A Dukes Christmas Carol

di Lella Duke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 2: *** Il Natale passato ***
Capitolo 3: *** Il Natale presente ***
Capitolo 4: *** Il Natale futuro ***



Capitolo 1
*** Come tutto ebbe inizio ***


‘A Christmas Carol’ di Charles Dickens, credo sia uno di quei racconti che tutti conoscono e che pertanto non hanno bisogno di presentazioni. Tra l’altro è stato usato come linea guida per l’episodio ‘Buon Natale Boss’. Io, nel mio piccolo, ho pensato potesse essere divertente inventarne un’ulteriore versione, ma nella mia storia non c’è un cattivo da redimere.

Sono ben accette critiche di qualunque tipo. Spero vi piaccia

 

 

A Dukes Christmas Carol

 

Capitolo primo: come tutto ebbe inizio

 

Era stato ingannato dalla persona che più amava. Quante volte si era sentito ripetere: staremo sempre insieme, non ci separeremo mai. E invece era venuto meno alla sua promessa. Era un tradimento puro e semplice.

Si sentiva ferito, triste, arrabbiato. Questa non gliel’avrebbe mai perdonata. Quel rapporto speciale che c’era sempre stato tra di loro, non sarebbe mai più esistito. E tutto per colpa di Luke. Partendo per il fronte sarebbe venuto meno a tutti i giuramenti e agli accordi che avevano stretto nel corso degli anni. Che c’entravano loro con la guerra? I Duke non avevano mai fatto del male a nessuno, perché dovevano combattere in un conflitto che non avevano contribuito a far nascere? Perché Luke doveva abbandonare la sua famiglia per andare in quel luogo lontano, dall’altra parte del mondo? Neanche con una cartina geografica davanti agli occhi Bo sarebbe stato capace di individuare il Vietnam. Non gli importava niente di quella stupida guerra. Che ne sapeva lui? Aveva solo quattordici anni e tanti progetti per la testa. Aveva tante altre cose più importanti da fare: doveva chiedere a Betty Lou Rice di accompagnarlo al ballo della scuola, doveva imparare a guidare, doveva costruire la macchina dei suoi sogni. E doveva farlo insieme a Luke. Aveva bisogno dei suoi consigli, del suo supporto, della sua presenza. Luke era il suo pilastro, l’altro piatto della bilancia. Ma evidentemente lui non era altrettanto importante per suo cugino oppure sarebbe rimasto. Non sarebbe mai partito.

Erano ore ormai che se ne stava raggomitolato su di un giaciglio di foglie secche sulla sponda del torrente. Andava sempre lì quando voleva stare da solo. Era il suo posto segreto. Stava rimuginando su quella orribile giornata appena trascorsa e su come tutto il suo mondo gli si fosse sgretolato sotto i piedi nel giro di pochi istanti.

Si era alzato controvoglia dal letto come ogni mattina e, dopo aver fatto colazione, era andato a scuola. All’ora di pranzo era ritornato a casa con Daisy ed avevano mangiato tutti insieme. Come sempre. Poi però era successo qualcosa di insolito: Jesse aveva radunato tutti e tre i suoi nipoti in salotto perché doveva comunicare ai più piccoli qualcosa di importante. Aveva provato a dar vita al discorso, ma non c’era riuscito. Le parole gli erano morte in gola. Bo aveva capito subito che si trattava di una faccenda seria.

Alla fine Jesse aveva capitolato ed aveva lasciato l’incombenza a Luke.

“Bo, Daisy, c’è una cosa che dovete sapere. Non posso più rimandare.” La voce di Luke era incerta. Aveva gli occhi bassi mentre parlava, sembrava imbarazzato. Sembrava dispiaciuto.

“Comincio a preoccuparmi Luke, cosa c’è che non va?” Fu Daisy a dare la spinta decisiva al cugino.

“E va bene. Sentite non c’è un modo facile per dirlo, quindi lo farò e basta. Subito dopo le feste di Natale andrò via. E’ arrivata la cartolina, parto per il fronte.” Aveva alzato lo sguardo e lo aveva puntato dritto sui suoi cugini.

Il vecchio Jesse era seduto sulla sua poltrona preferita e, nonostante fosse già al corrente di tutto, fu raggiunto da un brivido di terrore al sentire di nuovo quelle parole.

Daisy si alzò di scatto dal divano e raggiunse il cugino. Gli buttò le braccia al collo e lo strinse forte a sé: “oh no, Luke. Non è possibile.” Non piangeva, ma la sua voce vibrava e il suo corpo era scosso da fremiti incontrollati. “Da quanto tempo lo sai? Perché non ce l’hai detto prima?”

“La cartolina è arrivata un paio di settimane fa, non di più. Avrei voluto farvi trascorrere il Natale in pace e armonia, ma non potevo darvi la notizia e partire subito dopo.” Luke stava cercando di consolare la cugina e nello stesso tempo tentò di immagazzinare la sensazione di amore incondizionato che il contatto fisico con Daisy gli stava lasciando.

Dopo qualche istante Daisy si staccò dal cugino e tornò a sedere, unì le palme delle mani come se si fosse messa a pregare, ma in realtà la sua mente era vuota. I suoi occhi si misero a fissare un punto qualunque del pavimento.

Bo non si era mosso. Aveva cominciato a tormentarsi le mani. I gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo basso a studiarsi le dita intrecciate.

“Bo, guardami per favore.” Fu la supplica di Luke. “Dimmi a cosa stai pensando.”

Il giovane non si scompose e non fiatò. Jesse si alzò dalla poltrona e si mise a sedere accanto al nipote più giovane. Sollevò un braccio e lo poggiò sulle sue spalle sperando di dargli quel conforto di cui pensava avesse bisogno. All’improvviso Bo drizzò la testa e guardò Luke. C’era rabbia nei suoi occhi.

“Vuoi sapere a cosa sto pensando, Luke? Se hai già deciso che te ne andrai senza curarti di noi, che te ne fai della mia opinione?” Di sicuro Luke non si aspettava una reazione del genere.

“Come puoi pensare che non mi importi di voi? Se potessi cambiare le cose, lo far…”

“Se tu potessi cambiare le cose? Ma che stai dicendo? Ti basta dire che non sei interessato, che non vuoi partite. Nessuno ti obbliga.”

“Bo, non è così che funziona.” Si intromise Jesse. “Non è un invito che si può declinare. Ne abbiamo parlato tante volte, sapevamo che sarebbe potuto accadere anche se io speravo non sarebbe mai successo.”

