Jumping into the past di Darkovana (/viewuser.php?uid=137334)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jump ***
Capitolo 2: *** Not just a nightmare ***
Capitolo 1 *** Jump ***
time
I
professori quando vogliono sanno
essere interessanti a volte, sopratutto quando gli argomenti non sono
da meno. L'olocausto è uno di quelli, perché
è storia così
recente che è impossibile rimanerne indifferenti.
Ciò che è stato
in quegli anni tremendi è ancora così vivido che
la storia per
alcuni non è solo qualcosa da studiare, sono veri ricordi.
In classe non c'era la solita aria
allegra ricca di commenti volanti, c'era silenzio. Anche il tempo
sembrava voler dare la sua solidarietà con i suoi cupi toni
grigi,
niente pioggia, solo un tetro grigiore. La lezione procedeva adagio
seguendo i ritmi delle testimonianze di quegli ormai anziani
sopravvissuti che erano lì per donare, a chi aveva la voglia
di
ascoltarli, pezzetti della loro memoria.
Non tutti prestavano attenzione in
realtà, ma in fondo non aveva importanza perché
quelle parole non
sarebbero mai state sprecate. Era importante che si sapesse cosa era
accaduto veramente, non sarebbe mai dovuto ricapitare e se la ragione
non fosse bastata a prevenire una nuova guerra, la paura forse
l'avrebbe fatto.
Seduta al banco nella terza fila
accanto alla finestra, Gaia non riusciva a scollare gli occhi da
quella vecchietta dalle spalle ricurve e gli occhi acquosi che aveva
appena mostrato il numero tatuato sul suo braccio. Era come una
calamita per il suo sguardo, così piccola e fragile che Gaia
non
riusciva proprio ad immaginare come avesse potuto farcela in un
Campo.
Il viso dell'anziana signora, solcato
da profonde rughe attraverso il quale però si riusciva
ancora a
scorgere la grazia e la bellezza della giovinezza, si
sollevò appena
e diresse lo sguardo verso di lei. Gaia si stupì quando le
sorrise
benevola come per incoraggiarla a fare una domanda o a commentare
quanto era stato detto. Non aveva intenzione di dire nulla, ma di
pensieri ne aveva tanti, le sarebbe piaciuto parlare in privato con
lei, senza nessuno a disturbarle. Non che avesse paura del giudizio
di qualcuno o del confronto, semplicemente non le piaceva mettersi in
mostra.
Quella
notte, stesa sul suo letto,
immersa fino al collo nel pesante piumino, le parole che erano state
dette a lezione da quei testimoni e poi alla sera da suo nonno mentre
cenavano, le rimbombavano ancora nella testa. Il silenzio sembrava
innaturale, un altro anno, un altro gennaio, un altro giorno per
ricordare ciò a cui nessuno può pensare senza che
gli si torcano
almeno un po' i visceri. Gaia aveva la bocca dello stomaco sigillata
e un leggero senso di nausea. Il sonno era tanto lontano che la sola
idea di potersi addormentare le appariva ridicola. Erano ormai le due
passate quando il richiamo di una civetta ruppe il silenzio. Gaia si
girò e rigirò nel letto cercando una posizione
più comoda che le
placasse almeno un po' i dolori allo stomaco che erano andati via via
aumentando man mano che passavano le ore. Nonostante il malessere
fisico però erano altri i problemi a cui era rivolta la sua
mente,
problemi del passato e del futuro. Sarebbe mai potuto accadere tutto
una seconda volta?
Immagini sconnesse e terrificanti le
appannarono gli occhi chiusi nel tentativo di addormentarsi.
All'improvviso, senza che lei avesse avvertito nulla cambiare attorno
a sé, alcune di quelle immagini confuse si distinsero tra le
altre
raggruppandosi a formare qualcosa simile ad un ricordo, non un sogno,
no, ma un vero e proprio ricordo che però non poteva essere
suo.
Un connubio di colori vivaci occupò
ogni cosa. Ma il verde, quel verde tra tutto padroneggiava sicuro e
naturale.
Spaventata, Gaia mise avanti le mani
cercando qualcosa di solido al quale aggrapparsi. Era come essere
sulle montagne russe, la stessa sensazione di vuoto opprimente che
sopraggiunge non appena comincia la discesa. All'inizio tutto le
parve immensamente labile e impalpabile, ma presto quelle immagini
assunsero anche una sostanza e i suoi piedi toccarono finalmente
quella che aveva tutte le sembianze di essere terra.
<< Ma che diavolo... >>
Il suo letto, la sua stanza, la sua
casa, tutto scomparso. Attorno a lei solo alberi, cespugli e tanti
tanti insetti fastidiosi che le ronzavano nelle orecchie.
<< No, oh cavolo, no, per
piacere... non di nuovo. >>
Gaia si alzò sbuffando da terra e si
spazzolò via i fili d'erba dal pigiama e dai capelli.
Erano anni ormai che non le accadeva
più, non si ricordava nemmeno più quando le fosse
successo l'ultima
volta, ma non aveva nessuna intenzione di tornare a frequentare il
suo team specializzato di neuropsichiatri e psicologi. Aveva dovuto
sopportare tutto troppo a lungo prima di imparare che era meglio
mentire piuttosto che continuare a raccontare ai suoi genitori quando
quel suo piccolo inconveniente puntualmente tornava a ricordarle che
lei non era come gli altri bambini. Il suo problema non era la
pipì
a letto o la paura del buio, no sarebbe stato troppo semplice e
meraviglioso potersi preoccupare per cose tanto insignificanti. Gaia
viaggiava indietro da quando aveva sei anni. La prima volta era stato
un vero shock e quando era tornata non aveva detto una parola per
almeno una decina di giorni. Solo allora aveva trovato il coraggio
per raccontare quello che le era successo, ma nessuno le aveva
creduto, anzi, i suoi l'avevano immediatamente e letteralmente
trascinata di peso da un amico di famiglia, uno psicologo, il primo
dei tanti che aveva conosciuto fino a che aveva smesso completamente
di raccontare ciò che le accadeva durante la notte, mentre
dormiva e
i suoi sogni la trasportavano lontano, indietro nel tempo, non
necessariamente nello stesso luogo dal quale era partita, solo
indietro, ovunque. I medici l'avevano monitorata a lungo durante quel
periodo, in alcuni casi anche filmandola mentre dormiva, ma nulla.
Non era mai saltata quando sapeva di essere osservata, mai nemmeno
una volta, indipendentemente dal fatto che lei lo volesse o meno.
Questa volta non sarebbe stato diverso
da quando era bambina. L'unica cosa che doveva fare era aspettare,
cosa che in teoria non sarebbe dovuta essere affatto difficile.
