Into the Maze

di lostinpercyseyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Radura ***
Capitolo 2: *** Gelosie Inaspettate ***
Capitolo 3: *** La Mutazione ***
Capitolo 4: *** I Dolenti ***
Capitolo 5: *** L'Aggressione ***
Capitolo 6: *** L'Esilio ***
Capitolo 7: *** Persi ***
Capitolo 8: *** Nel Labirinto ***
Capitolo 9: *** Felice Riabbraccio ***
Capitolo 10: *** L'Adunanza ***
Capitolo 11: *** Piccoli Momenti ***
Capitolo 12: *** La Gattabuia ***
Capitolo 13: *** La Promessa ***
Capitolo 14: *** La Stanza Delle Mappe ***
Capitolo 15: *** L'Addestramento ***
Capitolo 16: *** Scoperte ***
Capitolo 17: *** La Dichiarazione ***
Capitolo 18: *** La Verità ***
Capitolo 19: *** La Tana Dei Dolenti ***
Capitolo 20: *** La Voce ***
Capitolo 21: *** Panico ***
Capitolo 22: *** L'Intuizione ***
Capitolo 23: *** Il Codice ***
Capitolo 24: *** Il Piano ***
Capitolo 25: *** L'Oblio ***
Capitolo 26: *** Il Risveglio ***
Capitolo 27: *** Ricordi ***
Capitolo 28: *** I Preparativi ***
Capitolo 29: *** Il Sacrificio ***
Capitolo 30: *** La Battaglia ***
Capitolo 31: *** La Perdita ***
Capitolo 32: *** La Fine ***
Capitolo 33: *** Sequel ***



Capitolo 1
*** La Radura ***


Buio. 
Provai a mettermi in piedi, circondata da un buio freddo. Udivo un rumore sferragliante, metallico. Avvertii un fremito violento sotto i miei piedi, che mi fece cadere. Tentai di rialzarmi, ma invano, così trovai un angolino e mi tirai le gambe al petto, stringendole forte. La stanzetta buia iniziò a salire, oscillando avanti e indietro, facendomi venire la nausea. Riuscivo soltanto a starmene qui seduta, da sola e in attesa. 
Mi chiamo Anna, pensai.
Era l'unica cosa che riuscivo a ricordare e non capivo come potesse essere possibile. 
La stanza, intanto, stava proseguendo la sua oscillante ascesa e ormai non mi accorgevo più del continuo oscillare. Era passata forse mezz'ora, quando con un cigolio e un tonfo sordo, la stanza si fermò.
Un rumore secco, forte, risuonò sopra la mia testa e ad un tratto la luce squarciò il soffitto della stanza. Dopo tutto quel tempo passato al buio, la luce era come una pugnalata agli occhi. Mi coprii il viso con le mani. 
Sentii dei rumori provenire dall'alto, delle voci. Mi raggomitolai ancora di più su me stessa, la paura mi attraversava da capo a piede. 
All'inizio vidi solo delle ombre che si muovevano, ma presto si trasformarono in sagome di corpi.
Qualcuno calò dentro la stanza. Volevo strillare, piangere, vomitare. La presenza che avvertivo si stava avvicinando, quando mi fu di fronte si chinò su di me. Sentii un sussulto provenire dalla figura e poi un'esclamazione in un gergo che non capii: -Caspio...- 
Era sicuramente un ragazzo, lo capivo dal tono della sua voce, ma non riuscivo a vedere i lineamenti del suo volto, solo a distinguere il colore dei suoi capelli, biondo sporco.
-Che c'è che non va, Newt?- chiese una voce dall'alto.
Il ragazzo di fronte a me, Newt evidentemente, mi guardò un attimo e poi si girò verso la folla.
-È una ragazza.-
Dall'esterno sentii provenire un gran vociare, di cui riuscivo a cogliere solo poche frasi sparse.
Mi sentivo confusa, infondo una ragazza non doveva essere un così grande stupore, o forse sì?
Sentii qualcun'altro entrare nella stanza e avvicinarsi a quello che doveva essere Newt.
Stavolta riuscii a vedere il suo volto, ma non mi ci si soffermai molto, troppo presa dalla sua corporatura, alto e muscoloso.
-Ciao, io sono Gally- mi disse con un sorriso forzato -stai tranquilla, qui sei al sicuro.- e mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi. La guardai per un attimo e poi l'afferrai.
Gally mi mise in piedi, ma non durai neanche cinque secondi. Le mie gambe cedettero, ma per fortuna il ragazzo aveva i riflessi pronti, e con estrema agilità mi prese in braccio. Arrossii di botto, pregando che non si notasse più di quanto avrei voluto. Mi portò fuori da quella sorta di stanza sempre in braccio e non mi appoggiò a terra neanche quando fummo usciti, mentre io sgranavo gli occhi. Riuscii a mettere a fuoco diversi visi davanti a me. Tutti ragazzi. Tutti, chi più piccolo, chi più grande. Adolescenti. Ragazzini. Una cinquantina.
Finalmente Gally si decise a mettermi giù e un ragazzo dalla pelle scura mi si avvicinò studiandomi, poi parlò, marchiando quelle parole nella mia mente a fuoco: -Piacere di conoscerti, pive. Benvenuta nella Radura.-

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Capitolo 2
*** Gelosie Inaspettate ***


Mentre mi voltavo dappertutto, nel tentativo di esaminare ogni cosa, i miei nuovi compagni non dissero nulla. Presi a girare su me stessa, lenta, mentre gli altri ragazzi ridacchiavano guardandomi fissa. All'improvviso ebbi le vertigini, il mio sguardo guizzava tra i ragazzi e il bizzarro luogo in cui ero andata a finire. Mi trovavo in un enorme cortile, grande quanto parecchi campi da football e circondata da giganteschi muri di pietra grigia, coperti in vari punti da folte piante d'edera. I muri dovevano essere alti diversi metri e racchiudevano lo spazio in un quadrato perfetto. Ciascun fianco riportava una spaccatura esattamente nel centro, un'apertura alta quanto i muri stessi.
-Guardate la Fagiolina.- disse una voce gracchiante.
-Chiudi quella fogna.- ribatté il ragazzo dalla carnagione scura. -Come ti chiami?-
-Anna.- Risposi automaticamente.
Nel mio cuore e nella mia mente stavano lottando emozioni diverse, che cercavano tutte di prendere il sopravvento. Volevo mettermi a correre e nascondermi da questa gente.
-Secondo te che significa, Alby?- chiese il ragazzo di prima, Newt, al ragazzo afroamericano, Alby.
-Non lo so, per il momento facciamogli fare il giro, ci occuperemo più tardi del problema.- 
-Chuckie potrebbe essergli d'aiuto.- disse il biondo.
-Sì, lo penso anch'io, digli di venire da noi quando avremmo finito. E voi pive tornate tutti al lavoro, non c'è niente da vedere qui. Circolare!-
La folla si disperse velocemente, molto probabilmente Alby era il capo di questo strambo posto.
-Dai Fagio, seguimi e basta. E stammi vicina.- disse rivolto a me.
Cominciai a camminare dietro al ragazzo, sapendo che Newt e Gally erano dietro di me.
-Ora comincia il tour.- fece Alby. Cominciò a muoversi, ma poi si bloccò, sollevando un dito. -Niente domande fino alla fine, ci arrivi? E non aspettarti un trattamento speciale solo perché sei una ragazza.- annuii silenziosamente.
Poi Alby indicò l'area boschiva all'angolo sud-ovest: -Quelle sono le Faccemorte. Il cimitero è in fondo a quel l'angolo, dove gli alberi sono più fitti. Non c'è molto altro. Puoi farci quello che ti pare.- si schiarì la gola -Passerai le prossime due settimane a lavorare un giorni alla volta per i nostri Intendenti del lavoro, finché non capiremo cosa sei più brava a fare.-
Rivolsi l'attenzione a dei recinti pieni di animali, dove diverse mucche erano intente a masticare e mordicchiando un fieno verdognolo da un trogolo. Alby indicò l'ampio granaio nell'angolo in fondo: -Laggiù è dove lavorano gli Squartatori. Roba pesante, quella. Se ti piace il sangue, puoi fare lo Squartatore.-
Scossi subito la testa, avvertendo le risatine degli altri due ragazzi. 
Alby smise di camminare quando arrivammo a due muri che facevano da cornice all'immensa uscita, e si voltò verso di me, dandogli le spalle.
-Là fuori c'è il Labirinto- disse ed indicò vigorosamente con il pollice oltre la sua spalla e poi si interruppe. Rimasi a fissare l'apertura, osservando i corridoi che si perdevano oltre le porte. 
-Sto qui da due anni. Nessuno ci sta da più tempo di me. I pochi sono già morti.- mi accorsi che stavo sgranando gli occhi. -Due anni che proviamo a risolvere 'sta cosa. Niente. Quei caspio di muri, là fuori, di notte si muovono proprie come queste porte qui.-
-Aspetta, queste porte si chiudono? Queste?-
-Fidati è un bene che si chiudano ogni notte, o altrimenti a quest'ora non saremmo qui.- a rispondermi fu Newt, che mi aveva affiancato.
Alby aveva un'espressione seria: -Per oggi basta. Ti lascio con questi due, tanto vedo che andate d'accordo.-
-Non ti preoccupare ci pensiamo noi a lei.- sorrise Gally, mettendomi un braccio intorno alle spalle. Vidi Newt guardare Il ragazzo con una faccia strana, che non capii, ma non mi ci soffermai, dato che Alby se n'era già andato lasciandomi lì con loro.
-Allora si avvicina la sera, dobbiamo trovarti un posto dove stare.- mi disse Gally, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
-Posso darle il mio letto.- si intromise Newt.
-Potrebbe anche dormire fuori.-
-Con quelli? Ma sei matto?- 
-Forse hai ragione...-
-Certo che ce l'ho!-
-Emh...- gracchiai.
-Sì?- mi chiesero all'unisono.
-No, niente.- a quell'affermazione mi guardarono come se fossi scema e molto probabilmente lo ero davvero. Restammo in silenzio finché non mi decisi a parlare.
-Allora... Cosa facciamo adesso?- chiesi mettendo da parte le mille domande che mi giravano per la testa.
-Tra un arriverà Chuck, che ti spiegherà un po' come funziona questo ecosistema complesso. Fino a quel momento hai qualche domanda?
-Ineffetti... Avete detto che è un bene che quei muri si chiudono ogni notte, quindi... Cosa c'è là dentro?-
-Perspicace.- commentò Newt.
-Bella e intelligente. Perfetta combinazione.- aggiunse Gally e io arrossii al complimento, mentre Newt lo guardavo ancora con quello strano sguardo.
-Comunque saprai a tempo debito cosa c'è là dentro.- 
-E perché non ora?-
-Perché mi sembra che per oggi tu debba assimilare anche troppo.- concluse con tono severo Newt.
-Bene... Allora quando si mangia?- alla mia domanda Gally ampliò il suo sorriso e mi fece un cenno verso un punto ben definito della Radura -Di qua madame, se permette le faccio strada.- e mi porse il braccio. Lo presi ridendo per il suo modo di fare alquanto buffo.
Durante la cena conobbi il famoso Chuck, un tipo grassottello e basso, che non doveva avere più di tredici anni. Era davvero simpatico e molto tenero. La cena fu ottima e prima di andare via con il ragazzino, salutai Newt e Gally, ringraziandoli per la loro pazienza.
Chuck mi fece prima fare un giro della Radura generale, per poi portarmi ad un edificio di legno, che chiamò Casolare. Mi disse di cercare un paio di posti liberi sul pavimento per poter dormire, mentre lui prendeva due sacchi a pelo. All'inizio non capii cosa volesse dire con "prendi due posti per terra", ma quando entrai nel locale afferrai il concetto. C'erano una miriade di ragazzi sdraiati sopra il pavimento, rendendo quasi impossibile il passaggio.
Mi stavo dirigendo verso il secondo piano, ormai sicura che non avrei più trovato un posto, quando sentii delle voci provenire da una stanza. Mi accostai alla porta per poter sentire meglio, curiosa come non mai.
-Devi stare lontano da Anna.- era Newt.
-Perché scusa?- questo,invece, era Gally. Non capivo perché stessero parlando di me.
-Ho visto come la guardi e ti avverto non provarci.-
-Altrimenti?-
-Devi stargli lontano.-
-E tu chi sei? Il suo protettore?-
-No, quello che ti romperà la testa se ti avvicini a lei.-
-Non pensare di poter...- in quel momento caddi fragorosamente a terra -cosa è stato...?- si stava avvicinando alla porta, così corsi via più veloce di quanto avrei creduto possibile. E corsi, corsi e corsi. Finché non mi trovai nel boschetto vicino alle Faccemorte. Lì mi raggomitolai come avevo fatto nell'ascensore buio e pian piano mi addormentai.

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Capitolo 3
*** La Mutazione ***


A svegliarmi fu un grido improvviso e penetrante che lacerò l'aria. Alto e stridulo, quell'urlo quasi disumano echeggiò per il cortile coperto di pietra. Sentii il sangue diventare una poltiglia gelida quando mi resi conto che quel suono orrendo era arrivato dall'edificio di legno. Mi alzai lentamente dal mio nascondiglio e cominciai a camminare verso il Casolare, un passo dopo l'altro, trascinando il mio corpo irrigidito. Trovare Chuck non fu difficile, appena mi vide mi corse incontro con un gran sorriso, che non riuscii a non ricambiare.
-Ma dove ti eri cacciata? Mamma mia mi hai fatto prendere un colpo! Ti ho cercato finché Newt non mi ha detto di andare a dormire.-
-Mi dispiace molto. È solo che volevo starmene un po' per conto mio.- cercai di scusarmi.
-Okay, ma la prossima volta per favore fammelo sapere se vuoi stare un po' per i fatti tuoi, almeno non mi prendo un infarto.- cercò di fare l'offeso, arricciando il naso, ma finì solo per farmi ridere. 
-Ehi, che cosa ridi?- adesso era tutto rosso.
-Niente è solo che... Sei così... Così tenero.- annaspai in cerca d'aria. Quando finalmente mi calmai Chuck decise che era ora di colazione. Da Frypan, che Chuck mi spiegò essere la cosa più vicina ad un cuoco, c'era il pienone, evidentemente quell'ora era molto gettonata. Preso il cibo trovammo posto ad un tavolo un po' più isolato e ci sedemmo. All'inizio mangiammo in silenzio, ma non facendocela più mi decisi a parlare: -Allora... Come funziona? Adesso cosa c'è?-
-In che senso?- chiese Chuck con la bocca piena.
-Nel senso adesso un "Fagio" cosa dovrebbe fare?-
-Ecco... Credo ti debba finire il tuor... Ma penso che potrai dirlo concluso solo domani mattina.-
-Perché domani mattina?-
-Lo vedrai...-
-Uff...-
Chuck rise del mio sbuffo e io non potei fare a meno di unirmi a lui. 
-Dov'è Alby?-
-Non so, ma di solito non gira molto per qua.-
-Quindi cosa facciamo ora?- 
-Una passeggiata se ti va. I velocisti sono già partiti da un po' ormai.-
-Okay, basta che facciamo qualcosa, non ce la faccio a stare ferma.- tralasciai il fatto di non sapere cosa fosse un "velocista".
-Va bene, andiamo.- disse alzandosi.
Stavamo passeggiano verso una delle porte, quando un clic metallico proveniente da terra catturò la mia attenzione. Abbassai la testa e scorsi un guizzo di luce rossa e argentata, che scomparve subito. Provai a rintracciare la sua posizione, cercando una traccia, un suono, ma non vidi niente.
-Era una di quelle scacertole.- disse Chuck.
Gli feci un cenno di assenso: -Una scache?- 
-Una scacertola.- rispose il ragazzo. -Non ti farà niente, a meno che tu non sia tanto stupida da toccarla.- fece una pausa - Pive.- non sembrava a suo agio pronunciando quell'ultima parola, come se non padroneggiasse ancora del tutto il gergo della Radura. Un altro urlo, questa volta prolungato e tanto acuto da far saltare i nervi, squarciò il silenzio. Il mio cuore ebbe un tuffo. 
-Che sta succedendo là?- chiesi, indicando l'edificio. 
-Non so.- rispose Chuck. -Là dentro c'è Ben, era da cani. Lo hanno preso loro.-
-Loro?- 
-Già.-
-E chi sono loro?-
-Ti conviene sperare di non scoprirlo mai.- fece una pausa, poi sorrise. -Si riprenderà. Non muore nessuno, se riesce a tornare in tempo per prendere il Siero. Va tutto così: questione di vita o di morte. Solo che si sta malissimo.-
Esitai. -Cosa fa stare malissimo?-
Gli occhi di Chuck si persero un istante, come se non sapesse per certo cosa dire. -Ehm, essere punti dai Dolenti.- 
-Dolenti?- ero sempre più confusa. Dolenti. All'improvviso non fui più così sicura di voler sapere di cosa parlasse Chuck.
-Sembra che tu ne sappia più o meno quanto me.- dissi, ma sapevo che non era vero.
Cambiai discorso. -Chuck, quanti... Secondo te quanti anni ho?-
Il ragazzo mi squadrò da capo a piedi. -Direi sedici anni. E nel caso te lo stessi chiedendo, un metro e sessantacinque... Capelli lunghi e castani. Occhi azzurri.-
-Dici sul serio?- 
-Sì.-
-Bene... Ehm... Grazie.-
Stavo ancora pensando alle urla, consapevole che provenissero semplicemente da un ragazzino malato. Decisi di andare a vedere, non ascoltando le avvertenze di Chuck.
Avevo raggiunto la porta. Tirai la maniglia per aprirla e mi trovai davanti a diversi ragazzini dall'espressione stoica dipinta in viso, in piedi sotto a una scalinata storta.
-Ehi, guardate c'è la Fagiolina!- gridò uno dei ragazzi più grandi. 
-Mi chiamo Anna.- dovevo allontanarmi da quel tizio. Ma il bullo mi sbarrò il passo, alzando una mano.
-Fermati lì, Fagiolina.- indicò il piano superiore con il pollice. -I Novellini non hanno il permesso di vedere qualcuno che è stato... Preso. Newt e Alby non vogliono.-
-Non so nemmeno dove sono. Voglio solo che qualcuno mi aiuti.-
-Stammi a sentire, c'è qualcosa che mi puzza nel fatto che sei arrivata qui, e ho intenzione di scoprire cosa.- 
Indicai la cima delle scale. -Se Newt è salito lassù, allora voglio parlargli.-
-Sai una cosa? Hai ragione. Dai, sali. Davvero, va su. Mi dispiace.- intuii che aveva in mente qualcosa.
-Come ti chiami?- gli domandai. 
-Wes. Il vero capo.-
-Okay, se lo dici tu.-
-Sali le scale e basta.- disse Wes. -E sta lontano da me.-
-Va bene.-
-Non dovresti.- mi sussurrò Chuck.
-Va.- disse Wes con una smorfia. -Sali.-
Cominciai a salire le scale.
-La Mutazione!- gridò Wes da sotto. Arrivata al piano di sopra, vidi solo una delle porte che lasciava filtrare un po' di luce dalla fessura alla base. Allungai la mano, abbassai la maniglia di ottone e aprii la porta. All'interno della stanza, Newt ed Alby erano accovacciati su qualcuno disteso su un letto.
Mi sporsi in avanti per capire di cosa si trattasse, ma quando riuscii a vedere bene in che stato si trovasse il paziente, mi sentii raggelare il sangue nelle vene. Una sagoma pallida, contorta, dal petto nudo e devastato. Il corpo e gli arti erano percorsi da una rete di vene indurite e tese come corde. Gli occhi iniettati di sangue erano ingrossati e guizzavano avanti e indietro. Alby balzò in piedi, bloccandomi la vista ma non i gemiti e le urla. Mi spinse fuori dalla stanza e poi chiuse la porta alle sue spalle.
-Che stai facendo quassù?- strillò Alby, le labbra tese per la rabbia, gli occhi infuocati.
Mi sentii le gambe molli. -Io... Ehm... Vorrei delle risposte.- mormorai. Non sapevo cosa fare.
-Porta le chiappe giù da quelle scale. Ora.-
Senza dire una parola oltrepassai Alby e mi avviai giù per i gradini.
Ignorando gli occhi che mi attendevano  mi rivolsi a Chuck: -Portami via.-
-Ci sei arrivata.- rispose lui con finta allegria.
La Mutazione. Wes l'aveva chiamata la Mutazione.
Non faceva freddo, ma rabbrividii lo stesso.

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Capitolo 4
*** I Dolenti ***


Qualcuno prese a scuotermi per svegliarmi. I miei occhi si aprirono di scatto e vidi una faccia che mi stava fissando troppo da vicino. Tutto, intorno a noi, era ancora avvolto dal buio del primo mattino. Aprii la bocca per parlare, ma una mano fredda me la chiuse di colpo, serrandola in una stretta. Fui colta dal panico finché non vidi di chi si trattava.
-Sssh, Fagiolina. Non vogliamo svegliare Chuckie, no?-
Era Newt, il ragazzo che sembrava essere il comandante in seconda. Benché fossi sorpresa, l'agitazione si dissolse subito. Non potevo fare a meno di sentirmi incuriosita, di chiedermi cosa volesse da me. Annuii, facendo del mio meglio per dirgli di sì con lo sguardo finché Newt tolse la mano e dopo un leggero indugio si tirò indietro.
-Dài, Fagiolina.- sussurrò il ragazzo alto mentre io mi alzavo. Mi tese una mano e mi aiutò a tirarmi in piedi, solo che la spinta fu troppo forte e finii per cadergli addosso; per fortuna riuscì a mantenersi in equilibrio e a stabilizzare anche me. Era talmente forte che sembrava potermi strappare il braccio. -Pare ti debba mostrare qualcosa prima della sveglia. Oh, e nel tragitto stai attenta a non cadermi ancora addosso.- Sentii un sorriso mentre pronunciava quell'ultima frase, ma mi dava le spalle e quindi non potevo esserne completamente certa, anzi probabilmente me lo ero immaginata, ma non potei fare a meno di arrossire.
Se nella mia testa c'era ancora un'ombra di sonnolenza, era già scomparsa. -Okay.- dissi semplicemente, pronta a seguirlo. -Dove andiamo?- 
-Seguimi e basta. E stammi vicino.-
Sgattaiolammo attraverso la fitta schiera di corpi addormentati. Rischiai di inciampare diverse volte. Calpestai la mano di qualcuno, ottenendo in cambio uno strillo di dolore e poi un pugno sul polpaccio.
-Scusa.- bisbigliai, ignorando l'occhiataccia di Newt. 
Una volta usciti dal prato e passati alla dura pietra della pavimentazione del cortile, Newt prese a correre, dirigendosi verso il muro occidentale. All'inizio esitai, chiedendomi che bisogno ci fosse di farlo, ma poi decisi e lo seguii altrettanto veloce.
Mi fermai quando lo fece il ragazzo , proprio accanto al massiccio muro che torreggiava sopra di noi. Mi accorsi che qua e là, lungo la superficie del muro, c'erano piccole luci rosse che si muovevano, si fermavano, si accendevano e si spegnevano.
-Cosa sono quelle?- osai bisbigliare abbastanza forte da farmi sentire, chiedendomi se la mia voce stesse tremando come il mio animo. Il bagliore rosso e intermittente delle luci aveva un che di ammonitore.
Newt era in piedi a circa mezzo metro dalla spessa coperta di edera del muro. -Quando ti servirà saperlo, Fagiolina, lo saprai, cacchio.-
-Bé, è un po' stupido spedirmi in un posto in cui niente ha senso e non rispondere alle mie domande.- mi fermai, sorpresa delle mie stesse parole. -Pive.- aggiunsi, caricando le due sillabe di tutto il sarcasmo di cui ero capace.
Newt scoppiò a ridere, ma smise presto. -Mi piaci, Fagiolina.- mi guardò intensamente negli occhi per qualche secondo di troppo e poi aggiunse. -Adesso stá zitta e lascia che ti mostri una cosa.-
Newt fece un passo avanti e affondò le mani nell'edera, scostando diversi tralicci per rivelare una finestra impolverata. Era quadrata e larga circa sessanta centimetri. In quel momento era scura, come se fosse stata dipinta di nero.
-Che stiamo cercando?- sussurai.
-Presto ne arriverà uno.- era così vicino che potevo sentire il suo alito caldo sul collo quando parlava. 
Passò un minuto, poi un un altro. Tanti altri. Mentre il tempo passava mi rendevo conto della posizione equivoca in cui ero finita, mi ritrovavo stretta tra il petto di Newt e la finestra, con le sue braccia a farmi da sbarre. Non aravamo completamente attaccati, tra di noi solo un minimo contatto, ma non riuscii a non imbarazzarmi.
Aspettammo ancora.
Poi cambiò.
Dalla finestra arrivarono bagliori di una luce funerea, proiettando uno spettro di colori tremolanti sul corpo e sul viso di Newt. Smisi del tutto di muovermi. Strizzai gli occhi nel tentativo di capire cosa ci fosse dall'altra parte. Mi salì un groppo in gola. 
-Là fuori c'è il Labirinto.- sussurrò Newt, con gli occhi spalancati, come fosse in trance. Ancora una volta il Labirinto. -Tutto ciò che facciamo, tutta la nostra vita, gira intorno al Labirinto. Ogni santo secondo di ogni santo giorno noi lo passiamo in onore del Labirinto, cercando di risolvere qualcosa che non ci ha mostrato di avere una cacchio di soluzione, sai? E vogliamo farti vedere perché è meglio che tu non vada a metterci le mani.-
Newt fece un passo indietro, continuando a trattenere i rami d'edera.
Mi piegai in avanti fino a toccare con il naso la superficie fredda del vetro. Quando riuscii a vedere ciò che Newt voleva che vedessi, il respiro mi si bloccò in gola, come se un vento gelido fosse entrato a congelare l'aria. 
Una grande creatura gibbosa delle dimensioni di una mucca, si agitava e si contorceva per terra nel corridoio all'esterno. Si arrampicò sul muro di fronte e poi balzò contro il vetro spesso della finestra con un gran tonfo. Non riuscii a trattenere un urlo, allontanandomi dalla finestra con un salto, finendo ancora una volta contro il petto di Newt che mi bloccò prendendomi le spalle e girandomi verso di lui, così che i nostri sguardi si allacciassero. Inspirai profondamente per due volte continuando a guardarlo, lo sentivo tremendamente vicino, ma in un momento di lucidità riuscii a sussurrare un "Grazie", per poi rivoltarmi verso la finestra. 
La creatura era il risultato di uno spaventoso incrocio tra un animale e una macchina e sembrava capire di essere osservata. Sentii nascere nel petto un terrore cieco che si diffuse come un tumore, quasi impedendomi di respirare. Newt sembrò accorgersene e mi allontanò dal vetro con le sue possenti braccia, facendomi sprofondare la faccia nel suo petto ed iniziò ad accarezzarmi i capelli come si fa con i bambini piccoli.
-Tranquilla, respira.- mi disse.
-S-sì... Grazie...- mi staccai pian piano; non ero abituata a certi contatti.
-Che è quella cosa...?- domandai. 
-Dolenti, li chiamiamo.- rispose Newt. Dolenti, quelli di cui mi aveva parlato anche Chuck.
-Ora sai cosa cacchio striscia in giro per il Labirinto, amica.- dicendo la parola amica con un tono che mi sembrò un po'... Deluso...?
Iniziò ad allontanarsi lasciandomi indietro, così lo rincorsi.
-Aspetta, Newt.- gli presi il braccio per fermarlo.
-Cosa?-  mi chiese intento a guardare la mia mano ancora posata sul suo bicipite, lo scostai subito, ma lui rimase a fissare quel punto.
-Vorrei scusarmi per ieri, per quando sono entrata nella stanza di Ben, mi dispiace, se tu potessi dirlo anche ad Alby magari...-
-Glielo riferirò... Ma non c'è bisogno che ti scusi, o almeno io non me la sono presa più di tanto... Sai... A volte fa bene vedere una faccia... Amica...- Ancora quel tono.
-Mi fa piacere allora... Ecco... Considerarti un amico...- 
Mi stava guardando negli occhi con una strana espressione, ad un tratto lo vidi avvicinarsi, sempre più vicino, finché non sentii un pizzico sotto l'occhio.
-Avevi... Ecco... Una ciglia sotto l'occhio, tutto qui.- Adesso che era l'alba potevo vedere chiaramente il lieve rossore che aveva sulle guance.
-Okay, adesso credo che dovrei andare... A dopo Fagiolina.- Prima di voltarsi mi sorrise, un sorriso a trentadue denti, che mi fece inevitabilmente sorridere.
La mattinata passò in fretta e quando arrivò l'ora di pranzo fui strappata ai miei pensieri da un colpetto sulla spalla. Sollevai lo sguardo e vidi che Alby era in piedi alle mie spalle, con le braccia incrociate.
-Ma guarda se non sei tutta bellina.- disse Alby. -Hai visto qualcosa di carino dalla finestra, stamattina?-
Annuii alzandomi in piedi. 
-Adesso il tour è ufficialmente finito?- 
-Sì, ma tra qualche giorno inizierai a provare i vari lavori, quindi non riposarti troppo.- fece una pausa. -Ah, Newt mi ha riferito le tue scuse e le accetto, ma sappi che non voglio che tu disobbedisca un'altra volta, intesi?-
-Sì.- 
-Bene, ci vediamo.- e detto questo si congedò.
Il pomeriggio fu abbastanza noioso, lo trascorsi principalmente alle Faccemorte, un posto in cui potevo sfuggire al calore del sole pomeridiano.
-Ti ho trovato finalmente.- trasalii al suono di quella voce.
-Che ci fai qui?- quasi urlai per lo spavento.
-Ti cercavo, sai non ti vedevo e quindi...-  la voce di Newt si affievolì.
-Oh, beh... Vieni dai.- gli feci cenno di sedersi accanto a me.
-No, no, non mi fermo... Non voglio disturbare, volevo solo dirti che domani dovrai venire con me.-
-Come? Per cosa?- 
-Dobbiamo fare... Delle cose... Tutto qui.- Sembrava un po' incerto, ma decisi di non fare domande, infondo mi sembrava così dolce in questo momento.
-Okay.- risposi sorridendogli.
-Allora a domani, dato che non credo che ti rivedrò prima di allora... Ti ho portato una coperta, sai so che hai passato la scorsa notte qui e quindi pensavo di renderti più confortevole il tutto.-
-Grazie mille, a domani.-
Se ne andò facendomi un gesto con la mano e voltandosi a guardarmi un'ultima volta.
Era ancora presto, ma mi sentivo esausta a causa della lunga giornata e quindi mi addormentai un'altra volta lì; forse sarebbe diventato il mio personale nascondiglio, benché fosse conosciuto da molti.

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Capitolo 5
*** L'Aggressione ***


Aprii gli occhi di scatto e la prima cosa che vidi fu il sole già alto.
-Caspio.- sussurrai, quasi per scherzo. Quasi. Per quanto sembrasse strano, mi era venuto naturale pronunciare quella parola, come se mi fossi già trasformata in un Raduraio. Mi alzai con movimenti lenti, ripensando alle varie cose che avrei dovuto fare oggi, una delle quali era il misterioso incontro con Newt. Sorrisi a quel pensiero.
Ad un tratto da qualche parte, alla mia sinistra, si ruppe un rametto. Mi voltai di scatto. Rallentai il respiro e mi misi in ascolto.
Un altro colpo secco, questa volta più forte, quasi come se qualcuno avesse appena spezzato un ramoscello sul ginocchio.
-Chi va là?- gridai, mentre un brivido di paura mi solleticava le spalle. Nessuna risposta al mio richiamo e non sentii nient'altro provenire da quella parte.
Senza veramente rifletterci sopra, mi incamminai nella direzione da cui era giunto il rumore. Non cercai neanche di nascondere che stavo arrivando; presi a spostare tutti i rami che incontravo, lasciandoli tornare indietro dopo il mio passaggio con la violenza di una frustata. 
-C'è qualcuno?- chiesi di nuovo, sentendomi un po' più tranquilla visto che il rumore non si era ripetuto. Giusto per sicurezza, gridai: -Sono io, Anna. Quella nuova.-
Feci una smorfia e scossi la testa, questa volta sperando che non ci fosse veramente nessuno. Ancora nessuna risposta.
Continuai ad andare avanti finché non sentii un altro schiocco. Poi un altro ancora. Sempre più vicino.
-Chi c'è?- gridai con voce rauca e tremante. -Dico davvero. È da stupidi.- odiavo ammettere di essere terrorizzata.
Invece di rispondere, la persona smise di cercare di muoversi con cautela e prese a correre, scagliandosi oltre la linea degli alberi che costeggiava il cimitero, muovendosi in cerchio verso il punto in cui mi trovavo. Mi bloccai, presa dal panico. Ora, a poca distanza, il visitatore stava facendo sempre più rumore. Poi riuscii a scorgere, in un lampo indistinto, un ragazzetto ossuto che zoppicava con uno strano passo veloce e ondeggiante.
-Chi diavo...?- Il ragazzo emerse di corsa dagli alberi prima che potessi finire. Vidi solo un bagliore di pelle smorta e due occhi enormi, come un'apparizione, e gridai, provai a correre, ma era troppo tardi. La sagoma balzò su di me, sbattendomi contro le spalle, afferendomi con le sue forti mani. Caddi al suolo con un tonfo e sentii una delle croci del cimitero conficcarmisi nella schiena prima di spezzarsi, lasciandomi un graffio profondo e bruciante nella carne. Sentii gli occhi inumidirsi per il dolore, ma trovai lo stesso la forza per colpire con una spinta l'aggressore, un'instancabile massa di pelle e ossa che mi si impennò addosso mentre cercavo di rovesciarlo. Sentii un rumore di denti che si aprivano e che si richiudevano sbattendo, un orripilante clac, clac, clac. Poi fui trafitta da un forte dolore: la bocca del ragazzo aveva trovato il luogo che cercava, stava mordendo la mia spalla. Urlai in modo disumano, un suono che spaventò perfino me stessa. Il dolore mi fece salire l'adrenalina nel sangue. Piantai i palmi delle mani contro il petto del ragazzo e spinsi, raddrizzando le braccia finché i miei muscoli non si tesero contro il corpo che mi si contorceva sopra. Finalmente l'aggressore ricadde all'indietro. 
Mi dimenai e sfuggii a quattro zampe, respirando affannosamente, e per la prima volta riuscii a vedere bene il mio assalitore. 
Era il ragazzo malato.
Era Ben.
Indossava solo un paio di pantaloncini, la pelle bianchissima era tesa sulle ossa come un lenzuolo avvolto stretto intorno a un fascio di bastoni. Vene simili a funi percorrevano il suo corpo, pulsanti, verdi, ma meno pronunciate dell'ultima volta che l'avevo visto nel Casolare.
Ben si rannicchiò, pronto a balzare nuovamente all'attacco. Ad un certo punto era comparso un coltello, che ora stava stringendo in mano. Provavo un misto di nausea e paura. Non mi sembrava possibile che mi stesse capitando una cosa del genere.
Non ci pensai due volte e presi a correre con tutta la forza che avevo in corpo. Non sapevo se stessi facendo qualcosa di sensato o qualcosa di stupido, ma la cosa che più mi premeva era allontanarmi da lui. Sentivo i suoi passi dietro di me, era goffo, ma veloce. 
-Aiuto!- gridai ormai arrivata alla fine del bosco. -Aiutatemi!- 
Vidi diverse facce stranite voltarsi verso di me, vidi lo stupore del primo momento e la paura che subito vi seguì. 
-Aiut...- non riuscii a finire la frase perché mi ritrovai faccia a terra, un peso sulla schiena e la convinzione che non ce l'avrei fatta.
Mi sentii voltare da Ben per poi ritrovarmi due occhi iniettati di sangue davanti.
-Ti ho visto... Tu sei... Tu sei cattiva! Devo ucciderti! Lascia che ti sbudelli!- gridò il ragazzo sopra di me. Non sapevo di cosa parlasse, ma avevo capito che non scherzava riguardo la parte dello sbudellamento. 
Sentii una fitta improvvisa alla spalla e chiusi gli occhi, ormai sconfitta, aspettando che Ben finisse quello che aveva cominciato.
Stavo pensando ai peggiori scenari possibili, quando sentii un rumore sordo, come di un attrezzo che si infrangeva contro qualcosa di duro. Sentii il peso di Ben ricadermi addosso e quando aprii gli occhi lo ritrovai steso sopra di me. Guardandomi intorno vidi una folla che si era radunata intorno a noi, ragazzi che mormoravano qualcosa che non capii, troppo impegnata a cercare di calmare il mio respiro. Spostai lo sguardo alla mia destra e vidi Newt con una pala in mano, la faccia contorta in un misto tra stanchezza e rabbia. Lo guardai con gratitudine, mentre dai miei occhi iniziarono ad uscire alcune lacrime che sfociarono poi in un pianto isterico. Strisciai lontano da Ben, in modo da non averlo più così vicino, mi alzai e barcollando andai verso il mio salvatore. Continuai a piangere anche quando gli saltai addosso così forte da poterlo buttare a terra: mi prese per la vita e mi strinse a se con urgenza.
-Per fortuna stai bene.- lo sentii dire.
Non ascoltai le parole di Alby quando arrivò, troppo presa da quel momento. Capii solo che Ben non era morto, ma soltanto svenuto; quando anche Gally mi si avvicinò restò a guardarmi senza fiatare, immobile. Mi staccai da Newt soltanto quando Alby venne da me con i Medicali e mi costrinse a far controllare le ferite. 
Arrivati in cucina, dove avevano deciso di portarmi, Clint, il Medicale più basso, mi chiese: -Dove ti sei fatta male?- il suo tono era dolce, ma allo stesso tempo autoritario. Sentii un grugnito provenire dall'altro lato della stanza e subito mi voltai: era Newt che aveva insistito per venire.
-Ho solo sbattuto un po' la schiena, non c'è bisogno di tutte queste attenzioni. Dovreste andare invece da Ben.- cercai di dire.
-Come fa a preoccuparsi.- borbottò l'altro in disparte.
-Avanti togli la maglia.- mi ordinò il ragazzo davanti a me.
-Come?- non potevo con Newt nella stanza, non l'avrei mai fatto.
-Sono un 'dottore' avanti.- mi rassicurò con un sorriso.
-Ma Newt...- cercai di dire.
-È fuori discussione che me ne vada. Devo vedere cosa ti ha fatto quello là.- rispose quest'ultimo.
-Newt, è normale che si vergogni.- l'ammonì Clint. -Avanti adesso, senza fare storie.- 
A malincuore presi i bordi della maglia ormai ridotta a pezzi e me la sfilai, rimanendo in reggiseno. Mi coprii subito con le braccia, per quanto potevo, sentendo tutti gli sguardi fissi su di me, gli occhi strabuzzati. Solo dopo capii che ciò che fissavano erano le mie ferite, probabilmente molto peggiori di quanto le avevo descritte.
Guardando meglio la maglia che avevo appoggiato sul tavolo, vidi una piccola macchia di sangue in corrispondenza del punto in cui avevo battuto. Trasalii quando sentii i freddi diti di Clint poggiarsi sulla mia schiena, esaminando la ferita. 
-È una brutta lesione, ma non è grave per fortuna... Il problema è che dovrò ripulirla da tutti i corpi estranei e non sarà piacevole.- disse a mo di scusa. 
-Non ti preoccupare, fa quello che devi fare.- gli sorrisi.
-Anche questo morso non è fantastico... Dovremmo ripulire anche questo sì.- parlò rivolto a nessuno in particolare.
Farsi disinfettare le ferite non mi sembrava così terribile, almeno non finché Clint non iniziò. Provai a non urlare, ma ci furono alcuni momenti in cui non riuscii a trattenermi, emettendo alcuni versi soffocati. Vedevo Newt tenere lo sguardo fisso su di me, cosa che non mi faceva affatto rilassare. -Torno subito.- disse poi.
Mentre Newt non c'era il Medicale finì di disinfettare la ferita, così quando il ragazzo biondo tornò fui immensamente felice che avesse portato una maglietta in più con sé.
Ringraziai Clint per le sue attenzioni, mi misi la maglia troppo larga per la mia esile figura, lanciai uno sguardo a Newt e me ne andai, la testa che mi pulsava.
Sapevo che non avrei mai dimenticato quei pochi, spaventosi minuti trascorsi nel cimitero.
-Dí qualcosa.- mi disse Chuck per la quinta volta da quando avevamo steso i sacchi a pelo.
-No.- risposi, proprio come avevo fatto prima.
-Tutti sanno cosa è successo. È già capitato un paio di volte: qualche pive punto dai Dolenti è uscito di testa e ha aggredito qualcuno. Non pensare di essere speciale.- per la prima volta vidi un lato di quell'insopportabile bambino di cui rimasi sconvolta; forse dalla mia espressione feci trapelare troppo, perché subito dopo disse: -Scusami, non volevo darti contro. So che sei ancora sconvolta.- 
-Non ti preoccupare, scusami tu. Sono stata un po' irascibile.- 
Quando ci mettemmo sotto le coperte Chuck si addormentò subito, ma io non riuscii a prendere sonno, così mi alzai e andai verso una delle porte, sedendomi sul prato a gambe incrociate.
-Ehi.- mi voltai, ritrovandomi ancora una volta di fronte a Newt. -Te la sei vista brutta, eh. Non è colpa tua.- disse sedendosi accanto a me, troppo vicino, terribilmente vicino.
-Probabilmente pensi che sia uno stronzo di un pive a farti lavorare domani, dopo un episodio come questo.- continuò.
Mi strinsi nelle spalle. -Credo che lavorare sia la cosa migliore che possa fare. Qualunque cosa, pur di non pensare.-
Newt annuì e il suo sorriso si fece più sincero. -Sei intelligente come sembri, Anna. Quella è una delle ragioni per cui questo posto lo teniamo tutto bello pulito e affaccendato. Se sei pigro diventi triste. Cominci a cedere. Tutto qui.- 
-Potremmo non parlarne... Per favore...- lo pregai. 
Restammo in silenzio ad ascoltare i rumori della notte, il fruscio del vento tra le foglie, lo scricchiolio del Casolare.
-Ho avuto paura.- disse tutt'a un tratto.
-Come?- forse avevo sentito male.
-Ho avuto paura. Quanto ti ho visto correre e dietro di te c'era Ben... Ho avuto paura.- sussurrò velocemente. -Non farmi più preoccupare in questo modo, per favore.- 
-Se avessi potuto evitare...-
-Voglio solo che tu stia bene.- mi interruppe. -Ho visto cosa ti ha fatto, e anche se Clint non te lo dice, le ferite sono gravi. E se solo penso che poteva andare mille volte peggio... Che potevi perfino...- non terminò la frase, sentii la sua mano stringersi a pugno accanto alla mia.
-Perfino?- lo invitai a continuare.
-Morire.- rispose con sguardo vacuo. -Potevi morire.- si alzò di scatto. 
-Ma non è successo.- cercai di calmarlo. 
-Non ti rendi conto che poteva finire male? Non ti rendi conto del pericolo? Non ti rendi conto di quando mi hai fatto preoccupare?- esclamò.
-Perché ti scaldi tanto? Mi avete spiegato che qui la gente muore spesso e mi pare che ve ne facciate tutti una ragione; perciò anche se fosse successo sareste andati avanti come avete sempre fatto. Non sono speciale.- esclamai a mia volta, ripetendo le parole che poco prima mi aveva detto Chuck. Lo vidi voltarsi verso di me con uno sguardo adirato. Con un gesto fulmineo fletté i muscoli delle gambe in modo da ritrovarsi alla mia altezza, il volto ancora una volta vicino al mio. Rimasi immobile.
-Come fai a non capire?- chiese più a sé stesso che a me. -Come fai a...?- non continuò la frase, si alzò di nuovo e se ne andò, lasciandomi sola a cercare di capire a cosa si riferissi.

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Capitolo 6
*** L'Esilio ***


-Facciamo sempre iniziare i Novellini da quei sanguinari degli Squartatori. Non preoccuparti, tagliare le vettovaglie di Frypan è solo una parte del lavoro. Gli Squartatori fanno qualunque cosa abbia a che fare con le nostre bestioline.- mi sorrise Alby. Eravamo in piedi davanti al granaio del Macello. Mi stavo preparando alla mia prima sessione di tirocinio con un Intendente, così chiamavano i vari capi dei diversi mestieri che si trovavano nella Radura. Nonostante l'attacco di ieri, ero comunque impaziente di imparare e felice della possibilità di distogliere il pensiero da Ben e dalle parole di Newt.
-Peccato che non mi ricordi tutta la mia vita. Magari sono una a cui piace uccidere gli animali.- scherzai, ma non sembrava che Alby l'avesse capito. 
Il ragazzo davanti a me fece un cenno verso il granaio: -Oh, all'ora del tramonto, stasera, lo saprai benissimo. Andiamo da Winston... È l'Intendente.-
-Aspetta... Ancora non mi hai detto cosa succederà a Ben?- era la seconda volta nella mattinata che lo chiedevo, ma ancora nessuna risposta. Alby continuò a non dire niente, perciò decisi di smettere per il momento.
Winston era un ragazzo basso, muscoloso e coperto d'acne. Ebbi la strana impressione che il suo lavoro gli piacesse fin troppo. Magari l'hanno mandato qui perché era un serial killer, pensai.
Per la prima ora, Winston mi fece fare il giro della struttura, mostrandomi i recinti con gli animali, la collocazione delle gabbie dei polli e dei tacchini, dove stavano le cose nel granaio. Il cane, un fastidioso labrador nero di nome Bau, mi si affezionò subito e mi rimase appiccicato per tutto il giro. 
La seconda ora fu dedicata al lavoro con gli animali della fattoria: nutrirli, pulirli, aggiustare uno steccato, raccogliere la sploff. Sploff. Mi sorpresi a usare il linguaggio della Radura sempre più spesso.
La terza ora fu la più difficile per me. Dovetti osservare Winston che macellava un maiale e cominciava a prepararne le varie parti per la cucina. Per tutto il tempo rimasi seduta nell'angolo più lontano della stanza a osservare l'orripilante scena, mentre da una delle poche finestre che c'erano, vedevo Chuck fare capolino di tanto in tanto ridendo come non l'avevo mai visto fare.
Mentre mi allontanavo, in pausa pranzo, mi feci due promesse: uno, che il mio lavoro non sarebbe mai stato quello con gli animali; e due, che non avrei mai più mangiato nulla che derivasse da un maiale.
Winston mi aveva detto di andare a mangiare da sola. Lui sarebbe rimasto nei dintorni del Macello, il che mi andava benissimo.
Mentre mi incamminavo verso la Porta Orientale, non riuscivo a smettere di immaginarmi Winston in un angolo buio del fienile, intento a masticare zampe di maiale crudo. Quel ragazzo mi dava i brividi.
Stavo oltrepassando la Scatola quando fui sorpreso dalla vista di qualcuno che entrava nella Radura dal Labirinto, passando per la Porta Occidentale, alla mia sinistra. Era un ragazzo asiatico dalle braccia forti e dai capelli corti e neri, che sembrava un po' più grande di me. Il ragazzo si fermò a tre passi dall'ingresso, nella Radura, si piegò in due e si mise le mani sulle ginocchia, inspirando affannosamente. Sembrava uno che aveva appena corso per trenta chilometri: viso arrossato, pelle coperta di sudore, abiti zuppi.
Rimasi a fissarlo, sopraffatta dalla curiosità. Mi avevano parlato dei Velocisti, le uniche persone a cui era concesso entrare nel Labirinto di giorno, ma non ne avevo ancora visto uno da vicino, né tantomeno gli avevo parlato. Inoltre, a quanto avevo visto, quello era rientrato con ore di anticipo. Feci un passo avanti, impaziente di conoscerlo e fargli delle domande. 
Ma prima che riuscissi a formulare una frase, il ragazzo si accasciò a terra.
Per alcuni instanti, non mi mossi. Il ragazzo era a terra, un mucchietto raggrinzito che si muoveva appena, ma ero paralizzata dall'indecisione. E se il ragazzo avesse avuto qualcosa di brutto? Se fosse stato... Punto? Se fosse...
Ma poi mi diedi una mossa. Era chiaro che il Velocista aveva bisogno di aiuto.
-Alby!- gridai, -Newt! Qualcuno li vada a chiamare!- 
Mi avvicinai al ragazzo più grande con un balzo e mi inginocchiai accanto a lui. -Ehi... Stai bene?- La testa del velocista era appoggiata sulle braccia distese. Stava ansimando, il petto che saliva e scendeva velocemente. Non aveva perso i senso, ma non avevo mai visto una persona tanto stanca.
-Sto... Bene.- disse, tra un respiro e l'altro. Poi sollevo lo sguardo, guardandomi incuriosito. -E tu chi saresti?-
-Sono nuova.- gli sorrisi in modo amichevole. Mi resi conto che i Velocisti stavano tutto il giorno nel Labirinto, quindi non erano presenti quando si erano verificati gli ultimi avvenimenti. -Mi chiamo Anna... Sono qui da poco.-
Il Velocista si tirò a sedere, con i capelli neri incollati al cranio per il sudore. -Oh, già, Anna.- mi sorrise. -La Novellina. Sei molto più carina di quanto mi avevano detto.- arrossii al suo complimento.
In quel momento arrivò di corsa Alby, chiaramente scocciato. -Che ci fai qui, Minho? Che è successo?-
-Calmino, Alby.- ribatté il Velocista, che sembrava essersi ripreso all'istante. -Vedi di renderti utile e portarmi dell'acqua. La mia roba è caduta da qualche parte, là fuori.-
Ma Alby non si mosse. Colpì una delle gambe di Minho con un calcio, e lo fece troppo forte perché fosse uno scherzo. -Che è successo?-
-Non riesco quasi a parlare, faccia di caspio!- gridò Minho con voce rauca. -Dammi dell'acqua!-
Alby mi lanciò un'occhiata; fui scioccata di scorgere l'ombra di un sorriso passare fulminea sul suo volto, prima di svanire e trasformarsi in un broncio. -Minho è l'unico pive che mi può parlare in quel modo senza che le sue chiappe finiscano a calci giù per la Scarpata.- 
Poi, sorprendendomi ancora di più, Alby si voltò e corse via, presumibilmente per prendere dell'acqua da portare al Velocista.
Mi girai verso Minho. -Prende ordini da te?-
Minho si strinse nelle spalle e poi si asciugò le gocce di sudore fresco sulla fronte. -Hai paura di quella schiappa? Bellina, hai parecchio da imparare.-
-Ma non è il capo?- insistetti.
-Capo?- Minho latrò una specie di grugnito, che probabilmente doveva essere una risata. -Sì, chiamalo capo, se vuoi. Forse dovremmo chiamarlo El Presidente. No, no... Ammiraglio Alby. Ecco.- si strofinò gli occhi con un ghigno.
Sorrisi alla sua battuta senza neanche accorgermene, quel tipo era davvero spiritoso. Dopo una lunga pausa, mi decisi a parlare. -Allora...- dissi cauta. -Oggi hai trovato qualcosa?- 
Gli occhi di Minho si spalancarono e si concentrarono su di me. -Sai una cosa, bellissima? Questa sarebbe la cosa più stupida che puoi chiedere a un Velocista.- chiuse gli occhi di nuovo. -Ma oggi non lo è.-
-Che vuoi dire?- osai sperare che avrei ricevuto qualche informazione.
-Aspetta finché non torna il bell'ammiraglio. Non mi piace ripetere le cose due volte. Inoltre, può darsi che lui non voglia che tu ci senta.- mi disse.
Sospirai. Non ero minimamente sorpresa dalla mancanza di una risposta. -Beh, almeno dimmi come mai sembri così stanco. Non stai là fuori a correre tutti i giorni?- 
Minho gemette, si tirò su e si mise a sedere a gambe incrociate. -Sì, Fagiolina. Sto lì fuori a correre tutti i giorni. Diciamo solo che oggi mi sono un po' agitato e ho corso superveloce per riportare qui le chiappuzze.- 
-Perché?- tentai.
-Aspettiamo il generale Alby.- ripeté ancora una volta il ragazzo.
-Okay, me ne sto zitta. Però fa in modo che Alby mi lasci ascoltare.- lo supplicai.
Minho mi studiò per un attimo. -Okay, Fagiolina. Sei tu il capo.- disse facendomi un buffetto sulla guancia.
-Disturbo?- sentii una voce provenire dalla mia destra.
-Ehilà Newt, certo che no. Stavo solo facendo conoscenza.- ammiccò il ragazzo asiatico. 
-Sì, ho visto.- rispose in modo serio il biondo non degnandomi di uno sguardo.
-Non capisco perché non mi hai detto subito quanto era bella la nostra Fagiolina.- continuò Minho, mentre Newt rovesciava gli occhi; evidentemente per lui non ero abbastanza carina.
Alby arrivò un attimo dopo, con un grosso bicchiere di plastica pieno d'acqua. Lo diede a Minho, che se lo bevve tutto senza fermarsi a respirare neanche una volta.
-Okay,- disse Alby -spara. che è successo?-
Minho sollevò le sopracciglia e fece un cenno diretto a me.
-Lei è a posto.- rispose Alby. -Non mi importa cosa sente questa pive. Parla e basta!-
Rimasi seduta in silenzio, in attesa. Minho si sforzò di alzarsi in piedi, facendo smorfie a ogni movimento. Tutto il suo modo di muoversi gridava stanchezza. Il Velocista si appoggiò al muro per rimanere in equilibrio e lanciò uno sguardo freddo a tutti e tre. -Ne ho trovato uno morto.-
-Eh?- domandò Alby. -Morto? Un cosa?-
Minho sorrise. -Un Dolente morto.-
Fui affascinata dal sentir nominare il Dolente. Pensare a quella brutta creatura era spaventoso, ma mi chiedevo perché trovarne una morta fosse un fatto tanto strano. Non era mai successo?
Alby aveva la faccia di uno a cui è appena stato detto che potrebbero spuntargli le ali e che potrebbe mettersi a volare. -Non è un buon momento per scherzare.- disse.
-Senti.- rispose Minho.-Se fossi in te neanch'io ci crederei. Ma fidati, l'ho visto. Era grosso, grasso e brutto.-
No, non deve essere mai successo prima, pensai.
-Hai trovato un Dolente morto.- ripeté Alby.
-Sì, Alby.- rispose Minho in tono irritato. -A qualche chilometro da qui, vicino alla Scarpata.-
-Beh, e perché non l'hai portato qui con te?- chiese Alby spostando lo sguardo dal Labirinto a Minho.
Il Velocista rise di nuovo. -Ma ti sei bevuto la salsina piccante di Frypan? Quei cosi devono pesare mezza tonnellata, amico. Inoltre, non ne toccherei uno neanche se mi promettessi una gita gratis fuori da questo posto.-
Alby insistette con le domande. -Che aspetto aveva? Le punte di metallo erano dentro o fuori dal corpo? Si muoveva? Aveva la pelle ancora bagnata?-
Mi sentivo esplodere dalle troppe domande che avrei voluto fare. Punte di metallo? Pelle bagnata? E che diavolo...? Però tenni a freno la lingua, perché non volevo che si ricordassero della mia presenza. 
-Taglia corto, tipo.- disse Minho. -Devi vederlo con i tuoi occhi. È... Strano.-
-Strano?- Alby sembrava confuso.
-Amico, sono esausto, sto morendo di fame e sono rimbambito dal sole. Ma se vuoi andarlo a rimorchiare proprio ora, probabilmente riusciamo ad andare e a tornare prima che i muri si chiudano.-
Alby guardò l'orologio. -Meglio aspettare la sveglia di domani.-
-È la cosa più intelligenti che hai detto in tutta la settimana.- il ragazzo asiatico si raddrizzò, mi si avvicinò e mi cinse le spalle con uno dei suoi possenti bracci. -Dovrei tornare là fuori, ma vaffanbagno. Mi voglio mangiare un po' di quello schifo di stufato di Frypan in compagnia della mia nuova amichetta.- sorrise nella mia direzione. Guardai con la coda dell'occhio Newt, che aveva continuato a rimanere in silenzio per tutto il tempo, stringere le mani a pugno.
Non riuscii a far niente per evitare di andarmene con il Velocista, così dovetti far compagnia a Minho contendendo la mia curiosità. Quando ebbe finito di mangiare mi salutò con un gesto della mano e si avviò verso il Casolare, probabilmente a farsi un riposino.
Una volta tornata da Winston, il ragazzo mi disse che per oggi avevo finito, così mi rilassai facendo una passeggiata, costeggiando le alte mura. 
-Anna! Anna!- sentii gridare Chuck, mi voltai e lo vidi corrermi incontro. 
-Ehi Chuck, come stai?- gli chiesi in modo cortese.
-Bene... Ma non sono qui per questo.- ansimò.
-Cosa devi dirmi?- chiesi curiosa.
-Stamattina c'è stata un'Adunanza degli Intendenti... Pare che sia stata presa una decisione unanime sulla sorte di Ben.- mi spiegò.
-Di cosa stai parlando?- socchiusi le palpebre, confusa dalle parole di Chuck.
-Verrà esiliato. Stasera. Perché ha cercato di ucciderti.- 
-Esiliato? E che vuol dire?- dovetti chiedere, anche se avevo capito che non doveva essere niente di buono.
Poi vidi la cosa forse più inquietante che mi era capitato di vedere dal mio arrivo nella Radura. Chuck sorrise. Sorrise e basta. Sorrise, nonostante tutto, nonostante il suono sinistro di quanto aveva appena pronunciato. Poi si voltò e si mise a correre, forse per raccontare quella notizia eccitante a qualcun altro. 
Quella sera, Newt e Alby chiamarono a raccolta tutti i Radurai presso la Porta Orientale mezz'ora prima della chiusura. In cielo cominciavano a vedersi le prime avvisaglie del tramonto.
Mi sentivo ancora a disagio per il modo in cui Chuck aveva sorriso quando mi aveva dato la notizia dell'Esilio di Ben. Non potevo fare a meno di sentirmi in colpa.
Gli altri abitanti della Radura chiacchieravano a voce bassa, mormorando. Restai in piedi, in silenzio, finché anche i Velocisti non arrivarono.
-Portatelo fuori!- gridò Alby, facendomi sussultare.
Tre dei ragazzi più grandi comparvero da dietro la parte più lontana del Casolare, trascinandosi letteralmente dietro Ben.
I suoi vestiti erano tutti strappati e ormai facevano fatica a tenersi insieme. Aveva gli occhi spalancati, ed erano spalancati dal terrore.
-Newt.- disse Alby, a voce molto più bassa. Se non mi fossi trovata a pochi passi di distanza, non l'avrei neanche sentito. -Và a prendere l'asta.-
Tornai a concentrarmi su Ben e sulle guardie. Il ragazzo, pallido e triste, continuava a fare resistenza, lasciandosi trascinare sulla pietra polverosa del cortile. Quando raggiunsero la folla, fu tirato in piedi davanti ad Alby, il capo. Ma tenne la testa bassa, rifiutandosi di stabilire un contatto visivo con chiunque.
-Te la sei andata a cercare, Ben.- disse Alby. Poi scosse la testa e volse gli occhi al capanno in cui era entrato Newt.
Quando quest'ultimo ne uscì, aveva in mano diverse aste di alluminio e ne stava unendo le estremità per formare una pertica lunga forse sei metri.
Mi sentii inorridire davanti a tutta questa vicenda: non riuscivo a fare a meno di ritenermi responsabile, anche se non avevo mai fatto niente per provocare Ben. Come poteva essere colpa mia? 
-Ti prego, Alby.- supplicò Ben. -Te lo giuro, era solo che ero fuori di testa per la Mutazione. Non l'avrei mai uccisa... Ho sbroccato solo per un attimo. Ti prego, Alby. Ti prego!-
Ogni parola di Ben era come un pugno nelle budella per me. Mi faceva sentire ancora più colpevole e confusa.
Alby non rispose a Ben, lo oltrepassò e camminò costeggiando l'asta, raccogliendola da terra e facendola scorrere tra il palmo della mano e le dita, poi parlò con voce alta e quasi cerimoniosa. -Ben, sei stato condannato all'Esilio per il tentato omicidio di Anna, la Novellina. Gli Intendenti hanno parlato e la loro parola non cambierà. E tu non tornerai. Mai più.- una lunga pausa. -Intendenti, prendete posto all'Asta dell'Esilio.-
Odiavo il fatto che in questo momento il mio collegamento con Ben fosse stato reso pubblico; odiavo la responsabilità che mi pesava addosso.
Una volta che furono tutti presenti, dieci Intendenti distribuiti a pari distanza l'uno dall'altro tra Ben e Alby, l'aria si fece immobile e silenziosa. Gli unici suoni udibili erano i singhiozzi soffocati di Ben, che continuava ad asciugarsi il naso e gli occhi. Stava guardando a destra e a sinistra, anche se il cappio che aveva al collo gli impediva di vedere la pertica e gli Intendenti alle sue spalle.  
I miei sentimenti mutarono di nuovo. Perché Ben meritava questo destino? Non era possibile fare nulla per lui?
-Perché?- mi ritrovai a sussurrare.
-Vi prego! Aiutatemi! Qualcuno li fermi!- guardò tutti con occhi imploranti. Quando incontrò il mio sguardo rimase a fissarmi con sguardo vacuo, sentivo la testa che mi pulsava e gli occhi lucidi.
Poi Ben fu spinto in avanti e la testa gli si rovesciò all'indietro di scatto: gli Intendenti stavano spingendo la pertica verso il Labirinto, fuori dalla Radura. 
-Nooo!- gridò Ben. -Nooo!- gridò ancora e poi ancora.
Cercò di piantare i piedi sulla soglia, ma durò solo una frazione di secondo; con uno scossone, l'asta lo spinse nel Labirinto. Presto si trovò oltre un metro fuori dalla Radura, dimenandosi a destra e a sinistra nel tentativo di liberarsi dal collare. I muri della Porta erano ormai a pochi secondi dalla chiusura completa.
Con un ultimo, violento sforzo, infine, Ben riuscì a torcere il corpo nel cappio di cuoi, in modo da voltarsi a guardare i Radurai.
-Fermi!- gridò Alby.
Allora Ben gridò. Il grido fu lungo, ininterrotto, un suono tanto lacerante che fui costretta a coprirmi le orecchie.
All'ultimissimo secondo, in qualche modo, l'Intendente in cima alla fila staccò con forza la pertica più grossa dalla parte attaccata a Ben e la tirò con forza per riportarla nella Radura, lasciando il ragazzo al suo Esilio. Le urla finali di Ben si interruppero quando i muri si chiusero con un rombo terrificante.
Strinsi gli occhi e, con mia grande sorpresa, mi accorsi di avere le guance solcate dalle lacrime.
Aspettai che tutti i Radurai se ne fossero andati per avvicinarmi alla grande porta. Arrivata di fronte all'enorme spaccatura appoggiai una mano sulla fredda pietra.
-Mi dispiace.- singhiozzai appoggiando anche la fronte sulla parete. -Perdonami.- detto questo mi voltai per andarmene, sorpresa di vedere Newt a pochi metri di distanza osservarmi. 
Continuai a guardarlo per un po', fino a quando non mi decisi ad andarmene, asciugando le lacrime che continuavano ad uscire prepotentemente.