“Non voglio sentire scuse, zio Jesse. Luke ci sta abbandonando, come fai a difenderlo?”

“Bo…”

Luke alzò una mano e fece segno allo zio di lasciar perdere. Avrebbe provato lui a spiegarsi col cugino. Si accovacciò di fronte a lui e gli afferrò le mani stringendole tra le proprie: “lo so come ti senti, perché lo sto provando anche io. Io non vorrei mai lasciarvi, ma non ho scelta. Devo andare. Questo non significa che non mi importa niente di voi. Non parto per un viaggio di piacere Bo e spero che tu lo comprenda.”

Bo usò talmente tanta forza per recuperare le sue mani, che Luke perse l’equilibrio e cadde in terra. Il giovane si diresse velocemente verso la porta con l’intenzione di andarsene via, ma il tono perentorio dello zio lo fece desistere: “torna qui Bo. Non interromperemo questa conversazione finché non sarà tutto chiarito.”

“Che c’è da chiarire, zio Jesse? Ormai è tutto deciso, che io sia d’accordo oppure no, Luke partirà lo stesso.”

“Smettila di comportarti come un bambino capriccioso e ascolta quello che hanno da dirti zio Jesse e Luke. Credi a qualcuno di noi faccia piacere tutto questo? Non stai rendendo le cose facili a nessuno.” Daisy, ancora sconvolta dalla rivelazione del cugino, adesso era altrettanto contrariata dal comportamento di Bo. Sapeva che agiva così per paura, ma non tollerava che alzasse la voce in quella maniera senza permettere che gli fossero date le dovute spiegazioni. Era un impulsivo, ma non era da lui sputare sentenze senza neanche prendersi la briga di ascoltare.

“Bo ti prego. Non è che voglio partire. Devo. Non farei mai niente per far soffrire tutti voi. Non farei mai niente per far soffrire te. Siamo sempre stati amici prima ancora che cugini, dimmi che le cose non cambieranno tra di noi.”

“E’ qui che ti sbagli, Luke. Gli amici si scelgono, i parenti no. E io non ti voglio più come amico. Non so che farmene di una persona che non sa mantenere le sue promesse.”

“Parli così perché sei arrabbiato, lo so che non pensi quello che hai detto. Quale promessa ti ho fatto che non sono riuscito a mantenere?”

“Mi hai promesso che non ci saremmo mai separati, mi hai promesso che l’estate prossima mi avresti insegnato a guidare, mi avevi promesso che per quando avrei preso la patente avremmo costruito la macchina dei nostri sogni. Insieme.”

Luke avanzò di qualche passo e raggiunse il cugino. Era poco più di un bambino, ma fisicamente dimostrava più dei suoi quattordici anni. Non dubitava affatto che al suo ritorno lo avrebbe ritrovato più alto di quanto fosse lui. Alzò le braccia e gli poggiò le mani sulle spalle: “lo faremo, Bo. Faremo tutto quello che vuoi quando tornerò.”

Bo afferrò le mani del cugino e se le strappò di dosso con violenza: “non faremo un bel niente perché tu non tornerai mai più da laggiù. Ti stanno mandando a farti ammazzare e non fai niente per evitarlo. Nessuno di voi fa niente.” Disse puntando il dito prima verso lo zio e poi verso Daisy.

“Bo ti proibisco di parlare così.” La rabbia stava montando anche in Jesse. Non era giusto che Bo parlasse in quel modo come fosse l’unica persona a soffrire per quella situazione. “Chiedi immediatamente scusa a tuo cugino.”

“No, zio Jesse. Non chiederò scusa a Luke. Non ne voglio sapere più niente di lui. Mi hai sentito, Luke? Non voglio più avere niente a che fare con te. Fai della tua vita quello che più ti piace.” Bo diede le spalle a tutti, guadagnò l’uscita e si richiuse violentemente la porta alle spalle. Iniziò a correre con la speranza che il vento, sferzandogli la faccia, avrebbe potuto portarsi via anche i cattivi pensieri e i dolori. Raggiunse il torrente a perdifiato e si mise a sedere su di una roccia. Lì avrebbe avuto molto tempo per pensare, nessuno lo avrebbe trovato perché nessuno conosceva quel posto.

Si stava facendo buio e senza più il sole, l’aria era diventata fredda. Per la fretta di uscire non si era neanche preoccupato di prendersi una giacca. Ma non sarebbe tornato a casa, non ancora.

Raccolse un bastoncino di legno e cominciò a scarabocchiare la terra. Ormai aveva preso la sua decisione: non avrebbe più rivolto la parola a Luke. Non ne voleva sapere più niente di lui. Luke se ne andava incurante di coloro che si lasciava alle spalle e Bo lo avrebbe ripagato con la stessa moneta. Non ci sarebbe stato il giorno della sua partenza e non si sarebbe fatto trovare al suo ritorno. Semmai fosse tornato.

Scaraventò via il bastoncino con rabbia e abbandonò la roccia; si sdraiò poco più avanti su di un letto di foglie secche. Tentò di conservare il calore corporeo incrociandosi le braccia sul petto. Ormai la notte era scesa e le prime stelle avevano fatto la loro comparsa. Forse la stanchezza, forse l’inquietudine della sua anima, ben presto si rese conto di avere sonno. Non voleva correre il rischio di addormentarsi all’aperto, tuttavia decise di chiudere gli occhi per concedere un po’ di riposo alle sue palpebre divenute incredibilmente pesanti.

Cadde presto in un sonno profondo.

Quando si risvegliò c’era qualcuno accanto a lui.

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Capitolo 2
*** Il Natale passato ***


Grazie infinite ragazze per le vostre belle parole, spero vi piaccia anche il proseguo della mia storia.

 

Capitolo due: il Natale passato

 

“Bo? Coraggio Bo, svegliati.”

Era una voce dolce e rassicurante quella che sentiva. Una voce di donna, ma non sapeva dire a chi appartenesse.

“Bo Duke è ora di alzarsi. Possibile tu sia sempre il solito pigrone?”

Perché non riusciva ad aprire gli occhi? Perché non capiva chi lo stesse chiamando? Sentì il calore di una presenza accanto a lui e una mano carezzargli dolcemente le gote. Lo conosceva quel tocco. Percepì un profumo nell’aria, era lo stesso odore al quale aveva sempre associato i suoi ricordi più belli, al quale aveva sempre abbinato un solo nome.

