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di teabox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


Nota: per le più che gentili Lovelyblueness, DivergenteTrasversale, kikka_67 e IsaMor, che con i loro commenti mi hanno fatto pensare che forse potevo provare a mettere giù un altro pezzo della storia che ho in testa.

E un milione di grazie a chi ha letto/sta leggendo la prima parte!

Se per caso siete inciampati in questa storia senza essere inciampati nell’altra, ho messo un mini-riassunto per inquadrare tutto.

Di nuovo grazie mille e, spero, buona lettura (in 3 capitoli).

 

Disclaimer: ovviamente tutto quello che segue è un lavoro di fantasia (difettosa).

 

Cosa? Che?: Olive è una ladra - almeno in qualche misura. Tom ha avuto il piacere/dispiacere di conoscerla una strana notte, sul suo balcone, intenta a cercare di intrufolarsi in quello della sua vicina di casa. Da lì sono seguite chiacchiere assurde, da cui Tom è tutto sommato uscito vincitore, ed Olive si è trovata costretta a dover rimandare il colpo. Ma - se non altro - è tornata a casa con il suo numero di telefono (!).

 


Lady Burke-Roche credeva nello Spiritismo, amava sottolineare almeno una parola in ogni frase che pronunciava e riteneva che il verde fosse un colore che le donasse particolarmente.

In altre parole, era il genere di persona a cui Olive non si sarebbe interessata in special modo, se non fosse stato che Lady Burke-Roche possedeva anche due Rothko e un Mondrian appesi alle pareti della sua abitazione e un sistema d’allarme che rispecchiava la risoluzione di mantenere la situazione esattamente com’era. 

 

Ma - come Lady Burke-Roche aveva detto ad M una settimana prima - “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. 

Che, in generale, era una regola a cui anche Olive si atteneva abbastanza scrupolosamente e, parallelamente, la ragione per cui quella sera si trovava nell’affollata sala da ballo della villa di Lady Burke-Roche, avvolta in un abito da sera che non le offriva molte possibilità di movimento, impegnata a memorizzare possibili entrate, uscite, telecamere, punti deboli e punti forti della stanza. 

 

L’ultima volta che le era stato assegnato un lavoro del genere era stato anni prima, quando un collezionista privato di Berlino aveva contattato M per mettere alla prova un impianto di sicurezza che gli avevano assicurato fosse impenetrabile, ma che - come aveva scoperto tre ore dopo che Olive si era messa a lavoro - in realtà non era poi così inaccessibile. 

Quella era stata anche la sera in cui M le aveva passato un assegno con lusinghiero numero di zeri e le aveva chiesto se potesse essere interessata ad occuparsi di casi che necessitavano un approccio “più creativo” - come aveva detto M. 

«Creativo?», le aveva chiesto Olive a quel tempo.

«Esattamente.»

«Pensavo che essere pagati per giocare a guardia e ladri fosse già abbastanza creativo.» M aveva alzato un sopracciglio ed Olive aveva scosso le spalle. «Quello che voglio dire è che certo, abbiamo una clientela importante che ci paga per mettere alla prova i loro impianti di sicurezza. Abbiamo contratti in triplice copia, assicurazioni che coprono quasi tutto e quello che facciamo è legale. Ma, alla fin fine, il mio lavoro si riduce a superare sistemi d’allarme, scassinare casseforti e uscirne con qualcosa senza essere presa. Tutto per la gioia di dimostrare ai nostri clienti che la loro idea di sicurezza è in realtà un concetto molto elusivo.»

 

M era rimasta in silenzio per un attimo di più, prima di accennare un sorriso. «Non è certo qualcosa che la mia agenzia pubblicizza, Olive, ma si dà il caso che ogni tanto ci raggiungano alcune richieste in cui il tuo “senza essere presa” diventa di vitale importanza. In cui il punto non è davvero mettere alla prova un impianto di sicurezza, quanto piuttosto uscire con qualcosa.»

Per un lungo istante Olive era rimasta senza parole, il cervello troppo occupato ad assimilare quello che le era stato detto e, anche di più, quello che non le era stato detto. Si era poi schiarita la voce. «Davvero», aveva quindi risposto. 

Forse con più interesse di quanto sarebbe stato reputato saggio.

 

E ora, perché aveva commesso un errore sei mesi prima - di cui, per inciso, non era nemmeno poi così colpevole - era stata rimandata a tempo indeterminato a prendersi cura dei “furti controllati”, come li definiva lei, dei quali Lady Burke-Roche era solo l’ultima di una lunga serie noiosa.

«Non è per l’errore di per sé», le aveva detto M con un tono che, se non si fosse trattato del suo capo, Olive avrebbe considerato materno. «E’ perché temo che tu stia diventando un po’ troppo sicura di te stessa. Hai talento, Olive, ma fai in modo che questo talento non ti faccia dare per scontate certe cose.»

Olive non aveva risposto. Sapeva che con tutta probabilità si meritava quelle parole, ma non per quello era più facile ammetterlo.

 

*

 

Nel frattempo, quella stessa sera ma dall’altra parte della sala da ballo di Lady Burke-Roche, Tom Hiddleston stava osservando uno dei due Rothko con un’espressione che sperava fosse di appropriata concentrazione e rapimento.

In realtà non aveva la più pallida idea di cosa l’autore avesse voluto trasmettere, né cosa quei rettangoli sfocati di colore dovessero simboleggiare. 

Fece un discreto passo indietro, allontanandosi dal piccolo drappello di persone che sembravano a loro agio con termini come “espressionismo astratto”. 

La sala era piena di voci e bicchieri di cristallo che tintinnavano uno contro l’altro, ma per quanto attirasse gli sguardi incuriositi di più di una persona, fu abbastanza facile per Tom navigare tra i corpi e le parole, con un flûte di champagne in una mano e un sorriso sulle labbra che diceva “mi piacerebbe fermarmi a chiacchierare, ma purtroppo proprio non posso”.

Che era una bugia, ma in fondo lo sapeva solo lui. 

E comunque era solo l’inizio della serata e gli invitati stavano ancora cercando di pretendere di essere lì esclusivamente per l’evento di beneficenza che Lady Burke-Roche aveva organizzato, e non piuttosto per vedere ed essere visti. Tom stesso, in fondo, era lì solo perché Philip - Lord Burke - glielo aveva chiesto come favore personale.

 

Tom salì velocemente una scalinata che portava ad una galleria sovrastante la sala da ballo - il posto ideale per allontanarsi per qualche istante dalla confusione sottostante e respirare - e chiuse gli occhi per un attimo.

Li riaprì, poi, con qualche esitazione, facendo scorrere lo sguardo sulle persone che riempivano la sala da ballo. Sembrava un infinito movimento di voci e corpi, dove nessuno però sembrava davvero prestare attenzione a quello che veniva detto o a chi andava e chi veniva.

 

Forse fu per quello che fu così facile notarla. Era l’unica che non stava parlando, non si muoveva ed era da sola, accostata ad una delle pareti della sala, gli occhi fissi su qualcosa di fronte a lei. 

Il Mondrian, indovinò Tom seguendo il suo sguardo. O forse la telecamera sopra il dipinto.

Si trovò a sorridere, nonostante tutto, e riportò gli occhi su di lei.

Perché doveva essere lei.

La prima ed ultima volta in cui l’aveva incontrata - in circostanze decisamente bizzarre - risaliva ad una notte di qualche mese prima. La mattina successiva si era svegliato quasi convinto che si fosse trattato di un sogno assurdo, ma il messaggio che le aveva mandato dal cellulare era stata la prova dell’esatto contrario. Era sembrato del tutto logico, quella notte, farle avere il suo numero di telefono, ma giustificava la cosa come un momento di temporanea follia dovuto alla mancanza di sonno e al Jack Daniels. 

Del resto, si era poi fermato a riflettere Tom, molte delle sue azioni quella notte erano sembrate sul momento perfettamente logiche, quando francamente mancavano del tutto di raziocinio. Non chiamare la polizia. Parlare con il suo capo. Lasciarla andare via. 

Di nuovo, mancanza di sonno e Jack Daniels. Pessima combinazione.

 

Ed ora era lì. Nell’ultimo posto in cui si sarebbe mai immaginato di incontrarla. 

Non che avesse davvero dedicato molto tempo a fantasticare scenari in cui le loro strade si incrociavano di nuovo - era piuttosto la sua mente che alcune notti veniva assalita da flash involontari delle sue labbra e dei suoi occhi. 

 

Avrebbe potuto raggiungerla in poco più di un attimo - meno di un minuto per scendere la scalinata, due per muoversi tra la folla, un secondo di esitazione prima di attirare la sua attenzione - invece decise di rimanere nella galleria ed osservarla per qualche momento di più.

C’era qualcosa nascosto nei lineamenti del suo viso, una certa quantità di noia o forse disagio. Ogni tanto staccava lo sguardo dalla parete, quasi di controvoglia, per spostarlo velocemente sul resto della sala. Se Tom avesse dovuto indovinare, avrebbe detto che distoglieva gli occhi dal dipinto solo per non attirare attenzione, pretendendo invece di essere in attesa di qualcuno.

Per quanto l’abito da sera le donasse molto - Tom non aveva potuto evitare di fare scorrere lo sguardo sulla sua figura - aveva anche l’aria di chi non era del tutto certa di aver scelto il capo giusto. Dubbio quanto meno ridicolo, perché non poteva esserle sfuggito come attirasse le occhiate discrete di più di un uomo. 

Ma, ripensandoci, tutto sommato c’era una forte possibilità che davvero non se ne fosse accorta. Sembrava, in fondo, avere occhi solo per il quadro.

 

Fu quando qualcuno la urtò per sbaglio, sbilanciandola per un momento e allungandosi quindi in scuse che lei non sembrava ritenere necessarie, che Tom dovette rivalutare la sua supposizione.

L’aveva vista chiudere gli occhi e inclinare appena la testa verso l’alto. Aveva poi inspirato profondamente, espirato lentamente e rilassato le spalle.

Poi, quando aveva riaperto gli occhi, lo sguardo di lei si era inevitabilmente fissato in quello di Tom.

E innegabile, una nota di panico le era comparsa sul viso.

Tom non trovò niente di meglio da fare che alzare il flûte di champagne che teneva ancora in mano e accennarle un sorriso.