<< Perfetto... chissà dove e
quando caspita sono finita . >> si chiese.
Intorno a lei sembravano esserci solo
alberi. Magari sono capitata nel pleistocene, pensò. Per
quanto ciò
fosse improbabile visto che non era mai andata più indietro
di cento
o cento cinquant'anni, di fatto non era impossibile. Con ogni
probabilità comunque era più facile che si
trovasse in qualche
foresta o nel bel mezzo di una riserva.
Senza sapere cosa fare Gaia, pronta ad
attendere il tempo necessario, si accovacciò in terra e si
distese
sull'erba soffice resa tiepida dai caldi raggi del sole godendosi
quel tepore per qualche istante, una vera e propria gioia dopo il
freddo di gennaio del suo tempo. Lì sdraiata, beatamente in
pace con
il mondo, cercò di non pensare a nulla in particolare, si
stiracchiò
e diresse lo sguardo verso il cielo che non era mai differente,
indipendentemente da quanto indietro saltasse, lui era sempre
lì, lo
stesso ogni volta, immutabile, per lungo tempo era stato per lei un
vero e proprio punto di riferimento ovunque si trovasse. Dopo un
tempo che le sembrò lunghissimo, piano piano, si
tirò su e si mise
a giocherellare con l'erba. Era rimasta in pigiama, un pigiama in
cotone pesante, che stava cominciando a farla sudare sotto quei raggi
decisamente troppo caldi.
Passarono i minuti, poi le ore. Gaia
aveva cambiato almeno un centinaio di posizioni diverse, aveva
scortecciato tutti i rametti caduti lì intorno e fatto
ghirlande e
composizioni coi fiorellini di campo cresciuti a grappoli un po'
ovunque.
Alla fine, stufa di rimanere ferma a
fare nulla, e sicura che comunque non le sarebbe accaduto niente di
male, si decise a spingersi oltre i cespugli, non molto, ma
abbastanza da avere per lo meno una visuale diversa da quella che
ormai stava contemplando da ore.
Procedette ancora qualche passo, aveva
sete e non le sarebbe certo dispiaciuto trovare qualche fresco corso
d'acqua. Alla fine però, stanca di camminare, e ormai in
ansia per
il troppo tempo che era passato dal salto, Gaia cominciò
davvero a
preoccuparsi. Non era mai stata via così a lungo.
<< E adesso cosa faccio? >>
disse quasi rivolgendosi agli alberi intorno a lei.
Nervosa, si rialzò e si appoggiò al
tronco di un vecchio olmo frondoso per scavalcare una grossa radice.
Qualcosa però la distrasse facendola inciampare
rovinosamente. Delle
voci venute dal nulla sembravano avvicinarsi in fretta, semplicemente
un momento non c'erano e il momento dopo eccole lì,
pericolosamente
vicine come le persone a cui appartenevano.
Gaia, rimase ferma immobile, in
silenzio, le orecchie tese in ascolto. Dovevano essere bambini o
ragazzi forse, i toni vivaci e i timbri acuti delle loro chiacchiere
parlavano abbastanza chiaro.
In ogni caso decise di rimanere
nascosta. I proprietari delle voci si fecero vivi presto, apparvero
da dietro un piccolo tumolo, erano in dieci oltre il ragazzo
più
grande, 6 ragazzi e 4 ragazze tutti coperti di foglie e con i vestiti
macchiati di erba come chi è reduce di un grande e
avvincente gioco.
I vestiti dicono sempre molto
sull'epoca in cui si è e Gaia, dai pantaloncini con le
bretelle e
dai vestitini in cotone sopra le ginocchia delle bambine, dedusse di
trovarsi per lo meno nel novecento, quali anni non avrebbe saputo
dirlo, ma per lo meno era certa di non essere finita troppo indietro.
I bambini parlavano italiano e nessuno
di loro doveva avere più di tredici o quattordici anni
tranne un
unico alto ragazzo che doveva essere sui diciassette o diciotto.
Erano una decina e nessuno di loro aveva l'aria di chi passa il tempo
ad annoiarsi. Gaia sorrise e quasi le dispiacque che presto tutto
sarebbe finito e lei sarebbe dovuta tornare alla noia di sempre.
Il gruppetto, a quanto pareva non aveva
alcuna intenzione di andarsene dalla piccola radura, e Gaia ne era
proprio al limite, accucciata dietro a due grandi cespugli di more,
col piede ancora accanto alla radice che l'aveva sbilanciata,
iniziava a sentire i muscoli intorpiditi a causa della posizione a
dir poco scomoda a cui si era costretta per evitare di fare un
qualsiasi rumore. L'ultima cosa che voleva era spaventare i bambini e
farsi scoprire.
Purtroppo però la ragazza non aveva
fatto i conti con la sua naturale predisposizione alle allergie e
nemmeno con l'innocuo grappolo di ambrosia che ora le stava
solleticando il naso. Le narici cominciarono a pruderle, la gola a
bruciare e gli occhi a lacrimare. Ecco fatto, adesso sì che
sono nei
guai, pensò poco prima che un poderoso starnuto la facesse
sobbalzare.
Tutti i bambini si fermarono
all'unisono e puntarono i loro occhi vivaci e un po' sorpresi verso
di lei, accovacciata a terra e con un'espressione di puro imbarazzo
in viso. Come avrebbe spiegato la sua presenza lì adesso?
<< Ehi, ehi... ragazzi calma...
>> il ragazzo più grande, dal corpo di chi non
spreca un
giorno a crogiolarsi nell'inattività, si avvicinò
tranquillamente
al cespuglio di more di Gaia e rimase in piedi a fissarla come se
fosse una scoperta interessante di cui si sta cercando di indovinare
il valore.
<< Chi sei? >> domandò con
naturalezza carismatica.
<< Nessuno. >> rispose lei
con un lieve sorriso sulle labbra citando Ulisse.
Il ragazzo sorrise di rimando e le tese
una mano per aiutarla a rialzarsi: <> Gaia accettò l'aiuto e
aspettò qualche secondo prima
di controbattere. Gli altri sembravano pendere dalle labbra del
ragazzo e rimasero ad osservare il breve scambio si battute con
curiosità.
<< Non vi stavo seguendo, e ad
ogni modo non credo di dovere delle spiegazioni né a te
né a nessun
altro. >> cercò di giustificarsi, e poi:
<< Ah, per la
cronaca, Nessuno è sinonimo di Gaia se ti interessa saperlo.
>>
<< Gaia è molto meglio di
Nessuno.>> le disse con un mezzo sorriso stampato sulle
labbra.
