Jonathan Cristopher Morgenstern

di MORGENSTERN_J
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il compleanno ***
Capitolo 2: *** Amare è distruggere ***



Capitolo 1
*** il compleanno ***


Era un giorno come tanti, Valentine Morgestern si era alzato presto, come d'abitudine e si stava vestendo quando sentì un rumore nella vicina camera da letto. Si diete un'occhiata furtiva allo specchio stile rococò nella sua camera da letto. Indossava la tenuta tipica degli shadowhunters: una canottiera nera e pantaloni fatti dello stesso tessuto resistente e arricchito da rune della giacca, poggiata ordinatamente sul letto matrimoniale. Vedere la metà del letto perfettamente in ordine, vuota, fredda gli provocò una fitta di dolore appena sotto la runa parabatai.
 La sua mente era contraria ma il cuore vagava già nei ricordi della persona che aveva dormito in quel letto, la sua Jocelyn. La donna che aveva amato al primo sguardo,non troppo alta, con una chioma rossa che incorniciava un volto fiero, dagli occhi verdi, la bocca carnosa e un fisico snello , la sua qualità preferita erano le mani da artista, e gli piaceva anche il modo di parlare che aveva, quel fantastico accento britannico. 
Il loro amore era sbocciato come una rosa a maggio, splendido e onnipresente, ma proprio come i petali di una rosa mossa dal vento lei gli era scivolata dalle mani. Otto  anni prima, infatti, lo aveva abbandonato, la SUA Jocelyn, sì perchè era ancora sua. E l'avrebbe riavuta a costo di ridurre in cenere l'intero mondo e cercarla tra le macerie.
Con una scrollata di spalle si ricompose: lui era Valentine Morgestern e tutto ciò che voleva lo otteneva ,prima o poi. 
Si diresse nel bagno e si passò le dita tra capelli. Erano biondo argenteo, il che gli era sempre piaciuto, con il suo incarnato e i suoi lineamenti scolpiti lo facevano sembrare quasi etereo, il che non guastava. Si osservò nello specchio e il riflesso che vide fu di un uomo fiero e possente, con gli occhi decisi e il portamento da guerriero, come ci si aspetterebbe da un vero leader. 
Scese se scale a due a due e si diresse nella cucina passando per il corridoio; il corridoio consisteva in una stanza rettangolare con quattro porte per ogni lato lungo, intervallate da altrettanti ritratti dei suoi avi, che secondo lui ispiravano fierezza e gli ricordavano la sua missione: preservare la specie più importante di tutte, gli shadowhunters. 
Era cresciuto con l'idea della purezza, con i metodi educativi a volte troppo bruschi di suo padre, ereditati egli stesso dal suo. Voleva bene a suo padre, certo, a lui doveva tutto; dal suo metodo di combattimento, alla sua compostezza e al suo ingenio in strategia, ai suoi ideali, accentuati però dall'odio verso le sottospecie che in quel periodo acquistavano sempre più fiducia e ammirazione da parte del conclave: i nascosti. 
Con la testa ancora persa nei ricordi, entrò nell'ultima porta a destra, la cucina e con fare naturale si preparò velocemente un caffè senza zucchero e mise sul tavolo latte miele e fette biscottate per suo figlio. Jonathan Christopher Morgestern.
 Il suo esperimento meglio riuscito si ripeteva in continuazione, eppure non riusciva ad amarlo come si amano i propri figli; Jonathan era un guerriero già a otto anni, certo, ma aveva una crudeltà dentro che faceva temere a Valentine per il suo futuro. Tutto il contrario dell'altro suo figlio, se Jonathan Morgestern era tutto ombra e crudeltà, Jonathan Herondale invece era luce e debolezza, non fisica, ma piuttosto sentimentale. D'altronde uno era figlio dell'ombra e uno della luce. 
Finito il caffè andò nel suo ufficio. Adorava quella stanza: aveva le pareti di pietra e il pavimento in granito, mobili antichi neri e marroni con intagliate rune  argentate. Di fronte alla porta c'era l'unica finestra della stanza. Enorme e incorniciata da dei fiori oro dipinti da Jocelyn molti anni prima. La vista era sbalorditiva. La casa si trovava a valle di una piccola catena montuosa, confinava a nord, est, ovest con colline che si facevano sempre più ripide, di verdi diversi, qualcuna spoglia qualcun'altra ricca di piante particolarmente luminose. A sud si trovava un lago, non troppo grande ma di una bellezza particolare. Emanava un'aura misteriosa, le acque erano rese scure e spettrali dal fondo di sabbia vulcanica mischiato alle tipiche alghe di Alicante; tutt'intorno erano cresciute delle piante tipiche di Idris, che di notte tramutavano la verde clorofilla in luce argentata. Era stato lì notti intere ad attendere una chioma rossa che si faceva strada nella stradina ghiaiosa costeggiante il lago; nelle prime settimane non voleva pensare che Jocelyn lo avesse abbandonato e continuava a ripetersi che sarebbe tornata. Man mano che i mesi passavano la sua disperazione aveva lasciato spazio ad attacchi di rabbia furiosa, l'amore invece non era mai diminuito ma da spensierato e sincero era divenuto un paranoico bisogno di possesso. Voleva Jocelyn, era sua, le apparteneva. 
Ripetendosi questa frase si diresse alla scrivania, era una lastra di mogano sorretta da angeli, o come sosteneva lui, shadowhunters che schiacciavano demoni e nascosti di ogni genere. Si sedette e diede un'occhiata alle scartoffie che teneva sul piano. Erano più che altro schemi e relazioni in lingue diverse: da quelle latine e greche a quelle demoniache.
Mentre scriveva formule e rune per provarle nei suoi esperimenti, la porta si aprì e una testolina biondissima fece irruzione nella stanza.
-Buongiorno padre..- 
- Jonathan non puoi entrare qui- lo interruppe Valentine- vai a vestirti con la tenuta da battaglia, oggi per il tuo compleanno ti darò una lezione sul combattimento. Ti aspetto tra mezz'ora in palestra.-detto ciò riportò i suoi occhi sui fogli sparpagliati sulla scrivania degnando il figlio di un'occhiata veloce.
Suo figlio gli assomigliava molto, aveva la sua corporatura e i suoi lineamenti, fatta eccezione della bocca, quella era senza dubbio di jocelyn. Di lei aveva anche le mani all'apparenza delicate e da artista, ma nella pratica erano capaci di uccidere e combattere. L'unica cosa che non aveva in comune né con Valentine né con Jocelyn erano gli occhi, l'iride e la pupilla erano completamente neri, simbolo della sua natura demoniaca.