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Capitolo 7
*** Persi ***


Mi tirai a sedere strofinando gli occhi, cercando di scrollarmi di dosso il pesante torpore notturno. Poi ci rinunciai e tornai a sdraiarmi, sperando che nessuno mi avrebbe disturbato.
Non durò neanche un minuto.
Qualcuno mi batté sulla spalla, così aprii gli occhi per vedere che Newt mi stava fissando. E che c'è ora?, pensai. 
-Alzati. Mi ha mandato Alby.- puntualizzò il ragazzo.
-Sì, buongiorno anche a te. Che ore sono?-
-Le sette, Fagiolina.- disse Newt con un sorriso di scherno. -Ringrazia che ti ho lasciato dormire più a lungo.-
Rotolai su un fianco e mi misi a sedere. Avrei voluto rimanere sdraiata ancora per qualche ora. -Dormire più a lungo? Ma che siete, una massa di contadini?- 
-Eh... Già, visto che l'hai detto.- Newt si lasciò cadere accanto a me e si mise a sedere a gambe incrociate. Tacque per alcuni istanti, osservando il trambusto affaccendato che cominciava a montare per tutta la Radura. -Oggi ti metto con gli Scavatori. Vediamo se ti piace di più non stare a tagliuzzare dannati maialini eccetera.- 
Volse lo sguardo verso di me e per la prima volta da ormai due giorni mi parlò guardandomi negli occhi: -Mi dispiace per quello che ti ho detto l'altra notte. Non volevo.- abbassò gli occhi.
-Cos'è uno Scavatore?- cambiai discorso, non mi andava di ricordare quello che era successo.
-Chiamiamo così quelli che si fanno il culo negli Orti: zappano, strappano le erbacce, seminano, eccetera.- si vedeva che c'era rimasto male.
Annuii rivolta agli Orti. -Chi è l'Intendente?-
-Zart. Un tipo simpatico, almeno finché non fai quello che non si presenta al lavoro. È il tizio grosso che ieri stava in testa alla fila.-
Non risposi, nella speranza che, in qualche modo, sarei riuscita ad arrivare alla fine di questa giornata senza parlare di Ben e dell'Esilio. Quell'argomento aveva come il potere di darmi la nausea e farmi sentire in colpa, quindi passai ad altro. -E allora come mai sei venuto tu a svegliarmi?-
-Ma come, non ti piace vedermi come prima cosa al mattino?- scherzò, ma vidi nei suoi occhi anche una punta di curiosità.
-Non particolarmente. Allora...- ma prima che potessi finire la frase, fui interrotta dal frastuono dei muri che si aprivano per la giornata. Rivolsi lo sguardo alla Porta Orientale, quasi aspettandomi di vedere Ben in piedi dall'altra parte. Invece, vidi Minho che faceva stretching. 
-Dimmi qualcosa dei Velocisti.- dissi all'improvviso. Le parole sembravano saltar fuori dal nulla. 
-I Velocisti? Perché?- aveva un'aria confusa. -Vuoi fare colpo su Minho?- fece un verso di scherno.
-Semplice curiosità.- risposi. -Possibile che a te non si possa mai chiedere nulla?- 
Newt mi rivolse un'occhiata sospettosa. -Sono il meglio del meglio, quei ragazzi. Devono esserlo. Tutto dipende da loro.- raccolse un sassolino e lo scagliò lontano.
-E perché tu non lo sei?-
Lo sguardo di Newt tornò a fissarmi, tagliente. -Lo ero, finché un po' di mesi fa non mi ferii alla gamba. Non è più stata la stessa cosa dopo, cacchio.- abbassò la mano e si strofinò la caviglia destra con aria assente.
-Come è successo?- domandai.
-Scappando dai fottuti Dolenti, e come sennò? Quasi quasi mi prendevano.- Fece una pausa. -Mi vengono ancora i brividi se penso che avrei potuto beccarmi la Mutazione.-
-Cos'è, a proposito? Cosa cambia? Impazziscono tutti come Ben e cominciano ad ammazzare la gente?-
-Ben era ridotto molto peggio della maggior parte degli altri. Ma pensavo che volessi parlare dei Velocisti.- il tono di Newt mi fece capire che la conversazione riguardo alla Mutazione era finita.
-Va bene, ti ascolto.- mi rassegnai.
-Come dicevo, sono il meglio del meglio.-
-E allora come fate? Fate delle prove con tutti per vedere quanto corrono?- 
-Quanto corri è solo una parte della faccenda.- mi spiegò.
-Che intendi?- il mio interesse fu ulteriormente stuzzicato.
-Per sopravvivere al Labirinto bisogna essere intelligenti, svelti, forti. Bisogna saper prendere decisioni. Non si può essere spericolati, ma neanche timidi.- Newt distese le gambe e rilassò la schiena. -Là fuori è una roba brutta, cacchio, sai? Non ne sento la mancanza.-
-Credevo che i Dolenti girassero solo la notte.- non volevo finire per incontrare uno di quei cosi.
-Sì. Di solito.- 
-E allora perché è così terribile?- Cos'altro non sapevo?
Newt sospirò. -Pressione. Stress. La struttura del Labirinto che cambia tutti i giorni. Cercare di immaginarti come è fatto, tentare di portar tutti noi fuori di qui. E la cosa peggiore è che si ha sempre paura di non farcela a tornare indietro.-
Aggrottai le sopracciglia, non comprendendo da dove venisse il desiderio che stava nascendo in me.
-Come mai tutto questo interesse?- domandò Newt.
Esitai, riflettendo, spaventata dall'idea di dirlo ad alta voce. -Voglio fare il Velocista.-
Newt si voltò e mi guardò negli occhi. -Non se ne parla.-
-Dico sul serio.- continuai.
Il ragazzo continuò a fissarmi. -Anch'io. Scordatelo.-
Mi alzai in piedi e cominciai a piegare il sacco a pelo. -Newt, dico davvero. Non posso stare a strappare erbacce tutto il giorno... Impazzirei. Posso farcela.-
Rimase seduto a fissarmi. -Si vede che non hai ascoltato una singola parola di quello che ti ho detto l'altra sera.- 
Decisi di tentare un'altra volta, non ascoltando le sue parole. -Va bene, ne parlerò con Minho.-
-È l'Adunanza che elegge i Velocisti.- mi spiegò.
-Ma...- fui interrotta da Newt che con gesto fulmineo si alzò, poi mi afferrò un braccio tirandomi a sé e mi si parò davanti, tenendomi per le spalle.
-Perché non riesci a capirlo? Non voglio che tu ti faccia del male.- vedevo i suoi occhi ardere. -Non voglio preoccuparmi per te.-
-Non ti ho chiesto di farlo.- allora mi considerava solo un peso.
-Non è qualcosa che si può decidere. Se mi preoccupo per te è perché forse ci tengo... A te.- terminò la frase in un lieve sussurro. -Perciò smettila con questa sciocchezza di diventare un Velocista e andiamo da Zart.- cambiò discorso in fretta.
-Andiamo.- dissi demoralizzata.
Prima di lasciarmi con Zart, Newt mi chiese: -Ti prego promettimi che non andrai nel Labirinto.-
Lo guardai con riluttanza e a malincuore gli risposi: -Te lo prometto.-
Trascorsi la mattinata con l'Intendente degli Orti a farmi il culo, come avrebbe detto Newt. Zart era il ragazzo alto dai capelli neri che in occasione dell'Esilio di Ben si era messo in cima alla fila. Non parlò molto, ma mi mostrò i rudimenti del lavoro finché non fui in grado di andare avanti da sola. Non mi piacevano quelle attività e per la maggior parte del tempo ignorai gli altri braccianti.
Stavo sarchiando con Zart una lunga fila di pannocchie ancora acerbe, quando decisi che era un buon momento per cominciare a fargli delle domande. Quell'Intendente sembrava molto più avvicinabile.
-Allora, Zart.- esordii.
L'Intendente sollevò lo sguardo, ma poi ricominciò a lavorare. Aveva il viso lungo e gli occhi all'ingiù. Per qualche ragione, sembrava la persona più annoiata del mondo. -Sì, Fagiolina, che vuoi?-
-Quanti Intendenti ci sono in totale?- chiesi, cercando di assumere un tono disinteressato. -E quali sono i lavori possibili?-
-Beh, ci sono i Costruttori, gli Spalatori, gli Insaccatori, i Cuochi, i Geografi, i Medicali, gli Scavatori, i Macellai. I Velocisti, ovvio. Più che altro io me ne sto per conto mio, faccio le mie cose.-
La maggior parte delle parole non aveva bisogno di spiegazioni, ma avrei voluto chiarirne alcune. -Cos'è uno Spalatore?- Sapevo che quello ero il lavoro di Chuck, ma il ragazzo non aveva mai voluto parlarne. Si rifiutava di dirmelo.
-È quel che fanno i pive che non sanno fare nient'altro. Puliscono i bagni, puliscono le docce, puliscono la cucina, puliscono il Macello dopo che hanno ammazzato gli animali: tutto. Passa un solo giorni con quegli sfigati e ti passa la voglia di andare in quella direzione, se ne hai. Questo è certo.-
Sentii una fitta di senso di colpa nei confronti di Chuck. Mi dispiaceva per lui. 
-E gli Scavatori?- chiesi, strappando una grossa erbaccia dalle cui radici penzolavano grumi di terriccio.
Zart si schiarì la gola e continuò a lavorare mentre rispondeva. -Sono quelli che si occupano dei lavori pesanti negli Orti. Scavano i canali e robe varie. Quando hanno del tempo libero, fanno altre cose in giro per la Radura. A dire il vero, molti Radurai hanno più di un lavoro. Non te l'hanno detto?-
Ignorai la domanda e proseguii, decisa a ottenere il maggior numero di risposte possibile. -E gli Insaccatori? So che si occupano dei morti, ma non è che qui si muoia tanto spesso, no?-
-Quei tizi mi fanno un po' paura. Fanno da guardie e pure da sbirri. Ma tutti preferiamo chiamarli Insaccatori e basta. Divertiti, quel giorno, pivella.- Rise sotto i baffi. Era la prima volta che lo vedevo ridere e trovai che in lui ci fosse qualcosa di molto simpatico.
Avevo altre domande. A decine. Ma all'improvviso persi la voglia di parlare. Feci un respiro lungo, profondo. Lavora e basta, pensai. E così feci. 
Quando arrivammo a metà pomeriggio, ero pronto a crollare per la stanchezza: tutto quello stare piegati e strisciare in ginocchio in mezzo al terriccio era stato un inferno. Mecello, Orti. Due fallimenti.
Velocista, pensai mentre andavo in pausa. Fatemi fare il Velocista e basta. 
Stanca e dolorante, mi diressi verso la cucina per fare uno spuntino e bere un po' d'acqua. 
Addentai una mela e poi mi lasciai cadere a terra accanto a Chuck. C'era anche Newt, ma era da solo e ignorava tutti gli altri. Aveva gli occhi arrossati e la fronte solcata da rughe profonde. Lo osservai mentre si mangiava le unghie: non l'avevo mai visto fare niente del genere prima di allora.
Chuck se ne accorse a sua volta e fece la domanda che mi rigirava nella testa: -Che ha che non va?- sussurrò. -Ha l'aspetto che avevi tu quando eri appena saltata fuori dalla Scatola.-
-Non lo so.- replicai. -Perché non vai a chiederglielo?- 
-Perché io? Sei timida forse? O ti vergogni di lui per un altro motivo...?- mi sorrise in modo malizioso.
-Ho sentito ogni vostra cacchio di parola.- gridò Newt a voce alta. 
Mi sentii come se fossi stata colta in flagrante mentre rubavo, ma ero seriamente preoccupata. Newt era uno dei pochi, nella Radura, che mi piacevano davvero.
-Che hai che non va?- gli domandò Chuck.
-Non va neanche una singola cosa nell'universo.- rispose. Poi sprofondò in un lungo silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto. -Alby e Minho.- mormorò. -Sarebbero dovuti tornare ore fa.- Sapevo che oggi i due ragazzi erano andati a vedere del Dolente morto che Minho aveva ritrovato, ma non ci avevo fatto caso finché Newt non li nominò.
Prima che avessi modo di accorgermene, mi ritrovai di nuovo al lavoro, impegnata a strappare le erbacce, facendo il conto alla rovescia in attesa del momento in cui avrei smesso per sempre di lavorare negli Orti. Lanciavo di continuo occhiate alla Porta Occidentale, in cerca di Alby e Minho. La preoccupazione di Newt mi aveva contagiato.
I Velocisti erano rientrati alla solita ora ed ero sempre più preoccupata alla vista di Newt che correva da una parte all'altra, ormai senza cercare di nascondere il panico.
Ero seduta con Chuck e Winston a un tavolo da picnic sul lato sud del Casolare. Ero riuscita a magiare solo qualche boccone quando mi fermai. Non riuscivo a continuare.
-Non riesco a starmene seduta qui mentre quelli non tornano.- dissi, lasciando cadere la forchetta sul piatto. -Vado a fare la guardia alle Porte assieme a Newt.- Mi alzai e mi incamminai.
Non mi sorpresi di ritrovarmi Chuck alla calcagna.
Trovammo Newt nei pressi della Porta Occidentale, intento a passarsi le dita tra i capelli. Sollevò lo sguardo alla vista di me e Chuck.
-Ma dove sono?- disse il biondo con voce sottile e tesa. 
-Non possiamo mandare qualcuno a cercarli?- chiesi.
-Senti, entrambi hanno fatto un giuramento, proprio come me. Proprio come noi tutti. Lo farai anche tu, quando andrai alla tua prima Adunanza e verrai scelta da un Intendente. Non si esce mai la notte. Non importa cosa succeda. Non si fa.- mi rispose il biondo.
Lanciai un'occhiata a Chuck, che sembrava pallido quanto Newt. -Newt non lo sta dicendo,- disse il ragazzo, -quindi lo farò io. Se non tornano, significa che sono morti. Minho è troppo in gamba per perdersi. È impossibile. Sono morti.-
Newt non disse nulla a Chuck, si voltò e prese a camminare verso il Casolare, a testa bassa.
-Quel pive ha ragione.- Disse Newt, solenne. -È per questo che non possiamo uscire. Non possiamo permetterci di peggiorare le cose, cacchio.-
Posò una mano sulla mia spalla, ma poi se la lasciò cadere lungo il fianco. Le lacrime salirono a bagnare gli occhi di Newt e per la prima volta mi sentii impotente.
-Le Porte si chiuderanno tra due minuti.- disse Newt, con un'affermazione così secca e definitiva che parve rimanere sospesa per aria.
Scossi la testa e tornai a guardare il Labirinto. Alby e Minho li conoscevo appena, ma mi doleva il cuore al pensiero che fossero lì fuori, uccisi dalla creatura orripilante che avevo visto dalla finestra.
Un rombo assordante risuonò da tutte le direzioni, strappandomi dai miei pensieri. Poi arrivò lo stridore della pietra che strofina contro altra pietra: le Porte si stavano chiudendo per la notte.
Poi il guizzo di un movimento sulla sinistra catturò la mia attenzione. Nel Labirinto, infondo al lungo corridoio davanti a me, c'era qualcosa che si muoveva.
All'inizio fui presa da una stretta di panico. Feci un passo indietro, temendo che potesse trattarsi di un Dolente. Ma poi distinsi due sagome che incespicavano lungo il corridoio, verso la Porta. Finalmente, oltre la cecità iniziale della paura, gli occhi riuscirono a mettere a fuoco l'immagine e mi resi conto che era Minho, con un braccio di Alby intorno alle spalle. Se lo stava praticamente trascinando dietro. Il Velocista sollevò lo sguardo e mi vide, e capii che dovevo avere gli occhi che schizzavano fuori dalle orbite.
-L'hanno preso!- gridò Minho, con voce straziata e sfinita. Ogni suo passo aveva l'aria di poter essere l'ultimo.
Ero talmente scioccata che mi ci volle un attimo per reagire. -Newt!- gridai infine, costringendomi a distogliere lo sguardo da Minho e Alby, per guardare nell'altra direzione. -Stanno arrivando! Li vedo!- 
Newt era già tornato al Casolare, ma al mio grido si voltò di scatto e prese a correre verso di me zoppicando. 
Mi girai di nuovo a guardare il Labirinto e mi sentii riempire di spavento. Alby era scivolato fuori dalla presa di Minho ed era caduto a terra. Vidi il Velocista cercare disperatamente di rimetterlo in piedi, poi infine rinunciare e cominciare a trascinarlo sul pavimento di pietra tirandolo per le gambe.
Ma dovevano percorrere ancora trenta metri.
Il muro di destra si stava chiudendo in fretta, e più speravo rallentasse, più sembrava accelerare. Mancavano pochi secondi alla chiusura definitiva.
Mi voltai a guardare Newt che, zoppicando quanto più velocemente poteva, era riuscito ad arrivare a metà strada.
Tornai con lo sguardo al Labirinto e al muro che si stava chiudendo. Ancora pochi centimetri e sarebbe finita.
Minho avanzava inciampando, poi cadde a terra. Non ce l'avrebbe fatta. Non c'era più tempo. 
Sentii che Newt, da dietro, mi stava gridando qualcosa: -Non farlo, Anna! Non farlo, cacchio!-
Un metro e mezzo. Un metro e venti. Novanta centimetri. Mezzo metro.
-Anna no!- era quasi arrivato.
Sapevo di non avere scelta. Mi mossi. In avanti. All'ultimo minuto, strisciai oltre le aste ed entrai nel Labirinto.
I muri si chiusero alle mie spalle con un tonfo, che riecheggiò contro la pietra ricoperta di edera come la risata di un folle.

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Capitolo 8
*** Nel Labirinto ***


Per diversi secondi, ebbi l'impressione che il mondo fosse paralizzato. Il rombo tonante della Porta che si chiudeva fu seguito da un profondo silenzio. Un velo di oscurità parve coprire il cielo, come se anche il sole, spaventato, fosse stato scacciato via da ciò che era annidato nel Labirinto.
Era sceso il crepuscolo e le gigantesche mura apparivano come enormi pietre tombali in un cimitero per giganti infestato dalle erbacce. Mi appoggiai alla pietra ruvida, sopraffatta. Ero incredula di ciò che avevo appena fatto. 
Piena di terrore all'idea delle conseguenze; mi immaginavo Newt dall'altra parte imprecare. 
Poi un grido acuto di Alby, poco oltre, catturò la mia attenzione. Minho stava gemendo. Mi costrinsi ad abbandonare il muro e corsi verso i Radurai.
Minho si era tirato su ed era di nuovo in piedi, ma aveva un aspetto orribile, anche nella poca luce rimasta. Era sudato, sporco, pieno di graffi. Alby, a terra, sembrava messo anche peggio. Aveva gli abiti laceri e le braccia coperte di tagli e di lividi. Ebbi un brivido. 
-Bel lavoro.- disse Minho. -Considerati già morta, proprio come noi.-
Sentii il calore salirmi al viso. Mi sarei aspettata almeno un pochino di gratitudine. -Scusa se non sono riuscita a rimanere lì seduta, con voi qui fuori.-
-E a che servi, adesso che sei con noi?- Minho roteò gli occhi. -Stessa roba, tipo. Infrangi la Regola numero uno o ammazzati. Stessa roba.-
-Prego. Stavo solo cercando di aiutarvi.- avrei voluto tirargli un calcio in faccia.
Minho fece una risata amara e forzata, poi si inginocchiò di nuovo affianco ad Alby.
Guardai meglio il ragazzo svenuto e mi resi conto della gravità della situazione: sembrava in punto di morte. 
Sentii che la speranza mi abbandonava. -Che è successo?- domandai, cercando di lasciare da parte la rabbia. 
-Non mi va di parlarne.- rispose Minho, controllando il polso di Alby e poi chinandosi sul suo petto ad ascoltare il battito. -Diciamo solo che i Dolenti sono molto bravi a fingersi morti.-
Mi colse di sorpresa. -Allora è stato... Morso? O punto, quel che è? Ha già iniziato la Mutazione?-
-Hai ancora molto da imparare, tesoro.- disse semplicemente Minho.
Avrei voluto urlare. Sapevo di avere molto da imparare: era per questo che facevo tante domande. -Morirà?- mi costrinsi a dire, imbarazzata da quanto la parola suonasse vuota e superficiale.
-Considerato che non siamo riusciti a rientrare prima del tramonto, è probabile. Potrebbe morire tra un'ora... Non so quanto ci voglia, se non si prende il Siero. Ovviamente saremo morti anche noi, quindi non stare a piangerci troppo sopra. Eh, già: presto saremo tutti belli e morti.- lo disse in tono tanto prosaico che quasi non riuscii a rendermi conto del significato della frase.
Tuttavia, ben presto la cupa realtà della situazione cominciò a colpirmi, dandomi il voltastomaco. -Moriremo davvero?- chiesi, incapace di accettarlo. -Mi stai dicendo che non abbiamo nessuna possibilità?-
-Nessuna.-
Sentii che gli occhi iniziavano ad inumidirsi, così che alla fine senza volerlo, mi ritrovai a piangere.
-Ma... Ma che fai? Piangi? Aspetta no.- Minho mi si avvicinò con sguardo preoccupato; quando fu più vicino non ci pensai due volte e lo abbracciai di slancio, cominciando a singhiozzare.
-P... Perché piangi? Per quello che ho detto?- era scioccato, lo si capiva dal tono di voce.
-No, idiota.- dissi staccandomi da lui. -Non piango per colpa tua.- lo guardai male.
Mi sentii irritata dal pessimismo di Minho. -Quanti Dolenti avremo addosso?- sbirciai giù per il corridoio che si addentrava nel Labirinto.
-Non lo so.- sollevò gli occhi lanciandomi un'occhiata.
Non volevo cedere alla disperazione del Velocista. Non volevo mollare tutto e morire. Non ancora. -Qualcuno è mai sopravvissuto dopo essere stato preso fuori dalle mura, di notte?-
-Mai.-
Mi imbronciai. Avrei voluto trovare anche solo una minuscola scintilla di speranza. -E dunque quanti sono morti?-
Minho stava fissando il suolo, accovacciato, con l'avambraccio posato su un ginocchio. Era chiaro che era esausto, quasi stordito. -Almeno dodici. Non sei stata al cimitero?-
-Sì.- Quindi è così che sono morti, pensai. In un certo senso avevo passato più tempo con quelle tombe che con qualsiasi altra persona, eccetto forse Newt... Newt, sapere che non l'avrei mai più rivisto mi spezzò il cuore. 
Minho si alzò in piedi e prese Alby per le braccia. Poi indicò i piedi del ragazzo con un cenno del mento. -Piglia quei due puzzono. Dobbiamo portarlo fino alla Porta. Almeno un corpo sarà facile da trovare, domattina.-
Non riuscivo a credere quando fosse morbosa quella frase. -Ma come può succedere una roba del genere?- strillai rivolta ai muri, girando su me stessa. Mi sentivo vicina a perdere il senno una volta per tutte.
-Piantala di frignare. Avresti dovuto seguire le regole e rimanere dentro. Adesso muoviti, prendilo per le gambe.- 
Con una smorfia, andai a sollevare i piedi di Alby, come mi era stato ordinato. Un po' issandolo e un po' trascinandolo, trasportammo il corpo quasi senza vita del ragazzo per circa una trentina di metri, fino alla fessura verticale della Porta, dove Minho sistemò Alby contro il muro. 
Sollevai lo sguardo verso gli enormi muri coperti dai fitti rampicanti e mi venne un'idea. -Non possiamo arrampicarci su questa roba?- guardai Minho, che non disse una parola. -I rampicanti... Non possiamo salirci su?-
Minho si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione. -Fagiolina, devi pensare che siamo un branco di idioti. Credi davvero che non ci sia mai venuta l'idea ingegnosa di arrampicarci su quei muri del cacchio?-
Per la prima volta, sentii una rabbia strisciante venire a competere con la paura e il panico. -Tipo, sto solo cercando di dare una mano. Perché non la finisci di lamentarti di ogni cosa che dico e non mi parli?-
Il Velocista mi balzò addosso di colpo e mi agguantò per la maglietta. -Non hai capito! Non sai niente, e cercando di sperare stai solo peggiorando le cose! Siamo morti, ci senti o no? Morti!-
In quel momento, non sapevo quale fosse il mio sentimento più forte nei confronti di Minho, se la rabbia e la compassione. Stava rinunciando con troppa facilità.
Minho abbassò lo sguardo sulle sue mani aggrappate alla mia maglia e assunse un'espressione di vergogna. Lentamente lasciò la presa e si allontanò. Mi sistemai i vestiti con aria sprezzante.
-Che cavolo, che cavolo.- sussurrò. Poi si accasciò, nascondendo il viso tra i pugni stretti. -Non ho mai avuto tanta paura prima d'ora. Non così.-
Aprii la bocca per parlare, ma poi la chiusi in fretta. Avevo sentito il rumore. La testa di Minho si alzò di colpo. 
Era un suono basso, ossessivo, che arrivava dal profondo del Labirinto. Un ronzio costante a cui, a intervalli regolari, si aggiungeva uno stridore metallico, come se ci fossero dei coltelli affilati l'uno contro l'altro. Il rumore si fece più intenso a ogni istante che passava. Un gemito sordo riempì l'aria, seguito da una specie di sferragliare di catene.
Minho si alzò in piedi, il volto appena visibile nella luce che andava scemando. Ma quando parlò, immaginai che avesse gli occhi sbarrati dallo spavento. -Dobbiamo dividerci... È la nostra unica possibilità. Continua a muoverti e basta. Non smettere mai di muoverti!-
-Come?- forse avevo capito male, non poteva averlo detto davvero.
Poi si voltò e prese a correre, scomparendo nel giro di pochi secondi, inghiottito dal Labirinto e dall'oscurità.
Rimasi a fissare il punto in cui Minho si era volatilizzato, con la crescente voglia di tirargli un pugno in faccia se mai fossimo vissuti abbastanza.
Sentii crescere un'improvvisa antipatia nei confronti del ragazzo. Minho era un veterano della Radura, un Velocista. Io invece ero una Novellina, arrivata da pochi giorni, e mi trovavo nel Labirinto da pochi minuti. Tuttavia, dei due, era stato Minho a cedere al panico. Come ha potuto lasciarmi qui?, pensai. Come ha potuto farlo?
I rumori si fecero più forti. Poi venne l'odore. Come di qualcosa di unto che bruciava. Non avevo la più pallida idea di cosa mi aspettasse. 
Mi voltai a guardare Alby, ancora appoggiato al muro di pietra, ormai ridotto a un mucchietto scuro nel buoi della sera. Mi inginocchiai, trovai il collo di Alby e cercai di sentire il battito. Qualcosa c'era. Gli ascoltai il petto come aveva fatto Minho.
Tu-tum, tu-tum, tu-tum.
Ancora vivo.
Mi dondolai all'indietro sui talloni e mi passai il braccio sulla fronte per asciugarmi il sudore.
Non potevo lasciar morire un amico. Anche se si trattava di qualcuno con il caratteraccio di Alby.
Tesi le braccia e afferrai quelle del ragazzo. Poi mi accovacciai e, da dietro, me le allacciai al collo. Mi misi sulla schiena il corpo inerte e spinsi forte con le gambe, gemendo per lo sforzo.
Ma era troppo. Ricaddi in avanti, viso a terra; Alby finì scompostamente sdraiato accanto a me con un grosso tonfo.
I rumori spaventosi dei Dolenti si stavano avvicinando sempre di più, riecheggiando contro le pareti del Labirinto.
Feci un nuovo tentativo: afferrai di nuovo le braccia di Alby e cominciai a trascinarlo per terra. Non riuscivo a credere quanto fosse pesante. Bastarono tre o poco più tentativi per farmi capire che non avrebbe funzionato. E comunque, dove l'avrei portato?
Spingendo e tirando, riportai Alby alla fessura che indicava l'ingresso della Radura e lo appoggiai di nuovo al muro di pietra, in modo che rimanesse seduto.
Mi ci sedetti anch'io, ansimando per lo sforzo e riflettendo. Non vedevo quasi niente e, nonostante le parole di Minho, sapevo che correre sarebbe stato da stupidi, anche se fossi stata in grado di tenere Alby in spalla.
Pensai al muro, all'edera. Minho si era spiegato, ma mi aveva dato da intendere che arrampicarmi sui muri era impossibile. Però...
Un piano prese forma nella mia mente. Dipendeva tutto dalla capacità dei Dolenti, che mi erano sconosciute, ma era il meglio che potessi escogitare. Camminai lungo il muro fino ad arrivare ad un fitto cespuglio d'edera. Tesi un bracci, afferrai uno dei rami che scendevano fino a terra e me lo avvolsi alla mano. Lo tirai e, con lo stesso suono di un cartoncino che si strappa, il tralcio si staccò dal muro sempre di più, via via che mi allontanavo. 
Con qualche esitazione iniziale, mi feci coraggio e tirai il tralcio d'edera con tutte le forze.
Il rampicante teneva.
Svelta, afferrai altri rami, strappandoli dalla parete e creando una serie di corde utili per arrampicarsi. Li testai una per una, e si rivelarono tutti forti come il primo. Incoraggiata, tornai a prendere Alby e lo trascinai fino ai rami che avevo scelto.
Dall'interno del Labirinto echeggiò uno schiocco secco, seguito dal suono spaventoso del metallo che si accartocciava. I Dolenti erano vicini. Doveva essere così. 
Afferrai un rampicante e lo avvolsi intorno al braccio destro di Alby. La pianta arrivava solo fino a un certo punto, così dovetti tenere su il ragazzo facendo leva con il mio corpo. Dopo diversi giri, feci un nodo sul tralcio. Poi presi un altro rampicante e lo misi  intorno al suo braccio sinistro, quindi passai a entrambe le gambe, legandole ben strette. Mi preoccupai del fatto che poteva bloccare la circolazione del Raduraio, ma decisi che era un rischio che valeva la pena correre. Cercando di ignorare i dubbi che mi stavano affiorando in mente riguardo al piano, continui. Era arrivato il mio turno. Afferrai un rampicante con entrambe le mani e iniziai a tirarmi su, direttamente sopra al punto in cui avevo appena legato Alby. Le spesse foglie d'edera erano ottimi appigli e, con mio grande entusiasmo, scoprii che le molte crepe sulla superficie della parete erano ottimi appoggi per i piedi. Cominciai a pensare quanto sarebbe stato facile senza...
Mi rifiutai di concludere quel pensiero. Non potevo abbandonare Alby. 
Una volta raggiunto un punto a poco più di mezzo metro sopra l'amico, mi avvolsi un tralcio intorno alla vita, facendolo girare diverse volte e facendolo aderire bene. Mi lasciai penzolare lentamente, abbandonando la presa con le mani, ma tenendo i piedi ben piantati in una grossa fessura. Il rampicante resse e mi sentii riempire da una sensazione di sollievo.
Ora veniva la parte difficile.
I quattro rampicanti legati ad Alby, più in basso, erano ben tesi. Afferrai quello che avevo assicurato al piede sinistro e tirai. Riuscii ad avvicinarlo solo di pochi centimetri prima di cedere e mollare la presa. Pesava troppo per me. Non potevo farcela.
Scesi di nuovo sul pavimento del Labirinto e decisi di provare a spingere dal basso anziché tirare da sopra. Feci una prova cercando di sollevare Alby solo di un pezzo, un arto alla volta. Prima spinsi su la gamba sinistra e la legai a un nuovo ramo. Poi la gamba destra. Quando entrambe furono saldamente legate, feci lo stesso con le braccia del ragazzo: il destro, poi il sinistro.
Feci un passo indietro, ansando, per dare un'occhiata, i muscoli indolenziti.
Alby era appeso lì, apparentemente privo di vita, ma un metro più in alto di dove si trovasse cinque minuti prima.
Fragore dal Labirinto. Ronzii. Brusii. Gemiti. Pensai di vedere qualche bagliore rosso sulla sinistra. I Dolenti si stavano avvicinando ed era chiaro che ce n'era più d'uno.
Mi rimisi al lavoro.
Usando lo stesso metodo, mi arrampicai piano su per il muro di pietra. Salii fino a trovarmi appena sotto il corpo del compagno, poi mi avvolsi una rampicante al petto per sostenermi e spinsi Alby più su che potei, un arto alla volta, legandolo all'edera anche questa volta. Poi ripetei di nuovo.
Sali, avvolgi, spingi, lega.
Sali, avvolgi, spingi, lega. 
Sempre in questo modo, poco alla volta, salimmo. Respiravo faticosamente e sentivo il sudore coprirmi ogni centimetro di pelle. Le mani cominciarono a scivolare e a perdere la presa sui rami. I piedi mi facevano male a furia di schiacciarli nelle fessure. I rumori si fecero più forti; erano spaventosi. Spaventosi. Tuttavia, continuai.
Una volta raggiunto un punto a circa tre metri da terra, mi fermai. Usando le braccia esauste e rese ormai gommose dallo sforzo, mi voltai per osservare il Labirinto. Mi sentivo riempire il corpo da una stanchezza che non credevo fosse possibile. Ero tanto stanca da sentirmi dolere ovunque: i miei muscoli stavano gridando. Non ero in grado di spingere Alby più su di un altro centimetro. Era finita.
Questo sarebbe stato il nostro nascondiglio. O il luogo dove avremmo cercato di opporre resistenza.
Non avevo idea di cosa aspettarmi; non sapevo se sarei arrivata al giorno seguente. Qui, appesi all'edera, io e Alby saremmo andati incontro al nostro destino.
Passarono diversi minuti prima che vedessi il primo luccichio provenire dai muri del Labirinto, più oltre.
Una luce rossa a sinistra, sul muro, catturò la mia attenzione. Mi voltai e finii quasi per gridare: a pochi centimetri da me c'era una scacertola, le zampe affusolate che sporgevano dall'edera e che in qualche modo rimanevano attaccate alla pietra. 
Cercai di mettere a fuoco il corpo dell'animale, poi notai il dettaglio più spaventoso: la luce rossa dell'occhio gettava un bagliore sinistro su sette lettere in stampatello, pasticciate sul tronco come se fossero state scritte con il sangue: C.A.T.T.I.V.O.
Non riuscivo a immaginare come mai proprio quella parola dovesse trovarsi stampata sulla scacertola, se non per lo scopo di annunciare ai Radurai che si trattava di una creatura malvagia. Cattiva.
Sapevo che doveva essere una spia di chiunque ci avesse mandati qui.
Con un tonfo e uno schiocco, la scacertola si voltò e se ne andò di gran carriera, scomparendo nell'edera.
Un altro squittio meccanico risuonò nel Labirinto, questa volta vicino, seguito dal rumore crescente di una macchina che va su di giri. Cercai di imitare il corpo senza vita di Alby, lasciandomi penzolare molle tra i rami.
Poi qualcosa girò l'angolo e venne verso di noi.
Qualcosa che avevo già visto, ma mentre ero al sicuro, dietro un vetro spesso e tra le braccia di Newt.
Qualcosa di indicibile.
Un Dolente.
Inorridita, rimasi a fissare la creatura che avanzava per il lungo corridoio del Labirinto.
Sembrava un esperimento uscito direttamente da un incubo. In parte animale, in parte macchina, il Dolente procedeva a rotolii e schiocchi lungo il sentiero di pietra. Il corpo sembrava quello di un gigantesco lumacone. Era coperto da una peluria rada e luccicante di muco. La respirazione lo faceva pulsare su e giù in modo grottesco. 
Ogni dieci, o quindici secondi, dalla carne gelatinosa dell'animale saltavano fuori delle punte di metallo affilate. La creatura diventava di colpo una palla e rotolava in avanti. Poi si fermava, come a calcolare la posizione in cui si trovava. Il Dolente procedeva così, spostandosi solo di alcune decine di centimetri alla volta.
Tuttavia, i peli e le punte non erano le sole cose che spuntavano dal suo corpo. Diversi bracci meccanici spuntavano a caso qua e là. Ciascuno avevo uno scopo diverso. Alcuni terminavano con luci brillanti. Altri erano muniti di lunghi aghi minacciosi, uno aveva un artiglio a tre dita che si apriva e si chiudeva senza nessuna ragione particolare.
Cominciai a capire il senso dei suoni che avevo sentito. Quando il Dolente rotolava, emetteva quel ronzio simile al rumore della lama di una sega circolare in funzione. Le punte e i bracci meccanici spiegavano gli schiocchi inquietanti dello sfregamento del metallo contro la pietra.
Rotolando e schioccando, il Dolente si avvicinò, zigzagando avanti e indietro, gemendo, ronzando. 
Le mie narici furono pervase da un forte odore di bruciato, una mescolanza nauseante di lezzo di motori surriscaldati e carne carbonizzata. Non riuscivo a credere che ci fosse gente che aveva potuto creare qualcosa di così orrendo e mandarlo a caccia di ragazzini.
Cercando di non pensarci, chiusi gli occhi per un istante e mi concentrai sulla necessità di rimanere tranquilla e immobile. La creatura continuava a procedere. 
Zzz...
Clic-clic-clic
Zzz...
Clic-clic-clic
Sbirciai in basso senza muovere la testa. Il Dolente aveva ormai raggiunto il muro dove io ed Alby ci trovavamo. Si fermò davanti alla Porta chiusa che dava sulla Radura, alla mia destra, a pochi metri di distanza.
Ti prego, vattene dall'altra parte, pensai in silenzio.
Girati.
Vattene.
Da quella parte.
Ti prego!
Le punte del Dolente saltarono fuori di colpo. Il corpo rotolò verso di noi.
Zzz...
Clic-clic-clic 
Procedette, si fermò e poi prese a rotolare di nuovo, proprio fino alla parete. Trattenni il respiro, senza osare fare il minimo rumore. Ora il Dolente era piazzato direttamente sotto di noi. Avrei tanto voluto guardare giù, ma sapevo che ogni movimento poteva tradirmi. I raggi di luce della creatura stavano illuminando tutta l'aria circostante in modo casuale, senza mai fermarsi in un punto preciso.
Poi, inaspettatamente, si spensero.
Il mondo si fece immediatamente buio e silenzioso. Era come se la creatura si fosse spenta. Non si muoveva, non emetteva alcun suono. Senza altre luci, non riuscivo a vedere nient'altro.
Ero cieca.
Inspirai a più riprese dal naso; il mio cuore aveva un disperato bisogno di ossigeno. 
Passarono i secondi. I minuti. L'edera fibrosa scavò un solco nella mia carne. Il torace perse la sensibilità. 
Poi, con uno scoppio improvviso di luce e rumore, il Dolente tornò in vita, ronzando e schioccando.
Quindi cominciò ad arrampicarsi sul muro.
Le punte del Dolente si conficcarono con violenza nella pietra, gettando in ogni direzione frammenti di roccia e di edera strappata. 
Sentii che l'ultimo briciolo di speranza mi stava abbandonando.
Sapevo che l'unica possibilità rimasta era quella di correre. Mi dispiace, Alby, pensai, srotolando lo spesso rampicante che mi avvolgeva la vita. Sapevo di non poter salire, perché così il Dolente sarebbe passato sopra ad Alby. E scendere era l'opzione da scegliere solo se volevo morire il più in fretta possibile.
Dovevo spostarmi di lato.
Tesi un braccio e afferrai un ramo mezzo metro alla mia sinistra. Me lo avvolsi intorno alla mano e poi lo tirai con uno strattone secco. Il ramo era resistente, proprio come tutti gli altri. Lasciai la presa sulla corda che mi ero avvolta intorno al torace e issai il corpo sulla sinistra, strisciando in qualche modo sulla superficie del muro. Prima che l'oscillazione mi riportasse a dove si trovava Alby, cercai di afferrare un altro rampicante, assicurandomi di prenderne uno bello spesso. Questa volta mi ci aggrappai con entrambe le mani e mi girai per fare leva contro il muro con le piante dei piedi. Spostai il corpo verso destra, quanto più lontano mi rendesse possibile la lunghezza del ramo, poi lo lasciai e ne afferrai un altro. Poi un altro ancora. Scoprii di potermi muovere più velocemente di quanto non avessi mai osato fare.
Il rumore del mio inseguitore non si interruppero mai, anzi vi si aggiunse il suono terrificante della pietra che si spezzava e frantumava. Oscillai verso destra molte altre volte prima di osare guardarmi alla spalle.
Il Dolente aveva mutato il suo percorso, smettendo di puntare verso Alby e dirigendosi verso di me, al che pensai: Finalmente qualcosa è andato per il verso giusto. Spingendo i piedi più forte che potei, un'oscillazione dopo l'altra, continuai a fuggire dalla creatura orripilante.
Non avevo bisogno di guardare indietro per sapere che, con ogni secondo che passava, il Dolente guadagnava terreno. Si capiva dal rumore. In qualche modo dovevo tornare a terra, altrimenti sarebbe finita molto presto.
All'oscillazione successiva, lasciai un po' la presa prima di stringere forte. Il tralcio mi bruciò il palmo della mano, ma riuscii ad abbassarmi verso terra di parecchi centimetri. Feci lo stesso con il ramo seguente. E con quello dopo. Un dolore lancinante mi salì infuocato per le braccia. Con l'oscillazione seguente, il buio mi impedì di vedere che davanti a me torreggiava un nuovo muro: era troppo tardi, il corridoio finiva e svoltava a sinistra.
Andai violentemente a sbattere contro la pietra, perdendo la presa sul rampicante. Tesi le braccia e le sbattei convulsamente, nel tentativo di afferrare qualcosa che fermasse la caduta verso il duro pavimento di pietra sottostante. Nello stesso istante, vidi il Dolente con la coda dell'occhio sinistro. Mi aveva quasi raggiunto.
Trovai un ramo a mezza altezza rispetto al terreno e mi ci aggrappai, sentendo il rumore di qualcosa che si spezzava. Guardai giù e vidi un lembo della maglietta che indossavo cadere sul freddo pavimento, ma non mi ci soffermai troppo a lungo.
Facendo leva sui piedi, mi diedi una spinta con tutta la forza che mi rimaneva, allontanando il corpo dalla parete proprio mentre il Dolente vi arrivava alla carica con l'artiglio e con gli aghi. Scalciai con la gamba destra, riuscendo a colpire il braccio che terminava con quella specie di tenaglia, ma l'oscillazione mi stava riportando ad atterrare proprio sopra la creatura. 
Carica di adrenalina, unii le gambe e me le portai ben strette al petto. Non appena venni a contatto con il corpo del Dolente, affondando di pochi centimetri nella sua pelle molliccia, presi a scalciare con entrambi i piedi per allontanarmi. Mi diedi una spinta verso sinistra e poi balzai verso il muro del Labirinto, cercando di aggrapparmi ad un altro rampicante. Le malefiche appendici del Dolente scattarono a mo' di artigli alle mie spalle, cercando di prendermi. Sentii un graffio profondo aprirsi sul dorso.
Quando finalmente toccai la pietra compatta del pavimento con i piedi, cominciai a correre, nonostante ogni fibra del mio corpo stesse gridando per la stanchezza, le mie mani bruciando e la mia schiena probabilmente sanguinando.
Un frastuono rimbombò alle mie spalle, seguito dal rollio, dagli schiocchi e dai ronzii del Dolente. Mi rifiutai di guardare indietro. Sapevo che ogni secondo era vitale.
Svoltai un angolo del Labirinto, poi un altro. Corsi più forte che potevo, pestando forte sulla pietra con i piedi. Da qualche parte, nella mia mente, tenni conto dei movimenti che stavo facendo, sperando di sopravvivere abbastanza a lungo da poter usare quelle informazioni per tornare alla Porta.
A destra, poi a sinistra. Giù per un lungo corridoio e poi ancora a destra. A sinistra. A destra. Due volte a sinistra. Un altro lungo corridoio. Il rumore dell'inseguitore non cessò e non si affievolì. 
Continuai a correre, il cuore pronto a schizzarmi fuori dal petto. Cercai di ossigenare i polmoni con grandi respiri affannosi, ma sapevo che non avrei potuto resistere ancora per molto. Mi chiesi se non sarebbe stato più facile voltarmi, combattere e farla finita.
Quando svoltai l'angolo successivo, sbandai e mi fermai. Ansando senza riuscire a controllarmi, guardai fissa davanti a me.
Stavano arrivando tre Dolenti, rotolando e conficcando le punte nella pietra. Venivano dritti verso di me.
Mi voltai a guardare il mio primo inseguitore, che continuava ad avvicinarsi anche se aveva rallentato un po'. Apriva e chiudeva l'artiglio meccanico come per prendermi in giro, per schernirmi.
Sa che sono finita, pensai. Dopo tutti quegli sforzi eccomi qui, circondata da Dolenti. Era la fine. Non avevo neanche una settimana di memoria della mia nuova vita ed era già finita.
Quasi sopraffatta dal dolore, presi una decisione. Me ne sarei andata lottando.
Preferivo di gran lunga affrontarne uno al posto di tre, e quindi corsi verso il Dolente che mi aveva inseguito fin qui. L'orrenda creatura arretrò di un paio di centimetri e smise di muovere l'artiglio, come sbalordito dal coraggio che stavo dimostrando. Rincuorata da quella piccola esitazione, cominciai a gridare e partii alla carica. Il Dolente si rianimò e le punte gli sbucarono fuori dalla pelle. Rotolò in avanti, pronto allo scontro diretto con il nemico. Il movimento improvviso mi fece quasi fermare, sentendo che il coraggio si stava dissolvendo, ma continuai a correre.
All'ultimo, poco prima della collisione, proprio mentre vedevo da vicino il metallo, i peli e il muco della bestia, mi bloccai, feci perno sul piede sinistro e mi tuffai a destra. Incapace di frenare la spinta, il Dolente sfrecciò oltre di me e poi, con un sussulto, si bloccò. Mi accorsi che avevo preso a muovermi molto più in fretta. Con un ululato metallico, il Dolente girò su sé stesso e si preparò a calare sulla vittima, ma adesso non ero più circondata, avevo una via di fuga lungo il sentiero da cui ero arrivata.
Mi tirai in piedi scompostamente e balzai in avanti. Alle mie spalle risuonavano i rumori dell'inseguimento, questa volta da parte di tutti e quattro i Dolenti. Certa ormai di aver oltrepassato il limite di resistenza del mio corpo, continuai a correre, cercando di liberarmi dalla sensazione disperata che fosse solo questione di tempo prima che riuscissero a prendermi.
Poi, dopo tre corridoi, due mani sbucarono all'improvviso e mi tirarono di colpo in un vicolo laterale. Il cuore mi salì alla gola mentre lottavo per liberarmi. Mi interruppi quando mi resi conto che si trattava di Minho.
-Cosa...?-
-Zitta e seguimi!- strillò Minho, che aveva già cominciato a trascinarmi dietro di sé finché non riuscii a rimettermi in piedi da sola.
Insieme, corremmo corridoio dopo corridoio, svolta dopo svolta. Sembrava che Minho sapesse esattamente cosa stesse facendo e dove stesse andando; non si fermava mai a pensare alle svolte da prendere. Continuai a correre, trattenendo la rabbia per dopo, se mai fossi vissuta abbastanza per tirargli un calcio in faccia.
Mentre svoltavamo l'angolo successivo, il Velocista provò a parlare. Tra i respiri affannosi, ansimò: -Ho visto... Quel tuffo che hai fatto... Prima, là... Ho un'idea... Solo che dobbiamo resistere... Ancora un pochino.-
Mi limitai a continuare a correre, seguendo Minho. Ogni centimetro del mio corpo, dentro e fuori, mi faceva male. I miei arti mi stavano supplicando di smettere di correre. Tuttavia proseguii, sperando che il cuore non cessasse di pompare il sangue.
Dopo alcune svolte, davanti a me vidi qualcosa che il mio cervello non riuscì ad elaborare. Sembrava... Assurdo. E la debole luce che irradiava dai nostri inseguitori faceva sembrare quella stranezza ancora più evidente. 
Il corridoio non terminava con un altro muro di pietra.
Terminava con il buio.
Strinsi gli occhi mentre, insieme a Minho, correvo verso quella parete di tenebra, cercando di capire a cosa ci stessimo avvicinando. I due muri coperti d'edera ai lati sembravano incontrare solamente il cielo, in alto. Si vedevano le stelle. Quando ci avvicinammo di più, mi resi conto che si trattava di un apertura. Il Labirinto aveva una fine. 
Minho parve intuire i miei pensieri. -Non entusiasmarti.- disse, riuscendo appena a formulare la frase.
A poca distanza dalla fine del corridoio, Minho si arrestò, tendendo le mano a bloccarmi per assicurarsi che rimanessi ferma anch'io. Rallentai e poi camminai fino al punto in cui il Labirinto si apriva nel vuoto.
Il suono dei Dolenti alla carica si stava avvicinando.
Stava arrivando l'alba e il cielo pareva essersi rischiarato notevolmente, anche solo nell'ultima manciata di minuti. Rimasi a fissare la voragine, del tutto incredula, senza capire come potesse essere possibile. Era come se qualcuno avesse costruito il Labirinto e lo avesse messo a galleggiare per aria, a librarsi nel bel mezzo del nulla per il resto dell'eternità.
-Non capisco.- sussurrai, senza sapere se Minho riuscisse a sentirmi.
-Attenta- ribatté il Velocista. -Non saresti il primo pive a cadere giù dalla Scarpata.- mi afferrò per la spalla. -Hai scordato qualcosa?- Fece un cenno verso l'interno del Labirinto.
Ricordai di aver sentito la parola "Scarpata" prima di allora, ma non riuscivo a darle una collocazione.
Mi costrinsi a tornare alla realtà e mi voltai ad affrontare i Dolenti che stavano per raggiungerci. Stavano arrivando di gran carriera, erano furenti e si muovevano con velocità sorprendente.
-Questi cosi saranno anche cattivissimi,- disse Minho, -ma sono stupidi come cozze. Resta qui, vicino a me, rivolta...-
-Capito. Sono pronta.- lo interruppi.
-Dobbiamo muoverci all'unisono!- sbraitò il ragazzo, con voce quasi sovrastata dal rumore assordante delle punte che rotolavano fragorosamente sulla pietra. -Al mio segnale!-
Le dozzine di metri si erano trasformati in dozzine di centimetri. I mostri erano a pochi secondi da noi. 
-Pronti.- disse Minho, calmo. -Non ancora... Non ancora.- 
Odiai ogni millesimo di quell'attesa. Avrei voluto solo chiudere gli occhi e non vedere più un altro Dolente per il resto dei miei giorno.
-Ora!- gridò il Velocista.
Proprio nel momento in cui il braccio del primo Dolente si dispiegò a pizzicarci, io e Minho ci tuffammo in direzioni apposte, ciascuno verso uno dei muri esterni del corridoio. Il mostro volò giù dai bordi della Scarpata. Stranamente, il suo grido di battaglia si interruppe in modo brusco, anziché affievolirsi nel corso del lungo tuffo nella profondità della voragine.
Atterrai contro il muro e mi voltai appena in tempo per vedere la seconda creatura inciampare e cadere oltre il bordo, incapace di fermarsi. La terza infilzò la punta affilata di un braccio nella pietra, ma la spinta che si era data era troppo forte. Lo stridore snervante della punta che graffiava il pavimento mi diede i brividi, ma un secondo dopo il Dolente cadde nell'abisso. Ancora una volta, nessuno di loro emise un solo suono durante la caduta. Era come se fossero scomparsi, anziché precipitati giù.
La quarta e ultima creatura riuscì a fermarsi in tempo e vacillò sul bordo della Scarpata, trattenuta da un artiglio e da una punta. 
D'istinto, seppi cosa fare. Guardai Minho, gli rivolsi un cenno d'assenso e mi voltai. Entrambi corremmo contro il Dolente, balzandogli addosso con i piedi, scalciando con tutta la forza che avevamo in corpo. A furia di colpirlo, riuscimmo a sospingere il mostro incontro alla morte. 
Svelta, mi tirai in piedi e raggiunsi il bordo dell'abisso, allungando il collo per vedere i Dolenti che cadevano. Ma per quanto sembrasse impossibile, erano scomparsi. Nel vuoto che si apriva sotto di noi non c'era traccia dei mostri. Nulla.
Il mio ultimo briciolo di forza svanì, e mi buttai a terra, rannicchiandomi.
Poi, finalmente, arrivarono le lacrime.

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Capitolo 9
*** Felice Riabbraccio ***


Passò mezz'ora. Né io né Minho ci eravamo mossi di un centimetro.
Finalmente avevo smesso di piangere: non riuscivo a fare a meno di chiedermi cosa pensasse il Velocista di me o se lo avrebbe detto agli altri, dandomi della mocciosa.
Tuttavia, non mi era rimasto un solo grammo di autocontrollo e sapevo che non sarei mai riuscita a impedire a quelle lacrime di scendere. Nonostante la mancanza di memoria, ero certa che questa fosse stata la notte più traumatica della mia intera esistenza. Inoltre, le mani ferite e la schiena pulsante di certo non stavano aiutando.
Strisciai ancora una volta verso il bordo della Scarpata e, ora che l'alba era nel pieno del suo splendore, mi sporsi di nuovo per guardare meglio. Il cielo aperto di fronte a me era color viola intenso e stava lentamente sfumando nell'azzurro brillante del giorno, con qualche striatura arancione che saliva all'orizzonte piatto e lontano.
Rimasi a fissare con gli occhi rivolti in giù e vidi che il muro di pietra del Labirinto scendeva in una scarpata ripida fino a svanire, finendo chissà dove, molto, molto più in basso. 
Sembrava che il Labirinto fosse in equilibrio su una struttura sollevata di parecchi chilometri da terra. 
Ma era impossibile, pensai. Non può essere. Deve essere un'illusione.
Mi rotolai sulla schiena, gemendo. Avevo l'impressione che mi dolessero muscoli che prima non sapevo nemmeno di avere, sia all'interno del corpo che sulla superficie. Almeno le Porte si sarebbero aperte presto e saremmo rientrati nella Radura. Lanciai un'occhiata a Minho, accasciato all'inizio del corridoio. -Non riesco a credere che siamo ancora vivi.- dissi. 
Il Velocista non disse nulla e si limitò ad annuire, inespressivo.
-Ce ne sono altri? O li abbiamo appena uccisi tutti?-
Minho grugnì. -In qualche modo siamo arrivati all'alba, altrimenti ce ne saremmo trovati tra le chiappe altri dieci nel giro di poco tempo.- Si spostò, gemendo, con una smorfia di dolore. -Non riesco a crederci. Davvero. Siamo sopravvissuti una notte intera... Non è mai successo, prima.-
-Cosa abbiamo fatto di diverso dagli altri?-
-Non lo so. È abbastanza difficile chiedere a un morto dove ha sbagliato.-
-Sembra che una volta oltrepassato il bordo siano spariti o qualcosa del genere.- dissi senza ascoltare le sue parole.
-Già, roba da matti. C'è stato qualche Raduraio che aveva una teoria sulla sparizione di altre cose, ma sappiamo per certo che si sbagliava. Guarda.-
Guardai Minho gettare un sasso dalla Scarpata e poi ne seguii il percorso con gli occhi. Il sasso scese a lungo, senza scomparire dalla vista finché non fu ridotto a un puntino impossibile da scorgere. Mi voltai di nuovo verso Minho. -E questo proverebbe che avevano torto?-
Il ragazzo si strinse nelle spalle. -Beh, il sasso non è scomparso, no?-
-E allora cosa credi che sia successo?- era una questione importante, lo sentivo.
Minho alzò di nuovo le spalle. -Forse sono dei maghi. Mi fa troppo male la testa per pensarci.-
Mi ricordai di colpo di Alby. -Dobbiamo tornare indietro. Dobbiamo staccare Alby dal muro.- Con uno sforzo, mi costrinsi a rimettermi in piedi, ma caddi all'istante, un dolore lancinante alla gamba destra.
-Tutto apposto?- Minho venne verso di me.
-Credo di aver preso una storta alla gamba. Ahi!- ci riprovai di nuovo, questa volta cadendo contro Minho.
-Scusami, io non...- cominciai.
-Non preoccuparti. Sei leggera come una piuma.- rise aiutandomi ad alzarmi, cingendomi con il braccio sinistro intorno alla vita, mentre io gli mettevo il destro sulle spalle. Finalmente riuscivo a camminare, o per meglio dire zoppicare.
-Comunque non esiste che sia ancora vivo.- mi disse, ormai eravamo arrivati alla fine del corridoio.
Mi rifiutai di crederlo. -Come fai a saperlo? Dai.-
-Perché nessuno ce l'ha mai fatta...-
Non finì la frase; capii cosa stava pensando. -È perché sono stati uccisi dai Dolenti prima che li trovaste. Alby è stato punto da un solo ago, giusto?- 
-Non lo so. Mi sa che non è mai successo niente del genere, prima. Qualcuno ha finito per farsi pungere di giorno. Quelli hanno preso il Siero e hanno subito la Mutazione. I poveri pive rimasti bloccati nel Labirinto per tutta la notte furono trovati tutti dopo... A volte giorni dopo, sempre che venissero trovati. E tutti furono uccisi in modi che è meglio non ti dica.-
Rabbrividii all'idea. -Dopo ciò che ci è appena successo, credo di potermelo immaginare.-
Minho sollevò lo sguardo, il viso trasformato dalla sorpresa. -Credo che tu abbia appena colto nel segno. Ci siamo sbagliati... Beh, speriamo di esserci sbagliati. Siccome non ce l'ha mai fatta nessuno a tornare entro il tramonto, abbiamo dato per scontato che quello fosse il punto di non ritorno... Il punto in cui è troppo tardi per prendere il Siero.- Sembrava eccitato da quella sua riflessione.
-Okay... Questo Siero.- dissi. -L'ho sentito nominare qualche volta. Che cos'è? E da dove viene?-
-È proprio quel che dice il nome, pivella. È un siero. Il DoloSiero.- 
Mi costrinsi a tirar fuori una risatina patetica. -Proprio quando pensavo di aver scoperto tutto di questo stupido posto. Perché si chiama così? E come mai i Dolenti si chiamano in questo modo?-
Minho andò avanti a spiegare mentre proseguivamo nelle infinite svolte del Labirinto. In quel momento, nessuno dei due stava guidando l'altro. -Non so da dove vengano i nomi, ma il Siero ce l'hanno mandato i Creatori, o almeno è così che li chiamiamo. Ce lo inviano ogni settimana nella Scatola insieme alle provviste, da sempre. È una medicina, un antidoto, una roba del genere. Sta già in una siringa, pronto all'uso.- Fece il gesto di piantarsi un ago nel braccio. -Ficca quello schifo nel braccio di qualcuno che è stato punto e si salverà. Certo, c'è la Mutazione, che è un bello schifo. Ma dopo quella, sono guariti.-
Ci furono due o tre minuti di silenzio in cui elaborai le informazioni ricevute. Facemmo qualche altra svolta. Stavo pensando alla Mutazione e a cosa significasse. 
-Strano, però.- proseguì infine Minho. -Prima non ne abbiamo mai parlato. Se è ancora vivo, davvero non c'è ragione di pensare che Alby non possa essere salvato dal Siero. Per qualche motivo ci eravamo messi in queste nostre teste di sploff che una volta chiuse le Porte, sei finito... Fine della storia. Ma questa roba dello stare appesi al muro la devo vedere con i miei occhi... Penso che tu mi stia prendendo per i fondelli.-
Continuammo a camminare. Minho sembrava quasi allegro, ma sentivo c'era ancora qualcosa che lo tormentava. Lo aveva evitato, lo aveva negato dentro di sé. -E se dopo che mi sono portata dietro quel Dolente, ne fosse venuto un altro a pungere Alby?-
Il Velocista mi lanciò un'occhiata vacua. Camminammo per un'altra ventina di metri finché le gambe non mi diventarono molli e io caddi nuovamente.
-Faremo più veloci così.- disse prendendomi in braccio di slancio.
-G...Guarda che non c'è bisogno. Posso camminare...- protestai.
-Sbrighiamoci, dico solo questo.- disse riprendendo a marciare a passo spedito. -Per curiosità, cosa ti è successo alla maglietta?- chiese dopo un po'.
-Strappata. Credo si fosse impigliata in una fessura del muro.- gli risposi arrossendo: la maglia adesso mi lasciava scoperto il fianco destro.
-Dovrai andare da uno dei Medicali.- cambiò discorso, mentre io sbuffavo: non avevo voglia di farmi medicare le ferite un'altra volta.
Dopo la svolta successiva, il mio cuore saltò un battito, mentre vedevo qualcosa che si muoveva. Ma un istante dopo mi riempii di sollievo: era Newt. La Porta Occidentale torreggiava sopra di noi ed era aperta. Ce l'avevamo fatta.
Quando entrammo nella Radura e Minho mi mise giù, fui subito stritolata dall'affettuoso abbraccio di Newt, che mi fece girare come una trottola.
-Anna... Dio mio grazie, grazie.- lo sentii sussurrare contro i miei capelli, per poi lasciare nello stesso punto un piccolo bacio. -Non farmi mai più prendere una paura del genere. Mai più.- continuò ad abbracciarmi.
-Mai più.- sorrisi contro la sua spalla, gli occhi umidi.
-Scusate se interrompo questo momento magico, ma dove sono tutti?- ci riportò alla realtà Minho.
-A lavorare...- gli spiegò il ragazzo biondo senza staccarsi da me. -Quando le Porte si sono aperte abbiamo mandato i Velocisti a controllare e quando sono tornati avevano trovato un pezzo della maglietta di Anna, così...- sentii la sua mano sinistra chiudersi a pugno sulla mia schiena. -Così hanno pensato che ormai foste morti; ma io lo sapevo che eravate vivi, me lo sentivo e grazie al cielo avevo ragione.- disse scostandosi da me e guardandomi negli occhi. Gli sorrisi in modo rassicurante, cercando di non dare a vedere quanto dolore mi procurassero le sue mani sulla ferita e il piede appoggiato a terra. 
-Che è successo?- domandò a me e a Minho. Sembrava quasi arrabbiato. -Come diavolo...?
-Te lo diciamo dopo.- lo interruppi. -Dobbiamo salvare Alby.-
Newt impallidì. -Che vuoi dire? È vivo?-
-Vieni qui.- mi diressi verso destra, senza neanche riuscire a fare due passi prima di cadere miseramente a terra.
-Anna! Che le è successo?- chiese Newt preoccupato.
-Aspetta, la prendo io.- si fece avanti Minho, mentre mi rialzavo.
-No.- lo fermò il biondo con un braccio. -La prendo io.-
-Accomodati.- lo invitò il Velocista.
-Potete smetterla e venire ad aiutarmi.- Avrei preferito che mi staccassero la gamba piuttosto che sentire tutto questo dolore. Quando finalmente smisero di discutere Newt mi prese per la vita e mi aiutò a saltellare. 
Allungai il collo per guardare in alto, sul muro, passando in rassegna i folti rampicanti fino a trovare il punto in cui, a un'altezza notevole, Alby era ancora appeso per le braccia e per le gambe. Senza dissi nulla, puntai il dito verso di lui. Non osavo ancora sentirmi sollevata. Era ancora lì ed era tutto intero, ma non c'era nessun segno di movimento.
Finalmente Newt vide l'amico appeso tra l'edera e tornò a guardarmi. Se prima sembrava scioccata, ora era totalmente sbigottito. -È... Vivo?-
Ti prego, fa' che lo sia, pensai. -Non lo so. Lo era quando l'ho lasciato qui.-
-Quando l'hai lasciato...- Newt scosse la testa. -Tu e Minho. Portate le chiappe dentro e fatevi visitare dai Medicali. Avete un aspetto orrendo, cacchio. Quando avranno finito e sarete riposati voglio tutta la storia.-
Volevo aspettare per vedere se Alby stesse bene. Cominciai a parlare, ma Minho mi prese per un braccio e mi costrinse a zoppicare verso la Radura. -Abbiamo bisogno di sonno. E bende. Adesso.-
Sapevo che aveva ragione. Cedetti, lanciando un'ultima occhiata ad Alby, poi seguii il Velocista, allontanandomi dal Labirinto.
Il cammino per rientrare nella Radura e poi raggiungere il Casolare parve infinita. La via era costeggiata da file di Radurai che ci fissavano a bocca spalancata. I loro visi tradivano stupore, come se stessero assistendo al passaggio di due fantasmi che se ne andavano in giro per un cimitero. Sapevo che era perché eravamo riusciti in qualcosa mai compiuto prima, ma tutte queste attenzioni mi imbarazzavano.
Quando vidi che più avanti c'era Gally con uno sguardo preoccupato, smisi quasi di camminare, ma poi proseguii. Più avanti si trovava Wes, le braccia conserte e lo sguardo furente. Dovetti usare ogni grammo della mia forza di volontà, ma lo guardai dritto negli occhi, senza mai interrompere il contatto visivo. Quando arrivai a circa un metro e mezzo da lui, lo sguardo fisso del ragazzo si diresse verso terra.
Fui quasi infastidita dal piacere che provai. Quasi.
I minuti seguenti furono caotici. Scortata nel Casolare da alcuni Medicali, salii le scale e poi venni portata in una stanza tutta per me: un letto, cibo, acqua, medicazioni. Dolore. Finalmente, dopo che mi fu steccata la gamba, disinfettate e fasciate le ferite sulla schiena e sulle mani, fui lasciata da sola, con la testa posata sul cuscino più morbido che la mia memoria limitata potesse ricordare.
Ore dopo, mi ritrovai davanti Chuck, che mi stava scuotendo per svegliarmi. Ci vollero parecchi secondi perché mi riprendessi e lo mettessi a fuoco. Poi individuai il ragazzino e borbottai. -Lasciami dormire, brutto pive.-
-Ho pensato che volessi saperlo.-
Mi strofinai gli occhi e sbadigliai. -Sapere cosa?- Guardai di nuovo Chuck, confusa dal suo sorriso smagliante. 
-È vivo.- disse. -Alby sta bene... Il Siero ha funzionato.-
La mia sonnolenza svanì all'istante, sostituita dal sollievo. Ma ciò che Chuck disse subito dopo mi fece riconsiderare quanto avevo pensato. 
-Ha appena iniziato la Mutazione.- 
Come ispirato da quelle parole, un grido raggelante proruppe da una stanza giù per il corridoio.
Giunse il crepuscolo e le urla di Alby continuavano a sentirsi dappertutto. Quando mi risvegliai per la seconda volta trovai un cambio d'abiti appoggiato sul letto, così mi vestii in fretta e uscii dalla stanza in assoluto silenzio.
Quando accostai la porta mi guardai le fasciature delle mani, sembravano quasi dei guanti bucati sulle dita; mi sentivo il torace stretto nella morsa delle bende.
Ero stanchissima. Prima di allora non avevo mai concepito una stanchezza così totale, nonostante le poche ore di sonno di cui ero riuscita a godere. Ero troppo indolenzita per fare qualunque cosa e quindi passai la maggior parte della giornata su una panca appena fuori dalle Faccemorte, crogiolandomi nella mia disperazione. L'entusiasmo della fuga si era presto dissolto, lasciandomi al dolore e ai pensieri sulla mia nuova vita nella Radura. Mi faceva male ogni muscolo del corpo. Ero coperta di tagli e lividi dalla testa ai piedi. Tuttavia, nessuna di queste cose poteva eguagliare il peso emotivo dell'esperienza della notte precedente. 
Alla fine il giorno giunse lentamente alla sua conclusione. Il tramonto portò con sé l'ormai famigliare sferragliare delle quattro Porte che si chiudevano per la notte.
Poco dopo il crepuscolo, un ragazzo che non avevo mai visto prima mi portò qualcosa da mangiare per cena e un grosso bicchiere d'acqua fresca.
-Grazie.- dissi, con un moto di affetto nei confronti del ragazzo. -Ne avevo un gran bisogno.-
-Come stai?- Disse sedendosi accanto a me.
-Ehm... Bene.- lo guardai incuriosita. -Tu sei...?- chiesi dopo.
-Oh, già. Sono Thomas, un Velocista.- mi sorrise allungandomi la mano.
-Anna.- risposi stringendogliela. 
-Lo so, non si parla che di te.- continuò a sorridermi. Era senz'altro la persona più allegra che avessi conosciuto in questo posto.
-Preferirei non lo facessero.- sospirai.
-Come potrebbero? Per prima cosa te ne vai nel Labirinto quando non dovresti, di notte. Poi ti trasformi in una specie di stramba tizia che si arrampica sui rami e lega la gente ai muri. L'unica tanto in gamba da sopravvivere una notte nel Labirinto. Adesso sei leggenda.- scherzò. 
-Dovrei sentirmi meglio?- Non mi ero resa conto di quanta fame avessi finché non avevo cominciato a mangiare.
-No, credo di no.- mi guardò con attenzione.
-Ingannarli per farli cadere dalla Scarpata è stata un'idea di Minho, non mia.-
-Non stando a quel che dice lui. Ti ha visto fare quella cosetta tipo attesa e tuffo, e allora gli è venuto in mente di usare lo stesso trucco alla Scarpata.-
-La cosetta tipo attesa e tuffo?- chiesi, roteando gli occhi. -L'avrebbe fatto anche un'idiota  qualunque.-
-Adesso non fare quella che vuole passare per umile... Ciò che avete fatto è incredibile, che cacchio. Tu e Minho, tutti e due.-
-E allora perché sto così da schifo?- 
Esaminai il volto di Thomas in cerca di una risposta, ma non sembrava averne una. Il ragazzo rimase semplicemente a sedere con le mani intrecciate, chinandosi in avanti, in appoggio sulle ginocchia, lasciando penzolare la testa. -Per la stessa ragione per cui tutti, qui, stanno da schifo.-
Rimanemmo seduti in silenzio finché, alcuni minuti dopo, ci raggiunse Newt. Sembrava un morto che camminava. Si sedette per terra davanti a noi, con l'aria più triste e preoccupata che si potesse avere. Tuttavia, ero felice di vederlo.
-Credo che il peggio sia passato.- disse Newt. -Lo stronzo adesso dovrebbe dormire per qualche giorno e poi svegliarsi a posto. Magari ogni tanto si metterà a strillare.-
Non riuscivo a immaginare quanto dovesse essere brutto, ma il processo della Mutazione, per me, era ancora un mistero. Mi voltai verso il ragazzo più grande, cercando di apparire il più noncurante possibile. -Newt, ma cosa gli sta capitando? Davvero, non ho capito cosa sia tutta questa storia della Mutazione.-
La risposta di Newt mi lasciò sbigottita. -E pensi che noi lo capiamo?- sputò, buttando in aria le braccia e poi lasciandole ricadere sulle ginocchia con un tonfo. -Tutto il cacchio che sappiamo è che se i Dolenti ti pungono con quei brutti aghi, ti devi far iniettare il DoloSiero, altrimenti muori. E se ti danno il Siero, allora il tuo corpo impazzisce e trema, e la pelle ti si riempie di bolle e diventa di un verde assurdo e vomiti come un pazzo. Ti basta, come spiegazione, Anna?-
Mi accigliai. Non volevo far arrabbiare ancor di più Newt, ma avevo bisogno di risposte. -Ehi, so che vedere il tuo amico in quello stato è uno schifo, ma voglio solo sapere cosa sta succedendo, davvero. Perché la chiamate Mutazione?-
Newt si rilassò, parve addirittura farsi più piccolo e sospirò. -La Mutazione restituisce dei ricordi. Solo dei frammenti, ma comunque dei ricordi precisi precedenti a quando siamo arrivati in questo posto orribile. Comunque, è come se ti restituisse la tua vecchia vita, ma solo per portartela via di nuovo.-
La mia mente aveva preso a vorticare. -Ne sei sicuro?- chiesi.
Newt parve confuso. -Che intendi? Sicuro di cosa?-
-Sono mutati perché vogliono tornare alla vecchia vita, o perché è deprimente rendersi conto che la vecchia vita non era meglio di quella che abbiamo ora?-
Newt rimase a fissarmi per un istante, poi distolse lo sguardo. Sembrava perso nei suoi pensieri. -I pive che hanno subito la Mutazione non ne parlano mai, a dire il vero. Diventano... Diversi. Sgradevoli. Ce n'è qualcuno, nella Radura, ma io non li sopporto.- La sua voce era lontana, gli occhi si erano persi in un punto indefinito del bosco.
-Non parlarmene.- si unì alla conversazione Thomas. -Wes è il peggiore di tutti.- Non ero dell'umore giusto per parlare di Wes.
Seguì una lunga pausa, e quando finalmente Newt spezzò il silenzio, disse: -Comunque, il prossimo problema sarà... Capire cosa fare della nostra Anna, qui.-
Sobbalzai a questa frase, sentendomi confusa. -Cosa fare di me? Di cosa stai parlando?- 
Newt si alzò e si stirò le braccia. -Hai messo sottosopra questo posto. Metà dei Radurai ti crede una dea, l'altra metà vuole scagliarti giù nel buco della Scatola. Abbiamo un sacco di cose di cui parlare.-
-Per esempio?-
-Pazienza.- disse Newt. -Lo scoprirai dopo la sveglia.-
-Domani? Perché?- L'idea non mi piacque.
-Ho indetto un'Adunanza. E tu parteciperai.- Poi mi si avvicinò e con voce seria mi disse: -Non preoccuparti, non ti lascio andare da nessuna parte se non sei al mio fianco.-