<>
le lanciò
un'occhiata un po' divertita << Ti sei persa?
>>
<< No che non mi sono persa, io
sto... sto facendo una passeggiata. >> mentì.
<< Senti noi stiamo andando alla
cascatella per una nuotata, non posso fare tardi, devo riportarli
indietro prima del tramonto o le loro mamme chi le sente poi, ti va
di venire? >> la domanda fu tanto esplicita e veloce che
Gaia
ne rimase stupita. Era ovvio come il sole che non si trovava nel suo
tempo, lì nessuno si sarebbe mai sognato di invitare
così una
sconosciuta trovata nascosta dietro un cespuglio in un bosco.
<< Non credo sia il caso. Cosa ne
sapete voi di me, potrei essere pericolosa. >>
<< Oh, sì certo >> Adam la
squadrò dalla punta dei piedi fino alle punte dei capelli e
scoppiò
a ridere, una risata allegra e solare. << sono sicuro che
tu
sia pericolosissima. Ma l'invito rimane valido, allora che vuoi fare?
>> I bambini più piccoli, tra gli otto e i
dodici anni, gli
fecero eco nel tentativo di convincerla dicendo che era ovvio che
Adam la volesse con loro, in fondo lei era bella e lui era un capo e
ai capi non si dice mai di no. Le ragazzine invece misero in campo
l'argomento che non c'era nulla di male, e che a controllare che lei
e Adam non combinassero nulla di illecito, come dicevano l cosiddetto
capo e la supplicarono di andare con loro. Qualcuno dei maschietti
cercò di e loro mamme, c'erano loro e che avrebbero tanto
voluto
giocare con una ragazza una volta tanto, erano stufe di fare sempre
giochi da maschi.
<< Ma se nemmeno mi conoscete? >>
<< Sappiamo, il tuo nome...
cos'altro c'è da conoscere di una persona? E poi, ti sei
guardata
bene, hai l'aria di una che si è proprio persa, quindi direi
che
alla fine della giornata potremmo darti una mano noi a tornare a
casa. >> disse uno dei ragazzini cercando l'approvazione
nei
suoi occhi. Il ragazzo sorrise e rivolse lo sguardo verso Gaia.
In fondo che male ci sarebbe stato, lei
e Adam dovevano avere circa la stessa età. E poi in ogni
caso tra
non molto avrebbe compiuto di nuovo il salto, quindi il problema non
sussisteva nemmeno.
<< Va bene vengo... >>
acconsentì lei.
Durante il viaggio verso la cascatella
Gaia e Adam conversarono a lungo. Lui aveva quasi diciassette anni,
lavorava da due anni come assistente di suo padre alla fattoria della
sua famiglia e avrebbe tanto preferito andare a scuola piuttosto che
continuare quella sua scialba vita noiosa. Gaia scoprì che
tutti gli
altri bambini erano i suoi cuginetti più i suoi due
fratelli
Davide e Noah e la sua sorellina Camilla. Era una settimana ormai che
la sua famiglia si era riunita per i preparativi del matrimonio della
sua sorella maggiore che si sarebbe tenuto l'indomani. A lui e alla
sue cugine era stato affidato il compito di occuparsi dei bambini
mentre gli altri si curavano del resto, ma le ragazze si erano
rifiutate di sporcare i loro adorati abitini insieme ai bimbi e
così
era rimasto solo lui, l'unico cugino maschio abbastanza grande da
poter essere considerato responsabile.
Quando Adam smise di parlare toccò a
Gaia portare avanti la conversazione, ma l'unica cosa a cui riusciva
a pensare era a "quando" caspita fosse capitata. Ci ragionò
su un po' prima di riuscire ad articolare qualcosa di minimamente
sensato da dire.
<< Adam? Tu credi nelle cose
impossibili? >> la stessa domanda suonò
ridicola anche a lei.
<< Certo che ci credo. Altrimenti
hai idea di quanto sarebbe tutto monotono? Perché ?
>>
<< So che ti sembrerà strano, ma
mi ricorderesti in che anno siamo per piacere? >>
<< Siamo nel trentotto perché me
lo chiedi? >>
<< Millenovecento? Intendi 1938?
>> gli occhi di Gaia si fecero grandi al ricordo dei
pochi
istanti che aveva passato prima di compiere il salto, le tornarono in
mente tutti i pensieri diretti alle persone vittime della guerra, a
tutto quello era successo in così poco tempo e alla
crudeltà di cui
tanta gente era stata capace.
<< Gaia ti senti bene? >>
la vocina sottile e dolce di Camilla forò il silenzio.
<< Sì, sì tesoro. Sto benissimo
stai tranquilla. Sono un po' stanca però, è tutto
il giorno che
sono in viaggio. Adam che ne pensi di fare una sosta? >>
Non
era la stanchezza a turbarla però, il problema era un altro.
<< Ma siamo quasi arrivati... >>
<< Ti prego >>
Così si fermarono nei pressi di una
piccola grotta dal quale Adam avvertì di tenersi
rispettosamente
alla larga per evitare di imbattersi in animali poco propensi alle
nuove amicizie. Già da quel punto si poteva sentire lo
scorrere
vitale di quella che doveva essere l'acqua della cascatella, ma nulla
di tutto ciò ebbe alcun effetto sull'umore di Gaia.
Indecisa su cosa fare, o meglio su cosa
dire, mentre i bambini erano occupati a cercare tra i cespugli di
mirtilli quelli più grossi e più blu, Gaia
individuò un sasso
abbastanza grande e non troppo appuntito sul quale sedersi e, senza
avere il coraggio di guardare nessuno di loro negli occhi, prese
posto sulla roccia fredda e umida. Quanti di loro sarebbero morti a
causa della Guerra?
Adam aiutò i bambini più piccoli a
raccogliere delle more da un cespuglio vicino e poi la raggiungesse.
Le si sedette a fianco e rimase fermo con la faccia rivolta verso il
cielo a godersi il tepore del sole.
<< Sicura che vada tutto bene? >>
le chiese a bruciapelo senza spostare gli occhi da una strana nuvola
a forma di elefante che aveva attirato la sua attenzione.
<< Sì, certo, te l'ho detto,
sono solo un po' stanca, non sono abituata a camminare tanto.
>>
Gaia sorrise con le labbra, ma tutto il resto di lei emanava ancora
un' inquietudine e una tristezza che sembravano esserlesi appiccicate
addosso con la colla.
<< Sai, forse se mi dicessi che
succede potrei darti una mano. >> finalmente Adam
lasciò
perdere la nuvola che ormai aveva cambiato forma e tornò a
concentrasi su di lei. Aveva capito ancor prima di guardarla, sapeva
che qualcosa non andava, forse lo avvertiva inconsciamente. Ci sono
persone che non hanno bisogno di usare la vista o l'udito per
rendersi conto di certe cose, Adam evidentemente era una di queste.