Jonathan non se lo fece ripetere due volte chiusosi la porta alle spalle salì di corsa la scala e piombò in camera sua come se qualcuno lo stesse inseguendo. Si cambiò in tutta fretta e prima di raggiungere il padre al piano superiore, in palestra, sistemò un po' la sua camera. Valentine gli aveva insegnato che l'ordine che circonda uno shadowhunters favoriva la sua concentrazione, al contrario del disordine tanto amato dal bambino. Erano poche le volte in cui suo padre gli regalava qualcosa e il giorno del suo compleanno era sempre uno di quelle. Per uno shadowhunter normale a quell'età era ancora troppo piccolo per iniziare ad allenarsi, loro iniziavano infatti a dodici. Ma Jonathan sapeva di essere diverso, migliore e il suo duro allenamento, sia teorico che pratico era cominciato esattamente un anno prima. 
Si diresse alla porta e diede un ultimo sguardo alla stanza. Era una normale stanza di un bambino: pareti bianche e letto azzurro e blu. Vicino al letto c'era un comodino in legno chiaro e difronte un armadio riccamente ornato di rune: del riposo, della pace, di difesa, che il piccolo Jonathan aveva dipinto quando aveva sette anni. Una finestra  illuminava la stanza e una scrivania in mogano elaborato. L'unica cosa che la distingueva da un normale cameretta erano le armi poggiate un po' ovunque. Secondo Jonathan erano splendide e soprattutto erano utili. Stava imparando l'arte delle spade angeliche in quel periodo e quindi poggiati sul comodino c'erano tre libri: “le spade angeliche:trucchi e curiosità”, “la tecnica delle spade angeliche”, “le armi di uno shadowhunter”. 