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Capitolo 10
*** L'Adunanza ***


La prima cosa che sentii furono due mani calde sulla spalla che presero a scuotermi.
-Anna, è ora di alzarsi.- disse il ragazzo in modo dolce.
-Un minuto.- mugolai rigirandomi sul letto.
-Devi venire con me.- aprii gli occhi sedendomi, per poi spostare lo sguardo su Newt.
-È già ora?- chiesi con falsa felicità.
-No, pensavo di portarti a fare una doccia, cambiare le fasciature e poi all'Adunanza. Se ti ricordi bene prima che succedesse tutto questo casino dovevo parlarti.- mi disse in tutta calma, sorridendo sulle ultime parole.
-Sì, ricordo. La mattina in cui Ben...- non terminai la frase.
-Prima di tutto doccia, mi dispiace dirtelo, ma puzzi.- sorrise.
-Ma come...?- gli lanciai il cuscino in faccia. -Io non puzzo.- dissi andandogli incontro con fare minaccioso.
-Che vorresti fare? Picchiarmi?- mi schernì.
-Razza di...- gli tirai una piccolo schiaffo sul braccio.
-Questo non dovevi farlo.- adesso mi stava facendo paura. Nel giro di un secondo mi buttò nel letto e mi si mise sopra, bloccandomi i polsi sopra la testa.
-Lasciami, mi fai male.- risi.
-Chiedi e scusa e me ne vado.- rispose lui inflessibile.
-Scusa...- sussurrai.
-Non ho sentito.- fece il finto tonto.
-Scusa!- gli urlai nell'orecchio.
-Ci sento!- urlò lui a sua volta.
-Non mi sembra!- continuai io.
-Perché stiamo urlando?!- mi chiese.
-Non lo so.- ripresi a ridere, seguita subito da Newt. Quando finimmo di ridere il ragazzo non accennò a spostarsi, anzi rimase a fissarmi senza far nulla. 
-Ho detto scusa.- ruppi il silenzio.
-Già...- sussurrò alzandosi. Mi porse una mano e mi aiutò a mettermi in piedi, poi mi scortò fino alla latrina, un posto che normalmente evitato finché mi era possibile.
-Prego signorina.- mi aprì la porta Newt, passandomi degli asciugamani.
-Grazie.- risposi prendendoli.
-Io ti aspetto qui fuori. Anche se è presto, potrebbero esserci Radurai curiosi in giro.- disse con tono serio.
-Basta che non guardi.- gli feci la linguaccia prima di chiudere la porta.
Mentre facevo la doccia, potei finalmente esaminare tutte le ferite che avevo procurato al mio corpo: nel fianco sinistro si stava formando un grosso livido violaceo, seguito da tanti altri sulle gambe; le mani, ora senza fasce, erano ricoperte di piccolo tagli sulle nocche e bruciature sui palmi; la schiena, che riuscii a toccare solo in parte, risultava lacerata al tatto. Non potevo vedermi in volto, ma sapevo che anche lì avrei visto tagli simili a quelli sulle mani. Mi sentii in colpa per quello che avevo fatto, fino ad allora non mi ero preoccupata minimamente di quello che il mio fisico sopportava ogni giorno. Quando finii di lavarmi, non dando troppo peso alla sensazione di bruciore che provai, e mi fui rivestita, chiamai Newt, che con pazienza mi rimise tutte le bende, sia sulle mani che sulla schiena, per poi andare all'Adunanza. 
-Rimani tranquilla.- mi disse durante il tragitto. -È solo per farli contenti. Non ti esilierei mai.- 
-Non dovevi dirmi qualcosa?- chiesi per cambiare discorso.
-Diciamo mostrarti.- sorrise. 
-Quello che è.- cercai di non sembrare troppo incuriosita.
-Dopo.- disse mentre mi spingeva verso l'entrata del Casolare, portandomi in una grande stanza in cui non ero mai stata prima di allora.
Zoppicai fino a una sedia, preoccupata e agitata, ritrovandomi davanti ad altri dodici ragazzi, che a loro volta erano seduti a semicerchio intorno a me. Quando si furono sistemati, mi resi conto che si trattava di tutti gli Intendenti e, con mio disappunto, questo significata che tra loro c'era anche West. La sedia di fronte a me era vuota. Non ci fu bisogno di spiegare che era quella di Alby. Almeno fui sollevata di vedere Newt, Minho e Thomas, cosa che mi sorprese dato che non potevano essere entrambi Intendenti, o sì?
-In sostituzione del nostro capo, che è a letto malato, dichiaro aperta questa Adunanza.- disse il biondo, roteando gli occhi. Probabilmente detestava qualunque cosa fosse anche solo lontanamente formale. -Come sapete tutti, gli ultimi giorni sono stati dannatamente assurdi e non poche cose sembrano ruotare intorno alla nostra Fagiolina, Anna, seduta qui di fronte.- 
Arrossii per l'imbarazzo.
-Ora è solo una che ha infranto le regole.- disse Wes, la voce gracchiante tanto bassa e crudele da sembrare quasi comica.
Questa frase diede inizio a tutto un borbottare di sussurri e mormorii, ma Newt mise tutti a tacere. All'improvviso, presi a desiderare di essere il più lontano possibile da questa stanza. 
-Wes,- disse Newt -cerca di startene fottutamente buono. Se hai intenzione di far blaterare quella caspio di bocca ogni volta che dico qualcosa, puoi anche prendere e andartene, cacchio. Perché non sono di umore tanto allegro, sai.- mi era parso fosse felice un momento prima.
Wes incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale della sedia, con un broncio tanto teatrale che mi venne quasi da ridere.
Newt rivolse a Wes un'occhiataccia e poi proseguì. -Sono contento che ci siamo capiti.- Roteò gli occhi. -La ragione per cui siamo qui è che nell'ultimo giorno o due ogni santo abitante della Radura è venuto da me. A lamentarsi di Anna, o a chiedere la sua cacchio di mano in matrimonio. Dobbiamo decidere cosa fare di lei.- non mi guardò negli occhi.
Wes si sporse in avanti, ma Newt lo interruppe prima che potesse aprire bocca: -Arriverà il tuo turno, Wes. Uno alla volta.- poi si voltò verso di me, addolcendo lo sguardo. -E Anna, tu non hai il permesso di dire una sola parola finché non te lo chiediamo noi. Bene così?- Attese un cenno di assenso da parte mia, che acconsentii di mala voglia, e poi indicò il ragazzo seduto all'estrema destra. -Zart, comincia tu.-
-Beh.- cominciò il ragazzo, con gli occhi che saettavano da una parte all'altra, come alla ricerca di qualcun altro che gli suggerisse cosa dire. -Non so. Ha infranto una delle nostre regole più importanti. Non possiamo lasciare che la gente pensi che vada bene farlo.- Fece una pausa e abbassò lo sguardo sulle sue mani, strofinandole. -Ma del resto, ha... Cambiato le cose. Adesso sappiamo che là fuori possiamo sopravvivere e che possiamo sconfiggere i Dolenti.-
Il sollievo mi inondò come una marea. C'era qualcun atro dalla mia parte. Mi ripromisi di essere gentilissima con Zart.
-Oh, ma fammi il piacere.- sbottò Wes. -Scommetto che a liberarsi di quegli stupidi, in realtà, è stato Minho.-
-Wes, chiudi quella fogna!- strillò Newt, questa volta alzandosi in piedi per risultare più convincente. -In questo momento sono io il cacchio di presidente, e se sento anche solo un'altra fottuta parola arrivare da te prima del tuo turno, organizzerò un altro Esilio per le tue povere chiappe.-
-Per favore.- sussurrò Wes, sarcastico, assumendo di nuovo quel broncio ridicolo mentre si lasciava andare di nuovo contro lo schienale.
Newt si rimisi a sedere e fece un cenno a Zart. -Tutto qui? Qualche suggerimento ufficiale?-
Zart scosse la testa.
-Okay. Tocca a te, Frypan.-
Il cuoco sorrise sotto la barba e si tirò a sedere più dritto. -Questa pivella ha più fegato di quanto ne abbia fritto io da tutti i porci e le vacche che mi sono arrivati nell'ultimo anno.- Fece una pausa, come aspettandosi una risatina, ma non rise nessuno. -Che roba stupida: questa salva la vita ad Alby, ammazza un po' di Dolenti e noi siamo qui seduti a blaterare su cosa fare di lei. Come direbbe Chuck, questo è un mucchio di sploff.-
Avrei voluto alzarmi e andargli a stringere la mano; aveva appena detto esattamente ciò che pensavo io.
-Quindi cosa suggerisci?- domandò Newt.
Frypan incrociò le braccia. -Fatela entrare nel cacchio di Consiglio e fate in modo che insegni a tutti quel che ha fatto là fuori.-
Si sollevarono voci da tutte le parti, e ci volle mezzo minuto perché Newt calmasse tutti i presenti. Feci una smorfia: con quel suggerimento, Frypan aveva esagerato, finendo quasi per invalidare la mia lucida opinione riguardo a tutto quel casino.
-Va bene, lo segno.- disse Newt, scarabocchiando su un bloc-notes. -Adesso chiudete quelle cacchio di bocche, dico davvero. Le regole le conoscete: nessuna idea è inaccettabile. E tutti direte la vostra quando le metteremo ai voto.- Finì di scrivere e indicò il terzo membro del Consiglio, un ragazzo che non avevo ancora incontrato. Aveva i capelli neri e il viso lentigginoso.
-A dire il vero non ho un'opinione.- disse.
-Cosa?- chiese Newt, rabbioso. -Allora abbiamo fatto proprio bene a farti entrare nel Consiglio.-
-Mi dispiace, ma davvero non so.- Si strinse nelle spalle. -Se proprio devo dire qualcosa, allora mi sa che sono d'accordo con Frypan. Perché punire qualcuno che ha salvato una vita?-
-Allora un'opinione ce l'hai, giusto?- insisté Newt, matita alla mano.
Il ragazzo annuì e il biondo scarabocchiò un appunto. Mi sentivo sempre più sollevata: sembrava che la maggior parte degli Intendenti fosse dalla mia parte. 
Il Raduraio successivo fu Winston, il ragazzo coperto d'acne del Macello. -Penso che debba essere punita. Senza offesa, Fagiolina, ma Newt, sei tu che la meni sempre con l'ordine. Se non la puniamo, sarà di cattivo esempio. Ha infranto la Regola numero uno.-
-Okay.- disse Newt, scrivendo sul taccuino. -Quindi suggerisci una punizione. Di che genere?-
-Credo che debba essere messa nella Gattabuia a pane e acqua per una settimana. E che tutti debbano saperlo, così da non farsi venire idee strane.-
Wes si mise ad applaudire, guadagnandosi un rimbrotto da Newt. Mi sentii un pochino scoraggiata.
Parlarono altri due Intendenti, uno a favore dell'idea di Frypan e uno di quella di Winston. Poi venne il turno di Newt.
-Sono d'accordo con tutti. Dovrebbe essere punita, ma dobbiamo capire come. Mi riservo di dare i miei suggerimenti dopo aver sentito gli altri. Avanti al prossimo.- mi sentii ferita dalle sue parole.
I ragazzi proseguirono. Alcuni pensavano che andassi premiata, altri che andassi punita. O tutte e due le cose.
Non riuscivo quasi più ad ascoltare, visto che potevo intuire i commenti degli ultimi due Intendenti, Wes e Minho. Quest'ultimo non aveva detto una parola da quando avevo fatto il mio ingresso nella stanza.
Wes parlò per primo. -Credo di aver già fatto capire la mia opinione in modo abbastanza chiaro.-
Grandioso, pensai. Allora tieni la bocca chiusa e basta.
-Bene così.- disse Newt, alzando di nuovo gli occhi al cielo. -Allora parla tu, Minho.-
-No!- sbraitò Wes, facendo sobbalzare qualche Intendente per lo spavento. -Voglio aggiungere qualcosa.- 
-E allora parla, cacchio.- ribatté il secondo in comando.
-Ci sono troppe cose che non tornano. Non ci si può fidare di questa pivella. Penso sia una spia mandata dalla gente che ci ha messo qui.- Fece una pausa.
-Tu sei pazzo.- sbottai senza riuscire a controllarmi.
-Anna.- mi ammonì il biondo. -Finito, Capitan Wes?- domandò poi.
-Smettila di fare il brillante, Newt. Lo sanno tutti nella Radura che sbavi dietro alla Novellina da quando è arrivata. Non fare il finto tonto, vi abbiamo visto in giro. Davvero una bella coppia.- sputò lui, con il viso paonazzo. -Sono serio. Come facciamo a fidarci?- 
-Va bene, Wes.- disse Newt. -Mi dispiace. Ti abbiamo ascoltato tutti e prendiamo in considerazione il tuo cacchio di suggerimento. Hai finito?- Non aveva ribattuto al commento sul fatto che tutti pensassero che tra me e lui ci fosse del tenero; probabilmente era così inverosimile da non aver bisogno neanche di essere chiarito. Mi sentii un po' delusa, ma perché?
-Sì, ho finito. E ho ragione.-
Senza altre parole da parte di Wes, Newt indicò Minho.
-Dicci, ora. Da ultimo, ma non meno importante degli altri.-
Il Velocista si alzò in fretta, cogliendo tutti di sorpresa. -Io ero là fuori e ho visto cosa ha fatto. È rimasta calma, mentre io mi sono trasformato in un polletto cacasotto. Non esiste che ci sia da ciarlare come fa Wes. Voglio dare il mio suggerimento e farla finita.-
Trattenni il respiro, chiedendomi cosa avrebbe detto.
-Bene così.- disse Newt. -Parla, allora.-
Minho mi guardò. -Nomino questa pivella quale mio sostituto nel ruolo di Intendente dei Velocisti.-
Sulla stanza calò il silenzio più totale, come se il mondo si fosse congelato di colpo. Ogni membro del Consiglio rimase a fissare Minho. Ero seduta, sbalordita, in attesa che il Velocista dicesse che stava scherzando.
Infine Wes spezzò l'incantesimo, alzandosi. -È ridicolo!- Si mise davanti a Newt e indicò Minho, che si era rimesso a sedere. -Dovremmo cacciarlo a calci dal Consiglio per aver detto una cosa così stupida.-
In effetti, alcuni Intendenti sembravano essere d'accordo con il suggerimento di Minho. Per esempio Frypan, che si mise ad applaudire per sovrastare Wes, il quale sbraitava che si andasse ai voti. Altri, invece, no. Winston scosse la testa, risoluto, dicendo qualcosa che non riuscii a capire bene. Quando tutti presero a parlare insieme, mi coprii le orecchie con le mani per isolarmi, spaventata e stupita allo stesso tempo. Perché Minho aveva detto quelle cose? Deve essere uno scherzo, pensai. Newt ha detto che ci vuole un mucchio di tempo solo per diventare Velocista, figuriamoci Intendente. Tornai a sollevare lo sguardo. Avrei voluto essere a metri e chilometri di distanza da questo posto.  
Finalmente Newt appoggiò il taccuino e fece un passo, uscendo dal semicerchio e gridando agli altri di tacere. Continuai a guardare. All'inizio, nessuno parve sentire o notare Newt. Tuttavia, gradualmente l'ordine fu ripristinato e tutti tornarono a sedersi. 
-Che caspio.- disse Newt. -Non ho mai visto tanti pive comportarsi come mocciosi. Magari non ne abbiamo l'aspetto, ma siamo adulti, da queste parti. Comportatevi come tali, oppure scioglieremo questo cacchio di Consiglio e ripartiremo dall'inizio.- Camminò  da un'estremità all'altra della fila curva di Intendenti seduti ai loro posti, guardandoli tutti negli occhi. -Sono stato chiaro?-
Il gruppo era sprofondato nel silenzio. Mi aspettavo altri scoppi di grida, ma fui sorpresa di vedere che tutti annuirono, compreso Wes.
-Bene così.- Newt tornò al posto e si sedette, appoggiandosi in grembo il bloc-notes. Scarabocchiò alcune righe sul foglio, poi sollevò lo sguardo su Minho. -È una sploff piuttosto seria, questa, fratello. Mi dispiace, ma devi argomentarla se vuoi sostenere questa proposta.-
Il Velocista aveva un'aria esausta, ma cominciò a difendere la sua idea. -Sono sicuro che per voi pive sia facile starvene seduti qui a parlare di qualcosa di cui non sapete niente. In questo gruppo siamo solo due Velocisti, e l'unico altro qui che sia mai stato nel Labirinto è Newt.-
Wes intervenne: -Non se conti la volta che io...-
-No, invece!- gridò Minho. -E credimi, né tu né nessun altro di voi ha la minima idea di come sia essere là fuori. L'unica ragione per cui sei stato punto è perché hai infranto la stessa regola per cui stai incolpando Anna. Si chiama ipocrisia, faccia di caspio di un pezzo di...-
-Basta.- disse Newt. -Spiega le tue ragioni e falla finita.-
La tensione era tangibile. Avevo l'impressione che l'aria della stanza si fosse trasformata in vetro e che potesse andare in mille pezzi da un momento all'altro. 
-Comunque, ascoltami.- proseguì Minho, tornando a sedersi. -Non ho mai visto niente del genere. Non è andata nel panico. Non si è messa a frignare o a piangere, non è mai sembrata spaventata. Ragazzi, era qui solo da qualche giorno. Pensate a come eravamo tutti, all'inizio. Ce ne stavamo rannicchiati negli angoli. Eravamo disorientati, piangevamo a tutte le ore, non ci fidavamo di nessuno, ci rifiutavamo di fare qualunque cosa. Siamo stati tutti così, per settimane o per mesi, finché non abbiamo avuto altra scelta se non quella di mandare tutto affancaspio e vivere.-
Minho si rialzò e mi indicò. -Solo qualche giorno dopo il suo arrivo, questa esce nel Labirinto per salvare due pive che conosce a malapena. Tutta questa sploff sul fatto che abbia infranto una regola va oltre la stupidità. Le regole non le aveva ancora imparate, lei. Ma un mucchio di gente gli aveva detto che roba è il Labirinto, specialmente di notte. E tuttavia lei è uscita, proprio mentre la Porta si chiudeva, pensando solo che c'erano due persone che avevano bisogno d'aiuto.- Fece un respiro profondo. Sembrava acquistare forza a ogni parola che pronunciava. -Ma questo è solo l'inizio. Dopo, ha visto me mollare Alby, darlo per morto. E il veterano ero io. Ero io quello con tutta l'esperienza e la conoscenza. Così, quando Anna mi ha visto rinunciare, non avrebbe dovuto metterlo in discussione. Invece l'ha fatto. Pensate alla forza e alla volontà che ci sono volute per spingere Alby su per quel muro, un centimetro alla volta. Era roba da fuori di testa. Da pazzi fottuti. Invece lei non ci è andata fuori di testa. Poi sono arrivati i Dolenti. Ho detto ad Anna che dovevamo dividerci e ho cominciato a scappare come siamo allenati a fare, correndo per i sentieri. Quando si sarebbe dovuta pisciare addosso, invece, Anna è rimasta lucida, ha sfidato le leggi della fisica e della gravità per alzare Alby, ha distratto i Dolenti perché lo lasciassero stare, ne ha sconfitto uno, ha trovato...-
-Il succo l'abbiamo capito.- sbottò Wes. -Anna è una pivella fortunata.-
Minho andò all'attacco. -No, razza di caspio da quattro soldi, non hai capito niente! Sono qui da due anni e non ho mai visto niente di simile. Il fatto che tu provi a dire qualcosa...-
Minho fece una pausa, si strofinò gli occhi, gemendo per la frustrazione. Mi resi conto che la bocca mi si era spalancata. Provavo emozioni confuse: apprezzamento per Minho che mi stava difendendo davanti a tutti, incredulità per l'ostilità continua di Wes, paura della decisione finale.
-Wes,- disse il Velocista, con voce più calma -tu non sei altro che una femminuccia. Non hai mai chiesto di diventare Velocista. Neanche una volta. Non hai mai fatto le prove per farlo. Non hai diritto di parlare di cose che non capisci. Quindi chiudi la bocca.-
Wes si alzò di nuovo, fumando di rabbia. -Dinne un'altra come questa e ti spezzo il collo qui, davanti a tutti.- disse, sputacchiando per la foga.
Minho scoppiò a ridere, poi sollevò il palmo della mano e lo schiaffeggiò in pieno volto. Feci per alzarmi, mentre vedevo il Raduraio ricadere violentemente sulla sedia, facendola rovesciare all'indietro e spaccandola in due pezzi. Wes finì a terra, scomposto, ma si tirò su in fretta, lottando per mettersi a carponi. Minho si avvicinò e gli batté forte sulla schiena con un piede, appiattendolo contro il pavimento. 
Ricaddi sula sedia con un tonfo, sbalordita.
-Ti assicuro, Wes,- disse Minho con una smorfia -che ti conviene non minacciarmi mai più. Non venire neanche più a parlarmi. Mai. Se lo fai, sarò io a spezzare quel tuo caspio di collo, subito dopo averti sistemato le braccia e le gambe.-
Newt e Winston balzarono in piedi e acciuffarono Minho prima che mi rendessi conto di cosa stava succedendo.
Lo trascinarono via da Wes, che saltò in piedi, il viso reso rubizzo dalla furia. Tuttavia, non fece un solo passo verso l'altro ragazzo: rimase lì, con il torace scoperto e il respiro affannoso.
Infine indietreggiò, incespicando verso l'uscita alle sua spalle. I suoi occhi saettarono in giro per la stanza, accesi da un odio bruciante. Ebbi la spaventosa impressione che Wes stesse per commettere un omicidio. -Ora le cose sono cambiate.- disse, sputando a terra. -Non avresti dovuto farlo, Minho. Non avresti proprio dovuto farlo.- Il suo sguardo si spostò su Newt. -So che mi detesti, che mi hai sempre detestato. Dovresti essere esiliato per la tua imbarazzante incapacità di guidare questo gruppo. Dovresti vergognarti, e come te chiunque altro in questa stanza. Le cose cambieranno. Ve lo prometto. Ti auguro ogni gioia con la pivella, Newt, siete fatti l'uno per l'altro.-
Mi sentii mancare. Come se la situazione non fosse già abbastanza penosa. 
Poi Wes si voltò verso di me, mi si avvicinò e mettendo le mani sui braccioli della sedia mi disse: -E tu,- lo sguardo infuocato di rabbia. -la Fagiolina che si crede una cavolo di divinità. Non scordarti che io ti ho già visto. Io ho subito la Mutazione. Quel che viene deciso da questi qua non conta una cippa.-
Fece una pausa, guardando tutti i presenti. Quando il suo sguardo cattivo ricadde su di me, disse un'ultima cosa: -Qualunque cosa tu sia venuto a fare, giuro sulla mia vita che ti impedirò di farla. Ti ammazzerò, se sarà necessario.-
Poi si voltò e lasciò la stanza, sbattendosi la porta alla spalle.
Rimasi paralizzata sulla sedia, sentendo la nausea crescere nello stomaco.
-È uscito di testa definitamente.- disse Minho, quasi in un sussurro. 
-Beh, tu non sei certo un cacchio di santo.- disse Newt. -Ma che avevi in testa? Sei andato un po' sopra le righe, non credi?-
Minho strabuzzò gli occhi e tirò indietro il capo, come sbigottito dalla domanda di Newt. -Non tirare fuori questa storia. Eravate tutti contenti di vedere quel puzzone mentre beccava ciò che merita e lo sapete bene.-
-C'è un motivo se fa parte del Consiglio.- disse Newt.
-Amico, ha minacciato di spezzarmi il collo e uccidere Anna! Quel tizio è andato fuori di testa. È pericoloso.-
-Forse aveva ragione.- disse Winston, a voce quasi troppo bassa.
-Cosa?- chiese Minho, rispecchiando alla perfezione i miei sentimenti.
Winston apparve sorpreso del fatto che ci fosseimo accorti delle sue parole. -Beh... Wes l'ha subita davvero, la Mutazione. Significa che lui ha dei ricordi e ha detto che la Fagiolina gli è familiare. Perché avrebbe dovuto inventarselo?-
-Winston, ma hai visto cosa è appena successo?- domandò Frypan, con un'espressione incredula. -Wes è fuori di testa. Non ci si può fidare troppo delle sue cavolate. Cosa, credi che Anna, qui, sia un Dolente travestito da ragazza?-
-Posso dire qualcosa adesso?- chiesi, con voce resa più alta dalla frustrazione.
Newt sollevò lo sguardo verso di me e annuì. -Parla. Questa cacchio di riunione non potrebbe essere più incasinata di così.-
-Non so perché Wes mi detesti. Non me ne importa. Mi sembra pazzo. Riguardo a chi sono io veramente, ne sapete quanto me. Ma se mi ricordo bene, siamo qui per quel che ho fatto nel Labirinto, non perché qualche idiota pensa che sia cattiva.-
Qualcuno ridacchiò e io smisi di parlare, sperando di essermi fatta capire.
Newt annuì con aria soddisfatta. -Bene così. Finiamo la riunione. Di Wes ci preoccuperemo dopo.-
-Non possiamo votare senza che siano tutti presenti.- Insisté Winston. -A meno che non stiano davvero male, come Alby.-
-Per carità, Winston.- ribatté il biondo. -Direi che anche Wes oggi è sul malaticcio, quindi proseguiamo senza di lui. Anna, difenditi. Poi voteremo sul da farsi con te.-
Mi accorsi di aver stretto le mani a pugno in grembo. Le rilassai e mi asciugai i palmi sudati sui pantaloni. Poi cominciai, incerta su cosa avrei detto.
-Non ho fatto niente di sbagliato. So solo che ho visto due persone che si sforzavano di entrare nelle mura e che non ce la facevano. Ignorarle per qualche stupida regola mi è parso egoista, codardo e... beh, stupido. Se volete mettermi in prigione per aver cercato di salvare la vita di qualcuno, fatelo. La prossima volta prometto che mi limiterò a puntare il dito verso di loro ridendo, e poi ad andare da Frypan a mangiare qualcosa.-
Non stavo cercando di essere divertente. Ero semplicemente scioccata dal fatto che tutta questa storia potesse essere un problema.
-Ecco il mio suggerimento.- disse Newt. -Hai infranto la nostra cacchio di Regola numero uno, quindi te ne starai nella Gattabuia per un giorno. Quella sarà la tua punizione. Suggerisco anche di... Farti iniziare le prove per diventare Velocista. Quanto a diventare Intendente, scordatelo.-
Minho non parve sorpreso, ma controbatté comunque. -Perché? È la migliore che abbiamo, o lo diventerà sicuramente... Lo giuro.-
Newt si guardò intorno. -Okay, sono arrivati diversi suggerimenti, quindi facciamo un giro...-
-Oh, dai.- disse Frypan. -Votiamo e basta. Io voto per il tuo.-
-Anch'io.- disse Minho.
Tutti gli altri si unirono al coro, riempiendo il mio cuore di sollievo ed orgoglio. L'unico a dire no fu Winston, ma non mi importò. Ero salva.
-E la mia punizione?- chiesi a Newt.
-Domani.- mi rispose. -Dalla sveglia al tramonto.-
La riunione fu sciolta e tutti, tranne Newt e Minho, se ne andarono alla spicciola.
Minho mi si avvicinò e mi diede scherzosamente un pugno sul braccio. -Intendente? Vuoi che io faccia l'Intendente? Sei molto più pazzo di Wes.- gli diedi un pugno a mia volta. 
-Ha funzionato, no? Spara alto e colpisci in basso. Mi ringrazierai dopo.- mi fece l'occhiolino.
-Anna, andiamo.- mi chiamò Newt.
-Arrivo.- gli fui subito dietro, lasciandomi alle spalle quella stanza, sperando di non doverci mai più rientrare.

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Capitolo 11
*** Piccoli Momenti ***


-Allora? Cosa dovevi mostrarmi?- lo seguii, mentre si dirigeva verso le Facciemorte.
-Calma, siamo quasi arrivati.- mi rispose con tono serio.
-Non ti capisco.- sussurrai, pensando che Newt non mi avrebbe sentita. 
-Come?- mi chiese, fermandosi di colpo e facendomi sbattere contro la sua schiena.
-Perché ti sei fermato?- a volte non riuscivo a comprendere cosa gli frullasse in quella testolina.
-Cosa hai detto?- si voltò verso di me.
-Io... Niente...- speravo non avrebbe insistito.
-Dimmelo.- Neanche a farlo apposta, pensai.
-Ho solo... Detto che a volte non ti capisco.- la voce mi si affievolì sulle ultime parole.
-Perché?- sembrava davvero confuso.
-Perché...- ci pensai un po' prima di parlare, ma poi decisi di dare sfogo ai miei pensieri. -Prima di entrare in quella stanza eri tutto sorridente, poi sei diventato serio e hai iniziato a parlare di punizioni.- cercai di spiegargli.
-Non è affatto vero.- si difese.
-E adesso mi urli contro.- alzai le mani.
-Cosa dovrei fare?- mi si avvicinò.
-Parlarmi.- dissi tranquillamente. -Ogni tanto.-
-Pensi che io sia arrabbiato con te?- mi chiese con sguardo sbalordito.
-Non è così?- adesso quella confusa ero io.
-Certo che no, maledizione.- alzò lo sguardo al cielo, per poi riportarlo su di me. -Perché non riesci a capirlo? L'hanno fatto tutti. Solo tu non comprendi come stanno realmente i fatti. Perché non capisci?- la sua sembrava più una supplica. Ma cosa devo capire?, pensai.
-Io non...- cominciai. -Cosa dovrei capire? Cosa...?-
-Lascia perdere. Ho sbagliato tutto io.- mi interruppe, per poi ricominciare a  camminare.
Continuai a seguirlo, addentrandomi nella vegetazione più folta, senza emettere un suono.
Quando Newt si fermò per la seconda volta, eravamo al centro di una piccola radura, larga circa cinque metri quadrati. Al contrario del bosco circostante, sulla terra cresceva dell'erba e, qua e là, dei piccoli fiori viola. Rimasi affascinata nel vedere un posto così bello in tutto questo casino. Non riuscivo a spiegarmi come avevo fatto a non trovarla prima.
-Che posto è?- riuscii finalmente a dire.
-Il mio personale nascondiglio. Vengo qui quando mi sento giù o, semplicemente, quando non ho voglia di parlare con gli altri.- mi spiegò.
-Wow.- sospirai, girando su me stessa.
-Sei perfetta in questo scenario.- sentii Newt. Mi voltai verso di lui, sorridendo nonostante l'imbarazzo dovuto a quel complimento. 
-Grazie, anche tu non ci... Stai male.- cercai di metterla su un piano comico. Mi sorrise senza dire niente. Era strano come passassimo dal litigare a farci dei complimenti. -Perché era così importante mostrarmelo?- gli chiesi poi.
-Non lo so.- fece un passo verso di me. -Forse volevo solo che qualcun altro lo sapesse...- 
-Soltanto per questo?- lo presi in giro.
-Mantieni il segreto. Per favore.- mi chiese.
-Non preoccuparti.- lo rassicurai. 
-È un bel posto dove riflettere. Negli ultimi giorni ci sono venuto spesso.- fece altri due passi nella mia direzione.
-E perché?- gli chiesi incuriosita.
-Dovevo pensare a certe cose...-
-Capisco: Alby e l'Adunanza. Tutto quel casino deve averti preso molto tempo. Mi dispiace per averti complicato la vita.- 
-Fuochino, ma non proprio...- fece un altro passo.
-E allora cosa?- ero confusa più che mai.
-Tu.- disse solamente.
-Io?- non capivo, non ci arrivavo. 
-Ahahah.- sentire la rasata cristallina di Newt mi fece destare dalla confusione che avevo in testa. -Sei buffa.- 
-Perché ridi di me?- chiesi.
-Non potrei mai ridere di te.- disse tornando serio, avanzando di un altro passo. -Mai.- un altro ancora.
-Ehm...- indietreggiai, mentre lui si avvicinava.
-Ho dovuto usare tutto il mio autocontrollo per pronunciare quella frase, per dirti che avresti iniziato le prove per diventare un Velocista.- strinse le mani a pugno.
-Lo so, e ti ringrazio. Per me ha significato molto.- gli sorrisi nuovamente.
-Credo sia una tra le cose più dure che... Se fosse dipeso da me non te l'avrei mai lasciato fare, sappilo.- mise subito le cose in chiaro.
-Perché? Sono abbastanza grande da poter prendere le mie decisioni da sola, sai?- perché deve fare il protettivo tutte le volte?, pensai.
-Non voglio che tu vada là fuori, tutto qui; ma penso che ora come ora, sia solo fiato sprecato.- si sedette di colpo.
-Sì.- non avrei ceduto stavolta.
-Ti siedi accanto a me?- mi chiese in tono dolce, così tenero che non potei fare a meno di addolcirmi anch'io. -Sei cocciuta.- disse quando gli fui davanti.
-No, se ti ricordi bene sono quella che va punita.- dissi con una smorfia. -Come hai detto tu.-
-Ancora questa storia.- con un sospiro lasciò cadere anche il busto sul prato, ritrovandosi disteso.
-Va bene, la smetto.- dissi stendendomi anch'io. Adesso, eravamo ginocchia contro ginocchia.
-Mi faresti questo favore?- disse spuntandomi da sopra, facendomi venire un infarto.
-Newt!- gridai spaventata.
-Anna.- mi fece il verso.
-Ti odio.- dissi scherzando.
-Mi ami.- disse lui, sorridendomi in modo malizioso. 
-Come darti torto.- stetti al suo gioco.
-Perciò mi ami?- continuò a scherzare, nonostante il suo sguardo si fosse fatto incredibilmente serio.
-Ovviamente.- continuai a prenderlo in giro.
-Scherzi?- mi chiese, prendendomi le mani ed alzandomi da terra; adesso sentivo il suo respiro sulla fronte.
-Ovviamente.- risposi nuovamente. 
-Ma vaffancaspio.- disse lasciandomi e rimettendosi sdraiato. Risi al suo gesto, ma lui non lo fece; restò in silenzio, guardando il cielo azzurro sopra di noi.
-Forse dovrei andare a fare qualcosa... Potrei chiedere a Frypan se ha bisogno di aiuto.- cambiai discorso.
-Mm.- rispose soltanto.
-Tu stai qui?- gli chiesi alzandomi, incerta sul muovermi o meno.
-No, ti accompagno.- disse stiracchiandosi e venendomi dietro.
-Perché tanta voglia di aiutare?- mi chiese durante il tragitto.
-Domani dovrò passare tutto il giorno ferma, quindi ho decisi di muovermi un po' di più oggi.- gli spiegai; come ragionamento non faceva una piega.
-Non so se Frypan sia disposto a farti toccare i suoi attrezzi del mestiere. È abbastanza geloso... Li tratta in un modo quasi maniacale...- sulla sua fronte era comparso un solco, forse per la concentrazione.
-Mi era sembrato un po' strano.- adesso mi stavo immaginando il cuoco, in un angolo della cucina, intento ad accarezzare una pentola, sussurrandole parole dolci; tra Winston e Frypan non sapevo chi mi facesse più paura.
Quando raggiunsi la cucina, al contrario di come avevamo pensato, il ragazzo fu ben contento di lasciarmi un'ora a rigirare un'orrenda brodaglia. Mi maledii per aver anche solo pensato di poter essere d'aiuto in cucina, e mi promisi di non rifarlo mai più. Per tutto il tempo Newt mi fece compagnia, dicendomi che non aveva niente di meglio da fare.
-Come va la gamba?- mi chiese dopo quarantacinque minuti di tortura.
-Meglio, grazie.- gli sorrisi.
-Sei pronta per correre?- continuò.
-Credo di sì... Non zoppico quasi più. Domani farò riposare la gamba e il giorno dopo sarò pronta.- lo rassicurai.
-Okay.- disse soltanto. Continuai a mescolare il pranzo finche non tornò Frypan: mi dileguai non appena il ragazzo si riprese il mestolo.
Stavamo passeggiando per la Radura quando arrivò Chuck, con la faccia di uno che è appena stato inseguito da un Dolente. Sentii scomparire il sorriso dalla faccia.
-Che succede?- domandò Newt. Il suo tono di voce non fece che accrescere la mia preoccupazione.
Chuck si stava torcendo le mano. -Mi mandano i Medicali.-
-Perché?-
-Mi sa che Alby sta sbatacchiando qua è la e che sta facendo il pazzo. Dice che deve parlare con qualcuno.-
Newt si avviò verso il Casolare, ma Chuck lo richiamò. -Ehm... Non vuole te.-
-Che intendi?-
Chuck mi indicò. -Continua a chiedere di lei.-
Per la seconda volta, quel giorno, ammutolii per lo stupore.
-Beh, muoviamoci.- mi disse Newt, prendendomi per un braccio. -Non esiste che non venga con te.-
Lo seguii, con Chuck nuovamente alla calcagna. Quando fummo al Casolare, Newt si diresse verso una stretta scala a chiocciola vicina alla sala dove si era tenuta l'Adunanza. Il ragazzo salì il primo gradino, poi rivolse un'occhiata rabbiosa a Chuck. -Tu. Sta' qui.-
Per una volta, il ragazzino si limitò ad annuire senza dire niente. Immaginai che nel comportamento di Alby ci fosse qualcosa che lo aveva sconvolto.
-Allegro.- dissi a Chuck mentre Newt saliva le scale. -Tra un po' sarò una Velocista. Sei amico di una forte.- Stavo cercando di scherzare, provando a negare il fatto che ero terrorizzata all'idea di vedere Alby. E se mi avesse accusato come Ben? O peggio?
-Sì, va bene.- sussurrò Chuck, fissando i gradino di legno, come stordito.
Stringendomi nelle spalle, cominciai a salire. Avevo i palmi delle mani resi scivoloso dal sudore e sentii una goccia colarmi giù dalla tempia. Non avevo nessuna voglia di andare lassù.
Newt mi stava aspettando in cima alle scale con un'aria cupa, solenne. Ci trovavamo dalla parte opposta del lungo corridoio buio che si dipartiva dalla scalinata consueta, quella su cui ero salita quando avevo visto Ben. Il ricordo mi diede la nausea; speravo che Alby fosse completamente guarito, in modo da non dover rivedere niente del genere; la pelle malata, le vene, le convulsioni. 
Seguii Newt verso la seconda porta sulla destra e guardai il ragazzo più grande bussare. In risposta udimmo un gemito. Newt spinse la porta per aprirla, con un debole scricchiolio; quando entrò nella stanza e mi fece un cenno d'assenso lo seguii. Mi preparai all'orrenda visione che poteva aspettarmi. Ma quando sollevai gli occhi, vidi solo un adolescente dall'aria molto debole, steso sul letto con gli occhi chiusi.
-Sta dormendo?- bisbigliai, cercando di evitare l'altra domanda che mi si era affacciata alla mente: Non è morto, vero?
-Non lo so.- rispose piano Newt. -Vieni.- mi prese la mano, ed entrambi andammo accanto al letto, sistemandoci ognuno su una seggiola di legno.
-Alby.- sussurrò Newt. Poi, più forte. -Alby. Chuck ha detto che volevi parlare con Anna.-
Con un tremolio di palpebre, gli occhi del ragazzo si aprirono, le orbite iniettate di sangue brillarono alla luce della stanza.
Guardò Newt e poi me. Con un gemito, si mosse e si tirò a sedere, appoggiando la schiena alla testiera del letto. -Già.- brontolò con un gracchio rauco.
-Chuck ha detto che ti dimenavi tutto e che facevi il matto.- Newt si chinò in avanti. -Che c'è che non va? Stai ancora male?-
Le parole successive di Alby uscirono in un sibilo, come se ogni volta che ne pronunciava una ci perdesse una settimana di vita. -Perché... Vi tenete per... Mano?- chiese incuriosito. Guardai subito verso la mia mano, ancora intrecciata a quella di Newt, lasciandola un secondo dopo. -Newt si è forse deciso a dirti che...?-
-Okay Alby, cosa vuoi?- lo interruppe il biondo con tono nervoso.
Il ragazzo si sistemò meglio sul letto per poi guardarci con un'espressione seria. -Tutto... Sta per cambiare... Anna... L'ho vista.- disse subito dopo; poi Alby collassò sul letto, finendo di nuovo disteso, con gli occhi fissi sul soffitto. -Non mi sento tanto bene.- 
-Che intendi dire, che ha visto...- cominciò Newt.
-Volevo Anna!- sbraitò Alby, con un'improvvisa esplosione di energia che pochi secondi prima sarebbe parsa impossibile. -Non ho chiesto te, Newt! Anna! Ho chiesto di Anna, cacchio!- 
Newt sollevò lo sguardo e mi rivolse un'espressione interrogativa, sollevando le sopracciglia. Mi strinsi nelle spalle. 
-Va bene, brontolone di un caspio che non sei altro.- disse il ragazzo. -È proprio qui. Parlagli.-
-Vattene.- disse Alby, con gli occhi chiusi e il respiro pesante.
-Non esiste. Voglio sentire.-
-Newt.- una pausa. -Vattene. Ora.- ero incredibilmente in imbarazzo, preoccupata di cosa avrebbe pensato il biondo e spaventata da cosa volesse dirmi Alby.
-Ma...- protestò Newt.
-Fuori!- strillò il ragazzo tirandosi a sedere, con la voce rotta dallo sforzo. -Esci!-
Il viso di Newt cambiò espressione. Era chiaro che si sentiva ferito. Fui sorpresa dall'assenza di rabbia nel suo sguardo. Poi, dopo un lungo momento di tensione, Newt si alzò dalla sedia e si avviò verso la porta. La aprì. Ha veramente intenzione di andarsene?, pensai.
-Non aspettarti che ti baci il culo quando verrai a dirmi che ti dispiace.- disse, poi uscì in corridoio.
-So cosa o chi vorresti baciare! Chiudi la porta!- urlò Alby, come insulto finale. Newt ubbidì, sbattendola.
Il battito si fece più rapido, ora ero sola con un ragazzo che aveva un brutto carattere già da prima di essere aggredito da un Dolente e subito la Mutazione. Speravo che Alby avrebbe detto ciò che voleva e che l'avrebbe fatta finita. Ci fu una pausa di diversi minuti.
-So chi sei.- ripeté Alby, lento. -L'ho visto. Ho visto tutto. Da dove veniamo, chi sei. Mi ricordo dell'Eruzione.-
L'Eruzione? Mi costrinsi a parlare. -Non so di che parli. Cosa hai visto? Mi piacerebbe sapere chi sono.-
-Non è bello.- mi rispose il ragazzo. -È orribile, sai. Perché dovrebbero volere che lo ricordiamo, quelle teste di caspio? Perché non possiamo semplicemente vivere qui ed essere felici?-
-Alby...- avrei voluto poter sbirciare nella mente del ragazzo, vedere ciò che aveva visto lui. -Che è successo? Cosa ha rivisto? Stai dicendo cose senza senso.-
-Tu...- cominciò Alby. Poi, all'improvviso, mi afferrò per le spalle, cercando di arrivare alla gola. Presi a scalciare, cercando di gridare. -Newt!- il ragazzo strinse le mani intorno al mio collo. -Newt... Vieni qui...- riuscii a sussurrare. 
La porta si spalancò prima che avessi terminato la frase.
Newt corse verso di noi, mi prese per i fianchi, cercando di staccare le mani di Alby dalla mia gola. Quando ci riuscì, mi tirò indietro, avvolgendomi tra le sue braccia, così da non  farmi cadere miseramente a terra mentre annaspavo in cerca d'aria.
Alby sollevò lo sguardo con le palpebre pesanti, come se fosse sul punto di scivolare in un sonno pesante. -Mi dispiace, Newt... Anna.- sussurrò. -Non so cosa sia successo. È stato come se... Qualcosa stesse controllando il mio corpo. Mi dispiace...-
-Mi dispiace un corno.- ribatté Newt. -Stavi cercando di uccidere Anna, cacchio.-
-Non sono stato io, lo giuro.- mormorò Alby.
Newt buttò in aria le mani. -Che vuol dire che non sei stato tu?- domandò.
-Non lo so... Non... Non ero io.- il ragazzo sembrava confuso quanto lo ero io.
Ma Newt pareva pensare che non valesse la pena di provare a capire. Almeno in quel momento. Afferrò le coperte cadute dal letto mentre Alby si dimenava e le tirò sopra al ragazzo ammalato. -Porta le chiappe a dormire, ne parleremo dopo.- Gli diede un colpetto sulla testa e poi aggiunse: -Stai proprio fuori, pive.-
Ma Alby si stava già appisolando. Annuì piano, mentre gli occhi gli si chiudevano.
Newt incrociò il mio sguardo e mi fece cenno di incamminarmi verso la porta. Lo seguii e uscii nell'atrio. Poi, proprio mente attraversavamo la soglia, Alby borbottò qualcosa dal letto.
Entrambi ci bloccammo di colpo. -Cosa?- domandò Newt.
Alby aprì gli occhi per un breve istante, poi ripeté la frase a voce più alta. -Proteggete le Mappe.- il ragazzo si girò sul fianco, rivolgendoci la schiena. Era il segno che aveva davvero finito di parlare.
Lasciai la stanza insieme a Newt, chiudendo piano la porta; quando fui nel corridoio, mi accasciai contro la parete e scivolai in ginocchio, singhiozzando.
-Ma che...- sentii Newt poco più avanti voltarsi e tornare indietro, per poi inginocchiarsi alla mia altezza. -No, no. Tranquilla, non è successo niente.- disse abbracciandomi, iniziando ad accarezzarmi i capelli.
-Sono patetica.- riuscii a dire dopo un paio di minuti.
-Sei soltanto umana.- mi consolò lui. -Può capitare a tutti.-
-Ho avuto... Paura che non mi sentissi... Come quando Ben... E che...- 
-Shh... È normale.- ripeté. -Se non hai paura, non sei umano.- e continuò ad abbracciarmi in quel corridoio buio, finché, ancora nelle sue braccia, non mi addormentai.

