Don't let me go

di Switch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Just another September... or not? ***
Capitolo 2: *** Chosen ***
Capitolo 3: *** Followed ***
Capitolo 4: *** What's going on? ***
Capitolo 5: *** Just the two of us ***
Capitolo 6: *** The harsh truth ***
Capitolo 7: *** Joi-lousy ***
Capitolo 8: *** Let the Battle Nexus begins ***
Capitolo 9: *** Round 1: I can't lose yet ***
Capitolo 10: *** Round 2: I'm not the same I was before ***
Capitolo 11: *** Break (1): Of Love, Friend and Fear ***
Capitolo 12: *** Break (2): Of Fear, Honor and Duty ***
Capitolo 13: *** Round 3: Old enemies ***
Capitolo 14: *** Round 4 and Finale: To glory ***
Capitolo 15: *** Don't let me go ***
Capitolo 16: *** From Isa with love ***
Capitolo 17: *** Fight on Halloween ***
Capitolo 18: *** Bad feeling ***
Capitolo 19: *** Something New ***
Capitolo 20: *** A new... friend? ***
Capitolo 21: *** Mork ***
Capitolo 22: *** Sacrifice ***
Capitolo 23: *** And life goes on... until it ends ***
Capitolo 24: *** Hallelujah ***
Capitolo 25: *** I am- You are- We are... Falling ***
Capitolo 26: *** Broken (Denial) ***
Capitolo 27: *** She promised (Rage) ***
Capitolo 28: *** Dealing with pain (Depression) ***
Capitolo 29: *** I want to know, have you ever seen the rain? ***
Capitolo 30: *** Light my fire ***
Capitolo 31: *** I believe I can fly ***
Capitolo 32: *** We will rock you ***
Capitolo 33: *** Void. What doesn't exist in mortal life ***
Capitolo 34: *** Back to you ***
Capitolo 35: *** Death and grace ***
Capitolo 36: *** Mikey's little adventure 1. My name is Sam ***
Capitolo 37: *** Mikey's little adventure 2. Where's Melissa? ***
Capitolo 38: *** Mikey's little adventure 3. Separate Twins ***
Capitolo 39: *** Mikey's little adventure 4. And then there was only one ***
Capitolo 40: *** Mikey's little adventure 5. Rollercoaster of emotions ***
Capitolo 41: *** Mikey's little adventure 6. Everything that could go wrong ***
Capitolo 42: *** Mikey's little adventure 7. I won't let you go ***
Capitolo 43: *** Mikey's little adventure 8. You found me ***
Capitolo 44: *** Yes, I do ***



Capitolo 1
*** Just another September... or not? ***


Leonardo scivolò di lato, guardingo, rafforzando la presa sull'elsa delle Katana. Scricchiolarono debolmente, unendosi al suono dei piedi che strisciavano sul parquet e al respiro cadenzato, tenuto sotto controllo. Il suo opponente si muoveva con la stessa lentezza, studiandolo con la sua stessa calma, danzando in circolo la sua stessa danza.

Dannazione. Da quando quel dannato di Raph rifletteva prima di agire? Era molto più semplice leggerlo quando era tutto irruenza e rabbia.

Raphael passò il pollice destro sullo tsuba del Sai corrispondente, concentrato come non mai. Non aveva spesso occasioni di confrontarsi con suo fratello. E lui invece adorava battersi contro Leo. In passato aveva cercato di affrontarlo per provargli di essere migliore di lui o quando era arrabbiato con lui e cercava di fargli capire il suo punto di vista, a suon di pugni. Poi le cose si erano un po' sistemate, aveva capito che scontrarsi con lui non avrebbe portato a nulla e si era decisamente dato una calmata.

Ma avevano una lotta in sospeso, loro due... per Isabel.

Non che ce ne fosse più davvero bisogno: era la sua ragazza, ormai. Da quella notte in cui la sua insistenza e costanza l'avevano convinto a cedere ai suoi sentimenti, a tenerla con sé; Isabel gli aveva dimostrato che non c'era niente di più importante al mondo di lui, che avrebbe rinunciato a qualsiasi altra cosa pur di stargli accanto.

Era passato un anno, da allora; un intero anno, idilliaco e troppo bello per essere vero.

A volte si svegliava ancora nel bel mezzo della notte, credendo che Isabel fosse stata solo frutto della sua immaginazione; poi la sua mano sfiorava il corpo della ragazza rannicchiata al suo fianco, addormentata pacificamente, e allora ci si ancorava, stringendola con tutte le sue forze a sé, annusando la sua pelle al profumo di lavanda e sonno, assorbendo il suo calore con sollievo; lei mugugnava qualche parola a caso nella sua lingua, strappandogli un sorriso mentre si riaddormentava, stretto a lei, sereno come non era mai stato.

Ma nonostante tutto, sapeva che Leo provava ancora qualcosa per Isabel. Anche se aveva assicurato a chiunque il contrario, miliardi di volte; aveva notato il suo sguardo quando pensava di non essere visto, come si illuminava quando si posava su di lei e seguiva i suoi spostamenti con discrezione e attenzione.

Avevano uno scontro in sospeso. E lui non vedeva l'ora di poterlo avere. Gli prudevano le mani dall'eccitazione. Era tutto regolare, poteva scontrarsi con Leo regolarmente, e avrebbe pianificato ogni mossa con meticolosità.

Yoroshiku Onegaishimasu” soffiò ironico, sapendo quanto suo fratello fosse fissato con l'etichetta. Avrebbe seguito ogni più piccola procedura.

Leo sollevò un sopracciglio, incredulo, poi rispose al saluto di rito con un breve inchino.

Santo cielo, uno di voi due attacchi, per carità!” squillò la voce di Michelangelo, con un tono esasperato.

Sorrisero, entrambi. Un identico stiramento di labbra verso destra. E si lanciarono all'attacco, insieme. Leo si spostò a destra, schivando il colpo di Sai e Raph si inchinò giusto in tempo, evitando le Katana per un soffio: allungò una gamba, colpendo quelle del fratello per fargli perdere l'equilibrio, ma quello, dopo una capriola, ritornò in piedi. Strinsero entrambi la presa attorno alle armi, ricalibrando le tattiche.

Leo sapeva che Raph aveva un ottimo gioco di gambe, perciò doveva muoversi più possibile, per non dargli la possibilità di fargli perdere l'equilibrio e atterrarlo facilmente. Raph sapeva che Leo aveva un'ottima elevazione nel salto, perciò doveva fare attenzione agli attacchi dall'alto, aspettando l'occasione giusta per atterrarlo.

Ripresero a studiarsi, in un'infinita gara di pazienza, prima di ricominciare a combattere, all'improvviso.

Era come se danzassero su una melodia che nessuno poteva sentire tranne loro, che dava loro il ritmo e gli attacchi giusti: si muovevano, si fermavano e prendevano fiato all'unisono.

I loro assalti e colpi erano precisi, controllati e letali, senza nessun gesto inutile o avventato o fatto con superficialità.

Raph voleva vincere, così come lo voleva Leo.

Il rumore delle loro armi che scontravano le une contro le altre riempivano l'ambiente, rimbombando in ogni dove, insieme alle esclamazioni sfuggite in un momento di foga o di sorpresa. Raph continuava a schivare gli attacchi, muovendosi a destra e sinistra, mentre Leo proseguiva a girare di qua e di là, portandolo in giro per tutto il dojo, sperando di fargli perdere la pazienza e la concentrazione.

La lama della Katana sfiorò pericolosamente il suo torace, ma con un gesto secco la allontanò, prendendo l'occasione per provare a bloccarla col Sai: per un secondo ebbe l'impressione di averla ingabbiata con lo tsuba ed esultò, internamente, ma il filo scivolò contro il metallo, sfuggendo alla presa. Il calcio di Leo arrivò nello stesso istante, colpendolo al lato della mandibola, senza dargli il tempo di accorgersene.

Volò all'indietro mentre mille puntini gialli esplodevano davanti ai suoi occhi e un dolore lancinante si diffondeva per la testa. Cadde sul pavimento, stordito, con un suono sordo. Scosse il capo per snebbiarlo e un sorriso sardonico si dipinse sul suo viso. Leo gli aveva teso una trappola e lui ci era caduto come un pivello; la sua smania di batterlo aveva annebbiato le sue percezioni.

Piantò le mani al suolo e si rialzò lentamente, andando poi a raccattare i Sai caduti poco distanti da lui. Il suo sguardo non si era staccato un secondo da Leo, ma l'altro non aveva intenzione di muoversi, dandogli tutto il tempo, come se non volesse approfittare del vantaggio.

Come se si sentisse dannatamente sicuro di sé.

Si mosse a lenti passetti, calcolando la distanza tra sé e Leo, pensando alle varie e molteplici strategie e tecniche da poter attuare, ad una velocità mentale impressionante.

Quando lo raggiunse, lasciando una distanza di un metro tra loro, aveva già ben chiara quale sarebbe stata la sua mossa successiva. Leonardo aveva nel contempo pensato alla sua, cercando di anticipare i suoi movimenti e pensieri dopo aver incassato il primo colpo.

Un respiro all'unisono, occhi negli occhi.

E poi l'attacco.

Leo corse con le Katana tese di fronte a sé, Raph aveva un Sai in posizione di attacco e uno in difesa: il leader però, abbassò le armi nel momento in cui le gambe si fletterono e diedero la spinta al balzo, le braccia lungo i fianchi per essere più aerodinamico. Leo superò in volo Raph, una Katana colpì contro la testa, parata al volo dal Sai in difesa mentre l'altro infilzava l'aria dove un attimo prima c'era Leo, il tutto in una frazione di secondo.

Leonardo atterrò alle sue spalle e con una torsione del busto attaccò con le spade, ma i Sai bloccarono la lama tra gli tsuba, in alto, sopra le loro teste: Raph si tese allo spasmo e con un colpo di reni scaraventò il fratello per il dojo, in una stupenda proiezione.

Gli occhi di tutti seguirono il volo perfetto, la parabola ascendente e poi il tonfo finale, cupo, guscio contro legno.

Fu la volta di Raphael di attendere, di dare a Leo la possibilità di rimettersi in piedi e ritornare al suo posto.

Oh, la voglia di attaccarlo c'era, prepotente per di più, ma lui voleva seguire le regole di Leo e batterlo nonostante tutto.

Lo osservò rialzarsi, con su l'espressione più neutra del mondo, -niente traspariva dal suo sguardo, né rabbia né stupore né meraviglia, ma Leo era così, lo sapeva,- e raccogliere le Katana lasciate cadere nel volo, nella calma e il silenzio più totali.

I sospiri tesi di Michelangelo ogni tanto arrivavano alle loro orecchie, flebili, ma si perdevano in fretta nel suono dei loro pesanti respiri, nelle macchinazioni della mente.

Si eguagliavano, ma non potevano davvero essere uguali. Uno dei due doveva vincere.

Leonardo si era riavvicinato e teneva le armi ben alte, così come fece lui.

Avrebbero lottato finché non fosse rimasto un solo vincitore, nessuno dei due voleva indietreggiare, né lo avrebbe fatto.

Un battito di palpebre all'unisono fu il segnale, questa volta. Al battito successivo entrambi erano già lanciati uno contro l'altro, veloci e silenziosi, entrambi verso un attacco diretto.

Le lame sbatterono con un clangore metallico che mandò scintille per la forza dell'impatto, ognuno che cercava di forzare per colpire l'altro.

Ferro contro ferro che strideva, respiri e grugniti rochi per lo sforzo, occhi decisi in occhi decisi, mascelle contratte fino a far cigolare i denti.

Fermi!”

La voce di Splinter risuonò secca, spezzando ogni cosa: il momento, la tensione, il duello. Una semplice parola, ma come una formula magica che metteva fine ai loro propositi bellicosi. Non si poteva disubbidire alla sua voce né al suo ordine.

I due allontanarono lentamente le armi, continuando a fissarsi, poi si voltarono verso il maestro, in piedi in fondo al dojo.

Siete stati bravi, figlioli. Venite qui” li richiamò, camminando avanti e indietro sotto lo stendardo degli Hamato.

I suoi figli si avvicinarono e si inginocchiarono rispettosamente vicino a Michelangelo e Donatello che avevano seguito lo scontro col maestro; poi, tutti e quattro rimasero in attesa.

L'anziano ratto continuò col suo lento via vai, una mano sul bastone mentre l'altra carezzava il pizzetto meditabondo.

Sono certo, figli miei, che vi state chiedendo come mai io vi abbia convocati e vi abbia chiesto una dimostrazione delle vostre capacità in scontri uno contro uno. Sono stato piacevolmente colpito dalla tua vittoria su Michelangelo, Donatello, e dalla vostra situazione di parità, Leonardo e Raphael. Ho assistito a delle ottime prove.”

Pura fortuna, Donnie. Pura fortuna” sussurrò Mikey verso il fratello, cercando di non farsi scoprire dal maestro. Don sorrise, soddisfatto di sé stesso, per nulla toccato dalle sue parole.

Prove che mi permettono di valutare il vostro livello e di potervi così aiutare a migliorare. Per questo.”

Il maestro si avvicinò, frugando nelle maniche del kimono con attenzione; ne tirò fuori degli involti neri che poggiò sulle mani dei suoi discepoli, con riverenza. I quattro si guardarono un momento, perplessi, poi svolsero il panno, contemporaneamente: quattro Kunai splendettero, il freddo acciaio che risaltava contro il nero del panno; nell'occhiello era ferma la striscia viola. Tutti loro sapevano benissimo il significato.

Il Battle Nexus? Ci hanno riconvocato?” domandò sorpreso Donnie, studiando il suo Kunai.

È quest'anno? Lo avevo scordato!” esclamò emozionato Mikey mentre lanciava il suo in aria, riprendendolo per la punta.

Già, non tieni il conto da quando non sei più il campione, eh, Mikey?”

Almeno io sono stato campione, Raph! Chi è che si è fatto battere al primo round da Leo, invece, all'ultimo torneo?”

Figlioli, basta. Leonardo è il campione fino all'inizio del prossimo torneo, ma tutti voi avete la possibilità di mostrare quanto valete. Il Battle Nexus avrà luogo alla fine del mese e mi aspetto che impieghiate il vostro tempo ad allenarvi, per poterlo affrontare al meglio.”

Gli occhi di Splinter brillarono di orgoglio verso i suoi figli. Tutti loro avrebbero dato il meglio, lo sapeva. Era sereno e tranquillo, certo che avrebbero reso onore alla loro casata e al suo maestro.

Ma come doveva agire per l'altra questione?


Isabel tornò al rifugio a sera inoltrata, come d'abitudine. Erano ormai iniziate le nuove lezioni di medicina ed erano sempre più complesse; non era strano che tornasse tardi, a seconda della giornata. La prima cosa che faceva era strillare un “sono tornata” che scuoteva le pareti, poi passava da Don a lasciargli gli appunti della giornata, abbracciava Mikey, o meglio prendeva un grosso abbraccio da Mikey, e infine correva da Raph, a prendersi il suo meritato bacio di bentornata. Il resto variava da giornata a giornata. Solo quel rito era fisso, abitudinario.

Quando mise piede al rifugio, quel giorno, si sentì strana, per la prima volta in vita sua: era tutto insolitamente silenzioso.

Sono tornata!” esclamò stanca, poggiando la borsa coi libri vicino alla porta e passando una mano sulla spalla indolenzita dal peso. Poi scostò il ciuffo di capelli dal viso accaldato, in quel primo giorno di Settembre ancora completamente estivo.

Nessuno rispose al suo saluto. Si incamminò verso il laboratorio di Donnie, con gli appunti delle lezioni giornaliere sotto braccio, ma lo trovò stranamente vuoto. Nemmeno un cenno né un segno della presenza di Mikey iniziarono a preoccuparla.

Che fine avevano fatto tutti? Il maestro era di certo al suo solito posto, avrebbe chiesto a lui.

Camminò verso il dojo, con dei passetti frettolosi e urgenti, sperando di non essersi sbagliata: non appena la porta si aprì venne investita da grida di lotta e immagini di combattimenti. Era un tutti contro tutti furioso.

Michelangelo stava attaccando Raphael con un attacco dall'alto, Don alle sue spalle cercava di colpire lui, Raph era impegnato nel correre contro Leo che a sua volta aveva una delle Katane intrappolata in un Nunchalu di Mikey e l'altra che correva verso Don.

Che diamine state facendo?” strillò oltraggiata e spaventata.

La sua voce rimbombò per le alti pareti del dojo, fermando istantaneamente i movimenti dei quattro mutanti: cinque paia di occhi scivolarono fino all'entrata, dove la ragazza li osservava, sconvolta.

Isabel!” Mikey lasciò all'istante ogni cosa e le corse incontro, con le braccia già tese e un sorrisone entusiasta, ma lei schivò il suo attacco.

Ah, no! Sei sudato, Mikey! Non ci provare nemmeno!” lo sgridò, tirandosi indietro, le mani ben tese per difendersi.

Lui rise, dal pavimento dove era caduto, occhieggiandola da sotto a su.

Cosa state combinando?” domandò Isabel, chinandosi.

Allenamento intensivo. Siamo stati scelti per il Battle Nexus, un grosso torneo!”

Mai grosso come l'ego di Mikey!” precisò Raph, che si era avvicinato. Si sporse verso lei, per prendersi il suo bacio.

Anche tu sei sudato! Non voglio che mi tocchi” protestò la ragazza, piegando la testa di lato per schivare l'attacco.

Bugiarda!”

Le afferrò la nuca, avvinando il viso, premendo delicatamente le labbra sulle sue. Isabel fece finta di ribellarsi per un attimo poi si lasciò andare. Non si baciavano mai davanti a Leo, era una regola sottaciuta che entrambi seguivano, ma ormai quel giorno era andata in quel modo e non poteva farci nulla.

Per favore! Non potete baciarvi davanti a me! Sono un'anima candida, io!”

La voce di Mikey li riscosse e si allontanarono, un po' colpevoli.

Allora, cos'è questo Bubble Ne... ssus?” azzardò la ragazza, che si era già dimenticata il nome.

Mikey mise su una faccia offesa, come se fosse stato insultato personalmente.

Battle Nexus! Un torneo di lotta multidimensionale che si tiene ogni tre anni. Io sono stato campione, non ricordi che te ne ho parlato?” disse con voce pigolosa, perché lei non poteva permettersi di dimenticare una cosa del genere. Che affronto.

Sì, Mikey, hai ragione, scusami. Me ne hai parlato almeno un milione di volte, non so come possa essermi sfuggito! E siete stati scelti di nuovo? Quando sarà il torneo?”

A fine mese. Dobbiamo allenarci fino ad allora” si intromise Leo, che nel frattempo si era avvicinato con gli altri, al capire che l'allenamento era sospeso causa Isabel.

Ma Donnie, come farai con le lezioni?” domandò ancora lei, voltandosi verso il genio.

Rimarrò un po' indietro. Ma dal mese prossimo recupererò, promesso. Tu non smettere di prendere appunti, però!”

Donnie, che in genere non vedeva l'ora di tuffarsi su un nuovo libro, un nuovo argomento, di studiare la lezione del giorno prima con avidità di informazioni, ecco, quello stesso Donnie, aveva lo sguardo splendente di emozione in vista del torneo.

Isabel li guardò tutti, uno ad uno, leggendo nei loro occhi.

Quindi parteciperete ad un torneo. Siete emozionati? Nervosi?” chiese, anche se le risposte le aveva già viste.

Emozionatissimo! Ti prometto che vincerò per te, mia adorata sorellina! Sarò di nuovo campione, solo per te!” pronunciò con enfasi Michelangelo, prendendosi uno scappellotto da Raph.

Giuro che quest'anno ti butto fuori a calci! Dovessi essere squalificato!” lo minacciò quest'ultimo, infastidito dal suo ghigno canzonatorio.

Chi ha vinto allo scorso torneo?”

Leonardo” fu la risposta in coro degli altri tre, mentre il leader piegava solo la testa umilmente.

Io sono arrivato alla semifinale, ma sono stato battuto da un alieno con quattro braccia, il figlio di un amico del sensei, mentre Raph ha fatto decisamente schifo, è finito fuori al primo round, sembrava che non ci provasse nemme...”

Michelangelo si bloccò di colpo, come se avesse capito di aver appena detto qualcosa che non avrebbe dovuto.

Si beccò un'occhiataccia da Leo e Don e si schiaffò la mano in faccia per manifestare il suo pentimento. Lo sguardo di Isabel scivolò verso Raphael, l'unico che non si era mosso e lesse dolore nei suoi occhi.

Fu un secondo fare un calcolo mentale e capire quando aveva avuto luogo il torneo precedente: il Settembre di tre anni prima, sei mesi dopo che lei se n'era andata, lasciandolo dopo la loro notte d'amore.

Con una morsa allo stomaco e un forte cerchio alla testa, capì tutto, capì perché poi Raph non aveva dato il meglio di sé. Ed era tutta colpa sua. Ma se il passato non lo poteva ormai cambiare, anche se avrebbe voluto, aveva tutto il futuro per rimarginare quella ferita che gli aveva inflitto e lei ne avrebbe impiegato ogni istante concesso per farlo.

Si avvicinò e gli afferrò una mano, stringendola forte nelle sue.

Dite che potrò venire a vedervi? Ci terrei ad esserci” sussurrò, occhi nei suoi. E lui sorrise, perché aveva capito la sua premura.

Certo che s...” iniziarono a dire Don e Mikey, interrotti però da una terza voce.

Devo parlarti, Isabel” esclamò Splinter, che mentre loro chiacchieravano si era avvicinato man mano, ascoltando in silenzio.

La ragazza lo guardò, ma non riuscì in nessun modo a capire cosa volesse dirle, il perché del suo sguardo inflessibile e impenetrabile. Sembrava che Splinter si fosse preparato a parlare con lei e la cosa un po' le metteva soggezione.

Un po' di magone crebbe nel petto, al pensiero di cosa potesse essere, quella preoccupazione che si sommava a quelle che ultimamente aveva per la testa, nascoste nel cuore. Splinter non poteva averlo scoperto, no? No si disse, sarebbe stato più arrabbiato, di certo.

Annuì e fece per seguirlo, verso la stanza da meditazione, quando la porta del rifugio si aprì e un gran vociare arrivò sin lì, sin sulla soglia del dojo dove si erano riuniti a chiacchierare.

La famiglia Jones al completo apparve, radiante ed euforica: Casey stava quasi piangendo.

Siamo incinti! Aspettiamo un altro figlio!” strillò fuori di sé, lanciando un ridacchiante Carl in aria per poi riprenderlo e farlo volare in tondo.

April gli colpì un braccio, mezzo offesa.

Dovevo dirlo io!” lo rimproverò, ma nel frattempo non poteva evitare di sorridere.

Si gettarono tutti verso di loro, dimentichi di ogni altra cosa, esultando per la bellissima notizia assieme a loro.

Le domande fioccarono, tutte assieme e per un po' non si capì nulla, a chi davvero erano rivolte le risposte di April, al centro completo dell'attenzione.

Sì, sto bene. Di tre mesi, abbiamo aspettato un po' a dirvelo. No, non sappiamo ancora cosa sia. Spero davvero che sia una femmina! Sì, certo che ti prenderemo per fare da padrino, Mikey!”

Isabel notò quanto era radiosa e pensò che non si era sbagliata quando durante i loro appuntamenti si era fatta idea che potesse essere di nuovo in attesa; non aveva detto nulla per non metterle fretta, ma era davvero felice di aver indovinato. Felice della loro gioia, dei sorrisi di Casey, quelli di Carl, che alla soglia dei tre anni capiva il significato di avere un fratello o una sorella, quelli affettuosi e materni di April, con le mani che correvano inconsciamente al ventre.

April le si fece incontro.

E questa volta tu ci sarai! Tu ed Angel siete come delle sorelle, avete il dovere di sopportarmi!” le disse, abbracciandola poi nella gioia.

Certo che ci sarò! Non vedo l'ora di uscire a comprare ogni genere di cosa assieme! Vestitini, pannolini, bavaglini, tutto quello che finisce in -ini!” la rassicurò, emozionata dalla sua offerta di volerla accanto. Forse era anche troppo euforica.

Attento, amico! Iniziano a fare da spalla alle amiche e poi vogliono un figlio tutto loro! Non farti incastrare!” scherzò Casey in direzione di Raph.

Quello si sorprese della sua uscita e il suo sguardo corse inconsciamente verso di lei, senza averlo previsto. Fugace, un secondo, ma Isabel forse lo attendeva e lo vide.

Non chiedo di meglio” lo sentì dire sottovoce e l'emozione nel suo petto crebbe e così il cerchio alla testa.

Rimasero a festeggiare la buona notizia per tutta la notte, e vennero anche Steve ed Angel e Leatherhead, e nessuno fece caso a malumori, a pensieri taciuti e preoccupazioni, perché non facevano rumore nella gioia.





Note:

Buona sera!

Eccoci alla terza storia della serie Heart's Mutation, dopo “September in the rain” e “Just the way you are”.

Cosa vi prometto in questa storia? Azione, battaglie, coppie, dolore, emozioni, f... se volete continuo con l'alfabeto fino alla zeta, ma penso abbiate capito!

Vi prometto mistero, a iosa, e di provare ad emozionarvi come ho fatto finora!

Ben ritrovati, un abbraccio è un obbligo e un piacere!

A presto

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Capitolo 2
*** Chosen ***


Gli allenamenti continuarono senza sosta, sin dal giorno seguente la notizia. Dal mattino alla sera i quattro si allenavano e combattevano, con solo pause per mangiare, usare il bagno e una breve ronda notturna. Il resto era sonno, solo sonno per riprendere le forze.

In vista del torneo ogni altra cosa era sacrificata.
Il tempo di Don per le invenzioni e gli studi. Quello di Mikey per i videogiochi e i fumetti. Quello di Raph per Isabel.
Lei non doveva solo sacrificare il prezioso tempo con lui, che non era mai comunque abbastanza, ma anche gli insegnamenti del sensei durante gli allenamenti; perciò aveva iniziato ad assentarsi alle lezioni mattutine, un po' svogliata. In questo modo aveva del tempo in più al mattino e poteva rimanere sdraiata nel letto di Raph fino a che non doveva alzarsi per andare a lezione; ma lui si svegliava prestissimo per allenarsi, perciò non riuscivano comunque a vedersi.

Alla sera lei si sedeva nel fondo del dojo con i suoi libri e gli appunti, sollevando di tanto in tanto lo sguardo per occhieggiare i loro allenamenti con apprensione, senza una parola; era l'unico modo che aveva per stare con loro, anche se per poco. Erano gli unici istanti in cui poteva vedere Raphael a parte i pasti; la notte lui tornava così tardi dalla ronda che era già addormentata, abbracciata al suo cuscino con possessività e malumore, visto che non poteva abbracciare lui.
E in un clima strano e teso, passarono in fretta i primi giorni.
Isabel era così inquieta, che non si accorse dei frequenti sguardi che Splinter le rivolgeva, né che sembrava volerle parlare per riprendere il discorso mancato di quella sera. O forse se n'era accorta ed evitava apposta di farsi trovare.


Sono tornata!” urlò Isabel appena entrata nel rifugio a sera tarda.
Gli occhi si sollevarono al cielo. Con chi stava parlando? Non c'era nessuno ad aspettarla.
Erano tutti nel dojo a sudare e faticare come dei dannati come sempre, come i tre giorni precedenti, come tutti quelli che sarebbero seguiti.

Lasciò andare la borsa con malagrazia e quella cadde a terra con un tonfo cupo per via di tutti i libri, poi fletté il collo a destra e sinistra per stiracchiare i muscoli tesi dalla fatica.
Era incredibilmente stanca. Stava dormendo molto poco e molto male, con quella sensazione di panico sempre più frequente nel petto, con quell'angoscia che continuava a crescere. Sapeva che avrebbe dovuto parlare con Raphael, ma sapeva di non potere, non ancora. Non sapeva come iniziare il discorso. Era una vigliacca. Si stava trincerando dietro l'ansia e il tempo, aspettando cosa? Che le cose si risolvessero? Che una bontà divina le indicasse la strada e le sollevasse i dubbi e le domande che si stava ponendo?

Si incamminò mesta verso il dojo, a passetti lenti. Il rumore delle lotte all'interno si amplificava via via che si avvicinava e stranamente sembrava armonizzarsi al battito del suo cuore; aprì la porta con tocco leggero, per non disturbare.
Non che loro se ne potessero comunque accorgere, erano così assorti e concentrati che non avrebbero notato nemmeno una carica di rinoceronti, se una fosse entrata e li avesse calpestati nella sua furia.

Si incamminò raso muro senza perdere un secondo con lo sguardo: quello di Mikey incontrò per caso il suo e il mutante le sorrise velocemente mentre si chinava per evitare la Katana di Leo, prima di essere riassorbito dalla lotta.
Le mancavano anche gli abbracci di Mikey, era sempre o troppo concentrato o troppo sfinito anche per darle i suoi fratelleschi abbracci.

Si sedette non appena fu sicura di essere a distanza di sicurezza, anche se con due combattimenti in simultanea non c'era davvero un'area sicura in tutto il dojo: quei quattro erano capaci di coprire tutto il perimetro nella loro irruenza, arrivando perfino a saltare contro i muri se la strategia lo richiedeva.
Per sicurezza, nel caso si fossero avvicinati troppo, si sarebbe chiusa in una bolla protettiva.

Il sensei seguiva i due combattimenti simultaneamente, andando avanti e indietro sotto allo stendardo del clan, e di tanto in tanto urlava un suggerimento se vedeva che uno dei suoi figli era in difficoltà, ma senza mai fare preferenze: se prima decideva di correggere Mikey per una schivata troppo lenta e incerta, subito dopo avvisava Leo dell'apertura che lasciava nell'attacco dall'alto, riequilibrando immediatamente il loro scontro.

Le coppie per quel giorno erano Leonardo contro Michelangelo e Donatello contro Raphael, ma variavano di volta in volta, per permettere lotte sempre diverse e istruttive contro armi e stili diversi: Mikey era veloce e se si concentrava riusciva a tenere testa al leader senza eccessivo sforzo, Leo faticava invece un po' a stare dietro allo stile senza regole del fratello, anche se a mano a mano che le parate e gli affondi si susseguivano senza sosta, sembrava migliorare sempre più; Donatello faceva arrabbiare Raph, con il suo stile flessibile e che sfruttava il divario creato dal bastone, tutto il contrario del suo irruente e praticamente a breve distanza: il genio si divertiva molto, si leggeva sul suo volto, a tenerlo alla larga con stoccate decise, infliggendogli danni senza farlo mai avvicinare, frustrandolo oltre ogni dire.

Era molto utile osservarli, si imparava moltissimo già solo nello studiare la loro adattabilità alle differenti sfide e tecniche che di primo acchito sembravano penalizzarli, ma che poi riuscivano in un modo o nell'altro ad aggirare, con le loro forze e l'ingegno.
Osservò attenta Raphael che, scocciato oltre modo, aspettò che il bastone lo colpisse per poi afferrarlo velocemente con la mano, uno dei Sai gettato al suolo per potersi muovere agevolmente: sorrise al genio con cattiveria, già pregustandosi la prossima mossa.

Lei era così attenta, che non si accorse della presenza al suo fianco finché non sentì la sua voce.
Possiamo parlare, Isabel?” disse Splinter in un sussurro, che pure la fece trasalire.
Era immobile, con lo sguardo ancora concentrato sull'allenamento dei suoi figli, eppure la sua aura era avvolgente, era attorno a lei.
Inghiottì a vuoto un magone che lei stessa non avrebbe saputo a cosa attribuire per certo.

Certo, sensei.”

Splinter le tese una mano cortese per aiutarla ad alzarsi, poi le fece strada verso la stanzetta da meditazione, camminando raso muro in silenzio e con attenzione, per non disturbare in alcun modo l'esercitazione. Con la sua solita galanteria la fece entrare per prima, poi chiuse la porta con garbo alle sue spalle.
Siedi pure, figliola” suggerì quietamente, mentre si dirigeva verso le poche candele accese per poterne aggiungere delle altre e rischiarare meglio la penombra.

Isabel si inginocchiò sul cuscino di raso rosso vicino al tavolino, poi trasse un profondo respiro. Amava quella stanza: il piccolo bonsai di ginkgo biloba al centro era rigoglioso, alcune delle sue piccole foglie dai tenui colori che già vertevano verso il giallo autunnale; il riverbero delle fiamme creava strani giochi di luci ed ombre con i suoi rami e le foglie, facendolo quasi apparire vivo, palpitante.
Tutto in quella stanza era fatto per rilassarsi, molte volte si era seduta col sensei per meditare e allenarsi spiritualmente, ma forse questa volta quello che portava dentro non poteva semplicemente farlo sparire con un profondo respiro e lo svuotamento della mente.
E perché, poi, il sensei l'aveva chiamata lì? Cosa poteva mai avere di così importante da dirle, da assentarsi perfino dall'allenamento dei suoi figli?

Splinter si era spostato in un angolo e trafficava con un termos di acqua calda e due tazze, versando il liquido bollente sulla polvere di tè verde, mescolando poi con vigore e attenzione; le porse una tazza e prese posto dall'altra parte del tavolo, tenendo la sua tra le mani. Si inchinarono rispettosamente uno all'altro, prima di prendere il primo sorso. Isabel assaporò con calma la bevanda dal retrogusto amarognolo, mentre una miriade di pensieri le affollavano la mente.

Ho notato che non frequenti più gli allenamenti mattutini” disse Splinter osservandola dal di sopra del bordo della tazza dopo averne sorbito un po'.
Lei quasi si lasciò scappare un sospiro sollevato. Possibile che fosse tutto lì quello che lui voleva dirle?

Sì, sensei. Ho pensato che con gli allenamenti per il torneo avrei solo preso tempo e spazio e creato fastidio” rispose, anche se era vero solo a metà.
Sarebbe meglio che tu ti allenassi almeno una volta ogni due giorni o molti dei progressi fatti andrebbero persi. E non daresti nessun fastidio, il dojo è grande abbastanza da poter essere usato da tutti... anche se posso capire che qualcuno potrebbe trovare la tua presenza una distrazione.”

Si era solo immaginata quell'occhiata penetrante? O in effetti Splinter forse voleva parlarle per questioni inerenti alla sua relazione con Raphael, di qualcosa che non poteva dire davanti agli altri?
I dubbi si stavano accumulando e sentiva di star per scoppiare trincerata nell'ignoranza: se Splinter non fosse stato più chiaro, da un secondo all'altro avrebbe dato di matto.

Se non è un problema allora sì, ritornerò ad allenarmi, sensei. Non volevo impensierirti, mi dispiace” disse, sperando che fosse tutto lì e che quello chiudesse definitivamente la questione.
Lui sorrise soddisfatto, annuendo appena col capo, come a volerle dire che non c'era niente di cui dovesse scusarsi. Entrambi sorbirono in silenzio il tè, con gesti lenti; gli occhi di Isabel saettavano di qua e di là, poi nella tazza e di nuovo in giro, nella confusione e un pizzico di sollievo.

Ma non ti ho chiamato solo per questo, figliola. C'è un fatto molto importante di cui volevo parlarti da giorni, ma sembrava quasi mi stessi evitando” spezzò il silenzio la voce del sensei, catturando di nuovo la sua attenzione con un violento batticuore.
Ogni sprazzo di sollievo si era dissipato in un istante e adesso sentiva solo il battito furioso del cuore nelle orecchie, mentre mille e più teorie le passavano davanti agli occhi. Cosa sapeva il maestro?

Lei alzò lo sguardo dal fondo torbido della bevanda e lo piantò su di lui, così vicino eppure così assorto da sembrare distante, mentre poggiava la tazza garbatamente.
Il mutante frugò poi nella manica del kimono, tirando fuori un involto di tessuto nero.

Questo è arrivato insieme a quelli degli altri” disse con voce cauta, poggiandolo sul tavolo con un suono sordo e spingendolo verso la ragazza.
Isabel allungò una mano, titubante; le dita afferrarono tremanti la stoffa e la svolsero con angosciosa lentezza, svelando il gelido lucore dell'acciaio. Guardò il Kunai con sorpresa e cercò lo sguardo del maestro per farsi spiegare.

Il Battle Nexus è un prestigioso torneo al quale sono chiamati i migliori combattenti di ogni dimensione, mondo e pianeta. È una vera esibizione di ogni stile di combattimento presente, che permette ad ogni maestro di misurarsi con i più forti e preparati guerrieri. È un onore essere scelti per parteciparvi. E tu sei stata scelta, Isabel.”
Gli occhi si spalancarono di sorpresa. E tutto quello che fino a quel momento le aveva attanagliato la mente, i dubbi e le paure di quel discorso vennero relegati in un angolo, soffocati dallo sbalordimento di quella affermazione. Era l'ultima cosa al mondo che pensava potesse accadere.
Era stata scelta per un torneo di lotta multidimensionale? Insieme a Leo, Donnie, Mikey, Raph...

Io? Ci deve essere... ci deve essere un errore, sensei. Non posso essere stata scelta! C'è... qualcuno avrà sbagliato, probabilmente è per te e...”
Ho controllato, figliola. La convocazione è per te, nessun errore. Ammetto che anche io sono rimasto sorpreso, -non perché non ti reputi capace, ma perché mi era sembrato un po' presto,- ma poi ci ho ragionato sopra: credo che nello sceglierti potrebbero aver tenuto conto del tuo potere magico nell'amplificare la tua forza. Il tuo livello è degno di essere messo alla prova contro altri avversari, in quel caso” spiegò con sussiego lui, che si dimostrava davvero troppo calmo in confronto al volto paonazzo e allo sbigottimento negli occhi di lei.
Ma sarebbe barare! Non potrei usarlo per combattere in un torneo, non sarebbe giusto!” protestò con veemenza Isabel, sollevandosi un po' sul cuscino nella foga.

Lui sorrise della sua reazione, che di certo si era aspettato.
No, nel Battle Nexus non sarebbe barare. Devi immaginare un torneo dove creature di altre dimensioni e mondi e pianeti si riuniscono per mettere alla prova la loro forza e la loro tecnica, usando ciò che la natura offre loro. Non è strano che qualcuno riesca a cambiare stazza o la propria massa muscolare o la propria agilità con caratteristiche che sono proprie della sua specie. La magia fa parte di te, non è qualcosa che hai acquisito o cercato solo per poter sconfiggere i tuoi avversari, perciò non c'è niente di male nell'usarla. Non è barare” spiegò l'anziano semplicemente.1

Sembrava così giusto e sensato detto da lui, spiegato con così tanta pacatezza, ma una piccola parte di sé continuava a pensare che usare i poteri non fosse proprio pulito.
E non voleva davvero partecipare. Non era una combattente, non era davvero una guerriera. Era stata scelta dalla vita della lotta dalla sua necessità di difendersi, ma non vedeva di buon occhio dover combattere contro qualcuno che non le aveva fatto niente per dimostrare il suo valore o vincere un premio. Lottava solo per difendere e difendersi.
E se avesse accettato, poi, avrebbe corso il rischio di doversi misurare contro Raphael e i suoi fratelli, e non voleva che loro dovessero scegliere tra farle male o perdere; o essere costretta ad usare la magia per superarli.
Senza contare che sarebbe rimasta indietro con le lezioni, che avrebbe dovuto allenarsi costantemente come loro, che aveva ben altro per la testa...

Prese un grande respiro, risoluta.
Sensei, se è possibile rifiutare senza offendere coloro che mi hanno fatto un così grande onore, preferirei non partecipare” rispose con rispetto, allontanando con una mano il panno nero con il Kunai, come per scacciare via una tentazione.
Splinter non mostrò nessuna emozione su cosa stesse pensando in quel momento, ci fu solo un fugace scintillio nel suo sguardo che poteva dire tutto come nulla. Eppure emanava la sua solita aura tranquilla.

Capisco tutte le motivazioni che ti spingono a rispondere in questo modo. Ma vorrei che tu ci pensassi ancora un po' su. Non devi rispondere subito. Parlane con Raphael e gli altri, chiedi il loro parere” replicò il maestro, risospingendo il tessuto verso lei.

Parlarne con Raffaello. Non voleva parlare con lui, se avesse iniziato di sicuro avrebbe finito per rivelargli più di quanto avrebbe dovuto, mossa dalle paure. C'erano così tante cose che si celavano nel suo cuore nell'ultimo periodo, in attesa del momento giusto in cui parlarne.
Una smorfia piegò il suo viso e non fu abbastanza veloce da nasconderla al saggio ratto.

C'è qualcosa che ti turba, Isabel? Qualcosa che non hai detto nemmeno a Raphael?” le chiese infatti lui, osservandola con interesse.
No, sensei. È tutto a posto” mentì dopo un secondo, col cuore mortalmente colpevole.
Non che non volesse parlare, anzi, desiderava da morire confidarsi con lui, con tutti loro, ma prima doveva provare a risolvere da sola, senza impensierire la sua nuova famiglia, senza scatenare in loro dubbi e paure.

Ti prometto che ci penserò un po'” finì, alzandosi dal cuscino, nonostante dentro si sentisse inchiodata dallo sguardo penetrante dell'uomo, che leggeva dentro gli animi con chiarezza.
Non voleva rimanere ancora, ogni secondo era un'opportunità in più che lui potesse capire.
Raccolse il Kunai e il panno, poi si diresse verso la porta e la aprì con sicurezza, congedandosi.

Si scontrò con le quattro tartarughe mutanti, che non avevano fatto in tempo a scostarsi da dietro la porta dove avevano cercato di origliare: li osservò con lo sguardo di disapprovazione e loro gliene rimandarono uno colpevole e curioso.
Evidentemente la convocazione del sensei non era passata inosservata come credeva e sempre evidentemente l'allenamento era stato messo da parte per la loro insaziabile attitudine a ficcare il naso.

Come mai il sensei ti ha...” iniziò a domandare Don, prima di essere spintonato via da Mikey, che le si fece incontro con gli occhioni spalancati.
Hai... hai ricevuto l'invito!” strillò fuori di sé, puntando col dito il Kunai che lei stringeva nel pugno. L'attenzione di tutti fu sulla scintillante arma e sui significati che racchiudeva.
Sei stata convocata al Battle Nexus?” domandò Raph sconvolto, eppure visibilmente fiero.

Lei sorrise alle loro facce sorprese e alzò le mani per bloccare le loro reazioni.
Non ho intenzione di partecipare!” rivelò, svicolando dal muro che le avevano creato attorno, muovendosi verso l'uscita del dojo. Mikey le corse dietro e si tuffò per bloccare la sua fuga, ma con un gesto fluido all'ultimo secondo si spostò, mandandolo al tappetto.
Non lotterò al torneo!” ripeté più forte, accelerando il passo. Forse stava usando la magia per scappare, di certo era molto veloce.

Leo le apparve davanti, a qualche metro, con le braccia aperte per fermarla: Isabel saltò e poggiò una mano sulla sua spalla per darsi la spinta, sorpassandolo in volo, atterrando come una ginnasta dall'altra parte.
Non parteciperò al Battle Nexus!” ribadì ancora una volta, praticamente vicina all'uscita. Stava correndo, ormai. Finì dritta tra le braccia di Raph con un gridolino sorpreso, che la strinse fermamente.
Presa! Allora, dimmi tutto: perché non dovresti partecipare al torneo, dato che ti hanno mandato l'invito?”

Isabel provò a divincolarsi con vigore, ma Raphael la teneva con tutta la forza concessa senza farle male. Dopo qualche infruttuoso tentativo lasciò perdere, lasciandosi andare mollemente.
Non mi va. Non sono pronta, va bene?” replicò sconfitta, sperando che la sua risposta fosse sufficiente a saziare la loro curiosità.
Ma se ti hanno scelta! Significa che sei all'altezza!” si intromise Mikey, entusiasta, con un tono fiducioso.

La ragazza abbassò il capo, poggiandolo contro la spalla di Raphael.
Si sono di certo sbagliati” mormorò debolmente, di colpo molto stanca. Lui fissò la sua nuca, pensieroso, poi con un gesto secco sollevò il suo corpo, poggiandolo sulla spalla. Si voltò, uscendo dal dojo.
Raffaello, cosa stai...”

Il mutante camminò velocemente, ignorando le sue proteste e le domande dei suoi fratelli e saltò invece fino al primo piano, dirigendosi verso la sua stanza. Spalancò la porta con urgenza e dopo averla richiusa alle loro spalle la poggiò con garbo sul letto, sedendosi al suo fianco.
Isabel lo osservò in silenzio, senza sapere cosa avesse in mente. Stringeva ancora il Kunai nella mano, ma si sporse per poggiarlo sul comodino accanto al letto.

Allora, cosa succede?” domandò Raphael, che invece non aveva staccato lo sguardo da lei.
Niente. Non succede nulla” mentì di nuovo, questa volta totalmente colpevole. Non le piaceva nascondergli le cose, quando la loro relazione era iniziata aveva promesso che non se ne sarebbe più andata e che sarebbe stata sincera e ci credeva davvero in ciò che aveva giurato.
Eppure quello che le stava succedendo, le verità che non poteva ancora rivelare, non le teneva per sé per sfiducia o cattiveria, ma per proteggere Raphael. Quando avesse avuto delle certezze, quello sarebbe stato il momento in cui tutto sarebbe stato confessato e spiegato, ma non era ancora arrivato.

Perché non vuoi partecipare al torneo? Una motivazione vera” continuò lui tranquillamente, come se lei non avesse detto niente.
Io non sono pronta, non sono all'altezza!” ripeté imperterrita, molto stanca sotto il peso di anche quella nuova situazione.
Non poteva capire, come era logico, e lei non poteva proprio spiegargli che non aveva il tempo anche per quello.

Ma se sei stata scelta!” fu la pronta risposta di lui, come si era aspettata.
Per via della mia magia. Perché posso modificare la mia forza e velocità con la magia. Ma è come barare! Ricordi, me lo hai detto anche tu una volta?”
Io parlavo di non fare solo affidamento sulla magia, ma non c'è nulla di male ad usarla se te lo concedono. Non è un motivo per non partecipare, ma se proprio ti dà fastidio, non farne uso. Testa la tua forza normale” asserì fiducioso Raph, con un mezzo sorriso incoraggiante.

È questo che pensi? Che dovrei provarci sul serio?”
Aveva alzato la voce nell'incredulità della sua affermazione e si era sporta verso di lui, nervosa. Ma Raphael le sorrideva con determinazione: allungò le mani e le poggiò sulle sue esili spalle, stringendo con rassicurante dolcezza.

Sono dannatamente orgoglioso e fiero di te, che ti abbiano convocata. Sarebbe fantastico vederti lottare con tutta la tua forza. So che faresti una splendida figura... ti ho allenato io o no?”

Isabel continuò a guardare inebetita la sua espressione splendente, chiedendosi per un istante se non fosse impazzito. Sembrava un padre che passava in eredita al figlio il proprio cimelio più prezioso, con le aspettative al massimo e una fierezza sconfinata.
E se accettassi e ci trovassimo uno contro l'altra, tu saresti capace di lottare sul serio contro di me?” gli chiese, per riportarlo alla ragione.
Forse non si era aspettato la domanda, perché rimase senza parole, la bocca che si apriva e chiudeva a ripetizione, come un pesce fuori dall'acqua, la luce emozionata che un po' svaniva al capire le implicazioni e nell'immaginare la situazione.

La risposta più esaustiva che potessi darmi!” lo canzonò lei con un mezzo sorriso, andandogli incontro.
No, io...”
Senti, ho promesso al sensei che ci avrei pensato su, ma penso che non cambierò idea. Io non sono una guerriera, tu lo sei e mi va bene così. Verrò a vederti e a fare il tifo, è tutto quello che voglio.”
Raphael mise su un mezzo broncio, al vedere la possibilità di vederla lottare che si allontanava; aveva davvero sperato di poter assistere alla meravigliosa visione di lei che prendeva a calci nel fondoschiena i suoi avversari da ogni dimensione: se poi qualcuno avesse osato farle del male, lo avrebbe semplicemente distrutto.

È un peccato, saresti stata grande. Ma immagino che non lasceresti mai gli studi per allenarti, in fin dei conti, cara la mia secchiona” esalò canzonatorio, attirandola a sé. Si sedette a gambe incrociate e se la strinse contro.
Assolutamente. E faccio già una gran fatica a seguire senza metterci gli allenamenti di mezzo” concordò lei, contenta che avesse capito, premuta contro il suo petto con gli occhi chiusi e un mezzo sorriso estasiato per quel momento di intimità rubato al tempo tiranno.
Sì, lo so. Mi sembri così stanca” mormorò assorto Raph, anche lui con gli occhi chiusi e la guancia premuta contro la sua fronte, così in pace e felice come non era stato negli ultimi giorni.

Isabel trattenne appena il fiato, un piccolo picco di batticuore la colse, che cercò di scacciare in fretta: lui pensava che lei fosse stanca solo per gli studi, non poteva sapere tutto il resto, non era possibile.
Io? Guarda che occhiaie che hai. Cerca di non esaurirti con questi allenamenti” cambiò discorso, sollevando il viso e la sua maschera, svelando i segni scuri sotto i suoi occhi per la fatica e l'addestramento.
Ci prenderemo qualche giorno di pausa a metà del mese circa. Il sensei sa bilanciare bene gli sforzi per ottenere il meglio, e allora potremo passare un po' di tempo assieme e io mi riposerò” la informò lui con espressione colpevole.
Mi dispiace di non dedicarti abbastanza tempo. Ma finirà presto e staremo finalmente assieme” aggiunse infatti, scoccandole un bacio sulla fronte.

Sorrise, conquistata dalla sua dolcezza, che non mostrava mai a nessuno se non a lei.
D'accordo, è una promessa, caro il mio guerriero. Ma adesso dovresti ritornare all'allenamento, stai perdendo tempo con me e non vorrei poi tu mi possa dare la colpa nel caso in cui perdessi.”
Tu sei più importante dell'allenamento e del torneo, stupida.”
Isabel richiuse gli occhi e gli si accoccolò contro, vinta ancora una volta, ma colpevole, tanto, troppo colpevole.
Le braccia di Raphael erano un rifugio sicuro che sapevano di fiducia e amore, mentre le sue trasmettevano solo menzogne, nascondevano troppe verità.



1: Nel Battle Nexus ci sono davvero razze che possono cambiare fisico o altro per agevolarsi nella lotta. Mikey in finale si era ritrovato a combattere contro un alieno che cambiava forma fisica diventando da piccolo e mingherlino in un colosso muscoloso.



Note:

Salve a tutti.

Chiedo formalmente scusa per l'enorme e mostruoso ritardo. Purtroppo la mia salute non brilla e ultimamente alcune cose si sono acuite, costringendomi a mille visite e molte cose per la testa; niente di grave, ma comunque abbastanza per tenermi forzatamente lontana da internet e dal fandom. Adesso sono sotto regime per rimettermi in forma, sarà un anno lungo, ma si può fare! Sono ottimista.

So che forse non vi interessa, ma volevo davvero spiegare perché mi sono assentata così tanto. Non è da me e per tutto questo tempo mi sentivo in difetto per avervi lasciato così.
Grazie per la pazienza e per leggere la storia.

Pubblicherò con la solita puntualità (per ora una volta a settimana, ma spero di velocizzare nel futuro) e vi prometto davvero di tutto e di più in questa storia. Certificato!
Grazie per i seguiti, i preferiti!

Vi abbraccio fortissimo, mi siete mancati.


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Capitolo 3
*** Followed ***


Steven Gregson, detto Steve, anni 16, cresciuto di ben cinque centimetri nel corso dell'ultimo anno, era un ragazzo completamente nuovo. Non era più il ragazzino esile e fragile che era prima, oh no.

Aveva messo su un po' di massa muscolare e una buona dose di sicurezza in sé stesso, grazie agli allenamenti quotidiani, grazie ai suoi nuovi amici. La sua altra famiglia, come amava definirli nella sua mente: quei quattro variegati e assurdi fratelli maggiori e il sensei come un saggio e paterno nonno, anche se non avrebbe mai avuto l'ardire di dirlo ad alta voce ai diretti interessati. Perfino con Raphael le cose non andavano così male, si erano un po' assestate: il gigantesco mutante non era più così tanto scontroso come prima ed era disponibile quando si trattava di consigli sugli allenamenti o addirittura per fare da sparring partner, a volte.

Gli allenamenti erano stati costanti, ogni sera: da quando suo padre era guarito non aveva più avuto bisogno di lavorare alla pizzeria e il signor Giorgio aveva assunto proprio il suo genitore, con entusiastiche aspettative di crescita nel settore e forse anche un lavoro di direzione in una nuova succursale che avrebbe aperto a breve; lui ormai andava a dare una mano nei finesettimana, mentre nel resto del tempo passava le sere al rifugio, per allenarsi.

Suo padre era tranquillo, sapeva dove stava e si fidava.
Era stato strano quando le sue due famiglie si erano incontrate, una serata che non avrebbe mai più dimenticato: da una parte suo padre, suo fratello e sua sorella, con gli occhioni spalancati e le bocche aperte in perfetto sbigottimento, dall'altra quattro tartarughe e un ratto mutanti con nervosissimi sorrisi e Isabel nel mezzo con lui che faceva le dovute presentazioni. La sua famiglia aveva capito e accettato quell'altra parte di sé, quei suoi strambi amici, così speciali e insostituibili, soprattutto grazie ad Isabel.

Niente sarebbe stato possibile senza di lei, lo sapeva. La guarigione di suo padre, per iniziare, e poi l'incontro tra la sua famiglia e loro, resa possibile dalla sua relazione con Raphael... una parte di sé ancora stava male per Leo, doveva ammetterlo, ma era felice dell'aria rilassata e felice che la coppia emanava; il leader poi sembrava aver reagito alla cosa in maniera perfetta e lui lo conosceva ormai bene.

Il fiero e inapprensibile leader si era un po' sciolto, era diventato un po' più umano e la cosa sembrava in un certo senso divertirlo; si lasciava andare a qualche battuta in più ed era più rilassato, cosa che alleggeriva di molto l'atmosfera casalinga.
Gli allenamenti con lui erano perfino più piacevoli e coinvolgenti, anche se ultimamente non aveva potuto usufruirne per via del torneo per il quale si preparavano. Ma aveva deciso di andare al rifugio ogni tanto per poter seguire i loro allenamenti, per imparare qualcosa almeno assistendo alle loro sessioni intensive.

Camminava con passo certo e sicuro, per le strade affollate e piene da scoppiare: un paio di uomini in completo scuro e valigetta importante alla mano gli andarono a sbattere contro nella loro fretta e nemmeno si scusarono, come consuetudine nella frenetica New York. Non c'era tempo di chiedere scusa o la calca avrebbe trascinato via il malcapitato in pochi secondi; la cortesia era un lusso che la vita convulsa della città non poteva permettersi.

Per quel motivo, alla prima traversa disponibile, Steve virò e si allontanò dalle vie principali, preferendo un percorso un po' più tortuoso, ma tranquillo. Prese un bel respiro di sollievo nel vedere poche persone camminare davanti a lui, di certo la sensazione di spazio era rassicurante; trotterellò perciò con più calma e svagatezza, vagando con lo sguardo intorno, preso da sue riflessioni, lo zainetto poggiato con nonchalance su una spalla.

Osservava con pigro interesse i vari mondi visibili dalle finestre e sui terrazzini, una anziana che stendeva in uno stendino in plastica, una gatta nera che lo guardava a sua volta da un cornicione pieno di vasi di fiori, un bambino che faceva ciondolare le gambine fuori dalle sbarre del terrazzo, mangiando una merendina; sorrise lievemente a tutto, godendosi la passeggiata.

Poi i colori e le forme si confusero uno con l'altro, d'improvviso, i punti fermi svaniti in un vortice confuso.
Un violento impatto lo mandò a gambe all'aria col respiro mozzo e sentì un corpo caldo premere contro il suo con violenza: riuscì a mettere un piede indietro appena in tempo per non perdere l'equilibrio e mandare tutti e due a terra.

Mi dispiace, io non... Steve?” disse la voce femminile, interrompendo le scuse con tono sorpreso.
Isabel?” rispose lui non appena riuscì a mettere a fuoco il misterioso assalitore, riconoscendo all'istante l'amica.
Sebbene quel pallore mortale e quel lieve tremolio che la scuoteva non potessero proprio dirsi normali e non sfuggirono ai suoi occhi.

Scusami, non ti avevo visto” si scusò contrita, allontanandosi di un passo da lui e controllando come stesse. “Spero di non averti fatto male.”
No, solo sorpreso. Certo che avevi proprio una bella fretta!”

La sua battuta scherzosa suscitò una strana reazione in Isabel: se possibile sbiancò ancora di più e gli occhi si sbarrarono di quella che sembrò paura.
Io... volevo arrivare presto a casa... sai sono un po' stanca e...” tentennò in risposta, piuttosto nervosa.
Steve riuscì a percepire una punta di panico e quasi si rammaricò di averle fatto in un certo senso pressione, di esserne la causa.

Allora facciamo la strada assieme? Stavo andando anche io al rifugio, prometto che sarò svelto!” esclamò per tranquillizzarla, con un sorriso cortese.

Isabel gli rimandò il sorriso, un po' meno aperto, ma sincero.
Si incamminarono fianco a fianco e il ragazzo sentì la tensione che lei ancora emanava, come se non riuscisse o non potesse rilassarsi.

Come... come sta andando all'università? Tutto bene?” domandò cauto, provando a fare conversazione.
Oh? Sì, sì, stiamo già facendo laboratori, un bel po' di dissezioni di parti anatomiche e organi, un po' fa schifo a dire la verità, ma molto interessanti” rispose lei lievemente rinvigorita, come se stesse parlando davvero di qualcosa di coinvolgente e non delle dissezioni di cadaveri.
Sì, fa un po' senso” concordò Steve, una mano sull'addome, dove sentiva nascere un conato di vomito al pensiero.
Beh, è utile, però... è un peccato che Donnie se li stia perdendo. Gli toccherà studiare come un matto alla fine del torneo; certo che con quel suo cervellone non sarà nemmeno troppo difficile.”

C'era solo una lieve punta di invidia nella voce della donna per l'indiscussa intelligenza di Don, che gli faceva imparare tutto senza eccessivo sforzo.
Adesso è troppo concentrato sugli allenamenti, non potresti mai distrarlo. Anche se è strano vedere uno così studioso come lui fomentarsi in quel modo per un torneo” disse il ragazzo saggiamente, sicuro di non sbagliare.
Donnie rimane sempre un ninja, non solo un genio. E pare che nelle scorse edizioni del torneo abbia perso nelle prime fasi e sia in cerca di riscatto. Si sta allenando tantissimo, potrebbe farcela!”
Ah, sì, sono d'accordo. Da parte mia è frustrante vederli allenarsi e non poterlo fare a mia volta... da una parte vorrei unirmi a loro, imparerei moltissimo! Ma dall'altra so che li rallenterei e penalizzerei e non sarebbe giusto.”

Ogni volta che andava al dojo rimaneva con lo sguardo incollato sulle loro meravigliose performance, senza poter frenare una vena di emozione nel pensare a quanto gli sarebbe piaciuto poter essere come loro. Sarebbe mai arrivato al loro livello?
Sei molto gentile a preoccuparti per loro.”

Cadde un pesante silenzio, Steve era imbarazzato per il piccolo complimento, Isabel stava pensando tra sé.
Se ti allenassi con me?” mormorò dopo pochi istanti.
Come?”
Steve si bloccò sorpreso e lei continuò a camminare per qualche attimo, prima di accorgersene e voltarsi a guardarlo.

Possiamo allenarci assieme. Non ho la pretesa di poter sostituire il maestro o Leo, ma possiamo darci una mano a vicenda: io non perderei lo smalto e tu potresti allenarti. Il sensei ti ha affidato due Tanbō, vero?”
Cos... Sì, io, sì, è vero” rispose intontito, stringendo inconsciamente la tracolla della borsa con la mano, al cui interno stavano le preziose armi.

Se le era guadagnate dopo un faticoso e duro anno di allenamenti a mani nude e quando il sensei gliele aveva affidate, con quello sguardo fiducioso e fiero, si era sentito morire di felicità: due Tanbō in legno color noce, splendidi e perfetti e suoi.1
Mikey era letteralmente esploso di gioia e non mancava mai di dargli delle dritte su come usarli, anche se Leo cercava di frenarlo perché non lo confondesse più del necessario. Si era allenato da solo da quando i suoi amici erano impegnati con la preparazione al torneo, ma non era stato lo stesso: l'offerta di Isabel sembrava proprio una manna dal cielo e sarebbe stato stupito a non approfittarne.

Ma tu... non dovresti anche tu allenarti per il torneo? Sei stata convocata.”
Come fai a sapere sempre tutto, piccola spia?”
Steve sorrise furbetto, fiero di sé.

Segreto. Allora, non hai davvero intenzione di partecipare?”
No, non parteciperò. E non cambierò idea, anche se qualcuno ci prova ogni giorno” si lamentò lei, stancamente.
Beh, se davvero non hai intenzione di cambiare idea e se quindi non è un peso, accetto la tua offerta di allenarmi!”
Oh, ci divertiremo allora, scricciolo!” esclamò divertita; sembrava quasi di nuovo normale e serena.

Steve continuò a tenerla d'occhio di soppiatto, con una strana sensazione addosso, mentre percorrevano l'ultimo tratto di strada prima di arrivare alla rimessa che nascondeva l'ascensore per il rifugio; la discesa fu stranamente silenziosa, ma nel contempo sentì la tensione dell'amica sciogliersi progressivamente, mano a mano che scendevano verso il sottosuolo.
Rimase solo una sottile aura di irrequietezza ad avvolgerla, così lieve da non poterla percepire se non ci si faceva davvero attenzione.

I rumori della lotta si sentirono già all'aprirsi delle porte, crescendo di intensità all'avvicinarsi al dojo.
Quando entrarono ne furono completamente investiti, una babele di rumori e grida, che contornavano una lotta variegata e variopinta, varie sfumature di verde che sfrecciavano davanti ai loro occhi in tutta la loro velocità e furia.

Mikey contro Raph. Leo contro Don. Concentrati così tanto da non aver percepito l'arrivo dei due umani; il sensei invece fece loro un cenno con la testa, frettoloso, prima di tornare a concentrarsi sulle lotte.
Il suo sguardo si incupì in un secondo e incontrò quello sorpreso di Raphael, fermo al centro del dojo.

Michelangelo era sparito.

Un secondo prima era lì che ruotava i Nunchaku e faceva impazzire il fratello, un secondo dopo era sparito alla vista con un balzo, approfittando del passaggio di Leo e Don che combattevano tra loro.
Si voltarono entrambi, cercandolo con lo sguardo, e la loro perplessità contagiò anche gli altri, che si erano intanto accorti di cosa fosse successo.

Dove diamine...” iniziò a sbraitare Raph, girando in tondo per percepire il fratello.

Un'ombra nera cadde dal soffitto, repentina e improvvisa, e un forte tonfo riempì il silenzio, legno contro metallo.
I Tessen di Isabel splendevano alla luce, aperti nella loro gelida bellezza per parare l'attacco dei Nunchaku di Mikey: il mutante sorrideva alla sua sorellina, provando a forzare sulle sue armi per farle perdere la presa.

Oh, non ancora” mugugnò Don esasperato, il cui lamento però si perse nel rumore dell'assalto successivo.

Mikey era infatti saltato e nel contempo si era lanciato contro la ragazza, facendo ruotare con violenza i Nunchaku, tanto da non riuscire nemmeno a percepirli a occhio nudo: solo il sibilo feroce faceva intuire la velocità con cui giravano.
Isabel scartò a destra per allontanarsi da Steve, -inchiodato con gli occhioni azzurri sbarrati di sorpresa e paura,- poi piroettò all'indietro, parando con un Tessen un colpo al volo diretto allo stomaco scoperto, prima di atterrare qualche metro più in là carponi e col fiato corto, gli occhi attenti e vigili.

Michelangelo era scomparso di nuovo.

Isabel si alzò in un secondo e nello stesso momento lanciò con un solo gesto i Tessen all'indietro, alle sue spalle: si sentì il loro fruscio morbido fendere l'aria nel volo aggraziato, che tutti si ritrovarono inconsciamente a seguire; con un tocco sordo le punte acuminate incontrarono il legno dei Nunchaku, sradicandoli con forza dalle mani del mutante e le quattro armi caddero al suolo con un tonfo, i Tessen infilzati nei manici con forza.

Mikey aveva un ghigno deluso, mentre ciondolava a testa in giù da una trave del dojo, aggrappato come un'edera.
Scendi giù! La devi piantare! E non ci pensare nemmeno ad attaccarmi a mani nude” lo sgridò Isabel, avvicinandosi a grandi passi al punto dove lui era appeso, guardandolo da sotto a su; c'era una sfumatura abbagliante nei suoi occhi che non gli piacque.

Mikey deglutì a vuoto, poi slacciò le gambe e si lasciò cadere a terra, atterrando agilmente davanti alla furente donna; Isabel emanava una certa elettricità, cosa che lo spinse ad un gesto estremo, per non rischiare che lei lo fulminasse all'improvviso: allungò le braccia e l'abbracciò, con trasporto.
Lo sai che non ti farei mai del male, sorellina adorata. Lo faccio solo per te” si scusò, stringendola forte, per prevenire qualsiasi scatto da parte sua.

Uno scappellotto gli arrivò dritto sulla nuca, dolorosissimo, strappandogli un grido.
Ti ho già detto di smetterla! Brutto idiota!” gli urlò contro Raph, continuando a colpirlo in testa.
Ahi! Ma io sto... ahia... cercando di... piantala! Sto cercando di fare quello che nessuno qui sembra intenzionato a fare: convincerla a partecipare al torneo!” si difese Mikey allontanandosi da loro e dalla mano aggressiva del fratello. Si massaggiò la testa con cipiglio offeso.
Aggredendola ogni due per tre? Sai che non funzionerà” si intromise Don, l'allenamento ormai abbandonato per seguire l'inatteso sviluppo.
Sì, beh, io almeno faccio qualcosa. Tutti voi volete che partecipi quanto me, me l'hai detto proprio tu, Raph” disse il giovane, guardandolo di soppiatto, ancora ben lontano.
Perché di certo Raphael l'avrebbe strozzato per aver confidato quella cosa a voce alta.

Isabel li guardò tutti, con quelle occhiaie scure che era sempre più difficile nascondere.
Mi fa piacere che mi vogliate con voi al torneo, non sapete quanto, ma non fa per me. Ho già deciso di non partecipare e non cambierò idea, Mikey, anche se ti ringrazio della premura. Sono troppo... stanca, incasinata, presa da altro per pensare a dovermi preparare per una cosa così grande. Ma prometto che tiferò per voi con tutto l'entusiasmo che ho.”

Lesse nei loro occhi la scintilla di comprensione, anche se quelli di Mikey non riuscirono a nascondere quella vena di ribellione, che le faceva temere che forse avrebbe provato ancora a dissuaderla.
Adesso vado in camera a cambiarmi, a dopo” esclamò Isabel, voltando loro le spalle e uscendo dal dojo.

Si udì un sonoro schiaffo nel silenzio e un urletto di Mikey.
Se le dai ancora fastidio giuro che te la spacco quella testaccia, idiota!” si sentì la voce minacciosa di Raph.
Michelangelo” squillò in contemporanea la voce autoritaria di Splinter. Il giovane si voltò verso il padre, già colpevole, senza sapere bene perché. Ma se il sensei lo chiamava in quel modo c'era di certo un motivo per cui esserlo.
Hai abbandonato la lotta senza una buona motivazione. Fare il giro del dojo di corsa fino all'ora di cena ti aiuterà a capire perché non è stata una buona idea” lo informò con pacatezza, senza ammettere repliche.

Mikey lasciò andare uno sbuffo affranto, prima di voltarsi e mettersi a correre, boccheggiando per tutte le obiezioni che avrebbe voluto dire per quella palese ingiustizia.
Gli altri tre lo guardarono correre con un lieve ghigno, scuotendo la testa.

La risata sincera di Steve attirò l'attenzione di tutti.
Scusate” disse quello riprendendo fiato. “È che Mikey è... proprio...” ridacchiò più forte.
Un idiota” finì Raph, senza aspettare che lui dicesse la sua.

Beh, dai, non fa le cose con cattive intenzioni” lo difese il ragazzino, con ancora il sorriso sulle labbra.
Stavano tutti seguendo il povero mutante che correva in circolo per il dojo, come una scheggia verde, nera e arancio. Per lo meno sembrava divertirsi. Mikey era il più veloce e trovava divertente correre per poterlo dimostrare.

No, infatti. Le fa perché è stupido” ribadì il concetto suo fratello, con le braccia conserte.

Credo che per oggi gli allenamenti saltino, senza Mikey” disse Don, occhieggiando il sensei. Quello gli restituì uno sguardo pacato, annuendo morbidamente.
Mancava solo un'ora alla cena, un po' di pausa non avrebbe nuociuto.

Perfetto. Potremmo allenare un po' Steve. È venuto fin qui, possiamo fargli recuperare un po' di tempo perso” propose Leo con entusiasmo, con somma indignazione da parte degli altri due fratelli. Nessuno di loro aveva intenzione di rimanere nel dojo un minuto di più.
Il ragazzino arrossì lievemente al leggere quei palesi pensieri sulle loro facce, davvero allarmato di poter dare loro fastidio.

Eh, no, non c'è problema! Isabel si è offerta di allenarsi con me mentre voi siete impegnati” minimizzò subito, per rincuorarli.
Se al sensei va bene” aggiunse in fretta, pensando di dover chiedere il permesso.

Mi sembra un'ottima idea” sorrise Splinter, piacevolmente sorpreso.
Ehy, è a me che devi chiedere il permesso, scricciolo” disse Raph, afferrandolo per il collo all'improvviso. Lo strinse in un braccio mentre con l'altro gli strofinava la testa.
Tu vuoi allenarti con Isabel, da solo, furbetto? E cosa ci facevi con lei? Siete arrivati insieme” lo torchiò, per niente serio, solo con una gran voglia di dargli fastidio.

Steve però non poteva vederlo in viso e si stava spaventando per davvero. Una parte di lui trovava Raphael ancora minaccioso, altro che cinque centimetri in più e sicurezza in sé.
No, io no, è stata lei a propormelo! L'ho incontrata per caso... stava correndo a casa come una pazza e mi è venuta a sbattere addosso, io...” si difese sempre più paonazzo, provando a svicolare dal braccio muscoloso di Raphael.

Quello ne ebbe pietà e lo lasciò andare, trattenendosi dal ridere.
Vedi di fare da bravo, scricciolo. Ti tengo d'occhio” lo mise in guardia, puntandogli un dito contro.
Non sono uno scricciolo!” Si offese Steve, appiattendosi i capelli scarmigliati con le mani.
E sono anche più alto!” aggiunse fiero, senza motivo.

Raph rise e anche Leo e Donnie non riuscirono proprio a trattenersi, anche se senza alcuna cattiveria. Mikey passava lì vicino e rise anche lui, mentre correva. I cinque iniziarono a battibeccare, senza accorgersi dell'occhiata cupa del loro maestro, che cercava di afferrare qualcosa di misterioso, passato inosservato agli altri.


La cena venne gentilmente preparata da Isabel e Steve, per quella sera, che concessero un po' di riposo ai quattro: Mikey si presentò a tavola appena in tempo, stravolto e sudato per la corsa, e trangugiò tre porzioni enormi di pasticcio di carne prima di ritenersi vagamente soddisfatto.

Mentre i due umani pensavano a riordinare, gli altri si preparano per la ronda notturna, soffocando sbadigli stanchi.
Ehy, Steve, appena hai finito andiamo. Ti accompagniamo a casa” disse Leo, entrando nella cucina, pronto per il giro.
Il ragazzo asciugò le mani sullo strofinaccio, mentre Isabel riponeva gli ultimi bicchieri nello scolapiatti, poi cercò il suo zainetto con lo sguardo.

Isabel si avvicinò alla porta per salutarli, assieme al sensei. Raph stava infastidendo Steve, perciò non le stava prestando molta attenzione.
Ci fu uno sguardo brevissimo tra lei e Don, invece, come uno scambio di pensieri: lui occhieggiò verso Raph in una domanda muta e lei scosse brevemente la testa, in segno di diniego. E Don si accigliò.
Veloce. Nessuno poteva essersene accorto.

Poi l'ascensore si chiuse sulle loro facce, portandoli su.

Nel silenzio, Isabel sospirò lievemente, stanca, davvero stanca. Si avvicinò alla cucina per riporre lo strofinaccio che ancora teneva tra le mani.
Spengo in cucina e poi salgo a coricarmi” informò a voce alta, già pensando a tutt'altro, senza nemmeno controllare dove fosse il maestro.
Se non ti dispiace, preferirei che parlassimo un po', prima” esclamò la sua voce autoritaria, senza mostrare inflessioni. Eppure il sangue le si ghiacciò nelle vene.
Si voltò, sorpresa, ma lo sguardo deciso che incontrò nel viso di Splinter non ammetteva rifiuti, non lasciava scampo.

Annuì e lo precedette in cucina, dirigendosi senza esitazione al mobiletto delle spezie, per prendere il barattolo del tè. Sentiva che di qualunque cosa il sensei volesse parlare, necessitava di un tè caldo per poterlo affrontare.
L'anziano aspettò pazientemente che lei scaldasse l'acqua e la versasse nelle tazze, e che si sedesse, senza dire una parola, in quieta attesa.

Isabel si ancorò convulsamente alla tazza bollente, dilaniata da una sottile paura, incapace di prendere per prima la parola. Il vapore le finiva dritto in faccia, rendendo tutto indistinto.
Ho notato vari segnali, figliola. La tua ansia, il tuo pallore, quell'aura di tensione che ti avvolge, ma non ci avevo dato molto peso. Ero troppo preso dagli allenamenti per accorgermene e avevo dato la colpa allo studio, minimizzando la cosa... ma adesso non ne sono più sicuro. So che stai nascondendo qualcosa” affermò certa la voce del sensei, vorticando assieme al tè verdognolo.

Isabel trattenne il respiro, presa in castagna. E non alzò la testa, nonostante tutta la sua attenzione fosse per lui. Sapeva che non avrebbe potuto sfuggire a quello sguardo penetrante che sembrava leggere dentro.
Che cosa sta succedendo? E non mentirmi questa volta, per favore” incalzò lui, gentilmente e fermamente.

La cucina pareva un luogo piccolo, piccolo, da cui non sarebbe potuta scappare. Era lì e doveva parlare con lui.
Chiuse gli occhi, meditabonda, cercando il coraggio.
Trasse un grosso respiro.

Qualcuno mi sta controllando, sensei” rivelò con un sospiro, attendendo con terrore la sua reazione, tesa come una corda di violino. Lui si erse dalla sorpresa e preoccupazione, affilando lo sguardo e tendendosi verso di lei.
Chi? Da quanto? Raccontami ogni cosa!” le ordinò, con una voce imperiosa che però tradì la sua paura.

Si era aspettata quella reazione, si era aspettata quelle onde di furore che il sensei aveva iniziato ad emanare.
Da qualche settimana” iniziò a raccontare, sollevata sempre più parola dopo parola. Aveva tenuto quel segreto così a lungo, vivendo nella paura, che liberarsene fu come levarsi una scheggia di vetro dal cuore dopo anni di patimenti.

È successo per caso. Stavo tornando a casa, chiacchierando con delle amiche di università, quando una sensazione penetrante mi ha colpita: qualcuno mi stava osservando. Ho pensato che fosse solo un passante o qualche amico che magari mi aveva scorta da lontana e ho cercato di scacciare via la sensazione... ma lo sai, sensei, ho vissuto sempre da preda, conosco la sensazione di un cacciatore che sta tenendo d'occhio la sua, ed era proprio quella: il panico soffocante che ti tiene incollato al suolo senza respiro per attimi infiniti e poi il sangue che inizia a correre furiosamente nelle vene. Freddo. Sangue freddo.
Da quel giorno, non ho fatto altro che sentire quello sguardo attorno, costantemente, senza tregua. Ho cercato di far perdere le mie tracce, ma mi seguono dappertutto. Sono tranquilla solo perché so che nessuno può entrare qui grazie alla magia delle pietre Y'Lyntian. Solo qui sono al sicuro, solo qui sono schermata. Ma ho iniziato ad avere paura, lo confesso. ”

Il volto di Splinter era livido di rabbia trattenuta, che cercava di non mostrarle. Oh, era così arrabbiato da non accorgersi che il controllo sulle sue emozioni era spezzato, che lei poteva sentire tutto.
Non hai scorto nessuno? Non hai percepito nulla coi tuoi poteri?” sembrò quasi urlarle contro.

No. Ne ho cercato la fonte, ma invano. Ho provato a fare qualche incantesimo per tracciare le sue coordinate o capire chi fosse, ma senza successo. E proprio per questo credo che chiunque sia abbia dei grandi poteri egli stesso: è come se mi seguisse da lontano e nonostante io cerchi di schermarmi non riesco a sfuggirgli. E non so nemmeno cosa possa volere da me... la mia magia? O magari è qualche organizzazione che vuole studiarmi o fare degli esperimenti o...”

Potrebbe essere qualcuno del tuo regno? Un mago venuto a cercarti, qualcuno del tuo seguito?” domandò Splinter, cercando di calmarsi per farla calmare, anche se la luce feroce nel suo sguardo non si era placata.
No, non credo. Sono stata al regno in primavera per il rito di potere della terra, per favorire la prosperità, e non ho percepito niente di strano, nessuna sensazione negativa. Il mio inseguitore è... penetrante. Emana un'aura ostile e pressante, una che non conosco, come se stesse cercando di testarmi, di torchiarmi, di spingermi allo scoperto.”

Splinter si alzò dal posto e iniziò a camminare a piccoli passetti nervosi, in circolo, meditando nel frattempo tra sé.
Perché non ce ne hai parlato? Perché non ne hai parlato con Raphael?” la accusò, nemmeno molto velatamente. La stava sgridando e lei lo sapeva.

Sorrise tristemente, piegando la testa di lato.
Maestro, sappiamo entrambi com'è fatto Raffaello: se sapesse che sono seguita entrerebbe in paranoia e diventerebbe iperprotettivo. Non dormirebbe né riposerebbe pur di scoprire chi mi minaccia e non so cosa gli farebbe una volta trovato. Non voglio allarmarlo, non voglio scatenare la sua parte rabbiosa e insicura finché non ne so di più. Ecco perché non ho detto nulla. Volevo cercare di capire da sola, volevo prima avere qualche dato tra le mani, qualche certezza o almeno una teoria. Perché... Raffaello è una furia che nasce con un solo soffio, ma difficile da spegnere.”

Il maestro rimase assorto, carezzando il pizzetto. Sorrise solo per un secondo al sentire la sua ultima frase, perché lo aveva pensato spesso anche lui. E capì le sue paure, anche se avrebbe voluto sapere prima un pericolo simile.

Voglio che tu stia al rifugio, d'ora in poi...” iniziò a dire, severo, voltandosi a guardarla.
Ma le mie lezioni! Non posso mancare, sensei. Sono importanti. Per voi!” lo interruppe Isabel con foga, poggiando i palmi sul tavolo per sollevarsi un poco. Lui la osservò intensamente, ma lei sostenne il suo sguardo.
Tu sei più importante. E finché non ne sapremo di più...”
Ti prego! Manca così poco. Tutto il lavoro fatto, per potervi aiutare, per esservi d'aiuto... non posso lasciare adesso! Potrebbe non essere niente!”

Ansimò riprendendo fiato, decisa a non demordere. Avrebbe tanto voluto non aver parlato, in quel momento: sapeva che ne sarebbe nata una tragedia, che avrebbero cercato di proteggerla e tutto il resto, ma non credeva che lo studio ne sarebbe andato di mezzo, che le avrebbe proibito di uscire per... quanto? Sempre? Finché non avessero scoperto chi la inseguiva? E se non l'avessero scoperto mai?
Sentì il respirò roco di Splinter, che sembrava preda di tormenti e dubbi come i suoi.

Puoi frequentare le lezioni. Ma voglio che torni subito qui una volta terminate, almeno finché non ne sappiamo di più. E Leonardo verrà informato della situazione e ti farà da guardia” concesse alla fine, con uno sguardo secco, non discutibile.
Isabel spalancò la bocca, sorpresa.

No! Non... no...”
Non poteva coinvolgere Leo dopo tutto quello che era successo. Se avesse cominciato a stare troppo con lui, senza che Raphael sapesse perché, sarebbe successo il finimondo. E non poteva dirlo ancora a lui, anche se il sensei sapeva, se non voleva trovarsi chiusa in camera per sempre sotto la sua protezione.
E non voleva comunque che Leo si sentisse in dovere di proteggerla... non voleva riscatenare nulla, non voleva stargli tra i piedi e farlo star male.

Sensei, sono capace di proteggermi, lo sai. Starò attenta e tornerò immediatamente qui una volta finite le lezioni. Non c'è bisogno di allarmare gli altri. Per favore!” supplicò con tutte le sue forze, provando a smuovere la sua decisione.
Isabel, io spero tu sappia che ti amo come una figlia. Non ti ho adottata formalmente, il tuo cognome è sempre quello dei tuoi genitori, ma è come se lo avessi fatto. I miei figli ti considerano come una sorella acquisita e spero che tu mi consideri come un padre.”

I suoi occhi si inumidirono, di commozione. C'era un tono affettuoso nella severità della sua voce. Sapeva che teneva a lei, certo che lo sapeva. Splinter era il padre che si era scelta, che l'aveva scelta, l'unico che potesse affiancare la figura di suo padre, nel suo cuore.
Annuì dolcemente, sconfitta.

Voglio sapere che stai bene, che tornerai sana e salva a casa. E se devo incorrere nella tua disapprovazione per farlo... lo farò. Le mie disposizioni sono queste, sta a te scegliere: al rifugio tutto il tempo o alle lezioni controllata da Leonardo.”
Non le avrebbe detto altro. Lo sapeva. Inchinò il capo.

Come desideri, sensei. Se non ti è troppo disturbo ragguaglia tu Leo” soffiò atona, alzandosi dal posto.
Desidero solo il tuo bene, Isabel” disse la voce di Splinter con affetto, bloccando la sua camminata verso l'uscio.
Lo so... padre” rispose spalancandolo e uscendo con passo svelto.

Un segreto era stato svelato e se da una parte ne era felice, -si sentiva sicura ad averlo condiviso col maestro,- dall'altra le sembrava che tutto si stesse solo complicando, che le risposte fossero sempre più lontane.
E in fondo c'era ancora un'altra cosa da affrontare, lo sapeva.

Presto o tardi, con assoluta certezza.



1: Il Tanbō è un bastone di legno molto corto, solitamente un terzo del Bō (60 cm) ma in genere la lunghezza si può scegliere per essere più adatta a chi la usa. Ci sono varie tecniche per la difesa e l'attacco ed è un'arma molto discreta. Si può usare anche come precursore della ninjato, per apprendere le tecniche di spada. Steve ne ha due di 35 centimetri, ma a volte ne usa uno solo.



Note:

Buon giorno a tutti!
Sono ancora in ritardo, scusate. Non sto ad assillarvi coi miei problemi, ma purtroppo non ho proprio potuto mettere il capitolo prima.
Perdono.
Grazie per la vostra pazienza e la vostra comprensione, non ne sono degna.

Un mistero è infine venuto a galla, anche se so che non era quello che volevate davvero sapere! Ma in questa storia non ci sono pochi misteri e anche se questo è venuto fuori, chissà come evolverà.

E' una storia lunga e complessa, abbiate la pazienza di vedere come entra nel vivo. ^_^

Un abbraccio fortissimo
Grazie mille per seguire la storia!

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Capitolo 4
*** What's going on? ***


Una settimana corse via e la metà di Settembre era già arrivata, eppure tutto sembrava così statico, costantemente identico, alla soglia della sopportazione: allenamenti, ronde, sonno.

I quattro mutanti erano quasi al limite, le loro potenzialità affinate dall'intensivo addestramento, ma fiaccati dallo sforzo senza fine né soste. Michelangelo non mancava di lamentarsi ogni giorno per tutti i videogiochi e i fumetti che non era riuscito a leggere in quegli ultimi quindici giorni e il sensei rispondeva sempre che dovevano solo pazientare ancora un poco.
Ma la pausa ci sarà, vero? Non credo di farcela fino alla fine del mese” si lagnò a voce alta, scansando un colpo di Bō verso la faccia.
Sì, e ho una sorpresa per la vostra pausa” rispose enigmatico Splinter, facendo distrarre il figlio, che si prese la successiva sferzata del bastone dritta in testa, facendo scoppiare a ridere un esausto Donatello.

Raphael e Leonardo erano troppo intenti a sfidarsi con intenti omicidi per accorgersene, cercando di prevaricare uno sull'altro. Emanavano un'aura spessa e minacciosa che suggeriva di non avvicinarsi a loro nemmeno per sbaglio.

In un angolino del dojo, Isabel e Steve si allenavano assieme, più svagatamente e senza fretta, ad un ritmo consono per entrambi: prima un po' di meditazione, dove prepararsi per le strategie e la lucidità mentale, poi esercizi di parate e affondi, infine un breve scontro amichevole, niente di troppo complesso. Certo, Steve trovava più difficile allenarsi con lei che non con Leo o il sensei: era pur sempre una donna e non riusciva a colpirla, o toccarla più di tre secondi senza arrossire.

Se qualcuna ti desse fastidio a scuola, come faresti?” lo sgridò, mentre lui svicolava dalla sua presa con la faccia rossa e il respiro corto.
Io... io non posso picchiare una ragazza!” si difese, prendendo dei grandi respiri per calmarsi. Isabel si avvicinò e gli tirò un buffetto sulla testa, corrucciando le sopracciglia.
Sbagliato. Se una ragazza vuole farti del male fisico, hai tutto il diritto di difenderti. Se queste sostenitrici della parità dei sessi vogliono attaccare un'altra persona, si prendano anche le conseguenze. Non c'è maschio o femmina: c'è solo un avversario. Non ti sto dicendo di stenderle per forza, ma difenditi e rendile inoffensive!” gli spiegò con sussiego, agitandogli un dito davanti alla faccia.

Poi prese i Tessen nelle mani, ma senza aprirli, usandoli come clavette per un attacco frontale.
Non vedermi come una donna, forza, difenditi” esclamò in contemporanea, allarmandolo sempre di più.

Steve trattenne il respiro e strinse la presa sul Tanbō, sollevandolo in difesa: uno dei Tessen venne deviato con successo, mentre l'altro gli correva ancora dritto verso la faccia; strizzò gli occhi, aspettando l'impatto con un filo di terrore. Dopo alcuni istanti di silenzio si arrischiò a socchiudere una palpebra titubante, occhieggiando la situazione: il Tessen era ad un centimetro dal suo naso, immobile.
Non devi solo bloccarmi! Dovevi rimandarmi indietro l'attacco, colpendo con più forza” lo sgridò Isabel, che aveva fermato il colpo giusto in tempo.

Il ragazzo annuì sollevato, lasciando andare il respiro teso.
Sei troppo gentile con le donne! Ti faranno a pezzettini” continuò lei, appoggiando il ventaglio sulla sua fronte per rimarcare il rimprovero. “Ma ne farai innamorare parecchie.”
Steve avvampò come un fuoco, cercando di schermarsi dal suo sguardo in imbarazzo.

No, io non...” farfugliò confuso; “...loro non pensano... mi trovano strano...”

Isabel gli sorrise, sicura, certa di ciò che stava dicendo. E gli strofino i capelli con una mano, adesso che ancora ci arrivava: quello scricciolo stava crescendo così in fretta che sarebbe diventato un gigante in un battito di ciglia. E avrebbe avuto frotte di ragazze a corrergli dietro.
Ripresero l'allenamento, pronti a occupare quelle ore con profitto, prima della cena.

Isabel tornava ormai a casa appena finite le lezioni già da una settimana, boicottando i laboratori o le lezioni extra nel padiglione di veterinaria, ma Raphael non sembrava essersi accorto dell'inusualità, per fortuna. O meglio, si era accorto che lei passava le sere a casa, ma non aveva dato peso alla cosa in maniera negativa, anzi; ovviamente perché non sapeva la verità dietro quei suoi rientri anticipati.
Leo che la scortava come un'ombra la mattina mentre si recava alle lezioni e lo stesso Leo che appariva appena prima della fine delle stesse, puntuale, per proteggerla e controllarla.
Come si sarebbe arrabbiato Raffaello se l'avesse saputo. Quanto avrebbe dato di matto, quando probabilmente l'avrebbe scoperto.



Sbuffò per il peso dei libri, sistemando meglio la tracolla sulla spalla per riequilibrarsi, nel tragitto verso il rifugio. Una intera giornata senza laboratori voleva dire più libri di testo da portarsi dietro ed erano decisamente pesanti. Senza contare tutti gli appunti presi e i Tessen in ferro che se la ridevano della sua fatica.

Caracollò sotto il peso e il sole battente, fortunatamente smorzato da una lieve brezza di metà Settembre: non mancava molto all'equinozio d'autunno, per fortuna; non vedeva l'ora che arrivasse un po' di freddo e che le foglie iniziassero a cadere. Amava l'autunno.
Certo, se quel clima di paura non si fosse sciolto presto, probabilmente non avrebbe mai potuto uscire per goderselo, costretta a nascondersi prima ancora che il sole tramontasse. Chi mai poteva essere il suo misterioso inseguitore e che poteva mai volere da lei? Ci aveva pensato così tanto e così a lungo, ma non era arrivata a niente, solo teorie, solo paure. E il pensiero di prendere qualcosa di così evanescente e misterioso si faceva sempre più difficile; ma allora, quando sarebbe tutto finito?

Sollevò distrattamente lo sguardo, individuando con la coda dell'occhio l'ombra scura che saltava sui cornicioni dei palazzi mentre la seguiva, silenziosa e invisibile.
Era grata a Leo e al maestro per la loro premura, ma si sentiva in gabbia. Forse quanto si sentiva nel mirino predatore del suo misterioso inseguitore, la stessa sensazione di costrizione, a cui non era abituata; aveva vissuto sempre sola, senza dover rendere conto a nessuno, e a volte il loro affetto soffocante la spiazzava, la disturbava. Stava ancora imparando a vivere e convivere con quell'enorme famiglia dai legami così stretti.

Per Leo, poi, sentiva una specie di senso di colpa. Si rammaricava che fosse stato messo al corrente e gli fosse stato affidato un incarico così impegnativo e distraente, mentre lui doveva impegnarsi ad allenarsi, invece. Sentiva di sottrargli tempo prezioso, di potergli dare fastidio, e non le piaceva.

Prese il telefono dalla taschina del giubbottino smanicato e compose il numero, assorta. Lo portò all'orecchio e attese; da lontano udì un trillo familiare, che si ripeté a lungo prima che l'interlocutore rispondesse.
Pronto!” strillò la voce nel suo orecchio, parecchio alterata.
Ciao, Leo” rispose a sua volta.
Cos'è successo... perché... hai sentito qualcosa?” farfugliò sempre più veloce il leader, e anche se non poteva vederlo sapeva che si stava guardando freneticamente attorno, sul chi vive.
No, calmati. Ti ho chiamato per parlare un po'. Non mi piace che te ne stia lassù da solo, nell'ombra, a controllare attorno” lo rassicurò Isabel in fretta, per metterlo a suo agio.

Sentì un sospiro rincuorato, dall'altra parte del ricevitore.
Se mi chiami è ovvio che pensi al peggio! Non c'era davvero bisogno” la sgridò subito, facendole un po' rimpiangere di averlo chiamato in effetti.
Va bene, se non vuoi parlare con me, allora chiudo” ribatté offesa, allontanando l'apparecchio dalla testa.
Un “aspetta, aspetta” urlato nel ricevitore le arrivò all'orecchio e riavvicinò il telefonino con un sorriso dispettoso.

Poi restò un po' ad ascoltare un flebile fruscio, solo quello.
Di cosa volevi parlare?” soffiò infine Leo, arrendevole.

Isabel continuava a guardare davanti a sé la strada colma di gente, facendo la gimcana con scioltezza ed eleganza. Con la testa non era davvero lì, era sul tetto ampio e libero insieme a Leo.
Volevo ringraziarti. E chiederti scusa. Mi dispiace di averti invischiato in questa cosa, credimi non avrei voluto” confessò, evitando con una scartata a destra una fila di turisti che veniva contro di lei.

Se è solo per questa sciocchezza lo chiudo io il telefono” si sentì rispondere, in tono stizzito.
Sono seria! Non volevo che perdessi tempo dietro a me, solo per un dubbio e proprio tu, che...”
Non sapeva continuare la frase, sapevano entrambi come finiva in fondo.

Ci fu lo statico della chiamata in sottofondo per qualche attimo, pieno di imbarazzo. Poi la voce titubante di Leo chiese:
È per quello allora? Se io non fossi stato... non ti saresti sentita in colpa, allora?”
No, cioè sì. Voglio dire, certo che sì. È solo che mi sembra di approfittarne, mi sembra sbagliato e voglio essere sicura che tu stia bene.”
Lo sentì sbuffare, sottilmente.

Sei seguita e ti preoccupi per questo? Per me? Non è proprio la cosa da fare per farti dimenticare.”

Fu il suo turno di trattenere il fiato, presa di sorpresa. Leo aveva assicurato a Raph che non provava più niente per lei, -li aveva sentiti parlare,- ma sembrava differente in quel momento quello che lui intendesse.
Senti, non devi fare quella faccia. Sì, la vedo anche da quassù. Mentirei se ti dicessi che non provo più nulla per te, -sì, lo so cosa ho detto,- ma quello che provo è in un certo senso cambiato, non ho detto una bugia. Io tengo a te, e tengo alla tua felicità; sono felice di vedere te e Raph assieme, e sono sincero. Perché siete entrambi importanti, vi amo entrambi. E finché voi starete bene, io starò bene. Perciò smettila di preoccuparti per me, come se io fossi una ragazzina che piange la notte per un amore non corrisposto” la riprese con foga, e fu quasi certa che la sua voce l'avesse sentita dal vero, da quanto alta fosse.

Rallentò un po' per lasciare che un elegante uomo d'affari la superasse e la smettesse di colpirla alla coscia con l'angolo della sua valigetta nera. Solo per puro istinto non si voltò per guardare palesemente in alto e provare così a vedere l'espressione di Leo, anche da lontano, per sapere se fosse sincero.
No, io non intendevo... vorrei solo che non fosse così complicato e non voglio darti fastidio e approfittare del tuo buon cuore.”
Ma non è complicato. Va tutto bene. E non approfitti di nulla... sono stato contento quando il sensei mi ha affidato l'incarico, a dire la verità. Non per la situazione, quella mi ha preoccupato molto, ma perché posso esserti utile. Avevo paura di perderti, in un certo senso. Che mi evitassi per l'imbarazzo, che ci allontanassimo. Posso invece esserti d'aiuto e questo mi rende felice. Siamo una famiglia, no?”

Il tono di Leo era assolutamente sincero. E dolce. Com'era stata stupida a farsi prendere da tutte quelle paturnie e stupidaggini per la mente, quando in realtà era così semplice e genuino il sentimento di Leo. Si vergognò quasi della figura stupida che aveva fatto, di fronte alla splendida persona che era l'amico; aveva pensato con egoismo solo a quello che lei pensava potesse dargli fastidio, ma lui era ad un altro livello, era migliore, era speciale.

Hai ragione. Scusa se non ci sono arrivata prima. E grazie. Sei decisamente un perfetto e sagace leader, sono contenta che vegli su di me da lassù.”
Ma figurati: tu chiama, io appaio. E poi diciamolo, mi è andata anche bene: mi prendo delle brevi pause dagli allenamenti. Gli altri tre finiranno per stramazzare, di questo passo.”
Ridacchiarono entrambi, ricordando come Mikey si fosse addormentato dentro al piatto di purè la sera prima a cena. Poi Isabel venne presa da un dubbio, perciò davvero curiosa chiese:

Non si sono accorti che sparisci?”

Il tragitto è breve e manco per poco, in fin dei conti. Con delle banali scuse me la cavo e il sensei mi dà una mano spesso, dandomi dei compiti da svolgere da solo, perciò no, tranquilla, nessuno ha capito nulla” si affrettò a rassicurarla, calcando inconsciamente il tono su quel nessuno, che invece era un certo qualcuno che lei non voleva sapesse.
Suona sbagliato e immorale detto così” soffiò Isabel, quasi tra sé.

Perché non glielo hai detto?” l'accusò sottilmente la voce di Leo, così penetrante da farsi strada fino al cervello, fino alla parte dove dimorava il senso di colpa.
Il nome non era nemmeno necessario, era palese che parlavano di lui.

Perché so quanto è insicuro. So quanto è protettivo. E dovresti saperlo anche tu. Che se glielo avessi detto in questo momento starebbe rivoltando la città come un calzino, senza riposare nemmeno un secondo fino a trovare chi mi sta seguendo. O che mi terrebbe chiusa al rifugio sotto il suo sguardo ventiquattro ore su ventiquattro per sapermi al sicuro, o probabilmente ancora un miscuglio di queste due cose finché non sverrebbe per un esaurimento, per lo stress e il poco sonno, per la paura costante che se lo mangerebbe, travestita da rabbia. Raffaello vuole proteggermi, lo capisco, ma è il primo da proteggere. Da sé stesso e tutte le sue paure che non se ne sono ancora andate, che sono sempre lì. E quella di perdermi gliel'ho instillata io, non posso alimentarla ancora.”

Aveva promesso di proteggerlo e lo avrebbe fatto. E non l'avrebbe mai lasciato, non si sarebbe mai più allontanata da lui, per nessun motivo al mondo. Ma la paura di Raffaello non si poteva cancellare solo con una promessa.

Ecco, se però fai la sdolcinata su Raphael con me, te lo chiudo davvero il telefono in faccia” fu la risposta stizzita e improvvisa di Leo, per niente seria, che le strappò una risatina sorpresa.
Sul serio, lo capisco. Ho vissuto con Raph da sempre, lo conosco meglio di chiunque altro... anche perché la metà dei suoi scatti d'ira erano contro di me, non potevo fare altrimenti se non cercare di capire perché. So che è insicuro e hai ragione in tutte le tue ipotesi, però... lui merita di saperlo. Lui ha il diritto di saperlo. Sei la sua ragazza, sei la persona che ama di più sulla faccia dell'intero pianeta, e lui dovrebbe sapere che forse sei in pericolo, che c'è un problema che ti riguarda. E poi lasciargli affrontare la cosa a modo suo.”

Isabel sbuffò incredula col naso, con un'espressione così comica che parecchie persone che arrivavano dall'altro verso la guardarono con curiosità.
Mi stai chiedendo di dargli fiducia? Di pensare che potrebbe anche sorprendermi nei suoi atteggiamenti e comportarsi più razionalmente?” domandò scettica, pensando che fosse impazzito.
No, sicuramente uscirà come una furia dopo averti chiusa a chiave in camera e picchierà chiunque gli appaia davanti con una espressione lievemente corrucciata. Senza alcun dubbio è proprio come un invasato che si comporterà. Ma ha diritto di sapere, di farsi bagaglio di metà di quella paura che ti attanaglia e supportarti. Se io fossi lui, se avessi scelto me... io vorrei che la ragazza che amo non mi nascondesse nulla, nessuna cosa.”

E se quello che vuole nasconderti fosse per il tuo bene, per non farti star male?”
Se ti fa star male, perché dovresti affrontarlo da sola?” mormorò Leo, con sentimento.
Isabel sorrise malinconicamente, con una lieve stretta al cuore. Perché c'era una profonda verità nelle sue sagge parole.

Devi smetterla di essere così perfetto! Anche nei ragionamenti, sei frustrante! Non si può parlare con te!” sbottò piccata, lieta di sentire una lieve risata dall'altra parte.
Svoltò l'angolo per il vicoletto che l'avrebbe portata al garage con l'entrata dell'ascensore, ma un'ombra calò giù assieme alla scaletta antincendio, con un colpo. Leo era attaccato con le gambe, a testa in giù, il telefonino ancora premuto contro l'orecchio.

Perché ho ragione. Comunque se vuoi sei ancora in tempo a lasciare quell'idiota di mio fratello, io so già tutto, non hai bisogno di dire nulla” la punzecchiò, con una strizzatina d'occhio, tutto fuorché serio.
Lei scosse la testa, trattenendo una risata.

Dovremmo scappare molto lontano, allora. Raffaello ti cercherebbe fino alla fine del mondo per staccarti la testa, e forse non risparmierebbe nemmeno me” rispose per le rime, mentre lui scendeva dalla scaletta e le si faceva vicino ed entrambi chiusero la chiamata.
L'Amazzonia va bene? È enorme, non ci troverà mai!”
Ci sono stata, sai? Tanto tempo fa” lo informò, strizzando gli occhi per un improvviso cerchio alla testa, che se ne andò veloce come era arrivato.

Erano arrivati intanto al garage, nella soffusa e fresca penombra polverosa, disseminata di macchine e furgoni su cui Donnie ogni tanto metteva mano, in cerca di pezzi.
C'era anche la nera moto di Raph in un angolo, che scintillava maligna nei tubi argentei nella sua direzione.

Leo scendeva sempre per primo, senza farsi scorgere. Isabel doveva invece aspettare tranquilla per almeno una decina di minuti, senza allontanarsi dal perimetro del garage, dove era al sicuro. Lì dentro la sensazione di panico che la pressava all'esterno era già diminuito, anche se solo una volta nel rifugio vero e proprio si sentiva a suo agio, completamente schermata.

Dondolò da una gamba all'altra sul posto con un po' di agitazione, controllando l'orologio con frenesia, impaziente che il tempo passasse. Infine, con sollievo, chiamò l'ascensore e ci si infilò in fretta dentro, lasciando andare un sospiro quando le porte si chiusero e iniziò la discesa morbida.

Ripensò con un sorriso alla strana chiacchierata che aveva avuto con Leo. Era felice di averne avuto l'occasione, era felice di aver capito come si sentisse, cosa provasse, ed era stata una stupida a comportarsi in maniera imbarazzata con lui. Nemmeno lei voleva che si creassero tensioni, che potessero allontanarsi. Leo era come un fratello, e prima o poi tutto sarebbe scomparso anche nel cuore di lui e lui l'avrebbe considerata una sorella a tutti gli effetti, ne era certa.

E poi le tornarono alla mente le sue parole ed erano così giuste. Era ora che parlasse con Raphael, che quel segreto che teneva da così tanto tempo uscisse fuori.
Pregando che tutto andasse bene.


Le porte si riaprirono sul rifugio tutto illuminato e un gran vociare, dall'altro lato del piano terra.
Sono tornata!” strillò, contenta di vedere così tante facce. Mikey si staccò dal gruppo e le corse incontro, con le braccia già spalancate.
Cosa succede?” riuscì a chiedere la povera ragazza stretta nella sua morsa, occhieggiando gli altri mutanti e la famiglia Jones seduti nell'area video, con patatine e bibite nelle mani. Si accorse di Angel e Steve solo ad una seconda occhiata.
È un maschietto!” le annunciò April toccando con mano amorevole il piccolo rigonfiamento nella pancia, e un gran sorriso.
Cos... congratulazioni!”

Si districò dalla presa di Mikey e corse incontro ai futuri genitori, presentando i suoi auguri con gli occhi umidi di felicità. Carl le si attaccò ad una gamba, farfugliando un sacco di parole pasticciate, con le guancine rosse.
April voleva davvero davvero una femmina, ha chiesto al dottore di controllare per bene l'ecografia almeno cinque volte” raccontò Casey, mentre lei prendeva in braccio Carl, che le si gettò al collo felice.
Oh, non dovevi dirlo” lo sgridò la moglie, arrossita per le risatine dei suoi amici. “E comunque, il bimbo sta bene, mi interessa solo quello” finì, con tono amorevole, gli occhi brillanti.

La prossima sarà una femmina” la confortò Casey, con un bacio sulla fronte.
Quale prossimo? No, stop, chiuso. Non ci pensare nemmeno!” fu la risposta secca, che suscitò ancora di più l'ilarità nel gruppo.
A me ha detto che ne vorrebbe almeno cinque e che li allenerebbe nell'hockey sul ghiaccio” buttò lì Raph, con un gran sorriso dispettoso.

April lo guardò sospettosa, valutando se fosse uno scherzo o meno. Poi sorrise anche lei.
Mi ci vorrebbero solo cinque piccoli Casey per casa, come se non mi mandaste già ai matti tu e Carl, che ormai butta giù qualsiasi cosa alla sua portata con colpi di peluche. Me lo farai diventare un teppista!”
Un vigilante, vuoi dire. E tu, amico, dovresti imparare a non scherzare con una donna incinta. Io non vado certo a dire ad Isabel quello che mi dici sui figli!”

Isabel spalancò gli occhi, tirata in causa, mentre Casey si beccava un pugno arrabbiato da Raph, che evitò in ogni modo il suo sguardo.
Don invece la guardava palesemente, comunicando silenziosamente con lei. Isabel fece finta di nulla e guardò altrove: lo avrebbe detto a Raph, doveva solo cercare il momento giusto. Donnie doveva cercare di capirlo.

Steve è un bel nome, se ne state cercando uno per il bambino” si intromise Steve nella conversazione, cercando di sotterrare la momentanea gaffe il più in fretta possibile.
Ma sentilo, il ragazzino, che si fa i complimenti da solo” disse April, voltandosi per arruffargli i capelli. Era un po' il vizio di tutti, perché lui arrossiva come un matto e cercava di riappiattirli con foga, come un gattino che si lisciava il pelo.
Ci penserò su. Mi piace il tuo nome” gli disse poi, con un sorriso dolce. “C'è ancora molto tempo, ma non so davvero scegliere. Devo cercare il libro dei nomi che avevo preso quando aspettavo Carl.”

Mmm, questo potrebbe iniziare con la A. Carl ha la stessa iniziale di Casey, sarebbe carino se il secondo avesse la tua” se ne uscì Mikey con entusiasmo.
Mio padre si chiamava Arthur” disse la voce di Isabel, tra sé, ma si accorse che l'avevano sentita tutti e la guardavano sorpresi. Era la prima volta che ne parlava.
Attur” ripeté il piccolo Jones, cercando di compitare bene.
Non che io voglia suggerire... stavo solo pensando ad alta voce” si affrettò a spiegare, agitando una mano con imbarazzo.
No, è davvero bello. Lo terrò a mente.”
Isabel si aprì in un grosso sorriso grato, mentre Carl con le manine le schiacciava le guance per farle fare buffe smorfie.

Gli allenamenti non ebbero luogo per quella sera e l'enorme famiglia si prese un po' di tempo per festeggiare la notizia, per la quale Mikey preparò perfino una torta, biscotti e ogni altro genere di golosità. Era quello che sorrideva più di tutti e forse, e soprattutto, era perché avevano finalmente un po' di pausa e di svago.


Nella preparazione e nell'allegro caos, nessuno si accorse che Splinter e Leo erano scomparsi per qualche attimo.

Nel silenzio ovattato della saletta da meditazione, i raggi di sole entravano tiepidi e gentili dalle finestre, illuminando dolcemente le prime foglie ingiallite, che sembravano ancora più gialle per effetto della luce.
Leonardo rimase incantato ad ammirare i giochi di ombre e luce, in attesa sulle ginocchia.

Splinter stava camminando avanti e indietro, in profondo raccoglimento e il figlio non se la sentì di interrompere il flusso dei suoi pensieri, perciò rimase in silenzio in attesa che fosse lui a rivolgergli le domande, quando fosse stato pronto. Solo dopo qualche istante il sensei se ne accorse e si voltò verso di lui.

Dimmi, figliolo” lo spronò, con un cenno del capo.
Ho seguito Isabel con attenzione, ma finora non ho percepito nulla. Né una presenza né una minaccia, niente di niente” riportò Leo, con forse più veemenza di come lo avesse detto nei giorni precedenti.

Perché era la stessa cosa che ripeteva da una settimana e niente era cambiato. Nessuno stava seguendo Isabel. Alzò lo sguardo sull'espressione tesa di Splinter e capì esattamente cosa stesse pensando, perché anche lui lo aveva pensato spesso, durante le ronde, durante i pedinamenti: che Isabel si fosse sbagliata?
Non era possibile che lei gli avesse mentito, -a quale scopo lo avrebbe fatto?- ma pensare che potesse essersi sbagliata era lecito.

Splinter si ricordava chiaramente della paura che lei aveva manifestato, non era finta, non era falsa: Isabel pensava sul serio di essere seguita; ma se così non era, e tutto faceva supporre che non lo fosse, allora quella paura poteva essere solo una manifestazione inconscia di qualcos'altro. Forse stanchezza. Forse stress.
Sospirò sottilmente, quasi impercettibile.

Per ora continueremo a stare all'erta, Leonardo, solo per essere certi che non ci sia davvero nessun pericolo che la minaccia. So di chiederti molto, figliolo, ma...”
Leo lo interruppe alzando una mano.

Lo faccio perché voglio farlo, padre” ribatté gentile, eppure fermo.
Era vero, voleva farlo. Per sapere che niente potesse farle del male. Per sé stesso. E un po' anche per Raph, per proteggerla al posto suo.

Splinter annuì con uno scintillio fiero nello sguardo.
Bene. Adesso torniamo alla festa, abbiamo una nuova vita da celebrare” mormorò soddisfatto e sorridente, precedendolo verso la porta.



Note:

Buon giorno a tutti!
Grazie per le vostre belle parole, sono molto felice di ricevere la vostra premura. Sto bene, il problema che mi affligge è al fegato, sto seguendo la cura che mi hanno dato e poi vedremo. L'importante è un atteggiamento positivo! ^__^ e grazie anche a voi lo sono!


Dunque, cose importantissime: i misteri si infittiscono! Non c'è lo scontro Leo-Raph che molti si aspettavano, perché in realtà non c'è nessun conflitto: Leo ha chiuso con Isabel, per quanto ancora provi qualcosa per lei. È felice per loro ed è felice di poter essere utile!
Non è un amore? Ah, che uomo perfetto! Che donna fortunata quella che se lo acchiappa... e se vi dicessi che poi la trova nel... spoiler! :P

Invece: Isabel è impazzita? Si è immaginata tutto? E cosa sa il fantomatico e perfettissimo Donnie che gli altri non sanno?
Domande, domande, domande! Ma tra poco, alcune cose verranno fuori. Per altre, invece, dovremmo solo pazientare.

Vi ringrazio di cuore per leggere, seguire la storia. A chi l'ha messa nei preferiti. A chi commenta, con meraviglioso affetto.

Vi mando un gigantesco abbraccio pieno d'amore!

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Capitolo 5
*** Just the two of us ***


La festa per la lieta notizia di casa Jones si protrasse per tutta la notte e l'euforia rimase ad aleggiare nella casa anche per i giorni seguenti. Era stata una vera e propria celebrazione.

Isabel si era persa quella per Carl, quindi non sapeva quanto potessero essere chiassosi e euforici nel celebrare un nuovo arrivo nella famiglia: c'era Mikey che un po' faceva il buffone in giro e un po' continuava ad abbracciare April, Isabel ed Angel, cercando di sentire nel pancione della mamma se il piccolo si muovesse e Casey e Raph che lo tenevano alla larga dalle loro donne, tra le risate generali. Angel si era lasciata scappare una mezza battuta sul fatto che nessuno stesse propriamente cercando di difendere lei, al che Steve e Donnie erano insorti, mettendosi a sua difesa dall'uragano Michelangelo.

Splinter sorrideva bonario e felice abbracciando tutta la sua famiglia con lo sguardo. E c'erano brindisi e dolci e risate e un'atmosfera così tenera e affiatata. Era la più strana, variegata famiglia, eppure la migliore del mondo. Isabel ne era certa e per quella sera, riuscì a scordare ogni altra cosa, miracolosamente.


Tre giorni dopo, alla fine dei consueti allenamenti, Splinter richiese la loro attenzione.
I quattro figli si sedettero ubbidientemente sulle ginocchia, con le facce tese ed esauste: Mikey ciondolava per la stanchezza e Don di tanto in tanto, senza farsi vedere, lo rimetteva dritto con una spinta leggera. Se si fosse addormentato di colpo, a faccia in giù, sarebbe stato ilare e irrispettoso allo stesso tempo.
Splinter richiamò anche Isabel e Steve, che dopo essersi scambiati un'occhiata curiosa, si diressero diligentemente verso di loro, prendendo posto ai lati dei quattro ninja, di fronte allo stendardo del clan.

Splinter li osservò uno ad uno, pazientemente, con snervante calma.
Gli allenamenti, per adesso, sono finiti” annunciò infine, con un sorriso tenue. Attese le loro reazioni, che non si fecero attendere: Michelangelo spalancò gli occhi che fino a qualche istante prima si chiudevano per la stanchezza e un grosso sorrisone nacque sul suo viso.
Sì!” esultò tirandosi un po' su, lanciando i pugni in aria. Poi si accorse che tutti lo osservavano in silenzio e ilarità e si risedette con vago imbarazzo e un lieve rossore.
Scusate” mormorò a mezza voce, occhieggiando la faccia ancora seria del sensei. Il saggio ratto si schiarì la gola con sussiego, facendo finta che l'interruzione non ci fosse stata, e continuò.
Ci prenderemo una pausa di cinque giorni, e al nostro ritorno faremo solo dei brevi allenamenti la mattina ed esercizi di meditazione la sera.”
Ritorno da dove?” chiese Donatello, a cui la menzione non era sfuggita.

Splinter sorrise morbidamente, prendendosi qualche attimo per godersi la curiosità nel fondo del loro sguardo.
Per cinque giorni si terrà una celebrazione nella dimensione Nexus per favorire un buon auspicio per l'imminente torneo; ci saranno banchetti, spettacoli di tecniche e bravura e soprattutto tanto relax. Il Daimyo ci ha invitato personalmente, anche se non è una celebrazione aperta a concorrenti; la nostra famiglia gode di una certa popolarità in fin dei conti.”

Nessuno capì mai se si stesse riferendo alla lotta contro Draco e l'ultimate ninja o invece al fatto che nella famiglia Hamato c'erano stati ben quattro campioni del Nexus, uno dei quali ancora in carica, ma non ci pensarono in effetti poi molto: erano tutti euforici per la splendida notizia e si sorridevano l'un l'altro con incredulità e allegria. Mikey era definitivamente saltato su con un balzo, gridando di contentezza, improvvisamente molto meno stanco e sonnolento.
Bene. La partenza sarà domani mattina, avete la sera libera per prepararvi e preparare i vostri bagagli; l'allenamento intensivo finisce oggi. Siete stati bravissimi, figli miei” mormorò il maestro, il sorriso così fiero che si sentirono inorgogliti e molto più forti.

Si stavano alzando tutti, con già in testa le liste di cosa avrebbero messo nei loro zaini, -Mikey aveva intenzione di portarsi tutti i fumetti che non aveva avuto il tempo di leggere, per esempio, e una lista infinita di videogames,- quando il maestro si accorse che Isabel non si era alzata.
Sono invitata anche io?” chiese, quando i loro occhi si incontrarono.

Splinter annuì con convinzione.
Certo, e anche Steven, se lo vuole.”

Il ragazzetto spalancò gli occhioni azzurri, in imbarazzo per l'onore di essere incluso nella famiglia.
Vorrei venire, ma ho la scuola e i miei fratellini a cui badare” si scusò, un po' triste per l'occasione che sfumava davanti alla sua faccia. Se però avesse rinunciato a quella celebrazione, e avesse adempiuto ai suoi doveri di studente e di fratello maggiore, suo padre lo avrebbe poi lasciato andare a vedere il torneo, che era quello che desiderava di più.

Isabel stava dondolando un po' sul posto, come se fosse a disagio.
Nemmeno io posso venire” sussurrò dopo qualche istante, attendendo le reazioni con timore. Si sollevarono parecchi “COSA?” che rimbombarono nel dojo, assordandola.
Per diverse motivazioni, indubbiamente, Leo e il sensei aspettavano una giustificazione da una parte e Mikey e Raph volevano sapere perché dall'altra. Solo Don se ne stava neutrale, come suo solito.

Ho un esame molto importante tra tre giorni e non posso mancare” iniziò a spiegare, bloccando le loro interruzioni con un gesto perché la lasciassero continuare.
È un test per poter entrare in un corso speciale che inizierà da Ottobre, un corso con molti più laboratori e un periodo di apprendistato in una clinica privata. Io devo entrarci. I posti sono limitati!”
Ma puoi entrarci con la magia” protestò Mikey quando infine capì che poteva intervenire.
Sì, ma non voglio. Voglio mettermi alla prova, voglio capire se posso farcela sul serio o se finora quello che ho fatto è stato solo barare!” saltò su lei, infervorandosi parola dopo parola. Captò lo sguardo di Splinter, che le chiedeva di poterle parlare da sola, ma non avrebbe potuto senza destare sospetti.

Incredibilmente, però, fu Raphael a darle l'occasione: prese per un braccio Don e per uno Mikey e li tirò lontano da loro, confabulando sottovoce coi suoi fratelli.
Il sensei e Leo li osservarono per qualche secondo, confusi, poi si avvicinarono ad Isabel, che intanto si era alzata.

Figliola, non è bene che tu resti qua. Anche se non è successo niente ancora, non significa che non potrebbe, e proprio mentre non ci siamo” disse l'anziano padre, con voce severa, ma bassa il tanto per non essere sentito dagli altri.
Lo so e credimi, maestro, non è un capriccio. Io devo davvero fare quel test e devo entrare in quel corso! Starò a casa per studiare per due giorni e il giorno dell'esame uscirò solo per le ore necessarie, ritornando di corsa qui una volta finito. Lo prometto. E poi non uscirò più finché non tornate!” sussurrò lei in fretta, occhieggiando preoccupata il piccolo gruppetto che si riavvicinava.
Leo dovrebbe rimanere qua con te, allora” fu la risposta pacata, che si era aspettata, ma che trovava orribile solo da pensare.
Raphael avrebbe avuto molto da ridire e di certo si sarebbe accorto che qualcosa non andava.

No! Posso rimanere da sola! Starò molto attenta, lo giuro” ribatté spazientita, assolutamente contraria alla cosa.
Per favore!” sibilò strozzata, vedendo che il sensei non sembrava voler cedere.

Mikey, Raph e Don erano ormai arrivati vicino a loro, perciò Splinter rimase in silenzio, come assorto. Forse perché quello che le voleva dire non poteva davanti a loro.
Credo che sia meglio che tu venga con noi. Non è bello che tu rimanga qua da sola” rispose infine, soppesando le parole con cura per non lasciarsi scappare nulla.

Se Isabel rimane a casa, io posso rimanere con lei” disse una voce volenterosa e squillante. Che però non era di Leo, come si era aspettata, ma di Raphael.
Il suo fidanzato la guardava con un luccichio furbo nello sguardo, poi si rivolse direttamente al maestro, perorando la sua casa.

Posso farle compagnia e una volta finito l'esame possiamo raggiungervi con il portale. Io so come usarlo ormai.”

È un'ottima idea!” esclamò sin troppo entusiasta Michelangelo, mulinando le mani in aria. Iniziarono tutti a capire perché Raphael avesse tirato via i suoi fratelli e cosa potesse aver detto loro.
È una soluzione perfetta per tutti! Isabel potrà fare l'esame, a cui ci terrei a dare un'occhiata più avanti, e Raphael potrebbe aiutarla occupandosi dei pasti, ovviamente riposandosi anche. E una volta che l'esame sarà finito, potranno raggiungerci entrambi!” perorò con convinzione e praticità Donatello.

Raph li aveva convinti a sostenerlo nella sua causa, per poter stare da solo con Isabel.
Il sensei sorrise sotto i baffi e anche Leo trovò difficile rimanere serio. Ed entrambi sapevano che non era un'ottima idea, e di cose da dire in contrario ne avrebbero avute parecchie, ma furono inteneriti dalla sottile insistenza di Raphael. Il maestro in particolar modo, che li aveva tenuti in stanze separate per il quieto vivere, anche se non era stato felice di farlo.

Li tenne sulla corda per parecchi minuti, riflettendo in silenzio teso, e loro non avevano proprio il coraggio di interromperlo: se pure pensavano di farlo, bastava un'occhiata del sensei, carica di pensieri, e subito desistevano, per non peggiorare la situazione.
Va bene, Isabel, puoi rimanere” concesse alla fine, suscitando un moto di gioia nel suo cuore. “E Raphael può restare con te. Ci raggiungerete non appena l'esame sarà finito: lui verrà a prenderti all'Università e creerete immediatamente il portale per il Nexus” continuò innocentemente, senza aggiungere altro.

Sembrava una clausola innocua, ma Isabel sapeva che voleva essere sicuro che non le accadesse nulla. Raphael però non sapeva, e sembrava sul punto di dire qualcosa, perciò lei si affrettò ad accettare per entrambi.
Grazie, sensei! Seguiremo tutte le raccomandazioni!” affermò con vigore, cercando di non sorridere per il sollievo. Vide con la coda dell'occhio che Raphael annuiva per esprimere lo stesso concetto.

Splinter annuì, dando loro un po' di fiducia. Sapeva che Isabel non avrebbe infranto la sua promessa e che anche Raphael avrebbe seguito alla lettera la sua raccomandazione, per dimostrargli di essere affidabile, così da avere più tempo da solo con lei in futuro, probabilmente.
Spero che tu passi l'esame” mormorò incoraggiante alla ragazza, con una pacca sulla testa.

Dopo ci fu in grosso via vai, sembrava di stare in un immenso formicaio: tutti che si affaccendavano da una parte all'altra, prendendo ciò che era necessario per quella gita inattesa eppure particolarmente gradita. Mikey indossava al collo un grosso ciondolo viola, e se ne andava in giro pavoneggiandosi e chiedendosi se gli ospiti della festa avrebbero notato la sua collana di campione del Battle Nexus.
Credo che dovrebbero essere ciechi per non accorgersene” fu la risposta sospirata di Don, anche lui impegnato a riempire il suo zaino con tutti gli appunti che Isabel aveva preso durante quel mese di lezione, di certo con l'intento di leggerli per “rilassarsi”.

Stranamente, Raphael non disse nulla dell'arrogante vantarsi del fratello, che in un'altra occasione lo avrebbe di certo fare uscire dai gangheri: era troppo occupato nel cercare di buttarli fuori di casa il prima possibile, adoperandosi perciò a dare una mano perché si sbrigassero.
Lo sai che partiremo comunque domani, vero?” chiese Leo, che seguiva i suoi movimenti da una parte all'altra del dojo con apprensione.
Sì” rispose Raph distratto, con le mani impegnate ad infilare a forza i vestiti del fratello nella borsa, “ma voglio essere sicuro che non torniate indietro per qualcosa che avete scordato!”
Leo ridacchiò e lo lasciò perdere. Al peggio avrebbe avuto la sua roba spiegazzata, ma almeno Raph sembrava contento.

I bagagli furono pronti piuttosto in fretta e una sontuosa cena fu il giusto modo per salutarsi. Mikey, la cui euforia sorpassava di molto la stanchezza che aveva accumulato, si era messo ai fornelli con una passione invidiabile, preparando tutti i suoi piatti forti; Isabel gli diede una mano, contagiata dal suo entusiasmo e la sua euforia.
La tavola era colma da scoppiare. Tra pizze con ogni genere di condimento sopra e pasticci di carne e verdure, patate fritte in ogni forma e con ogni salsa, patate arrosto, bistecche alte mezzo palmo e perfino un dolce glassato di proporzioni astronomiche, era quasi impossibile vedere le facce degli altri commensali alla tavola.

Steve rimase a cena assieme a loro, facendo onore alle portate nel bel clima disteso che precedeva una bella sorpresa, una gita rilassante davanti a sé: Mikey faceva progetti su quel posto che avrebbe visitato o quell'altro dove avrebbe sfoggiato il suo ciondolo, Leo e Don chiedevano al sensei informazioni sulla celebrazione e sugli ospiti.
Isabel e Raphael se ne stavano quieti, in silenzio, ascoltando. I loro sguardi si incontravano spesso al di sopra di tutto il resto e sembravano comunicare. E il pensiero di quei giorni da soli emozionavano e spaventavano con la stessa intensità.



Siete pronti, figlioli?” domandò Splinter, in piedi sul pontile di legno del laghetto, al centro del rifugio.
Era già l'alba e tutti si erano alzati di buona lena, avevano fatto colazione e si erano preparati per partire. Donnie aveva un borsone di cuoio a tracolla, e Leo uno zaino che teneva su una spalla sola, mentre la borsa per il sensei la teneva in mano, con attenzione.
Di Mikey, invece, non c'era traccia.

Osservavano tutti verso l'alto per aspettare il momento in cui sarebbe apparso, ma c'era solo silenzio dal piano superiore.
Vuoi sbrigarti ad andartene?” urlò spazientito Raph, occhieggiando arrabbiato la porta della camera del fratello come se fosse tutta colpa sua.
E quella, incredibilmente si aprì, e un trafelato Michelangelo ne uscì fuori, trascinando una borsa così enorme da essere comicamente impossibile; ogni passo si fermava per tirare a sé il bagaglio, che faceva un forte rumore di trascinamento sordo.

Stai scherzando?” fu la replica in sincrono di Don e Raph, nemmeno l'avessero programmato.
Mikey li guardò e sorrise, poi continuò nel suo duro lavoro per tirare il bagaglio verso la scaletta.

Michelangelo, non hai davvero intenzione di portare dietro quella montagna di cose, vero?” domandò pacato Splinter, assurdamente calmo.
Ma sensei, i miei fumetti e i videogiochi… non posso lasciarli qui!” sbuffò il figlio con fatica, continuando a tirare.
Sono sicuro che se ne lascerai a casa, vediamo, almeno il novanta per cento, non succederà loro niente. D'altronde ci saranno molte persone che vorranno conoscerti e sentire... la storia della tua vittoria, non credo avrai molto tempo per leggere o giocare.”
Mikey si illuminò alle parole lusinghiere di Splinter e si fermò per riflettere con un grande sorriso in volto: sapevano tutti che stava fantasticando selvaggiamente.

Va bene, mi hai convinto! Arrivo subito!”

Fece fare un dietrofront alla borsa con un altro forte rumore, poi si affrettò a ritrascinarla nella stanza, dalla quale provenne un gran tramestio frettoloso.
Leo, Don e Raph sospirarono, scuotendo la testa.

Abbiamo tutto il tempo per salutarci, perlomeno!” saltò su Isabel, avvicinandosi per poterli abbracciare.
Il primo fu Splinter.

Mi raccomando, figliola” disse solo, mentre la stringeva. E Isabel ci lesse ben più di un avvertimento in quella singola frase. Annuì con solennità, rimandandogli un sorriso.

Donnie fu il successivo, un abbraccio sentito, eppure stranamente meccanico. Sentì il suo fiato caldo sfiorarle l'orecchio, quando si chinò di più per parlarle.
Approfittane. Sarete da soli, devi dirglielo.”
Conciso. E saggio come suo solito. Una mano le batté sulla schiena in un muto gesto di incoraggiamento e lei inconsciamente strinse più forte la presa, inspirando a fondo. Voleva dirgli che non era un buon momento, che probabilmente era meglio attendere la fine del torneo, ma non poteva senza scoprirsi troppo, senza iniziare una discussione. E il pensiero che probabilmente fosse stato Don ad aver approfittato dell'insistenza di Raphael perché stessero da soli e lei potesse così parlargli, non le sembrò tanto assurdo.

D'altronde glielo aveva detto fin dal primo giorno, che doveva parlarne con lui. Che lui doveva sapere.
Se solo non fosse stato così complesso.

Leo la abbracciò, e come il fratello, anche lui ne approfittò per darle un consiglio.
Stai attenta” soffiò velocemente, prima che lo sguardo attento di Raph potesse accorgersi di qualcosa. E lei non poté in alcun modo rispondergli, ma sperò che il suo sguardo riuscisse a parlare per lei.

Con un gran tramestio, Mikey arrivò e lasciò andare il bagaglio, strappò Isabel dalle sue braccia, dandole forse l'unico abbraccio che non avesse nessun altro significato, se non l'affetto e il desiderio di rivedersi al più presto. Caldo e sincero. Rassicurante.

Leo ne approfittò per avvicinarsi a Raphael, e gli batté una mano sulla spalla in segno di saluto.
Stalle dietro, mi raccomando” mormorò, innocentemente.
Raph sorrise, un sorriso sghembo e furbo. “Non ho bisogno che me lo dica tu.”
Si batterono il pugno, mentre Leo gli rimandava il sorriso, scuotendo la testa.

Il momento dei saluti era finito e i quattro si apprestarono a partire; Leo precedette il gruppo verso il muro tra la porta del rifugio e quella dell'ascensore: con un gesso blu scuro iniziò a disegnare uno strano simbolo sui mattoni gialli, con sicurezza.
Era un cerchio, al cui centro spiccava un quadrato con un punto; in senso orario disegnò quattro frecce che infilzavano il cerchio e che terminavano con quattro simboli differenti; intorno altri sei simboli, tra i quali riconobbe due esagrammi dell'Iching e quattro lettere orientali.1

Una volta finito, Leo fece segno a Donatello, che si avvicinò con in mano un secchio d'acqua presa dal laghetto: la gettò ai piedi del muro, con un gesto fluido. Poi, tutti si misero a mano giunte, come in preghiera, e recitarono una nenia indecifrabile, che risuonò nel silenzio spesso. La pozza d'acqua iniziò a ribollire, e più la nenia proseguiva e si intensificava, e più quella vibrava, finché non si sollevò per magia dal terreno, come dotata di vita propria, e si inerpicò su per il muro, risalendo come un sinuoso serpente d'acqua: virò appena più su del simbolo e come una cascata lo ricoprì, creando un arco perfetto, liquido, che si illuminò ed iniziò a pulsare, in un vortice di colori.

Isabel sentì l'energia magica che emanava, avvolgente e calma, e ne fu estasiata. Quasi fu pentita di non aver accettato l'invito e di non potersi fiondare immediatamente dall'altra parte di quel passaggio, per poter vedere quella dimensione misteriosa e così invitante.

Gli altri invece, si voltarono per salutare con una mano, poi uno ad uno lo attraversarono, inghiottiti dal vortice in un bagliore rosato: quando l'ultimo scomparve nel varco, quello crollò su sé stesso, e l'acqua di cui era composto si sparse sul pavimento, con un gocciolio secco.
Il passaggio era scomparso.

Isabel e Raphael rimasero in silenzio ad ascoltare il suono delle gocce, con gli occhi ancora sul muro che gli altri avevano “attraversato”.
Immagino che tocchi a noi pulire, giusto?” domandò sarcastica Isabel, gettandogli un'occhiata di sbieco.
Raphael incontrò il suo sguardo e sorrise.

Non ci penso nemmeno!”

Allungò le braccia e la tirò su, poggiandosela su una spalla. Isabel prima strillò indignata, poi ridacchiò.
E cosa avresti in mente?”
Oh, molte cose” rispose lui, allontanandosi da lì. “Mangiare assieme, guardare un film assieme, fare il bagno assieme, dormire assieme” iniziò ad elencarle, senza preoccuparsi di abbassare la voce. Era così rilassante non dover rendere conto a nessuno, non doversi trattenere per il quieto vivere.
Ehi! Io devo studiare!” protestò Isabel, tirandogli un colpetto sul piastrone, di ammonimento.

Raph rise e mentre la trasportava in cucina, alzò un attimo il viso per guardarla.
Forse ci sarà del tempo anche per quello!”


Raphael in realtà le lasciò molto tempo per studiare, a dispetto della sua battuta. Per quella prima giornata le concesse tutto il tempo libero, che lei aveva passato nel laboratorio di Don a ripassare con molto impegno. Di lui non aveva avuto molti segni, se non verso l'ora di pranzo quando si era presentato con un bel vassoio colmo di tramezzini per lei, che poi però si era seduto a mangiare assieme, approfittandone per chiacchierare un po'.
Poi era sparito di nuovo.

Solo prima di cena, quando ormai tutte le vene, le arterie e i vasi linfatici non avevano più alcun segreto per lei, era riapparso nel laboratorio, chiedendole di continuare a studiare in cucina. Isabel raccattò in fretta i suoi libri e si diresse un po' dondolante per il peso verso l'altra parte del rifugio, verso la stanza dalla quale usciva un delizioso aroma: lì, trovò Raphael ai fornelli, intento a preparare la cena per entrambi, senza volere il suo aiuto: le chiese di sedere al tavolo della cucina per studiare, così che potessero stare assieme.

Concentrarsi sulle funzioni del pancreas fu piuttosto complesso, perché il suo sguardo si alzava più del dovuto per controllare i movimenti del mutante: era così bello vederlo muoversi a proprio agio in cucina, con naturalezza e serenità, in un clima così famigliare e intimo da far strizzare il cuore di gioia. L'unico momento in cui lo aveva disturbato, era stato quando si era alzata e gli si era avvicinata in punta di piedi, per poi sfilargli la maschera dal viso con un movimento fluido: Raph aveva imprecato per la sorpresa, poi, voltatosi per fronteggiarla si era ritrovato davanti il suo sorriso di scuse e un bacio a stampo.

Era trotterellata al suo posto in fretta, prima che lui potesse reagire, con la sua maschera rossa stretta nella mano; lui di tanto in tanto si voltava a guardarla corrucciato per quel suo agguato, ma Isabel rideva dietro il libro di anatomia, contenta di poter vedere i suoi occhi.
Cenarono assieme, e dopo Raph riuscì a convincerla a guardare un film, stretti nel divano nonostante fosse tutto per loro.

C'era un silenzio innaturale per il rifugio vuoto, ma era un silenzio rassicurante, un silenzio felice, dove i suoni del film che avevano scelto si spargevano con naturalezza, rendendo ogni momento più intimo, mentre loro si coccolavano sul divano.
Era così bello essere solo loro due, godersi una serata così intima da essere nostalgica, come quelle che passavano al villino magico, tanto tempo prima.

Prima di andare a letto, Isabel fece un veloce ripasso di un paio d'ore, e anche in quel caso Raphael non trovò niente da ridire: si era immaginata che volesse passare tutto il tempo con lei, che avrebbe insistito, che l'avrebbe presa in giro per essere una “secchiona”, invece aveva reagito nella maniera completamente opposta. Come il maturo uomo che era le aveva lasciato il suo spazio da dedicare allo studio, consapevole che per lei fosse importante.

Spense le luci al pianterreno e si incamminò verso la scaletta antincendio, era troppo stanca per cercare di saltare direttamente al primo piano, e si diresse verso la stanza di Raphael; un'occhiata all'orologio le disse che era già molto tardi, ma non tanto da trovarlo addormentato.
Invece, quando aprì l'uscio, lui era sdraiato sul letto ancora vestito, ma l'inconfondibile rumore di motosega le disse che sì, era profondamente addormentato.

Ridacchiò sottovoce, chiudendo la porta dietro di sé. Facendo attenzione si avvicinò al letto e sfilò la vestaglia che aveva tenuto per tutto il giorno sul pigiama; stare a casa aveva indubbiamente il vantaggio sulla scelta dell'abbigliamento.

Si distese al suo fianco e sentì il suo corpo irrigidirsi nel sonno, come se l'avesse percepita. Con un sorriso felice, si fece strada tra le sue braccia, sollevando il braccio che teneva appoggiato sul materasso e poggiandosi con cortesia su quello piegato che sosteneva la testa: si tese silenziosamente verso il collo, posando le sue labbra nell'incavo, il suo posto. Il suo rifugio, il suo mondo.

Si lasciò cullare dal suo respiro e dal battito del suo cuore, dal calore della sua mano che la cingeva.
E ogni cosa poteva aspettare.



1: Il simbolo è proprio quello per aprire il portale che compare nella serie 2003. più giù ho messo una foto, nel caso non fossi riuscita a descriverlo per bene.


Note:

Buon giorno!
Sto cercando di essere puntuale, scusate se non sempre mi riesce. Ma ci provo, davvero.

Allora, vi do una rassicurazione, prima che mi linciate: il momento della verità, l'altra verità, non è lontano. Anzi, è vicinissimo. Non vi tedierò ancora, lo giuro!
Sto giocando troppo con i vostri nervi, volevo rassicurarvi.

E poi, Mikey! So che sembra sempre il solito infantile bambinone, ma vi assicuro che vi sorprenderà; dategli fiducia.
Insomma, anche farlo più maturo significa doverlo fare mantenendolo IC, perciò tempo al tempo.

La collana che indossa è un dono del Daimyo per attestare il suo ruolo di campione quando ha dovuto ripetere il match contro il suo sfidante disonesto: in genere al campione viene data una coppa. Mikey aveva anche quella, ma si è rotta quando Karai ha distrutto il rifugio.

Prometto che il prossimo capitolo arriverà in settimana!

Grazie davvero, amo la vostra costanza, il vostro affetto, il vostro sostegno.
Grazie ai preferiti, a chi legge e chi commenta!
Abbracci!


P.s.: MC1119 mi ha mandato un disegno, fatto quando in JTWYA avevo fatto la richiesta! E io lo voglio condividere con voi! Grazie mille per il disegno! Mi piace molto e lo terrò con cura!


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Capitolo 6
*** The harsh truth ***


Le nozioni di medicina si erano affollate nella sua mente per tutta la notte, mischiandosi ai sogni: immagini di sangue che finirono inevitabilmente per trasformarsi in incubi truculenti, pieni di urla e rosso, rosso ovunque. E poi il pianto di un bambino.

Si svegliò di colpo col fiato corto, sollevandosi di scatto sul letto, il corpo ricoperto di sudore. Si voltò mentre prendeva grossi respiri per cercare di calmare il battito impazzito del cuore, ma il posto al suo fianco era vuoto, le lenzuola ancora stropicciate: allungò una mano, tremava addirittura, e la poggiò per percepire la temperatura. Era freddo.
Raphael doveva essersi alzato già da molto.
Invece di preoccuparsene, comunque, ne fu sollevata: sentiva che era meglio che lui non avesse assistito a quel brusco risveglio; portò le gambe al petto e le circondò con le braccia, seppellendo la faccia nel riparo improvvisato. Il suo respiro affannato rimbombava ancora, sottofondo dei suoi pensieri.

Cosa aveva sognato? Perché lo aveva sognato? Ricordava un gran magone, una sensazione di panico e poi dolore, tanto dolore. Troppo dolore.
Una fitta al cuore e alla testa la costrinsero a trattenere il fiato per qualche secondo, e nel silenzio fitto di battiti saltati, sentì il suono ritmato di passi che si avvicinavano; passò velocemente le mani sul viso, tirando via tutte le preoccupazioni, e lo sollevò proprio mentre la porta della camera di apriva: entrò per primo un gran vassoio colmo di pietanze, seguito dal grosso mutante col sorriso imbarazzato, che la guardava colto sul fatto.

Ti sei già svegliata” mormorò un po' deluso Raphael, che evidentemente aveva avuto la mezza idea di farlo lui.
Un piccolo sorriso le stirò le labbra, nel vedere il tenero disappunto sul suo viso.

Se vuoi mi sdraio e faccio finta di dormire” rispose cospiratoria, mentre lui chiudeva la porta con una mano, tenendo lo stracolmo vassoio in equilibrio perfetto con l'altra.
Ma piantala” fu la replica frettolosa, che la fece incredibilmente scoppiare a ridere.

Le sensazioni del sogno svanivano ad ogni suo passo verso di lei, come se la sua sola presenza la facesse sentire tranquilla, al sicuro. In pochi istanti ogni cosa era dimenticata e perfino il ricordo del brusco risveglio si perse nel suo sorriso e nel bacio che le diede sulla fronte, mentre le porgeva il vassoio con galante cortesia.
La sua colazione.”

C'era uno strano miscuglio di piatti tra la colazione americana e quella italiana, -si trattenne davvero dal ridere al vedere la tazza di caffelatte e poi le uova strapazzate col bacon,- eppure era tutto così bello da essere perfetto. C'era anche una candida margherita poggiata al lato, vicino alla sua mano.
Hai usato la mia moka?” domandò curiosa, mentre osservava nella tazza il colore del suo caffelatte.
Raphael storse appena la bocca, mentre si sedeva di fronte a lei, oltre il vassoio poggiato sul letto.

Io quella cosa la odio” ribatté feroce, che comunque corrispondeva ad una risposta positiva.
Isabel assaggiò la bevanda un po' titubante, ma non era così male come aveva pensato all'inizio.

Lei ti odia di più. Da quando hai rischiato di farla esplodere la prima volta che l'hai usata” lo punzecchiò, ridacchiando nella tazza al vedere la sua espressione mezza offesa.

Con una mano prese una generosa forchettata di uova strapazzate e lo imboccò con un sorriso: Raphael fece una smorfia dubbiosa, poi però la lasciò fare e addentò con voracità. E per pareggiare, prese la fetta biscottata alla marmellata di albicocca e la portò alla bocca di lei, che dopo un sorriso imbarazzato, le diede un morso deciso, imbarazzata.
C'era silenzio, mentre si imboccavano a vicenda, sereni, e lui che stranamente rimaneva quieto, godendosi quegli istanti che appartenevano solo a loro, con calma.

Poi il vassoio scomparve, messo da parte dalle mani veloci di Raphael, e l'uomo si sporse per prendere un bacio, dalle sue labbra che ancora sapevano di albicocca; e ben presto il bacio divenne troppo coinvolgente e la distanza tra loro era nulla, compressi uno contro l'altro.
Si staccò solo per tempestare il suo viso di piccoli baci, scendendo giù verso la spalla, col proposito di non lasciare nemmeno un centimetro di pelle intonsa.

Oggi sei mia, tutta mia” ansimò contro il suo collo, strappandole un brivido e una risatina.

No, solo per un po', poi devo tornare a studiare” rispose per le rime, pensando ad un'esagerazione. Ma Raphael non stava scherzando.
Smise di baciarla e si allontanò, e prese la sua mano destra, poggiandosela sul petto. Isabel sentì il battito accelerato del cuore e si sentì avvampare, al pensiero di essere la causa del suo batticuore.

Raphael non era attento alle sue sensazioni, impegnato com'era a prendere qualcosa dalla tasca del pantalone, nervoso come poche volte lo aveva visto; non vide cosa ne tirò fuori, ma si avvicinò alla sua mano ancora poggiata sul suo petto e trafficò attorno al suo polso, le mani enormi che cercavano di legare qualcosa di troppo piccolo, e nel silenzio, l'agitazione crescente non lo aiutava.
Quando ci riuscì, gli spuntò un grande sorriso in volto.

Oggi è solo nostro. Buon anniversario, Isa” dichiarò, prendendo la sua mano e avvicinandola al suo viso per svelarle la sorpresa.

Al polso di Isabel c'era un bracciale di cordini neri intrecciati, in una bellissima trama di nodi decorativi e al centro, due pietre naturali scolpite in forma di tartarughe, i musi a toccarsi in un bacio: una verde e una bianca come il latte.
Isabel continuò a guardare il suo regalo con emozione crescente, ad osservare i giochi di luce sulle due tartarughe, sui decori incisi nella pietra che formavano i loro gusci e i loro tratti.
Ed erano loro due, quelle tartarughe.

Te ne sei ricordato” esalò commossa, stringendo la presa nella sua mano.
Se n'era più che ricordato. Erano settimane che progettava quella giornata nella mente, anche se non avrebbe mai potuto immaginare la fortuna sfacciata che gli era capitata nel poter stare da soli proprio nel giorno del loro anniversario.
Avrebbe eretto una statua per il Daimyo, prima o poi.
Gli occhi splendenti di lei nel guardarlo e nel guardare il bracciale, lo ripagavano di tutte le notti in cui era stato sveglio a pensare a come passare quella giornata, a cosa regalarle, a dispetto della stanchezza che gli allenamenti gli avevano procurato.

C'era un luccichio amorevole nel modo in cui guardava le due tartarughine in pietra che lo fece sorridere.
C'è un vecchio, a Chinatown, che possiede un negozio di gioielli e anticaglie. In passato gli abbiamo fatto un favore e ci conosce per come siamo. Sono andato da lui a cercarti un regalo, volevo che fosse speciale, ma non c'era niente che mi facesse pensare a te, che fosse adatto. Sono rimasto ore lì dentro, per parecchi giorni, col naso attaccato agli espositori.
Così lui mi guarda e dice: 'posso sapere cosa stai cercando?' E io alzo gli occhi e rispondo: 'il regalo di anniversario per la mia ragazza.' Lui scoppia a ridere, quel vecchio sdentato, e non smette per un bel po' e io penso che ci rimarrà secco. Poi si calma e mi chiede: 'tu hai una ragazza?' Non sembra derisorio, solo curioso, così non mi arrabbio, ma rispondo facendo spallucce. Il vecchio si zittisce e sembra rifletterci, poi scompare nel retro del negozio per qualche secondo e torna con questo, tenendolo con cura.”

Raphael smise un attimo di raccontare per osservare bene il bracciale, e passò un dito assorto sulle pietre fredde.

Ha detto che è molto antico e molto prezioso. Sono due giade, una verde e una bianca e hanno molti poteri e molti significati. Ho capito subito che era perfetto per te. Ma quando l'ho preso, ho dovuto comunque dirglielo: 'la mia ragazza non è una tartaruga mutante'. Il vecchio ha riso più forte di prima, mi ha davvero spaventato. E poi col suo sorriso sdentato ha detto: 'non l'ho mai pensato. Ma di certo ha il cuore di una tartaruga. Questo le porterà fortuna'. 1
Ti piace?”

Isabel non aveva parole per esprimere quanto le piacesse e quanto fosse emozionata. La mano nella sua tremava e l'unico modo che aveva per farglielo capire, senza tradire quel tremore nella voce, fu lanciarsi verso di lui e abbracciarlo.
Quello stupido, perfetto e insospettabilmente romantico mutante, che le aveva rubato il cuore.

Ti amo” gli sussurrò all'orecchio, stringendolo forte a sé, in ginocchio sul letto.

Anche io, secchiona. E oggi ho progettato l'intera giornata per noi e non ti lascerò un momento da sola. No, non potrai studiare” la bloccò lui, al vederla staccarsi con una faccia orripilata al solo pensiero.
Non potresti comunque imparare in un giorno solo cose che non sai e se le sai ti basterà un ripasso veloce stasera. Perciò niente libri. Oggi staremo solo tu e io, assieme. Ho detto ai Jones di non farsi vedere e anche allo scricciolo. Gli ho anche dato Klunk in affido” rivelò con un sorriso furbo nel vedere il luccichio di comprensione negli occhi di lei.

Poi Isabel sorrise, vinta da tutta la sua orchestrazione.
E il bacio di prima riprese esattamente dove si era interrotto, con la stessa passione. Le labbra facevano male nel mordersi e baciarsi, ma era un dolore dolce, era un dolore paradisiaco.

Aspetta, devo darti il mio regalo” riuscì a dirgli in un momento in cui dovettero per forza lasciarsi per riprendere fiato, con disappunto. Ma Raphael non la lasciò andare.

Con un gesto delicato la spinse con la schiena contro il letto e si sdraiò al suo fianco.
Non c'è fretta. Ho già tutto quello che voglio” le mormorò all'orecchio, prima di morderlo.
Isabel strillò e poi rise e con un colpo di gambe si portò sopra di lui, chinandosi poi a baciarlo.
Le parole non erano più necessarie. I baci, le carezze, gli sguardi, avrebbero detto il resto.


L'anniversario fu più di come si fosse immaginata. Forse perché in realtà non si era aspettata niente.
Raphael era stato molto impegnato e credeva che se ne fosse anche dimenticato, e comunque nella più rosea delle sue aspettative, si era immaginata un'uscita notturna per i tetti di New York. E quello c'era in effetti stato, a notte fonda, ma era stata solo la coronazione di una giornata perfetta.

Raphael si era davvero impegnato. Il rifugio, tanto per iniziare, era completamente trasformato: addobbato con piante e fiori presi da chissà dove, aveva preso l'aspetto di una giungla profumata.
All'inizio ne rimase così sorpresa da farle quasi male alla testa, ma poi si accorse di come ogni cosa fosse messa in una precisa coreografia, che creava un ambiente rassicurante e intimo. Non sembrava nemmeno più il rifugio, ma quasi di stare all'aperto.
Era stupita di ogni dettaglio che Raph aveva pensato e si chiese se non ci fosse lo zampino di April, qua e là. I petali di rosa per terra per esempio, quello le sembrava decisamente qualcosa che solo un'altra donna poteva pensare.

E il percorso floreale l'aveva portata al laghetto, sulla superficie del quale galleggiavano fiori di loto nelle loro verdi foglie carnose e candele accese.
E Raphael aveva preparato una sorta di picnic sul ponticello, e lì l'attese con un sorriso.
Ogni cosa in quella giornata fu perfetta. Il loro picnic, le chiacchiere, un film e le risate libere e l'intimità e i gemiti che nessuno dei due dovette trattenere, perché c'erano loro, solo loro.
La notte, seduti a guardare il cielo sul cornicione di un alto grattacielo, entrambi si ritrovarono a pensare che quella giornata era stata troppo corta, ma non lo dissero. Il pensiero che già l'indomani, dopo l'esame di lei, dovessero raggiungere gli altri e dire addio a quella dolce privacy che avevano assaporato troppo poco, li rendeva un po' tristi.

Perciò accantonarono ogni altra cosa che non fosse il godersi la reciproca compagnia e parlare di cose frivole, di cosa probabilmente stessero facendo gli altri in quel momento e di quanto Mikey stesse sicuramente pavoneggiandosi con chiunque.
Sotto un cielo stellato e una luna crescente, nella prima notte di Autunno, non era il tempo per parlare di altro.



Quando l'indomani Isabel si svegliò, lo fece di soprassalto come il giorno prima. Ed ebbe l'impressione che forse il sogno fatto potesse essere lo stesso, ma non riusciva a ricordarlo con precisione. Era solo la sensazione di dolore, che ricordava.
Che fosse per l'ansia dell'esame, che si sentiva così pressata? O per tutte le cose che ancora teneva dentro e la stavano logorando, pian piano?

Il braccio che la cingeva, però, il giorno prima non c'era. Si voltò ancora con il magone e incontrò gli occhi scuri di Raphael che la osservavano con sorpresa e un po' di sonno infranto.
Hai fatto un brutto sogno?” le chiese con la voce impastata, tirandola di nuovo giù e stringendosela contro.
Isabel poggiò le labbra sul suo collo e inspirando il suo odore, che le ricordava l'autunno, a poco a poco si calmò.

Non lo so. Non me lo ricordo” confessò, chiudendo gli occhi.
Ed era vero. Anche sforzandosi le uniche cose che ricordava erano enormi foglie verdi, sangue e un pianto. Smise di provarci quando si accorse che le veniva mal di testa e nausea, che non facevano che accrescere il fastidio.

Sei nervosa per l'esame?” domandò la voce roca di lui, che lei sentiva rimbombare nel suo petto.
Scosse la testa per negare, ma uno starnuto di lui per i suoi capelli che lo solleticavano la fecero smettere, con un sorriso.
Poi Raph sospirò. O forse sbadigliò.

Adesso facciamo colazione e ti sentirai meglio.”

A dispetto del suo proposito, però, non si mosse per alzarsi. Anzi, l'abbracciò più forte, passandole una mano sulla schiena distrattamente.
Passarono interi minuti di silenzio, scanditi solo dai respiri sereni.

Non ho voglia di alzarmi” confessò il mutante alla fine, anche se era ben ovvio.
Nemmeno io” lo rincuorò Isabel, accoccolandosi di più.

Perché dopo colazione tu andrai a fare l'esame, e io verrò a prenderti alla fine e andremo dagli altri. E vuol dire che è tutto finito” rivelò lui, con un tono di voce che Isabel definì nella mente imbronciato. Ma non lo disse, sorrise e basta.
Ed era d'accordo col sentimento che provava.
Se ne stette lì ad abbracciarlo, come riprova. E forse si sarebbe addormentata cullata dal battito del suo cuore e dalla dolcezza della sua affermazione, se lui non avesse continuato, dopo qualche istante:

Se solo potessimo vivere da soli.”

Spalancò gli occhi. Era stato poco più che un sussurro, un sospiro innocente rubato ad una fantasia momentanea. Ma era una porta aperta verso un altro mondo, per lei.
Cosa?” chiese incerta, scostandosi un po' per poterlo guardare in viso.
Raphael sembrò sorpreso della sua reazione.

Ho detto che non sarebbe male se potessimo vivere assieme” ripeté, solo lievemente in imbarazzo; perché gli occhi di lei lo guardavano mentre lo diceva ed erano lucidi di meraviglia.

Io e te? Da soli? Dici sul serio?”
Sì, lo so che non è possibile, ma sarebbe un sogno! Mi mancherebbero gli altri, sarebbe… strano, ma ti confesso che l'ho sognato. Essere padroni dei nostri spazi, non doversi nascondere per darci un bacio e tu non dovresti più sgattaiolare di nascosto nella mia camera… avremmo una camera nostra e...” si interruppe arrossendo vistosamente nel vedere il sorriso sul volto di lei. Forse pensava che lo stesse prendendo in giro.
Lascia perdere. Era solo una fantasia” chiuse scocciato, forse in imbarazzo per ciò che aveva ammesso. La lasciò andare freddamente e si voltò di schiena, ignorandola.

No! No io… c'è il villino. La magia è sempre attiva. Non ho più avuto il coraggio di andare a vederlo, ma… è sempre lì. Probabilmente bisognerà ricostruirlo da zero, ma sarebbe nascosto agli occhi degli altri e per noi sarebbe perfetto” spiegò Isabel, sollevandosi sulle braccia per poter scorgere almeno un po' le sue espressioni, via via che capiva cosa lei volesse dire.

Raphael si alzò a sedere di scatto e si voltò nello stesso momento dalla sua parte. Gli occhi splendevano.
Il villino. Non ci aveva più pensato. Nemmeno lui c'era più andato, sebbene Isabel gli avesse detto che con la collana degli amanti al collo anche lui poteva entrarci senza problemi. Era rimasto come in stand by, il villino, nella sua mente. Fermo al tempo in cui si erano conosciuti e innamorati; e poi era stato distrutto come le sue convinzioni su quell'amore, quella notte infame.
Quando ancora non sapeva troppe cose, di lei.

Vivere al villino con Isabel sarebbe stato magnifico. Anche troppo bello per poter essere immaginato.
Stai parlando sul serio? Se mettessimo a posto il villino… tu vorresti vivere assieme a me?” domandò trattenendo la frenesia fino al momento in cui lei non avesse risposto affermativamente.
Isabel annuì con le guance rosse di emozione, con un sorriso splendido.

Le sue mani si tesero a cercarla, a cercare le sue.
Ci vorrà del tempo. Ma appena finito il torneo possiamo chiedere a Don di fare il progetto e chiedere a Casey una mano. Anche gli altri si metteranno in mezzo, vedrai. E Mikey cercherebbe di farsi fare una camera per sé, per venire ad importunarci!”
Isabel rise del suo entusiasmo. Era così bello vederlo infervorato per quel progetto. Un loro progetto, per il loro futuro.

Lui l'abbracciò, ridendo con lei.
Vivere assieme. Non lo avrei mai immaginato” sospirò felice contro la sua fronte.
Forse, un giorno, potremo anche allargare la famiglia, fare dei figli” continuò, nel suo mondo di sogno. Lo aveva detto con un tono così bramoso e innocente, da gonfiare il cuore.
E fu quello, il momento in cui quello di Isabel si fermò. E non era sicura che avesse poi ripreso a battere, nei momenti seguenti in cui deglutiva a vuoto il suo magone, trattenendo i tremori.

Era arrivato il momento. Perché quella era l'occasione che aspettava da settimane e che avrebbe dovuto creare lei stessa in quei giorni di solitudine, come le aveva detto Don; e invece le si era presentata da sola, su un piatto da argento, e lasciarla scappare avrebbe voluto dire dover affrontare la questione più avanti, con più fatica.
Ma non avrebbe mai creduto che si presentasse in quel momento di sogni e progetti, rendendo tutto solo più difficile.

Raffaello” esalò con sforzo immane.
E lui si accorse della sua voce seria, e la lasciò andare.
Solo che guardare nei suoi occhi ignari e preoccupati, fu anche peggio. Strinse le mani sui suoi avambracci, cercando la forza.

Noi… non possiamo avere figli” svelò, infine, lasciando andare ogni parola con difficoltà.

E lo sguardo di Raphael si adombrò sempre più, ad assorbire ognuna di quelle parole.
Come...?” riuscì a chiedere inebetito, mentre la verità si faceva strada infine nella sua mente.
I nostri cromosomi non sono compatibili. C'è una differenza minima, che non permette di formare un feto. Un bambino. Abbiamo fatto centinaia di test, te lo assicuro, ma...”
Abbiamo?” domandò ancora in trance, poi capì all'istante. Donnie. Certo, come non sospettare che lui lo sapesse.
Da quanto lo sapevate, tu e Don?”

Sembrava calmo mentre lo chiedeva. Anche troppo in effetti. Ma il magone che la attanagliava non si affievolì e sembrò solo crescere di intensità, ad ogni verità svelata, finalmente.
Perché lei lo sapeva, lo sentiva, il desiderio nascosto di Raphael di avere dei figli. Di essere padre. E sentiva che non era giusto che gli fosse negato. Si sentiva come se fosse colpa sua e una violenta emicrania la scuoteva, per punirla.

Quasi due mesi. Quando ho iniziato a sospettare che April fosse incinta, quella domanda che non ci siamo mai fatti è spuntata fuori: possono umani e mutanti avere figli? E… no, non possiamo.”
Vederlo così statico, senza reazioni, era peggio che fronteggiare un suo scatto d'ira.

Ma lui si sentiva freddamente calmo. Al pensiero che qualcosa si stesse sgretolando dentro di sé.
Aveva sempre sospettato che lui e i suoi fratelli non potessero avere figli. Non avevano mai avuto le compagne adatte, per cominciare, e con le umane c'era la differenza di base che perfino lui riusciva a capire. Eppure ci aveva sperato. Nel profondo, ci aveva sempre sperato.
E quando lei era apparsa e aveva rivoltato la sua vita come un calzino, la speranza era accresciuta. Lei l'aveva nutrita col suo amore e l'idea di avere un figlio che avesse quegli occhi scuri e quel sorriso, lo aveva tenuto sveglio per molte notti.

Invece era tutto vano.
Non sarebbe mai successo. Non sarebbe mai successo e non era colpa di Isabel, ma il pensiero che lei lo sapesse da così tanto un po' lo ferì.
E vederla lì immobile ad aspettare una sua reazione, con gli occhi timorosi e lucidi, lo rendeva solo più furioso.

E non me lo hai detto perché credevi che sarei impazzito? Che avrei pianto?” la aggredì, allontanandosi da lei e scostando il lenzuolo da dosso. In un istante fu in piedi, a camminare avanti e indietro stringendo i pugni, con profondi respiri per cercare di calmarsi.
Stavo cercando il momento giusto! Pensavo che durante l'allenamento per il torneo non fosse...” cercò di spiegarsi lei, ma lui si sentiva troppo arrabbiato per percepire la sincerità delle sue parole. Arrabbiato perché gli era stato strappato un sogno e reagire con la rabbia era meglio che affrontare la delusione.
Sono scuse, Isabel. Stavi cercando ancora una volta di scappare dai problemi. Dalla responsabilità!” la bloccò, dicendo cose che non pensava davvero. Prendersela con lei sembrava così semplice.

Anche Isabel si era alzata e lo fronteggiava col viso paonazzo per la sua reazione, il letto a dividerli.
Ah, no! Non mettermi più a paragone con ciò che ero! Non riuscivo a dirtelo perché non volevo rompere i tuoi sogni, Raffaello! I nostri. Perché io lo so che desideri un figlio! E non potertelo dare mi rende...”
Lo vide alzare una mano per interromperla, e l'espressione del suo viso trasmetteva dolore e una presa di coscienza.

No, cazzate. Non c'è niente che non vada in te. Sono io il problema. Se tu volessi potresti benissimo avere tutti i figli che desideri, no?”
Era lui quello sbagliato. Era lui quello difettoso. Il mostro.

Se l'avesse schiaffeggiata le avrebbe fatto meno male, sicuramente. E ormai la furia si era impadronita anche di lei, perciò alzare la voce era diventato un bisogno per cercare di farla uscire.
E cosa vorrebbe dire? Che dovrei uscire da qui e andare col primo che passa e farmi mettere incinta? Che dovrei lasciarti e mettermi con un umano e fare figli per essere felice? Non ricominciare con queste stronzate, Raffaello! Mentirei se ti dicessi che non voglio dei bambini, ma io desidero avere i nostri figli. Portare in grembo i tuoi figli e crescerli e nutrirli e amarli. I tuoi. I nostri. Di nessun altro, con nessun altro.”

Non le importava se aveva gli occhi umidi di lacrime e lui poteva benissimo vederli e se tremava di indignazione ed emozione repressa.
Non gli avrebbe permesso di lasciarla di nuovo per le sue stupide idee sul saperla felice con un essere umano e con dei figli. Non voleva niente del genere, se non era con lui.

Raphael sembrò quasi cedere. Lo vide vacillare alle sue parole dette col cuore, all'amore che trasmettevano. Sarebbe bastato separare la distanza che quel letto metteva tra loro e abbracciarsi e cercare conforto per quel dolore l'uno nelle braccia dell'altro. Insieme non c'era nulla che non potessero superare.
Ma lui si allontanò invece all'indietro, aumentando quella distanza.

Io voglio restare un po' da solo” mormorò. E non attese nessuna risposta, ma si diresse alla porta velocemente e una volta aperta, sparì dietro di essa, uscendo dalla stanza e dal rifugio.

Isabel rimase immobile a fissare l'uscio. Corrergli dietro sarebbe stato semplice, ma avrebbe portato solo ad altre urla e altri rimproveri.
Si lasciò andare sul letto senza forza, e dopo aver rotolato sulla schiena osservò il soffitto senza vederlo poi davvero. Nel giro di un'ora avrebbe dovuto sostenere un esame importante e lei aveva solo voglia di raggomitolarsi nella coperta e smettere di pensare e cedere alla paura.
Ma non lo avrebbe fatto. Si alzò controvoglia e si preparò, saltando la colazione; la sola idea di mangiare la nauseava.

E nel tragitto verso l'università, e quando si presentò alla classe designata, e perfino mentre svolgeva il test nel silenzio generale insieme agli altri centoventi studenti, il pensiero di Raphael non l'abbandonò un attimo. Dove potesse essere e cosa stesse facendo.
Aveva paura che volesse allontanarla ancora, che cercasse di convincerla a lasciarlo per farsi una famiglia altrove. Perché era sicura che avesse di nuovo ceduto ai dubbi, con quella nuova rivelazione. E che si stesse dannando per non essere capace di creare con lei una famiglia.

Le due tartarughe di pietra del bracciale scintillavano ogni volta che muoveva la mano sul foglio, gettando giù le risposte.
Non seppe cosa avesse scritto, se aveva poi davvero risposto correttamente alle ottantacinque domande del test; ricordava solo le parole confuse che ballavano davanti ai suoi occhi e la penna che scriveva e grattava rumorosamente, ma non era certa che fosse stata poi lei a manovrarla.
Firmò in calce e consegnò i fogli, al primo richiamo del docente. Poi uscì in fretta, senza aspettare un paio di sue amiche che l'avrebbero riempita di domande su come fosse andato l'esame, perché non aveva proprio voglia di far finta di voler chiacchierare.

L'aria stava diventando più frizzante e lei non aveva con sé nemmeno un giubbino. Si passò le mani sulle braccia per scaldarsi, con frenesia. Al primo vicolo cieco disponibile, virò all'interno senza attirare l'attenzione, guardandosi poi alle spalle e in alto per controllare che non ci fosse nessuno.
Un paio di balzi e raggiunse la scala antincendio, che scalò poi con maestria fino a raggiungere il tetto.
Lui doveva essere da qualche parte. Doveva andare a prenderla e portarla al Nexus. Non poteva essere scomparso ed essersene dimenticato. Attese, anche se lì in alto il freddo era più intenso.
Rimase ad attendere, per molto.

Seduta su un cornicione riparato da una cisterna d'acqua, guardava un pezzo di città dall'alto, quella visibile nel recinto di grattacieli che le bloccavano l'orizzonte: una fetta di caos e viavai, e file di macchine da non vederne la fine, che camminavano lentamente, tanto da farle chiedere se non sarebbe stato meglio, per i passeggeri, scendere direttamente e continuare a piedi; nei marciapiedi il solito traffico variopinto di gente dalle più varie etnie, mescolate assieme in una o nell'altra direzione, pochi quelli che si fermavano a dare un'occhiata distratta alle vetrine, troppo presi dalla meta che dovevano raggiungere.

Si lasciò trasportare con la mente nelle loro faccende. Ne seguì uno con gli occhi che trotterellava nervoso con un mazzo di fiori in mazzo, che cercava di tenere al riparo dagli scossoni e i colpi della folla; forse stava andando dalla persona che amava o forse al compleanno di sua madre, ma non avrebbe potuto mai scoprirlo, perché sparì inghiottito dalla gente e poi lontano, dietro un palazzo che le bloccava la visuale.
Ci rimase un po' male, ma poi gli occhi catturarono una bambina che con il monopattino rosa sfrecciava al lato del marciapiede, incurante dei molti piedi che pestava e degli improperi che riceveva, e rideva.
Una bambina d'acciaio, senza dubbio. Una bambina col carattere di Raphael, sprezzante e coraggiosa.

Sospirò.
Perché non potevano avere figli? Perché un uomo come lui, nato per fare il padre, che avrebbe dato infinito amore alla sua creatura e l'avrebbe protetta da tutto e tutti, perché lui non poteva avere quella gioia? Non era giusto. E la vita era stata già troppo ingiusta con lui.

Ehi” sentì una voce chiamare, che la strappò dalle sue riflessioni con forza.
Non aveva percepito la sua presenza.
Voltò il capo e lo vide, immobile alle sue spalle, che la guardava. E non sapeva cosa dire. Il sollievo di vederlo l'aveva lasciata spiazzata.

Raphael sembrava teso quanto lei e forse non era solo per le accuse che le aveva rivolto nella sua rabbia e delusione.
Andiamo, è tardi” esalò, tendendole la mano.

La prese, per tirarsi su, ma poi non la lasciò andare e lo costrinse a camminare al suo passo, a sentire il calore del suo tocco. Solo un passo indietro, ma connessa con quel contatto. E lui non cercò di scostarsi.
Non dissero niente mentre camminavano sui tetti. E Isabel non sapeva come tutto si sarebbe risolto se non ne avessero parlato; ma di certo una volta nel Nexus, non avrebbero avuto la tranquillità e l'intimità necessaria per poter parlare.
Raphael la stava guidando verso due giorni di tensione, circondati dal resto della famiglia e sconosciuti che avrebbero riempito ogni istante, senza lasciarli da soli.

Solo dopo un po' si accorse che stavano camminando da troppo e che avevano già sorpassato tre vicoli adatti per aprire il portale per la dimensione parallela.
Dove la stava portando?
Si lasciò condurre, curiosa, ma non ci volle molto per capire. Quel quartiere lo conosceva come le sue tasche, per tutte le volte che lo aveva percorso nel poco tempo di libertà, con Shadow alle calcagna.

E rivedere quella porta bruciata, quando scesero infine dai tetti, le diede un tuffo al cuore.
L'entrata del villino. La maniglia era arrugginita e il legno nero e spaccato.
E non sapeva cosa potesse esserci dall'altra parte e aveva una gran paura di scoprirlo.

Raphael si voltò a guardarla e strinse più forte la presa nella mano nel vedere lo scintillio di timore nei suoi occhi.
Ho chiamato Don e gli ho detto di trovare una scusa per noi, perché non li raggiungeremo. In fondo me ne doveva una” le raccontò, forse perché aveva capito che lei si stesse facendo mille domande.
Vieni” sussurrò convincente, appoggiando la mano sulla maniglia.

Un passo. Fu necessario un solo passo, e un battito perduto.
Verde. Fu verde, la prima cosa che si parò davanti agli occhi. Così rigoglioso e lussureggiante da lasciare spiazzati: l'erba era altissima e c'erano parecchi fiori gialli e rossi tra il verde, che creava una specie di barriera. Il giardino, dopo l'incendio, era rinato più florido di prima.

Raphael fece da apripista, scostando l'erba ai lati col braccio e creando una breccia col corpo massiccio.
Si fermarono davanti alla casa e il dolore la colpì, così come aveva pensato. Il piano superiore non c'era più, solo alcuni spuntoni di travi carbonizzate che indicavano che c'era stato, in passato, un continuo verso l'alto. Il piano terra era più integro, violentemente percorso da striature nere che si erano mangiate porzioni di muri; ma sembrava essersi conservato meglio e forse, dentro, qualcosa poteva essersi salvato.

Raphael tese una mano e iniziò ad indicare.
Al piano terra metteremo la cucina e la sala, forse identici a come erano prima, mi piacevano quelle vetrate enormi” dichiarò con sicurezza. Isabel si voltò a guardarlo con gli occhi spalancati, ma lui era attento a quello che stava spiegando e non la notò.

Potremmo fare anche uno studio per te e tutti i tuoi libri, e una palestra anche piccola per permettermi di allenarmi. Al piano superiore le stanze da letto, una grande per noi e poi un paio per gli ospiti, sono sicuro che ne avremmo più spesso di quanto vogliamo. E i bagni, uno per piano, forse anche due al piano di sopra, perché uno mi piacerebbe metterlo adiacente alla stanza da letto, con una vasca enorme.
Fuori una bella veranda per le sere estive in cui daremo le cene per quei rompiscatole numerosi e rumorosi e il gazebo dove potrai sederti a leggere nelle sere, avvolta nella tua coperta.”

Si fermò e si girò a guardarla.
E potrai adottare tutti gli animali che vuoi, cani, gatti, anche scimmie e tartarughe se ti va, ti prometto che terrò il giardino sempre in ordine” concluse, allungando la mano libera per asciugarle la lacrima che era scappata.

Era tutto risolto. Quella era la risposta di Raphael, l'unica che non si era aspettata.
Si gettò tra le sue braccia, e lo strinse con foga e commozione, poggiando la fronte sul suo petto.
Avrebbero costruito il villino e vissuto assieme. Un progetto per tutta la vita. E non era importante la mancanza di figli, perché entrambi si bastavano, erano tutto ciò che desiderassero.



1: il vecchio è un cinese che ha dato un anello magico a Casey quando ne cercava uno per April per la proposta, con delle inattese conseguenze. Settima stagione “back to the sewer” episodio quattro “the engagement ring”.



Note:

Salve!
Sono abbastanza in tempo, questa volta. Ho ritardato solo di un giorno, perché internet non voleva collaborare. Scusate!

Allora: eccola, la verità. La dura verità, come dice il titolo. Umani e mutanti non possono avere figli e la cosa è dolorosa per entrambi. C'è quasi da sperare che Don si sia sbagliato, vero? Fanno una tenerezza questi due, soprattutto Raph che ne avrebbe voluti tanti.
Ma assieme possono davvero tutto!

Presto arriveranno i capitoli del Nexus e tra mille combattimenti questi momenti di introspezione penserete di esserveli sognati; ma prima c'è ancora una piccola parentesi.

Grazie con l'inchino per leggere, seguire, preferire e commentare la storia! Una gioia continua! Vi adoro!
Buone feste, a presto!

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Capitolo 7
*** Joi-lousy ***


Fare progetti per la nuova casa per due giorni interi fu paradisiaco, con mille disegni improponibili in cui ognuno di loro cercava di fare capire all'altro la disposizione delle camere e come le avrebbe volute arredare, tra risate e abbracci, baci e litigi.

Meno bello fu riaccogliere a casa il resto della famiglia al termine della vacanza, e sostenere lo sguardo del sensei che li avrebbe fulminati all'istante se solo ne avesse avuto la possibilità.
Nonostante la furia che si poteva leggere nei suoi occhi, comunque, il saggio genitore rimase quieto e si informò su come stessero con cortesia, prima di richiamare Isabel nella stanza da meditazione per poter parlare in privato.
La ragazza captò di sfuggita lo sguardo preoccupato di Raphael, che probabilmente pensava volesse sgridarla per non essere andati al Nexus, e si affrettò a fargli un cenno per rassicurarlo, prima che decidesse di intervenire e prendersi responsabilità che non aveva.
Era quasi certa di cosa volesse parlare Splinter.

Si divincolò con garbo dall'abbraccio affettuoso di Mikey e seguì il sensei, evitando gli sguardi di Leo e Donnie, curiosi per due motivi differenti, entrambi detentori di due segreti differenti.
Oltrepassò il dojo e si infilò nella stanzetta zen subito dopo Splinter, chiudendo la porta alle sue spalle. Il maestro la invitò a sedersi sui cuscini con un gesto della mano e fece lo stesso, con studiata calma.

Avevi promesso che saresti venuta al Nexus, Isabel” pronunciò dopo interminabili attimi in cui si era limitato a fissarla, per fiaccare ogni sua difesa.
Non che ce ne fosse bisogno: lei si sentiva già in colpa per aver infranto la promessa. Aveva fatto il diavolo a quattro e promesso che se l'avesse lasciata a casa per l'esame, poi li avrebbe raggiunti immediatamente; e invece si era rimangiata la sua parola, anche se il motivo per cui lo aveva fatto non glielo faceva rimpiangere poi molto.
Ma si meritava quel rimprovero, perciò piego il capo in contrizione.

Mi dispiace, sensei. Sono sorti dei problemi e...”
Eri in pericolo?” la interruppe la voce preoccupata dell'anziano, e il cuore si strinse in una morsa, un po' più colpevole.
No! No, sto bene, non è successo nulla. Ma io e Raphael dovevamo sistemare una faccenda importante ed è venuta fuori proprio adesso. Se avessi lasciato perdere, le cose tra noi avrebbero potuto deteriorarsi irreparabilmente” spiegò concitata, arrossendo suo malgrado.

Non voleva che il sensei fraintendesse, che potesse pensare che fosse stato un semplice litigio tra innamorati o peggio ancora una scusa per poter passare del tempo da soli: loro due stavano costruendo assieme le basi per il loro futuro e dovevano stare attenti che fin dall'inizio fossero stabili e forti o tutto sarebbe crollato, un giorno.

Splinter la osservò negli occhi, scavando in profondità mentre lei parlava, come a voler leggere la verità; poi stette in silenzio mentre si carezzava il pizzetto, ma continuando a fissarla.
E quando sei uscita, ti sei sentita ancora seguita?” chiese quindi, lasciando perdere l'argomento precedente, cosicché lei intuì che le avesse creduto.

Ci pensò su un attimo, perché era una cosa che le era completamente passata di testa, tra tutti gli avvenimenti recenti. Ma poi, ragionò, lei era rimasta all'aperto e scoperta per ore, quando aveva atteso Raphael sul tetto del palazzo dopo l'esame e non aveva percepito nulla, nemmeno un piccolo segno di malizia o di quell'ansia del sentire uno sguardo su di sé.
Allora non vi aveva fatto caso, presa dai pensieri di Raphael e del loro litigio, tanto da dimenticarsi che si era sentita seguita e che avrebbe in realtà dovuto stare nascosta; ma ragionandoci a mente fredda si accorse che non c'era stata alcuna minaccia.

Niente. Era rimasta visibile come un bersaglio e non aveva percepito niente.
No, non ho avvertito nulla. È stato tutto tranquillo” rivelò quasi un po' sorpresa.

Gli occhi del maestro, invece, scintillarono di trionfo. E dato che lei non aveva il coraggio di chiedergli a cosa fosse dovuto, forse sarebbe rimasta col dubbio, se proprio il sensei non avesse aperto bocca per spiegarle, tranquillamente.
Io e Leonardo ci stavamo chiedendo se potesse essere possibile che la sensazione di essere seguita non fosse un sintomo di qualche stress. Leonardo ti ha pedinata per molto tempo, ma non ha mai sentito niente o visto qualcuno, perciò forse questo qualcuno non è mai esistito.”

Isabel rimase attonita ad ascoltare, mentre il cervello lavorava.
Di certo di problemi ne aveva avuti parecchi in quell'ultimo periodo ed era stata molto stressata, ma così tanto da immaginarsi addirittura le cose? Una sensazione così angosciante come quella di essere tenuta d'occhio come una cavia da laboratorio, come una preda, poteva essersela soltanto immaginata?
Il cuore le diceva di no, che non aveva sbagliato, che era troppo abituata a quella percezione per poterla confondere con qualcos'altro, ma la mente e la ragione, oltre alle parole sensate di Splinter, le dicevano che sì, non era affatto strano che potesse essersi sbagliata, a causa del forte stress.

In fondo, non poteva essere che quel giorno che attendeva Raphael non avesse sentito nulla, perché si era liberata di un peso enorme dall'anima nell'avergli finalmente rivelato quel segreto sui figli?
Credo che tu abbia ragione, credo che fosse solo la mia immaginazione. Avevo molti pensieri per la testa, ultimamente” confessò allora, anche se incerta, in imbarazzo per il pensiero di poter aver alzato un polverone per nulla, allarmando anche loro.
Se tu stai bene, io sono felice. È valsa la pena di darti aiuto, se ne sentivi il bisogno, che fosse reale o meno” la consolò lui, intuendo i suoi pensieri.

Desideri che Leonardo continui a seguirti, per sicurezza? Forse sarebbe meglio, per essere completamente certi” incalzò, come a volerle far capire che non c'era nulla di male nel dubitare di una percezione.
Isabel scosse la testa con foga, negando con tutte le sue forze.

No, no. Per una settimana non ho lezioni, in attesa che correggano i test, perciò uscirò solo per poco, per andare a trovare April e Angel o per fare un po' di spesa. Non c'è nessun bisogno!”

Sorrise rincuorata. Lui aveva di certo ragione, perciò sarebbe potuta uscire finalmente da sola senza creare alcun fastidio a Leonardo e senza nascondere nulla a Raphael.
Sì, si sentiva decisamente meglio.
Splinter sembrò confortato nel vederla così positiva e tranquilla e sorrise anche lui.

Quando Isabel uscì dal dojo, lasciando il sensei nella stanzetta a meditare un po' in santa pace, dopo giorni in cui non aveva avuto molti momenti liberi, trovò quattro tartarughe mutanti che l'attendevano, senza provare nemmeno a fare finta del contrario.
Mi ha rimproverato un pochino perché non siamo andati al Nexus” confidò con un sorrisetto, guardando soprattutto Raphael che le fece un occhiolino di rimando.

C'era Donnie a destra, nel cui sguardo poteva leggere un velo di curiosità per sapere se lei avesse parlato con Raphael e gli avesse detto del problema dei cromosomi, e Leo a sinistra, che moriva per sapere se c'erano stati ancora sensazioni di essere seguita e se non fosse per quello che non li avevano raggiunti. Ma entrambi non volevano fare domande che avrebbero potuto scatenare una guerra se quei segreti fossero venuti fuori e qualcuno non ne fosse al corrente.

Mikey, nel mezzo, con un gran sorrisone furbo, esclamò:
Perché voi due non siete venuti? Ne avete approfittato perché eravate da soli, ammettetelo!”
Isabel arrossì e rise, mentre il nostalgico rumore dello scapaccione di Raphael contro la testa del fratello riecheggiava nel rifugio, seguito dal suo lamento.

