Princess of Air

di Amethyst10
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Princess of Air

…Di Hathor il consenso
per un incantesimo intenso.
Una foglia di basilico,
cresciuto in una notte, sotto un canto lirico,
per asciugare le lacrime
delle amiche anime.
Di Ishtar la grazia e la diplomazia,
così che lei mai sappia riconoscere il confine tra realtà e pazzia.
Del dio Toth l’occhio,
per fare in modo che su di lei si attiri il malocchio.
Il rosmarino, per cancellare il ricordo
e semplicemente un petalo di rosa, portato da un tordo,
l’ultimo ingrediente così che lei, mai faccia ritorno…
 
 
C’era una volta...
Ah, che bello se la mia storia iniziasse così, ma a quel punto sarebbe una favola, o una fiaba, sinceramente avevo sempre fatto abbastanza confusione tra le due.
Comunque sia la mia vita non era poi così interessante. Anzi, penso che l’unica cosa che mi spingeva a trascinarmi da un posto all’altro fosse solo la curiosità, e forse un tempo la speranza.
In quel momento mi trovavo davanti alla fermata dell’autobus. C’erano diverse ragazze, probabilmente stavano andando a scuola. Io oggi non ero particolarmente animata dalla voglia di andarci, quindi semplicemente continuai a camminare.
Attraversai la strada, in compagnia di una marea di sconosciuti, il traffico a quell’ora era piuttosto rumoroso.
Mi piaceva quella città, facevano degli hot dog fantastici, anche se forse alle sette mattina non erano proprio il massimo.
Continuavo a camminare e incontravo gente di ogni tipo.
Giovani, bambini, adulti, uomini in giacca e cravatta, palestrati, palestrati vecchi.
A volte provavo a immaginare che tipo di vita conduceva tutta questa gente. Il problema è che non ci riuscivo. Forse perché eravamo troppo diversi.
Io ero sola, mi ero persa. No mi ero persa davvero, non ero mai stata qui, mi guardai attorno, non riuscivo a capire in quale parte della città mi trovassi.
Sospirai, quei grattacieli erano tutti uguali, dovevo ancora farci l’abitudine.
Mi ero trasferita qui la settimana scorsa. Abitavo in fondo alla ventiduesima, in una mansarda che avevo trovato libera, di un edificio abbastanza fatiscente, che probabilmente presto avrebbero demolito. Una volta non mi sarei mai abbassata a tanto, sarei andata sicuramente in qualche grande hotel di lusso.
Solo mi ero stufata delle voci che poi avrebbero preso a circolare. Probabilmente non sarebbe passato molto tempo, prima che qualche pensiero sul mettere fine alla mia vita tornasse, di nuovo, ad assillarmi la notte.
Ma avevo scelto questa città proprio per riuscire a distrarmi, per smettere di darmi uno scopo. E qui ci erano davvero tante distrazioni.
Decisi di trascorrere la mia mattinata, insieme a molti turisti, davanti ai quadri di grandi pittori impressionisti.
Restai ore incantata davanti alle pennellate vivaci, i colori brillanti.
Pranzai a uno dei chioschi affianco al museo, poi presi il tram. Attraversai mezza città. Arrivai davanti ai negozi che ormai erano indiscutibilmente diventati i miei preferiti. Erano due. Uno era il negozi dei vesti di seconda mano, l’altro era di musica.
Entrai nel primo. Non sapevo mai che cosa potessi trovarci, due giorni fa sepolti sotto una marea di giacconi erano comparsi un paio d’ anfibi neri alti fino a metà polpaccio, ricchi di stringhe e spille. Erano diventati subito miei. La cosa bella era che qui nessuno si faceva domande se spariva qualcosa, c’era talmente tanta roba che non importava neppure alle cassiere. Ormai non la catalogavano neanche più.
Oggi però non riuscivo a scovare nulla di nuovo, così uscì e andai nel negozio affianco.
Appena entrai capì che c’ è qualcosa che non andava. Era pieno di ragazzine in visibilio. Schiamazzavano, chiacchieravano, ridevano.
Mi avvicinai.
