.

La persona agli antipodi del filo trattenne il respiro, quindi rispose: – Rumiko?

Nel riconoscere la voce la nostra si irrigidì: – Haruko?

– Perché sei al bancone?

– Non c’era nessun altro e credevo che fosse Hikoichi. – spiegò la coach, e immediatamente si sentì stupida: cosa diamine stava a giustificarsi con la Akagi? – Vuoi tuo fratello? O forse Sakuragi? – domandò in tono brusco senza curarsi di minimizzare la provocazione. Le era salito tutto insieme il sangue al cervello, al ricordo di quanto aveva appreso da Hanamichi medesimo il venerdì prima della partenza, e improvvisamente desiderò un confronto diretto con la rivale.

– Volevo sapere come stavate, ma visto che hai risposto tu voglio parlare con te.

– Con me. – ripeté Rumiko a denti stretti.

– C’è qualcosa che devi dirmi a proposito di Rukawa? – incalzò Haruko, gelida.

L’allenatrice percepì un brivido di profondo fastidio serpeggiarle lungo la nuca:

– Perché ultimamente mi chiedete tutti notizie sul conto di Rukawa?

– Probabilmente perché state attaccati come gemelli siamesi. – soffiò la sua interlocutrice.

Un primo embolo deflagrò incazzoso nel cervello in ebollizione della piccola diavola, che dovette fare ricorso al risicato autocontrollo di cui disponeva per non mettersi a sbraitare: – E tu, Haruko? C’è qualcosa che devi dirmi a proposito di Hanamichi? – rilanciò scimmiottandola.

La Akagi esitò un attimo, palesemente colta in contropiede: – Cosa c’entro io con Sakuragi?

– Sarai tonta, Haruko, ma non fino a questo punto. – abbaiò Rumiko.

– Non rigirare la frittata! Sei tu quella che ha baciato Rukawa pur sapendo benissimo che piace da morire a me. – la freddò la Tonna suonando sorprendentemente spietata.

Il tono della nostra si alzò pericolosamente nell’atrio vuoto: – Io non l’ho baciato.

– Ho sentito Ayako che lo diceva!

– E tu sei uscita con Hanamichi pur sapendo benissimo che piace da morire a me.

Haruko vacillò nuovamente e sembrò perdere parte del proprio mordente: – Cosa?

– Haruko, dove stracazzo sei adesso? – tagliò corto Rumiko.

– A casa dei parenti di Fuji.

– A Hiroshima.

– Sì, a Hiroshima, ovvio. Perché? – borbottò la Akagi, confusa.

– Dammi l’indirizzo.

– Non vorrai venire qui adesso!

– Dammi l’indirizzo! – tuonò la tokyota strappando un pezzo di carta dal calendario appeso al muro più vicino e afferrando una penna a caso.

Haruko obbedì, lei scarabocchiò le indicazioni con mano febbrile e sbatacchiò la cornetta al suo posto mentre ancora la Tonna blaterava nel telefono. Si affacciò al volo nella saletta video per ululare una scusa incomprensibile circa la propria fuga, ignorò lo sconcerto degli amici e galoppò all’esterno dell’albergo in cerca di un mezzo che la conducesse a destinazione, il foglietto stretto tra le dita. Individuò una bicicletta dall’aspetto vissuto che qualcuno aveva parcheggiato senza catena sul ponticello d’accesso alla pensione e le balzò in sella, allontanandosi a tutta birra nel chiarore flebile del tramonto con un imbarazzante rumore di ferraglia.

 

 

Segnarsi un indirizzo e non munirsi di una mappa della città era stata una notevole cazzata, si rimproverò Rumiko al quinto passante placcato per farsi illuminare sulla strada da prendere.

Era trascorsa una mezz’ora abbondante e in cielo la striscia dorata lasciata dall’ultimo sole andava progressivamente assottigliandosi in favore del manto indaco del crepuscolo; l’orologio da polso della ragazza era prossimo alle ventuno e dalle finestre aperte delle case giungevano buoni odori di cibo, voci e rintoccare di stoviglie.

L’ometto gentile che pazientemente le aveva indicato la via la salutò bonario e la piccola diavola, ormai prossima alla meta, riprese a pedalare sull’asfalto azzurrino, sudata e stanca.

