Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
A
mio padre piacevano i computer. Gli piacevano più di ogni altra cosa. E
a volte – odio dirlo-gli piacevano più di noi.
Gli piacevano più di me, Mei e la mamma , intendo.
Mei era il soprannome di mio padre, e mio fratello era mini Mei, dopo che lui è morto e mio fratello è
cresciuto è stato inevitabile chiamare lui con quel nome. E così Mei adesso è mio fratello.
Non
sentiamo molto la mancanza di papà a dire il vero, è brutto da
dire, ma otto anni non sono abbastanza per ricordarsi
come stavamo con lui. Se ne è andato via presto.
Mei non ci pensa mai, ma è proprio uguale a lui. Non lo
vedo molto in giro per casa, se ne sta sempre in camera sua, col suo PC e le
sue diavolerie elettroniche. Una volta ha costruito un tostapane artigianale,
un'altra invece ha incendiato la cucina cercando di collegare il forno con il
suo portatile via etere.Dubito che
con un forno si possa fare una cosa simile, ma se si può fare
sarà sicuramente Mei a farlo per primo.
È
bravo a scuola, più bravo di me e direi che possa essere considerato un
Nerd, insomma i secchioni tutti studio e tecnologia, li chiamano così in
America e nei film vero?
La signora Pavesi bussò
energicamente alla porta della stanza più fredda di tutta la casa, attaccata
all’uscio c’era una cordicella a piccole sfere caratteristiche dei
vecchi sciacquoni , salvata anni prima alla
ristrutturazione del bagno. In famiglia erano sempre tutti molto restii a
gettare via qualche cosa che potesse avere un significato(anche
i volantini restavano sul bancone della cucina per mesi senza che nessuno si
occupasse di buttarli), ma quella catenella da gabinetto era eccessiva. Mei non era solito a impuntarsi su qualcosa, era un tipo
silenzioso che preferiva far prendere agli altri le decisioni, ma su quella
catenella era stato irremovibile, gli piaceva e non si sarebbe spostata di
lì, nemmeno se glielo avesse chiesto il padre eterno! E quindi la povera
signora Pavesi si era dovuta piegare alla buffa richiesta del figlio sul ciglio
dell’età adulta.
“Chi è?” chiesero
mestamente da dentro.
“Chi vuoi che
sia?
Sono tua madre! Posso entrare?” fece tronfia la signora Pavesi
dall’alto del suo metro e un
barattoloda
cui il figlio non aveva preso nulla né nell’aspetto né nel
carattere.
Oltre la porta c’erano
principalmente scartoffie, non che la camera fosse in disordine, ma
c’erano così tante cose (per la maggior parte
assolutamente futili) che era difficile trovare qualsiasi cosa si stesse
cercando, a meno che non fosse Mei a cercarle.
Sua madre si guardò in torno
prima di fissare il figlio negli occhi.
“Ehi, credi
che sia saggio tenere quella stufetta così vicina alla carta? Non è che
poi prende fuoco come col forno? Non starai mica cercando di
creare una connessione con la stufa elettrica!” esclamò minacciosa
la signora con quattro o cinque spilli in bocca.
Mei scosse
energicamente la testa quasi spaventato, “Ho
smesso con quella roba” dichiarò come se solo l’idea gli
facesse ribrezzo.
Mei assomigliava a suo
padre, solo era molto più schivo.Per quanto Mei senior non fosse un compagnone
in compagnia dava il meglio di sé, suo figlio invece magro e alto come
il padre, preferiva di gran lunga starsene chiuso nella sua camera a lambiccare
al computer, nel suo piccolo paradiso di venti metri quadrati.
La signora Pavesi, che nonostante
l’età conservava ancora un po’ della giovinezza perduta
negli occhi neri come il petrolio truccati di fresco
ogni mattina e nei vestiti ben curati che si cuciva personalmente fissò
il figlio, e per l’ennesima volta in diciotto anni sbottò
“Per la miseria Mei! Hai diciotto anni! I tuoi
coetanei vanno alle feste vanno, alcinema, escono , si divertono,
hanno degli amici,hanno una fidanzata, non puoi stare sempre chiuso nella tua
camera!”
I lineamenti marcati di Mei si incresparono mentre le sopracciglia nere si
avvicinarono tanto quasi da unirsi “Ieri sono uscito per andare a
comprarmi un videogioco” ribatté compunto lui.
L’intera statura gnomica della
signora ebbe un sussulto “Mei, il negozio di videogiochi
dista due isolati…” replicò battendo il piede sul parquet.
Mei voleva
visibilmente tornare alle sue diavolerie cibernetiche, ma sua madre sembrava
non avesse troppa fretta di tornare a cucire ciò che stava cucendo.
Invece rimase a guardarlo negli occhi, e lui non aveva il fegatodi
distogliere lo sguardo da quelle iridi che parevano scavare nell’anima.
Sicuramente suo padre si era innamorato di lei per colpa di quegli occhi.
“Marianna ha un problema col suo
computer… le ho detto che andrai ad aggiustarglielo” sputò
infine il rospo. La faccia del figlio cambiò completamente,
contorcendosi in una smorfia. Appoggiò la fronte sulla scrivania.
“No, mamma, Marianna no! tutte le volte che mi
vede non fa altro che dirmi che sono proprio un bel bambino e mi tira le guance
come se avessi due anni!” cercò di pigolare, ma fu inutile, sua
madre era irremovibile e uscì dalla porta col vestito a fiori che
svolazzava dicendo “E’ ora che tu esca e ti faccia degli amici,
potresti cominciare da qui no?”
Mei sbuffò e si
lasciò cadere sul letto abbacchiato“Non credo che un’amica
di mia madre sia il modo migliore di cominciare ad avere una vita sociale”
Mia
madre non ne aveva voluto sapere di far chiamare alla sua amica un tecnico, e
così mio fratello, succube com’è se ne dovette andare da
Marianna.
La
parte che doveva essere più piacevole si rivelò invece un
inferno. C’erano zone della città dove gli edifici sembravano
costruiti in serie, come se gli architetti avessero finito le idee. Marianna
abitava proprio in una di quelle case. E individuarla non fu semplice, Mei ci mise quasi un’ora a trovare il citofono
giusto.
“Sono
Mei” disse quando glielo chiesero, e la
risposta asettica su un secco “Terzo piano”. Mio fratello da sempre
nemico dichiarato degli ascensori evitò prontamentequel marchingegno preferendo le
scale, arrivato al terzo piano si ritrovò a dover suonare di nuovo.
Scocciato si chiese se non fosse maleducato trattare così un poveretto
che controvoglia era costretto ad andare a fare il tecnico a casa di gente che
a malapena conosceva.
La
porta si aprì in tutta calma, e apparve una ragazza bassa con la faccia
scocciata, una tuta blu e un asciugamano in testa. Sbuffò fumo in faccia
a mio fratello. “Tu seiMei?”
chiese con voce strascicata. Lui sbatté le palpebre e guardò la ragazza stralunato, poi annuì poco convinto come
per un secondo se lo fosse scordato, chi era.
“Entra,
e non dire a tua mamma che fumo, lei e la mia
chiacchierano un po’ troppo”, Mei la
seguì inebetito e la porta si chiuse dietro di loro.
Nikka, si faceva chiamare così.
Nikka, perché il suo nome non le piaceva. Nikka l’esteta per
eccellenza. Nikka, che avrebbe portato guai. A me e a Mei.
Eccomi di nuovo a scrivere.
Lo so che è una pazzia cominciare a scrivere qualche cosa di nuovo quando
ho già tre storie all’attivo, vi prometto (nel caso qualcuno le
leggesse) che “Il Potere delle Pesche” e “Nato
due volte” saranno aggiornate entro la fine della settimana
prossima, mentre per “Siamo alla Frutta” ci vorrà ancora un
po’ di tempo. Volevo scrivere qualche cosa di nuovo perché sono un
pochino in crisi e andare avanti con quello che ho iniziato mi veniva
difficile. Non so se la continuerò, ma se viene apprezzata è
probabile che mi gasi e che la continui. Infine ringrazio veve_tonks
per avere commentato la mia one-shot.
^__^ A questo punto ho finito e ringrazio in anticipo tutti quelli che hanno
letto fin qui!
Nicoletta,
o Nicole…sinceramente non so come si chiamasse, sta di fatto che non le
piaceva, e che si era trovata un soprannome stupido come Nikka.
Assolutamente inutile, che si limitava a starle bene. Ma a lei che importava,
lei era l’esteta.Nominata
nel nostro liceo “Studentessa
più elegante dell’anno”. In America hanno le reginette
di primavera, invece noi abbiamo queste cose qui. Probabilmente voi vi starete
chiedendo se c’è davvero qualcuno chesi è preso la briga di
decidere chi nella nostra scuola si veste meglio, e io vi posso dire di
sì. Diciamo che il mach finale è stato tra me e lei, ma poi mi
sono tinta i capelli di blu e pare che abbia perso apprezzamenti per questa
stravaganza. Ma comunque non divaghiamo e torniamo a mio fratello Mei tra le grinfie di quell’arpia.
Il ragazzo seguì la padrona di casa col
turbante dentro l’appartamento. Non era molto illuminato, le luci che la
signora Marianna aveva messo dovevano essere di voltaggio sbagliato si disse Mei, perché si stava cavando gli occhi per vedere
davanti a sé. La sua passione per le cose elettroniche spuntava sempre
all’improvviso.
“Ecco è per di
qua…”disse Nikka annoiata indicandogli la
stanza dove entrare. L’ambiente non era grande, e come il resto della
casa poco illuminato, c’era una lampada da tavolo che emanava luce
soffusa e una finestra aperta dalla quale, data l’ora invernale non
penetrava che scarsa luce.
A Mei si
illuminarono gli occhi quando vide il vecchio computer col cassone che stavano
affidando alle sue sagge cure. Per la prima volta da quando sua madre lo aveva
obbligato ad andare a casa dell’odiosissima Marianna, era contento di
aver accettato l’incarico. Lambiccare tra l’elettronica lo riempiva
sempre di gioia.
Nikka fece un mezzo sorriso
sbilenco mentre Mei tirava fuori baracca
e burattini intenzionato a rimettere a nuovo il vecchio catorcio.
La ragazza si buttò sul letto
continuando a fumare e a fissarlo insistentemente, ignorando il fatto che a lui
potesse dare fastidio.
E infatti a lui dava
fastidio. Deglutì un po’ a disagio, non era abituato a essere
osservato. A scuola le ragazze non lo vedevano nemmeno, a parte sua sorella, e
coi ragazzi non ci parlava se non per dare una mano nei compiti; così
rimaner da solo in una stanza, seppure in compagnia di un pc
anteguerra tutto per lui, con una ragazza lo metteva
un po’ in imbarazzo. Soprattutto perché lei non lo era per nulla e
si era sistemata a mo di sirena su un fianco tenendo la testa appoggiata alla
mano destra.
Aveva una tuta blu e un asciugamano legato
alla testa come se fosse un turbante, Mei non
l’aveva mai vista struccata, ma sotto la coltre di trucco quel giorno si
potevano notare due enormi occhiaie viola. Insomma lo aveva accolto in tenuta
da casa, si vede che la sua venuta non la metteva in imbarazzo, oppure aveva
davvero scarsa importanza.
L’aveva vista solo qualche volta a
scuola, ma sapeva che era considerata un’esteta ,
come sua sorella. Era strano vedere un’esteta in desabie.
“come hai detto che ti chiami?”
chiese dopo un po’ la ragazza con fare annoiato spegnendo la sigaretta in
una lattina di cola.
“Mei” fu
pronto a rispondere lui come se lo stessero interrogando. Il guizzo del ragazzo
la fece ridere, e lui arrossì visibilmente estrapolando la password
d’accesso senza chiederlo alla padrona.
“Io sono Nikka”
si presentò mettendosi a sedere , lui
annuì. Nikka ebbe la sensazione che quello
sarebbe stato più che una conversazione, un monologo.
“Ci siamo mai
visti da qualche parte? Che so a qualche festa? Io vado spesso
al Luxury…”
chiese cercando di capire perché non l’avesse mai visto.
“Non vado alle feste…” fu la
mogia risposta di mio fratello. Nikka si elettrizzò comunque credendo di aver capito di che tipo
di ragazzo si trattasse “Ah! Allora sei uno da rave! Alcol e canne!!” strillò entusiasta prima di aggiungere
“tranquillo non lo dico a mia madre”.
Ma Mei
declinò un’altra volta la categoria in cui l’avevano messo
dicendo, per la verità parecchio imbarazzato “Non bevo e non fumo…a
dire il vero non esco molto io…”cercò di spiegare lasciando
in sospeso un concetto assolutamente percepibile. Nikka ci mise un po’ per
analizzare la risposta del ragazzo che le stava di fronte, ma poi dopo le
dovute riflessioni aggiunse “Non mi dirai che sei un po’ nerd?
E stai in casa tutto il giorno davanti al
computer…?”.
Non c’era del disprezzo , più che altro dello stupore nel suo tono.
“Beh…a dire il vero è un
po’ così…” ammise infine Mei.
“Allora sei un hacker! Potresti svaligiare una banca via internet!” esclamò
ridanciana togliendosi l’asciugamano dalla testa e mostrando una ricca
coltre di capelli tinti di un colore a metà tra il castano e il
rossiccio.
“Beh…non è che sia proprio
il mio hobby…però credo che se mi ci mettessi riuscirei a
farlo…” disse Mei vergognoso. Il commento
si fece attendere e sbuffò fuori insieme al fumo della nuova sigaretta
che si era accesa “Figo…”
Era la prima volta che qualcuno lo definiva figo.
“Ho fatto” annunciò lui.
“Di già?” chiese lei
stupita vedendolo alzarsi dalla sedia, era davvero alto. Lui annuì
“Non c’era nulla, solo uno stupido trojanhorse…” .
Nikka fece una espressione strana che obbligò il ragazzo a
spiegare “Un virus…”.
Quando
Nikka cominciò a interessarsi a mio fratello
era chiaro che in realtà non si stava interessando a lui ma ai suoi
vestiti. Almeno, a me e a lei fu chiaro il suo intento, Mei
invece come prevedibile non aveva capito un tubo.
I
vestiti, erano i vestiti ad avere ingannato Nikka.
È ovvio essendo un’esteta è quasi l’unico parametro
che ti rimane intatto per giudicare le persone. E un ragazzo che va in giro
vestito come un modello, mai troppo elegante mai troppo sportivo o antiquato
non poteva essere un nerd.
Peccato
che Mei lo vestisse mia madre. Come vestiva me
d’altronde, ma io a differenza di mio fratello ero consapevole di quello
che mi affibbiava, lui invece viveva di sola inerzia senza chiedersi cosa mia
madre gli avesse rifilato quella mattina.
Credo
che le attitudini di nostra madre abbiano bisogno di una spiegazione: il suo
sogno era diventare stilista, ed era arrivata sulla buona strada, prima che mio
padre morisse togliendo così alla famiglia il suo sostegno economico,
così mia madre non aveva voluto rischiare di arrischiarsi in
un’avventura che poteva rivelarsi senza fondo, e aveva deciso di darsi al
ruolo impiegatizio riservandosi di vestire noi due.
Quando
Mei uscì da quella casa non poteva immaginare
che non sarebbe finita così, non poteva immaginare che Nikka avesse una mente così perversa da pensare che
dei vestiti del genere potessero essere sprecati su un nerd…non poteva
immaginare che ce l’avrebbe avuta intorno ancora per molto tempo…
Quando
arrivò a casa poi trovò ad accoglierlo nostra madre che credendo
di non essere vista ballava con il suo manichino in cucina, e me che fumavo in vestaglia sdrucita in corridoio. Anche gli
esteti a volte hanno bisogno di svaccarsi…
Eccomi qui di nuovo con
un capitolo idiota…a dire il vero non ho ancora deciso se la
continuerò, primo perché i personaggi non mi vengono come
dovrebbero venire(sono dei maledetti), per di
più ho già due fic all’attivo che
mi impegnano abbastanza…ma devo ancora vedere, se dovesse avere successo
potrei gasarmi e continuare a scrivere!!!
Ringrazio tantissimolisettaHche ha commentato. Ti ringrazio
tantissimo per i complimenti e ti dico che in effetti
credo che Nikka debba stare antipatica, o almeno
all’inizio, si spera che cominciando a conoscerla cambi!!^_^
Volevo aggiungere
un’altra cosa, se qualcuno leggendo questa fic
pensa sia stupido che questa gente si interessi solo ed esclusivamente ai
vestiti,sappiate che la cosa è assolutamente
voluta, diciamo che la storia gira intorno ai vestiti….che idee idiote
che mi vengono!!!!
Capitolo 3 *** Per fortuna non ho il nome di una torta ***
I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Terzo
Per
fortuna non ho il nome di una torta
Il
giorno seguente mio fratello seguì le lezioni
attentamente come al solito. Non che dovesse per forza ascoltare per capire, ma
lui ci teneva, era una di quelle tipiche persone a cui piaceva studiare.
Tipiche persone che io non capirò mai. L’indubbia intelligenza
ereditata da mio padre non gli negava di abbassarsi ad ascoltare i discorsi
noiosi dei professori. Gli piaceva soprattutto matematica, e così come
al solito dopo la lezione del professor Ruffi
uscì dall’aula facendo calcoli mentali irripetibili tra sé
e sé. Fu allora che quell’arpia di Nikka spuntò di nuovo
all’urlo di “Ehi, hacker!”, mio fratello si voltò
spaesato, sapeva di essere lui l’hacker, sapeva a chi apparteneva quella
voce, ma non era abituato al fatto che qualcuno a scuola gli desse attenzione.
Nikka
zampettò come un folletto accanto a lui, passandogli un braccio attorno
alla schiena come se si conoscessero da tempo. Era truccata, non in modo
eccessivo, nel senso che non era un trucco maleducato, tutto nei limiti
dell’eleganza, ma in dosi massicce per un bravo osservatore. Mio fratello
però non era un bravo osservatore, non lo era mai stato per nulla,
figurarsi per del fondotinta!
Mei la guardava un
po’ stupito, non era abituato a essere toccato, si sarebbe ritratto forse
se non lo avesse giudicato un gesto scortese nei confronti di Nikka. Nikka
diede un’occhiata a come era vestito, la signora Pavesi aveva sempre
cercato di conferirgli il fascino del bel
tenebroso con i suoi vestiti, ma al massimo Mei
poteva avere il fascino del nerd… sempre che i nerd abbiano un fascino.
“Che fai questo
sabato Mei? Vieni alla festa che sto organizzando al Luxury?” chiese allegra camminando con lui mentre si dirigevano al
cancello che portava alla strada, per andare a casa.
Mei balbettò un
poco, indeciso sul da farsi “Non vado mai alle feste ,
te l’ho detto…” disse poi con poca enfasi e parecchio
imbarazzo. Nikka arricciò la bocca pensierosa senza mollare la presa sul
ragazzo, mentre gli aveva afferrato stretto il maglioncino nero con le mani
dalle unghie smaltate.
“Ma a te come piace passare il tuo
tempo?” chiese poi più curiosa che
inquisitoria. Mei del canto suo avvampò, oltre
non essere abituato alle attenzioni, non era abituato al fatto che qualcuno gli
chiedesse qualche cosa della sua vita privata, che a dir la verità era
alquanto ridotta a poche attività.
“Mi piace stare al pc…”
ammise in fine.
“Questo lo so, me lo hai detto quando
sei venuto a togliere … togliere la troia..la…”
disse con un leggero tonoindisposto, soprattutto perché non era convinta di ciò che
stava dicendo, e Nikka odiava non essere convinta.
“Trojanhorse…” corresse Mei.
“Sì, quello” liquidò presto lei per continuare
“Dico oltre al pc…”
Mei ci pensò un
po’ su, non pensò di mentire e quando disse “Mi piace la
matematica” Nikka ci rimase un po’ male. Si aspettava che almeno
per amore delle apparenze evitasse di dirle cose così nerd. Non si
sprecò quindi a mascherare il suo disappunto e rimase un po’ in
silenzio con l’aria imbronciata, lasciando andare il suo maglione.
“Come mai ti
chiami Mei…? Non
è molto virile, dovresti trovartene un altro…” fece dopo
seria.
“Beh…mi
chiamo così fin da piccolo…cioè prima ero Mini Mei, poi sono diventato Mei. È il nome del
primo programma che ha creato mio padre…lo chiamavano tutti
così…ma stiamo parlando di parecchi anni fa,diciamo
che il programma Mei
ora potrebbe essere il moderno…” non fece in tempo ad entrare nei
dettagli tecnici perché Nikka lo fermò sbracciandosi
“Sì, sì Ok, ho capito…comunque è un soprannome
effeminato”concluse incrociando le braccia e sbuffando come una
locomotiva. Si accese una sigaretta e lo fissò dal basso.
“E tu perché ti chiami
Nikka?” chiese Mei per la prima volta
sinceramente interessato.
Lei alzò le spalle “Perché
è bello”.
Mei dopo quei due brevi
incontri non aveva ancora capito l’essenza profondamente estetica di
Nikka, e non capì come uno potesse darsi un soprannome così, per
capriccio.
“Odio chiamarmi
Nicoletta…”disse seria guardandosi le parigine grigio fumo che
indossava. Mei dondolava mollemente avanti e indietro
sui piedi, come un bambino alla sua prima recita scolastica che sta cercando di
ricordarsi le parole della canzone da intonare.
Poi dopo un momento cupo, come il cielo che
minacciava pioggia Nikka riprese il controllo della situazione dicendo ancora
seria “Allora verrai…” sorrise e aggiunse “è una
festa privata, ci vuole l’invito…”,gli
strizzò l’occhio e scappò via con il suo spolverino beige
che svolazzava, doveva arrivare a casa prima che cominciasse a piovere, non si
poteva bagnare le ballerine nuove.
Mei non capì se
era una domanda o un’affermazione; sta di fatto che la fissò un
po’ inebetito finché non fu sparita dietro l’angolo della
casa,intonacato di un orribile arancione marcio.
Se
c’è una cosa che ricordo volentieri del mio periodo alle scuole
superiori è il bar della scuola. Il bar mi salvava da un sacco di
lezioni antipatiche, e poi facevano un gran buon cappuccino. Peccato che a
volte mi imbattessi in individui come Milly.
Milly
quel giorno si posizionò con la sua amica dalla dentatura cavallina nel
tavolo accanto al mio, dove io in pace stavo sorbendo tutta la caffeina
necessaria a farmi carburare per l’intera giornata; fui perciò
costretta ad ascoltarmi tutta la sua filippica secondo la quale era preoccupata
che Nikka non approvasse il suo nuovo top rosa shocking.
A
questo punto vorrei fare un appunto : quel cavolo di
top non lo avrebbe mai approvato nessuno. Di certo non Nikka almeno.
Per
un secondo fui colta da un brivido, pensando che se fossi stata amica di Nikka
probabilmente mi sarebbe toccato un soprannome come Rachy,
Rackie… o comunque qualche cosa che avrebbe potuto somigliare moltissimo alla parola
“Racchia”, Milly doveva il suo stupido nomignolo al cognome“Millefoglie”, come la
torta. Glielo aveva conferito Nikka ovviamente. Fortunatamente in famiglia mi
chiamavano tutti Rachele.
Comunque
fu proprio quando mi stavo arrendendo a dover ascoltare le lamentele e le
infinite sciocchezze di Milly e la sua amica Puledro che mi accorsi di Nikka , che teneva il braccio saldamente attaccato alla schiena
di Mei.
Mei stava bene da nerd all’epoca, e non dubitai neanche
per un secondo che gli importasse qualche cosa di andare alla festa di Nikka.
Rimasi
un po’ frastornata quando tornando zuppo a casa, perduto sotto la pioggia
anche qual minimo di charme che gli conferivano i vestiti di mia madre
dichiarò “Rachele, devo andare a una festa, mi aiuti?”
Sono
quasi sicura che ci volesse andare solo per cortesia.
Mei non aveva ancora capito niente, non gli interessava Nikka
e non voleva dimostrare niente a nessuno, voleva continuare a vivere la sua
vita apatica, non perché non si curasse delle opinioni degli altri, ma
perché non pensava che si potessero avere opinioni su di lui, e andando
alla festa voleva solo essere gentile.
“Sì”
risposi infine alzandomi dalla sedia a dondolo e spegnendo il mio mozzicone di
sigaretta nel portacenere in vetro di Murano che mia madre aveva comprato in
viaggio di nozze.
Dissi
“sì”, ma non credo che Mei avesse
capito in che senso “sì”, lo avrei aiutato, ma non nel modo
che intendeva lui.
Salve a tutti, spero
che questo capitolo sia degno di essere chiamato tale,perché
sono un po’ giù di corda, e questo è tutto tempo rubato
allo studio del valore di costo (che cosa appassionante!!), sono un
po’ stressata, spero che la narrazione non ne abbia risentito, e che le
frasi abbiano tutte un senso logico, anche se ho riletto non mi fido mai del
tutto della mia attenzione scarsissima!!^__^
Bene dopo questo
inutile sproloquio passo hai ringraziamenti sentitissimi
per chi ha messo la storia tra i preferiti e naturalmente a chi ha commentato:
lisettaH :sono felice che Nikka non ti stia
proprio antipatica, però ti dirò sinceramente, forse
all’inizio dovrebbe essere antipatica(non lo so neanche io!!! Lo so che
nell’altro capitolo ti ho detto di no…forse dovrebbe essere
soggettivo e basta..chissà, tanti dubbi e poche certezze!!) e per quanto
riguarda la sorella di Mei, in questo capitolo può sembrare
un’attuatrice di piani loschi e malvagi a scapito del povero fratello
ebete, ma lo fa a fin di bene!!
Rohchan: ti ringrazio
tantissimo! Si è un po’ presto per parlare dei personaggi e della
trama, ma ce la sto mettendo tutta perché si capisca qualche cosa al
più presto!!
Crimsontriforce: grazie soprattutto per i complimenti all’introduzione, mi
danno sempre un sacco di problemi perché non so mai che scrivere!!! In questo capitolo la mamma non c’è, ma
apparirà di nuovo col suo immancabile manichino!
Quando
dissi a mia madre che avevamo bisogno di un vestito per Mei,
i suoi occhi si illuminarono d’oro. I miei decisamente meno , ma ciò nonostante quando due donne Pavesi decidono
di prendersi cura di qualche cosa , questa cosa viene fuori ,sempre,
irrimediabilmente meravigliosa, e così mio fratello venne fuori al suo
meglio. Acconciato con la camicia e il suo sguardo da opossum smarrito me lo
trascinai fuori.
Non
avevo ancora deciso cosa avrei fatto una volta al Luxury,
ma nonostante questo non mi tirai indietro e lo accompagnai, camminammo a
braccetto per tutto il percorso senza parlare. Lui non era un chiacchierone e
io ero una di poche, ma significative parole. Non so
se fosse un bene o un male, ma io e Mei non parlavamo
se non c’era niente da dirsi. Lui non sapeva ancora se volesse davvero
andare a quella festa, e so che probabilmente avrebbe voluto
scappare a gambe velate, io non approvavo che lui ci andasse e avevo
decisamente bisogno di una birra, che potevo trovare solo e unicamente alla
dannata festa di Nikka. Eravamo in ballo e avremmo ballato, e io avrei avuto la
mia birra!
Era
inevitabile, davanti al Luxury il sabato sera
c’era sempre un inferno, un mare di persone che si accapigliavano per
entrare o per litigare con qualcuno. È incredibile come davanti alle
discoteche venga sempre una gran voglia di fare i grossi.
Mei colpì per sbaglio un paio di
persone e si beccò una quantità indescrivibile di insulti e dita
medie, sua sorella non ci badò e continuò ad avanzare nella massa
tirandolo per la manica della camicia mentre lui si prostrava in scuse con
tutti.
“Allora
Mei…chiama quella tizia e dille che sei
arrivato…e che ci venga a prendere, perché dalla faccia del
buttafuori direi che non entreremo mai!” comandò Rachele sputando
veleno mentre parlava di Nikka.Mei annaspò per qualche secondo facendo ordine tra
le idee tutt’altro che ordinate. Ma non ci fu bisogno di nessuna
telefonata, perché sopra il rumore si sentì una voce nota
“Ehi Hacker!” . I due fratelli si
voltarono a guardare una ragazza con un vestito lilla e delle scarpe eleganti
con tanto di fiocco che li salutava dall’alto dell’entrata della
discoteca, su una scaletta antincendio dall’aria tutt’altro che
chic.
“Razza
di una baldracca” brontolò Rachele a mezza voce senza farsi
sentire dal fratello.
Mei impacciato e introverso ci mise un
po’ prima di arrivare alla scala avendo premura di non urtare e chiedendo
permesso e scusa a chi lo colpiva per sbaglio o meno.
Guardò
incerto la scala arrugginita , poi diede
un’occhiata alla sfavillante Nikka che aveva tutta l’aria di essere
la regina della festa; prima di arrampicarsi fin su con gli occhi bassi.
Se il primo
giorno che l’aveva incontrata gli aveva messo soggezione con solo una
tuta e un asciugamano di spugna in testa, allora con quel vestito di raso e le
scarpe eleganti lo terrorizzava.
“Ciao
Nikka” disse come se si stesse confessando senza alzare gli occhi dalle
proprie scarpe. Il saluto della ragazza fu decisamente più caloroso, e
come se si conoscessero da una vita gli lanciò le
braccia al collo schioccandogli un bacio sonoro sulla guancia liscia. Saluto
molto coreografico, tutti urletti eccitati e occhioni truccati. Nikka era bella così, era bella
nel suo mondo.
Il sorriso
tutto denti si affievolì un poco quando vide dietro il ragazzo un volto
conosciuto, accompagnato da una cascata di capelli bluette e un vestito nero
coi lustrini.
“Lei
è con te?” domandò come se stesse guardando una lumaca in
putrefazione. Rachele da dietro il fratello le rispose con un sorrisetto
sghembo e un’avida boccata di fumo alla sua sigaretta. Poi le
mandò un bacio soffiato.
Nikka non
raccolse la provocazione e ricomiciò a fare
sorrisi plastici ancora più forzati dei precedenti “Su venite dentro…nel privee
c’è il rinfresco!” dichiarò infine facendo strada
seguita a ruota dalle inseparabili Millie e Faccia di
Cavallo( che per comodità Rachele aveva cominciato a chiamare FdC), che l’accompagnavano dappertutto sghignazzanti
e adoranti come due ottuse dame da compagnia.
“Non
si può fumare dentro il locale” redarguì il buttafuori
bonariamente appoggiando una mano grande come un badile sulla spalla esile di
Rachele , la quale si voltò con la calma e la
freddezza di un serial killer ,per poi squadrarlo da capo a piedi e dirgli
“E allora? Lo faccio sempre!”
Imperterrita
se ne andò in giro con la sua sigaretta appesa in bocca lasciando
l’uomo decisamente attonito.
L’immediata
reazione di Mei invece, decisamente più
spaesato della sorella, fu di tapparsi le orecchie, e chiedersi se per caso
stava cadendo il cielo. Rachele di diede una gomitata
sui reni che lo fece rinsavire “Non fare lo stupido…ti ci
abituerai” sibilò priva di alcuna pietà per il fratello
nerd. Mei aprì un occhio e si guardò in
giro per assicurarsi che fosse tutto al suo posto, ma non gli sembrava di vedere
nulla.
Si
guardò in giro, gli sembrava di essersi drogato, era come avere la
febbre, vedeva la gente muoversi a scatti, tra le luci intermittenti del neon e
gli sbuffi di fumo bianco che spuntavano da sotto la consolle. In quel momento
si chiese chi cavolo glielo avesse fatto fare di andare in quell’inferno.
Riuscì a riprendere coscienza di se stesso giusto in tempo per sentire
un tizio invasano urlare in un megafono “Su le mani!” e una masnada
di gente spintonarlo alzando le braccia al cielo e continuando a ballare come
se fossero stati tutti indemoniati.
“I
vocalist andrebbero tutti lapidati” fu il commento acido che Mei riuscì a sentire al di sopra del rumore.
Indovinare a chi appartenevano le parole non era certo un’impresa ardua.
In quel
momento spuntò Nikka dal nulla, emergendo dalla massa come sollevata da
una forza sovrannaturale urlando esaltata “Tesoro!” e buttando le
braccia al collo al vocalist con gli occhiali da sole che si sperticò in
complimenti alla sua persona urlando fesserie nel suo megafono. Meiinebetito veniva sballottato malamente dai presenti che
dimenavano i fianchi. “Ecco un altro motivo per odiarlo”
ringhiò Rachele con aria truce. Nel mentrelui stava cercando di liberarsi
da una ninfomane ubriaca con una parrucca rosa che stava tentando di baciarlo.
La ragazza
prese suo fratello per il gomito e cominciò a trascinarlo al comando di
“Mei andiamo a prendere da bere”,
incurante del fatto che il povero malcapitato stesse prendendo gomitate da
chiunque si trovasse sulla sua rotta.
“Prendi
una birra?” chiese lei guardandolo negli occhi. Approfittò di un
suo attimo di riflessione per darsi una risposta da sola “Forse è
meglio di no, ho idea che tu non regga nulla” concluse allungandosi sul
bancone posizionandosi su uno sgabello dalle gambe lunghissime. “Magari
dell’acqua” azzardò timidamente lui cercando di ingobbirsi
il più possibile per essere notato poco. Ma probabilmente non abbastanza
perché si ritrovò colpito da un pugno in pieno volto che lo fece
volare per terra sul pavimento appiccicoso “Prova di nuovo a toccare il
sedere alla mia ragazza e ti ammazzo!” grugnì un tizio in
catenacci e canottiera mostrando un pugno che probabilmente non vedeva l’ora
di sferrargli. “Ma io …” cercò di protestare lui
ancora a gambe all’aria circondato da un sacco di ragazzi brilli che
inneggiavano alla violenza gratuita.
E forse
sarebbe finita così se Rachele non avesse messo una mano sul braccio
muscoloso dell’uomo nerboruto e con voce seria non gli avessesussurrato
qualche cosa che Mei non sentì. Il bestione lo
guardò sottecchi lanciandogli un’occhiata perplessa poi
annuì e tornò al suo drink.
Pratica porse
una mano al fratello e lo aiutò ad alzarsi tra gli schiamazzi delusi del
capannello di avvinazzati che era accorso per assistere alla rissa.
“E’
mai possibile che tu riesca a cacciarti nei guai senza fare niente?” fece
lei divertita precedendolo tra la folla.
“Ma non è colpa mia! E poi cosa gli hai detto?” chiese lui
vagamente esasperato massaggiandosi il naso, mentre Nikka tra la cortina di
fumo attorno alla consolle gli mandava un sorriso tutto denti.
“Gli
ho detto che era impossibile che tu gli avessi toccato il sedere perché
sei gay!” spiegò Rachele con semplicità disarmante sorseggiando
la sua birra.
“Ma
io non sono gay!” sbraitò lui mentre un colorito simile al magenta
gli inondava le guance e lei prendeva una manciata di ghiaccio dal cestello
dello spumante per piantarglielo sull’occhio leso.
“Chiamasi
ingegnoso artificio!” ribatté
subito prima che un tizio con un pellicciotto arancione iniziasse a urlare
insulti al suo indirizzo “Stupida megera coi capelli blu! È
possibile che ti debba vedere anche qui?”
“Ricambio
i tuoi sentimenti brutto idiota!” lo
rimbeccò lei lanciandogli in testa la sua birra con inaudita violenza.
Come era
apparso , il tizio sparì di nuovo tra il fiume
di persone.
“Chi
era quello?”domandò Mei sbigottito.
“Quello chi?” replicò sua sorella sbattendo le ciglia con
aria angelica.
“Come quello chi?Quello a cui hai lanciato la
birra!”vociò stringendosi nelle spalle.
“A quello? Non
è nessuno” rispose con voce svagata con gli occhi mezzi chiusi
“Ti va di andare nella sala dei lenti? Credo che sia
più adatta a te, sai ballare i lenti?” chiese prendendolo per mano
e ancheggiando lentamente verso la porta.
“A
dire il vero no”
“Beh,
l’unica tua preoccupazione sarà di non
pestarmi i piedi, il resto non importa”concluse con un sorriso
mefistofelico sul volto.
Mei rimase fermo sulla soglia della sala da
ballo con la testa reclinata da un lato e un’aria perplessa. La stanza
era pervasa di luce soffusa tendente al violetto e di strascichi di chiffon
appesi al soffitto. “Questo posto fa tanto Il tempo delle mele, non trovi?”
Rachele
arricciò le labbra e si guardò in giro con un vago senso di
allegria “Vagamente…”fu la rispostasmorta di sua sorella che
ondeggiò un poco fino a trovarsi davanti a lui e potergli tendere la
mano “Allora si balla?”
Il ragazzo non fece in tempo ad afferrarla perché si
ritrovò davanti una ridente e forse un po’ alticcia Nikka che gli
passava una mano sul fianco “Ti stai divertendo Hacker? Queste cose non le puoi fare col pc!” sghignazzò quasi usandolo come appoggio
mentre Millie e FdC la
seguivano a ruota come due gallinelle. L’una infilata
in un vestito rosa confetto che la faceva sembrare un insaccato, l’altra
con un abito pieno di frange con cui poteva somigliare benissimo un’indianina dal volto equino.
“Oh,
sì è un posto molto…molto…intimo e
tranquillo…” mentì spudoratamente ,
con scarso successo tra le altre cose. La ragazza lo guardò un po’
dubbiosa , ma poi l’alcol la riportò alla
sua beata incoscienza “Sì è vero, è carino!”
cinguettò barcollando un po’ verso di lui, e montando un po’
il suo stato alcolico. Poi si voltò lentamente verso Rachele con aria di
sfida, si lanciarono un paio di sguardi assassini, e mentre Mei
stava per presentale, Rachele lo prese per il
colletto, lui inevitabilmente volò in avanti e lei lo intubò in
un bacio mozzafiato.
Il ragazzo
rimase con gli occhi sgranati mentre Nikka e le sue amiche lo guardavano con un
cipiglio irritato e poisi allontanavano decisamente deluse
con un mesto “Ciao”.
La ragazza
azzurra aprì un occhio e monitorò la situazione, nessuna
bisbetica pettegola esteta era nei paraggi. Si staccò
dal fratello e sputò per terra schifata “Che schifo! Ho
baciato mio fratello!! AH! Sta notte avrò gli
incubi! Bleah!”.
Lui la guardava attonito “Ma Rachele! Cosa cavolo fai?” .
Lei lo
guardò scocciata “Non credi che sia meglio andare a casa?”
disse piatta. Mei alzò le spalle e
puntò gli occhi in quelli della sorella. Lui voleva tornare a casa
più o meno da quando era entrato in quel luogo infernale.
Lei sorrise
e lo prese per mano e insieme uscirono.
E così mio fratello diede il suo
primo bacio alla vergognosa età di diciotto anni, per di più a me.
Sputacchiai per tutta la strada del ritorno. Arrivati a casa lui
s’infilò subito nel suo letto, quasi di corsa. Io rimasi in cucina
a chiacchierare con il manichino di mamma, non che potesse rispondermi, ma a
volte mi aiutava chiacchierare con qualcuno che non potesse parlare. E poi quel
servo muto oramai faceva parte della famiglia, troneggiava in cucina da anni,
ballava con la mamma , parlava con me e assisteva a
tutte le trovate cervellotiche di mio fratello, era uno di noi insomma.
I dubbi sul bacio che diedi a mio fratello
mi vennero subito. Lì per lì, quando avevo visto Nikka
abbarbicata addosso a Mei, mi era sembrata la cosa
migliore da fare per allontanare quell’arpia da
quell’irreprensibile cucciolo di opossum di Mei,
ma col tempo sono sempre più convinta che attirai
la sua attenzione su di lui. E fu così che cominciò una battaglia
che non potevo vincere. Sperai ardentemente che non venisse fuori che eravamo
fratelli, se no si sarebbe parlato di incesto per tutta la scuola. E per di
più il giorno dopo nostra madre avrebbe visto l’occhio nero di Mei, e sarebbero stati cavoli amari.
Sospirai, andai in camera di mio fratello e
gli rincalzai le coperte(sembrava davvero un cucciolo
di opossum), poi me ne andai a letto anche io. Avrei pensato a tutto il giorno
seguente.
bene sono tornata con un nuovo
capitolo, ci ho messo un po’ ad aggiornare lo so, ma è un brutto
periodo con la scuola, e anche quando ho momenti liberi non riesco a scrivere
cose decenti. Spero che questo capitolonon sia malaccio! Comunque voglio
ringraziare tutti quelli che hanno commentato, nello specifico:
Selene_Malfoy:ah,sono felice che sia
interessante! Ho sempre paura di essere lagnosa!! Il
nome Mei non so come mi sia venuto fuori, so solo che
non mi piace dare nomi usuali, perciò metto soprannomi a destra e a
manca. E lui si è accaparrato Mei! Per Nikka
lo so che sembra un’oca , e forse un po’
lo è…ma ti assicuro che tutto dopo un po’ avrà un suo
perché ^__^
The Corpse Bride: anche sta volta ti
devo ringraziare tantissimo, non sai quanto mi ha fatto piacere ricevere i tuoi
commenti. Approfitto di quest’angolo per ringraziarti anche per il
commento che hai lasciato alla mia one-shot!
Mi ha fatto piacere che ti sia piaciuta, a un certo punto mi ero preoccupata
perché mi sembrava troppo grottesca (Tim Burton???^__^uuuh!!).
comunque neanche in questo capitolo si è vista
molto Nikka, ma direi che dal prossimo non sarà più una presenza
marginale. Spero che l’apparizione della sorella di Mei
ti abbia soddisfatto, è un po’ brusca, ma gli vuole bene!
LisettaH :
Beh, diciamo che la frase drastica dell’aiuto che Rachele voleva dare a Mei si spiega un po’ di più in questo
capitolo! Nikka non si vede molto, ma apparirà in tutto il suo splendore
di perfezionista al più presto!! Grazie mille
per il commento!!!
Grazie 1000 anche a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi
legge solamente!
Come
avevo previsto , la mattina seguente gestire mia madre
non fu semplice. Quando entrai in cucina mio fratello se ne stava con la faccia
praticamente dentro alla ciotola dei cereali e mia madre volteggiava attorno al
suo manichino con aria gioviale. Rimasi per un attimo appoggiata allo stipite
della porta fumando a guardare la scena, finché mia madre non si accorse
di me e proferì un allegro “Buon giorno tesoro, dormito
bene?”
L’uscita
di mia madre fece distogliere Mei dai suoi cereali, alzò
la testa per guardarmi. Cosa che scatenò l’irreparabile.
Per
poco mia madre non morì soffocata nel vedere l’occhio pesto di mio
fratello. Mi sbattei una mano sugli occhi ben intenzionata a non assistere alla
scena, poi esasperata mi andai a sedere al tavolo. Spensi la sigaretta nel
portacenere scheggiato che avevo fatto alle medie con la creta e mi servii i
cereali mentre mia madre guardava ancora atterrita Mei,
come una grottesca rappresentazione moderna dell’urlo di Munch.
Quella
situazione assurda , nella quale entrambi si
guardavano a bocca aperta si dissolse un poco con mia madre che chiedeva con
voce tremula “Che cosa hai fatto all’occhio , tesoro?”
Mio
fratello rimase per tutta risposta a guardarla sottecchi con la bocca socchiusa
e lo sguardo opaco di un barracuda sul bancone della pescheria. Dopo un
po’ riprese coscienza della situazione e deglutì agitato, per poi
cominciare a dire balbettando “Mi…mi hanno lanciato…”
cercò di svicolare inventando qualche scusa. Nel frattempo io avevo
quasi finito la mia ciotola di cereali.
“…mi
hanno lanciato…un…un kiwi”.
Un
kiwi? Un kiwi??? Pensai di aver sentito male , ma
probabilmente non era così perché anche mia madre ripeté
perplessa “Un kiwi, Mei? Ti
hanno lanciato un kiwi?”. Probabilmente anche lui si rese conto di
aver detto una fesseria, perché inarcò le sopracciglia e
assottigliò gli occhi.
“Ehm…”,
ovviamente non sapeva cosa rispondere. Ma si potrà essere così
stupidi da dire di essere stati colpiti da un kiwi? Come se al Luxury andasse di moda lanciarsi la frutta. Data
l’innegabile complicatezza del discorso decisi di prendere in mano la
situazione e di dire la verità. Se bisognava dire delle bugie almeno
bisognava dirle bene, se no era meglio non dirle. Questa era la mia filosofia.
“Un
tizio gli ha tirato un pugno” ammisi infine io senza dare troppo peso
alla conversazione e guardando con accuratezza tutte le mele dentro la
fruttiera a forma di gallina, per vedere quale fosse la più invitante.
“Un
pugno?” ripeté guardando me.
“Un
pugno?” continuò mia madre guardando lui. Mei
alzò le spalle senza sapere cosa dire. “E perché?”
Decisi
di prendere la situazione in mano per la seconda volta “Un culturista
insinuava che Mei avesse toccato il sedere alla sua
ragazza” scandii masticando lentamente i miei cereali e scuotendo il
cucchiaio per aria.
“Mei è vero?”vociò mia madre senza fiato
guardandolo con gli occhi fuori dalle orbite. Mei
aveva reinstallato il suo sguardo da Opossum imprigionato in una tagliola.
Come
al solito fui io a dover rispondere, perché se avessimo aspettato mio
fratello tra balbettii e sussurri avremmo fatto notte “Certo che no , mamma! Come se non lo
conoscessi!”
Mia mamma si consolò un poco per la gioia
di avere una vaga idea dell’indole del figlio, ma poi tornò
preoccupata con lo sguardo, a posarsi sulla mia persona. “E tu che hai
fatto Rachele?”
Per
un secondo mi frullarono davanti agli occhi tutti i momenti della mia vita in
cui avevo dovuto salvare Mei come se fosse dovuto, e
mi resi conto che non avevo alcuna intenzione di accompagnarlo per mano fino
alla pensione. “Gli ho detto che era impossibile, perché Mei ègay” dissi io
tranquillamente.
“Mei è gay?” strepitò guardandolo.
“No!!” dicemmo in coro, mentre io litigavo col cucchiaino
del miele sbrodolando tutta la tovaglia di plastica a fiori che mia madre aveva
messo sul tavolo della cucina. A quest’ultima affermazione ci teneva
molto più lui di me. Ripensai alla sera prima, e mi dissi che non potevo
fare cosa più stupida. Oltre al fatto che per la scuola si sarebbe
gridato all’incesto in quattro e quattrotto,
per di più mi stava cominciando a infastidire il fatto che Mei non avesse la facoltà di gestire da solo la sua
vita. Bene da quel momento se la sarebbe cavata da solo.
I rientri pomeridiani non erano mai stati
amati dagli studenti, e certo gli schifosi pasti confezionati della mensa non
aiutavano ad allietare la situazione. L’unico conforto era il dessert,
quel giorno c’era la millefoglie.
La situazione in mensa era sempre la stessa,
Nikka e un gruppo di bellocci coi vestiti firmati se ne andavano in giro a fare
gli splendidi, poi c’era il gruppo delle ochette che li adulavano, una
manciata di persone anonime e qualcuno che decideva di cercare solitudine in un
tavolo singolo.
Tra queste persone c’erano sempre i
fratelli Pavesi, peccato che la solitudine di Rachele durasse sempre poco, per
qualche motivo finiva per essere attorniata da un gruppetto di ragazzine
petulanti che avevano spostato il loro centro di adorazione da Nikka a lei, con
grande fastidio di quest’ultima. Rachele diede un’occhiata alle tre
ragazze sgraziate con i capelli blu che si stavano sedendo accanto a lei per
poi sbuffare e mettersi a guardare invidiosa il fratello che a differenza sua
riusciva sempre a rimanere da solo.
Mei
infatti
riusciva sempre a preservare la sua intimità all’ora di pranzo;
sempre ma non quel giorno.
Mei e Rachele
sussultarono di sorpresa uno da una parte l’altro dall’altra del
salone, per l’arrivo di Nikka , che senza tanti
complimenti e con una sorta di eleganza aristocratica si accomodò sulla
sedia davanti a quella di Mei.
“Buon giorno Mei…”
salutò gioviale accavallando le gambe mentre la gonna non troppo corta
frusciava sulla sedia. Come ombre Millie e
l’amica equina si accomodarono con molta meno grazia allo stesso tavolo.
Rachele fece una smorfia mentre le comari con
capelli blu l’adulavano. “Oh, Rachele ,
che bello smalto! Come vorrei essere bella come te!” .La Pavesi le
lanciò un’occhiata di disapprovazione per poi tornare a fissare
suo fratello, la infastidiva abbastanza che quelle ragazzine civettuole
cercassero di copiarla in tutto. Era come se la scuola pullulasse di sue brutte
copie. Invece a Nikka sembrava che facesse piacere, era una cosa che non
riusciva a capire.
Mei rimase basito per poi
accennare un saluto balbettante e imbarazzato “Ciao Nikka…”.
Le due ragazze che la seguivano si distrassero
un attimo dal loro pranzo per fargli un sorriso tutto denti, che non fece altro
che intimorirlo di più. Anche Nikka sorrise, ma l’eleganza
cambiava molte cose.
“Allora non mi avevi detto che stavi con
la Pavesi”
cominciò con aria appositamente svagata mentre rompeva il nylon della
sua insalata scondita.
“Io non sto con Rachele…è
mia sorella” vociò Mei più
sconvolto che altro. Nikka fece scivolare la sua lunga coda di cavallo da una
parte e increspò la bocca in un cuore maliziosamente “Ma ti ha
baciato!”
Mei assunse
un’espressione indecifrabile , a metà tra
uno che ha visto un fantasma e uno che sta per vomitare, il colorito
diventò di un florido fucsia. “In effetti
non so perché…” sussurrò abbassando lo sguardo sulla
sua bistecca che poteva sembrare benissimo fatta di plastica, a giudicare
dall’aspetto.
Nikka assunse un’espressione fintamente
preoccupata , poi buttò lì “Magari
tua sorella è innamorata di te…” poi cambiò abilmente
discorso “buona la bistecca?”
Mei era ancora un
po’ provato dall’azzardo di qualche secondo prima,
ma lentamente abbassò lo sguardo sul suo piatto tristo.
“Insomma…tu non mangi…nient’altro?” chiese poi
mestamente guardando il piatto di Nikka che riusciva a superare la tristezza
del suo. Nikka alzò le spalle con aria svagata mentre con la forchetta
giocava con l’insalata.
“Sono a dieta…” , nel mentre Millie adocchiava il
dolce che Nikka aveva preso per pura scena “non lo mangi?” chiese
indicando la millefoglie con occhi languidi.
“Naa”
la liquidò lei passandole il piatto con fare quasi schizzinoso. Millie lo afferrò come se non mangiasse da giorni.
“Hai intenzione di mangiare una tua
simile?” domandò la ragazza equina con fare serio fissando con
occhi increduli Millie che si strafogava con la
torta.
Dopo aver lanciato uno sguardo di disgusto
alle due Nikka tornò a sorridere guardando Mei.
“Sai…quando sei venuto a casa mia a togliere…togliere
…la tro…la troia…”
cominciò dubbiosa.
“Il trojanhourse…è un virus…” la
corresse educatamente lui. “esatto, proprio quello!” tagliò
corto lei. “comunque dicevo… quando sei venuto a casa mia mi hai
detto che non esci molto…vero?”. Il ragazzo di fronte a lei
annuì senza capire dove fosse intenzionata ad arrivare, nel mentre Millie spargeva panna dappertutto, nella foga animale di
sbranare la torta. Nikka lanciò un’altra occhiata schifata alle
amiche che si stavano pressappoco picchiando tra gli schizzi di panna, prima di
ricominciare a parlare.
“Mi hai detto, che sapresti entrare in
una banca via internet…no?” domandò con fare malizioso, e a
quel punto lui cominciò a temere che fosse intenzionata ad usarlo per
fare una rapina o qualche cosa del genere, ma si vide costretto ad annuire. Il
sudore freddo peggiorò quando Nikka sorrise di nuovo, ancora di
più, compiaciuta dalle abilità che diceva di avere. “Beh,
deduco che tu sia molto intelligente… per di più mi hai detto che
ti piace la matematica…mi chiedevo se non ti andasse di aiutarmi…
io sono davvero negata…!” aggiunse una risatina maliziosa alla fine
della frase e Mei rimase per un po’ a guardarla
tra l’indeciso e il sospettoso con la forchetta a mezz’asta.
“uffa …è finita la millefoglie…quando sono arrivata io al bancone non
ce n’erano più…” piagnucolò una ragazza blu
accanto a Rachele che tendeva il collo per sentire meglio quello che dicevano
Nikka e suo fratello.
“Beh, la prossima volta arriverai
prima vorrà dire…” . La ragazzina
blu abbassò lo sguardoafflitta “è davvero
un peccato…io amo la millefoglie…”, Rachele le lanciò
un’occhiata prima di mettersi il viso tra le mani e rimettersi ad
ascoltare la conversazione “Ma mi piace davvero tanto tanto…”
. Rachele ebbe un fremito d’irritazione prima di sbraitare più
come un ordine che come una concessione “Prendi la mia, tanto non mi
piace” . Gli occhi della discepola si
illuminarono di luminescenze “Non so proprio come ringraziarti
Rachele!”
“stando zitta sarebbe un ottimo
modo!” la rimbeccò acida lei.
“Grazie, grazie grazie davvero Rach…”
“ZITTA!”
“Va bene…”
Lo sguardo freddo di Rachele tornò a
posarsi dolcemente sul fratello che probabilmente cercava di dire qualche cosa,
ma non sembrava riuscirci al meglio. Il risultato era un incomprensibile e
imbarazzante balbettio sconnesso. “Ok” rispose infine non riuscendo
ad esprimere altri concetti, magari un po’ più articolati.
Nikka lo gratificò con un gran sorriso,
prima di cambiare di nuovo discorso “Sono belli i tuoi vestiti!”
dichiarò indicando una Mcucita sul suo
maglioncino in corsivo.
“Li fa mia madre” pigolò
mesto. “Sono davvero belli…” sussurrò con lo sguardo
perso a fissare la lettera dorata. Mei deglutì
a disagio.
Nikka si svegliò dal suo coma solo
quando l’arrivo di un nuovo individuo la scosse “Oh, Mei, ti presento Joyce, Joyce lui è Mei” .
Il ragazzo col pellicciotto arancione che si
accomodò accanto a lui salutò con un grugnito senza dargli troppa
attenzione. Mei ci mise un po’ prima di capire
dove l’aveva già visto “Tu sei quello che ha litigato con
mia sorella al Luxury?” chiese un po’
perplesso, fu solo allora che il ragazzo si voltò per dargli attenzione.
Era animalescamente con la bistecca apenzoloni in bocca, probabilmente
perché era tanto dura da non riuscire a tagliarla con i coltelli di
clastica.
“Tu sei il fratello della Pavesi?”
Mei annuì guardingo. “Tu hai
l’aria più simpatica, piacere, io sono Joyce”
biascicò mantenendo la bistecca in bocca.
“Sì, me lo ha detto come ti
chiami” sussurrò mesto guardandolo perplesso.
“Sai che Joyce è irlandese?
È nato a Gallway, e si chiama così
perché Joyce è lo scrittore preferito dei suoi genitori!”
Joyce sbuffò vistosamente spargendo
dappertutto la sua insalatina transgenica ricoperta di maionese.
“Potresti non dirlo come se fossi un fenomeno da circo?”. Nikka
sorrise angelica, “Ma ci pensi già da solo a fare il fenomeno da
circo!” sentenziò maliziosa indicando il pellicciotto arancione
che il ragazzo indossava.
Poi cambiò discorso adocchiando un
tizio osannato un po’ da tutte le ragazzine della scuola. Un tizio biondo
e statuario passò a poca distanza dal tavolo dove mangiavano.
“Carino vero, Joyce?”
domandò Nikka con sguardo furbo, come un cacciatore che adocchia
un’anatra. Joyce emise un grugnito senza voltarsi “Sinceramente gli
uomini non mi interessano granché…” commentò
grufolando nella sua bistecca. “Se, se…” lo liquidò
con lo sguardo acceso. “A giudicare dal pellicciotto non
direi…” rincarò la dose Nikka.
Joyce grugnì e disse sottovoce con un
grugnito “Non è bello giudicare le persone per come si
vestono…”, si rabbuiò stringendosi nelle spalle quasi a
nascondere la bistecca granitica.
“Il dovere mi chiama scusatemi” e
se ne andò a passo di danza verso il biondo statuario, inseguita da due
adoranti ochette.
“Se, se… proprio il dovere”
mugugnò Joyce tra i denti.Da metà del salone Nikka si fermò e con una piroetta si
voltò a guardare Mei “Allora domani alle
quattro a casa mia, sai dove abito!!”. Il fatto
che tutta la mensa si fosse girata a squadrarlo di certo non lo mise
particolarmente a suo agio e mentre Nikka si voltava verso il
bell’imbusto arrossì vistosamente. “credo che sia ora di
andare” sussurrò mestamente a Joys, che
sembrava decisamente poco interessato ai suoi spostamenti.
Dopo che Mei si fu
alzato, ci volle un po’ prima che la disperata battaglia con la bistecca
finisse per il meglio,fu allora, quando guardò
trionfante la millefoglie che questa parve prendere il volo. In realtà
era pressappoco finita tra le mani della Pavesi che gliel’aveva soffiata
da sotto il naso.
“Ehi! Megera blu! Quella è mia!”sbraitò.
“Non mi pare dato che è nelle mie
mani…è il mio dolce preferito!”rispose tranquillamente lei
andandosene e lasciandolo nel suo furioso rancore.
Fu
mentre gustavo la mia adorata millefoglie che
rincontrai Mei ,seduto sul muretto che arginava le
aiuole intento a riordinare i libri nello zaino.
“Mei” biascicai “Che ti ha detto Nikka?”
domandai, per colpa della banda che mi seguiva quasi ovunque mi ero persa
alcune battute. Mei alzò le spalle con aria
persa. Non lo stavo interrogando ero solo curiosa,
avevo deciso che non lo avrei accompagnato per mano fino alla tomba? Bene avrei
cominciato da allora, però un po’ di sana curiosità non
poteva fare certo male.
“Mi
ha chiesto di aiutarla in matematica”ammise infine, con lo sguardo perso
oltre la siepe. Non capii immediatamente cosa ci fosse che non andava, rimasi
quindi in silenzio aspettando che parlasse mentre finivo di mangiare la millefoglie.
“Sei innamorata di me?” chiese di botto. Pensai che il
mio cuore si fosse fermato. Maledetta deficiente! Che idee metteva in testa a
quello stupido opossum di mio fratello. Era incredibile come Mei incarnasse nella sua persona una stratosferica
intelligenza meccanica e un quasi nullo intuito per i rapporti interpersonali.
“Certo
che no!” sbraitai “Stupido cucciolo di un opossum!”
Avevo
deciso che non mi sarei più interessata alle sorti di Mei? Bene. Avevo cambiato idea!
Se a qualcuno
interessano i miei gusti in fatto di dolci odio la
millefoglie, ma mi piace molto il nome.
Vi ringrazio tantissimo
per i commenti, epensare che all’inizio non ero neanche sicura di volerla
continuare questa storia, ma dopo tutto l’appoggio è impensabile
non farlo. Purtroppo sono di fretta, e non riesco a ringraziarvi uno per uno ma
sappiate che apprezzo tantissimo le vostre recensioni!
Una cosa soltanto: questa
non è una storia di incesto, spero che nessuno ne sia rimasto
deluso!
A questo punto vi
auguro un FELICISSIMO ANNO NUOVO! TANTI AUGUTI E BUON 2009!!!
Quel
pomeriggio mia madre se ne stava a cucire vestiti con l’ausilio di Mister
Manichino (così era stato chiamato il manichino che se ne stava nella
nostra cucina). Era la volta di un pomposo e ingombrante abito nuziale.
“Mamma
credo di essere ancora troppo giovane per sposarmi” mugugnai distratta
sgranocchiando biscotti con i piedi appoggiati sul tavolinetto basso in vetro.
“Ma
no sciocchina!” trillò lei entusiasta armeggiando con il tulle
“E’ per Concita! La ragazza del quarto
piano!”
“Quella
tizia coi baffi che abita insieme a ventiquattro gatti?”chiesi
arricciando il naso “allora c’è speranza per
tutti”commentai rimettendomi a ruminare i miei biscotti e fogliare i
giornali di moda di mia madre.
“Oh,
no, quella ragazza così carina è Matilde…io parlavo di
Concita , la ragazza spagnola con quei begli orecchini
con le perle…”. Arricciai la bocca mettendola a forma di cuore, non
mi sono mai interessata agli orecchini delle mie vicine.
Mio
fratello invece, diversamente dal solito si aggirava per la casa come
un’anima in pena dando di tanto in tanto occhiate all’orologio
sopra la televisione.
Non
c’era proprio dubbio, quella ragazza non gli stava di certo indifferente,
ma credo che allora non gli fosse ancora chiaro come lo era a me. Era la prima
volta che una ragazza che non fossi io gli girava intorno.
Un’ora
prima di uscire era già vestito di tutto punto e continuava a mettersi e
togliersi ossessivamente l’orologio che io e la mamma gli avevamo
regalato per il compleanno. Forse lui avrebbe preferito qualche cosa di
cibernetico con cui cimentarsi, ma nostra madre amava i dettagli e aveva deciso
che addosso a Mei un grosso orologio retrò
avrebbe fatto un figurone. Lui aveva fatto finta che
gliene fregasse qualche cosa di quell’affare, ma fino ad
allora non l’avevo mai visto indossarlo. A meno mezz’ora
dall’uscita si era messo anche il giubbotto e faceva la spola tra la
cucina e camera sua per controllare di aver preso tutti i quaderni che sarebbero
serviti per la sua lezione privata di matematica a Nikka. Mi veniva da ridere.
Mia madre gli aveva creato un giubbotto in morbida pelle nera, che si sarebbe
trovato meglio addosso a un motociclista o al bulletto
della scuola. Su di lui però non faceva altro che accentuare la sua
indole compunta e remissiva, mi veniva quasi da ridere.
“Meno
cinque minuti alle quattro, credo sia ora di uscire…” dissi io
distrattamente fissando la foto di una modella vestita come una
diva anni venti. Mei che per tutto il giorno
non aveva trovato pace annuì silenzioso ed preoccupato per poi sparire
dietro la porta di casa tirandosela dietro.
Sospirai
e tornai al mio giornale. “E la pecorella se ne andò nella tana
del lupo” cantilenai.
“Che
dici Rachele tesoro…?” chiese mia madre soave riemergendo dal
tulle.
“Niente
figurati… solo mi sa che stai esagerando coi fiori su quel vestito…”
“Dici?
Sarà kitch?” alzai le
spalle. “Quando mi sposo…non voglio tutti quei fiori…”
Dire che Mei era un
orologio svizzero era un eufemismo, esattamente quando l’odiato orologio
a cucù della cucina suonò le quattro il citofono suonò
educatamente. Avete mai notato che si riescono a riconoscere le persone per
come suonano il campanello di casa? Ecco, Mei era
educato, e si poteva riconoscere da quello.
Diversamente dalla prima volta Nikka si
presentò vestita di tutto punto con un abito rosso decisamente bon ton e
uno sgargiante sorriso stampato in faccia.
La cosa non fece altro che farlo sentire
più a disagio e affondare le unghie nella borsa a tracolla. “Ciao
Nikka” fece con un sorriso tirato.
“Entra pure, vuoi qualche cosa?mia madre
deve aver comprato della
millefoglie…”disse addentrandosi nella piccola cucina con passo
aggraziato e misurato. Mei, che del canto suo avrebbe
preferito vederla di nuovo in tuta e asciugamano tra i capelli, scosse la testa
di scatto tanto da sembrare terrorizzato all’idea della
millefoglie.
Nikka sorrise bonaria sedendosi a tavola
lentamente e iniziando a spargere ovunque quaderni e libri.
“Beh…beh…di cosa avevi bisogno…cosa
non hai capito”, Nikka abbassò la testa e parve pensarci , poi gli allungò un foglio scarabocchiato
strisciandolo sul tavolo lucido.
“Questi…” sussurrò
guardandolo con sguardo liquido di fronte a lui. “I
logaritmi…?” accennò prendendo un po’ di sicurezza
appena si entrò in un territorio conosciuto.
“Li sai fare?” esclamò
raggiantealzando
le sopracciglia così tanto che non si videro più da sotto la
frangia. Mei annuì perplesso da tanto
entusiasmo.
“Bene! Questi sono i
compiti che devi fare…se puoi finirli prima delle cinque sarebbe meglio,
perché dopo arriva mia madre!” trillò allegra e pratica
alzandosi dal tavolo diretta al corridoio.
Nel mentre una testa di capelli biondi
spuntò dalla porta, che Mei ricordava essere
quella di Nikka, dicendo scocciato “Allora hai finito lì?”
“Sì, sì tranquillo arrivo..” rispose lei leggiadra camminando quasi sulle punte
e senza degnare più Mei di uno sguardo.
La porta di richiuse e la cucina
sprofondò nel silenzio interrotto solo di tanto da qualche risata che si
sollevava dal leggero brusio.
Mei rimase impietrito per
qualche minuto a guardare la porta dove era sparita Nikka e a boccheggiare
incredulo. Aveva deciso di schiavizzarlo mentre faceva i suoi comodi con il
biondo di turno?
Deglutì, e per un secondo pensò
che avrebbe potuto piangere. Strinse la matita che aveva in pugno tanto forte
che avrebbe potuto rompersi se non si fosse dato una calmata. Ma lui non era
arrabbiato, erasolo
ferito. Si era convinto di starle simpatico e invece…
Sospirò e guardò i compiti che
lei pretendeva che lui facesse.
Deglutì a disagio, fare i compiti o
scappare urlando insulti?
Insulti…? Ma poi l’avrebbe voluta
davvero insultare?
Guardò il foglio scarabocchiato e si
mise a fare gli esercizi. Non erano affatto difficili, e si chiese come Nikka
avesse potuto avere delle difficoltà. La matematica era rassicurante,
non c’era nessuno che potesse dire che la sua interpretazione era
sbagliata, ce ne era solo una , non c’erano
dubbi, ed era uguale in tutto il mondo.
Non ci mise molto, e non guardò
l’ora quando finì, solo quando fu riemerso dal paradiso
matematico, la tristezza lo riaccolse. Si alzò di scatto mettendo a
posto furiosamente tutti i calcoli e andò a bussare alla porta della
camera di Nikka “Io vado…i tuoi compiti sono nello zaino!”
disse e senza aspettare che lei rispondesse.
“Ehi aspett…”
cercò di dire Nikka affacciandosi di corsa alla porta, quando Mei si era già tirato dietro l’uscio
principale. “…ti dovevo parlare…” concluse un po’
rassegnata ad occhi bassi.
Da dentro arrivò una voce maschile
svagata che borbottò “Tranquilla, tanto lo rivedrai…non
scappa mica, è a scuola con noi…”.
Nikka sorrise e richiuse la porta, felice di
non dover più fare i compiti per il giorno dopo.
Quando
mio fratello entrò in casa a malapena lo vidi, e se non avessi sentito
lo spostamento d’aria non mi sarei accorta di lui da quanto andava di
fretta, cosa abbastanza insolita per uno a cui avevo affibbiato il soprannome
“il Flemmatico”.
“Com’è
andata Mei?”, in realtà già
supponevo, ma volevo sapere cosa era successo.
“Da
schifo” ruggì lui senza guardarmi e puntando dritto alla sua
stanza, i suoi venti metri di paradiso solitario.
“io
te lo avevo detto, che sei uno stupido opossum e che non ti devi fidare degli
altri”cantilenai perfida, adoravo avere ragione, ma allo stesso tempo mi
dispiaceva che lui stesse male.
Fu
quando mi mandò al diavolo sbattendo la porta e facendo ondeggiare la
catenella da wc che vi era appesa che mi resi conto di quanto ero stata
cattiva.
