After Dark

di giadabells
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "Time moves in its own special way in the middle of the night" ***
Capitolo 2: *** "Things'll never be the same" ***
Capitolo 3: *** “But what feels like a reasonable distance to one person might be too far to somebody else” ***



Capitolo 1
*** "Time moves in its own special way in the middle of the night" ***



 

AFTER DARK

“Time moves in its own special way in the middle of the night”


 

1. “Time moves in its own special way in the middle of the night.”

 


E' notte fonda a Londra, e Baker Street è silenziosa e buia.

Non si vedono auto, persino la stazione della metro è chiusa, e le luci negli appartamenti sono spente già da un bel pezzo: l'unica fonte di chiarore è il fioco lampione sul marciapiede e, qualche decina di metri più giù, il piccolo bar aperto 24 ore su 24. Ma a quest'ora della notte anche i tavolini sono deserti, e i gestori probabilmente addormentati dietro al bancone.
A quest'ora della notte, approfittando dell'insolito silenzio che rimbomba tra le vie della metropoli inglese, tutti i Londinesi riposano nei loro letti, recuperando le energie necessarie ad affrontare il caos frenetico che, il mattino seguente, accompagnerà il puntuale risveglio della città.

Ma ecco che, improvvisamente, delle luci illuminano i muri delle case, e la sagoma scura di un taxi compare dietro l'angolo all'inizio della via.

Beh, a quanto pare non proprio tutti i Londinesi dormono, a quest'ora della notte.

Il taxi rallenta e accosta accanto al marciapiede, proprio sotto il pallido cono di luce proiettato dal lampione. La portiera si apre lentamente, e un uomo scende dal veicolo. L'uomo si volta e richiude la portiera con dolcezza, come se avesse paura di svegliare la via addormentata, e subito dopo il taxi riparte, scomparendo velocemente in fondo alla strada.

Quando anche le luci dei fari posteriori dell'auto sono svanite, l'uomo alza il bavero del cappotto nero, per ripararsi dal freddo pungente della notte inglese, e inizia a incamminarsi. E' molto alto e la luce del lampione proietta una lunga ombra scura sul cemento della strada, ma zoppica e si muove con estrema lentezza, come se ogni movimento gli costasse dolore e fatica.

Dopo pochi metri l'uomo si ferma di fronte a un massiccio portone scuro e inizia a rovistare nelle tasche del cappotto, probabilmente alla ricerca delle chiavi di casa, mentre la luce del lampione fa brillare l'ottone del numero civico stampato sulla porta.

221B.

Dita lunghe e pallide sfiorano il legno scuro, e il tintinnio del metallo accompagna i movimenti lenti dell'uomo, che ha trovato le chiavi e le infila nella serratura. Il meccanismo scatta e l'uomo entra nell'appartamento, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.

Ora, senza più nemmeno il fioco chiarore del lampione, il buio è totale. Ma l'uomo evidentemente conosce bene l'appartamento, e senza esitare inizia a salire le strette scale ricoperte di moquette. Cerca di essere il più silenzioso possibile, ma quando fa leva sulla gamba ferita gli sfugge qualche inevitabile mugolio di dolore.

Finalmente giunge ad un minuscolo pianerottolo, leggermente illuminato dalla sottile lama di luce proveniente da una porta socchiusa. L'uomo si ferma, perplesso. Davvero strano, la luce è accesa.
Riflette. Possibile che mi stia aspettando? A quest'ora della notte..?
Poi, senza ulteriori indugi, compie gli ultimi passi che lo separano dalla porta.


 

*

"Between the time the last train leaves
and the first train arrives, the place changes:
it's not the same as in daytime."



 


Note: Tutte le citazioni in corsivo sono prese dal romanzo "After Dark", di Haruki Murakami.
Grazie a tutti per aver letto!

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Capitolo 2
*** "Things'll never be the same" ***


Ciao!
Siccome nel primo capitolo me ne sono dimenticata, ci tenevo a fare ora una piccola precisazione sulla “genesi” di questa storia...
Innanzitutto, galeotte furono la scarsa voglia di studiare e la disperazione di piena sessione invernale (maledetta).
Avevo bisogno di scrivere, e prima o poi mi piacerebbe inventare sia un racconto ispirato ad “After Dark” sia una fanfiction “gialla” con protagonista Sherlock... Ma siccome al momento sono a quota zero idee ho pensato di fare una sorta di “mash-up” tra queste due cose... E mah. Spero che il risultato non sia troppo orribile ahahah
Fatemi sapere cosa ne pensate, intanto ringrazio tutti quelli che hanno letto il brevissimo capitolo precedente.. Spero che questo vi piaccia, buona lettura! :)


 


 

2. Things'll never be the same.


 

La stanza è avvolta nella penombra, solo una piccola lampada è accesa, ma la sua fioca luce è sufficiente per distinguere con chiarezza la sagoma scura seduta sulla poltrona.