<< …no, io l’ho visto… >>
<< …l’hai sentito all’ultimo concerto? È stato fantastico! solo che… >>
<< …io ho sentito che dopo che lei è morta lui… >>
<< …secondo me non ha avuto un incidente come si dice… >>
<< …ma come non lo sai? Non è stato un incidente… >>
<< …lui l’amava… >>
<< …l’avevano appena messa sotto contratto che peccato… >>
Feci dietro-front ed uscì dal negozio. Avevo capito fin troppo bene di chi stavano parlando.
Presi la metro, erano ancora le sei, non c’era molta gente.
Mi sedetti e iniziai a leggere l’ultimo libro uscito di George R.R. Martin, il suo mondo sapeva conquistarmi ogni volta.
Avevo pochi ricordi di mia madre, ma uno era quello di noi due, sdraiate sul letto immerse nella lettura di qualche giornalino per bambini. Non ricordavo la storia, ma ricordavo come le parole, che uscivano dalle sue labbra, assumevano mille sfumature.
Con lei riuscivo davvero a sognare, immaginare e vedere. Vedere cose che non avevo mai visto, terre lontane, animali parlanti, fiori dai densi profumi e cibi dal sapore ricco.
Lei non mi aveva insegnato solo a leggere, ma ad andare oltre alla semplice forma delle parole.
E così tra draghi, donne sensuali, re e guerre arrivai a destinazione.
Il vento invadeva la strada col suo gelo. Mi strinsi il cappotto addosso.
No, il tempo non era proprio dei migliori, alzai lo sguardo e vidi solo nuvoloni grigi che minacciavano pioggia, dovevo sbrigarmi, non avevo l’ombrello con me.
Per arrivare a casa dovevo solo attraversare il ponte. Quel ponte che ora pareva inesistente, talmente era fitta la nebbia. Sentivo lo sciabordio dell’acqua.
All’inizio non lo vidi, o semplicemente non vi feci troppo caso. Poi fu come se la mia attenzione si fosse concentrata tutta su di lui.
C’era una sagoma, alta, slanciata, aveva le braccia spalancate, era un uomo. Un uomo in piedi, sulla ringhiera. Mi immobilizzai. Voleva suicidarsi.
Iniziai a correre verso di lui. Vidi che aveva già fatto un passo nel vuoto.
Avrei voluto che mi vedesse, ma non poteva.
Avrei voluto gridare, ma non mi avrebbe sentito.
Così lo abbracciai, probabilmente avrebbe solo avvertito un peso che cercava di trattenerlo.
Lui si girò lentamente, mostrandomi gli occhi più verdi che avessi mai visto, forse erano così luminosi perché stava piangendo.
<< chi sei? >> mi chiese.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
<< chi sei? >>
Lo guardai perplessa. Forse stavo sognando. Nessuno mai mi vedeva o sentiva, neanche se era bel tempo e mi trovavo a un metro di distanza da lui o da lei.
Una volta ero addirittura arrivata a credere che forse io ero solo un fantasma, il problema era che io non ero morta. Di questo ero assolutamente certa.
Non passavo attraverso oggetti o persone. Ma se lanciavo qualcosa a qualcuno, lui o lei lo sentiva e avvertiva.
Ero iscritta a scuola, durante l’appello chiamavano anche il mio nome, ma era come se non esistessi. Nessuno mi conosceva.
Non sapevo precisamente dove fossero i miei genitori, avevo pochi ricordi di loro, gli avevo cercati per molto tempo senza risultati.
E adesso lui mi rivolgeva la parola come se nulla fosse?
In quel momento non era importante comunque, dovevo fargli capire che la sua vita aveva un valore.
<< Mi chiamo Bella >> risposi.
Si passò una mano trai capelli e mi ritrovai a guardarlo meglio.
Indossava un impermeabile verde rame, dei pantaloni scuri, come le scarpe. Al collo portava diverse collane, che però non sembravano avere grande valore.
Aveva i capelli castani ramati, sbattei un attimo le palpebre.
<< Io penso d’ averti già incontrato >> dissi.
<< stai cercando di far colpo su di me? >> mi domandò lui sorridendo.
Arrossì, << No, volevo dire che mi pareva d’ averti già visto >>
<< Sei una mia fan? >> chiese sospirando.