Cercò, poi, per qualche istante la parola che meglio avrebbe descritto la reazione di lei.

Gli venne in mente solo “snobbare”.

 

*

 

Tra l’attimo in cui aveva riaperto gli occhi e quello in cui aveva riconosciuto Tom, c’era stato un istante - perfetto e lucido - in cui Olive non aveva pensato assolutamente a nulla.

Durò solo una frazione di secondo, prima che la mente venisse inondata da pensieri e campanelli d’allarme. 

Era Tom? Per l’amor del cielo, certo che era Tom.

Cosa ci faceva lì? Per quale motivo non doveva esserci, in fondo la sala era piena di gente più o meno nota.

M lo aveva saputo fin dall’inizio? Che fosse un modo di metterla alla prova? Ma la lista degli invitati non era stata resa pubblica. D’altra parte, M aveva una particolare abilità per venire a conoscenza di particolari e dettagli che nessun altro sembrava essere capace di scoprire.

 

Olive distolse lo sguardo da Tom e dal suo mezzo sorriso - perché le sorrideva? - e cercò velocemente un’idea, fermandosi senza perdere tempo sulla prima che le venne in mente. 

Lanciò uno sguardo veloce alla galleria assicurandosi che Tom fosse ancora lì, quindi puntò gli occhi su di un angolo lontano della sala, alzò un braccio e con il sorriso più gioioso che riuscì a far comparire sulle sue labbra, accennò un saluto vivace a nessuno in particolare.

Quel piccolo trucco, per quanto sciocco, sembrò fare il suo effetto. Tom istintivamente si girò per vedere chi Olive avesse salutato e lei si trovò con l’occasione perfetta per scivolare velocemente via. 

O, almeno, “velocemente” quanto gli invitati e l’abito che indossava le permettevano. Che, notò Olive con una certa irritazione, non era velocemente abbastanza per i suoi gusti. 

 

*

 

Si era trasformata, pensò Tom. 

Aveva visto qualcuno dall’altra parte della sala e si era lanciata in un saluto caloroso - qualcosa di appena meccanico nel sorriso, forse - e improvvisamente Tom si era trovato a seguire il suo sguardo per scoprire chi meritasse la sua attenzione e un interesse così evidente. Nessuno però sembrava aver risposto al suo gesto. 

E quando tornò con lo sguardo nel punto in cui lei si era trovata fino ad un attimo prima - e in cui non c’era più - Tom capì esattamente perché.

 

No, no, no, no, no, cantilenò nella sua testa, diviso tra il divertimento per l’assurdità della situazione e il fastidio di essere cascato in un trucco così elementare. 

Si sporse dalla galleria e fece scorrere velocemente lo sguardo sugli invitati, ma il flusso quasi costante di persone che si spostavano da un gruppo all’altro non rendeva facile trovare una persona specifica che si stesse muovendo.

A tradirla, se non altro, fu la velocità. In un mare di persone che sembravano non aver nessuna fretta di arrivare da un angolo ad un altro della sala, non ci volle molto prima che l’attenzione di Tom fosse catturata dall’unica persona che sembrava muoversi come se non avesse un attimo da perdere. 

Tom sorrise, una nota appena ferina agli angoli della bocca. 

 

Lasciò la galleria scendendo la scalinata velocemente, il flûte di champagne abbandonato sul vassoio del primo cameriere che aveva incrociato. 

Se c’era qualcosa che apprezzava era un po’ di sana competizione. E sei lei pensava che potesse scivolare via così semplicemente, si sbagliava di grosso.

Ed era - inoltre - anche sul punto di scoprire quanto Tom fosse bravo ad attraversare una sala piena di gente senza farsi rallentare da nessuno. In un’altra vita, forse, sarebbe stato un ottimo giocatore di basket, ma in quella vita era un attore ad una serata di beneficenza che da moderatamente noiosa si era improvvisamente trasformata in interessante. 

E se per mantenere lo stato delle cose si trovava costretto a dover rincorrere una ladra, allora che dire. Da come la vedeva lui, aggiungeva solo divertimento al divertimento.

 

*

 

Olive contava mentalmente i passi che la separavano dall’uscita verso cui si stava dirigendo - che non era esattamente un’uscita, ma piuttosto l’ingresso del giardino all’italiana di Lady Burke-Roche. Ma se trovare un posto sicuro dove ragionare sulla situazione e decidere il da farsi significava immergersi nell’aria fredda della sera con un vestito che era stato pensato per climi decisamente più miti, che così fosse. 

 

Aveva ancora meno di un centinaio di passi, non di più. Non aveva osato guardarsi alle spalle, ma avrebbe potuto giurare che Tom la stava seguendo. Se lo sentiva.

O forse non se lo sentiva, ma piuttosto se lo immaginava. Sembrava il tipo di persona da fare una cosa del genere. 

Ridicolo.

Era ormai arrivata - a solo un attimo dall’entrare sulla terrazza che si apriva sul giardino - quando percepì, più che vedere, qualcuno passarle velocemente accanto. Si fermò di colpo, evitando di finire contro Tom. 

Gli rivolse, sperò, uno sguardo annoiato. 

E lui rise.

 

*

 

Con il tempo Tom si sarebbe dimenticato di alcune cose, ma in qualche modo il ricordo di quel momento sarebbe sempre rimasto presente. 

 

Non gli era sfuggito come l’avesse fermata esattamente sulla soglia che divideva la sala da ballo e la terrazza, parte di lei nella luce e parte di lei nell’oscurità. Come se quel demimonde che Tom aveva sempre ritenuto esistere solo nei libri e nei film - ma che era invece reale e di cui lei faceva parte - avesse deciso per un attimo di diventare ancora più evidente e risplendere un istante in lei, cogliendola nel mezzo e mostrandola a Tom.

 

Non gli era nemmeno sfuggito come si fosse costretto a nascondere le mani nelle tasche dei pantaloni, un gesto necessario dettato dal sospetto che se le avesse lasciare libere di fare, probabilmente si sarebbero chiuse sui polsi di lei per assicurarsi che non sfuggisse di nuovo.

 

C’era, dunque, la forte possibilità che Tom fosse sul punto di cacciarsi in un grosso guaio.

E tuttavia, era sua opinione che non ci fosse guaio che meritava davvero di essere evitato, quando si presentava fasciato in un abito grazioso, con un viso altrettanto grazioso e una personalità interessante.

Quindi perché no.

 

*

 

«Guarda, guarda. Cos’è tutta questa fretta di allontanarsi senza nemmeno salutare?», domandò Tom con un sorriso, secondo Olive, un po’ troppo divertito. «Si potrebbe pensare che stai scappando. O forse non sei tanto interessata alle serate di beneficenza quanto, piuttosto, alle espressioni artistiche di alcuni autori celebri.»

Olive gli rispose con un’occhiata che voleva intendere “taci”, ma apparentemente Tom non sapeva leggere gli sguardi ammonitori.

«Rothko? Mondrian?», chiese infatti con finta innocenza.

Olive, più irritata del necessario, lo prese per un braccio e trascinò entrambi nella terrazza. «Cosa stai cercando di fare, Tom?»

Lui si piegò appena verso di lei. «Felice di sapere che la politica del “nessun nome” è stata messa da parte. Per quanto riguarda la tua domanda, invece, non sto cercando di fare nulla.»

«Allora cosa vuoi?», domandò lei a denti stretti.

«Quello che voglio, tanto per cominciare, è un saluto.»

«Addio?»

Tom le rivolse un sorriso asciutto. «Molto divertente.»

 

Olive inspirò, raccogliendo tutta la pazienza di cui era capace. «Prima che tu ti senta pervaso da un forte spirito civico e decida di chiamare la polizia o chissà chi, forse è il caso che tu sappia che Lady Burke sa che sono qui.»

Tom non disse nulla, ma la guardò con una nota di incredulità.

«Più o meno», aggiunse allora Olive con riluttanza. «Quello che voglio dire è che non c’è nulla di… non appropriato nella mia presenza qui, stasera.»

Tom fece un passo indietro e, senza chiederle se le andasse bene o se ritenesse la cosa opportuna, s’incamminò verso l’ingresso del giardino. «Che peccato. Devo dire che la tua parte “non appropriata” è interessante.»

Olive alzò gli occhi al cielo, ma si trovò comunque a seguirlo. Lo raggiunse sul limitare della scalinata che univa la terrazza al giardino e lì, con una naturalezza che lei trovò quanto meno sconcertante, Tom le offrì il braccio per aiutarla a scendere i gradini. 

Olive esitò un istante, incapace di evitare uno sguardo perplesso. Sospirò, quindi, ed ancora incerta si appoggiò a Tom.

 

«Non so nemmeno perché te lo voglio dire», disse poi, dopo un attimo di prolungato silenzio, «ma devi sapere che M è la titolare di una rispettabilissima agenzia che controlla e mette alla prova sistemi di sicurezza di musei, gallerie private e residenze. Forse i suoi metodi possono sembrare…singolari», lanciò un’occhiata veloce a Tom, «ma se lo sono, è solo perché ci assicuriamo che quando ci viene affidato un sistema, tutti i casi possibili vengano esplorati.»

«Davvero», replicò Tom senza sbilanciarsi, ma pur sempre con un accenno di giustificabile sospetto. 

«Ogni tanto - raramente - M accetta alcuni incarichi…»

«Particolari?», offrì Tom.

«Particolari, sì. Ma M è sempre più che scrupolosa e prima di prendere uno di questi lavori, si assicura al di là di qualsiasi dubbio che la richiesta sia legittima, e non si tratti invece solo di un caso di avidità.»

Tom rimase in silenzio per qualche momento, prima di rispondere. «Quindi stasera sei qui per mettere alla prova il sistema d’allarme di Lady Burke?»

«Più o meno. Stavo cercando di farmi un’idea della casa e dell’impianto in preparazione al test. Per questo Lady Burke sa e non sa che sono qui. M l’ha avvisata - o, meglio, ha avvisato la sua assistente personale - che uno dei suoi agenti sarebbe venuto, ma sarebbe rimasto in incognito. Cerchiamo di mantenere lo scenario il più realistico possibile. In fondo, la maggior parte delle volte quando un ladro ti entra in casa, non sai chi, come e quando.»

Tom rise. «Effettivamente così non avrebbe molto senso.»