Bentornati a casa” disse la donna, ridacchiando davanti alle loro facce sorprese.
Di certo vivere insieme a Raph sarebbe stato meraviglioso, ma le sarebbero mancati quei momenti familiari con gli Hamato al completo.



Nei giorni seguenti, le sessioni di allenamento si modificarono come aveva preannunciato il sensei prima della partenza: allenamenti mattutini, con sparring a coppie per non perdere la forma fisica, e meditazione alla sera, a volte individuale ed altre in gruppo, per fortificare anche lo spirito in vista del torneo.

Era di certo una preparazione più leggera, eppure la tensione andava via via crescendo, man mano che il giorno del torneo si avvicinava, si poteva leggere negli atteggiamenti che i quattro avevano nei loro momenti di svago: Donnie leggeva per ore la stessa pagina di un libro, senza girare mai e i suoi occhi andavano da destra a sinistra e viceversa, ma non scendevano mai; Michelangelo giocava ai videogiochi, ma dopo due minuti perdeva la vita, finendo in game over dopo nemmeno cinque minuti di gioco, continuando a riavviare e sbuffare per ore, senza avanzare di un livello; Leonardo affilava e puliva le Katana con meticolosità e ossessione, perché non si potevano di certo rendere più affilate e lucide di quanto non ci fosse riuscito alla seconda passata, eppure continuava imperterrito, con lo sguardo vitreo come se non le vedesse davvero; Raphael, infine, si sfogava con ciò che era decisamente il suo passatempo preferito: prendere a pungi il sacco da boxe. Ore dopo ore, l'unico suo svago era colpire quel povero sacco logoro e consunto dai suoi colpi, fino a che i muscoli non dolevano e le nocche si sbucciavano.

Isabel li osservava impotente insieme al sensei, chiedendosi come dovesse fare. La meditazione serviva anche a sconfiggere l'ansia pre torneo, ma era ovvio che non stesse funzionando a dovere: c'era una competizione tale in casa, con un campione in carica, uno del passato e due sfidanti che volevano quel titolo, che perfino mangiare era diventato stancante, con la pressione guerriera che i quattro emanavano.

Avrebbe voluto fare qualcosa per distrarli, ma non sapeva cosa. Solo per Raphael, alla fine, poteva essere una buona distrazione: la sera, a letto, riusciva a fargli dimenticare l'ansia, semplicemente abbracciandolo e parlandogli del loro progetto. Gli parlava di quante stanze avrebbero avuto al pianterreno, della sua palestra personale dove avrebbero messo il suo fidato sacco da boxe e della cucina spaziosa che aveva in mente, o della sala da pranzo enorme, per poter dare delle belle cene in famiglia. Raphael ascoltava attento, annuendo silenziosamente quando si trovava d'accordo o intervenendo quando lei esagerava nelle descrizioni, come quando gli disse che voleva una giraffa in giardino. La riprendeva per le sue idee folli e le suggeriva una modifica qui e là, mentre lei sorrideva per essere riuscita nel suo intento di distrarlo.

Quello per il momento era il loro progetto, il loro segreto, da custodire tra le pareti della camera e le coperte del letto; ne avrebbero parlato anche agli altri, dopo il torneo. Ma per adesso era solo loro, da nutrire e cullare assieme, come una loro creatura.


A meno di due giorni dal torneo, la situazione al rifugio era diventata oramai insostenibile. I quattro fratelli quasi non si parlavano tra di loro, non tanto per malumori o per sentimenti di rivalsa, quanto perché ognuno assorbito in un proprio mondo, fatto di tecniche e possibili scenari di lotte, tanto da dimenticare la realtà che li circondava.

Splinter attese la fine dell'infruttuoso e più disastroso esempio di meditazione che avessero mai avuto fino a quel momento, per richiamarli all'ordine.
Figli miei, siete stanchi e tesi, lo capisco, ma dovete cercare di non cedere a queste sensazioni. Comandatele con la mente” consigliò loro, bonario.
Ma sensei, non sappiamo cosa fare. Il pensiero va sempre verso il torneo” spiegò Michelangelo, facendo spallucce per la loro giustificata tensione.
Lo so. Perciò vi offro io la soluzione: dovrete intrattenere degli ospiti” annunciò il maestro, sorridendo alle loro facce sorprese.

Poi, senza una spiegazione, iniziò ad incamminarsi verso l'entrata del dojo, con la sua camminata felpata. Solo dopo qualche istante in cui i quattro si voltarono a guardarsi uno con l'altro attoniti, capirono che dovevano seguirlo.
Quali ospiti, sensei?” domandò Mikey, trotterellandogli dietro con malcelata curiosità.

Splinter sorrise nel vedere che ogni traccia di tensione era sparita dai loro occhi, sostituita dall'interesse per sapere.
Il Daimyo me li ha affidati, perché mi assicuri che arrivino al torneo. Sono partecipanti come voi e sono terrestri” rispose, senza però spiegare nulla per davvero, mettendogli solo ancora più domande in testa.

Erano arrivati al laghetto, intanto, e lì il maestro si era fermato, poggiandosi al suo bastone. I quattro si guardarono intorno, come a voler scorgere qualche segno o qualche minaccia, la presenza di qualcuno, ma non c'era nessuno. Che dovessero aspettarsi qualche portale che avrebbe condotto i loro ospiti lì da loro?

Ma sensei, non avranno paura di noi?” domandò giustamente Don, un po' pensieroso, esprimendo un pensiero che era passato un po' nelle menti di tutti, Mikey compreso, dopo la prima sorpresa iniziale.
Splinter sorrise anche di più, se ciò era possibile, enigmaticamente.

Loro vi conoscono già” rivelò, gettandoli sempre più giù nel loro pozzo di elucubrazioni.

Un vociare soffuso arrivò alle loro orecchie e dopo pochi istanti la voce di Casey fu ben udibile, dal vano dell'ascensore che stava evidentemente scendendo.
Siamo quasi arrivati!” lo sentirono urlare, nitidamente.
Sono bendati, non sono sordi!” lo sgridò la voce di April, alterata.

Risero un pochettino e una parte della tensione nel sapere chi fossero quei misteriosi ospiti, che però li conoscevano bene, svanì. L'ascensore arrivò a terra e con un sibilo morbido le porte si aprirono, svelando il gruppetto celato all'interno; con l'aiuto di Casey e April i quattro umani entrarono nel rifugio e si tolsero le bende, mettendo a fuoco i loro visi sorpresi.
Esclamazioni di giubilo si alzarono da entrambe le parti, insieme a saluti e sorrisi.

Raphael aveva sempre pensato che rivederla gli avrebbe procurato una fitta di rabbia e dolore atroce invece, posando lo sguardo su Joi, si sorprese di non provare nulla, assolutamente nulla. Anzi, solo sollievo per quel nulla.
Eppure vederla a casa sua, dopo quello che c'era stato, non gli faceva alcun piacere.

Leo, Don e Mikey erano impegnati a salutare e riabbracciare Adam, Faraji e Tora, e nessuno di loro perciò si accorse del suo fastidio, e le voci si sommavano creando un gran caos.
Non sapevamo che anche voi partecipaste al torneo!” esclamò Mikey, contentissimo, strapazzando un po' Tora, che durante l'allenamento con gli Shisho era stato quello più legato a lui.
Gli altri quattro accoliti sorrisero in imbarazzo.

Noi non sappiamo nemmeno cosa aspettarci dal torneo. È la prima volta che siamo invitati a partecipare e abbiamo capito solo che sarà molto competitivo e ci sarà gente da molte dimensioni. Non sappiamo nemmeno come arrivarci” ribatté Faraji, con la sua voce profonda.
Sì, ma è solo di noi che dovete preoccuparvi!” si pavoneggiò Mikey, facendoli scoppiare a ridere, anche se lui era estremamente serio.
Di certo siete diventati davvero alti dall'ultima volta che ci siamo visti” disse Tora, che ormai faceva una certa fatica a guardarli in viso, “ma siete anche così bene allenati?”
Michelangelo sembrava sul punto di dire qualcosa di vanitoso come suo solito, ma poi all'ultimo sembrò ripensarci e sorrise.

Vedrete al torneo.”

Il viaggio è stato stancante?” si intromise il maestro, che di certo non aveva dimenticato le buone maniere come i suoi figli.
No, stiamo tutti bene, grazie” rispose Joi, prendendo parola per la prima volta. La sua voce era musicale proprio come Raphael la ricordava, con quel leggero accento che aveva sempre pensato avesse radici francesi.
E grazie anche dell'ospitalità. Avete cambiato casa, è molto bella” aggiunse, dando un'occhiata meravigliata intorno.
Il vecchio rifugio che loro conoscevano, in cui avevano soggiornato per alcuni giorni alla fine della guerra combattuta assieme contro lo Shredder Tengu, non era di certo così bello e spazioso e aerato come quello, ultima avanguardia degli Y'Lyntian.

È un piacere avervi come ospiti. Ora, se i miei figli hanno ripreso un po' di buon senso, vi mostreranno le loro camere, dove potrete sistemarvi per questi giorni. Casey, hai portato i letti in più che ti ho chiesto?”
Casey scattò sull'attenti in segno affermativo.

Sì, nel retro del furgone. Sono di un amico che ha un hotel a Brooklyn, mi doveva un favore” assicurò, con un sorriso che lui reputava smagliante, per essere riuscito a fare un favore a sua volta al sensei.
Quello gli rimandò un inchino col capo di gratitudine che Casey gradì moltissimo.

Mentre tutti chiacchieravano e iniziavano a incamminarsi verso il piano superiore, la voce di Joi risuonò ancora.
Se la mia presenza crea problemi, posso dormire in un hotel. Sono l'unica donna, in fin dei conti” disse, senza guardare nessuno in particolare.
Ma di certo si era accorta che la sua presenza non era stata accolta con lo stesso entusiasmo e che Raphael, seppur cortese, si teneva alla larga.

Nessun problema. Sono sicuro che Isabel non avrà alcun problema a dividere la sua stanza con te” la rassicurò il maestro.
A Raphael scappò quasi da ridere. Era certo che Isabel avrebbe avuto ben più di un problema quando si fosse trovata Joi nella sua camera. E nel suo territorio.

Chi è Isabel?” domandò Adam, che tese il collo verso l'alto come a voler cercare la misteriosa persona.
Nostra sorella” saltò su Mikey, spiegando tutto e niente. I quattro ospiti infatti corrucciarono la fronte, confusi.

Avete una sorella?”
Non era stato nessuno in particolare a porre la domanda, sembrò quasi che l'avessero pronunciata tutti insieme, con lo stesso tono meravigliato.

No, intende cognata” corresse Don, ma la sua risposta sembrò generare solo più confusione. O forse ancora più sorpresa.
Gli sguardi corsero quindi verso Leonardo e Raphael, gli unici due che, ad esclusione, c'entravano qualcosa.

Uno di voi si è sposato?” chiese Tora, con un garbo così attento che sfociava inesorabilmente verso l'incredulità.

Il pollice di Leo si tese in direzione di Raphael, con fare annoiato.
Lui. Ma è fidanzato, non sposato” mise al corrente chiaramente, sottolineando per bene che in fin de conti la loro relazione non era ufficiale per nulla e che quindi poteva anche soffiargliela ancora.
Ovviamente Raphael la prese per quello che era, una provocazione innocua, e lo lasciò perdere. Era più interessato a quello scintillio strano nello sguardo di Joi al sentire la rivelazione e una parte di sé, profonda e maligna, aveva tanta voglia di sorridere soddisfatta. Pensava, forse, che lui sarebbe rimasto per sempre legato al suo ricordo, a leccarsi le ferite in eterno? Forse le cicatrici di quei tempi sarebbero rimaste eccome, senza Isabel.

L'ascensore si richiuse in quell'istante con un sibilo e iniziò a salire morbidamente.
Eccola di ritorno, doveva fare delle commissioni. Vi piacerà” assicurò Mikey, che sembrava si stesse divertendo un mondo, con tutte quelle persone per casa. Di certo la festa era assicurata, nella sua testa.
Attesero quindi l'arrivo dell'ultima partecipante. Raphael era quasi teso. Non sapeva come dovesse comportarsi, non sapeva nemmeno se era giusto stare a rimuginare così tanto per come dovesse comportarsi.

Quando le porte dell'ascensore si riaprirono per la seconda volta in dieci minuti, Isabel ne uscì convinta con delle buste sottobraccio, ma si fermò di colpo al vedere la piccola ressa a pochi metri da lei, tutti fermi in pose statiche mentre la fissavano.
Lo sguardo scivolò veloce a destra e sinistra, studiò i visi e la situazione, poi si soffermò sul sensei:

Sono una minaccia?” chiese spiccia, piuttosto seria. Si avvertiva una certa elettricità nell'aria che non faceva presagire niente di buono.
No, no, Isabel, tranquilla. Sono nostri ospiti.”

Isabel sembrò rilassarsi, anche se gli sguardi insistenti di quelle persone la infastidivano. Sembrava quasi che si aspettassero che uscisse qualcun altro, addirittura qualcos'altro, dall'ascensore, come un mostro o un mutante.
Non poteva sapere come fosse vicina al vero, perché i quattro, al sapere che dentro l'ascensore c'era la fidanzata di Raphael, si erano immaginati di tutto, ma non che ne uscisse fuori un'umana. Una bella umana.
Isabel si avvicinò al gruppo e Don e Leo le presero le buste dalle mani, mentre Mikey l'unica cosa che prese fu il suo consueto abbraccio.

Sono amici che parteciperanno al torneo e resteranno con noi fino ad allora” spiegò intanto Splinter, mentre lei, lasciata infine andare da Mikey, si avvicinava per le presentazioni.
Sono Faraji, molto piacere” disse un bell'uomo scuro, indubbiamente di origini africane, stringendole la mano. Aveva occhi neri e corti capelli dello stesso colore, e un portamento fiero, da guerriero.

Il successivo era un omone enorme, alto e muscoloso, esattamente come Raphael: era completamente glabro, senza capelli o peli sul viso se non le sopracciglia e con gioviali occhi neri. Le sorrideva con garbo e le strinse la mano con delicatezza, presentandosi:
Sono Adam, piacere.”

Io sono Tora” esclamò il terzo uomo, che non era basso, ma in confronto ai primi due lo sembrava. Era un giapponese dai lunghi capelli scuri tenuti in una coda alta e una barba corta ai lati e lunga al centro; gli occhi a mandorla erano scuri.

Infine arrivò all'unica donna del gruppo, una bellissima bionda con stupefacenti occhi verdi, troppo bella persino per poterci credere. Non c'era un segno di imperfezione nel corpo statuario e ben allenato eppure aggraziato, così come nel viso perfetto, nelle labbra piene, negli zigomi alti.
Sono Joi, molto lieta.”
Isabel, il piacere è mio” ribatté affabile, stringendole la mano con sicurezza.


Non ci fu un attimo libero, per quella sera.
Gli ospiti vennero sistemati nelle camere: Faraji con Leo, Adam con Don, Tora con Mickey e Joi con Isabel, dato che non poteva condividere la camera con Raphael, che era stato il suo partner durante il periodo nel Ninja tribunal. Le altre tre coppie però si erano riformate e le chiacchiere si sprecavano da tutte e due le parti, sia durante la cena che durante il giro notturno per i tetti di New York, di certo il tour della città più inusuale che potessero fare.

I quattro umani sembravano trovar divertente quel correre da tetto a tetto, mentre i quattro padroni di casa erano lieti di mostrare loro come si muovessero e come vivessero, per bene. C'erano anche Isabel e Steve con loro, il ragazzino era stato invitato per conoscere gli ospiti e non stava nella pelle al pensiero di essere in un certo senso incluso nel gruppo, benché palesemente inesperto e l'unico a non aver ricevuto un invito per quel fantomatico torneo; era Isabel a controllarlo per assicurarsi che non cadesse giù, come una mamma apprensiva.

La visita guidata fu lunghissima e stancante, tanto che al rientro, dopo i gentili saluti, il gruppo si divise nelle varie stanze e si ritirò direttamente a dormire; perfino Steve venne messo in mezzo, preso di peso da Raph, col quale avrebbe diviso la stanza per quella notte.
Isabel rimase ad ascoltare il respiro tranquillo di Joi, tesa. C'erano così tante cose che voleva sapere, che voleva chiedere, ma non sapeva come avrebbe potuto; cosa c'era stato tra la bella bionda che dormiva nel letto accanto al suo e Raphael? E perché tra loro i rapporti erano così gelidi? E perché gli occhi verdi della donna l'avevano seguita per tutta la sera e la notte, scrutandola come una preda?

Sospirò debolmente, pregando che quelle domande, e le teorie che ne conseguivano, la lasciassero in pace quel tanto da poter almeno dormire.

Il giorno seguente, il dojo era affollato e risuonava di grida e rumori di lotta fin dal primo mattino. I mutanti e gli umani erano riuniti per una sessione di allenamento in comune, niente di troppo serio che avrebbe svelato la propria tecnica di combattimento, ma giusto un riscaldamento per il torneo del giorno dopo, con nuovi avversari per variare un po'.

Isabel e Steve assistevano seduti in un angolo, con occhi attenti.
C'era uno scontro a quattro tra Leo e Donnie e Tora e Joi da una parte, uno tra Mikey e Adam e un altro tra Raph e Faraji, decisi dal sensei per mischiare un po' le tecniche e le coppie, e stravolgere così il consueto modo di pensare.
Era estremamente interessante. Benché desiderosi di vincere, nessuno sembrava propenso a mostrare prematuramente le proprie carte, perciò lo scambio di attacchi e difese era piuttosto rigido e prevedibile, eppure in qualche modo si riusciva a percepire lo stile di ognuno di loro, impresso nelle mosse e nei movimenti del corpo: la meticolosità di Tora, la possanza di Adam, la tecnicità di Faraji e l'eleganza di Joi.

Isabel e Steve ne parlavano tra di loro mentre osservavano gli scontri, facendo teorie sulla potenza di ognuno e immaginando quali sarebbero stati gli esiti se si fossero trovati a combattere tra di loro nel torneo. Steve sosteneva che Leo avrebbe vinto di nuovo, indubbiamente, e Isabel gli scompigliò i capelli per dispetto, facendolo indietreggiare mentre cercava di coprirsi la testa.

Ho saputo che anche tu sei stata invitata al Nexus” disse una voce a pochi passi da loro, sorprendendoli. Si bloccarono entrambi e si voltarono verso l'interlocutore, sorpresi.
Joi stava ritta di fronte a loro, sovrastandoli e scrutando Isabel con quei freddi occhi verdi. Steve non lo vedeva nemmeno.
Era bellissima anche con la tuta da combattimento e i capelli legati in una coda alta che rendeva il suo viso più affilato e predatore.

Sì, è vero. Ma non ho accettato” rispose cortesemente, mentre il ragazzino al suo fianco, indisturbato, si lisciava i capelli senza perdere una parola tra le due.

Isabel era troppo impegnata a sostenere quello sguardo pressante, per poter gettare uno sguardo alle sue spalle e vedere se gli altri si erano accorti della mossa di Joi o della sua assenza dall'arena.
Lo scintillio negli occhi verdi variò, repentinamente.

Puoi ancora cambiare idea. Perché non ci sfidiamo, solo per una prova?” propose la donna, con un sorriso serafico in volto, che però le diede i brividi lungo la schiena.
Stava giocando con lei. La stava punzecchiando, tirando in limiti consentiti, ma sfidandola con i gesti e lo sguardo.

Sarebbe stato così semplice cedere alla maligna voce nel suo cuore che le diceva di accettare e di usare la magia per umiliarla, ma non sarebbe stato da lei. Perciò ricambiò il sorriso affabilmente e si alzò per poter parlare con Joi allo stesso livello.
Grazie per il tuo invito, ma non fa per me.”

Con un cenno della testa cortese, le fece capire che si stava congedando e si allontanò quindi verso l'entrata, con Steve che, capita l'antifona, si era accodato alla sua scia. Si voltò solo una volta che fu alla porta, per controllare alle sue spalle: Joi era ritornata in campo e stava per avvicinarsi a Raphael per chiedere uno scontro, ma l'uomo si era ritratto velocemente, mettendo quanta più distanza possibile tra loro.


Il giorno passò velocemente, ma benché il torneo stesse avvicinandosi sempre di più, nessuno mostrò il benché minimo segno di apprensione, troppo impegnati a festeggiare nella cucina stracolma con una grande cena, con i consueti mutanti, i nuovi ospiti, la famiglia Jones al completo con un euforico Carl che smaniava per poter giocare con tutte quelle persone e Angel, di ritorno dal lavoro part time che faceva per poter pagare gli studi all'Università.
I Jones ed Angel non sarebbero andati al torneo come spettatori, perciò ne approfittarono per salutare per bene i loro amici e augurar loro buona fortuna.

Pensi che quest'anno ce la farai, Donnie?” domandò Angel sottovoce, con un pugno di incoraggiamento verso il suo braccio. Il genio arrossì un pochino, al ricordare le figuracce che aveva fatto nei tornei precedenti, alcune piuttosto stupide. Ma non sarebbe successo quell'anno, si era preparato per bene e non avrebbe fatto stupidi errori.
Le sorrise fiducioso in risposta e Angel sembrò rincuorata.

Io! Io vincerò!” si intromise Mikey tra i due, con la sua solita euforia. Don mise su una faccia annoiata che fece scoppiare Angel a ridere, poi la ragazza diede un bacio ad entrambi sulla guancia.
Buona fortuna a tutti e due!”

I festeggiamenti non si prolungarono troppo, i lottatori avevano bisogno di una buona nottata di sonno, perciò non erano nemmeno le dieci, quando Splinter si congedò, sottintendendo che anche loro dovessero fare lo stesso.
Isabel accompagnò Joi alla camera, poi ritornò sui suoi passi e fermò Raphael che entrava nella sua stanza.

Tutto bene?” gli chiese, rimpiangendo la mancanza di privacy di quei giorni, che non aveva permesso loro di parlare.
Raphael approfittò dell'assenza di tutti gli altri per abbracciarla e affondare il viso tra suoi capelli, stringendola fin dove consentito.

Adesso sì” mormorò nel suo orecchio. Isabel ridacchiò imbarazzata, ma lo strinse con lo stesso ardore, deliziata dal battito accelerato del suo cuore.
Adesso devo andare, non voglio certo essere il motivo per cui domani perderai!” disse poi, allontanandolo e facendogli una linguaccia.

Raphael sorrise.
Bacio portafortuna?” chiese, senza esitazione.
Pensi di aver bisogno di fortuna?” ribatté Isabel, sorpresa. Raphael era superstizioso, ma non quando si trattava delle sue abilità.
No, ma di un bacio sì!”
La risata di Isabel si infranse sulle sue labbra, nel bacio d'amore che le rubò.

E adesso fila a dormire, prima che cambi idea!” la minacciò quando la lasciò andare, con la mano già sulla maniglia.

Isabel tornò verso la sua stanza, costeggiando il pianerottolo ad anello, ma già non sorrideva più.
Raphael non si era accorto di nulla, fortunatamente, ma lei aveva visto perfettamente quegli occhi verdi che li spiavano tornare in fretta dentro la camera, quando si erano separati.
Joi li aveva spiati. E quando entrò nella stanza la trovò già nel letto con le coperte tirate su fino al viso, che le dava le spalle.
Ma che bella sceneggiata. Non le sembrava una cattiva persona, e in genere non sbagliava su quel genere di sensazioni, allora cosa c'era dietro il suo strano comportamento nei suoi confronti?

Si coricò silenziosamente e spense la luce, sperando che la sua mente non lavorasse tutta la notte su quelle domande, facendola dormire poco come la notte prima.
Un fruscio alla sua destra l'allarmò, facendole tendere le orecchie. Nel silenzio perfino girarsi nel letto faceva un rumore assordante. Sospirò e cercò di rilassarsi, ma la voce di Joi glielo impedì.

Perché stai con Raphael?” domandò nel buio, come se stesse continuando un discorso precedente, come se quella domanda così, nel nulla, non fosse strana.

Isabel sorrise, felice che la donna si stesse svelando un po'.
Si alzò e afferrò il suo cuscino preferito, poi si diresse verso la porta e solo allora accese la luce: Joi spalancò gli occhi, e questa volta erano sorpresi e non glaciali. Mostrò anche a lei il sorriso rimasto celato fino a quel momento dal buio.

Perché lo amo” rispose semplicemente, aprendo la porta. “Buona notte” finì, uscendo dalla stanza e chiudendosela dietro, lasciandola a rimuginare su quelle semplici parole.


Raphael stava guardando ossessivamente il soffitto, sdraiato sul letto con le braccia piegate dietro alla testa, chiedendosi se avrebbe mai potuto prendere sonno. Da solo la tensione per il torneo si era ripresentata e più pressante che mai.
Almeno gli altri avevano qualcuno con cui parlare finché non si addormentavano.

La porta della sua camera si aprì di colpo e di colpo si richiuse, spaventandolo: si tirò su a sedere, ma non c'era nessuno.
Che se lo fosse solo immaginato? Troppa tensione e stanchezza?

Si risdraiò con un sospiro, che divenne in un secondo un urlo strozzato. Sulla sua testa galleggiava una donna a testa in giù, coi capelli scuri che fluttuavano selvaggiamente, stretta ad un cuscino a mo' di koala. Lo stava osservando corrucciata.
Ma sei pazza? Cosa ci fai in camera mia? E come ti viene in mente di apparire così?” la sgridò, allungandosi per provare ad afferrarla.

Isabel si spostò di un metro, continuando a guardarlo al contrario.
Cosa è successo tra te e Joi?” chiese mortalmente seria, apparendo perfino più spaventosa.
Raphael serrò la mascella, pietrificato.

N-niente. Perché pensi che sia succes-” rispose con la voce affettata, senza nemmeno esserne conscio.
So che è successo qualcosa. A parte il nervosismo tra voi, so che ti piaceva. Me l'hanno detto April ed Angel quando ci stavamo ancora conoscendo” replicò lei, per niente convinta.

Raph imprecò tra i denti, silenziosamente. Quelle due pettegole. Andare a dire una cosa del genere ad Isabel, quando era ancora la sua allieva. Certo, allora non potevano immaginare tutto quello che sarebbe successo dopo e la nascita della loro relazione, ma non era una scusante.

So che anche lei ricambiava, ma che dopo che la vostra missione è finita, lei se n'è andata via dopo qualche giorno e tra voi non c'è più stato nemmeno un saluto. E tu la stai evitando. Perciò, Raffaello, ti ripeto la domanda: cosa è successo davvero tra voi due?”
Il mutante deglutì a vuoto, messo alle corde. Non c'era possibilità che lei desistesse, ora che era così infervorata. Ma non voleva parlarne. E di certo non con lei. Ma Isabel non conosceva rifiuti.

Te lo dirò se scendi giù” concesse, tendendo una mano verso l'alto.
Isabel l'afferrò e dopo essersi girata in volo, atterrò sul materasso, stringendo ancora il cuscino. Poi gli fece un cenno col capo, perché parlasse.

Raphael trasse un grosso sospiro, come se stesse ripescando da qualche parte le parole, i ricordi o il coraggio.
La verità è che non è successo assolutamente niente” disse, seccamente. Isabel serrò le labbra con disappunto, pensando ad una presa in giro, ma lui la bloccò.

Non sto mentendo. Joi mi piaceva: forse perché era l'unica donna del gruppo, forse perché siamo stati segregati assieme per mesi, forse perché era quella con cui passavo più tempo. Mi piaceva. E io le piacevo, o perlomeno è quello che mi ha fatto capire. Ma dopo che è tutto finito, e che abbiamo avuto del tempo per parlare, la verità è stata ben chiara: non le piacevo abbastanza per superare la paura.”

Isabel rimase ad ascoltare, confusa, lo sguardo via via sempre più adombrato. Non le piaceva sentire Raphael declamare il suo interesse per un'altra donna, anche se del passato, e non le era chiara la spiegazione che le aveva dato.
Raphael si accorse della sua confusione, perciò respirando a fondo, come se facesse male solo dirlo, continuò:

Lei non riusciva a toccarmi. A baciarmi. E se ci provavo io si tirava indietro. Non le piacevo abbastanza per superare il disgusto per ciò che sono. Così se n'è andata scusandosi e non ci siamo più parlati.”

Non voleva dirlo con quel tono così amareggiato, ma in fondo la ferita era sempre lì, incisa assieme alle altre, pronte a riaprirsi. Joi era stata la prima a farlo sentire davvero un mostro.
Gli occhi lucidi di Isabel, e le sue braccia strette convulsamente al cuscino per il dolore, lo consolarono. Nel tempo aveva capito che non era colpa di Joi, che non doveva essere semplice per un'umana, che c'erano troppe differenze, troppe paure. Fino a che non era apparsa lei, Isabel.

Tese una mano verso la sua guancia e la carezzò con amore.
Sai, quando la prima volta tu mi hai baciato è stato allo stesso momento emozionante e spiazzante. Perché tu hai colmato lo spazio tra noi, l'hai riempito senza esitazione e hai poggiato le tue labbra sulle mie con naturalezza, come se fosse normale. L'hai fatto sembrare giusto. Perfetto. E io non mi sono sentito più un mostro.”

Isabel sorrise teneramente tra le lacrime, commossa dalla confessione.
Non ce l'aveva con Joi. Un po' riusciva a capirla. Nemmeno lei si era innamorata di Raphael al primo sguardo, non sarebbe stato possibile. Ma aveva ceduto poco a poco al suo buon cuore, alle sue insicurezze, alla sua testardaggine, alla sua irruenza; e un giorno aveva scoperto che era bellissimo dentro e fuori, così com'era, perché se n'era innamorata per come era. E forse era strana, ma lei trovava Raphael estremamente attraente.

Forse Joi non era arrivata a quel livello, forse per loro due era successo tutto troppo in fretta e lei aveva avuto paura. Le dispiacque per la donna, ma non poté evitare di pensare che grazie a ciò Raphael era suo, adesso. Le cose sarebbero potute essere diversamente, altrimenti.

Lasciò andare il cuscino e abbracciò Raphael invece, posando teneri baci sulle sue labbra, decisa a rimanere con lui per la notte.
E al diavolo il passato. E al diavolo Joi. E al diavolo anche il torneo.



Note:

Salve, ci sono milioni di note, perciò parto:

Faraji, Adam, Tora e Joi fanno parte della quinta stagione della serie 2003, universo che io uso quando scrivo. Siccome l'ho visto in inglese, stavo facendo delle ricerche per capire come tradurre delle cose, quando ho trovato detto che non esistono stagioni tradotte in italiano dopo la quarta. Voi avete visto la quinta, la sesta e la settima del 2003? Esistono in italiano? Altrimenti mi vedo costretta a fare un piccolo riassunto.

Questi quattro umani sono dei compagni di ventura durante la quinta stagione: insieme alle turtles vengono rapiti dal Ninja Tribunal, ovvero quattro maestri di arti marziali, per poter essere allenati contro una nuova minaccia che sta per abbattersi, il risveglio di Shredder Tengu, che è lo Shredder originario.
Per farla breve, loro otto stanno a stretto contatto per un paio di mesi in cui vengono allenati e si formano subito delle “coppie”: Leo con Faraji, Adam con Don, Tora con Mikey e Joi con Raph. (vai tu a vedere perché proprio lui con la donna!)

Comunque, Raph cade quasi immediatamente per lei, 'sto bietolone, e ad un certo punto ci prova anche, chiedendole se una volta finito tutto lei voglia andare a trovarli a New York. Lei fa intendere che prima devono pensare alla battaglia, ma che non le dispiace. Poi però, non succede nulla. Nel senso che nelle stagioni successive di lei non si sa più nulla e la si rivede solo al matrimonio di April e Casey come invitata, ma lei e Raph non si calcolano di striscio (slang delle mie parti per dire che non c'è nessun contatto né una frase tra loro. disinteresse puro.)

Che a me va benissimo perché, anche se non la odio, non mi è mai piaciuta, e men che meno con Raph, e ho potuto inventarmi questa scena tra loro che giustifichi come mai non c'è stato nulla. E perché Raph fosse così amareggiato e ferito.

Addio Joi, benvenuta Isabel. (tra l'altro, ho scoperto che ho sempre scritto male il suo nome, è con la i e non la y.)

Se avete dei dubbi sulla storia chiedete pure e io spiegherò per bene!
Comunque, su youtube ci sono le stagioni 5, 6 e 7 in inglese, se potete guardatele.

Dal prossimo capitolo ci sarà il nexus e ci saranno perciò tantissimi combattimenti, misteri, vecchi amici, vecchi antagonisti, nuovi personaggi!
Io metterò tante foto per facilitarvi le cose e spiegare; è complesso gestire così tanti personaggi e combattimenti, spero di non deludervi!

Dopo questa chilometrica spiegazione vi lascio, un grosso abbraccione! Grazie dal profondo del cuore per continuare a seguire la storia, grazie a chi commenta con affetto!
A presto

P.S.: iniziate a prepararvi per il tifo per sostenere il vostro preferito, chi vincerà il torneo? :) ah, potrebbe anche non essere una turtles, eh!

Un nuovo disegno di MC1119, su JTWYA, il momento in cui Leo realizza i suoi sentimenti. mi piace moltissimo come hai reso la scena, grazie di cuore! Sono felicissima!


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Capitolo 8
*** Let the Battle Nexus begins ***


Attorno al tavolo della cucina quella mattina c'era un gran silenzio, le facce affondate nelle tazze e nei piatti, ma gli occhi vigili e attenti. Perfino Mikey, che solitamente ciarlava da presto e si scofanava otto o nove ciambelle, era teso e quieto e aveva mangiato solo un paio di pancake con un po' di miele.

Isabel assaporava con calma la sua tazza di caffelatte, l'unica che facesse una colazione di vago stampo italiano; con lo sguardo sopra il bordo della tazza teneva d'occhio gli altri e pensava.
Quelle otto persone stavano per sfidarsi in un prestigioso quanto competitivo torneo, che fossero tesi era il minimo; e se gli ospiti erano ben scusati, dato che non sapevano cosa aspettarsi, i quattro mutanti che ormai vi avevano partecipato ben tre volte non erano per quello meno nervosi.

Poi i suoi occhi scuri incontrarono brevemente quelli di verdi di Joi, ma quest'ultima distolse lo sguardo in fretta.
Non sapeva cosa pensasse della sua sparizione della notte prima, se sapesse o sospettasse che era andata nella camera di Raphael, e non le importava; con quella domanda, col suo strano comportamento, Joi le aveva fatto capire che forse quello che provava per Raphael non si era assopito. E vedendo lei, un'umana, stare con lui, forse anche un po' della paura se n'era andata.
Ma Raphael era suo. E non le avrebbe permesso di riavvicinarlo.

Nella strana atmosfera tesa tutti finirono di mangiare e si alzarono per andare a prendere i loro bagagli, niente più che uno zaino per ognuno, stando bene attenti ad avere con sé il Kunai dell'invito.
Splinter, Isabel e Steve li attendevano vicino all'entrata, tra essa e la porta dell'ascensore precisamente, e il maestro ne approfittava per disegnare nel muro il simbolo per il portale, con un gesso blu: questa volta però, disegnò due simboli, distanziati un metro l'uno dall'altro.

Arrivarono.
E gli otto sfidanti si scissero senza una parola in due gruppi: i mutanti da una parte e gli umani dall'altra.

La fase di qualificazione del torneo ha luogo oltre le mura esterne della città, per cui noi non potremo seguirle. Andrete avanti... e vi farete onore, lo so. Fate sì che possiamo vedervi al Battle Nexus” disse Splinter, osservando con particolare attenzione i suoi figli.

Leo si fece avanti e congiungendo le mani gli fece un piccolo inchino, poi una volta rialzato, si portò vicino al padre, anche lui con le mani in preghiera: entrambi iniziarono una nenia soffusa, difficile da capire, e la pozza d'acqua che Splinter aveva precedentemente gettato a terra iniziò a sobbollire e vibrando, seguendo le sollecitazioni del loro canto, si inerpicò sul muro creando l'arco luminoso, pulsante di vita propria.
Sentirono i quattro umani trattenere il respiro di fronte a quel prodigio, con gli occhi spalancati di sorpresa.

I due portali vorticavano in loro attesa, uno di fianco all'altro.
Noi andremo da questa parte” esclamò Leo puntando quello di destra, rivolto ai suoi fratelli. Dopodiché si voltò verso gli altri accoliti, che aspettavano delle direttive.
Il vortice vi porterà al posto del primo scontro. I vostri avversari potrebbero essere già lì o arrivare poco dopo di voi. In bocca al lupo.”
E con quell'ultimo augurio, Leo oltrepassò il proprio portale, sparendo alla vista.
Dall'altra parte anche Faraji, dopo aver salutato con cortesia per la loro ospitalità, si infilò nel suo portale, in una luce rosata.

E mentre gli altri si apprestavano a seguirli, Raphael ne approfittò per salutare Isabel.
Un bacio. Niente di sconvolgente, niente di eclatante, ma fu la naturalezza con cui lo fece, anche se c'erano gli altri, anche se c'era Joi. Ma a lui non importava nulla di Joi.
Isabel arrossì per la sua irruenza, sorpresa.

Ci vediamo al palazzo del Daimyo” le sussurrò all'orecchio, come una promessa.
Ci conto” le urlò invece lei, per raggiungerlo prima che oltrepassasse il portale. E forse il sorriso che gli aveva visto in viso se l'era solo immaginato, ma le scaldò il cuore.

I portali si richiusero quando Tora e Don furono oltre, gli ultimi delle loro file. Collassarono su sé stessi e si liquefarono in due pozze innocue sulle mattonelle gialle.

Steve pareva un po' preoccupato.
Dobbiamo viaggiare anche noi così?” domandò dopo qualche istante, perplesso.
Splinter gli sorrise tranquillo.

Noi siamo ospiti, abbiamo un portale diverso ad attenderci. Ma prima dobbiamo prepararci, no?” chiosò particolarmente contento, il sorriso che andava allargandosi sul suo muso.



Il flusso azzurro del portale li trascinò con la sua impetuosità verso l'uscita, nel vortice azzurro che era il tramite tra i passaggi. Ormai erano abituati. Se la prima volta ne erano stati sopraffatti tanto da finire poi col sedere per terra una volta fuori, con l'esperienza delle loro volte successive avevano capito come attraversare il passaggio in sicurezza, godendosi il breve tragitto.
Il secondo portale apparve alla fine del flusso, splendente e dalla forma ovale, differente da quello di entrata.

Pronti, ci siamo!” urlò Leo, il primo ad arrivare. La corrente lo spinse oltre, immediatamente.

Uscì in una radura, controllando con occhi attenti nelle vicinanze, mentre compiva dei passetti per lasciare campo libero agli altri: Mikey, Raph e Don apparvero nell'ordine, anche loro perfettamente in piedi e guardinghi.
Il portale scomparve con un debole fruscio, ormai dimenticato.

Questo posto sembra sempre lo stesso” disse Raphael, studiando circospetto i dintorni.
In effetti non poteva essere lo stesso posto delle loro lotte preliminari passate, ma l'aspetto dei terreni fuori dalle mura della città sembrava costantemente identico: boschetti bassi e ombrosi che si aprivano su radure brulle e ricche di sterpaglie, e poi rovine, rovine di statue e costruzioni sgretolate che giacevano in mezzo all'erba, che raccontavano di grandi fasti del passato ormai perduti.
Donatello aveva sempre desiderato sapere a quale epoca e popolo appartenessero quelle rovine, senza aver però mai potuto trovare davvero il tempo.

In basso, rispetto a dove si trovavano loro, lontana e piccola, la città del Nexus splendeva di fulgida bellezza, cinta da alte mura e abbracciata dalle due cascate che cadevano alle sue spalle.

Sembra che siamo arrivati per primi” constatò Michelangelo, che pareva fin troppo rilassato, una volta scoperto di essere soli.
Arriveranno” esclamò Leo, tenendo d'occhio i dintorni per scorgere qualcosa.
Stavo pensando: quanti gruppi di quattro sfidanti possono esserci al Battle Nexus? Non sarebbe orribile se venissimo accoppiati con gli altri accoliti per questo?” chiese Donatello, un po' amareggiato.

La sua domanda causò un'ondata di panico e gli occhi si cercarono nel silenzio.
Beh, prima o poi dovremo affrontarli. Ma non credo che saranno loro per ora, sarebbero già qui, non credete?” disse Leo, con confidenza.
In effetti essendo partiti in contemporanea, sarebbero stati già lì con loro; invece continuavano a guardare l'area che li circondava in attesa, ma non c'era una presenza, nessuno in vista.

Io ho sempre pensato che forse una volta dovremmo provare a venire ognuno per conto proprio” affermò Raphael convinto. “Per metterci alla prova da soli.”
E sai che ridere se poi noi vinciamo e tu non passi nemmeno le qualificazioni, Raphie?” ridacchiò la solita voce, che nemmeno alle porte di un torneo smetteva di trovare divertente punzecchiare suo fratello.
Tu prega di non trovarmi alle preliminari, Mikey. Chissà che ti può succedere, senza nessuno che possa testimoniare!” fu la risposta, nemmeno troppo astiosa, ma di certo minacciosa.
Michelangelo sorrise con quel suo fare fastidioso, spostandosi un po' da Raphael, percependo la portata delle sue parole. E in un clima di attesa come quello facevano anche più paura.

Smettetela voi due!” li riprese Leo, con lo sguardo però rivolto altrove, scrutando tra i tronchi del sottobosco con gli occhi ridotti a fessura.
In quel momento, con un sibilo morbido, un secondo portale si aprì sulla radura, turbinando su sé stesso impazzito: dal fiotto di luce abbagliante iniziarono ad uscire i loro sfidanti, nell'agitazione crescente.

Ma dai! State scherzando?” tuonò Raphael sconvolto, all'improvviso, mentre Mikey scoppiava a ridere e rise talmente tanto che quasi perse l'equilibrio.

I loro avversari erano di una dimensione aliena, probabilmente, e il loro aspetto ricordava in tutto e per tutto quello di quattro grosse e inquietanti…
Blatte!” esalò Raph, che ancora non ci credeva. Le risate di Mikey si fecero più forti.

I quattro erano indubbiamente degli scarafaggi, dalle antenne alla corazza coriacea, alle mandibole che colavano un liquido vischioso mentre schioccavano nella loro direzione. Gli occhi glauchi brillavano di intelligenza e pericolosità.
Solo la loro stazza era decisamente anormale, quasi due metri di mostruoso insetto, più alti perfino di Raphael.

Quest'ultimo era assurdamente turbato, lo sguardo che saettava folle verso gli enormi insetti.
E se Mikey non avesse smesso immediatamente di ridere come un folle della sua fobia lo avrebbe ucciso.
Il portale alle loro spalle svanì come era arrivato e i quattro insetti si alzarono sulle zampe posteriori, più robuste e grandi delle altre, arrivando ad un'altezza vertiginosa. Li osservavano dall'alto in basso con aria predatoria.

Possono alzarsi anche in piedi!” esalò strozzato Raph, che ormai se ne fregava se Mikey o gli altri potevano percepire la sua paura.

Ok, ragazzi, uno per ciascuno. Scegliete il vostro!” ordinò Leo all'istante, gettandosi contro il suo avversario.
Non che la scelta fosse difficile: quei grossi insetti erano tutti uguali ai loro occhi.
Gli otto sfidanti si divisero in quattro coppie e così Raph si trovò da solo a fronteggiare una versione pantagruelica della sua più enorme paura e vergogna.

E tuttavia lui non si sarebbe arreso ad essa.
Deglutì a vuoto.

Spiccò una corsa veloce, diretto a testa bassa contro il suo opponente, ma quello con un verso stridente da far accapponare la pelle, si riabbassò pancia a terra e lo caricò a sua volta.
Lo scontro fu violentissimo e Raphael venne sbalzato indietro per metri, la mente che lavorava febbrilmente nell'incredulità mentre il cielo fuggiva fugace davanti al suo sguardo, prima di sbattere pesantemente contro il tronco di un albero.
Ricadde al suolo con un tonfo doloroso, sollevando spirali di polvere. Riprese fiato con ampi respiri nervosi.

Si rialzò più in fretta che poté, ma il suo avversario stava già correndo contro di lui, con l'intenzione di schiacciarlo tra il tronco dell'albero e il suo corpo mostruoso: fu preso da uno sprazzo di panico e gli lanciò uno dei suoi Sai contro a folle velocità.
L'arma fendette l'aria morbidamente con la sua punta acuminata, ma con un clangore metallico sbatté contro la schiena spessa del mostro, rimbalzando e finendo al suolo, distante.

Riuscì a scansarsi appena in tempo, gettandosi di lato per terra e l'insetto finì la sua corsa contro lo stesso albero contro cui aveva sbattuto anche lui, con un tonfo molto più forte.
Doveva essersi fatto male, a giudicare dalla violenza dell'impatto. Ne avrebbe potuto approfittare per attaccare, anche con un Sai solo.
Ma lo scarafaggio si scostò rapidamente e si voltò per cercarlo, intonso, senza nemmeno un graffio.

Raphael strinse la presa sul Sai rimastogli.
Qual è il loro dannato punto debole?” strillò arrabbiato, osservando per un momento gli altri scontri.
Si accorse che anche i suoi fratelli sembravano in grande difficoltà: quei dannati insettoni non erano solo eccessivamente fuori misura, ma anche molto resistenti.

Non credo che ne abbiano!” rispose Don, poco distante, che evidentemente lo aveva sentito.
Stava facendo del suo meglio per cercare di colpire la lucida corazza dello scarafaggio, ma a parte il sordo rumore del bastone che si propagava attorno, non sembrava sortire nessun danno.
E così i Nunchaku di Mikey e perfino le Katane di Leo.

Se si trovavano così tanto in difficoltà fin dal round preliminare, si metteva male per l'intero torneo.
Il problema del round preliminare a quattro era che, anche se era in gruppo coi suoi fratelli, ognuno doveva battere il proprio sfidante da solo. Ognuno doveva pensare per sé.

Gli arrivarono alle orecchie i rumori delle altre lotte attorno a lui, ma non poteva più distrarsi per controllare: il suo avversario si era rimesso all'attacco, veloce come prima: riuscì ad evitare per un soffio, ma una delle sue antenne lo afferrò per la caviglia e lo sollevò in aria, sbattendolo poi contro il terreno con forza.
Strinse i denti per il dolore dello scontro, ma non era finita, perché si senti sollevare ancora e probabilmente sarebbe stato lanciato ancora al suolo, forse anche con più violenza.
Si contorse per arrivare al piede e poter staccare la sua antenna, ma era spessa come una corda e dura come l'acciaio, ricoperta di spine che gli ferirono le mani. Graffiò con le unghie, mentre già veniva sbalzato all'ingiù, prossimo allo scontro: nella disperazione mirò con la punta del Sai e colpì con ferocia, anche se sapeva che probabilmente si sarebbe colpito da solo.

La punta slittò con un suono stridulo sul rivestimento coriaceo dell'antenna e lo scarafaggio stridette in pena, slegando le sue spire per il dolore: Raph ricadde al suolo, rantolando e riprendendo fiato.
Allora qualche punto debole ce lo avevano anche loro!

Si rialzò con un ghigno malefico, gliele avrebbe strappate quelle antenne, ma prima che potesse fare anche solo una mossa, una zampata allo stomaco lo rispedì in volo, mozzandogli il respiro.
Rimase al suolo, questa volta. Con la rabbia crescente nel petto e il respiro corto.
Non poteva essere sconfitto nel round preliminare, non esisteva nell'universo una cosa possibile. Non avrebbe mai più avuto il coraggio di guardare in viso il maestro, mai più.
E aveva giurato che quell'anno avrebbe vinto, che era il suo anno, perciò arrendersi così presto era semplicemente escluso. A costo di smantellare la lurida corazza di quei cosi a mani nude e morsi.

Stava per rimettersi in piedi, quando un grido di trionfo e un tonfo prodigioso risuonarono nella radura. Si mise a sedere con meraviglia e vide Don che esultava, mentre il suo opponente giaceva schiena a terra qualche metro più in là, incapace di muoversi o rigirarsi, sconfitto.
Si accorse di lui e gli mandò un sorriso splendido, fiero di sé.

È lo stomaco! Il loro punto debole è lo stomaco! La loro corazza è morbida in quel punto!” urlò nella sua direzione, con le mani attorno alla bocca per farsi sentire.

Raphael ricambiò il suo sorriso.
Quel geniaccio di Don. Si sarebbe dovuto guardare da lui, al torneo. Era davvero ben preparato e anche troppo scaltro.
Con un colpo di reni e le mani piantate a terra fu in piedi e pronto alla lotta. Ora che sapeva dove colpire, non aveva nessuna scusa in caso di fallimento.
Doveva colpire allo stomaco, ma quel coso stava sempre pancia a terra… come avrebbe potuto fare?

Si lanciò contro di lui e lo colpì col Sai per farlo arrabbiare, su ogni parte del suo corpo dove riuscì ad arrivare: lo scarafaggio stridette di furore e provò a colpirlo a sua volta, ma Raph schivava velocemente per non dargli modo di prenderlo.
Spiccava via via salti sempre più alti, per indurlo ad alzarsi ancora in piedi, ma il bestione non cadeva nella sua trappola: faceva versi di rabbia e impazienza, ma sembrava sapere che lui stava mirando al suo punto debole.

Raphael schivò una scudisciata di un'antenna e si portò indietro di qualche metro per pensare, riprendendo fiato.
Sentiva le gocce di sudore scendere velocemente lungo il collo.
Se il bestione non voleva alzarsi, voleva dire che doveva arrivare al suo stomaco in altro modo.

Lanciò al suolo il Sai rimastogli e fece scrocchiare le mani una con l'altra. Poi fece qualche rimbalzo sul posto e sciolse i muscoli del collo, preparandosi alla mossa successiva.
Bene. Era una cosa che lo schifava da morire, solo il pensiero, ma che doveva fare.
Si accorse distrattamente che anche Leo era riuscito a battere il suo avversario, ma non ci fece troppo caso, era concentrato solo sull'insetto di fronte a sé.

Spiccò la corsa, a testa bassa, prendendo velocità, caricando con tutta la sua furia: il suo opponente si accorse delle sue intenzioni, le sue antenne frustavano l'aria impazzite aspettando il suo arrivo, schioccando rumorosamente.
Mancava pochissimo allo scontro, entrambi avrebbero colpito assieme. Le antenne erano alte, già pronte a colpire, quando la tattica di Raphael variò: si tuffò al suolo in scivolata, strisciando con la schiena contro il terreno e sollevando la polvere che coprì la sua mossa.

Riuscì ad infilarsi al di sotto della creatura, proteggendosi il viso con le braccia dalle sue zampe acuminate: fu un bene, perché riuscì anche ad evitare di respirare troppo il suo cattivo odore. Rimase a guardare per un istante la penombra e il suo stomaco grigio che pulsava, provocandogli il disgusto.

Piantò i piedi contro la sua superficie molliccia e viscida, e le mani sopra la testa, al suolo.
Gridò quando fece forza, con un colpo di reni, che scaraventò lo scarafaggio in aria di qualche metro. Lo guardò piroettare mostruosamente nell'aria e fu in piedi prima che toccasse terra: con un salto raggiunse la sua altezza e lo colpì allo stomaco con un calcio, spedendolo a sbattere contro uno degli alberi lì vicino.
Riatterrò ammortizzando con le ginocchia, poi fu di nuovo in piedi, a guardarsi intorno. Anche Mikey aveva sconfitto il suo avversario e c'erano quattro enormi scarafaggi riversi a terra, privi di sensi.

Ci fu un istante di silenzio totale, mentre i quattro fratelli si cercavano con lo sguardo, tutti sollevati.

L'arbitro Gyoji apparve nella pura aria come suo solito, con la sua trasparenza eterea; non avevano mai capito che creatura fosse Gyoji, talmente incorporeo da potergli vedere attraverso, coi suoi vestiti simili alla tenuta dell'arbitro di Sumo sulla terra, il viso bianco perennemente inespressivo. Era inafferrabile come l'aria, e galleggiava proprio in essa, senza peso, con le gambe incrociate.
Sapevano solo che era dappertutto e vedeva tutto quello che succedeva nel torneo, svolgendo il suo compito di arbitro con precisione e affidabilità.

In quel momento teneva uno stendardo in una mano, su cui vi erano gli strani simboli che formavano l'alfabeto della dimensione Nexus e uno Yin Yang disegnato proprio in cima.
L'incontro preliminare di gruppo è stato completato in 73.1 Quargon” annunciò con la sua voce morbida, mentre lo piantava al suolo.
I Blattoden sono eliminati dalla competizione!” aggiunse, agitando il ventaglio da battaglia che portava sempre, il Gunbai, di fronte a sé. Un portale ovale apparve a mezz'aria, vicino ai quattro scarafaggi che si rimettevano a fatica in piedi, pronti ad andare via.

È un piacere rivederti, Gyoji” salutò Leo, avvicinandosi all'essere fluttuante.
Era complesso capire se lui fosse felice di vederli, data la sua espressione monotematica, ma la sua voce sembrò lieta quando parlò, agitando il ventaglio ancora una volta.

Il piacere è mio. Il mio signore vi sta aspettando con vostro padre a palazzo.”

Un secondo portale apparve di fronte a loro, differente dagli altri: la sua superficie lucente non vorticava impazzita come le altre, ma splendeva di statico bagliore, rasserenante.
Lo attraversarono con un senso di sollievo nel petto, al pensiero che si erano qualificati anche quell'anno per poter competere.

Alla fine del tunnel sbucarono sulla terrazza del palazzo del Daimyo, che si affacciava direttamente sull'arena: riuscirono a vedere l'immensa folla accorsa per assistere alla competizione seduta sugli spalti, chiedere a gran voce l'inizio del torneo, con i tifi esultanti che entravano sotto pelle.
Ehi, ma quelli non li conosciamo?” domandò Mikey occhieggiando verso il basso, dove tutti gli altri partecipanti che avevano superato le qualificazioni attendevano, tutti con il collo verso l'alto, verso loro, in attesa.
Diede di gomito a Raphael per fargli vedere di chi stava parlando, ma la voce del Daimyo attirò anche la sua attenzione.

Bentornati al Battle Nexus, onorati ospiti. Avete reso onore a vostro padre ancora una volta” li salutò, con un breve inchino.
Il Daimyo sembrava non cambiare mai, costantemente identico, dalla punta dei capelli bianchi ai vestiti sontuosi dall'aria giapponese; i guanti di metallo argenteo scintillavano alla luce del sole e portava la maschera dorata in foggia di viso di demone antico, come al solito.

Si inchinarono anche loro, in segno di rispetto.
Ero certo che sarebbero passati” disse Splinter, apparendo dalle sue spalle e rivolgendo loro uno sguardo fiero e un sorriso.
Dietro di loro c'era il seguito del Daimyo, le donne e gli uomini coi volti pitturati come attori del teatro Kabuki e vestiti con kimono, e poi due ragazzini che parlottavano tra loro. Uno coi capelli biondi e uno rossi.

Steve!” lo chiamò Leo, sorpreso di vedere con chi stava parlando.
Steve si voltò al richiamo e sorrise verso di loro.

Leonardo!” esultò contento il ragazzo al suo fianco, con un gran sorriso.
L'ultimate Ninja, il figlio del Daimyo, era felicissimo di rivederlo. Era cresciuto ancora dall'ultima volta che l'aveva visto, era più alto anche di Steve, ma rimaneva sempre lo stesso ragazzino felice che era diventato dopo la sua rinascita: corti capelli rossi, splendenti occhi verdi e orecchie a punta per completare l'aria sbarazzina.

Vedo che tu e Steve avete già fatto conoscenza, Ue” constatò Leo, felice di rivederlo quanto lo era lui.
Ue, Ue-sama com'era chiamato a palazzo, sorrise anche di più. Lui e Steve dovevano avere pressapoco la stessa età, doveva essere veramente felice di avere qualcuno coetaneo con cui parlare e relazionarsi.

Annuì nella sua direzione.
Sì, Steve mi stava parlando dei suoi allenamenti. In futuro io e lui potremmo entrare nel Battle Nexus e sfidarci, non sarebbe fantastico?” esultò, facendo scintillare gli occhi verdi di emozione.
Steve arrossì alle sue parole, all'idea che un giorno potesse essere scelto come guerriero al prestigioso torneo. Non sarebbe mai potuto diventare così bravo.

Anche se, non è giusto che lui sia allenato da te e dal tuo maestro! Siete una famiglia di campioni, potrei non farcela!” continuò il figlio del Daimyo, storcendo la bocca in una piccola smorfia di disappunto che fece scoppiare a ridere Leo.
C'erano anche Mikey e Don insieme a loro, che scherzavano coi due ragazzi, ma Raphael invece continuava a guardarsi attorno in cerca di qualcuno.

Sensei, dov'è Isabel?” chiese leggermente apprensivo, perché proprio non riusciva a scorgerla.
Sta arrivando. Le donne del seguito del Daimyo le stanno dando una mano a vestirsi” rispose Splinter con un sorriso furbo sul muso.
Vestirsi per co… oh.”

Apparve dalla porta. Una donna in uno splendido kimono rosso, rosso come il sangue. Delicati decori di fiori bianchi si inerpicavano sulle lunghe maniche e sulla parte sinistra del corpo, partendo dal bordo del vestito; in vita era stretto da un Obi verde scuro con decorazioni floreali scure, nelle tonalità che sfociavano nel nero, creando un bel contrasto con la fascia color panna al di sotto di esso e con il colletto bianco sotto il Kimono.
Era un tripudio di eleganza e bellezza.

La donna si avvicinò a piccoli passetti con ai piedi Tabi bianchi e Zori rossi, arrossendo sotto il suo sguardo.
Isabel sorrideva nervosamente, mentre si avvicinava. I capelli castani erano raccolti in una complicata crocchia alla base delle nuca e decorati con un Kanzashi con fiori di stoffa rossi e bianchi.

Era ancora più nervosa, quando si fermò di fronte a Raphael.
Era di Tang Shen” disse per riempire il silenzio teso. Stava gesticolando, come suo solito.
Il maestro ha chiesto al suo padre adottivo se poteva avere il suo Kimono per le cerimonie, per me” finì, con la voce strozzata.
Sembrava che fosse l'idea di avere qualcosa di Tang Shen, più del fatto che indossasse un Kimono, ad emozionarla. Come se possedesse qualcosa che apparteneva ad una Dea.

Ti… ti piace? Non sono strana?” domandò dopo qualche istante, dato che lui non parlava.

Raphael si aprì in un sorriso e si chinò su di lei, sussurrando qualcosa al suo orecchio.
Avvampò all'istante, prendendo la sfumatura sanguigna del vestito.

Da come è arrossita quello che le stai dicendo è di certo poco pulito!” esclamò Mikey, che come gli altri aveva notato l'arrivo di Isabel. E se solitamente avrebbe lasciato tutto per andare ad abbracciarla e dirle che era bellissima, per stavolta rimase tranquillo ad osservare le reazioni del fratello davanti a quella sorpresa.

Ci fu uno scoppio di risa che la imbarazzò ancora di più, mentre guardava Raphael che ritornava a posto con uno scintillio nello sguardo.
È ora, amici” annunciò il Daimyo, scostandosi da loro e avvicinandosi al bordo della terrazza per guardare verso gli sfidanti che l'attendevano là in basso.

Era il momento del discorso di apertura.
Alzò le braccia in alto per chiedere il silenzio dalla folla di spettatori emozionata e dai partecipanti che lo salutavano con orgoglio.
E silenzio fu, spesso e penetrante.

Guerrieri, avete viaggiato dalle moltitudini degli universi e io vi offro il mio benvenuto al torneo del Battle Nexus!
Di coloro che non hanno superato la battaglia, io riconosco la loro audacia e il loro coraggio, e a coloro che hanno passato il round preliminare io dico congratulazioni.
E siate pronti per la prossima lotta, perché è arrivato il momento:
Che il Battle Nexus cominci!”

Alzò il bastone magico, il War staff, che indicava la sua posizione di comando, verso il cielo: si illuminò di azzurro e la sua energia magica salì verso l'alto, dove esplose in variopinti e formidabili fuochi d'artificio e coriandoli colorati che caddero sulla folla esultante e gli sfidanti urlanti.

Il torneo era iniziato.




Note:

Scusate per il ritardo, dovevo aggiornare ore fa, ma non vi sto a tediare.
Ci sono tantissime note, perciò iniziamo!

Allora, da questo capitolo e per tutta la durata del torneo la sezione note mi servirà per le spiegazioni sulle fasi del torneo, sui metodi per sorteggiare gli sfidanti e sulle schede per spiegarvi i vari personaggi che vengono dalla serie. Ce ne sono un bel po'.

Per questo capitolo:
La dimensione Nexus è una sorta di centro delle dimensioni, connessa a tutte le altre. Però da quel poco mostrato c'è solo una città cinta da mura e addossata a due cascate; per il resto è solo terra brulla, montagne e vegetazione dove spiccano ruderi e rovine, di qualche vecchia civiltà. Mi sono sempre chiesta cosa possa essere successo.

Il palazzo del Daimyo si affaccia direttamente sull'arena, e in una finestra più sotto c'è l'infermeria, credo in modo che anche quelli sconfitti che poi finiscono lì, possano continuare a seguire il torneo.
Il resto della cittadina si sviluppa tutto intorno a queste costruzioni.

Gyoji è ispirato alla figura dell'arbitro del Sumo. Sia l'aspetto dei vestiti che il ventaglio che usa, sono presi direttamente dal Gyoji. Così come il vero Gyoji del sumo, la sua figura è onorevole e si premunisce che le regole vengano osservate assolutamente.

Il Daimyo, o meglio l'Ultimate Daimyo, è il signore della dimensione Nexus. È molto anziano, ma non saprei dire quanto. Ha i capelli bianchi e quando non porta la maschera dorata in volto, si riesce a vedere il suo viso e i suoi occhi verdi.

Ue-sama, Ue, è suo figlio, in passato l'Ultimate Ninja. Era adulto e anche malvagio, tanto da provare a prendere il trono di suo padre cercando di ucciderlo. C'è stato un viaggio dimensionale che l'ha fuso con un drago e varie vicissitudini che alla fine hanno portato alla sua rinascita in forma di bambino, con la memoria cancellata. Adesso è un bravo ragazzo e adoro che lui e Steve possano essere amici.
Il suo nome non viene mai detto nella serie, figurava solo nel concept del personaggio. L'ho trovato su TMNTpedia.

Il kimono è formato da varie parti, tantissime a dire la verità. L'Obi è la fascia che stringe in vita, rigida, che poi viene annodata in varie figure sulla schiena, e sotto di essa c'è una fascia più morbida chiamata datejime. I Tabi sono i calzini con la separazione infradito e gli Zori i sandali. Il Kanzashi è un ornamento per capelli, a volte molto elaborato, con fiori di seta, perline, placchette in metallo.

Ho fatto un disegno al volo per farvi vedere come io l'ho pensato, perdonatemi perché è davvero brutto.


Ok, il torneo sta iniziando! L'emozione (la mia) è a mille. Sono capitoli complessissimi, anche per la mole di personaggi che tornano dal passato o che io ho inventato.
Spero di riuscire a farvi piacere il torneo.

Credo di aver dimenticato qualcosa, ma adesso proprio mi sfugge! Nel caso metterò qualche edit!
Grazie di tutto cuore!
A presto



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Capitolo 9
*** Round 1: I can't lose yet ***


Il boato della folla esultante ed eccitata era assordante e inebriante, come energia che entrava sottopelle, elettrizzando ogni muscolo. La voglia di lottare era a mille, come il batticuore.

I coriandoli stavano ancora volteggiando nell'aria come pioggia colorata e leggiadra, quando Leo si voltò verso i fratelli.
Dobbiamo andare. Il primo round sta per iniziare!” annunciò di colpo, sostenuto, per cercare di non cedere all'ansia pre-lotta.
Gli altri tre annuirono nella sua direzione, anche loro tesi e concentrati. Si inchinarono al Daimyo e al sensei, poi Raphael si sporse per un bacio a fior di labbra con Isabel.
Non c'era bisogno di nessun augurio o raccomandazione, ogni parola era implicita in quel lieve contatto.

Ue li precedette per far loro strada verso l'arena, portando anche Steve con sé. Il gruppo si scisse e i quattro mutanti e i due ragazzi si diressero verso l'interno del palazzo, voltandosi solo di tanto in tanto per gettare loro delle occhiate rassicuranti. O forse erano loro stessi in cerca di rassicurazione.

Noi prendiamo posto, figliola” mormorò Splinter gentilmente, mostrandole i cuscini posti dal seguito del Daimyo, vicinissimi al bordo del terrazzo. Avrebbero avuto la migliore vista sull'arena lì su, come Dei onniscienti.
Isabel si avvicinò a passetti lenti e guardò giù verso il folto gruppo di partecipanti che ormai non stava più prestando attenzione a loro; li osservò parlare in piccole squadre, studiandoli. C'erano forme di vita dalle fattezze più diverse: animali antropomorfi, ibridi tra più razze, perfino un alieno gelatinoso. Era un tripudio di colori e mescolanze cromatiche.

Non le fu difficile individuare gli unici con sembianze umane, lì in mezzo: Faraji, Adam, Tora e Joi avevano passato con successo la fase di qualificazione e adesso parlottavano tra loro con emozione, guardandosi attorno.
Isabel sospirò flebilmente, mentre prendeva posto al fianco del sensei, preoccupata per il torneo.
O forse anche per qualcos'altro.


Ora, Steve, vedrai qualcosa di grandioso!” asserì Michelangelo entusiasta, mettendo un braccio attorno alle spalle del ragazzino per pilotarlo verso la sorpresa.
Donnie alzò gli occhi al cielo.

Lascialo in pace, Mikey!” provò a contestare, invano.

Stavano camminando per il padiglione dei campioni del passato, un'enorme sala circolare che conteneva le statue di tutti i campioni del Battle Nexus esistiti e anche le repliche delle loro armi o dei loro elmi.
Steve cercò di vederne il più possibile, mentre Mikey lo trascinava letteralmente di peso per il corridoio, impedendogli di godersi appieno la visione. Con una brusca frenata infine l'amico si fermò e lo lasciò andare.

Tadan! Eccomi qua!” esclamò con teatralità, allungando le braccia di fronte a sé con smania. Aveva un sorriso a trentadue denti, mentre mostrava il suo tesoro.
Steve stiracchiò il collo indolenzito e guardò quello che voleva vedesse, con curiosità: una gigantesca statua d'ottone di Michelangelo in una posa plastica con le braccia al cielo e il viso esultante. In realtà poteva essere una qualunque di loro tartarughe mutanti, erano tutte identiche in fin dei conti, ma il ghigno sul volto d'ottone era inequivocabile, così come i Nunchaku scolpiti ai lati della cintura.
Il vero Michelangelo si pavoneggiava a pochi passi da lui, copiando la posa della sua statua con orgoglio.

Se non la smetti dopo che ti avrò ucciso ti farò impagliare in quella posa. E ti metterò in salotto!” lo minacciò Raph spazientito.
È solo invidia la tua” replicò l'altro, per niente toccato.
Non sei il solo ad avere una statua” disse Raph, facendo spallucce.
Al fianco di quella di Michelangelo, infatti, c'erano quella di Leo a destra e quella del sensei e del maestro Yoshi a sinistra.

Sì, ma non c'è la tua!”
Ma perché ogni volta è sempre la stessa storia con voi due?” sbottò spazientito Donatello, prendendo per il colletto Steve, per portarlo lontano da lì. Ue li seguì e anche Leo, lasciando Mikey e Raph a battibeccare mentre li seguivano, verso l'uscita.

I ragazzini si fermarono all'inizio delle scale che dal padiglione scendevano fin nell'arena. Non sarebbero scesi più giù, entrambi sentivano che avrebbero dovuto mettere piede in quel luogo speciale solo il giorno in cui sarebbero stati scelti per lottarvi e non prima.
Si salutarono con degli auguri sinceri, entrambi rivolti a Leo, scatenando così l'indignazione degli altri tre. Solo dopo che Mikey ebbe strapazzato un po' Steve, scherzosamente, l'augurio venne esteso a tutti.

Corriamo. Non possiamo perderci l'inizio!” esortò Ue, precedendolo nel percorso inverso.

I quattro li guardarono andare via con un sorriso in volto, ma quando si voltarono per scendere le scale per l'arena, era già scomparso.
La moltitudine di esseri alieni e di altre dimensioni si parò loro immediatamente, e anche se si sforzarono per capire quanti di quelli conoscessero, ce n'erano davvero troppi per riuscire a fare chiarezza. Nel primo round si sfidavano trentadue contendenti, perciò a parte loro quattro, c'erano altre ventotto forme di vita lì sotto, che scalmanavano e palpitavano nell'attesa dell'inizio.

Misero finalmente piede sul pavimento ocra del ring circolare, e una scossa di eccitazione li pervase. Gli occhi corsero intorno, tra le pelli rosa e le squame rosse, tra le pellicce e la consistenza gelatinosa e infine riconobbero due orecchie da coniglio, un paio da gatto, forse anche un corno, laggiù, ma prima che potessero provare a dirigersi verso quei punti, una voce li richiamò.

Leonardo! Siamo qui!” esclamò Faraji, avvicinandosi a grandi passi con tre persone alle calcagna. Anche loro gli si fecero incontro, e i due gruppi si incontrarono quasi al centro dell'arena.
Faraji, Tora, Adam e Joi sorridevano contenti, forse di rivederli, forse perché fieri di avercela fatta alle preliminari. Forse perché le loro erano le uniche facce amiche in una distesa di esseri così diversi.

Ce l'avete fatta” dichiarò il leader, nemmeno poi tanto sorpreso. Per qualche attimo aveva avuto timore che l'inatteso o l'aspetto dei loro opponenti potesse averli intimoriti e fatti deconcentrare fino a perdere, ma in realtà sapeva bene che gli altri accoliti erano in gamba e ben allenati.

Ce l'avrebbero fatta, però, contro i più che preparati avversari che erano arrivati fino a quel punto? Non sapeva nemmeno se ce l'avrebbero fatta loro. Sottovalutare un nemico solo perché era il campione in carica non gli sembrava una mossa intelligente.

Il mormorio eccitato degli altri partecipanti arrivò alle loro orecchie, facendogli capire che l'inizio si stava avvicinando; era spettacolare come decine, se non centinaia di alieni e creature dalle più diverse dimensioni potessero capirsi e trovarsi a proprio agio, nonostante le differenti caratteristiche fisiche e ambientali. Non importava se una razza nel suo pianeta avesse un'atmosfera differente, o un'altra una gravità particolare, un'altra ancora una temperatura specifica, lì nel Nexus coesistevano tutte senza alcun problema, senza bisogno di attrezzature, probabilmente grazie alla magia del Daimyo.
Perciò anche comunicare tra di loro era possibile e semplice.

D'accordo, sapete cosa dovete fare: disperdiamoci!” ordinò Leonardo, che sentiva che l'inizio era fin troppo vicino. Non c'era un secondo da perdere.
Si accorse delle occhiate stranite dei quattro umani e si affrettò a spiegare:

Nel primo round lo sfidante è casuale. Non appena il Daimyo darà l'avvio, l'arena si trasformerà e tutti gli sfidanti verranno appaiati a seconda della persona che si ha più vicino. Perciò dobbiamo separarci, per non rischiare di sfidarci da subito tra di noi.”
I quattro accoliti spalancarono gli occhi di comprensione e annuirono con vigore. La strategia era in effetti senza pecche, di certo studiata nelle volte precedenti in cui erano stati lì.

Si salutarono con un cenno della testa, mentre i fratelli batterono il pugno a quattro, con un sorriso fiducioso.
Ci vediamo più tardi” mormorarono in contemporanea, mentre si separavano in quattro direzioni differenti.

Camminarono scrutando i dintorni e gli esseri tesi come loro, mentre di tanto in tanto osservavano con la coda dell'occhio lassù, per controllare i movimenti del Daimyo e predire il momento esatto dell'inizio. Il saggio padrone di casa stava parlando con il sensei, mentre Isabel, Steve e Ue, seduti in posizione seiza, seguivano i loro spostamenti.

Donatello si muoveva con calma, studiando le persone che incontrava con occhio attento: un essere che sembrava un centauro dall'aria molto riflessiva e più in là quello che sembrava un ammasso informe di terra con una parvenza di faccia, e anche un lupo umanoide.
Stava pensando a quale sarebbe stato meglio affrontare nel primo round, valutando con logica i punti deboli e quelli di forza di ognuno.

Donatello” lo chiamò una voce alle sue spalle, facendolo trasalire, facendogli perdere la concentrazione.

Si voltò timoroso e forse anche un po' emozionato.
Jhanna” mormorò incredulo, studiando la donna aliena davanti a sé.
Era identica all'ultima volta in cui l'aveva vista. Fiera negli occhi scuri, splendente la sua pelle azzurra, i capelli blu dalla pettinatura simile ai dreadlocks della terra di nuovo lunga e folta. Erano passati sette anni, ma lei era perfettamente identica.
Il sorriso tenue che aveva in volto, diretto verso di lui, solo quello era nuovo.

Stai benissimo” esalò scioccamente, col cervello un po' bloccato. “Non sei cambiata affatto.”
Tu sei diventato più alto, Donatello” fu la risposta senza fronzoli di lei. Era davvero da Jhanna essere così diretta.
Aveva tante cose da chiederle, ma in realtà rimasero in silenzio per molti istanti. Troppi.

Non pensavo di vederti qua al Battle Nexus” se ne uscì cercando un argomento di conversazione, ma pentendosi all'istante per la sua stupidità.
Jhanna era una guerriera formidabile, così forte da essere stata scelta dal suo popolo per sfidare la precedente regina per richiedere il diritto al trono, e tanto abbastanza da riuscire a sconfiggerla. Lui lo aveva visto coi suoi occhi, sapeva quanto fosse preparata.

Un suono vibrante si diffuse nell'aria, attirando la loro attenzione e quella di chiunque altro.
Il gong stava ancora tremolando, mentre il Daimyo riportava il bastone davanti a sé; ora che aveva richiamato il loro interesse, lo sollevò al cielo con solennità, mentre si illuminava d'azzurro.

Che la competizione inizi!”

L'energia magica del War Staff saettò come un fulmine fino al centro dell'arena, colpendo con vigore: si divise e corse in ogni dove vorticando, segnando i confini del ring circolare che si affossava lentamente. I partecipanti barcollarono leggermente mentre la piattaforma calava e si assestava e il pavimento si trasformava da un caldo ocra in pietra in gelido acciaio; pareti dello stesso materiale iniziarono ad innalzarsi, bloccando gradualmente la visuale dei guerrieri. Alcuni, di certo alla prima esperienza nel Battle Nexus, si lasciarono prendere dal panico e iniziarono a girare in tondo, per il nervosismo.
Infine tutto si fermò e tutto ciò i partecipanti potevano vedere erano tre pareti grigie che li chiudevano insieme ad un altro contendente, fino a lasciare scoperto solo il cielo.

Guerrieri, il primo round cominci!”

Donnie osservò con apprensione l'ambiente limitato e il suo sfidante per il primo round.
Jhanna invece sembrava deliziata che lui fosse il suo avversario, a giudicare dallo scintillio negli occhi scuri mentre lo guardava.


Leonardo non stava cercando un rivale in particolare, quando si era separato dai suoi fratelli. Anzi, aveva fatto del suo meglio solo per sfuggire a facce già conosciute, per non doversi confrontare con loro troppo presto; aveva infatti evitato di avvicinarsi ad Usagi anche se lo aveva intravvisto da lontano, preferendo una zona dove c'erano molti alieni che non conosceva affatto.

Quando le pareti dell'arena si erano sollevate separandolo dagli altri, quindi, era stato sicuro che per quella prima lotta avrebbe incontrato una faccia nuova. Ma quando il viso e la montagna che era Al'Din gli si parò di fronte, seppe di avere sbagliato.

Il gigante azzurro gli sorrideva nella sua cortesia, ma sembrava solo minaccioso. Era il figlio di un caro amico di Splinter, D'Jinn, in passato anche lui uno sfidante del torneo. Come il padre era enorme, con quattro braccia muscolose e una coda spessa che poteva muovere a suo piacere come un arto in più. I capelli biondi erano raccolti in un codino e dello stesso colore erano i peli sulle spalle e le braccia.
Era un avversario leale e onorevole, ma mentre prendeva le armi, Leo si chiese per quale assurdo colpo di sfortuna dovesse competere sin dall'inizio contro colui che aveva sfidato alla finale del torneo precedente, battendolo solo per un soffio.


Raphael si era tenuto alla larga soprattutto al gruppo di umani, perché evitare Joi era la sua priorità, per quel giorno. Se fosse stato fortunato non si sarebbe scontrato con lei in nessun modo e alla fine del torneo avrebbe potuto dirle addio e non rivederla mai più nella sua vita.
Gli dava fastidio sentire il suo sguardo addosso, perché sì, sapeva che lei lo guardava di continuo, come se stesse cercando il momento giusto per avvicinarlo e parlargli.
Peccato che lui non avesse niente da dirle.

Era quasi a metà dell'arena quando il primo round era iniziato e i muri avevano iniziato a sollevarsi attorno a lui, escludendolo insieme al suo avversario: con un'occhiata valutò la sua forza e si preparò mentalmente per lo scontro imminente, presentendo che non sarebbe stato molto facile.
Era piuttosto grosso, ma non era quello a preoccuparlo, quanto la spessa corazza che lo ricopriva, come un'armatura medievale, dalla testa ai piedi: le sue fattezze al di sotto non erano visibili.
Solo due fiammeggianti occhi scuri sotto la visiera dell'elmo.


Michelangelo stava sorridendo al suo opponente.
All'inizio, quando si era diviso dai suoi fratelli, aveva trotterellato dietro Raph senza farsi scoprire, con un ghigno in volto e una mezza idea di stargli appiccicato per potersi scontrare con lui sin dal primo round. Stava già pregustandosi la sua faccia scocciata e scioccata, quando si era fermato per controllare di aver visto sul serio una persona che conosceva.

E in quel preciso momento le pareti si erano sollevate e il suo avversario era già scelto, dal fato: di certo non sembrava tanto amichevole, né ammaliato dal suo sorriso.

Era un lupo umanoide, o per meglio dire, assomigliava ad alcune rappresentazioni terrestri dei licantropi: la forma indubbiamente umana, ma ricoperta di folto pelo marrone, il viso era un muso di lupo con le fauci ghignanti, le mani erano corredate di artigli affilati. Gli arti inferiori avevano grandi zampe a quattro dita e uno sperone appuntito.
Gli ringhiava contro sempre più, al vedere il suo sorriso, come se ne fosse innervosito. Di certo si prospettava uno scontro tutt'altro che piacevole.


Isabel aveva il batticuore.
Il gong che il Daimyo aveva battuto per decretare l'inizio era a pochi passi da loro e aveva sentito quasi fisicamente le vibrazioni e il rimbombo puro, che per un attimo avevano annullato ogni altra percezione.
E se non si era persa nemmeno uno spostamento delle persone là sotto, al vedere il terreno tremare sotto i loro piedi e le pareti dell'arena sollevarsi e dividerli, tutta la sua attenzione si era focalizzata solo sui suoi amici, solo per loro.

L'arena, una volta completa, aveva la forma di un fiore a otto petali, ognuno dei quali diviso a metà, creando in tutti sedici spazi triangolari dove trentadue sfidanti avrebbero gareggiato in uno scontro uno contro uno.

Teneva sott'occhio i suoi amici: Leo col suo sfidante gigantesco e dall'aria particolarmente forte; Don che avrebbe lottato contro una stupenda donna aliena dall'aria esperta; Mikey che stava girando in tondo al lupo umanoide che gli era capitato come avversario e per finire, anche se in realtà era quello per cui era più in apprensione, Raphael che si trovava ad affrontare un essere ricoperto da testa a piedi da un'armatura, o forse il suo corpo era proprio fatto così.

Aveva diretto solo un'occhiata distratta per gli altri. Aveva intravvisto Adam rinchiuso con un essere esile e secca dalla pelle color sabbia, forse femminile; Tora stava salutando con cortesia e un inchino il coniglio umanoide che sarebbe stato il suo opponente, che sembrava un samurai; a Faraji era capitata una sorta di creatura gelatinosa, della quale si faticava a capire una qualsiasi forma mentre Joi avrebbe combattuto contro un centauro alieno dall'aria malinconica.
Gli altri otto scontri non li aveva nemmeno guardati, c'era già troppo a cui stare attenti solo per seguire quelli con la giusta concentrazione.

Ovviamente, laggiù, ognuno pensava solo a sé stesso e non poteva sapere cosa gli altri stessero affrontando, ma sapeva che i quattro fratelli, in una piccola parte del loro cervello, si stessero augurando che anche gli altri ce la facessero.
E anche lei, nel suo piccolo, pregò e tifò per loro. Se solo… perché si sentiva inquieta?


Leo e il suo sfidante si stavano studiando, girando in tondo, dopo essersi salutati con un inchino. Lui e Al'din si conoscevano e c'era un buon rapporto di rispetto tra loro. Sarebbe stato uno scontro onorevole.
Il grosso omone aveva una forza sovrumana e una buona agilità. Di certo non poteva rilassarsi nemmeno per un secondo.
Ricordava perfettamente quanto era stato difficile batterlo alla finale del torneo precedente, quanto fino alla fine il risultato fosse stato incerto, dato che era molto forte.

Al'din scattò in avanti coi pugni alzati e attaccò contro la sua testa. Era anche molto veloce. Leo scansò il colpo torcendo il busto a destra, e nel contempo calò con forza le Katana contro il braccio: la lunga coda azzurra dell'alieno saettò e lo colpì dritto al petto, scaraventandolo indietro. Sbatté contro un muro del ring con un impatto secco e cadde a terra, immobile per qualche secondo.
Si era dimenticato della sua coda, che errore imperdonabile e stupido.

Rantolò per qualche secondo, pensando velocemente mentre riprendeva fiato.
Mi sono allenato ancora e ancora, da quando mi hai battuto” sentì dire alla voce profonda dell'amico, a pochi metri da sé.
No, non sarebbe stato per niente facile.


Jhanna aveva tirato fuori il congegno della sua terra che le avrebbe permesso di combattere: era un piccolo cilindro meccanico, di certo solo un piccolo esempio dell'avanguardia tecnologica del mondo dal quale proveniva; aveva dei pulsanti luminosi del colore del sangue: ne premette uno e due raggi luminosi presero forma dai suoi bordi, formando un bastone d'energia dello stesso colore vermiglio dei pulsanti; una delle due estremità terminava con una lama ricurva ripiegata su sé stessa.

Non eri diventata la regina del tuo mondo?” domandò Donatello con voce soffocata, impegnato a parare il repentino attacco della donna. Il suo bastone in legno e quello di lei di energia producevano un suono sordo quando si toccavano, e un leggero sfrigolio elettrico.
Il mio mondo è cambiato, Donatello” rispose la donna, piegandosi in avanti per scansare il colpo di Bō contro la sua testa. I dread fluttuarono nell'aria, evitando il legno per un millimetro.

Quando ho sconfitto Moriah ho ricevuto il ruolo di governatrice del mio pianeta” iniziò a raccontare, mentre continuava ad attaccare con tutta la sua furia e a scansare con maestria.
Ho condotto il mio popolo per cinque anni e nel frattempo ho fatto in modo che alcune cose cambiassero. Il potere non passa più di madre in figlia, non ci sarà più nessuna Moriah cresciuta nell'illusione di poter tiranneggiare i suoi sudditi perché destinata a regnare!”

Con una capriola riuscì ad arrivare al suo fianco e a colpire con forza la sua arma con la propria: il mutante perse la presa sul Bō, che volò nell'aria e cadde al suolo, lontano.
Don fece un veloce quadro della situazione con orrore. Era disarmato e poteva sentire lo spostamento di Jhanna, che si dirigeva con tutta la sua velocità contro di lui. Si tuffò a terra all'ultimo secondo, per puro istinto di sopravvivenza.

Lo stile di combattimento di Jhanna era fantastico ed eclettico, e lei era indubbiamente una delle più forti guerriere che conoscesse.
Eppure non poteva assolutamente permettersi di perdere, nemmeno se contro un'avversaria così formidabile. Aveva promesso
che non avrebbe perso come un idiota ai primi round del torneo e aveva tutte le intenzioni di mantenere fede alla parola data a sé stesso.


Mikey continuava a saltellare in tondo come un grillo, evitando le zampate veloci e crudeli del suo opponente. Era svelto e aggressivo. Pura potenza e furore e i suoi artigli acuminati saettavano fendendo l'aria, diretti contro il suo viso, i suoi occhi, il suo collo scoperto.

Michelangelo era bravo a scansare, veloce tanto quanto lui, rapido, mentre i Nunchaku ruotavano nelle sue mani nell'attesa del momento migliore per attaccarlo.
E nel contempo sorrideva come suo solito.

Il suo avversario gli ricordava tanto Raphael. Irruente e senza pensieri che non fossero lottare e lottare. Almeno a come era Raphael prima.
Sarebbe stato così semplice vincere usando quella rabbia e quella foga contro il suo proprietario come aveva fatto in passato con suo fratello; sarebbero bastate un paio di frasi ad effetto per punzecchiare e lui era bravissimo a farlo.
Ma sentiva che non sarebbe stato giusto. Onorevole avrebbe detto Leo. Con Raphael era un altro conto, erano fratelli in fondo, darsi fastidio era quasi un obbligo.
Avrebbe vinto con la sua sola tecnica. Con la sua sola forza.


Nello spazio angusto c'era solo silenzio. Raphael non parlava mai contro un avversario in una competizione così ufficiale e il suo opponente sembrava dello stesso avviso. O forse non poteva parlare.
Sembrava in fin dei conti una sorta di armatura vivente, non si sarebbe sorpreso se al suo interno non ci fosse stato nulla.
Solo uno spirito, solo un'anima.

Come diavolo si batteva una cosa del genere? Combatteva con una lunga lancia da giostra medievale, lunga almeno due metri, che usava per colpirlo senza dargli modo di avvicinarsi troppo. Proprio il genere di combattimento che lui detestava.

Cercava di evitare in ogni modo i suoi attacchi dolorosi simili a stoccate, ma tutto ciò che otteneva era la crescita della distanza tra loro.
C
orreva, saltava, scivolava, provando a superare quella barriera impenetrabile, ma il cavaliere lo teneva sempre lontano con un colpo deciso all'ultimo secondo, che non solo lo faceva cadere o volare via, ma che lo infastidiva sempre più, minando via via la sua pazienza.
C'era Isabel lassù a guardarlo. Non poteva fare figuracce. Non poteva assolutamente fallire.


Lei seguiva tutto con occhio attento. Lo sguardo saettava veloce nei piccoli cubicoli dove loro lottavano, alcuni vicini tra loro, alcuni dislocati da tutt'altra parte; e mentre spostava l'attenzione tra i loro vari scontri, non poté impedirsi di soffermarsi di sfuggita sugli altri combattimenti, alcuni dei quali già finiti: Adam aveva avuto parecchie difficoltà e alla fine la sua avversaria lo aveva battuto con un colpo della sua arma diretta contro il petto; il gigantesco umano era stato avvolto da una luce azzurra prima di essere colpito e poi era scomparso, lasciando solo la sua vittoriosa nemica nello scomparto dell'arena.

Quando sta per essere inferta una ferita grave o mortale, l'arena riconosce il pericolo e trasporta il guerriero nell'infermeria. Ovviamente vuol dire che ha perso, ma in questo modo non riporterà ferite letali” sentì la voce di Splinter spiegare, forse perché si era accorto della sua perplessità.
Si sentì rincuorata. Nessuno si sarebbe fatto davvero male, se non nell'orgoglio.

C'erano parecchi spazi in cui c'era solo uno sfidante, ormai: Faraji, il coniglio che aveva combattuto contro Tora, l'essere gelatinoso e anche una specie di golem.
Joi se ne stava sola nel suo a guardare verso di loro, l'unica cosa che potesse vedere.
Un brivido
corse giù per la schiena di Isabel, al sentire quei freddi occhi verdi su di sé. E forse era impazzita, ma le parve di percepire anche un'altra minaccia in sottofondo, qualcosa che aveva già provato prima.


Leo e Al'din combattevano con foga. Era difficile evitare di essere colpito da quella montagna di muscoli, ma si era ripromesso di riuscirci, perché anche il più piccolo colpo lo avrebbe mandato definitivamente in infermeria, squalificandolo dal torneo. Sapeva bene che ognuno dei suoi pugni aveva la forza di smuovere anche una montagna.
Al'din sembrava gioire del loro scontro. Era un'anima buona, lo sapeva, che gradiva moltissimo una buona lotta tra amici, per fortificare il legame e lo spirito. Che poi entrambi volessero vincere, quello era un altro paio di maniche.

L'approccio più giusto era nel cercare una breccia nella sua difesa per poterlo attaccare dall'alto con le Katana: allora la protezione sull'arena avrebbe riconosciuto la minaccia delle sue lame e avrebbe trasportato via Al'din.
Solo che non c'era una breccia nella sua difesa. Al'din era molto preparato e sapeva bene quali fossero i suoi punti deboli: ecco perché la coda interveniva sempre per spazzare via i suoi attacchi, con precisione tecnica.

Leo inspirò a fondo, riprendendo fiato dopo l'ennesimo affondo andato a vuoto; aveva fatto appena in tempo a tuffarsi in una capriola all'indietro per scansare un pugno e ora stava a qualche metro di distanza a fare il quadro della situazione.
Se lui era già stanco e accaldato, Al'din non dava invece nessun segno di fatica. Non stava nemmeno sudando, mentre le gocce scendevano copiose lungo il suo collo.
A lungo andare lui si sarebbe stancato e lo avrebbe preso in pieno. Era solo questione di tempo.

Ma come diamine lo aveva battuto al torneo precedente? Era quasi certo che fosse dovuto solo ad un errore di distrazione dell'omone, ormai. Non si spiegava altrimenti.
Di certo perdere contro l'uomo contro cui aveva combattuto alla finale precedente sarebbe stato onorevole, ma non era nei suoi pensieri.

Si rimise in posizione eretta e cambiò la presa nell'elsa della Katana destra: la impugnò al contrario e la sollevò in alto, caricando col braccio all'indietro, come se volesse scagliare un giavellotto.
Con uno sforzo sovrumano la lanciò contro Al'din, diretta contro la sua gamba: la spada fendette l'aria senza sforzo, la lama così affilata da non creare nessun attrito e il gigante blu la osservò per una frazione di secondo, per prendere le misure. La coda saettò con uno schiocco sordo e cozzò contro la Katana, deviando la sua traiettoria senza fatica: la spada cadde a terra, tintinnando dolcemente.

Non avrai pensato che funzionasse, Leonar...” pronunciò sorpreso l'uomo, voltandosi lì dove un istante prima era la tartaruga umanoide.
C'era solo il nulla. In un frammento di secondo Leonardo era scomparso dal suo campo visivo, perfino dagli angoli ciechi ai lati, come se non ci fosse mai stato.

Mi serviva solo per distrarti!” urlò una voce dal cielo.

Il mutante calava contro di lui con tutto il suo peso, l'unica Katana rimasta ben salda tra le mani, diretta contro la sua testa. Era troppo tardi per fermarlo, ormai.
Al'din sorrise, mentre la luce azzurra lo avvolgeva, portandolo lontano.

Me l'hai fatta ancora” sentì dire, mentre la spada trafiggeva lo spazio ormai vuoto, andando a graffiare contro il pavimento d'acciaio.
Riprese fiato con ampi sospiri e poi, finalmente, alzò lo sguardo al cielo.

Leonardo Hamato aveva passato il primo round con successo.


Il tipo aggressivo di Mikey gli stava dando filo da torcere. Era fin troppo agile per i suoi gusti e se non era stato ancora colpito da uno dei suo artigli era stato solo per puro miracolo.
In più, l'idea che fosse un vero licantropo lo aveva sfiorato un paio di volte, perciò si rammaricava che i suoi Nunchaku non fossero d'argento, così lo avrebbe battuto più in fretta, e nel contempo temeva di essere morso. Non voleva trasformarsi in un lupo mannaro alla successiva luna piena. La sola idea di una tartaruga mutante/lupo mannaro era scioccante. Anche se, l'idea di avere una pelliccia… no, non poteva pensarci sul serio.

Deviò un artigliata con un colpo deciso di Nunchaku e con l'altro lo attaccò alle gambe, dritto contro il ginocchio. Il lupo saltò repentinamente, mandando in fumo il suo tentativo.
Poi gli ringhiò addosso, innervosito dall'attacco così vicino. Cominciò a colpire in successione, in preda ad uno scatto d'ira violento, ed era sempre più veloce e preciso.

Mikey indietreggiava velocemente, l'unica cosa che gli riuscisse di fare. Se lo avesse preso nella sua furia non ci sarebbe stato scampo. E quanti passi mancavano alla fine dello spazio, comunque? In pochi secondi si sarebbe trovato con le spalle al muro.

Ad ogni passo il magone al petto cresceva e con esso la sensazione di panico. C'era il sensei a guardarlo. E il Daimyo. E Isabel con Steve. E poi lui era un campione del Battle Nexus, non poteva perdere in quel modo al primo round.

Stese uno dei Nunchaku di fronte a sé, tenendolo per le due estremità: il pugno del licantropo lo evitò e corse verso la sua faccia. Mikey incrociò di colpo le braccia e ingabbiò il polso dell'altro nella catena, stringendo forte; poi, con un balzo atletico, saltò oltre la schiena dell'avversario, torcendo l'arto all'indietro e facendogli così compiere una capriola.
Il lupo gridò di dolore nel suo volo e rovinò a terra con un guaito potente. Si stava già voltando con le zanne sguainate per affrontarlo, ma il Nunchaku calò dall'alto, impietoso: la luce blu lo trasportò via prima dell'impatto, un po' strapazzato ma incolume.

Mikey si passò le mani sul viso, sollevato, poi le alzò al cielo, trionfante.
Il secondo Hamato, Michelangelo, aveva passato il primo round.


Jhanna non si era trattenuta per un secondo.
Dopo averlo disarmato si era gettata in attacchi incalzanti con la sua arma di energia, che Don aveva evitato con sempre più difficoltà. La donna lo teneva impegnato per impedirgli di riavvicinarsi al suo Bō, lasciandolo così senza difesa. Alla sua completa mercé.

Ormai non aveva molte alternative, se voleva vincere.
Si lanciò contro Jhanna nello stesso secondo in cui lei lo attaccava e dopo essersi abbassato per scansare una stoccata contro la testa, si era rialzato in fretta e si era gettato contro di lei, afferrando il bastone di energia: con uno sfrigolio elettrico le mani iniziarono a bruciare a contatto con la fonte aliena, ma Don non lasciò andare la presa.

Sei impazzito?” domandò la donna, che provava a tirar via l'arma per staccarla dalle sue mani, per impedirgli di farsi male.
Io non posso perdere!” esclamò lui, strappandogliela con un secco gesto deciso. Il mutante fece volteggiare il bastone nella mano, assicurandosi una migliore stretta sul manico.
Jhanna, sbalzata via dal contraccolpo, non ebbe modo di evitare la sua stessa arma che le correva incontro.

Mi piacerebbe rivederti più tardi, Donatello” mormorò con una voce per nulla sconfitta, già per metà avvolta dal bagliore azzurro dell'arena.

Scomparve. Donatello si ritrovò a stringere il nulla nella mano e il suo viso corse senza volere verso l'enorme finestra dell'infermeria dove Jhanna, appena apparsa, lo stava guardando.
Arrossì, suo malgrado.

Donatello Hamato si era qualificato al primo round.


Raph si piegò in due, col respiro mozzo. Il colpo di lancia dritto contro lo stomaco non era riuscito proprio ad evitarlo. Il cavaliere approfittò del momento e alzò repentinamente l'arma al cielo per calarla con forza contro il suo guscio: se non si fosse spezzata nello scontro, lo avrebbe di certo mandato al tappetto. Sembrava essere diretto esattamente contro il suo collo, appena sopra il bordo del guscio.

Raphael prese un grosso respiro e trattenne il fiato.
Con uno sforzo inumano, ignorando le fitte di dolore all'addome, si alzò di scatto e lasciò andare il Sai sinistro, che cadde a terra dimenticato. La mano si sollevò contro la minaccia e afferrò dolorosamente la lancia, fermando la sua corsa.

Il cavaliere provò a strattonare per liberarla dalla sua presa, ma Raphael stringeva, stringeva così forte che la mano era impallidita e le vene pulsavano tra le nocche per lo sforzo.
Un mezzo sorriso gli incurvò le labbra.
Sempre tenendo ferma la lancia nella morsa della mano, separò la distanza tra loro con un solo gesto, con un solo balzo, e lo attaccò verso l'apertura della visiera col Sai rimastogli, tenuto come un pugnale.

Il cavaliere e la sua arma svanirono nella luce azzurra prima che potesse fargli davvero male e rimase da solo a prendere fiato, dimentico del dolore e ogni altra cosa che non fosse l'inebriante sensazione di vittoria nello stomaco.

Ora che era tutto terminato riuscì a sentire di nuovo il fragore della folla e le urla di incitamento che fino a qualche istante prima erano state cancellate dalla concentrazione.
Era inebriante. Erano assordanti.

Sollevò lo sguardo verso la terrazza, ed era lontano, ma il suo sguardo felice fu sicuro di averlo visto. Isabel sorrideva solo per lui.

Raphael Hamato aveva passato con successo il primo round.


Note dal torneo:

Il padiglione dei campioni passati è una costruzione circolare che ospita tutte le statue dei vincitori del Battle Nexus. Hamato Yoshi, Splinter, Michelangelo ne hanno avuta una nella serie 2003, poi nella mia serie ho fatto anche vincere Leonardo, perciò anche lui ne ha una. Ma solo qua, eh!

Nella foto del capitolo precedente, questa sala è nella costruzione tondeggiante che si vede a sinistra, contrapposta al padiglione medico, in pratica.


Dunque, il primo round ha già avuto luogo. La selezione, come detto da Leo, è casuale: quando si alzano le pareti lo sfidante che rimane nello spazio assieme a te diventa il tuo avversario. Perciò loro si disperdono.

Ad ogni round il metodo di selezione e anche la forma dell'arena cambierà, perciò io dovrò spiegarlo ogni volta. Ci sono le foto sotto di come si forma la prima arena.


La posizione seiza è la posizione giapponese del stare seduti sulle gambe, richiesto in casi formali come questo. Se agli uomini è concesso anche sedere con le gambe incrociate, per le donne è ritenuto sconveniente.


Jhanna. La formidabile Jhanna. È un'aliena che i nostri hanno incontrato nella quarta stagione. È caduta sulla terra in seguito ad un attacco a tradimento della donna che stava cercando ed è finita vicino alla fattoria Jones dove i quattro si trovavano in campeggio.

Jhanna stava cercando Moriah, la regina del suo pianeta, per scontrarsi con lei in combattimento: se avesse vinto avrebbe preso il potere dalle sue mani, dato che era una tiranna. Ovviamente Donnie il galantaruga è quello che si da più da fare per aiutarla e alla fine le cede anche la sua brandina quando deve riposare: Jhanna va via prima che si svegli, lasciandogli la sua coda di capelli da guerriera tagliata proprio in quel momento, come pegno.

Insomma, i due credo che si piacessero. Anche se, a rigor di precisazione, Donnie ha avuto momento simili con troppe ragazze nella serie, sto marpione!


D'jinn è lo sfidante che Splinter trova nell'episodio il duello dei duelli 1. È un omone fortissimo, ma anche onorevole, grande amico di Splinter.

Il figlio è una mia invenzione, ovviamente. Identico al padre e in competizione con Leo. Al precedente torneo Leo l'ha battuto vincendo il titolo di campione.


Salve a tutti!

Il torneo entra nel vivo! Chi ha scommesso che le turtles avrebbero passato il primo round può anche passare dal proprio allibratore per ritirare i soldi della sua vincita!

Ma chissà se andrà avanti così! Attenti su chi scommettete!

Scusate il mostruosissimo ritardo! Sono mortificata! Chiedo il vostro perdono con infinito dolore! Spero stiate tutti bene!

Vi posso mandare un enormissimo abbraccio? Sììì, vi adoro!



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Capitolo 10
*** Round 2: I'm not the same I was before ***


Isabel stava trattenendo ancora il fiato, col cuore in tumulto che premeva nella gola. Avrebbe voluto gridare dalla contentezza, gettando al vento la sua aria di compostezza, ma si trattenne lì davanti al Daimyo e al suo seguito.

Avevano vinto. Non che non avesse creduto in loro, ma gli scontri erano sembrati difficilissimi e i loro avversari così preparati, che aveva avuto paura che non ce l'avrebbero fatta, non tutti per lo meno. Donnie, in particolare, glielo aveva fatto temere, più di tutti, perché sembrava conoscere la donna che aveva battuto.
Ma poi, quando Raphael aveva sconfitto il cavaliere e si era voltato a cercare il suo sguardo, da quel momento in poi la sua attenzione era stata solo per lui.
E solo il cielo sapeva quanto avrebbe voluto scendere per abbracciarlo.

Non si era accorta che tutti gli spazi dell'arena contenevano ormai solo uno sfidante, che tutti gli scontri erano già finiti.
Le pareti acciaio iniziarono a calare e ad essere riassorbite dal pavimento, tornato del solito colore ocra: i guerrieri che avevano passato il primo round si guardarono fugacemente attorno, per controllare chi ce l'aveva fatta.

Il Daimyo alzò lo scettro al cielo, come tributo per loro.
Guerrieri, elogio le vostre vittorie ottenute fin ora. E adesso, preparatevi per il prossimo round, il secondo!”
Una bolla azzurra apparve al centro dell'arena, innalzandosi dal pavimento e salendo verso il cielo: poi si espanse e inglobò tutti i vincitori, alcuni abituati, altri perplessi, finché non scomparvero dal suo interno.
Infine, sparì essa stessa in piena aria.

Isabel si voltò verso il sensei, e forse la preoccupazione che sentiva era dipinta sul suo volto, perché il saggio maestro allungò una mano e la poggiò su una delle sue, per rassicurarla.
Stanno bene. L'energia del Daimyo li tiene un momento sospesi nel tempo, mentre l'arena viene modificata per il secondo incontro. Per noi stanno passando interi minuti, ma loro non si accorgono nemmeno del trascorrere di un secondo: tra poco ricompariranno e riprenderanno la lotta” le spiegò tranquillamente, lui che aveva già provato quei momenti e quelle sensazioni, da partecipante.

Isabel sorrise, lasciando andare il fiato dal sollievo e le voci dei due ragazzini al suo fianco le arrivarono all'orecchio, attirando la sua attenzione: Steve e Ue stavano confabulando animatamente sugli incontri appena avvenuti, facendo le loro considerazioni su quanto visto.
Ovviamente si sperticavano maggiormente in lodi per Leonardo e la sua vittoria contro il suo enorme avversario che, da quanto aveva capito, era stato suo opponente anche al precedente torneo, alla finale.
Quei due erano entrambi accaniti fan di Leo, avrebbero dovuto fondare un fanclub per lui.

Raffaello è stato davvero fantastico. Vincerà lui” si intromise nel loro discorso, giusto per vedere le loro reazioni.
Ue si limitò a stringere le labbra in una linea sottile, non osando contraddire una persona che non conosceva bene, mentre Steve spalancò gli occhi di meraviglia e poi alzò un sopracciglio scetticamente.

Lo dici solo perché sei innamorata di lui! È ovvio che tu lo sostenga!” sbottò senza ritegno il moccioso, lui che se lo poteva permettere.
Isabel sorrise furbescamente.

Allora devo pensare che voi siate innamorati di Leo?” domandò trattenendo le risate, mentre loro arrossivano e si inalberavano per la sua presa in giro.

Steve iniziò a dirgliene di tutti i colori, abbassando la voce perché il sensei e il Daimyo non lo sentissero, e lei in un primo momento scoppiò a ridere, poi si congelò, dimentica di tutto: c'era il gelo, ad avvolgerla.
Uno sguardo freddo. Freddo e glaciale. Si sentiva scrutata, spiata e tenuta sott'occhio. Ovunque si voltasse c'erano solo quegli occhi, che la pressavano sempre più, ingabbiandola nella loro morsa soffocante.

Ehi! Mi stai almeno ascoltando?” scoppiò la voce di Steve, alterata, infrangendo quella sgradevole sensazione.

Isabel sgranò gli occhi, come sorpresa di trovarselo di fronte e si guardò velocemente attorno: i due uomini al suo fianco stavano finendo di parlare tra loro, mentre i due ragazzini la guardavano straniti e ancora un po' arrabbiati, chiedendosi palesemente cosa non andasse in lei.
Era tutto normale. Il boato e le grida della folla multicolore che incitava per l'inizio del secondo round e le bandiere che garrivano, perfino il vento sul viso, era tutto come poco prima. Che si fosse immaginata tutto?
Il gelo, l'oblio, la paura?

Da una parte voleva parlarne con Splinter, ma le sembrava di star nuovamente ingigantendo la situazione. Come quando si era sentita seguita a New York. Ma d'altronde era impossibile essere seguita sia laggiù che lì, in un posto nuovo; perciò doveva esserselo davvero immaginato.
Era nel posto d'onore del Daimyo, era normale che qualcuno del pubblico potesse aver guardato fin lassù e che lei avesse frainteso l'intensità di quello sguardo.
Trasse un profondissimo respiro per calmarsi e sentì il flebile formicolio del sangue che correva nelle vene, dopo quell'istante di puro terrore.
Che sciocca. Ultimamente stava davvero reagendo eccessivamente per ogni cosa. Doveva darsi una calmata.

Allora, mi senti?” sbottò stizzito Steve, tirandole un colpetto leggero sulla fronte.
Era rimasta a fissarlo in trance per interminabili attimi e lui se prima si era infastidito, poi si era preoccupato della sua improvvisa apatia.

Sentirono entrambi un crepitio sferzare l'aria e gli sguardi furono attratti dall'energia magica del bastone del Daimyo che colpiva nuovamente l'arena: corse in circolo mentre la piattaforma si riaffossava e trasformava nuovamente in gelido acciaio, i muri che sorgevano dal nulla innalzandosi verso il cielo, dividendo lo spazio ottagonale del ring in otto spicchi triangolari, perfetti e identici l'uno all'altro.
Non c'era alcuna traccia però dei partecipanti.
Ancora.
Con lo stesso bagliore azzurro piccole chiazze apparvero dal pavimento, due per ogni sezione, e i guerrieri sorsero da esse, emergendo dal nulla. Erano già appaiati, dal caso questa volta.

Sentì un mormorio eccitato dal lato dei ragazzini, ma non vi stava prestando attenzione.
Ci aveva messo pochi attimi per individuare Raphael, la sua pelle verde scuro balzava subito agli occhi, e ancor di meno per sentirsi preda di uno strano nervosismo: nel triangolo che sarebbe stato lo scenario del loro scontro, Joi e Raphael si guardavano in silenzio, e perfino da quella distanza poteva sentire la tensione che li divideva.


Il colpo di gong risuonò nell'aria, ma Raphael lo percepì solo distrattamente. C'erano gli occhi verdi a tenerlo incollato al suolo e concentrato.
C'era uno scintillio predatorio nello sguardo di Joi che gli impediva di muoversi, perfino di respirare.
Aveva sperato che fosse stata sconfitta nel primo round. Aveva sperato di non trovarsela di fronte nemmeno una volta. Aveva sperato di non dover mai combattere contro di lei.
Ma alla fine, quando le cose andavano nella direzione sperata? Mai.

La donna prese l'arma che teneva legata in vita, un Kyoketsu-shoge: una lunga corda assicurata ad un'estremità con un laccio e dall'altra ad un coltello a doppia lama, simile ad un Kunai.
Teneva stretto in una mano il laccio che in genere serviva a legare l'arma al corpo e con l'altra faceva roteare il coltello con un sibilo minaccioso, senza staccare lo sguardo dal suo.
Raphael non si fece pregare per sguainare i suoi Sai e mettersi in posizione di attacco, imprecando mentalmente che le cose non andassero anche peggio.


A due cubicoli di distanza, Leonardo stava piegando il capo verso il suo avversario, con un sorriso soddisfatto per lo scontro che lo aspettava da lì a pochi secondi: aveva sempre desiderato potersi confrontare contro Faraji in un vero duello, quando erano stati compagni durante l'allenamento con il ninja tribunal.
E ora ne aveva l'occasione.
Nel fondo dello stomaco aveva sempre sentito la pressione di scoprire chi fosse il migliore tra loro, perché Faraji era stato l'unico che aveva sentito al suo livello di tecnica. Un desiderio infantile di mettersi alla prova per stabilire un traguardo personale. Solo che il vecchio Leo non avrebbe mai chiesto uno scontro senza alcun motivo che non fosse appunto quella curiosità nel fondo della mente.
Ma il nuovo Leo avrebbe gioito e approfittato dell'occasione presentatagli.


In un altro cubicolo triangolare, due tartarughe umanoidi si scrutavano, senza aver ancora messo mano alle armi.
Mikey sorrideva così tanto che probabilmente gli sarebbe rimasta una paresi facciale per sempre se non avesse smesso all'istante, mentre Don si limitava a ricambiare il suo sguardo euforico con uno affilato e apparentemente rilassato, seppure guardingo.
Sapeva perfettamente che Michelangelo stava gongolando per aver avuto la fortuna di trovarsi lui di fronte, certo che sarebbe stato una bazzecola batterlo.

Ehilà, fratello. Bello trovarti qui” chiosò infatti felice l'altro, dandogli certezza dei suoi pensieri.
Mikey si sentiva già la vittoria in tasca.
Donatello allungò la mano oltre le spalle e prese il Bō con presa salda: lo fece volteggiare senza sforzo in circonferenze perfette nell'aria e attorno al corpo, attorniato dal sibilo morbido simile a folate di vento.
Fermò il bastone di colpo, poggiato contro un braccio.
Poi sorrise apertamente e sfacciatamente, un sorriso che non si vedeva spesso sulla sua faccia.

Il piacere è tutto mio, fratellino” mormorò soavemente.


Negli spalti e nel posto d'onore tutti trattenevano il fiato per l'eccitazione crescente. C'erano altri cinque scontri che sembravano promettenti, -come quel coniglio samurai che si sarebbe sfidato con un essere con quattro braccia, ognuna che impugnava una sciabola affilata,- ma Isabel non aveva occhi che per la battaglia di Raphael e Joi, che si studiavano in silenzio.
Di tanto in tanto gettava un'occhiata anche verso Leo e aveva sobbalzato al vedere Donnie contro Mikey, desiderando tanto di poter seguire la loro lotta che prometteva faville, ma non riusciva proprio a staccare lo sguardo da Raphael.
Aveva un'orribile sensazione nel fondo dello stomaco, e forse non era solo per quell'ansia di essere spiata.


Mikey sapeva che non gli sarebbe potuta andare meglio per quel secondo round. Avrebbe dovuto combattere contro uno dei suoi fratelli e, fortuna delle fortune, era il suo fratello maggiore più docile e facile da battere. Sarebbe stata una passeggiata.
Perciò non riusciva proprio a smettere di sorridere. E sapeva che non avrebbe dato sui nervi a Donnie come avrebbe potuto fare con Raph, ma anche il genio aveva un limite di sopportazione piuttosto labile.

Aveva già messo mano ai Nunchaku e li faceva roteare con spavalderia, attendendo il momento giusto per attaccare; stava in realtà aspettando che fosse Donnie a fare la prima mossa per poter prendere le giuste misure e calibrarsi al suo stile.
Ma, dato che il genio sembrava sulla difensiva, pareva che toccasse a lui smuovere un po' le acque.

Mikey si lanciò contro il fratello con uno scatto deciso e colpì col Nunchaku dritto contro le sue gambe, mirando alla sua stabilità: una volta a terra sarebbe stato molto più semplice batterlo.
Ma con un tocco sordo del suo bastone, Don parò l'attacco e con un gesto fluido usò l'altra estremità per caricare contro la testa di Mikey: con una sterzata rapida quello scansò e indietreggiò di un metro.
Il suo sorriso non aveva ceduto di un millimetro.

Sai, Donnie, sono contento che tu sia arrivato al secondo round. Ero preoccupato da morire che ti avessero buttato fuori al primo, come è già successo... molte volte” lo punzecchiò, senza ritegno.
Voleva che Don perdesse le staffe e la concentrazione e se per riuscirci doveva essere un po' cattivo col suo fratellone, beh, lo sarebbe stato.
Poi si sarebbe fatto di certo perdonare.
Ma Don gli rimandò il sorriso sereno di prima, senza fare una piega.

Voglio dire, chi se lo sarebbe immaginato? Magari avresti avuto anche una possibilità di vincere, se non ci fossimo dovuti scontrare così presto” continuò allora, sempre con quel tono fastidioso.

Suo fratello si portò all'attacco, con una stoccata dall'alto, che Mikey evitò scartando repentinamente a destra, poi ingaggiarono una lotta furiosa di parate e affondi, e per quanto Mikey cercasse di trovare un angolo cieco per poterlo colpire sul serio, dovette ammettere che Don era bravo.
Più bravo di come si era immaginato, di quanto aveva visto negli allenamenti. Che Don si fosse trattenuto apposta per non scoprire le sue carte troppo presto?
Mikey voleva vincere, doveva vincere.
Avrebbe funzionato la carta del fastidio, se avesse continuato a punzecchiarlo?


Sono davvero contenta di poter lottare contro di te, Raphael” disse Joi, mentre evitava un attacco deciso contro la sua testa, senza nessuno sforzo.
Aveva iniziato a combattere subito, Raphael. Perché voleva che finisse tutto al più presto possibile. E perché Joi aveva iniziato a parlare immediatamente e lui non voleva stare ad ascoltarla. Ma avrebbe dovuto.

So che mi stavi evitando” continuò la donna, mentre con poche mosse scartava i suoi violenti attacchi, indietreggiando per lo spazio triangolare dove erano confinati.
Raphael non rispose. Come non aveva risposto fino a quel momento.
Non aveva niente da dirle.

Si lanciò contro di lei con più veemenza, con uno stupendo gioco di finte per poterla mettere alle strette, ma Joi era molto brava nella difesa e sembrò leggere nella sua irruenza, riuscendo ad evitare per un soffio di essere colpita.
Era da tanto che volevo parlarti, Raphael” esclamò, parando uno dei Sai nella fune della sua arma. Lui indietreggiò per impedirle di ingabbiarlo e la fissò da una discreta distanza, con sguardo affilato.
Volevo parlare di quello che è successo tra noi. Di quanto ti abbia pensato. Di quanto sia stata male, per ciò che è stato” insisté Joi, che non sembrava davvero molto concentrata nella lotta.
E quello infastidiva moltissimo Raphael.

Voleva che lei desse il suo massimo, se proprio doveva stare lì a cianciare. Voleva batterla senza nessun rimpianto, da nessuna delle due parti.
Come un desiderio di rivalsa, ma anche di chiusura.
Con uno sbuffo sonoro percorse la distanza che li separava e caricò coi Sai, senza esitazione: Joi ne evitò uno e parò l'altro con la sua arma, poi sembrò stufarsi dell'andamento della lotta e del suo silenzio e con una spinta decisa lo allontanò da sé e poi passò finalmente all'attacco.
Facendo ruotare il Kunai sopra la testa, diede corda e lo gettò dritto di fronte a sé ripetutamente, in lanci mirati e veloci: Raphael, preso alla sprovvista, si piegò a destra e a sinistra per eludere gli assalti. Eppure sorrise. Quello era lo scontro che cercava.

Mi sei davvero mancato, Raphael” confessò Joi al vedere il suo sorriso soddisfatto.


Leonardo e Faraji erano avviluppati in una perfetta serie di attacchi e parate, in un tripudio di tecnicità epica, tanto da sembrare una danza con un ritmo ben preciso.
Gli occhi di molti erano calamitati su di loro e non solo perché Leo era il campione in carica. Stavano dando uno spettacolo di perfezione che nessuno dei due sembrava deciso a far sfigurare.

Sai, Leonardo, sono davvero contento di potermi misurare contro di te. Era una cosa che desideravo da tempo” confidò Faraji, attento alla traiettoria delle sue Katana.
Leo sorrise brevemente mentre parava la lama della spada dell'altro con una delle sue, felice di sapere che il sentimento di competizione era lo stesso per entrambi.
L'arma di Faraji era uno spadone a due mani dall'elsa elaborata rossa e dorata in foggia di dragone, forse il retaggio delle origini dell'uomo: era un'arma letale e stupenda e il suo proprietario sapeva maneggiarla alla perfezione.

Leonardo sapeva che non sarebbe stato semplice battere Faraji e la certezza di vittoria era davvero lontana.
Avrebbe dovuto stupire e stupirsi per poter vincere.
Il tintinnio metallico delle loro armi risuonava ad ogni collisione tra loro, assordante. Così forte da coprire i denti che stridevano tra loro nella morsa di furia, così forte da coprire il suono del batticuore per lo sforzo fisico.
Leonardo si accorse che la loro lotta era diventata un po' troppo prevedibile e che di quel passo nessuno dei due avrebbe mai prevalso sull'altro. E lo scontro non poteva decisamente finire in parità.
Faraji eseguì una spettacolare sequenza di affondi e stoccate letali e potenti, che lo fecero indietreggiare a grandi passi per la violenza che si abbatteva contro di lui, in cerca dello spazio adeguato per poter contrattaccare.

D'un tratto, con un suono sordo e quasi inaudibile, il guscio toccò la superficie del muro, impenetrabile. Leonardo era spalle al muro, nello spazio in cui le due pareti, incontrandosi, formavano un angolo acuto.
Faraji sembrò sorridere nel vederlo lì dove probabilmente voleva chiuderlo fin dall'inizio dalla lotta, dato che i due muri così vicini avrebbero impedito a Leonardo di muovere con facilità le sue Katana.

E Leo mantenne solo per un secondo la faccia impassibile che aveva dipinto in volto, prima di aprirsi in un grande sorriso.
Che Faraji notò solo troppo tardi, quando ormai stava già calando la sua spada contro di lui.
Leonardo saltò agilmente e rimbalzando sulle superfici attigue si diede una spinta sempre più in alto, tuffandosi poi oltre il suo avversario con un carpiato in avvitamento: con un colpo a forbice centrò la spada di Faraji dall'alto e la fece cadere dalla sua presa.
Una volta atterrato alle sue spalle, Leo concesse a Faraji di voltarsi, perché potesse guardarlo in viso. L'uomo sembrò sorpreso dalla sua mossa vincente, ma non dall'ultimo gesto onorevole.

È stata una bella lotta. Grazie, amico” mormorò il mutante prima di fendere la lama nella sua direzione, grato di vedere il sorriso di Faraji in risposta, che esprimeva lo stesso concetto.
La luce azzurra brillò portandosi via Faraji prima che venisse colpito, lasciando un vincente Leonardo da solo, a riprendere fiato.


Mikey dovette ammettere che si stava divertendo.
Niente stava andando come si era immaginato, dato che pensava di poter buttare fuori Don facilmente, però era proprio per quello che si stava divertendo.
Donnie stava dando il 100%, concentrato e determinato come non lo aveva mai visto prima e lo scontro tra loro era uno dei migliori che avesse mai avuto coi suoi fratelli. Di certo il migliore che avesse mai avuto con Donnie.
E perciò il sorriso che prima era stato canzonatorio, era diventato di contentezza.

Mikey era molto veloce, i suoi attacchi si basavano soprattutto sulla rapidità e l'imprevedibilità, perciò Don era estremamente cauto e sulla difensiva, coprendo con la lunghezza del suo bastone la superficie del corpo per impedirgli di colpirlo con la punta del Nunchaku, che avrebbe fatto male dato il rinforzo in ferro.
Però continuare a difendersi non lo avrebbe portato alla vittoria, Don lo sapeva. Stava aspettando il momento perfetto, la breccia nella tecnica di Mikey che lo avrebbe portato in vantaggio.

Nel frattempo, tutto ciò che si sentiva nel loro cubicolo era il ticchettio sordo dei legni del Bō e quello dei Nunchaku, ogni volta che si scontravano con violenza. Mikey aveva smesso di parlare per punzecchiare Donnie, tanto sapeva che non avrebbe ottenuto niente con quella tecnica. Forse non avrebbe avuto più nemmeno effetto contro Raphael, dato che ormai era diventato più tranquillo grazie ad Isabel.
Dannazione, la carta del fastidio era la sua arma segreta!

Di nuovo, si lanciò contro le gambe di Don con stoccate secche dei Nunchaku, mirando agli stinchi con precisione, ma il Bō bloccava ogni attacco all'ultimo secondo senza sforzo; dopo una parata, Donnie girò velocemente il bastone e attaccò contro la sua testa, ma Mikey lo bloccò inaspettatamente con la catena di un Nunchaku, lasciando cadere l'altro per la sorpresa.
Poi, preso da un'idea improvvisa, avviluppò la catena attorno al Bō, bloccandolo nelle spire metalliche saldamente.
Il suo sorriso durò solo mezzo secondo e non fu mai brillante come quello sul viso di Donnie.

Il genio sembrò aver atteso quel momento da tutta una vita: con uno scatto energico ruotò il busto in una proiezione perfetta e usando il bastone come leva scagliò Michelangelo nell'aria, dritto contro il muro d'acciaio dell'arena.
Mikey strillò a pieni polmoni, sia durante il volo che al momento dell'impatto, e poi si accasciò a terra con un grugnito di dolore e imbarazzo, con un tocco sordo del guscio contro il pavimento.
Respirò a fondo e in un paio di secondi riuscì a voltarsi per poter guardare verso l'alto, pronto a riprendere la lotta, ma ormai era già decisamente troppo tardi: Donatello torreggiava su di lui, il bastone dritto contro la sua testa, appena sollevato per mettere più forza nel colpo.
Sorrideva, ma non era derisorio, solo fiero. Soddisfatto di sé.

Mikey sospirò, chiudendo gli occhi al vedere il Bō calare repentinamente contro la sua faccia, implacabile: la luce azzurra dell'arena lo avvolse prima della collisione, portandolo fuori da lì, verso l'inevitabile sconfitta.
Donnie rimase da solo, in piedi, a guardare verso il punto in cui il suo fratellino era scomparso, assorto.
Ci volle qualche istante perché la verità lo colpisse, infine: aveva vinto contro Mikey.
Con un grido di giubilo sollevò le braccia al cielo, con un delizioso calore al centro del petto che poche altre volte aveva provato.
Orgoglio, caldo orgoglio. E fierezza.


Isabel si portò le mani alla bocca, sopraffatta dall'emozione.
Si era voltata un attimo, un secondo solo dalla lotta tra Raph e Joi che infuriava senza pietà, e aveva assistito agli ultimi attimi tra Don e Mikey: Donnie aveva trionfato con una mossa fluida e sicura, che forse nemmeno lui aveva pensato funzionasse, data la sua evidente sorpresa mentre esultava.
Era così felice per lui, così fiera di lui.
Ma c'era un altro fratello di cui occuparsi, al momento.

Si voltò verso il Daimyo e Splinter, con sguardo preoccupato.
Posso andare da Mikey, sensei? Vorrei vedere come sta” domandò, senza preavviso.
Era vero che lo scontro di Raphael non era ancora finito e che rischiava di perdere la fine, ma sentiva che Mikey aveva bisogno di qualcuno della famiglia vicino a sé.
Il maestro spalancò per un secondo gli occhi, ma al vedere la genuina preoccupazione di lei annuì solamente; ad un gesto della mano del Daimyo, una delle donne del suo seguito si avvicinò a passetti eleganti e si inchinò con rispetto.

Porta la nostra ospite all'infermeria, presto” ordinò poi, indicando verso Isabel.

Lei si alzò con un po' di fatica per via della posizione sulle ginocchia che le aveva addormentato le gambe e del Kimono che un po' la impacciava, ma con un sorriso di gratitudine e un grazie si accodò alla donna, più veloce che poté.
Quella non parlò mai durante il tragitto, ma la sua cortesia si notava dai gesti e dalla delicatezza che emanava, mentre le faceva strada; scesero per due rampe di una meravigliosa scalinata in marmo, splendida come ogni dettaglio della magione del Daimyo, e infine la donna si fermò alla fine di un lungo corridoio, davanti ad una porta color noce e con un inchino cortese le fece segno di entrare.
Isabel ringraziò con un inchino profondo quanto il suo e aprì l'uscio con decisione: per un paio di secondi fu un tripudio di razze aliene e multidimensionali, -tutti gli sconfitti fino a quel momento,- che si erano voltati a guardarla, sorpresi nel vedere qualcuno entrare nell'infermeria.

Sorrise nervosamente mentre voltava lo sguardo attorno, finché non trovò quello che cercava: Mikey era in piedi sul cornicione dell'enorme apertura nel muro che permetteva la visuale sull'arena.
Si incamminò verso di lui e poggiò una mano sulla sua spalla, per annunciare la sua presenza.

Sei stato bravissimo, Mikey” mormorò con tono consolatorio, convinta di trovarlo in preda alla tristezza.
Ma lui si voltò e sorrideva splendidamente.

Isabel!” chiocciò felice, abbracciandola con trasporto, rischiando di soffocarla con la sua irruenza.

Lei ridacchiò rincuorata tra le sue braccia, ricambiando l'affetto.
Questo si chiama perdere con stile” gli disse poi.
Mikey la lasciò andare e fece spallucce, indicando poi verso il basso, verso l'arena.

Guardalo, come si fa ad essere arrabbiati?” esclamò puntando verso Don, che esultava ancora con un sorriso smagliante e soddisfatto.
Isabel rise insieme a lui, occhieggiando anche lei il genio festivo, solo nella sua limitata arena, che guardava a sua volta verso di loro. Gli fecero un segno di saluto.

Poi lo sguardo vagò brevemente sui solitari vincitori che attendevano pazientemente nei loro cubicoli e infine arrivò ad uno dei pochi scontri ancora in corso: Raphael e Joi erano ancora allacciati in una battaglia furibonda, così concentrati da essersi dimenticati di tutto il resto.
Isabel si irrigidì inconsciamente, mentre quel magone tornava, prepotente.
Mikey l'afferrò con un braccio e se la strinse contro, con affetto.

Sei preoccupata? Lo sai, vero, che Raphael ti ama?” sussurrò comprensivo, avendo percepito le sue preoccupazioni.
Isabel annuì piano, commossa dalla sua premura.


Deciditi a rispondere, Raphael!” tuonò Joi, aggredendolo con furia. Il mutante scansò a destra e con una capriola si allontanò di poco, abbassando poi la testa per evitare il successivo attacco.
Vorrei che potessimo discutere e risolvere questa tensione!” continuò la donna, che non gli lasciava scampo, né nella pressione fisica né in quella mentale.

Raphael si rialzò e si scagliò contro di lei con un Sai, puntando contro la sua gola, ma Joi si piegò in una perfetta capriola all'indietro all'ultimo momento, elegantemente; con un piede colpì la mano di Raphael e gli fece volare via l'arma per il contraccolpo.
Mi dispiace davvero molto per come mi sono comportata in passato” confessò mentre si rialzava, con un'espressione di sincera contrizione.
Mi dispiace di averti ferito.”
Lui si limitò ad inspirare con forza, per nulla impressionato dalla piega degli eventi, ma rafforzando invece la presa sull'unico Sai rimastogli.
Si scontrarono ancora e ancora, e per ogni scusa di Joi, c'era uno sbuffo di Raphael.
Ma se la donna era sempre più appassionata nello scusarsi, lui era sempre meno arrabbiato, solo scocciato.
Voleva solo mettere un punto a tutto quello.

Aspettò che Joi lo caricasse con la sua arma, pazientemente. Facendo scivolare il piede di pochi millimetri evitò il Kunai e con un gesto secco afferrò la corda con la mano, con presa salda: con uno strattone violento tirò e fece perdere l'equilibrio alla donna, che cadde al suolo ai suoi piedi.
Velocemente bloccò le sue braccia con la fune della sua stessa arma e Joi, oltre la sorpresa, sembrò intimorita dall'enorme figura che torreggiava su di lei.
Raphael si chinò, pronto ad usare il Sai per batterla definitivamente. Ma lo fermò appena prima di colpirla, inaspettatamente.

Va tutto bene, Joi. Non ho bisogno di scuse. Sono felice, adesso. Davvero felice” le disse sinceramente, con un breve sorriso.

La cosa successiva che Joi vide fu la luce azzurra dell'arena che la avviluppava e quando quella scomparve, era in un posto nuovo, circondata da moltissimi guerrieri. Un uomo in tunica bianca si avvicinò per poterla controllare, per assicurarsi che non fosse ferita.
Joi lo rassicurò con un gesto della mano e sospirò.
Era stata sconfitta. Si voltò verso la grande apertura che dava sull'arena e sussultò al vedere Michelangelo e Isabel che guardavano verso di lei.
L'altra donna la guardava con quegli occhioni scuri di una dolcezza fastidiosa. Ebbe quasi il mezzo impulso di dirle una bugia su lei e Raphael per rivalsa.

Hai lottato benissimo. Non ho staccato gli occhi dalla vostra lotta per un secondo” confessò Isabel, forse nel tentativo di farla sentire meglio.
Joi sbuffò sottilmente, piegando la testa di lato. Si voltò e iniziò ad incamminarsi verso l'uscita dall'infermeria a passo spedito.
Poi, di colpo, si fermò con la mano sulla maniglia.

Ho perso contro di te. E non abbiamo nemmeno combattuto” esclamò, prima di aprire la porta e sparire oltre.
Isabel guardò confusa verso Mikey, che fece spallucce.

Dagli spalti arrivò il boato della folla in tumulto e si voltarono immediatamente, per capire cosa stesse succedendo: tutti gli incontri erano terminati, lasciando gli otto vincitori ognuno nel suo spazio ad esultare verso loro e gli spalti con orgoglio.

Leonardo, Donatello e Raphael avrebbero continuato il torneo.



Note dal torneo:

La seconda arena è un ottagono diviso in otto sezioni triangolari (come una deliziosa pizza!)
In ogni spazio sorgono dal pavimento due sfidanti, grazie al potere del Daimyo: le accoppiate sono decise completamente dal caso (o forse il Daimyo lo decide, ma fa finta di nulla? XD)
Ho messo una foto per aiutare nella comprensione, nel caso non sia riuscita a spiegarmi per bene.


L'arma di Joi è una Kyoketsu-shoge, leggermente modificata. Una Kyoketsu-shoge originale ha ad una delle estremità della corda un anello in ferro e dall'altra un coltello a doppia lama e una piccola lama ricurva verso l'interno. Quella di Joi ha un laccio da una parte, che lei usa per legarla alla vita e dall'altra un Kunai.


Note di me:

Salve a tutti.

Chiedo innanzitutto scusa a tutti voi che seguite la storia per essere scomparsa per più di un mese, sono mortificata. So che siete comprensivi con me e so di non meritarmelo. Purtroppo i problemi di salute  mi tengono lontana, ma non ho smesso di pensare a voi e alla storia nemmeno per un secondo. Io finirò questa storia e questa serie, ve lo prometto.
E spero di non dover approfittare della vostra pazienza ancora.

Grazie di cuore, sapere che dopo tutto questo tempo ancora siete qui con me mi riempie di gioia!

Abbracci a tutti

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Capitolo 11
*** Break (1): Of Love, Friend and Fear ***


L'arena scomparve repentinamente, mentre le grida di giubilo e il tifo degli spettatori riecheggiavano ancora con fragore.

Isabel vide Leo, Raph e Don guardarsi intorno e accorgersi l'uno degli altri, con dei grossi sorrisi fieri per essere ancora tutti lì: nel mezzo secondo in cui i primi due si resero conto della mancanza di Mikey, sollevarono automaticamente le facce verso l'infermeria e incontrarono lo sguardo del fratello battuto, al suo fianco.
Leo salutò con la mano, mentre Raph ghignò contento e canzonatorio. Mikey gli rivolse una linguaccia con tutto l'ardore possibile.

Da sopra le loro teste, udirono d'improvviso squillare una voce, che Isabel non aveva ancora sentito fino a quel momento. Gyoji prese parola, rivolto verso i partecipanti.
I seguenti guerrieri avanzeranno ai round finali della competizione:
Leonardo, della terza dimensione, Terra.
Trebor, della dimensione Philliun.
Usagi, della seconda dimensione, Terra.
Donatello, della terza dimensione, Terra.
Wraiti, della dimensione...”

Mikey e Isabel stavano assistendo alla proclamazione degli otto vincitori che avrebbero avuto accesso al terzo round, ognuno declamato per nome e per il luogo d'origine, così che tutti potessero conoscerli. E sapere i nomi per le scommesse che ne sarebbero conseguite.
Notando lo sguardo confuso di Isabel, si affrettò a spiegarle.

Adesso annunciano i nomi e le dimensioni dei finalisti e poi daranno una pausa perché possano riposarsi un po' prima della prossima gara.”
Isabel distolse lo sguardo dall'arena e lo puntò verso di lui, splendente.

Vuoi dire che posso andare da Raffaello?” domandò emozionata, già fuori di sé. La sua mano corse verso il braccio di Mikey, afferrandolo stretto.
Sì, non appena-”
Andiamo, portami da lui!” lo interruppe quella, trascinandolo già via.

Le ultime frasi di Gyoji arrivarono alle loro orecchie sempre più ovattate.
Gli otto finalisti devono presentarsi alla base dell'arena, esattamente tra 1 megaquargon!”
Isabel lo aveva già trascinato oltre la porta dell'infermeria, quando la sentì esclamare confusa: “Quanto è un megaquargon?”, facendolo scoppiare a ridere.
Una volta fuori però, lei sembrò confusa sulla strada da prendere, perciò Michelangelo prese il comando e la scortò fino all'entrata del palazzo, chiacchierando nel frattempo con lei e lamentandosi per essere già fuori dalla competizione, anche se non gli dispiaceva poi così tanto aver perso contro Donnie.
Ma aveva scommesso davvero tanto su sé stesso! Aveva i soldi per rifare la scommessa?

Arrivarono alla scalinata principale, proprio di fronte all'entrata. Isabel scrutò le persone che si intravvedevano al di là del grande portone e riconobbe Raphael, poggiato contro il muro con nonchalance.
Si gettò letteralmente giù per le scale, con piccoli balzelli a piedi uniti per via del Kimono, tanto che perfino Mikey si preoccupò di sgridarla.

Ehi! Piano o ti romperai l'osso del collo!”

Isabel arrivò in fondo incolume e si affrettò a coprire la distanza fino a Raphael, gettandoglisi praticamente tra le braccia. Quello non aspettava altro: la sollevò per la vita in aria, con un grosso sorrisone felice.
Quando la rimise a terra la strinse a sé e la baciò appassionatamente, intensamente.
Erano persi nel loro mondo, fino a che una voce petulante non arrivò alle loro orecchie.

Piantatela di essere schifosamente felici in pubblico, voi due! Mettete a disagio le persone tristi come me!”

Raphael si allontanò riluttante da Isabel, ma mentre la teneva ancora tra le braccia, si voltò verso il fratello a pochi passi da loro, con un ghigno cattivo in volto.
Tu sei triste perché sei un perdente, Mikey!” chiosò contento, gongolando un po'. Isabel gli tirò un colpetto di disapprovazione al braccio, ma lui fece finta di nulla.

Michelangelo sorrise ancora di più alla sua uscita, con un perfetto aplomb.
Farai meglio a pregare di non trovarti Don contro, al prossimo round. È diventato la versione Rambo di sé stesso e non ti darà tregua finché non avrà vinto. Tartaruga avvisata...” gli confidò cospiratorio, ignorando i suoi tentativi di dargli sui nervi.
Era lui che dava sui nervi a Raph e non viceversa.

Certo, certo, se ci credi tu...”
Raffaello!” lo sgridò Isabel, decisa a mettere fine al loro battibecco. Il mutante si irrigidì appena per il suo tono, poi sorrise.
Ok, ho di meglio da fare che stare qui a discutere con te. Io e Isabel andiamo in giro per il mercato e tu non sei invitato, ovviamente!”

Sussultò al sentire il pizzicotto contrariato che lei gli rifilò in un braccio, ma di nuovo fece finta di nulla. Mikey era ancora lì che li guardava con espressione contenta.
Come se volessi fare da terzo incomodo nella coppia diabete. No, grazie, raggiungerò Tora e Adam e mostrerò loro i dintorni” esclamò allontanandosi da loro, salutandoli distrattamente.
Cerca di non attaccare briga con nessuno e di arrivare in tempo per il terzo round!” si raccomandò poi, quando era già discretamente lontano.
Raph sbuffò dal naso, come se le raccomandazioni di Mikey fossero sciocche.

Lui deve stare attento. Ogni volta, ad ogni torneo, si mette nei guai con un alieno diverso.”
Si voltò verso Isabel, ancora stretta nel suo abbraccio.

Andiamo?”
Lei annuì felice e una volta mano nella mano, i due si incamminarono giù per la stradina che portava per la cittadella che sorgeva attorno al palazzo del Daimyo e all'arena.


Donatello stava camminando per le stradine affollate concentrato solo sul bigliettino che teneva in mano. Per quel motivo sbatté un paio di volte contro alcuni passanti, affrettandosi a scusarsi con sollecitudine.
Poi l'attenzione ritornava al biglietto, sui caratteri alieni che non sapeva proprio decifrare. In tutte le volte che era stato al Nexus, non gli era mai venuto in mente di creare un dispositivo per tradurre simultaneamente le scritte in altri alfabeti dimensionali. Beh, lo avrebbe fatto una volta tornato a casa, per certo.
In quel momento però, doveva assolutamente cercare di capire cosa quel miscuglio di trattini e curve volessero dire, alzando ogni tanto la testa per vedere se qualche scritta fuori dai locali combaciasse con gli scarabocchi.

Quel messaggio gli era stato consegnato da uno dei servitori del Daimyo, pochi minuti prima, quando stava per lasciare l'arena con tutti gli altri.
Con un po' di imbarazzo, appreso che non capiva per niente cosa ci fosse scritto, Don aveva dovuto chiedere all'uomo se poteva tradurre per lui.

Ti aspetto al locale chiamato Mipanur. Jhanna” aveva letto quello con volto impassibile. Con un sorriso contento per aver compreso di avere un appuntamento con Jhanna, Don si era fatto indicare la strada e quali segni sul foglio componessero il nome del locale, incamminandosi poi immediatamente dopo aver ringraziato.
E tuttavia era da un bel po' che vagava e vagava, senza riuscire a capire dove andare. Che avesse sbagliato strada?

Controllò con occhio attento sia a destra che a sinistra, cercando di far combaciare le insegne con la scritta e infine, con un mezzo grido di esultanza, trovò esattamente il locale che cercava: a sinistra, proprio dopo un carretto di quelli che parevano frutti alieni, sotto la stessa scritta che cercava a caratteri cubitali, di un acceso color giallo.

Ripiegò il messaggio e lo infilò nella taschina della tuta, incamminandosi a passo spedito e baldanzoso. Aprì le porte in ferro ed entrò, fermandosi poi per controllare gli avventori: due alieni arancioni chiacchieravano tra loro con suoni gutturali ad un tavolo poco distante, mentre al bancone del bar, che si ergeva proprio al centro della stanza in forma semi-ovale, c'erano molti più clienti, in piedi a sorseggiare e parlare tra loro. In un angolo una piccola orchestra di fiati suonava una musichetta allegra, ma non invadente.
Lo sguardo vagò velocemente sulle pareti in pietra dall'aria rustica e sulle piccole rientranze che formavano privati separé, alcuni dei quali occupati da coppie in atteggiamenti romantici.

Fu in una di quelle rientranze che intravvide l'aliena dalla pelle blu che stava cercando. Jhanna, che si era accorta della sua entrata, stava guardando diretta verso di lui, staticamente in attesa. Ovvio, lei non era il tipo di donna che cercava di attirare le attenzioni.
La raggiunse con pochi passi e salutò con un gesto della mano impacciato. Sentiva la gola secca e deglutì a vuoto, ma ancor di più si sentiva idiota per essere così nervoso.
Ma gli occhi scuri di Jhanna lo facevano davvero sentire teso.

Sono felice che tu sia venuto, Donatello” lo salutò lei, le piene labbra blu incurvate in un piccolo sorriso cortese.

Il mutante si sedette di fronte a lei e immediatamente un alieno con squame rosse e una cresta ossea nella fronte si avvicinò loro, poggiando con cortesia due boccali con un liquido violetto al loro interno.
Jhanna parlò fitto con l'uomo per qualche secondo in una lingua che lui non capì, poi quello se ne andò e li lasciò da soli. Don fu contento che lei avesse ordinato per entrambi, perché non avrebbe saputo come farlo da solo, né cosa chiedere. Quella bevanda violetta poteva anche essere benzina, per quello che ne sapeva.
Non era così improbabile che qualcuno di quegli alieni bevesse qualcosa di simile alla benzina terrestre, in fin dei conti.

Nel silenzio più puro e imbarazzante, entrambi bevvero dai boccali; con somma sorpresa, Don scoprì che la bibita sapeva di melagrana, con un retrogusto amarognolo.
Centellinò la bevanda, prendendo tempo.
Era felice di poter parlare con Jhanna, dato che lei era sparita dalla sua vita senza nemmeno un saluto: si era sempre chiesto cosa ne fosse stato di lei e se stesse bene, ma dopo sette anni senza un contatto, non sapeva proprio come iniziare a dialogare, come rompere il ghiaccio, cosa gli fosse concesso chiedere.

Bello questo posto. Sembra la cantina di Star Wars!” esclamò di getto, dandosi uno sguardo attorno.
Captò lo sguardo di Jhanna farsi curioso, le sopracciglia incurvate.

Quale guerra stellare?” domandò confusa, cercando di ricordare.
Don si accorse dell'incomprensione e ridacchiò tra sé.

No, scusa, è una cosa del mio pianeta.”

Jhanna prese per buona la sua spiegazione, perché non insisté, poi rimase a guardarlo mentre arrossiva per la stupidaggine con cui se n'era uscito, che lo faceva sentire ancora più nervoso.
Quando c'era da agire e aiutare qualcuno in pericolo, lui sapeva cosa fare, era sempre attento alle mosse e alle altrui esigenze, ma doveva ammettere che quando si trovava a parlare da solo col genere femminile, tutta la sua intelligenza gli si rivoltava contro, rendendolo solo più conscio e imbranato.

Fu come al solito Jhanna a tagliare via le indecisioni, con quel suo carattere deciso che per fortuna non si era smorzato col tempo.
Non credevo ti avrei più rivisto, Donatello, ma ne sono felice.”
Lui quasi si strozzò nell'ingollare il sorso, sorpreso dal tono accorato di lei. Quel sorriso e quella dolcezza non gli erano familiari, in Jhanna: l'aveva conosciuta in un momento in cui per lei esisteva solo lo scontro contro Moriah e la preparazione per esso. Non aveva mai sorriso né mostrato tenerezza, nel loro incontro, perciò era strano vederla in atteggiamenti normali e pacifici, con un sorriso tenue e affabile.
Ma gli piaceva, quella Jhanna. E si scoprì curioso di saperne di più su di lei, perciò si schiarì la gola e disse:

Anche io sono contento. Mi sono chiesto spesso come stessi, cosa ti potesse essere successo… raccontami, hai detto di essere diventata la regina del tuo pianeta, e dopo?”

La donna non sembrò turbata dalla sua domanda, era stata lei a menzionare la cosa durante la loro lotta, in fin dei conti. Fissò il liquido violetto dentro il bicchiere, come se ci stesse ripescando dentro le sue memorie.
Avendo sconfitto Moriah acquisii il diritto a regnare sulla mia gente, non lo chiamerei proprio essere una regina, ma le decisioni spettavano di certo a me. C'era così tanto da fare: Moriah e la sua famiglia avevano prosciugato le risorse del popolo e affamato i più poveri fino a farli morire di stenti. La sua condotta aveva così accresciuto anche l'indice di criminalità, che in una razza orgogliosa e propensa alla lotta come la mia, sfociava in vere e proprie guerre armate contro chi aveva anche solo un tozzo di pane più di te.
È stato difficile, all'inizio. Ricostruire tutto, risanare la fiducia della gente, ridistribuire le ricchezze e le terre e riportare tutto ad un livello accettabile di sopravvivenza. Ma ci siamo messi d'impegno e con forza e costanza ce l'abbiamo fatta.
Dopo abbiamo discusso a tavolino per cambiare alcune cose… ricordi quando tu mi dicesti che sceglievate i vostri leader con dei voti e che io ti risposi che era di certo equo, ma noioso? … Beh, mi sbagliavo.
Abbiamo introdotto un sistema simile al vostro, anche se la parte dello scontro fisico non è stata eliminata del tutto: i candidati vengono scelti dal popolo e dopo alcune votazioni, i finalisti devono confrontarsi in una battaglia… in questo modo gli sfidanti saranno fidati e le nostre tradizioni guerriere non andranno perdute.
Ecco perché io non governo più: sono stata battuta alla finale dell'ultima elezione e quando mi è stata offerta l'occasione di partecipare al Battle Nexus mi sono sentita libera di parteciparvi.”

Sei stata battuta? E il nuovo regnante com'è? Ha le tue stesse idee per il benessere del tuo pianeta?” domandò Don leggermente sconcertato, perché davvero la parte del combattimento non aveva molto senso per lui in un'elezione.
Sembrava più il tipo di mondo che si addiceva a Raph.
Jhanna sorrise, incontrando il suo sguardo e leggendoci la sua premura per un pianeta che nemmeno conosceva.

Sì. È mia sorella. Abbiamo le stesse identiche idee e visioni su cosa sia giusto e cosa no, ma lei è stata più forte nel combattimento. Perciò sono stata fiera di passarle il governo, so che sarà all'altezza e forse anche meglio: ha aperto una rotta commerciale con altri mondi per alcune delle nostre tecnologie, che sono il nostro orgoglio.”
Aveva parlato con così tanta fierezza, per la sua gente, per sua sorella, per i loro pregi, che si era illuminata in volto.

Don occhieggiò distrattamente il congegno che lei aveva poggiato sul tavolo, quel cilindro che si era precedente trasformato nella lancia di energia che aveva usato per combattere, ma che sapeva potesse fare ben di più: poteva tradurre simultaneamente qualsiasi linguaggio, comunicare anche a grandissime distanze con altri congegni simili, creare bolle di contenzione statica. Il mondo di Jhanna doveva essere davvero avanzato e più di una volta lui si era chiesto fino a che punto.
Sono contento. Sembra un bel posto, il tuo pianeta, mi piacerebbe poterlo visitare un giorno.”
Gli era sfuggito, di cuore. Un desiderio sfuggito dalle sue labbra, ma che sembrava una richiesta, a ben pensarci. Sperò che lei non la prendesse per il verso sbagliato, fraintendendola.
Quello che non si era aspettato era che il sorriso di Jhanna diventasse più ampio, di trionfo.

Vieni con me sul mio pianeta, Donatello. È quello che volevo chiederti, fin dall'inizio” mormorò, lo sguardo scintillante nel suo.
Così scintillante che nonostante stesse bevendo, Donatello si ritrovò a deglutire a vuoto, la gola arida.
Jhanna vide l'aria spaesata di lui e si affrettò a spiegarsi.

Non ho mai incontrato uno come te.”
Verde?”
Speciale.”

Non sapeva esattamente che colore avesse quando arrossiva, ma Don seppe che non era verde oliva né rosso. Si sentiva la faccia in fiamme e immaginò di essere di un livido verde scuro.
Sei intelligente e allo stesso tempo forte eppure anche dolce... non esistono uomini come te sul mio pianeta. Ti piacerebbe, potresti studiare tecnologia aliena che non hai mai immaginato e allenarti con alcuni dei guerrieri più forti dell'universo. E noi… potremo conoscerci meglio.”
C'era incredibilmente caldo, nella stanza. Sul suo viso. O nel suo petto.

Forse aveva smesso di respirare mentre assorbiva incredulo la confessione così sentita e sincera della splendida donna davanti a lui… e lui che diamine aveva fatto per attirare le sue attenzioni? Non poteva essere tutto uno sbaglio?
Respirò a fondo e aprì la bocca per provare a rispondere, a dire qualunque cosa che spezzasse quel silenzio imbarazzato in cui l'aveva lasciata. Ma più pensava a quanto la situazione la stesse mettendo a disagio, meno sembrava capace di spiccicare parola.
Ma Jhanna non era affatto a disagio.

Le mie attenzioni ti stanno infastidendo, non è vero?” indovinò con voce tranquilla.
No! No, io… non sei tu. Sei fantastica e io non so davvero perché tu sia così interessata a me, non so che-”
C'è qualcuno nella tua vita, Donatello, ho ragione?”
Per un secondo Don poté giurare che tutto si fosse fermato, le chiacchiere che non capiva degli alieni attorno a loro, la musica allegra e flautata dell'orchestrina, il rumore dei cocktail mesciuti dal barista con tre braccia dietro al bancone. E con un sospiro incredulo, lasciò andare un segreto che si era tenuto dentro da un'eternità, qualcosa che nemmeno i suoi fratelli avevano mai capito.
Ma che non era sfuggito agli occhi attenti di Jhanna, che quando lo guardavano, erano attenti ad ogni sfumatura che tutti gli altri semplicemente non notavano.

Ecco, sì… c'è una persona che è molto importante per me, per la quale farei qualunque cosa” confessò con imbarazzo, grattandosi il collo con fare nervoso.
Una persona fortunata.”
Il sorriso di Donatello si fece amaro, per un attimo.

Non lo sa. Non potrà mai esserci nulla e io non voglio perderla.”
Era strano confessare finalmente quel sentimento e ancor più strano farlo davanti a Jhanna. Si sentì un po' indelicato nel declamare il suo amore per un'altra persona di fronte all'unica che aveva mostrato interesse per lui.
Ma Jhanna non parve turbata dalle sue parole, solo molto confusa.

Se provi dei sentimenti per questa persona, perché non ti batti per prendertela? Non esistono nel vostro mondo i duelli per amore?” sbottò a voce alta, sbattendo con troppa forza il boccale contro il tavolo.
Don fu sorpreso solo per il primo mezzo secondo, poi si ricordò delle inclinazioni belliche della razza di Jhanna e nella mente gli passò l'idea che forse lì non solo le diatribe politiche si risolvessero con una lotta; probabilmente perfino per decidere una compagna o per conquistare quella scelta c'erano dei duelli e il più forte vinceva l'amore della bella.

Non mi piacerebbe vincere l'affetto di una persona con la forza” ammise delicatamente, cercando di non offenderla.

Jhanna ridacchiò e Donnie pensò che la sua risata avesse proprio un bel suono caldo.
Allora non posso cercare di ottenere il tuo sfidando questa misteriosa persona” disse con sguardo malizioso, che lo fece avvampare completamente.
Il ghigno soddisfatto della sua reazione gli fece sospettare che Jhanna si stesse divertendo a metterlo in imbarazzo, tutto sommato.
E quello era un altro aspetto di lei che non conosceva.

Ma se vorrai mai cambiare idea, e vorrai darmi una chance, sarai sempre il benvenuto nel mio mondo, Donatello” aggiunse con dolcezza, una dolcezza che mostrava solo a lui.
Si sentì profondamente lusingato e con un timido cenno del capo annuì e le sorrise.

Sì, forse un giorno, perché no?”



Isabel e Raphael avevano gironzolato per le viuzze della cittadella e si erano fermati di qua e di là a guardare le varie bancarelle e i negozi, con entusiasmo. La donna aveva comprato dei souvenir che aveva riposto nella tasca nascosta della manica del Kimono.
E nel mentre avevano chiacchierato e Isabel aveva raccontato tutto quello che aveva visto dall'alto e si era informata su quello che lui aveva provato durante gli scontri, ascoltando con attenzione ogni sua parola.
Era stata brava fino a quel momento. Raphael sorrideva e non si era accorto di nulla.
Del suo sorriso forse un po' troppo entusiasta, delle sue spalle tese, dello sguardo che vagava un po' troppo in giro, guardingo.

La pressione che sentiva le bloccava anche il respiro, perciò far finta di nulla la stava dilaniando: da quando aveva messo piede fuori dal palazzo del Daimyo, quello sguardo si era rifatto vivo.
Insistente. Avvolgente. Aggressivo.
Uno sguardo freddo che la braccava, seguiva ogni suo passo e movimento, la testava; freddo e verde. Non seppe perché quel colore le fosse venuto alla mente, ma quando chiudeva gli occhi e respirava a fondo per impedirsi di urlare, era un verde intenso e glaciale a pitturare la sua paura.

Si accorse che Raphael aveva rallentato il passo per gettare un'occhiata verso un angolo della piazzetta che stavano attraversando: c'era un folto gruppo di vari alieni che confabulava tra loro a voce alta, passandosi sacchetti e foglietti.
Le scommesse si fanno serie, da adesso” disse Raph, tirando avanti con indifferenza.
Oh, e visto che sei in finale mi consiglieresti di puntare su di te?” gli domandò, cercando di isolare il senso di disagio per focalizzarsi solo su di lui.
Io vincerò questo torneo. Ma non ti farò puntare un soldo nelle scommesse, scordatelo!” attestò fin troppo serio, stringendo la presa sulla sua mano.
Isabel rimase piacevolmente colpita dal suo evidente disgusto per le puntate clandestine e sorrise sinceramente, mentre gli trotterellava dietro a piccoli passetti.
Per un paio di secondi persino il magone si era sciolto, solo per poi tornare più prepotente che mai.
Le sembrava quasi di sentire una presenza seguirla passo passo, ad una distanza indietro, ma troppo vicino.

E quando sentì davvero un suono di passi dietro a loro, si irrigidì inconsciamente.
Credi davvero di poter vincere, piccoletto?” tuonò una voce potente alle loro spalle, roca e minacciosa.
I sensi di Isabel scattarono e un'esplosione di adrenalina corse per le vene, con un movimento sciolto lasciò andare la mano di Raphael e afferrò i Tessen infilati nell'Obi, saltando al contempo all'indietro: aprì i ventagli liberando il bordo tagliente, fendendo l'aria contro il suo avversario.

Ci fu uno scoppio di urla improvvise e un gran tafferuglio: un paio di mani la afferrarono al volo per la vita, mentre la visuale era affollata da canne di fucili di fattura aliena.
Il gigantesco triceratopo umanoide che aveva quasi colpito al collo la guardava con sorpresa mista a ilarità, le grandi manone a tre dita in alto in segno di pace; le guardie che lo accompagnavano, invece, non sembravano affatto divertite e continuavano a puntare le loro armi contro Isabel, statiche e attente.

Scusa, Trax, la mia ragazza sa essere aggressiva quando vuole” sentì dire a Raphael, che ancora la teneva a mezz'aria. Il grosso alieno sorrise bonario.
Isabel abbassò le armi lentamente, mentre il cervello iniziava a capire.

Vi... conoscete” constatò stupidamente, sentendosi avvampare.

Raphael la appoggiò al suolo con garbo e lei mise via i Tessen, con un gesto meccanico. Le guardie abbassarono i loro fucili, cautamente, continuando però a tenerla d'occhio.
Questo è Traximus, una vecchia conoscenza del Battle Nexus e un caro amico. Trax, lei è Isabel, la mia aggressiva ragazza” li presentò, ridendosela.
Lei gli tirò un buffetto offeso al braccio, prima di allungare la mano e afferrare quella tesa dell'alieno, che ricambiò con una stretta gentile ma sicura.
Traximus era un triceratopo umanoide poco più alto di Raphael e ugualmente muscoloso, con la pelle arancione scuro e una cicatrice rossa sopra l'occhio sinistro; era particolarmente elegante nel suo bell'abito dalle tonalità terrose, di certo retaggio del suo pianeta.

Sei un Triceraton” constatò Isabel, invece di una formula di rito o un saluto. Traximus sorrise e annuì, Raphael invece si voltò verso di lei con un'espressione sorpresa, poi sollevò le sopracciglia in preda all'illuminazione.
Oh, sì! L'invasione della terra da parte dei Triceraton… ecco come fai a conoscerli. Ma noi non ci conoscevamo ancora, dov'eri tu durante l'incursione?” le domandò con premura, calcolando a ritroso che stavano parlando di quasi otto anni prima.
Isabel aveva quindici anni, allora.

Stavo scappando da Gregor, ero arrivata in Nuova Zelanda. Non c'erano molti Triceraton laggiù, ma seguivo le notizie dell'invasione ai notiziari locali. Avrei voluto fare qualcosa, ma non potevo usare i miei poteri senza rivelare la mia posizione” raccontò lei e Raphael fu felice di vedere che non c'era l'ombra dei fantasmi del passato nel suo sguardo.

Mi dispiace per quello che la mia gente vi ha fatto” si scusò con sincerità Traximus. “Vi assicuro che non accadrà mai più niente del genere.”
Trax è il nuovo primo ministro dei Triceraton e lui è un tipo in gamba, leale e onesto, anche se dal suo brutto muso non sembra” aggiunse Raph, ridendosela.

Isabel si sentì ancora più in imbarazzo per come si era comportata, soprattutto perché era stata solo una reazione per il suo nervosismo per il sentirsi spiata.
Oh, scusa se ti ho attaccato, mi dispiace molto. Non era mia intenzione-”
Traximus la interruppe con un gesto cortese della mano, accortosi della sua vergogna.

Nessun problema. Mi fa piacere sapere che Raphael ha trovato una donna che gli sappia tener testa e che lo possa togliere fuori dai guai, ogni volta in cui ci si infilerà.”
Sorrise della faccia indignata dell'amico, il sorriso di prima ormai sparito.

Posso invitarvi a bere qualcosa insieme e scambiare un po' di chiacchiere?” aggiunse sinceramente.

Raphael si illuminò alla richiesta, non vedeva l'amico da molto tempo e non gli sarebbe dispiaciuto accettare il suo invito, ma era con Isabel e non sapeva se lei se la sarebbe presa.
Si voltò a guardarla, aspettando una sua risposta, sperando segretamente che lei acconsentisse.

Perché voi due non andate da soli? Sono sicura che avrete moltissimo da raccontarvi e io ne approfitterò per raggiungere il sensei: mi ha richiesto una pomata per una vecchia ferita che vendono esclusivamente qua al Nexus e sono sicura che sarà contento di averla il prima possibile” affermò la donna pacatamente.

I due uomini sembrarono colpiti dalla sua uscita, e si preoccuparono entrambi che in realtà non fosse solo un gesto di cortesia.
Sei sicura che-”
Se vi ho disturbato, io-”
Isabel li fermò agitando le mani, sorridendo sinceramente.

Mi farebbe davvero piacere se voi due andaste a parlare dei bei vecchi tempi assieme. Io devo davvero andare” assicurò con voce accorata.
È stato un grande piacere conoscerti, Traximus. Sono sempre felice di conoscere gli amici di Raffaello.”
L'alieno ricambiò il sorriso e la stretta di mano di lei, con gentilezza. Poi Isabel di voltò per salutare Raphael, che ancora sembrava titubare della situazione.

Sicura che non vuoi che ti accompagni?” le chiese preoccupato. Lei scosse la testa con decisione.
Comportati bene” gli disse sporgendosi per dargli un bacio a fior di labbra, che però lui trasformò in un bacio passionale stringendola a sé.
E non fare tardi al terzo round” riuscì a dire quando lui la lasciò, con le guance rosse per l'imbarazzo.
Raphael si limitò a rispondere col suo mezzo ghigno pieno di confidenza, poi raggiunse Traximus e si incamminò con lui, chiacchierando animatamente.
Isabel rimase a guardarli un attimo con un gran sorriso, un delizioso senso di felicità nel cuore.

D'improvviso, il respiro le si mozzò in gola e mentre il panico cresceva nel petto si trovò a cercare di inalare l'aria con fatica. Stava tremando.
La pressione maligna di prima si era moltiplicata, intossicando l'aria tutto attorno. Era ovunque. Era più forte.
Con uno scatto deciso si incamminò più veloce che poté, diretta verso il palazzo del Daimyo: doveva fare in fretta, doveva mettersi al sicuro.
Lasciare Raphael indietro e allontanarlo da sé era stata una mossa intelligente, ma sperò davvero di farcela a mettersi in salvo prima che quella cosa, qualsiasi cosa fosse, la prendesse.



Note:

Allora, nella serie tra il secondo round e il terzo c'è stata una pausa. Non so se sia una cosa consueta o solo una situazione necessaria dato quello che accadeva al Nexus in quel momento, ma ho voluto mettere una pausa anche nella mia storia.
Così si possono vedere anche delle interazioni oltre alle lotte.
Adoro il modo in cui hanno rappresentato il mercato, molto pittoresco e colorato. Vi metto alcune foto.

Mi è piaciuto moltissimo scrivere “l'appuntamento” tra Don e Jhanna: lei è una diretta e decisa e fa quello che vuole quando vuole. Le piace Don e non glielo manda certo a dire.
Ma Donnie a quanto pare ha già qualcuno nel cuore. Scommetto che non ve lo aspettavate!


Il personaggio di Traximus è uno dei miei preferiti, di certo è il mio Triceraton preferito (al secondo posto metto Zog, grandissimo guerriero). Ho pensato di renderlo il nuovo primo ministro, dopo che lui e i ribelli hanno sconfitto Zanramon e gli hanno tolto il potere; si era dimostrato onesto e giusto, tanto che perfino il braccio destro di Zanramon aveva deposto le armi e si era unito a lui.
Traximus era fedele al primo ministro, all'inizio, ma mise in questione la politica oppressiva del nuovo governo e perciò venne imprigionato nell'arena del mondo dei Triceraton e divenne un gladiatore per il divertimento altrui. Con gli anni Traximus perse volontà e il senso dell'onore, che riacquistò solo dopo l'incontro fortuito con le turtles.
Nello scontro contro di loro, lui e i suoi compagni si rifiutarono di combatterli, e quando le turtles riuscirono a fuggire creando un gran caos, Traximus e gli altri ne approfittarono per scappare.
Successivamente le reincontra al Nexus durante il torneo e viene sconfitto da Raphael, e poi aiuta quest'ultimo a salvare Splinter dai sotterranei del palazzo.
Quando la repubblica dei Triceraton invade la terra, Traximus e alcuni ribelli sono riusciti ad infiltrarsi, con lo scopo di fermare la pazzia di Zanramon. Ovviamente le turtles si uniranno a loro, più che volentieri.

Tanto amore per Trax!


Con il discorso degli anni a ritroso, mi sono accorta che non ho detto quanti anni abbiano in questa storia e se non avete voglia di farvi il conto, ve lo dico io:
Casey 32,
April 31,
Leo, Raph, Don e Mikey 24,
Isabel 22,
Angel 21,
Steve 16,
Carl 3.


Le scommesse per il torneo proseguono:

CartoonKeeper punta su Don vincente; Altair invece su Leo; Sarajane mi è sembrata indecisa tra Don e Raph, ma ci mette in mezzo anche Leo… chi pensate vincerà?
Si aggiunge Gru, anche lei punta su Don!

Dopo la pausa uno potrebbe anche salutarci!
Mancano il terzo round, il quarto e poi la finale… qualcuno arriverà fino a lì, qualcuno di loro potrebbe anche vincere? Cosa accadrà?


Ultimo, ma non ultimo, un disegno stupendo della bravissima Sarajane, che adoro e che poverina esaspero tantissimo!
Ha una pagina tutta sua su fb, che cresce pian piano: passateci, ci sono i suoi meravigliosi disegni:
https://www.facebook.com/pages/Sarajane/386563768158774?fref=ts


Un mega abbraccio affettuoso, grazie per continuare a seguire la storia, per i vostri bellissimi e dolci commenti, per i nuovi preferiti!

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Capitolo 12
*** Break (2): Of Fear, Honor and Duty ***


Isabel camminava velocemente, facendo attenzione ai ciottoli della strada per non inciampare con gli Zori, su cui non era pratica a muoversi.
Sorpassò varie bancarelle e un gremito gruppo di persone che stava contrattando sul prezzo dei prodotti, ma non stava prestando caso a nessuno; continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, nella confusa babele di colori e forme che sfrecciavano via, il respiro sempre più corto.
Era divorata dal panico. Una sensazione antica che risvegliava in lei orribili ricordi, immagini della sé stessa bambina che fuggiva via dalla morte, rannicchiata in cunicoli bui trattenendo il fiato, terrorizzata da qualsiasi suono, qualsiasi sguardo.

Strizzò gli occhi, cercando di scacciare via la sensazione di bruciore agli angoli, il respiro corto e accelerato che non riusciva a fronteggiare il bisogno di ossigeno; tutto stava diventando sfocato e l'angoscia la pressava nella sua morsa, intorpidendole gli arti.
Doveva farcela. Era cresciuta, era forte. Non poteva sprofondare di nuovo nel baratro dell'inquietudine come la sé bambina.
Ma se non poteva vedere cosa la stesse braccando, come poteva lottare?

Sollevò appena il bordo del Kimono e cercò di spiccare una corsa, ma lo Zori destro sbatté contro un ciottolo sporgente e perse l'equilibrio: allungò automaticamente le mani in avanti per potersi salvare con una capriola, ma le lunghe maniche del Kimono le sventolavano davanti al viso, complicando le cose.
Non aveva nemmeno pensato a fluttuare, era già rassegnata a sbattere violentemente al suolo.
Due braccia la afferrarono al volo e la tennero stretta con forza e sicurezza, ben più di quanto consentito.

Isabel voleva ringraziare e allo stesso tempo rimproverare lo sconosciuto che l'aveva salvata e che si stava prendendo un po' troppe libertà nell'abbracciarla. Quando riuscì a prendere un respiro abbastanza profondo per acconsentire alla sua voce di non tremare per la paura che ancora sentiva, lo allontanò da sé con garbo, ma decisione.
La ringrazio, ma-”

Si bloccò interdetta nel vedere il volto di Leo a pochi centimetri dal suo, felice di vederla, ma preoccupato da qualcosa.
Stai bene?” le domandò premurosamente. Il suo sguardo vagò dietro di lei, alla ricerca di qualcuno.
Sì, grazie. Io… stavo tornando al palazzo, ma mi sono persa e mi sono fatta prendere dal panico” spiegò, cercando di suonare convincente. Leo riportò solo un secondo lo sguardo su di lei per valutare le sue parole, poi continuò a scrutare per la stradina stracolma di gente, assorto. La sua domanda successiva era scontata perciò non suonò troppo accusatoria alle sue orecchie.

Dov'è Raph?”
Si è fermato a chiacchierare con un vecchio amico che ha incontrato. Forse lo conosci, un Triceraton di nome Traximus” spiegò lei, nascondendo i pugni chiusi dentro le ampie maniche.
La sensazione di pressione sul cuore era diminuita nel momento in cui era andata a sbattere contro Leo, ma non era sparita: da qualche parte, quello sguardo glaciale e verde continuava a trattenerla nella sua morsa.

Uno di quei bestioni mi ha buttato fuori al primo round” grufolò una voce profonda e nasale, piuttosto seccata.
Isabel si voltò verso il rinoceronte umanoide che aveva parlato e solo in quel momento si accorse che Leo non era solo: cortesemente curiosi e in silenzio, al suo fianco, c'erano il coniglio che aveva visto battersi contro Tora, il rinoceronte di prima e una gatta umanoide. Tutti e tre erano vestiti con Kimono da Samurai del Giappone feudale, anche se le loro fogge diverse indicavano una certa differenza di classe; avevano tutti al fianco una coppia di spade, una lunga e una corta.

Leonardo doveva essersi reso conto della sua maleducazione, perché si affrettò a presentarli, come si conveniva.
Loro sono amici da una differente dimensione della terra: Usagi Miyamoto” indicò il coniglio, che si inchinò con rispetto: la sua Hakama era nera, mentre l'Hakamashita azzura aveva dei distintivi circolari con uno stemma a tre cerchi neri sul petto e sulle maniche; il suo pelo era bianco e gli occhi gentili scuri, e le lunghe orecchie erano legate in alto da una striscia di tessuto.

Tomoe Ame.” Questa volta fu la donna gatto a inchinarsi. Il suo Kimono era della stessa forma di quello di Usagi, ma più elaborato: interamente viola scuro, di tessuto pregiato, gli stemmi ricamati con filo robusto che formavano l'impronta stilizzata di un animale, forse un panda; la sua postura era elegante, gli occhi castani intelligenti e magnetici e il pelo dall'aspetto morbido color beige creava un bel contrasto con i lunghi capelli neri, -le orecchie da gatta spuntavano tra tutto quel nero, appuntite e vigili.

E lui è Gennosuke Murakami.”
Il rinoceronte non si chinò quanto gli altri, ma piegò appena il capo. Il suo Kimono era il più logoro e consunto, grigio chiaro con la Hakama nera, gli stemmi così consumati che si faticava a capire per bene il disegno impresso; la sua pelle era grigia scura e strizzava gli occhi in continuazione, forse per focalizzare bene; quello che più si notava era che il grande corno sul suo naso era stato tagliato di netto, a pochi centimetri dalla base.
Tutti e tre avevano quattro dita per mano, una in più di Leonardo quindi, ma una in meno degli esseri umani.

Si inchinò profondamente in segno di rispetto, usando il loro rituale per presentarsi.
Molto lieta di conoscervi. Gli amici di Leonardo sono i miei.”
Io sono Isabel C-”

Usagi la interruppe con un gesto cortese.
Leonardo-san ci ha già parlato molto di voi, Isabel-sama” sentì dire alla donna gatto. La voce di Tomoe era squillante e sicura.
Isabel spalancò un attimo gli occhi, sorpresa dalla loro formalità e dall'appellativo inatteso.

S-sama? Cosa… cosa gli hai raccontato, Leo?” lo sgridò mentre quello sussultava in imbarazzo, cercando di fermare un suo possibile scatto.
Io… solo la...”
Leonardo-san ci ha detto che siete una regina, non è la verità?” domandò confusa Tomoe, occhieggiando dubbiosa verso il mutante, non credendo possibile che l'amico avesse potuto mentire.
Sì, io… sì, è vero” ammise suo malgrado, capendo che stava solo complicando le cose. “Ma davvero non c'è nessun bisogno di formalità o titoli, solo Isabel va bene. E il tu.”

Sorrise alle loro facce sorprese, Tomoe sembrava dubbiosa di riuscire a fare una cosa del genere, le si poteva leggere in viso.
O come si usa dalle vostre parti, potete aggiungere un -san, se vi fa sentire meglio.”
La sua ultima frase sembrò metterli un po' più a loro agio, e Isabel si chiese quanto rigida potesse essere l'etichetta dei Samurai, se non riuscivano ad accettare di lasciar perdere i titoli nemmeno se richiesto.

Leonardo-san ci ha anche detto che sei stata scelta per il Battle Nexus, Isabel-san, ma che hai scelto di non partecipare” si intromise Usagi, che pareva dispiaciuto di non avere avuto la possibilità di vedere come combatteva.
Lei sorrise con aria mortificata, incassando appena le spalle. Non voleva giustificarsi ancora e non sapeva come avrebbe poi potuto; aveva semplicemente avuto altro per la testa e la sensazione che non dovesse accettare quell'invito.
Perché non si sentiva degna. Pensava ancora che ci dovesse essere stato uno sbaglio nel suo invito, perché lei sapeva che non era al livello dei partecipanti. Prima era stata solo un'idea, ma dopo averli visti combattere dal vivo era stata un'amara certezza.

Ho visto però il tuo combattimento contro Tora, Usagi-san, sei stato molto bravo” si affrettò a dire, per non sembrare maleducata nel non aver risposto.
Sia Tomoe che Usagi parteciperanno al terzo round. Sono quasi sicuro che qualcuno di noi si scontrerà con uno degli altri” aggiunse Leo, con una strana aura di competizione.
Contando anche Raphael-san e Donatello-san, io sono certo che accadrà” rimbeccò Usagi, che aveva lo stesso sorriso pieno di anticipazione che piegava le labbra di Leo.

Io sono fuori, ma questo non mi impedirà di scommettere!” intervenne Gennosuke, mentre tirava fuori da una manica un sacchetto che fece tintinnare con aria predatoria.
Vuoi scommettere anche tu, signorina?” aggiunse, puntando verso Isabel.
Lei strabuzzò per un attimo, presa di sorpresa dall'insolita offerta.

Non sta bene chiedere una cosa del genere ad una lady, Gen” lo rimproverò Usagi corrucciando le sopracciglia.

E conoscendola, punterebbe su Raph, comunque” proseguì Leo, con tono lievemente seccato, occhieggiando verso di lei.
Il che è uno spreco di soldi perché lo butterò fuori il prima possibile.”
Isabel lo pizzicò nel braccio brevemente, arricciando il naso come faceva sempre quando le faceva perdere le staffe.

Non vuoi ancora finirla di rivaleggiare con lui?”
Mai.”
Isabel sollevò gli occhi al cielo, ma gli angoli della sua bocca erano incurvati all'insù, trattenendo il sorriso rassegnato al vederne uno canzonatorio sul viso di Leo.

Basta che non vi facciate male.”
Non posso prometterlo… ahia!”
Ci fu un leggero coro di risatine.

Era bello stare lì a chiacchierare con loro, Usagi, Tomoe e Gen sembravano delle belle persone e di certo avrebbe voluto fare loro molte domande sia sul loro mondo, -una dimensione ancora immersa nel periodo feudale, ma con animali antropomorfi, sembrava incredibilmente interessante,- sia sul torneo e sulle loro lotte; ma non poteva.
Sentiva un ronzio fastidioso nella testa, come se una forza stesse cercando di penetrare la sua barriera mentale, scontrandoci contro per creare una breccia e invadere così la sua mente.
E faceva male.
Era un dolore fisico in mezzo alla fronte che le faceva balenare una miriade di puntini gialli nel campo visivo, che provava a scacciare via strizzando gli occhi di tanto in tanto, senza attirare troppo l'attenzione.

Non poteva rischiare che Leo se ne accorgesse, così com'era stata attenta che Raphael non lo notasse; non poteva preoccuparli in quel momento. Alla fine del torneo, o se uno di loro fosse uscito prima, allora li avrebbe messi al corrente e avrebbe cercato il loro aiuto.
Il pensiero che uno di loro potesse distrarsi per colpa sua e perdere non era semplicemente giusto.
Doveva solo andare via da lì e rifugiarsi nella sicurezza del palazzo del Daimyo, nell'abbraccio protettivo che emanava.
Perciò doveva congedarsi.

É stato davvero un piacere conoscervi e non vedo l'ora di vedervi lot-”
Perché non rimani con noi? Non manca molto al terzo round, ma potresti farci compagnia” propose Leo, interrompendola.
No, davvero. Stavo tornando a palazzo, il sensei mi starà aspettando, ormai” mentì, certa che in realtà il maestro non sapesse nemmeno dove fosse.
Allora potremmo accompagnarti noi-”
No, sul serio. Sono sicura che non vedi i tuoi amici da molto e che avete tanto da dirvi. Godetevi la passeggiata, il palazzo non è distante da qui.”

Leo sembrava sul punto di ribattere ancora e Isabel si chiese se non avesse poi mangiato la foglia e avesse capito che c'era qualcosa che non andava. Forse solo a livello inconscio, dato che non le aveva chiesto nulla nello specifico.
Ma non l'avrebbe lasciata andare, se il suo sesto senso da ninja continuava a dirgli che c'era qualcosa che non andava.
Per tutta la conversazione, comunque, oltre allo sconosciuto sguardo glaciale, erano stati gli occhi di Tomoe a non abbandonarla. Caldi e intelligenti, la scrutavano con cortesia.

Posso accompagnare io Lady Isabel” si propose la donna gatto, all'improvviso.

Isabel non sapeva da dove iniziare a dissentire, se da quel Lady o se per l'offerta, ma non ebbe il tempo di immettersi nella conversazione: Usagi, al sentire che Tomoe voleva andarsene sembrò adombrarsi, anche se cercò di riprendere immediatamente la sua compostezza.
Sei sicura? Non sei obbligata a farlo” intervenne Leo, che forse aveva inteso lo stato d'animo dell'amico.
Tomoe annuì vigorosamente, ma con grazia.

Nessun obbligo. Mi farebbe piacere accompagnare Lady Isabel al palazzo. E poi, anche io vorrei rientrare prima per meditare” rispose con cortesia.

Tutto, in Tomoe, emanava compostezza. Non rigidità, ma elegante decoro, ligia alla sua educazione rigida, cortese nei gesti, ma decisa.
Isabel aveva già capito che dovesse essere una guerriera formidabile, non era una consuetudine per una donna essere riconosciuta come Samurai, perciò Tomoe doveva essere straordinariamente dotata.
Eppure, nel modo in cui lo sguardo scintillava nel guardare Usagi, Isabel comprese che in fondo era semplicemente una donna.

Sarei felice se Tomoe-san si volesse unire a me, allora” si ritrovò a dire, inaspettatamente. Sentiva, istintivamente, che la donna gatto era fidata e leale e voleva conoscerla meglio. Si sorprese nel vedere il sorriso spuntare sul viso di Tomoe e ne rimandò uno identico.
Leonardo e Usagi si scambiarono un'occhiata lievemente dubbiosa, ma entrambi fecero spallucce, capito che non c'era niente da poter sindacare.

Allora ci vediamo al terzo round, Tomoe” disse il coniglio antropomorfo, con uno sguardo speranzoso.
Quella piegò appena la testa ai suoi amici.

Spero di poter lottare contro uno di voi. A dopo, Usagi.”

Isabel fece finta di nulla, ma aveva notato che nessuno dei due, rivolgendosi all'altro, aveva usato suffissi onorifici di nessun genere, il che indicava una certa intimità. E i loro sguardi… certo, era la sua piccola vena romantica a farglielo vedere, ma si chiese cosa potesse esserci tra loro due. Poi si ricordò che non erano fatti suoi, anche se la domanda rimase nella sua mente, fluttuante.

Si inchinò con garbo anche lei, anche se più profondamente. Al gesto, Usagi sembrò trasecolare e si inchinò ancora di più, interdetto.
È stato un piacere conoscervi. Seguirò il tuo prossimo combattimento con attenzione, Usagi-san, e in bocca al lupo a tutti e due. Arrivederci anche a te, Gennosuke-san.”
Il rinoceronte umanoide fece un buffo verso col naso, mentre si inchinava un po' anche lui, poi i due gruppetti si separarono, gli uomini continuarono nella direzione originale, occhieggiando solo distrattamente verso di loro, mentre le due donne presero la direzione inversa, verso le alte mura dell'arena.

Per un po' risuonò solo il rumore dei loro passi sulla pavimentazione irregolare. Isabel era assorta nel focalizzare quella sensazione, nel cercare di afferrare da dove provenisse: sapeva solo che si era rimessa in moto insieme a lei, seguendola con discrezione ora che era con Tomoe; chiunque fosse, o qualunque cosa fosse, voleva lei e lei soltanto e ogni volta che un'altra persona le si avvicinava allentava un po' la morsa, ma senza lasciarla andare mai completamente.