I bambini correvano allegri qua e là
giocando a prendersi e lanciandosi more e mirtilli, alcuni di loro
erano ricoperti di macchie rosse e blu dalla testa ai piedi.
Con gli occhi fissi su di loro Gaia non
riusciva a né rispondere né a cambiare argomento.
<< Vuoi ancora venire con noi?
Perché altrimenti guarda che non devi sentirti obbligata.
>>
disse Adam un po' sulla difensiva come se si sentisse responsabile
del suo cambiamento d'umore.
<< No, davvero, voglio venire.
Non preoccuparti, non è niente, solo qualche pensiero cupo,
tutto qui. >>
<< Come vuoi... >> per un
secondo Gaia pensò che la sua sintetica spiegazione sarebbe
bastata
a chiudere la questione, l'unica cosa che voleva era smettere di
pensare e cominciare a godersi un po' l'improbabile situazione in cui
era stata catapultata, ma Adam non era dello stesso avviso.
<<
Senti, lo so che non è affar mio, ma cosa ci facevi in giro
da sola
per il bosco. Stai scappando? >>
Imbarazzata come non mai, il viso di
Gaia cambiò tonalità.
<< No, io...non sto scappando da
niente e da nessuno. >>
<< Ma allora cosa ci fai qui? Non
c'è niente qui intorno, so che non vivi nei paesini nei
dintorni
perché conosco praticamente tutti. Tu non sei propriamente
una
ragazza che passa inosservata. >> questa volta fu lui ad
arrossire. << Di solito le ragazze come te hanno altro a
cui
pensare piuttosto che starsene accovacciate sotto un albero a spiare
le persone di passaggio. >>
Gaia si sistemò meglio sulla roccia,
doveva pensare in fretta a una frottola sufficientemente plausibile
da tenere a freno la disarmante curiosità di Adam. Quando
però si
rese conto della realtà dei fatti tirò un
profondo sospiro e si
preparò ad essere presa per una pazza scappata da un
manicomio.
Anche se gli avesse detto la verità
che cosa sarebbe cambiato? Comunque tra non molto lei avrebbe
compiuto il salto che l'avrebbe riportata a casa e lui l'avrebbe
semplicemente vista scomparire davanti ai suoi occhi. A quel punto
sarebbe stato costretto a crederle.
Gaia aveva letto abbastanza libri e
visto abbastanza film per sapere che quello che stava per fare era un
azzardo, poteva rischiare di cambiare qualcosa nella storia. Aveva
sempre immaginato il continuum spazio temporale come qualcosa di
terribilmente delicato, ma per una volta si rese conto che la cosa
non le importava, se anche ci fosse stata una minima
possibilità di
fare una qualche differenza nel destino di quei bambini o di Adam,
lei ci avrebbe provato.
Decise che sarebbe bastato un
avvertimento, una pulce nell'orecchio a ricordargli di fare
attenzione e un monito di speranza così che, anche se le
cose si
fossero messe male, loro avrebbero saputo che non sarebbe durato per
sempre.
<< Sei sicuro di volere la
verità? >> lui le lanciò uno
sguardo obliquo e fece cenno di
sì con la testa.
<< Adam, poco fa ti ho chiesto se
credi nelle cose impossibili. Tu hai risposto di sì, non
è vero? >>
chiese.
<< Sì certo, perché?
>>
<< Se ti dicessi che io stessa
sono una cosa impossibile cosa penseresti? >>
<< Probabilmente che hai ragione.
Sei un po' particolare credo, quante ragazze sconosciute che
accettano di seguire un branco di ragazzini al seguito di un
diciassettenne grande, grosso e pericoloso conosci tu? >>
le
rivolse uno sguardo eloquente e divertito << o
perché indossi
quei vestiti strani o perché hai quell'aria trasognata un
po' buffa.
>> Gaia non si aspettava nemmeno che lui rispondesse.
Santo
cielo ma chi è questo ragazzo? Pensò mentre
ancora fissava i suoi
occhi così scuri da sembrare neri quando non erano
illuminati dalla
luce diretta. Adam era un ragazzo non da poco: alto e abbastanza
muscoloso, i muscoli di chi è abituato a lavorare e un viso
sicuramente avvezzo alle risate, i capelli anch'essi di un castano
scuro e spettinati erano tenuti corti. Gaia si soffermò un
secondo
sulle sue orecchie prima di riprendere a parlare, erano leggermente a
sventola, ma nel complesso il viso era comunque armonioso.
<< Io ecco... Adam, non so come
spiegarti... Non sono qui per una mia scelta, ci sono semplicemente
capitata. >>
<< Non credo di capire. >>
<< Lo so, non mi aspetto che tu
capisca. >> queste parole le costarono un'occhiataccia,
una di
quelle che di solito si riservano alle persone snob e un po'
antipatiche. Gaia si affrettò a correggere il tiro.
<<
L'ultima cosa che ricordo è di essere andata a dormire e poi
boom,
eccomi qui. >>
Spiegargli come erano andate le cose si
stava rivelando molto più arduo di quello che si era
immaginata.
<< Hai preso una botta in testa?
Forse hai un'amnesia >> Adam si avvicinò alla
sua faccia così
tanto che lei poté sentire il suo respiro caldo sula pelle,
la prese
alla sprovvista, il suo cuore accelerò i battiti.
<< Che cosa stai facendo? >>
<< Controllo le tue pupille,
spero che tu non abbia un trauma cranico. Non hai idea di quante
volte i miei fratelli prendano delle colossali zuccate mentre
giocano. Una volta Camilla cadendo ha picchiato la testa contro un
sasso ed è rimasta confusa per tutta la giornata.
>>
Gaia ristabilì la distanza tra di
loro, ma assicurandosi di non perdere il contatto visivo nemmeno per
un istante.
<< No Adam, non ho perso la
memoria. Non ho mai capito il meccanismo che sta dietro ai miei
"salti", so solo che mi succede e basta. Un attimo sono in
un certo posto e in un certo tempo e l'attimo dopo sono da un altra
parte, in un tempo diverso. >>
Questa volta fu Adam ad allontanarsi,
la guardava esattamente come avevano sempre fatto anche tutti gli
altri. Pensava che fosse pazza.
<< Gaia, io penso che tu non stia
bene, forse dovremmo rimandare la nostra gita alla cascatella e
portarti da un medico. >> parlò con un tono
seriamente
preoccupato. Gaia sentì la rabbia rimbalzarle nello stomaco,
di
dottori ne aveva già visti più che abbastanza,
nessuno poteva aiutarla,
a questo si era rassegnata molto tempo fa.