 

Olive si fermò e gli rivolse un veloce sorriso di circostanza. «Bene. E ora che sai come stanno le cose, sono costretta a lasciarti. Capirai che per quanto sia sempre piacevole scambiare un paio di parole educate, ho impegni precedenti di una certa importanza.»

Tom si lasciò sfuggire una risata davanti al suo modo strano di parlare e a quel tono di assurda formalità. 

Olive ci aveva contato. Approfittò dell’attimo di distrazione di Tom per sfilare il braccio e voltarsi, diretta con passo veloce verso la terrazza. 

Non che potesse seminarlo - anche avesse voluto, non ci sarebbe stato modo - ma quanto meno non era più così vicina a lui e alla sua distraente presenza.

In altre parole, era di nuovo libera di pensare normalmente. 

O almeno fino a quando Tom la prese per un polso e la costrinse a fermarsi.

Si voltò a guardarlo allibita. Sul serio, pensò, di nuovo?

 

*

 

“Questi mortali, signore, che sciocchi!” esclamava Puck nel Sogno di una notte di mezza estate e Tom non poteva fare altro che concordare. Bastava che guardasse a se stesso.

 

Lei gli era sfuggita per un attimo e lui, senza riflettere, l’aveva raggiunta e afferrata. 

«Che stai facendo?», domandò lei più infastidita che sorpresa.

Tom abbassò lo sguardo sulla sua mano chiusa sul polso di lei. «Non ne sono del tutto sicuro.»

«Beh, allora ci troviamo in un impasse, temo, perché io non so cosa vuoi e tu non sai cosa stai facendo.»

«A dire il vero so cosa voglio», replicò Tom lentamente.

Per un momento una nota di disagio comparve sul volto di lei, ma venne velocemente cancellata da un che di irritato. «Vorresti condividere questo interessante pezzo di conoscenza anche con me, allora?»

Tom la guardò per un attimo, cercando di stabilire se quello che stava per dirle l’avrebbe stupita di più o indispettita di più. «Mezz’ora.»

Lei lasciò passere un istante. «Scusa, cosa?»

«Mezz’ora con te. Qui, stasera. Voglio vedere quello che fai e come lo fai.»

Passò un altro istante. «Stai ovviamente scherzando.»

«No.»

«Perché?»

«Perché non sto scherzando?», chiese Tom pretendendo di non aver capito la domanda.

«No, perché vuoi questa mezz’ora.»

Lui alzò appena le spalle, prendendo tempo. Non poteva certo dirle quello che gli era passato per la testa - è una scusa. Un’occasione per starti accanto ancora un po’. C’è qualcosa in te - e sperare che lei capisse e non fraintendesse. «Nel caso in futuro mi venga offerto il ruolo di un ladro. Prendila come un’esperienza formativa.»

Lei lo guardò stringendo appena gli occhi. «Non so che idee ti sei fatto riguardo a quello che faccio, Tom, ma non c’è nulla da vedere. Osservo, cerco di memorizzare informazioni, faccio discretamente alcune domande. Fine. Nulla di fantastico, niente da imparare.»

Tom rispose con una scrollata di spalle, una specie di “lascia che sia io a decidere” non messo a parole.

Lei lo osservò, soppesando qualcosa senza far affiorare nulla sul viso. «Mezz’ora», disse infine cautamente.

«Mezz’ora.»

«E dopo io vado per la mia strada e tu per la tua.»

Tom trattenne un sorriso. «Corretto.»

Lei lo fissò per un momento di più, prima di sospirare e scuotere appena la testa. «Non posso credere che sto veramente accettando la tua richiesta, ma va bene.» Alzò un dito per fermare Tom. «Ma se ti dico di fare qualcosa, la fai. E se ti dico di non fare qualcosa, non lo fai. Intesi?»

Tom rise. «Intesi.»

 

*

 

La prima cosa che Olive aveva capito era che non potevi camminare accanto a Tom Hiddleston e sperare di passare inosservata. Che, francamente, era una scocciatura quando dovevi passare inosservata. O, quanto meno, essere notata il meno possibile. 

Ma, quasi come per osmosi, l’attenzione che Tom inevitabilmente catturava - e catturava per primo - poco dopo passava su di lei. 

“Tom Hiddleston. Oh, con qualcuno”, sembravano pensare le persone che li notavano. 

 

Olive, inoltre, sospettava che non aiutasse il fatto che Tom le sorridesse troppo, le sussurrasse troppo spesso commenti ridicoli su questa o quella persona e che, in generale, sembrasse troppo a suo agio al suo fianco.

Olive aveva cercato di lanciargli un paio di sguardi di rimprovero, ma Tom si era già dimostrato poco capace nella sottile arte di leggere le occhiate femminili e sembrava non aver colto nulla. O forse aveva semplicemente deciso di ignorarla - che era, in fondo, una possibilità.

 

Ma il punto era che Olive aveva un lavoro da fare quella sera, e non poteva permettere che Tom Hiddleston - o il suo allarmante entusiasmo - mandasse all’aria tutto. 

Lo prese quindi per un gomito e lo guidò lungo una delle pareti della sala da ballo, fermando entrambi davanti al Mondrian. 

Forse stava solo diventando paranoica, ma le sembrava che il resto delle persone in quella stanza stessero sussurrando alle loro spalle. Olive valutò per un attimo la situazione.

«Tom?», sussurrò dopo un momento.

Lui si voltò a guardarla. 

«Vuoi solo guardare o vorresti essere utile?»

Un piccolo sorriso comparve sulle sue labbra. «Cosa vuoi che faccia?»

Lei esitò solo un istante, prima di spostarsi di fronte a Tom. «Metti le mani in tasca», lo istruì sottovoce, «e qualsiasi cosa faccia, tu rimani fermo così come sei.»

Tom la guardò perplesso, ma qualsiasi cosa avesse voluto dire o domandare rimase nella sua testa, perché Olive si appoggiò lentamente al suo petto, una mano su una delle spalle di Tom e l’altra scivolata sul collo. 

Tom s’irrigidì appena e trattenne per un attimo il respiro.

«Per l’amor del cielo, rilassati», gli sussurrò lei con una nota infastidita nella voce. «Se preferisci, sentiti libero di chiudere gli occhi e pensare che io sia qualcun altro.»

«Non essere ridicola», rispose lui secco. «Vorrei solo sapere cosa stai facendo.»

«Devi sapere», replicò lei spostando la mano dalla spalla di Tom alla scollatura dell’abito da sera, «che da qui si ha un’ottima visuale dell’intera sala.» 

«E quindi?»

Dalla scollatura Olive estrasse un piccolo oggetto di metallo, delle dimensioni di una penna USB, solo un po’ più sottile. «E quindi», rispose spostando appena la testa per poter guardare Tom in viso, «è il posto ideale per fare qualche fotografia.»

Gli fece vedere la minuscola macchina fotografica che teneva in mano, ma Tom sembrò non farci caso, distratto piuttosto da qualcosa sul viso di Olive.

«Cosa c’è?», domandò lei perplessa.

Tom scostò la testa con un piccolo movimento impacciato. Si schiarì la voce. «Niente. Ma ancora non capisco il senso di tutto questo.»

Olive tornò a guardare al di là delle spalle di Tom. «Lo sapevi che diversi studi hanno dimostrato che la maggior parte delle persone tende a spostare lo sguardo da manifestazioni pubbliche di affetto?» Alzò discretamente la macchina fotografica di modo che il piccolo obiettivo spuntasse cautamente al di sopra della spalla di Tom. «Quindi chiama a raccolta la tua abilità recitativa e manifestiamo pubblicamente un po’ di affetto. Loro non guardano, io sono libera di fotografare la sala senza far sorgere sospetti.»

 

Per più di qualche istante Tom rimase stranamente in silenzio, ma Olive se ne accorse solo dopo aver scattato diverse foto, quando lui inclinò la testa su di lei per sussurrarle nell’orecchio.

«Ho le mani in tasca.»

Olive sorrise continuando discretamente a prendere scatti. «Ne sono al corrente.»

«Non pensi che possa sembrare strano che non ti voglia nemmeno toccare?»

Olive si bloccò stringendo un po’ di più la macchina fotografica. Era ovviamente fuori discussione dirgli perché aveva voluto che mettesse le mani in tasca. E a d’ogni modo, probabilmente non sarebbe nemmeno riuscita a mettere a parole la preoccupante sensazione che se Tom l’avesse toccata - le sue mani sulla schiena, l’intimità di quel gesto - lei non sarebbe stata capace di concentrarsi abbastanza. Il sottile sospetto che avrebbe trovato troppo invitante il suo abbraccio. 

 

Si schiarì la voce e cercò un tono leggero. «Pazienza. Che pensino quello che preferiscono pensare. Io ho fatto.»

Infilò di nuovo la macchina fotografica nella scollatura e si allontanò da Tom cercando di sorridergli in maniera naturale. L’espressione tremò solo per un istante, quando vide qualcosa nel volto di lui che la fece sentire improvvisamente nervosa. Improvvisamente a corto di respiro. Improvvisamente quattordicenne. 

Tom l’aveva guardata per un momento con una strana intensità che sembrava parlare di frustrazione e desiderio. 

Ma non poteva essere. 

Non poteva essere davvero.

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Capitolo 2
*** II ***


Tom non riusciva a parlare. L’aveva semplicemente seguita, quando lei con un sorriso un po’ troppo vivace gli aveva detto che era meglio muoversi dal Mondrian e camminare lungo la sala.

E lui non era stato capace di dire una parola. Lei, invece, che di solito non si lanciava mai in lunghi discorsi, parlava velocemente, come se avesse la necessità di coprire possibili silenzi o, forse, come se volesse evitare qualsiasi cosa lui avrebbe potuto dirle. 

 

Sarebbe bastato chiederglielo e Tom le avrebbe volentieri risposto che no, non aveva nulla da dire. Era troppo impegnato a cercare di rilassarsi e riprendersi quello spazio, quella distanza che c’era stata tra di loro fino a pochi attimi prima. 

Prima che lei si fosse appoggiata a lui, prima che la sua voce avesse sussurrato nel suo orecchio. Prima che il suo respiro avesse solleticato il suo collo, prima che il suo seno si fosse appoggiato al suo petto. Prima che il suo viso e le sue labbra si fossero trovate così pericolosamente vicine alle sue, prima che avesse maledetto le mani costrette nelle tasche perché tutto quello che voleva fare era toccarla.