 

“Sai di biscotti zia Martha.”

“Davvero? Non so se considerarlo un complimento piccolo mio, ma l’idea mi piace!”

 

Eppure non poteva essere lei. La povera Martha era volata in cielo tre anni prima, non c’erano dubbi al riguardo.

“Bo? Dovrò chiamarti ancora per molto?”

A fatica il giovane riuscì a ridestarsi e, nell’istante stesso in cui aprì gli occhi, si mise seduto di scatto. C’era una figura accanto a lui. Ne percepiva solo i contorni perché un’intensa foschia gli impediva di visualizzarla correttamente.

“Chi sei?”

“Lo sai chi sono, perché me lo chiedi?”

“Avvicinati un po’ di più, non riesco a vederti bene.”

Quella figura accolse la richiesta del ragazzo e si sedette accanto a lui. La nebbia si diradò e il suo viso fu illuminato completamente dalla luna.

“Zia Martha…” Bo allungò un braccio e le sfiorò il volto. Riuscì a toccarla, la sua pelle era diafana, levigata: “ma… ma com’è possibile?” Domandò nel momento stesso in cui il fiume in piena nei suoi occhi iniziò a rigargli copiosamente le guance. Non potendo resistere, si tuffò nel suo grembo e stringendola con tutta la sua forza, lasciò che le lacrime uscissero liberamente. Senza paura, senza vergogna.

La donna prese ad accarezzargli i capelli e ricambiò il suo abbraccio. Lo cullò a lungo come faceva sempre quando era piccolo.

Bo rimase avvinghiato alla zia per molto tempo. Da quando era morta, non aveva mai avuto la fortuna di sognarla, ma finalmente era accaduto. Dopo un po’ si rialzò controvoglia e la guardò, era proprio così che la ricordava: i lunghi capelli neri come l’ebano erano stretti nell’abbraccio di uno chignon, le mani piccole e curate, gli occhi dolci e severi allo stesso tempo.

“Zia Martha, ho pregato tanto perché tu mi apparissi in sogno.”

Martha osservò il nipote divenuto ormai una maschera irriconoscibile dallo spasmo del pianto. Fu colta da un moto di tenerezza, ma allo stesso tempo non poté fare a meno di sorridere a quella vista: “bambino mio, sei così dolce quando vuoi.” Si allungò una manica del giacchetto e, coprendosi la mano per intero, la usò per asciugargli il viso: “basta con questi occhioni lucidi adesso, sei più bello quando ridi.”

“Non posso farne a meno, mi dispiace.” Farfugliò tirando su con il naso. "Sapessi quanto mi sei mancata."

“Mi sei mancato molto anche tu, ma adesso devi ascoltarmi Bo, purtroppo non ho molto tempo a mia disposizione. Vorrei poter rimanere con te così per tutta la notte, ma non posso. Se sono qui, c’è un motivo.”

“Non capisco quello che dici zia, quale sarebbe il motivo?”

“Ha a che fare con quello che è accaduto oggi. Sto parlando della discussione che c’è stata alla fattoria e di come tu hai voltato le spalle a Luke accusandolo ingiustamente.”

Bo si alzò in piedi come una furia: “è per questo che sei venuta? Anche tu stai dalla parte di Luke?”

“Fammi parlare Bo. Io sto dalla parte di tutti e due, ma mi dispiace dirtelo stavolta stai agendo davvero male. Sono qui per mostrarti cosa accadrà se ti ostinerai a non voler sentire ragioni.”

“Io lo so già cosa accadrà. Luke partirà tra pochi giorni e non tornerà più. Mi abbandonerà come hai fatto tu.” Bo aveva ricominciato a piangere, ma stavolta non erano lacrime di gioia. Erano colme di rabbia. “E poi tu come fai a sapere cos’è successo? Non c’eri, non puoi giudicare.”

“E’ questo che credi? Pensi che soltanto perché tu non puoi vedermi, io non sono comunque con te? Non vi ho mai abbandonato, Bo. Sono sempre stata presente, ogni singolo istante delle vostre vite.”

Martha si alzò e si mise di fronte al nipote, gli afferrò le mani e lo costrinse a sollevare lo sguardo: “vieni con me, ti porto alla fattoria.”

“Non ci voglio venire!” Esclamò contrariato, indietreggiando tanto da andare a sbattere con la schiena contro un albero. “Non ho niente da dire a nessuno e non voglio più vedere Luke. Mai più.”

“Devo mostrarti qualcosa di molto importante, Bo. Stai tranquillo, nessuno ci vedrà.” Martha offrì la sua mano al nipote. Era ancora lì quello sguardo che Bo conosceva tanto bene. Era sereno, ma sinistramente determinato. Era lo stesso sguardo al quale ricorreva il buon Jesse ogni volta che voleva farsi ubbidire senza dover alzare la voce. Martha non gli aveva mai mentito, se aveva detto che nessuno li avrebbe visti, di sicuro sarebbe andata così. E tanto bastò. Allungò il bracciò e afferrò la mano della zia.

Il tragitto fu inaspettatamente breve. La luna, piena e grande come non mai, illuminò il loro cammino: “saranno pure poche assi di legno tenute insieme da chiodi e collante, ma io non ho mai visto una fattoria più bella di questa.” Esordì Martha non appena giunsero di fronte all’entrata. “Dentro questa casa ho vissuto dei giorni splendidi, i migliori di tutta la mia vita.”

“Anche io lo pensavo una volta, ma prima te ne sei andata via tu… e adesso se ne va Luke.”

Martha strinse più forte la mano del nipote: “avviciniamoci un po’, vediamo che succede all’interno.”

“NO! Ci vedranno! Ti ho detto che non voglio!” Esclamò irritato Bo.

“Ti ho dato la mia parola, nessuno ci vedrà. Andiamo Bo, non farti tirare.” Martha non aveva mai tollerato a lungo disubbidienza o capricci. Si era sempre fatta rispettare dai suoi tre nipoti e da suo marito. Quando non chiedeva, ma ordinava garbatamente, si erano sempre guardati bene tutti dal contrariarla.

“E va bene, mi hai convinto. Ti seguo.”

Si avvicinarono ad una finestra del salone. La stanza era completamente illuminata. Il fuoco scoppiettante nel camino e un abete decorato, rendevano perfettamente l’atmosfera natalizia.