<< Non ho bisogno di nessun
medico. Tra non molto te ne accorgerai da te, vorrei proprio vedere
la tua faccia quando salterò di nuovo. >> si
tirò su dal
sasso diventato scomodissimo all'improvviso, non avrebbe sopportato
di rimanere lì seduta un secondo di più.
Adam tra il sorpreso e lo sconcertato
rimase in silenzio ad osservarla.
<< Quando cosa? >> il
ragazzo completamente preso alla sprovvista, si stampò un
enorme
punto interrogativo sulla faccia.
Nel frattempo i bambini, attirati dalla
confusione, avevano smesso di fare quello che stavano facendo. I loro
occhi e la loro attenzione adesso erano tutti per Adam e Gaia.
L'ultima cosa che Gaia voleva era
spaventarli, loro erano troppo piccoli, non dovevano sentire quello
che lei aveva intenzione di dire ad Adam. Fece un cenno con gli occhi
verso di lui sperando che capisse.
<< Ragazzi seguite il sentiero,
sempre dritto, la cascatella è a cinque minuti esatti da
qui. Vi
raggiungiamo subito, non entrate in acqua finché non arrivo
io,
chiaro? >> ordinò con la sua prontezza da
leader nato
tirandosi in piedi a sua volta.
<< Ma no, dai, vi aspettiamo...
>> lo supplicò Davide.
<< Andate, io e Gaia dobbiamo
parlare di cose da grandi, vi annoiereste. >>
Volarono proteste e dissensi, ma alla
fine Adam ebbe la meglio e affidò il comando a Noah che dopo
di lui
era il più grande, tredici anni.
Noah, onorato dalla fiducia che il
fratello maggiore aveva riposto in lui, non impiegò molto a
radunare
tutti e a condurli verso la meta, esattamente come avrebbe fatto un
buon vice.
<< Dov'eravamo rimasti? Ah sì, a
te che blateravi riguardo al saltare da qualche parte giusto?
>>
disse sarcastico quando ormai gli altri furono abbastanza lontani.
Gaia sbuffò esasperata. Era difficile
per entrambi.
<< Non blateravo! Sei liberissimo
di non credermi se non vuoi, ma c'è una cosa che voglio
dirti prima
di chiudere questo discorso definitivamente, probabilmente
sarà
inutile e la tua vita non devierà di un millimetro dal suo
corso,
però non mi sentirei mai più in pace con me
stessa se non lo
facessi. >> Gaia fece una pausa cercando di fare ordine
in
mezzo ai suoi pensieri, avrebbe voluto raccontargli tutto, ma non
poteva, doveva scegliere con cura le parole da usare. <<
Vengo
dal 2011, viaggio nel tempo da quando ero bambina, non controllo
questa cosa, non decido io dove e quando andare. Erano anni che non
mi succedeva più, questa è la prima volta dopo
molto tempo di
meravigliosa normalità ed è anche il viaggio
più lungo che io
abbia mai fatto, non sono mai stava via così a lungo. Sono
ore che
sono qui ormai. >>
Adam la interruppe << Mettiamo
che io ti creda, cosa potresti fare tu per provarmi che non sei solo
una squilibrata con dei seri problemi mentali? >> Gaia
apprezzò
l'impegno e la sincerità.
<< E' proprio qui che volevo
arrivare. Se il vedermi sparire non ti dovesse bastare, beh, a questo
punto sempre che io riesca a saltare di nuovo, avrai la
possibilità
di rendertene conto tra qualche anno. >> ecco, ora veniva
la
parte davvero complicata. << Adam, ci sarà una
guerra. Non
puoi nemmeno immaginare cosa succederà, moriranno
così tante
persone. I nazzisti e i loro alleati saranno spietati, non faranno
distinzione tra soldati e civili, non importerà se avranno
davanti
donne, bambini o anziani, chiunque sia ebreo, disabile, omosessuale o
nemico politico verrà eliminato. Per un certo periodo anche
noi come
nazione, con Mussolini e il regime fascista al comando, staremo dalla
parte di Hitler. Come al solito gli italiani non azzeccano mai la
parte giusta da cui schierarsi. Dovrai fare attenzione,
perché anche
se qui l'abbiamo sentita meno che in altre parti del mondo, la guerra
non si farà attendere e si porterà via troppe,
troppe vite
innocenti. >> quando ebbe finito Gaia si sentì
come svuotata,
stanca, ma più leggera.
<< Perché mi stai dicendo tutto
questo? >>
<< Perché voglio che tu faccia
attenzione, sai quello che deve succedere adesso, fai qualcosa per
tenere al sicuro la tua famiglia. Non so, rifugiatevi in svizzera,
è
rimasta neutrale, non è entrata in guerra, lì
correrete meno
rischi. >>
<< Se anche quello che tu mi stai dicendo
fosse vero, non mi conosci affatto se pensi che scapperei.
>>
Esasperata Gaia si arrese, quello che
si sentiva di dover fare l'aveva fatto. Non poteva obbligarlo a fare
nulla, il destino è pur sempre il destino, a prescindere da
quanto
lei potesse dire probabilmente le cose sarebbero andate esattamente
allo stesso modo.
<< Okay senti, non importa,
lasciamo perdere, facciamo finta che questa conversazione non sia mai
avvenuta. Giuro che non dirò più una parola a
riguardo.>>
disse << Abbiamo lasciato da soli i bambini
già per troppo
tempo, fai strada tu. >>
Adam non aveva nulla da dire
evidentemente. Era teso, il suo viso era contratto da chissà
quali
pensieri. Gli ci volle un minuto buono per elaborare quello che Gaia
aveva detto poi, senza aggiungere altro, le voltò le spalle
e si
incamminò lungo il sentiero.
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Capitolo 2 *** Not just a nightmare ***
time
Gaia capiva come dovesse sentirsi Adam,
in fondo lei aveva appena sganciato una bomba su tutte le sue
convinzioni su cosa fosse o non fosse possibile, e non si era
limitata a questo, no, gli aveva anche comunicato come se niente
fosse che presto una guerra avrebbe devastato la vita così
come lui
la conosceva. Capiva tutto questo, ma avrebbe
preferito che lui le dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, anche che la
mandasse a quel paese, perché la fossa di silenzio che lui
si era
creato intorno le faceva male.
Quando arrivarono, non appena i bambini
li videro, Adam sembrò quasi rianimarsi, cancellò
dal suo viso
qualsiasi traccia di smarrimento, delusione e preoccupazione e
tornò
ad essere il solito di sempre, allegro e spensierato con tutti.