John”. L'uomo col cappotto sorride. Nonostante siano passati ormai anni dall'inizio della loro convivenza, le manifestazioni di affetto e dedizione che l'amico gli ha sempre riservato non smetteranno mai di sorprenderlo. In fondo, è strano. “Chi l'avrebbe mai detto che proprio io avrei avuto qualcuno, a casa, ad aspettare il mio ritorno?”

Probabilmente, dopo tutto quel tempo trascorso insieme, una persona normale si sarebbe abituata a tutte quelle attenzioni, e si sarebbe aspettata di trovare il coinquilino addormentato in salotto, con la tazza di tè ancora stretta tra le mani, preoccupato per l'ora tarda e per non avere ricevuto sue notizie. Ma lui no, non ci si è affatto abituato. E probabilmente non lo farà mai. D'altronde, non si può nemmeno dire che lui rappresenti la classica “persona normale”.

Perso nelle sue riflessioni, l'uomo col cappotto si avvicina alla poltrona. All'improvviso si ferma, e inizia ad annusare l'aria con fare esperto. “Mmmh no, errore di deduzione. A quanto pare, quello non è tè.” E quindi si china velocemente, portando il suo viso all'altezza di quello di John, annusando ancora.

L'altro avverte il movimento brusco e socchiude gli occhi. “Mgnh.. Sherlock?”

Per un breve istante i due si guardano dritti negli occhi, i nasi a qualche millimetro di distanza. Poi John, preso alla sprovvista dall'inaspettata vicinanza, reagisce e spinge via l'amico.
“Dio, Sherlock! Ma sei impazzito?! Mi hai fatto prendere un colpo!”

Sherlock Holmes scrolla le spalle con fare indifferente, rialzandosi.
“C'era dello scotch nella tazza” constata “lo sai che non dovresti bere, John.”

Il povero dottor Watson deve contare fino a cinque per riuscire a resistere all'impulso di tirargli un pugno.
“Proprio tu vieni a fare delle prediche a me?! Sei uscito ieri all'alba senza dirmi niente, non hai risposto a uno dei miei messaggi, nemmeno tuo fratello sapeva dove fossi...” John sospira, consapevole che non riuscirà mai a farlo sentire in colpa. “Insomma Sherlock, si può sapere dove sei stato?!”

“In giro.” Gli risponde quello, totalmente indifferente allo sfogo dell'amico.
John, esasperato, picchia un pugno sul bracciolo della poltrona. “Dannazione, Sherlock! Ero preoccupato da morire! Pensavo ti fosse successo qualcosa!”

Holmes gli lancia una lunga occhiata, poi inizia a allontanarsi. “E invece non è successo nulla.” Sbuffa, mentre si toglie il cappotto.

Ma all'occhio clinico del medico inglese certamente non sfuggono i suoi movimenti rigidi.“Sherlock, per favore, cosa...” inizia, ma poi si interrompe notando una chiazza sospetta sulla camicia del detective. “Ma è sangue quello?!”

“Uhm, sì” si stringe nelle spalle l'altro “ma non mio”.

John rimane qualche secondo fermo a fissarlo, incredulo. Poi prende un profondo sospiro per calmarsi un po' e si alza. O almeno ci prova, perché l'alcol in circolo nel suo corpo non apprezza particolarmente il movimento brusco e lo rispedisce dritto sulla poltrona. “Ahem... Ok, John, forza... Sei un soldato! Alzati e fai il tuo dovere!”

“Ok signor detective, fai pure il misterioso quanto vuoi...” mugugna, riuscendo finalmente ad alzarsi dalla poltrona “Però lascia almeno che dia un'occhiata a quella gamba”

“John, sei ubriaco. Non riesci nemmeno a camminare dritto...” protesta Holmes, ma sembra che il dottor Watson non voglia sentir ragioni. Infatti gli si para davanti, e agitandogli l'indice davanti alla faccia sbotta: “Io non sono ubriaco!” Accentuando un po' troppo le consonanti della parola ubriaco, forse.
Il detective alza un sopracciglio, lanciandogli uno sguardo scettico. “Ah ha, molto convincente”.

“Ok, va bene!” replica l'altro “Forse sono un po'... ecco, brillo! Ma resto pur sempre un medico, e ho lavorato in situazioni ben peggiori. Quindi adesso, Sherlock, mi fai il favore di stenderti su quel maledettissimo divano e lasciarti aiutare!”