“E’ davvero strano, devono aver fatto l’albero mentre io ero via.” Pensò Bo ad alta voce. Si posizionò meglio per avere una visuale più completa dell’interno. Intravide il tavolo della cucina coperto per intero da piatti colmi di qualunque pietanza. Sentì in sottofondo Deck the halls nella versione country di Loretta Lynn. “Non importa a nessuno che io sia andato via, stanno festeggiando come niente fosse.” Disse poi aggrappandosi di peso al davanzale.

“Non limitarti a guardare, Bo. Osserva. Ciò che stai per vedere è accaduto molto tempo fa. Questo è il primo Natale che abbiamo trascorso tutti insieme: io, il mio amato Jesse, Luke, Daisy e te. Sto per farti un dono: ti porterò nel passato, nel presente e nel futuro. Ti renderai conto di quanto siano importanti e a volte fondamentali, le azioni che compiamo e le parole che pronunciamo. Ti permetterò di sbirciare laddove nessun altro è mai giunto per far sì che tu comprenda quanto la tua famiglia ti ama e soprattutto quanto tu ami la tua famiglia.”

Bo ascoltò completamente rapito la zia. Non aveva mai fatto un sogno così strano in vita sua, ma la determinazione che leggeva nel suo sguardo era tanto reale che si limitò ad annuire.

“Non ha molto senso per me quello che mi stai dicendo zia, ma farò come tu vuoi.” Disse poi imitandola e riprendendo a guardare all’interno della fattoria.

 

“Tutti a tavola, è pronto!” La voce di Martha riecheggiò squillante dalla cucina. Due piccoli scalmanati comparvero da dietro una porta e si precipitarono ad accaparrarsi i posti migliori.

 

“Chi sono quei due bambini?” Chiese Bo rivolto alla zia.

“Non li riconosci? Guardali bene. La femminuccia è Daisy, il maschietto è Luke.”

“Ma sono piccolissimi!” Esclamò Bo quando si rese conto che la zia aveva ragione.

Martha sorrise: “piccolissimi non direi. Luke ha cinque anni, Daisy tre. Aspetta di vedere chi ha tra le braccia il mio Jesse.”

 

Dopo pochi istanti il buon Jesse raggiunse la sua famiglia.

“Credevo stesse dormendo!” Esclamò Martha quando lo vide arrivare con il piccolo Bo tra le braccia.

“In effetti dormiva profondamente già da un paio d’ore, ma qualcuno lo ha disturbato.” Rispose guardando bonariamente i piccoli seduti a tavola. “Martha, mia cara, prima di iniziare la cena vorrei parlarvi un attimo. Potreste sedervi tutti sul divano?”

“Certamente. Coraggio bambini, sentito lo zio? Andiamo tutti in salotto.” Martha prese i piccoli per mano e, raggiunto il divano, se li mise in braccio. Uno su ciascuna gamba.

“Miei adorati, siete così piccini che probabilmente non capirete molto di quello che vi dirò, ma lo farò lo stesso. Il buon Dio ha voluto che dessimo vita a questa famiglia. Ci ha donato prima Luke, poi Daisy e ora il piccolo Bo. Questo è il nostro primo Natale insieme. Il mio unico desiderio in questo santo giorno è che voi possiate imparare ad amarvi come fratelli e che possiate contare su di me e su vostra zia come fossimo i vostri genitori.”

Martha afferrò la mano del marito e lo guardò con gli occhi lucidi. Gli ultimi anni non erano stati facili per loro, ma erano rimasti uniti ed avevano superato le più dure delle prove amandosi e sostenendosi a vicenda. Da lì in avanti avrebbero avuto anche il conforto dei bambini. Il piccolo Bo, un fagottino di pochi mesi, era intento a succhiarsi una mano completamente inconsapevole delle parole dello zio. Daisy stava giocando con i laccetti delle sue scarpe e di tanto in tanto controllava il tavolo della cucina come se avesse avuto paura che da un momento all’altro sarebbe potuto entrare qualcuno in casa per fare razzia di manicaretti.

Luke lasciò il grembo della zia e si avvicinò a Jesse: “questo significa che io sarò il fratello maggiore?” Chiese poggiando le sue manine sulle ginocchia dello zio.

“Ti piace l’idea?” Domandò Jesse.

Luke osservò prima Bo e poi Daisy, dopo una breve pausa, senza alcun tentennamento affermò: “ti prometto che d’ora in avanti mi occuperò di loro come fossero miei fratelli. Li proteggerò e li difenderò sempre. Non li abbandonerò mai”

Jesse e Martha sorrisero nel sentire con quanta solennità, quel bimbo di appena cinque anni, avesse pronunciato quella frase. “Dai loro il tempo di crescere e vedrai che tutto quello che farai per loro, ti tornerà indietro come amore e ammirazione.” Sostenne Jesse profondamente commosso.

Martha si asciugò una furtiva lacrima e si alzò dal divano con Daisy ancora tra le braccia: “a tavola adesso, prima che si freddi tutto!”

“Che Dio ci benedica tutti quanti.” Sussurrò Jesse rimirando la sua nuova famiglia riunita.

 

Martha sbirciò Bo di sottecchi. Pensava che lo avrebbe trovato commosso, in realtà aveva uno sguardo contrariato.

“Io non mi ricordo niente, ma tutto questo avvalora solo la mia tesi. Luke mi aveva promesso che non mi avrebbe mai abbandonato e invece ha deciso di partire.” Dichiarò lasciandosi scivolare con la schiena lungo la parete.

“Non era questo il commento che avrei voluto sentire, Bo. Vedo che continui imperterrito nelle tue convinzioni. Bene. Dai un’ultima occhiata a questa casa festante perché d’ora in avanti non ci saranno più facce allegre ad attenderci. Te la sei cercata, Bo.”

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Capitolo 3
*** Il Natale presente ***


A rischio di diventare banale e ripetitiva vi ringrazio tutte ragazze. Grazie Lu, grazie Juliet, grazie i1976  e grazie lineadiconfine. Come sempre mi avete fatto avere la vostra opinione e ve ne sono immensamente riconoscente!