Mi dispiace se vi ho imposto la mia presenza, Lady Isabel” pronunciò sottilmente la voce di Tomoe, riportandola nella stradina affollata. Si voltò per guardare l'altra, ma quella guardava dritta di fronte a sé, il mento alto e le spalle in dentro, marzialmente.
No, no, Tomoe-san, sono io a dovermi scusare per averti quasi obbligata ad accompagnarmi. Ma sono contenta di poter passeggiare con te. Ma per favore, niente lady, niente voi, va bene?” si affrettò a rassicurarla, gesticolando con nervosismo.
Tomoe gettò uno sguardo fugace nella sua direzione, perplesso e affilato. Poi scosse la testa e i lunghi capelli neri ondeggiarono con grazia.

No, Lady, non posso farlo. La differenza di rango è troppa.”

Isabel sbuffò impercettibilmente col naso. Aveva già una tremenda emicrania e la testardaggine della donna gatto non la stava aiutando; certo, anche lei poteva semplicemente smetterla di insistere, ma nel profondo desiderava poter diventare amica di Tomoe, non essere trattata come una sua superiore.
Ma se io e te avessimo lottato nel Nexus, allora mi avresti visto come una tua pari, giusto?”

Tomoe non rispose, stava pensando intensamente se avrebbe mai potuto fare una cosa del genere; inclinò appena il capo di lato e Isabel lo prese come una risposta affermativa.
Allora un giorno mi piacerebbe davvero potermi misurare con te. E una volta che mi avrai sconfitta potremmo essere semplicemente amiche” esclamò pacificamente, con un grande sorriso.
Tomoe sussultò per un secondo, presa di sorpresa. Sembrò arrossire lievemente, ma non ne era troppo sicura.

Camminarono di nuovo in silenzio e Isabel si chiese se non l'avesse offesa con le sue richieste; stava offendendo tutta la sua cultura, in fin dei conti.
Il silenzio, però, la innervosiva. Nel silenzio il tormento di essere spiata e seguita era intollerabile.

Posso farvi una domanda ardita, Lady?” chiese Tomoe, titubando per la prima volta. Non si era comunque voltata a guardarla, come se fosse già troppo irrispettosa.
Alla risposta affermativa di Isabel, continuò:

Leonardo-san nutre dei sentimenti per voi, ve ne siete accorta?”
Isabel non pensava che avrebbe osato così tanto; doveva esserle costata tutta la sua determinazione.

Sì, lo so.”

La sua brusca risposta non era stata intenzionale e se ne pentì immediatamente, temendo di aver offeso Tomoe. C'era una certa rigidità aggiunta nel suo modo di camminare che le fece capire che aveva ragione.
Leo è un caro amico e tra di noi abbiamo parlato di quel sentimento. Io non posso corrisponderlo, purtroppo, il mio cuore è già di un altro” seguitò con più dolcezza, richiamando così la sua attenzione. Le rivolse un sorriso di scuse, per averla offesa.
Raphael-san” precisò la Samurai, che evidentemente lo sapeva già. Lei si limitò quindi solo ad annuire.
Mi dispiace per Leonardo-san, ma è bello che voi possiate scegliere con chi stare anche se la vostra differenza sociale è così elevata” mormorò Tomoe, quasi sovrappensiero.

Isabel si mordicchiò un labbro, riflettendo se avrebbe mai avuto l'ardire di chiedere cosa ci fosse tra lei e Usagi.
Nel tuo mondo c'è molta attenzione per la classe sociale e l'onore, vero?” indovinò facilmente, dato che era identico al loro Giappone feudale. Sapeva come si svolgessero i matrimoni a quel tempo e come le famiglie influenti si sposassero in altre famiglie potenti. Un mondo troppo inflessibile e severo, che non riusciva a comprendere.

Per un Samurai l'onore è tutto. Non solo il proprio, ma anche quello della propria famiglia e quello della famiglia della persona che sposa; non sono ammesse macchie, il disonore si lava con l'Harakiri.”
C'era così tanta durezza nella sua voce, che per un attimo Isabel si dimenticò perfino del misterioso inseguitore, ferita dalla tristezza della nuova amica. Era come se fosse rassegnata a dover vivere quella vita, rassegnata a non avere niente di ciò che voleva.
Doveva chiedere.

Usagi-san è un Samurai, non è vero?”

Tomoe si fermò sorpresa e Isabel la sorpassò senza accorgersene, poi si voltò a guardarla. C'era un velo di diffidenza negli occhi di Tomoe, forse perché era stata scoperta, così facilmente. Non si era davvero accorta di come fosse evidente quello che provava per il coniglio?
Usagi è un Ronin, un Samurai senza padrone. Da molti viene visto come un Samurai senza onore, per non essersi suicidato alla morte del proprio signore. È destinato ad errare da solo fino alla morte, vivendo una vita povera e faticosa” raccontò tra i denti, arrabbiata dalle sue stesse parole.

Tomoe stimava Usagi, Ronin o no, lo si capiva benissimo. Tomoe probabilmente amava Usagi, onore o meno.
E Isabel questo poteva capirlo. L'amare qualcuno al di là della ragione, delle differenze, del lecito.
Se avesse potuto fare qualcosa per loro... le faceva male assistere ad un amore che non poteva sbocciare a causa delle disparità politiche e sociali.

Ma lo scintillio serio nello sguardo di Tomoe le disse che non avrebbe accettato una sua intromissione, nemmeno se avesse potuto; avrebbe continuato per la sua rotta, anche se forse l'avrebbe portata lontana da Usagi, anche se probabilmente l'avrebbe vista sposata a qualcuno che non amava, che non avrebbe mai amato.
Perché era quello che ci si aspettava da lei.
Sentì uno sconfinato rispetto per lei e anche tanta tristezza.

Il palazzo era ormai vicinissimo, le alte mura sovrastavano i tetti delle case, svettando verso il curioso cielo rosato del Nexus, che le faceva ancora una strana impressione.

Ormai il silenzio era sceso ancora tra loro, ma era un silenzio intimo, di confidenze strette al cuore che le legavano; era un silenzio avvolgente.

Il grande portone apparve di fronte a loro, maestoso e tempio di sicurezza, per Isabel.
Si fermò solo quando fu sotto l'arco della porta, prendendo un gran respiro sollevato, sentendo quella morsa crudele sciogliersi appena, allentare ancora un po' la presa.
Tomoe non si era persa un secondo, con quegli occhi felini e intelligenti.

Desiderate che vi accompagni sopra, Lady?” domandò con cautela, valutando la sua reazione.
Era come se la Samurai avesse capito che c'era qualcosa che non andava. Come se sapesse.
Aveva presentito qualcosa, aveva sentito quel gelido sguardo e la sua malizia?

No, Tomoe-san, grazie; devo solo salire alcune rampe di scale. Grazie per avermi accompagnata fin qui, ho apprezzato molto la tua compagnia.”
L'altra donna si inchinò profondamente e Isabel la imitò, rialzandosi però velocemente. Anche se un contatto fisico non era ben visto, afferrò una mano di Tomoe tra le sue e la strinse forte.

Un giorno verrò a trovarti nel tuo mondo e potremo lottare, Tomoe-san. E allora saremo amiche. Fino allora arrivederci e in bocca al lupo, per ogni cosa” le disse con un gran sorriso, lasciando l'altra spiazzata e in imbarazzo per la sua irruenza, o forse per l'offerta.

Isabel agitò la mano in segno di saluto e scappò verso le scale, senza esitazione. Non c'era nessuno in giro per il palazzo, nessuno dei contendenti, nessuno del personale di servizio.
Solo un silenzio spesso e lo scalpiccio dei suoi sandali sui gradini in marmo, sempre più veloce.

Sì, si sentiva più al sicuro dentro al palazzo, ma la presenza non era lontana e lì, da sola, le sembrava quasi che le stesse alle spalle, terrorizzandola. Cercò di salire sempre più in fretta, senza voltarsi mai indietro, concentrata solo nell'arrivare in alto, nel raggiungere il sensei e il Daimyo prima possibile, come se ne andasse della sua vita.
E forse non era nemmeno così improbabile.

Cento gradini e altri ancora, col respiro corto e il batticuore che premeva senza più alcun controllo contro le costole, giù per le vene; ad un certo punto si aiutò anche con la levitazione, per essere ancora più veloce, per soffrire meno lo sforzo.
Con l'impressione di grandi mani che volevano afferrarla che la spronava a non fermarsi, neanche per un secondo.

Percorse il corridoio verso la terrazza praticamente volando, occhieggiando il rettangolo luminoso verso l'esterno come fosse una terra promessa; e proprio per quello la sensazione di essere presa fu ancora più prepotente, più aggressiva.
Oltrepassò la porta con un tuffo deciso, come un corridore spezza il traguardo, poi si fermò improvvisamente, riprendendo fiato.

Il Daimyo e Splinter erano ancora seduti dove li aveva lasciati, impegnati in una fitta conversazione mentre sorseggiavano una tazza di tè, completamente ignari di lei.
Ma tutto, o quasi, era finalmente sparito.
Solo in un angolo della sua mente, quel verde intenso continuava ad esistere, a dirle che non sarebbe stata al sicuro per sempre.
Si voltò verso la porta, scrutando al di là con un brivido per la schiena.
Adesso sapeva che non se lo era immaginato, che c'era davvero qualcuno che la stava tenendo d'occhio e che l'aveva seguita fin lì.

Isabel, figliola, già di ritorno?” attirò la sua attenzione la voce del maestro, guidandola verso di lui.
Rivolse loro un sorriso, mentre prendeva posto al suo fianco.

Sì, sensei. Raffaello ha incontrato un vecchio amico e li ho lasciati soli perché potessero parlare. Steve dov'è, invece?”
Ue lo ha accompagnato a fare un giro per il palazzo, voleva mostrargli tutti i suoi posti preferiti e la sua stanza” rispose divertito e commosso il Daimyo, che evidentemente era felice che suo figlio avesse un nuovo amico della sua età.
Isabel sperò che Steve non attaccasse a Ue il brutto vizio di fare il detective, che per lui era quasi una seconda natura.

Stava per attirare l'attenzione del maestro per riferirgli tutto ciò che aveva percepito nella sua uscita, ma la voce squillante del ragazzo la interruppe.
Isabel!”

Steve si precipitò al suo fianco, euforico e felice. Tutto quel mondo lo emozionava, lo intrigava: voleva esplorarlo, conoscere ogni cosa. Sembrava che il giro del palazzo lo avesse meravigliato e reso ancora più smanioso.
Cosa ti sei persa! Ci sono almeno trecento stanze e devi vedere la loro palestra! E la stanza di Ue è un tempio delle arti marziali, ne ha centinaia, e sono stupende! E-”

La voce del Daimyo interruppe lo sproloquio del ragazzino, anche se senza alcuna cattiveria.
È arrivato il momento del terzo round. Gyoji, raduna gli otto finalisti” ordinò all'etereo servitore, che con un inchino scomparve in una bolla di luce.
Steve e Ue si erano seduti al suo fianco con trepidazione, gli sguardi già verso l'arena ancora vuota, parlottando tra loro, mentre il sensei e il Daimyo se ne stavano impettiti ad aspettare il momento in cui i guerrieri sarebbero apparsi.

Isabel aveva perso il momento per parlare. E in fondo, lì col Daimyo, la sensazione era diventata solo un flebile fastidio, non c'era nessuna possibilità che chiunque fosse potesse decidere di fare una mossa proprio in quel momento.
Non c'era alcun motivo di preoccuparsi. Sarebbe rimasta lassù per tutta la durata del torneo, senza allontanarsi mai per nessun motivo, e una volta terminato, avrebbe parlato con il sensei e il Daimyo, con Raphael e tutti gli altri e avrebbe raccontato loro tutto, cercando il loro aiuto.

Niente l'avrebbe smossa da lì, per nessun motivo. Sperava.



Note:

Seconda parte della pausa.
Isabel incontra dei nuovi amici, ma che per noi sono vecchie conoscenze.

Usagi, Tomoe e Gen, dal fumetto Usagi Yojimbo. Non so quanti di voi abbiano letto i fumetti ( e se l'avete fatto palesatevi, non conosco nessuno e io li adoro.)
Personalmente, i personaggi che io muovo sono basati più sul fumetto che sulla loro versione animata e c'è differenza.

Usagi nel cartone è piuttosto rigido, sembra quasi un manichino; mentre nel fumetto è più sciolto, anche simpatico, con una punta di sarcasmo che non guasta. Ha a cuore le persone più sfortunate ed è implacabile contro i cattivi e si relaziona benissimo coi bambini e gli animali. È comunque sempre ligio all'onore e si fa in quattro per aiutare chi è in difficoltà, ma come ogni samurai, ha delle regole di codice ed etichetta da seguire. Anche se un ronin, Usagi continua a vivere secondo l'onore dei samurai.

Gennosuke è anche lui un po' diverso. O meglio, la facciata di persona menefreghista e avida di soldi è identica, peccato che nel fumetto venga approfondito il suo personaggio e si riesca a capire che è solo una maschera. Che c'è di più nel suo personaggio. Non mi vergogno a dirvi che io lo adoro, nasconde così tante buone qualità e un gran cuore. Fa il cacciatore di taglie, perciò la sua strada si incrocia spesso con quella di Usagi, con somma disperazione di quest'ultimo che ogni volta viene invischiato nelle sue beghe e si trova quasi sempre a rimetterci soldi e fatica. Ma sono un'accoppiata geniale!

Tomoe Ame è completamente diversa nel cartone. Sembra una un po' idiota, non molto capace a difendersi da sola (perciò ancor meno capace di proteggere il suo signore) e anche un po' petulante. (Appare nell'episodio della terza stagione: the real world part 1.)

Invece nel fumetto Tomoe è una donna fenomenale. Una delle poche donne a cui è concessa una vita da samurai e di presenziare alle riunioni formali del suo signore, nonché primo capitano delle sue truppe. Lei e Usagi si sono scontrati in lotta tre volte: la prima da bambini, ha vinto lei. Da adulti, senza ricordare quell'episodio da bambini, si sono risfidati ed è finito in parità. E della terza non viene mostrato l'esito. Comunque si ritiene che la sua tecnica e quella di Usagi si equivalgano, perciò non è da sottovalutare.

È dedita a proteggere Lord Noriyuki, il suo signore, da varie cospirazioni, a volte anche con l'aiuto di Usagi. É severa, ma giusta, divertente, anche dolce e comprensiva e tuttavia ostinata e agguerrita. Mi piace il suo personaggio.

Shippo lei e Usagi da morire, vorrei tantissimo che finissero assieme, ma non so se succederà. Loro mostrano via via sempre più attaccamento uno all'altra, ma ci sono tante cose che fanno capire che forse non si metteranno assieme. (e Usagi viene disegnato un po' troppo sciupafemmine nel fumetto, troppo troppo.)

Il giappone in cui si muovono è praticamente identico al nostro, nel periodo feudale. Ci sono perciò le caste dei Samurai, le stesse etichette guerriere, gli stessi credo; l'unica cosa diversa è appunto che al posto degli umani ci sono degli animali antropomorfi, tutto qua.

(In alcuni fumetti, le turtles, soprattutto Leo, finiscono in questo mondo, con ovvie conseguenze: in uno, Mikey si chiede come mai ci siano degli animali antropomorfi come conigli e rinoceronti, ma altri come i cavalli sono ancora animali e vengono usati come mezzo di trasporto. Ah, Mikey, sempre il solito dal buon 1984!)

I samurai portano due spade, una corta e una lunga: la prima è chiamata Wakizashi, la seconda è la katana. Insieme vengono chiamate Daishō, cioè lungo-corto. La katana era portata al fianco, nella parte opposta al braccio dominante, mentre la Wakizashi era portata davanti all'addome, in quanto ritenuta “guardiano dell'onore”, ossia la lama con cui il samurai compiva l'harakiri.

L'harakiri o seppuku è la pratica giapponese del suicidio rituale. Il samurai che aveva perso in battaglia, il cui signore era morto o aveva perso i suoi favori, doveva suicidarsi per far sì di non perdere l'onore: dato che credevano che l'anima risiedesse nel ventre, lo tagliavano con la Wakizashi, con un taglio prima orizzontale da sinistra verso destra e poi verso l'alto. Tutto, per mostrare la purezza dell'anima. In molti casi c'era un altro uomo che aiutava il samurai, decapitandolo nel momento di massimo dolore, perché non lo mostrasse in volto.

Anche le donne delle famiglie samurai potevano fare Harakiri se la famiglia veniva svergognata o se erano prese come ostaggi per evitare di essere stuprate o torturate: in quel caso però, il taglio era nella giugulare, perché il ventre di una donna era la culla della vita ed era irrispettoso tagliarlo.

L'Hakamashita è una sorta di giacca giapponese, quasi un kimono più corto. In genere non arriva oltre il bacino, perciò può essere usato in coppia con l'Hakama, un pantalone piuttosto ampio, a pieghe.

In giappone l'etichetta è importante, soprattutto nel modo di parlare. Ci sono vari modi che prevedono formalità di gradi diversi a seconda della persona con cui si parla e i suffissi per rivolgersi a qualcun altro sono praticamente obbligatori. Anche tra amici, anche tra famigliari.

Il -san è neutro e rispettoso, perciò è il più usato. -Sama, il suffisso che usa Tomoe all'inizio con Isabel, indica un grande rispetto, è come rivolgersi a qualcuno chiamandolo vostra maestà. In genere si usa per parlare ad una persona di rango reale o nobile.

(A Lady Isabel ho riso tantissimo, non mi ricordavo di averlo scritto e mi fa venire in mente Atena dei cavalieri dello zodiaco! XD)


Il cognome di Isabel. Viene interrotta mentre sta presentandosi, ma non c'è niente dietro. In realtà veniva detto già nella prima storia, ma lo eliminai in fase di correzione, perché non era essenziale. Non lo è nemmeno adesso in effetti. Comunque, più avanti verrà detto. Non è niente di che, nessun mistero.


Ok, scusate per le note lunghissime, ma ci tenevo a spiegare bene questi personaggi che adoro e un po' del loro mondo. Sono certa che alcuni queste cose le sapevano già, ma sempre meglio spiegare.

Siamo alla fine della pausa. Isabel ha paura, ma aspetta la fine del torneo per poterlo infine dire a tutti e cercare il loro aiuto e nel frattempo noi vediamo chi ci sarà nel prossimo round. Se vi fate i conti sapete già tutti gli otto sfidanti (i nomi dei personaggi inventati sono nel capitolo 11) tranne uno che ancora non ho nominato.

Quindi, adesso si ritorna a lottare!

Le scommesse continuano (ragazze, mi fate morire, vi adoro!): alcuni di voi cercano di fare considerazioni logiche del perché e percome uno o l'altro debba vincere, mentre altri vanno a simpatia! In entrambi i casi: grazie, la vostra partecipazione mi commuove.

Piwy si aggiunge e punta su Donnie anche lei (ha un nutrito fan club!) Perdonatemi per l'imbeccata, ma per ora la persona di cui Don è innamorato non si saprà, posso solo dirvi che è davvero davvero cotto!


Grazie ancora e sempre a chi legge, a chi commenta, ai preferiti e i ricordati. Alla terza storia ho l'impressione che vi siate un po' stufati, perciò grazie. Chi sopravviverà fino alla quarta? Beh, io la serie la voglio mettere tutta, spero di rimanere sempre all'altezza delle aspettative e che fino alla fine convinca. L'happy ending per tutti è alla fine della serie, in fondo.

Un grandissimo abbraccio! A presto

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Capitolo 13
*** Round 3: Old enemies ***


Gyoji apparve alla base dell'arena in una bolla di luce azzurra, circondato dagli otto finalisti:
Leonardo, Donatello, Usagi, Tomoe, Raphael, un alieno dalle fattezze da lucertola, un altro che pareva un uomo fatto di terra e rocce, e un Triceraton dall'aria aggressiva.
Ci fu un silenzioso scambio di sguardi tra tutti e otto, e qualche sorrisino sfuggito tra vecchi avversari che si rincontravano.
C'era una tale anticipazione, una sottaciuta aura di competizione che li attraversava tutti, mentre quietamente aspettavano l'inizio, alzando ogni tanto il capo per guardare verso gli spalti o il posto d'onore.

Benvenuti, nobili guerrieri, alle fasi finali del torneo del Battle Nexus” disse prontamente Gyoji che ancora galleggiava in mezzo a loro, alzando le braccia al cielo: al centro dell'arena si sollevò un anello di energia azzurra, fluida, che ribollendo si espanse e crebbe, materializzandosi in una piattaforma di spesso acciaio di forma ottagonale, imponente, enorme.
Fluttuava a qualche metro dal suolo, eppure solida, stabile.
Un nuovo fiotto di magia si elevò dalla sua cima e il fluido azzurro si condensò questa volta in un'arena più piccola, quadrata, divisa da due pareti che correvano per i suoi angoli, creando quattro cubicoli triangolari perfettamente identici.
I nuovi spazi dove avrebbero combattuto.

Per poter iniziare, tutti gli scontri dovranno essere determinati da un'estrazione casuale” continuò Gyoji, agitando il suo ventaglio elegantemente, creando da nulla una sfera azzurra della stessa materia liquida e tuttavia incorporea che aveva formato la nuova arena.
La bolla galleggiava a mezz'aria, la sua superficie si increspava e vorticava pigramente, calamitando la loro attenzione.
Ci fu un intenso e silenzioso scambio di sguardi tra tutti e otto, come a voler decidere chi si sarebbe avvicinato per primo, ma poi tutti assieme mossero un passo in avanti per raggiungere la sfera: allungarono un braccio e lo tuffarono nella materia aliena, senza esitazione.
Otto mani estrassero otto Kunai, velocemente.

Poi ognuno aprì le dita per controllare il colore del cordino attaccato, con curiosità e trepidazione; erano quattro: rosso, viola, giallo e verde lime e ognuno di essi appaiava due Kunai. Due guerrieri abbinati dal caso e da un colore.
Leonardo guardò il cordino rosso sventolare dall'asola del suo Kunai, con apparente calma. Adesso che conosceva il suo colore avrebbe solo dovuto controllare chi possedesse l'altro e il suo avversario sarebbe stato chiaro e lo scontro praticamente alle porte: alzò lo sguardo per controllarsi attorno e per prima cosa si voltò verso i suoi fratelli.

Una vocina piccola e punzecchiante nella sua testa sperava che fosse Raphael ad avere l'altro rosso, per poterlo battere e finalmente avere una rivalsa su di lui; fu quasi deluso quando vide che il suo cordino era viola, e dal modo in cui Raph sollevò le spalle, capì che anche suo fratello doveva aver sperato di poter lottare contro di lui.
Don possedeva il giallo, perciò anche lui era fuori discussione. E se da una parte era deluso di non potersi misurare coi suoi fratelli, dall'altra ne era sollevato, sperando in cuor suo di poter superare tutti assieme quella fase.

Continuò a cercare il suo sfidante con lo sguardo, ma fu quello a trovare lui: con un leggero tocco sul suo braccio, Tomoe attirò la sua attenzione.
Leonardo-san” mormorò mostrandogli il Kunai col cordino rosso che teneva in mano.
Leo si riprese subito dalla sorpresa e le rivolse un inchino cortese, che lei si premunì di imitare; solo con la coda dell'occhio riuscì a vedere Usagi e si accorse che guardava verso di loro.

Il suo amico era preoccupato per lo scontro tra lui e la donna che segretamente amava?
Avrebbe voluto avere il tempo per poterlo tranquillizzare, avrebbe voluto che lui potesse assistere alla battaglia e tifare per lei, ma Usagi sarebbe stato impegnato nella sua lotta. Intravvide il colore giallo nel suo Kunai e seppe anche contro chi il coniglio si sarebbe scontrato.
Gli mandò un breve sorriso, prima che Gyoji si avvicinasse: bastò un minuscolo gesto della mano e lui e Tomoe si smaterializzarono in pulviscolo infinitesimale, per poi rimaterializzarsi nel cubicolo dell'arena.

Usagi rimase ad osservare lo spazio vuoto che avevano occupato per ancora qualche secondo, prima di scuotere la testa e rivolgersi intorno, incontrando lo sguardo di Donatello: sorrise nel vedere il giallo nella sua mano, identico al suo.
E il mutante ricambiava il sorriso sorpreso e compiaciuto.
Si inchinò al suo vecchio amico e gli si fece incontro, svanendo assieme a lui nel momento in cui furono vicini, diretti al loro spazio per la lotta.

Raphael rimase con gli ultimi tre guerrieri: la lucertola aliena, l'essere terroso e infine il Triceraton.
Mozar.
Quanto desiderava che fosse lui il suo sfidante. Se aveva ancora una briciola di fortuna da utilizzare per il torneo, allora voleva intensamente impiegarla per potersi scontrare contro Mozar, con tutte le sue forze.
Si avvicinò a piccoli passi, scrutando i pugnali che stringevano nelle mani, cercando una traccia di colore.
La lucertola aliena aveva il cordino verde lime, e così l'uomo di terra.
Raphael si voltò trionfante verso il Triceraton, che sventolava il suo Kunai col laccio viola, un sorriso impaziente sul viso.
Aveva decisamente fortuna.

Gyoji li smaterializzò all'istante e un millesimo di secondo dopo si trovarono circondati dalle alte mura dell'arena, uno di fronte all'altro.
Non seppero se il gong avesse già suonato o meno, perché da quel momento non percepirono più nulla.
Raphael percepiva solo Mozar.
Mozar l'ex braccio destro di Zanramon, a sua volta ex primo ministro della Repubblica dei Triceraton. Un vecchio nemico.
Non era cambiato molto, anzi praticamente nulla: la pelle color sabbia e la benda sull'occhio sinistro e il braccio meccanico che partiva dal gomito in giù nella parte sinistra, erano perfettamente identici. Solo la sua tenuta era diversa dalla vecchia divisa di quando era comandante, ora vestiva una tuta marrone scuro con l'effige della Repubblica, con un po' d'orgoglio.

Avevano combattuto così tanto contro Mozar, quando erano capitati sul pianeta del professor Honeycut mentre loro lo cercavano e quando poi i Triceraton avevano invaso la terra, che per molto tempo Raph aveva sinceramente sognato di prenderlo a pugni. Poi, inaspettatamente, si era ribellato alla follia di Zanramon e aveva giurato fedeltà a Traximus, diventando un loro alleato. E in quel caso, anche se ancora lo avrebbe volentieri preso a pugni, era diventato più difficile.
Un vecchio nemico, passato dalla loro parte.

Mai si sarebbe aspettato di trovarselo di fronte al Battle Nexus.
Mozar aveva come arma una grossa ascia bipenne, piuttosto affilata. Fortunatamente le regole e la magia dell'arena non avrebbero permesso che lui si ferisse.
E nemmeno lui avrebbe permesso a quella cosa di toccarlo.
La sua intenzione era di poter finalmente e legalmente prendere a pugni Mozar sul muso da triceratopo, con soddisfazione e una piccola punta di vendetta.

Mozar sembrava avere le sue stesse intenzioni, perché senza una parola e un secondo di più sollevò l'ascia al cielo e si gettò in un attacco violento e deciso contro di lui, fendendo l'aria: Raph si spostò all'indietro con una capriola perfetta e una volta lontano mise velocemente mani alle armi, giusto in tempo per il secondo attacco del suo avversario, che riuscì a deviare con gli tsuba dei Sai.
Mozar si sbilanciò leggermente verso sinistra, ma prima che Raph potesse approfittarne, quello alzò il braccio meccanico e cercò di centrarlo in pieno viso: il mutante lo colpì allo stomaco con un calcio, svicolando da quella situazione pericolosa.
Qualche metro di distanza e i due si osservarono.

Raphael sapeva di essere in svantaggio: Mozar sembrava non avere nemmeno un angolo cieco, un dannatissimo punto debole. Alla destra l'ascia tagliente e alla sinistra il braccio metallico dalla gran forza e potenza.
In più, la perfetta preparazione militare di Mozar che non gli avrebbe lasciato scampo.
L'alieno infatti non voleva lasciargli troppo tempo per pensare o riposarsi: fece roteare l'arma nella mano e si scagliò nuovamente contro di lui, caricando con ferocia.

Raph sentì le vibrazioni del terreno ad ogni passo, mentre aspettava il momento giusto: saltò nel momento stesso in cui l'ascia calava contro la sua testa, e grazie alla spinta colpì con forza con le punte dei Sai verso il basso; ci furono sprizzi di scintille quando incontrarono il metallo del braccio artificiale, alzato in posizione di difesa.
Raph ringhiò.
Mozar lo allontanò con una spinta prima che potesse riprovarci, mandandolo quasi a sbattere contro la parete dell'arena; Raph rallentò la velocità con una serie di avvitamenti a mezz'aria, toccando la superficie coi piedi, illeso.
E se la testa e la rabbia gli dicevano di attaccare ancora, immediatamente, l'istinto invece gli suggeriva di fare dei piani, prima, di cercare una strategia che gli permettesse di oltrepassare la difesa perfetta di Mozar.


Donnie era sempre stato affascinato dall'etichetta da Samurai che Usagi aveva cucita addosso: i suoi modi, il suo linguaggio, la sua mentalità. Eppure come fosse al contempo sorprendentemente aperto a tutto quello che un viaggio dimensionale comportava.
Lo rispettava, sinceramente.
Certo, non aveva mostrato da subito la sua ammirazione, anzi: la prima volta in cui si erano incontrati lo aveva nemmeno molto velatamente accusato di aver aggredito Leo e aveva cercato di picchiarlo. Al ricordo gli venne da sorridere del malinteso, ma allora era davvero molto arrabbiato e sospettoso verso il coniglio antropomorfo e quasi fuori di sé.
Poi tutto era stato chiarito in fretta quando Usagi aveva in realtà curato Leo, e lo scontro tra loro era stato evitato.

Fino a quel momento.
Non si era mai nemmeno chiesto se avrebbe potuto battere Usagi, prima di quell'istante, -sapeva che era incredibilmente forte e con una tecnica formidabile; ma voleva batterlo, doveva batterlo.
Usagi si inchinò leggermente, prima di sfilare la Katana dal fodero con un movimento fluido e veloce, puntandola poi contro di lui: Don strinse la presa sul Bō e lo fece volteggiare nella mano, un delicato e dolce sibilo.
Un inchino veloce, un sorriso per entrambi. E poi l'attacco in simultanea.

Gli affondi di Usagi erano precisi ed eleganti, stoccate decise, traiettorie nette, pressoché invisibili da quanto fossero veloci; quelli di Don sinuosi e armoniosi, complesse danze tra lui e il suo bastone, inscindibili uno dall'altro.
Il Samurai affondò in avanti con la lama, ma lui scansò il colpo saltando in alto con l'aiuto del bastone, come leva: volò nell'aria in una perfetta parabola e con una stoccata decisa puntò contro la schiena del coniglio, il Bō estensione stessa del suo braccio. Usagi si voltò in tempo per percepire la minaccia, e ruotando su sé stesso, riuscì ad evitare il colpo, rotolando qualche metro più in là.

Entrambi si fermarono per un secondo, il respiro più pesante per lo sforzo, e poi senza esitare si rilanciarono uno verso l'altro; Usagi si abbassò e nel contempo sventolò la Katana contro il mutante, che si difese velocemente riportando il bastone vicino al corpo: la lama slittò contro il legno portandosi via un paio di schegge, ma senza arrecare nessun altro danno.

Il filo della Katana di Usagi era affilato, tanto da poter tagliare un albero come fosse burro, ma Donatello sapeva muovere il Bō come se facesse parte del suo corpo: sinuoso e sfuggente, veloce e resistente, flessibile, ma indistruttibile. Sapeva come piegarlo alla sua volontà perché fosse protezione e offesa allo stesso tempo, cambiando impugnatura o forza in una frazione di secondo.
Prenderlo alla sprovvista era praticamente impossibile.

Usagi sapeva già quanto fosse forte, quanto fosse preparato, ma valutarlo in prima persona era tutta un'altra cosa.
Avrebbe dovuto dare fondo a tutta la sua tecnica per poter vincere.
La lama della sua spada produceva un suono secco ogni volta che si scontrava contro il legno del bastone, lasciando solo piccolissimi segni, tacche impercettibili, prima che Donatello si accorgesse della minaccia e deflettesse la sua arma per non essere in svantaggio.
Guardingo. Ma rapido nell'afferrare i cambiamenti e agire di conseguenza.
Donatello voleva vincere.


Un gran clangore di metallo contro metallo riempì lo spazio del cubicolo, e una pioggia di scintille sprizzò per lo scontro: Leo spinse via la Katana di Tomoe bloccata tra le sue, poi si allontanò di qualche passo.

Si erano lanciati l'uno contro l'altra dopo un inchino cortese, ma senza nessun'altra esitazione; non c'era bisogno di parole tra loro. Leonardo rispettava Tomoe e sapeva che per lei era lo stesso.
Una muta fiducia reciproca.

A dover ben ricordare però, quando si erano incontrati per la prima volta non era stato lo stesso: Tomoe lo aveva scambiato per una spia di Lord Hebi e lo aveva attaccato per proteggere Lord Noriyuki, chiamandolo “feccia ninja”. Aveva dovuto disarmarla per far sì che lei lo ascoltasse e capisse che non voleva far loro del male, ma che era invece un loro amico.
Con che ferocia e ardore si era battuta.

Tomoe era una Samurai al pari di Usagi, in quanto a bravura. Avrebbe dovuto essere l'erede della tecnica “pioggia battente” della sua famiglia, se solo non fosse stata una donna: suo padre aveva preferito designare suo fratello come successore del loro Dojo, nonostante non fosse bravo come lei. E poi le aveva proibito di lottare contro di lui, perché non si sapesse che lei poteva sconfiggere il nuovo maestro della tecnica senza molto sforzo.
Tomoe si batteva come un uomo in una società che sottovalutava le donne, mettendoci perciò il doppio della fatica e dell'impegno.
Leonardo lo sapeva perché Usagi glielo aveva confidato, e la rispettava anche per quello.

Al momento lei gli stava dando parecchio filo da torcere. Aveva una guardia alta e serrata e gli attacchi erano sporadici e ponderati, e proprio per quello più intensi.
Niente era scontato nel loro scontro: chi avrebbe vinto e come avrebbe vinto. Sottovalutare Tomoe sarebbe stato un errore davvero imperdonabile.
Così come pensare che impugnare due spade contro una fosse un vantaggio.
Lei era fulminea e agile, ermetica e attenta.

Leo si gettò in un attacco frontale con le due spade in simultanea, che Tomoe evitò facilmente con una schivata breve e sollevando la Katana di fronte al viso per deflettere la lama; poi lo allontanò da sé e con un gesto repentino fu il suo turno di attaccare, con un colpo di spada che sembrava una falce crescente: Leo se ne accorse solo per il momentaneo bagliore che l'acciaio rifletté nella sua discesa.
Saltò all'indietro con una capriola all'ultimo secondo: sentì lo spostamento d'aria e la sua pressione contro il viso, ma nemmeno per un istante riuscì a vedere materialmente la spada.

Tomoe si riallontanò con un'espressione delusa, ma anche consapevole.
Sapeva già in partenza che lo scontro con Leonardo non sarebbe stato semplice.


Però, che belle combinazioni” gongolò contento Michelangelo, sporgendosi per guardare bene. Era appena arrivato sulla terrazza d'onore del Daimyo, palesemente in ritardo.
Mikey! Dov'eri finito?” esclamò sorpresa Isabel, sollevando il capo per guardarlo in viso.

Lui le sorrise, mentre spostava Steve senza riguardi per potersi sedere vicino a lei, a gambe incrociate.
Oh, mh, ho perso tempo al mercato” rispose vago, riportando l'attenzione sull'arena. Controllò con occhio attento i quattro scontri, tre dei quali di particolare rilevanza.

Il rumore delle lotte arrivava fin lassù, lo stridore del metallo, il cigolii del legno.
Non mi aspettavo queste accoppiate, a dire la verità. Non so proprio chi potrebbe vincere” esalò preoccupato, corrucciando le sopracciglia.
Addirittura?” domandò Isabel, sorpresa dal suo tono serio.
Certo. Usagi e Tomoe sono davvero forti e preparati, il loro livello non si può prevedere. E Mozar oltre alla potenza ha anche il desiderio di rivalsa... senza contare che Raph è stupido e si farà perciò batter- ahia!”
Isabel strinse più forte la presa nel pizzico che gli aveva dato, arricciando il naso con sufficienza, prima di lasciarlo andare.

Quindi stai dicendo che Leo, Raph e Don potrebbero perdere tutti in questo giro?” domandò incredulo Steve, con i suoi occhioni azzurri spalancati.
Mikey fece spallucce, dato che la risposta certa non l'aveva.

Certo, se ci fossi stato io, non ci sarebbe stato alcun dubbio su chi avrebbe vinto” disse con vanagloria e un sorriso derisorio.
Infatti stai qua, Mr. Campione!” lo punzecchiò Steve con una linguaccia, spostandosi di lato per evitare una sua pacca.

Ue stava in silenzio, ma non si perdeva nemmeno una battuta, estasiato dalla loro familiarità, ridendosela sotto i baffi.
Isabel sorrise alla loro scenetta, ma poi riportò in fretta lo sguardo verso il basso, verso quel verde scuro che era tutto il suo mondo, allontanando l'altro verde, freddo e spento, nel fondo della sua mente.


Raphael aveva passato ogni istante da quando era entrato nel suo spazio evitando gli attacchi di Mozar, con tutta la sua concentrazione.

Il colosso a tre corna non gli aveva lasciato un attimo per respirare, nemmeno un secondo di pausa; aveva continuato a fiaccare la sua resistenza con attacchi continui e in successione, sempre intensi, mai scontati. Aveva scartato, si era piegato, aveva eluso, aveva corso, ma Mozar con feroce precisione era sempre stato un passo dietro lui, pressante.
E ogni volta in cui era stato lui ad attaccare, ogni colpo era andato inesorabilmente a vuoto o peggio, era stato bloccato dall'onnipresente braccio metallico, che Mozar muoveva senza alcuno sforzo come fosse uno scudo, tagliandogli via ogni possibilità di vincere.

Stava riprendendo fiato, tenendosi alla larga dal Triceraton, la mente che lavorava a mille; la sentiva fumare, la sentiva surriscaldassi per la pressione che lo schiacciava.

Mozar continuava ad avanzare e lui indietreggiava.
Un passo avanti, due passi indietro.
Per non essere messo all'angolo.

Il fischio dell'ascia che fendeva l'aria era sempre più vicino, diretto verso la sua testa.
Non aveva molto spazio di manovra, alle spalle; c'era ancora qualche metro dietro, ma non poteva continuare ad indietreggiare. Alla destra le due pareti di univano nell'angolo e nemmeno lì era consigliabile spostarsi. A sinistra c'era ancora un piccolo varco, ma Mozar ovviamente si sarebbe aspettato che si muovesse proprio in quella direzione.

Attese con i muscoli tesi che il bestione sollevasse ancora la sua ascia per attaccarlo e poi scattò repentinamente in avanti, tenendosi basso: sentì il sibilo della lama, ma lui ormai si era già tuffato verso il suolo, strisciando sul guscio con rapidità, proprio in mezzo alle sue gambe, evitando la lunga coda.
Si fermò con una strisciata secca e si rialzò prima che il Triceraton potesse voltarsi, ancora sorpreso dalla sua mossa imprevista. Saltò a piè pari e calciò forte la sua schiena, con tutto il suo peso: Mozar perse l'equilibrio e barcollò in avanti, sbilanciato anche dalla pesantezza del braccio artificiale. Stava per cadere sull'ascia e infilzarsi, quando la luce azzurra dell'arena lo avvolse e lo trasportò al sicuro, nell'infermeria.

Mozar aveva perso, con le sue stesse mani.

Raphael riprese fiato, un piccolo sorriso agli angoli della bocca, forse incredulo che una cosa così semplice avesse funzionato. Si voltò in fretta verso il palazzo e sollevò lo sguardo verso l'alto, cercando quello amato.
Il suo portafortuna. Il motivo per cui non poteva perdere, non poteva sbagliare.


Leonardo e Tomoe danzavano da molto, ormai. Una bellissima sequela ritmata di stoccate e parate, scivolate elusive e volteggi, lame che si scontravano.
Nessuno dei due aveva mai parlato, mai spezzato quell'atmosfera sottile con discorsi futili; ogni cosa era espressa dai loro stili di lotta.
Leonardo era intimamente felice di potersi misurare con lei, di poter constatare quanto fosse forte, il suo livello di tecnica; e Tomoe stava mettendoci tutta sé stessa, rendendo lo scontro ancora più vero e indimenticabile.
Non ne avrebbe mai dimenticato nemmeno un secondo, nemmeno se avesse perso. Cosa che, però, non era disposto a fare.
Nemmeno per un'amica.

Parò un affondo e scivolò a destra, mettendo dello spazio tra loro: Tomoe si lanciò in avanti ancora, già pronta a reagire.
Leo sollevò solo la spada destra e la calò velocemente contro di lei, che però non si fece trovare impreparata; con una torsione repentina del polso fermò la lama con la sua, decisa.

Il colpo fece volare la spada di Leonardo e solo allora Tomoe si accorse che lui l'aveva lasciata andare ben prima dello scontro: l'aveva diretta contro di lei, ma poi l'aveva lasciata andare per la forza cinetica conservata, mentre lui intanto stringeva la presa a due mani su quella che gli era rimasta.
L'attacco fu veloce, violento e imprevisto. Tomoe era ancora sbilanciata a sinistra e non poté reagire, mentre la lama calava verso il suo viso: sparì nella luce blu dell'arena, immediatamente.

Non ne era sicuro, ma gli era parso di vederla sorridere, prima di scomparire. Onorevole anche nella sconfitta.


Nel cubicolo di Donatello e Usagi la lotta proseguiva ancora, senza respiro. Ignari di cosa fosse successo ai loro amici, anche loro ce la stavano mettendo tutta per vincere.
C'era una sottile vena di ossessione che stava alimentando la foga di Don, che quasi non prendeva fiato tra un attacco e l'altro, cercando di fiaccare l'amico dalle orecchie lunghe.

Usagi, invece, era composto al suo solito e anzi, sembrava aver letto nell'insolita irruenza del mutante che qualcosa non andava. Quell'impazienza, quell'insofferenza nell'attaccare non erano normali in Donatello.
E più lui l'eludeva, più sforzo ci metteva l'altro per stargli dietro, stancandosi il doppio.
Il suo Bō gli fischiava costantemente attorno, mirando ai suoi punti vitali. E lui schivava a destra e sinistra per evitarlo, concentrato solo sulla difesa.

Don affondò in avanti, ma Usagi si spostò velocemente a destra e con una piroetta su sé stesso ripartì all'attacco verso la sua schiena: la Katana si scontrò col legno, il bastone era stato portato rapidamente alle spalle e poi si sollevò verso l'alto, ma lo evitò con una capriola.
Don si voltò e il Bō era di nuovo al suo fianco, ben stretto nella presa. Ricominciò la lotta, ancora silenziosa, ancora spasmodica.
Finché, il bastone non colpì Usagi sopra la mano e fece volare via la Katana, mentre il coniglio tratteneva una smorfia di dolore per il colpo.

Ci fu un intenso sguardo tra i due, carico di anticipazione.

Don stette attento alle mosse dell'amico, per controllare se stesse o meno mettendo mano alla spada corta che portava contro l'addome. I movimenti di Usagi furono troppo rapidi, ma quando lo vide armeggiare qualcosa, Don non si fece altre domande e partì anche lui alla carica.
Usagi lanciò con forza ciò che teneva in mano, contro la sua faccia: con un movimento del bastone parò senza alcuno sforzo, lasciandolo cadere a terra con un tintinnio cupo.
Per niente metallico.

Donatello osservò con sorpresa il fodero della Katana giacere al suolo e troppo tardi si accorse del suo errore: sollevò in fretta lo sguardo, ma le mani di Usagi erano già sul Bō, proprio al centro. Con una torsione del busto lo fece piroettare e Don ruotò bruscamente assieme ad esso; cercò di non lasciarlo andare, ma perse la presa con troppa facilità, mentre i muscoli delle braccia dolevano per l'improvvisa contorsione.
Cadde al suolo, o meglio ci fu proprio scaraventato.
L'ultima cosa che vide, prima della luce azzurra, fu Usagi che dirigeva contro di lui il suo stesso bastone, con un timido sorriso di scuse in volto.

Poi, le pareti dell'infermeria si composero attorno, mentre la luminescenza scompariva, e i guaritori gli andarono incontro con preoccupazione-
Don sospirò rassegnato, lasciando andare le spalle.
Aveva perso, ancora. E non sapeva perché, ma faceva ancora più male delle altre volte.


Isabel aveva trattenuto il fiato, mentre Don scompariva.
Aveva visto il fugace scintillio di delusione nel suo sguardo, prima di essere trasportato via.
Era contenta per Usagi, era stato davvero bravo, ma le dispiaceva da morire per quel suo fratello che ce l'aveva messa davvero tutta per vincere.
Dall'imprecazione tra i denti che sentì scappare a Mikey, capì che anche lui era sconvolto dall'esito dello scontro.

Voleva andare in infermeria e consolare Don. E dirgli che era stato bravo, che era stato magnifico.
Ma aveva paura ad abbandonare la terrazza. Con un profondo senso di vergogna, quindi, rimase lì, a guardare Leo e Raph esultare per le loro vittorie, in attesa del successivo round.



Note dal torneo:

Salve a tutti.
Eccoci di nuovo nel vivo della competizione.
Via con le note.

Mozar è un triceraton incontrato durante la stagione 2 e 3. Quando le turtles vengono trasportate per sbaglio nel pianeta del dottor Honeycut, sia i Triceraton che la federazione stanno cercando il robot per alcuni suoi progetti e i nostri quattro eroi si trovano nel mezzo per cercare di aiutarlo. Mozar è il braccio destro del primo ministro Zanramon e si comporta ovviamente male coi nostri. Sembra spregevole, ma in realtà ha un grande senso dell'onore ed è leale a colui al quale ha giurato fedeltà. Ma dato che Zanramn non è onorevole, Mozar si rende conto e decide che ne ha abbastanza, unendosi a Traximus e alla resistenza una volta per tutte.

Quindi era un nemico, ma infine è passato dal lato giusto. Io però non gli perdono di aver torturato Don per carpirgli informazioni, povero il mio cucciolo.

E proprio di Don parliamo: ha perso. Vedo già il vostro dispiacere, ha un fanclub davvero nutrito. Caspita, sono dispiaciuta. Ce l'ha messa tutta, davvero!

Anche Tomoe ha perso. Ma sono felice che sia piaciuta a molti, se lo merita. Insomma se qualcuno leggerà il fumetto ne sarò anche più contenta. Mi è piaciuto mettere un po' di alri mondi nella storia.


Tra due capitoli il torneo sarà finito! Ah, mi spiace, ma allo stesso tempo non vedo l'ora. Ci sono ancora tantissime cose da narrare!


A presto!


Uh, oggi ho trovato questo disegno nella mail… non è dolcissima oltre che talentuosa, Sarajane? Sì lo è!

Grazie mille, ti adoro! e voi passate nella sua pagina! https://www.facebook.com/pages/Sarajane/386563768158774

E a tutti un mega abbraccio! Grazie ancora e sempre!

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Capitolo 14
*** Round 4 and Finale: To glory ***


I quattro vincitori, ancora ignari di come fossero andati gli altri scontri, attendevano con pazienza ognuno nel loro spazio. In fondo allo stomaco c'era una certa adrenalina per la gioia di essere arrivati alla semifinale, ma ognuno di loro cercava di mostrarsi contenuto.

Il ring si illuminò della sua luce azzurrina, improvvisamente, inglobandoli nella sua luminescenza e trasportandoli via. Riapparvero mezzo secondo dopo alla base dell'arena, mentre quella, ancora avvolta dall'energia, aveva ripreso a trasformarsi: le due pareti che dividevano il quadrato per i suoi angoli si erano dissolte nel nulla, lasciando tutto lo spazio vuoto, aperto.

Intanto, Raph e Leo si stavano scambiando un ghigno compiaciuto al vedersi l'un l'altro, pregustandosi chissà quale incontro futuro mentre, alla vista di Usagi, entrambi compresero che Don non ce l'aveva fatta e ne furono dispiaciuti; la vittoria del loro amico mitigò solo appena quella sensazione.
Sono contento di rivederti, Leonardo-san” esclamò il coniglio, con un sorrisino.

Era un secolo che il Samurai voleva scontrarsi contro il suo amico, sin dal primo torneo in cui si erano incontrati, in cui Leo era però poi stato avvelenato dall'Ultimate ninja, costringendo la loro lotta ad essere sospesa; dopo di allora, non si erano più incontrati in nessun round, mai più. Come se una sorte birichina non volesse farli lottare uno contro l'altro, nonostante loro lo desiderassero.
A volte era stato Usagi a finire prematuramente fuori nei primi round, altre volte Leo; in definitiva non c'erano mai state le premesse per un loro incontro deciso dal fato ed entrambi non avevano voluto forzare in alcun modo quel destino.
Ma non aspettavano altro, in realtà.

Perciò tutti e due stavano pensando che quello forse era il momento di svolta. Anche se, Leo desiderava molto lottare anche contro Raph, a dire il vero.
Ma in fondo, chi diceva che non poteva scontrarsi con entrambi?
Uno nella semifinale e poi uno in finale, ovviamente con la sua piena vincita in entrambi.
Fattibile.

Il gong risuonò dall'alto e tutti e quattro sollevarono gli occhi al cielo per osservare il Daimyo che, in piedi, era rivolto verso loro.
Nobili guerrieri, il vostro valore vi ha condotto fino a questo momento con successo, mi congratulo. Le semifinali sono di fronte a voi e perché possiate raggiungere l'arena della finale, dovrete lottare con ancora più convinzione, perché sarà difficile.
Il quarto round vi aspetta.”

In quel preciso momento Gyoji si avvicinò a loro e con un gesto elegante del ventaglio fece apparire al suo fianco un portale ovale di luce, pulsante ed etereo, identico a quello che li aveva portati lì.
Leonardo, Raphael e Usagi sapevano già cosa sarebbe successo. Avrebbero attraversato il portale di luce, che li avrebbe immediatamente trasportati dentro l'arena, esattamente di fronte al proprio avversario.
Ci fu un secondo in cui si scambiarono un fugace sguardo di augurio, prima di incolonnarsi uno dietro l'altro, mentre la lucertola umanoide già spariva nel vortice azzurrino.


Il Daimyo si risedette compostamente al fianco di Splinter, con lo sguardo ancora sui guerrieri che si avvicinavano al portale.
Ovviamente, tutti erano curiosi di sapere quale sarebbero state le combinazioni, perché in un modo o nell'altro, almeno uno scontro sarebbe stato tra due fratelli o due amici, perciò l'anticipazione era palpabile.
Erano ormai passati tutti e in un secondo sarebbero apparsi nell'arena, perciò trattennero il fiato.
Almeno finché un suono di passi non attirò la loro attenzione verso le loro spalle.

Donatello e Tomoe apparvero dalla porta colossale, con esitazione.
Isabel sorrise felice nel rivedere la donna gatto, ma lo sguardo cupo di Don le smorzò l'entusiasmo. Il genio non mostrava apertamente il disappunto che sentiva, ma c'era un flebile e inequivocabile scintillio del fondo dei suoi occhi che non poteva mascherare.

Mikey si alzò dal suo posto e gli andò incontro e quando lo raggiunse poggiò le mani sulle sue spalle, con un sospiro.
Sei stato in gamba, Donnie, davvero. Ma io avevo scommesso su di te! Tutto quello che mi era rimasto! Dov'è finito Don rambo, eh? Come hai potuto farmi questo, fratello?” sbottò scuotendolo con forza, in preda al dispiacere.
Con un tocco sordo un bastone si schiantò sulla sua testaccia, strappandogli un urletto indignato e sorpreso.

Sensei” si lagnò voltandosi, una mano che toccava la parte lesa, dove un piccolo bernoccolo si poteva già sentire.

Splinter lo guardò da sotto a su con quel suo sguardo che sembrava tranquillo, ma che sapeva far vergognare.
Hai scommesso al mercato, Michelangelo?” domandò pacatamente.
Il figlio fece una smorfia, preso in castagna, e non trovò meglio da dire che farfugliare sotto la sua aura di disapprovazione.

No! Io stavo solo... era un modo di dire, sensei... io non...”
A casa riparleremo di questo argomento, Michelangelo” continuò il maestro, e Mikey lasciò andare un piccolo verso che assomigliava tanto a disperazione e pentimento.

Poi il saggio ratto si voltò verso Don, che era rimasto in piedi al loro fianco, quasi senza respirare; ci fu uno spesso silenzio, in cui la paura di Don di essere rimproverato crebbe a dismisura.
Sei stato bravissimo, figliolo. La tua tecnica è cresciuta e tu con essa. Sono fiero di te” disse invece suo padre, con un tono dolce.
Donnie sgranò gli occhi e qualcosa sembrò scivolargli giù dalle spalle, che portò molto più indietro fieramente, rincuorato.
Sorrise al padre, poi a tutti loro.

Lui e Tomoe presero posto vicino ai ragazzi, la donna gatto alla sinistra di Isabel, nonostante le proteste di Mikey.
Tutto bene, Lady Isabel? domandò sottovoce una volta al suo fianco, seduta in una perfetta posa seiza, la schiena rigida.
Per un secondo lasciò perdere il magone e quella sensazione di paura, sopraffatta dalla sorpresa; Tomoe era appena stata battuta, avrebbe dovuto pensare a quello, ma sembrava invece più interessata a sincerarsi di come lei stesse.
Come se avesse capito più di quanto lasciasse intendere.
Si voltò a guardarla, ma la guerriera teneva lo sguardo dritto verso l'arena, concentrata.

Sì, grazie” mentì con convinzione. Era tra amici e nessuno poteva toccarla lassù con loro.

Mancava poco ormai alla fine e allora avrebbe finalmente detto la verità.


Leonardo ghignò contro il suo avversario. Sì, ghignò.
Una volta uscito dal vortice si era trovato di fronte a Raphael, a sua volta estremamente compiaciuto.
Non aveva desiderato altro che trovarselo di fronte, in fin dei conti. A lui non importava poi molto di lottare contro Usagi, era solo Leonardo che vedeva come un ostacolo.

Il coniglio, intanto, stava salutando il suo avversario con un inchino, a qualche metro di distanza da loro.
Ma non vi fecero caso. Tutto ciò che interessava loro era la competizione che li pressava. Non sarebbe andata come durante gli allenamenti, in cui nessuno dei due riusciva a sovrastare l'altro e finivano in parità decretata da Splinter per poter dar loro un po' di respiro.
Uno di loro avrebbe vinto. Uno di loro avrebbe perso.
Semplice e inevitabile.

Misero mani alle armi, stringendo le else con forza e precauzione, fino a far scricchiolare i fili intrecciati che le componevano. Occhi negli occhi per non perdersi nemmeno il più piccolo movimento, la variazione di luce che avrebbe dato il via al loro scontro.
Niente più che la manifestazione tangente di quel momento in cui le loro menti avrebbero messo all'erta ogni muscolo.
Sentirono già i rumori forti della lotta di Usagi e della lucertola, impegnati in una vera battaglia pochi passi più in là; nonostante fossero assordanti, nessuno di loro due sembrò nemmeno sentirli.
Iniziarono senza un vero motivo a spostarsi in circolo, come facevano sempre quando si allenavano, come a saggiare le distanze, per calibrare le tecniche.
Fu un secondo in cui le palpebre batterono all'unisono, a decretare l'inizio.

Entrambi corsero uno verso l'altro con le armi ben alte, pronti: Leo colpì verso le gambe velocemente, ma Raph saltò abbastanza in alto da evitare l'attacco e nel contempo allungò i Sai verso la sua testa, evitati con una torsione del busto verso destra.
Raphael riatterrò e si lanciò in una sequela continua di affondi, evitati e parati con facilità dal fratello, che nel contempo cercava di indietreggiare quel tanto da avere un buon spazio di manovra: i Sai erano più corti, perciò più adatti alla lotta a breve distanza, mentre le spade erano sempre bloccate dalla sua vicinanza.
Saltò all'indietro con alcune capriole e per qualche secondo recuperò il fiato, mentalmente contando la metratura, inquadrando quanto i muscoli tesi delle gambe di Raph ci avrebbero messo per riavvicinarlo a lui.

Si lanciò in una nuova offensiva e già il fratello era diretto contro di lui, pronto: cercò di fargli perdere l'equilibrio più volte, senza successo; Leonardo sapeva di dover fare attenzione alle sue gambe e si muoveva a piccoli saltelli ritmati per impedirgli di colpirlo.
Raph scansò l'affondò contro l'addome di una spada e ingabbiò l'altra che gli aveva quasi lacerato il petto con il Sai: approfittando dell'inusuale fortuna girò in fretta il polso per bloccarlo, ma un brivido lungo la schiena lo avvertì del pericolo.
Lasciò andare immediatamente la spada, facendo slittare il Sai per la sua lama e nel contempo si abbassò, inconsciamente: il piede di Leonardo passò qualche centimetro sopra la sua testa, fortunatamente senza colpirlo.

Lui si rimise in piedi mentre il leader si allontanava un po', seccato perché la sua trappola non aveva funzionato. Raph lo guardava con un sorriso sardonico in volto per averlo capito appena in tempo ed aver evitato così la sicura sconfitta.
Stettero solo qualche secondo fermi, come sempre aspettando quel qualcosa che dava il via ad entrambi. Prima di lanciarsi ancora.

Lo scontro spade contro Sai fu fragoroso, metallico e con sprizzi di scintille: cercarono tutti e due di forzare sulle braccia per spingere via l'altro, ma finirono per essere sbalzati entrambi all'indietro dalla foga; riuscendo a non perdere l'equilibrio, si rifiondarono uno contro l'altro e ripeterono la scena, tra lo stridore del metallo.
Leo mise nella spinta la giusta dose di forza per non lasciarsi sopraffare, non di più: quando vide la vena pulsare nel collo di Raph, allora si scansò di colpo con una piroetta bassa a sinistra, mentre l'altro, lanciato dalla sua stessa forza ormai senza barriere, volava letteralmente e inesorabilmente contro la parete dell'arena.

Raphael si scontrò con un forte boato e un grugnito di dolore. E nonostante sentisse la testa spaccarsi in due e avesse la vista semi annebbiata, si rialzò immediatamente e si spostò con tutta la sua energia di lato, senza nemmeno guardarsi indietro. Quando sentì le spade di Leo grattare contro il muro a qualche passo da lui, lì dov'era stato pochi secondi prima, seppe di aver fatto bene.
Agitò la testa per scrollare via anche un po' di dolore, cercando di riprendere in fretta le percezioni: continuava a spostarsi all'indietro, senza fermarsi per paura che Leo fosse solo ad un passo di distanza.

Strizzando gli occhi si accorse di avere di nuovo controllo della vista e appena in tempo per vedere le Katane scendere in perfette parabole contro la sua testa; bloccò le spade e calciò via il fratello, riprendendo fiato.
Leonardo sembrava estremamente compiaciuto per il suo attacco andato quasi a buon fine; si era rinvigorito nel vederlo vagare alla cieca, nel sapere che in qualche modo era riuscito a fargli almeno un minimo danno.
Batterlo sembrava molto più facile.

Perciò, su di giri, decise che non avrebbe dovuto concedergli il tempo per pensare ad una tattica per prenderlo in contropiede; lo incatenò in una raffica di assalti continui.
Raphael si limitò incredibilmente solo a scansare. Nemmeno a parare. Solo a scansare a destra e sinistra, prendendo un ritmo costante, in sincrono col respiro.
Stavano danzando come facevano sempre quando lottavano su quella melodia guerriera che gli altri non potevano sentire.
Destra, sinistra, scarto all'indietro. Destra, sinistra, destra, sinistra, scarto all'indietro.
Quasi un valzer.

Se Leo però ne forzava la cadenza per provare a colpirlo, Raph invece ne assecondava senza sforzo le battute, aspettando il momento opportuno.
Il momento giusto per spezzare il ritmo.
Leonardo lo spingeva sempre più verso il muro dell'arena e lui, docile, seguiva la direzione.
Non aveva una vera strategia in mente, forse stava solo seguendo un impulso.
Destra, sinistra, scarto all'indietro.

Destra, sinistra, destra, sinistra, scarto all'indietro.

Destra, sinistra... e poi la musica si ruppe.
Raphael si abbassò al suolo e con una piroetta colpì le gambe di Leo che, ancora abituato al ritmo che stavano seguendo, venne colto di sorpresa e perse l'equilibrio: cadde rovinosamente sul fratello, già pronto con la schiena a terra e i piedi in alto; scaraventò il leader con violenza contro il muro alle sue spalle e poté giurare di aver sentito lo scrocchio del suo guscio al momento dell'impatto.

Leo strusciò contro la parete e crollò a terra, malamente.
Per qualche istante aveva smesso perfino di respirare, per il dolore e la forza dello scontro.
Com'era stato stupido. Si era fatto incatenare in un ritmo prevedibile, come una preda ipnotizzata da un serpente; prima ancora di rendersene conto si era trovato a pensare in uno schema, facilmente tracciabile.

Sentì il fratello vicino ormai e uno sconforto lo prese, misto ad un po' di rabbia. La mano di Raphael gli afferrò il braccio prima che potesse anche solo pensare di muoversi e sentì il gelido acciaio dei Sai contro il polso, che lo incatenava alla parete. Il resto del corpo era bloccato dal fratello e dal suo peso.
Fissò dritto nei suoi occhi, mentre lo colpiva al petto con l'altro Sai, senza una parola o esitazione.
Non c'era rabbia, non c'era sconfitta. C'era rispetto. Da entrambe le parti.
Leonardo scomparve nella luce, repentinamente.

Raphael non si mosse di un millimetro, nonostante la vittoria. O proprio per essa.
Aveva battuto Leo, non preda della furia; e nemmeno da rancore. O disperazione.
Lo aveva battuto con la sua tecnica e con la calma.
Si sentiva così fiero di sé. E forse, capì, si sarebbe sentito fiero anche se avesse perso contro il fratello, perché il Raph scavezzacollo che non sapeva perdere era sparito da un pezzo.

Si alzò infine, dandosi un'occhiata intorno, alla ricerca del suo avversario nella finale: la lucertola umanoide lo guardava a sua volta, immobile.
Usagi era stato battuto. Qualcosa gli diceva che quella lucertola fosse da non sottovalutare, se era riuscita a battere un Samurai valoroso come l'amico.
Gyoji apparve in mezzo all'arena levitando e con uno dei suoi movimenti dissolse sé stesso e loro nella pura aria.


Isabel premeva le mani una contro l'altra dall'agitazione.
Raphael era in finale. Il battito del cuore accelerato le rimbombava nella gola, mentre cercava di respirare a fondo per non lasciarsi sfuggire un gridolino estasiato.
Mikey aveva grugnito, invece, nel vedere il suo collerico fratello vincere. Si aspettava forse una ripicca in caso di vittoria? Raphael gliel'avrebbe fatto pagare per tutte le volte in cui si era vantato di essere il campione del Nexus.
In quel momento tutta la concentrazione di lei era per lui, in attesa di vederlo riapparire, tanto che perfino la misteriosa presenza che la stava spiando era messa in secondo piano, solo un flebile fastidio nel retro della mente, dove ancora provava ad entrare.


Leonardo si appoggiò al muro dell'infermeria, scrutando al di là dell'enorme finestra, concentrato sull'ultima trasformazione dell'arena: una piattaforma circolare si creò con la magia al di sopra di quella quadrata in cui aveva combattuto poco prima, ma questa volta in legno: quattro fontane in pietra gettavano acqua all'interno, circondando così la pedana presente, anch'essa tonda, che sarebbe stata il ring effettivo dove Raph e il suo avversario avrebbero lottato.

Una mano si poggiò sulla sua spalla, spezzando la sua attenzione.
Nemmeno questa volta abbiamo potuto lottare, Leonardo-san” sospirò Usagi, mettendosi al suo fianco.
Già” esclamò lui, lasciando andare le spalle. “Evidentemente questo è l'anno di Raph” concesse un po' a malincuore. Non si poteva dire che non gli stesse andando tutto troppo bene. Decisamente troppo. Visto che si era preso la ragazza, avesse almeno lasciato agli altri qualcos'altro per consolazione.

Non ne sarei così certo. Il suo avversario è un guerriero molto infido. Non so se ce la farà” lo avvertì il coniglio, con lo sguardo affilato.
E se Usagi diceva una cosa del genere, c'era da credere che non stesse scherzando.
Si accorsero entrambi dello scintillio azzurrino al centro dell'arena che annunciava la ricomparsa dei lottatori.

Andiamo. Seguiremo la finale dalla terrazza del Daimyo, assieme a tutti gli altri” esortò, facendo strada all'amico.


Gyoji prese parola, ad un cenno affermativo del Daimyo verso il quale si era voltato.
I finalisti di questo torneo: Trebor, della dimensione Phillun e Raphael, della terza dimensione, terra!”

La folla esplose in urla ancora più forti durante la loro presentazione, divisi in fazioni più o meno nette, di certo a seconda di cosa avevano scommesso.
I due contendenti si scambiarono un cenno della testa uno verso l'altro, che valse come stretta di mano; il Daimyo, seduto nel suo posto d'onore alzò al cielo lo scettro.

Iniziate!” tuonò, suonando il gong.

Raph prese i Sai nelle mani, senza staccare gli occhi dal suo avversario.
Trebor invece non diede segno di essersi nemmeno mosso. I suoi enormi occhi neri erano fissi uno verso l'alto e l'altro verso sinistra, dandogli un aspetto grottesco. La sua pelle era ricoperta di squame verde chiaro e la sua testa era schiacciata e larga; il suo corpo sottile ed esile non sembrava propriamente quello di un lottatore. Ma se era arrivato in finale doveva essere più forte di come apparisse.
Era quello che contava di scoprire.

Raphael si gettò a testa bassa con le armi sguainate, repentino: Trebor non si mosse comunque, i suoi occhi ancora puntati in due direzioni diverse.
E d'improvviso, scomparve nel nulla.
Un secondo prima era lì a fissare contemporaneamente il cielo e il pavimento, un secondo dopo era sparito nella pura aria.


È così che inizia” sussurrò tetramente Usagi ormai nella terrazza, a Leonardo che era seduto al suo fianco. Il leader continuava a far saettare lo sguardo velocemente per la piattaforma, cercando uno sprazzo della presenza della lucertola.
Non c'era. Era come svanito nell'aria.

Ed è così che finisce, se non stai attento” concluse il coniglio, anche lui assorto nonostante sapesse bene, per esperienza, che non c'era modo di vedere Trebor.


L'attacco di Raph finì nel vuoto e si fermò inquieto, voltandosi di qua e di là più veloce che poté: lo sguardo spaziò per tutta l'arena, ma non incontrò nessun'altra figura se non la propria.
Il respiro si fece un po' accelerato per l'agitazione, ma si impose di tenerlo sotto controllo.
Mancò un battito quando qualcosa di viscido e spesso si attorcigliò attorno alla sua caviglia, in un secondo: si sentì strattonare da una forza prodigiosa e non se l'era aspettato, perciò volò letteralmente senza sforzo.
L'unica cosa che sentì fu lo scontro di un pugno contro il suo corpo lanciato a folle velocità, dritto contro lo stomaco: i polmoni si svuotarono per il dolore e lo shock e cadde a terra quando la cosa lo lasciò andare, tossendo per poter respirare ancora.

Era talmente impegnato nel cercare di non vomitare da non aver sentito il boato della folla nel momento dell'impatto, e ancora stavano urlando come degli ossessi, ma lui tossiva così forte che gli rimbombava nella testa.
Piantò le mani a terra cercando di rialzarsi, ma uno schiocco umido sferzò l'aria e lo colpì alla nuca, rimandandolo a terra.
Come diamine faceva a sparire? E cosa stava usando per colpirlo?

Rotolò via prima che potesse attaccarlo ancora, ignorando il bruciore dei colpi e la vertigine; cercò un riparo, ma lo schiocco tuonò di nuovo nell'aria e una frustata lo prese dritto contro la faccia, sbalzandolo all'indietro.
Questa volta sentì il pubblico trattenere il fiato collettivamente, ma era più impegnato a cercare di atterrare per il verso giusto: si torse all'indietro e riuscì a cadere in piedi, il viso che pulsava dolorosamente. E lo sentiva viscido.
Si impose di continuare a muoversi, ma si sentiva sciocco a girare in tondo per l'arena, scappando da un nemico invisibile.
Invisibile.

La parola lo colpì e rimase a galleggiare nella sua mente, mentre altri dettagli prendevano forma. Ancora pochi secondi per mettere i pensieri nel giusto ordine.
Sì!” urlò all'improvviso, scartando a destra. “ Sei un dannat-”
Lo schiocco arrivò in contemporanea al colpo al collo, che gli fece perdere l'equilibrio: ruzzolò a terra, con un'imprecazione.

Sei un dannato camaleonte” esalò, faccia contro le mattonelle gialline del pavimento.
Quindi mi stai colpendo con la tua viscida lingua!” sbottò arrabbiato e disgustato, rialzandosi con un gesto solo, velocemente.

Il rumore secco risuonò ancora e Raph si gettò di lato in capriole evasive; non sapeva dove fosse, ma sapeva che quando sentiva quel rumore doveva spostarsi all'istante. Solo che si chiedeva: come avrebbe potuto vincere con una strategia del genere?
Si fermò e tese le orecchie, cercando traccia del suono. Trattenne il fiato per focalizzarsi meglio e frenare anche un po' il battito del cuore e gli parve di aver captato un secondo suono, che prima non aveva notato.
Un morbido fruscio.

Ci si ancorò con tutta la concentrazione seguendolo, letteralmente, passo passo. Fruscio, veloce, veloce, lento. Poi si fermò. Gli fu facile anticipare lo schiocco della lingua, finalmente: si era già lanciato a destra, quasi in contemporanea al suono.
Era riuscito a prevedere il suo attacco, perciò, invisibile o meno, adesso era alla pari con lui.
Doveva quindi cercare una strategia che non fosse solo tuffarsi di qua e di là per evitare i suoi attacchi.
Di nuovo, si fermò e smise di respirare, acuendo i sensi.
Fruscio, fruscio. Silenzio. Schiocco.

Saltò all'indietro e si distanziò con due capriole, ritornando in posizione.
Era vicino al bordo dell'arena, però, e lo scroscio della fontana alle sue spalle lo disturbava un po'. Perciò non riuscì a percepire il suono di passi, ma solo quello della lunga lingua: non avrebbe fatto in tempo a scansarsi.
Con una risoluzione dell'ultimo secondo, lasciò andare il fiato e rimase immobile.
Chiuse gli occhi.

Un sibilo gli correva incontro.
La frusta si attorcigliò contro il suo polso e lo strattonò con violenza, sollevandolo dal suolo; di nuovo, sfrecciò nell'aria come un proiettile. Mantenne la calma e afferrò con la mano la disgustosa lingua, stringendo forte la presa; poteva giurare di aver sentito un sussulto nella molle appendice, di sorpresa.
Ruotò come possibile il corpo, tenendolo perpendicolare.
Il pugno di Trebor lo prese al petto di sfuggita, mentre il suo calcio invece colpì la lucertola dritta in faccia, con tutto il suo peso moltiplicato per la velocità acquisita.

Il suo avversario ritornò visibile nel momento dell'impatto e lo videro volare brutalmente verso le pareti; la forza non era sufficiente, ma fu abbastanza per mandarlo a bagno nell'acqua attorno alla piattaforma.
Riemerse con un rantolo spaventato e si issò velocemente sul terreno, completamente bagnato.

Adesso è un po' difficile che tu riesca a renderti invisibile” constatò Raph, con un mezzo sorriso.
Trebor si rialzò gocciolando copiosamente sul pavimento e capì anche lui che non sarebbe stato possibile. Metà della sua strategia era scomparsa.

I suoi occhi scompagnati ruotarono ognuno per conto proprio e Raphael pensò che tutto sommato non gli dispiaceva così tanto non averlo guardato in faccia tutto il tempo; era parecchio disturbante.
Il simil camaleonte aprì la bocca e srotolò la lunga lingua, color giallo malato, così veloce che non la vide: la sentì avvicinarsi al braccio, ma non riuscì a scansarsi in tempo.
Si sentì come punto da un grosso insetto e ringhiò infastidito. Trebor si mantenne sempre a debita distanza, dove sapeva che lui non poteva raggiungerlo.
Se ci avesse provato, comunque, avrebbe avuto tutto il tempo per tenerlo alla larga usando la sua “arma” incorporata.

Raph lasciò andare un sospiro piuttosto calmo. Più seccato che arrabbiato.
Corse alcuni passi in avanti e attese il momento in cui Trebor si difese facendo schioccare la lingua: si tuffò immediatamente contro di lui e la afferrò a mezza distanza, stringendo forte.
La lucertola antropomorfa non riuscì a soffocare il grido di dolore.

Raphael tirò con tutta la sua forza l'esile corpo a cui era attaccata, che saltò in aria come un tappo fuori da una bottiglia di champagne: il pugno già pronto colpì dritto in faccia e il povero avversario venne risospinto indietro alla stessa velocità; si fermò con uno strattone violento, dato che il mutante non aveva lasciato andare la presa, e il corpo rimbalzò ancora una volta contro di lui, come uno yoyo grottesco.
Raph lo colpì ancora, ma ebbe pietà e stavolta non con la stessa violenza di prima: Trebor gemette per il dolore e gli occhi ruotarono nelle orbite senza freno, mentre finalmente toccava terra, con un tonfo sordo.

La tartaruga mutante prese un Sai con la mano libera, continuando a tenerlo per la lingua. Si avvicinò a passi veloci, ma tanto Trebor non sembrava davvero più in grado di combattere: quando fu sopra al suo corpo disteso, Raph sollevò l'arma sulla testa.
Il momento fu così breve che non stava pensando propriamente a niente. Non c'era il tempo.

Il colpo calò con forza e lo avrebbe portato dritto alla vittoria. Il suo avversario era a terra, esausto, ormai sconfitto.
Sparì in un secondo nella luce azzurra, lasciando nell'arena solo Raphael, vincitore del Battle Nexus, ancora chino per la portata dell'attacco.

Il torneo era concluso e lui aveva davvero vinto.
Era tutto finito.

Una luce verde e abbagliante lampeggiò improvvisa, fredda e letale, correndogli incontro.




Note dal torneo:

Salve a tutti.
Pensavo di riuscire ad essere in tempo stavolta, ma non ce l'ho fatta per due giorni. Mannaggia.

Comunque:
Capitolo tutto combattimenti, semifinale e finale assieme. Ho cercato di essere molto secca nella narrazione per trasmettere queste scene che si svolgono una dietro l'altra, senza respiro.

Ci tengo a ricordare che tutto quello che è successo dal capitolo 8 fino a ora fa tutto parte della stessa giornata, l'ultimo di Settembre.
Che si concluderà col prossimo capitolo.

Alla fine, come molti hanno previsto, c'è stato lo scontro Raph-Leo! Era dal primo capitolo in cui c'era il loro allenamento che questo nuovo incontro era predetto, alla fine. Vedo il loro modo di lottare uno contro l'altro come una danza e di questo dobbiamo dare la colpa al film 2007, dove c'è davvero una loro battaglia: ogni volta che lo guardo io ho un ritmo tribale in testa, è troppo perfetto e cadenzato.

To Glory” è il titolo della canzone dei “Two steps from hell” che ha fatto da sottofondo al capitolo per me, la musica che scandisce la lotta di Raph e Leo. Almeno nella mia testa.

Il torneo è finito. E Raph ha vinto!
Quasi nessuno aveva scommesso su di lui, povero amore!


Note di me:

Ah, che faticaccia. Combattimenti, combattimenti, combattimenti. Me li sogno la notte.
Dopo questo scrivo di loro che se ne vanno in vacanza, guardate. XD

Volevo ringraziarvi di cuore per il vostro sostegno, la vostra dolcezza. Grazie di leggere, seguire, commentare. Mi riempite di gioia.
Benvenuti a nuovi lettori, grazie a chi mette le storie tra i preferiti e i ricordati, chi mi reputa all'altezza di essere una degli autori preferiti!
Vi adoro!

Ho creato una pagina fb connessa a questo profilo, grazie a Cat che mi ha dato l'idea: è nuova e non ci sto molto, ma chi vuole può entrare in contatto con me chiedendomi l'amicizia. Al momento sono sprovvista di pc perciò non ci sarò per un po', ma appena posso arrivo e vi assillo! ^___^ (nome non veritiero, ma Fb mi chiedeva assolutamente un nome e cognome “reali”. Abbiate pazienza! XD)

https://www.facebook.com/isabel.zanitti.1?fref=ts

E niente, grazie. Abbraccione mega dal profondo del cuore!


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Capitolo 15
*** Don't let me go ***


L'arena brillò di verde, dolorosamente. Una luce impossibile da sostenere, che feriva gli occhi; i più li socchiusero, cercando di vedere cosa stesse accadendo: un raggio mortale correva verso Raphael che, ancora inginocchiato dalla foga del colpo portato, sembrava incapace di reagire in tempo.
Lo avrebbe preso in pieno e tutti si chiedevano se quell'energia mistica fosse letale. Non faceva parte della competizione, perciò la magia dell'arena l'avrebbe trasportato via prima di poter essere ferito?

Non mancavano che pochi centimetri all'impatto di quella luce malsana, quando una figura ancora più luminosa apparve, imponente nel Kimono rosso sangue, due Tessen nelle mani già aperti che riflettevano il verde del raggio sconosciuto e la sua bianca brillantezza: Isabel sventolò le sue armi come una stoccata contro la minaccia e la defletté in due direzioni opposte, assorbendo l'energia e disperdendola contro i muri dell'arena.
Ci furono due esplosioni in contemporanea, quando i raggi più piccoli cozzarono contro le pareti, sollevando polvere e detriti.

Raphael si era rialzato e guardava in trance la schiena di Isabel, ferma, rigida. Arrabbiata.
Ci mise qualche attimo prima che realizzasse che lei lo aveva salvato da un attacco probabilmente letale e un minuto buono perché invece si rendesse conto che si era teletrasportata nell'arena dal posto d'onore.

Cos- non puoi entrare qui!” la sgridò, cercando di capire.
Isabel non gli rispose. Rimase altera e silenziosa, i Tessen chiusi stretti tra i denti. Con le mani libere cominciò a trafficare con i nodi dell'Obi, districandoli come meglio poteva.

Cosa stai... vuoi risponderm-”

La voce morì nella gola di Raphael quando, dopo aver sciolto l'Obi e averlo piegato con cura, Isabel sfilò il Kimono e la sottoveste bianca, restando in intimo.
Con tutta la calma del mondo piegò anche quelli e tolse i Tabi e gli Zori, ponendo ogni capo sopra l'altro, chiudendoli tutti in una bolla protettiva.

Cosa stai facendo? Sei impazzita?” le urlò, sconvolto dai suoi atteggiamenti e dalla sua apparente calma. Era seminuda nell'arena del Battle Nexus, davanti a centinaia di esseri di ogni dimensione, senza contare tutta la sua famiglia e il Daimyo.
È il Kimono di Tang Shen, non voglio che si rovini” rispose lei con un tono ovvio, come se lui dovesse sapere perché si stava comportando così.

Si era voltata a guardarlo, infine, e Raphael riconobbe quello sguardo arrabbiato e concentrato, che altre volte aveva visto nel suo viso. Quella risoluzione, ma anche quella luce di paura.
Isabel si girò verso il punto da cui il raggio era arrivato, dandogli nuovamente le spalle.

Avanti, mostrati!” gridò poi dal fondo dei suoi polmoni e la sua voce riecheggiò nell'arena, rimbalzando ovunque, spaventando gli spettatori ormai silenziosi e tesi in attesa di risposte.
Non erano certi che non facesse tutto parte dello spettacolo, ma sembravano percepire la tensione che li scuoteva, che era reale.

Raph stava per aprire bocca per chiederle spiegazioni su cosa stesse accadendo e cosa lei sapesse, quando un enorme boato fece tremare il terreno: la parete di fronte esplose e i detriti e la polvere corsero incontro a loro, letali come proiettili, frammisti a gocce d'acqua di una delle fontane ormai frantumata, che spargeva il getto impazzito ovunque.
Isabel innalzò uno scudo e attese col cuore in gola che il fumo si diradasse per poter identificare il suo nemico.

Un gigante di acciaio e roccia apparve, camminando con scatti cigolanti, con una piccola pietra scintillante incastonata nella fronte e uno degli enormi bracci dotato di una lama affilata: era alto più delle mura dell'arena e ad ogni suo passo la terra tremava.
Isabel ghignò amaramente. Un golem imperiale, non credeva che ne avrebbe mai visto uno.

Continui a nasconderti” mormorò tra sé, abbassando lo scudo e aprendo i Tessen, già in posizione di attacco.

Cosa credi di fare? Quel coso ha cercato di uccidere me!” urlò Raphael portandosi al suo fianco, alzando un braccio per bloccarla.
Appunto” soffiò lei, furiosa. “Voleva attirare la mia attenzione.”
Con un salto lo scavalcò e corse verso la creatura, pronta a combattere.


Daimyo! Dovete fermare questa pazzia! È oltraggioso!” esclamò Splinter, tenendo d'occhio i suoi discepoli con preoccupazione. Non era il solo: Don, Leo, Mikey, Steve e tutti gli altri seguivano l'improvvisa lotta con curiosità e ansia assieme.
Isabel era scomparsa in un istante nel percepire la minaccia contro Raphael, e solo in quel momento si erano resi conto di come fosse stata silenziosa e strana durante quella giornata; Leo e il maestro si stavano dannando l'anima al pensiero che forse lei avesse percepito qualcosa di cui non aveva fatto parola per non farli preoccupare.

Il venerabile Daimyo impugnò immediatamente il suo bastone, pronto a trasportare tutti nell'arena; lo alzò sicuro, chiudendo gli occhi per concentrarsi. Ma non accadde nulla.
Li riaprì sorpreso e spaventato.

Non posso, Splinter-san. C'è una barriera che li isola, un grande potere in atto” rivelò suo malgrado, con voce grave.
Splinter sospirò e riportò l'attenzione verso i suoi figli, con preoccupazione.


Isabel!” urlò Raphael, correndole dietro. Lei si era gettata in un attacco frontale, con i Tessen aperti. Scivolò tra le gambe della creatura, arrivando alle spalle: provò a infilzare le stecche di metallo nella roccia, ma venne risospinta all'indietro.
Va' via! È me che vuole!” gli rispose, scansandosi appena in tempo, prima che il passo del gigante la schiacciasse.

Raph ribatté con un ringhio adirato, conscio che lei gli stesse tenendo nascosto qualcosa, poi si gettò a testa bassa, i Sai ben stretti nei pugni: con un salto prodigioso colpì all'altezza dell'addome del golem, ma le punte delle armi slittarono e stridettero contro la dura roccia senza lasciare nemmeno un graffio.
Ricadde a terra con un tonfo secco e si spostò con un balzo, evitando così di essere colpito dal gigante che continuava a camminare a grandi passi mentre sventolava di qua e di là il braccio munito di spada, fendendo l'aria; dovevano essere veloci e fulminei per non essere colpiti, nemmeno per sbaglio.

Il golem non era una creatura senziente, si muoveva solo per il volere del suo creatore, ma proprio per quel motivo li seguiva con un'ossessione implacabile, gli occhi vitrei sempre incollati su Isabel, la sua preda. Raphael era un moscerino fastidioso, in realtà, ma dato che lo stava attaccando, era diventato un ostacolo da rimuovere per arrivare al suo obiettivo.
Ad ogni passo crepe profonde straziavano il pavimento, e correre era sempre più difficile; se non avessero fatto attenzione, una caduta accidentale li avrebbe resi prede inermi.

Raphael si lanciò in un nuovo attacco, saltando più in alto per raggiungere la pietra sulla testa del golem; dovette scartare il braccio con la spada a metà percorso, ma non si era aspettato l'attacco dell'altro arto e il pugno di roccia lo colpì, ed essendo gigantesco, non ci fu un punto del suo corpo che fu risparmiato: volò come un proiettile contro il muro e sbatté malamente, e cadde poi con un tonfo nell'acqua intorno alla piattaforma, sollevando spruzzi fino al cielo.

Raffaello!” urlò Isabel spaventata, gli occhi d'improvviso bianchi. La magia scorreva libera nel suo corpo, che iniziò di nuovo a brillare.
Schizzò in avanti e colpì contro la gamba del mostro, che esplose al solo tocco in miliardi di frammenti: il golem perse la presa sul terreno, barcollò vertiginosamente e poi crollò al suolo con un boato enorme, facendo tremare la terra.
Isabel si dovette inchinare per non cadere lei stessa per le scosse, poi scattò in avanti e corse verso il bordo dell'arena, scrutando l'acqua di nuovo statica alla ricerca del suo amato.

Raffaello?” chiamò preoccupata, inginocchiandosi.

Per qualche secondo ci fu silenzio, poi con un gorgoglio la superficie dell'acqua si infranse e Raphael riemerse, scrollando la testa come un cane. Isabel lasciò andare un sospiro rincuorato.
Stai bene?”
Sì, solo molto bagnato. Ma almeno mi sono tolto la bava di camaleonte da dosso” le rispose mentre si issava sul bordo, al suo fianco. Si passò le mani sulla faccia, poi la guardò per controllare come stesse lei.
Hai perso la calma?” domandò al vedere i suoi occhi bianchi, a cui ancora non riusciva ad abituarsi del tutto.
Solo un pochino” ammise Isabel con un sorrisino, senza tuttavia lasciar andare il suo potere.

Raphael diede un'occhiata alle spalle, verso il golem crollato al suolo che recuperava pian piano le energie, illuminato di verde: i detriti staccatisi dal suo corpo stavano volando verso di esso, attirati dal potere magico; scheggia per scheggia, la gamba di pietra si stava ricompattando e non mancavano che pochi istanti prima che ritornasse alla carica.

Cosa sta succedendo, Isa?” le chiese velocemente, eppure con tutta la preoccupazione necessaria.
Isabel si morse il labbro, abbassando lo sguardo.

Qualcuno mi ha tenuto d'occhio, nell'ultimo mese. Mi ha spiata, mi ha seguita. Non so perché e non so chi sia, ma ha deciso alla fine di agire” confessò, così come avrebbe dovuto fare fin dall'inizio.
Avvertì le ondate di rabbia e paura che Raphael iniziò ad emanare e un tremore la scosse, sottilmente.

Perché non me ne hai parlato prima?” lo sentì chiedere, con un tono più ferito che arrabbiato.
Non volevo distrarti dal torneo. Lo so che è sciocco, ma volevo aspettare di sapere chi fosse, volevo essere sicura di non essermi immaginata tutto. Alla fine del torneo te l'avrei detto.”

Trattenne il respiro, colma di rimorso. Sapeva già da tempo che aveva sbagliato a nascondergli la verità, ma non era pentita di averlo fatto; aveva dato a Raphael la possibilità di pensare solo al torneo e aveva vinto grazie a quella serenità d'animo.
Non avrebbe mai pensato che la misteriosa presenza si sarebbe manifestata alla fine di esso, nel momento in cui lui aveva vinto, prendendolo di mira per farla uscire allo scoperto.

Sei riuscita a colpirlo. Dobbiamo collaborare se vogliamo batterlo” disse Raphael, con voce calma.
Isabel fu così sorpresa di non essere rimproverata, che perse la concentrazione sui suoi poteri e la luminescenza attorno al suo corpo scomparve, e i suoi occhi tornarono del loro colore castano.

Io attirerò la sua attenzione e tu colpirai con la magia nel centro della fronte. Se questo golem è come quelli che hai sconfitto in passato, esploderà e diventerà polvere” continuò il mutante, alzandosi in piedi.

Le tese una mano, a cui lei si aggrappò con forza per tirarsi su, grata del tocco caldo, del contatto.
Quando sarà tutto finito, aspettati una tirata d'orecchie. Testarda” soffiò Raphael quando l'ebbe accanto, guardando però di fronte a sé: il golem si stava rialzando con scatti rigidi, la gamba ormai ricomposta, come se Isabel non l'avesse nemmeno scalfita.
Vai!” urlò imperioso, allontanandosi da lei.

Raphael corse di nuovo incontro alla creatura, stringendo forte le armi: scansò un pugno che andò a schiantarsi contro il pavimento e colpì il braccio di roccia, inutilmente. Più che farlo arrabbiare, non aveva alcuna speranza di far alcun danno a quel mostro.
Isabel si era rivestita di potere. Gli occhi di nuovo vuoti e splendenti, il corpo leggermente luminescente, corse praticamente non vista alle spalle del golem, volando poi fino alla sua testa. Nelle mani i Tessen chiusi catalizzavano la sua magia, attraversati da elettricità pura.
Aspettò il momento giusto. Raphael stava facendo del suo meglio per attirare completamente la sua attenzione, forse anche troppo: la pietra sulla fronte del gigante si illuminò di verde, con un sibilo minaccioso.

Isabel decise di intervenire prima che fosse troppo tardi. Scese in picchiata, fendendo l'aria con la punta dei Tessen, sempre più luminosa, sempre più veloce.
La pietra emise il suo raggio mortale appena prima che la raggiungesse e nello stesso istante il braccio tagliente del golem la colpì in pieno, scaraventandola all'indietro: cadde al suolo, strisciando per qualche metro sulla superficie sconnessa e dura, graffiandosi ogni centimetro della schiena.
Guardò il cielo rosa sopra di sé, sempre più arrabbiata, gli occhi di nuovo normali.

Sentiva bruciare da qualche parte all'altezza della spalla destra, sentiva qualcosa di caldo bagnarle la pelle e gocciolare al suolo.
Strinse i denti e ingoiò il grido di dolore che premeva per uscire, perché non aveva il tempo per lamentarsi. Si rialzò lentamente, cercando di non forzare la spalla, dove lo squarcio causato dal mostro pulsava e bruciava da impazzire. Il Kanzashi si era rotto durante lo scontro e i capelli si erano sciolti, sparpagliati sulla schiena, e alcune ciocche si appiccicarono al sangue che le ricopriva la pelle, copioso.

Doveva sconfiggere il golem. E non aveva sparato il raggio, prima di colpirla? Come stava Raphael?


Dobbiamo scendere ad aiutarla! È in pericolo” strillò Mikey, che si stava sporgendo fin dove possibile, arrivando a toccare la barriera invisibile che isolava l'arena. Avevano assistito ad ogni istante, così come chiunque fosse presente, senza capire, con la paura nel vedere che il nemico era reale, che attaccava per uccidere.
Voleva raggiungerli. Così come lo volevano gli altri.

Perché la protezione dell'arena non funziona? Perché non viene trasportata via prima di essere ferita?” esclamò sconvolto Don, occhieggiando con preoccupazione il lungo taglio sulla spalla e sul braccio di Isabel, dal quale usciva un lungo rivolo di sangue che imbrattava il reggiseno candido e gocciolava sul pavimento.
La tensione di Splinter era palpabile, così come quella del Daimyo, impegnato a discutere coi suoi sacerdoti per arrivare alla radice del problema, per poter forzare la barriera imposta da un estraneo sulla sua arena e fermare quella oltraggiosa battaglia.

Dov'è Raphael?” domandò Leo, all'improvviso.
Gli occhi di tutti corsero per lo spazio esiguo, finché non trovarono ciò che stavano cercando.
Ci fu un grosso urlo strozzato, unanime, e un grido di orrore di Mikey.


Isabel era di nuovo in piedi, alle spalle del golem. Ma non era al sicuro. La creatura si stava voltando verso di lei, con quella sua andatura rigida.
Dov'era Raphael? Era l'unica domanda che galleggiava nella sua mente. Più forte e importante del dolore.
Riuscì a spostarsi a destra, girando nella stessa direzione della creatura perché non la vedesse, sorreggendo il braccio per non forzare la spalla.
Vide del nero, in fondo. Nero e verde. Ma c'era anche del rosso.
Rosso come il suo. Rosso come il sangue che gocciolava lungo il suo braccio.
E perché Raphael era a terra?

Si lanciò in avanti, ignorando il bruciore, senza pensare a quella mostruosa creatura che la stava cercando e che non ci avrebbe messo molto a trovarla, e corse verso il corpo disteso al suolo, con un orribile magone che le mangiava il cuore.
Ad ogni passo, il rosso era sempre più inteso. Era tutto intorno al corpo. Era sul corpo.
Come riuscì ad arrivare al suo fianco senza inciampare, dato il tremore che aveva iniziato a scuoterla, fu un mistero.

Sbatté le ginocchia a terra con violenza, quando fu al suo fianco. Ma non percepì nessun dolore.
Allungò le mani verso Raphael, gli occhi ricolmi di lacrime.
Quelli vitrei di lui guardavano il cielo, senza poterlo vedere. Un grosso squarcio trapassava il suo torace da parte a parte, lì dove c'era stato il suo cuore. C'era sangue, troppo sangue.
E lui era immobile. Spento.

Le mani tremarono nel toccarlo. Il suo sangue colava su quello di lui con un gocciolio tetro, mischiandosi.
Raffaello?” chiamò, la voce rotta e spaventata, mentre gli circondava il viso con le mani.
Il calore lo stava abbandonando, non c'era più un alito di vita.

RAFFAELLO!” urlò fuori di sé.
Chiunque poté sentire il suo urlo straziante.

Un secondo dopo era rivestita di una luce bianca, impossibile da sostenere. Colpì con le mani il petto del mutante e una scossa di potere passò dal suo corpo all'altro, continua.
Lo avrebbe riportato in vita. Le fosse anche costata la sua.
Le onde bianche e calde raggiungevano Raphael e lo avvolgevano, ma ritornavano indietro, senza guarirlo.

Ti prego” singhiozzò Isabel, come una nenia.
Ad ogni ondata di magia di guarigione che ritornava al suo corpo, realizzava con orrore che non poteva guarirlo, che era... che Raphael ormai era...

Un raggio verde brillò nell'arena, contro di lei.
Si infranse in mille petali contro lo scudo innalzato all'ultimo secondo, sprizzando scintille come un fuoco d'artificio.
Isabel non si era voltata verso la minaccia. Aveva smesso di brillare e stava stringendo la mano di Raphael tra le sue, premuta contro le labbra.
Era freddo. Era già così freddo.

Sotto lo sguardo attonito degli spettatori, -sconvolti nel vedere per la prima volta un'uccisione nell'arena del Nexus,- Isabel incrociò le mani del suo amato sul petto, poi si alzò lentamente.
Si voltò verso il golem e alzò lo sguardo e allora li videro.
I suoi occhi completamente rossi, che piangevano stille di sangue.

Lo scudo cadde, Isabel iniziò a camminare verso la creatura, ma ad ogni passo profonde crepe apparvero, le mattonelle si sbriciolarono come sotto una tremenda pressione.
La luce che la avvolgeva era rossa.
Marchi lividi apparvero in complessi ghirigori e disegni lungo il suo corpo, salendo dalle gambe, rivestendola tutta, dello stesso colore di quella luce malsana che la circondava.

Un altro passo e un'altra porzione di pavimento si sgretolò in polvere finissima. Un forte vento si innalzò all'interno della barriera, in spirali taglienti, inglobando la polvere nel suo tumulto.
Il golem non poteva percepire la minaccia, non sentiva la paura che un altro avrebbe legittimamente avvertito nel vedere quella creatura marchiata di sangue venirgli incontro, ma la sentì avvicinarsi; la pietra verde sulla sua fronte brillò e con un ronzio sparò un raggio mortale: la massa di energia si abbatté su di lei, ma si disperse senza lasciarle un graffio, innocua.

Le striature rosse sul suo corpo brillarono più forte, insieme a quegli occhi minacciosi. Isabel continuava a camminare verso il golem, sgretolando ad ogni passo l'arena, disperdendo senza sforzo i raggi che il mostro aveva iniziato a spararle contro, a ripetizione.
Finché non arrivò ai suoi piedi.

Seguendo un comando mentale del suo padrone, il golem lasciò perdere gli attacchi con la magia e sollevò al cielo il braccio munito di spada, che calò di colpo su di Isabel, immobile a guardare verso l'alto. La pietra smussata e affilata si fermò contro il suo braccio nudo alzato per difendersi, una crepa apparve nel punto dello scontro e iniziò a diramarsi su fino al braccio: esplose in sabbia, finissima e impalpabile.
Il golem indietreggiò.
Non poteva provare paura, ma indietreggiò.
Isabel si sporse con calma e lo toccò in punta di dita, con quelle ondate scure di magia che parevano fiamme dell'inferno.
Un secondo.

In un secondo il gigante di roccia si dissolse al contatto, in una sottile spirale di polvere nera che rimase a galleggiare nelle folate di vento. Isabel si sollevò a mezz'aria, mentre la polvere le gravitava attorno, e il vento cresceva e il pavimento e l'arena si frantumavano anch'essi.
L'acqua, la pietra, il legno svanirono nella pura aria e masse di energia scura apparivano al loro posto, sempre più violente.
Isabel era il nucleo di quel tifone che avrebbe mangiato tutta l'arena.


Cosa sta succedendo?” domandò Leonardo sconvolto. Il suo sguardo vagava impazzito dal corpo di Raphael steso a terra a Isabel, centro di un tornado impazzito di magia che stava consumando tutto ciò che la circondava.
Non aveva mai visto quegli occhi rossi sul suo viso. Non l'aveva mai vista usare un tipo di magia simile.

Isabel ha perso il controllo” sibilò grave Splinter, anche lui ferito, incredulo, straziato dal dolore. “Sta diventando come un buco nero che assorbe e distrugge tutto.”
Il silenzio accolse la sua teoria, un silenzio di dolore.

La barriera, Splinter-san, è caduta!” annunciò d'improvviso il Daimyo, afferrando nuovamente il suo bastone. Guardò verso il saggio ratto, come a chiedergli che volesse fare. Andare nell'arena in quel momento significava rischiare la loro vita.
Non ci fu dubbio sulle facce dei presenti: dovevano scendere e aiutare Isabel, quali fossero state le conseguenze.
Ad un gesto dello scettro del Daimyo, una bolla azzurra racchiuse tutti i presenti, trasportandoli all'interno dell'arena.


Non era rimasto già più nulla.
Le pareti, il pavimento dalle mattonelle gialline, il rigagnolo d'acqua gettato dalle fontane e quelle stesse. Era tutto scomparso, dissolto nella pura aria, assorbito dal corpo rosso che levitava a qualche centimetro dove prima era stato il suolo.
Solo il posto dove giaceva il corpo di Raphael era rimasto intonso, come un santuario intoccabile.

La bolla azzurra apparve e scoppiò, rivelando i suoi ospiti: si coprirono tutti il viso per resistere alle folate di vento; Tomoe venne risospinta da una particolarmente potente, ma Usagi fu veloce ad afferrarle la mano e riportarla accanto a sé.
Isabel!” urlò Splinter, cercando di sovrastare il rumore delle sferzate, simile ad un lamento.
Lei non diede segno di averlo sentito, ma tutti persero presa sul terreno e scivolarono all'indietro di qualche metro.

Isabel!” chiamarono allora tutti insieme, provando a far diventare le loro voci una sola, per poterla raggiungere.
Il loro richiamo si perse ancora, nel vento che iniziò ad ululare più forte.

Non ci sente o non vuole sentirci” strillò Donatello, mentre le code della sua maschera si sbriciolavano per effetto della magia.
Quanto ancora sarebbe stato prudente rimanere, prima di essere cancellati dall'esistenza?

ISABEL!” chiamò una terza voce, una voce che non avrebbe dovuto esserci.
Si voltarono tutti, si voltò anche lei.
Raphael era alle loro spalle, ma guardava solo Isabel, strizzando gli occhi per sostenere il vento.
Era vivo, era illeso.
Lo sguardo di ognuno scivolò incredulo verso destra, verso il corpo ancora a terra e poi di nuovo sulla figura in piedi, e poi ancora sul corpo. Erano entrambi Raphael.
Allora quello in piedi di fronte a loro era forse uno spirito?

Quel Raphael si avvicinò a grandi passi verso di lei, ignorando le sferzate di energia, il pavimento consumato, la polvere che volteggiava nell'aria; con un grande sforzo riuscì a raggiungerla, a resistere alla terribile pressione che emanava.
A non rabbrividire mentre sosteneva quello sguardo di sangue, così glaciale.
Il vento si placò e lei ridiscese al suolo, sollevando il viso per guardarlo ancora. Una mano si tese e lo toccò, sfiorò la sua guancia e lì rimase quando sentì che era reale.

Raffaello?” chiese, ma la voce di Isabel era diventata profonda e graffiante come se provenisse da un'altra dimensione.

Raphael coprì la sua mano e le sorrise.
Sono io” disse, stringendo forte la presa. La mano di lei tremò nella sua.
Si voltò a guardare il corpo disteso alla sua sinistra, poggiato sul pavimento, ricoperto ancora di sangue; Raphael seguì il suo sguardo e vide quell'altro sé. Rabbrividì, sottilmente.

Quello non sono io. Non so cosa sia, ma non ero io. Io sono qui, sono vero. Sono vivo” la rassicurò, spostando le loro mani intrecciate sul cuore, contro il battito impazzito che lo scuoteva.
Torna da me, Isa” supplicò, incapace di sostenere ancora quegli occhi rossi, divorato dalla paura di ciò che lei stava diventando.
Raffaello” singhiozzò lei, gettandosi tra le sue braccia.

I marchi scuri scomparvero dal suo corpo, il vento cessò e la polvere si adagiò a terra e Raphael seppe, senza bisogno di allontanarla da sé per guardarla in viso, che i suoi occhi erano tornati normali.
La strinse forte, cercando di calmare il suo tremore, poggiando piccoli baci sui suoi capelli.
Un suono di passi lo costrinse a sollevare lo sguardo, sulla sua famiglia e i suoi amici; erano tutti sollevati, spaventati e increduli allo stesso momento. Mikey, quell'idiota, si deterse una lacrima di sollievo.

Sono vivo. Mentre combattevo mi sono ritrovato in infermeria, prima che il raggio mi colpisse: ho visto quell'altro me apparire dal nulla nello stesso istante e venire colpito al posto mio. Ma non so dirvi come sia successo” spiegò loro, continuando a carezzare la testa di Isabel.

Non è ancora finita. Chiunque abbia creato quel golem è ancora là fuori” esclamò Splinter grave, ma i suoi occhi scintillavano di conforto nel vederli tutti e due sani e salvi.
È qui, sensei. È qui” sibilò Isabel, allontanandosi da Raphael, guardandolo sottilmente coi suoi occhi castani. C'erano tracce di pianto, ma erano di nuovo caldi e normali.

Il Daimyo prese il comando e alzò lo scettro in aria, minaccioso.
Palesati, chiunque tu sia! Come osi interrompere il Battle Nexus e attaccare i miei ospiti?” Il cielo si oscurò, nuvoloni neri si addensarono sul palazzo e l'arena, attraversati da fulmini.
Al di sotto apparvero cinque figure, sospese a mezz'aria. Nessuno di loro era in posizione di attacco o di minaccia, ma emanavano comunque un'aura di potere.

Shi- Shisho?” balbettò incredulo Mikey, riconoscendo nelle figure i loro maestri del Ninja Tribunal.

Chikara-Shisho stava al centro, bella e pericolosa come sempre, i lunghi capelli bianchi intrecciati in una complessa acconciatura e il corpo sinuoso fasciato in un Kimono verde.
Alla sua destra c'erano Kon-Shisho, sottile e misterioso, -coi capelli argentei e un abbigliamento guerriero,- e Juto-Shisho, con le sue solite enormi maniche svolazzanti. Alla sinistra il silenzioso e gigantesco Hisomi-Shisho e il sempre sorridente e rotondetto Antico, piccolissimo in confronto agli altri.
Li guardarono tutti, da sotto a su, meravigliati.

Perdonateci, Ultimate Daimyo. Siamo stati costretti dalle circostanze ad agire in maniera brutale” disse la donna, in fase di discesa insieme agli altri. I cinque toccarono terra, con leggiadria e possanza, senza staccare gli occhi da Isabel. Quelli di Chikara erano verdi, completamente verdi e luminosi, freddi.
Isabel rabbrividì, riconoscendo all'istante quella sensazione.

Quali sono queste circostanze?” domandò il saggio padrone di casa; non voleva scatenare una guerra interdimensionale con i maestri del Ninja Tribunal, rinomati e rispettati, ma se non avessero fornito una valida spiegazione si sarebbe creata una frattura tra i loro rapporti.
Isabel Charmillion” rispose Kon, alzando il dito contro di lei.
Io? Ma siete impazziti? Mi avete seguito, mi avete spiato e costretta ad essere protetta per poter uscire di casa, senza nessun motivo!”
E ti abbiamo attaccato e poi abbiamo mandato un invito al Battle Nexus e inviato anche Joi per farti ingelosire e convincerti ad accettare, per farti combattere” rivelò Chikara, con evidente fastidio sul volto per tutti i problemi che aveva creato loro. “Siamo stati costretti ad attaccare ciò che hai di più caro, per farti uscire allo scoperto.”
Raphael ringhiò di rabbia, bloccato immediatamente da Isabel.

Cos'è quello?” domandò irosa, indicando il corpo a terra che lei aveva scambiato per il vero Raphael, perdendo il senno.
Un clone. Niente più che un guscio vuoto, un'illusione. Tra qualche ora scomparirà nel nulla” rispose Kon, maestro dello spirito. Una cosa del genere era una sciocchezza per lui.

Perché avete preso di mira Isabel?” domandò Splinter, facendosi avanti il più velocemente possibile. Osservò con rinnovato astio i quattro maestri, che già in passato avevano agito in modi che lui non si spiegava. Ma non si sarebbe mai aspettato dall'Antico un comportamento del genere. Non da colui che era stato il padre adottivo di Yoshi e Tang Shen.
I suoi poteri sono instabili. In un futuro prossimo perderà il controllo e ucciderà e cancellerà tutto ciò che la circonda” spiegò Chikara, con voce grave.
No! Non è vero!” urlò Isabel, sconvolta.
Non le piaceva quella donna. Il suo sguardo, la sua voce, tutto di lei la metteva in allerta.

Sì, lo è, purtroppo. Kon ha visto ciò che accadrà, non c'è da sbagliarsi.”
L'uomo al suo fianco fece un passo avanti e con un gesto elegante delle mani fece apparire un piccolo portale di vento, sulla cui superficie increspata apparvero pian piano delle immagini sempre più nitide: il nulla, il nulla nero e vuoto apparve e al centro di esso c'era Isabel, con dei marchi rossi che le solcavano il corpo, avvolta dalle fiamme; e tutto attorno a lei era distrutto, il fuoco consumava qualsiasi cosa toccasse, e urla strazianti riempivano l'aria.

No! NO! Non sono io! Smettetela!” gridò la vera Isabel, scuotendo la testa. Indietreggiò, sconvolta, strizzando gli occhi per non guardare.
Quando li riaprì erano di nuovo rossi e una sferzata di energia colpì Kon, spezzando la sua concentrazione; il vortice scomparve e così la sua immagine del futuro.

I tuoi poteri non sono mai stati stabili, Isabel Charmillion. Ma non hai mai costituito una minaccia, finché non hai incontrato loro” intervenne Chikara, indicando verso i cinque mutanti che erano la sua famiglia.
Ora che hai qualcosa da proteggere, ora sei anche una bomba ad orologeria. Il tuo potere bolle e ribolle, nutrito dal loro affetto, ma se qualcuno oserà toccarli, se qualcuno di loro verrà ferito o ucciso, tu esploderai e non potrai più controllarlo. Farai del male a chi ami, cancellerai tutto ciò che ti circonda.”

No, no, non è vero, no” ripeteva tra i denti Isabel, indietreggiando ancora. Si scontrò con Raphael, che allungò le braccia per stringerla. Il suo abbraccio era caldo e rassicurante, ma proprio per quello la faceva sentire ancora più sporca e instabile.
Quella sensazione di nulla e orrore che l'aveva riempita quando aveva perso il senno poteva ancora sentirla sulla pelle. Era intossicante, era pericolosa.

Se non ti allontanerai ora da loro, finirai per ucciderli. Tra meno di un anno” sentenziò la donna dai freddi occhi verdi, come un verdetto di morte.
Allontanarsi dalla sua famiglia? Lasciarli per sempre per non far loro del male?

Noi possiamo insegnarti a controllare quel potere. Dovrai venire via con noi se non vuoi rischiare di distruggere tutto ciò che hai di caro.”
La voce di Chikara scivolò tra loro, ma le parole dette vennero recepite dopo qualche istante, tra lo sgomento generale.

Volete prendere Isabel come discepola?” esclamò Raph, semi arrabbiato, stringendola inconsciamente più forte. Non avrebbe permesso che la portassero via, mai.
In un certo senso. Vogliamo contenere il suo potere, insegnarle a spegnerlo. Per il bene del mondo intero.”
Sembrò a tutti un'esagerazione, poi però si ricordarono di essere al centro di un'arena dissolta in pochi istanti dalla sua magia, e non poterono nascondere un brivido giù per la schiena.

Vengo anche io” esclamò Raphael, percependo la reticenza di Isabel nel prendere una decisione.
Non voleva andare via, ma nemmeno essere la causa del loro male futuro.

No, impossibile. L'allenamento a cui verrà sottoposta è particolare e chi non ha poteri non può seguirlo” negò con vigore Chikara, decisa.
Ma io ho l'Università e aiuto Don a seguirla e-”
Potrai continuare a studiare al nostro dojo, ti lasceremo il tempo per rimanere al passo con gli studi e forniremo a Donatello lo stesso tipo di supporto che tu gli fornivi. Non sentiranno nemmeno la tua mancanza.”
Quando? E per quanto tempo dovrò allenarmi con voi?” incalzò Isabel, sempre più sconfitta ad ogni parola che la donna le rivolgeva. La stava schiacciando psicologicamente, ribatteva ad ogni sua negazione con parole sensate e razionali, e i sensi di colpa e la sensazione di essere sporca, di avere qualcosa di sbagliato in sé, crescevano ad ogni secondo in più.
Eppure l'idea di andarsene, l'idea di allontanarsi da Raphael era insostenibile per lei.

Adesso. E per qualche mese, di certo. Padroneggiare gli insegnamenti che ti impartiremo richiederà dei mesi; quanti, dipenderà tutto dal tuo impegno e dalla tua costanza. Meno ti impegnerai, più a lungo starai con noi” rispose Kon, secco.

Mesi. Mesi lontano da Raphael.
Non voleva lasciarlo. Ignorò chiunque e si voltò verso di lui, che in silenzio pensava quanto lei a cosa sarebbe stato meglio fare e cosa invece voleva il suo cuore.
Isabel gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte.
Le sue unghie gli perforarono la pelle, si ancorarono alla sua carne con violenza, con disperazione. Avrebbero dovuto strapparla via da lui con forza, se volevano riuscirci.
Lei non lo avrebbe lasciato. Non lo avrebbe abbandonato, nemmeno contro la sua volontà.

Non ti lascio. Non me ne vado. L'ho promesso, te l'ho promesso” ripeté come una nenia contro il suo collo, il corpo che tremava sottilmente.
Lo so” le sussurrò Raphael, carezzandole la testa.
E poi, improvvisamente, la scostò da sé e la tenne lontana, per quanto lei cercasse di riavvinghiarsi con tutta la sua forza.
Le circondò il viso con le mani.

Guardami, Isabel” chiese con fermezza. Lei smise di combatterlo e rimase ad osservare i suoi occhi scuri, che amava, e poggiò le mani tremanti sulle sue.
Lo so che non mi lasceresti mai. Lo so che non vuoi più andartene, che non mi vuoi abbandonare. Lo so. Ma devi andare. E io ti aspetterò. Perché so che tornerai” soffiò fuori fiducioso. Si sporse e le baciò le labbra morbidamente, un casto bacio a suggellare la promessa.
La lacrima sfuggita gli finì sul pollice, luminosa e solitaria, quando lei strizzò le palpebre mentre annuiva.
Non voleva andare via, ma doveva.

Raphael la tirò verso di sé e la strinse forte, più di prima, più di quanto consentito, e il battito del suo cuore non era stato più impazzito.
Continuerò a lavorare sulla nostra casa mentre non ci sei. La troverai già pronta quando tornerai” le promise, così sottilmente che nessuno a parte lei poteva averlo sentito.
No, aspettami. La faremo assieme. Non tarderò molto.”

Staccarsi da Raphael fu doloroso, ma necessario o avrebbe cambiato idea all'istante. Si voltò verso gli Shisho, passando con stizza il dorso della mano sul viso.
Perché loro non meritavano di vedere le sue lacrime.

Verrò con voi. Ma voglio almeno vedere la premiazione di Raffaello, prima” annunciò, decisa.
Gli occhi verdi di Chikara splendettero di trionfo.

E sia” concesse con il sorriso amaro di chi aveva vinto. Mostrarsi magnanima verso la sua richiesta era il minimo che potesse concedere.

Isabel rifiutò le cure dei guaritori del Nexus e lasciò invece che fosse Raphael a guarirla con la sua magia, godendosi ognuno dei baci che le rubò per poi restituirlo sul suo corpo, in un silenzio timoroso e riverenziale. Poi infilò nuovamente il Kimono di Tang Shen, ma i capelli rimasero sciolti.
Mano nella mano si incamminò con Raphael verso il luogo della premiazione.

Sulla terrazza c'erano già tutti, e anche il Ninja Tribunal, in attesa. C'era un gran silenzio teso, anche lassù, e sguardi cupi che poco si addicevano ad una cerimonia di premiazione.
Si recò verso il sensei e gli altri, mentre Raphael si portava di fronte al Daimyo.
Si sforzò di sorridere, anche se dentro, al pensiero di doverli lasciare, si sentiva morire. Si voltò per guardare verso il centro prima che loro potessero dirle qualcosa, ma sentì le loro mani poggiarsi sulle sue spalle e trattenere quelle lacrime che pungevano gli angoli dei suoi occhi fu sempre più difficile.

Raphael, della terza dimensione, Terra, io ti incorono Campione del Battle Nexus” disse il Daimyo con solennità, appoggiando sulla sua testa una corona intrecciata di alloro; il capo della dimensione si sporse poi verso uno degli uomini del suo seguito, che teneva uno scintillante trofeo e lo consegnò nelle mani del vincitore.
Raphael lo sollevò al cielo per mostrarlo alla folla che esultava, ma il suo viso esprimeva tutto tranne che gioia.
Il suo sguardo non si staccò mai da Isabel e lei fece del suo meglio per applaudire con intensità e mostrargli un sorriso fiero per la sua vittoria.

E mentre le acclamazioni continuavano, quella voce fredda risuonò, spezzando anche il più piccolo frammento di felicità.
Dobbiamo andare” disse Chikara, rivolta verso Isabel. Un portale di luce si aprì su quello che pareva un antico palazzo giapponese, per quel poco che si poteva vedere da quella piccola finestra dimensionale.

Isabel guardava Raphael, ma sapeva che la donna si stava rivolgendo a lei. Si voltò verso la sua famiglia e li abbracciò uno ad uno, ascoltando le loro raccomandazioni sussurrate all'orecchio, i loro “ci mancherai” e “torna presto” e “ti vogliamo bene”. E i loro abbracci erano culle protettive che non volevano lasciarla andare, che le facevano già sentire la nostalgia.
Aspetteremo il tuo ritorno, figliola” sussurrò Splinter, stringendola teneramente. Ormai piangeva senza ritegno tra il suo pelo morbido, anche se non avrebbe voluto salutarli con le lacrime.
Il maestro la allontanò da sé e le asciugò, con un sorriso affettuoso. Poi la voltò delicatamente, perché si accorgesse di Raphael alle sue spalle, con il trofeo ormai abbandonato al suolo vicino ai suoi piedi.
Era il momento di salutarlo. Ma salutarlo voleva dire che lo stava davvero lasciando, che se ne stava andando per davvero.

Le grandi mani si tesero e afferrarono le sue. Rimasero a guardarsi negli occhi per interminabili istanti, e gli altri sparirono, tutti quanti sparirono.
C'erano solo loro due.

Avevo grandi progetti in mente per la fine del torneo, avevo una sorpresa pronta, qualcosa di spaventoso e grandioso allo stesso tempo” le disse, poggiandosi le sue mani sul petto e stringendole forte. Isabel sentì il suo battito a mille pulsazioni al minuto e qualcosa di duro e piccolo nella taschina all'altezza del cuore; ma era troppo impegnata a perdersi nelle sue parole.
Ma possiamo aspettare. Io so che tornerai e tu sai che io sono qua ad aspettarti. Non preoccuparti di nient'altro.”

Isabel sorrise, sinceramente. E fu grata che anche lui la stesse salutando con un sorriso identico.
Si tese in punta di piedi e lo baciò, il suo campione, la sua roccia, il suo punto fermo in una vita che a volte ruotava un po' troppo.

Tornerò prima che tu possa anche solo sentire la mia mancanza.”
Lo lasciò andare, restia, e si diresse a grandi passi verso il portale e gli Shisho che l'attendevano lì accanto. Chikara le fece segno di entrare per prima e lei infilò una mano nella finestra interdimensionale.

Ci vediamo presto” esclamò, voltandosi un secondo per rivolgere a tutti loro un grande sorriso, forzato o meno.
Poi attraversò il portale, rigidamente, senza più voltarsi; gli Shisho la seguirono uno dietro l'altro, senza guardare né salutare nessuno di loro. Solo l'Antico, l'ultimo a passare, si girò per un istante verso Splinter e gli rivolse uno sguardo di scuse, che però il ratto mutante ignorò.
E sparirono, lo stralcio di Giappone scomparve quando il portale si richiuse su sé stesso, lasciandoli a guardare nel punto dove era stato.
Si era portato via Isabel, se l'erano portata via.

Raphael sentiva ancora i fischi e le urla della folla festante, e la corona di alloro gli cingeva la testa a ricordargli che era campione e la coppa ai suoi piedi scintillava fiera ora che le nuvole scure si stavano dissipando, lasciando che la luce di quel cielo rosa filtrasse di nuovo.
Ma non era felice.
Era il campione, aveva ai suoi piedi una folla adorante e il rispetto di centinaia di guerrieri. Ma non era felice.





Note dal torneo (ultime):

Raphael ha vinto il torneo, ma deve salutare Isabel, “requisita” a viva forza dal ninja tribunal. Fin dall'inizio erano loro a tenerla d'occhio.

Il ninja tribunal è un gruppo di quattro maestri del ninjitsu, riunitisi in tempi antichi per sconfiggere lo Shredder Tengu, un demone che è poi l'originale Shredder. All'inizio insieme a loro c'era anche l'originale Oroku Saki, il più valoroso del loro gruppo di cinque, ma poiché fu corrotto dal potere del demone e ne divenne la nuova incarnazione, gli altri quattro dovettero combatterlo e ne smembrarono il corpo per impedire la sua risurrezione.
Dato che però un suo risveglio era predetto, presero come discepoli le quattro tartarughe e Joi, Adam, Faraji e Tora per allenarli per quel compito.

Sono chiamati Shisho, un'antica parola giapponese per “maestro” o “insegnante”, che denota rispetto. Sono esseri umani diventati immortali e posseggono poteri inimmaginabili, imparati con secoli di studi e sacrifici. Possono tutti trasformarsi nei loro avatar spirituali, dei draghi.

Chikara Shisho è l'unica donna del gruppo. Ha i capelli bianchi e gli occhi verdi, splendenti. È la maestra ninja della forza, può volare, lanciare raggi, ha poteri di telecinesi e controllo sulla natura.
Ha un carattere un po' rude e diretto e sembra essere il leader del gruppo. La sua arma è il Kanabo, una enorme mazza ferrata che lei muove con facilità.

Hisomi Shisho è gigantesco e non parla mai. È calvo, con gli occhi arancioni, luminosi.
È il maestro ninja della furtività, proprio perciò non parla mai, segue le tre S del ninjitsu della furtività: speed, secrecy and silence (velocità, segretezza e silenzio).
Ha un carattere paziente, ma la sua presenza silenziosa sa anche essere minacciosa. Le sue armi sono due Tessen.

Kon Shisho è alto e sottile. Ha i capelli argentati e gli occhi bianchi, splendenti.
È il maestro ninja dello spirito, ha poteri di precognizione e può controllare il vento.
Il suo carattere è tagliente, le poche volte che interviene sa essere incisivo. Le sue armi sono due Katana.

Juto Shisho è alto quanto Kon, ma di corporatura normale. Ha capelli neri e gli occhi luminosi blu. Il suo Kimono ha le maniche lunghissime e svolazzanti.
È il maestro ninja delle armi. Il suo carattere non è definito, interviene troppo poco per delinearlo. Di certo è coraggioso e risoluto. Le sue armi sono tantissime, tutte nascoste nelle maniche del suo Kimono e padroneggia praticamente qualsiasi arma.

L'Antico (Ancient one) viene accolto nel ninja tribunal alla fine della quinta stagione, quando Shredder Tengu viene di nuovo sconfitto. I membri del tribunal però lo chiamano Il Giovane (Young one).

L'Antico ha trovato Hamato Yoshi quando quello era un bambino e chiedeva l'elemosina per le strade, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. Capita la potenzialità di Yoshi, l'Antico decide di prenderlo con sé e insegnargli l'arte del ninjitsu (anche Yukio Mashimi, un amico di Yoshi, viene preso, ma solo per l'insistenza di quest'ultimo).
Tang Shen era un'altra bambina che lui accolse nella sua casa e della quale sia Yoshi che Yukio si innamorarono.

Poi, Tang Shen venne uccisa da Yukio per gelosia e Yukio morì per mano di Yoshi in cerca di vendetta; alla fine, perse anche l'ultimo dei suoi figli adottivi, quando Shredder uccise Yoshi perché sapeva che era un guardiano degli Utrom.
Reputa Splinter e le turtles come la sua famiglia, come un bizzarro nipote e quattro assurdi pronipoti.

È un piccolo cinese, coi capelli bianchi e gli occhi castani, rotondissimo e saggio. A dispetto del suo aspetto è veloce e molto forte. Sa essere punzecchiante quando vuole e ha un discutibile senso dell'umorismo. Adora mangiare.
Ha più o meno gli stessi poteri degli Shisho, ma è molto più giovane di loro, che hanno almeno settecento anni, perciò avrà tutto il tempo di eguagliarli. Non si sa il suo avatar spirituale, né se possa prenderne la forma.

(Anche Leo, Don, Raph e Mikey possono diventare i loro avatar spirituali, che sono dei draghi; mentre gli altri quattro accoliti possono solo manifestarli in spirito, -un orso, un lupo, un falco e un leone,- ma non ne prendono la forma.)


Ecco la svolta, un momento decisivo della storia: Isabel deve andare via, deve imparare a controllare i suoi poteri prima che esplodano e cancellino tutto. Ce la farà?
La separazione non è semplice per nessuno, ma Raph si dimostra più maturo di come ce lo aspettiamo.
Eh, di cose da raccontare ce ne sono ancora. Perciò salutate Isabel e andiamo avanti, que serà, serà.

Fiu, vi giuro non vedevo l'ora che il torneo terminasse. Adesso altre avventure ci attendono e altri misteri.
Mi inchino di gratitudine, grazie per leggere, seguire, commentare, preferire.

Un enormissimo abbraccione per tutti. Ma non troppo, c'è caldo!



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Capitolo 16
*** From Isa with love ***


All'indomani del torneo, tutto sembrò così effimero.
Le lotte, la competizione, la voglia di vincere. La vincita stessa.
Il nuovo trofeo di vetro scintillante faceva bella mostra di sé su una mensola della stanza del sensei, accanto a quello di Leo e alla collana di Mikey; dopo averlo poggiato lì, al suo ritorno, Raphael non gli aveva degnato un'occhiata più del necessario.

Tutta la sua concentrazione, ogni briciolo della sua mente, era impegnato nel processo di accettazione dell'assenza di lei.
Era semplicemente impossibile. Il pensiero di non vederla, di non averla accanto, di non sentirla, minacciava di schiacciarlo ogni secondo; era troppo da sostenere.

Incredibile come in così poco tempo, in un solo anno in cui erano stati assieme e avevano vissuto sotto lo stesso tetto, -erano diventati davvero una coppia,- lei fosse diventata praticamente necessaria, l'altra metà di sé.
E adesso avrebbe dovuto abituarsi a non averla accanto. A non vederla intrufolarsi nella sua camera ogni notte con una faccia colpevole, ma felice da morire; a non svegliarsi con lei avviluppata nelle sue coperte, stretta ai cuscini che ogni volta gli rubava senza ritegno; a non poterla stringere e baciare ogni volta che voleva, strappandole un sorriso e uno strilletto sorpreso.
Si era assuefatto a lei e alla felicità che gli dava e la sua mancanza era dolorosa come l'astinenza da una droga.

Anche gli altri membri della famiglia erano rimasti turbati dal modo in cui quella giornata che avrebbe dovuto essere di festa era finita: nessuno si era aspettato l'entrata in scena degli Shisho, né che si prendessero Isabel senza molte cerimonie, e facendole anche troppa pressione psicologica, sparendo nel nulla senza offrire spiegazioni dettagliate.
Mikey aveva un gran musone, Donnie stava per le sue e Leo era insolitamente silenzioso; nonostante i propri pensieri, comunque, erano tutti tesi a capire come comportarsi con Raphael.
Sembravano camminare tutti sui carboni ardenti. Eccessivamente premurosi, eccessivamente zelanti e propositivi, eccessivamente in mezzo ai suoi piedi con un sorrisone fin troppo finto e troppe proposte tutte solo per lui.

Raphael fece del suo meglio per resistere a tutto quello, in quell'inizio di Ottobre davvero deprimente. Gli costava tutto il suo autocontrollo e dosi di pazienza che non sapeva nemmeno di avere, ma incredibilmente, agli occhi degli altri, si comportava con apparente naturalezza e tranquillità.
Era solo un po' più ombroso, un po' più silenzioso.

Le giornate scivolavano via tra allenamenti e ronde, di nuovo a ritmi normali; Don aveva ripreso a studiare, recuperando in pochi giorni le lezioni che si era perso in un mese; Mikey aveva finalmente il tempo per poter giocare ai suoi videogames preferiti e leggere i fumetti che aveva accumulato e Leo aveva rincominciato ad allenare Steve con l'aiuto del maestro.
Raphael si impegnava moltissimo sia nelle esercitazioni che nel pattugliamento notturno e per il resto del tempo semplicemente spariva nel nulla.
Usciva la mattina poco dopo la colazione e rientrava a metà sera, appena prima del tramonto, ricoperto di sporco e con un'aria stanca, ma assurdamente sereno.

I suoi spostamenti non erano ovviamente passati inosservati, men che meno il suo inusuale buon'umore, -si erano tutti aspettati che ritornasse scontroso e collerico ora che lei era lontana,- perciò con bisbigli a mezza voce si scambiavano pareri su cosa potesse esserci sotto e su cosa sarebbe stato meglio fare.
Io lo seguo” attestò Michelangelo il decimo giorno in cui quella scena si ripeteva, mentre confabulava con Leonardo. Raphael era appena uscito dal rifugio senza una parola, e i due fratelli avevano osservato il tutto da dietro le colonne dall'altra parte del piano terra.
No, ti scoprirà. Andrò io” ribatté il leader, che come Mikey moriva dalla voglia di sapere cosa stesse combinando Raph.

Donatello uscì dal laboratorio, attirato dalle loro voci sempre più concitate mentre ancora decidevano, dato che erano praticamente lì fuori. Rimase per qualche secondo a guardarli, appoggiato allo stipite in silenzio, capendo tutto ciò che gli serviva da pochi scambi di battute.
Nessuno di voi lo seguirà” intervenne a un certo punto, facendoli trasalire.
Si voltarono entrambi e lo guardarono come due bambini sorpresi a rubare la marmellata, poi fecero la stessa identica espressione consapevole.

Tu sai dove va!” esclamò Leonardo.
Tu sai cosa sta facendo!” sbottò Michelangelo, in contemporanea.

Donatello sorrise, ghignò leggermente, davanti ai loro occhi curiosi. E si godette un momento quella aura di attesa che emanavano, mentre aspettavano che lui confessasse loro quel segreto.
Certo, la motivazione maggiore era sapere se Raphael stesse bene o meno, oltre alla curiosità.

Lasciatelo in pace. Sta bene. Lasciategli la libertà di reagire a modo suo, coi suoi tempi e i suoi spazi” li ammonì un po' più serio, perché capissero che non stava scherzando.
Mi assicuri che non stia facendo nulla di pericoloso o stupido?” domandò Leonardo con zelo.
Sì, te lo assicuro. Ma non pressatelo e non stressatelo, se vorrà dirvi cosa sta facendo lo farà lui stesso.”

Michelangelo mise il broncio, per qualche secondo. Lui voleva sapere cosa stesse facendo Raph e si preoccupava anche per come stesse.
Più tardi lo chiamo per ricordargli che stasera siamo a cena da April, comunque. Non voglio che se ne dimentichi” esclamò dopo averci pensato un po' su.
Donnie sorrise e lanciò un'occhiata divertita a Leo, prima di rispondergli.

Ok, ricordaglielo tu. Ma limitati solo a quello, ok?”
Mikey rispose affermativamente, ma lo scintillio irriverente nel fondo del suo sguardo diceva tutt'altro.


Il trillo del forno riecheggiò nella cucina, insistentemente. Una donna indaffaratissima caracollò nella stanza, già fuori di sé.
Arrivo, arrivo, stupido tacchino!” sbraitò April, spegnendo con un giro della manopola il forno rovente.

Si infilò i guanti e aprì lo sportello, sfilando in fretta la teglia; la poggiò senza molta grazia sul ripiano della cucina, stando ben attenta a non scottarsi.
Si stiracchiò piano, soffocando un mugugno. Il rigonfiamento dei suoi cinque mesi di gravidanza era bello evidente e prominente e le dava parecchi problemi nel muoversi.
Nella sua cucina dagli spazi ristretti di certo.

Stava pungolando la crosta con una forchetta per saggiare la cottura, quando il campanello trillò. Lasciò andare gli attrezzi sul tavolo e si precipitò alla porta di casa, per quanto il mal di schiena le consentisse.
Un altro scampanellio risuonò nel corridoio, appena prima di poter aprire.

Sì, ho capito! Sono incinta, non sorda!”
Mamma!” strillò una vocina dall'altra parte, piuttosto entusiasta.

April aprì la porta al suo sorridente primogenito, in braccio ad una Angel piuttosto provata.
Siamo a casa” annunciò la giovane donna, con un sospiro.
Carl si gettò tra le braccia di sua madre, mentre Angel chiudeva la porta, grata finalmente di essere tra le mura domestiche e potersi così rilassare.

Il piccolo scoccò un baciò appiccicoso sulla guancia di April, prima di lanciarsi in una descrizione della sua giornata, con la sua vocina acuta e pigolante.
Ho fatto lo scivolo e l'altalena e sono andato in alto, nella casetta di legno e giù e un bambino voleva il mio posto, ma io sono velocissimo e sono primo, primo e Mark ha detto: io sono più veloce, ma ho vinto io e-”
Ehi, ehi, campione, cerca anche di respirare, ok?” lo interruppe la madre, studiando tutte le macchie di sporco sulla maglia, miste alle strisciate d'erba sul fondo del pantalone.

Raccontami tutto mentre ti ammollo nella vasca e cerco di strofinare via quello strato di fango dalla tua faccia” esortò, trascinandolo verso la stanza da bagno.
Angel, puoi controllare il tacchino, per favore?” domandò a voce alta, sovrastando il fiume in piena di parole che suo figlio riversava alla velocità della luce.
Spogliarlo fu abbastanza complesso, dato che il piccolo si dimenava come una lucertola, mentre mimava la discesa in piedi che aveva fatto giù per lo scivolo. Alla fine riuscì a farlo entrare nella vasca e a farlo sedere sul fondo, il rubinetto già regolato sulla temperatura più giusta.

Il tacchino è perfetto” disse Angel entrando nel bagno, assistendo alla scena.
Quell'altra cosa che tu sai è pronta?” le chiese misteriosamente, annuendo a Carl che intanto le stava domandando se avesse visto la sua scalata della casetta di legno, spruzzando acqua e sapone tutto intorno.
Sì, è nel frigo. Vedrai che sorpresa” ribatté April strofinando forte la schiena del bambino, pensando con un sorriso alla torta decorata con Ben 10 e i suoi alieni e panna verde, sapientemente nascosta nello scomparto in alto del frigo.

Una volta finito di lavare la piccola peste, fu altrettanto difficile asciugarla e rivestirla con abiti puliti.
Dai, papà sta arrivando!” lo esortò, infilandogli la maglia prima a rovescio per la foga e poi risistemandola con poche mosse ben studiate.
Un rumore di chiavi che giravano nella toppa arrivò alle loro orecchie, proprio in quel momento.

Papà, papà, papà” chiocciò euforico Carl, sgusciando dalle grinfie della madre e correndo come una scheggia verso la porta di casa.

L'uomo che la aprì e vi entrò venne placcato da una pallottola verde e nera che gli abbrancò le gambe e iniziò a ciarlare senza freno, agitandosi fin al punto di farlo quasi cadere.
Ehi, campione!” esclamò Casey, sollevando il piccolo fagotto in aria senza alcuno sforzo e facendolo volteggiare. Gli strilli del piccolo misti a risate sfrenate riempirono il corridoio.
Di chi è il compleanno? Chi compie tre anni giusto oggi?” domandò l'uomo, lanciandolo in aria e poi riprendendolo al volo.
Io! IO!” ridacchiò il bambino.
Cavernicolo, mettilo giù prima di fargli sbattere la testa contro il soffitto e renderlo scemo come te” intervenne Angel, seguita dalla risata di April.

Prima che Casey potesse rispondere a tono, una voce chiamò dal salotto.
Ehi, di casa? C'è nessuno?”
Zio Mikey!”
Carl svicolò dall'abbraccio paterno e atterrò con un piccolo tonfo sul tappetto, trotterellando poi velocemente verso la fonte della voce: due tartarughe mutanti erano appena entrate dalla finestra, mentre la terza aiutava l'anziano topo.

Zio Leo! Zio Donnie! Nonno Spinter!” urlò Carl correndogli incontro.1

Michelangelo si inginocchiò e prese l'abbraccio con trasporto: il bambino dapprima sorrise, poi iniziò a ridere, quando il mutante iniziò a fargli il solletico.
Carl si divincolò ancora ridendo e si gettò tra le braccia degli altri, prendendosi fiero i loro auguri e i loro abbracci.

Il mio regalo, il mio regalo, il mio regalo” strillò felice, studiando la busta viola che Don teneva in una mano.
Ti piacerà da matti. L'ho modificato io stesso” gli assicurò il genio con un sorriso.
Spero tu non abbia creato un vero orologio che trasforma mio figlio in alieni” lo minacciò April tra i denti, attenta a non farsi sentire da Carl.
No, tranquilla. Quasi sicuramente non succederà.”

Don si scansò per evitare una pacca costernata dell'amica, con un gran sorriso, poi si rivolse di nuovo al bambino che attendeva con tutta la pazienza possibile. Gli occhi gli scintillavano così tanto che avrebbe lanciato raggi laser nel giro di pochi istanti.
Aspettiamo zio Raph per darti il regalo, per te va bene?” domandò, sapendo tuttavia di fargli un gran torto.
Carl morsicò il labbruccio tra i denti, concentrato in grandi pensieri. Poi annuì vigorosamente, senza dire una parola.

Dov'è Raph?” intervenne April, davvero preoccupata.
Quando erano ritornati dal Nexus e avevano raccontato ai loro amici umani cos'era successo e perché Isabel non fosse con loro, le due donne avevano dato di matto e April, forse anche per colpa degli ormoni, era quasi partita per il Giappone per andare a riprenderla.

La tristezza nel sapere l'amica lontana era tanta e April alternava quel sentimento con la rabbia verso gli Shisho e la paura che Isabel non tornasse i tempo per il parto, come era successo la prima volta. Il dottore aveva intuito lo stato d'ansia in cui viveva e le aveva consigliato riposo, prescrivendole una gravidanza a rischio che richiedeva pace e tranquillità, ma niente le avrebbe impedito di preoccuparsi per Raph.

Eh, sarebbe bello saperlo” sbuffò Mikey, che quando aveva telefonato al fratello aveva provato a scoprire cosa stesse facendo, rimediando solo un “fatti i fatti tuoi”.
Sarà qui tra poco, doveva-
Il campanello trillò, interrompendo Don.

Non può essere lui, non entrerebbe dalla porta” continuò il genio dopo qualche istante, intuendo il pensiero comune.

Casey andò ad aprire e quando tutti sentirono il cortese “buonasera, signor Jones” e il consueto “Non chiamarmi signor Jones, mi fa sembrare vecchio”, capirono che era Steve alla porta.
E che evidentemente ci provava gusto a contraddire Casey, dato che era probabilmente la centesima volta che gli diceva di chiamarlo semplicemente per nome.

Il ragazzino arrivò in soggiorno con stampato sul viso un sorrisone enorme dei suoi e un pacchetto involto in carta gialla a righe sotto un braccio. Lo allungò verso il bambino, i cui occhi già scintillavano.
Buon compleanno, Carl!”
Il piccolo lo afferrò e strappò la carta quasi contemporaneamente, tra strilli praticamente a ultrasuoni.

Cosa si dice a chi ti fa un regalo, Carl?” lo interruppe la voce di April, con quel tono inequivocabilmente petulante da madre.

Il bambino rimase un attimo interdetto e sollevò gli occhi verso il ragazzo in imbarazzo.
"Grazie tan- È 2x2! Grazie, Steve!”
Carl agitò in aria il pupazzone dell'alieno alto venticinque centimetri con le giunture snodate e poi si fiondò verso il ragazzo per stringerlo forte e ringraziarlo.

Gioca con me! Gioca con me! Tu sei l'alieno cattivo e io ti sconfiggo!”

Casey intervenne per salvare Steve, già attaccato senza pietà dal pugno di plastica del giocattolo e dal suo frenetico figlio.
Dopo cena potrai tortura- ehm, giocare con tutti quanti, Carl!”
Ma dobbiamo aspettar-”

Un rumore attirò l'attenzione di tutti verso la finestra, dove un paio di mani verde scuro si aggrapparono al cornicione e un grosso faccione dello stesso colore apparve: Raphael si issò con rapidità, atterrando sul pavimento del salotto con un piccolo tonfo.
Un secondo dopo un bambino gli si gettò tra le braccia, senza dargli nemmeno il tempo di salutare. O di capire qualcosa, data la velocità con cui parlava.

Santo cielo, come sei sporco!” intervenne April con un tono disgustato, allontanando il suo figliolo lavato di fresco dall'abbraccio.

Raph era così ricoperto di sporco, fango e polvere che la pelle verde era diventata quasi nera e la tuta nera era diventata quasi bianca.
Fece un sorriso colpevole, osservando distratto la situazione in cui si trovava, poi batté le mani sulle braccia e il petto, liberando una nuvola densa di pulviscolo.

No! No! Fila a darti una lavata, prima che decida di farti il bagno io stessa!” lo minacciò la padrona di casa, mortalmente seria.
Carl lava lo zio Raph!” esclamò il bambino, afferrandolo per una mano all'istante e trascinandolo verso il bagno.
Raphael ci provò anche a ribellarsi, ma non venne ascoltato nemmeno per un secondo dal piccolo Jones.

Ovviamente non permise a Carl di fargli il bagno, ma sotto la sua sorveglianza lavò la faccia e le mani e tolse la tuta per scuoterla con vigore fuori dalla finestra: gli occhioni verdi del bimbo si illuminarono al vedere il suo carapace, come ogni volta.
Anche io posso avere il guscio, zio Raph?” domandò, esattamente come ogni volta.
Il mutante alzò gli occhi al cielo, mentre passava uno straccio umido sulla tuta.

Cosa te ne fai?” ribatté, invece del consueto “no, grazie al cielo”, provando a capire perché ne fosse così tanto affascinato.
Mi posso nascondere dentro se non voglio fare il bagno e mangiare le carote e mi difendo quando Mark mi da i pugni” fu la genuina risposta del piccolo.

Non hai bisogno del guscio per difenderti o nasconderti: di' a Mark di smetterla o un mostro verde gli farà una visita in piena notte. E con tua madre non funziona, credimi.”
Raph fece una smorfia, mentre tirava su la zip, finendo di vestirsi.
Carl ridacchiò, poi scese dal water su cui era rimasto appollaiato e gli corse incontro, pretendendo di essere preso in braccio.

Zio Raph non è un mostro” disse, semplicemente, mentre piegava con interesse le braccia del giocattolo di 2x2.
Il sorriso sul volto di Raph non fece rumore, non fu visto da nessuno.

Raggiunse gli altri, nella cucina addobbata a festa con palloncini e striscioni colorati, attirato dal chiacchiericcio degli altri.
Era sicuro di aver sentito il suo nome, perciò stavano probabilmente parlando di lui, ma quando entrò sembrò essere scattato il piano di sicurezza e li trovò tutti intenti a discutere del tempo e di come le mattonelle gialle della cucina riflettessero magnificamente la luce del sole.
Scosse la testa incredulo, mentre Don gli mandava un'occhiata divertita.

La cena fu una normale cena, cucinata con amore da April: ridacchiarono e chiacchierarono, mangiarono e gustarono, ringraziarono e gradirono; fu al momento del dolce, che alla vista della megatorta di Ben 10, Carl diede di matto, infilando le dita nella glassa verde che componeva il suo nome.
Quando poi scartò i restanti regali, con la faccia sporca di panna, andò in visibilio.

Io ti auguro davvero che quell'omnitrix modificato non trasformi mio figlio, Don” ribatté April preoccupata, osservando Carl che ingaggiava una lotta contro mostroMikey e mostroSteve, grazie all'aiuto del suo orologio, che fortunatamente non era davvero pericoloso.
Farlo stancare fu piuttosto dura.
Andò avanti per ore a giocare e ridacchiare, finché intorno a mezzanotte non crollò finalmente, addormentato tra le braccia di Michelangelo.

Con cura, il piccolo venne portato a letto, mentre il resto della squadra dava una mano a rimettere in ordine e a lavare i piatti.
Casey era sceso per gettare la spazzatura e Raph era andato con lui per sovraintendere dall'alto. April, capita l'antifona, si limitò a raccomandare al marito un “non tornare tardi e non metterti nei guai!”
Un giro di pattuglia come ai vecchi tempi poteva concederglielo ogni tanto, purché non ridiventasse un'ossessione.
La donna sospirò, guardandoli sparire oltre la porta.

Notizie di Isabel?” chiese, una volta in cucina.
Lo scambio di sguardi teso rispose perfettamente alla domanda.

No, nemmeno una parola in due settimane” attestò Don, passando un piatto a Steve per asciugarlo.
Io ricevo gli appunti delle lezioni ogni giorno, ma non so come ci arrivino, né se sia lei a mandarli.”
È possibile che Isabel sia troppo pressata dagli allenamenti per potersi mettere in contatto” esclamò Leo, che trafficava con la teiera per servire il tè.
Povero Raph” esalò affranta Angel.

E povera Isabel” fece eco Mikey. “Scommetto che gli Shisho la stanno torchiando come hanno fatto con noi, lasciandola distrutta, senza nemmeno avere la forza di scriverci.”
Tutti sapevano che non era un'esagerazione e che la durezza e la severità degli Shisho erano impietose.
Non riuscivano nemmeno ad immaginare a quali allenamenti fosse sottoposta, ma sapevano che non erano di certo una passeggiata. Lei poi, a differenza loro, era da sola.

Se entro la prossima settimana non avremo notizie, contatterò l'Antico” sentenziò secco Splinter, appoggiando sul tavolo la tazza di tè che stava sorseggiando.
Gli altri annuirono grati, sapendo che se il maestro aveva preso una decisione, tutto sarebbe andato per il meglio.

Pensate che Raph stia davvero bene?” domandò quietamente April, a nessuno in particolare.
Si era seduta a tavola e carezzava distrattamente il ventre, sovrappensiero; l'altra mano era stretta sul manico della tazza di latte caldo, -il medico le aveva tolto la teina e la caffeina,- ma non ne aveva bevuto un sorso.

Sì, sono sicuro di sì” rispose premurosamente Don. “Raph è cambiato tantissimo, ve lo assicuro. Certo non vorrà parlarne per ora e probabilmente sarà un pochino più taciturno, ma è maturato e sta affrontando bene la cosa. È incredibilmente sereno e pronto a sopportare la lontananza, nonostante sia stata una cosa inaspettata.”
Furono tutti sollevati da quelle parole.

Io però continuo a tenerlo d'occhio” aggiunse Mikey dopo qualche istante, cocciuto.

Infine si prepararono tutti a tornare a casa, proprio mentre Casey e Raph tornavano, ma April insisté che Steve e Angel fossero accompagnati.
Il ragazzo non fece molte storie, ma la giovane donna mise su una faccia costernata.

Dai, Ape, non dici sul serio!” sbottò, pensando che la seconda gravidanza stesse rendendo l'amica un po' troppo apprensiva. Lei c'era cresciuta, per strada, ed era capace di difendersi da sola.
Certo che sì! Non hai sentito di tutte le sparizioni degli ultimi tempi?” ribatté piccata l'altra, riferendosi alla misteriosa scomparsa di cinquantasette persone nelle settimane precedenti, che il telegiornale si premuniva di ricordare ogni giorno, con toni allarmati.

Non ci fu verso di farle cambiare idea. Mikey e Don si offrirono di accompagnare gli amici a casa prima della ronda, mentre Leo avrebbe accompagnato il maestro, la cui vecchiaia iniziava un po' a farsi sentire.

Raph iniziò la ronda da solo. Con Casey era solo andato a fare un giro spensierato per i tetti nel tentativo di spolverare un po' la forma afflosciata del neopapà, mentre in quel momento iniziò il pattugliamento vero e proprio, correndo con molta più libertà e velocità.
Il caso delle sparizioni stava impensierendo molto anche loro, d'altronde cinquantasette persone in tre settimane erano troppe anche per New York city, perciò stavano sul chi vive; fino a quel momento non avevano scoperto nulla, comunque.

E nemmeno quella sera andò meglio: solite rapine sventate, un tentativo di effrazione a Noho e una gang molesta che aveva provato ad allungare le mani su una donna; risolse ogni problema a suon di pugni, come consuetudine, poi tornò verso casa.
E lui si muoveva come un'automa, senza prestare attenzione a niente.

C'era un sottofondo nella sua mente che pensava sempre ad Isabel. A come stesse, cosa stesse facendo, a quanto gli mancasse. Ma sapeva che stare a casa a piangersi addosso non l'avrebbe riportata indietro e che lei lo avrebbe preso a calci se lo avesse fatto.
Perciò aveva promesso a sé stesso che avrebbe impiegato le sue giornate lontano da lei nel modo più produttivo possibile.
E intanto pregava ogni sera di poterla sentire presto, che lei si facesse sentire in qualche modo.

A volte stringeva forte la collana degli amanti nel pugno, gemella di quella che portava lei: si illudeva che lei potesse sentirlo e la lontananza sembrava meno dura, quasi sopportabile.

Arrivò al rifugio che mancava ormai un'ora circa all'alba.
Quando entrò occhieggiò per un secondo il divano con la mezza intenzione di sdraiarcisi sopra, era così stanco che il pensiero di dover salire fino al primo piano era già faticoso di suo; ma se avesse dormito lì, le domande asfissianti dei suoi fratelli sarebbero state anche peggio.
Salì controvoglia la scaletta e si recò verso la sua stanza, sbadigliando rumorosamente.
Finalmente, finalmente sarebbe andato a dormire. E l'avrebbe sognata, come ogni notte.

Si era bloccato con la mano ancora sulla maniglia, l'attenzione calamitata da una busta color porpora poggiata sul comodino.
E non c'era nulla del genere quando se n'era andato quella mattina.
Si fiondò e l'afferrò con frenesia, strappando la carta con cura, ma anche velocemente.
C'erano un paio di fogli bianchi dentro, ricoperti di fitte scritte nella sua bella calligrafia ordinata.
Respirò a fondo e lentamente, cercando di fermare il tremore alle mani.

Lo sguardo scorse velocemente sulla carta, smanioso, assimilando ogni parola con bramosia. Sorrise, un paio di volte, piegò la bocca in un sogghigno amaro ad un certo punto, per tutto il tempo i suoi occhi scintillarono.
Arrivato alla fine ne voleva ancora, ancora, perciò la rilesse, con la stessa foga, con la stessa impazienza.
E le stesse sensazioni lo assalirono.

La premura di Isabel nell'assicurargli che stava bene, la solitudine che trasudavano le descrizioni delle sue giornate tra studi e allenamenti, la rigida disciplina degli Shisho. Non lo diceva apertamente, ma tra le righe Raphael capì che si sentiva sola, che non si preoccupavano minimamente di darle anche un po' di affetto o calore.
Solo l'Antico a volte andava a trovarla o le rivolgeva la parola al di fuori degli addestramenti e per lei già quello pareva sufficiente per essere felice.
Si stava impegnando con tutta sé stessa per poter imparare tutto e subito e poter finalmente tornare a casa.

C'era così tanto entusiasmo nelle sue parole, che Raphael volle crederci che stesse andando tutto bene.
E se lei ce la stava mettendo tutta, lui non sarebbe stato da meno.
Strinse un po' più forte la lettera, ma attento a non stropicciarla, poi la portò al viso e l'odore di lavanda misto a inchiostro lo avvolse, dolorosamente. E le ultime parole si impressero a fuoco nella sua mente:
"Da Isa, con amore."

Ce l'avrebbero fatta.



1: Carl pronuncia Splinter come Spinter perché ha difficoltà col suono “spl” composto da tre consonanti consecutive.


Note:

Salve!
Eccoci qua con un capitolo “normale”, che farà da introduzione a nuovi misteri. Mi fa strano non mettere più foto e spiegazioni dettagliate come durante il torneo! XD

Non seguiremo Isa mentre è via, la storia deve seguire le turtles, come è giusto che sia. Questo è il loro mondo, in fin dei conti.
Sapremo come se la sta passando dalle lettere che manderà, ma non è un punto focale per la storia.

Grazie per l'entusiasmo che mostrate, vi adoro! Questa storia ha superato le 100 recensioni! GRAZIE! Mi inchino alla vostra dolcezza!

Sono anche davvero felice di aver stretto amicizia con le gentilissime persone che mi hanno contattato su FB; abbiate solo pazienza, al momento ci sono pochissimo.

Mega abbraccione a tutti


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Capitolo 17
*** Fight on Halloween ***


La famiglia fu felice di sapere che Isabel aveva scritto e che c'era un messaggio per ognuno di loro; ovviamente Raphael non fece leggere loro la lettera, ma riportò a voce ogni frase e raccomandazione.

Dai, fammi vedere!” aveva sbottato Michelangelo, con la fronte corrucciata, al sentire ciò che Isabel aveva scritto per lui.
No. Ha detto davvero che la devi smettere di seccare e di chiudere la bocca! Non ti fidi?” aveva ribattuto il fratello, tenendo la lettera alla larga dalle sue grinfie.
Il loro tira e molla era andato avanti per una buona ora, prima che intervenisse il sensei e Raph si decidesse a riportare il vero messaggio per Michelangelo.

Era corroborante, vederlo agire come sempre. O almeno pareva.
Ogni sera usciva di ronda con il consueto trasporto, ogni mattina ritornava al rifugio e rileggeva la lettera, ancora e ancora; Isabel aveva scritto che gliene avrebbe mandata una a settimana, perciò aspettava e nel frattempo si marchiava ogni sua parola nella mente.
Lui non poteva in nessun modo risponderle e quello lo tormentava fino all'ossessione, al pensiero di non poter alleviare la solitudine di lei, di non poter in alcun modo farle sapere quanto gli mancasse, togliendogli perfino il sonno.

Non che non avesse con che tenersi impegnato. Oltre al suo progetto segreto, ben inteso.
Leo stava tenendo tutti in stato di all'erta, per la questione delle misteriose sparizioni. Dopo un'altra settimana, erano scomparse altre dieci persone, facendo salire il totale a sessantasette; queste ultime erano ragazzini dall'età progressivamente decrescente.

Era quello, a destabilizzarli: la mancanza di uno schema preciso.
Si erano informati tramite le incursioni non esattamente legali di Don nei file segreti della polizia e avevano scoperto ciò che avevano sospettato fin dall'inizio: le sparizioni erano tutte diverse una dall'altra. Le persone scomparse erano tutte diverse tra loro, facendo escludere l'idea di un serial killer troppo zelante.

Erano praticamente di qualsiasi etnia, di ogni sesso, di età differenti, diversi background e personalità; non era possibile cercare un comune denominatore che facesse capire lo schema dietro, se uno c'era.
Perciò cercare di proteggere future vittime, o sapere cosa fosse successo agli scomparsi, era complesso. L'idea che potessero essere tutte persone che si erano date alla fuga era invece abbastanza ridicolo.
La ronda notturna era diventata un pattugliamento a tappeto, nonostante tutto, nella assurda speranza di arrivare a qualcosa di concreto, prima o dopo.
E intanto il tempo passava, la paura nella città cresceva, mettere un freno a pensieri e nostalgia non era possibile.


Le televisioni erano sintonizzate sull'ennesimo telegiornale della giornata, nel silenzio circospetto della zona video. Nel divano di fronte Splinter, Leonardo e Donatello erano seduti composti con l'attenzione completamente sugli schermi, Michelangelo invece ascoltava immerso per metà nella lettura di un fumetto, seduto scompostamente su una delle poltrone, e Raphael stava colpendo il sacco da boxe assicurato alla colonna poco più a destra, ma comunque attento alle parole del mezzo busto impomatato:

... un tamponamento a catena sulla terza strada ha bloccato il traffico per mezza giornata nelle prime ore della mattinata; ancora ignoto il motivo per cui l'auto che ha scatenato l'incidente sia finita fuori strada: Marsten Robert, alla guida, e sua moglie Rebecca sono deceduti sul colpo.
Inquietante invece la notizia che il loro figlio di sei mesi, nella macchina al momento dell'impatto, sia scomparso dal luogo dell'incidente. I vigili del fuoco e la polizia accorsi prontamente hanno escluso che sia rimasto vittima dell'infortunio e non ci sono tracce che dicano altrimenti. Il seggiolino era vuoto, ma assolutamente intonso. Se qualcuno ha notizie del piccolo Thomas Marsten, contatti la polizia. Quello che ci chiediamo è: chi può prendere un neonato da una macchina incidentata? E se chi l'ha fatto voleva solo aiutare il bambino, allora si faccia avanti.
Per ora la polizia non divulgherà ulteriori...”

Leonardo pigiò un tasto del telecomando, zittendo all'istante la voce squillante del giornalista.
Donnie, che cosa non divulgherà la polizia?” domandò con gli occhi fissi sullo schermo, dove l'uomo continuava ad aprire e chiudere la bocca come un pesce dentro una boccia; nelle scritte che scorrevano sotto la sua faccia c'erano le ultime notizie, come il ritrovamento di due barboni morti probabilmente per overdose di droga.

Il fratello aveva preceduto la sua richiesta: aveva afferrato il portatile abbandonato al suo fianco e pigiava sui tasti con velocità, focalizzato sul monitor con sguardo affilato; Leo sapeva cosa stesse facendo, ma per questa volta era d'accordo nell'infrangere un paio di regole e leggi, per cercare di capire.
Le dita di Don rallentarono un attimo, dopo una lunga sequenza di tasti, poi spostò il mouse con calma.

Sembra che non sia stato davvero un incidente: il signor Marsten era brutalmente ferito al collo ed è deceduto ben prima dell'impatto. Pare dal morso di un animale, anche se ancora non riescono a capire quale possa essere. La donna invece è stata uccisa da una serie di violente artigliate, soprattutto sul torace e sulle braccia” riassunse gravemente, mentre scorgeva i file segreti della polizia.
Perché allora l'hanno fatto passare per un incidente?” domandò Mikey, appoggiando il fumetto sulla gamba, con un dito all'interno come segnalibro.
Per non diffondere allarmismi. Un animale o creatura che squarta due Newyorkesi non è proprio una notizia da diffondere al momento, con l'isteria che queste sparizioni stanno già diffondendo” rispose Leo, che nel frattempo aveva abbandonato il telecomando e si era sporto verso Don per leggere con lui i file.
E il sospetto che quel bambino possa essere stato sbranato... non aiuta” aggiunse il genio.

Quindi abbiamo gente che scompare e una bestia che attacca gli umani... c'è un nesso?” chiese soffocata la voce di Raphael, ansimante per il continuo colpire il sacco con un ritmo preciso e cadenzato.
Donnie si passava una mano sulla testa, perso in ragionamenti.

Un nesso. La creatura ha catturato o ucciso tutte quelle persone? Improbabile che finora non si siano ritrovati resti da nessuna parte... e poi, non è detto che tutte le persone sparite siano connesse. Alcuni di loro potrebbero essersi dati alla fuga per loro problemi personali, approfittando dell'occasione, sicuri di diventare solo un numero in più tra gli scomparsi per sviare i sospetti: un paio potrebbero essere stati uccisi da qualcuno estraneo alle sparizioni sempre per lo stesso motivo. Ma quelli rimanenti sono comunque troppi. Ho solo teorie per adesso, ma non riesco a trovare collegamenti.”

Sembrava stanco, il genio, sconfitto da troppe idee per la testa e poche risposte concrete. Le zone scure sotto gli occhi testimoniavano quanto sonno avesse già perso, lo scintillio in essi quanto bruciasse la sua sete di sapere. La necessità di trovare il bandolo di quella matassa.
Perché nessuno sembrava al sicuro, in quel clima di incertezza. Nessuno dei loro amici umani. Casey, April e Carl, Angel e soprattutto Steve. Facevano i turni per tenerli d'occhio, si raccomandavano che stessero attenti, insistevano perché stessero solo in luoghi affollati e mai in giro di notte, ma quell'ansia che li attanagliava non li abbandonava comunque. Quella paura che quel misterioso ignoto se li inghiottisse assieme agli altri.

E allora che si fa?” chiese Michelangelo, nel silenzio teso e stanco. Lo scambio di sguardi tra il genio e il leader non passò inosservato.
Pattuglieremo. Cercheremo e pattuglieremo ancora, finché non riusciremo a capire cosa sta succedendo” attestò Leo, con la muta approvazione del sensei.


Mancavano dieci giorni ad Halloween, ma New York era già praticamente in festa. Ovunque c'erano l'arancio e il nero, scheletri di plastica e zucche nelle vetrine di qualunque negozio e fantasmi e pipistrelli finti che penzolavano dalle insegne. Un forte odore di dolciumi permeava ogni angolo, incredibilmente.

Perfino l'allarme per le improvvise sparizioni non riusciva a smorzare l'americanissimo amore per la festa di Halloween, e benché la guardia fosse ben alta, nessuno aveva davvero intenzione di rinunciare a bussare di porta in porta per il consueto “dolcetto o scherzetto”; genitori apprensivi si erano comunque organizzati per pattugliare e controllare i gruppetti di marmocchi in costume.
Uno di quelli era Casey Jones, che continuava a tediare la sua povera moglie April: insisteva a voler portare le sue fidate mazze da Hockey mentre avrebbe fatto il giro delle case con il piccolo Carl.; la donna negava con tutte le sue forze ogni volta che l'argomento veniva fuori, -più spesso di quanto desiderasse,- quasi sempre mentre stava dando delle modifiche al costume del bambino: per quell'anno sarebbe stato Ben 10, che suo figlio adorava.

Io porterò le mazze! Mi vestirò da giocatore di Hockey!” insisteva l'uomo, tenendosi alla larga dalla moglie, seduta scomodamente davanti alla macchina da cucire, che gli lanciava sguardi fiammeggianti.
E cosa c'è di pauroso? A parte la palese stupidità?” ribatté velenosa, appuntando un paio di spilli sul tessuto verde intenso.
Casey sollevò gli occhi al cielo, perché la risposta a quella frecciatina non era consigliabile da dire ad una fiera donna incinta di quasi sei mesi.

Allora sarò un giocatore di Hockey zombie, va bene?”

April continuò ad aggiustare l'orlo del costume, limitandosi ad uno sbuffo stizzito col naso. Casey allungò le braccia in avanti e imitò il gorgoglio tetro di uno zombie, strascicando un piede; lei roteò gli occhi al cielo, attenta a non pungersi con gli spilli.
Sì, ha senso che uno senza cervello come te si vesta da zombie” concesse con uno sbuffo. “Puoi andare, ma promettimi che non farai stupidaggini, non peggiori del tuo solito!”
Mi conosci, Ap. Sai che non devi preoccuparti” assicurò l'uomo sollevando le braccia al cielo, già più rincuorato. In realtà April si sentiva doppiamente ansiosa.

Il marito catturò quell'angoscia nel fondo dei suoi occhi; si avvicinò a grandi passi e si inchinò al suo fianco, prendendo di sorpresa una mano tra le sue.
Io e Carl staremo benissimo, vedrai! È per te che sono preoccupato, starai da sola a casa ad aprire la porta a sconosciuti.”
April emise uno sbuffo leggero col naso. Era felice della premura che Casey le riservava, ma voleva prenderlo un po' in giro.

Pericolosi bambini sconosciuti.”
Tesoro, non scherzo. Non sai mai chi potrebbe esserci dall'altra parte della porta, ma questa volta, con tutte queste sparizioni... forse sarebbe meglio se stessi a casa assieme a te.”
E deludere Carl che non vede l'ora di andare in giro? No, non mi sembra giusto. Potrei chiamare Angel e chiederle di rimanere con me per Halloween.”
Credo che abbia già un impegno col suo nuovo ragazzo, quel Kevin. Mi ha chiesto un parere per un vestito da vampira per una festa a cui devono andare. Perciò rimango io qui con te.”

E chi porterà in giro Carl per fare dolcetto e scherzetto? Ci odierà se dovrà rinunciarci.”
Steve si occuperà di lui. E ovviamente ci saranno altri quattro zii verdi che li seguiranno a poca distanza.”
Sul serio staresti tranquillo in questo modo?”
So che i ragazzi preferirebbero morire che permettere che succeda qualcosa a Carl. Staranno attentissimi, persino più del solito per colpa delle sparizioni e per quella misteriosa creatura. Ormai non pensano ad altro.”

C'era stato, nei giorni precedenti, un picco di allarme in città, scatenato da misteriosi avvistamenti di creature. No, di attacchi di una creatura. Il panico era dilagato in seguito alla dichiarazione di un ragazzo che sosteneva di essere scappato all'aggressione di un mostro che lo aveva seguito di notte, per le vie della città; l'opinione pubblica si era immediatamente divisa in due nette linee di pensiero: da una parte i complottisti che vedevano questa nuova minaccia come il segno di qualcosa di grande dietro le quinte, come sempre per colpa del governo o degli alieni, mentre dall'altra menti più pacate pensavano che fosse solo lo scherzo di chi si divertiva ad aggiungere paura in un clima già abbastanza teso.

Intanto la guardia si alzava, le ronde non autorizzate di vigilanze private crescevano a vista d'occhio e la fiducia nel prossimo svaniva velocemente, senza che potessero farci nulla.


Il tempo volò tra le mani. E in un batter d'occhio Halloween era arrivato; paura o meno. Dubbi o meno.
Le strade erano piene fin dalle prime ore del mattino di persone vestite a maschera, in un'assurda gara al costume più bello o più spaventoso: c'erano migliaia di rivisitazioni di Dracula e della mummia, dei fantasmi e almeno un milione di zombie, di ogni genere. Prometteva di essere una gran bella festa, nonostante tutto.

Alle sei in punto un sonoro bussare interruppe una animata discussione nell'appartamento della famiglia Jones: un secco rumore di passi si avvicinò alla porta, mentre la voce di una donna strillava: “Carl! Non ho finito di vestirti!”
Steve spalancò i suoi occhioni azzurri di sorpresa, quando un enorme giocatore di Hockey zombie aprì: la sua pelle era di un malsano verde spento e uno degli occhi penzolava fuori dall'orbita.

Davvero bel costume, mister Jones!” si congratulò con un sorriso, dopo il primo attimo di smarrimento.
Casey zombie trasformò il ghigno che doveva essere spaventoso in seccato.

Ti ho detto di non chiamarmi signor Jones!” urlò indignato, al ragazzo che intanto era già entrato nell'appartamento.

Uno scalpiccio veloce li allertò della minaccia: un secondo dopo un piccolo fagotto verde e marrone si fiondò contro il ragazzino, nella sua frenetica gioia.
Steve! Guarda, guarda, guarda! Sono Ben 10!” strillò a pieni polmoni, agitando il bracciale luminoso al polso sinistro e indicando la maglia su cui era stampato un grande dieci. April aveva schiarito appena i suoi capelli con una polvere apposita per il trucco, per renderlo vagamente castano scuro.
I suoi occhioni scintillavano di gioia ed emozione e saltellava sul posto nell'impazienza.

Oh, ma dov'è il tuo costume, Steve?” domandò April arrivando nel corridoio. Sembrò davvero sorpresa di vederlo vestito con i consueti jeans e la felpa decisamente troppo grande per lui.
Oh, no, io non mi vesto mai per Halloween.”

Aveva detto una cosa di troppo. Lo scintillio negli occhi di Carl si infranse, mentre lo guardava scioccato e deluso.
Il ragazzo si sentì morire secondo dopo secondo, senza sapere che fare o dire per rimediare all'ormai danno. April si accorse del rossore delle sue orecchie e gli corse in aiuto.

Oh, vuoi dire che non hai trovato un costume che ti stesse bene? Vieni, deve esserci una vecchia maschera da mummia di Casey nel fondo dell'armadio. Lo aggiusteremo un pochino.”

Il rossore assalì Steve completamente, un rosso pomodoro vivente, e balbettò qualche parola di ringraziamento mista a degli educati rifiuti. April gli sorrise affettuosamente mentre lo trascinava verso la stanza da letto, contenta di aver capito quale effettivamente fosse il problema: Steve probabilmente non aveva mai festeggiato propriamente Halloween; forse con l'assenza della madre non c'era stato nessuno a preparargli un costume e ad incoraggiarlo, forse suo padre non aveva potuto accompagnarlo a fare “dolcetto o scherzetto”, impegnato col lavoro.
Tirò fuori le scatole colme dal fondo dell'armadio, dove suo marito aveva accumulato tutti i costumi per la festività usati negli anni.

Allora, adesso vediamo di aggiustarlo per la tua misura” propose sicura, sovrastando le grida entusiaste di Carl dietro di loro.

Casey rollò gli occhi al cielo, perlomeno quello visibile sotto il trucco, al sentire tutto il chiasso provenire dalla camera. A quel povero ragazzo sarebbe venuto un gran mal di testa prima ancora di iniziare a fare il giro delle case.
Uno scampanellio lo riscosse e si precipitò ad aprire la porta. Un coro di “dolcetto o scherzetto” di voci infantili lo investì e lui cercò di fare del suo meglio per risultare più spaventoso possibile. Lanciò un gorgoglio tetro e deambulò tetramente verso di loro, ma le risatine incerte dei bambini non furono certo il risultato che aveva sperato.
I bambini ormai non erano più impressionabili come una volta.

Prese la grande ciotola portadolciumi e afferrò una grossa manciata di caramelle miste che distribuì alla ballerina, al piccolo dracula biondo, alla creaturina di Frankenstein, ad un grosso bambino-robot e a Spiderman. Ognuno di loro tese il proprio sacchetto e seguì la distribuzione con occhioni attenti e golosi.
Ecco a voi, andate, monelli!”
I bambini iniziarono a filare via già con la mente verso il prossimo carico di caramelle da richiedere, quando uno di loro sembrò ripensarci e si bloccò poco prima di raggiungere le scale. Si voltò verso la porta, con le sopracciglia corrucciate.

Il tuo costume fa schifo, signore” disse con una smorfietta e una vocina petulante.
Ehi! Torna qui, vedrai come ti faccio spaventare, moccioso” ribatté Casey offeso, anche se il piccolo dracula, ormai lontano, non poteva sentirlo.

Wow, guardate, è così che si fa il genitore a quanto pare” chiosò una voce alle sue spalle, piuttosto divertita. Mikey lo guardava con un gran sorrisone, dopo averlo apostrofato, circondato dai suoi fratelli vicino alla finestra.
Beh, certi bambini sono davvero troppo sfacciati.”

Casey chiuse la porta e appoggiò la ciotola di dolciumi con calma, nonostante il tono seccato, e poi si voltò a guardare gli amici.
Vedo che anche quest'anno avete deciso di vestirvi da tartarughe mutanti ninja” sospirò ironico, facendo ballonzolare l'occhio finto mentre scuoteva la testa.
Quando uno è bello non si può costringerlo a coprirsi, no?” gli rispose Mikey, con uno sguardo ammiccante. Leo stava sorridendo della sua vanagloria e Raph ruotava gli occhi al cielo. Don si guardava intorno, assorto.
Steve non è arrivato? Eravamo proprio dietro di lui” chiese, tendendo ancora il collo per cercare la presenza del piccolo amico.
April ha insistito per vestirlo a maschera. E sapete che non si può dire di no a quella donna” sospirò Casey, facendo spallucce.

Proprio in quel momento uscirono fuori dalla stanza da letto una donna incinta, un piccolo Ben 10 e una mummia piuttosto impacciata, avvolta in almeno venti metri di bende. I tratti somatici non erano nemmeno lontanamente riconoscibili.
Steve sembrò sorpreso nel vederli tutti lì in attesa, ma poi si aprì in un gran sorriso. O almeno a loro parve.

Non vale! Voi non vi siete mascherati!” mugugnò soffocato sotto i giri di garze.
Cosa dici? Non vedi com'è bello il mio costume da tartaruga mutante ninja? Guarda i dettagli, ammira la perfezione!” esclamò Mikey mettendosi in pose plastiche, facendo scoppiare tutti a ridere.
Spero che tu non faccia nulla del genere mentre siamo in giro” lo rimproverò Raph, il primo a ritornare serio. Ovviamente si beccò una linguaccia come risposta e nulla più.
Ok, ragazzi, sarà meglio andare. La parata sta per cominciare e i dolcetti finiranno presto” intervenne Don, occhieggiando verso l'orologio.

Carl strillò entusiasta e si affrettò ad afferrare la mano di Steve, per poi trascinarlo con vigore verso la porta, sordo alle raccomandazioni dei genitori.
Fai da bravo, Carl.”
Rimani sempre con gli zii e non allontanarti per nessun motivo.”
Ascolta quello che ti dicono e ubbidisci.”
E prima di andare dai un abbraccio alla mamma, forza!”

Carl fece un veloce dietrofront alla richiesta di April e si fiondò tra le sue braccia, strofinando il musetto monello contro il suo collo. La presa della madre era forse un po' troppo forte, un po' troppo apprensiva, e il bimbo si divincolò dopo pochi secondi; April lo lasciò andare, mezzo sorpresa lei stessa dal suo comportamento.
Mi raccomando, ragazzi” sussurrò mentre li osservava avvicinarsi alla porta. Le sorrisero tranquillamente, come a volerle dire che non c'era nulla di cui dovesse preoccuparsi.

Carl afferrò una mano di Steve e una di Don e iniziò a tirarli con tutta la forza del suo piccolo corpicino.
In pochi istanti erano usciti tutti dal palazzo, dritti in strada, i coniugi Jones lasciati con saluti e promesse per l'orario di rientro.

Allora, prima guardiamo per un po' la parata e poi andiamo a bussare a qualche porta per le caramelle?” domandò Don, chinandosi leggermente su Carl.
Sìììì!” rispose quello entusiasta, lanciando in aria le mani che ancora trattenevano quella del mutante e quella di Steve.
Ma che bella famigliola felice” chiosò teatralmente Mikey, poco dietro loro. Lo scappellotto di Raph lo raggiunse dritto in testa, nemmeno troppo scontato.

Già una stradina più avanti l'euforia di Halloween li colpì dritto in faccia. Migliaia di persone in maschera si riversavano da ogni angolo, seguendo la colorata e macabra processione nel village, piena di scheletri luminescenti e zucche intagliate nelle forme più spaventose, a decorare carri e carri che sfilavano tra le urla di giubilo.
C'era ogni genere di maschera: da interpreti di telefilm o cartoni animati a quelli dei videogiochi, ai più classici costumi della festività come i vari dracula, le mummie e ogni genere di personaggio in versione zombie, tra cui perfino principesse Disney e animali antropomorfi.
Il caos era ovunque, una babele di suoni e voci, grida e risate e giochi di luce che abbagliavano, giocolieri fenomenali che danzavano col fuoco accendendo il tramonto e l'odore di dolci aveva scacciato via lo smog, per quella sera, mettendo una gran fame a chiunque prendesse un bel respiro speziato, dal vago retrogusto di cannella.

Raphael era emozionato quanto gli altri, anche se non lo dava a vedere. Dopo anni passati ad odiare Halloween finalmente si era riappropriato del sentimento di libertà che gli dava, grazie ad Isabel. Halloween gliela ricordava con più forza, gli faceva sentire la sua mancanza come un pugno allo stomaco. Ma era anche felice. Sapeva quanto magica potesse essere quella festa, sapeva cosa si aggirava all'insaputa di tutti, attorno a loro. Occhieggiò distrattamente intorno, cercando di vedere l'invisibile, magari anche lui poteva, ma no, lui era magico come un sasso. Anzi no, pensò stringendo nella mano la pietra della collana, un sasso era perfino più magico di lui.
Con un mezzo sorriso e continuando a guardare verso l'alto come a voler vedere tutto l'universo, affrettò il passo per rimanere dietro i suoi fratelli, già tutti assorbiti dalla festa e dalle bancarelle.

Cercarono di vedere tutto senza però farsi travolgere dalla calca, per evitare il rischio di rimanere imbottigliati: si tennero sul ciglio della strada, Don prese Carl sulle spalle per permettergli di guardare bene tutto e il bambino continuò a strillare di felicità per tutto il tempo mentre cercava di raccogliere con le piccole mani i coriandoli arancioni e neri che venivano sparati dai carri della sfilata.
Voglio un palloncino! Un palloncino!” disse ad un certo punto, osservando con meraviglia un plotone di quelli salire al cielo, rilasciati da una compagnia di ballerini vestiti da scheletri danzanti.
Zio Mikey, per favore!” insisté, accortosi che gli altri sembravano restii a comprarglielo.

Michelangelo non poteva resistere a Carl. Era già di suo un tenerone che adorava i bambini, ma quello era anche un suo nipote, in un certo senso, perciò lo adorava oltre ogni altra cosa al mondo.
Si sciolse in un gigantesco sorriso, solo per Carl.

Te ne prenderò uno enorme. E bellissimo. Aspettami qua!” assicurò, voltando il capo per cercare dove poterne comprare uno. In un secondo era già corso via verso un baraccone all'altro angolo della strada, schivando i pedoni con difficoltà.

Raph sospirò.
Gli vado dietro. Sarebbe capace di perdersi” sbuffò, incamminandosi nella sua direzione.
Andava piano per evitare le persone che andavano nel verso contrario e che più di una volta gli si strinsero attorno, ma buttava sempre l'occhio verso la figura di Mikey, impegnato a parlare al venditore con toni concitati e gesti per indicare quale palloncino volesse, per non perderlo di vista.

Wow, signore. Che bel costume!” chiocciò una vocina ammirata.
Raphael guardò in basso verso il piccolo maghetto col capello a punta che lo osservava con occhioni sgranati e la bocca aperta. Sulla fronte aveva disegnata una saetta con una matita per il trucco nera.
Gli sorrise e gli fece un occhiolino complice.

Grazie, piccolo. Anche il tuo.”

Uno strillo echeggiò nella notte, improvviso. E qualcuno urtò Raph senza cerimonie, con una forza che avrebbe mandato a terra una persona più esile di lui.
Era consuetudine avere una scazzottata o due durante le festività, una ben triste realtà date le offerte di alcolici che i bar e i pub effettuavano per attirare la clientela, perciò il mutante non ci fece caso più di tanto. In pochi istanti sarebbero intervenute le forze di polizia che pattugliavano lì intorno e tutto si sarebbe sgonfiato e risolto con due ubriaconi che si abbracciavano dimenticandosi del litigio.

Mikey gli si fece vicino col filo di un palloncino a forma di pipistrello stretto in una mano, ma dalla velocità con cui camminava sembrava tutto meno che tranquillo. Osservava oltre le sue spalle, con le sopracciglia corrucciate.
D'istinto, o forse per quel brivido nella schiena nel vedere la preoccupazione di Michelangelo, Raphael torse il busto con foga e allungò il pugno chiuso all'indietro, verso una minaccia che non conosceva: si scontrò contro qualcosa, o qualcuno, e un verso gutturale gli riempì le orecchie.

Raph! Giù!” strillò il fratello contemporaneamente, a pieni polmoni.

Si tuffò in avanti e afferrò per il colletto il bambino vestito da mago, che era rimasto per tutto il tempo lì impalato con la bocca aperta, e si chiuse a conchiglia su di lui; una capriola e una strisciata sulle ginocchia e finalmente si fermò a qualche metro, mentre il bimbo strillava come un ossesso tra le sue braccia, perforandogli un timpano.
E vide la minaccia che aveva scampato.
Una creatura giallo malato dalla pelle squamosa, col volto deforme e la bocca ripiena di file di denti appuntiti che faceva schioccare nella sua direzione, più precisamene verso il piccolo tremante che ancora teneva stretto a sé.

Poteva essere solo un tizio in maschera dalle abilità sorprendenti nel trucco e un'ottima recitazione con lo scopo di spaventare nella notte più paurosa dell'anno, ma Raphael non ci credette nemmeno un secondo. C'era un luccichio di follia e aggressività negli occhi completamente neri che gli disse che non era una finzione.
E poi, scorrendo velocemente lo sguardo attorno, si accorse che c'erano altre creature identiche, dalle lievi differenze cromatiche, ma indubbiamente della stessa specie: brancolavano velocemente di qua e di là, avvicinandosi ai bambini che passeggiavano, allontanandoli dai genitori.

Una macchia di rosso tra le gambe di alcuni passanti lo allarmò ancora di più e si rese conto che c'era qualcuno a terra, in un angolo, e uno di quegli esseri stava portando via una bambina che si dimenava e scalciava con tutte le sue forze, terrorizzata.
Possibile che nessuno se ne fosse accorto?

Leo! Sta prendendo una bambina, lì alla tua destra!” urlò a squarciagola, cercando di sovrastare le grida e i rumori e la musica.

E incredibilmente ci riuscì. Ma nulla andò come sperato: tutte le persone attorno a loro sentirono il suo grido e si accorsero sia del rapimento, che dell'uomo a terra e infine delle creature che di soppiatto cercavano di portare via i piccoli. Ce n'erano tante da non riuscire a contarle, mischiate alla folla.
Le urla si sommarono, urla di paura, urla di terrore.
E il caos si scatenò in un istante. Genitori che cercavano i loro figli e scappavano in ogni direzione, ragazzi spavaldi che si gettarono contro le creature con sprezzo del pericolo, ricacciati però indietro senza nessuno sforzo; le grida, gli spintoni, la calca che premeva e spingeva: si ritrovarono al centro di un flusso imponente senza potersi muovere e Leo cercava di non perdere il contatto visivo con la bimba che si allontanava sempre più tra le braccia del mostro.


Piccolo, come ti chiami?” domandò Raph al bambino, tenendo un tono calmo.
Il maghetto tirò su col naso e lo guardò in viso, con gli occhioni azzurri ricolmi di spavento.