Il tono perentorio e lo sguardo determinato dell'ex medico di guerra non ammettono repliche, nemmeno da Sherlock Holmes, e così l'investigatore obbedisce e si sdraia sul divano, chiudendo gli occhi.

John accende una lampada e si inginocchia ai piedi del divano. La lunga figura di Holmes lo occupa tutto, e mentre si avvicina alla gamba ferita il medico lo osserva. “Sembra veramente sfinito, ora” pensa, mentre gli toglie le scarpe. I pantaloni invece sono troppo bagnati e incrostati di fango perché John riesca a risvoltarli senza premere sulla parte ferita.

“Uhm... Ehm, Sherlock, dovresti toglierti i pantaloni... Oppure se preferisci posso tagliarli...”

“No, li tolgo” risponde Holmes, poi si mette a sedere e si sfila velocemente i pantaloni scuri, lasciandoli scivolare a terra. Alla fine si sdraia di nuovo, richiudendo gli occhi.

John suo malgrado si sente in imbarazzo, e si ritrova ad arrossire. Ovviamente non è la prima volta che si trova a dover visitare un uomo in intimo, ma il fatto che quell'uomo sia il suo migliore amico, il suo coinquilino.... beh, ecco, magari sarà l'alcol, ma la situazione lo imbarazza.

“Fa' in fretta, John. Ho bisogno di riposare” La voce atona di Holmes lo distoglie dai suoi pensieri.

“Certo, ehm, ecco... vediamo.. Direi che non è nulla di grave, solo una brutta slogatura alla caviglia. Ma niente di rotto! Vado a prendere una pomata e la cassetta del pronto soccorso, così ti faccio una fasciatura.”

“Ok” annuisce Sherlock. John torna e in un paio di minuti finisce di fasciargli la caviglia.

“Ook, perfetto.. Qui ho finito. C'è altro che dovrei controllare..?”

“Sì, qui” risponde Holmes, indicando la pelle appena sopra il colletto della camicia. E' la parte del corpo più vicina allo schienale del divano e più lontana da lui, quindi John deve protendersi sopra il petto dell'amico. Così facendo non può fare a meno di guardarlo e di notare le profonde occhiaie scure sotto gli occhi chiusi, e le ombre tremolanti che le sue ciglia proiettano sulle guance pallide.

Ehm.. Ok, John, concentrati” si ripete, focalizzando l'attenzione sul collo di Sherlock.

Si intravede un taglio che però scompare immediatamente sotto la camicia, e quando John prova a scostare il tessuto si accorge che il sangue lo ha fatto aderire alla pelle. Facendo attenzione a non toccare la ferita il medico inserisce la punta di un dito sotto la stoffa e poi lo passa delicatamente lungo il collo di Sherlock, seguendo il bordo del colletto, in modo da staccare il tessuto dalla pelle.

Il detective contrae i muscoli e deglutisce, serrando le labbra.

“Ah! Scusa..” Iperalgesia... La soglia del dolore si abbassa anche nelle zone vicine al tessuto danneggiato” pensa John “Probabilmente l'alcol rende il mio tocco un po' troppo pesante..”

“Niente” mormora Sherlock. Tiene lo sguardo fisso sul soffitto e le labbra leggermente aperte. I suoi respiri sono profondi e lenti, e quando John si avvicina per osservare la ferita gli solleticano la nuca, facendolo rabbrividire.

Ora, scostando il colletto, il taglio è ben visibile: è piuttosto lungo, termina al di sotto della clavicola, ed è largo almeno un paio di centimetri.

“Dannazione, Sherlock... Cosa te l'ha procurato? Hai sicuramente bisogno di punti, e devi aver perso anche parecchio sangue... E per fortuna che chiunque sia stato ha mancato la carotide..” considera il medico “Credo sia meglio andare al pronto soccorso.”

“No.” replica Holmes con fermezza. Lo guarda dritto negli occhi, i loro visi sono talmente vicini che John può continuare a sentire il suo fiato sulla pelle. “No, niente pronto soccorso. Sì, sì, lo so che hai bevuto un po'.. Ma quando si tratta di un paziente diventi completamente lucido e calmo, e non potrei chiedere medico migliore” gli sorride, prima di chiudere gli occhi “Mi fido di te, ok? E ora forza, inizia.”

John resta a fissarlo per qualche secondo, stupito... Non capita di certo tutti i giorni di ricevere simili apprezzamenti da Sherlock Holmes. Sorride tra sé e sé, poi torna al suo lavoro.

“Ok, bene allora. Per prima cosa, togliamo la camicia” dice, aspettando che l'altro si metta a sedere per sfilarsela. Ma Holmes non si muove affatto: resta immobile, gli occhi chiusi e un'espressione rilassata e calma sul volto, come se si fosse addormentato.