Mi
appoggiai al muro e aspettai che uscisse a chiedermi scusa per avermi
insultato, di solito faceva sempre così anche se
era colpa mia. Ma non uscì. E aveva ragione. Andai in cucina a testa
bassa dove mia madre mi accolse con un sorriso “Tesoro, è tornato Mei?”disse riemergendo da quintali di stoffa. Annuii
senza alzare gli occhi dal pavimento e presi fuori della
millefoglie dal frigo.
Rimasi
un po’ davanti alla catenella da cesso prima di decidermi a bussare.
Quando lo feci non ebbi risposta, ma entrai comunque e lo trovai seduto sul
letto con la testa appoggiata alle ginocchia.
“Ti
ho portato la millefoglie…” dissi
sedendomi accanto a lui. Lui muggì un assenso.
“Stai
piangendo?” chiesi un po’ preoccupata.Mugugnò di no e io sospirai, non
avevo quasi mai visto piangere Mei, anche quando era
piccolo lo faceva sempre nell’intimità dei suoi venti metri
quadrati. L’unico ricordo del genere che ho di Mei,
è del funerale di nostro padre. Credo che quell’avvenimento ci
abbia plasmati per la vita. Lui è un opossum indifeso, e io sono una
stronza…buffe fatalità della vita. Mi sdraiai e gli accarezzai la
spalla. “Tranquillo…non è successo niente…”
Non
era possibile. Lasciavo che gli avvenimenti facessero il loro corso per solo
una giornata e Mei mi tornava a casa in quasi-lacrime. Avrei dovuto darmi da fare con Nikka. Ma
avrei cominciato il giorno dopo…quella sera ero davvero stanca e
probabilmente avevamo tutti bisogno della millefoglie!
Salve a tutti ecco il
sesto capitolo della mia storia idiota! Lo so che forse è un po’
più triste del solito , è un po’
corto e forse non è proprio la cosa migliore che abbia mai scritto, ma
era un passaggio che dovevo scrivere…per vedere Rachele compiere la sua
opera nel prossimo capitolo!!!
Vi ringrazio
infinitamente per le recensioni! Addirittura quattro! (e
11 preferiti!!!) Non me lo aspettavo davvero!!! Grazie graziegrazie!! Ora rispondo a tutti!!
Shamichan: mi scuso se ci ho messo un po’ ad aggiornare(un bel po’), ma avendo all’attivo anche
un’altra fic oltre la scuola faccio un
po’ fatica ad aggiornare spesso!! Sono felice che il mio capitolo ti sia
piaciuto, spero si possa dire lo stesso di questo!!!
The Corpse Bride: Joys? È così brutto come
nome? Ç_ç …beh, ho pensato al
kiwi perché direi che la dimensione della cavità dove sta
l’occhio è più o meno come quella di un kiwi, quindi se
gliene avessero lanciato uno sarebbe stato perfetto, però in effetti credo sia un frutto abbastanza innocuo.Invece Rachele, beh, non è che
odi il mondo, ha solo uno strano metodo di relazionarsi con gli altri, dovrebbe
venire fuori pian piano, e alle persone che le stanno intorno vuole più
bene di quanto sembri.^___^
Niggle: ti ringrazio davvero
tanto per quello che hai detto nel tuo commento, mi hai fatto davvero
felice…spero che il lavoro sia stato buono come ti aspettavi!!!! I Pavesi e gli Zampieri
ringraziano!!
LisettaH: neanche io bacerei mai
mio fratello, ma a casi estremi, estremi rimedi, oppure è solo colpa di
Rachele che non ha mezze misure!! Il pellicciotto arancione farà la sua
ricomparsa nel prossimo capitolo tranquilla!!!^__^
Mi
svegliai di soprassalto anche quella mattina. Per quanto ne so ho passato la
mia vita a fare incubi.Nel senso,
che da quando ho memoria, non è passata una notte senza che sognassi
qualche cosa di brutto. Da piccola avevo paura di dormire, per un certo periodo
mi sono addirittura rifiutata di dormire per una settimana, finché poi
alla fine sono crollata, con grande contentezza di mia madre. Sarà nata
da questo , la mia abitudine a dormire poco.
Comunque
mi guardai in giro accertandomi che la mia stanza non stesse prendendo fuoco.
No, eratutto
al suo posto,a parte la coperta che era finita per terra per colpa dello
slancio che mi ero data per mettermi a sedere.
Sbadigliai
e andai a cercare il pacchetto di sigarette. Le trovai e me ne accesi una
mentre uscivo dalla stanza portandomi dietro il portacenere scheggiato. Mia
madre lo voleva buttare perché giudicato antiestetico, ma a me piaceva.
La
prima cosa che vidi quando arrivai in cucina, fu un tipo in mutande , pantofole e pellicciotto arancione che frugava nel frigo.
Storsi la bocca contrariata, e lanciai un’occhiata sbieca a mio fratello
che seduto al tavolo mangiava i cereali guardando sbalordito,
l’individuo.
“Che
ci fai qui, idiota?”domandai strascicando la domanda. Sapevo già
la risposta.
“
Buon giorno megera coi capelli blu! Ho finito le
uova…volevo fare un’omelette per colazione…” fece
tranquillamente riemergendo dal frigo per fare un sorriso. Sbuffai,
mentre Mei ci seguiva con gli occhi senza dare un
senso al tutto.
“Vuoi
dei toast Joyce caro?” celiò mia madre ai
fornelli mentre da Mister Manichino pendeva un nuovo gilet per mio fratello.
“No, la ringrazio signora Pavesi! Sono a posto, rubo
solo un goccio di latte” fece lui cercando di tenere tra le braccia tutta
la refurtiva prelevata dal nostro frigo.
“Ma
sei sicuro di voler uscire così?” chiese la mia madre chioccia
accennando al fatto che Joyce girasse a petto nudo con solo e mutande e il
pellicciotto. “Tranquilla signora! Sono solo due passi” e sparì faticosamente dietro la
porta che chiuse a fatica, ribaltando un paio di yogurt.
Mi
sedetti e spensi il mozzicone di sigaretta nel portacenere sbuffando.
“Ben
svegliata” cinguettò dolcemente mia madre mettendomi davanti
salsiccia uova toast e ogni genere di ben di Dio. “Colazione
inglese?” chiesi divertita. Mia madre si illuminò e diede
un’occhiata ispirata al soffitto. “Oggi mi andava
così!”. Alzai le spalle prima di mettermi a mangiare, del tutto
dimentica di mio fratello, che del canto suo se ne stava ancora con la
forchetta a mezz’aria con aria attonita.
Guardai
la sua forchetta in cui era infilzata una salsiccia “Se non la vuoi te la
mangio io quella” dissi subito prima di tornare a dare attenzione al mio
piatto.
Mei ricordandosi che stava mangiando se la infilò in
bocca. “Checosa ci faceva lui qui?” chiese mesto. Mi venne da ridere.
“Mei, tesoro, Joyce è qui quasi tutti i giorni, ma dato che te ne stai sempre chiuso nei tuoi
adorati venti metri quadrati non l’hai mai visto!” esclamò
mia madre in un dolce rimprovero. Mei alzò le sopracciglia stranito ma ricominciò a mangiare in
silenzio senza fare altre domande. Penso che sia la cosa più giusta : non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta.
Dopo
ciò che era accaduto il giorno prima ero decisa
ad agire. Prima di tutto avevo pensato a un pedinamento, ma poi mi ero resa
conto che seguendo Nikka e ascoltando i suoi discorsi al massimo avrei potuto
scoprire che colore sarebbe andato di moda questo Natale, e poi non sarei passata
certo inosservata con tutte quelle oche blu starnazzanti che mi seguivano.
Decisi perciò di prendere il problema di petto, e la fortuna mi
assistette, quel giorno c’era il rientro, e quale posto è migliore
della mensa, per prendere di petto qualche cosa? Per di più i cuochi ci
avevano voluto nuovamente graziare con la mia adorata
millefoglie!
Riempii
il mio vassoio con lentezza snervante prima di dire a Mei
che non lo volevo tra i piedi. “Mei vai coi
tuoi amici, oggi a pranzo ho delle cose importanti da fare!” dichiarai
quando accennò a seguirmi al tavolo.
Mio
fratello si immobilizzò accigliandosi. “Ma io non ho amici , lo sai!” disse come se gli stese sfuggendo qualche
cosa.
Alzai
le spalle “Allora ti presto le mie” concessi schioccando le dita, e
sotto lo sguardo stupito, mio e di Mei, un branco di
ragazze blu si assieparono attorno a mio fratello accarezzandolo e adulandolo.
Io avevo schioccato le dita per ridere, non pensavo che sarebbero arrivate
davvero…ma mi stavano seguendo? Alzai le spalle, poco male, avrebbero
tenuto occupato Mei, e mi allontanai a grandi passi
mentre mio fratello terrorizzato veniva circondato da quelle troppo affettuose
signorine cerulee.
Fui
felice di constatare che Nikka era sola al tavolo, mentre le sue due
inseparabili guardie del corpo si azzuffavano al bancone per accaparrarsi
l’ultimo pezzo di torta. Non mi badò quando le passai davanti,
intenta com’era nel cercare di aprire la bustina monodose d’olio.
Alzò gli occhi accorgendosi di me solo quando spostai rumorosamente la
sedia e sbattei con poca grazia il vassoio sul tavolo. Mi fece un sorriso
fittizio. Sapevamo tutte e due che avrebbe voluto strangolarmi, ma non era
bello mostrarsi poco propense alla compagnia del prossimo. Poi sottovoce
integrò il sorriso con un finto-allegro,
quanto ostile “Che cavolo vuoi?” .
Era
ovvio che se ero lì non era per pranzare o per
fare due pacifiche chiacchiere sulla nuova marca di smalto che spopolava tra le
adolescenti.
“Ho
saputo che hai problemi con i logaritmi” cominciai sapendo che avrebbe
afferrato l’allusione. Nikka non era stupida; o almeno non lo era in
questo senso. “Già” fece irrigidendosi e facendosi seria.
Rimanemmo un po’ in silenzio mentre io spargevo meglio il pomodoro sulla
mia pasta scotta.
“Sai
che non mi fa piacere come tratti Mei…potrei
decidere di vendicarmi al posto suo” minacciai mentre arrotolavo gli
spaghetti collosi attorno alla mia forchetta di plastica. Nikka assunse
un’espressionestrana, tra il saccente e il curioso, come se mi dicesse
“vediamo un po’ cosa sai fare”.
Alzai
le spalle in risposta alla sua muta domanda “Vediamo Nikka… potrei
dire a tua madre che fumi… ho saputo che non le farebbe piacere”.
Lei si accigliò, probabilmente come minaccia era abbastanza valida.
“Sai cosa ha fatto la mia quando
lo ha scoperto? Mi
ha fatto sturare tutti i gabinetti del condominio, e non è stato
divertente.” Raccontai con un sorrisetto. Nikka
arricciò il naso.
Non
era stato affatto divertente, e per di più da allora quando c’era
un qualche problema, che fosse elettrici stico, idraulico
o che riguardasse solamente attaccare una mensola, venivano tutti a chiedere i
miei gratuiti servigi.
“Oppure
preferisci spiegarmi quali sono i tuoi progetti con mio fratello?”
chiesi. Nikka sbuffò “Non cedo ai ricatti”
disse, e per un secondo impercettibile mi irrigidii, avrei dovuto trovare
qualche altro metodo per farla pagare a quell’idiota, ma poi
continuò “Tutta via posso dirti che Mei
mi piace. Insomma, ha del potenziale… è
un bel ragazzo, non è di una bellezza trascendentale, ma non è da
buttar via, si veste bene e non è un cafone…insomma si può
fare qualche cosa…” spiegò con fare pratico. Inarcai
le sopracciglia, mi chiesi se per caso non avessi capito o per caso se mi
stesse prendendo per il culo.
“Insomma,
è un po’ troppo introverso… sarebbe molto apprezzato dalle
ragazze se fosse un po’ più deciso…ha del fascino e della
materia grigia, non come Pallotti…”
continuò accennando con un movimento della testa al ragazzo biondo che
era in casa con lei il giorno delle famose ripetizioni di matematica.
“Non
mi pare che tu ti sia fatta dei problemi a sbaciucchiarlo davanti a tutti e a
mio fratello!” feci un po’ scocciata. Entrambe avevamo smesso di
mangiare e ci guardavamo in torno fingendo di non essere realmente interessate
alla discussione.
“Beh,
tu a uno come Pallotti ci sputeresti sopra anche se ha in cervello di un’albicocca?”
chiese lei incredula. Per tutta risposta mi voltai a guardare il ragazzo
incriminato che se ne andava in giro tra i tavoli con un’aria da divo,
aveva i capelli biondi, il fisico scolpito e un viso incantevole. Ridacchiai e
dovetti ammettere che sarebbe piaciuto anche a me, purché stesse zitto.
La guardai e ammisi di buon grado che aveva ragione lei. Nikka parve
compiaciuta e fece un sorrisetto vittorioso. Ma non le lascia per molto la
vittoria.
“Quindi devo dedurre che in
realtà non volevi far fare a Mei quello che
gli hai chiesto? Si è trattato di uno sfortunato incidente se ha fatto i tuoi
compiti di matematica?” provocai sarcastica fissandola negli occhi.
“Certo
che no!” esclamò “Non avevo alcuna intenzione di fare i
compiti sui logaritmi, così ho pensato che dato che è così
intelligente poteva farmeli lui!” ammise senza un minimo di vergogna . Non sapevo davvero cosa pensare, e mi ritrovai a guardare
una delle mie ochette blu che cercava di imboccare un terrorizzato Mei. Poveretto, indifeso e circondato da esseri di tale
tenerezza da incutere terrore.
Mi
strapparono un sorriso, ma poi tornai a guardare Nikka con aria scocciata
mentre lei con le braccia conserte ricambiava lo sguardo da sopra il suo piatto
d’insalata.
“La
mangi?” chiesi adocchiando la sua millefoglie.
“No,
sono a dieta” rispose acida, sorrisi “Allora non ti
dispiacerà se la mangio io, ho il metabolismo veloce”.
Lei
increspò le labbra ma non disse nulla mentre io mi servivo con la sua
torta, e a riprendere la conversazione dopo qualche boccone fui io.
“Quindi
spiegami ancora, credo di non aver capito del tutto…cosa vuoi fare con
mio fratello?” aspettò un secondo prima di rispondere, ed entrambe
rimanemmo in sospeso.
“Vuoi
saperlo sinceramente?” chiese protendendosi sul tavolo fino che i nostri
nasi per poco non si toccarono. Annuii.
“Voglio
farlo diventare la mia opera d’arte…” ridacchiò e si
risedette compiaciuta. Mi passarono davanti un sacco di immagini poco eleganti
di mio fratello da piccolo, da bambino aveva un’insana propensione a
macchiarsi. E lui, con i suoi computer e la sua catenella da cesso sarebbero
diventati la SUA
opera d’arte? Mi fece ridere.
“Non
scherzare…non ci riuscirai mai…” mi alzai ridendo
“Buona giornata esteta da due soldi…”. E uscii sorridendo
mentre la mia tracolla a fiori sbatteva contro la mia coscia.
Passò
qualche ora prima che mi ritrovassi seduta su una panchina con le gambe
incrociate e una lattina di birra calda in grembo. Andavo spesso in quel
parchetto fuori mano, mi piaceva, si vedeva il tramonto, era polveroso al punto
giusto e non c’era mai nessuno.
Quasi
mai nessuno.
“Vecchia
megera blu!” trillò allegramente Joyce prima di sedersi accanto a
me. “Ciao idiota impellicciato” risposi pacata.
“Quella
la bevi?” chiese adocchiando subito la birra. “E’
calda” spiegai. Joyce alzò le spalle “Me la dai lo
stesso?” . annuii, la afferrai e la scossi con tutta la forza che avevo,
poi gliela passai.
“Tutta
tua”.
“Stronza”.
Ridacchiai per la sua espressione delusa, come se non lo avesse saputo fin da
subitoche
non l’avrebbe mai ottenuta quella birra. Rimanemmo un po’ in
silenzio mentre io contemplavo scettica i nuovi gingilli ben poco virili del
ragazzo accanto a me.
“Che ci fai qui oggi? È successo
qualche cosa?”. Alzai le spalle. “Nikka vuole ammaestrare
mio Fratello…” interruppi la frase per ridere “un opossum
ammaestrato!”
“E
tu credi che non ci riuscirà?” chiese lui con una voce strana. Mi
voltai a guardarlo prima di rispondere un po’ turbata “Certo che
no, perché?”
“Convinta
tu…” fece Joyce scettico. Non risposi, ma
poi aggiunsi “E poi la signora del terzo piano mi ha chiesto se oggi
pomeriggio le sturavo il lavandino…ma non ne ho voglia” conclusi svogliata, mi capitava spesso di fuggire dai miei
vicini di casa.
“Io
invece sta sera pensavo di venire a scroccare un po’ di carne a casa
vostra, mio padre non ha fatto la spesa neanche oggi!”spiegò. attesi un po’ prima di rispondere.
Ecco il settimo
capitolo, primo e ultimo completamente narrato da Rachele. È un
po’ diverso dagli altri, spero non vi dispiaccia ,
ma dato che è lei la protagonista di questa parte gliel’ho
dedicato completamente. E poi ci tenevo a mostrare un po’ anche la vita
di questo personaggio, che spesso e volentieri non si esprime su se stesso.
In più ci tenevo
a precisare che gli incubi di inizio capitolo non avranno nessun riscontro
più avanti, non è un’eroina maledetta, lo faccio solo
perché mi piace aggiungere vizi, virtù paranoie e turbe ai
personaggi, trovo che li avvicini più alla
realtà.
Ma passiamo ai
ringraziamenti! Non ci posso credere! Tredici preferiti e ben cinque commenti!!! Davvero non me l’aspettavo da una storia che
all’inizio non pensavo nemmeno di continuare (lo dico sempre ma è
vero!!). passo a ringraziare ad uno ad uno!!!
Shamichan:grazie per i complimenti, ho cercato di fare il più presto
possibile, ma sinceramente non so quanto tempo ci ho messo! Spero non troppo!!!^___^
The Corpse Bride: quando ho letto il tuo
commento mi sono sentita un’idiota… Joys?
Che vergogna…. Ho corretto tutto…*auto fustigazione* nel caso
trovassi altri orrori dimmelo pure, così potrò correggerli! Ma
passiamo ad argomenti meno imbarazzanti:beh sì, Nikka aveva
chiamato Mei per fargli il lavaggio del cervello se
si può dire così…ma poi ne ha approfittato e gli ha fatto
fare matematica. E Rachele? Assomiglia a Effy anche
qui?O_O… spero che il capitolo ti sia piaciuto!!!
Lidiuz93: mi fa piacere che ti piacciano!...e io
amo le mamme chiocce… sono così spassose!
Niggle: figurati, inopportuna!
Sì ho un fratellino^_^, però tra i due io sono Mei e lui è Rachele!!!
Grazie mille per il commento!!
LisettaH: sono d’accordo,
ma non credo che Mei sarebbe in grado di dire di no a
Nikka, se lo rifacesse, perciò è meglio che ci pensi Rachele,
anche se alla fine non si è concluso granché!!!
^_______^
Salve a tutti, eccomi con il nuovo capitolo. Allora, forse
leggendolo penserete che Nikka sia pazza(o che io sia
un’amante del surreale). Ma alla fin fine lei e questa storia si basano
sui vestiti, era ovvio che la prova del 9 si facesse col frac.
Ad ogni modo spero che possiate apprezzare le mie solite cavolate.
Grazie mille a tutte le persone che leggono, a chi ha messo la storia tra i
preferiti(quota 14!!!!) e a chi ha commentato, in
particolare a LisettaH(per Mei
la situazione si fa brutta, poverino, sarà dura sopravvivere in mezza a
tutta quella gente! Tranquilla le oche blu torneranno alla ribalta anche a se
sono personaggi decisamente secondari) , The Corpse Bride(grazie mille per i complimenti, e beh, per
quanto riguarda Joyce e Rachele credo che siano amici, hanno un’amicizia
un po’ atipica ma sono amici^_^) e Lidiuz93(per Mei
è sempre peggio…e non siamo ancora arrivati all’apoteosi
delle catture che Nikka intende
fargli!!muahahah!!!).
Grazie a tutti e buona lettura.
Aki_Penn
I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Ottavo
La Verità nel Frac
Quel
giorno mi avventurai a scuola pressoché come un fantasma, contando sul
fatto che le mie oche blu affezionatesi a Mei lo
placcassero impedendogli di seguirmi, e in effetti
così fu, perché mio fratello non riuscì a scavarsele di
torno finché non entrò in classe e loro furono costrette ad
andare nella loro. Fui anche felice di constatare che non era riuscito nemmeno
a casa ad estrapolarmi nulla sulla mia discussione con Nikka.
Non
che Mei fosse un convincitore
di professione, diciamo che il nostro colloquio era andato più o meno
così :
“Cosa
vi siete dette tu e Nikka?”
“Niente”
“Va
bene”, e poi l’argomento era decaduto. Anche se io qualche volta
l’avevo chiamato “opossum addomesticato” ,
lui non aveva capito nulla.
Più
complicato sarebbe stato togliersi di torno Joyce. Ma per fortuna non avevo
bisogno di nascondergli certe cose, e quella mattina non era nemmeno venuto a
fare razzia nel nostro frigo. Da ciò dovevo dedurre che in casa sua si
fossero degnati di fare la spesa. La cosa mi rendeva gioiosa, non avrei dovuto
vederlo razzolare in cucina in mutande e pellicciotto o ancora peggio con
indosso quell’orrenda vestaglia plastificata con scritto
“IRISH” in lustrini, a lettere cubitali.
Anche
mia madre, per quanto fosse affezionata a Joyce era ben felice di non dover
vedere tali scempi. Entrai in classe di malavoglia sbadigliando, nonostante la
mia apparenza eterea ero decisamente turbata, come se stesse per succedere
qualcosa.
Questo
qualcosa che mi turbava, si personificò ben presto in Nikka.
Mei uscì dalla
classe guardandosi in torno col terrore di vedere apparire da un momento
all’altro quello sciame di ragazze blu, che sembravano fin troppo intenzionate
a ricoprirlo di soffocanti attenzioni.
Riconobbe la voce che lo chiamò, non
erano le asfissianti donzelle blu. E proprio per questo fece finta di non
sentire. Non sarebbe riuscito a risponderle male, lo sapeva e se fosse riuscito
a fermarlo gli avrebbe fatto fare tutto quello che voleva, perciò
l’unica via di fuga rimaneva far finta di non aver sentito niente.
Purtroppo come strategia non funzionò
particolarmente bene, infatti dopo più o meno
un secondo da quando aveva sentito pronunciare il suo nome , Nikka gli si era
presentata davanti con l’espressione assorta e gli occhi che fissavano
dritti i suoi. Mei sentì la pressione scendere
di un paio di tacche e le guance arrossire.
“Ciao Mei”
ripeté lei seria. “Oh, oh..ciao, non ti
avevo sentiva arrivare o, ti avevo sentito…però io non avevo
capito…non ti avevo sentito…” preferì zittirsi prima
di dire una cavolata. Arrossì più di quanto non fosse già
e abbassò la testa cercando di nascondere l’espressione
imbarazzata.
“Mi chiedevo cosa facessi oggi
pomeriggio” disse seria Nikka controllandosi lo stato del mascara in uno
specchietto color ocra che sparì subito in borsa.
“Ehm…niente” disse
impacciato e allo stesso tempo atterrito. Non voleva che Nikka lo usasse
nuovamente per fare i compiti mentre lei se la spassava con il
bell’imbusto di turno.
Ma lei non sembrava in vena di volerlo
infinocchiare. Sembrava seria, come se dovesse compiere una missione di estrema
importanza.
In quell’istante passò urlando
dietro di loro Joyce, mostrando il suo nuovo piercing al capezzolo, con la
maglia tirata su.
“GUARDATE CHE MERAVIGLIA!”
strillò in estasi.
“Joyce sei uno scempio… copriti
per favore!” lo liquidò Nikka infastidita senza nemmeno guardarlo,
e lui se ne andò a importunare delle ragazzine di prima che più
che essere scocciate erano sconvolte dal vedersi arrivare un tizio mezzo nudo
con un pellicciotto arancione addosso. Sono cose che ti rimangono dentro.
“Comunque ti volevo dire”
continuò come se nessuno l’avesse interrotta “Voglio
portarti in un posto”. A sentire tanta riservatezza il ragazzo non
poté far altro che insospettirsi. Che cosa lo avrebbe costretto a fare
adesso? Non ne aveva idea, ma era incredibilmente preoccupato. E
l’espressione seria di Nikka non lasciava trasparire nulla .
In un secondo furono al loro seguito anche Millie e la sua amica equina. “Loro sono Millie e Vanessa…ma credo che tu le abbia già
conosciute” fece Nikka senza badare veramente a ciò che le
accadeva intorno. Mei azzardò un sorrisetto
che venne accolto con due decisamente troppo ampi. Il ragazzo si rigirò
a guardare Nikka. Sinceramente non sapeva chi delle tre poteva fare più
paura. Millie e Vanessa ,
con l’aria di chi non vede un uomo da secoli, o Nikka, che ne aveva visti
anche troppi e sapeva come trattarli. Deglutì a disagio.
“Dove andiamo?” chiesero le due
che stavano loro dietro, mentre varcavano il cancello della scuola.
“A fare la prova frac!” disse Nikka perentoria suscitando un concitato bisbiglio
tra le due che cominciarono a confabulare fitto lanciando occhiate sbilenche a Mei. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, tutta
quell’emozione abbinata alla parola
frac , non lo entusiasmava neanche un po’.
Si guardò in giro circospetto, finche camminando quasi senza guardare
avanti, non gli piombò addosso un Joyce
piuttosto infuriato.
Spinto da un bidello altrettanto furioso.
“Vai via di qui,maniaco!
Ti sembra normale spaventare così le ragazzine?”
urlava l’uomo con grembiule rincorrendolo con una scopa.
“Ma io studio in
questa scuola!
E poi stavo mostrando il mio nuovo piercing!”
ribatté lui riprendendo l’equilibrio a scapito del povero Mei, che per poco non caracollò a terra.
“Non dire
fesserie!
Tu sei uno di quei drogati che vivono sotto i ponti! Si vede
da come sei vestito!” sbraitò l’uomo brandendo deciso la
scopa, Joyce evitò il colpo per miracolo, come se stesse ballando il
limbo.
A quel punto Nikka sbuffò,
tutto quel casino era decisamente poco educato, poco formale e decisamente
antiestetico. Antiestetico quasi quanto i calzini bianchi che si intravedevano
sotto i pantaloni del bidello, e quanto il pellicciotto di Joyce.
“Signor Randelli!” esclamò
con un sorriso che a un buon osservatore sarebbe sembrato più falso di
una Vitton comprata al mercato, ma che convinse
pienamente l’uomo facendolo sciogliere.
“Nikka cara…”
chiocciò compunto, dimenticandosi del ragazzo dall’aria da depravato,
che tra l’altro dopo tanta fatica era precipitato a terra inciampando nei
suoi stessi piedi. Mei con le braccia incrociate e lo
sguardo di chi non dovrebbe essere lì, lo guardava perplesso.
“Signor Randelli, come sta bene con quei
baffi!” esclamò, mentre la sua faccia diceva esattamente il
contrario. “Non si preoccupi, mi occupo io di Joyce” disse
tirandolo su da terra con poca grazia. Scoccò un altro sorriso
assordante al bidello prima di dirigersi finalmente verso il cancello
d’uscita.
Il signor Randelli la guardò adorante
per un altro secondo prima di incupirsi fissando Joyce che se ne andava con la
sua andatura sbilenca mostrando deciso il dito medio.
“Su, su andiamo!”
sbottò Nikka impaziente spingendo Joyce, perdendo tutta l’eleganza
di cui aveva fatto sfoggio davanti al bidello.
“Da Mexico” disse perentoria.
“Mexico!” esclamò divertito e poi cacciò
un’occhiata furba e allo stesso tempo di compatimento a Mei. “Allora ti vogliono far fare
la prova del frac! Wow…” fece divertito,
prendendolo un po’ in giro, mentre le due amiche di Nikka guardavano Mei con sguardo sognante.
Nikka si avviò con passo spedito per la
via bene. Uno di quei viali pieni di negozi sfavillanti, con commessi snob e un
sacco di luccicanze. Si arrestò solo davanti
ad un negozio con un’entrata decisamente meno trionfale. Sul vetro stava
scritto in bella calligrafia “Mexico”. Perché un negozio di
abiti nuziali si chiamasse così poi era tutto da vedere. Sta di fatto,
che tutti gli sposi bene di città e dintorni se ne andavano lì a
comprare tutto, e Nikka era un’affezionata cliente. Se così si
poteva dire.
Un vecchio barbuto ,
elegante e storto, aprì la porta con un sorriso. “Buon giorno
Nikka”, lei l’accecò con il suo riso bianco.
“Non compri niente neanche oggi
vero?” chiese pacato il babbo natale anoressico che se ne stava sulla
soglia.
Nikka gli
lanciò uno sguardo malizioso prima di rispondere “Tu che dici? Sono
una cliente indisciplinata?” scherzò facendoci le fusa.
“Non preoccuparti cara, da
quest’estate ogni giovedì arriva una tizia con un manichino, che
pretende di provargli tutti i vestiti… mi sembra di stare in un negozio
di bambole”sospirò il vecchio rassegnato, prima di accorgersi di
Joyce che stava togliendo tutti gli spilli da un manichino particolarmente
tronfio.
Il vecchio commesso fece un sospiro
irritatissimo per non saltargli al collo e strangolarlo.
“Posso servirmi da sola?”, lui
annuì, “tanto sai dove andare”
concluse aspettando solo che Joyce si spostasse per avventarsi sull’abito
con gorgiera e risistemarlo febbrilmente preso quasi da un moto di follia.
“Il solito” sbuffò Nikka
avviandosi verso i camerini, dove il pavimento era ricoperto da un tappeto
rosso. E le due amiche corsero tra gli scaffali a recuperare ciò che
Nikka aveva ordinato.
Si fece cadere pesantemente
, ma alla stesso tempo con una certa eleganza sullo sgabello
dall’aria austera.
Joyce fece lo stesso, molto meno
raffinatamente, tutto intento a giocherellare con gli spilli trafugati al
manichino all’entrata.
“Ehm…ehm…”
boccheggiò Mei sentendosi decisamente agitato,
e cominciando a misurare a grandi passi la saletta.
Nikka si guardò le unghie laccate di
bordeauxprima
di dargli udienza. “Mei” lo
chiamò, e lui si pietrificò, prima di piantarsi davanti a lei.
“Io ho una teoria” cominciò
Nikka accavallando le gambe. Joyce nel frattempo contava i suoi spilli e non
dava udienza a nessuno.“Un
uomo ha fascino se sta bene vestito in modo elegante…insomma, se con un
frac non sembra un prosciutto imbalsamato…” continuò senza
guardarlo, come se non fosse abbastanza importante da poter avere la sua
attenzione.
“Perciò volevo provarlo su di
te” disse infine voltandosi verso di lui e lo sguardo le si accese.Mei si sentì
stringere lo stomaco e deglutì faticosamente sentendosi quegli occhi
fissi addosso, che sembravano trapassarlo. Nel mentre arrivarono Millie
e Vanessa trasportando un ingombrante sacco di plastica bianca che aveva tutta
l’aria di essere un cadavere.
“Dovrebbe essere quello giusto”
bofonchiò Millie che aveva tutta l’aria
di chi avevagirato
tutto il negozio quattro volte per trovare ciò che cercava.
“Oddio, non tenetelo così che si
stropiccia!” sbraitò perdendo l’eleganza di cui prima faceva
sfoggio. Prese il sacco per la gruccia e lo passò a Mei.
“Mettitelo” ordinò perentoria senza dar adito a rifiuti,
mentre Joyce ridacchiava.
Mei entrò mesto
nel camerino rosso e dorato e si fece cadere pesantemente sullo sgabello
posizionato vicino allo specchio. Guardò il suo riflesso e si
sentì un idiota. Come aveva fatto a essere così stupido da cadere
nelle grinfie di Nikka? Per la seconda volta per di più.
A seconda di come gli stava quel vestito si
sarebbero decise molte cose a quanto pareva.E aveva l’idea che sarebbe
sembrato un bamboccio, un bamboccio imbambolato della peggior specie. E allora
Nikka non gli avrebbe più rivolto la parola.
E allora? Cosa stava dicendo? Se quella pazza
scatenata di Nikka non gli avesse più rivolto la parola sarebbe andato
tutto meglio! Niente feste imbarazzanti, niente più compiti per
altri…
Però se non gli fosse andato bene Nikka
non gli avrebbe più rivolto la parola…e… sarebbe stato
meglio…però…
Fece un respiro e rimase in boxer davanti allo
specchio. Si morse il labbro guardandosi.
Non gli era mai
capitato di preoccuparsene, ma visto così, sotto la luce abbagliante del
neon si sentì estremamente insignificante. Aveva visto Pallotti, il tipo che era a casa di Nikka il giorno dei
logaritmi, aveva visto gli amici e i vari ragazzi che lei frequentava. E
perfino Joyce, da quello che aveva potuto vedere tra pellicciotto, pantofole e
mutande non era un cosino da buttar via. In confronto a tutta quella gente lui
era un insignificante fuscello. Pallotti lo avrebbe
potuto ribaltare senza problemi. Le braccia erano decisamente insignificanti, e
la pancia sembrava tirata fino a spezzarsi, poteva intravedere i tendini, tra
gli addominali che si vedevano davvero poco, ed erano lì per
costituzione mica per altro. Per un secondo pensò che forse avrebbe
dovuto giocare a pallanuoto, come Pallotti, o andare
in palestra. Ma non ci mise molto a tornare alla realtà. Chi voleva
prendere in giro? Con quelle gambette striminzite e a parentesi sarebbe stato
davvero ridicolo.
Decise di infilarsi in fretta l’abito,
non voleva vedersi nudo per un attimo di più.
Ci mise un po’ a indossarlo,
incastrandosi nella camicia e rischiando di strappare la giacca, ma poi
riuscì a metterlo. Diede le spalle allo specchio per non vedersi e
sbirciò da dietro la tenda rossa per vedere cosa si faceva
dall’altra parte.
Joyce si stava improvvisando illusionista,venerato da Millie e Vanessa che
lo guardavano con gli occhi luccicanti.
“Ehm…” si schiarì la
voce Mei, nonostante il sussurro non fosse ben
udibile ebbe subito l’attenzione di tutti, e la cosa lo fece avvampare da
dietro le tende, soprattutto quando gli occhi di Nikka si posarono sul suo che
sbirciava all’esterno.
“Quante possibilità ho di essere
presentabile con questo coso addosso”. Nikka fece una risata fredda, che a
Mei fece venire i brividi. “Beh, te la
venderò così…fino ad ora ce ne è stato solo uno che
sia riuscita ad apprezzare” spiegò guardandolo sottecchi, per
quello che poteva vedere dietro la pensante tenda di velluto.
Mei deglutì
intimidito. “E chi sarebbe questa persona?”.
L’espressione di Nikka si fece
decisamente scocciata, e si voltò per lanciare un’occhiataccia a
Joyce, che si stava spanciando dalle risate. “Lui” ammise infine
con un grande sforzo.
“Su dai esci di
lì… non ti mangia mica anche se non ti sta bene” disse poi
Joyce con tutta l’aria di volerlo tranquillizzare. Mei
si fece coraggio e sgusciò fuori dal suo bozzolo con le spalle curve.
“Stai dritto” ordinò
perentoria Nikka senza ombra di umanità, e Mei
si raddrizzò tanto in fretta da pensare che qualcuno lo avesse punto con
uno spillo.
Il ragazzo in frac strinse i denti, e i pugni,
mentre gli occhi guardavano fissi davanti a lui. Avrebbe voluto guardare Nikka,
ma gli faceva molta paura.
Lei sembrava del tutto assorta nello studio
delle pieghe dell’abito. Una statua di ghiaccio. Tutti gli altri intenti
a decifrare la sua espressione.
Poi si alzò e fece un sorriso.
“Direi che possiamo andare!” esclamò soddisfatta roteando su
sé stessa.
Mei con lo sguardo perso
cercò il viso di Joyce per cercare di capire almeno da lui cosa fosse
successo. Lui fece un sorriso bonario e alzò i pollici al cielo,poi con le mani in tasca si avviò all’uscita
seguendo Nikka.
Quando
mio fratello arrivò a casa aveva tutta l’aria di aver visto un
fantasma. Cercò di defilarsi in camera sua senza dare udienza a nessuno,
ma fu così sfortunato da trovarmi sulla sua traiettoria di fuga.
“Cosa
è successo?” chiesi.
“Niente”
disse balbettando e sudando, ben sapendo di mentire. Non avrebbe convinto
nessuno, e mi ci sarebbero voluti solo un paio di minuti per farmi spiattellare
tutto. Ma non ci volle nemmeno quel tempo perché sentii una voce alle
mie spalle rispondere al posto di mio fratello.
“Nikka
gli ha fatto farela prova del frac” spiegò Joyce che se ne stava
seduto sul divano della cucina , sbocconcellando un toast.
“E
come è andata?”chiesi nel modo meno gentile possibile. Infondo era
sempre Joyce non potevo mica permettermi di trattarlo come un essere umano.
Lui alzò le spalle e con lo
sguardo malizioso fece “Pare che sia il più bel ragazzo in frac
che si sia mai visto!
Credo che il tuo caro Mei si sia
cacciato in un bel guaio!”. Quello che Joyce disse, Mei non poté sentirlo perché si era
già nascosto in camera sua.
“A
proposito tu dove sei entrato?” domandai scorbutica accantonando per un
attimo Nikka e la sua prova del frac.
“Sono
entrato dalla finestra del bagno, il citofono era rotto e nessuno mi
sentiva” spiegò tranquillo mentre copiosi pezzi di tonno cadevano
dal suo panino al mio divano.
“Joyce , caro… dovresti smetterla di arrampicarti su per la
grondaia, prima o poi ti farai male” cinguettò mia madre gli
preparava le frittelle.
Mi
lasciai sprofondare nel divano, per poi giungere alla conclusione che per
anestetizzare le preoccupazioni, avrei solo dovuto ingozzarmi di frittelle e
millefoglie. E così feci. Tanto a darmi manforte c’era Joyce. Che
il cibo non lo disdegnava mai.
Capitolo 9 *** Il Furto della Gioconda sul Gabinetto ***
I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Nono
Il
Furto della Gioconda sul Gabinetto
Quella
domenica non poteva iniziare in modo migliore. Prima di tutto
, diversamente dal mio sogno nessun ladro diabolico era venuto a
privarci del nostro quadro della Gioconda appeso appena sopra al water, anche
perché non avevamo nessuna copia della Gioconda in bagno. Poi la madre
di Joyce sarebbe venuta in Italia direttamente da Gallway
per far visita ai figli e all’ex marito, e per quel giorno era in
programma una gita fuori porta dell’intera famiglia, perciò Joyce
sarebbe stato alla larga da casa mia per un po’. Inoltre era appunto
domenica , ed essendo domenica né io né Mei saremmo andati a scuola, e quindi mio fratello non
avrebbe corso il pericolo di finire tra le grinfie di quell’arpia di
Nikka. Insomma, una giornata da segnare sul calendario con
l’evidenziatore.
Andai
in bagno, e mi compiacqui del fatto che non ci fosse nessuna opera di Leonardo
da trafugare, mi lavai di denti guardandomi allo specchio, diedi
un’occhiata al vetro della finestra, che inevitabilmente rimaneva sempre
aperta, la chiusi dicendomi che era normale che Joyce
riuscisse a entrare, se mia madre lasciava tutto spalancato.
Ma
non mi feci abbattere da simili sciocchezze e mi accesi beatamente una sigaretta.
Mentre me la fumavo con tutta le beatitudine del mondo
mi diressi in cucina afferrando il mio solito portacenere scheggiato che
portavo in giro per casa .
“Buongiorno!”
trillò mia madre mentre mi mettevo a sedere a tavola dove la mia
colazione era già pronta. “Ti sei svegliata tardi sta mattina
tesoro!” continuò distogliendo per un attimo gli occhi dallo
zabaione che stava cucinando. Mister manichino indossava un pomposo vestito da
sera commissionato da chissà da chi.
“Tuo
fratello si è alzato presto ed è già uscito”. La
forchetta intrisa di millefoglie mi si fermò a mezz’aria mentre
trafiggevo mia madre con un’occhiata per nulla tranquilla.
“Come
sarebbe a dire che Mei è uscito?” chiesi
con gli occhi fuori dalle orbite e la millefoglie che
cadeva rovinosamente sulla tovaglia senza avvicinarsi nemmeno per sbaglio alla
mia bocca. Da quando in qua Mei usciva?
“Oh,
sì” fece allegra la mia ingenua genitrice“è andato da quella
sua amica, la figlia di Marianna…com’è che sia chiama?
Nicole? Nicoletta? Sai che non lo so…sono davvero
felice che si sia trovato un’amica ne aveva proprio bisogno!”
continuò a vaneggiare lei mentre io rivolgevo uno sguardo malinconico
alla mia colazione, per poi sospirare e cominciando a mangiarla.
Non
potevo mica perdere l’appetito per Nikka… e poi infondo che gli
poteva fare di tanto grave? Farlo camminare sui carboni ardenti?
Frustarlo?Metterlo in una vasca
piena di ghiaccio?
No,
sicuramente no, e allora decisi di lasciar perdere. Al massimo avrebbe fatto
qualche esercizio di matematica di troppo.
Nella sua testa non era chiarissimo come fosse
finito lì dentro, ma la cosa che invece era più che chiara era
che stesse morendo di freddo, che avesse le dita di un
colorito tendente al blu e i denti che battevano facendo rumore.
Si chiedeva come aveva fatto a farsi
convincere così stupidamente da Nikka a spogliarsi fino alle mutande
davanti ai suoi occhi, e oltre a quello entrare in una vasca piena di ghiaccio
dove probabilmente sarebbe morto assiderato entro un’ora. Si strinse un altro
po’ nelle spalle mentre sentiva il calore andarsene dalle mani ormai blu.
Alzò lo sguardo per guardare Nikka che seduta sul water col coperchio
chiuso si faceva tranquillamente la french alle
unghie, senza dargli particolare udienza.
Deglutì e cercò di schiarirsi la
gola nel modo più rumoroso possibile per attirare l’attenzione su
di sé.
Vano dispendio di voce dato che Nikka lo
ignorò finché non ebbe finito di sistemarsi le unghie come
esattamente desiderava.
Rimirò soddisfatta il lavoro svolto.
“Sai Mei” cominciò senza guardarlo
ma continuando a osservare come aderiva lo smalto “non dovresti fare lo
zerbino e fare tutto quello che ti dicono le ragazze, cos non conquisterai mai
nessuna…” concluse avvicinando il viso pericolosamente a quello del
ragazzo decisamente infreddolito. Mei deglutì
faticosamente sorprendendosi che la saliva non gli si fosse ghiacciata in
bocca, poi annuì lentamente con aria a dir poco terrorizzata.
Nikka lo gratificò con un sorriso per
poi rifugiarsi nuovamente sul suo water col coperchio chiuso, e dichiarare
“Perfetto”.
Il ragazzo fece per
alzarsi ma lei lo fulminò “Beh, cosa fai? Resta
lì”, e lui si risedette facendola sorridere.
Poi si alzòuscendo dal bagno perché
Milly urlava qualche cosa dalla cucina. “Sì Milly puoi prenderla
una birra; è nello sportello del frigo!” sbottò aprendo la
porta del gabinetto dove stava chiusa con Mei da
quella che poteva sembrare un’eternità.
“Posso uscire?” pigolò con
voce strozzata Mei cercando di essere il meno
fastidioso possibile.
“No” rispose tranquillamente Nikka
senza pensarci su nemmeno un secondo. E Mei
abbassò la testa e decise che forse era meglio starsene lì. Se
fosse uscito forse sarebbe stato costretto a fare qualche cosa di peggio.
Sta di fatto che il lunedì seguente Mei rimase a letto. Intontito, senza accennare ad alzarsi,
e quando alle due del pomeriggio sua sorella tornò a casa lui era ancora
lì immobile come lo aveva visto quella mattina. Per un secondo
temé fosse morto. Invece respirava. Piano. Ma respirava.
“Mei?”
sussurrò incerta sedendosi delicatamente sul letto del fratello. Mei mugugnò qualche cosa ovattato
della trapunta.
“Hai la febbre?” chiese lei un
po’ più decisa. Dalla coperta affiorò un occhio color nocciola
“La febbre non loso, ma mi sento come se mi fosse
passata sopra una betoniera…” biascicò faticosamente per poi
tornare a rincantucciarsi lasciando intravedere dall’esterno solo i
capelli.
“Nikka ti ha fatto qualche cosa?”
sbottò d’un tratto come se avesse avuto un’illuminazione, ma
sentendosi subito stupida. Cosa poteva aver fatto Nikka per farlo ammalare?
Forse era un po’ troppo prevenuta…Si morse il labbro, mentre il
fratello riemergeva un altro po’ per farsi sentire.
“No, a parte farmi il bagno in una vasca
piena di cubetti di ghiaccio, non ha fatto niente” brontolò
sarcastico prima di nascondersi di nuovo per evitare la reazione della sorella.
“Che cosa ha fatto?”
sbraitò Rachele con un’espressione degna di un clown.
“Niente!” urlò remissivo Mei da sotto il piumone sgambettando contro di lei e non
permettendole di guardalo in faccia.
Rachele fece un sospiro e uscì dalla
stanza. “Come vuoi tu, stupido opossum…”concluse senza
cattiveria, ma più che altro con una sorta di muta arrendevolezza.
Rachele si lasciò cadere pesantemente
sul divano guardano il soffitto ormai ingrigito dall’azione invernale dei
termosifoni. La signora Pavesi canticchiava una vecchia canzone che riempiva
l’aria di una sorta di ovattata allegria. Sua figlia si accese
stancamente una sigaretta e si disse che non aveva il dovere, o forse il
diritto, di interessarsi troppo della vita privata di Mei.
Ora che pareva averne acquistata una, per quanto un po’ strana.
Il suo stato d’animo fu facilmente
indovinabile, quando suonarono alla porta e dopo poco si trovò Nikka in
piedi impettita sullo zerbino che salutava educatamente sua madre.
Spalancò gli occhi e allungò la testa per guardare la porta
d’entrata.
“Buon giorno Nicoletta… come
stai?” . Lei sorrise, ma Rachele la vide
irrigidirsi nel sentirsi chiamare col nome completo. “Bene , signora Pavesi, tutto a meraviglia” disse con voce
melliflua e controllata.
“Vuoi un po’ di zabaione? L’ho appena preparato!” esclamò gioviale.
Rachele vide un bagliore passare negli occhi di Nikka, come se andasse in
standby per un secondo. Poi fece un altro sorriso un
po’ falso, un po’ tirato “Oh, il suo zabaione è
leggendario a casa mia. Mia madre ne parla
sempre… ma sono a dieta”.
“Oh, ma che peccato”
sussurrò la signora guardandosi il grembiule ricamato
, ma si riprese subito dichiarando gioviale come suo solito “Mei è in camera sua, è la prima a
sinistra”. Nikka annuì e si avviò con passo leggero vero la
camera indicata. Si fermò a guardare la catenella da water di Meie l’espressione che le si
dipinse in volto non fu delle più entusiaste. Appoggiò la mano
sulla maniglia e spinse in basso dolcemente per poi entrare con passo felpato e
chiudersi la porta alle spalle con un tonfo sordo.
“Ciao Mei”
sussurrò piano appoggiandosi leggermente sul ciglio del letto. Mei si alzò di soprassalto guardandola come se si fosse
visto atterrare sul copriletto un folletto irlandese. La fissò
stralunato sedendosi sul cuscino e mostrando al mondo il suo pigiama blu notte.
“Che ci fai qui?” domandò
come se si aspettasse una nuova tortura. Lei alzò le
spalle e gli sorrise amabile. “Non ti ho visto a scuola e pensavo
che volessi farti desiderare…sappi che con me queste cose non funzionano…”
disse, non suonava minacciosa, ma la frase se non ispirava nulla di buono.
Si mise a sedere a gambe incrociate mentre lei
si faceva più indietro per appoggiarsi al muro con la schiena.
“Mi sono ammalato dopo il bagno nel
ghiaccio” spiegò con un’espressione bimbesca.
“E ora stai meglio?” tagliò
corto lei senza essere troppo brusca ma senza curarsi
troppo di quello che Mei le avrebbe voluto dire se lo
avesse fatto finire di parlare.
Mei annuì dubbioso
come chiedendosi cosa sarebbe successo adesso che aveva ammesso che non stava
poi più così tanto male.
“Sei venuta
solo per controllarmi?” chiese lui preoccupato. Nikka alzò le
spalle. “no…direi di no… stavo pensando che non voglio
perdere neanche un giorno.. abbiamo ancora molto da
fare…”.
Mei aprì bocca per
ribattere ma Nikka parve rianimarsi da quella specie di trance in cui parlava
più a sé stessa che a lui.
“Allora vuoi diventare emozionante, stupendo,
perfetto, vuoi essere un’opera d’arte?” disse guardandolo
negli occhi con eccessivo entusiasmo. Mei avrebbe
voluto rispondere di no, che non ci
teneva a diventare un’opera d’arte , e non
vedeva come lui potesse essere considerato emozionante…
e forse Nikka cominciava a fargli un po’ paura, con quella follia
dell’essere belli e perfetti ad ogni costo. E ammaliare così tanto
da avere potere su chiunque. Inutile dire che su di lui Nikka riusciva al
meglio a esercitare il suo particolare fascino.
Nikka non gli diede il tempo di rispondere,
dato che la considerava una domanda retorica e proseguì tranquillamente
senza guardarlo, con aria da maestrina.
“Allora Mei,
sei mai stato a una festa oltre a quella al Luxury dove ti ho portato
io?” chiese con voce stentorea. Mei era
convinto di averle già accennato alla sua vita piuttosto riservata e
circoscritta nei suoi venti metri quadrati.
Deglutì arrendendosi a dover accettare
quella conversazione scomoda. “No” rispose serio.
Nikka annuì come prendendo nota della
cosa.
“Hai mai baciato una ragazza?”
chiese ancora per poi aggiungere “A parte tua sorella intendo”. Mei arrossì in modo impressionante, un po’
perché lei si era avvicinata in maniera allarmante, un po’
perché la risposta che doveva dare lo imbarazzava.
“…no” sussurrò il
più piano possibile sperando che lei non
sentisse.
Nikka sbuffò, se lo aspettava e si
appoggiò di nuovo stancamente al muro con il capo.
“Questo potrebbe risultare un
problema…” fece fissando il lampadario. Poi tornò a
guardarlo. Sembrava che lo facesse apposta per fargli prendere un colpo tutte
le volte che si rigirava per osservarlo.
“Insomma parliamone, fare la figura
dell’impacciato con una ragazza, non andrebbe molto a tua
favore” decretò increspando le labbra a cuore. Si
passò una mano sul mento pensierosa “Va beh… a questo
possiamo rimediare” bofonchiò prima di sporgerglisi
addosso più di quanto non avesse già fatto e dargli un bacio
sulle labbra. Mei colto alla sprovvista rimase rigido
come un cubo di marmo, si sentì arrossire , o
ancora meglio andare a fuoco per l’imbarazzo mentre Nikka lo baciava a
occhi chiusi come se fosse la cosa più normale del mondo.
Non riusciva a capacitarsi di quello che stava
succedendo, non amava il contatto fisico, ma il suo ginocchio, sul quale lei aveva
appoggiavo la mano per non perdere l’equilibrio stava letteralmente
bruciando. E il tutto gli sembrava troppo viscido. Cosa c’era di bello
nel baciare qualcuno?…forse era una cosa sentimentale, forse doveva
chiudere gli occhi, eppure continuava a stare lì con gli occhi sbarrati
a contemplare inerme l’ombretto color ocra sulle palpebre morbide di
Nikka.
Poi Nikka si staccò e lo guardò.
“Credo che dovremo lavorarci Mei” disse
come se stesse parlando di un compito di scuola.
“Un po’ di
brio su!
Se baci così una ragazza le sembrerà di
amoreggiare con una statua!” . poi ghignò.
“Credo proprio che tu abbia bisogno di una flebo di sicurezza in te stesso… se no non
potrò fare molto…” gli passò la mano tra i capelli e
glieli scompigliò.
“Forse è meglio che vada…
ci vediamo domani” si alzò leggiadra come
era arrivata e si avviò verso la porta seguita dallo sguardo in trance
del ragazzo. Prima di aprire ebbe un sussulto e si mise a lambiccare nella
borsa beige in cerca di qualche cosa. “Dimenticavo… questi sono i
miei compiti di matematica, non è che me li faresti tu?” fece
appoggiandoli sul suo comodino e schioccandogli un bacio sulla guancia.E poi sparì senza che Mei avesse il tempo di dire nulla. La sentì
borbottare mentre chiudeva la porta “E comunque questa catenella è
orrenda”.
Rimase a guardare la porta da dove lei
era sparita e poi si toccò le labbra. Non sapeva davvero più cosa
pensare.
Nikka e Joyce si incrociarono sulla porta di
casa dei Pavesi, lui che entrava lei che usciva.
Diede un’occhiata decisamente poco
entusiasta ai pantaloni fucsia del ragazzo prima di uscire sospirando qualche
cosa che suonava tanto comestai uccidendo il buon gusto.
Vidi
con la coda dell’occhio Nikka andarsene lasciando il posto a un coloratissimo Joyce. Quel ragazzo non riusciva a vestirsi
secondo dei canoni estetici terrestri. Decisi si non
toccare il tasto del vestiario aspettando che si lasciasse cadere pesantemente
sul divano accanto a me. Sotto il braccio aveva un foglio di carta arrotolato,
mi chiesi cosa fosse, e mi chiesi cosa ci facesse lì. Non aveva detto di
voler approfittare di tutti i momenti in cui sua madre sarebbe rimasta in
Italia con lui e le sue sorelle?
“Ciao
Stronza”
“Ciao
Idiota” risposi io seria, mentre mia madre
allungava una pentola verso il mio ospite chiedendo allegra se non volesse
favorire del suo zabaione.
“Volentieri
signora Pavesi, tra un attimo sarò ben felice di fare indigestione di
dolci”disse con un sorriso dolce. Mia madre sorrise a sua volta
gratificata.
“Che
ci fai qui?” sbottai camuffando la mia perplessità con una decisa indisponenza. Lui non badò granché al mio
tono, era abituato al mio essere bruca.
“Mia
madre ha litigato con Papà…ed è tornata in Irlanda oggi
pomeriggio di corsa…mi sa che la rivedrò solo la prossima
estate…” spiegò con una punta d’amarezza. Avrei voluto
dire che mi dispiaceva, ma non lo feci, rimasi una maschera impassibile come
solito. E Joyce mi sorrise furbo, perché sapeva che cosa stavo pensando.
“E
poi ho una cosa per te” dichiarò tornando allegro e allungandomi
il tubo.
“Cos’è?”
sbottai.
“Il
tuo regalo di compleanno” rispose semplicemente lui tutto contento.
Arricciai il naso.
“Ma
non è il mio compleanno oggi!” esclamai irritata. Lui si
aprì in un altro dei suoi soliti sorrisi sibillini “Lo so, ma
è tra poco, e mia sorella si lamentava perché il tubo occupava
spazio in camera!”spiegò.
Guardai
il mio regalo. “allora non lo srotoli?” chiese Joyce impaziente, e
io decisi di accontentarlo di buon grado.
Il
foglio srotolato si rivelò una copia lucida della Monna Lisa. Guardai il
poster sbattendo le palpebre.
“Allora
ti piace?”
“No”
mentii “Ma so dove lo appenderò!”conclusi puntando al bagno.
Salve a tutti. Fine del
nono capitolo. Spero che sia più carino di quanto mi è sembrato
rileggendolo. La parte dove Mei è nella vasca
e chiacchiera con Nikka mi è stata un po’ difficile…
Ma passiamo ai
ringraziamenti!
Shamicham: grazie per il bellissimo…
scusa se ci ho messo un po’ ad aggiornare, ma con Il Potere dellePesche e
tutto, faccio fatica ad aggiornare in tempi brevi!!
Spero che il capitolo ti sia piaciuto!!
Niggle: sì, anche io sono convinta
che se Mei esistesse mi odierebbe un sacco… e
avrebbe anche ragione…ma infondo non odia neanche Nikka che è il
suo carnefice!!! E Joyce.. il suo personaggio si
è delineato un po’ meglio?^_^
LisettaH: si ,si Mei è proprio in balia dei capricci di Nikka…
alle spossanti spese non ci siamo ancora arrivati, ma per ora mi limito a
qualche cosa di più fisico che psicologico!!! E sì… Joyce
sì, che sa cos’è il buon gusto!
The Corpse Bride: esattamente non lo so
neanche io che l’ho scritto cos’è la prova del frac... e
l’impellicciato beh… la sua famiglia è così… un
po’ sfasata… e lui preferisce passare il suo tempo con un’imbronciata
Rachele…^_^
Grazie a tutti quelli
che hanno letto la mia storia, al prossimo capitolo, Aki_Penn
Il
giorno che Mei si rimise e decise di tornare a scuola , io mi svegliai strana. Rimasi per un po’ seduta sul
letto a guardarmi in torno. Era la prima volta che non mi svegliavo di soprassalto
disturbata da un incubo. Se avevo fatto un brutto sogno non me lo ricordavo. Sorrisi
agli angeli poi mi accesi una sigaretta ed impossessandomi del portacenere mi
avviai verso la cucina strisciando i piedi. Giunta davanti alla porta del
tinello, mi fermai a pensare, come se un particolare avesse colpito la mia
attenzione, ma non me ne fossi accorta. Tornai indietro in retromarcia e mi
fermai a guardare la porta chiusa della stanza di Mei,
rimasi lì basita per qualche secondo. Mancava qualche cosa, ma non
intercettai subito cosa. Aggrottai le sopracciglia e aprii la bocca quando mi
accorsi che mancava la catenella da cesso. Sbuffai e imprecai al nulla mentre
tornavo in camera mia a vestirmi. Uscii mentre mia madre diceva qualche cosa a
proposito delle frittelle che mi aveva preparato per colazione. “Non ho
fame” sbottai, e uscii schiudendomi la porta alle spalle.
Mei arrivò come al
solito in anticipo, sapeva l’orario delle lezioni a memoria, per cui non
ebbe bisogno di consultare l’orario per sapere che avrebbe avuto
educazione fisica.
Si sedette pesantemente sul bordo
dell’aiuola che ospitava una grossa agave, che con il freddo incalzante
sembrava soffrire. Mei si sentiva un po’
così prima delle lezioni in palestra.
Forse sarebbe stato anche discreto come
giocatore di basket se non avesse avuto paura della palla, e
dell’allenatore, che ad ogni palla persa gli dava della femminuccia.
Deglutì e si mise a ripetere i primi
dieci articoli della Costituzione, per non pensare alle due ore che lo
attendevano.
Gli passarono davanti un paio di ragazze che
erano in classe con lui e che non lo degnarono di uno sguardo. Un ragazzo
basso, con gli occhiali , decisamente sciatto, gli
fece un cenno con la testa al quale Mei rispose in
modo altrettanto discreto.
Al suono della campanella si alzò e si
avviò pesantemente verso la palestra strisciando i piedi. Non voleva
andarci! Non voleva proprio! Si fermò un attimo davanti al vetro
fumé della porta facendo una smorfia. Un nugolo di ragazzi gli
passò accanto e un tizio prestante e biondo gli tirò una
spallata, senza curarsi di chiedere scusa, e Mei
andò a sbattere contro lo stipite con un tonfo e un timido
“Ahi”.
Quando tutti furono passati, sbuffando e
sgomitando, Mei riprese l’equilibrio e si
massaggiò la guancia che aveva sbattuto. A quel punto sì che se
ne sarebbe voluto tornare a casa, ma come sempre capitava, si costrinse ad
entrare.
I ragazzi non badarono a lui quando
silenziosamente compunto entrò nello spogliatoio e appoggiò lo
zaino in un angolino libero. Si vestì nella generale confusione, mentre
un tizio pieno di lentiggini saltava addosso ad un altro facendo finta di
picchiarlo.
Volarono scarpe e libri, e Mei
si fece piccolo per non farsi notare, mentre la maggior parte dei ragazzi
uscivano dallo spogliatoio. Si sentiva troppo alto dentro a quei pantaloncini
troppo corti, che gli lasciavano le gambe magre scoperte dal ginocchio in
giù. Sistemò le ultime cose, piegando la camicia sopra i
pantaloni in ordine. Non badò a chi era rimasto con lui nello stanzino
finché non sentì un dito picchiettargli sulla spalla.
“Pavesi?” chiesero tranquillamente
alle sue spalle. Mei si voltò e qualche cosa
che non identificò subito lo colpì al mento e lo fece cadere
seduto sulla panca sgualcendo i vestiti e rovesciando il deodorante.
Alzò lo sguardo e vide Pallotti, il ragazzone alto e biondo che aveva una tresca
con Nikka, sorridergli con un ghigno strano e puntargli contro il dito indice.
“Pavesi…” esclamò
avvicinando il viso a Mei che si massaggiava il mento
guardandolo con gli occhi di chi non ci ha creduto nemmeno un secondo a quel
sorrisetto. “Federico?”chiese sarcastico.
“Mei”
corresse lui incerto, non era abituato a farsi chiamare col nome di battesimo,
e non gli piaceva.Pallotti fece una smorfia come se si fosse ricordato
perché era andato a cercarlo “Che soprannome idiota…”
sputò schifato e improvvisamente gli diede un altro pugno in faccia
facendolo cadere per terra.
Mei avrebbe voluto urlare
per il male che sentii al naso. Se lo coprì con le mani, non riuscendo a
pensare ad altro che al dolore, si chiese se fosse rotto. Sentì il
sangue che gli colava sulla bocca. Ci mise un po’ prima di tornare a
guardare in faccia il ragazzone biondo, che a quel punto lo guardava con aria
truce, accompagnato dai suoi due amici imponenti quanto lui. Tutti e tre
insieme coprivano quasi completamente la luce proveniente dalla finestra. Mei respirò piano, col cuore che batteva
all’impazzata nel petto, sperò che da fuori non di
sentisse quel tonfo sordo che batteva dentro la sua cassa toracica.
“Cosa vuoi da me?” biascicò
col fiatone tenendosi seduto appoggiando le mani per terra.
“Tu vai a letto con la mia
ragazza?”urlò, e più che una domanda era quasi
un’affermazione. “Eh?” soffiò fuori Mei quasi impercettibilmente. “Chi è la tua
ragazza?” ansimò mentre Pallotti gli
assestava un calcio al ginocchio che non riuscì ad evitare.
“Nikka, tu ti fai Nikka, eh? Maledetto schifoso” ringhiò tra i denti, mentre Mei si rannicchiava per attutire il colpo che gli
arrivò sul gomito.
Si alzò faticosamente, non lo avevano
mai toccato nemmeno con un dito. Era abituato a vedere gli atti di bullismo
negli spogliatoi, ma a lui non si era mai interessato nessuno. Non aveva mai
dato fastidio a nessuno, e invece adesso…
“io non ho fatto niente con
Nikka…” disse senza fiato più sconvolto che impaurito,
mentre il bacio con Nikka gli pesava bruciante sulla coscienza. Non ebbe il
tempo di dirsi che non era colpa sua, perché il ragazzo biondo davanti a
lui gli assestò un calcio alla gamba e lo fece
cadere di nuovo per terra sul pavimento lurido dello spogliatoio.
Mei si rannicchiò
ancora come se fosse un riccio. Decisamente arreso. Pallotti
lo guardò con disprezzo e gli assestò un altro calcio sul naso.
“Ma che razza di uomo sei? Non mi diverto nemmeno a picchiarti” sputò girando i
tacchi e andando in palestra seguito dai suoi amici.
Mei rimase li
stringendosi nelle spalle e sperando di poter sparire. Appoggiò la testa
alle piastrelle lerce e deglutì piano mentre tirava su col naso , le braccia abbandonate in avanti, come se fossero state
morte. Lasciò che le gambe si rilassassero e si distendessero, mentre si
chiedeva perché era così. Perché non aveva reagito.
Perché non aveva reagito almeno un pochino di più? Perché
si era fatto picchiare come un maledetto fantoccio?
Perché era un fantoccio… nelle
mani di Nikka, come aveva detto lei dal di fuori della
vasca. Doveva fare qualche cosa. Non poteva farsi trovare ancora lì
disteso a sguazzare nel suo sangue quando sarebbero tornati tutti dalla lezione
di educazione fisica. Ma poi non si mosse.
Più tardi la porta
dell’infermeria – se così si poteva chiamare uno sgabuzzino
con due cerotti in croce- si spalancò con un botto e l’uscio
andò irreparabilmente a sbattere contro la parete. Fu così che
Rachele Pavesi e la sua orda di evidentissimi capelli blu ,
fecero la loro entrata in scena, seguiti da uno scricciolo coi capelli castano
rossicci e l’aria corrucciata.
Rachele piegò la testa da una parte
mentre squadrava il fratello che se ne stava seduto a testa bassa sul lettino
improvvisato dell’infermeria. “Che è successo?”
domandò brusca senza tanti giri di parole. Mei
strinse un attimo i muscoli della mascella in modo impercettibile, solo Rachele
se ne accorse, ma non diede segni di averci fatto caso.
“Ti sei fatto male?” chiese
stridula da dietro Nikka, più preoccupata che non si fosse rovinato, invece che fatto male in
sé per sé.
Mei fece una smorfia poi
cercò di nascondere il viso contro la spalla. “Il naso non
è rotto” pigolò sommessamente il bidello facendo una
carezza al braccio di Mei, guardandolo come se fosse
un cagnolino. Era buffo come a molti desse la stessa impressione. Mei ritrasse il braccio che il bidello gli aveva toccato,
come se si fosse scottato.
Nikka gli si avvicinò e gli
passò dolcemente una mano sulla guancia, studiando il livido violaceo
che gli passava dal naso fin sotto gli occhi,come un nastro scuro. Sul momento
Mei si fece tonnare, sentendosi quasi consolato,
finché non si ricordò il motivo per il quale era finito in
infermeria. E allora distolse lo sguardo anche da lei nascondendo il viso e non
facendosi toccare. Nikka ritrasse la mano stupita, sgranando gli occhi.
“Che cavolo è successo?”
chiese di nuovo Rachele esigendo una risposta. “Ho sbattuto contro la
porta…” sussurrò Mei, lanciando
un’occhiata a entrambe, con il viso contratto, per poi abbassare
nuovamente la testa. Ovviamente nessuna delle due ci credette
nemmeno per un istante, e sua sorella schioccò uno sguardo veloce ed
eloquente al bidello, prima di ritornare a dare attenzione al fratello.
“Pallotti gli
ha tirato un pugno” pigolò il bidello sputando fuori tutto
d’un fiato.
Rachele si voltò verso di lui,
reclinò la testa, increspò le labbra e alzò le
sopracciglia. Poi annuì come per dire sarcasticamente“Ma va là! Divertente!”
Mei gli schioccò
un’occhiata intrisa di risentimento, e il bidello alzò le mani in
aria in segno di resa. Ma d’altronde , le due
donne facevano molta più paura di lui, anche se il ragazzo gli aveva
gentilmente chiesto di essere discreto.
Mei saltò
giù dal lettino cigolante e senza guardare nessuno raccattò da
terra il suo zaino dal pavimento e uscì dallo stanzino che puzzava di
disinfettante, a testa bassa sbattendo la spalla contro lo stipite.
Le due ragazze si voltarono a guardarlo mentre
spariva in corridoio. “Mei”
cinguettò soave Nikka seguendolo con lo spolverino beige che svolazzava
ad ogni suo movimento.
