Terra e odio

di FrancyBorsari99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Harriett ***
Capitolo 2: *** somiglianze ***
Capitolo 3: *** Felicità ***
Capitolo 4: *** Attacco al Campo ***
Capitolo 5: *** Ultimatum ***
Capitolo 6: *** Ritorno di Odio ***
Capitolo 7: *** Leggete e non uccidetemi... ***
Capitolo 8: *** il piano... più o meno. ***



Capitolo 1
*** Harriett ***


Mi chiamo Harriett Danion.
Mi sono data io questo nome, dal momento che nessuno si è mai preso il disturbo di sceglierne uno  per me.
Non ho veri e propri genitori, ma non sono orfana, e probabilmente colei che mi ha dato la vita non sa nemmeno che esisto.
Sono nata con la consapevolezza delle mie origini, e non sono mai stata bambina, invidio tutte le persone di questo mondo che non hanno idea di quanto siano fortunate  ad aver avuto un infanzia mentre io ho preso corpo e coscienza  cosí come sono ora.
In termini umani, avrei sedici o diciassette anni. In termini... Beh... Miei, ho tre anni, quindi sono piuttosto giovane, ma il vantaggio di sbucare dalla terra come da sabbie mobili al contrario è che sai già tutto quello che c'è da sapere.
Il mio aspetto muta più lentamente di quello degli altri, ma di questo non mi lamento affatto. 
Immagino vi stiate chiedendo quale orribile mostro possa nascere già sedicenne di tutto punto, senza genitori, senza un nome, senza un'infanzia come base per il futuro. 
È complicato.
Io sono figlia dell'Odio.
Non suona uno spasso, lo ammetto, e devo dire che me lo si legge in faccia a  volte.
La verità è che l'odio è ben altro che un sentimento che il piú delle volte ti porta a fare cosa di cui ci si potrebbe pentire, è una malattia, un cancro al quale non basta esistere nella testa delle persone e cibarsi della loro razionalità e senso del perdono, è un tumore che spinge nei recessi del cervello per essere qualcosa di più concreto che un semplice pensiero, e nel mio caso, l'odio era talmente forte ed agguerrito che ha dovuto assumere un corpo. Il mio corpo.
Tanto per puntualizzare, l'odio in questione era quello di Gea.
Era stata come un'esplosione, qualcosa che si espanse alla velocità nella luce, che visse al pieno di ogni forza un attimo prima di morire. Il rancore bruciante per la sconfitta la prevase e, questione di una frazione di secondo, nacqui io. 
Eppure, io non odio le persone. E non sono odiata.
Sono più il tipo che si fa i fatti suoi senza dare troppa attenzione agli altri. Nei canoni di una sedicenne del ventunesimo secolo sono abbastanza normale. Mi piacciono i film di fantascienza, mi piacciono i libri gialli e credo di avere una preoccupante ossessione per la serie tv Sherlock, soffro di vertigini e le scelte difficili mi mandano un po' in confusione.
Solo un tratto del mio carattere mi lascia perplessa: non ho mai amato nessuno, nemmeno una cotta in tutta la mia vita -che anche se abbastanza breve, ero già piuttosto esperta su come muovermi nel mondo-. Ho provato a farmi piacere un ragazzo, l'anno scorso, ma non è successo nulla. Ho tentato con le ragazze, e anche quelle non mi attraevano per niente. Non mi piacciono le persone e basta. Ogni forma di affetto verso un essere vivente è una manifestazione a me estranea. Sono apatica. Sociopatica anche.
Forse è il mio difetto fatale. Ricordo che quello di Percy Jackson era la lealtà, circa il mio opposto: a lui riesce facile amare le persone e farsi carico delle loro vite. Per me, una cosa del genere è inconcepibile su tutta la linea, nelle forme più variegate del termine.
Questa è l'allegrissima storia della mia vita, che per ironia della sorte sto ripetendo al tizio che ha allenato Achille, Chirone.
Che c'è? Se si nasce con la conoscenza ed occasionali ricordi della propria madre, certe cose non le si possono dimenticare. Specie se le hai inculcate a forza nel cervello. 
Il centauro tace finchè non finisco. Anche se in vita di mamma ho già visto dei centauri è abbastanza distraente dover parlare direttamente con uno di loro. Mi viene da chiedermi se podssa toccarsi le punte degli zoccoli anteriori con le dita. 
Dioniso, fino ad ora molto occupato a travasare intere bottiglie di Lambrusco italiano in calici di bronzo nella speranza che non mutino in acqua, batte irritato un pugno sul tavolo.
-Diamine!- sbotta, alzandosi in piedi.
-Sigor D, vorrei sperare che abbia ascoltato la storia di Harriett, perchè è davvero importante. 
Il dio alza lo sguardo colpevole su di me.
-Certo che ho ascoltato!!- replica, indignato.
-Ah, davvero? E come è nata, visto che ha sentito la conversazione dalla prima all'ultima parola?- 
Dioniso spalanca la bocca, ma si blocca prima di dire una stupidaggine. Mette su un broncio un po' infantile, e si risiede.
-Te la ripeterò solo una volta. La nostra nuova arrivata ha alle spalle una storia complessa e...-
-Sono figlia di Gea. Più precisamente del suo istinto omicida.
Spero che Chirone non si arrabbi per essere stato interrotto, ma i giri di parole chilimetrici sono le ricorrenze che prferirei evitare.
Il Signor D alza un sopracciglio.
-Che bella notizia...- borbotta, scocciato. 
Ci sono alcuni miei sospetti di cui dovrei informarli, e se avessi ragione le belle notizie sarebbero oro colato, ma tengo la bocca chiusa. Sono solo stupidi presentimenti, che verrebbero a malapena ascoltati.
-Ehm.. Più precisamente, quando saresti nata?- 
Il doverglielo ripetere mi scoccia non poco, ma credo di non avere alternative. 
-Tre anni fa.- 
Provo l'immenso impulso di sfugurare quel sorriso divertito e beffardo che ha stampato in faccia, ma mi trattengo senza tradire alcuna emozione. 
-Be', parli davvero bene.-
Faccio roteare gli occhi.
-Sapevo già fare tutto quello che mi avrebbe consentito di sopravvivere nell'esatto momento in cui sono venuta al mondo. E sapevo ogni cosa che fosse necessaria. Per il resto imparo decisamente più in fretta degli altri, ad esempio ho imparato a suonare il piano in tre settimane, o giù di lí. 
Dioniso emette uno sbuffo, come se fosse irrilevante, e si abbandona sulla sedia stringendo le tempie tra le dita.
-Visto che non ci aspettavamo figli di Gea potrai alloggiare in una stanza della casa grande. Vedi di non combinare casini. 


Bella accoglienza, niente male davvero.
Visto che quei due non hanno null'altro da dirmi, faccio quattro passi per conto mio, esplorando questo "Campo mezzosangue" in cui sono capitata accidentalmente facendo la stessa cosa che ho intenzione di fare ora. 
Effettivamente, quel che ho detto a Dioniso é vero: ho sempre imparato con una velocità sconcertante tutto quello che mi veniva insegnato, ho una memoria infallibile e dettagliatissima, con cui ricordo ogni informazione che mi viene fornita. 
Gli insegnati mi hanno sempre guardata con timore e rispetto, cosa che non mi è mai dispiaciuta, devo ammettere, ma che dopo un po' mi dava sui nervi, e che cominciavo a... Odiare. 
È carino qui. È pieno di persone, ragazzi e bambini soprattutto, che praticano sport e si allenano con le spade ed altre armi. Un campo greco con i controfiocchi.
Si respira un'aria buona, pulita e che sa di natura, alberi e piante e... Fragole. Effettivamente, c'è un campo di fragole più in là, grossi frutti scarlatti pendono dai gambi reclinati al suolo. Ne sento il sapore in bocca. 
Mi avvicino, ed il profumo si fa intenso ed inebriante. Una lieve scossa parte dai miei piedi e si snoda sotto terra per alcuni metri, fino ai cespugli, che improvvisamente crescono in fretta di qualche centimetro. 
Per ereditarietà, qualsiasi potere derivante dalla terra mi appartiene di diritto. Da essa traggo beneficio e risorse, e risponde ai miei comandi come se fosse un'estensione del mio corpo. Io sono la personificazione della terra, come "mamma". 
Mi allontano nella direzione opposta e lentamente giungo al laghetto delle canoe. La spiaggia è sgombra, e mi siedo a riposare, affondando le dita in quella sabbia grigia e spessa.
Mi affaccio sull'acqua e il mio riflesso ammicca dall'altra parte: a prima vista non sembro la figlia di una divinità primordiale, ho lunghi capelli castani ed occhi neri, un viso leggermente pallido e dall'espressione scaltra.
Mi ritraggo e faccio scivolare indietro la testa.  
Appena chiudo gli occhi la vista di un sogno che ho fatto di recente mi incade le palpebre. Un vulcano in eruzione, la terra che si spacca, zolle che volano ovunque, terremoti, e un ruggito malvagio. 
No, non può voler dire nulla. I miei brutto presentimenti sono totalmente infondati. Forse è cosi che si sarebbero manifestati il suo odio e la sua rabbia se io non fossi nata. 
Meno ci penso meglio sto. 
-Ehi, sei nuova?
Alzo lo sguardo su una ragazza dal fisico slanciato, gli occhi caleidoscopici brillano alla luce del sole, i capelli tagliati asimmetricamente sono legati in piccole treccine in più punti e mi sorride allegramente.
Ah, allora è questo il comitato d'accoglienza vero e proprio.
-Sí. Mi chiamo Harriett.- dico. allungo la mano e stringo la sua.
-Piper, figlia di Afrodite.- risponde lei, e noto del risentimento nella sua voce. Non indago per discrezione. 
-Da quanto sei qui? Al campo, intendo. - 
-un'oretta, più o meno. - rispondo, un po' evasiva, lasciando calare un silenzio imbarazzato.
Lei deve aver capito che la compagnia non è una cosa con cui ho a che fare spesso, perchè sorride mesta e si alza. 
-Ci si vede in giro allora. Se hai bisogno di una bussola, vieni a cercarmi nella cabina di Afrodite, la si nota a miglia di distanza. A proposito, chi è il tuo genitore divino?-
Resto in silenzio riordinando quello che per me è già un profluvio di parole. 
Lo dico o non lo dico? Lei era una dei sette, magari non mi parlerà più se lo viene a sapere. È indifferente.
-Non dirlo in giro, okay? Mia madre, se di madre si può parlare, era...-
Adoro creare suspece. Tipica dei film migliori che mi piacciono tanto. 
-Gea.
La sua faccia, oddei miei, è qualcosa di impagabile!


Angolo autrice
Non mi ammazzate, ve ne prego. Non so cosa sia questo. Non ne ho idea. Lol.
Spero che sia scorrevole e che la storia vi abbia incuriositi, lasciate una recensione!!!!

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Capitolo 2
*** somiglianze ***


Immaginatevi l'esplosione di una supernova, come quando Era venne liberata dalla prigione di mia madre. Immaginate una potenza dieci volte maggiore e richiudetela in un nucleo radioattivo, poi liberatelo sotto la terra, dove resti dormiente per quegli attimi in cui l'odio inneschi uno scoppio enorme. È così che sono nata io.