“Ehm.. Ok, nessun problema, immagino che lo farò io...” John deglutisce, poi avvicina le dita al primo bottone. Riesce a sbottonarlo, non senza qualche difficoltà, e passa a quello successivo... Piano piano scende, ad ogni bottone che slaccia un nuovo lembo della pelle chiara di Sherlock viene scoperto, e lui non riesce a fare a meno di fissarlo, e di pensare a quanto vorrebbe toccarlo, e... “No, no, ok, no. Basta. E' colpa dell'alcol, e della situazione così strana... Respira e calmati, John. E' il tuo migliore amico.. E' Sherlock Holmes!! Concentrati, dannazione, concentrati!”

Anche dopo un paio di profondi respiri il dottor Watson non può impedire alle sue mani di tremare mentre slacciano gli ultimi bottoni. Terminato il compito (molto più arduo del previsto) il medico porta velocemente lo sguardo al viso di Sherlock, per evitare che i suoi occhi si soffermino sul petto nudo del detective... Ma si rivela una pessima idea: Sherlock lo sta guardando, e sembra piuttosto perplesso.

“John... Te l'ho detto, tutto quel sangue sulla camicia non è mio. Calmati, non c'è bisogno di agitarsi...”

“Io...” John boccheggia, sentendosi arrossire fino alla punta delle orecchie. Non aveva nemmeno notato di star sbottonando la parte di camicia macchiata di sangue.

“Ehm...” ricomincia, cercando disperatamente di cambiare argomento “Dovresti metterti a sedere... Sono troppo lontano dalla ferita, farei fatica a ricucirti...”

“Posso provare, ma mi sento la testa pesante.. Dev'essere per tutto il sangue che ho perso. Non puoi avvicinarti tu?”

“Beh sì, ma...” John si gratta la nuca, un'espressione dubbiosa sul viso. Il divano è troppo stretto perché ci si possa sedere: sul bordo sarebbe scomodo e poco stabile, mentre dall'altro lato c'è l'ostacolo dello schienale. “Non saprei dove mettermi..”

“Mettiti sopra di me, no?”

Sherlock gli pone la domanda in tono casuale, come se avesse appena detto un'ovvietà, ma John resta totalmente spiazzato. Nel giro di due nanosecondi nella sua mente si sono già formate almeno 5 interpretazioni diverse della frase, ognuna delle quali contribuisce a farlo arrossire un po' di più.

“Sì, c-certo... Ovvio...” il dottor Watson è palesemente nel pallone. Deglutisce sonoramente e prima di alzarsi lancia una veloce occhiata colpevole al viso di Sherlock, giusto in tempo per vedere l'ombra di un sorrisetto divertito “e forse anche malizioso?” scomparire dal suo volto... “Ma smettila John, ora hai pure le allucinazioni! Probabilmente il cervello di Sherlock nemmeno le pensa certe cose. E poi, per quanto ne sai tu, se anche ogni tanto dovesse pensarci sono le donne ad interessargli” riflette, ricordando il misterioso rapporto dell'investigatore con Irene Adler. “Come a te, peraltro! Donne. A te sono sempre piaciute le DONNE. E Sherlock Holmes non è sicuramente una donna!!”

Nonostante nella sua testa si ripeta queste cose, il dottor Watson ha delle serie difficoltà a reprimere l'imbarazzo mentre si mette a cavalcioni sopra il bacino di Sherlock. Soprattutto quando, sporgendosi per recuperare l'occorrente dal kit di pronto soccorso, gli scappa l'occhio sull'uomo disteso davanti, o meglio sotto, di lui.
Sherlock Holmes è praticamente seminudo “non guardare i boxer John, NON DEVI farlo” e la camicia nera, aperta, fa risaltare ancora di più la pelle chiara del suo petto “e tu non gli stai fissando i capezzoli, vero John?” che si alza e si abbassa lentamente, al ritmo del respiro regolare. “E' quasi ipnotico...” Suo malgrado il dottor Watson si trova a seguire le linee spigolose del corpo di Sherlock, il profilo del pomo d'Adamo, la mandibola sfiorata dai riccioli scuri “quanto vorrei toccarli..” e alla fine, inevitabilmente, il suo sguardo si sofferma sulle labbra. Proprio in quel momento Holmes si passa la lingua sul labbro inferiore per inumidirlo un po' e John sente dei brividi percorrerlo, per andare ad accumularsi nel basso ventre “Oh, no. Merda, merda, merda...”

La situazione si sta facendo piuttosto critica quindi John, facendo leva sulle ginocchia per evitare di appoggiarsi al bacino di Sherlock “anche perché se lo toccassi non potrei più nascondere quello che mi sta succedendo”, si avvicina alla ferita ed inizia a disinfettarla con cura.