Il capitano la avrebbe fatta tonda, al ritorno, per aver mollato la squadra alla vigilia della Competizione della Vita (e per aver potenzialmente preso a calci sua sorella, se le cose fossero finite in vacca) – e Mitsu, Ayako, Ryota e gli altri cosa avrebbero pensato? Non rammentava nemmeno cosa diamine si era inventata nell’andarsene, e si augurava che nessuno la denunciasse per aver preso in prestito la povera bici scassata senza permesso. Maledetta lei e il suo inesistente sangue freddo, e maledettissima Haruko con il suo tempismo di merda e l’udito fino!, imprecò tra sé.

Finalmente un cartelluccio pressoché indistinguibile, da tanto che era mimetizzato sul muro in ombra di un condominio a due piani, le confermò che aveva raggiunto il chōme designato, e da lì individuare anche il blocco e il numero civico le fu facile: la rivale era uscita dall’abitazione e se ne stava immusonita sul marciapiede antistante, gambe divaricate e pugni sui fianchi. Rumiko frenò, scivolò giù dal sellino e con una scrollata di capelli tentò di ridarsi una parvenza di superiorità, benché si sentisse paonazza, in disordine e sull’orlo dell’esplosione.

– Spiegami cosa c’entro io con Sakuragi e col fatto che tu hai baciato Rukawa. – la aggredì la Akagi senza badare a cerimonie.

L’allenatrice emise un ringhio sordo e partì al contrattacco: – Cazzo, Haruko, ci sei uscita! Sei andata con lui a fare acquisti e sono pronta a scommettere che non era la prima volta, visto che quel Baffetto o come cazzo si chiama del negozio di sport crede che tu sia la sua fidanzata! E gli sei stata appiccicata per l’intera settimana dei Ventimila Tiri, e ci hai ballato quella sera al Dada’s, e chissà se c’è altro che io non so!

Per la terza volta in meno di un’ora, Haruko perse di botto la propria inusuale grinta e batté le lunghe ciglia con sincera perplessità: – Siamo amici. – opinò semplicemente.

– Anche per me Kaede è un amico, ma a lui io piaccio. E allo stesso modo tu piaci a Hanamichi.

Gli occhioni da cerbiatta della Tonna si sgranarono all’inverosimile e fu il turno di Rumiko di tentennare: se rivelandole quella nozione fondamentale avesse risvegliato nella contendente un subitaneo amore nei confronti del Rossino sarebbe stata la fine, e i due cuculi sarebbero presto convolati a nozze in un turbine rosa di petali di ciliegio e a lei non sarebbe rimasto altro da fare se non A) meditare vendetta insieme a Takenori, B) ricadere nell’abbraccio del bel tenebroso o C) darsi alla macchia con il Porcospino delle Meraviglie.

– Non ne avevo idea. – disse però Haruko con assoluta calma, rilassandosi pian piano, e la coach fece altrettanto allentando la presa fino ad allora spasmodica sul manubrio della bicicletta. Poi la sorella del capitano incrociò le braccia e sollevò il mento: – Resta il fatto che hai baciato Rukawa, Rumiko.

– No. Lui ha baciato me, a Shizuoka, l’ultima sera del ritiro. Io avrei evitato volentieri. – svelò la nostra in un sospirone. – E oggi l’ho bloccato prima che bissasse l’impresa e gli ho detto chiaro e tondo che non c’è storia, perciò non l’ho illuso né niente del genere.

– Cosa che invece ho fatto io con Sakuragi. Intendi questo?                                                 

La tokyota la fissò, le sopracciglia inarcate con fare eloquente, e Haruko scosse il capo:

– Mi dispiace. Non mi ero accorta di piacergli, altrimenti avrei evitato anch’io.

– Dai, Haruko. Fa lo scemo ogni volta che tu sei nei paraggi.

– Fa lo scemo un po’ sempre, secondo mio fratello. – sorrise la Akagi.

Rumiko ridacchiò suo malgrado: – Temo che abbia ragione.

– Quindi non puoi basarti su quello per sostenere che gli piaccio.

– Da quando lo conosco parla di te di continuo, cheddiamine!