Si girò un attimo verso Gaia prima di
cominciare a giocare coi ragazzi, le fece capire che lei doveva fare
lo stesso. Non avrebbe dovuto permettersi di rovinare il pomeriggio
ai bambini, loro dovevano rimanere fuori da quella faccenda.Gaia
cercò di resettare il suo cervello e di spazzare via ogni
pensiero
negativo dalla sua mente. Non ci mise molto e non dovette nemmeno
sforzarsi tanto perché in mezzo a quella banda di mezzi
uomini e
mezze donne scatenate era impossibile rimanere chiusi in se stessi a
pensare ai mali del mondo. Per un po' di tempo ci sarebbe stato
spazio solo per il divertimento, il sole, l'acqua fresca e il profumo
del bosco.
Quel posto era magico, la cascatella
sembrava incastonata sulla parete rocciosa della montagna.Gaia non
riuscì a reprimere un moto di meraviglia.
<< Wow... che spettacolo. >>
ammise. Adam le sorrise come per dirle: “Guarda, come puoi
pensare
a qualcosa di brutto come la guerra mentre siamo qui?”
Era tutto talmente perfetto che al
pensiero di quello che sarebbe successo le vennero le lacrime agli
occhi. Quando esiste qualcosa di tanto bello al mondo è
impossibile
pensare di poterlo rovinare. L'acqua sgorgava da un'insenatura nelle
rocce, dritta dalla montagna, limpida e fredda, addirittura gelida e
si gettava a capofitto verso il basso in una cascata di spruzzi. Gaia
vi immerse le mani, l'acqua era così fredda che quando le
tirò
fuori le formicolavano. Stare in quel luogo era come sentirsi al
sicuro in una bolla cinta dalle innumerevoli sfumature di verdi e
marroni degli alberi e della terra che odorava di umido.
Adam, mentre Gaia era persa ad ammirare
meravigliata tutto intorno a sé, diede istruzioni ai
ragazzini più
grandi sul come comportarsi una volta nell'acqua fredda e
proibì
tassativamente ai più piccoli di andare oltre a quando
l'acqua gli
sarebbe arrivata alle ginocchia.
<< Ne valeva la pena no? Questo
posto è speciale, oserei dire magico, ma... >>
Adam fu
interrotto dalla voce di una ragazzina sui dodici anni, con gli occhi
gialli come quelli di un gatto, così fieri e sicuri che
forse la
facevano apparire un po' troppo grande per la sua età.
<< La
magia non esiste! La mamma lo dice sempre Adam, non credo che sia il
caso di confondere le idee ai bambini. Ma che questo sia un luogo
davvero magnifico è innegabile. >> Eva era
forse la ragazzina
più concreta che Gaia avesse mai incontrato, non lo faceva
per
cattiveria, era solo assolutamente certa delle sue convinzioni e su
questo argomento in fondo avrebbe dovuto avere ragione, d'altronde
non era forse lei l'eccezione che confermava la regola?
Gaia rise allegra di quel piccolo
confronto tra cugini. Anche gli altri, trasportati dal suo
entusiasmo, fecero lo stesso. Tutti tranne Eva, ma non era rabbia
quella che passava attraverso i suoi occhi felini in quel momento,
anche lei aveva altro a cui pensare, ad esempio come evitare di
congelarsi i piedi che erano già immersi nell'acqua
terribilmente
gelida della cascatella.
<< Adam, non pensi che sia un po'
troppo fredda per nuotarci dentro? >> Adam, tenendo fisso
lo
sguardo su di lei aveva già cominciato a spogliarsi per dare
l'esempio, si tolse le scarpe e la camicia rimanendo in pantaloni.
I ragazzini più grandi salirono su una
piccola sporgenza formata dalla montagna e uno ad uno si tuffarono,
Adam rimase coi bambini per assicurasi che rimanessero sulla riva a
bagnarsi i piedi e non andassero oltre. Ma lo sguardo del ragazzo era
rivolto verso l'alto, verso uno spiazzo che sarebbe stato perfetto
per un vero e proprio tuffo. Intuendo il suo pensiero Gaia si
alzò
da dove si era seduta per osservare meglio i bambini giocare senza
bagnarsi e si avvicinò al ragazzo.
<< Do io un'occhiata ai bambini,
tu vai. >> disse indicando lo spiazzo sopra la
cascatella. Gli
occhi di Adam luccicarono e lui sorrise felice. << Sei
sicura?
>> lei fece segno di sì col capo e si sedette
a terra
sull'erba morbida, la sensazione era così piacevole.
In ogni caso lei non poteva fare il
bagno, non aveva nulla da togliersi senza rimanere in intimo, non
aveva nemmeno il reggiseno sotto la maglietta del pigiama, e in ogni
caso quando sarebbe tornata a casa non sarebbe stato facile spiegare,
se qualcuno l'avesse vista, perché fosse nuda. Certo, sempre
se
fosse tornata. Ormai cominciava a dubitare di poter compiere un nuovo
salto, era passato talmente tanto tempo dal primo che aveva perfino
perso il conto delle ore.
<< Grazie! >> disse felice
<< Vedi di non “saltare” nel tuo
tempo mentre non guardo
però, ci tengo a vedere come scompari. >> la
stava prendendo
in giro, ma in modo scherzoso, non cattivo o derisorio. Il cuore di
Gaia si riempì di gioia.
Adam si arrampicò su per la parete di
roccia fino allo spiazzo. Era bello da guardare, sembrava un atleta
pronto per una gara, con l'espressione spavalda di chi sa di essere
un campione e non vede l'ora di dimostrarlo.
<< Siete tutti pronti? >>
disse a voce alta per farsi sentire in basso da tutti. Chi stava
ancora nuotando si diresse a riva e si avvolse in fretta negli
asciugamani che avevano portato per non congelare. I bambini ridevano
un po' agitati con gli occhi fissi verso Adam. << Gaia,
ci
vediamo tra poco. >> le strizzò l'occhio con
complicità. Gaia
annuì serena, c'era tempo, c'era ancora abbastanza tempo per
godersi
il mondo ancora per un po'.
Adam si buttò e una miriade di schizzi
colpì tutti loro inzuppandoli, dopo soli pochi istanti
riemerse tra
applausi e risate reclamando gli onori di un eroe. Bagnato fradicio
si scosse per liberarsi dalle gocce gelide che gli scendevano dai
capelli lungo il collo e non appena fu abbastanza vicino alla sua
sorellina Camilla l'afferrò e la fece girare, felice e
soddisfatto
del proprio tuffo. Gaia applaudì nuovamente.