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Capitolo 12
*** La Gattabuia ***


Quando ripresi conoscenza mi accorsi di essere stesa su un letto. Mi sedetti esaminando la stanza in cui mi trovavo: assomigliava molto a quella dove mi avevano portata dopo la notte passata nel Labirinto. Guardai fuori dalla finestra, notando che il cielo si era tinto di sfumature rossastre. 
Uscii dalla stanza chiudendo piano la porta, poi sentii una voce: -Ti sei svegliata finalmente.- era Newt.
-Da quanto sei qui?- gli chiesi confusa.
-Un paio d'ore. Non volevo ti svegliassi tutta sola.- mi rispose; poi, insieme, iniziammo a scendere le scale.
-Hai fame, Anna?- chiese Newt una volta fuori dal Casolare.
Non riuscivo a credere che mi avesse fatto quella domanda. -Fame? Dopo ciò che ho visto, ho voglia di vomitare. No, non ho fame.- 
Newt si limitò a sogghignare. -Beh, pivella, io ho fame eccome. Andiamo a cercare qualche avanzo del pranzo. Dobbiamo parlare.- 
-In qualche modo sapevo che avresti detto qualcosa del genere.- 
Andammo dritti in cucina dove, nonostante i brontolii di Frypan, riuscimmo a recuperare della verdura cruda e qualche panino al formaggio. Decidemmo di andare a mangiare all'aperto e pochi minuti dopo ci ritrovammo nei pressi del muro occidentale, a osservare le molte attività in corso nella Radura, con la schiena appoggiata a una spessa parete di edera. Mi costrinsi a mangiare. In questa situazione, avevo bisogno di assicurarmi di avere le forze per affrontare qualunque follia potesse capitare.
-Hai mai visto succedere una cosa del genere, prima d'ora?- domandai dopo circa un minuto. 
Newt mi guardò, con espressione improvvisamente seria. -Ciò che ha appena fatto Alby? No. Mai. Ma del resto, nessuno ha mai provato a raccontare cosa aveva visto durante la Mutazione. Si rifiutano sempre di farlo. Alby ci ha provato... E deve essere per quello che ha dato fuori di testa per un po'.-
Smisi di masticare per un attimo. Era possibile che in qualche modo le persone dietro al Labirinto ci controllassero? Era un pensiero spaventoso.
-Dobbiamo trovare Wes.- disse Newt mentre addentava una carota, cambiando argomento. -Quello stronzo è sparito, si sta nascondendo da qualche parte. Appena finiamo di mangiare, devo trovarlo e fare in modo che tenga le chiappe in prigione.-
-Dici sul serio?- non potei fare a meno di provare un fremito di esultanza a quel pensiero. Sarei stata felice di sbattere la porta e gettare via la chiave io stessa.
-Quel pive ha minacciato di ucciderti e dobbiamo essere sicuri che non capiti mai più, cacchio. Quella faccia di caspio pagherà a caro prezzo per le sue azioni... È una fortuna che non lo esiliamo. Ricordati ciò che ti ho spiegato riguardo all'ordine.-
-Già.- L'unica mia preoccupazione era che Wes mi avrebbe detestato ancora di più per aver causato la sua incarcerazione. Non mi interessa, pensai. Quel tizio non mi fa più paura.
-Ecco cosa faremo ora, Anna.- disse Newt. -Per oggi starai con me. Abbiamo delle cose a cui pensare. Domani, la gattabuia. Poi sarai tutta di Minho e voglio che per un po' ti tenga alla larga dagli altri pive. Quando hai del tempo libero vieni da me. Capito?-
Ero più che felice di questo programma. -Va benissimo. Quindi Minho sarà il mio istruttore?- 
-Esatto, insieme a Thomas. Tra poco sarai... Una Velocista. Minho ti insegnerà tutto. Il Labirinto, le Mappe, tutto. C'è un mucchio di roba da imparare. Mi aspetto che ti faccia un gran culo.- disse Newt ridendo. 
Rimanemmo seduti in silenzio, a terminare il pranzo, finché il ragazzo arrivò finalmente a ciò di cui voleva parlare davvero. Appallottolò il pattume e si voltò a guardarmi dritto negli occhi. 
-Anna,- cominciò -vorrei che tu accettassi una cosa. Oramai lo abbiamo sentito dire troppe volte per negarlo ed è ora di parlarne.-
Sapevo cosa aspettarmi, ma fui comunque sbalordita. Temevo quelle parole.
-Lo ha detto Wes. Lo ha detto Alby. Lo ha detto Ben.- Fece una pausa. Forse si aspettava che gli chiedessi cosa intendeva. Ma lo sapevo già. -Tutti hanno detto che le cose stanno per cambiare.- Newt distolse lo sguardo per un istante e poi si voltò di nuovo. -E Wes, Alby e Ben sostengono di averti visto nei loro ricordi, dopo la Mutazione. Stando a Wes, in te c'è qualcosa di abbastanza brutto da desiderare di ucciderti.-
-Newt, non so...- esordii, ma il ragazzo non mi lasciò finire.
-So che non ricordi niente, Anna! Smettila di dirlo... Non dirlo mai più. Nessuno di noi si ricorda niente e siamo stufi di sentircelo ripetere da te, cacchio. Il punto è che tu hai qualcosa di diverso ed è ora di scoprire cosa.-
Fui sopraffatta dalla rabbia. -Bene, e come facciamo allora? Desidero sapere chi sono quanto lo desiderano gli altri. Ovviamente.-
-Ho bisogno che tu apra la tua mente. Sii onesto se c'è qualcosa che ti sembra familiare.-
-Niente...- cominciai, ma poi mi interruppi. Erano successe talmente tante cose da quando ero arrivata che mi ero quasi dimenticata di quanto la Radura mi fosse sembrata familiare i primi giorni. Quanto mi fossi sentita a mio agio, a casa.
-Vedo che avresti qualcosa da dire.- disse piano Newt. -Parla.-
Esitai, spaventata dalle conseguenze di ciò che stavo per dire. -Beh... Non sono certa di nulla.- Parlai lentamente, con attenzione. -Ma quando sono arrivata qui, in effetti, ho avuto la sensazione di esserci stata prima.- Guardai Newt, nella speranza di trovare qualche conferma nel suo sguardo. -È successo a qualcun altro?-
Ma l'espressione del ragazzo era vuota. Si limitò a roteare gli occhi. -Ehm, no, Anna. La maggior parte di noi ha passato uno settimana a sploffarsi nei pantaloni e a piangere fino a farsi schizzare gli occhi di fuori.- rimase in silenzio per un paio di minuti. -Bene, continua a cercare quelle sensazioni. Sforzati di riflettere, trascorri il tempo libero a passare in rassegna i tuoi pensieri, pensa a questo posto. Scava nel tuo cervello e fa' saltar fuori ogni cosa. Pensaci. Per il bene di tutti.-
-Lo farò.- lo rassicurai. -Altre richieste?- 
-No... Solo... Stammi vicina.- il tono di voce più tranquillo. -Intendo in tutto questo casino. Non voglio che ti succeda qualcosa.- disse riprendendo l'argomento di stamattina.
-Okay, okay.- 
-Bene così.- disse Newt alzandosi.
Il pomeriggio passò in fretta, lasciando il posto alla notte. Quando giunse il momento di andare a dormire, mi ritrovai ancora una volta nel mio nascondiglio. 
-Hai bisogno di qualcosa?- passò a controllare Newt.
-No, grazie.- gli sorrisi appisolandomi. 
-E se... Ti facessi compagnia e dormissi qui?- mi chiese dopo qualche secondo. -Sai Wes potrebbe...-
-Fa pure.- lo invitai. Si sedette vicino a me e si sistemò meglio contro la parete.
-Notte Anna.- mi disse prima di addormentarsi.
-Notte Newt.- non sentii quello che disse dopo, troppo occupata a chiudere gli occhi e rilassare la schiena.
Il mattino seguente, qualcuno mi scosse dolcemente per svegliarmi.
-Anna, svegliati.- Era Chuck. Sembrava che quel ragazzo fosse in grado di trovarmi ovunque.
Con un grugnito, mi chinai in avanti, stirai la schiena e le braccia. Qualcuno che ovviamente voleva giocare a fare la mamma della Radura mi aveva buttato addosso due coperte per la notte.
-Che ore sono?- domandai.
-Sei quasi in ritardo per la colazione.- Chuck mi tirò per un braccio. -Dai, alzati. Devi cominciare a comportarti normalmente o le cose peggioreranno e basta.- 
Guardai verso la parete, notando che Newt se ne era già andato. Chuck mi stava osservando con le sopracciglia sollevate.
-Mi dispiace.- dissi mentre mi alzavo, comportandomi nel modo più normale possibile. -Stavo solo pensando. Andiamo a mangiare, sto morendo di fame.-
-Bene così.- disse il ragazzino, dandomi una pacca sulla schiena. In quel momento mi ricordò molto Newt, forse per le parole che aveva usato. 
Ci incamminammo verso il Casolare, mentre Chuck parlottava ininterrottamente. Non mi lamentai: era la cosa più simile alla normalità nella mia intera esistenza.
-Questa mattina presto Newt ci ha detto di lasciarti dormire. E ci ha anche detto cosa ha deciso il Consiglio: un giorno in cella e poi il programma di addestramento dei Velocisti. Alcuni pive hanno borbottato, altri hanno applaudito, la maggior parte ha fatto come se non gliene potesse fregare di meno. Quanto a me, credo sia favoloso.- Chuck si interruppe per riprendere fiato, poi proseguì. -Sei stata fantastica nel Labirinto, o così dicono.- 
Ma io non avevo voglia di parlarne. -Ho fatto semplicemente ciò che avrebbe fatto chiunque. Non è colpa mia se Minho vuole che faccia la Velocista.- sorvolai sul fatto di aver insistito molto con Newt riguardo alla faccenda.
-Sì, va bene. Finiscila di fare la modesta. Vedremo come ti sentirai dopo aver corso fino a sbudellarti. Comunque, per quanto ne sai, ricordati che il vecchio Chucky è orgoglioso di te.-
Sorrisi dell'entusiasmo dell'amico. -Se solo tu fossi mia mamma,- mormorai -la vita sarebbe una pacchia.- Mia mamma, pensai. Per un attimo il mondo si fece scuro. Non ero nemmeno in grado di ricordarla, mia madre. Cacciai via il pensiero prima che mi annientasse.
Raggiungemmo la cucina e prendemmo qualcosa per fare colazione velocemente, sedendoci a due posti vuoti al grande tavolo della stanza. Tutti i Radurai che entravano e uscivano mi fissavano. Qualcuno venne a congratularsi. A parte qualche occhiata qua e là, la maggior parte delle persone sembrava dalla mia parte. Poi mi ricordai di Wes.
-Ehi, Chuck.- chiesi dopo aver ingollato un boccone di frittata, cercando di suonare disinteressata. -L'hanno trovato poi, Wes?-
-No. Stavo per dirtelo... Qualcuno ha detto di averlo visto entrare nel Labirinto di corsa dopo che se ne è andato dall'Adunanza. Non se ne hanno più traccia da allora.-
Lasciai cadere la forchetta, senza sapere cosa mi fossi aspettata o avessi sperato. In ogni caso, questa notizia mi sconvolse. -Cosa? Dici sul serio? È entrato nel Labirinto?-
-Già. Tutti sanno che è uscito di testa...- Non riuscivo a credere con quanta noncuranza ne stesse parlando Chuck.
-Sai, probabilmente è morto, quel tizio.- dissi.
Chuck assunse un'aria assorta. -Non penso sia morto.-
-Eh? E allora dove'è? Io e Minho non siamo gli unici a essere sopravvissuti là fuori per una notte intera?-
-Esatto. Credo che i suoi amici lo stiano nascondendo da qualche parte all'interno della Radura. Wes era un idiota, ma non è possibile che fosse tanto stupido da starsene tutta una notte nel Labirinto. Come te.-
Scossi la testa. -Forse è proprio per questa ragione che è rimasto là fuori. Voleva provare di saper fare tutto quel che faccio io. Quel tipo mi odia.- Feci una pausa. -Mi odiava.-
-Beh, sarà quel che sarà.- Chuck si strinse nelle spalle, come se la nostra discussione riguardasse come mangiare per colazione. -Se è morto, probabilmente lo troverete, alla fine. Se non lo è, gli verrà fame e verrà a cercare del cibo. Non mi interessa.-
Raccolsi il piatto e lo portai al bancone. -Tutto ciò che voglio è una giornata normale... Un giorno per rilassarmi.-
-Allora verrà esaudito il tuo cacchio di desiderio.- disse una voce dalla porta della cucina, alle mie spalle.
Mi voltai e vidi Newt, che mi stava sorridendo. Quel sorriso mi fece sentire rassicurata, come se avessi scoperto che nel mondo andava di nuovo tutto bene.
-Muoviti, Anna.- disse Newt. -Ti riposerai nella Gattabuia. A mezzogiorno Chucky, o qualcun altro, ti porterà qualcosa da mangiare.-
Annuii e seguii il ragazzo più grande. All'improvviso l'idea di un giorno in prigione mi parve magnifica. Un giorno da trascorrere seduta a rilassarmi.
Tuttavia, qualcosa mi diceva che era più probabile che Wes venisse a trovarmi con un mazzo di fiori che non che un giorno nella Radura passasse senza che accadesse nulla di strano.
La Gattabuia si trovava in un luogo recluso tra il Casolare e il muro settentrionale della Radura, nascosta da cespugli spinosi e disordinati che nessuno doveva aver potato per mesi. Era un grosso complesso di cemento sbozzato grossolanamente, con una minuscola finestra con le sbarre e una porta di legno chiusa da un chiavistello metallico arrugginito dall'aria minacciosa: sembrava arrivato direttamente dal Medioevo.
Newt estrasse una chiave e aprì la porta, poi mi fece cenno di entrare. -Lì dentro c'è solo una sedia. Non c'è niente da fare. Divertiti.-
Dentro di me, brontolai alla vista di quell'unico mobile: una sedia brutta e sgangherata, con una gamba chiaramente più corta delle altre. Una cosa probabilmente fatta di proposito. Non c'era neanche un cuscino.
-Divertiti.- ripeté Newt prima di chiudere la porta. Mi voltai verso la mia nuova casa e sentii il chiavistello chiudersi, la serratura scattare alle mie spalle. La testa di Newt fece capolino dalla piccola finestra priva di vetri. Lo guardai tra le sbarre, con un ghigno dipinto in viso. -È una bella ricompensa per aver infranto le regole. Hai salvato delle vite, Anna, ma comunque devi imparare...-
-Sì, lo so. L'ordine.-
Newt sorrise. -Sei in gamba, pivella. Ma che siamo amici o no, devo far funzionare le cose e tenere in vita tutti questi stronzi. Pensaci, mentre te ne stai seduta qui a fissare 'sti cacchio di muri. Ci vediamo dopo.-
Poi scomparve.

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Capitolo 13
*** La Promessa ***


La prima ora passò e sentii la noia strisciarmi intorno, come topi che passano sotto una porta. Alla fine della seconda ora volevo sbattere la testa contro il muro. Due ore dopo cominciai a pensare che una cenetta con Wes e i Dolenti sarebbe stata meglio che rimanere seduti in questa stupida Gattabuia. Restai qui e provai a rievocare qualche ricordo, ma ogni mio sforzo si dissolveva in una nebbia indistinta prima che riuscissi a mettere a fuoco qualcosa.
Per fortuna, a mezzogiorno Chuck venne a portarmi il pranzo, distraendomi dai miei pensieri.
Dopo avermi passato dei pezzi di pollo e un bicchiere d'acqua dalla finestra, il ragazzino prese a parlare ininterrottamente, come al solito.
-Sta tornando tutto normale.- annunciò Chuck. -I Velocisti sono usciti nel Labirinto, tutti sono al lavoro. Forse, dopotutto, sopravvivremo. Non c'è ancora traccia di Wes... Newt ha detto ai Velocisti di tornare all'istante se trovano il corpo. E poi ecco, si è rivisto Alby. Sembra stia bene... E Newt è felice di non dover fare più il capo.-
Il nome di Alby distolse la mia attenzione dal cibo. Rividi il ragazzo più grande il giorno prima, quando si era dimenato e quasi mi aveva soffocato. Poi mi ricordai che nessuno sapeva ciò che aveva detto dopo l'uscita di Newt dalla stanza, prima della crisi. 
Chuck continuò a parlare e la conversazione presa una piega del tutto inaspettata. -Anna, non sto troppo bene, amica. È strano sentirsi tristi e nostalgici, ma non avere idea di cosa si vorrebbe riavere, sai? Tutto ciò che so è che non voglio stare qui. Voglio tornare dalla mia famiglia. Qualunque cosa ci sia là, qualunque cosa sia quello da cui mi hanno portato via, voglio ricordarlo.- 
Ero un po' sorpresa. Non avevo mai sentito Chuck dire qualcosa di tanto vero e profondo. -So cosa intendi.- mormorai.
Chuck era troppo basso perché gli occhi mi risultassero visibili ma, mentre parlava, dalla frase successiva immaginai che si stessero riempiendo di una cupa tristezza, forse addirittura di lacrime. -Una volta piangevo. Tutte le notti.-
La frase scacciò i pensieri che riguardavano Alby. -Davvero?-
-Come un moccioso. Quasi fino al giorno in cui sei arrivata tu. Poi mi sono abituato, credo. Questo posto è diventato la mia casa, anche se passiamo ogni giorno a pensare di andarcene.-
-Da quando sono arrivata ho pianto solo... una volta, ma solo dopo essere stata quasi mangiata viva. Probabilmente sono solo una faccia di caspio superficiale.- Non l'avrei ammesso, se Chuck non si fosse confidato a sua volta. Non gli dissi di quando ero crollata nel corridoio del Casolare con Newt, ma solo perché non volevo facesse domande.
-Hai pianto?- sentii dire a Chuck dalla finestra. -Quella volta?-
-Sì. Quando finalmente l'ultimo è caduto dalla Scarpata, sono scoppiata in lacrime e sono andata avanti a singhiozzare fino a sentire male alla gola e al petto.- me lo ricordavo fin troppo bene. -All'improvviso mi è crollato tutto addosso. Ma di sicuro mi sono sentita meglio... Non vergognarti di piangere. Mai.-
-Un po' fa sentire meglio davvero, eh? È strano come funziona.-
Passammo qualche minuto in silenzio. Mi sorpresi a sperare che Chuck se ne andasse.
-Senti, Anna?- chiese il ragazzino.
-Sono ancora qui.-
-Pensi che io abbia dei genitori? Genitori vero?-
Mi sentii mancare, gli occhi mi si inumidirono. -Certo che sì, pive. Ti devo spiegare la storia degli uccellini e delle api?- dissi cercando di sembrare allegra, ma sentivo già le prime lacrime scendere lungo la guancia. 
-Non intendevo quello.- disse Chuck, con una voce del tutto priva di ironia. Era bassa e triste, quasi un mormorio. -La maggior parte dei ragazzi che hanno subito la Mutazione ricordano cose tremende di cui non vogliono nemmeno parlare, il che mi fa dubitare che ci sia qualcosa di bello a casa. Così, voglio dire, pensi che sia davvero possibile che da qualche parte nel mondo abbia una mamma e un papà che sentono la mia mancanza? Pensi che loro piangono la notte?-
Fui completamente scioccata allorché mi resi conto di aver iniziato a piangere. Da quando ero arrivata, la vita era stata così assurda che non avevo mai pensato ai Radurai come a vere persone, con vere famiglie a cui mancavano. 
Per la prima volta, provai qualcosa per Chuck che mi fece arrabbiare tanto da farmi desiderare di uccidere qualcuno. Quel ragazzino sarebbe dovuto essere a scuola e in una casa, a giocare con gli altri ragazzi del suo quartiere. Meritava di tornare a casa la sera da una famiglia che lo amasse e che si preoccupasse per lui. Una mamma che gli facesse fare la doccia tutti i giorni e un papà che lo aiutasse a fare i compiti.
Odiavo la gente che aveva portato via dalla sua famiglia quel povero ragazzo innocente. La odiavo con un'intensità che non credevo possibile in un essere umano.
-Ascoltami, Chuck.- Feci una pausa, calmandomi il più possibile, assicurandomi che la voce non mi si incrinasse. -Sono sicura che tu abbia dei genitori. Lo so. A dirlo sembra terribile, ma scommetto che tua madre, proprio adesso,- singhiozzai senza riuscire a controllarmi -se ne sta seduta in camera tua, con il tuo cuscino in mano, a guardare il mondo che ti ha portato via da lei. E si, scommetto che sta piangendo.-
Chuck non disse nulla, ma pensai di averlo sentito tirare su con il naso. Poi, inaspettatamente, vidi una manina di Chuck spuntare dalla piccola finestra; la strinsi senza esitare, piangendo senza più trattenermi.
-Non mollare, Chuck. Risolveremo questa faccenda, ce ne andremo di qui. Tra un po' sarò una Velocista... Ti prometto sulla mia vita che ti farò tornare in camera tua. Che farò in modo che tua madre smetta di piangere.- stavo dicendo sul serio. Sentii la promessa imprimersi nel mio cuore a lettere di fuoco.
-Spero che tu abbia ragione.- disse Chuck, con voce tremante. Mi strinse con più forza la mano e poi la lasciò, allontanandosi.
Mi alzai e presi a camminare nella stanzetta, resa impaziente dall'intenso desiderio di mantenere la promessa.
-Lo giuro, Chuck.- sussurrai, anche se non avevo ascoltatori. -Giuro che ti porterò a casa.-
Appena dopo che ebbi udito il frastuono e lo strepito delle superfici di pietra che annunciavano la chiusura serale delle Porte, con mia grande sorpresa comparve Alby, che era venuto a liberarmi. La chiave tintinnò nella serratura e la porta della cella si spalancò.
-Non sei morta, eh, pivella?- domandò Alby. Aveva un aspetto migliore rispetto al giorno prima: la pelle era tornata a un colore normale, gli occhi non erano più solcati da vene rosse e sembrava che avesse preso otto chili in ventiquattr'ore.
Alby si accorse del mio sguardo stralunato. -Caspio, ragazzina, che hai da guardare?-
Scossi appena la testa. Mi sembrava di essere in trance. La mia mente stava turbinando, chiedendosi cosa ricordasse Alby. -Cos... Niente. Semplicemente mi sembra pazzesco che tu sia guarito tanto in fretta. Stai bene adesso?-
Il ragazzo fletté il bicipite destro. -Mai stato meglio. Esci, dai.-
Ubbidii, sperando che i miei occhi non tradissero la mia preoccupazione.
Alby chiuse la porta della Gattabuia e mise il chiavistello. Poi si voltò per rivolgersi a me. -A dire il vero è una bugia. Mi sento come un pezzo di sploff cacata due volte da un Dolente.-
-Già. Ieri avevi proprio quell'aspetto lì.- Quando il ragazzo mi rivolse un'occhiata furente, sperai che fosse per scherzo e chiarii alla spicciola. -Ma oggi sembri nuovo di zecca. Lo giuro.-
Alby mise le chiavi in tasca e si appoggiò alla porta della prigione. -Allora, ieri ci siamo fatti una bella chiacchierata, eh?-
Il mio cuore prese a battere più velocemente. Non avevo idea di cosa aspettarmi da Alby, a questo punto. -Ehm... Sì, mi ricordo.-
-Ho visto quel che ho visto, Fagiolina. Adesso sta come svanendo, ma non me lo dimenticherò mai. È stato orribile. E quando ho provato a parlarne, qualcosa ha cominciato a controllarmi. Ora le immagini cominciano ad andarsene, come se a quello stesso qualcosa non piacesse il fatto che me ne ricordi.-
La scena del giorno precedente balenò nella mia mente.
-Ma cosa c'era che mi riguardava? Continuavi a dirmi di avermi visto. Cosa facevo?- gli chiesi.
Alby rimase a fissare un punto nel vuoto per un po'. Poi rispose. -Eri con... Con i Creatori. Li aiutavi. Ma non è stato quello a sconvolgermi.-
Mi sentii come se qualcuno mi avesse appena dato un pugno nell'addome. Li aiutavo? Non riuscivo a formulare le parole con cui chiedere cosa significasse.
Alby continuò. -Spero che la Mutazione non ci dia ricordi veri, ma che ce ne impianti di finti. Alcuni lo sospettano... Io posso solo sperarlo. Se il mondo è come l'ho visto...- Non finì la frase, che lasciò sfumare in un silenzio sinistro.
Ero confusa, ma continuai. -Puoi dirmi cosa hai visto di me?-
Il ragazzo scosse la testa. -Non esiste, pivella. Non mi va di rischiare di nuovo di strangolarti; Newt non è nei paraggi. Potrebbe essere qualcosa che ci fanno al cervello per controllarci... Come la sparizione della memoria.-
-Beh, se sono cattiva forse dovresti lasciarmi qui in prigione.- Un pochino lo pensavo davvero.
-Anna, tu non sei cattiva. Puoi essere una puzzona di una faccia di caspio, ma non sei cattiva.- mi fece un debole sorriso, appena una crepa nel viso solitamente duro. -Ciò che hai fatto, cioè rischiare il culo per me e per Minho, non è cattivo per niente. Mi fa solo pensare che il DoloSiero e la Mutazione hanno qualcosa che mi puzza. Lo spero. Per il tuo bene e il mio.-
Fui tanto sollevata dal sentire che Alby non mi detestava, che ascoltai solo a metà la frase che aveva appena pronunciato. -Ma quanto è stato brutto? Parlo dei ricordi che ti sono stati restituiti.-
-Mi sono ricordato delle cose di quando sono cresciuto. Dove vivevo, roba simile. E se Dio in persona adesso venisse a firmi che potrei tornare a casa...- Alby abbassò lo sguardo e scosse di nuovo la testa. -Se fosse vero, Fagiolina, ti giuro che prima di tornare me ne andrei a stare con i Dolenti.-
Fui sorpresa di sentire che fosse tanto brutto. -Beh, forse non sono veri, Alby. Forse il DoloSiero è una specie di droga psicoattiva che fa venire le allucinazioni.- sapevo di arrampicarmi negli specchi.
Rifletté per un attimo. -Una droga... Allucinazioni...- Poi scosse la testa. -Ne dubito.-
Era valsa la pena tentare. -Dobbiamo comunque fuggire da questo posto.-
-Sì, grazie, Anna.- rispose Alby, sarcastico. -Non so cosa faremmo senza i tuoi discorsi di incoraggiamento.- Di nuovo quel mezzo sorriso.
Il cambiamento di umore di Alby cancellò la cupezza che si era impadronita di me. -Va a cercarti qualcosa per cena... La tua tremenda condanna a un giorno di carcere è finita.- continuò.
-Me ne è bastato uno.- Sorrisi al ragazzo e me ne andai dritta verso la cucina.
La cena fu favolosa.
Frypan sapeva che sarei arrivata tardi e allora mia aveva lasciato un piatto pieno di roast beef e patate. Un biglietto annunciava che nella credenza c'erano dei biscotti. Sembrava che il cuoco avesse tutte le intenzioni di confermare il sostegno che aveva mostrato nei miei confronti durante l'Adunanza. Mentre mangiavo, arrivò Minho, che mi spiegò un po' di cose in preparazioni al mio primo grande giorno di addestramento da Velocista.
Quando finimmo, mi diressi di nuovo verso il posto isolato in cui solitamente dormivo, nell'angolo dietro alla Faccemorte. Pensai alla mia conversazione con Chuck, mi chiesi come ci si sentisse ad avere dei genitori con cui scambiare l'augurio della buonanotte.
Quella sera c'erano diversi ragazzi che gironzolavano per la Radura, ma perlopiù era tutto tranquillo, come se tutti volessero semplicemente andare a dormire, concludere la giornata, e farla finita. Non mi lamentai: era esattamente ciò di cui avevo bisogno.
Le coperte che mi aveva lasciato qualcuno la notte prima erano ancora al suo posto. Le raccolsi e le sistemai, rannicchiandomi contro il comodo angolo in cui i muri di pietra si incontravano, coperti da una soffice massa di fogliame. L'odore ricco della foresta mi salutò quando, per la prima volta, inspirai profondamente, nel tentativo di rilassarmi. L'aria era perfetta e mi fece pensare di nuovo al clima di questo posto. Non pioveva mai, non nevicava, non faceva né troppo freddo né troppo caldo. Se non fosse stato per il trascurabile dettaglio che eravamo stati strappati alle famiglie e agli amici e intrappolati nel Labirinto con un mucchio di mostri, sarebbe stato il paradiso.
In questo luogo alcune cose erano troppe perfette. Lo sapevo, ma non riuscivo a spiegarmelo.
I miei pensieri andarono a ciò che aveva detto Minho riguardo alle dimensioni del Labirinto. Ci credevo. Mi ero resa conto di quelle proporzioni impressionanti quando ero stata alla Scarpata. Ma non riuscivo assolutamente a spiegare come potesse essere stata costruita una struttura simile. Il Labirinto si estendeva per chilometri e chilometri. I Velocisti dovevano mantenersi in una forma quasi sovrumana per fare ciò che facevano ogni giorno.
L'indomani sarebbe iniziato l'addestramento. Avrei cominciato a dare una mano per trovare qualcosa che non avevano capito. Fu allora che presi una decisione. Avrei dimenticato tutte le stranezze. Tutte le cose brutte. Tutto. Non avrei mollato finché non avrei risolto l'enigma e trovato la via di casa.
Domani. La parola rimase a fluttuarmi in mente fino a quando non mi addormentai.

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Capitolo 14
*** La Stanza Delle Mappe ***


Minho mi svegliò prima dell'alba, facendomi cenno di seguirlo al Casolare e mostrandomi la strada con una torcia. Mi scrollai di dosso il torpore mattutino senza fatica, impaziente di cominciare l'addestramento. Strisciai fuori dalle coperte e seguii il mio maestro, ansiosa, serpeggiando attraverso la folla di Radurai addormentati nel prato, il russare come unico segno del fatto che non fossero morti. Il fievole bagliore del primo mattino stava illuminando la Radura, tingendo tutto di un blu scuro e sfumato. Non avevo mai visto un'immagine tanto pacifica di questo luogo. Un gallo cantò nel Macello.
Infine, vidi Minho estrarre una chiave da una nicchia stretta accanto a uno degli angoli sul retro del Casolare e aprì una porta malmessa che dava su un piccolo ripostiglio. Ebbi un brivido di impazienza, chiedendomi cosa ci fosse al suo interno. Alla luce della torcia di Minho che baluginava qua e là, scorsi alcune corde, delle catene e altri oggetti di varia natura. Alla fine la luce si fermò su una scatola aperta, piena di scarpe da corsa. Scoppiai a ridere: mi pareva una cosa tanto banale. 
-Quello lì è il rifornimento numero uno, tra quelli che ci arrivano.- annunciò Minho. -Almeno per noi. Ce ne mandano continuamente di nuove, con la Scatola. Se non avessimo buon scarpe, i nostri piedi sarebbero ridotti come la superficie del fottuto Marte.- Si chinò a frugare nel mucchio. -Che numero hai?-
-Numero?- Ci pensai un attimo. -Io... Non lo so.- Certe volte le cose che riuscivo o non riuscivo a ricordare erano così strane. Allungai una mano e mi tolsi una delle scarpe che indossavo. Diedi un'occhiata all'interno. -Trentasette.- 
-Gesù, pivella, ce li hai belli piccoli i piedi.- Minho si alzò sollevando un paio di scarpe color argento lucente. -Ma sembra che ce ne sia un paio...-
-Sono sciccose.- le presi e uscii dal ripostiglio per sedermi a terra, impaziente di provare le scarpe. Minho prese alcuni altri oggetti e poi si unì a me.
-Questi li hanno solo i Velocisti e gli Intendenti.- disse il ragazzo. Prima che riuscissi a sollevare lo sguardo, mentre mi allacciavo le scarpe, mi cadde in grembo un orologio da polso di plastica. Era nero e molto semplice, con un quadrante digitale che mostrava soltanto l'ora. -Mettilo e non toglierlo mai. La tua vita potrebbe dipendere da quest'orologio.- 
Fui felice di riceverlo. Anche se sembrava che fino ad allora il sole e le ombre mi  avessero informata sufficientemente bene  riguardo all'ora del giorno, era probabile che il lavoro di Velocista richiedesse maggior precisione. Assicurai l'orologio al polso con la fibbia e poi tornai a provare le scarpe.
Minho continuò a parlare. -Eccoti uno zaino, delle bottiglie d'acqua, l'occorrente per il pranzo, pantaloncini, maglietta e altra roba.- 
-Vi siete veramente organizzati alla grande, eh?- dissi. Finii di allacciarmi  le scarpe, poi mi alzai e feci una corsetta in cerchio, saltellando per vedere come andavano. -Vanno benone. Direi che sono pronta.-
-Ti servono le armi adesso.- disse Minho.
-Ma...- mi ero già bloccata con un brivido gelido.
-Armi.- ripeté il Velocista, poi si alzò e tornò al ripostiglio. -Vieni, ti faccio vedere.-
Seguii il ragazzo nella stanzetta e lo osservai spostare alcune scatole dal muro di fondo. Nascondevano una botola. Minho la sollevò, rivelando una scala di legno che scendeva nell'oscurità. -Le tengo giù in cantina, così che i pive come Wes non ci possano arrivare. Dai.-
Minho scese per primo. Le scale scricchiolavano a ogni spostamento del nostro peso; scendemmo circa una dozzina di gradini. L'aria fredda era rinfrescante, nonostante la polvere e il forte odore di rugiada. Arrivammo a un pavimento sterrato e non riuscii a vedere finché Minho, tirando una cordicella, non accese una lampadina.
La stanza era più grande di quanto mi fossi aspettata. Misurava almeno dieci metri quadri. Le pareti erano piene di mensole allineate e c'erano diversi tavoli di legno robusto. Tutto era coperto da ogni sorta di cianfrusaglia: c'era da farsi venire i brividi. Pali di legno, punte di metallo, grossi pezzi di rete simile a quella che si usa per le gabbie dei polli. Rotoli di filo spinato, seghe, coltelli, spade. C'era un'intera parete dedicata agli articoli per arcieri: archi di legno, frecce, corde di scorta.       
-Wow.- mormorai, la voce come un rumore sordo nella stanza chiusa. All'inizio fui terrorizzata all'idea che ci fosse bisogno di tante armi, ma fui anche sollevata di vedere che la maggior parte era ricoperta da uno spesso strato di polvere.  
-La maggior parte non la usiamo.- disse Minho. -Ma non si sa mai. Di solito ci portiamo dietro solo qualche coltello ben affilato.-
Annuii, mentre il Velocista faceva cenno verso un grosso baule di legno in un angolo, con il coperchio aperto e appoggiato contro il muro. Conteneva coltelli di ogni forma e misura, accatastati a caso fino al bordo.
Speravo davvero che questa stanza rimanesse un segreto per la maggior parte dei Radurai. -Mi pare un po' pericoloso avere tutta questa roba.- dissi. -Che sarebbe successo se Ben fosse venuto qui prima di impazzire e aggredirmi?-
Il ragazzo asiatico si tolse le chiavi dalla tasca e le fece penzolare con un tintinnio. -Solo alcuni bastardi fortunati hanno un mazzo di queste.-
-Comunque...-
-Piantala di frignare e sceglitene uno. Controlla che siamo a posto e ben affilati. Poi andremo a fare colazione e a prenderci qualcosa per pranzo. Prima di uscire voglio passare un po' di tempo nella Stanza delle Mappe.-
Nell'udire questa frase, mi entusiasmai: ero curiosa riguardo al tozzo edificio delle Mappe dalla prima volta che avevo visto un Velocista attraversarne la soglia minacciosa. Scelsi un pugnale argentato a lama corta con l'impugnatura ricoperta di gomma e poi un altro dalla lama lunga e nera. La mia eccitazione si affievolì un po'. Anche se sapevo benissimo cosa vivesse là fuori, non volevo comunque pensare alla ragione per cui ci fosse bisogno di armi per entrare nel Labirinto.
Mezz'ora dopo, ben pasciuti e pronti, ci trovammo di fronte alla porta di metallo chiodato della Stanza delle Mappe. Morivo dalla voglia di entrare. L'alba era esplosa in tutto il suo splendore e i Radurai avevano cominciato ad affaccendarsi in giro, preparandosi per il giorno. L'odore della pancetta arrostita si stava diffondendo nell'aria: Frypan e la sua squadra stavano cercando di tenersi al passo di dozzine di stomaci affamati. Minho aprì la porta, girò la maniglia a forma di timone fino a sentire uno scatto distinto dall'interno e poi tirò. Con un cigolio improvviso, la pesante lastra di metallo si aprì.
-Dopo di te.- disse Minho, com un inchino scherzoso.
Entrai senza dire nulla. Mi aveva colto una paura raggelante, mescolata a un'intensa curiosità. Dovetti costringermi a ricordare la necessità di respirare.
La stanza buia sapeva di umido e di stantio, ma si sentiva anche un intenso aroma come di rame, al punto che sembrava quasi di averlo sulla lingua.
Minho premette un interruttore e, tremando, si accesero diverse file di luci fluorescenti, che poi raggiunsero la massima potenza e rivelarono la stanza in tutti i suoi dettagli. 
Fui sorpresa dalla sua semplicità. Larga circa sei metri, la Stanza delle Mappe aveva pareti di cemento prive di decorazioni.
Al centro esatto c'era un tavolo di legno con otto sedie accostate ai bordi. Sulla superficie del tavolo, davanti a ciascuna sedia, c'erano matite e fogli impilati ordinatamente. Gli unici altri oggetti nella stanza erano otto bauli, proprio come quello che conteneva i coltelli nella cantina delle armi. Erano chiusi e posti a distanza regolare, due per parete.
-Benvenuta nella Stanza delle Mappe.- disse Minho. -Il luogo più allegro che ti possa capitare di visitare.-
Ero un po' delusa: mi sarei aspettata qualcosa di più profondo. Feci un respiro. -Peccato che puzzi come una miniera di rame abbandonata.-
-A me non dispiace questo odore.- Il Velocista prese due sedie e si mise a sedere. -Siediti, voglio che mandi a memoria qualche immagine prima di uscire.-
Mentre mi sistemavo, Minho prese un pezzo di carta e una matita e iniziò a disegnare. Mi chinai per vedere meglio e notai che il ragazzo aveva tracciato una grande cornice che occupava quasi l'intera pagina. Poi tirò delle righe fino a farla apparire esattamente come uno schema da gioco del tris racchiuso da un bordo: c'erano tre file di tre quadrati, tutti delle stesse dimensioni. Al centro scrisse la parola RADURA, poi numerò i quadrati all'esterno da uno a otto, cominciando dall'angolo in altro a sinistra e andando in senso orario. Per finire, disegnò delle piccole tacche qua e là.
-Queste sono le Porte.- disse Minho. -Tu conosci quelle della Radura, ma nel Labirinto ce ne sono altre quattro, che portano alle Sezioni uno, tre, cinque e sette. Rimangono sempre nello stesso punto, ma la strada per raggiungerle cambia ogni sera, insieme allo spostamento dei muri.- Finì il disegno e fece scivolare il foglio sotto ai miei occhi.
Lo raccolsi, affascinata dalla struttura del Labirinto. Lo studiai mentre Minho continuava a parlare.
-Quindi abbiamo la Radura, circondata da otto Sezioni, ciascuna formata da un quadrato completamente indipendente e impossibile da risolvere nei due anni che sono passati da quando abbiamo iniziato questo fottuto gioco. L'unica cosa che si avvicina lontanamente a un'uscita è la Scarpata, e non è una gran bella cosa. A meno che non ci si voglia lanciare verso una morte orribile.- il ragazzo picchiettò sulla Mappa con il dito. -I muri si spostano in giro per tutto questo caspio di posto ogni sera, alla stessa ora in cui si chiudono le Porte. Almeno pensiamo che sia quello il momento, perché a dire il vero non sentiamo mai il rumore di muri che si muovono in altri orari.-
Sollevai lo sguardo. -Ma quella notte, quando siamo rimasti bloccati fuori, non ho visto muoversi niente.-
-I corridoi principali fuori dalle Porte non cambiano mai. Lo fanno solo quelli un po' più esterni, più in profondità.-
-Oh.- Tornai alla Mappa abbozzata, cercando di visualizzare il Labirinto e di vedere i muri di pietra dove Minho aveva tracciato linee.
-Abbiamo sempre almeno otto Velocisti, compreso l'Intendente. Uno per ogni Sezione. Ci mettiamo un giorno intero a mappare la zona che ci viene assegnata, sperando contro ogni aspettativa di trovare un'uscita. Poi torniamo e la disegniamo su una pagina separata per ogni giorno.- Minho lanciò un'occhiata a uno dei bauli. -È per questo che quei cosi sono pieno di Mappe come il caspio.-
Mi venne in mente un pensiero deprimente, spaventoso. -Io sono... La sostituta di qualcuno? Qualcuno è stato ucciso?-
Il ragazzo scosse la testa. -No, ti stiamo solo addestrando. Probabilmente qualcuno a un certo punto chiederà di fare una pausa. Non preoccuparti, è passato un po' di tempo dall'ultimo Velocista ucciso.-
Per qualche ragione questa dichiarazione mi preoccupò, anche se speravo che la mia espressione non mi tradisse. Indicai la sezione tre. -Quindi... Ci vuole un giorno intero per passare in rassegna di corsa questi quadranti?-
-Ridicolo.- Minho si alzò e si avvicinò al baule alle nostre spalle, si inginocchiò, sollevò il coperchio e lo appoggiò alla parete. -Vieni qui.-
Mi ero già alzata. Mi chinai sopra la spalla del ragazzo e diedi un'occhiata. Il baule era abbastanza grande da ospitare quattro pile di Mappe e tutte e quattro erano alte fino ai bordi. Tutte quelle che riuscivo a vedere erano molto simili: erano schizzi approssimativi di un labirinto quadrato che riempiva quasi l'intera pagina. Negli angoli superiori, a destra, era scarabocchiato 'Sezione otto', seguito dal nome 'Thomas' e dalla parola 'Giorno' accompagnata da un numero. L'ultimo diceva che era il giorno numero settecentoquarantanove. 
Minho proseguì. -Ci siamo accorti fin dall'inizio che i muri si spostavano. Non appena ne fummo certi, cominciammo a segnarci tutto. Abbiamo sempre pensato che confrontare le Mappe giorno per giorno, settimana per settimana, ci avrebbe aiutati a individuare uno schema dei movimenti. E così è stato: fondamentalmente, i labirinti si ripetono identici ogni mese. Ma non abbiamo ancora visto aprirsi un'uscita che porta fuori dai quadrati. Non ce n'è mai stata una.-
-Sono passati due anni.- dissi. -Non siete abbastanza disperati da provare a rimare là fuori di notte, per vedere se magari si apre qualcosa mentre i muri si muovono?-
Minho sollevò lo sguardo, con un guizzo di rabbia negli occhi. -Anna, questo è praticamente un insulto. Dico sul serio.-
-Cosa?- ero sbigottita. Non avevo nessuna intenzione di insultarlo.
-Ci spacchiamo il culo da due anni e tutto ciò che riesci a chiedere è come mai siamo troppo femminucce per stare fuori la notte? Alcuni ci hanno provato all'inizio... E sono morti tutti. Vuoi passare un'altra notte là fuori? Pensi di avere tante possibilità di sopravvivere di nuovo, eh?-
-Tecnicamente io sarei una femminuccia, ma...- mi interruppi, arrossendo per la vergogna. -No. Mi dispiace.- All'improvviso mi sentii malissimo. Di sicuro ero d'accordo con Minho, preferivo di gran lunga rientrare nella Radura sana e salva ogni sera che non assicurarmi un'altra battaglia con i Dolenti. Il solo pensiero mi dava i brividi.
-Sì, vabbè.- Con mio gran sollievo, il ragazzo tornò a guardare le Mappe nel baule. -La vita nella Radura non sarà una pacchia, ma almeno siamo al sicuro. Cibo in abbondanza, una protezione dai Dolenti. Non esiste di chiedere ai Velocisti di rischiare di rimanere lì fuori. Non esiste. Almeno non ancora. Non finché qualcosa, in questi schemi, non ci darà un indizio sulla possibile apertura di un'uscita, anche temporanea.-
-Ci siete vicini? Ci sono sviluppi?- 
Minho si strinse nelle spalle. -Non lo so. A dire il vero è un po' deprimente, ma non sappiamo cos'altro fare. Non possiamo semplicemente sperare che un giorno compaia un'uscita da qualche parte. Non possiamo mollare. Mai.-
Annuii, sollevata da quest'atteggiamento. Per quanto la situazione fosse brutta, lasciar perdere avrebbe solo peggiorato le cose.
Il Velocista prese dal baule diversi fogli, le Mappe degli ultimi giorni. Le fece passare spiegando: -Confrontiamo un giorno con l'altro, una  settimana con l'altra, un mese con l'altro, come ti dicevo. Ogni Velocista è responsabile della Mappa della sua Sezione. Se devo essere onesto, non ci abbiamo ancora capito una cippa. E ancora più onestamente, ti dico che non sappiamo cosa stiamo facendo. È un vero schifo, pivella. Un vero fottuto schifo.-
-Ma non possiamo mollare.- dissi, piatta, ripetendo rassegnata ciò che aveva detto Minho poco prima. Avevo detto 'noi' senza neanche pensarci e mi resi conto di essere veramente diventata una della Radura. 
-Giusto, sorella. Non possiamo mollare.- Minho rimise a posto i fogli con cura e chiuse il baule, poi si alzò. -Beh, dovremmo andare veloci visto che siamo rimasti un po' qui... Per i primi giorni mi seguirai e basta. Pronta?- 
Con una stretta ai visceri, sentii i nervi tendersi come cavi metallico dentro di me. Ormai ci ero arrivata per davvero: stavamo per fare sul serio, basta chiacchiere e pensieri. -Ehm... Sì.-
-Niente 'ehm' qui. Sei pronta o no?-
Guardai Minho e sostenni il suo sguardo, che si era indurito all'improvviso. -Sono pronta.-
-Allora andiamo a correre.-

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Capitolo 15
*** L'Addestramento ***


-Stai attenta, dai retta a Minho e vedete di tornare prima della chiusura delle Porte.- si raccomandò per la centesima volta Newt.
-Ti prometto che te la riporto sana e salva. Sarà perfino più bella di come è ora.- alzò gli occhi al cielo Minho. -Non preoccuparti, è una in gamba.-
-Lo so, ma state attenti. Se ti fa male la gamba dillo, così la testa di caspio qui presente ti riporta nella Radura.- continuò il biondo.
-Testa di caspio a chi?- fece l'offeso il Velocista.
-Va bene, ora basta.- dissi ad entrambi, sorridendo. 
-Un'ultima cosa.- disse Newt, per poi abbracciarmi, un gesto del tutto inaspettato. Mi sentii in imbarazzo per quell'improvvisa vicinanza, ma anche al sicuro. -Torna da me.- mi sussurrò all'orecchio; lentamente si scostò e quando mi fu davanti mi lasciò un piccolo bacio affettuoso sulla fronte. -Torna da me.- ripeté; ero arrossita, ma continuai a sorridergli.
-Anche se mi dispiace rovinare questo bel momento romantico, vorrei dire che dobbiamo andare se vogliamo tornare in tempo.- mi ricordai della presenza di Minho solo quando parlò.
-Torno presto. Promesso.- dissi a Newt prima di allontanarmi e seguire il Velocista nel Labirinto.
Attraversammo la Porta Occidentale, entrando nella Sezione otto, e percorremmo diversi corridoi. Ero al fianco di Minho e svoltavo a destra e a sinistra senza pensarci, correndo per tutto il tempo. La luce del primo mattino aveva una specie di secco splendore che faceva apparire tutto fresco e lucente: l'edera, i muri piene di fessure, i lastroni di pietra della pavimentazione. Benché mancassero ancora alcune ore prima che il sole arrivasse a mezzogiorno, la luce era abbondante. Mantenni il passo del ragazzo come meglio potevo. Qualche volta dovetti scattare per recuperare il terreno perduto.
Finalmente raggiungemmo un'apertura rettangolare in un lungo muro rivolto a nord. Sembrava una soglia priva di porta. Minho la attraversò di corsa, senza fermarsi. -Questa porta dalla Sezione otto, il quadrante centrale a sinistra, alla Sezione uno, il quadrante in alto a sinistra. Come ti ho detto, questo varco si trova sempre qui, anche se il percorso per arrivarci può cambiare un po' per via degli spostamenti dei muri.-
Lo seguii, sorpresa dal mio respiro già affannoso. Speravo che fosse solo per l'agitazione, e che sarebbe presto tornato regolare.
Corremmo per un lungo corridoio sulla destra, oltrepassando diverse possibili svolte a sinistra. Quando raggiungemmo la fine del percorso, Minho rallentò fino a tenere uno svelto passo di marcia e allungò il braccio per tirare fuori una matita e un taccuino da una tasca laterale dello zaino. Buttò giù un appunto e poi rimise via tutto, senza mai fermarsi davvero. Mi chiesi cosa avesse scritto, ma il ragazzo rispose prima che riuscissi a porre la domanda.
-Faccio affidamento... Soprattutto sulla memoria.- ansimò l'Intendente, con la voce che finalmente mostrava una piccola traccia di stanchezza. -Ma più o meno ogni cinque svolte scrivo qualcosa che mi possa aiutare più tardi. Perlopiù cose legate alla roba di ieri... Cosa c'è di diverso da oggi. Così posso usare la Mappa di ieri per poter disegnare quella di oggi. Facile, facilissimo, Anna.-
Mi sentii affascinata. A sentire Minho, sembrava facile davvero.
Corremmo ancora per un po' prima di arrivare a un incrocio. C'erano tre strade possibili, ma il ragazzo svoltò a destra senza esitare. Mentre lo faceva, prese un coltello dalla tasca e, senza rallentare di un passo, tagliò un grosso pezzo dall'edera che pendeva dal muro. Lo gettò a terra alla sue spalle e continuò a correre.
-Briciole di pane?- domandai, all'improvviso mi era venuta in mente una vecchia fiaba. Questi strani lampi sul mio passato avevano quasi smesso di stupirmi.
-Briciole di pane.- rispose Minho. -Io sono Hansel e tu Gretel.-
Andammo avanti, seguendo il corso del Labirinto, a volte girando a destra e a volte a sinistra. Dopo ogni svolta, il Velocista tagliava e poi lasciava cadere un metro d'edera. Non potei fare a meno di esserne colpita: per farlo, Minho non aveva neppure bisogno di rallentare.
-Bene.- disse l'Intendente, questa volta con il fiatone. -Tocca a te.-
-Cosa?- A dire il vero, per il mio primo giorno non mi ero aspettata di fare nulla che non fosse correre e stare a guardare.
-Adesso taglia l'edera. Devi abituarti a farlo correndo. Quando torniamo indietro la raccogliamo o la spostiamo di lato con un calcio.-
All'idea di avere qualcosa da fare, fui più felice di quando non mi aspettassi, anche se mi ci volle un po' per impratichirmi. Le prime volte fui costretta ad accelerare per raggiungere Minho dopo aver tagliato il ramo e una volta mi punsi un dito. Tuttavia, al decimo tentativo ero ormai brava quasi quanto il Velocista.
Continuammo. Dopo aver corso per un po', Minho rallentò fino a camminare e poi si fermò del tutto. -Pausa.- Si tolse lo zaino dalle spalle con un gesto rapido e ne estrasse una mela e una bottiglia d'acqua. 
Non ci fu bisogno di pregarmi perché seguissi il suggerimento. Ingollai l'acqua, apprezzando la freschezza che scendeva a dare sollievo alla gola secca.
-Frena un po', citrulla.- strillò Minho, in mondo scherzoso. -Tienine un po' per dopo.-
Smisi di bere e feci un bel respiro di soddisfazione. Diedi un morso alla mela, sentendomi sorprendentemente corroborata. Per qualche ragione, i miei pensieri tornarono al giorno in cui Minho e Alby erano andati a vedere il Dolente morto, quando tutto, poi, era sprofondato nella sploff. -Non mi hai mai ancora raccontato davvero cosa sia successo ad Alby, quel giorno... Come mai stesse così male. Ovvio che il Dolente si è svegliato, ma che è successo davvero?-
Minho si era già rimesso lo zaino. Sembrava pronto a ripartire. -Beh, quel coso del caspio non era morto. Alby gli ha dato una calcio con il piede, da vero idiota. Il ragazzaccio si è svegliato all'improvviso e gli è rotolato sopra con quel suo corpo grasso. Tuttavia, aveva qualcosa che non andava, perché non l'ha attaccato veramente, come fanno di solito. Sembrava che più che altro volesse scappare e che il povero Alby si trovasse sulla sua strada.-
-Quindi stava scappando da voi?- In base a ciò che avevo visto qualche notte prima, mi pareva inimmaginabile.
Minho si strinse nelle spalle. -Sì, credo... Forse doveva ricaricarsi o roba del genere. Non lo so.-
-Cosa poteva avere che non andava? Avete visto una ferita o roba simile?- non sapevo che genere di risposta stessi cercando, ma ero certa che nell'accaduto ci fosse una lezione da imparare o un indizio da seguire.
Il ragazzo rifletté per un instante. -No. Quel coso del caspio sembrava semplicemente morto... Come una statua di creta. E poi bum! È tornato in vita.-
La mia mente stava correndo all'impazzata, cercando di andare da qualche parte, solo che non sapevo dove né conoscevo la direzione da cui cominciare. -Mi chiedo solo dove sia andato. Dove'è che vanno sempre. Tu no?- Rimasi in silenzio per un istante, poi: -Non avete mai pensato di seguirli?-
-Amica mia, sbaglio o mediti propositi suicidi? Dai, muoviamoci.- Con quelle parole, Minho ricominciò a correre.
Lo seguii, lottando per capire cosa fosse a pizzicarmi in qualche remoto angolo del cervello. Qualcosa che riguardava quel Dolente morto e poi resuscitato, e che aveva a che fare con dove fosse andato una volta tornato in vita...
Frustrata, lasciai stare quel pensiero e accelerai il passo per raggiungere Minho.
Gli rimasi alla calcagna per altre due ore, nel corso delle quali facemmo pause che ogni volta sembravano più brevi. Che fossi in forma o no, stavo facendo una gran fatica.
Finalmente l'Intendente si fermò e si tolse di nuovo lo zaino. Ci mettemmo a sedere per terra, appoggiati al muro coperto d'edera, e pranzammo. Nessuno di noi parlò molto. Mi godetti ogni boccone del mio panino e delle verdure, mangiando quanto più lentamente potevo. Sapevo che Minho mi avrebbe fatto alzare e ripartire non appena il cibo fosse finito, quindi me la presi comoda.
-C'è qualcosa di diverso oggi?- domandai, curiosa.
Il ragazzo abbassò la mano e diede qualche pacca allo zaino, dove teneva gli appunti. -Solo i solito spostamenti dei muri. Niente per cui quelle tue chiappette sode debbano preoccuparsi.- non prestai attenzione alle sue ultime parole.
Bevvi un sorso d'acqua, osservando il muro coperto d'edera di fonte a noi. Colsi un bagliore rosso e argento, qualcosa che quel giorno avevo visto più di una volta. 
-A che servono quelle scacertole?- domandai. Sembravano essere dappertutto. Poi mi ricordai di ciò che avevo visto nel Labirinto. Erano successe talmente tante cose che non avevo avuto occasione di parlarne. -E perché hanno la parola cattivo scritta sul dorso?-
-Non sono mai riuscito a prenderne una.- Minho finì di mangiare e mise via il contenitore per il pranzo. -E non sappiamo cosa significhi quella parola... Probabilmente è lì solo per spaventarci. Ma devono essere spie. Per loro. È l'unica spiegazione che siamo riusciti a darci.-
-E chi sono loro, comunque?- chiesi, pronta a sentire nuove risposte. Odiavo le persone dietro al Labirinto. -Qualcuno ne ha idea?- 
-Non sappiamo una cippa di quegli stupidi Creatori.- Il viso di Minho arrossì mentre stringeva le mani come per soffocare qualcuno. -Non vedo l'ora di strappare loro...- 
Ma prima che l'Intendente potesse finire, balzai in piedi e attraversai il corridoio. -Cos'è quello?- lo interruppi, dirigendomi verso un debole riflesso grigio che avevo notato dietro all'edera che copriva il muro, poco più in alto della mia testa.
-Oh, già, quello.- disse Minho, con voce completamente indifferente. 
Infilai una mano nell'edera e spostai i rami come fossero tende e poi, con aria vacua, rimasi a fissare un quadrato di metallo inchiodato alla pietra. C'era una scritta stampata a grandi lettere maiuscole. Tesi la mano per farvi scorrere sopra le dita, come se non credessi ai miei occhi.
CATASTROFE ATTIVA TOTALMENTE:
TEST INDICIZZATI VIOLENZA OSPITI.
Lessi le parole ad alta voce e poi tornai a guardare Minho. -Cos'è?- Questo cartello mi dava i brividi. Doveva avere qualcosa a che fare con i Creatori.
-Non lo so, pivella. Sono dappertutto, come fottute etichette del grazioso Labirinto che hanno costruito. Ho smesso di disturbarmi a guardarli tanto tempo fa.-
Mi voltai di nuovo e rimasi a fissare il cartello, cercando di reprimere la sensazione di avere il destino segnato che stavo provando. -Non sono parole che facciano pensare troppo bene. Catastrofe. Violenza. Test. Davvero carino.-
-Già, davvero carino, Fagiolina. Andiamo.-
Riluttante, lasciai ricadere i rami d'edera e mi buttai lo zaino in spalla. Così ripartimmo, mentre quelle otto parole mi trapassavano la mente.
Un'ora dopo pranzo, il Velocista si fermò alla fine di un lungo corridoio. Era dritto, compatto, e non aveva sentieri secondari che si diramavano.
-L'ultimo vicolo cieco.- mi disse. -È ora di tornare indietro.-
Feci un respiro profondo, cercando di non pensare che eravamo solo a metà strada. -Niente di nuovo?-
-Solo i soliti cambiamenti nella strada che abbiamo fatto per arrivare qui. Siamo a metà del lavoro.- ribatté Minho impassibile, mentre controllava l'orologio. -Dobbiamo tornare, o Newt darà di matto.- Sorrise e senza aspettare una risposta, l'Intendente si voltò e prese a correre nella direzione da cui eravamo appena arrivati.
Lo seguii, frustrata all'idea che non ci fosse tempo di esaminare i muri, di esplorare quel luogo un po' di più. Infine mi misi accanto a Minho, tenendo il suo passo. -Ma...-
-Silenzio. Ricordati quel che ti ho detto prima... Non si può rischiare. Inoltre, pensaci. Credi davvero che da qualche parte ci sia un'uscita? Una botola segreta o roba del genere?-
-Non lo so... Forse. Perché me lo chiedi in quel modo?-
Il ragazzo scosse la testa e sputò un grosso grumo disgustoso alla sua sinistra. -Non c'è l'uscita. C'è sempre e solo la stessa cosa. Un muro è un muro e un muro soltanto. Compatto.-
Era la dura verità e lo sapevo. Ma provai a insistere lo stesso. -E come fai a saperlo? Non possiamo arrenderci senza lottare.-
-Perché chi ci manda dietro i Dolenti non è gente che ha intenzione di lasciarci fuggire facilmente... Se proprio come Thomas: troppo ottimista.- aggiunse dopo.
La prima frase instillò in me il dubbio riguardo all'utilità di ciò che stavamo facendo. -E allora perché ci prendiamo la briga di venire qui?-
Minho mi lanciò un'occhiata. -Perché ce ne prendiamo la briga? Perché è qui... E ci deve essere una ragione. Ma se pensi che troveremo un bel cancelletto che porta al Paese dell'Allegria, sei sveglia quanto una sploff di mucca fumante.-
Guardai dritta davanti a me, sentendomi tanto disperata da rallentare quasi fino a fermarmi. -Che schifo.-
-È una delle cose più intelligenti che hai detto finora, Fagiolina.-
Minho sbuffò forte e continuò a correre. Feci l'unica cosa che sapevo di dover fare. Lo seguii.
-Con Newt?- mi chiese dopo un po', forse per allentare la tensione che si era creata.
-Che intendi?- gli chiesi confusa.
-Niente, lascia perdere. Tra poco saprai quello che devi sapere.- mi sorrise in modo malizioso, lasciandomi ancora più confusa.
Il resto della giornata, per me, fu annebbiato dalla stanchezza. Io e Minho rientrammo nella Radura, andammo nella Stanza delle Mappe, disegnammo il percorso fatto nel Labirinto paragonandolo a quello del giorno precedente. Poi i muri si chiusero e giunse l'ora di cena. 
-Come è andata?- tentò di parlarmi Chuck.
-Bene, e tu? Cosa hai fatto?- cercai di mostrarmi allegra ed interessata, ma senza successo. Era evidente che ero stanchissima. 
-Il solito.- il ragazzino sviò la domanda come faceva tutte le volte. Parlare del suo lavoro doveva infastidirlo molto.
-Chuck, forse dovremmo lasciarla riposare.- intervenne in mio soccorso Newt; gli lanciai uno sguardo di gratitudine. Non avevamo avuto molte occasioni di parlare da soli io e lui, da quando ero rientrata.
-Oh, certo.- disse Chuck. -Ci vediamo domani.- aggiunse.
-A domani.- mi alzai lentamente e mi girai verso i ragazzi seduti al tavolo, lanciandogli un ultimo saluto.
-Anna.- mi richiamò il mio piccolo amico.
-Dimmi.- mi stropicciai l'occhio. Vidi Chuck alzarsi e venire verso di me, per poi darmi il mio secondo abbraccio della giornata. -Grazie di tutto. So che manterrai la promessa.- lo sentii dire. Avvertii un moto d'affetto nei suoi confronti che mi spinse ad abbracciarlo a mia volta; vidi Newt sorridermi, e così feci anch'io. Quando il ragazzino si staccò notai i suoi occhi erano umidi, ma non dissi nulla. Salutai ancora una volta e me ne andai.
Prima che il tramonto sfumasse nel buio mi trovavo già nel mio luogo preferito, in quell'angolo nella foresta, accoccolata accanto all'edera a chiedermi se sarei mai riuscita a correre di nuovo. A chiedermi come sarebbe stato possibile rifare la stessa cosa il giorno dopo. Soprattutto quando sembrava tanto inutile. Fare la Velocista aveva perso il suo fascino. Dopo un solo giorno.
Poi mi ricordai di Chuck, della promessa di riunirlo alla sua famiglia, di Newt e delle sue premure, di come sapesse farmi sentire bene senza nessuno sforzo. Non potevo semplicemente mollare tutto e infischiarmene. Dovevo continuare e andare avanti. Per loro.
Ero ormai vicino al sonno quando una voce, nella mia testa, parlò. Era una voce spaventata e maschile. La sentii, e ogni sua parola mi si impresse nella mente.
Anna, hanno appena innescato la Fine. Resta viva, e non dimenticare mai che ti voglio bene.

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Capitolo 16
*** Scoperte ***


Mi svegliai in una luce flebile e smorta. Il mio primo pensiero fu che dovevo essermi svegliata prima del solito, e che mancasse un'ora all'alba. Ma poi sentii le grida. Sollevai lo sguardo verso il fitto baldacchino delle foglie dei rampicanti.
Il cielo era una lastra color grigio opaco, privo della luce pallida che era naturale vedere al mattino.
Balzai in piedi, appoggiai la mano al muro per darmi sostegno e storsi il collo per guardare bene il cielo. Non c'era traccia di azzurro, né di nero. Niente stelle, nessun alone violaceo dell'alba che arriva piano. Il cielo era completamente grigio, come una lavagna. Privo di colore, morto.
Abbassai lo sguardo sull'orologio: era passata un'ora intera da quando mi sarei dovuta svegliare. Anzi, mi sarei dovuta svegliare a causa del sole. Da quando ero arrivata nella Radura era stato facile che accadesse. Ma non oggi.
Sollevai gli occhi un'altra volta, quasi aspettandomi di vedere che il cielo fosse tornato alla normalità. Ma era tutto grigio. Niente nuvole, niente crepuscolo, niente primi minuti dell'alba. Solo grigio.
Il sole era scomparso.
Trovai la maggior parte dei Radurai nei pressi dell'apertura della Scatola. Indicavano il cielo smorto, parlando tutti insieme. Stando all'ora del giorno, la colazione sarebbe dovuta essere finita da tempo e tutti sarebbero dovuti essere al lavoro. Ma nella sparizione del più grande astro del sistema solare c'era qualcosa che aveva gettato scompiglio nelle solite abitudini.
A dire il vero, mentre osservavo quel trambusto, non mi sentii minimamente spaventata o nel panico come mi suggeriva l'istinto. E mi sorpresi di vedere che così tanti miei compagni sembrassero galline sperdute dopo essere scappate dal pollaio. Anzi, era ridicolo.
Era ovvio che il sole non fosse scomparso. Era impossibile.
Tuttavia, così sembrava: non si vedeva il minimo segno della fulgida palla di fuoco. Le ombre oblique del mattino erano assenti. Ma io e gli altri Radurai eravamo troppo intelligenti e razionali per giungere a una conclusione simile. No, doveva esserci una ragione scientificamente accettabile per l'evento a cui stavamo assistendo. E di qualsiasi cosa si trattasse, per me aveva un significato ben preciso: il fatto che non riuscissimo più a vedere il sole, probabilmente, voleva dire innanzitutto che non lo avevamo mai visto davvero. Il sole non poteva semplicemente sparire. Il nostro cielo doveva essere stato, ed essere ancora, finto. Artificiale.
Non sapevo cosa significasse, né come fosse possibile. Ma sapevo che era vero: era l'unica spiegazione accettabile per la mia mente razionale. Ma dalle reazioni degli altri Radurai, era ovvio che nessuno di loro ci fosse ancora arrivato.
Arrivò Chuck. La sua aria terrorizzata provocò una fitta al mio cuore.
-Cosa pensi sia successo?- disse il ragazzino, con un miserevole tremolio nella voce e gli occhi incollati al cielo. Pensai che doveva avere un gran male al collo. -Sembra un grande soffitto grigio... Tanto vicino da poterlo quasi toccare.-
Seguii lo sguardo di Chuck e sollevai gli occhi. -Già. Viene da farsi delle domande su questo posto.- Il cielo sembrava proprio un soffitto. Il soffitto di una stanza immensa. -Forse si è rotto qualcosa. Cioè, magari torna.-
Finalmente Chuck smise di starsene a bocca aperta e incrociò il mio sguardo. -Rotto. E che vorrebbe dire?-
Prima che potessi rispondere, nella mia mente comparve un debole ricordo della notte precedente, del momento prima di addormentarmi. Le parole di quel ragazzo, chiunque egli fosse. Aveva detto: Hanno appena innescato la Fine. Non poteva essere una coincidenza, no? Qualunque fosse la spiegazione, qualunque cosa si fosse trovata nel cielo, che fosse un sole vero oppure no, era scomparso. E questa non poteva essere una bella cosa.
-Anna?- domandò Chuck, picchiettando leggero sul mio braccio.
-Sì?- mi sentii la mente annebbiata.
-Che intendi con 'rotto'?- ripeté il ragazzino.
Sentivo di aver bisogno di tempo per pensarci. -Oh, non lo so. Ci sono cose di questo posto che non capiamo, è ovvio. Ma non è possibile che il sole scompaia dallo spazio così. Inoltre, anche se è debole, c'è abbastanza luce per vedere. Da dove arriva?-
Gli occhi di Chuck si fecero più grandi, come se gli fosse appena stato rivelato il segreto più oscuro e profondo dell'universo. -Già, da dove arriva? Che sta succedendo, Anna?-
Tesi il braccio e strinsi la spalla del ragazzo più piccolo. Mi sentii goffa. -Non ne ho idea, Chuck. Non ne ho idea. Ma sono sicuro che Newt e Alby capiranno di cosa si tratta.-
-Anna!- Stava arrivando Minho, di corsa. -Piantala di fare l'intervallo con Chucky e partiamo. Siamo già in ritardo.-
Ero stupefatta. Per qualche ragione mi ero aspettata che questo strano cielo facesse saltare tutti i programmi.
-Andate là fuori lo stesso?- chiese Chuck, evidentemente sorpreso a sua volta. Ero lieta che il ragazzo avesse fatto questa domanda al posto mio.
-Ovvio che lo facciamo, pive.- rispose Minho. -E tu, non hai niente da spalare?- Spostò lo sguardo da Chuck a me. -Se non altro, abbiamo anche più ragioni per muovere il culo e uscire. Se il sole è davvero scomparso, non passerà molto tempo prima che schiattino anche le piante e gli animali. Credo che il livello di disperazione sia appena salito di una tacca.-
Quest'ultima dichiarazione mi colpì nel profondo. Fui investita da un misto di paura ed eccitazione. -Vuoi dire che staremo fuori anche di notte, che esploreremo i muri un po' più da vicino?-
Minho scosse la testa. -No, non ancora. Però forse lo faremo presto.- Sollevò lo sguardo verso il cielo. -Anna... Che risveglio. Dai, andiamo. Torneremo prima oggi.- 
-Perché?- gli chiesi.
-Inutile correre rischi. Istruzioni di Alby.- disse senza guardarmi.
Rimasi in silenzio quando io e Minho preparammo l'occorrente per la giornata e poi facemmo colazione alla velocità della luce. Ero troppo impegnata a pensare al cielo grigio e a ciò che il ragazzo aveva detto nella mia mente per prendere parte a qualunque genere di conversazione.
Che intendeva con la parola fine? Non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione che avrei dovuto dirlo a qualcuno. A tutti.
Ma non sapevo cosa volessero dire quelle parole e non volevo che gli altri sapessero che sentivo una voce di ragazzo nella mente. Mi avrebbero presa per matta da legare, magari mi avrebbero anche rinchiusa, questa volta per sempre.
Dopo aver riflettuto a lungo, decisi di starmene zitta e uscii a correre con Minho per il secondo giorno di addestramento, sotto un cielo triste e privo di colore.
Vedemmo il Dolente prima ancora di raggiungere la porta che conduceva dalla Sezione otto alla Sezione uno.
Minho era qualche spanna più avanti di me. Aveva appena svoltato un angolo sulla destra quando si fermò di colpo, rischiando quasi di sbandare. Balzò all'indietro e mi prese per la maglietta, spingendomi contro il muro.
-Sssh.- sussurrò il ragazzo. -C'è un fottuto Dolente, lì davanti.-
Spalancai gli occhi con aria interrogativa e sentii il cuore battere più forte, anche se stava già pompando il sangue a ritmo costante e sostenuto.
Minho si limitò ad annuire, poi si portò un dito alle labbra. Lasciò andare la mia maglia e fece un passo indietro, poi strisciò fino all'angolo dietro al quale aveva visto il Dolente. Molto lentamente, si chinò in avanti per sbirciare. Avrei voluto urlargli di stare attento.
La testa del ragazzo tornò indietro di scatto e si voltò a guardarmi. La sua voce era ancora un bisbiglio. -Se ne sta lì e basta... Quasi come quello morto che avevamo visto.-
-Che facciamo?- chiesi il più piano possibile. Cercai di ignorare il panico che sentivo bruciarmi dentro. -Sta venendo verso di noi?-
-No, Anna... Ti ho appena detto che sta lì e basta.-
-E allora?- mi portai le mani ai fianchi per la frustrazione. -Che facciamo?- Rimanere così vicini a un Dolente sembrava davvero una pessima idea.
Minho fece una pausa di alcuni secondi, riflettendo prima di parlare. -Per raggiungere la nostra Sezione dobbiamo andare da quella parte. Teniamolo d'occhio per un po'. Se comincia a seguirci, torniamo alla Radura di corsa.- Sbirciò di nuovo e poi lanciò svelto un'occhiata da sopra la spalla. -Merda! Non c'è più! Andiamo!-
Il Velocista non attese la risposta, non vide l'espressione inorridita che mi ero appena accorta di aver assunto. Prese a correre nella direzione in cui aveva visto il Dolente. Anche se l'istinto mi suggeriva di non farlo, lo seguii.
Con uno scatto iniziai a correre dietro a Minho, girai a sinistra e poi a destra. A ogni svolta rallentavamo, in modo che, prima di proseguire, l'Intendente potesse controllare se ci fosse qualcosa altre l'angolo. Ogni volta mi sussurrava di aver visto l'estremità posteriore del Dolente sparire oltre la svolta successiva. Andammo avanti per dieci minuti e poi raggiungemmo il lungo corridoio che terminava con la Scarpata, il punto in cui non c'era più nulla a parte il cielo smorto. Il Dolente stava correndo alla carica verso quel cielo. 
Minho si fermò in modo tanto brusco che gli arrivai quasi addosso. Poi, sconvolta, rimasi a fissare il Dolente fare perno sulle punte e gettarsi in avanti, proprio verso l'orlo della Scarpata, e poi giù nell'abisso. La creatura scomparve alla nostra vista, un'ombra inghiottita da un'ombra più grande.
-Con questo direi che ne siamo sicuri.- disse Minho.
Ero in piedi accanto a lui ai bordi della Scarpata. Stavamo osservando il niente grigio oltre l'orlo. Non si vedeva nulla: a sinistra, a destra, giù, su oppure oltre, a perdita d'occhio. Nulla. Solo il vuoto.
-Sicuri di cosa?- chiesi.
-Ormai l'abbiamo visto tre volte. Sta succedendo qualcosa.-
-Già.- sapevo cosa intendesse, ma comunque aspettai la spiegazione di Minho.
-Quel Dolente morto che ho trovato... È corso via da questa parte e non l'abbiamo mai visto tornare o addentrarsi nel Labirinto. Poi quegli schifosi che abbiamo fregato facendoli saltare addosso a noi per cadere giù.-
-Fregato?- dissi. -Forse non li abbiamo fregati.-
Minho mi guardò, pensieroso. -Mmm. Comunque, poi questo.- Indicò l'abisso. -Non c'è più molto da dubitare: in qualche modo, facendo così i Dolenti lasciano il Labirinto. Sembra magia, ma vale lo stesso per il sole che sparisce.-
-E se loro se ne vanno così- aggiunsi, proseguendo il ragionamento di Minho -allora possiamo farlo anche noi.- Mi sentii attraversare da un brivido di eccitazione.
Il ragazzo scoppiò a ridere. -Ed ecco ancora i tuoi propositi suicidi. Vuoi andare a stare con i Dolenti, magari farti un panino con loro?-
Sentii svanire le mie speranze. -Hai qualche idea migliore?-
-Una cosa per volta, Fagiolina. Deve sicuramente esserci qualche uscita nascosta. Dovremmo procurarci delle pietre e fare delle prove, ma non adesso. Ora torniamo alla Radura.- stavo per protestare, ma Minho aggiunse velocemente: -Non dire a nessuno quello che abbiamo scoperto finché non avremmo fatto queste prove. Dobbiamo esserne sicuri. Non possiamo permetterci false speranze.- Annuii senza fiatare. Così tornammo indietro.
La Radura era pervasa da un'atmosfera cupa, fatto abbastanza ovvio quando tutto è grigio. La luce fioca non era minimamente cambiata dal mattino e mi chiesi se al tramonto sarebbe successo qualcosa di diverso.
Non appena fummo entrati dalla Porta Occidentale, Minho andò dritto alla Stanza della Mappe.
-Resta qui, infondo non ci sono grandi novità.- disse il ragazzo facendomi l'occhiolino, un attimo prima di lasciarmi sola.

