Paura di morire o di vivere?

di shinran4869
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nulla da perdere ***
Capitolo 2: *** Loro o lei? ***
Capitolo 3: *** Brutti presentimenti ***
Capitolo 4: *** Dolci illusioni ***
Capitolo 5: *** Senza via di fuga ***
Capitolo 6: *** Cominciano le indagini ***
Capitolo 7: *** Incontri indesiderati ***
Capitolo 8: *** Agonia ***
Capitolo 9: *** Cambiamenti ***
Capitolo 10: *** La fine è vicina? ***



Capitolo 1
*** Nulla da perdere ***


Distesa sul letto a guardare il soffitto.
Così.
Senza far niente, senza pensare a niente. O meglio, cercando di non pensare a niente. Cosa, però, piuttosto inevitabile, a dire il vero.
Era da qualche giorno che uno strano senso di malinconia la pervadeva. Forse era solo un po’ lunatica. Forse era solo un brutto periodo. Eppure c’era qualcosa, in fondo, che la induceva a pensare che l’essere lunatica non c’entrasse, e poi ai “brutti periodi” ormai ci aveva fatto l’abitudine. Pensava di aver visto tutto, o che comunque nulla su questo mondo valesse davvero la pena di un sorriso.
Da quando lei non c’era più, nulla valeva davvero la pena.
Così, tra mille pensieri, rimaneva lì, immobile, impassibile, a fissare quel dannato soffitto della sua camera, talmente bianco che sembrava fosse stato messo lì per abbagliare le persone.
Bianco e candido, pensò. Come lei.
Sapeva bene, dentro di lei, che si era ripromessa di non pensarci più. Voleva costruirsi una vita nuova, lasciarsi alle spalle il passato, fare tabula rasa e ricominciare da zero, in tutto e per tutto.
Zero.
Le richiamava alla mente tante cose, questa parola, o meglio, questo numero. Aveva sentito tante volte la ragazza dell’agenzia investigativa farneticare sul significato di questo numero.
Tutte sciocchezze, pensò.
Ma in fondo continuava a scavare i ricordi per cercare di richiamare alla mente le parole di quella ragazza.
Lo zero…l’amore…qualcosa come…l’amore è zero…
Forse ci stava arrivando. L’amore?
Nah, era sulla pista sbagliata.
L’amore per lei non aveva mai significato nulla. Altro che libri e film romantici, storie d’amore perfetto, e via dicendo, lei non ci aveva mai creduto.
“Tutte sciocchezze” ribadiva spesso “L’unico amore che provo è quello verso la scienza”
Che stupidaggini.
Era proprio la scienza che l’aveva cacciata in quel guaio.
A mentire agli altri, se la cavava, ma a se stessa, proprio no. Era troppo intelligente per prendersi in giro da sola.
Di nuovo quella sensazione. Le attanagliava lo stomaco, non la lasciava respirare. No, non era malinconia.
Era paura.
Poi d’un tratto si rese conto. Che stupida, possibile che non me ne sia accorta? E se uno di loro fosse qui? Formulò quel pensiero prima ancora di essersene resa conto. E se mi stessero cercando? O, peggio, e se mi trovassero?
Poi si impose di ragionare con freddezza, cosa che da sempre la contraddistingueva. Com’era plausibile, aveva costruito un muro impenetrabile tutt’intorno a lei; perché in fondo le serviva pur qualcosa per mascherare la sua insicurezza…e il dolore che portava dentro ormai da tempo…
Lo sapeva meglio di chiunque altro.
Certo, poi era tornata bambina, ma quello era solo “il suo aspetto esteriore”. Un occhio attento l’avrebbe capito al volo, che qualcosa non andava, che non era una semplice ragazzina. E che non avrebbe mai potuto esserlo. Perché dentro, lei era ancora una diciottenne. E non una qualsiasi. Una diciottenne con un passato alle spalle, e che, per quanto si sforzasse di guardare avanti e di non far caso al fardello che portava sulle spalle da diversi anni, lei lo sentiva lì, il suo passato. Pronto a puntarle una pistola alla tempia e a farla fuori senza alcuno scrupolo, appena si fosse distratta.
Così come era successo a lei.
Ed ecco che stava divagando ancora. Gettava occhiate a quel passato, e non vedeva che davanti a lei c’era il presente, che chiedeva solo di essere vissuto. “E certo, ti pare facile…” rispondeva acida ogni volta che qualcuno le faceva presente che doveva smetterla di ricordare, e che doveva andare avanti.
Acidità e freddezza.
Due caratteristiche che non erano mutate col tempo, e col cambiamento, il fatidico cambiamento. Quella corazza impenetrabile c’era, era lì. Ormai era diventato un processo del tutto naturale, l’essere sempre acida, fredda e distaccata. Era come se tutte le emozioni che provava venissero “filtrate” da quel muro invalicabile, che lasciava trapelare solo una cosa.
La fantomatica freddezza.
Niente di più, niente di meno.
Tanto non aveva più nulla da perdere.
Che mi prendessero pure, e mi uccidessero. Tanto non ho più nulla da perdere, pensava convinta.
Ma stava di nuovo correndo troppo.
Lei e la sua impulsività.



----ANGOLO DELL'AUTRICE----
Sono appena entrata nel mondo delle fan fiction...e ho voluto fare un "esperimento"... spero che vi piaccia :) comunque, se volete, lasciate una recensione, mi farebbe piacere sapere che ne pensate di questo prologo; e se i giudizi saranno positivi...beh, probabilmente scriverò anche il seguito!
Baci a tutti e (spero) al prossimo capitolo
Ali

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Capitolo 2
*** Loro o lei? ***


No, no, stava sbagliando tutto.
Non era quella la cosa giusta da fare, così gliel’avrebbe solo data vinta, a loro. E non poteva permetterselo, no. Per nessun motivo. Ci era già andata vicina una volta, e non poteva assolutamente commettere lo stesso errore. Si era lasciata trasportare dalla paura, e aveva pensato che fosse stato meglio farla finita, quel giorno, su quell’autobus. Perché il terrore di poter essere l’alfa e l’omega della sofferenza di chi la circondava la stava invadendo…un’altra volta.
E se l’ultima volta le era andata bene, era stato solo grazie a lui.*
Era vero, dopo che l’aveva salvata si era subito pentita di essere stata così debole, e di aver ceduto così presto... ma ora le certezze a cui si era appigliata ricominciavano a vacillare. Credeva di non aver ringraziato ancora abbastanza quel moccioso occhialuto che l’aveva salvata…ma se in fondo fosse stato meglio se lei fosse scomparsa quel giorno?
Ma no, cosa andava a pensare.
Non posso dargliela vinta, no. Devo tenere duro. Prima o poi finirà tutto, pensava.
Eppure, neanche lei sapeva cosa sarebbe finito prima.
Se loro, o lei.
 
Quando riaprì gli occhi si era fatto buio. Era completamente stordita…cosa le era successo? Sentiva delle voci che provenivano da lontano…ma non riusciva a distinguerle con precisione…poi si sforzò di ricordare: era sul suo letto a pensare…cercò di muoversi…non era legata…
Respira, Haibara, respira. Non puoi farti prendere dal panico, non in una situazione del genere, cercava di farsi forza.
Prima di tutto devi riuscire a capire dove ti trovi, stai tranquilla, respira.
Era su qualcosa di morbido, non era scomoda. Certo, era un po’ stordita, ma piano piano i pensieri stavano ricominciando a fluire nella sua testa. Cercò di alzare piano la testa e guardarsi intorno. I suoi occhi iniziavano ad abituarsi all’oscurità…era in un luogo terribilmente familiare…
Poi, d’un tratto, si rese conto di quanto fosse stata sciocca a preoccuparsi per una cosa del genere: era in camera sua, ancora sul suo letto!
Tirò un sospiro di sollievo: evidentemente non aveva retto allo stress causatole dai pensieri che, qualche ora prima, le stavano attraversando liberamente la testa, senza che lei avesse potuto contrastarli. Una bella dormita, dopotutto, non le aveva fatto male. Prima era decisamente tesa, mentre in quel momento si sentiva più tranquilla, e anche lo strano senso di malessere – che, a quanto pareva, era solo paura – era quasi scomparso. In più, ormai sveglia, riconobbe chiaramente le voci del dottor Agasa e di Conan, che si trovavano al piano inferiore.
Ormai del tutto sveglia, appurò che aveva dormito per due ore, e che quindi dovessero essere circa le otto di sera. Si sedette sul letto, si infilò le pantofole e, strusciando un po’ i piedi sul pavimento, scese al piano di sotto. Com’era prevedibile, Agasa stava preparando la cena, mentre Conan era sul divano a far zapping tra i vari canali televisivi, apparentemente senza interessarsi a nulla.
“Che ci fa il moccioso ancora qui?” chiese, un po’ irritata dalla presenza di Conan a casa sua.
“Voleva solo parlarti, Ai; suvvia, non essere così scontrosa con lui. È rimasto qui ad aspettare che ti svegliassi, perché non voleva disturbarti” le rispose il dottore.
“Hm. Sentiamo, di cosa vorresti parlarmi?” fece lei, rivolgendosi al ragazzino. “No aspetta, non me lo dire! Scommetto che vuoi chiedermi dell’antidoto, vero Kudo?” aggiunse ironica.
 
E invece no, non era vero stavolta. Eppure lui provò una morsa allo stomaco quando aprì bocca per rivolgersi a lei. Era forse meglio tenerla all’oscuro di tutto? Dai, era inutile metterla in agitazione per una cosa del genere. D’altronde, non mi ha confermato nulla…è solo un suo sospetto… continuò a ragionare lui, indeciso se rivelare o no all’amica quello che gli avevano appena riferito.
E, alla fine, rispose con “Eh, già, hai proprio indovinato…era proprio dell’antidoto che volevo chiederti…sai com’è…le vesti di Conan mi stanno un po’ strette…” cercò di buttarla sul ridere, fallendo miseramente.
Agasa gli lanciò un’occhiata interrogativa, ma lui cercò di non farci caso, continuando la sua messa in scena.
È meglio così, si disse, d’altronde lo faccio per lei, per non allarmarla troppo.
“Ancora nessun nuovo risultato.” fece lei, fredda.
“Okay…” rispose il detective. “Allora vado, ci vediamo domani a scuola. Arrivederci dottore!” disse, già sulla porta di casa, sperando che l’amica avesse creduto alla bugia.
Non è mica stupida, pensò. Eppure sembrava che non sospettasse niente…
 
Intanto la giovane Haibara, dopo aver cenato e risposto con monosillabi alla maggior parte delle domande di Agasa, si era rintanata nel seminterrato, aveva fatto delle ricerche – rivelatesi perlopiù infruttuose – e poi, un po’ stanca, era tornata di sopra, nella sua stanza.
Ed ecco che tutto pareva destinato a ripetersi.
I pensieri sul suo passato avrebbero ricominciato a prendere il sopravvento su di lei?
No, stavolta non l’avrebbe permesso. Piuttosto, stavolta si “rivolsero” - almeno inizialmente - su di lei. E sui suoi atteggiamenti.
Poco prima, era stata parecchio scontrosa con Shinichi, che voleva solo un’informazione, niente di più. E lei aveva risposto anche con parecchia amarezza, ammetteva a sé stessa.
È solo il mio carattere, si giustificava. Ma no, le scuse con lei non attaccavano, lo sapeva bene. Soprattutto se era lei a crearsele.
Prima non era così. Quindi no, non era affatto questione di carattere. O meglio, non lo era in principio. Lo era diventata poi. Si era trasformata in una bambina, e in quella trasformazione tutti i suoi lati gentili e solari si erano come vaporizzati. O forse ancora…no, non era stata la trasformazione.
Lei lo sapeva bene.
Ma non ci voleva pensare.
E se fosse proprio questa, la causa dei miei problemi? Se solo riuscissi ad essere più aperta, potrei davvero ricominciare da capo e rifarmi una vita come si deve? si trovava a chiedersi, in quel momento. Ma, in fondo, la vita in sé stessa racchiude, com’è plausibile, anche dolori. E quindi riprovare a costruire la sua vita l’avrebbe fatta, logicamente, anche soffrire.
Valeva davvero la pena di rischiare?
No, senza di lei nulla valeva la pena.
Ecco che aveva ricominciato. Era entrata nel circolo vizioso, che le imponeva di pensare a lei e al suo passato. Come per magia, c’era un momento in cui si accendeva una parte del suo cervello che era come se volesse zittire tutte le altre, prendendo il sopravvento.
Il guaio, è che ci riusciva.
Ci riusciva benissimo.


*E se l’ultima volta le era andata bene, era stato solo grazie a lui: in “il dirottamento dell’autobus”, Conan salva Ai, che aveva deciso di rimanere su un autobus, nonostante quello stesse per saltare in aria a causa di ordigni piazzati da quelli dell’organizzazione.