B-Billy.”
Ok, Billy, dopo ti porterò dai tuoi genitori. Per adesso attaccati al mio collo e non staccarti per nessun motivo. Capito?” ordinò, passandoselo sulla schiena con un gesto sciolto del braccio, impegnato con l'altro ad aprirsi un varco a forza tra i corpi che gli premevano contro nella direzione opposta.
Un mugolio un po' annacquato fu la risposta coraggiosa del bimbo. Le sue corte braccia strinsero forte forte, le mani si intrecciarono sulla sua gola rischiando di strozzarlo, ma il mutante non disse nulla. Era fiero di quel bambino.

Con uno scatto deciso spiccò una corsa verso il più vicino gruppetto di nemici, due di quelle creature che cercavano di afferrare delle persone in fuga, approfittando del caos. Spiccò un salto e atterrò dritto contro di loro, senza frenarsi: il grido che lanciarono fu uno stridore insopportabile che nulla aveva di umano e Raph indietreggiò sorpreso e confuso, scuotendo la testa. Billy mugugnò anche lui, ma non lasciò andare la presa, come gli aveva promesso.
Raphael allungò un calcio sul petto del mostro alla sua destra e lo mandò a terra, spegnendo quel suono insopportabile: l'altro però, cambiò intonazione nel suo, modulandolo come un richiamo e improvvisamente si trovarono accerchiati.

Ti prometto che ti riporto a casa, Billy. Resisti ancora un po'” mormorò Raph, cercando di suonare fiducioso, iniziando a girare in tondo per non lasciare angoli ciechi ai suoi avversari.


Leo si ritrovò inghiottito dalla folla urlante, che lo spingeva sempre più lontano da Don, Carl e Steve e soprattutto dalla bambina che doveva assolutamente salvare.
Digrignò i denti dalla frustrazione e cercò di puntare i piedi a terra, ma inutilmente. Persa la pazienza, decise di saltare più in alto che poté, senza pensare alle conseguenze: usò lo stomaco di un tipo corpulento lì affianco per darsi la spinta e si lanciò in aria, saltando via dalla calca come il tappo allentato di una bibita gassata.

Un coro di grida lo accompagnò nella traiettoria, ma Leonardo era troppo impegnato a calcolare una parabola sicura per prestarvi attenzione; smorzò la velocità con un paio di capriole, che avrebbero anche modificato leggermente la direzione in un punto che lui aveva già scelto. Sbatté con le punte dei piedi contro un palazzo basso che costeggiava la strada e allungando una mano strusciò contro il muro, scivolando verso il basso; atterrò illeso al suolo, in un punto dove ormai più nessuno passava.
Donnie! Attento a Carl! Vado a prendere la bambina!” urlò senza guardarsi indietro, già lanciato verso destra, verso il suo obiettivo. L'ultimo punto in cui aveva visto quegli occhi scuri e terrorizzati chiedergli aiuto.

Donatello non aveva bisogno della sua raccomandazione. Era già impegnato a tenersi alla larga da quegli esseri e contemporaneamente a non perdere il contatto con Steve o Carl: il bambino sulle spalle lo teneva fermo a sé premendosi le sue gambe contro il torace e il ragazzo per mano, stringendo forte la presa per contrastare la spinta della ressa impazzita.
Riuscì a trascinare sé stesso e loro al di fuori della calca, ansimando per lo sforzo.

Ok, adesso fac-” un urlo soffocato lo interruppe e il mutante cadde su un ginocchio, lasciando andare la mano di Steve per proteggere inconsciamente il bambino: con uno strattone deciso lo fece scivolare davanti e si chiuse a conchiglia su di lui, ermetico.
Il resto Steve non lo vide. C'erano tanti di quei mostri attorno a loro, piombati repentinamente.
Don si era alzato e aveva calciato all'indietro velocemente, colpendone uno per creare una breccia e gli altri si erano fatti più vicini e aggressivi, ringhiando coi loro denti appuntiti e le bocche sbavanti.

Steve, scappa! Prendi Carl e scappa!” urlò il genio, lanciandogli letteralmente il bimbo tra le braccia, prima di una piroetta volante contro due creature.
Il ragazzo voleva lottare, sentiva le mani formicolare e una scossa di adrenalina corrergli per gli arti, ancorandolo al posto; ma qualcosa non lo faceva muovere. Forse paura, forse incertezza. Le braccia erano strette attorno a Carl, i piedi incollati al suolo, gli occhi spalancati seguivano Donatello e la sua lotta furibonda, così aggressiva, così disperata.

Corri, Steve! Corri!”

Il grido rauco del mutante risvegliò qualcosa in Steve e si ritrovò già lanciato in avanti, quando il cervello si riconnesse: saltò con tutte le sue forze il muro compatto di creature, usando il corpo di una a terra come trampolino e volò letteralmente sopra di loro; strinse più forte Carl tra le braccia, ma il piccolo non si lamentò.
Atterrò goffamente e sbilanciato, ma fu subito in piedi, anche senza usare le mani: scattò rapidamente e corse, corse da morire, lanciando solo un'occhiata indietro. Donatello era accerchiato e combatteva senza riserve.
Un profondo senso di vergogna e paura gli attanagliava le viscere, mentre sfrecciava nella notte così forte che le bende del costume si disfacevano, sventolando.


Michelangelo si era accorto della minaccia per primo, eppure non era riuscito a fare nulla per impedirla. Era rimasto a guardare, scioccamente, con un palloncino stretto nella mano.
L'aggressione, i mostri che fuoriuscivano da chissà dove, mescolandosi facilmente agli scheletri e ai vampiri in maschera, a tutti quei travestimenti. Era stato fin troppo perfetto per poter pensare ad una coincidenza.
E visto che non aveva dato l'avviso da prima, doveva cercare il modo di rimediare. Di contenere quei cosi perché non si disperdessero ancora, combatterli e renderli inoffensivi.

Ma erano tanti.
Un centinaio circa, a volersi fidare del conto a mente in un momento di panico. Si gettò contro il gruppetto più vicino, con i Nunchaku già stretti nelle mani, pronti all'azione.
Il palloncino fluttuava sopra la sua testa, libero verso il cielo, già confuso col nero della notte. Ne avrebbe comprato altri dieci a Carl, una volta finito tutto.


Leonardo non aveva perso di vista le tracce della bambina, nemmeno per un secondo. Nonostante il caos attorno, le persone che fuggivano attorno a lui spintonandolo senza attenzione, le grida e i mostri che apparivano da ogni angolo, con intenti ben poco pacifici. Avrebbe voluto battere ognuno apparso sulla sua strada, ma non poteva permette che prendessero la bambina; quale sarebbe stato il suo destino, se non l'avesse salvata?
Diventare cibo? Diventare un sacrificio?

Corse più forte, il piccolo gruppetto di creature era poco davanti a lui, ancora qualche metro e l'avrebbe raggiunta. Scansò due uomini che correvano nella direzione opposta, incuranti del trucco delle loro maschere che colava per il sudore, per la paura, e Leo si chiese dove fosse finita la polizia, in quel momento che ne avevano più bisogno.
Ma non aveva tempo per pensare alla riposta, c'era quasi, era il momento di agire.

Col fiatone strinse i denti e spinse ancora i muscoli, pronto ad un balzo: a mezz'aria le mani si chiusero sicure sulle else delle spade e le sguainarono senza rumore. Atterrò con un grido minaccioso proprio di fronte alle due creature misteriose: una aveva le squame rosse ed era più piccola, l'altra giallo spento era grossa e più muscolosa, con una strana membrana verticale nei freddi occhi neri.

Leo provò un brivido lungo la schiena, inaspettatamente.
Lo dissimulò in fretta e alzò la punta della lama contro il mostro più vicino.

Dammi la bambina” ordinò, scrutando negli occhi del mostro che la teneva in braccio.

Lo stridio che uscì dalla sua bocca poteva essere una risata, ma era così graffiante che Leo non poté impedirsi di tapparsi i fori auricolari con il dorso delle mani, per evitare di perdere il senno.
La creatura rossa si lanciò contro di lui nello stesso secondo, immune all'effetto confusionario di quel suono: Leo si accorse solo in quel momento che le sue mani erano dotate di lunghi artigli neri retrattili, e nonostante la sorpresa di vederseli arrivare dritto in faccia, riuscì a scansarsi in tempo, evitando di farsi colpire. Non poteva rischiare di essere ferito, non sapeva se fossero intrisi di veleno o altre sostanze.

Si arrischiò ad abbassare le mani, ma quel suono prolungato e violento lo investì, offuscandogli la vista per un istante: arretrò immediatamente, tappandosi di nuovo le orecchie, con disperazione.
Anche la bambina tra le braccia del mostro aveva le mani premute contro la testa, con un viso sofferente e spaventato. Cosa poteva fare per aiutarla?
Quello stridio aveva un effetto istantaneo sul cervello e il sistema nervoso che gli impediva quasi di pensare, non poteva combattere con le orecchie scoperte.
Cosa fare?

Intanto la creatura rossa lo attaccava senza sosta. Era più piccola dell'altra, più veloce e agile e Leo capì che non era un caso che lavorassero in coppia: mentre uno stordiva la preda, l'altro ne approfittava per assalirla. Quello giallo, si accorse infatti, non aveva artigli con cui attaccare.
Non poteva continuare a scansare. E forse aveva avuto un'idea.

Si abbassò per evitare un nuovo assalto, attento che le lame fossero una rivolta verso l'interno e l'altra verso l'esterno, ma con le spade ancora nelle mani che premevano sulle orecchie: usando le punte dei piedi ruotò su sé stesso velocemente, come una trottola munita di lame, sempre più svelto. Non si fermò nemmeno quando sentì il metallo scindere la carne, nemmeno quando un nuovo grido, di dolore questa volta, riecheggiò così forte da spegnere il primo.

Quello era il momento che Leonardo aspettava, senza esserne conscio. Smise di ruotare e si rialzò in piedi, lanciato contro il mostro giallo, a dispetto del senso di stordimento che il suono stridente e la rotazione gli avevano causato; prima che quegli potesse reagire, lo colpì ad un'estremità con la punta della Katana, senza pietà: il grido straziante della creatura fu acuto, ma completamente differente rispetto a prima.
La colpì con tutto il peso del suo corpo e le mani cercarono disperatamente di strappare la bambina dalla sua presa ferrea. La sorpresa e il dolore gli resero le cose più semplici, e la strinse tra le braccia prima ancora di accorgersene.

Sentì il calore del suo corpo e il tremore che la scuoteva.
Non pensò nemmeno per un momento che lei potesse abbracciarlo, singhiozzandogli nel collo.

Va tutto bene, tesoro. Ti riporto subito a casa” sussurrò piano, accarezzandole la testa. Aveva perso la tiara del suo costume da principessa nel tragitto e la complicata treccia che portava si stava disfacendo.

La creatura rossa e quella gialla, entrambe ferite, ma solo superficialmente, si erano già rialzate ed erano ancora più aggressive e ancora più rabbiose; una fila di bava violacea colava dalle loro bocche e gli artigli di quella rossa non erano mai stati più lunghi e affilati.
Le sue spade giacevano al suolo, metri di distanza da loro.
Mantenere la sua promessa poteva essere più difficile di quanto pensasse.


Steve era orgogliosissimo della sua velocità. Essendo sempre stato un nerd e con un carattere molto dolce e gentile, era la vittima preferita dei bulli sin da quando era entrato alle elementari. Ovviamente non era mai riuscito a difendersi, perciò a furia di scappare per anni era diventato così veloce che ormai nessuno riusciva a prenderlo.
Di quello ne era stato certo fino a qualche istante prima.

Carl tra le braccia lo appesantiva, certo, ma non così tanto perché lo raggiungessero. E invece era proprio ciò che era successo: aveva corso con tutte le sue forze, scartato con maestria le persone che gli andavano incontro, cambiato strada e vicoli così tante volte da esserne nauseato, eppure due di quei mostri, rossi come il sangue, piccoli e agili, erano riusciti a stargli dietro.
Alla fine, prima che potessero afferrare le code delle bende che si disfacevano dal suo costume e intrappolarlo, fu lui stesso a fermarsi, con uno scarto deciso che mandò in confusione i suoi inseguitori: si infilò in un vicolo chiuso alla destra.
Era in penombra e piccolo e maleodorante. Strizzò gli occhi intorno, freneticamente.

Carl, ti metto giù per un attimo. Stai dietro di me qualunque cosa accada, va bene?”
Il bambino scese docilmente, stranamente quieto.

Tu cosa fai?” domandò, osservandolo mentre si chinava per raccogliere un tubo di metallo dal terreno.
Io combatto” fu la risposta, semplice, mentre rumore di passi e due respiri pesanti riecheggiavano all'imboccatura del vicolo, già vicini.


Ce n'erano tanti. Non importava quanti ne colpisse, quanti ne buttasse giù, continuavano a rialzarsi, continuavano ad arrivare.
Raphael non si era risparmiato per un secondo eppure non sembrava vederne la fine. Billy lo stava strozzando sempre più nello spasmodico tentativo di non cadere e la stanchezza si faceva già sentire.
Attaccò coi Sai due mostri che si stavano avvicinando troppo, ma quelli avevano già capito il suo modo di combattere e riuscivano a prevedere le sue mosse.
E si compattavano, cercando di accerchiarli e stringerlo sempre più.

Ruotò il busto per evitare che prendessero Billy, ma il bambino urlò per lo spavento improvviso, stringendo ancora di più la presa nelle braccia.
Basta! Voglio andare a casa!”
Raphael inspirò con difficoltà, dolorosamente.

Sei tu il mago, Billy. Fai una magia” disse rauco, senza distrarsi dal combattimento.
Ti prego, ti prego falli sparire!” mormorò il bambino, ormai al limite.

Un sibilo acuto riempì l'aria, insostenibile, irritante. Le creature ne furono quasi attratte e senza un suono, senza una spiegazione, lasciarono andare ogni proposito bellicoso e sollevarono la testa al cielo.
Poi, tutte assieme, scapparono lungo la strada, ordinatamente.
Ci volle qualche istante perché Raphael si riprendesse dallo stupore.

Cosa...?”

La stessa scena si era ripetuta con Donatello, con Leonardo, con Steve e con Michelangelo. Mikey era stato l'unico a reagire immediatamente e a correre dietro le creature, cercando di tenere il loro passo. Per quanto potesse essere veloce, però, non riuscì a non farsi distanziare.
Ma erano solo un centinaio di metri in fin dei conti, non li avrebbe persi di vista, avrebbe scoperto dove andavano.

L'ultima delle creature si era infilata in un vicolo sulla sinistra e lì Mikey girò una volta arrivato.
Si fermò bruscamente, osservò sconvolto il vicolo chiuso da alti muri, assolutamente vuoto.
Il respiro pesante, gli occhi scivolarono spasmodicamente attorno alla ricerca di un passaggio, un portale, qualunque cosa. C'era solo lui nel vicolo e mille domande senza risposta.
In lontananza, i rintocchi di una chiesa battevano la mezzanotte.



Note:

Buona sera.
A volte ritornano, direte voi.
Chiedo scusa dell'enorme ritardo.

Finalmente ho comprato un pc nuovo e posso tornare a scrivere. Non sapete come sono felice. Mi siete mancati molto, mi è mancato scrivere, mi è mancato pubblicare. Ho fatto un po' di correzioni a mano, ma è perfino più difficile dover riscrivere tutto dai fogli.
Ora finalmente potrò essere regolare negli aggiornamenti.

Sono tornata con un capitolo su Halloween proprio nella notte di Halloween, nemmeno a farlo apposta.
Spero mi perdoniate e che il capitolo vi piaccia.

Vi abbraccio forte, mi auguro che stiate tutti bene!

Buon Halloween

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Capitolo 18
*** Bad feeling ***


Nella sicurezza del rifugio, Leonardo camminava a grandi falcate avanti e indietro vicino al laghetto, parlando nel telefonino.

Sì... allora va tutto bene? … Meno male, eravamo un po' preoccupati, ma se mi assicuri che sta dormendo... sì, domani ti spieghiamo meglio. Per ora l'importante è che Carl stia bene e anche voi. Ok, buona notte, a domani. Saluta Casey.”
Chiuse la chiamata con un sospiro, stringendo forte il telefono nella mano. Con una virata decisa si diresse verso il laboratorio alla sua sinistra, con una già potente emicrania, ciliegina sulla torta di quella assurda nottata.

Donnie sedeva alla scrivania con aria stanca, ma non per quello rilassato: frugava nei meandri di internet facendo volare le dita sulla tastiera, nervosamente. Raphael era poggiato contro uno scaffale ricolmo di riviste scientifiche e fogli sparsi, con le braccia conserte e lo sguardo assorto; poco distante, Mikey osservava tra le librerie dando loro le spalle, forse più per distrarsi che per altro. Il sensei li aveva raggiunti una volta saputo del pericolo incorso quella notte e sedeva sull'unica altra sedia della stanza, mentre i suoi occhi saettavano da un figlio all'altro.
Tutti avevano gettato comunque un'occhiata verso Leo quando era entrato nella stanza, prima di ritornare alle posizioni e alle faccende di poco prima.

Carl sta dormendo tranquillo e anche April e Casey stanno bene” li informò il leader, avvicinandosi alla scrivania.
Sembrarono tutti rassicurati dalla notizia, anche se nessuno lo espresse a parole.

Anche Billy. Sono riuscito a riportarlo dai suoi genitori, sembrava stare bene, solo un po' spaventato” disse Raphael, senza guardare nessuno in particolare. Gli doleva la gola e il collo scricchiolava dolorosamente ad ogni gesto, a causa degli strattoni del bambino.

Leo annuì brevemente alla notizia, rincuorato.
Anche la bambina. Non so come reagirà nei prossimi giorni... suo padre è ancora in ospedale, non so quanto gravi siano le sue condizioni” aggiunse, ultima notizia di quel quadro generale davvero agghiacciante.

Quando tutto era finito e quei mostri erano scomparsi, New York aveva dovuto fare i conti con i feriti, a decine, e i dispersi. C'erano volute due ore solo per contattare tutti i genitori dei bambini ritrovati e per capire se qualcuno fosse o no stato rapito. Ancora, alle prime luci dell'alba, si contavano le persone e un'idea chiara di cosa fosse successo non c'era.

Il panico si era scatenato immediatamente. Era stato l'ultimo atto che aveva scoperchiato il vaso, già pieno per l'isteria delle sparizioni precedenti: nei talk show e nei telegiornali, potenti e politici di dubbie moralità istigavano a non rimanere inermi, a prendere in mano armi e scendere in piazza per proteggere i cittadini, per proteggere i propri cari. E una moltitudine di pazzi armati, -senza ragione, ma solo paura,- aveva accolto quegli appelli e pattugliava le strade a gruppi compatti; nell'odio, nell'ignoranza, nel sospetto.

Io li ho seguiti” iniziò a dire Mikey, ancora voltato di spalle. “Gli sono andato dietro con tutta la mia velocità, erano ad un secondo di distanza, ma quando li ho raggiunti e sono entrato in quel vicolo non c'era più nessuno.”
Sembrava che si stesse scusando, come a voler dire che lui ce l'aveva messa tutta. Non capiva come potessero essergli sfuggiti da sotto le mani.

Sei stato bravo, Michelangelo” lo rincuorò il sensei, che si era accorto di quel suo sentimento di sconfitta. “Se questi mostri sono spariti nel nulla non è colpa di nessuno. È probabile che avessero già un piano di fuga pronto.”

Non sappiamo nemmeno cosa siano, in fin dei conti. Se fossero alieni, ad esempio, potrebbero semplicemente essere tornati alla loro navicella madre” si intromise Don, continuando però a guardare dritto nello schermo del computer, strizzando un po' le palpebre.
Alieni?” domandarono in coro i fratelli.
Io pensavo fossero demoni” disse Mikey.
Io credevo fossero una razza modificata geneticamente” ribatté Raph.
Io che venissero da un'altra dimensione” spiegò Leo.

Don sollevò lo sguardo dal computer e si decise infine a dar loro un po' della sua attenzione.
Belle teorie. Potrebbero essere una di queste cose o anche nessuna. Alieni o una razza del sottosuolo finora mai scoperta o demoni usciti proprio per Halloween o ancora esseri di un'altra dimensione. Le teorie sono infinite. Così come i motivi per cui volessero quei bambini e solo i bambini: per mangiarli? Per schiavizzarli? Per un sacrificio? Non sappiamo niente e non sappiamo da dove iniziare a cercare delle risposte.”

Qualche cosa la sappiamo: erano differenti, per esempio. Ce n'erano alcuni rossi che attaccavano con artigli, mentre quelli gialli emettevano una sorta di suono che mandava in confusione le prede” constatò il leader, ricordando con nitida chiarezza la lotta e l'aspetto dei mostri. Quelle squamette che ricoprivano il loro corpo e quegli occhi lucidi e neri, così freddi.
Probabilmente, a voler cercare di dare una definizione con le nostre regole biologiche, era per differenziare i due generi: i gialli sono maschi e i rossi femmine. Anche se non so se abbiano davvero dei generi distinti” definì Don, che si era già fatto una teoria da sé.
Ma io ne ho visto anche uno blu, diverso dagli altri, più piccolo e sottile” intervenne Raph.
Mikey annuì alle sue parole, anche lui aveva visto quello di cui stavano parlando.

Forse hanno un genere che nel nostro mondo non esiste o, più probabilmente, quello era un individuo non ancora maturo. Magari una volta cresciuto cambia colore nel genere prefisso” teorizzò ancora il genio. Ormai era lanciatissimo in speculazioni e il suo cervello stava cercando di ricordare se in natura esistessero casi del genere. Nella natura terrestre. Altrimenti l'ipotesi degli alieni non era poi così campata per aria.
Doveva informarsi e investigare, ancora e ancora.

Dobbiamo scoprire chi sono e cosa vogliono.”

Come faremo a pattugliare con tutti quei gruppi di vigilanza che stanno spuntando fuori minuto dopo minuto?” domandò Mikey, distogliendolo dalla sua riflessione.
Le strade erano piene in ogni più piccolo angolo e sarebbe stato facile scambiare loro per il nemico, se fossero stati avvistati.

Dobbiamo continuare comunque, essere solo più cauti del solito. Più invisibili. Non arriveremo a nulla se non investighiamo e non possiamo starcene rinchiusi qua sotto in eterno” attestò Leo, ovviamente deciso. “Speriamo solo di trovare delle risposte, il prima possibile.”

Splinter sospirò, sottilmente, ma udibile.
Era sempre stato terrorizzato all'idea di cosa potesse fare il mondo di fuori ai suoi figli se li avesse scoperti, per quello fin dall'inizio non aveva voluto che uscissero. Ma ormai erano grandi, di pericoli ne avevano affrontati a frotte e loro si erano mostrati degni e preparati e in gamba e lui non poteva più frenarli. E poi, non tutto là fuori era malvagio: Casey e April, Angel e Steve, Isabel, erano la prova del buono negli umani.
Sorrise per dissimulare qualsiasi preoccupazione, ottimista verso di loro.
Aveva fiducia.


Nel freddo della prima settimana di Novembre, le notti erano ormai completamente gelide. Le tute da combattimento erano diventate un po' più spesse e le maniche decisamente più lunghe, il tessuto progettato da Don per la loro realizzazione era leggero, ma anche coprente, perfetto per quella stagione.
Tuttavia, segnava moltissimo le forme del corpo.

I quattro mutanti non se n'erano mai resi conto come in quel momento, mentre osservavano il mingherlino corpo fasciato dal tessuto nero. Ok, a voler essere buoni, Steve non era più così esile come quando lo avevano conosciuto, c'era una buona muscolatura in via di sviluppo, ma in confronto alle loro stazze spiccava troppo la sua magrezza.
In effetti, in confronto a molti ragazzi della sua età era ben proporzionato e perfino un po' più muscoloso della media; in qualche altro anno di allenamento sarebbe diventato un vero atleta.

Il ragazzino resisteva stoicamente alle loro occhiate, sapendo bene cosa stessero pensando. Aspettò con tutte le forze un loro commento, ma poi, si disse, molto meglio che non ce ne fossero. Si sentiva già così strano a stare sul tetto di un palazzo, fasciato in una delle loro tute e coi suoi Tanbō assicurati alla schiena, a osservare dall'alto la città immersa nell'oscurità autunnale.

Forse perché nemmeno nelle sue più rosee fantasie si era mai aspettato che lo portassero con loro di ronda, prima o dopo. C'era sempre stata dell'esitazione in lui, che non era passata inosservata agli occhi degli amici; un dettaglio che poteva definire il confine tra la vita e la morte, in pattuglia.
Ma qualcosa era cambiato, quella notte di Halloween.
Aveva affrontato le sue paure, si era fermato e aveva combattuto. Per Carl, che gli era stato affidato.
Non era stato facile, la paura se l'era mangiato vivo ogni secondo che si era trovato di fronte quei mostri; ricordava perfettamente come il tubo di metallo continuasse a tremare nelle sue mani, mentre li attendeva nella penombra del vicolo e la secchezza nel fondo della gola, le gambe molli. L'angoscia di non farcela.

Del resto non ricordava molto. Era tutto confuso, immagini che balenavano di colpo davanti ai suoi occhi e suoni improvvisi: mani artigliate che graffiavano, attaccavano e urla, Carl che gridava incitamenti e piangeva allo stesso tempo, rosso delle squame, rosso di paura e lui aveva combattuto, con tutte le sue forze, senza risparmiarsi, senza pensare. Tutta la tecnica imparata era scomparsa in un secondo e lui aveva combattuto di pancia, di istinto.
E in qualche modo ce l'aveva fatta, aveva resistito finché quelle creature non erano scomparse di colpo, allontanandosi da lui in tutta fretta. Donatello lo aveva trovato stretto a Carl, spaventato, ma vittorioso. Era diventato un guerriero, quella notte.
E si era guadagnato il diritto di andare di ronda con loro.

Anche se lui, ancora, non si sentiva pronto per nulla. Non si sentiva più coraggioso o più preparato e anzi, aveva una gran paura di fare una brutta figura e deludere le loro aspettative.
Erano lì, impettiti, ad aspettarsi chissà cosa. Mentre lui era sicuro che sarebbe caduto di sotto al primo salto tra due palazzi.

Allora” prese la parola Leo, ovviamente con la sua aria da leader, “questa è la tua prima ronda, Steve. Ci sono delle regole, alcune le imparerai col tempo e con gli errori, ma su tre non transigo: uno, rimani sempre con uno di noi; due, non gettarti in una lotta senza aver pensato bene ai pro e i contro e alle varie vie di fuga, e questo ci porta al tre: se pensi che il nemico sia troppo forte per te, scappa. Tutto chiaro?”
Steve annuì furiosamente ad ogni parola e anche alle pause respiro, rigido come uno stoccafisso. Era un fascio di concentrazione e determinazione. Nonostante le loro attese nei suoi confronti, riusciva a leggere negli occhi degli amici anche una profonda fiducia che non avrebbe infranto.

Perfetto, incominciamo.”
Leo in testa, i quattro si lanciarono in avanti, senza alcun tipo di comando; erano così affiatati ormai che le parole erano superflue. Percorsero i pochi metri fino al bordo del tetto e si lanciarono nel vuoto senza esitazione: librarono nell'aria elegantemente e atterrarono perfettamente sul palazzo di fronte.
I loro occhi ritornarono a scrutarlo da lontano, eppure lui riusciva perfettamente a vederci tutti i loro incitamenti.

Forza, Steve” urlò Leo, come un comando.

La cosa pareva davvero davvero stupida, a Steve. La sua prima prova di salto e nessuno sarebbe stato al suo fianco? E se la rincorsa o la spinta non fossero state abbastanza e lui fosse caduto di sotto?
L'avrebbero preso in tempo? L'avrebbero preso e basta?
Don gli fece un gesto col pollice su e Mikey un grande sorriso.
Oh, avrebbe voluto vedere i loro sorrisi sciogliersi quando lo avrebbero raccolto dall'asfalto di sotto. Quanti metri era alto quel dannato palazzo? Trenta? Quaranta?

La fifa stava decisamente prendendo possesso del suo corpo, mandandolo nel panico. Senza rendersene conto aveva iniziato a respirare sempre più velocemente e i contorni sbiadivano e sfocavano e niente sembrava avere senso.

Se non vieni qua immediatamente, ti lancerò personalmente di peso” gridò un grosso vocione, che schiarì all'istante quel magone.
Raphael non stava scherzando affatto. Non era incoraggiante come gli altri, ma forse proprio per quello più utile in quel momento.
Respirò a fondo, il ragazzino, e strinse e chiuse le mani a pugno infinite volte, cercando di imbrigliare la paura quel tanto che bastava.
E accadde.

I piedi si mossero sul cemento e si ritrovò proiettato in avanti senza averlo nemmeno deciso: il bordo era sempre più vicino, la paura c'era ancora, ma non riusciva più a fermarlo; puntò un piede sul cornicione e spiccò il salto. Le sue mani e le sue gambe mulinavano sgraziatamente, lo sapeva, ma tutto ciò che gli interessava davvero era non schiantarsi giù.
La forza di gravità lo richiamava e l'aria lo sosteneva, in egual misura.

Il contatto col terreno fu brusco come se l'era aspettato, sbatté i piedi duramente e cadde a terra, ma un paio di mani fortunatamente lo afferrarono, evitandogli danni ben peggiori.
Non è stata male, come prima volta” esclamò Don, rimettendolo in piedi. Che, purtroppo, gli dolevano da morire.
Fece finta di nulla e camminò solo un po' zoppicante, sentendosi abbastanza fiero. Perlomeno di essere ancora vivo. La paura si stava dissolvendo e lui ci era riuscito, aveva davvero saltato tra due palazzi, sfidando il vuoto. Si sentiva davvero fiero.

Lavora un po' sull'atterraggio, magari” aggiunse Raph, con un sorriso.

Steve immaginava che fosse tutto lì, per quel giorno. E invece Leo ordinò un giro completo di ronda, di punto in bianco.
Se pattugliamo è meglio dividerci” disse Raphael, che si era fatto via via più distratto.
No, meglio rimanere uniti per oggi” lo contradisse il leader, che ovviamente pensava al fatto di avere Steve con loro.
Ok, voi fate pure le mamme chiocce. Ci vediamo al rifugio” esalò il fratello, ormai già lanciato in una corsa. Sparì alla vista in un attimo, saltando con agilità gli ostacoli sul suo cammino.

Un paio di sospiri riecheggiarono nella notte.
Non prendertela, Steve, ok? Non ha niente a che fare con te” lo rassicurò Mikey, che continuava a guardare nel punto in cui suo fratello era sparito.

Lo sapevano tutti che più tempo passava, più la pazienza di Raphael si assottigliava. Sapeva di dover attendere, e i primi periodi, benché i più duri, era stato bravissimo. Ma più i giorni si accumulavano, più la speranza svaniva. Di riuscire a farcela, di vederla, che lei tornasse.
Una lettera a settimana non era abbastanza. Non poterle far sapere quanto gli mancasse era agonia. La aspettava, fiducioso, e ogni giorno che passava quella fiducia si sgretolava, pian piano.
Si muovevano tutti in punta di piedi, quando era nei paraggi. Ma lui non scattava, diventava solo più silenzioso, un po' malinconico. Di ronda preferiva stare da solo, lo immaginavano sedersi su un cornicione a guardare il cielo, con sospiri infelici.
Nessuno poteva farci nulla, nessuno sapeva che fare per distrarlo, per far passare il tempo più velocemente.

Ma lei tornerà, no?” domandò Steve, timidamente.
Non era come nel caso di sua madre, in fondo. Lei era morta, ma Isabel prima o poi sarebbe tornata, per quanto la sua mancanza potesse fare male. E faceva male.

Certo che tornerà! Non voglio nemmeno immaginare il casino che gli piazzerebbe il sensei, se solo provassero a trattenerla laggiù più del dovuto!” esclamò Mikey, con foga.
E non appena avrà finito non ci sarà nulla che la tratterrà lontana da Raph, puoi starne certo” aggiunse Leo, con un sorrisino.
Non sappiamo che addestramento stia affrontando, di certo non è semplice” finì Don, facendo spallucce.

Rincuorati dalle loro stesse parole, decisero di proseguire quella ronda. Raphael se la sarebbe cavata perfettamente, in fin dei conti.

Una volta acquisita la fiducia necessaria, Steve si dimostrò in gamba come pensavano; era agile e scattante, e veloce, propenso ad essere furtivo e invisibile. Un ninja nel senso più puro del termine, quelli che si fondevano nelle ombre, maestri dello spionaggio.
Ovviamente approfittarono del giro per tenere gli occhi aperti. Si imbatterono in molti gruppi di vigilanze di quartiere, dovettero fare attenzione il doppio per non essere scorti, ma era tutto di guadagnato nell'addestramento di Steve; cercarono comunque di tenersi lontani dal centro, pensando di trovare meno gente, in realtà non cambiava poi molto, ce n'era tanta ovunque.

Steve cominciò a provarci gusto, dopo qualche ora. Sovrastava le vite degli altri, passeggiando sulle loro teste, nell'oscurità, vegliando su di loro. Non avrebbe potuto farlo sempre, la scuola non poteva marinarla, ma il finesettimana non gli sarebbe affatto dispiaciuto volare sui tetti con i suoi amici e aiutarli.
Sempre se si fosse dimostrato degno.

Silenzio. C'è qualcuno nel vicolo” sussurrò Leo, accucciandosi dietro il cornicione. Dalla stradina sotto di loro provenivano dei rumori sordi, che qualcuno cercava di attutire. Per alcuni secondi non si udì più nulla, poi di nuovo un leggero sferragliare gli arrivò fino alle orecchie.

Seguendo l'esempio del leader si sollevarono tutti di poco per sbirciare oltre il parapetto in pietra, quel tanto che bastava per rendersi conto di cosa stesse accadendo: nella penombra, un gruppo di uomini stava trafficando all'uscita secondaria di un negozio di elettronica, andando e tornando con le braccia cariche di pacchetti e mercanzia verso il furgone parcheggiato proprio all'ingresso del vicolo cieco. Erano in cinque, armati con mazze e catene, tutti piuttosto grossi e guardinghi.

Ok, non si aspettano un attacco a sorpresa” sussurrò Leo riaccucciandosi dietro il cornicione. “Abbiamo un grosso vantaggio, attaccheremo dall'alto.”
Cos- io- io no, vero?” tentennò Steve, gli occhioni così sbarrati di paura che ci si riflettevano le luci dei palazzi dentro. E che si vedesse quella paura non gli importava nemmeno più di tanto.
Si scontrò coi loro sorrisi fiduciosi, che adesso iniziavano a spazientirlo.

Sta a te decidere. Intanto tieni questa, nel caso in cui tu decida prima della fine” esclamò Donatello, poggiando la maschera nera che aveva creato sul suo viso, su cui si adattò perfettamente. Era semplice e levigata, senza fronzoli o decori.
Era gelida contro la sua pelle.

Scendiamo leggeri e senza rumore” disse Leo, alzandosi. Gli altri seguirono silenziosamente il suo esempio e tutti insieme si portarono al parapetto, attenti a non farsi scorgere. Uno a uno iniziarono a scendere.
Non farci aspettare troppo, ok?” bisbigliò Mikey, mandandogli un occhiolino prima di lasciarsi andare nel vuoto.

Steve rimase lì, i corti respiri che traeva fra i denti rimbombavano nello spazio angusto della maschera, riscaldandogli il viso. Tutta la sua concentrazione era serrata attorno a ciò che accadeva di sotto, tesa a percepire il minimo cambiamento.

I mostri! Sono tornati i mostri!” gridò qualcuno all'improvviso, spazzando il silenzio. Altre grida concitate seguirono e un gran trambusto di pacchi lasciati cadere e plastica e metallo che si infrangevano a suolo.

Scalpiccio di passi frettoloso e rumori di lotta. Nuove voci, nuove persone, dei rinforzi. La sua immaginazione galoppava sfrenata... cosa stava accadendo là sotto? Loro non potevano essere nei guai, erano troppo forti, troppo allenati per essere sconfitti da una banda di ladruncoli, no? Ma se...
Lui avrebbe potuto aiutarli in qualche modo? O sarebbe diventato solo un peso o una distrazione una volta sceso?
La testa gli scoppiava da morire, il cuore batteva così forte nel petto da bloccargli quasi il respiro.
Un altro grido si levò alto verso il cielo, scuotendolo.

Strinse forte i denti e si alzò, no, letteralmente si gettò giù dal palazzo, prima che qualsiasi altro pensiero potesse frenarlo; i primi istanti di vuoto furono paura, poi l'adrenalina prese il sopravvento e niente l'avrebbe davvero più fermato.
Cowabunga!” urlò nella notte, avvitandosi su sé stesso per frenare la caduta.
La risata di Mikey riecheggiò da qualche parte sotto di lui.

Questa volta l'atterraggio fu quasi perfetto, senza contraccolpi; Steve si rialzò, ma non era più Steve, in un certo senso: era il guerriero nato dentro di lui, che non aveva nome, né la sua indecisione o le sue paure.
Leo, Don e Mikey stavano lottando poco distanti da lui e con la coda dell'occhio vide i rinforzi arrivati che davano loro filo da torcere; forse erano un decina, non ne era sicuro.

Un altro mostro! Maledetti schifosi!” grugnì uno di loro, lanciato contro il ragazzino.
Steve schivò con facilità il tubo di ferro che l'uomo impugnava, mandandolo a sbattere contro il muro dello stretto vicolo.

Sono un umano, idiota!” esclamò arrabbiato. “E loro non sono mostri!”

I suoi Tanbō apparvero letteralmente nelle mani, tanto veloce li aveva afferrati: il resto fu confuso, ma allo stesso tempo incredibilmente nitido; gli uomini si accorgevano di lui e lo caricavano, era piccolo, era fragile, ma lui riusciva ad evitarli con una semplice torsione, con una schivata minima, e i bastoni nelle sue mani stoccavano come saette verso le loro braccia, verso le giunture. Li voleva rendere inoffensivi, non davvero infierire su di loro.
Era attorniato da grida sorprese e di dolore. Non si aspettavano che quell'esserino potesse creare così tanto scompiglio. Piccolo come una formica, pungente come un'ape.
L'adrenalina scorreva senza freni, era potente, era forte.

La realtà lo colpì duro in faccia sotto forma di pugno e si trovò a volare, poi sbatté contro la parete alle sue spalle, con uno scricchiolio sordo. Il fiato gli si spezzò in gola per il dolore.
Steve!” gridò Don spaventato, pronto a soccorrerlo. Il braccio di Leo apparve dal nulla, bloccando il suo scatto repentino. Il leader scosse la testa davanti ai suoi occhi confusi, perentorio.
Era una prova in cui non dovevano intervenire.

Il ragazzino al suolo cercava di snebbiare la mente, mentre un uomo lo caricava approfittando della sua debolezza: faceva ruotare una pesante catena di ferro in una mano, che fischiava come il vento.

Steve non si alzò. Non ne aveva il tempo.
Si appiattì ancora di più contro il terreno e spinse contro il muro con le mani, lanciandosi raso terra. Passò attraverso le gambe dell'energumeno come un proiettile, uno dei Tanbō stretto in una mano. Colpì dritto contro un ginocchio e il suo aggressore si accasciò per il dolore, lasciando andare la sua arma.

Steve riprese fiato, sollevandosi lentamente. Sentiva solo il proprio respiro. Si voltò piano per studiare i dintorni e incontrò con lo sguardo i suoi tre amici, ritti in mezzo agli uomini svenuti, che lo osservavano a loro volta.
C'era un sorriso obliquo sui loro visi, che pian piano si aprì. Steve sentì il Tanbō cadergli di mano, adesso che l'adrenalina svaniva e tutto assumeva i contorni della realtà. Tremava.
Non dissero nulla, loro, si avvicinarono in silenzio e lo abbracciarono a turno e quello bastò a dire tutto, a fargli capire tutto. Non si sentiva meglio o peggio, un eroe o un paladino, ma sentiva di aver fatto la differenza, anche se di poco, quella notte.

Aveva avuto così tante emozioni, tutte assieme, da sentire la stanchezza addosso tutta di colpo. Per fortuna la serata era giunta al termine, i ragazzi non avrebbero mai continuato a trascinarlo ancora in giro, ne era sicuro. Lo avrebbero riportato a casa e poi l'indomani avrebbero discusso al dojo di quella sua prima uscita di ronda, valutando i pro e i contro.
Anche se lui sapeva che non avrebbe dormito nemmeno un minuto dopo quell'esperienza.

Donatello gli tolse la maschera dal viso per valutare se avesse riportato danni, ma un urlo improvviso distolse lui e gli altri da ciò che stavano facendo.
Fu un lungo, prolungato grido che spense ogni altro suono nei dintorni. Agghiacciante. Terrorizzato.

Leonardo scattò già prima che si fosse spento, mentre Mikey sembrò titubare un attimo prima di decidersi a seguirlo.
Rimani qui” ordinò infine il genio, rimettendo la maschera nera nelle mani del ragazzino e accodandosi ai suoi fratelli.

Sparirono oltre il bordo del vicolo, diretti approssimativamente verso la fonte dell'urlo, a nord. Stavano correndo in bella vista, ma ben attenti a non essere scorti, correndo da ombra ad ombra, trovando riparo dietro auto e furgoni parcheggiati.
Leo!” chiamò una voce dall'alto.
Raphael correva sopra le loro teste, qualche metro più avanti.

Sono loro!” li informò, accelerando poi l'andatura. I tre fratelli saltarono su alla prima scaletta antincendio disponibile, seguendo la sua scia.
Non c'era più nessuna voce, nessun altro urlo a segnalare dove fossero o cosa stesse accadendo; solo Raph sembrava sapere dove andare, forse li teneva d'occhio da un po', forse li seguiva da ore.

Videro la sua ombra sparire oltre il tetto di un palazzo e poi uno stridio sordo, che già ben conoscevano. Premendosi le mani contro le orecchie raggiunsero il punto.
Nello spiazzo sotto di loro, Raphael cercava di resistere a quel suono straziante e nel contempo di non perdere di vista le creature. Erano loro. Rosse e gialle, squame e artigli, così come le ricordavano; solo il loro numero differiva, perché questa volta erano pochissime, sei al massimo. Tre per ogni colore.
Una di loro teneva tra le braccia squamose un bambino di due anni circa, svenuto, probabilmente colui che aveva gridato poco prima.

Donnie, come facciamo a combattere?” urlò Leo al di sopra dello stridio, premendo più forte le mani contro i fori auricolari.
Il genio forse era preda del suono, perché sembrava confuso, con lo sguardo spento. Assorto o ipnotizzato.

Dobbiamo... coprire... gli auricolari! Gli auricolari del cellulare!” mormorò mentre cercava di trovare la soluzione.

Con fatica riuscirono ad afferrare i Shellcell dalle taschine e a sfilare gli auricolari collegati, posizionandoli poi nelle orecchie: immediatamente il gorgoglio della creatura si affievolì, anche se rimase comunque perfettamente udibile. Pure, sembrava che smorzandolo riuscissero a rimanere focalizzati più a lungo.

Non sapendo quanto potessero resistere, decisero di agire: entrarono in scena con un balzo, aiutando Raph che era palesemente in difficoltà, nonostante il numero esiguo; strizzò gli occhi nella loro direzione e si accorse degli auricolari che indossavano. Mentre i tre fratelli si lanciavano contro le creature, anche lui seguì la loro idea per difendersi dall'attacco sonoro.
Il mostro che teneva il bambino indietreggiò, mentre gli altri si avvicinarono ferocemente, quelli rossi con i lunghi artigli delle mani sguainati, quelli gialli armonizzando i loro stridii per provare a confonderli ulteriormente.

Si divisero in due gruppi, Leo e Mikey da una parte contro le creature artigliate e Raph e Don contro le altre: neutralizzarle entrambe era l'unico modo per arrivare a qualcosa.

Si chiesero tutti e quattro se fossero gli stessi contro cui avevano combattuto la volta precedente, perché nessuna delle loro mosse andava a segno, come se le loro tecniche fossero ormai state assimilate e imparate: le creature evitavano con facilità ogni loro attacco e arrivavano sempre più vicini a colpirli, fiaccando le loro difese.

Non si erano accorti quanto caos stessero creando, quanto rumore producessero. Dovevano capire che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che qualcuno si accorgesse di loro, così esposti. Ma fu solo quando le sirene della polizia riuscirono a oltrepassare gli stridii dei mostri e la protezione degli auricolari che lo capirono; erano praticamente arrivati.

Si distrassero solo un attimo, un frammento di secondo, ma fu più che sufficiente: la creatura che stringeva il bimbo scappò repentinamente e le altre la seguirono per proteggere la sua fuga, continuando a gridare.
Non devono scappare!” ordinò Leonardo, correndogli dietro.

Si gettarono all'inseguimento, ognuno con la propria andatura, perché lasciarli andare non era un'opzione accettabile: Mikey era in testa e pompava i muscoli delle gambe allo stremo, nonostante bruciassero da morire. Non li avrebbe persi, non di nuovo.
I mostri scartavano velocemente ogni ostacolo e cercavano una via di fuga con disperazione, l'agitazione era percepibile dal cambiamento nel loro verso: si era trasformato in un sibilo acuto e irritante, il suono che avevano sentito prima che sparissero la notte di Halloween.

No! No, dobbiamo prenderli!” urlò il leader, presagendo lo stesso scenario.

Un'ombra nera cadde dal cielo; per la sorpresa le creature si bloccarono e il loro richiamo si interruppe di colpo, mentre valutavano il da farsi, presi tra due fuochi.
La figura nera li teneva sotto controllo con i Tanbō pronti, i capelli biondi scossi dal vento.
Non seppero da quanto Steve fosse dietro ai mostri, ma furono così contenti di vederlo: la sua apparizione non prevista li aveva spiazzati quel tanto che bastava a permettere loro di raggiungerli; li accerchiarono senza esitazione, anticipando qualsiasi loro mossa.

Il sibilo di prima, però, non era sparito. Lontano, flebile, arrivava ancora alle loro orecchie, nonostante avessero gli auricolari; la creatura con in braccio il bambino fu la prima a reagire: la videro tremare sul posto, il viso rivolto verso l'alto.
Meravigliati dalla sua reazione si affrettarono ad osservare anche le altre e tutte tremavano, qualcosa sembrava scuoterle dall'interno, facendo tremolare la loro carne violentemente.

C'era qualcosa di sbagliato. Qualcosa di sbagliato nelle loro espressioni spaventate che diede loro il magone.
E poi, nel silenzio attonito, esplosero. In volute di fumo nero, scoppiarono una ad una, lasciandosi dietro solo polvere impalpabile. Qualcuna aveva lanciato un leggero grido, ma troppo sommesso per essere udito.
Deglutirono tutti a vuoto, senza accorgersene. Un moto di raccapriccio scorse nelle loro vene, ma non riuscivano a muoversi.

L'ultima creatura stringeva ancora il bimbo, ma con disperazione questa volta. Abbassò il capo e lì guardò e c'era confusione nel nero dei suoi occhi e paura. Poi, esplose anch'essa nel nulla, senza aprire bocca.
Mikey si tuffò immediatamente in avanti per salvare il bambino che cadeva come al rallenty verso il suolo, strisciando guscio a terra per fare prima: lo afferrò e lo strinse a sé, fermandosi ansimante al centro della scena.
C'era silenzio attorno e confusione nelle loro teste. Quello a cui avevano appena assistito li aveva sconvolti e scossi più di quanto pensassero.

C'era qualcosa di sbagliato.


I Tanbō sono bastoni, in genere un terzo dei Bō. Quelli di Steve sono due di 35 cm.


Note:

Buonanotte a tutti.

È sempre un piacere pubblicare un nuovo capitolo.
Voglio rassicurarvi su una cosa: non ho intenzione di pubblicare una volta al mese o perfino meno: voglio ritornare a mettere un capitolo a settimana. Ci sto lavorando e io giuro che ce la farò. Perciò, vi do fiduciosamente appuntamento a martedì prossimo.

Passando alla storia, le creature sono riapparse. Prima lotta di Steve, il piccolo vigilante. E poi, un nuovo mistero.

Ho fatto un disegno per farvi vedere come li ho immaginati, abbiate pietà che è pessimo.

Vi ringrazio della vostra costanza, delle belle parole, per la vostra gentilezza. Questa storia non è nulla senza di voi.

Abbraccione infinito

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Capitolo 19
*** Something New ***


... nella notte si sono verificate altre sparizioni, poco prima della mezzanotte: Stefanie Mcgunnson di due anni, da Tribeca; Mark Stolson di un anno, dal Queens, e una donna incinta di sette mesi, Elizabeth Miller, dall'Upper est side. Le loro famiglie sono molto preoccupate ed esortano chiunque possa avere loro notizie a farsi avanti; la polizia per ora non ha indizi concreti e pare che non ci siano testimoni che possano fornirne. Di certo queste sparizioni vanno ad accumularsi a tutte quelle dei giorni pass-”
Un click interruppe la voce del giornalista e i televisori si spensero tutti contemporaneamente. Rimasero a guardare il nero degli schermi, per alcuni minuti.

Nonostante tutto c'erano stati altri rapimenti, nonostante tutto ancora non era finita.
Erano stati sciocchi a non pensare che potessero essercene altri fuori quella stessa notte, che potessero essersi divisi in gruppi per coprire più spazio.

Pensate che anche gli altri siano esplosi?” domandò timidamente Mikey, nel silenzio.

Se lo erano chiesto tutti, in effetti. Dopo quello che era successo, a cui avevano assistito, non potevano non domandarselo.
Ognuno si era chiesto cosa fosse successo, se fosse stato reale. Donnie, ovviamente, era stato quello che aveva formulato più teorie nella sua mente, eppure ancora non sapeva se parlarne con i suoi fratelli.

Per esempio, quell'esplosione avrebbe anche potuto non essere un'esplosione in fin dei conti. Poteva essere un sistema di teletrasporto, anche se... quella paura nei loro occhi non sarebbe stata giustificata. E perché poi lasciare il bambino lì?
No, no, molto improbabile.
Ma se fosse stato un meccanismo di difesa? Un modo per non essere presi, autodistruggersi per non cadere in mani nemiche; in quel caso, anche se premeditato, la paura sarebbe stata logica.
Ma esplodevano sempre? O solo se messi alle strette? E quel sibilo... ok, non aveva molte più certezze rispetto agli altri, anzi, forse solo più domande.

Potrebbe darsi” sussurrò infine a voce alta, facendo spallucce.

Ricadde immediatamente il silenzio, la mente di nuovo alla serata. Steve sedeva con loro, più muto del solito, una benda a fasciargli la mano dopo che Don l'aveva controllato per bene e aveva trovato un'escoriazione sul palmo.
Era stata una nottata di emozioni continue, al limite della tachicardia.
Si era occupato lui di riportare il bambino a casa, dopo che il genio aveva fatto delle ricerche per sapere chi fosse, e a lasciarlo sul portico senza essere visto, evitando soprattutto la pattuglia di polizia che era arrivata chiamata dai genitori spaventati.
Una notte stressante, una notte strana. Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere la paura in quelli dei mostri, all'improvviso. Come se gli stessero chiedendo aiuto.

Qual era il confine tra buoni e cattivi? Erano così sicuri che quei mostri lo fossero, cattivi?

Stanotte abbiamo salvato un bambino, e tanto basta. Dobbiamo cercare di capire cosa sta succedendo, però, perché le cose potrebbero non essere come pensiamo. Per oggi va bene così. Da domani riprenderemo a pattugliare e cercheremo risposte, tenendo in conto quello che abbiamo scoperto questa notte. Ma non fatevi influenzare, non ancora” disse pacatamente Leonardo, sentendosi pressato ad un discorso da leader, inconsciamente.
Le sue parole sembrarono essere effettivamente ciò di cui avevano bisogno, sembrarono rincuorati nonostante il silenzio permeasse ancora.
Steve rimase a dormire da loro dato che il giorno dopo sarebbe stata festa a scuola e avrebbero potuto parlare tranquillamente della sua prima ronda e della sua prima lotta, perciò si congedarono e andarono a dormire, anche se i sogni di tutti furono tormentati da occhi neri colmi di paura.


Per alcuni giorni ci fu relativa calma, insolita calma.
Tanta da far pensino pensare che la minaccia fosse definitivamente scomparsa, che i mostri si fossero volatilizzati quella stessa notte davanti ai loro occhi. Nessun annuncio di scomparsi o di avvistamenti, un silenzio tombale e inquietante.

Questo non voleva dire però che loro non dovessero pattugliare. Divisi per coprire più spazio, ogni sera correvano per i tetti con occhi e orecchie attenti a non perdere nemmeno un suono o qualcosa di strano.
I soliti crimini si consumavano tra le strade, perfino in tempi di paura come quelli. Anzi, le più infime forme di vita approfittavano della situazione proprio per perpetrare i loro misfatti impunemente, convinti che tutto fosse più semplice.
Perciò a loro toccava assicurarsi che innocenti non ci andassero di mezzo e allo stesso tempo cercare ancora prove, essere recettivi a qualsiasi cosa.
Poco prima dell'alba si incontravano sul tetto di un palazzo abbandonato, e con calma facevano il punto della nottata, scambiandosi informazioni e teorie. Il piccolo Steve non aveva ancora ripetuto la ronda, a causa della scuola, ma per il fine settimana sarebbe stato dei loro.

Michelangelo stava volando da tetto a tetto, piuttosto facilmente. Da quando era iniziata la ronda non aveva fatto altro, non c'erano stati casi in cui lui avesse dovuto intervenire; la mezzanotte era già dietro l'angolo e sentiva un pochino di stanchezza. No, non era vero, era noia. Si stava annoiando e con la mente era già seduto sul divano a premere il pulsante del telecomando per scorrere i canali in cerca del suo cartone preferito; o seduto a giocare con l'ultimo videogioco che non aveva ancora finito o a riscorrere i suoi amati fumetti dall'inizio.
Invece era costretto a stare al freddo, da solo, con l'umidità che entrava nelle ossa.
Se fosse stato fortunato non sarebbe successo nulla per quella notte e in un paio d'ore il suo sogno sarebbe diventato realtà.

Uno strillo solitario infranse il silenzio e il suo sogno, tutto in un secondo. Si spense in un pianto fragoroso, da bambino, e dopo pochi istanti anche quello morì, senza preavviso.
Mikey sospirò sonoramente, prima di invertire il senso di marcia e correre più veloce che poteva. La mano era già sul Shellcell, sui tasti di chiamata rapida in conferenza.
Risposero un pronto, un dimmi e un grugnito.

Emergenza, raggiungetemi a Noho” mormorò velocemente, chiudendo senza nemmeno aspettare le loro risposte.
Si infilò in Bond Street e raggiunse la grande Lafayette Street in pochi istanti, poi virò a destra e cercò per bene nel punto dove pensava di aver sentito il grido.

Il telefono trillò all'improvviso, facendolo trasalire.
Tu sei sicuro che siano loro?” domandò Don quando premette il pulsante di risposta.
E si dice per favore” lo sgridò all'istante la voce arrabbiata di Raphael.
Da che parte di Noho?” chiese più pratico Leo.

Mikey odiava davvero molto la chiamata in conferenza, soprattutto perché i suoi fratelli non rispettavano mai il proprio turno, ma parlavano tutti assieme, sempre.
Sono sulla Great Jones street e non sono sicuro, ma ho sentito-”

Si interruppe al sentire uno scambio di gorgoglii sommessi poco più avanti e cercò di capire da dove arrivassero, ma con le voci degli altri tre nelle orecchie non era per niente facile. Continuavano a ciarlare, a chiedergli spiegazioni, a inveire...
State zitti!” sbottò spazientito. Saltò il divario con il palazzo di fronte con un grande balzo, usando uno spesso filo teso tra i due come ponte, poi acuì nuovamente l'udito.
Per rispondere alla tua domanda, Donnie, sono loro” esalò infine, gli occhi fissi sotto di sé.

Erano quattro questa volta. Due attendevano in strada, facendo da palo, mentre gli altri due si erano arrampicati fino al terrazzo del primo piano e per quel che poteva vedere, stavano cercando di far passare un bambino svenuto dalla finestra per portarlo via.
Dato che quella era la cosa più importante, si gettò direttamente nel terrazzo, prendendo alle spalle uno di loro: lo afferrò e lo scaravento fuori con un solo gesto, senza molte cerimonie; l'altro sbarrò gli occhi di sorpresa e, il bambino ancora stretto nelle braccia, iniziò ad indietreggiare per cercare una via d'uscita.

Lascialo andare immediatamente!” esclamò Mikey lanciandoglisi addosso. A mente fredda di certo gli sarebbe sembrata una scemenza, ma vedere il bambino così piccolo e indifeso nelle braccia di quell'essere, nella sicurezza della sua camera piena di peluche che era appena stata violata, gli aveva dato alla testa.
Il mostro barcollò senza appigli e un secondo dopo ruzzolava per il pavimento con dolore, mentre Michelangelo afferrava al volo il bimbo, a mezz'aria. Lo appoggiò cautamente nella sua culla, prima di voltarsi a cercare la figura della creatura, che strisciava lentamente verso la finestra.

Fuori da qui!” urlò, spingendola di malagrazia. Si voltò ancora una volta indietro, per assicurarsi che il bambino stesse bene, ma a parte sincerarsi che respirasse non poteva fare poi molto.

Prese in fretta il telefono dalla tasca, digitando tre cifre.
911, qual è l'emergenza?” disse la voce affabile dall'altra parte.
Un bambino è stato aggredito al 9 di Great Jones street, primo piano. Fate in fretta” mormorò gettandosi fuori dalla finestra.
Pronto? Chi parla, cos'è succ-” provò a chiedere la centralinista, prima che lui chiudesse la chiamata. I quattro mostri erano raggruppati nella stradina, impegnati in una fitta conversazione o almeno quella che pareva una conversazione, con scambi di suoni gutturali e stridii.

Non appena si accorsero della sua presenza, tutti e quattro scattarono verso l'imboccatura della via, all'unisono; Mikey premette quel dannato pulsante sul telefono per l'ennesima volta quella notte.
Si stanno spostando, verso Lafayette a sud” spiegò ai fratelli, mettendosi sulle loro tracce.
Perfetto” risposero i tre contemporaneamente, il suono dei loro respiri affaticati per il ricevitore.

Li seguiva a terra, ma mentre lui cercava di mescolarsi nelle ombre, i mostri correvano per la via in piena vista, suscitando lo sgomento di chi li vedeva. Ci furono parecchi strilli e perfino un piccolo tamponamento, quando una macchina aveva frenato per evitare i quattro mostri che gli correvano incontro per la strada, a tutta velocità.
Maledetti” aveva imprecato Mikey tra i denti.
Stanno girando per Bleecker Street, sulla sinistra” comunicò al telefono, senza nemmeno sapere se gli altri fossero ancora in linea.

Svoltò anche lui e li avvistò pochi metri davanti a sé. Un'ombra nera cadde dal cielo davanti a loro, seguita all'istante da un'altra, deviando la loro strada: Leo e Raph erano minacciosi con le loro armi in pugno.
Le creature si diedero una veloce occhiata attorno e poi alle spalle, dove lui e l'appena arrivato Don stavano avanzando; in un secondo scartarono alla loro sinistra, verso un'imboccatura che non sapevano dove avrebbe portato.
I quattro fratelli li seguirono a poca distanza, decisi a non farseli scappare. E sembrava più facile del previsto: si erano infilati nello spiazzo tra due palazzi, una sorta di piccolo patio chiuso su tre lati, tranne il cunicolo da cui erano entrati, al momento sorvegliato da loro.
Si avvicinarono cautamente, alla stessa velocità con cui quelli indietreggiavano.

Donatello fece un passo avanti più degli altri, le mani in alto come un pregiudicato preso con le mani nel sacco.
Cosa- cosa siete? E cosa volete?” domandò con voce calma, fermandosi e tenendo sempre le mani bene in vista.

I mostri sembrarono spaventati dal suono della sua voce. O forse dal suo tentativo di approccio. Si guardarono uno con l'altro, scambiandosi un sibilo basso.
Ma Don aveva già capito una cosa essenziale: loro avevano capito cosa aveva detto. Senza possibilità di sbagliarsi.

Perché rapite i bambini?” incalzò allora, velocemente.

I sibilo dei mostri si trasformò immediatamente in un gorgoglio graffiante e le loro facce espressero una rabbia improvvisa e brutale: due di loro si gettarono contro di lui all'istante, furiosi.
Don, giù!” ordinò Raphael, mettendosi davanti coi Sai già alti. Uno di loro si fermò in tempo, l'altro andò dritto contro l'arma e Raph lo sentì sussultare quando si infilzò violentemente nel braccio della creatura.
Con un grido di dolore strappò letteralmente l'arto dalla lama, lasciando una scia di sangue scuro sul pavimento.

Vogliamo solo capire!” urlò Donatello, che si era già rialzato e aveva afferrato il fidato bastone in una mano.
Le creature ringhiarono ancora e l'unica gialla aprì la bocca, modulando la voce in quel suo suono ipnotico e stordente. Le mani corsero immediatamente alle orecchie per provare a resistere.

Stavano di nuovo per mettere mano agli auricolari, come la volta precedente, quando il verso si trasformò nel sibilo conosciuto e temuto da entrambe le parti.
Otto paia di occhi si spalancarono di paura, mentre quattro corpi iniziavano a tremare.
Volevano fare qualcosa per loro, ma cosa? Cosa stava accadendo davvero?
Quattro esplosioni in simultanea in fumo nero e le creature scomparvero nel nulla, come già accaduto.
E nonostante fosse già accaduto, non lo rendeva meno orribile.

Donatello iniziò a vagare a testa bassa per lo spiazzo a piccoli passetti. Rimasero per qualche istante ad osservarlo, poi Mikey non ce la fece e domandò quello che stavano pensando tutti.
Cosa cerchi, Donnie?”
Lo pronunciò un po' titubante, come se temesse che la sanità del fratello fosse andata a farsi benedire.

Le tracce di sangue della creatura. Sono scomparse. Se ne trovassi anche solo una potrei analizzarla.”
Dopo la frettolosa spiegazione il genio ritornò a cercare in tondo, scrutando il terreno con insistenza.

Ce n'è un po' sul mio Sai, se ti può-”
Raphael non riuscì a finire la frase che suo fratello gli si era già gettato addosso e gli aveva strappato l'arma di mano, cercando contemporaneamente nella piccola borsa che portava a tracolla. Ne tirò fuori un paio di vetrini e si sbrigò a bloccare il frammento di pelle trovato sui Sai tra di essi.

Te li stavi portando dietro?” domandò incredulo Michelangelo, mentre Raphael si riprendeva la sua arma e la ripuliva con disgusto.
Sì, per prendere un campione appena possibile” rispose il genio, tenendo il vetrino tra le mani come una reliquia. “Devo correre a studiarla, prima che possa scomparire.”
Qualsiasi parola fu inutile, perché Don era già sparito verso il rifugio, con tutta la velocità possibile.

E facendo fede alla parola data, iniziò a studiare immediatamente quel campione di pelle e sangue, timoroso che potesse davvero volatilizzarsi nel nulla come i mostri.
Quando tornarono a casa, lo trovarono già nel laboratorio immerso fino al collo in alambicchi e provette, con le occhiaie ben visibili attraverso gli occhialetti per il fumo.
Leatherhead arrivò mezz'ora dopo, chiamato dal genio per dargli una mano.

Bene, ce lo siamo giocato” commentò Michelangelo, con un sospiro.
Speriamo almeno che riesca a scoprire qualcosa” mormorò stanco Leo.

Ovviamente, trattandosi di Donatello, la ricerca divenne praticamente un'ossessione. Per cinque giorni filati non mise piede fuori dal laboratorio, nemmeno per mangiare o dormire.
Dai, Don, stacca per stasera” lo pregò Mikey, entrando nella stanza come un uragano.
Il fratello alzò lievemente la testa e grugnì in risposta, prima di ritornare a concentrarsi sul lavoro.

Genio, ascoltalo per una volta” fece eco Raphael, che lo aveva seguito nella sua crociata.

Donatello ignorò anche lui e continuò a studiare i vetrini al microscopio, come se non fossero nemmeno lì.
Uno sbuffo sonoro si udì per la stanza.

Stasera c'è la cena da April, vuoi perdertela?” infierì Leonardo, appena arrivato.

La menzione della cena sembrò scuoterlo per un attimo e si sforzò di dare loro la sua attenzione.
Ditele che mi spiace molto, ma per oggi non posso venire” si scusò, sinceramente. Era diviso tra il desiderio di una pausa, di una deliziosa serata in famiglia, e l'ossessione di trovare una risposta quanto prima.
Vide che i suoi fratelli avevano aperto nuovamente la bocca.

Sul serio, solo per questa sera, ok?”
Accolsero la sua supplica e quella muta di Leatherhead e sconsolati andarono via dal rifugio, diretti verso casa Jones.

April e casey ormai organizzavano una cena in famiglia almeno una volta a settimana, per stare tutti assieme, dicevano, ma per poterli tenere d'occhio e sapere le ultime novità, realmente.
April era ormai vicina al settimo mese di gravidanza e ormai era messa forzatamente a riposo: si annoiava moltissimo a casa e in più stava in ansia per tutti loro, un connubio deleterio per lei. La trovarono intenta a inventare qualcosa su un progetto in carta blu, seduta al tavolo della cucina.

Cosa fai?” domandò Mikey, chinandosi per darle un bacio sulla guancia.
Progetti per il futuro. Una volta nato il bambino stavo pensando di riprendere con le invenzioni. Mi manca la scienza, sapete?” confessò un po' timidamente, un sogno a lungo seppellito.

Il second time around era la sua casa, adorava il vecchio negozio di suo padre, ma non le dava la stessa gioia che le invenzioni le davano, come quando faceva da assistente a Stockman. Era da molto che ci pensava e aveva deciso che dopo la gravidanza avrebbe impegnato il tempo perso a creare progetti e poi avrebbe costruito una compagnia di tecnologia, prima o dopo, con l'aiuto di Donatello.
Si accorse in quel momento della mancanza dell'amico.

Dov'è Don?”
Sta lavorando sul campione, ancora” fu la laconica risposta di Raph, scontata.
Sospirarono tutti, simultaneamente.
Arrivarono anche Angel e Steve, e Casey ritornò dal lavoro con il piccolo Carl per mano, che impazzì di gioia nell'averli tutti a casa. Ovviamente la cena fu chiassosa come sempre finché il bambino era sveglio e voleva giocare con tutti loro, prima che crollasse addormentato intorno alle nove di sera.
Dopo averlo messo a letto, finalmente poterono parlare degli ultimi avvenimenti, delle teorie che ognuno di loro formulava, di cosa progettavano di fare. Soprattutto per le ronde.

Se Donnie è troppo impegnato, potrei darvi una mano io per un po'” propose Angel candidamente, mentre sorseggiava una birra.
E le lezioni?” domandarono in coro i mutanti.
Per due settimane ci sarà una specie di mostra nel campus, le lezioni sono sospese. Sarò dei vostri per un po' e toglierò un po' di ruggine da dosso!”
Un po' tanta ruggine” mormorò Raph sottovoce, ma la donna lo sentì e gli mollò un pugno sul braccio.
Di certo non farò squadra con te!” esclamò, con una linguaccia.

La nuova strana squadra si incontrò per la prima volta due notti più tardi. Angel aveva rispolverato la sua vecchia tenuta che aveva usato quando si allenava con loro, anni prima; aveva faticato un po' per rientrare nella tuta nera con striature viola scuro, ma sarebbe morta piuttosto che confessarlo. Chiudeva il corredo la sua maschera nera coi fregi viola e la sua coppia di Tonfa1 in legno verniciato.
Allora, scricciolo, come ti trovi a gironzolare con questi fessi?” chiese, punzecchiando Steve, a voce ben alta per farsi sentire da Raphael.
Ehy, le domande qua le facciamo noi, carina. Chi è Kevin?” si intromise Michelangelo, spostando di peso il ragazzino in impaccio. “E sappi che se non mi piace non ci uscirai più.”

Angel ridacchiò di gusto, poi rollò gli occhi al cielo, anche se lui non poteva vederli.
Studia giurisprudenza, al terzo anno, e gioca a baseball nel fine settimana” iniziò a raccontare prima che l'altro la interrompesse.
Irrilevante. Com'è? Simpatico? Prepotente? Ti tratta bene?”
Stiamo uscendo solo da un mese e mezzo, non è nulla di serio per adesso. E credi davvero che gli permetterei di farmi del male?”

Mikey non rispose alla replica piccata dell'amica, anche se un nome gli era balzato alla mente. Si ricordava del male che Simon le aveva fatto anni prima, anche se non era stato male fisico, quindi sì, aveva sempre paura delle persone con cui usciva Angel.
Era la sua piccola sorellina.

No, sei tosta. Ma se ci fossero problemi, chiamami” disse con un sorriso, lasciando che lei lo abbracciasse. “E comunque devo davvero vedere questo Kevin prima di approvarlo.”
Tranquillo, se non passerà il test 'cosa faresti se conoscessi dei mutanti' lo scaricherò immediatamente” lo rassicurò lei, lasciandolo andare.

Ok, basta chiacchiere per adesso. Dobbiamo pattugliare, Donnie mi ha scritto che oggi è probabile che qualche creatura esca allo scoperto. Pensa di aver scoperto uno schema dietro” disse Leonardo, rimettendoli in riga.
La percentuale è solo del 49%, ma non è male per iniziare. Ci divideremo in tre squadre per un paio d'ore, poi ci rincontreremo quassù e riprenderemo a pattugliare tutti assieme. Domande?”
Tutti negarono vistosamente, perciò si scissero in silenzio. Leo e Steve da una parte, Mikey e Angel da un'altra e Raphael verso una terza.

La giovane donna si emozionò a poter di nuovo zampettare per i tetti della città, dopo anni interi di inattività. Ovviamente Mikey era il compagno migliore in quel caso, perché la sfidava a compiere imprese impossibili e sempre più articolate e due ore volarono letteralmente, tra volteggi e capriole.
Ritornarono sul tetto dell'incontro in men che non si dica e trovarono già il leader e il ragazzino ad aspettarli.

A rapporto, signore! Tutto tranquillo, signore!” tuonò Mikey pomposo, per far ridere Angel.

Oh, piantala! Raphael non risponde al telefono, stiamo andando a cercarlo” lo sgridò l'altro, secco. Ripercorsero i passi a ritroso del fratello scomparso, fino ad arrivare all'ultimo punto in cui erano sicuri fosse stato per certo.
Deve essere qui intorno e speriamo non gli sia successo nulla!” disse Leonardo, sparpagliandoli nei dintorni. Scrutarono tutti per bene nelle vie principali e nelle viuzze, tenendo le orecchie aperte per qualsiasi rumore sospetto come una sirena di ambulanza o quella della polizia.

Fu Steve a sentire per primo il cicaleccio in sottofondo. Portò all'orecchio il telefonino e compose il numero di Leo, continuando ad avvicinarsi.
Sono io. C'è un gruppo di vigilanza di quartiere sotto di me, all'imboccatura di un vicolo, stanno parlando di un mostro che avrebbero messo alle strette... indoviniamo chi possa essere?”
Leo ridacchiò sommessamente nel ricevitore, ma si fermò subito al pensiero del guaio in cui si era cacciato quell'idiota e di come loro avrebbero potuto salvarlo.

Raggiunsero tutti il ragazzino in un attimo, che intanto non si era perso una parola di ciò che succedeva sotto.
Allora” iniziò ad informarli, “pare che all'incirca mezz'ora fa un'ombra sia calata giù da un tetto e abbia gironzolato un po' qua in giro. Uno dice di aver visto una brutta lucertola arrabbiata, un altro un ranocchio con gli occhi spiritati e- smettetela di ridere, non ho finito!- e l'hanno inseguito fino a costringerlo in questo vicolo, dove pare essersi infilato in quella porta laggiù in un momento di stupidità o non so proprio perché non abbia semplicemente scalato la parete fino alla libertà. Da un secondo all'altro faranno irruzione e lo prenderanno e chissà come andrà a finire.”
Leo sospirò, stanco.
Quello stupido idiota gli toglieva ogni volta almeno dieci anni di vita.

Ok, suggerimenti?”

Ci penso io, ma poi mi fate picchiare Raph” esclamò Angel, lasciando i Tonfa e la maschera sul tetto. Si gettò silenziosamente oltre il parapetto e discese senza un rumore lungo il muro, agile come un tempo. Le era mancata l'adrenalina e la libertà delle ronde coi suoi amici, troppo presa dallo studio, ma adesso che li aveva riassaporati, non le sarebbe dispiaciuto ogni tanto accompagnarli quando le fosse stato possibile.
Chissà che avrebbe detto Kevin, di quel passatempo, pensò ridacchiando tra sé.

Arrivò al suolo silenziosamente e si nascose in un'ombra, appiattendosi contro il muro. Scivolò quasi raso terra e raggiunse senza farsi vedere la porticina rossa in fondo al vicolo, ben attenta a non fare un rumore. Poi batté leggermente contro il metallo, una volta sola.
Raph? Sono Angel, non muoverti da lì” sussurrò piano. Dall'interno le arrivò un piccolo colpo in risposta, secco.
Angel trasse un profondo respiro, mentre la mano calava giù la zip della tuta, e sfilò poi la parte superiore del corpo, perché non sembrasse troppo sospetta. Sotto aveva solo una canottiera senza maniche che non la copriva affatto dal gelo.
Intanto le voci si facevano sempre più vicine, i passi rimbombavano sul terreno.

Angel si alzò con un movimento fluido ed emerse dalle ombre, sotto i loro occhi attoniti.
C'è- c'è qualche problema?” domandò titubante, fingendo un'innocenza che non aveva più da anni. Gli uomini ammutolirono all'istante, ma i loro occhi parlarono anche troppo.
E Angel capì di aver sottovalutato un po' il problema. Aveva pensato che vedere un'umana avrebbe rassicurato e disperso gli uomini, non aveva pensato che vedere una giovane donna all'apparenza indifesa in un vicolo buio potesse scatenare turpi pensieri in alcuni di loro.
Bella pensata, Angel, davvero. Ancora non aveva capito come pensassero quei vili bastardi?

Ci fu un veloce scambio di sguardi tra di loro, alcuni titubanti, altri pressanti, convincenti. Erano solo in sei, ma Angel non voleva davvero che i suoi amici intervenissero rischiando di far saltare tutto e di farsi vedere. Ma batterli tutti da sola... che seccatura.
Sei sola? Possiamo accompagnarti noi” si offrì uno degli uomini, con un tono di voce così lascivo che si sentì sporca solo a sentirlo. Non riuscì a dissimulare un brivido di disgusto che le scosse le spalle.

È con me, grazie per l'interessamento. Non abbiamo bisogno di niente” esclamò una voce chiara e limpida dietro di lei. Steve apparve dal nulla e l'afferrò con possesso, senza staccare gli occhi dagli uomini.
Dopo il primo attimo di sgomento, Angel si accodò alla recitazione e lo abbracciò con trasporto, togliendo l'attenzione da tutto il resto.
Gli uomini non erano ovviamente impressionati dal ragazzino, anche se il suo sguardo era molto truce, ma sembrò che la sua entrata in scena avesse rischiarato un po' le loro menti. Fu però la successiva frase del mingherlino, a convincerli definitivamente a desistere da qualsiasi cosa gli passasse per la mente.

Hanno chiamato i tuoi fratelli, stanno venendo a prenderci” disse in tono fintamente casuale alla giovane donna, ignorando loro.

Quelli si diedero una rapida occhiata e comunicarono a gesti e sguardi, guardinghi.
Noi- noi andiamo. State attenti, ragazzi” dichiarò stentatamente uno di loro, mentre i due giovani già non li ascoltavano più, persi in un mondo tutto loro. Il gruppetto indietreggiò fino all'imboccatura del vicolo, gettando solo ogni tanto uno sguardo verso di loro, forse pieno di invidia; quando oltrepassarono la via, cadde il silenzio.
Rimasero in ascolto finché non furono certi che non ci fosse più nessuno.

Lasciami andare, lasciami andare!” sussurrò strozzato Steve, cercando di divincolarsi. Angel osservò il suo volto paonazzo e in un moto di pietà lo liberò dalla sua morsa, osservandolo poi mentre si reggeva al muro e respirava a pieni polmoni, ancora rosso da far male. Tremolava anche un po', il suo bislacco eroe.
Ben fatto, ragazzi. Perfetto, Steve! Devi lavorare un po' su questa tua fobia delle donne, però” sentirono dire a Leo, che scendeva insieme a Mikey.
Non ho- è solo che- ...mi imbarazza, ok?” farfugliò quello, riprendendo ancora fiato.

Angel ridacchiò e, sotto istigazione di Michelangelo, abbrancò ancora una volta il ragazzino e gli scoccò un bacio su una guancia, a tradimento. Steve era ad un passo dallo svenire quando Leo glielo strappò di mano.
Basta! Non è un giocattolo!”
Se non va con Kevin, uscirò con te, Steve!” chiosò la donna, scoccandogli un bacio da lontano.

Ok, recuperiamo Rapheronzolo e chiudiamola qui per questa notte, va bene?” propose stanco il leader, usato come scudo dal ragazzino per non essere assaltato ancora.
Il fratello uscì dalla porta al sentire le loro voci, ma non trovò nulla da dire per scusarsi o giustificare in che modo si fosse cacciato in quella situazione. E fu fortunato che Angel e Mikey fossero impegnati a dare fastidio a Steve e che Leo lo fosse a difenderlo, perché si risparmiò battute derisorie e domande imbarazzanti, almeno all'inizio.

Tornarono verso casa facendosi dispetti e scambiandosi battute.
Quello che era successo quella notte era stato abbastanza strano anche per i loro standard e le spiritosaggini passavano dal Raph rinchiuso come un topo in un piccolo magazzino al piccolo Steve versione Macho.
Uno sbuffava rollando gli occhi al cielo, l'altro illuminava la notte arrossendo a intermittenza.

Ehy, avete visto?” domandò d'un tratto Mikey, nel bel mezzo di una risata.
Osservarono nel punto indicato e se dapprima non videro nulla, si accorsero poco dopo delle macchie scure che cercavano di nascondersi tra le ombre dei palazzi, qualche isolato più avanti.
C'era qualcosa di sospetto in atto e non si erano dimenticati affatto della possibilità che i mostri potessero apparire quella notte.

Si avvicinarono cautamente, smettendola con gli scherzi per concentrarsi sulla missione, Leo in testa per coordinare gli spostamenti. In pochi minuti arrivarono sopra di loro e si ritrovarono a strizzare gli occhi nella penombra per cercare di capire con cosa avessero a che fare.
C'erano cinque ombre di sotto, che quasi barcollavano. Poteva essere un gruppo di ubriaconi o cinque amici che avevano alzato troppo il gomito per qualche motivo. Rimasero ad osservarli per pochi secondi per sincerarsi che fosse tutto tranquillo, decisi ad andarsene immediatamente a casa.
E lo avrebbero fatto, se un sibilo non si fosse alzato dalla strada, troppo familiare e spaventoso.

Solo Angel non lo conosceva e non provava quella paura sottopelle. Si gettarono immediatamente di sotto e raggiunsero le figure immediatamente eppure silenziosamente, per non essere scorti prima del previsto.
Misero a fuoco tre mostri gialli e due rossi che camminavano a fatica, quasi trascinandosi con dolore. Uno di loro ne sorreggeva un altro in palese difficoltà. Ad ogni passo i loro corpi tremavano e riuscirono a sentire il loro respiro corto e sofferto.

Aspettate un attimo” esalò Leonardo, d'un tratto.
Le creature non sembrarono spaventate da loro, si voltarono lentamente alle sue parole, con quella paura già negli occhi neri.
Non ci fu tempo per chiedere niente o per reagire: di nuovo, i mostri esplosero in volute di fumo, con solo il tempo di guardarsi tra di loro, con terrore.
Quattro esplosioni e non rimase più niente. Quattro esseri svaniti nel nulla.

Rannicchiato a terra, uno dei mostri gialli tremava di paura, gli occhi chiusi per non vedere. Attesero impotenti per minuti, interi minuti, e poi continuarono a guardare la figura spaventata con una rivelazione nella mente: per la prima volta, uno di loro si era salvato.
Volontariamente? Una casualità? O una trappola?


1: I Tonfa sono dei bastoni con un impugnatura verso la fine. In pratica sono quei manganelli che si vedono addosso ai poliziotti nelle serie americane. O perlomeno sono simili. Possono essere ruotati in molte posizioni e sono molto versatili. Angel ne ha due neri, di 50 cm.



Note:

Buona sera a tutti.
Scusate il ritardo, ma di un giorno, solo per un giorno! Ce l'avevo quasi fatta!
Passando alla storia: adoro quando mi tirate fuori teorie e domande, vi adoro. Mi fate sentire quanto vi coinvolga e ne sono felice.
Continuate così!

Per adesso i misteri rimangono, ma tra pochi capitoli alcune cose verranno svelate!
Riuscirò a sorprendervi ancora? Speriamo!

Vi rinnovo l'appuntamento per mercoledì prossimo (sperando di non tardare di un giorno come stavolta) con tutta la fiducia possibile.

Grazie enormemente e di cuore.
Abbraccione

P.s.: guardate cosa ha creato quel genio di Sarajane! Quattro tavole per SITR, non sono bellissime? Grazie, tesoro!
Ne metto due ora, due la prossima volta.

La sua pagina fb, passateci, cresce sempre più più il suo talento:
https://www.facebook.com/Sarajane-386563768158774/?fref=ts



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Capitolo 20
*** A new... friend? ***


C'era un perfetto silenzio nel laboratorio.
Donatello dietro ad un bancone ricolmo di fialette, vetrini e microscopi intento a sperimentare e miscelare, Leatherhead ad uno accanto che studiava fogli pieni di formule e scritte fitte, con gli occhialini sul muso rugoso. Tutti e due indossavano il camice bianco da laboratorio.

Lavoravano davvero bene assieme, proprio perché entrambi rispettavano il silenzio dell'altro, la concentrazione necessaria per lavorare con nozioni e oggetti così sensibili e complessi. Non parlavano quasi mai, nel laboratorio.
Si passavano ogni cosa in silenzio: fogli, alambicchi, vetrini e provette; tutto in silenzio.

Leatherhead si sistemò un po' meglio gli occhialini sul muso, poi strizzò gli occhi dietro di essi per la stanchezza; focalizzò ancora un paio di volte i dati che stava studiando, poi si spostò verso la scrivania e il computer acceso, digitando velocemente sulla tastiera.
Donatello, puoi venire a vedere?” chiese, rompendo per la prima volta la quiete.
Era di certo molto stanco, ma non riusciva a decifrare per bene le colonne di dati e i numeri e le lettere continuavano a confondersi tra di loro.

L'amico poggiò cautamente le fiale che teneva nelle mani e che stava studiando in controluce, poi si avvicinò e diede un'occhiata allo schermo.
Attimi in cui tutte le informazioni si divisero e poi assemblarono nel suo cervello.
L'illuminazione.
Se quei dati erano esatti, il DNA della creatura era indubbiamente incompleto, ma quelli sembravano proprio marcatori al-
Voci urlanti interruppero il filo dei suoi pensieri, bruscamente. Arrivavano da fuori, dall'alto.

Allarmato, senza sapere ancora perché, il genio uscì in fretta dal laboratorio e Leatherhead gli andò dietro, per sicurezza. Stettero sul chi vive sulla porta, tenendo d'occhio le entrate.
Il fracasso era sempre più forte e più vicino, riuscivano a distinguere delle voci, adesso.

Poi, le porte dell'ascensore si aprirono e una babele si riversò nel rifugio, voci alte e concitate. Don era già allarmato, ma quando si accorse che erano Raph e Leo a urlare contro Mikey, il livello di stress schizzò alle stelle; si era già gettato in avanti per intervenire e capire, -era così preoccupato da non aver quasi notato la presenza di Steve e Angel che ammutoliti seguivano la discussione,- ma tutta la sua determinazione svanì quando vide la sconosciuta figura legata che Michelangelo teneva per un braccio, quasi difendendolo dalle aggressioni dei fratelli.

Sei completamente matto!” urlava Raphael fuori di sé.
Devi ascoltarmi, non possiamo permettertelo!” gridava Leonardo, arrabbiato.
E continuarono, cercando di farlo ragionare. Uno si passava le mani in testa freneticamente nell'agitazione, l'altro gesticolava ad ogni parola con vigore.

Donatello scivolò tra di loro e si fermò di fronte alla creatura, come in adorazione verso qualcosa di sacro. Alzò le mani, ma non si azzardò a toccarla, rimase invece ad osservarla da vicino, ciò che poteva vedere che non fosse coperto dalla maschera di Mikey usata per bendarlo.
Ne avete trovato uno... uno vivo... non ci credo, posso-” iniziò a balbettare per riuscire ad esprimere tutte le sue domande tutte in una volta. Poi si bloccò, spalancò gli occhi e successivamente corrugò le sopracciglia.
Perché è nel nostro rifugio?” urlò voltandosi verso Mikey, unendosi al coro interrotto poco prima.

Prima che gli altri due riprendessero, il fratello insorse.
Perché, dove credi che avrei dovuto portarlo? Dovevo lasciarlo lassù?” sbottò squadrandoli uno ad uno a turno.
Non è esploso e non ha fatto altro che rimanere rannicchiato per quattro ore, senza nessuna intenzione di muoversi o di tornare da dove è venuto, perciò non potevamo seguirlo. E allora ditemi cosa avremmo dovuto fare!”
La sua sfuriata era così giusta che non trovarono niente con cui ribattere, anche se la rabbia non si era assopita per nulla.

Non può stare qui, è un mo-”
Don si bloccò nel bel mezzo della frase, fulminato da un'occhiata gelida di Mikey. E si rese conto da solo che quella parola era stata meglio non averla pronunciata.

Loro rapiscono i bambini, come possiamo fidarci...”

Michelangelo avanzò di un passo, continuando a tenere la creatura per un braccio, fermamente. C'era una strana aura di serietà nel suo sguardo che avevano visto poche altre volte sul suo viso.
C'è qualcosa che non sappiamo o che non abbiamo capito. C'è qualcosa che non va. Loro non sono... non so spiegarlo. Sento che non sono malvagi.”

I tre fratelli sembrarono insultati personalmente dalle sue parole, lo guardarono come se fosse pazzo.
Tu sen- tu senti che non sono malvagi?” urlò incredulo Raphael, balbettando per la fretta di parlare. “Ma sei completamente matto? Hanno aggredito un uomo, ucciso, hanno rapito centinaia di persone, e bambini! Cosa ti ha fatto pensare che non siano malvagi?”
Io non so spiegarlo. È solo una sensazione. Ma è una sensazione giusta, lo so. Questo... questa creatura non ci farà del male.”
Mikey, ti prego, cerca di ragionare!” lo supplicò Leo, ma lui non si mosse dalle sue convinzioni. C'era uno scisma evidente.
Da un lato il mutante col mostro, dall'altra un muro compatto di disapprovazione.

Leatherhead, hai ancora la gabbia in cui mettemmo Donatello?” domandò Michelangelo, continuando a fissarli.
Il genio venne trafitto da una fitta di dolore e di rimorso. Quando lui si era tramutato in un mostro, dopo essere stato per caso infettato da un mutante creato da Bishop, i suoi fratelli non lo avevano abbandonato. Anche se era diventato cattivo e aggressivo e aveva perfino cercato di mangiarsi Mikey.
E non era così semplice pensare che fosse naturale, dato che essendo il loro fratello era ovvio che non lo avrebbero abbandonato. Sapeva che quella era solo una delle motivazioni.
In realtà loro non avrebbero lasciato nessuno, neppure un estraneo, in quelle condizioni.

E Michelangelo ne stava dando prova; nonostante non sapesse quale fosse il problema della creatura, non l'avrebbe lasciato perdere, se pensava che qualcosa non andasse.
Vide Leo aprire la bocca per controbattere e si sporse per dire la sua, ma la voce imperiosa del sensei interruppe tutti.

Basta, figlioli.”

Non essendosi accorti che fosse lì con loro, trasalirono tutti e voltandosi lo trovarono ritto vicino alla porta del dojo, gli occhi scuri ricolmi di concentrazione e severità; non sapevano nemmeno da quanto fosse lì, se avesse seguito tutta la storia.
Il suo sguardo era tutto su Michelangelo.

Sei sicuro?” chiese, solamente.
Il figlio annuì solennemente, quasi rispondendo più a qualcosa di mentale, qualcosa che gli altri non avrebbero mai sentito.

Il saggio ratto inclinò appena la testa, assorto in riflessioni, poi la sollevò nuovamente.
Va bene. Michelangelo ha la mia approvazione” disse tranquillamente, osservandosi attorno come a voler incoraggiare a contraddirlo se ci tenevano, ma i suoi figli, dopo essersi guardati sorpresi l'uno con l'altro, sembrarono decidere di non farlo.
Leatherhead, per favore, quella gabbia” incalzò Mikey, con gentilezza, smuovendo il loro grosso amico che per tutto quel tempo era rimasto in silenzio a seguire la vicenda con apprensione.

Intanto, la creatura gialla era rimasta in uno stato assolutamente catatonico. Non si era mossa, non si era ribellata, non aveva emesso un suono e benché sembrasse capire che parlassero di lei, non si era curata delle loro voci né dei loro toni.
Non si era nemmeno mai ritratta dal contatto della mano di Mikey, come se essere in cattività non gli interessasse minimamente.
A capo chino, con le spalle basse, come se non stessero decidendo della sua vita.

Leatherhead tornò con una grossa gabbia circolare di vetro e acciaio, -molto tecnologica,- la posò al centro del rifugio, vicino al laghetto, e poi rimase in attesa. Tutti erano in attesa.

Michelangelo sembrava non curarsene. Si mosse in avanti e trascinò con sé il mostro, che lo seguì docilmente; gli tolse la bandana dalla testa, ma quello la teneva bassa e nessuno riuscì a vederlo in volto. Per ultimo sciolse i nodi della corda che legava i suoi polsi, spingendolo verso l'entrata della gabbia con un tocco gentile della mano.

Il mostro mise un piede dentro la sua prigione, remissivo, forse nemmeno conscio di cosa significasse.
Aspetta” urlò improvvisamente Don, avvicinandosi alla struttura, mentre frugava freneticamente nelle tasche del camice; Mikey bloccò la camminata della creatura prendendola per un braccio e si voltò a guardare il fratello con sorpresa.
Prima... prima voglio un campione del suo sangue” dichiarò, togliendo il cappuccio di una siringa con gesto pratico.

Il grido della creatura fu improvviso e per quello più spaventoso. Osservò con occhi sbarrati la siringa, come se fosse uno strumento di tortura, e gridò e gridò con un sibilo stridente, divincolandosi dalla presa di Mikey con foga: gli sfuggì facilmente, data la sorpresa, e si rifugiò sul fondo della gabbia, rannicchiandosi contro il vetro dall'altra parte rispetto all'entrata, più piccolo, sempre più piccolo.
Michelangelo chiuse la porta con un tonfo e di colpo il grido cessò. La creatura li osservò sospettosa dal suo punto, di nuovo tranquilla, ma guardinga.

Donatello guardò prima il mostro rinchiusosi praticamente spontaneamente e poi Mikey, con un'espressione sbigottita.
Ci vuole solo un po' di pazienza, ok?” mormorò l'altro, chiedendo tempo per risolvere tutto.
Ti occuperai di lui e rimarrai qui sempre, senza allontanarti mai, nemmeno per una ronda. È una tua responsabilità, Mikey. Non sbagliare” pronunciò Leo solennemente, ancora molto dubbioso nei confronti di tutta quella situazione e perfino di suo fratello.

E così fu. Lui solo rimase lì a fissare la figura accovacciata, mentre gli altri si dispersero, chi tornando al laboratorio, chi nella propria stanza o nel dojo, chi semplicemente a casa.
Si lasciò andare al suolo, stanco, davvero stanco.

Cosa diamine gli era preso? Difendere così uno dei loro nemici? Portarlo a casa e scontrarsi coi suoi fratelli in quel modo?
Perché?
Quando lo aveva visto rannicchiato ad aspettare di esplodere, gli si era stretto il cuore. Non aveva reagito o urlato o cercato un modo per evitarlo, no. Aveva invece atteso la morte, quasi desiderandola.
E Michelangelo aveva sentito che c'era qualcosa di sbagliato in tutto quello. Aveva sentito il desiderio di proteggerlo, di capire cosa avesse portato una creatura che lottava con quella foga e quella disperazione a desiderare di morire.
Erano davvero cattivi, si era domandato?

Ehy, come ti chiami? Io sono Michelangelo” disse, dal nulla, rivolto verso la gabbia. La figura accovacciata trasalì al suono della sua voce e, senza muoversi, ringhiò sottilmente.
Come? Non sono riuscito a capire” incalzò il mutante, avvicinandosi alla gabbia.
Di nuovo, un tetro gorgoglio si levò, più arrabbiato di prima.

Roar? Grrrrr? Oppure hai detto Groooar?” scherzò, per non cedere alla stanchezza e allo sconforto.
La creatura sembrò infastidita e si sporse in avanti repentinamente, premuta contro il vetro a pochi centimetri da lui: gli mostrò i denti e latrò più forte, con uno stridio che fece vibrare le pareti pericolosamente.
Mikey indietreggiò per un secondo; poi inaspettatamente sorrise.
Il mostro ne sembrò ancora più irritato e con un gelido bagliore negli occhi scuri tornò a accucciarsi dall'altra parte, ignorandolo completamente.

Non fare così. Ti voglio aiutare” lo supplicò allora, addolcendo un po' il tono.
Ma non ottenne più risposta e nemmeno un sussulto o un gesto qualunque che gli facessero capire che lo stava ancora ascoltando.
Sospirò, chiudendo un secondo le palpebre. Sapeva già di essersi infilato in qualcosa di molto più grande di lui, qualcosa che non sapeva se sarebbe mai stato in grado di gestire. Chi lui, Michelangelo il buffone? Ridicolo.

Hai fame?” domandò a voce alta, sollecitato dal gorgoglio del suo stesso stomaco. A quell'ora in genere mangiava sempre un boccone, prima di infilarsi a letto.
Ovviamente non ci fu una risposta, già lo sapeva.
Si allontanò piano verso la cucina, continuando a occhieggiare di tanto in tanto verso la gabbia per sincerarsi che la creatura non approfittasse della sua assenza per cercare di forzarla; era robusta e aveva sostenuto attacchi ben peggiori quando era stato Don-mostro a starci dentro, ma temeva che quell'essere avesse altre carte nella manica, come il suo urlo ultrasonico, che forse poteva spaccare lo spesso vetro.
Agguantò in fretta tutto ciò che poteva dagli scaffali e dal frigo, allungando spesso il collo oltre la porta per sorveglianza, e tornò in fretta vicino alla gabbia, caracollando sotto il peso della roba.

Il mostro non si era mosso di un millimetro, ma sperava di poterlo irretire con il profumo del cibo.
Mikey premette un pulsante di un piccolo telecomando che Leatherhead gli aveva affidato e una piccola finestrella si aprì alla base della struttura, grande abbastanza per poter far passare le cibarie.
Iniziò ad infilarci dentro tutto ciò che aveva: fette di pane, frutta, sacchetti di patatine e perfino il cartone della pizza con ben due fette ai funghi che stava conservando per la colazione.

Qualcosa doveva pur piacere a quell'essere, sempre che mangiasse le loro stesse cose.
E se invece si nutriva per davvero di bambini? Solo il pensiero lo nauseò con disgusto e gli fece passare completamente l'appetito.
Rimase attento ad ogni possibile movimento che indicasse un interesse del mostro, ma sembrò tutto vano: o non mangiava quel genere di cose o non mangiava affatto.
E dopo due ore infruttuose, di silenzio e immobilità e morsi della fame, ne fu quasi completamente certo.

Come si era pentito di avergli dato la sua adorata pizza, chiusa là dentro, sprecata e destinata ad ammuffire. Avrebbe potuto riprendersela, ma nonostante sapesse che la creatura non l'avrebbe toccato se fosse entrato nella gabbia, non era così stupido da non mettere in conto almeno uno 0,1% di possibilità che potesse rivoltarglisi contro.
Era improbabile, ma non impossibile.

Si strofinò lo stomaco indolenzito con una mano, sospirando stancamente. Non sapeva nemmeno se avesse più fame o più sonno; socchiuse gli occhi, una volta, due, controllò che l'essere non si muovesse, batté ancora le palpebre, controllò ancora e ancora e ancora.


Si risvegliò con un grugnito sonoro, confuso.
Quando si era addormentato? Schioccò la lingua contro il palato dal sapore pastoso, mentre gli occhi pulsavano dentro le orbite; stava cercando di fare mente locale, ma essere sdraiato sul freddo pavimento non lo aiutava di certo.
Si tirò su di scatto, fulminato. La creatura, la vigilanza, la gabbia!

Occhieggiò spaventato attorno e al di là del vetro e molte cose assieme lo colpirono, nello stesso istante.
Per prima, la figura rannicchiata nell'angolo, ferma e piccola, con le braccia a proteggere le gambe e il viso nascosto in quel riparo improvvisato; Michelangelo si sporse ancora, silenziosamente, per cercare di capire; gli pareva troppo calmo. Solo quando il suo quieto respirare gli indicò che l'essere stava dormendo, si rilassò.
Allora lo sguardo si spostò sulle bucce di banana e i torsoli di mela poco distanti dalla creatura, coi segni ben evidenti della sua dentatura aguzza; un bel pasto a giudicare dalla piccola montagnola accatastata. La fame aveva infine vinto la reticenza della paura.
Mikey si concesse un piccolo sorriso, di conquista. Una piccola conquista, vero, ma lo rendeva felice.
Infine, notò la scatola un po' schiacciata e malconcia che giaceva vicino ai suoi piedi, al di fuori della gabbia; all'inizio, nella fretta di sincerarsi che il suo ospite non fosse scappato, non ci aveva praticamente fatto caso: il cartone della pizza che lui aveva infilato nella gabbia per il suo nuovo amico, donata con tanta fiducia, stava inerme sul pavimento.

Michelangelo si staccò dal vetro e si chinò con prudenza, curioso: aprì la scatola e le due fette di pizza erano lì, intonse e ancora buone nonostante fossero fredde, pronte da mangiare.
Si sedette sul pavimento e ne afferrò una, addentandola poi con voracità; la mozzarella era gommosa come aveva immaginato e i funghi un poco stantii, ma lui la trovò buonissima.
Sorrideva, tra una fetta e l'altra, gettando ancora lo sguardo sulla figura addormentata.
C'era speranza, non si era sbagliato. C'era del buono oltre le squame, i denti aguzzi e l'incomprensione.
C'era speranza.


Fu una lotta di pazienza e resistenza, ad aspettarlo.
Era un continuo scontrarsi con il silenzio e l'indifferenza dell'essere, nonostante tutti i suoi tentativi, nonostante lui il silenzio lo continuasse a riempire di parole e parole, monologhi infiniti, per cercare di vincere la sua fiducia.
Chi dei due avrebbe ceduto per primo?
Se lo chiedevano tutti, nel rifugio, ovviamente in silenzio.

Leonardo continuava ad osservare la situazione, guardingo, nel caso qualche emergenza fosse accorsa; non riusciva ancora a fidarsi, lui. L'idea di avere un potenziale nemico in casa lo teneva sveglio e lo rendeva irrequieto.
Anche Raph era ancora contrario alla cosa, ma a differenza del leader, aveva deciso di non metterci bocca e di farsi presente solo nel caso in cui qualcuno gli avesse annunciato un problema; in quel caso lo avrebbe risolto a modo suo e poi avrebbe detto a Mikey un bel “te l'avevo detto”.

Splinter, responsabile padre, non aveva certo lasciato le cose nelle mani dei suoi figli. Sì, si fidava del giudizio di Michelangelo, ma supervisionava di tanto in tanto la situazione, solo per essere sicuro.
E a lui, e ai suoi occhi saggi, non sfuggirono cose che ai suoi figli potevano sembrare solo dettagli insignificanti, tanto da smarrirli nella frazione di un secondo e non registrarli.

Lui, vedeva come di giorno in giorno l'attenzione della creatura fosse sempre più focalizzata su Michelangelo; se all'inizio era stato indifferente e restio, via via che le chiacchiere del mutante lo avvolgevano, il suo sguardo si era spostato sempre più dal nulla verso di lui. In modo sottile, ma attento. Lo si poteva notare da come la schiena si irrigidiva se Michelangelo prendeva una pausa troppo lunga o se spariva per andare un attimo in cucina o al bagno: allora l'essere gettava fugaci occhiate allarmate, come a voler controllare dove fosse, come a voler riprendere il contatto con lui.
E se quello poteva passare in sordina, come non accorgersi che si abbandonava al sonno solo quando anche il figlio crollava per la stanchezza di parlare o che pian piano si fosse spostato sempre più vicino al lato dove lui stava, pochi centimetri al giorno, sempre di più.

Si era accorto, suo figlio, di quei piccoli cambiamenti? Ne dubitava, ma trovava confortante come nonostante tutto Michelangelo non demordesse, non si distraesse con nulla anche se sapeva quanto amasse videogiochi e fumetti, quanto trasparisse l'importanza che dava a quella creatura e al suo desiderio di aiutarla.
Era fiero di lui e fiero di come, anche se in maniera meno palese degli altri, anche lui fosse cresciuto in uno splendido uomo.
Riusciva a sentire la stessa speranza che animava il figlio e sperò che avesse ragione.

Donnie sembrava quasi felice di avere la creatura. Non era preoccupato che potesse fuggire, sapeva che la gabbia era resistente, -ci aveva passato un bel soggiorno quando si era trasformato in mostro, ed era certo della sua solidità,- ma smaniava all'idea di poterlo studiare. Quell'essere era un mistero per lui. Il campione che avevano trovato in passato si era disintegrato, da solo, poco tempo prima.
Aveva solo capito che il suo DNA sembrava più complesso di qualsiasi cosa studiata prima, prima di perderlo, e adesso voleva saperne di più.

Chi era, cos'era quella creatura? Cosa cercava? Era nel suo DNA la soluzione, ma non poteva avvicinarglisi per scoprirlo. Sembrava provare una paura infinita per tutta la sua attrezzatura medica e il solo vedere una siringa scatenava in lui un attacco di panico che lo faceva rintanare nel fondo più lontano della gabbia con vigore.
Michelangelo lo aveva sgridato per averci anche solo provato, e alla fine Don si era visto costretto a studiare l'essere solo dall'esterno, osservando i suoi comportanti e ciò che poteva dedurre della sua costituzione solo dallo sguardo.

Annottava tutto ciò che scopriva, macinando teorie.
La creatura assomigliava agli umani e a loro, struttura ossea simile se non identica e muscolare solo leggermente meno sviluppata; il corpo era ricoperto di squame, ma non dappertutto, i palmi delle mani e le piante dei piedi erano di una colorazione aranciata che appariva morbida e liscia, probabilmente come la pelle degli umani.
Mangiava solo due volte al giorno e sembrava avere un disperato bisogno di acqua: ne consumava dieci litri al giorno e se ne riceveva di meno, anche di poco, sembrava cadere in uno stato semiletargico finché non poteva assumerne in quantità.

Quello che più lo affascinò, comunque, furono tre strisce nella sua schiena, che poté osservare solo da lontano, di quello che sembrava morbido pelo giallo. Non ci aveva fatto caso da subito, poiché il colore era dello stesso giallo intenso delle squame, ma poi in controluce aveva visto la peluria brillare e si era accorto della stranezza.
Era un essere palesemente acquatico, non avrebbe dovuto avere peluria di nessun genere; e poi, era sicuro che gli esseri come lui che avevano incontrato prima non l'avessero. Poteva esserci un minimo margine d'errore, ma in cuor suo sapeva di avere ragione.

Allora era il loro mostro ad essere diverso? O gli altri di un'altra specie?
Qualcosa gli diceva che quella creatura che sedeva quietamente nel loro rifugio era un'eccezione e che non avrebbe portato nulla di buono.

E quanto, quanto aveva ragione.



Le ronde continuarono strenuamente. Ovviamente, senza Mikey e Don, coprire più spazio era complicato e più stancante. Angel e Steve si univano spesso al gruppo per rimpiazzarli, fornendo assistenza; il ragazzo aveva acquisito molta più fiducia e Angel aveva rispolverato la sua vecchia forma fisica in tutto il suo splendore.
Si era reinnamorata della vita notturna, tanto da chiedersi come mai l'avesse abbandonata del tutto, e si era ripromessa di trovare un po' di spazio a vigilare, anche quando la sua presenza non fosse stata necessaria.
Correvano divisi in due gruppi e pattugliavano fino ad un'ora prima del sorgere del sole cercando, tra i vari crimini comuni nella loro bella città, segno di quelle creature.

Non è più sparito nessuno” esclamò una notte Leonardo, entrando nel laboratorio velocemente.
Donatello alzò gli occhi dagli appunti che stava trascrivendo dal quaderno al computer e diede uno sguardo veloce all'orologio a muro di fronte a sé. Erano le quattro del mattino.

Aspetta, cosa hai detto?” domandò d'un tratto, non certo di aver capito bene.
Ho detto che i rapimenti si sono interrotti. Nessun bambino sparito nell'ultima settimana, niente di niente” gli ripeté l'altro, grato che finalmente gli avesse dato attenzione.

Ma Don si era già e di nuovo perso in pensieri suoi, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Le sparizioni si erano interrotte... voleva dire forse che i mostri erano spariti? Che la minaccia era scomparsa? No, troppo strano. Allora forse avevano raggiunto il loro scopo, quale che fosse. Ma se...

Terra chiama Donnie! Ci sei?” lo interruppe Leonardo spazientito, schioccandogli le dita davanti al viso.
S-sì, stavo pensando al perché le creature possano essere scomparse e mi sono un attimo estraniato.”
Non sono spariti, ma non hanno più preso nessuno.”
Eh?”

Leonardo rollò gli occhi al cielo. Era troppo stanco e stizzito dal poco sonno per sopportare quel discorso a spezzettoni. Si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania e prese un bel respiro.
Le creature sono ancora in giro per la città: piccoli gruppetti, poco più di coppie che vagano per tutta la notte, tutte le notti. Come alla ricerca di qualcosa. Vagano e vagano, ma non rapiscono nessuno. Poi, d'improvviso, esplodono tutte senza lasciare traccia. Nel nulla.”

Donatello si era figurato l'immagine nella mente piuttosto bene, esplosioni comprese.
Deglutì innervosito e corrucciò la fronte, mentre nuove teorie e idee si formulavano nella sua mente. E ce n'era una che, anche se poteva sembrare assurda, per lui aveva perfettamente senso.

Stanno cercando il nostro” disse a voce alta, e dal suono non sembrava troppo male come ipotesi nemmeno al di fuori della sua testa.

Leo aggrottò un sopracciglio, preso alla sprovvista.
Il nostro cosa?”
Il nostro mostro” rispose il genio sollevandosi dalla sua sedia e correndo verso la porta, aprendo l'uscio appena per dare un'occhiata fuori. Leo sapeva che stava osservando Mikey e la creatura, anche se entrambi a quell'ora erano sprofondati nel sonno. Mikey si era perfino portato il materasso dalla sua camera per poter riposare meglio quando il sonno lo coglieva all'improvviso.

Stai dicendo che stanno tutti cercando di localizzarlo? Che piomberanno a casa nostra?” urlò sgomento, realizzato il problema.
La sua più grande paura... non avrebbe retto ad un'altra incursione nel loro rifugio. Era il loro covo, la loro casa, il loro santuario. Non avrebbe permesso a nessuno, mai più, di profanarlo.

No, no. Non è possibile che nessuno ci rintracci. Non conosco queste creature né i loro poteri fino in fondo, ma mi fido del potere di Isabel e delle pietre degli Y'Lyntian. Però mi chiedo perché per loro sia così importante trovarlo, al punto da lasciar perdere ogni altra cosa... è un capo? È indispensabile?” disse Donnie, scostandosi dalla porta e ritornando a rivolgere la sua attenzione sul fratello.

Ma è solo una teoria, non sappiamo per certo se vogliono il nostro mostro.”
Sì, è solo una supposizione. Ma pensaci, tutto torna: una settimana senza sparizioni, una settimana che il nostro ospite è con noi. Ed è strano, diverso da quelli che abbiamo incontrati finora. Non è esploso e presenta particolarità e differenze solo sue. È una chiave importante.”
Una chiave per cosa?”
Non lo so. Non lo saprò finché non potrò studiarlo meglio. Finché non potrò analizzare il suo DNA.”
Ci fu un attimo di silenzio nel laboratorio, quando il tono concitato di Don si spense. Aveva alzato un po' il tono, dalla frustrazione di non sapere, di non avere certezze, quando le loro risposte erano tutte a pochi metri da loro.

Allora forse è arrivato il momento di scoprire la verità” suggerì Leonardo, l'espressione seria e tesa.
E Donatello sapeva che aveva assolutamente ragione.


Michelangelo non era mai stato uno dal sonno leggero, tutt'altro. Una volta preso sonno, era molto difficile svegliarlo, a meno che la fame non lo spingesse a cercare cibo alle ore più strane della notte o del giorno; per ogni altro motivo comunque, non si sarebbe mai svegliato spontaneamente, nemmeno se qualcuno lo avesse chiamato o fosse entrato in camera sua sbattendo la porta e ribaltando ogni cosa sul suo cammino.
Era, indubbiamente, uno dal sonno di piombo. Alla faccia del suo allenamento ninja.

Eppure, qualcosa nel suo stato onirico era disturbato
Un fruscio leggero.
Nulla di importante, ma che non avrebbe dovuto esserci.

Si risvegliò prontamente, strizzando appena gli occhi alla luce asettica del rifugio e si tirò su con fastidio, come se già sapesse di dover arrabbiarsi.
Cosa stai facendo?” domandò rocamente alla figura vicina alla gabbia.
Donatello non trasalì nonostante fosse stato preso in castagna, con la mano tesa in alto verso la manopola di sicurezza posta sul bordo della gabbia; il congegno che la inondava di gas soporifero.
Non che ce ne fosse davvero bisogno, la creatura all'interno era ancora mezzo addormentata e non aveva mai dato nessun problema.
Allora cosa aveva in mente di fare, Donatello?

Lo sai. Basta aspettare, Mikey” rispose quello, continuando ad allungarsi verso l'alto.
Il fratello si alzò velocemente e fu subito al suo fianco, la mano stretta in una morsa ferrea attorno al suo braccio. Stringeva con forza e gli occhi saettavano arrabbiati.

Cosa stai facendo?” ripeté più minaccioso, anche se sapeva già la risposta.

Don scrollò il braccio per liberarlo dalla sua morsa, per nulla intimorito.
Non sentirà nulla. Dormirà per un paio d'ore e io potrò prendere finalmente un campione. Andiamo, Mikey, basta aspettare! È ora di trovare le risposte che ci servono!”
No! Non ti avvicinare! Per te potrà essere nulla, ma stai mettendo a rischio la fiducia che sto cercando di guadagnare!” urlò contrariato Mikey mettendosi davanti alla gabbia, schermandola col suo corpo.
Non se ne accorgerà nemmeno!”
Basta anche solo l'intenzione! Io gli ho promesso che non gli avremmo fatto del male. Gliel'ho promesso!”

I toni delle loro voci si erano fatti così alti e concitati da richiamare l'attenzione degli altri membri della famiglia, che accorsero repentinamente con facce preoccupate: se già era strano che Donnie alzasse la voce arrabbiato, era ancora più strano che lo facesse con Mikey; i soliti battibecchi non contavano, ora facevano sul serio, si urlavano in faccia con rabbia e frustrazioni, entrambi per motivazioni valide in un certo senso.
Nessuno dei due aveva pienamente torto.
Per quel motivo nessuno intervenne, ma rimasero tesi ad osservare la scena, indecisi se agire o meno, ognuno però pronto a farlo se ce ne fosse stato bisogno. Perfino la creatura era ormai sveglia e vigile, gli occhi scuri spaventati che saettavano dal suo aggressore al suo salvatore, pietrificata al suolo.

Mi dispiace, Mikey, davvero, ma non possiamo stare qui a non fare nulla mentre tu cerchi di fare amicizia con lui. Potrebbe essere tardi! E noi dobbiamo sapere!”
No! Mi serve più tempo! Non posso tradirlo, tu non cap-”
Michelangelo si interruppe sorpreso, spalancando enormemente gli occhi. Poi abbassò lentamente lo sguardo e Don, incuriosito dalla sua reazione, guardò anche lui cosa potesse aver attirato la sua attenzione: la mano gialla del mostro spuntava oltre la finestrella, aggrappata gentilmente alla caviglia del mutante.

Quando fu certo che si erano accorti della sua presenza, la creatura lo lasciò andare e aprì il palmo, spostandolo verso Donatello: gli occhi neri oltre il vetro, così vicini, erano puntati su di lui, comunicativi.
Il genio si sentì così spiazzato, confuso, da non riuscire a reagire prontamente. Rimase in silenzio a fissarli, quasi ipnotizzato.

Tu vuoi... posso prendere un campione?” domandò quietamente, forse timoroso di poterlo spaventare se avesse osato alzare la voce.
L'essere piegò appena la testa di lato, prima di annuire lentamente.
Mikey sussultò meravigliato, mentre il fratello si alzava freneticamente dal suo posto.

Torno subito! Vado a prendere le fialette!” esclamò emozionato, trottando verso il laboratorio più velocemente possibile.

La mano non si mosse, tesa oltre la finestrella, con fiducia.
Michelangelo si inchinò e l'afferrò, saldamente. La creatura tremò, scossa dal contatto, ma non la ritrasse. I suoi occhi saettarono verso il mutante, confusi.

Sei sicuro? Non sei costretto. Nessuno ti costringe a farlo” mormorò Mikey, stranamente triste.
L'essere annuì per la seconda volta, stringendo un poco la presa nella mano.

Grazie” sussurrò Mikey sinceramente, sorridendogli con gratitudine.

Continuò a tenerlo stretto, anche quando Don tornò con la sua valigetta e si accucciò al loro fianco, e tastò il braccio alla ricerca di una vena, sfiorando con il dito le piccole squame della sua pelle. L'essere fu stoico, non si mosse nonostante l'evidente fastidio sul suo volto, e tremolò solo un pochino.
Quando vide l'ago della siringa, strizzò gli occhi e girò il capo, sussultando appena. Mikey, impotente, poté solo stringere più forte la mano, per fargli sentire di essere accanto a lui.
Era così umano, le sue emozioni erano così vere, e lui sentiva di aver finalmente stabilito un contatto.

Il prelievo fu veloce e Don fu il più delicato possibile, poi raccolse le fialette ricolme di vischioso liquido rosso scuro nelle mani e corse via verso il laboratorio in fretta e furia, smanioso di analizzarle. Rivolse uno sguardo grato verso la creatura, prima di sparire oltre la porta.
Michelangelo rimase accucciato, con la mano gialla stretta nella sua. Non aveva intenzione di lasciar andare quel contatto che aveva faticosamente guadagnato. Non avrebbe permesso che andasse tutto sprecato, che la sua fatica e quella scintilla di fiducia si perdessero nel secondo successivo, nel nulla.

Andrà tutto bene” sussurrò fiducioso e speranzoso.



Note:

Donnie è diventato un mostro nella stagione 4 della serie 2003, episodio 23 “adventure in turtle sitting”. Povero Don, tutte a lui.
Leatherhead aveva creato una gabbia di vetro e acciaio molto resistente, con un sistema che la inondava di gas soporifero per tenerlo buono quando impazziva. Comunque cercò di mangiarsi Mikey, almeno una volta. XD


Note di Switch:

Buona sera. O buona notte?

Sono molto felice di “rivedervi”, non so dire quanto.

Ma prima mi sento in dovere di scusarmi per il ritardo, il più grande che io abbia mai fatto, e ne sono dispiaciuta. Davvero profondamente mortificata.

Vi assicuro che ho pensato spesso a tutti voi che la seguite e che magari vi siete chiesti che fine avessi fatto e se l'avrei mai finita; e vi stra-assicuro che la finirò.

Ho solo bisogno di un po' più di tempo, ma la serie la finirò assolutamente.

Grazie a chi non l'ha abbandonata e la seguirà ancora.

Inchino di gratitudine.

E megaabbraccio di benritrovati!



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Capitolo 21
*** Mork ***


Dopo quel momento, qualcosa cambiò, effettivamente.
Seppur sempre quieto, l'essere si dimostrò più affabile nei confronti di Michelangelo: appena sveglio si sedeva proprio di fronte alla finestrella e aspettava che anche lui si svegliasse; poi, ascoltava con vivido interesse tutto quello gli diceva, ondeggiando appena la testa a intervalli, come in cerca di una posizione migliore.

Perché lo capiva benissimo. Di quello, Mikey ne era certo. Se solo fosse riuscito a sentire a sua volta ciò che il suo nuovo amico aveva da dire.
A volte, nel bel mezzo di un suo monologo, notava che l'essere schiudeva le labbra e pronunciava parole che non si potevano sentire, come se lui la voce non ce l'avesse, ma volesse lo stesso parlare.
Moriva dalla voglia di sapere cosa volesse dirgli. Era diventata la sua sola ossessione.
Ci si scervellò per qualche giorno, un tormentato chiodo fisso che non lo lasciava.

Fu nel bel mezzo della notte che gli venne un'idea. Munito di portatile, fece ricerche e si esercitò per ore, nel silenzio, seduto ritto sul materasso; ripeté e ripeté, finché non fu certo di ogni segno e ogni posizione, finché non gli venne automatico farlo.
E al mattino, privato del sonno, ma euforico come non mai, aspettò che la creatura si svegliasse, per mostrargli la sua sorpresa: l'alfabeto con le mani, con il quale avrebbero potuto comunicare.

Michelangelo ci aveva provato ad imparare l'alfabeto dei segni dei sordomuti, ma non ci era riuscito; era troppo complesso e vasto e profondo perché potesse riuscirci da solo e in così poco tempo e poi provare anche ad insegnarlo a lui.
L'alfabeto con le mani invece ricreava i segni delle lettere con le dita, perciò era più immediato e semplice e contava di poterglielo insegnare facilmente.
L'idea che l'essere potesse non sapere come si scrivessero le parole non lo aveva nemmeno sfiorato.

Con gli occhi scintillanti di aspettativa, iniziò a spiegargli le basi; ogni parola che pronunciava, la formava lentamente e pazientemente con le mani, un lento discorso solitario, nel silenzio, mentre quelle volavano libere nell'aria.
Era difficile, dato che lui aveva tre dita a differenza degli umani e della creatura, però si aiutò con dei disegni e sperò che quello bastasse.

Si impose di non squittire di gioia quando l'essere compose la prima lettera, una a caso, di certo quella che si ricordava meglio, ma era l'iniziale del suo nome e lo lusingò e sorprese contemporaneamente.
Si accorse da come le sue mani tremavano di quanto desiderasse parlare con lui, ma non riuscisse ad esprimersi come voleva; sembrava come un bambino pieno di idee e meraviglia, ma con troppa poca capacità dialettica per potersi esprimere.
Toccava a lui dargli la possibilità di farlo.

E intanto, nel fondo dello stomaco spingeva giù la paura dell'esito delle analisi. Erano passati tre giorni e ancora non sapevano nulla; Donnie gli aveva spiegato che già in un laboratorio normale il tipo di analisi che dovevano compiere richiedevano molto tempo, perciò nel loro studio improvvisato lui e Leatherhead ci avrebbero impiegato forse il doppio del tempo, se erano fortunati.
Non che lui avesse fretta. Aveva paura di sapere la verità. Aveva fiducia nel suo nuovo amico e in quello che pensava di lui, ma se le analisi avessero rivelato una realtà agghiacciante e fossero stati costretti a combatterlo o peggio eliminarlo?
Era un pensiero che lo tormentava, senza che lo mostrasse mai a nessuno.


Passò più di una settimana, dopo il decimo giorno aveva anche smesso di contarli, perché tutta la sua attenzione era impegnata altrimenti; era un maestro che insegnava al suo discepolo, era come un padre che insegnava al figlio.
E si sentiva incredibilmente appagato nel farlo. Ogni nuovo miglioramento, anche microscopico, lo inorgogliva, lo faceva sentire bene. I progressi della creatura era molto lenti e difficili, ma imparava, a poco a poco; era frenata da qualcosa, ma non riusciva a capire cosa.
Sperò che col tempo e la pratica quell'esitazione sparisse e che finalmente riuscisse a dirgli tutto ciò che desiderava.

Mikey era accucciato davanti alla gabbia e cercava di spronarla a ripetere le lettere del suo soprannome, ma l'unica che riusciva a fare era la M.
Ok, la I non è difficile. È più facile della M, un dito verso il cielo!” esclamò, sollevando sia quello che lo sguardo verso l'alto.
Trasalì quando si accorse che Donatello era in piedi dietro di lui, con alcuni fogli in mano. Non si era accorto minimamente della sua presenza, né lo aveva sentito arrivare.
L'espressione scura sul suo viso gli gelò il sangue nelle vene, ma il fratello non guardava lui, solo e profondamente la creatura.
Si fece coraggio, doveva sapere.

Donnie allora, cosa hai-”

Don non lo ascoltò nemmeno e si avvicinò invece alla gabbia, a grandi falcate: i fogli gli caddero dalle mani, quando si allungò per premere il pulsante che la apriva, e spalancò la porta con un gesto deciso.
Michelangelo si alzò spaventato, sicuro che il fratello stesse per fare del male al suo nuovo amico, ma si fermò quando lo vide solo allungare una mano verso di lui e guidarlo dolcemente al di fuori della sua prigione, in un silenzio tesissimo.
Il genio sembrava combattuto. E incredibilmente triste.

Come chiamati a raccolta da forze misteriose, anche Leo e Raph arrivarono, unendosi a loro nel silenzio, e infine il sensei uscì dal dojo, facendo ticchettare il bastone mentre si avvicinava a passi leggeri.
Tutti rimasero in attesa, senza osare proferire parola.

Donnie, dimmi cosa sta succedendo” supplicò Michelangelo col magone, e confuso.

È... un umano. Qualcuno ha mutato gli umani rapiti, Mikey. È un umano” confessò Donatello mortificato, incredulo egli stesso di quanto stava dicendo.

Gli umani rapiti, i bambini rapiti, trasformati in mutanti, in creature abbiette, costrette a morire senza possibilità di scampo.
Esplodendo in fumo nero tra rantoli di paura.
Mikey tremò di indignazione e rabbia.
Un umano. Forse un bambino. Il suo amico era un umano rapito e trasformato per... perché?
Lo afferrò e lo strinse in un abbraccio, senza pensarci, perché tutto era così ingiusto, tutto era così sbagliato.


Non ti ricordi chi sei?” domandò quietamente Michelangelo.

Lui e la creatura sedevano sul pavimento, vicino al laghetto. Una mano gialla sfiorava lentamente l'acqua, sporgendosi con attenzione oltre il bordo.
Era libero di girare per il rifugio, adesso. Da quando avevano capito, nessuno di loro se l'era sentita di tenerlo ancora in gabbia. Dopo aver capito.
Anche se ancora non sapevano quali orrori avesse vissuto.

L'umano mutato ne sembrava felice, anche se era difficile capire bene i suoi pensieri; ma quello scintillio di tranquillità mentre carezzava la superficie fresca dell'acqua, quello esprimeva tutto ciò che c'era nel suo cuore.
Alla sua domanda, però, sembrava essersi spento. Come adombrato.

Non te lo ricordi, vero?” indovinò allora, con un tono incolore. Il lento ciondolio della sua testa glielo confermò.
Aveva dimenticato ogni cosa. Il suo nome, chi fosse prima di diventare il mostro di qualcuno, tutto ciò che gli apparteneva. Aveva una famiglia, degli amici, qualcuno che lo stava disperatamente cercando?
Chi poteva aver fatto una cosa simile? Una cosa così abietta e terribile?

Allora bisogna trovarti un nome” disse Mikey sovrappensiero. “Uno corto e facile... magari con... con... cosa ne dici di Mork? Ha la mia stessa iniziale.”
La creatura si fermò e tirò la mano fuori dall'acqua, sorpreso.
Poi sorrise. Naturale, umano. Un semplice stiramento degli angoli delle labbra verso l'alto, ma che comunicava ben altro. Il primo sorriso che gli aveva visto fare, da quando era lì.

Era un sì? Lo prendo per un sì. Molto piacere, Mork, sono Mikey” mormorò felice, tendendogli la mano.
Mork tese la sua bagnata e la strinse, titubante.


La lieve e quieta penombra del laboratorio, rischiarata da alcune lampade sulla scrivania, era rassicurante. C'era un gran silenzio, ogni macchinario era spento e in stato di riposo; Don attendeva che ci fossero tutti, ma leggeva nei volti dei presenti l'impazienza che li divorava.
Avrebbe aggiornato Mikey più tardi, si disse.

Allora, siamo qui per fare il punto della situazione” li informò, andando avanti e indietro per la stanza. Il sensei era seduto su una delle sedie, solenne, mentre nell'altra c'era Leonardo, che lo ascoltava con intensa attenzione. Raphael era poggiato ad uno scaffale, con le braccia conserte. C'era anche Leatherhead, dietro uno dei tavoli, intento a rimettere a posto alcuni appunti in cartelline catalogate con targhette bianche.

Come avete sentito, il nostro ospite è un umano. Non c'è dubbio su questo. È difficile da spiegare, ma il suo DNA è come stratificato, al momento: la sua base è indubbiamente umana, ma qualcuno ha mescolato e aggiunto particelle di DNA non sue e questo l'ha portato a mutare” spiegò Donatello, nel modo più semplice che gli riuscisse.
Non avrebbe potuto spiegare ai suoi fratelli la complessità di ciò che aveva scoperto, con termini che non avrebbero mai capito.

Per fare una cosa del genere... chi può avere competenze simili?”
Non ho mai visto nulla del genere. Probabilmente non conosciamo l'autore di questo scempio.”
Ok, questo è umano, ma come fai a dire che anche gli altri lo fossero?” domandò ancora Leo, nella sua sete di sapere.
Non ne sono sicuro, ovviamente. Ma la mia teoria è che tutti fossero umani mutati e che continuassero a rapire altri umani per essere sottoposti allo stesso trattamento: sempre più giovani e per questo ci deve essere un motivo; forse, per una sorta di instabilità nei primi esperimenti.”
Cosa intendi dire?”

Teorizzo che il motivo per cui abbiano rapito così tante persone e sempre più giovani fosse per una questione di rigetto nel trattamento. Credo che le loro cellule non resistano e ad un certo punto collassino, portandoli a distruggersi. Hanno bisogno di sempre nuove cavie, di nuovi esperimenti umani.”
Pensate a tutti quelli che sono esplosi. Erano centinaia! I bambini... i bambini scomparsi.”
Sì, probabilmente molti di quelli erano bambini. E non sappiamo nemmeno come poterli identificare, come sapere quanti ancora sono in vita. Deve esserne rimasto ancora qualcuno.”
Ma allora perché hanno smesso di rapire altre persone?”

Perché hanno già quello che cercano. O almeno lo avevano, sospetto senza esserne consci. Il nostro ospite. Il nostro ospite è la chiave. È l'unico che non è esploso, probabilmente è l'unico stabile , ciò che gli serve per stabilizzare il processo di mutazione.”
Allora non dobbiamo permettergli di trovarlo. Dobbiamo fermarli prima che lo trovino o chissà quanti altri mutanti potrebbero creare!”
Se sapessimo dove trovarli... dobbiamo interrogare il nostro ospite, forse sa qualcosa.”

Non sa niente e non ricorda nulla. Probabilmente non ricorda neanche dove lo hanno portato quando è stato rapito” disse Michelangelo, entrando nella stanza a passo spedito.
Sembrava teso e molto stanco. Emanava un'aria seria e rabbiosa.

Sta dormendo” esclamò, rispondendo ad una domanda che nessuno aveva fatto, ma stavano tutti pensando.
Leo si alzò dalla sedia e gliela porse, colpito dal tono sfinito della sua voce; Mikey la accettò con gratitudine e ci si lasciò andare sopra con un sospiro sonoro.

Si accorse che tutti aspettavano in silenzio che parlasse, perciò trasse un profondo respiro e si fece forza.
Sembra che non abbia nessun tipo di memoria, come se il suo cervello fosse bloccato da qualcosa. O forse l'orrore di quello che gli hanno fatto gliel'ha fatto scordare. Non so nemmeno quanti anni abbia, potrebbe essere uno dei bambini, non ricorda neanche il suo nome... l'ho chiamato Mork” raccontò con un sorriso mite, schiacciato dal disgusto di quelle parole.

Allora cosa facciamo?”
Io devo continuare a studiare i campioni, per vedere se scopro qualcos'altro. E se riesco a trovare una cura. Voi dovete pattugliare le strade e cercare altri mutanti, provare a scoprire da dove vengono e chi li ha cambiati. E Mikey deve rimanere con Mork. Devi proteggerlo e tenerlo d'occhio e magari provare a scoprire se gli torna in mente qualcosa.
Adesso che sappiamo la verità, non possiamo in nessun modo perdere altro tempo. Dobbiamo salvare gli umani sopravvissuti e cercare un modo per riportarli alla normalità. E fermare una volta per tutte chi c'è dietro a tutto questo” spiegò Don, con praticità.

Il sensei annuì ad ogni parola, d'accordo col suo pensiero; il suo sguardo serio passò sui suoi figli e fu soddisfatto nel vederli tutti concentrati e ansiosi di mettersi in moto.
La salvezza di quelle persone era nelle loro mani e lui sapeva che nessuno di loro si sarebbe mai arreso, lasciandoli nei guai.


Mikey si era affezionato a Mork.
Sin dall'inizio aveva sentito che c'era in lui più di quello che appariva ed era felice di aver avuto ragione; nel tempo passato assieme, poi, si era davvero legato a lui e alla sua sorte, prendendolo più a cuore di quanto volesse.
Perciò non voleva che gli accadesse nulla di male. Voleva che potesse ritornare normale e riabbracciare la sua famiglia.
Dal canto suo, l'unica cosa che poteva fare era però solo stargli accanto. Continuare a parlargli e fargli sentire di esserci, stimolarlo ad esprimersi e provare a saperne di più su di lui.
Aspettava con ansia il giorno in cui avrebbe potuto aver un discorso completo con Mork e sentire tutto ciò che aveva da dire.

Avevano deciso che avrebbe dormito nella camera di Mikey, in una branda di fortuna vicino al suo letto, finché fosse rimasto con loro; certo, non avevano abbassato la guardia solo perché avevano scoperto fosse un umano mutato, avevano sempre paura che chiunque lo avesse reso così, potesse anche comandarlo a distanza, prima o poi, prendendoli tutti di sorpresa. Perciò stavano guardinghi, ma nelle ombre, per non creare ancora più sfiducia o angoscia nel loro ospite.


Era già arrivato Dicembre, da qualche giorno.
Le festività di Natale erano così vicine, fisicamente, ma anni luce di distanza dalle loro menti.
Il freddo si era fatto più intenso, in superficie già c'erano addobbi ovunque, la rinnovata calma nelle sparizioni si era riflessa nel pensiero che fosse già tutto finito e perciò tutti pensavano in grande, festeggiavano in grande, avevano già accantonato la paura e la prudenza, scioccamente.

Fortunatamente, c'era chi continuava a pattugliare nelle ombre. Anche nell'apparente calma.
Leo aveva già girato mezza città, con nervosismo crescente. Possibile che fossero davvero scomparsi? Possibile che non ce ne fosse più traccia? Saltò con facilità sul tetto del palazzo di fronte, sempre ben attento alle strade sottostanti, scrutando per bene nelle ombre.
Raph era impegnato a pattugliare da un'altra parte e Angel e Steve non c'erano per quella sera; avevano pensato di chiedere a Casey se volesse unirsi a loro come una volta, ma con il lavoro, un bambino piccolo e una moglie incinta del secondo aveva già il suo bel da fare. Ovviamente li tenevano sempre informati su cosa stesse succedendo, almeno una volta a settimana alle loro consuete cene in famiglia.

Era l'unico modo per renderli partecipi senza metterli in pericolo.
Mikey, che stava dietro Mork, aveva saltato molte cene, con suo grande rammarico.
Si chiese se ora che sapevano chi fosse Mork avrebbero mai potuto portarlo con loro. Ma, si disse, meglio non rischiare; April incinta non era di molto più stabile di una creatura mutata, purtroppo.
C'era così tanto stress attorno a loro, che la poverina ne subiva le conseguenze, col suo carattere apprensivo e troppo amorevole. La lontananza di Isabel, tutti i rapimenti, la paura per loro e poi il non poter fare niente; una donna tenace e combattiva come April era ovviamente logorata dall'attesa.
Mancava poco al parto e cercavano tutti di non stressarla più del necessario. Avrebbero di certo risolto tutta quella situazione per allora, anzi, di certo in tempo per il natale.

Si dirigeva verso Midtown, a passo spedito. Non c'era niente di strano, pensò saltando una fila di luminarie tra due palazzi, che lampeggiavano ad intermittenza di vari colori abbaglianti; un gruppetto di ubriaconi stava cantando stornelli volgari due traverse più giù e c'era il solito via vai di macchine; da una finestra lontana, sentì una mamma che cercava di calmare il pianto del suo bambino.
Non si allarmò come avrebbe fatto qualche settimana prima. Sapeva che ormai le creature non stavano più cercando di rapire bambini, ma solo di mettere le mani su Mork; perciò continuò dritto per la sua strada, sorpassando un'insegna luminosa di sconti su giocattoli e decorazioni e scavalcando una fila di ghirlande innevate sul tetto di una terrazza.

Se si fermava, anche solo per un secondo, una sferzata di vento gelido lo investiva e gli ghiacciava il sudore addosso, facendogli venire i brividi.
Continuò a correre e ancora, e poi di colpo si fermò, con una brusca frenata. Tornò sui suoi passi e scrutò per bene nelle ombre, lontano, cercando di mettere a fuoco.
Era certo di aver intravvisto qualcosa, ma magari andando così velocemente...
Lo vide, di nuovo. Un flebile movimento sotto un lampione, prima di scomparire nell'oscurità poco più avanti.

Leonardo si gettò immediatamente all'inseguimento, cercando di non perderlo di vista. Poteva essere un ladruncolo qualunque, poteva anche non essere niente di pericoloso, ma non avrebbe nuociuto sincerarsene di persona.
In pochi istanti arrivò alla coda di ciò che stava seguendo, e al primo sguardo si accorse immediatamente che era chi stava cercando: uno dei mutanti, rosso, che si muoveva furtivo di ombra in ombra, con le orecchie tese e attente.
Era la prima volta che ne incontrava uno da solo e stranamente, la cosa non lo rallegrava affatto. Si erano decimati così tanto da non essere più abbastanza da girare nemmeno in coppia?
Quanti ne erano sopravvissuti?

Spaventato dalla prospettiva di perderlo e non poterlo mai scoprire, Leo accelerò il passo e si gettò davanti, per cercare di fermarlo. Fermarla, Donnie aveva detto che quelli rossi dovevano essere femmine, se non ricordava male. Anche se non avevano certezze.
L'unica cosa che sapeva per certo è che erano più aggressivi dei gialli.

La sua comparsa improvvisa fece sobbalzare la creatura, che indietreggiò e sguainò le unghie affilate contro di lui, nello stesso istante.
Gli soffiò contro, in quello che sembrava un un ringhio basso.

No! Aspetta, non voglio combattere!” esclamò Leonardo, interrompendo il suo repentino attacco.
La creatura rimase ad osservarlo con gli occhi neri spalancati e dubbiosi, un po' nei suoi occhi, un po' sulle sue spade ancora sulla schiena.
Sembrava sorpresa dalla sua reazione.

Leo lo prese come un segno positivo e fece per avvicinarsi; la sola intenzione scosse i nervi della creatura che reagì violentemente: con un grido rauco si lanciò in avanti, fendendo l'aria con gli artigli neri e taglienti. Leo indietreggiò in tempo e continuò a schivare i suoi attacchi, con mosse fluide e veloci.
Aspetta!” mormorò in fretta scivolando a destra. “Voglio parlare” continuò slittando a sinistra.
La creatura non lo ascoltava affatto e con una furia crescente lo costringeva sempre più ad indietreggiare, col fiatone stretto nella gola.
Leo non voleva sguainare le spade, nemmeno per difendersi; sarebbe stato un segnale sbagliato, ma non poteva nemmeno continuare a schivare all'infinito. Quanto tempo ancora rimaneva alla creatura?
Forse non avrebbe dovuto distrarsi.

Gli artigli trovarono la sua carne e la dilaniarono con facilità, strappandogli un urlo di dolore. Si era fortunatamente schermato col braccio al percepire la minaccia, ma adesso il suo avambraccio sanguinava copiosamente, gocciolando sull'asfalto scuro.
Avrebbe potuto impugnare le spade, dalla rabbia, e ripagarla con la stessa moneta, ma non lo fece.
La creatura continuava a guardare la sua ferita e la sua espressione, ma non ne sembrava felice; non le era sfuggito che lui non aveva mai sguainato le armi.

So cosa sei” disse Leo, con un sospiro sofferto. “Sei un'umana.”
Gli occhi neri si spalancarono enormemente di sorpresa e per un secondo la difesa si abbassò. L'essere rimase immobile a fissarlo, mentre inconsciamente, le enormi unghie si ritraevano.

Voglio aiutarti. Credimi. Voglio aiutarti a tornare normale” mormorò convincente, tenendosi con la mano l'avambraccio ferito.
Lesse nel suo viso tormento e dubbio e si meravigliò di quanto fosse semplice capire cosa passasse nella sua testa, nonostante non potesse esprimersi a parole. Era quello che Mikey aveva cercato di fargli capire.

Non abbiamo ancora la cura, ma stiamo aiutando già uno come te. Potrebbe volerci un po', ma ci riusciremo.”
Era così fiducioso, -e perché avrebbe poi dovuto dubitare delle capacità di Donnie?- che sembrò averla convinta. Almeno così pareva dallo stato rilassato delle sue spalle e dalla luce diversa nei suoi occhi.

Un debole e flebile sibilo riempì il silenzio ed entrambi trasalirono. La creatura alzò lo sguardo al cielo, incominciando a tremare violentemente.
NO! Andiamo via!” strillò Leo, ugualmente spaventato, allungando una mano per afferrare la sua.
La trascinò di peso, lontano da lì, nell'assurda idea che scappando avrebbe potuto salvarla. Non incontrò resistenza dall'altra parte, ma la mano tremava così tanto che anche lui ne era scosso.
Corsero a perdifiato per stradine e vicoli, ignorando il sibilo sempre più forte.

Di colpo, la creatura si fermò e lui perse contatto con la sua mano. Si voltò sorpreso e la vide che lo osservava con un'enorme paura negli occhi, ormai incapace di fermare quel tremolio diffuso in ogni cellula.
Eppure, e fu la prima volta che lo vide, gli stava sorridendo.
Lo turbò più di quanto volesse ammettere. Lei allungò le mani e afferrò le sue e sembrava ringraziarlo per averci almeno provato, perché per un frammento di istante a qualcuno era importato di lei.

Non arrenderti. Possiamo aiutarti. Possiamo-”

La creatura chiuse gli occhi. Esplose in una voluta di fumo nero e Leo si ritrovò a stringere il nulla, con un graffiante dolore nel petto. Ogni cosa sembrava vana. Una vita umana poteva essere sacrificata in quel modo?
Non era giusto. Non era per nulla giusto.




Leatherhead, vieni a vedere un momento” chiamò Donatello, girando la rotellina del microscopio al quale stava lavorando da ore.
Cercare di risalire ad ogni componente del DNA di Mork non era facile, per niente. Era stratificato, mescolato e rimescolato all'inverosimile; e se non capivano come fosse fatto, trovare una cura per riportarlo alla condizione di umano era impossibile.

Il grosso amico, anche lui in camice da laboratorio, si avvicinò, incuriosito da ciò che poteva avere scoperto. Donatello si scostò e gli permise di guardare anche lui, allungandosi per prendere una cartellina appoggiata poco distante.
Le femmine dei coccodrilli sono più aggressive, vero?” domandò quasi casualmente.
Sì, quando devono difendere i cuccioli” rispose incredulo Leatherhead, che aveva già capito cosa volesse mostrargli.
E il coccodrillo ha un'ampia gamma vocale, no?” incalzò Don, maledicendosi mentalmente per non aver pensato prima ad una possibilità del genere.

Di nuovo, l'amico rispose positivamente. Sollevò la testa dal microscopio e Don vide un po' dell'antica rabbia affiorare nel suo sguardo: un solo secondo in cui i suoi occhi si strinsero a fessura per poi tornare normali.
Come è possibile una cosa del genere?” ringhiò cupo, arrabbiato, molto arrabbiato.


Michelangelo aveva fatto comprare da Angel un set di carte educative per bambini, coi disegni di oggetti con accanto una bella e grossa lettera della loro iniziale e i numeri fino a dieci; con quelle, cercava di aiutare Mork a comunicare con lui.
E c'era riuscito. Anche se tutto ciò che aveva scoperto era che non sapeva nulla di sé.
Solo che il suo nome era M37. O meglio era stato M37, probabilmente il numero identificativo di quando era stato trasformato in quello che era in quel momento.
Mikey, impietosito, gli aveva assicurato che quello non era il suo nome. Lui era Mork, solo Mork.

Non avendo ricordi, tutto ciò che Mork conosceva, e apparentemente adorava, era Mikey.
Adorava ascoltarlo, adorava imparare tutte le sue avventure che l'altro amava ripetere all'infinito, adorava provare tutto ciò che gli piaceva: cibi, giochi, persino guardare i programmi della tv al suo fianco, gioendo delle sue espressioni divertite.
Però, ultimamente trovava anche la presenza degli altri abbastanza tollerabile. Permetteva a Donatello di visitarlo e di fargli dei prelievi, non si innervosiva se anche Leo, Raph o il sensei erano nella stessa stanza, e non aveva alcun timore di Leatherhead.

Sembrava invece apprezzare molto la compagnia di Steve e Angel, che si erano fatti convincere da Michelangelo nell'avvicinarsi a Mork, ma non gli piacevano quanto gli piacesse Mikey, comunque.
Il suo atteggiamento sembrava più vitale e allegro, e ormai nessuno pensava davvero che Mork avrebbe potuto arrecare loro danno o provare a scappare.
Tutti si chiedevano come sarebbe stato una volta ritornato umano e se si sarebbe mai dimenticato di loro.
Era con loro già da più di tre settimane e già qualcuno, Mikey per esempio, gli voleva bene come ad un fratellino. E anche gli altri non erano indifferenti alla sua storia e al suo destino, benché imbarazzati dal modo in cui lo avevano accolto.

Mikey stava guardando con attenzione le lettere che Mork metteva a terra, sovrappensiero, quando sentì dei passi approcciarsi; si voltò con sorpresa nello scoprire che con Donnie c'era anche Leatherhead e che sembrava irrequieto.

Entrambi si fermarono vicino a loro e Mikey vide con la coda dell'occhio che anche Raph, -seduto fino a qualche momento nella zona video immerso nei fatti suoi,- si era voltato per seguire la scena, sorpreso dalle loro espressioni e dalla loro fretta.
Mork” esclamò Don serio, “non ti ricordi davvero nulla? Magari di alcuni laboratori segreti?”
Il tono urgente sorprese il mutante giallo e fece insorgere Michelangelo.

Ehy, piano, cosa-”
Nemmeno se dico Bishop?” disse Leatherhead con un basso ringhio, gli occhi nuovamente a fessura per pochi istanti.
Cosa?” strillarono contemporaneamente Mikey e Raph, che al sentire quel nome si era gettato verso di loro.

Ma nessuno prestò loro attenzione. Mork aveva lanciato un grido nello stesso momento e, terrorizzato, aveva indietreggiato, portando le mani alla testa.
Il gorgoglio che usciva dalla sua bocca sembrava una richiesta di aiuto.
Mikey si avvicinò per provare a calmarlo, ma voleva anche sapere.

Cosa sta succedendo?” domandò, lottando per provare anche solo ad avvicinarsi.
Mork ha il DNA di Leatherhead e anche tracce di mutageno, nel suo. Sappiamo solo di una persona che li ha entrambi” spiegò Don, arrivato alla soluzione per primo.

Il coccodrillo umanoide sbuffò, con stizza.
È come se fosse mio figlio. È come se fossero tutti miei figli” sentenziò seriamente, ancora più arrabbiato di prima. Ammetterlo a voce alta era differente che pensarlo.
Il pensiero che Bishop potesse aver fatto del male a così tante persone con il suo DNA lo faceva impazzire, l'idea che così tanti ne fossero morti, dopo aver sicuramente provato le pene dell'inferno nei suoi laboratori, gli infiammava l'animo rischiando di bruciargli la ragione e scatenare in lui un violento attacco animale.
Mork smise di combattere e si calmò, all'istante. Guardava Leatherhead, solo Leatherhead.

Sai dove possiamo trovare Bishop?” gli chiese quello, il più gentilmente possibile.
L'umano mutato sembrava combattuto tra un'atavica paura e il desiderio di parlare; sentiva una sorta di rispetto per lui, come se i suoi geni risuonassero nel profondo richiamati dalla sua presenza. Voleva davvero compiacere suo “padre”.
Ma non poteva. Scosse la testa con forza, ritraendosi sempre di più, spaventato, terrorizzato. Non voleva lasciare la sicurezza del rifugio, non voleva lasciare loro. Non voleva, non poteva.

Leatherhead sembrava perdere la pazienza ogni secondo che passava senza riuscire a sapere nulla e stava davvero facendo violenza su sé stesso per non scattare violentemente dalla frustrazione.
Doveva andarsene e calmarsi. Anche Don sembrò essersene accorto, perché saltò su all'improvviso e lo prese per un braccio, iniziando a trascinarlo lontano.

Pensaci, Mork, per favore. Pensaci intensamente. Torniamo dopo per continuare la chiacchierata” esclamò frettolosamente, portando via l'amico coccodrillo, più lontano possibile da lì.

Calò il silenzio. Michelangelo cercò di far calmare Mork, ma quello sembrava troppo scosso per ascoltarlo.
No, tranquillo, cosa ti prende?”
Gli prende che sa la verità. E non vuole dircela” disse Raphael, seccato. Lui non se n'era andato e li osservava lì impalato, con le braccia conserte.

Mikey si interruppe e lo guardò e anche Mork sembrò sorpreso dalla sua affermazione.
Sì, tu sai qualcosa. Ma sei troppo vigliacco per dircela” incalzò Raphael crudele.
Raph!” lo aggredì Mikey, ma il fratello non sembrò intimorito dal suo tono minaccioso.
Cosa? Dobbiamo continuare a non fare nulla perché lui ha paura? Davvero? Dopo che tu l'hai difeso e aiutato, e Donnie che si sta sfinendo per trovare una cura per salvarlo, lui rimarrà lì a non fare nulla e a continuare a mentire? Bella gratitudine. Bella riconoscenza! Evidentemente non ha imparato nulla. Evidentemente è ancora un mostro.”

Se ne andò, lasciando le sue parole di sdegno e cattiveria ad aleggiare nelle loro teste. Michelangelo non sapeva come scusarsi per quello. Non era nemmeno colpa di Raphael, a conti fatti.
Mork sembrava sul punto di una crisi, sconvolto e ferito, e anche quello non era colpa di nessuno.

Lui non ce l'ha davvero con te” disse con voce calma, sospirando appena.
È arrabbiato, ma non con te. È solo che aspettare lo sta logorando e vuole qualcosa da fare per tenersi occupato. Ma questo non vuol dire che non abbia anche a cuore il tuo bene, è solo che non riesce a mostrarlo. Da quando Isabel è lontana, lui non riesce ad esprimersi come vorrebbe. E lei gli manca tanto da renderlo pazzo.”

L'umano mutato sembrò confuso dalle sue parole, ma il tono accorato lo calmò e scacciò via il senso di disagio che sentiva fino a poco prima.
Compitò alcune lettere con le mani, velocemente. Un solo nome, una domanda.
Mikey sorrise malinconicamente.

Isabel è la ragazza di Raph” spiegò con dolcezza. “La persona più importante per lui” finì, con una mano sul cuore.
Mork fu colpito dal gesto e lo ripeté, appoggiandosi la mano sul torace.

Sì, la persona più importante. Anche tu ne avrai una, sicuramente.”

Rimase un momento assorto, poi annuì alle parole di Mikey. E qualcosa adombrò il suo sguardo, per un istante.
Poi, si allungò per raccogliere le carte con le lettere da terra e in fretta le dispose, facendone cadere un paio per la frenesia.

La- bo- r... laboratorio? Tu sai dov'è il laboratorio?” domandò sorpreso Mikey, sentendo un brivido giù per la schiena all'idea che qualcosa di così oscuro per Mork fosse scritto con quelle belle lettere infantili e colorate.
Quello annuì, lentamente, socchiudendo gli occhi al ricordo di qualcosa.

E puoi indicarcelo?” insisté il mutante.
Mork spalancò gli occhi neri e trafficò di nuovo con le carte, ancora più freneticamente di prima. Mikey attese col magone che scrivesse tutto, prima di sbirciare.

Vi mostrerò la strada” lesse alla fine, incredulo.
C'era determinazione nello sguardo di Mork, una bruciante determinazione.




Note:
Salve a tutti! O meglio buona nottata.
Sono tornata dopo tanto e sono rimasta stupita dal trovarvi ancora tutti qui ad aspettarmi; grazie mille, sono felicissima. Grazie, grazie mille.

Allora, adesso sappiamo cosa sono le creature e la verità getta una sfumatura cupa su tutta la faccenda. Ci sarà davvero Bishop dietro tutto questo?
Prossimo capitolo scopriremo e sapremo, promesso. E poi chissà cos'altro ci attende.
Taaaaante cose ancora.

A presto
Abbraccione


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Capitolo 22
*** Sacrifice ***


L'aria della notte li avvolgeva, la sua oscurità li nascondeva.
Per quanto fosse possibile per un gruppo così ampio nascondersi.
Leo, Raph e Don erano a capo della missione, Mork era la guida designata, sotto la supervisione di Mikey; Angel e Steve erano pronti a seguire le direttive e Leatherhead chiudeva quella strana comitiva, con uno sguardo torvo e fosco che faceva paura.

Era inusuale che Leatherhead si unisse a loro, in ronde o battaglie, ma quella volta era diverso, era personale. Non avrebbe abbandonato quei poveri umani mutati col suo DNA e non avrebbe perdonato Bishop per averlo fatto; avrebbe dato il suo contributo e avrebbe lottato fianco a fianco ai suoi amici, per far finire una volta per tutte quella storia.

Nemmeno Mork avrebbe dovuto essere in giro, quella notte. Non era sicuro, non era saggio.
Essendo un obiettivo del loro nemico, qualcosa che voleva, bramava, per completare la sua missione, sarebbe dovuto rimanere nella sicurezza del rifugio, schermato finché tutto non fosse finito.
Ma Mork non aveva voluto.
Si era imputato, si era arrabbiato, aveva fatto il diavolo a quattro, per guidarli di persona fino al covo segreto; ne aveva fatto un punto d'onore.
O forse, ma il pensiero era cattivo e chi lo aveva pensato si era pentito subito dopo averlo formulato, forse Mork li stava portando verso una trappola.
Sembrava mosso da un desiderio, una necessità, che fino a qualche giorno prima non aveva manifestato.

Avevano messo a punto il piano in fretta e furia appena due giorni prima, una volta capito che lui li avrebbe portati al laboratorio dov'era “nato”, ma senza lasciare comunque niente al caso. Erano in numero così elevato anche per quello, per coprire ogni punto cieco e dividersi i compiti, nonché per sovrastare la sicura maggioranza numerica di cui Bishop disponeva.
Sperando che potesse in qualche modo bastare.
Steve era fresco e inesperto, ma agguerrito come non mai e davvero promettente; Angel era un po' arrugginita, ma assolutamente al loro livello, e oramai aveva ripreso quasi del tutto la sua precedente forma fisica.
Non vedevano l'ora di vederli entrambi all'opera.

Si erano spostati verso la periferia a bordo del furgone, stipati in silenzio, seguendo l'unica indicazione che Mork aveva voluto dargli: allontanarsi dalla città.
Le abitazioni si erano fatte più distanti e basse e gli spazi verdi più ampi; l'incurante folla cittadina si era trasformata in invadente curiosità da paese, tutto sembrava decisamente più calmo. Troppo calmo.
Anche Mikey era stranamente quieto, preoccupato solo per Mork.
Ad un cenno dell'umano mutato si erano fermati e avevano occultato il veicolo, perché non fosse troppo visibile; Mork si era messo allora in testa al gruppo e aveva fatto segno di seguirlo.

La zona in cui si trovavano era la periferia commerciale, come la chiamavano: completamente occupata da enormi magazzini e capannoni di fabbriche e industrie, ognuna ben recintata con un grande spazio attorno per i veicoli commerciali.
Non c'erano abitazioni in quel quartiere, non c'era anima viva per molti chilometri.
E tuttavia non sarebbe stato facile muoversi.
Si spostarono furtivamente nelle poche zone scure, evitando le telecamere di sorveglianza e i faretti di ogni capannone che sorpassavano, finché Mork non si fermò bruscamente e fece loro cenno di nascondersi. Poi, con un dito un po' tremante, nascosti dietro alcuni cespugli al limitare della strada, indicò un grande caseggiato, poco distante.

L'industria farmaceutica Hessencare.
Un enorme complesso di costruzioni in stile moderno, tutta specchi e acciaio, che si dipanava per metri e metri a perdita d'occhio: era circondato da un terreno altrettanto vasto, chiuso da alti cancelli e inferriate, ben illuminato da fari potenti.
Si accorsero immediatamente delle telecamere e delle guardie, in gran numero, che sorvegliavano la proprietà.

Avrei avuto dei dubbi, ma tutta questa sorveglianza è davvero troppo sospetta” sospirò Leonardo, che come gli altri per qualche istante aveva ritenuto impossibile che quella fosse la loro meta.

Ma non possiamo comunque entrare per controllare, sono davvero troppi” mormorò Don, che scrutava con gli occhiali ad infrarossi la struttura e il perimetro, per cercare una breccia dove poter entrare.
Non c'era un punto cieco, purtroppo.
Pensò in fretta ad un diversivo, ad un piano per poter distrarre le guardie e poter così permettere loro di intrufolarsi, ma una mano gli batté sulla spalla, richiamando la sua attenzione. Mork indicò sé stesso e poi la costruzione.

Puoi farci entrare?” chiese Mikey, dando voce ai suoi gesti.
L'umano mutato annuì e attese poi la loro risposta. Fu Leonardo a dare il cenno affermativo, mettendosi subito nella sua scia.

Scivolando tra la bassa vegetazione che costeggiava il terreno, oltrepassarono due lati della costruzione, raggiungendo il retro: sfociava su un piccolo fiumiciattolo malsano e ancora infestato dagli insetti, immerso nell'oscurità. Rifletteva le luci dei faretti alogeni, delle stelle nel cielo.
Sentirono lo scrosciare dell'acqua e il tanfo marcescente.
Mork ci entrò dentro senza indugio, controllando poi alle spalle perché anche loro lo seguissero. Ci fu qualche leggero brontolio, perché l'acqua era davvero gelida.
Fecero più fatica a muoversi per contrastare la corrente e nessuno aveva ancora capito dove stessero andando. Sapevano solo che costeggiavano il fiumiciattolo, seguendone il corso.

Mork si fermò all'improvviso, di fronte ad un imboccatura: un grande tunnel che sputava un rigagnolo puzzolente nel fiume, alto e largo tanto da permettere il passaggio di una persona.
Accortosi che tutti sembravano dubbiosi e perplessi, l'umano mutato si voltò verso Mikey e iniziò a spiegargli velocemente, facendo volare le mani: fu un po' difficile capire, data la scarsa visibilità.

Questo è un passaggio per i ...” cominciò a tradurre Mikey, interrompendosi un secondo alla ricerca della parola giusta. Prigionieri non gli piaceva. Mostri ancora di meno.
È un passaggio che le creature usano per entrare ed uscire indisturbati, quando devono spostarsi per obbedire agli ordini.”
Si era tenuto volontariamente sul vago e se n'erano accorti tutti.
Mork aveva un'espressione affranta, ma sembrava infastidito dalla loro pietà.
Si infilò nel tunnel, guidandoli verso la strada giusta.

L'interno era umido e nauseante. Cercarono di non toccare le pareti ricoperte di viscidume che sperarono fosse solo muschio, e andarono avanti nella completa oscurità, col solo suono di passi acquosi a spezzare il silenzio.
Non si azzardarono ad accendere una fonte di luce, per paura che qualcuno potesse scorgerla e accorgersi della loro presenza; camminavano tanto vicini da seguire le orme l'uno degli altri, seguendo il flusso fino alla meta.
Dopo qualche minuto il percorso sembrò salire, una lieve pendenza verso l'alto, e ad un certo punto trovarono sulla loro strada degli scalini: Mikey ci era andato a sbattere contro violentemente e ci si era quasi schiantato sopra, fortunatamente salvato da Mork.
Risalirono, con solo il lieve frusciare dei piedi in sottofondo.

C'era un'innaturale calma che rendeva nervosi, che faceva tendere i sensi fino allo spasmo, come nell'attesa che una minaccia piombasse loro addosso da un momento all'altro.
Non c'era nessuno in verità, ed era proprio quello a renderli più irrequieti: se quello era un tunnel usato dalle creature, la loro assenza voleva solo dire che ormai erano scomparsi tutti e non c'era più nessuno da salvare.
E il pensiero dava loro la nausea.

Infine, e finalmente, sbucarono nuovamente alla luce, da una botola nel pavimento di un sotterraneo: si arrampicarono con circospezione, strizzando gli occhi per riabituarsi al chiarore. Erano in una stanza quadrata impiegata probabilmente come magazzino, a giudicare dalla moltitudine di scatoloni accatastati in un angolo; era molto sporca e in disuso, probabilmente non era usata se non dalle creature.
Non c'erano rumori provenienti dall'esterno.

Adesso che si fa?” domandò quietamente Mikey. Tutti gli occhi si voltarono verso il mutante giallo, anche loro in attesa.
Mork non li disattese e con passi veloci si avvicinò alla porta, tentennando solo per un attimo con la mano sulla maniglia: sembrava ascoltare qualcosa che loro non potevano sentire. La abbassò lentamente, sbirciando dallo spiraglio sempre più grande.
La strada doveva essere sgombra, perché oltrepassò l'uscio e fece loro cenno di seguirlo, con sicurezza.

Il corridoio in cui sbucarono era completamente bianco e asettico, illuminato in alto da faretti alogeni e vuoto, -un'enorme galleria vuota dall'aspetto vagamente fantascientifico.
Su di esso si aprivano molte porte, ma non c'era nessuno in vista.
Il gruppo compatto si mise in marcia con attenzione.

Era un vero labirinto. Svoltarono direzione infinite volte, sinistra, destra, sinistra, dritto e ancora sinistra; se avessero mai dovuto tornare indietro per la stessa strada, nessuno sarebbe mai riuscito a ricordarsela, nemmeno Donnie.
Il puzzo di agenti chimici permeava l'ambiente e più di una volta dovettero soffocare un principio di starnuto che non era prudente fare. Chissà se erano poi davvero così soli.

Arrivati all'ennesimo svincolo, Mork si fermò d'improvviso e si appiattì contro la parete.
Cosa succede?” domandò Leonardo.
Al gesto di Mork si sporse velocemente per controllare e con la stessa velocità si ritrasse indietro. Sembrava preoccupato.

C'è una porta con chiusura di sicurezza oltre questo corridoio e a quanto pare c'è una telecamera proprio di fronte. Ho visto degli uomini in camice al di là dei vetri, che facevano avanti e indietro con frenesia” raccontò alla squadra, con praticità
Era ovvio che se quella porta era così ben sorvegliata, dietro doveva esserci ciò che stavano cercando.

Mork iniziò a spiegare, guardava Leo, ma era ovvio che era Mikey a dover interpretare i suoi segni.
Oltre la porta è pieno di telecamere ogni tre metri” iniziò a spiegare infatti quello. “Ci sono molti laboratori, ognuno ben sorvegliato e difficile da raggiungere senza essere scoperti. Molti uomini lavorano e fanno avanti e indietro da uno all'altro. Nessuno può entrare senza essere identificato.”
Allora come facciamo a passare? Dobbiamo andare da quella parte, no?” chiese Angel, sporgendosi appena per controllare anche lei. Lei e Steve indossavano due maschere nere per nascondere i loro tratti, ma si premunì comunque di non essere scorta.
Non potevano dare l'allarme prima del tempo.

Mork alzò un dito verso l'alto e tutti lo seguirono con lo sguardo: proprio sopra la sua testa c'era la grata del sistema di ventilazione.
I tunnel di ventilazione sono sicuri?”
Il mutante giallo rispose affermativamente al leader; nessuno avrebbe mai pensato a far installare telecamere nei tunnel dell'aria, perché non pensavano che qualcuno potesse superare l'entrata ben sorvegliata e arrivare sino a quel punto senza essere scoperto.

Se riusciamo a trovare un computer, posso entrare nel sistema di sicurezza e disattivare le telecamere” esclamò fiducioso Don, dando una pacca affettuosa alla borsa che portava a tracolla, sicuramente piena delle sue stramberie scientifiche.

Fu lui il primo a salire: Raph gli fece da scaletta con le mani intrecciate e il genio svitò in fretta le viti che fissavano la grata, passandola poi ai fratelli perché la poggiassero silenziosamente a terra; Leatherhead prese allora Mork e lo aiutò a salire, lui che avrebbe dovuto guidarli.
Mikey lo seguì a ruota e poi tutti gli altri, Steve dovette essere aiutato da Donnie, finché a terra non rimase che Leatherhead.
Il coccodrillo umanoide controllò per bene la struttura, poi sospirò con irritazione.

Non ci passo” soffiò frustrato, per un momento gli occhi a fessura.

Don sporse la testa dal tunnel al sentire la sua voce, preoccupato.
Dovrai aspettare finché non avrò disattivato le telecamere. Allora cercherò di aprire a distanza anche la porta e potrai raggiungerci” provò a rassicurarlo, sperando che bastasse.
Se Leatherhead avesse perso la testa e si fosse gettato contro la porta con tutta la sua furia, addio piano di segretezza e furtività.
L'amico non rispose subito, respirava pesantemente, forse per calmarsi.

Va bene, aspetterò qui” concesse dopo qualche minuto. “Ma fai in fretta, Donatello.”

Forse qualcuno di noi dovrebbe restare qua con lui” propose Leonardo da qualche parte alle sue spalle. Anche Steve sembrò dello stesso avviso a giudicare dal pigolio di approvazione che fece.
No, no, andate avanti. Aspetterò” fu la laconica risposta di Leatherhead, forzatamente stoica.
Lo lasciarono lì, a guardare verso l'alto, verso loro che si allontanavano, chiedendosi se fosse poi la cosa giusta.
Dovevano sbrigarsi.

Muoversi per i condotti non fu facile, c'era caldo nonostante passasse un fiotto continuo di aria; era stretto e soffocante e dovettero arrancare in fila indiana cercando di non produrre nessun rumore, perché le sottili pareti di acciaio zincato propagavano il suono in quell'angusto spazio in maniera pericolosa.
Se possibile, il sistema di ventilazione era persino più intricato dei corridoi: all'ennesima svolta, la pazienza iniziò a vacillare e si sentivano sottovoce imprecazioni, probabilmente di Raphael.

Ogni tanto sorpassavano una grata e ci gettavano un'occhiata curiosa, ma distratta, mentre andavano avanti, giusto per controllare: si accorsero del via vai di quelli che sembravano dottori e ascoltarono frammenti delle loro conversazioni; non sembravano positivi, c'era un generale dissenso e da quel poco che sentirono, sembrava che di lì a poco avrebbero tutti abbandonato quel lavoro, volenti o nolenti.
Preoccupati anche da quella novità, cercarono di fare ancora più in fretta.

Mork si bloccò proprio in prossimità di una di quelle grate e ci guardò attraverso, come per esserne sicuro: con frenesia richiamò l'attenzione di Don, gesticolando fuori controllo.
Dice che qua sotto c'è un grande computer che puoi usare per entrare nel sistema” spiegò frettolosamente Mikey. “È uno dei laboratori principali.”
Donnie strizzò gli occhi per controllare tra le sbarre e mettere a fuoco l'ambiente sotto di loro: c'era una fioca luce che illuminava parecchie attrezzature mediche e una postazione informatica niente male; sembrava non esserci nessuno al momento.

Ok, si scende signori!” disse, mentre trafficava con le viti. “E signora” aggiunse poi, rivolto ad Angel.
Signorina! Ancora per molto!” ribatté quella sottovoce, piccata.

Senza far rumore appoggiarono la grata all'interno del condotto e uno ad uno scivolarono giù, chi da solo, chi preso al volo; Mork e Mikey erano ancora sopra, gli altri si davano già occhiate attorno.
Ehi, cosa aspettate?” domandò Leo torcendo il collo all'insù. Mikey sporse la testa oltre il bordo, con espressione un po' confusa.
Mork vuole che lo segua poco più avanti. C'è qualcosa che vuole mostrarmi. Torniamo subito” disse al fratello, lasciandolo poi lì preoccupato senza dargli il tempo di rispondere.
Leonardo sbuffò mezzo irritato, Donnie correva già alla grande postazione informatica poco più avanti, mentre gli altri tendevano le orecchie a tutti i rumori esterni.

Mikey si accodò docilmente alla scia di Mork: gli aveva fatto segno che c'era qualcosa che doveva assolutamente fare e che voleva che fosse con lui; non dovettero andare molto lontano, solo una decina di metri per il condotto e si trovarono di nuovo sopra una grata.
Questa volta sembrava dare su una piccola stanzetta in penombra, un pertugio di pochi metri quadrati, apparentemente insignificante. Ma che non doveva esserlo, dato che Mork smaniava per entrarci.
Mikey accorse in suo aiuto e, in assenza di attrezzi adatti, si limitò a scardinare la grata con un calcio, pregando che non facesse troppo rumore.
In realtà, non ci fu nessun rumore quando cadde.

Michelangelo scivolò giù e capì, dalla consistenza morbida sotto i piedi, perché. Allungò le mani per aiutare Mork a scendere e quando il mutante umano trovò l'interruttore della luce, finalmente capì: c'era una montagna di vestiti gettati e impilati alla rinfusa, stipati in quella specie di sgabuzzino, quasi fino al soffitto.
Cosa diamine-”
C'erano vestiti femminili e maschili, da adulti e bambini, giubbotti e copertine, lasciati con noncuranza a marcire, sporchi e usati.

Oh” sospirò Mikey, cominciando a capire.

Mork aveva iniziato a scavare tra la pila, annusando di tanto in tanto l'aria.
Sono i vostri vestiti, sono le vostre cose” mormorò il ninja, dispiaciuto.
Gli dava un senso di fastidio e nausea vedere tutte quelle cose, quei ricordi, il possesso di qualcun altro, gettato via in quel modo, come se non importasse.
Come non era importato delle loro vite.

Posso aiutarti?” domandò quietamente.

Mork non sembrò averlo sentito, troppo impegnato a rovistare e a gettare da una parte i vestiti dove aveva già cercato, con frenesia. Solo in quel momento Mikey si accorse che sotto gli abiti c'erano oggetti e gioielli, chiavi e alcune cianfrusaglie.
Il mutante giallo ci tuffava le mani dentro con disperazione, prendeva qualche oggetto che attirava la sua attenzione e lo studiava speranzoso, per poi abbandonarlo con dolore e amarezza un secondo dopo. Ripeté la stessa cosa ancora e ancora, sempre più angosciato e infuriato minuto dopo minuto.
Sembrava quasi che ci stesse cercando l'anima lì dentro.

Mork, ti prego, dimmi cosa stai cercando. Ti voglio aiutare” lo supplicò, cercando di attirare la sua attenzione.
Quello si fermò di colpo e si voltò a guardarlo, una mano che stringeva un braccialetto. La allungò verso il suo viso e la aprì, mostrandoglielo: era un semplice bracciale d'argento, un modello classico, con una piastrina al centro di forma semisferica, come se fosse la metà di un cerchio perfetto, su cui era incisa una piccola e stilizzata “S”.
Dopo nemmeno un secondo lo strinse di nuovo forte e si poggiò la mano sul cuore.
E Mikey si ricordò e capì.

La tua persona speciale. È della tua persona speciale?” domandò, mentre Mork si ancorava all'oggetto con angoscia e affetto, forte forte da far male solo a guardarlo.
Annuì, sollevato.

Allora ti ricordi chi sei, adesso? Ti ricordi il tuo nome?”
Mork scosse la testa con vigore, infastidito dalle sensazioni che le sue domande, e le sue aspettative, gli suscitavano. La mano libera volò nell'aria freneticamente, dalla smania di comunicare.
No, gli disse, ricordava solo lei. E non ricordava nemmeno il nome di lei, solo il suo viso. Un bel viso angelico. E che era bella e combattiva, ma anche tanto dolce. E lui, Mork, voleva solo rincontrarla.
Mikey sentì un tuffo al cuore per l'accorata, seppur silenziosa, confessione dell'amico, che anelava di poter tornare normale e ritornare dalle persone amate. Forse più di quanto potessero immaginare.

Ti riporterò da lei, Mork. Contaci!”


Donnie aveva connesso il cavo del palmare al computer centrale, crackare la password era stata una vera bazzecola, e da qualche minuto stava viaggiando nella sua rete per cercare i blocchi di sicurezza e i codici del sistema di sorveglianza di tutta la struttura.
Il tutto senza farsi scoprire e rintracciare dal proprietario del computer.
Stava digitando così in fretta, ed era focalizzato sullo schermo così intensamente, che parlare con lui era fuori discussione.
Donnie era nella rete, era la rete, in quel momento.

Gli altri si erano divisi per la stanza in penombra. Leo e Steve sorvegliavano con attenzione la grande porta che comunicava con l'esterno, occhieggiando dal piccolo oblò che nessuno si avvicinasse, mentre Raph e Angel ammazzavano il tempo frugando attorno, attirati soprattutto dalle attrezzature mediche e dalle grandi teche piene di un liquido sconosciuto che probabilmente avevano contenuto i mutanti.
Ce n'erano di grandi e di piccole, alcune alte tanto da ospitare un uomo adulto, altre non più grandi di un neonato.

Fu verso una di quelle, che Raph venne attratto. Era una teca piccola e in uno degli angoli del laboratorio, nella più completa oscurità; eppure era quasi sicuro che ci fosse qualcosa, ne sentiva la presenza.
Quando si avvicinò, dovette strizzare gli occhi per focalizzare, ma gli era parso che qualcosa galleggiasse nel liquido scuro; recuperò il shellcell e azionò l'opzione luce, puntandola poi verso la teca: un piccolo corpicino fluttuava al suo interno, completamente ricoperto di squame giallognole e una leggera cresta ossea che partiva dal naso e, percorrendo la testa, arrivava fin nella schiena. Gli occhi erano chiusi e un tubo per la respirazione gli forniva l'ossigeno di cui aveva bisogno; da piccole bollicine che fuoriuscivano dalla sua bocca, si accorse con sollievo che era vivo.
Uno dei loro esperimenti, era ancora vivo.

Doveva avere meno di un anno, era così piccolo, troppo piccolo.
Un nome gli affiorò improvvisamente alla mente. Thomas Marsten. Uno dei primi bambini rapiti. I suoi genitori erano stati uccisi e lui era stato portato via; avevano sempre sospettato fossero state le altre creature, ma trovarselo lì, mutato, era stato un colpo al cuore.
Solo da mesi, solo per sempre. Non aveva più una famiglia.

Uno stupido, egoistico desiderio gli salì dal fondo dell'anima. Quando tutto fosse finito, avrebbe voluto prenderlo con sé. Anche se non fossero riusciti a ritrasformarlo in essere umano, lui lo avrebbe voluto prendere con sé e crescerlo e amarlo; Isabel lo avrebbe amato come se fosse suo, lo sapeva. Come se fosse stato loro figlio.
Sorrise tra sé, inconsciamente.

Cosa c'è?” domandò Angel, avvicinandosi anche lei.
Raph le mostrò il piccolo e lei si adombrò alla scena, commossa alla vista del poveretto tutto solo e probabilmente segnato da ciò che aveva dovuto passare.

Povero tesoro. Dobbiamo assolutamente salvarlo. E sono sicura che Donnie saprà curarlo.”
Ne era fermamente convinta. Don avrebbe aggiustato tutto.
Prima dovevano solo farla pagare a Bishop, ovviamente. E una volta per tutte.

Il genio esultò sottovoce, proprio in quel momento, mentre ancora digitava al computer.
Sono riuscito a disattivare il sistema di sorveglianza!” li informò entusiasta. “Ancora un altro attimo e riuscirò ad aprire la porta per Leatherhead. E ho anche trovato informazioni utili per poter forse invertire il processo di mutazione!”
Allora, come andiamo qua?” chiese Mikey, apparendo dal condotto di aerazione. Scese con un solo balzo, poi aiutò Mork a calarsi nella stanza.
Abbiamo finito! Abbiamo campo libero adesso” annunciò Don, premendo gli ultimi pulsanti. Disconnesse il suo palmare e lo ripose nella borsa, al sicuro, prima di voltarsi verso gli altri.
Adesso dobbiamo solo ritrovare Leatherhead e-”
Una sirena esplose nell'aria, interrompendo le sue parole. Rimbombò dappertutto, ritmata e assillante, sempre più alta.

Cosa succede?” gridò qualcuno per sovrastare il rumore.
Sta succedendo qualcosa! Stanno tutti scappando via!” esclamò Leo controllando fuori.
Cosa?”
Siamo noi. Ci hanno scoperto” indovinò Donatello, gettando un'occhiata di sbieco verso il computer. Forse non era stato così attento come aveva pensato.

Leo si spostò dalla porta con fare risoluto.
Non ce ne andremo senza aver sconfitto Bishop” disse. “Corriamo a prenderlo.”
Schizzarono fuori dalla stanza tutti in simultanea, avvolti dal suono regolare della sirena e da una luce rossa e pulsante che illuminava i corridoi: questa volta in testa c'era Don, che li guidava sicuro; aveva la planimetria della struttura ben stampata nella mente, dopo averla vista sul computer.

Correvano con tutta la loro forza, in un gruppo compatto e allo stesso passo. Arrivavano delle urla ovattate, da lontano, ma non gli diedero troppo peso finché, svoltato un angolo, non si trovarono di fronte a degli uomini in camice da laboratorio, che stavano cercando di fuggire nella direzione da cui loro provenivano: entrambi i gruppi si bloccarono sorpresi, studiandosi da lontano.
Non credo che vogliano combattere. Forse vogliono solo scappare” mormorò Leo, osservando il modo in cui tremavano sul posto e occhieggiavano oltre le loro spalle, verso la salvezza.

Il leader si limitò a guardare per un secondo i suoi compagni e incredibilmente fu come se avesse dato loro un'ordine: si allinearono tutti lungo il muro, lasciando un grande varco nel corridoio.
I dottori, o quello che erano, rimasero basiti. Quella breccia, quel gesto, era troppo perfetto per essere reale. O forse una trappola?
Leonardo attirò la loro attenzione e mosse appena la testa, per dargli segno di passare. Dovette assistere al loro scambio di sguardi increduli e spaventati, nel silenzio teso che si era creato, ancora e sempre scandito dal suono ritmato della sirena.

Forza!” tuonò all'improvviso Raphael, scuotendoli fin nelle ossa.

Il gruppo si lanciò in avanti, stimolato dalla paura, e li sorpassò di volata, senza guardarli nel timore che potessero cambiare idea; solo una donna, l'ultima della fila, si attardò o forse aveva già notato la piccola figura gialla: rallentò i passi, davanti a Mork.
E lo osservò con profondo rimorso, con profondo dispiacere. I loro occhi forse si scambiarono qualche parola, qualche messaggio, perché la donna, prima di scappare via, esalò sentitamente: “Mi dispiace. Ci dispiace.”
Poi sparì, cercando di raggiungere gli altri suoi colleghi che ormai avevano già svoltato l'angolo.

Si scossero in fretta da quella sensazione di fastidio e Mikey fu il primo a voltarsi verso Mork per sincerarsi che stesse bene: l'umano mutato stese un momento le labbra in un fantasma di un sorriso e si prodigò nel rassicurarli in fretta.
Eppure sentivano che non era vero.
Ripresero la corsa, accantonando quel momento in un angolo per quando avessero avuto il tempo per riparlarne. Non potevano farsi sfuggire Bishop, per nessun motivo al mondo.
Non incontrarono nessun altro e la loro meta si avvicinava ad ogni passo; ne erano inconsciamente tutti certi, perché le mani corsero verso le armi, senza averci davvero pensato.

Si fermarono, davanti ad una grande porta d'acciaio.
Siete tutti pronti?”
Un coro compatto rispose affermativamente alla domanda del leader, senza tentennamenti.
Si scagliarono contro la porta, scardinandola dalla sua posizione: cadde a terra con un gran fragore che si propagò ovunque, assieme alla sirena d'allarme.

Bishop! Vieni fuori!” urlò Leo, per sovrastare tutto quel rumore.
La sirena si interruppe in quello stesso momento e quando la porta ebbe smesso di vibrare sul pavimento, ci fu un innaturale silenzio.

Gli occhi saettarono per l'enorme stanza, illuminata solo per metà: c'era qualcosa, nel buio in fondo, che loro non potevano vedere.
Sembrava un laboratorio, ma grande, molto più grande di quelli visti fino a quel momento, con un ampio soffitto e attrezzature piccole e moderne comandate da un computer potentissimo e all'avanguardia.
Un lieve rumore di passi scompagnati raggiunse le loro orecchie. Fuori ritmo, sgraziato.
Mork sussultò sul posto e si ritirò all'indietro, cedendo ad un lieve impulso di terrore.
Leo strinse più forte la presa sulle else e così fecero gli altri con le proprie, sul chi vive.

Vi stavo aspettando” disse una fredda voce.

Un uomo, forse era un uomo, emerse dall'oscurità e sorrise nel guardarli.
Ma non era Bishop.

Tu chi diamine sei?” sbottò incredulo Raph, lasciando andare la guardia alta dalla sorpresa.
Anche se forse la domanda, e sarebbe stata ironica se l'avesse detta, sarebbe dovuta essere: “tu cosa diamine sei?”.
Metà del corpo dell'uomo era mutata in qualcosa di grottesco, o forse era solo l'abissale differenza dalla parte normale a renderlo così evidente: per metà era un uomo esile e alto, con radi capelli neri e un occhio dello stesso colore, l'altra metà era un colosso di muscoli sproporzionato, ricoperto da squame verde scuro, con un occhio giallo e denti acuminati che spuntavano direttamente dalla guancia.