<< fan? >> lo guardai meglio << ma certo, tu sei il ragazzo del poster nella cinquantaseiesima e nella tredicesima! >>
Finalmente lo vidi scendere dal cornicione.
<< Sei una fan ho capito, è stato un piacere, ci si vede >> disse dandomi le spalle e avviandosi.
<< Oppure semplicemente una ragazza che si perde facilmente e che usa i cartelloni pubblicitari per riuscire ad orientarsi >>
Lo sentii ridacchiare.
<< Tu credi nell’ amore a prima vista? >> mi chiese.
Arrossì.
Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe e senza pensarci troppo annuì.
Aspettai che aggiungesse qualcosa, una frase, o che semplicemente ricominciasse a ridere, ma non accadde nulla. Forse mi ero semplicemente immaginata tutto.
Quando finalmente ebbi il coraggio tornai a guardarlo lui era lì, non si era mosso, che mi fissava, quasi fosse indeciso sul da farsi.
<< Ti va qualcosa da bere? >> mi domandò dopo un po’.
Guardai istintivamente l’orologio al polso, era quasi sera, ma in tanto non c’era nessuno a casa ad aspettarmi.
<< Va bene >>
Mi parve per un attimo vederlo sorridere, poi si girò e iniziò a incamminarsi, nella direzione dalla quale ero arrivata poco prima.
Aveva una strana cammina, traspariva sicurezza, e allo stesso tempo solitudine. Circolavano molte voci su di lui, ma non mi ci ero mai troppo soffermata, non amando troppo il genere di musica che produceva.
Tra la nebbia iniziai a scorgere le insegne luminose di quello che doveva essere un pub.
“ Edible Art ”, il logo era una semplice mela.
Senza accorgermene, mi ritrovai sullo stipite della porta, non appena la varcai, mi ritrovai avvolta in una tiepida atmosfera.
Mi guardai in torno un po’ smarrita, era come tornare indietro nel tempo, tutto il locale era arredato in stile anni 50.
Lui era già seduto ad un tavolo, c’era molta gente, ma la maggior parte era concentrata su quello che stava trasmettendo la televisione. Doveva trattarsi di una partita importante o qualcosa del genere.
Mi fece segno di sedermi acanto a lui, mentre prendevo posto notai che si era tolto la giacca e sotto indossava un maglioncino color ruggine.
Iniziai ad osservare il tavolo, mi sentivo a disagio, vi era posato il menù e un semplice blocco di tovaglioli viola.
Lo senti iniziare a dire qualcosa, quando arrivò una cameriera. Era un po’ sovrappeso, aveva i capelli ricci biondi, e una gonna un po’ troppo corta per i miei gusti.
<< Benvenuto, cosa posso servirti? >> chiese, avvicinandosi a lui molto più del dovuto.
Lui non fece caso a lei, con fare annoiato, ordinò un caffè. Teneva le mani intrecciate fra loro sotto il mento.
<< Tu cosa prendi? >> mi domandò, tornando ad osservarmi.
<< U-Un cappuccino, se è possibile… >>
Lui si girò verso la cameriera per la prima volta, la guardò un secondo, poi si girò nuovamente ripetendo gli ordini.
Inutile dire che lei lo guardava sbalordita, non sapevo decidere se questo fosse dovuto per il fatto che probabilmente l’aveva riconosciuto, o se fosse perché si era rivolto a qualcuno che lei non vedere, prendendo l’ordinazione di una persona immaginaria.
Lei se ne andò poco dopo, scuotendo la testa.
<< Allora Bella, cosa fai nella vita? >> mi chiese.
<< Niente di speciale, vado a scuola, studio, esco… >>
<< Ho capito, in sostanza la classica vita di una studentessa. >>
Avrei dovuto limitarmi alle prime tre parole forse, anche perché erano le uniche vere in sostanza.
Si girò, prese la giacca che aveva posato sullo schienale della sedia, e la fece ricadere sulle sue gambe, voleva già andarsene?
<< Non saranno preoccupati i tuoi, è già tardi, forse sarebbe il caso che tu rientrassi a casa >> sembrava annoiato, forse avevo smesso d’ incuriosirlo, avendomi trovata un banale ragazzina.