----ANGOLO DELL'AUTRICE----
Allooooraaa ma ciao a tutti!!!
Come vedete sono tornata presto, eh?? Ero davvero impaziente di continuare questa storia...bhè, ora non mi resta che sperare che anche questo capitolo sia di vostro gradimento! :) Spero di sì!!
Grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo, Mary06 e B Beky, mi avete fatto davvero piacere!
Grazie anche a chi ha solo letto <3
BACI :3
Ali

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Capitolo 3
*** Brutti presentimenti ***


La mattina seguente, dopo una notte praticamente insonne, Ai si stava dirigendo a scuola, e soprattutto stava cercando di godersi gli ultimi attimi di quiete, che si sarebbe spezzata non appena fosse arrivata quella banda di mocciosi, come li definiva lei. Ma, in fondo, doveva ammettere a sé stessa che quel clima allegro e gioioso che si creava – anche se a volte era un po’ troppo gioioso per i suoi gusti – non le dispiaceva più di tanto.
D’altronde, sono bambini, come posso biasimarli? Non possono certo comportarsi come diciottenni, ed è più che normale, insomma. Quella che non può proprio parlare di normalità, qui, sono io…
“Heeeey…Ai ci sei?? Ma mi stai ascoltando sì o no?”
Una voce familiare la ridestò dai suoi pensieri. Ecco, l’aveva fatto di nuovo. Si era messa a pensare e si era completamente isolata dal resto del mondo. Si girò verso il suo interlocutore, che pareva piuttosto seccato.
“Lasciala stare, è scorbutica, è inutile che continui a parlarci, tanto non risponde!” fece un’altra voce, che riconobbe subito: era Kojima ad aver parlato
Ah già, non gli ho ancora dato una risposta.
“Eh sì sì…dimmi…” rispose distratta al suo interlocutore, che si rivelò essere – ovviamente – il giovane Tsuburaya.
“Ti stavo solo chiedendo se stessi bene…tutto qui, mi sembravi un po’ assente” continuò lui, ignorando il commento fatto dall’amico poco prima.
“Sì, non ti preoccupare, sono solo un po’ stanca, non ho dormito molto” fece lei, rendendosi conto solo in quel momento che, stando sempre sulle sue, attirava un po’ troppo l’attenzione del suo amichetto preoccupato.
“Forse il letto non era abbastanza comodo? Strano, ieri non volevi proprio saperne di svegliarti!” la sfottè Conan, alludendo alla sera prima.
“Tu stai zitto, sono affari miei. Dormo come voglio e quando voglio.” fece acida lei, di ripicca.
Peccato che non fosse vero. Negli ultimi tempi, dormire era diventato ancora più difficile, perché appena si metteva nel letto la sua testa si riempiva di pensieri che la tenevano sveglia contro la sua volontà; e soprattutto da qualche tempo aveva spesso – troppo spesso – dei brutti presentimenti che non la lasciavano un secondo. Ovviamente la prima cosa che le veniva in mente era l’organizzazione, ma poi si ripeteva che, se l’avessero scovata, a quest’ora sarebbe già all’altro mondo.
E non solo per aver lasciato l’organizzazione.
Anche per aver falsificato i documenti sulla morte di Shinichi.
E se arrivassero a me tramite lui? Ottimo, due piccioni con una fava, pensò. Forse dovrei dirgli dei miei presentimenti…ma tanto risponderebbe con una delle sue solite frasi, come “stai tranquilla” o “non preoccuparti” o “sono solo presentimenti, non è detto che si avverino”. No, non capirebbe, ne sono sicura.
Poi, ad un tratto, ripensò alla sera precedente.
Shinichi aveva aspettato che mi svegliassi solo per chiedermi dei progressi sull’antidoto? Avrebbe potuto benissimo chiederlo al dottor Agasa, lui di solito è al corrente delle mie scoperte…
E se ci fosse sotto qualcosa?
E se mi stessero nascondendo qualcosa?
Era vero, di solito Shinichi cercava sempre di tenerla all’oscuro sulle sue scoperte riguardanti l’organizzazione, anche se lei alla fine lo capiva sempre, e lo faceva confessare.
Se fosse così, si disse, i miei presentimenti potrebbero essere fondati…
E di nuovo la paura prese il sopravvento su di lei.
 
Nel frattempo, anche Conan stava trascorrendo la giornata immerso nei suoi pensieri, era talmente assorto che sembrava potesse dimenticarsi persino di respirare, se qualcuno non gliel’avesse ricordato. I suoi compagni lo sapevano bene, che quando era così assorto nei suoi pensieri e nelle sue deduzioni non andava disturbato. Così se ne stava da una parte, nel cortile della scuola, a tirare calci ad un pallone mezzo sgonfio che aveva trovato in un angolo. Palleggiare lo aiutava a ragionare e a riflettere, era sempre stato così, e continuava a farlo fissando il vuoto, mentre nella mente gli risuonavano le parole della ragazza che lo aveva chiamato la sera precedente.
 
Quella giornata di scuola passò a rilento.
Non solo non riusciva minimamente ad interessarsi alle lezioni – bhè, erano pur sempre lezioni su tabelline e poesie sull’inverno, era normale che non interessassero ad una scienziata di diciott’anni, no? – ma soprattutto non riusciva a prendere una decisione: avrebbe dovuto informare o no Conan sui suoi presentimenti? E soprattutto: cosa le stavano nascondendo lui e Agasa?
 
Il suono della campanella la fece sobbalzare.
Aveva riflettuto a lungo, ed alla fine aveva deciso di non dirgli nulla; era meglio aspettare e vedere lo svolgersi degli eventi.
Magari è stata solo una tua impressione, ti stai preoccupando per nulla, si diceva.
E, quasi inconsapevolmente, continuava a ripetersi frasi che non erano che menzogne. E che, quindi, non le erano minimamente d’aiuto.
Alzò lo sguardo e si rese conto di essere rimasta da sola in classe. Se ne erano andati tutti, e l’avevano lasciata lì da sola.
Come se fosse stata invisibile.
Cercò di non farci caso, e iniziò a mettere nello zaino le varie cose che aveva sul banco, distrattamente.
Eppure, quel vuoto intorno a lei le stava penetrando dentro.
Sono sola.
Una contro tutti.
Non ce la farò mai.
“Sola.”
“Guarda che ci sono io, qui.”
Si girò di scatto, quasi impaurita da quella voce. Non si era resa conto di star parlando ad alta voce.
“Non sei da sola. E non lo sarai. Stai tranquilla, Ai.”
 
Nel banco dietro il suo era rimasto Conan, completamente assorto – anche lui – nei suoi pensieri, e si era ridestato sentendo la voce della bambina impaurita. Chissà a cosa stesse pensando. Era misteriosa, terribilmente chiusa in sé stessa, non faceva “entrare” mai nessuno. Ma c’era qualcosa, o qualcuno, che la stava consumando lentamente, da dentro. Era più che certo che i suoi pensieri convergessero tutti verso l’organizzazione.
E se avesse capito tutto? si chiese lui.
“Vieni con me, devo fare un salto a Villa Kudo, ti posso accompagnare a casa se vuoi.” propose lui.
“Non ti preoccupare, posso tornare anche da sola.” ribatté lei, cercando di mostrarsi forte. Lo aveva promesso a sé stessa tanto tempo fa: sarebbe dovuta essere forte. Sempre. In ogni situazione.
“Sicura?” fece lui, con una nota di preoccupazione nella voce.
Un silenzio assordante invase l’aula, dove ormai era calato il buio.
“Io ho paura, Shinichi.” disse lei, tutto d’un fiato.
Idiota. E la promessa? È andata a farsi benedire? Devi essere forte. Devi mostrarti forte. Non può spezzarti nulla. Tu sei forte. E puoi fare benissimo tutto da sola. Non puoi permetterti di contare sull’aiuto di nessuno, si ripeteva lei.
Ma era inutile, perché non era vero.
“Anche io ho paura.” ammise lui “Ho paura di restare per sempre intrappolato nel corpo di un bambino di sette anni, ho paura di non riuscire a sbattere in galera quelli dell’organizzazione, ho paura di non riuscire più a mentire a Ran, ho paura di metterla in pericolo, e ho paura di non poter più stare con lei, ma non come Conan, bensì come Shinichi. Ho paura di tante cose, e so che anche tu ne hai altrettante che ti tormentano…ma io so che ce la faremo. So che riuscirai a vendicare tua sorella e i tuoi genitori. Lo so che ce la farai. Ma devi smettere di essere così tesa e preoccupata, perché in questo modo ti farai solo del male.”
Lei lo guardò in silenzio.
Ha ragione. Forse anche troppa…
“Va bene” disse con un filo di voce.
E forse, quella volta andava bene davvero.
 
---- ANGOLO DELL’AUTRICE----
Heeeey! Allora, come vedete sono riuscita ad aggiornare presto (prestissimo direi…ho postato il secondo capitolo solo ieri…quindi, bhè, sono veloce xD). A parte questo momento di modestia, sono qui per dirvi che, purtroppo, non penso che sarò tanto veloce ad aggiornare anche per i prossimi capitoli…tra pochissimo ricomincia la scuola, e quindi sarò piuttosto impegnata –purtroppo :(-
Comunque, un grazie speciale a chi ha recensito lo scorso capitolo: B Beky (che l’ha anche inserita tra le ricordate) ed ExecutionKla.
Grazie a Mary06 che ha inserito la storia tra le seguite; e grazie anche a chi legge soltanto!
Baci e al prossimo capitolo :3
Ali <3

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Capitolo 4
*** Dolci illusioni ***


Quella sera, a casa, Ai si sentiva molto più tranquilla dei giorni passati, ed appena arrivata si mise subito sotto la doccia per scrollarsi di dosso ulteriormente tutto lo stress della giornata, che ormai stava volgendo al termine.
Conan le era stato molto d’aiuto, sebbene lei fosse restia ad ammetterlo, persino a sé stessa. Le aveva parlato a lungo, e l’aveva convinta che non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Il sollievo che aveva provato era indescrivibile: si era davvero tolta un macigno dallo stomaco, quando gli aveva parlato di tutti i brutti presentimenti che, ormai da giorni, la tormentavano.
 
Uscita dalla doccia, e ancora coi capelli bagnati, andò a salutare il dottore, che era da poco tornato a casa; lui si meravigliò di quel gesto, dato che di solito la “bambina” passava la maggior parte del suo tempo davanti al computer del seminterrato, tutta intenta a digitare sulla tastiera formule praticamente incomprensibili con le sue dita sottili. Anche a cena lei mantenne il buonumore, che quasi stonava sul suo viso, di solito molto serioso e che non lasciava trapelare nessun’emozione. Al che, Agasa non poté trattenersi dal commentare:
“Come mai tutto questo buonumore? Non ti sarai mica innamorata?!”
“Ma che dice dottore…” ribatté lei, sebbene con una punta d’imbarazzo “Sono solo felice per essermi tolta un peso, tutto qui.”
“Ah, voi ragazze…” disse con un sospiro Agasa.
Per tutta risposta, lei sorrise, facendo spallucce.
Sono stata una stupida a dubitare di lui e di Conan…ero molto tesa, e ho scaricato il mio nervosismo su di loro, accusandoli per cose che in realtà non avevano fatto, solo perché avevo “dei presentimenti”… Ha ragione Shinichi, dopotutto sono solo presentimenti, non è mica detto che si avverino! pensò lei, mente in mente le risuonavano le parole dell’amico.
A volte se lui non ci fosse non saprei proprio come fare…anche se alla fine sono io la causa di tutti i suoi problemi… si ritrovò a pensare, senza rendersene conto.
Ma ora l’importante è che sono tranquilla e al sicuro, non è vero? si chiese Sì, senz’altro. D’altronde, quel ragazzino ha insistito tanto…sembrava davvero convinto di ciò che stava dicendo. Quindi non ho motivi di dubitare di lui.
Eh già, dubitare delle persone. Era da tempo che non si fidava più ciecamente di qualcuno…ma la fiducia non l’aveva persa del tutto, no.
Era lì, in un angolino, e aspettava solo di essere “usata”.
E forse, un giorno o l’altro ci sarebbe riuscita.
Ne era più che convinta.
E, quando si mise a letto, non ebbe nemmeno modo di formulare un pensiero che era già sprofondata in un sonno profondo.
 
La mattina seguente, si svegliò al suono delle parole del dottor Agasa, che stava parlando animatamente con qualcuno, anche se le parole dell’interlocutore non le giungevano.
Sicuramente starà parlando al telefono con qualcuno…ma perché deve sempre urlare…stavo dormendo tanto bene…e poi oggi è sabato, non devo nemmeno andare a scuola...
E, mentre Ai stava per girarsi dall’altra parte del letto per cercare di riprendere sonno, il dottore alzò il tono di voce.
Chissà con chi starà litigando…
“Ma non vedi che così si sta illudendo e basta? Cosa ti salta in mente? Devi smetterla di comportarti in questo modo!” le arrivarono forti e chiare le parole di Agasa.
Ecco svelato l’arcano, pensò, sicuramente all’altro capo del telefono ci sarà Shinichi, che avrà i suoi soliti problemi con la ragazza dell’agenzia investigativa... si disse, accompagnando il pensiero con un sonoro sbuffo.
Ah, l’amore…perché deve essere così…
E fu interrotta nuovamente dalle parole – o meglio dagli urli - del dottore: “Shinichi, adesso basta, devi dirle tutta la verità, per quanto ci tenga, a lei, non trovo giusto che tu la debba illudere in questo modo così meschino.”
Fu tutto quello che riuscì a sentire, poi la stanchezza e lo stress accumulato in quella settimana presero il sopravvento su di lei e, per quanto fosse alta la voce del dottore che continuava a parlare al telefono, le si chiusero gli occhi e si addormentò di nuovo.
 