La rivale si fece seria: – Parlerà forse di me, ma i suoi occhi è te che guardano. – replicò.

Nella sera tiepida, tra i brandelli di musica e conversazioni che le finestre spalancate lasciavano uscire, sotto le pozze aranciate dei lampioni e le sagome nere degli alberi rigogliosi contro la pallida luminosità del vespro, la Signora dei Canestri ebbe la sensazione di aver infine compreso appieno il nesso che le era risultato nebuloso per mesi, la soluzione che Ayako, Hisashi e Ryota medesimi le avevano illustrato:

– Non è detto che io non gli piaccia. – quasi esclamò, rimbecillita e speranzosa.

– E se non ti dichiarerai mai dubito che lo farà lui. – concluse Haruko.

La coach scoppiò in una risata argentina: – Credevo che sarebbe finita a manate e invece parlare con te è stata l’idea migliore che ho avuto da un bel po’ di tempo a questa parte.

Alla parola “manate” la Tonna diventò bianca come un cencio e incassò il collo tra le spalle, simile a una civetta che se la sta facendo tra le piume posteriori, e la piccola diavola si affrettò ad agitarle una mano davanti alla faccia: – Scherzavo, scherzavo! – la rincuorò. Evitò di aggiungere che avrebbe riconsiderato l’Opzione Cazzotti, se il Genio la avesse rifiutata in nome di Haruko, e chiosò con un bofonchiato “allora io vado”.

– Ci vediamo domani al palazzetto. – la salutò l’altra, ricevendo in risposta il cigolìo della vecchia bici che si allontanava di gran carriera.

 

 

Il dileguossi di Rumiko aveva destabilizzato gli animi già eccitati degli Eroi di Kanagawa, e il signor Anzai aveva avuto il suo daffare perché prestassero di nuovo attenzione ai filmati del Sannoh Kogyo. Tuttavia il ritrovato idillio era durato poco, e nel giro di un quarto d’ora Akagi, Mitsui, Miyagi e Kogure si erano depressi al punto di strisciare in giardino con la coda tra le gambe; il rosso ne aveva approfittato per scappare in bagno e l’unico a rimanere nella sala video, oltre al Buddha, era stato il Volpino.

Hanamichi non si crucciava granché per l’imminente scontro che sembrava aver tolto energie e baldanza ai suoi compagni – avevano paura del Sonno, gli sciocchi! – eppure non riusciva a togliersi dalla testa la recente ritrosia dell’amica. Era arrabbiata con lui? Era triste? Era confusa? Era immersa nei suoi doveri di vice allenatrice? Era colpa del Verginello Artico? Oppure era lui quello strambo che vedeva segreti e stranezze laddove tutto era normale, per quanto l’aggettivo mal si addicesse a Rumiko Ishida? Ci rimuginò sopra nella toilette e continuò a farlo persino nell’assistere a un sospettosissimo colloquio tra il Ghiacciolo (ancora bendato e malconcio) e quell’antipatico di Minami del Toyotama, che si era presentato alla pensione con un misterioso unguento per l’ex avversario: in altri casi il Rossino avrebbe origliato ogni minima sillaba che il rivale e il Calimero si scambiavano, ma quella sera a malapena badò al fatto che Rukawa aveva perentoriamente asserito di puntare a diventare il giocatore numero uno del Giappone battendo Sawakita del Sonno l’indomani. Non si curò neppure del quadretto pericolosamente romantico composto da Ryota e Ayako che passeggiavano fianco a fianco a lume di luna, scena che in giorni lontani lo avrebbe messo sul chi vive – perché insomma, se quel tappo del suo migliore amico, il suo Socio Nella Sfiga Con Le Donne, si fosse fidanzato con l’adorata manager, lui avrebbe perduto la propria fidata spalla all’interno della squadra. Tuttavia l’arrovellìo che il comportamento della piccola diavola gli procurava era più forte di tutto il resto.

Fu dunque con un buffo mescolume di sollievo e apprensione che la vide ricomparire di lì a qualche minuto, caracollando sulle ruote di una bicicletta che pareva dovesse cascare a pezzi da un momento all’altro. D’istinto le corse incontro, fermandosi al centro del ponticello sul canale che circondava il ryokan, e notò quanto la ragazza fosse su di giri.