<< Non c’è problema, abito da sola >> rimasi un attimo stupefatta delle mie parole, era uno sconosciuto, in sostanza non sapevo nulla di lui e li andavo a dire una cosa del genere, quando poteva benissimo non avere buone intenzioni sul mio conto. Doveva essere per il fatto che questa era la mia prima e vera conversazione con qualcuno, che io ricordassi d’aver avuto.
Lui per tutta risposta incurvò un sopracciglio con fare inquisitore, << sei scappata di casa? >>
<< No, è … complicato >>
In quel momento arrivarono le nostre ordinazioni, non potei far a meno di notare che le aveva portate una cameriere diversa, appoggiò le due tazzine, non senza però lasciarci con un’occhiata sospetta, non potei far a meno di sorridere.
Decisi di approfittare del suo silenzio, stava infatti aprendo una bustina di zucchero e probabilmente pensando a cosa dire, per cambiare discorso.
<< Tu sei un cantante invece, vero? >> domandai sorseggiando il mio cappuccino.
<< Attore, modello, doppiatore e cantante. Ormai mi pare sempre più chiaro che tu sia una bambina sperduta, che probabilmente appeso in camera sua ha il mio poster. >> rispose.
Nella sua voce c’era una strana vena di sarcasmo e sconforto.
<< Bambina sperduta, hmm, mi piace, mi ricorda Peter Pan e direi che si adatta abbastanza a me. >> dissi sovrappensiero.
 << Bene >> disse alzandosi << non voglio avere problemi con minori, ci si vede >>
Incominciò a rimettersi la giacca, non volevo se ne andasse, non sapevo quando avrei incontrato di nuovo con cui poter parlare e non sapevo niente di lui.
<< Aspetta non so neppure come ti chiami >> dissi tirandolo per una manica, mi stupì da sola di quel gesto avventato.
<< Mi stai prendendo in giro? >> mi chiese, voltandosi.
<< No >>
Lo guardai negli occhi, i suoi erano davvero belli, color dei prati in primavera, volevo fargli capire che ero sincera.
Vidi le sue labbra incresparsi.
<< Mi chiamo Edward. >>
<< Okay Edward, sei pronto a essere testimone di qualcosa che non si vede tutti i giorni? >> gli domandai sorridendo.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


<< Okay Edward, sei pronto a essere testimone di qualcosa che non si vede tutti i giorni? >>
Se ne stava lì, indeciso sul da farsi, ancora indossava la giacca, ma non dava segni d’ aver cambiato idea sull’ andarsene. Al meno l’avevo fatto incuriosire.
Ero nervosa, ma volevo davvero parlare con qualcuno, qualcuno capace di vedermi e rispondermi.
Sapevo cosa fare.
Feci un respiro profondo e cercando d’ attingere sicurezza proprio dal fatto che nessuno a parte lui era in grado di prestare attenzione a me, andai verso la folla che si era raduna davanti al televisore al plasma, non faticai molto ad arrivare davanti allo schermo, notai che stava trasmettendo una partita di rugby, poi allungai una mano e lo spensi.
Subito iniziarono le urla di protesta verso il barista, anche lui stava seguendo la partita e si era avvicinato per controllare.
<< Allora? >> chiesi a Edward.
Lui mi guardò accigliato << hai spento la tv e quindi? >>
<< Come quindi?, non hai capito? >>
<< Non c’è niente da capire, sono capaci tutti a farlo >> rispose voltandosi.
<< Si, ma se lo fai tu, ti ritrovi con una folla di tifosi inferocita, questa è la differenza >>
<< Sei una ragazza, per questo probabilmente non hanno protestato, pensano che tu non possa condividere la loro passione. >>
Sbuffai.
<< Guarda meglio se la pensi così allora >>
Tornai verso il televisore ancora spento e lo accesi, provocando meraviglia e gioia da parte di tutti li spettatori, poi mi avvicinai al bancone. Presi una bottiglia di vodka, facendola vedere a tutti, l’apri e versai il contenuto sulla tv.
<< Chi è stato? >> urlò qualcuno, seguito da altri urli di protesta.
 Gettai a terrà la bottiglia, provocando un gran rumore.