"Lo sto facendo solo per il suo bene!”
Quelle parole riecheggiavano nella stanza ampia così come nella sua testa.
Non era più abituato a vivere in quella grande villa, soprattutto ora che a stento riusciva a prendere un bicchiere dalla credenza, data la sua statura.
Quanto odiava essere piccolo.
Dopotutto sono stato io a ficcarmi in questo guaio…io e la mia maledetta curiosità…se solo non avessi seguito Vodka, quel giorno… si diceva spesso. Tutta colpa mia, mia e di nessun altro.
Dopo aver chiuso il telefono, continuava a ripensare alla discussione che aveva appena avuto. Comprendeva appieno le motivazioni del dottore, anche se Agasa non capiva che anche lui aveva i suoi buoni motivi, per mentirle.
Possibile che non abbia ancora capito che sto facendo tutto per lei? Se le raccontassi ogni cosa, la situazione diventerebbe ancora più complicata di quanto non lo sia già, e non ho proprio tempo da perdere.
Eppure, una parte di lui gli ricordava continuamente che, giorno dopo giorno, si era rinchiuso in una campana di vetro fatta di bugie su bugie, ormai raccontate come se nulla fosse a tutti quelli che gli stavano intorno.
Ogni mattina, nel suo piccolo letto a casa Mouri, si svegliava con i brividi; ma non per il freddo, bensì per l’amara consapevolezza di dover affrontare un altro giorno mentendo a chi aveva di più caro.
Non era lui il primo a dire “Shinjitsu wa itsumo hitotsu*”?
Certo, erano bugie a fin di bene…
O almeno questo era quello che credeva lui.
 
Dopo aver ragionato a lungo – molto a lungo – e dopo aver ripensato alle parole del dottore, uscì da villa Kudo sbattendo il cancello. Era giunto alla conclusione che la ragazza, nell’inconsapevolezza, avrebbe potuto esporsi a più rischi del dovuto.
Ho deciso. Devo dirle tutta la verità. Costi quel che costi.
 E, camminando velocemente -per quanto glielo permettessero quelle sue gambette da bambino- si diresse a casa sua, deciso a rivelale tutto.
Anche se, probabilmente, la verità le avrebbe fatto male.
 
Verso l’ora di pranzo, mentre erano indaffarati in cucina, Ai e il dottore si accorsero di avere il frigorifero praticamente vuoto, quindi Agasa propose di fare un salto al supermercato più vicino per rifornirsi di “provviste”.
“Vada lei, io rimango qui, non ho voglia di uscire; mentre sarà fuori io penserò al pranzo, va bene?” fece Haibara.
Il dottore annuì e uscì a grandi passi da casa: aveva fame, e non vedeva l’ora di sedersi a tavola per pranzare.
Pochi istanti dopo che Agasa fu uscito, suonarono alla porta.
Sicuramente il dottore si sarà scordato qualcosa… pensò, mentre svogliatamente si avvicinava alla porta; la aprì senza soffermarcisi troppo e fece per ritornare in cucina, quando si sentì afferrare il braccio da una mano forte ma allo stesso tempo delicata.
Non riuscì a formulare nessun pensiero, e non riuscì nemmeno a girarsi per vedere in faccia la persona che la stava afferrando.
Con una mossa repentina, le venne premuto un fazzoletto sulla bocca, aveva un sapore e un odore leggermente dolciastri. Le palpebre le si fecero sempre più pesanti, i suoi occhi vitrei si chiusero lentamente, i pensieri fluivano nella sua testa, ma lei era troppo debole per riuscire a captarli. Non si oppose minimamente a quelle mani: sapeva bene che ogni suo movimento sarebbe stato vano. Dentro di sé, lottarono il suo corpo, sempre più debole, e la sua razionalità, che le imponeva debolmente di restare sveglia; fin quando non perse il controllo dei suoi muscoli e si accasciò a terra.
Fece in tempo ad udire solo una frase, che la colpì come un pugnale dritto nel suo stomaco:
“Nice to meet you again, my dear Sherry.”
Poi, fu risucchiata dal vuoto più totale.
 
 
* Shinjitsu wa itsumo hitotsu = “La verità è sempre una sola”, motto di Shinichi.




----ANGOLO DELL'AUTRICE----
Salve popolo di EFP!! (okay forse esagero...)
Cooooomunque ciao a tutti! Prima di tutto ringrazio di cuore chi sta seguendo questa fanfiction, siamo arrivati a 100 visite (nel primo capitolo) in una settimana!
Tutto merito vostro...quindi GRAZIE!!
Allora, torniamo a noi. Che ve ne pare di questo capitolo?? Ci ho messo un po' a scriverlo, come previsto, dato che ormai le vacanze non sono che un ricordo lontano T.T Ma parliamo di cose importanti: chi ha aggredito Ai? E dove starà correndo Conan? Cosa avrà in mente quel tonno? :3 È tutto top-secret ù.ù
A parte tutto, grazie a tutti i recensori (10 recensioni in tutto, yep!!) dello scorso chap: B Beky, Mary0 e shinichi e ran amore. Grazie a Dudi_Mouri che ha inserito la fan fiction tra le seguite!
Grazie anche a chi legge soltanto :)
Baci e al prossimo chap (dove si chiariranno molti dubbi...foooorse) :3
Ali <3

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Capitolo 5
*** Senza via di fuga ***


Solo pochi passi dopo, il telefono di Conan iniziò a vibrare.
Speriamo che siano buone notizie… pensò, dopo aver letto sul display il nome del chiamante.
Fece un respiro, schiacciò il tasto di risposta e avvicinò il cellulare all’orecchio, con la mano tremante, spaventato da quello che avrebbe potuto riferirgli la donna. Si fece coraggio e disse, tutto d’un fiato:
“Pronto, agente Jodie, mi dica, ci sono novità?”
“Sì.” rispose lei, facendo una pausa.
A quel silenzio prolungato, il bambino ebbe un sussulto. Già dal tono della donna aveva intuito che quella chiamata sarebbe stata tutt’altro che allegra. Si preparò al peggio, e chiese con voce tremante:
“E…?”
“E sono tutt’altro che buone.” fece l’agente, con un tono tra il triste e lo sconsolato, pur non perdendo la sua aria professionale.
“Mi dica tutto.” rispose, cercando di sembrare pronto a tutto. Anche se, in realtà, non lo era affatto.
 
Appena chiuse la chiamata, riprese a correre più veloce di prima, e si fermò solo quando scorse la sagoma del dottor Agasa che gli veniva incontro.
“Shinichi, tutto bene? Dove stai andando così di corsa?” chiese lui.
“Io…stavo giusto…venendo…da lei…” fece il bambino, cercando di riprendere fiato dopo la corsa.
Ora che era tornato piccolo, anche il più piccolo sforzo gli faceva venire l’affanno. Un altro motivo per cui non vedeva l’ora di tornare nel suo corpo da diciassettenne.
Ma quello non era proprio il momento di pensarci.
“Dov’è Ai?” domandò Conan, non vedendo la bambina nei paraggi.
“È rimasta a casa, mentre io sono andato a fare un po’ di spesa. Qual è il problema?”
“Presto, apra la porta, si sbrighi!” fece Shinichi, ignorando la domanda di Agasa.
Mentre le chiavi giravano nella toppa, il cuore di Conan prese a battere velocemente per la paura, ma lui cercava in tutti i modi di rimanere tranquillo e di ragionare. Quando la porta finalmente si aprì –sembrava passata un’eternità- , Conan urlò il nome dell’amica con tutto il fiato che aveva in corpo.
Nessuna risposta.
In casa vigeva un silenzio assordante.
“Sarà nel seminterrato, di che ti preoccupi, Shinichi?”
Senza nemmeno rispondere, il ragazzino prese a correre per le scale, pregando con tutto sé stesso di trovare l’amica seduta sulla sedia, davanti al computer, con quella sua solita aria seria di quando si metteva a “lavorare”. La immaginava mentre si girava per lanciargli un’occhiata truce solo perché era stata disturbata.
Ma, per quanto lui lo sperasse con tutto il cuore, quella scena non si avverò.
Il seminterrato era vuoto.
Di lei, non c’era traccia.
Calma. Mantieni la calma. Devi rimanere lucido. Devi ragionare. Sei un detective, no? L’intuito è il tuo punto di forza. Respira. Siediti e respira. Riuscirai a uscire fuori da questa situazione. Ce la farai. Ora devi solo impegnarti e iniziare a ragionare. si diceva il detective, cercando di mantenersi lucido e non farsi prendere dal panico.
“Shinichi, ora siediti qui e spiegami per filo e per segno tutto quello che sta succedendo, perché sinceramente non è che ci stia capendo molto.” lo esortò il dottore, con una nota di preoccupazione nella voce.
“Okay, okay. Allora, cominciamo dall’inizio. Qualche giorno fa, mentre ero con lei, ho ricevuto una chiamata dall’agente Jodie, si ricorda?” iniziò a spiegare Conan.
Il dottore rispose con un cenno del capo.
“Bene, quel giorno mi ha riferito che aveva appena avuto notizie da Kir: l’organizzazione stava ricominciando a dubitare di lei, o almeno questo è ciò che aveva capito Jodie. Diceva che Gin la teneva d’occhio, la metteva spesso alla prova con missioni difficili e pericolose, ma ancora non si era trovata microfoni addosso. La ragazza aveva riferito anche che quella sarebbe potuta essere la sua ultima chiamata, perché non poteva correre il rischio di essere scoperta. L’unica cosa di cui era certa, da ciò che mi ha detto l’agente, era che l’organizzazione stava per tornare all’attacco. Il problema è che Rena non sapeva esattamente quale sarebbe stato il loro piano, proprio perché Gin non si fidava di lei e non le aveva detto nulla della missione. La ragazza aveva concluso dicendo che aveva capito che molto presto, però, le sarebbe stato affidato un incarico importante. E questo è ciò che mi aveva detto Jodie.”
“E cioè quello che volevi dire ad Ai l’altro giorno.” affermò Agasa.
“Esattamente, dottore. Solo che…non so cosa mi sia preso…ma l’avevo vista molto preoccupata…e non mi pareva il caso di farla agitare ancora di più…pensavo che avrebbe potuto fare qualcosa di irresponsabile che l’avrebbe messa in pericolo… “ ribatté il bambino.
“Sì, ho capito, me l’hai detto prima.”
“Ho riflettuto sulle sue parole, dottore, e sono giunto alla conclusione che, se gliene avessi parlato, magari sarebbe stata più accorta…quindi stavo venendo qui per dirle tutto…e…”
“E…?”
“L’agente Jodie mi ha richiamato.”
Un silenzio assordante calò tra i due.
Nella mente di Agasa, le cose si facevano già un po’ più chiare.
Quindi esortò Shinichi a continuare, che riprese la parola:
“Kir l’aveva ricontattata. Era riuscita a capire di cosa trattava il nuovo piano dell’organizzazione, seppur non nei particolari.”
Il dottore guardò il giovane con fare interrogativo. Avrebbe voluto chiedergli “Ti prego, dimmi che non è come penso…”, ma le parole gli rimasero bloccate in gola. Sapeva che era esattamente come pensava.
Shinichi annuì debolmente, i suoi occhi erano spenti.
“Jodie mi ha detto che Ai era in pericolo. E, con lei, ovviamente lo siamo tutti noi. Ecco perché ero così spaventato quando non l’ho vista con lei…”
Di nuovo silenzio. Un silenzio amaro, che si infiltrava nei loro animi, nelle loro parte più remote; e un senso di vuoto iniziò a pervadere i due.
“L’hanno rapita” dissero, quasi all’unisono, con un filo di voce, perché stentavano a credere alle loro stesse parole.
O meglio, perché non volevano crederci.
 