 

Il dolore incredibile, allucinante, ogni percezione acuta, il fruscio delle foglie, l'odore della terra, lo sciabordio d'acqua, qualcosa di morbido sotto di me, la consapevolezza di esserci, il corpo che preme per vivere, per muoversi, la sensazione della propria tangibilità, la bellezza del mondo, l'emozione della prima occhiata su ciò che mi circonda, il dolore ancora, che si espande nel corpo come un sisma, le ossa tremano, il cuore batte, pulsa sotto alle costole, perché sa di dover mantenere tutto in vita, e galoppa per la paura di quell'attimo, quella frazione di secondo in cui la paura mi assale mista alla tetra sorpresa di essere viva. È come se lo attendessi da sempre, eppure non mi aspettavo che accadesse adesso.

Ma io ci sono.

Qui.

E ora.

Io ci sono, esisto, vivo, respiro, guardo, osservo penso nonostante nella mia testa ci sia solo un'accozzaglia di turbinanti domande che trovano risposta da sole ma che continuano a volare e a scontrarsi, in esplosioni eteree dietro ai miei occhi, e vedo i lampi, vedo le nuvole, sento i tuoni che mi scuotono, me e la terra, sento il vento che sibila forte sulle mie orecchie, e la pioggia mi pizzica la faccia, ma è quel genere di contatto che mi provoca piacere, il piacere che mi rende presente e vera.

Ci sono, e sto per cominciare a scrivere la mia storia.

Ci sono, e capisco che è solo grazie all'odio che ci sono, e improvvisamente non voglio più esserci.

Ma se gli dei mi hanno voluta, allora non c'è modo di andarsene.

Muovo dei passi, incerti ma via via più sicuri e meno barcollanti, mi viene da pensare che gli dei non hanno ancora tutto questo potere su di me, sono grandi, e potenti, e sono ovunque, ma io sono pur sempre un Titano.

Il titano dell'odio e della terra.

 

La mia nascita è sempre stato un sogno piuttosto vivido e ricorrente, ma non mi ha mai fatto né caldo né freddo.

Quello dell'apocalisse, invece, mi lascia un tantino perplessa, ma meno ci penso meglio è, quindi evito di fare qualsiasi riferimento con quelle immagini di distruzione, o potrei impazzire.

Sono in questa stanza accogliente, al secondo piano della Casa Grande azzurra che troneggia sulle cabine dei semidei, quando mi sveglio completamente.

Ho le lenzuola strette fra le dita, le palpebre mi fanno male, eppure non ho avuto nessun incubo.

Cerco di ignorare l'ennesima stranezza e mi alzo, scostando con un calcio le coperte. Il sole non è ancora del tutto sorto, ma il panorama dell'alba sulla baia, con il disco rosso che compare laddove l'orizzonte si perde in un blu infinito ed uniforme, è uno spettacolo che mi infonde una certa calma.

Ieri pomeriggio Argo, il custode che per dettagli che non rivelo verrebbe minimizzato se soprannominato quattrocchi, mi ha accompagna a casa, dove la mia famiglia affidataria si stava chiedendo dove fossi, per prendere vestiti e cose che mi sarebbero servite durante la mia permanenza al campo.

Robbie ha aperto la porta appena due secondi dopo che il campanello ha fatto din-don, e quando ha visto che ero io e respiravo ancora, mi si è lanciata fra le braccia, affondando il faccino nei miei vestiti all'altezza dell'ombelico.

– Harrieeeeett! – ha pigolato, la voce attutita dal cotone che sigillava le labbra rosee.

Ricordate quando ho parlato del fatto che io non fossi capace di amare o farmi piacere gli esseri umani? Okay, se si tratta di quello scricciolo, posso fare un'eccezione.

Voglio dire, come si può non amare un'adorabile bambina di cinque anni, le iridi grandi e nere colme di spensieratezza ed ingenuità, i capelli crespi raccolti in una coda alta che oltre all'elastico arancione scoppiano in un voluminoso cespuglio, la pelle color cioccolata morbida come petali di rosa.

Gli occhioni da cerbiatto si sono alzati su di me e mi hanno supplicata di non andarmene più, ma non ho potuto cedere, non quella volta.

Ho preso da parte papà e gli ho parlato onestamente delle mie origini, gli ho raccontato tutto, ogni parola veritiera fino all'ultima lettera.

Mi ha creduto, mi ha abbracciata, mi ha baciata sulla fronte, mi ha detto che sarei mancata a tutti, poi mi ha aiutato a preparare le mie cose.

Mamma ha assistito in silenzio, ma anche lei è stata d'accordo e, dopo un paio di lacrime scese silenziosamente a creare dischetti scuri sulla moquette, ha preso da parte Robbie e le ha raccontato una qualche bugia. Robbie ha pianto, gridato, scalciato, urlato, ha sbattuto i piedini, ma alla fine ha ceduto. Hanno ceduto tutti tranne me qui. Ma io sono figlia dell'odio, ho una specie di vantaggio.

Mentre trascinavo giù un baule che avrebbe potuto contenere quella specie di pulcino almeno sei volte, ho incrociato Joseph sul pianerottolo della sua stanza. Ha la mia età -16-, e anche lui è stato adottato, ma da molto più tempo di me, quasi tredici anni.

Ha gli occhi azzurri, i capelli castano scuro, un'espressione morta in viso.

Non ha mai detto di volermi bene, e l'ho sempre considerato un fratello nonostante la mia difficoltà ad amare le persone perchè è stato quello che più di tutti ha saputo dimostrarmelo senza bisogno di parole.

Mi è saltato al collo e mi ha stretto, affogando un paio di lacrime nel cappuccio della mia felpa, poi si stacca e ha fatto cenno di aspettarmi.

Si è chiuso la porta dietro, ha trafficato per un po' con fili e cose pesanti, poi è tornato con una valigetta argentata lunga e bassa.

– Non te lo dimenticare. –

E improvvisamente l'ho sentito. È stato forte, e mi ha riempito, per la prima volta in vita mia, l'ho percepito per davvero, non è stato un semplice sprazzo di sentimentalismo fraterno, quello era amore.

Ho adagiato la valigietta accanto a me sul pavimento, l'ho abbraccio io.

Gli ho lasciato un bacio sulla guancia e gli ho promesso che lo avrei cercato un giorno o l'altro.

fatta la stessa cosa con Robbie, rendendo tutto più piccolo per lei, sono fuori, quell'ondata di amore per la mia famiglia rimasta bloccata all'interno dalla porta chiusa.

 

È tutto tornato a posto, dentro di me. Non sento più nulla. Cioè, tutte le solite emozioni sì, ma non un affetto di tale potenza.

Ho vuotato il baule, ma la valigetta è ancora intatta, sotto al letto disfatto.

In questa stanza c'è un armadio, una scrivania e un letto, ma è carina, e lo spazio per il contenuto dell'involucro rigido argentato c'è. Apro le linguette di plastica e scosto il coperchio.

Eccola, i tasti bianchi puliti con cura maniacale che riconduco immediatamente a Joseph, i tasti neri che cangiano aggressivi contro quel candore accecante, i bottoni allineati in un reticolo di pallini e scritte.

Appoggio la tastiera sul tavolo, trovo una presa di corrente (una presa di corrente in un campo greco? Che sia alimentata a magia...) e aspetto che le spie rosse e verdi si accendono.

Faccio scorrere le dita sulla superficie liscia, ma non riesco a suonare. Mi fa venire un po' di nostalgia.

La spengo ed esco.

Diamine, ho bisogno di distrarmi.

 

Mi avvio per la colazione, dove Chirone mi dice che posso sedermi al tavolo dodici insieme a un satiro ed il signor D.

il ragazzo-capra, che si presenta come Grover Underwood masticando una lattina di diet coke, si lancia in un'arguta conversazione con Dioniso sulla crescita misteriosa ed improvvisa delle fragole, e non posso fare a meno di sogghignare.

Dopo aver bruciato qualcosa in onore di Ermes, senza il quale non sarei mai finita in questo posto che mi piace sempre di più, faccio per tornare al mio posto, ma qualcosa mi tira un lembo della maglietta.

Mi volto ed incrocio gli occhi caleidoscopici di Piper.

– Ehi, come va? – mi sembra un po' strana tutta questa benevolenza dal momento che sono... bè, sono la figlia di quella che ha tentato di ammazzare lei e più o meno il resto del mondo, ma sorrido lo stesso.

– Non c'è male.

– Che te ne pare del campo?

– Mi sto abituando.

Silenzio per un attimo.

– Dopo se vuoi possiamo andare agli allenamenti, così ti fai qualche amico e cominci subito a maneggiare le armi.

Ci penso su un attimo.

– Non c'è problema.

Piper sta per ribattere, ma una ragazza dai capelli neri si mette in mezzo. Devo ammettere che è di una bellezza mozzafiato, ma questo non le da il diritto di travolgermi come un bulldozer per sedersi, rovesciandomi il succo d'arancia addosso, quando c'è all'incirca un intero padiglione in cui transitare.

– Ehi, fai attenzione! – dico, un po' barcollante. I miei piedi fanno immediatamente presa sulla terra.

Lei si volta e mi guarda stranita.

– Eri in mezzo!

– Potevi passare dietro.

Lei fa una faccia di finto rammarico, finché gli occhi non si spostano sulla macchia arancione.

– Non sarei così dispiaciuta per la maglietta, era davvero orribile.

Già provo l'impulso di farla affondare nelle sabbie mobili, ma mi trattengo. Non era così brutta in fondo, era solo una vecchia t-shirt dell'hard rock cafè...

– Sei ancora qui? Levati dai piedi!

– Andiamo, Drew, datti una calmata. – ribatte un altro figlio di Afrodite, alzando sconsolatamente gli occhi al cielo.

Vorrei ringraziarlo per il tentativo di farla tacere, ma mi vedo costretta a fare ancora i conti con lei.

– Smamma!

Inarco un sopracciglio. – Perchè me lo chiedi tu?

– No, perché te lo ordino io.

– Tu non sei il mio capo.

Faccio dietro front e me ne vado, tentando di dominare la rabbia.

– Sì, esatto, scappa pure! – sarà figlia della dea dell'amore, ma io non ci trovo proprio nulla di amorevole nelle sue parole. Piuttosto, è attaccabrighe come una figlia di Ares.

– E comprati una maglietta nuova, disagiata! – sento centinaia di occhi puntati su di me, i loro sguardi si incrociano attraverso il silenzio che è sceso sul padiglione.

Oh, no... la mano formicola forte, punge, pizzica, me la sfrego sui jeans ma non basta, e allora la assecondo, tanto finire nei guai è il mio passatempo preferito e comunque non sarebbe una novità.

Apro il palmo di scatto, una zolla di terra fangosa emerge dal suolo ruotando su sé sessa, ormai oggetto dello stupore sbigottito del pubblico. Alzo il bracci e quella lo segue, poi faccio un movimento rapido e preciso, e resta visibile soltanto una macchia scura che attraversa l'aria prima di investire Drew in piena faccia.

Il colpo la fa ribaltare all'indietro tra le risate isteriche dei ragazzi.

Chirone mi fissa all'inizio deluso, ma non può fare a meno di sorridere allo spettacolo della figlia di Afrodite ridotta a una pozzanghera ambulante.

Faccio per uscire dal padiglione, ma mi volto un secondo. Resterei qui a godermi la scena, ma il buonumore mi ha fatto venir voglia d suonare qualcosa.

Cinque minuti e sono al centro dell'omega capeggiata dalla Casa Grande, i miei piedi sono gi unici che fanno rumore sollevando la polvere del selciato, finché un pesante rumore di cardini e una porta che si apre di botto mi fa voltare verso la casa nove.