A Sherlock sfugge qualche gemito di dolore, che vibra nelle orecchie di John.
“Mi dispiace..” mormora il medico “Posso farti bere un po' di scotch per aiutarti a sopportare il dolore, se vuoi..”
“No, va bene così. Vai pure avanti” sibila Holmes a denti stretti. “Vuole fare lo stoico... tipico” pensa John, mentre finisce di disinfettare il taglio.

Poi inizia a mettere i punti, e nonostante l'alcol e i pensieri confusi il lavoro del dottor Watson è pulito e preciso, oltre che estremamente delicato. All'improvviso però Sherlock ha un altro spasmo di dolore e la sua mano va a stringere un lembo della T-shirt “da notte” di John, che si sforza di ignorare il contatto e proseguire il suo lavoro.
Dopo un paio di minuti di silenzio il medico annuncia di aver terminato, ripone ago da sutura e filo nel kit e infine si china nuovamente sul collo di Sherlock per esaminare il risultato.
Proprio in quel momento il detective si svolta, la sua bocca a pochi millimetri dall'orecchio di John, e sussurra “Grazie, John. Io.. Lo so che non lo dico spesso, ma grazie... Per questo e per esserti preoccupato per me. Per me sei.. Ehm.. Sei davvero l'amico più im..”

Improvvisamente Sherlock si interrompe, come se si fosse paralizzato. I suoi occhi sono sbarrati, il corpo teso, per qualche secondo smette persino di respirare...
John è chinato su di lui, le labbra sull'incavo tra la sua mascella e il collo. Il suo bacio è morbido, dolce. I due restano per qualche secondo immobili, nella stanza non si sente un rumore, come se persino la città, fuori, stesse trattenendo il respiro.

Poi, finalmente, nella testa di John si formano tre pensieri coerenti. Il primo è “non ho la più pallida di quello che sto facendo”, il secondo è quella che può essere indubbiamente classificata come la promessa più gettonata (e sistematicamente smentita) tra gli appassionati bevitori, e cioè “Giuro che non berrò MAI PIU'”, mentre il terzo è un sentitissimo e irreprimibile “Oh. Porca. Puttana”.

Il medico si sposta di qualche centimetro ma continua a fissare il punto del collo di Sherlock dove ha appena appoggiato le labbra, come se nemmeno lui credesse di averlo fatto. “Io...” mormora, la voce roca. Holmes è ancora immobile e silenzioso e lui non riesce proprio a guardarlo in faccia, ha troppa paura di vedere la sua espressione... “Che grande cazzata John, che grandissima cazzata”
“L'alcol.. Scusa, n-non so cosa mi è preso... M-mi dispiace, scusami...” John azzarda un'occhiata al viso di Sherlock: ha gli occhi chiusi, appare praticamente inespressivo.
“Ti prego Sherlock, di' qualcosa...” lo implora.

A quel punto Holmes apre gli occhi e lo osserva per qualche secondo, che al medico sembra un'eternità. “Perché...” inizia, ma viene subito interrotto da John.
“Non lo so Sherlock, scusami tantissimo.. I-io.. Non so, l'alcol, e la situazione strana, e poi.. Ecco, io.. Dio, mi dispiace... Davvero, giuro, mi dispiace e non ti volevo mettere in imbarazzo! Ti prego, dimentichiamo la faccenda se vuoi.. Cioè, ovvio che...”

“... perché ti sei fermato?”

La domanda di Sherlock spiazza John. Di nuovo.

Passano alcuni istanti di silenzio, in cui il medico non può far altro che fissare Holmes in un misto di perplessità e incredulità. “...C-cosa?”

“Ho chiesto perché ti sei fermato” ripete Holmes in tono tranquillo.
“Beh i-io pensavo che... ecco.. Il bacio, tu non volevi e ho sbagliato e... Non capisco..” L'espressione di John continua ad essere confusa, e Sherlock non può fare a meno di sorriderne. Poi appoggia delicatamente una mano su una guancia del medico e porta il suo viso davanti al suo, in modo che possano guardarsi dritti negli occhi.
John segue i suoi movimenti con crescente sorpresa, poi mormora con voce flebile: “Sherlock, io davvero non capisco...”

“Eppure pensavo di averti insegnato almeno qualcosa, in questi anni insieme” Sherlock sorride, la sua mano accarezza il viso di John e gli scosta dolcemente i capelli dalla fronte. “John, John... Possibile che tu non ci sia ancora arrivato? E' mesi che ti provoco, che ti metto in situazioni ambigue... Che ti lascio indizi...”

John boccheggia, incredulo, ma finalmente un barlume di comprensione si sta facendo strada nei suoi occhi.