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Capitolo 17
*** La Dichiarazione ***


Ero seduta contro il muro di destra che costeggiava la Porta Orientale, immersa nei miei pensieri, guardando di tanto in tanto qualche Raduraio che mi passava davanti. 
Era straordinario come da stamattina ad ora, secondo l'orologio le quattro del pomeriggio, l'atmosfera all'interno della Radura fosse mutata: nell'aria era ancora presente preoccupazione, ma lo si nascondeva dedicandosi a cose più produttive, come il lavoro.
Ero contrariata all'idea di restarmene qui senza fare niente quando avremmo potuto risolvere il mistero che si celava dietro al Labirinto. Oltre ai pensieri riguardanti una possibile uscita, ad occupare la mia mente vi era anche l'enigma che stava dietro alla misteriosa voce che udivo. Chi era? E cosa voleva da me? "Resta viva, e non dimenticare mai che ti voglio bene", aveva detto. Perché voleva che restassi viva? Perché mi voleva bene? Chi era lui per me?
Mille domande e nessuna dannata risposta. La cosa era tremendamente frustrante.
Restai in questa posizione ancora per qualche minuto, chiudendo gli occhi e concentrandomi sui rumori che caratterizzavano la Radura: le grida dei ragazzi e il martellare degli attrezzi da lavoro.
Quando li riaprii, per poco non mi venne un infarto: in piedi, davanti a me, c'era Minho. 
-Muoviti, devi venire con me.- disse in fretta.
Mi alzai, togliendo l'erba dai pantaloni. -Dove? Perché?- chiesi.
-Cose burocratiche. Svelta.- seguii il ragazzo fino alla porta d'acciaio del grosso edificio di cemento che era la Stanza delle Mappe.
Nella stanza c'erano altri quattro Velocisti affaccendati, tra cui anche Thomas, il quale, appena ci vide ci salutò ritornando al suo lavoro poco dopo. Nessuno disse una parola, come se tutte le ipotesi riguardo al nuovo cielo fossero state esaurite. L'atmosfera disperata della stanza mi fece sentire come se stessi camminando in un'acqua densa e fangosa. Sapevo che anch'io sarei dovuta essere stanca, ma ero troppo agitata per rendermene conto: volevo che arrivasse domani il più presto possibile, così da poter rientrare nel Labirinto.
-Disegna la Mappa di oggi.- mi disse Minho.
-Come? Non l'hai fatto tu prima?- gli chiesi.
-No. È addestramento: voglio testare la tua memoria.- cercai di controllare il tremolio improvviso che aveva investito il mio corpo.
Mi sedetti al tavolo e disegnai la Mappa del giorno, basandomi sulla memoria e sugli appunti. Per tutto il tempo, l'Intendente mi controllò da sopra la spalla, dandomi varie indicazioni. -Credo che quel sentiero si interrompa qui, a dire il vero, non lì- e -Occhio alle proporzioni- o -Disegna meglio, pivella-. Era una scocciatura, ma mi aiutò molto e quindici minuti dopo il nostro ingresso nella stanza, esaminai il disegno finito. Mi sentii piena di orgoglio: la mia Mappa era simile in tutto e per tutto a quelle degli altri.
-Non male.- commentò Minho. -Voglio dire, per una Fagiolina.-
Il ragazzo si alzò e si incamminò verso il baule della Sezione uno, che aprì. Mi ci inginocchiai davanti e presi la Mappa del giorno prima, mettendola accanto a quella appena tracciata.
-Cosa sto cercando?- domandai.
-Schemi. Ma osservare il lavoro di due giorni non ti dirà una cippa. Devi studiare diverse settimane, cercare modelli che si ripetono, qualsiasi cosa. So che lì dentro c'è qualche elemento che ci aiuterà. Solo che non riesco ancora a trovarlo. Come ho detto, è uno schifo.-
Sentivo come qualcosa che mi pizzicava in un angolo remoto del cervello. Era la stessa sensazione che avevo provato la prima volta che ero entrata in questa stanza. Le pareti del Labirinto che si muovevano. Schemi. Tutte queste linee dritte... Suggerivano forse un tipo di mappa totalmente diverso? Indicavano qualcosa? Avevo la fortissima sensazione di essermi lasciata sfuggire un suggerimento ovvio, un indizio.
-Chiudi tutto.- mi distrasse dai miei pensieri il Velocista. -Abbiamo finito qui.- chiusi il baule e lo seguii fuori. Attraversata la soglia, il ragazzo si fermò di colpo, e non vedendolo, gli andai a sbattere contro. Minho non disse nulla, si limitò a sorridermi. -Riflessi pronti.- mi ammonì.
-Sì, signore.- mi portai la mano alla fronte, prendendolo in giro.
Rise come non gli avevo mai visto fare. -Ma smettila.- poi, tornò immediatamente serio. -Ricordi la nostra promessa, vero?- Annuii.
-Quale promessa?- ci voltammo entrambi quando sentimmo la voce di Newt. Quando lo vidi, non potei fare a meno di notare che le sue occhiaie si erano pronunciate dall'ultima volta che l'avevo visto. Notai anche che i suoi capelli, solitamente biondo sporco, erano adesso più brillanti; probabilmente aveva approfittato di un momento di pausa per potersi fare una doccia.
Minho non rispose, e così feci anch'io. Intanto Newt, continuava a passare il suo sguardo da me al ragazzo al mio fianco.
-Allora? Di cosa parlavate?- incrociò le braccia al petto. Io e il Velocista ci scambiammo uno sguardo; sicuramente vide nel mio il terrore. 
-La promessa di...- iniziò Minho; potevo quasi vedere la sua mente pensare alla velocità della luce. Perché teneva tanto al fatto che rimanesse tutto un segreto? Infondo, Newt ed Alby erano degli amici. -Di vederci più tardi... Perché Anna ha bisogno di allenarsi.- esclamò cingendomi le spalle con un braccio. Avrei tanto voluto allontanarmi; abbracciare lui non era come abbracciare Newt: mi sentivo scomoda, non mi veniva naturale.
-Allenarsi?- chiese dubbioso il biondo.
-Sì, possiamo andare anche ora. Vieni con noi?- lo invitò il Velocista, il quale sembrava aver riacquistato la sua normale vivacità.
-Non ho niente da fare.- acconsentì il secondo in comando.
-Allora andiamo.- mi trascinò letteralmente fino alla Porta Occidentale, sussurrandomi parole senza senso. -Mi dispiace, ma ti tocca.-
-Io cosa c'entro?- gli chiedevo quando ero certa che Newt non prestasse attenzione. -E perché non vuoi dirglielo? Perché deve essere un segreto?-
Alle mie parole si fermò di colpo e mi si parò davanti, avvicinando il suo volto adirato al mio, dove la paura aveva dipinto delle smorfie. Non disse nulla, continuò semplicemente a guardarmi. Poi mi lasciò e si incamminò velocemente verso le mura.
Nel frattempo, Newt aveva rivolto dalla nostra parte una delle sue tante espressione che non riuscivo a decifrare. Gli rivolsi un sorriso e mi avvicinai a lui.
-Ciao.- mi disse quando fui a un metro da lui. 
-Ciao.- ripetei.
-Niente di nuovo?- mi chiese. Era strano rimanere soli io e lui, ma allo stesso tempo rilassante.
-No, tutto come al solito.- gli mentii spudoratamente. Mi sentii in colpa, ma l'idea era stata di Minho, io ero solo una complice.
-Sei deprimente a volte.- Alzai lo sguardo verso di lui, incredula. Sapevo di non essere la persona più adatta per una piacevole e scorrevole conversazione, ma non pensavo che fossi arrivata ad essere deprimente.
-Grazie tanto.- divenni scorbutica. Ed io che volevo essere gentile, pensai.
-Non fraintendermi,- aggiunse svelto -mi...- sembrava non trovare le parole giuste per continuare. -Piace stare con te, ma sei così lontana talvolta.- 
-Non lo faccio apposta...- abbassai lo sguardo, troppo imbarazzata per guardarlo negli occhi.
-Lo so.- alzai gli occhi, sorpresa di scorgere la presenza di un sorriso sul suo volto. 
-Proverò ad essere più interessante.- cercai di riportare la conversazione su un piano più piacevole.
-Tu sei interessante...- mormorò piano, così tanto da farmi pensare che non volesse lo sentissi. 
Quando arrivammo alla Porta, speravo che Minho avesse sbollito la rabbia. 
-Inizia facendo trenta volta andata e ritorno.- No, non l'aveva sbollita affatto. -Parti!- strillò.
Cominciai a correre, conscia che i due Radurai e tutti quelli presenti nella Radura, mi stessero guardando. Odiai ogni singolo secondo del mio allenamento; ogni mio passo falso sarebbe stato visto da tutti.
Quando finii l'allenamento ed arrivai davanti a Minho e Newt, caddi in ginocchio. Ero stanchissima, la vista mi si stava annebbiando. Vidi Newt correre verso di me e piegarsi alla mia altezza.
-Stai bene?- mi chiese evidentemente preoccupato.
-È solo stanca.- il Velocista non si scompose. -Vai a prenderle dell'acqua.- si rivolse al biondo. Quest'ultimo non disse una parola, si alzò lentamente e se ne andò.
-Sei proprio uno...- non riuscii a finire la frase.
-Non stancarti ulteriormente.- disse lui.
-Ma vaffancaspio.- mi accasciai sul terreno, rannicchiandomi su me stessa.
-Anna!- sentii la voce di Chuck. -Che gli è successo?- chiese.
-Niente.- udii una terza voce farsi più vicina; poi, sentii due mani sotto di me che mi sollevavano da terra. Mi raggomitolai tra le braccia del mio salvatore e mi gustai ogni secondo di quel caldo e accogliente contatto.
Quando mi risvegliai, mi accorsi di trovarmi su un letto, la testa appoggiata a qualcosa che non somigliava minimamente ad un cuscino. Sbattei le palpebre e mi guardai attorno, senza muovermi, esaminando la stanza.
-Siamo nel Casolare.- sussultai nell'udire la voce di Newt sopra di me. Alzai lo sguardo e mi accorsi che quello che doveva essere il mio cuscino, erano le gambe del ragazzo.
-Che è successo?- gli chiesi alzandomi.
-Sei svenuta tra le mie braccia. Così, ti ho portato dove potevi riposare.- mise una mano dietro alla mia schiena per darmi sostegno.
-Perché sei rimasto?- gli posi un'altra domanda.
-Vuoi che me ne vada?- disse alzandosi dal letto.
-No, io...- cominciai, ma fui interrotta dal bussare di qualcuno sulla porta della stanza.
-Avanti.- rispose per me Newt. Dall'entrata vedemmo spuntare Minho.
-Cosa vuoi?- diventò scorbutico il biondo.
-Parlare con Anna.- spiegò il Velocista.
-Non se ne...-
-Va bene.- interruppi Newt, sorridendogli in modo rassicurante. -Davvero, va bene.-
-Okay... Allora io... Aspetto fuori.- disse dirigendosi verso l'uscita e sbattendo la porta.
-Cosa vuoi?- ero arrabbiata con Minho, si era sfogato su di me senza curarsi dei miei sentimenti.
-Mi dispiace.- mormorò il ragazzo. -Non volevo che le cose andassero così. Prometto di non farlo mai più.-
-Un'altra promessa.- gli tirai una frecciatina.
-Sì... Un'altra.- mi scrutò. -Rimettiti. Domani si riparte.- lo vidi voltarsi.
-Aspetta.- lo richiamai. -So che me l'hai già detto... Ma perché è così importante per te?- riprovai a chiedergli. 
-Credo di dovertelo. Allora,- si sedette sul letto -noi pensiamo ci sia una possibile uscita da questo posto, ma non ne siamo sicuri. Se lo dicessimo a tutti, e la cosa non fosse vera? Si deprimeranno ancora di più.- adesso iniziavo a capire il suo punto di vista. -Finché non ne siamo sicuri, non diciamo nulla. Fino a domani.- capii che la conversazione era conclusa. Annuii, mostrandogli che avevo compreso.
-Bene, allora a domani.- se ne andò lasciandomi sola. 
Newt, che fino ad allora doveva aver aspettato in corridoio, rientrò.
-Che ti ha detto?- mi chiese.
-Cose da Velocisti.- avrei tenuto fede alla promessa.
-Segreti di Stato?- si accigliò.
-No, niente affatto...- cominciai.
-Allora non capisco tutto questo mistero.- notai la vena sulla sua fronte pulsare.
-Non c'è nessun mistero.- cercai di spiegargli.
-Se non vuoi parlare con me, puoi andare da Minho.- sputò fra i denti. -Dato che con lui vai tanto d'accordo.-
-Perché dovrei andare da lui?- non riuscivo a stare dietro ai suoi continui sbalzi d'umore. -E perché ti comporti così?-
Contrasse la mascella e strinse i pugni, rilassandoli poco dopo. Lo vidi prendere un respiro profondo, puntando il suo sguardo sul mio. -Non l'hai mai capito, eh?-
Corrugai la fronte. -Cosa dovrei capire?- mi sembrava di aver posto questa domanda un'infinità di volte.
Sospirò, chiuse gli occhi per un attimo e poi li riaprì. -Anna, c'è qualcosa che devo dirti.- iniziò. -Hai... sconvolto il mio mondo. Sei l'unica cosa buona che sia mai arrivata in questo caspio di posto...- si fermò, scrutandomi.
-Newt...?- 
-Amo il modo in cui sorridi. Amo la tua personalità. Amo quando dici il mio nome, solo perché lo dici tu. Amo il modo in cui il tuo corpo si muove quando corri. Amo quando arrossisci per un complimento, specialmente quando arrossisci per me. Amo il modo in cui mi stringi a te quando dormi. Amo il modo in cui i tuoi occhi brillano alla luce delle stelle. Anna, so che non senti lo stesso, ma... Provo qualcosa per te da quando i miei occhi hanno incontrato i tuoi la prima volta, da quando ti ho visto nella Scatola.-

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Capitolo 18
*** La Verità ***


Non risposi. Non dissi nulla. Non poteva semplicemente saltarsene fuori con un'affermazione del genere.
Forse avrei dovuto dire qualcosa, ma il suo sguardo mi bloccava. I suoi occhi erano intensi come non li avevo mai visti, così tanto da ammutolirmi. 
Non avevo mai pensato che Newt potesse provare qualcosa del genere per me. 
Sentii il sangue salire alle guance ed il cuore iniziare a battere all'impazzata. Speravo che qualcosa ci costringesse a parlare, così da spezzare l'imbarazzante silenzio che aleggiava nella stanza.
Lo vidi distogliere velocemente lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli in modo evidentemente frustrato. 
-Mi aspettavo questa tua risposta silenziosa.- abbassai lo sguardo. -Non avrei dovuto dire niente, mi dispiace.- lo vidi dirigersi verso la porta. 
Non ci pensai due volte. -No, aspetta.- Lo fermai afferrandogli un braccio, spingendolo verso di me: non volevo se ne andasse. Colsi il ragazzo di sorpresa, perché lo vidi sbilanciarsi, riprendendo l'equilibrio poco dopo; dal canto mio, invece, se non ci fosse stato lui sarei finita sul pavimento con un gran tonfo. Mi afferrò per i fianchi e mi spinse contro di lui, facendomi sbattere contro il suo petto. Presi qualche secondo per elaborare cosa era successo, accorgendomi di essere finita tra le braccia di Newt, il quale mi aveva appena confessato di provare qualcosa per me.
Stavo ancora riflettendo, quando sentii una delle sue mani afferrarmi delicatamente il mento ed alzarmi la testa, facendo scontrare i nostri sguardi. In questo momento, avrei tanto voluto allontanarmi e allo stesso tempo restare in questa posizione per sempre. Forse provavo anch'io qualcosa per Newt, qualcosa a cui, fino ad allora, non ero riuscita a dare un nome. Qualcosa che incoscientemente avevo represso fino ad ora.
-Ho già detto di amare i tuoi occhi?- mormorò. Continuai a sostenere il suo sguardo, nonostante l'evidente imbarazzo che si poteva scorgere sul mio volto. -Adesso le cose cambieranno, non è vero?- malgrado stesse parlando di questo, non accennava ancora a spostarsi.
-Io starò al tuo fianco qualsiasi cosa accada.- sussurrai convinta della mie parole.
-Però non provi ciò che provo io.- sentii la sua presa farsi più vigorosa, i pugni serrarsi contro la mia schiena. -L'assenza di una risposta è già di per sé una risposta.- 
-Ho solo bisogno di tempo.- spostai le mie mani sui suoi fianchi, in modo da fargli capire che l'avremo superata insieme.
-Per te posso aspettare.- si avvicinò e mi lasciò un delicato bacio sulla fronte, come aveva fatto prima che andassi nel Labirinto. Sembravano passati anni da quel giorno. Forse, avrei dovuto cogliere i vari segnali che mi aveva lanciato in più di un'occasione.
Alla fine ci staccammo, dividendoci da quell'abbraccio infinito. 
Newt mi aveva chiesto se le cose sarebbero cambiate, e la cosa preoccupava anche me. Amavo il nostro rapporto, il modo in cui riuscivamo a scherzare tra di noi, l'aiuto reciproco nei momenti di bisogno; non potevo pensare che tutto questo non ci sarebbe più stato da ora in poi.
-Erano ormai diversi giorni che volevo dirtelo.- La voce di Newt mi riportò alla realtà. -Speravo di poterlo fare alla radura e in un atmosfera più tranquilla, ma quando ti ho visto con Minho... Non ce l'ho fatta più.- 
-Perché? Siamo solo amici...- cominciai.
-Anna, non è solo lui il problema!- mi interruppe. -Detesto ogni caspio di Raduraio che ti parla, che ti fa sorridere, perfino che ti guarda. So che è da egoista, ma odio vederti felice con qualcuno che non sia io.- 
-Non ne capisco il motivo.-
-Questo perché tu non senti tutti i commenti che fanno in tua assenza. Ho bisogno di tutto il mio autocontrollo per non spaccare la faccia a quei brutti pive. Diciamo solo che la presenza di una donna, ha fatto sballare gli ormoni dei Radurai.- chiuse gli occhi, forse per scacciare uno spiacevole ricordo. Gli posai una mano sul braccio, per confortarlo; al mio gesto, riaprì gli occhi e li puntò sul suo bicipite. La spostai, sentendomi a disagio, ma il ragazzo me la prese prima che potessi riportarla lungo il fianco.
-Ti ho detto che aspetterò e lo farò, ma spero comunque che tu sarai più veloce di me nel far chiarezza.- si portò la mia mano alla bocca e vi lasciò un altro piccolo bacio; arrossii al suo gesto. -È di questo che parlavo.- disse Newt sorridendo, notando le mie guance. -Andiamo a cena.- si avviò verso la porta, conducendomi all'uscita del Casolare, e poi da Frypan.
Fortunatamente, con noi si sedettero anche Thomas, Minho e Chuck. Furono loro a parlare per tutta la serata, raccontandosi la propria giornata e scambiandosi qualche battuta. Io e Newt, invece, eravamo occupati a scambiarci sguardi furtivi, cercando di non farci notare dagli altri. Ero certa che avrei passato tutta la notte a pormi domande riguardo tutta la faccenda.
-Minho sei proprio un idiota.- disse Thomas dopo aver saputo cos'era successo questo pomeriggio. 
-Non l'ho fatto apposta.- si giustificò l'Intendente. -Pensavo reggesse.-
-Non lo reggerei neanche io, stupido.- ribatté il Velocista.
-Puoi smetterla di insultarmi ogni volta che apri la tua caspio di bocca?- disse Minho  esasperato.
-Certo.- gli sorrise Thomas. -Brutto pezzo di sploff.- aggiunse dopo. Iniziai a ridere senza trattenermi: erano così buffi quando si stuzzicavano. Si voltarono tutti verso di me con sguardo interrogativo, gesto che mi fece pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato.
-Scusate.- mormorai tornando a mangiare. 
-Resta il fatto che sei un imbecille.- aggiunse il biondo davanti a me.
Finito di mangiare, ci salutammo ed ognuno andò per la sua strada. Mi diressi subito verso il mio nascondiglio, sottobraccio portavo un cuscino che mi aveva dato Newt. 
Quando toccai con la schiena l'ormai familiare fredda parete di pietra, mi sentii a casa. Poggiai la testa contro il cuscino, il quale profumava dell'essenza del ragazzo che me l'aveva dato. Inspirai profondamente, godendomi quel particolare aroma: un misto tra erba bagnata, carta e sudore. 
Alzai la testa e mi concentrai sul cielo, vuoto e privo di stelle, e vi vidi il ragazzo biondo che stava iniziando ad invadere la mia mente: i suoi occhi castani con quei particolari riflessi miele, i suoi capelli biondo cenere ed il suo splendido sorriso. 
Aspetta, splendido sorriso? Da quando pensavo che avesse uno splendido sorriso? Da quando pensavo a lui?
Pochi istanti prima che cadessi in un sonno profondo l'immagine di Newt tornò ad invadere i miei pensieri, facendomi capire la verità riguardo ai miei sentimenti.

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Capitolo 19
*** La Tana Dei Dolenti ***


-Procuriamoci delle pietre e facciamo delle prove. Deve esserci qualche uscita nascosta.- 
Aiutai Minho a grattare negli angoli e nelle screpolature del Labirinto, raccogliendo la maggior quantità possibile di sassi. Ne trovammo altri passando i pollici nelle crepe dei muri, rovesciando così vari frammenti di pietra per terra. Quando infine ne ottenemmo un mucchio di una certa dimensione, spostammo tutto ai margini della Scarpata e ci mettemmo a sedere, lasciando penzolare i piedi di lato. Guardai giù, ma vidi solo una lunga china grigia.
Minho estrasse il taccuino e la matita e li posò a terra accanto a lui. -Okay, dobbiamo segnarci tutto perbene. E cerca di memorizzarlo anche nella tua testolina. Se c'è qualche specie di illusione ottica che nasconde un'uscita da questo posto, non voglio essere io quello che combina un casino quando il primo pive prova a saltarci dentro.-
-Quel pive dovrebbe essere l'Intendente dei Velocisti.- dissi, cercando di scherzare per nascondere la paura. Stare tanto vicina a un posto da cui potevano sbucare all'improvviso dei Dolenti mi stava facendo sudare. -Sarebbe bello farlo aggrappati a un bel pezzo di corda.-
Il ragazzo scelse un sasso dal mucchio. -Sì. Okay, lanciamoli a turno. Proviamo delle traiettorie incrociate. Se c'è una qualche specie di uscita magica, speriamo che funzioni anche con i sassi... Che li faccia sparire.-
Presi un sasso e lo scagliai con attenzione alla nostra sinistra, proprio di fronte al punto in cui il muro sinistro del corridoio che portava alla Scarpata incontrava il bordo. Il frammento di roccia frastagliata cadde. E continuò a cadere. Poi disparve nel vuoto grigio. 
Poi fu il turno di Minho. Scagliò la pietra giusto una trentina di centimetri oltre il punto da cui era partito il mio lancio. Anch'essa cadde nel vuoto. Ne lanciai un'altra, altri trenta centimetri più in fuori. Poi Minho. Ogni pietra sprofondava nell'abisso. Continuai a seguire gli ordini del ragazzo. Andammo avanti fino a segnare una linea che arrivava almeno a tre metri e mezzo dalla Scarpata. Poi spostammo l'obbiettivo dei nostri lanci una trentina di centimetri più a destra e cominciammo a tornare verso il Labirinto. 
Tutti i sassi caddero giù. Un'altra linea in fuori, un'altra linea più all'interno. Tutti i sassi continuarono a cadere. Lanciammo abbastanza pietre da coprire tutta la metà sinistra dell'area di fronte a noi, coprendo la distanza che chiunque o qualunque cosa potesse raggiungere con un salto. A ogni lancio, il mio scoraggiamento crebbe fino a trasformarsi in un soverchiante senso di inutilità.
Non riuscivo a fare a meno di rimproverarmi. Era stata un'idea stupida.
Poi, la pietra che Minho scagliò dopo di me scomparve.
Era la cosa più strana e più difficile da credere che avessi mai visto.
Il Velocista aveva gettato un grosso pezzo di sasso caduto da una delle crepe nel muro. L'avevo osservato. Mi ero concentrata su ogni pietra che avevamo lanciato. Quest'ultima lasciò la mano di Minho, volò in avanti, quasi in corrispondenza del centro esatto dell'orlo della Scarpata, e cominciò a scendere verso l'invisibile fondo, molto più in basso. Poi scomparve, come se fosse passata attraverso uno specchio d'acqua o una parete di nebbia.
Un istante era lì e stava cadendo. L'istante successivo era scomparsa.
Non riuscivo a parlare.
-Abbiamo già provato a tirare della roba oltre la Scarpata prima.- disse Minho. -Come abbiamo fatto a non accorgercene? Non ho mai visto sparire niente. Mai.-
Tossii. Avevo la gola secca. -Rifallo... Magari abbiamo sbattuto le palpebre in qualche modo strano, non so.-
Il ragazzo lo fece, gettando un'altra pietra nello stesso punto. Ancora una volta scomparve all'istante.
-Forse le altre volte che avete lanciato qualcosa non avete guardato bene.- dissi. -Voglio dire, dovrebbe essere impossibile... Certe volte non si notano le cose perché non si crede che possano succedere.-
Lanciammo il resto dei sassi, mirando a quel punto e anche a tutta la zona immediatamente limitrofa. Con mia grande sorpresa, l'area in cui le pietre scompariva si rivelò essere non troppo ampia.
-Non c'è da stupirsi che ci sia sfuggita.- disse Minho, scrivendo furiosamente appunti e misure, buttando giù alla meglio uno schema sull'apertura. -È piuttosto piccola.-
-I Dolenti devono passarci appena.- tenni gli occhi inchiodati all'area corrispondente a quel quadrato sospeso e invisibile, cercando di imprimermi nella mente la sua posizione e la giusta distanza, provando a ricordare dove si trovasse con esattezza. -E quando escono, probabilmente stanno in equilibrio sul bordo del buco e poi saltano oltre il vuoto fino al bordo della Scarpata... Non è tanto lontano. Se ci riesco io, sono sicura che sia  facile anche per loro.- 
Minho finì lo schizzo, poi sollevò lo sguardo verso quel punto particolare. -Com'è possibile, Anna? Cos'è che stiamo guardando?-
-Come hai detto tu, non è una magia. Deve essere qualcosa di analogo al cielo che è diventato grigio. Una specie di illusione ottica, di ologramma che nasconde una soglia. Questo posto è tutto farlocco.- Ed era anche fico, in un certo senso, dovetti ammettere a me stessa. La mia mente moriva dalla voglia di sapere che genere di tecnologia poteva esserci dietro a tutta questa faccenda.
-Già, farlocco è la parola giusta. Muoviamoci.- il ragazzo si alzò con un grugnito e si mise a tracolla lo zaino. -Meglio completare il più possibile la nostra corsa nel Labirinto. Da quando abbiamo questo bel cielo nuovo, magari là fuori sono successe altre cose. Stasera racconteremo tutto a Newt e ad Alby. Non so come possa essere d'aiuto, ma almeno adesso sappiamo dove vanno quei Dolenti del caspio.- Finalmente, pensai.
-E probabilmente da dove arrivano.- dissi, con un ultimo sguardo alla soglia nascosta. -La Tana dei Dolenti.-
-Sì, un nome vale l'altro. Andiamo.-
Rimasi seduto a fissare quel punto, in attesa che Minho si muovesse. Passarono diversi minuti in silenzio e mi resi conto che l'Intendente doveva esserne rimasto altrettanto affascinato. Infine, senza dire una parola, Minho si voltò per andarsene. Lo seguii controvoglia e presi a correre nel Labirinto grigio e buio.
Non trovammo altro che edera e muri di pietra.
Mi occupai di tagliare i rami e prendere appunti. Per me era difficile notare i cambiamenti rispetto al giorno precedente, ma il ragazzo mi segnalava le pareti che si erano spostate senza nemmeno pensarci. Quando raggiungemmo l'ultimo vicolo cieco e fu ora di dirigersi verso casa, provai un impulso quasi incontrollabile di mollare tutto e rimanere qui per la notte, per vedere cosa sarebbe accaduto.
Minho parve intuirlo e mi prese per una spalla. -Non ancora, Anna. Non ancora.-
Così tornammo indietro.
Entrati nella Radura, il Velocista si diresse alla Stanza delle Mappe.
Ero sorpresa. Pensavo che fosse l'ultima cosa da fare. -Non stai morendo dalla voglia di raccontare della Tana dei Dolenti a Newt e Alby?-
-Ehi, siamo sempre Velocisti.- rispose. -Abbiamo sempre il nostro lavoro da svolgere.- lo seguii. -Però sì, lo svolgeremo in fretta e andremo subito a parlare con loro.- aggiunse.
Come avevo fatto il giorno prima, disegnai la Mappa della sezione grazie ai suggerimenti di Minho, poi riposi il foglio nel baule, studiandolo per un minuto.
Il ragazzo mi picchiettò sulla spalla. -Puoi sempre tornare fino a consumarti le chiappe dopo cena, dopo che avremo parlato con Newt e Alby. Dai.-
-Okay, andiamo.- mi alzai.
Eravamo appena usciti dalla Stanza delle Mappe, lasciando chiudere rumorosamente la pesante porta alle nostra spalle, quando neanche a farlo apposta arrivarono i due ragazzi. Nessuno dei due aveva un'aria allegra. Solo Newt si alluminò quando ci vide. Il mio entusiasmo si trasformò all'istante in preoccupazione. 
-Ciao.- disse Minho. -Stavamo proprio...-
-Spicciati.- lo interruppe Alby. -Non c'è tempo da sprecare. Scoperto niente? Niente?- 
A quel rimbrotto duro, Minho fece un passo indietro, ma mi parve più confuso che non ferito o arrabbiato. -Anch'io sono contento di vedervi. Sì, in effetti abbiamo scoperto qualcosa.-
Stranamente, Alby assunse un'espressione delusa. -Perché tutto 'sto caspio di posto sta cadendo a pezzi.- Mi lanciò un'occhiataccia, come se fosse tutta colpa mia.
Ma che gli è successo?, pensai sentendo la rabbia accendersi dentro di me. Avevo lavorato sodo per tutto il giorno, e quello era il ringraziamento che ricevevo.
-Che vuoi dire?- chiese l'Intendente. -Che altro è successo?-
Newt rispose, indicando la Scatola con un cenno. -Oggi non sono arrivate le dannate provviste. Sono arrivate tutte le settimane per due anni, stessa ora, stesso giorno. Ma oggi no.-
Tutti e quattro ci voltammo a guardare gli sportelli d'acciaio ben aderenti a terra.
Ebbi l'impressione che sopra di essi aleggiasse un'ombra più scura dell'aria grigia che circondava tutto il resto.
-Oh, adesso siamo definitivamente rincaspiati.- bisbigliò Minho. La sua reazione mi fece capire che la situazione era davvero grave.
-Niente sole per le piante,- disse Newt -niente provviste dalla cacchio di Scatola... Sì, giusto, direi che siamo rincaspiati.- 
Alby aveva incrociato le braccia, sempre intento a fissare rabbiosamente la Scatola, come se avesse voluto aprirne le porte con la forza del pensiero. Speravo che il capo non stesse per parlare di ciò che aveva visto durante la Mutazione o di qualunque cosa mi riguardasse. Soprattutto in questo momento.
-Sì, comunque.- proseguì Minho. -Abbiamo scoperto qualcosa di strano.-
Rimasi in attesa, sperando che i due ragazzi avrebbero reagito positivamente alla notizia, o che magari fossero addirittura in possesso di informazioni utili a fare luce su questo mistero. 
Newt sollevò le sopracciglia. -Cosa?-
Minho ci mise tre minuti buoni a spiegare, cominciando dal Dolente che avevamo seguito e concludendo con i risultati dei nostri lanci di sassi. Non accennò al fatto che gli avevamo nascosto il tutto il giorno prima.
-Deve portare al posto... Insomma... Dove vivono i Dolenti.- disse quando ebbe finito.
-La Tana dei Dolenti.- aggiunsi, per poi abbassare la testa dopo che tutti e tre mi ebbero guardata in modo scioccato.
-Voglio vedere con i miei cacchio di occhi.- disse il biondo. -Quei caspio di cosi possono arrampicarsi sui cacchio di muri, vi ricordate? Noi non saremmo in grado di costruire niente per tenerli fuori.-
Ma la mia attenzione venne catturata da una voce. Il ragazzo. Il ragazzo che parlava nella mia testa. Mi sentii torcere le budella e mi appoggiai contro il muro di cemento della Stanza delle Mappe. Volevo fuggire prima che accadesse di nuovo, prima che mi parlasse di nuovo nella mente.
Ma era troppo tardi.
Non riuscivo a capire come facesse, come potesse essere dentro la mia testa.
Il Labirinto è un codice, Anna. Il Labirinto è un codice.

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Capitolo 20
*** La Voce ***


Costeggiai i margini della Radura e poi presi a correre, diretta al mio rifugio isolato dietro alla foresta delle Faccemorte.
Mi accucciai nel mio angolo, accoccolandomi tra l'edera, e mi buttai la coperta sul corpo, mettendo sotto anche la testa. In qualche modo sperai di nascondermi dall'intrusione del ragazzo nella mia mente. Passarono alcuni minuti e infine il mio cuore si calmò per passare a un battito più lento.
Cosa ti spaventa di me?, lo ignorai ancora. Sfogati.
-Come fai a farlo?- mormorai spaventata. 
Lo faccio e basta, e so che ne sei capace anche tu. Provaci.
-Chi sei?- il panico mi toglieva il respiro.
Non posso, Anna.
-Come fai a conoscermi?- era un sollievo riuscire finalmente a porre le domande che mi avevano angosciato fino ad allora.
Non posso.
-Perché?-
Non mi è permesso.
-Dovrei crederti?- 
Avresti tutte le ragioni per non farlo.
-Cosa vuoi da me?- mi ero stancata di questa conversazione; ogni mia domanda non otteneva risposta.
Che tu capisca.
Mi arrabbiai così tanto che se davanti a me ci fosse stato qualcuno, sicuramente l'avrei preso a calci; ero stufa di dover capire tutto e stufa di dover essere tenuta sempre all'oscuro di tutto.
-Ho già capito che non voglio avere niente a che fare con te.- 
Non è così facile.
Lo sentii quasi ridere. Odiai il silenzio che seguì le sue parole, come se si aspettasse che iniziassi a ridere anch'io.
-Vattene.- sibilai alla fine. -Esci dalla mia testa. Sparisci!- urlai quasi.
C'era un tempo in cui la mia compagnia era l'unica cosa che ti dava gioia; sei stata tu a dirmelo. Quando ti sarai calmata, mi troverai qui.
Non avvertii più nessuno, così chiusi gli occhi e cercai di alleviare la tensione. Finii con il contare i secondi, per rilassarmi. Dieci... Centosessanta.... Duecentoquattordici... Trecentoventuno.
-Scappi sempre via da me.-
All'inizio pensai di essermi immaginata tutto. Mi premetti i pugni contro le orecchie; probabilmente era solo un'illusione. Invece no, era davvero lui. Sospirando, abbassai lentamente la coperta. 
Newt era in piedi alla mia destra, appoggiato contro l'imponente muro di pietra. Sembrava così diverso, ora: sereno, rilassato... Felice. 
I nostri sguardi si allacciarono e rimasero allacciati a lungo.
-Scappo via da me stessa.- lo corressi. -E se fossi furbo, scapperesti anche tu.- Non volevo sentire più quella voce, volevo eliminarla. 
-Allora voglio essere un'idiota.- disse piegando le ginocchia, così da essermi davanti. -E tu non dovresti essere così dura con te stessa.-
-Tu non sai...- cominciai. 
-Spiegami.- mi interruppe. -Cosa ti è successo prima?- mi chiese preoccupato.
Abbassai lo sguardo. -Io...- Volevo davvero dirglielo? Volevo davvero vederlo allontanarsi da me proprio adesso che lo desideravo accanto?
-Non me ne vado.- disse come a leggere i miei pensieri. 
Prima di parlare ci pensai qualche secondo. -Io sento...- puntai di nuovo i miei occhi nei suoi, facendo un respiro per prendere coraggio. -Io sento una voce.- dissi tutto d'un fiato.
-Come?- mi chiese evidentemente confuso.
-Io sento qualcuno.- cercai di spiegargli con più calma. -C'è una voce che mi parla... Dentro la mia testa...- dovevo sembrargli pazza.
-E di chi è la voce?- disse sedendosi a terra. Lo guardai confusa; non si era scomposto minimamente. 
-Io... Non lo so.- appoggiai la testa al muro, alzando lo sguardo al cielo. -È un ragazzo e non so perché...- 
-Un ragazzo?- continuò a farmi domande. -Cosa ti ha detto?-
-Lui...- sperai non se la prendesse con me per il fatto che glielo avevo tenuto nascosto fino ad allora. -Mi ha detto che hanno innescato la Fine... La notte prima che il sole scomparisse.- continuai a guardare le chiome degli alberi.
-La Fine...- mi fece eco. -Non può essere una coincidenza.-
-No.- gli diedi ragione. Il silenzio calò su di noi come un velo; come potevamo far chiarezza su questo enigma se non avevamo ancora risolto tra di noi. Volevo dirglielo, volevo finalmente dargli una risposta, ma non mi sembrava il momento giusto. Teneva lo sguardo basso, rivolto verso il terreno, una mano sul mento e la mente assorta, persa in chissà quale ragionamento. Avrei voluto avvicinarmi a lui e dirgli che sarebbe andato tutto bene, abbracciarlo magari, ma repressi questo mio impulso: sapevamo entrambi che le cose non sarebbero state più normali, figuriamoci se sarebbero andate per il verso giusto.
-Sta per succedere qualcosa.- disse; continuai a guardarlo, perdendomi nella profondità dei suoi occhi. -Tu che ne pensi?- mi risvegliai dalla mia momentanea trance. 
-Penso che dovremmo cambiare argomento.- gli sorrisi.
-Non credevo fossi già pronta per parlarne.- sorrise anche lui; potevo scorgere, però, un pizzico di agitazione nella sua voce.
-In realtà lo sono già da un po'.- mi alzai in piedi. -Dovevo solo trovare un modo per entrare nell'argomento.-
-Avanti.- disse alzandosi anche lui. -Spara il colpo.- si teneva a distanza.
-Ho pensato a quello che mi hai detto... Ai tuoi sentimenti...- il mio coraggio stava vacillando. -C'ho pensato e sono arrivata alla conclusione che...- mi fermai.
-Che...?- mi incoraggiò lui evidentemente turbato da quel mio improvviso silenzio.
-Provo qualcosa per te.- dissi scandendo ogni parola. -Qualcosa che mi spinge ad odiare i momenti della giornata in cui tu non sei con me. Qualcosa che fino a qualche giorno fa non sapevo identificare. Qualcosa che mi spinge a voler passare con te, Newt, ogni minuto di ogni caspio di giorno.- finii in un sussurro.
La sua espressione non era cambiata per tutto il tempo in cui avevo parlato; poi, improvvisamente, sorrise, un sorriso a trentadue denti, di quelli che ti scaldano il cuore e ti alleviano l'anima; mi abbracciò di slancio, facendomi volteggiare. Allacciai le mani dietro al suo collo e mi guastai l'attimo. Risi come non avevo mai riso da quando avevo memoria; per la prima volta mi sentii libera e spensierata.
-Con queste parole mi hai reso forse l'uomo più felice della Radura.- continuò a stringermi a sé. -Però non potremmo mi eguagliare Frypan e le sue pentole.- risi alla sua pessima battuta. 
Restammo così, ognuno nelle braccia dell'altro, con la speranza vana di non doverci mai più separare.
-Ho una domanda.- sussurrò al mio orecchio. -Adesso noi... Stiamo insieme? O corro troppo?- 
Mi scostai da lui e lo guardai in faccia, riflettendo sulle sue parole; non aveva mai pensato a noi come una coppia, ma dopo tutto quello che c'eravamo detti non potevamo essere di certo solo amici.
-Non credo di voler essere tua amica.- dissi in modo ambiguo. 
-Cosa?- la sua espressione confusa mi divertì.
-Voglio stare solo e unicamente con te finché questa situazione me lo permette.- vidi il suo volto illuminarsi. 
-Anche per me non c'è altro posto in cui vorrei stare se non tra le tue braccia.- disse lasciandomi un piccolo bacio sulla fronte, poi uno sulla guancia destra, per poi passare alla sinistra, e infine sulla punta del naso; gesto che trovai molto dolce. 
Mi alzai sulle punte e gli lasciai un bacio sulla guancia, proprio come aveva fatto lui con me; poi mi allontanai, gli sorrisi e lo presi per mano.
Newt stava per dire qualcosa quando fu interrotto da dei passi. Ci voltammo e vedemmo Alby correrci incontro. 
-Prima il cielo e adesso questo.- sbraitò il ragazzo. -Che è successo a questo caspio di posto?!- urlò. Ero confusa da questa domanda; lanciai un'occhiata a Newt, per capire se lui sapeva cosa volesse dire.
-Che c'è che non va, Alby?- domandò il biondo; anche lui appariva preoccupato dall'atteggiamento dell'amico.
-Che è successo? Te lo dico io cos'è successo, pive. Eri troppo occupato a fare gli occhi dolci per prenderti il disturbo di guardarti intorno? Di accorgerti di che fottutissime ore sono?-
Guardai l'orologio, rendendomi conto con orrore di cosa mi era sfuggito. Lo capii prima che Alby lo dicesse ad alta voce.
-I muri, testa di caspio. Le Porte. Stasera non si sono chiuse.-

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Capitolo 21
*** Panico ***


Rimasi senza parole. Da questo momento tutto sarebbe stato diverso. Niente sole, niente provviste, niente protezione dai Dolenti. Mi sentii come se il fiato mi fosse divenuto solido e mi si fosse bloccato in gola.
Benché non ci fosse stato alcun cambiamento percepibile dal momento in cui il sole e il cielo azzurro non erano comparsi, questo mattino, sembrava comunque che sulla Radura stesse calando l'oscurità. Mentre Newt e Alby chiamavano a raccolta gli Intendenti, incaricandoli di distribuire i compiti e radunare i rispettivi gruppi all'interno del Casolare entro un'ora, mi sentii nient'altro che una spettatrice. Non ero certa di cosa potevo fare per aiutare.
I Costruttori, senza il loro capo, Wes, che non era ancora stato ritrovato, ebbero l'ordine di alzare delle barricate in corrispondenza di ogni Porta aperta. Ubbidirono, anche se sapevo che non c'era abbastanza tempo e che non c'era materiale sufficiente a fare niente di buono. Ebbi quasi l'impressione che gli Intendenti volessero tenere tutti occupati per ritardare gli inevitabili attacchi di panico che si sarebbero verificati. Aiutai i Costruttori a raccogliere tutti gli oggetti sparsi possibili e ad accatastarli nelle aperture, inchiodando tutto insieme alla bell'e meglio. Le barricate erano brutte e patetiche e mi spaventavano a morte: non era possibile che servissero a respingere i Dolenti.
Mentre lavoravo, vidi qualche sequenza di quanto stava accadendo negli altri punti della Radura.
Tutte le torce disponibili nell'intera zona furono raccolte e distribuite al maggior numero di persone possibili. Newt disse che questa notte tutti avrebbero dormito nel Casolare e che ci sarebbe stato un coprifuoco, fatte salve le emergenze.
Il compito di Frypan era quello di trasportare tutti i cibi non deperibili fuori dalle cucine e immagazzinarli nel Casolare, nel caso in cui vi fossimo rimasti intrappolati. Potevo solo pensare quanto sarebbe stato orribile. Vidi Minho portare delle armi dalla cantina all'edificio principale. Alby aveva detto chiaramente che non potevamo rischiare nulla: avremmo trasformato il Casolare in una fortezza e dovevamo fare tutto il possibile per difenderla.
Finalmente abbandonai i Costruttori e andai ad aiutare Minho a trasportare le casse di coltelli e mazze avvolte nel filo spinato. Poi Minho disse di avere un compito speciale assegnatogli da Newt e praticamente mi ingiunse di uscire dalle scatole, rifiutandosi di rispondere a qualunque mia domanda.
Ci rimasi male, ma me ne andai lo stesso. A dire il vero, volevo andare da Newt a parlargli di qualcos'altro. 
Finalmente lo trovai. Stava attraversando la Radura, diretto al Macello.
-Newt!- gridai, correndo per raggiungerlo. -Devi ascoltarmi.-
Il ragazzo si fermò tanto di colpo che gli caddi quasi addosso. Il biondo si girò e mi lanciò uno sguardo preoccupato.
-Che ci fai qui? Voglio che tu stia al sicuro nel Casolare.- disse. -Cosa devi dirmi?- incrociò le braccia.
Divenni quasi titubante. Non sapevo bene come esprimere ciò che avevo in mente.
Da quando avevo visto il cartello sul muro del Labirinto, CATASTROFE ATTIVA TOTALMENTE - TEST INDICIZZATI VIOLENZA OSPITI, non avevo mai smesso di pensarci. Sapevo che, se c'era qualcuno che poteva credermi, era Newt. -Penso... Penso che siamo qui come parte di qualche strano esperimento o test, o qualcosa del genere. Ma in qualche modo questa cosa deve finire. Non possiamo vivere qui per sempre... Chiunque sia stato a mandarci qui vuole che finisca. In un modo o nell'altro.- mi sentii sollevata. Mi ero tolta un peso.
Newt si strofinò gli occhi. -Potresti anche avere ragione, ma adesso non posso occuparmene. Va al Casolare e restaci. Io arrivo subito.- 
-Fa presto.- lo pregai. Mi diressi silenziosamente verso la porta del grande edificio. Gli ultimi Radurai stavano entrando proprio in quel momento, con Alby che li incitava come galline fuoriuscite da un pollaio. Entrai a mia volta, seguita da Thomas e successivamente Newt, che chiuse la porta alle nostre spalle.
Proprio un istante prima dello scatto del chiavistello, pensai di aver sentito il primo spettrale lamento dei Dolenti arrivare da qualche punto nel profondo del Labirinto.
La notte era cominciata.
In tempi normali la maggior parte dei Radurai dormiva all'aperto, quindi ammassare tutti questi corpi nel Casolare fu una bella impresa. Gli Intendenti avevano organizzato e distribuito i Radurai nelle varie stanze, insieme alle coperte e ai cuscini. Nonostante la quantità di persone e il caos del cambiamento, tutte le attività si svolsero in un silenzio inquietante, come se nessuno avesse voluto attirare l'attenzione su di sé.
Quando tutti si furono sistemati, mi trovai al piano di sopra insieme a Newt, Alby, Thomas e Minho. Finalmente riuscimmo a concludere la conversazione iniziata in cortile. Alby, Thomas e Minho stavano seduti su tre sedie davanti a me e Newt, che stavamo seduti sull'unico letto della stanza, la mia testa appoggiata alla sua spalla ed il suo braccio intorno alla mia vita. Gli unici altri mobili erano un comò di legno tutto sbilenco e un tavolo con una lampada accesa. La grigia oscurità dell'esterno sembrava premere contro la finestra, colma di promesse nefaste.
-Mai stati così vicini- stava dicendo Newt, aumentando la stretta sul mio fianco -a farla finita. Fancaspio a tutto e finire per dare il bacino della buonanotte a qualche Dolente. Provviste tagliate, cacchio di cielo grigio, muri che non si chiudono. Ma non possiamo mollare e lo sappiamo tutti. Gli stronzi che ci hanno mandato qui ci vogliono morti, oppure ci stanno dando una spinta perché facciamo qualcosa. Nell'uno e nell'altro caso, dobbiamo farci il culo finché non saremo morti. O no?-
Annuii, ma non dissi nulla. Ero assolutamente d'accordo, ma non avevo idee concrete sul da farsi. Se solo fossimo riusciti ad arrivare all'indomani, forse avrei potuto tirar fuori qualcosa di utile.
Lanciai un'occhiata ad Alby, che stava fissando il pavimento, apparentemente perso nei suoi stessi pensieri cupi. In viso aveva ancora quell'espressione triste e stanca, depressa, gli occhi infossati e persi. La Mutazione aveva un nome appropriato, considerato come l'aveva ridotto.
-Alby?- chiese Newt. -Vuoi intervenire anche tu?-
Il ragazzo più grande sollevò lo sguardo con un'espressione sorpresa, come se non si fosse reso conto che nella stanza c'erano anche altre persone. -Eh? Oh. Sì. Bene così. Ma avete visto cosa succede, la notte. Solo perché questi Fagi i fottuti eroi ce l'hanno fatta, non significa che possiamo farcela anche noialtri.-
Roteai appena gli occhi, rivolta a Minho. Ero stufa dell'atteggiamento di Alby.
Se Minho si sentiva nello stesso modo, fu molto bravo a nasconderlo. -Sono d'accordo con Newt e Anna. Dobbiamo smetterla di lamentarci e dispiacerci per la nostra situazione.- Si strofinò le mani e si sporse in avanti. -Domani mattina, come prima cosa potrete formare delle squadre che studino le Mappe a tempo pieno mentre i Velocisti escono nel Labirinto. Ci caricheremo gli zaini come il caspio, in modo da poter rimanere fuori qualche giorno.-
-Cosa?- domandò Alby, con voce che finalmente mostrava un po' di emozione. -Che vuoi dire con qualche giorno?-
-Voglio dire qualche giorno. Tante, con le Porte aperte e senza tramonto, non c'è bisogno di tornare qui. È ora di rimanere fuori e vedere se quando si muovono i muri si apre qualcosa. Sempre che si muovano ancora.-
-Non esiste.- disse Alby. -Abbiamo il Casolare per nasconderci... E se non funziona, ci sono la Stanza delle Mappe e la Gattabuia. Non possiamo chiedere alla fottuta gente di uscire e andare lì a morire, Minho! Chi si offrirebbe volontario per una prova simile?-
-Io,- disse il Velocista -Thomas e Anna.- annuii.
-È escluso.- ci voltammo tutti verso Newt. -Lei non ci va.-
-Ma smettila.- esordì l'Intendente. -È abbastanza grande da fare le sue scelte. So che ti preoccupati e basta, ma se la caverà.-
Anche se mi spaventata a morte, esplorare il Labirinto, esplorarlo davvero, era qualcosa che desideravo fare dalla prima volta che mi avevano parlato in quel luogo.
-Allora lo farò anch'io.- disse il biondo, sorprendendomi. Anche se non ne avrei mai parlato, l'andatura zoppicante di Newt era un ricordo costante dell'orrenda esperienza avuta nel Labirinto. -E sono certo che lo faranno tutti i Velocisti.-
-Tu, con la tua gamba scassata?- domandò Alby, lasciandosi sfuggire un'aspra risata.
Newt, e inevitabilmente io, si accigliò e abbassò lo sguardo. -Beh, non me la sento di chiedere ai Radurai di impegnarsi in qualcosa che non ho un cacchio di voglia di fare io stesso.-
-Vabbè. Fate quel che vi pare.- sospirò il primo in comando.
-Quel che mi pare?- domandò Newt, alzandosi in piedi. -Ma che hai, amico? Mi stai dicendo che abbiamo scelta, forse? Dovremmo starcene qui con le chiappe in poltrona ad aspettare che i Dolenti vengano a farci fuori?-
Avrei voluto alzarmi ad applaudire. Ero certa che Alby sarebbe riuscito a superare il suo umore nero.
Invece, il capo non aveva per niente l'aria di uno che si sentisse sgridato, o neanche minimamente pentito. -Beh, mi pare meglio che essere noi a correre incontro ai Dolenti.-
Newt si rimise a sedere al mio fianco, stringendomi nuovamente a sé. -Alby. Devi rimetterti e ragionare.-
Per quanto odiassi ammetterlo, sapevo che, se volevamo ottenere qualcosa, avevamo bisogno di Alby. Per i Radurai era la guida.
Finalmente il ragazzo fece un respiro profondo e poi ci guardò, uno alla volta. -Ragazzi, sapete che sono andato, ormai. Sul serio, mi... Mi dispiace. Non dovrei essere più io lo stupido capo.-
-Oh, cacchio di...- esordì Newt.
-No!- gridò Alby. Sul suo viso, ora, si leggevano resa e umiltà. -Non è questo che intendevo. Ascoltatemi. Non sto dicendo che dovremmo fare cambio e sploff del genere. Sto solo dicendo... Che penso che le decisioni le dobbiate prendere voi. Non mi fido più di me stesso. Quindi... Sì, farò qualunque cosa.-
Vidi bene che Minho e Newt erano entrambi sorpresi quanto me.
-Oh... Okay.- disse  il biondo, piano. Come se non ne fosse sicuro. -Faremo in modo che funzioni, te lo prometto. Vedrai.-
-Sì.- borbottò Alby. Dopo una lunga pausa, alzò la voce. Nel suo tono c'era un'ombra di strana eccitazione. -Ehi, vi dico una cosa. Incaricatemi delle Mappe. Sfinirò ogni fottuto Raduraio a furia di fargli studiare quelle cose.-
-Per me va bene.- disse Minho. 
-Sapete, venire a dormire qui stanotte è stato davvero da stupidi. Dovremmo essere al lavoro nella Stanza delle Mappe.- Alby si mise a sedere più dritto.
Pensai che fosse la cosa più intelligente che avessi sentito dire dal ragazzo da un pezzo.
Minho si strinse nelle spalle. -Probabilmente hai ragione.-
-Beh... Io vado.- disse Alby, con un cenno di assenso pieno di sicurezza. -Ora.-
Newt scosse la testa. -Scordatelo, amico. Abbiamo già sentito i gemiti dei cacchio di Dolenti, là fuori. Possiamo aspettare fino alla sveglia.-
Alby si chinò in avanti, puntando i gomiti sulle ginocchia. -Ehi, siete voi le teste di caspio che mi hanno riempito di discorsi di incoraggiamento. Non mettetevi a frignare adesso che vi ho dato retta. Se devo compiere questa impresa lo farò, sarò l'Alby di prima. Mi serve qualcosa a cui dedicarmi anima e corpo.-
Mi sentii piena di sollievo. Ero stanca di tutte queste dispute.
Il ragazzo più grande si alzò. -Dico sul serio. Ho bisogno di farlo.- si avvicinò alla porta della stanza, seriamente intenzionato ad andarsene.
-Non puoi dire sul serio.-  disse Thomas. -Non puoi uscire ora!-
-Vado e basta.- Alby estrasse dalla tasca il mazzo di chiavi e lo fece tintinnare con aria di scherno. Non riuscivo a credere a questo coraggio improvviso.
-Non puoi fare sul serio.- disse Newt.
-Ci vediamo domani mattina, facce di caspio.-
Poi se ne andò.
Era strano sapere che la notte era sempre più fonda, che il buio avrebbe dovuto inghiottire il mondo intero intorno a noi, eppure vedere solo quella luce grigia e pallida all'esterno. Mi sentivo sottosopra, come se il bisogno di dormire, che si faceva sentire più intensamente a ogni minuto che passava, fosse in qualche modo innaturale. Il tempo rallentò fino a strisciare in modo straziante. Sembrava che l'indomani non sarebbe mai arrivato. 
Gli altri Radurai si sistemarono per la notte, avvolgendosi nelle coperte e appoggiandosi ai cuscini nel tentativo impossibile di dormire. Nessuno disse molto. L'atmosfera era cupa, triste. Si sentivano solo mormorii e fruscii sommessi.
Cercai con tutte le mie forze di costringermi a dormire, sperando che, se ci fossi riuscita, il tempo sarebbe passato prima. Ma dopo due ore, ancora niente. Ero sdraiata sul pavimento di una delle stanze al piano superiore, sopra una spessa coperta, ammassata insieme a diversi altri Radurai, quasi appiccicati l'uno all'altro. Il letto era stato assegnato a Newt, il quale l'aveva ceduto per un piccolo e scomodo spazio al mio fianco.
Chuck era finito in un'alta stanza e per qualche ragione me lo immaginavo rannicchiato in un angolo buio a piangere, stringendosi al petto le coperte come fossero un orsacchiotto. Quest'immagine mi intristì tanto che cercai di sostituirla con qualcos'altro, ma invano. 
Quasi tutti avevano al proprio fianco una torcia per le emergenze. Newt aveva ordinato che fossero spente tutte le luci. Rimase solo il bagliore pallido e lugubre del nuovo cielo: non avrebbe avuto senso attirare più attenzione del necessario. Qualunque cosa potesse essere fatta in così poco tempo per prepararsi a un attacco dei Dolenti era stata fatta. Le finestre erano state sbarrate, i mobili accatastati davanti alle porte, i coltelli distribuiti come armi...
Ma niente di tutto ciò mi dava l'impressione di essere al sicuro.
L'angoscia per quanto sarebbe potuto accadere mi stava sopraffacendo, come una coperta soffocante che, intessuta di paura e disperazione, cominciava a vivere di vita propria. Mi veniva quasi da sperare che quegli stronzi venissero a prendermi e a farla finita. L'attesa era insostenibile.
I lamenti lontani dei Dolenti si fecero più vicini con l'inoltrarsi della notte. Ogni minuto sembrava durare più a lungo di quello che lo aveva preceduto.
Passò un'altra ora. Poi un'altra. Finalmente arrivò il sonno, ma a sprazzi penosi. Pensai che dovevano essere circa le due del mattino quando, per la milionesima volta, mi girai da supina a prona. Mi misi le mani sotto il mento e rimasi a fissare i piedi del letto, quasi un'ombra nella luce fioca.
Poi tutto cambiò.
Da fuori arrivò un'ondata di rumori metallici, seguita dai familiari schiocchi che annunciavano il rotolare di un Dolente sul pavimento di pietra. Era come se qualcuno avesse sparso in giro una manciata di chiodi. Balzai in piedi, coma la maggior parte degli altri ragazzi.
Tuttavia, prima di chiunque altro si era alzato Newt, agitando le braccia e mettendo a tacere la stanza portandosi un dito alle labbra. Senza appoggiarsi sulla gamba zoppa, si avvicinò all'unica finestra della stanza in punta di piedi. Era coperta di assi inchiodate in fretta e furia. Grosse fessure lasciavano molto spazio per sbirciare fuori. Newt si sporse a guardare con cautela ed io lo raggiunsi in silenzio.
Mi accovacciai accanto al biondo contro una delle assi di legno inchiodate più in basso, premendo gli occhi contro una fessura. Era spaventoso trovarsi così vicino al muro. Vidi soltanto lo spazio vuoto della Radura: non c'era abbastanza posto per guardare in su, in giù o di fianco, ma solo dritto davanti a sé. Dopo un paio di minuti, smisi e mi voltai, mettendomi a sedere con la schiena al muro. Newt si allontanò e tornò a sedersi accanto a me.
Passarono alcuni minuti. Vari suoni provenienti dai Dolenti penetravano nelle pareti ogni dieci o al massino venti secondi. Lo stridore dei motorini seguito dallo sferragliare metallico. Gli schiocchi delle punte che sfregavano contro la pietra dura. Cose che scattavano, si aprivano e scattavano ancora. Sobbalzavo per la paura ogni volta che sentivo qualcosa; le braccia di Newt mi rassicuravano, ma non mi impedivano di essere terrorizzata. 
Sembrava che all'esterno ce ne fossero tre o quattro. Come minimo.
La bocca mi si seccò. Li avevo incontrati faccia a faccia e me li ricordavo fin troppo bene. Dovetti costringermi a continuare a respirare. Nella stanza, gli altri erano immobili e nessuno fiatava. La paura sembrava aleggiare nell'aria come una bufera di neve.
Dai rumori sapevo che uno dei Dolenti si stava muovendo in direzione della casa. Poi gli schiocchi delle punte sulla pietra si trasformarono all'improvviso in un suono più profondo e cupo. Riuscivo a immaginarmi la scena: le punte metalliche della creatura che si conficcavano nei fianchi di legno del Casolare, l'enorme bestia che si appallottolava per rotolare su per il muro verso la stanza, sfidando la gravità con la forza del suo corpo. Udii le punte dei Dolenti fare a brandelli il legno che trovavano sul loro cammino: distruggevano, ruotavano su di sé e andavano di nuovo all'attacco. Tutto l'edificio rabbrividì.
Affondai il volto nel petto di Newt, mentre quest'ultimo rinforzava la stretta sulla mia vita, annullando la distanza fra di noi. Era spaventoso. Si fecero più forti, più vicini. Gli altri ragazzi si erano spostati dall'altra parte della stanza, il più lontano possibile dalla finestra, come avevamo fatto noi ormai da un pezzo.
Proprio quando divenne insopportabile, nel momento in cui mi resi conto che il Dolente era lì, fuori dalla finestra, calò il silenzio. Riuscivo quasi a sentire il battito del mio cuore.
All'esterno le luci tremolavano, lanciando strani bagliori attraverso le fessure tra le assi di legno. Poi un'ombra sottile li interruppe, spostandosi avanti e indietro. Pochi secondi dopo, la creatura scomparve e la luce si stabilizzò, proiettandosi nella stanza in tre fasci immobili e abbaglianti.
La tensione nell'aria era palpabile. Non riuscivo a sentire respirare nessuno. Pensai che probabilmente, nelle altre stanze del Casolare, stava succedendo la stessa cosa. 
All'improvviso si aprì la porta che dava sul corridoio. Sussulti e grida eruppero nella stanza: ci attendevamo che qualcosa arrivasse dalla finestra, non da dietro le spalle. Mi voltai per vedere chi avesse aperto la porta, aspettandomi di scorgere Chuck, spaventato, o magari Alby che aveva ripensato alla sua decisione. Ma quando vidi chi c'era in piedi davanti a noi, ebbi l'impressione che il cranio mi si contraesse, premendo sul cervello per lo shock.
Era Wes.
I suoi occhi traboccavano di un folle furore. Gli abiti erano sporchi e laceri. Cadde in ginocchio e rimase lì, con il petto che si sollevava respirando profondamente, ansando. Si guardò intorno come un cane rabbioso in cerca di qualcuno da mordere. Nessuno disse una parola. Era come se tutti credessero, compresa me, che Wes fosse solo il prodotto della loro immaginazione.
-Vi uccideranno!- sbraitò il ragazzo, schizzando bava dappertutto. -I Dolenti vi uccideranno tutti... Una notte dopo l'altra, fino alla fine!-
Senza parole, osservai Wes rialzarsi barcollando e poi avanzare, trascinandosi dietro la gamba destra. Zoppicava molto. Nella stanza nessuno mosse un muscolo. Tutti rimanemmo a guardare, chiaramente troppo scioccati per fare qualcosa. Perfino Newt era rimasto a bocca aperta. Avevo quasi più paura di quel nostro ospite inatteso che non dei Dolenti appena fuori dalla finestra.
Wes si fermò a poca distanza da me e Newt, proprio di fronte a noi. Poi mi indicò con l'indice insanguinato.
-Tu.- disse con un ghigno tanto esagerato da andare oltre il ridicolo. Era inquietante. -È tutta colpa tua!- Senza perdere tempo, fece oscillare la mano sinistra, la chiuse a pugno e me la scagliò contro, colpendomi all'orecchio. Con un grido, mi accasciai a terra, più per la sorpresa che per il dolore. Appena toccai il pavimento, mi rimisi svelta a quattro zampe.
Finalmente Newt aveva abbandonato lo stordimento iniziale e aveva spinto via Wes, che inciampò all'indietro e crollò contro la scrivania accanto alla finestra. La lampada cadde dal fianco e andò in frantumi sul pavimento. Mi aspettavo che il ragazzo rendesse la pariglia, ma invece quello si raddrizzò e passò in rassegna tutti i presenti con lo sguardo da pazzo.
-Non è possibile risolverlo.- disse ora con voce calma e distante, spettrale. -Quel Labirinto del caspio vi ucciderà tutti, pive... I Dolenti vi uccideranno... Uno ogni notte, fino alla fine... Io... Così è meglio...- I suoi occhi si abbassarono sul pavimento. -Ne uccideranno solo uno ogni notte... Le loro stupide Variabili...-
Ascoltai, sconvolta, cercando di reprimere la paura per memorizzare tutto ciò che stava dicendo il ragazzo impazzito.
Newt fece un passo avanti. -Wes, chiudi quel buco del cacchio. C'è un Dolente appena fuori dalla finestra. Poggia le chiappe a terra e sta' zitto... Forse se ne andrà.-
Wes sollevò lo sguardo e strinse le palpebre. -Non ci arrivi, Newt. Sei troppo stupido... Sei sempre stato troppo stupido. Non c'è modo di uscire... Non c'è modo di vincere! Vi uccideranno, tutti... Uno alla volta!-
Gridando forte l'ultima parola, Wes si scagliò verso la finestra e cominciò a fare a pezzi le assi di legno, come un animale selvaggio che cerca di fuggire da una gabbia. Prima che io o chiunque altro potesse reagire, aveva già divelto una tavola e l'aveva gettata a terra.
-No!- gridammo io e Newt, correndo entrambi verso di lui. 
Wes strappò via un'altra asse proprio nel momento in cui lo raggiungemmo. La fece oscillare all'indietro con ambedue le mani e per poco non ci prese in testa.
-Wes!- strillai. -Che diavolo stai facendo!-
Il ragazzo sputò a terra, ansimando come un cane sfiatato. -Chiudi quella bocca di caspio, Anna. Taci, capito? So chi sei, ma non mi interessa più. Faccio solo quel che è giusto fare.-
Ero completamente sbalordita dalle parole di Wes. Lo guardai allungare le braccia e staccare l'ultima tavola di legno dalla finestra. Nell'istante in cui l'asse cadde sul pavimento della stanza, il vetro della finestra esplose verso l'interno come uno sciame di vespe di cristallo. Mi coprii il viso e caddi a terra, affiancata da Newt, scalciando per allontanarmi il più possibile. Quando andai a sbattere contro il letto, mi tirai su e sollevai lo sguardo, pronta ad affrontare la fine del mondo.
Il corpo gibboso e pulsante di un Dolente si era mezzo schiacciato nello spazio della finestra distrutta. Bracci metallici armati di tenaglie schioccavano e artigliavano da tutte le parti. Ero talmente terrorizzata che non mi resi conto che tutti gli altri ragazzi erano fuggiti in corridoio, tranne Newt.
Paralizzata, osservai uno dei lunghi bracci della creatura allungarsi verso il biondo.
Poi Wes parlò di nuovo. Il Dolente ritrasse il braccio, come se per osservare e ascoltare occorresse fermare quel suo arto. Ma il corpo continuò a dimenarsi per schiacciarsi abbastanza da entrare.
-Nessuno ha mai capito!- urlò il ragazzo, sovrastando l'orrendo rumore del mostro che, facendo a pezzi il muro, entrava sempre di più nel Casolare. -Nessuno ha mai capito ciò che ho visto, ciò che mi ha fatto la Mutazione! Non tornare al mondo reale, Anna! È meglio... Non... Ricordare!-
Wes mi rivolse una lunga occhiata spiritata, con occhi pieni di terrore. Poi si voltò e si lanciò sul corpo fremente del Dolente. Strillai. Vidi ogni braccio teso del mostro ritrarsi all'istante e afferrare le braccia e le gambe del ragazzo, rendendogli impossibile la fuga o la salvezza. Il corpo del ragazzo affondò di diversi centimetri nella carne molliccia della creatura, con un orrido tonfo umidiccio. Poi il Dolente arretrò dalla cornice distrutta della finestra a velocità sorprendente e cominciò a scendere verso terra.
Corsi verso i bordi frastagliati della voragine aperta, abbassando lo sguardo appena in tempo per vedere il Dolente che atterrava e che prendeva a correre attraverso la Radura, con il corpo di Wes che appariva e scompariva mentre la bestia rotolava. Uscì attraverso la pietra della Porta Occidentale, verso le profondità del Labirinto. Poi, pochi secondi dopo, diversi altri mostri seguirono il compagno, ronzando e schioccando, come a festeggiare la vittoria.
Sentii salire la nausea e fui quasi sul punto di vomitare. Cominciai a indietreggiare dalla finestra, ma qualcosa, all'esterno, catturò la mia attenzione. Mi sporsi svelta dal davanzale per vedere meglio. Una sagoma solitaria stava correndo all'impazzata attraverso il cortile, verso l'uscita da cui avevano appena portato via Wes.
Nonostante la luce scarsa, capii immediatamente di chi si trattava. Gridai, gli urlai contro di fermarsi, ma era troppo tardi.
Correndo a perdifiato, Minho scomparve nel Labirinto.