Ne esce di corsa un ragazzo sui diciassette o diciotto anni, anche se non è particolarmente alto, i capelli ricci tirati indietro da un paio di occhialoni da saldatore e un viso da folletto padrone della classica espressione da monello.

Sta per attraversare lo spiazzo, la cintura degli attrezzi che tintinna in vita, quando mi vede e si blocca improvvisamente.

Sembra pietrificato sul posto, un'espressione incredula in viso, che lentamente muta in una rabbia feroce e un martello enorme gli compare fra le mani.

Si avventa su di me urlando, rotea il manico dell'attrezzo e lo fa calare sulla mia testa, ma la terra mi assorbisce in un lampo e riemergo a pochi passi dietro di lui.

All'improvviso, le sue mani esplodono in fiamme enormi e prorompenti, che mi avvolgono cancellando parte del mondo intorno a me.

A quel punto faccio l'unica cosa che mi è possibile. Scompaio sotto la crosta terrestre, mi muovo silenziosa come un'ombra e gli compaio alle spalle. Dalle mie mani scaturiscono altre sfere di terra che si stringono intorno alle dita, smorzando le fiamme e trascinandolo in basso.

Noto che sono accorse alcune persone, tra cui Piper e Perseus Jackson, che mi fissano straniti, terrorizzati, arrabbiati.

– Leo, che sta succedendo? – grida la ragazza, accasciandosi di fianco a lui.

Lentamente, quando vedo che si è calmato, libero le sue mani, la terra scivola via, ammucchiandosi ai suoi piedi.

La rabbia gli saetta negli occhi, mi fissa per un secondo, poi si avventa nuovamente su di me.

– Tu dovresti essere morta!! è quello che meriti, maledetta, hai ammazzato mia madre! – urla, furioso.

All'improvviso comprendo.

Gli afferro i polsi, che mi scuotono le spalle, e lo scosto delicatamente.

– Leo Valdez, lei è morta. È morta davvero. Io non sono Gea. –

dico, pacata.

La sua espressione si rilassa,respira un po' affannosamente, ma è già meglio di prima.

– davvero?

– sì.

Lui si passa una mano fra i capelli.

– Cavoli. Sono mortificato, mi dispiace. – fa, distogliendo lo sguardo.

– Mi sembrava strano di non aver ancora cominciato con un'idiozia, stamattina. Mi sono anche provato la febbre! – tenta di sdrammatizzare, sorridente.

Lo assecondo, mi dispiace che mi abbia scambiata per mamma, ma non lo posso biasimare.

– No, non sono Gea, sono sua figlia, anche se date le circostanza avrei preferito di no.

Sbarra gli occhi, incredulo. Emette un piccolo sbuffo dalla bocca, le dita che giocherellano distrattamente con un bottone della camicia.

– Ah... ecco, io non intendevo esattamen.... – alzo una mano, e questo basta a zittirlo.

– Hai perfettamente ragione. Se ne avessi avuto la possibilità, l'avrei ammazzata io.

Decisamente, non sono più dell'umore per un pezzo di Einaudi.

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Capitolo 3
*** Felicità ***


Devo dire che l'attentato di Leo Valdez mi ha lasciata con la mia dose di domande, in particolare non mi spiego perché anche Piper non abbia reagito così.

Ho visto cosa è successo ad Esperanza, e davvero, Gea si meritava tutto quello che i sette le hanno fatto, ma non immaginavo che le somigliassi così tanto da suscitare la furia omicida dell'ultimo semidio soggetto a istinti killer in tutto il campo.

Mi guardo nello specchio. Sono semplicemente io, e come ho già detto non ho nulla di speciale che mi contraddistingua dagli altri semidei del campo.

Tiro un breve sospiro. Mi dispiace essere così odiata, anche se lui ha tentato di scusarsi con un paio di battute.

Non deve essere bello farsi disprezzare dalle altre persone per qualcuno che non sono io, ma se sei figlio dell'odio, allora la cosa ti fa stare peggio. Ti senti destinato a ricevere astio.

Probabilmente è per questo che agli estremi gradisco la compagnia delle persone, ma non le amo mai. Perché una parte di me non si sente obbligata a volere bene a qualcuno a cui suscito istintiva repulsione.

Perciò, me ne resto sdraiata sul letto a fissare distrattamente il soffitto come un foglio bianco su cui i miei occhi scrivono velocemente una lista di punti, il cui titolo è: cose da fare.

Attualmente sono davvero tante, e non vedo l'ora di cominciare.

Toc-toc.

Non mi alzo, dico semplicemente avanti. Il meccanico di prima, Pyro, Torcia Umana, Fiamma Ambulante o come volete chiamarlo, mette la testa dentro e, un po' titubante, chiede se può parlarmi.

Mi drizzo a sedere, puntellandomi sui gomiti, e annuisco.

Leo scivola dentro e si chiude la porta alle spalle.

– Ehm... io volevo di nuovo scusarmi per quello che è successo prima. –

– E io di nuovo ti dico che non ti devi preoccupare, anzi, dispiace a me per quello che mia madre ti ha portato via. Non avrebbe dovuto farlo. – lo interrompo subito.

Lui mi fissa per qualche secondo, interdetto, poi alza un sopracciglio.

– Sicura? Non ti ho fatto del male, vero? –

– Tranquillo. E in ogni caso, non mi sarebbe successo nulla. Non puoi bruciare la terra. –

Un lampo di offesa attraversa i suoi occhi,ma viene subito rimpiazzato da uno scintillio furbo, e per un attimo mi fanno paura.

– Cos'è, mi stai sfidando?

Mi metto a ridere a quella domanda.

– No, nient'affatto. Ricordati che sono un titano, non sperare di averla vinta con un paio di fiammiferi. –

lui fa roteare le pupille, sbuffando sonoramente. – E che vuoi che sia? Ho messo a tacere tua madre, posso benissimo fare lo stesso con te, con questi due fiammiferi. – replica, esibendo le mani avvolte in lingue di fuoco che gli lambiscono delicatamente la pelle senza scottarla. Stavolta scoppiamo a ridere entrambi.

– Ora sei tu che mi stai sfidando! –

– Sì, può darsi. – tira fuori un'espressione da monello, stringendo appena le palpebre e stendendo le labbra in un sorriso furbo e calcolatore, come se escogitasse l'angolazione migliore da cui infilarmi una manciata di ragni nella maglietta.

– Starò in guardia. – dico, alzandomi in piedi e allungando la mano.

– Harriett.

– Gea Junior.

– Se mi chiami così ti faccio affondare nelle sabbie mobili.

– Harriett è un bellissimo nome! – si affretta a correggersi, stringendo vigorosamente la mia mano. Non è massiccio come i suoi fratelli, ma deve avere anche lui la sua dose di muscoli, perché le mie dita gemono un attimo tra le sue.

– Leo Valdez. Un pochino scontato credo. Come facevi a saperlo?

– Bazzecole. – faccio un gesto con la mano come a scacciare un insetto. – ho i ricordi di mia madre, so abbastanza bene chi sei e cosa hai fatto. –

Lui fischia, senza far cessare la stretta che comincia a protrarsi un po' troppo a lungo.

– Quindi hai già assistito alle meravigliose avventure del Bad Boy Supreme! –

Non posso fare a meno di ridere di nuovo. – Quella parte è stata fantastica. Davvero geniale. – commento.

Mi fissa negli occhi per qualche secondo, in cui il suo sorriso svanisce un po', finché non mi schiarisco la gola e non si rende conto che ha ancora la mia mano nella sua.

La ritrae velocemente e farfuglia qualcosa di incomprensibile, preso dall'imbarazzo.

– Ehm... hai le dita da pianista.

Aggrotto la fronte, lasciando cadere il mio sguardo sulle dita affusolate e magre.

– Niente male.

– Be', sono magre e lunghe, e nella tua stanza c'è una tastiera. Deduzione semplice. – borbotta con un sorriso impacciato.

Mi sento avvampare. Accidenti, ha ragione.

– Suoneresti qualcosa?

– Suonerò qualcosa.

 

Mi siedo sulla sedia, stiro la schiena, faccio schioccare le nocche e accendo il piano, impostando la durata del suono e l'intensità.

Comincio mettendo insieme note e accordi un po' a caso, a umore, tanto per riscaldarmi, tanto per riprendere il mio tocco che scivola veloce sui tasti spingendoli appena a ottenere un suono delicato e dal timbro dolce, i miei occhi ormai non seguono ciò che fanno le dita, sono più impegnati a non fissare nulla di preciso se non il vuoto, perché per quanto strano nel vuoto c'è un'eufonia silenziosa e bilanciata che mi imposta sulla giusta intonazione, facendo risuonare per la stanza quello che improvvisamente non può essere più un accostamento casuale di note a loro stanti, ma una storia allacciata, intrecciata, annodata, elegante, fuggente, imprevedibile, armoniosamente eterogenea, fatta di parole che poche orecchie sanno cogliere, dominate da un ritmo lunatico che sembra fatto di respiri, nessuno è mai uguale all'altro e così va la musica, un attimo è dolce e tranquilla, un attimo dopo galoppa con affanno, e senti il bisogno di seguirla, come una fantasia che spicca il volo, e le dita sulla tastiera la rincorrono fuori da tempo, spazio, limiti, perchè bisogna solo incondizionatamente essere, qualcosa di incondizionatamente qualcos'altro, e si vive con la musica che alla condizione di farsi esistere, promette di esistere, poi, lentamente, il ritmo sfuma, per non tornare più alla sua andatura veloce e cadenzata, si placa come l'ultimo sospiro impassibile, senza timore e senza fretta, e quella musica con calma irreale spirare in un sussurro rilassato, lieve ma denso, e pieno, un suono corposo appena udibile, ma che c'è e che rende la morte di questa storia dolce e struggente come un vissero per sempre felici e contenti.

Le mie mani scivolano giù, atterrando pesantemente sulle gambe.

Sollevo appena lo sguardo, dove Leo è in piedi, la mano stretta allo schienale della sedia, le iridi scure puntate su di me, e oh miei dei, ha gli occhi lucidi, le guance rigate, una lacrima delicatamente appoggiata alle labbra, e altre lacrime incastrate coraggiosamente alle ciglia come la rugiada resta intrappolata alla ragnatela, le palpebre rosse e gonfie, l'espressione seria e oh miei dei ha pianto, ha pianto davvero, e non capisco perché lo abbia fatto, la paura e l'imbarazzo mi assalgono, mi stringono, mi soffocano...

– Allora, – dice, inghiottendo una specie di singulto e sforzando un sorriso. – la felicità esiste davvero.

Improvvisamente mi rendo conto.

Leo ha colto la storia.

Allungo una mano, spinta da chissà quale forza, e con il palmo gli asciugo via l'ultima lacrima che scende lungo lo zigomo.

– Tu sai ascoltare.

– Tutti lo fanno.

– No: gli altri sentono e basta.

Mi fissa diretto, poi riesce a sorridere davvero, si passa la manica sul viso e ride leggermente.

– Credo che tu abbia compiuto un qualche prodigio. Spero di sentirti suonare di nuovo, Gea Junior. –

senza darmi il tempo di replicare, non senza il mio sommo stupore, non senza la mia confusione più totale, non senza una mia faccia da pesce lesso, mi lascia un bacio sulla guancia e se ne va, facendo roteare nella mano una chiave inglese estratta dalla cintura degli attrezzi.