La bocca di Sherlock si piega in un sorriso furbo, poi il detective la avvicina a un orecchio del medico. “Magari con le azioni capisci meglio la situazione” sussurra, per poi avvicinarsi lentamente alla bocca di John e appoggiarvi la sua.
Dopo un iniziale momento di sorpresa John si lascia andare alle nuove sensazioni e soprattutto alle inaspettate emozioni che stanno come esplodendo dentro di lui, trattenute e nascoste da chissà quanto, e risponde al bacio.

Dapprima i loro movimenti sono lenti e dolci, ma man mano che i secondi passano si fanno sempre più irruenti e appassionati, mentre le loro mani volano ovunque.
Improvvisamente John si stacca e lasciando leggeri baci sulle guance di Sherlock si avvicina ad un suo orecchio “Hai ragione” mormora “Con le azioni è molto meglio.”
Poi inizia a baciarlo sul collo, partendo proprio dal punto sotto la mascella sul quale aveva poggiato per la prima volta le labbra qualche minuto dinanzi.

Sherlock geme e la sua mano, che era sempre rimasta aggrappata alla maglietta di John, improvvisamente fa forza sulla schiena e spinge i loro bacini l'uno contro l'altro, mentre John continua a scendere, lasciandogli baci sul collo, sul petto, sul ventre, sull'elastico dei boxer...

“J-John...” ansima Sherlock “John a-aspetta...”

John si ferma e lentamente riporta il suo viso all'altezza di quello Sherlock. I due sono sdraiati su un fianco, le fronti appoggiate l'una all'altra, e si guardano negli occhi.

“John... Promettimi che non è solo un sogno di una notte” sussurra Sherlock “Promettimi che domani mattina, quando mi sveglierò, sarai qui..”


 

**

Let me tell you something, Mari. The ground we stand on looks solid enough, but if something happens it can drop right out from under you.
And once that happens, you've had it:
things'll never be the same.
All you can do is go on, living alone
down there in the darkness...”


 


 


 


 

Grazie mille a tutti voi lettori! :)
Spero che questi due capitoli vi siano piaciuti... Anche se avete qualche critica\consiglio\domanda fatevi sentire: risponderò più che volentieri!

(La citazione in corsivo è sempre tratta dal romanzo “After Dark” di Murakami)
Grazie ancora per la lettura!

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Capitolo 3
*** “But what feels like a reasonable distance to one person might be too far to somebody else” ***


3. “But what feels like a reasonable distance to one person might be too far to somebody else”


“Sherlock...”

La voce sembra lontanissima, poco più di un sussurro.
La stanza è completamente buia, nulla si muove al suo interno, nessuno risponde.

“Sherlock!” Si sente di nuovo, questa volta più vicino, seguito da un paio di colpi energici sulla porta.

Da fuori provengono delle voci concitate. Si distingue chiaramente il rumore di una chiave che gira nella serratura: sembra che qualcuno stia cercando di aprire la porta, ma con scarso successo.

“Miss Hudson, la prego, si sbrighi!” Il tono dell'uomo è urgente e tradisce una certa ansia.

“Ci sto provando, caro, ma non trovo la chiave giusta... Conoscendo Sherlock potrebbe anche averla presa lui, ha sempre paura che entri e cerchi di sistemare le sue cose! Non so proprio come faccia a vivere con tutto quel disor.. ”

“Va bene, allora si sposti, per favore”

Un attimo di silenzio, poi si sente qualcuno armeggiare alla serratura e finalmente il click! metallico del meccanismo che scatta.

La porta viene spalancata con forza e la stanza è illuminata da un intenso fascio di luce, come il flash di una macchina fotografica. Nella penombra si iniziano a distinguere i contorni dei mobili: il caminetto, la poltrona, il tavolo, il divano.... e su di questo una sagoma rannicchiata che inizia a mugugnare qualcosa in direzione delle due figure che si stagliano alla porta, chiaramente disturbata dalla loro intrusione.

La figura più minuta azzarda qualche passo all'interno della stanza, ma poi si blocca. “Per dio, Sherlock!” geme, portando una mano al naso “C'è un odore terribile... Da quanto tempo sei rinchiuso qui dentro?! Bisogna assolutamente aprire quella finestra..” così dicendo avanza ancora un po', finché l'altra sagoma allunga un braccio e la trattiene.

“No Miss Hudson, può andare. Me ne occupo io.”

“Ma no caro, posso dare una pulita mentre voi due discutete delle vostre faccende... Non vi disturberò, ma è incredibilmente sudicio qui dentro e..”