Rachele rimase ferma immobile per qualche
secondo fissando il muro coperto dalle piastrelle e dal calendario Pirelli del
bidello, prima di scoccargli un sorriso e dirigersi a passo lento verso la
soglia.
Guardò Mei
allontanarsi a passo di marcia per il corridoio, tenendosi una mano sulla
faccia, per non far vedere che il naso era viola,rincorso
da una piccola e saltellante Nikka.
Dall’altra parte del corridoio, invece,
Joyce dava mostra di sé dando poderosi calci e spallate alla macchinetta
automatica delle bibite. Fece un sorrisetto, e per un attimo pensò di
andare a denunciarlo dal preside. Era una cosa che la faceva divertire da matti
mettere nei guai Joyce. Ma poi ci pensò su, e decise che forse
quell’appariscente impellicciato le sarebbe potuto
servire per altre faccende.
Nikka nel frattempo aveva raggiunto Mei che non ne voleva sapere di fermarsi ad ascoltarla,
anche se lei continuava a tirarlo per la manica e chiamarlo.
“Mei, MEI,
santo cielo, perché Pallotti ti ha
picchiato?” chiese con voce sempre più stridula, mentre aveva
quasi cominciato a correre, per stare dietro al ragazzo, che del canto suo
aveva le gambe decisamente più lunghe di lei.
“Dovresti saperlo, tornatene dal tuo Pallotti, se ci tieni tanto a saperlo!” sbottò
Mei quando ormai erano arrivati all’atrio
adiacente al giardino.
“Ma cosa
vorresti dire con questo? cosa cavolo c’entro io
adesso!” strillò lei alterata strattonandolo ancora per la manica,
tanto che anche Mai si impalò. Non rispose subito, ma rimase a guardarla
con quella che poteva essere solo rabbia, increspando le labbra, come per non
farsi uscire parole di troppo.
“Pallotti…”
cominciò sputandolo fuori come veleno, mentre Nikka ricambiava lo
sguardo dal basso. “E’ geloso di te… perché pare che
io vada a letto con Nikka Santini…” continuò stringendo i
denti. Lei stava per dire qualche cosa, maMei non glielo permise “Quindi , dopo quella stupida
prova del frac, il bagno nei ghiaccioli, dovrei anche farmi picchiare dai tuoi
fidanzati gelosi?” chiese adirato, e per la seconda volta non la fece
rispondere “io non ci sto, torna pure dal tuo Pallotti,
io me ne torno nei miei venti metri quadrati, dove si sta decisamente molto meglio”
concluse serio girando i tacchi e andando via.
“Mei”
piagnucolò Nikka rimanendo ferma sulla soglia. La sua opera d’arte
che le voltava le spalle e non ne voleva più sapere di vederla.
Boccheggiò.
Mei camminò a
passo di marcia, senza rallentare fino a casa, non era nemmeno la terza ora , ma non gliene fregava nulla. Si sentiva un idiota, non
aveva reagito, si era fatto picchiare come un cretino. Per colpa di chi?
Per colpa di una pazza, da cui si faceva fare
angherie di ogni genere! Era stupido stupidostupido… e la vita faceva schifo da quando
aveva conosciuto Nikka. Doveva rimanersene barricato in casa fin da subito,
perché diavolo aveva dato retta a sua madre?
Perché dava sempre retta a tutti…
come uno stupido bambolotto.
Era
finita l’ultima ora, quando vidi Nikka dirigersi nella mia direzione
quasi correndo, e fermarsi trafelata davanti a me, decisamente parecchi
centimetri più in basso.
“Pavesi”
sentenziò senza fiato. Annuii facendo segno che l’ascoltavo.
“Ho mollato Pallotti, dicendogli che è
un orribile buzzurro, che io non sono di sua proprietà e che vado a
letto con chi voglio… e che non mi rivedrà nemmeno col
binocolo!” concluse orgogliosa del suo operato.
Ghignai divertita.
“Io
ho fatto di meglio” dichiarai. Nikka dondolò la testa da una parte
e sgranò gli occhi. Feci cenno con la testa ,
verso il cancello della scuola.
Inutile
dire che rimase a bocca aperta quando si rese conto che Pallotti
se ne stava in mutande legato al cancello, circondato da un nugolo di turisti
giapponesi, che lo fotografavano.
“Co- come hai fatto?” boccheggiò incredula.
Alzai le spalle divertita “Ho delegato Joyce”
Ciao a tutti, scusatemi se ci ho
messo un sacco ad aggiornare, ma ho avuto un sacco di problemi!Spero che il
capitolo non sia malissimo. Se leggendo trovate qualche cosa che non vi
convince vi prego di dirmelo, vedrò di rimediare! Il capitolo scorso
appena avrò tempo lo sistemerò, perché il dialogo nella
vasca proprio non mi piace!
Grazie a tutti quelli che hanno
commentato e che hanno messo la storia tra i preferiti… al momento non
riesco a ringraziarvi personalmente perché sono reduce
dall’influenza e ho bisogno di dormire, comunque come sempre grazie a
tutto di cuore!!! La prossima storia che verrà
aggiornata sarà StupidCupid
Il
giorno seguente, quando mi svegliai, avevo già la luna storta. Mi sono
sempre chiesta perché di notte i termosifoni vengano spenti, nessuno ha
mai pensato a chi soffre d’insonnia e si alza di notte per distrarsi?
Feci
qualche passo sul pavimento gelido sbuffando e imprecando a bassa voce decisa
ad andare in cucina a mangiarmi una ciotola di fiocchi d’avena,
nonostante fossero le tre di notte.
Mi
ero illusa che i miei incubi avessero avuto una definitiva fine, invece…
in quel momento mi resi conto che non mi sarei mai liberata dei miei spaventi
notturni, e ciò non migliorò di certo il mio umore già
nero.
Rimasi
ferma all’inizio del corridoio a guardare Mei
seduto per terra davanti alla porta aperta della sua camera, con la faccia
illuminata dal lampione. Gli
lanciai un’occhiata scocciata mentre lo superavo scavalcandogli le gambe
stese, lui si raggomitolò subito dopo il mio passaggio come per
nascondersi, io non ci feci caso ed entrai in cucina.
Rimasi
per un secondo a guardare il vuoto buio, poi feci dietro front
e sbuffai “Rimetti la catenella al suo posto deficiente!”.
Fatto
il mio dovere mi diressi alla dispensa mentre Mei si
rifugiava in camera sua. Fissai per un attimo i cereali indecisa
sul da farsi poi presi il cordless e digitai un numero che conoscevo a memoria,
dall’altra parte mi rispose la voce di qualcuno che di certo si era
svegliato solo al suono del telefono, e sicuramente non connetteva ancora
granché.
“Joyce”
tuonai “Ho bisogno di te!”comandai.
“Ma
sono le tre…” mugugnò lui disperato probabilmente
rintanandosi sotto il cuscino.
“Ti
sembra che io mi faccia dei problemi a stare sveglia a quest’ora?”
lo rimbeccai. “E adesso ascoltami!”
Mezz’ora dopo stavano scendendo in uno
scantinato dall’aria umida. “Che cos’è questo
posto?” biascicòMei
perplesso guardando i muri scuri, mentre sua sorella scendeva i gradini con un
rumore ritmico di tacchi.
“La palestra delle sorelle di
Joyce” spiegò Rachele sbrigativa, ma a giudicare dalla faccia
nemmeno lei era particolarmente entusiasta della sistemazione.
“Certo che l’avevo proprio
sopravvalutato questo posto… diamine fa schifo!” sbuffò
arrivati in fondo alla scala ripida e buia, mentre si fermava davanti a una
porta metallica di un color verde arrugginito. Abbassò la maniglia ed
entrò. La sala era grande, e una delle pareti era coperta da un lungo
specchio, Mei sbatté un po’ le palpebre
per abituarsi al buio, rotto soltanto dalla luce fioca che veniva dalle
feritoielaterali.
Quando i suoi occhi si abituarono alla
penombra riuscì a distinguere una figura che man mano si rivelò
essere un Joyce prontamente impellicciato affianco ad
un sacco da box.
“allora è questa la famosa
palestra…” commentò Rachele guardandosi in giro scettica.
“Me la immaginavo più carina
sinceramente”continuò con una faccia da schiaffi che avrebbe fatto
alterare chiunque.
“Nessuno l’ha mai definita
carina… le mie sorelle si lamentano sempre…” rispose lui
tranquillo facendo dondolare il sacco. “E quando vedranno questo si
lamenteranno ancora di più” ridacchiò indicando il sacco
che aveva appena fatto dondolare.
“Cos’è?” chiese poi a
bassa voce Mei.
“La saletta dove le mie sorelle si
allenano per le loro gare di danza” rispose Joyce
svagato “…ne avessero mai vinta una…” concluse
però come se parlasse a sé stesso.
Rachele fece un sorrisetto strafottente che
nella penombra nessuno notò, entrambi i ragazzi invece notarono lo
spintone che diede al malcapitato Joyce.
“Allora hai quello che ti ho
chiesto?” chiese.
“non vedi?” commentò il
ragazzo dando un colpetto al sacco. Rachele lo scrutò con aria scettica,
mentre Mei si guardava in giro spaesato.
“Che devo fare?” domandò
avvicinandosi. Non si rese bene conto di cosa succedesse quando si sentì
colpire in piena faccia. Cascò sul sedere strizzando gli occhi e
toccandosi la guancia, mentre sentiva il sapore metallico del sangue scorrergli
in bocca.
“Dovrai fare questo”
esclamò Joyce tutto orgoglioso della sua performance. Rachele al suo
fianco lo guardava sbigottita.
“Hai tirato un pugno a mio
fratello?” strillò coi capelli che per poco non le si rizzavano sulla testa. Solo in quel momento Joyce si rese
conto di aver compiuto una suprema idiozia e cercò di scagionarsi
balbettando e arretrando.
“era … era a scopo educativo…”farfugliò
camminando all’indietro cercando di allontanarsi al più presto da
quella belva blu che era diventata Rachele.
“E poi non ti sei fatto male
vero?” chiese speranzoso.
“Mi sa che mi hai rotto un dente”
commentò dubbioso Mei ancora seduto a terra,
mentre perlustrava la parte contusa con la lingua.
Fu allora che Rachele saltò addosso al
povero mal capitato che aveva perfino paura di difendersi e mugolava “No,
ahi… Rachele … c’è stata
un’incomprensione… io… ahi.. non
volevo”
“Incomprensione un corno!!” urlò lei mentre Mei
li ignorava bellamente.
Fu solo dopo il massacro di Joyce che Mei annunciò “Falso allarme… i denti ci
sono ancora tutti…”.
Fu molto più tardi che il campanello di
casa Pavesi suonò sfacciatamente. Rachele inguaiata in un troppo
ingombrante vestito nuziale si avviò imprecando alla porta cercando di
portarsi dietro lo strascico per limitare i danni. Aprì scocciata, e la
sua espressione non si addolcì certo quando vide una sorridente Nikka
dondolarsi dalle parti del suo zerbino.
“Oh, finalmente ti sposi e ti togli
dalle scatole?” disse con un sorriso plastico. Rachele non
ricambiò neanche per finta.
“ La spagnola del terzo piano si
sposa… e ha chiesto a mia madre di cucirle il vestito”
spiegò seria, “ma purtroppo Mr. Manichino non ha il seno… quindi
l’aiuto io”.
Nikka alzò le
sopracciglia beffarda “Come se tu le avessi” commentò
incrociando le braccia e lanciandole uno sguardo sbieco.
“Scusami, quando Dio distribuiva le
tette io ero in fila per il cervello… ma comunque non mi pare che tu sia
una maggiorata…” la rimbeccò seria.
“Comunque non stavo cercando te”
continuò con un finto cipiglio allegro.
“Chissà perché lo
immaginavo…”sbottò incrociando le braccia e alzando un
sopracciglio come aveva fatto prima la sua interlocutrice.
“Mei oggi non
è venuto a scuola” spiegò saccente.
“Sarà in giro… cercalo se
vuoi… chissà se vuole vederti però…” rispose a
una domanda che non c’era stata chiudendole la porta in faccia
soddisfatta.
Il sorriso plastico le sparì dalla
faccia mentre sospirava a occhi chiusi. Fece dietrofront e scese stancamente le
scale.
Il cielo era coperto da nuvole che non
minacciavano pioggia ma che comunque non mettevano certo allegria. Si accese
stancamente una sigaretta e si avviò a passo lento verso il centro.
Non sapeva esattamente cosa stava facendo. Si
sentiva in colpa , aveva decisamente esagerato con Mei… e per di più l’aveva messo nei guai
con quell’idiota di Pallotti. Non è che
volesse chiedergli scusa, non gli avrebbe chiesto scusa no, ma almeno metter
una toppa. Almeno tornare sul suo piedistallo.O forse non sapeva esattamente cosa
voleva fare, però avrebbe dovuto parlarci.
Costeggiò il canale
dall’acqua decisamente sporca, che sembrava intonarsi col tempo uggioso.
Si fermò un secondo accanto a un vaso dai fiori fucsia che abbelliva la
veranda di un bar, aperta al pubblico nonostante la stagione.
L’angolo della bocca le si
increspò in un sorriso quando intravide Mei
seduto a un tavolino tondo, mentre digitava veloce sui tasti del suo portatile,
con gli occhi coperti da dei grossi occhiali da sole.
Spense la sigaretta sotto la suola della
ballerina rossa. Scivolò felpata e Mei si
accorse della sua presenza solo quando si fu seduta dinanzi a lui.
Sobbalzò per lo stupore.
“Opplà”
fece lei sorridente, appollaiandosi sulla sedia in ferro battuto. Era un
sorriso meno tirato del solito, maMei
non se ne accorse. Forse non si era mai accorto di quanto fossero plastici
quelli che aveva sempre visto.
Mei si appoggiò
allo schienale della sedia , sembrava che volesse
starle il più lontano possibile.
Nikka appoggiò il viso sulle mani messe
a coppa e lo guardò di sbieco con aria furba, ma non era rilassata come
voleva far sembrare.
“Allora abbiamo cominciato a marinare la
scuola?” fece con un sorriso dolce che mostrò tutti i denti a Mei.
“Non volevo farmi vedere
così” spiegò indicando gli occhiali cercando di non
incontrare lo sguardo della ragazza. “Sono belli” commentò
lei sincera senza capire.
Lui schioccò le labbra vagamente scocciato e con uno scatto si levò gli occhiali
mostrando un livido che gli passava da sotto un occhio, a sotto l’altro,
passano per il naso.
“E’sexy” disse alzando le
spalle. Il ragazzo non aveva idea se fosse sincera o meno, ma forse non lo
voleva nemmeno sapere.
Lo aveva più o meno ammesso a sé
stesso, che Nikka non gli dispiaceva, gli piaciucchiava…
sì, ma non si sarebbe fatto prendere in giro da due parole carine, e
commentò rimettendosi gli occhiali “ Sexy per te forse… a me
ha fatto male”.
Nikka si irrigidì sulla sedia e
allungò il collo mentre guardava Mei
rimettersi gli occhiali e sistemare il portatile nella custodia, dato che
c’era lei non era più un luogo sicuro.
“Hai un livido anche sulla
guancia?” chiese d’istinto senza pensare che avrebbe potuto
peggiorare la sua già fragile posizione.
Mei si immobilizzò
e si passò una mano sulla guancia, fece un respiro profondo e rispose
“indirettamente potrebbe essere anche questa colpa tua… se il tuo
amico non mi avesse tirato un pugno a quei due non sarebbero venute in mente
soluzioni strane…” sbottò irritato. Prese su baracca e
burattini sotto braccio e si avviò lungo il canale il più
possibile lontano da lei.
Nikka si alzò
di scatto e lo rincorse “In fondo però non è colpa mia se Pallotti ti ha picchiato! Io credo che sia
stato davvero un idiota, e l’ho mollato subito…!!”
cercò di dire mentre a fatica gli stava dietro, con le gambe che erano
la metà di quelle del ragazzo.
“Forse tu non mi hai picchiato, ma mi
hai fatto fare il bagno del ghiaccio e mi hai fatto fare i tuoi compiti e mi
hai fatto sentire un idiota…” esclamò fermandosi di scatto.
Storse la bocca e alzò le sopracciglia .
“Per sabato ho organizzato una festa di
Halloween… vieni anche tu?”rilanciò senza un senso logico
montando il solito sorriso plastico.
Lui la guardò da dietro gli occhiali , ma le rispose solo dopo essersi girato per andarsene.
“no”
Nikka si sentì sgonfiata come con un
palloncino bucato. Rimase a guardarlo darle la schiena per qualche secondo,
prima di ricordarsidi cosa era lei.
Rimontò il sorriso plastico e
strillò allegra “Se cambi idea sai dove trovarmi!!”
Quella sera scesi le scale
del seminterrato di quello scellerato di Joyce imprecando per
l’umidità e lo squallore. La porta si aprì con un cigolio
sinistro e io rimasi un attimo sulla soglia per abituarmi alla penombra.
Non ci misi tanto ad
accorgermi di Joyce che stravaccato s’un materassone
mi fissava, del famigerato sacco appeso in mezzo alla stanza e di
un’altra figura supina sul pavimento.
“Che sta
facendo?” domandai intuendo che quello immobile per terra era mio
fratello.
“Prima è
svenuto per colpa del rinculo del sacco” spiegò Joyce
pacato, il cuore mi balzò in gola, e fui accecata da una specie
di rabbia folle , perché quell’idiota non faceva nullase Mei era
svenuto?
Probabilmente la mia
espressione rivelò i miei pensieri perché lui si affettò a
proteggersi la faccia e a dire “Poi però è rinvenuto e
adesso dorme”
Mi rilassai e la mia
espressione si rilassò. Quello stupido opossum mi faceva sempre
preoccupare.
“Sembra
crocifisso” commentai in modo strascicato notando come era sdraiato, poco
prima di collassare sul materassino dove già stava Joyce.
Non so cosa avesse la mia
espressione, perché lui mi guardò con un sorrisetto strano. Non
volli approfondire l’argomento e gli pestai un piede concludendo tutto
quello che poteva essere iniziato nella sua testolina.
“Ha detto che Nikka
è andata a cercarlo” disse nell’ombra, mentre nessuno dei
due guardava l’altro.
Alzai le spalle “Lo
immaginavo” risposi mentre mi accendevo una sigaretta.
“Alle mie sorelle
non fa piacere che si fumi qui” mi avvertì tranquillamente.
“Perfetto, la spengo
subito” feci pratica prima di schiacciargliela sul dorso della mano.
“Ahi!”
Ciao a tutti!!! E alla fine ho
aggiornato prima del previsto!! Comunque devo avvertirvi che l’aggiornamento
è un avvenimento eccezionale, il prossimo potrebbe arrivare dopo
l’esame o addirittura dopo l’estate se non trovo il tempo per
scrivere…=_= mi dispiace tanto!!!
Ringrazio tantissimo per tutte le e-mail che mi sono arrivate , mi avete davvero dato la carica per scrivere questo nuovo
capitolo ^_^ e ovviamente ringrazio anche chi ha commentato l’ultimo
capitolo :
Lidiuz93: grazie davveroper il commento, eh lo so che
Nikka è un po’ strana…ma forse con questo capitolo si vede
che poi non è così stronza… ^_^spero che ti sia piaciuto!!
Niggle: alla fine sono guarita! Adesso
c’è l’ansia da esame ma spero sopravvivrò!! Sono felice che Mei sia un bel
personaggio *_* spero che sia abbastanza realistico nella sua irrealisticità ( cosa sto dicendo?) comunquesi è
scelto un brutto momento per uscire dal suo guscio dato che è finito
nelle grinfie di Nikka!!! Spero che il capitolo ti sia piaciuto!! Alla prossima!!
Prue786: ti ho fatto aspettare un
po’… mi spiace che tu sia arrivata proprio quando gli aggiornamenti
diventano più radi!!! Comunque mi ha fatto
davvero piacere il tuo commento, per gli errori di battitura devo dire che mi
impegno per non farli, ma a volte anche se rileggo mi sfuggono lo stesso (sono
un’inguaribile distratta). Temevo che prima o poi qualcuno mi avrebbe chiesto se Mei e
Rachele fossero gemelli… in realtà ci ho pensato prima di iniziare
a scrivere la storia, prima Rachele era più piccola, poi ho deciso che
fosse meglio che fosse più grande, ma non mi convinceva nemmeno quello e
sono giunta alla conclusione che fosse meglio che fossero della stessa
età. Ma come gemelli non mi convincevano, quindi ho optato per una
soluzione semplice quanto abbastanza irrealistica, sono nati nello stesso anno,
Mei a gennaio e Rachele a dicembre :p… che
stupidaggine!!
Grazie ancora a tutti, spero che vi sia piaciuto il capitolo e a
presto!!!(spero!!)
Era
dalla mattina presto che mia madre lambiccava attorno a uno stralcio di tulle
fucsia che imbottiva una gonna a frappe. Con tre aghi in bocca e il metro al
collo , mentre le sue mani correvano veloci sulla stoffa. Io ero decisamente
assente, non stavo pensando a nulla, mi ero svegliata presto, come al solito a
causa dei brutti sogni e da parecchio tempo mi ero rintanatasul divano con un biscotto in mano, che
però non accennavo a mangiare. Fuori il tempo si era fatto ancora
più uggioso del giorno prima , se era possibile.
“Cosa
ne pensi Rachele, tesoro?” domandò mia madre che si alzava presto
per poter cucire un po’ prima di andare al lavoro.
“Carino”
commentai senza guardarlo e volgendo lo sguardo verso il corridoio. Mi chiesi
che fine avesse fatto mio fratello, ovviamente quando mia madre non
l’aveva visto nel suo letto, quella mattina, si era presa un colpo, ma si
era subito tranquillizzata dopo che l’avevo informata della sua degenza
da Joyce.
Non
avrei mai capito da dove spuntava quella cieca fiducia
nell’impellicciato, perciò avevo smesso di badarci.
“Nikka
dice che è carino” brontolò guardando critica
l’imbastitura. Rizzai le orecchie e increspai le sopracciglia.
“Quando
l’ha visto Nikka?”mi informai accigliata. “Oh”
cominciò distratta lei “ieri sono andata da Marianna , e sua
figlia ha dato un’occhiata ai miei disegni”
Schioccai
la lingua. Sembrava che Nikka volesse rubarmi anche mia madre , oltre che mio
fratello.
“Forse
dovresti metterci qualche lustrino” azzardai dando attenzione alla
creazione di mia madre, mentre mi avvicinavo a Mr. Manichino.
Lei
mugugnò “Tesoro non saprei… secondo Nikka ultimamente uso
troppi lustrini, appesantiscono troppo… temo che abbia
ragione…” fece con voce preoccupata girando pensierosa attorno al
vestito.
Colpita
e affondata.
“credo
che dovresti seguire solo il tuo gusto” terminai indispettita ingoiando
il mio biscotto, mentre qualcuno suonava alla porta.
Andai
ad aprire, e forse lo feci con troppa veemenza, tanto che mio fratello fece un
passo indietro mentre io grugnivo “Chi è?”.
Se
prima ero di cattivo umore, di sicuro la vista di Mei mi tirò su il
morale, intabarrato in una giacca
gessata fucsia e un cappellino dall’aria fin troppo femminile.
“Non
chiedermi perché sono vestito così, è opera di
Joyce” si difese subito. Sorrisi e gli lanciai uno sguardo malizioso
“Chissà perché lo supponevo… e capisco anche
perché nessuno abbina più la lana con le paillettes”
continuai guardando disgustata il suo copricapo.
“Ho
deciso che andrò alla festa di Nikka” continuò torturandosi
le mani in grembo aspettando la mia sfuriata.E invece ebbe la mia benedizione.
“Perfetto” faceva troppo ridere perché la stupida festa di
Nikka potesse rovinarmi l’umore.
“Ma
non ti aiuterò” aggiunsi. Mei sobbalzò “Certo,
infatti… Joyce si è offerto di aiutarmi”.Mi astenni per cortesiadal fargli gli auguri.
“Bene
allora siamo a posto” trillai accennando a chiudergli la porta in faccia,
poi la riaprii “Dimenticavo, entra dalla finestra che mi vergogno a farti
passare dalla porta conciato così” spiegai, poi gli strizzai
l’occhio e richiusi l’uscio.
Joyce
se se stava seduto per terra con la schiena appoggiata al letto e le gambe distese
in avanti sul pavimento, intento a lambiccare col cellulare quando entrò
tranquillamente Nikka in mutande e canottiera di un rosa caldo e in mano un
piatto d’insalata.
“Ehi”
esclamò lui alzando gli occhi da quella che fino a pochi secondi prima
era stato il suo unico interesse “Giri in mutande con me nella
stanza?”
Nikka
alzò le spalle “Tanto tu sei gay” spiegò
tranquillamente lasciandosi cadere accanto a lui e mettendosi in bocca un
pezzetto di pomodoro e una foglia d’insalata.
“Ehi!
Basta con questa storia!! Io non sono gay!” esclamò accigliandosi
e voltandosi su un fianco per guardarla.
“Guarda
che non te ne devi vergognare! E poi lo sappiamo tutti che hai un tatuaggio sul
sedere con si scritto Darcy!”esclamò
allegra accavallando le gambe e mostrando al mondo le sue pantofole rosa
fashion.
“Ma
Darcy è un nome unisex!” cercò di difendersi inutilmente.
“Certo
certo bla bla bla!” lo scimmiottò lei dando attenzione alla sua
insalata. Joyce sbuffò e si lasciò scivolare sul pavimento
coperto da un tappeto.
“Beh,
allora? Che ci fai qui? Non sarai mica venuto a dirmi che non posso girare per
casa mia in desabie!!” scherzò allegramenteinfilzando con la forchetta un
pomodorino pericolosamente trasparente.
“Sono
venuto ad assicurarmi che non facessi del male al mio protetto”
spiegò con voce teatrale. Nikka lo guardò perplessa.
“
Di cos’hai paura? che lo mangi?” chiese con un risolino beffardo,
mentre Joyce lanciava uno sguardo disgustato al pranzo dell’amica.
“No,
non credo che rientri nei tuoi gusti… sono convinto che Mei sia
decisamente troppo calorico per i tuoi standard. Però potresti indurlo
al suicidio. Piuttosto hai intenzione di diventare trasparente?”
continuò.
“Non
si è mai abbastanza magri” fece con un sorriso mentre si sdraiava
sulla pancia di Joyce con l’intento di prendere dei tovagliolini
appoggiati su una mensola bassa.
“E
questo chi l’avrebbe detto scusa? Coco Chanel?” domandò lui
alzando un sopracciglio ma rimanendo comodamente sdraiato sul tappeto.
“Vedo
che sei informato” ridacchiò lei.
“Ho
sparato a caso..” fece con un grugnito schifato.
“A
proposito di Mei” continuò pulendosi la bocca con un tovagliolino
di carta. “L’ho visto ieri… ha un nuovo livido… sullo
zigomo… come se l’è fatto?” chiese seria guardandolo.
Joyce
strizzò gli occhi dovendo ammettere che il nuovo livido era decisamente
opera sua. “Beh, quello gliel’ho fatto io… ma non l’ho
fatto apposta… cioè c’è stato un malinteso e ho
rischiato di staccargli un dente… ma sono stato abbondantemente punito da
sua sorella!”.
Nikka
fece una smorfia “E’ sempre stata manesca” disse con un
po’ di rabbia repressa. Joyce alzò le sopracciglia come per
chiedersi per quale motivo Nikka dicesse una cosa del genere.
“Andavamo
alle medie insieme” sbottò “non so se ti ricordi, i
simpaticissimi gavettoni di aranciata, eccetera eccetera …”
continuò un po’ alterata.
“Beh
almeno con l’aranciata ha smesso” constatò lui soddisfatto.
“Sì,
e ha cominciato con il brodo di dado… ci ho rimesso i miei stivali di
Chanel” brontolò dando l’ultimo boccone rabbioso al suo
pranzo.
“E
voi quando vi siete conosciuti?” chiese fingendo disinteresse mentre
finiva di masticare il suo boccone vegetale.
Lui
sembrò pensarci, ma in realtà non aveva bisogno di ragionarci
nemmeno un secondo “Ci siamo conosciuti in un parco, mentre lei dava la
caccia a un opossum… avevamo otto anni. E’ stato qualche mese prima
che morisse suo padre”. Nikka non commentò.
Joyce
si alzò da terra scuotendosi la polvere dai pantaloni violetti.
“Devo andare all’Irish… Mei mi aspetta lì… ma prima
devo andare in bagno. Non è che avresti qualche cosa da leggere? Senza
leggere proprio non concludo nulla… e leggere la composizione chimica
dello shampoo mi pare triste” spiegò.
“Tu
in casa mia non fai proprio nulla!” sbraitò cacciandolo fuori a
calci. “Ehi calma! Sono questioni fisiologiche! Niente di personale ,
Nikka!” .
Nonostante
tutto lei non sembrò intenerirsi e il ragazzo venne malamente cacciato
fuori, d’altronde la regina della festa doveva prepararsi.
Nella
stessa città, ma in tutt’altra atmosfera Mei camminava lento ed
incerto con un foglietto accartocciato in mano, il suo senso
dell’orientamento non era un granché. Anche perché non
aveva avuto modo di allenarlo, stando sempre in casa. Le sue mete erano sempre
le stesse: scuola , edicola, negozio di computer e pochi altri.
Quella
via scritta con la calligrafia di Joyce non l’aveva mai sentita nominare,
e aveva dovuto procurarsi una piantina da internet per arrivare nelle
vicinanze.
Rimase
per qualche secondo a fissare la tenda verde speranza un po’ sdrucita e
arricciata, tanto con quel tempo uggioso di certo non serviva. Sulla tenda
stava scritto in caratteri semplici e bianchi “Irish”.Mei deglutì e increspò un
poco le labbra guardando le due sedie squallide e sporche che se ne stavano abbandonate
fuori dal locale.
Si
affacciò per poi entrare, mentre all’interno era tutto piuttosto
scuro e fumoso. Nella penombra riconobbe delle sagome, che parevano bere e
giocare a carte. “Salve” cominciò incerto e balbettante
“Stavo cercando Joyce” disse, un tizio gli rispose con uno sbuffo e
disse qualche cosa in una lingua strana che Mei non conosceva.
Dall’altro
capo del localino buio si levò un urlo “MEI” e uno
sgargianteJoyce con un enorme
cappello verdesi accinse ad
attraversare la sala per il lungo passando sopra i tavoli, rovesciando pinte di
birra e rovinando mazzi di carte tra le proteste degli avventori.
Arrivatogli
accanto gli cinse le spalle con il braccio e urlò “Lui è
Mei!! Siate carini con lui, e soprattutto parlate in italiano! Va bene?” .
Dal locale si alzò un consenso insoddisfatto e qualcuno azzardò
un “Adesso mi ripaghi la birra però!”
“Eddy!”
continuò tranquillamente Joyce trascinando per la stanza il malcapitato
Mei “Quando vedi questo ragazzo offrigli una birra! E non parlare in gaelico!!
Mi raccomando!!”
“Sei
sempre bravo ad offrire coi soldi degli altri eh?” commentò un
uomo quasi calvo e con un dente in meno del normale, mentre puliva il bancone
con uno straccio bisunto, e Mei non capì se scherzava o era davvero
scocciato quindi preferì avvertire “Non si preoccupi, sono
astemio!”.
Joyce
lo strattonò tirandolo per il collo e rischiando di strangolarlo mentre
lo conduceva verso l’uscita e nel frattempo urlava “Eddy, sei il
solito taccagno!!”.
Poco
dopo si trovarono nuovamente sul marciapiede, la strada era vuota e il cielo
uggioso come prima che Mei entrasse.
“Che
posto è quello?” ansimò il ragazzo massaggiandosi il collo.
“E’ l’Irish!! Il ritrovo di tutti gli Irlandesi di questa
città! Ci troviamo lì , parliamo in gaelico, beviamo a carte e
festeggiamo San Patrizio”
“Non
pensavo che la percentuale di Irlandesi in questa città fosse
così folta…” fece Mei ancora senza voce, mentre
l’amico rispondeva con un’alzata di spalle sibillina.
“Vuoi
il cappello tipico dei lepri cani?” domandò porgendogli
l’enorme copricapo verde. Mei declinò gentilmente l’offerta.
A
quel punto bisognava avere un’idea, un’idea intelligente su come
conciarsi per la festa. L’Irlandese si appoggiò al muretto di un
passaggio che dava su un lurido canale, che avrebbe dovuto ricordare Venezia,
ma che di Venezia aveva solo la puzza, e si accese una sigaretta.
“Ebbene
mio prode Meihai qualche proposta
intrigante?”. Mei si guardò un po’ in giro come se potesse
chiedere l’aiuto del pubblico.
“A
dire il vero non saprei”. Joyce non sembrò preoccupato, anzi diede
tutta l’attenzione alla sua sigaretta che aveva l’aria di essersi
spenta.
“Falso
allarme” disse rimettendosela in bocca “Allora pensiamo…
feste in maschera…carnevale: cosa ti viene in mente?”.
Mei
ci pensò. “Arlecchino?” domandò come se avesse paura
di sbagliare.
“Ti
vuoi vestire da arlecchino?” chiese tranquillo Joyce sempre comodamente
appoggiato al muretto mentre Mei se ne stava davanti a lui in piedie intirizzito, con l’aria di chi
viene interrogato in una materia difficile.
Il
ragazzo si sbrigò a scuotere la testa. “Immaginavo”
sentenziò l’amico “passiamo oltre: carnevale di Rio…
no vabbè questo lo escludo io perché non credo che avresti
speranze di conquistare Nikka con un perizoma e una corona piumata… rimane
halloween… cosa pensi…?”
Mei
alzò gli occhi al cielo, forse sperando che la risposta fosse scritta
nelle nuvole.
“Zucche?”
“NO!
vampiri Mei! Vampiri! Ti vestirai da Vampiro… non puoi mica conquistare
Nikka vestito da zucca!!” sbraitò esaltato sbracciandosi senza un
motivo vero e proprio.
“Credi
che sia un travestimento carino? E poi comunque non mi piace Nikka!”
“Vabbè
non importa! Corri corri Mei ci aspetta la nostra grande impresa!!”
strillò sovraeccitato trascinandolo dove pareva lui.
“La
parte difficile sarà la dentiera… ma qualche cosa
troveremo!!” esclamò allegro continuando a tirarlo.
“Dentiera?
Che dentiera?”domandò preoccupato, ma l’Irlandese non si
degnò di dargli risposta.
Era
vero, la cosa difficile era la dentiera , ma non perché fosse difficile
da trovare, o troppo costosa, ma semplicemente perché era
incredibilmente scomoda. Storse la bocca un poco, sentendo i canini di plastica
scorrergli sulle labbra.
“Da
cosa sei vestito?” domandò Rachele che camminava accanto a lui
silenziosa e veloce nonostante i tacchi vertiginosi.
“Da
vampiro” rispose lui incerto.
“Originale”
commentò lei senza guardarlo. Mei arrossì “Grazie”
“Facevo
del sarcasmo” lo stroncò senza pietà. “E’ stata
un’idea di Joyce…” spiegò lui con gli occhi bassi.
Quelle parole rubarono alla sorella un sorriso “Allora immagino di dover
ringraziare di non vederti vestito da Lepricano” disse ridacchiando.
“E
tu da cosa sei vestita?” domandò guardandola senza capire. Si era
messa gli occhiali da vista anche se non ne aveva bisogno.
“Da
cliché…”. Mei sbatté le palpebre senza capire.
“Da
segretaria porno” spiegò lei con un sorriso. “Di quelle che
seducono il datore di lavoro?” chiese delucidazioni lui, incerto.
“Esatto…comunque…
sta sera con Nikka… non fare il nerd” disse, ma probabilmente le
costò molta fatica. Mei ci pensò su, per quanto sua sorella
detestasse Nikka non sembrava intenta a sabotarla per una volta.
“Sei
un bel cliché” disse con quel che avrebbe dovuto essere un
complimento. Lei lo prese come tale e sorrise mentre arrivavano a una villa
illuminata, il giardino era disseminato di candele e c’era gente vestita
in modo ambiguo e sgargiante ovunque.
“Bah…
tanti soldi spesi per questa idiozia” commentò Rachele sprezzante.
Ma Mei suppose che in fondo quelle cose eccessivamente costose ed eccentriche
piacessero anchea lei, se no non
si sarebbe certo presentata.
Oltrepassarono
a passo lento il cancello guardandosi intorno, Mei notò poco distante un
mangiafuoco. Sbatté le palpebre e si chiese in che razza di posto fosse
andato a finire, non ebbe tempo per pensarci ulteriormente, perché
davanti a loro apparvero come per magia una Nikka dal sorriso plastico e un
Joyce dal sorriso esaltato. Lei vestita di veli rosa, frappe e lustrini, Mei
suppose fosse una specie di odalisca. Mentre Joyce sfoggiava una camicia
floreale Hawaiana e un grosso medaglione di plastica con due serpenti
incrociati, dalla’aria decisamente pacchiana.
“Accidenti
Mei ti sei vestito da vampiro! Pensa che caso io sono vestito da
esorcista!” trillò gioviale.
“Joyce,
ma lo hai deciso tu che mi sarei dovuto vestire da vampiro” fece il
ragazzo incerto, Joyce, che del canto suo voleva dare un po’ di
spettacolo si rabbuiò.
“E
quello sarebbe un esorcista razza di idiota?” sbottò acida Rachele
“Gli esorcisti sono dei preti.. e comunque non si è mai visto un
esorcismo a un vampiro! E che roba è quella camicia? Non siamo mica alle
Hawaii!” . Joyce si voltò verso Nikka sperando in un po’ di
comprensione, o almeno di un po’ di spirito di contraddizione verso la
ragazza coi capelli blu.
“Mi
spiace ammetterlo ma devo darle piena ragione…” fece lei prima di
girarsi e continuare “e tu da cosa saresti travestita?” chiese
strafottente.
“Da
segretaria porno” rispose Rachele come se fosse una sfida.
“Raffinato”
fu il commento sarcastico della sua interlocutrice.
“Ciao”
saluto Joyce allegro facendo cenno a un tipo che scappò via impaurito.
Mei assottigliò gli occhi per vederlo meglio “Joyce ,
perché conosci Pallotti?”domandò accigliato.
“Oh,
è una lunga storia che riguarda nudità e cancelli”
spiegò tranquillamente. “Ha un ché di osceno” fece
lui con una smorfia.
“Di
osceno non c’è proprio niente” lo tranquillizzò
l’Irlandese con un sorriso che più che altro faceva paura.
“Il vampiro viene con me?”.
Mei che non si era reso conto che stava parlando con lui si guardo in giro, e
Nikka un po’ scocciata fu costretta a ripetere la frase e prenderlo per
un braccio perché capisse. Rachele si coprì il volto con la mano
e mugolò qualche cosa che poteva essere un “cosa ho fatto di male
per avere un fratello così invornito?”
Quando
finalmente Nikka e Mei riuscirono ad allontanarsi anche Rachele girò i
tacchi annunciando “Ho bisogno di alcol dopo questa scena assurda!”
.
“C’è
il free bar!” esclamò allegro Joyce rincorrendola.
Mei
sbatté addosso a una decina di persone mentre Nikka con una mano lo
tirava e con l’altra si teneva stretta i veli.
In
un batter d’occhio si trovò lanciato su un divanetto bianco con
accanto una Vanessa che per colpa della pettinatura, coi capelli raccolti
somigliava più del solito a un cavallo. Milly invece trangugiava una
millefoglie , Nikka ancora in piedi la fulminò con uno sguardo che
sembrava dire “CALORIEEEE”, e la malcapitata fu costretta
vergognosamente a lasciare andare la sua torta.
Poi
anche Nikka si lasciò cadere accanto a Mei.
“Allora
cosa vuoi fare?” chiese alzando le sopracciglia ed avvicinandosi di
più a lui. Mei di rimando aumentò la distanza che c’era tra
di loro spostandosi un po’ dall’altra parte.
Nikka
probabilmente se ne accorse, perché lo guardò male, e lui si rese
conto di aver fatto una tremenda gaffe. “Non saprei” rispose,
ritrovandosi a desiderare un cilicio per potersi punire come si deve. Ma che
diamine stava facendo? E per fortuna che non doveva fare l’impacciato!
Nikka
parve scocciarsi, lo fulminò con uno sguardo e si alzò
“Vado a prendere qualche cosa da bere, vuoi qualche cosa?”
sbottò come se non fosse neanche una domanda.
“Una
coca cola?” azzardò.
La
faccia che fece Nikka fu davvero indescrivibile mentre spariva tra la folla
alla ricerca del bar.
Era
sempre peggio! Come poteva essere così idiota? Ma perché diamine
era astemio?Forse vedere zio
Michele ubriacarsi tutti i Natali lo aveva scandalizzato, ma non poteva andare
avanti così! Una gaffe dopo l’altra , forse avrebbe potuto fare un
po’ il figo tenendo dello spumante nel bicchiere e senza berlo.E probabilmente avrebbe dovuto fare il
cavaliere ed andare lui a prendere da bere invece di mandarci Nikka.
Da
una parte e dall’altra si vide accerchiato da Milly e Vanessa, le amiche
succubi di Nikka.
“Allora
da cosa sei vestito?” chiese Milly facendo la sensuale, anche se il
risultato era una foca monaca spiaggiata che cercava di imitare una gatta. Mei
deglutì chiedendosi perché diamine si era ritrovato in quella
situazione.
“Ehm…
da vampiro…” rispose guardando disperato la mano di Milly che
passava sul suo petto.
“Già,
da vampiro idiota! Non vedi che ha i canini e il sangue che gli cola dalla
bocca?” strillò isterica Vanessa spostando con un colpetto la mano
di Milly per metterci poi la sua.
Mei
nel frattempo si guardava in giro sperando nell’arrivo di Superman, o di
Joyce vestito da Superman, o della provvidenza divina, o di qualsiasi altra
cosa letale che lo salvasse da quelle due.
Nikka
del canto suo non accennava a tornare, si era seduta al banco e aveva chiesto
un cuba libre appoggiando la testa alle mani. Quando glielo avevano portato si
era messa a giocherellare con il limone dopo averne buttato giù
metà in un sol colpo. “Diamine quanto è stupido..”
aveva sbuffato.
Che
cavolo ci doveva fare con quel ragazzo? Insomma quando l’aveva visto
aveva pensato che potesse essere come lei, assomigliarle insomma. Essere un
uomo di mondo che veste bene , è intelligente e piace alle ragazze. Non
ne aveva mai incontrati che riuscissero ad avere tutte e tre quelle
qualità e le era sembrato che con Mei si potesse fare un buon lavoro. Ma
dopo che Pallotti lo aveva picchiato si era rovinato tutto. E poi quel Mei non
era proprio uno che riuscisse a essere un attimino meno ingessato. La soluzione
a qui pensieri nefasti fuscolarsi
l’altra metà del bicchiere e ordinare del martini.
Sentì
una mano appoggiarsi sulla sua spalla e si voltò lentamente, già
un po’ annebbiata dall’alcol.
“Sei
bellissima sta sera…” disse con voce bassa il ragazzone vestito fa
giocatore di football americano che era apparso alle sue spalle.
“Io
sono sempre bellissima, Pallotti… e ora sparisci” bofonchiò
con voce strascicata.
“Ma
Nikka… ho prenotato il servizio limousine solo per noi due…”
, disse cercando di comprarsela almeno così, era mezza ubriaca e non
sarebbe stato difficile infinocchiarla.Nikka scese barcollante dello sgabello con il quarto martini stretto in
mano. “Mai e poi mai…rimarrò da sola con te… vacci
pure da solo sulla tua limousine” sentenziò annebbiata.
“Nikka
verresti a ballare con me?” chiese un ragazzo vestito da quello che
poteva essere topolino, ma anche un contadino che si è messo il vestito
buono per la messa della domenica. Nikka fece un sorriso e si lanciò tra
le braccia del ragazzo “Sono tutta tua! Andiamo a ballare!!”
urlò.
Pallotti
sbatté un pugno sul tavolo scocciato e si guardò intorno
irritato. Poi vide qualche cosa che gli rallegrò la serata e ordino un
paio di cocktail.
Ottenuti
questi si avvicinò velocemente verso il centro del suo interesse.
“Verresti
in un posto tranquillo con me?” domandò gentile porgendo uno dei
due bicchieri. Rachele rispose con un sorriso e fece toccare i due bicchieri,
che se non fossero stati di plastica avrebbero fatto cin cin . “Va bene” disse “andiamo dove
vuoi”.
Nel
frattempo Mei si era trovato a sgranare il rosario sperando che Nikka tornasse
e si portasse via quelle due assatanate. Milly lo abbracciava da destra e
Vanessa a sinistra gli era quasi completamente in braccio, con il naso a pochi
centimetri dal suo. Gli avevano chiesto tutto quello che si potesse chiedere a
una persona, a quanti anni aveva perso il primo dentino e che numero di scarpe
portava!
Ci
sarebbe voluto un miracolo per salvarlo, anche perché Vanessa sembrava
davvero intenzionata a baciarlo. Strizzò gli occhi. Cercando di
allontanarsi un po’ dalla ragazza bionda che si stava avvicinando a occhi
chiusi, ottenendo soltanto di affondare nella spalla cicciotta di Milly.
L’angelodell’apocalisse lo salvò
dicendo “ Baldi giovani! Cosa si fa qui? Vi posso rubare un attimo il
vampiro?”.Mei guardò
in alto e vide in piedi dietro al divanetto dove stava seduto lui un Joyce
allegro con una Guinnes in mano. Gli Irlandesi non amano smentirsi.
“Certo
Joyce arrivo subito” rispose il ragazzo alzandosi e liberandosi della
presa delle due sanguisughe , come se il divano stesse andando a fuoco. E si
allontanò quasi correndo.
“Mi
hai salvato la vita” ansimò.
“Non
ho mai visto delle odalische così brutte” su il laconico commento
di Joyce. “Hai perso la tua bella?”domandò poi. Mei fece
un’espressione arricciata, se si può dire, perché
più che altro era decisamente indefinibile.
“E’
andata a prendere da bere e non è più tornata, mi sa che ho fatto
qualche cosa di stupido” ammise.
“Forse
hai fatto qualche cosa di stupido, ma è tornata da te…” fece
l’amico.
“Cosa?”
replicò Mei prima di sentirsi tirato per il mantello di raso.
“Mei!” esclamò Nikka prima di abbracciarlo calorosamente,
mentre Joyce veniva inghiottito dalla folla.
“Che
bello vederti! Ti avevo perso!!” esclamò alzando la testa per
guardarlo, era davvero molto più bassa. Una ragazza in miniatura. Non
come sua sorella che era quasi alta quanto lui.
Avrebbe
voluto precisae che era lei a essere sparita , ma era palese che non fosse del
tutto lucida.
“Lo
sai che ho baciato Alberto Lombardi? Bacia benissimo” cantilenò
contenta senza volerne sapere di slacciare le braccia dalla sua vita.Come al solito lui non sapeva cosa
rispondere “ehm… mi fa piacere, sono contento per te…”
fece imbarazzato.
Lei
sorrise annebbiata e gli fece una carezza sulla guancia. “Sei davvero un
ragazzodolce…” disse
nei fumi dell’alcol prima di rispondere ad Alberto che la chiamava
“Arrivo!”. Lo salutò con la mano e sparì per
l’ennesima volta.
Mei
sbuffò. E così quell’idiota era riuscito ad arraffarsi Nikka.
Beh, gli stava bene, così avrebbe imparato a non fare il nerd.
Uscì in giardino , dove non c’era quasi nessuno, a parte qualche
coppietta imboscata. E quelli che si avviavano a casa.
Stavo
guardando il falò quando arrivò Mei. “Che roba è che
brucia?” chiese con un insolito sprint passandosi la mano tra i capelli.
“Oh,
nulla di ché… i vestiti di Pallotti… o guarda lì ci
sono anche le mutande..” . Mio fratello mi guardò perplesso. Io
alzai le spalle divertita “Nessuno prende in giro i Pavesi, e soprattutto
: nessuno mi usa come seconda scelta!!” sentenziai.
“E
come avresti fatto a rubarglieli?” chiese sbigottito. Gli strizzai
l’occhio “Joyce docet” fu la semplice risposta.
“Andiamo
a casa?” chiese con aria un po’ triste. Annuii serenamente, essermi
vendicata su Pallotti mi aveva riempito di allegria.Mei non sembrava del mio stesso umore a
giudicare dallo sguardo truce e dalle mani nelle tasche, ma supposi fosse per
colpa di Nikka.
Stava
per avviarsi a piedi quando lo trattenni. “Oh no, sta sera si torna a
casa in limousine” annunciai.
“Limousine?”
ripeté lui perplesso. Sorrisi “Già, l’aveva prenotata
Pallotti, ma dato che adesso se ne sta andando in giro nudo come il sedere di
un macaco non ne avrà bisogno. E poi Joyce conosce l’autista, gli
sta insegnando il gaelico!” dissi aprendo la portiera della lussuosa
vettura e infilandomici. Mio fratello mi seguì guardingo.
Feci
un cenno con la testa “Quello è Ambrogio, l’autista come
quello della pubblicità dei cioccolatini” spiegai , mentre Joyce
cercava di convincerlo a scarrozzarlo a suo piacimento.
“Dai
Ambrogio! Cosa ti costa venirmi a prendere a scuola qualche volta! Io ti sto
insegnando il gaelico! Lo sai che se non impari Eddy non ti servirà mai
una birra!” diceva.
Ridacchiai,
e finalmente l’auto partì, con un Joyce lanciato in un’ardua
impresa, un Mei abbattuto e una me intenta a godersi i suoi dieci minuti di
nobiltà.
“Ambrogio? C’è dello
spumante? Che razza di limousine è senza spumante?”
Eccomi tornata con
il dodicesimo capitolo. Ringrazio davvero Niggle e Lidiuz93 che hanno
commentato il capitolo 11… è davvero bello sapere che a qualcuno
piace la mia storia! Spero che anche questo capitolo vi piaccia! Se volete
lasciatemi un commento , mi darebbe la carica per il prossimo!! E spero che
dopo l’orale riuscirò ad aggiornare in modo un pochino più
regolare!!
I
miei tacchi facevano il solito rumore ritmico , mentre salivo le scale ,
imprecai, perché cavolo c’era sempre l’ascensore rotto?
Arrivai
al sesto piano, e mi chinai a sollevare un poco lo zerbino con su scritto a
lettere sbiadite “Welcome”.
Come sempre sotto vi trovai le chiavi. In famiglia erano soliti lasciarle lì, sapevo anche che il
loro vicino le teneva dentro il vaso dei gerani , mentre quelli
dell’interno 8 in
un incavo del corrimano.
A
essere abituali ospiti si imparavano un sacco di cose.
Infilai
la chiave nella toppa, la girai piano in modo da limitare il rumore e la spinsi
sollevandola un poco, perché non cigolasse. Quella maledetta porta era
un catorcio, un ladro avrebbe potuto aprirla anche senza sapere dove erano le
chiavi.
Avanzai
nella stanza vuota. La casa di Joyce assomigliava alla mia, ma i muri
dell’atrio non c’erano, e il salotto e la cucina erano uniti in
un’unica sala. Piegai la testa da una parte, osservando il corridoio che
finiva in bagno, la cui porta era socchiusa e potevo intravedere il telo
plastico della doccia. C’erano delle paperelle gialle. Feci due passi
facendo appositamente rumore coi tacchi e aspettai, non ci volle molto
perché una porta sulla sinistra si aprisse, e con mia grande sorpresa ne
uscì una testa blu, che decisamente non apparteneva a Joyce.
La
ragazza , magra, bassa e decisamente in mutande mi salutò intimorita,
mentre Joyce la seguì a ruota chiudendosi dietro la porta.
“
Oh, la megera blu è venuta a trovarmi” esclamò per nulla
imbarazzato per il fatto che avessi interrotto qualche cosa.
“Ah,
vedo che hai delle storie con le mie oche blu!” sibilai socchiudendo gli
occhi, e forse nel tono misi un po’ di cattiveria.
“Beh,
quella mi pare una sola, e tra l’altro si chiama Sofia”
continuò tranquillo avanzando verso di me, mentre la mia oca blu
recuperava i vestiti che aveva lasciato sulla sedia della cucina.
“Cosa
vuoi che me ne freghi di come si chiama” sbottai con un sorriso, come se
lei non fosse lì. Joyce fece una smorfia, era sempre più gentile
di me con le persone.
“Rachele”
pigolò la mia oca blu alle mie spalle “sabato sera andiamo al
Luxurye mi chiedevo se
volessi…” non la lasciai finire e mi voltai un attimo per dirle
“Non se ne parla, non esco con voi” commentai, tornando subito a
guardare degli occhi Joyce che mi ricambiava con un ghigno mefistofelico
stampato in faccia.
“Ho
bisogno di un decespugliatore” annunciai. Joyce aggrottò le
sopracciglia. “Che diamine ti serve un decespugliatore?”
sbottò lui ancora in mutande.
“Non
mi pare di averti chiesto cosa fai con le mie oche” lo rimbeccai io.
Joyce sbuffò, e io sorrisi.
Un
quarto d’ora dopo avevo ottenuto il decespugliatore.
Le
pettegole della scuola già alla prima ora avevano intercettato la nuova
coppia. Chi alla festa in maschera non si era accorto di nulla, di sicuro era
stato informato dalle pettegole.
Le
pettegole erano ormai un’istituzione. Davano i voti al vestiario delle
ragazze, e di sicuro la prediletta era Nikka, che aveva spodestato Rachele dopo
che quest’ultima si era tinta i capelli, spettegolavano per i corridoi,
ed erano a conoscenza di pettegolezzi di ogni genere.
In
realtà, per capire che Nikka e Alberto avevano una storia non
c’era bisogno di essere dei pettegoli provetti, infatti chiunque aveva
potuto vederli mentre si sbaciucchiavano appassionatamente sulla scalinata
della scuola.
Mei
era arrivato presto e si era infilato subito in classe, perciò non
assistette all’arrivo della ragazza e del suo pseudo principe azzurro.
Almeno quel tipo non era Pallotti. Aveva un cervello sotto il cappello da
mafioso e i capelli ricci. Sospirò senza pensarci tanto e si mise a
ripassare la lezione per non trovarsi impreparato a un’eventuale compito
a sorpresa. Non che ce ne fossero mai stati, ma Mei era un tipo previdente.
Nel
mentre Pallotti si aggirava per i corridoi alla ricerca dell’azzurra
Rachele. Come aveva potuto farsela scappare alla festa? Non era Nikka, ma era
davvero carina, e già che aveva perso la regina fashion della scuola non
poteva farsi soffiare sotto il naso anche l’enigmatica ragazza blu.
Ovviamente i suoi pensieri erano molto più semplici, probabilmente
Pallotti non conosceva neanche il significato della parola enigmatico.
La
trovò che tirava tranquillamente calci al distributore delle bibite
perché le aveva rubato venti centesimi.
“Rachele!”
esclamò concitato il biondo correndole incontro, Rachele alzò lo
sguardo dal suo avversario meccanico e gli sorrise.
“Senti,
mi spiace davvero tanto per l’altra sera, ma un idiota mi ha rubato i
vestiti e la limousine che avevo noleggiato!” disse sperando che la
ragazza credette alle sue scuse, che dette così sembravano davvero
assurde.
“Tranquillo…
già lo so…” disse in tono dolce , poi aggiunse sibillina
“sono stata io… e comunque i vestiti te li ho
bruciati…”. Sorrise ancora e girò i tacchi, e la macchinetta
delle bibite sputò venti centesimi, che finirono ai piedi di un Pallotti
inebetito , mentre guardava Rachele andarsene via per il corridoio.
La
classe di Mei si riempì in fretta e prima che la professoressa della
prima ora arrivasse le sua compagne trovarono il tempo per una profusione di
chiacchiere davvero impressionante.
Isabella
Gigli aveva comprato un nuovo rossetto Chanel e l’aveva pagato una
fortuna. Aveva risparmiato per tre mesi la sua paghetta senza andare in giro
per discoteche e pub il sabato sera per poterselo comprare. Le sue amiche erano
decisamente entusiaste e si esibivano in plateali e teatrali complimenti. Mei
cercò di non farci caso e continuò a concentrarsi sugli esercizi
sui logaritmi. I logaritmi erano decisamente più simpatici di Isabella
Gigli e delle sue amiche, che ovviamente non erano le uniche a fare rumore,
infatti dall’altra parte della classe c’era chi diceva che il rossetto
le faceva delle labbra orrende, qualcuno si azzardò a dire che
sembravano rifatte e se si fossemessa due gommoni in faccia nessuno avrebbe notato la differenza.
Mei
cercò ancora una volta di isolarsi per non sentire quelle chiacchiere
inutili, ma la sua attenzione fu attirata da un nome pronunciato da una delle
pettegole “Nikka”.
A
quel punto era ufficiale, i logaritmi erano passati in secondo piano.
“…
si è messa con quel tipo… tu che ne pensi? Ha un cappello da
mafioso, e ha un’aria così trasandata!” aveva detto una
ragazza incredibilmente pallida, la cui bianchezza nivea era accentuata dal
capelli corvini e lisci che le incorniciavano il viso.
“Ma
è un look particolare! Ne abbiamo discusso anche la settimana
scorsa… Alberto tiene molto al suo aspetto, non uscirebbe mai vestito a
caso, è un abbigliamento perfettamente studiato! E a me non dispiace
… Nikka a fatto veramente un buon colpo…” commentò una
ragazza coi capelli più tendenti all’arancione che al rosso e
degli occhiali molto spessi.
“Hai
sentito? Vuole organizzare una festa per il suo compleanno nella villa di
campagna di lui… pare che i Lombardi stiano economicamente bene…
secondo te Nikka l’ha adocchiato per questo? non mi stupirei
conoscendola…” sospirò la mora avvicinando il viso a quello
dell’amica, per rendere più privata la loro conversazione.
“Credo
che glil’abbia chiesto lui…insomma si sa che Nikka è un animale da party, era sicuramente la
persona più indicata per organizzargliela… di sicuro saprà
cosa fare… credo che dovremmo recuperare un invito…le feste in
villa sono sempre le più divertenti… ti ricordi quando hanno
beccato quel Joyce Cumoli in atteggiamenti ambigui con una suora? O quando
Pallotti ha spaccato il naso a un tipo perché aveva finito lo spumante?
E la Pavesi ha
usato uno sparaneve contro Millie? Le feste in villa sono davvero le
migliori…” constatò con aria sognante mentre Mei sgranava
gli occhi sbigottito. Suore? Sparaneve? Che cavolo di abitudini perverse
avevano Joyce e Rachele ?
Non
fece in tempo a perdersi nei suoi pensieri perché sentì il
cellulare vibrargli nella tasca, lo estrasse scoprendo un messaggio non letto,
sul display illuminato stava scritto a chiare lettereNikka.
“Mei!
Vieni nella camera oscura, ho una proposta che non puoi rifiutare!!” ,
Mei si immaginò un tono civettuolo e allegro, ma comunque alzandosi si
preoccupò di trovare una testa di opossum sul banco al suo ritorno. E
poi, da quando a scuola c’era una camera oscura?
Si
alzò perplesso dando un’occhiata all’orologio di metallo con
le lancette fosforescenti che si sarebbero viste anche al buio.
Mancava
un quarto d’ora all’inizio delle lezioni, e probabilmente le
chiacchiere con Nikka, o le minacce, non si sarebbero protratte abbastanza per
fargli perdere l’inizio della lezione di matematica.
Il
problema si presentava però in altra forma: dove diamine era la camera
oscura?
Si
alzò , mentre le pettegole lo squadravano discretamente, da quando aveva
cominciato a farsi vedere in giro con Nikka anche loro si erano accorte della
sua esistenza.
Prima
di inoltrarsi nel corridoio ci infilò la testa sospettoso, chiedendosi
dove fosse l’aula adibita alla fotografia, poi si decise a uscire,
arrendendosi a dover chiedere informazioni come un turista.
Come
si fa a essere turisti di una scuola superiore?
Cominciò
a incamminarsi speranzoso verso la presidenza, e incrociò un sedere
infilato nell’armadietto degli inservienti, se così si può
dire. Dall’armadietto emerse un busto e una testa blu.
Non
ci mise molto a capire che quella non era sua sorella. Era decisamente
più bassa, il portamento era molto meno da Rachele , il sedere era vagamente piatto e i pantaloncini erano
decisamente commerciali, sua madre non avrebbe mai confezionato una cosa del
genere.
E
quindi chi era?
La
risposta arrivò in fretta, quando la ragazzina, parecchi centimetri
più in basso andrò a sbattere arretrando contro il suo petto. Mei
fece un paio di passi indietro per riprendere l’equilibrio perduto.
Lei
si voltò per scusarsi e gli sorrise. “Mei” esclamò
allegra. Non che lui la conoscesse, ma suppose che fosse una delle oche blu di
sua sorella.
“stavo
cercando un decespugliatore… credo che tua sorella ne avesse
bisogno…e ho anche idea di non stargli particolarmente simpatica dallo
sguardo che mi ha rivolto sta mattina quando ci siamo viste a casa di Joyce”
disse più parlando a sé stessa che a Mei, poi si ricordò
di averlo davanti e aggiunse “comunque io sono Sofia molto piacere di
conoscerti!” esclamò gioviale dinanzi ad un attonito Mei.
Lui
fece un sorriso tirato, poi decise di approfittarne “Sai per caso
dov’è la camera buia? Nikka mi ha detto che dovevamo vederci
lì” .
“Nikka?”
chiese storcendo la bocca con disapprovazione, era un’oca blu in fondo, e
l’esercito di Rachele odiava per natura Nikka e le sue guardie del corpo.
Detta in termini bellici.
“Rachele
non protesta se la vedo” si affrettò a mentire con un sorriso. Non
che pretendesse l’approvazione di sua sorella per fare qualche cosa, ma
aveva bisogno di sapere dove diamine fosse la stanza buia prima che suonasse la
campana di inizio lezione, e se avesse dovuto fare da se avrebbe fatto notte.
Sofia
sembrò convincersi, e gli fece un sorrisetto “ beh, se entri nella
stanza delle fotocopiatrici è subito a sinistra” spiegò
indicando un punto dietro di lui. Si voltò chiedendosi da quando in qua
a scuola c’era anche una stanza delle fotocopiatrici, e infatti pochi
metri più indietro stava una porta in vetro con attaccato un foglio sul
quale troneggiava la scritta “Fotocopie”.
Si
rivoltò verso la ragazza per ringraziare, ma quella era già
sparita. Sbatté le palpebre perplesso, sicuramente quel modo di sparire
l’aveva imparato da sua sorella. In realtà non si ricordava una
precisa sparizione furtiva di Rachele, ma fu sicuro che quella fosse una sua
prerogativa.
Deciso
ad arrivare a destinazione aprì sicuro la porta incriminata, e
richiudendola sobbalzò nel vedere Joyce seduto su una fotocopiatrice a
braghe calate che leggeva il quotidiano. Il ragazzo sobbalzò a sua volta
e abbassò il giornale per guardarlo negli occhi.
“Tu
non mi hai visto mentre mi fotocopiavo il sedere, ok?” fece minaccioso
socchiudendo un occhio. Mei annuì perplesso, poi gli sovvenne quello che
aveva sentito poco prima dalle pettegole “Joyce! Sei andato a letto con
una suora!?!” fece aggrottandole sopracciglia.
Joyce
alzò le spalle, sorrise e alzò gli occhi al cielo in modo
malinconico “Quasi, ci hanno interrotti… poi ovviamente lei ha
sciolto i voti.. ah… è stato un paio di anni fa durante una festa
in villa, le feste in villa sono sempre le migliori…” fece con fare
malinconico, ma Mei lo fermò prima che potesse continuare.
“Va
bene va bene…” fece sottolineando le sue parole con un movimento
deciso della mano, che somigliava tanto allo STOP di un vigile.
“Ah,
già che sei qui, sai per caso cosa ci vuol fare tua sorella con un
decespugliatore?” chiese tranquillamente ricominciando a leggere il
giornale che aveva appoggiato sulle ginocchia.
“Senti,
gli affari di mia sorella non li so, ne ho abbastanza di decespugliatori suore
e sparaneve!” esclamò Mei scocciato, ma Joyce parve illuminarsi
alla parola sparaneve.
“Oh,
la sai anche tu la storia dello sparaneve? Oh, quella volta tua sorella fu
fantastica, mi pare fosse per le vacanze di natale ed eravamo a...”
“Non
lo voglio sapere! Torna a fotocopiarti il sedere! Io vado da Nikka!!”
disse esasperato quasi urlando.
“Bye
bye Darling…” lo salutò tranquillamente affondando il naso
nella rubrica di sport.
La
porta indicata dall’oca blu di sua sorella era a sinistra, Mei
abbassò la maniglia che scoccò e annunciò la sua presenza,
un filò di luce si distese sul pavimento della stanza, ma appena
l’uscio si richiuse tutto piombò nell’oscurità, Mei,
istintivamente cercò con la mano l’interruttore ma venne fermato
da un’esclamazione un po’ stridula, che Mei riconobbe subito
provenire dalla bocca di Nikka “Ehi, non ci provare, non vorrai mica
rovinarmi il lavoro vero?” .
Qualche
cosa si accese a poca distanza dalle sue ciglia , un accendino, che gli
rivelò la presenza di una vicinissima Nikka. “Se aspetti un attimo
ti abituerai alla luce fioca… razza di impaziente” ridacchiò
, spegnendo l’accendino e rimettendoselo in tasca.
Mei
sbatté un po’ le palpebre aspettando che i suoi occhi si
abituassero alla penombra.
“Non
sapevo che ti interessassi alla fotografia…” disse poi
appoggiandosi stancamente al muro.
“Che
foto sono?”. Nel buio gli parve di vederla alzare le spalle “Sono
foto mie…” rispose sventolandone una e appendendola al filo. Egocentrica, pensò una parte di
cervello poco importante, del ragazzo.
“Ti
chiederai perché ti ho cercato” cominciò lei pratica.
“Più
che altro mi sono chiesto perché mai in questo posto…” disse
Mei cui la camera buia da fotografo faceva venire in mente qualche cosa di hard
o horror. Insomma qualche cosa che cominciasse con l’H.
Nikka
lo liquidò con un gesto della mano “Oh, no, è solo
perché sono molto impegnata… allora volevo dirti che ho intenzione
di organizzare una festa per il compleanno di Alberto” Mei annuì
mentre cominciava a vedere con più chiarezza la sagoma della ragazza nel
buio. Ma non capivacosa centrasse
in quella storia lui.
“Ho
intenzione di esporti…” continuò tranquilla appendendo foto.
Mei alzò un sopracciglio nel buio. “Cioè?” chiese
decisamente perplesso.
“Allora…
nel caso non l’avessi capito, credo che tu abbia del potenziale…
insomma, sei un bel ragazzo, pulito (e lo dico perché molte persone che
conosco possono tranquillamente passare una settimana senza lavarsi i denti) ,
educato e ben vestito. L’unica cosa che ti manca è un po’ di
sprint… e credo che dovrò esporti alla festa di Alberto per farti
conoscere un po’ di ragazze…” terminò incrociando le
braccia e guardandolo.
“Non
mi interessa conoscere della ragazze!” sbottò, più
perché si sentiva un idiota a farsi trattare così, che per il
fatto che fosse vero.
“Oh,
ma insomma!!” fece lei guardandolo nel buio e avvicinandosi di qualche
passo. “Perché diamine non ti dai una mossa? Non ci credo che non
vorresti avere una ragazza, o un’accompagnatrice, o una lucciola, o una
baby sitter,o un qualsiasi altro essere femminile accanto!”
Mei
si schiacciò contro il muro, reggere lo sguardo della ragazza al buio
era decisamente più semplice.
“Cos’è
che non ti va bene nell’avere una vita sociale e avere successo con le
ragazze?”
“Non
capisco perché ci tieni tanto…” sibilò piano e
rilassando i muscoli, mentre tornava ad abbassare i talloni che aveva alzato
per appiattirsi ancora di più contro la parete.