Il suo sorriso sghembo e inquietante si allargò ancora, nell'accorgersi della loro sorpresa.
Io vi conosco, tartarughe, ma ovviamente so che voi non mi conoscete. Perché dovreste? Meglio pensare che ci sia Bishop dietro a tutto. Bishop può farlo, Bishop ne è capace!”
C'era qualcosa di graffiante nella sua voce che assomigliava al ruggito di una bestia ferita.
Mork era sempre più terrorizzato, come se quella voce risvegliasse in lui ricordi che non voleva, sensazioni che detestava. Mikey se ne accorse e si affrettò a liberare una mano dall'arma per poggiarla sulla spalla dell'amico per tranquillizzarlo. O almeno provarci.

L'uomo avanzò verso di loro e quello non fece che allarmarli: non sembrava avere armi con sé, ma non per quello potevano sottovalutarlo.
Il mio nome è Philip Hersen, sono un dottore, ed ero uno dei ricercatori di Bishop, molti anni fa” iniziò a spiegare tranquillamente.
Io c'ero, quando siete arrivati nell'area 51 con quel mostro di vostro fratello, per cercare una cura” disse, indicando verso Donatello.
Il genio trasalì.

Ero nei laboratori che contenevano i campioni di Leatherhead, le informazioni sul vostro mutageno e tutto ciò che aveva a che fare con i mutanti creati da Bishop per la missione per rapire il Presidente per ottenere nuovi fondi. Io c'ero. Io sapevo.”1
Erano tutti troppo sconvolti per replicare e in più volevano sapere, perciò attesero che spiegasse ancora.

Poi, grazie alla vostra incursione, la base venne fatta esplodere, ricorderete sicuramente il conto alla rovescia del dispositivo di autodistruzione; eravamo addestrati anche per quello, doveva filare tutto liscio. Ma non fu così. Bishop teneva a quei campioni più che alle vite dei suoi uomini; sono rimasto indietro, per cercare di recuperare tutto il possibile prima che il laboratorio esplodesse.
Superfluo dirvi che non ci riuscii. Le fiale dei campioni furono le prime a saltare per il calore delle fiamme generate dall'esplosione e i liquidi mi investirono tutti assieme, freddi, eppure nocivi, sulla pelle ormai bruciata. E questo è quello che sono diventato.
Sono mutato e sono sopravvissuto.
Bishop era introvabile e io dovevo trovare un modo per tornare normale-”

Tornare normale?” tuonò arrabbiato Mikey, spezzando quel momento di quiete. “Che cosa hai fatto a queste persone? Come ti sei permesso?”
Io dovevo trovare una cura!” si difese il dottore, allargando il braccio mutato. “Io non potevo aspettare ancora e non posso provare le cure sperimentali su di me” continuò con voce folle, un rivolo di bava al lato della bocca. L'iride dell'occhio giallo cambiò forma, da tonda a fessura decine di volte in pochi istanti.
Capirono immediatamente che c'era qualcosa che non andava in quell'uomo. Nella sua testa.
Se fosse una conseguenza della mutazione o un problema già presente da prima, non seppero dirlo, ma era certo che c'era una vena di instabilità che rendeva la situazione ancora più precaria.

Sembrò accorgersi delle loro occhiate, sembrò capire cosa stessero pensando.
Ero un brillante dottore. Ero il migliore! Guardate cos'ho fatto, tutto da solo, io.”
Cosa hai fatto?” domandò con voce bassa Angel, senza accusa o rabbia. Voleva farlo parlare, voleva sapere fin dove si era spinto, quante persone avevano dovuto pagare la sua pazzia.
Non potevano attaccarlo, nonostante la voglia che ne avevano, perché prima dovevano avere tutte le informazioni che avrebbero potuto portarli al salvataggio di Mork e dei superstiti.

Ho preso prima i barboni, nessuno si accorge se spariscono i barboni. Ma non andavano bene: i loro corpi rigettavano il mio sangue e morivano prestissimo: iniziai ad abbassare sempre più l'età delle mie cavie, sempre più, cercando la resistenza e la mutazione perfette.
I ragazzini sembravano perfetti. Ottenni finalmente delle mutazioni stabili ed ero pronto a creare un contro-siero che avrebbe potuto farmi tornare normale, ma scoprimmo che i nuovi soggetti non erano così forti come credevamo: le loro cellule sopportavano meglio la trasformazione, ma acceleravano e vibravano sempre più velocemente, creando una disintegrazione improvvisa. Continuò per mesi.
Finché non mi accorsi che M37 era il soggetto perfetto. Longevo, in salute, diverso!”

Mork sussultò violentemente e indietreggiò ancora, e Mikey abbandonò completamente le armi per poterlo stringere a sé: tremava così tanto che temette si stesse per disintegrare, ma era solo paura, sconfinata e orribile paura.
Cosa aveva ricordato? Cosa aveva passato?

Come si chiama davvero?” domandò il mutante all'uomo, riluttante per l'odio che provava, ma sinceramente curioso.
M37” ribatté il dottore, freddamente. “Grazie per averlo riportato.”
Qual è il suo nome?” urlò arrabbiato Mikey.
Hersen piegò la testa, infastidito, e gli rivolse uno sguardo malevolo.
Lui e tutti gli altri erano solo dei collaterali fastidiosi in tutta quella faccenda e se ne sarebbe liberato al più presto.

M37. Restituitemelo, adesso!”
Michelangelo lasciò andare Mork e lo nascose dietro le sue spalle, recuperando le armi abbandonate al suolo.

Mai!”

Si gettarono tutti contro il dottore, assieme. Il tempo delle chiacchiere era finito e ora che sapevano tutto, avevano capito tutto ciò che fino a quel momento era mancato alla storia. E non era stato affatto piacevole.
Hersen non sembrò sorpreso dal loro attacco improvviso, né si scompose: schioccò due dita, secco.
Dalle ombre emersero delle altre creature, ma diverse da Mork e dalle altre viste: più piccole ed esili, la loro pelle era completamente blu. Mikey si ricordò di averne vista una, la prima volta che erano apparsi.
Ringhiavano rumorosamente contro di loro e sguainavano lunghi artigli neri con ferocia.

Questi sono... scarti. Soggetti mutati troppo velocemente e completamente senza controllo. Sanno solo attaccare e uccidere” li informò Hersen quasi divertito, mentre si faceva da parte.

Incominciò uno scontro agguerrito. Da una parte il gruppo variegato di tartarughe e umani, dall'altra umani mutati con sete di sangue.
Erano tanti e più pericolosi di come potessero sembrare. Velocissimi e agili, attaccavano alle spalle e ai punti vitali con precisione e violenza. In breve si ritrovarono tutti accerchiati e avvinghiati in una battaglia ferocissima.
Non volevano colpire quelle povere vittime che non sapevano ciò che facevano, ma non potevano nemmeno lasciarsi ammazzare per pietà. Tutto quello che potevano fare, mentre pensavano ad una soluzione migliore, era difendersi.

Mikey cercava di lottare e al contempo proteggere Mork, ma era sempre più difficile, cercavano di allontanarlo da lui per portarglielo via e lui non poteva permetterglielo.
Come conseguenza delle sue continue distrazioni venne ferito ripetutamente, alle braccia e in faccia, al fianco e ad una gamba. Eppure non indietreggiò nemmeno per un attimo.
Continuava a far roteare i Nunchaku impazziti, cercando di colpire i suoi avversari senza fargli troppo male.
Non aveva tempo per controllare come stessero gli altri, anche se era preoccupato. Sentiva i rumori delle lotte tutto attorno, crudeli e graffianti.
E una risata folle in sottofondo, che metteva i brividi e il magone.

Steve era in coppia con Leonardo, e non se la cavava troppo male grazie alla sua velocità; Angel combatteva con splendore; Don e Raph erano ovviamente al pieno della forma; tutti cercavano di non disperdersi, ma di costringere tutti gli avversari in un unico punto.
Donnie aveva qualcosa in mente.

All'improvviso, un sibilo modulato spezzò la concentrazione, arrivando dritto al petto. Era una richiesta di soccorso, dritta verso il cuore.
Mork cercava di dibattersi, trattenuto di forza dalla presa ferrea della mano mutata del dottore, ormai pienamente soddisfatto. Nella mano buona teneva invece una siringa già piena di uno sconosciuto liquido giallo.
Mikey sussultò sconvolto, non si era accorto che Hersen si era avvicinato ed era infine riuscito a prendere Mork; cercò di liberarsi dagli attacchi per andare ad aiutarlo, ma le creature blu incalzavano frenetiche e implacabili, per niente interessate a quello che stava per succedere al loro compagno.
Il lamento gutturale dell'amico si fece più intenso, mentre la siringa si avvicinava al suo collo.

Un ringhio intenso rispose al suo richiamo, così forte che fece vibrare le pareti, e il pavimento sussultava per le vibrazioni di qualcosa in avvicinamento: dalla porta irruppe Leatherhead completamente fuori di sé, una furia dagli occhi a fessura.
Si gettò immediatamente verso il dottore, al salvataggio di suo figlio.
Hersen trasalì, preso alla sprovvista, ma non ebbe il tempo di reagire: l'enorme mole di Leatherhead lo investì in pieno, dopo aver falciato un paio di creature blu nella sua furia, e gli fece perdere la presa su Mork, mandandolo a sbattere contro la parete in fondo con brutalità.
I nemici ancora in piedi gli si gettarono immediatamente contro, accrescendo solo ancora di più la furia del coccodrillo mutante: dalla sua gola nacque un ruggito ancestrale, che scosse ognuno di loro fin nelle ossa. I piccoli mutanti lo lasciarono immediatamente andare e si ritrassero con timore e reverenza, con uno sguardo smarrito e spaventato che suscitava pietà.

Mikey si era intanto tuffato verso Mork e lo aveva tratto verso di sé, controllando che non fosse ferito; a parte l'evidente stato di paura nel quale versava, sembrava stare bene.

Si voltarono tutti alla ricerca del dottore e si meravigliarono nel vederlo ancora riverso a terra, un lieve tremolio a scuoterlo: la siringa che stringeva poco prima era conficcata nella sua gamba e il liquido circolava liberamente nel suo corpo.
Sussultò scosso da spasmi violenti e un rivolo di bava colò giù dalla bocca aperta, aperta per urlare di dolore: gli arti si contorsero e sotto i loro occhi attoniti il suo corpo mutò ancora, violentemente; la pelle si tinse di sfumature cupe, quasi nere, le squame divennero più grandi e affilate e la mutazione si espanse anche nella parte sana: grosse creste ossee emersero lungo le braccia e sul viso, lacerando i vestiti e il camice da laboratorio che indossava in più punti, e infine spuntarono anche lungo la schiena.
Hersen gridava fin dal fondo dei polmoni per il dolore, dimenandosi violentemente. I suoi occhi sembravano ancora più folli di prima.

Rimasero tutti impietriti a guardarlo, non sapendo che fare. Perfino Donnie, che con le nuove competenze mediche che aveva acquisito poteva fare qualcosa, non si arrischiò ad avvicinarsi per paura che il dottore potesse attaccarlo, sovrastato dal dolore.

Di colpo, le urla cessarono e così la mutazione. Hersen rimase accasciato al suolo, prendendo grandi respiri sofferti e graffianti, ancora tremante.
Scoppiò all'improvviso in una grassa risata e, mentre si guardava sconvolto e alienato, quella divenne più sguaiata e folle, stridula tanto da mettere i brividi.
Si tirò su con sforzo notevole, ancora visibilmente scosso, e si strappò via la siringa dalla gamba senza un fiato.

No, è sbagliato, non è così, non va bene così” farfugliò fuori di sé, ridacchiando senza controllo.

Frugò freneticamente nelle tasche del camice e poi osservò deliziato il piccolo telecomando che ne tirò fuori.
Non è così, bisogna rifarlo da capo” mugugnò completamente fuori di testa, premendo una serie di pulsanti.
Accaddero molte cose contemporaneamente: esplosioni fragorose scossero la struttura e li mandarono quasi tutti a terra per il contraccolpo; Hersen rideva, la terra tremava.
Grandi pezzi di pareti crollarono, mentre le detonazioni si facevano sempre più frequenti e sempre più vicine.

Ha innescato una sequenza di autodistruzione immediata, senza conto alla rovescia. Crollerà tutto tra poco e ci seppellirà tutti!” esclamò Don in tono urgente, tirando già via Angel e Steve.
Una deflagrazione esplose vicino a loro, rimandandoli tutti al suolo per l'onda d'urto; grandi crepe corsero per il soffitto, sbriciolandolo.

Dobbiamo andare via!” urlò Leo, rimettendosi in piedi e cercando di evitare i detriti che si schiantavano al suolo.
C'erano tanti motivi per restare: per scoprire la verità su Mork, per trovare altre informazioni sulla sua mutazione, per salvare gli altri umani mutati, ma non avrebbero avuto tempo, lo sapevano. L'intero edificio stava crollando su sé stesso e li avrebbe portati giù con sé, se non si muovevano in fretta.
Iniziarono a d avvicinarsi all'uscita, a ranghi serrati.

Una intensa vibrazione corse sotto i loro piedi, all'improvviso.
Mork si gettò verso Mikey e lo spinse via con tutta la sua forza, sbalzandolo lontano; nello stesso istante una frana cadde con violenza lì dove la tartaruga mutante era stata poco prima, seppellendolo completamente.
Mikey osservò con occhi sbarrati e increduli, riprendendo fiato. Poi, compreso cos'era successo, si rialzò e si gettò verso i detriti con urgenza, provando a spostarli con mani tremanti.

Mork! Mork, dove sei?” gridò angosciato, ferendosi nel cercare di sollevare l'enorme porzione di parete che lo copriva.
Altre esplosioni detonarono attorno a loro.

Si unirono tutti per cercare di salvare il loro amico, in fretta, mentre Michelangelo chiamava sempre più straziato il suo nome; Leatherhead intervenne e con immane sforzo riuscì a sollevare appena il detrito, quel tanto che servì all'altro per scivolare al di sotto e controllare.
L'ho visto!” arrivò soffocato alle loro orecchie. “Sollevate ancora un po'! Presto!”
Puntellarono i piedi al suolo e spinsero con tutta la loro forza per alzare la parte di soffitto ancora un poco.

Mikey grugnì per lo sforzo e sentirono massi rotolare al di sotto, e poi il loro fratello ne uscì fuori, strettamente agganciato a Mork: l'esile mutante era ricoperto di ferite e polvere, e sangue.
Mork. Mork, rispondimi” esalò sconvolto, stringendolo delicatamente. Gli occhi chiusi dell'amico non facevano presagire niente di buono.
Cercò di sentire il suo battito, di capire se fosse ancora...

Mork, ti prego.”
Quello sussultò debolmente, al richiamo del suo nome. Gli occhi neri si schiusero appena e un mezzo sorriso gli piegò le labbra nel vedere Mikey. Inspirò a fatica, poi tossì un grumo di sangue.

Ti porto via. Andrà tutto bene.”

Mork voltò il capo verso Leatherhead, anche lui inginocchiato lì accanto; l'enorme coccodrillo tremava e i suoi occhi, seppur addolorati, erano tornati normali.
L'umano mutato inspirò ancora a fondo, poi melodiò un sibilo basso e straziante, un canto del cigno.
Leatherhead trasalì nel sentirlo, perché per lui era più esplicito di mille parole. Abbassò il capo e iniziò a singhiozzare, le grandi spalle scosse dal tremore impietoso.

Mikey sembrò capire anche lui, perché cercò di sollevarlo per portarlo via il più in fretta possibile. Mork lo fermò con la mano malferma e un sorriso di gratitudine.
Con fatica gli porse il bracciale trovato poco prima. Poggiò allora una mano sul suo petto, per indicarlo. Poi la portò al suo petto.
E Mikey, anche se addolorato e straziato, capì.
Era diventato anche lui la sua persona speciale.

Strinse forte la mano di Mork e cerco di ricambiare il sorriso, anche se ormai piangeva e lui poteva vederlo. Il tempo di un tocco e poi gli occhi neri si chiusero e con una lieve, delicata esplosione il suo corpo si dissolse in fumo nero, disperdendosi nell'aria.
Mikey rimase per un attimo a guardarla volteggiare, lontana, sempre più lontana, poi si accasciò e pianse, disperato.

Una mano si poggiò dolcemente sulla sua spalla.
Dobbiamo andare” mormorò Leo facendogli forza, porgendogli l'altra per aiutarlo ad alzarsi.
Don e Raph si occupavano di Leatherhead, e tutti premevano per andare via di lì al più presto. Ormai quasi tutto era crollato e l'edificio continuava a collassare ad una velocità impressionante.
Leo si voltò un secondo, prima di varcare la porta, e si accorse che Hersen non c'era più. Era scappato chissà quando, approfittando della loro distrazione.

Riuscirono ad uscire per un soffio, andando a ritroso nel complicato labirinto di corridoi, mentre le pareti collassavano quasi loro addosso, e cercando di evitare le esplosioni che li avvolgevano.
Non ebbero tempo per fare nient'altro. Con una stretta al cuore Raph pensò al piccolo Thomas, ma ormai non poteva più fare niente. Digrignò forte i denti per la sua impotenza. Cercò di convincersi, per alleviare il dolore, che non sarebbe sopravvissuto nemmeno se lo avessero preso, le sue cellule non erano stabili; ma in realtà non si sentì affatto meglio.

Ripresero fiato, guardando da lontano la grande azienda Hessencare divorata dalle fiamme e crollata al suolo. Il fuoco splendeva aranciato nella notte, tingendolo di tinte brillanti.
Si sentivano incredibilmente inutili. Si sentirono sconfitti e impotenti.
Non erano riusciti a far niente, non erano riusciti a salvare nessuno.
Mikey piangeva e Leatherhead era distrutto.

Hersen non è morto, vero?” domandò Donnie a Leo, a voce bassa.
Il leader guidava il gruppo verso il furgone, con passo stanco e sfiduciato.

No. E credo che sentiremo ancora parlare di lui” rispose, con un'espressione preoccupata.
Ritornarono a casa lentamente, senza parlare.
Quella notte non l'avrebbero mai dimenticata.



Passarono velocemente i giorni che mancavano a Natale. Una manciata di giorni e la festività gli arrivò dritta in faccia, che la volessero o meno.
Mikey, ovviamente ma stranamente, quell'anno non la attendeva.
Aveva passato le giornate precedenti in un malanimo torpore, apatico e vuoto. Aveva pianto, molto, si era fatto tante domande che non avevano trovato risposta, aveva formulato molti se e molti ma, maledicendosi per come erano andate le cose.
A nessuno era passato inosservato il suo comportamento e quasi tutti avevano già provato a tirarlo su di morale, senza grandi risultati.
Quasi tutti.

Era il giorno prima della vigilia e i preparativi nel rifugio fervevano alla grande: per quel natale non sarebbero andati alla fattoria Jones per festeggiare come tutti gli anni, perché rischiare di rimanere bloccati dalla neve con una April incinta di sette mesi non sarebbe piaciuto a nessuno. E se il bambino avesse deciso di nascere prima?, pensavano tutti con terrore.
Mikey non stava aiutando affatto. Se ne stava per i fatti suoi a rimuginare, svicolando le loro richieste di essere coinvolto.

Stava pensando, mentre guardava lo schermo vuoto della tv, quando gli arrivò uno scappellotto dritto contro la nuca, con uno schiocco secco.
Offeso e sorpreso si voltò a controllare chi l'avesse colpito, anche se non c'erano poi molte scelte. Raph lo guardava con fare annoiato.

Ho bisogno di una mano, andiamo” disse asciutto.
Mikey fece per aprire bocca e rifiutare, anche malamente, ma il fratello era già arrivato all'ascensore e lo aspettava con impazienza. Non voleva una mano con le decorazioni, allora.

Allettato dall'idea di allontanarsi da lì e vedere anche cosa volesse Raph, si alzò e lo raggiunse, ma con tutta calma. Salirono in silenzio e una volta raggiunto il garage, Raphael inforcò la moto e gli passò un casco, invitandolo a raggiungerlo.
A Mikey piaceva la moto, ma gli piaceva di più guidarla; ovviamente Raph non gli avrebbe mai permesso di condurla mentre era con lui, perciò prese posto dietro e si preparò mentalmente alla guida spericolata del fratello.
L'aria era gelida e pungente e le strade ingombre di neve. Sembrava quasi brillare nella notte, illuminata dalle luci dei lampioni.
Anche Central Park, dove si fermarono, era ricoperta dalla neve.

Raph scese con decisione e iniziò ad incamminarsi verso un punto preciso, verso la fontana Bethesda. Mikey si strofinò le braccia per il freddo e il fiato caldo si condensava in candide nuvolette mentre osservava suo fratello.
Quello si era inchinato e accumulava la neve con meticolosità, assorto.

Cosa siamo venuti a fare?” domandò Michelangelo, confuso.
Un pupazzo di neve” fu la laconica risposta. “Inizia a lavorare.”

Mikey aggrottò le sopracciglia con sdegno, perdendo un po' la pazienza.
Ma sei matto? Perché dovrei aiutarti?”
Per la tua sorellina.”

Ammutolì all'istante. C'era così tanto amore nella voce di Raph, quando parlava di Isabel.
Stava formando una sfera di neve, accucciato al suolo.

Ti ricordi di Gilbert? Isabel ha promesso, o meglio desiderato, di fare un pupazzo di neve assieme ogni natale. Mi ha chiesto di farlo anche quest'anno, anche se lei non ci sarà” spiegò con forzata indifferenza, che non lo convinse minimamente.
Isabel non ce l'avrebbe fatta a tornare per Natale. Lo aveva scritto nella sua lettera, profondendosi in mille scuse, con dolore palpabile anche nelle parole scritte.
Sapevano che Raph ne soffriva, anche se cercava di non darlo a vedere.

Ho pensato che avresti potuto aiutarmi tu per quest'anno, al suo posto.”
Incredibilmente, e per la prima volta dopo molti giorni, Mikey si sentì commosso. Si sentì smosso dal suo stato di torpore, si sentì vivo.

Si inchinò anche lui e iniziò a lavorare, seguendo le direttive di Raph, piuttosto precise; ci misero qualche ora, senza parlare se non per le istruzioni sul pupazzo di neve, e quello che ne venne fuori, fu agghiacciante come sempre.
Raph ne sembrò soddisfatto, lo guardava con orgoglio e commozione; non poteva impedirsi di pensare a lei. Le sarebbe piaciuto il nuovo Gilbert dal nostalgico sorriso sbilenco.

Ti manca, vero?”
La domanda di Mikey si perse nel freddo, condensata in nuvoletta leggera.

Raphael si era spostato vicino agli alberi in fondo e si era inchinato di nuovo. Lo seguì perplesso, anche perché il fratello sembrava di nuovo indaffarato con la neve.
Ha detto che a Marzo lei e Don prenderanno la laurea e che per allora sarà a casa. L'ha promesso. Devo solo aspettare ancora un po'” mormorò Raph, impegnato a pressare la neve con le mani.
Mikey quasi sobbalzò per la notizia, che lui non aveva ancora detto a nessuno. E il cuore adesso bruciava, bruciava di emozione. Sorrise di gioia, pura.

Cosa fai?” gli chiese, molto più euforico di prima.
Su una piccola palla, il fratello ne poggiava una persino più piccola.

Faccio un piccolo Gilbert, per Shadow.”
Sollevò un attimo lo sguardo e si accorse della confusione sul viso di Mikey.
Sembrò divertito.

Shadow era un piccolo gattino che Isabel adottò, molti anni fa. Il primo essere che si è permessa di amare dopo molto tempo. È morto nel tentativo di proteggerla da un attacco di Gregor e lei ancora non se lo perdona e ancora le manca” raccontò con voce sin troppo mite, per una cosa così orribile.
La mano di Mikey toccò inconsciamente il bracciale che ormai portava al polso sinistro, il bracciale di Mork. Lo aveva guardato spesso, ci si era ancorato spesso nel dolore, lo portava sempre con sé. Perché bruciava da morire il rimorso e gli mancava, molto.
Si chiese se poi Raph non lo avesse portato per mostrargli proprio quello, in fin dei conti. Per mostrargli di come la vita continuasse, di come si dovesse andare avanti.
D'improvviso si rese conto di quanto stesse gelando e l'idea di tornare al rifugio ad aiutare a decorare lo solleticò invitante.

Torniamo a casa?”

Raphael si rialzò e si pulì le mani sulle gambe, osservando le sue creazioni con soddisfazione.
Sì, ma prima-”
Lo colpì velocemente con una grossa palla dritta in faccia e poi scappò via ridendosela della grossa.
Mikey si tolse la neve dal viso e con un urlò di battaglia si mise alle sue calcagna, pronto a iniziare una lotta epica, sotto lo sguardo folle dei due Gilbert.
Poi, stanchi e contenti sarebbero tornati al rifugio, e lui sarebbe ritornato quello di prima. 
Forse solo un po' più cresciuto.



1: la storia di Don mostro e di loro che si infiltrano nell'aria 51, base di Bishop, per costringerlo a trovare una cura per lui è nella quarta stagione, episodi 24 e 25 “Good Genes” part 1 e 2.
In fondo Donnie era mutato per colpa di Bishop, era logico cercare lui.



Note:
Buona notte. O buon giorno?
Salve.
Felicissima di pubblicare, avete appena letto il capitolo più lungo di questa storia, fino ad ora. 23 pagine!

La morte di Mork è stata un duro colpo, almeno per me, lo adoravo molto. Sapendo poi tutta la sua storia dietro, ancora di più. Un giorno forse anche voi la scoprirete.
Hersen è un cattivo a cui sono molto affezionata. Lo odio tantissimo ovviamente, il mio affetto viene dal fatto che ci ho messo un grande sviluppo psicologico dietro che per ora si è appena accennato, ma in futuro...
Tornerà, come teme Leo? Eh, chissà.
Questo capitolo è una sorta di perno. Un giro di boa, posso chiamarlo così?

Abbraccione immenso,
Grazie di cuore

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Capitolo 23
*** And life goes on... until it ends ***


I mesi del nuovo anno si susseguirono, a volte con rapidità, a volte con lentezza stagnante.

Gennaio fu freddo e insolitamente calmo, almeno dal punto di vista degli ultimi tempi appena trascorsi per loro: avevano controllato in lungo e in largo, ma non avevano trovato alcuna traccia di Hersen, la fabbrica era stata completamente distrutta e le autorità avevano brancolato nel buio; non c'erano state più altre sparizioni sospette e la gente sembrò dimenticarsi in fretta della paura che li aveva attanagliati fino a poco prima, come se fosse stato tutto solo un brutto sogno.
Ma non lo era stato.

Mikey lo sapeva, se lo ripeteva continuamente, mentre giocherellava col bracciale al polso.
Che quel mostro era ancora a piede libero, che ci avrebbe riprovato di nuovo da qualche parte, che sarebbe riapparso dalle ombre nelle quali si era rintanato prima o dopo.
E lui lo avrebbe atteso, aveva molte domande da fargli e un nome e una storia da scoprire.

Comunque, anche senza quei pensieri, avevano avuto il loro bel daffare: avevano seguito, combattuto e sgominato un'intera banda di rapinatori che aveva compiuto tre colpi alla banca centrale in meno di due settimane; solo dopo averne sconfitto tutte le branche avevano scoperto che stavano accumulando soldi per costruire una sorta di organizzazione criminale che avrebbe fatto impallidire i Purple Dragons.
Cosa che non avevano permesso loro e che non avrebbero permesso a nessun altro.

Febbraio era stato il mese più frenetico, per tutti.
Si avvicinava sempre più la fine della gravidanza di April e, per assurdo, quello più spaventato sembrava Casey: aveva montato e rimontato la culla prima appartenuta a Carl almeno quattro volte, aveva comprato montagne di pannolini; fatto, disfatto e rifatto la borsa per l'ospedale innumerevoli volte e continuava a tenere d'occhio con ossessività April per essere sicuro che non le venissero le doglie e lui non fosse pronto.
Lei lo lasciava stranamente fare e quando Angel le chiese come mai non lo avesse ancora sgridato, aveva risposto che per lo meno si teneva impegnato e scaricava la tensione, in maniera innocua; era già successo, appena prima del parto di Carl, ma allora per sfogarsi usciva la notte di ronda ed era molto più pericoloso.
Ora, da bravo papà, cercava di tenere sotto controllo la situazione e cercare di non farlo pesare su nessuno, nemmeno su Carl.
Il piccolo chiedeva sempre quando sarebbe arrivato il nuovo fratellino, ma non sembrava aver ben capito bene come sarebbe successo e cosa avrebbe comportato.
La casa era ormai pronta per accogliere il bambino e così la famiglia Jones.
Tutti attendevano ormai solo il momento.

Anche le turtles. Stavano attenti allo squillo del telefono anche mentre erano di ronda, mentre combattevano contro ladri e delinquenti e feccia; attendevano e stavano all'erta, in trepidazione.
E, finalmente, arrivò la chiamata. Un 21 di febbraio, al calar del sole.
La voce trafelata dall'altra parte della cornetta era di un ansioso Casey, che aveva urlato solo un “sta nascendo!” mentre le urla e i rumori in sottofondo facevano capire che stesse guidando in tutta fretta verso l'ospedale.

Erano arrivati sul tetto del palazzo di fronte al Saint Vincent in un batter d'occhio e si erano messi ad attendere con impazienza. Nonostante il freddo, nonostante il desiderio di trovarsi con i loro amici ad aspettare tutti assieme.
Angel e Steve si erano fiondati dritti all'ospedale e si erano fatti dirigere verso il piano giusto: avevano trovato la madre di Casey che distraeva Carl, fuori dalla sala parto.
La grintosa nonna Jones aveva messo i ragazzi al corrente di cosa avessero detto i dottori quando avevano accolto April e che Casey era all'interno con lei.
Il tempo, benché ansioso, fu riempito dalle chiacchiere di Carl; Steve, ad un certo punto, aveva preso il telefono e digitato un numero ben familiare.

Leo aveva risposto emozionato dall'altra parte, ma non era l'annuncio della nascita come si aspettava; era invece una chiamata in conferenza, così da poter essere tutti partecipi: ci furono molte chiacchiere, Carl che chiedeva loro di raggiungerli, Nonna Jones che si informava di come stessero e una sorta di scommessa clandestina per indovinare che nome avrebbero messo al bambino.
Il tempo passò più velocemente, tutti assieme. Anche se il travaglio durò alcune ore e tutti si chiedevano come stesse April e come stessero andando le cose in sala parto; quando, dopo due ore e mezza, Casey apparve dalla doppia porta con in braccio un fagottino di coperte, Steve quasi lasciò cadere il telefono dall'emozione. Perfino attraverso il ricevitore gli altri lo sentirono annunciare con voce fiera: “Vi presento August Jones”.

Ci furono schiamazzi di gioia che si udirono per tutta la notte e allarmarono i più. April uscì dalla sala solo mezz'ora dopo, stravolta ma visibilmente felice; Casey le passò il neonato e prese in braccio Carl per mostrargli da vicino il fratellino e perché potesse salutare e abbracciare la madre; sorrideva anche lui, e allungava le manine per accarezzare August.
Dopo aver fatto gli auguri e le congratulazioni, Steve e Angel andarono via per permettere ad April di riposare nell'intimità della sola famiglia Jones.
Nella strada del ritorno incontrarono gli altri e mostrarono loro le foto del nuovo nato, tra battutine per la palese somiglianza e sorrisi felici.

Ovviamente, organizzarono una grande festa.
Quando April uscì dall'ospedale col bambino, i suoi amici le fecero trovare una bella sorpresa, pensata fin nei minimi dettagli: si erano tutti premuniti perché lei non dovesse muovere nemmeno un dito e si godesse invece i regali e tutto il buon cibo preparato per festeggiare. Tutti avevano potuto finalmente stringere il bambino e prenderlo in braccio e parlargli per la prima volta: August aveva i capelli neri, tanti capelli neri, e gli occhi avevano quel velo che i neonati mantenevano per i primi mesi di vita, ma sembravano azzurri. Un piccolo Casey in miniatura.
Per la famiglia di mutanti quello era un nuovo umano da amare, proteggere e che non li avrebbe mai guardati con paura e disprezzo. Un nuovo componente della loro stramba famiglia.

Il resto del mese passò in fretta tra visite e notti insonni dei -di nuovo- neo-genitori, foto di gruppo e chiacchiere, tante chiacchiere sul futuro.

E Marzo infine e finalmente arrivò.
Difficile dire chi fosse più agitato. Se Donnie per la laurea imminente, Raphael per il ritorno di Isabel o tutti in generale per entrambe le cose.

Oltre alle ronde, alle visite ai Jones, agli allenamenti di Steve, si iniziarono i preparativi per quella che prometteva di essere la festa più grande mai organizzata dalla famiglia Hamato: c'erano almeno due liste lunghe due metri di cose da fare e da comprare e altre tre liste segrete di regali e sorprese che stavano pianificando a gruppetti per i due festeggiati. Ovviamente, le giornate furono così frenetiche che quasi non c'era il tempo per respirare.
Il rifugio era sempre più ingombro e rumoroso, c'era sempre un gran via vai e a tutte le ore si puliva, si riordinava, si decorava, si organizzava; si stava spandendo una certa maniacalità per quella festa che sfociava quasi nell'ansia.

Don era sempre irrequieto. Si chiesero se dormisse e se si stesse nutrendo di qualcos'altro che non fosse caffè, dato che non si fermava mai e lavorava e lavorava nel suo laboratorio, che aveva ormai pulito e messo a posto almeno tre volte. Sembrava quasi che dovesse farci la festa, lì dentro. Non era mai stato più ordinato.
Sapevano che aspettava il momento in cui avrebbe ricevuto la laurea e sapevano che ogni giorno che passava senza riceverla lo gettava nel caos e nella disperazione; si chiedeva se l'avrebbe poi ricevuta per davvero: lui non era mai andato fisicamente all'università... e se si fossero accorti dell'errore? E se alla fine nemmeno la magia avesse potuto aiutarlo e lui fosse rimasto a bocca asciutta? Avrebbe fatto più male, dopo anni di illusioni.

Perciò no, Don non stava propriamente dormendo e non riusciva a stare fermo, perché da fermo l'ansia lo attanagliava più forte.
Gli altri non sembravano dubitare nemmeno per un momento che la laurea sarebbe arrivata e quello da una parte lo faceva sentire meglio e dall'altra lo innervosiva di più. Si era imposto di evitare tutti per non scaricare contro di loro la sua frustrazione, che anche lui sapeva essere immotivata.

L'altro componente ad essere relativamente quieto era Raphael, ma quello lo sapevano tutti; che sotto sotto non dormiva dall'agitazione, ma che, come sempre, faceva finta di nulla davanti a loro. Stoico fino alla morte, Raphael.
Pregarono tutti che Isabel tornasse presto, perché finalmente lui sarebbe ritornato ad essere più aperto e comunicativo, la versione migliore di sé che solo grazie a lei poteva esistere.

Quello che non sapevano, era ciò che faceva nel tempo che restava da solo. A parte il pattugliamento e gli allenamenti, ovviamente.
Leggeva e rileggeva le lettere che lei gli aveva mandato, tenute tutte con maniacale cura e attenzione: le sapeva a memoria ormai, ma le sfogliava e risfogliava come se il contatto con esse potesse avvicinarlo di più a lei, la potesse riportare da lui.
E ripensava a tutto quello che aveva passato e che era stato bravo a nascondere agli altri. O no?
Si erano accorti del dolore e dell'ansia che lo aveva lacerato per tutto quel tempo?
Dell'insonnia, della rabbia, della paura... della mancanza dilaniante e straziante di lei che lo aveva accompagnato ogni giorno?

Ottobre era stato orribile, ma aveva cercato di tenersi occupato ed era stato bravo.
A Novembre si era illuso che fosse sul punto di tornare, che sarebbero bastati pochi giorni ancora e l'avrebbe rivista e stretta e amata; ma la speranza si era affievolita all'avvicinarsi di
Dicembre, col freddo che lei amava e quelle sporadiche lettere che non bastavano a colmare la distanza, la lontananza, l'assenza.

La sognava ogni notte, bramava di sentire il suono della sua voce, di poterla guardare, di poterla toccare.
Non sapeva come ancora non fosse diventato pazzo, ma di certo ci era andato vicino spesso. Era riuscito a resistere solo perché sapeva che sarebbe tornata da lui, che tutti quei mesi sarebbero sembrati nulla il giorno in cui lei sarebbe riapparsa davanti a lui.

Gennaio era arrivato e passato lentamente e Febbraio aveva portato il piccolo August e lui non aveva fatto altro che pensare a quanto Isabel sarebbe stata felice di poterlo stringere tra le braccia e gioire assieme ai loro amici per la nascita del loro secondo figlio.
Non riusciva ancora a credere che finalmente fosse arrivato Marzo e che mancasse poco.
E paradossalmente sembravano più lunghe e interminabili degli ultimi mesi.
Ma finalmente, tutto sarebbe tornato come prima e c'erano così tante cose che li attendevano nel futuro e lui aveva pronte tante sorprese, una grande come una casa, e una piccola, ma forse persino più grandiosa.

Arrivò ancora una lettera, una sera sul finire del mese. La aprì con smania eppure attento a non rovinarla, con la paura che quello che vi avrebbe trovato scritto potessero essere cattive notizie.
Invece, dentro c'erano vergate solo tre frasi con grafia emozionata:

Torno domani,
non vedo l'ora di rivederti,
ti amo, Isabel.”

L'urlo che aveva lanciato dovevano averlo sentito fin su nella strada; quando si fiondò fuori dalla stanza trovò i suoi fratelli accorsi al suo grido, con le facce spaventate. Oh, quanto in fretta si trasformarono in sorrisi quando diede loro la buona notizia.
E la frenesia crebbe e crebbe. Se Isabel stava per tornare, significava che la laurea stava per arrivare e quello gettò Donnie ancora più nel panico; Mikey era indietro con le pietanze e si chiuse praticamente in cucina per cercare di farcela in tempo, Leo reclutò Steve e Angel per dare una mano al suo fratellino.

E Raph?
Raph vagliava con la mente i mille scenari che gli si paravano davanti.
Cosa avrebbe detto quando l'avrebbe rivista? Solo il pensiero gli seccava la gola fastidiosamente.
Come si sarebbe comportato? Perché l'istinto gli diceva di afferrarla e portarla lontana da tutti nello stesso istante in cui avrebbe varcato il rifugio e baciarla, ascoltarla, stringerla e amarla, ma la mente gli diceva che non sarebbe stato carino e che avrebbe dovuto condividerla con tutti gli altri per tutto il tempo della festa.
Lei, lei sarebbe stata felice di vederlo, no? Le era mancato come lei era mancata a lui?
Un'ondata di agitazione lo colpì. E anche lui cadde nella frenesia che aveva colpito Don e iniziò a fare mille cose per tenersi impegnato, sperando che le ore passassero più velocemente.

Donnie passò la notte nel laboratorio. Spazzolava con cura il vestito che avrebbe messo l'indomani, appeso ad uno scaffale di una libreria, impilava con cura tutte le provette sulla scrivania, ordinava i fascicoli nelle cartelline dello schedario e ripassava a mente tutti i progetti su cui stava lavorando. E intanto trangugiava caffè a tazze, incapace di rilassarsi.

Verso le tre del mattino si sentì un po' stanco, ma non tornò alla sua stanza; si sedette invece alla sedia della scrivania e appoggiò un attimo le braccia sulla superficie e poi la testa sopra di esse. Continuò a fissare il bell'abito che April e Casey gli avevano regalato, finché lo sguardo non si appannò di sonno, trascinato presto in un sogno bellissimo che lo vedeva protagonista, intento a leggere il discorso davanti a umani, tanti umani, che si stavano laureando quel giorno assieme a lui. I visi rivolti verso di lui erano attenti ed emozionati e nessuno mostrava disgusto o paura nel vederlo, ma solo tanta ammirazione. Tutti si alzarono in piedi per applaudire e Donnie vide la sua famiglia che partecipava fiera e poi c'era anche quella persona speciale, che lui amava, che lo applaudiva e lo acclamava con occhi felici e innamorati, rendendo tutto solo più bello.

Donatello si svegliò di colpo, sobbalzando sulla sedia. Si accorse di dove si trovasse e sospirò, stiracchiandosi per sgranchire la schiena indolenzita; dormire in laboratorio, grande idea.
Si fermò di colpo con le braccia ancora in alto, gli occhi calamitati da qualcosa sulla scrivania che la notte prima non c'era: una grande busta gialla sigillata con ceralacca rossa dall'aria molto ufficiosa.

Allungò le mani e la studiò con emozione, soffermandosi dapprima sulla bella grafia che componeva il nome del destinatario, in grande: “Sig. Donatello Hamato”.
Non voleva affrettarsi, voleva gustare ogni istante, perciò aprì con cura la busta e tirò fuori i fogli di pergamena che conteneva, passando le dita sulla trama ruvida, gustandosi il contatto, l'odore, la consistenza; allora, e solo allora lesse cosa c'era scritto.
Il sorriso sul suo viso divenne sempre più grande e il suo colorito sempre più verde scuro dall'imbarazzo; con gli occhi lucidi di emozione saltò su e corse fuori dal laboratorio, diretto verso il dojo dove, lo sapeva, Splinter era già in meditazione, per mostrargli per primo quel miracolo.

Anche Raphael si svegliò di soprassalto, quella mattina. Si era coricato tardissimo e aveva preso sonno anche più tardi, e nonostante non fossero passate che poche ore, si svegliò di colpo, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. L'avrebbe chiamata nausea.
Si massaggiò il torace con fastidio, cercando di capire se fosse solo ansia poi, capito che ormai non sarebbe più riuscito a dormire, si alzò e si stiracchiò con cupi scricchiolii in sottofondo; c'erano tante cose da fare.

Angel e Steve arrivarono fin dalla mattina, mentre Casey nel primo pomeriggio per dare una mano con alcuni decori da mettere in alto; poi arrivarono April, Carl e August e Nonna Jones; Leatherhead e il professor Honeycutt si presentarono assieme e si precipitarono a congratularsi con Donatello per il traguardo ottenuto con così tanta fatica e nonostante la sua condizione di mutante. Don era già emozionato e orgoglioso e i complimenti non poterono che renderlo ancora più felice.

Il festeggiato era già vestito di tutto punto con il completo nero che i Jones gli avevano regalato e sovraintendeva i lavori e aiutava dove possibile con celerità; gli altri si cambiarono per la festa non appena ebbero terminato con i preparativi, per non sporcarsi.
Raph, come i suoi fratelli, indossava un bell'abito giacca e cravatta scuro, ma tirava sempre con fastidio il colletto della camicia per cercare di respirare meglio; non era il genere di vestiario che preferiva, ma per quella festa sarebbero tutti stati eleganti e anche lui voleva essere al meglio.

A sera, finalmente, tutto era pronto. Dal soffitto pendevano festoni e luci sapientemente disposte per creare soffusi e gradevoli effetti; Casey aveva portato alcune piante in vaso per smorzare l'effetto tecnologico della sala e per creare ambiente, e una grande tavolata era stata imbastita proprio vicino al laghetto, colma di ogni genere di leccornia: da stuzzichini salati ad un tripudio di antipasti, per passare poi a piatti caldi dalla carne al pesce e una composizione di verdure dai meravigliosi abbinamenti cromatici. In un tavolo a parte c'erano deliziosi dolci e pasticcini e una enorme torta a tre piani decorata da Mikey.
Tutti si servirono un cocktail, nell'attesa che la festa vera e propria iniziasse.

Raphael fece del suo meglio per evitare le chiacchiere, perché tutti sembravano volergli solo chiedere come si sentisse e se fosse nervoso. Certo che era nervoso. Gli sudavano le mani così tanto che il bicchiere rischiava di scivolargli ogni secondo, ma non voleva parlarne e non voleva che loro continuassero a chiederglielo: lo faceva sentire ancora più agitato e sudava solo di più.

Sgusciò via dal gruppetto della famiglia Jones e si avvicinò a Don che stava sequestrando un bicchiere a Steve, di qualcosa che probabilmente non avrebbe dovuto bere.
Ok, ma quando ci sarà il brindisi per la tua laurea posso berne almeno un goccio?” sentì dire al ragazzino, solo leggermente piccato.
Il genio sospirò e gli passò un bicchiere di quella che pareva gazzosa, con mezzo sorriso.

Forse. Vediamo. Probabilmente no.”
Dai, Donnie, per oggi non fare l'apprensivo. Controlleremo che non si ubriachi, ma un po' di spumante non puoi negarglielo” lo difese Raph, allungando il suo flute al ragazzo.
Ha sedici anni!”
Quasi diciassette! A Maggio!” insorse Steve ergendosi più alto che poté, gli occhi già brillanti senza aver bevuto ancora nemmeno un sorso.

Don rollò i suoi al cielo.
Avrai solo quel bicchiere, per tutta la festa!” acconsentì alla fine. “E attento che ti tengo d'occhio!”
Steve annuì con un gran sorriso e poi si voltò per ringraziare Raphael.

Aspetta ad assaggiarlo, prima di ringraziare.”
Il ragazzo portò il bicchiere alle labbra e buttò giù un grande sorso, poi fece una faccia disgustata che cercò di dissimulare con una scrollata di spalle.

Non dirlo a Donnie, ok?” disse quando riuscì a parlare, restituendogli il bicchiere e ingollando invece la gazzosa per scacciare il cattivo sapore.
Raph rideva forte, ma gli promise di mantenere il silenzio.

Più in là, Leo e il sensei parlavano amabilmente con Angel, Honeycutt e Leatherhead e avevano attirato nella conversazione anche Donatello, visibilmente in imbarazzo; stavano parlando di lui, ovviamente. Mikey faceva buffe smorfie ad August mentre teneva in braccio Carl e chiacchierava con April, premuroso. Casey stava ascoltando consigli della madre con espressione un po' rassegnata.
La serata scorreva piacevolmente, ma sottopelle tutti sentivano una certa ansia. L'attesa era snervante, perché non sapevano il momento in cui lei sarebbe apparsa. E come sarebbe apparsa, poi? Arrivando da una delle entrate o spuntando dal nulla lì in mezzo a loro?

Un'improvvisa luminescenza rischiarò il rifugio e attirò l'attenzione di tutti: le voci si spensero di colpo e tutti gli occhi furono sul portale che andava formandosi al centro della sala, sempre più grande.
Trattennero il fiato, in attesa, con un magone di emozione nel petto che faceva male.
Avrebbero esultato, si sarebbero lanciati verso di lei, l'avrebbero abbracciata e si sarebbero fatti raccontare ogni cosa, cercando di recuperare il tempo perso.

Una figura femminile emerse dal portale, elegante. Chikara li osservava quietamente, altera.
Lei non era attesa e di certo non gradita, ma forse Isabel aveva invitato anche loro alla festa e non potevano essere scortesi.
Attesero che si spostasse e permettesse il passaggio della festeggiata, ma lei non si mosse, né mostrò intenzione a farlo: li osservò tutti con i suoi occhi glaciali, soffermandosi di più su Raphael.
Lui era già sull'orlo di una crisi di nervi, veder apparire Chikara-Shisho invece di Isabel era stato un colpo, se poi la donna avesse insistito per tenerli separati o qualsiasi altra cosa avesse in mente, quella volta non sarebbe stato zitto.

La donna aprì appena le labbra e trasse un profondo respiro.
C'è stato un incidente, questa mattina, sul monte Fuji, si è verificato un violento terremoto e una scolaresca si trovava in pericolo a causa del cedimento di alcuni massi: Isabel è intervenuta per aiutare e salvare i bambini, ma una seconda frana l'ha investita ed è stata trascinata fino a valle, senza avere il tempo di reagire.”
La sua voce ultraterrena scivolò nel silenzio denso e attonito, quasi schiaffeggiandoli. Nessuno voleva spezzarlo, avrebbe significato rendere quelle parole vere. Aspettavano quasi che lei sorridesse e dicesse loro che era tutto uno scherzo. Come se fosse possibile da una come lei.

Cosa- cosa vuol dire?” riuscì infine a balbettare Splinter, cercando di trattenere il tono più fermo possibile.
Isabel Charmillion è morta questa mattina, all'alba. Non abbiamo potuto fare nulla per salvarla” disse Chikara e riuscirono a sentire una punta di dolore o forse rimorso nella sua voce.
Si scostò, finalmente, e dal portale emersero altre figure; Kon e Juto oltrepassarono la barriera luminosa col volto teso e contrito e anche loro si spostarono: un'enorme figura fece allora la sua comparsa, tra le braccia un corpo molto più piccolo.
April urlò e non fu la sola. Si sentì rumore di vetri infranti, da qualche parte.

Il gigantesco Hisomi teneva in braccio il corpo esile e martoriato di Isabel.
Bianco e livido, solcato da innumerevoli cicatrici. Il corto kimono che indossava lasciava intravvedere gli enormi sfregi che correvano per le sue gambe, per le sue braccia, lungo la sua gola, persino sul viso.
Eppure era bella anche nella morte.

Raphael si mosse nel silenzio, e si avvicinò; Hisomi gli porse con gentilezza il corpo e lui fu sconvolto dal freddo che emanava, dalla sua rigidità. Aveva perso sia la collana degli amanti che il bracciale che le aveva regalato per l'anniversario; le cicatrici erano più profonde e lunghe sulla gola e le braccia, forse non aveva fatto in tempo a ripararsi, anche se ci aveva provato.
Accarezzò la pelle cerulea con orrore, sfiorò le labbra violacee con struggimento.
Sussurrò qualcosa sottovoce, straziato, stringendola più forte.

SHISHO!” urlò Leonardo, tremando visibilmente. “Com'è possibile? Come-”
Non abbiamo potuto fare nulla” rispose Kon, impassibile alla sua accusa velata.
Era affidata a voi. Ce l'avete portata via con la forza e poi non l'avete protetta!” li biasimò Splinter con livore, facendosi avanti perché nessuno dei suoi figli perdesse la testa.
Ci dispiace. Mi dispiace” mormorò l'Antico, l'ultimo ad essere apparso dal portale, guardando negli occhi l'amico ratto, parte della sua famiglia.
Piangeva, l'unico tra gli Shisho a piangere.

Andate via. Via!” ordinò Splinter fuori di sé, così arrabbiato e sconvolto da non curarsi di trattenere il tono iroso.

I cinque maestri riattraversarono il portale senza una parola e quello poi scomparve, rilanciandoli nella soffusa e normale luce del rifugio.

C'era un innaturale silenzio, troppo straziante, ancora confuso.
Lacrime cadevano e singulti lo riempivano e gli occhi sfioravano con timore il piccolo corpo della loro amica, con il desiderio angosciante che fosse solo tutto un brutto sogno, un incubo.

Tra i singhiozzi di dolore e le urla e i perché gridati contro il fato, solo una voce non si era sentita, l'unica che avrebbe dovuto urlare più delle altre: Raphael era ginocchia a terra, e la stringeva spasmodicamente tra le braccia e la cullava, la cullava, sconvolto.

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Capitolo 24
*** Hallelujah ***


Love is not a victory march,
it's a cold and it's a broken
Hallelujah”



Il primo cumulo di terra cadde con un tonfo sordo sulla superficie legnosa, ma il rumore si perse nel forte picchiettio della pioggia incessante, che trasformava tutto in fango appiccicoso e greve. Persino le emozioni.
Pioveva. Pioveva incessantemente da quando lei non c'era più, o forse quella era solo una loro impressione.

La seconda palata di terra colpì la bara al centro, ma i rivoli d'acqua continuavano a scioglierla, trasportandola ai lati, giù fino al fondo della profonda buca. Sembrava che riempirla avrebbe richiesto ore e ore di sforzo immane, sotto l'acquazzone battente, ma Michelangelo non ci pensava nemmeno: continuava a infilare la pala nel cumulo fangoso e a sollevare gli enormi impasti densi e pesanti e a gettarli in silenzio, le lacrime che cadevano dentro la buca insieme alla terra, tirando su col naso il rivolo di muco che minacciava di scendere dal troppo pianto.
Non aveva voluto che nessuno l'aiutasse, nessuno. Solo lui doveva farlo, traendo forza dal dolore dei muscoli tesi nel sollevare la pesante terra impastata dalla pioggia, cercando inconsciamente di non pensare, disperatamente di non soffrire, senza successo.

Non sollevò lo sguardo nemmeno una volta, per guardare gli altri riuniti attorno alla bara come un muro impenetrabile, vicini tanto dallo sporcarsi con gli schizzi di fango, lontani nel dolore, ognuno che affogava nel proprio, incapace di pensare agli altri.
Subito alla sua destra c'era April che piangeva disperata contro la spalla di Casey, anche lui commosso e con gli occhi lucidi, e August e Carl tra le loro braccia che non capivano, non potevano, ma che comunque rimanevano quieti e straniti, influenzati dall'aura di dolore e lacrime che li circondava, ovunque attorno a loro.

Tra il ticchettio della pioggia contro gli ombrelli neri si sentì un singulto, tra i pianti muti, e Donatello allungò il braccio alla sua sinistra, afferrando la stoica Angel che fino a quel momento si era trattenuta con tutta la sua forza, con le mani strette a pugno così forte che i palmi sanguinavano, i denti serrati per non urlare; il gesto del mutante la vinse, infine, e scoppiò a piangere senza ritegno, stretta nell'abbraccio dell'amico che nascondeva il suo viso contro il petto, carezzandole la testa con la mano.
Le lacrime di Don caddero silenziose sui capelli corvini di lei, splendendo come perle, una dopo l'altra.

Il maestro piangeva anche lui, poggiato al bastone con sofferenza, come se il peso del dolore fosse troppo per poter essere sostenuto dal suo vecchio corpo. L'orrore di aver perso ancora una persona cara gli serrava il cuore con una disperazione tale, che quasi faticava a respirare. Non era solo il suo dolore, che sentiva, ma anche quello dei suoi figli, dei loro amici, come se fosse palpabile.

Leonardo stava ritto, con gli occhi pieni di lacrime fissi sulla bara e piangeva quietamente. Steve, invece, vicino a lui, singhiozzava con poco ritegno, passandosi ogni tanto un pugno arrabbiato sopra gli occhi per snebbiare la vista, inutilmente.
Leatherhead, che aveva condotto l'omelia e il commovente discorso funebre, inframmezzato di pause per asciugare le lacrime, stava singhiozzante alle spalle di Mikey, vicino alla lapide che sarebbe stata messa alla fine sulla tomba.

Solo, tra tutti, Raphael se ne stava ai piedi della buca, spento, catatonico. Non piangeva, non muoveva un muscolo, non reagiva a nessuno stimolo esterno, non gli importava nemmeno della pioggia che lo ricopriva, non batteva nemmeno le palpebre. Il suo dolore era troppo grande persino per essere espresso con gesti o parole, con lacrime, con un urlo, con disperazione e azioni umani e normali, concrete.
Non era questione di cosa sentisse, quanto di cosa non sentisse. Non sentiva più nulla, né calore o freddo, né respiri o suoni, la pioggia che lo bagnava: nulla, nulla, non sentiva più nulla, non gli importava di nulla; non erano necessari, non erano veri.
Niente era come quel dolore, non esisteva più niente, se non quel dolore.

Qualche mano aveva provato ad afferrarlo, a stringerlo, a cercare di lenire la sua sofferenza con un abbraccio, ma si era scansato senza una parola, per poi ritornare immobile a fissarla, a fissare l'oscuro sarcofago che la celava alla sua vista, laggiù nella buca.
C'erano solo lui e quella bara, nella tenebrosa sera coperta da nubi nere, e il suo sguardo vuoto non si staccò per un attimo dalle lente zolle di terra bagnate che la ricoprivano, che seppellivano poco a poco la donna che amava.
Isabel, poggiata in quella bara come se dormisse. Isabel, sepolta sotto tre metri di terra. Isabel, sola, al freddo e al buio, per sempre.
Senza di lui.

Il tempo venne scandito dal rumore della terra che riempiva la buca, dal ticchettio incessante della pioggia sugli ombrelli e dai singhiozzi; e da un silenzio, pesante, di quelli densi di dolore e sofferta inquietudine.
Michelangelo gettò l'ultima palata di terreno e poi livellò il fango con la pala, come un automa, col respiro corto per la fatica, bagnato da capo a piedi e ricoperto di lacrime; poi, si voltò verso Leatherhead.
Era il momento della lapide.

Leatherhead la afferrò gentilmente, con le manone enormi, come se non pesasse niente: una enorme lastra della dimensione della buca fangosa, in marmo bianco.
La poggiò al suolo, con la sua innata premura, premendola contro il fango con delicatezza, come se stesse poggiando la vera Isabel: nome e cognome erano seguiti dalle date di nascita e di morte, incise nella pietra, e sotto in piccolo, il messaggio che tutti avevano scelto per lei, seguito dallo stemma degli Hamato.

Figlia, sorella, amica amata.
Speranza e dolcezza, per sempre nei nostri cuori.”

Raphael lesse le incisioni in trance, le gocce di pioggia che scivolavano sulla pietra lucida con indifferenza, senza lasciarsi niente dietro; quelle parole, quelle parole non volevano dire niente, non spiegavano niente di ciò che era Isabel, ciò che significava, come fosse fatta, del suo carattere e di ciò che aveva portato nella sua vita.
Non si poteva riassumerla in così poco, non si poteva nemmeno in molto. Non si doveva.

Sentì il tramestio di passi acquosi che si avvicinavano a lui e indietreggiò, senza guardare nessuno, perché non lo toccassero, perché non lo sfiorassero. Non voleva sentire niente, nessun contatto fisico, nessun suono, nessuna emozione; solo il gelido nulla, solo il freddo oblio.
Avrebbero spezzato tutto, avrebbero permesso alla realtà di prenderlo, infine.
Con un veloce dietrofront diede loro le spalle e corse verso la casa per primo, poi su per la scala in legno e come un fulmine nella stanza da letto al primo piano, sbattendo la porta, chiudendoli tutti fuori, provandoci a far rimanere fuori anche lo strazio.

Sentì rumori di passi e qualcuno bussare e voci chiamare il suo nome, ma si premette con forza le mani contro le orecchie, le unghie incisero la carne della nuca nella disperazione e strizzò convulsamente le palpebre, isolandosi da tutto, sprofondando giù, sempre più giù.
Quel nome, quell'altro nome, che amava, che faceva parte di lui, ormai, nessuno lo avrebbe più pronunciato. Nessuno lo avrebbe più chiamato così.


April strinse la mano a pugno e batté ancora una volta contro la porta, con delicatezza.
Raph, tesoro, posso entrare?” domandò con voce un po' nasale dal pianto, quando nessuno le rispose; rimase ad osservare il legno scuro, attendendo, ma ci fu solo silenzio, forse persino più di prima.
Afferrò la maniglia e la abbassò, anche se non le era stato dato il permesso, ma la porta non si mosse e ci sbatté contro, inutilmente.

Raph...” esalò affranta, con i palmi poggiati contro il legno, sconfitta, sofferente e indecisa su come dovesse comportarsi.
Tesoro, lascialo stare un po' da solo. Credimi, è meglio così” mormorò Casey, poggiandole una mano sulla spalla.

Gli occhi verdi appannati di lacrime di lei incontrarono quelli azzurri offuscati dal dolore di lui e lì si fermarono.
Perché è successo, Casey? Perché? Erano felici, erano finalmente felici. Si sarebbero rincontrati, sarebbero stati insieme per sempre. Perché è successo? PERCHÉ?” strillò fuori di sé, cedendo, alla sua impotenza, alla sofferenza, alla crudeltà della vita.
Casey allungò le braccia in tempo per afferrarla e la strinse contro di sé, più forte che poté, e le lacrime di April macchiarono la sua giacca scura, dall'altra parte.

Non lo so. Davvero non lo so” sussurrò carezzandole la schiena, provando a fermare i suoi singhiozzi.


Non ci furono molte altre parole pronunciate nella casa, quel giorno. Rimasero tutti assieme nel salone, con gli sguardi spenti e le lacrime ancora vive, con solo la voglia di stare vicini, mentre lassù, al piano di sopra, l'unico che ne avesse davvero bisogno, stava da solo col suo dolore, soffocato fino a morirne.

Splinter stava in piedi alla finestra, scrutando fuori nell'oscurità della notte, verso il marmo bianco che sembrava quasi scintillare, sotto il pino al limitare del bosco, alla fine dello spiazzo dietro alla casa: decidere di seppellire Isabel alla fattoria Jones era stata la scelta più giusta, avrebbe riposato in pace e loro sarebbero potuti andare alla sua tomba quando volevano, senza problemi.
E, in ultimo, il pensiero che fosse lontano da loro, in un posto distante da raggiungere, in un certo senso gli dava l'illusione che avrebbe fatto meno male, a lungo andare. Forse.

Si voltò ad osservare la sua famiglia, o quello che ne era rimasto dopo quella frattura: delle anime afflitte e una, lassù, da sempre quella più fragile, forse rotta per sempre.
Come avrebbe potuto risanare una ferita così profonda? Con quale insegnamento e massima avrebbe mai potuto lenire quel dolore?
Come, quando il suo anziano cuore minacciava di fermarsi per non dover soffrire ancora?


La notte passò, ma nessuno dormì davvero. L'alba grigia e piovosa sorprese i volti tirati e le occhiaie vivide, gli sguardi sofferti che brillarono appena di muta consolazione nel vedere di non essere i soli, nel condividere tutti la stessa emozione.
Ci fu una colazione silenziosa e leggera, nessuno aveva davvero voglia di mangiare, o parlare, ma stare assieme era naturale, cercare un conforto nella vicinanza reciproca era implicito; perciò si sedettero tutti assieme al vecchio tavolo in pesante legno di noce della tenuta, con le ciotole di cereali e le tazze di caffè, in silenzio.

Gli occhi, quelli sì, si parlavano. Sussurravano parole di conforto, un abbraccio virtuale, una lacrima condivisa quando si accorgevano che anche gli altri erano lucidi.
Tutti si accorsero della mancanza di Raph, ma sorvolarono sulla cosa: avevano provato ad entrare nella sua stanza, a chiamarlo per raggiungerli, a gettare giù la porta dalla preoccupazione, anche, ma avevano ricevuto solo uno strillo disumano che li minacciava di andarsene, poi più niente.

Solo un paio di occhi, invece, si accorsero della mancanza di Leo, ma fecero finta di nulla, per non attirare l'attenzione.
Don si voltò verso la finestra, assorto, occhieggiando il grosso nuvolone nero che li serrava con la sua cappa, quasi senza muoversi. Sapeva che era stupido pensarlo, e poco razionale, ma sembrava davvero che la nuvola non si fosse mai mossa da quando erano arrivati, gettando loro addosso litri ed ettolitri di pioggia a non finire.
Pioveva sempre, da quando lei non c'era più. O forse era davvero solo la loro impressione.


Una grossa goccia si infranse sul suo braccio, cadendo da una foglia alla quale era rimasta abbarbicata fino all'ultimo, fino a piegarla col suo peso.
Leonardo non alzò lo sguardo per vedere se gliene sarebbero arrivate altre, non era importante. La sua attenzione era tutta per la tomba bianca, eterea nel grigiore mattutino.
Aveva così tanto da dire, ma perché poi? Chi lo avrebbe ascoltato, ormai?
Eppure doveva, sapeva che non sarebbe andato avanti, altrimenti. E forse non ci sarebbe riuscito lo stesso, ma provarci non gli avrebbe nuociuto.

Prese un grosso respiro, mandando giù un nodo in gola che minacciava di rendere la sua voce più fragile di come volesse apparire.
Sai,” iniziò titubante, mormorando al vento e alla fine pioggerella che lo abbracciava, “l'hai rotto. L'hai spezzato, forse per sempre. E io cosa dovrei fare? Come posso aiutarlo, se sto affondando anche io? Come hai potuto farcelo, Isabel? Come?”

Strinse le mani a pugno, forte, tanto da farsi male con le unghie. Le riaprì quando si accorse che la carne pulsava dolorosamente, ad un passo dallo spaccarsi. Ma non si sentì meglio.
Sapeva di sembrare accusatorio, di starsela prendendo con lei che non poteva difendersi, lei che di certo non avrebbe voluto abbandonarli, non questa volta.
Una lacrima solitaria sfuggì al suo controllo.

Proverò a recuperare ciò che resta di lui, a rimetterlo insieme, a ricomporlo, ma non posso prometterti nulla, lo sai, vero?” sussurrò abbassando il capo, lasciando che le lacrime cadessero insieme alle grosse gocce di pioggia che si schiantavano giù dal pino.


La partenza dalla fattoria fu silenziosa come il loro arrivo e altrettanto bagnata.
C'erano abbracci, come all'arrivo, e parole mormorate sottovoce, spezzate da un singulto, per farsi coraggio.
Le macchine erano all'ingresso, coi motori accesi, ma loro erano tutti a terra a stringersi, a confortarsi, a promettersi di vedersi il giorno dopo o quello dopo ancora, nella disperata ricerca di contatti, nell'illusione che il vedersi, il promettersi di esserci, non li avrebbe mai potuti separare. Come se la morte si potesse ingannare per una promessa.

La porta di casa si aprì, e non era premeditato, ma tutti si voltarono, molto più tesi: Raphael uscì fuori, infagottato nel suo cappotto scuro, col bavero alzato fin sulla testa, per non essere visto.
Camminò nel silenzio verso la macchina, scindendo senza sforzo la loro piccola folla, che si aprì inconsciamente al suo passaggio, forse risospinta indietro dal suo dolore: un paio di mani si tesero, alle sue spalle, ci provarono a raggiungerlo, a toccarlo, ma vennero frenate, forse dalla sfiducia del proprietario o per la sua cappa impenetrabile di sofferenza, che sembrava renderlo intoccabile.

Si infilò nel retro del furgone senza una parola o uno sguardo a nessuno, sbattendo la porta con un gesto secco, che risuonò più del dovuto nel silenzio.
Ci furono occhiate addolorate, dopo, ma nessun altro mormorio, nessuno a voler spezzare l'atmosfera tesa.
Si salutarono, gli ultimi abbracci, poi salirono nelle auto e partirono in fila indiana, allontanandosi sempre di più dalla fattoria, da lei.

Michelangelo sedeva dietro, con Raphael, quieto. I suoi occhi non si erano staccati per un momento dal fratello, che se ne stava rannicchiato in un angolo, coperto dal cappotto da capo a piedi, immobile, spento.
Voleva fare qualcosa per lui, qualsiasi cosa, -stava combattendo contro l'impulso di alzarsi e andare ad abbracciarlo, perché sapeva che di certo lo avrebbe ucciso,- ma cosa mai poteva fare per lui?
Non c'era niente che avrebbe potuto riportare a Raph la voglia di sorridere, -di vivere, addirittura; lo sapeva, lo sentiva, nei suoi respiri che sapevano di oblio e morte, di niente e dolore.
Quello che sentiva lui, Raph doveva provarlo moltiplicato per mille, e se lui non aveva più voglia di sorridere, mai più, come poteva suo fratello andare avanti?


Il viaggio fu lungo e corto: il silenzio lo rese interminabile, il dolore cancellò gran parte del loro ricordo; si ricordavano solo di essere partiti, una distesa vuota nel tragitto, frammenti confusi imbevuti di sofferenza, e poi il momento in cui le gomme stridettero, nella frenata, nel garage.

Un paio di sospiri sfuggiti alla tensione, di parole che non trovarono mai la forza di uscire fuori, e sguardi confusi e disorientati che si cercavano. La portiera di dietro si aprì e Raph scese: sembrava quasi che non si muovesse, ma facesse fare tutto il lavoro alla gravità, come se contrastarla lo avesse potuto fermare definitivamente.
Con pochi passi si avvicinò alla serranda e la aprì, il picchiettio delle gocce di pioggia più intenso che rimbombava dentro il garage semi vuoto.

Leo si mosse per seguirlo, per non lasciarlo uscire, ma il braccio di Don si parò all'altezza del suo torace, fermandolo: lo sguardo addolorato del genio gli suggeriva di non farlo, di lasciarlo stare, e il suo gesto si perse, non visto. Raph varcò la soglia e sparì nella notte, senza dire nulla, senza guardarli, anche se sapeva fossero lì.
Rimasero a guardare il quadrato di strada bagnata e oscura incorniciata dalla porta del garage, con la preoccupazione ad aggiungersi al tutto.


Donatello entrò nel laboratorio e cercò a tentoni l'interruttore della luce. In genere ci metteva un solo secondo a trovarlo, a volte riusciva a muoversi anche al buio, ma era molto stanco e provato, il suo cervello non pensava con la fluidità normale.
La lampadina al neon sfarfallò un paio di volte, poi inondò di luce asettica la stanza, perfettamente in ordine così come l'aveva lasciata.

Si avvicinò stancamente alla scrivania, e l'occhio cadde sul pezzo di carta nuovo di zecca, arrivato appena due giorni prima, con sua grande gioia.
Eppure sembrava successo un secolo prima.
Sollevò l'attestato della sua laurea, col suo nome ben vergato in oro e le firme dell'università, e la lettera dei complimenti allegati che tanto lo aveva emozionato.
Niente, niente di tutto quello sarebbe stato possibile senza di Isabel.

I fogli tremarono nelle mani e li lasciò andare, per non stropicciarli nella foga, nel dolore. Con un veloce dietrofront ritornò sui suoi passi e uscì dal laboratorio, deciso: si avvicinò al laghetto e salì sul pontile in legno, poi si sedette sulla sua superficie, con lo sguardo puntato sull'entrata principale e quella per il garage, subito alla destra.
E attese.
E solo dopo qualche attimo si accorse che Mikey era con lui, lì vicino seduto sulla nuda roccia, e Leo, che dall'alto aspettava con loro, in piedi sul bordo del corridoio del primo piano.

Aspettavano Raphael. Perché Isabel non c'era più e sarebbe toccato a loro dargli ogni sostegno e aiuto possibile perché potesse, se non superarlo, almeno riprendere una parvenza di normalità.
Sentirono tutti la presenza del sensei, poggiato con pazienza al suo bastone, anche lui con loro nella muta attesa.
E attesero. L'unica cosa che potessero fare.
Attesero.




Note:

La canzone Hallelujah, che per me fa da sfondo a tutto questo capitolo, nella sua prima stesura era una canzone religiosa; la versione a cui faccio riferimento io, però, parla di tutt'altro: parla di amore e sesso, di disperazione e perdita; è un inno all'amore materiale, all'estasi dell'orgasmo e alla sofferenza nel perdere tutto.
Perché l'amore non è una marcia vittoriosa, è un freddo ed è un infranto Alleluja.

https://www.youtube.com/watch?v=xR0DKOGco_o


Permettetemi di ringraziarvi come sempre e abbracciarvi forte.

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Capitolo 25
*** I am- You are- We are... Falling ***


Attesero.
Ma l'attesa che prima era fiduciosa si trasformò fin troppo presto in angoscia.
Nel momento stesso in cui capirono che Raph non sarebbe tornato.

Non c'era stato un istante definito, un qualcosa di secco e tangibile che glielo avesse fatto capire. Era stato il tempo a suggerirlo, quando i minuti erano diventate ore, che poi si erano accumulate in giorni.
Quando il terzo giorno dalla sua uscita dal garage sorse, iniziarono a capire che Raphael non era semplicemente uscito per rimanere da solo a pensare.
Capirono che si era smarrito.
Non fisicamente, -sapeva di certo ritrovare la via di casa,- ma nell'anima.
Raph si era perso, aveva perso sé stesso, e la paura che non avrebbe più varcato la soglia del rifugio, che potesse aver preso una decisione sbagliata, si fece prepotentemente strada in loro.
Il dolore del lutto li rese anche più apprensivi e guardinghi, e nel momento stesso in cui i loro sguardi si erano incrociati nella consapevolezza, avevano già deciso: dovevano cercarlo e riportarlo indietro.

La prima scelta logica fu cercare di rintracciarlo col telefonino, ma si accorsero alla prima chiamata che era fuori servizio. Spento, rotto o gettato chissà dove, ma inutile sia per chiamare sia per tracciare il segnale per poterlo scovare. Si chiesero se Raph lo avesse fatto apposta, per non essere trovato.
Istituirono in fretta delle squadre di ricerca, ancora più preoccupati. Se era vero che non era difficile nascondersi anche in piena vista, -ben più di una volta avevano camminato tra gli umani, quando erano vestiti, senza problemi,- non di meno più tempo passava fuori, soprattutto in uno stato d'animo così instabile, più possibilità c'erano che Raphael potesse essere visto e catturato. E non volevano immaginare che guerra ne sarebbe nata, perché un Raph in quello stato avrebbe potuto far fuori mezza città prima di essere colpito.

Leo, Don e Mikey presero a pattugliare dalle prime ombre del tramonto fino a che il sole non era completamente sorto, rovistando New York fin dalle sue fondamenta, senza tralasciare il più piccolo e infimo angolo, il bidone più nascosto.
Durante la giornata erano Casey, Angel e Steve a proseguire le ricerche, e sebbene anche April si fosse offerta, dover accudire due bambini le prendeva già ogni tempo ed energia, perciò la sua richiesta venne gentilmente rifiutata.
A lei e Splinter toccava lo strazio maggiore, l'impotenza di fare qualcosa che si sommava al dolore, mentre aspettavano notizie.

La prima settimana passò in un soffio, nella spasmodica ricerca, nella speranza che andava affievolendosi. Nessuno osava dire quelle parole, ma la paura era in ogni cuore.
Non c'era nessun segno di lui, nessuna notizia di avvistamenti di persone strane o sospette, ma la moto era ancora nel garage, Raph doveva essere ancora in città.
Dove, dove nella stramaledetta e immensa New York poteva essere? E come stava vivendo, solo, avvolto dal dolore?
Tutti si facevano le stesse domande, ma le tenevano per sé. Continuavano ad andare fuori a cercarlo con un sorriso fiducioso e la paura nella mente, perché a volerla tirare fuori avrebbe potuto contagiare gli altri, senza sapere che si era già diffusa coi loro silenzi, come un cancro malevolo.

La seconda settimana passò, portando solo più stanchezza e dolore, più domande e timori, senza fine. C'erano occhiaie scure sotto i loro occhi e silenzi ancora più spessi.
E così tante recriminazioni, ognuno che si dava le colpe, in cuor proprio.
Leo pensava che avrebbe dovuto vegliare meglio su di lui, lui che sapeva quanto stesse soffrendo, lui che poteva capirlo meglio di tutti. Invece si era fatto distrarre dal suo dolore, dal suo egoista dolore per averla persa, e non aveva pensato a nient'altro che a sé.
Don si malediceva per aver fermato Leo che voleva correre dietro a Raph, quel giorno. Se non lo avesse fatto, se gli avesse permesso di seguirlo e parlarci, forse tutto quello non sarebbe successo; Leo avrebbe saputo cosa fare, avrebbe saputo arrivare al cuore ferito di Raph, lo avrebbe protetto. Era tutta colpa sua, che lo aveva fermato, se il leader non aveva potuto salvarlo.

E Mikey... Mikey si stava perdendo, come Raph.
Silenzioso, teso e nervoso, non sembrava nemmeno più lo stesso ragazzone sempre allegro che allietava le loro giornate coi suoi scherzi, ma solo una malanima presenza che si trascinava nel rifugio senza pace, con lo sguardo spiritato.
Il momento in cui si sarebbe rotto non era lontano e quando successe, alla fine terza settimana di sparizione di Raph, nessuno ne fu davvero sorpreso.

Basta! Basta! BASTA! A cosa serve fare piani, ricerche, stare qua a non fare nulla?” sbottò una mattina in cui erano nel laboratorio a studiare le mappe coi territori marchiati, appena rientrati dalle loro ricerche infruttuose.
Leo stava segnando le zone controllate nella notte e Donnie stava cercando di venire a capo di un sistema di tracciamento basato sul mutageno, molto complesso già solo a giudicare dal progetto, sul quale stava letteralmente sputando sangue.

Entrambi voltarono lo sguardo stanco verso Mikey, calmo, lo sguardo di chi già si aspettava una scena simile: stava camminando avanti e indietro come un folle, con le mani che mulinavano nell'aria, le occhiaie sotto gli occhi di un violento verde intenso e lo sguardo più cupo che gli avessero mai visto in viso.

Non possiamo rimanere così! Tre settimane! Tre settimane! Sparito! E noi ce ne stiamo qua!” sbraitava senza senso, sempre più infervorato.
Cosa vorresti fare?” domandò quieto Leo, cercando un punto di incontro in quello che prometteva essere uno sclero con tutti i crismi.
Io esco! Continuo a cercarlo! Non posso sprecare del tempo prezioso, devo cercarlo!” urlò Mikey fermandosi, lo sguardo folle carico di determinazione.

Corse verso la porta, ma Leo lo bloccò afferrandolo per il braccio, con fermezza.
Mikey, è pieno giorno, non puoi uscire.”
E invece sì! Se Raph è lì fuori anche io posso andarci, e cercarlo e... e scusarmi e aiutarlo e...”
Si passò le mani in faccia, premendo contro gli occhi con forza e impotenza, respirando a fondo.

Mikey, sai che non è colpa tua, vero? Non è colpa tua se Raph è andato via” disse con voce dolce Donnie, avvicinandosi a loro due.
Sia Leo che Mikey lo guardarono e lessero nei suoi occhi lo stesso sentimento di colpa che loro sentivano, condivisero il peso di sentirsi tutti responsabili.

Se io avessi capito... ero con lui nel retro del furgone, ho sentito il suo dolore, ma ho avuto paura di avvicinarmi, paura di un suo scatto. Se non fossi stato vigliacco, se avessi saputo aiutarlo, potevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma...”
Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. Non è nemmeno colpa di Raph, se si è perso” mormorò triste Don.
Ho paura. Ho paura che sia...”

Non riuscì a finire la frase, ma quello che intendeva lo capirono perfettamente, il leader e il genio. Perché quella stessa paura infettava le loro menti e i loro cuori.
Sta bene. Raph sta bene” ripeté Leonardo, ma Mikey riuscì a capire che lo diceva più per convincere sé stesso.
E lo troveremo presto” aggiunse Donnie, sforzando un sorriso che tirò le pieghe della stanchezza accumulata.
Nel silenzio teso che seguì, i tre non poterono fare altro che abbracciarsi, una stretta fugace nella speranza di dissipare il timore, che quelle parole fossero vere.


Forti di quella speranza, di quel momento di fratellanza a tre a cui mancava purtroppo un componente, che volevano con loro al più presto, si rimisero immediatamente al lavoro, forse persino con più foga di prima: il sonno e il riposo avrebbero atteso per quando Raph sarebbe stato di nuovo con loro, nella sicurezza del rifugio.

E ancora dovettero scontrarsi con la realtà, che non lasciava scampo: erano troppo pochi per poter scandagliare a fondo l'immensa città che era New York e tutti i suoi angolini più nascosti e segreti in cui poteva essere il fuggitivo.
E se qualcuno lo avesse preso, poi? Loro non l'avrebbero mai saputo. Se Raph era stato scoperto, di certo era finito nelle mani del governo per esperimenti, e il tutto era stato insabbiato con facilità; loro come avrebbero mai potuto salvarlo, in quel caso?

Donatello era quello che pensava più di tutti alle varie opzioni, e quella lo assillava forse un po' più delle altre; si infiltrava sempre più spesso e sempre più a fondo nei computer del governo, fino a spingersi nelle branche delle organizzazioni che nemmeno il governo stesso sapeva che esistessero, sfidando sempre più la fortuna e la sua bravura nel non essere scoperto: leggeva e scartellava i loro file fino in fondo per riuscire a trovare anche il più piccolo indizio che potesse fargli capire che lo stato avesse preso suo fratello.
E il sonno era sempre più utopia.

Leo lo sapeva. Sapeva cosa stesse facendo e quanto rischio stesse tenendo in bilico sulle sue dita ogni volta che usava il computer, ma non poteva biasimarlo e non riuscì a trovare il coraggio di dirgli di smetterla, perché se lui avesse avuto anche solo la metà dell'intelligenza di Donnie, avrebbe fatto esattamente lo stesso.
Tutto pur di trovare Raphael. Tutto pur di estirpare quell'ansia e quella paura dall'anima.
La verità era che non era più stabile di Mikey, anche se cercava di farsi forza, per far forza agli altri, ma sentire anche il loro dolore, sentire che anche il sensei stesse cedendo poco a poco, nel suo mutismo, nel suo sguardo fosco che pregava per il ritorno del figlio, lo stava logorando ogni giorno di più.
Come poteva essere un leader ed un sostegno, se si lasciava andare giù?


Un mese tondo dal funerale si affacciò sul mondo.
E ancora nessuna nuova notizia, niente, niente a cui appigliarsi.
Il dolore ancora fresco li colpiva ad ondate, quando il sorriso di lei riaffiorava nelle loro menti, quando una frase che aveva pronunciato riecheggiava nella memoria; si chiedevano spesso cosa avrebbe fatto lei in quella situazione, se avrebbe saputo trovarlo, al loro posto. E la risposta era sempre sì, perché lei aveva saputo sempre come trovarlo e come arrivare al suo cuore.
Non erano riusciti a piangere come avrebbero dovuto per il lutto, preoccupati dalla sparizione di Raphael, ma era sempre lì, fresco e sanguinante, pronto a rituffarli nello strazio non appena tutto fosse finito.

Donnie ci pensava spesso, a lei. Non poteva fare molto per evitarlo, c'erano decine di suoi bigliettini in giro per il laboratorio, appuntati sulle superfici più disparate: uno sulla cartellina degli appunti, per ricordargli un esame ormai dimenticato nel tempo, ma molto importante nel momento in cui lei lo aveva scritto, uno sul pc per un appunto su una ricerca, un altro su un vecchio tostapane solo per lasciargli un buon giorno, uno ancora vicino alle provette per chiedergli di controllare la reazione di un esperimento a cui avevano lavorato assieme molto tempo prima. Erano tutti ancora lì a parlargli, come se fosse lei a farlo.
Non li aveva mai buttati, non sapeva nemmeno perché, e in quel momento sapeva che non l'avrebbe fatto mai più, perché voleva illudersi ogni giorno che lei fosse ancora lì a lasciarli per lui con un gran sorriso, prima di andare a lezione. Anche se era masochistico e faceva male da morire.

Ma doveva distrarre lo sguardo, per focalizzarsi sul problema più impellente, mettendo il dolore per lei in secondo piano.
Non voleva nemmeno immaginare quanto stesse soffrendo Raphael in quello stesso momento e cosa quel dolore potesse spingerlo o lo avesse spinto a fare.
Si dannava per trovare una soluzione. Avrebbero dovuto essere molti di più per trovarlo. E infine, una sera, picchiandosi forte la mano contro la fronte per la sua stupidità e per non averci pensato prima, si buttò fuori dal laboratorio e cercò i suoi fratelli, già pronti per uscire per le ricerche, in piedi vicino all'entrata. Lo osservarono avvicinarsi trafelato eppure illuminato ed entrambi si congelarono sul posto, attendendo che parlasse.

Il Professore!” esalò esagitato. I due gli rivolsero un'occhiata dubbiosa per la sua salute mentale.
Il Professore! Il capo dei senzatetto! Lui e gli altri possono darci una mano a cercare Raph! Possono andare dovunque e fare domande che noi non possiamo!”

Si guardarono tutti e tre, con la stessa espressione di incredulità per la loro palese, palese stupidità; nessuno di loro aveva pensato al loro vecchio amico che aiutava i barboni di New York: era anziano e molto saggio, e dato che nessuno sapeva il suo nome, lo chiamavano semplicemente Il Professore; aiutava chiunque fosse in difficoltà e non aveva mai chiesto loro se fossero davvero tartarughe giganti o solo in costume, perché sembrava non curarsene. Dato che tutti lo stimavano, era in un certo senso diventato il capo dei senzatetto, nell'utopistica comune che avevano formato su un'isola adibita a discarica: riciclavano tutto ciò che era possibile e smaltivano ecologicamente il resto, offrendo un lavoro e una casa a chi non aveva più niente.
Probabilmente aveva una rete di informazioni e contatti in tutta la città. Di certo qualcuno di loro aveva sentito qualcosa di strano, qualcosa di sottaciuto.

Una volta fuori dal rifugio, si divisero e Donnie corse per avvisare Il Professore, in tutta fretta: naturalmente ottenne una piena collaborazione e con molta sollecitudine; il vecchio amico sembrò essersi accorto della sua premura e della sua preoccupazione e con un veloce passaparola ordinò a tutti i senzatetto della città di riportare ogni possibile avvistamento o notizia a lui il prima possibile.
Avevano mille occhi e mille orecchie in più. Donnie non poté non sentirsi più speranzoso e persino un po' euforico. Sentiva che era solo questione di tempo, poco tempo, e qualcosa sarebbe successo, e la vita si sarebbe rimessa in moto, riportandogli notizie di Raphael.
Invece non fu così facile.

Se avevano immaginato che in poche ore avrebbero ritrovato il fratello, dovettero fare presto i conti con la realtà: decine di avvistamenti sospetti, ma tutti buchi nell'acqua; persone che scappavano da persecutori, due delinquenti in cerca di un rifugio dopo una rapina e anche alcuni maniaci, ma niente di lontanamente simile al loro fratello.
Erano stati vaghi, a ben pensarci, e nell'immenso passaparola molte cose dovevano essere state modificate e cambiate; ritornarono dal Professore per chiedergli di specificare l'aspetto di Raphael, senza timore: avrebbe potuto dire che fosse un uomo in costume, per non destare allarmismi, ma era importante che qualsiasi avvistamento di una persona con un aspetto diverso dal normale fosse segnalato.

In poche ore la voce era arrivata ad ogni senzatetto e stranamente tutto ritornò esattamente come prima che li contattassero: nessuna nuova, nessuna pista.
Raphael era ancora a New York? Era ancora vivo? Era salvo?
Continuavano a chiederselo, ma le risposte diventavano via via più cupe e sfiduciate.

Mikey stava cercando di andare avanti senza impazzire. Senza cedere al dolore. Ma era difficile.
Così tanta sofferenza, in così poco tempo.
Mork. Isabel. E Raph.
Prima l'impotenza per non aver salvato chi contava su di lui, poi l'ineluttabilità nell'aver perso per sempre colei che era come una sorella e infine il non sapere cosa ne fosse di suo fratello. Era troppo, troppo.
L'unica consolazione che aveva, era che il continuo cercare lo teneva impegnato tanto da non pensare e la mattina crollava sfinito a dormire, lasciando che il dolore lo cogliesse nel sonno.
Perciò correva e correva, fino a quando restava senza fiato, pregando di trovare traccia di Raph, per alleviare almeno un poco la sua sofferenza.

Gli piaceva l'aria della notte, era fresca e leggera. Ormai un poco più umida e calda, essendo alla fine di Aprile: presto ci sarebbe stato caldo torrido e l'estate era sempre più vicina.
Il sole iniziava a tramontare sempre più tardi, però, e lui si agitava per la frustrazione quando attendeva che calasse il buio per poter uscire e mettersi alla ricerca: una volta fuori, respirava a fondo, rilassando appena la tensione, e poi si lanciava immediatamente per la città con tutta la sua foga e la sua energia.
Notte, dopo notte, dopo notte.

Quella notte, il telefonino di Mikey trillò, per la prima volta da molti giorni. Rispose dopo qualche squillo, piuttosto svogliato, certo che fosse solo una seccatura.
Pronto?”
Ascoltò la voce dall'altra parte che riprendeva fiato, trafelata.

Donnie, sei tu?” domandò, mezzo allarmato.
Respira, non ho capito niente!”

Si bloccò nel bel mezzo di un tetto, con una brusca frenata. La sua faccia esprimeva una gamma di emozioni che variava dal sorpreso al preoccupato, inframmezzato da angoscia.
Sei sicuro?” esclamò a voce alta, molto alta e turbata. “Sì, sono vicino. Vado io. Sei sicuro, vero?”
Chiuse la chiamata e ficcò il telefono nella taschina e si lanciò di nuovo in avanti, più veloce di prima.

Non era la prima volta che rispondeva ad un avvistamento e ci si recava per primo perché era più vicino, perciò avrebbe dovuto essere ormai vaccinato contro l'illudersi, ma ogni volta non poteva evitare di cascarci e sperare che fosse la volta buona.
Avevano specificato l'aspetto di Raph ai senzatetto, avevano messo in chiaro cosa stessero cercando, perciò non era possibile che fosse un altro falso avvistamento.
Continuò a ripeterselo nella mente nella sua folle volata verso il posto. Aveva una buona sensazione nel petto, che gli diceva che era lui.
Il palazzo verso cui stava andando era certo di conoscerlo, era quasi certo che c'entrasse lei, anche se in quel momento di urgenza gli sfuggiva il nesso.

Corse. E corse ancora. Corse così forte che il vento gli fischiava nei fori auricolari, confondendo ogni altro suono. Alla prima scaletta antincendio che fu disponibile spiccò un salto poderoso e l'afferrò, issandosi su con una foga mai avuta prima.
Si fermò alla fine, riprendendo fiato e scrutando con attenzione attorno. Era lì. Doveva essere lì. Don non si sbagliava mai e quella non doveva essere la prima volta. Non in quel momento in cui ritrovare Raph era diventato necessario come respirare.
Di colpo si ricordò perché quel palazzo gli fosse familiare e si rammentò di quando lui e gli altri avevano trovato Raphael addormentato sotto una coperta, con una spalla fasciata, mettendosi poi a farfugliare di una misteriosa ragazza dal bacio magico. Era il posto in cui lei lo aveva guarito, la prima volta in cui si erano incontrati.
Non poteva essere un caso.

Lo sguardo captò un movimento di fronte a sé, dall'altra parte del tetto.
Si mosse per raggiungere qualsiasi cosa fosse, svelto, ma non troppo da allarmare la figura. Non voleva essere notato prima di capire se fosse o meno suo fratello.
Si fermò a qualche passo, silenzioso. C'era un uomo a pochi metri, grosso, enorme, che gli dava la schiena. Eppure lo riconobbe. Riconobbe il cappotto che aveva indosso quando era sparito, anche se persino alle flebili luci capì quanto fosse sporco; riconobbe la sua figura enorme e la linea tonda nelle spalle che indicava il bordo del guscio.
Era Raphael. Lo aveva trovato.

Era sul cornicione del tetto, barcollante, le braccia appena spalancate, come ali timorose di aprirsi. Il viso era piegato verso il basso, lo sguardo incollato al marciapiede sotto di sé, calamitato da un desiderio sul fondo dello stomaco.
Raphie? Ehy, fratello” lo chiamò Michelangelo, cercando di non far tremare il tono, di emozione repressa e paura.

Raphael non sembrò sorpreso di sentire la sua voce dal nulla, non sussultò né si meravigliò, ma sollevò appena la testa, torcendola poi per gettare una fugace occhiata alle sue spalle.
Sorrise, follemente.

Mikey” biascicò, mangiandosi via metà del suo nome. Così ubriaco non lo aveva mai visto.
Si voltò con un movimento azzardato, dondolando un po' troppo sul ciglio sottile che lo separava da un volo mortale di ottanta metri, e lo guardò con ancora quel ghigno squilibrato sul viso.
Si fissarono per interminabili secondi, Mikey che faceva mentalmente le supposizioni di quanto ci avrebbe impiegato se si fosse tuffato verso di lui e lo avesse afferrato per le gambe. Sarebbe riuscito ad arrivare in tempo?

Cosa fai?” ridacchiò senza senso Raph. Senza aspettare una risposta si voltò di lato e iniziò a camminare sul cornicione a passetti cadenzati, barcollando un po' troppo per i gusti di Mikey, che lo vedeva allontanarsi da sé sempre più e così anche le chance di salvarlo.
Ti stavo cercando” rispose accorato, ma la risposta scatenò ancora di più l'ilarità del fratello.
Io non ero perso.”
Sorrise scioccamente, continuando a ciondolare di qua e di là sulla sottile striscia di cemento. Mikey si morsicò un labbro per non mettersi ad urlare.
Vedere Raph in quello stato era straziante, era sbagliato. In quell'instabile altalena di follia e dolore.

Dove sei stato allora? Cosa hai fatto?”
Si disse che farlo parlare era la scelta migliore, che mentre lo teneva occupato, avrebbe cercato di avvicinarsi piano piano, un millimetro per volta, per poi lanciarsi in uno sprint finale. Allungò le dita dei piedi e cercò di seguire il movimento con il resto del corpo, senza farsi scorgere.

Raphael strizzava appena gli occhi, provando a ricordare. Era tutto molto confuso e non era sicuro di niente.
Non lo so” rispose facendo spallucce, scrollando via quel fastidio che provava a cercare di focalizzare.
Ma sì che lo sai, provaci. Sono solo curioso di sapere cosa hai fatto e cosa hai visto, non ci vediamo da così tanto” incalzò Mikey col batticuore, cercando di rendere la sua voce più tranquilla possibile.

Ho camminato” farfugliò Raph incerto, raccogliendo frammenti di memoria. “Ho camminato tanto. E ho bevuto.”
Il tono vagamente rilassato si adombrò di colpo, come se qualcosa che non avrebbe voluto ricordare lo avesse assalito all'improvviso.
Il vero motivo per cui aveva camminato, il vero motivo per cui aveva bevuto.

L'alcol serviva per disinfettare e nel cercare di suturare la ferita nel suo cuore ne aveva buttato giù a litri.
Alcol per cancellare. Alcol per superare. Alcol per dimenticare.
Ma lei c'era sempre, non importava quanti bicchieri bevesse, quante bottiglie svuotasse: lei era lì ogni volta che batteva le palpebre, ad ogni respiro, e finché avesse vissuto ci sarebbe rimasta, rendendolo sempre più pazzo di dolore.
Aveva barcollato da bettola in bettola, tra sprazzi di allucinante delirio e pochi momenti sobri, cercando di sfuggire al dolore. A volte aveva dimenticato il suo nome anche per giorni, una volta perfino cosa fosse, ma lei, lei non l'aveva scordata mai.

Si fermò di colpo, il viso corrucciato in una smorfia di dolore. Iniziò a urlare, stringendosi la testa tra le mani, dondolando ancora più pericolosamente verso il vuoto.
Mikey si lanciò in avanti di qualche passo, ma si bloccò immediatamente quando vide gli occhi folli del fratello spalancarsi e fissarlo con orrore.

Vai via!” gli gridò contro, urlando così forte che sentì quasi la sua voce spezzarsi dalla foga.
No, Raph, ascolta: ti stanno tutti cercando, ti stiamo tutti aspettando. Il sensei, i nostri fratelli, April e Casey e i bambini e Angel e-”

Raph si allontanò di un passo e il cuore di Mikey si strinse in una morsa dalla paura; bastava un secondo, la leggerezza di un appiglio incerto e suo fratello si sarebbe sfracellato al suolo sotto i suoi occhi.
E non poteva permettersi di perdere anche lui. Non ce l'avrebbe fatta a sopportarlo.

Andiamo a casa. Prendi la mia mano e torniamo a casa” lo supplicò, allungandosi appena verso di lui.

L'altro si mosse, non sapeva se per accettare la sua offerta o allontanarsi ancora, né se quello che accadde fu voluto o un caso: Raph si sbilanciò all'indietro e un'espressione sorpresa si dipinse sul suo viso; in un secondo un sorriso tenue gli piegò le labbra, gli occhi si chiusero e le braccia si spalancarono come ali, assecondando la sua caduta verso il nulla.

Mikey si tuffò in avanti e senza pensarci due volte si lanciò nel vuoto, a volo d'angelo: Raphael cadeva a peso morto a qualche metro da lui, ma il suo viso sembrava sereno, anche troppo. Aveva perso conoscenza. Mikey si contorse e si assottigliò più che poté, per assecondare l'aria ed annullare l'attrito e cadere più veloce di lui: forse fu magia, ma per un istante si sentì fuso con l'aria e quasi in potere di manipolarla.
Ancora pochi istanti. Pregò di riuscire a prenderlo in tempo. Il cuore pompava forte il sangue nella testa, rischiando di annebbiargli la concentrazione.

Distaccò velocemente una mano dal corpo e si allungò verso di Raph, tendendosi allo spasmo. I rumori cupi della strada al di sotto si facevano sempre più forti, sempre più vicini.
La mano tremante si chiuse finalmente sulla manica del cappotto scuro e con un gesto secco e urgente lo attirò a sé: lo strinse forte, più forte che poté.

Con uno sguardo svelto cercò di fare il punto della situazione e mentre ancora cadevano, senza pensare davvero, tese l'altro braccio verso il vuoto, in cerca di un appiglio: le dita si chiusero su freddo acciaio, il contraccolpo per il suo peso più quello del fratello lo fece urlare dal dolore e uno sciocco secco risuonò nella notte. Ma la loro caduta si era fermata.
Rimase a penzolare per qualche secondo, nonostante lo strazio che la spalla, probabilmente lussata, gli mandava implacabile.
Era un dolore necessario. Gli diceva che era vivo. E che aveva preso Raph.

Issò faticosamente entrambi sulla scaletta antincendio che li aveva salvati e si lasciò cadere sulla fredda grata con sollievo, cercando di non muovere troppo il braccio infortunato, prendendo fiato con affanno, come se avesse corso.
Raphael respirava penosamente nel suo abbraccio, ma era ignaro di tutto, ma era incolume. Quella sua aria indifesa strideva così tanto con quello che era appena successo che Mikey sentì la voglia di urlare, di urlare dal fondo dei polmoni, per l'angoscia.

Invece lo tenne stretto a sé, scosso da tremori impietosi. Aveva paura. Aveva avuto la dannata paura di perderlo.
Scoppiò a piangere senza ritegno, stringendolo ancora più forte, via via più sollevato nel sentirlo vivo e reale, di averlo ritrovato. Non smise di piangere e non lo lasciò andare, mentre aspettava l'arrivo dei suoi fratelli, dei suoi pilastri; uno dei quali, purtroppo, si stava sgretolando tra le sue braccia.




Note:
Buona notte a tutti.

Allora, in questo capitolo si parla del Professore e due righe su di lui bisogna spenderle: appare per la prima volta nella prima stagione, episodio 9 “Garbageman. Lui e molti altri senzatetto vengono rapiti e portati in un'isola adibita a discarica e costretti dal “Garbageman” a lavorare nei rifiuti, in una sorta di catena di lavoro per riciclare le cose utili e costruire un impero che non sprechi più nulla. Detto così sembra molto bello, ma in realtà quell'uomo è solo un folle che li tiene lì contro la loro volontà e si fa obbedire con la violenza.
Quando le turtles lo battono, i senzatetto decidono di rimanere lì comunque, e di costruire una sorta di comune che segua le idee buone del Garbageman, come quella di riciclare, perché la gente butta e spreca anche cose che possono ancora funzionare.
Il Professore è una sorta di capo-spirituale e quindi lui che parla per tutti e che ha confidenza e gli incontri con le turtles, soprattutto con Donatello.

Non ho molto altro da aggiungere, se non che, credetemi, io sono la prima a soffrire tanto per ciò che sta accadendo.
Vedere Raph cadere sempre più giù, spezzato, e Mikey confuso e preoccupato, e gli altri che si dannano per lui, mi fa male; ma devo confessare che questi momenti di fratellanza, di affetto palese tra loro, li adoro con la stessa intensità.

Come adoro voi.
Grazie davvero di cuore,
un enorme abbraccio

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Capitolo 26
*** Broken (Denial) ***


Leo e Don si incontrarono a mezz'aria, sopra il tetto di un palazzo. Venivano da due direzioni differenti, ma andavano entrambi verso la stessa.
Non si fermarono a parlare, continuarono a correre e nel frattempo si scambiarono le informazioni, tra i respiri a denti stretti.

Notizie da Mikey?” domandò Leo, saltando distrattamente un cornicione.
No, niente. Probabilmente era un altro falso allarme o ci avrebbe chiamato subito” rispose Don sconsolato, appena un passo dietro a lui.

Entrambi ci avevano quasi sperato, che quella fosse la volta buona. Ecco perché si erano gettati in quella corsa, mandando Mikey in avanscoperta per non perdere la traccia. Avevano sperato di trovare finalmente Raph, ma a conti fatti l'aspettativa calava ogni secondo in più che passava e ormai stavano correndo solo per raggiungere il fratello e farsi raccontare quale falso allarme fosse stato quella volta.
Arrivarono al palazzo in fretta, e si bloccarono sul tetto e si guardarono attorno, e anche se entrambi riconobbero il luogo familiare, erano troppo presi dal cercare freneticamente Mikey per fermarsi e lasciare che il ricordo li sovrastasse; anche se era lì proprio dietro agli occhi, anche se la sua risata risuonava già nelle loro menti.

Mikey?” chiamò Don preoccupato, camminando intorno per cercare qualche traccia.
C'era uno strano, innaturale silenzio.

Io lo chiamo. È strano che non ci abbia aspettato” esclamò Leo, già col telefonino premuto contro l'orecchio e lo sguardo d'attesa.

Un lieve trillo conosciuto risuonò nell'aria. Donnie affinò l'udito e ne seguì il suono fino ad un parapetto e, convinto che venisse da sotto, si sporse in fuori e diede un'occhiata in basso con sguardo attento. C'erano le luci al neon di alcuni negozi di fronte che gli confondevano la vista e una cupa oscurità che faceva contrasto nella scaletta antincendio che si abbarbicava al palazzo dove si trovava: gli parve di vedere un barlume di arancio sventolare brevemente, ma passò in fretta e non era certo.
Ma lo squillo proveniva proprio da lì.

Fece un gesto verso Leo, che nel frattempo chiuse la chiamata, ed entrambi si issarono sul cornicione, scivolando poi velocemente giù per la scala antincendio senza dare nell'occhio. Oltrepassarono più di dieci piani prima di intravvedere le due figure accasciate contro la ringhiera del quattordicesimo piano, strette una all'altra, apparentemente svenute.
Volarono per gli ultimi metri che li separavano da loro, in preda al panico, chiedendosi se non stessero semplicemente immaginando di vedere Raph. Eppure lo vedevano entrambi, non c'era da sbagliarsi.

Michelangelo aprì gli occhi quando atterrarono sulla piattaforma, in stato semi- confusionale: un braccio era inerme contro il suo corpo, l'altro stringeva il fratello ritrovato a sé con tanta disperazione da fare pietà. Sia Don che Leo fecero finta di non aver visto i segni di pianto sul suo viso, per non metterlo a disagio.
Mikey scrollò la testa e al vederli un sorriso di speranza gli illuminò il viso. Lesse nei loro tutte le domande che si stavano facendo e schiarì appena la voce, prima di parlare.
Sembrava trattenere una grande sofferenza.

L'ho trovato che camminava sul cornicione. Ho provato a parlarci, ma non era propriamente in sé e... è caduto, e l'ho preso al volo.”
È caduto?” domandò sottilmente Leonardo, a cui non era sfuggita l'esitazione del fratello.
Mikey rabbrividì e sussultò, strizzando gli occhi per il dolore della ferita.

Non sono sicuro” confessò con un sussurro tetro, abbassando il capo.

Mikey, la tua spalla” esclamò Don, avvicinandosi per esaminare il bozzo nella parte sinistra del suo corpo. “È lussata.”
Controlla prima lui, Donnie. Non credo che stia bene.”
Il genio esaminò in fretta Raphael, ma con precisione: battito, cornea, reazioni. Non gli sfuggì nulla.

Beh, almeno non è disidratato. Deve aver bevuto tutto l'alcool del nord America” sospirò sconsolato alla fine. “È svenuto per ora, ma non credo abbia altro.”
Ce la fai a camminare, Mikey? Torniamo al rifugio. Don ti rimetterà a posto e ci occuperemo tutti di Raph. E il sensei sarà felice di sapere che l'abbiamo trovato.”
Il fratello annuì piano, ma sembrò difficile per lui lasciare andare Raph. Allentò la presa lentamente e permise a Leo di prenderlo in braccio, saldamente. Don aiutò invece Mikey, fornendogli supporto dalla parte sana, aiutandolo ad alzarsi e poi sorreggendolo mentre iniziavano a camminare piano.

Il ritorno fu lento e difficoltoso, Don cercava di non forzare l'andatura per non provocare ulteriore dolore al povero Michelangelo, che resisteva stoicamente, mentre Leo era rallentato dal peso di Raphael.
Nessuno osò parlare, c'erano troppa angoscia e pena a serrare le labbra. Gli occhi scivolavano spesso sul volto di Raph, cercando di leggere cosa avesse passato nelle pieghe del viso, tra le piccole rughe di dolore che prima non c'erano, sotto lo strato scuro di stanchezza accumulata; ma distoglievano sempre lo sguardo, incapaci di fissarlo troppo a lungo per non soccombere al senso di tristezza e strazio che li assaliva.
Avevano Raph, sì, ma a che prezzo? Era poi davvero sano e salvo?

Arrivarono al rifugio quasi un'ora dopo, stanchi e provati come poche altre volte, schiacciati da preoccupazioni che il sollievo non riusciva a sollevare.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono, un paio di occhi scuri li accolse, in attesa.
Sembrava quasi che Splinter sapesse già che stavano arrivando; non c'era sorpresa nel vederli, né nel scorgere Raphael con loro, come se avesse già sentito la sua presenza avvicinarsi prima ancora di sapere.
Loro misero piede nel rifugio e lui si fece loro incontro, i vecchi occhi a scrutarli uno per uno, pieni di sofferenza, nel vedere la ferita di Michelangelo, nel vedere quanto stanchi fossero, quanto persi fossero, i suoi figli.

Poggiò una mano sulla testa di Raphael, con amore, ma la ritrasse quasi immediatamente, e l'espressione sofferta sul suo viso crebbe, mescolata a una grande preoccupazione.
Nel delirio onirico e alcolico in cui suo figlio era sprofondato, persino in quello stato, era riuscito a sentire il suo tormento e lo smarrimento il cui versava, un dolore così grande da confonderlo; il suo spirito era spezzato e fragile, impossibile da avvicinare.
Con un cupo gesto fece segno a Leonardo di andare dietro i suoi fratelli, che intanto si stavano avvicinando al laboratorio: la spalla di Mikey sarebbe stata rilocata nella sua giusta posizione e poi il braccio sarebbe stato fasciato per impedirgli di muoverlo per almeno una settimana.

Per Raph, Donnie non sapeva ancora cosa avrebbe dovuto o potuto fare. A parte l'evidente tasso alcolico in cui sguazzava, non sembrava aver nient'altro che avrebbe potuto curare.
Non sapeva come curare un cuore che soffriva, non lo aveva studiato.

Dopo aver aiutato Mikey, si avvicinò alla barella in cui il Leo lo aveva poggiato e con occhio clinico studiò il volto tirato e le sopracciglia corrucciate anche nell'incoscienza; la pelle verde che poteva vedere era sporca e chiazzata e il lurido cappotto emanava un forte odore di alcol e qualcos'altro di rancido che non voleva davvero sapere cosa fosse.
Con fatica iniziò a togliergli l'indumento poi, con una bacinella e una spugna, deterse il suo viso e le parti scoperte, sotto lo sguardo attento di Leo che non si era allontanato, ma non era nemmeno intervenuto, assorto in chissà quali pensieri.
Mikey respirava pesantemente per il dolore, seduto sulla sedia, ma nemmeno il suo sguardo aveva mai lasciato il fratello.
Ci fu un istante in cui i tre si osservarono inquieti, prima di riportare gli occhi su Raphael.
Non c'era niente da fare per loro, se non attendere.
Ancora.


Il mondo girava, vorticava e si ribaltava costantemente.
Riusciva a sentirlo anche ad occhi chiusi, oltre il sapore di birra e vomito incollato al palato e all'emicrania pulsante che stringeva la sua testa; lo sentiva e gli dava la nausea.
Sotto le dita sentì qualcosa di morbido e in uno sprazzo di lucidità si chiese dove diavolo si fosse accasciato quella volta. Un mucchio di sacchi della spazzatura, probabilmente.
Aprì piano e faticosamente le palpebre, strizzandole più volte per la luce.
No. Oh no.

Si tirò su di scatto e si guardò freneticamente attorno, ignorando il capogiro e la voglia di rimettere che l'aveva assalito: il suo sguardo atterrito corse intorno, sulle attrezzature mediche e meccaniche e lui non doveva essere lì. Perché era lì?
Captò la figura di Mikey con la coda dell'occhio, in silenzio su una sedia a fissarlo senza osare muoversi o parlare, come un cacciatore timoroso di spaventare un tenero cerbiatto.
Non stava nemmeno respirando.

Come un flusso doloroso, un insieme di ricordi lo investì e in un attimo ricordò cosa era successo. Non tutto, nemmeno lui avrebbe potuto ricordare tutto, l'alcol nel suo corpo aveva parlato e agito per la maggior parte del tempo, ma si rammentò l'essenziale: l'arrivo di Michelangelo, il suo tentativo di portarlo a casa e la caduta nel nulla.
Caduta? Era davvero stata una caduta?

Il suo respiro era accelerato e impanicato, mentre tutto quello, e lei, ricadevano sulle sue spalle. Nel suo cuore. Un dolore così forte da impedirgli di respirare appieno, di pensare appieno, di poter fare qualsiasi cosa che non fosse morire lentamente anche lui.
Doveva andare via.
Si gettò giù dal letto e le gambe traballarono solo un poco su quella maledetta terra che non voleva smettere di vorticare, ma lui se ne fregava e aggrappandosi a qualunque cosa finché non fosse stato stabile, iniziò a guadagnare terreno verso la porta.

Raph! No, aspetta!” urlò Mikey andandogli dietro, stringendo i denti per il dolore.

Raphael riuscì a sgusciare oltre la porta prima che il fratello potesse prenderlo e fece per correre verso l'entrata del rifugio, bloccandosi dopo pochi passi nel vedere Leonardo ritto e silente lì davanti, con l'espressione seria e irremovibile.
Fammi uscire” gracchiò rauco Raphael, ignorando la sua gola in fiamme.

Donatello apparve nel suo campo visivo, trafelato e con un'espressione preoccupata. Notò solo in quel momento che nessuno dei suoi fratelli aveva la maschera e che tutti avevano un'aria stanca e profonde occhiaie scure.
E la cosa non lo faceva sentire affatto meglio. Ma, scoprì, non gli faceva sentire nulla. Non gli importava e quello era ben più grave, in fin dei conti.
Lui voleva solo andare via. Più lontano possibile, lontano da lì, lontano dai ricordi di lei.
Mosse ancora qualche passo verso l'entrata, ma Leo scosse la testa lentamente, come a dirgli di non provarci nemmeno.

Dolore. Dolore e panico. Dolore, panico e un po' di rabbia.
Il respiro sempre più veloce e corto, mentre lo sguardo correva freneticamente attorno, in cerca di una via d'uscita.

Raph, ti prego, non stai bene! Lascia che ti...”
La mano di Don lo toccò, lo afferrò per un braccio, ma lui lo scostò con un brusco strattone, allontanandosi da lui.
Il suo sguardo preoccupato e ferito non gli disse niente, non gli trasmise nessuna emozione.
E poi ne sentì su di sé un altro, all'apparenza calmo, ma guardingo e spesso.
Il maestro era sulla porta del dojo, attento ad ogni sua mossa, comprensivo e ferito quanto gli altri.

Si sentì ancora più in trappola, era circondato, erano tutti lì, non lo avrebbe lasciato andare via, non gli avrebbero permesso di scappare ancora. Da sé stesso e dal dolore.
Girò in tondo per qualche istante ancora, poi scartò verso la scala per il piano superiore e ci si arrampicò come un invasato, arrivando al pianerottolo in pochi istanti: corse verso la sua stanza, ci si tuffò dentro e sbatté la porta dietro di sé, così forte che sussultarono tutti all'unisono.
Il suono di qualcosa che strisciava disperatamente contro il legno della porta arrivò alle loro orecchie, spezzando ancora di più i loro cuori.
Poi, silenzio e confusione.
Groppo in gola che faticava a scendere e sguardo smarrito su ognuno di loro. Un sospiro pesante, pesante come la morte.
Leo fece solo un gesto con la testa a Don, e quello lo seguì all'istante, verso la scaletta, verso loro fratello.


La segregazione volontaria di Raphael non durò molto. Dopo aver provato in tutti i modi a convincerlo ad aprire la porta con le parole, gentili, disperate e preoccupate, si erano risolti ad usare la forza, nel timore che si lasciasse morire lì dentro di inedia: Don scardinò la porta con pazienza, una sera, mentre Leo supervisionava, all'erta nel caso in cui Raph decidesse di provare a scappare.
Se la gentilezza non arrivava al cuore malato di Raph, allora si sarebbero fatti strada con la forza.

Ma la belva all'interno non si lasciò domare solo perché il suo rifugio era stato violato.
Raph si batté e si batté con tutta la disperazione che lo riempiva per non lasciarsi trascinare via. E li cacciò e si rannicchiò nell'angolo più buio e lontano della sua tana.
Non importava quante volte provassero a parlare con lui, quante volte avessero provato ad abbracciarlo, a farlo mangiare, a farlo bere, Raphael non ascoltava nessuno e non voleva niente, se non essere lasciato in pace. In pace nel dolore.

Passarono i giorni, in quel clima teso e straziante.
Arrivarono chiamate, di April e Casey, da Angel e Steve, sollevati nel sentire che finalmente Raphael era stato trovato ed era al sicuro, ma sconvolti nel sentire le ultime: si offrirono di raggiungerli per aiutarli e vedere coi loro occhi come stesse e dare il loro supporto, ma i mutanti si videro costretti a rifiutare, almeno per il momento.
Era meglio lasciare a Raphael lo spazio e il tempo per aprirsi e sapevano già che non sarebbe stato facile, e sapevano che avere ancora più gente attorno sarebbe stato controproducente.

Perciò ringraziarono e rifiutarono. E promisero che avrebbero tenuto tutti informati sugli sviluppi e ringraziarono ancora per il loro aiuto nel cercarlo, per tutto l'impegno.
Si rendevano conto di sembrare in qualche modo ingrati e di starli escludendo, come se non fossero parte della famiglia, ma nessuno come loro conosceva e sapeva come trattare Raphael, loro che c'erano cresciuti assieme e conoscevano ogni sfumatura del suo carattere.

Fu una gara di pazienza. Ancora e ancora.
Fu una gara di resistenza. Di urla a muso duro e tentativi e lotte disperate, ancora e ancora.


Donatello uscì una sera dalla stanza di Raphael, strofinando la tuta con stizza, togliendo quelle che sembravano grandi macchie di spinaci.
Si accorse solo dopo qualche momento della presenza di Michelangelo, ormai completamente guarito, che aspettava fuori dalla porta, teso.

Com'è andata?” domandò con tono basso e preoccupato. Niente più di un sibilo asciutto.
Come sempre. Non ha toccato nemmeno un goccio d'acqua o cibo e non dorme da non so quanto. Sta rannicchiato in un angolo, con gli occhi spalancati nel buio, senza parlare. Ma se provo ad avvicinarmi per dargli da mangiare scatta come una furia, distruggendo tutto ciò che gli capita sotto mano e si ferisce e... Dovrò sedarlo, almeno riuscirò a nutrirlo tramite flebo” rispose cupo Donnie, spazzando ancora la tuta distrattamente. Poi, si allontanò verso il laboratorio, con passo lento e sconsolato.

Mikey rimase a guardare la porta, con l'amaro in bocca. Raphael era al di là, solo e distrutto.
Cosa diamine poteva fare?
Aprì lentamente e strizzò gli occhi, cercando di abituarsi in fretta alla penombra: tutto era attorniato da una soffusa oscurità, che inghiottiva ogni cosa, come se fosse un buco nero. Con la luce che entrava dalle sue spalle riuscì a intravvedere il contorno del letto e del comodino; lo sguardo vagò sull'enorme quantità di oggetti sparsi sul pavimento, pesi, un guantone, il sacco adagiato su un fianco e vuoto, con la sabbia sparsa disordinatamente tutto intorno.

Infine lo vide: una figura rannicchiata nell'angolo, che stringeva le gambe con le braccia tanto forte che i muscoli erano perennemente tesi. La testa era nascosta tra le ginocchia, forse per via della luce.
Raph?” chiamò titubante, accostando appena l'uscio, per far sì che potesse vedere, ma che non gli desse fastidio.
Lo vide muoversi appena, poi lo scintillio fugace di due occhi, che lo fissavano dalla semi oscurità.

Camminò lentamente verso di lui, calpestando praticamente ogni cosa; infine si inchinò, quietamente, per non spaventarlo.
Ciao, fratello” mormorò a disagio, conscio solo a metà di ciò che stava facendo. Aveva paura. L'aura che Raph emanava era così spessa e graffiante da poter essere percepita anche a quella distanza.
Avrebbe potuto saltargli alla gola o trafiggersi con un'arma, in un secondo di pazzia. Fortunatamente Don gli aveva sequestrato i Sai e tolto ogni oggetto letale dalla stanza, pensò, spostando lentamente i Nunchaku verso la schiena.

Gli occhi continuavano a fissarlo, fermi e spenti. Gli davano i brividi.
Don dice che non vuoi mangiare. Sai che non ti fa bene?” domandò preoccupato.
Raph non rispose. Ovviamente, che cosa si era aspettato? Che solo perché lui aveva deciso di andare a parlargli improvvisamente suo fratello decidesse di reagire? Che idiozia. Nessuno in quella casa poteva dargli una smossa, nemmeno il sensei, che pure ci aveva provato e riprovato fino allo sfinimento. Solo Isabel sapeva arrivare al cuore di Raph, ma era proprio per la sua perdita che lui soffriva.
Ma non si sarebbe arreso lo stesso.

Siamo tutti molto preoccupati, lo sai? Abbiamo tanta paura di perderti... io ho paura di perderti” confessò straziato, non sapendo che altro fare.

Udì un sospiro e gli occhi scomparvero, nascosti di nuovo nel rifugio tra le ginocchia.
Vai via, Michelangelo” sentì dire, con una voce fredda e roca.
Il suo labbro tremolò. Michelangelo. Raph non lo chiamava mai col suo nome completo. Sempre Mike o Mikey, in genere il secondo, anche quando era arrabbiato. Perché usando il suo diminutivo trasmetteva il suo affetto, anche se non apertamente.

Provò ad impuntarsi, anche se la voce gli tremava.
No! Rimarrò qui con te, anche se vuol dire stare al buio e non mangiare, finché tu non lo fara-”
VAI VIA!” urlò Raph, sollevando la testa, con gli occhi che scintillavano di rabbia.
Lo vide scattare e indietreggiò, istintivamente. Lo avrebbe colpito?

La luce della stanza si accese ed entrambi strizzarono gli occhi, mentre Raph ritornava a nascondersi, con ancora più veemenza.
Mikey, per favore, esci” sentirono la voce di Leo, dalla porta, con calma.
Michelangelo non se lo fece ripetere due volte, si alzò e si diresse verso l'uscita, evitando di pestare gli oggetti a terra, poi si voltò, per dare un'ultima occhiata al fratello, lì dove lo aveva lasciato: Raphael era un ammasso informe di arti avvinghiati spasmodicamente tra loro, che odiava la luce e loro che erano entrati nel suo buio dolore, di prepotenza.
La mano di Leo si poggiò sulla sua spalla, richiamando la sua attenzione: gli fece un cenno verso la porta, con un veloce stiramento di labbra per rassicurarlo. Uscì di fretta, chiudendosi la porta dietro, con ansia.

Leo rimase fermo. Ritto e immobile ad osservare Raph. Incrociò le braccia al petto, con un sospiro angoscioso.
Stavi per colpire Mikey?” chiese, nel silenzio greve che attorniava entrambi.
Raph non rispose e non si mosse, come se non lo avesse sentito. Come se non fosse nemmeno lì.

Non puoi continuare così! Reagisci maledizione!” gli urlò contro, perdendo la calma.
Raphael sollevò appena la testa e poté scorgere gli occhi incavati e foschi.

Vattene.”
Una sola parola, come diamine poteva essere così dannatamente fredda da gelargli il cuore? E tuttavia così fastidiosa da fargli salire il sangue al cervello?

Così potrai continuare a crogiolarti nel tuo dolore, facendo la vittima?” sputò con rancore, incurante del tremolio che scuoteva le sue spalle.
VAI FUORI!” strillò ormai fuori controllo Raph, sollevando la testa e il busto, nello scatto d'ira.
Finalmente riuscì a guardarlo in viso, a vedere le profonde occhiaie che cerchiavano gli occhi tetri e vuoti. E lui vide le sue, identiche. Anche se a lui mancava l'aria malaticcia, disidratata e incavata del fratello.

Se vuoi che me ne vada devi buttarmi fuori di peso... se ci riesci, ovviamente” ribatté con un ghigno cinico.
Raph lo guardò con odio, dal pavimento, stringendo le mani a pugno.

Lasciami in pace! Vai via, vattene!” ripeté, con un tono di voce sempre più alto, sempre più roco.

Isabel non avrebbe voluto che ti riducessi così” soffiò fuori Leo, in risposta.
Raphael spalancò gli occhi, inorridito. Si alzò, anche sin troppo velocemente per uno con quella sfumatura sul viso e gli si accostò d'improvviso.
Lo afferrò per il colletto e Leo sentì il suo odore rancido di sudore rappreso, di chiuso e muffa. Di morte.

Non pronunciare mai più il suo nome!” gridò fuori di sé, alzando il braccio per colpirlo. Ma si fermò, con la mano stretta a pugno che tremava.

Perché? Pensi che solo perché era la tua ragazza, tu abbia l'esclusiva su lei e il dolore della sua perdita?” rispose Leo beffardamente.
Il pugno lo colpì in pieno viso, con uno scricchiolio cupo nella parte del naso.

Tu non sai niente! Stai zitto! Non sai niente!”
Ad ogni parola Leo ricevette un pugno, su ogni parte in cui il fratello riuscì ad arrivare. Passò il dorso della mano sulla bocca, poi sputò a terra il sangue misto alla saliva. Raphael doveva avergli spaccato qualche dente.

Io l'ho amata quanto te! Solo perché lei ha preferito te non significa che tu sia il solo a soffrire!” rispose accorato, senza provare nemmeno a contrattaccare.
Raph ringhiava, barcollando sulle gambe malferme.

Stai zitto! Zitto! Zitto!”
Un calcio colpì Leonardo in pieno petto, mozzandogli il respiro, spingendolo all'indietro, contro il muro. Raph si avvicinava minaccioso, digrignando i denti, con gli occhi spiritati.
L'avrebbe di sicuro ucciso.

Non manca solo a te! Non sei il solo che sta soffrendo! Mikey piange da solo, la notte. Donnie cerca di trattenere le lacrime ogni volta che legge distrattamente uno dei suoi appunti lasciati nel laboratorio, con la sua bella calligrafia ordinata. Il sensei piange in silenzio nel dojo, durante la meditazione. Io non riesco più a trovare una ragione per cui dovrei continuare a uscire là fuori e salvare la gente... non mi frega più di niente. Niente ha senso.”
Un nuovo pugno lo colpì alla mascella, facendogli chiudere gli occhi dal dolore per qualche secondo. Provò a muovere la mandibola e si accorse che cigolava, sinistramente.

Chiudi quella cazzo di bocca! Non sai niente! Non sapete niente! Lei è... solo mia!” urlò Raph, con già il pugno pronto per un nuovo attacco.
Ma il colpo improvviso di Leo lo prese in pieno volto, prima ancora che potesse muoversi. Indietreggiò, con un ringhio di sorpresa e dolore, impallidendo un poco.

Lei era. È morta, Raph. E non c'è niente che possa cambiare la realtà!” asserì, secco e asciutto.

Raphael lo guardò, livido di rabbia, poi notò le lacrime che scendevano dai suoi occhi, quiete. Le osservò scendere lungo le sue guance, per poi staccarsi dal mento e cadere giù, sul pavimento della sua camera. In silenzio. Solo il gocciolio delle lacrime.
Con un tremore impietoso, Raphael si lasciò cadere in ginocchio, stanco.

Lei è tutto. Lei è tutta la mia felicità. Tutto il mio senno, tutto il mio senso. È- è- era...”

Tutto divenne nero e si accasciò su sé stesso, il resto della frase impigliato alle labbra, ma non ancora ammesso.


Ti dico che stavano urlando fino a qualche istante fa! Ho paura che Raph possa averlo ucciso!” strillò Mikey a Don, ascoltando con apprensione il silenzio che proveniva dalla camera.
Era rimasto lì fuori, dopo che Leo lo aveva invitato ad uscire, curioso di sapere cosa diamine avesse intenzione di fare. Poi lo avevano raggiunto urla disumane, che urlavano cose che non riusciva a capire e gridi di dolore; era corso immediatamente a chiamare Don, allarmato, ma quando erano tornati indietro c'era solo il silenzio.

Non credo che Leo sia qui. Te lo sei sognato. Non sta meglio di lui, sai? Non si avvicinerebbe mai a Raph” affermò il genio, preoccupato.
E invece ti dico che c'era, lui è...”

La porta della camera si aprì, ammutolendoli. Scrutarono verso l'uscio, attoniti. Leo varcò la soglia, tenendo Raph svenuto tra le braccia.
Ha perso i sensi, Donnie. È troppo debole” dichiarò semplicemente, porgendoglielo. Don lo prese in braccio e si accorse all'istante che aveva perso decisamente peso.

Mikey osservò sconvolto il volto tirato del fratello.
L'hai colpito?” domandò inorridito, notando la spaccatura sul labbro di Raph, causata dal suo pugno.
Leo gli rivolse una veloce occhiata, in silenzio. Mikey tremò sotto quello sguardo insolitamente glaciale, ma non avrebbe certo lasciato perdere.

Come hai potuto! Lui... lui sta soffrendo, più di noi! Perché non riesci a capirlo? Era la sua ragazza! La amava, lui-”
Mikey!” lo rimproverò Don, severo e asciutto.
Il piccolo di casa spalancò gli occhi, sorpreso dal suo tono, poi osservò quelli di Donnie che gli intimavano di chiudere la bocca. Con un veloce dietrofront il genio corse verso il laboratorio con Raph in braccio, per poterlo attaccare alla flebo e rimetterlo in salute.

Mikey rimase in silenzio vicino a Leo, in imbarazzo.
Ma come sempre, doveva chiedere, doveva sapere.

Prima... ehm, possibile che Donnie mi abbia ripreso perché tu...” iniziò titubante, grattandosi il collo a disagio.

Leo si voltò, dandogli la sua attenzione.
Eri ancora innamorato di lei?” finì Mikey, a disagio.
Un lampo cupo attraversò per un momento gli occhi di Leo. Un breve momento, ma intenso.

No, Mikey” negò il leader, incamminandosi verso il bordo del pianerottolo.
Non ero ancora innamorato di lei” concluse, gettandosi verso il piano terra, senza guardarlo in viso.



Note:

Buon sabato a tutti.

Raphael è in piena fase di negazione, poverino.

Mi sono ispirata alle cinque fasi dell'elaborazione del lutto: Negazione, rabbia, patteggiamento, depressione e accettazione.
https://it.wikipedia.org/wiki/Elisabeth_K%C3%BCbler_Ross

abbraccio fortissimo,



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Capitolo 27
*** She promised (Rage) ***


Donatello si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro stanco, passando una mano sugli occhi. Non ricordava nemmeno da quanto non dormisse, ma dovevano essere all'incirca tre giorni, ora più ora meno. Le ultime cinque ore le aveva passate a visitare e sorvegliare Raphael, al meglio che poteva: aveva registrato i suoi valori e lo aveva attaccato alla flebo, ne aveva cambiato addirittura due, la sua disidratazione era preoccupante, e aveva controllato che non avesse riportato danni dal colpo di Leonardo.
Raph stava bene quanto potesse esserlo una persona che stesse annegando nel dolore. Apparentemente sana, ma in realtà irrimediabilmente spezzata.

E nonostante immaginasse quanto stesse male, non biasimava Leo per averlo colpito; in realtà ipotizzava perfettamente come dovesse essersi svolto il discorso tra i due e quello che aveva fatto Leo era quello che serviva a Raph: un duro scontro con la realtà, in cui vivevano anche loro, in cui soffrivano anche loro, per ricordargli che erano lì con lui. Per lui.
Sperò che quel pugno avesse frantumato la fase di negazione, oltre il suo labbro, o sarebbe stata dura al suo risveglio.
Anche se non voleva pensare a quanto le altre fasi del dolore potessero essere difficili, per lui e per loro.

Si rialzò e si stiracchiò con un grande sbadiglio, poi si avvicinò a piccoli passi alla barella di fortuna, cercando di scuotere via il sonno.
Avrebbe dovuto farsi dare il cambio da Mikey o Leo e riposare almeno un paio d'ore prima del cambio della flebo, ma preferiva non dare loro fastidio. Leo stava cercando di rimanere integro nel dolore e Mikey forse si era risentito per la sua uscita.
Si appuntò mentalmente di chiedere scusa al suo fratellino, non appena avesse avuto un attimo di tempo; non era colpa sua se la sua ingenuità non gli faceva vedere le cose.
Come lo sguardo ferito del leader al sentirsi dire che non poteva capire il dolore di Raph.
Poteva eccome. Ma doveva rimanere a galla per tutti e soprattutto per Raph.

Prese il polso del fratello e occhieggiò a fatica l'orologio al proprio, contando i battiti per appuntare qualsiasi variazione nel suo stato di salute.
Con apprensione, si accorse di una lieve tachicardia che andava accelerando.
C'era qualcosa che non andava.
Raph spalancò gli occhi di colpo, spaventato e sorpreso allo stesso tempo. Li ruotò in fretta per controllarsi attorno e non appena lo vide digrignò i denti e si adombrò.

È tutto ok, Raph! Sto-”
Ma il fratello reagì come aveva previsto e si alzò di scatto a sedere, allontanandolo con mani ferme, nonostante il pallore del suo viso.

Don fece del suo meglio per provare a calmarlo. Provò a guidarlo di nuovo docilmente in posizione sdraiata, parlando quietamente per resistere la sua reticenza, ma Raphael si dimenava sempre più violentemente, cercando di allontanarlo e scendere, con foga.
Lasciami ! Lasciami andare!” urlava a più riprese, via via più arrabbiato.

Donatello non voleva pressarlo o turbarlo più del dovuto, ma non ce l'avrebbe fatta con la gentilezza: lo afferrò saldamente per le braccia e lo costrinse a fermarsi, di forza.
Devi calmarti. Non voglio che ti faccia male” sussurrò accorato.
Ma le parole non arrivavano a Raphael, come non lo sfiorava la ragione.
Scattò violentemente in avanti e colpì dritto sulla sua faccia con una testata, dura e brusca, che risuonò secca nel silenzio: Don venne sbalzato all'indietro, la vista confusa e un pressante dolore all'altezza del naso che gli impediva di respirare appieno.

Cadde a terra, senza un lamento. Raph balzò giù dalla brandina senza nemmeno guardarlo, incurante di cosa gli avesse fatto, e si strappò dal braccio l'ago a farfalla con un solo gesto, indifferente: un esiguo fiotto di sangue zampillò dal foro, prima che lui ci mettesse la mano sopra per bloccarlo. A piccoli passi uscì dal laboratorio, senza guardarsi indietro.


Leonardo sentiva che qualcosa non andava. Forse era il dolore, forse solo la sua naturale inclinazione a preoccuparsi. Forse entrambe le cose o forse il vuoto che lo riempiva.
Sentiva che c'era qualcosa che dovesse fare.
Eppure tutto ciò che voleva era urlare, urlare dal fondo dei polmoni finché non gli fosse andata via la voce. E forse, allora sarebbe andato via anche un po' del dolore.
Ma poi, si ricordò, forse ciò che doveva fare era solo andare da Don per controllare come stesse Raph e magari dargli il cambio, anche se non avrebbe mai voluto essere lì quando suo fratello si fosse risvegliato.

Doverlo combattere, nonostante sapesse quello che stesse passando, lo faceva sentire male, lo faceva sentire cattivo. Perché sì, stavano tutti soffrendo, ovviamente, ma per Raphael era peggio.
Perché Raphael stava praticamente morendo poco a poco, lo sapeva.
Perché Raphael era sempre stato così insicuro e fragile sotto la sua corazza di rabbia e Isabel aveva guarito quelle insicurezze, riempiendo ogni suo pensiero, diventando il centro del suo mondo. E alla fine quel mondo aveva tremato sotto i suoi piedi e si era distrutto, trascinandolo giù con sé.

Uscì dalla sua stanza, irrequieto, ma comunque deciso a fare ciò che doveva.
Si accorse che qualcosa non andava già mentre si trovava vicino al laghetto. C'era un odore familiare nell'aria, leggero e quasi impercettibile, ma lo aveva sentito troppe volte nella sua vita per non riconoscerlo.
Sangue.
Notò le piccole gocce rosse e sfrangiate fuori del laboratorio che gli diedero ragione e l'ansia si impadronì di lui e sfrecciò verso la porta in pochi secondi: Don era a terra in stato di incoscienza, il viso tumefatto e striato da strisce di sangue.

Donnie!”

Accorse in suo aiuto, muovendolo piano una volta inchinatosi al suo fianco e chiamando il suo nome. Si era già accorto dell'assenza di Raph, ma risvegliare il genio e controllare come stesse in quel momento era più importante.
Donatello strizzò appena le palpebre, con un mugugno sofferto. Quando aprì gli occhi scuri e vide Leo che lo guardava con preoccupazione, lasciò andare un sospiro, aggrottando le sopracciglia.

Lo sapevo, che non dovevo abbassare la guardia” esalò forzatamente, la voce un po' nasale a causa del colpo. Il suo setto nasale doveva essersi rotto.

Leonardo lo aiutò a mettersi seduto e controllò come stesse, per quanto le sue competenze mediche lo permettessero, ma Don lo spinse via con garbo e fermezza, guardandolo con stupore per il suo comportamento.
Dobbiamo trovarlo! Raph è in piena fase di rabbia. Rabbia verso sé stesso e rabbia verso il mondo. Dio solo sa cosa potrebbe fare in questo momento o cosa stia già facendo. Dobbiamo trovarlo prima che sia tardi!”
Leo aprì la bocca per ribattere, ma non ne uscì un suono, in preda ad un'illuminazione. Parlò solo dopo qualche altro secondo, trasfigurato.

Tu rimani qua. Avverto Mikey di darti una mano. Andrò io a cercare Raph.”

Si alzò prima che il fratello avesse modo di ribattere e aprì la porta del laboratorio, rivolgendo il viso verso l'alto.
Michelangelo!” urlò con tutta la forza. La sua voce riecheggiò nell'ampio spazio, fino a raggiungere il primo piano.
Mikey emerse in fretta dalla sua stanza e anche il sensei si affacciò dal dojo dopo pochi istanti, con il viso preoccupato quanto quello del figlio più piccolo.

Don è ferito, portagli del ghiaccio” disse, mentre il fratello scendeva velocemente. Poi si rivolse verso il maestro, deferente. “Raphael è scappato ancora. Vado a cercarlo.”
Raph è- vengo anche io” si intromise Mikey, fermandosi vicino a lui.
No, io... penso di sapere dove sia. Resta qui con Don e fai quello che ti dice per aiutarlo con la sua ferita.”

Leonardo iniziò ad incamminarsi verso l'ascensore, senza aggiungere altro.
Leo” lo raggiunse la voce di Michelangelo, spezzando il suo ritmo. C'era una nota di pena nel fondo.
Sì?” rispose senza voltarsi.
Mi... dispiace. Mi dispiace tanto per prima.”
Nel silenzio, Splinter osservava i suoi figli con orgoglio misto al dolore. Leonardo voltò appena la testa, e mandò un sorriso mite verso suo fratello.

Non devi, va tutto bene.”
Ed entrambi sapevano che in realtà niente andava bene e saperlo era già qualcosa. La consapevolezza di esserci ed essere assieme però li rendeva più forti.

Entrò nell'ascensore e vide suo fratello e suo padre andare verso il laboratorio, mentre le porte si richiudevano.
Nella salita, pregò solo di aver davvero capito dove fosse Raph. Era scattato qualcosa nel suo cuore e quel qualcosa gli aveva detto dove nell'infinito mondo Raphael potesse trovarsi in quel momento di rabbia, l'unico posto dove potesse desiderare di essere.
Quando emerse nell'ampio e grigio garage e vide che la moto di Raphael non c'era, seppe di avere ragione. Salì in fretta nel furgone e girò la chiave già nel quadro con premura, tambureggiando sul volante per l'agitazione.
Raph era in vantaggio e lui avrebbe dovuto guidare velocemente per riuscire a raggiungerlo.

Uscì con uno stridore di gomme e si gettò nella strada a velocità moderata, stando però ben attento a non superare i limiti: guidò digrignando i denti finché non fu all'uscita della città e non imboccò la I-95, accelerando, finalmente.
Nelle due ore e mezzo di viaggio che affrontò, solitarie, Leo non poté che pensare e ripensare a Raph, con un pressante magone sullo stomaco. E forse, era anche per il timore di stare andando da lei, sempre più vicino.
Una fitta, fitta pioggia lo accolse, al suo arrivo a Northampton.

Attraversò la piccola cittadina avvolta ancora nel buio della notte, le ore appena prima dell'alba, solitaria e quieta come New York non era mai. Si diresse verso l'ampia campagna, col rumore dei tergicristalli in sottofondo a spezzare il ticchettio della pioggia.
I fari illuminavano un metro di strada e il denso muro d'acqua che gli cadeva addosso dal cielo, dritto di fronte a sé; il resto erano solo ombre confuse, alberi, alberi e vegetazione.
Imboccò la stradina stretta e dissestata e aguzzò lo sguardo in cerca di qualunque segno potesse indicargli la presenza di Raphael; se ce n'erano stati, la pioggia continua li aveva ormai spazzati via.

Riuscì a scorgere in lontananza i contorni della casa, ma era immersa nella completa oscurità, assolutamente vuota. Passò davanti senza fermarsi e svoltò bruscamente, slittando appena sull'acqua caduta, e arrivò sul retro. La luce dei fari colpì ogni cosa, la vegetazione, l'enorme spiazzo fino al limitare del bosco, la grossa moto nera abbandonata nel fango con indifferenza e poi la figura che si agitava e che non aveva smesso nemmeno al vedere gli abbaglianti puntati addosso.
Raphael era una macchia scura che si dibatteva e dimenava, furore cieco e incontrollabile.

Leonardo fermò il furgone, lasciando però le luci accese, e uscì ad affrontare l'intemperia, incurante. Non aveva un ombrello e non si sarebbe messo a cercarne uno. L'acqua lo infradiciò completamente in pochi istanti e gli impediva di mettere a fuoco propriamente.
Corse verso il fratello.

Raphael era un vortice di rabbia. Le sue mani sanguinavano, la tuta era lacerata in più punti ed era ricoperto di ferite ovunque; ma sembrava non essersene nemmeno accorto. Come non sembrava curarsi della pioggia.
Stava colpendo la tomba di Isabel con quella che sembrava la vanga per la neve della fattoria, con foga e disperazione, più e più forte, scheggiando il marmo bianco. I frammenti volavano per la forza dell'impatto e lo colpivano, al volto, alle mani, ma non si fermava.
Digrignava i denti, come un pazzo.
Leo continuò a correre, non ci pensò nemmeno a fermarsi.

Raph!” strillò, gettandosi contro di lui.

Ruzzolarono nel fango per qualche metro, intreccio di arti che si colpivano e afferravano, con la stessa intensità, spargendo gocce d'acqua ovunque.
Si bloccarono. Leo lo teneva inchiodato al suolo, con una furia feroce nel petto che non poteva davvero lasciare uscire. Aveva paura di fargli del male, per farlo rinsavire.

Ma sei impazzito?” urlò, cercando gli occhi del fratello.
Raphael lo colpì violentemente con un calcio in pieno petto e lo fece volare lontano, senza rispondere.

Poi, come se nulla fosse, si rialzò e prese da terra la vanga caduta, ritornando sulla lastra bianca, macchiandola con le impronte fangose dei suoi piedi. Sollevò l'attrezzo, implacabile.
La colpì dritta al centro, spaccandola nel punto in cui l'incisione formava il nome di Isabel.
E poi la colpì ancora e ancora, senza pietà.

Raph! Smettila!” sbraitò a piena voce Leonardo, rimettendosi in piedi. Fermarlo sarebbe stata la cosa più giusta, ma aveva capito che non poteva davvero. Raphael lo avrebbe aggredito di nuovo e di nuovo, senza controllo.
Il fratello non si interruppe, colpì ancora, aggiunse crepe profonde alla lastra martoriata, col fiato sempre più corto.

Perché fai così?” esalò Leo, disperato.

D'improvviso, Raphael aprì la bocca.
Lei... lei aveva promesso! Aveva promesso di stare con me a qualunque costo, aveva promesso che nemmeno la morte ci avrebbe separato! Ma era una bugia! È sempre stata una bugiarda!”
Si fermò e lasciò cadere la vanga; quella picchiò con un tonfo metallico contro il marmo e poi rimase immobile.
Raphael si gettò in ginocchio e batté le mani sulla lastra, prendendone un grosso frammento per colpire il resto, brutalmente, fuori di sé, ferendosi sempre di più, sempre più ferocemente. Gocce di sangue caddero sul bianco e il fango, cremisi e irregolari, sciolte in fretta dalla pioggia.

Lei aveva promesso! Me l'aveva promesso!” urlava disperatamente, con una voce roca e pietosa, che sapeva di dolore.

Leonardo si avvicinò a piccoli passi, lasciando che si sfogasse, anche se vedere la lastra in quelle condizioni lo faceva star male, -ma quella non era lei, e una lastra poteva essere sostituita in fin dei conti.
Non ti ha lasciato. Se l'è presa la morte. Sai che non ti avrebbe mai lasciato. Non più. Mai più” sussurrò in un solo sospiro, incerto se il fratello lo avesse sentito o meno.
Le braccia di Raphael si bloccarono in aria, oltre la sua testa, mentre caricava un altro colpo. Rimase qualche istante immobile, col respiro corto, gli occhi fissi sul nome di lei, scheggiato e insanguinato, poi lasciò andare la pietra, che ruzzolò sul marmo con tonfi cupi.

Si rannicchiò su sé stesso, aggrovigliandosi nel dolore, ricoperto di pioggia.
E poi, scoppiò a piangere. Con un urlo di disperazione che aveva trattenuto anche troppo nel cuore ormai arido, le lacrime uscirono e il petto esplose di rabbia e tormento e vuoto graffiante.

Io non ce la faccio. Non sono niente... senza Isabel” singhiozzò fuori controllo, pronunciando per la prima volta, infine, il suo nome.
Tremava violentemente.
Faceva così male vederlo cedere e crollare, e soccombere al dolore. Lui, lo stoico, il duro e invincibile Raphael, ridotto a lacrime e strazio.

Si rannicchiò ancora, sempre più piccolo e contorto, la fronte poggiata lì dove era il nome di lei, premuta con forza quasi desiderasse di passarci attraverso ed essere inghiottito anche lui dalla terra.
Pianse e si disperò, sempre più miserabile, finché le braccia di Leo non lo cinsero, affettuosamente. Provò a divincolarsi, arrabbiato, ma quelle rafforzarono la presa; lottarono per qualche istante, ma quella volta Leo decise che non si sarebbe arreso, che avrebbe preso la rabbia e l'angoscia di Raph, che lo avrebbe confortato, anche a costo di farsi male.

Dopo interminabili attimi di tensione, -in cui Raphael capì che quell'abbraccio, quel sostegno, acuiva e rendeva reale il dolore, ma che lo consolava, anche,- alla fine si abbandonò.
Le sue mani si aggrapparono alle braccia di Leo, artigliando la tuta con le unghie, tremanti e disperate, mentre tutto il suo dolore usciva, tra le lacrime e i respiri spezzati.

È colpa mia! Non dovevo lasciarla andare. È tutta colpa mia.”
Non è colpa tua. Non potevi fare nulla. È successo e nessuno poteva evitarlo. Non tu, non lei, né gli Shisho. È la vita.”
E la vita faceva schifo, avrebbe voluto dirgli. Ma Raph quello lo sapeva già da sé.

Rimase a cullarlo, il tempo non era nemmeno più importante, la pioggia non era importante; non lo lasciò andare, mentre Raphael finalmente affrontava il suo dolore e si lasciava sommergere.
Gli avrebbe fatto bene, alla fine. Ancora non sapeva quando quel bene sarebbe stato visibile, quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che suo fratello potesse vivere senza soffrire così tanto, solo un po' di meno forse, ma sapeva che piangere e lasciare che le sue emozioni fluissero era la cosa migliore per sopportare la sofferenza.
E lui ci sarebbe stato. Per tutto il tempo necessario, affrontando la perdita assieme a lui, anche se meno evidentemente.

Raphael prese un grande respiro, prima di confessarsi ancora.
La sua assenza mi fa impazzire... non posso vivere senza averla al mio fianco. Non posso continuare sapendo che non c'è più.”
Lo so, Raph. Lo so” sussurrò Leo, stringendolo più forte, piangendo anche lui.


La strada scorreva di fronte a lui, la pioggia se l'era lasciata alle spalle.
Leonardo controllava attentamente il percorso illuminato dai fari del furgone, in attesa dell'uscita giusta per New York.
L'alba era vicina e già una chiara luminescenza si intravvedeva ad est.

Il telefono trillò una volta e si affrettò a rispondere, portando l'auricolare all'orecchio.
Pronto? Ciao, Donnie” sussurrò gentilmente.
Sì, l'ho trovato” continuò, gettando una fugace occhiata alla sua destra, dalla parte del passeggero. Raphael era poggiato contro il sedile, profondamente addormentato, i segni del pianto ancora visibili sul viso e intorno agli occhi chiusi.

Era crollato immediatamente, non appena salito sul furgone. Forse persino prima di salire, forse era andato avanti per forza di inerzia, già esausto e distrutto dalle lacrime e dal dolore.
Il silenzio era riempito di tanto in tanto dal suo russare, tenue per una volta tanto. Leo stirò le labbra nel fantasma di un sorriso, prima di rispondere a quello che Don gli diceva al telefono.

Sta... bene” disse, sotto-intendendo il “per quanto possa esserlo”. “E salvo, quanto al sano... abbiamo tempo.”
Il genio cercò di sbuffare col naso alla sua frase, ma emise solo un mugugno di dolore, prima delle ultime raccomandazioni e di chiudere la chiamata.

Leonardo mise la freccia per la successiva uscita e rallentò un poco per affrontare la curva.
Raphael grugnì appena per il lieve spostamento, ma non si svegliò.
Quali sogni potevano mai riempire la mente di un uomo così distrutto, si chiese.


Era caduto nel buio, ci vagava, lo avvolgeva, lo stringeva.
Correva disperatamente e cercava di uscirne, ma si ritrovava solo ancora più smarrito e confuso. E stranamente, era come vedersi dall'esterno del proprio corpo, come percepirsi come un'entità estranea e tuttavia familiare, e il panico era raddoppiato, da spettatore e protagonista, e niente aveva davvero senso.

Solo l'angoscia e la sofferenza. Solo il desiderio di gridare, il desiderio che qualcuno lo sentisse. E quello fece. Urlò, urlò così forte da sentire bruciare la gola.
E il buio si diradò. O meglio, si accorse che non c'era mai stato, che era lui a non aver visto fino a quel momento.

Gli occhi vagarono nella soffusa luminescenza, morbida e stranamente confortante.
Fino ad incontrare quel sorriso. Quel sorriso dolce e triste in egual misura.

Isabel” sussurrò, strozzato.

E corse per raggiungerla, ma ogni passo era come incollato al suolo, pesante e lento.
Isabel piangeva dei suoi sforzi, piangeva del suo dolore. Era eterea e bella, era felice eppure disperata. Non si muoveva, ma era sempre più lontana.

Aspettami! Ti prego, aspettami!” le urlò contro.

Lei gli tendeva le braccia, voleva che la raggiungesse, sembrava chiederglielo col muto sguardo.
Allungò le mani nell'illusione di poterla afferrare, ma non la sfiorò mai, per quanti sforzi facesse, per quanto ci provasse; poté solo guardarla svanire, un ultimo sorriso di scuse nella sua direzione, le braccia esili abbandonate ai fianchi.

Non lasciarmi” esalò Raphael, lasciandosi crollare al suolo.


Si svegliò di colpo, una mano davanti al suo viso che afferrava l'aria, stretta attorno al niente. La realizzazione che fosse stato solo un sogno lo colpì; eppure il dolore era reale.
Era la prima volta che la sognava da quando era morta. Perfetta in ogni dettaglio che la sua mente riuscisse a ricordare, dal suo modo di sorridere a quel velo che le oscurava gli occhi scuri quando soffriva, ma non voleva farlo vedere.
Portò la mano al viso e asciugò una lacrima sfuggita al sonno, inalando a fondo grandi respiri per calmare il battito del cuore.

Sentì la presenza di qualcun altro e si mise a sedere nel lettino, lentamente: il laboratorio era illuminato da una luce soffusa, e silenzioso, c'era solo un basso ronzio che proveniva da un angolo, probabilmente dal motorino di una qualche invenzione, e un tintinnio lieve di due provette in vetro che si sfioravano l'un l'altra.
Don si accorse che si era svegliato e si voltò sorpreso, delle fiale ancora nelle mani: un vistoso cerotto fermava una garza nella parte centrale della sua faccia, avvolgendo il setto nasale con delicatezza; tutt'intorno agli occhi era livido e un po' gonfio e il tutto sembrava fare male da morire.

Raphael rimase a guardarlo per interminabili secondi, trattenendo il fiato.
Sapeva, razionalmente, che avrebbe dovuto dispiacergli ciò che aveva fatto, che avrebbe dovuto sentirsi male per aver ferito suo fratello, che avrebbe dovuto provare rimorso.
Ma non ci riusciva. Non sentiva nulla. Non provava nulla.
Ed era una cosa mostruosa, ed esserne conscio era anche peggio, comprendendo che non sapeva cosa fare per cambiarla.

Come stai?” chiese Donatello quietamente, avvicinandosi per controllarlo. Non c'era esitazione nei suoi gesti, eppure l'aveva aggredito.
Si accertò che la flebo non fosse vuota e gli prese il polso per sentire il battito, occhieggiando l'orologio. Sembrò soddisfatto dei risultati.

Ho sete. E mi sento stanco” confessò Raphael con un basso mormorio, senza guardarlo.

Don gli portò una brocca d'acqua che lasciò a fianco al lettino, insieme ad una zuppa calda.
Bevi quanto vuoi, soprattutto la zuppa, ma fai piano. E poi riposa. Domani potrai tornare nella tua stanza” si raccomandò il genio, poi fece per andarsene.
Per lasciargli i suoi spazi o per non restare da solo con lui, forse.

Donatello” chiamò, con sua stessa sorpresa. L'altro si fermò sulla porta e si voltò.
Mi dispiace” disse, anche se non lo sentiva davvero. Gli dispiaceva di non riuscire a dispiacersi, in realtà.
Don tirò le labbra in su di poco, prima di fare una smorfia di dolore. Andò via senza dire niente e non seppe se gli avesse creduto o meno, se avesse capito la verità.
Raphael rimase solo, coi suoi pensieri. Col suo vuoto.

Bevve due, tre bicchieri d'acqua e si sdraiò con un sospiro, ascoltando il ronzio dall'angolo.
Chiuse gli occhi. Quel sorriso tenue e addolorato riaffiorò dal sogno e la mano scattò in avanti per provare ancora ad afferrarla.
E di nuovo si chiuse sul niente.
La mano ricadde sul viso, a coprire gli occhi.

A coprire il pianto silenzioso, tradito dai sospiri infranti e dalle spalle tremanti.



Note:

Buon giorno a tutti!

Siamo in un turbine di rabbia, come vedete. Non so se quello che accade è quello che alcuni di voi hanno pensato come passo successivo del percorso di Raph, ma è quello che io penso farebbe uno come lui. Lasciarsi divorare dalla rabbia fino a farsi male, a fare del male a chi ama, fino a soccombere al dolore.
C'è ancora tanto, da affrontare e vedere.

Io intanto vi ringrazio, grazie per leggere ancora, grazie di cuore.

Abbraccione

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Capitolo 28
*** Dealing with pain (Depression) ***


Tutto era apatia.
Era statico, grigio, inerte. Tutto era passivo. Ogni giornata, identica alla precedente, identica a quella successiva, e i miglioramenti sembravano non dover arrivare mai.
Se mai ce ne sarebbero stati.

La sua camera era tutto il suo mondo, ormai. Ce n'era un altro ovviamente, fuori di lì, che lui non voleva vedere, che non voleva affrontare; gli bastava quel poco spazio, era tutto quello di cui aveva bisogno. Era quanto riusciva a tollerare in quel momento.
Era già troppo per tutto quello che si portava dentro, per tutto quel dolore che gli pesava addosso e che lo schiacciava.
Se gli avesse concesso più spazio, si sarebbe moltiplicato ancora e ancora, finendo per stritolarlo sotto la sua morsa.

Aspettava che il tempo alleviasse quel dolore, come si diceva sempre; ma quello passava e tutto restava uguale, quel vuoto di emozioni che non fossero la sofferenza, che lo aveva trasformato in un essere apatico e insensibile, incurante di qualunque cosa.
Restava spesso al buio a riflettere, rannicchiato in un angolo, provando ad ignorare il resto del mondo per cadere in quell'oblio e sparire anche lui; forse un giorno ci sarebbe riuscito, si ripeteva, se solo lo avessero lasciato in pace.

Ogni mattina era Leonardo a irrompere nel suo rifugio, convinto di svegliarlo. Raphael non aveva più davvero dormito dopo quel sogno di lei, aveva una fottuta paura di rivederla ancora e ancora, piangere e svanire ogni volta avesse cercato di raggiungerla.
Non voleva più sognarla. Non ce l'avrebbe fatta.
Donatello se n'era accorto dopo una settimana da quando si era risvegliato nel suo laboratorio e gli aveva chiesto scusa, e gli aveva somministrato dei sedativi che lui ogni sera ingollava con avidità, bramando quel nulla e quell'assenza di coscienza nel quale lo facevano cadere.
Forse stava diventando una dipendenza, ma non era un suo problema.

La mattina si sentiva stordito e confuso, quando Leonardo lo chiamava per colazione, ma il suo effetto tranquillante persisteva ancora un po' dopo il risveglio, perciò niente gli importava per davvero: scendeva dal letto e seguiva docile il fratello fino in cucina, in cui trovava tutti gli altri.
C'erano sempre grandi sorrisi per lui e la tavola ricolma di cose buone preparate da Michelangelo, e tanta premura e occhi che lo seguivano in ogni sua mossa.
Non tollerava i loro sguardi che lo scrutavano, esaminavano, studiavano. Ma non faceva o diceva nulla per farli smettere. Semplicemente, cercava di ignorarli.

Lo controllavano quando mangiava, quanto mangiasse, quanto bevesse, riempiendolo di domande alle quali rispondeva solo con mugugni a bocca chiusa, di tonalità più o meno ristrette.
Non aveva più parlato con nessuno dopo aver chiesto scusa a Don e non sentiva il bisogno di farlo. Che la sua voce andasse pure in malora e si arrochisse per il silenzio forzato, a lui non interessava nulla e non avrebbe risposto a nessuno di loro. Per nessun motivo.

Dopo la colazione Leonardo lo forzava a occuparsi dell'igiene personale e lo spediva in bagno per la doccia, e anche per quello ubbidiva docilmente, ben sapendo che se non fosse stato il fratello a costringerlo, lui non avrebbe mangiato o bevuto e non si sarebbe lavato.
E ovviamente anche Leo lo sapeva, o non lo avrebbe fatto.

Dopo, finalmente, era libero di tornare nella sua stanza. A esistere, in sostanza.
Non faceva niente se non esistere, respirare, pensare. Non stava vivendo. Esisteva.
Giorno, dopo giorno, dopo giorno ancora.
In uno straziante circolo infinito.

Ogni tanto il sensei insisteva perché meditasse con lui e Raphael, convinto da Leonardo, ogni tanto lo accontentava. Sembrava rendere felice suo padre, quando lo faceva.
Forse avrebbe dovuto sentirsi commosso della sua premura e della sua contentezza quando si presentava al dojo, ma non ci riusciva.
Anche perché la sua felicità svaniva presto, ogni volta, dopo pochi minuti. Cercava di meditare il suo spirito, di raggiungerlo e guarirlo, ma restava deluso, ogni volta.
Splinter continuava a provarci, ma il suo spirito era rotto e ramingo, vagava per il dolore, ci si era ammantato, e nessuno poteva raggiungerlo.
C'era un muro spesso che lo divideva dagli altri, da qualsiasi emozione, e lui non aveva alcuna intenzione di buttarlo giù.


Pioveva. Pioveva incessantemente, da almeno una decina di giorni.
Una pioggerellina fitta e densa che si poteva quasi tagliare con un coltello, che infradiciava in pochi istanti, che bloccava la visuale. Che stava pian piano allagando la città.
Una pioggia strana per New York, soprattutto a Maggio.

Leonardo la trovava fastidiosa, ma non così tanto da restarsene a casa; pattugliava con coscienza, ogni notte, dandosi il cambio con gli altri perché qualcuno stesse sempre al rifugio e controllasse Raphael.
La pioggia non fermava neanche i delinquenti, ovviamente, perché il tasso di criminalità era sempre lo stesso, forse perfino più accentuato; rapine, scippi, aggressioni.

Stava passeggiando per i tetti di Midtown, quasi vicino a casa dei Jones, tendendo le orecchie a qualsiasi rumore insolito, quella notte, e più di una volta cacciò via il pensiero di invitarsi a casa dei suoi amici per trovare un attimo di riparo e magari qualcosa di caldo da bere.
Decise che avrebbe pattugliato ancora qualche ora e poi sarebbe tornato a casa.
Ne trascorse un'altra in solitudine, dopodiché si sedette per qualche istante sotto una tettoia, giusto per provare a scacciare il freddo che si stava impadronendo delle sue ossa; rimase in silenzio ad ascoltare il suono della pioggia che ci batteva contro, ritmata e morbida.

Perse la cognizione del tempo, lì sotto, immerso in pensieri e ricordi e rimpianti.
Ehi” lo chiamò una voce, chissà dopo quanto. Leonardo trasalì appena e voltò la testa, incontrando il sorriso sghembo di Steve, ritto di fianco a lui. Aveva la tuta da pattuglia addosso, ma la maschera in una mano.
Non si era accorto della sua presenza.

Ti sto chiamando da un po'” disse il ragazzino, come una scusa. “Pensieri?”
Leo annuì lentamente, sfregando le mani intirizzite una con l'altra. Steve lesse tra le righe e continuò:

Stasera chi è rimasto al rifugio?”
Mikey. Donnie è in giro in pattuglia e anche Angel. Magari si sono incontrati anche loro.”

Rimasero in silenzio, a guardare il nulla, pressati dalla tristezza.
Come stai?” chiese ancora il ragazzino, quando si sentì in grado di pronunciare la domanda.
Leo sorrise, suo malgrado. Per la delicatezza di Steve, per la sua sensibilità. O forse perché era la prima persona a chiedergli direttamente e senza giri di parole come stesse; anche ai suoi fratelli importava, lo sapeva, ma non glielo chiedevano mai, forse per rispetto.
Steve rispettava e adorava Leo, ma era più diretto e pratico. E sapeva che avesse bisogno di parlare.

Abbastanza bene” mentì, facendo spallucce. Vedeva con la coda dell'occhio che l'amico lo stava guardando, senza parlare, come incoraggiandolo a continuare.

Mi manca” ammise, infine, con un sospiro. Il suo nome non era nemmeno necessario pronunciarlo.
Mi manca il suo sorriso, mi manca la sua presenza. Mi manca come ci faceva sentire, quello che ci ha regalato, quello che ci ha insegnato. Mi manca come riuscisse a trasformare Raphael, la serenità che gli aveva donato, come lo aveva cambiato.
Mi manca. E sapere che non c'è più è orribile e vorrei solo lasciarmi andare anche io come lui.”

Steve allungò una mano e la appoggiò in conforto sulla sua spalla e strinse saldamente. Leo si accorse della sua occhiata penosa e capì cosa il ragazzo stesse pensando.
Non ero ancora innamorato di lei” sussurrò, un po' stanco.
Non l'ho detto” replicò stranito Steve.
L'hai pensato. E ne hai tutte le ragioni, ma io so che non posso spiegarvi cosa provo. Lei era-... è importante. L'amore che provavo si è trasformato in qualcosa di simile, ma non più così forte come prima. Stavo andando avanti, prima che morisse. Stava diventando sempre più una cognata e non la donna che mi aveva insegnato ad amare; quell'amore era ormai diventato affetto sincero e desiderio che lei e Raph fossero felici.
Adesso si è tutto congelato. È tutto bloccato. E mi sembra di non riuscire a compiere più passi in avanti, di non poter evolvere.”

Si lasciò cadere giù strusciando contro la casupola degli attrezzi e si sedette a terra, seguito immediatamente da Steve; uno accanto all'altro, spalla contro spalla, nel piccolo riparo contro la pioggia.
Capisco” mormorò Steve. “Il suo ricordo si è fossilizzato e non ti fa andare avanti. Si tende ad idealizzare le persone che muoiono, ricordiamo solo il bello, le innalziamo a santi intoccabili e troppo puri per poterne parlare.”
Leo si sorprese nel vederlo sorridere, d'un tratto, come folgorato da un ricordo improvviso.

Quando mia madre morì” iniziò a raccontargli Steve, sommessamente, “io avevo nove anni. Dopo un periodo di rabbia e di tristezza, iniziai a fare pace col suo ricordo e cercavo anzi di chiedere a mio padre e ai nonni più cose possibili su di lei, le sue storie, cose che non avevo potuto conoscere. Ma quello che io ricordavo e quello che loro mi raccontavano non coincideva. Mi ero dimenticato che avesse l'abitudine di passare l'aspirapolvere di notte, che urlava quando era di malumore, che sbuffava a voce alta se doveva fare una lunga fila o che ti toglieva la parola se la offendevi; mi ero dimenticato i suoi difetti, mi ero dimenticato che non era perfetta. Perché da morta quei difetti non sembravano più così grandi, ma io non avrei dovuto scordarli, per riviverla così com'era e continuare ad andare avanti. Lei mi manca, mi manca tanto, di più ancora adesso che avrei tante domande da farle, a cui nessuno potrebbe rispondere come avrebbe fatto lei. Ma fa meno male. Un poco.”

Il braccio di Leo scattò e lo tirò a sé, in un goffo abbraccio a gancio, che voleva essere consolatore. Forse per entrambi.
Quel piccolo scricciolo che lo consolava, che cercava di fargli forza. Che smacco.
Eppure si sentiva meglio, non esattamente bene, ma un po' più leggero di prima, un po' meno represso e oppresso.

Parliamo di cose allegre. Mancano solo quattro giorni al compleanno di qualcuno” esclamò di punto in bianco, lasciando andare Steve, che prese ad lisciarsi i capelli scomposti mentre arrossiva.
Non voglio niente per il mio compleanno” precisò imbarazzato.
Non decido io cosa regalarti. È Donnie quello che azzecca sempre i regali” ammise Leo con un sorrisino di scuse.

Uhm, a proposito... quest'anno non potrete venire alla mia festa” sussurrò timidamente il ragazzo, mortalmente dispiaciuto. Chissà per quanto aveva rimandato il doverglielo dire, per mancanza di coraggio.
I miei nonni vengono dalla Florida apposta, sarebbe troppo farvi vedere da loro” continuò a spiegare, come a volersi scusare.
Si ricordava perfettamente come era andato il compleanno dell'anno prima, quando Isabel aveva insistito perché loro si presentassero alla famiglia di Steve e aveva organizzato tutto e aveva mediato e reso possibile la cosa; e dopo i primi attimi di iniziale sgomento, come era logico, era andato tutto sorprendentemente bene.

I genitori di tua madre” chiese Leo, tranquillamente, e Steve annuì. Quell'anno non sarebbe stato possibile ripetere il miracolo, e pensava che fosse tutto per la mancanza di lei.

Possiamo festeggiare un altro giorno. Invece del ventiquattro possiamo fare il giorno dopo o quello dopo ancora. Dicci tu una data. Ma sappi che non è possibile non festeggiare: April è capace di picchiarti per averci anche solo pensato.”
Steve sorrise, malgrado la minaccia velata, e rollò scherzosamente gli occhi al cielo.

Possiamo fare il trentuno. I nonni ripartiranno la mattina, perciò sarò libero” disse dopo averci pensato un attimo.
Perfetto. Allora organizzeremo una festicciola da April!” concluse soddisfatto Leo, prima di adombrarsi stranamente. “Chissà se riusciremo a convincere Raph a venire.”
E chissà se smetterà di piovere” gli fece eco Steve, occhieggiando il cielo cupo sopra di loro.


E il trentuno arrivò in fretta, nello stesso identico scenario di tutti i giorni.
Raphael continuava ad ignorare tutti, a vivere recluso, e tutti loro si sforzavano di farlo reagire, in qualche modo.
Gli avevano accennato della festa per Steve, qualche giorno prima, ma lui aveva fatto spallucce e non aveva né confermato la sua presenza, né la sua assenza.

Quando il giorno arrivò e fu l'ora di andare dai Jones, tutti ciondolavano e tentennavano per il rifugio, nella speranza che Raphael andasse con loro. Se così non fosse stato, avrebbero tirato a sorte per chi sarebbe rimasto a controllarlo, come sempre.
Donnie stava finendo di impacchettare il regalo per Steve, in ritardo come suo solito, mentre gli altri finivano di organizzarsi per uscire; sarebbero serviti tutti gli ombrelli di cui disponevano, che erano fin troppo pochi.

Quando si decisero ad andare, si diressero tutti verso l'ascensore: Raphael era proprio lì davanti, teso, e non guardò nessuno di loro in particolare. Attese solo che si avvicinassero, poi si accodò alla loro scia, a testa bassa.
Sarebbe andato con loro, ma non avrebbe festeggiato, o parlato, o socializzato.
Si scambiarono tutti un sorrisino compiaciuto, in fretta e senza essere visti, e salirono nell'ascensore, senza osare parlare per non rompere quel piccolo miracolo.

Arrivarono dai Jones non troppo infradiciati, nonostante tutto, solo leggermente in ritardo: Steve era già arrivato e sfoggiava un bel capellino con un pompom colorato in cima, probabilmente messogli a viva forza da Angel o April.
Non appena varcarono la soglia, l'atmosfera allegra si congelò per un istante, nel vedere Raphael alla fine del gruppetto; tutti trattennero il fiato e April si portò le mani alla bocca per l'emozione, ma si trattenne dal correre ad abbracciarlo.

Benvenuti” esclamò Steve, con un grosso sorrisone felice. Li abbracciò tutti, per avere la scusa di poterlo fare anche con Raph, e così fece Casey e anche Angel e alla fine anche April. Lui rimase immobile e li lasciò fare, rassegnato, ma ancora e sempre privo di emozioni.
La rabbia che lo consumava c'era ancora e gli ribolliva dentro, ma al momento era sepolta sotto uno spesso strato di apatia e depressione.

Perfino quando il piccolo Carl corse ad abbracciarlo e lo riempì di domande e lo costrinse a prenderlo in braccio, si sforzò di sorridergli, ma non gli disse nulla; il bambino, dopo il primo attimo di gioia ed euforia, sembrò percepire lo stato d'animo del suo strano zio e gli buttò le braccia al collo e finché Casey non andò a prenderlo e non lo staccò di forza, rimase avvinghiato a Raphael, in un quieto silenzio.

La festa iniziò, anche se in sordina. Ci provavano, a far finta che tutto fosse normale, ma non riuscivano a mascherare gli sguardi curiosi, che lo seguivano, che sembravano volerlo radiografare per capire come stesse.

Raphael fece del suo meglio per ignorarli e confondersi con il mobilio, per quanto possibile.
Voleva solo che finisse al più presto e poter così correre di nuovo nel suo rifugio e nascondersi da tutto e tutti.
Non riuscì nemmeno a tenere il conto di tutte le volte in cui i suoi amici si erano avvicinati e avevano provato a parlargli, con scuse stupide come offrirgli una fetta di torta o un bicchiere di questo o un piattino di quello, ma seppur cortese, si era limitato a cenni del capo, scappando poi più lontano possibile da loro, che all'interno dell'appartamento non era mai abbastanza, purtroppo.

Eppure, anche in quel clima stiracchiato e teso, la serata passò. Intorno a mezzanotte si congedarono e Raphael fu il primo ad uscire dalla porta, rivolgendo verso loro solo un cenno con la testa. Gli altri si affrettarono a salutare e a corrergli dietro, con sorrisi di scuse per i loro amici.
Tutto sommato, pensavano tutti, non era andata poi tanto male. Per lo meno erano riusciti a far uscire Raphael dalla sua tana per una sera e niente era andato storto, perciò si sentivano leggeri e fiduciosi, mentre gli andavano dietro.
Stavano uscendo dal portone, quando tutto cambiò: un urlo echeggiò nella notte e li raggiunse e li scosse, pieno di paura.

Raphael reagì ad esso come un richiamo e dopo aver spalancato gli occhi dalla sorpresa, scattò immediatamente in avanti e si buttò nella pioggia, seguendo l'eco della voce a ritroso, sparendo in pochi istanti alla vista.
Con imprechi tra i denti, i suoi fratelli e suo padre lo seguirono senza esitazione, sconvolti dalla sua reazione e dalla velocità con cui tutto era successo; non avrebbero mai pensato che Raphael potesse reagire ad uno stimolo esterno e avevano paura che avrebbe approfittato della situazione per scappare ancora.
E ogni miglioramento, anche se minuscolo, sarebbe stato sprecato.

Era difficile capire dove fosse diretto, lì sotto la pioggia battente. I rumori erano coperti tutti da un fine ticchettio e i contorni in lontananza si perdevano e mischiavano gli uni con gli altri, confondendo la vista.
Perciò andarono avanti a intuito, seguendo approssimativamente la direzione in cui era sparito, pregando di trovarlo prima che potesse essere troppo tardi.

Raphael corse con un'energia e un vigore che non sentiva in corpo da molto, una sorta di energica disperazione che lo muoveva in avanti, che lo spingeva; vide da lontano i contorni di alcune persone e sentì le loro voci concitate. Ma, soprattutto, sentì di nuovo il grido disperato della donna, che lo spinse a bruciare i pochi metri che lo separavano da loro in pochi secondi.

C'erano tre ragazzi, non potevano avere più di vent'anni, in quello che sembrava un vicolo cieco dietro un locale: due di loro tenevano ferma una ragazza contro un muro per le braccia, mentre un terzo cercava di tapparle la bocca con una mano e con l'altra toccava con lascivia ogni sua parte, dal seno scoperto dalla camicetta strappata, infilandosi poi sotto la sua gonna. Lei si dimenava con forza, gli occhi scuri pieni di paura e lacrime.
Furono quelli, a fargli montare la rabbia in corpo. Ribollì e cancellò l'apatia e lo colmò in ogni cellula.
Occhi castani come quelli di Isabel.

Non si accorsero nemmeno della sua presenza, silente e furente. Colpì per primo il ragazzo che stava violentando la ragazza, dritto contro la sua testa col pugno chiuso, brutalmente; cadde al suolo dritto, senza un fiato. Solo allora gli altri due lo notarono.
Una grossa figura muscolosa contornata dalla pioggia. Enorme. E rabbiosa.
Che bloccava loro la strada.

Entrambi trasalirono e sbarrarono gli occhi inorriditi e spaventati e la loro sicurezza scivolava via via, e la cosa lo fece sentire stranamente bene. Lasciarono andare la ragazza nello stesso istante, che scivolò contro il muro fino a terra, e per guadagnare la libertà decisero di combattere, come se non vedessero la furia omicida del gigante verde di fronte a loro.
Tirarono fuori ognuno un coltello e spavaldi, o avventati, si gettarono insieme contro di lui, attaccandolo da due lati, sventolando le lame sotto il suo viso.

Raphael strinse le mani a pugno, le sue uniche armi, forte, molto forte. Scansò e scansò e attaccò anche, andando a vuoto ogni volta; forse non era più in forma come prima, forse la pioggia non lo lasciava concentrare abbastanza.
Forse erano quegli occhi scuri che seguivano la scena con apprensione e terrore.
Ci provò ancora e ancora, ci provò davvero. Ma il risultato non cambiò e sapeva che era tutta colpa sua, che era diventato l'ombra di ciò che era un tempo.
Ma avrebbe salvato quella ragazza. E forse anche un po' sé stesso.

Uno dei due ragazzi si avvicinò velocemente alla sua destra e provò un affondo verso il suo collo: scansò verso sinistra e contemporaneamente allungò il braccio con forza. Sentì il duro delle ossa e della carne sotto le nocche e seppe di averlo colpito, dritto verso la mascella. Gli cadde ai piedi come un fantoccio, sollevando spruzzi dalle pozzanghere.
Forse con la coda dell'occhio non si accorse della minaccia o forse il subconscio gli disse che non ce l'avrebbe fatta comunque. O forse non voleva evitarla, la minaccia.

La lama del coltello balenò d'improvviso davanti alla sua faccia e il secondo dopo sentì il dolore bruciante e penetrante, fisico, al lato sinistro. Urlò, ma di rabbia.
Raph!” sentì gridare con le voci familiari dei suoi fratelli. Non si era nemmeno accorto fossero lì, né quando fossero arrivati, ma non era importante.
Ruotò il corpo di qualche grado e fissando il ragazzo con l'occhio destro, arrabbiato, balzò in avanti e lo atterrò con due pugni in sequenza, allo stomaco e poi al volto. Anche quello crollò a terra inerte, vicino ai suoi compari.

Nello stesso istante, una piccola calca lo accerchiò e lo pressò, mentre Don facendosi spazio controllava la sua ferita: il suo occhio sinistro era lacerato da un taglio che partiva dalla guancia fin sulla fronte, di sbieco, e sanguinava copiosamente; tra le scie di sangue sciolte dalla pioggia, il genio riuscì a vedere che la palpebra era tagliata a metà. Se l'occhio fosse rimasto danneggiato, era troppo presto per capirlo.

Raphael lo scostò senza lamentarsi, sembrava non provare nemmeno dolore, e si avvicinò alla ragazza ancora poggiata a terra contro il muretto: si teneva i lembi della camicetta premuti contro e tremava da fare pietà.
Si fermò quando si accorse della paura nei suoi occhi, e si inchinò, a distanza.

Stai bene?” le chiese, con voce roca.
La ragazza trasalì al sentirla, e i suoi occhi vagarono per qualche secondo da quello sano a quello insanguinato del mutante; lentamente, infine, annuì.
Lui ne sembrò sollevato. Si rialzò e si rivolse verso i fratelli, che lo osservavano sconvolti; bastò solo una sua occhiata, comunque, perché Leo prendesse il telefono e chiamasse la polizia.

Rimasero in quel vicolo, in silenzio e sotto la pioggia, finché non sentirono le sirene avvicinarsi. Allora saltarono via con un ultimo sguardo verso la ragazza, allontanandosi velocemente e senza farsi vedere.
Forse era per l'occhio ferito, ma Raphael credette di averla vista sorridergli, forse di gratitudine.
Tornarono verso i Jones, per recuperare il furgone, in un denso silenzio e poi di corsa al rifugio, con la testa piena di pensieri.


Donatello trascinò Raphael nel laboratorio, quasi di peso. Gocciolavano entrambi sul pavimento, ma al momento non era quello l'importante. Il neo dottore lo fece sedere nel lettino con forza e poi si spostò in giro per recuperare tutte le sue medicine e gli attrezzi che gli servivano o che gli sarebbero serviti.
Sembrava arrabbiato. Almeno, data la sua scarsa empatia, presunse che lo fosse da un ragionamento logico. Don sbatteva sempre i cassetti, quando era arrabbiato.
Ne chiuse uno di colpo dopo aver preso le garze, dandogli ragione.

Il genio si avvicinò e, dopo aver infilato i guanti, gli controllò l'occhio sinistro, sporgendosi verso il suo viso. Tirò con garbo la pelle, studiò assorto la lacerazione, gli spruzzò un liquido freddo e pungente dritto in faccia, senza nemmeno chiederlo. Non parlava in realtà, respirava solo pesantemente nel silenzio, come se stesse trattenendo nel petto qualcosa che non voleva fare uscire.
Sospirò, dopo qualche istante.

Il tuo occhio è ferito. Mezzo centimetro di larghezza, proprio sopra la pupilla. È molto profondo. Non so se riacquisterai la vista” esalò serio, guardandolo dritto nell'occhio sano.
Lui ci avrebbe provato. Avrebbe ricucito la sua palpebra e gli avrebbe somministrato la cura antibiotica necessaria, ma con i loro mezzi e le loro risorse, era praticamente impossibile, quel miracolo. Lo sarebbe stato anche con attrezzature all'avanguardia.
Raphael non reagì. Rimase a fissarlo, quasi non fosse nemmeno lì, come se non stesse parlando con lui. Come se non stesse succedendo a lui.

Mi hai capito? Potresti perdere la vista all'occhio sinistro. Forse vedresti delle ombre, se sei fortunato soffrirai solo di sensibilità alla luce, ma è grave!” spiegò Don alzando la voce.
Voleva afferrarlo e scuoterlo, ma la sua etica da dottore, oltre al suo amore fraterno, gli impedì di farlo.
Si scontrò di nuovo contro un muro di indifferenza, di noncuranza.

Respirò a fondo, più e più volte; si incurvò, poggiando le mani sul lettino, lasciando andare le spalle.
Tu ci hai provato a scansare, vero?” domandò quietamente.
Il silenzio venne spezzato da un respiro profondo, improvviso.

Cosa vuoi insinuare? Che ho cercato di farmi uccidere? Che mi sono gettato nella lotta sperando di morire? Io non posso morire.”

Donatello sollevò la testa, sorpreso nel sentirlo parlare, sorpreso dalla sua risposta. Lo osservò come se non lo conoscesse affatto e cercò in lui una vena di pazzia, qualcosa che gli confermasse che fosse diventato semplicemente matto, ma a parte il dolore non vi trovò niente.
Morire è la naturale conseguenza al vivere e io non sto vivendo” pronunciò lentamente Raphael, ogni parola scandita con freddezza.

Don chiuse gli occhi e trasse un brusco respiro e si impedì di urlare, ma avrebbe davvero, davvero, voluto farlo.
Si sentiva impotente. Si sentiva inutile nel momento in cui suo fratello aveva più bisogno di lui. Voleva curarlo, voleva che tornasse tutto come prima.
Ma anche con tutto il suo genio, non poteva fare nulla.

Inspirò ancora e ancora, poi riaprì gli occhi e si ricompose all'istante.
Adesso ti darò un leggero sedativo. Ho bisogno che tu stia assolutamente fermo mentre ti opero” disse incolore, andando a prendere una siringa e la fiala.

Raphael si sdraiò nel lettino e chiuse anche l'occhio sano; sentì il lieve pizzicore dell'ago nel braccio e poi il buio iniziò a vorticare e l'ultima cosa sensata prima dell'oblio erano un paio di occhi castani impauriti e addolorati, che lo fissavano.



Note:

Buona sera a tutti.

Dunque, ho introdotto capitoli fa il concetto delle fasi del lutto (o del dolore), ma ho dimenticato di dire che anche se sono cinque fasi, non è detto che si manifestino in sequenza, né che si manifestino tutte. Un soggetto può sperimentare fasi mischiate, addirittura, e alcune di esse potrebbero non apparire mai.
Ecco perché Raph è nella fase della depressione, mentre al terzo posto della lista c'era il patteggiamento. Forse quello non lo sperimenterà mai, per esempio. O forse ritornerà alla rabbia, magari poi al patteggiamento e potrebbe sperimentare ancora la depressione e poi ancora la rabbia. Non c'è uno schema. Il dolore non si può schematizzare.