Prima, in poche parole, che lei avesse deciso di fare di lui un’idiota con la testa piena di immagini e idee che non sapeva nemmeno come censurare.

 

Fu con un certo fastidio che ammise a se stesso quanto fosse stupido fantasticare su di una donna di cui non sapeva nemmeno il nome.

Quel pensiero lo bloccò sul posto. La guardò - nel mezzo di una frase su qualcosa di cui lui non aveva idea perché si era perso gli ultimi cinque minuti di conversazione - e non aspettò nemmeno che lei finisse quello che stava dicendo. 

«Come ti chiami?»

Lei si voltò, stupita e forse appena a disagio. «Scusa?»

«Nome strano.»

Lei gli rivolse uno sguardo impassibile. «Ovviamente quello non è il mio nome.»

Tom coprì velocemente i pochi passi che li dividevano. Non sapeva perché si sentisse così infastidito, ma in quel momento non era nemmeno interessato a scoprirlo. «Allora posso per favore sapere com’è che ti chiami?»

«E’ importante?»

«Sì.»

«Perché?»

«Perché sì.»

Lei gli sorrise appena canzonatoria. «Temo che dovrai elaborare un po’ più di così.»

Tom la guardò irritato. Si voltò allontanandosi di qualche passo, ma cambiò presto idea e tornò indietro - un sorriso falso sul volto - e la prese per un gomito, sussurrandole un “se vuoi seguirmi” che suonò più come un ordine che come una richiesta.

 

Lei si lasciò guidare da Tom fino alla stessa terrazza dove si erano trovati non molto prima, ma appena al sicuro da sguardi indiscreti, strattonò il braccio e si liberò dalla presa di Tom.

«Perché tutto dev’essere un mistero con te?», le chiese lui esasperato. «Perché per una volta non puoi semplicemente rispondere?»

Lei guardò altrove, le braccia abbandonate ai lati del corpo, le mani chiuse a pugni. «Non capisco il motivo-»

«Il motivo», la interruppe lui a corto di pazienza, «è che qualche mese fa eri nel mezzo della notte sul mio balcone e nel mio appartamento. Il motivo è che un attimo fa eri addosso al mio corpo. Il motivo è che tu mi chiami Tom e io non so come chiamarti.»

Si fermò per riprendere fiato e spostò lo sguardo da lei. Si passò una mano tra i capelli ed irrazionalmente gli venne da ridere. Sospirò, stanco. «Senti, lascia perdere. Lascia perdere tutto. Ovviamente sto intralciando il tuo lavoro e tutto questo, comunque, è solo uno sba-»

«Olive.»

 

Tom tacque. Non era sicuro di aver sentito bene perché era stato poco più di un sussurro, ma temeva chiederle di ripetere il suo nome.

Lei si schiarì la voce. «Olive. Il mio nome è Olive.»

Tom la osservò. Una mano aveva catturato il gomito del braccio opposto, un qualcosa di delicato e quasi adolescenziale in quella posa. Le sorrise, anche se lei non lo stava guardando. 

«E’ un nome molto grazioso», le disse lentamente. 

Lei alzò gli occhi su di lui, inclinando appena la testa di lato con un accenno di diffidenza sul viso. 

Tom distese una mano. «Piacere di conoscerti, Olive.»

Lei lasciò passare un attimo prima di accettarla e stringerla con la sua. Tom, con un gesto di piccola stravaganza, se la portò alle labbra. 

«Per l’amor del cielo», commentò lei con un tono annoiato.

Tom rise. Apparentemente era tornata a non sapere che farsene della timidezza. Apparentemente era tornata ad essere se stessa. 

Olive, pensò Tom.

Come se quel nome racchiudesse il segreto per trattenerla. 

 

*

 

«Dunque», disse Olive con una nota divertita, «ora che siamo stati formalmente introdotti, avrei una domanda da farti.»

«Dimmi», replicò semplicemente Tom.

«Hai ancora grosso modo un quarto d’ora della tua mezz’ora con me. Preferisci passarlo girando per la sala ascoltando un’interessante lezione su allarmi a sensori di movimento, peso e pressione come quelli installati sui quadri di Lady Burke, o preferiresti fare qualcosa di più… artistico?»

Tom la guardò incuriosito. «E forse non del tutto legale?»

«Forse.» Olive agitò una mano nell’aria. «Ma non per te. Puoi stare fuori da quella parte.»

Lui infilò le mani in tasca e alzò le spalle. «Cosa vuoi che faccia?»

Olive strinse un po’ gli occhi. «Sei sicuro? Non vorrei mettere a rischio la tua reputazione.»

Tom fece un passo verso di lei, un sorriso sulle labbra. «Cosa vuoi che faccia?», ripeté.

 

Una parte di Olive sapeva che non avrebbe dovuto chiedergli quello che stava per chiedergli. Una parte di Olive sapeva anche che le possibili conseguenze erano numerose e non del tutto auspicabili. Una parte di Olive inoltre sapeva che sotto molti aspetti quello che stava per fare era un errore. Inspirò e trattenne il respiro un momento prima di espirare.

«Vorrei che mi seducessi.»

 

*

 

Il giorno dopo Tom si sarebbe svegliato alle sette e trentanove della mattina in un letto che non era il suo, in un appartamento in cui era entrato per la prima volta solo la notte precedente, in una parte di Londra che conosceva, ma non così bene. Avrebbe poi allungato un braccio cercando di rilassare i muscoli delle spalle e la sua mano avrebbe toccato la schiena calda di Olive, addormentata accanto a lui.

Immagini della notte appena passata avrebbero invaso la sua testa e, innegabile, un sorriso soddisfatto sarebbe comparso sulle sue labbra.

 

*

 

«Vorrei che mi seducessi.»

Tom era prevedibilmente scoppiato in una mezza risata, in cui aveva incastrato un “cosa?” decisamente incredulo.

Olive scosse la testa. «Forse ho usato le parole sbagliate. Lascia che ti spieghi. La galleria che si affaccia sulla sala da ballo si collega da una parte alla zona privata della residenza - camere da letto, soprattutto», indicò una serie di finestre al secondo livello della facciata che dava sulla terrazza e sul giardino. «Dall’altra parte, invece, sul lato della strada, ci sono i salotti e gli studi di Lord e Lady Burke, e della sua assistente personale. Che, poi, è esattamente dove devo andare io.»

«Ancora mi sfugge l’idea generale», ammise Tom con una scrollata di spalle.

«La galleria è esposta. Se io vado lassù da sola, sembrerebbe strano e potrebbe far sorgere domande ed attirare il tipo sbagliato di attenzione. Invece se andiamo lassù insieme e spariamo discretamente nella zona dei salotti, sembrerebbe soltanto che stiamo cercando un po’ di…privacy, per così dire. Inoltre, se non sbaglio, tu conosci Lord Burke, quindi non sembrerebbe poi così strano che ti possa prendere certe libertà.»

Tom non rispose subito, invece osservò Olive per qualche istante soppesando un’idea. «Ad una condizione.»

Lei sorrise divertita. «Ah, sì?» 

«Questa volta non puoi dirmi cosa devo o non devo fare. Se vuoi il mio aiuto, facciamo a modo mio.»

Olive lo guardò dubbiosa.

«Non ti fidi di me?», domandò allora Tom.

Lei sospirò. «Ovviamenre no. Ma non credo di avere molta scelta.»

Tom lanciò un’occhiata alla sala da ballo. «Quando vuoi cominciare?»

Olive seguì il suo sguardo. «Ora?»

 

*

 

C’era un punto nella schiena di una donna, ben sotto le scapole ma prima della fine della schiena stessa, che era il posto ideale per appoggiare una mano senza essere sconveniente. 

Forse la mano di Tom era leggermente più in basso di quanto avrebbe dovuto essere, ma - come aveva sussurrato ad Olive - era un dettaglio che indicava una certa intimità tra loro due. 

Olive aveva quindi lasciato che il mignolo di Tom sfiorasse la curvatura del suo sedere, ma gli aveva comunque rivolto un sorriso asciutto che rendeva chiaramente l’idea che se solo la situazione fosse stata diversa, lei senza dubbio avrebbe saputo cosa farsene della mano di Tom.

Lui aveva trattenuto a stento una risata, che aveva trasformato all’ultimo momento in un sorriso probabilmente troppo divertito.

Sapeva perché si sentiva così euforico. Se avesse voluto, lo avrebbe potuto mettere in un centinaio di parole. Ma alla fine si riassumeva in una sola. Lei.  

 

«Possiamo salire, ora?», chiese Olive giusto in quel momento.

«Sto cercando di fare del mio meglio, tesoro», rispose Tom in un sussurro, prima di essere fermato dall’ennesima persona nella sala da ballo.

Erano rientrati da meno di dieci minuti e aveva già perso il conto di quante volte qualcuno li avesse bloccati ed interrotti lungo il tragitto verso la scalinata della galleria. 

Ogni volta era la stessa piccola pantomima fatta di sorrisi, saluti e scambi di convenevoli, prima dell’ovvia curiosità - espressa o non espressa - su chi fosse Olive. Al che Tom ogni volta spostava la mano sul fianco di Olive e la stringeva un po’ di più a sé, limitandosi però ad introdurla solo per nome, senza aggiungere altro. Se fossero stati in America, la cosa probabilmente non avrebbe funzionato - sarebbero seguite altre domande e richieste di chiarimenti - ma in Inghilterra gli Inglesi erano inglesi e non si spingevano oltre un limite cortese di curiosità.

 

Quindi Tom avrebbe potuto dire che, in fondo, era colpa di Olive. Lui sapeva come non fermarsi e non farsi fermare, ma con lei al suo fianco c’era più attenzione da evitare ed inevitabilmente il gioco diventava più difficile. 

Ma Tom si considerava una persona sincera. O, almeno, abbastanza sincera. Di conseguenza - anche se forse non lo avrebbe mai detto ad Olive - non poteva non ammettere a se stesso che la colpa piuttosto era sua. Gli piaceva avere Olive al suo fianco e non vedeva cosa ci fosse di male nel prolungare anche solo di un po’ quella situazione. 