L'uomo le appoggia una mano sulla spalla, interrompendo le sue proteste “Davvero Miss Hudson, non si deve preoccupare. Lasci fare a me qui. E poi avrei bisogno che mi facesse un favore: prepari una colazione sostanziosa per Sherlock, e telefoni a Molly Hooper. Ho bisogno che ci raggiunga qui il prima possibile” spiega, indirizzando l'anziana signora verso la porta “Se non le dispiace..”

“Va bene caro, va bene. Ma lo faccio solo perché me lo chiede lei. Non sono la sua domestica!” sbuffa indicando il divano, mentre esce dalla stanza.

“Certo che no, Miss Hudson” conferma l'uomo, prima di chiudere la porta alle sue spalle.

Poi, con passi lunghi e sicuri, attraversa la stanza buia, scosta le tende e spalanca la finestra.

La figura sul divano geme e si raggomitola su se stessa, infastidita dall'improvvisa luce, e l'uomo le si avvicina.

“Sherlock..” mormora “Sherlock, guardami..”

“Mghn... John..” mugugna l'altro, con una voce bassa e roca “...John?”

L'altro uomo sospira, chinandosi su Holmes “No, Sherlock. Sono io, Mycroft.”

“E dov'è... dov'è lui? E' qui?” biascica il detective, tentando di sollevarsi sui gomiti. Ma poi geme, e ricade sul cuscino con una smorfia di dolore.

Sembra ancora più magro del solito, e il pallore della sua pelle tradisce una condizione fisica non delle migliori.

“Non fare movimenti bruschi...” Mycroft posa una mano sulla spalla del fratello “No, John non è qui. E non so dove sia” aggiunge “Adesso vuoi dirmi cosa è succe..?”

“Balle. Ovvio che sai dov'è” sbotta Sherlock con voce rauca “E sai benissimo anche cosa è successo.”

Seguono degli istanti di silenzio, in cui i due fratelli si guardano dritto negli occhi.

“Bene” dice infine Mycroft, rialzandosi “Allora almeno delucidami su questo. Cos'è stavolta?”

Sherlock volta il viso dall'altra parte, come se non volesse sentire. “Eroina? Cocaina? Qualche nuova sostanza lchimica che ti hanno procurato i tuoi amici senzatetto?” Mycroft elenca, impassibile “Dimmelo Sherlock, e la faremo finita più in fretta. Molly Hooper sta venendo qui, quindi in ogni caso lo saprò”

“Perchè l'hai chiamata?” lo interrompe Sherlock “Non voglio che nessuno mi veda in questo stato!” Pronuncia le parole con veemenza, ma i successivi colpi di tosse smascherano la sua reale debolezza fisica.

“Sono d'accordo, sarebbe bene che nessuno vedesse come ti sei ridotto” annuisce il fratello “Ma hai bisogno di aiuto. E Molly Hooper ha già dato prova della sua abilità nel mantenere i segreti...”

“Io non ho bisogno di aiuto” digrigna Sherlock, mettendosi lentamente a sedere “Me la cavo benissimo da solo.”

Mycroft squadra con sguardo critico il suo viso incavato e pallidissimo, la fronte bagnata di sudore, le occhiaie occhiaie scure e le labbra esangui e secche “Oh sì, te la cavi decisamente alla grande” dice lanciandogli un sorrisetto ironico. Poi riprende il consueto tono serio e cinico “Hai bisogno di aiuto, Sherlock. Questa volta è più seria delle altre, da solo non ne uscirai.”

“Uhm, e da quando ti importa di fare il fratello maggiore?” ribatte acidamente Sherlock.

Mycroft gli lancia uno sguardo duro. “Da quando il mio amatissimo fratello minore, che si è rivelato tanto utile alla nazione in diverse occasioni, ha deciso di gettare le sue preziosi doti nella droga.” Sibila .“E in più io più sono l'unico che ti può tirare fuori da questa situazione senza che la tua pietosa condizione finisca su tutti i giornali. Quindi, caro fratellino, ti conviene accettare il mio aiuto senza fare troppe storie”.

Sherlock lo guarda ma non risponde. Si lascia cadere pesantemente contro lo schienale del divano e sospira, passandosi una mao nei capelli.

“Mh-Mh” Mycroft si schiarisce la voce “Comunque. Per quel che vale.. Mi dispiace per come sono andate le cose tra te e John...”

Sherlock gli lancia uno sguardo sorpreso, e si lascia sfuggire uno sbuffo sprezzante “Non sei obbligato a rispettare le convenzioni sociali ed essere gentile solo perché ti faccio pena e...”

“Sono serio, Sherlock!” lo interrompe Mycroft, con durezza. “Smettila di comportarti da idiota. Mi dispiace che sia finita così, e che tu ora ti sia ridotto in questo stato..”

“E ti senti in colpa, non è vero?” mormora Sherlock “Perchè sei stato tu a proibirmi di fare quella maledetta telefonata..”