Gli
sembrò di averla fregata, ma lei si stava semplicemente fregando il
mento in modo poco femminile e chic, ma tanto finché era al buio con un
Mei decisamente digiuno di rudimenti sociali non le poteva succedere nulla.
“Hai
mai sentito parlare di D’annunzio? Si studia al quinto anno…”
cominciò lentamente. Mei annuì, e lei vide i suoi capelli
muoversi e frusciare nella penombra, perciò continuò a spiegare.
“Belle
donne, levrieri, lusso… voleva che la sua vita fosse un’opera
d’arte” disse.
“Infatti
è scappato in Francia rincorso dai creditori…” si
affrettò ad aggiungere. Nikka soffocò una risatina spenta.
“Non
mi pare di starmi indebitando, a parte con mia madre… in effetti l’altro
giorno le ho chiesto duecento euro per fare acquisti in profumeria, non ha
gradito. Ma comunque voglio che sia tu la mia opera d’arte. Sei una buona
base”.
Mei
sbatté un po’ le palpebre. “Che diamine stai dicendo?”
Nikka
sbuffò scocciata, Mei si ostinava a non capire o a far finta di non
capire. “Leonardo aveva la
Gioconda, io ho te, solo che non ti dipingo… Potresti
essere il mio levriero” finì con aria saccente, e sembrava davvero
che fosse la sua ultima parola.
Mei
rimase un attimo in silenzio, mentre si diceva che quella ragazza era fuori
come un balcone, poi alla fine parlò lentamente “ Leonardo e
D’annunzio? Non credi di puntare un po’ in alto… paragonarsi
a…” lei non lo fece finire e lo precedette “Lo so… ma
chi se ne importa se pensi che sia assurdo. Sarai il mio levriero?”chiese
infine.
“Niente
museruola?” si informò subito. “Promesso” rispose
alzando il mignolo e aspettandolo che Mei ci agganciasse il suo. Lui rimase a
guardarlo nella penombra.
“Devi
attaccarci il tuo…” sospirò rassegnata dal fatto che Mei
fosse sempre e comunque fuori dal mondo.
“Oh”
sussultò lui eseguendo. Nikka lo strinse e si alzò sulle punte
cercando di guardarlo meglio negli occhi.
“Allora
, verrai alla festa di Alberto, e ci andremo con lo stesso giubbotto , va bene?
Andiamo a comprarlo oggi…” disse tutto in una volta senza
respirare.
“Un
attimo…Alberto…” non riuscì a finire perché
Nikka sapeva già la domanda e aveva anche già la risposta.
“No,
non è come Pallotti. Sa che siamo amici. Il mio nuovo fidanzato è
un signore. Stai tranquillo” spiegò stringendo la mascella.
“Ok”
disse infine lui. Lei sorrise “Perfetto… esci prima tu, io ti
seguo”.
Mei
aprì una fessura e uscì sgusciando come un’anguilla.
Guadagnò in due passi la porta che dava sul corridoio e a malapena
sentì Joyce che da sopra la fotocopiatrice lo salutava.
Si
chiuse la porta di vetro alle spalle, e nello stesso istante sentì uno
strillo di donna seguito da un tonfo.
“Oddio
Nikka!!” sentì dire a Joyce mentre probabilmente raspava nel suo
quotidiano ai piedi della fotocopiatrice.
“Oddio lo dico io! Ma che schifo!
Rimettiti i pantaloni… ma insomma che schifo cosa stavi facendo??”
. Ridacchiò, non aveva pensato ad avvertire Joyce dell’imminente
arrivo di Nikka.
“E’
così orribile senza pantaloni…?” chiese sorridendo tra
sé e sé.
“Beh,..”
cominciò a rispondere pensierosa Sofia che era riapparsa accanto a lui.
Mei sobbalzò e saltò qualche passo più in là
sbraitando “Era una domanda retorica… non volevo una risposta!
Torna a cercare il tuo decespugliatore!!”.
Poi
girò i tacchi e andò verso la sua classe, per poco non avrebbe
perso l’inizio della lezione. Sofia alzò le spalle e se ne
tornò a girare a vuoto per i corridoi. Certe persone in quella scuola
sembravano lì per caso. Come se fossero turisti, in giro per le aule e i
bagni come se fossero in vacanza. Magari sul tetto in periodo di esami
allestivano una spiaggia per nudisti.
Sei
ore di scuola passarono in fretta, e come al solito la mensa era affollata, la
signora Pavesi aveva provveduto a rifornire i suoi pargoli di gustosi panini.
Joyce
si lasciò cadere di fronte a Rachele che mangiava silenziosamente il suo
pranzo cercando di ignorare le oche blu che straparlavano vicino a lei.
Il
ragazzo impellicciato scartò il suo pranzo comprato al bar e lo
addentò mentre le ragazze blu continuavano a ciarlare. Sembrava che
entrambi – Joyce e Rachele – non seguissero i discorsi, parlavano
di trucchi, ragazzi, capelli, ceretta, e loro rimanevano con gli occhi puntati
sul cibo, come se fossero da soli. Solo Joyce a volte alzava gli occhi per dare
un’occhiata ai capelli blu della sua amica. Sofia lo aveva visto un paio
di volte farlo. Sguardi a lei invece non gliene riservava mai. Deglutì e
tornò al chiacchiericcio delle sue due amiche coi capelli turchini.
“Allora?
Quest’estate si va a Maiorca?” saltò su una delle due amiche
di Sofia, riprendendosi in un attimo l’attenzione di quest’ultima
che per un secondo aveva vacillato per colpa del bizzarro Joyce.
Sofia
sorrise. “Direi che Maiorca sia perfetta per il viaggio di
maturità… relax e divertimento, ci è andata l’anno
scorso mia sorella, ha detto che è una bellissima isola!” aveva
detto in tono leggero.
“Ah
ha! Perfetto!” trillò la sua amica, che tra tutte sembrava essere
la più organizzata, e infatti tirò fuori da chissà dove un
atlante che descriveva nei minimi dettagli tutte le isole del Mediterraneo. Lo
aprì con lentezza e come per magia trovò subito la pagina giusta,
per poi puntarci il dito e urlare “Maiorca!!”.
Rachele
alzò discretamente lo sguardo dal suo panino per puntarlo sull’oca
con atlante. Joyce seguì il suo sguardo fino a posarsi sulla ragazza che
aveva portato la cartina e portava un fiocchetto rosa sulla testa. Gli venne
quasi da ridere. Quelle tre ragazze cercavano di imitare la sua cara Rachele, ma
sarebbe stato ovvio anche per lo sprovedutissimo Mei che un affare del genere
sua sorella non l’avrebbe mai indossato.
“Però
cosa facciamo? Ci andiamo solo noi tre? Dovremmo pure trovare una quarta
ragazza!” disse d’un tratto l’altra ragazza.
Lo
sguardo di Rachele si fece meno discreto e le sopracciglia si alzarono, mentre
Joyce passava gli occhi dalle oche a lei. Ghignò, come per dire “e
adesso vediamo cosa succede”.
“Certo
che no!” rispose la ragazza col fiocco rosa, che probabilmente era una
specie di capo “Chiederò a mia cugina Ilaria di venire con noi,
lei fa il quinto anno, al liceo scientifico in via Mazzini”.
Rachele
non volle sentire altro, si alzò e se ne andò senza finire il
pranzo, che finì dritto dritto con stizza nel bidone. Joyce fece un
sorrisetto, poi seguì il suo esempio dicendo “Gente io vado a fare
la pipì” . Le oche blu lo salutarono con aria sognante, e lui
andò a svuotarsi tranquillamente la vescica.
Rachele
conosceva tutto della casa di Joyce, e poteva entrare quando voleva. Joyce del
canto suo solitamente schifava la porta di casa Pavesi, prediligendo la
finestra del bagno, ma quel giorno non aveva troppa voglia di arrampicarsi su
per la grondaia e si ritrovò a forzare la porta con la tessera
sanitaria. Lo aveva visto fare in un film. Ovviamente nel film il protagonista
usava la carta di credito, ma dato che in famiglia di carte di credito non ve
ne era nemmeno l’ombra aveva dovuto accontentarsi.
Avrebbe
potuto sì, usare il campanello, e farsi aprire come facevano tutte le
persone normali, ma trovava che il citofono facesse un rumore più che
mai molesto, e poi era impersonale. Se sentivi che ti stavano scassinando la
porta non poteva essere altri che lui. Anche perché un ladro di buon
senso non avrebbe mai derubato casa Pavesi.
Alla
fine dopo aver lambiccato un paio di minuti, la porta si schiuse e Joyce
penetrò silenziosamente nell’appartamento chiudendosi
l’uscio alle spalle.
Piegò
la testa da una parte vedendo la turchina Rachele che guardava sconsolata il
tavolo della cucina coperto di polvere bianca. La stessa polvere che le
imbrattava anche buona parte del viso.
Joyce
sbatté un poco le palpebre e aspettoche lo insultasse. Lo insultava talmente
spesso che era diventata un’abitudine. Ma rimase lì sconsolata a
guardare la polvere sul suo tavolo.
“Che
è successo?” chiese tranquillo avanzando qualche passo in cucina.
“Le
oche blu vanno a Maiorca…senza di me” pigolò.
“E
a te dispiace” finì lui.“No” disse lei senza neanche sforzarsi di mentire in modo
convincente.
“E
questa cosa ti distrugge così tanto da darti alla droga?” chiese.
“No,
idiota, è farina, stavo cercando di cucinare una millefoglie”
l’aveva insultato e gli aveva regalato uno sguardo carico d’odio.
Bene, era tornata la Rachele
di sempre, si stava riprendendo.
“Ma
non sei capace… beh, se vuoi mia sorella Jane è una cuoca
spettacolare, mica come te” disse con un sorriso che alludeva chiaramente
al disastro che si era creato in cucina.
“Di
solito cucina mia madre” ribatté la ragazza blu alzandosi.
“Scusami io non ho una madre amorevole come la tua… se fosse per
mio padre mangeremmo pizza surgelata e pollo fritto da asporto tutti i
giorni!”disse poi aggiunse “Tuo fratello?”
“Con
Nikka” rispose scocciata lei mentre chiudeva la porta, diretta
all’appartamento dell’amico.
“E
questo non aiuta l’umore…”
“Già…
ma fammi un favore, la prossima volta suona il campanello” disse, sapendo
che avrebbe di nuovo usato la tessera sanitaria.
Se
c’era una persona che conosceva tutti i negozi della città, quella
persona era sicuramente Nikka. Mei non l’aveva mai vista raggiante come
quel giorno, mentre la sua sciarpa lilla di tulle le svolazzava dietro. Non
condivideva l’emozione, ma lo divertiva vederla così raggiante.
“Credo
che gli spolverini siano chic, non trovi?” chiese a un certo punto felice
guardando una vetrina.
Mei
piegò la testa da una parte, e alzò le spalle. Boh, sì,
erano carini… forse… ma in realtà non gliene fregava niente.
Quella ragazza sarebbe andata d’accordo a chiacchierare con sua madre,
che sapeva riconoscere il cachemir
e sapeva cos’erano le parigine.
“Penso
che come cappotto per entrambi non sarebbe male…” disse guardando
la vetrina con aria pensierosa.
Mei
studiò la minuscola figura dell’amica, avvolta in un
mongomeriverde bottiglia, e una
borsa di coccodrillo di un verde simile.
Una
volta sua madre , quando ancora pensava di poter insegnare qualche cosa di
stile al figlio, gli aveva raccontato che il verde aveva un sacco di sfumature.
Certo ogni colore aveva delle sfumature, ma il verde ne aveva più di
tutti gli altri, e tra di loro erano solite non abbinarsi al meglio.
Però, secondo il suo modesto occhio profano, i suoi verdi si abbinavano
bene tra loro. Gli venne da sorridere.
“Che
c’è?” sbottò Nikka che si sentiva derisa. Mei
sbatté le palpebre impaurito “Niente niente…”
“Non
ti piace?” chiese alzando gli occhi al cielo.
Mei
alzò le spalle. “Sinceramente?” . Lei annuì muovendo
un po’ la borsetta di coccodrillo. “Non ho idea di che cosa tua
stia dicendo” non poteva credere di averle risposto così, e si
diede dello scemo, perché non stava zitto.
Nikka
rimase basita.
Mei
avrebbe voluto fustigarsi, la prima ragazza che gli rivolgeva la parola, prima
si lasciava trucidare, poi le diceva che non la ascoltava minimamente.
Ma
alla fine lei sorrise.
“Almeno
sei sincero… te ne frega qualche cosa di questo giubbotto?”
Mei
alzò le spalle “Dei vestiti me ne è sempre fregato poco. Ma
se Leonardo pensa che la sua Gioconda abbia bisogno di un giubbotto…
beh…” .
Nikka
sembrò contenta della sua risposta “Nikka pensa che per lei e Mei
questo cappotto sia indispensabile!”.
Mei
annuì “Bene… cappotto sia” .
Una
volta entrati Nikka si fermò a civettare con il commesso.
Se
sei ricco mandi il tuo Alfredo, o Ambrogio o Girolamo , a comprare quello che
ti piace, ma se in casa si vive in due con uno stipendio da impiegato statale,
difficilmente si può lasciare la mancia, come potrebbe fare il
maggiordomo Alfredo. Bensì si civetta col commesso nella speranza che
poi ti faccia lo sconto.
Mei
aveva guardato intensamente il manichino su cui stava il giubbotto che aveva
conquistato Nikka. Guardò la cintura, il colore beige chiaro, tutte le
cuciture il modo, quasi frapposo, in cui cadeva sulle gambe del manichino.
Nikka
gli trotterellò felice accanto “Allora cosa ne pensi?”
“Non
è da donna?” chiese perplesso.
“No,
è unisex, ma gli uomini non se lo mettono quasi mai perché la
maggior parte sono privi di senso dello stile” . Non che la cosa lo
convincesse molto … aggiunse poi “Non fa tanto maniaco dei
giardinetti?”
“No,
per essere un maniaco ti ci vorrebbe un impermeabile giallo e degli occhiali a
goccia. Se eviti di mettertelo senza nulla sotto risolverai in fretta la
situazione”
Mei
alzò le spalle “O la và o la spacca”
Più
tardi poco prima di cena qualcuno suonò alla porta. La signora Pavesi e
i suoi figli si guardarono, e poi guardarono la porta. Chi poteva essere? O
meglio, chi poteva suonare?
Non
suonava più nessuno alla loro porta. La signora del terzo piano, quella
coi dodici gattiera solita
bussare, Joyce entrava dalla finestra, la portinaia aveva la chiave e la
spagnola che si doveva sposare invece iniziava a urlare prima ancora di essere
arrivata al pianerottolo dei Pavesi.
Rachele
alzò le spalle “Vado io!”disse stancamente.
Aprì
la porta e sbatté le palpebre, stupita di trovarsi un’oca blu
davanti. L’aveva riconosciuta, era quella che sia chiamava Sofia.
“Mi
chiedevo se volessi venire a Maiorca con noi” chiese con un sorriso e
senza preamboli. Rachele la guardò incerta, probabilmente Sofia non
l’aveva mai vista, così, decisamente spiazzata.
“Certo
che no, io non rimpiazzo nessuna cugina!” aveva sbottato, ma si vedeva
che non era ben sicura di quello che stava succedendo, sbatté la porta
per chiuderla, e si inciampò nell’aria finendo a sedere sul pavimento.
La
signora Pavesi fece capolino dalla cucina “Tutto a posto cara?”.
Rachele alzò le spalle.
“Diciamo
che sono viva” rispose abbacchiata. Non ci capiva più niente,
prima impazziva per togliersi di mezzo le oche blu, poi non la invitavano in
vacanza e impazziva, poi la invitavano e impazziva lo stesso. Non si capiva
più.
Dall’altra
parte della porta un’allibitissima Sofia se ne stava in piedi sullo
zerbino. Si voltò lentamente verso la sommità della rampa delle
scale, dove stava seduto un ridanciano Joyce. Si era messo lì
perché Rachele non lo vedesse, quando avrebbe aperto la porta.
“ehm…”
lei non sapeva cosa dire, cosa si poteva dire dopo che una senza quasi motivo
ti sbatteva la porta in faccia urlando?
Joyce
scese lentamente le scale che li separavano dicendo “Le ha fatto
piacere… davvero…”
“Quindi
verrà a Maiorca con noi?” domandò lei continuando a non
capire, quando ormai lui le era arrivato affianco.
“Certo
che no… ma le ha fatto piacere che voi glielo abbiate chiesto… ti
va un panino?”
In
casa Pavesi la situazione tra le due donne di casa si era pressappoco
congelata, mentre Mei faceva la spola tra bagno e camera da letto, mentre si
faceva la barba.
Rachele
era rimasta a sedere a gambe incrociate davanti alla porta con aria spaesata,
mentre sua madre sulla soglia della cucina la guardava con aria preoccupata.
D’un
tratto la ragazza parve svegliarsi, e si voltò di scatto per parlare con
sua madre che sobbalzò “Mi insegni a cucinare la
millefoglie?” chiese di botto. Gli occhi della signora Pavesi si
illuminarono “Tesoro, hai intenzione di darti all’arte
culinaria…?”
Rachele
boccheggiò “Non proprio mamma… ma se la vuoi vedere sotto
questo aspetto sei liberissima”
Mei
si era ritrovato a correre come un idiota, come aveva fatto a perdere
così tanto tempo a scegliere cosa mettersi per la festa in villa del
ragazzo di Nikka, e di non aver scelto niente?
Era
uscito nudo, solo con il giubbotto e le mutande, e per di più era anche
in ritardo. E come avrebbe spiegato a Nikka che nell’indecisione aveva
optato per il nudismo?
Era
diventato pazzo forse? Non era mai stato un ragazzo avventato, il Mei
dell’anno prima non sarebbe mai uscito nudo. Il Mei dell’anno prima
non sarebbe nemmeno uscito, ma quelli erano altri problemi. E a quel punto,
mentre correva alla fontana dei giardinetti, dove si erano dati appuntamento,
doveva anche inventarsi una scusa plausibile per il suo arrivo decisamente
spoglio. Gli avevo rubato i vestiti? Era andato a fuoco l’armadio?
No,
non esistevano scuse plausibili, o lontanamente intelligenti. Era un emerito
idiota , e se lo ripeté per l’ennesima volta quando scorse Nikka
in lontananza che lo aspettava accanto agli zampilli della fontana.
Rallentò
la corsa, proprio frenando davanti a lei, che gli sorrideva raggiante, truccata
perfettamente, col viso incorniciato da due lunghi ed eleganti orecchini
d’argento.
Come
avrebbe fatto a dire a una perfezionista simile che era arrivato fin lì
decisamente nudo? Tra l’altro iniziava a sentire un discreto freschino,
dato che ormai Natale era alle porte.
“Buona
sera Mei” disse con voce vellutata allungando il collo per dargli un
bacio sulla guancia.
Mei
si sentì avvolgere dal profumo delicato di Nikka.
Deglutì,
intorpidito dal profumo. “Nikka devo dirti una cosa…”
pronunciò faticosamente quando lei gli prese le mani per condurlo chissà
dove.
Lei
si fermò e gli strinse ancora le mani tra le sue, che erano freddissime.
“Anche io e…”
“Sono
nudo, non sapevo che vestiti mettermi e sono venuto in mutande”
sbottò infine. Nikka lo guardò per qualche secondo sbattendo le
palpebre perplessa.
Mei
fu sicuro che stesse per esplodere.Ma alla fine lei sorrise e rise perfino, in un moto irrefrenabile.
Appoggiò la fronte al suo braccio, poi finalmente quando ebbe ripreso
fiato e riuscì a guardarlo senza ridere troppo disse “Anche io,
sono in mutande…!!” poi ricominciò a ridere senza sosta, a
lui scappò un sorriso.
E
così anche alle impeccabili come Nikka e Rachele succedevano cose
strane, la prima che usciva di casa nuda, la seconda che crollava davanti
all’invito di una ragazzina blu.
“Non
ci posso credere! Siamo due disadattati!! Ora si che siamo dei maniaci dei
giardinetti!!” esclamò come se non avesse mai riso così
tanto in vita sua.
“E
adesso?” chiese Mei con un sorriso un po’ preoccupato”Andiamo
alla festa?”
Lei
lo guardò alzando le sopracciglia “E cosa facciamo? Non ci
togliamo il giubbotto per tutta la serata?”. Mei alzò le spalle
dubbioso.
“Io
dico che è meglio un bel posto all’aperto dove non sia disdicevole
non togliersi il giubbotto!!” esclamò con Mei che si trovava
assolutamente d’accordo.
E
così Nikka disertò la festa di compleanno del suo nuovo ragazzo
per andare a prendere un gelato alla baracchina dei gelati al parco, in
compagnia del nerd, pseudo opera d’arte Mei.
Quando
tornò a casa stava ancora ridacchiando, anche se aveva un freddo cane.
Era stato buffo, Nikka gli aveva raccontato un sacco di cose su Chanel e
colleghi, e lui non aveva capito assolutamente nulla, ma era comunque contento
come una Pasqua. Andò dritto in bagno intenzionato a farsi una doccia
calda, ma si trovò un po’ spiazzato, e fece un salto
all’indietro quando vide sua sorella seduta per terra accanto al
gabinetto. Lei lo guardò dal pavimento e gli sorrise “Ben tornato
fratellino”
“Tutto
a posto?” chiese lui perplesso. Sapeva della spiccata simpatia che sua
sorella provava per gli alcolici , ma non l’aveva mai vista post
vomitata. E di sicuro in quel momento non si sentiva in gran forma.
Si
sedette come lei, con le spalle appoggiate alle piastrelle del muro e i piedi
allungati lungo il pavimento, in modo che solo il water li dividesse.
“Sono
andata a consegnare una torta a una ragazza blu… amo essere scortese, ma
forse a volte esagero. Poi sono andata a bere in giro…”.
Mei
sospirò guardandola, poi disse “Questi vestiti non li ha fatti
mamma, vero?” indicando contemporaneamente ciò che indossava la
sorella.
No,
decisamente il top era troppo succinto per essere opera di mamma. Aveva quello
e delle bretelle dorate, mentre in testa portava un cerchietto con un fiore
nero. Di sicuro l’abbigliamento era ricercato, ma non erano cose di
competenza della signora Pavesi.
Rachele
alzò le spalle “Joyce” disse con semplicità senza
guardarlo e muovendo un po’ la lattina che teneva ancora in mano.
“Joyce
si mette quella roba?” Mei sapeva che l’amico irlandese aveva idee
strane in quanto ad abbigliamento, ma non poteva certo immaginarselo conciato
così.
“NO,
SUA SORELLA!!” sbraitò subito Rachele. Mei si
tranquillizzò, non fece in tempo a mettersi seduto per bene che sua
sorella gli mise davanti la birra.
“La
metti via? Non mi va che la mamma la trovi in giro domani mattina”.
Mei
la guardò per un attimo poi trangugiò ciò che era rimasto
nella lattina, per non aver nemmeno il tempo di mandarlo giù prima di
sputarlo schifato nel water. Rachele si mise a ridere sguaiatamente rischiando
di tirare una testata al gabinetto.
“Rimarrai
astemio tutta la vita?”
Mei
alzò le spalle “Temo di sì”. Rachele diede
un’occhiata alla Gioconda con gli occhi censurati con lo scotch.
“Sai
che dicono che la Gioconda
del Louvre non sia la vera Gioconda? O meglio, quella che davvero
ossessionò Leonardo è una donna più giovane, in un dipinto
incompleto, ed è conservato da un collezionista
anglosassone…”
Mei
annuì in attesa che sua sorella dicesse qualche cosa d’altro, e
infatti “Credo che sia ora di andare. Devo svelare altri misteri, buona
notte stupido opossum” disse alzandosi barcollante e sparendo in
corridoio.
Non
stavo dormendo, come al solito, ma ero in un beato dormiveglia, con la guancia
schiacciata contro il materasso e i capelli sulla faccia, quando la porta si
aprì lentamente facendo entrare un filo di luce che mi illuminò
la schiena.
“Che
ci fai qui?” chiese Joyce tranquillo chiudendo la porta ed eliminando il
filo luminoso.
“Non
mi andava di dormire a casa mia” biascicai con la bocca storta per la
posizione. Joyce alzò le spalle si tolse l’odioso pellicciotto
arancione e si lasciò cadere a braccia aperte sul letto come un
crocifisso instabile.
“Dimmi
una cosa” dissi dopo un po’ di silenzio, lui muggì un
assenso.
“Chi
cavolo è Darcy?” sbottai tenendomi su la testa su una mano. Lui si
girò stancamente verso di me.
“Mia
sorella” disse per poi ricadere come in coma sul cuscino.
“No”
sentenziai altera “Tu hai due sorelle, e si chiamano Jane ed Emily, come
Jane Austen e Emily Dickinson” spiegai saccente.
Joyce
ridacchiò “Te lo ricordi… no, Darcy è la figlia di
mia madre, ha tredici anni. L’apparecchio per i denti , gli occhiali, le
lentiggini e vive nella verde Irlanda”
“Darcy
è un nome da uomo” dissi come per trovare per forza qualche cosa
che non va per forza.
“E’
unisex…” ribadì lui. Sospirai.
“Buonanotte idiota” dissi
girandomi dalla mia parte del letto.
“Buonanotte
stronza” rispose lui facendo lo stesso.
Grazie mille a chi ha letto e commentato, spero di non deludervi
con questo nuovo capitolo, forse è un po’ troppo lungo, ma volevo
metterci anche un po’ di paranoie by Rachele.
Venni
a sapere giorni dopo che Sofia, la mia oca blu , che se la spassava con Joyce,
era finita col piede nella torta che le avevo lasciato sullo zerbino, mentre
usciva di casa per andare a scuola.
Non
mi arrabbiai. Forse la mia torta di scuse faceva schifo, forse era un veleno.
Forse mi ero risparmiata l’ergastolo e la morte prematura di una ragazza
sulla coscienza.
Una
mattina qualunque di qualche giorno dopo decisi che era ora di andare a dar
fastidio a Joyce. Nonostante mi fossi svegliata nel cuore della notte lo avevo
risparmiato, non gli avevo telefonato nemmeno una volta.
Cominciava
a fare freddo, uscii in strada mettendomi la sciarpa di lana simil-Chanel, che
mia madre aveva sferruzzato a maglia per tutta la settimana, continuava a non
piacerle e a rifarla, finché alla fine a forza di modifiche non
assomigliava più neanche lontanamente a quella prodotta dalla nota casa
di moda.
Ero
abbastanza felice, ormai era natale, mancavano meno di due settimane, il che
voleva dire che mancava meno di un mese al mio compleanno.
Ero
indecisa se essere felice o meno del raggiungimento della maggiore età.
Avrei potuto prendere la patente, ma allo stesso tempo avrei potuto essere
anche perseguibile penalmente. Niente più sparaneve. E forse avrei
dovuto anche rinunciare ai gavettoni di aranciata a pioggia, su Nikka.
No,
sui gavettoni potevo ancora contare, non erano reato. Sparavo.
Non
ci misi molto ad arrivare davanti alla porta di casa Cumoli, mi piegai e presi
la chiave da sotto lo zerbino e la infilai nella toppa.
La porta di casa Cumoli si aprì
svelandone un’impacchetta Rachele ostinatamente contraria al freddo
invernale. Jane alzò appena la testa dal libro su cui stava studiando,
per vederla. Ma la ragazza blu non le diede grande attenzione, bensì
notò molto meglio Joyce e la sua oca Sofia che si stavano sbaciucchiando
appassionatamente appoggiati allo stipite della stanza da letto di Joyce.
Non ci miseromolto ad accorgersi di lei, probabilmente
la sua presenza era stata svelata da una folata d’aria particolarmente
gelida.
Sofia si voltò a guardarla rivolgendole
un sorriso raggiante, nell’ultimo periodo non la trattava neanche troppo
male, rispetto ai vecchi standard di antipatia e tortura verso le oche blu.
Anche Joyce le rivolse un sorriso, ma non era
raggiante , non era sibillino, sembrava più un ghigno.
Rachele che nel frattempo era riuscita a
togliersi la giacca senza che nessuno se ne accorgesse si avvicinò con
passo deciso trovandosi alla fine a dividerli, poi guardo Sofia le sorrise e
disse “Niente di personale”.
Poi prese Joyce per il colletto della camicia
(insolitamente sobria) e si alzò sulle punte per dargli un bacio. Senza
allontanarsi ne fare alcunché che potesse permettere a Sofia di
sbalordirsi ulteriormente o dire qualche cosa , roteò sulla punta di un
piede, e se lo portò via, mentre Joyce per nulla perplesso si chiuse la
porta alle spalle. Ed entrambi sparirono in meno di venti secondi.
Sofia si ritrovò nuovamente perplessa
con una porta sbattuta davanti senza aver nulla da dire.
Jane del canto suo non aveva dato
granché peso alla scena , aveva invece continuato a studiare il suo
libro grosso come un elenco telefonico, sottolineandolo con una matita quasi
spuntata.
Dopo un po’ che Sofia stava lì
impalata senza sapere cosa fare la ragazza alzò la testa e si
abbassò gli occhiali da lettura per guardarla meglio.
“Era seria quando diceva che non era
nulla di personale… non ce l’ha con te perché vai con Joyce”
sbuffò con un modo di fare strano, quasi divertito, prima di tornare a
dare attenzione al suo tomo.
“Ma se…” cominciò la
ragazza blu.
Jane fu più veloce, più brava
più esperta, insomma conosceva nei minimi particolari la situazione.
“Se ce l’hai con lei è un
altro conto. Ma ti assicuro che non ne caveresti in ragno dal buco. Forse se lo
merita, forse no. Chi lo sà…”
Sofia rimase come al solito stupita, non erano
solo quei due a essere strani, anche la sorella di Joyce non scherzava. Era
magra, non molto alta e con due lunghe trecce corvine che le ricadevano sul
petto, aveva un’aria studiosamente trasandata e la matita in bocca mentre
guardava con interesse il suo libro.
Sofia raspò un poco nella borsa e vi
estrasse un bigliettino colorato che poi mise tra il viso di Jane e la sua
lettura.
“Cos’è?” chiese lei
sobbalzando, senza neanche darsi il tempo di leggere.
“E’ una festa. Nikka l’ha
chiamata Criminal. Mi sembra carina,
mi chiedevo se tu ed Emily voleste venire” disse con aria un po’
intimorita e dolce. Jane ridacchiò, era così carina che avrebbe
voluto adottarla.
“Potremmo venire, che roba
è?” si informò.
“E’ una specie di festa in tema guardie e ladri… gli inviti li ho
avuti da Millie” concluse con una smorfia, a volte per divertirsi
bisognava ascendere a patti col nemico.
Jane si grattò il mento “Credo
che a Emily potrebbe piacere. È il suo genere di follia, crede sempre di
poter adescare un qualche ricco milionario americano a queste feste in simil
maschera. Non ho mai avuto il cuore di dirle che è seriamente
improbabile… credo ci saremo”
Sofia si dondolò ancora sui piedi, e la
ragazza non disse nulla immaginando che fosse lei a voler parlare a qual punto.
“Avrei voluto chiedere anche a
Rachele… ma non credo che voglia venire a una festa di Nikka… o
almeno non venirci con l’invito. Di solito si imbosca a quanto ne
so” disse senza guardarla, e roteando gli occhi da un ragno in uno
spigolo al barattolo che conteneva le erbe per le tisane.
Jane alzò le spalle “Glielo
chiedo io, mi deve un favore, qualche giorno fa si è trangugiata una mia
intera millefoglie che mi ero preparata per colazione, e mi è toccato
mangiare un toast coi sottaceti. Perbacco che schifo! Chissà chi
è che li compra quei cosi odiosi che impestano il frigo, sono
davvero…”
Sofia lasciò la ragazza con le trecce
al suo monologo contro i sottaceti, e uscì silenziosamente senza essere
notata.
Mei si grattò la tempia, entrando nel
parco cittadino camminando un po’ storto. Quella maschera gli dava
fastidio, tra l’altro gli cadeva sempre sugli occhi e non vedeva
più nulla. Si sentiva un po’ spaesato c’era un capannello di
gente che attorniava un bar in vimini e beveva alcolici, non vide nessuno che
conoscesse, a parte una ragazza pallida che era in classe con lui, ma con cui
non parlava mai. Di Joyce, Rachele, Nikka , Vanessa, Millie e delle oche blu
neanche l’ombra.
Non capiva in che razza di festa fosse
capitato. Il parco era pieno e c’era un sacco di gente che si muoveva sul
prato o si imboscava dietro ai cespugli.
Conosceva quel posto, suo padre ce lo portava
sempre da piccolo.
Decise di andarsi a sedere. Non è che
avesse molto da fare in quel momento, anche perché probabilmente se al
bar ambulante avesse chiesto un’aranciata si sarebbe fatto ridere dietro.
Si andò a mettere su un muretto in mattoni rossi per gran parte coperto
di edera, e un po’ rovinato dal tempo, doveva essere vecchio. Suo padre
aveva detto che c’era già quando lui era piccolo. Probabilmente
l’avevano costruito poco dopo la seconda guerra mondiale.
Rimase seduto guardandosi in giro. Si appoggiò
con le braccia al bordo dietro del muretto dondolandosi un po’ guardando
in alto, le gambe erano un poco piegate. Era buffo, poco prima si sentiva
troppo alto per passare inosservato. Non si era mai chiesto come aveva fatto a
passare inosservato a così tanta gente dall’alto del suo metro e
ottantacinque.
E infatti quella sera non successe, non aveva
ancora iniziato a sentire freddo al sedere che una ragazza bionda tinta
ancheggiò verso di lui.
“Ciao” disse con aria gentile,
tenendo le gambe strette e piegandosi un po’ da una parte come se fosse
una bambina. “Posso sedermi
?” chiese gentile stringendo il bicchiere usa e getta che aveva in mano.
Mei sembrò perplesso per la domanda e
ci mise qualche secondo a realizzare la situazione “Oh, sì …
certo,puoi sederti” aveva risposto infine, alla ragazza che portava un
cappello blu molto simile a quello delle forze dell’ordine.
Mei tornò a farsi i fatti suoi.
Alzò nuovamente gli occhi alla ricerca dell’orsa maggiore. In
realtà in astronomia non era ferratissimo. Cioè, se si parlava di
teoria si era grandemente informato in uno dei suoi interminabili pomeriggi di
solitudine, ma se bisognava cercare stelle realmente in cielo la situazione si
faceva leggermente più complicata.
Era ancora perso nel disquisire tra astronomia
teorica e pratica che la ragazza bionda parlò di nuovo.
“Come ti chiami?” . Probabilmente
non aveva alcuna intenzione di sedersi soltanto come aveva innocentemente
pensato Mei.
“Mei” rispose lui stupito,
navigava ancora dei meandri dell’innocenza nei quali l’arte
dell’abbordaggio era ancora sconosciuta.
Lei sorrise, non era una di quelle ragazze
fatali e intraprendenti, e non era neanche Nikka. Mei in un momento di pura
adolescenza pensò che forse quella ragazza potesse essere alla sua
portata.
“Io sono Elena” disse lei con un
sorriso “Non ti ho mai visto, sei della scuola?” chiese nel
disperato tentativo di fare conversazione.
“Me lo dicono spesso. Comunque
sì, sono della scuola” rispose lui con un sorriso dolce. Forse
avrebbe anche potuto parlarci con quella ragazza.
“E’ strano”continuò lei, come per dire che
Mei non era uno che poteva passare inosservato.
E a lui fece infinitamente piacere.
“Perché è strano?”
chiese. Se la ragazza voleva fare conversazione allora avrebbero fatto
conversazione.
Elena ebbe un sussulto, probabilmente
pensò di essersi messa ai ferri corti da sola.
“Beh, ecco perché mi sembra
che tu non sia una persona che passa inosservata”blaterò senza
chiarire nessun quesito. Mei ridacchiò.
“Vuoi?”chiese lei cercando di spostare
l’attenzione dalla sua risposta al bicchiere che teneva in mano.
“Oh, no grazie” declinò lui
con un sorriso tirato. Al 99,9% era possibile che il contenuto del bicchiere
fosse alcolico.
“Non ti piace la vodka alla
pesca?” chiese lei guardando dentro al bicchiere come per controllare che
non ci fosse un insetto morto.
“Non simpatizzo” affermò
annuendo, e la maschera gli cascò un poco. Lei annuì, e lui
preferì non specificare che non simpatizzava per nulla di lontanamente
alcolico. Non gli stavano neanche tanto simpatici i babà.
“Allora tu da chi verrai acchiappato a
mezza notte?” chiese lei ritrovando l’entusiasmo. Mei la
guardò stralunato.Chi
è che doveva acchiappare chi?
Si avvicinò un poco al viso della
ragazza e disse piano “Eh?”
Elena lo guardò perplessa poi rise.
“Non hai mai giocato a guardie e
ladri?”
Mei boccheggiò, a dire il vero no, ma
sapeva che era un gioco per bambini ed era consapevole del fatto di avere una
maschera in volto. Come ladro non era credibile, ma come cliché non era
male. Anche se forse una maschera del genere faceva più Zorro. Ma
preferì non raccontare tutto alla ragazza bionda che gli stava davanti.
Fece una risatina che avrebbe dovuto essere
disinvolta ma che probabilmente non lo fu e disse “Certo che lo so che
cos’è, i poliziotti inseguono i ladri no?”. Elena sembro
rincuorata. Fece un sospiro, si era avvicinata al ragazzo mai visto
perché le sembrava carino, ma era un pochino strano. A partire dal fatto
che non aveva fatto una piega quando lei gli aveva chiesto di sedersi accanto a
lui. O almeno, l’aveva bellamente ignorata. E si era rimesso col naso
all’insù a guardare chissà cosa, e a quel punto sembrava
cadere dalle nuvole mentre parlavano di guardie e ladri.
Era ovvio che non era un gioco per bambini ,
ma una scusa idiota per imboscarsi. Si chiese se non fosse meglio desistere, e
andare dal più volgare Palotti , lui almeno aveva i piedi per terra, e
poi tempo prima avevano avuto una specie di storia più o meno.
“Quindi, chi vuoi che ti
acchiappi?” continuò.
“Beh” fece una pausa che a Elena
sembrò maliziosa, ma era solo un momento di indecisione “Non lo
so” aggiunse avvicinandosi un po’.
“Potrei acchiapparti io se vuoi”
disse lei mordendosi un po’ le labbra. Una spia rossa si accese nel suo
cervello. Bene, probabilmente quello era uno dei momenti che Nikka stava da
tempo aspettando. La sua entrata in società! Con tanto di flirt con
… con… ah sì, Elena.
Mei strizzò gli occhi e disse un
po’ titubante “Se vuoi” . Elena sorrise e si alzò
lentamente.
“Allora a dopo , Mei” fece
lanciandogli un bacio. Mei fece un sorrisetto un po’ teso e la
salutò con la mano.
E adesso che doveva fare? No era sicuro di
quello che stava provando. Era impaccio, era esaltazione.
Quando quella ragazza gli aveva chiesto se
poteva sedersi accanto a lui, lui non aveva certo pensato che ci volesse
provare con lui… e invece…
Era la prima volta che una ragazza ci provava
con lui. A parte Vanessa e Millie vestite da odalische che non erano proprio il
massimo. E Nikka che lo aveva baciato, ma non era esattamente la stessa cosa.
Per lei era più un oggetto.
E indiscutibilmente a lui piaceva da morire.
Oh, e che cavolo! L’aveva detto ad alta
voce, finalmente. Anzi, pensato ad alta voce. Sospirò. Forse sarebbe
stato decisamente più felice se quell’Elena fosse stata
l’imperscrutabile ed esaltata Nikka.
Sospirò e mise le mani a coppa per poi
appoggiarci il mento. E sbuffò quando la sua maschera difettosa gli
scivolò sul naso.
Si chiese cosa poteva fare con quella ragazza.
Sicuramente Nikka avrebbe apprezzato la sua prima conquista. Conquista? Forse
non era proprio una conquista , dato che aveva fatto tutto da sola. Forse
avrebbe solo dovuto lasciar andare gli ormoni e stare tranquillo, ma
decisamente non era il suo campo. Essere baldanzoso era più una caratteristica
intrinseca di Joyce. Ecco, si chiese cosa avrebbe fatto Joyce al suo posto. E
proprio in quel momento passò un impellicciato e mascherato Joyce che
tubava con una ragazza blu. Più bassa di sua sorella, con i pantaloni da
centro commerciale e il sedere un po’ piatto. E decisamente meno ostile
nei confronti dell’impellicciato. Storse il naso, mentre i due si
imboscavano dietro a un cespuglio. Mei sbatté qualche volta le palpebre
e resistette all’impulso di seguirli, pensando che probabilmente avevano
da fare cose private. Si alzò e si avviò nel buio del parco con
l’intento di perdersi.
Sofia trascinò Joyce dentro il
cespuglio tirandolo per i bordi del pellicciotto arancione e gli stampò
un bacio sulle labbra, mentre lui l’abbracciava e la stringeva a
sé.
Le passò una mano tra i capelli, era
bellissimo quel blu elettrico. Gli venne da ridere pensando che indirettamente
l’aveva scelto lui.
Sofia si alzò sulle punte passandogli
le labbra sugli occhi, Joyce scese lentamente sedendosi sul prato invernale,
con la ragazza blu in braccio.
Aveva la schiena bollente, tutto il contrario
delle sue mani. Era decisamente freddo, ormai era Natale. Sofia gli diede un
altro bacio a palpebre serrate, Joyce seguì il suo esempio, a occhi
chiusi era tutto molto meglio era come se non fossero lì, era come se
non fosse lei.
Ma probabilmente lei non la pensava
così, perché si allontanò abbastanza da poterlo guardare
bene, e Joyce si sentì costretto a seguire il suo esempio.
Lei, ancora seduta sulle sue gambe lo guardava
con aria stralunata. E disse quello che lui non avrebbe mai voluto sentirsi
chiedere.
“Tu mi ami?”. Joyce sentì
il respiro fermarsi a metà della trachea, e tornare su. Si può
vomitare un respiro? Evidentemente sì. Forse fece una smorfia,
involontaria, senza accorgersene. Non aveva intenzione di ferirla, ma neanche
di prenderla in giro.
“Sei sicura di volerlo sapere?”
domandò infine guardingo. Sofia sapeva già la risposta alla sua
domanda. Ma come si suol dire , la
speranza è l’ultima a morire. Bene, e allora che la speranza
era morata cosa rimaneva da fare?
Joyce vide lo sguardo di Sofia incupirsi ed
abbassasi, mentre appoggiava la testa alla sua spalla. Il cappello da guardia
scivolò stancamente per terra sul terriccio. Joyce le guardò i
capelli, dato che erano l’unica cosa visibile dalla sua posizione.
Sospirò, in un sol colpo aveva fatto star male una ragazza e perso uno
dei suoi passatempi migliori. Dondolò un po’ il ginocchio mentre
Sofia rimaneva immobile seduta in braccio a lui, con il viso sprofondato nel
suo petto.
Si sentiva maledettamente in colpa. E a qual
punto rimaneva solo una cosa da fare : ricucire i tagli, senza stringere
troppo.
“Sofia…” sussurrò
“ti va un panino? Ce ne andiamo di qui e facciamo una
passeggiata…”.
Sofia si raddrizzò e lo guardò
asciugandosi lacrime immaginarie. Poi annuì.
Furono visti pochi minuti dopo dalla mandria
di guardie in attesa dello scoccare della mezzanotte, dirigersi verso il centro
storico, mano nella mano.
La ragazza del bar guardava perplessa quel
capannello di ragazzi con i capelli da poliziotto. Non le era ben chiaro il
senso di quella pagliacciata, in particolare a gestire i giochi c’era una
ragazza tonda e mora decisamente poco attraente che rispondeva al nome
leziosissimo di Millie.
Alzò le spalle e si disse che se si
divertivano così potevano fare, l’importante era che la pagassero.
Nikka aveva distribuito cappellini e
mascherine tutto il giorno. La sua festa Criminal doveva essere un colpo di
genio, e invece perché era così tesa. Si mordicchiò le unghie.
Non era una cosa affatto elegante, si disse, ma era decisamente nervosa. Aveva
dato la tua mascherina a Mei? E lui era venuto? Si era trovato un ragazza? Si
era già imboscato con qualcuna?
No, conoscendo Mei sicuramente no.
Chissà se qualcuno l’aveva
puntato. Qualcuno a parte Vanessa che era esaltatissima all’idea di
partecipare. No, Vanessa era una ladra, era già sparita.
Scorse lo sguardo sulla folle di liceali, e
scorse Pallotti inguaiato da guardia. L’aveva fatto apposta, in modo che
non potesse provarci con lei in modo legale. Non avrebbe potuto palpeggiarla
con la scusa di doverla acchiappare in quanto ladra.
Il premio in palio per chi portava alla base
più ladri era un walkman. La base era costituita da una scocciatissima
Millie con megafono incorporato, che si ritrovò finalmente a fare il
conto alla rovescia.
Nikka si guardò ancora in giro. Joyce
non c’era , l’aveva visto allontanarsi con una delle oche blu,
(forse non era gay allora) ma la cosa non le interessava granché. Se
conosceva bene Rachele Pavesi si era accaparrata una maschera da ladra, e in
qual momento se ne andava in giro per il parco fumando. Le sorelle Cumoli
cinguettavano allegramente tra la folla mentre Millie urlava dieci.
C’erano le pettegole con i loro
cappellini da guardie, quella sera sarebbe stata ghiotta di pettegolezzi, ne
erano sicure.
sette…
C’era anche una ragazza bionda con le
sue amiche che chiacchierava riguardo a un tipo timido, con cui quella sera
aveva una specie di appuntamento combinato. Si chiamava Elena se non si
sbagliava.
Cinque…
Spuntò dal nulla Alberto. “Nikka,
anche tu sei qui? Allora come faccio ad acchiapparti se sei una guardia anche
tu?”. Nikka gli diede un bacio accanto alle labbra.
“Mi sa che ho sbagliato! Con tutte
queste maschere e cappelli” fece una risatina maliziosa.
Tre…
“Ci vediamo dietro al vecchio bar”
gli sussurrò all’orecchio facendolo sorridere. Alberto la prese
per mano e le sorrise strizzandole l’occhio, mentre si allontanava nella
folla.
Due…
Alberto sparì e Nikka rimase sola nel
caos con tutti che spingevano come se fosse stata una corsa alle olimpiadi.
Uno…
Nikka si sistemò il cappello sulla
testa chiedendosi ancora dove si fosse cacciato Mei. Come ladro di sicuro non
era un granché.
“Via!” decretò Millie
decisamente mal disposta dal fatto di non poter partecipare, nessuno si
interessò al suo disappunto e tutti partirono e corsero a perdersi per
il parco, Nikka s’incamminò lentamente verso il bar. Vanessa correva facendo urletti eccitati
per attirare l’attenzione. Ovviamente tutti la evitarono come la peste.
Si chiedeva perché diamine organizzava
quelle feste. Tanto lei non aveva bisogno di tutto quello per trovare un
ragazzo, o un passatempo per una sera. Bastava che lo volesse e si trovava
qualcuno. Anche quando non lo cercava,come era successo ad esempio con Alberto. Le era capitato tra capo e
collo senza che lo avesse chiesto.
Ed era simpatico, si certo. Era un signore.
Aveva classe. Era intelligente.E
allora perché era scocciata?
Non ebbe il tempo di rispondersi, perché
qualche cosa la trascinò dietro una vecchia colonna degli anni
cinquanta. Nikka finì addosso ad Alberto che l’aveva tirata ed
entrambi finirono per terra. Alberto si mise a ridere e le stampò un
bacio sulle labbra.
Non molto più lontano un ragazzo biondo
e smilzo aveva acchiappato una ragazza blu vestita di nero. Lei sorrideva
mentre si sedevano sul davanzale di pietra che dava sulla fontana. La notte era
illuminata, ma loro le davano la schiena.
“Come ti chiami?” aveva chiesto
lui che non era sicuro di averla già vista a scuola. Rachele sorrise
ancora stringendo la bottiglia di vodka per il collo.
“Cosa ti importa?” chiese lei
avvicinando il volto mascherato a quello del ragazzo “Ti basti che ho
portato da bere”.
Il biondo sorrise e la strinse a sé. Oh,
quella doveva essere sicuramente la
Pavesi, i capelli blu ce li avevano anche altre ragazze a
scuola, ma quella era sicuramente lei. Anche se non la conosceva personalmente
aveva una certa fama a scuola.
Ridacchiò. Voleva dire che quella sera
avrebbe potuto godere delle grazie della Pavesi. Altro che
quell’impellicciato che girava con lei, ma gli piacevano gli uomini!
Poi Rachele gli diede un bacio, e lui decise
che pensare a Joyce era una perdita di tempo, finché era in simile
compagnia.
Poco più sotto stava Mei perplesso, che
camminava avanti e indietro vicino alla fontana. Non aveva neanche notato sua
sorella indaffarata in faccende poco raccomandate dalla Sacra Rota.
Che doveva fare? La sua presenza lì
sembrava una presa in giro! E chi se ne fregava se Nikka voleva che lui avesse
successo con le ragazze. Non era sicuro di voler baciare o fare altro con
quella ragazza. Era carina, sì era decisamente carina, ma non è
che gliene fregasse granché.
Si sentiva un po’ come quelle ragazzine
che aspettano il principe azzurro, e non come il ragazzo sfigato che non
aspetta LA ragazza, ma una ragazza, una qualunque.
Lui avrebbe potuto benissimo accontentarsi di
una ragazza carina qualunque. Insomma, non gli sembrava che Joyce e Pallotti si
facessero tanti problemi a scegliersi la ragazza con cui spassarsela una sera!!
I suoi pensieri furono interrotti da un
“Preso!” e da due dita puntate sulla nuca che dovevano stare a
sostituire una pistola. Di tutta la risposta la sua mascherina cedette e gli
cadde sul naso.
“Girati lentamente con le mani in
alto!” ordinò lei ridacchiando. Mei accecato dalla sua stessa
maschera alzò le braccia e sbuffò stancamente prima di voltarsi
verso di lei.
Lei scoppiò a ridere più forte
di prima e gli spostò la maschera mettendogliela sulla testa, per
poterlo vedere meglio.
Mise le labbra a cuore e piegò la testa
mentre Mei che non aveva idea di che stato d’animo avere rimaneva fermo a
mani in alto.
Elena sembrò pensierosa “Sei
carino anche senza maschera” fu il verdetto. Ecco, cosa si dice a una
ragazza che ti fa un complimento? Bisogna scherzarci su? Bisognava ricambiare?
Nikka non glielo aveva mai detto.
“Grazie” disse infine con un mezzo
sorriso. Mei avrebbe solo detto grazie. E Mei non era decisamente Nikka. Ed era
solo colpa di Nikka se ora era lì con una tipa mai vista che non aveva
l’aria di voler fare una chiacchierata.
“Hai preso qualche cosa da bere?”
chiese lei. Mei alzò le spalle e abbassò le mani.
“No”
“Tu non ami bere, vero?” concluse
lei prendendolo per mano, mentre insieme si avviavano del parco.
“Mi accontento
dell’acqua…” rispose lui guardandola dall’alto. Era
decisamente più bassa di lui, non bassa come Nikka, ma di sicuro
più bassa di Rachele.
Era surreale, non aveva mai avuto un inconto
ravvicinato del genere con una donna che non fosse stata sua sorella, sua madre
o Nikka.
Elena chiacchierava, stava quasi parlando da
sola, mentre Mei si era perso nei suoi pensieri, era indeciso. Cosa fare?
Scappare? Parlare con lei? Non sembrava avere bisogno di lui per mandare avanti
la conversazione.
Mei le strinse la mano,
l’avvicinò a sé e le diede un bacio, chiudendo gli occhi e
senza respirare, tirandosela di forza addosso.Elena scambiò il tutto per un
impeto di passione, e non per il sacrificio clinico che si fa prendendo una
medicina.
Per Mei fu più o meno così. Non
poteva essere così orribile baciare una ragazza che non fosse Nikka. Era
la prova nel nove, così alla fine decise anche di respirare, e le cose
andarono meglio. Non era nulla di esaltante, ma non era neanche così
terribile. Più che altro la sensazione fu di calore umido. Non di
più , non di meno.
Elena gli sorrideva addosso e lo abbracciava.
E forse era andato tutto bene.
Altrettanto bene non era andato per qualcun
altro, che appena all’inizio della serata se ne stava già tornando
a casa, anche perché fuori non c’era più molto da fare.
“Sai” disse Joyce dopo un
po’ di tempo che camminavano per mano in un vicoletto poco illuminato
“tu lo potresti trovare un ragazzo che ti ama…”
Sofia alzò gli occhi dalle scarpe,
dove erano puntati “… e che non ti usa…”aggiunse
alzando un sopracciglio, alludendo a sé stesso.Sofia capì benissimo
l’allusione, salendo i tre gradini che sopraelevavano l’entrata del
suo condominio dalla strada.
“Se solo evitassi di cercare di emulare
qualcun altro. Per esempio con dei capelli blu”continuò, facendola
sussultare. Le faceva male, ma sapeva che non lo stava facendo per cattiveria e
che era tristemente vero, che lui l’aveva usata, che lei emulava Rachele
e che entrambe erano cose stupide.
Non ebbe nulla di ribattere quindi disse
semplicemente “Grazie per il panino”.
Joyce sorrise avviandosi per la stradina male
illuminata “E’ stato un piacere cara…”.
La ragazzina blu rovistò nella borsa e
ne estrasse la chiave di casa, poi gli venne in mente qualche cosa e si
rigirò a guardare l’amico arancione. Ormai era quasi arrivato alla
fine della strada.
“Joyce!”
Il ragazzo interessato si voltò verso
di lei perplesso, non si aspettava che avesse qualche cosa da dirgli ancora,
forse voleva insultarlo per averla usata, e per essersi esplicitamente
imboscato con Rachele davanti ai suoi occhi, e invece “Spiegami come va
tra te e Rachele” chiese. Joyce sbatté le palpebre stupito per la
domanda che di certo non si aspettava gli porgessero. Non gliela aveva mai
posta nessuno, così finì per rispondere nell’unico modo
possibile “Va esattamente come hai visto questa mattina”
Sofia fece una smorfia “E’ una
cosa un po’ confusa” ammise. Joyce incredibilmente serio rispose
soltanto “Infatti è esattamente così” .
Le regalò un ultimo sorriso poi
girò definitivamente i tacchi diretto al parchetto cittadino.
Quando arrivò il walkman era già
stato vinto da un tizio brufoloso che non era riuscito ad acchiappare nessun
altro che Vanessa, e non aveva perso tempo ad imboscarsi con lei. Erano
l’unica coppia ritornata, gli altri erano indaffarati in altre faccende,
evidentemente.
“Ma questo non è veramente un
gioco a premi!” strillava Vanessa disperata “Le coppiette
dovrebbero imboscarsi!!”
“Non mi imboscherei con te neanche se mi
pagassero!” rispose lui, che probabilmente non era un gentiluomo.
Joyce passò avanti ridacchiando,
lasciando Millie a separarli, mentre Vanessa cercava di picchiare il tipo
brufoloso.
Vide Nikka e Alberto sbaciucchiarsi dietro a
una colonna del vecchio bar, entrambi con il cappello da guardia in testa. Alla
faccia delle regole, anche le guardie si divertivano!
Ridacchiò passando avanti e si
inciampò prontamente in qualche cosa che poi si dimostrò essere
un groviglio indistinto tra sua sorella Jane e un tizio con gli occhiali che
non aveva mai visto.
“Hai visto Emily?” chiese Joyce
completamente a suo agio. Di solito la situazione avveniva al contrario, ma in
famiglia non si preoccupavano molto di certe cose.
“Sarà andata a cercarsi un marito
ricco!” sbottò Jane sperando che suo fratello la lasciasse in
pace.
“Niente di più facile”
ribadì lui andandosene e lasciandoli soli.
Poco lontano da lì Elena nonvoleva saperne di lasciar andare Mei, a
lui non dispiaceva la situazione, non è che si fosse abituato, ma non
è che gli facesse del tutto schifo. Si sentiva una persona normale, era
contento , erano baci disinteressati.
Ecco, e se quell’Elena si fosse presa
sentimentalmente? Non ci aveva pensato! E adessoche fare? Ancora panico ed ansia
immotivata mentre Elena lo stringeva sempre più forte.
Poi la libertà arrivò più
che inaspettata. Elena fece un sorrisetto.
“Scusa è poco romantico… ma
devo andare in bagno…” ammise tra il malizioso e il vergognoso.
Mei non trovò nulla di malizioso nei
bisogni fisiologici, ma comunque sorrise e le indicò la strada
più breve perarrivare al
bagno pubblico. Elena si staccò da lui e sparì nel buio dopo
avergli fatto promettere che sarebbe rimasto lì immobile.
Mei si appoggiò al muro pieno di
muschio che gli stava alle spalle. Sospirò. Non aveva idea di quello che
avrebbe dovuto fare. Si chiese perché non si poteva comportare come
tutti, senza pensare per una volta alle conseguenze. Era ovvio che tutto
ciò fosse impraticabile. Ed era davvero buio, e tra l’altro la
mascherina continuava a cadergli sul naso.
Non passò molto tempo che sentì
uno scalpitio, Elena era già tornata?
Ma non fece in tempo a fare niente
perché un altro bacio lo azzittì definitivamente. Si sentì
stringere, mentre la ragazza (sì, sì era una ragazza!!) lo tirava
giù al suo livello, era troppo alto per lei, da in piedi.
e… beh… ci mise un po’, ma
il profumo era inconfondibile. Nikka, Nikka,Nikka,Nikka,Nikka… !!
Se fino ad allora era stato amorfo,
probabilmente gli venne un accidente e gli sembrò che gli avessero
rovesciato addosso qualche cosa di estremamente bollente.
“Nikka?” disse senza fiato. E lei
si stacco da lui allontanandosi di diversi passi,con lo scatto di chi ha appena
visto un fantasma.
“MEI!” disse lei.
“NIKKA!!” ripeté lui.
“Ma tu non sei Alberto!”
strillò. Mei si guardò in giro come a dire al pubblico: l’avete vistotutti! Io non ho fatto niente! Ècolpa sua!!
“AH…ah…” Nikka era
evidentemente imbarazzata “Ero andata a cercare Alberto, che era andato a
prendere da bere, la maschera e i buio… mi sono confusa, pensavo che
fossi Alberto!”.
Mei aveva il fiatone e Nikka gli occhi
sbarrati.
“Facciamo finta che non sia successo
nulla!” fece con voce più stridula del solito, Mei non la vide
mentre se ne andava perché gli cadde di nuovo la maschera da ladro sugli
occhi.
Joyce, che si stava elegantemente svuotando la
vescica dietro a cespuglio di bacche secco, sbadigliò e al termine della
scena ebbe solo da dire, non visto un giustificatissimo “Mah”.
Non ebbe il tempo di dire altroanche perchéqualche cosa di non troppo pesante, ma
anche non troppo leggero gli finì addosso ed entrambi caddero per terra
tra i rami secchi e il terriccio, entrambi urlando come due indemoniati.
“Maniaco!” urlò Elena che
si era trovata a stare seduta sulla sua schiena, e a colpirlo con la borsetta.
“Non ti vergogni a girare nudo il un
parco pubblico?!!”
“Ma io stavo facendo la
pipì!” piagnucolava il povero irlandese tra i rovi e il terriccio.
Dopo un po’ di sputi, pugni e calci
finalmente la ragazza bionda si decise a lasciare agonizzante Joyce nel suo
cespuglio e a tornare dal suo ladro.
Il suo ladro però non sembrava stare
molto bene, dato che quando lei si avvicinò per dargli un altro bacio
lui si scansò bruscamente, blaterando scuse idiote sul fatto che dovesse
assolutamente andare a casa.
Aveva lasciato il gas aperto, il nonno chiuso
in cantina, la mamma addormentata sulla pentola a pressione, il gatto che si
voleva mangiare il canarino.
E scappò così praticamente di
corsa con quella stupida mascherina da ladro in tasca.
Elena lasciò cadere la borsa per terra
e si disse che avrebbe dovuto abbordare Pallotti che era di sicuro una persona
molto più rozza ma anche più normale.
Si voltò presa dall’impulso di
menar le mani, ma Joyce se l’era già data a gambe fiutando il
pericolo.
Ero
da sola a guardare la luna piena quando sentii dei passi che si avvicinavano
alla mia panchina.
Appoggiai
la bottiglia di vodka vuota accanto a me.
Joyce
si lasciò cadere stancamente vicino a me con le mani in tasca.“Hai fatto baldoria sta
sera?” chiese occhieggiando la bottiglia. Grugnii. “Bah, un idiota
se l’è scolata tutta e poi si è addormentato!”
Joyce
fece una risatina “Allora non sono l’unico ad essere andato in
bianco sta sera!!”
Non
lo guardai e mi concentrai sulla luna , che da quasi piena illuminava quasi a
giorno il parco.
Ormai
tutti se ne erano andati a casa, o in una camera a ore, ma comunque a
tergiversare nel prato erano rimasti in pochi a parte noi.
“Sai,
credo che a Nikka piaccia tuo fratello…” disse poi Joyce. Irrigidii
la mascella e assottigliai gli occhi, rimanendo senza guardarlo. “E credo
che anche a Mei non dispiaccia Nikka”
Infine
sbuffai e mi decisi a guardarlo in faccia “Le cattive notizie non vengono
mai da sole eh?”
Joyce
sembrò divertito e alzò le spalle.
Mi
alzai “ Andiamo a casa che domani devo andare a sistemare il gabinetto
della Spagnola!”. Mi seguì trotterellando allegro, mentre io mi
toglievo la maschera e me la mettevo in tasca.
Ed eccoci giunti al
quattordicesimo capitolo!!! Ringrazio tantissimo le quattordici persone che
hanno inserito la storia tra i preferiti, e le otto che l’hanno messa tra
le seguite. Infine ovviamente anche chi ha commentato:Suni(Beh, che si sposino
non credo, magari però qualche cosa d’altro…e per Nikka stai
tranquilla nessuno mi ha ancora detto che gli sta simpatica!!), Lidiuz93(Oh, ti
ringrazio per la tua perseveranza, i tuoi commenti sono sempre puntualissimi..
*.*),DiraReal (*.* grazie mille!! E’ bello sentirselo dire!!) e Novembre(
Mei è un po’ pirla, ma poi prima o poi ce la farà a
concludere qualche cosa!!! Speriamo!!).
Faccio notare una cosa:
tempo fa avevo detto che Mei e Rachele erano nati lo stesso anno ma non erano
gemelli. La questione dell’età in questa storia però non mi
ha dato pace, quindi ho deciso che Rachele è nata nel gennaio
dell’anno dopo rispetto a Mei. Quindi ha un anno in meno di tutti gli
altri, ma ha fatto la primina, quindi anche se ha diciassette anni è al
quinto anno di superiori come tutti gli altri personaggi! E’ per questo
che in questo capitolo dice che a gennaio arriverà alla maggiore
età!!
Grazie a tutti per
avermi sopportato, vi devo avvisare, come ho scritto sulla mia pagina, che sono
molto impegnata con una storia inedita a quattro mani e come se non bastasse mi
è anche venuto male a una mano, quindi gli aggiornamenti andranno un
po’ a rilento! Prometto che mi impegnerò!!
(Vi avverto prima di cominciare che
questo capitolo è assolutamente inutile, avrei potuto saltarlo,ma volevo
scriverlo, è stato complicato e forse non è neanche venuto un
granché. Ho idea che le parti allegre siano tristi e quelle tristi
troppo leggere. Di solito non scrivo cose malinconiche, non mi piace, ma temo
che questo capitolo sia così. Spero che possiate apprezzarlo lo stesso.
Vi lascio alla lettura. I ringraziamenti sono in fondo)
I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Quindicesino
L’amnesia
del Puzzle
Mio
padre ha sempre detto una cosa starna, che riguardava i ricordi della vita.
Secondo lui la vita di ogni persona è come un puzzle personale di
ricordi.
I
pezzi mancanti sono i momenti in cui si dorme, è un po’ come se il
puzzle di ognuno abbia perso dei pezzi.
Quando
ero piccola perdevo sempre tutti i pezzi dei miei puzzle, non sono mai riuscita
a finirne uno. A Mei invece piacevano, e riusciva a finirli. L’ho sempre
invidiato per questo.
Bizzarramente
quando è morto mio padre e io ho cominciato a soffrire di insonnia ho
iniziato ad apprezzarli di più.
Il
mio puzzle non ha molti pezzi mancanti.
Sabato,
13 Luglio 1996
La
signora Pavesi teneva stretti i suoi figli al petto tanto quasi da strozzarli. Rachele
torceva il naso e sembrava intenzionata a tirarle un morso da un momento
all’altro. Mini Mei tratteneva il fiato e si stringeva al braccio
cicciotto della madre.
“Mei,
per carità! Cos’è questo trabiccolo!” strillava
guardando l’acqua chiara sotto di sé.
“Si
chiama moscone, tesoro… e non si ribalterà” rispose pacato
Mei senior da dietro i suoi occhiali dalla montatura leggera.
“Ma
se uno dei bambini cade in acqua come facciamo?” strillò
preoccupata lei seduta sul sedile di legno con in braccio i figli.
“Tesoro,
credo che il pericolo più imminente per Mini Mei e Rachele sia lo
strangolamento” commentò tranquillamente suo marito remando
stancamente stando in piedi in equilibrio sul moscone bianco che si stagliava
sull’acqua limpida.
“Strangolamento?”
chiese la signora Pavesi con voce stridula.
Mattia
Pavesi fece un cenno con la testa che gli smosse il ciuffo, indicando i due
pargoli ormai fucsia.
La
signora Pavesili guardò
entrambi e li lasciò come se bruciassero. I due caddero per terra come
due pere corte.
Mei
senior sorrise mentre Mini Mei si passava la manina tra i capelli, Rachele
sbuffava e sua moglie si guardava in giro preoccupata.
Alzò
la testa per godersi al meglio il sole. Non gli capitava spesso di andare al
mare, ma pareva che sua moglie ci tenesse davvero a fare un fine settimana marittimo
ogni tanto.
Non
amava andare al litorale, ma un moscone e una maglietta potevano essere un buon
compromesso per far felice sua moglie. Che alla fin fine si era dimostrata
più ansiosa che mai.
La
signora Pavesi si sistemò qualche capello sfuggito alla sua crocchia.
Rachele si alzò e corse da suo fratello ondeggiando e causando le enormi
preoccupazioni di sua madre.
“Rachele!
Rachele tesoro non correre” strillò mentre Mattia guardava
tranquillamente gli scogli grigi respirando tutta la salsedine che poteva.
Si
chiese quanto dovesse pesare uno di quei massi, storse la bocca impegnandosi a
immaginarsi quanti quintali potessero essere a occhio.
Rachele
saltò addosso al fratello. “Preso!!” urlò mentre lui
finiva con la guancia schiacciata al moscone dal peso della sorella.
Mei
senior aveva deciso che per quella mattina aveva remano abbastanza e non si
scompose granché quando sua moglie finì in acqua nel tentativo di
salvare, da non si sa quale pericolo, i due figli.
Rachele
e Mini Mei si raddrizzarono per guardare meglio loro madre annaspare
nell’acqua disperata.
“Oddio,
oddio, Mei aiutami! Annego! Annego!” strillò sguazzando e
schizzando tutti i suoi famigliari, dei quali solo Mini Mei si asciugò
la faccia, gli altri due rimasero impassibili.
Mei
senior tirò fuori dalla tasca dei bermuda gialli a righe un pacchetto di
sigarette e se ne accese una ignorando la moglie che invocava il suo aiuto.
Pavesi
senior sbuffò fumo prima di rivolgersi pacatamente alla consorte.
“Tesoro,
se ti fermassi un attimo ti accorgeresti che c’è mezzo metro
d’acqua ed è impossibile annegare”.
La
signora Pavesi appoggiò le mani al fondo sabbioso e sbatté
qualche volta le palpebre.