 
Quando Ai si svegliò, era completamente stordita. La sua testa era come stretta in una morsa, le faceva male, e ad ogni piccolo spostamento sembrava che il mondo intorno a lei cominciasse a girare vorticosamente. Non avrebbe saputo dire da quanto tempo stesse dormendo –se ore, minuti, giorni…-, tutto in quel momento le appariva ovattato.
Il cloroformio le aveva completamente messo fuori uso il cervello.
Ottimo.
Aprì le palpebre lentamente, cercando di far abituare gli occhi all’oscurità che la circondava. Sarebbe stato impossibile capire dove si fosse trovata in quel momento; l’unica cosa che sapeva con certezza era che, in ogni caso, non avrebbe avuto scampo. Ricordava bene solo un particolare: la mano che l’aveva afferrata. Per quanto in quel momento fosse sotto shock, quella presa l’avrebbe saputa riconoscere tra mille.
Dopo essersi abituata, almeno un po’, al buio che aveva intorno, cercò di dimenarsi, e i suoi sospetti vennero in breve confermati: era legata, mani e piedi, ma non avrebbe saputo dire a cosa. Dietro la schiena aveva qualcosa di rigido e freddo, esattamente come si sentiva lei in quel momento.
Lei, la sua paura e quelle corde che la immobilizzavano erano diventate un insieme inscindibile.
“Finalmente ti sei svegliata, my dear.” fece una voce che ad Haibara appariva lontana, ma allo stesso tempo terribilmente penetrante. Già starla a sentire sarebbe stata una vera tortura. Le parole risuonarono nella stanza che –dedusse la giovane- doveva essere parecchio grande.
Per tutta risposta, la bambina emise un gemito, e solo in quel momento si accorse di avere sulla bocca del nastro adesivo. Non riusciva nemmeno a formulare un pensiero compiuto, e, pure se ci fosse riuscita, non sarebbe stato affatto d’aiuto, data la situazione in cui si trovava: pensare l’avrebbe soltanto terrorizzata di più, anche se la cosa era praticamente impossibile.
Avrebbe potuto sentirsi peggio?
Ma, dopo poco, la stanza fu invasa dal ticchettio dei tacchi della donna.
Ecco, sono finita.
Meglio, pensavo che quest’agonia sarebbe durata di più.
Nella sua testa risuonava chiaramente il suono del caricatore della pistola, pronta a posizionarsi sulla sua tempia.
Riusciva a sentire benissimo il metallo freddo sfiorarle la testa.
Contò alla rovescia nella sua mente, aspettando il colpo.
Si rese conto in quel momento che stava tenendo gli occhi chiusi. Li aprì di getto, per dare un’ultima occhiata al mondo, anche se la cosa era praticamente impossibile, dato che non vedeva assolutamente nulla.
Solo qualche minuto dopo, quando iniziò a domandarsi perché il colpo fatale tardasse ad arrivare, si rese conto che accanto a lei non c’era nessuno.
Era di nuovo sola in quella stanza.
Ero talmente impaurita che non mi sono accorta che quella donna si era allontanata, anziché avvicinarsi… Ma perché non mi fanno fuori subito? si domandò, decisamente stupita.
Eppure, anche dopo una mezz’ora (o perlomeno così sembrò alla bambina) la donna non si accingeva a tornare.
Ai arrivò a sperare di morire subito, e in fretta, perché non trovava altro modo di uscire da questa situazione: sapeva che le probabilità che arrivasse qualcuno a salvarla erano pari a zero; perché ovviamente l’organizzazione non l’avrebbe mai nascosta in un posto facilmente accessibile.
Poi, un pensiero le attraversò repentino la mente, quasi prima che potesse accorgersene; l’unico pensiero che riuscì a formulare da quando era stata aggredita.
“Shinichi…” sussurrò alla stanza vuota.
Sentiva, o meglio sapeva che il ragazzo avrebbe corso ogni rischio per riuscire a consegnare quelli dell’organizzazione alla giustizia…ignorando i pericoli che dovuto affrontare…
Era una trappola, lo aveva capito solo ora.
Si diede della sciocca per essere stata ingannata così facilmente.
“È tutta colpa mia…” disse, più alla stanza che a sé stessa, mentre la voce le moriva in gola e una lacrima, anche se involontariamente, le solcava la guancia candida.
 
 
*Kir è un’infiltrata nell’organizzazione, in realtà fa parte della CIA. È la sorella di Eisuke Hondo; fuori dall’organizzazione è conosciuta come Rena Mizunashi, ma in realtà anche questo è un nome fittizio: quello vero è Hidemi Hondo. Varie volte Gin ha dubitato di lei; per eliminare tutti i sospetti ha dovuto uccidere Akai Shuichi (agente dell’FBI).

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Capitolo 6
*** Cominciano le indagini ***


“Allora, punto primo: non ci sono tracce di forzatura sulla porta, siete d’accordo?” disse un giovane dal colorito olivastro, con un forte accento di Osaka.
Il dottore e il bambino annuirono.
“Quindi questo vuol dire che Ai ha aperto la porta di sua spontanea volontà.” fece eco Conan, seduto sul divano e con le gambette che penzolavano.
“Non ci sono nemmeno tracce ematiche all’ingresso, da ciò si deduce che la ragazzina non è stata aggredita in casa.”
“Potrebbe essere stata narcotizzata.” affermò con decisione il bambino.
“Penso proprio di sì, sarebbe l’ipotesi più plausibile.” continuò il discorso il ragazzo di Osaka.
“Dottore, lei a che ora è uscito di casa?” fece Shinichi rivolto ad Agasa.
“Bhè…vediamo…sarà stata l’una e mezza…”
“Ed è tornato circa alle due, quando l’ho incontrato sul viale.”
“Esattamente” rispose il dottore
“Quindi questo vuol dire che il rapitore dovrebbe aver narcotizzato Ai tra l’una e quaranta e le due meno dieci.”
“Come fai ad esserne così certo?” domandò il ragazzo di Osaka.
“Semplice, mio caro Hattori: se il rapitore avesse aspettato troppo tempo da quando era uscito il dottore, non solo avrebbe potuto incontrarlo, ma soprattutto avrebbe destato più sospetti in Ai. Suonando alla porta pochi minuti dopo l’uscita del dottore, Ai gli avrebbe aperto la porta senza badarci troppo, sicura che fosse stato il dottore che magari si era scordato qualcosa. Dopotutto capita spesso, vero?” spiegò Conan.
“In effetti…” rispose Agasa, sorpreso dalle deduzioni di Shinichi nonostante lo conoscesse da tanto tempo. Ogni volta che il ragazzino apriva bocca per spiegare i fatti, il dottore rimaneva sempre un po’ stupito dalle conoscenze dell’amico. Vederlo risolvere casi in quelle vesti da bambino…era un po’ strano.
“Quindi, dicevo, ovviamente il rapitore ha agito il prima possibile per non destare sospetti, e poi si è allontanato velocemente temendo il ritorno del dottore. Non abbiamo visto, quando ci siamo incontrati, né macchine e né abbiamo sentito rombi di motori; chiaro segno che l’aggressore se l’era svignata già da un po’.”
“Sì ma…c’è ancora una cosa che non mi spiego…” disse Heiji. “…dove possono averla portata?”
“Ci stavo arrivando, dammi il tempo…” ribatté secco il ragazzino.
 
Dovevano essere passate ore.
Era rimasta lì per tutto il tempo, legata, imbavagliata, sola e in balia dei suoi stessi pensieri, che avevano in lei l’effetto di mille lame che la colpivano tutte insieme, nello stesso istante, sul petto. Ormai il resto del corpo si era praticamente atrofizzato, c’era da qualche parte dentro di lei una fiamma che bruciava, che la lasciava senza fiato e che la stava logorando lentamente.
Stava –presumibilmente- trascorrendo le sue ultime ore sulla Terra, ed erano più che un’agonia. Ovvio, era proprio quello che volevano loro, lei doveva soffrire, perché in fondo era solo una traditrice, niente di più.
Aveva abbandonato l’organizzazione sperando di farla franca, sapendo bene sin dal primo momento che, una volta aver messo piede fuori dal condotto dell’aria che aveva usato per fuggire, avrebbe avuto le ore contate.
Che sciocca che sono stata, pensavo davvero che avrei potuto farcela…ricominciare, avere una nuova vita…quante stupidaggini…è stato tutto inutile…ed io che ci credevo davvero…
Ormai l’ipotesi che qualcuno venisse a salvarla era decisamente improbabile, a detta della bambina, e quindi non le restava che abbandonarsi ai suoi pensieri, incapace di sfuggirgli. E, quasi quasi, si faceva cullare dalle sue vane speranze, accompagnate dal ritmo cadenzato delle grida sommesse che provenivano da non troppo lontano. Era impossibile per lei distinguerle, anzi, non ci provò neppure, tanto la cosa non avrebbe di certo mutato la sua situazione.
Lentamente, le sue palpebre si chiusero dolcemente, e lei sprofondò in un sonno che avrebbe potuto benissimo essere l’ultimo.
 
Una mano le stava scuotendo una spalla.
Aprì d’impulso gli occhi, rimanendo un attimo interdetta; poi tutto le balzò alla memoria rapidamente: era sempre in quella stanza buia, nelle mani dell’organizzazione per cui molto tempo prima aveva lavorato.
Girò la testa meccanicamente, cercando di guardare negli occhi la persona che la stava toccando, ma sfortunatamente per lei era praticamente impossibile dire di chi si trattasse. Era indubbiamente una donna, aveva un fisico slanciato, era vestita completamente di nero con indumenti molto attillati; aveva però il capo coperto da un cappuccio largo e davanti al viso portava una sciarpa che la copriva fino al naso, lasciando scoperti solo i suoi occhi azzurri, dal taglio affilato e che sembravano di ghiaccio.
Quando Haibara si ridestò completamente, un forte odore di fumo le invase le narici e le fece fare qualche colpo di tosse.
La donna le stava pericolosamente vicina, e di nuovo i pensieri tornarono a vorticare nella testa della povera ragazzina. La donna armeggiò dietro la bambina, mentre questa si era già scollegata dal resto del mondo; la paura la stava assalendo. Rimase pietrificata quando sentì il nastro adesivo staccarsi dalla sua bocca, seppur con qualche difficoltà, dato che era stato lì per almeno tre ore, se non di più. D’altronde, aveva completamente perso la cognizione del tempo, e non sapeva minimamente quanto tempo aveva passato legata lì dentro, né quanto tempo ancora ci sarebbe rimasta –viva-.
Di nuovo persa nei suoi pensieri, Ai non si accorse che la misteriosa donna le aveva lasciato vicino un involucro piuttosto strano, e poi era svanita nel nulla, così come era arrivata.
Inizialmente la bambina esitò un attimo.
E se ci fosse, che ne so, una bomba? Bhè, se non lo aprissi sarebbe lo stesso, salterei in aria comunque. Quindi tanto vale provare…alle brutte, metterò fine a questa agonia, si disse, mentre avvicinava la mano tremante a quel pacchetto strano.
Ma come è possibile…io sono legata…no, è tutto un sogno, sto delirando. Non posso muovermi, sono immobile qui da un secolo, se avessi potuto spostarmi me ne sarei resa conto prima! pensò, convinta che stesse solo facendo un sogno.
Ma la realtà era ben diversa.
Ebbene sì, quella donna le aveva liberato una mano.
Tutto si faceva ancora più complicato. Come era possibile che quella donna l’avesse slegata senza che se ne accorgesse? Giusto, si era fatta prendere dal panico –di nuovo- e aveva interrotto ogni suo legame con la realtà.
Ma dove sono andati a finire i nervi saldi? Non ero io quella meno impressionabile di tutti? Cosa sto facendo? Sto accettando il mio destino senza ribellarmi?
La risposta era sì.
Ormai nelle mani degli uomini in nero, Ai Haibara, o meglio Shiho Miyano, si era definitivamente arresa.
 
“Heiji, saresti così gentile da portarmi una mappa di Tokyo?”
“Perché non ti alzi da quel divano e non te la prendi da solo, Kudo?” fece il detective dell’Ovest con una punta di ironia.
“Lo sai benissimo perché, sono troppo basso per arrivarci, dato che ora sono un ragazzino di sette anni, nel caso in cui tu non te ne fossi accorto.” ribatté Shinichi, visibilmente irritato. Hattori, avendo capito che non era proprio il momento di scherzare, si diresse verso la libreria e porse a Conan uno stradario.
“Bene. Partiamo dal presupposto che l’aggressore non può essersi allontanato tanto, perché sapeva che l’effetto del narcotico non sarebbe durato a lungo.”
“E tu come lo sai?” fece Heiji, interrompendo le spiegazioni dell’amico.
“Semplice; Ai è pur sempre una bambina, e non avrebbero potuto rischiare di eccedere con le dosi: se l’avessero voluta morta subito, non si sarebbero presi la briga di organizzare un rapimento. A loro serve viva, Hattori. La stanno usando come esca, ne sono convinto.”
“Quindi…tu credi che sia una trappola?”
“È palese che lo sia. Ma io devo trovarla, devo battere l’organizzazione, devo tornare grande e devo sbattere quei tizi in galera. Quindi non mi importa il fatto che correrò rischi, perché tanto se hanno rapito Ai ben presto risaliranno anche alla mia identità. E così sareste in pericolo TUTTI, Hattori, capisci?” gli urlò contro Shinichi.
Il detective dell’Ovest rimase interdetto, ma sapeva come era fatto l’amico: in nome della giustizia, lui diventava sprezzante del pericolo, ma non sapeva che in questo modo, pur non volendo, coinvolgeva tutti quelli che aveva intorno.
“Dicevo, il rapitore non può essere andato lontano. Quindi, Ai potrebbe trovarsi a massimo un’ora e mezza da qui. Il che vuol dire…” Conan fece una pausa, concentrandosi attentamente sulla carta che aveva in mano, poi riprese: “…Il che vuol dire che bisogna prendere in considerazione tutti i posti che si trovano fino a due ore da qui. Un margine d’errore c’è sempre. Purtroppo è impossibile per noi stabilire con precisione il luogo in cui la tengono rapita, non è detto nemmeno che sia in periferia; quelli dell’organizzazione sanno agire bene di nascosto, quindi non possiamo escludere la possibilità che si trovino anche vicino alla polizia.”
“Ma quanto ci vorrà per scoprilo? Voglio dire, siamo sicuri di avere abbastanza tempo, Shinichi? Magari il loro scopo era solo lei. La volevano far fuori e basta, magari tu non c’entri nulla.” fece Hattori, cercando –invano- di dissuadere l’amico dalla sua folle impresa.
Ma ormai Shinichi aveva preso la sua decisione.
“Domani inizierò ad indagare. Non voglio contattare l’FBI, anche se Jodie è in contatto con Kir e potrebbe avere delle informazioni utili che velocizzerebbero i tempi. È una mia questione in sospeso, dopotutto, sono stato io a immischiarmi in questa faccenda. In ogni caso, se volete aiutarmi, ben venga, altrimenti farò tutto da solo.”
“Ma sei impazzito, Kudo? Ti sei scordato di avere il corpo da bambino delle elementari?” gli fece notare il detective di Osaka.
Conan, come risposta, fece uno sbuffo. Era evidente che, talmente preso com’era dalle indagini, si era scordato di non poter fare proprio nulla da solo.
“Odio ammetterlo, ma hai ragione.” disse poi, freddo.
“In ogni caso, mio caro detective sbruffone, io vengo con te, dovunque tu vada. Ce la faremo a risolvere anche questo caso, te lo prometto.” fece Heiji, lanciandogli un’occhiata.
Shinichi rispose all’amico con un’occhiata riconoscente, e poi chiese, esitando un po’:
“L’unico problema è…cosa diciamo a Ran?”
 