Non che lei, però, sembrasse della stessa opinione.  

 

«Se solo tu potessi essere giusto un poco meno educato», gli fece presente con una certa impazienza, appena furono riusciti a liberarsi di nuovo. 

Tom rispose facendo scendere di qualche centimetro la mano sulla schiena di lei.

Olive la prese e la riportò al suo posto. «Non in quel senso», gli disse asciutta. Dovette inoltre aver colto qualcosa sul viso di Tom, perché gli lanciò un’occhiata di rimprovero. «Sembra che tu ti stia divertendo un po’ troppo.»

«Non immagini nemmeno quanto», rispose lui sussurrandole in un orecchio. 

Lei si scostò. Sembrò improvvisamente a disagio. Forse era addirittura arrossita. «Basta anche con i sussurri», lo ammonì con un tono appena brusco. «Fanno solletico.»

 

Tom evitò di commentare. Accennò qualche saluto diretto ad altre persone che conosceva, ma meno educatamente non si fermò. Invece spinse con delicatezza Olive verso la scalinata, ma prima che lei potesse mettere piede sul primo gradino, la prese per il gomito e la guidò qualche passo più in là. 

«Cosa stai facendo?», domandò lei confusa.

Tom lanciò uno sguardo veloce sulla sala. Come aveva immaginato, il punto in cui l’aveva fermata dava solo l’illusione di essere discreto ed intimo, quando in realtà era perfettamente esposto al resto della stanza - e alle persone che la riempivano. 

Tornò a guardare Olive e le sorrise piegandosi appena su di lei. «Quello che sto facendo si chiama “creare un precedente”.»

 

Olive socchiuse la bocca per dire qualcosa, ma Tom abbassò il viso sul collo di lei e le sfiorò la gola con un bacio, trasformando quello che lei era stata sul punto di dirgli in un invitante sospiro di sorpresa e piacere che per un istante riempì la testa di Tom.

Le mani di Olive si chiusero sui suoi avambracci, qualcosa nelle dita strette sulla stoffa della sua giacca che parlava di necessità e desiderio. 

C’era stata una linea, a quel punto, che Tom non aveva superato - un confine tra quello che erano lì per fare e quello che lui avrebbe voluto farle. Ma non era il posto, né il momento o il modo. Scostò allora le labbra dal collo di Olive e, ignorando quello che lei aveva detto, le sussurrò nell’orecchio.

«Andiamo.»

 

La prese per una mano e la portò alla scalinata, dove salirono i gradini con una calcolata fretta - la giusta dose di impazienza e controllo che avrebbe suggerito l’idea corretta a chiunque li avesse visti.

Si spostarono vicino la parete, di modo che fossero almeno parzialmente nascosti dalla sala da ballo, e si mossero velocemente verso la zona che dava sul fronte della villa. Solo quando si lasciarono alle spalle la luce brillante della sala e buona parte del rumore che includeva, Tom si sentì leggermente più rilassato. Sembrava fossero entrati in un mondo parallelo ed ovattato, fatto di luci soffuse e tappeti persiani. 

E in quel mondo parallelo, notò Tom con un che di divertito, Olive sembrava decisamente irritata.

 

*

 

Il giorno dopo Olive si sarebbe svegliata alle otto e dodici minuti con un noioso dolore al collo e alla schiena. Avrebbe aperto gli occhi, si sarebbe ricordata di quello che era successo la notte precedente e avrebbe preso un cuscino per nascondere il viso e cercare di soffocare la sua stessa idiozia. Avrebbe quindi dibattuto con se stessa per quasi cinque minuti prima di sbirciare dal cuscino e accorgersi che Tom non era più nel suo letto. Si sarebbe dunque alzata e sarebbe andata in salotto, non rendendosi subito conto che indossava solo un paio di slip e una maglietta non abbastanza lunga.

E Tom, seduto sul divano con un libro di fotografie sulle gambe, avrebbe notato quel particolare.

 

*

 

«Mettiamo in chiaro una cosa», sibilò Olive liberandosi dalla mano di Tom, «non farlo mai più.»

«E’ stato così terribile?», domandò lui con finta innocenza. 

Lei strinse le mani a pugni, ma evitò di rispondere alla domanda spostando lo sguardo sul corridoio che si apriva davanti a loro. Non avrebbe mai ammesso che quel bacio stupido ed improvviso per un attimo le aveva quasi fatto dimenticare chi fosse e cosa fosse lì per fare. Tornò a guardare Tom con una nota in più di durezza. «Rimani qui. Se passa qualcuno, inventati qualcosa. Dovevi fare una telefonata o stavi cercando Lord Burke. Quello che ti pare.»

 

Non aspettò nemmeno che Tom rispondesse, si voltò invece e si diresse dove - grazie a due giorni passati a sorvegliare le finestre della residenza - sapeva essere posizionato lo studio dell’assistente personale di Lady Burke-Roche. Si fermò solo quando sentì altri passi dietro di lei. Si voltò e guardò Tom quasi con insofferenza. «Ho detto “rimani qui”.»

«E perdermi il divertimento?», chiese retoricamente Tom con una scrollata di spalle. «Allora, qual’è la porta che ci interessa?»

Olive scosse la testa e decise ufficialmente di rassegnarsi. In fondo non sapeva nemmeno perché volesse cercare di proteggerlo. Se Tom Hiddleston voleva cacciarsi nei guai, era affare suo. Fintanto, almeno, che non diventasse un intralcio per Olive o, anche peggio, un’incognita.

 

Lo superò senza nemmeno guardarlo e contò le porte. Quando arrivò alla terza, si fermò. Tom - Olive in qualche modo ridicolo se lo sentiva - era a soli pochi passi dietro di lei.

Abbassò la maniglia della porta, ma la serratura era chiusa. Dettaglio prevedibile, pensò. 

Così prevedibile, infatti, che era arrivata preparata per quella evenienza. 

Si girò, bloccandosi solo un attimo prima di finire contro Tom, quindi con uno sguardo appena esasperato lo spostò di lato. 

 

Sull’altro lato del corridoio, quasi di fronte alla terza porta, una poltrona in stile Luigi XV sembrava giusto aspettare lei. Si sedette e senza pensarci - ancora irritata da Tom, dalla sua cocciutaggine e dal bacio sul collo - prese l’orlo del suo vestito e lo alzò, scoprendo una gamba e la giarrettiera che ne decorava la coscia, insieme ai sottili strumenti da scasso che vi aveva infilato prima di lasciare casa.

Un fischio lungo e sottile la interruppe nel mezzo della scelta dei tre più adatti. Guardò Tom alzando un sopracciglio. «Una signora dev’essere sempre pronta a tutto», commentò asciutta, tornando a scegliere i ferretti. Riabbassò poi l'abito e passò di nuovo accanto a Tom, mettendosi a lavorare sulla serratura. 

 

Lui si piegò accanto a lei, osservando quello che stava facendo. «Forse dovrei precisare che non mi riferivo ai tuoi strumenti che, per carità, per quanto interessanti, non sono interessanti come…il resto.»

Olive non rispose. Anche avesse voluto, aveva un ferretto per mano e il terzo in bocca, ed era comunque troppo concentrata sul meccanismo della serratura. 

Dopo poco un piccolo rumore meccanico annunciò che la porta si era aperta. Olive estrasse i ferretti con un sorriso ed abbassò la maniglia. E non poté fare a meno di sentirsi un po’ soddisfatta dell’espressione di ammirazione che era comparsa per un attimo sul viso di Tom. 

 

Scivolarono dentro lo studio ed Olive accostò la porta con delicatezza, guardandosi un istante attorno per decidere da dove cominciare. 

«Cosa stiamo cercando?»

«Tu non cerchi nulla. Tieni d’occhio la porta e il corridoio», rispose Olive avvicinandosi alla scrivania che dominava la stanza. Sembrava la cosa più logica.

«Correzione, allora. Cosa stai cercando?»

Olive aprì uno dei cassetti delle scrivania e ne estrasse dei documenti. «I quadri hanno dei sensori sulle cornici e sul retro. Se un quadro viene spostato o rimosso, i sensori attivano l’allarme. La sala da ballo, inoltre, ha dei sensori di distanza - come quelli che trovi nei musei, per capirci. Se ti avvicini troppo, scatta l’allarme. Ma stasera, ovviamente, è tutto disattivato. Troppe persone e, in generale, un basso rischio che possa succedere qualcosa.»

«Dunque?», domandò Tom guardandola mettere via i documenti che aveva velocemente cercato ed estrarne altri da un altro cassetto.

«Dunque la cosa mi ha dato da pensare. In quale altra situazione gli allarmi devono essere per forza disattivati?» Le dita di Olive si fermarono su di una cartelletta azzurra con un’elegante goffratura nel centro. La aprì e scorse i documenti che conteneva, fermandosi su di uno in particolare. Alzò gli occhi su Tom e con un piccolo sorriso glielo mostrò. «Lascia che ti presenti Rosie O’Caffrey, che tramite la Harrow&Wealdstone da dieci anni si prende cura della pulizia della residenza di Lord e Lady Burke.»

«Ma certo», disse Tom animato, «non puoi certo pulire con il rischio di far scattare gli allarmi della casa ad ogni passo.»

«Esattamente», rispose Olive con un sorriso. «Il che si traduce anche in una delle poche occasioni in cui un ladro, con un po’ di ingegno, potrebbe approfittare per rubare qualcosa. O di cui io potrei approfittare per mettere alla prova i sistemi di sicurezza.»

 

«Certo che per una persona sola una casa di questa grandezza è una mole di lavoro non indifferente», commentò Tom.

«Non è da sola», rispose Olive estraendo altri tre schede dal fascicolo. «Deepti Majumdar, assunta cinque anni fa. Sandra Duncan, assunta l’anno scorso. E…»

Olive guardò perplessa l’ultima scheda. 

«Cosa c’è?», le chiese Tom raggiungendo la scrivania. Olive gli passò il documento e lui lesse ad alta voce. «Phyllis Fowler. Assunta…un mese fa. Graziosa», aggiunse picchiettando la piccola foto-tessera spillata alla scheda. «Dov’è il problema?»

«Il problema», disse Olive riprendendo il documento e mettendolo al suo posto dentro la cartelletta, «è che se “Phyllis Fowler” è chi credo che sia, non si sognerebbe mai di mettersi a pulire case. A meno che non ne possa uscire con le tasche piene di gioielli.»  