Ora, si è aggiunto al tutto la ferita all'occhio. Raphael ha perso l'occhio sinistro in moltissime occasioni: in un fumetto, nell'episodio della serie 2003 SAINW, perfino nel fumetto MNTGaiden. Sembra una costante.
E anche a me piaceva l'idea di una ferita fisica che manifestasse quella interiore.
Rimarrà? O guarirà?

Per adesso è tutto. Chissà che riserverà il futuro.

Io, intanto, ne approfitto per ringraziarvi di cuore. Grazie per leggere! Vi adoro!

Abbraccione

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Capitolo 29
*** I want to know, have you ever seen the rain? ***


Qualcosa era cambiato.

Se n'erano accorti tutti, anche se non ne parlavano apertamente. Ma fare finta di non averlo notato era impossibile.
Sin dal giorno dopo la lotta contro i tre aggressori della ragazza dagli occhi castani, Raphael aveva iniziato ad alzarsi di sua spontanea volontà e a dirigersi al dojo per allenarsi al sacco.
Donatello aveva strepitato e aveva cercato con ogni mezzo di convincerlo, o meglio costringerlo, a riposare. Lo aveva minacciato che se non avesse riposato il suo occhio non sarebbe mai guarito per bene e che si sarebbe bruciato anche le più piccole possibilità che potesse tornare normale, ma era stato come parlare con un muro.

Non sapevano nemmeno quale fase stesse attraversando in quel momento, era come un miscuglio di più e in un certo senso nessuna; sembrava divorato da un'assenza di logica e buonsenso che lo spingeva solo ad allenarsi e allenarsi. E allenarsi ancora.
Aveva anche smesso di prendere i sedativi, di punto in bianco, e se non fosse stato per la categorica insistenza di Don, che glieli avrebbe infilati giù in gola anche di forza, probabilmente non avrebbe preso nemmeno gli antibiotici.
Non aveva senso ciò che stava facendo, ma nessuno se la sentì di chiedergli che molla fosse scattata nel suo cervello per farlo reagire in quel modo, per paura di rompere l'incanto e rivederlo cadere nell'apatia e nella depressione.
In fondo, quel Raphael attivo era meglio di quello inerme e recluso nella sua stanza.
Comunque, tutti lo tenevano ancora di più sotto controllo, senza farsi vedere, perché non si stancasse troppo, perché riposasse e mangiasse, perché quella ossessione non venisse portata all'estremo come tutte quelle prima, nella speranza che le cose andassero meglio.

Raphael passava molte ore al sacco, nel tentativo di riprendere la forma fisica perduta nei mesi in cui si era perso. Era sottotono e sottopeso e non era ammissibile.
Non era ammissibile che fosse quasi caduto per mano di due stupidi ragazzini in un vicolo. Non era ammissibile che fosse stato ferito e che avesse rischiato di perdere e di non salvare una persona in difficoltà. Una persona che aveva bisogno di aiuto. Che aveva bisogno di lui.

Forse, in qualche parte malata e irragionevole della sua mente, Raphael si illudeva che aver salvato quella ragazza lo redimesse dalla perdita di Isabel, che averla aiutata fosse un compromesso per non aver potuto salvare la donna che amava; che potesse scendere a patti col dolore e il fato e forse persino scambiare il suo sacrificio per riaverla indietro.
Che se avesse ripreso a vivere come prima e a proteggere gli innocenti, l'universo gli avrebbe restituito Isabel, con tante scuse e auguri per il futuro.
Una parte di lui ci voleva credere, voleva crederci davvero.
E, per poter realizzare quel suo folle piano, doveva assolutamente tornare in forma, il prima possibile.

Ignorava che anche quando ci fosse riuscito, non sarebbe potuto uscire. Non gliel'avrebbero mai permesso finché l'occhio non fosse guarito, o non guarito. Chissà se Raphael si rendeva conto che la perdita della vista ad un occhio avrebbe compromesso il suo modo di lottare, il suo equilibrio e la percezione della profondità.
Aveva problemi a colpire il sacco, molto spesso andava a vuoto o si trovava troppo vicino, ma non aveva ancora registrato l'informazione e il problema, forse relegati ad un altro momento, quando l'esito avesse decretato il suo destino.
Sano o menomato per sempre, senza vie di mezzo.

Donnie ci impazziva, dietro a lui. Letteralmente.
Stai fermo! Fermo!” sbraitò spazientito come se stesse parlando ad un bambino, schiaffeggiandogli le mani se solo provava a toccarsi il viso.
Raphael, seduto sul lettino del laboratorio, sbuffava insofferente, rollando l'occhio sano al cielo.

Donatello volò da una parte all'altra del laboratorio, accumulando vicino a lui tutto il necessario per i controlli. Poi svolse le bende già mezzo sfatte dalla sua testa e occhieggiò severo la ferita.
Hai di nuovo grattato l'occhio? Smettila di grattarti l'occhio! Hai irritato la ferita! Si infetterà! È già la seconda volta che lo fai, devi assolutamente smetterla!”

Non era infatti la prima volta che succedeva, in solo una settimana. Il genio sapeva che se quell'idiota avesse fatto da bravo e fosse stato buono e a riposo, la ferita avrebbe iniziato a guarire già dai primi giorni. Ma, sottoposta a sforzi e sfregamenti, continuava ad aprirsi e irritarsi e oltre a ritardare la guarigione, rischiava di infettarla e aggravare la situazione o perfino comprometterla irrimediabilmente.
Controllò che i punti non fossero saltati, quella volta, e spalmò la crema antibiotica che aiutava il suo ciclo di terapia, fasciandogli poi nuovamente la testa, più stretta che poté. Magari se gli avesse fermato l'afflusso di sangue al cervello quello stupido l'avrebbe smessa di fare cretinate da mattina a sera, pensò malignamente. Un secondo dopo se n'era già pentito, attribuendo i suoi pensieri alla stanchezza e alla preoccupazione, perché Raph a volte riusciva a far vibrare corde di lui che non sapeva di avere e che non gli piacevano. Tirava fuori rabbia da dove non ce n'era.

Promettimi che farai da bravo” mormorò stanco, spostandosi per mettere via le bende.
Solo un paio di giorni” lo precedette prima che lo interrompesse. “Non dico di non fare nulla. Puoi... fare pesi, in maniera leggera, per un po'... per favore.”
Raphael sbuffò teatralmente, come se lui gli stesse chiedendo davvero molto. Ma annuì leggermente per fargli capire che l'avrebbe accontentato.
Scese dal lettino e si incamminò mesto verso la porta.

E non grattare l'occhio. So che ti prude, ma non farlo” gli arrivò come ultima frase dal genio, prima che uscisse.

Cosa volevano che facesse? Non poteva uscire, non poteva pattugliare, non voleva fare nulla che non fosse allenarsi e se anche quello gli era vietato, che altro gli rimaneva? E sì, l'occhio sinistro gli prudeva da impazzire, a volte con così tanta forza che se non l'avesse grattato avrebbe perso anche quell'ultimo briciolo di sanità rimastagli.
Alzò una mano e la portò alla benda senza pensarci, ma non appena sentì il ruvido della garza sotto le dita si interruppe e, risentendo la voce di Donatello nella mente, la abbassò in fretta, lasciando che il prurito lo divorasse.
Si sarebbe strappato l'occhio con le sue mani perché quel fastidio sparisse, ma avrebbe fatto da bravo come aveva promesso.
Sperando che quel suo proposito durasse quanto bastava.


Era Giugno, ormai. Molto vicini alla metà del mese, addirittura.
Ma la pioggia non aveva mai smesso, mai, nemmeno per un momento.
Per la maggior parte del tempo era stata una pioggerellina sottile e fitta, incessante, e a volte, per qualche ora, era stata uno scroscio forte e violento; ma non c'era più stato un attimo di sole.
E se all'inizio avevano pensato solo che fosse una anomalia climatica, dopo tutto quel tempo nessuno ne era più certo; era troppo strano. Troppo.

Don faceva delle ricerche scientifiche con barometri, termometri e altri strumenti che finivano in -metri costruiti da lui per misurare pressione, gradi e altre cose che nessuno di loro capiva, alla ricerca di risposte per tutto quel maltempo.
I telegiornali non parlavano di altro e gli attivisti contro il surriscaldamento globale inveivano contro gli sprechi e l'inquinamento in ogni talk show e programma di attualità, praticamente tutto il giorno. Tutti i centri di aiuto della città si erano mobilitati per offrire un riparo ai senzatetto e fortunatamente anche i randagi erano stati aiutati dai centri per animali, che avevano trovato molta solidarietà e più adozioni del solito grazie al problema.

New York era allagata. Per le strade il livello d'acqua non era preoccupante, solo qualche centimetro, ma sottoterra era tutto un altro discorso: le linee della metropolitana avevano chiuso a tempo indeterminato, creando non pochi fastidi, e molte chiuse verso il fiume erano state serrate perché il livello dell'acqua non salisse pericolosamente.
Ovviamente, anche nel rifugio erano state prese le giuste precauzioni: Don aveva chiuso l'argine in spesso metallo che chiudeva l'uscita alla fine del laghetto perché non si trovassero inondati e la porta principale era stata sigillata per l'emergenza. Fortunatamente potevano entrare e uscire dall'entrata del garage attraverso l'ascensore.

Pattugliare era il loro primo punto per cercare di capirci qualcosa, anche se, come potevano scoprire qualcosa sotto la pioggia battente? E cosa avrebbero mai potuto trovare in effetti?


Quella sera Mikey era in giro sotto il diluvio, con gran pace per le sue povere ossa. Lui ci aveva provato a farsi sostituire da Don per potersene così stare a casa all'asciutto a leggere fumetti e a mangiare patatine, ma il genio aveva pattugliato due giorni di seguito perciò toccava proprio a lui e senza storie.
Rabbrividì e scrollò la testa come un cane per cercare di asciugarsi, ovviamente senza successo. La ragazza al suo fianco se ne accorse e rise.

Sei senza speranza, Mikey” disse Angel divertita. “Ti si legge in faccia: voglio stare a casa a mangiare patatine!, a caratteri cubitali.”
Non ci hai letto anche il ketchup, però” ribatté piccato il mutante, con solo mezzo sorriso.

Erano in pattuglia assieme, in quella sera umida, Angel ormai era diventata una presenza fissa del team; Leo e Steve perlustravano in coppia da un'altra parte, si mantenevano in contatto ogni tanto via telefono per scambiarsi informazioni sugli ultimi avvenimenti, se c'erano, o solo per sentirsi e rassicurarsi a vicenda.
Avresti preferito stare a casa a fare la guardia a Raph?” domandò lei, fermandosi e strizzando la lunga coda nera appesantita dalla pioggia.
Pattugliare in quei giorni era una vera tortura.

Ti dirò, da quando si allena come un ossesso non è nemmeno male, sembra quasi lo stesso Raph di prima e io so come comportarmi. L'altro... quello depresso... mi faceva paura” confessò in un sussurro imbarazzato, bloccandosi anche lui.
Non la stava guardando, il viso era verso l'alto, forse si vergognava di quello che aveva provato e ammesso. Mikey amava tanto i suoi fratelli, ma il dolore altrui non lo sapeva davvero gestire.

Avrei voluto fare qualcosa, ma... era così cupo e disperato... sembrava solo non volesse vivere e io non mi sentivo capace di-”

Angel lo interruppe con una mano, frenando il suo flusso di sentimenti lasciati fluire come un rigagnolo da una diga incrinata; tolse per un secondo la maschera nera, mostrandogli un sorriso dolce.
Nessuno sa davvero cosa fare. Non c'è nessun manuale che te lo dica. Ma va bene così. Avere paura è normale. Sono sicura che Raph sa benissimo che ci tieni ed eri preoccupato per lui. E forse anche per quello sta cercando di reagire e andare avanti.”
Michelangelo sorrise tenuemente a quel discorso così maturo e profondo, che lo fece sentire meglio e un po' più leggero.
Forse Raphael sarebbe davvero riuscito ad andare avanti, ma si sarebbe mai innamorato di nuovo? E avrebbe mai trovato un'altra donna che lo amasse come aveva fatto Isabel?

Un esplosione di sirene li sorprese e spaventò, all'improvviso. Entrambi sussultarono e si sporsero oltre il cornicione per controllare: una sfilata di macchine della polizia e ambulanze passò sotto il loro naso, tutte lanciate a folle velocità per la strada, illuminando di rosso e blu le facce attonite dei passanti e sollevando enormi spruzzi d'acqua.
A chiudere il corteo c'erano due camion dei pompieri, anche quelli nella stessa fretta frenetica degli altri automezzi.
Doveva essere davvero grave.

Si gettarono nella loro scia senza pensarci, perché entrambi avevano capito che qualcosa di grosso doveva essere in atto. Saltando di palazzo in palazzo, controllando al di sotto per non perderli di vista, li seguirono fino a Central Park. E se avessero sollevato lo sguardo, lo avrebbero capito anche da prima il perché.
Oltre le fronde degli alberi, a volte, si riusciva a vedere, per pochi attimi.
Ma loro non lo notarono finché non arrivarono al parco e non videro tutta la gente scappare via come piccole formiche spaventate, spintonandosi dalla paura, calpestando i pochi che inciamparono nella fretta, scivolando nelle pozze d'acqua che allagavano le strade.
C'erano urla, ovunque.

Gli infermieri delle ambulanze soccorsero quelli feriti e aiutarono tutti ad allontanarsi in sicurezza, insieme ad alcuni poliziotti; altri e i vigili del fuoco entrarono invece nel parco e si dispersero finché non scomparvero alla loro vista, gridando ordini.
Le cime degli alberi tremarono in lontananza.

L'hai visto?” esclamò Michelangelo, fermandosi bruscamente.
Cosa? Cosa hai visto?” domandò Angel allarmata dal suo tono. Il mutante continuava a guardare sempre nello stesso punto, quasi oltre il parco. Poi scosse la testa.
Niente. Non sono sicuro. Ma di certo niente” rispose titubante, riprendendo poi la corsa.

Entrarono anche loro, seguendo le voci lontane che gridavano con orrore e un forte rombo che prima non avevano udito. Era indistinto, un insieme compatto di rumori che non potevano essere scissi, ma la cui somma raggiungeva vette altissime e faceva stridere le orecchie.
Corsero a perdifiato attraverso gli alberi, evitando le piazzette e le stradine, e più si avvicinavano, più il caos si faceva forte e assordante; intravidero alcuni poliziotti e vigili scappare a gambe levate, così terrorizzati da non fare nemmeno caso a loro.
Uscirono infine allo scoperto e allora lo videro.
Alto, enorme, mostruoso, informe.

Se avessero dovuto provare a descriverlo, avrebbero detto fosse un gigante fatto d'acqua: vedevano la sua pelle risplendere delle luci dei lampioni, ma potevano vedergli anche attraverso. Non c'era una vera e propria forma definita, cambiava stazza e struttura in un vortice infinito e il suo gorgoglio era il ruggito di quella creatura, se creatura poteva definirsi.
Di certo sembrava viva, dato che si muoveva e si agitava e cercava di colpire i pompieri e i vigili che dal basso gli sparavano contro o lo fronteggiavano con asce, quei pochi che non erano scappati. Sembravano così piccoli in confronto a quella cosa.
Ma cosa diamine era? E da dove spuntava?

Prese il telefono dalla taschina e premette il pulsante 1 di chiamata rapida, continuando a correre.
Leo? Venite a Central Park, subito. Non c'è tempo! È davvero grave! Presto!”
Mise giù di fretta e nel frattempo lui e Angel avevano macinato i chilometri mancanti dal mostro ed era così terrificante che un poliziotto lì vicino si voltò a guardarli e non fece nemmeno caso all'aspetto di Michelangelo.
Forse era troppo impegnato a non essere travolto dalla creatura.
La pioggia sembrava alimentarla e ingrandirla e attaccava gli umani con cascate violente d'acqua o getti supersonici che li sbalzavano via, sbattendoli contro gli alberi vicini.

Andate via! Andate via, non potete combatterlo!” urlò Mikey uscendo allo scoperto, correndo in prima linea mentre continuava a ripeterlo.
I Nunchaku si scontrarono contro un muro compatto d'acqua, ma non smise di ruotarli sebbene fossero più pesanti e continuò a colpirlo, ancora e ancora.
Era meno che un moscerino, per quella cosa. Ma almeno aveva attirato la sua attenzione.

Via!” urlò scagliandosi, senza guardare se poi se n'erano andati o meno, ma con la paura che potessero essere ancora lì.

Angel gettò un'occhiata indietro e vide gli uomini che titubavano con ancora le armi nelle mani, lo sguardo che saettava dal mostro d'acqua a quello verde che li voleva salvare.
Avete sentito la tartaruga! Ci siete solo d'intralcio! Andate via” incalzò lei, minacciosa, ma protetta dall'anonimato della sua maschera. Quelli tentennarono solo ancora pochi secondi, poi girarono le spalle e fuggirono disordinatamente, lanciando pochi sguardi indietro.
Non era proprio quello che intendevo” ansimò in risposta Mikey, che nonostante la concentrazione l'aveva sentita benissimo.
Sì, beh, ho parafrasato. Volevi che andassero via e... se ne sono andati” fece spallucce la ragazza, prima di voltarsi anche lei e gettarsi nella lotta per dargli man forte.
I suoi Tonfa non erano più efficaci dei Nunchaku dell'amico, scorrevano attraverso la massa d'acqua come un coltello caldo attraverso il burro, senza lasciare la minima traccia.
Se non potevano fargli nessun danno, come pensavano di poterlo sconfiggere?

Come possiamo battere una creatura d'acqua?” urlò Angel, scansando un getto diretto contro il suo petto e provando a colpire ancora.
Col fuoco!” rispose immediatamente Mikey, schivando i pugni violenti come cascate che gli piovevano dal cielo.
No! È il fuoco che si sconfigge con l'acqua, non viceversa!” ribatté la ragazza spazientita, infradiciata completamente da un colpo del mostro andato a segno, fortunatamente di striscio.
Ma se lo facessimo evaporare?” continuò il mutante, cocciuto.
E come?”
Ma cosa ne so! È Donnie il genio!”
E non sai quanto vorrei averlo qui adesso!” esclamò Angel come una supplica.

Non avevano smesso un attimo di colpirlo, non si erano risparmiati né in forza né il velocità, ma non avevano arrecato il minimo danno. Lo stavano solamente intrattenendo. In passato avevano combattuto una o due creature dalla consistenza simile a quella, ma erano stati avversari senzienti, con centri del dolore e volontà che si potevano fiaccare e indebolire e sconfiggere.
Ma quel coso era solo acqua. Solo, semplice acqua. Che pure si muoveva e attaccava e aveva il proposito di attaccare e perciò era ancora più terribile.
Continuarono con la loro tattica di colpire a casaccio nella speranza di prendere il suo punto debole e schivare gli attacchi infastiditi, in attesa di un miracolo, forse. Una volta arrivati Leo e Steve, avrebbero fatto il punto della situazione e avrebbero capito cosa fare.
Mikey ne era certo. Ecco perché cercava di guadagnare tempo.

Ormai non si sentivano più le grida di passanti ignari e immaginarono che tutto il parco fosse stato messo in quarantena, e forse anche i poliziotti e i vigili erano scappati il più lontano possibile, terrorizzati da quell'incontro.
Chissà che ne avrebbero detto i telegiornali, il giorno dopo. Sempre se qualche giornalista fosse stato tanto temerario da osare sfidare l'ignoto e la morte per avvicinarsi.
Intorno c'erano solo lo scroscio forte della pioggia e il gorgoglio ruggente della creatura.

Angel, forse dovresti andare via anche tu” suggerì Mikey d'un tratto, con la voce affaticata.
Col cavolo!” fu la accorata replica dell'amica, che si era immaginato, a dover essere sincero.
La testardaggine di Angel era pari a quella di April. E a quella di Isabel. Le tre donne più importanti della sua vita, una più fiera e combattiva dell'altra.
Ma aveva già perso una sorella e non avrebbe permesso gliene togliessero un'altra.

Per favore, vai” supplicò, con un filo di voce.
Era sempre più difficile schivare le masse d'acqua che il mostro muoveva e scagliava loro addosso con facilità disarmante, richiamandole a sé dai dintorni e manovrandole come fossero estensioni del suo corpo.
La sua preghiera non la sfiorò e la giovane donna rimase al suo fianco. Erano attorniati dall'acqua, era sopra di loro e sotto di loro, ad ogni angolo e ad ogni lato, ne erano impregnati; grondava dai loro volti, giù dalle mani strette attorno alle armi, era perfino nel respiro affannato che si condensava per un secondo nell'aria umida e appiccicosa, prima di svanire.

Forse il mostro avvertì la loro stanchezza, il loro cedere lento, dei piedi appesantiti dal liquido ad ogni passo, delle braccia stanche dallo scontrarsi all'infinito, dello scansare senza tregua colpi che potevano essere mortali. Lasciò perdere per un secondo il mutante e concentrò invece quelle che sembravano le sue braccia come fiumi impetuosi, unendole assieme in una cascata immensa e la diresse contro la donna, con violenza.
Un fiume in piena scagliato ad una velocità tale da non poter reagire.
Mikey ne avvertì il pericolo immediatamente e corse con tutta la sua forza nella traiettoria del tiro, sapendo che non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungerla e a proteggerla in altro modo: il getto lo investì in pieno, deviando, e lo spazzò via con brutalità, come un'inondazione.
Lottò con tutte le sue energie contro la corrente e la pressione e la forza che lo stritolavano e finì a sbattere contro un albero al limitare del boschetto, con un suono cupo.
L'acqua defluì verso il basso e così il suo corpo, che picchiò al suolo.

Mikey!” urlò Angel correndo verso di lui, rassicurata a metà percorso dal sentirlo tossicchiare e rantolare e respirare a fondo.

L'acqua che era defluita però, iniziò a vorticargli intorno, come un serpente dalle mille spire, sempre più e più veloce, come fosse viva, come fosse furibonda; mulinò sinuosa e opprimente lungo i suoi arti, circondò il torace e lo sollevò dal suolo, avvolgendolo completamente.
Mikey si trovò al centro di una spessa bolla prima ancora di avere il tempo di reagire.
Incominciò ad agitarsi, a menare i pugni chiusi nel liquido in cui era immerso, cercando una via d'uscita.
Piccole bollicine fuoriuscirono dalla sua bocca dalla sorpresa, quando il pugno rimbalzò indietro. Era intrappolato. Strinse le labbra più forte per trattenere meglio il fiato e provò ancora a spezzare la barriera che conteneva il liquido, ma inutilmente.

Angel non stette con le mani in mano, ovviamente. Dimentica del mostro, si scagliò invece con i Tonfa contro la superficie della bolla: si affossava per un secondo e poi le rimandava indietro il colpo per effetto cinetico della sua stessa forza, senza nemmeno un graffio. Ma la donna non per quello smise di colpire. O il mutante all'interno di dibattersi con disperazione, mentre altre bolle sfuggivano dal naso, nello sforzo.
Angel si accorse del suo cedere lento. Sapeva che potevano trattenere il fiato a lungo, sia per la loro origine, sia per il loro allenamento, ma non avrebbe potuto per sempre. E dato che Leo e gli altri non erano lì, toccava a lei salvarlo.

Resisti!” gli gridò come un incoraggiamento, ma lui non sembrò averla sentita, impegnato com'era a dimenarsi e a colpire.
Era così assorta nel salvataggio, da non fare ormai più caso a niente attorno a sé. E fu un errore.
Un violento getto d'acqua arrivò improvviso da un lato e la colpì in pieno, la travolse e la trascinò lontano nel fango formatosi dall'incontro con la terra.

Angel” cercò di urlare Mikey, anche se tutto ciò che uscì fu un nugolo di bolle della sua preziosa aria. Annaspò e chiuse in fretta la bocca, provando a voltarsi per capire dove fosse finita l'amica, fluttuando come poteva.

Angel giaceva in una pozza di fango qualche metro più in là. Non aveva sbattuto contro niente e l'acqua sembrava non avere nessuna intenzione di avvolgerla come stava facendo con lui. E lei sembrava stare relativamente bene, solo un po' acciaccata.
Se si fosse alzata e fosse scappata via, lui si sarebbe sentito più sollevato ancora.
Il mostro incedeva verso di lei, Mikey si dimenava forsennatamente, Angel si rialzava con un po' di fatica, un pezzo della maschera scheggiato dalla forza dell'impatto di prima.
Un altro sciame di bollicine lasciò la gola del mutante, ormai ad un passo dallo svenire.

In poco tempo i suoi polmoni avrebbero chiesto ossigeno e lui avrebbe ceduto al bisogno e avrebbe preso un respiro d'acqua e sarebbe morto.
Sentiva già la coscienza vacillare, la gola e i polmoni bruciare e tutto ciò che voleva era ossigeno, un respiro, un soffio. Lottò disperatamente, la disperazione della morte.
Oltre la bolla i contorni sembravano sfocare ancora.
Forse mancava poco. Chissà come avrebbe pianto il sensei, chissà come avrebbero sofferto i suoi fratelli... chissà come avrebbe distrutto definitivamente Raph.
No, non poteva farglielo, a Raph. Non anche quello.

Qualcosa di scintillante calò dal cielo, catturando ogni bagliore attorno.
Si fece strada attraverso l'acqua e la scisse, con precisione chirurgica, separandola in due metà perfette e distinte, che collassarono e si sciolsero in ridicole pozze.
Mikey si sentì trascinare verso il suolo, ma capì che era fuori solo quando la sua bocca si aprì e trasse un sofferto ed esigente respiro, tossendo poi con tutta l'anima per il freddo improvviso e il bruciore alla gola.

Tutto ok, fratellino?” domandò la cortese voce di Leo, mentre lo aiutava a rialzarsi con una mano gentile. L'altra stringeva ancora la Katana che lo aveva liberato, impregnata di acqua e splendente.
Sì, adesso sì, grazie” rispose tossicchiando, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla. Con la coda dell'occhio vide Steve che parlava con Angel e le offriva il suo aiuto per rialzarsi per bene.
Quando hai detto che era davvero grave non scherzavi” disse il leader, occhieggiando la creatura, che intanto si era bloccata, forse per la loro apparizione improvvisa.
Cos'è quello?”
Se lo sapessi te lo direi volentieri. Ma credo sia il motivo per cui ha piovuto così tanto, ultimamente” rispose Mikey, dando segno di averci pensato molto anche lui.
Punti deboli?” domandò ancora Leo, senza perderla d'occhio.
Finora non pervenuti.”
Leo non replicò ancora, ma sbuffò invece dal naso, fortemente cinico.

E come diamine lo sconfiggiamo?” esalò tra i denti, tra sé e sé.

La sua formazione guerriera prese il sopravvento su quel pensiero razionale e si buttò all'istante all'attacco, seguito in una frazione di secondo dagli altri. Avrebbero trovato la soluzione strada facendo. O se la sarebbero inventata, come sempre.
Colpirono alla base del mostro in continuo flusso, che vorticava su sé stessa infinitamente, rimescolando l'acqua. Nessuno di loro quattro si risparmiò, forti della reciproca presenza, di nuovo un team anche se differente dal solito. Si sarebbero sostenuti a vicenda.
Ma non sembrava quella l'intenzione della creatura.

Aveva ripreso ad attaccare e a muovere le sue masse con violenza e furia, ma mentre per gli altri tre era solo uno scocciato gesto per tenerli a bada e alla larga, contro Leonardo sembrava accanirsi con una brutalità calcolata, concentrando quasi tutta la sua attenzione su di lui.
Ma potevano anche sbagliarsi. Non c'erano occhi che potessero guardare per capire dove andasse l'attenzione.
Provarono a disperdersi un po' per attaccarlo dai lati e dietro e davanti contemporaneamente e immediatamente capirono che sì, il mostro si era interessato a Leonardo. Lo seguiva in ogni sua mossa, senza quasi lasciargli il tempo di reagire.
Forse perché prima aveva tagliato la sua bolla con facilità dimostrando di essere un valido avversario.

Leonardo aveva schivato con precisione ogni suo attacco e ne aveva portato a sua volta qualcuno con successo, ma i flutti d'acqua dopo essersi separati si ricompattavano senza nessuna ferita visibile. In più, il mostro si alimentava con la pioggia battente e dalle pozze tutto intorno a loro, diventando via via sempre più grande e forte e feroce. Un suo getto, che fortunatamente evitò, si schiantò invece contro due alberi, sradicandoli insieme a zolle enormi di terra e spazzandoli via.
La porzione del parco in cui si trovavano verteva in condizioni pietose, distrutto e inondato e smosso e martoriato.
Dovevano risolvere la questione prima che intervenissero forze al di sopra della polizia e dei vigili del fuoco: non voleva essere lì quando squadre del governo sarebbero inevitabilmente apparse, richiamate da segnalazioni e testimoni oculari.
Aveva paura che certe voci potessero essere arrivate alle orecchie di Bishop, per esempio.

Come smossa da un pensiero simile, la creatura di acqua si fece irrequieta e perfino più violenta: mulinò su sé stessa più velocemente in un turbine oramai indefinito e si scagliò con tre getti della medesima potenza contro Mikey, Angel e Steve, mancando il primo che si tuffò di lato all'istante, ma prendendo gli altri due in pieno e scaraventandoli via.
Angel!” gridò Leo.
Steve” urlò contemporaneamente Mikey.
Michelangelo si lanciò verso di loro, indisturbato, mentre Leo si trovò bloccato dopo solo pochi passi da una lastra di ghiaccio che gli sbarrò la strada, formatasi all'improvviso dalla pozza d'acqua sul terreno.

Si voltò e cercò di raggiungere allora la creatura, che lo voleva palesemente sfidare, ma le gambe affossarono in denso fango, mentre flutti di acqua arrivavano a ondate, lambendogli la pelle più su, sempre più su. Eppure non smise di lottare, di sollevare ogni passo impastato e sempre più pesante, le spade sguainate strette forte nelle mani, la mascella contratta per lo sforzo e i respiri pesanti inspirati attraverso i denti.
L'acqua gli arrivò al torace e lo bloccò, provò a tagliarla con le lame, provò ancora, ma quella continuò a salire, fermando anche le braccia nella sua morsa, e prima che gli sommergesse anche la testa prese un profondo respiro.
Poi si ritrovò completamente avvolto, sopra e sotto, chiuso in una bolla compatta, il liquido freddo che premeva contro il suo corpo con soffocante forza. Si dimenò con tutta la sua energia, alzò una delle Katana contro il limite della bolla, spingendo violentemente la punta acuminata per romperla, ma non accadde nulla: l'acqua si tese allo spasmo seguendo i suoi movimenti, non importava quando si agitasse, con quanta forza lo facesse.
Le prime bollicine lasciarono la sua bocca, immancabilmente.

Non sapeva cosa stessero facendo gli altri al di fuori della bolla, i contorni al di là dell'acqua erano indistinti e sfocati, ma sperava stessero bene e che si mettessero al più presto al riparo; lui nel frattempo avrebbe lottato fino all'ultimo soffio per uscire da lì.
Con le Katana, con le unghie, perfino con i denti se fosse stato necessario.

Leo!” aveva urlato Mikey quando si era accorto della minaccia che serrava il fratello.
In un attimo si sentì vacillare, al ricordo di cosa avesse passato lui dentro la bolla, e non seppe cosa fare; rimase a guardarlo dibattersi con disperazione per secondi che sembravano infiniti.

Mikey, cosa facciamo?” domandò Steve al suo fianco.
Non lo so. Io... io... chiamiamo Don!” rispose come folgorato, prendendo il telefono dalla tasca con le mani bagnate.

Leo si sentiva sempre più debole e non poteva evitare che l'aria uscisse pian piano dai suoi polmoni, per quanto provasse a serrare le labbra, fino quasi a morderle.
Si agitava così tanto che gli sembrava quasi che la bolla si muovesse, spostandosi di centimetro in centimetro.
Se avesse potuto vedersi dal di fuori si sarebbe accorto che si stava effettivamente muovendo verso la creatura. Il mostro lo stava attirando a sé.

No!” urlò Angel, la prima ad accorgersene. Si gettò verso la bolla e ci si aggrappò come fosse serico tessuto, e la tirò, con le unghie che affondavano quel tanto per inumidirsi, ma non abbastanza da poter raggiungere e salvare Leo.
Prima che gli altri potessero intervenire per darle una mano, un'onda si abbatté dall'alto su di lei, facendole perdere la presa quel tanto che serviva alla creatura per permettere alla bolla di raggiungerla: le grandi braccia di informe liquido si tesero, la afferrarono, i due identici materiali si fusero, e la bolla venne fagocitata in un istante.

Videro Leonardo fluttuare al centro del torace del mostro, ancora con l'energia per lottare, ma forse ignaro di quanta acqua in più lo circondasse e separasse dalla libertà. Gli sarebbe servito un miracolo per riuscire ad uscire da lì.
Leo, però, forse un cambiamento lo percepì davvero.
Se prima era riuscito a mantenere un flebile contatto con l'esterno, come vaghi suoni e vibrazioni che lo avevano raggiunto anche al centro della bolla, in quel momento si sentiva isolato da ogni cosa.
Non sentiva nessun rumore, nemmeno il roboante gorgoglio della creatura. Il liquido premeva contro gli occhi e le orecchie, isolandolo completamente. Nessun suono, nessuna percezione.

E perciò i rumori all'interno del suo corpo si amplificarono e rimbombavano con prepotenza.
Il ritmo tribale del suo cuore pompava nelle orecchie e nella testa, accelerato per lo sforzo e la paura. Eppure, era stranamente rilassante.
Si permise di lasciarsi cullare e, dopo qualche attimo, si accorse di qualcos'altro che sentiva, ma che non proveniva dal suo corpo: era come un calore che fluttuava a ondate, sfiorandolo di tanto in tanto. L'energia che muoveva quella creatura, che ne teneva legati gli atomi, che le dava uno scopo.
E dopo averla ascoltata e sondata per qualche istante si accorse che sapeva di buio dolore, di paura e costrizione. Come una creatura in trappola. Come di qualcuno che attendeva nell'oscurità che qualcun altro lo andasse a salvare.
Era un sentimento così forte che gli avrebbe mozzato il respiro, se solo ne avesse avuto. E invece che rifuggirlo, cercò di studiarlo più a fondo, di meditare per raggiungerlo e legarcisi, forse convinto potesse svelargli la verità di quella creatura.

Finì per connettersi così profondamente da percepirle come proprie emozioni e seppe, anche se era immerso nell'acqua, di stare piangendo.
La sua voglia di lottare svanì nello stesso istante. Rimase a galleggiare pigramente nel liquido come un feto nel grembo materno e fece suo quel dolore e aggiunse le sue lacrime a tutte le altre che alimentarono ancora la creatura.
L'ultimo fiato lo abbandonò in piccole bolle che risalirono verso l'alto, ma non gli importava.

Leo! Perché ha smesso di lottare?” urlò Mikey disperato, che aveva assistito a tutta la scena mentre parlava al telefono con Don.
L'assimilazione di Leo, la sua combattività scemare fino ad arrendersi completamente.

... no, Donnie, non lo so... lui non si muove e io-”
Il mostro si bloccò, nell'atto di colpirli, e così rimase, immobile. I suoi vortici rallentarono poco a poco e la massa iniziò a traballare disomogenea, in flutti alti da una parte e radi dall'altra e poi rimescolandosi ancora, come in cerca di un equilibrio.

Sta succedendo qualcosa, Don. Non so cosa!” strillò Mikey al telefono, quasi urlando.

La creatura esplose in fine pioggerellina, senza altro rumore oltre quel leggero picchiettio, senza un apparente perché: l'acqua cadde al suolo e scivolò via, inerme.
Solo, semplice acqua.

Leonardo toccò il terreno più pesantemente, guscio a terra, e si precipitarono immediatamente per vedere come stesse. Michelangelo sollevò la sua testa con delicatezza, cercando di capire per quanto ne sapeva lui se stesse respirando o meno. Il telefono lo aveva spento senza pensarci quando aveva visto il fratello precipitare, chiudendo la chiamata mentre Don ancora gli parlava.
Non ti azzardare a farmi la respirazione bocca a bocca, Mikey” gracchiò Leo dopo qualche istante, prendendo un gran respiro profondo.
Poi tossì leggermente e si mise piano a sedere, dandosi un'occhiata attorno. Enormi pozze lo circondavano, ma le acque fluivano via senza pericolo, disperdendosi con lentezza.

Cos'è successo? Come hai fatto a-”

Leo scosse la testa, troppo provato per parlare ancora. E poi, non lo sapeva nemmeno lui che fosse successo davvero. Non sapeva se sarebbe stato in grado di spiegare quello che aveva provato e perché lo aveva provato e se fosse connesso o meno con la sconfitta della creatura.
Cos'è quello?” domandò Steve, puntando un dito verso il terreno, proprio accanto a Leo.
Il leader seguì con lo sguardo e si accorse di un piccolo sasso bianco, tondo e perfetto come una moneta, infilato per metà nel fango.
Allungò la mano e lo afferrò, tirando delicatamente. C'era un forellino proprio in cima, come in attesa di un cordino.

È un ciondolo” mormorò, studiandone il retro. “Devo portarlo da Don.”
Avrebbe voluto sdraiarsi al suolo e dormire direttamente lì nel fango, completamente sfinito e provato, ma dovevano andare via prima che potessero intervenire forze speciali o essere perfino visti per caso.

Andiamo a casa.”

Lo aiutarono ad alzarsi e Mikey lo prese da sotto il braccio, sostenendolo e facendosi sostenere, entrambi molto stanchi. Poi si allontanarono più veloce che poterono, attenti che nessuno li notasse, tutti a rimuginare su quello che era successo, ognuno con le sue teorie nella testa.

E nessuno si era ancora accorto che aveva smesso di piovere e che le nuvole si stavano diradando, sospinte da un vento gentile.




Note:

Salve a tutti!
Avrei dovuto pubblicare giorni fa, perdono, ma non ci sono riuscita.
Eccomi quindi qua, anche se in ritardissimo. Mi sono presa Agosto di ferie, va bene come scusa?

Come Bibliotecaria aveva indovinato, Raph si è buttato negli allenamenti. Però non è proprio così terapeutico come si può immaginare. Sta solo sfogando la sua rabbia repressa, ma farebbe meglio ad affrontarla, invece.

E mentre si affronta il lutto e si cerca di andare avanti, un nuovo mistero si affaccia e sembra solo l'inizio di qualcosa. Cosa? Eh, le risposte arriveranno.
Perché le sfighe arrivano sempre insieme e ovviamente l'universo non li può mica lasciare in pace a leccarsi le ferite. No. Azione, ancora e sempre misteri, e lotte.

Non segnalerò più nel titolo quale fase Raph sta attraversando, perché da adesso in poi saranno per lo più mischiate. Qui vediamo un accenno di patteggiamento, per esempio, ma anche leggera rabbia, e la depressione non lo lascia mai davvero.

Vi ringrazio per seguire ancora e sempre questi miei deliri, sono felice e grata. Grazie!

Abbraccione a tutti!


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Capitolo 30
*** Light my fire ***


Donatello era in fervente agitazione. Lo stava dilaniando.
Quando la chiamata con Mikey si era interrotta aveva imprecato, sottovoce, poi aveva provato e riprovato a chiamare: le prime due volte a vuoto, poi la terza finalmente quel disgraziato del fratello aveva risposto e gli aveva assicurato che stavano bene e che stavano tornando.
Perciò girava in tondo davanti all'ascensore, aspettando che arrivassero a casa e gli spiegassero cosa fosse successo. L'agitazione che gli aveva trasmesso la voce di Mikey per telefono era difficile da cancellare.

Si fermò solo quando sentì il lieve rumore dell'ascensore in discesa, e rimase impalato. Quando le porte si aprirono riversando i suoi passeggeri, Don fece un veloce controllo: Leo e Mikey si sostenevano l'un l'altro visibilmente provati, Angel aveva la maschera spaccata ed era ricoperta di graffi e fango e Steve sembrava quello meno malconcio, ma comunque scosso quanto gli altri.
Si avvicinò e aiutò i suoi fratelli, con solerzia.

Cos'è successo?” chiese, mentre si dirigevano verso il laboratorio.
Nessuno rispose, forse troppo stanchi, forse solo alla ricerca delle parole giuste.

Leonardo venne forzato a prendere posto sul lettino, Mikey si accasciò su una sedia e Angel sull'altra, e Steve si appoggiò alla scrivania; mentre Don passava da uno all'altro a controllarli e visitarli, finalmente iniziarono a raccontargli cosa era successo, a spezzoni, interrompendosi l'un l'altro per aggiungere dettagli quando li dimenticavano per la fretta.
Quando il genio ebbe applicato anche l'ultimo cerotto, -erano tutti in buone condizioni, giusto un po' di stanchezza e qualche graffio,- ormai aveva saputo tutto quanto.
Ma non per quello si sentiva meglio. Era un nuovo mistero che si affacciava nelle loro vite e le stravolgeva.
E le mille teorie che si era immaginato gli dicevano che era solo appena iniziata.

Hai detto di aver trovato un ciondolo? Posso vederlo?” disse rivolto a Leo.
Il leader annuì e si sporse in avanti per porgerglielo, ma quando il monile entrò in contatto con la mano di Donatello si sciolse e scivolò giù come acqua, picchiettando morbidamente sul pavimento.
Spalancarono tutti gli occhi, continuando a guardare esterrefatti finché anche l'ultima goccia non cadde sulla pozza e allora la massa d'acqua si contrasse e ricompattò nel ciondolo bianco, senza produrre un rumore.
Nessuno disse nulla, incapaci tutti di staccare lo sguardo da quella stranezza appena accaduta. Il genio si chinò per controllare l'innocuo oggetto a terra, e gli sembrò compatto e solido, ma quando allungò la mano per prenderlo la sua struttura traballò e iniziò a sciogliersi, ritornando all'istante come prima quando la scostò.

Leo, prendilo tu, per favore” chiese con voce incolore, senza muoversi da lì.
Leonardo aggrottò solo per un secondo le sopracciglia poi, con molta attenzione, scese dal lettino e si inchinò lentamente, poggiando una mano sulla spalla del fratello per aiutarsi nella discesa.
Le sue dita si chiusero sicure sul ciondolo e lo afferrarono, sollevandolo dal suolo. Lui e Don si rialzarono e il genio sospirò.

Ok, sembra che solo tu possa toccarlo” concluse, aiutandolo nel frattempo a risedersi.
Tutti erano chiusi in un silenzio di riflessione, ma la risposta a cui tutti stavano pensando era palese sui loro volti.

Sì, è un oggetto magico” disse ancora Don, dando certezza ai loro pensieri.

Non so chi ci sia dietro, ma quella creatura che avete combattuto era di certo magica, come magico è il ciondolo che si è lasciato dietro. E ho paura che tutto questo sia solo l'inizio di qualcosa di grande e che non siamo in grado di affrontare.”
Don prese un grande respiro, dopo quella stanca confessione del suo cuore, e si accorse che non lo stavano seguendo.

Non dovete parlare di questa storia con Raph” iniziò a spiegare. “Qualsiasi cosa succeda, non dite nulla a Raph!”
Perché? E dov'è?” lo interruppe Mikey, sorpreso dal suo tono urgente.
Sta riposando in camera sua. Promettetemi che non gli parlerete del mostro e del ciondolo! Io... temo che abbia a che fare con Isabel. Credo che questo sia solo l'inizio della battaglia o guerra per cui Isabel si era dovuta allenare. Quel qualcosa che sarebbe successo nell'arco di un anno dal Battle Nexus e per cui lei avrebbe perso il controllo dei suoi poteri. Ricordate?”

Non ci fu bisogno di guardarli per capire che tutti stavano rivangando quel particolare momento nella memoria, quando gli Shisho avevano attaccato Isabel e poi le avevano spiegato dell'instabilità dei suoi poteri, rivelandole che in meno di un anno da quel momento avrebbe perso la padronanza dei suoi poteri e che nella sua furia distruttrice avrebbe annientato tutto ciò che la circondava, uccidendo anche coloro che amava.
Allora Donatello si era chiesto per quale motivo lei avrebbe mai potuto perdere il controllo, che cosa sarebbe dovuto accadere perché succedesse, e adesso avevano la risposta sotto mano.
Qualcuno, o forse più di uno, con facoltà magiche, stava attaccando New York, forse alla ricerca di Isabel. Forse per qualche motivo di rivalsa. Forse per questioni magiche che loro non comprendevano. Senza sapere che Isabel non c'era più.
E tutti sapevano e sentivano che toccava a loro raccogliere la sua eredità e combattere.

Per questo, Raphael non deve sapere nulla. Verrebbe consumato da un insano desiderio di vendetta e finirebbe per farsi uccidere.”
Furono tutti d'accordo, tacitamente. Nessuno di loro avrebbe mai svelato quel segreto e rischiato di mettere in pericolo il loro fratello o amico.

Voglio studiare il ciondolo e cercare di scoprire se può dirci qualcosa” continuò Don, facendo cenno a Leo. “Appoggialo sul tavolo per favore, col simbolo verso l'alto.”

Il leader si alzò e fece come richiesto, lasciando il monile vicino al microscopio, la faccia visibile solcata da profonde linee che formavano un triangolo con la punta rivolta verso il basso, a giudicare dalla posizione del foro in cima.
Avevano capito dovesse essere un messaggio o un simbolo importante, ma nessuno di loro aveva idea di cosa fosse.

Se potessimo contattare un mago sarebbe tutto più facile” sospirò Michelangelo, osservando il genio che provava a controllare la superficie del ciondolo con una lente di ingrandimento.
Già. Ma non sappiamo dove siano, né come chiamarli. Nemmeno quella Michelle che era diventata amica di Isabel... non abbiamo neppure potuto avvisarli della sua morte.”

Si guardarono tutti con dolore, con rassegnazione mista a paura, e le parole non erano più necessarie perché tutti sapevano di provare le stesse cose.
Donnie li mandò a riposare con tassativo ordine, mentre lui avrebbe continuato a studiare il ciondolo e a fare ricerche per capire contro cosa stavano per immischiarsi.
Sperando di riuscire a venirne a capo prima che qualcos'altro spuntasse fuori e li attaccasse alle spalle senza preavviso.
Nei giorni seguenti quel pensiero assillò le menti di tutti, ma nessuno, nemmeno Donatello dopo innumerevoli studi, era riuscito a trovare risposte.

Una volta Raph aveva notato il ciondolo mentre Don gli controllava l'occhio e gli cambiava la fasciatura dopo averlo rimedicato, -non c'erano molti miglioramenti, ma almeno aveva smesso di grattarlo e sembrava si stesse rimarginando lentamente;- aveva chiesto cosa fosse e Don aveva liquidato con una risposta vaga, chiedendo poi a Leo di portarlo via, dato che tanto non aveva scoperto nulla.


Passò ben più di una settimana, nel frattempo, e New York dopo le piogge torrenziali era piombata nella calura pre-estiva che molti aspettavano da tempo: mancava poco meno di una settimana al solstizio d'estate e le temperature salirono rapidamente, di giorno in giorno.
Anche troppo.
Alla vigilia del solstizio i termometri toccarono i quarantasette gradi celsius e New York era paralizzata da un'ondata di caldo che creava non pochi problemi: a causa dell'eccessivo uso dei condizionatori e ventilatori una buona parte della città era piombata in un lungo black out e le emergenze erano state all'ordine per i primi giorni; il comune aveva dovuto istituire una tabella dei consumi per le varie zone, per evitare un altro sovraccarico.

I colpi di calore colpivano indiscriminatamente tra gli anziani e i bambini e perfino soggetti nel pieno delle forze e i vari centri che poche settimane prima avevano offerto soccorso contro l'alluvione, si prodigavano a distribuire scorte d'acqua ai cittadini meno abbienti e a controllare che i senza tetto non morissero sotto il sole cocente di mezzogiorno.
Era sconsigliata qualsiasi uscita nelle ore più calde, in cui le temperature all'ombra toccavano i cinquanta gradi; anche l'acqua era stata razionata a causa della imminente siccità che tutti si aspettavano se non fosse arrivato un po' di fresco al più presto.
Ovviamente il cambiamento così repentino aveva scosso ancora di più la città e gli opinionisti e i difensori dell'ambiente non persero l'occasione per parlare dell'anomalia ad ogni ora su qualsiasi canale, con toni sempre più allarmati.

Sfortunatamente, nemmeno a notte fonda c'era il benché minimo refrigerio e le ronde erano diventate un vero inferno.
Nella sfortuna però, c'era che il caldo aveva abbattuto anche la criminalità più incallita, e le notti erano piombate in una sorta di coprifuoco auto-imposto; d'altronde, chi avrebbe mai voluto sudare e faticare con una cappa di afa e più di quaranta gradi, per poi magari dover anche scappare di corsa per sfuggire alla polizia?
Quindi la maggior parte del tempo impiegato nelle ronde era solo passeggiate infinite, fiaccati dal caldo.

In sostanza il mistero del ciondolo restava un mistero, il caldo diventava sempre più intenso e le domande non trovavano risposta alcuna.

E fu allora, quando tutto sembrava stagnante e immobile, che qualcosa di nuovo e strano li scosse e li portò nel passo successivo di quella assurda storia.

Il ciondolo di Leo brillò. Una sera, all'improvviso.
Aveva incominciato a portarlo addosso, legato con un cordino al collo, nascosto sotto il colletto della tuta o delle sporadiche magliette perché Raph non lo vedesse.
Si era perfino dimenticato di averlo, si era comportato come un semplice ed innocuo ciondolo per giorni e lui non ci aveva più fatto caso, preso da altri pensieri, consumato da altre preoccupazioni.
Poi, una sera, il suo petto si accese.

Leo! Leo, stai... brillando” mormorò spaventato Steve, mentre erano di ronda, bloccandosi di colpo.
Leonardo si accorse solo allora del bagliore bluastro che emanava e che si rifletteva sulla maschera nera dell'amico. Abbassò lo sguardo e vide l'intenso chiarore azzurro che filtrava attraverso il tessuto serico della tuta, accendendolo come un faro nella notte.
Era elettrizzante e spaventoso allo stesso tempo.
Infilò una mano nel colletto e ne tolse fuori il ciondolo che, liberato dalla sua gabbia, splendette ancora più forte.

Cosa diamine...”

Prese immediatamente il telefono e chiamò Donnie, raccontandogli per filo e per segno cosa stesse succedendo.
Ovviamente, come si era aspettato, il genio sembrava avere tutto sotto controllo, sembrava capire quel mistero come nessuno di loro riusciva a fare.
Ascoltò nel ricevitore le sue parole, corrugò la fronte e sollevò il ciondolo in alto, girandosi attorno.
Il fulgore crebbe di intensità, dovette coprirlo con la mano per provare a schermarlo e non essere visto perfino dall'altra parte della città.

Sì, avevi ragione” disse nel telefono, mentre rimetteva la collana sotto la tuta. “Ti aspettiamo qui, avviso io Mikey. Stai attento che Raph non ti veda uscire.”
Chiuse con un sospiro tetro e senza guardare Steve o ragguagliarlo, compose il numero di Michelangelo e portò il telefonino all'orecchio.
Alla risposta comandò al fratello e ad Angel di raggiungerli, fornendo le coordinate, aggiungendo di sbrigarsi, poi interruppe la chiamata.

Rimasero in attesa, Steve voleva fare molte domande, ma decise di pazientare; la luce azzurra li bagnava ancora, filtrando senza fatica oltre la sua barriera di tessuto.

Donnie arrivò per primo, con la sua fidata borsa a tracolla.
Fece per aprire bocca, gli occhi spalancati che si beavano della luminescenza azzurra con meraviglia e curiosità, quando Mikey e Angel comparvero trafelati, per poi bloccarsi anche loro sorpresi.

Wow” esclamò Michelangelo, avvicinandosi come in trance verso la luce, allungando una mano.
Leo la schiaffeggiò piano, giusto per riportarlo alla ragione.

Cosa sta succedendo?” domandò infine Steve, dando voce a ciò che tutti pensavano.
Credo che il ciondolo stia reagendo alla presenza di qualcosa o qualcuno con la stessa matrice di energia” rispose Don, senza accorgersi della loro confusione.
Non ho capito” ammise Mikey.
Significa che sente la presenza o di chi l'ha creato o di un'altra creatura come quella che lo conteneva” spiegò il genio, con poche e semplici parole.
I sensi di tutti si fecero all'erta. In tutte e due i casi avrebbero dovuto combattere, ne erano certi.

Allora dobbiamo seguire la luce?”
Sì, anche se ho paura che capiremo dove andare ben prima.”
Leo sfilò nuovamente la collana da sotto la tuta e lasciò che la sua luce fluisse libera, guidandoli come un faro; si gettarono tutti in una veloce corsa, seguendo la scia luminosa con fiducia e un po' di paura.

Raphael non si è accorto che sei uscito?” chiese d'un tratto Leo, in testa al gruppetto.
No, stava meditando col sensei nel dojo. Ho detto che andavo a coricarmi, di non disturbare” lo rassicurò Donnie, anche se per nulla sereno lui stesso.

Mentire, o meglio sottacere, quello che pensavano di aver scoperto, non sembrava giusto a lui come agli altri, eppure sentiva di dover proteggere Raph da tutto quello. Non pensava fosse ancora pronto per affrontare la causa, anche se indiretta, della morte di Isabel.
Forse non sarebbe stato pronto mai, non senza finire dilaniato dalla rabbia e dalla disperazione.
Corsero per molto tempo, prima di poter sentire qualcosa.
Delle sirene, lontane.
Come Donatello aveva temuto, i segnali di allarme li avrebbero guidati al pericolo prima ancora della collana.

La direzione della luce e quella delle sirene era la stessa, in fondo, e non poteva essere un caso.
Una, due, tre, quattro, cinque autopompe dei vigili del fuoco sfrecciarono velocemente sotto di loro, spaccandogli i timpani, con una fretta che faceva paura. Qualsiasi fosse la minaccia, doveva essere ben grave per costringere così tanti mezzi all'azione.
Per il resto, però, le strade erano deserte, le persone costrette dal caldo sempre più alto e bruciante a nascondersi nelle proprie case alla ricerca di refrigerio, e nemmeno il rumore disperato delle sirene le aveva smosse.

Loro invece accelerarono per non perderle di vista, anche se non ce n'era davvero bisogno: videro la minaccia da lontano, la videro agitarsi e riempire l'aria anche a quella distanza, tingendo la notte di famelici bagliori aranciati e rossi.
Era una gigantesca creatura di fuoco, così brillante da non poterla guardare senza sentire bruciare gli occhi, che si dimenava e dibatteva, ardendo tutto quello che capitava sulla sua strada, indiscriminatamente. Palazzi, alberi, macchine, lampioni, panchine. Bruciava tutto, consumava ogni cosa in pochi istanti, con una fame insaziabile.
Il suo corpo era un ammasso di fiamme in continuo crepitio e divampare, le lingue di fuoco che danzavano scomposte cambiando colore dal rosso più intenso al giallo più spendente, in continuo mutare, in continuo ansimare.
C'era un caldo soffocante, quando infine arrivarono, che impediva loro di respirare bene. Le gole bruciavano quanto l'aria attorno e la pelle ardeva. Angel sentì le punte dei capelli crepitare per il calore secco e rovente e si chiese quanto ne avrebbe dovuto tagliare, se mai fossero usciti vivi da lì.

Le autopompe avevano accerchiato la creatura e i bravi vigili puntavano le bocchette delle pompe contro di essa, in attesa del via: ad un segno di quello che doveva essere un capo squadra, almeno quindici enormi getti in contemporanea, con una pressione che avrebbe spazzato via un carro armato, esplosero e investirono il mostro, inondandolo completamente in pochi secondi mentre un gran vapore si sollevava verso il cielo.
I fiotti continuarono a sgorgare ininterrotti per interi minuti e il vapore crebbe e crebbe fino a diventare una nebbia che avvolse ogni cosa, appiccicandosi alla pelle già bagnata di sudore.
I pompieri esultarono, convinti che fosse già tutto finito. Si scambiavano pacche felici, sorridevano. Nessun incendio avrebbe potuto resistere alla portata di un attacco d'acqua di quella potenza, pensavano. Nemmeno un mostro come quello.

Il vapore si scisse all'improvviso con un crepitio che pareva un lamento, netto, e con maggiore potenza e furia la creatura emerse, le fiamme persino più alte, la sua brillantezza più accecante dopo la breve pausa di penombra della nebbia.
Con un grido unanime gli uomini sollevarono le lance e le diressero i getti contro, ma l'acqua evaporava all'istante contro il fuoco della creatura, senza procurarle il minimo danno o dolore. Anzi, l'ossigeno sprigionato dall'evaporazione istantanea dell'acqua la alimentò più e più, facendola crescere a dismisura, più grossa, più alta, più aggressiva.
Sembrava averne abbastanza di loro.

Una zampa rovente si sollevò e calò velocemente al suolo, e una colonna di fuoco si innalzò nel punto di impatto: l'autopompa colpita esplose per l'eccessivo calore, volando verso il cielo come una meteora incandescente.
Ci furono cori di urla e un fuggi fuggi stranamente composto e metodico: i pompieri in forze portavano via quelli che si erano feriti durante l'esplosione, schermandoli con i loro colpi dalle fiamme, scappando sostenendosi uno all'altro in ranghi serrati.
Ma, per quello, risultavano più lenti e più visibili.
Mentre l'autopompa carbonizzata ricadeva a terra con un gran fragore e scintille, la zampa si sollevò ancora una volta e puntò dritta contro un gruppetto di vigili che soccorrevano un loro compagno immobile e sanguinante a terra, colpito da un pezzo di metallo allo stomaco.

Leonardo scattò in avanti prima di averci pensato propriamente, mosso dall'istinto; si mise di fronte alla squadra che cercava di fuggire quanto più velocemente possibile senza far male al ferito, e con le spade sguainate contrattaccò nella vana speranza di poter fermare quel muro compatto di fuoco che gli correva contro.
L'impatto lo avrebbe carbonizzato all'istante, lo sapeva.
Sentì il calore crescere e la luce delle fiamme abbagliarlo. Chiuse gli occhi e attese.
Ma il bruciore infernale che si aspettava lo avrebbe avvolto non arrivò mai. Sfidò la prudenza e socchiuse appena gli occhi e tutto ciò che vide fu un'intensa luce azzurra che lo circondava come la bolla d'acqua aveva fatto a suo tempo, schermandolo contro il fuoco.

Si alzò in tutta la sua statura allora e rimase dritto a guardare la creatura attraverso quello scudo benefico: ringhiava, graffiava contro quell'inattesa seccatura che si era messa fra essa e le sue prede, e Leonardo riuscì a vedere qualcosa pulsare al suo interno, oltre i vortici di fiamme, che sembrava un buco nero. Oscuro. Malato. Sempre più grande.
Dava una sensazione così diversa dall'essenza vitale della creatura d'acqua. Allora era stata un miscuglio di paura e dolore; ciò che sentiva in quel momento, anche a quella distanza, erano una gran rabbia e una disperazione sconfinate.
Si sentì quasi piegare sotto la sua furia e non avrebbe resistito se non fosse stato per il potere del ciondolo che portava al collo, ne era conscio.

Andate via! Presto!” urlò urgente torcendo appena la testa, chiedendosi quanto sarebbe mai durato quel prodigio magico.
I vigili del fuoco osservarono solo per un secondo la strana figura col guscio che cercava di proteggerli, poi con un cenno del capo presero il compagno in spalla e corsero via.

Leo!” sentì infine chiamare i suoi fratelli.
Donatello sembrava sorridere compiaciuto di ciò che era riuscito a fare, -ma era poi stato lui a fare qualcosa e non il ciondolo invece ad agire di sua iniziativa?-
Dalla faccia di Michelangelo stava scomparendo un'espressione spaventata, sostituita in fretta da una di gioia nell'accorgersi che il leader era intero e salvo, e che in qualche modo riuscisse a tenere testa alla creatura.
Ancora una volta.

Sembrava che nessun altro avrebbe mai potuto fronteggiarla senza rischiare di incenerire all'istante e Leo sentì la pressione di quel pensiero, sentì la responsabilità di quella missione.
Anche se, in cuor suo, non sapeva affatto come poter combattere contro quella rabbia e quell'angoscia che gli arrivavano addosso.

State lontani” gridò al suo gruppo, cercando di suonare fiducioso.
Aveva le armi già strette nelle mani e si gettò in un attacco deciso, istintivo, senza pensare a esiti e conseguenze: la bolla azzurra lo seguì nella sua corsa scindendo le fiamme, ma quando provò a colpire la creatura, le lame delle spade si incendiarono e divennero all'istante incandescenti e le lasciò andare con un grido soffocato.
Il metallo non tintinnò nemmeno, si era già liquefatto quando tocco il suolo.
Come, come si poteva sconfiggere un mostro di trenta metri di puro fuoco?

La creatura si agitava sempre più, scuotendo a destra e sinistra la massa infuocata, lanciando scintille tutto attorno che accendevano altri incendi e la alimentavano ancora.
Il caldo e l'afa erano soffocanti e i fumi che si sollevavano iniziavano a rendere difficoltosa la respirazione.
Di quel passo, avrebbero dovuto arrendersi. Sarebbero dovuti scappare.

Isabel... Isabel è morta! Cosa volete da lei? Cosa volete da noi?” urlò Leo frustrato, cercando una soluzione, una qualsiasi, che potesse aiutarli. Aveva pensato che forse, dicendo la verità a chiunque ci fosse dietro, le cose sarebbero cambiate.
La creatura si fermò un'istante, come se avesse sentito la sua voce. Rimase immobile a guardare verso il leader, quasi invitandolo a ripetere.

Isabel è morta. Chi siete e cosa volete?” disse ancora Leonardo.

Per pochi secondi ci fu il silenzio, e sentì che aveva capito, che il messaggio era stato recepito.
Ma accadde tutto il contrario di ciò che aveva immaginato: sembrò quasi che non ci fosse più aria, solo fuoco, fuoco che esplose, alto fino al cielo, mentre il crepitio delle fiamme si trasformava in un roco grido.
E la rabbia divenne intollerabile. Leonardo si sentì fisicamente male, al percepirla. Indietreggiò e si schermò il viso con un braccio, sentendo che ormai lo scudo stava cedendo sotto la sua furia.

Dobbiamo andare via! È ingovern-”
Stava per finire il suo ordine alla squadra e scattare verso di loro per scortarli col potere residuo della collana lontani da lì, quando un urlo atavico, profondo, arrivò tanto alto e disperato da sovrastare quello del mostro, entrambi egualmente feriti e furiosi, e una figura apparve, fermandosi lì vicino.
Raphael stringeva i manici dei Sai così forte che le nocche erano bianche e le vene sporgevano dolorosamente e pulsanti.

L'occhio sano guardava verso l'alto, con un'espressione di pura rabbia, al cui confronto quella del mostro pareva nulla.
Raph!” strillarono tutti insieme, sorpresi. Ma lui non si voltò a guardare nessuno di loro.
Donnie sentì un brivido freddo giù per la schiena, perfino in quel clima infernale.

Raph! Non fare pazzie! Ci hai sentiti parlare, non è vero?” indovinò facilmente, ma la sua voce non attirò affatto l'attenzione del fratello.
Raphael continuava a osservare il mostro e il mostro si era voltato al suo arrivo e osservava Raphael con un interesse che fino a quel momento non aveva mostrato. Forse, sentiva la sua rabbia così simile alla sua e ne era attratto?
Il suo vortice di fiamme scemò un po' d'intensità e sembrava quasi che cercasse di compattarsi, un po' più piccolo.
Tuttavia la minaccia non sembrava minore.

Raph! Vai a casa! Ti spieghiamo più tardi!” insisté Leonardo, dato che lui non si muoveva.
Si sono presi Isabel. Se lei è morta è colpa di chiunque ci sia dietro a questo mostro” disse infine Raphael, la vena pulsante del collo che pareva sul punto di esplodere.
Ci pensiamo noi!” strillò Don, che si era allontanato con Steve, Angel e Mikey, incapaci tutti e quattro di sopportare quel calore così intenso senza un potere come quello che aveva protetto Leo.
È morta per causa tua” mormorò Raphael, avvicinandosi verso la creatura.

E il mostro si avvicinò a lui di un passo, più piccolo, le fiamme più controllate.
Sembrava voler prendere forma.

Sembra una... grossa lucertola” disse d'un tratto Michelangelo, strizzando gli occhi per osservare bene anche nella luce abbagliante.
Una salamandra” lo corresse Steve, che grazie alla maschera riusciva a vedere meglio.
Una salamandra di fuoco.
Che in quel momento, dimenticata i suoi propositi di distruzione, guardava Raphael, rimpicciolendosi e camminando verso di lui. Si sarebbero incontrati in pochi metri e seppure ridotto, tutti si chiedevano se la pericolosità del suo fuoco non fosse comunque preoccupante.

Raph! Fermati! È pericoloso” gridarono a turno, senza essere ascoltati.
Leo iniziò ad avvicinarsi per impedire il peggio, anche se non sapeva ancora quanto la sua protezione sarebbe durata, e anche Mikey e gli altri si mossero istintivamente in avanti, presagendo la mossa successiva.

Credo che sia in trance! Raph è in trance! Fermalo, Leo! Fermalo!” urlò Don urgente, provando ad arrivare in tempo anche lui.
In effetti, c'era qualcosa di strano che non avevano notato subito.
Le braccia di Raphael erano molli lungo i fianchi e le mani a malapena stringevano la presa sui Sai, che rischiavano di cadere da un momento all'altro; camminava piano, senza più un grammo della furia che lo aveva animato fino a pochi istanti prima.
L'occhio era fisso sul muso della salamandra, negli occhi neri che risucchiavano perfino la luce attorno.

Mancava un passo al contatto, Leo correva mentre la bolla azzurra ormai si affievoliva, Don e il suo gruppo cercavano di raggiungerli; Raph si fermò e la creatura anche.
Sembrava si stessero scrutando, l'uno nelle profondità dell'altro.
Per un attimo immobile il tempo sembrò incrinarsi fino a scomparire del tutto.
Poi, le fiamme divamparono ed esposero più violente di prima e la salamandra, crescendo di dimensioni, balzò in avanti: Leonardo spiccò un salto e afferrò Raph gettandolo a terra, la creatura sbatté contro l'ultimo residuo di scudo mandandolo in frantumi e con un grido crepitante continuò a correre, distanziandoli e sparendo alla vista.

Leo! Raph! State bene?” fu il coro che spense il silenzio.
Il leader si rialzò e osservò il fratello al suolo con l'occhio visibile aperto, ma stranamente vitreo. La benda si era un po' allentata e cadeva molle attorno alla testa.

Raph! Mi senti? Raph!” lo chiamò, la voce sempre più spaventata; lo scosse, e alla fine arrivò a schiaffeggiarlo piano, come ultima risorsa.

Raphael si tirò su di scatto e lo osservò, mentre il velo di nebbia cadeva dall'occhio. Afferrò il suo polso forte, quasi disperato.
Il villino! Il villino!” strillò senza senso, guardandoli a turno, arrabbiandosi per la loro stupidità, per le loro espressioni stupite.
Si alzò in fretta e iniziò a correre via, nella stessa direzione della creatura di fuoco, lasciandoli indietro. Erano così sorpresi che ci volle a tutti qualche secondo prima di gettarsi nella sua scia, facendosi domande tra loro a cui non avevano ovviamente risposta.
Dove stava andando Raph? Cosa gli era preso?

Percorsero chilometri, ma della creatura sembrava essere sparita ogni traccia. Alle loro spalle si erano lasciati l'incendio che si era creato, ma nel loro cammino non trovarono nessun segno, non una scintilla, nemmeno il più piccolo fuoco, che potesse dir loro dove si fosse diretta.
Anche se Raph sembrava essere perfettamente certo di dove stesse andando.
Lo raggiunsero, gli porsero quelle domande che si erano fatti, ma lui continuò solo ad arrancare tormentato, la lunga benda bianca che gli sventolava dietro, ormai sfatta.
Si fermò senza fiato solo quando arrivò ad un vicolo oscuro che, anche se non vedevano da anni, nessuno di loro aveva dimenticato.

Non penserai... non può essere entrato...” titubò Don, capendo in quel momento.
Raph non rispose, non sarebbe riuscito a spiegare con parole quella sensazione di violenza che aveva sentito nella sua mente quando il mostro lo aveva soggiogato; stava cercando qualcosa di suo, qualcosa di caro, qualcosa da poter distruggere.
E non gli era rimasto molto, ormai.

Si lanciò in avanti e Mikey lo afferrò in tempo per la spalla, formando una catena con gli altri perché potessero tutti oltrepassare la barriera magica, e in una frazione di secondo si trovarono nel giardino del villino, aggrediti da un intenso bagliore e da calore.
Bruciava tutto, ardeva velocemente.
Raphael si bloccò di colpo, il respiro mozzo.
Quella scena, la casa avvolta dalle fiamme, era identica alla notte in cui lei era stata aggredita e Shadow era morto; la notte in cui l'aveva rivista e aveva capito di amarla, la notte che era diventata la loro prima notte.
Gli sembrava quasi di vedere la sua figura rannicchiata al suolo stringere disperatamente il corpo del gattino, mentre alle sue spalle il fuoco le faceva da sfondo.
Ma Isabel non c'era.
E il villino era tutto ciò che gli restava di lei.

Sentì la rabbia montare a ondate, via via che il fuoco si mangiava un'altra porzione dei suoi ricordi in quella casa, della fatica che aveva fatto per ricostruirla da zero e trasformarla nella loro futura abitazione, della sorpresa che avrebbe voluto farle quando sarebbe tornata e l'avesse trovata finita.
Con un boato il piano superiore esplose, lanciando scintille e schegge infuocate su per il cielo e collassò sulla struttura con uno schianto secco, che le fondamenta ormai consumate non potevano reggere ancora a lungo.
E qualcosa esplose anche dentro di lui. Non poteva guardare ancora, non avrebbe retto.
Meglio farla finita.

Lasciò andare i Sai e si gettò a testa bassa, scrollandosi dalla spalla la mano di Mikey, dritto contro ciò che rimaneva del portico ormai annerito.
No, Raph!” urlò quello, ma quando fece per andargli dietro, il fratello era già scomparso tra le fiamme.
Raph!”
Raphael!”
Inorridirono. Leo fece per muoversi.

Vado a cercarlo con il potere del ciondolo” disse, ma la mano di Donatello lo bloccò decisa e lo sguardo del genio era sofferente eppure seria.
Non sai come funziona. Non sai se puoi usarlo ancora!”
Ma non possiamo-”

Uno schiocco potente riecheggiò nella notte e la casa crollò su sé stessa, le fiamme crebbero, crebbero fino al cielo e poi scoppiarono come un enorme fuoco d'artificio, illuminando la notte per qualche minuto, finché non si spensero del tutto.
Caddero in un'improvvisa oscurità e le stelle iniziarono a splendere vividamente, unica fonte di luce. Rimasero ad osservare i tizzoni fumanti di ciò che restava della casa, anneriti e fragili, con così tanto dolore nel cuore che pareva dovesse fermarsi.

Raph” chiamò Michelangelo con tono tremante, incamminandosi verso le macerie.
Doveva aggrapparsi alla speranza che fosse vivo.

Raphael” fece eco Steve, andandogli dietro.
Tutti si misero a chiamarlo e ad aguzzare lo sguardo, in cerca di un segno, uno qualsiasi che potesse dare loro una speranza.
Scavalcarono i detriti e stettero attenti a non toccare nulla attorno, ma era tutto spento e freddo e anche il caldo stava calando di intensità, precipitosamente.

Raphie” mormorò Mikey fermandosi, trattenendo a stento le lacrime.
C'era una figura rannicchiata, -al centro di quella che un tempo doveva essere stata una sala da pranzo,- incurvata sulle ginocchia come fosse in preghiera. Vide il suo corpo muoversi e le spalle agitarsi per il pianto silenzioso.
La sua tuta era bruciacchiata e lacerata in più parti, la fuliggine ricopriva buona parte della sua pelle, ma non sembrava ferito.
Il fratello si avvicinò a lui e si chinò, poggiandogli una mano su un braccio.
Raphael si sollevò appena e lo guardò, solo l'occhio sano aperto, ma piangeva da entrambi. Nelle mani chiuse a mo' di conchiglia sulle gambe stringeva un ciondolo bianco, bagnato di lacrime.

Non ebbero bisogno di fargli nessuna domanda. Per quanto curiosi, il sollievo che avesse sconfitto la creatura e fosse sopravvissuto era già sufficiente senza dovergli far rivivere tutto; sembrava già eccessivamente provato.
Mikey si sporse e lo abbracciò e stranamente Raphael non lo respinse, ma rimase a piangere, ancorandosi al ciondolo.

E tutto intorno era caos, era distruzione, era la fine di qualcosa. Ma nemmeno lontanamente paragonabile a quello che aveva dentro.



Note:

Buona sera a tutti.
È così bello, tanto bello pubblicare.

Siamo nel secondo passo del nuovo mistero, anche se Don sembra avere già capito cosa stia accadendo e non si mette bene per Raph. È un incubo per lui.
Vedremo cosa accadrà.

Vi ringrazio per la pazienza e la costanza nel seguire questa lunghissima, interminabile storia (che per la fine di quest'anno prometto di finire).
Grazie,
abbraccione sconfinato

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Capitolo 31
*** I believe I can fly ***


Quella notte rimasero molte ore nel perimetro del villino magico, finché l'odore del fumo non fu scomparso del tutto e ciò che rimase a testimoniare quello che era successo furono le macerie carbonizzate.
Raph pianse molto, lasciando andare parte di quel dolore che loro non potevano comprendere.
Poi, finalmente, tornarono al rifugio.

Era già molto tardi, erano molto stanchi, perciò dopo aver controllato che Raph stesse bene e avergli medicato e fasciato di nuovo l'occhio, andarono tutti a dormire, decidendo di lasciare le inevitabili chiacchiere e le congetture all'indomani.
Raphael si addormentò stringendo il ciondolo bianco nella mano.
Quello che sognò quella notte era tutto avvolto dalle fiamme.


La mattina dopo sedevano attorno al tavolo della cucina, intenti a mangiare le frittelle di Mikey, e intanto chiacchieravano di quello successo la notte prima.
Non avevano acceso i televisori, non gli interessavano le teorie che avrebbero tirato fuori gli umani, o le testimonianze di chi aveva visto qualcosa durante la notte, forse anche dei pompieri che avevano salvato. Niente di quello che avrebbero detto aveva una qualche rilevanza per loro, nessuno avrebbe mai nemmeno lontanamente immaginato la verità.

I due ciondoli era poggiati tra il bricco del latte e il barattolino di sciroppo d'acero. Uno, quello della creatura d'acqua, aveva inciso un triangolo con la punta verso il basso, il nuovo invece aveva lo stesso triangolo, ma voltato al contrario, con la punta verso l'alto.
Per il resto sembravano assolutamente identici. Nessuno sapeva che volessero dire quei simboli.

Spiegarono a Raph nel dettaglio cosa si erano detti la volta precedente, che lui aveva solo sentito a spezzoni nascosto dietro la porta e gli confermarono che tutto quello aveva a che fare con Isabel. Raphael li ascoltò con una strana calma, una serenità zen che cozzava col suo solito carattere e con il suo umore degli ultimi mesi.
Era come se quel fuoco avesse consumato tutta la sua rabbia. E lui era risorto da esso come una persona nuova, come la fenice a nuova vita.

Ok, dobbiamo capire se questo ciondolo si comporta come l'altro... prendilo tu, Leo” suggerì Donnie prendendo un sorso di caffè.
Il leader lo guardò con sospetto, alla luce delle sue parole. A volte pensava che suo fratello per amore della scienza non avrebbe esitato a gettare uno di loro nel fuoco e in quel momento non fu mai così vicino a quell'idea: se il nuovo ciondolo si fosse comportato come il suo d'acqua quando toccato da un estraneo, allora forse lo avrebbe ustionato.

Ok, ma prenderò le mie precauzioni” disse, allungando una mano verso il suo ciondolo e l'altra verso quello accanto.
Come previsto, esplose un piccolo incendio quando provò a sfiorarlo, fortunatamente schermato dalla bolla azzurra che lo avvolse nello stesso istante.
La tovaglia prese fuoco e il sensei fu veloce a gettarci la sua tazza di tè sopra, spegnendolo in un attimo. Poi guardò i suoi figli con espressione seria.

Quindi solo Raph può toccare il nuovo ciondolo, come pensavo” concluse Don, pensieroso.
Ma... perché?” domandò Mikey confuso.
Forse solo chi ha sconfitto la creatura che lo conteneva è degno di toccarlo o portarlo... come se fosse diventato il suo padrone. O come se si fosse vaccinato contro il suo potere.”
La spiegazione del genio sembrò piacere al fratellino, che era rimasto ad ascoltarlo con la bocca semichiusa in profonda riflessione.

Allora, come avete fatto a sconfiggerli?” incalzò dopo qualche secondo, davvero curioso.
Leonardo e Raphael si scambiarono un'occhiata, senza averlo programmato, entrambi attraversati dallo stesso pensiero: il non sapere davvero afferrare a pieno ciò che avevano vissuto e il desiderio di non parlarne.

Il leader prese un gran respiro, cercando le parole o il coraggio, quel qualcosa che era ancora dentro di lui. Quella sensazione.
È stato... strano. Quando mi ha inglobato ho sentito l'energia della creatura ed era come se fosse mia. Era fatto di tristezza e paura. Era come se fossi io. Ho lasciato che le sue emozioni si unissero alle mie e credo di averle lasciate andare ed è lì che è esploso. Non so se sia stato davvero questo, ho solo fatto da valvola di sfogo, credo.”
I loro occhi che lo osservavano raccontare qualcosa di così intimo, -lui la sentiva come una cosa intima,- gli diedero un po' di fastidio, ma poi si chiese se anche per Raph fosse stato così e capì la loro curiosità.

E tu, Raph? Per te è stato lo stesso?” chiese piano Mikey, che colpito dal racconto di Leo si sentiva più rispettoso. E poi le lacrime del fratello in mezzo alle macerie della casa che aveva faticato così tanto per ricostruire, in segreto, con così tanta passione, non le avrebbe dimenticate mai.
Raphael era impegnato a mangiare una tazza di cereali, con malavoglia. Era solo un pretesto per non guardarli e lo sapevano tutti, perciò attesero che fosse pronto, senza continuare a pressarlo.
Il silenzio però non è che fosse meno esigente.

No” esalò infine, con un sospiro.

Un altro, grande, e il cucchiaio tuffato nella tazza.
Era fatto di rabbia. Ha riso quando mi sono lanciato verso la casa e mi ha... avvolto, bruciava, ma non mi feriva. Mi è entrato nei polmoni, nello stomaco, era caldo, era insopportabile. Ha scavato nella mia mente finché non ha trovato i ricordi più dolorosi e me li ha fatti rivivere ancora e ancora e si è nutrito della mia disperazione, ha continuato a cercare e distruggere e ricreare e distruggere, ancora, ancora.
Mi ha tormentato fino a ché non si è saziato al punto di esplodere, distruggendo tutto.”

Nessuno trovò il coraggio di parlare, non avevano nemmeno il coraggio di guardarsi in faccia.
Era così orribile il pensiero di quello che aveva passato che davvero non sapevano che dire che non suonasse vano.

Sembra che questi mostri siano prove e non semplici nemici” prese la parola Splinter, cambiando il discorso.
Aveva una nuova tazza di tè in sostituzione della prima versata e dopo aver ascoltato tutte le loro storie e aver fatto le sue riflessioni, si era finalmente deciso a dire la sua.
I suoi quattro figli gli diedero immediatamente la loro completa attenzione.

Prove per cosa?”
Perché, è la domanda giusta. Se queste creature erano destinate a Isabel, perché qualcuno avrebbe dovuto metterla alla prova? Per testare i suoi poteri? Per valutarla come regina? O per cercare qualcosa?”
Nessuno sapeva rispondere a quelle domande, non avevano nemmeno pensato ad una teoria del genere, ma la trovarono valida e interessante.

"Ci sono state una creatura d'acqua e una di fuoco... dobbiamo aspettarcene una di terra e una di aria, allora?” suggerì Donatello.
Sì, se come pensi si basano sui quattro elementi. Ma ci sono diverse combinazioni a seconda della dottrina su cui sono modellati: alcuni hanno cinque elementi, altri perfino otto, non si può essere sicuri. Ricordate i Foot Mystics, che si rivelarono poi essere i Mystic Ninja? Incarnavano cinque elementi: acqua, fuoco, terra, aria e metallo” spiegò didatticamente il sensei.
Comunque dobbiamo aspettarci altri combattimenti” ribatté il genio e dalla sua espressione capirono che aveva qualcosa in mente, che aveva già pensato a quelle opzioni e che aveva anticipato le risposte.
Sembrava solo in cerca di conferme.

Allora dovremo prepararci. Credo che gli allenamenti in senso fisico non siano necessari, ma che esercizi di meditazione siano perfetti per la situazione. Anche Leonardo e Raphael devono partecipare” suggerì il maestro, che già vedeva nell'occasione una buona opportunità di disciplinare ulteriormente i suoi figli.
E poi, aveva il presentimento che affrontare creature fatte di elementi fosse molto pericoloso; erano stati molto fortunati a sopravvivere fino a quel momento e a sconfiggerli.

Eh, no! Hanno già un ciondolo ciascuno, il prossimo mostro è mio!” saltò su Michelangelo, infervorato.
Non è una gara, Mikey. E non è detto che dobbiamo averne uno ciascuno... magari Leo e Raph sconfiggeranno anche i prossimi” si intromise Don, con un sorriso leggero nel vedere suo fratello inalberarsi al pensiero.
Ma non è giusto. Voglio contribuire, voglio fare qualcosa! Il prossimo è mio!”
Quindi che sia di terra o di aria non ti interessa” incalzò il genio.
Esatto!”
Sì, in effetti hai il cervello pieno d'aria e la testa dura come pietra, ti vanno bene entrambi.”
Era stato Raphael a parlare, nel silenzio attonito. Era la prima volta in mesi che faceva una battuta, che prendeva in giro il fratello.
Lo aveva detto atono, ma non potevano pretendere ancora molto. Mikey sorrise.

Visto? Raph è d'accordo con me! Sensei, andiamo a meditare!”
Mentre si alzava dalla tavola con vigore ed entusiasmo, una voce arrivò da fuori.

Ehi, di casa? Dove siete?” chiamò April, sempre più vicina.

Le andarono incontro e la donna sorrise nel vederli tutti lì, era da tempo che non andava a trovarli e la trovarono in gran forma, contando che aveva partorito da quattro mesi.
Era in forma e raggiante. Ci fu un sentito scambio di abbracci.

Ehi, dove sono i bambini?” domandò Mikey, che non vedeva l'ora di giocarci.
Con Casey. Abbiamo dato in gestione il second time around” disse mangiandosi una o due sillabe per l'emozione. Sembrava che morisse da tempo per dar loro quella notizia.
Le loro facce allibite, tranne quella di Don, la fecero sorridere ancora di più.

Cosa? Perché?”
"Perché io e Casey, e Don, stiamo progettando la O'Neill Tech!” annunciò la donna.

Cosa?” i tre fratelli si voltarono verso il genio. “Perché non ce ne hai parlato?”
Per adesso è solo in fase di progettazione... e nell'ultimo periodo non è che io sia stato di molto aiuto” si scusò Donatello, rivolto verso April.
Oh, non preoccuparti. Per adesso io sto solo buttando giù idee e stiamo cercando finanziamenti. Sappiamo che sarà un successo, conoscere il futuro è un grande aiuto, ma dobbiamo convincere i finanziatori. Solo coi nostri risparmi non riusciremmo a partire.”

Furono tutti contagiati dalla notizia, era bello vedere April che si riprendeva il suo ruolo di scienziata e inventrice e sapevano che poteva e sarebbe riuscita a conciliarlo con quello di mamma.
Lei ci sarebbe riuscita facilmente.

È fantastico! In bocca al lupo! Chiamiamo Casey e festeggiamo” propose Mikey, che già si era dimenticato del suo proposito di meditare.

Ah, no! Non è qui per festeggiare” lo interruppe Don, serio. “L'ho chiamata per aiutarmi: voglio creare un tracciatore che rilevi le onde magiche dei ciondoli per sapere in anticipo quando e se ne apparirà un altro.”
Ma lo fanno già. Beh, il mio lo fa già, probabilmente anche quello di Raphael” disse Leo pacatamente.
Sì, ha reagito quando è apparsa la creatura. Ma io voglio riuscire a prevenire, a rilevare anche la più piccola oscillazione e precedere anche di poco l'apparizione” spiegò il genio, infervorato.
Vuoi usare la scienza per tracciare la magia” affermò Splinter, senza scetticismo o altro nella voce, solo constatazione.
Era da Donatello pensare in quel modo.

Isabel mi aveva spiegato che la magia è energia, sostanzialmente, e che anche se non sottosta alle leggi della fisica che conosciamo, assomiglia molto alle altre forme di energia. E allora io voglio provare a tracciarla!”
Va bene, ma il mio ciondolo lo tengo io finché non ti serve” disse Raphael, legando lo stesso al suo polso destro, con il lungo cordino nero che aveva già attaccato quella mattina.
Non lo aveva legato al collo come Leo e il perché fu chiaro a tutti: la collana degli amanti di Isabel era ancora lì, ancorata per sempre alla sua persona e al suo cuore, e non avrebbe permesso che il ciondolo della creatura che lei avrebbe dovuto fronteggiare, probabilmente di un suo nemico, la toccasse.

Si incamminò per primo verso il dojo, seguito a ruota dal sensei e Mikey, dopo che ebbero salutato April. Lei e Don andarono verso il laboratorio e Leo li seguì per appoggiare il suo ciondolo sul tavolo da lavoro, prima di raggiungere gli altri per la meditazione.
Così, i due scienziati iniziarono a progettare il dispositivo per tracciare il segnale della magia, anche se prima dovevano trovare e isolare quel segnale.
Quella sfida gasò moltissimo entrambi, che si tuffarono nel progetto con tutta la concentrazione possibile, nostalgicamente come in passato.

Nel frattempo, gli altri tre fratelli si immersero nella meditazione.
Non sempre, solo per qualche ora al giorno, tuttavia il sensei ne era contento e sentiva che era un ottimo passo avanti, se anche si fosse rivelato inutile per sconfiggere quei mostri elementali.

Intanto, tenevano d'occhio il tempo atmosferico, dato che avevano capito fornisse indizi su cosa aspettarsi.
Dopo l'alluvione e la cocente siccità, ebbero qualche giorno di tempo eccezionalmente perfetto: giornate estive calde, ma non troppo, fresche, ma non troppo, col giusto grado di umidità. Un sogno, a ben pensarci.
E nonostante stessero molto attenti alle variazioni, non sembrava ci fosse nulla di anomalo.
Ovviamente cercavano indizi soprattutto per gli elementi aria e terra, non sapevano se ce ne sarebbero stati altri, come folate particolarmente intense o scosse di terremoto, ma non ci fu niente di rilevante.

Michelangelo si stancò molto presto di meditare. Aveva pensato che la nuova sfida si sarebbe presentata presto, ma i giorni passavano e niente si profilava all'orizzonte, perciò aveva iniziato a intervallare gli allenamenti a lunghi momenti in cui si infiltrava nel laboratorio per controllare il proseguimento dei lavori.
In realtà dava solo fastidio ai due scienziati, in particolar modo a Donatello.
Continuava a chiedere come andasse l'invenzione, se ci fossero stati miglioramenti, quando prevedessero di terminare, se avrebbe funzionato e via così con ogni domanda che gli saltava alla testa. April, santa donna, era abituata a prendersi cura di due bambini, tre se contava quel bambinone di suo marito, perciò aveva una pazienza che nemmeno un esercito avrebbe mai scalfito.
Donatello, invece, per quanto flemmatico, aveva una soglia molto più sottile e si spazientiva più facilmente.

Dopo una settimana sbottò e cercò di cacciare via Mikey dal laboratorio, senza riuscirci.
Alla fine decise di prendersi una pausa e di sedersi a bere una tazza di tè, mentre April spiegava a Mikey cosa avevano creato fino a quel momento.

Siamo riusciti a isolare il segnale del ciondolo di Leo, per poco per ora, ma sappiamo che possiamo tracciarlo più a lungo. Abbiamo anche scoperto che quello di Raphael è simile, ma allo stesso tempo diverso. Questo oggetto qui” disse mostrandogli una specie di grosso orologio a cipolla, “è il tracciatore di magia. Quando saremo riusciti a seguire il segnale a lungo, saremo in grado di sapere quando appare nello stesso secondo in cui avviene. Forse anche a prevederlo.”
Mikey aveva capito la metà delle informazioni, ma sorrideva comunque perché aveva inteso che le cose si mettevano per il meglio e che tutto ciò che mancava era solo l'apparizione della successiva creatura magica.
Continuarono ad attendere, fiduciosi che qualcosa sarebbe accaduto presto, ed in effetti qualcosa accadde, di importante, ma non quello che avevano pensato.

Un pomeriggio in cui April e Donnie stavano chini sui loro progetti e gli altri si allenavano nel dojo o, come nel caso di Mikey e Steve, facevano una pausa seduti sul divano con i joystick nelle mani e gli occhi incollati al gioco sulla tv.
Un urlo improvviso, più di sorpresa che di paura, si levò dalla direzione del dojo e tutti saltarono in piedi dalla sorpresa, osservandosi intorno spaventati. Don e April uscirono dal laboratorio e si incrociarono con Mikey e Steve e tutti pensarono la stessa cosa: i ciondoli.
Forse si erano illuminati. Forse era di nuovo il momento di lottare.

Si precipitarono tutti e quattro assieme e spalancarono le porte con urgenza e un enorme falò gli si parò davanti, caldo e intenso.
Quando riuscirono a guardare senza sentire bruciare gli occhi si accorsero che il centro dell'incendio era una persona.
Era Raphael.
Bruciava con fiamme alte e violente, come una torcia umana. Come una torcia mutante.
April gridò. Mikey gridò. Steve e Donnie gridarono.

Si gettarono istintivamente in avanti per aiutare, per fare qualsiasi cosa, ma Leo si materializzò davanti a loro e li bloccò.
È tutto ok, guardate” disse con voce tranquilla, senza staccare lo sguardo dal fratello.
In effetti, a ben vedere, Raphael non si contorceva, non urlava, non si agitava, per essere uno che faceva da stoppino ad una così grande fiammata, anzi: stava immobile al centro del dojo, con le braccia stese di fronte a sé e sembrava studiare le lingue aranciate e rosse che salivano dal suo corpo.
Sembrava interessato e allo stesso tempo controllato.
Era così concentrato da non aver minimamente notato il loro arrivo.

Ci stavamo allenando, quando il suo braccio ha preso fuoco. Spontaneamente. Dopo il primo secondo di sorpresa ha capito che il fuoco non gli faceva nulla e che poteva controllarlo... in effetti è lui stesso a generarlo” spiegò Leonardo assorto.
Donatello sembrò illuminarsi, sembrava quasi contento.

I ciondoli danno i poteri dell'elemento collegato... non lo sapevamo. È davvero fantastico!” esclamò attonito, prendendo già mentalmente appunti dei test da fargli fare.
Ma Leo, tu ce l'hai da più tempo, perché Raph è stato il primo ad attivarlo?” domandò April che, superata la naturale paura che l'aveva presa nel vedere l'amico prendere fuoco, aveva iniziato anche lei ad osservare con occhio logico.
Perché il ciondolo di Raph reagisce alla disperazione. E Raph è fatto solo di quella ormai.”

Rimasero a guardarlo mentre creava fiamme sempre più alte e tuttavia sempre più controllate, mentre imparava a governare quel potere che non aveva chiesto e che non voleva, ma che avrebbe usato a suo vantaggio.
Ed era davvero bravo. Il fuoco era sempre moderato al suo volere, non bruciava niente di quello che c'era attorno e persino il parquet sembrava illeso; quando il sensei gli chiese di mettere fine a quel fenomeno, Raphael riuscì a spegnere le fiamme immediatamente, a comando.
Osservò ancora per qualche istante le braccia ormai spente e il simbolo triangolare del suo ciondolo brillare di rosso, ancora un poco finché non si spense e tornò normale, poi si voltò e si accorse della loro presenza.
Sorrise. Ma era un sorriso tutt'altro che di gioia. Sembrava nascondere propositi di vendetta e piani che loro non potevano nemmeno immaginare.

Devo allenarmi per riuscire a proiettare il fuoco” disse tranquillamente, come se stesse parlando di un esercizio qualsiasi.

Leonardo si mosse verso di lui.
Ti aiuto io. Magari riesco a innescare anche io un potere attivo, potrà esserci utile” propose, omettendo che nel caso lo avrebbe probabilmente usato per contrastare il suo se lo avesse usato in maniera sbagliata.
Non era ferratissimo di elementi e magia, ma sapeva che l'acqua batteva il fuoco.
E lui sarebbe stato il freno di Raph.
Donnie portò parte della strumentazione nel dojo e assistette ai loro allenamenti, monitorando tutto ciò che accadeva, anche le più piccole oscillazioni nelle fiammate di Raph o nella bolla blu di Leo.
Gli sembrava di essere ad un passo dal completare l'invenzione.

Un'altra settimana scivolò via e gli ultimi sviluppi avevano solleticato l'eccitazione di Michelangelo a dei livelli tali che ormai non faceva più nulla se non meditare e allenarsi e controllare se i ciondoli o il quasi finito tracciatore lampeggiassero.
Avrebbe sconfitto lui la successiva creatura. Voleva un potere magico a tutti i costi.
Vedere Leo e Raph usare i propri ogni giorno con sempre più padronanza non faceva che accrescere quella smania.

Posso allenarmi anche io con voi?” domandò un tardi pomeriggio in cui sedeva ormai da qualche ora sul pavimento.
Leonardo, di fronte a lui sulla destra, era chiuso nella bolla azzurra che ormai riusciva a richiamare al proprio volere e sosteneva perciò senza sforzo gli attacchi di Raphael, dall'altra parte della stanza, che emanava fuoco a ondate, cercando di forzare la resistenza della barriera.

Non credo sia prudente, Mikey!” urlò il leader con visibile sforzo, provando al contempo ad espandere la bolla per sopraffare il fratello.
Il dojo era un tripudio di bagliori rossi e blu che si mescolavano.

D'un tratto, le fiammate e la barriera caddero e tutto fu quieto per un istante.
Poi, i due ciondoli si illuminarono contemporaneamente, uno di rosso e uno di blu.
Michelangelo saltò su emozionato e raggiunse i fratelli con il viso raggiante; prima che potesse aprire bocca, dalla porta del dojo irruppero Don e April trafelati, nelle mani un piccolo oggetto tondo che lampeggiava di un freddo rosso.

Il genio osservò le luci sempre più potenti dei ciondoli e sorrise.
Funziona!” esultò. “Anche se avrebbe dovuto rilevare la posizione, ma per ora non ci siamo ancora riusciti.”
Allora andiamo a cercare la nuova creatura!”esclamò Mikey, già diretto verso la porta.
Ovviamente erano tutti d'accordo e sentivano di essere preparati, quella volta.
Anche April si accodò loro, con la promessa di non stare in prima fila per preservare la sua sicurezza, e mentre salivano verso il garage mandarono un messaggio ad Angel e Steve, solo per informarli.

Saltarono sul furgone e si misero in marcia, lasciando che fossero i due ciondoli a guidarli; non sapevano cosa aspettarsi e non sapevano dove fosse la minaccia.
Accendi la radio” disse Don dal retro, a Raph che sedeva al posto del passeggero. Dopo due stazioni di musica pop e country, la voce di un giornalista esplose nell'abitacolo.
... stanno evacuando la zona... l'allarme è scattato... non riuscia-”
Il segnale era molto disturbato e inframmezzato e si udiva un sibilo fortissimo in sottofondo che copriva tutto il resto.

Leo guidò come un folle, ben attento a evitare il traffico: la luminescenza azzurra sul suo petto cresceva di secondo in secondo.
Intuì quasi subito dove dovevano andare.
Mikey non stava più nella pelle, faceva traballare le gambe e si sporgeva dal sedile di dietro per controllare nel parabrezza se riuscisse a percepire tracce della creatura.

Le prime avvisaglie le videro appena superata Hell's Kitchen: una fiumana di persone e macchine che scappavano nella direzione da cui loro venivano.
E poi il cielo scuro proprio davanti.

Ho paura di aver capito che elemento sia” mormorò Donatello, occhieggiando le potenti folate di vento che spingevano persone e oggetti con una forza prodigiosa.
Arrivarono nei pressi del meatpacking district e la verità era lì di fronte a loro: una colonna vorticante e pericolosa, che inglobava senza distinzione ogni cosa sul suo cammino.
Un tornado

Scesero dal furgone, schermandosi i visi contro le violenti folate. La zona sembrava sgombra e il vento aveva spazzato via il terreno, sputando lontano tutto ciò che ingoiava.
Spingeva via anche loro, dovettero piegarsi e fare uno sforzo enorme per non essere dispersi e annichiliti, rimanendo compatti e uniti.

Raph si gettò in avanti per primo e il bagliore del suo ciondolo era incandescente: prese fuoco all'istante e si trasformò in una torcia. In qualche modo era persino più veloce e raggiunse la base della colonna in pochi secondi: le fiamme crebbero esponenzialmente e con un urlo rabbioso le lanciò contro il nuovo nemico.
Il turbine le assorbì senza alcuno sforzo. Vorticarono nel suo nucleo e scomparvero, soffocate.

Raph continuò ad attaccarlo senza riserve e ad un certo punto anche Leo si unì a lui e iniziò a colpirlo con un getto d'acqua violentissimo, un attacco attivo che era riuscito a sviluppare solo da poco.
Quei poteri erano strani, ma ci si stava abituando in fretta. Per Raphael invece, non lo erano affatto. Erano quasi nostalgici. Gli ricordavano la fusione magica che un tempo aveva fatto con Isabel, quella sensazione di completezza, di conoscenza.

I loro tentativi tuttavia non avevano nessun effetto contro quel ciclone, erano vani come sassolini contro uno spesso muro d'acciaio.
Così vicini, la forza centripeta li attirava sempre più verso il tornado e rischiavano di essere inghiottiti da un secondo all'altro.

Dobbiamo allontanarci!” gridò sgolandosi Donatello, che rimaneva indietro, facendo da scudo ad April.

Mikey era tra lui e i fratelli e si avvicinava sempre più, rapito dal vortice distruttivo.
Ne era affascinato, si sentiva attratto come se una forza invisibile lo stesse trascinando verso di esso, come se lo tenesse legato a sé.
E la sua mente era un'esplosione di possibilità, una tela sconfinata.
Lui vedeva potenzialità che i suoi fratelli non vedevano.

Si lanciò in avanti a testa bassa, dritto contro la base del turbine e scomparve tra le sue spire in un attimo.
Mikey, no!” urlarono tutti in contemporanea, certi che i forti venti all'interno lo avrebbero dilaniato in un istante.
Tutti e tre lo seguirono senza pensarci e si gettarono nel vortice: vennero sospinti in alto e poi lanciati lontano, bruscamente, e sbatterono violentemente contro un edificio poco distante.

Si rialzarono con mugugni di dolore e si controllarono per assicurarsi di stare tutti bene, ma si accorsero immediatamente che Michelangelo non era con loro.
Leonardo si ammantò della bolla protettiva, deciso a sfidare le raffiche per salvare il fratello.
Ma i vortici iniziarono a cambiare e rallentare e sotto i loro occhi esterrefatti il tornado sparì: le folate cambiarono mulinando, ricompattandosi leggiadre.
Davanti a loro si presentò un mastodontico volatile di vento e in cima, proprio sul suo dorso, c'era Mikey.
Sembrava fuso con la creatura. La incitava entusiasta.

Michelangelo si sentiva potente. Si sentiva sconfinato e infinito e niente davanti al suo cammino poteva fermarlo.
Era aria, era vento, era tutto.
Era così assorbito in quelle sensazioni da non accorgersi che la creatura attaccava i suoi fratelli o forse nel parco giochi che era diventato la sua mente, tutto sembrava solo un innocente gioco, un allenamento con poteri magici distruttivi e letali.

I tre mutanti sotto schivavano con difficoltà sempre maggiore gli attacchi sia fisici che magici del mostro.
Le sferzante di vento erano affilate come rasoi e solcavano il terreno con profondi tagli ogni volta che un attacco andava a vuoto.
La creatura cambiò nuovamente forma con un turbinio leggero e si riformò in un enorme gigante fatto sempre di vento, che prese a camminare a grandi falcate verso di loro, provando a schiacciarli.
Era più veloce e più forte e nella sua furia distruttrice aveva già mangiato via buona parte della pavimentazione stradale, così come ogni cosa, casa, macchina e oggetto presente nelle immediate vicinanze. Sentivano continuamente il suo pulsare roboante e schianti e schiocchi e vetri che esplodevano e boati.

April si teneva in disparte, accucciata lontana dietro il furgone, e osservava sia la scena sotto che quello che accadeva sulla cima della creatura. C'era qualcosa in Michelangelo che accese la sua preoccupazione, solo che non sapeva ancora cosa.
Aveva però l'impressione che tutti i cambiamenti del mostro fossero a causa sua, così come la sua esponenziale forza.

Dobbiamo far scendere Mikey da lì” urlò Donatello, schivando una pedata di lame ventose e rotolando con una capriola all'indietro. L'asfalto lì dove era pochi istanti prima si era disintegrato e risaliva verso il cielo in minuscole schegge, assorbito in un attimo dal vortice.
Se la creatura l'ha scelto c'è ben poco da fare. Deve capire da solo come batterla. Noi dobbiamo solo cercare di non farci uccidere” rispose Leonardo, correndo anche lui distante, la bolla protettiva ormai scoppiata minuti prima sotto un violento attacco.
Raphael provava ancora a colpire con il fuoco di tanto in tanto, ma l'esito era sempre lo stesso: sì, l'aria alimentava per un po' le fiamme rendendole più violente, ma a lungo andare le soffocava completamente, senza traccia di danno.

Un turbine si alzò di nuovo e il mostro si trasformò in un dragone dalle mille ali, e Mikey era ancora sulla sua groppa, sempre più euforico.
Quella creatura era sua, quel potere era suo, lo sentiva fluire nelle vene, sentiva la mente vagare nelle sconfinate possibilità che aveva, tutto ciò che avrebbe fatto, che avrebbe conquist-

No” disse una voce nella sua testa.
Era la sua testa voce? Era di qualcun altro? Era stata secca e perentoria e sgradevole, nel volergli negare qualcosa.
Lui poteva avere tutto, nessuno poteva frenare il vento, nessuno avrebbe mai potuto.
Inafferrabile, potente, sconfinato.

Ma quel no gli rimbombò di nuovo dentro, più forte.
E di colpo si ritrovò a vedere per davvero ciò che stava accadendo e a sentire le emozioni della creatura come scisse da sé: era euforia pura, era immaginazione, era creatività.
E lui l'aveva alimentata per tutto quel tempo con le sue sensazioni così simili, aizzandola senza volere contro i suoi fratelli.
Doveva fermarla, lui, e l'unica cosa che gli venne in mente fu proprio di bloccare la mente.
Cancellare completamente sensazioni, emozioni, ricordi e pensieri e meditare nel nulla, sperando che quella fosse l'idea giusta.

Chiuse gli occhi e si concentrò e liberò la mente, allontanandosi sempre più dalle lusinghe del nucleo della creatura, lasciando andare ogni cosa, ogni preoccupazione, ogni emozione.
Solo vuoto e calma. E niente.
Immediatamente, il mostro ventoso si fermò. Sembrò ruggire contro quella svolta inattesa, ma per quanto urlasse, niente arrivava nel vuoto di Michelangelo, e la sua forma diminuiva sempre più, sempre più, le folate via via più deboli e delicate.

Sì, ci sta riuscendo!” esultò Leo, che con i fratelli assisteva al veloce deterioramento della creatura.

Con un ultimo mugghio il mostro esplose in spire di vento che salirono al cielo e scomparvero nell'aria, disperdendo i grossi nuvoloni neri.
I rumori normali, un lieve cinguettio lontano, gli dissero che era davvero finita.

Mikey era seduto al centro di una grande voragine spazzata dal vento e guardava un ciottolo bianco che teneva nella mano.
Era raggiante e persino un po' più assennato.

Il simbolo si illuminò di giallo, -era un triangolo con la punta in su tagliato in orizzontale da una linea,- e una folata di vento lo avvolse gentile, sollevandolo di poco dal terreno.
Sorrise nel guardare le loro espressioni sorprese.

Adesso giochiamo alla pari” esclamò contento, già completamente padrone del nuovo potere.

Ne furono colpiti e tutti già pensavano che erano ormai a quota tre e che se tutto era predisposto come immaginavano, mancava solo un elemento all'appello.




Note:

Buon giorno!
Ci stiamo avvicinando sempre più alla fine di questo arco di nemici magici, ancora poco e sapremo cosa accade.

Finalmente ho messo la O'Neill tech! È una compagnia che appare in fast forward (sesta stagione), quando le turtles finiscono nel futuro e conoscono Cody Jones, discendente di Casey e April.
Quindi, ora getteranno le basi di quella che sapranno essere un successo assicurato, e April tornerà a creare ed inventare. Casey ha competenze meccaniche, quindi anche lui è parte fondamentale. E Don è il socio fantasma, ma che poi ha lo stesso peso degli altri in effetti.

Il capitolo 32 arriverà prestissimo!

Vi abbraccio fortissimo e vi ringrazio ancora!



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Capitolo 32
*** We will rock you ***


Acqua. Fuoco. Aria.
Tre elementi naturali, nelle mani di altrettante tartarughe mutanti.
Completamente soggiogati al loro volere.

Mikey rigirò il ciondolo nelle mani per tutto il tragitto, con un gran sorrisone felice: di tanto in tanto gli scappava un piccolo soffio di magia dalle dita, che scompigliava i capelli di April seduta accanto a lui.
Mikey, stai attento con quello o te lo sequestro” lo minacciò Don, ovviamente senza essere preso sul serio.
Solo lui poteva toccare il monile, perciò nessuno poteva toglierglielo.

Hai visto cosa può fare, cerca di non strafare” incalzò Leo dal posto di guida, lo sguardo fisso sulla strada.
Michelangelo continuava a sorridere, rollò solo appena gli occhi per le loro raccomandazioni, e si affrettò a mettere il ciondolo al sicuro nella taschina della tuta, con la promessa mentale di assicurarlo con un cordino non appena messo piede al rifugio.

Il loro arrivo a casa era atteso.
Steve, Angel e Casey parlottavano con Splinter, quando arrivarono, poco distanti dall'entrata. L'uomo si gettò in avanti non appena li vide e corse verso April, controllando che stesse bene.

Tutto ok, Case, dove sono i bambini?” domandò lei, guardandosi attorno.
Da mia madre. Pensavo fosse un'emergenza e sono corso qua.”

Com'è andata?” chiese Steve impaziente, squadrandoli uno ad uno, in cerca di ferite o ciondoli magici. Avevano solo pochi graffi, fortunatamente.
Ma Mikey sorrideva così apertamente, che la sua attenzione fu subito su di lui.
Sfilò dalla taschina il nuovo ciondolo e lo tenne alto davanti al viso, come un trofeo guadagnato con orgoglio.
Un bagliore giallognolo, e uno spiffero giocoso scompigliò i capelli di Steve, dapprima sorpreso e poi divertito, anche dalla contentezza di Mikey.

Un mostro di aria” mormorò quello con teatralità.
Raccontò con grande dovizia di particolari, alcuni anche esagerati, della nuova creatura e di come fosse riuscito a batterla, catturando l'attenzione di tutti, anche di quelli presenti alla lotta: avevano sì visto lo scontro, ma non sapevano come fosse andata davvero.

Quindi... manca solo la Terra” suggerì timidamente Steve, a nessuno in particolare.
Probabilmente. Se davvero si tratta solo dei quattro elementi” rispose Donatello, facendo spallucce.
E cosa succederà quando li avrete tutti e quattro?”
Non lo so. Forse apparirà chi li ha evocati o forse tutti insieme evocheranno qualcosa o qualcuno o... non lo so. Magari perfino una nuova prova. Dobbiamo solo aspettare.”
Le parole di Don sembravano stranamente sfiduciate, lasciavano trapelare la sua frustrazione nel non sapere, nel brancolare nel buio.

Era ormai notte e decisero di terminare lì la riunione. I quattro umani andarono via e rimasero solo i quattro mutanti, con tre ciondoli a disposizione e mille domande.
Don avvisò Mikey di raggiungerlo in laboratorio per sintonizzare il tracciatore sulla frequenza del suo, ma non prima di aver controllato l'occhio di Raphael.
Nello scontro contro la creatura d'aria la benda si era strappata e sfilacciata, ed era ormai solo una esigua striscia sporca e malandata.

Trascinò quasi di peso il fratello nel suo laboratorio e lo fece sedere nel lettino, poi disfece con mani ferme quel poco di garza rimasta.
La palpebra si era ormai cicatrizzata da tempo, anche se il segno sarebbe rimasto per sempre, un taglio netto, trasversale, color verde pallido.
Era l'occhio il problema. Ormai sarebbe dovuto essere guarito del tutto, ma tra allenamenti e sforzi non previsti, anche la sua guarigione ne aveva risentito.
Non che fosse un deterrente. Niente avrebbe fermato Raphael dal combattere, in quel momento più che mai.

Apri la palpebra” chiese, gentilmente.
Ci volle qualche secondo più del necessario perché suo fratello ci riuscisse, e non senza sforzo, ma fece finta di non aver visto. Controllò con una piccola torcia la reazione della pupilla, lo scrutò nel profondo di essa come se volesse leggerci la sua anima.

Come vedi?” domandò, continuando a osservarlo.
Raphael spaziò con lo sguardo di fronte a sé. Prima con entrambi gli occhi, poi chiudendone uno alla volta.
Don continuava ad aspettare, senza abbandonarlo un attimo.

Va bene, ci vedo” mormorò in risposta, asciutto.

Il genio lasciò andare il sospiro che aveva trattenuto, senza esserne conscio.
Sapevo che lo avresti detto. Non mentire, Raph. Non vedi bene.”
Il fratello non sembrò sorpreso che lo avesse scoperto, o che non gli avesse semplicemente creduto.

Vedo... sfocato. Come se ci fosse poca luce” ammise forzatamente, ormai sarebbe stato stupido cercare di mentire ancora.

Don esalò angosciato, cercando di non farsi scoprire. Conosceva Raphael e sapeva perfettamente come fosse fatto, sempre a nascondere il dolore o le ferite o le preoccupazioni, ma quello era serio.
Come poteva non rendersene conto?
Si passò una mano sulla faccia, di colpo molto stanco. Si lasciò cadere sulla sedia lì vicino.

Purtroppo non può guarire. Peggiorerà progressivamente, la luce molto intensa ti darà sempre più fastidio, finché non perderai del tutto la vista. Ci vorranno anni, forse, ma non si può invertire. Capisci cosa vuol dire?”

Raph non reagì alle sue parole, non mostrò nessuna emozione, ma c'era risentimento nella sua voce, quando rispose.
Sì. Vuol dire che perderò il senso della profondità. Vuol dire che non potrò più lottare.”
Donatello annuì piano, sorpreso.

Per favore, smettila. Smetti di lottare, smettila di fregartene di te stesso” lo supplicò allora, a voce bassa.
Lo sai che non posso.”
Dopo... dopo tutto questo. Promettimi che dopo che avremo risolto questo mistero, qualsiasi cosa succeda, tu smetterai di lottare. È pericoloso.”
Raphael sembrò pensarci per davvero, ma una parte di sé gli diceva che probabilmente, anche se avesse acconsentito, sarebbe stata solo una bugia.

D'accordo” ribatté troppo in fretta Raph e a Don si strinse il cuore di delusione.
Ma tu non dire nulla agli altri” aggiunse alla fine.

E fu il turno di Donatello di mentire. Annuì in silenzio, ma sapeva che una volta finita quella avventura avrebbe messo al corrente il sensei e i loro fratelli, per costringerlo a non lottare più, e che quella sarebbe stata la missione più impegnativa di tutte.
Raph sembrò sollevato della sua risposta e si diresse verso la porta, scontrandosi quasi con Michelangelo, apparso dal nulla per consegnare il ciondolo al genio.
Un fratello uscì e uno entrò.

Mikey poggiò il monile sulla scrivania, con un tocco sordo.
Ma restituiscimelo in fretta, ok?” esclamò impaziente, ignaro delle preoccupazioni di Donatello, che non si accorse nemmeno della sua richiesta.


Ci mise relativamente poco a mappare il segnale del ciondolo di Michelangelo, così una volta restituitoglielo, il fratello poté unirsi agli altri negli allenamenti.
Fortunatamente il dojo era costruito con la magia, perché Don dubitava che una stanza normale avrebbe mai potuto resistere al potere di tre elementi che si scontravano e lottavano gli uni contro gli altri.
Era quasi impossibile ormai rimanere all'interno, se non in possesso di un potere.
Era un continuo stridere di lame di vento e gorgogliare di colonne d'acqua e crepitare di pozze infuocate. Tutti contro tutti.
E avevano anche avuto la faccia tosta di fargli pressione perché si allenasse con loro, per potersi preparare per l'ultimo elemento, che avevano già deciso dovesse essere suo. Ovviamente aveva rifiutato e si era rinchiuso nel laboratorio per lavorare sul tracciatore, per unire le nuove scoperte al programma e potenziarlo ancora.

In un paio di giorni pensava di averlo messo a punto, ma poi, con la sua solita pignoleria, si mise a controllare e ricontrollare i progetti, rifacendo a mente i conti matematici per assicurarsi che non ci fossero errori.
E si immerse in quella occupazione, attento ad ogni dettaglio, così assorto da non notare quasi quello che aveva attorno.

Poi, un lieve e ritmato suono spezzò il silenzio, e un flebile lampeggiare attirò la sua attenzione. Don fece cadere il foglio che teneva in mano e corse verso il tondo segnalatore poggiato sulla scrivania: un puntino luminoso appariva e spariva ad intermittenza, vicino al bordo del quadrante. Premette un paio di pulsanti, studiando attentamente il reticolato che rimpiccioliva sempre più.
Scappò fuori dal laboratorio, dritto verso il dojo.

Il prossimo!” esclamò, fermando l'allenamento dei suoi fratelli. Raphael si spense all'istante e Mikey ne approfittò per colpirlo ancora un volta con un colpo di aria.
Il prossimo cosa?” chiese il leader, infrangendo la bolla che lo conteneva.
Il prossimo mostro! Dobbiamo sbrigarci!”

Tutti e tre lo guardavano con la stessa identica espressione attonita.
Raphael sollevò il braccio destro e fece oscillare l'innocuo ciondolo bianco legato al polso.

No, nessuna luce magica. Non c'è nessun mostro.”
Sì, invece! Il mio tracciatore... indica un segnale sotto Central Park. Non so di quanto anticipi la comparsa della creatura, ma è lì che apparirà!”
Donnie, non è possibile. I ciondoli non si sono illuminati e sono passati pochi giorni dal mostro di aria, è troppo presto” cercò di farlo ragionare Leonardo.

Donatello si inalberò e la sua voce salì, allungò sotto il loro naso il congegno col puntino lampeggiante.
La creatura apparirà tra poco! Io vado a controllare, con o senza di voi!”
Era così sicuro e il suo tono così urgente, che i fratelli pensarono che non c'era nulla di male nel controllare, se poteva rassicurarlo; nel peggiore dei casi avrebbero fatto un giro a vuoto.

Uscirono a piedi dal portone principale, perché il genio era certo che la nuova creatura sarebbe apparsa sotto terra e quindi percorrere le fogne era di certo il modo più veloce e nascosto di arrivarci.
Donatello in testa, che controllava il tracciatore, si infilarono nei cunicoli puzzolenti, con la pressante sensazione che fosse davvero un falso allarme.

Perché pensi che sarà qui sotto?” domandò ad un tratto Michelangelo, che lo distanziava solo di qualche passo.
Il segnale, indica il nostro vecchio rifugio. Sono sicuro che non sia un caso” rispose Don, col viso fisso di fronte a sé.
Il loro rifugio sotto Central Park, in cui avevano vissuto fino a che i golem di Gregor non lo avevano distrutto nella ricerca di Raphael. Era stato il terzo posto che avevano chiamato casa, prima di tornare al secondo, loro attuale dimora, ricostruito da Isabel con le pietre degli Y'Lyntian.
Avevano lasciato dei buoni ricordi, laggiù, e il pensiero che il quarto mostro potesse apparire proprio nel suo grembo non sembrava una coincidenza.

Tuttavia erano tutti molto scettici sulla possibilità che una quarta creatura, probabilmente quella di terra a fare i calcoli per esclusione, apparisse proprio lì, in quel momento, senza nessun segnale. Non quello dei ciondoli per lo meno.
E nonostante sapessero che Don fosse un genio, non erano certi che il suo congegno potesse addirittura prevedere l'apparizione della magia.

Continuarono lo stesso ad avanzare, ormai vicini. Riconobbero i segni della distruzione, all'inizio lievi e radi, poi via via più consistenti, che i golem di Gregor avevano seminato nel loro tragitto verso la loro antica casa.
Nessuno era mai andato a riparare gli evidenti danni alle tubature e ai cunicoli, dallo strato di polvere sembrava che nessuno fosse mai nemmeno andato a controllare e in un certo senso il pensiero li tranquillizzava, sapevano che era una zona sicura e non sarebbero incappati in umani.
Mancava poco all'entrata, quando la terra sotto i loro piedi tremò.

Una scossa leggera, un frammento di secondo, ma si bloccarono tutti e si guardarono allarmati: blu, rosso e giallo lampeggiarono contemporaneamente e poi le luci crebbero e crebbero, riempiendo il condotto, correndo verso la loro meta.
Don non disse nulla, accelerò però il passo e si lanciò in avanti, preoccupato; qualche altra lieve scossa riecheggiò.
Il rifugio era nello stesso stato di distruzione e desolazione in cui l'avevano abbandonato, con le pareti crollate e le macerie che ingombravano il pavimento, macchiato da pozze di liquami ormai secche da tempo.
Il bagliore dei ciondoli era ormai fisso e accecante, provarono tutti a schermarli, poi si spensero di colpo. Contemporaneamente il terreno vibrò e sembrava volesse gettarli a terra dall'impeto con cui tremava, sempre più forte, sempre più violentemente.

Cercate riparo!” urlò Donatello, occhieggiando il soffitto già mezzo distrutto che minacciava di crollare del tutto sulle loro teste.

Non c'era però alcun riparo. Il precedente scontro coi golem aveva risicato le mura e fatto crollare quasi completamente il rifugio su sé stesso, non c'erano più nemmeno i muri portanti o archi abbastanza resistenti che potessero sopportare le scosse di terremoto.
Un grosso detrito cadde giù e si schiantò a mezzo metro da loro.

Andiamo via!” incalzò allora il genio, proteggendosi la testa con un braccio come meglio poteva.
Sembrarono quasi d'accordo con lui, vide Leo annuire pensieroso e Mikey valutare la situazione.

Nella scossa successiva, prima che potessero anche solo muovere un passo per scappare, le macerie tremarono con più violenza, così tanto che parevano quasi vive: un grosso masso poco distante sembrò respirare. Si sollevò d'improvviso sotto i loro occhi e così quello accanto e un altro e tutte le pietre iniziarono a muoversi e vorticare, sempre più vicine, sempre più compatte e Donatello capì ancora prima che tutto finisse cosa stava per accadere.
Prima si formarono gli enormi piedi, sbozzati, poi le massicce e tozze gambe, il busto un grosso macigno, lunghe braccia e mani rozze e una piccola testa dai lineamenti appena accennati.
Cigolò al primo movimento, il roco raschiare di roccia contro roccia.
Un golem.

Occupava ogni spazio dal pavimento al soffitto e individuatili, iniziò a muoversi verso di loro e ogni passo era una violenta scossa di terremoto.
Barcollarono e ondeggiarono e non c'era alcun appiglio che potesse aiutarli.
Raphael si accese in un istante, rubando l'ossigeno attorno a loro.

No, Raph!” urlò Donatello, sorprendendolo tanto per il tono spaventato da spegnere all'istante le sue fiamme.
È pericoloso. Lo spazio è stretto e rischiamo di bruciare vivi!”

Leo e Mikey si guardarono in faccia e pensarono entrambi che forse anche i loro poteri non erano indicati in quella minuscola trappola in cui si era ficcati, e forse non era un caso; la creatura doveva essere affrontata senza l'aiuto degli altri elementi.
Vai, Don” sussurrò Michelangelo, indietreggiando insieme agli altri due fratelli.
Vai? Cosa vuol dire vai? Cosa ti aspetti che faccia?” sbraitò il genio, prendendo comunque il Bō nelle mani, forse più per sostegno morale che davvero come arma di offesa.
D'altronde era pur sempre uno stecchino in confronto a quel gigante di roccia.

È il tuo elemento, fai qualcosa!” gli urlò ancora dietro il fratello, con quel tono fiducioso che iniziava un po' a dargli sui nervi.

Non è il mio elemento! Non puoi deciderlo solo per esclusione!” ribatté sempre più arrabbiato.

Le scosse erano sempre più forti, la creatura sempre più vicina e lui non sapeva che fare, razionalmente, che era la sua qualità migliore, non sapeva che fare.
Tanto per cominciare quel golem era diverso da quelli di Gregor o da quello inviato dagli Shisho: non aveva alcuna pietra luminosa, il solo punto debole che conoscesse; e poi, la Terra era l'elemento più complicato, l'elemento tangibile, materiale: a differenza degli altri tre, non poteva essere penetrato con la misera forza fisica.
Leonardo era stato inglobato nell'acqua, Raphael avvolto dal fuoco e Michelangelo fuso col vento, ma lui, lui non poteva correre verso un golem di quattro metri e pretendere che non finisse con una capocciata contro cinque quintali di pietra.

Tutto intorno a loro cadevano detriti e polvere, e le scosse dovevano sentirle anche in superficie, ormai.
Indietreggiò ancora e presto sarebbe finito incastrato da qualche parte. Sentiva i respiri d'attesa dei suoi fratelli e tutta la pressione e la fiducia che gli gettavano addosso.
Doveva fare qualcosa. Ma il suo cervello sembrava in tilt.
La creatura scatenava scossoni ad ogni passo, ma oltre a quello non sembrava intenzionato ad attaccare, non mostrava la stessa aggressività o furia delle altre tre, anzi; sentiva, no, sentiva, al di là dei cinque sensi normali, qualcosa emanare dall'agglomerato di pietre e roccia, una sorta di mente, che ragionava e osservava, pensava.

Riusciva a percepirlo anche a quella distanza e si chiese se non fosse quello che intendevano i suoi fratelli quando parlavano di aver sentito il nucleo delle creature, quel qualcosa che le muoveva e le spingeva ad agire, una sorta di matrice creata da emozioni.
Ma quello che lui sentiva era pura logica e analisi, e quelle non erano emozioni.
Erano assenza di emozioni.
Si sentiva valutato e scrutato.

Si limitò a correre e a distanziarlo, ad evitare che si avvicinasse a lui, ma non importava quanto veloce si muovesse, il golem lo individuava sempre e si rimetteva all'istante nella sua direzione, anche se con i suoi passi lenti e ponderati.
Lo aveva preso di mira, forse proprio per esclusione, perché sentiva che gli altri tre mutanti avevano già ognuno un elemento.
Era una scelta di ripiego, lui? Eppure sentiva che ormai, presolo di mira, non avrebbe potuto scappare senza trascinarsi dietro la creatura e che quindi, volente o nolente, doveva trovare il modo di batterla prima che creasse troppi danni. Nella teoria era tutto giusto, nella pratica invece fuggiva e basta, saltando le macerie e gli ostacoli.
Non riusciva davvero a capire cosa fare.

Don! Fai qualcosa!” lo spronò il grido roco di Raph, che scansava come poteva la pioggia di detriti, insieme agli altri. Le scosse aumentavano di forza e durata.
Scappate! O riparatevi con la bolla di Leo” urlò di rimando, non sapendo cosa altro pensare. Di certo anche il pensiero che potessero finire sotto una frana non lo aiutava a ragionare con lucidità.
La terra tremò forte, ancora e ancora, e iniziò a squarciarsi, una voragine nera che si aprì in fretta sotto i loro piedi. La presa franò e Mikey scivolò giù con un urlo, ma Leo fu veloce e lo afferrò in tempo per un braccio, prima che venisse inghiottito dal baratro.
Dopo un attimo Raph si gettò in avanti e gli diede una mano a sollevare il fratello, e tutti e tre indietreggiarono verso il muro alle loro spalle, mentre lo squarcio si apriva sempre di più in lungo e in largo.

Donatello esalò un sospiro, lasciando andare la paura che lo aveva assalito, poi si concentrò sulla creatura, deciso infine a fare qualcosa, per proteggere i suoi fratelli, almeno.
Si fece forza e si scagliò in avanti una volta, col bastone alto sopra la testa, e vibrò un potente colpo allo stomaco del golem, con tutta la sua forza.
Con un sonoro schiocco, l'arma si spezzò in minuscole schegge che volarono in ogni dove e tutto ciò che gli rimase in mano fu un moncherino di legno rotto e il doloroso contraccolpo che correva per le braccia.
Ecco, pensò, proprio quello che sapeva sarebbe successo, ma aveva dovuto provarci.
E ormai non aveva più nessuna idea.

La creatura continuò ad avanzare verso di lui senza tentennamenti, senza averlo nemmeno sentito, quel colpo, senza ostacoli.
E ogni passo era una scossa e spazio in meno per pensare e tempo in meno per agire.
Si sentiva pressato.
Il suo cervello, la sua arma più potente, era più inutile del suo Bō distrutto.
Come poteva arrivare al nucleo e cosa doveva fare per distruggerlo?

Il golem torreggiava su di lui, ormai a distanza di un respiro.
E di nuovo, quella sensazione si fece forza prepotentemente, stavolta con più forza: era pura logica e calcoli, per qualcosa, come se il nucleo, o chi lo aveva progettato, stesse valutando un progetto importante, tirando le somme per realizzarlo.
E lui era parte di quel qualcosa, lo sentiva. E ne erano parte i suoi fratelli.
Doveva solo sconfiggere la creatura e dopo avrebbero avuto le risposte.
Ma come, come?

Dietro c'erano montagne di detriti e massi, davanti il golem. Quello si fermò infine e il terremoto sembrò scemare appena di intensità: sollevò un grosso braccio di pietra, inesorabile.
Avrebbe potuto scansare, reagire o almeno provare a pararlo. Ma non lo fece.
Le grida dei suoi fratelli gli arrivarono, lo spronarono, ma era tardi.

Non so come devo combatterlo” ammise a voce alta, senza guardarli.
Il pugno di roccia calò violentemente e Donatello strinse appena le palpebre, attendendo l'impatto, sperando che accadesse anche qualcos'altro, oltre il dolore.
Ma quello non arrivò mai, e dopo qualche istante aprì completamente gli occhi, sorpreso: il golem si era fermato con il pugno chiuso a pochi centimetri dalla sua faccia ed era completamente immobile.

Lo scrutò attentamente per valutare che non fosse una trappola, ma era alla sua completa mercé, per quale motivo avrebbe dovuto comportarsi così, in fin dei conti?
Aveva fatto qualcosa che lo aveva fermato. Aveva trovato la chiave di svolta?
Ma cosa? Era stato il suo non reagire? La sua arrendevolezza?
No, non aveva senso.

Cercò di pensare a quello che aveva sentito, al nucleo. Logica, intelligenza, calcoli e valutazioni, conoscenza... era come lui, era in un certo senso lui.
E il contrario della conoscenza era l'ignoranza, il non sapere.
Ammettendo ad alta voce la sua totale ignoranza aveva forse incrinato il centro della creatura?

Sorrise, di sollievo e di fortuna.
Non so come sconfiggerti” disse, pacatamente, allungando il pugno chiuso e battendolo contro quello del golem: una forte e ultima scossa di terremoto lo percorse e slegò le sue magiche giunture e lo fece crollare, sasso dopo sasso in una frana rumorosa e polverosa.
Poi la scossa terminò, la frana anche e rimase solo una nube di polvere nell'aria.
Silenzio.

Don?” chiamò piano Mikey, che lo aveva perso di vista.
Una figura emerse dalla nuvola di pulviscolo, il braccio teso di fronte a sé e nella mano un ciondolo bianco.
Donatello sorrise timidamente, un sorriso che divenne più grande quando esultarono.
Poi tornarono tutti seri, di colpo, pensando esattamente la stessa cosa.
Avevano tutti e quattro gli elementi. Sarebbe successo qualcosa. Ne erano certi.

Si guardarono attorno in allerta, aspettando che apparisse qualcuno o qualcos'altro, ma i minuti passarono e non accadeva nulla.
Forse...” provò Don, allungando il suo nuovo ciondolo verso gli altri. I suoi fratelli capirono e, staccatili dai cordini, fecero in modo che i quattro si toccassero: si illuminarono per un secondo di rosso, blu, giallo e verde, poi ritornarono nel loro stato di quiete.
E ancora non accadde nulla.
Eppure sentivano che non era finita, non poteva essere tutto lì.
Ma qualunque cosa ci fosse dietro, dovevano attendere ancora.

Conservarono ognuno il proprio ciondolo, poi diedero un'ultima occhiata al vecchio rifugio ancora più distrutto e infine si incamminarono verso la loro casa, logorati dal tarlo dell'attesa, ancora più pressante perché non sapevano cosa dovessero attendere.



Note:

Buona notte.
È passato tanto, molto tempo. Non è stata la mia pausa più lunga, ma è stata la più sofferta, perciò mi è sembrata molto di più.

Dall'ultimo aggiornamento è accaduto di tutto e purtroppo a volte la vita ci tiene particolarmente a prenderci a schiaffi e a ricordarci quanto insignificanti siamo, quanto dura essa sia. Questo è tutto quello che posso dirvi, per giustificare il mio ritardo.
Tuttavia, e ne faccio un punto di vanto, mi pregio di essere una persona testarda nonché di parola, perciò niente può davvero tenermi lontana dallo scrivere e dal finire questa serie, soprattutto. Magari ci vorrà più di quanto avevo previsto, ma la finirò.

Ormai siamo agli sgoccioli con il mistero delle creature magiche, già dal prossimo capitolo capirete, ci sarà una svolta.
Poi mancheranno meno di dieci capitoli alla fine.

Vi ringrazio umilmente, dell'affetto che mi mandate, anche quando sono lontana, siete persone gentilissime e dall'enorme pazienza. Sono fortunata che leggiate la mia storia.

Grazie, un grandissimo, profondissimo abbraccio

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Capitolo 33
*** Void. What doesn't exist in mortal life ***


Avevano raccolto i quattro ciondoli dei quattro elementi base.

Non pensavano ce ne fossero altri, erano davvero convinti che quei quattro fossero gli unici e che perciò da un momento dovesse accadere qualcosa, forse l'arrivo di un mostro potente come al livello finale di uno dei giochi di Mikey, forse direttamente l'artefice di tutto quello, un mago prodigioso che avrebbero affrontato, facendosi spiegare cosa potesse mai volere da loro.
Di certo, quello di cui tutti erano certi, era che sarebbe accaduto da un momento all'altro. Niente più che pochi giorni, perché le apparizioni degli elementi erano state sempre più vicine nel tempo, perciò non avrebbero dovuto aspettare molto.

Donnie si sbrigò a inserire il segnale del suo ciondolo nel tracciatore, poi iniziò ad allenarsi anche lui coi suoi fratelli, ma erano sempre tutti sottilmente sul chi vive, sempre distratti, sempre con la testa tesa a percepire una nuova minaccia, qualcosa che doveva accadere.
Perché non poteva essere tutto lì.

A volte, anche se nessuno di loro lo aveva mai confessato agli altri, li prendeva la paura che in realtà non sarebbe successo davvero nulla, che semplicemente avrebbero continuato con le loro vite di sempre, solo con in più quei ciondoli magici, senza sapere mai perché, senza scoprire mai chi ci fosse dietro.
Ma non era possibile, no? Perché qualcuno avrebbe dovuto creare disastri di quella proporzione, tutto quel casino, per poi lasciare tutto così, incompiuto?
Sarebbe successo qualcosa.
Doveva.
Continuarono a crederci. Anche dopo che un'altra settimana era passata e mancavano ormai pochi giorni alla fine di Luglio; ma per allora di certo sarebbe successo.

Gli allenamenti seguirono e Donatello imparò a controllare perfettamente il suo potere, dal creare terremoti semplicemente pestando un piede al far spuntare costoni di roccia con un gesto della mano, in pochissimo tempo riuscì a padroneggiarlo appieno; il suo ciondolo, legato al collo, aveva il simbolo di un triangolo con la punta verso il basso tagliato in orizzontale da una linea, che si illuminava di verde ogni volta che usava la sua magia.
Non c'era più niente di anomalo, in città.
Temperature normali per la solita estate torrida, ragazzini in ferie, i lavori per ripristinare le strutture danneggiate erano già iniziati e dalle menti della gente era già sparita la preoccupazione per tutto quello che era successo, già dimenticato dalla frenesia della città.
Era... seccante. Perché per loro niente era finito.
Ogni giorno era un'attesa infinita, ancora più lunga perché il sentimento era condiviso e i dubbi di tutti si accumulavano fino allo spasmo.

Arrivò la fine del mese, l'ultimo giorno di Luglio, e ancora nulla. Si stavano allenando come al solito nel dojo, solo loro quattro, ormai anche il sensei sentiva che non era prudente rimanere lì dentro in balia degli elementi.
Gli umani ovviamente se ne tenevano alla larga senza tanti complimenti, anche se incuriositi e galvanizzati da tutto quel mistero e dai loro nuovi poteri; quindi anche se non si allenavano più con loro, Steve era soprattutto il più penalizzato, tutti erano alla costante ricerca di informazioni e si erano raccomandati di avvisare nel caso succedesse qualcosa.

Gli allenamenti magici non erano solo... magici, ma comprendevano anche allenamenti fisici mescolati a quelli più esoterici: era stata una regola di Raphael, che li aveva spiazzati se dovevano essere sinceri, per non fare troppo affidamento sulla magia, nel caso in cui poi avessero perso i loro poteri al momento clou, senza preavviso.
C'era così tanta maturità in quell'avvertimento, così tanta Isabel nei suoi pensieri quando l'aveva pensata, che tutti si dissero d'accordo immediatamente.

Interruppero per qualche istante la sessione di allenamento, le fiamme, il vento, l'acqua e le rocce si fermarono e scomparvero e i quattro medaglioni smisero di brillare.
Ci fu così tanto silenzio finalmente che sentirono il sensei sospirare di sollievo nella stanzetta da meditazione. Chissà quanto fastidio gli avevano dato sino a quel momento.

Mikey si sedette un attimo sul pavimento, mentre Don andava in cucina a prendere da bere.
Aveva sacrificato le invenzioni in quell'ultimo periodo, anche e soprattutto a sfavore della nascente O'Neill Tech, che un po' si sentiva in colpa. Prese quattro bottigliette dal frigo, facendosi solenne promessa mentale di lavorare il doppio una volta finito tutto quello, per aiutare la sua amica a far decollare il progetto.
In fondo era anche il suo progetto, era sì un socio fantasma, ma avrebbe preso la sua bella fetta una volta avviato.

Stava tornando indietro, quando sentì Michelangelo chiamare il suo nome.
Corse stringendo le bottiglie al petto e aprì la porta del dojo con un calcetto e si sorprese nel vedere che c'era anche il sensei, probabilmente richiamato dalle urla di Mikey; il fratello era al centro del gruppetto e teneva nella mano il suo tracciatore.

Si è illuminato. Ma non indica nulla” disse quasi scusandosi, passandoglielo.

Donatello stava già preparando mentalmente i rimproveri nel caso lo avesse rotto, quando lo sguardo si posò sullo schermo del congegno: il piccolo puntino rosso continuava a lampeggiare, in mezzo al bianco. Pigiò un paio di tasti al lato e rimpicciolì la metratura, sempre di più, sempre di più, finché...
Non è rotto. La minaccia non è a New York City!” esclamò più a sé stesso che a loro, scappando dal dojo prima che potessero anche solo aprire bocca.

Lo inseguirono tutti assieme senza una parola e lo trovarono nel laboratorio, che armeggiava già con il computer, e il tracciatore connesso con un cavetto.
Continuò a guardare lo schermo, assorto, ma si accorse di loro.

Nel congegno ho messo solo la cartina della città, convinto che tutto sarebbe successo qua. Che stupido! Anche un po' arrogante a dire il vero. Perciò il puntino segnava il nulla, perché non c'era nulla oltre i confini di NYC.”
Iniziarono a capire, mentre intanto lui inviava le mappe di tutti gli stati nel dispositivo, ad una velocità impressionante.
Digitò ancora rapidamente sulla tastiera, poi saltò su con una espressione euforica e staccò il filo con uno strattone disattento. Pigiò i tasti del tracciatore, controllò lo schermo con attenzione e... trattenne il fiato.

Leo, inizia a preparare il furgone. Prendiamo acqua e un kit di pronto soccorso. Partiamo immediatamente.”

Si mossero tutti in fretta, spronati dalla serietà della sua voce, convinti che avrebbero avuto sin troppo tempo per domandare nel viaggio, così dopo pochi minuti erano tutti già ai loro posti e Donatello ingranava la marcia indietro per uscire dal garage.
Anche il sensei era con loro, quella volta, mentre il genio si era limitato a mandare un messaggio a April, Casey, Angel e Steve per informarli dove stessero andando e di raggiungerli se avessero potuto farlo.

Uscirono dalla città e si immisero nella I-95, accelerando considerevolmente.
Non sapevano di quanto il tracciatore avesse anticipato la minaccia, qualunque essa fosse, perciò raggiungere la destinazione il prima possibile era di vitale importanza.
E ormai avevano capito tutti dove stessero andando e il silenzio era caduto all'istante, spesso e angosciante su di loro.
Raphael guardava distrattamente fuori dal piccolo finestrino del sedile di dietro, assorto sul guardrail con un grosso peso sul cuore.
Stavano andando a Northampton. Stavano andando da lei.

Due ore e mezza sembrarono così lunghe, così lente, nonostante stessero andando il più velocemente possibile, la distanza era troppa; ma con tutto quel tempo, le domande che si crearono nelle loro menti si accavallavano una sull'altra, insieme alle mille teorie.
Arrivarono finalmente nella piccola cittadina che ormai era il calare del sole, e sfrecciarono verso la casa immersa nella campagna, seguendo il segnale: era indubbio, a quel punto, che indicasse proprio la fattoria Jones.

Parcheggiarono di fronte alla casa e scesero coi sensi all'erta, scrutando intorno per captare qualsiasi minaccia, ma c'era solo il fruscio lento del vento tra le fronde degli alberi e lo stridio di uccelli che cercavano riparo per la notte.
E nient'altro.
Erano arrivati troppo presto o troppo tardi?
Non c'era segno di danni, né ne avevano visto nella città quando erano arrivati, perciò erano sicuri fossero in anticipo. Esaminarono i dintorni senza sparpagliarsi troppo.

Raphael si allontanò senza essere visto, diretto verso il limitare del bosco, senza preoccuparsi nemmeno di prendere una torcia: l'oscurità calava in fretta, ma la tomba bianca splendeva quasi nel buio, perciò sapeva perfettamente dove andava.
Si fermò ad un centimetro da essa e guardò le grandi crepe che la solcavano, quello che lui aveva fatto nella sua furia: il segno dei colpi, i frammenti staccati che rovinavano la scritta e i contorni; si chinò, poggiando una mano sopra, accarezzando il marmo e le sue incrinature.
Le dita si fermarono su quella grande che straziava il suo nome.
Isabel. Si leggeva appena ormai.

Mi dispiace” sussurrò a voce bassa, sentendosi sciocco allo stesso tempo.
E quella rabbia c'era ancora tutta e così quel dolore straziante e quel senso di abbandono, ma non li avrebbe diretti più contro di lei o contro sé stesso.
Si accorse della presenza di Leo, lì vicino, probabilmente che lo controllava di nascosto, ma ne fu quasi lieto, gli ricordava che non era solo, anche se non diminuiva la pena.
Si rialzò, scuotendo la polvere dalle dita contro il tessuto della tuta, distrattamente.

Poi, un bagliore rosso esplose dal suo braccio e si accorse di un riverbero azzurro alle sue spalle, in contemporanea.
Da lontano sentì le urla di Mikey e Don, e poco dopo i due arrivarono insieme al sensei, brillando uno di giallo e l'altro di verde.

Sta per succedere!” strillò Mikey continuando a guardarsi attorno freneticamente, l'oscurità illuminata dai loro ciondoli.

Niente si muoveva, nessun rumore estraneo, nessun odore particolare, nessuna luce sospetta, nessun tremore... niente.
Solo il buio della notte ormai scesa, le stelle immobili in alto, molto alto, e i loro quattro fasci di luce splendenti. Si spensero per un attimo e tutto piombò in una spessa oscurità che li spaventò per un attimo, al pensiero di poter essere alla mercé di qualche creatura o di un nemico senza visibilità, poi i quattro ciondoli si riaccesero e rimasero fissi e accecanti.
Era la prima volta che accadeva. E quello li rese solo più consci e guardinghi.

Dopo qualche minuto di controlli e silenzio, finalmente Mikey sbottò:
Voi vedete qualcosa? Io nulla!”
La frustrazione cresceva, quel senso di attesa che non si compiva, quel voler sapere a ogni costo.

Nulla è la risposta giusta” disse d'un tratto il sensei, attirando la loro attenzione.
Tendeva la punta del suo bastone dritto di fronte a sé, oltre le loro spalle, verso il bosco.
Dove credevano le loro luci non arrivassero ad illuminare, mentre si accorsero solo in quel momento che non c'era nulla da illuminare: il bosco non era immerso nell'oscurità, semplicemente non c'era e quello che loro stavano guardando era un foro di puro buio che assorbiva i fasci luminosi. Le stelle erano scomparse su di loro.

È un buco nero?” ipotizzò Donatello, sicuro di non voler sapere la risposta.
Non era di certo un elemento naturale, non uno canonico almeno, e non potevano combatterlo in nessun modo.

Indietreggiate!” ordinò, ritornando su suoi passi.
Se fossero caduti lì dentro, se li avesse assorbiti, sarebbero scomparsi nel nulla. E nessuna magia al mondo li avrebbe mai potuti salvare.

Si spostarono all'indietro, ritornando vicino alla casa, poi si voltarono a controllare: il buco oscuro era sempre lì, all'apparenza immobile, eppure letale.
Crescerà e ingoierà tutto” mormorò il genio, osservando i suoi contorni mangiare un altro centimetro di bosco. “Non so se sia davvero un buco nero, mi pare impossibile, ma si comporta come tale.”
Rimasero impalati a guardarlo, senza sapere che fare.
Se un mostro di acqua, una salamandra di fuoco, un ciclone di aria e un golem di terra erano sembrati ostacoli difficili, quello era di certo impossibile da battere.
Non si batteva un buco nero.
Nemmeno il sensei, dall'alto della sua saggezza, sapeva cosa poter dire ai suoi figli per aiutarli.

Proviamo... proviamo a colpirlo con la magia?” tentennò Michelangelo, dubbioso.
Voglio dire, lo so che probabilmente non succederà nulla, ma almeno proviamo. In fondo, che può succedere?”
Già, che poteva succedere? Tuttalpiù i loro attacchi sarebbero stati vani e ne avrebbero avuto la conferma.

Tutti d'accordo, si misero uno accanto all'altro e allungarono le braccia in avanti: un fiotto d'acqua, un tornello di fuoco, un turbine di vento e una pioggia di rocce eruppero al loro comando e attaccarono la minaccia nera con una furia inaudita, con tutta la forza possibile.
Il buio si mangiò ogni loro energia, i loro attacchi magici sparirono all'interno del nulla, completamente consumati: le braccia ancora tese, rimasero a guardare con rassegnazione mista a sconforto e smisero all'istante di sprecare energia inutilmente.
E all'improvviso, il centro del nulla si tinse di un bianco accecante, che sparì subito.
Si guardarono uno con l'altro, incerti se fosse successo davvero.
Allora, forse, la magia non era così inutile.

Michelangelo fece un paio di passi, ignorandoli.
Dobbiamo entrare” disse, assorto. Guardava nel buco ritornato completamente nero, come se volesse essere ingoiato anche lui.
Cosa?” chiesero contemporaneamente Leo e Don.
Vuole che entriamo” ripeté il fratello, voltandosi infine a guardarli. C'era una serietà nella sua voce, e il suo sguardo non era mai stato più deciso, che li rese certi che per lo meno non fosse soggiogato o ipnotizzato.
E Raphael gli restituiva lo stesso sguardo.

Andiamo.”

Cosa? Fermatevi voi due!” sbraitò Donatello, afferrando Mikey per un braccio. “Siete impazziti? Cosa credete di fare?”
Dobbiamo buttarci” rispose di nuovo quello, come se fosse logico ciò che usciva dalla sua bocca.
Don guardò Leo per cercare aiuto, ma il leader stava fissando il centro del nulla, assorto come in meditazione.

Hanno ragione” disse alla fine, voltandosi anche lui.
Don spalancò gli occhi, inorridito. C'era qualche magia in atto da cui lui era immune?

Fidati, è questo il modo giusto.”

Loro tre si erano già presi per mano e Michelangelo gli tendeva quella rimasta libera, con un sorriso fiducioso.
Una parte di sé voleva scappare da quella follia, l'altra si chiedeva se loro semplicemente non fossero nel giusto; ma scommettere su una cosa del genere significava quasi sicuramente un suicidio di massa. Guardò verso il maestro e quello gli restituì un grande sorriso, calmo, sereno, che lo rilassò all'istante. Sembrava volergli dire di fidarsi.
Donatello afferrò la mano di Mikey, solo con un po' di nervosismo, e poi iniziarono ad incamminarsi verso il buco nero, a passi cadenzati, e la luce salì dai medaglioni e li rivestì, trasformandoli in quattro fari: uno blu, uno rosso, uno giallo, uno verde.

Più si avvicinavano, più la forza del buco li attirava a sé, facilitando il loro compito; non sarebbero potuti tornare indietro nemmeno se avessero voluto.
Ma ormai non sarebbero tornati indietro. Presero una rincorsa e ci si tuffarono dentro, le luci scomparvero nella voragine nera e tutto ripiombò nell'oscurità della notte.
Splinter rimase a guardare, pregando silenziosamente che tutto andasse bene.

Il foro si tinse per un secondo di bianco, sussultò, si tese e tremò, poi esplose: un ciclone nacque dal suo centro e si innalzò al cielo in tutta la sua furia, così violento da sradicare gli alberi ricomparsi un frammento di secondo di prima; straziò il terreno e lo ingoiò, i suoi vortici erano scuri e potenti e sibilavano con il grido stesso della natura.
Il suo interno brillava di lingue di fuoco e mulinelli d'acqua, che vorticavano insieme e poi una scia di rocce, sempre più grosse e compatte.
Girarono, girarono, espandendosi ancora e ancora e poi salendo fino alle stelle.
Brillarono tutti con la stessa intensità, poi il buio.

Il vortice implose su sé stesso, disperdendosi in folate leggere e innocue, lasciandosi dietro la distruzione che aveva portato; non c'era più fuoco, né acqua, né le rocce di prima.
Non c'era nemmeno più un rumore, neanche un sospiro di vento, nemmeno i suoni del sottobosco o il verso di un animale.

Quattro corpi caddero dal cielo, di malagrazia, atterrando più morbidamente di come si si sarebbe aspettato da un'altezza del genere.
Malconci e graffiati, ma vivi.
Vittoriosi in qualche modo, anche se non sapevano come.

Rimasero per qualche istante a terra a riprendere fiato, mentre il loro padre si rilassava al vederli sani e salvi. Non brillavano più, erano tornati normali.
Ci furono mugugni e proteste per le ferite riportate, quando si rialzarono scrollando la polvere di dosso, controllandosi prima personalmente e poi l'uno con l'altro per assicurarsi che stessero tutti bene.
Poi arrivarono anche i sorrisi, la soddisfazione e la gioia.
Ce l'avevano fatta. Ancora le loro menti erano confuse, ma sapevano di avercela fatta.

Si strinsero in un abbraccio veloce, prima di guardarsi infine attorno. Erano a qualche metro dall'origine del vortice e del buco nero, dove le linee concentriche prodotte dal tifone straziavano il terreno, lunghi solchi di terra umida e scura.
Voi ricordate cosa-” provò a dire Don.
Un tocco sordo attirò la loro attenzione e videro il maestro poco distante inginocchiarsi per raccogliere il piccolo monile appena caduto dal cielo.
Bianco, tondo.

Cos'è? Cosa c'è inciso stavolta?” domandò Michelangelo curioso, avvicinandosi per provare a sbirciare.

Il sensei non lo stava ascoltando. Rigirava tra le mani il ciondolo, liscio da entrambe le parti, completamente assorto. Poi, spalancò gli occhi, folgorato.
Tutto era chiaro.
Sorrise tra sé, ma quello non fece che accrescere le domande dei suoi figli.

È la fine di tutto” disse, avvicinando il nuovo monile ai loro, un tocco leggero.
Un sibilo feroce riempì di colpo lo spazio attorno, un fischio che faceva tremare gli alberi, che spazzava il terreno, che scuoteva il loro corpo.

E anche l'inizio” aggiunse poi, toccando per ultimo quello di Leonardo.

L'ideogramma della sua collana si illuminò di azzurro e il ronzio che emetteva diventò più forte: si sollevò dal collo del leader e volò al centro della spirale, come una scheggia impazzita. Lì, esplose in una colonna di luce blu, alta verso il cielo, abbagliante, che illuminava tutto a giorno.
Mizu, l'acqua, rappresenta le cose che fluiscono” esclamò Splinter a voce alta, cercando di sovrastare il sibilo della pietra.

La collana di Raphael risplendette di rosso, pulsando allo stesso ritmo della colonna e si sollevò dal suo polso, come attirata da essa: prima che il mutante avesse il tempo di toglierla, si staccò con uno strattone secco e volò verso la luce, attraversandola con facilità.
Ci fu una seconda esplosione e il pilastro abbagliante si tinse di rosso e il fischio crebbe ancora, un ronzio che sembrava provenire dalla terra stessa.

Hi, il fuoco, rappresenta le cose distrutte” aggiunse il sensei, il cui tono calmo cozzava con quello che stava succedendo.

Mikey e Don avevano capito immediatamente e come in trance si tolsero i ciondoli prima che si strappassero via da soli, per la forza magica che li richiamava a sé.
Quello nella mano di Michelangelo reagì e si unì agli altri, con un bagliore giallo ad avvolgerlo; quando scoppiò nel centro della colonna, la tinse dello stesso colore, splendente come il sole.

Kuuki, l'aria, rappresenta le cose mobili.”

Donatello alzò la mano per permettere alla sua collana, che sapeva essere la successiva, di andare. Quella infatti si rivestì di una deliziosa aura verde e fluttuò nel centro insieme alle sue sorelle, ed esplose in una colonna verde intenso, il colore dell'erba in primavera.
Tsuchi, la terra, rappresenta le cose concrete” continuò a spiegare il maestro, unica voce a provare a sovrastare il sibilo delle pietre, il loro ruggito primordiale.

A quel punto, il sensei fece un passo avanti, con il nuovo ciondolo, che nessuno aveva ancora visto, stretto nella mano: la aprì lentamente e si accorsero allora che aveva preso a brillare di luce bianca, tutta la pietra, come un cuore pulsante.
Venne attratta dal richiamo delle altre e sparì come esse all'interno della colonna, tingendola di un bianco brillante, accecante e caldo, troppo intenso per essere sostenuto ad occhio nudo.

E Kara, il vuoto, rappresenta le cose che non sono della vita quotidiana” finì allora di dire con solennità.

A quel punto, il pilastro di luce esplose con un'onda d'urto che li sbalzò all'indietro, a cui cercarono di resistere coprendo il viso con le braccia e puntando i piedi a terra. Poi, s'innalzò con ancora più forza verso il cielo e il ronzio cessò di colpo, lasciando un doloroso e improvviso silenzio, che pulsava nelle orecchie.
Il centro della colonna incominciò a vorticare, di tutti i colori che aveva assorbito: rosso, blu, una scia di giallo, un tocco di verde, più e più veloce, finché non si mescolarono nello stesso bianco del pilastro.
E d'improvviso, qualcosa iniziò a prendere forma all'interno della luce. Una mano, e poi un'altra, un braccio, un corpo intero emerse dal bagliore, rannicchiato in posizione fetale, mentre appariva sempre più nitido.

Leonardo sentì una mano chiudersi sul suo polso e tremava, tremava così tanto da scuoterlo. Raphael aveva gli occhi spalancati e increduli incollati alla colonna di luce, ma si era aggrappato a lui, senza nemmeno guardare, forse senza nemmeno essersene accorto.
Come un fiore che sboccia, il corpo si stiracchiò e così rimase, a galleggiare a mezz'aria, sorretto dalla luce e dalla magia, come in stato d'incoscienza.
Si sentirono solo i loro respiri trattenuti, un gridolino di Mikey.
Poi, la mano strinse appena la presa, prima di lasciarlo andare.

Raphael percorse quei pochi metri a piccoli passi, come in trance, come posseduto. Ad ogni passo i mille dettagli di lei erano sempre più chiari, sempre più luminosi: la pelle color avorio che rifletteva la luce, i lunghi capelli castani legati in una coda alta che fluttuavano seguendo le onde della magia, il corpo minuto stretto in un Kimono sconosciuto, il bracciale che le aveva regalato all'anniversario ancora al polso destro.
E la collana degli amanti, che reagendo alla vicinanza della sua si era sollevata un poco dal suo seno, verso di lui. La sua faceva lo stesso.

Si fermò con un batticuore feroce e un dolore sordo al centro del petto e poggiò le mani sulla colonna, senza pensare per un attimo che potesse essere rischioso: la luce era calda, ma non gli faceva alcun male e lui si avvicinò più che poté, senza staccare gli occhi da lei, cercando un modo di raggiungerla.
Raph” chiamò la voce di Don, con un tono grave. Di pietà.
Non è possibile che sia-”
Lasciò la frase a metà, ad un cenno di diniego di Leo.

A Raph non importava. Poteva essere un sogno. Un'allucinazione. Un'illusione. L'importante era poterla raggiungere, finalmente.
Isabel” pronunciò sottilmente, come una preghiera.

La luce scemò d'intensità e svanì nel nulla, contro le sue mani. Agì di istinto e allungò le braccia e la afferrò, senza esitazione: era vera, era calda, era morbida, pulsante di vita.
Cadde sulle ginocchia, stringendosela contro. Non per il suo peso, no; lei non pesava nulla.
Ma il suo cuore, il suo cuore era così gonfio di dolore, amore, paura e tutti i sentimenti e le emozioni che finalmente ritornavano, da non poterlo sostenere con le sue sole forze.
Respirò il suo odore, circondò il suo viso con la mano e poggiò la fronte sulla sua, bagnando i suoi occhi ancora chiusi con le lacrime che non poté frenare.
Il suo respiro caldo gli solleticava dolcemente le labbra, così vicine alle sue.

La sua famiglia si avvicinò, timorosa eppure con una nuova speranza nel cuore. Forse, il sensei aveva intuito fin dall'inizio cosa sarebbe accaduto.
Guardarono il loro enorme fratello e figlio chiuso a conchiglia su di lei, singhiozzare tanto forte che le spalle tremavano. Tutto il suo corpo tremava.

Isabel. È Isabel” pronunciò con voce roca, abbracciandola ancora più forte, perché niente gliela portasse via.

E sapevano che, anche se ci avessero provato, non sarebbero riusciti a convincerlo a lasciarla andare. Nessuno gliel'avrebbe più strappata via.
E nessuno sapeva come fosse possibile. Nessuno sapeva cosa stesse in realtà succedendo. Ma in quel momento, nessuno se lo chiese davvero.



Note:
Salve.
Non ho molto da dire stavolta, se non che aspettavo di mettere questo capitolo da così tanto, davvero tanto. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate, le vostre teorie.

In ultimo: grazie, davvero grazie.
Grazie


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Capitolo 34
*** Back to you ***


Era Isabel.

Le sue mani, il suo viso, il suo corpo.
Era Isabel.
La guardavano, confusi ed emozionati, ma era Isabel. Era vera, era reale.
Don si chinò a toccarla, le prese il polso per controllare il battito, beccandosi solo una lieve occhiata apprensiva da Raph, che la strinse più forte.

Si chiedevano come fosse possibile.
A nemmeno cento metri c'era la sua tomba.
E il corpo che riposava all'interno era Isabel.
Lo avevano stretto, pianto, lavato, vestito, pettinato: Donatello lo aveva esaminato minuziosamente per capire se i traumi e le ferite coincidessero con le cause della morte.

Il corpo nella bara accanto a loro era reale quanto la Isabel che c'era lì in quel momento. E lei aveva sempre detto che non c'era metodo, magico o meno, per riportare in vita i morti.
Perciò, qual era la verità?
Qual era quella vera?
Se lo stavano chiedendo tutti, tranne Raphael probabilmente, a cui non importava nulla del perché o del come. E proprio per fugare ogni dubbio, mentre aspettavano che quella Isabel riprendesse conoscenza, si diressero tutti senza una parola verso la lapide, al limitare del bosco.

Fu facile scalzare la lastra già scheggiata, gettando i frammenti lontano nella smania di scoprire; fu molto meno semplice scavare, la terra era arida e compatta, perciò si diedero il turno, alla luce dei fari del furgone, mentre la notte continuava a scorrere.
La pala toccò infine la superficie della bara con un tocco sordo e Leonardo si fermò; guardò i suoi fratelli, poi si chinò per scoprire con le mani la bara.
Ormai erano arrivati. E non erano certi di voler sapere davvero cosa ci fosse dentro.

Il leader si fece forza e, aiutandosi con la punta della pala, forzò il coperchio, prima piano, poi con decisione una volta sicuro di averlo infilzato: non si sentì nessun altro rumore se non il cigolio del legno divelto e il tonfo quando ricadde.
Leonardo lasciò andare la pala e sollevò il coperchio, svelando il suo interno: sui cuscini di raso bianco non c'era niente. Erano intonsi come se non ci fosse mai stato niente.
Solo il vestito con cui l'avevano seppellita, mollemente appoggiato, vuoto, spettrale.
Rimasero a fissarlo in silenzio, mentre Raph, alla sola vista del vestito, strinse più forte Isabel tra le braccia.

Un corpo non può sparire nel nulla e non si può ritornare in vita, quindi davvero non so cosa stia succedendo” mormorò Donatello confuso.

Prima che potessero provare a parlarne, a fare teorie, o a svegliare la dormiente, una frenata improvvisa li avvertì dell'arrivo di qualcuno: rimasero in allerta per capire se dovessero nascondersi, ma poi la voce di Steve spezzò la tensione.
Caspita se guidi male, Casey!”
I loro amici umani circumnavigarono la casa e raggiunsero il retro, trovandoli ancora immobili attorno alla bara scoperchiata: dopo il primo attimo di paura e smarrimento, notarono il corpo stretto tra le braccia di Raphael, intonso, troppo sano per essere vero.

April portò le mani alla bocca. “È... Isabel?” domandò con voce spezzata, i grandi occhi verdi velati di lacrime.
Sembrava volesse gettarsi in avanti e abbracciarla e sincerarsi che fosse lei, che fosse viva e vera, ma lo sguardo spiritato e ossessivo di Raphael, incollato al viso di Isabel, la fece desistere: rimase in piedi accanto al marito, in silenzio, ad osservarli.
Così come fecero gli altri, benché le domande che saltavano alla mente fossero tante, fossero soffocanti.
La tomba era vuota, Isabel era viva, una porzione del bosco era distrutta e nessuno sapeva che dovesse succedere ancora, se fosse tutto lì, se avrebbero mai scoperto la verità.

I bambini?” domandò Leonardo in direzione dei Jones, forse solo per spezzare quell'insopportabile silenzio.
Da mia madre” disse Casey, piano. “Quando abbiamo ricevuto il messaggio di Don le abbiamo chiesto di controllarli e siamo passati a prendere Steve e Angel. Ci è sembrato che fosse urgente e, beh, sembra che avessimo ragione.”
Poi di nuovo, si ammutolirono.
La notte era sempre più scura, c'era una sottile folata di vento che li sfiorava, e tutto sembrava così irreale, sembravano finiti tutti in un sogno così vivido e grottesco, dal quale non sapevano come uscire.

Dovremmo svegliarla” suggerì Donatello alla fine, guardando Raphael.
Il fratello ricambiò lo sguardo, spaventato ed emozionato, in uno scontro interno tra le sue paure e i suoi desideri, ma senza lasciare mai la presa.
Isabel dormiva ancora, ed era strano, con tutta la confusione che c'era stata e che c'era ancora.
C'era una certa rigidità nel suo viso, che non convinceva Donatello.

Sembra come in stasi” disse ad alta voce, mentre ragionava tra sé e sé. “Penso che fosse in uno stato di incoscienza forzato, come un coma.”
Allungò una mano verso il suo viso.

Le do un piccolo pizzico, ok?” domandò piano verso Raph, solo perché non desse di matto.

L'altro occhieggiò per un secondo le sue dita sulla guancia di Isabel, sembrò rifletterci su un attimo, poi annuì lentamente.
Donatello strinse appena e lasciò andare che la pelle non si era nemmeno ancora arrossata.
Le palpebre di Isabel si contrassero, infastidite. Le sopracciglia si arcuarono e le ciglia sfarfallarono una volta, una frazione di secondo, richiudendosi in fretta.
Il corpo si mosse appena, ma Raphael non lo lasciò andare.

Col magone, stettero tutti in silenzio, ad osservare gli occhi aprirsi con fatica.
Castani, vivi, caldi come li ricordavano.
Guardarono su di sé, confusi, nella notte scura e piena di stelle e quelle si rifletterono nelle loro profondità e Isabel era notte, dallo stesso potere misterioso.
Poi, gli occhi incontrarono lo sguardo di Raphael e si fermarono.
Isabel si stupì e nella confusione della sua mente sembrava cercare qualcosa, forse un ricordo: sorpresa e poi emozione affiorarono; sorrise, pianse, e gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte, sempre più forte.
Il suo esile corpo era scosso da singulti, ma non udirono un lamento.

Raphael assorbì il suo calore e qualcosa di duro e crudo si sciolse a poco a poco dal suo cuore. Era avvolgente, era confortante, spazzava via ogni cosa.
Si mangiava via il suo dolore, tutte le sue paure, tutta la disperazione che l'aveva riempito, tutta la rabbia. Tutto quello che gli rimaneva era l'amore.
L'amore di Isabel caldo e benefico, che lo faceva sentire vivo, per cui valeva la pena vivere.
Non esisteva più nient'altro, non il passato, nemmeno il futuro, niente era più importante che quel momento.
Si strinsero con così tanta foga da sembrare volersi fondere una nell'altro, con così tanta disperazione, con così tanto amore; le dita artigliavano, le mani premevano, le braccia avvolgevano. Fiati caldi che si mescolavano, lacrime che purificavano, cuori che battevano all'unisono nel dolore misto a gioia, in un abbraccio infinito.
Gli altri, commossi e confusi, stettero lì ad osservare, incapaci di interrompere.

Raphael piangeva e il suo corpo assecondava i suoi tremori, ogni tanto un singulto lasciava le sue labbra; le lacrime di Isabel gli bagnavano la pelle, il fiato caldo lo solleticava, ma non la sentì emettere un suono.
Si accorse allora che le labbra di lei, poggiate contro il suo collo, si muovevano senza freno, come a mormorare qualcosa in mezzo al pianto.
Solo dopo qualche istante capì che stava pronunciando il suo nome, Raffaello, come una nenia infinita. Una nenia muta.
La allontanò da sé, e non era mai stato così doloroso, e la guardò in viso.
Lei si accorse del suo occhio ferito e con un grido senza suono si gettò su di lui, riempiendo il suo viso di baci, inumidendolo ancora di più. Ma non accadde nulla.

Non hai i tuoi poteri” indovinò Raphael, quando lei prese a piangere più forte al vedere la cicatrice solcargli ancora l'occhio. “E non hai più la voce.”

Isabel si mise di fronte a lui e annuì, il volto solcato di lacrime. Con un gesto rabbioso afferrò il pesante collare d'oro che le cingeva il collo e provò a tirarlo via, incidendo con forza la pelle.
Solo in quel momento fecero caso al monile e agli altri che portava: due erano alle caviglie, uno al polso sinistro e uno al collo, tutti lucidi e smussati, scintillanti e pesanti.

Sono sigilli?” indovinò Donatello, allungando una mano per toccare il bracciale al polso.
Isabel si voltò al suono della sua voce e sembrò accorgersi solo in quell'istante della sua presenza: i suoi occhi osservarono l'amico e quasi fratello con dolcezza mentre annuiva, poi si girarono a guardarsi attorno e incontrò lo sguardo degli altri, e sorrise tra le lacrime al vederli tutti lì, attorno a sé.

Si sporse per prendere la mano di Don, poi lo abbracciò e una volta lasciatolo andare, allargò le braccia verso loro, tutti loro, e quando ci si fiondarono lei li strinse con tenerezza eppure forza, singhiozzando e ridendo; April e Steve piansero, Angel provò a non farlo, ma i lucciconi agli occhi la tradirono, Casey sorrideva troppo per non cedere anche lui e Mikey la abbracciò due volte; il sensei la strinse con una dolcezza che sapeva di casa, che alimentò quel suo dolore, che la fece singhiozzare più forte.
Infine, tornò tra le braccia di Raphael e lo cinse stretta, perché quello era il suo posto, perché solo lì si sentiva tranquilla; aveva bisogno di quel contatto quanto lui, il sapere che c'era, l'averlo con sé e non perderlo ancora.

Cosa è successo? Noi ti abbiamo seppellita” domandò d'un tratto Donatello, quando gli sembrò che il silenzio fosse diventato ormai insopportabile.
Isabel sembrava impazzire tra il desiderio di parlare, di dire tutto velocemente e l'afonia che sembrava soffocarla: il suo viso esprimeva rabbia e frustrazione e impazienza.
Scosse la testa con forza, negando e negando ancora. Si batté la mano sul petto, indicò la tomba e negò ancora più forte.

Quella non eri tu” decifrò Michelangelo, allenato a quel genere di comunicazione dai trascorsi con Mork.
Isabel sembrò sollevata e gli sorrise, di gratitudine. Poi si voltò verso Raphael e il suo sguardo trasmetteva contrizione, una muta scusa, per il dolore che sapeva avergli inferto.

Mostrò loro i sigilli agli arti e al collo e unì i polsi come se avesse delle manette.
Sei stata tenuta prigioniera.”
Un nuovo cenno di assenso. Si muoveva a scatti dal nervosismo, dalla smania di spiegare, per tutte le cose da dire. E la pena di cosa avesse dovuto provare li colpì con violenza. Già una volta era stata imprigionata, e anche torturata. Controllarono che non avesse ferite o contusioni, ma a parte la sua aria allucinata e confusa sembrava stare bene, almeno fisicamente.

Chi è stato?” incalzò Leo, seppur con gentilezza.
Isabel si bloccò, tutto il suo corpo sembrava come pietrificato e la bocca si schiuse, ma non uscì ancora un suono.
Iniziò a tremare, gli occhi spalancati che volevano comunicare, e il fiato sembrò mancarle.
Raphael la strinse all'improvviso, forte.

Basta! Smettila di provarci. Non puoi dirlo, abbiamo capito. Basta.”
Isabel rimase rigida ancora per qualche istante, poi trasse un grande sospiro sofferto e si rilassò gradatamente, come spossata. Artigliò con le dita la terra, la strinse forte nel pugno, lasciandola infine fluire lentamente dal palmo, insieme alla sua frustrazione.

Ma come sei scappata? Come mai sei apparsa qui, dopo che i ciondoli sono spariti?” chiese confuso Michelangelo, che aveva perso il filo ormai.
Isabel riunì i polsi come prima, ma poi sollevò quello destro, cinto dal bracciale con le due tartarughine in pietra che Raphael le aveva regalato per il loro anniversario.
E notarono che non c'era alcun sigillo.

Quindi... uno dei sigilli è caduto e tu sei riuscita a recuperare un po' di magia? E pensiero?” cercò di indovinare Donatello, che sorrise nel vederla annuire in risposta, ma con la testa lievemente inclinata, come a dirgli che era esatto ma non del tutto.

Ma come sei scappata? E cosa c'entravano le creature?”
Hai creato tu i mostri elementali?” esclamò sconvolto Michelangelo.
Isabel scosse la testa e disegnò nella terra nera, con un dito, le forme stilizzate che avevano solcato i ciondoli, i quattro elementi. Indicò il primo, l'acqua, e poi sé stessa.
Leo si chinò e lo osservò, attentamente.

Io ho combattuto contro la creatura d'acqua... era fatta di tristezza e paura” mormorò quasi sottovoce. “Eri tu, vero? Avevi paura?”
Lei lo guardò profondamente, gli occhi lucidi, e si portò una mano sul cuore con riconoscenza, iniziando poi a gesticolare freneticamente, a fare segni con le mani.

Il non poter comunicare a parole era un ostacolo non indifferente, non potevano semplicemente ascoltare tutto ciò che era successo, avrebbero dovuto indovinare. Perciò Don iniziò a pensare profondamente, cercando i collegamenti che fino a quel momento non era riuscito a vedere. Sigillo, magia, paura. I mostri, i loro poteri, i modi in cui li avevano sconfitti... tutto sembrava avere senso.
Quindi, fammi provare a indovinare, hai cercato di comunicare con noi, ma le tue emozioni senza controllo hanno preso il sopravvento sui tuoi poteri mentre eri incosciente e hanno formato delle creature?”
Isabel lo guardò con gratitudine e anche un pizzico di attesa. Sembrava un gioco a metà tra il mimo e l'indovinello, e ormai tutti sentivano di poter contribuire alla risoluzione di quel mistero.

Ok, e la creatura d'acqua è venuta da noi per chiedere aiuto?” incalzò Michelangelo, che iniziava a prenderci gusto.
Isabel rispose affermativamente con un gesto.

Quando Leo è entrato in contatto col nucleo, ha aiutato il disperdersi di quei sentimenti. E senza la paura è subentrata la rabbia” continuò Donatello.
Raphael attirò l'attenzione di Isabel.

Io ho sentito la tua rabbia” le disse, semplicemente.
Isabel tese una mano, sfiorò la sua guancia delicatamente e poi la cicatrice sul suo occhio, che non poteva curare. Poi la poggiò sul petto di lui, indicando quindi il suo, il viso trasfigurato di dolore.

Tu hai visto quello che il mostro di fuoco mi ha fatto rivivere?” chiese piano lui, ma già certo prima ancora che lei annuisse.
Era stato un legame momentaneo, una fugace connessione, alle parole di Leo: “Isabel è morta”. In quel momento qualcosa nel suo subconscio si era svegliato, legandosi alla coscienza dell'elementale, e aveva guardato nel cuore di Raphael, aveva scoperto perché loro non la stessero cercando, cosa i suoi rapitori avessero inscenato per ingannarli.
E allo stesso tempo, aveva sentito la sensazione di libertà, lieve, quando Raphael aveva saziato il nucleo della creatura, lasciando andare la sua rabbia, e le sue catene si erano di poco allentate.

Da quel momento, una piccola parte di sé era rimasta perennemente cosciente, mentre il resto continuava nella stasi, e una scintilla di speranza si era accesa nel suo cuore.
Si abbracciarono forte, prima che la voce di Mikey li interrompesse.

E l'euforia del mostro d'aria?” domandò innocentemente, non trovando nessun motivo perché lei dovesse essere stata felice nella prigionia.
Isabel agitò le braccia freneticamente, cercando il modo giusto di comunicare. Puntò un dito verso la tempia, allontanò i polsi violentemente uno dall'altro e poi sorrise.

Penso...” iniziò Donatello incerto, “che voglia dirci che ha sentito i sigilli indebolirsi e che ha capito che poteva liberarsi. Quello era il nucleo della creatura dell'aria.”
E mentre lo diceva, pensò a com'era stata una fortunata coincidenza che proprio Michelangelo fosse entrato in contatto con la creatura che più gli assomigliava, quella col nucleo simile, che avrebbe potuto facilmente assimilare e sconfiggere. Ma poi, dopo qualche istante, capì che non c'era stata nessuna coincidenza, e dalle facce sui visi dei suoi fratelli intuì che anche loro avevano capito: ogni creatura ed ogni elemento era stato associato ad ognuno di loro per un criterio, probabilmente dal subconscio di Isabel; l'acqua, culla del sentimento e dell'empatia, per Leo, che come leader capiva e sosteneva tutti loro; il fuoco, passione e distruzione, come Raph; l'aria, creatività ed euforia, per l'irrefrenabile Mikey; e infine la terra, l'affidabilità e la ragione, per lui, Don.

L'ultima creatura, la terra, sembrava non provare alcuna emozione, ma invece c'era la logica: stavi facendo i tuoi calcoli per scappare, stavi ragionando su come riuscirci” disse a voce alta, piacevolmente sorpreso di esserci infine arrivato, dopo tutti quei mesi in cui niente era sembrato avere senso.
Isabel annuì, felice che loro avessero capito, che quella connessione tra loro, quel capirsi a vicenda, ci fosse ancora nonostante tutto. Se solo avesse potuto dire a Raffaello quanto fosse dispiaciuta di tutto il dolore che ancora una volta aveva dovuto provare a causa sua.

Ma tutto questo, come ti ha aiutata a scappare? Non capisco la quinta creatura, il ciottolo vuoto e il buco nero” esclamò Leonardo, e poco lontano Mikey annuiva ad ogni sua parola, totalmente d'accordo.

Isabel toccò di nuovo i disegni dei quattro simboli e sopra ognuno scrisse il diminutivo dei loro nomi, Leo sopra l'acqua, Raph sopra il fuoco, Mikey sopra l'aria e Don sopra la terra, poi disegnò quattro rette che li congiungevano al centro, dove disegnò un cerchio vuoto e sopra il suo nome. Isa, il vuoto.
E passò e ripassò il dito su quelle linee, le unghie ormai nere di terra, ma capendo la loro confusione lasciò perdere e batté i palmi aperti sul petto di Raphael, accanto a lei, e poi le batté sul suo. E di nuovo tracciò una linea tra il suo elemento e il suo nome fino al centro, fino al cerchio. E indicò i sigilli, ognuno in contemporanea con un simbolo e lo ripeté, maniacalmente, pregando che lo capissero, perché era un concetto difficile da spiegare senza parole.

È come il tuo bacio magico?” domandò Raphael alla fine, prendendole le mani e strofinandole piano, per togliere la terra che le ricopriva.
Lei piegò un poco la testa. Don si intromise.

Ognuno di noi era un elemento e... ti abbiamo dato la nostra energia per forzare la barriera che ti teneva imprigionata. La natura aborra il vuoto, cerca di riempirlo, e l'ultima creatura era sostanzialmente vuoto: quando ci siamo gettati all'interno, abbiamo compiuto l'ultimo passaggio della tua magia e ti abbiamo richiamato, in cambio del potere dei ciondoli legati alla nostra. Ognuno di noi ha allentato un sigillo, giusto?”

Isabel sospirò felice, un sospiro liberatorio, perché avevano capito e detto tutto e quel tempo passato in animazione sospesa, eppure cosciente, a pensare e sperare, adesso non le pareva più così cupo e solitario; loro erano sempre stati con lei, erano stati sempre nei suoi pensieri, erano sempre stati connessi.
Solo loro avrebbero potuto salvarla.

Si voltò verso Raphael, piano, con la paura di leggere nel suo volto rimprovero, biasimo, rabbia, perché seppure non fosse stata colpa sua, capiva che provare quei sentimenti sarebbe stato normale. Ancora una volta l'aveva ferito e ancora una volta l'aveva abbandonato.
Lui la tirò verso di sé, abbracciandola ancora una volta, ma delicatamente, ma dolcemente, e sentì quello che prima la frenesia non le aveva fatto percepire: il battito gentile e accelerato di Raph battere contro il suo petto, il suo respiro profondo che si spezzava a tratti nel trattenere una felicità che non voleva mostrare troppo apertamente, e le labbra che le lasciavano piccoli baci dalla guancia alla testa, teneri, lievi, ma brucianti.

Credevo di averti persa per sempre” sussurrò d'un tratto, nel suo orecchio. Nessun altro doveva averlo sentito. “Grazie, per essere tornata da me.”
Isabel sentì un sorriso premere grato sul suo collo e scoppiò a piangere senza ritegno, e seppure senza voce, le sue lacrime facevano più rumore di qualsiasi altra cosa, quella notte.

Gli altri rimasero per un po' quieti e in disparte e in imbarazzo, senza aver capito che avesse detto o fatto Raph per farla piangere in quel modo, mentre loro due si abbracciavano e stringevano come se non esistessero che loro e quel momento.
Ma sentivano e sapevano che non era tutto finito.
Isabel si ricompose alla fine, anche se gli occhi rossi tradivano tutto il suo dolore e la sua gioia e agitò ancora le mani, per comunicare.
Ma in quel momento non capirono. E vedendo le loro facce confuse lei perse sempre più la pazienza, finché alla fine non iniziò freneticamente a scrivere nella terra, ancora, tre parole.
Verranno a prendermi.

E fu chiaro a tutti che non potevano rilassarsi, non potevano gioire ancora del suo ritorno.
Quando scopriranno che sei scappata, ti cercheranno.”
E mi troveranno, scrisse velocemente Isabel.

Cosa facciamo?”
Devo togliere i sigilli.
Con le mani sporche di terra, Isabel ne afferrò uno e provò di nuovo a tirarlo, ma per quanta forza ci mettesse, non ottenne niente più che un polso gonfio e rosso; la mano di Raphael fermò la sua.

Nessuno ti porterà via” esclamò mortalmente serio.

Lei sembrava spaventata proprio da quello, dal pensiero che loro si intromettessero.
Scosse la testa, frustrata. Loro proprio non capivano.
Sono troppo pericolosi.
Le lettere erano storte e calcate solo per metà, dalla fretta con cui le aveva scritte.

A nessuno sfuggì la continua menzione a quei fantomatici “loro”, i rapitori, delle entità di cui Isabel sembrava avere una smisurata paura.
Lotteremo con te” disse convinto Michelangelo, con un gran sorriso che infondeva fiducia.
E per te” le sussurrò invece seriamente Raphael, incollando lo sguardo al suo.
Se solo avesse potuto dire loro a chi stavano dichiarando guerra.

Nemmeno il tempo di pensarlo e il cielo scuro si rannuvolò, dense e grigie nubi coprirono le stelle e l'attenzione di tutti si concentrò immediatamente lassù: quattro figure fluttuavano, contornate da fulmini.

Isabel strinse forte Raphael, così forte che le unghie penetrarono nella sua carne e prese a tremare, incontrollabile, inconsolabile.