E Rumiko riappoggiò il mezzo alla balaustra di legno con il cuore che, ne era sicura, le sarebbe saltato fuori dal petto nel giro di un attimo:

– Hana. – gorgogliò.

– Rumi, che cavolo è successo?

Lei inspirò profondamente: – Ho fatto un salto da Haruko. Avevamo una questione da risolvere.

– Da Haruko? Non avrete mica litigato? – si accigliò lui.

– Perché avremmo dovuto? – svicolò la nostra in tono debole. Non voleva raccontargli del diverbio, e non voleva che l’argomento del loro dialogo fosse per l’ennesima volta la Akagi.

– Per via di quell’imbecille della Volpe, magari? Siete tutti talmente strani, ultimamente! Lo stronzo mi sfida pure quando non ha minimamente senso e ti sta alle costole, Ryota mi raccomanda di stare attento perché “le Volpi sono furbe”, Haruko non ti considera più e tu, – prese fiato, – tu mi sembri tanto triste e arrabbiata ed eviti sia me che il Volpaccio, e me ne sono reso conto sì, Rumi, perché mica sono così coglione!

Qualcuno, in un casa vicina, alzò il volume della radio o di un giradischi e Moonlight shadow di Mike Oldfield riempì la notte con una puntualità disarmante.

Sorpresa dalla veemenza del Re e dalla piega che aveva preso il suo monologo, la tokyota sentì lacrime liberatorie pizzicarle le palpebre e capì che non ci sarebbero stati un qui e un adesso più perfetti di quel ponte e di quella straordinaria serata d’agosto per dirgli la verità:

– Sono innamorata di te. Dalla mattina in cui ci siamo conosciuti al campetto, Hanamichi Sakuragi, è di te che sono innamorata.

L’espressione che si dipinse sul viso del Rossino fu impagabile, e indecifrabile nel suo assoluto stupore. Senza smettere di guardarlo – né lui di guardare lei – Rumiko gli girò attorno e camminando lentamente all’indietro raggiunse la tettoia d’ingresso dell’albergo, e soltanto quando l’emozione ebbe la meglio gli diede infine le spalle e fuggì all’interno. Attraversò stanze e corridoi come un fulmine, incurante dei proprietari e dei compagni sbigottiti, entrò nella camera che divideva con Ayako quasi buttando giù lo shōji semichiuso nella foga, si catapultò sulla veranda e finalmente si fermò, rotolando sul legno fresco, le gambe penzoloni dal bordo.

E rise e pianse di gusto, la piccola diavola, perché era contenta, scossa, orgogliosa di sé e inebriata dal coraggio che aveva racimolato per confessargli quanto bene gli voleva, a Hanamichi. Ed era cotta di lui più che mai, e poco le importava di sapere subito se la ricambiava o meno: era la prima volta che provava dei sentimenti tanto forti per qualcuno, ed essere stata in grado di dar loro voce era un trionfo di per sé.

E il Genio sedette a lungo sulla spalletta del ponte, le guance in fiamme e il cuore che martellava e le farfalle nello stomaco, cullato dalle note che il giradischi suonava in lontananza e dalla brezza che soffiava dal mare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Ci sono, ci sono, non vi ho abbandonati!

E non ho nemmeno dato la precedenza ad altre storie in altri fandom: semplicemente, in questi mesi ho molti concerti e tutto il resto degli impegni traduttivi/casalinghi/sociali da assolvere e incastrare tra loro. In tre sere miracolosamente libere ho buttato giù l’intero capitolo – capitolo che tra l’altro non vedevo l’ora di scrivere *^*

Adesso tutti sanno, tutti si sono dichiarati, e mentre il Temibile Sonno incombe all’orizzonte il nostro Rossino dovrà sia condurre la squadra alla vittoria che prendere la sua decisione...

 

Purtroppo ho perso qualcuno per strada, temo, con questi ritardi, e confido di ritrovarvi da qui al gran finale: siamo a tre atti (epilogo compreso) dalla conclusione!

Grazie ai numerossissimi lettori, a coloro che serbano la storia tra le preferite/seguite e a chi ha recensito e recensirà, in particolar modo alle splendide gattabianca e lory: come sempre, signore, adorovi :*

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

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