Tom tamburellò le dita sulla scrivania. «E pensi che potrebbe anche essere interessata ad un quadro o due?»

Olive si morse un labbro. Chiuse il fascicolo e lo ripose dentro il cassetto, esattamente come lo aveva trovato. «Forse», disse facendo qualche passo verso la porta. «Ma prima di fare qualsiasi cosa-»

 

Si bloccò alzando un dito per segnalare a Tom di non dire nulla. Ancora distanti, ma sempre più definiti si potevano sentire avvicinarsi un gruppo di passi. 

Tom ed Olive si scambiarono un’occhiata agitata. Lei si guardò poi attorno - i passi sempre più vicini - e senza trovare nulla che potesse aiutarli, ritornò su Tom.

«Per l’amor del cielo», sussurrò con fastidio a se stessa, prima di fare l’unica cosa che sembrava possibile fare. Appoggiò le mani sul collo di Tom e gli fece abbassare un po’ la testa, esitando un brevissimo istante prima di baciarlo. 

La sorpresa, per Tom, sembrò durare solo un attimo. Quasi immediatamente chiuse le braccia sulla schiena di Olive ed approfondì il bacio, stringendola a sé - le mani, quelle mani, che suggerivano e lasciavano immaginare un’infinità di altre cose deliziose che sarebbero state capaci di fare. 

 

La porta dello studio si aprì improvvisamente e Tom ed Olive si allontanarono l’uno dall’altra con un nervosismo che solo in minima parte era preteso.

Lord Burke-Roche - che stava parlando con qualcun altro - si era interrotto e li guardava confuso e divertito. «Tom?»

Tom si schiarì la voce. «Philip, buona sera. Noi stavamo…eravamo…», inciampò sulle parole con un’insicurezza così genuina che se Olive non avesse saputo meglio, avrebbe creduto reale. «Sono terribilmente dispiaciuto per…per la situazione.»

Lord Burke lanciò un’occhiata discreta ad Olive e rise. «Niente di cui essere imbarazzato, Tom.»

Alle sue spalle qualcuno si schiarì la voce. Olive guardò con una nota di panico l’assistente di Lady Burke entrare nello stanza. «La porta dello studio era chiusa», disse freddamente.

Tom guardò con la coda degli occhi Olive. Lei fece un passo in avanti e sorrise. «Temo di no. Noi l’abbiamo trovata socchiusa.»

«Impossibile. Mi accerto sempre di chiuderla ogni volta che lascio la stanza», replicò lei stizzita.

«Ma se fosse stata chiusa, Tom e la sua amica non sarebbero potuti entrare», le fece notare Lord Burke. Le diede una piccola pacca sulla spalla. «Su, su. Non è la fine del mondo, errori capitano anche alle persone migliori.»

Lei sembrò sul punto di voler ribattere, ma strinse le mani e tacque, riservando uno sguardo poco caloroso ad Olive e Tom.

Tom si schiarì la voce. «Mi scuso ancora per l’incidente, Philip. Ce ne andiamo subito.»

Olive prese la mano che lui le offrì e salutò imbarazzata Lord Burke. L’ultima cosa che sentì fu l’assistente di Lady Burke ribadire che era certa di aver lasciato la porta dello studio chiusa.

Percorsero il corridoio in silenzio, ma quando raggiunsero la galleria Olive si accorse che Tom stava tremando. Lo guardò preoccupata, prima di rendersi conto che stava solo cercando di non scoppiare a ridere.

Tornò a guardare di fronte a sé, una risata nervosa sulle labbra, il sapore di Tom ancora sulla bocca. 

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Capitolo 3
*** III ***


Nota: terzo ed ultimo capitolo! Grazie mille a chi è stato così gentile da perdere un po' di tempo leggendo questa storia e a dare un'occasione alle mie idee sceme. Davvero, mille mille grazie. 

 

 

 

 

 

Il giorno dopo alle otto e diciotto minuti della mattina Olive sarebbe velocemente tornata nella sua camera da letto per cercare un paio di pantaloni da indossare. Tom, invece, sarebbe rimasto sul divano a fissare per qualche istante il punto dove era comparsa Olive, la gola secca e la mente temporaneamente bloccata. Si sarebbe poi alzato con una certa cautela e avrebbe raggiunto la camera di Olive, fermandosi sulla soglia. 

Olive lo avrebbe guardato con un misto di imbarazzo ed ansia, ma non avrebbe detto nulla. 

Sarebbe stato Tom a parlare. «Quello che ho detto ieri non è vero», le avrebbe annunciato. 

Olive non avrebbe saputo come prendere quella frase  per un po’.

 

*

 

«Cosa succede ora?»

Olive gli lanciò un’occhiata perplessa. Avevano appena lasciato la festa di Lady Burke-Roche e Londra sembrava particolarmente fredda quella sera. 

«Non so cosa succede a te», rispose lei, «ma io ho del noioso lavoro di ricerca da fare.»

«Posso aiutarti?»

«No.»

«Posso darti un passaggio?»

«Solo se sei qui con la Jaguar.»

Tom estrasse un set di chiavi dalla tasca interna della giacca e lo fece dondolare davanti al viso di Olive.

«Voleva essere una battuta», replicò lei esterrefatta. «E davvero, chi gira per Londra con una Jaguar?»

Tom sorrise con leggerezza. «Non vedo perché no, quando sai che hai un parcheggio sicuro. Allora andiamo?»

Olive scosse la testa incredula. «Assurdo», mormorò prima di seguirlo. 

 

Quando raggiunsero la macchina, Tom si affrettò per aprirle la portiera e lei gli lanciò l’ennesimo sguardo sconcertato. «Ma da che secolo arrivi tu?»

Tom alzò le spalle. «Credo solo che la cavalleria non sia ancora morta.»

Dopo che lei gli indicò la zona generale verso cui dirigersi, perché non aveva voluto dargli l’indirizzo preciso - nonostante Tom le avesse fatto presente che sarebbe stato più facile inserirlo nel navigatore e non pensarci più - la macchina scivolò silenziosa lungo le strade della città. Tom aveva acceso la radio a volume basso, più che altro per riempire un po’ del silenzio dell’abitacolo, senza intralciare però possibili conversazioni. Non che lei sembrasse particolarmente inclinata a parlare, comunque.

 

Tom tamburellò con le dita il volante. «Serata…interessante.»

«Interessante, sì.»

«Il noioso lavoro di ricerca riguarda quella donna che pensi di conoscere?»

«Sì.»

«Come funziona? Avete una specie di database o Facebook per voi del mestiere?», domandò Tom scherzando.

Non poté davvero vederla perché teneva gli occhi fissi sulla strada di fronte a lui, ma notò comunque che Olive si era voltata a fissarlo. Probabilmente con un’espressione allibita.

«Era una battuta», precisò trattenendo una risata. «Preferisci che stia zitto?»

Olive tornò a guardare davanti a sé. «No, non importa. Voglio dire, al momento non posso comunque fare granché.» Fece una piccola pausa. «Senti.»

Tom le lanciò velocemente un’occhiata. «Sì?»

«Mi dispiace per stasera. Non credere che io sia così cieca o assorbita da questo lavoro per non rendermi conto che è stato uno sbaglio coinvolgerti. Non avrei mai dovuto lasciare che-»

«Olive», la interruppe lui gentilmente.

«…sì?»

«Sono io che ti ho chiesto di coinvolgermi. Ti ho praticamente forzato ad accettare la mia richiesta. Ed è stato divertente. Niente di cui scusarsi.»

 

Lei tornò a richiudersi in un silenzio che interrompeva solo quando doveva indicargli quale strada prendere o a quale semaforo svoltare. 

«Puoi fermarti qui», disse infine indicando una serie di antiche palazzine in mattoni che si ripetevano lungo il resto della strada. 

Tom accostò la macchina ed Olive uscì prima che lui potesse aprirle la portiera. Sembrava a tutti gli effetti che non vedesse l’ora di sbarazzarsi di lui.

La raggiunse sul marciapiede e le sorrise, ignorando la nota di disappunto che sentiva sapendo che la serata con lei era finita.

«E’ stato un piacere rivederti», le disse offrendole la mano in un modo quasi formale.

Olive sembrò vagamente a disagio, ma la strinse comunque con un piccolo cenno del capo. «Buona notte, allora. E grazie», aggiunse poi, come se si fosse trattata di una riflessione tardiva. 

Tom sorrise e aspettò che arrivasse al portone della sua abitazione - un po’ perché per lui la cavalleria davvero non era morta e un po’ perché voleva osservare Olive qualche istante di più.

Fu quando lei fu sul punto di sparire nell’ingresso che Tom si trovò improvvisamente a pensare qualcosa - chissà quando e se la rivedrò - e a dire, altrettanto improvvisamente, qualcos’altro. 

 

«Non hai mai chiamato.»

Olive si fermò sulla soglia della sua palazzina, la mano sul pomello del portone. «Come?»

Tom le si avvicinò di qualche passo. «Hai il mio numero, ma non lo hai mai usato. Nessuna chiamata, nessun messaggio.»

Lei lo guardò perplessa. «Nemmeno tu.»

«Sì, ma sono stato io a darti il mio numero di telefono», rispose Tom facendo un altro passo e chiudendo quasi del tutto la distanza che li separava. «Di conseguenza sarebbe stato normale che tu fossi la prima a chiamarmi.»

«Tom, guardami. Cosa pensi che ne sappia di cosa si suppone sia normale o no?»

Lui scoppiò a ridere. «Ottimo punto.»

Olive gli sorrise. «E comunque ho pensato che non volessi davvero che ti chiamassi. Probabilmente il giorno dopo ti sei svegliato in panico e hai pensato “per la miseria, cosa ho fatto”.»  

«Il tuo problema è che pensi troppo.»

Lei rise. «Ho diversi problemi ma credimi, “pensare troppo” non è uno di quelli.»

Tom fece un passo indietro. «Allora buona notte?»

Olive aprì la bocca per dire qualcosa, ma sembrò poi cambiare idea. Lo guardò con una tale indecisione dipinta del viso, che Tom non poté fare a meno di domandarsi quale specie di battaglia interiore stesse combattendo in quel momento. 