 
 
----ANGOLO DELL’AUTRICE----
Come promesso, ecco il sesto capitolo! è un po’ “di transizione”, in qualche modo dovevo far iniziare le indagini a quei due tonni… xD
Ma, ovviamente, non manca la parte un po’ misteriosa… chi è quella donna che ha slegato Ai? E cosa sarà quel pacchetto che le ha lasciato vicino? Quanto ha ancora da vivere la nostra piccola scienziata? E, soprattutto: cosa si inventerà il Gurzo per coprire le indagini??
Vabbè, dopo questa dose di suspense quotidiana, passiamo ai ringraziamenti!
Grazie ai recensori dello scorso chap: B Beky, Dudi_Mouri e Mary06!
Grazie a SLN che mi ha aggiunta agli autori preferiti!
Grazie anche a voi, lettori silenziosi!
Insomma, baci a tutti e al prossimo chap!! :3
Ali <3

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Capitolo 7
*** Incontri indesiderati ***


Mille pensieri le attraversavano la testa tutti insieme.
Qual era la cosa migliore da fare?
Doveva prendere una decisione, e in fretta: sarebbe stato meglio cercare di slegarsi completamente, urlare per chiedere aiuto o aprire il fantomatico pacchetto che aveva vicino?
Devo esaminare tutte le possibilità…devo fare come farebbe Shinichi… continuava a ripetersi, nel vano tentativo di infondersi un po’ di coraggio.
Urlare sarebbe stata la cosa più rischiosa, dato che senza dubbio qualcuno era nei paraggi per controllarla. Escluse la cosa per prima. Una volta che si sarebbe slegata, sarebbe comunque stato difficile scappare: la testa le faceva ancora male, e magari non avrebbe avuto la forza di stare in piedi.
Quindi, l’unica cosa da fare era aprire il misterioso pacchetto…
Difficilmente avrebbe potuto battere gli uomini in nero da sola, anche se fosse stata nel pieno delle sue forze. Aveva il corpo di una bambina di sette anni, quindi contro di loro non aveva chances.
Avvicinò con cautela la mano libera al pacchetto che aveva lì vicino ormai da un po’. Si focalizzò su di esso e cercò di guardarlo meglio, sebbene fosse circondata dall’oscurità. In quel momento ebbe un lampo di genio: l’orologio!
Come ho fatto a non pensarci prima? si domandò, mentre una scarica di adrenalina le percorreva la colonna vertebrale.
Si portò la mano al viso, cercando di trovare l’orologio che le aveva dato il dottor Agasa. Dopo qualche tentativo, riuscì ad individuare il piccolo pulsante al lato del quadrante, e la stanza si illuminò di un giallo pallido.
Finalmente riusciva a vedere più chiaramente l’ambiente che la circondava. Grazie alla torcia incorporata nell’orologio, magari ho qualche possibilità in più di uscire indenne da questo posto… sempre che questo affare non esploda…
Avvicinò il polso all’involucro. Era ricoperto da qualcosa di bianco e di sottile, e sotto c’era qualcosa di non ben delineato. Raccolse il coraggio da ogni angolo del suo corpo, e strattonò velocemente quella che sembrava essere carta bianca…
E, quando vide ciò che conteneva il pacchetto, strabuzzò gli occhi, decisamente incredula.
 
Nel frattempo, i due detective erano terribilmente indecisi sul da farsi. Se Ran si fosse intromessa nelle indagini, avrebbe senza dubbio rischiato troppo. Bisognava fare in modo che l’organizzazione non collegasse lei a Shinichi…rifilandole l’ennesima bugia. Ma, per quanto si sforzassero, non riuscivano a trovare una che avesse potuto giustificare l’assenza di Conan.
“Potresti dirle che dormi dal dottor Agasa per qualche giorno, che ne so, magari perché ha inventato un nuovo gioco…” propose Hattori.
“No, ho già usato troppe volte questa scusa, e se ci credesse comunque ogni tanto potrebbe venire a controllare…” ribatté Shinichi.
“E allora, cosa vuoi dirle?” chiese sconsolato Heiji, sbuffando.
“Giuro che non ne ho la più pallida idea…”
“E se le dicessi che torni in America per qualche giorno dai tuoi genitori? In questo periodo ci sono le vacanze invernali, quindi non salteresti nemmeno scuola…” si intromise nella conversazione il dottore.
“Sì, ma se mi vedesse per caso per strada?” obiettò il bambino con gli occhiali.
“Eh già, sarebbe un bel problema…” fece di rimando il detective di Osaka.
“O forse no…” fece il detective dell’Est, mentre sul viso si faceva strada quel suo solito sorrisino, tipico di quando aveva appena avuto un’idea che non avrebbe portato proprio nulla di buono…
 
Ma sono sicura di essere veramente stata rapita da quelli dell’organizzazione? fu la prima domanda che le venne in mente, dopo essersi resa conto del contenuto di quello strano pacchetto. Sì, è ovvio…la donna che mi ha rapita mi ha chiamato Sherry…quindi è a conoscenza della mia doppia identità…Ma dovrebbero volermi morta! E cosa mi fanno trovare…non una bomba per farmi saltare in aria…ma del cibo! No, non è assolutamente possibile, devo star sognando…
Eppure, proprio davanti ai suoi occhi, illuminato dalla fioca luce della sua pila, c’era uno strano involucro che conteneva del cibo. Poteva essere avvelenato, certo…ma no, non era da loro.
Non ho niente da perdere, no? si disse, mentre il suo stomaco brontolava. In effetti, aveva saltato il pranzo…
Fece un respiro profondo, allungò la mano libera e portò un boccone alle labbra. Masticò lentamente, mentre il cuore le batteva a mille.
Ma non successe nulla.
Nessun effetto collaterale.
No, il cibo non era avvelenato.
Poi, tutto ad un tratto, si rese conto di come stava davvero la situazione.
Se per ora la stavano lasciando vivere, significava solo una cosa…
Era solo un’esca.
Ma l’avrebbero fatta fuori comunque, Shiho ne era più che sicura.
 
Il tempo sembrava scorrere a rallentatore solo per lei. Ora che aveva la mano libera, era riuscita a farsi un’idea del tempo che aveva passato rinchiusa in quel posto buio e umido: erano quasi le sei di sera, quindi -minuto più, minuto meno- era nelle mani dell’organizzazione da circa quattro ore. Aveva finito di mangiare da parecchio ormai, e perciò era ben chiaro che lo scopo degli uomini in nero non era farla fuori, almeno non per ora. Di opportunità ne avevano avute molte, e invece Haibara era ancora lì, prigioniera ma viva.
Lo scopo della ragazzina, in quel momento, era rivedere la famosa donna che le aveva portato il cibo e l’aveva slegata. Aveva un non so che di familiare, eppure non riusciva a ricordare dove avesse visto quei suoi occhi di ghiaccio.
Ma, per quanto si sforzasse, il suo cervello non voleva saperne di collaborare.
Poi, come di consueto, qualcuno interruppe il flusso continuo dei pensieri di Shiho. L’odore acre e pungente del fumo, a cui la bambina non era abituata, invase la stanza.
Era lei.
Era tornata.
E quella sarebbe stata la volta buona per scoprire l’identità di quella donna così misteriosa.
E invece, contro le sue aspettative, dal fondo di quella stanza buia emersero due sagome femminili, rigorosamente vestite di nero. Una luce che proveniva dalle loro spalle permise alla ragazzina di vedere chiaramente i loro profili.
La prima indossava una tuta aderente con un’ampia scollatura, aveva dei capelli chiari che le ricadevano dolcemente sul seno. Le scarpe col tacco rendevano la sagoma ancora più armoniosa e affusolata, e ad ogni passo il loro ticchettio risuonava in tutta la stanza. La seconda, invece, aveva i capelli decisamente più scuri, raccolti con precisione in una coda alta, tuttavia alcuni ciuffi le coprivano la fronte. Anche lei era vestita con una tuta nera, come l’altra, ma portava in più una sciarpa che lasciava intravedere solo gli occhi, coprendole collo, naso e bocca.
“Allora, cara Sherry…” iniziò la bionda, sfoggiando un ghigno sul viso, anche se Haibara non poteva scorgerlo. “Ormai hai capito chi sono, doesn’t it, my dear?”
E, mentre Ai veniva stregata dal suono di quelle parole che parevano aleggiare nell’aria, l’altra donna le si avvicinò con una mossa fulminea. Diede un calcio a quello che rimaneva dell’involucro che lei stessa aveva portato poco prima, e lo fece rotolare sotto degli scatoloni, in modo da non farlo notare alla sua collega. E poi, mentre la bambina tremava al solo pensiero di ciò che avrebbero potuto farle, la donna le legò la mano nella stessa posizione in cui si trovava qualche ora prima, per non far insospettire nessuno.
Guardò negli occhi la scienziata, ma quella non parve riconoscerla.
Sta andando tutto per il meglio…ma non devo abbassare la guardia, pensò la donna, mentre si allontanava ancheggiando sui tacchi, e mentre il loro rumore si sovrapponeva alle parole dell’americana.
“Cara, carissima traditrice…” disse, mettendo particolare enfasi sull’ultima parola.
Un brivido pari quasi ad una scarica elettrica percorse repentino la schiena di Shiho. La donna riprese a parlare con il suo tono pacato:
“È tanto che non ci vediamo, vero?” fece con tono di scherno.
“Che cosa volete da me, Vermouth?” esplose, tutto ad un tratto, la scienziata. Non fece nemmeno in tempo a rendersi conto di quello che aveva appena detto, che la risposta arrivò prontamente:
“Speravo che me lo chiedessi, mia cara. Ma, sai, mi dispiace davvero tanto…”
Le parole rimasero sospese nel nulla.
“…non poterti rivelare nulla!”
Al che, Vermouth scoppiò in una fragorosa risata, che echeggiò nell’ampia stanza.
“Non prendertela con me, piccola…sono qui per un motivo preciso.” fece languidamente, lanciando un’occhiata carica di disprezzo alla bambina.
“Ti dice niente il nome Hell Angel?
Oh, sì che le diceva qualcosa.
Ma doveva mostrarsi impassibile.
Non doveva dargliela vinta a quella pazza manipolatrice.
Tuttavia, i suoi occhi la tradirono.
“O forse dovrei dire…Elena Miyano?”
Il corpo della bambina fu scosso da un tremito.
E, mentre una lacrima le rigava il viso al ricordo di quella donna, dalla bocca le uscì un sussurro, praticamente impercettibile.
Mamma…”
 
 
 
 
----ANGOLO DELL’AUTRICE----
Heilà!! Sono tornata!!
Perdonatemi l’assenza, ma -1- non avevo ispirazione -2- sono stata un po’ male e -3- sono letteralmente sommersa dai compiti!!
Comunque, non penso che ve ne importi più di tanto della mia vita privata xD Ahah ad ogni modo, ecco a voi il settimo chap!!
Sono tornata a focalizzarmi sui pensieri della piccola *^*
Viene svelato il contenuto del famoso pacchetto…dite la verità: non ve lo sareste mai aspettato, eh? *na na na colpo di scena!*
E poi, finalmente ho deciso di rivelarvi l’identità della rapitrice –che comunque era facilmente intuibile-: la nostra carissima Vermouth!
E, dulcis in fundo, il Gurzo ha un piano…che idee gli passeranno per la mente??
Lo scoprirete solo vivendo! xD
Vabbè, andiamo ai ringraziamenti, che è meglio!
Grazie a shinichi e ran amore che, oltre ad aver recensito gli scorsi chap, mi ha anche inserito tra gli autori preferiti! Quale onore! *inchino*
Ringrazio anche i recensori dello scorso capitolo: B BekyDudi_Mouri e Mary06!
Grazie anche a voi, lettori silenziosi! Mi farebbe piacere sapere anche la vostra opinione! :)
Un abbraccio forte a tutti voi che mi state sostenendo!!
Baci :3
Ali <3

PS: comunque sì, il titolo l'ho deliberatamente preso da uno degli episodi dell'anime...ora non mi ricordo che numero è, però, insomma, avete capito! xD

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Capitolo 8
*** Agonia ***


Hey, perdonatemi l’assenza,
ma la scuola mi sta uccidendo!
Ci tengo a precisare che le parti
in grassetto sono dei flashback,
ma penso si capisca! Spero
che il capitolo vi piaccia :)
Buona lettura! ^^
 
 
“Bene, direi…il nome non ti è affatto nuovo, proprio come pensavo” fece la donna bionda, con un ghigno dipinto sul volto.
“Non è che lo pensavi, lo sapevi benissimo.” disse con amarezza la ragazzina, le cui membra si erano ormai intorpidite.
“Allora, lasciami spiegare come stanno veramente le cose…è per questo che sono qui, my dear, little, poor Sherry!” continuò Vermouth, schernendola. “Perché non puoi sapere quando verrà il momento del Giudizio Universale…”
Giudizio Universale? Ma di cosa stava parlando quella donna?
“Sai, ho avuto la fortuna di conoscerla davvero bene, la tua cara Elena!”
La bambina sussultò, cercando di non farsi vedere dalla donna, poi le lanciò un’occhiata carica d’odio.
“Falla breve.” rispose acidamente. Non aveva intenzione di sentire una sola parola su sua madre, sapeva benissimo come si erano svolti i fatti. Troppi le avevano parlato di quell’incidente, e ogni volta Shiho aveva dovuto fare appello a tutte le proprie forze per non crollare al solo ricordo della morte dei suoi genitori.
“Ed io che pensavo fossi una ragazzina curiosa… Se non fossero stati ordini del capo, a quest’ora me ne sarei già andata…” ribattè la donna, pensando ad alta voce, accompagnando il tutto con un sonoro sbuffo.
“Comunque, stavo dicendo… ho conosciuto tua madre…ma soprattutto…tuo padre, sai? Diciamo che avevamo un rapporto un po’ speciale…” proseguì Chris, melliflua.
“Cosa hai fatto a mio padre? Dimmelo!” Tuonò Ai.
Aveva ceduto.
Ma, dopo tutto, si trattava pur sempre della sua famiglia.
Sapere era un suo diritto.
Tutto stava nel cavar fuori dalla bocca le parole a quell’arpia.
E invece, contro le aspettative della bambina, la cosa fu più facile del previsto.
La donna raccontò tutto senza fermarsi un attimo, con lo sguardo perso nel vuoto.
E la bambina non poteva far altro che ascoltare, mentre la ferita che aveva nel cuore si riapriva e diventava una voragine, sebbene ci fossero voluti anni per riuscire a chiuderla almeno un po’.
 