<< Ottimo
tuffo, che ne dici se ora ci provo io? >> al diavolo i
vestiti
bagnati, si sarebbe tuffata con il pigiama.
<< Gaia, è pericoloso. Rimani qui a giocare
coi bambini,
loro ti adorano. >> Piccata Gaia, si alzò e
con tanto di
pigiama si arrampicò agile sulle rocce scivolose, come aveva
fatto
Adam, fino ad arrivare in cima. Il ragazzo aveva un'espressione
visibilmente contrariata, ma non avrebbe potuto importarle di meno.
Era sicura riguardo ai tuffi, suo nonno era stato un campione a suo
tempo e fin da quando lei era bambina era sempre stato lui il suo
allenatore, le aveva insegnato tutto quello che sapeva. Gaia non era
mai stata interessata davvero a quello sport, ma la rilassava, era
sicura che partecipare alle gare e sottoporsi ad allenamenti
estenuanti non facesse per lei, ma non per questo durante le loro
lezioni si era applicata meno. Prima di lanciarsi gettò uno
sguardo
verso Adam in segno di sfida, fece un respiro profondo, tese i
muscoli preparandoli al salto e quando si sentì pronta si
lanciò in
un perfetto tuffo rovesciato. A metà salto però,
mentre l'aria le
sferzava il viso, un crampo allo stomaco la colse impreparata, Gaia
con un'incredibile forza di volontà mantenne la posizione e
quando
il contatto con l'acqua fredda la investì trascinandola
verso il
fondo, proprio in quel momento eccola, la sensazione che aveva
aspettato per tutto il giorno arrivò come una morsa a
stringerle il
fianco.
Quando
Gaia riaprì gli occhi era
ancora in acqua, un'acqua tanto gelida da impedirle quasi di
muoversi. Alla fine, vincendo il senso di intorpidimento che le
risaliva lungo gli arti, con poche goffe bracciate riemerse.
L'acqua non era più limpida e fresca
come quando si era tuffata, era scura e stantia. C'era un forte puzzo
di bruciato nell'aria. Uscì dalla pozza, che non era
più la
cascatella ma uno stagno putrido.
Era riemersa da qualcosa simile ad un piccolo laghetto al lato di
una cancellata. Il vento ululava attraverso le sbarre e faceva
freddo, il gelo si era impossessato di tutto. Il cielo era grigio e
carico di pioggia o, con più probabilità, neve.
Gaia, battendo i
denti cercò di capire qualcosa in tutto quello che le stava
succedendo. Non le era mai capitato di fare un salto dietro l'altro,
mai. Tutto era tetro e un velo di cenere bianca rivestiva ogni cosa.
All'improvviso capì. Si avvicinò alle sbarre, ma
non troppo, perché
temeva di sapere cosa sarebbe accaduto se le avesse anche solo
sfiorate. Quello che vide non merita di essere raccontato. Scheletri
che camminavano frustati e battuti da soldati freddi e malvagi, senza
pietà. Morti dappertutto, le mosche volavano ovunque e si
posavano
sui corpi dei morti e dei vivi senza che questi se ne curassero. Gaia
sapeva bene dove era capitata e mai e poi mai avrebbe dimenticato
quello che vide al di là di quella alta rete.
Ormai vicina
all'assideramento, bagnata fradicia, tremava senza riuscire a
controllarsi, il freddo l'era penetrato fin dentro alle ossa
mozzandole il fiato. D'un tratto sentì una voce chiamarla
debolmente. Con enorme sforzo girò appena la testa quel
tanto che
sarebbe bastato a vedere chi l'aveva chiamata.
<< Gaia sono io, Adam. >>
come scaldata da qualcosa di sconosciuto proveniente dall'interno del
suo corpo, gli occhi di Gaia brillarono. Ma, quando lo ebbe guardato
veramente, quella piccola fiammella che si era accesa dentro di lei
si spense.
<< Non è possibile, non puoi
essere tu. >> Davanti a lei, nascosto dietro ad un carro
carico
di macigni all'interno della rete, non c'era l'Adam che aveva
lasciato pochi minuti prima di tuffarsi, c'era un fantasma senza
capelli, dallo sguardo vitreo di chi non ha più nulla,
nemmeno i
pensieri. La sua pelle, che un tempo era stata abbronzata, ora aveva
un colorito quasi grigiastro come quella di un cadavere che ha
già
cominciato a disfarsi. La denutrizione aveva fatto scempio del suo
corpo. Gli occhi che erano stati così vitali e vivaci erano
ridotti
a due fessure infossate nel viso, segnati da molte lacrime non
piante. Le ossa sporgevano ovunque. Vedendolo, le sensazioni che
avevano investito Gaia nel momento stesso in cui aveva capito dove si
trovava si ampliarono a dismisura. Senza più pensare al
freddo
pianse, pianse perché non poteva trattenere le lacrime.
Consapevole del proprio aspetto Adam
non tentò nemmeno di rassicurala, all'inizio la
pregò di andarsene
via il più velocemente possibile, prima che qualcuno la
vedesse, ma
quando capì che lei non ne aveva nessuna intenzione e che
nulla
avrebbe potuto dissuaderla, le spiegò semplicemente come
andavano le
cose, in fretta, con poche parole, senza dimenticare di scusarsi per
non averle creduto fin dal primo momento, le chiese come avesse fatto
a finire lì, dietro la rete, bagnata come se avesse appena
fatto un
bagno; ma Gaia non rispose a nulla, si limitò a rimanere in
silenzio
con una montagna sul cuore a bloccarle il respiro.
<< Avevi ragione su tutto. Quando
mi avevi parlato di quello che sarebbe accaduto una parte di me ti
aveva creduto, ma la ragione mi diceva che ciò che mi stavi
raccontando doveva essere per forza il delirio di una pazza. Non
sapevo ancora quanto le tue parole sarebbero state un nulla in
confronto a quello che è accaduto veramente. Tu hai solo
sentito
raccontare quello che è avvenuto, ma io l'ho dovuto vivere
sulla mia
pelle, anzi lo sto ancora vivendo. Ho visto chi amavo morire sotto ai
miei occhi, gente venir trascinata verso quella costruzione e mai
più
tornare. Al loro posto solo una coltre di cenere bianca. Le persone
camminano per il campo sopra i corpi di coloro che non ce l'anno
fatta. La notte si dorme gli uni ammassati sugli altri, divorati
lentamente da topi e parassiti che si insinuano infidi nei vestiti
leggeri. L'inverno, la neve ed il freddo sono nemici crudeli quanto i
soldati, mietono tante vittime quante le malattie e le selezioni.