«Buona notte», gli disse infine lentamente.

 

Tom le sorrise e, un istante prima di allontanarsi, le sfiorò la mano con una mezza carezza. Raggiunse la Jaguar conscio che lei lo stava ancora osservando dalla soglia della palazzina e, scivolando dentro la macchina, esitò un attimo prima di infilare la chiave. Era stato colto da un’idea. Un’idea che, ad essere onesti, era ridicola da sotto qualsiasi luce la si volesse vedere. Un’idea che, ad essere proprio del tutto onesti, forse solo un diciottenne in crisi ormonale avrebbe considerato.

Per la miseria, pensò Tom sorprendendo anche un po’ se stesso, lo sto per fare comunque.

Sfilò la chiave ed uscì dalla macchina, guardandola sconcertato.

«Che succede?», domandò Olive perplessa.

«La macchina. Non vuole partire. Le Jaguar, che dire, belle ma inaffidabili.» Fece una pausa prima di aggiungere un’altra idea dell’ultimo minuto. «E il mio cellulare è morto.»

Olive rimase in silenzio per un attimo, il labbro inferiore catturato dall’esitazione, prima di domandare quello su cui Tom aveva contato. 

«Vuoi chiamare un taxi dal mio appartamento?»

 

Tom le sorrise. «Sarebbe davvero gentile», rispose chiudendo la macchina e infilando il cellulare - spento - nella tasca interna della sua giacca.

In qualsiasi altra circostanza non si sarebbe mai permesso di fare una cosa del genere, ma quella sera le regole a cui generalmente si sarebbe attenuto sembravano essere state tutte mandate all’aria. E quello che Tom voleva era solo passare un altro po’ di tempo con lei, sapendo che non c’era modo di essere sicuro che l’avrebbe mai rivista. 

 

*

 

Olive si spostò dall’ingresso del suo appartamento ad uno dei piani alti della palazzina, lasciando spazio a Tom perché entrasse. Si dimenticava sempre dell’effetto che l’appartamento faceva sulle persone che lo vedevano per la prima volta. Le finestre che dal pavimento quasi raggiungevano il soffitto alto, l’arredamento scelto con attenzione perché bilanciasse moderno ed antico, pratico e confortevole, gli innegabili tocchi di lusso casualmente messi in mostra.

 

«Non farti idee sbagliate», disse lei sentendo la necessità di giustificarsi, «il posto non è mio, è di M. Uno dei benefici della professione.»

Non gli fece presente che c’era la probabilità che con quello che aveva messo da parte in banca se lo sarebbe comunque potuto permettere, perché quello era un dettaglio irrilevante. 

 

Tom camminò lentamente per il salotto, fermandosi ad osservare le stampe appese ai muri, i libri sulle mensole, le poche foto che Olive si era permessa di incorniciare. 

«Il telefono è lì nell’angolo», gli fece presente lei indicandolo con una mano. Si sfilò i tacchi con un sospiro di sollievo, ma si sedette di fronte al computer ancora in abito da sera. «Se vuoi qualcosa da bere, guarda nel frigo o nel mobile sotto il telefono.»

Sentì il piccolo suono metallico dell’armadietto dei liquori aprirsi. 

«Beh, sì. Accidenti», commentò Tom.

Olive immaginò che si riferisse alle bottiglie di whisky che, se non altro, dimostravano una certa parzialità per quel liquore. «Mi aiuta a dormire, quando faccio fatica a prendere sonno», spiegò lei, l’attenzione divisa tra le ricerche che stava facendo sul computer, i messaggi che stava mandando e la sottile sensazione della presenza fisica di Tom nell’appartamento. Chiuse gli occhi per un attimo e si concentrò. Non era il momento di distrarsi. Doveva creare un dossier il più dettagliato possibile e farlo avere ad M per prima cosa la mattina successiva. Il che significava non avere molte ore a disposizione. 

 

Non ci volle molto prima che il ritmo quasi costante della tastiera le facesse dimenticare tutto il resto. L’abito da sera che non vedeva l’ora di togliersi, il fatto che fosse terribilmente stanca e Tom da qualche parte nel suo salotto. 

Era riuscita a trovare alcune informazioni e molti segni ed indizi che sembravano confermare la sua intuizione di qualche ora prima. Si dedicò a raccogliere tutto ed annotare le sue supposizioni, e quando finalmente sembrò aver finito, si stupì dell’ora che l’orologio nell’angolo dello schermo del computer sembrava indicare. 

Sospirò cercando di rilassare i muscoli del collo e della schiena, e si voltò per trovare Tom addormentato sul divano del salotto. Lo guardò per un istante con confusione - un cosa ci fa lui qui? che aveva fatto una fulminea apparizione nella sua mente - prima di rendersi conto che in quelle ore in cui era stata occupata a fare ricerca, si era dimenticata della sua presenza.

 

Raggiunse il divano e si piegò di fronte a Tom, osservandolo per un attimo. Era un peccato doverlo svegliare, ma sapeva per esperienza che quello non era un posto comodo per dormire. Si sarebbe svegliato con dolori peggiori di quelli che sentiva lei in quel momento. 

Lo picchiettò delicatamente sulla spalla e lui aprì a stento gli occhi. 

«Per tua informazione ho un letto. Forza, è ora di andare a dormire.»

Tom la guardò perplesso. «Olive?»

«In carne ed ossa. Coraggio», lo aiutò ad alzarsi e lo diresse verso una delle porte che dava sul salotto. «Da quella parte.»

 

Tom si lasciò spingere senza lamentarsi, ma una volta dentro la camera da letto di Olive, rimase fermo come se una parte di lui stesse ancora dormendo.

Olive scosse la testa e si disse - e si ripeté un paio di volte - che non c’era assolutamente nulla di strano nell’aiutarlo a svestirsi, dato che lui sembrava non intenzionato a farlo. 

Gli sfilò la giacca e la cravatta, piegandoli e appoggiandoli con cura su una sedia nella camera. Esitò un attimo prima di slacciare la cintura e toglierla, ed esitò molto più di un attimo prima di slacciare il bottone dei pantaloni. Cambiò idea all’ultimo momento dedicandosi prima alla camicia, ma quando iniziò a sbottonarla, notò le sua mani tremare appena e si disse di non essere ridicola. 

 

Il petto di Tom si mostrò tra i due lembi della camicia. Olive esitò di nuovo. Fu quasi con lo stesso timore con cui avrebbe toccato un oggetto particolarmente fragile che sfiorò con le dita la pelle di Tom, separando la stoffa della camicia e salendo fino alle spalle.

Lui si schiarì la voce ed Olive alzò immediatamente lo sguardo su di lui. Sembrava improvvisamente molto sveglio. Arrossì, facendo un passo indietro. «Immagino che tu possa prenderti cura del resto», gli disse con un tono appena spigoloso, affrettandosi a sfilargli la camicia con meno attenzione di quanta ne avesse usata fino ad un attimo prima.

«Peccato», rispose lui, la voce bassa e quasi pericolosa, «iniziava a piacermi l’attenzione.»

 

Lei gli diede le spalle senza rispondere, affaccendandosi con il piegare, ripiegare e mettere in ordine i suoi vestiti - qualsiasi cosa pur di distrarsi.

Aspettò di essere certa che Tom si fosse infilato nel letto prima di spegnere la luce nel salotto - l’unica che aveva lasciato accesa e che aveva rischiarato appena la camera da letto.

Tornò allora nella stanza al buio e si sfilò l’abito velocemente, cercando una maglietta con cui coprirsi, prima di entrare - con un nervosismo che non apprezzava - dentro il letto. 

 

Aveva appena iniziato a rilassarsi, quando Tom si voltò - intuì Olive - verso di lei. 

«Avrei una domanda.»

Lei lasciò passare un istante. «Dimmi.»

«Se le circostanze fossero diverse, pensi che considereresti un appuntamento con me?»

Il cuore di Olive si mise a battere più velocemente. «Se le circostanze fossero diverse, credo di sì», rispose lentamente.

«Se le circostanze fossero diverse, so che mi piacerebbe corteggiarti.»

Lei rise piano. «Corteggiarmi

«Parola troppo antiquata?», domandò lui divertito. «Allora diciamo che mi piacerebbe fare le cose a modo. Portarti fuori a cena, accompagnarti a teatro. Un picnic da qualche parte, una sera al cinema.»

«Tre mesi prima di tenersi mano per mano?», suggerì Olive scherzando.

Tom rise. «Forse. Perché no.»

Olive gli sorrise, anche se nel buio lui non poteva vederla. Poi qualcosa di triste sembrò appoggiarsi sul fondo del suo stomaco. «Ma le circostanze non sono diverse», gli fece notare.

Tom non rispose immediatamente, ma quando parlò, lo fece con un che di grave nella voce. «No, non lo sono.»

 

 

 

Per Tom la stranezza non fu tanto nello svegliarsi in un posto che non conosceva - quella era una sensazione a cui si era ormai abituato da tempo - quanto sapere, ad un puro e semplice livello fisico, che c’era una persona distesa accanto a lui e che quella persona era Olive. 

 

Cercò di muoversi lentamente, allungando le braccia sopra la testa per rilassare i muscoli che non avevano avuto abbastanza riposo, ma riabbassandole le sfiorò per sbaglio la schiena. La guardò per accertarsi di non averla svegliata e rimase poi a fissarla per un altro po’, cercando di mettere ordine tra la confusione di pensieri che gli riempivano la testa.

 

La serata appena passata era stata qualcosa di assolutamente unico. Gli sarebbe bastato chiudere gli occhi per sentire di nuovo la pelle del suo collo sulle labbra o quel bacio che lei gli aveva dato. O come lo avesse spogliato e gli avesse sfiorato il petto con le dita, e quel momento di assoluta follia in cui per un istante aveva pensato semplicemente di prenderla e portarla a letto.

 

Tom si passò con una certa frustrazione una mano sul viso, massaggiandosi gli occhi e la fronte. Decise che sarebbe stato meglio lasciare il letto e allontanarsi da lei e dal quell’attraente calore che il suo corpo sembrava emanare. 

Si mosse con cautela raccogliendo i pantaloni e la camicia della sera prima e si chiuse la porta alle spalle, cercando di non disturbarla. Guardò lungo il salotto con una sensazione di totale assurdità. Non riusciva ancora a capacitarsi di essersi addormentato sul divano. 