Note:
Salve, buona notte!
Rieccomi, torno sempre, non temete.

Isabel è tornata, ed è davvero Isabel! Non può parlare al momento, né usare la sua magia, perciò spiegarsi non è semplice.
Ma già averla per loro sembra sufficiente. Per Raph di certo.

Ho notato che molti credono che il rapporto tra lui e Isa non possa essere più lo stesso o debbano chiarire e ricostruire, ma dato che non è colpa di Isa, che è stata presa contro la sua volontà, pensate davvero che a Raph importi? Io l'ho immaginato diversamente.

Raph ama Isa e credo che il fatto di averla con sé, quando credeva che non l'avrebbe mai più rivista e stretta, sia più importante.
Però ci tengo davvero a sapere come la vediate e la pensiate voi, un confronto è sempre utile.

Ovviamente la fine è ancora ben lontana: Isa è tornata, è vero, ma non è ancora finita.
Ha quei sigilli e chi l'ha segregata proverà a riprendersela, perciò vi preannuncio lotte e botte.

Vi ringrazio per continuare a seguirmi, per tutta la pazienza. Grazie di cuore.

Un enorme abbraccio

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Capitolo 35
*** Death and grace ***


Nell'oscurità, le figure stagliate tra la terra e le nuvole erano indistinte e in qualche modo più terrificanti. Le fissavano, immobili.
Isabel tremava e tremava, di paura, ma anche di rabbia.
L'ultimo fulmine cadde quando ridiscesero a terra, a qualche metro da loro. Per un intenso momento, fu solo un continuo scambio di sguardi.

Shisho?” esalò incredulo Michelangelo, infine, come un'accusa.
Chikara, Kon, Juto e Hisomi risposero al nome con un'occhiata più splendente, i loro occhi luminosi così spettrali da far rabbrividire.
Erano lì di fronte a loro, in carne, ossa e poteri, e Isabel tremava al solo guardarli, eppure non aveva senso, non poteva essere... o forse sì?

Shisho!”urlò Leonardo nella loro direzione. “Perché?”
E c'erano così tante domande in quel minuscolo perché gridato con furia e confusione, così tanti dubbi.
I quattro maestri non mostrarono la minima esitazione, nei loro volti, quando Chikara rispose, portavoce di tutti loro.

Isabel Charmillion è una minaccia.”
La sua voce glaciale abbassò ulteriormente la temperatura, sebbene l'estiva notte fosse stata afosa fino a poco prima.

Isabel si erse con tutta la furia, che al momento superava di gran lunga la paura: digrignò i denti, non potendo urlare la sua rabbia, e Raphael la fermò appena in tempo, prima che si gettasse a testa bassa contro gli Shisho.
Qualcosa gli diceva che non sarebbe stata una buona idea. Per quanto fosse arrabbiato, per quanto lui stesso stesse trattenendosi dal lanciarsi contro di loro e colpirne il più possibile prima che lo disintegrassero senza sforzo.
I maestri non sembrarono affatto impressionati.

Perché avete messo su tutto questo? Perché Isabel sarebbe una minaccia?” provò a chiedere in maniera più pacata Donatello, eppure sul suo volto c'era solo disapprovazione e disgusto.
Non avreste permesso che la mettessimo in stasi, se non vi avessimo ingannato. Ma Isabel è un pericolo per tutti noi, e abbiamo dovuto fare una scelta. Sigillarla era l'unico modo per evitare quello che ormai non si può più rimandare.”
Ad un gesto della donna, Kon fece un passo avanti e agitò le lunghe braccia davanti a sé, richiamando folate di vento che agglomerò in uno specchio sempre più grande, vorticante.

Quando si fu stabilizzato, la superficie si illuminò di un bianco accecante e delle immagini iniziarono a prendere forma su di essa: fuoco, fuoco splendente, si spandeva velocemente e inghiottiva ogni cosa; Isabel era il centro e il nucleo, marchiata da ghirigori di sangue, con gli occhi rossi, -identica a quando aveva distrutto l'arena del Battle Nexus,- e spandeva le sue fiamme su ogni cosa sul suo cammino: gli shisho, uno ad uno, furono consumati dal calore, e poi anche loro, la sua famiglia, e le case, le campagne e tutto ciò che la circondava.
Era bruciato tutto, era bruciata anche Isabel. Non rimaneva che cenere.
La visione si interruppe in un rosso accecante, come fosse fuoco vero.

Isabel ucciderà noi, e voi, e poi non si fermerà e consumata dal dolore distruggerà tutto il resto, finché non morirà lei stessa” profetizzò Chikara, implacabile.

Entrambe le fazioni sapevano cosa significassero quelle parole, crude e dure, e si squadravano in attesa di chi avrebbe avuto il coraggio di fare la mossa successiva: una in attacco e una in difesa.
Sembravano essere stati tutti pietrificati, immobili a guardarsi l'uno con l'altro, senza quasi nemmeno respirare.

Alla fine, Splinter avanzò di un passo, schermando Isabel e la sua famiglia, tutta la sua famiglia, e sollevò lo sguardo verso di loro.
Non vi daremo Isabel” pronunciò risoluto.
Allora la prenderemo con la forza” ribatté stizzito Kon.
Perché? Quella visione potrebbe non essere vera, potrebbe non avverarsi mai!” urlò arrabbiato Leonardo, in un miscuglio tra delusione e furore per il comportamento dei suoi vecchi maestri.
Accadrà, è il futuro, e se non facciamo nulla accadrà certamente” sentenziò Chikara.

I mutanti e gli umani capirono finalmente che non c'era modo di discutere o ragionare con le quattro semi-divinità del ninjitsu, avrebbero attaccato per portare via Isabel e loro avrebbe lottato per proteggerla.
Perciò, decisero che non avrebbero aspettato, avrebbero anticipato ogni loro mossa.
Raphael lasciò andare Isabel, rivolgendole un fugace sorriso rassicurante, e coi suoi fratelli avanzò verso i loro maestri.

Sensei, prenditi cura di Isabel” disse superando Splinter, senza staccare lo sguardo da Chikara. La donna lo fissava con i suoi occhi scintillanti di verde.

Sguainarono le armi all'unisono, gli Shisho non si mossero nemmeno.
Siete sicuri?” domandò Kon, sarcastico.
La risposta fu lo scatto deciso dei quattro fratelli contro di loro. I quattro maestri li attesero immobili, e quando li attaccarono, schivarono con facilità.
Raphael si era lanciato contro Chikara, Leonardo contro Juto, Don contro Kon e Mikey contro l'enorme Hisomi.

Gli Shisho erano, ovviamente, superiori in tutto. In velocità, in resistenza e nella forza.
Erano stati i loro maestri, erano esseri centenari dagli sconfinati poteri, ma erano diventati i loro nemici nel momento stesso in cui avevano osato minacciare e fare del male ad un componente della loro famiglia. Lotta impari o meno.
Anche se pareva più un suicidio di massa.
Non avevano nemmeno messo mano alle loro armi, si limitavano a scansare con le facce impassibili, a dimostrazione che era tutto una passeggiata per loro. Le turtles attaccavano comunque, incalzando senza tregua, acquistando via via velocità e precisione.

Raphael era stranamente calmo. Non era divorato dalla rabbia, nonostante in quella situazione sarebbe stato più che comprensibile, era focalizzato e concentrato, i suoi attacchi puliti e diretti, pressanti.
Splinter se ne accorse, seguiva i quattro combattimenti, inginocchiato vicino a Isabel. Lei sembrava impossibilitata a muoversi, come se i sigilli rispondessero alla vicinanza dei loro padroni e la tenessero immobilizzata a terra, ancora prigioniera delle loro spire.
Seguiva le lotte con uno sguardo di terrore e preoccupazione, divorata dall'ansia; tirava con forza il sigillo al polso sinistro, incurante delle gocce di sangue che le sue stesse unghie nella carne avevano lasciato spillare. Il sensei la bloccò con un tocco gentile e lei sussultò, distraendosi brevemente dalla lotta.

Abbi fiducia, figlia mia” le sussurrò dolcemente.
Per quanto il suo stesso cuore tremasse di preoccupazione.

A Mikey faceva strano lottare contro gli Shisho: li aveva rispettati, li aveva considerati anche molto tosti, allora perché aveva fatto una cosa così atroce alla sua sorellina e a loro?

I quattro maestri sembravano essere arrivati al limite della sopportazione. Il gioco era durato anche troppo, per i loro gusti. Finalmente, per porre fine a tutto, Chikara sollevò il suo Kanabo, l'enorme mazza ferrata che la accompagnava. Schivò con facilità l'attacco di Raphael contro la sua faccia e la sollevò dritta verso il cielo, con una mano sola, calandola con una velocità tale da non poter essere vista.
Raphael era pronto a schivare o parare, sentiva di potercela fare, o forse era solo illusione, ma il duro bastone si fermò poco prima della sua testa, sbattendo rumorosamente contro qualcosa di legnoso.

I bastoni da Hockey sembravano risentire dello scontro, malconci e scheggiati dalla pressione della potenza di Chikara.
Tu!” urlò la donna indignata.
Casey?” fece eco Raph, osservando la schiena dell'amico che lo aveva salvato.
Non ti aspetterai che ce ne stiamo a guardare? E non siamo certo venuti disarmati” rispose quello affaticato dallo sforzo di resistere alla potenza di uno Shisho.

Raphael lo afferrò per il colletto della maglietta e lo tirò indietro con una capriola, portando entrambi ad una distanza sicura dalla loro avversaria. Solo allora si concesse di guardarsi velocemente attorno: Angel era accanto a Leo, con i suoi Tonfa nelle mani, aiutandolo contro Juto; il giovane Steve affiancava Mikey contro Hisomi, stringendo forte i suoi Tanbō; April era assieme a Don, tenendo dritta la sua Katana contro Kon.
Ma siete pazzi?” riuscì a dire Raph, prima che un attacco di Chikara contro di loro li costringesse a spostarsi repentinamente.
Casey sorrise con sfacciataggine, prima di calare la cara e fidata maschera da hockey sul viso, che gli dava una immensa sicurezza.

È o non è una questione di famiglia?” esclamò, prima di costringerlo a riportare la sua attenzione di fronte a loro.

Chikara non sembrava preoccupata dall'entrata in scena degli umani, non erano che moscerini per loro, ma la perdita di tempo la seccava, era solo un inutile rimandare l'inevitabile.
Occhieggiò verso i suoi compagni, come a voler comunicare loro di finire quella storia subito e senza indugio, difatti anche gli altri tre Shisho sguainarono le loro armi: i grandi Tessen di Hisomi, le due Katana scintillanti di Kon e le mille armi letali nascoste nelle maniche di Juto.
La notte oscura stava per terminare e preannunciava un'alba di sangue.

Per quanto Isabel e Splinter volessero intervenire, -si leggeva nelle loro espressioni, nel lieve tremore delle loro mani,- non potevano: lei era inchiodata al suolo e lui doveva proteggerla.
Isabel era divorata dalla paura e dal sentimento di colpa nel vederli lottare a causa sua, per lei.
Doveva togliere quei maledetti sigilli e tutto sarebbe finito.

Lo strano connubio mutanti e umani funzionava, inaspettatamente. Non erano ovviamente all'altezza degli Shisho, ma lavoravano bene assieme, collaboravano con sincronia e affiatamento e le lacune di uno venivano riempite dall'altro, i punti ciechi ridotti al minimo.
Si paravano le spalle a vicenda, si scambiavano di ruolo per attaccare, si sostenevano.
I quattro maestri smisero di prenderli alla leggera.

Leonardo era allacciato in una lotta furibonda con Juto, velocemente defletteva le decine di armi che spuntavano dalle sue grandi maniche: una volta era una catena con alla fine una palla ferrata, un'altra lame, e dopo un secondo una mazza, cambiavano continuamente, ma le maneggiava tutte con una maestria e una precisione invidiabile.
Lo assisteva Angel, brandendo i suoi Tonfa con rabbia, un turbine di attacchi veloci e scattanti, il suo allenamento di tanti anni prima finalmente messo a frutto; voleva dare il suo contributo, fare la differenza, aiutare quella stramba famiglia, che era la sua famiglia.
E lei avrebbe dato tutta sé stessa per loro.

Poco più in là Don stoccava con il suo bastone, come se fosse un'estensione del suo corpo, contro le Katana affilate di Kon: il maestro era rapido nei movimenti e il suo corpo esile lo facilitava nella velocità e nello schivare, rendendo praticamente impossibile colpirlo.
April era al suo fianco, la sua Katana stretta nelle mani, flessibile e veloce nonostante le due gravidanze e il lungo periodo senza allenamento; era come se non si fosse mai fermata. E nei suoi occhi verdi scintillava una determinazione bruciante, un vigore che lei stessa non sentiva da tempo. Supportava Don meglio che poteva, con tutta l'energia che aveva, attaccando e parando; sembravano coreografati su una musica che gli altri non sentivano.
Stavano dando filo da torcere a Kon.

Mikey era veloce, molto veloce, ma di certo non all'altezza di Hisomi: il maestro della furtività lo era molto di più ed era difficile colpirlo, se non lo si riusciva a vedere. Continuava a svanire e riapparire a poca distanza, ma senza mai attaccare, come se non volesse realmente fargli del male: cercava di tracciare il suo percorso, ma poche volte era riuscito ad andargli vicino quel tanto da attaccarlo, e Hisomi aveva comunque schivato con facilità.
Steve aiutava come poteva; era un ragazzino sveglio e agile ed entusiasta, ed in effetti in coppia con Mikey lavorava molto bene: entrambi cercavano di spingere Hisomi a mostrarsi, pressandolo su due lati differenti, uno coi suoi fidati Nunchaku, l'altro con i suoi due nuovi Tanbō di metallo.

Ma la lotta più furiosa era senza dubbio quella tra Raphael e Casey contro Chikara, la donna era furente e la sua forza prodigiosa irrefrenabile, li attaccava senza respiro, fortunatamente sempre a vuoto: la sua Kanabo sbatteva violentemente al suolo, lasciando profondi solchi.
Se avesse colpito loro, probabilmente li avrebbe triturati all'istante.
Casey e Raph potevano solo scansare: per quanto provassero, col lavoro di squadra, a cercare una breccia per attaccare a loro volta, sembrava che la determinazione e la concentrazione di Chikara non lasciassero spazio ad angoli ciechi o punti deboli.

L'esito sembrava a favore degli Shisho, a lungo andare sarebbero state la loro forza superiore e la loro preparazione a vincere, ma era tutt'altro che semplice decretare in maniera assoluta un vincitore: gli ex discepoli e gli umani ce la stavano mettendo davvero tutta, con un vigore che non aveva nulla da invidiare ai maestri.
Splinter poteva vedere gli errori e i colpi vincenti dei suoi pupilli e sentiva un'energia spingerlo in avanti, la voglia di lottare al loro fianco, di guidare in quella difficile lotta, ma sapeva che gli Shisho non erano avversari alla sua portata: solo i suoi figli potevano sconfiggere coloro che erano stati i loro sensei.

Non sono così cattivi come credi, Splinter-San” disse una voce familiare, lì accanto.
Splinter si voltò all'istante, trovandosi faccia a faccia con l'Antico. D'istinto si tuffò di fronte ad Isabel, tendendo il bastone da passeggio contro la nuova minaccia.
L'ultimo arrivato tra gli Shisho, il piccolo e rotondo Antico, lo guardò ferito e dispiaciuto.

Non voglio combattere” assicurò gentilmente, indietreggiando di un passo.

Una mano afferrò una manica del Kimono del ratto mutante, che abbassò lo sguardo con sorpresa: Isabel si era aggrappata a lui, e gli rivolgeva un'occhiata supplice e calma.
Gli fece capire a gesti veloci che non lo temeva, che non era una minaccia, e il sensei era così confuso, continuando a controllarlo con la coda dell'occhio.

Hanno solo paura, non volevano fare del male a nessuno” provò a spiegare l'Antico, ma le sue parole fecero scattare la rabbia di Splinter, che si voltò furiosamente contro di lui, più minaccioso di prima.
L'avete segregata! E ci avete fatto credere che fosse morta! Le avete fatto del male e ne avete fatto a tutti noi!”
L'Antico piegò il capo, come a scusarsi, e chiuse i già piccoli occhietti in profonda contrizione.

Hanno sbagliato, lo so. Ho sbagliato anche io a non oppormi con più convinzione e ad assecondarli. Mi dispiace davvero, Splinter-San.”
Non è a me che devi chiedere scusa. A lei, guardala!”
Si spostò, mostrandogli Isabel ancora costretta a terra dalla forza dei sigilli e l'Antico incontrò i suoi occhi preoccupati, e l'inchino divenne più profondo, un segno di assoluto pentimento.

Mi dispiace, Isabel. E dispiace anche a loro, te lo assicuro.”

Ci fu silenzio, almeno lì tra loro, dato che poco più in là infuriavano lotte furibonde, contornate di urla e schianti di ferro e legno, di grida di incitamento o di ira.
Isabel non poteva parlare e Splinter, nonostante la rabbia, decise di lasciarlo proseguire.
L'Antico si rimise ritto, e dopo averli fissati per qualche istante, trasse un profondo respiro.

Quando Kon ha avuto quella visione del futuro, sono stati presi da una paura che non mi spiegavo. Non pensavano ad altro, continuavano a parlarne, a cercare soluzioni perché non si avverasse, divenne la loro ossessione. Forse perché avevano visto loro stessi morire tra le fiamme, forse perché dopo aver vissuto per centinaia di anni, l'idea di morire per davvero li ha spaventati. E alla fine decisero di ingabbiare quella paura, di ingabbiare Isabel.”
La sua voce trasmetteva tutta la vergogna provata, riuscì perfino a trasmettere le sue suppliche, le interminabili ore che aveva passato nel cercare di convincerli a non farlo, che stavano esagerando. Ma loro gli avevano detto solo che lui non poteva capire.

Isabel non è una minaccia! Non c'era nessun bisogno di ingabbiarla come un animale feroce, senza nemmeno provare a parlarci, a dialogare!”
Lo so, Splinter-San, hai ragione.”
Isabel alzò il braccio destro verso di lui, al cui polso spiccava il bracciale che Raphael le aveva regalato all'anniversario, ma nessun sigillo. E il dito indice si sollevò, puntando l'Antico.
Splinter si fermò un attimo per pensare, confuso.

Non sono riuscito a fare quello che mi hanno chiesto, non potevo” si scusò l'Antico, ricambiando il sorriso di Isabel con un sincero stiramento di labbra.
E allora Splinter capì: il sigillo mancante doveva essere il suo.

Ho fatto finta di metterglielo, insieme agli altri, ma ho fatto in modo che fosse debole e cadesse dopo poco, lasciandole una possibilità di salvezza. So che avrei potuto fare di più, che avrei dovuto oppormi e lottare, ma non ce l'ho fatta e chiedo scusa” mormorò l'Antico, rivolto ad entrambi, profondamente pentito e divorato dai sensi di colpa.
Splinter sapeva che era sincero, lo sentiva, ma ancora non poteva dargli il suo perdono e forse non spettava nemmeno a lui doverlo perdonare.
Isabel tese le mani verso il più anziano maestro e quando quello, rotondo e con passo incerto, si avvicinò, prese le sue e le strinse forte.
Grazie, sillabò con voce muta. Grazie.

I piccoli occhietti dell'Antico si inumidirono, un sorriso di scuse e forse un po' sollievo gli illuminò il viso.
Fermali, ti prego” supplicò Splinter, con voce urgente, ma più calma di prima. “Ferma gli Shisho, possiamo provare a parlarci.”
L'Antico scosse lentamente la testa, lasciando andare le mani di Isabel.

Non mi ascolteranno. Non ascolteranno nessuno ormai, sono andati troppo oltre. Quando lei è scappata, la paura è diventata più forte. L'unica soluzione è lottare.”

Quello che stava effettivamente accadendo, quello che gli altri avevano già capito.
Non c'era dialogo, non c'era bisogno di spiegazioni, sapevano che l'unico modo per far desistere gli Shisho era batterli, sconfiggerli una volta per tutte e mandarli via con la coda tra le gambe.

La grossa mole di Hisomi non gli impediva di essere veloce, e Steve si sentiva come Davide contro Golia, ma questo gigante non si poteva battere con una pietra lanciata con la fionda. Assisteva Michelangelo come poteva, cercando di colpire alle gambe di Hisomi, l'unica parte a cui riusciva ad arrivare, ma il loro avversario era comunque troppo veloce. Davvero troppo anche per seguirlo con lo sguardo, e si sentiva frustrato, si chiedeva quanto aiuto stesse davvero dando alla lotta. Mikey comunque sembrava contento di averlo accanto.
Gli mandava delle occhiate incoraggianti e dei sorrisi, per fargli capire che stava andando bene, eppure non perdeva mai la concentrazione nella lotta, a volte mancando Hisomi solo per un soffio.

Accadde dopo un attacco a vuoto, un attacco dall'alto, i Nunchaku colpirono il terreno dove poco prima si trovava Hisomi e Michelangelo si bloccò con un ginocchio a terra, assorto, pensando velocemente a come e dove muoversi per la sua prossima mossa, quando il suo corpo si illuminò di giallo.
Dei ghirigori gialli salirono dalle sue gambe e lo rivestirono fino alla testa, -la luce filtrava attraverso il tessuto nero della tuta,- come quelli che anticamente erano apparsi sul suo corpo quando si allenava con gli Shisho, ma in qualche modo differenti: a parte il colore, era proprio la sensazione che provava al momento ad essere diversa, un'euforia e una potenza sconfinate, un solletico nel petto che gli sussurrava che poteva fare tutto, che non aveva limiti.
Il secondo dopo era in piedi, distante parecchi metri, di fronte ad un sorpreso Hisomi: si era mosso veloce come il vento. Mikey sorrise, un ghigno soddisfatto.
Le cose si facevano davvero interessanti.

La luminescenza, così come la mossa di Michelangelo non erano passati inosservati: i suoi fratelli capirono cosa stesse succedendo e gli Shisho lo intuirono e non ne sembrarono felici.
I quattro fratelli si voltarono verso Isabel, come a chiedere conferma, e lei annuì velocemente, indicando loro e poi sé stessa, rivolgendogli infine un sorriso incoraggiante.
Se potevano usare ancora i poteri concessi dai ciondoli, anche per poco, le situazioni delle lotte potevano ribaltarsi a loro favore. Michelangelo sembrava esserci riuscito e stava dando del filo da torcere a Hisomi, che non riusciva più a sfuggirgli, la loro lotta diventata ormai un inseguimento a velocità supersonica, per sfortuna del povero Steve.
Quindi anche loro dovevano concentrarsi e attingere a quel potere.

Donatello ci riuscì per secondo, dopo qualche tentativo, alla fine di una lunga parata di attacchi di Kon, al limite dello sforzo: striature di un verde chiaro e luminoso iniziarono a ricoprirlo fugacemente e riuscì a spingere via Kon, allontanandolo da sé e April, la sua forza la potenza stessa della terra.
Raphael non aveva bisogno di concentrarsi, era tutto un fascio di nervi e meditazione, fin dall'inizio, il punto focale dei suoi pensieri lei, Isabel, che era lì, che era viva e lo guardava.
E fu quella consapevolezza ad accendere il suo potere: prima ancora che i ghirigori rossi apparissero sul suo corpo, venne rivestito da ondate di fiamme, fiamme alte, di un calore intenso e e bruciante; Casey ne venne colpito, ma si accorse che non gli facevano male, mentre Chikara sentì il crepitare vicino al viso e si allontanò all'istante, una smorfia di pura rabbia.

Leonardo forse avrebbe potuto attivare il suo potere per primo, ma era impegnato nel controllare che Juto non si avvicinasse troppo ad Angel, e allo stesso tempo gli sviluppi dei suoi fratelli, rassicurato dai loro intensi bagliori, dalla loro confidenza; solo quando fu certo che fossero tutti attivi e in qualche modo più potenti, allora si concentrò quel tanto da attingere a quella sensazione di dolore ed euforia assieme, scatenando finalmente quel potere che ribolliva e gorgogliava nel suo petto: i suoi ghirigori erano blu intenso, e la fidata bolla d'acqua apparve, bloccando finalmente gli attacchi di Juto.

Tu sapevi che sarebbe successo, vero?” domandò Splinter rivolto verso Isabel, sorpreso dallo sviluppo inatteso. Lei piegò la testa di lato, forse non ne era sicura lei stessa, anche se ci aveva sperato con tutte le sue forze; che ancora un po' della sua magia fosse dentro di loro e che li aiutasse, che li proteggesse.
In quello stesso istante accaddero molte cose contemporaneamente: Hisomi volò all'indietro, colpito da Michelangelo, nemmeno troppo forte, ma quel tanto da mandarlo a terra e poterlo finalmente tenere sotto occhio e sotto attacco, e la luminescenza di Mikey crebbe di intensità, esplose fino al cielo, e con un sonoro schiocco il sigillo alla caviglia sinistra di Isabel si spezzò in due e cadde a terra, innocuo.
Il grido di terrore di Chikara riempì il silenzio che si era creato, un grido da fare accapponare la pelle, un grido che nessuno doveva aver sentito da centinaia di anni.
I suoi luminosi occhi verdi osservavano lo spesso bracciale spezzato al suolo con una paura sconfinata: adesso sapevano come fare a togliere i sigilli e una volta tolti tutti, niente avrebbe potuto bloccare il potere di Isabel.

Le lotte ripresero con più energia, solo una si era fermata e non sembrava dover ricominciare mai più: Hisomi era ancora al suolo, a fissare il cielo con i suoi scintillanti occhi gialli, immobile; Mikey lo osservava, il suo corpo emanava di nuovo solo una lieve luminescenza, tenue rispetto al bagliore di poco prima.
Sapeva di non averlo colpito così forte, anzi, tutt'altro, ma aveva avuto sin dall'inizio l'impressione che Hisomi non stesse combattendo sul serio, ma stesse invece cercando di sfuggire la lotta.
Il pensiero che si fosse fatto colpire apposta lo sfiorò e benché si sentisse un po' offeso all'idea, fu comunque soddisfatto dal passo avanti fatto: Isabel era un gradino più libera, grazie a lui e a Steve.

Isabel era sconvolta e incredula. Strusciò piano la gamba, portandosela al petto, guardando il sigillo al suolo, lontano da lei e dalla sua pelle.
Nel momento in cui si era spaccato, il momento in cui Hisomi era volato via, aveva sentito un brivido attraversarla da capo a piedi, una scossa di energia fin dentro le ossa.
Si era sentita più libera.
Libera di muoversi un po' più agevolmente, per quanto ancora non riuscisse ad alzarsi, libera di respirare a fondo, libera di connettersi per un fugace momento con la sua magia, quel tanto da sapere che era ancora lì, dentro di lei, in attesa di esplodere.

Finalmente Leonardo sentiva di poter sconfiggere Juto: grazie all'aiuto della bolla d'acqua, gli attacchi contro lui e Angel venivano deflessi senza problema, e poteva concentrarsi sulla mossa successiva.
Bolla su quando lo Shisho lanciava contro loro le sue mille armi. Bolla giù quando si tuffava contro di lui assieme ad Angel per colpirlo. E via così, cercando di fiaccarlo.
Ovviamente però, Juto capì immediatamente lo schema, non era nemmeno troppo difficile. E anche Leo capì che non potevano tirarla troppo per le lunghe. Si voltò brevemente per dire qualcosa ad Angel, ma a causa della bolla non si poteva sentire la sua voce.
Lei annuì solennemente, impugnando con presa più forte i Tonfa.

E in quel momento la bolla esplose in milioni di gocce e Angel si tuffò in avanti velocemente, dritta contro Juto, le braccia in alto pronte a colpire: l'uomo reagì istintivamente, agitando le mani come due fruste, lanciando contro di lei dieci armi differenti, una più mortale dell'altra.
Angel continuò a corrergli incontro senza paura e quando non mancavano che pochi centimetri, il momento prima che le lame la infilzassero, una barriera di acqua apparve tra loro, scrosciante e impenetrabile, schermandola alla vista.
Juto si fermò sorpreso e solo in quel momento si accorse che Leonardo non era lì attorno.
Anche provando a reagire, era troppo tardi.

Silenzioso e letale il leader calò dal cielo, la sua luminescenza blu riflessa nelle mille gocce che gli danzavano intorno, già più accecante come se anticipasse quello che sarebbe successo: le Katana colpirono violentemente il bastone apparso all'ultimo secondo nelle mani di Juto, ma la potenza del colpo era troppa e la distanza poca, e il maestro venne sbalzato indietro.
Sbatté al suolo con forza, strisciando per qualche metro, le armi abbandonate mollemente attorno al corpo. La luce di Leonardo crebbe, blu intenso e abbagliante, illuminando per qualche istante la notte.
Il sigillo al polso sinistro di Isabel si ruppe e cadde al suolo, senza un suono.

Ma non c'era tempo per fermarsi a riflettere, non ce n'era per parlare delle sensazioni, delle speranze, perché le altre due lotte infuriavano, senza tregua.

Don e April pressavano Kon incessantemente, dando il massimo. E grazie al potere della terra, e alla pianificazione di Donatello, la vittoria non sembrava così lontana. Certo, anche le vittorie dei suoi fratelli erano da impuntare a quella sua rinnovata fiducia.
Ma anche razionalmente, il suo campo, sapeva che potevano batterlo.

Ok, mi è piaciuto il diversivo che hanno usato Leo e Angel, dovremo usarne uno anche noi” mormorò ad April, in un momento in cui si spostavano entrambi all'indietro, per schivare un attacco di Kon.

April annuì velocemente, portando la Katana in avanti per essere pronta a parare: Kon ne usava due, ma con una velocità e maestria senza paragoni, riusciva a gestire perfettamente i loro attacchi. Lei e Donatello lo pressavano da due lati differenti e lo Shisho scansava e parava facilmente, spostando l'attenzione velocemente da uno all'altro, con una minima torsione del busto: da una parte era ferro contro ferro, con scintille e clangore di stoccate, dall'altra ferro contro legno, con tocchi sordi e i piccoli solchi della lama sul bastone.
Ogni tanto i due alleati si scambiavano di posto per provare a confondergli le idee, allacciandosi e intercambiandosi, ancora e ancora.

D'un tratto, con un rombo crescente, la terra sotto ai loro piedi iniziò a tremare e Kon si accorse con la coda dell'occhio del bagliore verde che andava intensificandosi; April cadde a terra, illesa, e perfino lo Shisho perse l'equilibrio, un secondo solo, in avanti: il bastone di Don lo colpì in pieno petto, di punta, una stoccata potente e precisa, che lo sbalzò all'indietro. Una colonna verde esplose verso l'alto, dal corpo di Donatello, immobile a guardare Kon al suolo accanto ad April.
Il sigillo alla caviglia destra di Isabel si ruppe e cadde.

Con tre sigilli in meno, Isabel si sentiva decisamente diversa, decisamente meglio. Afferrò la mano di Splinter e la usò come appoggio mentre si tirava su, piano, leggermente barcollante. Ondeggiò solo un'altra volta, prima di lasciare andare la mano del maestro e allungare un passo in avanti, deciso. Il ginocchio cedette di poco, ma fu veloce a ritornare ritta, con un sorriso smagliante in viso.
Mancava solo un sigillo, solo uno. Sentiva il suo potere premere quasi fisicamente nel suo petto per poter uscire, dopo tutto quel tempo di prigionia.

Raphael si voltò per guardarla, con un luccichio negli occhi di sorpresa, forse, o commozione, nel vederla in piedi.
Era tutto nelle sue mani, ormai. Lui e Casey avevano l'ultimo compito, ma forse per quello il più difficile. Chikara era furente, folle nella sua rabbia, irata persino coi suoi compagni, per le loro stupide sconfitte.
Ma lei non sarebbe caduta. Avrebbe spazzato via quei miseri mortali, tutti, tutti loro, e poi avrebbe rinchiuso ancora Isabel Charmillion, non le avrebbe mai permesso di ucciderla, di annientarla completamente.
Si gettò come una furia cieca contro Raphael e Casey, agitando il Kanabo con più violenza, spostandosi rapidamente da uno all'altro, forse sperando di colpirne almeno uno.

Lo scontro fra i tre era il più aggressivo, violento e brutale: l'onda d'urto dei colpi di Chikara sollevava detriti e terra, che colpivano Raph e Casey con forza, causandogli ferite e graffi.
Gli altri assistevano impotenti, volevano intervenire e aiutare, ma era come se non potessero o non riuscissero ad infilarsi nella lotta, troppo veloce e intensa. Potevano solo aspettare e sperare.
Casey supportava Raph, fornendogli inconsciamente protezione al suo lato sinistro, al suo occhio danneggiato: grazie al suo amico umano il suo punto cieco era coperto.
Chikara non faceva nessuno sforzo a tenerli a bada entrambi, con la sua forza prodigiosa le bastava sventolare la mazza per avere un raggio di azione che la copriva a 360 gradi, ma quello non impediva i due uomini, uno umano e uno mutante, di continuare a provare a rallentarla e bloccarla, anche solo per un momento.
Attaccavano senza sosta, Casey aveva già perso due mazze da baseball e due da hockey, polverizzate dalla pressione dell'arma di Chikara, e al momento ne brandiva un'altra, anch'essa già provata dai colpi.

Lui e Raph si scambiarono uno sguardo fugace, che valeva più di mille parole.
Poi si lanciarono insieme in avanti, caricando ad armi sguainate, ma Chikara calò dall'alto la sua mazza e li mancò solo per un soffio: Casey si gettò in avanti e prese l'onda d'urto in pieno e cadde a terra, con in mano niente più che schegge di legno.
Raphael approfittò della distrazione e del secondo necessario alla donna per risollevare l'arma e si gettò a testa basa contro di lei, un Sai in attacco e uno in difesa: la luminescenza rossa del mutante iniziò a crescere, ma non c'era modo che riuscisse a colpirla, non gliel'avrebbe permesso; saltò all'indietro per distanziarlo e qualcosa si gettò su di lei, afferrandola per le spalle.

Casey si era avvinghiato braccia e gambe alla sua schiena e bloccava i suoi movimenti con disperazione, ben conscio che non avrebbe potuto resistere molto contro la forza erculea della donna. Lei si divincolò con rabbia, dandogli prova del suo pensiero.
Raph, colpisci!” urlò Casey, velocemente.
Chikara ruotò gli occhi verso il mutante, ma ormai era tardi: Raphael era ad un passo dal suo viso, rivestito di luce e fiamme, il pugno già caricato in avanti: la colpì dritto nello stomaco e lei, e Casey ancora avvinghiato, volarono all'indietro.
Il bagliore rosso di Raphael fu intenso per un momento, prima di riportarli nel buio tenue del finire della notte.

Fece qualche passo verso lei, Isabel.
Il sigillo al collo si era spezzato in due e rotolando leggermente sul suo corpo era caduto a terra. Isabel lo guardò per un istante solo, prima di portare le mani al collo e massaggiarlo con incredulità e gioia.
La stavano tutti guardando, stavano tutti aspettando.

G- Gr-” tentennò con voce roca. “Grazie” riuscì a dire infine, con un suono rasposo che pure aveva le tonalità della sua voce.
Grazie a tutti” continuò, e notarono che aveva gli occhi lucidi, mentre li guardava uno ad uno.

Ma non c'era ancora tempo, per i ringraziamenti e i saluti, e le chiacchierate e i sentimenti.
Gli Shisho erano stati sì battuti, ma non sconfitti.
Si erano rialzati e dopo aver scambiato qualche parola, si erano disposti tutti in fila, a poca distanza da loro.

Basta, Chikara!” supplicò l'Antico, tristemente.
La donna gli rivolse uno sguardo che trasmetteva una paura insensata, una paura che non voleva sentire ragioni.

È troppo tardi, ormai.”

I corpi dei quattro maestri iniziarono a brillare, ascendendo verso il cielo, luminosi come stelle, sempre più grandi: quattro draghi riemersero dalla luce, lanciando gridi terrificanti nella notte.
Hisomi drago era giallo e marrone e possente, con le ali appuntite e uno spesso collare dal bagliore dorato. Juto drago era blu e bianco, le sue ali niente più che spuntoni, la sua lunga coda a punta di lancia. Kon drago era grigio e color ghiaccio, lungo e senza ali, tutto punte e lame affilate. Chikara drago, verde e argento, era imponente e più pericolosa.
I quattro draghi ruggirono al cielo e poi si gettarono in picchiata su di loro, e fu solo lo scudo sollevato all'ultimo momento da Isabel a bloccarli.
I suoi occhi erano rossi, rossi come il sangue, le braccia estese contro la minaccia dei draghi.

Loro non desistettero, continuarono ad attaccare la bolla protettiva con colpi magici e di coda, violentemente e ferocemente.
Dobbiamo combatterli nel loro campo” disse d'un tratto Leonardo, rivolto verso i suoi fratelli. E quelli gli risposero con un cenno affermativo, tutti sintonizzati sullo stesso pensiero.
Erano tutti certi di riuscirci, con l'ultima scintilla di magia.
Si illuminarono, di blu, di rosso, di giallo e di verde, sempre più intenso, sempre più forte, e Isabel capì cosa volevano fare, ma non riuscì a fermarli in tempo: i quattro mutanti si trasformarono in quattro draghi e volarono via, trapassando senza problemi la sua barriera.
Gli otto draghi si allacciarono immediatamente in lotte uno contro uno, scambiandosi colpi di una furia inaudita, senza risparmiarsi da entrambe le parti.
Lo scudo cadde.

Gli umani, Splinter e l'Antico si accorsero dei ghirigori rosso scuro sulle gambe di Isabel e poterono indovinare facilmente che le marchiassero ormai tutto il corpo: anche lei si illuminò intensamente, di una luce bianca, e quando finalmente riuscirono a vedere nuovamente, al suo posto c'era una grande creatura. Aveva il corpo coperto da squame perlacee, del colore della madreperla, il collo lungo solcato da una lunga cresta piumata e enormi ali bianche formate da mille e più piume; la lunga coda era ricoperta di squame color sangue, e dello stesso colore erano i suoi grandi occhi.
Anche lei è un drago” mormorò sorpreso Splinter, osservandola spiccare il volo per raggiungere gli scontri, lassù in alto dove loro non potevano ormai più fare nulla, anche volendolo.
No, quello non è un drago, Splinter-san” esclamò solenne l'Antico, anche lui con gli occhi al cielo.

Isabel fermò le sue ali, ruggendo minacciosa, e gli scontri si bloccarono immediatamente, i draghi attoniti e confusi. I draghi Shisho risposero con un lamento di rabbia e si gettarono immediatamente contro di lei, lanciandole addosso i loro attacchi più letali.
I draghi mutanti erano subito dietro loro, nel vano tentativo di fermarli.
Isabel aprì il muso appuntito e soffiò fuori una vampata di fuoco che illuminò il cielo completamente, un fuoco enorme e dilagante che non si spegneva, ma cresceva e cresceva, sfolgorante e rovente. Inglobò tutti, amici e nemici, inglobò anche lei, Isabel.
Il cielo era una immensa distesa di fiamme.

Giù, al suolo, tutto quello che riuscirono a vedere era rosso accecante e si schermarono gli occhi, stringendosi gli uni agli altri. E quando infine sbirciarono per controllare, trovarono solo buio, quel buio tenue e chiaro che precedeva l'alba.
E silenzio. E nient'altro.
Non c'era più Isabel, non c'erano più Leonardo, Donatello, Raphael o Michelangelo. Non c'erano nemmeno più gli Shisho.
Solo silenzio e cenere che cadeva leggera al suolo, in pigre spirali.
Si guardarono, sconvolti, cercando poi nel volto di Splinter una risposta, una rassicurazione, ma gli occhi del maestro erano spaventati come i loro e confusi come i loro.
Si voltò insieme agli umani verso l'Antico, ma il bonario Shisho era sorridente, un sorriso lieve, pieno di promesse.

Il primo raggio di sole filtrò oltre la montagna, sottile e quasi impercettibile e contemporaneamente una vampata di fuoco esplose dal suolo, dalle ceneri cadute, e tra le sue spire apparve Isabel, ritta e splendida, coi lunghi capelli sciolti e il corpo nudo.
Aveva solo la collana degli amanti al collo e il bracciale con le tartarughine al polso.
Alzò le mani e le fiamme crebbero, e i quattro Shisho in forma umana e i quattro mutanti nel loro solito aspetto apparvero, rannicchiati al suolo, anche loro tutti completamente nudi, completamente rinati.
Le fiamme si spensero ad un suo cenno, morendo velocemente con ultime lingue pigre.

Chikara aprì gli occhi, non erano più splendenti, erano verdi occhi normali, confusi e sorpresi, e si posarono su Isabel. E quelli castani di lei la osservavano a sua volta.
Si alzarono, lei e Hisomi e Juto e Kon, indifferenti della loro nudità, tutti pari nella loro condizione. Avevano perso tutti la luminescenza dei loro occhi, sembravano semplici umani, fragili e mortali.

Avete fatto accadere ciò che temevate con la vostra paura. Avete fatto avverare voi la visione, senza fermarvi a pensare ad altre alternative. Avete lottato senza sapere quale realmente fosse il suo avatar, il perché delle fiamme della visione” disse la voce dell'Antico, poco distante da loro.
E non si voltarono verso di lui, ma si trovarono d'accordo. In quel momento capirono cosa avevano fatto, capirono il loro errore, capirono la loro insensata paura.

Una fenice” mormorò Chikara, gli occhi ancora incatenati a quelli di Isabel, e lei annuì piano nella sua direzione.
Avete perso i vostri poteri, siete rinati, potete ricominciare da capo.”

Chikara ridacchiò, in maniera triste, scuotendo piano la testa e i lunghi capelli bianchi.
Sì, si sarebbero allenati e avrebbero scoperto e sviluppato quei poteri che già una volta li avevano resi immortali, ma sentiva che sarebbe stato diverso, questa volta.

Probabilmente un giorno voi cinque prenderete il nostro posto” sussurrò a sé stessa, voltandosi piano verso i suoi compagni. Nei loro volti leggeva il suo stesso pensiero, la sua stessa vergogna, il peso di quello che avevano fatto.

L'Antico sorrideva loro bonariamente, là da sotto gli alberi, più giovane e tuttavia più saggio di tutti loro. Non c'era rimprovero nel suo sguardo.
Si incamminarono tutti verso di lui, stanchi e provati, desiderosi solo di poter andare via, andare a casa. L'indomani avrebbero pensato al da farsi.
L'Antico aprì un grande portale, ma prima di attraversarlo, gli Shisho si voltarono verso Isabel, ancora lì ritta, vestita solo dei suoi lunghi capelli castani.

Ci dispiace” riuscì a mormorare Chikara, prima di sparire oltre il portale. Gli altri la seguirono, e l'Antico, prima di attraversarlo e farlo sparire, rivolse loro un grande sorriso, di scuse e di affetto.

E poi rimasero solo loro, solo la loro grande e stramba famiglia, stanchi, esausti, ma di nuovo tutti uniti.
Isabel aveva ancora lo sguardo fisso sul punto in cui erano spariti, la mente affollata da tutto quello che era successo, così in fretta, così repentinamente, ancora incapace di capire gestire le sue emozioni appieno.

D'un tratto si sentì cingere da due braccia forti, che la attirarono contro un corpo grande e caldo e rassicurante.
Isabel” sussurrò Raphael, sollevato e incredulo al tempo stesso.
Raffaello” mormorò dolcemente lei, alzando lo sguardo su di lui.
E nessuna parola era stata mai più bella e più dolorosa di quella, nessun suono mai così giusto e dolce e perfetto.
La strinse più forte, nascondendo il viso tra i suoi capelli.

Sposami. Sposami, Isabel, ti prego, sposami.”

Isabel si irrigidì per un attimo, e si staccò appena da lui per guardarlo in viso e leggere nei suoi occhi. I suoi occhi senza maschera, i suoi occhi sinceri.
Così pieni di amore, macchiati solo appena dal velo di dolore che lo aveva stretto nei mesi precedenti, così speranzosi e di nuovo vivi.
Gli circondò il viso con le mani, tendendosi in punta di piedi e posò un bacio leggero sul suo occhio sinistro e la magia questa volta si compì, la cicatrice non scomparve, ma Raphael riuscì a mettere a fuoco perfettamente i contorni del viso di Isabel e sembrò che la luce fosse ritornata nel suo mondo. Era tutto più luminoso e perfetto. E lei sorrideva con tutto il cuore.

Sì, sì, sì che ti sposo. Sì! Anche adesso, sempre, sì!”
Ridacchiarono entrambi, stringendosi forte, baciandosi come se non ci fossero che loro, tra le lacrime.

A Settembre. Tra due mesi, sposiamoci a Settembre” disse Raphael alla fine, e lei sorrise come risposta, assolutamente d'accordo.

Le urla di gioia gli ricordarono che non erano soli e si trovarono tra la loro famiglia festante, tutti che esultavano come pazzi.
Matrimonio a Settembre! Oh sì! Sarò il damigello!” esclamò Michelangelo.
È tutto bellissimo, davvero ragazzi, e congratulazioni, ma per favore mettetevi qualcosa addosso! Vi supplico!” sbottò Steve, completamente paonazzo, strizzando gli occhi per non vederli.

Il coro di risate e le battute lo accompagnarono per tutta la permanenza alla fattoria mentre si rivestivano e facevano colazione e poi nel viaggio di ritorno a New York.
Ci furono molte risate e cuori leggeri, finalmente tutti di nuovo insieme, possibilmente per sempre.





Note:

Buona sera a tutti, spero stiate tutti bene.
Finalmente siamo arrivati alla “fine” di questo ciclo di magia e misteri, iniziato fin dal primo capitolo: erano gli Shisho, spaventati dalla visione, ad averla però infine fatta avverare con le loro paure e azioni. Sono così rinati, ritornati umani, costretti a ricominciare da capo.
Le ripercussioni di questi avvenimenti si vedranno in futuro, chissà se in bene o in male.

Ma la storia non è ancora conclusa! Prima dell'atteso epilogo che ormai credo sappiate di cosa parlerà, ci saranno alcuni capitoli di una mini avventura tutta dal punto di vista di Mikey, “Mikey's little adventure”. A dispetto del titolo carino potrebbe essere triste, violenta, sentimentale, il genere di storie che scrivo sempre insomma, vi avviso.

Spero il capitolo vi sia piaciuto, vi ho fatto attendere moltissimo.
Vi abbraccio strettissimo, di tutto cuore, e vi ringrazio.

Spero a presto




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Capitolo 36
*** Mikey's little adventure 1. My name is Sam ***


Correre, correre gli dava gioia come poche altre cose al mondo.
Il vento gli scorreva addosso, non lo frenava e rallentava come faceva a tutti gli altri corpi: si fondeva col suo, lo sosteneva; ci passava attraverso, senza attrito e forze contrarie.
Michelangelo era aria.

Correva per New York, di terrazza in balcone, da tetto a cisterna.
Solitario. Pensieroso.
Da un paio d'ore se ne stava di ronda, a pensare, sforzando tutti i suoi neuroni.
Cosa si poteva regalare ad un matrimonio?

Quando April e Casey si erano sposati, Don aveva creato per loro un mega elettrodomestico tuttofare per la loro casa, a nome di tutti loro. Un prodigio dell'avanguardia capace di cucinare, lavare e fare ogni genere di faccenda domestica.
Tanto sapevano tutti che Casey non era capace di cucinare, al limite riusciva a bruciare ben bene gli hamburger alla griglia. Era stato una manna dal cielo, per lui.
Ma non sarebbe andata bene una cosa del genere.
Non per la futura coppia di sposi.

Gli seccava ammetterlo, ma Raph sapeva cavarsela alla grande con le faccende domestiche. E d'altronde con gli insegnamenti del sensei non poteva essere altrimenti. Ognuno di loro era praticamente l'uomo perfetto sotto ogni aspetto.
Lui, poi, era anche il più carino, a dover essere senza modestia. Raph era stato il primo a trovare una ragazza solo per pura fortuna.

Aveva avuto la malaugurata idea di chiedergli cosa desiderasse per il matrimonio. Col senno di poi sapeva che era stato stupido da parte sua.
Raph aveva ghignato, con un'aria sarcastica.

Che tu non ci venga. Non chiedo niente di meglio” gli aveva risposto, come suo solito. Ma davvero si era aspettato una risposta diversa?
Isabel, al contrario, era stata di una dolcezza disarmante. Alla stessa domanda gli aveva sorriso, teneramente.

Niente. Mi basta che tu sia lì con noi” gli aveva detto, con quella sua voce musicale, che scaldava il cuore.
Come potesse una donna così splendida stare con quell'idiota di suo fratello era un completo mistero. Erano come acqua e fuoco. La notte e il giorno.
Eppure il loro rapporto funzionava alla grande, da quando si erano ritrovati non facevano che passare il tempo assieme, lui docile e tranquillo come solo lei sapeva renderlo.
Quel dannato fortunato di Raph. Se provava a far piangere anche solo una volta la sua sorellina lo avrebbe ucciso, con le sue mani.

Sospirò, stanco. Non aveva ancora trovato un'idea per un regalo.
A poco più di un mese dalle nozze era davvero una situazione insostenibile.
Avrebbe chiesto delle dritte a Donnie, l'indomani. Chissà che in due non riuscissero a venirne a capo.

Pattugliò distrattamente la sua zona, mentre faceva ruotare pigramente i Nunchaku nelle mani, per passare il tempo. Era una noia.
Se da una parte era contento che non ci fossero problemi in giro, dall'altra tutta quella calma lo rendeva apatico e insofferente.
Avrebbe dato doppiamente fastidio a Raph una volta tornato a casa, giusto per rifarsi del tempo perso.

Saltò via dal tetto buio di un palazzo, atterrando su quello di fronte, pieno di piante in vaso, alcune con le foglie bruciate dalla calura estiva.
Perfino di notte l'aria calda di Agosto non dava tregua alla città, creando una cappa soffocante e appiccicosa, pesante da respirare.
E pensare che a casa c'era un fantastico ventilatore che lo aspettava, tutto per lui. Vicino alla sua pila di fumetti, Isabel gliene comprava uno nuovo a settimana, e all'altrettanto grossa pila di videogiochi.
Ci mancava solo un bel ghiacciolo all'arancia e il quadro idilliaco sarebbe stato perfetto. Sì, ancora dieci minuti di ronda e poi avrebbe preso la strada di casa.
Poteva già sentire il fresco che solo il loro rifugio sotto terra poteva offrire.
Camminava svagato, con quei pensieri allettanti per la testa.

Finché il suono di uno sparo non lo raggiunse fin lassù, dissipando in fretta ogni fantasticheria. Tese le orecchie, vigile come non mai, ma non ebbe bisogno di cercare la fonte del suono, perché il rumore di una vera e propria sparatoria riempì l'aria.
Corse, seguendone la fonte, veloce come solo lui poteva essere, certo che ci fossero dei guai in agguato.
Non sapeva se esserne felice o meno.
Si sporse dal tetto sul quale era appena atterrato, scrutando le stradine sottostanti con attenzione. Un colpo riecheggiò, seguito da un secondo e poi un terzo.
Una piccola figura correva con tutte le sue forze, saettando tra i cumuli di immondizia del vicolo con precisione e leggiadria. Ne saltò uno con un grosso balzo, alto e perfetto, nemmeno fosse stato un atleta. Chiunque fosse, era di certo un tipo atletico.
Appena dietro una banda al completo di brutti ceffi seguiva la figura, sparando nel contempo tutte le munizioni.

Non sapeva esattamente come stessero andando le cose, ma di certo la situazione era impari. Il fuggitivo arrivò alla fine della stradina, proprio contro il muro che delimitava il vicolo cieco. Una bella sfortuna la sua, non c'era che dire.
Gli inseguitori armati smisero di sparare, una volta capito che fosse in trappola.
Risero.

Nessuno ruba al nostro capo e la fa franca” grugnì quello più grosso, con un fucile sottobraccio.
Non so di cosa stiate parlando” rispose la figura premuta contro il muro, con una vocetta sottile e seccata. La vide girare la testa di qua e di là alla ricerca di una via di scampo.
Dacci quello che hai preso! O lo prenderemo dal tuo cadavere!”
Stava per intervenire. Era chiaro che quella persona fosse nei guai, anche se sembrava che se li fosse cercati nel rubare ad una gang.
Poi la piccola figura spiccò un salto. Alto. Colpì con il piede il muro alla sua sinistra, acquisì abbastanza spinta per rimbalzare su quello opposto e darsi ancora più elevazione. In un secondo sparì oltre il muretto, tuffandosi di schiena come un atleta di salto in alto.

Il gruppetto rimase spiazzato. Dal gesto e dalla velocità con cui era stato attuato.
Cercatelo! Sbrigatevi!” tuonò il capo banda, con un gesto imperioso della mano. Si dispersero all'istante in gruppetti più piccoli, sparpagliandosi nelle viuzze attorno, cercando di trovare la traccia.
Michelangelo sorrideva. Che razza di babbei.
Certo, il fuggitivo era stato davvero svelto e preciso, ma a lui non l'avrebbe fatta. Corse fino alla fine del tetto, nella direzione in cui era sparito.
Da lassù non contavano i vicoli ciechi e le strade a senso unico: poteva andare in ogni direzione, senza freni. Non gli fu difficile ritrovare la scia della piccola figura.

Correva come una disperata, cambiando verso di marcia ogni due per tre, come se stesse cercando di confondere le idee a quelli che la seguivano; o forse stava solo cercando un posto dove nascondersi.
Era curioso.
Si gettò in avanti e scavalcò con facilità lo strapiombo tra due palazzi, controllando sempre al di sotto per sapere dove si stesse dirigendo: destra, sinistra, sinistra e poi ancora a destra, scavalcando ostacoli e cancellate come fossero uno scherzo.
La banda di gonzi non era altrettanto atletica, ma era di sicuro ostinata a prendere il fuggitivo e lo seguiva ad una discreta distanza, senza perderlo di vista.
E di certo una volta preso quello non se la sarebbe passata bene.

La fuga proseguì per qualche altro minuto, infine si bloccò bruscamente quando la figura si trovò di fronte ad un muro troppo alto da saltare, in un vicolo chiuso da tre case, senza alcuna via di scampo. Non che non ci avesse provato, comunque: ribaltò un paio di bidoni, cercando di creare una scala per raggiungere il cornicione del primo piano, ma i suoi salti erano troppo corti e le mani si chiusero sul niente, ogni volta.
Al terzo salto la gang arrivò nel vicolo e il fuggitivo si fermò, inchiodato al suolo.
Senza una parola due degli uomini si avvicinarono e provarono a colpirlo, con dei diretti al viso, ma la figura si difese alla grande e con poche mosse li atterrò entrambi, nonostante la sostanziale differenza di mole.

A quel punto il capo banda sparò un colpo di avvertimento verso il cielo e il fuggiasco lasciò andare il braccio di uno degli uomini e alzò le mani, lentamente.
Adesso basta.”
L'uomo abbassò l'arma e gliela puntò dritta in pieno petto, il dito che già accarezzava il grilletto.
Un'ombra calò su di loro e la pistola volò via con un tocco sordo. In mezzo ad un paio di grida, altre cinque pistole e tre uomini caddero a terra, rapidamente.

Mikey si muoveva veloce tra di loro, svelto a capire quale fosse la minaccia principale e neutralizzandola all'istante, per poi passare alla successiva, finché non rimasero solo tre uomini in piedi, confusi e spaventati, decisi a combattere dato che non potevano scappare.
Cosa cazzo è quello?” urlò il capo degli idioti, quando Michelangelo si fermò abbastanza a lungo da essere identificato.
Sono un modello, non si vede?” rispose lui, fintamente risentito.
Sentirlo parlare sembrò sconvolgerli ancora di più e si gettarono tutti e tre contro di lui, su tre lati, con i pugni già caricati: con uno sventolio di Nunchaku li neutralizzò all'istante, e in un attimo era rimasto l'unico in piedi, circondato da uomini svenuti.

Sono profondamente offeso dalla vostra ignoranza” esalò infine, anche se loro ovviamente non potevano sentirlo.

Dalle sue spalle arrivò un tonfo e si voltò in tempo per vedere il fuggiasco che provava ad allontanarsi rasente al muro, a qualche metro di distanza da lui: era un ragazzino, vestito da rapper, con pantaloni e una felpa larghissimi, neri, a dispetto del caldo torrido, e con un berretto calcato in testa. Da sotto la visiera spuntava una zazzera bionda, disordinata.
Si avvicinò con cautela, per non spaventarlo.

Ehy, tutto ben-”
Un pugno lo colpì dritto alla base della mandibola, disorientandolo per un attimo, e il ragazzino sembrava pronto a dargliene un altro, se non lo avesse bloccato in tempo per un polso.

Non mi toccare, coso!” gli urlò divincolandosi, e prima che se ne accorgesse un calcio lo prese allo stomaco, fortunatamente protetto dal piastrone. Sorrise della sua smorfia dolorante e lo lasciò andare, indietreggiando di un passo.
Ti ho salvato, non voglio farti del male” assicurò con voce dolce, capendo la situazione.
L'altro sbuffò col naso, come a voler dire che non lo temeva per niente, sempre comunque sul chi vive. Alla faccia della gratitudine.

Non avevo bisogno del tuo aiuto, coso.”
La sua voce era squillante, ancora acuta di un bambino non arrivato nella pubertà, ma era alto e gli occhi grigi sotto il berretto erano fieri e duri.

Non mi chiamo coso, sono Michelangelo. Ma è lungo, puoi chiamarmi Mikey.”
No, ti chiamo addio, me ne vado, coso.”
E tenendolo d'occhio fino alla fine del vicolo, sparì dalla sua vista.

Mikey rimase immobile a fissare il punto dove era sparito, poi scoppiò in una risata.
Quel tipo era interessante.
Si gettò nella sua scia, cercando di ritrovarlo, e una volta individuato lo seguì cautamente, senza fretta. Stava gironzolando per le viuzze, attento ad ogni movimento sospetto e apparentemente indeciso su dove andare.

Appena svoltato un angolo, Mikey se lo trovò di fronte, di nuovo col pugno carico contro di lui.
Perché mi stai seguendo, coso?” domandò sospettoso.
Volevo essere sicuro che non ti succedesse nient'altro” replicò subito lui, sinceramente.
Non ho bisogno di protezione, vai via” borbottò il ragazzino, abbassando il braccio e voltandosi, continuando a camminare.
Mikey gli andò dietro comunque, svagatamente.

Mi stavo chiedendo perché quei tizi ti stessero seguendo... cosa gli hai rubato?”
Il giovane girò appena la testa per mandargli un'occhiataccia disgustata.

Non ho rubato niente.”
Non sta bene rubare e mentire alla tua età, ragazzino.”
Si beccò un altro sguardo di disprezzo, perfino più cattivo di prima.

Non ho rubato. Non ho mentito. E non sono un ragazzino. E adesso sparisci, mi dai noia, coso.”
Si allontanò a grandi passi senza prestargli più attenzione, nonostante sapesse che era ancora dietro di lui.

Michelangelo avrebbe potuto lasciar perdere, se avesse anche solo lontanamente saputo cosa volesse dire quell'espressione, ma quel tizio lo incuriosiva e in più sembrava aver bisogno di aiuto e lui non si sarebbe tirato indietro. Ovviamente aveva deciso tutto da solo.
Si fermò quando lo vide entrare in un locale dall'altra parte della strada, in cui lui non poteva, logicamente: si tenne nell'ombra in attesa, non seppe nemmeno bene perché.
Non sapeva cosa stesse combinando o cosa volesse combinare, in fin dei conti.

Rimase in attesa per una buona mezz'ora, prima di pensare che potesse esserci qualcosa che non andava; e se ci fosse stato, lui non lo avrebbe saputo per tempo.
Si arrampicò sul palazzo vicino e una volta sul tetto prese la rincorsa per lanciarsi su quello di fronte, alla cui base c'era il locale: da lì, tenere d'occhio sia l'ingresso che l'uscita sul retro era questione di pochi passi e aveva l'illusione di aver tutto sotto controllo, a modo suo.
Attese ancora, percorrendo a piccoli passi il tetto, morendo di noia, mentre il pensiero del suo rifugio fresco e dei ghiaccioli si faceva di nuovo strada nella sua mente.

Dopo quella che gli parve un'eternità, sentì delle voci risalire dalla strada.
Non ci piace chi fa la spia agli sbirri, pidocchio.”
Ho solo chiesto un'informazione, non lavoro con la polizia.”
Mikey riconobbe la seconda voce e si affrettò a correre dall'altra parte del tetto, sporgendosi poi oltre il cornicione per guardare sotto, in un vicolo dietro il locale su cui si apriva la porta sul retro.
C'era il suo piccolo piantagrane insieme a tre uomini più alti di lui di almeno trenta centimetri, minacciosi e pericolosamente vicini, pronti a picchiarlo. Quello, tuttavia, non sembrava impaurito e teneva testa con la sua cocciutaggine, a dispetto della figura esile.

Non ci piace nemmeno chi fa domande, nessun genere di domande” rispose uno, spintonandolo via.
Il ragazzino reagì in fretta e lo colpì allo stomaco con un pugno e poi roteando velocemente lo mandò al tappeto con un calcio in piena faccia. Gli altri due si lanciarono contemporaneamente contro di lui, ma uno venne colpito in testa da qualcosa caduto dal cielo, mentre l'altro lo stese abbastanza facilmente con pochi colpi.
Poi alzò lo sguardo in alto e trovò un sorridente Michelangelo che lo salutava con una mano.

È tua abitudine andare in giro sui tetti e immischiarti negli affari degli altri?” chiese sarcastico.
È tua abitudine metterti nei guai con tutti?”
Non sei nei guai se li stendi tutti prima che lo facciano loro.”

Il ragazzino si chinò a prendere il Nunchaku che aveva lanciato e poi lentamente si avvicinò alla scaletta antincendio, issandosi facilmente sul tetto.
Senti, non so perché continui a starmi dietro, ma ti avviso che non ho molta pazienza” iniziò a dire una volta sopra, facendo roteare il Nunchaku con la mano destra.
Non era bravo quanto lui, ma non se la cavava poi così male.

Mi sembri nei guai; posso darti una mano. Cosa stai cercando?”
No, grazie. E qui le faccio io le domande: cosa sei, coso?”
Sono un ninja! Non si vede?” replicò Mikey indicando la sua figura, ma al vedere che il ragazzo non sorrideva nemmeno, sbuffò deluso.
Sono una tartaruga mutante” rispose meno divertito, e vide che l'altro sembrava decisamente più interessato.
Una tartaruga mutante con addestramento ninja e aggiungi alla lista anche carino, simpatico e dal cuore romantico.”

Vide gli occhi grigi rollare verso il cielo e un po' gli venne da ridere, ma si fermò quando il ragazzo smise di far roteare la sua arma e si avvicinò circospetto, studiandolo con occhio attento; gli prese una guancia e tirò forte, forte, finché non gridò di dolore e sorpresa assieme.
Ma sei-”
È vera. Allora questo non è uno scherzo?”
Ti sembra uno scherzo questo?” si lagnò Mikey, mostrando la guancia arrossata, che si strofinò prontamente con un broncio offeso.
Solo allora lo vide ridere, un ghigno contento per ciò che aveva fatto e gli venne il dubbio che quel ragazzo non fosse poi così buono e bisognoso di aiuto.

Allora, vuoi dirmi cosa stai cercando? Può non sembrarti, ma sono bravo ad aiutare le persone.”
Il giovane si adombrò di colpo e gli restituì immediatamente il Nunchaku, di colpo chiuso in sé stesso.

Non mi puoi aiutare, faccio da me. Vai a salvare qualcun altro, stanotte.”
Si allontanò sul tetto, intenzionato a saltare su quello più vicino, ma Mikey gli andò dietro, insistendo.

Posso davvero aiutarti! Conosco tutta New York e so muovermi meglio di te, non c'è niente che mi sfugga e se mi dici che cosa-”
Mia sorella! Sto cercando mia sorella!” lo interruppe il ragazzo, facendo dietro front con un viso cupo e sofferente.
Michelangelo si fermò sorpreso, colpito dal tono accorato, dalla presenza che lo fronteggiava, seppur piccola.
Ci fu qualche istante di silenzio e temette davvero che se ne sarebbe andato una volta per tutte, dopo averlo colpito in faccia probabilmente.

Mia sorella è scomparsa l'anno scorso, la sto cercando da undici mesi. La polizia ormai non fa più niente, è passato troppo tempo... mi hanno detto che è quasi impossibile che sia ancora viva” raccontò invece, malinconicamente.

Mikey lo avrebbe anche abbracciato, se non avesse temuto che lo picchiasse.
Assomigliava un po' a Raphael, quel ragazzino, al Raphael di un tempo che ragionava solo con i pugni.

I vostri genitori sanno che sei fuori a cercarla?”
Un ghigno amaro piegò le sue labbra, gli occhi più cinici.

Non ho genitori. Mia sorella è tutto quello che ho.”
Ok, adesso voleva davvero abbracciarlo, gli costò tutta la sua risoluzione per non farlo.

Io potrei aiutarti. Non posso andare in giro a fare domande, ma ho anch'io le mie conoscenze” propose dolcemente, pensando alla loro rete di informazione fornita dai barboni di New York. Arrivavano ovunque, sapevano molto più della polizia, avevano accesso ad ogni genere di informazione.
Il ragazzo sembrò pensarci su, indeciso se fidarsi o meno. Non sembrava uno che si fidava degli altri con facilità.
Frugò in una delle tasche della felpa e gli allungò titubante una foto, quasi con riluttanza.

Vi era ritratta una giovane donna, il viso a cuore incorniciato da una cascata di morbidi e boccolosi capelli biondi, gli occhi grigi identici a quelli del fratello. E un sorriso dolcissimo, diretto a qualcuno fuori dal campo della fotografia.
In un altro momento avrebbe fatto un commento, una battuta anche, ma era rapito e il cuore batteva forte e le mani gli sudavano.
Era stupido sentirsi così per una foto, ma quella era la donna più bella che avesse mai visto in vita sua, senza offesa per le sue fantastiche sorelle, incarnava tutto quello che avesse mai sognato e desiderato in una compagna. Anche di più.

Si riscosse infine dalla trance, e si accorse che l'altro lo stava fissando.
Ti aiuterò a trovarla” annunciò solenne. “E poi me la presenterai” aggiunse con un sorriso furbo.
Che schifo, non ci pensare nemmeno, coso. Non lascio mia sorella ad un mutante, ninja e tartaruga!”
E carino. Hai dimenticato carino.”

Il ragazzo sorrise appena, scuotendo la testa.
Prima troviamola, poi sentiamo che cosa ne pensa lei” disse mezzo divertito.
Poi tese la mano verso di lui.

Io sono Sam, molto piacere, coso.”



Note:

Buona sera a tutti, ben ritrovati.
Prima di quanto pensaste, immagino.

Eccoci al primo capitolo della mini-avventura di Mikey. È passato un mese dalla lotta contro gli Shisho e dalla proposta di Raph a Isa e il piccolo di casa si chiede cosa possa regalare loro per il matrimonio. Poi ovviamente passa in secondo piano per il nuovo incontro.
Sam sta cercando sua sorella e noi seguiremo Mikey mentre gli da una mano, ovviamente sempre in stile Mikey. Ne avremo per almeno quattro capitoli.

OT: oggi subirò un piccolo intervento, se mi penserete anche un poco, so che la paura sarà di meno.

Vi abbraccio fortissimo.


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Capitolo 37
*** Mikey's little adventure 2. Where's Melissa? ***


Sam sembrava non fidarsi del tutto.
Lo seguiva con fare scettico, facendogli ogni tanto qualche domanda sulla mossa successiva, con fare annoiato e svogliato.
Michelangelo temette più di una volta che il ragazzino lo abbandonasse nel bel mezzo della ricerca, probabilmente dopo avergli mollato un ultimo pugno, come saluto.

Lo convinse che gli servivano almeno dieci copie della foto e lo mandò in un alimentari aperto 24ore, che forniva una fotocopiatrice a pagamento; Sam uscì dopo pochi istanti con una pila di fogli nella mano e si infilò nel viottolo lì accanto, con fare sicuro.
Una mano afferrò i documenti con velocità, ispezionandoli con attenzione alle luci soffuse del lampione poco distante.

Passabile” disse Mikey. “Non coglie appieno la sua bellezza, ma può andare” commentò con fare critico, prendendo la foto in cima per compararla con le fotocopie, infilandosela poi in tasca con fare possessivo.
Sam sbuffò infastidito.

Ridammi la mia foto, coso.”

Michelangelo iniziò a camminare, ignorandolo, e lui gli trotterellò dietro, un pugno già chiuso.
Allora?” insisté con tono più urgente.
Mi serve per le ricerche!” si difese il mutante, molto poco convincente.
Non è vero! Vuoi tenerti la mia foto, pervertito!”
Mikey gli gettò un sorriso colpevole, ma non fece per restituirgliela, continuando invece a guidarlo verso la loro destinazione.

Posso tenerla?”
Perché? È una foto, non la conosci neanche! Ti piace solo perché... è bella” ammise con fatica il ragazzo, storcendo il naso, come se gli costasse ammettere che sua sorella fosse bella.
Eppure Mikey aveva capito quanto il piccolo ci tenesse a lei.

Ti sembrerà stupido, ma si possono capire molte cose da una foto. Da un sorriso. Da uno sguardo.”
Mhm, ok, prendi la foto che mi hai rubato e dimmi cosa ci vedi, coso. Se azzecchi almeno qualcosa della persona ritratta, allora te la farò tenere” sibilò Sam esasperato, accorciando la distanza tra loro con passetti leggeri.
Mikey gli gettò un'occhiata fugace, prima di prendere la foto che aveva gelosamente riposto nella taschina della tuta, chiedendosi se non fosse tutto un trucco per riprendersela.
Studiò attentamente la giovane donna immortalata, ma non ne aveva davvero bisogno.

Dà l'impressione di essere scostante e cinica, brusca, credo, ma in realtà è molto dolce, solo che non sa come mostrarlo. Forse non sa come fare o lo vede come una debolezza” spiegò di getto, con sicurezza.
Nella sua mente era così che se l'era immaginata e non avrebbe cambiato idea facilmente.

E hai capito tutto dalla foto?” domandò cinico il ragazzino.

Mikey annuì vigorosamente e l'altro lasciò andare uno sbuffo dal naso.
Melissa è la ragazza più dolce del mondo, tutta abbracci e coccole e unicorni rosa. Ha una parola carina per tutti ed è schifosamente gentile anche con gli estranei” disse con sufficienza, eppure con un tono di affetto e rispetto che forse non sapeva di trasmettere.
Melissa, allora era così che si chiamava.
Comunque, aveva toppato il suo carattere alla grande, non ci aveva preso per niente; eppure, dall'espressione nella foto, pensava di aver capito come dovesse essere.
Fece per allungare la foto al ragazzino, controvoglia, ma quello tirò dritto e lo precedette nel vicolo, senza una parola; Michelangelo con un sorrisino felice la fece sparire nella tasca, come un tesoro.

Il mutante lo trascinò per un bel po' in giro, fino a raggiungere una delle discariche della città, la più grande. Sam sembrò sul punto di chiedergli spiegazioni, quando videro un fuoco controllato, al centro di un grande spiazzo.
Professore!” salutò Mikey con entusiasmo, agitando la mano verso un uomo seduto lì attorno insieme ad altre persone.
L'uomo, aveva all'incirca una sessantina d'anni, si staccò dal gruppetto e gli rivolse un gran sorriso.

Michelangelo, amico mio, come stai?”
I due si scambiarono una serie di vane chiacchiere e Sam li osservò con curiosità, non osando però fare domande.

Mi serve il tuo aiuto, professore” disse Mikey quando i convenevoli finirono, mostrandogli le fotocopie. “Stiamo cercando questa ragazza.”
Poi il mutante si voltò verso il ragazzo, come esortandolo.

Si chiama Melissa Williams, ha ventidue anni, è una ricercatrice e vive nell'Upper east side” spiegò Sam, mentre Mikey intanto prendeva nota di tutte le informazioni sulla misteriosa ragazza che gli aveva rubato il cuore.
Quella versione tuttavia sembrava troppo perfetta e irraggiungibile ed eterea, rispetto a quella che si era creato nella mente, più semplice e pura, dura, ma con un grande cuore.
Il professore si appuntò tutto con minuzia e prese le fotocopie, promettendo loro che non appena avesse avuto qualche informazione li avrebbe avvisati immediatamente.
Si allontanarono a grandi passi, ma Mikey non aspettò molto per ricominciare a parlare.

Allora, Melissa, parlami ancora di lei” richiese con impazienza, più per sé stesso che per avere altri indizi.
Hai già sentito tutto” rispose seccato Sam. “Ha ventidue anni, prima di sparire faceva yoga e pilates tre volte la settimana in una palestra vicino a casa e usciva per andare al lavoro tutte le mattine alle otto, rientrava ad orari diversi a seconda della giornata. Usciva coi suoi amici nei fine-settimana, insieme al suo ragazzo.”

Mikey sussultò alla menzione del fidanzato, ma non era poi tanto sorpreso che una bella ragazza come Melissa avesse dei corteggiatori, unito poi al carattere dolce che Sam aveva descritto, era perfettamente logico che qualcuno l'avesse accalappiata.
Com'è il suo ragazzo?” domandò d'impulso, più seccato di come volesse suonare.
Sam replicò con un suono gutturale che pareva un rigurgito.

Jacob. Era il suo ragazzo” aggiunse, sottolineando per bene il verso al passato.
Quando Melissa è sparita lo hanno interrogato, anche i suoi amici, ci hanno interrogato tutti. Lui piangeva, era disperato, non sapeva niente.”

Sam vide lo sguardo pensieroso di Mikey e si affrettò a spiegarsi.
Non è stato lui, è un viscido, ma fondamentalmente un idiota. Appena un mese dopo la sparizione di Melissa ci stava già provando con... un'altra, solo perché le somigliava. Ecco quanto ci teneva a lei. Per quanto ne so adesso si è trasferito nel Jersey e sta con una nuova tipa, ha tagliato i ponti con tutti.”
Tutto il disgusto verso quel Jacob era palpabile in ogni parola velenosa di Sam e Mikey un po' gongolò, anche se sapeva che ovviamente quello di Sam era il giusto odio di un fratello protettivo verso sua sorella.

Hai detto che fa la ricercatrice, dimmi di più” lo esortò dopo qualche attimo, sia curioso che in cerca di un modo per distrarlo dal pensiero di quel Jacob.
Sì, Melissa è una delle più giovani ricercatrici nell'intero stato. È sempre stata una secchiona, e beh, è davvero intelligente: si è laureata anni in anticipo sul programma e diverse compagnie hanno fatto a gara per assumerla. Ha ricevuto parecchi premi, sai?”
Si sentiva il rispetto che provava per sua sorella anche attraverso il tono sdegnato che si era imposto, si percepiva una sorta di ammirazione per i suoi traguardi o per la sua intelligenza, anche se Mikey capì che Sam era probabilmente agli antipodi. Non stupido, no, aveva mostrato una buona dose di intelligenza e furbizia, ma di certo non sembrava il tipo di ragazzino a cui piacesse studiare e sgobbare sui libri.

Attesero una chiamata dal Professore, ma non stettero con le mani in mano: gironzolarono per la città, un po' alla ricerca di indizi, un posto in cui magari Melissa era stata e che Sam ricordava, un po' per perlustrare. Mikey cercò di conciliare le due cose, pattugliare senza mettere in pericolo il ragazzino, ma tutto sommato non era così preoccupato, dopo averlo visto tenere testa a tizi ben più grossi di lui: era di certo ancora molto grezzo nel modo di combattere, ma aveva del potenziale che se affinato bene poteva renderlo un grande guerriero.
Forse avrebbe chiesto al sensei di allenarlo, quando tutto fosse finito. E non era una scusa solo per poter rimanere in contatto con Melissa una volta trovata, si giustificò nella mente, pensava davvero che Sam fosse naturalmente portato.

Ne ebbe la prova quando incapparono in una piccola gang che derubava un negozietto di elettronica, dalle parti di Chinatown: avevano parcheggiato un furgoncino scassato nel vicolo in cui si apriva la porta sul retro e uno di loro aveva disattivato l'allarme; entravano e uscivano dal negozio disordinatamente con le braccia cariche di laptop, telefonini, cuffie wireless e consolle di videogiochi che caricavano in fretta nel loro mezzo.
Mikey ne contò tre, dopo qualche attimo in cui era rimasto nascosto a controllare i loro spostamenti.
Intimò a Sam di stare nascosto e non dare nell'occhio, poi si avvicinò velocemente.
I delinquenti erano ben piazzati e muscolosi, di certo sapevano tirare bene un paio di pugni, ma non erano alla sua altezza: si gettò in mezzo a loro e gettò giù i primi due con un paio di colpi di Nunchaku, senza sforzo.
Il terzo reagì alla minaccia e lasciò andare la mercanzia senza ritegno, cercando di scappare via, ma accortosi di non avere vie di fuga, si voltò ad affrontarlo con solo un po' di timore.
Michelangelo gli sorrise con fare affabile, ma il sibilo dei Nunchaku che roteavano nelle mani lo rendevano tutto meno che rassicurante.

L'uomo si gettò contro di lui con la guardia alta e provò a colpirlo con un destro, ma scansò di lato e lo stoccò alla gamba con un'estremità del Nunchaku, come avvertimento.
Il delinquente gridò di dolore, ma non si arrese e si allontanò di qualche passo per distanziarlo, i pugni ancora ben stretti e lo sguardo vigile.
Fu allora che Mikey sentì i passi di qualcuno alle spalle.
Un quarto complice, apparentemente.
Girarsi voleva dire dare la possibilità a quello di fronte di colpirlo alle spalle, e rimanere in quella posizione lo rendeva vulnerabile al nuovo componente che gli si avvicinava minaccioso.
Si lanciò contro quello certo e più vicino coi Nunchaku turbinanti e lo colpì velocemente e senza esitazione, gamba, braccio e nuca, neutralizzandolo all'istante.
Lo sentì cadere, ma si era già voltato verso il quarto uomo.

Si bloccò sorpreso, le mani quasi lasciarono cadere le armi.
Il delinquente era a terra e Sam lo sovrastava, i pugni ancora chiusi, ma le spalle rilassate. Il cappellino era un po' sbilenco, ma il ragazzino lo sistemò meticolosamente, oscurando ancora di più il viso.
Non aveva la più pallida idea di come lo avesse steso così facilmente e silenziosamente, ma non aveva nemmeno un graffio e gli occhi grigi scintillavano di vittoria.

Beh che c'è, coso?” gli domandò quando si accorse che lo stava fissando.
Michelangelo non trovò niente da dirgli e anche le domande che voleva fargli gli morirono in gola.
Non era un buon momento per farle, ma prima o poi voleva conoscere tutto di quello strano ragazzino.

Si affrettò a legare i ladruncoli e a chiamare anonimamente la polizia, poi si allontanò velocemente, trascinandoselo dietro.
È questo che fai nella vita?” domandò dopo una decina di minuti Sam, quando erano ormai distanti e perfino il suono delle sirene si era spento in lontananza.
Sorvegliare la città? Sì, è tutto quello che so fare” spiegò Michelangelo bonariamente, sorpreso dalla sua curiosità.
Non è molto e non posso salvare tutti, ma io e i miei fratelli ce la mettiamo tutta per dare una mano.”
I tuoi fratelli?”
Sì, siamo in quattro. Leo è il leader, Donnie il genio e Raph il piantagrane. Io sono quello bello, se te lo fossi dimenticato.”
E sono come te?” incalzò Sam, provando a immaginare altri tre come quel Michelangelo, altri tre 'cosi'.
Sì, siamo quattro mutanti. Poi c'è la mia sorellina, a volte anche lei ci aiuta con le ronde. E anche Steve, ti piacerebbe Steve, era molto timido, ma adesso sta diventando un buon ninja. Oh, e Angel, lei studia all'università, ma trova comunque il tempo di aiutarci quando abbiamo bisogno e Casey e Angel adesso sono genitori, ma non mi metterei mai contro di loro, saprebbero prendere a calci un esercito se qualcuno li facesse arrabbiare.”
Sam aveva sgranato sempre più gli occhi, sotto la tesa del cappellino, da sorpreso a leggermente sconvolto.

E siete tutti mutanti?” sbottò incredulo, rallentando un poco.

Mikey ridacchiò, agitando una mano.
No, sono umani. Abbiamo molti amici umani, hai visto col professore, prima. Beh, lui crede che andiamo in giro con dei costumi, in effetti, ma i nostri amici sanno cosa siamo e non gli importa.”
Appena finito di parlare, si illuminò.

Posso avvertire anche gli altri!”
Lo guardò trafficare con un buffo cellulare a forma di guscio di tartaruga recuperato da una taschina: scattò una foto alla foto di Melissa che poi fece sparire prontamente per non perderla e digitò freneticamente nella tastiera.

Ecco fatto. Donnie è un genio, gli ho mandato tutte le informazioni, ci aiuterà.”

Si fermò a pensare per qualche istante.
Adesso che facciamo nell'attesa? C'è qualche posto in cui vorresti controllare? Casa di Melissa, la palestra, qualche locale che frequentava?” domandò propositivo.
No, la polizia ha perquisito a fondo tutto, io ho ricontrollato casa sua e la palestra e alcuni dei centri che frequentava, ma non ho trovato niente. L'unico posto che non ho potuto ricontrollare è il suo posto di lavoro, la sicurezza è molto alta.”
Non avevano niente da perdere a provarci e in fondo non avevano davvero qualche altra pista, perciò dare una veloce occhiata non sembrò una brutta idea.
Si fece dare l'indirizzo da Sam e lo comunicò per messaggio a Donatello per sicurezza, prima di incamminarsi.

Il centro di lavoro per cui lavorava Melissa era alla periferia del Queens, perciò approfittarono del tettuccio di un pullman di passaggio per arrivarci in poco tempo: Sam all'inizio gli aveva urlato contro per la sua pazzia e perché lo aveva afferrato senza chiederglielo, ma poi si era rilassato e sembrava essersi divertito della corsa.
Mikey lo aiutò a scendere quando il pullman rallentò vicino alla loro meta e si beccò un pugno nel braccio anche per quello.
Sam si risistemò meglio il cappellino e gli mandò un'occhiataccia, mentre lui studiava i dintorni.

Il ragazzino lo guidò verso la periferia, una zona di sole fabbriche e prefabbricati, praticamente deserta. Si fermò davanti ad un alto cancello e si voltò a guardarlo.
Al di là c'era un enorme parco, alberi rigogliosi ed erba incolta e in lontananza si vedeva un alto palazzo di cemento e vetro, immerso nell'oscurità.

La rete è elettrificata” disse Sam, indicando un cartello di pericolo.
Non è un problema” rispose Michelangelo, frugando nelle taschine.
Era sicuro che Donatello gli avesse dato qualcosa per casi del genere.

Mi sembra che fossero questi” aggiunse solo mezzo incerto, tirando fuori due piccoli bottoni neri.

Si avvicinò cauto alla rete e li premette contemporaneamente, uno a destra e uno alla sua sinistra, poi si allontanò osservandoli ancora come se non si fidasse completamente.
Uhm, adesso in pratica la corrente dovrebbe essere deviata da questo punto tra i due bottoni, se ho capito la spiegazione di Donnie.”
Sam sembrava scettico.

Prova prima tu, coso!”
Mikey gli sorrise sghembo, strofinò le mani una con l'altra e poi le poggiò deciso sulla rete, lanciando un grosso urlo. Poi scoppiò a ridere e si voltò ad osservare Sam, divertito.

Sei davvero idiota” gli disse quello con una rollata di occhi al cielo.
La rete era sicura e la scalarono in fretta, atterrando con sicurezza dall'altra parte.
Si incamminarono verso l'interno occhieggiandosi attorno per cercare traccia di guardie o persone, ma fortunatamente non c'era nessuno nei dintorni.

Ci vollero cinque minuti per attraversare il parco.
L'edificio doveva essere stato un tripudio di avanguardia e tecnologia, ma sembrava abbandonato, non da troppo comunque: i vetri erano coperti di un sottile strato di polvere e striature di pioggia, inusuale che nessuno le pulisse se fosse stato abitato; i cespugli che contornavano il sentiero per l'entrata erano cresciuti incolti e disorganizzati e una pesante catena in ferro bloccava la porta, legata stretta nei maniglioni a scatto.
Le luci erano spente, le finestre ben chiuse, non si sentiva un suono né un rumore
Probabilmente non c'era nemmeno una guardia di sicurezza.

Mikey si gettò in avanscoperta, studiando per qualche attimo il palazzo per essere certo dei suoi sospetti.
Sei certo che Melissa lavori qui?” domandò cauto, occhieggiando verso i piani superiori per cercare un'entrata.
Certo che sì. Questo laboratorio di ricerca è uno dei più conosciuti della città, non ti ci puoi nemmeno avvicinare, ha dei cancelli altissimi e reti elettrificate e le guardie all'ingresso del terreno. Non so perché adesso sembri abbandonato.”
Pensarono che comunque potesse essere un vantaggio, il poter girare indisturbati.

Ok, ragazzino, dobbiamo salire sul tetto. Mettimi le braccia attorno al collo.”
Sam gli lanciò un'occhiata glaciale, un sopracciglio biondo sollevato con scetticismo.

Ho visto che sei agile e flessibile e abbastanza preparato, ma non credo che tu sappia scalare un muro verticale di almeno venti metri” aggiunse sarcastico Michelangelo, facendo spallucce.

Sam rollò gli occhi al cielo e si limitò a puntargli un dito contro di ammonimento, prima di avvicinarsi con fare circospetto e sospettoso, e allungare un braccio verso l'alto.
Mikey si trattenne dal sorridere per timore che potesse pizzicare una corda sbagliata.
Gli piaceva, Sam, era divertente per lui punzecchiarlo.
Si abbassò per permettergli di saltargli sul guscio e passargli le braccia attorno al collo, forse un po' troppo strette, gli premevano sul pomo d'adamo come se il ragazzino stesse provando a strozzarlo.
Con una risatina, Mikey lo colpì leggermente sulle mani per fargli capire di lasciarlo andare, ma Sam strinse un po' di più, prima di accontentarlo.
Mise gli Shuko sulle mani e si avvicinò alla superficie del palazzo, dove aveva già appurato non ci fossero telecamere di sorveglianza.

Lo scalò facilmente, Sam non pesava quasi niente e si mosse il meno possibile, permettendogli di concentrarsi sull'avanzamento e sull'equilibrio necessario; atterrarono sul tetto docilmente e Mikey lasciò andare il ragazzino, cercando traccia di sensori o telecamere, ma il perimetro era sicuro.
La porta per le scale era chiusa, ma bastarono un paio di minuti e le mani veloci e pratiche di Sam per forzare la serratura, sotto lo sguardo sorpreso e un po' seccato di Michelangelo.
Sentirono un secco click, quando la aprirono, e Mikey tolse una piccola torcia da una delle tasche della tuta per fare strada nell'interno buio.
Scesero un paio di rampe, prima di arrivare ad un lungo pianerottolo.

Non sai a che piano ha lavorato Melissa?” chiese a voce bassa Mikey, quasi con timore.
C'era un grande silenzio, interrotto ogni tanto brevemente da uno scricchiolio, un topo forse o il cigolio del legno.
Sam era un passo dietro di lui e rispose con lo stesso sussurro.

Al terzo mi pare. O forse il quarto.”
Esplorarono brevemente le stanze, c'erano uffici e piccoli laboratori, tantissimi macchinari tecnologici e sofisticati abbandonati a loro stessi, milioni di cartelle e risultati di analisi gettati alla rinfusa sulle scrivanie e per terra. Gli armadietti di medicinali e campioni erano aperti e completamente vuoti, se non per qualche flaconcino rotto.
Un lieve strato di polvere copriva tutto. Nonostante non dovesse esserci nessuno da tempo, nell'aria l'odore di componenti chimici e disinfettante permeava con forza.

Scesero qualche altra rampa di scale e controllarono anche i pianerottoli sotto, trovando le stesse identiche cose, lo stesso identico disordine.
Quando arrivarono al quarto piano, decisero di esplorarlo a fondo, controllando per bene i fogli trovati e tutte le scrivanie in cerca di un indizio, una foto, qualsiasi cosa, ma non c'era niente, niente di personale, niente di importante.

Forse era il terzo piano” mormorò Mikey, accortosi dello sconforto del ragazzino, che si manifestò con pugni chiusi e sospiri di rabbia.
Il piano inferiore era identico ai precedenti, stessa disposizione delle porte, stesso uso degli spazi, e frugare ed esplorare fu un noioso ripetersi degli stessi gesti, degli stessi movimenti: si spostarono di stanza in stanza, la speranza di trovare qualcosa sempre più flebile.

Una delle ultime, alla fine del corridoio, era addirittura completamente vuota.
La scrivania era intonsa, così come il mobiletto alle sue spalle, tutto accuratamente in ordine, come se fosse stata vuota ancora prima che quel posto venisse abbandonato.
C'era solo un poster stinto vicino al mobiletto, che raffigurava un gattino aggrappato ad un ramo, con la scritta sopra che diceva: 'Hang in there'.
Mikey pensava che non ci fosse nulla da cercare, fece per uscire e passare alla successiva, ma Sam si era bloccato a guardare quel poster, con interesse ed evidente emozione.

Era qui, era il suo ufficio” disse con voce sottile.

Mikey si bloccò e si diede un'occhiata attorno, ma non c'era davvero niente.
Questo poster, gliel'ho regalato io” spiegò il ragazzino, indicando con un dito lo scarabocchio a penna sul muso del gatto, che gli disegnava due sottili baffetti da gentlemam.
Lei si era arrabbiata, ma lo ha appeso lo stesso.”

Fu chiaro immediatamente, che non avrebbero trovato niente di rilevante o importante.
Come avevano pensato appena visto l'ufficio, sembrava che Melissa l'avesse lasciato ancor prima che tutto il palazzo fosse chiuso e entrambi si chiesero se la ragazza non avesse lasciato il posto di lavoro senza dire niente a nessuno.
I cassetti erano vuoti, per scrupolo cercarono anche la presenza di doppifondi o nascondigli segreti, ma trovarono solo polvere e un paio di ragnatele.
La frustrazione di Sam era sempre più palpabile e alla fine sbottò con un ringhio nella gola, calciando via la sedia con così tanta forza che andò a sbattere violentemente contro il muro di fronte.
Nel silenzio prese grossi respiri, e Michelangelo non ebbe il coraggio di dirgli niente, rispettò la sua rabbia.

Sam si passò una manica sul viso, poi lasciò andare un altro ringhio, infine si avvicinò a grandi passi al muro e staccò il poster con un solo gesto secco, quasi brutale, come un cerotto tirato via da una ferita non ancora rimarginata.
Lo osservò nella semioscurità, mentre il foglio si piegava all'indietro di colpo.
Lo voltò con urgenza, insospettito, e prese un brusco respiro teso.

Vieni qui, coso, mi serve la luce!”

Michelangelo accorse al tono urgente e quando la torcia illuminò completamente il retro del poster, lo vide anche lui: c'era una foto attaccata, la stessa foto che Sam gli aveva mostrato, la stessa donna bellissima e sorridente, dietro a quello sguardo tagliente e altero.
Sotto c'era una scritta, che il ragazzino lesse e rilesse con occhi avidi, sempre più lucidi.
- Harlem 96ª, 45, Lois Miller-
Non c'erano altre indicazioni, eppure quelle poche parole aprivano la strada a mille possibilità, mettendogli agitazione. Così come la frettolosa indicazione a matita aggiunta alla fine del foglio, le lettere quasi sbiadite:

-Il sistema di sicurezza è una bomba-

Sam si voltò con gli occhi sgranati verso Mikey e lui gli restituì lo stesso sguardo, mentre la mente ripensava al flebile click che avevano sentito quando avevano forzato la porta, passato come il suono del cilindro della serratura.
Forse non era stato solo il cilindro della serratura, dopotutto.
Michelangelo si gettò in avanti e lo afferrò per la manica, tirandolo verso di sé e prendendolo in braccio contemporaneamente, mentre Sam stringeva forte il poster al petto. Fu tutto così veloce che non ebbe nemmeno il tempo di sgridare Mikey per averlo preso o per fare finta che gli desse fastidio.

Michelangelo corse disperatamente verso la finestra e spiccò un grande balzo, pronto a infrangere il vetro con le ginocchia, ma la detonazione lo colpì a mezz'aria e lo scaraventò in avanti in un'esplosione di vetri e fuoco e calcinacci e d'istinto si chiuse a conchiglia su Sam, proteggendo tutto il suo corpo con il proprio e il guscio.
Le orecchie fischiavano e tutto bruciava, il dolore era incontenibile.
Atterrarono nel giardino con un tonfo sinistro e un gemito sofferto di Mikey, mentre l'aria si riempiva di fumo e fuoco.

Nel delirio di dolore e coscienza che si affievoliva, fece lo sforzo di controllare che Sam fosse vivo; lo sentiva tremare e respirare forte, stretto ancora nel suo abbraccio, e tirò un breve sospiro di sollievo.
Gli arti si rilassarono, tutto il suo corpo si rilassò.

No, coso, parlami!”
La voce di Sam aveva raggiunto un picco di stress e ottave stridule, mentre lo scuoteva.
Era preoccupazione quella nella sua voce?

Coso? Ti prego, non farmelo! Coso!”
Sentiva le sue mani che premevano da qualche parte sulla spalla, dove qualcosa di caldo e vischioso lo ricopriva.

Coso! Michelangelo!”
La voce di Sam si spezzò per un attimo e solo in quel momento si accorse che stava piangendo.

Mikey aprì a fatica gli occhi e li poggiò sulla figura al suo fianco, piccola, curva su di lui.
Era la ragazza della foto.
Quella con lo sguardo duro, ma in realtà estremamente dolce. I suoi occhi grigi erano velati dalle lacrime.
I boccoli biondi le cadevano disordinatamente sull'enorme felpa nera e il viso a cuore era graffiato in più punti, ma non sembrava curarsene; lo guardava con preoccupazione e premeva con tutte le sue forze contro l'uscita di sangue di cui lui non era nemmeno conscio, cullato dal dolore verso il nulla.
Rimase a guardarla in estasi, la luce delle fiamme illuminava i suoi capelli di riflessi dorati.
Riuscì ad alzare un braccio e a poggiare la mano sulle sue, e nel viso dolorante apparve un sorriso felice.

Ti ho trovata, finalmente” sussurrò dolcemente.

Poi la mano abbandonò la presa e chiuse gli occhi.
No! Coso! Michelangelo!” urlò Sam, scuotendolo con disperazione, le mani piene di sangue.



Note:
Buona notte a tutti! Che bello ritornare qui.
Mi sono presa un po' di tempo dopo l'operazione per rimettermi, grazie per il vostro supporto e ai messaggi che mi avete mandato! Vi abbraccio tanto.

Duuunque: ecco qua la svolta!
Mikey sta cercando la donna nella foto, ma la donna nella foto è Sam?
Prossimo capitolo avrete le risposte!

Vi abbraccio tantissimo, grazie di cuore di leggere ed esserci, vi adoro!

A presto

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Capitolo 38
*** Mikey's little adventure 3. Separate Twins ***


Grugnì un gorgoglio infastidito, un suono rauco e spazientito.
Sentì qualcuno reprimere uno sbuffo divertito e pure con un forte mal di testa si costrinse ad aprire le palpebre; con molto sforzo, erano pesanti, spalancò gli occhi su un soffitto sconosciuto e saltò su immediatamente, in allarme.
Mise a fuoco una giovane donna lì accanto, occhi castani e capelli scuri, che la guardava con un gran sorriso stampato in volto; a dispetto dell'aria rassicurante non sapeva chi fosse, perciò si lanciò in avanti con il pugno chiuso, ma il suo colpo andò a vuoto.
La donna aveva schivato senza nessuno sforzo.

Piano, ti sei appena ripresa” disse con voce dolce e un sorriso perfino più grande, spingendola facilmente con un tocco gentile in posizione sdraiata; nonostante l'espressione accigliata, Sam ne fu grata, perché le girava lievemente la testa per il gesto repentino.
Chi sei?” sbottò comunque minacciosa, seguendo ogni movimento dell'altra donna.
Quella stava maneggiando con alcuni attrezzi chirurgici poggiati su un carrellino di acciaio e solo in quel momento Sam si accorse che la stanza sembrava una piccola camera di ospedale, bianca e asettica.
Una fitta le strinse la gola e deglutì a vuoto.

Dov'è coso?”
Si era ricordata tutto, di colpo.
Questa volta combatté contro il martellare fitto nelle sue tempie e si sedette di scatto, pronta a lanciarsi contro la donna.

Coso?”
La sua espressione confusa e sorpresa non la intenerì né la convinse per nulla.

Sam gettò le gambe oltre il bordo del letto e si avvicinò a passi veloci, solo leggermente instabile per i primi secondi. Si piantò di fronte alla donna e le puntò contro un dito, gli occhi che scintillavano di cattiveria.
Coso! Michelangelo! Dov'è? Come sta? Se gli hai fatto del male, se lo tieni nascosto per dissezionarlo e farci esperimenti, se- se-... giuro che ti uccido con le mie mani!”
Se Michelangelo era ancora vivo, disse una crudele vocina nella sua testa. L'esplosione era stata potente e lui aveva preso la maggior parte del colpo, nel tentativo di proteggerla.
Tutto quel sangue le tornò alla mente, il sangue di Michelangelo, e si guardò le mani, ne erano state ricolme; ma in quel momento erano pulite, perfino gli indumenti che portava erano intonsi; era sicura di essere stata colpita da qualche frammento di vetro e di calcinacci, ma non ne trovò traccia.
Sembrava come fosse stato tutto un brutto sogno.

La donna non aveva reagito alle sue minacce e non si era mossa di un millimetro durante la sua sfuriata, né durante il momentaneo blocco. Sam sollevò lo sguardo su di lei e la trovò a sorriderle, bonariamente, con una scintilla di affetto nel fondo degli occhi scuri.
Sembrava perfino divertita, leggermente.

Coso sta bene, te lo posso assicurare! Non gli farei mai del male, tranquilla” esclamò pacatamente, indietreggiando appena da lei.
Sam la studiò ancora per qualche attimo, come a voler sentire se le stesse mentendo; indecisa, non riusciva davvero a leggere quella donna e non riusciva a fidarsi di qualcuno appena incontrato e che la teneva in una stanza sconosciuta, tirò su il mento con aria di sfida.

Portami da lui” comandò, secca.
L'altra donna spalancò gli occhi, sorpresa, poi quel ghigno le tornò sul viso, quasi una presa in giro.
Sam non sapeva cosa volesse dire, ma la faceva arrabbiare vederla così sicura e spavalda mentre lei non capiva cosa stesse succedendo.

Sapeva solo che nel cercare sua sorella si era imbattuta in un fastidioso mutante che aveva insistito nell'aiutarla; che Melissa aveva lasciato un misterioso indizio prima di andarsene dal suo posto di lavoro; che suddetto posto di lavoro era saltato in aria quando erano entrati ad investigare e infine che il fastidioso mutante, Michelangelo, si era ferito gravemente nel cercare di proteggerla.
Niente aveva senso. Ma per cercare di capirci qualcosa, per tornare sui binari, le serviva Michelangelo. Doveva sapere che stava bene, doveva vederlo.

Portami da Michelangelo. Adesso!” insisté ancora.

La donna le fece un gesto per invitarla a seguirla e si diresse a passi sicuri verso la porta, superandola poi per entrare in un piccolo corridoio anch'esso bianco candido.
Sam non fece caso a niente, focalizzata solo sulla donna di fronte a sé nel caso che decidesse di fare qualche mossa strana.
Quella si diresse verso destra, verso l'altra porta che si affacciava sul corridoio e la aprì lentamente, fermandosi sulla soglia: lanciò un'occhiata dolce verso chiunque fosse all'interno, poi si rivolse a Sam, indicandole di entrare.

Sam valutò in fretta se fosse il caso di entrare per prima, se potesse poi fidarsi, ma si mosse prima ancora di aver deciso: superò la donna e si diresse a grandi passi dentro la stanza, coi nervi tesi a fior di pelle.
Era identica a quella in cui lei si era risvegliata, ma non ci fece caso, focalizzata invece sulla figura verde stesa sul lettino: ce n'era un'altra di una sfumatura di verde un po' diversa nell'altro lato della stanza, ma lei vedeva solo quella che gli sorrideva. Non aveva più la benda arancione attorno alla testa e i suoi occhi splendettero nel vederla.

Melissa!” esalò Michelangelo come in estasi, mettendosi a sedere all'istante.
Non c'erano tracce di sangue o di ferite sul suo corpo, e si muoveva con agilità e fluidità, tanto che Sam si chiese se non fosse davvero stato un brutto sogno.
Nessuno, nemmeno un mutante, poteva guarire così velocemente da una cosa del genere.
Si interrogò dubbiosa, cercando di ricordare, ma era certa, più che certa, che Michelangelo era stato ferito dal colpo dell'esplosione, dalle schegge di vetro e dai detriti e aveva perso così tanto sangue ed era in stato d'incoscienza o addirittura ad un passo dalla morte, quando lei stessa era svenuta per il dolore.

Si fiondò verso il mutante col braccio già alzato e quando gli fu ad un passo lo colpì alla spalla con un cazzotto deciso, che risuonò secco contro i suoi muscoli.
Brutto cretino! Mi hai fatto morire di paura!”
Michelangelo portò la mano contro la spalla offesa, massaggiandola lentamente, ma sembrava troppo sconvolto per lamentarsi. Poi si aprì in un gran sorrisone, che faceva stranamente contorno alle risate che sentiva in sottofondo.
Che la rendevano solo più arrabbiata.
Gli diede un altro pugno, questa volta più forte, visto che era così energico da non esserne nemmeno infastidito.

Ahi! Ho capito, mi dispiace, davvero, mi dispiace. Fammi parlare!” esclamò lui cercando di bloccarle le mani per non farsi colpire ancora.
Sam incrociò le braccia sotto il seno, sfidandolo con uno sguardo duro.

Allora, per prima cosa le presentazioni... ehm, Melissa, questo è-”
Mi chiamo Sam. Samantha. Melissa è mia sorella” lo interruppe lei, e Michelangelo annuì con sussiego, seppure nel suo viso si leggevano le mille domande che voleva farle.
Ok, dunque, Sam, questo è mio fratello Donatello, il genio, ti ho parlato di lui.”

Sam registrò finalmente la presenza dell'altro mutante nella stanza, che la salutava da lontano con un timido cenno della mano, forse per paura che lei picchiasse anche lui.
Aveva una benda viola al collo.
Gli rivolse un lieve assenso con la testa e Mikey lo prese come un segno per continuare.

E questa è Isabel, la nostra adorata sorellina.”
Isabel, da parte sua, le sorrideva apertamente e con l'aria di saperla lunga, una spavalderia che la spiazzava completamente.
Sam la squadrò da sotto a su, con lentezza calcolata, poi sollevò un sopracciglio in direzione di Michelangelo.

Sì, noto proprio la somiglianza” sbottò roteando gli occhi al cielo.
Li sentì ridere tutti e tre, per cosa poi non riusciva davvero a capirlo.

Continui a confondere la gente, Mikey” disse affettuosamente Donatello, scuotendo la testa. “Dovresti dire semplicemente cognata, ormai è quasi ufficiale, del resto.”

Prima che Sam potesse dire che no, cognata non aveva più senso di sorella in fin dei conti, in quel contesto, la porta si aprì e altri due mutanti, di diverse sfumature di verde tra loro e da quelli presenti, entrarono.
Li osservò guardinga, ancora non completamente a suo agio, e quelli si bloccarono un secondo al notarla.
Uno aveva una benda azzurra e un'aria solenne, l'altro una benda rossa e non era solo la sua mole enorme a darle l'impressione, ma sentiva una certa furia emanare dal suo corpo che le sembrò in sintonia con la sua. Lo sentì quasi uno spirito affine.

Ok, venite qua voi due: questa è Sam, non Melissa, Samantha” sentì dire a Michelangelo, ogni sillaba scandita bene come se fossero idioti.
Sam, loro sono gli altri miei due fratelli, Leonardo, il leader della squadra-” quello con la benda azzurra le rivolse un sorriso affabile, “e Raphael, quello brutto della famiglia.”
Quello più alto sbuffò dal naso e le fece solo un leggero cenno del capo prima di rivolgersi verso il fratello.

Pensavo che il colpo alla testa potesse averti reso almeno un po' normale, ma evidentemente speravo invano.”
Sam sbottò una risata spontanea, come non le succedeva da tempo, poi si interruppe con un grugnito, al sentire tutti i loro occhi addosso.

Mikey sembrava sul punto di scoppiare a ridere a sua volta. Poi incrociò il suo sguardo e lei ci lesse quella domanda che lui sembrava volesse farle da troppo, forse da quando l'aveva vista senza il capello dopo l'esplosione.
Si schiarì la gola e si distanziò un po' da loro, erigendo una mentale barriera invisibile.

Mi chiamo Samantha e sto cercando mia sorella gemella, Melissa” iniziò a raccontare, senza guardarli in volto. Nessun rumore, perciò continuò.
Lei è scomparsa undici mesi fa, senza una parola. No, non è scappata!” esclamò con veemenza al vedere le loro espressioni dubbiose. “Sono sicura che sia stata rapita. Melissa non sarebbe mai andata via senza dirmi nulla!”
Michelangelo le rivolse uno sguardo di simpatia e comprensione, prima di domandarle:

Come fai ad esserne così sicura?”

Sam respirò a fondo, deglutendo a vuoto un paio di volte, e strinse gli occhi appena per prendere tempo e non dover raccontare ancora quella storia. Era passato, sì, ma faceva ancora male.
Io e Melissa non siamo cresciute assieme. Nostra madre era un'alcolizzata e nostro padre non lo abbiamo mai conosciuto... era uno dei tanti che pagava l'alcol a nostra madre, probabilmente” sputò fuori con rancore e disgusto, incurante dell'ombra di pena sui loro volti. C'era abituata.
I servizi sociali vennero a prenderci, una sera. Avevamo sei anni, mi pare. Le ricordo ancora, le urla. Nostra madre morì poco dopo e noi fummo messe in adozione. Saltò fuori che non c'è molta gente disposta ad adottare due gemelle, soprattutto se una delle due non era buona e docile come l'altra. Ho sempre avuto un carattere più... spigoloso di Melissa.”

Li osservò con dubbio, come a volerli sfidare a fare una qualche battuta, ma trovò solo comprensione sui loro volti, che la fece solo sentire più vulnerabile, in difetto. Il mutante dalla benda rossa, Raphael credeva, sembrava capire perfettamente.
Melissa venne adottata, pochi mesi dopo. Non ce lo dissero nemmeno. Non ci permisero di salutarci, di trovare un modo per tenerci in contatto. Tornai dal cortile per cercarla e lei non c'era più.”
Si interruppe e sembrò rimuginare, ingabbiata nel ricordo, mentre riviveva qualcosa che le fece storcere il naso. Nessuno fiatò e nessuno la pressò a continuare, le diedero tutto lo spazio concesso, immobili e attenti.

Io invece ho fatto da casa famiglia in casa famiglia finché non sono diventata maggiorenne, poi mi misi finalmente a cercarla. Non sapevo nemmeno se lei si ricordasse di me o se volesse vedermi, ma ci trovammo subito, anche lei mi stava cercando. Da quel momento siamo state sempre assieme, abbiamo condiviso tutto, finché l'anno scorso lei non è sparita. Senza una parola, nel nulla.”

Michelangelo sentiva l'impulso irrefrenabile di alzarsi ed abbracciarla, ma sapeva che lei non avrebbe reagito bene, perciò non lo fece: Sam era brusca e dura, troppo orgogliosa per lasciarsi andare, ma lui sapeva quanto tenesse a sua sorella, con quanta foga la stesse cercando e dopo aver sentito del loro passato, quel suo carattere aspro aveva senso.
Aveva perso di nuovo la sua metà perfetta, forse l'unica persona a cui concedeva un sorriso o una parola dolce.
E lui l'avrebbe aiutata a ritrovarla. E se prima desiderava farlo solo per Melissa, per salvarla, ora lo avrebbe fatto anche per Sam, per restituirle quello che rimaneva della sua famiglia.

La troveremo” le disse con dolcezza e convinzione, attirando la sua attenzione. “Ora che abbiamo anche l'aiuto dei miei fratelli la troveremo facilmente.”
Sam lo occhieggiò sospettosa e diffidente, troppo abituata a fare solo affidamento su sé stessa e Mikey si affrettò ad aggiungere: 
“ E poi ora abbiamo un indizio!”
Era vero. Il poster. Si voltò attorno per cercarlo, ricordava di averlo con sé mentre scappavano dal palazzo prima della detonazione, ma poi troppo occupata a cercare di fermare il sangue di Michelangelo lo aveva perso di vista.
Non riusciva a ricordare cosa ci fosse scritto dietro, le parole cancellate dalla paura e dall'adrenalina.

Coso, cosa c'era scritto? Te lo ricordi? Il poster- ce l'avevo-”
Il mutante gentile, Donatello se ricordava bene, si mosse alle sue parole e si avvicinò ad uno schedario lì vicino, prendendo qualcosa da sopra: era strappato e ricoperto di sangue, ma era di sicuro il poster di Melissa.

L'ho trovato accanto a voi quando siamo venuti a cercarvi.”

Lei lo prese con urgenza e lo rovesciò e lasciò andare un sospiro di sollievo nel vedere che le parole non si erano cancellate, né lacerate.
Vi somigliate davvero molto” disse Donatello, guardando la foto attaccata sul retro.
Ah, no, quella è una mia foto. Insisteva sempre per fotografarmi. E io invece non ne ho di sue. Ma dato che siamo identiche ho pensato 'perché no'?”
Con la coda dell'occhio vide il sorriso di Michelangelo e si trattenne dal girare gli occhi al cielo; sì, era lei quella ritratta nella foto, ma non voleva certo dire che lui avesse indovinato il suo carattere solo da quella.

Quello è un indirizzo, e il nome dovrebbe essere della persona che ci abita. Cosa sappiamo di questa Lois Miller?” domandò Leonardo dopo aver letto anche lui le nuove informazioni.
Donnie saltò su e prese un portatile lasciato aperto sul carrellino degli strumenti chirurgici e iniziò a digitare velocemente, con una mano sola.

Dunque, poche informazioni sulla sua vita privata, ha preso una laurea in bio-chimica e presenziato a numerose conferenze, sembra che sia una luminare nel suo campo, però è strano-”
Attesero in silenzio, mentre le sue dita volavano sui tasti e la fronte di Donatello si corrucciava sempre più.

Non riesco a trovare nemmeno una sua foto o dettagli sulla sua vita da una decina d'anni a questa parte e non mi era mai capitato, come se fosse stata occultata volutamente.”

Sam non lo poteva capire, ovviamente, ma a tutti loro sembrò molto strano che un genio come Donnie, che poteva entrare perfino nei file secretati della polizia, non riuscisse a trovare informazioni su una semplice persona.
Se poi semplice lo era davvero.

Chi se ne importa! Andrò a parlare con lei e mi farò dire tutto quello che sa su mia sorella!”

Sam era già vicina alla porta, intenzionata ad andarsene, quando la voce di Michelangelo la raggiunse.
Ehi, aspetta! Vengo con te, veniamo tutti con te!”
Lei si voltò e lo osservò mentre cercava di scendere dal letto e dopo averlo fulminato con lo sguardo, ripercorse con pochi passi la distanza che li separava e gli si piantò davanti.

No che non vieni! Tu sei ferito, c'era tantissimo sangue, avevi-” strillò sulla sua faccia, allungando le mani per controllarlo, tirando il colletto della sua tuta con impazienza, la zip abbassata in un secondo.

Michelangelo trasalì al contatto e spalancò gli occhi sorpreso.
Cosa stai-”
C'era un pezzo di vetro conficcato nel tuo collo, c'era tanto sangue, eri praticamente morto-”
Le sue mani scivolarono sulla sua pelle, più delicate di come ci si sarebbe aspettato da una ragazza così ruvida, cercando un segno, dal collo alla spalla, con dita leggere.

Ok, non è che mi lamenti di te che mi spogli e mi palpi-”
Lo scappellotto di Sam lo colpì dritto in fronte e lui rise della sua aria seccata.

Sto bene, te lo assicuro. Non ho nulla, vedi?” la rassicurò, allargando il colletto per permetterle di controllare.
La pelle di Michelangelo era di un verde chiaro, più chiaro dei suoi fratelli, tesa su muscoli e nervi, ma intonsa, assurdamente perfetta e intonsa.

Donnie e Isabel sono due dottori molto in gamba. Ma grazie per esserti preoccupata.”
Sam si scostò con un passo secco all'indietro.

Non ero preoccupata per te, coso” esalò cinicamente, mettendo quanta più distanza tra loro due.

Qualcuno trattenne una risata con un colpo di tosse molto poco convincente, ma Sam non ci fece caso e di nuovo si diresse verso la porta, ma la donna, Isabel, ci si parò davanti in un secondo, bloccando la sua corsa.
No, aspetta, Mikey ha ragione, è meglio che veniamo con te.”
Sono capace di badare a me stessa. Sto andando a chiedere informazioni, non a trattare con dei terroristi!”
Dato che siete stati vittime dell'esplosione di un palazzo, c'è da presumere che questa storia sia più pericolosa di come appaia” intervenne Donatello, con fare pacato. “L'indizio lasciato da tua sorella potrebbe portarti da una persona amica come da chi ha messo quella bomba e preso Melissa.”
Sam valutò le sue parole, quel genio non aveva tutti i torti.

Sarebbe meglio che Isabel venisse con te, mentre noi vi controlliamo nascosti” propose Leonardo, che si era accorto del cedimento nella sua corazza.
La ragazza squadrò di nuovo l'altra donna, -e Isabel lo avrebbe trovato offensivo se non fosse che Sam le piaceva ogni secondo di più,- poi scoccò loro un sopracciglio alzato di scetticismo.

E cosa potrebbe mai fare questa bella bambolina se ci trovassimo davvero in pericolo?” chiese sarcastica.
Il boato di risate che suscitò la sua domanda non se lo era aspettato e la spiazzò non poco. Erano letteralmente piegati in due, quattro grossi mutanti che si tenevano la pancia mentre cercavano di smettere di ridere.

Tu- tu non farla arrabbiare, ok?” ansimò Michelangelo quando riuscì a riprendere fiato.

Isabel scuoteva la testa davanti alla loro sceneggiata, ma un bel sorriso compiaciuto e solo vagamente imbarazzato le illuminava il viso.
Oh, lasciali perdere. Andiamo, ti accompagno” le disse sbrigativa, poi si rivolse agli altri.
Voi ci seguirete. Mikey, sei sicuro di stare perfettamente bene? Nessun capogiro quando ti sei alzato?”
Il mutante fece spallucce, poi annuì, ma poco convinto.
Isabel sbuffò impercettibilmente, avvicinandosi a piccoli passi; prese il viso di Michelangelo tra le mani, alzandosi in punta di piedi per arrivarci.

Devi dirmelo se hai qualche sintomo. Sei guarito, ma ancora non al cento per cento” lo sgridò, prima di sporgersi un po' di più e piantargli un bacio sulla fronte, naturalmente.
Sam osservò quel gesto intimo con stupore, forse per la semplicità con cui lei lo aveva fatto, senza esitazione. Osservò il modo in cui lei teneva gli occhi chiusi, con tenerezza, e quelli di Michelangelo serrarsi con sollievo e affetto. Le sembrò una cosa molto dolce, e stranamente naturale. Eppure in qualche modo sbagliata.

Se dovessi sentirti debole dimmelo, ok?” disse Isabel quando si staccò da lui. “C'è già Raffaello che mi nasconde quando sta male, per fare il duro e lo stoico.”
Agitò una mano alle sue spalle, indicando alla cieca.
Sam si chiese per un secondo di chi stesse parlando, prima che il mutante dalla benda rossa rispondesse a tono.

Non ti nascondo quando sto male, ma tu non devi stancarti a curare anche le più piccole ferite, non ne vale la pena.”

Isabel scosse di nuovo la testa con condiscendenza e si allontanò da loro, fermandosi vicino a Sam.
Allora, noi andiamo. Se doveste perderci sapete l'indirizzo. Ci teniamo in contatto con gli auricolari, d'accordo?”
I quattro annuirono simultaneamente e Sam si stupì dell'influenza che quella donna aveva su di loro.
Si accodò alla sua scia, seguendola oltre la porta e alla fine del corridoio, che si apriva in un ambiente che non aveva mai visto, ricoperto di teloni e secchi da pittura e impalcature e mattonelle poggiate a terra.

Stiamo ancora finendo, sarà una clinica per animali, ma il progetto è ancora in alto mare” le disse Isabel, come se lei dovesse capire di cosa stesse parlando. “Ma le stanze nel retro, pensate per essere ambulatori per mutanti, quelle le abbiamo terminate subito.”
Sam voleva chiederle come diamine fosse immischiata con Michelangelo e i suoi fratelli, perché sembravano molto più che una semplice conoscenza per quella donna, ma non ne ebbe il tempo perché si sentì guidare verso l'uscita di quella che scoprì essere una piccola clinica in costruzione, in un quartiere praticamente solitario, accanto ad un vecchio garage chiuso da decenni.

Isabel si incamminò decisa, e da parte sua aveva in mente di chiedere molti dettagli a Sam, senza essere invadente o pressante, ma prima che potesse anche solo incominciare con la prima di molte domande, il suo telefonino squillò.
Diede uno sguardo allo schermo, poi si rivolse verso la ragazza al suo fianco.

Scusami, ti spiace se rispondo? Se non lo faccio, sarebbe capace di mandare la polizia a cercarmi e non sarebbe carino.”
La risposta di Sam fu un paio di sopracciglia aggrottate e un gesto con le spalle, come a dire che non le importava.

Ehi, Ape, ciao... no, non ti sto evitando- no- April, ascolta sul serio, ero impegnata! Lo giuro, non mi stai assillando!...certo che vorrei vedere gli abiti delle damigelle, ma solo se volete... se volete farmi una sorpresa non- ...ok, verrò a vederli, vi dirò quelli che mi piacciono di più e poi voi sceglierete in segreto, va bene? No, prometto che non cercherò di scoprirlo, li vedrò al matrimonio, lo giuro, Ape! Ascolta, prendi l'appuntamento per domani, ok? Adesso devo lasciart- no, della torta ne parliamo domani, non ho la forza mentale di pensare a combinazioni di meringhe e creme... se mi costringi ti mando Michelangelo come giudice ufficiale per la torta e sai che sceglierebbe qualcosa di disgustoso!”
Isabel rise per qualsiasi cosa la misteriosa April aveva risposto e Sam era ormai caduta in un baratro di confusione, perché quella donna aveva davvero poco senso.

Ok, adesso vado, ci sentiamo dopo. Sì, ti racconterò meglio stasera, dai un bacio a Carl e August, ciao.”
Isabel chiuse il telefonino e sospirò rumorosamente, come a voler lasciare la tensione.
Sposarsi era di certo il coronamento di un sogno, ma April la stava facendo impazzire con le preparazioni.

Quindi ti sposi, giusto?” sentì chiedere con tono casuale a Sam e si ricordò all'improvviso dove fosse e cosa stesse facendo prima di rispondere alla chiamata.
Camminavano in una via più trafficata, dirette verso la metropolitana.

Sì, tra un mese , l'ultima settimana di Settembre” le annunciò con un gran sorriso.
Sam annuì poco convinta, non sapendo come continuare. Non era particolarmente interessata ai matrimoni e non aveva intenzione di far finta di interessarsene per fare conversazione con quella donna.
Ma poi ci pensò un attimo e...

E il tuo futuro marito non ha nulla da dire sui mutanti? A quanto ho capito cos- Michelangelo è invitato e sei molto in confidenza con loro... li conosce? Lo sa che li baci con casualità e un po' troppa confidenza?”
Aveva parlato velocemente, quasi mordendosi la lingua, confusa e irata, vagamente.

Isabel stringeva le labbra per non riderle in faccia e Sam si chiese se non la stesse prendendo in giro. La osservò prendere un paio di respiri per calmarsi, prima di risponderle.
Credo che non gli importi davvero, sa tutto su di loro. Anche troppo in effetti. Hai presente il mutante alto, pelle verde scuro, con la bandana rossa?”
Isabel aveva alzato un braccio fino alla sua massima estensione per indicare l'altezza di Raphael, ma non ci arrivava nemmeno. Sam annuì, aspettando che continuasse.

Lui è lo sposo” esclamò con un ghigno compiaciuto, osservando la sua reazione.
Ok, pensò Sam, la stava decisamente prendendo in giro. Ma poi si ricordò che Michelangelo l'aveva presentata come sua sorella e Donatello le aveva detto che cognata aveva più senso, che di lì a poco sarebbe stato ufficiale. Allora era a quello che si riferivano!
Quella stramba donna aveva davvero intenzione di sposare un mutante. E sembrava euforica al solo pensiero, a giudicare da come le scintillavano gli occhi.

Ogni domanda che voleva farle a riguardo, ed erano tante, vennero messe momentaneamente da parte, perché erano arrivate all'imboccatura della metropolitana e si trovarono in poco tempo a spingere nella calca per salire a bordo del mezzo, decisamente il luogo meno indicato per parlare di un argomento del genere.
Comunque, mentre la metropolitana sferragliava veloce, e Sam occhieggiava omicida chiunque intorno perché non si avvicinasse a lei ed Isabel, la sua mente si focalizzò solo su sua sorella e sulla pista che stavano seguendo. Non aveva mai sentito parlare di quella Lois Miller, ma poteva essere una collega di Melissa, per quanto ne sapeva; ma perché lei aveva scritto il suo nome dietro il poster era un mistero.
Era come se Melissa volesse che lei lo trovasse e il pensiero le strinse il cuore di un misto di preoccupazione e apprensione. Se sua sorella aveva fiducia che lei l'avrebbe cercata, doveva fare ancora di più per trovarla.
Isabel le lanciò di tanto in tanto uno sguardo assorto, ma non le chiese nulla per tutto il tragitto e ne fu grata.

Arrivarono in fretta ad Harlem e uscirono dalla metropolitana con sollievo: il sole le colpì cocente una volta in superficie e si fermarono un secondo per capire dove andare.
Isabel trafficò col telefonino per qualche secondo, portando qualcosa all'orecchio, poi le porse un piccolo tondino di plastica.

Auricolare” le disse semplicemente, prima di incamminarsi.
Ehi, ragazzi, ci siete?” la sentì chiedere al nulla, mentre lei infilava con titubanza l'aggeggio, scostando i lunghi boccoli biondi.
Immediatamente una babele di voci le esplosero nella testa.

Siamo qui da almeno dieci minuti” disse quello che le parve Leonardo.
Immagino che la metropolitana fosse piena. È andato tutto bene?” chiese Donatello, gentilmente.
Ah, dubito che chiunque abbia avuto anche solo il pensiero di avvicinarci. Sam li ha uccisi tutti con lo sguardo, era terrificante” esclamò divertita Isabel, voltandosi ad osservarla con un gran sorriso.
Sam!” strillò Michelangelo e le sembrò di riuscire a sentirlo davvero, oltre che nell'auricolare. “Ti sono mancato?”
Lei rollò gli occhi al cielo, anche se lui non poteva di certo vederla.

Certo, coso, come mi può mancare un attacco di dissenteria” rispose laconica, godendosi le risate che ne seguirono. Michelangelo rideva perfino più degli altri.
Ok, siete quasi arrivate. Noi siamo sul palazzo di fronte, se vi dovesse servire” annunciò Leonardo, il primo a essersi ripreso. “Isabel, intervieni se senti che qualcosa non va, noi rimaniamo in ascolto e pronti.”

La donna sollevò la testa verso l'alto e annuì, solennemente. Sam seguì il suo sguardo e vide quattro figure sul tetto del palazzo poco distante, vigili e guardinghe.
Le diede uno strano senso di protezione, una cosa a cui non era affatto abituata. Aveva sempre dovuto combattere per proteggersi, essendo cresciuta per le strade e in case famiglie decisamente discutibili; non era abituata ad avere qualcuno che la proteggesse.
E la terrorizzava, quella sensazione di sollievo. Non ci si doveva abituare.

Isabel le fece cenno non appena arrivarono all'indirizzo, indicandole la casetta a due piani alla loro sinistra. Era piccola e fatiscente, aveva visto di certo tempi migliori, e il giardino incolto era disseminato di ferri vecchi e elettrodomestici spaccati e abbandonati.
Come poteva, chiunque abitasse in quella casa, avere a che fare con sua sorella?
Si diressero verso la porta d'ingresso e Isabel bussò sul legno scrostato con decisione. Attesero in silenzio per interminabili secondi, poi ribussò, più forte.
Avevano visto la luce accesa in una stanza al primo piano, c'era di certo qualcuno.
Un rumore di passi le mise sul chi vive e dopo qualche altro attimo la porta si aprì lentamente, rivelando una donna di mezza età trasandata e stralunata: i suoi occhi passarono dalla curiosità all'orrore nell'attimo in cui passarono da Isabel a Sam. Poi si spalancarono di meraviglia.

Tu... tu non- sono così felice di vederti, non pensavo- non pensavo-” iniziò a balbettare, in preda all'agitazione.


Ehi” disse Donatello cautamente, osservando la scena dal palazzo di fronte. “Noi conosciamo quella donna.”
Lo avevano pensato tutti, nel momento in cui era apparsa sull'uscio, e Michelangelo tremò di paura. Perché l'avevano vista solo per pochi istanti, ma non era possibile dimenticarla.

Andiamo! Sento che Sam è in pericolo!” urlò gettandosi in picchiata, prima che fosse troppo tardi.





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Capitolo 39
*** Mikey's little adventure 4. And then there was only one ***


Isabel intuì immediatamente che qualcosa non andava.
Il modo in cui la donna aveva reagito alla presenza di Samantha le fece capire all'istante che l'aveva scambiata per Melissa. Ed era sembrata un po' troppo sollevata nel vederla, come se non si aspettasse di vedere Melissa mai più.
Come se le fosse successo qualcosa.
I nervi di Isabel si tesero, mentre la donna balbettava frasi sconnesse con lo sguardo sempre più spiritato, tanto che quando delle figure calarono dal cielo, sussultò e per un secondo un breve bagliore la illuminò.
Ritornò normale non appena notò lo sguardo greve e arrabbiato di Michelangelo.

La donna, Lois Miller, arretrò spaventata al vederli, ma sembrava più che semplice timore per il loro aspetto.
Tremava sul posto, il volto bianco di paura.
Isabel li spinse tutti dentro, i mutanti arrabbiati, la ragazza confusa e poi entrò anche lei, chiudendo la porta dietro di sé; non era prudente per loro stare così in vista in pieno giorno.
E sentiva che se avevano deciso di apparire così all'improvviso c'era un buon motivo, un motivo che andava discusso.

Gli occhi folli della donna passavano da un mutante all'altro, la bocca spalancata da cui non usciva nessun suono, seppure le labbra tremassero ogni tanto di parole che non riusciva ad articolare.
Anche Sam era ammutolita, sorpresa nel vedere Michelangelo così furioso. Non c'era neppure la più piccola traccia di ilarità nel suo sguardo e perfino lei che lo conosceva da pochissimo sentiva che c'era qualcosa di sbagliato.

Non fatemi del male- io non c'entro niente, lo giuro, io non-” riuscì ad esalare infine la donna, arretrando ancora finché non toccò con le gambe lo schienale del divano, lasciandosi andare giù.
Che cosa- di cosa stai parlando?” esclamò Sam confusa e spazientita, ma Michelangelo si intromise con voce roca e secca, un tono a cui nessuno lì era abituato.
Non c'entri niente? Non c'entri niente?” urlò, avvicinandosi a grandi passi alla figura tremante a terra.
Li avete rapiti, li avete mutati! A centinaia! A centinaia, maledizione! Perfino i bambini! Li avete mai guardati in faccia mentre aspettavano di morire? Quando sapevano di essere spacciati?”
Si fermò col fiatone e le mani chiuse a pugno così forte che erano sbiancate.

Isabel capì, all'istante. Raphael le aveva raccontato cos'era successo mentre lei non c'era: degli umani mutati, del pazzo scienziato che stava cercando una cura per la sua mutazione facendo soffrire centinaia di innocenti, dei bambini rapiti, di Mork.
Del legame che si era creato tra Mork e Michelangelo, di come il dolce ed empatico cognato lo avesse preso a cuore come fosse un suo fratello. Per poi vederlo morire davanti ai suoi occhi senza poter fare nulla.
La rabbia di Michelangelo aveva finalmente senso.
Quella Lois doveva essere una dei dottori che avevano contribuito a quella tragedia.

La donna si era rannicchiata, quasi aspettandosi che lui la colpisse. Lo osservò attentamente, sollevando lo sguardo per capire se l'avrebbe fatto, poi parlò.
Non lo sapevamo. All'inizio non lo sapevamo” esalò straziata, dondolandosi appena. Si interruppe con un singulto, prendendo aria e coraggio.
Ci avevano detto che dovevamo studiare un campione che non era umano, che dovevamo isolarlo e replicarlo per delle ricerche. Avevano scelto un team di ricercatori, ma solo Melissa capì come fare” raccontò, guardando infine Sam, come se si aspettasse che lei intervenisse.
Mia sorella? Mia sorella che-” chiese quella, inorridita da quello che aveva intuito del discorso.

Lois la studiò, capendo finalmente che quella non era Melissa e se possibile la sua espressione divenne ancora più angosciata e spaventata.
Melissa fu quella che riuscì per prima a isolare il siero. Era una sostanza strana, aliena, e c'era del DNA che riconoscemmo come di coccodrillo, unito ad esso. Incominciammo a farci delle domande, ma le direttive dall'alto dicevano solo di replicare il siero, senza toccarlo ulteriormente.”
Lavoravate per la Hessencare” affermò Raphael, ma non aveva bisogno che lei lo confermasse.
Ci avevano detto che il siero sarebbe stato un passo avanti nella scienza, una formula per permettere la rigenerazione cellulare e poter così guarire più velocemente ferite e malattie e noi ci credemmo!” si scusò la donna, singhiozzando.
Eppure non riuscirono a sentire nessuna pena per lei. Non dopo tutto quello che avevano visto, che avevano vissuto.

Quando- quando scoprimmo finalmente a cosa servivano, ci sentimmo morire. Uno dei primi umani mutati fuggì e irruppe nei nostri laboratori e capimmo, capimmo cosa avevamo davvero fatto. Melissa si ribellò e voleva distruggere tutto, tutte le fiale di siero e i risultati per replicarle, era disgustata da ciò che avevamo fatto, anche senza volerlo.
Voleva distruggere tutto e salvare solo pochi campioni per cercare un antidoto, ma nella foga e nella fretta di sparire prima che la trovassero, le fiale si ruppero e venne infettata dal siero. Mutò, velocemente, non potei fare nulla.
Rimasi alla Hessencare per provare a trovare un antidoto ed aiutarla, aiutarli tutti, ma non ci riuscii; la nascosi finché potei, ma alla fine venne presa e portata assieme agli altri.”
Donatello trattenne il fiato, rumorosamente, manifestando quello che tutti loro avevano pensato: se Melissa era mutata era impossibile che fosse ancora viva.
Non era sopravvissuto nessuno.

Sam respirava pesantemente, gli occhi lucidi eppure furiosi, i denti serrati forte. Forse non sapeva tutta la storia, ma aveva capito abbastanza, aveva capito cosa era capitato a sua sorella.
Dov'è ora Melissa? Dov'è?” strillò imperiosa, trattenendosi a fatica dal lanciarsi sulla donna.
Quella la osservò attraverso la cortina di lacrime, impaurita.

Non lo so.” Scosse il capo sconsolato. “Loro- loro lo sanno. Era con loro, quella notte.”
Indicò con un gesto della testa verso i mutanti alle sue spalle.

Michelangelo tremò, la mano si chiuse sul polso sinistro inconsciamente, finché non sentì la durezza del metallo sotto il tessuto della fascia paracolpi.
Il cuore doveva essersi fermato, un dolore che credeva assopito lo scosse fin nell'anima.
Melissa non poteva essere... non poteva essere... sarebbe stato troppo crudele. Avrebbe fatto ancora più male.
Sam si voltò verso di loro, ma fu su di lui che il suo sguardo si posò.

Melissa è... era M37?” domandò Mikey, senza riuscire a guardarla, ancora. Sapeva già la risposta, ma non voleva crederci.
La donna annuì, brevemente; il cuore gli si affossò nel petto.

Sam urlò di rabbia. L'uso del tempo passato non le era sfuggito.
Si gettò verso Michelangelo, le braccia alzate e gli occhi rossi e lucidi di pianto trattenuto.

Dov'è mia sorella? Dov'è Melissa?”
Lo colpì una volta prima che lui riuscisse a bloccarle le mani tra le sue, faticosamente. Anche i suoi occhi erano lucidi; non avrebbe mai creduto che quella storia già di per sé tragica potesse portare ancora così tanto dolore.

Mi dispiace... è morta. Melissa è morta” sussurrò ad un passo dal piangere.

Sam si dibatté perché la lasciasse andare, ma riuscì solo a dargli un paio di pugni sul piastrone, con tutta la foga che poté; era paonazza, i capelli arruffati, e le lacrime che non riusciva più a trattenere le bagnavano il viso.
Che cosa le hai fatto?”
È morta per proteggermi” confessò lui e vedere la verità oscurare infine gli occhi grigi di lei lo colpì dritto al petto, bloccandogli il respiro.
No! No- no- lasciami andare! Melissa non è- non può essere-”
E Michelangelo la lasciò andare, pronto a incassare qualsiasi pugno Sam volesse dargli, purché la facesse sfogare, ma lei lo osservò solo per un attimo prima di scattare verso la porta e scappare via, piena di dolore e stizza.

Lui si buttò subito nella sua scia, veloce, incurante che fosse pieno giorno, che le strade brulicassero di persone, che potessero vederlo: seguiva i capelli biondi che ondeggiavano per la corsa sfrenata, poco davanti a lui.
Accelerò, scartando un gruppo di ragazze urlanti.

Aspetta!” gridò appena prima di afferrarla, costringendola a fermarsi.
Lei strillò e provò a colpirlo in viso, ma Mikey scansò e l'attirò a sé, bloccandola. Tremava così forte da scuotere anche lui.

Per favore, ascoltami!” la implorò, sconvolto.

Le grida attorno a loro gli ricordò dove fossero. C'erano decisamente tre o quattro persone che gli stavano urlando contro, che chiamavano soccorsi.
Issò Sam sulla spalla e corse via, ignorando le proteste e le sue strilla, sparendo in un vicolo lì vicino, prima di iniziare a scalare il palazzo a destra.
Rischiarono di precipitare un paio di volte, per quanto lei si dibatteva.
La lasciò andare solo quando furono in cima e Sam si guardò intorno come un animale braccato, cercando una via di fuga.
L'altra alternativa era picchiare Michelangelo finché non si fosse sfogata.

Sam, ascoltami, per favore” lo sentì sussurrare.
Fece per lanciarsi contro di lui, ma si bloccò sorpresa, al vedere che stava piangendo.

Lui scostò la fascia paracolpi, lentamente, e porse il polso verso di lei.
Il bracciale d'argento faceva uno strano contrasto sul verde della sua pelle.
Sam si avvicinò cauta e lo studiò, ma non ne aveva davvero bisogno, conosceva quel bracciale perfettamente, ne aveva una copia identica.
Ma vederlo addosso a qualcuno che non era Melissa rese tutto ancora più vero.

Mi ha salvato. Melissa mi ha salvato la vita, a costo della sua.”
Lei allacciò lo sguardo al suo e ci lesse genuino dolore, capì che ci teneva sul serio e il desiderio di sapere prevalse sulla rabbia e sul dolore, per un poco.

Lo invitò a proseguire con un cenno del capo, e lui le spiegò ogni cosa, dei mutanti e dei rapimenti, delle loro esplosioni e di Mork. Che allora non sapeva si chiamasse Melissa.
I suoi occhi scintillarono quando arrivò a Mork, quando le raccontò tutto ciò che avevano vissuto, il legame che li aveva uniti, la fiducia che si era instaurata tra loro.
E riuscì a non piangere ancora, quando le disse come era morta, come si era sacrificata per salvarlo dal crollo del palazzo, quando aveva scelto di morire al posto suo.
Per quanto ancora facesse male.
Poi stette in silenzio, aspettando una sua reazione. Avrebbe voluto dirle che gli dispiaceva, che anche lui voleva bene a Melissa seppure non la conoscesse con quel nome, ma sapeva che sarebbe stato tutto vano, che sarebbe suonato pretenzioso.

Sam urlò, un grido rauco e primitivo, che conteneva dolore e rabbia e ingiustizia e solitudine, dritto contro il cielo. Un grido che sembrò congelare il tempo.
Poi si fermò a prendere grandi respiri sofferti, prima di voltarsi e allungare una mano verso il suo polso ancora teso: con un dito tocco la piastrina semisferica su cui era incisa la piccola S, la sua iniziale.
Strinse gli occhi, forte, e un singulto le spezzò il respiro.
Michelangelo fece per toglierlo, era suo, era lei la persona speciale che Mork, Melissa, aveva desiderato rivedere e stringere, l'unica di cui si era ricordata pur nella confusione della mutazione. Era giusto che fosse lei a riaverlo.
Ma Sam lo bloccò con una presa ferrea, fissando il pavimento per nascondere le lacrime.
Poi sollevò la manica della sua maglia e gli mostrò un bracciale identico al suo, su cui però era incisa una M. L'iniziale di Melissa.

Se lei- se te l'ha dato vuol dire che ci teneva. Tienilo. Si arrabbierebbe se sapesse che te l'ho preso” esalò con tono lacrimoso, eppure stoico.
Michelangelo cercò di abbracciarla, ma lei si divincolò finché non rimase solo una mano sulla sua spalla e allora si bloccò, concedendogli almeno quel contatto, concedendosi almeno quel contatto. Un abbraccio sarebbe stato troppo, in quel momento.
Isabel e gli altri li trovarono così, quando apparvero sul tetto qualche minuto dopo: connessi in quel lieve tocco, che piangevano entrambi.
Sam si scostò e si deterse velocemente il viso, al vederli, dando loro le spalle.

Non volevamo- siamo venuti per proteggere Sam” spiegò Isabel, a mo' di scuse, accortasi del momento di fragilità che stavano condividendo.
La ragazza si voltò confusa e Michelangelo saltò su con apprensione, improvvisamente guardingo.

Samantha ha lo stesso DNA di Melissa. Identico. Se Hersen lo venisse a sapere...”
Donatello lasciò la frase in sospeso, ma non c'era bisogno di finirla perché Mikey immaginasse le conseguenze ovvie: Hersen avrebbe rapito Sam, l'avrebbe fatta mutare come aveva fatto con Melissa... non poteva permetterlo.

Hersen è l'uomo che ha fatto del male a mia sorella?” chiese Sam, con voce dura. I suoi occhi erano rossi di pianto, ma così fermi e focalizzati da fare paura.
Quando li vide annuire continuò:

Allora che venga! Voglio ucciderlo con le mie mani!”
No! Non capisci, è pericoloso! E potrebbe avere un nuovo esercito di mutanti! Non puoi rimanere da sola” la dissuase Michelangelo, accorato.
Io sono da sola” gli ricordò lei, penosamente.
Hai noi. Non sei da sola. Permettimi di aiutarti.”
Le sue parole si scontrarono con la corazza di Sam e lei non concesse nemmeno una parola di assenso, un cedimento qualunque.

Lo devo a Melissa” continuò Mikey e lei sollevò lo sguardo ferito, vacillante.
Le tese una mano, dolcemente.

Ti prometto che la pagherà. Lo ucciderò, se ti farà sentire meglio.”
Sam afferrò la sua mano, dopo un istante, stringendo forte.

No, non mi sentirei meglio. Melissa non tornerebbe indietro. Ma lui merita di morire.”
Il patto fu sigillato quando i loro occhi si incontrarono ed entrambi condivisero lo stesso dolore e la stessa rabbia.
Anime affini, ferite dalla stessa perdita.


Decisero di portarla al rifugio con loro, sia per proteggerla che per non lasciarla da sola.
Era sola, ormai. Ma loro avrebbero potuto essere la sua nuova famiglia, se glielo avesse concesso.

Sam mantenne un'aria impassibile e fin troppo contenuta per tutto il viaggio di ritorno, chiusa in una bolla di dolore e Mikey le stette per tutto il tempo accanto, insolitamente quieto e silenzioso.
Lui non permise che la bendassero quando arrivarono al garage, facendo un cenno ai suoi fratelli per fargli capire che aveva tutto sotto controllo, e la guidò personalmente all'ascensore, lasciando che guardasse intorno quanto voleva.
La vista del rifugio sembrò sorprenderla e distrarla, momentaneamente, mentre osservava ogni più piccolo dettaglio con aria meravigliata. L'alto soffitto a volta, le numerose porte che portavano ad altrettante stanze al primo piano, l'ampio spazio al centro col laghetto dal ponte in legno e la zona video piena di schermi.

Vivrete pure sottoterra, ma questo posto è decisamente meglio di dove sto io” esclamò colpita, con un fischio di approvazione.

Splinter apparve dal dojo, una lieve espressione di rimprovero nel viso al veder una sconosciuta nella loro casa.
Sam alzò la guardia immediatamente, indietreggiando di un passo, pronta a difendersi e ad attaccare se necessario.
Michelangelo la rassicurò con un tocco leggero sulla spalla, prima di fare le presentazioni.

Questo è nostro padre, Splinter, ci ha cresciuti dopo che siamo mutati. Padre, questa è Samantha, la sorella di... Mork. Si chiamava Melissa.”
Il vecchio sensei capì immediatamente e lo ferì vedere tutto quel dolore negli occhi del figlio e della ragazza di fronte a lui. Piegò il capo con rispetto.

Benvenuta, la nostra casa è la tua casa.”

Sam si rilassò, pur continuando a osservare l'anziano mutante. Forse in un'altra occasione avrebbe fatto qualche osservazione su un ratto che allevava quattro tartarughe, ma in quel momento voleva solo chiudersi da qualche parte, da sola, e piangere, prendere a calci qualcosa finché non fosse stremata a terra dalla fatica e poi svenire in un sonno, preferibilmente, senza sogni.
Puoi avere la mia camera” disse Isabel, come se le avesse letto la mente.
Quella donna aveva il potere di confonderla e innervosirla, a volte, ma in quel momento le fu grata. Avrebbe dovuto chiederle perché vivesse lì sotto con loro, prima o poi, ma una domanda si fece prepotentemente strada nella sua mente.

Dove dormiva Melissa?” interrogò, rivolta verso Michelangelo.
Quello spalancò per un secondo gli occhi, quasi in imbarazzo, prima di rispondere.

Con me” disse in un soffio. “Non- non sapevo fosse una ragazza! Eravamo convinti fosse un ragazzo.”
Un lieve sorriso le incurvò le labbra al vedere il suo goffo tentativo di scusarsi. Di cosa poi?
Aveva il sospetto che Melissa, mentre era mutata, si fosse invaghita di Michelangelo.
E benché il concetto fosse strano, almeno di primo acchito, riuscì a capire perché.

Accettò l'offerta di Isabel e si fece mostrare la stanza, al primo piano. Poi avrebbe esplorato il rifugio, avrebbe accettato la loro offerta di cibo, avrebbe cercato di recuperare la sua roba, avrebbe pensato al futuro, forse. Ma in quel momento chiudersi in quella stanza era tutto quello che voleva.
Isabel le mostrò dove trovare un cambio e gli oggetti di prima necessità e Sam era pronta a buttarla fuori di lì anche in malo modo, -anche se era stata così gentile,- se avesse deciso di rimanere lì con lei. Ma quella si incamminò decisa verso la porta dopo pochi attimi, fermandosi solo un secondo con la mano sulla maniglia.

È dura, lo so. Ma noi siamo qui con te. Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi, anche la più stupida, chiama. Sono nella stanza di Raffaello.”
Sam avrebbe voluto urlarle contro che non sapeva, non poteva sapere, ma nello sguardo dell'altra donna vide un dolore uguale al suo, le si spalancò un baratro profondo di strazio e pena e comprese che sì, lei capiva, lei sapeva cosa stesse passando.
Si sentì in un certo senso meno sola.

Le sorrise, forse era la prima volta che le sorrideva, con gratitudine.
Non busserei alla vostra camera da letto per nessun motivo” le disse, strappandole un sorriso a sua volta.
Isabel scosse la testa e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Sam attese di sentire i suoi passi allontanarsi, poi si lasciò andare sul letto, completamente vestita, affondando la testa nei cuscini.
E se si lasciò andare al pianto, nessuno la sentì nel rifugio.

Michelangelo fu tentato molte volte di entrare in quella camera, di andare ad abbracciarla, lottare con lei finché non si fosse arresa e si fosse lasciata consolare, ma Sam non era così docile e non poteva vincere contro di lei. Ancora.
Il rimorso poi, allora già schiacciante, in quel momento gli bloccava il respiro e qualsiasi pensiero: Mork, no, Melissa, aveva dato la sua vita e lui non aveva potuto fare niente per aiutarla.
Aveva solo potuto guardarla morire.
E Sam soffriva per colpa sua, per la sua incapacità di proteggere ciò che le era stato di più caro.
Rimase fuori dalla sua camera, lo sguardo puntato su quella dove Sam riposava, in una muta e immobile guardia, per molte ore.


Quando Sam riemerse dalla stanza, il rifugio era silenzioso e tranquillo.
Sentì delle voci leggere dal piano sottostante, ma non seppe dire con precisione da dove venissero.
Poteva perfino scappare e nessuno se ne sarebbe accorto. Ma per andare dove, poi? Forse se fosse rimasta con quei mutanti avrebbe avuto più possibilità di trovare quell'Hersen e ucciderlo.

Scese per la scaletta e si guardò attorno una volta arrivata al pianterreno. Ancora non capiva come un posto così bello potesse esistere nascosto sotto la superficie di New York city. Nessuno ne conosceva l'esistenza, come non conosceva quella dei suoi abitanti.
Aveva sentito leggende metropolitane su mostri che si aggiravano per le fogne, -circolavano dappertutto per la città,- ne esistevano decine di versioni differenti, ma non avrebbe scommesso mezzo dollaro sulla loro veridicità.
E invece in quel momento era nel loro rifugio, sotto le loro cure.

Una grossa porta di legno intarsiato si spalancò e Leonardo, Isabel e Raphael ne uscirono, vistosamente sudati e stanchi. Lei aveva un paio di ventagli di ferro nelle mani.
Ehi, ti sei svegliata” constatò Isabel, non appena la vide. “Sei scesa per mangiare? Mikey sta cucinando già da almeno un'ora.”
Sam sentì in quel momento un buon profumo venire da una delle porte lì vicino e il suo stomaco brontolò, rumorosamente. Non sapeva nemmeno che ora fosse e quando avesse mangiato l'ultima volta. Era stato a cena, la notte in cui aveva incontrato Michelangelo, ma non aveva idea di quanto tempo fosse passato da allora.
Le sembrava un secolo.

Isabel la spinse verso la cucina, e Mikey si fermò un attimo mentre mescolava qualcosa che profumava divinamente, per rivolgerle uno sguardo sorpreso e fin troppo contento nel vederla.
Donnie arrivò subito dopo seguito dal maestro, entrambi le rivolsero un sorriso ciascuno, prima di mettersi a tavola.
Fu strano, cenare con quella bizzarra famiglia; il pasto fu pieno di chiacchiere, soprattutto dei preparativi del matrimonio, della costruzione della clinica e di un villino, a quanto aveva capito, e tutti erano emozionati e coinvolti, e finalmente notò gli sguardi pieni d'amore che Isabel e Raphael si scambiavano di tanto in tanto.
Lei sorrideva estasiata ogni volta che guardava Raphael e lo sguardo del grosso e burbero mutante si scioglieva non appena si posava su di Isabel; la guardava in continuazione, sembrava aver paura di perderla se avesse distolto gli occhi da lei.
In un'altra situazione Sam avrebbe pensato che fossero da diabete, ma sentiva che non erano una coppia qualunque, che erano arrivati a quel momento di felicità dopo chissà quanta fatica e che si meritavano di sbandierare il loro amore.

Sam avrebbe voluto saperne di più.
Su di loro, su Isabel e ogni dettaglio della vita di Melissa mentre era stata con loro. Anche su Michelangelo.
E probabilmente, sarebbe dovuta rimanere lì con loro abbastanza per imparare tutto quello e anche di più, che lo volesse o no.
Aspettò un momento di calma, per parlare.

Quanto dovrò restare qui?” chiese, a nessuno in particolare.
Leonardo scambiò una breve occhiata con Michelangelo e Donatello, prima di risponderle.

Dobbiamo trovare Hersen prima che lui trovi te, quindi sarebbe meglio che tu rimanessi con noi, almeno per un po'. Donatello cercherà qualsiasi informazione possibile e seguirà qualsiasi pista; uno come Hersen non sta defilato molto a lungo, purtroppo.”

Una parte di Sam voleva protestare vivamente per quella che prometteva essere una snervante attesa insieme a loro: attendere cosa, poi? Da quanto aveva capito dal racconto quel professor Hersen era scomparso da mesi, reso pazzo dalla mutazione; poteva essere dall'altra parte del mondo o già morto.
Un'altra parte di sé, però, avvolta nel dolore e ferita, era disinteressata e catatonica, e le diceva che niente aveva senso, che non le importava davvero di stare seppellita lì sotto anche per sempre, perché non c'era più nulla per cui valesse la pena stare lì fuori.
Fece quello che faceva sempre, finse indifferenza con un'alzata di spalle e distolse lo sguardo da loro.

Va bene. Devo prendere delle cose dal mio appartamento, però.”

Ci fu un altro veloce scambio di sguardi, tra Michelangelo e Isabel quella volta, e poi la giovane donna intervenne, pronta.
Posso accompagnarti io. Ma se hai molte cose da prendere sarà meglio che uno dei ragazzi ci porti col furgone.”
Michelangelo si offrì immediatamente, mentre gli altri tre decidevano come suddividersi i giri di ronda, facendo chiamate ad un certo Steve e ad una Angel.

Dopo cena Raphael iniziò a pulire i piatti, mentre gli altri si preparavano. Michelangelo aveva già le chiavi del furgone in mano e attendeva vicino al laghetto insieme ad una distratta Sam. Isabel era in cucina che salutava Raphael e sentirono la sua risata riecheggiare tutto intorno a loro.
Allora, com'è la storia di questa Isabel?” domandò Sam, torturando uno dei suoi boccoli con un po' troppa foga.
Michelangelo si voltò a guardarla, ma lei fissava l'acqua immobile del laghetto.

In che senso?”
Se nel suo tono c'era una lieve sfumatura di cautela, lei non se ne accorse.

Come mai vive con voi? Come l'avete incontrata? Come si è innamorata di tuo fratello?”

Mikey si mosse un po' sul posto, quasi fosse a disagio, e attirò l'attenzione di Sam su di sé.
Non credo che stia a me raccontarti la sua storia, o la loro storia, è un po' lunga e complicata. Perché ti interessa, comunque?”
Non è che mi interessi, ma mi incuriosisce. Il modo in cui è così a suo agio con voi, e il suo rapporto con tuo fratello e... come sembra capirmi, anche se mi fa arrabbiare.”
Lo sguardo di Mikey si addolcì un poco e poi vagò intorno, come perso in pensieri o ricordi.

Se vuoi sapere devi chiederlo a lei, sono sicuro che te ne parlerà. Sono sicuro che vi capirete perfettamente. Anche se il pensiero ti fa arrabbiare.”
L'arrivo di Isabel li interruppe e si diressero verso il garage, in silenzio.

Il viaggio fu abbastanza breve, e per tutto il tempo Michelangelo cercò di alleggerire l'aria con chiacchiere vane, come suo solito.
L'appartamento di Sam era nel Queens, al terzo piano di una vecchia palazzina; lei e Isabel entrarono nel portone mentre Mikey parcheggiava proprio davanti.
Il monolocale era molto piccolo e spartano, ingombro di vestiti sparsi ovunque e scatole di pizza ammucchiate una sull'altra.

Sembra di vedere la camera di Mikey. Uguale. Davvero!” sbottò incredula Isabel, facendosi strada tra il disordine.
Le labbra di Sam si stirarono in un lieve sorriso compiaciuto, ma allo stesso tempo rollò gli occhi al cielo.

Dammi una mano ad inscatolare” chiese con impazienza.
Non c'era molto da portare via, il mobilio faceva parte dell'appartamento in affitto e tutto ciò che Sam possedeva erano i suoi vestiti, qualche fumetto, una radio e pochi effetti personali.
Una vita intera in poche scatole.
Che era comunque più della sola borsa che Isabel aveva con sé quando si era trovata nella stessa situazione.

Come hai conosciuto Michelangelo e gli altri? Qual è la tua storia?”
Si riscosse al sentire la voce di Sam o per quelle domande. A dispetto dell'aria di indifferenza che sembrava mostrare, sempre, c'era un tono decisamente curioso.
Isabel la guardò per un intenso attimo, le sorrise e continuò poi a piegare alcune magliette, una sull'altra.

Quando ero piccola un uomo uccise i miei genitori, davanti ai miei occhi. Poi mi diede la caccia in giro per il mondo, come una preda” raccontò con piccole pause per i respiri.
Sam la osservò inorridita, soprattutto per tono tranquillo con cui l'altra parlava, che la fece inizialmente pensare che la stesse prendendo in giro. Ma quel luccichio di dolore negli occhi non si poteva fingere e non si poteva nascondere.

Scappai e mi nascosi per otto anni, come meglio potei. Finché un giorno non incontrai Raffaello, qui a New York, e da allora è tutto cambiato. Lui mi ha aiutato a combattere per me stessa e per quello che amo. Mi ha insegnato ad amarmi e a permettermi di amare.”
Come sempre, quando il nome dell'amato era spuntato dalle sue labbra, il viso di Isabel si era illuminato di gioia, senza esserne conscia.
Sam rimase colpita dalla forza di quella donna, sembrava averne viste tante, più di quanto non le stesse dicendo, eppure emanava così tanta sicurezza, così tanta serenità. Era quello forse, a farla arrabbiare. Sam la invidiava.

E l'uomo che ha ucciso i tuoi genitori... che fine ha fatto?”
Lo sguardo di Isabel si indurì per un attimo, una scintilla di piacere lo oscurò velocemente.

Ha avuto una fine peggiore della morte” rispose, mandando un brivido giù per la schiena di Sam.
Poi all'accorgersi del suo disagio si rilassò, in colpa. Mise da parte le magliette piegate e cercò di attirare la sua attenzione.

Hersen la pagherà. Te lo posso giurare. Quando i ragazzi si mettono in testa una cosa allora faranno di tutto per portarla a termine. E poi le cose miglioreranno. Ci vuole tempo e affetto e nuovi propositi, ma ti posso assicurare che dopo sarà tutto meglio. Farà sempre male, ma meno.”
Le tese una mano, come aveva fatto Michelangelo ore prima, con la stessa fiducia, con lo stesso calore. Negli occhi lo stesso dolore che lei sentiva dentro.

Sam la afferrò con forza e con lo stesso impeto attirò la donna verso di sé, stringendola in un abbraccio da spezzare il fiato. Poi scoppiò in singhiozzi e urla di dolore, nascondendo il viso nel collo di Isabel.
Isabel la cullò con frasi dolci e carezze sulla testa, stringendola con la stessa forza, trasmettendo affetto contro la disperazione di lei, il trasloco completamente dimenticato.


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Capitolo 40
*** Mikey's little adventure 5. Rollercoaster of emotions ***


La vita insieme a quella nuova, stramba famiglia era assurda. Sembrava quasi il nome di una sit-com, quando lo pensava nella sua testa: Sam tra i mutanti.
O la mia nuova famiglia di mutanti.
Non che Sam avesse intenzione di dirlo ad alta voce, ma tutti loro la facevano sentire come se per davvero avesse una famiglia. La sua prima famiglia.

C'era Isabel, tanto per iniziare, che sembrava come una sorella maggiore. Dopo il momento che avevano condiviso, di confronto e conforto, tra loro era sorto un buon legame: Isabel era dolce e premurosa, eppure tosta; la sua presenza era rassicurante, ma non assillante.
Sapeva quando palesarsi e parlare con lei e quando tenersi alla larga, e in più sembrava non temerla per niente, anche se Sam ci provava, di tanto in tanto.
Donatello e Leonardo erano molto gentili, emanavano un'aura di pacatezza e tranquillità che all'inizio l'aveva confusa e irritata: non era brava a relazionarsi con persone che la trattavano così, la facevano sentire vulnerabile e fragile, come se dovesse rompersi da un momento all'altro.
E non sapeva come gestire la cosa. Sapeva confrontarsi con pugni e sarcasmo, ma non contro genuina, pura gentilezza.

Raphael le piaceva molto. Non in quel senso, Isabel l'avrebbe uccisa se solo avesse provato a guardarlo in modo strano e ad essere sincera, erano troppo simili perché potesse piacerle in quel senso; ma lui la capiva.
Sembrava capire quella rabbia che aveva dentro e come la dominasse, come la rendesse intrattabile. Come le rendesse tutto insopportabile.
Fin dal suo primo giorno ufficiale al rifugio, dopo che aveva portato tutte le sue cose e si era trasferita nella stanza di Isabel, Raphael le aveva messo a disposizione il suo sacco da boxe, esortandola a prenderlo a pugni ogni volta volesse sfogarsi.
E Sam lo ringraziò, segretamente. Amava la sensazione delle nocche contro il cuoio consunto, il peso che si spostava sotto i suoi colpi, la rabbia che si consumava pian piano ad ogni pugno.
Non curava il suo dolore, ma la faceva sentire un po' meglio.

Splinter era il più enigmatico, almeno per lei. Era sempre calmo e silenzioso, attento ad osservare i figli e gli stati d'animo di tutti, e le poche volte che interveniva nei discorsi era per dispensare una massima filosofica che sembravano capire tutti tranne lei.

Aveva conosciuto gli umani della famiglia: I Jones, Casey e April, lei dolce e furba tanto da compensare alla schiettezza e ruvidezza di lui, le erano piaciuti molto, erano una coppia assurda ma assolutamente perfetta. I piccoli Jones erano abbastanza tranquilli, Sam non amava particolarmente i bambini, ma erano buoni e curiosi, non invadenti, perfino spassosi, nel caso di Carl, il maggiore; August era un fagottino di sei mesi che non faceva che gorgogliare, non le dava fastidio e in realtà lo trovava perfino carino, anche se si rifiutò di prenderlo in braccio. Avrebbe potuto farlo cadere troppo facilmente.
Steve appariva quasi tutte le mattine per la colazione e la sera per le lezioni nel dojo: era un ragazzino timido e fin troppo educato, ma con buon potenziale, e si era già accorta che metterlo in imbarazzo era uno spasso, perciò si era mentalmente ripromessa di farlo spesso.
E Angel era stata una rivelazione: si era costruita una buona reputazione per le strade, in passato, -tanto che perfino Sam ne conosceva il nome,- prima di sparire nel nulla. Si erano salutate con un pugno chiuso, entrambe colpite dalla tostaggine dell'altra, spiriti affini.
Tutti loro avevano conosciuto Melissa, anche se come Mork, e le raccontavano quello che ricordavano, con affetto e dolore, con pazienza e nostalgia.
Erano un gruppo decisamente variegato eppure interessante. E le piacevano più di quanto non volesse.

E poi c'era Michelangelo.
Il sempre presente, sempre entusiasta, sempre chiacchierone Michelangelo. Che appariva dal nulla ogni volta in cui si sentiva prendere dallo sconforto, quasi come se lo percepisse, e la trascinava in mille cose da fare: tornei infiniti di videogiochi, -che Sam adorava,- lezioni di skateboard, serate a guardare film trash commentando con la bocca piena di popcorn, sessioni a leggere fumetti assieme, e ogni volta che lui le spoilerava qualcosa si beccava un pugno sulla spalla, mentre rideva.
Michelangelo era chiassoso, invadente, solare, logorroico, allegro, euforico e casinista. Non accettava un no come risposta, rideva se lei si arrabbiava con lui e perfino le sue minacce fisiche non sortivano nessun effetto su di lui.
Michelangelo era una presenza totale, travolgente, riempiva ogni spazio, riempiva ogni momento e ogni pensiero, e Sam ne era intimamente grata, a dispetto della sua aria burbera. Le anestetizzava il dolore, le rendeva le giornate leggere, le impediva di soffrire troppo.

Solo la notte, chiusa nelle quattro mura della stanza di Isabel, i pensieri tornavano a sua sorella e allora si lasciava andare al pianto, scossa da singhiozzi e gola bruciante, senza nessuno che la potesse distrarre.
In quei momenti sentiva la mancanza di Michelangelo, e più di una volta si era bloccata un attimo prima di andarlo a chiamare per stare con lei.
Perché non era giusto, lo sapeva.
Michelangelo non era il suo clown, non era il suo pupazzo o svago e non poteva approfittare della sua gentilezza, anche se era allettante.
Perché rendeva le cose migliori e disperdeva la sua rabbia. Perché si interessava genuinamente a lei.
Ma Michelangelo non sarebbe stato sempre con lei. Non era per sempre. Una volta che tutto fosse finito le loro strade si sarebbero divise e lei sarebbe andata via, senza sapere più nulla di lui e della sua stramba eppure perfetta famiglia allargata.
Era così che funzionava. Lei non serviva a nessuno, non era mai stata voluta da nessuno.


Era passata già una settimana da quando era arrivata, erano entrati nel mese di Settembre.
Da una parte fervevano i preparativi per l'imminente matrimonio, quasi maniacali, dall'altra quelli per trovare almeno la più piccola traccia di Hersen; Sam aiutava per entrambi, non poteva fare altrimenti dato che era bloccata là sotto, preda di una lieve inquietudine che cresceva ogni giorno più forte.

Donatello aveva saltato parecchi turni di ronda per continuare ad investigare, e Sam glien'era davvero grata, ma aveva trovato pochissime informazioni, che già conoscevano: Hersen non aveva possedimenti, famigliari o amici, e non c'erano tracce di suoi avvistamenti in giro per la città.
Ma, e se non fosse a New York? Potrebbe essere andato lontano” disse Leonardo una sera, in cui erano tutti nel laboratorio di Don per discutere.
Potrebbe essere. Sa che noi siamo qui e che lo fermeremmo se lo trovassimo.”
Avete detto che la seconda mutazione l'ha reso pazzo. Potrebbe essere morto in un attacco di follia” si intromise Isabel, pensierosa. “Magari si è fatto del male da solo. Magari è morto di fame.”
Michelangelo emise un mugolio soffocato, attirando la loro attenzione.

Ne dubito. Per come parlava, penso invece che intendesse rifare da capo tutto quanto. Nel senso di rapire altri innocenti e mutarli per potersi curare.”

Donnie, cerca segnalazioni di sparizioni nelle città confinanti” suggerì Leo, immediatamente.
Le dita del genio volarono sulla tastiera del pc, mentre loro attendevano con apprensione, un innaturale silenzio nella stanza.

Ci sono... oh cavolo!” esclamò Don un istante più tardi, l'espressione del suo viso grave.
Si avvicinarono tutti alla scrivania inconsciamente, ma ovviamente non potevano vedere tutti lo schermo.

Ci sono state molte sparizioni negli ultimi sette mesi: donne caucasiche, bionde, occhi grigi, fisico atletico, intorno ai venti anni di età. Le ultime quattro lo scorso mese nel Jersey” lesse per loro, lasciando che arrivassero alle sue stesse conclusioni.

Si voltarono tutti in sincrono verso la ragazza che fino a quel momento era stata fin troppo tranquilla ad ascoltare e il viso di Sam esprimeva un orrore che non riusciva a celare.
Sta- quel pazzo sta rapendo e mutando donne che mi somigliano? Che somigliano a Melissa?” domandò con un filo di voce, mentre il suo sguardo vagava smarrito, fino a trovare quello di Michelangelo.
Lui annuì piano, con premura.

Allora dobbiamo trovarlo! Adesso! Sappiamo dov'è, cos'altro vi serve?” saltò su la ragazza, infervorata. Non poteva lasciare che altre soffrissero come Melissa, come stava soffrendo lei.
Piano. Sappiamo dove è all'incirca. E ti prometto che concentreremo le ricerche in quel punto per trovarlo il prima possibile, ma non possiamo andare alla cieca. Dobbiamo fare un piano, prima. E quel piano comprende trovare una cura per quel maledetto siero” sibilò deciso Leonardo, prendendo in mano la situazione.

Don si fece pensieroso, perso in ragionamenti.
Abbiamo ancora i campioni di Mor- di Melissa. E forse anche il DNA di Sam può aiutarci. Ma penso che ci sarà utile chiamare Leatherhead. Sarebbe anche il caso che lei lo incontri, in fin dei conti” disse il genio con un sorriso triste che Sam proprio non capì.
Michelangelo aveva lo stesso sorriso sghembo, il fantasma di un ricordo.

Lo penso anche io” aggiunse con un sussurro.


Leatherhead era decisamente una sorpresa. Quando le avevano detto che era il momento di incontrarlo non si era aspettata di trovarsi davanti un coccodrillo umanoide di quasi due metri e mezzo col camice da laboratorio e un sorriso incerto sul muso puntuto.
Sembrava quasi spaventato da lei.
Rimase ad osservarla per interminabili minuti, immobile e silenzioso, mettendo a dura prova i suoi nervi.

Mi dispiace” disse infine e la sua voce era molto profonda e molto calma. E molto addolorata.
Sam capì che stava parlando della morte di sua sorella e ne rimase colpita, anche se fece un gesto per dissimulare, per fargli capire che non doveva.

Non credo che te lo abbiano detto, ma il DNA che l'ha fatta mutare era il mio” confessò lui con lo sguardo nel suo e Sam spalancò gli occhi di sorpresa.
Bishop ha preso campioni del mio sangue e del mio corpo, quando mi ha catturato e torturato. E so che Hersen lo ha usato per mutare tutte quelle persone innocenti. Mi dispiace, sono davvero dispiaciuto per tua sorella. Era speciale.”

Sam rimase spiazzata dalla rivelazione. E non era un genio come Melissa, ma capì molte cose. Si avvicinò a piccoli passi verso l'enorme mutante, e lo vide indietreggiare inconsciamente, le pupille negli occhi gialli si strinsero per un secondo a fessura.
Con la coda dell'occhio vide Michelangelo e gli altri irrigidirsi sul posto e Isabel alzare le mani verso di loro, pronta a fare non sapeva cosa.
La ragazza si fermò ad un passo e sollevò la testa per poterlo guardare in viso.

Le volevi bene?” chiese con genuino interesse.
Leatherhead rimase colpito dalla domanda e dal suo tono calmo.
Piegò la testa piano, con imbarazzo.

È difficile da spiegare. Aveva i miei geni, era come se fosse mia figlia. È qualcosa di atavico, che risuona dentro. Il desiderio di proteggere il tuo stesso sangue” cercò di spiegare, senza suonare patetico.
Non aveva conosciuto Melissa per molto tempo, e non con quel nome o con la forma della ragazza di fronte a lui, ma le loro vite si erano legate e le aveva voluto bene e aveva pianto la sua morte.

Sam gli sorrise
Sì, lo capisco” rispose, e lo sorprese prendendo una delle sue manone tra le sue. “Sono sicura che anche Melissa te ne voleva. Saresti un padre molto fico.”
Quel commento non passò inosservato a nessuno di loro. Melissa aveva avuto dei genitori adottivi che le avevano voluto bene, mentre Sam non ne aveva mai avuto nemmeno uno.
Il pensiero che perfino Leatherhead fosse stato come un padre per sua sorella mentre era mutata da una parte le faceva piacere, dall'altra la faceva sentire ancora più sola.
Lasciò andare la sua mano e indietreggiò di un passo, rimettendo su la sua maschera.

Ne saresti stato orgoglioso, sai? Era una scienziata in gamba, un genio. Ha preso la laurea a soli diciotto anni, era brillante. Sareste andati d'accordo” gli disse con un sorriso sincero.

E tu? Parlami un po' di te” la sorprese lui, dopo qualche attimo di silenzio.
Sam si stupì del genuino interesse nel fondo della domanda e prese un brusco respiro che udirono tutti. Poi fece spallucce.

Io non sono intelligente” fu la laconica risposta.
Leatherhead le rivolse un sorriso incoraggiante e un po' triste.

Cosa fai nella vita?” incalzò allora, cercando di vincere la sua reticenza.
Avrebbe voluto poter dialogare con Melissa allo stesso modo, in passato, ma la sua mutazione le aveva impedito di parlare e i suoi geni in lei rendevano il controllo sulla sua parte animale ancora più difficile.

Sam si mosse un po' a disagio, quasi come odiasse essere al centro dell'attenzione e che le rivolgesse domande così personali. Quasi come non si sentisse all'altezza delle loro aspettative.
Sono una cameriera” rispose infine con un filo di voce che riuscirono a sentire solo perché c'era uno spesso silenzio.
Nel muso del coccodrillo non c'era pietà o derisione per lei e invece che farle piacere la fece sentire più vulnerabile.

È un lavoro onesto e onorevole” asserì lui con convinzione.
Ma... in realtà... vorrei fare la poliziotta. Ho mandato la mia domanda di iscrizione all'Accademia di polizia, sto aspettando una loro risposta” confessò Sam, senza sapere nemmeno bene perché.
Era un sogno che non aveva mai confessato a nessuno se non a Melissa, ma in quel momento le era sfuggito dalle labbra, forse nel tentativo inconscio di colpire positivamente quel mutante, per potergli mostrare che poteva essere di più.
Ma che fosse dannata se capiva lei stessa cosa le era preso.

Leatherhead le sorrise con dolcezza e poterono giurare di aver visto una scintilla di orgoglio negli occhi gialli, per un istante. Tese temerariamente una manona verso la ragazza e le diede una pacca gentile sulla testa.
Sono sicuro che sarai accettata. E che sarai una magnifica poliziotta” pronunciò deciso, e un po' dello stoicismo di Sam si sgretolò dalla sua maschera, per quella genuina premura e fiducia nei suoi confronti.
Si schiarì la gola con imbarazzo, rivolgendo un fugace e impacciato sorriso al coccodrillo, prima di mettere un po' di distanza tra loro.

Allora... ho sentito dire che sei un grande scienziato e che sai come invertire la mutazione, è vero?” domandò con tono casuale, arrischiandosi a guardare finalmente verso gli altri.
Erano tutti quieti e attenti lì accanto, e il sorriso di Michelangelo le fece qualcosa, dentro, che non voleva sapere al momento.

Non proprio” disse Leatherhead con modestia. “Ma io e Donatello ci lavoreremo e troveremo il modo per riportare quelle giovani donne alla loro condizione di umane.”
Sam annuì convinta; c'era qualcosa nella voce profonda e gentile di Leatherhead che le trasmetteva tranquillità e le infondeva uno strano senso di protezione.
Se diceva che poteva trovare un modo per invertire la mutazione, allora sentiva che sarebbe stato così.
Acconsentì a fornire campioni di sangue, capelli e perfino un frammento di pelle, con stoicismo, poi rimase lì con loro nel laboratorio, cercando di capire cosa stessero facendo: Leatherhead le spiegò ogni loro passo e teoria con pazienza e parole che lei poteva capire, e Sam si dimostrò davvero interessata e sinceramente attenta.

Donnie sorrideva di tanto in tanto tra sé, colpito dalle loro interazioni: sembravano davvero un padre paziente e una curiosa bimba che gli chiedeva mille cose sul suo lavoro; e se la presenza di Leatherhead sembrava dare a lei un senso di protezione, quella di Sam sembrava stimolare in Leatherhead una sorta di serenità inusuale per il grosso coccodrillo.
Lei se ne stette seduta su un mobile per ore, le gambe ciondolanti e gli occhi attenti ad ogni loro mossa, mentre gli altri erano impegnati in ricerche e giri di ronda, soprattutto per cercare segno delle ragazze scomparse.
Michelangelo era stato il più deciso su quel punto e il più veloce ad uscire per cercare degli indizi, quasi fosse la sua missione, salvare tutte.
E Sam aveva già capito che era la verità. Tutti loro si facevano in quattro per gli altri, erano altruisti e generosi e prendevano a cuore le sorti di chiunque, ma in quel caso per Michelangelo era praticamente personale.
E se da una parte le scaldava il cuore che lui avesse voluto così bene a Melissa, dall'altra le ricordava che lei non era che una nuova missione per lui, niente di così speciale.

Andò a coricarsi a notte inoltrata, ma nessuno era ancora tornato dal giro di ronda e i due mutanti scienziati non accennavano a voler smettere coi loro esperimenti; salutò Leatherhead con un sorriso sincero e Donnie con un gesto della mano, augurando loro la buona notte.
Nel percorso verso la stanza, il cervello lavorava ancora febbrilmente, nonostante il sonno. Si stava abituando in fretta a quella vita lì sotto con loro e le sensazioni che provava via via la confondevano e la disorientavano.
Sicurezza, tranquillità, serenità, gioia, a dispetto del dolore nel quale era ammantata. Si sentiva in colpa per provare quei sentimenti e se possibile quello la faceva arrabbiare ancora di più, con sé stessa.
Non sapeva nemmeno come dovesse sentirsi e quello la rendeva solo più confusa.

La stanza la accolse coi suoi colori tenui e rilassanti. Le piaceva, anche se non era arredata nel suo stile e più di una volta si era bloccata nel bel mezzo di una fantasia mentale in cui aggiungeva questo o quello per renderla più sua, ricordando che sarebbe stato inutile.
Quella non era la sua stanza, e anche se Isabel sarebbe andata via dopo il matrimonio, non voleva dire che potesse diventarlo.
Andò a letto ancora vestita, un'abitudine che faticava a togliersi, e rimase a fissare il soffitto come in trance, sperando che il sonno arrivasse prima del dolore.

Quello era il momento della giornata che più odiava, quello che più temeva. Quello in cui il ricordo di Melissa si faceva prepotente: ogni secondo passato assieme, il legame quasi co-dipendente che avevano avuto da piccole, quando la loro madre non si occupava di loro e dovevano essere l'una il sostegno dell'altra, l'abbraccio in cui si erano avvolte quando si erano ritrovate dopo anni di lontananza, la sua presenza così maturata che cercava di guidarla attraverso la difficile vita che viveva.
Sentì le lacrime scendere giù fino al cuscino e la vista annebbiarsi di altre che ancora premevano per uscire. Morse le labbra per non urlare.
Perché non era toccato a lei? Melissa era speciale, era migliore, la metà perfetta della loro simbiosi. Lei meritava di vivere, avrebbe avuto un futuro splendido e avrebbe aiutato molte persone, migliorato il mondo. Aveva così tante persone che le volevano bene, così tanto da dare.
Perché era morta Melissa e non lei? Lei, Sam, non sarebbe mancata a nessuno.

Un lieve tocco alla porta la sorprese e le strappò un singulto, e si mise a sedere di scatto.
Si passò in fretta le mani sulla faccia e sentì di nuovo bussare, appena più deciso.
Era molto tardi, chi poteva mai essere a quell'ora? Sentì di sapere già la risposta.

Michelangelo, vai a dormire” sbuffò con il tono più seccato che le riuscì di fare.
L'uscio si aprì e la faccia del mutante apparve nello spiraglio, con un mezzo sorriso.

Ho detto vai a dormire, non 'entra pure', idiota” lo investì con ostilità, ma non sortì l'effetto sperato.
Invece che andarsene, lui entrò nella stanza e si chiuse la porta dietro.
Si beccò un cuscino dritto in faccia e la sua risata si sentì attutita da dietro.

Tranquilla, rimango solo un attimo. E non faccio nulla di strano, promesso” assicurò in tono gioviale, mostrandole le mani in segno di resa. Il cuscino cadde a terra senza un rumore.
Sam rollò gli occhi al cielo e sbuffò di derisione. Lui lo prese come un segno positivo, evidentemente, perché si avvicinò a passetti corti e rimase per un secondo vicino al letto, prima di sedercisi di peso.

Volevo solo parlare un po'” disse quasi in impaccio, così inusuale per lui.
Di cosa?” rispose lei, che proprio non voleva saperne di rendergli le cose semplici.
Michelangelo fece spallucce e continuò a guardare di fronte a sé.

É già passata una settimana da quando sei qui, volevo sapere come ti trovi, come stai, se c'è qualche cosa che ti serve o di cui ti vuoi lamentare.”
In effetti, c'è qualcuno che entra in camera mia senza essere stato invitato, vorrei che ne teneste conto, non mi piace” soffiò sarcastica lei, strappandogli una risata.
Sam la ascoltò gioendone segretamente, rilassandosi un poco.

Va tutto bene, davvero” disse dopo qualche attimo, portandosi le gambe al petto e circondandole con le braccia.
Si era allontanata un po' da lui, in quel modo, ma era meglio così.

Sto bene qua sotto, anche troppo, forse” confessò con un filo di voce. E Michelangelo capì parte delle paure che lei nascondeva in quelle parole.
Sono tutti magnifici, vero? Sono casinisti, e troppi, ma sono fantastici” le confessò con un gran sorriso. “Amo davvero questa famiglia. E Leatherhead è davvero forte.”
Sam non disse nulla, affondò un po' la testa nel riparo delle braccia. Non le piaceva il modo in cui lui la leggeva così facilmente.

Sono contenta che Melissa abbia avuto voi, prima di...”
Lasciò la frase a metà e Mikey non la finì per lei, rimase ad osservarla per qualche istante, assorto e afflitto.

Tu hai conosciuto i genitori adottivi di Melissa?” le domandò con tatto, infine.
Sam non si mosse dalla sua posizione, forse si era già aspettata che prima o poi qualcuno le facesse quella domanda.

I Williams? Certo, sono a posto. Quando io e Melissa ci siamo ritrovate, i Williams hanno giurato e spergiurato che non sapevano che fossimo due gemelle, che non glielo avevano detto, altrimenti avrebbero adottato anche me. Si sono detti molto dispiaciuti” iniziò a raccontargli con tono neutro, quasi indifferente, e fu quella arrendevolezza che fece più male a Michelangelo.
Ma non lo so... non credo che mi avrebbero voluta. Sono troppo difficile da gestire. Melissa era più calma e ubbidiente, dava soddisfazioni ed era una studiosa, una vera secchiona.”
Secondo me tu sei intelligente. Sei furba, a dire il vero. E a volte essere furbi è meglio che essere intelligenti”
Sam sentì un gran calore dentro a quelle parole dette con sincerità, ma esteriormente non diede alcun cenno del tumulto interiore, nascosta dal riparo delle braccia e dai capelli biondi.
Anzi, dopo un attimo di imbarazzo gli allungò un pugno leggero contro l'avambraccio, che lui accolse con una risatina.