Siamo tutti destinati alla morte. E nemmeno tu potevi prepararmi a
tanto. >>
Gaia si avvicinò pericolosamente al
cancello tanto che sarebbe bastato un nulla per rimanere folgorata e
Adam l'avvertì di stare indietro, se c'era una cosa di cui
era
sicuro era che non ce l'avrebbe fatta se avesse dovuto avere sulla
coscienza la sua vita.
<< Come faccio a tirarti fuori?
>> Gaia sapeva benissimo di non avere nessuna
possibilità ma
non aveva nessuna intenzione di lasciarlo lì, non poteva.
<< Ragiona Gaia, non esiste un
modo. Credimi già questa conversazione è una vera
e propria
iniezione di umanità. Era così tanto tempo che
non parlavo con
qualcuno se non per chiedere cibo o per le necessità del
campo che
temevo di non essere più in grado di sostenere un discorso
civile.
>> eppure ci stava riuscendo benissimo, un anno di campo
non
era riuscito a privarlo anche di quello e per questo Adam si
sentì
fiero quanto non era da parecchio tempo.
<< Ma io non posso lasciarti qui,
non voglio. Come faccio? Magari se quando salto sei vicino a me
io... >> le parole quasi non si distinguevano tra i
singhiozzi soffocati tra le sue labbra, avrebbe voluto urlare, ma
sapeva di non potere, con ogni probabilità la dea bendata li
avrebbe
presto abbandonati e qualche guardia li avrebbe notati e allora
sì
che sarebbe stata la fine.
Senza alcun preavviso, prima che lei
potesse aggiungere qualsiasi altra cosa o che Adam potesse
controbattere, la sensazione di essere finita sotto uno
schiacciasassi, che ormai aveva imparato a riconoscere come l'inizio
di ogni salto, le rubò le parole di bocca.
Quando Adam se ne accorse all'inizio
pensò che la ragazza si stesse sentendo male per tutto
quello che
era stata costretta a vedere, lui compreso, e desiderò con
tutte le
sue forze di non averle mai nemmeno rivolto la parola, ben conscio
del proprio aspetto, avrebbe tanto voluto risparmiarle tutto questo,
ma ormai era troppo tardi per rimediare.
<< Gaia? Ehi, ti senti bene? >>
<< No, per niente. Adam, non
voglio andarmene. >>
<< Non capisco, che ti sta
succedendo? >>
Il corpo di Gaia fu scosso da un
sussulto. Per quanto si sforzasse di avvicinarsi, Adam sapeva che
solo un altro passo in avanti avrebbe determinato la morte. Non
voleva morire così davanti a lei.
<< Questo non è un addio Adam,
ti prometto che un giorno tornerò a prenderti. Io ti
salverò e ti
porterò con me. Promettimi di restare vivo fino a quel
momento,
promettimelo! >>
Poi, senza pretendere nessuna risposta,
sapendo di aver esaurito il tempo a disposizione, allungò la
mano
quanto più la rete lo permetteva, le dita che si
protendevano tra le
maglie di quella trappola. Non c'era nessuna possibilità di
fraintendere quel gesto così spontaneo. Adam la
imitò e timidamente
senza capire quello che stava accadendo, fece lo stesso e le
sfiorò
le dita con delicatezza facendo attenzione a non muoverle troppo e
toccare la rete. Gaia sparì così come era apparsa
e Adam rimase lì,
in piedi al gelo, non voleva muoversi, non ce l'avrebbe fatta dopo
averla rivista. Aveva tirato avanti nel campo solo al pensiero di
lei, della sua fata, quella ragazza che gli aveva intrappolato il
cuore in una sola mezza giornata passata insieme e che poi si era
dissolta nell'acqua limpida della cascatella. All'inizio non
vendendola risalire tutti si erano spaventati temendo che potesse
essere affogata, ma il corpo non c'era. Era semplicemente scomparsa
come per magia. I bambini era rimasti talmente sbalorditi che per
Adam non era stato difficile convincerli a non dire nulla a nessuno
di quanto era successo, anzi era bastato raccontargli che Gaia in
realtà era una creatura dei boschi che aveva deciso di
accompagnarli
nella loro avventura e che se gli adulti l'avessero saputo sarebbero
sicuramente andati a cercarla e l'avrebbero uccisa, perché
gli
adulti questo fanno: quando non conoscono qualcosa preferiscono
eliminare il problema piuttosto che affrontarlo.
Mentre ancora Adam era perso in quel
piccolo lusso che si era permesso di concedersi, quello di pensare a
qualcosa che non fosse sopravvivere, una SS lo notò e lo
raggiunse a
passo svelto urlando in tedesco ordini e minacce e brandendo un lungo
e spesso manganello nero. Quando l' SS gli fu vicino e
cominciò a
batterlo con forza, colpendolo ripetutamente su ogni parte del corpo,
Adam non oppose la minima resistenza, aspettò che la guardia
si
sentisse abbastanza appagata dal suo operato e poi si lasciò
rimettere in piedi a strattoni, non emise nemmeno un minimo lamento.
Il sangue che gli scendeva da una ferita alla testa cominciò
ad
annebbiargli la vista, ma ignorò anche questo e senza
nemmeno
sentire il dolore per le contusioni, troppo intorpidito dal freddo e
dalla fame, seguì l'SS che lo riportò al
Kommandos a cui era stato
assegnato, di nuovo al lavoro tra il fango e la neve. Ora che l'aveva
rivista poteva anche morire felice, eppure sapeva di non poterlo
fare, glielo aveva promesso, non aveva avuto il tempo di farlo a
parole, ma l'aveva fatto, una promessa silenziosa ma ugualmente
sincera. Finché gli fosse stato possibile avrebbe resistito,
per
lei.
Lentamente e faticosamente Gaia aprì
gli occhi, le lacrime ancora le scendevano copiose solcandole le
guance e arrivando salate alla bocca. Era di nuovo nel suo letto,
esattamente nella stessa posizione in cui era prima che accadesse
tutto, per un momento temette di aver solo sognato, ma fu subito
smentita dal freddo doloroso che i vestiti bagnati e appiccicati alla
pelle le stavano procurando. Ecco la conferma di tutto, non ci si
infradicia così sotto le coperte mentre si dorme.
Svelta scivolò fuori dal pesante
piumone e per prima cosa si spogliò il più
velocemente possibile,
si tolse tutto finché non rimase col solo vestito che sua
madre gli
aveva fornito quando era nata, la sua pelle nuda.
Lo specchio era proprio di fronte a
lei, il suo viso, il suo corpo, tutto in lei era lo stesso di sempre,
però in fondo, forse più in profondità
di quanto avrebbe mai
creduto possibile qualcosa si era incrinato ed era cambiato
irreparabilmente.
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