 

La sua idea iniziale, la sera prima, era stata di passare mezz’ora - al massimo un’ora - di più con lei e quindi pretendere di chiamare un taxi e andarsene. Ma qualcosa - le luci soffuse del salotto, una certa tranquillità nell’ambiente, il suono ritmico delle dita di Olive sulla tastiera - lo avevano rilassato al punto che nemmeno lui sapeva esattamente quando si fosse addormentato.

Cercò qualcosa con cui distrarsi - qualcosa che portasse la sua mente lontano da quella nota costante che apparentemente era diventata Olive - e prese un libro di fotografie, che portò con sé sul divano del salotto. 

 

Riuscì a raggiungere solo la tredicesima pagina. La porta della camera da letto si era a quel punto aperta ed Olive era comparsa sulla soglia. Per la precisione Olive, le gambe nude completamente esposte e un’aria che da assonnata si era velocemente trasformata in imbarazzata.

E nonostante lei fosse sparita piuttosto velocemente nella camera da letto e non ci fosse stato più nulla da vedere nel punto in cui si era trovata, Tom non riuscì a spostare lo sguardo per un lungo, lungo momento.

 

*

 

Olive sapeva essere sufficientemente creativa con le parolacce. Che forse non era un talento di cui andare molto fieri, ma tornava pur sempre utile in alcuni momenti di particolare frustrazione. Eppure, in quella situazione, tutto quello che la sua testa sembrava potesse formulare era una catena pressoché infinita di “perché?”. 

 

Cercò un paio di jeans e se li infilò velocemente, giusto un attimo prima che Tom comparisse sulla soglia della camera da letto.

Di nuovo un’altra serie di “perché?” mitragliò la mente di Olive. Lo guardò, sapendo di essere arrossita e sapendo di avere ancora l’aria di chi si è appena svegliato, ma non trovò nulla da dire, vagamente a disagio nel silenzio che stava lentamente allungandosi fra loro. Ma del resto, Olive non aveva la più pallida idea di cosa fosse corretto - o appropriato - fare in una situazione del genere. 

 

«Quello che ti ho detto ieri non è vero», ruppe il silenzio Tom.

Lei lo guardò cercando sul suo viso qualche indizio riguardo a cosa si stesse riferendo. In fondo si erano detti numerose cose il giorno prima. 

«Non avrei bisogno di circostanze diverse per chiederti un appuntamento. Te lo chiederei comunque. Te lo chiederei ora.»

Olive sgranò un po’ gli occhi e si trovò ad arrossire di nuovo. «Oh», fu l’unica cosa che riuscì a rispondere, prima che il suono del videocitofono si allungasse nell’appartamento, raggiungendoli nella camera da letto e interrompendo quello che avrebbero potuto dirsi.

 

Quando il videocitofono suonò una seconda volta, Tom chiese ad Olive se non volesse andare a vedere chi fosse e lei accennò un sì con la testa, senza riuscire a guardarlo quando gli passò accanto.

Raggiunse il display e guardò l’immagine della persona che aspettava davanti al portone sulla strada. Si voltò per un attimo, incrociando lo sguardo di Tom. 

«E’ M», disse con un certo nervosismo.

Ed aprì il portone.

 

*

 

M non aveva un’età. 

O, almeno, questo era quello che amavano dire le persone che lavoravano per lei, dato che - graziata da un corpo e un viso che non sembravano invecchiare - non dimostrava mai più di quarant’anni. Il trucco leggero e un’impeccabile senso dello stile, poi, aggiungevano un ulteriore difficoltà a chi si volesse azzardare ad indovinare quanti anni avesse. 

 

M, inoltre, sapeva tutto. Tutto quello che le interessava sapere, s’intende. 

Olive ne era abituata, quindi non si sorprese nemmeno un po’ quando, quella mattina, entrò nel suo appartamento con una shopping bag di Ted Baker appesa ad un braccio. 

Salutò Olive con due baci sulle guance e sorrise amabilmente a Tom. 

«Felice di sapere che non mi sbagliavo nel pensare che avrebbe necessitato di questi, Mr Hiddleston», gli disse porgendogli la shopping bag.

Olive nascose un sorriso davanti all’espressione confusa di Tom. Lo osservò aprire la borsa ed estrarne un paio di pantaloni e una maglia. 

«Ho dovuto indovinare con le misure, ma generalmente ho buon occhio», continuò a parlare M casualmente, sfilandosi dalle spalle una mantella di lana, e quindi guanti e cappello. Gli sorrise gentilmente, notando come Tom non si fosse mosso. «Sono certa che senta la necessità di uscire da quei vestiti del giorno prima, Mr Hiddleston, e farsi una doccia. Dopo di che può indossare il suo cambio e raggiungerci per una tazza di caffè, sì?»

Tom guardò M con un certo imbarazzo. «Sì, signora. Grazie.»

Olive soffocò una risata che si guadagnò uno sguardo asciutto da parte di Tom.

«E Mr Hiddleston?», lo richiamò M all’ultimo momento.

Tom si girò con un aria nervosa.

«La prossima volta che sente la necessità di aiutare uno dei miei agenti, sarebbe meglio che si presentasse più preparato e preferibilmente pronto per circostanze ben peggiori di quelle di ieri sera.»

«Sì, signora», rispose di nuovo Tom impacciato, prima di trovare rifugio nella camera da letto.

 

Olive cercò di non ridere, ma guardò M divertita. «Un giorno mi devi dire come fai.»

«Non sono particolarmente contenta nemmeno di te, Olive», le fece presente M con un tono di rimprovero. «Mi è stato detto che non è del tutto colpa tua se Mr Hiddleston è stato coinvolto, ma dovresti sapere meglio di così. Avresti dovuto trovare un modo di lasciarlo fuori.»

Olive spostò lo sguardo di lato. «Lo so.»

M sospirò, rimanendo immobile per un attimo prima di avvicinarsi al divano e accomodarsi. «Ti chiederò solo una cosa, Olive, e non voglio che tu mi risponda subito. Voglio che tu ci rifletta e voglio una risposta sincera.»

Olive attese.

«C’è forse qualcosa riguardo a te e a Mr Hiddleston che vuoi dirmi o di cui dovrei essere a conoscenza?»

Lei s’irrigidì e la prima risposta - no, M, assolutamente nulla - le si bloccò in gola. 

«Come ti ho detto», riprese a parlare M, «non voglio che tu mi risponda subito. Pensaci e fammi sapere. Nel frattempo, potresti gentilmente preparare del caffè e aggiornarmi su quello che hai scoperto ieri sera?»

Olive accennò un sì, sentendosi immediatamente più rilassata. Non aveva nessuna difficoltà a parlare di lavoro, riassumere le informazioni importanti e i dettagli necessari. Erano gli aspetti personali che riuscivano sempre ad incastrasi nella sua testa e confonderla.

 

*

 

Tom tornò in salotto per trovare Olive alla porta d’ingresso con in una mano la mantella di M, temporaneamente occupata ad infilarsi i guanti. Il cappello era già al suo posto. 

«Mr Hiddleston», disse M guardandolo con apprezzamento, «decisamente molto meglio.»

Tom le sorrise. «Se mi dice quanto le devo-»

M lo fermò con un gesto vago della mano. «No, no. E’ in ringraziamento per i servizi resi ieri sera.»

Indossò poi la mantella, baciò Olive sulle guance e fece un cenno con la mano a Tom. «À bientôt.»

 

Olive si chiuse la porta alle spalle, prima di voltarsi e sorridergli - forse un po’ troppo allegra. «Caffè?»

«Perché no», rispose Tom. La seguì fino all’isola della cucina, dove un paio di tazzine aspettavano di essere usate. «Cos’ha detto M riguardo a quello che hai scoperto ieri sera?»

Olive versò il caffè. «E’ sembrata soddisfatta. Soddisfatta abbastanza da affidarmi il compito di fare più luce su quei piccoli particolari interessanti che sono saltati fuori.»

«Vuol dire che per il momento non sei più affidata ai test di sistemi d’allarme?»

«Parrebbe proprio così», rispose Olive allegra. Increspò poi la fronte. «Ora devo solo capire da dove cominciare.»

 

Tom rimase per qualche attimo in silenzio giocherellando con la tazzina del caffè. «La settimana prossima parto», annunciò poi all’improvviso. «Iniziano le riprese di un nuovo film e starò via grosso modo un paio di mesi.»

Vide Olive fissarsi le dita evitando il suo sguardo. 

«Ma una volta di ritorno, se tu non sei più a caccia di questa tua vecchia conoscenza, mi domandavo se-»

«Potremmo vederci di nuovo?», finì velocemente lei per Tom.

E lui non mancò di notare come Olive avesse scelto con attenzione di evitare parole che avrebbero potuto indicare più di un semplice incontro tra due persone unite da una strana amicizia.

Abbassò la testa con un piccolo sorriso mesto. «Esattamente.»

«Certo che possiamo vederci di nuovo», la sentì dire con forse una nota di forzata leggerezza.

«Bene», replicò allora Tom. Allontanò la tazzina da caffè e le sorrise con la stessa pretesa allegria che sapeva - immaginava, voleva sperare - stesse usando lei. 

Raccolse poi la shopping bag dove aveva messo i vestiti della sera precedente e trovò Olive in attesa all’ingresso dell’appartamento, la porta già aperta.

«Allora a tra qualche mese», disse lei vaga, solo qualcosa nel viso che sembrava tradire dell’altro.

Tom la osservò per un attimo, prima di piegarsi su di lei e lasciarle un bacio sulla guancia. «Puoi contarci», le rispose con un sorriso.

 

(E sì, Tom l’avrebbe rivista. E le avrebbe chiesto un appuntamento, ma lei lo avrebbe rifiutato. E anche se ci sarebbero stati alcuni contrattempi, si sarebbero baciati di nuovo comunque - e quello sarebbe stato solo l’inizio. 

Ma anche se Tom avesse potuto prevedere tutto questo, mai e poi avrebbe potuto immaginarsi che - tra una e l’altra di queste cose - si sarebbe trovato una notte, in abito da sera, a correre con lei sui tetti di Londra. Ma, davvero, dopotutto chi avrebbe mai potuto provedere quello.)

 

Fin

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