Non so cosa dirgli” sussurrò lei titubante, quando gli ultimi strascichi di risa di lui si erano spenti e il silenzio si era fatto troppo pesante.
Adesso so, ma non posso dirglielo. Di Melissa e … Non ho prove ed è tutto così assurdo. Mi prenderebbero per pazza e mi farebbero internare. Non so cosa potrei dirgli... eppure il pensiero di sapere la verità e di non potergliela dire mi fa arrabbiare. Volevano bene a Melissa e io non posso dirgli che fine ha fatto, che non la rivedranno mai più.”
Michelangelo sentì il rumore delle lacrime trattenute nel suo tono e trattenne il fiato, indeciso se buttare al vento la prudenza e abbracciarla, in barba a qualsiasi pugno lei gli avrebbe rifilato.
Ma forse era solo un desiderio egoistico il suo, il volerla stringere a sé, e non un gesto di conforto. Allungò una mano e dopo aver lasciato andare il respiro trattenuto fino a quel momento, la poggiò dolcemente sulla testa di Sam.
Rigida all'inizio, in attesa di una sua reazione negativa, ma poi, quando lei non si mosse, il tocco divenne dolce e gentile; le dita scesero tra la cascata di capelli biondi, lentamente, ed entrambi ne beneficiavano, quietamente.

Io non so che farei, se fossi in te. In effetti, dal punto di vista di un umano, è tutto assurdo. Sicuramente. Ma forse puoi chiamarli comunque, sentire come stanno. Perfino passare del tempo con loro, se può servirgli ad andare avanti. E se può servire a te.”
A volte Michelangelo sapeva essere così maturo e anche quello la faceva arrabbiare.

Loro non sono la mia famiglia” gli ricordò, con un lieve sottotono di amarezza.
Ma erano la famiglia di Melissa. Non potrai dire loro la verità, ma questo forse glielo devi. Almeno per lei.”
Sam tirò su con il naso, impercettibilmente, e cercò di coprirlo con un colpo di tosse che risultò come un gracidio. Si arrabbiò con sé stessa per l'imbarazzo e tirò su le spalle con stizza, schiaffeggiando via la mano di Michelangelo dalla sua testa.
Lui ridacchiò, leggermente.

Ora di andare via o chiamerò Splinter e lo avviserò che sei entrato qui con intenzioni poco pulite” minacciò con tono irato eppure stranamente leggero.

Michelangelo le mandò un'occhiata dubbiosa, poi si alzò con lentezza e con gesti altrettanto calmi e calcolati si sporse verso di lei, torreggiando con tutta la sua altezza.
Sarebbe potuto sembrare minaccioso, invece era stranamente protettivo.

Di' la verità, hai sperato che avessi intenzioni poco pulite” soffiò allusivo, ad un passo dal suo viso. Lei divenne rossa, così rossa che un po' gli venne da ridere, mentre una parte di lui si sentiva quasi in colpa per averla messa così in imbarazzo.
Sam comunque aveva già agito, preda del nervosismo e del rossore che rendeva la sua pelle incandescente, e gli rifilò un pugno deciso contro la spalla, più forte che poté.
Mikey indietreggiò di un passo, con le mani in alto e un sorriso colpevole.

Scusa, scusami!”
Eppure quello scintillio nello sguardo, malizioso, non gli dava un'aria così contrita.

Si diresse verso la porta prima che lei potesse mollargli qualche altro pugno e si fermò solo per un attimo prima di uscire.
Buona notte, Samantha! Sognami!” esclamò mandandole un bacio, chiudendosi poi subito la porta dietro, lasciandola lì a fissarla con sgomento.
Sam rimase ad osservare l'uscio, così sconvolta dall'uragano che era Michelangelo che non aveva avuto nemmeno la prontezza di lanciargli qualcosa addosso.
Da una parte si sentiva arrabbiata, anche se non sapeva se con lui o con sé stessa, dall'altra aveva l'assurdo impulso di ridere.
Si lasciò cadere sul letto di schiena e rimase a fissare il soffitto, confusa; la tristezza era ancora lì, nelle macchie di lacrime lasciate sul cuscino, eppure quella notte cadde nel sonno pensando ad un irriverente e malizioso mutante verde chiaro.


Nei giorni seguenti la routine non cambiò di molto, a parte la presenza di Leatherhead nel rifugio, che con Donatello lavorava incessantemente ad una cura per le umane mutate: si prendevano poche pause per mangiare e qualche ora per dormire.
Sam andava a trovarli spesso e rimaneva lì con loro per chiacchierare con il coccodrillo mutante, e a parte con Michelangelo, quelle erano le conversazioni più lunghe che la ragazza intraprendeva.
Ascoltava ogni parola che Leatherhead diceva con interesse e gli faceva anche molte domande, mostrandogli non solo che lo seguiva, ma che capiva quello che le spiegava. A dispetto della sua sfiducia, Samantha non era affatto stupida come diceva di essere. Tutt'altro.
I due facevano così tenerezza nelle loro interazioni che ogni tanto la testa di qualcuno spuntava dalla porta del laboratorio per osservarli, incrociando lo sguardo di Don, che se lo aspettava. Tra di loro, di nascosto, avevano iniziato a chiamarlo affettuosamente papà Leatherhed e si chiedevano quando il mutante avrebbe semplicemente adottato Sam.
Lei ne sarebbe stata felice.

Per un po' di giorni Sam tenne Michelangelo sulle spine, gli dava poca corda, non rispondeva alle sue provocazioni né reagiva ai suoi approcci: doveva pagare per averla messa in imbarazzo. In più, si divertiva a vederlo trotterellare dietro di lei come un'anima in pena.
Comunque, non durò molto, la solita esuberanza di Mikey la vinse infine e smise di tenergli il muso e ritornò a colpirlo quando la faceva arrabbiare, ritornò a giocare con lui ai videogiochi, ritornò a godere della sua compagnia.
E le sue parole di quella notte continuavano a ronzarle nella mente, perché Michelangelo aveva ragione.
Forse i Williams non erano la sua famiglia, ma li avrebbe aiutati al posto di Melissa.
Infine prese una decisione e il coraggio. Avrebbe chiamato i Williams e li avrebbe incontrati. Se loro avessero voluto, ovviamente. Pregava solo di riuscire a non crollare con loro, a non scoppiare a piangere davanti alle loro facce ignare di ciò che ne era stato della loro figlia adottiva.
Sarebbe stato meglio se fosse morta lei e non Melissa,ne era sempre più convinta.

Prese un paio di respiri profondi per calmarsi e un altro paio ancora di sicurezza, poi premette il pulsante di chiamata e attese col magone che rispondessero, ascoltando i trilli del telefono.
Sentiva il battito del cuore che le rimbombava nella gola.
Il lieve click della chiamata connessa la congelò sul posto e in fretta pronunciò un “pronto”, un po' troppo acuto.
La voce maschile rispose con cortesia, e forse era la ricezione lì sotto, ma non le sembrava quella del padre adottivo di Melissa.

Pronto, signor Williams? Sono Samantha Parker, volevo-”
La voce dall'altra parte la interruppe, con tono fermo ma gentile e Sam spalancò gli occhi via via che ascoltava quello che le veniva detto, con orrore misto a stupore.

Isabel e Mikey si accorsero che lei era impallidita e si affrettarono a correrle incontro, ma il suo sguardo vitreo non registrò la loro presenza.
Annuì come un'automa, poi forse dall'altra parte chiesero una conferma e si affrettò a rispondere a voce, ma suonava artificiosa e stridula.
La sentirono dare risposte automatiche, come per riempire un casellario di informazioni personali e Isabel e Mikey si scambiarono un'occhiata preoccupata, cercando di capire, attirando anche l'attenzione degli altri.

Infine, Sam mise giù il telefono e rimase ad osservare il vuoto.
Michelangelo allungò una mano e la poggiò titubante sulla sua spalla, scuotendola piano. Lei sembrò accorgersi del calore del tocco e alzò il viso verso di lui.

I Williams sono morti il mese scorso in un incidente stradale e mi hanno lasciato tutto in eredità” annunciò con un filo di voce.
E nessuno lo disse, ma sentirono tutti il sentore di qualcosa di sbagliato.


Note:

Adoro il pensiero di Leatherhead come padre adottivo di Sam, sarebbe dolcissimo.

Sono tornata dopo tantissimo tempo, eppure ho trovato un caloroso benvenuto e la dolcezza di allora. Grazie di cuore!

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Capitolo 41
*** Mikey's little adventure 6. Everything that could go wrong ***


Il caldo, nelle notti di quel Settembre, allentava un po' la morsa.
Quel tanto perché i giri di ronda non diventassero passeggiate infernali con la tuta che si appiccicava alla pelle sudata. Ma comunque non abbastanza per renderle piacevoli.

Per lo meno nel rifugio c'era una sorta di fresco che non sapevano se fosse o no magico, mentre lì fuori, sul tetto di un palazzo a guardare le luci artificiali della città pulsare, un rivolo di sudore imperlava la fronte di Isabel, sotto il ciuffo castano.
Lei lo deterse con il dorso della mano, prima di sbuffare via infastidita i capelli dalla faccia. Raphael scostò la ciocca con un tocco gentile, portandola dietro il suo orecchio.
Si beccò un sorriso grato e amorevole come ricompensa.
Mikey li osservò e scosse la testa, con un sorrisino.
Poté quasi sentire Steve al suo fianco rollare gli occhi al cielo. Angel occhieggiava la coppia, a metà tra il commosso e il dubbioso e Mikey si chiese a cosa stesse pensando.
E Leo dava loro le spalle, intento a fissare nel cielo nero e scuro sopra di loro.

Erano tutti lì, riuniti.
Non potevano davvero discutere al rifugio, -o meglio ovvio che potessero, non c'erano segreti,- ma volevano togliere fuori e discutere teorie e pensieri senza fraintendimenti o col rischio di allarmare prematuramente Samantha.
Avevano pensato tutti la stessa identica cosa.

È sicuramente una trappola” esclamò Leonardo, voltandosi verso di loro e dando finalmente voce a quel dubbio che li divorava tutti.
Donatello era rimasto al rifugio con Leatherhead per continuare gli esperimenti per il contro-siero, ma anche lui era ovviamente d'accordo con la loro teoria.

L'unica ignara era forse Samantha, troppo sconvolta dalla notizia della morte dei Williams per pensare a qualcosa di strano: era stata la botta finale.
Era rimasta catatonica, a fissare il vuoto, poi si era andata a chiudere in camera di Isabel, per pensare. Non voleva l'eredità, aveva detto. Non le importava niente.
Michelangelo aveva rispettato il suo desiderio di stare da sola, per quanto gli facesse male vederla così.

Donnie ha provato a controllare i file della polizia, i Williams erano benestanti e ben conosciuti nella comunità, perciò hanno fatto le cose per bene nelle indagini della morte: tuttavia, i corpi si sono potuti riconoscere solo grazie alle impronte dentali, per colpa dell'incendio che ha distrutto ogni traccia. Tracce di percosse o di prigionia, ad esempio” raccontò il leader con tono secco.
Hersen potrebbe aver rapito i Williams. E dopo aver capito che non erano biologicamente imparentati con Melissa, potrebbe averli torturati per farsi dire quello che sapevano sulla figlia adottiva” continuò Raphael, indovinando i suoi pensieri.
Allora saprebbe che Melissa ha una sorella gemella. Magari l'ha cercata fino ad ora ed è solo grazie al fatto che Sam era vestita da ragazzo che non è stata presa... se non l'avesse trovata Mikey...” disse Isabel con voce grave, guardando verso il mutante dalla benda arancio, con apprensione.

Lui si sentiva ribollire di rabbia e disgusto e sapeva che il suo volto esprimeva il suo tumulto interiore.
Se non avesse incontrato Samantha quella notte... che cosa avrebbe potuto succederle? Se Hersen l'avesse presa, prima che lui la incontrasse, il suo destino sarebbe stato segnato come quello della sorella.
Melissa era morta per colpa sua, era un rimorso che non avrebbe mai trovato pace, ma si sarebbe dannato l'anima per proteggere Sam. Ora che era con lui, non avrebbe permesso che le accadesse nulla.
E al sicuro nel rifugio magico, se anche Hersen avesse saputo dove fosse prima, era irrintracciabile.

Aspetterà che si presenti per ritirare l'eredità per rapirla” sputò fuori con furore.
Ma Sam non vuole l'eredità. Anche se fosse una trappola, non funzionerebbe. Evidentemente Hersen non sa nulla su Samantha” intervenne Raphael, con un ghigno compiaciuto.
Gli piaceva quella ragazza, era tosta e aggressiva, e in più sembrava riuscire a tenere testa a Michelangelo, il che era decisamente una cosa buona.

Quindi qualsiasi piano Hersen potrebbe avere per prendere Sam non funzionerebbe. Ma poi? Continuerebbe a cercarla comunque. E noi non possiamo tenerla nascosta sotto terra per sempre” esclamò irata Isabel; non con loro, ma irata. “Io so cosa si prova a nascondersi per così tanto tempo da non sapere più cosa sia la normalità, e non voglio che anche Sam lo provi.”
Raphael la afferrò e la strinse a sé e lei gli rivolse un sorriso innamorato, prima di rivolgersi nuovamente a loro.

Dobbiamo trovare il modo di eliminare la minaccia di questo Hersen una volta per tutte. Quindi, ho un'idea. Può sembrare stupida, ma è l'unica che mi venga in mente per ora.”

Rimasero tutti ad ascoltarla mentre lei spiegava gesticolando animatamente il suo piano, dettagliatamente, i pro e i contro. Sembravano tutti dubbiosi, eppure in qualche modo incuriositi.
Quando lei finì rimasero in silenzio a pensare, a valutare.

Non so se funzionerebbe. Non assomigli a Sam. Ma non c'è nulla di male a provare, nel peggiore dei casi sappiamo che sei in grado di difenderti egregiamente” disse infine Leonardo, con un sorriso mite.
A quelle parole Raph la strinse un po' più forte, il fantasma della sua sparizione ancora vivo in lui, gli incubi sulla sua presunta morte sempre presenti.
Isabel si accoccolò contro di lui, un sorriso triste sul suo volto.

Andrà tutto bene” lo rassicurò, convinta. “Dobbiamo proteggere Sam” aggiunse decisa.

Pianificarono come muoversi da quel momento in avanti e chi avrebbe avvisato Donatello e Leatherhead della cosa, ovviamente senza fare sapere nulla a Sam.
Non che volessero tenerla all'oscuro, ma Sam era decisamente un tipo impulsivo e irrazionale, come Raphael, e se avesse saputo della trappola era molto probabile che ci si sarebbe buttata dentro con tutte le scarpe nel desiderio di vendetta.


Si separarono e iniziarono la ronda, divisi in tre squadre. Leo e Steve sparirono in una direzione, mentre Isabel, in ronda con Raphael, decise di prendere la stessa strada di Michelangelo e Angel.
Come va?” chiese distrattamente, avvicinandosi al suo auto-proclamato fratello maggiore.
Michelangelo le rispose con un sorriso che non trasmetteva appieno la sua solita allegria. I suoi pensieri si intuivano facilmente, così come tutta la stanchezza e il nervosismo che provava da ormai quasi due settimane.

Tutto ok. Non vedo l'ora di tornare al rifugio, voglio vedere come sta Sam.”

Un ghigno stirò le labbra di Isabel per un istante.
Lei ti piace” disse, come un dato di fatto.
E Michelangelo non ci provò nemmeno a negarlo perché era palese e lui non era il tipo che nascondeva i suoi sentimenti.

La adoro. Sto diventando pazzo per lei. È forte, tosta, furba, divertente e bellissima. Darei un braccio per poterla... aah, ma cosa sto dicendo? Sua sorella è morta per causa mia! Non credo che-”

Isabel fermò la sua corsa sui tetti, prendendolo per una spalla e inchiodandolo lì dove si trovavano. Non aveva ancora la maschera sul viso e i suoi occhi scuri fiammeggiavano.
Tu hai cercato di salvare Melissa. Le hai dato affetto e calore quando era diventata un mostro che nessuno avrebbe aiutato, le hai dato così tanto che sei diventato la sua persona speciale, così tanto che ti ha donato il suo tesoro più prezioso, il suo bracciale, metà perfetta di quello di Sam. Tu hai salvato Melissa. L'hai fatta sentire umana almeno una volta ancora prima che morisse. Sono sicura che anche Sam lo pensa.”
Michelangelo sorrise tristemente, prima di abbracciarla forte. Rovinò l'intenso momento due secondi dopo, stampandole una pernacchia sulla guancia e facendola ridere.
Isabel si staccò con un risolino e si pulì la guancia con la manica della tuta, dandogli una pacca disapprovevole sul braccio.

Michelangelo rise con lei, più leggero, prima di chiedere:
Allora, pensi che avrei una chance?”
E Isabel smise di ridere, commossa dalla sua fiducia nell'aprirle il suo cuore in quel modo.

Sì, ne sono sicura. Ma solo se giochi bene le tue carte” annuì convinta.
Per esempio potresti essere meno fastidioso” si intromise la voce di Raphael, ricordandogli che era lì con loro insieme a Angel. 
Isabel diede un pizzico irato al suo fidanzato per punirlo della sua boccaccia, mentre Angel sembrava imbarazzata e conflitta, stranamente silenziosa.

Ok! Allora prima la salviamo da Hersen e dopo la sedurrò col mio fascino” esclamò deciso e autenticamente Michelangelo, di nuovo sé stesso.
Raphael rise derisorio, beccandosi un altro pizzico da Isabel, mentre lei gli sorrideva convinta.

Non sottovalutarmi, fratello. Se tu sei riuscito ad acchiappare uno splendore come Isabel, io posso avere la ragazza più tosta del mondo!” annunciò con un ghigno e uno scintillio negli occhi.
Ehi, sarei io la più tosta del mondo!” soffiò offesa Angel, che sembrava essersi ripresa da suoi pensieri.

Va bene, la bionda più tosta del mondo, allora. Contenta?” si difese Michelangelo, mentre lei gli faceva una linguaccia. “E poi, mia tosta Angel, sei la mia sorellina. E se non lo fossi, che ne è di Kevin, il tizio con cui uscivi? O era Kermit?”
Lei rollò gli occhi al cielo per la sua palese presa in giro. Poi la bocca si piegò in una smorfia amara, come se avesse leccato un limone.

L'ho lasciato, mesi fa. È un idiota e io non voglio più avere nulla a che fare con lui” esclamò stizzosa la ragazza. Poi, vedendo le loro espressioni, un misto tra curiosità e compassione, aggiunse:
Era uno schifoso omofobo, ci credereste? Ha detto cose orribili su una coppia di amici ad una festa e io l'ho preso a schiaffi e poi l'ho lasciato lì.”
Le sue sopracciglia erano così aggrottate da essere una unica linea di furia.

Mikey le applaudì con un ghigno colpito e Raphael le mandò un pollice in su, soddisfatto.
Hai una calamita per gli idioti, Ange, mi spiace. Il prossimo ragazzo dovrà avere la mia approvazione, prima!” disse Michelangelo stringendola sinceramente e lei lasciò andare via un po' dell'arrabbiatura nell'abbraccio
No, per un po' voglio stare da sola. Pensare un po', riflettere” mugugnò pensierosa.
Ok, ma devi fare il tifo per me e Sam! Non che abbia bisogno di aiuto, ma il sostegno non mi dispiacerebbe!”
Ah, auguri! Sam è una davvero in gamba, dovrai sudare per conquistare una come lei!” esclamò Angel con una risatina e una scrollata di testa.

Negli occhi di Mikey passò un lampo di sfida e tirò su il mento.
Vedrai! Prima la salvo e poi la conquisto!E il prossimo matrimonio sarà il nostro.”
Nella notte risuonò la risata sarcastica di Raphael, lo scappellotto che Isabel gli rifilò, e un “ehy” indignato di Michelangelo.
Angel li guardava e scuoteva la testa, prima di riportare gli occhi al cielo.


Sam era rimasta nella sua camera per ore, prima a fissare il soffitto con dolore e frustrazione poi, preda della noia quanto dello sconforto, aveva iniziato a far rimbalzare una palla contro il muro, mentre la testa vagava.
Tutto il suo mondo era in continua mutazione, si ribaltava e ribaltava ancora, e niente aveva più senso, neppure quello che provava.
Si chiese se fosse almeno lontanamente paragonabile a quello che aveva provato Melissa quando era stata mutata, quando era capitata lì sotto anche lei, quando tutta la sua vita era stata capovolta da un misero errore, una fatalità così stupida.
Si disse che qualunque dolore o confusione stesse provando non era nulla in confronto a ciò che aveva dovuto passare sua sorella.
E si sentì egoista e meschina per lasciarsi andare così.

Si alzò con un gesto secco e un grido rauco, scagliando la palla con forza di fronte a sé: rimbalzò a velocità impressionante, tra mura e soffitto, rompendo un paio di ninnoli di Isabel nella sua traiettoria.
Sam si sentì in colpa anche per quello e la sua rabbia aumentò.
Spaccare le cose di Isabel non era il modo migliore per sfogare la sua ira crescente, perciò decise di allenarsi un po' al sacco da boxe di Raphael, almeno finché le nocche non avessero iniziato a sanguinare.

Al piano di sotto non c'era nessuno, come al solito. Donatello e Leatherhead lavoravano ancora al contro-siero, mentre Splinter amava passare le serate nel dojo a meditare.
Sam voleva imparare a combattere come loro, -aveva visto Isabel combattere contro Leonardo ed era stato magnifico; anche Steve era davvero in gamba,- ma lo strano ratto non aveva voluto insegnarle.
Non ancora, le aveva detto. Non era ancora il momento.
E Samantha si era segretamente arrabbiata e c'era rimasta male, come se fosse in difetto, come se lei non fosse degna di un onore così grande, e neppure le parole successive del maestro, che le avevano assicurato che un giorno le avrebbe insegnato, avevano cancellato quel senso di vergogna e rifiuto dal suo cuore.

Iniziò a colpire il sacco con colpi secchi, senza guanti né protezione, uno dopo l'altro senza quasi prendere fiato, solo il duro schiocco della carne contro la pelle consunta e il tintinnio della catena nel silenzio colmo di respiri affannati.
Ogni colpo corrodeva appena la superficie del suo dolore, staccava appena la patina di rabbia che la colmava.
Era una gara tra la resistenza del sacco e quella delle sue mani.

Non dovresti farti del male così” disse una profonda voce, allarmandola.
Era colma di gentilezza, forse fu quello a bloccare la sua furia e a costringerla a voltarsi, mentre il sacco ancora dondolava per il colpo subito.
Leatherhead la osservava con curiosità e comprensione, nel suo camice da laboratorio.
Forse aveva finito per la giornata e stava tornando a casa sua, ovunque fosse casa sua. Sam non lo sapeva, non c'era mai stata.

Stavo per prendere una tazza di thé. Vuoi unirti a me? “ le chiese un po' titubante, giocherellando con le dita di una mano per il nervosismo.
Sam trovava il contrasto tra la sua stazza enorme e la sua gentilezza molto dolce, c'era qualcosa in Leatherhead che le impediva di arrabbiarsi, che le scioglieva il cuore, come solo Melissa prima di allora era riuscita a fare.

Acconsentì con un cenno del capo e lo seguì nella cucina, in cui l'enorme mutante si mosse con gesti sicuri, mettendo un bollitore sul fuoco, prima di voltarsi verso lei.
Gradisci anche un paio di biscotti?”
Sam gli sorrise furba, prima di accettare con slancio.

Come mai tu non vivi qui con loro?” gli chiese d'un tratto, mentre Leatherhead sistemava un paio di biscotti al miele sul un piattino.
Io... non sono come loro” rispose dopo qualche attimo di silenzio, con un tono più cupo del solito.
I suoi occhi divennero a fessura per un secondo, dandogli un aspetto ferale, ma passò in fretta come era apparso e Sam avrebbe pensato di esserselo immaginata, se non lo avesse già visto accadere la prima volta in cui si erano incontrati.

Io sono più instabile di Michelangelo e degli altri. Perdo il controllo facilmente e non riesco a controllare la mia parte animale. Divento aggressivo e non distinguo tra alleati o nemici. Sono pericoloso per i miei stessi amici” spiegò lui, tristemente.
Samantha percepì il suo dolore e si ricordò di qualcosa che lui le aveva detto quando si erano incontrati, qualcosa sul suo passato, su un rapimento e torture che qualcuno gli aveva fatto.

Parlami di te. Dall'inizio, dal momento in cui sei mutato.”
Non c'era stato un 'per favore' o un 'potresti' nella richiesta di Sam, che la distinguesse da un ordine, ma Leatherhead sentì la cortesia nel tono gentile che la ragazza aveva usato, che mostrava che ci teneva.

Così, davanti ad una tazza di thé caldo e biscotti, il coccodrillo mutante raccontò con pazienza la sua storia, prendendo una pausa ogni tanto in un ricordo particolarmente difficile, senza tuttavia mai perdere la calma.
E Sam ascoltò ogni parola, e offrì il suo sostegno e la sua indignazione condita con furia, che strappò perfino una risata lusingata in Leatherhead che rischiò di mandargli di traverso il thé.
Si confrontarono, chiacchierarono, si consolarono a vicenda, e quando Donatello uscì un'ora dopo per cercare Leatherhead, li trovò così immersi nel loro mondo da non osare disturbarli, ritornando al laboratorio in silenzio, con un tenue sorriso in volto.


Il piano era estremamente semplice.
Eppure proprio per quello non erano certi che sarebbe riuscito.

Isabel avrebbe contattato l'avvocato degli Williams e si sarebbe fatta passare per Samantha, con parrucca e lenti colorate, per poter controllare se il testamento fosse o meno una trappola: se lo fosse stato, sarebbe intervenuta immediatamente e avrebbe neutralizzato Hersen e qualunque scagnozzo potesse avere; se tutto quello non era una trappola, ma un vero lascito a favore di Sam, avrebbe fatto in modo che la ragazza potesse avere ciò che le spettava.
Se l'avessero scoperta, cosa molto probabile, avrebbe usato un po' di magia per confondere i suoi interlocutori perché la credessero davvero Sam.
C'erano molte cose che potevano andare male, ma le avevano vagliate tutte e per tutte avevano pensato ad una contromisura immediata.
Si sentivano perciò pronti.

Uscirono un pomeriggio diretti allo studio notarile, cercando di non dare nell'occhio; e risultava un po' complicato, con Isabel conciata con una voluminosa parrucca bionda a boccoli e finti occhi grigi.
Mi sento ridicola” sussurrò a nessuno in particolare, mentre si avvicinava allo spesso portone in legno massello dell'elegante palazzina in mattoni rossi.
Sentì Mikey e Raphael ridere nell'auricolare, di gusto.

Il biondo non è certamente il tuo colore” esclamò l'ultimo con uno sbuffo divertito.
Sì, non ho intenzione di cambiare, tranquillo. Sam rimarrà l'unica bionda in famiglia.”
Mikey pigolò emozionato per la sua uscita, ma Isabel non riuscì a seguire i seguenti scambi di battute, perché il portone si aprì e un distinto maggiordomo la invitò ad entrare.

Lo studio era compreso nella casa del notaio della famiglia Williams e tutto trasudava eleganza e benessere, di certo non ispirava l'idea di una trappola architettata da Hersen o chicchessia, era tutto troppo artefatto perché potesse esserlo.
Tuttavia, rimase sul chi vive, mentre attendeva nello studio abbellito di dipinti in stile barocco, invidiando gli altri che attendevano di fuori.
Mikey era parcheggiato nel furgone in un viottolo lì vicino, da cui poteva avere la visuale sulla via senza però essere in bella vista; aveva accompagnato Isabel e doveva rimanere di guardia su movimenti sospetti nella zona.
Leo e Raph pattugliavano i cieli, sulla palazzina dall'altro lato della strada, da cui potevano osservare ogni punto cieco, attenti ad ogni cosa inusuale.
Donnie era rimasto al rifugio, anche se era stato messo al corrente del piano, sia per continuare a lavorare al siero, sia per distrarre Sam nel caso si fosse accorta della loro assenza.
Poteva funzionare, un paio di ore sarebbero bastate per il loro piano e a seconda dell'esito avrebbero poi deciso il da farsi.

Isabel attese, con tutta la calma possibile, pensando mentalmente a ciò che avrebbe dovuto dire se il notaio le avesse fatto domande personali sulla vita di Samantha.
Non seppe dire quanto tempo passò, nel silenzio snervante. Non poteva nemmeno comunicare con gli altri per distrarsi, non sapeva se fosse o meno sotto controllo e parlare da sola non era di certo il modo migliore di presentarsi.
Studiò ogni cornice con noia e ansia crescente, sperando che tutto andasse per il meglio.


Non c'era molto che Raph e Leo potessero fare, se non scrutare verso il palazzo e la via dall'alto, attenti a persone sospette o movimenti strani; non sentivano nulla provenire dagli auricolari, ma sapevano che funzionavano per via del rumore statico, quindi non si preoccuparono: evidentemente Isabel non poteva parlare al momento, quindi si decisero ad attendere gli sviluppi.
In silenzio.
Erano troppo concentrati per parlare tra di loro o con Michelangelo, anche lui a portata di segnale radio.

Il sole picchiava forte sulle loro teste e Raphael stava per aprire bocca per lamentarsi, e rimpiangere per una volta l'oscurità della notte, quando un sibilo acuto saturò l'aria tutto attorno a loro, diffondendosi in ogni dove: si voltarono entrambi e si trovarono davanti ad un muro compatto di volti fin troppo dolorosamente familiari.
Era decisamente una trappola.
C'erano dieci o dodici umani mutati, la luce del sole rifletteva sulle loro squame blu, sui denti da squalo affilati e gli occhi completamente neri, rendendoli ancora più inquietanti: era passato del tempo dall'ultima volta in cui avevano visto degli esseri simili, durante la battaglia contro Hersen, ma non avevano dimenticato affatto la loro ferocia e aggressività, né la loro assoluta mancanza di controllo.
Ma tutto quello che riuscirono a pensare in quel momento era che quel bastardo aveva di nuovo e davvero mutato altri innocenti in mostri, soggiogandoli al suo potere e costringendoli a morire prematuramente per colpa dell'incompatibilità del siero.
Per un momento dimenticarono anche Isabel che attendeva nello studio, il pensiero solo sulle creature e su Sam, l'unica chiave di salvezza per loro, forse.
Era una fortuna che fosse al sicuro nel rifugio magico.

I mostri sguainarono i lunghi artigli neri, affilati come lame, con un ringhio gutturale, e senza dargli nemmeno un secondo in più si lanciarono all'attacco, precisi e veloci, implacabili: erano agilissimi, sparivano alla vista in un soffio e riapparivano solo al momento del colpo, diretto verso gli organi vitali o la gola, prediligendo l'attacco alle spalle.
Si ritrovarono accerchiati e in balia del loro ritmo, riuscendo solo a parare o a schivare con difficoltà, sempre più difficilmente: entrambi sfoggiavano nuovi tagli e lacerazioni sul viso e sulle tute, il respiro era corto e pesante per lo sforzo e il dolore e c'era un'ansia pressante che li stringeva entrambi, il pensiero di sapere se Isabel fosse o no in pericolo.

Lo scontro sarebbe potuto finire in fretta, se avessero fatto sul serio, ma non volevano colpire gli umani mutati, non seriamente perlomeno; cercavano di rallentare i loro movimenti e pensare a come poterli intrappolare senza ferirli, ma non gli veniva in mente nulla nell'impeto della lotta e la situazione non sembrava dover cambiare. Probabilmente avrebbero prima attirato l'attenzione dei Newyorkesi, allarmati dalle loro grida e dai rumori di lotta sul tetto di un palazzo in pieno giorno e sarebbe stato l'intervento della polizia ad interromperli.
Raphael si lanciò con i pugni contro due di loro, -i Sai non li aveva nemmeno sguainati per non rischiare di ferirli,- e ne colpì uno alla spalla mandandolo indietro per la forza del colpo, ma quello subito a sinistra si avvinghiò al suo braccio e lo morse con tutta la sua forza, penetrando la carne mentre la bocca si riempiva di sangue.

Raphael urlò, un grido roco che di sicuro riuscirono a sentire tutti, perfino nelle strade lì sotto.
Poi accaddero più cose contemporaneamente: un fascio di luce splendette più forte del sole, per un istante, un tuono rombò molto vicino e Raphael si sentì lasciare andare.
Le grida cessarono e così gli attacchi.
Isabel, senza parrucca e con gli occhi bianchi, teneva una mano ritta di fronte a sé, sugli umani mutati racchiusi in una bolla pulsante di magia: si erano bloccati nel vederla, con uno scintillio di terrore negli enormi occhi neri, ma sguainavano i denti contro di lei, in una vana minaccia.
La collana al suo collo smise di pulsare di rosso e la pietra si spense, ritornando di un innocuo e opaco viola.

Sono questi i mutanti di Hersen?” domandò senza voltarsi, continuando a studiarli. Gli occhi erano di nuovo normali o per quanto potessero esserlo con le lenti colorate; mentre teneva la barriera con la mente avvicinò le dita agli occhi e le tolse, strofinando poi le palpebre chiuse per il fastidio per un attimo, prima di tornare a fissare i loro assalitori.
Sì, questi però sono diversi da com'era Melissa. Hersen li chiamava 'gli scarti' perché son più aggressivi e senza controllo, per quanto pare che lui riesca in qualche modo a farlo” rispose Leonardo, avvicinandosi cautamente alla bolla, per studiarli meglio.
Una delle creature si fiondò contro di lui con ferocia, e anche se sbatté contro la barriera con un tonfo doloroso e potente, continuò a graffiare e a schiantarcisi per cercare di uscire, finché Leo non si allontanò, indietreggiando verso Isabel.
Erano tutti irrequieti e ancora più violenti, se possibile.

Ho paura che esploderanno da un momento all'altro” disse con voce greve Raphael, reggendosi il braccio ferito contro il petto.
Posso bloccarli” propose Isabel pensierosa, ancora fissa su di loro. Il suo sguardo si era addolcito, quasi come se sentisse la pena interna di quelle creature che un tempo erano state semplici umani.
Li lascerò chiusi in una bolla senza tempo, saranno come congelati, in stasi. Così non esploderanno, per ora.”
Puoi farlo davvero?” domandò Leo con tono sorpreso, quasi incredulo.
Isabel annuì con vigore, prima di aggiungere, con tono cupo:

Non per molto, però. Dobbiamo trovare un contro-siero il prima possibile.”
Il suo corpo si illuminò intensamente, le braccia tese davanti a sé, e la bolla che conteneva i mutanti splendette di rosso, blu, verde e giallo in successione, prima di diventare bianca e incorporea: al suo interno si bloccarono tutti in pose statiche e i loro occhi si chiusero lentamente, le loro grida cessarono; caddero in un sonno magico.

Isabel smise di brillare e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi con un sospiro sofferto. In un paio di falcate si portò davanti a Raphael e gli prese la mano tra le sue con gentilezza, portandola alle labbra: il sangue smise all'istante di uscire e la ferita si rimarginò in pochi attimi, lasciando solo il ricordo del dolore di poco prima.
Raph le sorrise grato e lei, lasciata andare la mano, si sporse verso l'alto per dargli un veloce bacio sulle labbra. Quando si scostò e fece un passo indietro, era seria e concentrata.

Era davvero una trappola. Allo studio non è successo nulla, il notaio si è spaventato quando la collana si è illuminata, ma forse Hersen avrebbe fatto irruzione per rapirla se ci fosse stata Samantha. Sapeva che io non ero lei e sapeva che voi eravate qui a sorvegliare, probabilmente sa che Sam è con noi, ormai. Dobbiamo avvisare Donnie e Mikey per- Mikey! Può essere stato attaccato anche lui!”
Leo e Raph si scambiarono un'occhiata allarmata e si presero mentalmente a calci per non averci pensato, e tutti e tre scattarono in avanti, diretti verso il vicolo poco più avanti.

Non risponde” esclamò con preoccupazione Leonardo, che nel mentre continuava a cercare connessione sia con l'auricolare che con il telefonino.
Michelangelo risultava irrintracciabile.
Il furgone era lì dove lo avevano lasciato, ma la portiera del guidatore e gli sportelli posteriori erano spalancati.
Non c'era traccia di anima viva.

Si gettarono di sotto con un balzo coordinato e urgente, gli occhi attenti a qualsiasi traccia o indizio.
Videro subito la scia di sangue che si allontanava dal furgone, via via più sottile, e i loro cuori si strinsero in una morsa di ansia.
Leonardo mise mano al telefonino.

Donnie, abbiamo bisogno di te” disse dopo qualche istante, cupo e tormentato.
Spiegò velocemente al genio cosa era successo e gli chiese di tracciare il cellulare di Michelangelo in fretta, ma Donatello rispose con tono urgente mentre in sottofondo si sentiva un ticchettio di tasti, assicurando che la quadratura del cellulare di Mikey corrispondeva con la sua e quella di Raph e quella di Isabel; il leader ispezionò per bene il vicolo e si accorse, tra i rifiuti lasciati contro il muro, dello scintillio di metallo e plastica: un shellcell con un angolo sbeccato e lo schermo nero, forse caduto in una fuga o forse colpito assieme al suo proprietario.

Isabel lo raccolse e lo studiò con sguardo preoccupato, mentre Leo ascoltava Don, che intanto faceva teorie su cosa potesse essere successo e su come trovare Mikey.
Poi, di colpo, il leader allontanò il telefono dall'orecchio con una smorfia di dolore, mentre dall'apparecchio si diffuse un ruggito disumano, udibile anche a quella distanza.

Sam non c'è!” sentirono urlare Donnie, spingendo Leonardo a premere infine il tasto di vivavoce e permettere così anche agli altri di sentire.
Leatherhead è andato a controllare e Sam non c'è da nessuna parte!” aggiunse il genio, e sentirono i suoi passi concitati, misti a quelli pesanti e gravi di Leatherhead, che intanto non aveva smesso di ringhiare.

È uscita dal rifugio, ma non so se c'entri con la sparizione di Michelangelo. Proverò a tracciare il suo cellulare, ma ci vorrà un po' di più, non conosco il segnale.”
Fai più in fretta che puoi, Donnie. Noi cerchiamo qualche altro indizio qui, appena sai qualcosa chiama e ci mettiamo subito in moto.”
Io e Leatherhead verremo con voi” esclamò immediatamente il genio.
Leo annuì col capo, più a sé stesso, ma seppe che il fratello aveva compreso senza aver bisogno di vederlo.

Contiamo su di te” disse, prima di chiudere la chiamata.

Raphael e Isabel lo osservavano con i volti scuri di preoccupazione, lei teneva il cellulare di Mikey stretto nel pugno, contro il petto.
Era andato tutto peggio di come avessero immaginato, decisamente peggio: non solo Sam era scomparsa, ma anche di Mikey non c'era traccia, e l'unica cosa che sapevano è che uno dei due poteva essere ferito o in mano ad Hersen.
Non poteva andare di certo peggio, o almeno così speravano.

Note:

La storia è quasi finita, siamo a meno tre capitoli.
Ma la serie durerà ancora. 

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Capitolo 42
*** Mikey's little adventure 7. I won't let you go ***


Il fianco gli faceva un male cane, ma non si sarebbe fermato per nulla al mondo. Continuò a correre, a mettere un piede davanti all'altro anche se ogni passo e ogni respiro erano sofferenza pura.
Sanguinava copiosamente, lo sapeva, ma al momento non poteva importargliene meno.
L'unica cosa che importava a Michelangelo in quel momento era non perderla.
Non poteva perderla.

Intravvide il bagliore dei suoi capelli dorati di fronte a sé, ma i suoi rapitori stavano guadagnando velocità approfittando della sua ferita; lanciò l'unico nunchaku ormai rimastogli, sperando di rallentarli, ma colpì l'ultimo della fila e attirò l'attenzione di quello accanto, che accortosi di quanto fosse vicino si gettò immediatamente al suo attacco.
Michelangelo alzò velocemente i pugni per difendersi, non si sarebbe fatto colpire. Non ancora.

Benché la possibilità della trappola fosse stata messa in gioco fin da subito in quel folle piano, non era riuscito a reagire prontamente quando ci si era trovato dentro; erano successe troppe cose tutte assieme, era stato tutto così veloce: nel momento in cui aveva scoperto la presenza di Sam nel furgone qualcosa in cuor suo gli aveva detto che non sarebbe andato tutto liscio.
Lei si era intrufolata di nascosto, ed era stata davvero brava a non farsi scoprire né da lui né da Isabel, ma alla fine si era tradita per non aver tolto la suoneria del cellulare e il trillo dei messaggi quando Mikey le aveva scritto l'aveva messa allo scoperto.
Michelangelo era di certo il meno assennato della famiglia, ma nell'istante in cui l'aveva vista lì, rannicchiata dietro uno dei sedili posteriori, si era alzato per dirgliene quattro e possibilmente riportarla immediatamente al sicuro nel rifugio.
Se solo ne avesse avuto il tempo.
L'attacco era stato preciso e fulmineo e brutale.

Non sapeva nemmeno in quanti li avessero attaccati, erano tanti, gli sportelli si erano aperti all'improvviso riversando all'interno del furgone decine di corpi, piccoli e scattanti, feroci e guizzanti: li avevano attaccati con facilità nello spazio stretto, bloccando i loro movimenti.
Samantha si era battuta fieramente, distribuendo pugni e calci precisi e potenti, colpendo tutto ciò che poteva, buttando giù un paio di quei mostri che sicuramente dovevano farle paura, anche se non lo mostrava apertamente.
Forse era più inorridita al pensiero che sua sorella una volta potesse essere stata come loro.
I mutanti li avevano attaccati con i denti puntuti e coi lunghi artigli affilati, una parte cercando di tramortire o bloccare lui, una parte che già cercava di trascinare una restia Sam via dal furgone.
Aveva sentito le sue grida irate, i morsi dei mutanti, lo spostamento dei loro corpi mentre lo accerchiavano e il cuore battergli in petto a mille battiti al minuto.
I suoi nunchaku non avevano roteato mai più velocemente.

Era riuscito a crearsi una lieve breccia e si era tuffato oltre i suoi assalitori, in direzione del gruppo già in fuga, che ancora cercava di sedare la loro vittima.
Michelangelo aveva lanciato il nunchaku destro contro il mutante che la teneva stretta, colpendolo dritto in testa e Sam era caduta dalle sue braccia quando quello era svenuto al suolo senza neppure un rantolo. La ragazza si era rimessa in piedi in fretta, mentre i mostri si erano voltati digrignando contro la minaccia, raggiunti in pochi istanti anche dalla retrovia rimasta indietro, agguerriti anche loro.
Si erano trovati accerchiati da ogni parte, separati da un paio di mostri.
Forse, si diceva Michelangelo, se fosse riuscito ad arrivare a lei e ad afferrarla le cose sarebbero state diverse.
Invece, con un solo nunchaku in mano contro una decina di nemici, si era gettato in una lotta impari.
Sam aveva combattuto a calci i mutanti più vicini, Michelangelo aveva colpito con stoccate fulminee quelli che riusciva a vedere, ma non era abbastanza. Li pressavano da ogni angolo, li allontanavano in maniera impercettibile, cercavano di neutralizzarli il prima possibile.

Samantha si era sporta allora verso il nunchaku al suolo per poterlo usare e avere un vantaggio, o forse per restituirglielo, ma i mostri avevano ringhiato al vederla e l'avevano aggredita spingendola via; Michelangelo aveva approfittato della loro distrazione e si era lanciato in avanti, sicuro di poterne stendere almeno un paio, ma con la loro velocità era stato lui a soccombere, per avere scoperto il fianco: aveva visto gli occhi di Sam spalancarsi di orrore, prima ancora di sentire il dolore.
Uno spasmo lancinante aveva bloccato ogni suo movimento e il respiro lo aveva abbandonato per qualche istante.
Gli artigli del mutante avevano trapassato il ponte osseo tra piastrone e carapace come fosse burro, lacerato carne e muscoli e qualche organo interno, ma tutto ciò che aveva sentito era stato un bruciore assoluto, la sensazione di sciogliersi dall'interno.
Le gambe avevano ceduto ed era caduto sulle ginocchia, con un tonfo sordo. Aveva sentito il sangue fluire e cadere al suolo e lo aveva visto splendere sugli artigli del suo assalitore.

Tra i suoi stessi respiri affrettati aveva sentito il grido rauco di Sam e gli era scappato un sorriso, involontario, a vederla battersi con ancora più foga, con ancora più rabbia.
Era splendida nella sua furia.
Gli occhi neri degli umani mutati avevano scintillato di malizia, forse divertiti dall'ira di quella ragazza per il dolore del suo amico.
Il verso che avevano prodotto tutti insieme era risuonato stridulo e cupo, e Michelangelo aveva assistito impotente mentre uno di loro prendeva il suo nunchaku dal suolo e lo usava per stordire Sam, con una stoccata secca e decisa contro la nuca.
E vederla tramortita dalla sua stessa arma gli aveva fatto più male dello squarcio nel suo corpo.

Si era tirato su con un urlo e si era gettato all'inseguimento, i mostri si erano già messi in fuga, trasportando Sam con poca grazia, la testa che ciondolava ad ogni passo frettoloso.
Corse, aveva corso e digrignato i denti e inghiottito le urla di dolore, cercando di non farsi distanziare.
Aveva perso il telefonino chissà dove e chissà quando e non poteva chiamare i suoi fratelli o Isabel per farsi aiutare, perciò era la sola speranza di Sam al momento.
E sarebbe morto piuttosto che permettere che soffrisse ancora.
Riuscì a mettere l'umano mutato al tappeto, e di nuovo e ancora spronò il suo corpo stanco e ferito a seguire la scia dei suoi nemici, sempre più distanti, e della testa dorata che adorava.


Leonardo, Raphael e Isabel seguivano la scia di sangue, che non accennava a diradarsi.
Ne erano al contempo inorriditi e felici. Potevano seguire con facilità le tracce di Michelangelo, ma se quello fosse stato il suo sangue allora ne aveva perso già molto e non sapevano quanto potesse ancora rimanergli.
Avevano capito che c'era stata una colluttazione violenta poco distante dal furgone e che qualcuno era stato ferito e che in seguito vittima e assalitore si erano dati alla fuga, senza sapere chi stesse inseguendo chi.
Di sicuro gli assalitori erano più di uno.

Queste macchie sono fresche e non sono state calpestate dopo essere cadute, quindi chiunque sia ferito è quello che segue l'altro” disse Leo, esaminando le gocce frastagliate e irregolari che formavano una lunga scia anche oltre dove la sua vista potesse arrivare.
Pregarono silenziosamente che non fosse Michelangelo.

Ancora nessuna chiamata da Donnie, e i tre si chiesero come il genio stesse gestendo la ricerca mentre cercava di tenere a bada un Leatherhead fuori di sé.
Quanti intoppi dovevano mettersi ancora sul loro cammino?
Continuarono a seguire la scia, in fretta, ma prestando attenzione a ogni più piccola variazione, per non perdere nemmeno un dettaglio, la luce della sera che si faceva via via più fioca.
Una volta al buio sarebbe stato impossibile seguire le tracce.


Per favore, dammi ancora cinque minuti! Non mi stai aiutando, Leatherhead!” sbottò Don, al limite della pazienza.
Il suo tono non era stato più esasperato prima di quel momento, ma l'amico coccodrillo non ne sembrò colpito e continuò ad agitarsi e a spaccare qualsiasi cosa gli capitasse sotto le mani, in un futile tentativo di combattere la rabbia che minacciava di trasformarlo in furia cieca sempre più ogni secondo che passava.
Il sensei era accorso immediatamente al sentire l'urlo rauco di Leatherhead, ma nemmeno lui sembrava riuscire a calmarlo, era impazzito nel momento stesso in qui si era accorto della mancanza di Samantha.
Se ne avesse avuto il tempo, Donatello si sarebbe fermato a pensare a come il legame tra il mutante e la ragazza si fosse cementificato in così poco tempo, tanto da spingere Leatherhead ad un moto di rabbia nello scoprire che fosse sparita, ma in quel momento stava cercando di quadrare il segnale del suo cellulare con un sottofondo di grida e schianti, col pericolo che il prossimo a essere colpito potesse essere lui.
Senza pensare poi a quanti progressi nel loro lavoro giacessero ormai a terra in frantumi.

Ti prego, mi serve un attimo per cercare Sam. Se davvero è in pericolo non possiamo salvarla se prima non la troviamo!”
Il grosso coccodrillo si pietrificò immediatamente, il respiro pesante e le pupille ancora a fessura, il corpo tremava violentemente, per mantenere il controllo. Annuì lentamente, non fidandosi di parlare in quel momento, e Don ringraziò mentalmente Sam per avere tutto quell'ascendente sul coccodrillo mutante, tanto da poter parzialmente fermare la sua sfuriata.
Digitò velocemente sui tasti, sempre più velocemente.


Michelangelo non sapeva più con certezza dove si trovasse. Da qualche parte nel lower Manhattan di certo, ma non sapeva quanta distanza avesse percorso e non sapeva nemmeno in che direzione. Il sole iniziava a calare, ma i palazzi bloccavano la visuale e non era più in grado di distinguere il nord dal sud.
Ma non era importante.
Continuava a rimanere indietro e la sua frustrazione era a mille. Ma forse non era per quello che il suo corpo tremava e la vista iniziava a sfocare.
Si sentiva debole e fiacco e il respiro era sempre più corto, il dolore al fianco era diventato un bruciore costante che gli costringeva tutto il busto e il senso di nausea lo colpiva ad ondate. Aveva una dannata voglia di vomitare.
Ormai gli umani mutati non erano che un punto lontano che cercava costantemente di mettere a fuoco e non perdere, ma era sempre più difficile

Barcollò appena e si poggiò con una mano insanguinata al muro alla sua sinistra, usandolo come sostegno per andare avanti. Sentiva una gran rabbia montargli dentro, al pensiero di perdere le loro tracce, di poter perdere Sam quando era ancora così vicinissima, quando ancora avrebbe potuto salvarla.
Doveva salvarla. Voleva salvarla.
Non aveva mai desiderato qualcosa come in quel momento. Sarebbe stato disposto a rinunciare a qualsiasi cosa, qualsiasi, per poter raggiungere Sam e salvarla e restituirle la serenità che aveva perso.
Anche se avesse voluto dire non poterla vedere mai più o rinunciare a lei.

Sentì qualcuno ridere e si accorse dopo qualche attimo, con orrore, che era lui, che rideva istericamente, al pensiero di poterla perfino lasciarla andare, una volta saputo che fosse al sicuro e salva.
Com'era patetico. E di colpo capì Raph e Leo e come si erano comportati con Isabel, quel loro costantemente metterla al primo posto, al di sopra del loro dolore, al di sopra dei loro desideri.
Si era innamorato di Samantha. E probabilmente non perché fosse bionda e con lunghi boccoli che desiderava ardentemente arrotolare tra le dita, ma per la sua passione e la sua furia, quella grinta che metteva in ogni cosa, quel senso di onore e purezza nonostante fosse cresciuta per la strada.

Spronò le gambe molli e titubanti ad andare avanti, il fiato accelerato e breve, il fuoco del dolore trasformato in risoluzione nel salvarla, nel salvare la donna che amava.
Il buio calava piano piano su di lui, da ogni parte.


Raphael batté un pugno contro il muro, fuori di sé. E dopo ne batté un secondo, più forte del primo, sbriciolando una porzione di mattone.
Isabel lo bloccò mentre cercava di darne un terzo e lo sgridò con solo uno sguardo serio, poi baciò la sua mano e curò le crepe insanguinate nelle nocche, lasciando andare un sospiro angosciato.

Scusa” mormorò lui, stringendo la mano di lei nella sua. Si accorse di stare tremando, appena, e lei lo strinse più forte in muto sostegno.
Aveva una fottuta paura che fosse di Michelangelo, tutto quel sangue che stavano seguendo. Non ne aveva la certezza, ovviamente, ma sapeva che a pensare al peggio ci azzeccava quasi sempre e che se le cose potevano andare male, allora sarebbero andate anche peggio.

Le gocce rosse e sfrangiate macchiavano il pavimento in distanze regolari e sapeva che significava che la perdita di sangue era continua, probabilmente una ferita molto grande e impossibile da tamponare; ogni tanto la scia si interrompeva in una piccola pozza, di certo quando la persona ferita si fermava a riprendere fiato, e poi riprendeva stoicamente nel suo viaggio, verso la sua meta.
Era di Michelangelo, ci avrebbe scommesso un braccio. Quella persistenza poteva non sembrare del suo fratellino, ma lui lo conosceva bene, meglio di chiunque altro, e aveva visto con che velocità quello sciocco stesse innamorandosi di Sam.
Quanto lei fosse diventata importante per lui.
Fissò lo sguardo negli occhi amorevoli di Isabel e sentì nascere in lui la forza della speranza, che lo aveva quasi abbandonato pochi secondi prima.
Leo attirò la loro attenzione, e con un cenno del capo li spronò a seguirlo e a continuare a correre, prima che il buio si mangiasse tutto, finché ancora avevano qualche chance.


Michelangelo si chinò con un conato violento, vomitando bile e sangue, poggiato con tutto il suo peso contro il muretto.
Non era un buon segno, non lo era affatto,
C'era il dolore che se lo stava mangiando e un'ansia pressante che lo soffocava e lei era sempre più distante e dio, si sentiva morire, al pensiero che ormai fossero fuori della sua portata. Si rialzò a fatica e si sfilò le fasce paracolpi dai polsi: le appallottolò senza cerimonie e le premette con forza contro il fianco, stringendo i denti per non urlare, poi le fermò al posto con la bandana, tolta a fatica dalla testa, con un grugnito di dolore.
Rimase per qualche secondo immobile, ascoltando i suoi stessi respiri rauchi e frettolosi che rimbombavano nel viottolo stretto, provando a riprendere il controllo di sé.
Ma non sapeva più dove andare, erano così lontani che non sapeva più da che parte si fossero diretti, quale potesse essere la loro direzione.
Pregò, che qualcuno gliela facesse ritrovare. Pregò, che qualcuno lo portasse da lei.
Pregò, che qualcuno gli indicasse la strada verso lei.

Lo sguardo velato e cupo venne catturato dallo scintillio d'acciaio del bracciale, nella curva della piccola S incisa con grazia.
Melissa, ti prego, aiutami. Devo salvarla, voglio salvarla. Aiutami, non posso perderla” mormorò con un filo di voce.
E forse era l'eccessiva perdita di sangue, o forse era la morte che era venuto a prenderlo, ma poté giurare che qualcosa di caldo gli avesse appena stretto la mano, iniziando a guidarlo lungo la stradina silenziosa e oscura.


Isabel, Raph e Leo facevano sempre più fatica a seguire le tracce, inciampavano in buche nel terreno, avevano anche sbagliato strada una volta, prima di ritrovare la scia insanguinata due traverse più a destra; Leonardo aveva tirato fuori il cellulare per seguirle meglio alla sua luce, ma Isabel lo aveva bloccato e si era illuminata di bianco, spargendo la sua luminescenza eterea intorno.
Non si esponeva mai così tanto nella manifestazione dei suoi poteri all'aperto, ma era così preoccupata in quel momento, che non gliene sarebbe importato niente nemmeno se la Cia, la nasa, l'FBI o qualsiasi agenzia governativa che studiava il paranormale le fosse piombata addosso.
Stava cedendo alle sue paure, sommate alle loro. Le vedeva, dietro la maschera rossa, la paura di non fare in tempo, e quella di perdere qualcuno di così importante. Le vedeva, dietro la maschera azzurra, la paura di non star facendo abbastanza, la paura di aver sbagliato qualcosa, di un suo errore pagato da qualcuno che amava.
E lei? Poteva essere potente e forte, ma a che serviva se non fosse riuscita a trovarli in tempo?

Correvano in silenzio, non riuscivano a dirsi nulla per confortarsi o per spronarsi; era Michelangelo quello che spezzava la tensione, in genere, che riusciva ad alleggerire le loro ansie e i loro timori con una battuta, con la sua voce gioviale.
Il rosso al suolo brillava alla luce magica di Isabel, indicando loro la via come macabra segnaletica stradale, e i loro occhi non vedevano altro.
Isabel faceva da apripista con velocità, senza fermarsi e senza una pausa, poi si bloccò con una brusca frenata, tanto improvvisa che Raphael e Leo la investirono in pieno, fortunatamente senza buttarla giù grazie all'ausilio dei suoi poteri.

Isa! Cosa-” la voce di Raphael morì in un brusco respiro strozzato, al vedere quello che lei aveva visto.
L'impronta insanguinata di una mano sul muro, seguita da un paio di altre, sempre più sbiadite via via che si allontanavano.
Una grande mano. Una grande mano a tre dita.

Raphael imprecò, a voce alta, esternando anche la loro rabbia e la loro paura, e Leonardo aveva già il telefonino premuto contro il foro auricolare, con la mano che tremava.
Donnie” soffiò dopo qualche istante, la voce spezzata. “Mikey- Mikey è ferito, Donnie. Stiamo seguendo la sua scia, ha perso tanto sangue. Aiutaci, Donnie. Aiuto.”


Donatello era riuscito a lavorare al segnale del cellulare di Samantha, un vecchio rottame che gli dava qualche problema, a dir la verità. I nuovi modelli avevano gps e altre diavolerie che rendevano molto più facile il compito.
Tuttavia ci si era dedicato nella nuova pace con tutta la fretta possibile, con urgenza, quasi, mentre un nervoso, ma statico Leatherhead osservava il monitor al di sopra della sua spalla, emanando un'aura di furore che lo investiva a ondate.
Il sensei era nel laboratorio lì con loro, anche lui in silenzio, seduto ritto e all'erta in una delle sedie vicino alla scrivania, quasi perso in meditazione.
Don si sentiva già pressato di suo, senza quelle due presenze schiaccianti.

La mappa di New York city sullo schermo si ingrandiva e rimpiccioliva seguendo le variazioni del segnale che cercava, seguendo tracce di ripetitori, e gli era sembrato di aver fatto passi da gigante e di essere sulla buona strada, si era perfino sentito esaltato, fino a quella chiamata.
Era illogico pensarlo, ma aveva pensato che qualcosa fosse sbagliato già dal suono della suoneria. Come se fosse più sinistra, più cupa.
La voce di Leonardo, dall'altra parte, era terrorizzata e infranta, piena di paura, già al solo pronunciare il suo nome.
Non era lì con loro, ma riusciva a vederli come se ci fosse, la mascella contratta di Raph, la luce angosciata negli occhi di Leo, la disperazione di Isabel.
Mikey era ferito e aveva perso un'infinità di sangue, gli disse il fratello, prima di supplicarlo di aiutarlo, di aiutarli. Di aiutare il suo fratellino, solo e preda del dolore, chissà dove.

Sentì il basso ringhio di Leatherhead, probabilmente che reagiva alla sua rigidità inconscia.
Dammi ancora qualche istante, Leo. Rimani con me, andrà tutto bene” mormorò dolcemente, mentre le dita volavano sulla tastiera, solo leggermente tremanti.


Michelangelo si faceva guidare da quella forza misteriosa senza ribellarsi, solo vagamente conscio di dove stesse andando.
Poteva essere verso l'inferno o verso lei, o forse le due strade combaciavano, ma non gli importava fintanto che fosse riuscito a salvarla.
Una piccola parte della sua mente, ancora flebilmente lucida, gli diceva che non aveva senso seguire quella sensazione con tutta quella certezza e fiducia; il suo stomaco, ingarbugliato e ferito, gli diceva di continuare ad andare avanti, un passo incerto alla volta.
Aveva sempre seguito il suo istinto, perciò quella flebile protesta logica si spense in fretta.

Stava camminando tra alcuni capannoni, non era certo di dove fosse con esattezza, ma aveva tutta l'aria di una zona mercantile o industriale; c'erano alcune voci in lontananza, lavoratori che scaricavano e caricavano merci, ma non gli importava al momento.
Li superò, li lasciò indietro, diretto verso il gorgoglio dell'acqua, da qualche parte davanti a lui. Sembrava quasi chiamarlo. Era in un porto.
A ridosso dell'oscura massa d'acqua c'era una costruzione solitaria, alta e massiccia, almeno dieci o dodici piani, all'apparenza abbandonata, ma non diroccata.
La sua sensazione lo guidò fino alla sua porta e oltre, con una sicurezza che non sapeva da dove gli provenisse.

L'edificio era vuoto, almeno così sembrava. Tese le orecchie per percepire rumori o la presenza di persone, ma a parte il ticchettio di un orologio lontano non sentì nulla di rilevante.
La cosa lo spaventò e impensierì, nel fondo della mente. Aveva seguito una sensazione e se l'avesse seguita verso una direzione sbagliata e Sam fosse ormai lontana, nelle mani di Hersen, destinata a orrori e sofferenza?
Quel tepore lo avvolse ancora una volta, assurdamente, sciogliendo le sue preoccupazioni.
Era folle pensarlo, ma sentiva che era Melissa a guidarlo, ad essere intervenuta per aiutarlo ancora una volta.

Continuò a camminare, provando a sforzare le gambe per sbrigarsi, contro ogni logica: sapeva di essere ad un passo dallo svenire, non si era mai sentito così debole e dolorante come in quel momento, così angosciato e stanco, ma la forza bruciante dentro di lui lo sosteneva, e lo avrebbe sostenuto almeno fino a che non avesse trovato Sam e l'avesse salvata.
Dopo poteva anche morire, non gli importava.

Il corridoio era vuoto e lungo, con poche porte sporadiche che aprì ogni volta che ci arrivava, scoprendo solo stanzette asettiche e spoglie, quasi come se il palazzo fosse completamente inutilizzato. Come non fosse mai stato abitato.
La porta alla fine si aprì su due scale, una verso l'alto e una verso il basso.
Si poggiò al muro con una spalla mentre valutava in fretta che direzione prendere, pregando di non sbagliare: ai pazzi maniaci in genere piaceva controllare tutto dall'alto, all'ultimo piano delle loro roccaforti, nelle loro megalomanie da sadici bastardi, ma Hersen era uno psicotico che lavorava nelle ombre e strisciava nel buio per nascondere la sua mostruosità, interiore ed esteriore, avrebbe avuto più senso se fosse nelle fondamenta del palazzo a trafficare con i suoi esperimenti.
La rabbia lo investì con ancora più forza, al pensiero che Sam potesse essere nelle sue mani, lì sotto.

Si gettò verso il basso, concentrato perché le ginocchia non cedessero ad ogni passo e lo mandassero a ruzzolare giù per le scale, attento ad ogni nuovo rumore che potesse presentarsi.
Sentì uno sbuffo, come di un macchinario a vapore, qualcosa che gettava fumo nell'aria.
Alla terza rampa di scale l'aria era decisamente più densa, una leggera nebbiolina, e c'era un caldo soffocante, umido e dall'odore di muffa.
L'unico altro suono che sentì era il ritmo scompagnato dei suoi passi, quasi strusciati contro il pavimento.
La fine delle scale dava su una porta rossa e mezzo arrugginita, grande tanto da poterci far passare un furgone con facilità, percorsa per metà da una grande finestra sporca e appannata.
Strisciò con dorso del braccio con cautela, togliendo uno spicchio di sporco, gettando poi uno sguardo attento oltre: c'era una grande stanza, un sotterraneo ombroso, alto e grigio, illuminato fiocamente da sporadiche luci di emergenza.
Pareva un parcheggio abbandonato.

Aprì la porta senza incontrare alcuna resistenza, entrando nell'ambiente con la paura ad unirsi al magone nel petto.
Capì immediatamente che la sua intuizione era stata giusta: doveva essere stato il parcheggio dell'edificio, almeno in origine, con le grosse colonne a sorreggere il soffitto percorso da tubi e cavi elettrici e i numeri di ogni posto auto scritto a bomboletta per terra, ormai mezzo sbiaditi. Qualcuno però, aveva innalzato dei muri che tagliavano trasversalmente il sotterraneo, portandosi via parte dello spazio, probabilmente per creare delle stanze aggiuntive.
Non voleva sapere cosa nascondessero, cosa potesse esserci all'interno.
Continuò a camminare nel silenzio, mentre gli occhi si abituavano alla penombra, riuscendo a scorgere con facilità i pilastri sulla sua strada e un ammasso di cavi che serpeggiavano sul pavimento, verso il fondo. Li seguì, attento a non inciamparci sopra, certo che dovessero alimentare qualcosa di importante, e grande, a giudicare dalla quantità.

Qualcosa pulsava a intermittenza, nel fondo del sotterraneo. Percepì i contorni di una grande costruzione, sembrava un acquario, vide lo scintillio sulla sua parete in vetro, sempre più vicina.
Pensò per un secondo di essere preda delle allucinazioni. O di essere infine morto ed essere arrivato in una sorta di aldilà.
Scrutò la piccola figura con un rombo forte nelle orecchie, con un peso nello stomaco che gli attanagliava le viscere. Era accasciata sul fondo della grande teca in vetro, le sue squame gialle riflettevano la luce pulsante che arrivava dall'alto, i suoi occhi erano chiusi, ma ricordava il nero intenso di cui erano ammantati.

Mork” sussurrò Michelangelo, col magone. No, era Melissa il suo nome, lo sapeva bene ormai. E non poteva essere lei.
E se pure avesse negato la realtà di averla vista morire, ci pensò quel bracciale nel suo polso sinistro a svelarle chi fosse davvero quella figura in stato di incoscienza.

Volò per gli ultimi metri, ignorando dolore e fitte di strazio nel corpo e nel cuore, e la raggiunse, accasciandosi quasi senza forze contro il vetro, battendoci sopra con un vigore che non era più suo.
Sam! SAM!” urlò dal fondo dei polmoni stanchi, con un'urgenza e un orrore che se lo stavano mangiando in pochi secondi.
La sua paura più grande... non era riuscito a proteggerla, quel bastardo l'aveva presa e l'aveva trasformata in un mostro, come sua sorella prima di lei.
Era tutta colpa sua. Non se lo sarebbe mai perdonato.

SAM!”

Note:

Meno due capitoli, uno per Mikey e uno per l'epilogo di questa storia infinita, che ho maltrattato per troppi anni. 

Il prossimo tra sette giorni.

grazie 


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Capitolo 43
*** Mikey's little adventure 8. You found me ***


Batté ancora sul vetro coi pugni, rimpiangendo di non avere i suoi nunchaku per provare a spaccarlo, e intanto urlava senza sosta il suo nome con tutto ciò che gli restava della voce, cercando un qualche segno che lei fosse poi davvero solo svenuta e non senza vita.
Il corpo all'interno si mosse leggermente, e gli parve di averla sentita mugugnare nell'incoscienza e urlò più forte, ignorando il bruciore alla gola.

SAMANTHA!”

Gli occhi della ragazza mutata si spalancarono con paura e sorpresa, grandi laghi di confusione, e Michelangelo notò immediatamente che non erano neri come quelli di Melissa quando era mutata, ma grigi lattei, tagliati da una pupilla scura a forma di fessura, come quella di Leatherhead.
Non capiva se volesse dire che la mutazione era andata male e se quello comportasse rischi per Sam.
Quegli occhi trovarono i suoi e si spalancarono un po' di più, mentre Sam si alzava con un po' di fatica per raggiungerlo: lei si accorse delle macchie di sangue incrostate nelle sue mani e del rosso che ormai aveva macchiato la sua bandana legata in vita, rendendola una copia di quella di Raphael. Tremò impercettibilmente.
La ragazza emise un basso lamento, graffiante, prima di rendersene conto e bloccarsi con un singulto roco, e poggiando le mani contro il vetro in un gesto inconscio di raggiungerlo, si accorse del loro colore e della loro forma.

Michelangelo assisté impotente, mentre lei si guardava con panico crescente, occhieggiando con quei grandi occhi grigi le squame gialle che ricoprivano il suo corpo; le sue mani corsero verso il volto, tastando i contorni del viso e passando senza sforzo sulla testa liscia, sulle orecchie puntute, sui denti affilati e letali.
Aveva iniziato a produrre un sibilo stridulo, di stress, senza esserne conscia, a cui si aggiunse quasi subito un rauco ringhio, di rabbia.

Sam” la chiamò piano, cercando di vincere la sua attenzione. Si era accucciato dall'altro lato della teca, per cercare riposo dal corpo bruciante, per illudersi di poterla raggiungere se fosse stato al suo stesso livello.
Lei incatenò di nuovo lo sguardo al suo, ma non smise di stridere e non smise di ringhiare. E non smise di tremare.

Ti porterò fuori di qui e Donnie e Leatherhead troveranno una cura. Te lo prometto” mormorò con tutta la calma che riuscì a racimolare, che non provava davvero, pur di cancellare quell'orrore che lei provava.
Sam rimase immobile a fissarlo, per interminabili secondi.

Riesci a capirmi? Ti ricordi chi sono?” le domandò allora, temendo che come Melissa anche lei potesse aver perso la memoria con la mutazione.
Il corpo giallo si sporse verso di lui, lo stridio e il ringhio cessarono all'istante, e si poggiò contro la sua gabbia.
Erano così vicini, c'era solo quel dannato vetro a separarli.

C- coso” sillabò Sam, graffiante e titubante, sorprendendolo.
Melissa non aveva mai parlato, nella mutazione. E anche quello gli diede il presagio che ci fosse qualcosa che non andava, anche se non sapeva se in bene o in male.
Tuttavia sorrise, non poté impedirselo, al sentire il nomignolo che lei gli aveva affibbiato, sin dal primo istante in cui si erano incontrati.
Sarebbe sembrato un insulto detto da chiunque altro, ma non da lei.

Lei vide il suo sorriso, tenero, e i suoi occhi grigi scintillarono.
Michelangelo” disse con più dolcezza, prima di sorridergli a sua volta.
Il cuore del mutante bruciò, avvampò, e crebbe e crebbe, dandogli una botta di adrenalina.
Non seppe cosa stesse pompando ormai, sapeva che doveva aver prosciugato ogni goccia di sangue, ma non gli importava sapere davvero per quale miracolo fosse ancora vivo. Purché fosse servito a salvare Sam.

Ti porto via di qui” esclamò Mikey, provando a sollevarsi dal suolo, controllandosi intanto intorno per cercare il modo di farla uscire da quella gabbia di vetro e metallo.
Si tirò su con un gesto deciso, ma le gambe cedettero, e lo riportarono in basso con un tonfo cupo. Con uno sforzo immane ci riprovò, con più convinzione, riuscendo a rimanere per qualche istante in piedi, prima di ricadere sulle ginocchia, dolorosamente.
Il suo respiro era così corto e accelerato, come avesse corso intorno al mondo.

Oh, Michelangelo, povero Michelangelo” mormorò una voce profonda, con un tono fastidioso e canzonatorio.
Si voltò a fatica e incatenò lo sguardo sull'uomo alle sue spalle, ritto e impettito a gustarsi la scena. Non lo aveva nemmeno sentito arrivare, il ronzio sordo nelle orecchie era una costante ormai.
Era alto e esile, il colorito così pallido da poter vedere il reticolato di vene bluastre che correva sotto pelle, perfino nella semi-oscurità, i capelli neri radi e lunghi, gli occhi dello stesso cupo colore.
E sfoggiava un ghigno soddisfatto nel viso puntuto.
Era differente dall'ultima in cui lo aveva visto, ma non avrebbe potuto dimenticare quell'aria folle che lo permeava.
Hersen era tornato umano, ma c'era qualcosa, in lui, che lo faceva rabbrividire.
Sembrava che riuscisse a seguire ogni suo piccolo movimento anche in quella penetrante penombra, mentre lui faceva fatica a definirne i contorni, se non strizzava a fondo gli occhi.

Povero, povero Michelangelo” continuò a canzonarlo, avvicinandosi senza timore a grandi passi.

Mikey sforzò il suo corpo ad agire e reagire, -se lo avesse preso di sorpresa avrebbe potuto battere Hersen anche se così malconcio,- ma benché provasse a muovere i muscoli con tutta la disperazione rimastagli, non si mosse di un millimetro.
Era davvero arrivato alla fine? Non ancora. Ancora un poco, doveva resistere ancora un poco.

Non te le stai passando molto bene, vedo” constatò leggermente, mentre Michelangelo sentiva il suo freddo sguardo scivolargli addosso, soffermandosi sulle macchie di sangue che imbevevano la tuta e il suo corpo.
È un vero peccato, credimi, lo dico sinceramente. Ma sei comunque riuscito a vedere la mia più grande creazione, dovresti sentirti onorato.”
Liberala” sussurrò Mikey, la voce così inconsistente e fioca da non sembrargli nemmeno la propria.
Come? Non ho capito bene.”
Lo stava prendendo in giro, godendone perfino, e quello lo mandava così in bestia. Era lui che prendeva per i fondelli i bastardi psicopatici e non viceversa.

LIBERALA DANNATO FIGLIO DI PUTTANA” ruggì più forte, anche se sapeva di star solo facendo il suo gioco. Poteva contare sulla sua mano, ed era tutto dire per uno con tre dita, quante volte nella sua vita aveva perso la calma e il suo stato mentale di tranquillità e buonumore, ma in quel momento si sentiva più Raphael di quanto Raph stesso non fosse mai stato, una rabbia enorme a riempire le vene al posto del sangue.
Hersen infatti rise, deliziato.

No, sarebbe un peccato. M37 bis è perfetta, perfino meglio di sua sorella, più stabile, intelligente, agguerrita e potente” elencò in estasi, spostando lo sguardo sulla ragazza mutata, che gli mostrava i denti con ferocia.
Anche Michelangelo si voltò con fatica per guardarla, con pena e amore.

Si chiama Sam!”
Si chiama M37 bis” ripeté asciutto lo scienziato. “Ed è il primo passo per il mio futuro. Non solo mi ha guarito dalla mutazione, vuoi vedere cos'altro è capace di fare?”
Michelangelo si voltò con una piccola punta di curiosità, nonostante tutto.
Tra le mani di Hersen era apparsa una siringa piena di una sostanza di un colore che non riuscì a definire, ma che tuttavia non gli fu difficile capire cosa fosse.

Senza staccare gli occhi da lui Hersen fischiò crudemente e immediatamente un piccolo umano mutato, blu intenso, apparve dalle stanze provvisorie e caracollò al suo cospetto, docile e obbediente.
Per cominciare ho mantenuto il mio controllo mentale sugli scarti, c'è ancora qualcosa di coccodrillesco in me, a quanto pare. Posso vedere perfettamente al buio e la mia forza fisica è decuplicata, ma vuoi vedere qualcosa di straordinario?”
Avvicinò la siringa al mutante blu, e quello nemmeno ci provò a ribellarsi, e con un colpo brutale la piantò nel suo collo, spingendo il siero oscuro all'interno del suo corpo.
Quello sussultò.
Il piccolo mutante iniziò a vibrare, i suoi arti così tremolanti da non riuscire più a definirli, e si contorse e si contorse ancora con un basso sibilo che dava fastidio a lui e innervosiva Sam, a giudicare dai colpi sordi che lei iniziò a dare contro il vetro.
Il mutante mutò ancora, ironicamente, il suo corpo si allungò e ispessì, fasci di muscoli lo rivestirono e crebbe e crebbe esponenzialmente,velocemente.

Se Michelangelo avesse avuto forza in corpo avrebbe approfittato di quel momento per fuggire, perché qualcosa gli diceva che fosse meglio non attendere di vedere la fine della nuova mutazione, di mettere quanta più distanza possibile tra loro e quella mostruosità contro-natura.
Poi il sibilo si interruppe e così l'agonia del corpo, immobile e ansimante al suolo per qualche istante, prima di sollevarsi nella sua immensa statura.
Era alto come Leatherhead, era grosso come Leatherhead, ma più snello, più scattante, le scaglie si erano colorate di un verde acido e gli occhi splendevano grigi, in cui poté vedere le pupille a fessura splendere come fari.
Le file di denti sembravano più taglienti, gli artigli sguainati con sadica soddisfazione erano più lunghi e affilati. Un supermutante.
Anche il suo ringhio era diventato più roco e graffiante, e Sam reagì con violenza al sentire il suono, ormai lanciata contro la sua barriera.
Il vetro tremava terribilmente sotto i suoi colpi, ma non accennava a cedere.

Il nuovo mutante sorrise della sua paura e si fiondò velocemente verso Michelangelo, afferrandolo per la gola e sollevandolo con un braccio solo e un movimento fluido, come se non pesasse nulla.
Mikey non riusciva quasi a respirare, figurarsi ad urlare per il dolore e per la rabbia.

Soldati perfetti, forti e rapidi, leali, indistruttibili” esclamò Hersen come un ossesso, un'espressione di puro godimento sul viso. “E ne potrò creare a migliaia, grazie a M37 bis. Grazie al mio esercito potrò vendicarmi di Bishop. E poi chissà, le potenzialità sono infinite!”

Samantha ringhiava e colpiva cercando di uscire dalla sua gabbia, gli occhi fissi su Michelangelo e il mutante che ancora lo teneva nelle sue grinfie: iniziò a modulare un suono gutturale ad ogni schianto, sempre più forte, e il supermutante si bloccò come ipnotizzato al sentirlo, lo sguardo più vitreo.
Michelangelo sentì che la sua presa si allentava e sollevò un braccio e artigliò la sua mano, ma prima che potesse liberarsi un nuovo fischio riempì l'aria e le dita del supermutante lo strinsero con più forza.
Un secondo fischio echeggiò assordante e stridulo e Michelangelo sentì Sam che con un tonfo cadeva al suolo, soggiogata anche lei da Hersen, una marionetta nelle sue mani.
Tossì nello spasmo di muoversi e aiutarla, nel provare a liberarsi e volgere quella orribile situazione in loro favore; il supermutante strinse appena più forte e caricò l'altra mano indietro, gli artigli sguainati, puntata sul suo torace.
In una frazione di secondo si rese conto che era la fine, la sua vera fine, e che non aveva potuto fare nulla, non era servito a nulla arrivare fin lì e raggiungerla, sarebbe morto ad un passo da lei, condannandola a una vita d'inferno come rifornimento personale di quel bastardo per la creazione di nuovi mostri.
Ed era intollerabile quel pensiero. Ed era patetico che non riuscisse a fare più nulla per impedirlo.

Una luce bianca splendette nel momento dell'attacco, costringendoli tutti a chiudere gli occhi con fastidio, Hersen imprecò da qualche parte, il supermutante ringhiò.
Michelangelo cadde senza peso, libero, e qualcosa di caldo e morbido lo afferrò prima che sbattesse violentemente contro il suolo, adagiandolo con gentilezza, ma la luce era ancora troppo intensa per aprire gli occhi.
Tuttavia si sentiva assurdamente bene.

È tutto ok, fratellone. Siamo qui” mormorò la voce dolce e penosa assieme di Isabel, prima di sentire le sue labbra poggiarsi sulla fronte.
Un soffice formicolio gli scivolò dentro, portando benessere e cancellando pian piano il dolore e l'ansia, sentiva il vigore ritornare nelle membra, la forza rinascere nel suo corpo.
Ma benché fosse meraviglioso, non era quello che voleva al momento.

Sam... salva Sam” sussurrò con un filo di voce, afferrando alla cieca una mano di Isabel. La sentì sorridere sulla sua fronte, senza staccarsi dal contatto, e seppe che era tutto sotto controllo.

Hersen assisteva impotente alla scena, incredulo, confuso su cosa fosse successo davvero e come tutti quegli intrusi fossero apparsi all'improvviso nel sotterraneo: c'erano le altre tartarughe mutanti, il loro padre ratto e Leatherhead, oltre a quella giovane donna che brillava.
Che aveva steso il suo supermutante in un secondo, lasciandolo svenuto al suolo.
Prima che potesse anche solo aprire bocca, o pensare di farlo, Leatherhead lo investì con tutta la sua furia, mandandolo a sbattere contro il muro alle sue spalle con un tonfo sordo.
Hersen cadde e sentì la vibrazione dei passi pesanti del coccodrillo mutante galoppare ancora alla carica contro di lui: si rialzò con un colpo di schiena all'ultimo secondo, portandosi lontano dalla coda che scioccava con agitazione.
Ad un suo nuovo fischio una frotta di supermutanti irruppe da una delle stanze ricavate dal sotterraneo e si gettò all'attacco, ce n'erano almeno quattro o cinque per ognuno di loro; Leatherhead ringhiò, un grido atavico che per un attimo interruppe i movimenti dei supermutanti e rese i loro occhi grigi più lucidi e focalizzati, intelligenti.
Sembravano indecisi su cosa fare o confusi sul perché fossero lì.

Hersen si lanciò contro di lui con furia e un sibilo stridulo che riattivò il controllo sulle sue creature e tre di loro si unirono a lui contro il coccodrillo mutante, mentre le altre attaccavano a gruppi gli altri.
Isabel innalzò uno scudo con la mente, mentre continuava a curare Mikey.
Raphael era furioso, la presa nei Sai era spasmodica, e si faceva violenza per non gettare al vento qualsiasi concentrazione e semplicemente uccidere tutti quei mega-mutanti e correre da Mikey e Isabel. Tutto quel sangue sul corpo di suo fratello gli faceva venire voglia di spaccare e distruggere.

Quegli umani mutati erano diversi da quelli affrontati fino a quel momento e tutti si chiesero se non fosse un'evoluzione dovuta a Sam; erano più veloci e forti, e li stavano torchiando senza fatica. Donnie aveva gettato un'occhiata veloce verso la gabbia di vetro in cui Sam sedeva, lo sguardo fisso sul niente come una bambola senza vita: benché sembrasse una copia identica di Mork, la povera Melissa quando era mutata, si era accorto immediatamente delle differenze tra lei e sua sorella e la sua mente lavorava febbrilmente sul perché e il come e si chiedeva se avrebbero mai, lui e Leatherhead, potuto creare un contro-siero per aiutarla.
Voleva correre da lei e sincerarsi che stesse bene e possibilmente liberarla, ma non riusciva a smarcarsi dagli attacchi dei supermutanti.
Quelli li sospingevano indietro, li colpivano e colpivano, procurando lacerazioni sui loro corpi, senza lasciargli la possibilità di contrattaccare.
Potevano solo cercare di difendersi con le loro armi, cercando di chiudere la lotta il più fretta possibile.

Hersen sosteneva lo scontro contro Leatherhead con sorprendente facilità, con una forza fisica mostruosa, bloccava i suoi attacchi con un semplice braccio, colpiva con una brutalità animale e la frustrazione del coccodrillo cresceva e cresceva.
Non era mai stato più furioso, nessuno avrebbe potuto fermarlo finché non avesse ucciso Hersen, probabilmente.
I supermutanti si mettevano in mezzo e approfittavano della confusione per lacerargli la spessa pelle, mentre cercavano di colpire organi importanti e vitali.
Non sembrava che potessero vincere facilmente, e non senza far male agli umani mutati.
Leo bloccò un'artigliata con le lame delle spade, ma non ebbe il tempo di gioirne, colpito da un pugno velocissimo contro la faccia; Don si accorse della sua momentanea vulnerabilità, così scoperto, e si gettò al suo fianco per proteggerlo, inseguito immediatamente dai suoi avversari.

Si trovarono accerchiati. C'erano anche Splinter e Raph, e inconsciamente i tre si tesero per proteggere il loro sensei e padre, anche se sapevano che non ne avesse bisogno: si batteva come una tigre, per cercare di finire lo scontro e poter controllare suo figlio, lì al suolo ricoperto di sangue.
Isabel lo stava curando, perciò parte del suo dolore e preoccupazione stava scemando, ma avrebbe combattuto finché non avesse potuto riabbracciarlo e sincerarsi che stesse bene con i suoi stessi occhi, con le sue stesse mani.
Nessuno poteva toccare i suoi figli e pensare di farla franca.
Erano tutti schiena contro schiena, o guscio contro guscio, impegnati a cercare di respingere gli attacchi e gli artigli, le menti che lavoravano senza sosta alla ricerca di una qualche idea o tecnica che li aiutasse in quella particolare situazione.
Era un continuo rumore di metallo e legno e osso che si scontravano e urla di dolore e imprecazioni tra i denti che Splinter si premunì di far finta di non sentire.

Tutto si bloccò in un fascio di luce più potente, un bagliore e un crepitio intensi, prima che la luminosità ritornasse normale.
Si fermarono, riprendendo grandi respiri sollevati, le armi già più allentate nelle mani, gli occhi sui loro avversari bloccati in pose statiche con espressioni di pura paura e sorpresa.
Isabel era in piedi, un braccio teso di fronte a sé e gli occhi bianchi e splendenti. L'altra mano stringeva ancora quella di Michelangelo, che si tirava lentamente su, intonso e in forze. Titubò un poco sulle gambe, come un cerbiatto appena nato, sostenuto senza fatica dall'esile donna al suo fianco.
I supermutanti si trovarono chiusi in una bolla ciascuno, impenetrabile e indistruttibile, per quanto cercassero di forzarla; scintillavano appena nella semi-oscurità, come globi di polvere luminosa. Dopo il primo momento di stupore si erano riscossi e provavano a forzarla con tonfi poderosi, senza successo.

Hersen emise un singulto roco, incredulo e spaventato, lui e Leatherhead distratti per un secondo da ciò che stava accadendo.
Tu chi diamine sei?” urlò contro la giovane donna, gli occhi a fessura fiammeggianti.
Isabel sorrise. 
Michelangelo al suo fianco lasciò andare la sua mano: si mosse in contemporanea a Leatherhead, senza averlo pre-coordinato, e insieme si lanciarono contro Hersen in un secondo, uno dritto contro il viso e uno contro lo stomaco.
L'impatto fu così violento che l'uomo sbatté contro il muro lasciando una profonda crepa e si accasciò al suolo immobile, per qualche istante. Era un super-umano, ma non era possibile che non avesse risentito del colpo, e dallo schiocco che era risuonato nel silenzio probabilmente qualcuna delle sue ossa si era rotta. Forse ben più di una.

I due corsero via immediatamente, senza preoccuparsi di lui, verso la teca, verso Sam. Leatherhead la colpì coi pugni chiusi, il primo colpo produsse solo una piccola crepa, il secondo lo incrinò completamente, il terzo lo mandò in frantumi: Mikey si gettò all'interno mentre i frammenti ancora cadevano al suolo, scintillanti di luce riflessa.
Sam era ancora sotto il giogo di Hersen e li fissava con occhi appannati e fu solo quando Leatherhead produsse un gorgoglio basso e morbido, quasi fusa di gatto, che quelli si schiarirono e luccicarono di vitalità, di meraviglia.
Rispose al richiamo di suo “padre” senza esserne nemmeno conscia, e quello di rilassò al sentirlo, come se lei gli stesse comunicando che stava bene.
Michelangelo le tese una mano per aiutarla ad alzarsi, anche se in realtà voleva solo stringerla, abbracciarla con tutte le sue forze e sentire che per davvero stava bene, per davvero fosse al sicuro.

No! No! Non la porterete via! NO!” urlò la voce folle di Hersen, seduto al suolo con il naso spaccato e una gran colata di sangue ad imbrattargli la camicia bianca, il respiro difficoltoso e rauco.
Si era trascinato qualche metro più distante da loro, osservando tutto con gli occhi spalancati di rabbia e incredulità: i suoi super-mutanti bloccati con facilità, la sua mutante che veniva liberata, i suoi nuovi avversari liberi di colpirlo, quello ad un passo dalla morte vivo e vegeto e intonso e quella giovane che splendeva e che aveva compiuto tutti quei miracoli con un battito di ciglia.
Era tutta colpa sua.
Una mano stringeva un piccolo congegno nero e tutti loro tremarono, sapendo già cosa stesse per accadere. Le fondamenta tremarono e i muri e il soffitto vibrarono, facendoli barcollare come ubriachi.

Lurido bastardo” ringhiò Raphael, immediatamente al fianco di Isabel.
Ha innescato l'autodistruzione, l'ha già fatto in passato, lurido vigliacco” le disse a denti stretti, mentre l'afferrava e l'ancorava al suo corpo.
Isabel si mosse in fretta: con una flessione delle dita le bolle coi supermutanti sparirono nella pura aria e i corpi dei suoi amici e della sua famiglia si rivestirono di una lieve luminescenza, pronti ad essere trasportati via anche loro.
Hersen si era sollevato intanto e con uno sguardo malevolo verso di lei cercava di allontanarsi, mentre le prime porzioni di muro cadevano a terra con schianti terribili; Isabel puntò la mano su di lui, ma prima che potesse ingabbiarlo venne spinta via da Raphael e il soffitto nel punto in cui si trovavano un decimo di secondo prima crollò sollevando un polverone, facendogli tremare perfino le ossa.

Dobbiamo andare via!” sentì urlare Don da qualche parte, urgente e angosciato.

La luce di Isabel li avvolse con amore e in un battito di palpebre furono tutti nella sicurezza del rifugio, solido e immobile, fortezza impenetrabile.
Rimasero in silenzio, sconvolti dal cambio così improvviso, dal ventre di una catastrofe alla dolce sicurezza della loro casa, mentre tutto gli passava davanti agli occhi, il cuore ancora accelerato dalla paura.
Hersen era riuscito a farla franca. Forse perito nel crollo del palazzo, anche se nessuno ci credette davvero.

Sam fu la prima a reagire, lasciò andare la mano di Michelangelo e si allontanò verso il laghetto, mogia e con le spalle curve. Il peso di ciò che era successo, l'orrore di ciò che era diventata, la investì e la pressò.
Mikey fece alcuni passi verso di lei, ma si tenne a discreta distanza, rispettando i suoi spazi e il suo dolore.
Il corpo giallo tremava sottilmente, le mani strette a pugno, forte, spasmodicamente.

È morto?”domandò con voce roca e fu per tutti una sorpresa sentirla parlare, a giudicare dai respiri trattenuti.
Michelangelo si avvicinò di un altro passo.

No, mi dispiace. Non ho mantenuto la promessa. Ho paura che Hersen l'abbia fatta franca anche stavolta” rispose penosamente, il volto chino di vergogna, sebbene lei non potesse vederlo.

Samantha non diede segno di averlo sentito o probabilmente la rabbia che provava non le permetteva di rispondere, di prendersela con lui com'era giusto. Avrebbe dovuto urlare e maledirlo per non aver ucciso l'assassino di sua sorella, per non aver vendicato la sua morte.
Per aver lasciato un bastardo come Hersen libero di fare altre malefatte, di poter attentare ancora alla sua vita.
Si sentiva in colpa, per aver lasciato che lui la trasformasse. Per averle fatto provare ancora più dolore.
Un sibilo rauco si diffuse nel silenzio, graffiante eppure allo stesso tempo melodico, e benché per tutti fosse estraneo, Leatherhed sollevò il capo al sentirlo e fu per tutti chiaro che fosse Sam a produrlo.
Forse inconsciamente.
Michelangelo si voltò confuso verso il coccodrillo amico, sollevando le sopracciglia. Leatherhead scosse la testa lentamente, poi modulò a sua volta una risposta, un gorgoglio basso e rassicurante, che si armonizzava perfettamente con la melodia di Sam.
Lei si girò, sorpresa, e gli rivolse un lieve sorriso, niente più che uno stiramento di labbra.
Poi i suoi occhi si fissarono su Mikey, e lui rimase immobile per non spaventarla, per non pressarla.

Cercherò Hersen e lo ucciderò. Non mi fermerò finché non l'avrò trovato, finché non l'avrà pagata” le promise, anche se lei avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per non credergli, stavolta.

Sam negò dolcemente, senza staccare lo sguardo dal suo, accorciando la distanza tra loro.
Allungò le mani squamose verso di lui e circondò il suo viso.
Lo studiò attentamente, gli occhi grigi a fessura lo scrutarono da sopra a sotto, in ogni lato, occhieggiando le macchie di sangue, cercando tracce delle ferite che lo avevano quasi ucciso; lui riuscì a leggere pena e preoccupazione e sentì di non meritarsele.

Pensavo di aver perso anche te” mormorò Sam, sovrappensiero, come se lo stesse dicendo più a sé stessa.
Sto bene, Isabel mi ha guarito” disse Mikey con leggerezza, benché la sensazione della morte ancora gli stringesse la gola. Le sorrideva, ma la sua premura e le sue mani calde che lo toccavano gli scaldavano il cuore e ne acceleravano i battiti.
Gli occhi di Samantha si spostarono per un attimo sulla donna tra le braccia di Raphael, quasi con riconoscenza, prima di ritornare su Mikey e sorridergli.
Un sorriso puntuto e tutto denti aguzzi, ma Michelangelo lo trovò bellissimo comunque.

Sam lo lasciò andare e lo colpì con un pugno leggero alla spalla, niente più che un buffetto innocuo, forse per paura di non riuscire a controllare la sua forza in quella forma.
Mikey ridacchiò del gesto, per niente offeso.

Ti piace davvero farmi spaventare, eh, coso?”
Lui annuì entusiasta, ridendo più forte, finché lei non si soffermò a guardare la sua mano, rigirandola davanti alla faccia con espressione trasfigurata.

Melissa era... così?” domandò dopo qualche istante, stranamente quieta.
Sì, più o meno. Melissa non poteva parlare e non ricordava niente di sé, probabilmente la sua mutazione era leggermente diversa” si intromise Donatello con voce gentile.
Ma ricordava te. Ricordava che eri bella e ribelle, forte e dolce” aggiunse Michelangelo immediatamente.
Sam si sporse verso il laghetto e si specchiò sulla sua superficie.

Sono un mostro” esalò con disgusto e rabbia. “Creato per attaccare e fare del male. E per creare altri mostri.”
Michelangelo l'afferrò per le spalle, la fece voltare e la tenne ancorata, perché non scappasse dal contatto.

Sei bellissima. Se pure rimanessi così per sempre, saresti perfetta. E se tu sei un mostro, lo sarei pure io. E ti ho già detto che sono un modello, o no?”
Samantha sbuffò dal naso e lo colpì ancora una volta, con un sorriso obliquo e una rollata di occhi al cielo.

Troveremo un antidoto per te e gli altri umani” incalzò Donnie, attirando nuovamente la sua attenzione. “Ci vorrà un po' di più, forse, ma ti giuro che non riposeremo finché non ti avremo ritrasformata in un'umana.”

Leatherhead le disse qualcosa con quei gorgoglii che gli altri non potevano capire e Sam sorrise apertamente, abbassando la testa per un attimo, quasi in imbarazzo.
Adesso sei davvero il mio papà” disse infine, più speranzosa di quanto volesse suonare.
Le pupille di Leatherhed si strinsero a fessura di emozione repressa, per un secondo, prima di aprirsi in un grande sorriso, il più vero e totale e umano che gli avessero mai visto fare; sprizzava felicità e tranquillità.

Solo se tu lo vuoi, ne sarei felice” soffiò di cuore, mentre Sam gli si faceva incontro, stringendola infine tra le braccia.

La minaccia di Hersen era solo rimandata, lo sapevano tutti, che da quell'istante in avanti avrebbero dovuto fare attenzione e cercare le sue tracce nelle notizie più insospettabilmente innocue, sempre sul chi vive e a guardarsi le spalle; ma in quel momento, tutti testimoni dell'emozionante abbraccio tra il coccodrillo senza controllo e la ragazza mutata senza legami, nessuno riusciva a preoccuparsene.
Importava solo Sam, importava solo riportare tutto alla normalità.
E Isabel giurò in cuor suo che avrebbe protetto quella ragazza, con tutte le sue forze, come proteggeva ogni componente di quella enorme e stravagante famiglia.


Nei giorni seguenti Don e Leatherhead lavorarono senza sosta, aiutati da Isabel e perfino da Steve, che aveva qualche conoscenza di chimica.
Era una corsa contro il tempo, nel tentativo di aiutare Sam a tornare com'era il prima possibile.
Lei vedeva i loro sforzi e li apprezzava, segretamente, e cercava di non farsi schiacciare dalla paura che sarebbe potuta rimanere così per sempre.
Continuava a vivere al rifugio, come prima, non si specchiava mai e indossava i suoi vestiti sulle squame gialle, cercando di coprirsi il più possibile; l'unica cosa che le piaceva del suo nuovo aspetto erano i suoi occhi, quelle pupille ferine che le consentivano di vedere anche al buio.

Mikey le stava attorno in ogni momento concesso, ma c'era anche Angel che andava a trovarla e le teneva compagnia.
E il sensei aveva iniziato a insegnarle il ninjitsu perché potesse proteggersi, e April e Casey e i loro bambini passavano spesso a vedere come stesse.
Non era mai sola, col suo dolore ed i suoi pensieri, ed era assurdo. Ma non si era mai sentita così amata.
Da una parte desiderava tornare normale, sé stessa, con tutte le forze; dall'altra temeva che una volta finito tutto, loro non avrebbero più avuto un motivo per volerla frequentare.

La fine di Settembre era ormai vicina e il matrimonio ormai solo ad un giorno di distanza.
Dovevano andare alla fattoria Jones per iniziare i preparativi, ma nessuno osava muoversi finché non avessero finito quel dannato siero.
L'agitazione di Sam crebbe ancora, al pensiero che potessero rimandare il matrimonio per colpa sua.
Non conosceva Isabel e Raphael da molto, ma poteva vedere come si amassero e quanto desiderassero stare assieme, aveva captato stralci di conversazioni sulla loro storia e si era fatta una vaga idea di cosa avessero dovuto affrontare per stare semplicemente assieme, perciò capiva che quel matrimonio era importante e che non desiderassero altro che arrivasse quel momento.
Eppure Isabel non faceva altro che lavorare per poter trovare un antidoto per lei e Raphael dava una mano come poteva nel dojo o battibeccava con Michelangelo con spensieratezza, tutto per il suo beneficio e di chi stava loro attorno, senza fare mai menzione al tempo perso e al grande giorno che si avvicinava sempre più.

Era tardi pomeriggio, avrebbero davvero dovuto essere già in viaggio verso la fattoria per addobbare per il giorno dopo, invece sedevano tutti nella zona video, Angel e i Jones al completo, a guardare un film appena uscito al cinema che Don aveva scaricato più o meno legalmente.
Sam lo guardava mezzo distratta, sia per il pensiero che fosse davvero tardi, sia per Michelangelo al suo fianco che continuava a commentare le scene a mezza voce, arrabbiato contro i cambiamenti di trama rispetto al libro.

Perché, tu leggi?” sussurrò sarcastica a voce bassa, così che solo lui la sentisse.
Mikey si voltò a guardarla con un sorrisetto furbo, per nulla offeso. Ed era quello che le piaceva di lui, quel suo essere sempre pronto a scherzare, quel non prendersi né prenderla mai sul serio.

Certo che sì. E scrivo anche, se ti interessa saperlo” le confessò con un mezzo ghigno compiaciuto.
Sam sollevò le arcate sopracciliari, forse sorpresa, ma non disse nulla.

Un uragano uscì di corsa dal laboratorio, Don in testa, Leatherhead subito dietro e poi Isabel e Steve a chiudere la fila, esagitati ed emozionati.
Era strano vederli tutti col camice da laboratorio.
Capirono tutti il perché della loro agitazione e si alzarono dai divani in sincrono, mentre il film scorreva dimenticato. Dal dojo emersero Leo e Raph e Splinter, forse richiamati dal rumore.

Ci siete riusciti?”
La voce di Michelangelo non esprimeva né speranza né delusione e Sam non riuscì a capire cosa si aspettasse poi davvero.
Donnie annuì con vigore, con un sorriso, nonostante le occhiaie stanche ben visibili sotto la maschera. Anche gli altri erano visibilmente stanchi e provati, ma i loro sorrisi illuminavano i loro volti.

Siamo sicuri di sì.”
Aveva una siringa già pronta e Sam si avvicinò a piccoli passi, senza riuscire a staccare gli occhi dal liquido blu che lo riempiva.
Gli offrì il braccio senza esitazione.

Qui? Ora? Sarebbe meglio nel labora-”
Adesso” lo interruppe decisa lei, protendendo il braccio con più vigore.
La mano di Donatello la afferrò con gentilezza, un dito saggiò la pelle squamosa in cerca di una vena, poi con un gesto veloce e sicuro la punse e iniettò il liquido.
Sam non emise un suono. Rimase a guardare mentre lui toglieva la siringa e passava un batuffolo freddo e bagnato sulle sue squame, poi sollevò lo sguardo su Leatherhead e lui le sorrise con fiducia.

Mikey, afferrala e tienila stretta. La mutazione non sarà una passeggiata” sentì dire ad Isabel, con pena e un tocco di apprensione.

Michelangelo non se lo fece ripetere due volte e con premura e dolcezza la attirò verso di sé e la strinse e Sam, la Sam del passato, avrebbe protestato per quel contatto intimo; la Sam di quel momento invece, si lasciò andare un po' contro di lui, aspettando il dolore.
Andrà tutto bene, finirà in fretta. E se hai bisogno di afferrarti a qualcosa, io sono tutto muscoli.”
Sam ricacciò giù la risatina che le parole di Mikey le avevano suscitato e si tenne stretta, sentendo già che qualcosa nel suo corpo stava cambiando,
Sentiva un brivido gelido spandersi nel petto, fluire seguendo il reticolato di vene e arterie fino ad arrivare ad ogni cellula del suo corpo.
Che iniziò sottilmente a vibrare.
La presa di Mikey divenne più ferma, ma non soffocante.
Il gelo venne sostituito in fretta da una colata di calore e bruciore e si morse il labbro per non urlare, ma non riuscì a fermare il sibilo che la sua forma mutata produceva.
Don bloccò Leatherhead con un braccio, fermando il suo slancio verso la figlia, visibilmente sotto stress e dolore.

Sam iniziò a mutare, sotto i loro occhi: le squame assunsero una colorazione rosea e carnale, prima di trasformarsi in pelle soffice sul corpo e a svanire sulla testa lasciando che i capelli ricrescessero in lunghi boccoli morbidi e dorati.
Il suo viso era nascosto nel petto di Mikey, ma sperarono e pregarono che anche lì stesse tornando come prima.
Michelangelo sentiva il dolore scuoterla e irrigidirle gli arti ad ondate, e cercò di essere di sostegno e conforto, per quanto potesse. Sperando che bastasse.
Rimase immobile, a cullarla sottilmente mentre le diceva tenere e buffe sciocchezze sottovoce, finché non smise di vibrare e rimase a prendere grandi respiri sofferti, ancora contro il suo petto.
Aspettarono tutti che Sam, di nuovo umana, si scostasse e si facesse vedere..
Ma lei rimase stretta nell'abbraccio, finché il respiro non tornò normale, appena percettibile. E poi, benché fosse tutto finito, non diede segno di volersi scostare.
Forse per paura.

Capisco che abbracciarmi deve essere un sogno per te, ma potrei pensare male, se non mi lasci andare” disse Michelangelo a voce abbastanza alta, perché tutti potessero sentirlo.
Sentirono la risatina soffocata di Sam e poi lo strillo di Mikey quando lei lo pizzicò sulla spalla, prima che lui si scostasse per poterla osservare, permettendo anche agli altri di vederla: il suo viso a cuore di nuovo contornato dai bei boccoli, il naso a bottoncino, i bei zigomi e la bocca piccola. Tutto come prima.
Come gli occhi grigi che risposero al suo sguardo, prima di osservarsi con scrupolo le mani e ogni altra parte del corpo, di passarle nella cascata di boccoli biondi e per finire di mettere la testa un attimo dentro la maglia per controllare che anche lì fosse tutto ok.
La sentirono sospirare di sollievo e scappò più di una risatina. Erano tutti euforici in fin dei conti.

Sono a posto” annunciò, come se loro non lo vedessero.
Si voltò verso Leatherhead e scrutò nel suo sguardo se potesse esserci delusione, ma il coccodrillo mutante le sorrise e annuì piano, felice, gorgogliando con soddisfazione.
Si accorse con stupore che riusciva a capirlo, ancora, nonostante fosse di nuovo umana.

Allora possiamo curare anche gli altri umani mutati e rimandarli a casa!” esclamò fuori di sé Don, lasciando andare un sospiro di sollievo e un grido di esultanza che la sorpresero.
Ritornare a casa. Anche lei avrebbe dovuto tornare in superficie, a “casa”, ma non c'era nessun posto che lei sentisse casa più di quella assurda famiglia.
Ovunque loro fossero.
E benché volesse esternare quell'affetto e dire loro che li amava, tutti, e che voleva rimanere con loro ed essere parte della famiglia, il suo orgoglio e la paura di essere rifiutata, ancora, fecero morire le parole nella sua gola.
Non voleva risultare patetica ai loro occhi, non voleva che provassero pena per lei.

Dovrei andare anche io a casa, allora” mormorò sottilmente, senza guardare nessuno in viso, iniziando ad allontanarsi da loro.
Ci furono un paio di bruschi respiri, prima che la voce di Isabel sbottasse:

Cosa stai dicendo? Tu sei già a casa!”
Samantha sollevò lo sguardo e la guardò, timorosa, e Isabel le sorrideva con fare saputo e anche gli altri le sorridevano contenti, quando i suoi occhi scivolarono intorno per cercare altre conferme.

Beh, loro sono la tua famiglia, ma non io” disse Michelangelo, con tono stranamente incolore, sorprendendo tutti.
Io invece voglio essere il tuo spasimante-barra-ragazzo, ma ovviamente prima devi accettare di uscire con me e quindi io prima devo chiedertelo e questo mi sembra il momento giusto: Sam, vuoi uscire con me? Mi sono innamorato di te da praticamente subito, e ormai ho bisogno di te, sarebbe crudele da parte tua dirmi di no!”
Lo aveva detto tutto d'un fiato, con la sua solita parlantina e scioltezza, con un mezzo ghigno in volto di spavalderia che tutti sapevano non provasse davvero, non in quel momento.
Attesero col magone, anche se sapevano di essere di troppo e che sarebbe stato più decente lasciarli da soli in quel frangente, ma nessuno si mosse; Michelangelo non sentiva nemmeno più le gambe, e doveva aver smesso di respirare alla fine della sua confessione.

Samantha si voltò con calma calcolata, osservandolo con quella sua espressione di scetticismo e sarcasmo, altera.
A Mikey ricordò la prima volta in cui l'aveva incontrata, nascosta sotto quella felpa enorme e il capellino stinto.
La videro lasciare andare un sospiro.
Separò la distanza tra lei e il mutante con la benda arancio in un attimo, più veloce di quanto credessero fosse capace, afferrò il suo viso, si sporse verso l'alto e lo baciò, in un unico gesto fluido.
Michelangelo ci mise almeno dieci secondi prima di capire che stesse succedendo davvero, stringendola poi a sua volta con così tanta foga da sollevarla dal suolo.
Qualcuno lanciò un fischio di ammirazione, qualcun altro esultò, c'erano perfino degli applausi in sottofondo ed esclamazioni di felicità.
E lui sentiva di stare toccando il cielo con un dito.
Neppure quando era stato Aria coi poteri di Isabel si era sentito così leggero e senza peso, capace di volare, perfino.

Il bacio finì quando Sam si staccò con una dolcezza di cui nessuno la credeva capace, fissando poi il suo sguardo in quello di Mikey.
Lui sussultò impercettibilmente, al vedere le sue pupille per un secondo a fessura, spilli scuri contornati dal grigio, prima di tornare normali.
Era rimasto qualcosa di coccodrillesco in lei, a quanto pareva.

Non hai saputo resistermi perché sono troppo carino, vero?” soffiò ancora ad uno schiocco di labbra, più ardito e baldanzoso di prima.
Non stava nemmeno toccando il suolo dalla felicità e si accorse con stupidità che ancora la teneva sollevata e benché riluttante la poggiò al suolo, senza lasciarla però andare.
Non ne sarebbe stato capace.

Continua a crederci, coso” rispose lei, sollevando un sopracciglio.
Mikey rise dal cuore, prima di baciarla ancora, con trasporto e passione, ignorando tutte le risatine e i commenti in sottofondo, ogni fibra di sé e della sua mente solo sulla splendida giovane donna che rispondeva al suo bacio senza disgusto, con la stessa passione; con lo stesso amore?

Non riesco a credere che Mikey sia stato davvero il secondo a trovare la ragazza. Non ce lo farà mai dimenticare” disse la voce fintamente seccata di Raphael, seguita da uno scappellotto della sua fidanzata.
Michelangelo si staccò riluttante da un altro bacio, giusto il tempo di chiedere velocemente: “Questo era un sì, giusto? Alla mia proposta, intendo. Sai, per esser sicuro.”
Sam ridacchiò sulle sue labbra, ma non gli rispose davvero, preferendo continuare a baciarlo piuttosto che parlare.

Ragazzi, è tutto magnifico, sul serio, ma ora basta pomiciare davanti a tutti! Abbiamo un matrimonio in meno di ventiquattro ore” li rimproverò senza cattiveria Don, dopo parecchi minuti in cui non si decidevano a staccarsi uno dall'altra.
Il fratello lasciò andare Sam, infine e guardò Donnie con uno sguardo furbo e scintillante.

No, non il vostro matrimonio! È decisamente presto per quello” aggiunse il genio, ciondolando la testa di qua e di là, sospirando con forza.

Michelangelo mise su un finto broncio offeso, prima di spalancare gli occhi come fulminato da un pensiero e voltarsi in fretta verso Leatherhead: il coccodrillo lo osservava con gelido silenzio, e benché i suoi occhi fossero diventati a fessura non dava segno di volerlo attaccare.
Ehi, uhm, Leatherhead... nulla in contrario se esco con tua figlia, giusto?” domandò con un po' della baldanza che andava via, leggermente in soggezione.

Il silenzio divenne totale, gli occhi di tutti ormai calamitati verso il coccodrillo mutante in attesa della sua risposta, alcuni di loro un po' preoccupati dall'aura di severità e disapprovazione che sembrava emanare.
Isabel sentì Raphael che si irrigidiva al suo fianco, forse pronto ad intervenire se l'amico avesse deciso di attaccare suo fratello.

Leatherhead non aveva nulla in contrario, ovviamente, ma si stava godendo quegli istanti per tenerlo sulla corda, per una volta che aveva la possibilità di prendere in giro Michelangelo.
Sam intuì facilmente i pensieri del padre e ridendosela tra sé e sé emise un sibilo leggero, sorprendendo lui e gli altri, comunicandogli qualcosa che gli fece cadere la maschera di severità e lo fece sorridere, facendolo scoprire. I suoi occhi tornarono all'istante normali.

Michelangelo, mio buon amico, certo che non ho nulla in contrario. Tuttavia gradirei che pomiciaste, come ha detto Donatello, in momenti più consoni. Magari non sotto il mio muso, ecco.”

Sam gorgogliò, e capirono tutti che stava sgridando Leatherhead, anche perché lui rise in imbarazzo, e Mikey si unì alla risata, stringendola forte e scoccandole un bacio sulla guancia.
Saremo l'esempio della castità, papà Leatherhed, promesso. Almeno finché ci sarai tu.”
Sam gli mollò un pugno contro il braccio, prima che Mikey la stringesse ancora una volta, nascondendo il viso tra i suoi boccoli dorati: le disse qualcosa che la fece arrossire, ma anche sorridere apertamente.
Ed era bello vederla così felice. E sapere che Mikey era la causa e beneficiario di quella felicità.
Lei si divincolò e gli scoccò un casto bacio a fior di labbra.

Ok, per adesso basta, coso. Dobbiamo pensare al matrimonio, o brontolo lì potrebbe dare di matto” disse indicando Raphael, che mise su un mezzo broncio offeso, soprattutto perché Isabel era scoppiata a ridere più forte degli altri al suo soprannome.

In mezzo alle risate e all'euforia, alla fin troppa felicità, tutti si mossero e si organizzarono, tra chiacchiere e corse contro il tempo, chi curando poveri umani mutati che poi vennero accompagnati in ospedale perché se ne potessero prendere cura e potessero riportarli alle loro famiglie, chi inscatolando e imballando tutte le cose e gli ingredienti che sarebbero serviti per l'indomani, chi organizzando e chi godendosi i primi felici momenti nello stringere nelle braccia la persona che amava. Che lo riamava.

A sera inoltrata, tre furgoni pieni da scoppiare di chiacchiere e sorrisi, e stanchezza, anche, partirono dal garage abbandonato tra la Eastman e Laird, in direzione Nord, verso una fattoria immersa nel verde, riparata e intima, perfetta per scambiare promesse eterne.

Note:

Salve! 

la mini-storia di Mikey è finita, e abbastanza bene direi. Più avanti, nella quarta storia, si vedranno stralci della sua relazione con Sam, per adesso sappiamo che lei ricambia il suo interesse ed è una molto diretta, gli è saltata praticamente addosso.
Adoro che Leatherhead l'abbia praticamente adottata, e che lei abbia ancora qualcosa di coccodrillesco, anche una volta tornata umana. Adoro Sam e la sua relazione con Mikey, li trovo perfetti assieme.

Questo era il penultimo capitolo, arrivederci al prossimo, l'ultimo di questa storia, il matrimonio tanto atteso.

Un abbraccione fortissimo a chi è arrivato fin qui.

Grazie


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Capitolo 44
*** Yes, I do ***


C'era già un chiacchiericcio diffuso, voci che si sommavano una all'altra, risate piene e ridolini emozionati, in attesa.

Raphael spaziò con lo sguardo attorno, registrando i già molti invitati presenti, che salutavano i nuovi arrivati, che prendevano posto, che mostravano ad altri le decorazioni e le preparazioni fatte in tempo di record.
Le facce stanche e tirate dei suoi familiari e amici spiccavano nella folla, -avevano fatto i salti mortali per preparare tutto nelle poche ore che gli erano rimaste una volta raggiunta la fattoria la sera prima,- eppure sorridevano così tanto da essere quasi raggianti.

Leo faceva da chaperon ad un folto gruppo che comprendeva Usagi, Tomoe, Gennosuke, Faraji, Tora, Adam e Joi, tutti impegnati in una fitta e animata chiacchierata che probabilmente verteva sul nexus e sulle lotte. Dal modo in cui Joi si teneva al braccio di Adam capì che tra i due dovesse esserci qualcosa di più che semplice amicizia e la cosa non poté che fargli piacere.
Splinter stava intrattenendo una pacata e noiosa conversazione col Daimyo, incredibilmente senza scorta per una volta, Leatherhead, Honeycutt, il Professore e Traximus. tutti seri e impettiti a dirsi chissà che.
Uè, il figlio del Daimyo, invece era tutto un sorriso, mentre Steve emozionato gli presentava la sua famiglia, suo padre Howard, suo fratello minore Patrick e la sua sorellina Olivia: la piccola si azzardò a toccare un orecchio a punta del principe della dimensione Nexus quando quello si inchinò a salutarla, e Steve squittì di imbarazzo, rosso come un pomodoro, mentre l'amico rideva della sua reazione, per nulla offeso; anzi, aveva preso Olivia in braccio con naturalezza, permettendole di studiarlo meglio.
Steve, se possibile, era diventato ancora più rosso.

Raphael non poté fare a meno di ridere quietamente alla scena, prima di voltarsi a guardare i Jones: Casey seguiva come un disperato Carl che correva da tutte le parti con un cestino di petali in mano, che avrebbe dovuto spargere solo appena prima del passaggio della sposa, ma che in realtà faceva volare in ogni dove con gioia; April si era finalmente decisa ad intervenire e aveva passato un semi-addormentato August tra le braccia di Donnie lì accanto ed era scattata alla rincorsa del marito e del figlio maggiore, cercando di tenere su una facciata arrabbiata, ma fallendo miseramente alle espressioni dei due.

Soli, seduti nell'angolo più lontano dall'arco di fiori dove si sarebbe celebrata la cerimonia, c'erano gli Shisho: Chikara, Kon, Hisomi, Juto e l'Antico, in silenzio e tensione, i loro occhi normali e umani si guardavano intorno con sospetto e forse perfino timore.
Raphael non li voleva lì, non li avrebbe mai invitati nel giorno più importante della sua vita, li detestava, -forse li odiava perfino,- gli avevano fatto così male, lo avevano portato quasi alla pazzia con le loro azioni. Ma Isabel aveva insistito così tanto, e lui non sapeva dirle di no. Era stata convincente.
Gli aveva detto che erano rinati, che erano diversi, che dovevano dar loro una seconda chance e provare a ricostruire un rapporto almeno di rispetto, per il futuro non solo loro, ma anche del ninjitsu. E poi, aveva continuato, l'Antico l'aveva un po' aiutata, ed era un po' come fosse il loro nonno, era di famiglia.
Raph continuava a non fidarsi di loro, ma sapeva che ormai erano praticamente innocui e che se avessero anche solo provato a starnutire nella direzione sbagliata, Isabel li avrebbe polverizzati all'istante, senza riportarli in vita subito dopo.
Osservò con stupore la madre di Casey che si avvicinava al gruppetto di ex Dei del ninjitsu, con baldanza e sicurezza tipica dei Jones, e iniziava ad intavolare una discussione con loro, cercando di farli sentire a proprio agio.
Un punto per la vecchia Jones.

Erano già quasi tutti lì, Angel e Sam erano con Isabel per aiutarla a prepararsi, ovviamente, gli unici che per Raphael erano dei perfetti estranei erano la giovane donna e il vecchietto alle sue spalle, entrambi vestiti di una tonaca gialla, entrambi quieti e sorridenti e incredibilmente calmi per essere appena arrivati in mezzo ad un folto gruppo che comprendeva mutanti, alieni e un robot che un tempo era stato un alieno dalla forma umana.
Non li conosceva, ma li aveva già visti nei ricordi di Isabel: la giovane donna coi biondi capelli così ricci da sembrare vortici, che poi era diventata amica di Isabel, nonostante l'inizio burrascoso, e il vecchietto canuto e dall'aria apparentemente fragile, che era poi diventato il reggente del regno e che lo controllava al suo posto.
Michelle e Jervis, entrambi maghi, entrambi officianti della cerimonia.
Isabel gli aveva spiegato che il loro matrimonio sarebbe stato un miscuglio tra un rito civile normale e alcune pratiche e formule del regno dei maghi e Raphael aveva fatto attenzione a studiare per bene i procedimenti per non fare brutte figure.
Comunque, l'apparente calma dei due era sconcertante.

La giovane donna si accorse che lui la stava osservando e gli rivolse un gran sorriso cortese.
Ehm, noi... non ci siamo presentati, io sono Raphael, lo... sposo” tentennò a dire, davvero poco da lui, valutando le loro reazioni. I due non fecero una piega, ma gli sorrisero perfino di più, con un lieve inchino nella sua direzione che Raph reputò eccessivo.
È un piacere conoscervi, la nostra Regina ci ha parlato molto di voi” disse affabile il vecchietto, con uno scintillio furbo negli occhi chiari.
Gli fece strano sentir chiamare Isabel 'Regina', ma era quello in effetti, per loro.

Mi chiedevo in effetti come poteste essere così calmi in mezzo a... tutti noi” rispose con un lieve ghigno, cercando di fare spallucce. Poi si ricordò che non voleva che l'abito si spiegazzasse e si limitò ad un gesto vado con la mano.
Oh” esalò Michelle, che aveva capito cosa lui intendesse. “No, non ci ha parlato del vostro aspetto, ma non ha alcuna importanza per noi. Ci importa solo della felicità che date alla nostra Regina.”
Raph arrossì suo malgrado, in imbarazzo, e piegò la testa per nascondere la sua espressione ai suoi ospiti, anche se seppe con certezza che loro stessero seguendo ogni più piccola variazione sul suo viso.
Erano davvero strani, i maghi. Ne era certo sin da quando aveva conosciuto Isabel, ma in quel momento ne ebbe la completa conferma.

Se siete preoccupato per la cerimonia, state tranquillo, non sarà troppo strana e noi vi diremo passo passo cosa fare.”
Gli sorrise con gratitudine, anche se non era certo quello a renderlo nervoso.

Grazie, mister Jervis. Ma per favore mi dia del tu, sono semplicemente Raphael.”

Il vecchietto scosse piano la testa, gli angoli della bocca rugosa piegati all'insù e quello scintillio negli occhi sempre presente.
Non sarebbe opportuno. State per diventare Principe Consorte di un regno potente, se la Regina Isabel non è riuscita a farsi dare del tu nonostante io l'adori come fosse mia nipote dubito che ci riusciate voi, Altezza.”
Principe Consorte. Non ci aveva minimamente pensato, l'idea non lo aveva nemmeno mai sfiorato e in quel momento, unito all'agitazione del matrimonio, gli bloccò quasi il respiro.
Principe Consorte di un regno. Lui, Raphael. Gigantesca tartaruga mutante con problemi di gestione di rabbia, meno di prima, ma sempre presenti. Avrebbe riso se non fosse un pensiero paralizzante. Si chiese cosa avrebbero mai detto i suoi futuri sudditi nel vederlo.
Poi, però, si disse che non era importante. Non lo era affatto e non gli importava davvero.
Non gli importava che Isabel fosse una regina e che nella sua vita fosse compreso un regno lontano che la venerava, perché non era una cosa che la definiva.
Isabel era solo Isabel e lui l'amava infinitamente, più di qualsiasi altra persona al mondo, e sposandola avrebbe accettato ogni sfaccettatura di lei, ogni sfumatura, anche quelle che non conosceva.

Spero di essere all'altezza” mormorò con un lieve cenno del capo nella loro direzione e le loro espressioni soddisfatte gli dissero che era proprio quello che loro volevano sentirsi dire.
Di essere all'altezza di Isabel, di renderla felice e metterla sempre al primo posto.

L'agitazione era sempre lì, nel plesso solare appena più su dello stomaco e ormai era tutto pronto, tutti avevano preso posto, perciò non mancavano che pochi attimi ancora prima dell'inizio della cerimonia.
Ingoiò a vuoto, con le mani sempre più sudate e tutto il corpo teso. Sentiva i mormorii dei suoi amici e degli invitati, sussurri flebili che scivolano di posto in posto fino a lui, ma non si faceva distrarre da nulla: tutta la sua attenzione era solo sulle tende svolazzanti alla fine dello spazio, da dove lei sarebbe dovuta entrare.
Tutto il resto non contava.

Ehy, amico, rilassati” disse Casey, poggiandogli una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione.
Gli gettò un'occhiata distratta, cercando di non pensare a come lo smoking non donasse affatto all'amico. Era un tipo più sportivo e con un abito elegante sembrava come uno scimmione vestito. In senso buono, se esisteva un senso buono di una cosa del genere.
Trasse un grosso respiro per cercare di calmarsi.

Voglio dire, non è che tarderà o non si presenterà” esclamò, cercando di rassicurarlo, con le parole sbagliate.
Sta zitto, Case'!”
L'omone gli sorrise, nonostante lui avesse usato un tono vagamente seccato, e rafforzò la presa nelle dita, stringendogli la spalla in una morsa affettuosa.

Non sarebbe giusto se non fossi ansioso, credimi.”
Perché dovrei essere ansioso? Se un idiota come te si è sposato, perché non dovrei farlo io?”
Casey non rispose alla sua provocazione, ma gli sorrise, comprendendo il suo nervosismo.

Vado alla postazione musica al posto di Mikey, ci vediamo dopo” gli disse invece, dandogli una pacca affettuosa sul braccio. Il fratello spiegò alcune cose all'amico, alcuni bottoni e tempistiche, a quanto pareva dal gesticolare enfatico di Mikey, poi quello lo raggiunse, con un gran sorrisone felice.

Michelangelo emanava felicità pura, tutta quella che lui non riusciva ad esprimere a parole.
Sta per arrivare, fratello. Ed è bellissima, aggrappati a qualcosa perché rischi di svenire” chiosò, con una strizzatina d'occhio complice.
Raphael rollò gli occhi al cielo, intimamente grato della presenza del fratello, che sapeva farlo rilassare. Tuttavia non cadde nella sua esagerazione, sapeva già quanto bella fosse Isabel, nessuno la conosceva come lui, nessuno conosceva tutte le sue espressioni, tutte le splendide fossette e linee del suo corpo, le sfumature che prendevano i suoi occhi ad ogni diverso stato d'animo.
Eppure si sbagliava e ancora non lo sapeva.

Con uno schiarimento di gola, Casey attirò l'attenzione e fece partire la musica, un lieve trillo di pianoforte, leggero e melodico, mentre il piccolo Carl si incamminava piano per lo spazio centrale tra le file di sedie, gettando manate di petali con poco garbo, tirandoli quasi in faccia alla gente.
Raph scoppiò quasi a ridere, si trattenne solo con un enorme sforzo.
Le tende sul fondo si scostarono leggermente e Sam apparve, un po' in imbarazzo e impacciata, di certo poco felice di essere al centro dell'attenzione: Mikey squittì d'emozione al suo fianco, e Raph si ritrovò a rollare gli occhi al cielo per la seconda volta in nemmeno cinque minuti. I due non si staccavano lo sguardo uno dall'altra, e in un'altra occasione Raphael avrebbe preso in giro il fratello, ma in quel momento non era importante.
La tenda oscillò ancora e questa volta fu Angel a raggiungerli, camminando elegantemente sul tappetto di fiori: lei e Sam erano vestite con due abiti della stessa forma, ma di due diversi colori pastello e Raph notò distrattamente che anche April ne aveva uno simile, ma era seduta tra Don e Leo con in braccio August, forse preferendo lasciare il suo posto da damigella a Sam.
Lo trovò un gesto molto carino per far sentire la nuova arrivata come una di famiglia.
Entrambe le donne presero posto di fronte a lui e Mikey, ma un po' scostate, e gli mandarono un ghigno compiaciuto.

La musica cambiò, il classico squillo di trombe nuziali si sparse in ogni dove e Raphael si irrigidì, inconsciamente, lo sguardo fisso sulle tende che sventolavano nella lieve brezza.
Fu Splinter a scostare la tenda per l'ultima volta, permettendo alla donna al suo braccio di passare prima di lasciarla ondeggiare ancora.
Trattenne il fiato e si maledì per non avere creduto a Mikey.
Era... bellissima era riduttivo. Splendida. Meravigliosa. Eterea e perfetta. Radiosa. Sembrava brillare da quanto sorridesse e per una volta non per merito della magia.
Non conosceva abbastanza parole per descriverla e non aveva le facoltà mentali in quel momento per provarci, riusciva solo a guardarla e a bearsi della sua presenza che scivolava verso di lui, incontro a lui, per legare la sua vita alla propria.
Il suo abito da sposa era ampio e vaporoso sotto, mentre la parte di sopra era un un corpetto stretto e ricamato di perline scintillanti, il cui pizzo saliva poi sulle spalle, coprendola fino a mezza manica; era bianco perla e così fine ed elegante da complimentare la sua figura e la sua carnagione chiara, creando un bel contrasto con i capelli scuri fermi da un'acconciatura alta molto elaborata e impeccabile.
Il suo bouquet era un colorato tripudio di dalie di tutti i colori, spezzato solo dal bianco di piccoli fiorellini candidi, legato nel gambo da un nastro di color prugna.
Gli unici gioielli che portava erano la collana degli amanti, che anche lui indossava sotto lo smoking, il bracciale con le due tartarughine che le aveva regalato all'anniversario, l'anello che aveva comprato tempo prima, tanto tempo prima quando per la prima volta aveva pensato di chiederle di sposarlo, prima che pensasse di averla persa per sempre, e una corona piccola e dalle linee semplici, eppure sfavillante come fosse fatta solo di diamanti, poggiata sul capo.
Sembrava un essere fatato, una Dea incarnata in donna.

Lasciò andare il respiro trattenuto, mentre il cuore continuava a battere all'impazzata, quando il suo sguardo si soffermò sul viso di lei.
Il sorriso di Isabel non era mai stato più bello e totale, irradiava felicità pura. Vide lo scintillio nei suoi occhi scuri, mentre lo osservava nel suo smoking nero, e ci lesse dentro sorpresa e apprezzamento e amore e Dio, nessuno nella sua intera vita lo aveva mai guardato in quel modo.
Non poteva essere davvero così fortunato, che aveva fatto per meritarsi quella donna e il suo amore? E se un giorno fosse finito? E se un giorno si fosse svegliato solo per scoprire che era stato tutto un sogno, che lei non esisteva davvero, che nessuno poteva davvero amarlo così, in una maniera totale e spiazzante?
Splinter gli porse la mano di Isabel, e gli sorrise, ignaro del magone che gli pressava il cuore e nel secondo in cui lui la strinse, e lei rafforzò la presa di rimando, quella paura e tutti quegli stupidi dubbi si sciolsero.
Lei era vera, era reale, ed era sua.

I loro occhi erano incatenati e non si lasciarono un attimo, nemmeno quando la voce di Jervis si fece strada nel silenzio, alla fine della musica.
Benvenuti, amici, famigliari, anime affini, in questa giornata magica per essere testimoni dell'amore di due persone. Oggi due anime diventeranno una, legate da promesse eterne.”
Raphael era attento solo a metà, sapeva cosa stesse succedendo, tutti i solenni convenevoli che Jervis o Michelle dicevano, ma la maggior parte del suo essere e delle sue attenzioni erano solo per Isabel, su Isabel, sul modo in cui i suoi occhi scintillavano alla menzione di promesse eterne, sul suo sorriso al sentire della loro vita futura assieme, in bene o in male, sempre presenti uno per l'altro, e seppe che anche lei era persa in fantasticherie come lui, che non vedeva l'ora che fosse tutto finito per potersi finalmente baciare.

Isa interruppe il contatto visivo e si sporse alla sua sinistra per lasciare il bouquet nelle mani di Angel, prima di prendere il calice che Michelle le porgeva; alzandosi verso l'alto lo poggiò sulle sue labbra, offrendogli il vino all'interno con garbo.
Sarò il sorso d'acqua quando avrai sete, sarò la fonte che ti offrirà ristoro quando le tue fatiche ti presseranno, sarò la pioggia che laverà via il tuo dolore quando si metterà sul tuo cammino” mormorò lei dolcemente, inclinando con delicatezza la coppa mentre lui prendeva un sorso, senza staccare gli occhi da lei.
E una volta afferrato il calice dalle sue mani fece lo stesso con lei, ripetendo le stesse parole, e benché fosse strano, fossero parole che non aveva mai sentito pronunciare in una cerimonia matrimoniale, le trovò bellissime e vere, piene di emozione.

Michelle ritirò la coppa dalle sue mani mentre Jervis offriva ad Isabel un piccolo dolcino intrecciato, una sorta di ciambella sottile, quasi a forma di fiore. Lei lo afferrò con delicatezza e lo portò alla sua bocca, di nuovo, offrendoglielo con riverenza e amore.
Raph ne prese un morso, metà del dolcino, ed era dolce e amaro allo stesso tempo, con un retrogusto di lavanda.

Sarò il tozzo di pane quando avrai fame, sarò il nutrimento quando ti sentirai svuotato di ogni sentimento, sarò il dolce a fine pasto al termine di una giornata interminabile, il tuo premio in un momento buio.”
Raphael prese il resto della ciambellina e lo portò alla bocca di lei, ripetendo le stesse parole, e quando il dolce fu scomparso, divorato in due morsi da Isabel, le pulì le labbra con il pollice, lentamente, senza staccare lo sguardo scintillante e pieno di malizia dal suo.
Dio, come desiderava baciarla. Ma avrebbe atteso la formula di rito a fine cerimonia, il “puoi baciare la sposa”, per quanto gli costasse.

Jervis si schiarì la gola, attirando la loro attenzione ed entrambi sussultarono e si voltarono a guardarlo, cercando di ignorare le risatine in sottofondo dei loro ospiti.
L'anziano mago sorrideva fino alle orecchie, poi fece un cenno ad Isabel, segnalandole che poteva continuare il passo successivo della cerimonia e lei annuì, e la corona ondeggiò un poco sul capo, prima di voltarsi ancora verso Raphael.

Ti amo, Raffaello. Penso che questo racchiuda tutto quello che vorrei dire nelle mie promesse, perché sono solo tre parole, ma per me esprimono tutto.
Ti amo, amo quello che sei. Amo quello che fai. Amo ogni più piccolo pregio e ogni più grande difetto. Amo la tua testardaggine, amo il tuo grande cuore. Amo i tuoi dubbi e le tue paure, amo che nonostante tu abbia dubbi e paure non ti risparmi mai per cercare di fare la cosa giusta. Amo il tuo coraggio, amo la tua dolcezza nascosta, amo la tua sensibilità che non mostri a nessuno, se non a me. Ti amo come non ho mai amato nessuno in tutta la mia vita e ringrazio ogni giorno quel benedetto incontro che ti ha messo sulla mia strada, quel settembre sotto la pioggia. Perché se non ti avessi conosciuto, non avrei mai saputo cosa fosse l'amore e non sarei mai stata così felice.
Ti amo, e so che potrà suonare vano e pretenzioso da parte mia dirlo, ma ti prometto che ti amerò per sempre, che ti starò accanto ogni giorno della mia vita. So che ti amerò per sempre. Grazie per essere la mia felicità, Raffaello.”
Stava piangendo, lacrime di commozione, mentre sorrideva e gli straziava il cuore di dolce dolore con le parole più belle che qualcuno gli avesse mai detto. Sapeva di stare piangendo anche lui, lacrime solitarie che lei si premunì di asciugare sol dorso della mano.
Avrebbe voluto urlare, il suo petto era pieno di così tante emozioni che rischiavano di farlo implodere, il pressante desiderio di dirle così tante cose, l'incapacità di esprimere tutto quello che avrebbe voluto con parole così belle e poetiche.
Trasse un grande respiro spezzato, cercando di riprendere la calma, e le rivolse un grande sorriso, incurante degli occhi umidi e che tutti potessero vederli.

Non vivevo davvero, prima di conoscerti. Esistevo, sì, ma non ero vivo. Ero rabbia e paure e caos. Non ho mai vissuto, prima di incontrarti, Isabel. Poi tu sei piombata nella mia vita, mi sei letteralmente piombata addosso e niente è più stato lo stesso da quel momento.
Se solo potessi tornare indietro e dire al me stesso del passato che quella ragazza spaurita e scheletrica gli mostrerà cos'è davvero vivere e amare e cosa sia la vera felicità, lo farei, e forse allora non sarei stato così duro e scorbutico con te all'inizio, non avrei cercato di forzare la serendipità che ci spingeva uno verso l'altra.”
Si bloccò un attimo per prendere un respiro commosso, e per godersi la risatina acquosa di Isabel alla menzione della serendipità, certo che anche lei stesse pensando ai loro primi incontri, a loro due così giovani e inconsapevoli che il loro incontro avrebbe portato tutto quell'amore, a quell'epilogo.

Tu mi hai mostrato cos'è l'amore. Mi hai insegnato che non sono un mostro solo per come appaio e che anche se mi nascondo nelle ombre, merito la felicità come chiunque altro. Mi hai insegnato ad amarmi. A rispettarmi. A volermi bene.
Ti amo, Isabel. So che non ho mai amato nessuno e che non amerò mai nessun altro, come amo te. Sei perfetta nelle tue imperfezioni, sei umana e divina, più testarda di quanto io non potrò mai essere.
Ti resterò accanto ogni secondo che mi concederai assieme a te, venerandoti e amandoti con ogni singola cellula del mio essere, fino a che tu lo vorrai.
Grazie per essere la mia felicità, Isabel. Grazie per avermi insegnato a vivere davvero.”

Un paio di raschiamenti di gola commossi risuonarono nell'aria e Michelangelo si soffiò il naso rumorosamente alle sue spalle, infrangendo l'aura solenne ed eterea delle promesse e Isabel rise tra le lacrime, così bella e vera, e Raphael si sporse in avanti, prendendole il viso tra le mani e poggiando la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi con trasporto.
Non l'avrebbe baciata, ancora no, per quanto volesse. Ma era ad un tiro di bacio e mormorò sulle sue labbra: “ti amo, Isa.”
E dopo un respiro brusco ed emozionato, la sentì rispondere un delicato: “lo so”, che lo fece scoppiare a ridere quietamente ed era un momento solo loro, fronte contro fronte, a ridere tra sospiri e scemenze che nessun altro poteva sentire, scambiandosi declamazioni di amore.

Maestà, Altezza, è il momento delle collane” li interruppe Jervis a malincuore, dopo qualche altro attimo.
Entrambi spalancarono gli occhi e Isabel rise più forte al vedere la sua espressione sorpresa al sentirsi chiamare Altezza.
Lei si deterse le lacrime col dorso della mano, stando attenta al trucco, traendo un gran respiro per calmarsi, prima di sporgersi verso di lui e afferrare il cordino che spuntava dal colletto della camicia, sfilando delicatamente verso l'alto la collana.
La pietra viola pulsava ritmicamente, a pochi centimetri dal suo viso, poi lui sfilò quella al collo di lei e la tenne alta accanto alla sua e anche la pietra di Isabel si illuminò della stessa luce, allo stesso ritmo.

Quello che un tempo è stato separato ritorni uno, due cuori si uniscano, due anime si leghino, in un'unica entità che respiri allo stesso ritmo, per sempre. E quel che è mio sarà tuo, e quel che è tuo sarà mio: siano gioie o dolori, sia felicità o tristezza, sia salute o malattia. Accetterò ogni cosa si parerà sul mio cammino, se tu sarai al mio fianco.”

Raphael ripeté le sue parole e avvicinò la pietra alla sua gemella: la luce le avvolse, un vortice di magia, e rimase incantato a guardarle unirsi in un unica pietra più grande, dello stesso colore, piena di sfaccettature e lati che riflettevano la luce magica. Il bagliore si snodò e si avviluppò alle loro mani e si inerpicò per le loro braccia e lui e Isabel si ritrovarono avviluppati dalla magia e dalla luce, uniti nel rito, uniti come nella simbiosi magica, respirando all'unisono, sentendo l'uno l'amore dell'altra e viceversa.
Non seppe dire quanto durò, gli era sembrato un secolo eppure solo un secondo, quando la grande pietra smise di brillare e cadde innocua nel palmo della mano di Isabel, prima che lei la mettesse via in una piega dell'abito.
Gli sarebbe mancata la collana degli amanti, ma in quel momento il pensiero non era importante.

Isabel Aurora Charmillion, Regina splendente del regno di Amòra, volete prendere Raphael Hamato come vostro sposo, in magia e regalità, fino a che le vostre anime non cammineranno assieme oltre il velo?” prese la parola Jervis, con un sorriso tutto per la donna di fronte a lui.
Lo voglio” sussurrò emozionata lei.
Michelangelo apparve al fianco di Raph e gli porse un anello e Raph lo infilò all'anulare di Isabel, con solo appena un tremolio nelle mani.

Raphael Hamato, onorato membro del clan Hamato, volete prendere Isabel Aurora Charmillion come vostra sposa, in magia e regalità, fino a che le vostre anime non cammineranno oltre il velo, diventando di fatto il Principe Consorte del regno di Amòra e promettendo di sostenerla nel compito di regnare se la situazione lo richiederà?” incalzò Jervis, ignorando di proposito la sua occhiata stranita alla piccola clausola aggiunta nella sua formula.
Isabel provò a fulminare il vecchio con un'occhiataccia, ma Jervis fece spallucce e aggiunse quasi sottovoce: “È la procedura, Maestà, non faccio io le regole.”
Raphael sorrise e annuì, scuotendo appena la testa.

Certo che lo voglio” esclamò con voce potente, lasciando ben poco dubbio alle sue intenzioni.
Isabel infilò il grande anello che Mikey le passò nel suo terzo dito, non aveva propriamente un anulare, ma dato che niente era normale nelle loro vite o in quella assurda cerimonia, non se ne curarono davvero.

Jervis sembrò contento e li guardò con affetto, prima di fare un passo avanti, gesticolando affabilmente alla folla.
Amici, parenti, anime affini che volete bene a questi due giovani, siete stati testimoni delle loro promesse, del loro rito di legamento, dell'amore che provano l'uno per l'altra, del loro desiderio di iniziare una vita assieme. Tutti voi siete testimoni dei loro giuramenti, tutti voi li benedite con la vostra presenza in questo giorno cardine del loro cammino come coppia, come famiglia.
Perciò è davanti a voi che io dichiaro Isabel e Raphael, sposo e sposa, Regina e Principe Consorte, Marito e Moglie!”
Si voltò velocemente verso Isabel, con uno scintillio furbo.

Potete baciare la vostra tartaruga mutante, Maestà. Vostro marito, intendo.”
Isabel scoppiò a ridere, e anche Raph non riuscì davvero ad arrabbiarsi che quello strambo vecchio avesse cambiato il finale della cerimonia, e con una risata potente lasciò che Isabel lo attirasse a sé, facendo finalmente incontrare le loro labbra nel tanto agognato bacio, incurante dell'applauso in sottofondo, allacciando le braccia alla vita sottile di lei e stringendo tanto da sollevarla dal suolo.

Il bacio gli sembrò interminabile e quando finì lei ne poggiò uno casto e dolce sulle sue labbra, seguito da un altro e un altro ancora.
Sei mio marito” sussurrò prima di un altro bacio, aprendo infine gli occhi e piantandoli nei suoi.
Sei mia moglie” rispose lui, dandole un altro bacio ancora.
Ridacchiarono uno sulle labbra dell'altra, ebbri d'amore.

Ragazzi, un bell'applauso per il signore e la signora Hamato” annunciò Michelangelo, interrompendo il loro idillio ed entrambi si voltarono sulla folla che in piedi li applaudiva e gridava di felicità, e presto si ritrovarono accerchiati e stretti in mille abbracci, ricevettero mille complimenti, pacche felici e pianti emozionati sulle loro spalle.
Ci volle un po' perché l'euforia scemasse e potessero ritornare uno accanto all'altra, stretti nell'emozione di tutta quella felicità.
Vennero scattate foto, tantissime foto, ci fu un brindisi e poi si spostarono tutti verso la zona del banchetto, sotto due grandi gazebo bianchi vicino alla casa, con lunghe tavolate ben apparecchiate e pronte ad accogliere le milioni di portate che Michelangelo aveva preparato con l'aiuto di Angel, April, Donnie, Leo e della mamma di Casey.
Fecero tutti onore al cibo, mangiarono tutto quel ben di Dio con gusto, inframmezzando il pasto con discorsi sulla coppia, alcuni spassosi, come quello di Mikey, altri commoventi, come quello di Splinter, si sprecarono le risate e le lacrime in egual misura e la felicità di tutti era così palpabile che avrebbero potuto tagliarla con un coltello.

Al taglio della torta, uno spettacolo di panna e fiori di zucchero colorati che Mikey doveva avere impiegato tutto la notte a fare, Raphael addentò tutta la fetta che lei gli porse prima di baciarla con ancora la panna sulle labbra, sporcandola di proposito.
Si prese i rimproveri per nulla veritieri che lei gli fece, prima di macchiarlo con una manata di panna sulla guancia, schizzando via a razzo con uno strilletto acuto.
La inseguì ridendo delle incitazioni dei suoi fratelli, e quando la prese, -sapeva che lei si era fatta raggiungere di proposito,- la baciò ancora e ancora, prima di consentirle di pulirlo.

Mikey, che aveva preso posto alla postazione da DJ, annunciò che era il momento del lancio del bouquet, prima che gli sposi potessero aprire le danze con il loro primo ballo e perciò esortò le donne single a raggrupparsi nella pista da ballo, sotto un'enorme tendone bianco poco distante, decorato da mille piccole lucine fatate nelle colonne e nella struttura, rendendolo quasi magico.
Alcune donne sembrarono riluttanti a quella particolare tradizione, ma in poco tempo, convinte da altri o spinte a viva forza, tutte si trovarono raggruppate, poco distanti da Isabel.
C'erano Angel e Sam, Joi, Michelle, Tomoe, e dopo qualche attimo si unì una grintosa signora Jones, squadrando le giovani con occhio cinico.

Tu no, Ma'!” gridò Casey esasperato, a bordo pista. “È per donne single, in età da marito!”
Potrei sempre risposarmi, Arnold, non dimenticarlo” rispose sua madre, usando il suo primo nome di battesimo, facendogli andare la saliva di traverso per la sua affermazione, mentre gli altri ridevano.

Isabel si voltò decisa, dando le spalle al gruppetto, e fece oscillare su e giù il bouquet, come per calibrare il peso prima del lancio.
Raphael la sentì mormorare delicatamente, tra sé e sé, e si sporse verso di lei per sentire bene.

Che porti fortuna a qualcuno, che doni felicità a chi lo prenderà” la sentì dire con emozione e se possibile la amò ancora di più, per la sua premura.

Il bouquet oscillò ancora una volta, poi nella parabola ascendente lei lo lasciò infine andare e quello volò con eleganza e leggiadria nell'aria, il nastro color prugna che sventolava come la coda di una cometa, morbidamente.
Raphael lo seguì nella sua caduta, lo vide dirigersi verso il gruppetto di donne in attesa e se prima erano sembrate poco propense a prenderlo, ora che lo vedevano arrivare dritto verso di loro gli occhi scintillavano tutti di meraviglia e desiderio di possederlo: vide i loro muscoli tendersi per prepararsi al salto, i loro sguardi sempre incollati alla preda.
Isabel al suo fianco si era voltata e seguiva con lui quello che succedeva, stringendogli il braccio con emozione.
Saltarono tutte in tempi diversi, tendendosi verso l'alto con tutta la loro forza e con mani bramose, cercando di afferrare, ma il bouquet rimbalzò sul palmo di una troppo lenta, sul dorso di un'altra che aveva sbagliato mira e infine sulle dita di un'altra troppo in basso, acquisendo velocità e spinta che lo portò lontano da loro, dritto tra le braccia di Donatello, immobile a bordo pista con espressione attonita.

Il genio strinse il bouquet per riflesso, prima ancora di rendersene conto.
Esplose un boato improvviso, risate incredule e strilli indignati, e il povero mutante di ritrovò nel bel mezzo di una diatriba se fosse giusto o meno che lui lo avesse preso, chi si congratulava con Don per dover esser il prossimo a sposarsi e chi chiedeva che il lancio fosse ripetuto.
Isabel si avvicinò al cognato e quello fece per porgerle il bouquet, come a restituirle qualcosa che fosse suo, ma lei lo risospinse tra le sue mani, con garbo.

Il lancio è valido ed è stato Donnie a prenderlo” annunciò a voce alta. “Spero ti porterà fortuna” aggiunse poi sottovoce, sporgendosi per dargli un bacio sulla guancia.
Don arrossì e piegò la testa, e strinse il bouquet a sé dopo qualche attimo, mormorando un timido ringraziamento.
Ovviamente le risate e le battute si sprecarono e Donnie rispose a tono ad ognuna di loro, sarcastico come solo lui sapeva essere, quando voleva.

Ok, ragazzi, lasciamo perdere i pronostici per il prossimo matrimonio, perché adesso non è importante” disse la voce di Mikey, distogliendo infine l'attenzione dal fratello, che gliene fu infinitamente grato.
Adesso è il momento del primo ballo degli sposi, il loro primo ballo come signore e signora Hamato, anche se dubito che Raph abbia mai fatto ballare Isabel in assoluto, ha la grazia di un elefante.”
Mikey!” tuonò Raphael, suscitando solo risate nel loro pubblico.
Isabel lo prese per un braccio, facendogli dimenticare i propositi omicidi verso il fratellino e insieme si portarono al centro della pista, uno di fronte all'altra: Raph le cinse la vita con un braccio e prese una mano portandola in alto, aspettando l'inizio della musica, come un vero ballerino di coppia.

È stato lo sposo a scegliere la canzone per il loro primo ballo, quindi Isa spero che ti piaccia, e se così non fosse prenditela con tuo marito” annunciò ancora Mikey, prima di far partire la musica, un lieve trillo seguito da un delicato squillare di trombe.

Raphael iniziò a guidarla nel ballo, lentamente, quando la voce di Frank Sinatra si sparse attorno, e le prime parole la fecero sussultare, prima di sorridere con emozione repressa negli occhi scuri.
September in the rain, davvero, Raffaello?” chiese con un filo di voce, lasciandosi guidare da lui con totale fiducia sulle note melodiose e dalla voce velluta, con passi calmi, nemmeno troppo meravigliata che lui potesse essere così elegante nel ballo.
È perfetta per noi, ammettilo, Isa” sussurrò spavaldo Raph, chinando il capo per baciarla teneramente, prima di lasciarla andare per farla volteggiare sulle note delicatamente ritmate.
La strinse di nuovo a sé, con bisogno e possesso, e insieme danzarono persi uno nell'altra, dimentichi delle persone attorno a loro che li guardavano con commozione e felicità, scambiandosi baci rubati tra una scivolata e un volteggio, sulla musica che ricordava loro quel settembre, sotto la pioggia, in cui tutto era cominciato.
Ci fu un grande applauso per loro al termine della canzone e poi tutti si riversarono sulla pista, pronti a scatenarsi nelle danze assieme a loro.
Ballarono ancora e ancora, la canzone successiva e quella dopo ancora, e poi un ballo di gruppo, pressati gli uni agli altri nell'euforia, tra risate e mosse assurde, e stanchezza che diventava di nuovo vigore nell'essere tutti assieme.
Raphael ad un certo punto venne preso di peso da un gruppetto di uomini e lanciato in alto e Isa assisté impotente, mentre facevano baldoria, prima di provare a prendere anche lei per lanciarla: svicolò in fretta dalle loro grinfie, mandando loro una linguaccia e fermandosi a riprendere invece fiato finalmente dopo non sapeva nemmeno quanto.

Fece una giravolta su sé stessa, facendo gonfiare la gonna dell'abito e si guardò attorno con felicità e meraviglia.
Era circondata dalla sua famiglia, da visi felici e risate, chiacchiere e affetto e non poteva essere più euforica di così.
Più fortunata di così.
Se quello era un sogno, sperò solo di non svegliarsi mai. Di restare per sempre in quel paradiso perfetto.
Scivolò leggera tra la ressa di ballerini e schivò un paio di offerte di ballare, andando verso il rinfresco al lato della pista: si versò un drink, sventolandosi con una mano mentre lo centellinava.

Lo sguardo catturò la luce del sole che si rifletteva su una capigliatura dorata familiare e si accorse di Sam, seduta sul corrimano del portico qualche metro più in là, che guardava distrattamente attorno facendo ondeggiare avanti e indietro le gambe e così la lunga gonna.
Isabel poggiò il bicchiere, sollevò appena la gonna e si diresse verso di lei. Samantha si accorse ovviamente che si avvicinava a lei e scese dal corrimano con un gesto fluido, senza creare nemmeno una piega al bell'abito.

Cosa fai qua tutta sola?” domandò Isabel quando l'ebbe raggiunta.
Samantha le sorrise con affabilità, facendo spallucce.

Mikey è dentro per mostrare ad un certo Tora dov'è il bagno” rispose tranquillamente, riportando lo sguardo verso la pista da ballo. La vide sorridere al notare Steve che faceva volteggiare la sorellina con concentrazione e euforia.

Allora ti sequestro per un po'” saltò su Isabel, prendendola per un polso e trascinandola verso il centro della pista.
Cosa? Non so ballare questo genere di musica!” protestò l'amica, indicando verso l'alto, come se Isabel potesse vedere materialmente le note della canzone lenta e tuttavia frizzante.
Condurrò io! Non puoi rifiutare una richiesta della sposa” incalzò Isabel decisa, portandola in mezzo alle altre coppie che ballavano.
Notò i loro sorrisi a vedere le due donne allacciarsi con solo una lieve titubanza, poi Isabel la guidò attraverso la pista e la musica.
Forse non erano propriamente perfette, ma erano comunque uno spettacolo da vedere.

Parla con me, Sam. Come stai?” mormorò Isabel mentre volteggiavano da una parte all'altra.
La ragazza fece una lieve smorfia, un leggero piegamento delle sopracciglia, prima di riportare gli occhi grigi in quelli castani.

Mi sento... colpevolmente felice” confessò suo malgrado.
Non riusciva a mentire a Isabel e comunque sarebbe stato inutile, perché sapeva che aveva già capito.

La sposa le rivolse un sorriso, dolce e tuttavia triste.
Le persone che ci hanno amato e non ci sono più sarebbero felici di sapere che abbiamo trovato altro per andare avanti. Altre persone da amare. Altri scopi e altri affetti. Altri sorrisi e felicità” le disse con gentilezza e calma, portandola con una lieve piroetta verso un altro angolo. “Melissa sarebbe felice di saperti felice, non devi sentirti colpevole.”
La presa nella mano nella sua si rafforzò per un attimo, mentre gli occhi di Sam si inumidivano.

Eppure mi sento in colpa. Non dovrei essere così contenta, non dovrei-”
La voce le morì in un sospiro spezzato, tuttavia strinse i denti e lottò per non piangere e i successivi secondi trasse dei grandi respiri per calmarsi.
Isabel lasciò andare la sua mano e le circondò il viso con entrambe, poggiando la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi, assorbendo un po' del suo dolore con la magia.

Invece devi. Devi vivere ed essere felice, devi essere schifosamente felice e continuare a combattere per esserlo. Anche per Melissa. E se glielo lascerai fare, Michelangelo ti renderà la donna più felice del mondo, ogni giorno della vostra vita.”

La sentì sorridere e le sue mani cingere le proprie, con affetto.
Sei una tipa strana, lo sai? Ma in effetti lo siete un po' tutti” disse Sam senza malizia, con una risatina acquosa eppure più leggera.
Certo che lo siamo. Siamo la famiglia migliore del mondo,” rivelò Isabel, aprendo gli occhi e piantandoli nei suoi, “e anche tu ne fai parte ormai, cognata.”
Samantha arrossì al suo titolo, e scosse la testa per cercare di nascondere l'imbarazzo; Isabel la lasciò andare e dopo averle fatto fare una nuova giravolta, la trascinò verso le altre due donne della sua vita.

Angel e April erano a bordo pista, impegnate a chiacchierare tra loro, la più grande col suo secondogenito in braccio pacificamente addormentato.
Acchiappale!” comandò Isabel a Sam e le due si allungarono per prendere per un braccio le donne ignare.
Si ritrovarono tutte e quattro allacciate in un piccolo girotondo, il piccolo August carezzato da mani gentili e delicate e amorevoli.

Stavo dicendo a Sam che ormai fa parte della famiglia e non può più lasciarla” esclamò Isabel prima che le altre due potessero chiedere spiegazioni per l'improvviso rapimento.
Suona come una minaccia mafiosa, messo così” sospirò incredula Angel, scuotendo la testa. Le altre tre scoppiarono a ridere, quietamente.
Comunque ha ragione, perché se credi che Mikey rinuncerebbe a te facilmente, allora non hai capito nulla del piccolo di casa Hamato” incalzò April verso Samantha, con sincerità.
E nemmeno noi ti lasceremo andare mai via.”
La corazza da dura di Sam si sgretolava scheggia dopo scheggia, col loro affetto e la loro presenza. E ancora si chiedeva se se lo meritasse davvero, se si meritasse tutto quello.

Quindi, anche se è stato Don a prendere il bouquet, ci aspettiamo che il prossimo matrimonio sia il vostro” buttò lì Isabel con un ghigno furbo.
April sembrò incupirsi un attimo, quasi in pena.

Spero che Donnie trovi presto l'anima gemella, se lo merita. È così dolce e gentile, si merita di essere amato” mormorò triste, cullando August.
Anche Leo. Se lo meritano entrambi e speriamo succeda presto. Voglio vedere tutti i nostri ragazzi felici!” aggiunse Isabel, carezzando la guancia di April con premura e affetto.
Ehy Angie,” si intromise Sam, facendo scivolare il soprannome sulle labbra con naturalezza, “tu sei single, dovresti provare. Scegli: il genio o il leader?”
April e Isabel trattennero il fiato, mentre Angel si tingeva di rosso, avvampando completamente.

N- Nessuno dei due!” farfugliò in imbarazzo, sciogliendosi dall'abbraccio di gruppo e svicolando via in fretta.

Samantha la guardò spiazzata, poi si voltò verso le altre due con un'espressione di stupore così comica che quelle le risero in faccia.
Oh, non prendertela. Fa sempre così, ogni volta che parliamo dei fratelli Hamato in quel modo: si imbarazza e arrossisce, si arrabbia o va via” rivelò April, quando le risa si spensero.
Sul serio? E non lo trovate strano? Non pensate che possa esserci qualcosa sotto?” domandò Sam incredula, con un sopracciglio alzato di scetticismo.
Isabel e April si scambiarono un'occhiata perplessa, confuse, poi spalancarono gli occhi colpite dalla rivelazione.

Pensi...”
...che Angel possa...”
...di Leo...
...o Donnie?”
Si erano alternate, troppo sconvolte dalla possibile verità da riuscire ad articolare per bene.

Beh, spero che sia o Leader o Einstein, perché se fosse Mikey non glielo lascio di certo! E dubito Isa le lasci suo marito, dopo tutta la cerimonia” sbuffò Sam con una scrollata di spalle. Poi rivolse loro un sorriso smagliante.
Vado ad indagare. E a darle fastidio!”
Sparì in un lampo, urlando “Oh, Angie” a voce alta, seguendo la fuggitiva con velocità e decisione.

Possiamo essere state così stupide da non vedere la verità per tutto questo tempo?” chiese April quando i loro sorrisi si infransero.
Forse non stupide, ma non avevamo motivo di sospettare... spero solo che sia vero! Se Angel fosse davvero interessata ad uno di loro e quello ricambiasse... sarebbe un sogno!” ridacchiò euforica Isabel, fuori di sé dalla gioia.
Sembra tutto una favola, in effetti.”

Isabel si voltò a guardarla e April notò il luccichio furbo nello sguardo.
E non vuoi aggiungere nulla a questa favola?” sussurrò cospiratoria, così basso che solo l'amica la potesse sentire.
April si bloccò, presa in castagna, poi si portò una ciocca rossa sfuggita all'acconciatura dietro l'orecchio.

Sapevo che lo avevi capito... non so come dirlo a tutti. Insomma, August è ancora così piccolo e noi-”
E cosa pensi che diranno? Saranno felicissimi di sapere che sei di nuovo incinta!” la rassicurò Isabel, afferrando la sua mano.
È il terzo! Non lo avevamo programmato! Ma eravamo così felici quando sei tornata da noi e nei festeggiamenti io e Casey potremmo non essere stati molto attenti e-”
Ok, sono felice! Ma non voglio sapere i dettagli di come lo avete concepito, Ape!”
Ridacchiarono, mentre la tensione si scioglieva dalle spalle della maggiore, con sollievo per come lei l'avesse presa.

Tu e Casey siete felici?”
April annuì, gli occhi verdi che scintillavano.

Allora non hai nulla di cui preoccuparti.”
La mano dell'amica strinse la sua, forte, e Isabel la guardò con confusione.

Mi dispiace” mormorò, abbassando lo sguardo, come se le avesse fatto un torto.

E Isabel capì e lasciando andare la sua mano, la circondò invece piano, per non far male al bimbo stretto nel loro abbraccio.
Non devi. Io e Raffaello non possiamo avere figli, è vero, ma amiamo i vostri come se fossero i nostri. E abbiamo voi e tutti gli altri, abbiamo abbastanza amore attorno.”
April singhiozzò piano sulla sua spalla.

Speriamo che questa sia femmina e non prenda troppo da Casey, per lo meno” mugugnò nemmeno troppo seria, facendo sorridere Isabel.
Rimasero abbracciate per un po', ondeggiando lentamente a ritmo della musica.

Ok, la sposa non deve rimanere qua a consolare una donna incinta in preda agli ormoni” disse alla fine April, tirandosi su e asciugando una lacrima solitaria. “Deve ballare con tutti e godersi la festa. E ballare soprattutto con suo marito!”
Isabel girò lo sguardo e vide che Raphael era nelle spire di Casey, Adam, Leatherhead e il padre di Steve, tutti gli uomini che discutevano animatamente di qualcosa che loro non potevano sentire oltre il frastuono della musica.

Credo che per ora mio marito sia off-limits” mormorò con un sospiro.
Posso invitarti io a ballare?” si intromise una voce alle loro spalle, calma e pacata.
Splinter le offriva una mano con garbo, attendendo una sua risposta.

Sarebbe un onore, padre” soffiò emozionata Isabel, afferrandola con decisione.

Il vecchio maestro la portò al centro della pista e la guidò con una sicurezza che non la stupì, per quanto potesse essere assurdo vedere volteggiare con quella leggiadria un ratto umanoide gigante. Ballarono meravigliosamente, in silenzio e sorrisi scambiati, fino alla fine della canzone, quando Splinter la lasciò andare e le rivolse un inchino, prima di stamparle un bacio sulla fronte, sentito e accorato.
Grazie, figlia mia. Grazie di cuore” le disse semplicemente.
Ma Isabel capì tutto quello che quel semplice grazie voleva dire e non pensava di meritare di essere ringraziata, -semmai era lei che sentiva di dover ringraziare loro e ogni buona stella che l'aveva indirizzata sulla loro strada,- ma piegò la testa e accettò le sue parole, gli occhi umidi di emozione repressa, stringendo le mani dell'anziano padre adottivo, ormai suocero, con affetto.

Il successivo a prenderla per ballare fu Steve, sorprendentemente: il piccolo, ma nemmeno poi tanto ormai, visto che la sovrastava di almeno dieci centimetri e continuava a crescere, si muoveva decisamente impacciato, ma era divertente; era cresciuto così tanto, e non solo fisicamente: era diventato più maturo e sicuro di sé, fronteggiava a testa alta quello che gli si parava davanti e lottava per difendere quello che gli era caro.
Non riusciva a credere che l'anno seguente avrebbe già compiuto diciotto anni.
Il giovane la lasciò andare alla fine della canzone, dandole un bacio sulla guancia come saluto e Isabel non resistette all'impulso di scompigliargli i capelli con fare affettuoso, sicura della sua reazione: Steve arrossì e iniziò a lisciarli compulsivamente, mentre andava verso Uè. Isabel vide il giovane principe della dimensione Nexus sorridere affettuosamente al disastro che erano i capelli dell'amico, prima di aiutarlo a metterli a posto.
Steve si imbarazzo di più e Isabel rise senza ritegno.

Danzò anche con Casey, ridendo ad ogni passo sgraziato che l'amico le fece fare, pure se con aria immensamente concentrata: Isabel captò il ghigno di Raphael che li guardava, mentre ballava poco distante con Angel, al vederla avere a che fare con quello scimmione di Jones. Gli mandò una linguaccia e continuò a farsi condurre nella sconclusionata coreografia di Casey, apprezzando almeno il suo sforzo.
Tuttavia, quando la musica cessò ne fu intimamente grata.

Tocca a me!” esclamò la voce squillante di Michelangelo, mentre la sua mano aveva già afferrato quella di Isabel, attirandola verso di sé.
Gli finì dritta fra le braccia e in un secondo si trovo trascinata in un ballo frenetico. Ma Mikey era un ballerino fantastico, si muoveva con un ritmo invidiabile. Non solo, con gesti accorti e prese studiate riuscì a far ballare anche lei sulla melodia senza farla stancare troppo, nel contempo sorridendo come un matto.
Isabel non credeva di averlo mai visto così sereno e felice come in quella giornata.

Se anni fa qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei ballato con mia cognata al matrimonio di mio fratello, ti giuro che gli avrei riso in faccia e avrei detto che fosse il più grande comico del mondo” iniziò a dire Mikey tra un passo e l'altro, senza neppure il fiatone.
Eppure eccomi qui, con te, mia adorata sorellina, e a rendere questo giorno ancora più straordinario, c'è una fantastica ragazza che ricambia i miei sentimenti e so che tu pensi che non sia così, ma io so che è tutto merito tuo.”
Isabel scosse la testa con forza, rischiando di far cedere l'elaborata acconciatura e cadere la corona, e perdendo un po' il ritmo.

Ma io non c'entro nulla! Tu hai salvato Sam, sei stato tu a farla innamorare di te, essendo solo il magnifico uomo che sei. E te lo meriti, quest'amore che ti sei faticosamente guadagnato!”

Michelangelo la guardò come mai prima, un misto di dolcezza e serietà, nascosto tra bagliori di allegria nei suoi occhi.
Niente di tutto questo sarebbe stato possibile se tu non fossi entrata nelle nostre vite, questo è poco, ma certo. Lo so io e lo sanno gli altri. Grazie, sorellina, per aver reso le nostre vite fantastiche.”
Era inusuale per Mikey lasciar cadere la sua maschera da buffone per fare un discorso maturo, non che non ne fosse capace, ma generalmente era una cosa che lasciava fare agli altri se poteva. Ma quella era una cosa che voleva dirle di persona.
Isabel si sorprese e dopo un attimo si alzò cospiratoria in punta di piedi per sussurrargli all'orecchio:

Non vedo l'ora anche io di poter ballare con il mio fratellone nel giorno del suo matrimonio con una certa biondina.”
Mikey arrossì e perse il ritmo, trascinandola con sé e sulla coppia alla sua destra, facendo rovinare tutti a terra. Isabel si trovò incolume, tenuta su dalle braccia di Mikey, a guardare giù verso il cognato in stato di ilarità misto a imbarazzo.

Isabel! È stato un colpo davvero basso” la sgridò senza cattiveria, mentre lei rideva senza ritegno, ormai.
Lui la attirò a sé e le stampò un grosso bacione sulla guancia, ridendo con lei, prima che Sam accorresse insieme ad Angel per aiutarli a rimettersi in piedi.

Isabel si sistemò la gonna con ampie pacche, mentre con la coda dell'occhio captò Michelangelo e Samantha che si abbracciavano, con naturalezza e quasi bisogno, prima di scambiarsi un tenero bacio a fior di labbra.
Le si strinse il cuore di dolcezza, di deliziosa felicità riflesso della loro.
Anche Angel al suo fianco aveva assistito alla scena, ma l'espressione sul suo viso era indecifrabile e Isabel si morse la lingua per non fare una domanda di troppo.
L'amica comunque si accorse del suo sguardo, evidentemente, perché spalancò gli occhi, come se fosse stata presa in castagna a rubare la marmellata e con le guance rosse si affrettò a scappare via con una scusa.
Isabel non sapeva proprio che pensarne, Angel era un mistero a cui avrebbe dedicato il suo tempo nel futuro, nel tentativo di svelarlo completamente.
Nel frattempo si trovò a ballare ancora, perché tutti sembravano voler danzare con la sposa. Il padre di Steve fu gentile e accorto, Traximus cortese e calmo nonostante la mole, e la madre di Casey ballava esattamente come il figlio, in maniera sconclusionata, ma divertente.

"È il mio turno, se non ti dispiace” soffiò una voce non troppo convinta, quando si trovò a girarsi attorno chiedendo se qualcuno volesse ancora ballare con lei.
Donatello attese che lei annuisse prima di allungare la sua mano e attese ancora che lei la prendesse con garbo, prima di attirarla con gentilezza a sé, come se fosse una cosa preziosa da maneggiare con cura.
Poi la condusse sulla melodia chiara e limpida, ritmata quanto bastava, con naturalezza.
Era strano vedere l'adorabile e a volte assurdo genio muoversi con tutta quella sicurezza in un ballo di coppia, non se lo era mai immaginato, forse troppo abituata a vederlo chiuso nel suo laboratorio o nell'officina con strumenti e provette in mano, per figurarlo a suo agio in una pista da ballo.

Quindi dottor Donnie ha anche la voce ballerino tra i suoi pregi. Dovresti smetterla di essere così perfetto: ninja, genio, dottore e ballerino e poi che altro? Non dirmi che salvi cuccioli di foca nel tempo libero o costruisci orfanotrofi a mani nude, perché giuro che sfociamo nelle qualità di un principe azzurro” esclamò lei, facendolo ridere e arrossire nello stesso istante.
Eppure c'era un velo di tristezza nei suoi occhi, che Isabel sperò di stare solo immaginando.

Lo sai che sei magnifico, vero?” gli confessò, sinceramente.

Donnie piegò il capo con modestia, troppa modestia, nascondendo il suo sguardo dagli occhi inquisitori di lei.
Sono io a doverti fare i complimenti, e non tu. E dirti che sei bellissima, perché è vero, sei stupenda, Isabel, non sono riuscito a dirtelo prima.”
Lei schioccò la lingua contro il palato e lasciò andare un sospiro lieve che il genio non sentì.

È l'effetto dell'abito da sposa, chiunque farebbe questo effetto se lo indossasse, perfino Casey” sbottò semi-seria, e venne ripagata da un grugnito divertito da Donatello, che si era di certo immaginato la scena.
Allora, hai preso il bouquet, secondo la tradizione sarai il prossimo a sposarti” continuò poi, sollevando un sopracciglio cospiratorio.
È molto più probabile che sarà Mikey il prossimo a sposarsi, a dire il vero, per quanto questa frase sia assurda e non riesco a credere di essere stato proprio io a dirla a voce alta” provò a scherzare lui, e Isabel capì che cercava solo di distrarla.
Va bene, allora il prossimo dopo Mikey. O intendi farti soffiare il posto da Leo?”

Don fece un buffo gesto che voleva essere un'alzata di spalle, ma interrotta dal movimento nella danza, e piegò la testa di lato, teso.
Non credo che mi sposerò mai” confessò suo malgrado, con la sua voce dolce e gentile che strideva con la tristezza nelle sue parole.
E Isabel ci lesse l'umiltà che permeava l'intero essere che era Donatello Hamato, ma anche tanta insicurezza.
Questa volta il suo sospiro fu pesante e Don lo sentì in pieno, perché sollevò lo sguardo, incontrando il suo.
Gli occhi di Donnie erano dello stesso colore verde scuro di Raphael e lei non sopportava di vedere occhi così simili a quelli del marito dipinti di quella tristezza.

Se lo dici perché non sei interessato a sposarti, ok, comprendo e rispetto la tua scelta” lo rassicurò, annuendo piano per fargli capire che quel pensiero era valido e giusto come qualunque altro.
Ma se dici una cosa del genere perché pensi che non troverai mai l'amore, che non meriti di essere amato, allora permettimi di dissentire, perché qualunque donna, o uomo, o alieno o qualsiasi altra forma di vita ruberà il tuo cuore sarà indubbiamente e sfacciatamente fortunato, uno dei più fortunati al mondo.”
Don trattenne il fiato, forse di emozione, e lei notò il suo colorito verde oliva scurirsi nelle guance, la sua bocca si aprì un paio di volte per provare a ribattere, ma sembrò ripensarci e con un timido ringraziamento strinse più forte la presa nella sua mano e la condusse in silenzio, la sua mente persa in chissà quale ragionamento o pensiero, troppo complicato per poterlo esprimere a parole.
O forse era solo paura.
Isabel rispettò il suo silenzio, rispettò la sua modestia e sperò solo che le sue parole, che pensava sul serio, fossero arrivate all'insicurezza del cognato, incrinandola anche solo un po'.
Donatello meritava felicità, tutti loro la meritavano, ma Donnie le era sempre sembrato il più triste e malinconico dei quattro, come rassegnato, e quella era una cosa che le faceva male.
Che non riuscisse a vedere quanto fosse magnifico.
La musica finì e Don le rivolse un lieve inchino col capo, prima di pensarci e sporgersi verso di lei e poggiarle un timido bacio sulla guancia, lasciandola andare.
Le sorrise con affetto, allontanandosi dalla pista con sguardo meditabondo e sognante e Isabel si chiese cosa mai pensasse.

Posso avere anche io un ballo con la sposa?” domandò una voce conosciuta alla sua destra, attirando la sua attenzione, facendole dimenticare all'istante di Donatello.
Si voltò verso Leonardo, in silente attesa di un suo cenno o risposta e si limitò a sorridergli: lui le tese la mano e la attirò piano a sé, con gesti calcolati e fluidi, nessuna esitazione o errore.

Sei bellissima” le disse semplicemente, mentre le note di un valzer si spargevano intorno. Piuttosto inusuale, ma non era il peggio che Mikey avesse messo fino a quel momento.
Leonardo comunque non ne sembrava minimamente scoraggiato, anzi, le sue pose e i suoi movimenti erano perfetti, degni di un ballerino provetto, perfino il modo in cui piegava la testa, e riuscì a guidare lei, una totale frana in un ballo del genere, quasi con naturalezza.

Grazie, anche tu stai decisamente bene in smoking” rispose Isabel sinceramente, cercando di fare attenzione ai passi senza guardarsi i piedi come una pivella.
Ed era vero, Leo in smoking stava scandalosamente bene, e non solo lui, anche i suoi fratelli e in special modo Raffaello erano indecentemente attraenti, e quello era un pensiero che avrebbe portato nella tomba.
Leo ringraziò distrattamente, ogni attenzione al ballo, e Isabel si sentì come se non stesse toccando il pavimento da quanto veloce lui si muovesse e la facesse muovere, e lei dava l'impressione di sapere quello che stesse facendo.

Ok, è assurdo, devo chiederlo: dove diamine avete imparato tutti a ballare così bene? Non è possibile che vi muoviate tutti con un'eleganza e una sicurezza che non ci sia aspetta di certo da quattro gigantesche tartarughe mutanti!”
Leonardo la occhieggiò impassibile per un secondo, altero nella sua statuaria bellezza.
Dio, avrebbe potuto partecipare ad una gara di ballo da sala e vincere anche. Tuttavia Isabel notò l'angolo delle sue labbra che lottava per non incurvarsi all'insù,

Fa parte dell'allenamento da ninja, a dire il vero. Abbiamo imparato da piccoli a lottare, sparire nelle ombre, lanciare shuriken e ballare” disse infine con tono sostenuto, quasi come se fosse vero.
Isabel scoppiò in una grossa risata e fu gratificata dal sorriso che infine Leonardo si lasciò scappare, per averla fatta divertire.
Volteggiarono delicatamente, ridendo quietamente tra loro.

Sei felice?” le chiese Leo, d'un tratto, facendola scivolare sulle note della musica.
Isabel piantò gli occhi nei suoi e annuì.

Sì, sono davvero felice.”
Rimasero a fissarsi per qualche altro attimo, mentre la canzone arrivava quasi alla sua fine, le note melodiose e tristi.

E tu, Leo?”
Lui piegò la testa, e non per effetto della coreografia, e i suoi occhi scuri scintillavano di dolcezza.

Sì, lo sono. Sono davvero felice per voi. Ve lo meritate, tutto questo e anche di più. Sono felice, cara cognata” confessò, rimanendo ad ammirare il sorriso emozionato che apparve nel viso di Isabel al sentirsi chiamare così da lui.
Con un gesto deciso, ma gentile, la accompagnò nell'elegante casquè, tenendola in sospeso con un tocco fermo sulla schiena per qualche secondo.
Sentirono entrambi dei lievi applausi in sottofondo, ma non ci fecero caso.

Quando Leo la riportò su, le circondò delicatamente il viso con le mani e le piantò un bacio lieve sulla fronte, fraterno.
Stagli dietro, ok? Ti darà il tuo bel daffare, ma tu non farti mettere i piedi in testa. Se c'è una che può farcela, sei tu” le disse ritornando a guardarla, con divertimento e affetto.
Isabel annuì commossa, non fidandosi più di tanto della sua voce al momento.
Leonardo la lasciò andare e le prese una mano, facendole un lieve inchino, pronto a congedarsi.

Posso avere mia moglie indietro?” chiese gentilmente una voce profonda di fianco a loro.

Si voltarono entrambi ad osservare Raphael, con una mano tesa in avanti, aperta e in attesa, come un perfetto gentleman.
I due uomini si scambiarono un'occhiata, poi Leonardo mise la mano di Isabel che ancora teneva nella sua su quella del fratello.

Con piacere, è tutta tua, Raph” esclamò, un occhiolino complice, lasciandola andare.
Il sorriso di Raphael era lo specchio di quello del fratello maggiore, e con un cenno lieve della testa gli disse più di quanto non riuscisse a fare a parole.

Il leader sparì in un lampo, lasciandoli da soli al centro della pista, mentre le note di una nuova canzone si diffondevano attorno a loro.
Isabel conosceva quella canzone e l'amava.
Raphael la circondò per la vita e lei allacciò le sue braccia al collo di lui, lo sguardo perso in quello del marito.
Danzarono lentamente sul ritmo lento e dolce, fronte contro fronte, spezzato ogni tanto dal suono graffiante delle trombe, senza bisogno di dirsi nulla, godendosi ogni istante dell'inizio della loro vita assieme.
Se solo pensavano a tutto quello che avevano dovuto passare per arrivare a quel momento di pura felicità, sembrava davvero tutto solo un sogno.

Sei felice?” sussurrò Isabel. “Perché io lo sono. Sono schifosamente felice, Raffaello.”
Il mutante sorrise alle sue parole dolci e tuttavia crude, come solo lei sapeva essere.
La presa sulla sua vita si fortificò per un attimo, quasi con possesso.

Non credo di essere mai stato più felice in tutta la mia vita” ammise, anche se sapeva di suonare sdolcinato. Ma con Isabel poteva essere anche quello senza vergogna.
Il sorriso che illuminò il viso di Isabel mentre si sporgeva per baciarlo era tinto di amore e una punta di malizia, prometteva dannazioni e benedizioni insieme.

E aspetta di vivere il resto della nostra vita insieme, Raffaello, il meglio deve ancora venire” proferì, prima che le sue labbra si chiudessero su quelle di lui, in un bacio totale.

La musica finì, ma loro non se ne accorsero e continuarono a danzare, ignari perfino degli applausi fragorosi e dei fischi dei loro amici e della loro famiglia, tutti uniti nel giorno più bello della loro vita.




Note:

In principio Isabel doveva chiamarsi Aurora, un nome che amo e che avrei voluto mettere ad una mia ipotetica figlia, se mai ne avessi avuto una, ma dato che c'erano già Angel e April che iniziavano con la lettera 'A' poi il nome è stato cambiato, comunque Aurora è rimasto come suo secondo nome.

Jervis e Michelle sono riapparsi per la cerimonia, e mi è piaciuto ritrovarli un po'.
Raph Principe Consorte è buffo come concetto, e non è importante in effetti, ma sì, il nostro Raph ha sposato una regina, quindi è entrato nella famiglia reale.

Questo capitolo è ridondante, non so nemmeno quante volte si ripetono le parole ridere, sorridere e abbraccio, in tutte le loro declinazioni, è puro fluff, ma penso che dopo tutto il dolore di questa storia fosse necessario e io l'ho trovato come un balsamo per il mio animo.
Spero che a voi sia piaciuto.
Spero che questo epilogo vi sia piaciuto, che siate stati contenti di ritrovare certi personaggi, delle loro reazioni, di tutta la cerimonia in generale.


Non riesco a credere di aver finalmente finito questa storia dopo cinque anni.
È passato così tanto tempo, sono successe così tante cose, ma ho continuato a pensare a questa storia, al desiderio di finirla.
Sono davvero molto felice di esserci riuscita, sento un senso di completamento, eppure mi sento anche un po' triste. Mi mancherà infinitamente.


Ora, 'Don't let me go' è terminata, ma la serie 'Heart's Mutation' non è ancora completa.
Manca l'ultima storia, “The best is yet to come”, che viene citata alla fine di questo capitolo: la canzone che Isa e Raph ballano alla fine è “The best is yet to come” di Frank Sinatra, e la promessa che lei gli fa “il meglio deve ancora venire” è proprio la sua traduzione.

Non so quanto ci metterò a finirla, non voglio fare promesse che non so se riuscirò a mantenere, ma sappiate che la finirò. Ci metterò anni, forse, ma la finirò.
E il primo capitolo è già postato, corretto a tempo record, bruciavo dalla voglia di iniziare una nuova storia insieme a voi, per chi vorrà seguirla.


Ringrazio tutti voi che mi avete accompagnato in questa avventura, con pazienza e gentilezza, e spero che stiate bene, soprattutto in questo periodo duro.
Vi abbraccio digitalmente, l'unico contatto concesso in questo periodo buio, ma un abbraccio sincero e pieno di affetto.
C'è sempre la luce dopo l'oscurità più nera.
Abbraccio,  
Switch

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