Mi volto di nuovo, fisso la tastiera e lei quasi sembra fissare me. Ammicco nella sua direzione e appoggio le dita, e sto per cominciare un nuova storia, quando il pavimento, e più in basso di due piani la terra, comincia a tremare violentemente, e le mie cose sulle mensole cadono, e tutto cade, e cado anche io in tempo per sentire la voce, la sua voce che dalle profondità bisbiglia:

aspettami.

Da lì in poi è solo paura e boati tremendi.

ANGOLO AUTRICE grazie a tutti per le recensioni, mi fa davvero felice che questa storia stia piacendo, ecco spiegato il motivo del nome del capitolo. anche qui, mi piacerebbe sapere che ne pensate, anche se questo è il più corto è stato difficile scriverlo. avrete notato che il ritmo della narrazione ad un certo punto,nel raccontare cosa prova Harriett mentre suona il piano, aumenta molto in una frase continua, periodi brevi intervallati solo da virgole, rendendo il tutto quasi precipitoso. non so, ma a me piace perchè -sempre dal mio punto di vista- rende reale anche nel lettore la sensazione di una valanga di pensieri ed emozioni che ti travolgono... spero che si capisca e che non sia tutto troppo confusionario... come sempre, spero di leggere i vostri commenti, e vi prego non ammazzatemi, ripeto che non ho idea di cosa ne salterà fuori... i guai per Harriett devono ancora iniziare!!!! E A TE, CARO LETTORE, GRAZIE DI AVER LETTO FINO IN FONDOOOOOO UN BACIO A TUTTI!!!!

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Capitolo 4
*** Attacco al Campo ***


Resto rannicchiata sul pavimento finché le scosse sono si fermano e sono certa che non ce ne saranno più.

Di solito mi accorgo quando sta per venire un terremoto, ma stavolta, grazie a Leo, la mia testa era completamente altrove, e non ho notato il formicolio alle mani mentre le profondità gorgogliavano sommessamente.

Nota per il futuro: stare alla larga da quella fonte di distrazione.

Sguscio fuori da sotto il tavolo e mi avvio tranquillamente giù per le scale, dove per poco Chirone non mi investe al galoppo con Dioniso che caracolla al suo seguito fuori dalla Casa Grande.

Il grande spiazzo è gremito di persone, ragazzi dalle magliette arancioni che si guardano attorno spaesati e terrorizzati, i bambini più piccoli che piangono ancora pallidi per lo spavento, i capocabina che tentano disperatamente di mantenere l'ordine ed allontanare i curiosi dalla profonda spaccatura che si è formata in mezzo alla U delle capanne.

Fisso interdetta quello spettacolo, avvicinandomi alla crepa.

Chirone mi segue, ordinando a gran voce di rimanere alla larga dagli edifici, e insieme esaminiamo la fenditura che si snoda attraverso il bosco, affettando il suolo per quelle che percepisco essere parecchie leghe, molte più delle percorribili da un essere umano.

Mi affaccio. Ogni bordo dista dall'altro circa un metro, e scorgo appena i primi venti verso il basso, ma più giù il buio avvolge le radici degli alberi e le zolle di terra che restano aggrappate in equilibrio precario alle pareti.

La folla si è fatta improvvisamente silenziosa, e mi fissano tutti come se si aspettassero che esponga una diagnosi e una prognosi. Peccato che non sono un dottore.

Un sibilo acuto ed assordante si leva dall'oscurità, facendo guadagnare a tutti almeno tre metri di distanza in più.

Oh-oh. Le cose si mettono male, ma non sono certa del fondamento dei miei sospetti, quindi affondo le mani nella terra, e subito prendono estensione, fin giù, più giù, dove la temperatura aumenta e dove la lava ribollisce e... fango?! Da quando in qua a un isolato dal nucleo terrestre c'è del fango?! Questa è una novità persino per me, ma non fa che peggiorare le cose!

Un altro sibilo, stavolta più vicino.

– Che cos'è? – chiede Percy allarmato, facendosi largo fra la folla, la spada sguainata.

Al suo fianco compare immediatamente Annabeth Chase, brandendo il pugnale di bronzo, gli occhi grigio tempesta pieni di determinazione. Mi dispiace dover guastare la loro forza di volontà.

Mi giro verso il centauro.

– È Pitone. –

la figlia di Atena sbianca improvvisamente, e la mano si abbassa un po'.

– No... Non è possibile, Apollo lo ha ucciso! – esclama, avvicinandosi e buttando un'occhiata nella fenditura.

– Anche se può benissimo essersi riformato... Come fai a vederlo? – chiede, stringendo le palpebre e inginocchiandosi per vedere meglio.

Quindi lei non lo sa ancora, Piper e Leo hanno mantenuto il segreto.

Non vorrei doverlo fare, ma penso che prima o poi lo scoprirebbero, e in ogni caso mi stupisce che non l'abbia capito alla manifestazione dei miei poteri in mensa.

– Lo percepisco attraverso la terra. Passa per un cunicolo molto stretto, che gli abbraccia completamente il corpo, e so che è lui. Fra l'altro, è molto vicino al nucleo, o almeno lo era, e non dovrebbe esserci del terreno bagnato, cosa che invece c'era dove è nato la prima volta. –

Lei mi pianta gli occhi di temporale addosso, scrutandomi con tale intensità che penso voglia trapanarmi l'anima.

– Tu chi sei? –

Sorrido. – Non ci sei già arrivata da sola, figlia della saggezza? – dico, gentilmente.

Le sue palpebre si sbarrano.

– Io lo sapevo!!! – esclama trionfante.

– Annabeth, che vuoi dire? – Percy mi compare all'altro fianco, facendo saettare gli occhi da me a lei.

– Ebbene sì, gente. Io sono la figlia illegittima -oserei aggiungere- di Gea. –

– CHE COSA?! – il figlio di Poseidone balza all'indietro, puntandomi contro la spada, mentre la terra ruggisce ancora ed i sibili furiosi si fanno sempre più vicini. Con le mani sento il corpo viscido ed enorme di Pitone avvicinarsi.

Allontano con un dito la punta della spada.

– Non dovete essere per forza così ostili. Io non sono come mia madre.

– Sì, confermo. – capitola Leo, che è improvvisamente comparso alle mie spalle.

Chirone sbatte nervosamente gli zoccoli al suolo, la coda che frusta l'aria è un chiaro segnale della sua preoccupazione.

– Sta arrivando! – ci avverte, incoccando una freccia nell'arco. Credo proprio che non basti.

Devo pensare velocemente, e forse ho già un piano.

– Dobbiamo allontanarlo dalle capanne. – stabiliamo all'unisono io e Annabeth. Ci lanciamo reciprocamente un sorriso di intesa eloquente.

– Okay, e poi che si fa?

– Tentiamo di abbatterlo.

Ho appena il tempo di vedere Piper che ci raggiunge, decisa a dare una mano, che la terra esplode e sessanta metri di spire sibilanti si innalzano al cielo, ruggendo al sole come a sfidarlo ad annientarlo di nuovo.

 

Basta uno sguardo e sappiamo tutti cosa fare.

Chirone si lancia al galoppo verso i ragazzi ancora raggruppati in capannelli disordinati e li esorta a scappare verso i confini della foresta.

Noi cinque invece cominciamo a correre verso la baia, superando i confini se necessario, dov'è più facile per Percy usare i suoi poteri.

Mentre mi volto a vedere se ci ha notati, riesco a realizzare quanto sia più grande e vigoroso dell'ultima volta, le zanne velenose lunghe come quelle di un elefante, gli occhi gialli, dalle pupille verticali e la pelle squamosa verde muschio cupo, intervallata da grossi rombi neri. Due ali diafane si spalancano appena sopra la metà del corpo enorme, sbattendo violentemente per prendere il volo.

Non sta puntando noi, ma fissa qualcosa che si trova sotto alla linea degli alberi.

– Ehi, tu! – sento dietro di me, e una palla di fuoco grande come una mongolfiera parte a razzo sibilandomi di fianco all'orecchio e centrando Pitone in pieno ventre.

Leo esulta, ma si rimette a correre quasi subito, mentre il mostro comincia ad inseguirci.

Il fiato comincia a mancarmi dopo un po', ma il mare è ancora troppo lontano, non riusciremo mai a raggiungerlo prima che quello ci abbia divorati, così mi fermo, afferro la terra artigliandola saldamente e tiro verso di me, constatando amaramente quanto sia pesante.

Si muove di poco, e realizzo che ho bisogno di ben più forza.

Okay, senza fretta. Uno... due... tre! E do' un fortissimo strattone.

Il suolo si increspa all'improvviso, la spiaggia ci investe e per poco non scompariamo sotto una duna.

– Salite, svelti!!! – urlo, le braccia che piangono di dolore.

– E tu che fai? – Annabeth si ferma al mio fianco, mentre gli altri si arrampicano sulle rughe della terra, raggiungendo il confine della baia.

– Non ti preoccupare, MUOVITI! – e senza aspettare altro, lascio che si ristenda bruscamente come un elastico, a più di un chilometro e mezzo di distanza.

Ginnastico un po' le dita doloranti, all'improvviso un'ombra nera mi sovrasta.

– Sssssei miaa!! – tuona il serpente, caricando i muscoli poderosi del collo per scattare in avanti e mangiarmi.

– Non credo proprio, addio! –

E la terra mi risucchia. Mi sarebbe piaciuto vedere l'epica facciata che ha sicuramente dato al suolo nel punto in cui c'ero io, ma mi devo sbrigare, non c'è tempo da perdere.

Ricompaio esattamente dove i miei amici mi aspettano, Piper che si vuota le scarpe nell'attesa, Annabeth che cerca di capire quanto ci metterà Pitone a raggiungerci, Percy beatamente ammollo nell'acqua e Leo il più lontano possibile dall'acqua, le mani già incendiate.

Appena mi vedono emergere dalla terra con effetto teatrale, trattengono il respiro.

– Credevamo che fossi morta!! – esclama la figlia di Afrodite, scattando in piedi.

– Ci sono andata vicina. Ora ci serve un piano. Io lo posso attaccare, ma avrei bisogno di un diversivo.

Annabeth, rimasta in silenzio fino adesso, si inginocchia per terra, chiamandoci a raccolta, e con un bastoncino a mo' di stilo disegna la strategia sulla sabbia.

– Spero che tu sappia quello che fai. L'unico che sia mai riuscito ad ucciderlo è stato Apollo, e lui è un dio... –

– E io sono un titano, o titanide, come preferite. Il punto è che sento di poterci riuscire. Anche se sono figlia della vostra peggior nemica, vi chiedo di fidarvi di me. –

gli occhi penetranti di Annabeth scandagliano attentamente il mio viso, ma ad un ruggito relativamente vicino e l'ombra di Pitone che incombe su di noi annuisce e mi augura buona fortuna.

Il piano è perfetto, decisamente frutto di una figlia di Atena.

Il serpente fa svolgere le sue spire occupando mezza spiaggia, azzannando il suolo alla cieca nel tentativo di afferrarci.

– Pitone! Da questa parte! – Grida Piper, e subito la sua voce si fa potente, carica di magia. – Lascia stare quelli lì, sono completamente insapori! Mangia me! –

ammiro il suo coraggio e la sua espressione convinta, mentre io sono sul punto di farmela sotto dalla paura. Il mostro volta la testa verso di lei e, strabuzzando un po' gli occhi, si avvicina.

– Sssssi, una figlia di Afrodite sssssarà sssssicuramente più facile da prendere. – la sua voce è profonda, sssssibilia... oh, scusate, sibila come il vento temporalesco,

e ogni lettera sembra una condanna a morte.