<< Chi ha preso questa? >> domandò arrabbiato il barista, che aveva iniziato a raccogliere i cocci di vetro.
L’ atmosfera si stava scaldando, un tempo, quando mi capitava di cadere in depressione, mi divertivo in questo modo, avevo contribuito a creare non poche leggende folkloristiche.
Tornai da lui.
<< Ora? >>
Lui mi guardava allibito.
<< Ti rendi conto di quello che hai fatto? >> mi rispose lui arrabbiato.
<< si >> dissi candida, << la vera domanda è se te rendi conto tu. >>
<< Certo che me ne rendo conto, hai versato della vodka su un televisore, mentre quegli uomini stavano guardando una partita che poteva alterare la classifica delle squadre, che si contendono il maggior numero di vittori! >> esclamò lui.
Qualcuno si girò verso di lui.
Eravamo venuti qui perché voleva guardarla anche lui? In effetti pareva al quanto interessato…ma non era questo il punto.
<< Non ti conviene urlare, ci sono già le cameriere che credono che ti manchi qualche rotella, ci manca solo che ti riconoscano. >>
Lui stava per dire qualcosa ma non lo lasciai parlare.
<< Comunque hai tralasciato una cosa >> affermai.
In effetti non ci avevo pensato, ma poteva andarmi molto peggio, squadrandolo capì, nella mia sfortuna avevo avuto un pizzico di fortuna.
<< Che cosa? >> domandò lui scettico.
<< Nessuno mi ha visto >>
 << Stai scherzando vero? >>
<< No, Sherlock. Pensi ancora, che, anche se sono una ragazza, quei tipi non mi farebbero niente? Probabilmente non fisicamente, ma mi farebbero almeno pagare i danni, no? Eppure anche se ho agito sotto il naso di tutti nessuno mi ha visto. >> risposi sorridendogli.
Lui non disse nulla per un po’, poi si avvicino a me.
<< Dimostramelo, dimostrami che non ti sei messa d’accordo con questa gente per farmi uno scherzo >>
<< Cosa vuoi che faccia? >> gli domandai.
<< Spogliati, davanti a loro. >>
Diventai rossa come un peperone.
<< Mai sei pazzo! Loro non mi vedrebbero, ma tu si! >>
Parve rifletterci un attimo.
<< Va bene, allora posizionati davanti alla televisione e inizia ad urlare >>
Studia l’espressione che aveva in volto, era serio.
Bè ormai ero in gioco, tanto valeva. Feci quello che mi aveva chiesto di fare, senza naturalmente non ottenere niente, anche perché tra l’altro si stavano dando tutti da fare per mettere a posto il disordine, che io avevo creato.
<< Soddisfatto? >> domandai a Edward, tornando da lui.
<< Mica tanto… >>
<< Oh, andiamo non ero neanche mai stata prima in questo bar, non ti sto… >>
<< Secondo te ho davvero qualcosa che non va? >> mi chiese senza lasciarmi finire.
<< Forse, o forse hai qualcosa più degli altri. >>
<< Magari sei solo nella mia immaginazione, forse, mi sono davvero buttato dal ponte, non me lo ricordo e sono morto, oppure tu sei una specie d’ amico immaginario… >>
<< Non penso che tu sia morto, anche perché la cameriera ti ha visto e sentito benissimo, o magari sei morto e ti è stata data una seconda possibilità con me come tuo angelo custode. >>
<< Più che un angelo custode, sembri un angelo portatore di caos >> disse guardandosi attorno.
Mi girai, in effetti non aveva tutti i torti.
<< Bè tu non mi credevi. >> dissi, avanzando verso la porta del bar.
<< Ho ancora qualche dubbio in realtà, questa faccenda è abbastanza strana… >>
Uscì fuori, seguita da lui.
<< Ehi, io ti avevo avvisato, avresti visto qualcosa di diverso e …>> rabbrividii << Mamma mia, si gela, che ore sono? >> domandai battendo i denti.
<< Le otto >> mi appoggiò la sua giacca sulle spalle.
<< Così ti ammalerai, riprenditela, non vorrei trovarmi qualche tua fan alle calcagna >> dissi restituendogliela.