 

Capitolo tre: Il Natale presente

 

Martha era sempre stata una donna semplice. Si era sposata per amore giovanissima e, nonostante gli stenti e i disagi che aveva dovuto sopportare talvolta durante il suo matrimonio, non aveva mai rimpianto un solo giorno accanto al suo Jesse. Avrebbe voluto avere dei figli, ma purtroppo non erano arrivati. In cambio il buon Dio le aveva concesso il privilegio di fare da madre a tre bimbi rimasti orfani. Neanche se fossero stati frutto del suo stesso grembo avrebbe potuto volere loro più bene. Li amava tutti e tre dello stesso amore ed ognuno, ai suoi occhi, era speciale a modo suo. Luke era stato il primo ad arrivare alla fattoria ed era il maggiore. Era il più introverso dei tre e probabilmente era quello che, in determinate situazioni, soffriva di più in quanto incapace di esternare a parole i propri sentimenti.  Daisy era l’unica ragazza; aveva sempre dovuto lottare per stare al passo con i cugini. Bo era il più piccolo e il più indisciplinato; aveva un cuore grande e lo offriva a tutti indistintamente. Martha aveva sempre cercato di rafforzare le debolezze dei suoi ragazzi, ma si era resa conto ben presto che erano marchi di fabbrica e che se li sarebbero portati appresso per tutta la vita. Al massimo era riuscita a smussare qualche angolo.

Le più grandi gioie e soddisfazioni le erano sempre arrivate dalle piccole cose che la vita le offriva. Le bastava ad esempio osservare i suoi nipoti giocare e divertirsi insieme oppure cogliere il nascere di un sorriso sul volto dell’uomo che amava. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendere felice la sua famiglia, ma purtroppo aveva dovuto abbandonarla molto prima di quanto avrebbe mai immaginato. Ora aveva l’opportunità di ristabilire l’armonia all’interno della sua amata fattoria e per niente al mondo vi avrebbe rinunciato.

Si fermò a guardare Bo. Il giovane era seduto in terra e si stringeva le gambe al petto. La fronte era poggiata sulle ginocchia. Martha sapeva bene che tutta la rabbia che stava provando il nipote era soltanto una maschera atta a coprire i suoi reali sentimenti. Lo conosceva tanto bene da sapere che Bo non era in collera con Luke, semplicemente aveva paura per lui. Aveva paura per se stesso. Temeva di perdere suo cugino. In ogni senso. Tuttavia non lo aveva ancora realizzato ed il compito di Martha era quello di aprirgli gli occhi e impedirgli di commettere errori tanto gravi da non poter più tornare indietro.

Si accovacciò accanto a lui e gli poggiò delicatamente una mano sulla fronte: “Bo, alzati. Vieni con me. Non abbiamo ancora finito.” La voce di Martha, sebbene fosse calda e dolce, non aveva perso quel tono autoritario che l’aveva sempre contraddistinta.

Bo sollevò la testa e osservò la zia: “che altro dobbiamo fare? Ti ho già detto che non cambierò idea.”

“Si questo già lo so, ma me lo ripeterai dopo. Ora seguimi.” Martha offrì la sua mano a Bo il quale, dopo qualche istante di esitazione, la afferrò saldamente. Lasciò che la zia lo tirasse su di peso e le andò dietro.

Fecero il giro della casa e si affacciarono alla finestra della stanza che Bo e Luke dividevano da tutta la vita. Bo sbirciò all’interno e, malgrado le tende gli ostacolassero parzialmente la visuale, si accorse che c’era del movimento. Udì una voce concitata e, inizialmente, stentò a riconoscerla.

 

“Bo ti prego, ascoltami. Ma come puoi essere così irremovibile. E’ mai possibile tu non capisca che tutto questo non dipende dalla mia volontà?” Il tono di Luke era divenuto quasi disperato. Era in piedi tra il suo letto e quello del cugino. Il giovane sdraiato con una rivista automobilistica tra le mani, lo stava completamente ignorando.

“Cosa devo fare per farti accettare la situazione? Cosa devo dire perché tu possa cambiare idea su di me?”

Bo si mise a sedere e lasciò che la rivista gli scivolasse dalle mani e gli ricadesse sulle gambe: “io non accetterò mai questa situazione, Luke. Smettila di sprecare fiato perché non cambierò opinione su di te. Non voglio più avere niente a che fare con te.” Si riallungò quindi sul letto e si girò su di un fianco dando la schiena al cugino.

Luke si mise le mani sui fianchi e reclinò il capo in avanti. Sospirò. Non c’era niente da fare. Quale che fosse il reale motivo che lo spingeva ad essere così testardo, ormai con Bo non c’era più dialogo. I suoi splendidi occhi color del cielo, generalmente sempre luminosi e pieni di gioia di vivere, stavolta avevano parlato. Avevano decretato la fine di un’amicizia. Quello che più lo faceva soffrire era la prospettiva di andarsene via in quel modo. Sapeva che c’era la reale possibilità di non fare più ritorno a casa ed era straziante pensare che le ultime parole scambiate con Bo sarebbero state quelle: colme di rabbia e niente altro.

All’improvviso Bo si alzò in piedi e, con passo rapido, si avviò alla porta: “c’è un’altra cosa. Anche se tra pochi giorni te ne andrai, sarà meglio trovare una sistemazione diversa per la notte. Questa stanza è diventata troppo piccola per tutti e due.” Conclusa la frase, afferrò con forza la maniglia e scomparve dalla vista del cugino.

Luke si mise a sedere sul letto di Bo. Prese il suo cuscino e se lo strinse al petto: “perché, Bo… perché deve finire così…”

 

Martha aveva sempre adorato osservare i suoi cari quando loro non se ne accorgevano. Nonostante si trovasse gomito a gomito con Bo, il giovane non le stava prestando attenzione. Forse i suoi sforzi stavano servendo a qualcosa. Notò dei cambiamenti nel nipote. Le linee del suo viso si erano addolcite e i suoi occhi erano divenuti lucidi.

“Forse siamo sulla buona strada.” Pensò Martha.

 

La porta della stanza si aprì di nuovo e Jesse fece la sua comparsa. Si sedette sul letto di Luke, proprio di fronte al nipote: “Bo mi ha detto che da stanotte e fino al giorno della tua partenza, dormirà sul divano.” Esordì con un filo di voce.

Luke allentò la morsa con la quale stringeva il cuscino e guardò lo zio: “ce l’ho messa tutta. Ho provato a parlargli, a farlo ragionare. Non vuole ascoltarmi. Che altro devo fare?”

“Dagli tempo, figliolo. Tra un po’ si renderà conto dell’errore che sta commettendo. Abbi fede.” Tentò di rincuorarlo Jesse.