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Capitolo 22
*** L'Intuizione ***


Le luci si accesero di colpo in tutto il Casolare. I Radurai presero a sciamare dappertutto, parlando tutti insieme. Qualcuno piangeva in un angolo. Il caos regnava sovrano.
Li ignorai.
Corsi in corridoio e poi balzai giù per le scale, scendendo tre gradini alla volta. Mi feci strada a spintoni nella folla nell'atrio, uscii dall'edificio e corsi verso la Porta Occidentale, accelerando più che potei. Mi bloccai appena fuori dalla soglia del Labirinto: l'istinto mi costrinse a pensarci due volte prima di entrare. Newt mi stava chiamando da dietro, ritardando la mia decisione.
-Minho l'ha seguito lì dentro!- gridai quando il ragazzo mi raggiunse, premendo un piccolo asciugamano sulla testa. Una chiazza di sangue era filtrata attraverso la spugna bianca.
-Ma che caspio ti è successo?- mi precipitai verso di lui, cercando di esaminare la ferita.
-Wes.- disse soltanto. -Mi ha preso con la trave.- aggiunse dopo.
-Pensavo l'avessi schivata. Devi farti medicare.- gli scostai i capelli attaccati alla fronte. 
-Lo so. Caspio se fa male.- disse Newt, afferrandomi la mano e stringendola nella sua. -Minho deve essersi fritto gli ultimi neuroni rimasti... Per non parlare di Wes. L'ho sempre saputo che era pazzo.-
-Gli vado dietro.- la mia preoccupazione per il Velocista cresceva ad ogni secondo, in conflitto con la voglia di non lasciare Newt senza assicurarmi che stesse bene.
-No. Non fare ancora l'eroina.-
Ferita dal rimprovero, lanciai un'occhiata tagliente al ragazzo. -Pensi che faccia queste cose per impressionare voi pive? Ma per favore. A me importa solo di andarmene da qui.-
-Adesso abbiamo altri problemi da risolvere.- 
-Perché Newt? Perché non vuoi che vada nel Labirinto?- gli chiesi esasperata del suo comportamento iperprotettivo nei miei confronti.
-Perché ti amo Anna, dannazione, e non posso vivere senza di te! Per favore, per favore non andare.- la sua era una supplica.
-Tu...- annaspai. -Davvero tu...?-
-Ehi!- ci voltammo nell'udire la voce di Minho, il quale aveva appena svoltato un angolo e stava venendo dritto verso di noi. Newt si mise le mani a coppa intorno alla bocca. -Che stavi facendo, idiota?-
Il ragazzo aspettò finché non ebbe attraversato la Porta, poi si piegò, con le mani sulle ginocchia, e respirò un po' prima di rispondere.
-Volevo... Solo... Esserne certo.-
-Di cosa?- chiese il biondo. -Ci saresti molto utile se ti prendessero come hanno fatto con Wes.-
Il Velocista si raddrizzò e si mise le mani sulle anche, con il respiro affannoso. -Taglia corto! Volevo solo vedere se andavano verso la Scarpata. Verso la Tana dei Dolenti.-
-E?- dissi, ancora sconvolta dalle parole di Newt.
-Bingo.- Minho si asciugò il sudore dalla fronte.
-Non riesco a crederci.- disse il secondo in comando, quasi in un sussurro. -Che notte.-
I miei pensieri provarono ad andare alla Tana e al suo possibile significato, ma la mia mente riandò inevitabilmente ai problemi più grandi che avevamo, come li aveva definiti Newt. -Che stavi per dire?- gli domandai. -Hai detto che avevamo cose peggiori...-
-Già.- il biondo puntò il pollice oltre la spalla. -Si vede ancora il fottuto fumo.-
Seguii la direzione indicata da Newt. La pesante porta di metallo della Stanza delle Mappe era leggermente socchiusa. Dall'apertura, fili di fumo nero salivano piano verso il grigiore del cielo.
-Qualcuno ha bruciato i bauli con le Mappe.- disse. -Dal primo all'ultimo.-
Per qualche ragione non mi importava granché delle Mappe: in ogni caso, mi erano parse inutili. Poi mi ricordai delle parole del ragazzo: "Il Labirinto è un codice." E se le Mappe fossero stati indizi? Se tutto fosse andato perduto?
Corremmo verso la Stanza delle Mappe e la sua densa nuvola di vapore. Mi sentivo pungere le viscere come da tanti aghi. Se avevo ragione, se eravamo stati a un soffio dal trovare qualche indizio per uscire da questo posto, solo per vederlo andare letteralmente in fumo... Questa cosa mi faceva tanta rabbia da farmi provare dolore, anche fisicamente.
La prima cosa che vidi quando raggiunsi la Stanza fu un gruppo di Radurai assembrato appena fuori dalla grossa porta d'acciaio, che era ancora socchiusa e aveva il bordo esterno annerito dalla fuliggine. Tuttavia, avvicinandomi, mi resi conto che erano disposti in cerchio intorno a qualcosa che stava per terra e che tutti stavano guardando. Newt andò dritto al centro, chinandosi su un corpo. Minho e io lo seguimmo e ci mettemmo alle sue spalle.
Era Alby, disteso sulla schiena con un enorme squarcio nella fronte. Il sangue gli stava colando da entrambi i lati della testa. Ne era finito un po' anche negli occhi e vi si era incrostato. Newt aveva iniziato a ripulirlo con uno straccio bagnato, cauto, sussurrandogli domande a voce troppo bassa perché potessimo sentirle. Mi voltai verso Minho e gli chiesi: -Che è successo?-
-L'ha trovato Winston qui fuori, mezzo morto, mentre la Stanza delle Mappe andava a fuoco. Alcuni pive sono venuti qui a spegnerlo, ma ormai era troppo tardi. Tutti i bauli sono stati fottutamente carbonizzati. All'inizio ho sospettato di Alby, ma chiunque sia stato gli ha fatto sbattere la caspio di testa contro il tavolo... Si vede dove. Brutta roba.- a rispondermi fu Thomas, che si era fatto strada tra la folla.
-Chi pensi sia stato?- esitavo a rivelare la possibile scoperta che avevo fatto. Senza Mappe era tutto inutile.
Al posto del ragazzo, rispose Minho. -Forse Wes, prima di venire nel Casolare e dare fuori di matto? Forse i Dolenti? Non lo so e non me ne frega niente. Non importa.-
Fui sorpresa da quell'improvviso cambiamento di umore. -Perché molli il colpo?-
La testa dell'Intendente scattò in su tanto in fretta che feci un passo indietro. Vidi nel suo sguardo un barlume di rabbia, che però si dissolse presto in una strana espressione di sorpresa e confusione. -Non intendevo quello, Anna.-
Strinsi le palpebre, incuriosita. -E cosa...-
-Per adesso zitta.- Minho si portò un dito alle labbra, guardandosi intorno svelto per vedere se qualcuno lo stesse guardando. -Zitta. Lo scoprirai molto presto.-
Inspirai profondamente e riflettei. Se mi aspettavo che gli altri ragazzi fossero onesti con me, dovevo esserlo a mia volta. Decisi che sarebbe stato bene rivelare la faccenda del possibile codice del Labirinto, Mappe o non Mappe. -Minho, devo spiegare qualcosa a te e a Newt. Ho un'idea... Forse può ancora funzionare, se ci sono abbastanza Velocisti che si ricordano delle proprie Mappe.-
Questa frase parve catturare l'attenzione del ragazzo. Tuttavia, ancora una volta colsi quella strana espressione che avevo già visto una volta, come se ci fosse qualcosa di molto ovvio che mi era sfuggito. -Un'idea? E quale?-
-Venite alla Gattabuia con me, tu e Newt. Lì potremmo parlare tranquillamente.- poi notai la perplessità dipinta sul volto di Thomas, e mi affrettai ad aggiungere: -E ovviamente Thomas.- lo vidi illuminarsi.
Minho rifletté per un istante. -Newt!- gridò.
-Sì?- il biondo si alzò, ripiegando lo straccio insanguinato in cerca di un punto pulito. Non potei fare a meno di notare che ogni centimetro di stoffa era zuppo di sangue.
Minho indicò Alby. -Lascia che se ne occupino i Medicali. Dobbiamo parlare.-
Newt gli rivolse un'occhiata interrogativa, poi passò lo straccio al Raduraio più vicino. -Va' a cercare Clint... Digli che abbiamo problemi peggiori di qualche stronzo che si è preso una scheggia.- Quando il ragazzo corse via per eseguire l'ordine, Newt si allontanò da Alby. -Parlare di cosa?-
Minho fece un cenno diretto verso di me, ma non disse nulla.
-Venite con me e basta.- dissi. Poi mi voltai e mi incamminai verso la Gattabuia, senza aspettare una risposta. 
-Che c'è di così importante?- chiese Minho, appoggiandosi alla porta del piccolo edificio. 
Rivolsi la mia attenzione ai tre ragazzi di fronte a me. -Okay. Quando un ragazzo ha iniziato a parlarmi, storia lunga, ehm...- mi interruppi, guardandoli e restando sorpresa della calma sui loro volti. -... Più avanti mi ha detto che il Labirinto è un codice. Così ho pensato, che forse, anziché risolverlo per trovare un'uscita, dobbiamo considerare che stia cercando di trasmetterci un messaggio.-
-Un codice?- chiese Thomas. -Come fa a essere un codice?-
Scossi la testa. Mi sarebbe piaciuto essere in grado di rispondere. -Non lo so per certo... Tu conosci le Mappe molto meglio di me. Ma ho una teoria. È per questo motivo che speravo che voialtri ve ne ricordaste alcune.-
Minho lanciò un'occhiata a Newt, tenendo le sopracciglia alzate con fare interrogativo. Newt annuì.
-Cosa?- domandai, stufa di vedere che mi venivano nascoste delle informazioni. -Continuate a comportarvi come se aveste dei segreti.-
L'Intendente si strofinò gli occhi con entrambe le mani e fece un respiro profondo. -Le Mappe le abbiamo nascoste, Anna.-
All'inizio non capii. -Eh?- guardai Thomas, che teneva lo sguardo basso, complice anche lui dei due ragazzi.
Minho indicò il Casolare. -Abbiamo nascosto le fottute Mappe nella stanza delle armi, sostituendole con delle cartacce. A causa dell'avvertimento di Alby. E a causa della cosiddetta Fine innescata dai Creatori.-
Fui tanto eccitata da questa notizia da dimenticarmi per un attimo di quanto fosse tremenda la situazione. Mi ricordai di quando Minho, il giorno prima, si era comportato in modo strano e aveva detto di avere un compito speciale da svolgere. 
-Glielo hai detto...- Lanciai un'occhiata a Newt, che annuì.
-Sono tutte sane e salve.- disse Thomas. -Dalla prima all'ultima, quelle stronze. Quindi, se hai una teoria, vedi di parlare.-
-Portatemi a vederle.- dissi, che non ne potevo più dalla voglia di esaminarle.
-Okay, andiamo.-

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Capitolo 23
*** Il Codice ***


Minho accese la luce, costringendomi a strizzare gli occhi finché non mi fui abituata. Ombre minacciose accompagnavano le casse colme di armi sparse sul tavolo e sul pavimento: coltelli, bastoni e altri aggeggi dall'aria dannosa che sembravano attendere lì, pronti a prendere vita e a uccidere la prima persona abbastanza stupida da avvicinarsi troppo. L'odore di muffa e umidità accresceva l'atmosfera spettrale della stanza.
-Qui dentro c'è un ripostiglio nascosto.- spiegò l'Intendente, oltrepassando alcuni scaffali per recarsi in un angolo buio. -Lo sanno solo alcuni.-
Sentii lo scricchiolio di una vecchia anta di legno e poi Minho trascinò una scatola di cartone sul pavimento. Grattava come un coltello che sfrega sulla pietra. -Ho messo il contenuto di ogni baule in una scatola separata. Otto scatole in totale. Tutte qui dentro.-
-Questa qual è?- chiesi. Mi inginocchiai accanto alla scatola, impaziente di cominciare. 
-Apri e guarda... Ogni pagina è contrassegnata dal numero, ti ricordi?-
Tirai i lembi incrociati che chiudevano la scatola per aprirla. Le Mappe della Sezione due erano davanti ai miei occhi, in un mucchio disordinato. Allungai il braccio e ne tirai fuori una pila.
-Okay.- dissi. -I Velocisti hanno sempre confrontato queste Mappe giorno per giorno, in cerca di uno schema che in qualche modo li aiutasse a trovare una via d'uscita. Tu hai detto addirittura di non sapere davvero cosa stavate cercando, ma che continuavate a studiarle comunque. Giusto?-
Minho annuì, con le braccia conserte. Aveva l'aria di uno a cui stanno per rivelare il segreto dell'immortalità. 
-Bene,- proseguii -e che ne direste se tutti i movimenti dei muri non avessero niente a che vedere con una mappa o un labirinto o roba del genere? Se invece lo schema servisse a comunicare delle parole? Una specie di indizio per aiutarci a fuggire.-
Minho indicò le Mappe nelle mia mani, lasciandosi sfuggire un sospiro di frustrazione. -Anna, hai idea di quanto abbia studiato questa roba? Non pensi che me ne sarei accorto, se avessero sillabato delle fottute parole?-
-Forse è troppo difficile vederle a occhio nudo, semplicemente confrontando ogni giorno con quello seguente. E magari non bisognava confrontare i giorni con quelli successivi, ma guardare tutto un giorno alla volta?-
Il primo Velocista rise. -Anna, io non sarò il ragazzo più intelligente della Radura, ma la mia impressione è che tu stia parlando direttamente con il culo.-
-Non è una grande cavolata.- fece un passo avanti Thomas, che fino ad allora era rimasto in silenzio accanto a Newt.
Mentre spiegavo, la mia mente aveva preso a correre anche di più. La risposta ormai era qui, alla mia portata. Sapevo di esserci quasi arrivata. Solo che era difficilissimo tradurla in parole.
-Okay, okay.- dissi, ricominciando daccapo. -Ogni Velocista è sempre stato assegnato a una Sezione precisa, giusto?-
-Giusto.- rispose Newt. Sembrava genuinamente interessato e pronto a capire.
-E quel Velocista traccia una Mappa ogni giorno e la confronta con le Mappe dei giorni precedenti per quella Sezione. E se invece le otto Sezioni andassero confrontate l'una all'altra ogni giorno? Se ogni giorno fosse un indizio o un codice a sé stante? Avete mai confrontato le Sezioni tra loro?-
Minho si strofinò il mento, annuendo. -Sì, una specie. Abbiamo provato a vedere se succedeva qualcosa mettendole insieme... Ovvio che l'abbiamo fatto. Abbiamo provato tutto.-
Ripiegai le gambe, esaminando le Mappe che avevo in grembo. Dalla pagina che avevo in mano riuscivo a scorgere le linee del Labirinto tracciate sulla pagina sotto. In quell'istante capii cosa dovevamo fare. Sollevai lo sguardo verso gli altri.
-Carta oleata.-
-Eh?- chiese Thomas. -Che diavolo...-
-Fidatevi e basta. Ci servono carta oleata e forbici. E tutte le matite e i pennarelli che riuscite a trovare.-
Frypan non era troppo felice di vedersi portare via una scatola intera di rotoli di carta oleata, soprattutto considerando il fatto che gli approvvigionamenti erano stati tagliati. Disse che era una delle cose che aveva sempre richiesto, che gli serviva per cuocere i cibi al forno. Alla fine, per convincerlo a cedere, dovemmo spiegargli a cosa serviva.
Dopo dieci minuti passati a caccia di matite e pennarelli, mi sedetti al tavolo nella cantina delle armi assieme a Newt, Minho e Thomas. Non avevamo trovato forbici, così presi il coltello più affilato che riuscii a trovare.
-Mi auguro che funzioni.- disse Minho. C'era un tono di avvertimento nella sua voce, ma il suo sguardo mostrava interesse.
Newt si chinò in avanti, con i gomiti sul tavolo, come in attesa di un gioco di prestigio. -Dai, Anna.-
-Okay.- ero impaziente di cominciare, ma temevo anche che il mio tentativo sarebbe finito in niente. Gli sorrisi, poi diedi il coltello a Minho e indicai la carta oleata. -Comincia a tagliare dei rettangoli grandi all'incirca quanto le Mappe. Newt e Thomas, voi potete aiutarmi a prendere le prime dieci Mappe dalle scatole di ciascuna Sezione.-
-Cos'è, l'ora di disegno dei bambini?- Minho sollevò il coltello e lo guardò con sguardo schifato. -Perché non ci spieghi per quale sploff di motivo stiamo facendo questa roba e basta?- 
-Ho finito di spiegare.- risposi. Sapevo che dovevano semplicemente vedere ciò che io immaginavo in questo momento. Mi alzai per andare a frugare nel ripostiglio. -Sarà più facile farvelo vedere. Se mi sbaglio, mi sbaglio, e allora potremo tornare a correre nel Labirinto come topi.-
Minho sospirò, evidentemente irritato, e poi borbottò qualcosa sottovoce. Fino a questo momento Newt non aveva parlato molto, ma poi disse: -Penso di aver capito cosa stai facendo. In effetti sei molto più intelligente di quanto avevamo già visto.-
Rimasi lusingata dal complimento del ragazzo, ma feci del mio meglio per non farlo notare.
-Newt.- lo chiamai. -Mi aiuteresti per favore?- Feci cenno verso il ripostiglio.
Insieme entrammo nella stanzetta polverosa e aprimmo tutte le scatole, prelevando una piletta di Mappe da ciascuna. Quando tornai al tavolo, vidi che Minho aveva già ritagliato venti fogli, impilandoli disordinatamente al suo fianco e gettando ogni nuovo rettangolo in cima al mucchio.
Mi sedetti e ne afferrai alcuni. Sollevai uno dei fogli e lo misi in controluce. Vidi che brillava di una specie di bagliore lattescente. Era esattamente ciò che mi serviva.
Presi un pennarello. -Va bene, adesso tutti tracceremmo gli ultimi dieci giorni su un pezzo di questa roba. Ricordatevi di segnare le informazioni in cima, in modo che sappiamo di cosa si tratta. Quando avremo finito credo che vedremo qualcosa.-
-Cosa...- cominciò Minho.
-Continua a tagliare, cacchio.- ordinò Newt. Fui sollevata di vedere l'appoggio di qualcuno.
Ci mettemmo al lavoro, disegnando sulla carta oleata dal modello delle Mappe originali, una alla volta, cercando di tracciare linee pulite e precise ma nello stesso tempo mettendocela tutta per fare in fretta. Usai il fianco di un'asse che avevo trovato come righello provvisorio, riuscendo così a tracciare linee dritte. Presto completai cinque Mappe e poi altre cinque. Stavamo tenendo il passo, lavorando a ritmo febbrile.
Disegnando, cominciai a sentir salire il panico, una sensazione nauseante che mi diceva che stavamo solo sprecando tempo. Ma Newt, seduto accanto a me, era il ritratto della concentrazione. Disegnava linee che salivano e scendevano o che andavano da una parte all'altra, con la lingua ferma all'angolo della bocca. 
Scatola dopo scatola, Sezione dopo Sezione, continuammo a lavorare.
-Ne ho abbastanza.- disse infine Minho, interrompendo il silenzio. -Mi bruciano le dita, cacchio. Vediamo se funziona.-
Posai il pennarello e poi sgranchii le dita, sperando che il mio intuito non mi avesse ingannato. -Okay, datemi gli ultimi giorni di ciascuna Sezione... Fate dei mucchi sul tavolo, in ordine dalla Sezione uno alla Sezione otto. La uno qui- indicai un'estremità del tavolo -e la otto qui.- Indicai l'altra estremità.
In silenzio i ragazzi ubbidirono, passando in rassegna il nostro operato finché sul tavolo non furono allineate otto piccole pile di fogli.
Nervosa e impaziente, raccolsi una pagina da ogni pila, assicurandomi che tutte appartenessero allo stesso giorno e tenendole in ordine. Poi le posai una sull'altra, in modo che ciascun disegno del Labirinto corrispondesse allo stesso giorno sia sopra che sotto, in modo da arrivare a vedere otto diverse Sezioni nello stesso tempo. Ciò che vidi mi strabiliò. Quasi magicamente, come una foto che viene messa a fuoco, si sviluppò un'immagine. Thomas, dietro di me, si lasciò sfuggire un piccolo sussulto.
Le linee si incrociavano su e giù, talmente tanto che ciò che avevo in mano sembrava una griglia a scacchi. Però, alcune linee al centro, linee che si dava il caso comparissero più spesso di altre, componevano un'immagine leggermente più scura del resto. Era appena accennata, ma era lì. Non c'era dubbio.
Nel centro esatto della pagina c'era la lettera F.
Provai un'ondata di emozioni diverse: sollievo perché la mia idea aveva funzionato, sorpresa, eccitazione, meraviglia per ciò che poteva svelare.
-Ragazzi.- disse Minho, riassumendo i miei sentimenti con quell'unica parola. 
-Potrebbe essere una coincidenza.- disse Thomas. -Facciamone altri, presto.-
Mi misi al lavoro, unendo le otto pagine di ciascun giorno, in ordine dalla Sezione uno alla otto. Ogni volta, una lettera si formava chiaramente al centro della massa di linee incrociate. Dopo la F venne una L, poi una U, poi due T, un'altra U e una A. Poi P... I... G... L.
-Guardate.- dissi, indicando la riga di pile di carta che avevamo formato, confusa ma felice che le lettere si vedessero tanto chiaramente. -Dice FLUTTUA e poi PIGL.-
-Fluttua pigl?- chiese Newt. -Non mi sembra un cacchio di codice di salvataggio.- 
-Dobbiamo solo continuare a lavorare.- dissi.
Dopo qualche altra combinazione ci rendemmo conto che la seconda parola, in effetti, era PIGLIA. FLUTTUA e PIGLIA.
-È chiaro che non è una coincidenza.- disse Minho.
-No. Chiaro.- concordai. Non vedevo l'ora di leggere il resto.
Thomas indicò il ripostiglio. -Dobbiamo controllarle tutte... Tutte le scatole che ci sono lì dentro.-
-Già.- annuii. -Diamoci dentro.-
-Non possiamo aiutarvi.- disse Minho.
Tutti e tre ci voltammo a guardarlo, ma lui ci restituì uno sguardo altrettanto intenso. -Almeno non io, Thomas ed Anna. Dobbiamo far uscire i Velocisti nel Labirinto.-
-Cosa?- domandai. -Questo è molto più importante!-
-Forse.- rispose l'Intendente, calmo. -Ma non possiamo saltare un giorno lì fuori. Non ora.-
Provai un senso di delusione. Correre nel Labirinto mi sembrava un enorme spreco di tempo quando potevamo continuare a decifrare il codice. -Perché, Minho? Hai detto che lo schema si è sempre ripetuto per mesi... Un giorno in più non significherà nulla.-
Minho sbatté la mano sul tavolo. -Stronzate, Anna! Di tutti i giorni, questo potrebbe essere il più importante per uscire. Potrebbe essere cambiato oppure essersi aperto qualcosa. A dire il vero, con quei cacchio di muri che non si chiudono più, credo che dovremmo tentare la nostra idea... Rimanere fuori per la notte ed esplorare più a fondo.-
L'idea stuzzicò il mio interesse perché quella era una cosa che avevo sempre voluto fare. Indecisa, chiesi: -Ma che si fa del codice? Che...-
-Anna.- disse Newt in tono rassegnato. -Sono il primo a non volere che tu vada, ma Minho ha ragione. Voi uscite e mettetevi a correre. Io radunerò dei Radurai fidati e continueremo a lavorare su questa roba.- In questo momento Newt sembrò essere il capo come mai prima.
-Bene così.- Minho annuì e si voltò per andare. -Tutto benissimo. Muoviamoci.- Si avviò, ma si fermò quando si rese conto che non ero dietro di lui. 
-Non preoccuparti, Anna.- disse Newt, vendendo verso di me e mettendosi in ginocchio, prendendo le mie mani tre le sue. -Ce la caveremo. Tu va e sii prudente.-
In questo momento, mi sentii attraversare la mente da un milione di pensieri. L'ansia di conoscere il codice, l'imbarazzo per ciò che pensavano gli altri di me e Newt, la fascinazione per ciò che avrei potuto scoprire nel Labirinto. E poi paura.
Ma cancellai ogni sensazione. -Torno prima che posso.- gli lasciai un bacio sulla fronte e seguii Minho e Thomas, ed insieme salimmo le scale.
Aiutai a chiamare i Velocisti per dare loro la notizia e organizzarli per il grande viaggio che li attendeva. Fui sorpresa di vedere che erano tutti d'accordo sul fatto che fosse ora di esplorare più a fondo il Labirinto e rimanerci per la notte. Anche se ero nervosa e spaventata, dissi a Minho di potermi occupare di una Sezione da sola, ma l'Intendente rifiutò. Per quello avevamo otto Velocisti esperti. Sarei andata con lui, il che mi fece sentire tanto sollevata che quasi me ne vergognai. 
Io ed il ragazzo riempimmo gli zaini con più provviste del solito. Non sapevamo quanto saremmo rimasti nel Labirinto. Nonostante la paura, non potei fare a meno di sentirmi eccitata. Forse questo giorno avremmo trovato un'uscita.
Io e Minho stavamo stirando le gambe accanto alla Porta Occidentale quando Chuck venne a salutarci.
-Verrei con voi,- disse il ragazzino con voce fin troppo allegra -ma non voglio morire di una morte orribile.-
Risi, sorprendendomi della mia stessa reazione. -Grazie per le parole di incoraggiamento.-
-Fate attenzione.- disse Chuck, il cui tono ora era divenuto sinceramente preoccupato. -Mi piacerebbe potervi aiutare.-
Ne fui commossa. Scommettevo che, se se ne fosse presentata la necessità, il ragazzino sarebbe veramente uscito nel Labirinto. -Grazie, Chuck. Faremo attenzione, davvero.-
Minho grugnì. -Fare attenzione non ci serve a niente. Adesso è prendere o lasciare, piccolo.-
-Faremo meglio ad andare.- dissi. Mi sentivo lo stomaco in subbuglio e volevo semplicemente muovermi per smettere di pensarci. Dopotutto, uscire nel Labirinto non era peggio di rimanere nella Radura con le Porte aperte. Anche se il pensiero non mi fece sentire granché meglio.
-Sì.- disse l'Intendente in tono piatto. -Andiamo.-
-Beh,- disse Chuck, abbassando lo sguardo sui suoi piedi prima di tornare a guardarmi -buona fortuna. Però non sperare che consolerò il tuo ragazzo se si sentirà solo.- 
Roteai gli occhi. -Bene così.-
-Wow.- disse il ragazzino. -Stai già parlando come Newt.- Era chiaro che stava cercando in tutti i modo di fingere di non essere terrorizzato dai recenti avvenimenti, ma i suoi occhi tradivano la verità. -Davvero, buona fortuna.- 
-Grazie. Lo apprezziamo molto.- rispose Minho, roteando gli occhi a sua volta. -Ci si vede, pive.-
-Già, ci si vede.- mormorò Chuck. Poi si voltò per allontanarsi. 
Provai una fitta di tristezza. Forse non avrei mai più rivisto Chuck, né Newt, né nessun altro. Fui colta da un improvviso senso di urgenza. -Non dimenticare la mia promessa!- strillai. -Ti riporterò a casa!-
Chuck si voltò e mi mostrò un pollice rivolto all'insù. I suoi occhi luccicavano per le lacrime. Girai su entrambi i pollici.
Ripensai al fatto che questa poteva essere l'ultima volta che ero nella Radura e non lo sopportai. -Scusa Minho, devo fare una cosa.- dissi iniziando a correre verso il Casolare.
-Ma dove vai?- mi urlò il ragazzo da dietro.
Quando feci irruzione nel ripostiglio, mi ritrovai gli occhi di cinque ragazzi puntati su di me, compresi quelli di Newt.
-Non eri partita?- mi chiese il biondo alzandosi.
-Devo prima parlarti.- feci una pausa, spostando il mio sguardo sui presenti. -In privato.- gli feci cenno verso la porta.
-Andiamo, allora.- mi seguì Newt. Lo portai alla Gattabuia, dove ero certa che non avrei trovato nessuno.
-Perché sei tornata indietro?- mi chiese sinceramente confuso.
-Perché ho capito quanto è breve la vita e perché ti meriti una risposta.- feci una passo verso di lui e gli presi le mani, stringendole. -Potrei non tornare...-
-Non dirlo neanche.- mi interruppe. 
-Ma è vero. Potrei essere attaccata da un Dolente e morire... Non vederti mai più...- non riuscii a trattenere un singhiozzo. -Se dovesse succedere, non voglio pentirmi di ciò che non ho detto.-
-Anna, non sei costretta.- mi accarezzò una guancia, asciugando le lacrime che vi scorrevano con il pollice.
-Voglio.- avvicinai il mio volto al suo, a separarci pochi centimetri. -Anch'io ti amo, Newt.- scandii ogni singola parola. Gli sorrisi, malgrado gli occhi appannati e il groppo che avevo alla gola. Lui continuò a guardarmi, gli occhi che si riflettevano nei miei, le labbra leggermente incurvate all'insù.
-Perché mi fissi?- gli chiesi.
-Beh, vedi... Hai questi due luminosi occhi azzurri e dei bellissimi capelli castani. Oh, e hai il più bel sorriso che abbia mai visto.- disse dopo qualche secondo. -Ed amo quando dici il mio nome, ma soprattutto adoro quando lo accosti a quelle poche parole.- arrossii alle sue parole. -Sei bella quando arrossisci... In realtà, sei bella tutto il tempo...- 
-Adesso devo andare.- lo abbracciai di slancio e lo strinsi forte. 
-Ti amo.- mi sussurrò all'orecchio.
-Ti amo.- Poi, con un ultimo sguardo mi diressi in fretta dove avevo lasciato Minho, che era diventato scontroso e irritato tutt'a un tratto.
Poi io ed il ragazzo ci infilammo gli zaini in spalla ed entrammo nel Labirinto.

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Capitolo 24
*** Il Piano ***


Io e Minho non ci fermammo finché non ci trovammo a metà del percorso che portava all'ultimo vicolo cieco della Sezione otto. Ci avevamo messo poco e presto fu ovvio che i muri non si erano ancora mossi dal giorno precedente. Tutto era esattamente come prima. Non c'era bisogno di tracciare mappe o prendere appunti. Il nostro unico compito era arrivare alla fine e cominciare a tornare indietro, cercando dettagli che prima erano passati inosservati. Qualsiasi cosa. Minho autorizzò una pausa di venti minuti e poi ripartimmo. 
Corremmo in silenzio. Il Velocista mi aveva insegnato che parlare faceva solo sprecare energia, quindi mi concentrai sull'andatura e sulla respirazione. Regolare. Uniforme. Dentro, fuori. Dentro, fuori. Ci addentrammo nel Labirinto sempre di più, accompagnati solo dai nostri pensieri e dal suono dei piedi che battevano contro il duro pavimento di pietra. 
Due pause dopo, Minho finalmente rallentò fino a camminare. Stavamo percorrendo un lungo corridoio che terminava con un muro. Si fermò e si mise a sedere con la schiena appoggiata al vicolo cieco. In quel punto l'edera era particolarmente folta. Dava l'impressione che il mondo fosse verde e lussureggiante, nascondendo la pietra dura e impenetrabile.
Mi unii a Minho per terra e ci dedicammo al nostro frugale pranzo fatto di panini e fette di frutta.
-Tutto qui.- disse Minho, dopo il secondo boccone. -Abbiamo già attraversato di corsa tutta la sezione. Sorpresa, sorpresa: niente uscite.-
Lo sapevo già, ma sentirlo dire mi intristì ulteriormente. Senza altre parole, né da me né da Minho, finii di mangiare e mi preparai all'esplorazione. A cercare chissà cosa. Nelle ore successive, io ed il Velocista perlustrammo il terreno, tastammo i muri, ci arrampicammo sull'edera in alcuni punti a caso. Non trovammo nulla. Mi sentivo sempre più scoraggiata. L'unica cosa interessante era un altro di quegli strani cartelli che dicevano CATASTROFE ATTIVA TOTALMENTE: TEST INDICIZZATI VIOLENZA OSPITI. Minho non si prese nemmeno la briga di guardarlo due volte.
Mangiammo ancora, riprendemmo a cercare. Non scoprimmo nulla e stavo cominciando a prepararmi ad accettare l'inevitabile, cioè il fatto che in effetti non ci fosse nulla da scoprire. Quando si avvicinò l'ora in cui si sarebbero dovuti chiudere i muri, cominciai a cercare tracce dei Dolenti, raggelata dall'esitazione a ogni svolta. Io e Minho ci muovemmo sempre con i coltelli ben stretti in mano.
Tuttavia, non comparve niente praticamente fino a mezzanotte.
Minho intravide un Dolente che scompariva oltre un angolo, più avanti rispetto a noi, ma non tornò indietro. Mezz'ora dopo, ne vide uno fare esattamente la stessa cosa. Un'ora dopo, un Dolente si lanciò alla carica nel Labirinto, ma ci oltrepassò senza nemmeno fermarsi. Rischiai di accasciarmi a terra per lo spavento improvviso.
Io e Minho proseguimmo.
-Penso che stiano giocando con noi.- disse Minho, dopo un po'.
Mi resi conto di aver smesso di ispezionare i muri. Ormai stavo semplicemente camminando sulla via del ritorno alla Radura con fare depresso. Dall'atteggiamento di Minho sembrava che anche lui si sentisse nello stesso modo.
-Che vuoi dire?- gli chiesi.
L'Intendente sospirò. -Credo che i Creatori vogliano che sappiamo che non esiste un'uscita. Non si muovono neanche più i muri... È come se questa cosa fosse stata solo un gioco idiota e adesso sia ora che finisca. E secondo me vogliono che torniamo indietro per dirlo agli altri Radurai. Quanto scommetti che al nostro ritorno scopriremo che un Dolente ne ha preso uno proprio la notte scorsa? Credo che Wes avesse ragione. Continueranno semplicemente a ucciderci.-
Non risposi. Sentivo che ciò che diceva Minho era vero. Se prima, quando eravamo partiti, mi ero sentita piena di speranza, ormai l'avevo persa tutta da tempo.
-Andiamo a casa e basta.- disse Minho, con un tono esausto.
Odiavo ammettere la sconfitta, ma annuii. Ormai la nostra unica speranza sembrava il Codice e decisi che mi sarei concentrata su quello.
Io e Minho tornammo in silenzio alla Radura. Per tutta la strada non vedemmo neanche un Dolente. 
Secondo il mio orologio, quando io e il Velocista attraversammo la Porta Occidentale per rientrare nella Radura era più o meno metà mattina. Ero talmente stanca che avrei voluto sdraiarmi all'istante e farmi un pisolino. Eravamo rimasti nel Labirinto per circa ventiquattr'ore.
Sorprendentemente, nonostante la luce smorta e tutto il resto che stava cadendo a pezzi, la giornata nella Radura sembrava essersi avviata come sempre: gente che coltivava, potava, puliva. Non ci volle molto prima che alcuni dei ragazzi si accorgessero della nostra presenza. Andarono a chiamare Newt, che arrivò di corsa.
Quando ci raggiunse, gli saltai letteralmente addosso, felice che stesse bene. -Per fortuna sei sano e salvo.- sussurra, mentre allacciavo i piedi dietro la sua schiena. 
-Anche tu mi hai fatto preoccupare.- mi accarezzò la testa. -Siete i primi a tornare.- disse mentre mi rivolgeva un sorriso. -Che è successo?- L'espressione di speranza infantile che aveva dipinta in viso mi spezzò il cuore: era ovvio che pensava che avessimo scoperto qualcosa di importante. -Ditemi che avete delle buone notizie.- ci staccammo dal nostro abbraccio.
Lo sguardo di Minho era assente, perso in un punto da qualche parte nel vuoto grigio. -Niente- disse. -Il Labirinto è un grosso, fottuto scherzo.-
Newt mi guardò, confuso. -Di che sta parlando?-
-È solo che è scoraggiato.- dissi, stringendomi nelle spalle, stanca. -Non abbiamo trovato niente di diverso. I muri non si sono mossi, niente uscite, niente. Sono venuti i Dolenti, la scorsa notte?-
Newt fece una pausa e un'ombra gli attraversò il viso. Infine annuì. -Sì. Hanno preso Adam.-
Non conoscevo quel nome e mi sentii in colpa per quella mia assenza di emozioni. Anche questa volta solo una persona, pensai. Forse Wes aveva ragione.
Newt stava per dire qualcos'altro quando Minho scattò, facendomi sobbalzare.
-Non ne posso più!- Minho sputò in mezzo all'edera, con le vene del collo gonfie. -Non ne posso più! È finita! È tutto finito!- Si tolse lo zaino e lo scagliò per terra. -Non c'è un'uscita, non c'è mai stata e non ci sarà mai. Siamo tutti rincaspiati.-
Rimasi a guardarlo, con la gola secca. Minho se ne andò verso il Casolare con passo pesante. Era preoccupante: se Minho mollava il colpo, eravamo tutti in guai grossi.
Newt non disse una parola. Mi lasciò lì, in piedi, persa nel mio stesso stordimento. L'aria era offuscata dalla disperazione come dal fumo della Stanza delle Mappe. Una disperazione densa e acre.
Gli altri Velocisti rientrarono dopo meno di un'ora, e da quanto sentii nessuno aveva scoperto nulla, quindi alla fine tutti avevano rinunciato a loro volta. Ovunque, nella Radura, si vedevano facce incupite e la maggior parte dei lavoratori aveva abbandonato le occupazioni quotidiane.
Sapevo che ormai la nostra unica speranza era il codice del Labirinto. Doveva svelare qualcosa. Doveva farlo. Dopo aver vagato senza meta in giro per la Radura per sentire quanto avevano da raccontare gli altri Velocisti, uscii da quel mio stato confusionale grazie a Newt, che venne a cercarmi.
-Credo che abbiamo decifrato tutto il Codice.- mi disse, accendendo la mia curiosità. Lo seguii fino al Casolare in silenzio.
-Minho non si è ancora fatto vedere.- mi disse mentre scendevamo le scale verso la cantina. -Certe volte è uno stronzo di una testa calda.-
Ero sorpresa del fatto che Minho stesse sprecando tempo a immusonirsi, soprattutto con le possibilità che si aprivano grazie al Codice. Ma smisi di pensarci ed entrai nella cantina. Intorno al tavolo, in piedi, c'erano diversi Radurai che non conoscevo. Sembravano tutti esausti e avevano gli occhi infossati. Pile di Mappe erano sparse dappertutto, pavimento compreso. Sembrava che un tornado fosse arrivato proprio al centro della stanza.
Newt congedò gli aiutanti, che si trascinarono pesantemente su per le scale, qualcuno borbottando di aver fatto tutto quel lavoro per niente.
-Vieni a dare un'occhiata.- mi disse il ragazzo. -Se riesci a capire che significa, mi inginocchio e ti bacio quei cacchio di piedi.- aggiunse poi ridendo.
Mi avvicinai a lui, impaziente di vedere cosa era saltato fuori. Il biondo mi tese il foglio, con le sopracciglia sollevate.
-Non c'è dubbio che sia corretto.- disse. -Solo che non abbiamo idea di cosa significhi.-
Presi il foglio e lo scorsi in fretta. Sul lato sinistro c'erano dei cerchietti numerati da uno a sei. Accanto a ciascuno di essi c'era una parola scritta a chiare lettere in stampatello.
FLUTTUA
PIGLIA
SANGUINA
MORTE
RIGIDO
PREMI
Tutto qui. Sei parole.
Mi sentii prendere dalla delusione: prima ero certa che, una volta decifrato, lo scopo del codice si sarebbe rivelato ovvio. Sollevai lo sguardo verso Newt, scoraggiata. -Tutto qui? Sei sicuro che siano nell'ordine giusto?-
Newt riprese in mano il foglio. -Il Labirinto ripete queste parole da mesi... abbiamo smesso quando ne siamo stati sicuri. Ogni volta, dopo la parola PREMI, c'è un'intera settimana in cui non compare nessuna lettera. Poi si ricomincia daccapo con FLUTTUA. Quindi abbiamo immaginato che fosse la prima parola e che l'ordine fosse questo.-
Incrociai le braccia e mi appoggiai agli scaffali accanto al ragazzo. Senza pensarci, avevo memorizzato le sei parole, me le ero impresse nella mente. Fluttua. Piglia. Sanguina. Morte. Rigido. Premi. Non sembravano promettere bene.
-Che allegria, eh?- disse Newt, rispecchiando i miei pensieri alla perfezione.
-Già- ribattei, con un gemito di frustrazione. -Dobbiamo far scendere Minho... magari lui sa qualcosa che noi non sappiamo. Se solo avessimo più indizi...- Impietrii, colpita da un improvviso capogiro. Se non fossi stata appoggiata agli scaffali, sarei caduta a terra. Mi era appena venuta in mente un'idea. Un'idea orribile, terribile, tremenda. L'idea peggiore in tutta la storia delle idee orribili, terribili e tremende.
Tuttavia, l'istinto mi diceva che avevo ragione. Era una cosa che dovevo fare.
-Anna?- disse Newt, avvicinandomisi con un'espressione preoccupata a corrugargli la fronte. -Che ti succede? Sei appena sbiancata come un fantasma.-
Scossi la testa, rimettendomi in sesto. -Oh... niente. Mi fanno male gli occhi... Credo di aver bisogno di dormire.- Mi strofinai le tempie per apparire più convincente. Continuò a guardarmi con sguardo preoccupato. -Dico davvero, sono stanca. Ho solo bisogno di riposare.-
-Beh.- disse Newt, tendendo una mano per stringermi una spalla. -Hai passato tutta la notte nel Labirinto, cacchio. Volevo passare un po' di tempo con te, ma è meglio se vai a farti un pisolino. Verrò a trovarti tra un po'.-
Lo guardai. Volevo spiegargli la mia idea, ma poi decisi di non farlo, sicura che si sarebbe apposto. -D'accordo. A dopo.- Dissi e mi incamminai verso le scale.
Tuttavia, ora avevo un piano. Era brutto, ma era un piano.
Avevamo bisogno di maggiori indizi per decifrare il codice. Avevamo bisogno di ricordi. Quindi mi sarei fatta pungere da un Dolente. Avrei subito la Mutazione. Di proposito.

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Capitolo 25
*** L'Oblio ***


Per il resto della giornata, mi rifiutai di parlare a chiunque.
Newt ci provò diverse volte. Ma io continuai a dirgli che non mi sentivo bene, che volevo stare sola a dormire nel mio rifugio dietro alla foresta, magari passare del tempo a riflettere. A cercare di stanare nella mia mente qualche segreto che ci avrebbe aiutati a capire cosa fare.
Ma la verità era che mi stavo preparando psicologicamente ad affrontare ciò che avevo in programma per questa sera, convincendomi che fosse la cosa giusta da fare. L'unica cosa da fare. Inoltre ero terrorizzata e non volevo che gli altri se ne accorgessero.
Alla fine, quando il mio orologio mi disse che era arrivata la sera, andai al Casolare con tutti gli altri. Non mi ero neanche accorta di avere fame, e quando cominciai a mangiare la cena frettolosa che aveva preparato Frypan, biscotti e minestra ai pomodori, me ne resi conto appena.
Poi arrivò il momento di passare un'altra notte insonne.
I Costruttori avevano inchiodato nuove assi alle aperture lasciate dai mostri che avevano portato via Wes e Adam. Il risultato finale sembrava un lavoro fatto da una squadra di ubriachi, ma era abbastanza solido. Newt e Alby, che finalmente si era ripreso abbastanza da tornare a camminare, con la testa ancora ben fasciata, insisterono perché ogni notte venisse fatta una rotazione dei posti letto.
Andai a finire nel grande soggiorno al pianterreno del Casolare, insieme alle stesse persone con cui avevo dormito due notti prima. Presto il silenzio calò sulla stanza, anche se non sapevo se fosse perché i ragazzi fossero davvero addormentati o semplicemente spaventati, presi a sperare in silenzio, contro ogni probabilità, che questa notte i Dolenti non sarebbero tornati. Newt era ancora una volta vicino a me, avvolto in due coperte. Volevo rimanere tutto il tempo che potevo al suo fianco, anche se il mio corpo aveva un disperato bisogno di sonno.
Ci provai, provai con tutte le mie forze a tenere gli occhi chiusi, a costringermi a rilassarmi contro il corpo caldo ed accogliente del ragazzo. Ma non ebbi fortuna. La notte, trascinandosi, si fece più fonda e sentivo l'attesa pesarmi sul petto.
Poi, proprio come ci aspettavamo tutti, giunsero i tormentosi suoni meccanici dei Dolenti all'esterno. Il momento era arrivato.
Tutti ci ammassammo contro il muro più lontano dalle finestre, facendo del nostro meglio per rimanere in silenzio. Mi accoccolai in un angolo accanto a Newt, che mi cingeva le spalle con un braccio; mi strinsi le ginocchia con le braccia, gli occhi fissi sulla finestra. La terribile decisione che avevo preso mi stringeva il cuore come un pugno d'acciaio. Ma sapevo che tutto poteva dipendere dalle mie azioni.
La tensione stava salendo costantemente nella stanza. I Radurai erano muti, non si muoveva una mosca. Nella casa echeggiò il rumore distante del metallo che grattava contro il legno. Mi sembrava che un Dolente si stesse arrampicando sul retro del Casolare, dalla parte opposta rispetto a quella in cui ci trovavamo noi. Pochi secondi dopo udimmo altri rumori da tutte le direzioni; il più vicino arrivava da appena fuori la nostra finestra. L'aria della stanza parve congelarsi e farsi ghiaccio compatto e mi premetti i pugni sugli occhi. L'attesa dell'attacco mi stava uccidendo.
-Tranquilla.- sussurrò Newt, vedendo la mia agitazione. -Non ti succederà niente. Te lo prometto.- gli feci un sorriso forzato.
Un'esplosione fragorosa di legno squarciato e vetri rotti tuonò da qualche punto del piano di sopra, scuotendo l'intero edificio. Mi sentii come intontita e udii salire diverse urla, seguite da uno scalpiccio di piedi in fuga. Poderosi scricchiolii e gemiti annunciarono il fatto che un'intera orda di Radurai era corsa al primo piano. 
-Ha preso Dave!- gridò qualcuno con voce resa stridula dal terrore.
Nella stanza dove ero, nessuno mosse un muscolo. Sapevo che probabilmente ciascuno si stava sentendo in colpa per il proprio sollievo: almeno non era toccato a noi. Forse saremmo stati al sicuro per un'altra notte. Per due notti di seguito era stato preso solo un ragazzo alla volta e le persone avevano cominciato a credere che quanto aveva detto Wes fosse vero.
Sobbalzai al frastuono spaventoso che udimmo proprio fuori dalla nostra porta, accompagnato da urla e dal rumore di legna che va in frantumi, come se qualche mostro dalle mandibole d'acciaio stesse mangiando l'intera scalinata. Un secondo dopo sentimmo un'altra esplosione di legna distrutta: la porta d'ingresso. Il Dolente aveva attraversato la casa e ora se ne stava andando.
La paura mi squarciò il petto. Dovevo cogliere quest'attimo o mai più.
Mi voltai verso Newt e gli presi il volto tra le mani. -Mi dispiace, ma devo farlo. Ti amo.- detto questo balzai in piedi e corsi verso la porta, spalancandola con violenza. Sentii il ragazzo grudare, ma lo ignorai e corsi giù per il corridoio, scansando e saltando sopra a centinaia di schegge di legno. Vidi che dove un tempo si trovava la porta d'ingresso, in questo momento c'era un buco dalla forma irregolare che si apriva sulla notte grigia. Mi misi a correre in quella direzione e poi uscii nella Radura.
-Anna!- sentii gridare Minho. -Che stai facendo?-
Lo ignorai. Continuai semplicemente a correre. 
Il Dolente che aveva preso Dave, un ragazzo con cui non avevo mai parlato, stava rotolando sulle punte verso la Porta Occidentale, ronzando e dimenandosi. Gli altri Dolenti si erano già riuniti nel cortile e stavano seguendo il compagno verso il Labirinto. Senza esitare, sapendo che gli altri avrebbero pensato che stessi cercando di suicidarmi, corsi verso i Dolenti fino a trovarmi in mezzo al branco. Colti di sorpresa, le creature esitarono. 
Balzai su quello che aveva con sé il ragazzo e cercai di liberarne il corpo con uno strattone, sperando in una vendetta del mostro. 
Tre dei Dolenti mi furono addosso all'improvviso, tutti insieme, con pinze e artigli che volavano da ogni direzione possibile. Battei le braccia e le gambe, respingendo gli orribili bracci metallici e scalciando contro la massa tumida e pulsante della carne dei Dolenti. Volevo solo che mi pungessero, non che mi uccidessero come Dave. L'attacco incessante della creatura si fece più intenso e sentii il dolore invadere ogni centimetro del mio corpo: le punture di spillo mi dissero che ce l'avevo fatta. Strillando, presi di nuovo a scalciare, a spingere e a dibattermi, scagliandomi a terra, rotolando, cercando di sfuggire ai mostri. Lottando, piena di adrenalina, riuscii infine a trovare un'apertura in cui rialzarmi e mi misi a correre con tutte le mie forze.
Non appena fui sfuggita alla portata degli strumenti dei Dolenti, le creature rinunciarono a inseguirmi e si ritirarono, scomparendo nel Labirinto. Crollai a terra, gemendo per il dolore.
Nel giro di un secondo arrivò Newt, immediatamente seguito da Chuck, Minho e parecchi altri. Il biondo mi prese in braccio e mi sollevò, tenendomi stretta a sé.
Sentii il mondo vorticarmi intorno, mi sentii delirare e riempire di nausea. Fui trasportata attraverso il cortile, poi attraverso la porta di ingresso del Casolare e lungo il corridoio semidistrutto. Fui messa in una stanza, su un divano. Il mondo continuò a contorcersi e a oscillare. 
-Ma che stavi facendo?- mi sbraitò in faccia Newt, in volto un'espressione sofferente.
Dovevo parlare prima di spengermi nell'oscurità. -No... Newt... Non capisci...-
-Zitta!- gridò il ragazzo. -Non sprecare energie!- sentivo la sua voce inclinarsi ad ogni parola che pronunciava.
Mi accorsi che qualcuno mi stava esaminando le braccia e le gambe, alzandomi di poco i vestiti per vedere che danni ci fossero. Sentii la voce di Chuck e non riuscii a fare a meno di sentirmi sollevata del fatto che il mio amico stesse bene. Un Medicale disse qualcosa tipo che ero stata punta dozzine di volte.
Newt era accanto a me e mi stava accarezzando la fronte, scostando i capelli che vi si erano attaccati. -Perché, Anna? Perché l'hai fatto?-
-Perché...- non avevo abbastanza forza.
Qualcuno urlò che gli fosse portato il DoloSiero. Un minuto dopo, mi sentii pungere un braccio. Da questo punto un calore si irradiò per tutto il mio corpo, tranquillizzandomi e diminuendo il dolore. Ma sembrava ancora che il mondo si stesse accartocciando e capii che nel giro di pochi secondi non avrei visto più niente.
La stanza prese a girare, i colori a confondersi gli uni con gli altri, vorticando sempre più forte. Mi ci volle tutto lo sforzo di cui ero capace, ma prima che le tenebre mi inghiottissero definitivamente dissi un'ultima cosa.
-Non preoccuparti.- sussurrai, sperando che riuscisse a sentirmi. -L'ho fatto apposta...-
Nel corso della Mutazione, persi la cognizione del tempo.
Cominciò in modo simile al mio primo ricordo della Scatola: buio e freddo. Ma questa volta non avevo l'impressione di nulla che toccasse i miei piedi o il mio corpo. Stavo galleggiando nel vuoto, fissando un abisso nero. Non vedevo niente, non udivo niente, non sentivo alcun odore. Era come se qualcuno mi avesse rubato tutti e cinque i sensi e mi avesse abbandonato in un vuoto.
Il tempo passava lento. La paura si trasformò in curiosità e poi in noia.
Infine, dopo un'attesa interminabile, le cose cominciarono a cambiare.
Si levò un vento distante, che non riuscivo a sentire sul corpo, ma che udivo con le orecchie. Poi, in lontananza, apparve una nebbia candida e vorticante, un tornado instancabile di fumo che formava una lunga nube, che si estendeva tanto da rendermi impossibile vedere l'inizio o la fine della spirale bianca. Allora sentii addosso anche i venti, che attirarono il ciclone in modo da spostarsi oltre, alle mie spalle, tirandomi i capelli come fossero bandiere lacere travolte da una tempesta. 
La torre di nebbia spessa cominciò a spostarsi verso di me, o forse ero io a muovermi verso la torre; non riuscivo a capirlo. La mia velocità stava aumentando in modo preoccupante. Pochi secondi prima avevo potuto vedere la sagoma distinta della nube, mentre in questo momento riuscivo a scorgere solo una grande distesa bianca.
Poi la nebbia mi fu addosso. Sentii che mi ghermiva la testa, e che i ricordi mi inondavano i pensieri.
Tutto il resto si trasformò in dolore.