<< Volevo invitarti a fare una passeggiata, ma in effetti si gela. >>
Mi guardo titubante.
<< Ti va divenire a casa mia, angelo? >>
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
Ero seduta su un cuscino, per terra, a guardare la televisione.
Edward era in cucina.
Alla fine avevo acconsentito ad andare a casa sua, la curiosità aveva avuto la meglio. Si era rivelato un loft all’ ultimo piano di un grattacielo del centro, arredato di tutto punto, con una bellissima vista sulla città.
Ora però mi sentivo abbastanza in imbarazzo, non sapevo cosa fare.
Mi alzai e andai in bagno, mi lavai la faccia nello scorgere l’ora, si stava facendo tardi.
Feci per uscire, pensando a qualche scusa per andarmene quando notai che il bagno aveva un’altra porta.
Sapevo che era sbagliato farsi i fatti degli altri, soprattutto se erano sconosciuti, ma l’aprì ugualmente.
Un odore nauseabondo mi colpì, prima di riuscire a trovare le luci, il mio cervello si mise i modo, elaborando le più disparate teorie, dal fatto che forse Edward fosse un commerciante di spezie orientali a un assassino che teneva le sue vittime in casa.
Tremai un attimo nel pensare a quest’ ultima ipotesi.
Col cuore a mille decisi di soffermarmi sulla prima, immaginandomi Edward con un buffo cappello di seta, ricco di gemme.
La mia mano strisciava sul muro freddo e quando trovò l’interruttore, ci mise un po’ a premerlo, indecisa sul da farsi.
Chiusi gli occhi e lo tastai.
<< Che stai facendo? >>
Feci un salto indietro per ritrovarmi davanti ad Edward, barcollai e inciampai su qualcosa, quasi urlai prima di rendermi conto di cosa fosse.
Un sacchetto della spazzatura.
Ce ne erano a decine nella stanza, tutti contenenti pasti take away, ormai finiti o scaduti, che non erano stati buttati.
Quasi scoppiai a ridere dal sollievo, quando però la puzza mi investii di nuovo.
Mi alzai.
<< Hai dato una festa per caso o li collezioni? >> dissi rivolgendomi a lui con fare indagatore.
Lo vidi un attimo indeciso su cosa rispondere per poi arrendersi a quella che doveva essere la verità.
<< Non mi piace che i paparazzi mi fotografino quando vado a buttare l’immondizia. >>
Storsi il naso.
<< Non potresti caricarla in macchina e buttarla a qualche isolato? >>
<< Taylor Swift ha fatto così ed finita ugualmente sui giornali di gossip >>
<< farla buttare a qualcuno? >>
<< Lindsay Lohan c’ è finita mentre la passava alla cameriera. >>
Aggrottai le sopracciglia.
<< Con tutto quello che ha fatto tra prigione e droghe te la ricordi perché è finita sul giornale mentre passava la spazzatura alla cameriera? >> chiesi meravigliata.
Lui si limitò a scuotere le spalle.
<< Farsela ritirare a domicilio? >>
<< Matt Damon, ora sanno persino in che appartamento abita. >>
Non mi diedi per vinta.
<< E se la buttassi di notte? >>
<< Brad Pitt, Nicholas Cage, Tom Cruise, Vin Diesel, Demi Moore, Jodie Foster,  Lady Gaga… >> iniziò lui.
<< Okay,okay, frena Mister Netturbino, hai vinto. >>
Mi guardai in torno e scorsi una finestra.
Incespicando trai vari rifiuti riuscì a raggiungere la fine della stanza ed ad aprirla, non prestai molta attenzione alle scatole lì impilate e qualcuna di queste cadde giù.
<< Ops… >>
<< Bella! Siamo al cinquantunesimo piano, se colpisci qualcuno da questa altezza lo porti all’altro mondo >>
Mi affacciai dalla finestra e vidi che nessuno si era fatto male, ma in compenso si era tutto spiaccicato a terra.
<< Eh già me l’immagino la notizia di domani su tutti i tabloid : Avvistata Immondizia volante  cadere sotto casa del famoso cantante Edward Cullen. >>
Stava per controbattere ma non gliene diedi il tempo.
Iniziai a prendere i sacchetti e a portarli in sala.