Il maggiore distoglie lo sguardo, in silenzio, e Sherlock chiude gli occhi “Due anni, Mycroft... Sono sparito per due anni..” sospira stancamente “Se non fossi stato d'accordo con te avrei trovato il modo di chiamarlo.. Di fargli capire..”

Sherlock Holmes si passa le mani sul viso pallido e magro “Ma non è stato solo questo, comunque... Senza di me lui si è rifatto una vita. La vita che desiderava, con qualcuno che può condividerla con lui.” Lentamente il detective porta una mano sulla vestaglia, cercando qualcosa in una tasca. “Io ero morto, Mycroft... E lui è riuscito ad andare avanti, a ricostruirsi una vita più felice con qualcuno che ama davvero. Ha capito di non avere più bisogno di me, e che si merita qualcuno che sappia amarlo senza farlo soffrire” termina, con voce flebile.

Lentamente china la testa, e legge il foglio stropicciato nella sua mano:

Ciao. Mi dispiace, Sherlock.
Ma non riesco ancora a perdonarti, e se anche un giorno ci riuscirò non potrò mai resettare tutto e tornare alla vita di prima, come tu mi hai chiesto.
Grazie a te ho trovato la ragione per andare avanti, anni fa. Tu mi hai salvato, e ti sarò sempre grato per questo, e per tutto quello che abbiamo condiviso.
Ma poi tu sei morto, o almeno così credevo, e mi hai costretto ad imparare ad andare avanti anche senza di te, senza il tuo stile di vita.

In realtà la tua scomparsa si è rivelata utile, alla fine: mi ha fatto capire che avevo superato dei limiti... Limiti pericolosi, con criminali, situazioni adrenaliniche che mi hanno ridato la sensazione di essere vivo, come mi succedeva in Afghanistan, e mi hanno aiutato a venir fuori dalla brutta situazione in cui mi trovavo. Tu mi hai aiutato.
Ma ho oltrepassato dei limiti anche con te... Ero così confuso, Sherlock, così dipendente dalla tua vita e così affezionato a te che ho combinato un casino, ho mischiato le cose...
Ma poi, quando sei sparito, ho finalmente capito: quella vita è tua, Sherlock, non mia. Ho voluto credere che fosse anche la mia, ma non è così. Io non sono come te. Non sono in grado di risolvere crimini, non ho le tue doti.
Quando sono rimasto da solo l'ho visto, e ho capito
di avere bisogno di altro, di un'altra vita. Di una famiglia... Mary mi ha mostrato tutto questo, mi ha mostrato la vita di cui ho bisogno, e la persona con cui ho bisogno di condividerla.
Mi dispiace Sherlock, io... Era tutto
talmente nuovo ed elettrizzante, ed era un periodo così difficile, che ho finito per confondere i miei sentimenti verso di te. Non voglio giustificarmi, so che ho sbagliato. E che ti sto facendo del male.. Ti chiedo perdono.
Ma questo non è un biglietto d'addio...
Tu sei l'uomo migliore e più coraggioso che abbia mai incontrato. Nutro una grande ammirazione nei tuoi confronti, e un profondissimo affetto. Non voglio una vita senza di te,
e sarò felice di accompagnarti ancora su qualche scena del crimine ogni tanto, quando e se tu lo vorrai.
Ma la mia vita ora è con Mary e il bambino, nella nostra nuova casa a
Shepherds Bush. E anche per noi due è meglio così, credimi... E' necessario che manteniamo una ragionevole distanza.
Mi dispiace,
Sherlock.
Con affetto,
John H. Watson”

 

Sherlock stringe il foglio nella mano, serrando gli occhi, ma non può impedire alle lacrime di scendere sulle guance.
Una ragionevole distanza, aveva scritto John. Ragionevole. Ma a Sherlock Holmes, per cui la ragione era sempre stata l'incontestabile sovrana di ogni decisione e azione mai intrapresa, ora quella parola sembrava ridicola, vuota.
John si era appellato alla ragione come se questa potesse giustificare la sua scelta, dotarla di un rigore scientifico, universalmente riconosciuto, inattaccabile.
Ma Sherlock aveva capito anni prima che in realtà, per certe questioni, non è possibile affidarsi alla guida di quell'unica ragione oggettiva e esatta. Nei sentimenti esistono più ragioni, diverse, ma soggettivamente valide e giuste. E quindi sì, una ragionevole distanza. Ma ragionevole per chi?

 

***
“But what feels like a reasonable distance to one person might be too far to somebody else”



 

Grazie mille a tutti voi lettori!
Spero che questa storia vi sia piaciuta :)
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
A presto,
G.B.


 


 

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