“Io ho fede, zio Jesse. Ne ho tanta. E’ il tempo che mi manca.” Luke adagiò il cuscino sul letto e si alzò. Camminò avanti e indietro per alcuni minuti senza più dire niente. Un tumulto di pensieri che si rincorrevano l’uno con l’altro, aveva contribuito a fargli venire il mal di testa. D’un tratto, come avesse finalmente realizzato cosa dovesse fare, si diresse a gran velocità verso l’armadio e ne estrasse una sacca da viaggio.

“Cosa stai facendo?” Chiese allarmato Jesse.

Luke cominciò ad aprire i cassetti e a riempire alla rinfusa il suo bagaglio: “gli sto già complicando abbastanza la vita. Non voglio rovinargli anche il Natale. Se Bo ha deciso che non merito più alcuna possibilità, tanto vale che me ne vada subito. Non ha senso aspettare ancora. A questo punto, pochi giorni non cambieranno niente.”

Jesse raggiunse il nipote e gli strappò la sacca dalle mani: “a me non pensi? E Daisy? Quella povera ragazza è convinta che trascorreremo le feste insieme. Ha già preparato la lista della spesa per il pranzo di Natale.”

“Lasciami andare zio Jesse, è meglio così. Se io rimanessi, in questa casa continuerebbero ad esserci discussioni e tensioni e io non voglio. Quando penserò alla mia fattoria, voglio ricordarmela con i volti sereni delle persone che amo, non con gli sguardi tristi e arrabbiati di questi ultimi giorni.”

Jesse sospirò e si aggrappò con la mano libera alla spalliera del letto. D’un tratto sembrava invecchiato, sembrava stanco. La sua famiglia si stava sfaldando e, per la prima volta in vita sua, non sapeva cosa fare. In quel momento il suo pensiero volò alla sua adorata Martha. Se lei fosse stata presente, avrebbe saputo sicuramente come agire. Riconobbe la tipica determinazione dei Duke nello sguardo del nipote e si rese conto che, come con Bo, non sarebbe servito a niente tentare di fargli cambiare idea. Gli riconsegnò quindi la sacca e lo aiutò a sistemarvi all’interno i vestiti: “non era così che doveva andare. Non riconosco più la mia famiglia.”

“Le cose cambiano, zio Jesse. A volte i cambiamenti li decidiamo noi, altre volte ci vengono imposti. E noi non possiamo far altro che accettarli e agire di conseguenza.”

Jesse si avvicinò alla finestra e la aprì. Respirò a pieni polmoni l’aria frizzante di dicembre che portava all’interno odore di terra e di erba bagnata: “pensi di andare via subito?”

“Il pullman diretto a Washington D.C. parte ogni giorno alle cinque del pomeriggio. Se mi sbrigo, faccio in tempo anche a passare da Cooter.” Luke evitò di incrociare lo sguardo dello zio. Non avrebbe potuto sopportare la disperazione dei suoi occhi.

“Vado ad avvisare Daisy, non ne sarà felice. Dobbiamo darle il tempo di assorbire quest’ennesimo colpo. Come pensi di comportarti con Bo?” Domandò poi avviandosi con passo stanco verso la porta.

“Non credo abbia voglia di salutarmi. Pensa tu a lui. Ricordagli ogni giorno quanto lo amo. Io cercherò di scrivergli da laggiù, per quanto mi sarà possibile.”

Luke si avvicinò un’ultima volta all’armadio ed estrasse un giacchetto. Se lo infilò e si mise la sacca a tracolla. Si voltò verso la porta e finalmente guardò in faccia lo zio.

“Ti prometto che starò attento, zio Jesse. Ti prometto che non ti deluderò.” Bisbigliò a fior di labbra.

Jesse mosse un passo in avanti e lo abbracciò forte. Uno dei suoi più preziosi tesori se ne stava andando. Luke si rilassò completamente tra le braccia dello zio e si lasciò cullare dal battito del suo cuore: “torna sano e salvo.” Gli sussurrò con voce rotta.

 

“Non ci sarà il Natale per voi quest’anno. Così come non ci sarà per gli anni a venire. E tutto grazie a te, Bo. Questi sono i primi effetti del tuo assurdo comportamento.” Martha caricò volutamente la frase con più sarcasmo del dovuto. Il tempo a sua disposizione stava terminando e doveva smuovere il ragazzo prima che fosse troppo tardi. Bo rimase con lo sguardo fisso sullo zio e si ritrovò ad invidiarlo. Avrebbe voluto prendere il suo posto tra le braccia del cugino. Ma non svelò alla zia ciò che realmente stava provando. Si limitò a guardarla e a domandare: “e adesso? Che altro vuoi farmi vedere adesso?”

Martha scrollò la testa: “e va bene. Facciamo anche questa, ma ti avverto… non ti piacerà, Bo.”

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Capitolo 4
*** Il Natale futuro ***


Questo è l’ultimo capitolo. Una fic breve che spero abbiate apprezzato. Ringrazio tutti coloro che hanno letto la mia storia e in modo particolare chi mi ha recensito: Juliet, Lu, lineadiconfine, Marzia e i1976. Grazie mille ragazze!

 

Capitolo quattro: il Natale futuro

 

Con un semplice sguardo, Martha invitò Bo a seguirla per tornare nuovamente di fronte all’entrata della fattoria. Bo non oppose alcuna resistenza e andò dietro alla zia con passo svelto. Martha raggiunse la porta che dava accesso alla cucina e la aprì. Si fece da parte e lasciò entrare il nipote.

Una volta dentro, il giovane si arrestò di colpo. Gli bastò un fugace sguardo d’insieme per rendersi conto che qualcosa non andava. Quella non era la sua fattoria. Non era il luogo nel quale aveva vissuto per tutta la vita. La cucina era completamente spoglia. Era sparito il tavolo con le sedie, i mobili non erano che un vecchio ricordo. Erano rimaste solo delle tendine sdrucite attaccate alle finestre ed un paio di mensole che ormai sorreggevano solo polvere.

“Che significa zia Martha? Che cos’è questa storia?” Domandò Bo incapace di nascondere la propria ansia.

“Lo capirai. Vai nel salone e osserva.” Fu la risposta di Martha.

Bo ubbidì e si mosse nella direzione indicatagli. Ma prima ancora di cominciare a camminare, iniziò a sentire un famigliare scricchiolio. Si affrettò e si trovò di fronte una scena talmente inaspettata da togliergli il fiato. Nel camino due tozzi di legno stavano terminando di ardere, alle pareti erano stati tolti quadri e fotografie, del divano e delle poltrone non v’era traccia. Con le mani abbandonate distrattamente sulle gambe, il buon Jesse sedeva mestamente sulla sua adorata sedia a dondolo, di fronte alla finestra.