Serpeggia nella sua direzione, il corpo lungo e sinuoso che curva a destra e a manca (per diminuire le 's') in modo da restare in equilibrio, e avvicinandosi a Piper dà le spalle a Percy, immerso in acqua fino alle ginocchia.

Io comincio a sprofondare, ogni mia cellula si fonde con la terra, sento le braccia intrappolarsi in un guscio duro e, devo ammetterlo, piuttosto comodo, mentre il mio corpo preme per espandersi e crescere. Ora fuori rimangono solo la fronte e gli occhi, giusto il minimo per vedere come sono messi.

Un'onda immensa, l'incubo dei surfisti californiani, sufficiente per annegare Pitone, si innalza al celo, i flutti di energia tsunamica che si scuotono per avventarsi sulla vittima. Continua a crescere, avvolgendosi a spirale creando un grosso cannone e, ad un segno di Annabeth, l'acqua viene sparata verso la testa del mostro. È in quel momento che Leo interviene, immergendo le mani incandescenti nel getto alla sua fonte, e immediatamente il fumo bianco ed irrespirabile esplode da quel punto, l'acqua ustionante lo colpisce agli occhi e questo ruggisce furente.

Piper scatta di lato, togliendosi dalla traiettoria degli schizzi, ma i guai cominciano a fare visita.

Leo è potente, ma l'energia dell'acqua è troppo forte, e lui troppo concentrato per rendersi conto che non può sopportare quella cannonata senza farsi del male. Inoltre, tutti sanno che acqua e fuoco vanno d'accordo solo fino ad un certo punto, e appena crolla per terra, Percy interrompe il flusso per soccorrerlo.

L'attacco non è durato abbastanza da metterlo fuori gioco il tempo sufficiente per lasciarmi concludere, e pitone attacca a dimenarsi in preda al dolore, avvolgendo Piper in un cappio di muscoli e pelle viscida.

Faccio in tempo a vedere la sua coda colpire Annabeth allo stomaco e sollevarla, per poi schiantarsi su una duna poco lontano.

Le mani di Leo sono rosse e gonfie, e non è abbastanza forte per innescare altre fiamme. Persino Percy è stremato e fa sforzi inimmaginabili per non svenire, e la figlia di Afrodite non riesce a raggiungerli in nessun modo per via delle spire che la stringono come un ostaggio.

Spero solo che tengano duro, spero che se la cavino per altri cinque minuti, spero che arrivi un miracolo.

E appena prima di scomparire completamente sotto la terra, vedo la benedizione vestita di nero emergere dalle ombre.

 

Percy non ha mai provato un mal di testa talmente forte in vita sua.

Ogni cellula del suo corpo trema per la fatica, e Leo non sembra essere messo meglio di lui.

– Andiamo, amico, possiamo farcela! – lo incita, ma il figlio di Efesto è davvero in preda al dolore, come se per la prima volta patisse le ustioni sulla sua pelle.

– Dov'è Harriett? –

Percy alza lo sguardo, ma non vede nessuno. Solo Pitone che si dimena per il dolore, ma presto tornerà forte come prima. Poi, improvvisamente, realizza.

– Dannazione!! Ci ha portati fin qui solo perché potesse ucciderci con comodo e se l'è svignata!! – sbraita, accecato dalla rabbia, ma quando vede il loro salvatore sente il cuore fare una capriola di felicità. È più alto dell'ultima volta, pallido, i capelli neri spettinati, le occhiaie pesanti ma gli occhi ardenti di combattività, la spada nera di ferro maledetto che circonda tutto di un'aura di morte.

Nico di Angelo.

Corre verso il bestione e vibra un fendente, subito il sangue schizza fuori con uno zampillo vischioso, macchiando la sabbia candida.

Di nuovo un altro, e il sangue raddoppia, Pitone ruggisce e sibila inferocito, le palpebre chiuse a peggiorare la cecità, sferra codate alla cieca spazzando via solo tonnellate di polvere.

Nico rotea la spada, e affonda l'intera lama nel ventre, che si squarcia con un'altra esondazione di liquido denso e violaceo.

Poi la coda lo colpisce, e rotola per terra mentre la spada resta inghiottita fino all'elsa nella carne del mostro.

Okay, è la fine. Leo sta per morire, Nico e Annabeth stanno per morire, Piper è bloccata e probabilmente verrà soffocata, e l'unica persona che aveva promesso di aiutarli se l'era svignata rivelandosi una grande bugiarda.

Il momento migliore per suicidarsi.

E Percy sta anche per pensare a come fare, quando la terra trema.

È una scossa vibrante e perpetua, diversa da quelle precedenti, si snoda sotto ai loro corpi e, poco lontano, comincia a crescere una montagna.

Percy si dà dello stupido, è stato un idiota a pensare che se ne fosse andata, ed esulta con gioia, accompagnato da un Leo quasi nuovamente in forze.

La montagna continua a crescere fino a superare di venti metri le dimensioni di Pitone, e si resero tutti conto che non stavano assistendo ad un orogenesi.

L'essere prende velocemente forme e fattezze umane, il corpo scuro solcato da pietre e radici, i capelli, sempre allacciati in una crocchia, sono una moltitudine di liane verdi e vive, gli arti di terra e pietra.

Quella è Harriett. La forma titanica di Harriett.

Il titano si avvicina con una falcata ad Annabeth e Nico, li prende con infinita delicatezza tra le mani e li depone vicino a Percy e Leo.

Il figlio di Poseidone stringe forte la sua ragazza e le stampa un bacio sulle labbra, guadagnandosi un'occhiataccia -che però è troppo occupato per notare- da parte di Nico.

Poi Harriett si volta, stringe i pugni, e benchè la somiglianza con sua madre sia terribile e sconcertante, c'è una strana determinazione nei suoi occhi che la diversifica, le pupille ricavate da ribollenti nuclei di lava fumante ardono di forza e rabbia.

Altri due passi e sovrasta Pitone, che mena altre cieche codate che le fanno solo il solletico, lo acchiappa per il collo e lo solleva. Le spire si sciolgono in una cascata di muscoli e nervi in agitazione, e Piper ormai svenuta comincia a cadere nel vuoto, lasciando gli amici col fiato morto in gola.

Harriett la afferra immediatamente, senza farle del male, i palmi delle mani improvvisamente ricoperti di muschio per attutire l'impatto e la deposita a terra con gli altri. Sempre tenendo il mostro stretto con una mano come se fosse una semplice corda inanimata ed inoffensiva, ride e le sue labbra si stendono in un'espressione beffarda.

– Credevate di esservi liberati di me, vero? – la sua voce, notevolmente ampliata, suona divertita, e Percy è contento che lei ci sia.

Si volge dall'altra parte, con due mosse precise annoda saldamente il corpo di Pitone un paio di volte su sé stesso e, formando enormi impronte sulla sabbia, prende la rincorsa e lo scaglia verso il cielo, dove oltrepassata una nuvola, sparisce dalla vista senza tornare più giù.

– Spero che gli dei apprezzino il tributo. – dice, la voce inaspettatamente stanca e strascicata, poi viene risucchiata dalla terra e, nell'esatto punto in cui scompare, riaffiora il corpo inerme di una comune ragazza di sedici anni.

 

AAAAAANGOLO AUTRICEEEEEE

Ehilà, comunità Jacksonianaaaa (?)

esatto, oggi sono di buonumore, questo capitolo è più lungo degli altri, ma mi auguro che sia all'altezza dei precedenti, stando alle recensioni ricevute!!!

ringrazio NikiDiAngelo, Sign01(di cui vi consiglio la FF 'figli di Gea'), Daughterofapollo e VaneFrancyForever per le recensioni lasciate,,e come sempre chiedo il vostro parere su queste nuove vicende!!!!

un bacio a tutti,

FrancyBorsari99

 

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Capitolo 5
*** Ultimatum ***


Ho dimostrato che possono fidarsi di me.

Ho dimostrato che le mie origini non potranno mai corrompermi.

Ho dimostrato che sono una di loro.

E, mio malgrado, ho dimostrato che anche il corpo di un Titano possiede dei limiti.

Mi sono risvegliata nell'infermeria, questa stanza lunga con file di letti addossati alle pareti, in mezzo ai quali ninfe e curatori veleggiano per portare ambrosia e nettare ai pazienti.

Nessuno oltre a me, Piper, Leo, Annabeth ed il ragazzo nuovo è stato danneggiato dall'attacco di Pitone, e la terra si è rimarginata, il cielo è più terso del solito, segno che gli dei hanno apprezzato l'offerta.

Mi volto alla mia sinistra, dove Leo tenta inutilmente di far scaturire fiamme dalle mani. Ogni tentativo si rivela scarso, e tutte le volte rischia di ribaltarsi giù dal letto per i mancamenti di energia.

– Andiamo! – sbuffa irritato, quando finalmente si arrende. – Non è valido! –

Mi limito a sorridere.

– Perchè mi fissi così? – chiede, quando si accorge che ho ancora gli occhi puntati su di lui.

Non li tolgo, continuo a guardarlo, dando un'indifferente alzata di spalle.

Sul suo viso passa un sorriso compiaciuto. – Ah, non ti preoccupare, alle donne faccio quell'effetto.

– Convinto tu.

– Certo che sono convinto.

– Credo che con me non attacchi.

– Convinta tu, Gea Junior.

Faccio roteare le pupille sottolineando il mio disappunto, ma non lo rimprovero per quello stupido soprannome.

Sprofondo nel cuscino, lasciando Pyro alle sue grane da piromane con mancanza di materia prima, e cerco di riposarmi. Ho ancora un mal di testa martellante, e un'altra buona dormita dovrebbe rigenerarmi.

– A proposito, – ho l'impulso di farlo affondare davvero nelle sabbie mobili, ma cerco di essere gentile e mi volto di nuovo verso di lui. – Sei stata grande, ieri.

Sorrido serafica e mi raggomitolo, mentre il sonno viene ad avvolgermi nel suo denso torpore, e con lui, tutti i suoi incubi.

Ora, un punto indiscutibile su cui Titani e semidei non possono che essere uguali, sono le notti passate a decriptare stupidi messaggi in codice sottoforma di sogno inviati da parenti o nemici di ricorrenza, nella speranza di poterli capire al completo prima che si ripercuotano sul mondo reale.

Quello di stanotte è particolarmente vivido.

 

C'è troppo buio, non posso essere in superficie.

E c'è anche troppo caldo, quindi di sicuro non è una grotta.

Apro gli occhi, lentamente, una luce aranciata ed accecante mi investe e sfrigola sulla mia faccia.

Ma bene, era ora. – dice una voce, dalla parlata lenta e profonda, una voce di donna bassa ma bellissima che mi ricorda un po' quella di Lana Del Rey.

Credevo non saresti più arrivata, figlia mia. – sento un tuffo al cuore e mi giro, ma la lava è ovunque e mi perseguita.

No, non ti lascerò scappare. Ricordati, io sono ovunque, io sono la terra. –

Tu... tu sei morta! –

una luce bianca avvolge tutto il nero sfumato di rosso che c'è qui, e per un attimo credo di essermi svegliata, ma tutto torna ad affievolirsi, e quel tepore rassicurante che avevo scambiato per la luce del sole si rivela l'illusione ottica di una fiaccola accesa di lingue di fuoco bianco, agganciata a una parete di pietra.

Vieni, figlia mia, vieni a trovare la tua mamma, vieni a liberarla. –

Sei morta! – urlo di nuovo, muovendo qualche passo alla cieca verso il fondo di un locale ampio e circolare, una rosa dei venti disegnata sul pavimento.