<< Cosa stai facendo? > > mi chiese aggrottando la fronte.
<< Ma come non si vede? Vado a buttare la spazzatura. >>
<< Sei impazzita? Nessuno può vederti a parte me hai detto, cosa succederebbe se dei passanti vedessero della spazzatura muoversi da sola, sotto casa mia per giunta? >>
<< Hai ragione… >>
Vidi la sua espressione cambiare e farsi meno tesa.
Ci pensai un attimo su. Mi schiarì la gola.
<< Avvistata immondizia intelligente buttarsi da sola, seguendo le regole della raccolta differenziata, sotto casa del famoso, anzi ormai noto per questo genere di episodi Edward… >>
<< Bella! >>
<< Uffa, va bene, ma non puoi continuare a vivere in questo modo! Dobbiamo trovare una soluzione, o la prossima ragazza che porterai a casa chissà cosa penserà di te >>
La prossima ragazza...
Lo vidi sospirare, ormai convinto.
<< Prima di tutto portiamo tutta questa roba in sala. >>
Ci mettemmo un’ora a liberare la stanza, che scoprì avere non una ben tre finestre.
<< Bene >> dissi passandomi una mano sulla fronte asciugandomi il sudore.
<< Guarda che non abbiamo ancora finito >>
Mi girai verso Edward, anche lui sudato, si era tolto la maglietta.
Arrossì nel vederlo così, lui se ne accorse e una strana espressione di soddisfazione apparve sul suo viso.
Scrollai la testa per tornare alla realtà.
<< Cosa intendi per non abbiamo ancora finito? >>
<< Ci mancano ancora due stanze come questa da sgomberare >>
Lo guardai sbalordita.
<< Stai scherzando spero? >>
<< Mai stato così serio in vita mia. Cos’è vuoi arrenderti ora? >> domandò provocandomi.
<< Manco morta! Rimbocchiamoci le maniche e ammassiamo tutto sul pianerottolo. >>
Così dicendo mi legai i capelli e mi tolsi il cardigan che indossavo.
Lavorammo senza sosta fino a notte inoltrata.
Quando rientrammo dal pianerottolo mi stupii di quanto fosse grande il suo appartamento.
<< Direi che è tutta un’altra cosa >>
<< In effetti potrei quasi pensare di arredarlo… >>
Mi sarei certo proposta per aiutarlo, ma non ora, rischiavo di essere seriamente invadente.
<< Sei pronto vigilante dei rifiuti a liberarti dei tuoi seguaci? >>
Lui fece per rispondere quando qualcuno suonò alla porta.
<< nasconditi >> mi disse prima d’ aprire.
Mi limitai ad alzare un sopracciglio.
<< Scusa forza dell’abitudine. Mettiti pure a ballare la danza del ventre se vuoi. >>
Scossi la testa, da un estremo all’altro.
La persona che aspettava dietro la porta si fece insistente, iniziando a battere e suonare in modo preoccupante, soprattutto per la quiete dei vicini.
<< No ti prego, fai che non sia lui… >> sentì sussurrare Edward mentre apriva la porta.
 
 Nota dell’Autrice:
Allora come vi sembra questo capitolo?
Nel prossimo scopriremo chi è il tipo della porta, cosa vuole e in che modo ha a che affare con Edward, più un po’ del passato di quest’ ultimo… raccontato da Edward :)
Oh, dimenticavo, ieri ho aggiornato la mia altra ff su Twilight, se vi va andateci a dare un’occhiata : http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1857619&i=1
 
 

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Capitolo 5
*** Avviso ***


Scrivo questo avviso scusandomi con tutti i lettori e in seguito con :
- Le 33 persone che seguono questa storia
- Le 3 che la ricordano
- Le 5 che l’hanno messa tra le preferite
- E tutti coloro che si sono fermati un istante e hanno lasciato una recensione.
Questa storia è momentaneamente sospesa. Vi sarete accorti che è anche mezzo secolo che non aggiorno..., comunque sia se volete scrivermi, mi sono trasferita qui: http://www.wattpad.com/user/LadyLamperouge , dove sto al momento pubblicando due storie. Spero di poter ancor leggere le vostre opinioni, Baci A.

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