“Allora, come stai, tesoro?”
“Sono distrutto. Se non ci fossi tu, qui, che mi dai la forza di andare avanti…” rispose l’uomo, sospirando, mentre continuava digitare freneticamente sequenze incomprensibili di numeri sul display del suo computer. C’era una nota di finzione nella voce, che però la donna non poté cogliere, tanto era incantata dalla bellezza dell’uomo che aveva di fronte.
“Ma che dici…non è affatto merito mio! Sei tu che sei speciale! Ora è già buio, però, perché non ti prendi una pausa?” rispose la donna, languidamente, e in men che non si dica gli si avventò contro, stringendolo.
“No, lasciami stare ora, devo continuare a lavorare.”
La donna si stupì del repentino cambio di umore dell’uomo.
“Che succede? Qualcosa ti turba, amore?”
“No, niente…è tutto okay. Ora però fammi lavorare, va bene?”
La donna, amareggiata, girò i tacchi e si diresse verso la porta del laboratorio buio, quando una mano le afferrò il braccio, cogliendola di sorpresa.
“Senti, diciamocelo chiaramente.” disse bruscamente l’uomo.
“Cosa?” chiese la donna con un sorrisino, convinta che lui stesse solo scherzando.
“Io non ce la faccio più a fingere, ho provato a fartelo capire in tutti i modi, Chris.”
La donna sussultò quando sentì il suo nome pronunciato duramente da quell’uomo. Ogni cosa intorno a loro due era immobile.
Tutto le divenne, all’improvviso, spietatamente chiaro.
 
“Mi aveva lasciato per tua madre, capisci? Io li ho visti. Li ho visti insieme, con i miei occhi! Quel bastardo…eppure io ho trovato il modo per fargliela pagare amaramente! Era uno sporco traditore! E come tale andava punito, non sei d’accordo?” si sfogò la donna. Shiho non aveva mai visto quel suo aspetto, nonostante la conoscesse da parecchio tempo.
“Ma io sono stata più furba di lui! Ho architettato il mio piano in modo brillante, direi!” disse mentre, compiaciuta, sfoggiava un ghigno su quel viso scevro da imperfezioni. Era davvero bella, Ai lo ammetteva. Ma suo padre aveva preferito il carattere mite della mamma piuttosto che la bellezza di Chris…era davvero notevole.
Peccato che la donna vedesse la cosa da un'altra prospettiva.
E così riprese a raccontare, svelando alla bambina i particolari di quel finto incidente sconosciuti a tutti, mentre i singhiozzi scuotevano quel corpicino così indifeso.
Era vero: aveva architettato tutto nei minimi particolari. Aveva attirato i coniugi Miyano in una strada isolata, nel mezzo di una notte invernale. Era in corso una tormenta, ma Chris era riuscita a convincerli a partire. E, alle 21:47, ora della sua separazione con Atsushi, era riuscita a far sbandare la loro macchina, facendola cadere da un dirupo. Nessuno dei due, come previsto, era riuscito a salvarsi, e il piano della donna poteva ritenersi compiuto. Aveva mascherato tutto con un incidente, e ci avevano creduto tutti.
Anche Akemi.
Anche Shiho.
Entrambe erano state vittime del cuore spezzato di quella donna.
“Ho aspettato tanto…c’è voluto molto per riguadagnarmi la sua fiducia, dopo che mi aveva lasciato…dovevo restargli vicina, se volevo che mi seguisse, quel giorno…I traditori vanno puniti! Sempre! Tua sorella ha seguito le orme di suo padre…ed è stata fatta giustizia!” Tuonò la bionda, mentre la bambina continuava a rimanere pietrificata, non muoveva un solo muscolo. Le sarebbe voluto tanto, troppo tempo per digerire quella notizia.
Ma il tempo era la cosa che più le mancava.
Anche se, da un lato, non era proprio un male.
Sarebbe finita presto.
“L’unica cosa che mi rammarica, mia cara Sherry…” fece la donna, di spalle, mentre si accingeva a lasciare la stanza. “…è che purtroppo non sarò io, stavolta, a fare giustizia…”
“Goodbye, my dear.”
Furono le ultime parole che sentì.
Poi, tutto divenne offuscato, i pensieri avevano smesso di fluire già da un po’, e con lei rimasero solo silenzio, immobilità e l’oscurità della notte ad avvolgerla, mentre si abbandonava alle braccia di Morfeo.
 
La bambina trascorse i giorni seguenti in uno stato confusionale. Era sveglia, ma le pareva sempre di avere ancora un piede nel mondo dei sogni o, più propriamente, degli incubi.
Solo su una cosa era sicura: aveva sentito una voce familiare. Non era riuscita a capire da dove provenisse, o almeno non ne era certa. Solo tre parole, uscite da un apparecchio in modo distorto, le avevano infuso una sicurezza indescrivibile.
“Ai…stai bene…?”
Ma, prima che avesse potuto rispondere, era svenuta. Aveva sentito parlare di comunicazioni intercettate, anche se non avrebbe saputo dire con sicurezza se fosse stato tutto un sogno. Ma, al suo risveglio, l’ambiente intorno a lei era cambiato, sebbene Shiho fosse ancora troppo scioccata per dare peso ad una cosa così futile. Stati di apparente coscienza si alternavano a stati di totale incoscienza, mentre il tempo scorreva inesorabilmente, e i giorni della bambina sulla Terra diminuivano sempre di più.
Il mondo andava avanti, ma non la portava con sé.
 
Uscendo dal bagno, tirò un sospiro.
Gli occhi indugiarono sull’immagine che lo specchio rifletteva.
Era parecchio che non assumeva le sue sembianze normali, ormai era quasi abituato al vedersi come un ragazzino che tornare ad essere un diciassettenne gli sembrava quasi strano.
I capelli scuri e ribelli gli cadevano sulla fronte, mettendo in risalto l’azzurro mare dei suoi occhi. Indossava la divisa del Teitan –la prima cosa che aveva preso, in tutta fretta, a villa Kudo- che contribuiva a renderlo ancora più attraente.
“Hey, Kudo! Finalmente posso guardarti senza farmi venire il torcicollo!” esordì l’amico, che lo aspettava.
“Dacci un taglio, Hattori, non so per quanto tempo durerà.” rispose bruscamente Shinichi.
“Però, devo ammettere che il mio vero corpo mi è mancato parecchio…” continuò, pensando ad alta voce. “Ad ogni modo, non c’è tempo da perdere. Forza, sbrighiamoci.”
E, lanciata un occhiata complice al detective di Osaka –che prontamente la ricambiò-, si diresse verso la porta d’ingresso della casa del dottore, che aveva ospitato Heiji per i giorni in cui era stato impegnato nelle indagini con Conan.
Li aspettava un’avventura non poco pericolosa, ma nessuno dei due sembrava volersi tirare indietro. Lo dicevano loro stessi, che il pericolo e il rischio facevano parte del loro mestiere. E quindi, come tali, andavano affrontati.
I giorni precedenti li avevano passati interamente ad indagare, cercando però di destare meno sospetti possibili in Ran. Avevano scoperto che Ai era tenuta prigioniera in un magazzino appena fuori città, e a quanto pareva era una delle basi dell’organizzazione.
Che fosse la volta buona per sgominarla?
Dipendeva tutto dalla durata dell’antidoto.
Dopo tre giorni di indagini estenuanti, erano giunti alla conclusione che dovevano provare ad infiltrarsi nel magazzino, e ovviamente Conan sarebbe stato decisamente poco d’aiuto.
Certo, se fossero stati scoperti, l’organizzazione avrebbe avuto la certezza definitiva che Shinichi era scampato alla morte, ma presentarsi come un moccioso di sette anni davanti ai loro occhi era davvero troppo rischioso. Così, il detective aveva usato il cosiddetto antidoto delle emergenze, che lui stesso aveva sottratto ad Haibara –a sua insaputa- qualche mese prima.
Il problema era che, non essendoci la scienziata, nessuno avrebbe potuto stabilire con accuratezza quanto sarebbe durato quel farmaco. L’ultimo che aveva assunto, a Londra, era durato ventiquattro ore, ma da quell’episodio non sapeva se Ai avesse fatto o meno progressi. Anche perché gli aveva tenuto nascosto tutto, evidentemente timorosa che Shinichi facesse mosse avventate.
Esattamente quello che aveva appena fatto.
I due detective, scesi dal treno che li aveva portati in periferia, camminavano con passo svelto l’uno accanto all’altro, mentre l’aria sferzava le loro guance arrossate per il freddo.
Fu Heiji ad interrompere il silenzio che era calato tra i due:
“Allora, Kudo, qual è il piano?”
Piano? Ma di cosa sta parlando?
“Pensavo fosse compito tuo!” ribattè Shinichi, in difficoltà.
Si erano davvero buttati a capofitto in un’avventura mortale senza avere un piano?
“Ah, ottimo allora. Siamo qui senza uno straccio di piano. Organizzazione uno, Kudo e Hattori zero. Ben fatto, amico!” fece il detective di Osaka, ironico.
“Non è il momento per metterci a discutere. Abbiamo ancora tempo, troviamo una strategia valida ed entriamo in azione.” rispose Kudo, cercando di tirarsi fuori da quella situazione: era in torto, e lo sapeva. Ma la verità era che, preoccupato com’era per trovare un modo di difendere la sua amica d’infanzia, non aveva pensato minimamente a elaborare un piano.
Nel frattempo, si erano avvicinati al magazzino quasi senza rendersene conto, immersi com’erano nei loro pensieri e nella loro discussione.
“Allora, la cosa da fare è una: entriamo di soppiatto, senza farci sentire, e poi iniziamo ad ispezionare il magazzino. Ho chiesto al dottore di trovare qualche informazione su internet, e ho scoperto che l’edificio ha tre piani, e dovremo controllare tutte le stanze. Iniziamo dal piano terra, tu vai nell’ala est e io nell’ala ovest, e ad un'ora prestabilita ci ritroviamo sulle scale. Se uno dei due non arriva, l’altro lo va a cercare. Fine della storia. Se usciamo vivi, bene, sennò, sei stato un grande amico, Kudo.”
“Dai, non drammatizzare la situazione. Mica ti ho costretto a venire, eh!” ribatté Shinichi.
“Eh sì, la fai facile tu! Ma se quel giorno ti fossi dichiarato alla tua bella Mouri e non avessi giocato a fare il detective a Tropical Land, ora non saremmo qui né tu né io!”
Shinichi, un po’ imbarazzato, avvampò, ma cercò di non darlo a vedere.
“Forza, entriamo.” fece, freddo, per non far notare al suo amico il suo imbarazzo.
Ce la farò a tornare…” sussurrò, non sapendo però a chi fosse riferito il messaggio: se più a sé stesso, o più a Ran.‍‍‍‍‍
 
Uno sbuffo di fumo uscì dalla bocca dell’uomo che aveva di fronte; la sigaretta accesa era solo un puntino di luce in quella notte tetra e senza luna.
“Dimostrami che sei all’altezza. O sarà peggio per te.” disse, senza togliere per un attimo la sigaretta dalla bocca.
La figura che aveva di fronte annuì, anche se l’uomo non poteva vederla.
“Non ti deluderò. Stanne certo.” fece, risoluta.
Detto ciò, lasciò la stanza, con un sorriso compiaciuto.
Vedrai che ti stupirò…non puoi immaginare le mie mosse…sono imprevedibile.
 