“Ehm…
già… non me ne ero accorta” disse alzandosi imbarazzata e
scrollandosi la sabbia di dosso.
“Tesoro
ti serve una vacanza dalla vacanza… le ferie non ti fanno bene”
fece tranquillamente suo marito ricominciando a remare dopo che la moglie era
risalita.
I
pargoli si misero a sedere coi piedi a mollo nell’acqua e quando Rachele
fece cadere suo fratello in mare la signora Pavesi quasi non se ne accorse,
tornarono a prenderlo venti minuti dopo.
“Mei
quando smetterai di fumare?”
“Quando
morirò, e ho intenzione di non andarmene tanto presto. Quindi credo che
dovrai abituarti al fumo passivo,Tesoro”
Lunedì,
15 Dicembre 1997
Mini
Mei fissò lo schermo del computer ultimo modello che suo padre aveva
comprato. Si avvicinò per vederlo da vicino, e poi si allontanò
per avere una visione più completa, c’era evidentemente qualche
cosa che lo turbava. Si grattò il mento dondolando i piedi che non
toccavano per terra dall’alto della sedia a rotelline del padre.
“Papà?”
cinguettò voltandosi verso il padre che fumava con la testa fuori dalla
finestra. Mattia Pavesi
sussultò e si voltò verso il figlio più silenzioso, spense
la sigaretta nella piantina sul davanzale e si avvicinò a lui.
Gli
sembrava già di sentire la voce di sua moglie “Me le uccidi tutte
le mie piantine con le tue accidenti di sigarette! Dovresti smetterla di
fumare!”. Ridacchiò sotto i baffi e si interessò a Mini Mei
che lo guardava dal basso.
“Hai
messo una password?” chiese increspando le labbra e aggrottando le
sopracciglia. Mei alzò le spalle.
“In
internet ci sono un sacco di cose che i bambini non dovrebbero vedere. Potrai
andare in internet quando riuscirai a scavalcare le password”
spiegò suo padre con il ciuffo indisciplinato e gli occhiali leggeri che
gli scivolavano.
Mini
Mei sbatté le palpebre un paio di volte perplesso. Mei sorrise e lo
lasciò solo col computer.
Era
uno delle sue filosofie, se sei in grado di raggiungerlo sei anche in grado di
usarlo al meglio.
Si
fermò a guardare la sua secondogenita che invece giocava con una specie
di grosso topo di peluche.
“A
te non piacciono i computer?” chiese anche se la bimba non gli dava la
ben che minima attenzione.
“No,
a me piacciono gli opossum, vado a inseguirli al parco a volte” rispose
senza degnarlo di uno sguardo e facendo deambulare il suo peluche sulla
cassettiera.
Mei
storse il naso “Tesoro, in Europa non ci sono opossum, quelli che
rincorri tu sono ghiri” spiegò dolcemente.
Rachele
gli cacciò un’occhiataccia e strinse la mano sul suo peluche.
“No,
sono opossum”
“Ghiri”
“Opossum”
“Ghiri”
“Opossum”
“Ghiri”
“Opossum”
“Ghiri”
“Opossum”
“Ghiri”
Rachele
si voltò verso il suo cesto dei giochi e ne estrasse una pistola ad
acqua colorata “Opossum” disse decisa puntando l’arma di
plastica contro il padre.
Mei
piegò la testa da una parte “Lo sai che mi hai convinto, credo
anche io che siano opossum, tesoro”.
Rachele
sorrise e cacciò il suo giocattolo in un angolo continuando a divertirsi
col peluche. Si voltò a guardare il suo grande dato che la figlia lo
ignorava bellamente.
“Mini
Mei, lascia perdere quel computer e vai a giocare con qualche cosa
d’altro, non ci puoi riuscire”disse prima di vedere
l’intestazione Google.
Sbatté
le palpebre e lo guardò sottecchi abbassandosi un po’ gli
occhiali.
“Ho
preso il tuo portatile, l’ho configurato, l’ho attaccato a questo
computer e sono entrato” spiegò lui semplicemente alzando le
spalle.
Mei
fece un sospiro e l’unica cosa che riuscì a dire “Tesoro?! I
nostri figli stanno prendendo il potere!”
Sabato,10
ottobre 1998
Rachele
e Mini Mei erano seduti nel retro dell’auto famigliare che i signori
Pavesi avevano comprato quando si erano sposati, e che ormai era passata di
moda.
La
signora Pavesi appoggiò la sua borsa nel sedile del passeggero accanto
al suo. Aspettando che un fuoristrada si spostasse da dietro la sua vettura per
poter fare retromarcia e uscire in fretta dal parcheggio dell’ospedale.
“Allora,
bambini” cominciò con la voce che le tremava “il Papà
non c’è più, d’ora in poi saremo solo noi tre”
concluse con un singulto.
“Puoi
dirlo che è crepato, lo riusciamo a capire” disse seria Rachele
serrando la mascella subito dopo.
Sua
madre ebbe un singulto e non si voltò a guardare i figli mentre faceva
finta di cercare qualche cosa nella borsa.
“Rachele
Tesoro… forse è la mamma che non riesce a dirlo…”
rispose con voce tremante.
Rachele
si appoggiò alla spalla del fratello piangendo silenziosamente. Mini Mei
storse la bocca poi alzò la testa e disse semplicemente “Mamma,
andiamo a casa?”
La
signora Pavesi sospirò e mise in moto l’auto.
Lunedì,
12 ottobre 1998
Mini
Mei trovava che i funerali fossero inutili, soprattutto perché la
metà delle persone che erano in chiesa non credevano in Dio. Suo padre
compreso. Suo padre non credeva nemmeno nella vita dopo la morte, tanto valeva
seppellirlo subito. Ma alla fine erano finiti tutti in chiesa ad ascoltare un
vecchio prete parlare di lui anche se non lo conosceva.
Quando
finalmente erano riusciti a uscire sua sorella Rachele gli aveva lasciato
andare la mano e aveva continuato a camminare da sola per evitare tutte le
condoglianze e gli abbracci. Mini Mei avrebbe giurato di aver sentito un paio
di vecchietti intrattenersi parlando di prostata e problemi alla sciatica.
Sua
madre non aveva versato neanche una lacrima, ma aveva respirato forte tutto il
tempo. Mini Mei con una mano teneva sua sorella, con l’altra scrostava la
vernice della panca su cui era seduto per vedere cosa c’era sotto. Aveva
pianto prima, e non voleva ascoltare quello che dicevano, e i canti erano
così lugubri. La panca era molto più interessante.
Ma
finalmente erano usciti.
Rachele
che stava quasi correndo via, seguendo sua madre che teneva per mano suo
fratello si sentì chiamare.
“Rachele?”
si voltò facendo la ruota coi capelli castano scuro. Un ragazzino della
sua età con i piedi tenuti all’indentro, in una posizione
innaturale, e il capo reclinato da una parte le restituì lo sguardo.
Più
o meno era alto come lei, era magrolino, con i capelli e gli occhi scuri, la
pelle era ambrata e il ciuffo di capelli gli cadeva fastidiosamente in mezzo
alla fronte.
In
tutto quel nero, era colorato, maglietta viola, giubbino giallo, pantaloncini
verde pisello che gli arrivavano sopra al ginocchio. Un piccolo arlecchino con
le scarpe impolverate.
“Cosa
ci fai tu qui? Oggi non vengo a cacciare gli opossum” disse lei
scorbutica, con la gola che le bruciava per aver pianto fino a poco prima.
Joyce
notò perfettamente gli occhi gonfi e il naso arrossato, ma non disse
nulla.
“Ero
venuto…a salutarti… ho saputo…” era maledettamente
complicato da dire e lui si torceva le mani in grembo.
“Come
l’hai saputo?” chiese la bambina seria e immobile come una statua
di cera. Joyce sobbalzò.
“C’era
scritto sul necrologio” spiegò. Rachele arricciò il naso.
“Tu
leggi i necrologi?” chiese perplessa. Joyce si strinse nelle spalle
“Non io, mia sorella Emily… dice che sta cercando un
ereditiere… non chiedermi cos’è perché non lo
so”.
Rachele
increspò un poco la bocca, non era un sorriso, ma non era neanche una
statua di sale.
“Lo
andrai a trovare?” chiese il bambino. Rachele fece una smorfia
“Tanto è morto…”
Joyce
si strinse nelle spalle “Non lo so, nei fil americani fanno
così!”. Lei lo guardò per un lungo secondo.
Sospirò
prima di girarsi “Ci vediamo al parco per cacciare gli opossum”
disse prendendo subito a correre verso sua madre.
Domenica,
15 novembre 1998
La
prima volta che Rachele approdò a casa Cumoli suonò il
campanello. Le prime persone che vide furono due ragazzine che non conosceva.
Una era più alta, Emily, dodici anni, quattro in più di Joyce,
aveva il nome della Dickinson, chiunque fosse questa Dickinson di cui lui
parlava, aveva i capelli lunghi fino alle spalle e un cerchietto azzurro,
crescendo se li sarebbe tagliati inesorabilmente a caschetto e avrebbe
sostituito l’azzurro con un immancabile rosso.
L’altra
era più piccola, Jane, un anno in meno di Joyce, sette anni, come lei.
Portava i capelli cortissimi quasi da sembrare un maschio, crescendo, in modo
inversamente proporzionale a quelli di sua sorella li aveva fatti crescere
all’inverosimile, tanto da avere due grosse trecce che le arrivavano quasi
al sedere.
Entrambe
avevano i capelli e gli occhi scuri come loro fratello, chissà che non
fosse disdicevole per degli Irlandesi essere mori, probabilmente avevano preso
dal loro occhialuto padre che Rachele intravide passare da una camera
all’altra con un salto felino venuto male e delle pantofole scozzesi.
All’epoca
Abigail Cumoli se ne era tornata in Irlanda da un pezzo e faceva poche visite.
Le
due non si presentarono, ma parlarono in coro, come se si fossero preparate la
scena, seppe dopo che era venuta così per caso “Tu devi essere
quella che chiama di notte. Nostro padre ha comprato un cellulare a Joyce,
così d’ora in poi potrai chiamare a lui senza svegliare anche
noi”
“Ok”
rispose Rachele vagamente intimorita dal bizzarro corteo di benvenuto. E per quel
giorno fu l’unica cosa che si dissero.
Martedì,
2 gennaio 2001
Joyce
dondolò i piedi seduto su uno sgabello in vimini vicino alla vetrata del
salone. La casa della mamma era molto più bella di quella che aveva in
Italia, ma in Irlanda pioveva sempre, ed era sempre più freddo.
In
particolare fuori, oltre il vetro e la veranda piena di vasi con fiori finti,
pioveva a dirotto.
Sua
madre amava i fiori, e non poteva sopportare di non averli d’inverno per
colpa delle temperature rigide.
Darcy
correva per casa come una pazza rincorrendo un minuscolo cagnolino. Suo
fratello non avrebbe saputo dire di che razza era, forse era un incrocio.
Darcy
era riccia, coi capelli castano chiaro e degli occhiali tondi e infrangibili
saldati alla nuca con un elastico giallo di gomma.
Joyce
si grattò la pancia coperta da una maglietta con sopra scritto My best friend is a leprechaun.
Era
una stupida maglietta per turisti, ma sua madre l’aveva comprata
perché in aeroporto gli avevano perso la valigia.
Darcy
aveva cinque anni, ed era estremamente rumorosa, sua madre invece era in cucina
a smuovere pentole.
Non
è che cucinasse, smuoveva e basta. Ne uscì con passo stanco, la
sigaretta in mano e guardò suo figlio appoggiata allo stipite della
porta.
“Sei
proprio carino Joyce, è unpeccato che tu viva in Italia”disse, e in quel momento , sotto ai
capelli rossi, a Joyce sembrò estremamente vecchia.Sorrise “Grazie”. Poi si
voltò a guardare sua sorella che tirava la coda al cane che del canto
suo guaiva disperato.
“Darcy
è un nome da maschio” proferì senza un nesso con la
conversazione precedente. Sua madre alzò le spalle “No, è
sia maschile che femminile”.
Joyce
storse la bocca “E’ uno scrittore?” chiese conoscendo le
propensioni letterarie della genitrice.
Sua
madre si guardò intorno con aria sognante “No, è un
personaggio della Austen” spiegò.
“Quella
di Jane?” sua madre annuì.
“Posso
farmi un tatuaggio?”
“Quando
sarai maggiorenne tesoro” rispose sua madre con aria sognante come al
solito, andando a raccogliere la piccola Darcy che era caduta per terra e si
era messa a frignare.
Lunedì,
16 luglio 2001
Era
appostata da un secolo dietro quello stupido cespuglio. Le facevano male le
gambe, in quella scomodissima posizione.
E
la tempera blu che quell’idiota di Joyce le aveva ribaltato in testa si
era seccata, appiccicando i capelli tra loro.
Ma
non le importava granché, era appostata lì da dopo pranzo, un
opossum sarebbe uscito prima o poi elei sarebbe stata lì con la sua macchina fotografica.
Diede
un’occhiata alla bottiglia d’aranciata che aveva appoggiato li
accanto e a un suo ciuffo particolarmente appiccicato di blu.
Ci
contava che l’opossum uscisse, e infatti, un musino baffuto spuntò
dal un cespuglio poco lontano da lei. Aprì gli occhi il più
possibile, come per vedere più particolari possibili.
Ma
il musino scomparve come era arrivato, e al suo posto arrivarono un paio di
scarpette di vernice nera. La proprietaria urlava ai quattro venti, “A
Marilena piace Andrea!!” strillava la padrona delle scarpe, una ragazza
coi capelli castano chiaro.
“Stai
zitta! Stai zitta Nicoletta!!” strillava disperata la ragazzina mora che
la inseguiva ormai paonazza in volto. La sua amica castana invece rideva
rumorosamente.
Rachele
si alzò dal cespuglio smuovendolo e facendo saltare in aria parecchie
foglie, come se fosse esploso qualche cosa.
“Che
cavolo stai facendo! Spaventi gli opossum con quella voce da
cornacchia!!” strillò adirata puntandole il dito contro.
“Parlerò
con te quando avrai un colore di capelli lontanamente normale!” le
rispose strafottente con un ghigno che a Rachele non piacque per nulla.
Fu
così che le finì addosso tutto il contenuto della bottiglietta di
aranciata, inaugurando i famosi gavettoni
al succo. E iniziò l’odio vicendevole.
Venerdì,
24 agosto 2001
Rachele
si passò la lingua sulle labbra e si riavviò i capelli dietro
l’orecchio prima di afferrare il biscotto che troneggiava in cima al suo
gelato e usarlo come cucchiaino.
Cioccolato
e fior di latte. Non capiva come certe persone potessero prendere i gusti di
gelato alla frutta, le parevano una bestemmia. Fu con disprezzo misto schifo
che si voltò alla sua sinistra per guardare il gelato dell’amico
di colore rosa/giallo, ovvero fragola e limone. Joyce dal punto di vista dei
gelati bestemmiava spesso. Una volta aveva preso il gusto fico e mango. Era incredibile quello che riuscivano a inventarsi i
gelatai, una volta in una gelateria del centro storico aveva trovato il gusto
millefoglie. Alla gelateria del parco c’era anche il gusto formaggio e
fichi, né lei né Joyce avevano avuto il coraggio di assaggiarlo.
Era invece il cavallo di battaglia di Emily, la sorella di Joyce, Emily piena
di braccialetti colorati, Emily che legge i necrologi, Emily che segue gli
andamenti della borsa, Emily che ha quindici anni e sogna di farsi mantenere da
un miliardario.
“Mia
sorella si è portata un tipo strano a casa ieri, dai capelli sembrava un
gallo, e ha cacciato mia sorella Jane dalla camera, così lei si è
lamentata tutto il pomeriggio” raccontò lui intento in una dura
lotta col gelato, buona parte della fragola franò sull’erba.
“E
si baciavano?” chiese Rachele con un’aria saccente che Joyce non
interpretò subito.
“Sì
che si baciavano! Ma non come tu hai baciato al campo estivo quell’idiota
di Pollini, dico un bacio vero!” sbraitò Joyce facendo girare
diversi vecchietti intenti a giocare a bocce.
“Senti,
la pianti di parlare di Pollini? Ti ricordo che tu hai dato un bacio a quella
… cosa… la
Facchini, le mancano le piastrelle! Secondo me non è
neanche capace di baciare qualcuno!” lo rimbeccò stizzita.
“Ah
perché tu sei meglio?” sbottò Joyce strafottente.
Rachele gli stampò un bacio sulla
bocca a labbra e occhi serrati, e per poco non gli diede una testata. Del canto
suo Joyce fece cadere un po’ di gelato al limone, tanto per bilanciare la
precedente perdita di fragola.
“Cavolo
che schifo! Come fai a mangiare quella roba!” sbottò lei pulendosi
la bocca col braccio.
“Sei
tu che mi hai baciato!” la rimbeccò lui un po’ stizzito
“E poi quello non era un bacio, questo è un bacio!” continuò
prendendola per le spalle.
Rachele
trattenne il respiro e gli strinse il braccio , mentre più in basso gli
tirava un calcio negli stinchi.
“Oddio
che schifo! La lingua tienila nella tua di bocca! Per la miseria, mi è
sembrato di baciare una lumaca!” strillò lei attirando
l’attenzione delle vecchiette che facevano la maglia. D’inverno se
ne stavano dalla parrucchiera a parlare di tumori, incidenti e altre simpatiche
disgrazie, ma d’estate per il caldoerano costrette a rifugiarsi al parco, e anche i bisticci di due
ragazzini che non avevano ancora cominciato le medie potevano essere
interessanti.
“Hai
cominciato tu!” la rimbeccò lui. Fu colpito da un’infradito
e il suo gelato finì definitivamente per terra.
Domenica,
23 novembre 2003
Il
signor Michelini voleva che lui tagliasse l’erba, gli avrebbe dato dei
soldi, che di certo non avrebbero guastato, poteva comparsi un videogioco.
Sì, sicuramente li avrebbe impiegati così.
Ma
prima doveva riuscire a modificare quell’affettatrice a cui aveva appena
smontato la copertura.
Il
signor Michelini gli aveva fornito una specie di falce, ma ci avrebbe messo un
secolo per tagliare tutto il prato con quell’arnese, e non aveva trovato
nulla di più simile a un tagliaerba di quell’affettatrice lasciata
affianco al bidone.
Non
era nuovissima, ma funzionava ancora. Se la rigirò tra le mani e spinse
l’accensione per vedere se partiva.
L’affettatrice
cominciò a ronzare, seguita a ruota da un dolore incredibile alla mano
destra.
Mei
fu percorso da un brivido, si guardò la mano destra ricoperta di un
innaturale liquido rosso. Fu scosso da un altro brivido quando si rese conto
che mancava qualche cosa. Perché diamine non aveva più la prima
falange del medio? E fu a quel punto che cominciò a sentire davvero
male.
Più
tardi Rachele attraversò con passo stanco mezzo ospedale prima di
trovare sua madre che parlava con un medico sulla porta di un ambulatorio. Non
si fece notare e vi si infilò dentro.
All’interno
era tutto bianco quasi in maniera accecante, l’unica nota scura era suo
fratello seduto sul lettino bianco, che indossava un giubbotto scozzese dai
toni scuri, creato da sua madre ovviamente.
La
guardò con aria colpevole dondolando le gambe.
“Allora
adesso sei senza un dito?” chiese increspando le labbra. Mei fece un
sorriso e mostrò la mano bendata e macchiata di liquido scuro.
“Me
l’hanno riattaccato” spiegò contento “Il medico dice
che dato che mi sono tagliato solo la prima falange c’è una buona
possibilità che torni esattamente come prima”
“Te
l’hanno riattaccato?” ripeté Rachele perplessa, e da quando
si riattaccavano le dita?
“Beh,
sì, è una cosa relativamente semplice, ma ho dovuto ritrovare il
pezzo di dito che mi era saltato via, metterlo in un sacco impermeabile e
chiuderlo bene per poi sistemarlo in un sacco con del ghiaccio per
conservarlo” illustrò. Sua sorella si accigliò “E tu
come diavolo lo sai?”
Mei
alzò le spalle “Rudimenti di medicina”
Rachele
alzò gli occhi al cielo “E io do la caccia agli opossum,
mah”
Mei
deglutì e le puntò contro il dito fasciato di fresco “A
riprova di ciò che è successo: non giocherellare mai con le
affettatrici e non buttare mai del sodio nell’acqua”proferì.
“Che
c’entra il sodio con fatto che il tuo dito è schizzato via?”
sbottò Rachele. Mei alzò le spalle “Rudimenti di
chimica?” chiese incerto. Sua sorella sospirò.
Martedì,
27 gennaio 2004
“Joyce
si sta facendo la doccia” disse Emily strascicando la voce.
Rachele
era entrata in casa Cumoli usando la chiave che in famiglia erano soliti tenere
sotto lo zerbino, e si era stravaccata sul divano salutando stancamente Emily
intenta ad analizzare un giornale che titolava Come diventare ricchi.
Inizialmente
la ragazza aveva fatto finta di non badare granché alla nuova venuta, ma
poi sottecchi aveva iniziato a spiarla con aria beffarda, e tutte le volte che
incrociava il suo sguardo si fingeva nuovamente interessata alla sua lettura.
“Diamine
Emily, che c’è?”sbottò infine Rachele. Emily si
strinse nelle spalle e guardò il soffitto, poi le pentole e infine lei.
Rachele sbiancò e sbraitò visibilmente imbarazzata “Te lo
ha detto? Te lo ha detto?”.
Emily
soffocò una risatina nel maglione mentre Rachele diventava paonazza e
distoglieva lo sguardo. “Non pensavo che vi dicesse certe
cose!”sbuffò Rachele.
La
ragazza seduta al tavolo alzò le spalle mentre i suoi capelli a
caschetto e la frangia cortissima rimanevano immobili come fatti di marmo
“Ma infatti non ce le dice” proferì sibillina “ o
almeno non di sua volontà. Io e Jane abbiamo un’insana passione
per la tortura” spiegò tranquilla sfogliando il suo giornale,
più per scena che per reale interesse agli articoli. Aveva trovato un
argomento molto più divertente.
“Allora
come è andata?” chiese sogghignando.
“Da
schifo”ammise Rachele un po’ scocciata. Emily ridacchiò.
“La prima volta fa sempre schifo”disse.
“Non
era la prima volta!” soffio stizzita.
“Se
lo racconti a mia nonna Ealga che è arteriosclerotica e si ostina a
chiamarmi Abigail come mia madre, magari ti crede!” continuò Emily
tranquilla.
Rachele
mise il muso. “Joyce ha detto che è stato per
scommessa…” cominciò a dire lasciando in sospeso la frase.
“Già,
diceva che l’aveva già fatto ma non gli credevo” ammise la
ragazzina. Emily annuì fintamente fingendosi ammirata.
“Magari
fate delle scommesse che almeno uno dei due può vincere” concluse
rimettendosi a leggere il suo giornale economico.
Martedì,
29 marzo 2005
“Un
etto in meno, un etto in meno, solo un etto in meno ti prego, ti prego”
diceva sottovoce Nikka in mutande chiusa in bagno, come se fosse una preghiera.
La
bilancia se ne stava minacciosa e bianca davanti a lei pallina e infreddolita,
coi piedi nudi sulle piastrelle fredde.
“Nicoletta,
per la miseria! Esci da quel bagno! Hai intenzione di piantare le tende li
dentro e dormire nella vasca?”urlò con poco garbo sua madre oltre
la porta sottile. Nikka si attaccò alla porta a aprendola un poco; tanto
per far spuntare un occhio.
“Ho
quasi fatto mamma, cosa c’è?”sussurrò.
“Damine
Nicoletta! Cosa hai fatto ai tuoi bei capelli? Che colorino insulso è
questo?”sbraitò sua madre, una donna decisamente rustica, per così dire.
“E’
un colore carino mamma! Mi facevano schifo quegli stupidi capelli castano topo!
E poi pensa se avessi come figlia la
Pavesi, una volta l’ho vista con della tempera blu in
testa!” sbottò scocciata dall’opinione di sua madre.
“Ah,
comunque sbrigati,devi andare a scuola a pagare la gita scolastica, mica vi
mandano a Vienna gratis! Me li ha dati tuo padre, ogni tanto si ricorda che ha
una figlia, quell’idiota!” disse appioppando alla figlia una
mazzetta di banconote e girando i tacchi.
“Sempre
con quella SE-RE-NI-TY!” sputò il nome come se fosse veleno.
“Si
chiama Selena, mamma, non Serenity” disse, a lei non stava poi
così antipatica la nuova fidanzata di suo padre. Sua madre sbuffò
e scomparve in cucina.
Nikka
diede un’ultima occhiata alla sua acerrima nemica, la bilancia e poi
uscì in punta di piedi chiudendosi la porta del bagno alle spalle.
Non
ci mise molto a vestirsi e non si truccò molto. Uscì salutando
sua madre con un gesto frettoloso e stringendosi al petto la borsa. Fuori
faceva un freddo invernale, nonostante fosse marzo e ormai dovesse iniziare la
primavera il clima non accennava a volersi riscaldare.
Camminò
decisa verso la scuola , passi veloci e furtivi, avere tutti quei soldi addosso
la metteva in agitazione.
Schivò
un venditore ambulante, un hippie che distribuiva abbracci, e liquidò in
fretta un’amica di sua madre che aveva tutta l’aria di volersi
fermare a parlare con lei. Tirò dritto finché la strada non svoltò
a destra, e anche lì per un secondo stava per continuare a camminare, ma
una forza quasi sovrumana la costrinse a fermarsi e a fare retromarcia.
Questa
forza sovrumana era lucente, trasparente e piena di meraviglie. Questa forza
era comunemente chiamata Chanel.
Nikka
si attaccò al vetro, quasi spiaccicandoci il naso contro. Gli occhi le
si erano aperti a dismisura.
Era
tutto così bello, così lucente, e cosìdannatamente costoso.
Un
vestito a frappe se ne stava stentoreo nel bel mezzo della vetrina circondato
da luci intensissime. Più a destra una borsa trapuntata, una fantastica
borsa con il manicoa catenella.
Nikka deglutì, quanto avrebbe voluto quella borsa…
Guardò
il prezzo, esorbitante, tutta via l’importo esatto che avrebbe dovuto
pagare per la gita, deglutì ancora. Non poteva spendere i soldi che suo
padre gli aveva dato per la gita, in una borsa, no non poteva affatto. Sta di
fatto che entrò lo stesso.
Sabato,
23 dicembre 2005
Mei
si mordicchiava l’unghia del pollice mentre leggeva l’esercizio di
matematica. Aveva capito benissimo come risolverlo, ma voleva vedere se per
caso c’erano altri modi per farlo. Rachele leggeva un giornale di moda
lasciato sul divano da sua madre. E la signora Pavesi girava tranquillamente il
cucina con grembiule e guanti da forno, intenta a preparare i primi piatti di
Natale. Da quando Mei e Rachele avessero memoria il Natale si era sempre
festeggiato a casa loro, e tutti i parenti, in trasferta venivano a casa Pavesi.
Tuttavia
nessun membro della famiglia si era accorto che in cucina c’erano due
frigoriferi.
O
meglio, Rachele si era accorta che qualche cosa era cambiato, Ma non aveva
avuto la pazienza di farci caso. Era come i giochi delle differenze
sull’enigmistica, una cosa tremendamente noiosa.
Fu
traumatico quando la signora Pavesi aprì il congelatore del frigorifero
sbagliato, e da questo non uscì ghiaccio, bensì fuoco!
Ci
fu una vampata, qualche capello bruciato e un urlo disperato della mamma. Rachele
sobbalzò e fece cadere il giornale e Mei alzò la testa dalla sua
matematica sgranando gli occhi.
“Mamma?”
chiese basito.
Sua
madre atterrita si era appiattita sul pavimento, mentre il portello del frego
si era richiuso da solo. Aveva il fiatone come se avesse fatto una gran corsa,
e qualche capello bruciacchiato.
“MEI!”
strillò disperata “Cos’è quella diavoleria? Volevi
uccidermi?”
Mei
a bocca aperta per lo stupore boccheggiò, che fosse colpa sua era ovvio,
Rachele non sarebbe mai stata capace di mettere in piedi un arnese del genere.
“Mamma,
non pensavo… non pensavo che avrebbe avuto un effetto del genere…
volevo collegarlo via etere col pc!”cercò di scusarsi.
La
signora Pavesi ansimò ancora seduta per terra con gli occhi fuori dalle
orbite.
Per
un mese buono tutte le volte che doveva aprire il frigo si metteva una maschera
da saldatore per precauzione. Non era un bel vedere, e a Natale tutti i parenti
rimasero perplessi.
Lunedì,
16 gennaio 2006
Rachele
si accese una sigaretta con lo zippo, seduta sui gradini davanti alla porta del
condominio, poteva fumare, sua madre era appena uscita a fare la spesa, e non sarebbe
tornata prima di un’ora, perciò poteva fumare quanto le pareva
senza essere vista. Joyce sarebbe arrivato a momenti per portarla non aveva
capito dove, con quello stupido lambrettino raccattato nel garage del vicino.
La
signora Pavesi riapparse all’improvviso,dato che aveva scordato la lista
della spesa, Rachele non fece in tempo a nascondere le prove del misfatto,
anche perché rimase completamente impietrita con la bionda in bocca.
Le
due si guardarono, sua madre a bocca aperta, lei a bocca serrata.
“Rachele!”
esclamò sua madre “Tu, tuo padre ci ha messo così tanto per
smettere e.. e..”non era vero, suo padre aveva fatto finta di smettere,
poi ci aveva rinunciato ed aveva ricominciato a fumare in pubblico, ma questo
la signora Pavesi non lo sapeva.
Furono
interrotte dalla signora Michelini che uscì rumorosamente dalla porta
d’ingresso senza accorgersi minimamente della tensione che si era creata.
“Oh,
signora Pavesi, scusi se la disturbo, ma sa avrei bisogno di una mano con il
water, mi si è di nuovo otturato. Chiederei a mio marito, ma purtroppo
è a Madrid per lavoro, mi chiedevo se quel suo parente così
simpatico che viene sempre a trovarla per Natale mi potesse aiutare”, lo
zio Michele, che a ogni Natale si ubriacava follemente.
La
signora Pavesi fece un sorriso amabile e le indicò Rachele “Sono
sicura che Rachele vorrà darle una mano gratuitamente”.
Rachele
fece un sorriso tirato di circostanza.
Mercoledì,
20 agosto 2008
Faceva
un gran caldo, Joyce era tornato dalla fresca Irlanda, e insieme lui e
l’irascibile Rachele se ne era andato al parco a mangiare il gelato. Lei
non l’avrebbe mai ammesso, ma forse un po’ le era mancato.
Da
quando era piccola i gusti di Rachele in quanto a gelato non erano
granché cambiati, Joyce invece nell’ultimo periodo optava per
gusti dai colori imbarazzanti quali puffo e chewin gum. Il cui sapore tra
l’altro era tristemente simile.
“Sei
imbarazzante mentre mangi quella roba. Anzi, tu sei sempre imbarazzante, con
quella collana di fiori simil hawaiani e quella stupida utilitaria verde
Irlanda” sbottò non per vero odio ma per abitudine.
Joyce
non parve affatto offeso, ma ribatté dicendo “Sai cosa sarebbe
imbarazzante? Se ti schiacciassi il gelato sui capelli” disse civettuolo.
“Non
ne avresti il coraggio!” sentenziò lei altera. Joyce
ridacchiò “E tu non avresti il coraggio di tingerti i capelli di
blu elettrico” la provocò.
La
ragazza si incupì e allungò la mano verso di lui
“Scommettiamo?”
Joyce
sorrise e l’afferrò “Scommettiamo”
Sapeva
benissimo che Rachele l’avrebbe fatto, solo, gli piacevano i capelli blu.
Venerdì,
18 dicembre 2008
“Oh,
sì, tu non hai idea di quanto sia bello il vestito che ho fatto per la
spagnola che abita nel nostro palazzo, Rachele dice che ci sono troppi fiori,
ma lei mi è sembrata molto soddisfatta!” esclamò contenta
la signora Pavesi fumando e passeggiando tranquillamente davanti alla lapide
del marito.
“Sono
sicura che il matrimonio sarà un successone, e poi lei è una
così cara ragazza!!” sospirò guardando distrattamente le
lettere incise sul marmo.
“Oh,
e non dire a Rachele che fumo quando sono con te” si interruppe per
ridere “sai quando l’ho beccata a fumare le ho fatto pulire tutti i
cessi del condominio” altra risata sguaiata e un po’ forzata. Nel
silenzio risuonava solo la sua voce.
Fece
un sospiro “Mi manchi Mei, mi manchi tanto”. Spense la sigaretta in
un portacenere che aveva poggiato sulla lapide. Era convinta che a lui non
desse fastidio il fumo, e forse lo faceva sentire ancora un po’ vivo. Si
strinse nel cappotto e se ne andò mentre dalla foto Mattia Pavesi
guardava il vuoto del cimitero.
Mattia Pavesi 1959
– 1998La moglie e i figli lo piangono
inconsolabili.
Avrebbero
voluto scrivere qualche cosa di diverso, qualche cosa di solo suo. Ma non gli
era venuto fuori nulla, e il marmista aveva fatto di testa sua.
Bussai
alla porta che conoscevo tanto bene, e questa si aprì rivelando un Joyce
in mutande.
“TI
va di andare al cimitero?” chiesi cupa. Lui fece una faccia strana
“Credo di essere ancora troppo giovane per morire” ironizzò
lui con un risolino.
Voltai
i tacchi senza dire nulla, miravo alla fine del corridoio e alla porta
d’uscita di casa Cumoli,ci sarei andata da sola.
Joyce
sobbalzò e starnazzò un “Vengo, vengo, lo so che vuoi
andare a vedere tuo padre! Ma io proprio non capisco, non ci va mai nessuno al
cimitero, solo nei film americani c’è la gente che parla con le
lapidi!”
Si
infilò al volo una maglia e mentre saltellava giù per la tromba
delle scale si mise i pantaloni. La portinaia che stava pulendo le scale gli
squadrò anche il sedere prima che riuscisse a coprirselo con i calzoni.
Lui non ci fece caso.
Camminammo
in silenzio per il cimitero, lui mi seguiva a poca distanza. Per una volta
nella vita si era vestito come una persona normale. Forse almeno ai morti
portava un po’ di rispetto.
“Oh!
Un Opossum!” sussurrò quando fummo ormai davanti alla tomba di mio
padre, non mi voltai ma dissi “Non è un opossum, è un
ghiro, gli opossum non ci sono in Europa”
Joyce
si accigliò “Quindi noi fino ad adesso…” non
finì la frase, la completai io al posto suo “…abbiamo
cacciato ghiri, esattamente. Me lo ha detto mio padre”.
Joyce
fece una smorfia “Ci hai fregato anche sta volta vecchio
volpone!”commentò
rivolto alla lapide.
Spostai
un portacenere che se ne stava sulla lapide di mio padre.
“Diamine!
Chi cavolo è che fuma qui?!” sbottai scocciata.
“Magari
è tua madre” blaterò Joyce senza il minimo di senso.
“Non
dire cavolate, mia madre non fumerebbe mai!” proferii io.
A
volte mi manca …papà…
Eccoci arrivati a fine capitolo, spero che vi
possa essere piaciuto anche se è un po’ diverso dal solito ed un
po’ malinconico. Ringrazio moltissimo tutte le persone che sul forum
hanno risposto alle mie molteplici domande(opossum, dita mozzate e chimica) aiutandomi
a scrivere un capitolo verosimile.
Passando in dettaglio Mini Mei che sorpassa le
password per quanto piccolo credo che non sia una cosa così straordinaria.
Ho sentito di un bambino che aveva fatto una cosa del genere più o meno
a sei anni.
Il capitolo è stato scritto
principalmente perché volevo un po’ infilare il signor Pavesi, che
nell’ultimo periodo ho preso in simpatia, e pensare che all’inizio
non gli avevo neppure inventato una faccia.
Inoltre anche per raccontare un po’ il
rapporto tra Joyce e Rachele.
Ci sarebbero stati un sacco di altri aneddoti,
ma non volevo appesantire troppo il racconto, che già mi è
sembrato pesante così.
Ringrazio infine chi ha messo la storia tra i
preferiti e i seguiti e ovviamente chi ha commentato:DarkViolet92(Grazie!!),
The Corpse Bride ( beh, direi che avevi più o meno indovinato…^.^
mi fa piacere sapere che segui ancora la mia storia, i tuoi commenti sono
sempre piacevolissimi), DiraReal (hai detto una cosa bellissima, mi piacerebbe
tantissimo pubblicare *.*grazie mille davvero!) e Melisanna (Grazie mille!
All’inizio l’idea era SOLO parlare di estetica, ma poi ho perso la
retta via e siamo finiti qui!! )
Grazie ancora a tutti e al prossimo capitolo,
non so quanto ci metterò a scriverlo, perché a scrivere questo mi
sono più o meno distrutta una mano!! Devo smetterla di scrivere solo con
la mano destra cavolo!!!XD
Sbocconcellavo
la mia brioche tenendola stretta con la punta delle dita, nascosta da un
cappello fiorato con foggia da pittore, e un paio di grandi occhiali con gli
strass. La maglia che indossavo, che gli si gonfiava all’altezza delle spalle
mi arrivava fino a metà delle mani, il che era l’ideale per
riscaldarsi nelle giornate d’inverno prenatalizie come quella.
“Sei
imbarazzante con quel gilet zebrato Joyce” civettai più allegra del
solito.
“Sai
cos’è imbarazzante, Rachele?” ribatté Joyce piccato “il fatto di esserci seduti accanto al
tavolo di Nikka e tuo fratello per poterne origliare i discorsi!”
Alzai
le spalle con aria sognante, per poi incupirmi “Joyce, c’è
una delle mie oche blu che ha i capelli castani, ne sai qualche cosa?”
domandai perentoria.
“No”
rispose Joyce con l’aria più colpevole del mondo. Feci un sospiro
“Farò finta di crederci” ribattei. Alla fin fine mi
interessava fino ad un certo punto dei capelli delle mie oche, e tornai a dare
ascolto a Nikka poco più in là.
“Ho lasciato Alberto”
proferì tranquillamente Nikka strappando la bustina del suo
dolcificante. Mei era un po’ perplesso, neanche
una parola su quello che era successo al Criminal,
come se non fosse mai accaduto.
Era un dettaglio imbarazzante? Bene, Nikka lo
cancellava.
“Quella roba è cancerogena”
disse lui alludendo al dolcificante. Nikka alzò le spalle “Sempre
meglio che ingrassare”.
Mei avrebbe voluto
ribattere ma lasciò perdere, calandosi sul suo cappuccino e guardandola
sottecchi.
Qualche tavolo più in là le
sorelle Cumoli sorseggiavano silenziose l’una un tea, l’altra un
cappuccino con latte di soia.
Emily scorreva veloce tra le righe del suo
giornale economico, quando fu colpita da qualche cosa alla sua sinistra.
Picchiettò con l’indice l’avambraccio della sorella
invitandola a guardare nella sua stessa direzione.
“Jane? Quello che
Joyce ha addosso, non è il tuo lupino?”.
Jane alzò un sopracciglio e storse la
bocca orribilmente. “Me lo slarga!”urlò con
un’evidente crisi di nervi.
Emily non fece molto caso alla sorella che in
un nano secondo fu su Joyce prendendolo a borsate in testa. Rachele che con
quel trambusto non riusciva più a seguire i discorsi fatti al tavolo
accanto si alzò gli occhiali e guardò la ragazza col caschetto
che le sorrise amabile, per poi alzare il suo tea in
aria come per brindare e infilarci dentro il naso sospirando “Fortuna che
domani è già Natale”.
Rachele appoggiò il gomito sul tavolo e
morsicò l’asta degli occhiali da sole pensierosa,
del tutto dimentica dei due fratelli che se le stavano dando di santa ragione
dall’altra parte del tavolo. Alla fine, come trovando la soluzione,
alzò le spalle con un sorriso e se ne andò senza pagare, ci
avrebbe pensato Joyce.
Emily trangugiò il fondo del suo tea e
si infilò in fretta la giacca seguendo l’esempio della ragazza
blu, non si sarebbe di certo trovata un marito miliardario stando seduta al bar
a bere il tea.
Del canto loro Mei e
Nikka sembravano imperturbabili, se non fosse stato per una fugace e critica
occhiata della ragazza, in direzione dei fratelli Cumoli, si sarebbe detto che
i due non avessero notato nessun movimento sospetto.
Ma comunque il tutto non li turbò
granché, dato che Mei continuò a
zuccherare il suo cappuccino, e Nikka continuò a bere il proprio
prontamente dolcificato.
Il ragazzo scribacchiò qualche cosa su
un foglio illeggibile, più per le abbreviazioni che per la scrittura,
che era precisa e tondeggiante, e si sarebbe adattata di più a una
donna.
“Bene Mei”
esordì tranquillamente con fare organizzato senza guardarlo , e sfogliando un giornale che parlava di trucchi e
ricostruzione delle unghie “Sta sera ci sarà una festa,
l’ultima festa dell’anno che organizzerò… si sa no,
Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi no?” disse buttando lì un
detto che le era venuto in mente sul momento, par dare effetto organizzazione.
Era indecisa, cosa fare all’università? Scienze della
comunicazione? Ingegneria manageriale? O moda? Ci avrebbe pensato ad agosto,
dopo l’esame di maturità.
“Ma non c’è anche
capodanno?” chiese mestamente Mei, per quanto
ne sapesse, anche se lui l’aveva sempre passato con sua madre e parentela(con tanto di zio Michele già ubriaco un’ora
prima della mezzanotte)la maggior parte dei ragazzi usciva a festeggiare con
gli amici.
Nikka sospirò con aria di chi ripete la
stessa cosa per l’ennesima volta “Mei, la
festa di Capodanno la organizzerà il Luxury…”
disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Tornò a rimescolare il dolcificante
nella tua tazzina, mentre Mei beveva e la guardava
sottecchi. Accanto a loro i fratelli Cumuli continuavano a sbraitare come due
animali feriti e a darsele di santa ragione. Anche il barista era accorso
preoccupato cercando di fermare i due e prendendo Jane per le spalle.
“Mi lasci! Sono in missione per
conto di Dio! Mi sta slargando la maglia!!”
urlò lei fuori di sé.
Nikka lanciò un’altra occhiata
schifata “Questa famiglia Cumoli è davvero blasfema” brontolò
tra sé sorseggiando il suo cappuccino.
“Allora cosa hai organizzato per sta sera?” chiese Mei
spostando l’attenzione della ragazza dai due litiganti a sé
stesso.
Nikka increspò le labbra e alzò
gli occhi al cielo con uno schiocco di lingua pensieroso.
“Ho parlato con Ilaria Gandolfi, hai presente?” chiese lanciandogli
un’occhiata complice “Quella che si è fatta una sesta di
reggiseno in plastica” aggiunse. Mei
annuì, non aveva idea di chi fosse, ma non gli andava di interrompere.
“Ha una casetta subito fuori
città… e i suoi sono momentaneamente via per
lavoro…quindi… è tutta per noi”spiegò.
“Tu non fai mai feste a casa tua
perché non è abbastanza grande o perché tua madre è
sempre in città?” domandò Mei per
pura e innocente curiosità. Nikka ghignò “Non faccio mai
feste nel mio appartamento perché non voglio essere io quella a cui
ruberanno il televisore e vomiteranno sul tappeto persiano ereditato dalla
nonna” illustrò con amabile cattiveria. Mei
si nascose dietro la sua tazzina ormai vuota, facendo finta di bere.
“Comunque
dicevo, ci sarà un catering di tutto rispetto e ovviamente fiumi di
alcol, lo so che è inutile dirtelo perché sei astemio, ma
è lo stesso, dovresti provarlo un po’ di spumante ogni tanto sai? Poi
manderò Vanessa e Millie a comprare delle
lucine da esterno da mettere su quel cipresso così triste che c’è
in giardino” illustrò massaggiandosi il mento.
“Come mai non ci
vai tu?
Non preferisci fare le cose di persona?” chiese Mei, che per quanto aveva capito, Nikka era una persona che
voleva avere le cose sottocontrollo.
“Perché ho cose molto più
importanti da fare, come per esempio comprare un vestito per sta
sera!” trillò “Cosa ne pensi del raso?” aggiunse poi.
“Scivoloso?” rispose Mei dubbioso. Nikka non fece realmente caso alla risposta e
cinguettò “E raso sia!” .Mei si guardò in giro, si chiese dove Nikka trovasse
i soldi per i vestiti e anche per le feste.
“E chi pagherà tutta questa
roba?” chiese lui perplesso. Nikka alzò le
spalle “Ovviamente la Gandolfi, ha i soldi, che li usi
no?” sbuffò innervosita dall’inutile domanda “E se te
lo stai chiedendo, sì, tua sorella e Joyce si imbucheranno alla festa
come fanno a tutte le feste. Sempre che Joyce sopravviva!”
aggiunse infine dando un’occhiata sbieca alla sua destra. I fratelli
Cumoli avevano smesso di picchiarsi e Jane aveva finalmente recuperato il suo
amato lupino, lasciando il fratello mezzo nudo e con qualche manciata di
capelli in meno.
“Almeno non hai più quella
pettinatura da nerd giapponese!” esclamò lei uscendo a passo di
marcia. Il barista perplesso guardò il giovane seduto sul pavimento.
“Nerd giapponese?”
Joyce alzò le spalle “Lasci
perdere”.
“Comunque” ricominciò Nikka
“parliamo di cose serie: sta sera ti troverai una ragazza!
Intesi?”.
Mei annuì.
“Mi è parso di capire che te ne eri trovata una al Criminal, Elena
mi pare…” continuò pensierosa “E poi cosa è
successo?”chiese.
Tu mi hai baciato idiota! Avrebbe voluto
rispondere lui, ma pensò che fosse meglioripiegare su “Mi è
venuto un mal di stomaco lancinante e fulminante, sono dovuto correre a casa
subito”mentì annuendo per aggiungere gravità al racconto.
“Hai ancora dei problemi
intestinali?” domandò Nikka guardinga. Mei
alzò le mani in segno di resa “No, no, tutto
sottocontrollo!” assicurò lui calmando le acque.
“Bene, non voglio dissenterie la vigilia
di Natale!” ordinò perentoria. Mei annuì
con fare militaresco.
“Torniamo a noi” trillò
ancora lei incrociando le dita tra loro e protendendosi in avanti sul tavolo
“Mettiamoci d’accordo…cosa fai?” chiese
cospiratoria. Mei sbatté le palpebre perplesso e fece una smorfia dubbioso
avvicinando il viso a sua volta a quello della ragazza “Cosa farò
quando?”
Nikka sbuffò spazientita “Per
rimorchiare una ragazza!”. Mei cadde dal pero.
“Ehm… ci parlo?”
provò con l’espressione dell’interrogato che non ha studiato
e tenta il tutto e per tutto.
Nikka sospirò e alzò gli occhi
al cielo “Allora ascoltami bene Mei, non te lo
ripeterò” fece lei stancamente, lui annuì compito.
“Devi cercare un
contatto visivo ok?
Scegli la ragazza che ti piace e la guardi, aspettando che lei ti noti in
qualche modo. Poi ti avvicini cautamente, con fare tranquillo
, non troppo deciso, come se fossi lì per caso. Non sei il maniaco dei giardinetti venuto a mostrare i gioielli di
famiglia insomma!” esclamò in uno slancio vitale.
“Non c’è pericolo”
commentò Mei pensando che mai se ne sarebbe
andato in giro a mostrare i genitali agli estranei.
“Vebbè,
dicevamo, ti avvicini e trovi qualche cosa di stupido da dirle ok? Non di
veramente stupido, non ti sognare di metterti a parlare delle tue troie
e…”
“TrojanHourse” corresse Mei tranquillamente.
Nikka lo ignorò “Qualche cosa che ti permetta di attaccare
discorso insomma! Poi continua il discorso, non credo sia il tuo caso, ma non
parlare troppo di te, falle delle domande, le ragazze adorano parlare e credere
che l’uomo le ascolti”, Mei si domandò se anche Nikka si crogiolasse nella
sua attenzione.
“Poi dille qualche cosa che sembri un
complimento ma che non lo sia del tutto del tipo :ma chebegli occhi, assomigliano a quelli di una civetta!”
“Le civette sono carine”
ribatté Mei dubbioso sul senso della frase.
“Sono animali orribili, andrebbero
sterminati tutti secondo me” commentò drastica senza il minimo
cruccio. Mei del canto suo sentì lo stomaco
chiudersi, come se fosse lui la civetta in procinto di essere sterminata.
“Offrile da bere…
non è che ci voglia un gran sforzo, tanto è gratis, e dopo un
po’ allontanati, ma controlla che ti guardi. Ti guarderà
di sicuro se fai come dico io. E poi non sei male, e questo
aiuta notevolmente!”. Mei annuì
scolastico, ci mancava solo che lei gli chiedesse anche di prendere appunti.
“Se vedi che lei ti guarda ogni tanto
torna e casualmente inizia dirigerti in un posto appartato e magari dille
qualche cosa di carino… non smielato per piacere, non perché non
adeschi, ma perché lo trovo ributtante!” sbottò facendo una
smorfia.
“Non credo di essere un tipo smielato,
piuttosto sto zitto” sussurrò mesto lui.
“Ringraziamo il cielo allora!”
sentenziò lei sbattendo il pugno sul tavolo. “E poi, quando arriva
il momento giusto la baci… ma solo con le labbra, non saltarle addosso stile assatanato”sbraitò.
“Ti sembro il tipo?”
ribatté Mei un po’ offeso.
“Non si sa mai, meglio dirlo una volta
in più che una in meno!”sentenziò lei tranquilla.
“Poi ti stacchi e la guardi, e le dai un secondo bacio… e lì
allora ci puoi mettere più impegno se ti va…” disse lei
rimanendo sul vago.
“A fine serata
le chiedi se vuole un passaggio a casa… che automobile hai?” chiese
diplomatica.
“Mia madre ha un’utilitaria, ma io
non ho la patente” ammise deglutendo.
“Bah!” sbottò lei irritata
“Ma che razza di uomo è uno senza patente… vabbè, puoi chiederle se vuole prendere il taxi con
te…”
“Joyce conosce uno del servizio
limousine…” azzardò più per informazione che per vera
intenzione di ripiegare sul lusso.
“Mi pare eccessivo”
commentò lei sottecchi.
Lo fissò “E’ tutto
chiaro?” domandò. Mei alzò le
spalle dubbioso “Direi di sì”
Nikka sorrise
“Bene, la seduta è tolta! Ci vediamo domani
sera alla festa, ti metterò l’invito con l’indirizzo sotto
la porta, il caffè lo offro io” e fu così che si
alzò si accese una sigaretta e se ne andò spavalda a passo
veloce, da folletto.
Si appoggiò al bancone esibendo una
carta di credito dorata, era tutta scena, dentro non c’erano più
di una cinquantina di euro ma non aveva importanza.
“Pago due cappuccini” disse con
aria di superiorità, ma la barista non parve darle grande importanza,
stava infatti allungando il collo per vedere meglio
fuori dal negozio.
“Che c’è?” chiese la
ragazza infastidita mentre la donna prendeva la carta di credito e la passava
nel macchinino apposito.
“Carino il tuo amico” fece
distrattamente con un sorriso, Nikka sbiancò e guardò fuori , dove Mei l’aspettava con
le mani in tasca dando le spalle alla vetrina.
La ragazza si voltò di nuovo a guardare
la barista con le sopracciglia aggrottate e la bocca semi aperta.
“Ha anche un bel sedere”
commentò allegra. “Ma…ma avrai cinquant’anni che
diamine!” sbottò stizzita riprendendosi la carta di credito e
andandosene mentre la barista le urlava dietro “Ne ho
quarantanove!”
Nikka piombò accanto a Mei cercando di coprirgli il sedere col giubbotto
“Copriti santo cielo” disse perentoria.
“Ma che c’è!”
brontolò lui preso di sorpresa rischiando di sbilanciarsi da una parte.
Più tardi Mei
si sedette guardingo al tavolo del pranzo, mentre Rachele dall’altra
parte della tavola leggeva un giornale di moda di sua madre e la signora Pavesi
lambiccava allegramente cantando tra le pentole.
La porta si aprì e ne entrò un provato e un po’ spelacchiato Joyce. Con una rapida
occhiata Rachele ebbe modo di accorgersi che aveva di nuovo rubato il lupino
alla sorella.
“Ciao Joyce caro!”
esclamò la signora Pavesi alzando per un attimo gli occhi dalla padella.
“Buon giorno signora!” rispose lui
un po’ stanco andando a sedersi tra Mei e
Rachele al tavolo quadrato della cucina.
“Da quando entri dalla porta e non
più dalla finestra del bagno?” chiese la ragazza senza dargli
tanta attenzione.
“Da quando sono entrato dalla finestra e
tua madre è uscita dalla doccia, lei ha urlato, io ho urlato, lei ha
urlato di nuovo e io sono caduto sul gazebo del signor Michelini”spiegò
concitato.
“Deve essere stato imbarazzante”
fu il commento distratto della ragazza per nulla impietosita.
“Non hai idea di che male mi facciano le
costole” disse massaggiandosi la schiena rivolto a Mei,
che gli regalò un sorriso solidale.
“Mi chiedevo se per caso andaste alla
festa che Nikka organizzerà per domani sera” azzardò Mei guardingo mentre la signora Pavesi approdava in tavola
con una pentola piena di spaghetti, sulla quale Rachele e Joyce si buttarono
famelici. Mei aspettò educatamente il suo
turno senza accapigliarsi e rigirandosi la forchetta nella mano destra
“Ovviamente no” disse
tranquillamente sua sorella mentre inforcava una mano a Joyce che del canto suo
reprimeva un grido stridulo, tutto sotto gli occhi distratti della signora
Pavesi che sorrideva agli angeli.
“Non dico andarci con l’invito,
intendo imboscarvi…”sottolineo Mei
sporgendosi un po’ in avanti verso la pentola. Sua sorella parve pensarci
“Beh, se la metti in questo modo…” disse
lasciando la frase vaga,mentre arrotolava gli spaghetti alla forchetta.
“Beh, sì, credo che potremmo
imboscarci…ma forse porteremo un paio di
amici…perché?” domandò infine guardinga.
“Mi serve un passaggio, a quanto ho
capito la festa non è vicinissima” spiegò semplicemente.
“Oh” disse solo. Scambio di
sguardi tra i fratelli, la signora Pavesi si serviva dalla pentola e Joyce si
studiava la mano colpita.
“A tuo rischio epericolo, ci andiamo con
l’auto di Joyce, verde Irlanda con un enorme trifoglio disegnato sul
tettuccio, l’apoteosi del trash… ci rimetteresti la
reputazione” proferì tranquilla.
“Sei sempre a
lamentarti!
Che diamine ha la mia auto che non va! Dato che tu non hai la
patente non dovresti lamentarti, è una vita che ti scarrozzo io ovunque!”
sbottò Joyce colpito nel vivo.
“Da una vita? Ma
se hai la patente da due mesi!”ribatté lei.
“Due mesi e venti giorni!”
“E hai già ridotto
l’automobile come un carro di carnevale!!”sentenziò
la ragazza blu sottolineando il tutto con una seconda forchettata. Mei alzò le spalle e si servì lasciandoli
litigare in pace.
Era ormai arrivata sera mentre il
signor Giovanni Cumoli si accingeva a sistemare tutti i numeri di un nuovo
fumetto giapponese sullo scaffale. Lui preferiva quelli vecchi, invece
nell’ultimo periodo venivano sempre fuori cose strane, i robot da guerra
non erano più quelli di una volta, le storie d’amore non erano
più quelle di una volta, le storie hard non erano più quelle di
una volta e nemmeno i disegni erano più quelli di una volta, era
decisamente cambiato il mondo, e ormai non c’era più la
venerazione per i fumetti che c’era una volta, qualche studente di
giapponese aspirante mangaka, Enrico, il tipo con gli
occhiali, lui voleva trasferirsi in Giappone dopo la laurea, qualche vecchio
amante di Tex, una certa Elena che leggeva gli shojo e un tizio biondo e grosso con l’aria da
troglodita, com’è che lo chiamavano? Pallotti?
Che a suo parere non sapeva neanche leggere i fumetti per il verso giusto e
comprava quelli hard solo per le figure.
Il signor Cumoli di sicuro aveva
passione, era un uomo minuto con un pizzetto radicato al mento fino dalla
gioventù, si era sempre chiesto come aveva fatto a venirgli fuori un
marcantonio di figlio se lui era un scricciolo, e sua
moglie pure, ex moglie poi.
Abigail
ogni tanto gli mancava, le telefonava, e lei gli rispondeva in inglese, avevano
parlato in inglese per anni, poi lei aveva deciso di tornarsene in Irlanda e di
sposare uno stupido Irlandese. Maledetti Irlandesi.
Si passò la mano tra i
capelli e sospirò, ormai era Natale, non sentiva molto l’atmosfera
in negozio, l’unica cosa vagamente natalizia era uno stupido albero di
natale elettronico e ballerino che ogni tanto cantava con un vocione
impressionante Jingle Bells.
Lo scampanellio della porta lo
ridestò dai suoi pensieri sulla gioventù bruciata, alzò la
testa ed allungò il collo per vedere in controluce chi era entrato. Una donna bassa e grassottella, coi capelli raccolti in una
crocchia e il vestito di lanetta con le frappe fece il suo ingresso
stancamente, si fermò a metà del negozio e salutò
“Giovanni… buona sera… pensi che sia possibile impedire al
tuo figlio di andare in giro con quell’orribile gilet zebrato? È un pugno nell’occhio, addirittura peggio del
pellicciotto arancione, oserei dire che minacci l’ordine pubblico…
e poi dovrebbe smetterla anche di arrampicarsi sulle grondaie, rischia di farsi
male…” spiegò tranquillamente compunta la signora Pavesi
stringendo la pochette.
Il signor Cumoli sospirò
“Nonostante sia d’accordo in pieno ,
soprattutto per quanto riguarda le grondaie , ma dubito sia possibile
convincerlo…Arabella, piuttosto, credi che sia
una richiesta possibile chiedere a tua figlia di smetterla di telefonare a
Joyce di notte? A volte me lo trovo addormentato sul
water…” fece lui appoggiandosi con le mani al bancone.
Arabella
Pavesi sospirò “Sai che non smetterà mai di
svegliarlo…”.
Ennesimo sospiro genitoriale
sconsolato.
“E’ sempre un piacere
chiacchierare con te , Giovanni caro, come sta Abigail?” domandò infine mentre si accingeva a
uscire ed aveva già un piede oltre l’uscio.
“Abbiamo divorziato prima
che ci conoscessimo… Mattia?” rispose lui tranquillo.
La signora Pavesi alzò le
spalle “Morto, come al solito” disse con semplicità e
uscì tirandosi dietro la porta che del canto suo fece risuonare lo
scaccia pensieri.
Il signor Cumoli alzò gli
occhi al cielo e si chiese come mai nessuno dei suoi figli amasse i fumetti.
Gioventù bruciata.
La sera della vigilia di Natale
non ci mise molto ad arrivare, c’era chi la passava in famiglia e chi
decideva di uscire. Mei aveva deciso di uscire,
lasciando sua madre, zio Michele e altre decine di parenti a festeggiare in
cucina.
Era pronto da circa venti minuti,
quando decise di azzardarsi a farlo notare a Joyce e Rachele che si accapigliavano
in corridoio.
“Forse faresti meglio ad
andare in autobus, temo che qui ne avremo ancora per molto, e poi dobbiamo
passare a prendere un amico” spiegò Joyce immobilizzando entrambe
le braccia alla ragazza che del canto suo gli assestò un calcio. Mei uscì di casa scocciato con l’immagine di un Joyce dolorante, una Rachele in vestaglia,e uno zio
Michele già un po’ brillo.
Scese le scale con le mani in
tasca, trotterellando veloce e deciso. Ci avrebbe messo un secolo ad arrivare
in quel maledetto posto, gli autobus, la sera, erano notoriamente più
rari.
Si era messo le scarpe da
ginnastica in vernice, sua madre le aveva pagate un occhio della testa, ma a
suo dire erano bellissime, aveva risparmiato sul resto dei vestiti, i jeans
erano immacolati (“Quanto odio gli strappi nei pantaloni ,Mei caro, non li ho mai potuti
soffrire, neanche quando andavano di moda, suvvia, anche zia Elda che ha il Parkinson saprebbe dare una rastrellata a un
vestito e farci quegli sbraghi inutili. E poi ti viene freddo alle ginocchia!!” era solita dire la signora Pavesi).
La giacca era quella di pelle,
l’unico capo di abbigliamento che gli piaceva, del resto non gliene
fregava granché. Se ne fregava già abbastanza sua madre.
Come previsto il viaggio
sull’autobus vuoto non fu breve, mentre nell’abitacolo c’era
luce e fuori regnava il buio, sempre più spesso man mano che si
avviavano verso la più estrema periferia.
Scese insieme
al conducente che si voleva fumare una sigaretta, al capolinea, e augurò
buon lavoro a quest’ultimo che lo ricambiò con un sorriso e gli
indicò la strada giusta per la via che stava cercando. Non ci mise molto
a trovarla, la musica era sparata a palla, e da una casa vicina giungevano
diverse lamentele.
Era una villetta unifamiliare,
distribuita su un unico piano, col tetto spiovente e le pareti intonacate di
ruvido bianco. Individuò subito l’albero che Nikka aveva puntato e
illuminato a dovere con delle lucine natalizie. Entrò con le spalle un
po’ curve, le mani in tasca e lo sguardo un po’ truce.
Non era come la sua prima festa,
forse dopo tute le angherie di Nikka e i baci di Elena era un pochino
più rilassato, ma ciò non voleva dire che fosse diventato il re
della scioltezza.
Entrò dalla porta
principale, dalla quale sgorgavano giovani festanti con bicchieri di plastica
pieni di spumante, dentro sembrava che tutti saltassero, qualcuno aveva
rovesciato un vaso di murano, che giaceva a terra in
mille pezzi. Sua madre ne aveva uno simile, si immaginò cosa sarebbe
potuto succedere se lui o Rachele avessero organizzato una festa a casa loro
cosa avrebbe potuto dire sua madre. Probabilmente la sua risposta sarebbe stata
un infarto.
Riconobbe tra la folla qualche
volto, qualcuno era in classe con lui qualcuno lo conosceva solo di vista.
Le pettegole se ne stavano appollaiate su una panchina in ferro battuto posizionata in
giardino, e con le loro bevande analcoliche si dilettavano a dare un voto al
vestiario di chi incautamente passava loro davanti.
Elena se ne stava abbracciata a
un tizio, vicino alla porta che conduceva in cucina, e non avevano l’aria
di voler chiacchierare.
Mei si
faceva largo mestamente tra la folla cercando di non colpire e di non venire
colpito da nessuno. Fu quando si girò indietro quasi ad accertarsi che
la porta da cui era entrato fosse ancora aperta per facilitargli la fuga, che
si sentì tirare per il colletto.
“Mei!”
trillò Nikka visibilmente alticcia e con un vestito di raso
terribilmente corto. Mei deglutì.
“Non mi sono messa la
biancheria!!” strillò civettuola
stampandogli un bacio sulla guancia con un’insospettabile potenza e
sparendo subito dopo nella folla lasciandolo basito.
Da dietro Nikka, con la sua
sparizione, apparvero Vanessa e Millie che con la
determinazionedi
due bulldozer lo presero una per un braccio, e l’altra per l’altro
spingendolo indietro.
“Vieni con noi Mei!” dissero melliflue, e probabilmente le loro
intenzioni erano delle migliori, ma tutto quello che fece Mei
fu stamparsi in faccia un’espressione di puro terrore. Si distolse dalla
sua funesta sorte alzando gli occhi e vedendo una Rachele dallo sguardo serio
scendere dalle scale del soppalco. Il vestito che portava non era uno di quelli
fatti da sua madre, sembrava lo stesse redarguendo per
la compagnia, come darle torto! Oppure semplicemente era un
questa volta te la cavi da solo.
La guardò scorrendo le
spalle e il praccio proteso mollemente indietro ad afferrare le dita di Joyce
per trascinarselo dietro, quest’ultimo alzò un pollice in segno di
solidarietà e gli regalò un sorriso a trentadue denti. Mei fece un sorrisetto, che subito svanì quando Millie si strusciò contro di lui col sedere.
A pochi centimetri da lui
passò sua sorella che scesa era arrivata fino al fulcro della festa, e
lo fissò come se non lo conoscesse.
“Buona fortuna!”
bisbigliò Joyce forse per non farsi sentire dalla ragazza blu che gli
teneva le dita tra le sue senza stringere, ma riuscendo comunque a non perderlo
mai.
E così come era sparita
Nikka, sparirono anche loro nella folla danzante. A volte si chiedeva che razza
di rapporto avessero quei due.
“Ti va di bere qualche cosa
Mei?” chiese Vanessa avvicinandosi a lui
cercando di fare la sensuale, cosa che non le venne molto bene. Era imbalsamata
in un vestito interamente coperto di lustrini che le si attorcigliava addosso
come edera. Del canto suo Millie con un vestito di
lustrini più coprente sembrava una di quelle palle di specchi che si
trovano in discoteca.
Mei,
che fino ad allora si era fatto trascinare si
risistemò sforzando di distendere tutti i suoi centottanta centimetri di
altezza per darsi un minimo di tono. Si schiarì la voce ed elegantemente
sciolse l’abbraccio delle due. “Ragazze scusatemi io devo andare…” doveva andare dove?dove poteva
andare per liberarsi di quelle due piovre appiccicaticce e sbaciucchiose?
“ …in bagno” terminò con l’unica stanza della
casa che gli venne in mente.
“Veniamo con te”
dissero in coro sbattendo le ciglia e guardandolo in mielose.
“Da solo” disse tra i
denti in po’ irritato lasciandole lì e fuggendo tra la folla.
Forse aveva bisogno di stare da solo, forse aveva bisogno davvero di andare in
bagno.
Analizzò velocemente i pro
e i contro di quella situazione, non era in un locale, quindi i bagni non erano
segnalati da neon o altro, era in una casa e quindi lo spazio da esplorare era
decisamente minore, escluse il soppalco supponendo che non potesse essere
lì.
Ci mise meno di quanto pensasse,
il bagno era dietro una porta bianca che si mimetizzava con il muro bianco,
dalla quale usciva uno spiraglio di luce elettrica, spinse lievemente la porta
con le dita, mentre una ragazza castana con un drink in mano lo spintonava per
passare nello stretto corridoio. Mei soffocò
un’imprecazione e mantenne l’equilibrio, non sopportava essere
spintonato, e quelle feste erano un ricettacolo di spintoni.
Si fece avanti ed entrò
nel bagno, che pur essendo di una casa grande non era certo una piazza
d’armi.
Rimase sorpreso di trovare due
ragazzi in mutande che si sbaciucchiavano sdraiati dentro la vasca, del tutto
incuranti del suo ingresso. Mei si guardò in
giro perplesso, poi si schiarì la voce per farsi notare. Il ragazzo, che
indossava degli occhiali da sole si voltò verso di lui con aria
scocciata e chiese “Saresti?”
Mei
fece una smorfia “Io sono Mei” rispose
con un sorrisetto irritato “e avrei bisogno del bagno”.
Anche la ragazza che era con lui,
una biondina decisamente troppo magra e dall’aria sciupata lo
guardò storto mentre il suo ragazzo rispondeva “Allora Nei, usalo se ti serve” per poi
ricominciare a baciarla.
“Mei!” corresse rendendosi poi conto che a quei due non poteva
fregargliene di meno di come si chiamava e aggiunse “da solo. Avrei bisogno del bagno da solo!”
Il ragazzo con gli occhiali
sbuffò e si accinse a uscire dalla vasca seguito dalla biondina
“Non riesci proprio a farla se c’è qualcuno?”
brontolò sbuffando, ma poi uscì dal gabinetto mentre la bionda
gli cacciava un’occhiata risentita.