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Capitolo 26
*** Il Risveglio ***


-Anna.-
La voce era lontana, un mormorio, come un'eco in una lunga galleria.
-Anna, riesci a sentirmi?-
Non avevo voglia di rispondere. La mia mente si era chiusa nel momento in cui il dolore era diventato insopportabile. Se mi fossi concessa di rinvenire, avevo paura che sarebbe tornato. Percepii la luce oltre le palpebre chiuse, ma sapevo che aprirle sarebbe stato intollerabile. Non feci niente.
-Anna, sono Chuck. Stai bene? Ti prego, non morire.-
Tutto mi tornò in mente di botto. La Radura, i Dolenti, gli aghi che mi avevano punto, la Mutazione. Ricordi. L'enigma del Labirinto non poteva essere risolto. La nostra unica via d'uscita era qualcosa che non ci saremmo mai aspettati. Qualcosa di terrificante. Mi sentii opprimere dalla disperazione.
Con un gemito mi costrinsi ad aprire gli occhi, strizzando le palpebre prima di farlo. Il volto tozzo e grassoccio di Chuck era lì e mi stava fissando con occhi impauriti. Ma poi quegli occhi si accesero e sul viso si aprì un sorriso. Nonostante tutto, nonostante fosse una situazione tremendamente merdosa, Chuck sorrise.
-È sveglia!- gridò il ragazzo, senza rivolgersi a nessuno in particolare. -Anna si è svegliata!-
Il volume esagerato della sua voce mi fece fare una smorfia, richiudendo gli occhi. -Chuck, devi proprio gridare? Non mi sento tanto bene.-
-Mi dispiace... Solo che sono contento che tu sia viva. Sei fortunata che non ti stampi in faccia un bel bacio.-
-Non farlo, per favore, Chuck.- riaprii gli occhi e mi costrinsi a mettermi seduta nel letto in cui mi avevano disteso, appoggiando la schiena al muro e stirando le gambe. Mi facevano male sia i muscoli che le articolazioni. -Quanto è durata?- domandai.
-Tre giorni.- rispose il ragazzo. -Di notte ti abbiamo messo nella Gattabuia per tenerti al sicuro, mentre di giorno ti riportavamo qui. Newt non ti ha lasciato sola neanche un secondo, che fosse giorno o notte. Non ha chiuso occhio, poverino; ha sopportato perfino le tue urla isteriche.- 
-Dov'è ora?- chiesi guardandomi in torno e provando un senso di dispiacere nel sapere che Newt aveva dovuto vedere tutto.
-Alby l'ha spedito a farsi una pausa, ma tornerà presto. Sai, ti abbiamo dato per morta almeno trenta volte da quando è iniziata. Invece guardati... Sembri nuova di zecca!-
Potevo solo immaginare che aspetto da straccio avessi. -Sono venuti i Dolenti?-
La gioia di Chuck si dissolse visibilmente. I suoi occhi si abbassarono sul pavimento. -Sì... Hanno preso Zart e altri due. Uno per ogni notte. Minho e i Velocisti hanno ispezionato il Labirinto, cercando di trovare un'uscita o qualche utilizzo per quello stupido codice che avete tirato fuori voi. Però niente. Perché pensi che i Dolenti prendano solo un pive alla volta?-
Ebbi il voltastomaco: ora conoscevo la risposta esatta a questa domanda, e anche ad alcune altre. Abbastanza da capire che certe volte sapere le cose è un bello schifo.
-Chiama Newt e Alby.- dissi infine, come risposta. -Di' loro che dobbiamo indire un'Adunanza. Il più presto possibile.-
-Dici sul serio?- 
Sospirai. -Chuck, sono uscita adesso dalla Mutazione. Secondo te dico sul serio o no?-
Senza dire un'altra parola, il ragazzo balzò in piedi e si diresse verso la porta. Quando fu quasi fuori, lo richiamai: -Chuck!- si voltò nella mia direzione. -Puoi dire a Newt di venire?- lo supplicai. Non vedevo l'ora di rivederlo.
Chuck annuì, per poi correre fuori dalla stanza. Lo sentii chiamare il secondo in comando, sempre più in lontananza.
Chiusi gli occhi e appoggiai la testa al muro. Li riaprii solo quando sentii dei passi frettolosi per le scale, per poi veder entrare Newt di gran carriera. 
Gli sorrisi, così da rassicurarlo sul fatto che stessi bene. Mi sorrise a sua volta, ma sul suo viso notai due profonde occhiaie sotto gli occhi. Mi venne incontro e mi abbracciò delicatamente, come se fossi un vaso di cristallo.
-Questa è stata proprio da stupida, Anna. Proprio proprio da stupida.- mormorò sedendosi sul letto.
-Ho dovuto farlo.- risposi.
-In questi ultimi giorni ti ho odiato, sai. Ti saresti dovuta vedere. La pelle, le vene...- 
-Mi dispiace che tu abbia visto. Non avrei mai voluto...- 
-Ma sappiamo entrambi che non ti avrei mai lasciato da sola.- mi interruppe. -Come ti senti?- mi accarezzò la guancia destra.
-Guarda come ti sei ridotto.- sviai la domanda. Allungai una mano verso il suo volto, passando l'indice sopra i due solchi. -Non avresti dovuto.-
-Tu non avresti dovuto. Mi hai fatto stare così in pensiero, tutte quelle urla...- chiuse gli occhi per qualche secondo, probabilmente per cercare di scacciare il brutto ricordo degli ultimi tre giorni. -Vederti contorcerti in quel modo... Non è stato per niente piacevole.- 
Mi guardai le braccia, ricercando qualche segno della Mutazione, ma notai solo che il mio consueto pallore si era accentuato. Poi, il mio sguardo cadde sugli abiti che indossavo, un paio di jeans e una maglietta blu: erano diversi da quelli di tre giorni fa. Osservai Newt con sguardo interrogativo. 
-Erano ridotti a brandelli,- si giustificò il ragazzo -e il modo in cui i Medicali ti guardavano e ti toccavano non mi piaceva affatto.- si mise a braccia conserte, un'espressione accigliata e mortificata in volto. 
-Ma chi...?- non volevo finire quella domanda, era troppo imbarazzante.
-Se ti può far piacere ho cercato di guardare il meno possibile.- rise sotto i baffi. -Però resto pur sempre un uomo, quindi potrei non essermi impegnato molto...-
-Tu...- annaspai. -No!- presi il cuscino e glielo tirai addosso. Era da giorni che non ridevo e gliene fui grata, perché finalmente riuscii a respirare davvero. Libera.
Poi tornò serio. -So perché l'hai fatto. Che ricordi hai, ora? Qualcosa che ci possa aiutare?- chiese.
-Ho fatto delle cose brutte, Newt.-
-Non sei cattiva, questo è certo.- disse convinto delle sue parole. -Hai scoperto qualcosa che ci possa aiutare ad andarcene di qui?- domandò di nuovo, come se non volesse sapere quale fosse stata la mia parte in tutta questa storia. -Lo scopo del codice?-
Tacqui. Non era ancora davvero arrivato il momento di parlarne. Non lo avrei fatto prima di aver riordinato perbene le idee. La nostra unica possibilità di fuga poteva essere il desiderio di morire. -Dobbiamo fare un'Adunanza.-
Nessuno dei due disse nulla per un po', mentre tra le nostre menti fluttuava un senso di disperazione.
-Newt?- dissi alla fine.
-Sì?- mi prese la mano che era accanto alla sua.
-L'enigma del Labirinto non può essere risolto.- gliela strinsi, facendogli sentire il mio sostegno.
Prima di rispondere, fece una lunga pausa. -Penso che ormai lo sappiamo tutti.-
Odiavo il dolore che sentivo nella sua voce. -Non preoccuparti, però. I Creatori volevano comunque che riuscissimo a fuggire. Ho un piano.- volevo dargli un po' di speranza, per quanto flebile.
-Oh, davvero.- nei suoi occhi si accese una scintilla.
-Sì. È terribile ed alcuni di noi potrebbero morire. Ti ispira?- provai a scherzarci su.
-Alla grande. Che roba è?- mi chiese, prendendola sul ridere anche lui.
-Dobbiamo...- 
Prima che potessi finire, Minho entrò nella stanza e ci interruppe. Lanciai uno sguardo a Newt, per concludere in fretta la nostra conversazione.
Il Velocista si era avvicinato al letto e si era seduto su una sedia lì vicino. -Anna... Quasi non sembri malata.-
Annuii. -Ho un po' di nausea, ma tolta quella sto bene. Pensavo che sarebbe stato molto peggio.-
Il ragazzo scosse la testa, con un'espressione che mescolava rabbia e una specie di ammirazione. -Quel che hai fatto è stato per metà stupido, caspio. Sembra che tu sia proprio brava in queste cose.- Si interruppe e scosse la testa di nuovo. -Allora, cosa ricordi?- 
-Dobbiamo indire un'Adunanza.- dissi, spostando le gambe per mettermi più comoda. Sorprendentemente, non sentivo molto dolore. Più che altro ero intontita. -Prima che cominci a dimenticarmi una parte di questa roba.-
-Sì, Chuck me l'ha detto... La faremo, Alby ha dato il via libero. Ma perché? Che hai scoperto?-
-È una prova, ragazzi... Tutta questa roba è una prova.- dissi rivolta ai due.
Minho annuì. -Tipo un esperimento.-
Feci di no con la testa. -No, non ci arrivi. Ci stanno eliminando per vedere se molliamo, vogliono capire chi sono i migliori tra di noi. Ci propongono delle Variabili per cercare di farci cedere. Stanno mettendo alla prova la nostra capacità di sperare e combattere. Mandarmi qui e far finire tutto era solo l'ultima parte, un ulteriore... Esame finale. Adesso è arrivato il momento dell'ultima prova. La fuga.-
La fronte di Minho si aggrottò. Era confuso. -Che vuoi dire? Conosci un modo di andarcene?-
-Sì. Facciamo quest'Adunanza. Ora.-

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Capitolo 27
*** Ricordi ***


Un'ora dopo, ero seduta di fronte agli Intendenti per l'Adunanza, proprio come era successo una o due settimane prima. 
-Va bene, Fagiolina.- disse Alby, che si era accomodato al centro del semicerchio di sedie accanto a Newt. Il suo aspetto era molto migliorato rispetto ai giorni precedenti. Le altre sedie erano tutte occupate tranne due, un chiaro promemoria del fatto che Zart e Wes erano stati presi dai Dolenti. -Lascia stare la sploff tipo menare il can per l'aia. Parla.-
Ancora un po' nauseata dalla Mutazione, mi costrinsi a prendermi un secondo per prepararmi a parlare con loro. Avevo molto da dire, ma volevo essere certa che il mio discorso sembrasse il meno stupido possibile. 
-È una lunga storia.- esordii. -Non abbiamo tempo di stare a dirla tutta, ma vi racconterò l'essenziale. Quando ho subito la Mutazione, ho visto balenare delle immagini, a centinaia, come una proiezione accelerata di diapositive. Ne ho viste moltissime, ma solo alcune sono abbastanza chiare da poterne parlare. Altre cose sono svanite o stanno svanendo.- Feci una pausa, raccogliendo i pensieri per l'ultima volta. -Ma me ne ricordo abbastanza. I Creatori ci stanno mettendo alla prova. Il Labirinto non è mai stato pensato per avere una soluzione. È stato tutto un test. Vogliono che i vincitori, o i sopravvissuti, facciano qualcosa di importante.- Lasciai cadere la frase, già confusa riguardo all'ordine delle cose da dire.
-Cosa?- chiese Minho.
-Lasciatemi ricominciare.- dissi, strofinandomi gli occhi. -Ciascuno di noi è stato preso da piccolissimo. Non mi ricordo come o perché... Ho solo visioni fugaci e sensazioni. Ma so che il mondo era cambiato. Era successo qualcosa di molto brutto, non so cosa. I Creatori ci rapirono e penso che credessero di farlo a fin di bene. In qualche modo dovevano aver capito che la nostra intelligenza era al di sopra della media ed è questa la ragione per cui scelsero noi. Non so, la maggior parte di questa storia è vaga e non importa poi granché. Non riesco a ricordare niente della mia famiglia o di cosa sia accaduto. Ma dopo che fummo presi, passammo gli anni seguenti a studiare in scuole speciali, vivendo vite più o meno normali finché non arrivarono abbastanza soldi per costruire il Labirinto.- sperai che la mia espressione non tradisse quanto mi sentivo depressa. -Pare che siamo molto intelligenti, come ho già detto, e che i Creatori stiano studiando ogni nostra mossa, che ci stiano esaminando. Per vedere chi molla e chi no. Per vedere chi sopravvive. Non c'è da meravigliarsi se ci sono tutte queste scacertole a fare da spie in giro per la Radura. Inoltre, alcuni di noi hanno subito delle... Modificazioni al cervello.-
-Credo a questa sploff quanto credo che il cibo di Frypan faccia bene.- borbottò Winston, con fare stanco e indifferente.
-E perché dovrei inventarmelo?- dissi, alzando la voce. Mi ero fatta pungere di proposito per ricordare queste cose. -E per dirla meglio, allora quale spiegazione hai, tu? Che forse viviamo su un pianeta alieno?-
-Va' avanti e basta.- disse Alby. -Ma non capisco perché nessuno di noi si sia ricordati questa roba. La Mutazione l'ho subita anch'io, ma tutto ciò che ho visto è stato...- Si guardò intorno in fretta, come se avesse detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire. -Non ho scoperto nulla.-
-Tra un minuto vi spiegherò coma mai io abbia scoperto più cose degli altri.- dissi, temendo molto quella parte della storia. -Vado avanti o no?-
-Parla.- disse Newt.
Feci un respiro profondo, come se stessi per cominciare una gara. -Okay. In qualche modo ci hanno cancellato la memoria, non solo la nostra infanzia, ma tutta la roba che ci ha portati a entrare nel Labirinto. Ci hanno messo nella Scatola e mandati quassù, un grosso gruppo per cominciare, e poi uno al mese per due anni.-
-Ma perché?- chiese Minho. -Che cacchio di motivo ci sarebbe?-
Sollevai una mano, chiedendo a tutti di tacere. -Ci sto arrivando. Come ho detto, volevano metterci alla prova, vedere come avremmo reagito a quelle che loro chiamavano le Variabili e a un problema privo di soluzione. Vedere se eravamo capaci di collaborare, addirittura di costruire una comunità. Ci hanno fornito tutto l'occorrente e il problema ci è stato posto nella forma di uno dei rompicapi più noti, cioè un labirinto. Tutte queste cose insieme ci hanno fatto pensare che dovesse esserci una soluzione, incoraggiandoci a lavorare anche più sodo, e nello stesso tempo peggiorando il nostro scoraggiamento di fronte all'impossibilità di trovarla.- Feci una pausa per guardarmi intorno, assicurandomi che mi stessero ascoltando. -Sto dicendo che non c'è una soluzione.-
Tutti presero a parlottare e a fare domande.
Sollevai di nuovo le mani. Mi sarebbe piaciuto poter semplicemente imprimere i miei pensieri nel cervello degli altri in un istante. -Vedete? La vostra reazione conferma ciò che dico. La maggior parte delle persone, a questo punto, avrebbe già ceduto. Ma penso che noi siamo diversi. Non potevamo accettare che un problema non potesse essere risolto, specialmente quando si trattava di qualcosa di semplice come un labirinto. E abbiamo continuato a lottare, senza curarci della situazione sempre più disperata.-
Mi resi conto che, mentre parlavo, avevo alzato la voce sempre di più. Mi sentivo il viso caldo. -Qualunque sia la ragione, mi viene da vomitare! Tutta questa roba... I Dolenti, i muri che si muovono, la Scarpata... Sono solo parti di uno stupido test. Ci stanno usando, ci stanno manipolando. I Creatori volevano che le nostre menti continuassero a sforzarsi di trovare una soluzione inesistente. E la Fine, tutto questo sfacelo, il cielo grigio eccetera. Ci stanno facendo impazzire per vedere come reagiamo, per mettere alla prova la nostra volontà. Per vedere se ci mettiamo l'uno contro l'altro. Alla fine, vogliono che i sopravvissuti facciano qualcosa di importante.-
Frypan si alzò. -E la gente che viene uccisa? È anche quella una bella parte del loro piano?-
Per un attimo ebbi paura. Ero preoccupata che gli Intendente, compreso Newt, si arrabbiassero con me per tutta la conoscenza che avevo dei fatti. E il peggio doveva ancora venire. -Sì, Frypan. Uccidono la gente. L'unica ragione per cui i Dolenti ammazzano solo una persona per volta è che non dobbiamo morire tutti prima che si arrivi alla fine designata. La sopravvivenza del più forte. Solo i migliori riusciranno a scappare.- ripetei per la centesima volta.
Il cuoco diede una calcio alla sedia. -Beh, allora faresti meglio a cominciare a parlare di questa magica fuga!-
-Lo farà.- disse piano Newt. -Taci e ascolta.-
Minho, che era rimasto in silenzio per la maggior parte del tempo, si schiarì la gola. -Qualcosa mi dice che quel che sto per sentire non mi piacerà.-
-Probabilmente no.- dissi. Chiusi gli occhi per un istante e incrociai le braccia. I minuti seguenti sarebbero stati cruciali. -I Creatori vogliono i migliori di noi per quel che hanno in programma, anche se non so cosa sia. Ma dobbiamo guadagnarcelo.- La stanza sprofondò nel silenzio. Tutti gli occhi erano incollati a me. -Il codice.-
-Il codice?- ripeté Frypan, con la voce alleggerita da una scintilla di speranza. -Che c'entra?-
Lo guardai e rimasi un attimo in silenzio per ottenere l'attenzione. -Fu nascosto nei movimenti dei muri del Labirinto per una ragione precisa. E io dovrei conoscerla... Ero lì quando i Creatori lo fecero.-
Per un lungo istante nessuno disse nulla e vidi solo volti dall'espressione vacua. Sentii il sudore imperlarmi la fronte e rendermi le mani scivolose. L'idea di continuare a parlare mi terrorizzava.
Newt sembrava completamente scioccato, ma infine interruppe il silenzio. -Di che stai parlando?-
-Beh, innanzitutto devo svelarvi una cosa. Riguardo a me. C'è una ragione per cui Wes mi accusava di tutte quelle cose e per cui sono stata riconosciuta da chiunque abbia subito la Mutazione.-
Mi sarei aspettata delle domande, un'esplosione di voci. Ma la stanza era sprofondata nel silenzio più totale.
-Ho preso parte alle Prove del Labirinto fin dall'inizio.- proseguii. -Però fu contro la mia volontà, ve lo giuro.-
Poi fu Minho a intervenire. -Anna, che stai dicendo?-
-Fui usata dai Creatori. Se tutti voi avreste ancora i vostri ricordi... Probabilmente vorreste uccidermi. Ma questa cosa ve la devo raccontare per mostrarvi che ora potete fidarvi di me. Così mi crederete quando vi spiegherò quel'è l'unico modo per uscire di qui.-
Passai velocemente in rassegna i visi degli Intendenti, chiedendomi un'ultima volta se dovessi dirlo, se mi avrebbero capito. Ma sapevo di doverlo fare. Dovevo farlo.
Feci un respiro profondo e poi parlai. -Li aiutai a progettare il Labirinto. Li aiutai a creare tutta questa cosa.-
Tutti apparvero troppo sconvolti per reagire. Ancora una volta, una schiera di volti vacui mi stava guardando, e mi resi conto che non avevano capito o che forse non mi credevano. Sul mio volto si poteva leggere la paura attanagliante che provavo.
-E che vorrebbe dire?- domandò Newt. -Sei una sedicenne. Come potresti aver creato il Labirinto?-
Non potei fare a meno di dubitarne un po' a mia volta, ma ormai me lo ricordavo bene. E per quanto fosse folle, sapevo che era la verità. -Eravamo... Intelligente. E penso che questo possa far parte delle Variabili. Io... Fui costretta.- feci una pausa, sperando non mi odiassero troppo. -Forse fu per vedere se sarei stata in grado di guadagnarmi la vostra fiducia nonostante la mia collaborazione con i Creatori. Forse sono destinata a essere colei che rivelerà la via di fuga dall'inizio. Qualunque sia la ragione, grazia alle vostre Mappe abbiamo decifrato il codice, e dobbiamo usarlo subito.-
Mi guardai intorno sorpresa, anzi sbigottita di vedere come nessuno sembrasse arrabbiato. La maggior parte dei Radurai stava continuando a fissarmi con aria inespressiva, oppure scuoteva la testa per la meraviglia o l'incredulità. E per qualche ragione Minho stava sorridendo. 
-È vero e mi dispiace.- continuai. -Ma una cosa posso dirvela... Adesso siamo sulla stessa barca. Sono stata mandata qui come chiunque altro e posso morire con la stessa facilità degli altri. Ma i Creatori ora hanno visto abbastanza... È arrivato il momento della prova finale. Credo di aver avuto bisogno della Mutazione per trovare i pezzi che ancora mancavano a questo puzzle. Comunque, volevo che sapeste la verità, che sapeste che c'è una possibilità di farcela.-
Newt stava scuotendo la testa avanti e indietro, con gli occhi fissi a terra. -I Creatori... Sono stati quei pive a farci tutto questo, non Anna. E se ne pentiranno.-
-Di' quel che vuoi.- intervenne Minho. -Non me ne importa una sploff di niente. Muoviti e parla della fuga.-
Mi sentii salire un groppo in gola. Ero tanto sollevata da non riuscire quasi a parlare. Avevo pensato che sicuramente me l'avrebbero fatta pagare per la mia confessione, sempre che non decidessero direttamente di buttarmi giù dalla Scarpata. Quel che restava da dire, ormai, mi pareva quasi facile. -C'è una postazione con un computer in un posto dove non abbiamo mai guardato prima d'ora. Il codice ci aprirà una porta per farci uscire dal Labirinto. E spegnerà anche i Dolenti, in modo che non possano seguirci... Se riusciamo a sopravvivere abbastanza a lungo da arrivare a quel punto.-
-Un posto dove non abbiamo mai guardati prima?- chiese Alby. -E che pensi che abbiamo fatto per due anni?-
-Fidati, lì non ci sei mai stato.-
Minho si alzò. -Va bene, dov'è?-
-È quasi un suicidio.- dissi, sapendo che stavo procrastinando la risposta. -I Dolenti ci attaccheranno ogni volta che cercheremo di farlo. Tutti insieme. È la prova finale.- Volevo essere certa che tutti capissero bene quali erano i rischi. Le probabilità che sopravvivessimo tutti erano poche. 
-Allora, dov'è?- domandò Newt, sporgendosi in avanti sulla sedia. 
-Oltre la Scarpata.- risposi. -Dobbiamo entrare nella Tana dei Dolenti.-
Alby si alzò talmente in fretta che la sua sedia cadde all'indietro. Gli occhi iniettati di sangue spiccavano in contrasto con il bianco della benda sulla fronte. Fece due passi e poi si fermò, come se fosse sul punto di caricare e aggredirmi. 
-Adesso stai facendo l'idiota del caspio.- disse, lanciandomi uno sguardo furibondo. -Oppure sei una traditrice. Come facciamo a fidarci anche di una sola delle parole che dici, se tu li hai aiutati a progettare questo posto e a mandarci qui? Non siamo in grado di affrontare un solo Dolente in casa nostra, figuriamoci combattere un'orda intera in quella loro piccola tana. Che hai in mente davvero?-
Mi infuriai. -Che ho in mente? Niente! Perché dovrei inventarmi tutto?-
Le braccia di Alby si irrigidirono, i pugni si strinsero. -Per quanto ne sappiamo, sei stata mandata qui per farci ammazzare tutti. Perché dovremmo fidarci di te?-
-Alby...- lo chiamò Newt.
-Tu stanne fuori!- gli rispose in modo brusco il ragazzo. -Sei di parte in tutta questa faccenda!-
Rimasi a fissarlo, incredula. -Alby, hai per caso un problema con la memoria a breve termine? Ho rischiato la vita per salvarti là fuori, nel Labirinto... Se non fosse per me, saresti morto!- finalmente riuscii a urlargli in faccia tutto quello che avevo tenuto dentro fino ad allora.
-Forse era un trucco per guadagnarti la nostra fiducia. Se sei alleata con le teste di caspio che ci hanno mandato qui, non avevi da preoccuparti del fatto che i Dolenti potessero farti del male... Forse era tutta una messinscena.- 
A queste parole, la mia rabbia diminuì un po' e si trasformò in compassione. C'era qualcosa di strano, di sospetto.
-Alby.- intervenne infine Minho, rincuorandomi. -È la teoria più stupida che abbia mai sentito. È stata ridotta a un fottuto straccio appena tre notti fa. Credi che faccia parte di una messinscena?-
Alby fece bruscamente di sì con la testa. -Forse.-
-L'ho fatto di proposito,- dissi, caricando la voce del tono più seccato di cui ero capace -nella speranza di recuperare i miei ricordi per aiutarci tutti a uscire di qui. Devo farti vedere i tagli e i lividi che ho sul corpo?- tagli di cui mi ero accorta solo dopo essermi guardata sotto i vestiti.
Alby non disse niente, con il viso ancora tremante per la rabbia. Gli occhi si riempirono di lacrime, le vene del collo gli si ingrossarono. -Non possiamo tornare indietro!- gridò infine, voltandosi a guardare tutti i presenti. -Ho visto com'erano le nostre vite... Non possiamo tornare indietro!-
-È tutto qui il problema?- chiese Newt. -Stai scherzando?-
Il ragazzo si voltò rabbioso verso di lui, sollevando il pugno stretto. Mi alzai in piedi pronta per fermarlo, ma poi si fermò, abbassò il braccio, si allontanò e si accasciò sulla sedia, mise il volto tra le mani e scoppiò in lacrime. Non sarei potuta essere più sorpresa. L'intrepido capo dei Radurai stava piangendo.
-Alby, parlaci.- insisté Newt, che non voleva lasciar perdere. -Che sta succedendo?-
-Sono stato io.- disse il ragazzo, scosso da un singhiozzo. -Sono stato io.- 
-A fare cosa?- domandò il biondo. Era confuso quanto me.
Il ragazzo sollevò lo sguardo, con occhi bagnati di lacrime. -Ho bruciato le Mappe. Sono stato io. Poi ho sbattuto la testa contro il tavolo per farvi pensare che fosse stato qualcun altro. Ho mentito, ho bruciato tutto. Sono stato io!-
Gli Intendenti si scambiarono degli sguardi. Lo shock era evidente nei loro occhi e nelle sopracciglia inarcate. Tuttavia, per me, in questo momento tutto acquistò un senso. Alby si ricordava di quanto fosse orrenda la sua esistenza prima della Radura e non voleva tornare indietro.
-Beh, allora abbiamo fatto bene a salvare le Mappe.- disse Minho, completamente impassibile, quasi in tono derisorio. -Grazie per il consiglio che ci hai dato proprio tu, dopo la Mutazione. Ci hai detto di proteggerle.- 
Cercai di vedere la reazione di Alby all'osservazione sarcastica e quasi crudele del Velocista, ma lui fece come se non avesse neanche sentito.
Invece di mostrarsi arrabbiato, Newt domandò ad Alby di spiegare. Sapevo come mai il biondo non si fosse infuriato: le Mappe erano al sicuro, il codice era stato decifrato. Non importava.
-Ve lo dico io.- disse il capo dei Radurai in tono implorante, quasi isterico. -Non possiamo tornare nel luogo da cui siamo venuti. L'ho visto. Mi sono ricordato cose orrende, orrende! Terra bruciata, una malattia... Una cosa chiamata l'Eruzione. Era orribile... Molto peggio di come sia qui.-
-Se rimaniamo qui moriremo tutti!- gridò Minho. -È peggio di così?-
Prima di rispondere, Alby fissò l'Intendente dei Velocisti a lungo. Riuscivo solo a pensare alle parole che aveva appena pronunciato. L'Eruzione. C'era qualcosa di familiare, nascosto in un angolino della mia mente. Ma ero certa che, quando avevo subito la Mutazione, non avevo ricordato nulla in proposito. 
-Sì.- disse infine Alby. -È peggio. Meglio morire, piuttosto che tornare a casa.-
Minho sogghignò e si rilassò, appoggiandosi allo schienale della sedia. -Amico, lascia che te lo dica: hai i raggi di sole che ti escono dal culo. Io sto con Anna. Sto con Anna al cento per cento. Se dobbiamo morire, lo faremo in una fottuta battaglia.-
-Dentro il Labirinto o fuori.- aggiunsi, sollevata del fatto che Minho si dichiarasse al mio fianco con tanta convinzione. Allora mi rivolsi ad Alby e lo guardai, seria. -Viviamo ancora nel mondo che hai ricordato.-
Il ragazzo si alzò di nuovo. Il suo viso tradiva la sconfitta. -Fate come volete.- Sospirò. -Non mi interessa. Tanto moriremo lo stesso.- Con quelle parole, si incamminò verso la porta e lasciò la stanza. 
Newt si lasciò sfuggire un sospiro profondo e scosse la testa. -Dopo essere stato punto non è stato più lo stesso... Doveva essere proprio un ricordo di merda. E che cavolo sarebbe l'Eruzione?-
-Non mi interessa.- disse Minho. -Qualunque cosa è meglio che rimanere qui a morire. Una volta usciti affronteremo i Creatori. Ma per ora dobbiamo fare ciò che hanno previsto. Entrare nella Tana dei Dolenti e fuggire. Se alcuni di noi moriranno, vorrà dire che doveva andare così.-
Frypan grugnì. -Voi pive mi state facendo impazzire. Non possiamo uscire nel Labirinto, e questa idea di andarsene e stare con i Dolenti nel loro appartamento mi sembra la cosa più stupida che abbia mai sentito in vita mia. Tanto vale tagliarci le vene.-
Gli altri Intendenti presero a parlare tutti insieme, ciascuno cercando di sovrastare la voce degli altri. Infine, Newt gridò che si mettessero tutti a tacere.
Una volta che si furono calmati, ripresi a parlare. -Io intendo entrare nella Tana o morire cercando di raggiungerla. Sembra che per Minho sia lo stesso. Se riusciamo a respingere i Dolenti abbastanza a lungo da fare in modo che qualcuno digiti il codice e li spenga, allora potremo attraversare la stessa porta che attraversano loro. Avremo superato le Prove. E poi potremo affrontare i Creatori in persona.-
Frypan fece un ghigno privo di allegria. -E pensi che riusciremo a respingere i Dolenti? Anche se non moriamo, probabilmente verremo punti. Ci staranno aspettando tutti, dal primo all'ultimo, quando arriveremo alla Scarpata. Le scacertole sono sempre in giro, da quelle parti. I Creatori sapranno quando faremo il tentativo.-
Anche se avevo temuto questo momento, sapevo che era giunto: dovevo svelare l'ultima parte del mio piano. -Non penso che ci pungeranno... La Mutazione era una Variabile utile finché vivevamo qui. Ma quella parte della prova sarà terminata. Inoltre, potremmo avere qualcosa a nostro vantaggio.-
-Sì?- chiese il cuoco, roteando gli occhi. -Non vedo l'ora di sentire cosa.-
-Ai Creatori non conviene che moriamo tutti... Questa cosa ha lo scopo di essere difficile, non impossibile. Penso che finalmente possiamo essere certi che i Dolenti siano programmati per uccidere solo uno di noi ogni giorno. Quindi, qualcuno si può sacrificare per salvare gli altri mentre corriamo verso la Tana. Penso che potrebbe essere così che dovrebbe succedere.-
La stanza si fece nuovamente silenziosa, finché l'Intendente del Macello non latrò una risata rumorosa. -Scusa, eh?- chiese Winston. -Quindi il tuo suggerimento sarebbe di dare in pasto ai lupi qualche povero ragazzino, in modo che gli altri possano scappare? Sarebbe questo, il tuo intelligentissimo suggerimento?-
Rifiutavo di ammettere che a dirlo sembrava veramente terribile, ma mi venne un'idea. -Sì, Winston, sono felice che tu sia stato così attento.- Ignorai l'occhiataccia dell'interlocutore. -E mi pare chiaro chi dovrebbe essere il povero ragazzino.-
-Ah, sì?- disse Winston. -Chi?-
Incrociai le braccia. -Io. Io sono il vostro ragazzino.-

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Capitolo 28
*** I Preparativi ***


Tutti i partecipanti alla riunione proruppero in un coro di controversie. Con molta calma, Newt si alzò, mi si avvicinò e mi prese per un braccio. Mi spinse verso la porta. -Tu vieni con me. Adesso.-
Ero confusa. -Dove? E perché?-
-Penso che tu abbia detto abbastanza per una sola riunione.- adesso eravamo in corridoio. -Prima di prendere qualsiasi decisione dobbiamo parlare... Senza di te.- Newt mi spinse delicatamente fuori. Sembrava troppo calmo. -Aspettami accanto alla Scatola. Quando avremo finito, parleremo io e te.-
Tesi un braccio e lo strinsi a mia volta. -Devi credermi, Newt. È l'unico modo di uscire da qui... Possiamo farcela, lo giuro. È destino che ce la facciamo.-
Il ragazzo si avvicinò al mio volto e parlò con voce bassa, rauca, rabbiosa. -Sì, mi è piaciuta particolarmente la parte in cui ti sei offerta volontaria per farti ammazzare.-
-Sono perfettamente intenzionata a farlo.- Dicevo sul serio, ma era solo il senso di colpa che mi tormentava. Il senso di colpa per aver aiutato, in qualche modo, a progettare il Labirinto. Tuttavia, nel profondo del mio cuore, speravo di essere in grado di lottare abbastanza a lungo perché qualcuno riuscisse a digitare il codice e a disattivare i Dolenti prima che uccidessero. Ad aprire la porta.
-È proprio questo che mi spaventa.- disse Newt, che sembrava irritato. 
-Ho un mucchio di ragioni per farlo. In un certo senso, è soprattutto colpa mia se siamo finiti qui.- Mi interruppi e inspirai per ricompormi. -In ogni caso, io ci vado comunque, quindi non vi conviene sprecare l'opportunità.-
-No, tu non ci vai finché non decidiamo insieme, come avremmo dovuto fare fin dall'inizio.- Newt si accigliò, con gli occhi improvvisamente colmi di compassione. -Se davvero li hai aiutati a progettare il Labirinto, Anna, non è colpa tua. Sei una ragazzina... Non potevi opporti, se ti ci hanno costretto.-
Tuttavia, non importava cosa dicesse Newt o chiunque altro. Sentivo comunque il peso della responsabilità, e più ci pensavo, più questo peso si faceva gravoso. -È solo che... Sento di dovervi salvare tutti. Per redimermi.-
Il ragazzo fece un passo indietro, scuotendo la testa. -So che sono di parte, come ha detto Alby, ma sai una cosa?-
-Cosa?- riposi, circospetta.
-A dire il vero, ti credo. Non vedo neanche una microbugia in quei tuoi bellissimi occhi.- Fece una pausa. -Ma adesso torno indietro a convincere quei pive che dovremmo entrare tutti nella Tana dei Dolenti, proprio come hai detto tu. Meglio combatterli che non starsene qui seduti a lasciare che ci prendano uno alla volta.- Sollevò un dito. -Però ascoltami... Non voglio sentire un'altra fottuta parola tipo che devi morire o tutta quella sploff lì. Se faremo questa cosa, ce ne assumeremo il rischio. Tutti. Mi hai sentito?-
Sollevai le mano, sopraffatta dal sollievo. -Forte e chiaro. Stavo solo cercando di farvi capire che vale la pena di rischiare. Se comunque deve morire uno ogni notte, tanto vale usare questo elemento a nostro vantaggio.-
Newt aggrottò la fronte. -Beh, c'è da stare allegri, no?- rifletté un istante prima di parlare di nuovo. -Se riesco a convincere quei pive, il momento migliore per andare sarebbe di notte. Possiamo sperare che molti Dolenti siano in giro per il Labirinto e non in quella loro Tana.-
Annuii, sperando solo che Newt fosse in grado di convincere gli Intendenti. 
Il biondo sorrise, una fessura appena visibile nella sua smorfia preoccupata. -Dovremmo farlo stanotte, prima che venga ucciso chiunque altro.- 
Capii che la conversazione era terminata, così mi voltai per andarmene, ma Newt mi chiamò a voce alta. -Anna?-
-Sì?- mi fermai, rivolgendogli la mia attenzione. 
-Spero tu sappia che se deciderai di tentare quest'impresa suicida, io verrò con te. Preferisco essere ucciso, piuttosto che vivere un solo istante della mia inutile vita senza di te.- fece un passo nella mia direzione, annullando la distanza tra di noi, e mi prese le mani. -Non ricordo neanche più com'era la mia vita prima che arrivassi tu, ma so che era patetica e monotona; sei diventata la mia luce nelle tenebre. Grazie a te ho scoperto aspetti del mio carattere che non pensavo neanche di possedere. Credevo che non avrei mai incontrato una persona con la quale avrei voluto condividere ogni mio respiro, ma è successo e ne sono lieto. Amarti è la cosa più bella che mi sia mai successa.- terminò con un profondo respiro. 
Abbassai la testa, tentando di non fargli vedere i miei occhi lucidi dovuti alle sue parole. Poi, dimenticandomi di tutto quello che ci circondava, lo abbracciai. Uno di quegli abbracci lunghi e intensi che tante volte ci eravamo scambiati. Sospirai contro la sua spalla, felice del piacevole tepore che il suo corpo emanava. Allacciai le mie mani dietro alla sua schiena e come ogni volta, tremai sentendo il suo respiro caldo sul collo e le sue dita sulla schiena. Erano sensazioni a cui non mi sarei mai abituata, ne ero certa, eppure erano così familiari. 
-Farò di tutto per portarti fuori di qui. Qualsiasi cosa.- lo guardai negli occhi, sigillando la promessa. 
-Lo stesso vale per me.- portò un pollice sulla mia guancia, asciugando una piccola e solitaria lacrima che vi si era posata. -Adesso vado, aspettami alla Scatola.- Prima che potessi rispondere, Newt scomparve di nuovo nell'Adunanza. 
Lasciai il Casolare e mi incamminai fino a una vecchia panca vicino alla Scatola. Mi sedetti, sentendo la mente turbinare come un ciclone. Continuavo a pensare a ciò che Alby aveva detto dell'Eruzione, a cosa potesse significare. Il ragazzo più grande aveva parlato anche di terra bruciata e di una malattia. Non ricordavo niente del genere, ma se era tutto vero, allora il mondo a cui stavamo cercando di tornare non doveva essere un granché. Tuttavia... Che altra scelta avevamo? Oltre al fatto che i Dolenti ci attaccavano ogni notte, la Radura ormai era fondamentalmente fallita.
Frustrata, preoccupata, stanca dei miei stessi pensieri, mi misi comoda sulla panchina ed accavallai le gambe. 
Il mio stomaco si strinse in un nodo stretto. Ciò che avevo suggerito, il piano che Newt, in questo momento, stava cercando di convincere gli altri ad accettare, stava cominciando a colpirmi nella sua concretezza. Sapevo che era pericoloso, ma l'idea di lottare veramente contro i Dolenti era spaventosa. Nel migliore dei casi, sarebbe morto solo uno di noi, ma non ci si poteva fidare neanche di una previsione simile. Forse i Creatori avrebbero riprogrammato le creature. E allora sarebbe potuto succedere di tutto.
Cercai di non pensarci. 
Per quanto fuggevole, provai qualcosa di simile a un po' di pace e cercai di godermela, per il poco che poteva durare.
Quando l'Adunanza, infine terminò, ne fui quasi rattristata. Allorché Newt uscì dal Casolare, capii che il tempo del riposo era finito.
Il ragazzo mi vide e si sedette accanto a me; tesi una mano e presi la sua, stringendogliela così forte da sapere di fargli quasi male. -Questa è una cacchio di follia, lo sai, vero?- Il suo viso era impossibile da decifrare, ma sembrava che il suo sguardo avesse un'espressione vagamente vittoriosa.
-Allora, sono d'accordo?- sentii l'agitazione salirmi in corpo come una marea. 
Newt annuì. -Tutti. Non è stato difficile come pensavo. Quei pive hanno visto cosa succede la notte, com quelle cacchio di Porte aperte. Non possiamo uscire dallo stupido Labirinto. Qualcosa dobbiamo pur tentare.- Si voltò e guardò gli Intendenti, che avevano cominciato a radunare i rispettivi gruppi di lavoro. -Ora dobbiamo solo convincere i Radurai.-
Sapevo che questo sarebbe stato anche più difficile che non persuadere gli Intendenti. 
-Pensi che accetteranno?- domandai. 
-Non tutti.- rispose il biondo. Vidi la frustrazione nel suo sguardo. -Alcuni rimarranno qui a rischiare... Te lo garantisco.- 
Non dubitavo che le persone sarebbero impallidite al pensiero di questo tentativo di fuga. Chiedere loro di combattere contro i Dolenti era chiedere davvero tanto. -E Alby?-
-Chi lo sa?- rispose Newt, guardandosi intorno, osservando gli Intendenti e i loro gruppi. -Sono convinto che quello stronzo sia veramente più spaventato dal ritorno a casa che non dai Dolenti. Ma lo convincerò a venire con noi, non preoccuparti.-
Avrei voluto riportare alla luce i ricordi delle cose che tormentavano Alby, ma non trovai nulla. -Come farai a convincerlo?-
Newt rise. -Mi inventerò qualche sploffata. Gli dirò che andremo tutti incontro a una nuova vita in un'altra parte del mondo, che vivremo per sempre felici e contenti.-
Mi strinsi nelle spalle. -Beh, magari possiamo. Sai, ho promesso a Chuck che lo avrei riportato a casa. O almeno che gliene avrei trovata una, di casa.-
-Qualunque posto è meglio di questo.-
Mi guardai intorno e vidi la gente che cominciava a litigare in giro per la Radura, mentre gli Intendenti facevano del loro meglio per convincere le persone che occorreva rischiare e lottare per cercare di entrare nella Tana dei Dolenti. Alcuni Radurai se ne andarono a grandi passi, ma la maggior parte rimase ad ascoltare e almeno a prendere in considerazione la proposta.
-Allora, che si fa dopo?- gli chiesi.
Newt fece un respiro profondo. -Cerchiamo di capire chi va e chi resta, ci prepariamo. Cibo, armi eccetera. Poi andiamo. Anna, metterei te a capo della spedizione, ma sarà già abbastanza difficile convincere la gente a stare dalla nostra parte senza fare di te il nostro capo... Non te la prendere. Quindi tieni la cresta bassa, okay? Lasceremo la faccenda del codice a te... Puoi occupartene tu, dalle retrovie.- 
A me tenere la cresta bassa andava più che bene: trovare la postazione informatica e digitare il codice era un carico di responsabilità più che sufficiente. Anche con quest'incarico, dovevo lottare contro il panico che sentivo salire inesorabile. -A sentire te, sembra facile.- dissi infine, facendo del mio meglio per rallegrare un poco la situazione. O almeno per sembrare una che la stava rallegrando.
Newt incrociò di nuovo le braccia e mi guardò attentamente, sorridendo leggermente. -Come hai detto tu... Se si resta qui, stanotte muore un pive. Se si va, muore un pive. Che differenza fa?- Mi indicò. -Se hai ragione, voglio dire.-
-Ho ragione.- sapevo di avere ragione riguardo alla Tana, al codice, alla porta e alla necessità di combattere. Ma se sarebbe morta una persona sola o se ne sarebbero morte tante... non ne avevo idea. Comunque, se c'era una cosa che mi stava dicendo l'istinto, era di non lasciarmi prendere dal dubbio.
Newt mi cinse la vita. -Non preoccuparti, io sarò al tuo fianco. Mettiamoci al lavoro.-
Le ore seguenti furono frenetiche.
La maggior parte dei Radurai finì per decidere di unirsi alla spedizione. Erano anche più di quanto avessi pensato. Addirittura Alby decise di provare. Anche se nessuno lo ammise, scommettevo che la maggior parte di loro facesse affidamento sulla teoria che i Dolenti avrebbero ucciso una persona sola, e che immaginassero di avere ragionevoli possibilità di non essere loro a capitare male.
Quelli che decisero di rimanere nella Radura erano pochi, ma erano determinatissimi e assai rumorosi. Presero ad andarsene in giro imbronciati, cercando di dire agli altri quanto fossero stupidi. Ma alla fine lasciarono perdere e si misero in disparte.
Quanto a me e agli altri imminenti fuggitivi, avevamo un mucchio di lavoro da fare.
Furono distribuiti degli zaini pieni di provviste. Frypan, che Newt mi aveva detto essere stato uno degli ultimi Intendenti a decidere di andare, fu incaricato di raccogliere il cibo e di escogitare un modo di distribuirlo equamente nelle varie razioni. Gli approvvigionamenti includevano delle siringhe di DoloSiero, anche se ritenevo che i Dolenti non avrebbero punto nessuno. Chuck fu incaricato di riempire le bottiglie d'acqua e di distribuirle a tutti. Thomas lo aiutò e gli chiesi di abbellire la prospettiva del viaggio il più possibile, anche se questo avesse implicato di mentire spudoratamente, cosa che, in effetti, fu costretto a fare. Da quando aveva scoperto che avrebbemmo tentato la fuga, Chuck aveva cercato di assumere un'aria coraggiosa, ma la sua pelle sudata e gli occhi attoniti tradivano la verità.
Minho andò alla Scarpata con un gruppo di Velocisti, portando con sé corde d'edera e pietre per fare un'ultima verifica sull'invisibile Tana dei Dolenti. Dovemmo sperare che le creature rispettassero i loro soliti orari e che non uscissero durante il giorno. Avevo anche pensato alla possibilità di saltare nella Tana all'improvviso e provare a digitare il codice al volo, ma non avevo la minima idea di cosa dovessi aspettarmi, o di cosa avrei trovato ad attendermi. Newt aveva ragione: avremmo fatto meglio ad aspettare la notte, quando la maggior parte dei Dolenti si sarebbe trovata nel Labirinto e non nella loro Tana.
Quando Minho tornò sano e salvo, pensai che sembrasse davvero ottimista sul fatto che fosse davvero un'uscita. O un'entrata, a seconda di come la si vedeva.
Aiutai Newt a distribuire le armi. Anzi, per disperazione, in vista dell'incontro con i Dolenti, ne furono create addirittura di innovative. Pali di legno furono intagliati fino a divenire lance o avvolti nel filo spinato; i coltelli furono affilati e fissati con i rampicanti alle estremità di robusti rami tagliati dagli alberi del bosco. Cocci di vetro rotto furono applicati alle vanghe. Alla fine della giornata, i Radurai si erano ormai trasformati in un piccolo esercito. Un esercito assai patetico e mal preparato, pensai. Ma comunque di esercito si trattava.
Una volta che io e Newt avemmo finito di aiutare, andammo nel rifugio segreto dietro alle Faccemorte per discutere della postazione informatica all'interno della Tana dei Dolenti e per fare un piano su come digitare il codice.
-Dobbiamo essere noi... Noi a farlo.- dissi. Ci eravamo appoggiati agli alberi sparuti. Le foglie un tempo verdi stavano già cominciando a ingrigire a causa della mancanza di luce solare artificiale. Volevo che venisse con me ad ogni costo, così da assicurarmi che stesse bene. 
Newt aveva afferrato un bastone a cui stava staccando la corteccia. -Però ci serve qualcuno di supporto, in caso ci succedesse qualcosa.-
-Sicuramente. Minho e Thomas conoscono le parole del codice. Diremo loro di fare in modo che vengano digitate al computer se noi... beh, hai capito.- Non volevo pensare a tutte le brutte cose che sarebbero potute succedere.
-Non c'è molto, in questo nostro piano, allora.- Il ragazzo sbadigliò, come se la vita fosse del tutto normale.
-No, non molto. Combattere i Dolenti, digitare il codice, fuggire attraverso la porta. Poi affronteremo i Creatori... qualunque cosa questo comporti.-
-Sei parole del codice e chissà quanti Dolenti.- il biondo spezzò il ramo in due. -E comunque, cosa credi che significhi CATTIVO?- mi chiese senza un motivo apparente. 
Ebbi l'impressione di aver ricevuto un pugno in pieno stomaco. Per qualche ragione, sentir pronunciare questa parola in questo momento, da qualcun altro, fece scattare qualcosa nella mia mente. Mi stupii di non aver fatto questo collegamento prima di allora. -Il cartello che ho visto nel Labirinto... Ti ricordi? Quello di metallo con scritte sopra delle parole?- Il mio cuore aveva preso a battere forte per l'agitazione.
Newt corrugò la fronte per un istante, confuso, ma poi parve che gli si accendesse una luce dietro agli occhi. -Cavoli. Catastrofe Attiva Totalmente: Test Indicizzati Violenza Ospiti. CATTIVO. E che vorrebbe dire, quello?-
-Non ne ho idea. Che è il motivo per cui sono terrorizzata dal fatto che magari quel che stiamo per fare è un'immensa sciocchezza. Potrebbe essere un bagno di sangue.-
-Sappiamo tutti a cosa andiamo incontro.- Newt allungò un braccio e mi prese per mano. -Non abbiamo niente da perdere, ti ricordi?-
Me lo ricordavo, ma per qualche ragione le parole del ragazzo non mi fecero molto effetto. Non sembravano molto piene di speranza. -Niente da perdere- ripetei. -Finché sei con me.- appoggiai la testa sulla sua spalla e cercai di rilassarmi.

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Capitolo 29
*** Il Sacrificio ***


Poco prima del normale orario di chiusura delle Porte, Frypan preparò un ultimo pasto prima della notte. L'atmosfera che avvolgeva la cena non sarebbe potuta essere più triste o intrisa di paura. Mi ritrovai a piluccare dal piatto con aria assente, seduta accanto a Chuck.
-Allora... Anna.- mi disse il ragazzino, con la bocca piena di purè di patate. -Come stai?-
Non potei fare a meno di scuotere la testa: eccoci qui, sul punto di imbarcarci nell'impresa più pericolosa di tutta la nostra esistenza, e Chuck era curioso di sapere come stessi. -Non saprei come risponderti. Agitata, forse.- 
Chuck ingoiò un altro grosso boccone e parve pensare che questo fosse il momento migliore per parlare, con la bocca piena e tutto. -Sai, non sono poi così spaventato. Cioè, nelle ultime notti, starmene seduto nel Casolare ad aspettare che un Dolente venisse a portare via uno di noi è stata la cosa peggiore che abbia mai fatto in vita mia. Almeno adesso siamo noi ad attaccarli, a tentare qualcosa. E almeno...-
-E almeno cosa?- chiesi. Non avevo creduto neanche per un istante che Chuck non avesse paura. Vederlo millantare spavalderia era penoso e mi fece sentire male.
-Beh, tutti dicono che possono uccidere solo uno di noi. Forse sembro una testa di caspio, ma questo mi dà un po' di speranza. Almeno la maggior parte di noi ce la farà... Resta a morire solo un povero stronzo. Meglio che non tutti.-
Mi veniva la nausea a pensare che la gente fosse aggrappata alla speranza che morisse una persona sola. Più ci pensavo, e meno credevo fosse vero. I Creatori conoscevano il piano e avrebbero potuto riprogrammare i Dolenti. Tuttavia, anche una falsa speranza era meglio di niente. -Forse possiamo farcela tutti. Se lottiamo insieme.-
Chuck smise per un attimo di ingozzarsi e mi osservò con attenzione. -Lo pensi davvero o stai solo cercando di rallegrarmi?-
-Possiamo farcela.- mangiai l'ultimo boccone e bevvi un grosso sorso d'acqua. Non mi ero mai sentita una bugiarda peggiore in tutta la mia vita. Sarebbero morte delle persone. Ma avrei fatto tutto il possibile per fare in modo che Chuck non fosse uno di loro. E neanche Newt. -Non dimenticarti la mia promessa. Ci puoi contare ancora.-
Chuck aggrottò la fronte. -Bella roba... Continuo a sentir dire che il mondo è in una situazione di sploff.-
-Ehi, forse sì. Ma troveremo qualcuno che si prenda cura di noi, vedrai.-
Chuck si alzò. -Beh, non voglio pensarci.- annunciò. -Mi basta che mi facciate uscire dal Labirinto e sarò un ragazzo felice.-
-Bene così.- concordai.
Il baccano proveniente dagli altri tavoli attirò la mia attenzione. Newt e Alby stavano chiamando a raccolta i Radurai, dicendo a tutti che era ora di andare. Il ragazzo sembrava tornato praticamente quello di prima, ma ero ancora preoccupata riguardo al suo stato mentale. Nella mia mente, il capo era Newt.
La paura raggelante e il panico che avevo provato tanto spesso negli ultimi giorni mi investirono di nuovo con tutta la loro forza. Era giunto il momento. Stavamo per andare. Cercando di non pensarci e di limitarmi ad agire, afferrai lo zaino. Chuck fece lo stesso e ci avviammo verso la Porta Occidentale, quella che portava alla Scarpata.
Trovai Minho e Newt che parlavano accanto al lato sinistro della Porta. Stavano ripassando i loro piani affrettati per inserire il codice di fuga nel computer una volta entrati nella Tana.
-Pronti, pive?- domandò Minho quando li raggiungemmo. -Anna, questa roba è tutta un'idea tua. Quindi sarebbe bene che funzionasse, o ti ammazzerò prima che lo facciano i Dolenti.- disse scherzando.
-Grazie.- risposi. Ma non riuscivo a togliermi di dosso quel senso di budella che si attorcigliavano. E se in qualche modo mi sbagliavo? Se per caso i miei ricordi erano falsi? Magari impiantati nella mia mente in qualche maniera? Il pensiero mi terrorizzava; lo scacciai. Non potevamo tornare indietro.
Guardai Newt, che si stava dondolando sui piedi, torcendosi le mani. -Stai bene?- gli chiesi.
-Sì.- rispose lui con un sorrisetto. Era chiaro che non stava bene per niente. -Sono solo impaziente di farla finita.-
-Amen, fratello.- disse Minho. Mi sembrava che fosse il più calmo, il più sicuro di sé, il meno spaventato. Lo invidiavo.
Quando finalmente Newt ebbe radunato tutti, chiese il silenzio. Mi voltai per ascoltarlo parlare. -Siamo in quarantuno.- Si mise in spalla lo zaino che aveva in mano e sollevò una grossa asta di legno con l'estremità avvolta dal filo spinato. Sembrava un'arma letale. -Assicuratevi di avere con voi le vostre armi. A parte questo, non c'è molto altro che possa fottutamente dirvi... Il piano lo conoscete tutti. Combatteremo nel tentativo di entrare nella Tana dei Dolenti, e Anna, qui, digiterà il codice. Poi renderemo pan per focaccia ai Creatori. Tutto qui.-
Ascoltai il ragazzo a fatica, distratta da Alby che se ne stava imbronciato in disparte, da solo, lontano dal gruppo principale dei Radurai. Era intento a pizzicare la corda del suo arco, con gli occhi fissi a terra. Aveva una faretra di frecce appesa alla spalla. Sentii salire la preoccupazione che in qualche modo Alby fosse instabile, che avrebbe mandato tutto all'aria. Decisi di tenerlo d'occhio, se fosse stato possibile.
-Qualcuno non dovrebbe fare un discorso di incoraggiamento o qualcosa del genere?- domandò Minho, distogliendo la mia attenzione da Alby.
-Prego.- ribatté Newt.
Minho annuì e si rivolse alla folla. -Fate attenzione.- disse, secco. -Non morite.-
Se avessi potuto, sarei scoppiata a ridere. Ma ero troppo spaventata per riuscirci. -Grandioso. Siamo proprio ispirati, cacchio.- rispose Newt. Poi puntò il dito verso il Labirinto, oltre le sue spalle. -Il piano lo conoscete tutti. Dopo due anni a farci trattare come topi, stanotte ci ribelleremo. Stanotte andremo a lottare con i Creatori, non importa cosa dovremo affrontare per arrivarci. Stanotte i Dolenti faranno meglio ad avere paura.-
Qualcuno applaudì. Poi lo fece qualcun altro. Presto si innalzarono urla e grida di battaglia, a volume sempre più alto, fino a riempire l'aria tutta intorno. Sentii di avere dentro di me un filo di coraggio: lo afferrai, mi ci aggrappai, gli ordinai di crescere. Newt aveva ragione. Questa notte avremmo combattuto. Questa notte ci saremmo ribellati una volta per tutte.
Ero pronta. Ruggii insieme agli altri Radurai. Sapevo che probabilmente saremmo dovuti rimanere in silenzio, che non avremmo dovuto attirare l'attenzione, ma non me ne importava niente. La partita era aperta.
Newt spinse l'asta in aria e gridò: -Ci sentite, Creatori? Stiamo arrivando!-
Con queste parole, si voltò e corse nel Labirinto. La gamba zoppa quasi non si notava. Si tuffò nell'aria grigia, che pareva più buia della Radura; era carica di ombre e oscurità. I Radurai intorno a me, sempre applaudendo, raccolsero le armi e gli corsero dietro. Lo fece anche Alby. Li seguii, infilandomi tra Thomas e Chuck, portando con me una grossa lancia di legno con un coltello legato in punta. L'improvviso senso di responsabilità per i miei amici fu lì per sopraffarmi, rendendomi difficile la corsa. Ma continuai ad andare, decisa a vincere. 
Posso farcela, pensai. Devo solo arrivare alla Tana.
Tenendo un passo costante, corsi sui sentieri di pietra che portavano alla Scarpata insieme agli altri Radurai ed in poco tempo raggiunsi Newt e Minho. Mi ero abituata a correre nel Labirinto, ma questa volta fu del tutto diverso. Lo scalpiccio dei piedi echeggiava contro i muri e le luci rosse delle scacertole tra le foglie d'edera mandavano bagliori anche più minacciosi del solito. Era ovvio che i Creatori ci stavano osservando e ascoltando. In un modo o nell'altro, ci sarebbe stata una battaglia.
-Spaventata?- mi domandò il Velocista mentre correvamo.
-No. Adoro le cose fatte di acciaio e carne molliccia. Non vedo l'ora di incontrarli.- Non provavo alcuna allegria o voglia di scherzare e mi chiesi se sarebbe mai venuto il momento in cui ne avrei provate ancora.
-Che ridere.- rispose lui.
Chuck e Thomas ci erano dietro, ma io stava tenendo gli occhi incollati davanti a me. -Andrà tutto bene. Sta' vicina a me e a Minho.- mi disse Newt.
-Ah, mio Cavaliere dalla lucente armatura. Cos'è, credi che non mi sappia difendere da sola?-
-A dire il vero, penso l'esatto contrario: sei tosta quanto gli altri. Sto solo cercando di restare accanto a te.-
Il gruppo si era distribuito per tutta la larghezza del corridoio e stava correndo a passo costante, ma svelto. Mi chiesi quanto sarebbero resistiti quelli che non erano Velocisti. Come in risposta al mio pensiero, qualcuno rimase un po' indietro; poi Newt picchiettò sulla spalla di Minho. -Adesso guidaci tu.- lo sentii dire.
Il Velocista annuì e corse in testa, guidando i Radurai per condurli a tutte le svolte necessarie. Per me ogni passo era un'agonia. Il coraggio che avevo racimolato si era trasformato in terrore e mi chiesi quando avremmo cominciato a sentire i Dolenti che ci davano la caccia. Mi chiedevo quando sarebbe cominciata la battaglia.
Continuammo a muoverci; i Radurai che non erano abituati a correre distanze simili cominciarono ad ansare. Tuttavia, nessuno cedette. Corsero e corsero ancora, senza trovare traccia dei Dolenti. Via via che il tempo passava, lasciai nascere un minuscolo lumicino di speranza. Forse ce l'avremmo fatta prima di essere attaccati. Forse.
Infine, dopo l'ora più lunga di tutta la mia vita, raggiungemmo il lungo vicolo che portava all'ultima svolta prima della Scarpata: un breve corridoio sulla destra, che si dipartiva come lo stelo della lettera T.
Col cuore che batteva forte e il sudore che mi imperlava la pelle, continuai a correre. L'Intendente rallentò all'angolo, poi si fermò e sollevò una mano per dire a me e agli altri di fare lo stesso. Dopo si voltò, con l'orrore dipinto in viso.
-Hai sentito?- bisbigliò.
Scossi la testa, cercando di reprimere il terrore ispirato dall'espressione di Minho. Il ragazzo strisciò in avanti di qualche passo e sbirciò oltre il bordo affilato del muro di pietra, guardando la Scarpata. Lo avevo visto fare quel gesto prima di allora, quando avevamo seguito un Dolente proprio fino a questo punto. Proprio come quella volta, Minho balzò all'indietro e si voltò a guardarmi.
-Oh, no.- disse l'Intendente, con un gemito. -Oh, no.-
Poi li sentii anch'io. I rumori dei Dolenti. Era come se fossero rimasti nascosti, in attesa, e si stessero risvegliando in questo momento. Non ebbi neanche bisogno di guardare: intuii ciò che avrebbe detto Minho prima ancora che aprisse bocca.
-Ce ne sono almeno dodici. Forse anche quindici.- Sollevò le braccia e si strofinò gli occhi col dorso delle mani. -Ci stanno aspettando!-
Il brivido gelido della paura percorse la mia schiena più intenso che mai. Lanciai un'occhiata a Newt. Stavo per dire qualcosa, ma mi bloccai quando vidi l'espressione sul suo viso pallido. Non l'aveva mai visto mostrarsi tanto terrorizzato come in questo modo.
Thomas e Alby si erano spostati oltre la fila di Radurai in attesa per unirsi a noi. Pareva che la frase di Minho fosse già stata sussurrata tra le file degli altri, perché la prima cosa che disse il secondo Velocista fu: -Beh, sapevamo di dover combattere.- Tuttavia, il tremolio nella sua voce lo tradì. Stava solo cercando di dire la cosa giusta.
Anch'io mi sentivo così. Era stato facile parlarne: la battaglia in cui non c'era niente da perdere, la speranza che ne sarebbe stato ucciso solo uno, la possibilità di scappare, finalmente. Ma ora eravamo qui, letteralmente dietro l'angolo. I dubbi sulla mia capacità di farcela mi si insinuarono nella mente e nel cuore. Mi chiesi come mai i Dolenti ci stessero aspettando: era ovvio che le scacertole li avevano avvertiti del nostro arrivo. I Creatori si stavano forse divertendo?
Mi venne un'idea. -Forse hanno già preso un ragazzino nella Radura. Forse possiamo oltrepassarli e basta... Altrimenti perché se ne starebbero lì fermi...-
Fui interrotta da un rumore forte e mi voltai di colpo per vedere altri Dolenti che si avvicinavano lungo il corridoio, in un roteare di punte e di bracci meccanici che annaspavano. Venivano dalla direzione della Radura. Stavo proprio per dire qualcosa quando udii altri rumori dall'altro capo del lungo vicolo. Guardaii, e vidi altri Dolenti.
Il nemico era ovunque. Eravamo bloccati.
I Radurai si scagliarono verso di me, formando un gruppo compatto, costringendomi a spostarmi all'aperto, nell'incrocio in cui il corridoio che portava alla Scarpata incontrava il vicolo. Vidi l'orda dei Dolenti che ci separava dall'abisso, le punte tese, la pelle umidiccia che si sollevava e abbassava a ritmo regolare. Ci aspettavano, ci osservavano. Gli altri due gruppi di Dolenti si erano avvicinati e si fermarono a pochi metri dai Radurai, anch'essi fermi a osservarci, in attesa.
Girai in cerchio lentamente, lottando contro la paura mentre prendevo atto della situazione. Eravamo circondati. Ora non avevamo scelta... Non potevamo andare da nessuna parte. Un dolore pulsante, acuto, mi salì dietro agli occhi.
I Radurai si assembrarono ancora più compatti intorno a me, tutti rivolti verso l'esterno, ammassati insieme al centro dell'incrocio a forma di T. Ero schiacciato tra Newt e Thomas, e sentivo Newt tremare. Tesi il braccio e gli strinsi la mano. Nessuno disse una parola. Gli unici suoni erano i gemiti spettrali e i ronzii meccanici provenienti dai Dolenti, fermi a godersi la piccola trappola che avevano allestito. I loro corpi disgustosi pulsavano, soffiando fiato artificiale con sbuffi meccanici.
Lanciai un'occhiata a Newt. -Hai qualche idea?-
-No.- rispose lui, con voce appena tremante. -Non capisco che cacchio stanno aspettando.-
-Non saremmo dovuti venire.- disse Alby. Fino ad allora era rimasto zitto e la sua voce suonò roca e strana, specialmente per via dell'eco creato dai muri del Labirinto.
Non ero dell'umore di piagnucolare. Dovevamo fare qualcosa. -Beh, nel Casolare non saremmo messi meglio. Odio dirlo, ma se muore uno di noi è meglio che se muoiono tutti.- In questo momento speravo davvero che la faccenda dell'unico morto per notte fosse vera. Vedere tutti questi Dolenti che si avvicinavano mi colpì come un'esplosione: saremmo veramente stati capaci di respingerli tutti?
Prima che Alby rispondesse, passò un lungo istante. -Forse dovrei...- Lasciò la frase a metà e prese ad avanzare verso la Scarpata. Lento, come in trance. Lo osservai con orrore distaccato. Non riuscivo a credere ai miei occhi.
-Alby?- disse Newt. -Torna qui!-
Anziché rispondere, il ragazzo cominciò a correre, andando dritto verso l'orda di Dolenti che lo separava dalla Scarpata.
-Alby!- gridò Newt.
Feci per dire qualcosa a mia volta, ma li aveva già raggiunti ed era saltato addosso a uno di loro. Newt si staccò dal mio fianco e corse verso Alby, ma cinque o sei Dolenti si erano già rianimati e avevano aggredito il ragazzo, in un turbine di pelle e metallo. Tesi le mani e acciuffai Newt per le braccia prima che potesse andare oltre. Poi lo tirai indietro, aiutata da Minho.
-Lasciatemi andare!- strillò Newt, lottando per liberarsi.
-Sei impazzito?- gridai di rimando. -Non puoi farci niente!- cercai di tenere sotto controllo il dolore che provavo per Alby e per le urla di Newt.
Altri due Dolenti si staccarono dal branco e si gettarono sul ragzzo, salendo uno sopra l'altro, pinzando e squarciando il suo corpo come se volessero entrarvi dentro e mostrare tutta la loro maligna crudeltà. In qualche modo, anche se pareva impossibile, Alby non gridò. Persi di vista il corpo; ero impegnata a lottare con Newt, ma fui grata per questa distrazione. Finalmente il ragazzo cedette e si accasciò all'indietro, sconfitto.
Alby era uscito di senno una volta per tutte, pensai, cercando di reprimere l'istinto di vomitare. Il nostro capo temeva tanto di tornare al mondo che aveva visto che, piuttosto, aveva scelto di sacrificarsi. Lo avevamo perso. Completamente.
Aiutai Newt a rimettersi in piedi. Il Raduraio non riusciva a smettere di fissare il punto in cui era scomparso l'amico.
-Non riesco a crederci.- sussurrò il biondo. -Non riesco a credere che l'abbia fatto.-
Scossi la testa, incapace di rispondere. Vedere Alby cadere in questo modo... Un nuovo tipo di dolore mai provato prima mi riempì i visceri, un dolore malato, lacerante, peggiore del dolore fisico. E non sapevo nemmeno se avesse qualcosa a che vedere con Alby. Non mi era mai piaciuto granché, quel ragazzo. Ma il pensiero che ciò che avevo appena visto sarebbe potuto succedere a Chuck, o a Newt...
Minho si avvicinò a noi. Strinse la spalla del biondo. -Non possiamo sprecare ciò che ha fatto.- Si voltò verso di me. -Se sarà necessario, li combatteremo, faremo in modo di aprire un varco verso la Scarpata per te e chi ti accompagnerà. Entrate nella Tana e fate il vostro dovere... Noi li terremo fuori finché non ci urlerete di seguirvi.-
Guardai tutti e tre i gruppi di Dolenti, nessuno dei quali si era ancora mosso verso di noi, e annuii. -Speriamo che si disattivino per un po'. Ci serve solo un minuto o poco più per digitare il codice.-
-Come fate a essere così senza cuore?- mormorò Newt. Il tono schifato della sua voce mi sorprese.
-Che vuoi, amico?- intervenne Minho. -Dobbiamo metterci in tiro e fargli il funerale?-
Il ragazzo non rispose. Stava ancora fissando il punto in cui sembrava che i Dolenti ammucchiati sopra ad Alby si stessero cibando del suo corpo. Non riuscii a fare a meno di sbirciare e vidi una macchia color rosso vivo su uno dei corpi delle creature. Mi venne il voltastomaco e distolsi subito lo sguardo.
Minho proseguì. -Alby non voleva tornare alla sua vecchia vita. Si è fottutamente sacrificato per noi... e adesso non ci stanno attaccando, quindi forse ha funzionato. Saremmo senza cuore se sprecassimo questa occasione.-
Newt si limitò a stringersi nelle spalle e a chiudere gli occhi. -Io vado con Anna. Ho già perso un amico e...- si interruppe.
Minho si voltò, rivolgendosi al gruppo di Radurai stretti gli uni agli altri. -Ascoltatemi! La nostra priorità è proteggere Anna e Newt. Devono arrivare alla Scarpata e alla Tana per...-
Fu interrotto dal rumore dei Dolenti che si riattivavano. Sollevai lo sguardo, inorridita. Le creature su entrambi i lati del gruppo di ragazzi sembravano essersi nuovamente accorte di noi. Le punte avevano ricominciato a saltar fuori dalla pelle bubbosa; i corpi dei mostri pulsavano e tremolavano. Poi, all'unisono, cominciarono ad avanzare, lenti, dispiegando le appendici con i loro strumenti di tortura puntati verso di noi, pronti a ucciderci. Stringendo la formazione a trappola, come un cappio, i Dolenti stavano venendo alla carica con passo regolare.
Il sacrificio di Alby era stato un miserabile fallimento.