 
 
 
----ANGOLO DELL’AUTRICE----
Hey! Sì, sono viva! Scusate per l’assenza ma, come detto a inizio capitolo, il classico mi sta uccidendo! :(
Ad ogni modo, andiamo ai commenti di questo chap (un po’ più lungo degli altri…per farmi perdonare xD): Ai, poverina, è scioccata dalle rivelazioni di Vermouth, e nel frattempo i due detective-tonni hanno scoperto dove è tenuta prigioniera la piccola! Che dite, ce la faranno a uscirne vivi? Mah sì dai…qualche speranza ce l’hanno! Quante domande –ancora- senza risposta: cosa vuole l’organizzazione da Ai? Perché ancora non la uccidono? E quanto durerà l’antidoto?
Lo scoprirete solo leggendo!
Ringrazio, come sempre, i recensori dello scorso chap: B Beky, Dudi_Mouri, Mary06, two_writers_one_heart e shinichi e ran amore! Mi fa molto piacere che la storia vi sita piacendo!
Ah, buon mesiversario al mio account di EFP! È passato già un mese da quando mi sono iscritta… nessun rimpianto! :)
Un bacio grande a tutti quelli che mi stanno sostenendo, e anche ai lettori silenziosi!
Al prossimo capitolo!
Ali :3

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Capitolo 9
*** Cambiamenti ***


Allora, premettiamo che molti di voi non si ricorderanno nemmeno chi sono.
Sono davvero dispiaciuta di non essere andata avanti con la fanfiction per tre mesi, ma più leggevo le bozze su questo capitolo e più le idee mi sparivano completamente dalla testa.
Ad ogni modo, ora sono qui, e per vostra (s)fortuna sono tornata all’attacco.
Vi lascio a questo tanto sofferto nono capitolo, sperando che ci sia ancora qualcuno, qui su EFP, disposto a seguire i mille casini che faccio affrontare a questi poveri personaggi caduti nelle mie mani.
Un bacio (*ω*)  
 
 
 
Appena Shinichi ed Heiji misero piede in quell’edificio tetro, il freddo penetrò dentro le loro ossa. L’interno era davvero buio, e il giovane di Osaka fece notare all’amico che erano stati davvero poco previdenti, dato che non si erano portati nemmeno una torcia.
“A volte mi chiedo davvero che fine faccia il tuo buonsenso in situazioni come queste, mio caro Hattori, sai?” disse Shinichi, con voce pacata.
“Cosa stai insinuando, Kudo, che sono un cretino?” se la prese subito Heiji.
“Bhè, effettivamente…” continuò il detective di Tokyo, sornione.
Ma prima che Heiji si mettesse a contestare l’amico, questo riprese:
“Ma non ci arrivi? Se ci fossimo presentati qui con le torce, ci avrebbero trovati in un attimo! Ti facevo più sveglio, Hattori!”
“Non ti permetto di darmi dello stupido, Kudo!” rispose lui, ma si vedeva benissimo che nessuno dei due faceva sul serio. Stavano entrambi cercando di stemperare quella situazione, e l’unica cosa che riuscivano a fare bene tutti e due era provocarsi a vicenda.
Quando i loro occhi si abituarono all'oscurità, decisero di separarsi per esplorare il piano terra.
“Tra venti minuti precisi, ci ritroviamo qui.”
L’altro annuì, in segno di assenso.
Shinichi iniziò la perlustrazione. Le stanze non erano molto grandi, e l’umidità era notevole. Poiché non vi era traccia di polvere, il giovane dedusse che non doveva essere stato abbandonato da molto tempo. Era decisamente un punto a suo favore: sentiva che si stava avvicinando alla sua preda, anche se c’era la possibilità che nel giro di poco la preda diventasse lui. Ma questo non lo scoraggiava, anzi, lo incitava a proseguire.
D’altronde, era sempre stato molto risoluto.
Quando entrò nella terza stanza, si rese conto che c’era qualcosa di diverso da quelle che aveva osservato poco prima. Indubbiamente era molto più ampia delle altre, ma era anche meno fredda. A differenza delle altre, era illuminata –seppur debolmente- da una luce soffusa, che proveniva da una porta sul retro, lasciata aperta. Era completamente spoglia, ad eccezione della parete destra: c'erano varie lamine metalliche e un gran numero di scatoloni ammucchiati nell'angolo. Ad un tratto, qualcosa di colore chiaro, che faceva contrasto con il resto dell’ambiente, attirò l’attenzione di Shinichi. Si avvicinò per osservare meglio quel particolare: sembravano tovaglioli, il che lasciò il ragazzo non poco perplesso. Li prese in mano per esaminarli, e andò verso la fonte di luce. Era molto strano: non avevano nessuna scritta, ma se venivano visti in controluce, c’era una parte di essi che si scuriva, e un’altra che risaltava; ma la cosa che attirava di più l’attenzione del ragazzo era che il bordo dei vari tovaglioli non era affatto regolare, anzi, sembrava essere stato tagliato poco accuratamente con delle forbici.
Mentre il cervello di Shinichi registrava le informazioni, il ragazzo continuò poi il giro delle altre stanze, ma nulla lo incuriosì più di tanto. All’ora prestabilita si fece trovare vicino le scale dove si era dato appuntamento con l’amico, e nell’attesa si lambiccava il cervello cercando di districare la rete di mistero che avvolgeva quei tovaglioli. Perché, secondo lui, non era stata affatto una coincidenza, l’averli trovati.
Nel frattempo, i minuti passavano… ma di Heiji neanche l’ombra.
 
Shiho spalancò gli occhi di scatto.
Una luce piuttosto forte inondava la piccola stanza in cui si trovava, e tutto intorno a lei era di un bianco lattiginoso. La ragazza strizzò gli occhi, cercando di abituarsi a quell’ambiente, a lei sconosciuto, che la circondava. Aveva la mente totalmente annebbiata, e, oltre a non sapere dove si trovasse, si chiedeva anche come fosse arrivata lì, e soprattutto quanto tempo fosse passato. Essendo distesa su un letto, era decisamente poco quello che riusciva a vedere e perciò cercò di tirarsi su. Appena provò a muoversi, si rese conto di essere completamente intorpidita, e qualsiasi movimento, persino il più banale, le risultava piuttosto faticoso. Dopo aver fissato per parecchio tempo il soffitto, nonostante il dolore, provò ugualmente a sollevarsi, sebbene non riuscisse nemmeno a girare la testa per dare un’occhiata all’ambiente.
Quando, non senza difficoltà, riuscì ad alzarsi –anche se di poco-, con suo sconcerto vide che le spuntavano tubi e tubicini da ogni parte del suo corpo, e che era attaccata a innumerevoli macchine, che iniziarono –o forse, era lei che l’aveva sentito solo in quel momento- a emettere suoni e “bip” ad intermittenza.
Ma che cosa mi è successo?
 
Ad un tratto, l’edochiano si fece coraggio e si addentrò nell’ala ovest dell’edificio, alla ricerca dell’amico che ancora non si faceva vedere, sebbene fossero passati più di dieci minuti dall’ora decisa.
Aveva mosso solo pochi passi, quando uno strano suono lo fece sobbalzare. Proveniva da lontano, non avrebbe saputo dire quanto, ma impulsivamente si mise a correre cercando di scoprire l’origine di quella melodia che gli risuonava nelle orecchie: si stava avvicinando. Era terribilmente familiare, ma non riusciva minimamente a collegarla a nulla. Improvvisamente si fermò davanti ad una porta socchiusa, in fondo al corridoio stretto.
Ci sono… pensò …proviene da qui dentro…
Così, trattenendo il respiro e cercando di non farsi sentire, spalancò la porta con un colpo deciso, per evitare di avere ripensamenti.
E la scena che si trovò davanti lo fece rimanere atterrito per parecchi istanti.
 
Quando io avrei promesso cosa?” tuonò il ragazzo dalla pelle olivastra.
“Proprio due giorni fa! Hai detto che ci saremmo visti al tempio e poi avremmo mangiato insieme!” urlò, di rimando, la voce femminile con cui Heiji stava parlando, facilmente udibile e distinguibile anche attraverso il cellulare.
“Ma se oggi sarei stato a Tokyo, mi dici per quale motivo ti avrei promesso una cosa pur sapendo che non ci sarei stato?”
“Poco importa, fatto sta che me l’hai detto proprio tu stesso!”
“Ma…” provò a ribattere lui, anche se la ragazza, palesemente arrabbiata, aveva attaccato.
Il silenzio calò in quella stanza umida.
Solo in quel momento, Heiji si rese conto che Shinichi lo stava osservando, e che aveva ascoltato buona parte della telefonata.
“Cosa cacchio ti salta in mente, Hattori? Stiamo perlustrando un edificio rischiando essere scoperti dall’organizzazione e di finire male, e tu che fai? Ti metti a litigare con la tua Kazuha? Ma, dico io, dove l’hai messo il buonsenso?” esplose Shinichi.
“Guarda che ora quello che sta urlando sei tu!” rispose Heiji, urlando a sua volta, tanto preso dalla discussione da non notare neanche il tono di scherno dell’amico e l’appellativo che aveva affibbiato a Kazuha.*
“Bhè, guarda il lato positivo: se ci fosse stato qualcuno, ci avrebbe già trovato.” proseguì, poi, dopo essersi calmato. “Quindi, abbiamo sbagliato tutto. Qui non c’è proprio nessuno.”
“Potrebbe non esserci in questo momento, e su ciò non c’è dubbio. Ma ho delle prove concrete che testimoniano che questo posto non è affatto disabitato, anzi, è stato abbandonato da poco. Perciò, mi dispiace dirtelo, ma siamo arrivati troppo tardi.” ribatté Kudo.
“Perlustriamo il resto e andiamocene. Non potrei resistere qui dentro un minuto di più.” fece il detective di Osaka, con tono seccato.
“Mhm.” fu tutta la risposta di Shinichi.
Chissà perché, ma aveva un brutto presentimento.
Che stesse per succedere qualcosa?
 
La ragazza provò ad urlare, per convincersi che quello che stava accadendo era solo uno scherzo della sua fantasia. La situazione che stava vivendo era troppo strana perché accadesse davvero nella realtà. Quindi non poteva che essere un’allucinazione… Eppure, nonostante provasse a ripeterselo da ormai tempo indeterminato, lo scenario non accennava a cambiare.
Shiho trattenne il fiato per poi buttare tutto di fuori e mettere fine a quell’assurda scena. Ma, con non poca sorpresa, lei stessa dovette constatare che ciò che le era uscito dalla gola non era altro che un gemito strozzato.
Al tre…
Uno…
Due…
Tre…
Shiho ci provò di nuovo, ottenendo però un risultato identico a quello precedente. No, non poteva essere solo una bizzarra coincidenza, la sua mente non poteva elaborare tutto ciò che lei si vedeva intorno.
Era tutto vero.
E dalla realtà non c’era proprio verso di fuggire, nonostante la ragazza ci avesse provato, illudendosi, per fin troppo tempo.
 
Shiho si fece coraggio e decise di esaminare la situazione in cui si trovava, nonostante ogni cellula del suo corpo fosse contraria, perché farlo avrebbe significato accettare quella realtà decisamente troppo dura da mandar giù.
Riuscì ad alzarsi un po’ e cominciò a ragionare.
Probabilmente si trovava in una stanza di un ospedale, dato sia il colore delle pareti sia i numerosi macchinari che la circondavano e che erano collegati a lei. Era coperta solo con un lenzuolo sottile, e nella stanza c’era un tepore piacevole. Anche se lentamente, il suo corpo aveva cominciato a sciogliersi, e ora i movimenti erano –anche se di poco- meno faticosi.
Il cervello aveva cominciato ad elaborare mille pensieri diversi tra loro, e nella sua testa iniziavano a farsi sempre più chiare alcune immagini. Poco prima di perdere conoscenza si era sentita come risucchiata in una voragine che si era aperta proprio all’altezza del suo petto, e poi non ricordava nient’altro, salvo alcune voci confuse che faticava a distinguere. Per fortuna, sebbene non ricordasse le cause della sua perdita di conoscenza, tutto il resto dei suoi ricordi era rimasto intaccato.
Shiho non poteva far altro che abbandonarsi a se stessa, in attesa di qualcuno che chiarisse tutti i dubbi che le inondavano la testa. Tornò a stendersi sul letto, e notò solo in quel momento che il piccolo comodino che aveva accanto era ricoperto di carte, probabilmente pieni di dati medici. La ragazza provò a prenderli con il braccio libero dalle flebo, ma ogni tentativo risultò vano, sia perché erano i fogli troppo distanti, e sia perché lei era troppo debole per muoversi ulteriormente. Riuscì a leggere solo un nome, stampato sulla prima pagina di uno dei fascicoli:
“Shiho Miyano”
Ed in quel momento aprì gli occhi per davvero, e prese coscienza della situazione che stava vivendo.
Le serviva solo una conferma, e stavolta non era sicura di volerla avere, anzi, avrebbe preferito essere logorata dal dubbio.
Ma ormai i suoi occhi si erano posati sul suo corpo, e lo scrutavano attentamente, per la prima volta da quando si era risvegliata.
Le mie braccia…le mie mani…le mie gambe…il mio corpo…tutto…
…Per quale motivo sono tornata ad avere il corpo di una diciottenne?
Vermouth…cosa mi hai fatto?
E, mentre Shiho era distesa sul letto con gli occhi rivolti al soffitto, la porta di quella stanza inaspettatamente si aprì.
Evidentemente, le sorprese per quella giornata non erano ancora finite.
 