Nel camminarvi sopra, noto immediatamente che la S di Sud è spaccata a metà, e ne manca una buona parte. In un certo senso, questa cosa mi mette addosso un gran disagio, e il cuore riprende a martellare minacciando di sfondarmi la gabbia toracica.

Andando avanti, una nuova luce arancione, stavolta più soffusa, inonda un terrazzo semicircolare in rovina, il cui ingresso è segnato da due imponenti colonne di pietra bianca.

Il bordo dà direttamente su qualcosa che non posso vedere, è senza ringhiera o parapetto, e comodamente seduta con le gambe a penzoloni nel vuoto, Gea mi fa cenno di avvicinarmi.

Non mi stupisco per quanto Leo si sia arrabbiato nel vedermi. Il suo viso, a differenza del mio ancora un po' infantile, è adulto e spigoloso, ma per il resto siamo due gocce d'acqua.

La fisso con astio, seguendo la curva della sua spalla, fino alle mani appoggiate in grembo, una delle quali ghermita da una pesante catena che precipita nel vuoto, oltre il bord.

Getto una breve occhiata giù, dove la luce si spegne in un pozzo buio, largo come un'intera valle e profondo, sotto il quale percepisco dimenarsi creature inferocite e i peggiori incubi che un dio un mezzosangue possano avere la notte.

La catena scende a picco verso il basso, scomparendo anche lei nelle tenebre.

Ebbene? – mi chiede Gea, con un sorriso furbo.

Ebbene cosa?

Non hai alcun commento, figlia mia?

No. E non sono tua figlia. Tu non mi hai mai voluta.

Lei si volge verso l'altro lato del cratere senza fondo, lasciando vagare malinconicamente lo sguardo sui bordi frastagliati e taglienti.

Sai cos'è questo? – mi chiede, alludendo al nulla morto ed assoluto che ci circonda.

Scuoto leggermente la testa.

Mi spiace che tu non sappia riconoscere la dimora dei tuoi fratelli. – dice, impassibile.

è l'ingresso del Tartaro?

Esattamente. E in ogni caso, figlia mia, eri in errore. Io ti ho voluta. L'unico modo per nasconderti a Urano. –

okay, qui stiamo tutti dando i numeri.

Gea, – dico, son tono che non concede repliche. – Urano è morto. Esattamente. Come. Te. –

lei rotea gli occhi, come se si stesse scocciando di ripetermi le stesse cose per farmele capire. Il bello è che lei non mi ha detto ancora niente.

Il modo in cui sei nata ti ha concesso di non essere notata da lui. Ti rammento che il cielo ci osserva costantemente, non c'è un attimo in cui lui non stia seguendo il tuo operato in attesa di un passo falso.

E allora perché lo hai fatto? –

Tu se un mediatore. Grazie a te, verrò liberata, e potrò scatenare di nuovo la mia vendetta sull'Olimpo.

Stavolta sono io a roteare gli occhi, curandomi di farlo il più platealmente possibile.

Ma che hai nella testa, i sassi?! Sei morta! MORTA! –

lei ride sommessamente.

Puoi uccidere gli eserciti della terra, ma non la Terra stessa. I sette hanno tentato, e guarda con che risultati. E non puoi uccidere il Cielo. Esso sovrasta tutto e tutti, e non serve a nulla nemmeno provarci. Una volta liberata, dovrò svegliarlo. –

Resto ferma al mio posto, fissandola intensamente.

Perchè sei incatenata? –

Una parte di me è intrappolata nel Tartaro, sono prigioniera del mio stesso corpo. L'altra parte, invece, continua a vivere. È per questo che ti ho assegnato il compito di riportarmi indietro nel mondo.

Okay di nuovo, fermi tutti. Quando mai questa psicopatica mi ha interpellata prima di appiopparmi un lavoro?! Che poi io non farò mai nemmeno la spesa per una che mi ha messa al mondo solo per compiere due commissioni, non si è nemmeno chiesta se avessi di meglio da fare!

Perchè dovrei farlo?!

Ricordati che tu appartieni a me, e se non lo farai ti ucciderò, ate e la tua famiglia, i tuoi amici, e il campo cadrà. Gea e Urano sorgeranno di nuovo e saranno i padroni del mondo, la madre terra ed il padre cielo.

è lo stesso identico piano dell'ultima volta! E si è visto come è andato a finire!

Sei sempre più in errore, figlia mia. L'unione di terra e cielo distruggerà il mondo, e le divinità primordiali si reincarneranno per crearne uno migliore, di cui potrai essere partecipe se mi aiuterai. Hai una settimana.

Cosa?! Adesso mi dai anche un ultimatum? Tu sei pazza!

È caduta la linea.

 

Mi sveglio talmente di soprassalto che nel drizzarmi sul letto le coperte mi si avvolgono intorno, visto che di sicuro mi sono agitata un sacco, e dopo diversi dimenamenti cado per terra con un tonfo sordo.

– Percy! Annabeth! – grido, cercando disperatamente di liberarmi dalle lenzuola, agitandomi come un'indemoniata.

Sento un paio di mani che ne afferrano un lembo e tirano bruscamente, svolgendo i nodi e facendo rotolare il mio corpo per terra.

– Leo! Mi hai fatto male! – urlo sottovoce, massaggiandomi una spalla.

Percy e Annabeth compaiono immediatamente, seppure un po' barcollanti.

– Perchè gridi tando? – chiede il figlio di Poseidone, porgendomi una mano per alzarmi. Annabeth mi allunga l'altra e con una tirata mi issano in piedi.

Trovo stabilità quasi subito, ma immediatamente, le mie ginocchia cedono, ed un dolore allucinante mi pervade la gamba destra. Sento come se le ossa stessero passando in una pressa, ma laonia dura appena qualche secondo.

– Ragazzi, è una cosa tremenda. – dico, tra un gemito di dolore e l'altro, abbassando la voce per non svegliare nessun altro.

– Gea non è morta. – confesso, tremante.

Tutti e tre restano ammutoliti, e mi fissano strabuzzando gli occhi. Sarà la luce candida della luna che entra dalle finestre, ma sono impalliditi un sacco.

Immaginavo...

– Come lo sai?

– Mi ha parlato. È incatenata al Tartaro, ma continua a vivere in parte anche qui. E se ci pensate non è nemmeno tanto strano. –

Annabeth aggrotta la fronte, perplessa. – Dove intendi arrivare?

– Gea è la Terra. Tutta la terra. Se davvero vogliamo ucciderla, dovremmo distruggere il mondo intero. E lo stesso è valso per Urano, quando Crono lo affettò con la falce. Nemmeno lui è realmente morto, mai! Non puoi annientare il cielo. Mi ha dato una settimana di tempo per liberarla, o mi ucciderà. È ancora decisa a portare a termine la sua missione. – concludo, abbassando lo sguardo sconsolata.

Mi siedo sul letto e mi passo una mano sulla faccia.

– Mi ha messa al mondo solo perché un giorno l'avrei dovuta tirare fuori da dove si trova ora. –

Annabeth e Percy si siedono sull'altro letto, entrambi notevolmente abbattuti e spaventati. Leo mi mette una mano sulla spalla, ma non trova nessuna battuta divertente per sollevare il morale.

– E non è finita. – dico alla fine. – Visto che in parte si trova nel tartaro, vuol dire che un pezzo della terra è stato eliminato. – mi guardano interdetti, le bocche spalancate ed i loro cuori fermi, serie e serie di battiti saltati.

– L'ho percepito poco fa. Ragazzi, un quarto dell'emisfero sud del pianeta non esiste più.

 

 

AAAANGOLO AUTRICEEEE

Ragazzi, so che non centra nullissimamente nulla, ma ho visto Colpa delle Stelle.

È stupendo, bellissimo, uguale al libro e assolutamente strappalacrime.

Ve lo consiglio davvero, ma torniamo alla fic.

Grazie sempre per le recensioni e spero che questo capitolo sia all'altezza degli altri, anche se un po' corto, mi auguro che questa storia non vi stia annoiando e come smepre ci terrei a sapere che ne pensate!

Un bacio a tutti!!!!

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Capitolo 6
*** Ritorno di Odio ***


Una settimana per salvare il mondo. Una sola maledetta settimana a per rischiare di lasciarci le penne, una settimana per inventarsi qualcosa che impedirebbe a Gea di risorgere e al contempo di ucciderla.

Fortunatamente, Percy e il resto dei sette sembrano essere abituati a questo genere di ricorrenza.

 

– Ma dai! – esclama Leo dall'inizio delle scale, che io ho già superato. – Lasciati aiutare! – lo sento superarle con tre falcate e si affaccia nella mia stanza.

– Credimi, sarebbe più semplice se ci permettessi di darti una mano. –

Mi siedo sul letto e incrocio le braccia, fissandolo intensamente.

– E che cosa avreste intenzione di fare? Non possiamo certo liberare quella psicopatica! –

Leo ci pensa su, esitante.

– Non ha importanza, Annabeth e noi altri ci inventeremo qualcosa, facciamo tutto questo da un sacco di tempo.

– Tutto questo cosa?

– Salvarci la pelle a vicenda. – risponde subito, come se fosse la cosa più ovvia di 'sto mondo.

Stavolta sono io ad esitare. È davvero bello quello che ha detto, e il fatto che stia insistendo tanto mi fa pensare che forse anche io sono degna di essere salvata. Ma non si può, ecco tutto.

– Leo, – dico, con fermezza. – Ascoltami bene. Non c'è soluzione altra se non... il non fare nulla. Certo, mi ammazzerà, ma almeno non verrà ucciso nessun altro. Gea è subdola, e anche se la facessi risorgere, morirei in ogni caso.

Lui resta in silenzio, e distoglie lo sguardo. – Ci sarà pur qualcosa che possiamo fare...

– No, non c'è. Ci ho pensato, e l'unico modo esistente per farla tornare sarebbe sacrificare la mia vita per rimpiazzare l'ottavo di pianeta che è andato distrutto.

Alza gli occhi sul mio viso, preoccupato. Entra e si siede sul letto accanto a me, con aria pensierosa.

– Sarebbe più comodo se vi scambiaste di posto.

Resto zitta. Davvero, mi fa piacere che vogliano mettere a repentaglio le loro vite per aiutarmi, ma è la verità, non esiste nessun modo possibile in cui si potrebbe evitare la mia morte e il risorgimento di Gea.

– Apprezzo quello che stai facendo per me. Ma non dovete per forza accollarvi problemi non vostri per dare una mano.

Stavolta alza di scatto la testa, mi fissa. Per quanto è vicino posso vedere un barlume di rimprovero nei suoi occhi.

– Senti, – esordisce, e questa versione seria di Leo comincia a farsi valere – Jason, il mio migliore amico del campo Giove, ha perso la memoria, a causa sua. Hazel è morta e risorta. Annabeth e Percy sono caduti nel Tartaro. Frank vive grazie a un bastoncino di legno. Il padre di Piper è quasi morto. E io ho perso mia madre. Quindi scusa se mi permetto, ma non credo proprio che la terra giri tutta intorno a te.

Wow. Impressionante. Lo scruto intensamente, ma la sua espressione decisa non dà alcun segno di cedimento.

– Fai come ti pare. – e gli faccio cenno di andarsene.

Lui sorride soddisfatto, dondolando leggermente la testa mentre cammina con passo baldanzoso verso la porta, si volta per un breve saluto ed esce con finta ma esagerata teatralità, neanche avesse appena vinto la lotteria.