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Capitolo 30
*** La Battaglia ***


Afferrai il braccio di Minho. -In qualche modo devo superare quella barriera!- Feci un cenno verso l'orda di Dolenti che rotolavano tra noi e la Scarpata. Sembravano un'unica, grande massa rombante di carne gelatinosa e puntuta, che luccicava per i riflessi delle luci sull'acciaio. Alla luce grigia e sbiadita di questi giorni, sembravano anche più minacciosi di prima.
Stavo aspettando una risposta. Minho e Newt si scambiarono una lunga occhiata. L'attesa della battaglia era quasi peggio della paura della battaglia stessa.
-Stanno arrivando!- urlò Thomas. -Dobbiamo fare qualcosa!-
-Guidali tu.- disse infine Newt a Minho, la voce ridotta a poco più che un sussurro. -Crea un cacchio di sentiero per me ed Anna. Fallo.-
Minho annuì una volta, il volto indurito da uno sguardo di ferrea risoluzione. Poi si voltò verso i Radurai. -Andiamo dritti alla Scarpata! Lottiamo contro quelli al centro, spingiamo quei cosi del caspio verso i muri. La cosa più importante è che Newt ed Anna arrivino alla Tana dei Dolenti!-
Distolsi lo sguardo e tornai a guardare i mostri che si avvicinavano. Ormai erano a pochi metri da noi. Strinsi la mia patetica imitazione di una lancia.
-Dobbiamo rimanere vicini.- dissi a Newt. -Lascia che siano loro a combattere... Noi dobbiamo entrare nella Tana.- Mi sentivo una codarda, ma sapevo che la lotta e l'eventuale morte degli altri sarebbero state vane se non fossimo riusciti a digitare il codice, aprendo la porta che ci avrebbe condotti dai Creatori. 
-Lo so.- risposi. -Restiamo uniti.-
-Pronti!- gridò Minho accanto a me, sollevando la mazza avvolta nel filo spinato in una mano e un lungo coltello argenteo nell'altra. Puntò il coltello verso l'orda dei Dolenti. La lama luccicò. -Ora!-
L'Intendente si scagliò in avanti senza attendere le reazioni altrui. Thomas lo seguì al volo e poi fu il turno degli altri Radurai, un esercito compatto di ragazzi ruggenti alla carica, che si tuffarono a capofitto in una battaglia sanguinosa, con le armi in pugno. Strinsi la mano di Newt, li lasciai passare tutti, sentii i loro spintoni, sentii l'odore del sudore, percepii il loro terrore. Aspettavo l'opportunità perfetta per lanciarmi in volata a mia volta.
Proprio mentre salivano in aria i primi rumori dello scontro tra ragazzi e Dolenti, grida laceranti unite a rombi meccanici e al rumore del legno che sbatte contro l'acciaio, Chuck mi superò correndo. Tesi svelta un braccio e lo bloccai.
Chuck inciampò e poi sollevò lo sguardo verso di me, con gli occhi tanto pieni di paura da spezzarmi il cuore. In quella frazione di secondo, presi una decisione.
-Chuck, tu resti con me e Newt.- Lo dissi in tono veemente, autoritario, senza lasciare spazio al dubbio.
Chuck guardò avanti, verso la battaglia che infuriava. -Ma...- Lasciò la frase a metà e capii che al ragazzino piaceva l'idea, anche se si vergognava ad ammetterlo.
Cercai svelta di salvare la sua dignità. -Ci serve il tuo aiuto nella Tana dei Dolenti, nel caso in cui uno di quei cosi sia lì ad aspettarci.-
Chuck annuì in fretta, troppo in fretta. Di nuovo, ebbi una fitta di tristezza al cuore, provai più forte che mai l'impulso di riportare Chuck al sicuro.
-Okay, allora.- dissi. -Prendi Newt per l'altra mano. Andiamo.-
Chuck fece come gli avevo ordinato, mettendocela tutta per mostrare coraggio. E, notai, senza dire una parola. Forse per la prima volta in tutta la sua vita.
Mi voltai verso il biondo e rimanemmo a guardarci negli occhi a lungo. -Ti amo.- dissi alla fine.
-Ti amo.- ripeté il ragazzo. 
-Okay, siete molto dolci, ma hanno creato un'apertura!- urlò Chuck. Indicò qualcosa più avanti e vidi uno stretto passaggio formarsi al centro del corridoio. I Radurai stavano lottando selvaggiamente per spingere i Dolenti verso le pareti. 
-Ora!- gridai.
Schizzai in avanti, tirandomi dietro Newt, che a sua volta si tirò dietro Chuck. Corsi a velocità massima, lancia e coltello pronti per la battaglia, dritta verso il corridoio di pietra ormai pieno di urla e di sangue. Verso la Scarpata.
La guerra infuriava intorno a noi. I Radurai stavano combattendo, spinti dalle ondate di adrenalina causate dal panico. I suoni che echeggiavano dalle pareti erano una cacofonia di terrore: grida umane, stridore metallico, rombo di motori, le grida spaventose dei Dolenti, le seghe che giravano all'impazzata, gli artigli che schioccavano, i ragazzi che chiamavano aiuto. Era tutta una foschia di sangue, grigiore e bagliori d'acciaio. Cercai di non guardare a destra né a sinistra, ma solo davanti a me, attraverso la stretta apertura formata dai Radurai.
Anche mentre correvamo, continuai a ripassare il codice a mente. FLUTTUA, PIGLIA, SANGUINA, MORTE, RIGIDO, PREMI. Ormai mancavano solo pochi metri.
-Ah! Il braccio!- gridò Newt. Nel momento stesso in cui lo disse, sentii una pugnalata alla gamba. Non guardai indietro, non mi presi la briga di rispondere. La folle impossibilità della nostra impresa era come un'enorme inondazione di acqua nera che mi saliva tutta intorno, trascinandomi verso la resa. La combattei, spingendomi in avanti a più non posso.
Ed ecco la Scarpata, che si apriva sul cielo grigio scuro, a circa sei metri di distanza. Continuai a correre, trascinandomi dietro i due ragazzi. 
La battaglia imperversava da entrambi i lati; mi rifiutai di guardare, mi rifiutai di aiutare gli altri. Un Dolente comparve roteando proprio sul mio cammino; un ragazzo, il cui volto era impossibile da vedere, era stretto tra le tenaglie e stava pugnalando la creatura nella pelle spessa, simile a quella di una balena, nel tentativo di sfuggirgli. Li scansai spostandomi a sinistra e continuai a correre. Mentre li superavo udii un grido acuto, un gemito lancinante che poteva solo significare che il Raduraio aveva perso la battaglia e che stava morendo di una morte orripilante. Il grido non si interruppe, squarciando l'aria, sovrastando gli altri suoni fino ad affievolirsi nel silenzio della morte. Mi sentii tremare il cuore, sperai che non fosse qualcuno che conoscevo.
-Continua a correre e basta!- mi disse Newt.
-Lo so!-gridai.
Qualcuno scattò oltre me, dandomi uno spintone. Un Dolente venne all'attacco da destra, facendo roteare le lame. Un Raduraio gli si mise davanti e lo aggredì con due lunghe spade, in uno stridere e sbattere di metalli e armi. Udii una voce lontana che continuava a gridare le stesse parole, qualcosa che mi riguardava. Qualcosa riguardo al fatto di proteggere la mia corsa. Era Minho, le cui urla ormai trasudavano stanchezza e disperazione.
Non mi fermai.
-Uno ha quasi preso Chuck!- strillò il biondo.
Arrivarono altri Dolenti ad attaccarci, e altri Radurai vennero in nostro aiuto. Winston aveva raccolto l'arco e le frecce di Alby e stava scagliando le aste dalla punta d'acciaio a qualunque cosa non umana vedesse muoversi, mancando più bersagli di quanti non riuscisse a colpirne. Ragazzi che non conoscevo correvano al mio fianco, colpendo le appendici dei Dolenti con le loro armi di fortuna, saltando loro addosso, attaccandoli in ogni modo. I rumori, clangori, fragori, urla, gemiti e lamenti, rombi di motori, seghe circolari, lame che schioccavano, lo stridio delle punte sul pavimento, invocazioni d'aiuto che facevano rizzare i capelli, crebbero fino a divenire insopportabili.
Gridai, ma continuai a correre finché non raggiungemmo la Scarpata. Sbandai fino a frenare proprio sull'orlo. Newt e Chuck andarono a sbattermi contro, finendo quasi per precipitare tutti e tre nell'abisso senza fine. In una frazione di secondo, esaminai il panorama della Tana dei Dolenti. Apparentemente appesi in mezzo al nulla c'erano dei rampicanti d'edera.
Prima, Minho insieme a qualche Velocista aveva strappato dei rami d'edera e li aveva annodati ai rampicanti ancora aderenti ai muri. Poi avevano scagliato le estremità libere oltre la Scarpata, fino a colpire la Tana dei Dolenti. Ora c'erano sei o sette rami che si estendevano dal bordo di pietra fino a un rudimentale quadrato invisibile, fluttuando nel vuoto del cielo fino a sparire nel nulla.
Era ora di saltare. Esitai, in un ultimo momento di terrore puro, udivo i suoni orrendi alle mie spalle, vedeva l'illusione di fronte a me, ma poi me ne tirai fuori a forza. -Prima tu, Newt.- Volevo entrare per ultima, per assicurarmi che un Dolente non prendesse lui o Chuck.
Con mia sorpresa, Newt non esitò. 
-Fate presto.- Dopo aver stretto la mia mano e aver dato una stretta anche alla spalla di Chuck, fece un balzo oltre il bordo, irrigidendo subito le gambe e tenendo le braccia lungo i fianchi. Trattenni il respiro finché non lo vidi scivolare nello spazio tra i rampicanti tagliati e scomparire. Sembrava che fosse stato cancellato dall'esistenza con un colpo di spugna.
-Cavoli!- gridò Chuck. Qualcosa della sua vecchia personalità aveva fatto capolino.
-Hai detto bene: cavoli.- dissi. -Tocca a te.-
Prima che potesse opporsi, lo presi sotto le ascelle e gli strinsi il torace. -Spingi con le gambe, ti mando avanti io. Pronto? Uno, due, tre!- Grugnii per lo sforzo e lo issai per spingerlo verso la Tana.
Chuck volò in aria urlando e rischiò quasi di mancare il bersaglio, ma ci entrò con i piedi. Sbatté con la pancia e le braccia contro i fianchi della buca invisibile, ma poi scomparve all'interno. Il coraggio del ragazzino diede concretezza a qualcosa nel mio cuore. Gli volevo davvero bene. Gli volevo bene come se avessimo la stessa madre.
Aggiustai le fibbie dello zaino e strinsi forte la lancia artigianale nel pugno destro. I suoni alle mie spalle erano tremendi, orribili. Mi sentivo in colpa per non essere intervenuta. Fa' la tua parte e basta, mi dissi.
Cercando di farmi forza, battei la lancia contro il pavimento di pietra, poi feci perno col piede sinistro sul bordo della Scarpata e saltai, catapultandomi in alto, nell'aria del crepuscolo. Tirai la lancia vicino a me, puntai gli alluci verso il basso e irrigidii il corpo. 
Poi arrivai nella Tana. 
Quando vi entrai, un lampo gelido mi percorse la pelle, partendo dai piedi e salendo lungo tutto il corpo, come se mi fossi tuffata in uno specchio d'acqua gelata. Il mondo parve farsi ancora più buio. Atterrai con un tonfo su un pianerottolo scivoloso, poi ruzzolai e caddi all'indietro, tra le braccia di Newt. Il ragazzo e Chuck mi aiutarono ad alzarmi in piedi. Era un miracolo che non avessi infilzato qualcuno nell'occhio con la lancia.
La Tana dei Dolenti sarebbe stata immersa nell'oscurità totale se non fosse stato per il raggio della torcia di Newt che fendeva il buio. Mentre mi riprendevo, mi accorsi che ci trovavamo su un cilindro di pietra alto circa tre metri. Era umido e coperto di una sostanza oleosa sporca e luccicante. Si estendeva davanti a noi per decine di metri prima di dissolversi nel buio. Sollevai lo sguardo per sbirciare il buco da cui eravamo entrati. Aveva l'aspetto di una finestra quadrata affacciata su uno spazio profondo e privo di stelle.
-Il computer è laggiù.- disse Newt, catturando la mia attenzione.
Diversi metri più addentro, nella galleria, c'era un piccolo quadrato di vetro sudicio che brillava di una luce opaca e verdognola contro cui il biondo aveva appena puntato la torcia. Sotto lo schermo c'era una tastiera incassata nella parete, che però sporgeva abbastanza da consentire di usarla con facilità standovi in piedi davanti. Eccola lì, pronta per il codice. Non riuscii a fare a meno di pensare che sembrasse troppo facile, troppo bello per essere vero. 
-Scrivi le parole!- gridò Chuck, dandomi una pacca sulla spalla. -Spicciati!-
Newt mi fece un cenno. -Io e Chuck staremo di guardia, per essere sicuri che non entri qualche Dolente dal buco.- Speravo che i Radurai, in questo momento, non avessero più l'obiettivo di creare un passaggio nel Labirinto, ma che stessero cercando di tenere le creature lontane dalla Scarpata.
-Okay.- dissi. Mi avvicinai allo schermo e alla tastiera e cominciai a digitare.
-Aspetta!- mi richiamò Newt. -Sei sicura di sapere le parole?-
Mi voltai, imbronciata. -Non sono un'idiota, Newt. Sì, sono perfettamente capace di ricordare...-
Fui interrotta da un forte colpo proveniente dall'alto, alle nostre spalle, che mi fece sussultare. Alzai lo sguardo di scatto e vidi un Dolente lasciarsi cadere dalla buca. Sbucò dal quadrato scuro come per magia. La creatura aveva ritratto le punte per entrare, ma quando atterrò con un tonfo appiccicaticcio, una dozzina di brutte appendici affilate saltarono fuori di nuovo, con un'aria più letale che mai.
Tornai indietro verso i due ragazzi e spinsi Chuck dietro di me, pronta ad affrontare il mostro, tenendo la lancia puntata come se potesse servire a respingerlo. -Chuck! FLUTTUA, PIGLIA, SANGUINA, MORTE, RIGIDO, PREMI. Digita queste sei parole! Vai!- gridai al ragazzino.
Dalla pelle bagnata del Dolente sbucò un sottile braccio metallico che si dispiegò, rivelandosi una lunga asta munita di tre lame rotanti che presero a muoversi direttamente verso il mio viso.
Afferrai l'impugnatura della lancia con entrambe le mani, stringendole forte mentre abbassavo la punta con la lama di coltello verso la terra davanti a me. Il braccio rotante del Dolente era ormai a poco più di mezzo metro da me e Newt, pronto a farci a fette. Quando fu a una trentina di centimetri di distanza, tesi i muscoli e, di colpo, tirai la lancia su, verso il soffitto, spingendo con tutte le mie forze. In questo modo, colpii il braccio metallico e feci girare la creatura verso l'alto, come su un perno. Poi il braccio descrisse un arco e tornò indietro, finendo per conficcarsi nel corpo del Dolente. Il mostro si lasciò sfuggire un grido di collera e arretrò di parecchi centimetri, ritraendo le punte all'interno del corpo. Stavo respirando affannosamente.
-Forse riusciamo a tenerlo a bada.- dissi svelta a Chuck. -Però fa' in fretta!-
-Ho quasi finito.- rispose lui.
Le punte del Dolente apparvero di nuovo. La creatura tornò alla carica e un altro braccio meccanico spuntò dalla sua pelle, protendendosi in avanti. Questa volta era munito di enormi artigli che presero a schioccare per ghermire la lancia di Newt. Lui colpì, mettendoci tutte le forze che aveva in corpo. La lancia andò a sbattere contro la base a cui erano applicati gli artigli. Con un tonfo rumoroso e poi un suono viscido, l'intero braccio fu strappato dal suo alloggiamento e cadde a terra. Da una qualche specie di bocca che non riuscivo a vedere, il Dolente emise un grido lungo e lacerante per poi arretrare di nuovo. Le punte scomparvero.
-Questi mostri si possono sconfiggere!- gridò il biondo.
-Il computer non prende l'ultima parola!- ci disse Chuck.
Lo udii a malapena e a dire il vero non capii cosa stesse dicendo. Con un ruggito, corsi alla carica verso il Dolente, per sfruttare quel suo momento di debolezza. Brandendo la lancia con furia selvaggia, saltai sopra al corpo gibboso della creatura e gli strappai due bracci metallici, che furono divelti con uno schiocco secco. Poi sollevai la lancia sopra la testa, mi piantai bene sui piedi, li sentii sprofondare in quella massa molle e disgustosa, e spinsi con forza la lancia in giù, nel corpo del mostro. Una sostanza appiccicosa gialla, della consistenza del muco, esplose dalle sue carni, schizzando tutta sulle mie gambe, intenta a spingere la lancia quanto più in profondità riuscissi ad arrivare. Poi lasciai andare l'impugnatura e mi allontanai con un balzo, tornando di corsa da Newt e Chuck.
Morbosamente ipnotizzata, rimasi a guardare il Dolente contorcersi incontrollabilmente, sprizzando la sostanza gialla e untuosa in tutte le direzioni. Le punte entravano e uscivano dalla pelle; i bracci meccanici rimasti roteavano a casaccio, a volte finendo per colpire il corpo stesso del mostro. Presto i movimenti si fecero più lenti. Stavano perdendo energia con ogni grammo di sangue, o carburante, che se ne andava.
Pochi secondi dopo smise del tutto di muoversi. Non riuscivo a crederci. Non riuscivo assolutamente a crederci. Avevo appena sconfitto un Dolente, uno dei mostri che avevano terrorizzato i Radurai per più di due anni.
Mi guardai alle spalle e vidi Newt, in piedi con gli occhi sbarrati.
-L'hai ucciso.- disse il ragazzo. Scoppiò a ridere, come se con quell'azione tutti i problemi fossero stati risolti. -So che non è il momento giusto, ma... Sei davvero bella quando ti arrabbi.-
-Grazie.- gli sorrisi. -Non è stato così difficile.- aggiunsi, riferendomi a quello che avevo appena fatto. Poi mi voltai e vidi Chuck che batteva freneticamente sulla tastiera. Capii subito che c'era qualcosa che non andava.
-Che problema c'è?- gli domandai, quasi urlando. Corsi verso di lui per guardare e vidi che stava continuando a digitare la parola PREMI, ma che sullo schermo non appariva nulla.
Il ragazzino indicò il riquadro di vetro sporco, vuoto a parte il bagliore verdastro che gli dava vita. -Ho inserito tutte le parole e sono apparse una alla volta sullo schermo. Poi si sentiva un bip e scomparivano. Ma l'ultima parola non la prende. Non sta succedendo niente!-
Sentendo le parole di Chuck, mi sentii gelare il sangue. -Beh... Perché?-
-Non lo so!- Il ragazzo provò e riprovò, ma non accadde nulla.
-Anna!- strillò Newt, dietro di noi. Mi voltai e lo vidi indicare il buco. Stava entrando un'altra creatura. Sotto ai miei occhi, il Dolente si lasciò cadere sopra al fratello morto e in quel momento un altro cominciò a entrare dall'apertura.
-Perché ci stai mettendo così tanto?- sbraitò il biondo, isterico. -Avevi detto che si sarebbero spenti, col codice!-
Entrambi i Dolenti si erano raddrizzati e avevano estratto le punte. Avevano cominciato a muoversi verso di noi.
-Il computer non accetta la parola PREMI...- dissi, assente. In realtà non stavo parlando con Newt. Stavo cercando di pensare a una soluzione. 
-Non ci arrivo.- disse Chuck.
I Dolenti si stavano avvicinando, mancavano solo pochi metri. Sentii dissolversi la mia forza di volontà. Allargai i piedi e sollevai i pugni, ormai scoraggiata. Avrebbe dovuto funzionare. Il codice avrebbe dovuto...
-Forse dovete solo premere quel bottone.- disse Newt.
Fui così sorpresa da questa frase casuale che distolsi lo sguardo dai Dolenti e guardai il ragazzo. Newt stava indicando un punto accanto al pavimento, proprio sotto allo schermo e alla tastiera.
Prima che potessi muovermi, Chuck si era già abbassato, mettendosi in ginocchio. Consumata dalla curiosità e da un guizzo di speranza, mi inginocchiai accanto a lui, buttandomi a terra per vedere meglio. Udii il Dolente gemere e ruggire alle mie spalle, sentii un artiglio affilato prendermi la maglietta, provai una fitta di dolore. Ma riuscivo solo a fissare l'oggetto davanti a me.
Un piccolo bottone rosso era incassato nel muro, a pochi centimetri dal pavimento. C'erano stampate sopra tre parole in nero. Era tanto ovvio che non riuscivo a credere che mi fosse sfuggito.
DISTRUGGI IL LABIRINTO.
Un'altra fitta di dolore mi strappò al mio sbigottimento. Il Dolente mi aveva preso con due delle sue appendici e aveva cominciato a trascinarmi all'indietro. L'altro stava inseguendo Newt ed era lì per spiccare un fendente con una lunga lama.
Un pulsante.
-Premi!- gridai, più forte di quanto non credessi fosse possibile urlare per un essere umano.
Chuck ubbidì.
Premette il pulsante e tutto si fece completamente silenzioso. Poi, da qualche parte in fondo alla galleria buia, si sentì il rumore di una porta scorrevole che si apriva.

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Capitolo 31
*** La Perdita ***


I Dolenti si erano completamente disattivati quasi subito. Le loro appendici furono risucchiate dalla pelle bulbosa, le luci si spensero, sui macchinari al loro interno calò una quiete mortale. E quella porta...
Dopo che la presa degli artigli si allentò, caddi a terra e, nonostante il dolore dei vari tagli che mi ritrovavo sulla schiena e sulle spalle, mi sentii pervadere da un entusiasmo tale che non sapevo come reagire. Prima boccheggiai, poi scoppiai a ridere, poi quasi soffocai a causa di un singhiozzo prima di ricominciare a vivere ancora.
Chuck si era allontanato alla chetichella dai Dolenti, finendo per andare a sbattere addosso a Newt, che lo strinse forte, stritolandolo in un abbraccio d'acciaio dovuto alla gioia del momento.
-È merito tuo, Newt.- dissi correndo verso di loro e unendomi ad un abbraccio di gruppo. -Eravamo talmente preoccupati delle stupide parole del codice che non abbiamo pensato a guardarci intorno in cerca di qualcosa da premere... L'ultima parola, l'ultimo pezzo del puzzle.- Risi di nuovo, incredula che fosse possibile qualcosa del genere dopo tutto ciò che avevamo passato. -Newt... Ci hai salvati! E Chuck, sei stato fantastico... Te l'ho detto che c'era bisogno di te!- 
-E gli altri?- disse il biondo, con un cenno diretto all'apertura della Tana dei Dolenti. Sentii svanire il mio entusiasmo. Feci un passo indietro e mi voltai a guardare anch'io.
Come in risposta alla domanda del ragazzo, qualcuno cadde dal quadrato nero. Era Minho, che sembrava essere stato graffiato o pugnalato sul novanta per cento della superficie del suo corpo.
-Minho!- gridai, piena di sollievo. -Stai bene? E tutti gli altri?-
Il Velocista incespicò verso il muro curvo della galleria e poi vi si appoggiò, ansando. -Abbiamo perso moltissime persone... Lassù è un bagno di sangue... Poi si sono spenti tutti di colpo.- Fece una pausa, inspirando profondamente e poi espirando di botto. -Ce l'avete fatta. Non riesco a credere che abbia funzionato davvero.-
Subito dopo arrivò Thomas, seguito da Frypan. Poi Winston ed alcuni altri. In breve, diciotto ragazzi si unirono a noi nella galleria, raggiungendo così un totale di ventun Radurai. Ciascuno di coloro che erano rimasti indietro a combattere era coperto di muco dei Dolenti e sangue umano, e aveva gli abiti a brandelli.
-Gli altri?- chiesi, terrorizzata dalla risposta.
-Metà di noi.- disse Thomas con voce fioca. -Morti.-
Allora nessuno disse una parola. Nessuno disse più nulla per un bel pezzo.
-Sapete una cosa?- disse Minho, mettendosi un poco più dritto. -Metà di noi sarà anche morta, ma metà di noi è sopravvissuta, caspio. E nessuno è stato punto... proprio come pensava Anna. Dobbiamo uscire di qui.-
Troppi, pensai. Veramente troppi. La mia felicità si dissolse e si trasformò in un senso di lutto profondo per le venti persone che avevano perso la vita. Nonostante l'alternativa, nonostante sapessi bene che se non avessimo tentato la fuga saremmo morti tutti, ne ero comunque addolorata, anche se si trattava di persone che non conoscevo bene. Un simile bilancio di morti... Come facevano a considerarlo una vittoria? 
-Andiamocene di qui.- disse Newt. -Ora.-
-Dove andiamo?- domandò Minho.
Indicai la lunga galleria che si perdeva nel buio. -Ho sentito il rumore di una porta che si apriva, da quella parte.- Cercai di scacciare in qualche modo tutto questo dolore: l'orrore della battaglia che avevamo appena vinto. Le vittime. Cacciai via tutto, sapendo che non eravamo ancora affatto al sicuro.
-Bene... Andiamo.- rispose Minho. Il ragazzo più grande si voltò e prese a camminare lungo la galleria, senza aspettare la risposta degli altri.
Newt annuì, incitando gli altri Radurai a seguire il ragazzo. Ci incamminammo uno alla volta, finché Newt non rimase solo con me e Chuck.
-Vado io per ultima.- dissi.
-Ti faccio compagnia.- si offrì il biondo.
Nessuno si oppose. Ci addentrammo nella galleria buia. Addirittura le torce sembravano essere inghiottite da tutta questa oscurità. Li seguii, mano nella mano a Newt, senza prendermi la briga di tornare a guardare i Dolenti morti.
Dopo circa un minuto di cammino, udii un grido provenire dall'inizio della fila. Poi un altro e un altro ancora. Le grida svanivano, come se chi le aveva emesse stesse cadendo...
I Radurai in fila presero a mormorare e infine Thomas si voltò verso di noi. -Sembra che lassù si vada a finire in uno scivolo che scende giù in picchiata.-
A questo pensiero, mi sentii rivoltare lo stomaco. Sembrava che fosse veramente un gioco, almeno per chiunque fosse stato a costruire questo posto.
Uno alla volta, sentii svanire le grida dei Radurai più avanti nella fila. Poi arrivarono il turno di Thomas e quello di Chuck. Newt illuminò con la torcia un ripido scivolo di metallo nero che scendeva.
-Mi sa che non abbiamo scelta.- mi disse.
-Mi sa di no.- avevo la forte impressione che questa non fosse la via d'uscita dal nostro incubo. Speravo che almeno lo scivolo non portasse a un altro branco di Dolenti.
Newt si lasciò scivolare con un grido quasi di allegria ed io lo seguii prima di potermi mettere a pensare di fare diversamente: qualunque cosa era meglio del Labirinto.
Il mio corpo sfrecciò per una ripida discesa, resa scivolosa da una sostanza oleosa dall'odore sgradevole, simile a quello della plastica bruciata e dei macchinari surriscaldati. Mi contorsi fino a riuscire a mettere davanti i piedi, poi provai a tendere la mani per costringermi a rallentare. Era inutile: la sostanza unta copriva ogni centimetro della pietra e non ci si poteva aggrappare a nulla.
Le grida degli altri Radurai riecheggiarono rimbalzando sulle pareti della galleria mentre scivolavano giù per lo scivolo unto. Fui presa dal panico. Non riuscivo a scacciare un'immagine che ci vedeva inghiottiti da una bestia enorme. Stavamo scivolando nel suo lungo esofago e saremmo atterrati nello stomaco da un momento all'altro. Come se i miei pensieri si fossero materializzati, gli odori cambiarono, trasformandosi in qualcosa di simile alla rugiada e alle foglie marce. Cominciai ad avere dei conati e dovetti sforzarmi al massimo per non vomitarmi addosso.
Il tunnel cominciò a curvare, trasformandosi in una spirale rudimentale che bastava appena a farci rallentare un poco. I miei piedi andarono a finire addosso a Newt, colpendola alla testa. Cercai di retrocedere e mi sentii prendere da un senso di disperazione. Stavamo ancora cadendo. Il tempo parve dilatarsi all'infinito.
Continuammo a scendere in cerchio lungo il tubo. La nausea mi bruciava nello stomaco per la sensazione viscida di questo materiale viscoso sul corpo, l'odore, il moto circolare. Stavo proprio per voltarmi di fianco a vomitare quando Newt gridò forte. Questa volta non ci fu alcun eco. Un istante dopo, volai fuori dal tunnel e gli caddi addosso.
C'erano corpi che annaspavano dappertutto, persone finite l'una addosso all'altra che si lamentavano e si dimenavano confuse, cercando di allontanarsi dagli altri. Battei le braccia e le gambe per non rimanere addosso al ragazzo, poi strisciai di qualche metro più in là e mi accasciai cercando di reprimere i conati. Mi misi a sedere, strofinando a terra entrambe le mani, e finalmente riuscii a vedere bene il luogo in cui eravamo arrivati. Mentre osservavo, a bocca aperta, vidi anche che tutti gli altri si erano rialzati e riuniti in gruppo. Stavano tutti guardando il nuovo ambiente che ci circondava.
Ne avevo visto qualche scorcio durante la Mutazione, ma non me l'ero ricordato davvero fino a questo momento.
Ci trovavamo in un'enorme stanza sotterranea, abbastanza grande da contenere nove o dieci Casolari. Dal basso in alto e da un'estremità all'altra, la stanza era coperta di ogni sorta di macchinari, fili, tubi e computer. Da un lato della stanza, alla mia destra, c'era una fila di circa quaranta grandi capsule bianche che sembravano enormi bare. Dalla parte opposta c'erano delle grandi porte di vetro, anche se l'illuminazione presente non consentiva di vedere cosa ci fosse oltre.
-Guardate!- gridò qualcuno, ma avevo già visto con i miei occhi. Il respiro mi si era bloccato in gola. Mi venne la pelle d'oca dappertutto e un terrore strisciante mi scese lungo la spina dorsale come un ragno bagnato.
Direttamente di fronte a noi, c'era una fila di circa venti finestre dai vetri scuri, allineate una di seguito all'altra per tutta la lunghezza della struttura. Dietro a ciascuna finestra c'era una persona, uomini e donne, tutti magri e pallidi, seduti a osservarci, a fissarci a palpebre strette dietro ai vetri. Rabbrividii, terrorizzata. Sembravano fantasmi. Visioni rabbiose, affamate e lugubri di persone che non erano mai state felici da vive e che lo erano molto meno da morte.
Ma sapevo che ovviamente non si trattava di fantasmi. Erano le persone che ci avevano mandati tutti nella Radura. Le persone che ci avevano strappati alle nostre vite.
I Creatori. 
Feci un passo all'indietro e mi accorsi che gli altri Radurai stavano facendo lo stesso. Un silenzio mortale parve privare l'aria di ogni traccia di vita. Ciascun Raduraio stava fissando la fila di finestre, la fila di osservatori. Vidi che uno di loro abbassò lo sguardo per scrivere qualcosa, un altro tese il braccio e si infilò un paio di occhiali. Tutti indossavano soprabiti neri sopra le camicie bianche e avevano una parola cucita sul petto, a destra, ma non riuscivo a leggere bene cosa dicesse. Nessuno di loro aveva un'espressione facciale leggibile; erano tutti bianchicci e sparuti. A guardarli facevano tristezza.
Continuarono a fissarci. Un uomo scosse la testa, una donna annuì. Un altro uomo sollevò una mano e si grattò il naso, che fu il gesto più umano che li vidi fare.
-Chi è quella gente?- bisbigliò Chuck, ma la sua voce echeggiò stridula per tutta la stanza.
-I Creatori.- disse Minho. Poi sputò per terra. -Vi spacco la faccia!- gridò tanto forte che fui lì per coprirmi le orecchie con le mani.
-Che facciamo?- domandai. -Che stanno aspettando?-
-Probabilmente hanno riattivato i Dolenti.- disse Newt. -Può darsi che stiano arrivando proprio...-
Fu interrotto da un suono forte, acuto, come la sirena di un enorme camion che si avvicinava in retromarcia, ma molto più intenso. Arrivava da ogni direzione, rimbombando e riecheggiando per tutta la stanza.
-E adesso?- chiese Chuck, senza nascondere la preoccupazione. Per qualche ragione, tutti mi guardarono; in risposta mi strinsi nelle spalle: avevo già condiviso i miei ricordi e in questo momento non avevo idea di cosa stesse accadendo, al pari degli altri. Ed ero spaventata quanto chiunque altro. Allungai il collo e osservai il luogo che ci circondava, esaminandolo da cima a fondo in cerca della fonte delle sirene. Tuttavia, non era cambiato nulla. Poi, con la coda dell'occhio, mi accorsi che gli altri Radurai avevano rivolto lo sguardo in direzione delle porte. Lo feci anch'io. Quando vidi che una delle porte si stava spalancando, il mio cuore prese a battere più forte.
La sirena smise di suonare e sulla stanza calò un silenzio profondo come quello dello spazio interstellare. Rimasi in attesa, col fiato sospeso, pronta a vedere qualcosa di orrendo volarci addosso dalla soglia.
Invece entrarono due persone.
Una era una donna. Un'adulta vera e propria. Sembrava una persona molto ordinaria. Indossava pantaloni neri e una camicia bianca abbottonata con un logo sul seno: la parola CATTIVO scritta a lettere maiuscole nere. I capelli biondi le arrivavano alle spalle e aveva un viso sottile, con gli occhi scuri. Ci si avvicinò senza sorridere né accigliarsi. Sembrava quasi che non si fosse accorta del fatto che fossimo qui, o che non gliene importasse niente.
La conosco, pensai. Ma si trattava di un ricordo fumoso. Non riuscivo a ricordare il suo nome o cosa avesse a che fare col Labirinto. Tuttavia, mi sembrava familiare. E non solo il suo aspetto, ma anche il suo modo di camminare, il suo portamento rigido, senza traccia di allegria. La donna si fermò a una certa distanza da noi e, lentamente, ci osservò tutti, da sinistra a destra.
L'altra persona, che stava accanto a lei, era un ragazzo con addosso una felpa troppo larga, col cappuccio calato sulla testa in modo da nascondergli il viso.
-Bentornati.- disse infine la donna. -Più di due anni e così pochi morti. Straordinario.-
Sentii che la bocca mi si spalancava e il viso mi si faceva rosso per la rabbia. -Prego?- disse Newt accanto a me.
Gli occhi della donna passarono di nuovo in rassegna la folla prima di fermarsi sul ragazzo. -Tutto è andato secondo i piani, signor Newt. Anche se ci aspettavamo di veder cedere qualcuno di più lungo la strada.-
Lanciò un'occhiata al suo compagno, poi tese la mano e tolse il cappuccio al ragazzo. Lui sollevò lo sguardo. Aveva gli occhi bagnati di lacrime. Tutti i Radurai presenti emisero un ansito di sorpresa. Mi sentii tremare le ginocchia.
Era Wes.
Sbattei le palpebre, poi mi strofinai gli occhi, come in un fumetto. Ero sconvolta e furibonda.
Era Wes.
-Che ci fa lui, qui?- gridò Minho.
-Adesso siete al sicuro.- rispose la donna, come se non lo avesse sentito. -Vi prego di stare tranquilli.-
-Tranquilli?- latrò il Velocista. -E chi sei tu per dirci di stare tranquilli? Vogliamo vedere la polizia, il sindaco, il presidente... qualcuno!- mi preoccupai di cosa potesse fare il ragazzo. Del resto, io stessa avrei voluto andare a dare un pugno in faccia a quella tizia.
La donna strinse le palpebre e guardò Minho. -Non hai idea di quel che dici, ragazzino. Mi aspetterei più maturità da qualcuno che ha superato le Prove del Labirinto.- Il suo tono condiscendente mi sconvolse.
Minho fece per ribattere, ma Newt gli diede una gomitata nello stomaco.
-Wes.- disse il biondo. -Cos'è questa storia?-
Il ragazzo dai capelli scuri lo guardò. I suoi occhi si incendiarono di rabbia per un istante, mentre la testa tremava un poco. Ma non rispose. Ha qualcosa che non va, pensai. Era peggio di prima.
La donna annuì, come se fosse orgogliosa di lui. -Un giorno ci sarete tutti grati per ciò che vi abbiamo fatto. Posso solo promettervelo e confidare che le vostre menti lo accettino. Se non lo fate, allora tutta questa faccenda sarà stata un errore. Tempi bui, signor Newt. Tempi bui.- Fece una pausa. -Ovviamente c'è un'ultima Variabile.- Fece un passo indietro.
Mi concentrai su Wes. Tutto il corpo del ragazzo stava tremando, il viso di un pallore scialbo che faceva risaltare gli occhi umidi e rossi come macchie di sangue sulla carta. Le labbra si strinsero e la pelle intorno a loro si contorse, come se stesse cercando di parlare, ma senza riuscirci.
-Wes?- chiesi, cercando di reprimere l'odio totale che provavo nei suoi confronti.
Le parole eruppero dalla bocca del ragazzo. -Loro... Mi controllano... Io non...- Gli occhi gli si gonfiarono e una mano salì alla gola, come se stesse soffocando. -Io... Devo...- Ogni sua parola era un rantolo rauco. Poi si calmò, col viso più disteso e il corpo che si rilassava.
Era proprio come ciò che era successo ad Alby nel letto, nella Radura, dopo che aveva subìto la Mutazione. Gli era capitato qualcosa di molto simile. Cosa fosse stato...
Ma non ebbi il tempo di finire di pensare. Wes portò un braccio dietro di sé ed estrasse dalla tasca posteriore qualcosa di lungo e luccicante. Le luci della stanza si rifletterono sulla superficie argentea di un pugnale dall'aria minacciosa che il ragazzo, ora, stringeva forte tra le dita. Con velocità inaspettata, fece un passo di rincorsa e scagliò il coltello nella mia direzione. Mentre lo faceva, sentii diverse grida intorno a me, poi percepii un movimento. Verso di me.
La lama mulinò. Ne vidi ogni rotazione, come se il mondo intero avesse preso a muoversi al rallentatore. Il coltello si stava avvicinando, roteando su sé stesso, dritto verso di me. Un grido strozzato mi stava salendo in gola; provai a muovermi, ma non ci riuscii. 
Poi, inspiegabilmente, apparve Chuck, che mi si era tuffato proprio davanti. Contemporaneamente sentii due mani tirarmi via. Mi sentivo come se i piedi mi si fossero paralizzati dentro a due blocchi di ghiaccio e potei solo rimanere a fissare inerme la scena orrenda che andava svolgendosi sotto ai miei occhi.
Con un tonfo umidiccio e rivoltante, il pugnale andò a sbattere nel petto di Chuck, affondandovi fino all'elsa, mentre cadevo contro il petto di Newt. Il ragazzino urlò e cadde a terra, il corpo già preso da un tremito. Il sangue sgorgava color cremisi scuro dalla ferita. Le gambe presero a sbattere sul pavimento, i piedi scalciarono convulsi, dando gli ultimi colpi prima della morte incombente. La saliva gli schiumò rossa tra le labbra. Mi sentii come se il mondo intero mi stesse crollando intorno, stritolandomi il cuore.
Mi divincolai dalla presa del ragazzo e caddi a terra, prendendo tra le braccia il corpo tremante di Chuck.
-Chuck!- strillai. La mia voce era come un acido che mi squarciava la gola. -Chuck!-
Il ragazzino fu preso da un tremito incontrollabile. C'era sangue dappertutto, le mie mani ne erano coperte. Gli occhi di Chuck si erano rovesciati all'indietro, lasciando vedere solo orbite bianche. Il sangue gli gocciolava dal naso e dalla bocca.
-Chuck...- ripetei, questa volta in un soffio. Doveva esserci qualcosa che potevamo fare. Potevamo salvarlo. Potevamo...
Il ragazzo smise di contorcersi e si lasciò andare. Gli occhi tornarono alla loro posizione normale, si concentrarono su di me, si aggrapparono alla vita. -Ann... a.- Una parola, udibile a malapena.
-Tieni duro, Chuck.- dissi. -Non morire... Lotta. Qualcuno vada a chiamare aiuto!-
Nessuno si mosse e nel profondo capii il perché. Non si poteva fare nulla, ormai. Era finita. Vidi dei puntini neri corrermi davanti agli occhi; la stanza oscillò e si inclinò. No, pensai. Non Chuck. Non Chuck. Chiunque, ma non Chuck.
-Anna.- sussurrò Chuck. -Va bene così...- Un colpo di tosse devastante gli scosse i polmoni, facendogli sputare sangue. -Va bene...-
Non finì la frase. Gli occhi si chiusero, il corpo si afflosciò. Esalò l'ultimo respiro.
Rimasi a fissarlo. A fissare il cadavere della persona che ritenevo un fratello.
Qualcosa accadde dentro di me. Cominciò in basso, nel profondo del mio petto. Un seme di rabbia furiosa. Di desiderio di vendetta. Di odio. Qualcosa di oscuro e terribile. Poi esplose, dirompendo dai polmoni, dal collo, dalle braccia e dalle gambe. Mi esplose nella mente.
Lasciai andare il corpo di Chuck, mi alzai tremando e mi volsi a guardare i nuovi visitatori.
Poi mi saltarono i nervi. Nel modo più totale e assoluto.
Mi buttai in avanti, scagliandomi su Wes, annaspando con le dita come artigli. Trovai la gola del ragazzo, e presi a stringere con tutta lo forza che una ragazza poteva avere, cadendo a terra sopra di lui. Mi misi a cavalcioni sul suo torace, lo tenni fermo con le gambe per non farlo scappare. Cominciai a riempirlo di pugni.
Tenni giù Wes con la mano sinistra, spingendogli il collo a terra, e intanto gli riempii selvaggiamente il viso di pugni con la destra. Giù, giù e giù ancora, affondando le nocche strette nella guancia e nel naso del ragazzo. Si sentì il rumore di qualcosa che si rompeva, sgorgò del sangue, si sentirono urla tremende. Non sapevo quali fossero più forti, se le mie o quelle di Wes. Lo picchiai. Alternavo i pugni a varie ginocchiate che andavano a finire in mezzo alle gambe del ragazzo. Lo picchiai come per liberarmi di ogni grammo di rabbia che avessi mai avuto in corpo.
Poi Minho e Newt mi presero per allontanarmi e mi trascinarono via mentre ancora mi dibattevo con le braccia. Mi trascinarono sul pavimento e lottai contro di loro, dimenandomi, gridando che mi lasciassero stare. I miei occhi rimasero incollati a Wes, ancora disteso, immobile. Riuscivo a sentire il mio odio riversarsi verso di lui, come se fossimo uniti da una linea di fuoco visibile.
Poi, in un attimo, tutto scomparve. Mi rimase solo il pensiero di Chuck.
Mi divincolai dalla stretta di Newt e Minho e corsi verso il corpo floscio e senza vita del ragazzino. Lo afferrai, lo ripresi tra le braccia ignorando il sangue, ignorando l'espressione impietrita dalla morte sul volto del ragazzino.
-No!- urlai, consumata dalla disperazione. -No!- 
Newt era lì con me e mi mise una mano sulla spalla. Me la tolsi di dosso con uno scossone.
-Glielo avevo promesso!- gridai, rendendomi conto, però, anche in questo momento, che nella mia voce c'era una nota di qualcosa di sbagliato. Avevo quasi una voce da folle. -Avevo promesso che lo avrei salvato, che lo avrei portato a casa! Glielo avevo promesso!-
Newt non rispose. Fece solo un cenno di assenso, con gli occhi fissi a terra e una mano a coprirgli la bocca. Vidi le lacrime solcare le sue guance. Mi voltai verso Minho e vidi che anche lui stava cercando di trattenere i singhiozzi.
Strinsi Chuck al petto, lo abbracciai con quanta più forza avevo in corpo, come se in qualche modo questo gesto potesse riportarlo indietro o mostrarmi riconoscenza per avergli salvato la vita, per essergli stata amica quando non c'era nessun altro che volesse esserlo.
Mi misi a piangere e piansi come non avevo mai pianto prima. I miei singhiozzi addolorati risuonarono nella stanza come i lamenti emessi da qualcuno che viene torturato.

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Capitolo 32
*** La Fine ***


Infine, riuscii a calmarmi, a risucchiare nel mio cuore la marea dolorosa della disperazione che provavo. Nella Radura, per me Chuck era diventato un simbolo. Come un faro che indicava che in qualche modo saremmo riusciti a sistemare le cose. A dormire in un vero letto. Ad avere dei genitori che ci dessero il bacio della buonanotte. A mangiare uova e pancetta a colazione e ad andare in una vera scuola. A essere felici.
Ma ora Chuck non c'era più. Il suo corpo inerme, a cui ero ancora aggrappata, sembrava un talismano freddo. Che diceva che non solo i nostri sogni di un futuro pieno di speranza non si sarebbero mai realizzati, ma anche che comunque la vita non era mai stata così. Che anche se eravamo riusciti a fuggire, ci aspettavano giorni tetri. Una vita di dolore.
I ricordi che mi stavano tornando in mente erano solo abbozzati. Ma in quella poltiglia mentale non vedevo niente di bello.
Cercai di raccogliere il mio dolore e di chiuderlo da qualche parte, nel profondo del mio animo. Lo feci per Newt. Per Minho e Thomas. Qualunque fosse il cupo futuro che ci aspettava, saremmo stati insieme, e in questo momento era tutto ciò che importava.
Lasciai andare Chuck e mi accasciai all'indietro, cercando di non guardare la maglietta del ragazzo tutta annerita dal sangue. Mi asciugai le lacrime dalle guance e mi strofinai gli occhi, pensando che dovevo sentirmi imbarazzata, ma non in questo modo. Infine, sollevai lo sguardo. Vidi Newt, con quei suoi occhi castani appesantiti dalla tristezza, sia per me che per Chuck, ne ero certa.
Mi allungò il braccio e mi prese per mano, mi aiutò ad alzarmi. Una volta in piedi, non smisi di stringergli la mano e non lo fece nemmeno lui. Continuai a stringere, cercando di comunicargli ciò che provavo con questo gesto. Nessun altro disse una parola. La maggior parte dei ragazzi stava fissando il cadavere di Chuck con espressione vacua, come se ormai fossero andati oltre la capacità di provare sentimenti. Nessuno stava guardando Wes, che respirava ancora, ma che era rimasto immobile.
La donna della CATTIVO spezzò il silenzio.
-Tutto accade per uno scopo.- disse. Nella sua voce non c'era traccia di malignità. -Dovete capirlo.-
La guardai, concentrando in quello sguardo furente tutto l'odio che provavo. Ma non feci nulla.
Newt posò l'altra mano sul mio braccio, stringendolo. -E adesso?- domandò.
-Non lo so.- risposi. -Non riesco...-
La mia frase fu interrotta da un'improvvisa serie di urla e di rumori al di fuori dell'ingresso da cui era passata la donna. Lei andò chiaramente in panico, voltandosi e impallidendo all'istante. Seguii il suo sguardo.
Diversi uomini e donne con addosso jeans luridi e soprabiti fradici fecero irruzione dalla porta brandendo pistole, strillando e gridandosi parole a vicenda. Era impossibile capire cosa dicessero. Le armi, fucili e pistoloni,  sembravano... arcaiche e rudimentali. Come giocattoli abbandonati in un bosco per anni e appena riscoperti dalla generazione successiva di bambini che volevano giocare alla guerra.
Sconvolta, rimasi a fissare due dei nuovi arrivati che gettavano a terra la donna della CATTIVO. Poi uno fece un passo indietro, estrasse la pistola, prese la mira.
Non esiste, pensai. No... 
L'aria si illuminò dei bagliori della pistola, da cui partirono diversi colpi diretti al corpo della donna. Era morta, un cumulo sanguinolento sul pavimento.
Feci diversi passi all'indietro, rischiando quasi di inciampare.
Un uomo ci si avvicinò mentre gli altri componenti del gruppo ci circondarono, puntando svelti le pistole a destra e a sinistra e poi sparando alle finestre degli osservatori, mandandole in frantumi. Sentii delle urla, vidi del sangue, distolsi lo sguardo, concentrandomi sull'uomo che si stava avvicinando. Aveva i capelli neri e un viso giovane, ma pieno di rughe intorno agli occhi, come se avesse trascorso ogni giorno della sua vita a preoccuparsi di come arrivare a quello successivo.
-Non c'è tempo per le spiegazioni.- disse l'uomo, con voce affaticata quanto il suo volto. -Seguitemi e correte come se fosse una questione di vita o di morte. Perché lo è.-
Con queste parole, l'uomo fece alcuni cenni ai compagni e poi corse fuori dalle grandi porte di vetro, tenendo il braccio con cui brandiva la pistola teso e rigido davanti a sé. La stanza era ancora scossa dai colpi di pistola e dalle grida di agonia, ma feci del mio meglio per ignorarli e seguire le istruzioni.
-Andate!- gridò da dietro uno dei salvatori. Era l'unico modo in cui potevo definirli, in questo momento.
Dopo una brevissima esitazione, seguimmo l'uomo, quasi pestandoci i piedi a vicenda nella foga di uscire da questa stanza, andando il più lontano possibile dai Dolenti e dal Labirinto. Con la mano ancora stretta a quella di Newt, corsi con loro, in coda alla fila. Non avevamo scelta e dovemmo lasciare indietro il corpo di Chuck.
Non provai alcuna emozione. Ero completamente intontito. Corsi giù per un lungo corridoio e poi entrai in una galleria scarsamente illuminata. Salii una tromba di scale a chiocciola. Tutto era buio e c'era odore di roba elettronica. Giù per un altro corridoio. Ancora su per altre scale. Altri corridoi. Avrei voluto potermi addolorare per Chuck, eccitarmi riguardo alla fuga, sentirmi felice del fatto che Newt fosse qui con me. Ma avevo visto troppo. Ormai c'era solo il vuoto. Un nulla. Continuai ad andare.
Continuammo a correre; alcuni degli uomini e delle donne ci guidavano, in testa al gruppo, mentre altri gridavano incoraggiamenti da dietro.
Raggiungemmo altre porte di vetro e le attraversammo, uscendo all'aperto e trovandoci sotto un cielo azzurro e limpido; sotto i nostri piedi la sabbia.
Il capo non smise di muoversi finché non raggiungemmo un grosso elicottero dai fianchi ammaccati e graffiati in vari punti e la maggior parte delle finestre coperte da un reticolo di crepe. 
-Salite!- gridò l'uomo. -In fretta!-
Ubbidimmo. Ci stringemmo fuori dalla porta dell'elicottero in un gruppo compatto e poi salimmo, uno alla volta. Quel momento parve dilatarsi all'infinito. 
Ero la penultima della fila, con Newt dietro. Sollevai lo sguardo verso il cielo e sentii il sole in faccia. Era caldo, accecante. In qualche modo mi aiutò a uscire dallo stordimento, mi riportò a uno stato di attenzione vigile. Mi concentrai sull'elicottero, su Newt, sulla fuga.
Quando arrivò il mio turno, Minho e Thomas mi aiutarono ad entrare, tirandomi su. Poi fu il turno di Newt. Le porte furono chiuse non appena il ragazzo mise l'ultimo piede dentro l'abitacolo. L'elicottero si animò improvvisamente, alzandosi da terra e allontanandosi nel cielo.
-State bene ragazzi?- ci chiese un'uomo che sedeva di fronte a noi. Non ricevette risposta, ma solo occhiate taglianti da parte di vari ragazzi. Eravamo tutti seduti l'uno accanto all'altro, la schiena appoggiata alla struttura di metallo. Stanchi, sudati, distrutti. 
Ci alzammo tutti in piedi quando intravedemmo un grande edificio dai finestrini, curiosi di vedere quello che era il Labirinto in tutto il suo splendore. Era imponente e da questa altezza si potevano osservare tutti i corridoi delle varie Sezioni, la scritta "CATTIVO" che spiccava sullo sfondo di pietra grigia. 
Mi rimisi seduta: non volevo vedere più niente che avesse a che fare con quel posto. Anche Newt si accasciò al mio fianco, gli occhi e la bocca spalancata. Ci guardammo per diversi secondi, forse minuti. Poi, gli presi la mano e mi sentii rassicurata. Non stavo proprio sorridendo. Non era un'espressione del tutto felice. Ma quasi.
E in questo momento, andava bene anche un quasi.
Mi appoggiai al petto del ragazzo, avvolgendogli il torace e abbracciandolo. Newt mi cinse la vita e mi strinse con urgenza. Era come se fossimo tornati di nuovo ai tempi della Radura, quando ci coccolavamo dietro alle Faccemorte.
-Siamo salvi.- sussurrò Newt. -Siamo usciti.-
-Ma non potremo mai dimenticare.- 
-Tu non vuoi dimenticare Chuck.- Aveva ragione, il ragazzino che mi aveva donato tanti attimi di felicità sarebbe sempre rimasto nel mio cuore.
-Sono felice che tu sia al mio fianco.- alzai il volto, facendo allacciare i nostri sguardi ancora una volta.
-Non c'è altro posto dove vorrei stare.- disse lasciando un bacio sulla mia fronte. Incastrai la testa tra il suo collo e la spalla e vi lasciai un piccolo bacio a mia volta.
-Ti amo, Newt.- sussurrai contro la sua scapola. 
-Ti amo, Anna.- mi accarezzò i capelli.
Cercai di scacciare i brutti pensieri, concentrandomi sulle braccia di Newt e sul battito del suo cuore, scivolando lentamente nell'oblio.

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Capitolo 33
*** Sequel ***


Siamo finalmente giunti alla fine di questa avventura; un viaggio che spero abbia appassionato qualche lettore. 
Se avete seguito la mia storia e vi è piaciuta, invito tutti ad andare a leggere le future avventure dei nostri Radurai nel secondo volume di questa Fanfiction, chiamato "Into The Scorch". 
Spero seguirete e commenterete questa nuova storia come avete fatto per "Into The Maze", facendomi sapere cosa ne pensate anche con messaggi personali o in bacheca. Se volete che risponda a domande riguardo alle due Fanfiction, non esitate a chiedere. 
Grazie ancora per aver reso la mia esperienza di 'scrittrice' straordinaria e spero di rincontrarvi così numerosi anche nel prossimo capitolo della serie. 
AVVISO PER GLI INTERESSATI AD "INTO THE SCORCH": PRIMO CAPITOLO PUBBLICATO.

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