----ANGOLO DELL’AUTRICE----
Ehilà!
*sbuca da un angolino guardandosi intorno*
C’è ancora qualcuno?
*rotolano balle di fieno*
 
Beeeeene, a parte tutto, sono tornata, cari miei.
Mi dispiace di avervi lasciato appesi per tutto questo tempo…Ma dai, presto o tardi mi farò perdonare, lo giuro! xD
E quindi? Impressioni, commenti, pomodori (?) su questo nono capitolo? Non posso che sperare che vi sia piaciuto, e che vi ricordiate ancora di me e della mia fanfiction! u_u
Che dire, se ricomincerò a sparire da EFP…mandatemi lettere minatorie a casa, così magari mi do una svegliata!
Mando un grosso bacio e tanti auguri di buona Pasqua (chiaramente in ritardo) a tutti quelli che sono ancora qui a leggere.
Ah, non possono mancare i consueti ringraziamenti a gli assidui recensori dello scorso capitolo: Dudi_Mouri, two_writers_one_heart,
B Beky, shinichi e ran amore (che mi ha ucciso con la sua recensione! xD) e Mary06.
Grazie anche ai lettori silenziosi! Mi farebbe piacere sentire anche la vostra! (*^*)
Ciao ciao, giuro che mi farò sentire presto! :3

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Capitolo 10
*** La fine è vicina? ***


La porta della stanza si aprì lentamente, cigolando, e la donna vestita di scuro si mosse solo di pochi passi. Rimase sull’uscio, quasi si volesse nascondere, e iniziò a parlare pacatamente, a voce bassa.
“Vedo che ti sei svegliata… Hai notato la sorpresa?
Tutto quello che ricevette come risposta fu un gemito sommesso.
“Dovresti essere un po’ confusa… mi hanno mandato qui per chiarirti un po’ di cose…Non so quale sia l’ultima cosa che ricordi…Ma, ad ogni modo, mi risulta che Chris ti abbia informato sulla morte dei tuoi genitori…non sai quanto mi dispiace, cara…” fece un ghigno, e poi proseguì: “Mi hanno detto che sei svenuta per lo shock…e sei rimasta in uno stato di dormiveglia continuo per parecchi giorni. È normale che tu non riesca a muoverti, comunque, ma dovresti riprenderti presto."
Shiho iniziava a mettere insieme i pezzi del puzzle che aveva in testa da quando si era svegliata, e le cose iniziavano a quadrare.
Quella donna dovrebbe aver detto la verità, si diceva.
Ma c’erano ancora delle cose che la ragazza non si spiegava: perché mai l’organizzazione non aveva sfruttato il suo momento di debolezza per farla fuori definitivamente? Eppure, Vermouth glielo aveva detto chiaramente che I suoi giorni da prigioniera dell’organizzazione si potevano contare sulle dita di una mano… E allora, perché era ancora viva?
E poi, c’era la questione del suo corpo tornato grande.
Cosa vogliono da me? Ormai è evidente che qui il loro obiettivo non sono io…
Quasi come se le leggesse nel pensiero, la donna rispose ai suoi interrogativi:
“Inizialmente, non lo nego, avevamo intenzione di ucciderti. Ma poi, dopo che Chris ti ha parlato, il capo ha cambiato idea. Ora nutri un odio profondo per Vermouth, dopo ciò che ha fatto, non è così?”
Non aspettò nemmeno una risposta da parte di Shiho, che proseguì:
“Con questo pretesto, potresti diventare un’arma indistruttibile, il nostro asso nella manica. Se riuscirai a convertire la tua rabbia in forza…sarai invincibile.”
“Sarai degna di battere il Silver Bullet”… disse la donna in nero con un sussurro. Non poteva svelarle il piano, se non era certa che la ragazza avesse accettato. “Anche se sono sicura che presto tornerai dalla nostra parte, Shiho… Pure se non ci conosciamo…non vedo l’ora di collaborare con te.” continuò, sempre sussurrando.
“A nome di tutti, ho una proposta da farti, Shiho.”
Quando la ragazza sentì il suo nome pronunciato da quella donna, venne scossa da un brivido. Aspettò che proseguisse la frase, trattenendo il fiato.
“Vuoi tornare nell’organizzazione? Hai la possibilità di scegliere.”
“Anche se non ti garantisco che continuerai a vivere se declinerai la mia proposta…” aggiunse, sottovoce, e poi lasciò la stanza con passo felpato.
 
I due ragazzi, dopo aver finito di perlustrare l’edificio, erano di nuovo sulla via del ritorno. Non avevano trovato nulla di interessante e, avendo constatato che non c’era nessuno, avevano fatto tutto abbastanza rapidamente.
Entrambi camminavano piuttosto in fretta, con le mani arrossate nelle tasche del giubbotto e lo sguardo perso nel vuoto. Ognuno era completamente immerso nei propri pensieri: Shinichi era piuttosto irritato dal fatto che Heiji si fosse messo a discutere con Kazuha durante una missione così pericolosa, ma contemporaneamente era quasi dispiaciuto di avergli urlato contro. Eppure, anche lui aveva le sue ragioni. Era tormentato, da quando aveva messo piede nell’edificio, da una brutta sensazione che però non avrebbe saputo descrivere. Ma, nonostante ciò, era decisamente troppo orgoglioso per chiedere scusa per primo; e Heiji ragionava allo stesso modo.
Ad un tratto, un fiocco di neve che cadde proprio davanti ai loro occhi distolse –per un attimo- l’attenzione dei due dai loro pensieri.
Entrambi sbuffarono, creando nuvolette di vapore davanti alle loro bocche.
 
“Il treno per Osaka delle 18,30 partirà tra trenta minuti, siete pregati di avviarvi verso il vostro binario e di attendere, grazie.”
La voce proveniente dall’altoparlante risuonò nella stazione.
“Siamo giusto in tempo, eh?” fece Hattori, per stemperare la situazione.
Shinichi stava per rispondere, quando una fitta al petto lo colse di sorpresa, facendogli morire le parole in gola.
Ma…non è possibile…non sono passate nemmeno 24 ore… pensò il detective dell’Est.
Seguì un’altra fitta, più forte della precedente.
Shinichi portò istintivamente la mano al petto, come per voler arrestare quel dolore che pervadeva ogni cellula del suo corpo.
“Hattori…” fece, con la voce rotta.
Questo, resosi conto della situazione, entrò nel panico.
“Non può succedere qui…c’è gente… Ma non possiamo nemmeno allontanarci, il treno sta per arrivare…”
“Mezz’ora è sufficiente. Vado in ba…”
Di nuovo. Di solito le scariche non sono così vicine l’una con l’altra…
Kudo si avviò a passo svelto verso il bagno, cercando di attirare meno attenzione possibile, mentre Heiji lo seguiva, provando a non far emergere la propria preoccupazione.
Non aveva nemmeno avuto il tempo di chiudere bene la porta, che sentì ogni parte del suo corpo infiammarsi sempre di più finchè, dopo aver emesso un grido strozzato, si ritrovò nuovamente a dover rivestire i panni di Conan.
Heiji, nel frattempo, cercava di giustificare le grida dell’amico, dato che un gruppetto di gente si era radunato vicino alla porta di Shinichi. Quando, finalmente, il bagno si svuotò, Heiji aprì la porta, trovandosi di fronte Conan con addosso la divisa –ovviamente gigantesca- di Shinichi.
“Cosa aspetti? Cerca un negozio di souvenir e procurami qualcosa da mettere, o perderai il treno!”
Hattori, nonostante fosse un po’ frastornato, eseguì rapidamente gli ordini dell’amico rimpicciolito, ed in fretta e in furia gli procurò degli abiti.
 
Heiji riuscì a salire sul treno per un pelo, anche perché mancavano solo cinque minuti alla partenza.
Entrambi, quando il treno sbuffò, tirarono un sospiro di sollievo; nell’attesa che arrivasse il maggiolino giallo del Dottor Agasa, Conan si sedette su una panchina, e tornò ad immergersi nei propri pensieri.
 
La voce della donna in nero riecheggiava ancora nella sua testa, nonostante fossero passati parecchi minuti.
Mi hanno davvero chiesto di tornare nell’organizzazione? si chiedeva, decisamente sconcertata. Come era possibile una cosa del genere?
Normalmente, se le fosse stata posta la stessa domanda, avrebbe risposto con fermezza che no, non sarebbe mai tornata ad essere un burattino nelle mani degli uomini in nero. Eppure, c’era qualcosa dentro di lei che la faceva esitare. Quelle parole l’avevano scossa davvero così tanto da provocarle questa indecisione? Il discorso di Vermouth le aveva procurato davvero tutto l’odio di cui aveva parlato la donna in nero?
Se tornassi nell’organizzazione…Ma no, cosa vado a pensare. Non posso farlo, non posso voltare le spalle a Shinichi dopo che mi ha salvato così tante volte…ma altrettante volte mi ha mentito, giustificandosi dicendo che ‘era solo per il mio bene’, quando in realtà questo mi ha fatto stare peggio…Aiuto, perché mi trovo in questa situazione? Non dovrei avere dubbi! Hanno ucciso mia sorella, dopotutto…Anche se questa sarebbe l’occasione di vendicarla…potrei diventare così forte da prendere il controllo dell’organizzazione e fargliela pagare…
E così nella sua testa facevano capolino, ora l’uno e ora l’altro, pensieri terribilmente discordanti.
Che decisione avrebbe dovuto prendere? Avrebbe dovuto seguire il suo desiderio di vendetta o avrebbe dovuto appoggiare Shinichi nella sua lotta? Lei era stata la causa di tutti i suoi problemi…Era sbagliato che gli voltasse le spalle, o no?
No, non posso comportarmi così egoisticamente. Non posso…non posso…non posso… si ripeteva, fino allo sfinimento.
 
“Ho preso la mia decisione. Anche a costo di morire…non tornerò mai lì dentro. E, grazie del suggerimento. Userò la mia rabbia verso Vermouth e verso tutti voi per distruggervi. Contateci.” disse, ad alta voce, per convincersi.
Solo qualche istante dopo si rese conto di ciò che aveva appena fatto: era riuscita a parlare di nuovo, da quando aveva aperto gli occhi. I vari movimenti le risultavano ancora un po’ difficili, ma nel complesso si rendeva benissimo conto di non essere andata in conto a niente di grave.
Ad ogni modo, era pronta a comunicare a quella donna le sue decisioni. Nonostante avesse vacillato, in quel momento si sentiva pronta a tutto.
Che Shiho fosse realmente tornata?
 
Nel frattempo, Shinichi era finalmente tornato a casa del dottor Agasa, ed era notevolmente preoccupato dal fatto che si fosse rimpicciolito nuovamente. Prima di iniziare le indagini, aveva detto a Ran che sarebbe stato un po’ con i suoi genitori in America, per trascorrere le vacanze invernali con loro, e contava di rimanere Shinichi per un bel po’, per evitare che si creassero equivoci. Ed invece, dopo nemmeno 12 ore, si era trasformato di nuovo. Ai glielo aveva detto molte volte che i suoi anticorpi tendevano a diminuire la durata del farmaco ad ogni assunzione, ma l’ultima volta che lo aveva usato era rimasto grande per 24 ore! Come si spiegava tutto ciò?
E se, così facendo, non riuscissi più a tornare ad essere Shinichi? Ai mi aveva avvertito spesso, ma non pensavo che gli effetti si sarebbero visti a così breve termine… pensò, un po’ spaventato. Ma, ad ogni modo, non mi resta che rischiare…
 
“Mi fa piacere che tu abbia preso la tua decisione. Anche se mi fa un po’ meno piacere pensare che non sarai più una dei nostri…”
La donna pareva aver sentito tutto ciò che Shiho aveva, imprudentemente, detto ad alta voce. Perciò, se anche avesse voluto, non ci sarebbe stato modo di cambiare la situazione.
“Quindi, dato che hai rifiutato la mia proposta…non mi resta altro che farti eliminare.”
A quelle parole, Shiho non poté fare a meno di sentirsi mancare, e tutto il coraggio che aveva provato prima sparì in un angolino remoto del suo corpo.
“Ma…hai detto che avrei avuto la possibilità di scegliere…” ribattè la ragazza, con un filo di voce.
“Certo. Ed è quello che hai fatto, no? Hai scelto. Peccato che tu abbia optato per la cosa sbagliata…bhé, vedi il lato positivo: non ti capiterà di nuovo!”
Compiaciuta da ciò che aveva appena detto, la donna si mise a ridere sarcasticamente e, misteriosamente com’era venuta, se ne andò di nuovo.
Era la terza volta che le veniva annunciata la propria morte…quando sarebbe finito tutto ciò?
Questa è davvero la volta buona…la mia occasione l’ho avuta. E non ho rimpianti…o almeno credo…
Bhè, ormai, poco importa.
Finirà tutto. si disse, prima di abbandonarsi ad un pianto liberatorio ma sommesso. Non durò molto, perché non era da lei farlo, ma ad ogni modo ogni parte del suo corpo sprofondò nel vuoto più totale.
 
 
 
 
----ANGOLO DELL’AUTRICE----
Finalmente ci si rivede, eh? ♡
Ditemi tutto, ma concedetemi una cosa: sono stata brava, ho aggiornato in fretta! xD
*Bhè, ci mancherebbe, dato che non ti sei fatta sentire per tre mesi…*
Lo so, lo so, ma sto cercando di recuperare! (*ω*)
Comunque, come vi sembra il capitolo? è un po’ di transizione, ma quello che accade qui è F-O-N-D-A-M-E-N-T-A-L-E per ciò che accadrà dopo! (Sono stata abbastanza chiara? xD)
Prima di scatenare il delirio, passo ai ringraziamenti!
Grazie a B Beky e a Laix che hanno recensito lo scorso capitolo, e a mimimomo che ha inserito me alla lista degli autori preferiti e la storia tra le preferite!
Ovviamente, grazie anche a chi legge soltanto!
Vi mando un grosso bacio, ci vediamo al prossimo capitolo! :3
*A proposito…finalmente sono arrivata a quota dieci! xD*
Ciao ciao, ^^
Ali
 

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