“Non mi ero sbagliato, so bene cos’è che fa cigolare così le assi del pavimento.” Affermò Bo osservando lo zio.

“Zio Jesse, sono Bo. SONO TORNATO A CASA!” Esclamò quindi a gran voce.

Martha lo afferrò per un braccio: “è inutile che urli, Bo. Non ti ricordi? Lui non ti può sentire.”

“Ma che gli è successo? Sembra così triste! E’ forse malato? E perché se ne sta qui tutto solo? Che fine hanno fatto tutte le nostre cose?”

“Abbi solo un po’ di pazienza, figliolo. Ogni tua domanda, avrà una risposta.”

 

Jesse si tolse il cappellino rosso che indossava sempre e si nascose il volto tra le mani. Un’ondata di malinconia lo investì quando ripensò ai pochi, meravigliosi anni trascorsi nella sua amata casa accanto ai suoi tre nipoti. Un nodo gli serrò la gola quando ricordò quell’evento a partire dal quale la sua famiglia non era più stata la stessa. Quando Luke era partito, Bo non ne aveva voluto sapere di riappacificarsi con lui, né aveva voluto salutarlo. Nei quattro anni in cui era stato lontano da casa, aveva scritto spesso, molto più di quanto Jesse avrebbe osato sperare, ma Bo non aveva mai risposto a nessuna delle sue lettere. Il suo comportamento tra le mura domestiche era rimasto immutato, ma non aveva mai più menzionato il nome del cugino. Agiva come se non lo avesse mai conosciuto, come se Luke per Bo non fosse mai esistito. Inizialmente Jesse pensava si trattasse solo di una fase passeggera, era capitato a volte che avesse inveito contro il nipote in quanto non sopportava l’idea di saperlo in collera con Luke senza un vero motivo. Col tempo però si era rassegnato al fatto Bo, realmente, non ne volesse più sapere niente di Luke.

Il giorno in cui Luke era tornato a casa, tutta Hazzard lo aveva accolto a braccia aperte. Tutti tranne uno, quello che a Luke stava più a cuore. I giorni successivi al suo ritorno furono molto burrascosi. Luke aveva tentato in ogni modo di riavvicinarsi al cugino, ma di fronte si era ritrovato niente altro che un muro. Per quanti sforzi facesse, Bo non voleva avere più niente a che fare con lui. Ormai aveva il suo giro di amicizie, la sua vita e il cugino non ne faceva più parte. Luke allora aveva preso la sua decisione. Era tornato in servizio. Sebbene amasse la sua famiglia e la sua terra più di ogni altra cosa al mondo, non poteva vivere in quelle condizioni. Non poteva sopportare l’idea che Bo lo avesse cancellato dalla sua vita. A meno di un mese dal suo ritorno a casa, Luke aveva rifatto le valigie ed era tornato nei Marines. E, dopo dieci anni, era ancora lì che si trovava. Aveva fatto carriera, aveva viaggiato per mezzo mondo spostandosi in continuazione di base in base. Ma aveva sempre mantenuto un filo diretto con la sua famiglia. Tornava a trovarli ogni volta che ne aveva la possibilità e telefonava quasi ogni giorno.

Daisy, per rimanere accanto allo zio, aveva rifiutato la proposta di matrimonio di Enos il quale aveva deciso di tornare a Los Angeles. Lavorava ancora al Boar’s Nest come cameriera e, quel poco che guadagnava, era tutto ciò che aveva a sua disposizione per sostentare se stessa e lo zio.

Bo aveva preso una strada sbagliata già da tempo. Aveva abbandonato la scuola ad un passo dal diploma e si era fatto sedurre da un gruppo di ragazzi noti in città per essere scansafatiche e briganti. Aveva cominciato col contrabbando di whisky e con piccoli furti. E poi erano arrivate le rapine. A niente erano serviti gli sforzi di Jesse, di Daisy, di Cooter e dello stesso Luke. Troppo orgoglioso per ammettere di aver imboccato un vicolo cieco, aveva continuato a frequentare quei balordi. Era entrato e uscito di galera tante di quelle volte che Jesse aveva ormai smesso di contarle. Aveva speso tutti i suoi risparmi per pagargli continuamente le varie cauzioni. L’ultima era stata talmente salata che Jesse aveva dovuto cedere la fattoria e tutta la sua terra a J.D. Hogg in cambio della libertà del nipote. Non appena fuori di prigione, Bo aveva salutato frettolosamente lo zio annunciandogli che sarebbe partito e che si sarebbe rifatto sentire presto.

Erano passate due settimane da allora e di Bo non se ne era saputo più niente.

Entro mezzora sarebbero arrivati Boss Hogg e lo sceriffo Rosco P. Coltrain e avrebbero ufficializzato la confisca della proprietà dei Duke.

Jesse si alzò dalla sedia e si avvicinò al camino. Ormai era rimasta solo brace. La smosse con un pezzo di ferro e cercò di scaldarsi le mani. In quel momento, dalla sua stanza comparve Daisy: “questa è l’ultima valigia. Abbiamo preso tutto.” Disse raggiungendo lo zio. “Luke sarà qui tra poco. Vedrai che vivremo bene anche lontani da questo posto.” Aggiunse tentando di convincere più se stessa che lo zio.

“Che ne sarà del mio piccolo Bo? Come faremo ad aiutarlo la prossima volta che finirà nei guai? Come farà a trovarci se avrà bisogno di noi?”

“Zio Jesse, mi dispiace dirlo, ma d’ora in poi dovrà cavarsela da solo. Abbiamo fatto di tutto per aiutarlo. Abbiamo perso la fattoria a causa sua. E lui in cambio è sparito.” Malgrado avesse cercato di mantenersi fredda e distaccata, Daisy aveva finito per ritrovarsi con gli occhi lucidi. Sarebbero andati a vivere lontani da Hazzard e non avrebbero più fatto ritorno. Ma ciò che più li faceva soffrire era la consapevolezza di aver perso Bo. Per sempre.

“Andiamocene via di qui. In questa casa siamo stati felici per così poco tempo che non me ne ricordo neanche più. Cambiare ci farà bene. Magari quest’anno riusciremo a festeggiare il Natale in modo decente.” Affermò Daisy.