 

Mi viene da pensare a una cosa: sto decisamente diventando emotiva. Precisiamo, per me il termine 'emotiva' ricopre una gamma di sentimenti che da una persona normale sarebbe riconducibile a quella di un mollusco.

È cominciato tutto quando ho dovuto salutare Joseph e quella piccola matta di Robbie. Forse è stata la prospettiva di vivere senza una famiglia, tornare ad essere sola. Sono diventata sentimentale senza sapere che sarebbe accaduto.

Ma non azzarderei nessuna ipotesi, del resto non è stato poi così brutto. Insomma, non ho sofferto, giusto? Non sono mica morta! Non ancora, almeno.

Tornando a noi, Annabeth e Piper sono appena state dimesse, e mi aspettano all'arena dove ci siamo date appuntamento, ma non ci andrò immediatamente.

Prima devo fare una cosa.

Mi avvio a passo spedito verso l'infermeria e, senza attendere che mi venga dato alcun genere di permesso, entro.

Due ninfe mi guardano male, ma quando sei la persona che delle occhiatacce ne ha fatto uno sport, non c'è bisogno di sforzarsi per mettere al proprio posto chiunque, e una mia risposta velenosa mi fa guadagnare un piccolo strappo alla regola.

Scandaglio con gli occhi le file di letti finché non lo vedo: Nico di Angelo, il figlio di Ade.

– Uffa, vi ho già detto e ripetuto che sto bene! Lasciatemi vivere! – esclama furioso ad un paio di guaritori che sembrano essere pronti a tutto pur di non dimetterlo.

Alla fine, Nico si arrende, e con un sonorissimo sbuffo torna ad affondare nel cuscino.

Mi avvicino lentamente, e mi accorgo di avere un problema: come ci si approccia con i ragazzi?! So cosa pensate, Joseph non conta. In realtà l'unico legame che avevo con lui c'è stato quando sono diventata la sua allieva di piano, ma sento davvero la sua mancanza, e constato che nonostante non ci fossimo relazionati molto, il piccolo mondo che lo includeva è ancora un chiodo fisso nella mia testa. Non posso fare a meno di chiedermi cosa è cambiato per loro. Insomma, sono stata lì poco più di tre anni, e anche se erano tutto ciò che conoscevo, non credo di aver lasciato un solco troppo profondo perché possano anche solo soffrire per la mia assenza.

No, soffrire è decisamente un termine fuori luogo.

Nico mi guarda mentre mi avvicino, e quando nota che sono qui per lui, inarca un sopracciglio.

– Ehm... ciao. – dice effimero, poi torna a concentrarsi su un polline che gli svolazza placidamente intorno al naso.

– Ciao, – rispondo. – come ti senti?

– Io? Una meraviglia! Se queste mammine apprensive mi dimettessero, credo che potrei stare anche meglio! – replica, alzando notevolmente la voce per farsi sentire dalle ninfe, che però lasciano che la pungente nota di sarcasmo scivoli loro addosso come se nulla fosse.

Appena nota che il suo piano non ha avuto nessun esito, torna a concentrarsi sul fiocchetto di polline, e non dice nulla, così mi vedo costretta a prendere parola: – Ti volevo ringraziare per averli aiutati con Pitone... sai, mentre io ero... –

– Con la testa sottoterra per la fifa? Ma figurati. – sento un nervo pizzicare nervosamente, ma lo tengo a bada.

– Esattamente.

– Non sembri il tipo che dice grazie. – fa, con noncurante sfacciataggine.

– Davvero? Nemmeno tu – .

– Che ci fai qui? – chiede, con tono scocciato. Ora tutta la mano comincia a formicolare.

Oh. Oh. Calma, Harriett, calma.

– Te l'ho appena detto. Sei sordo per caso? –

Nico arriccia le labbra, aggrottando la fronte.

– Nah, già semplicemente detto, non sei il tipo che dice grazie. E se sei qui per non-dire-grazie, allora come mai? – ora è più spazientito, come se in realtà intendesse “levati dalle scatole, non vedi che mi sto autocommiserando?!”

– Solo per ringraziarti di avermi aiutata! Cos'è, vuoi anche un Nobel?

– Se me lo consegni tu, no. Perchè sei qui, dì la verità?

Alla fine non mi trattengo più, e anche se ho cercato di tenere a freno la lingua, una figlia dell'odio ha una pazienza relativamente limitata rispetto ad un comune semidio, quindi cercate di non detestarmi: – Per accertarmi che Pitone non ti avesse squartato, così avrei potuto farlo io!!! –

lui mi guarda con assoluta strafottenza e non posso fare a meno di pensare che lo odio con ogni cellula del mio corpo. Davvero, mi è bastato un botta e risposta di due battute per capire quanto detesto questa persona.

Ed è prorompente. È più forte dell'amore provato l'ultimo giorno a casa, questo è me, lo sento avvelenarmi il sangue e ostruirmi il trasporto di ossigeno al cervello, tanto da non vederci più per quanto stramaledettamente lo odio.

Lo sento crescere e ribollire dentro alla mia testa, come se del magma da un po' di tempo solidificato sul fondo della mia coscienza abbia ripreso a schiumare e a sciogliere qualsiasi altra percezione.

Chiudo un attimo gli occhi, cerco di rifugiarmi in quell'angolino del mio subconscio ancora padrone della razionalità, ma i ricordi di Gea occupano il buio illuminando l'interno delle palpebre.

E quello che vedo mi lascia scioccata. Questa stanza oscura, un Nico Di Angelo stremato sia psicologicamente che mentalmente, Jason Grace in un angolo che si scruta intorno alla ricerca di qualcosa che non può vedere. Poi il figlio di Ade dice qualcosa che mi lascia senza parole e tutto svanisce.

Hai una settimana... fai in modo di non deludermi figlia mia. Per qualche tremendo istante la voce di mia madre mi riempie la testa, lasciandosi dietro l'eco delle sue parole.

– Smettila di tormentarmi, e vattene. – il tono stizzito del ragazzo mi riporta bruscamente alla realtà, ma non gli do peso.

Perché Gea mi ha fatto rivedere quella scena? È scioccante ogni volta, ma non riesco a capire perché lo abbia fatto.

Per aumentare il mio odio nei suoi confronti? E come potrebbe una confessione amorosa farmi provare più astio verso di lui?

Il fatto che tu ripudi l'amore.

“Lasciami in pace,Gea!!!”

– Allora, te ne vai o no? –

All'improvviso ho già la risposta pronta. – Per poterti compiangere da solo? –

Nico drizza improvvisamente le orecchie.

– Come? –

– Ah, scusami, non sono affari miei. Ma questo non ti da il diritto di prendertela con me.

Il suo sguardo si fa improvvisamente penetrante. – Ma di che parli.

– Come, non lo sai? O hai già smesso di amarlo? –

Faccio in tempo a finire la frase che il ragazzo scatta in avanti e li tappa la bocca con una mano.

– Se ti azzardi a dirlo a qualcuno io...

Tu cosa?

Le sue palpebre, se possibile, si sbarrano ancora di più

Tu un bel niente, Nico di Angelo. Ricordati che io so qualcosa che gli altri non sanno. Farei attenzione a come comportarmi se fossi in te, specie con le persone che non meritano certi tipi di trattamento.

La sua mano si stacca dalla mia bocca, le pupille notevolmente rimpicciolite sembrano annegare nei due pozzi neri delle iridi.

– Tu non lo farai. – non mi aspettavo si chiedesse di come faccio a parlargli nella testa, ma speravo comunque di no perché onestamente non lo so nemmeno io. Sempre una cosa di mamma, penso.

– No, non lo farò. Dipende da te, in fin dei conti.

E me ne vado, senza aggiungere altro.

È ufficiale, quella sensazione di emotività di poco prima era solo una fase, una piccola e brevissima fase che mi ha tenuta per un po' avvinghiata nel suo cappio calcolatore.

Ma ora sono tornata come prima. Impassibile, senza passato, scaltra. E soprattutto, mi sento un concentrato vivente di odio.

 

 

– Ehi, sei in ritardo! – Esclama Annabeth raggiungendomi, una volta entrata in arena. Mi corre incontro trascinandosi al seguito un paio di lunghe spade di bronzo, che al cozzare sul pavimento di terra spoglia producono piccole nuvolette di polvere.

– Ricordati che possiamo allenarci solo oggi, poi dobbiamo escogitare qualcosa, okay? – annuisco brevemente, prendendo in mano l'arma che mi porge.

Cominciamo a fare lunghi ed estenuanti esercizi che, grazie alla mia capacità di apprendere notevolmente più velocemente del normale, imparo nel giro di dieci minuti, e nel frattempo ho modo di fare alla figlia di Atena qualche domanda.

– Da quanto tempo conosci Nico?

Lei esita un attimo, colpita dalla domanda improvvisa.

– Cinque, sei anni al massimo, perché?

Rispondo al colpo vibrato alla mia sinistra, allontanandolo con una parate veloce.

– Sono andata a trovarlo prima, in infermeria. È così antipatico di indole?

Annabeth schiva l'affondo e mi attacca di nuovo, mancandomi di parecchi centimetri. In base a ciò che so, credo che se la cavi meglio col coltello, ma non proferisco parola sull'argomento, decisa ad ottenere informazioni sul figlio di Ade.

– è un po' scontroso, ma non puoi biasimarlo, ha avuto un passato difficile. Okay, può bastare. – conclude, conficcando l'arma nel terreno secco. Sento una sorta di stilettata allo stomaco e mi piego in due su me stessa, tossendo convulsamente.

Annabeth capisce al volo la situazione e togli la spada dalla terra. L'aria torna a circolare tagliente nei miei polmoni.

– Harriett, mi dispiace tantissimo, non sapevo che ti avrei fatto male! – esclama mortificata, aiutandomi a raddrizzarmi.

– tranquilla, non è nulla.

Mi metto seduta, abbandonandomi pesantemente contro il muro che delimita l'arena e lei fa lo stesso, incrociando le gambe.

– Stai bene?

Annuisco.

– Sai, mi sembra strano che tu, essendo la personificazione della terra, abbia sentito una semplice spada quando il pianeta è costantemente sotto attacco.

Aspetto di avere un po' più aria prima di rispondere.

– La mia estensione varia molto, quando non uso i miei poteri sono connessa alla terra solo in una porzione minima. Ieri sera ho sentito del pezzo mancante dell'emisfero sud perché era un danno di dimensioni colossali. – aggiungo subito per rispondere alla sua prossima domanda.

Restiamo in silenzio per qualche secondo. A causa dell'orario, praticamente ora di pranzo, non c'è anima viva, anche Piper se n'è già andata, e l'arena è tristemente vuota senza nessuno oltre a noi due che si allena.

– Harriett, Leo mi ha parlato della vostra conversazione.

– Bocca larga.

– So bene come ti senti, so che credi non esistano possibilità, ma credo che qualcosa lo possiamo sempre fare.

Resto in silenzio, tanto non ho nulla da dire. Perché non si mettono l'anima in pace e smettono di credere in qualcosa che non esiste?

– Ah sì? Ad esempio?

– Forse l'Oracolo può aiutarci.

 

ANGOLO AUTRICE

Ebbene, alla fine ho dato una leggera scossa ad Harriett, sotto consiglio di Eden, che ringrazierò sempre per le apprezzatissime critiche costruttive.

Spero di sentire presto i vostri pareri, un bacio a tutti!!!