Valentine Morgestern entrò nella palestra mezz'ora dopo la visita del figlio in ufficio.
La palestra si estendeva per quasi un intero piano ed era fornita di ogni arma o esercizio che uno shadowhunter rispettabile doveva avere, secondo il pensiero di Valentine.
Notò che il bambino aveva fatto colazione, sull'angolo della bocca infatti aveva un baffo da latte e lungo il mento aveva delle briciole. Percepì l'impulso di punirlo per il suo mancato ordine ma si ripeté che era il suo compleanno e quindi almeno oggi avrebbe cercato di non punirlo.
-posizionati nel centro- disse brusco.
-subito padre- con un passo veloce e un po' incerto Jonathan si posizionò nel centro della palestra, delimitato da un cerchio bianco. 
Prendendo un manichino si posizionò di fronte al piccolo e con un movimento fluido e preciso infilzò il manichino con un pugnale.
-in questo punto è possibile uccidere un uomo spezzandogli la spina dorsale e trafiggendogli il cuore- disse soddisfatto Valentine, con un ombra di malvagità negli occhi che ricordavano le tante volte che lui stesso aveva usato quella mossa.
Jonathan rimase immobile cercando di assimilare ogni mossa che il padre gli aveva mostrato.
-ora prova tu- esclamò Valentine porgendo il pugnale dalla parte dell'elsa e posizionando il manichino in modo che desse la schiena a Jonathan. 
Il piccolo prese il pugnale, troppo grande per le sue mani ancora da bambino, ma cercò di imitare il padre, infilzando la schiena inerme del manichino come aveva fatto lui.
-non ci siamo- clack! Un manrovescio fece cadere il piccolo Jonathan in ginocchio – riprova con più forza, così lo graffieresti soltanto-.
Eccola, quello era il tono di voce che Jonathan odiava più al mondo, quello della delusione, e di conseguenza della rabbia che presto avrebbe oscurato il volto del padre. Jonathan obbediente riprovò ancora e ancora, fino a quando, con una guancia tendente al viola e del sangue secco sul labbro rotto, suo padre annuì gravemente aggiungendo -ce l'hai fatta. Domani ucciderai il tuo primo nascosto con quella mossa, e sarà un lupo mannaro. 



-Alessia.

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Capitolo 2
*** Amare è distruggere ***