Mei
corse alla porta e la chiuse a chiave, poi si sedette sul bordo della vasca.
Chiuse gli occhi e fece un
respiro profondo. Cosa fare? Ci voleva un po’ di cultura zen in quel
momento, gli sarebbe stata utile, se non si sbagliava aveva sentito Joyce dire
che Jane alle medie per un paio di mesi aveva fatto yoga. Si chiese se yoga e
zen si somigliassero.
I suoi pensieri furono interrotti
da dei rumori provenienti dalla finestra. Fuori c’era una ragazza
alticcia che dava baci al vetro per indirizzarli a lui con le mani e le labbra
spiaccicate contro la finestra.Gli sorrise. Mei si alzò e
tirò giù la tapparella chiudendola fuori. Si sentì un Ti amoragazzo col giubbotto di pelle e un tonfo, segno che la ragazza era
caduta per terra tra le piante sotto la finestra. Mei
si risedette sul bordo della vasca incrociando gambe e
braccia risentito. E che diamine!
Dove era andato a infognarsi
anche quella volta!?! Nikka era ubriaca persa e andava
a dire ai quattro venti che non si era messa le mutande, Rachele faceva finta
di non conoscerlo, Joyce alzava i pollici e due arpie imbellettate gli si
lanciavano contro, quella serata era iniziata nel peggior modo possibile.
Erano davvero migliori i tempi in
cui stava a casa al computer o a spiare sua madre
mentre ballava con Mister Manichino. Era venuto lì per cosa?
Perché Nikka giocava a fare D’annunzio, e a lui cosa diamine veniva
in tasca? Una tizia che lo baciava attraverso il vetro?
Diamine lui era venuto lì
per Nikka, a lui piaceva Nikka, non le sue stupide amiche di lustrini, e ne anche la tipa che baciava la finestra. Mise le mani a
conca e ci appoggiò la testa. Doveva trovarsi una ragazza come diceva
Nikka? Doveva proprio farlo? Per poi trovarsi in una vasca in occhiali da sole
anni settanta e mutande?
Forse doveva provare a bere un
poco, ma che diamine lo spumante gli faceva schifo, per non parlare della
birra. Quella roba che aveva bevuto dalla lattina di sua sorella, davanti al
gabinetto. Sospirò e si mise a guardare i sanitari, a studiarli e
passarci le mani sopra.
Il coperchio del water era di
quelli decorati, nello specifico da girasoli e sassolini gialli e arancioni.
Il tappo del lavandino era un
poco incrostato dal calcare, ma per il resto era tutto impeccabile, in alto a
destra il talco e diversi profumi chic.
Che fare uscire ed andare a casa,
o rimanere a poltrire in un bagno. Da fuori bussarono “Allora
incontinente,hai
finito? Rivogliamo la vasca!” sbottò poco garbato
quello che probabilmente era il ragazzo con gli occhiali da sole.
Mei si
alzò irritato e con poca cura girò la chiave ed aprì la
porta. Diede un’occhiataccia al ragazzo e se ne andò a passo di
mancia, mentre quest’ultimo commentava “Era ora!”.
In un nano secondo aveva deciso
che nessuna delle due ipotesi prese in considerazione in precedenza era giusta.
Se Nikka voleva che si trovasse una ragazza se la sarebbe trovata. Puntò
al tavolo delle vivande e si verso in un bicchiere un liquore a caso.
Sospirò e lo mandò giù tutto in una volta, cosa che gli
fece fare una smorfia di disgusto, mentre sentiva la gola prendergli fuoco.
Respirò forte e guardò il lampadario luminoso. Si passò le
mani sulla faccia provato e prese un'altra bottiglia a
caso riempiendosi il bicchiere fino all’orlo. Buttò giù
anche quello come se fosse una medicina, mentre sentiva già lo stomacoche si
ribellava e un accenno della cena a tornare su da dove era venuta.
Chiuse gli occhi e si strinse
nelle spalle. Se doveva trovare qualcuna doveva bere, non è che ci
fossero molti altri metodi, se l’alcol ti faceva sentire leggero allora
era quello che gli serviva, ma più che altro si sentiva nauseato.
Si guardò in giro, gente
che ballava saltellando sul posto, gente seduta per terra, in cucina si
intravedevano due che si sbaciucchiavano in modo poco decente sdraiati sulla
lavastoviglie. Un tavolino sfondato e qualcuno che ballava sulle poltrone, il
pavimento era bagnato di liquidi sconosciuti.
Si chiese chi potesse essere
quella pazza di Ilaria Gandolfi, disposta ad
accettare quella guerra tra le sue mura gli sfuggì un
pensiero sussurrato “Ma chi diavolo permetterebbe che si facesse questo
in casa propria?” sbottò con ancora il bicchiere in mano.
“Oh, lei”
cinguettarono alle sue spalle, istintivamente si girò e parecchi
centimetri più in passo trovò una piccoletta con l’occhio
vispo e i capelli dal taglio sbarazzino, che lo guardava con occhi vivaci e
molto truccati. Mei la guardò, poi si
voltò a guardare la ragazza che gli era stata indicata.
Era sdraiata, piaggiata
più che altro, sopra un divano bianco e macchiato dall’aria
costosa, a pancia in giù profondamente addormentata con la bocca un
po’ aperta e una lattina di birra in mano. Aveva i capelli tinti di un
rosso fuoco e per quello che si poteva vedere un seno quasi imbarazzante. Gli
sembrava di aver sentito Nikka parlare di sesta di silicone, ma non era sicuro
di ricordarlo per bene.
Si voltò di nuovo verso la
ragazza bassa che aveva parlato “Non ha una bella cera eh?” fece,
lei ghignò “Affatto, e domani mattina quando si accorgerà
in che stato è ridotta la sua casa sarà ancora peggio”.
Mei
annuì e buttò giù faticosamente un altro bicchiere di
qualche cosa di non ben descritto. Sarebbe stato male se lo sentiva, già
iniziava a sentir girare la testa, e per di più temeva di aver mischiato
troppi alcolici diversi. La ragazza sorrise e si versò del gin, poi lo
guardò alzando il bicchiere di plastica “Alla goccia?”
chiese.
Mei si disse
che rispondere no grazie, sto già
male, non sarebbe stata una gran mossa a quanto gli aveva detto Nikka , quindi si affrettò a riempirsi il bicchiere e a
brindare. Sentì tutto il liquido scendergli in gola e strinargliela, non
beveva così velocemente neanche l’acqua, figurarsi il gin che
effetto doveva fare.
La ragazza era piccola, non come
Nikka, ma era diversi centimetri in meno di lui, doveva essere più
piccola, non era all’ultimo anno per quello che ne sapeva.
“Devo supporre che tu non
sia un suo amico…”fece lei allegra versandosi un altro bicchiere, Mei esibì il suo vuoto fingendo indifferenza.
Pensò a quello che gli
aveva detto Nikka, domande “Come ti chiami?” era una domanda
stupida, ma almeno non era strana, insomma, il nome bisognava saperlo no?
“Alsazia” ammise con
un sorrisetto strano e dondolandosi come una ragazza del coro.
“Geografico”
commentò Mei annuendo. Lei sorrise “I
più simpatici mi soprannominano Sazia”continuò
tranquilla.
“Davvero simpatico”
continuò lui senza sapere cosa dire “E tu?” chiese lei.
“Mei”
“E’ più
stupido del mio” ridacchiò. “Oh, è un soprannome, mi
chiamo Federico in realtà”. Alsazia annuì
“Carino”. Mei annuì imbarazzato
senza sapere cosa dire, lei invece sembrava assolutamente a suo agio senza
nessun problema a trangugiarsi un altro bicchiere alcolico.
“Chebegliocchiassomiglianoaquellidiunacivetta”
disse tutto d’un fiato, senza lasciar capire nulla, gli sembrava una
tattica estremamente idiota.
“Eh?” chiese lei.
“Niente” si affrettò ad aggiungere lui “è
l’alcol che parla, non sono io” spiegò rigido.
Lei rise ignara della
macchinazione che vi stava dietro “Che buffo!” se non altro tutto
quell’alcol non la rendeva troppo perspicace. “Altro
brindisi?”
Mei
fece un sospiro stanco di chi sta per fare un grande sacrificio. “Vada
per il brindisi!”
Poco lontano
sedute su una panchina tre ragazze erano intente in
ben altri affari “Santo cielo! Che vestito si è messa la millefoglie? Sembra una mongolfiera glitterata!
E neanche la sua amica vestita uguale è un granché! Io darei a entrambe un tre come voto sul
vestiario”sentenziò irritata una ragazza coi capelli lunghi e
mori, in contrasto con la pelle del viso a dir poco cadaverica.
“Io direi anche tre
meno!” rincarò la dose la sua amica con occhiali spessi e capelli
quasi arancioni.
“Io darei un quattro, ma
solo perché il vestito è di marca” commentò Emily
seduta tra le due.
“Sì, sai forse hai
ragione” disse la mora , poi guardò Emily
incuriosita “ma scusami tanto, tu chi sei? Non ti ho
mai visto a scuola” domandò accorgendosi solo allora che aveva
passato tutta la sera a parlare con una sconosciuta.
“Oh”Emily
si ripropose in un gesto civettuolo e disse “Io non sono più alle
superiori, sono la sorella di Joyce non so se avete presente? Faccio economia finanziaria all’università”spiegò
con un sorriso.
“Chiunque conosce Joyce,
come dire… si è fatto notare… e poi lo so che sei sua
sorella ma quel pellicciotto è davvero orribile, gli darei un
due!”
“Oh, io
gli darei meno uno! Lo so che è orrendo! E non
è nemmeno di marca!”sentenziò Emily visualizzando il
vestiario del fratello mentalmente.
“Un altro drink?”
chiese la rossa, o meglio, l’arancione a Emily, notando il bicchiere
vuoto dell’amica.
“Oh, no grazie, sono
astemia, se non rimango lucida come faccio a trovarmi un miliardario?”
spiegò gentilmente mentre la sua interlocutrice rimaneva a bocca aperta
e guardava l’amica.
“Ma, ma… è
quello che pensiamo anche noi, come fai a raggiungere gli intenti, come
trovarsi un miliardario o carpire tutti i pettegolezzi se non rimani
lucida!”, ci fu un abbraccio generale, e sbocciò così un
nuovo inaspettato amore.
“Potresti
venirci a trovare in mensa nelle pause pranzo! ci
sono un sacco di pettegolezzi che ti interesserebbero tantissimo!”
esclamò la ragazza diafana al settimo cielo.
“C’è qualche
ragazzo ricco?” si informò subito Emily. La ragazza mora ci
pensò “Mah, in realtà a parte Lombardi non mi viene in
mente nessuno, ma credo che la ragazza che ha dato questa festa abbia un
fratello!” disse pensierosa. Emily sorrise
“Ottimo!”
“Tornando a noi”
esclamò la rossa rimettendo l’attenzione delle amiche dove doveva
stare ovvero al pettegolezzo
“Anche questa sera Isabella Gigli ha tradito il suo ragazzo, e lui
continua a non credere che lei sia una ragazza dai facili costumi, intanto gli
sta crescendo una foresta amazzonica di corna sulla testa…” disse.
“Oh,
poverino! È ricco?” si lasciò commuovere Emily. La
rossa occhialuta la liquidò con una mano, come per dire lascia perdere è povero in canna.
“E tra
l’altro, chi diamine erano quei due che sono passati prima? Lei
con gli occhiali da sole di notte,i capelli talmente
ossigenati da sembrare bianchi, ubriaca fradicia prima di entrare, e lui con
quella pettinatura da ananas e una granita in dicembre?” chiese.
“Non ne ho idea, rispose
l’amica, dici che ci sia dietro uno scandalo? Comunque alla maglietta
rosa del ragazzo darei un quattro e mezzo…”
“Indaghiamo”
esclamò la rossa convinta.
Poco distante
Joyce e Rachele uscivano dal garage di famiglia e lo richiudevano
tranquillamente.
“Cosa ci manca?”
chiese lei tranquilla , mentre lui estraeva un foglio
dalla tasca dei jeans , su cui stava scritta una lista “Allora, fare una
foto a Isabella Gigli mentre bacia un altro e mandarla al suo ragazzo,fatto, se
non crede alle pettegolecrederà alle foto, fare i baffi col pennarello indelebile a Livio
Urbini mentre dorme, fatto, chiudere in bagno
quell’idiota di Elena … perché hai dovuto aggiungere idiota,
ce l’hai con lei perché è andata con tuo fratello?” ,
Rachele grugnì in risposta, “Vabbé,
comunque fatto anche quello, tagliare i capelli a Luca Ghini
, fatto, è pronto per arruolarsi, dovevi vedere com’era carino,
poi…hai davvero scritto bucare le tette alla Gandolfi?
Ma non si può!” esclamò Joyce perplesso.
“Sono di silicone!”
ribatté lei stizzita. “Ma non puoi lo stesso!”
replicò lui. Rachele sbuffò di fronte all’evidenza.
“Allora andiamo a casa,
recupera Eddy , io ti aspetto in auto”disse
andandosene con andatura un poco barcollante. Non andò molto lontano
perché Joyce si appoggiò a lei ed entrambi finirono contro il
muro.
“Spostati
, mi schiacci” disse stancamente, una delle poche volte che era
così fiacca che le era difficile pure essere brusca con Joyce, cosa che
invece normalmente le veniva abbastanza bene. Pensava che si sarebbe spostato,
ma non si mosse di un millimetro. Fece forza con la mano perché si
allontanasse, ma non ebbe l’effetto sperato “Spostati Joyce”
chiese senza guardarlo in faccia.
Si rese conto che non avevano
più otto anni e che tutte le volte che lei lo picchiava era solo
perché lui glielo permetteva. Deglutì e alzò lo sguardo
“Mi lasci andare?”. Per tutta risposta lui appoggiò le
labbra sulle sue, Rachele spostò di poco il viso.
“Voglio andare a casa
Joyce, non mi baciare” disse , mentre lui si
decideva spostarsi, lui le lanciò uno sguardo strano “Posso
dormire da te sta sera?”domandò in un sussurro.
“Neanche per sogno”
rispose lei riacquistata la solita strafottenza “E vai a recuperare Eddy,
sta per piovere”.
Joyce la guardò mentre si
allontanava, poi riaprì il portellone del garage e vi entrò
lasciandolo aperto.
Alsazia si era alzata sulle punte
e gli aveva stampato un bacio scherzoso sulle labbra, avevano parlato, e forse
era sembrato anche divertente, merito dell’alcol, anche se aveva la
bruttissima sensazione di dover rimettere da un momento all’altro.
“Vieni di là?”
chiese lei con un sorrisetto complice, lui sorrise a sua volta, era carina, era
carina e voleva imboscarsi con lei “In garage?”
“In garage”
confermò lui mentre lei lo prendeva per mano e lo conduceva via tra la
ressa.
“HelloMei”esclamarono da dietro di lui, si
girò e vide un vecchio Eddy con la sigaretta in bocca e una birra in
mano che gli faceva l’occhiolino. Mei non
rispose e spinse via Alsazia verso il garage.
“Conosci quel
vecchio?” chiese lei perplessa.“No” si affrettò a rispondere lui, con l’aria
più colpevole del mondo. Alsazia ridacchiò, credendogli, la birra
fa notoriamente miracoli.
Ridacchiò, mentre nel buio
del retro si inciampò nei gradini che portavano in garage, Mei la prese al volo, sorprendendo più di tutti se
stesso per i suoi riflessi.
“Perché ti chiamano Mei?”chiese lei quando furono completamente al buio.
Si risparmiò di dire che era il soprannome di suo padre e che lui
l’aveva ereditato alla sua morte, portare il nome di un morto forse non
era troppo sexy.
“E’ il nome del primo
programma per pc che ha progettato mio
padre”spiegò. “Figo, quindi tuo
padre è una specie di hacker?” domandò allegra.
“Più o
meno”rispose un po’ incerto. Era,
era un hacker. “E tu perché Alsazia?”
Lei alzò le spalle nel
buio “Credo che piacesse a mia madre” rispose con
semplicità, prima di tirarselo addosso, Mei
pensò a quello che gli aveva detto Nikka… bacio con le
labbra… ma poi pensò che non gliene fregava
niente di quello che avrebbe detto Nikka in quel momento, forse era
l’alcol, forse lei era carina, e non aveva alcuna intenzione di cascare
nella romanticheria. E a Mei andava bene così.
Piegò un po’ le ginocchia ed entrambi si appoggiarono a uno
scaffale pieno di cianfrusaglie tipiche da garage.
Sentì la sua mano
infilarsi tra i capelli e chiuse gli occhi mentre si baciavano, non ci volle
molto per capire che ciò che stonava in tutto quello era una fastidiosa
luce elettrica che si era accesa proprio sopra la loro testa.
Mei si
scostò da Alsazia e guardò alle sue spalle mentre lui arricciava
il naso infastidita e lo tirava per il collo del giubbotto in pelle.
“Mei!”
esclamò Nikka sulla cima dei tre gradini sui quali Alsazia si era
inciampata poco prima, sembrava decisamente più sobria di quando
l’aveva vista alla sua entrata alla festa, e teneva stretto per la
cravatta un ragazzo che poteva sembrare un cagnolino da passeggio.
Nikka lo guardava sbalordita con
la bocca lievemente aperta e le sopracciglia aggrottate, forse lui era un
po’ sporco di rossetto, ma non era nulla di così disdicevole, non
stava mostrando i gioielli di famiglia a nessuno e non aveva neanche un
impermeabile giallo.
Nikka si avvicinò sempre
con la stessa espressione in bilico sulle zeppe da dodici centimetri almeno e
le mani sui fianchi, mentre il ragazzo con la cravatta rimaneva impalato sulla porta perplesso.
“Che cavolo fai?” esclamò
mollandogli uno schiaffo sulla guancia.
Fece più male, così
inaspettato.
“Cosa c’è che
non va?” strillò stizzito coprendosi la parte lesa con una mano.
Alsazia l’aveva mollato e guardava la vicenda con gli occhi sgranati
senza capire.
Nikka pestò i piedì e scappò fuori mentre la lampadina del
garage si fulminava con un crepitio. Fuori nel frattempo aveva cominciato a
piovere a dirotto.
Mei
fece uno scatto e la raggiunse sotto la pioggia afferrandola per un braccio e
lasciando Alsazia da sola al buio insieme all’uomo di Nikka.
“Che diamine fai?”
urlò ancora mentre la pioggia lo bagnava completamente.
“Ho fatto quello che volevi
tu! Mi sono trovato una ragazza! Non è abbastanza carina per te? Vuoi scegliermela tu?” rincarò strafottente e
arrabbiato.
“Sei un’idiota! Sei davvero un’idiota!”strillò lei di rimando
con le lacrime agli occhi. Poco lontano le pettegole ed Emily riparate
sotto un ombrello viola a pois non si perdevano una parola.
Il trucco di lei si stava
iniziando a sciogliere, lasciandole due grosse scie nere sulle guance. Mei allungò le mani fino al suo viso con
l’intento di toglierlo del tutto, ma il risultato fu di peggiorare le
cose, facendo un orrendo mischione tra mascara e
fondotinta.
“Non sei così bella
senza trucco… e poi sembri finta, ti sciogli quando piove” disse
andandosene. Pochi metri più in là, al margine del giardino
rimise tutto quello che aveva mangiato e tutto l’alcol che aveva bevuto,
un po’ per l’inesperienza, un po’ per la rabbia.
“Se non fosse stato per il
rigurgito finale sarebbe stata una sorprendente uscita di scena!”
esclamò allegra la mora, le altre due annuirono per poi dare la loro
attenzione a Pallotti che correva nudo per il
giardino ubriaco fradicio.
“Perché cavolo hai
un’auto verde Irlanda?
Fa schifo” sentenziai con la mano tesa fuori a bagnarsi
con la pioggia.
“Penso
che prima di criticare il verde della mia auto dovresti pensare ai tuoi capelli
blu!” ribatté Joyce.
“Ah sì? Vogliamo parlare
allora del tuo pellicciotto arancione?” continuai.
“Su ragazzi! È inutile
prendersela coi colori!” disse dal posto dietro il vecchio Eddy cercando
di fare da paciere.
“Zitto
tu!” dicemmo in coro io e Joyce. Il vecchio Eddy sbuffò.
“Non
ci vengo più alle feste con voi, la prossima volta rimango a casa a
litigare con mia moglie!”blaterò mentre Joyce si fermava per farlo
scendere all’Irish.
“Siamo
arrivati Eddy” disse con un sorriso. Lui scese bestemmiando poco
cortesemente. Joyce ripartì in mezzo alla pioggia più fitta.
“A
cosa devo la guida pacata di sta sera?” domandai
tranquilla allungando le gambe sotto il cruscotto. Joyce alzò le spalle
con un sorrisetto saputo “Ho superato la fase ultra velocità che si ha, appena presa la
patente…”rispose navigato.
“Allora
tra un po’ passeremo alle curve con il freno a mano suppongo”lo punzecchiai.
“Può
darsi” rispose lui sereno tirando il freno a mano per curvare a tutta
velocità e parcheggiarsi davanti al portone di casa mia. “Pensavo
di darmi al rally sai” continuò.
“Sarebbe
carino, così la smetteresti di far rischiare la vita a me in
strada” ribattei non troppo arrabbiata ma neanche troppo contenta della
mossa da stuntman.
Non
scesi subito rimasi un attimo in silenzio a pensare, poi proferii senza
guardarlo “Vuoi salire allora?”
“Fammici pensare” rispose lui con aria mefistofelica.
Sbuffai “Sali idiota!” mi slacciai la
cintura e scesi. Joyce aveva a mo’ di sciarpa una fune di lucine
natalizie prese da chissà dove.
“Cereali?”
chiesi quando entrammo in casa bagnati fradici. Lui
annuì “Però li voglio con la birra” alzai le spalle,
che ci facesse quello che voleva con quello stomaco che si ritrovava.
Aveva
appena afferrato il cibo quando la porta si aprì con un botto rivelando
un arrabbiatissimo Mei.
“Che
è successo?” chiesi brusca, non più del solito,
ma brusca.
“Nikka
mi ha tirato una sberla e devo vomitare” disse senza guardarmie puntando
direttamente al gabinetto nel quale si chiuse.
Alzai
le spalle “Potere alle donne” proferii tranquilla decidendo di
annegare pure io i cerali nel dolce liquido ambrato,
come insegnava Joyce. Ero già brilla, ma andava bene così.
“Ci
ubriachiamo?” chiese lui.
“Io
sono già ubriaca” risposi tranquillamente “E se ci
mettessimo anche dei marshmellon oltre ai cereali e
la birra, come sarebbe?”
Ebbene sì un nuovo capitolo. Avevo un sacco di commenti da
fare su quello che ho scritto, ma sono le 11 e 15 e non connetto più
tanto bene, unica curiosità per chi ha letto Il Potere delle Pesche, la
coppia che a un certo punto criticano le pettegole sono Delfina (occhiali da
sole anche di notte) e Marco (granita e chioma idiota),
piccolo cameo che mi sono permessa, mi piace pensare che i miei personaggi si
possano sfiorare anche da una storia all’altra. Ah, poi ho voluto
introdurre il signor Cumoli, è inutile, ma li avevate già
conosciuti tutti, e ho voluto presentare anche l’ultimo genitore. Infine,
premettendo che non amo indirizzare l’immaginazione di chi legge con foto
eccetera, per chi si vuole fare un po’ di fatti miei la festa me la
immagino come quella del video musicale di The
MiddledeiJimmy
eat world, però con la gente vestita. Mi
piace anche la canzone tra le altre cose! La parte che mi piace di più
del video sono i due che si baciano nel frigorifero, mi fanno morire dal
ridere, ci sono anche in questa festa, non ne ho parlato ma me li sono immaginati!!
Grazie mille a chi ha commentato, TheDuck(molto piacere di conoscerti! In realtà a me
D’annunzio non fa impazzire ma l’ho portato all’esame di
maturità perché trovo che si distingua
da tutti gli altri… XDè l’unico
per cui provo antipatia, gli altri non mi trasmettono nulla, e venni
linciata!!per Joyce e Rachele chissà…),Novembre(sul 27 gennaio
sono rimasta parecchio in dubbio sul mettere la lemon
o meno, ma sono parecchio imbarazzabile e non ce l’avrei fatta, ma se ti
interessa più che altro è consistita in insulti e gomitate!!) e DarkViolet92(grazie mille per il sostegno, sono felice che
tu abbia apprezzato il mio capitoletto dedicato al signor Pavesi!!).
Grazie ancora a chi ha messo la storia tra le seguite e preferite,
ovviamente anche a chi ha letto, spero vi possa piacere anche questo! buona
notte (si adesso vado a letto!!)
Rimasi
a guardare le ciglia scure di Joyce a pochi centimetri dal mio viso. Aveva gli
occhi scuri, i capelli scuri, la pelle scura e nonostante ciò aveva il
coraggio di definirsi Irlandese!
I
capelli erano scomposti sul cuscino, non avevano quella strana forma che era
solito dargli lui, a cresta storta così da dare impressione di aver
appena preso un colpo di vento.
Da
addormentato poteva sembrare a occhio profano quasi innocuo, con le labbra
leggermente aperte e il respiro leggero. Gli passai un dito sulle sopracciglia
scure. Erano strane folte ma sottili, spostai il dito lisciandolo fino ad
arrivare agli zigomi pronunciati, forse un po’ troppo. Gli mancava un
dente. Non che si vedesse, ma quando glielo avevano tolto, alle medie,
perché si era cariato aveva rotto le scatole a tutti perché si
sentiva menomato.“Sempre meglio che essere evirato”
aveva commentato sua sorella Emily sprezzante mentre era alla ricerca di un
fidanzato ricco, analizzando i conti in tasca di vari banchieri degli USA. Al
tempo non sapeva cosa voleva dire, lo scoprì tempo dopo, e si disse
d’accordo con sua sorella.
Passai
un dito sul lato della bocca e sul mento. Non aveva molta barba, ma a quanto
pareva gli stava spuntando quella nuova, avrebbe dovuto raderla, il mento era
un po’ ispido, mi morsi il labbro e gli passai il dito sul collo, pomo
d’Adamo, da piccolo non lo aveva, e se avessi fatto più attenzione
avrei scoperto che era spuntato anche a mio fratello. Le clavicole erano
sporgenti, ci passai sopra il dito seguendone il contorno, e proseguii sulla
spalla.
Joyce
non era un culturista, né un palestrato, né simili, ma non era
come suo padre, che era un piccolo scricciolo appassionato di fumetti, non si
sapeva da chi avesse preso, dato che superava sia me
che suo padre di tutta la testa. Forse era un po’ sproporzionato, con le
spalle troppo larghe rispetto al resto del corpo, da dove erano spuntate?
Chissà, da dove erano spuntati tutti gli altri muscoli… pensai che
Joyce era carino…era carino si, non era un
brutto ragazzo…oggettivamente certo, non che mi piacesse è ovvio.
Però era carino… no, non è vero, Joyce non era carino, era
un idiota, e per sottolineare il mio pensiero gli tirai una sberla in faccia
puntellandomi con un gomito sul materasso.
Lui
sobbalzò mezzo sveglio mezzo no, un po’ per il male, un po’
per il ciocco.
“Oddio,
chi sono? Dove sono? Non ho rubato io i cervi del Re!”
blaterò prima di mettersi a sedere e voltarsi a guardarmi perplesso.
Fece un sospiro. “Ah, sei tu Rachele!”
“Che
ci fai nel mio letto?” sbottai con una smorfia. Lui si accigliò e
mi lanciò uno sguardo eloquente.
“Di
nuovo?” strillai irritata tirandogli un calcio che lo fece cadere per
terra portandosi dietro buona parte della coperta.
“Questa
volta non ho fatto niente è tutta colpa tuaaa…ah!”
finì per terra con uno strillo vagamente femminile.
Alzai
gli occhi al cielo. E così era arrivato anche Natale.
Poco dopo, con un livido sul sedere dovuto
alla caduta dal letto ,Joyce si presentò in
mutande nella cucina dei Pavesi, dove la signora spignattava tortellini e dolci
natalizi.
“Buongiorno signora!”
esclamò allegro lui. Arabella Pavesi lo
gratificò con un sorriso, per nulla perplessa nel vederlo in mutande,
girava spesso per casa loro in quelle condizioni.
“Mio padre le manda un panettone”
disse appoggiandone uno avvolto da una scatola blu,
comprato al supermercato. Il signor Cumoli era tristemente noto per essere una
frana ai fornelli.
“Oh, Joyce caro,
ringrazialo tanto, tuo padre è davvero un tesoro. Tua
madre viene in Italia per Natale?”chiese tranquilla tornando alle sue
cibarie.
Joyce scosse la testa “No, ma forse
verrà insieme a mia sorella Darcy per
Capodanno” spiegò. La signora Pavesi annuì e sorrise
amabile pur non avendo mai sentito nominare nessuna sorella Darcy
in vita sua.
“Mamma” mugugnò Rachele
ancora assonnata facendo il suo ingresso in cucina in camicia da notte.
“Dov’è Mei?”
domandò appoggiandosi stancamente allo stipite della porta, mentre Joyce decisamente più sveglio si girò verso di
lei.
“Oh, è
ancora a letto, pare che ieri sera abbia fatto più tardi del solito. Spero che non si sia
ammalato con tutta quella pioggia. L’avete riportato a casa voi in auto vero?” chiese tranquilla.
“Certo” mentì Rachele senza
esprimere alcuna emozione, poi si rimise in equilibrio su entrambe le gambe e
si avviò verso la stanza con la catenella da cesso, camminando a piedi
nudi sul pavimento freddo.
“Sai ho idea che ieri sera sia successo
un po’ di casino tra tuo fratello e Nikka…oltre la sberla, pare che
abbiano litigato” disse Joyce con aria preoccupato.
“Perché dici?” chiese lei
bussando alla porta del fratello con aria indifferente.
“Me lo ha detto Emily… ho idea che
sia entrato in un circolo… un club… una setta… forse
satanica…” spiegò lui con tono sempre più drammatico.
Il circolo delle pettegole incuteva timore un po’ a tutti.
Rachele incurante non sentendo risposta
aprì la porta sbattendola. La tapparella era alzata e Mei era sdraiato sul letto con gli occhi a mezz’asta
e un pigiama a righe bianche e azzurrine.
“Che diamine hai fatto?” chiese
brusca sedendosi di botto sul suo letto mentre Joyce si appoggiava allo stipite
della porta rimanendo in disparte.
Mei mugugnò
scocciato, era evidente che non gli andava di parlare, ma sapeva che sua
sorella era irremovibile.
“Ho litigato con
Nikka… mi ha fatto una storia infinita sul fatto che dovevo trovarmi una
ragazza e quando alla festa me la sono trovata si è arrabbiata e mi ha
tirato uno schiaffo. Quasi mi fa ancora male…”
disse voltando il viso dall’altra parte con aria triste.
Rachele si voltò a guardare
l’amico che era rimasto a guardare, lui alzò le sopracciglia in
modo eloquente.
“Tu non capisci cosa dicono le donne,
figurati se capisci quello che pensano!”disse rassegnata. Sospirò.
“Su, ripigliati, oggi è
Natale” disse alzandosi. “Ho lo stomaco a pezzi… e ho ancora
voglia di vomitare”disse con un singulto faticoso.
Rachele gli assestò una pacca
amichevole sulla cassa toracica “Tranquillo, la primavolta capita a tutti! Ma non
temere i tortellini sono un toccasana!” disse tranquillamente uscendo un
po’ sbilenca seguita a ruota da un Joyce ancora
mezzo nudo che gli regalò un sorriso raggiante a trentun denti.
Rachele mosse un po’ il cucchiaio nel
brodo appoggiando il volto annoiato al pugno. Zio Michele era già
ubriaco prima di iniziare a mangiare e diceva idiozie a tutto andare, mentre
sua moglie, una sclerotica bionda dall’aria consumata gli urlava dietro
suscitando l’ilarità della tavolata. A parte quella di Mei, che rigirava depresso il cucchiaio nel brodo come la
sorella, di Rachele scocciata e di loro cugina Lisa che imbarazzata nascondeva
il viso scialbo dietro ai lunghi capelli biondi ereditati dalla madre.
La signora Pavesi si apprestava a tirare fuori
le scaloppine ai funghi, il cotechino, le verdure grigliate, il tacchino,
l’insalata russa, i ravioli al vapore, il set di ghiaccioli
all’anice, le castagne, i cachi, la pasta al forno, le cotolette , le costolette d’agnello, e zio Michele tra i fumi
dell’alcol giurava di aver visto anche una colomba pasquale.
La noia imbarazzata e ilare del pranzo venne
interrotta dal suono del campanello.I padroni di casa aguzzarono subito le orecchie. È inutile dire
che non suonava più nessuno a casa loro, e la cosa gettò nel
panico la famiglia, che rimase ferma a guardare la porta finché Rachele
non si alzò annunciando “Vado io”.
Sua madre le aveva confezionato un vestito
turchino,vaporoso con la gonna di tulle che con Natale
non ci stava a dire proprio nulla. Insomma , non si
era mai sentito parlare di un turchino
Natale!
Afferrò la cornetta del citofono
svogliatamente “Chi è?” chiese diplomatica.
Ci fu un sospiro “Sono Nikka,
c’è Mei?”
Rachele si guardò in giro guardinga e
si morse l’interno delle guance pensierosa, poi
riagganciò. Si voltò facendo finta di nulla con
l’intenzione di tornare a tavola ma si trovò suo fratello a
sbarrarle la strada con uno sguardo supplichevole dipinto in volto.
Rachele storse la bocca e poi fu costretta a
dire controvoglia “E’ lei” e poi tornò al tavolo
assestandogli una spallata.
Mei la guardò
andare verso la cucina ancheggiando nel suo vestito turchino. Sospirò e
si chiese cosa fare. Poi con un gesto repentino afferrò la giacca di
pelle e uscì. Rachele sospirò e chiuse gli occhi quando sentii il
botto della porta.
Mei si fermò alla
fine delle scale per guardare oltre la porta a vetri. Nikka lo guardava
dall’altra parte. Lui deglutì e uscì all’aperto, una
sferzata di vento gli investì il viso.
Respirò l’aria gelida mentre lei
lo fissava dal basso, immobile senza sbattere le palpebre.
Indossava un cappotto lungo in panno color
giallo canarino, come l’auto d’epoca, ristrutturata che le stava
dietro.
“Ti va di parlare, o non sono abbastanza
bella per te?” chiese tra il gelido e il supplichevole.
Mei deglutì,
sentendo un groppo in gola, al ricordo di quello che aveva detto la sera prima.
“No, …sì…sì
che sei abbastanza bella per me” blaterò. Nikka si guardò
in giro e poi si mise degli occhiali enormi.
“Dai, sali in auto, facciamo un
giro” disse avviandosi verso la minuscola e antiquata vettura. Mei annuì e la seguì a testa bassa andando a
sedersi al posto del passeggero.
L’auto era piccola, e vecchia,
trent’anni almeno, ma aveva l’aria di essere stata messanuovo,
c’era un girasole sul cruscotto. Si domandò se si fosse vestita di
giallo per essere in tinta con la sua vettura.
Nikka partì sgasando.
“Allora Mei,
capisco, abbiamo avuto dei problemi, mi sono già scusata peri logaritmi,
è stato un colpo basso imboscarmi con quel troglodita di Pallotti mentre tu facevii compiti, e so anche che ti sei
ammalato quando ti ho costretto a fare il bagno nei ghiaccioli, ma speravo che
queste cose si fossero un po’ insabbiate” fece con voce diplomatica
e sicura, non era più indecisa come prima, parlava a raffica, e guidava
veloce, curve a gomito e sgasate, erano ormai usciti dalla città,
intorno a loro campi invernali e assolati.
Da quando Mei era
nato non si ricordava un anno in cui a Natale non fosse stato bel tempo.
“Beh, dai, in questi mesi mi hai
conosciuta, sono una ragazza molto intraprendente, e a volte forse mi faccio
trasportare… spero che potrai capire…” disse tutto con voce
così concitata e stridula che Mei si
preoccupò per qualche secondo che non le potesse causare
un’embolia o qualche cosa di altrettanto antipatico.
Ma alla fine sfrecciando ancora per un ultimo
tornante decise di fermarsi in una piazzola di ghiaia. C’era qualche
ciuffo d’erba spelacchiato e un solo fiore, Mei
non avrebbe saputo dire di cosa.
Scese e una ventata d’aria fredda gli
fece chiudere gli occhi, mentre la portiera dell’auto si serrava con un
botto.
Anche Nikka scese, aveva finito di parlare,
anzi no, si era interrotta per avanzare silenziosamente verso di lui, coi
piedini intrappolati in un paio di ballerine gialle come il cappotto lungo, che
lasciava appena uscire l’orlo della gonna marrone. Non fece rumore
avvicinandosi a lui che guardava la città dall’alto. Se non fosse
stato per l’orribile cappa di smog si sarebbe vista in tutto il suo
splendore medievale.
Lo raggiunse a piccoli passi mettendosi di
fianco a lui coi piedi vicini.
Rimasero in silenzio un altro poco, poi Nikka
parve riaccendersi, come se qualcuno avesse premuto un bottone.
“Beh, e poi per l’altra
sera… forse ho un po’ esagerato col gin, ed è per questo che
mi sono un po’ esaltata, sono felice che tu sia riuscito a trovarti una
ragazza, ma ti dirò, la trovo un po’ sciatta, non potresti puntare
un po’ più in alto, come hai detto che si chiama?”
trillò con voce acuta.
“Non te l’ho detto” rispose
lui in un sussurro “Alsazia, si chiama Alsazia” spiegò.
Nikka fece una faccia schifata “E che
cavolo di nome è?”sbottò.
Mei alzò le spalle
“E’ geografico”, Nikka probabilmente non lo sentì e
continuò a parlare “E poi forse hai fatto troppo in fretta ad
abbordarla!”continuò imperterrita gesticolando senza guardarlo,
come se fosse troppo impegnata a fissare la cappa di smog.
“Hai fatto tutte le tappe che ti avevo
detto?” trillò.
“E tu col tipo che stavi tirando per la
cravatta?” chiese. Non era arrabbiato, non sembrava neanche triste, ne
saputo, era solo una semplice constatazione. Una constatazione che mandò
in buca Nikka.
“Oh… io e… e Coso ci conosciamo da un sacco di
tempo!” disse annuendo ed enfatizzando la parola sacco.
“Non sai neanche come si chiama”
disse con tristezza apatica. Si morsicò l’interno della guancia,
ma guarda come si era ridotto, a essere geloso di una streghetta
esaltata ed egocentrica che non lo vedeva come altro se non come il suo
cagnolino. I levrieri di D’Annunzio. Avevano sicuramente più
lussuosa dignità.
“Oh, no, lo chiamo Coso, perché
mi piace chiamarlo così, sai a volte affibbio soprannomi,per esempio Millie! Non si chiama Millie, è
l’abbreviazione di Millefoglie, che è il suo
cognome!”continuò a spiegare senza il minimo imbarazzo.
“Alsazia è simpatica” disse
poi lui, e Nikka si azzittì definitivamente. Sospirò e guardando
la città coperta dallo smog si avviò verso il guardrail per poi sedercisi sopra. Mei la
seguì facendo lo stesso, non si guardavano, e Nikka tirava piccoli calci
alla ghiaia facendola scivolare a valle.
Da lontano si udì il suono di una
sirena di ambulanza.
“Verso le tre del giorno di Natale il
pronto soccorso si riempie, perché la gente mangia troppo…”
disse lui guardandosi le scarpe.
“Sei cinico” disse lei sottovoce. Mei alzò le spalle “Non è vero,
è che conto le ambulanze… e a Natale verso le tre c’è
l’impennata… Coso
è simpatico?” chiese infine con lo stesso tono piatto.
“No, è un idiota” disse
amaramente lei “Torniamo a casa?”. Mei
annuì ed entrambi entrarono silenziosamente in auto.
L’unico rumore che accompagnò il
viaggio verso casa era il rombo del motore, ci misero più tempo che
all’andata, la guida di Nikka era decisamente più calma e fluida.
Si fermò quasi in mezzo alla strada,
senza curarsi di parcheggiare al meglio, la città sembrava deserta, se
non fosse stata per qualche canto natalizio e qualche fastidioso abete
meccanico e parlante che urlava Merry Christmas.
Scesero entrambi, Mei avrebbe giurato che lei se ne
sarebbe andata e invece lo seguì fino alla porta di casa , si voltò perplesso a guardarla prima di salire.
Lei rispondeva al suo sguardo trenta centimetri più in basso, e
andò a sedersi sullo scalino in cemento che separava la porta
d’ingresso dal marciapiede, la gonna le si alzò un poco, mostrando
una modesta porzione di calze candide.
Il ragazzo rimase con un piede sul gradino e
la mano appoggiata al bottone del citofono,indeciso se
salire o rimanere lì con lei.
Sembrava decisa a rimanere lì seduta,
anche se lui fosse salito.
Fece un passo indietro e si accoccolò
accanto a lei.
“Mi odi?” chiese lei triste. Mei prese un profondo respiro “A volte
sì” ammise infine senza avere il coraggio di guardarla.
“E’ per lo schiaffo? E’
perché ti tratto come se fossi di mia proprietà? E’ perché parlo sempre di vestiti?” chiese con
la voce un po’ piagnucolante. Mei
sospirò senza sapere cosa dire, e Nikka deglutì incerta quando si
accorse dell’ombra scura che aveva sulla guancia.
Non pensava che lo schiaffo che gli aveva
assestato la sera prima fosse stato così forte, gli era venuto il
livido.
Fu in quel momento che una faccia tonda con un
concio spuntò orizzontalmente dalla porta d’ingresso.
“Oh, ragazzi siete qui!”
esclamò allegra la signora Pavesi. Entrambi si voltarono verso la donna,
della quale dalla porta sbucava solo la testa. La testa fu seguita da un corpo
rotondosaltellante
che a piccoli passi si posizionò gioviale davanti ai due mostrando una
torta ricoperta di cioccolato.
“Ragazzi se
volete salire stiamo per aprire il panettone del signor Cumoli! E
intanto vi ho portato giù la torta Sacher!” esclamò
raggiante.
“Non importa mamma, stavo giusto salendo
e..” disse Mei
accennando ad alzarsi prima che sua madre gli appioppasse il vassoio fuggendo
civettuola con un gran sfarfallare di grembiule giallo con tanto di mucche
ricamate al punto croce.
“No, no,
cari” risatina genitoriale infantile “ non volevo interrompervi! Io
torno su, unitevi pure a noi se vi va!” e fuggì su per le scale
lasciando che la porta dell’atrio sbattesse.
Mei si appoggiò al
vetro con la testa sospirando.
“Credi che potremmo essere amici lo
stesso?” domandò lei con una smorfia scettica. Mei
si alzo e le depositò la torta in grembo.
“Non lo so” sussurrò infine
prima di infilansi nella porta e augurare “Buon
Natale Nikka…”. E anche lui come sua madre sparì lasciandola
sola con la torta.
Il primo impulso fu di gettarla a terra
malamente, ma poi ci infilò il pugno afferrandone un gran pezzo e se lo
mise in bocca con rabbia.
Mei salì le scale
di corsa, non perché fosse felice, ma voleva scappare dalla strada dove
era stato fino a un minuto prima. Sua madre aveva lasciato la porta socchiusa,
e sul pavimento del pianerottolo, in palladiana si faceva largo un rivolo di
luce. Spinse piano la porta ed entrò senza far rumore, dalla cucina
arrivavano gli schiamazzi di zio Michele ubriaco che cercava di brindare con
tutti schizzando vino rosso ovunque.
Seduta sul divano con le gambe raggomitolate
sotto al sedere e il vestito vaporoso che occupava praticamente tutto il
residuo sofà, Rachele assisteva alla vita famigliare con noia apatica.
Sembrò avere un guizzo quando vide entrare Mei
furtivo, nella penombra dell’ingresso. Si alzò in piedi di scatto,
guardandolo negli occhi e annunciando “Buon Natale a tutti, io
vado” con scarsa vivacità.
“Tesoro, portati dietro questi, per ringraziare il signor Cumoli del
panettone!” cinguettò la signora Pavesi quasi sdraiandosi sul
tavolo per porgere alla figlia un piatto. Rachele annuì e lo
afferrò, quando si incrociarono Mei non aveva
ancora messo piede in cucina. Gli lanciò un’occhiata, non era di rimprovero,
era di curiosità, e con gli occhi sgranati a guardarlo si avviòverso la porta
d’ingresso , si voltò solo quando zio Michele si accorse del
nipote e gli si lanciò addosso a peso morto.
“Mei, sei tornato! Sentivi la nostra mancanza
vecchio briccone!”, Mei ridacchiò
un po’ imbarazzato cercando di scollarselo di dosso.
“Su, su zio, sono stato via solo
mezz’ora!”cercò di liquidare.
“No, mi sei mancato Mini Mei!” piagnucolò suo zio abbracciandolo. Sua
figlia Lisa, in sincronia con sua moglie si coprì la faccia con le mani
per non vedere la scena.
Rachele fu invece silenziosamente inghiottita
dal buio della tromba delle scale, quando la porta si chiuse definitivamente
dietro di lei.
Rimasi
per qualche secondo ferma immobile sul gradino che separava la porta del mio
condominio dal marciapiede, a guardare Nikka che mangiava con le mani la sacher
di mia madre.
Alzò
la testa per guardarmi, credo che non volesse essere vista così, tutta
sporca di cioccolato. Dedussi che la parte forte della discussione per una
volta fosse stato mio fratello.
Poi,
parte forte, era tutto da vedere, ma a Nikka non era andata bene a giudicare da
come si stava strafogando di torta.
Mi
fece quasi pena per un attimo. Alzai le sopracciglia e mi avviai verso casa di
Joyce, non mi ero nemmeno messa il giubbotto, e la temperatura non era di
gradimento ne alle mie spalle, ne alle mie gambe.
Volevo sbrigarmi a fare quei due passi che mi separavano da casa Cumoli, ma
nonostante questo dissi “Attenta, non hai idea di quante calorie contiene
quell’affare…”.
Lei
fece fatica a non rispondere, e rimase lì, seduta sul gradino, con
l’ultima fetta di torta ancora in mano.
“TI
auguro un turchino Natale” proferii accennando al mio vestito decisamente
fuori luogo.
Non
lo so di preciso perché non mi girai, ma credo che sfracellò
il dolce sull’asfalto e scappò via in auto.
La porta dell’appartamento dei
Cumoli mi fu aperto da Emily che non mi fece vedere altro che la sua faccia,
tenendomi all’oscuro di ciò che si celava all’interno, per
dire “Non guardare la cravatta di Joyce, potresti pentirtene. O almeno se la guardi non descriverla
a tua madre, credo che potrebbe avere seriamente uno shock anafilattico”
disse con voce grave “Ah, comunque buon Natale” augurò prima
di schiudere l’uscio rivelandomi un Joyce coi
pollici alzati seduto sul divano.
“A
tuo rischio e pericolo” aggiunse Emily mentre io rispondevo che
c’ero ormai abituata, non poteva esserci nulla di peggio del pellicciotto
arancione.
“CHE
DIAMINE E’ QUELLA ROBA?”sbraitai appoggiando il piatto sul tavolo
per non farlo cadere, e indicando con aria omicida la cravatta di Joyce.
“Io
la trovo natalizia” mi rimbeccò lui. Oltre a quella volta credo di
non aver mai visto una cravatta con le lucine colorate. C’era raffigurato
un abete illuminato da tante piccole lampadine intermittetenti, come se fosse
stato vero.
Jane mi passò un bicchiere di
spumante “Bevi, che è meglio! Ci ha messo così tanto ad ubriacarsi
quest’anno zio Michele?”
Alzai
le spalle mentre ingoiavo lo spumante “No, era ubriaco prima di cominciare
a mangiare, ho dovuto aspettare Mei”spiegai. Il
signor Cumoli guardò furtivo sotto il tovagliolo che copriva il piatto
che mia madre mi aveva fatto portare.
“Ma
sono dei ravioli al vapore?” chiese perplesso,
sua figlia Jane gli tirò una gomitata “Zitto e non lamentarti, che
il prossimo ano potrebbe arrivarci un cocomero!!”
Io
andai a tagliare la cravatta di Joyce, con l’approvazione
dell’intera famiglia Cumoli.
Turchino
Natale a tutti.
Non sono molto
contenta di questo capitolo, è anche più corto di molti altri, ma
spero che possiate gradirlo, ringrazio tantissimo chi ha commentato lo scorso! Le
risposte ai commenti sono un po’ frettolose scusatemi, avrei voluto
dedicarci più tempo, ma è tardi e domani devo
alzarmi per andare al lavoro.. uffa!!
Melisanna_: che c’è di male
nella bigamia infondo? Sono felice che ti piaccia Nikka, sei una delle poche
che me lo ha detto! Spero che il capitolo ti sia piaciuto!
The Corpse Bride: Eh, si Marco e Delfina mi mancavano! Beh, per
lo spinoff… sinceramente non ho ancora capito
se sono gelosa o meno dei miei personaggi..O.o ma credo che ne sarei lusingata! Anche perché
sicuramente sarai più brava di me con la tragedia (abbiamo constatato
che devo lasciare perdere io!!XD).
in pratica anche se può non capirsi era un sì!!^.^credo che Joyce e Rachele
stiano diventando fin troppo teneri! Non staremo esagerando?XD
e si, forse Rachele assomiglia a Effy,
però Effy non ha un Joyce da tirannizzare come vuole. È un peccato!
Nikka a qualche
problema alimentare, ma è solo a livello mentale, nel senso è
sempre a dieta, ma non è magra da preoccuparsi!!
^.^ te ne sei accorta cavolo!! ^.^
DarkViolet92: Nikka è in
contraddizione, gli piace Mei, ma non lo vuole
ammettere, e quindi quando lo vede con una ragazza d’impulso si arrabbia.
È una cosa stupida in effetti, ma credo che di
gente intelligente in questa storia che ne sia poca!!
TheDuck: come vedi qui sta degenerando un
po’ tutto! La dichiarazione non c’è, ma il casino
sì… prima o poi concluderanno qualche cosa tranquilla!!
Turchino Natale a
tutti! (eh sì, sono un po’ in anticipo!).
comunque nello scorso capitolo nella parte narrata da
Rachele ho aggiunto due righe inutili, se qualcuno non avesse nulla da fare
può andare a darci un’occhiata! Forse scriverò alla fine un
capitolo sui signori Pavesi, mi piacciono come personaggi… ma
chissà…
Volevo dire qualche
cosa d’altro ma non me lo ricordo, spero che il capitolo non faccia
troppo schifo!!
Fin sobbalzò quando il cellulare che
aveva appoggiato sul tavolino basso iniziò a vibrare, e appoggiando i
piedi per terra lo afferrò e rispose.
Fin era un cretino. Il fatto che a volte gli
avessero fatto gestire gli eventi modaioli del Luxury gli aveva dato fortemente
alla testa.
“Pronto?” disse perplesso.
“Fin?” ribatterono dall’altra
parte, “C’è qui una tipa che …ehi!” il ragazzo
al telefono si interruppe per un attimo per bisticciare con qualcuno che
evidentemente lo stava insultando “Sì, sì diamine te lo sto
chiamando!” sbottò arrabbiato il ragazzo.
“Ti ho detto che voglio salire!”
rispose una voce alterata di donna dall’altra parte, anche se sapeva di
averla già sentita non avrebbe intuito subito a chi apparteneva. Prese
una boccata di fumo dalla sigaretta e proferì “Allora?”
“Ah! C’è qui una
tipa…”ricominciò il ragazzino dall’altra parte.
“Nikka” precisò lei. A Fin
scappò un sorriso, allora era Nikka, probabilmente in qual momento stava
battendo il piede e prendendo a borsate il suo amico, e poco importava il fatto
che fosse un sedicenne senegalese alto il doppio di lei. A dire il vero era
anche molto più alto di lui. Di Fin.
Quell’ultimo pensiero lo turbò un
attimo. Non faccio fatica ad ammettere che quel tortellino coi capelli
imputriditi dal gel non era esattamente un lampione della luce per quanto
riguardava l’altezza. Al massimo poteva uguagliare un lampione in
lucentezza usando quegli stupidi orecchini a diamantino che aveva su entrambi i
lobi, e che io detestavo cordialmente. Perfino Joyce era lievemente turbato
dalla cosa, il ché è tutto dire.
Certe cose possono permettersele solo i rapper
americani.
“Vuole salire, dice che è
urgente” concluse il ragazzino senegalese, che stava insieme a un gruppo
di altri tre o quattro ragazzini a far finta di fare i bodyguards . Ovviamente
l’unico con la stazza però, era lui.
“Falla salire” disse con annoiato
tono superiore. Il ragazzino al piano di sotto gli fece l’imitazione non visto
dal diretto interessato e aprì la porta di lamiera che palesò una
scaletta angusta, anch’essa di lamiera.
“Sempre chic dalle vostre parti
Libara” commentò lei sprezzante guardando il ragazzino. Quando gli
ebbe dato le spalle Libara fece il verso pure a lei e chiuse la porta in
lamiera sbattendola.
Nikka sbuffò salendo le scale ripide e
scricchiolanti. Teneva la borsetta in vernice appesa nell’incavo del
gomito ed ancheggiava, neanche dovesse farsi vedere da qualcuno, era sola.
Spinse la porta a grata, chiusa con un paio di assi di legno ed entrò
nell’ufficio di Fin. Se quella cosa poteva essere definita ufficio. Il
realtà l’unico ad usare quell’epiteto era lui.
Nikka si sedette “Questo posto fa sempre
più schifo, Fin… dovresti disinfestarlo, secondo me è pieno
di topi e simili…” rabbrividì. Fin fece una smorfia
“Sei venuta qui per vedermi o per insultare il mio ufficio?”
sbottò lui spegnendo un mozzicone nel portacenere.
“Topaia, più che ufficio”
commentò Nikka appoggiando la borsa lucida sulle gambe.
“Su, su, cosa vuoi? Avrai bisogno di
qualche cosa se ti sei arrampicata fin dentro la pancia della balena”
fece lui con fare malizioso. Nikka fece una smorfia.
“Smettila con queste frasi idiote, siamo
solo nel retro del Luxury… non nel parco di Collodi… comunque si,
non vengo in questo postaccio a fare visite di piacere… al massimo
potrebbero essere di dispiacere e…”
“Va bene, va bene ho capito,
diamine!” sbottò lui a un certo punto interrompendola dato che
accennava a tirare per le lunghe con gli insulti.
“Vieni al dunque! Che cavolo
vuoi?” chiese poco cortese.
“Organizzare la festa di
capodanno” disse sibillina rovesciando la testa da una parte.
Fin fece una smorfia “Ti rendi conto che
oggi è il trentun dicembre?” fece con aria strafottente.
“Ti rendi conto che oggi è il
trentun di dicembre e tu non hai ancora organizzato nulla?”
ribatté lei perfida.
Fin si morsicò l’interno delle
guance.
“non è vero” disse con voce
poco sicura. Nikka se ne accorse “A no? e dove sono gli inviti? Dove sono
gli annunci sul sito della discoteca? E al grande capo che ti ha affidato la
festa cosa hai detto? Ammettilo che non hai avuto uno straccio di idea!!”
gongolò lei mentre il viso di lui si imporporava. Deglutì per poi
sbraitare sbattendo il pugno sul tavolo “Ma che cavolo vuoi? Dei soldi?
La gloria?” sbottò.
“Gloria? Credi davvero che si abbia
gloria a organizzare le feste del Luxury?” si interruppe per ridere
sprezzante. “Non voglio neanche i soldi, voglio solo divertirmi un
po’ ad organizzarla, e perché no, umiliarti un pochino…”
Fin alzò gli occhi al cielo e
sospirò. “Deduco quindi che tu abbia un’idea”
Nikka sorrise sempre più compiaciuta.
“Beh… ho qualche cosa in mente…”
Fin fece una smorfia. Gli scocciava quella
situazione. Nikka poteva essere carina ed elegante quanto voleva, ma era una
strega sclerotica. Aveva sentito parlare di cose strane che riguardavano
levrieri e un certo Gabriele D’annunzio, che sospettava essere il suo
perverso fidanzato.
“Oh, piantala, non vorrai mica che il
padrone del Luxury scopra che il ragazzo a cui ha affidato gli eventi non
è in grado di combinare nulla per la festa di Capodanno!!” fece
lei ammiccante. Fin non le piaceva, era un idiota, e forse non sapeva neanche
chi fosse D’annunzio.
Sbatté gli occhi civettuola
“Allora Fin? Festa speciale per lo staff del Luxury?”
Fin sbuffò molto rumorosamente e
sputò sul pavimento. Nikka si impegnò a non rabbrividire troppo.
“E va bene cavolo! Pensaci tu!”
decise infine messo alle strette. Nikka sorrise e si alzò.
“Ottimo!” esclamò allegra
per poi aggiungere quando già era sulla porta “Ci vediamo Sera-Fin-o” e scappò
giù per le scale.
Fin sbuffò e biascicò
“Strega” prima di sputare di nuovo a terra e prendere il cellulare
per chiamare Libara, da cui era separato solo da un paio di rampe di scale.
“Libara?” disse stancamente ma col
sorriso sulle labbra, mentre l’amico rispondeva scocciato rischiando di
far cadere il marsupio dal quale aveva estratto il cellulare.
“Che vuoi Fin? Sono qua sotto, puoi
scendere o urlare dalla finestra invece che telefonarmi!”
“Smettila di rompermi le scatole!
Comunque ho parlato con quella strega di Nikka, ci pensa lei a organizzare la
festa, noi possiamo goderci le vacanze di Natale in pace!”
Nikka gli passò accanto con un
sorrisino. Libara sospirò e chiuse la conversazione con un ciao poco entusiasta. Trovava che Fin
fosse estremamente stupido. Oltre che estremamente unto.
“Cos’è quel ghigno
soddisfatto? Sei contenta di aver umiliato un po’ Fin? Beh, ci hai anche
conferito la libera uscita” fece serio guardando l’indisponente ragazza.
Nikka fece un sorrisetto mefistofelico e
inclinò la testa da una parte “No, l’ho conferita solo a Fin
la libera uscita, voi venite con me a comprare quello che serve! E siete
fortunati, dato che chiederò a Millie di contattare il catering! Ma servono
un sacco di altre cose! E soprattutto delle lucine colorate, dato che qualche
idiota ha rubato quelle che avevamo comprato per la festa a casa della
Gandolfi!!” e cosìdicendo si avviò verso l’uscita del cortiletto lasciando
Libara decisamente contrariato.
“Su su, gente” intimò agli
altri ragazzetti che fumavano e giocavano a carte sulle scale “Si va al
supermercato!”
“What’s happend?”
sbraitò Joyce irritato, seduto a gambe incrociate su una sedia della
cucina. “Come sarebbe a dire che…” si interruppe un attimo
smettendo anche di muoversi per un secondo. Rachele fumava tranquilla
dall’altra parte del tavolo senza curarsi di fissarlo troppo. Fece un
sorrisetto prendendo una boccata di fumo, mentre il piedino dondolava sotto al
tavolo.
“Daddy? What..what…Mom? che cavolo
vuol dire che non vieni? E che cavolo c’entra Papà?
Daddy!”urlò girandosi a guardare il corridoio sul quale si
affacciavano le camere. Non ricevette alcuna risposta.
“Io, io...he … you
are…” balbettò un po’ incerto sotto lo sguardo attento
di Rachele. Emily lavava i piatti indisturbata ignorando il baccano del
fratello, Jane era immersa nella lettura del suo libro di economia aziendale ed
era altrettanto disinteressata a Joyce.
“Come sarebbe? Non puoi, non puoi!
Adesso…Oh! Fuck!” sbottò e riattaccò il telefono in
faccia a sua madre.
Rachele increspò le labbra con aria
saccente senza distogliere un attimo lo sguardo dal ragazzo.
“Fammi indovinare… la mamma non
viene perché ha litigato con papà al telefono…” disse Emily senza neanche voltarsi e
continuando a dare più importanza al lavello, rispetto a tutto il resto.
“Già” sbuffò Joyce
appoggiando il cellulare sul tavolo.
“Millefoglie?” chiese Jane che la
considerava un’ottima cura per ogni malumore.
“No, devo andare all’aeroporto per
prendere Darcy”
“Oh beh, almeno Darcy viene, si vede che
la mamma ha capito che se lei litiga con papà non c’è
bisogno di tenere in Irlanda anche lei”commentò Emily tranquilla.
Joyce non l’ascoltò
“Rachele vieni con me in aeroporto?” chiese.
Lei alzò gli occhi al cielo e si fece
attendere “Solo se Jane mi prepara una millefoglie.. tutta per me”
Dopo dieci minuti erano
all’aeroportocon un cartello
di cartone su cui stava scritto “Darcy Swift”.
“Spiegami Joyce… non sapresti
riconoscere tua sorella, e hai bisogno di un cartello?” domandò
acida.
“No, ma nei film fanno
così… mi sembrava figo” rispose lui allungando il collo per
vedere se arrivava qualcuno. Rachele alzò gli occhi al cielo rassegnata.
“Comunque” continuò il
ragazzo prendendo un po’ di serietà “non fare parola a mia
sorella del tatuaggio con su scritto il suo nome”.
Lei alzò le spalle “tranquillo,
cosa vuoi che me ne freghi nel tuo stupido tatuaggio”.
Non ci volle molto perché
all’orizzonte apparisse una figurina dai capelli scuri e lunghi, occhiali
da vista enormi e un mucchio di lentiggini che si mordicchiava le labbra e si
portava dietro un piccolo trolley.
La figura era accompagnata da un uomo
decisamente più alto, con i capelli lunghi raccolti in una coda, la
barba incolta e completamente vestito di nero. Era sulla cinquantina ed aveva
degli occhi estremamente vivi e brillanti. Per un secondo Rachele pensò
fosse un barbone appena uscito da un cassonetto. Ma osservando meglio si rese
conto, che decisamente non poteva essere così.
L’uomo dagli occhi brillanti si
avvicinò a loro insieme alla ragazzina che Rachele suppose fosse Darcy
Swift.
Lei fece una smorfia mostrando il luccichio
argenteo dell’apparecchio ortodontico, ma Joyce non dava attenzione a
lei, bensì al tipo in nero, con sguardo perplesso. Rachele sbatté
le palpebre e guardò l’amico.
L’uomo si mise di fronte e lui e fece un
sorriso al di sotto la barba nera, in silenzio.
“Zio Rufus! Tu cosa ci fai
qui?”esclamò lui. L’uomo coi capelli lunghi gli
appoggiò paternamente e con eccessiva verve una mano sulla spalla, tanto
che Joyce barcollò un attimo.
“Ho saputo che si era liberato un posto
sull’aereo e ho deciso di accompagnare io la piccola Darcy nel suo
capodanno italiano, e poi una viaggio gratis non si rifiuta … e poi sai,
il primo marito di tua sorella non si scorda mai, e anche i primi nipoti mi
mancano. Anche se sono deplorevolmente italiani. Ma che diamine ti sei messo
addosso?hai deciso di cambiare sponda e così hai scuoiato un orso
arancione ?” blaterò ininterrottamente senza fermarsi con una
grammatica perfetta e un accento pessimo.
“E’ il solito zio Rufus”
rispose lui colpito nel vivo stringendosi nel pellicciotto “E’
andato bene il viaggio?” chiese poi.
“Oh, beh sì, abbiamo avuto
qualche problema con lo scalo a Milano, ma…” fece allegro.
“Sì, se fosse stato per lui
saremmo finiti a Mandalay”commentò Darcy con voce piatta
ricordando a tutti della sua presenza.
“E dove diamine sarebbe Mandalay,
scusa?” esclamò zio Rufus che in geografia non era mai andato
molto forte.
“In Burma” rispose Darcy stancamente.
Rachele si disse che sicuramente se lo avessero chiesto a suo fratello Mei, lui
avrebbe saputo rispondere altrettanto esattamente.
“Wow” fece suo zio decisamente
disinteressato tornando a dare udienza a Joyce.
“Joyce che diamine, come cavolo hai
fatto a diventare così? Tuo padre è uno scricciolo! Prendi degli
steroidi? Oppure Abigail gli ha fatto le corna… mi sembra la cosa
più probabile, è sempre stata una dai facili
costumi…” raccontò allegro perdendosi nelle sue parole.
“Zio Rufus, piantala è mia
madre!” sbottò offeso. Rufus gli appioppò la pacca della
comprensione dicendo, “Fidati caro nipote, la conosco meglio io di
te”
Rachele e Darcy erano rimaste a fare da
spettatrici a quell’increscioso spettacolo. La prima perplessa, la
seconda annoiata.
Poi Rachele decise che era ora di prendere la
situazione in mano, si giro versò Darcy e disse “Tuo fratello si
è tatuato il tuo nome sul sedere”
Darcy fece una smorfia schifata.
“Avevi detto che te ne saresti stata
zitta!” esclamò mentre Rufus alle sue spalle se la rideva di
gusto.
Rachele alzò le spalle e con
naturalezza spiegò “Beh, se mio fratello si tatuasse il mio nome
sul sedere vorrei saperlo, per poterlo linciare. Insomma, che disonore sarebbe
se Mei si scrivesse Rachele sul
deretano” si giustificò come se fosse in missione per Dio.
Joyce guardò sua sorella che svariati
centimetri più in basso se ne stava con le sopracciglia alzate e
proferì “io non mi farei mai scrivere Joyce sul sedere! E che
cavolo!”proferì con la sua proverbiale calma.
“Neanche io” commentò Rufus
per rincarare la dose, e non perché fosse necessario nel discorso.
“E non è la cosa peggiore!
Dovresti vedere il piercing” continuò Rachele impietosa.
Darcy chiuse gli occhi “Ti prego non
dirmi dove l’ha fatto…” disse con accento inglese.
Rachele sorrise e si chinò un poco
porgendole il piatto su cui stava la millefoglie.
“Questa Jane l’ha fatta per me, ma
se ne vuoi una fetta te la do volentieri” disse.
Darcy la guardò perplessa come per
vedere se scherzava. Rachele alzò le spalle e la ragazzina
allungò la mano per prenderne un pezzo.
“Io sono Rachele” disse con un
tono che non era solita usare.
“Io sono Darcy, ma suppongo che tu
già lo sappiassi…sappissi…sappia…”rispose
lei.
“Già” finì Rachele e
insieme si avviarono verso l’auto seguendo Rufus e Joyce.
“Avete qualche idea per sta sera?”
chiese Darcy sbocconcellando la torta e tirandosi dietro il trolley.
La ragazza blu la guardò sorpresa
“Non pretenderai mica che passi il capodanno in compagnia di gente
simile” rispose lei interpretando lo sguardo della ragazza e accennando a
zio Rufus.
Rachele alzò le spalle. “In
effetti… come darti torto”
Quando a casa Cumoli suonò il
telefonofu Emily a rispondere
“Buongiorno sono Mei, volevo parlare con Rachele, è in
casa?” dissero dall’altro capo del filo in tono da call center.
“Oh, Mei… sono Emily. Rachele
è andata all’aeroportocon Joyce, credo che saranno di ritorno tra poco, le devo dire qualche
cosa?” spiegò allegra dimentica dei piatti ancora nel lavello.
“Oh” fece Mei preso alla sprovvista.
“no, non è importante…è che volevo chiederle qualche
cosa per sta sera… è san Silvestro… e beh, volevo fare
qualche cosa anche io…” spiegò non molto a suo agio.
Emily sorrise alla cornetta “Credo che
lo staff del Luxury organizzi una festa…potresti andarci con una
ragazza… ne conosci qualcuno che potrebbe interessarti?” chiese
senza peli sulla lingua.
“Ehm” non gli sembrava il caso di
inoltrare discorsi del genere con Emily, ma alla fine ammise “Beh, ne
conosco una carina.. ma non ho il suo numero di cellulare, non saprei come
chiederglielo…”
Emily fece una smorfia pensierosa “Come
si chiama? Magari potrei conoscerla…” poi le si accese una lucina
nel cervello ed esclamò “Non sarà mica la ragazza della
festa della vigilia! Quella che stavi baciando prima che Nikka facesse il suo
numero!”