Jesse sospirò. Riprese il suo cappello e lo indossò con la stessa fierezza di sempre. Si avviò verso la porta sottobraccio alla nipote. Lasciò che Daisy uscisse per prima, dopodiché diede un ultimo sguardo alla sua fattoria e si richiuse la porta alle spalle.

 

Bo si avvicinò alla sedia e ne bloccò il dondolio che non l’aveva ancora abbandonata: “che cosa ho fatto?” Disse con un filo di voce. “Tutto questo accadrà per colpa mia. Rovinerò la vita a tutta la mia famiglia. E’ questo il nostro futuro?” Chiese mentre le lacrime iniziarono ad uscire copiose.

“No, Bo. Il futuro non è stato già stabilito. Immaginalo come fosse un foglio di carta bianco sul quale dovrai scrivere giorno dopo giorno. Questo è ciò che potrebbe accadere se ti ostinerai a perseverare nelle tue assurde convinzioni. Sei in collera con Luke, ma dentro di te sai che non ne hai motivo.”

“Io… è solo che… io non voglio che Luke vada via. Non voglio che mi lasci. Ho paura per lui. Ho paura che possa succedergli qualcosa di brutto laggiù. Ho paura che non torni più a casa.” Ormai Bo aveva rotto gli argini.

Martha allargò le braccia e accolse il nipote stringendolo forte: “e allora perché non glielo hai detto invece di scappare via in quel modo?” Domandò carezzandogli dolcemente i capelli.

“Non lo so. Pensavo che se mi fossi arrabbiato con lui, mi avrebbe fatto meno male vederlo andare via. Ho sbagliato, ora lo so. Zia ti prego, dimmi che sono ancora in tempo per cambiare le cose. Non voglio vivere in un mondo in cui zio Jesse non avrà più la sua fattoria e non voglio dargli dispiaceri. Non voglio diventare un cattivo ragazzo, ma ho bisogno che Luke mi stia accanto. Tutto quello che desidero è vivere in questa fattoria insieme alla mia famiglia.”

Martha sorrise e lo baciò sulla fronte: “a quanto pare il mio compito è finito qui. Hai imparato la tua lezione e sono certa che ne farai tesoro. Torna da loro adesso. Apri il tuo cuore a Luke così come hai fatto con me e non perdere mai la speranza, bambino mio.”

 

“Bo? Svegliati, Bo. Andiamo cugino, apri gli occhi!”

“Mmmh… cinque minuti… lasciami dormire ancora cinque minuti.” Mugugnò Bo girandosi dall’altra parte.

Luke non poté fare a meno di ridere di gusto: “non staresti più comodo nel tuo letto? Coraggio andiamo a casa, lì potrai continuare a dormire quanto vorrai.”

Bo si stropicciò gli occhi e sbadigliò sfacciatamente: “non sono a casa?” Chiese tirandosi su a fatica.

“Tu che ne pensi?” Rispose Luke guardandosi di proposito attorno.

All’improvviso Bo spalancò gli occhi. D’un tratto ricordò il motivo per il quale si trovava fuori casa e soprattutto ricordò lo strano sogno che aveva fatto… sempre che di sogno si fosse trattato. Senza dire niente si buttò tra le braccia di Luke e lo strinse con quanta forza aveva in corpo: “mi dispiace, Luke. Scusa, non volevo dire quelle cose. Non è vero che non ne voglio più sapere di te. Non è vero che non ti voglio più come amico.” Disse affondando la faccia nella maglietta del cugino.

Luke ricambiò l’abbraccio. Era convinto che avrebbe dovuto lottare ancora per far valere le sue ragioni ed invece Bo lo aveva sorpreso. Come sempre. “Questo significa che non sei più arrabbiato con me?”

“No, non sono mai stato realmente arrabbiato, Luke. Ho solo tanta paura.” Bo alzò il viso e incrociò lo sguardo del cugino: “vai se devi, ma promettimi che tornerai a casa.”

Luke gli mise una mano dietro la nuca e se lo riavvicinò con forza al petto: “non ti prometto niente, ma ti assicuro che farò del mio meglio.

Rimasero a lungo avvinghiati l’uno all’altro a godere finalmente di quella pace a lungo cercata.

Fu Luke a parlare per primo: “senti Bo, lo so che manca ancora qualche giorno a Natale, ma ho un regalo per te e voglio dartelo subito.” Si frugò nelle tasche del giacchetto ed estrasse un piccolo involucro.

“Che cos’è?” Chiese Bo afferrando l’oggetto.

“Aprilo!” Fu la risposta di Luke.

Bo fece come gli era stato detto e una volta rimossa la carta che lo avvolgeva, si ritrovò ad osservare il pistone di un motore. “Che significa? Non capisco.” Disse rigirandosi quell’aggeggio tra le mani.

“Ti ho promesso che un giorno avremmo costruito la macchina dei nostri sogni. E lo faremo. Questo è il primo pezzo.”

Bo lo osservò ancora qualche istante e poi lo restituì al cugino: “allora devi tenerlo tu, non io. Portalo con te e ogni volta che lo guarderai ti ricorderai che devi tornare a casa perché hai qualcosa di importante da fare.”

Ancora una volta Luke si ritrovò spiazzato, l’imprevedibilità di Bo lo aveva colto di nuovo di sorpresa: “va bene, Bo. Farò come vuoi tu.”

Bo se ne tornò tra le braccia del cugino, chissà per quanto tempo gli sarebbero state negate. Dopo qualche minuto, Luke ruppe il silenzio: “che ne dici di tornare a casa? Zio Jesse e Daisy sono molto in pensiero per te. Non facciamoli preoccupare ulteriormente.”

Bo annuì e si alzò controvoglia: “dici che zio Jesse mi punirà per esser scappato via di casa?” Chiese leggermente turbato. “Potresti metterci una buona parola tu?”

Luke rise e passò un braccio sulle spalle del cugino: “si, stai tranquillo, ci parlo io.”

Si incamminarono attraverso il bosco, diretti finalmente verso casa: “hey, Bo. Ma che strano. Tu non senti niente?”

“Cosa dovrei sentire?” Domandò incuriosito Bo.

“Sembra come… si, sembra odore di biscotti.” Rispose Luke carezzandosi istintivamente lo stomaco.

Bo guardò il cugino e gli sorrise dolcemente senza rispondere. Alzò poi il viso al cielo e chiuse gli occhi per un istante: “grazie di tutto zia Martha. Buon Natale.” Pensò continuando a camminare con Luke al suo fianco.

 

Fine

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