Amare è distruggere
Era un giorno come altri. Jonathan si era alzato all’alba, aveva aperto le ante, riempiendo la sua camera di luce rosata; aveva sistemato la sua camera e si era preparato, indossando la sua tenuta da allenamento. Con la tenuta ormai aveva imparato a vivere. La stoffa nera e il cuoio trattato con speciali rune, lo rendevano invulnerabile a veleni e artigli demoniaci, le spade angeliche erano le uniche che potevano facilmente danneggiare la stoffa, ma per ora non l’aveva mai scalfita né tantomeno aveva mai perso una battaglia. Si chiuse la porta alle spalle con una mano, mentre con l’altra sistemava il suo pugnale nelle cinghie sulla coscia.
Jonathan aveva sedici anni ed era uguale al padre, il famigerato, affascinante e folle Valentine Morgestern. Era alto per la sua età, muscoloso, agile e veloce come un gatto. Era silenzioso come un’ombra e coglieva spesso suo padre alle spalle, ma ciò gli costava sempre caro. Aveva il viso splendido angoli e forme decise lo rendevano il tipico ragazzo misterioso e affascinante. Il sorriso era così etereo da renderlo quasi un angelo, ma un angelo caduto. Solo gli occhi erano diversi dal padre; la pupilla e l’iride si fondevano creando un nero scuro come le tenebre, in cui amava vivere. Nero come la notte, un vuoto in cui ci si perdeva senza più ritorno. La prova della sua anima demoniaca; il sangue di Lilith ribolliva, infatti, nelle sue vene dalla nascita. Il dono che gli avrebbe permesso di conquistare il mondo.
Si diresse in armeria e uscito si sistemò la sua spada, Eosfosforos, alla cintura. Qualcosa si illuminò quando attraversò un raggio di luce che entrava dalla finestra nel corridoio: un anello. Era di forma cilindrica, portato sull’indice del ragazzo. Aveva degli intagli che figuravano delle stelle e il suo centro era un bassorilievo: la “M” dei Morgestern spiccava in campo rombato. Era argento e Jonathan ci teneva particolarmente. Esso era infatti il simbolo della sua famiglia, che aveva fatto la storia degli shadowhunters. Il nome di suo padre sarebbe stato un nome riecheggiante nei cuori di tutti, shadowhunters e nascosti . Jonathan aveva questo obbiettivo: farsi ricordare nel tempo come colui che avrebbe ricreato un nuovo mondo, radendo al suolo tutto ciò che c’era di impuro, corrotto o buono. Avrebbe governato con la paura e creato il più grande impero della storia, compresa quella mondana.
Sovrappensiero varcò la soglia della cucina e andò a sbattere contro suo padre.
- Oh! Scusi pad…
Non aveva finito la frase quando uno schiaffò risuonò nella casa silenziosa, arrossando lo zigomo destro del ragazzo.
-Mi disp…
-NON parlare se non ne vuoi un altro Jonathan.
Il ragazzo ammutolì sfiorandosi il rossore sul volto. Sapeva che se avesse provato a parlare gli schiaffi  sarebbero diventati altro.
-Oggi andremo a caccia- disse Valentine senza alzare gli occhi dal tavolo.
- Come desidera padre, sono pronto.-
-Partiremo tra mezz’ora. Prendi i cavalli e aspettami fuori.-
Jonathan uscì e andò verso le scuderie. Prese il suo cavallo, Blackjack, un bellissimo purosangue nero come il sottobosco in una notte d’inverno, con gli occhi che scrutavano attenti ogni movimento. Quando vide arrivare Jonathan nitrì piano e pestò con gli zoccoli il terreno del suo box. Il ragazzo passò una mano sul muso del cavallo e cominciò a prepararlo. Dopo una decina di minuti passò al cavallo di suo padre, un burbero purosangue grigio come la tempesta, ignoto e imprevedibile come un uragano. Bluster, si chiamava e secondo Jonathan non c’era nome migliore per quel cavallo. Lo aveva visto, infatti, correre, incitato da suo padre e non c’era creatura che poteva anche solo sperare di seminarlo. Aveva uno scintillio crudele negli occhi che aveva sempre messo in allerta Jonathan.
Mezzo’ora dopo erano in sella e seguivano le tracce di un lupo, o un licantropo aveva detto V Valentine con un ghigno, sfiorando la sua spada con le dita. Jonathan sapeva perché Valentine odiava i nascosti e si spiegava anche l’odio profondo verso i licantropi:
Quando Valentine aveva l’età di Jonathan aveva un parabatai, Lucian. Erano compagni d’avventura, custodi di un sogno che avevano giurato di inseguire fino alla fine. All’inizio avevano combattuto fianco a fianco, proteggendosi le spalle, portando nelle menti degli shadowhunters la loro idea di mondo, fondando il circolo e progettavano il colpo nella sala degli accordi da mesi, quando poi Lucian aveva tradito la sua fiducia, come punizione Valentine aveva fatto sì che fosse morso da un licantropo. Gli aveva poi intimato di uccidersi, perché loro combattevano la feccia che lui era appena diventato, ma Lucian non gli aveva dato ascolto e aiutato da Jocelyn, la moglie di Valentine, avevano rovinato tutti i suoi piani, costringendolo a inscenare la sua morte, nascondendosi nell’ombra per anni. Giurando vendetta.