“Ehm, beh ecco ehm, sì…si
chiama Alsazia” disse incerto.
“Oh, che nome del cavolo”
commentò.
“Geografico” sussurrò Mei
mesto dall’altra parte del filo. Emily ci pensò un attimo
“Aspetta un secondo, chiedo a Monica, lei lo saprà di sicuro,
rimani in linea”
Mei la sentì trafficare col cellulare,
ci fu qualche secondo di silenzio e poi in lontananza ricominciò a
parlare “Monica? Ciao sono Emily, devo assolutamente chiederti un
favore…come Edoardo Billi ha fatto le corna alla sua ragazza con la Gigli? Oddio santo! Ma la
gigli con quel rossetto rosso sembra che porti in faccia due canotti, potrebbe
vincere alle gare di canottaggio sulle rapide… e lei lo sa? Che lui le fa
le corna? Sì? Sì? Non ci posso credere… e lui?”
Mei si schiarì la voce
“Emily?”
Emily rinsavì “Ehm, si scusa
Monica, dopo finisci di spiegarmi ora devo chiederti un favore: hai presente
Alsazia? Si quella piccoletta con gli occhi troppo truccati che è sempre
in giro con le scarpe da ginnastica…già, un nome orrendo”
“Geografico” disse Mei tra
sé e sé.
“mi serve il suo numero di telefono, ce
l’hai?” attimo di silenzio
“sì…33847…si…si… come? Oh
sì…ah sì, hai presente Mei, si, il fratello della Pavesi,
si quello che è stato picchiato da Pallotti perché è
andato a letto con Nikka… sì”
“Non sono andato a letto con
Nikka!” sbottò Mei.
“Zitto tu! No, Monica non dicevo con te!
Oh, si la vuole invitare a una festa sta sera…oh, certo che sta sera
dobbiamo andare alla festa dello staff del Luxury, ci saranno tutti… ci
saranno sicuramente anche Edoardo Billi e la sua fidanzata voglio proprio
vedere se la Gigli
avrà il coraggio di presentarsi…”
“Emily…” cantilenò
Mei stancamente. “Oh, scusami Monica…ti richiamo più tardi e
te lo dico, tranquilla”. Emily riattaccò.
“Bene eccoti il numero, comunque dopo
che le hai telefonato devi dirmi se ci viene alla festa con te, perché
devo dirlo a Monica! Prendi da scrivere che te lo detto!”
Mei sospirò, ovviamente non avrebbe
richiamato.
“Nicoletta? Noi usciamo, chiudi tu tutte
le tapparelle!” strillò sua madre dalla porta. Nikka si mise sulle
labbra il rossetto color rosa pesca sistemandoselo ai lati con il mignolo.
“Arrivo! Aspettami!”
esclamò di rimando, spegnendo le luci al neon dello specchio del bagno.
La signora Marianna in piedi sullo zerbino
sbuffò intabarrata nella sua pelliccia di volpe argentata. Si era messa
i guanti di seta e una collana fatta di grosse pietre nere e lucide. Il trucco
era fin troppo pesante, i capelli sistemati di fresco dalla parrucchiera e i
tacchi troppo alti per quanto potessero sopportare i suoi piedi di mamma single
da troppo tempo. Ma per il nuovo fidanzato trentenne si faceva anche quello.
Lui se ne stava con la sua pelle abbronzata i
suoi ricci scuri e i suoi trent’anni dentro a un completo gessato un
po’ troppo appariscente. Affianco a una donna che cercava inutilmente di
essere più giovane. O almeno sembrarlo.
Nikka tirata a lucido, con l’aria
giovanilmente allegra, che Marianna attribuiva all’età più
che all’obbligo morale che sua figlia si dava attraversò il
corridoio battendo i tacchi a spillo sulla palladiana che non le era mai
piaciuta e sistemandosi il colletto del cappotto beige uscì sul
pianerottolo prendendo contro al fidanzato di sua madre.
“Ci sono, ci sono, buon san Silvestro
mamma, buon san Silvestro tizio cubano”.
“Sia chiama Cesar! Ed è il mio
fidanzato da tre mesi razza di figlia irrispettosa! E hai chiuso le finestre
per l’amor del cielo che siamo in ritardo per il cenone?”
strillò.
“No, mamma fallo tu! Io sono già
scesa!” rispose lei dal pianerottolo di sotto.
“Oh, per la miseria!”
sbottò la signora Marianna sbattendo un tacco per terra “Con suo
padre e quell’oca della sua Se-re-ni-ty non fa così! Non ti
preoccupare caro, prima a o poi imparerà come ti chiami! Ora scusami…ma
dobbiamo tornare dentro a chiudere le tapparelle di cui mia figlia si è
fregata altamente” e con un sospiro lo portò in casa. Cesar
silenzioso la seguì.
A casa Cumoli in quello stesso momento regnava
il caos.
“Rufus? Vuoi uscire dal bagno? Io dovrei
fare la pipì!” sbottò il signor Cumoli bussando per
l’ennesima volta.
“Rilassati Jhonny! Vai a chiedere se i
vicini ti prestano la toilette. Io sto facendo il bagno”rispose Rufus
tranquillo da dentro.
“Sfrattato da casa mia? Adesso non posso
nemmeno più nemmeno usare il MIO bagno?! E non mi chiamare mai
più Jhonny per la miseria!!”
Suo figlio passò gattonando dietro di
lui studiando il pavimento con molta attenzione.
“Papà hai visto le chiavi della
macchina?”chiese.
“Bah, guarda in frigo, di solito Emily
sbaglia cassetto e le infila lì…e non guidare se hai
bevuto!” si raccomandò in un eccesso di paternità.
“tranquillo al massimo faccio guidare
Darcy” rispose scherzando. Il signor Cumoli si incupì e
lanciò uno sguardo scrutatore a Darcy cheglielo rispedì da dietro agli
occhiali tondi “Senza offesa, ma non mi va di stare con voi vecchi,
perciò vado con loro” spiegò cristallina.
“Vecchi a chi? Io e Jhonny siamo giovani
dentro!” urlarono da dentro al bagno.
“Basta chiamarmi Jhonny per
carità!ed esci da quella maledetta vasca!”
Rachele aspettava accanto alla porta
già col cappotto addosso e scrutava la casa con uno sguardo un po’
umido e stancamente famigliare. Dondolava un po’ il piede da una parte,
se avesse continuato per molto avrebbe rotto il tacco della scarpa blu.
Aveva un vestito dello stesso colore, che sua
madre aveva deciso di cucine apposta per capodanno. Aveva un’aria un
po’ stropicciata, effetto che la signora Pavesi aveva voluto , ma sua
figlia non aveva idea di come l’avesse ottenuta.
Rachele guardò Joyce con il busto per
metà dentro al frigorifero, ignorando Emily e Jane che facevano
trambusto per casa. La faceva ridere, Joyce. Quando non lo faceva apposta.
“Trovate!” esclamò gioioso
innalzando con un gesto vittorioso le chiavi incrostate di ghiaccio e
rialzandosi da terra.
Salterellò fino a trovarsi davanti a
Rachele. “Siamo pronti!” esclamò mostrando le chiavi gelide.
Lei fece un sorrisetto strano e lo studiò da capo a piedi. Aveva dei
jeans, color jeans, una felpa nera con le rifiniture dorate e una maglietta con
su scritto NY ♥s ME.
Lei ridacchiò “Sei quasi sobrio
sta sera” sussurrò mordendosi il labbro divertita.
In fretta Joyce afferrò degli occhiali
a forma di numero 2009, con gli zeri da mettere sugli occhi e li
inforcò.
Rachelesospirò “Accidenti a me e alla mia boccaccia”si
disse, e se fosse stata il personaggio di uno dei fumetti che vendeva il signor
Cumoli le sarebbe apparsa una gocciolina sulla testa.
“Suvvia, è capodanno!”si
giustificò Joyce. Rachele aprì la porta e proferì
“Andiamo”, la prole irlandese la seguì diretta a prendere
possesso dell’auto verde.
Nikka si era messa un vestito rosa, con delle
frappe sulla gonna e un fiocco che si legava in vita, i tacchi color rosa
antico sprofondavano nell’erba, mentre lei imprecava cercando di
connettere gli ultimi apparecchi elettrici dentro una polverosa centralina.
“Quegli idioti dei tuoi amici hanno
comprato delle luci di natale normali, non da esterno! Diamine!”
sbraitò all’indirizzo di Fin che fumava tranquillamente poco
più in là.
“Suvvia, che cosa vuoi che cambi
scusa?” fece lui tranquillo.
“Non resistono all’acqua razza di
stupido! Cavolo! Non dovevo mandarci Libara e i suoi amichetti! E tu non me la
puoi dare una mano?” sbottò a chinino con i tacchi che affondavano
del terriccio.
“Sei una donna così indipendente,
non hai bisogno del mio aiuto… e poi non pioverà
tranquilla!” fece lui sbuffando fumo.
Lei si pulì le mani strofinandole tra
loro schifata da tutta la polvere che c’era dentro la centralina e diede
un’occhiata al suo interlocutore. “Bah” e tirò un
calciò all’anta di metallo per chiuderla.
“Fortunatamente al catering ci ha
pensato Millie!” disse avviandosi con passo militaresco verso
l’entrata del Luxury dove era già partita la musica e le luci
psichedeliche imperversavano copiose su centinaia di corpi e volti.
“Non dovresti essere così
nervosa, ti verranno le rughe!” commentò Fin, Nikka lo
mandò a quel paese tra i denti, mentre lui rimaneva all’aperto a
finire di fumare la sua sigaretta.
Fu più o meno in quel momento che Mei e
Alsazia arrivarono al Luxury.
“E scusa ancora per come è finita
la serata della vigilia” disse Mei mentre procedevano verso
l’entrata. Lei gli aveva preso la mano vari isolati prima, ma lui aveva
fatto finta di non essersene accorto.
“Figurati, è stata una serata
strana per tutti!” rispose lei comprensiva. Mei si morse il labbro e la
guardò dall’alto. Non si era vestita da sera, aveva dei jeans
sdruciti e una maglietta, ma era carina lo stesso.
Di certo Nikka una cosa del genere non
l’avrebbe potuta sopportare, lei che si metteva a lucido anche solo per
andare a buttare l’immondizia. Sospirò, perché stava
comparando Nikka ad Alsazia? Scrollò la testa come per scrollare anche i
pensieri “Che c’è?” chiese lei divertita vedendo in
quel movimento quello che fanno i cani quando si scrollano l’acqua.
Mei fece un sorriso tirato.
“Niente, entriamo?” disse tutto
d’un fiato facendo un sorriso e pensando che lei era carina anche senza
bisogno di tutti i vestiti di Nikka, il suo trucco e le sue accortezze folli.
Joyce e Rachele intanto se ne stavano seduti
su un divanetto bianco, lei sorseggiava stancamente il suo cocktail con le
gambe accavallate, lui a mezzo metro guardava perso nei suoi pensieri la palla
di specchi e se ne stava seduto sul bordo del divanetto con le gambe
divaricate. Ignorandosi reciprocamente, e occupandosi solo della propria
apatica chinesfera. Non troppo lontani, non troppo vicini.
“Mi sto annoiando” proferì
infine lei con lo sguardo un po’ annebbiato. Fu come se qualcuno avesse
dato un pizzicotto a Joyce, che tornò precipitosamente al mondo reale.
“Vado a fare due chiacchiere con il
deejay” disse alzandosi e sparendo tra la folla. Rachele fece una
smorfia, non era sicura di voler sapere cosa sarebbe andato a combinare.
Fu una sorpresa poco piacevole per entrambe
quando Nikka e Rachele si trovarono sedute affianco. Quando la ragazza in rosa
si era accomodata esausta sul divanetto non aveva notato la Pavesi.
Rachele grugnì e tornò ad
affondare il naso nel suo bicchiere.
“C’è qualche cosa da bere
lì?” chiese rigida. La ragazza blu si girò lentamente a
guardarla in faccia, poi si allungò e le passò una bottiglia di
spumante.
“Non mi dirai che è una brutta
serata?” chiese strafottente.
Il sorriso che Nikka le mostrò
probabilmente fu il plastico della sua immensa collezione di sorrisi finti.
“No, è perfetta Pavesi, tu
fatti i fatti tuoi” disse attaccandosi allo spumate.
Rachele fece una risatina strafottente.
Entrambe alzarono la testa dalle loro bevande
quando la musica dal battere continuo passò ai toni revival di qualche
cosa d’altro.
“Pavesi?” chiese Nikka guardando
in alto verso la consolle “Non è quello che penso vero?”
continuò sperando di aver preso un abbaglio.
“Se stai pensando al Gioca Jouer, sì è
esattamente quello”. Nikka si lasciò andare sullo schienale del
divanetto, poi prese coscienza della situazione e decise che era ora di
strangolare il deejay. Si alzò come una furia e sparì tra la
folla attonita proprio mentre Joyce riappariva e allungava la mano verso
Rachele.
“Che diamine è questa
roba?” gli fece lei indisponente. Lui annuì allegro “Roba
decisamente più divertente di prima” rispose mostrando tutti i
denti che possedeva e con una mano la tirò in piedi per poi trascinarla
in mezzo alla pista.
“Non mi va di ballare questa
roba!” sbottò. Joyce sapeva che non era vero mentre in lontananza
vedeva un tizio con la cravatta leopardata salutare, nuotare e fare il macho.
“Pensavo che queste cose fossero rilegate nella zone revival” disse
Darcy con un bicchiere di succo di frutta in mano, parlando tra sé e
sé.
“SI dice relegate, non rilegate. I libri
si rilegano” spiegò un ragazzo dalla pelle scura , infinitamente
alto , spuntando dal nulla. Darcy alzò le spalle “Buono a sapersi,
comunque io sono Darcy”.
“Libara, piacere”
La folla non si era ancora resa conto di
ciò che era cambiato, e Nikka non era ancora riuscita ad arrampicarsi
fino alla consolle in modo da mettere fine alla vita del DJ che le luci si
spensero lasciando per un secondo la folla immobile e silenziosa.
Joyce afferrò Rachele e la strinse a
sé, lei gli tirò una gomitata. Poi un po’ di ragazze si
misero a urlare e varie imprecazioni più o meno educate salirono al
cielo.
Nikka ci mise un po’ a capire cosa era
successo. In piedi aggrappata alla ringhiera della scala strinse i pugni fino a
che le nocche non diventarono bianche. Fuori si sentiva un prepotente rumore di
pioggia che batteva sui vetri, sul tetto, sull’asfalto.
“Cavolo!” sbottò nel buio.
“Fin! Sta piovendo!” sapeva che il ragazzo era lì,
l’aveva visto prima che le luci psichedeliche si spegnessero.
“Sì sono qui” fece lui
afferrando una cosa di cavallo che poi si rivelò essere di una ragazza
che stava ballando fino a poco prima affianco a lui.
“Oh, scusa, pensavo fossi Nikka”
“Diamine” imprecò lei
irritata e abituandosi al buio lo afferrò per il polso e lo strascinò
giù per le scale nel turbinio di folla urlante.
“Cosa credi che sia successo?”
chiese lui con voce un po’ alticcia.
“Si è messo a piovere. Le lucine
di natale non erano d’accordo, e hanno fatto saltare la luce di tutto
l’edificio!” spiegò lei rassegnata.
Quando la luce si spense Mei era appoggiato al
muro intento a baciare Alsazia, e si sentiva contento, senza troppi pensieri,
lei si mise a ridere quando la luce si spense e si strinse un altro po’ a
lui. Non si sentì uno stupido. Nikka di solito lo faceva sentire un
idiota. Alsazia sembrava apprezzarlo, non lo stava prendendo in giro. Gli
stampò un altro bacio sulle labbra e disse “Ti va di fare una
passeggiata al buio per le viscere del Luxury?”
Poco più tardi mentre Nikka imprecava
sotto la pioggia riparata solo da un ombrello giallo Rachele seguiva Joycequalche passo più indietro. Lui
procedeva per i corridoi bui facendosi luce, per quel che poteva con un
accendino di plastica arancione.
“Non posso credere di essermi
dimenticato di Darcy! e con sto buio non la troveremo mai! Non dovevo perderla
d’occhio! Sono un idiota!” si disse preoccupato. Dietro di
sé era rassicurante sentire i tacchi di Rachele che sbattevano sul
pavimento. Lei era silenziosa, e per tutto quel tempo non aveva detto niente,
mentre lui aveva continuato a lamentarsi e a preoccuparsi per sua sorella.
Sentì il tacchettio aumentare e in
pochi secondi si trovò Rachele affianco, più bassa di lui di
tutta la testa.
Fece un sospiro prima di cominciare
“Senti Joyce, Darcy ha tredici anni non quattro, e ha un cellulare, non
credi che se avesse avuto bisogno ti avrebbe telefonato?” fece con aria
un po’ strafottente.
Lui storse le labbra, in effetti, Darcy
probabilmente se la stava cavando anche meglio di lui. Rachele aveva ragione.
Aggrottò le sopracciglia e le
stampò un bacio veloce sulle labbra.
Lei lo guardò con aria omicida, Joyce
si disse che forse quello non era proprio il momento più adatto per
darle un bacio. Forse aveva bevuto un po’ ed era indisposta verso
gentilezze di ogni tipo, e con ogni probabilità si sarebbe beccato un
calcio negli stinchi a momenti. Rimasero a guardarsi negli occhi per qualche
secondo. Poi indipendentemente da tutte le aspettative, Rachele gli
passò un braccio dietro al collo e lo strattonò alla sua altezza
baciandolo. Joyce mollò per terra l’accendino dicendosi che
infondo tutta quella luce non gli serviva e che sicuramente sua sorella Darcy
se la sarebbe cavata benissimo da sola. Le passò le braccia dietro la
schiena e la strinse sollevandola un poco da terra dove già lei arrivava
solo con le punte dei piedi. Lei gli prese il labbro tra i denti e Joyce si
chinò in avanti per appoggiarsi al muro. Ma il muro si aprì ed
entrambi caddero rovinosamente a terra con un tonfo sordo e un urlo di Rachele.
“Ahia! Joyce! Quanto cavolo pesi?”
sbraitò. “Non è colpa mia!” sentenziò lui
cercando di spostarsi. “Evidentemente quella a cui ci siamo appoggiati
era una porta e non un muro…” disse. Lei si mise a sedere e si
massaggiò la testa.
“Questo posto è lurido, che roba
è?” chiese riconoscendo la forma di un divano e di un tavolinetto,
fuse con la polvere che si era alzata dal pavimento dopo la loro caduta.
“Direi il ripostiglio-ufficio di
Fin” azzardò Joyce pensieroso. Rachele si alzò per poi
andare a sedersi sul divano tirandosi le ginocchia al petto. “Quanto
manca a mezzanotte?”
Joyce guardò il suo orologio con le
lancette fosforescenti.
“Un quarto d’ora”. Si
fissarono, per quanto possibile, al buio, lui seduto per terra lei sul divano.
“Credo che sia ora di andare a recuperare
uno spumante! Ne ho visto uno vicino a Pallotti, non farà storie per
darmelo!” sentenziò e si alzò disordinatamente raccattando
l’accendino da terra, poi corse fuori.
Un paio di piani più sotto Libara
seduto sui ripiani della cucina guardava insistentemente la luce di emergenza
verde.
“E così tu seiIrlandese eh?” chiese. Darcy
annuì.
“E quindi non sei della nostra
scuola” continuò.
“Direi proprio di no, dato che ho
tredici anni e abito a Gallway… sono due ore e mezza di volo…
sarebbe scomodo…” fece lei annuendo sarcastica.
“Vuoi mangiare qualche cosa? Qui
c’è il frigo, non credo già tutto avariato, anche se
è saltata la luxia…lucia..luce!” disse saltando
giù dal bancone e dirigendosi al frigorifero. Libara fece un sorrisetto
“C’è solo ananas surgelata e dell’uva…
credo…”disse lui.
“Vada per l’ananas allora”
disse procedendo a tentoni nel frigo.
Mei non aveva capito bene come erano finiti
lì dentro, e in realtà non aveva nemmeno capito dentro dove
fossero finiti, l’unica cosa che riusciva a capire era che nel buio
Alsazia lo stava baciando e abbracciando, che continuava a sbattere il fianco
sugli spigoli, che non aveva la più pallida idea di quanto mancasse a
mezzanotte e che non gliene fregava nulla. L’unica cosa a cui pensava era
a non voler far passare quella sensazione.
Era lei? Era il fatto che avesse di nuovo
bevuto e che proprio l’alcol non lo reggeva? Non avrebbe saputo dirlo.
La signora Pavesi estrasse dal frigorifero di
casa Cumoli lo spumante, a suo dire troppo freddo faceva male alla digestione,
quindi era meglio estrarlo un po’ prima di mezzanotte quando sarebbe
stata ora di berlo.
Probabilmente suo fratello Michele non la
pensava così, e nemmeno zio Rufus che già mezzi brilli si
avventarono su Arabella e la sua bottiglia. Ci fu un po’ di baruffa e i
due rincorsero la poveretta per tutta la casa per conquistare l’agognata
bevanda, finché lei non si chiuse in bagno.
Si sedette sul bordo della vasca e
sospirò, come gli era venuto in mente di passare il capodanno con loro,
non era meglio andare a guardare un film con la zitella del terzo piano come al
solito?, ma il signor Cumoli aveva insistito. E in effetti poteva capirlo,
passare una serata con quei due già ubriachi alle dieci di sera era
sicuramente faticoso.
Rufus e Michele erano stati compagni
d’università, che probabilmente avevano frequentato per sbaglio. E
dall’ora non erano cambiati molto. Si accigliò e si chiese come
faceva suo fratello ad aver trovato una moglie. E oltretutto si era anche
riprodotto.
La selezione naturale era sicuramente
ingiusta.
Il signor Cumoli scrollò una bottiglia
di liquore. “L’avete già finito? Ma come è
possibile?”
Joyce aveva recuperato una bottiglia di
spumante, ora la cosa difficile era ritrovare la strada per andare da Rachele.
Arricciò il naso, doveva andare a destra o a sinistra? Alzò le
spalle e andò a destra, con la bottiglia da una parte e
l’accendino dall’altra. Si chiese se avrebbe resistito, o il gas
sarebbe finito prima che la luce facesse la sua ricomparsa.
Poi si ritrovò a illuminare due ragazzi
troppo intenti a sbaciucchiarsi per notarlo, fu solo quando si schiarì
la voce un paio di volte che si accorsero di lui.
Lei non aveva i capelli blu, ma lui si
ricordava di lei, lui sorrise e Sofia fece lo stesso “Su, su ragazzi!
Almeno imboscatevi come fanno tutti. Sono quasi convinto che da queste parti ci
sia un bagno!”
Fu allora che tutti e tre furono illuminati da
un fascio di luce bianca.
“Enrico Rigatti insieme a una delle oche
blu! Non me l’aspettavo…Monica hai visto Pallotti sta sera? Dici
che si è trovato qualcuna?”disse una voce familiare. Joyce si
coprì gli occhi col braccio.
“Emily, per piacere!”sbuffò.
“Joyce non ti ci mettere anche tu, sta
sera sono di cattivo umore perché con sto buio non vedo se ci sono
uomini abbastanza ricchi da meritarsi di essere amati da me!” e
così come era apparsa sparì portandosi via la luce e lasciandoli
al buio. Joyce riprese a mano l’accendino che aveva spento ed
illuminò i due ragazzi che ancora abbracciati guardavano perplessi il
punto in cui Emily e la sua luminosità erano sparite.
“Ragazzi… odio chiedere
informazioni ma… avete idea di dove sia il ripostufficio di Fin?”
Nikka batteva i tacchi sul tombino su cui
stava in piedi, l’unico punto dove non potesse sprofondare
nell’erba.
“Allora? Razza di zotico? Hai concluso
qualche cosa?” sbottò proteggendo se stessa e Fin dall’acqua
con un ombrello giallo mezzo rotto. “Su, su dolcezza, non ti arrabbiare
troppo, che poi tivengono le
rughe! Comunque mi servirebbe la cassetta degli attrezzi, non è che
l’andresti a prendere?” chiese sibillino. Nikka fece un smorfia
“Va bene, dov’è?” sbottò di malavoglia.
“Nel ripostiglio, quello del corridoio
vicino alla parete di specchi, è la terza porta a destra, al piano terra…dato
che sei così accondiscendente potresti darmi anche un bacio prima di
andare a prendere gli attrezzi”. Nikka lo fulminò con lo sguardo,
poi gli sbatté in testa l’ombrello e si diresse verso il Luxury con fare militaresco.
La signora Pavesi guardò
l’orologio dorato che portava al polso. Dieci secondi a mezzanotte,
sarebbe potuta uscire a quel punto. Fissò la porta bianca del bagno e
sospirò alzandosi dalla vasca, poi fece un sospiro e girò la
chiave nella toppa.
Si ritrovò davanti zio Rufus e zio
Michele in posizione d’attacco. “Mancano dieci secondi a mezzanotte
che cavolo! Non fate i bambini!”. Probabilmente i due non erano
d’accordo perché le piombarono addosso puntando la bottiglia di
spumante. “Giovanni aiuto! Aiuto, cavolo!” strillò
soccombendo.
Nove.
Nikka avanzava veloce per i corridoi vuoti nel
retro del Luxury, e le veniva da piangere, a mezzanotte del giorno di San
Silvestro girava da sola come un idiota per un corridoio buio con una torcia in
mano. Che cavolo ne era stato del suo eterno divertimento, della sua vita fatta
per il bello. Chi se ne fregava se poi non si divertiva davvero, era bello il
fatto che fosse bello. E in quel momento, alla festa più attesa
dell’anno era sola, senza un ragazzo, senza dello spumante, senza degli
amici e senza Millie e Vanessa che la idolatrassero. Che ne era stato di Nikka
e la sua vita lucente? Tirò su col naso sperando che la matita per occhi
non si fosse sbavata.
Otto.
Joyce sorrise quando finalmente ritrovò
la porta scorrevole che chiudeva l’ufficio di Fin. La aprì fino a
metà con la mano che teneva l’accendino. Non sopportava le porte
scorrevoli, faceva sempre fatica ad aprirle.
Rachele che seduta sul divanetto orrido
di Fin , si era tolta le scarpe si alzò e gli si mise davanti. Joyce
gioviale alzò la bottiglia di spumante che aveva recuperato. “Si
brinda?” chiese. Lei gli passo una mano sulla guancia e gli diede un
bacio. Joyce decretò che no, non si sarebbe brindato, appoggiò
distrattamente la bottiglia sul tavolino basso e lasciò scivolare per
terra l’accendino mentre l’abbracciava e le passava le mani tra i
capelli e sul vestito blu. Il blu era sicuramente il colore più bello a
parer suo.
Sette.
Mei appoggiò le labbra sulla fronte
della ragazza che al buio le stava davanti, lei lo stava abbracciando forte e
sentiva le sue mani sulla schiena, mentre i suoi capelli gli finivano in
faccia. Era minuscola e aveva un buon profumo, non avrebbe saputo dire di che
marca, Nikka di sicuro l’avrebbe riconosciuto. Avvertì un brivido
fastidioso, che scacciò subito, e diede la colpa del freddo che sentiva
al fatto che Alsazia gli avesse deliberatamente tolto la maglietta.
Sei.
Libara guardò Darcy trafficare dei
cassetti della cucina alla ricerca di qualche cosa di contundente con cui
squartare l’ananas. Darcy non era bellissima, era saccente, e parlava un
po’ sgrammaticato. Aveva gli occhiali, l’apparecchio per i denti, e
i capelli fin troppo lisci. Ma lui la trovava carina, e si stava divertendo,
avrebbe dovuto andare a visitare l’Irlanda, che fosse davvero così
bella?
Guardò l’orologio.
Cinque.
Fin sbuffò a chinino davanti alla
centralina elettrica, coperto solo da un ombrello giallo mezzo rotto. Era
quello il suo meraviglioso capodanno? Sospirò e si accese una sigaretta
alla belle meglio tenendo l’ombrello tra la spalla e il collo. E in tutto
questo Nikka neanche ci stava. Si chiese se avesse qualche altro ragazzo in
quel periodo, e pensò che era strano non averla vista ubriaca e
aggranfiata a qualche energumeno proprio il giorno della festa di capodanno.
Alzò le spalle e si disse che forse era meglio non aver concluso nulla
quella sera con lei, Nikka aveva la fama della schizzata.
Quattro.
“Io ti dico che sono le undici meno
quattro secondi, mica è ancora mezzanotte!” blaterò al buio
Vanessa cercando di togliere la bottiglia dalle mani si Millie.
“E io ti dico che il tuo orologio
è paurosamente indietro! È quasi mezzanotte! E se non molli la
bottiglia non stapperemo in tempo!” sbottò lei di rimando.
Tre.
“Piuttosto ragazze” disse qualcuno
illuminandole con un fascio di luce senza che loro potessero vederla in volto.
“Si brinda con lo spumante, mica col
gin! Come fate a fare il botto?” domandò Emily pratica seguita
dalle sue pettegole. Millie e Vanessa aggrappate entrambe alla stessa bottiglia
la guardarono perplesse.
“Comunque per dire la verità
ormai è mezzanotte, e noi brinderemo con voi”decretò solo
perché non aveva trovato né un marito ricco né una
bottiglia con cui brindare.
Due.
Marianna sorrise stringendo con una mano il
calice dello spumante e con l’altra il gomito di Cesar che con lo stesso
sorriso mostrava i denti bianchi.
La sala in cui si trovavano era enorme e
addobbata a festa. Se Marianna avesse conosciuto davvero sua figlia avrebbe
detto che somigliava alla sua mano, quella che l’aveva decorata. Sul
palco una donna di mezza età ben tenuta, o solo rifatta, strillava un
conto alla rovescia inguaiata in un vestito di lustrini argentati.
Cesar guardò i drappi lucenti e le
palline dorate appese ovunque e poi guardò i capelli biondi della sua
compagna. E pensò che non vi era differenza. Sorrise e alzò il
bicchiere.
Uno.
A mezzanotte in punto sul canale nazionale la
presentatrice urlò un Buon anno
che riempì l’aria. Partirono tappi di spumante, verso il soffitto,
verso il cielo, verso gli occhi di alcuni sfortunati astanti. L’ospedale
cittadino segnalò quattro ricoveri causati da tappi di spumante finiti
negli occhi.
E il signor Michelini, nominato con voto
unanime all’assemblea di condominio come incaricato ai fuochi artificiali
di san Silvestro imprecò a lungo perché non voleva smettere di
piovere.
Arabella guardò Giovanni negli occhi
con aria rassegnata. “Non sono riusciti ad aspettare dieci
secondi…” sbottò scocciata. Il signor Cumoli alzò le
spalle “Non sarà la fine del mondo infondo…” e
alzò il calice pieno di succo di frutta, dato che lo spumante se lo
erano scolato tutto gli altri due “Buon anno Arabella”
“Buon anno Giovanni” i bicchieri
tintinnarono scontrandosi.
Mei e Alsazia non sentirono tintinnare i
bicchieri, non sentirono i petardi lanciati da qualcuno in un bagno poco
distante, ma sentirono la porta aprirsi e videro un fascio di luce illuminarli.
Si scostarono l’una dall’altra, e
guardarono il nuovo venuto. O meglio, la nuova venuta, nel buio visualizzarono
la sagoma rosa antico di Nikka che teneva in mano la torcia.
Nikka li guardò, li vedeva meglio di quanto
loro potessero vedere lei. Si morsicò l’interno delle guance,
costringendosi a non dare intonazione alla voce.
“Stavo cercando la cassetta degli
attrezzi, questo è lo sgabuzzino” disse piatta. Fece un respiro
profondo e si voltò verso il mobile senza ante, in metallo, alla ricerca
di qualche cosa daportare a Fin.
Contrasse le mascelle e si sforzò di non chiudere gli occhi per non far
scendere tutta l’acqua salata che aveva intrappolata sotto le palpebre.
Trovò una cassetta metallica abbastanza
pesante, non era sicura che fosse quella giusta, ma non voleva rimanere
lì un momento di più. L’afferrò e si alzò
rigida, poi prima di uscire volse ancora il volto verso i due che erano rimasti
immobili a guardarla.
“Fate come se io non fossi mai
passata”proferì seria, con fatica uscì tirandosi dietro la
cassetta e chiuse la porta con un calcio.
Si avviò quasi correndo verso il
giardino e quando fu finalmente fuori si lasciò bagnare dalla pioggia e
lasciò cadere per terra sul vialetto la valigetta degli attrezzi, per
poi andare a piangere, senza meta e senza idee al bordo del marciapiede.
Si sentiva un’idiota. Mei era un idiota.
Era un maledetto secchione che non era in grado di combinare nulla. E presto
anche quella tiziadal nome assurdo
se ne sarebbe accorta, che oltre i suoi bei vestiti c’era solo uno
stupido intelligentone del tutto incapace di condurre una relazione
interpersonale. Un adorabile idiota dai bei vestiti. Tirò su con naso,
tanto nessuno l’avrebbe vista, e per una volta non gliene sarebbe neanche
importato.
Un tizio si sporse da un finestrino e la
guardò. “Ehi tu? Tutto a posto?” urlò, avvicinando la
limousine che guidava, a dove Nikka stava appollaiata.
Nikka annuì cercando di asciugarsi le
lacrime che si mischiavano con la pioggia.
“Sicura? Se vuoi ti do uno strappo a
casa… tanto mi hanno pagato in anticipo… comunque io sono Alfredo,
piacere di conoscerti”.
Nikka fece una specie di sorriso.
“Nikka… grazie” piagnucolò salendo sul posto davanti
della limousine accanto all’autista.
In quel momento un energumeno biondo
attraversò il pratocorrendo
all’impazzata “No, quella limousine è mia! L’ho
prenotata io!”urlò come indemoniato.
Ma l’auto di lusso era già
partita. E invece verso di lui si faceva strada con aria decisamente arrabbiata
una ragazza che gli tirò una sberla sulla guancia chiara “Mi avevi
detto che avevi prenotato una limousine per me! Ma a quanto vedo era solo una
scusa per adescare! Brutto pezzente!”urlò.
“Fiorellino! Ma io l’avevo
prenotata, ma me l’hanno rubata e.. e...”cercò di giustificarsi
impacciato.
Ma la ragazza era troppo arrabbiata per
ascoltarlo e cominciò a parlare con un tono di voce così acuto da
fare quasi l’effetto delle unghie sulla lavagna.
“Non mi farò prendere in giro
oltre!” e come era apparsa se ne sparì di nuovo all’interno
del Luxury .
Pallotti si lasciò cadere per terra
arreso “E’ la seconda volta… e che cavolo
però…”piagnucolò.
Nel ripostiglio intanto tutto era tornato buio
e Alsazia avvicinò Mei a sé passandogli la mano sulla schiena. Lui
appoggiò di nuovo le labbra sulle sue, come se nessuno gli avesse
interrotti.
Ma c’era freddo. “Tu non hai
freddo?” chiese spaurito guardando il soffitto a occhi sgranati.
“Non dire sciocchezze, il riscaldamento è al massimo” lo
rimbeccò lei ridanciana ricominciando a baciarlo.
Mei deglutì, lui aveva freddo. Ma non
era freddo vero, aveva i brividi. Pensò per un secondo al vestito rosa
che aveva appena visto. Si sentì soffocare nel freddo con le labbra
premute su quelle della ragazza.Si
allontanò di un passo, e lei per poco non perse l’equilibrio.
“non posso.. non posso… con
te”spuntò quasi in preda al panico. “Mi spiace” disse
infine senza sapere realmente come comportarsi e aprendo la porta fuggì
lasciandola perplessa e senza maglia in una ripostiglio buio.
Le luci in corridoio si accesero. E la porta
dello sgabuzzino si riaprì illuminandolo.
“Scusa , ho scordato la maglietta”
disse Mei, e sparì come era apparso.
Alsazia era sempre più stupita ed
attonita, non era nemmeno riuscita a dire qualche cosa. Quel ragazzo era fuori
come un balcone per mettersi a fuggire così. Ma non ebbe ulteriore tempo
per pensarci perché la luce dello sgabuzzino si accese e un paio di
figure maschili apparvero dal nulla.
“Oh, c’era qualcun
altro!”esclamò un tizio piuttosto anonimo coi capelli castani. Lui
e il ragazzo alla sua sinistra si guardarono.
“Tu non hai visto niente” aggiunse
poi rivolto ad Alsazia “Vorrei che certe cose rimanessero
personali…” ed entrambi se ne andarono.
Mei corse senza meta per un po’,
salì e scese scale a caso, senza avere idea di dove stesse andando.,
finché non incappò in una porta aperta e illuminata, dentro la
quale di sfuggita gli parve di vedere due figure conosciute. Tornò
indietro per capire cosa il suo subconscio aveva registrato che invece la sua
ragione non era riuscita ad afferrare, e si affacciò in quello che lui
non sapeva essere lo studio di Fin. Anche perché non aveva la più
pallida idea di chi fosse questo Fin.
La scena che gli si presentò davanti fu
forse la più sorprendente della sua vita, o comunque l’ultima cosa
che si sarebbe mai aspettato di vedere. Joyce e Rachele seduti sopra un divano
orrendo, che si baciavano.
Joyce e Rachele che si insultavano sempre, non
si sopportavano, si facevano le peggiori angherie, Joyce e sua sorella, che si
baciavano.
“Ehi!” esclamò senza
nemmeno rendersi conto di averlo fatto. Entrambi si voltarono verso di lui, per
nulla preoccupati.
“Ehi, Opossum…” disse sua
sorella con aria assonnata.
“Voi…voi…”
cominciò senza saper veramente proseguire la frase.
“Oh, siate
tutti qui…” disse una voce dall’accento un po’ stano,
mentre una testa bruna si sporgeva nella stanzetta.
“Darcy!” esclamò suo
fratello vedendola arrivare mano nella mano con un ragazzo dalla pelle color
ebano. Si disse che anche se non era andato a cercarla, lei se l’era
cavata benissimo. Darcy alzò le sopracciglia a mo’ di saluto.
Libara preferì rimanere in disparte.
“Come è andata la serata
Mei?” chiese Joyce stancamente sistemandosi meglio sul divano.
“Male!” sbottò deciso.
“Ho baciato Alsazia, ma poi è apparsa Nikka e…e credo di
essere impazzito” spiegò con fare poco comprensibile.
“Potrebbe essere un preludio, sta notte
è anche la luna piana”
sentenziò la piccola Irlandese.
“Darcy? hai idea di cosa voglia dire
preludio?” domandò Joyce perplesso.
“Assolutamente no” rispose lei
sibillina.
“Credo che sia ora di tornare a
casa…” decretò Rachele che fino ad allora se ne era rimasta
con le palpebre pesanti seduta sul divano senza dire nulla.
“Certo” rispose Mei con un sorriso
tirato che probabilmente somigliava a uno di quelli plastici di Nikka.
“Ma prima vorrei parlare con Joyce…in privato”.
Joyce si indicò stupito. Mei
annuì con aria sarcastica, non c’erano molti altri Joyce in quella stanza.
I due si sistemarono nel corridoio che era
tornato buio, illuminati dalla luce che usciva dall’ufficio di Fin.
“Allora?” chiese Joyce.
“Allora cosa? Sei mio amico! Come ti
salta in mente di sbaciucchiarti così mia sorella? Promettimi che non
succederà mai più!” sbottò Mei in un eccesso di
fratellanza. Per un secondo sentì tutti gli obblighi di fratello
maggiore che aveva ignorato per anni.
Joyce soppresse una risatina e alzò le
sopracciglia. Mei si irrigidì “mi stai dicendo che non è la
prima volta?” chiese con un sussurro senza voler davvero sapere la
risposta.
Joyce soppresse un sorrisetto e alzò le
spalle.
“Oh, mio Dio, da quanto va avanti questa
storia, su dimmelo…rapido e indolore”. Joyce fece una smorfia,
parve pensarci “Se la prendiamo alla larga direi la prima volta che mi ha
insultato” spiegò pensieroso.
“Cioè?”
“Quando mi sono presentato e lei mi ha
detto che nome del cavolo è
Joyce?... avevamo otto anni…circa, se la prendiamo per il fine invece
è da quando abbiamo tredici anni…”
Mei deglutì, meno divertito di quanto
pareva l’amico irlandese in quel momento.
“Joyce quando compi diciannove
anni?”
“A marzo…”
“Quindi sono sei anni che va avanti
questa storia e io non mi sono accorto di nulla?” chiese mesto più
a se stesso che a Joyce. Lui alzò le spalle “Rilassati Mei, fino a
due mesi fa non sapevi nemmeno che io esistessi! Dovresti uscire un po’
più spesso dai tuoi paradisiaci venti metri quadrati…”
Mei sospirò “Ho proprio bisogno
di andare a casa”.
Cesar avvicinò una fetta di millefoglie
a Nikka che stava seduta immobile e composta, con gli occhi allagati, al tavolo
della cucina. La guardava dall’alto, si era tolto la giacca e mostrava la
camicia a righe, con le maniche tirate su. Era perplesso, e in un certo senso
anche preoccupato, per quella ragazzina impertinente che in tre mesi non si era
neanche sforzata di imparare il suo nome.
Nikka non si era mai preoccupata di guardarlo
per bene.
Era il fidanzato di sua madre, perciò
non veniva considerato uomo, lo vedeva come una creatura asessuata. Come sono
tutti i genitori, anche se Cesar a fare il genitore non avrebbe neanche dovuto
provarci.
“Vuoi del tea?” chiese piano come
avendo paura di fare rumore. Senza avvicinarsi, rimanendo educatamente vicino
al bollitore per l’acqua, con la sigaretta appesa distrattamente alle
labbra.
Nikka scosse la testa, Cesar non avrebbe saputo
dire dove stava guardando in quel momento, di certo non lui. “No,
grazie…e non mangio neanche” piagnucolò riferendosi al dolce
che lui le aveva allungato.
Cesar lo guardò silenziosamente, come
vedendoci dentro un fallimento. Non capiva perché proprio non riusciva a
fare nulla per piacere a quella ragazza.
“Cos’è successo sta
sera?” chiese il più dolcemente possibile, mentre il timer del
bollitore squillava argenteo.
Lei alzò le spalle continuando a non
guardarlo, i suoi occhi erano fissi alla finestra, al cupo diluvio che
continuava a imperversare sulla città.
Eppure
sui colli,dove aveva passato tutta la sua serata, non pioveva, aveva pensato Cesar.
Ma dove c’era Nikka pioveva davvero a dirotto, anche sulle sue guance.
Silenziosi due rigagnoli scioglievano il fondotinta.
“Marianna mi ha detto che Serenity, la
fidanzata di tuo padre ti sta simpatica…”cominciò, non
avrebbe dovuto, e si odiò, probabilmente Nikka in quel momento stava
male per chissà cosa,magari Paris Hilton era uscita senza abbinare al meglio
i suoi accessori, o aveva scoperto che anche il tofu faceva ingrassare, o che
il fondatore della Luis Vitton era morto daun millennio... o qualche cosa
d’altro che a lui sarebbe sembrato idiota.
Ma non ce l’aveva fatta, aveva dovuto
tirare fuori quell’argomento. Era la prima volta che lui e Nikka
rimanevano da soli, Marianna era a fare la doccia.
Si era messo coi gomiti sul tavolo e la
guardava fisso. Nikka si decise a guardarlo, e pensò che era un
bell’uomo. Come aveva fatto ad adescarlo, sua madre? Chissà…
I muscoli erano tirati e i ricci scuri gli
ricadevano sulla fronte, con un’espressione estremamente ispirata.
“Selena” disse lei semplicemente.
Cesar aggrottò la fronte senza capire.
“Selena, la fidanzata di mio padre si
chiama Selena, non Serenity come crede la mamma…”spiegò
lasciandolo interdetto per qualche secondo.
Lui s’incupì e si voltò
verso la finestra “Il suo nome lo sai…” mugugnò.
“Tu ti chiami Cesar…”
continuò lei con un sorrisetto umido.
Cesar la guardò sottecchi
“L’hai imparato?” chiese perplesso. Nikka sospirò
“L’ho sempre saputo” spiegò alzando le spalle.
“E Serenity?”
“Selena non ha l’ambizione di
rimpiazzare mia madre” spiegò lei con calma, stava cominciando a
sorridere.
“Neanche io ho l’ambizione di
rimpiazzare tua madre! Cioè, tuo padre…”Sbottò
contrariato.
“Volevo chiedere a tua madre di venire a
vivere con me…ma immagino che a questo punto…” sospirò
quasi dicendolo solo a sé stesso.
Si fece silenzio. E Cesar rimescolò per
diversi minuti a occhi bassi il suo tea.
Poi si risvegliò “Che cosa ti
è successo? Ha chiuso il tuo rivenditore preferito di Chanel?”
chiese con un sorriso. Anche Nikka sorrise “No, è un
ragazzo” disse con un po’ di amarezza.
“E’ stato poco gentile con
te?” domandò Cesar interessato.
Nikka alzò le spalle senza guardarlo
“O forse io sono stata poco gentile con lui…”
Cesar annuì come sapendo come ci si
sentiva. Forse ci era passato anche lui con qualche ragazza. Anni prima.
“Sigaretta?” chiese porgendogliene
una straniera di quella che fumava lui.
“Io non fumo!”esclamò lei
fingendosi scandalizzata. Cesar fece una smorfia e alzò le sopracciglia
“Su, non prendermi in giro, non sono mica tua madre!!”
“non posso! C’è mia madre
in casa!” esclamò. Cesar alzò le spalle “Si sta
facendo la doccia ne avrà ancora per venti minuti buoni!” disse
tranquillamente.
Nikka lo guardò circospetta poi prese
la sigaretta e se l’accese mentre lui beveva il suo tea.
Si fece nuovamente silenzio poi Nikka
proferì seria e distaccata“Se vuoi venire ad abitare con noi, per
me va bene, ma non azzardarti a lasciare alzata la ciambella del water,
è una cosa che odio. Mio padre lo fa sempre…”.
Cesar sorrise.
Quando arrivammo a casa Cumoli Joyce stava
chiedendo a Libara perché cavolo ci avesse seguito fino a casa. E Libara
diceva che essendo salito in auto con noi, e non essendosi Joyce fermato a casa
sua non poteva lanciarsi dall’auto in corsa.
Oltre la porta trovammo l’immagine
più ridicola che abbia mai visto in tutta la mia vita, ovvero quattro
cinquantenni , tra cui due ubriachi fradici che facevano il pediluvio in
compagnia.
Mia madre mi guardò “Non ho mai
passato un San Silvestro più stressante!”
“E tu avresti cinquantenni?”
commentò Darcy osservando lo zio, mentre Libara la guardava con aria
sognante.
Emily era al telefono “Oh sì, e
hai visto la Rinaldi
che ballava mezza nuda sul cubo ancora prima che saltasse la luce?...cosa?...Oddio,
davvero, non ci posso credere! Il ragazzo della Gigli è gay? Ecco
perché non gliene frega niente se lei gli fa le corna! E chi è
che te l’ha detto? Alsazia che gli ha beccati nello sgabuzzino?
Già che nome orrendo!”.
Mei fece una smorfia “Geografico”
commentò.
E tutti andarono a letto.
Salve a tutti, come potete ben vedere non sono morta,
mi scuso tantissimo davvero per il ritardo nell’aggiornare, ma l’ispirazione
era andata in vacanza, c’erano tanti film, anime e telefilm che bramavano
di essere visti da me, il lavoro mi ha decisamente distrutto le ossa, sono
stata malata, mi è venuta l’ansia per praticamente qualsiasi cosa,
compreso il fatto di non riuscire ad aggiornare, e per di più questo
capitolo mi ha seriamente dato del filo da torcere, tant’è vero
che non mi convince neanche ora. Temo di non essere ancora entrata
nell’ordine di idee che non sto scrivendo la sceneggiatura di un film,
perciò non posso saltare così da una scena all’altra, spero
che tutto ciò non faccia troppo schifo. Se avete qualche consiglio su
come sistemare al meglio quello che ho scritto accetto molto volentieri le
proposte! Perché così proprio non mi convince!!
Probabilmente molti di voi mi odieranno perché
in questo capitolo ci sono personaggi nuovi assolutamente inutili che avrei
potuto bellamente risparmiarvi, beh, credo che se ho questa passione perversa
sia colpa di Harry Potter, mi è sempre piaciuto come la Rowling abbia creato un
suo universo, anche se poi i personaggi non me li ricordavo tutti. Ma comunque
per tranquillizzarvi vi dico che potete benissimo dimenticarveli tanto non
rispunteranno più, al massimo Cesar potrebbe fare una capatina veloce,
ma non è detto!
Altra nota assolutamente inutile, a Joyce ho affibbiato
una maglia con su scritto NY Ys MEperché questa estate l’avevo vista addosso a un tipo e mi
aveva fatto ridere perché mi sembrava tanto una presa in giro a IY NY
, ma non ho idea di che cosa sia…magari ha un significato nascosto di cui
non sono a conoscenza! XD
Se trovate la grammatica errata nei discorsi di Darcy
sappiate che è fatto apposta, nel caso non abbiate capito ^.^
Ma ora passiamo alle cose serie, ovvero ai
ringraziamenti, prima di tutto ringrazio chi ha letto in silenzio, chi ha messo
la storia tra i preferiti ,chi tra le seguite e ovviamente chi ha commentato!
The Corpse
Bride:
Oooh… io adoro le atmosfere natalizie innevate…ma decisamente i
Pavesi non sono tipi da perdersi in Babbi e renne… è un peccato!
Tornando a Nikka, purtroppo so che l’anoressia non è solo un
problema fisico, ma soprattutto mentale. Diciamo che ho snobbato questo fatto
perchéè infilato nelcontesto della sua follia del bello e
del fatto che tutto ciò che le sta intorno debba essere perfetto, non so
se mi spiego O.o
In questo capitolo Joyce e Rachele sono un po’
troppo sbaciucchiosi forse, ma se
avessi potuto raccontarlo senza allungare inutilmente il capitolo e annoiando
tutti , avrei scritto come nel tragitto in auto per andare a casa si sarebbero
insultati come al solito. Insomma il momento di tenerezza è durato poco
come al solito! E beh, riguardo al fatto che Joyce si fa fare tutto, questo
è perché lui sa che lei gli vuole bene anche se probabilmente lei
non lo ammetterà mai, Mei e Nikka invece non si sono ancora capiti per
niente!!XD
E a questo punto devo darti una bruttissima notizia, il
Luxury non esiste… ma Luxury mi
pareva un nome abbastanza tarazzo per andare bene a una discoteca! Il motivo
per cui lo ritrovi ovunque è perché ambientando tutte le mie
storie a Bologna mi piace creare collegamenti!^.^ Spero che questo capitolo ti
sia piaciuto!!
DarkViolet92: Sono felice che tu abbia
apprezzato, a me non sembrava un granché, mi tiri su di morale!! ^.^
Melisanna_: Eh sì, a Joyce piacciano
le tradizioni, se non fosse per lui nessuno si ricorderebbe del Natale!
Non ti preoccupare Nikka non morirà, ne
cadrà troppo in depressione, anche se da questo capitolo potrebbe
sembrare!! E sì, hai ragione, gli orrori
ortografici ci sono, e sono dovuti soprattutto a errori di battitura, che
si potrebbero tranquillamente sistemare con un’attenta rilettura, ma
purtroppo sono tremendamente distratta!! Ma dato che me lo hai fatto notare mi
sono impegnata al massimo nella revisione di questo capitolo, e non dovrebbero
essercene, se ne trovi e me li segnali sarò felice di correggerli
immediatamente!!^.^
The Duck: Si ammettiamolo, un po’
se lo meritava! Ma adesso ci stanno male entrambi… due furboni! ^.^
grazie mille per aver letto, spero che anche questo capitolo ti possa piacere!!
Un bacio a
tutti e al prossimo capitolo, sperando di scriverlo in meno tempo!!
Ho
sempre odiato il mio compleanno. E non perché non mi piacciano i regali,
ma semplicemente perché nascere il 7 gennaio, notoriamente primo giorno
di scuola dopo le vacanze di Natale, è davvero deprimente.
Da
sempre avevo deciso che quando fossi andata a lavorare, il giorno del mio
compleanno avrei preso le ferie.
Ogni
anno, a farmi preoccupare però era Joyce, con le sue idee troppo
vistose. Come neon di auguri fuori dalla finestra e altre trovate abbastanza
trash.
Fui
rincuorata quando alzandomi dal letto e andando in cucina l’unica cosa
che vidi fu uno striscione con vari fili dorati come quelli che si mettono
sull’albero di natale, con su scritto
“Auguri Stronza Blu”.
Sospirai.
Nulla di eccessivamente trash. Alzai le spalle e mi sedetti al tavolo della
colazione.
“Tesoro,
prima è passato Joyce…” disse mia madre.
“Sì,
lo supponevo mamma” risposi infilando il naso nella tazza del latte.
“Tanti
Auguri Tesoro”
“Grazie
mamma”.
Tanti
auguri a me, e alla mia maggiore età.
Quando Rachele mise piede nel cortile della
scuola fu accolta da un’inaspettata mole di auguri e congratulazioni per
i diciotto anni. Lei non si impegnò nemmeno a sorridere.
Sbottò qualche grazie scocciato. Come faceva
tutta quella gente a sapere che era il suo compleanno?
Joyce si era perfino risparmiato
manifestazioni nazionali e balletti imbarazzanti.
Sbuffò e si incamminò verso la
sua aula mentrein
qua e in là qualcuno la fermava per farle gli auguri.
Deviò verso il bagno per stare da sola
fino al suono della campanella quando in classe ci sarebbe stata la
professoressa e nessuno avrebbe potuto abbracciarla con troppa enfasi. Tutte
quelle manifestazioni di affetto le facevano venire il diabete.
Fu allora che lo vide: un foglio attaccato
alla porta del bagno con il nastro adesivo con scritto Se incontri questa ragazza fallegli auguri, e sotto una sua foto in bianco e nero, presa da troppo
vicino, e con un’espressione abbastanza idiota, tra lo stupito e
l’arrabbiato.
“Joyce!”urlò voltandosi verso il
corridoio alla ricerca del colpevole.
Joyce in fondo al suddetto
drizzò le orecchie, individuando immediatamente Rachele che con
un’espressione orribile lo fissava dall’altra parte del androne.
Batté la mano sulla spalla
del ragazzo con cui stava chiacchierando, con aria paterna e disse “Mi
piace molto la tua cravatta leopardata, ma temo che la mia amica abbia trovato
una cosina che non le garba, quindi credo sia meglio che ora mi defili
immediatamente, è stato un piacere parlare con te”. E così
dicendo iniziò a correreseguito da Rachele che lo
insultava in malo modo. Passarono davanti a Mei che
arrivava in quel momento e cercò di chiederle chi mai avesse riempito di
volantini con la sua faccia, la scuola. Ma lei lo ignorò, allora lui
alzò le spalle e si ficcò il volantino in tasca accartocciandolo,
poi si diresse verso la propria classe senza farsi altre domande.
Joyce se ne stava appoggiato al
muro ricoperto da piastrelle di ceramica del bagno delle ragazze quando Nikka
entrò per risistemarsi il trucco.
Si fermò a metà
della stanzetta dove stavano i lavandini per guardarlo perplessa.
Lui se ne stava con aria assente
con la guancia appoggiata alla parete fredda e non l’aveva vista entrare.
“Beh?” fece lei. Lui
sussultò e la guardò, in bilico su degli stivali col tacco, anche
se fuori la neve aveva gelato costituendo un pericolo per tutti - Millie e la sua amica equina avevano rischiato la morte
parecchie volte per venire a scuola quella mattina -lei ricambiò lo sguardo,
stringendo il mascara.
“Che ci fai
qui?”chiese rinunciando a truccarsi.
“Mi nascondo da Rachele,
credo voglia uccidermi” rispose lui stancamente, stava saltando le
lezioni per eclissarsi.
“E ti nascondi nel bagno
delle ragazze?” domandò perplessa.
“Beh, perché se mi
cerca nella toilette dei maschi non mi trova”spiegò senza
staccarsi dalle piastrelle.
Nikka alzò le spalle
“Non è così sicuro date le tue evidenti ambiguità
sessuali” disse alludendo al suo pellicciotto.Joyce accennò un sorrisetto ma non
ribatté.
“Come sta
Mei? Non lo vedo da
capodanno, sta ancora con quella tipa dal nome idiota?” chiese tutto
d’un fiato con aria di chi si informa sugli ultimi pettegolezzi.
“Boh,
direi bene…a capodanno era un po’ scosso. Ma se vuoi sapere
qualche cosa di più preciso dovresti chiedere a mia sorella. Lei sicuramente lo saprà…” disse sedendosi per
terra.
“Perché vuoi sapere
di Mei?” domandò poi assottigliando gli
occhi. Nikka gli aveva dato le spalle e si era messa a truccarsi “Te
l’ho detto Joyce, è da un po’ che non lo vedo… era
così, per sapere” spiegò con snervante naturalezza. Joyce
alzò le sopracciglia poco convinto e
lasciò che le gambe si allungassero sul pavimento, appoggiando la testa
alla parete.
“Sai Nikka, credo che se
gli chiedessi di prendere un caffè, oggi pomeriggio, lui non
rifiuterebbe” disse con voce un po’ lasciva.
“Perché dovrei
chiederglielo?” trillò Nikka passandosi il pennellino sulle ciglia
“E poi oggi pomeriggio mi passa a prendere Cesar in
auto”spiegò con semplicità.
Joyce alzò le sopracciglia stupito e ripeté “Cesar?”
ma non fece in tempo ad aggiungere altro perché la porta del bagno si
aprì rivelando lo stesso ragazzo con la cravatta leopardata che quella
mattina stava amabilmente chiacchierando con lui.
“Credo che la tua amica stia
arrivando e sembra anche piuttosto arrabbiata…”. Joyce
ringraziò e si catapultò dentro un gabinetto, salì sul
water per raggiungere la finestra e ne uscì.
Rachele entrò spingendo
via il povero ragazzo mezzo leopardato eurlando “JOYCE!” poi
guardò Nikka che stava mettendo via i suoi cosmetici. “Dove
è andato?” domandò.
Nikka silenziosa le indicò
la finestra e la ragazza blu partì alla carica.
Essere distratti ogni tanto
è una cosa che può capitare a ogni alunno, anche al più
solerte, questo la professoressa Virgili lo capiva
bene, ma la terza volta che Isabella Gigli rovesciò il caffè per
terra iniziò a sospettare che fosse un modo per avere una scusa per
uscire in corridoio a farsi i fatti propri. Quindi decretò che sarebbe
andato il signor Federico Pavesi a prendere lo spazzone
nell’armadietto del bidello per pulire il lago nero che si era formato
sotto il banco della Gigli.
Mei si
alzò di mala voglia, primo perché l’incauta professoressa
l’aveva chiamato Federico, e la
cosa non lo entusiasmava per nulla. Nessuno lo chiamava così, quasi non
si ricordava quale fosse il suo nome vero, e quando qualcuno glielo ricordava
si indisponeva.
Per di più doveva perdere
tempo di lezione per ripulire i disastri pilotati della Gigli, quando era
l’unico veramente interessato alla spiegazione.
Si incamminò per il
corridoio vuoto verso l’armadietto blu del bidello, alto e stretto e
completamente ripulito dalle scritte amorose dei ragazzi. Mei
sapeva che sarebbe durato poco, ma il bidello ci sperava sempre che rimanesse
lindo, almeno per una settimana.
Quando lo aprì senza tanti
complimenti dentro non vi trovò lo spazzone,
bensì Joyce sistemato in una posizione degna di un contorsionista.
“Che ci fai tu qui?”
domandò accigliandosi. Joyce gli fece segno di fare silenzio.
“Abbassa la voce, mi sto nascondendo da tua sorella!”disse lui con
aria cospiratoria.
“E’
per i volantini? Li hai fatti tu, vero?” chiese
lui tranquillo appoggiandosi allo sportello, come se parlare a uno che fa il
contorsionista dentro a un armadio fosse la cosa più normale del mondo.
“Già, li ha
scoperti…tra l’altro oggi ha anche gli anfibi con la punta
rinforzata,causa neve…” disse con
tristezza. Mei fece una smorfia pensando alla punta
rinforzata che non doveva essere delicata.
Annuì,
poi cambiò discorso “Come sta Nikka? Sai
è da Capodanno che non la vedo…” cominciò come se
l’argomento fosse stato scelto a caso.
Joyce sospirò e
alzò gli occhi che aveva abbassato, per guardarlo. Ebbe una fastidiosa
sensazione di déjà vu.
Fece una smorfia. Se prima era
convinto che le piacesse Mei, ora c’era quel
Cesar sputato dal nulla. Poteva essere un passatempo come Pallotti,
o quell’altro tipo col cappello da mafioso, ma non poteva saperlo.
“Direi bene, si stava
truccando l’ultima volta che l’ho vista…mi ha chiesto di te,
e io le ho detto che se voleva poteva chiederti di prendere un caffè
oggi pomeriggio” spiegò, Mei
arrossì un poco, ma rimase immobile ad ascoltarlo.
“Ma lei ha detto che la
veniva a prendere un certo Cesar.. che non ho idea di
chi sia…” disse con un velo di stanchezza alla fine.
Mei
sembrò risvegliarsi , ma Joyce fece lo stesso
aguzzando le orecchie. “Senti rumore di passi, Mei?”
chiese circospetto. Mei
allungò il collo oltre lo sportello per vedere chi arrivava.
“ANFIBI RINFORZATI!!” urlò Joyce in un impeto che faceva tanto
comandante in guerra e con uno scatto chiuse l’anta, per poco a Mei non venne portato via un orecchio.Un secondo dopo si trovò spinto
un metro più in là da sua sorella che aveva preso a tirare calci
all’armadietto del bidello gridando “Prima o poi dovrai uscire da
lì!”.
A quel punto Mei
decretò fosse meglio defilarsi.
Passò il resto della
lezione senza ascoltare e a guardare con aria svanita la lavagna. Chi era
questo Cesar?
Joyce era riuscito a esaltarlo e
smontarlo in meno di dieci secondi. All’uscita si fermò sul
portone, intasando il traffico degli studenti, che gli assestarono parecchie
gomitate e imprecazioni.
Nikka era arrivata in fondo al
vialetto che il bidello aveva ripulito dalla neve, e stava parlando con un
tizio dalla carnagione scusa, aveva un aria sud
americana, e non era molto alto. Lo vide scendere dall’auto di corsa
rischiando di scivolare sul ghiaccio con le scarpe di vernice per aprirle la
portiera dell’auto lucida.
Sentì un groppo allo
stomaco. E così quello era sicuramente il Cesar di cui parlava Joyce. Nikka riusciva proprio a stare da sola
per molto. Allora cosa aveva visto la sera di capodanno per cui aveva lasciato
Alsazia al suo destino?
Cesar pochi metri più in
là scese dall’auto imprecando. “Nikka devo venirti ad aprire
la portiera per farti salire?” sbottò rischiando di finire col
sedere per terra.
“Non vorrai mica che metta
il tacco in quel cumolo di neve vero?” ribatté lei antipatica.
“Te lo
apro solo perché ho fretta, se tra dieci minuti non sono di nuovo al
lavoro mi licenziano! E sarà colpa tua! Non
potevi metterti degli anfibi?” continuò lui aprendole la famosa
portiera e tornando dal lato del guidatore, rischiando nuovamente la vita sul
ghiaccio.
“Secondo
te io mi metto quelle schifezze? E poi non rompere le
scatole, neanche tu te li sei messi!” replicò salendo mentre lui
chiudeva la sua portiera e accendeva il riscaldamento.
“Ma io lavoro,
Nikka! Devo andare sempre vestito di tutto punto, non posso
fare un brutto effetto sui clienti!” spiegò lui. Nikka
alzò le spalle “Cesar, non sei un avvocato, sei un barista, le
scarpe rimangono dietro al bancone” fece notare saccente.
Cesar si incupì e
partì pronunciando insulti a mezza bocca, e a Nikka parve di sentirgli
dire mi toccafare anche il babysitter, cosa si fa per amore di una donna!
Mei non
aveva bene idea di cosa avrebbe fatto. Ma si trovò davanti a casa di
Nikka, senza quasi volerlo. Le avrebbe chiesto di uscire a prendere un
caffè, se lei ne aveva voglia. Magari un giorno in cui non ci fosse stata
la neve. Magari avrebbe lasciato in fretta quel Cesar. Insomma, era un vecchio
rispetto a lei. Forse aveva perfino trent’anni. Dodici in più di
lei.
Sospirò e spinse
l’indice sul campanello. Trattenne il fiato, finché la porta si
aprì, non del tutto, perché era bloccata dal chiavistello. Vide l’occhio di Nikka in quello spiraglio, la vide fare una
smorfia e dire “Ciao Mei, aspetta un
attimo…MAMMA? CHI CAVOLO HA MESSO IL
CHIAVISTELLO?”
La porta si chiuse e si
riaprì come di dovere. Nikka era in tuta da casa con l’aria stanca
e disinteressata che aveva la prima volta che si erano visti. Solo che quella
volta stava fumando ed aveva un turbante. Gli aveva detto che non doveva dire
in giro che fumava, se no sua madre lo avrebbe scoperto, e sarebbero stati cavoli
amari per tutti.
“Che
c’è?” chiese scocciata,
“stavo appendendo un quadro insieme a Cesar”spiegò.
Mei
sentì nuovamente il groppo che aveva sentito quella mattina quando aveva
visto quel tipo riccio aprirle la portiera dell’auto. E i propositi di
invitarla a uscire gli morirono in bocca.
“Oh, niente” disse
mettendo il pilota automatico “ero passato a salutare! Non è che
avessi qualche cosa da dire, ma sai che nel 2012apriranno il primo hotel
orbitante? I visitatori vedranno sorgere il sole quindici volte ogni
ventiquattro ore, e faranno il giro della terra ogni ottantotto
minuti…” disse poi bloccandosi, aggiunse poi “Tutti i posti
sono già stati prenotati sai…”
Dall’interno
dell’appartamento si sentì un urlo soffocato e delle imprecazioni
in spagnolo.
Nikka lo guardò perplessa
“Grazie per l’infarinatura di cultura generale, ora vado ad
attaccare il quadro” annunciò iniziando a chiudere la porta. Mei la fermò con la mano e dicendo
“Aspetta”.
Mei
pregò che gli venisse in mente qualche cosa di intelligente da dire,
Nikka pregò lo stesso.
Rimase un secondo col fiato
sospeso poi disse “Lo sai che uno struzzo corre più veloce di un
leopardo?”
Nikka fece un sorrisetto tirato,
che dimostrava tutta la sua insofferenza e lo salutò chiudendolo fuori.
Mei non
desiderò mai più così tanto in tutta la sua vita di essere
incenerito da un fulmine. Gli struzzi, gli struzzi!
Dall’altra parte della
porta Nikka si appoggiò al muro con la schiena sospirando abbattuta.
“Allora
era lui? Ti ha chiesto di uscire?”
domandò Cesar con aria sofferente, seduto al tavolo della cucina.
“No, mi ha parlato di hotel
orbitanti e struzzi…” sospirò lasciandosi scivolare per
terra con aria rammaricata.
“E’ un idiota!”
sbottò Cesar. Nikka alzò le spalle malinconica, “No…
è solo un po’nerd…” lo scusò.
Cesar
sbuffò “Bene, adesso che abbiamo appurato che il tuo amichetto
è un incapace, che ne dici di andare a prendermi del ghiaccio, che ho
scagliato il chiodo e mi sono martellato un dito? ”
Joyce
era riuscito ad evitarmi per tutto il giorno, ma era ovvio che prima o poi sarebbe dovuto tornare a casa. Anche quando
l’avevo bloccato dentro l’armadietto del bidello era stato salvato
in extremis da quel suo amico con la cravatta leopardata, che mi aveva portata
via di peso.