Perso in quei ricordi fu richiamato all’attenzione dalla voce del padre, fredda e spaventosa. Aveva assunto il suo aspetto da guerriero, sguardo malvagio, sorriso che faceva più paura della sua spada, in quanto era puro: amava uccidere. Tutti i suoi sensi erano all’erta e Jonathan capì che la preda era vicina.
Egli estrasse la sua spada e si mise in posizione. Sapeva sfruttare la forza del suo cavallo per spingersi contro la vittima e la sua Eosfosforos non mancava mai il bersaglio.
Valentine annuì e indicò con il mento, in un silenzio assordante, un cespuglio di mughetti, fiori a forma di campanella che si muovevano piano al ritmo di un vento leggero. Jonathan contò fino a tre e si spinse con forza nella direzione indicatagli. Con una veloce capriola cinse i fianchi della creatura con le gambe, immobilizzando l’esile figura che stava sovrastando. Il suo sguardo si abbassò lentamente e per poco non urlò quando si accorse che la fata a cui teneva la spada puntata alla gola era famigliare. Con orrore si rese conto che non era una fata qualunque.
-Macy- sussurrò.
Era Macy, la sua ragazza proibita.
Lo sguardo di Jonathan era una porta sul suo cervello, stava analizzando tutte le possibilità, desideroso di farla scappare prima che suo padre li raggiungesse. Allentò la lama, allontanandola dalla ragazza.
-Jonathan cos’è?- la testa di Valentine si materializzò dietro le spalle del figlio. Valentine posò gli occhi sulla creatura tra le braccia di Jonathan.
Era una ragazzina, sui quindici anni, con la pelle candida come la neve. I lineamenti erano tipici del popolo fatato, spigoli che rendevano le ombre del suo volto intriganti, orecchie leggermente a punta. Era una delle fate più belle che avesse mai visto; le labbra di lei, corpose e a forma di cuore, erano socchiuse, un piccolo sbuffo irregolare tradiva la sua agitazione. I suoi occhi erano verdi, con una sfumatura dorata che vi  si immetteva come un fiume sfociando nel mare. Il volto era incorniciato da una cascata di capelli ondulati, color caramello. Erano intrecciati con fili d’argento e piccole perle che brillavano alla luce della luna. Il suo corpo era esile, ma Valentine sapeva che era molto forte. Le estremità delle ali di lei le spuntavano delicatamente da dietro le spalle. Sembravano molto leggere e brillavano anche se erano all’ombra, come se brillassero di luce propria. Sembravano intagliate da un orafo di grande prestigio. Greche, ghirigori, lievi membra rendevano le ali come un piccolo strato di rugiada posato su un fiore alle prime luci del sole.
-Jonathan perché è ancora viva?-
Jonathan trasse un respiro profondo.
-padre … lei.. lei è Macy.-
- e allora ? è una nascosta, indegna di esistere, parassita da eliminare!-
Jonathan guardò Macy e scosse la testa, poi fece la cosa più pazza, insensata e pericolosa che potesse fare: la baciò.
Le labbra di lei si dischiusero e Jonathan fu avvolto da un brivido, un brivido piacevole, che lo stupiva ogni volta; era impossibile, lui non poteva provare emozioni, era stato creato a quel fine eppure il cuore batteva veloce, la sua bocca continuava a cercare le labbra di Macy come un bambino cerca l’amore della madre. Lei lo faceva sentire vivo, lui l’amava.
Aprì gli occhi staccandosi un poco per riprendere fiato. Macy gli aveva posato una mano leggera sul viso e alla luce della luna il suo sguardo era lucido, non guardava Jonathan ma alle sue spalle, aveva terrore, paura negli occhi.
Il ragazzo si girò e vide Valentine: con una smorfia di disgusto aveva estratto il suo pugnale dalla cintura.
-padre non le farà del male.-
Lui non rispose, ma un ringhio quasi animale gli uscì dal profondo della gola.
Jonathan si portò lentamente davanti a Macy, con l’intenzione di toglierla dalla visuale del padre.
-Tu..tu..-
Valentine scagliò il pugnale e Jonathan si rese conto troppo tardi che aveva mirato mezzo metro alla sua destra.
Seguì con orrore la traiettoria del pugnale, sembrava un orribile ripresa a rallentatore, mentre si rendeva conto di essere troppo lontano, troppo lento. Vide Macy cadere a terra inarcando la schiena con dolore.
Le si inginocchiò affianco e estrasse la lama dalla sua schiena, prendendola in braccio delicatamente, con le lacrime che gli solcavano il viso.
-Macy no…-
- Mio amato principe, ricorda, ricorda che tu sai amar…-
Non finì mai la frase e la mano che con tanta volontà era arrivata al volto di Jonathan cadde senza vita sul suo grembo. Dalle labbra le fuoriuscì una lieve luce verde, che scomparse nella foresta.
Jonathan si piegò su di lei e appoggiando la fronte alla sua, pianse, stringendola a sé in quella notte, che aveva perso tutta la sua magia.
-Amare è distruggere e essere amati è essere distrutti. Jonathan andiamo a casa, tu ora capirai cos’è il dolore -.
 
-Alessia-

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