Entrai
a casa Cumoli e rimasi sulla soglia per qualche secondo a guardare Joyce che se
ne stava seduto sul divano con dei pantaloncini, un papillon e un cappellino da
festa, tutti e tre rossi e paillettati.
Mi
liberai degli anfibi con un calcio. Mia madre aveva cercato di rifilarmi delle
scarpe col tacco, che a dir suo erano più carine, io le avevo di
sì, e poi ero uscita vestita come un eschimese.
Joyce
invece era imbarazzante. Con un ghigno idiota e una
millefoglie in braccio.
Non
mi tolsi il pile enorme che avevo scovato infondo all’armadio
(probabilmente era di mio padre, non credo che Mei
avesse la facoltà di decidere qualche cosa sul vestiario, mentre mio
padre aveva sempre detto chiaro e tondo alla mamma quanto non gliene fregasse
nulla dei suoi straccetti colorati)e mi lasciai cadere sul divano di casa
Cumoli.
“Sono
tutti fuori” disse Joyce con ari angelica. Io gli stappai il farfallino e
lo cacciai alle mie spalle. Lui fece una smorfia e mi massaggiò il
collo. “E non fare quella faccia. L’ho fatto per te. Ti metti
queste cose e poi ti lamenti se la gente pensa che tu sia gay!”
Joyce
sbuffò poco convinto, poi accennò alla torta che aveva appoggiata
sulle ginocchia. C’era una candela fatta a forma di numero
diciotto. Bianca , coi contorni rossi.Fissai la fiamma per qualche secondo
senza dire nulla, poi soffiai, la spensi e la tolsi.
“Lo
sai Joyce che mi devo vendicare per oggi, vero?”chiesi raggomitolandomi
meglio nella mia enorme felpa di pile.
“In effetti lo sospettavo” proferì lui un attimo
prima che la millefoglie gli si schiantasse in faccia.
Lo
vidi stringere gli occhi mentre la panna e la pastella gli scivolavano sul
viso, sul petto e sulle gambe.
“Buon
compleanno Rachele” pronunciò poi mentre cercava di togliersi la
torta dalla faccia con le mani.
“Buon
non compleanno Joyce” replicai io prima di allungarmi e appoggiare le
labbra sulle sue.
E vai col sipario che cala su Rachele e Joyce… eheheh ( interpretate pure la mia risatina come volete).
Aggiornamento super veloce (per i miei standard ovviamente)
è un po’ corto, e non succede poi molto, a parte che Mei e Nikka come al solito non si capiscono. Mi sa che in
questo caso Mei è più pirla del solito.
È troppo pirla anche per sé stesso… bah…. E Cesar,
avevo promesso che si sarebbe visto poco… ma nonho resistito… mi ci sono
affezionata!
Forse avrei dovuto postare oggi il capitolo di Natale, ma almeno
cui c’è la neve, spero che sia abbastanza natalizio!!!
Ma passiamo ai ringraziamenti meritatissimi, a tutti quelli che
leggono, a chi ha la storia tra le seguite e le preferite!!
The Corpse
Bride: Davvero
hai pensato a Daria? O.O anche io ci ho pensato!
Allora è proprio uguale cavolo! Non l’ho fatto apposta, ma dopo un
po’ che la usavo ho notato un po’ di somiglianza… sarà
l’inconscio? A proposito di personaggi che somigliano ad altri, tra
l’altro ho cercato di immaginarmi Effy coi
capelli blu, e mi fa uno strano effetto O.O
Per quanto riguarda Joyce, a volte il caro stupisce anche me per come riesce a conciarsi, lo zio ha ragione!XD
E Nikka sembra non farcela proprio più a stare con
qualcuno, tanto che adesso gira con quella povera anima del fidanzato di sua
madre!! Ti ringrazio davvero tanto per il tuo
commento, non sai quanto mi fai piacere! ^.^
DarkViolet92: ^.^ grazie mille per il tuo
sostegno morale, spero che il capitolo ti sia piaciuto anche
se è un po’ corto!!
Melisanna_:O.O
davvero ti piace Emily? Oh, sono davvero felice, mi diverto tanto a manovrarla,
è per quello che rompe sempre le balle ed è ovunque!! Mi fa anche piacere che apprezzi i personaggi
secondari…di solito sono la parte che preferisco nelle storie…sia
da leggere che da scrivere… l’unico problema che a un certo punto
diventano troppi, e ho paura che non si capisca più nulla!!XD
Lucy Light:Benvenuta (che forse sarebbe
più adatto da dire a uno che entra in un ristorante più a
qualcuno che lascia un commento a una tua storia…mmh
ma lasciamo perdere, il web è immensamente complicato
ç__ç)
Comunque ti assicuro che anche a me starebbe antipatica Nikka se
la incrociassi per strada XD insomma, una che sceglie
le sue compagnie per i vestiti mi farebbe venire l’ansia, se un giorno
mia madre sbaglia il lavaggio in lavatrice e mette il rosso insieme ai bianchi,
e mi trovo tutto rosa? Con che coraggio mi presento?O.O
Mi sa che mi sono allargata e sto delirando, quindi è meglio se smetto
di scrivere! Sono una cosa, curiosità sul tuo nick:
è la fidanzata di Percy in Harry Potter? O.o
TheDuck: Oh, che bello sapere che il conto
alla rovescia non è così male, mi preoccupava un sacco, non
riuscivo ad essere obbiettiva sul risultato!! Beh, per
Joyce e Rachele, non ci sono tanto perché i protagonisti sono Nikka e Mei… ma mi piacciono più loro, quindi faccio
fatica pure io a stiparli nel loro angolo di narratrice e personaggio
secondario!!e loro che si
allargano! Infatti anche qui si sono presi tutto
l’inizio e la fine del capitolo! Megalomani!
Uno dei motivi perché Alsazia è stata malamente
cacciata è il suo nome. Lo odio! Facevo fatica a scrivere i pezzi dove
c’era lei che faceva qualche cosa! Ma cosa avevo fumato quando l’ho
chiamata così???
Dato che sono in ferie spero di poter aggiornare il prima possibile, sempre che sopravviva
all’abbuffata di Natale e alla trasferta a Firenze in occasione della
gara di lancio del cacio (si avete letto bene, ho scritto lancio del cacio…-.-).E per
concludere un bacio e un Buon Natale a tutti!
James
Augustine Aloysius Joyce era nato a Rathgar ,un elegante sobborgo di Dublino,
il 2 febbraio 1882 e divenne poeta e scrittore. L’avevo letto su
Wikipedia.
Joyce
Judd Cumoli era nato a Gallway, in Irlanda, il 13 marzo 1990, e non era
né un poeta , né uno scrittore. Sicuramente.
Joyce
era sempre stato un tipo allegro. Forse era per quello che riusciva a trovarsi
delle ragazze, nonostante il suo abbigliamento improbabile.
Forse
era per quello che quella mattina era nel bagno delle ragazze a scambiarsi
effusioni con una tizia del terzo anno. Io non avrei saputo nemmeno dire come
si chiamasse, Joyce non l’aveva scoperto, quel nome, certo più di
due giorni prima. E in quel momento la stava baciando a occhi chiusi. Forse per
far finta che si trattasse di qualcun altro.
Appoggiati
al termosifone, ad arrostirsi il sedere.
Nikka fece un ingresso plateale, del tutto
ignorato dai due, troppo impegnati a baciarsi per badare a una persona
qualunque che entrasse nel bagno per rifarsi il trucco. Ma Nikka non era famosa
per essere una persona alla quale piacesse l’epiteto qualunque.
“Ma allora non sei gay!”
esclamò indicandolo. A quel punto entrambi i ragazzi furono costretti,
loro malgrado, a dare attenzione alla nuova venuta.
Joyce alzò le sopracciglia
“E’ una cosa che hai detto tu, mica io” commentò senza
togliere le mani dai fianchi della ragazza castana che stava baciando fino a un
secondo prima.
“Sai che cercavo proprio te, volevo
parlarti” disse poi la ragazza piantando gli occhi color nocciola, in
quelli scuri di lui.
La ragazza avvinghiata a Joyce si
indicò col pollice. “No, cara, cercavo Joyce” spiegò
Nikka con fare fintamente mieloso. Joyce schioccò la lingua scocciato
con aria di attesa.
“In privato” puntualizzò,
poi si voltò verso la ragazza castana “niente di personale, te lo
rubo solo un minuto” continuò sorridente. La ragazza annuì
poco convinta ed entrambi la guardarono uscire in silenzio. Appena la porta si
chiuse Joyce si sedette sul termosifone facendo forza sulle braccia.
“Te le scegli sempre tonte? Così
le puoi lasciare in fretta?” domandò.
Joyce alzò le spalle “Mi annoio
velocemente… e comunque non mi sembrava tonta” commentò lui.
“Sicuramente dopo quel discorso così approfondito lo saprai
meglio di me” lo canzonò Nikka. Joyce non parve turbato e
piegò la testa da una parte arrivando subito al dunque “Di che
volevi parlarmi?”
Nikka rimase zitta un secondo masticandosi
l’interno delle guance. Sembrava indecisa. Joyce attese in religioso silenzio.
Sapeva che se avesse parlato per farle fretta il suo discorso sarebbe stato
distorto, e Nikka non avrebbe detto quello che realmente avrebbe voluto dire.
Quindi aspettò.
“Mi sento un’idiota a chiederlo a
te” sbottò infine guardandolo come se fosse colpa sua. Di Joyce.
“Allora non chiedermelo” rispose
lui alzando le spalle. “Grazie” ribatté lei scocciata
accennando ad andarsene.
“Aspetta” disse afferrandola per
il maglioncino “stavo scherzando”. Nikka si voltò nuovamente
a guardarlo con aria imbronciata e le braccia incrociate sul seno.
“E’ che non so a chi altro
chiederlo… se no non lo chiederei certo a te” ricominciò.
“Sono lusingato” ribatté lui.
“Mei parla mai di me?” chiese
infine con lo sguardo lucido e supplichevole. Si stava vergognando come una
ladra, e Joyce sembrava sul punto di mettersi a ridere così tanto da
cadere dal termosifone.
“Boh…” Joyce alzò le
spalle “Ogni tanto… ma non so Mei, non è un
chiacchierone” continuò con aria un po’ maliziosa, sapeva
che Nikka si sarebbe indispettita.
“Sai credo di star diventando
pazza…” sospirò appoggiandosi ad un lavandino.
Joyce alzò le sopracciglia in cerca di
spiegazioni. “Insomma, è stupido che passi il mio tempo a pensare
a uno come Mei… dato che potrei avere chiunque…” disse a
testa bassa. Joyce stava per complimentarsi per la modestia, ma Nikka
continuò a parlare imperterrita, come se avesse avuto un’idea
geniale.
“Forse dovrei ricominciare a uscire con
dei ragazzi…ultimamente non esco con nessuno!” esclamò.
“E Cesar?” domandò Joyce.
“E che c’entra Cesar adesso
scusa?” sbottò infastidita, come se Joyce avesse interrotto lo
scorrere delle idee geniali parlando di Cesar.
“Oppure potrei baciare qualcuno…
potrei baciare te, ad esempio”disse come se la risposta fosse stata sotto il suo naso fino a quel
momento. Joyce s’incupì, non aveva alcuna intenzione di farsi
malamente coinvolgere in quella storia.
“Ma potresti anche non farlo!”
ribatté lui. Nikka alzò le spalle “Ma tanto sei gay, cosa
te ne frega?”chiese.
“Non avevi appena decretato di no?” ribadì Joyce.
Nikka sbuffò “Basta
lamentarsi!” sbottò dimostrando che la decisione era stata presa.
“Questi cavolo di esperimenti li vai a
fare a casa tu…”, ma Nikka fu più veloce di lui e gli
piantò le labbra addosso.
Per un secondo si guardarono negli occhi, da
vicino. Entrambi con le sopracciglia aggrottate, un po’ scocciati da
quella situazione. Fu durante quel nano secondo, che la porta si aprì
nuovamente rivelando una alquanto stupita Rachele, che li guardava a braccia
incrociate, e con la testa piegata un poco da una parte.
“Oh, Rachele …” disse Joyce
fioco, con gli occhi sgranati. Nikka si riappoggiò al lavandino
pensierosa.
“Buon giorno” fece lei in tono
strano. Fece un sorrisetto e uscì dicendo “Scusate, non volevo
interrompere nulla”. Joyce non perse tempo a cacciare
un’occhiataccia a Nikka, e si mise a rincorrere Rachele che a passo
veloce si dirigeva verso il bar della scuola.
“Rachele?” sospirò senza
fiato. Rachele lo guardò con un sorriso “Sì, Joyce?”
fece lei.
Rachele gli appoggiò una mano sul petto
e sorrise “Scusami, devo andare dalle oche blu… ci si vede
ok?” e con discreta e pacata eleganza si avviò verso il tavolo
dove se ne stavano due ragazze dai capelli turchini e una castana. Joyce
neanche le guardò, non notò nemmeno Sofia che lo salutava.
Deglutì senza fiato, rimanendo a
guardare Rachele che gli dava la schiena.
Più tardi quel pomeriggio Nikka se ne
stava davanti allo schermo luminoso del computer che Mei aveva aggiustato
quando si erano visti la prima volta.
La schermata era aperta sulla chat, e lei
continuava a fissare insistentemente l’immobile account di Mei. Sperando
che decidesse di aprire quella finestrella arancione per parlare con lei. Ma
Mei non faceva nulla, rimaneva lì immobile. Fece una smorfia. Si era
truccata al meglio per stare lì a guardare il suo nome. Era stupido. Mei
non la poteva vedere attraverso il pc, ma si era sistemata lo stesso. Non
l’aveva fatto coscientemente.
Si fregò gli occhi con le mani, e poi
si ritrovò a studiare i tasti. La parola Invio, su uno di questi era quasi scomparsa. Ma si riconosceva lo
stesso, per la sua particolare forma a L
rovesciata. Si era sempre chiesta perché avesse quella forma.
Sospirò e si decise a cliccare due
volte sull’account di Mei. Poi trattenne il fiato.
Nikka scrive : Ciao
Deglutì
e chiuse gli occhi “Ti prego, ti prego ti prego” disse tra
sé intrecciando le dita.
Quando li
riaprì una finestrella si era illuminata di arancione. Trattenne il
respiro e guardò meglio.
Cesar scrive : Allora? Il tuo cervellone
si è fatto sentire?
Nikka
sbatté il pugno sul piano della scrivania “Cesar, che
cavolo!” sbottò.
Nikka scrive : Che cavolo Cesar! Fatti i
fatti tuoi! E vai a lavorare invece di rubare lo stipendio chattando con me! E
poi cosa direbbe mia madre se sapessi che passi le tue giornate in chat?
Cesar scrive : Direi niente, dato che ci
siamo conosciuti così…
Nikka si
accigliò. Chattare con un trentenne dall’alto dei
cinquant’anni di sua madre la faceva sembrare tanto una vecchia
disperata. E lei nemmeno sapeva che sua madre sapesse accendere il computer.
Figurati destreggiarsi in una chat.
Cesar scrive : Devo andare, mi hanno
ordinato un cappuccino. Vai fuori a compare il latte che è finito!
Nikka
tamburellò le dita sul tavolo e sbuffando si alzò per andarsi a
preparare una camomilla, dato che con l’attuale umore ne aveva
decisamente bisogno.
Quando
tornò rimase sulla soglia con la tazza in mano a guardare circospetta lo
schermo. C’era una finestrella arancione. Rimase a fissarla da lontano.
Non voleva scoprire di nuovo Cesar dietro allo schermo. Si mordicchiò
l’interno delle guance per un po’ , poi finalmente si decise a
cliccare sulla finestrella dimenticando in un angolo la camomilla.
Mini_Mei
scrive : Ciao
Nikka
Nikka
sorrise tra sé. Almeno aveva risposto.
Cesar scrive : Mi raccomando il latte!
Nikka scrive : Basta Cesar!
Mini_Mei
scrive :
Sono Mei, non Cesar…
Nikka scrive : Oh, scusa, devo aver
sbagliato finestra!
Nikka
chiuse la conversazione con Cesar in un impeto di rabbia. Stupido cubano! Ci
mancava solo che Mei se la prendesse perché l’aveva chiamato
Cesar. Si tirò una sberla in fronte per la stizza.
Mei
dall’altra parte del video si morsicò il labbro.
E
così Joyce aveva capito bene… c’era un certo Cesar…
probabilmente il suo nuovo ragazzo. Sicuramente quello che aveva visto farla
salire in auto. Sospirò abbacchiato, lui neanche ce l’aveva la
patente. E poi con gli struzzi!
Come si
poteva essere così idioti da mettersi a parlare di struzzi?
Si domandò
cosa volesse a quel punto Nikka… forse aiuto per i compiti di matematica?
Come la prima volta con Pallotti.
Si era
illuso per qualche nano secondo che a Nikka potesse interessare qualche cosa di
lui. Ma sicuramente non era così, lo chiamava anche col nome
sbagliato…
Nikka scrive : Come stai?
Mini_Mei
scrive :
Bene, grazie… e tu?
Non sapeva
che altro scrivere, a parte un bene e
tu?... aveva paura di straparlare ancora di struzzi e hotel, e la sua
reputazione non poteva sopportare ancora oltre una cosa del genere.
Nikka scrive : Non c’è male
grazie…
Nikka
rimase a fissare lo schermo senza sapere cosa scrivere. Cosa poteva dirgli? Lei
che di solito sapeva sempre come intrattenere le persone, si trovava senza
parole. Le veniva solo in mente che quella mattina per amore della scienza
aveva dato un bacio a Joyce, ma non era la discussione migliore da
intraprendere in quel momento. Anche perché l’esperimento aveva
fallito miseramente.
Forse era
colpa di Joyce, che vestiva decisamente ambiguo e… no, non era colpa di
Joyce…
Sospirò.
Cesar scrive : Allora sei ancora
lì? Vai a prendere il latte, se no cosabeviamo domani mattina per colazione?
Nikka
sbuffò.
Mini_Mei
scrive :
Allora tu e Cesar avete attaccato il quadro ieri sera?
Nikka scrive : Oh, sì, Cesar ci ha
rimesso un dito ma ce l’abbiamo fatta. Anche se ha dovuto intervenire mia
madre.
Mei fece un
sospiro. Questo Cesar lo conosceva anche sua madre. Fantastico! Allora era
proprio ufficiale. Neanche Alberto era stato presentato. Si domandò per
un secondo se Marianna lo approvasse.
Si
sicuramente lo approvava. L’aveva visto. Sembrava educato, pulito…
ed era decisamente di bell’aspetto, aveva dovuto ammettere.
Appoggiò la fronte sulla tastiera.
Mini_Mei
scrive :
tyyyyyyyyf
Nikka scrive: eh?
Mini_Mei
scrive :
Niente… ho appoggiato la testa sulla tastiera.
Mei si mise
le mani nei capelli e arrossì nella solitudine della sua stanza. Come se
non sembrasse abbastanza strambo senza fare queste cavolate.
Nikka del
canto suo aggrottò le sopracciglia chiedendosi quando sarebbero finite
la stranezze di quel ragazzo.
Nikka scrive : Senti Mei… ti
sembrerò un po’ scontata
Mei lesse
aspettando che finisse la frase, sul fondo della finestrella troneggiava la
scritta Nikka sta scrivendo un messaggio.
Nikka scrive : Mi chiedevo se volessi
venire a una festa domani sera… ci andiamo io Vanessa e Millie... se vuoi
puoi portare qualcuno… non so… Joyce
Nikka prese
coraggio e aggiunse
Nikka scrive : se vuoi anche tua sorella,
se ti fa piacere…
Se per
avere Mei si sarebbe dovuta sorbire l’indisponente Rachele
l’avrebbe fatto.
In quel
momento le orecchie di Mei furono rapite dalla voce di sua madre che veniva
dalla cucina “Mei, tesoro? Hai visto tua sorella? Non è ancora
tornata da scuola… sai se è successo qualche cosa?”
“No,
non so niente… sarà con Joyce! Come al solito!” urlò
di rimando, tornando subito a dare attenzione allo schermo.
Mini_Mei
scrive : Va
bene… non credo che ci sarà bisogno di chiamare mia sorella
comunque… posso portare il mio portatile?
Nikka scrive : Come preferisci
Mini_Mei
scrive :
Allora a domani sera… ma dove devo andare?
Nikka scrive: Al giardino di
Venere… è una festa chic…
Mini_Mei
scrive : Va
bene… ci vediamo
Nikka
chiuse la conversazione con un sorriso che le andava da un orecchio
all’altro. Quando riabbassò lo sguardo sullo schermo c’era
di nuovo una finestrella arancione.
Cesar scrive : Sul serio! C’è
bisogno del latte Nicoletta! Come faccio io domani se no?
Nikka scrive : MA LAVORI IN UN BAR! La
colazione non dovrebbe essere un problema! Comunque adesso esco.
Fu
così che Nikka uscì, si comprò un vestito nuovo ,
scordandosi di acquistare il latte per il povero Cesar.
Più
o meno mentre Mei e Nikka scambiavano chiacchiere imbarazzate tramite il web,
Rachele se ne stava seduta per terra appoggiata agli armadietti della palestra,
con gli occhi fissi nel vuoto. Non si accorse neanche di un ragazzo coi capelli
per aria che le si avvicinava, strisciando di schiena contro gli scaffali.
Lo
notò solo quando il ginocchio si appoggiò alla sua spalla. Fu
allora che lei alzò la testa a guardarlo in faccia.
Era il
ragazzo che il giorno del suo compleanno stava chiacchierando con Joyce, e per
l’occasione indossava ancora l’indecente cravatta leopardata che
aveva quella volta. L’afferrò, allungando il braccio e
costringendolo a sedersi accanto a lei.
Lui
sbatté il deretano sul pavimento perplesso, poi si voltò a
guardarla sorridente.
Lei lo
teneva ancora stretto per la cravatta e lo guardava fisso negli occhi, con
un’espressione che avrebbe intimorito chiunque.
“Dici
che Joyce mi voglia bene?” chiese poi. Il ragazzo leopardato fece un
sorrisetto e allungò la mano per accarezzarle il viso.
“Joyce
non lo so, ma io te ne vorrei se…” non fece in tempo a finire la
frase perché lei lo stava guardando come si guarda un indemoniato, e
aveva lasciato andare la cravatta.
“Evapora”
decretò, il ragazzo incravattato non se lo fece ripetere due volte e
fuggì a gambe levate.
Rachele
sospirò e appoggiò rumorosamente la testa all’armadietto di
metallo.
“Uffa”
La mattina
dopo Joyce si svegliò infreddolito, per poi scoprire che era in mutande
sopra al materasso. Niente pigiama, niente lenzuola, niente trapunta, in
gennaio. Simise a sederee appoggiò i piedi per terra,
perplesso.
Era sicuro
che al momento di andare a letto ci fosse tutto. Aggrottò le
sopracciglia e decretò che prima di riflettere ancora era meglio andare
in bagno a lavarsi la faccia. Dopo essersi risciacquati si ragiona sempre molto
meglio.
Andò
in bagno, e si lavò la faccia, per una volta non c’era ressa,
solitamente c’era da fare a botte, tra lui, Emily, Jane e loro padre.
Mentre si
asciugava sentì dei rumori provenire dalla serratura, si allungò
a cercare di aprire la porta, che rimase irrimediabilmente chiusa. La
sforzò un po’, strattonando il pomello in qua e in là.
Andò
avanti per un po’ a litigarci, per poi arrendersi all’evidenza, era
irrimediabilmente chiusa.
Sbuffò e occhieggiò di
malavoglia la finestra. Non era la prima volta che passava sui cornicioni o si
arrampicava su per le grondaie, ma di solito non era in mutande in pieno
gennaio.
Ma a quanto
pareva nessuno al di fuori della toilette gli stava dando udienza, per cui
rimaneva l’unica scelta possibile quella di uscire dalla finestra.
Salì sul davanzale e passò sul cornicione, faceva un freddo
bestiale, e in qua e in là c’era ancora un po’ di neve.
Arrivato
davanti alla finestra della cucina, qualche metro più in là,
bussò e una Jane perplessa venne ad aprirgli.
“Che
ci fai sul cornicione?” domandò con una padella in mano.
“Sono
rimasto chiuso in bagno, e mi sono sparite le lenzuola… sta mattina
c’è qualche cosa di strano…” disse guardingo entrando
in casa.
Jane
alzò le spalle “E’ passata Rachele prima, l’hai vista?
Ti stava stirando una maglietta…” Joyce la guardò perplessa,
per poi passare lo sguardo al piano da stiro, dove c’era una sua
maglietta arancione, una delle sue preferite tra l’altro, con il ferro
appoggiato sopra.
Rimase a
fissarlo per qualche secondo con un terribile presentimento. Lo alzò
rivelando un buco a forma di ferro. Sbatté le palpebre e lo spense
mettendolo al suo posto.
Andò
in dispensa, per poi scoprire che i suoi biscotti preferiti erano spariti.
Guardò Jane sapendo già la risposta alla domanda che le stava per
porle “Li hai mangiati tu?”
Lei scosse
la testa “No, Rachele ha detto che aveva fame…”
Poi
aggiunse “Hai visto il mio pellicciotto arancione?”
Jane scosse
la testa. E lui si catapultò fuori correndo all’impazzata verso la
scuola. E infatti, come aveva supposto quando non aveva trovato il
pellicciotto, la trovò nel giardino della scuola, a chinino con il
suddetto pellicciotto in mano, intenta a cercare di far funzionare un accendino
mezzo scarico.
“Rachele!”
strillò rischiando di non riuscire a frenare in tempo e finirle addosso.
Lei
alzò la testa contrariata.
“Vuoi
dare fuoco al mio pellicciotto?” sbraitò. Rachele glielo
lanciò addosso con disprezzo. “No, l’accendino non
funziona…”
Joyce in
maglietta e jeans lo afferrò con lo sguardo lucido.
“Rachele”
piagnucolò.
“Lasciami
stare!” sbottò lei andandosene. Joyce la rincorse prendendola per
il polso.
“Rachele
per piacere…” cercò di dire.
“Mollami
o ti mordo, e sai che lo faccio!” proruppe perentoria. Joyce la
lasciò andare.
Si
ritrovò a pestare i piedi “Cavolo!” sbraitò senza
sapere cosa fare.
Era tutta
colpa di Nikka. Tutta colpa di quella stupida esaltata che si divertiva a
giocare con Mei e D’annunzio, e probabilmente non gliene fregava nulla di
rovinare la vita anche a lui!
Quel
pomeriggio Joyce era a casa Pavesi. In realtà non sapeva che fare con
Rachele, ma era tanta l’abitudine a stare in quell’appartamento,
che gli sarebbe sembrato strano non andarci. Così si era ritrovato in
camera, con Mei, che trafficava con il PC.
Joyce
sospirò. “E così Nikka ti ha baciato…”disse il
ragazzo, che sembrava non dargli udienza, ma in realtà era attentissimo.
“Sì,
ma senti, non è colpa mia, io non la volevo baciare e…”
continuò imbarazzato. Mei alzò le spalle.
“Immagino,
credo che Nikka si diverta a dispensare baci. Non ce l’ho con
te…”.
Joyce si morse
il labbro, forse Mei non era la persona più giusta per parlare di quella
faccenda, ma ormai che era lì …
“Il
problema a questo punto, mi pare di capire che sia mia sorella…”
continuò cliccando qualche cosa sullo schermo, mentre le sue dita
passavano veloci sulla tastiera.
“Già”
ammise Joyce abbattuto appoggiando la testa allo stipite della porta.
“E se
permetti, io non ho ancora capito che razza di rapporto avete tu e Rachele, che
cavolo! Come se non sapesse che hai avuto anche delle altre ragazze!” disse.
Joyce
alzò le spalle. “Tua sorella non è così sicura come
sembra… e Nikka la manda in crisi. La odia credo… non saprei dirti
perché…comunque non gli interessa cosa faccio con le altre
ragazze. Il problema è che se avessi una storia con Nikka passerei dall’altra
parte…”
A quel
punto Mei si voltò a guardarlo “Permettimi di chiederti una cosa:
cosa cavolo siete tu e Rachele?” disse accigliato.
“Amici?”
azzardò Joyce con poca convinzione.
“Gli
amici NON si sbaciucchiano!” decretò Mei senza dare alito a eventuali
repliche. Joyce alzò le spalle.
Nikka
rimase un poco a guardare il display del cellulare. Poi prese coraggio,
digitò il numero e avvicinò il cellulare all’orecchio.
Dopo due
squilli mise giù senza aspettare che qualcuno rispondesse. E nascose il
cellulare in tasca. Respirò profondamente con le labbra serrate e lo
sguardo fisso sulla porta chiusa della sua camera.
Si
appoggiò stancamente al muro dietro di lei. E sbuffò.
Insomma,
probabilmente aveva detto un sacco di cose più imbarazzanti, nella sua vita,
quale doveva essere il problema di dire a Mei, che, le piaciucchiava?
Sì,
doveva vederlo quella sera, ma aveva pensato che dirlo al telefono sarebbe
stato meno imbarazzante, poteva anche aspettare che lui capisse, ma temeva che
di quel passo, aspettando che Mei intuisse e che addirittura prendesse
l’iniziativa si sarebbero arrivati tranquillamente alla prossima era
glaciale.
Fece
l’ennesimo sospiro ed estrasse il cellulare dalla tasca dove
l’aveva riposto, digitò il numero e lo appoggiò
all’orecchio.
Uno, due,
tre squilli a vuoto, Nikka dovette fare violenza su sé stessa per non
riattaccare, quando dall’altra parte venne un Pronto un po’ distorto dalla linea.
“Pronto?
Ciao Mei… no, non dire niente, sono Nikka…senti, volevo dirti che
mi dispiace tanto per tutto quello che è successo. Per Pallotti, per il
bagno nei ghiaccioli, e tutto il resto. Mi spiace averti spinto a provarci con
una e poi essermi arrabbiata quando ti ho visto con Alsazia, che razza di nome
poi, ti prego non dire che è geografico, perché è solo
ridicolo! E mi dispiace per essere così fissata con i vestiti, e aver
cercato di trasformarti nella mia opera d’arte, dato che di certo mio non
puoi essere, tu sei tu, e i vestiti li fa tua madre… e l’altro
giorno, quando sei venuto a parlarmi di struzzi e hotel nello spazio forse
avrei dovuto ascoltarti, probabilmente preferivo ascoltarti piuttosto che
attaccare il quadro con Cesar… sicuramente preferivo ascoltarti… e
lo so che sono strana, ma tutto questo casino credo di averlo fatto
perché mi piaci…” poi ripeté in un sussurro come per
essere sicura di averlo detto “mi piaci Mei…”
Deglutì
senza fiato, un po’ per quello che aveva detto, un po’
perché non aveva respirato neanche un attimo. Per un secondo
pensò che Mei avesse riattaccato, ma poi parlò, a bassa voce.
“Ehm,
Nikka… sono Joyce, Mei è andato in bagno…” disse
guardingo.
Nikka
rimase per qualche secondo con la bocca spalancata e il desiderio di urlare che
andava su e giù per la gola.
“JOYCE!”
riuscì infine.
“Devo
dire a Mei che hai detto che gli piaci?” domandò lui un po’
spaesato.
“N-no!
diamine Joyce! Non ti azzardare a dirgli nulla!” urlò in preda
alla collera e interrompendo la conversazione buttò il cellulare per
terra, e poi si fece cadere sul letto.
Fatta
sfortuna. Si era dichiarata a Joyce…
In quel
momento in un’altra casa Mei uscì dal bagno.
“Chi
ha chiamato?” chiese tranquillo chiudendo la porta e occhieggiando Joyce
che col suo telefono in mano aveva l’aria di uno che è appena
uscito dalla lavatrice.
Per un
secondo Joyce pensò a dirgli di Nikka, ma alla fine giunse alla
conclusione che meno si metteva in mezzo, meglio era… già
c’erano dei problemi con Rachele , non voleva averne anche con Mei e
Nikka.
“Un
tizio che vendeva aspirapolvere” mentì alla fine. Mei annuì
un po’ perplesso, ma non fece domande ulteriori sulla faccenda, invece
continuò su un altro binario “Allora con Rachele? Come hai
intenzione di fare? Sta sera c’è una festa… probabilmente ci
andrà…”
Joyce
alzò le spalle.
“Sinceramente
non ne ho idea…”
“Io
ci andrò, secondo me dovresti venirci anche tu…”
sussurrò con un sorriso.
Più
tardi, quando Joyce era tornato a casa sua e Rachele era tornata
all’ovile, Mei si preparava per uscire, andando in giro per casa
allacciandosi la camicia bianca.
“Tesoro,
mettiti questo!” trillò allegra lanciandogli un foulard.
Rachele
guardava la scena seduta sul ciglio del divano intenta a fumare con aria
scocciata e vagamente depressa.
“Ma
tu guarda, io sto in casa e il mio fratellino nerd va a una festa
chic…”biascicò triste. La signora Pavesi che stava
preparando la torta di riso non le badò , e Mei era già sulla
porta che si infilava la giacca, con la custodia del PC trattenuta tra le
ginocchia, il cellulare in bocca, mentre raddrizzava il coletto.
“Ci
vai col portatile alla festa?” chiese con voce strascicata prendendo una
boccata di fumo.
Mei
annuì e si mise il cellulare in tasca uscendo.
Rachele
sospirò tenendo la sigaretta ferma tra le dita, e guardando sua madre
che col grembiule addosso canticchiava serena una canzone idiota su una lavandaia.
Sbuffò,
e prese il telefonino, non poteva stare a casa il sabato sera.
Il telefono
suonò a vuoto per qualche secondo, poi dall’altra parte risposero.
“Ciao
Pallotti… sono Rachele, no, non mettere giù…” si
accigliò “no, non voglio farti attaccare al cancello da Joyce sta
volta…no… ho solo bisogno di qualcuno con cui andare alla festa che
c’è a Il Giardino di venere… no, non ti bacio, scordatelo,
al massimo posso decidere di darti la mano” poi precisò “se
mi ubriaco…”
Il sole
stava tramontando quando Mei e Joyce arrivarono al giardino di Venere, Joyce
non era neanche messo la giacca, era ovvio che non gli interessasse entrare. Se
ne stava fermo a guardare la fila di chi aspettava che fosse il suo turno per accedere
alla festa, con le mani in tasca, e gli occhi alla ricerca di Rachele. Mei
sorrideva amabile con le dita strette alla tracolla del porta PC.
“E’
lì… con Pallotti” disse in un sussurro Joyce mordendosi il
labbro inferiore. Mei annuì “Già…allora cosa aspetti
ad andarci?”
Lui
alzò le spalle incerto “Non so…tu cosa stai
aspettando?”
“Che
ti decidi a fare qualche cosa, così posso cercare Nikka…”
spiegò Mei tranquillo.
“Quindi
ti sto rovinando la serata?” concluse.
“Non
ancora, è presto…” poi gli diede una spintarella
“Sbrigati, tra poco cominceranno a entrare e ti assicuro che con quella
pelliccia addosso non ci penseranno due volte a lasciarti fuori”disse allegro.
“Mi
sembri Nikka, lo sai?” Mei rise, mentre Joyce si avviava verso la ragazza
blu.
Pallotti
gli dava le spalle, e Rachele lo stava guardando con l’espressione
più annoiata del suo repertorio, espressione che cambiò un poco
quando vide Joyce avvicinarsi a loro. Pallotti non capì subito il
cambiamento di Rachele, finché non si decise a girarsi scorgendo
l’irlandese.
Joyce gli
lanciò un’occhiataccia e minacciò “Se non sparisci
immediatamente ti crocifiggo al cancello!”. Il ragazzo biondo se la diede
a gambe.
Joyce in un
altro momento si sarebbe complimentato per il terrore che riusciva a incutere
in una mente semplice come quella di Pallotti, ma in quel momento era
più il terrore che Rachele incuteva in lui.
“Rachele”
azzardò.
“Che
cavolo vuoi?” sbottò arrabbiata. Joyce sentì la rabbia
schiantarglisi in faccia. Chiuse gli occhi per un secondo, e quando li
riaprì lei era ancora lì che mostrava i denti guardandolo dal
basso.
“Che
cosa devo fare..?” chiese.
Rachele
aveva l’aria di uno che stava per esplodere “Che cosa devi fare?
Che cosa devi fare?” ripeté con la voce che saliva al cielo sempre
più acuta.
Lui non
ebbe realmente il tempo di registrare cosa stava facendo, perché non si
accorse di star avvicinando vertiginosamente Rachele a sé e di
stampargli un bacio sulle labbra.
Si accorse
invece subito del dolore che gli procurò il cozzare del suo zigomo con
il palmo della mano di lei.
“IDIOTA!”
sputò lei , per poi girare i tacchi e correre via. Joyce si
lanciò immediatamente al suo inseguimento.
Fu allora
che Mei decise di aver guardato abbastanza e che forse era già in
ritardo per la festa.
Quando
entrò si stupì. Era abituato al Luxury e a tutti gli inutili
fronzoli pacchiani che riservava alle sue feste.
Il posto
dove Nikka l’aveva portato quella sera era davvero chic. Era tutto di un
rosa chiaro, con tanti tavolini tondi, posate brillanti, lampadari che
traboccavano gocce di cristallo. Sbatté le palpebre compiacendosi che
non ci fosse ressa, e che nessuno stesse ballando in modo sguaiato.
Intercettò in fretta Nikka, con le sue inseparabili amiche.
Fissò
per un secondo il vestito di seta grigia che avvolgeva Nikka. E il contrasto
coi lustrini di Millie e della loro amica equina. Si disse che probabilmente
lei aveva avuto qualche cosa da dire. Gli venne quasi da ridere.
Nikka
sorrise nel vederlo e non disse nulla. Ovviamente la pace ovattata non
durò molto, perché le due pailettate gli piombarono addosso
immediatamente abbracciandolo civettuole.
Nikka
sorrise anche allora.
Mei si
disse che era strano, le ragazze ballarono un poco lasciandolo al tavolo col
suo rassicurante pc. Lo strascinarono il pista dopo un po’, e lui
riuscì a scappare. E Nikka commentò il vestito della Gandolfi che
così stellato, la faceva sembrare un cioccolatino.
Non era
esattamente come stare con Joyce, o con Rachele o con sua madre, ma si disse
che non era male, che non gliene fregava nulla del vestito della Gandolfi, che
non era obbligato a baciare nessuno, che poteva rifiutare lo spumante se non
voleva. Era una specie di calma chic. Gli veniva da sorridere. Forse aveva
sbagliato a prendere Nikka. Forse avrebbero potuto essere amici. Si disse che
si, così poteva andare, e probabilmente ora che si era messa con Cesar
le cose sarebbero migliorate anche per lui.
Quando Mei tornò a casa sorrideva
come un idiota. Sul momento non vi badai. Anche io sorridevo come
un’idiota.
Anche se ero stravaccata sul divano, con
Joyce che mi dormiva sulla pancia non mi ero nemmeno tolta le scarpe.
“Che hai da ridacchiare tu?”
dissi a bassa voce per non svegliare Joyce. Mei mi lanciò un altro
sorriso e se ne andò in camera sua.
Sospirai e appoggiai la testa al bracciolo
del divano. “Buona notte Rachele” dissi tra me.
E così siamo arrivati al ventesimo e penultimo capitolo.
Lo dico adesso così nel prossimo non ci sarà la sorpresina!
Come al solito il capitolo non mi convince granché, ma da
un po’ a questa parte mi succede sempre, e non so come sistemarlo, quindi
ho deciso di postarlo così…ç__ç
Ovviamente ringrazio moltissimo tutti quelli che leggono, in
particolare TheDuck,(Grazie!!^.^) Lucy Light (quella è la candela che
c’è di solito sulle mie torte di compleanno!!XD comunque Joyce va
in giro conciato così per dare modo agli altri personaggi di insultarlo
malamente!!)e DarkViolet92 (Ma più che gli auguri Rachele non sopporta
la maggior parte dei rapporti umani soprattutto se sono “di
massa”…XD )
Quando mi
svegliai quella mattina mi chiesi se la trapunta di Joyce rappresentasse la
bandiera dell’Italia sbiadita, o quella dell’Irlanda. Poi pensai
che in realtà me ne fregava ben poco, alzai le
spalle e svegliai Joyce con uno scappellotto.
Joyce che
dormiva accanto a me, con indosso un pigiama stupido, sobbalzò.
“Sia
mai che tu riesca a svegliarmi in modo un po’ più carino… e
poi che cavolo!
E’ domenica! Perché dobbiamo svegliaci presto
anche di domenica?”sbraitò sull’orlo di una crisi di nervi
mattutina.
Alzai le spalle
“Perché soffro di insonnia”.
Joyce
mugugnò qualche cosa nascondendosi sotto la trapunta
tricolore.
Nikka
guardò i biscotti che la signora Pavesi aveva appoggiato sulla scrivania
con circospezione. Mei sorrise, gli occhi languidi
con cui la ragazza ammirava le leccornie di sua madre lo facevano divertire.
Probabilmente
in quel momento nel suo cervello era in corso una battaglia. O forse sulle sue
spalle erano apparsi un angioletto ed un diavoletto tentatore.
Probabilmente
Nikka era a dieta più o meno da quando era venuta al mondo, ma sua madre
in cucina ci sapeva davvero fare, tanto da far vacillare anche la più
solerte esteta del quartiere.
Nikka distolse
gli occhi dai dolci per non venirne tentata oltre. Era appollaiata sul ciglio
del letto un po’ a disagio, neanche si era tolta la giacca.
“Tutto a
posto?” domandò ridanciano. Nikka strizzò gli occhi e
annuì.
Mei appoggiò la testa al muro
pensando che a pensare a Nikka come amica si stava bene.
“Allora
come va con Cesar?” chiese con un sorriso come per dimostrare a sé
stesso che gli era del tutto passata la cotta per Nikka, e che era arrivato
alla saggia conclusione che l’amicizia tra loro due potesse essere
l’unica scelta sensata.
“Oh,
non c’è male…all’inizio l’avevo giudicato male. Invece mi trovo
molto bene, è simpatico, intelligente e ha un accento un po’
buffo” spiegò annuendo tranquilla.
“E poi
è anche di bell’aspetto” aggiunse. Mei
sentì lo stomaco contrarsi e aggrottò le sopracciglia
costringendosi a pensare che sicuramente Nikka e Cesar insieme
stavano benissimo, e lui poteva essere un perfetto migliore amico.
“Infatti direi che mi ci sto affezionando, non mi era mai
capitato prima” disse con lo sguardo un po’ perso.
Non che da
dopo il divorzio sua madre avesse avuto tanti uomini intorno, in realtà
oltre a Cesar c’era stato solo Ezio, una talpa cretina e balbuziente.
Alzò gli occhi dicendo tra sé e sé che era una fortuna che
fosse arrivato uno come Cesar, un altro Ezio non l’avrebbe sopportato.
“Quanti
anni ha?” chiese poi ostentando la più totale indifferenza.
Nikka non
notò nulla nella sua espressione, forse perché considerava
l’argomento completamente neutro.
“Trentadue”
rispose lei svelta con un sorriso. “Una bella differenza…tredici
anni” commentò a denti stretti.
Nikka
annuì allegra, non pensava che Mei si
ricordasse esattamente l’età di sua madre.
Poi a Mei parve che lei cambiasse discorso e si distese
“Tua madre non ha mai pensato di … non so… trovarsi un altro
uomo…rifarsi una vita?” chiese curiosa.
Mei alzò le spalle e guardò
il lampadario, con il collo piegato in una posa un po’ innaturale.
“Lei ama
ancora mio padre… a volte vede Giovanni Cumoli…ma sono amici, anche
il padre di Joyce ama ancora la sua ex moglie”spiegò con
semplicità.
Nikka si
avvicinò un po’ a lui con fare strano e con aria un po’
maliziosa appoggiò il mento alla sua spalla. Mei
deglutì, dicendosi che era stupido agitarsi. Intanto però gli
stava venendo la tachicardia.
“Lo sai
che c’è una certa percentuale dei ragazzi che hanno perso il padre
in tenera età che diventano gay?” disse. Si allontanò di
nuovo, e il cuore di Mei riprese il suo andamento
regolare, ridacchiò.
“Quando
è morto mio padre avevo già superato la fase anale…”
fu la risposta divertita. Nikka fece una faccia strana.
Mei rise “Non sai
cos’è?” chiese, e la risposta la sapeva già.
“No, e
non lo voglio neanche sapere!” esclamò drastica facendolo ridere
ancora.
“E da
dove ti saltano fuori certe cose scusa?” sbottò appoggiandosi al
muro.
“Nozioni
sparse di psicologia… ho letto qualche libro…” disse con fare
dolce. Nikka pensò che avrebbe voluto dargli un bacio. Era carino quando
era saccente, era carino quando era impacciato… insomma era sempre carino…
sospirò.
Mei guardò l’ora “Devo
andare a dire alla spagnola che Rachele ha la febbre e non può andare a
sturarle il water” disse senza sentirsi più di tanto idiota.
“Ha
preso l’influenza?” chiese Nikka alzandosi dal letto.
“No, se
l’è svignata con Joyce… come al solito”rispose Mei, Nikka alzò gli occhi al cielo e aprì la
porta “Dopo anni, quei due non gli ho ancora capiti…”
“Fa te,
io ho scoperto che andava a letto insieme due settimane fa…”
commentò prendendo il giubbotto.
“Ed
è tua sorella” aggiunse infine lei attraversando il corridoio con un andatura un poco dondolante sui tacchi alti.
Mei si sistemò il colletto della
giacca abbassando i capo, e finendo a guardare i
tacchi di legno di Nikka che battevano sul pavimento di palladiana.
Li vide
fermarsi sulla soglia della cucina e anche lui si arrestò, appena in
tempo per non andarle addosso.
“Mamma,
Cesar…” disse soltanto con voce tranquilla avviandosi verso il
tavolo.
Mei alzò lo sguardo su sua madre
che se ne stava in piedi affianco al fornello con una teiera in mano, seduti al
tavolo, entrambi col busto ritorto a guardarli se ne stavano Marianna coi suoi
ricci biondi tinti e il suo naso a punta, e un uomo sulla trentina dalla
carnagione scura.
Il cervello di
Mei ci mise poco ad analizzare quella figura a lui
quasi sconosciuta.
Capelli scuri
e mossi, pelle altrettanto scusa, occhi neanche a
parlarne, scuri.
Bello. Si
disse. Davvero bello, cavolo.
Portava una
camicia a righine azzurre e delle scarpe in vernice nera, tra le mani una tazza
di tea fumante.
“Tu sei
Cesar?” chiese con un’aria un po’ strafottente che
decisamente non gli apparteneva.
Cesar
annuì voltandosi meglio nella sua direzione. Sorrise e allungò la
mano per dire piacere, ma Mei la ignorò.
“Beh,
non credi che tredici anni di differenza siano troppi per una coppia?”
sbottò.
Cesar
arrossì vagamente imbarazzato, deglutì e si passò la mano
nervosamente tra i capelli ricci.
Nikka lo
guardò perplessa, e la signora Marianna si accigliò, le stava
dando della vecchia? Lei che si truccava sempre bene per essere al livello del
suo nuovo fidanzato?
“Beh,
sì… in effetti tredici anni non sono
pochi… ma pensa che c’è gente che anche con vent’anni
di differenza si sposa… e sono felici comunque, siamo entrambi grandi e
vaccinati e…” cominciò a blaterare imbarazzato.
“Nikka
non ha neanche vent’anni!
Anche se è maggiorenne non mi sembra poi così
grande!” continuò accigliato.
“Beh…”
fece Cesar sempre più imbarazzato da quella situazione.
Dopo che sua
madre l’aveva insultato dicendo che stava con una come Marianna solo
perché mirava alla pensione pensava di aver visto tutto. E invece il
quasi fidanzatino della sua quasi figliastra gli stava facendo la predica per
non si sapeva quale motivo!!
“Conosco
gente risposata che ha figli ben più piccoli di Nikka, credo che alla
sua età sia abbastanza grande per
capire…” ancora una volta Mei lo
interruppe.
“Che
cavolo centrano i figli… credo che tu sia troppo grande per stare con
Nikka, e basta…” disse infine con un’occhiataccia sprezzante.
Marianna,
Cesar e la signora Pavesi con la teiera ancora in mano lo guardarono perplessi,
più o meno nello stesso istante in cui una gomitata di Nikka gli
atterrava tra le costole.
Mei si inarcò un poco verso
sinistra e fece una smorfia di dolore.
“Cesar
sta con mia madre non con me!” disse tra i denti in un sussurro udibilissimo.
Mei si raddrizzò con uno scatto e
si guardò in giro imbarazzato per poi adocchiare nervosamente
l’orologio senza guardarlo e dire in una recita palese “Oh,
cavolo… come è tardi!”. Pausa teatrale
“Devo andare dalla spagnola. Ci si vede”
salutò scattando fuori dalla porta con un fruscio.
I
rimanenti quattro si guardarono vicendevolmente negli occhi, perplessi,
finché Nikka non sfoderò uno dei suoi sorrisi plastici e disse
calorosa “Arabella! Si dice che i tuoi biscotti siano i
più buoni del quartiere! Non è che li potrei
assaggiare?”
Per una
situazione del genere poteva anche fare uno strappo alla perenne dieta.
Arabella ci mise un attimo a realizzare cosa le era stato chiesto “Oh, sì, sì
Nicoletta, arrivano subito!”
La signora
Pavesi appoggiò sul tavolo della cucina un vassoio stracolmo di biscotti
e tutti ci si buttarono a capofitto.
“Mangiamo,
che è meglio” disse qualcuno, e tutti si trovarono
d’accordo.
“Cosa
hai detto che non deve mai andare in contatto con l’acqua?” chiese
distrattamente Rachele il giorno dopo mentre passavano per il corridoio della
scuola.
“Eh?”
fece Mei preso alla sprovvista.
Rachele
sbuffò “Ti ricordi quando ti si mozzato il dito? Mi hai raccontato che lo mai messo nel ghiaccio eccetera eccetera,
e poi ti sei messo a parlare di chimicae hai detto che c’è un qualche cosa che non va mai messo
nell’acqua” spiegò.
“Il
sodio… il sodio non va messo nell’acqua…
perché?” chiese Mei perplesso. Rachele
alzò le spalle. Probabilmente suo fratello avrebbe insistito se non
avesse visto una coda di cavallo rossiccia all’inizio del corridoio e non
avesse sentito per questo il bisogno di nascondersi nella stanza delle
fotocopiatrici.
Si
dileguò così con un “Non fare cose di cui potresti
pentirti!” e sparì inghiottito da una porta.
Rachele si
diresse al laboratorio di chimica. C’era stata qualche volta i primi due
anni di superiori, ma non si ricordava praticamente nulla, a parte il fatto che
il professore di laboratorio non era un brutto uomo, e che si scordava sempre
in modo poco professionale di chiudere a chiave l’armadietto che
conteneva tutte le sostanze.
Rachele rimase
a guardare per un secondo l’armadietto dalle
ante in vetro, prima di individuare la boccetta che portava la scritta a biro sodio.
La prese con
uno scatto e se la infilò nella borsa a tracolla, uscendo non vista con
incredibile nonchalance.
Estrasse il
cellulare e digitò un numero che conosceva a memoria, quello che
componeva più spesso “Joyce?”
“Mhm?” muggirono dall’altra parte, probabilmente
stava mangiando.
“Ci
vediamo tra un quarto d’ora al laghetto” comandò perentoria.
“Ma
stavo mangiando!” biascicò contrariato. “E chi se ne frega
Joyce!” sbottò lei interrompendo la chiamata.
Si diresse a
passo di marcia verso il laghetto del giardino. Che in realtà era una
pozzanghera immensa che dopo ogni acquazzone si formava e stava lì per
giorni.
Passò
di gran carriera davanti al bagno delle ragazze, e qualche passo dopo si
inchiodò e tornò indietro, appoggiandosi pensierosa allo stipite
della porta.
Si chiese se
per caso fosse davvero così pericoloso quel sodio che aveva preso. Se
l’avesse lanciato nella pozzanghera dove stava Joyce sarebbe stato
così letale?
Si morse il
labbro. Aveva letto in un racconto di uno scherzo simile… ma più
che altro vi erano effetti pirotecnici, e non c’entrava il sodio…
era.. non si ricordava.
Strinse il
contenitore tra le mani ed entrò nel gabinetto.
Prese un pezzo
di carta igienica e svitò il tappo del contenitore in vetro.
Iniziò a battere il dito sul vetro inclinando la boccetta per farne
scendere un po’.
Guardò
un po’ i granelli bianchi sulla carta igienica e richiuse la boccetta che
rimise nella borsa. Uscì dal gabinetto lasciando la porta aperta in modo
da poter vedere bene la tazza del water e si andò a mettere dietro al
muro che separava i gabinetti dalla stanza dei lavandini.
Si morse il
labbro e con un lancio deciso buttò la carta igienica che conteneva il
sodio nella tazza e si nascose dietro al muro.
Ci fu un boato
e Rachele rimase immobile atterrita appoggiata al muro
freddo senza avere il coraggio di guardare cosa fosse successo. Le veniva quasi
da piangere. Aveva quasi ammazzato Joyce.
Partì
l’allarme antincendio e cominciò a piovere sul bagnato,
l’acqua proveniente dalle tubature le era arrivata fino ai piedi.
Deglutì
e si fece coraggio, si sporse a guardare oltre il muro, il bagno era sventrato
e dove prima c’era un water a quel punto c’era un buco dal quale
sgorgava acqua a fiotti e cocci bianchi in ogni dove.
Deglutì
decidendo nel modo più lucido possibile di fuggire prima che qualcuno si
rendesse conto che l’effetto molotov lo dovevano tutto alla sua smania
nel fare il piccolo chimico.
Corse fuori
sui pavimenti bagnati, verso il giardino, dove Joyce l’aspettava alla
pozzanghera.
Le veniva da
piangere e non era sicura che l’acqua che le bagnava la faccia fosse
dovuta all’impianto antincendio o alle lacrime.
Joyce si vide
arrivare incontro una Rachele blu e fradicia, in corsa frenetica.
“Rachele?”
chiese lui perplesso vedendo che non accennava a rallentare. Non pensò
nemmeno a scansarsi e quando Rachele gli arrivò addosso di prepotenza
dandogli un bacio caddero entrambi nella pozzanghera.
Joyce si
tirò un po’ su con il giubbotto e i pantaloni inzuppati, e una
Rachele seduta addosso altrettanto zuppa, che non
accennava ad aprire gli occhi e guardarlo o semplicemente a darsi una calmata e
smetterla di baciarlo e toccargli la faccia.
Le
appoggiò una mano sul petto e l’allontanò deciso ma senza
strattoni.
“A cosa
devo tutto questo casino?”chiese circospetto
guardandola sottecchi.
“Ho
rischiato di ammazzarti” disse lei col fiatone. Joyce annuì
pensieroso.
“Poco
male, non mi sono accorto di nulla…” commentò. Non ebbe
tempo di dire altro perché Rachele gli riprese la faccia la tre mani e ricominciò a baciarlo.
Joyce
decretò di non essere particolarmente interessato a impedirglielo.
Mei uscendo dalla scuola per via del
violento acquazzone elettronico notò un po’ di movimento dentro la
pozzanghera, ma non ebbe modo di indagare oltre perché vedendo uscire
anche Nikka che imprecava perché le si stava sciogliendo il trucco,
decise fosse meglio filarsela e si nascose in un cespuglio.
Si
accucciò per terra tra le foglie e guardò tra i rami, prima di
accorgersi di non essere solo.
“Emily!”
esclamò “Stai cercando un marito ricco nascosta
in un cespuglio?”chiese.
“A cercare un marito ricco ci vado
nel pomeriggio, al momento sto cercando pettegolezzi” spiegò lei
sistemandosi la frangetta.
“E credi
di trovarli stando qui?”
Mei alzò le sopracciglia e
sbuffò rimettendosi a guardare oltre i rami, Emily riportò subito
su di sé l’attenzione del ragazzo “Non permetto a uno finito qui per nascondersi da Nikka perché ha
scambiato il suo patrigno per il suo fidanzato di non credere nelle mie doti
investigative!”
“Come
diamine lo sai?!” sbottò lui inarcando le
sopracciglia scure e folte.
Emily
alzò le spalle “Tu mi sottovaluti e allora… comunque
dovresti ringraziarmi, non ho detto a Monica di questa cosa…”aggiunse
senza guardarlo.
“Grazie”
fece Mei sincero, voleva evitare che la cosa si
sapesse in giro, era già abbastanza imbarazzante il fatto che fosse
successo. E avere un’alleata come Emily non poteva che giovare.
“E…
se vuoi che continui a non dirlo mi devi dare cinquanta euro” disse
tranquilla allungando la mano aperta nella sua direzione.
“E’
un sordido ricatto!” sbraitò arrabbiato mettendo mano al
portafoglio.
“No,
è solo la dura legge del mercato” si scagionò Emily
sibillina.
Il giorno dopo
Mei era ancora intento a sfuggire a Nikka che invece
gli telefonava e
andava a cercarlo in aula. Nel mentre la
scuola sembrava invasa da una mandria di astronauti, che a un’attenta
osservazione sarebbero risultati essere gli idraulici intenti a sistemare il
bagno distrutto dalla bomba di sodio.
Comunque
nonostante tutti gli sforzi di Mei arrivò il
momento di andare a mensa e lì certo non avrebbe potuto evitarla. Rimase
per qualche secondo indeciso sul da farsi.
Il piano era
semplice: arraffare un po’ di pasta e una bistecca e poi fuggire non
visto a gambe levate, in modo da restare il meno possibile in un luogo vasto
come la mensa.
Avanzò
qualche passo fino ad arrivare alla fila davanti al cuoco che distribuiva pugni
di pasta prendendoli con le pinze.
Il cuoco
muggì in direzione di Mei “Pomodoro o
tonno?”
“Tonno,
tonno” rispose lui sperando che si sbrigasse a mettergli la manciata di
spaghetti al tonno nel piatto in modo da poter fuggire il
prima possibile.
Passò
avanti ed arraffò una bistecca, quando finalmente pensò di essere
vicino alla salvezza e già stava per imboccare la porta e uscire si
sentì afferrare per la camicia all’altezza del fianco. Si
irrigidì girandosi lentamente.
Una ragazzina
piccola e castana seguita da due coi capelli blu gli
sorrise “Ciao Mei! Vieni a
mangiare con noi?” domandò Sofia.
Mei rimase per qualche secondo a guardarla
indeciso su cosa rispondere, poi sconnesso cominciò a indicare la porta
dicendo “Guarda, io proprio dovrei andare e…”
Ma Sofia lo
strattonò un poco verso un tavolo ancora libero “EddaiMei, non farti pregare, non
vorrai mica andare da quella bisbetica di Nikka invece che stare con
noi!” esclamò allegra trascinandoselo dietro.
Mei si sedette al tavolo di malavoglia.
“A dire
il vero è proprio ciò che cercavo di evitare”disse lui.
“Oh,
bene vedo che stai imparando!” esclamò lei allegra sedendosi
davanti a lui.
“La
mamma mi ha raccontato che hai fatto il tuo numero” sussurrò aspra
Rachele sedendosi, non vista, accanto a lui.
Suo fratello
si passò una mano sul viso “Ti prego non ricordarmelo!”disse
disperatamente.
La ragazza blu
alzò le spalle e prese una forchettata dei suoi spaghetti al pomodoro e
olive.
Esattamente in
quel momento Mei vide Nikka dall’altra parte
della sala, e lo stesso fece lei. Si guardarono negli occhi per qualche
secondo.
Nikka
aprì la bocca come per dire qualche cosa. Mei
fece una smorfia, sentendosi braccato.
Successe tutto
troppo velocemente, forse solo Rachele alzando gli
occhi riuscì a seguire i movimenti di tutti.
Nikka
salì sulla sedia su cui stava seduta fino a un secondo prima.
Mei rubò un’oliva al piatto
di sua sorella.
Nikka
salì in piedi sul tavolo.
Mei lanciò l’oliva in faccia
all’oca blu che gli stava accanto.
Nikka
urlò al di sopra del frastuono generale “Mei!”
L’oca si
voltò verso Mei accigliata e lui le
indicò Millie dall’altra parte della
sala “E’ stata lei!” disse a bassa voce.
L’oca
accigliata si alzò in piedi e urlò “Maledetta
baldracca!” il piatto dell’oca partì in direzione
dell’ignara Millie che non si era accorta di
nulla, ma deviò colpendo Isabella Gigli, che arrabbiata ricambiò
cercando di lanciarle addosso la sua insalata, che
però colpì in pieno volto Pallotti, che
si vendicò spiaccicando in faccia al vicino la sua millefoglie. Non per
un motivo. Solo per sfogare la rabbia.
“Mei!” urlò di nuovo Nikka, mentre per la mensa
volava cibo di tutti i generi.
Monica si
beccò in faccia un piatto di spaghetti al tonno e distraendosi da Nikka
iniziò anch’ella a partecipare alla rissa culinaria ignorando gli
ultimi pettegolezzi.
“Mei…smettila di evitarmi, perché pensavi che
stessi con Cesar! Smettila
di evitarmi perché sono stata una stronza e mi piacevi solo per i tuoi
vestiti! Smettila di evitarmi perché ho cercato di farti fare da opera
d’arte! Smettila di evitarmi perché tua sorella mi odia…
perché ti sto rincorrendo io adesso… e ti assicuro che non
l’ho mai fatto con nessuno. Non ho mai rincorso nessuno! Che cosa devo
fare per farmi volere bene,Mei?
Non è colpa mia se non posso fare a meno di notare che il top di Millie è orrendo, non è colpa mia se credo
che sia giusto non mangiare , e non è colpa mia
se non riesco a fare a meno di pensare che bisogna sempre far finta di essere
perfetti.
Ma ti assicuro
che mi piaci Mei. Mi piaci perché sei carino,
e saresti carino anche con un sacco della spazzatura addosso, e sei
intelligente, anche se non vai in giro a far sentire gli altri degli idioti, mi
piace perché fai le cose con il cuore, mi piace perché quando
parli di solito lo fai a spropositoe perché sei sempre e
comunque un pesce fuor d’acqua.
Ti ho
trascinato in questo casino perché mi piaci, ti ho fatto baciare Alsazia
perché mi piaci, ti ho fatto provare il frac perché mi piaci, ti
ho fatto fare il bagno nei ghiaccioli perché mi piaci,mi
sono mangiata un’intera torta sacher perché mi piaci, ho fatto
amicizia con Cesar perché mi piaci, sto urlando come una pazza
perché mi piaci…”scese dal tavolo e gli andò incontro. Mei
si era alzato ma era rimasto fermo immobile accanto alla sua sedia.
Nikka gli arrivò
davanti e lo guardò negli occhi “Lo so che sono paranoica…
ma è perché mi piaci Mei…”
Lei gli prese
le mani e le strinse, Mei respirò guardandola
fisso negli occhi con le labbra leggermente aperte senza sapere cosa fare.
“Non so
cosa dire…”sussurrò infine.
“Dire
non so, ma per alleviare un po’ l’umiliazione di avere urlato che
mi piaci ai quattro venti potresti piegare un po’ le ginocchia e
baciarmi” consigliò perentoria.
“Oh
sì” disse lui come se non gli fosse neanche venuto in mente di
fare una cosa simile fino a che Nikka non glielo aveva consigliato.
Rachele
sospirò e prese in mano una delle poche millefoglie
sopravvissute al massacro e se ne andò pensando che se fosse rimasta
lì ancora qualche secondo con tutto quell’irsuto romanticismo le
sarebbe venuto il diabete.
Subito dopo il
suo abbandono della sala, Mei e Nikka vennero colpiti
da una torta.
Lei si
allontanò da lui per iniziare a imprecare contro chi le aveva rovinato
il vestito.
“Me la
paghi tu la lavanderia!!” Mei
la teneva per mano e ridacchiava tutto sporco di panna.
Sua sorella
intanto se ne andava via per il corridoio desolato mangiando la
millefoglie, mentre dalla mensa venivano urli e grida di guerra.
Le suole degli
stivali battevano facendo un rumore ritmico sul pavimento.
Si
fermò un secondo e notò che i passi continuavano e si facevano
più veloci. Non fece in tempo a girarsi che un urlo le riempì le
orecchie “La millefoglie è mia stronza blu!”
“Col
cavolo, stupido impellicciato!” urlò lei di rimando. E come al
solito finì con calci sugli stinchi, morsi ai gomiti e panna ovunque.
E così
fortunatamente, o sfortunatamente dal mio punto di vista, Mei
e Nikka riuscirono bene o male a mettersi insieme. Una coppia che lasciava un
po’ perplessi, madopo un po’ si faceva anche l’abitudine a vedere lui
parlare di microcosmi e follie matematiche, e lei illustrare tutte le varie
tonalità degli ombretti satinati che aveva comprato quel giorno.
Monica si
mangiò le mani per mesi per non essere riuscita ad ascoltare la proverbiale
dichiarazione che Nikka aveva fatto a Mei.
Mio fratello
passò la maturità col massimo dei voti, come era ovvio, e
andò a iscriversi immediatamente alla facoltà di matematica. Nikka
se la cavò con un discreto settantacinque e Joyce con un rubatissimo
ottantadue.
C’è
chi sospetta che sia andato a letto con la presidentessa della commissione.
Io invece venni
malamente bocciata con un cinque in condotta, non capii mai come avevano fatto
a capire che ero stata io a far esplodere il bagno…
E tra me e
Joyce? Come potrebbe andare tra me è Joyce? Andiamo a caccia di
opossum.Cosa posso farci. Lui
è un idiota impellicciato!
Fine
E
così siamo arrivati alla fine…O.O…
questa storia mi ha accompagnato per così tanto tempo che mi sembra
strano.
Spero
che la fine vi sia piaciuta. So che magari molti si aspettavano una fine
diversa per Joyce e Rachele, ma secondo me doveva finire così, insomma,
ce li vedete questi due che si sbaciucchiano e vanno al cinema per mano? Credo
che morirebbero nell’impresa. Cioè, Rachele morirebbe, Joyce ce la
farebbe benissimo, lui è abbastanza sano di mente
anche se non sembra XD
Comunque
devo ringraziare tutti per l’incredibile sostegno che mi avete dato durante
più di un anno! Grazie davvero di cuore senza di voi non sarei arrivata
in fondo, grazie a chi ma messo la storia tra i preferiti e chi tra le seguite.
Ma soprattutto grazie a chi ha commentato!
Nello
specifico:
DarkViolet92: Oh beh di solito sì, ma Rachele ha uno strano
rapporto con il prossimo! Spero davvero che questo ultimo capitolo ti sia
piaciuto!!^.^
The Corpse Bride: Rachele cambia idea molto velocemente, e
Joyce è molto convincente, quindi ha fatto presto a farsi
perdonare… anche se non ho descritto la scena XD
spero davvero che questo capitolo non abbia rovinato le tue aspettative! ^.^
grazie mille davvero per il tuo sostegno, non sai quanto mi fanno piacere i
tuoi commenti!
The Duck: e così siamo giunti al termine,non
odiarmi per Joyce e Rachele , ma a parere mio più insieme di così
non ce la possono fare! Comunque no, Nikka non si era dichiarata, Mei era contento perché era convinto di essere
arrivato alla giusta conclusione, cioè che Nikka fosse perfetta come sua
migliore amica. Deduzione errata ovviamente…^.^
Pazzascatenata89: sono felice che il capitolo scorso ti sia piaciuto, spero
che ti sia piaciuto anche questo! e beh, sì
Nikka è una stronza complessata, quindi nonostante all’inizio la
odiassero tutti alla fine si fa voler bene. ^.^
Avevo
in mente un sacco di cose da scrivere in fondo a questo capitolo, ma me le sono
scordate tutte…l’unica che mi ricordo è che alla fine
Marianna e Cesar si sposano anche se non ho fatto in
tempo a scriverlo. Come? Non ve ne fregava niente di loro? Vabbè,
io ve lo dico lo stesso!!!
Beh
allora dato che non mi ricordo più come volevo dire mi rimane solo da
ringraziarvi ancora di cuore!^.^