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Capitolo 7
*** Leggete e non uccidetemi... ***


Per prima cosa mi voglio assolutamente scusare di non essermi fatta viva dalla fine dell'estate, ma la scuola mi sta prendendo come non mai, e a questo proposito non potrò andare avanti con questa FF per un po'... Appena avrò un briciolo di tempo prometto che cercherò di inventarmi qualcosa, perchè onestamente sono in fase di blocco e non ho molte idee su come proseguire... Mi dispiace tantissimo, ma vi prometto che tornerò dehehe...
 
In secondo luogo, Grazie a tutti quelli che hanno recensito, messo fra le preferite e anche soltanto letto fino in fondo!
Un bacio,
Francy<3

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Capitolo 8
*** il piano... più o meno. ***


La prima cosa che penso è che l'Oracolo non ha decisamente l'aspetto di un Oracolo.

Non dico che dovrebbe esistere uno stereotipo, o qualcosa del genere, ma forse mi aspettavo qualcosa di più solenne, o ermetico, e invece la ragazza riccia e rossa in shorts macchiati di colori a tempera e maglietta sgualcita del campo non rientra proprio nella categoria.

– Sono Rachel! – si presenta allegramente, stringendomi la mano prima che io possa anche solo decidere se è il caso di allungarla o no.

Sento un brivido corrermi lungo la schiena, quest'espansività non mi piace, ma tento lo stesso di abbozzare un sorriso.

Annabeth cerca di essere diplomatica notando il mio disagio e fa in modo che Rachel indietreggi un po'.

– Ecco qual'è il problema: – comincia, con aria strategica – l'Oceania non esiste più, miliardi di persone sono morte e Gea è ancora viva, seppur con un piede nella fossa. Il suo piano è ricongiungersi ad Urano per tentare di nuovo di macellarci a dovere, e Harriett le serve per questo. Vedi, lei è la sua “figlia illegittima”– e qui fa il gesto delle virgolette – ed è l'unica che può tirarla fuori dal casino in cui si è cacciata.

Lo ammetto, mi piace la sua versione dei fatti, fa tanto “Imminente apocalisse: disperiamoci tutti!”, e devo ringraziare di essere abbastanza realista da non prendere alla lettera il suo cupo sottinteso e buttarmi giù da un aereo senza paracadute.

L'Oracolo Rachel si raddubbia improvvisamente, aggrottando la fronte con fare pensieroso.

– Ora capisco... – i suoi occhioni verdi scattano e mi fissano come se la lampadina che le si è accesa nel cervello li illuminasse dall'interno.

– Cosa vuoi dire? – Annabeth è visibilmente impaziente, e lo sono anche io, ma riesco a rispettare un certo autocontrollo. Dopo quello che è successo con Nico e quella sensazione di astio bruciante che ho provato nei suoi confronti, mi convinco che forse, mantenendo un profilo basso, posso evitare altri inconvenienti del genere.

– Voglio dire, che stanotte ho avuto una profezia, probabilmente nel sonno! – esclama Rachel elettrizzata, cominciando a scartabellare freneticamente con i fogli sparsi sulla scrivania della sua stanza nella Casa Grande.

La osservo mentre fa scorrere le dita fra la carta, spostando le pagine alla ricerca dell'ultima che ha scritto.

– Eccola! Devo ammettere che all'inizio non sapevo cosa significasse, ma adesso almeno una parte è chiara! – e le allunga quello che ha tutta l'aria di essere uno scontrino capitato fra le sue mani in quel momento d'ispirazione improvvisa, perché le parole riportate sono scritte con un pastello a cera.

 

Greci e Romani una nuova battaglia affronteranno,

che il cerchio si chiuda impedire dovranno.

Cielo e terra si stanno riunendo,

con la stirpe primordiale stanno risorgendo.

La figlia dell'odio ed il contrapposto celeste,

se non impediranno le apocalittiche tempeste

infine cadranno all'epica rappresaglia,

con i nemici armati dell'ultima battaglia.

Ai confini dove i passi sono ridotti

dall'impresa eroica verranno condotti,

dove la madre attende con veneranda agitazione

verranno salvati da sofferta abnegazione.

 

 

Tutto ciò ufficializza l'Armageddon, insomma. Si salvi chi può.

Passo un occhio critico sul resto del foglietto, cercando di non dare a vedere il disappunto per il fatto che non sia subito corsa ad avvertire Chirone ed il signor D della fine imminente e glielo ripasso.

– Ebbene, sappiamo cosa dobbiamo fare. – dico, cercando di sembrare meno tesa di quello che sono. Annabeth soffia leggermente, con espressione indecifrabile ed un sopracciglio alzato.

– Se i nemici armati sono i sette della vecchia profezia, è meglio se ci riuniamo tutti per discuterne. – dice.

– Il problema è che i romani ci metterebbero un sacco a venire qui, e stiamo già perdendo abbastanza tempo... – obbietta Rachel, riponendo lo scontrino nella tasca dei pantaloncini.

Annabeth sembra avere una soluzione anche per quello.

 

Dopo esserci riuniti tutti quanti nella sala di comando del Bunker Nove, dove Leo sembra essere a suo agio addirittura con i chiodi del tavolo, lui, Annabeth, Percy, Piper, la sottoscritta e, seppur con mio dispiacere, Nico, ci sediamo in cerchio attorno a quello che ha tutta l'aria di essere uno scudo di bronzo grande quanto un copertone.

All'inizio il figlio di Efesto si limita ad armeggiare con un paio di piccoli telecomandi di plastica, premendo i loro bottoncini colorati come caramelle, poi la superficie cambia colore e comincia a riflettere qualcosa che nella stanza non c'è: tre volti, presumibilmente quelli dei tre che mancano all'appello.

Ovviamente li riconosco subito: Jason Grace sta sorridendo in ciò che è di sicuro uno scudo uguale a quello che stiamo usando noi, mentre Frank Zhang e la figlia di Plutone, Hazel Levesque lo imitano agitando una mano.

– Come va, ragazzi? – chiede emozionato il figlio di Marte, sistemando meglio lo schermo davanti a sé.

– Noi bene, ma visto che abbiamo poco tempo, sarò veloce, ragazzi: c'è una nuova profezia, e siamo in guai seri. – prende parola Annabeth, con sguardo cupo, mentre anche gli altri presenti nel bunker trattengono il respiro.

– Di che cosa parla? Perché non ci avete detto niente, prima? – salta su Percy, fissandoci entrambe con rimprovero. – Volevamo aspettare che foste tutti presenti per evitare fraintendimenti e ripetizioni, inoltre non abbiamo abbastanza giorni da riunirci tutti in uno dei due campi e dobbiamo stabilire che cosa fare. – risponde prontamente la sua ragazza, gli occhi tempestosi improvvisamente addolciti.

– Quanto tempo abbiamo, e soprattutto, cosa dice la profezia? – Jason si sporge verso lo scudo per vederci meglio, e i suoi occhi azzurri di bloccano su di me come se fossi un'intrusa.

– Mi chiamo Harriett, e per quanto questo vi sconvolgerà, sono figlia di Gea. – dico, considerando la loro reazione nient'altro che un passo ben recitato del solito copione.

– E di grazia, che cosa ci fa una figlia del nemico al campo Mezzosangue? – Hazel non sembra voler essere sgarbata, ma è visibilmente sospettosa, ed il suo sguardo non è nemmeno troppo amichevole.

– è quello che mi chiedo anche io. – dice Nico di Angelo emergendo da un catatonico silenzio. Gli lancio un'occhiata alla “tu-sai-che-io-so”, sorridendo con furbizia e strizzandogli l'occhio. Lui mi fissa in cagnesco, ma non dice nulla. – sono qui, – dico. – Perchè Gea può essere fermata solo grazie a noi, egiusto per inciso abbiamo meno di una settimana per farlo. Ho bisogno di voi tanto quanto voi avete bisogno di me. In sogno mi ha detto che intende ricongiungersi ad Urano, per essere certa di distruggere tutto una volta per tutte, e ripristinare la terra, come per ricominciare d'accapo. Per risorgere completamente le serve che sia io a tirarla fuori dal Tartaro, ma dal momento che sto dalla vostra parte, non intendo farlo. Se non tentiamo di fermarla, troverà un modo per portare a termine la sua missione, può estendere la sua progenie e creare altri figli che eseguano gli ordini, ed è un'altra cosa che dobbiamo impedire: devo essere io ad andare là, e invece che aiutarla, tenteremo di metterla a tacere per sempre. –

tutti mi fissano in un silenzio teso, l'unico rumore è il ronzio metallico proveniente dallo scudo. Annabeth annuisce sommessamente, come se fosse d'accordo.

– Okay, potrebbe andare, ma una volta lì che cosa facciamo? Come la fermiamo? –

– Ancora non lo so, ma dobbiamo pensarci dopo. Intanto cerchiamo di capire il significato della profezia, almeno, e stabiliamo un punto a metà strada dove trovarci per essere sicuri di non perdere tempo. – suggerisco, abbracciandomi le ginocchia e dondolando leggermente sul posto.

– Appunto, – scatta Frank, incrociando le braccia, – cosa dice esattamente?

La recito senza esitazione, calcando l'accento delle rime con solennità e sforzandomi di comprendere tutte quelle parti che non mi sono chiare.

– Siamo tutti d'accordo che i nemici armati siamo noi. – inizia Leo, giocherellando distrattamente con un cacciavite estratto dalla cintura degli attrezzi. – voglio dire, era così anche nell'ultima profezia, no? –

– Esatto, – conviene Piper, – anche la stirpe primordiale non è difficile da interpretare, penso che si riferisca a te, Harriett. – mi sorride con gentilezza, uno dei pochi gesti carini che ho ricevuto da quando sono qui, e mi sento rincuorata.

– D'accordo, la figlia dell'odio? Sei tu, giusto? – chiede Jason, grattandosi il mento con sguardo confuso.

– Sì, – ammetto . – è così che sono nata, personificando l'odio di Gea. Ciò non significa che io odi ogni cosa che vedo, e onestamente amare non è il mio forte, ma sono dalla vostra parte. – puntualizzo, continuando a dondolare sul posto.

– Ma il contrapposto celeste? Che diavolo è? – replica Jason, appoggiando il mento ad una mano, avviando il via alla serie dei dubbi che questa profezia ci ha fornito.

Non rispondo. Non ne ho idea.

– Forse ho una teoria. – la voce di Annabeth spezza il silenzio che è calato da qualche minuto, interrompendo il lavorare di cervelli che lo ha creato. – Il contrapposto è qualcosa di contrario, no? E quello in questione è celeste, quindi è il contrario in base al fatto che sta in alto, e visto che Gea ha bisogno di un tramite dalla Terra che la salvi, forse anche Urano farà lo stesso. – dice. Tutti restiamo in silenzio, senza osservare altre possibili soluzioni.

Del resto, ha perfettamente senso, se esiste qualcuno come me devo per forza trovarlo. Intanto perché potrebbe essere un buon alleato, in secondo luogo perché se non è dalla mia parte, è sicuramente da quella di Urano, e va fermato.

– Devo dire che l'abnegazione non mi piace nemmeno un po'. Ma quel “dove i passi sono ridotti”... che vuol dire? – chiede Hazel, spostandosi indietro i ricci castani con aria molto confusa. Il riflesso dello schermo rende i suoi occhi più dorati ed espressivi di quanto già non siano.

– Questo lo so io, e non sarà affatto una buona notizia, per chi non è ancora stato avvertito... – mi fermo un attimo, soppesando le parole più indolori che conosco, quando mi dico che tanto alla fine sarebbe stata la stessa catastrofe. – La porzione globale che comprendeva l'intera Oceania è stata distrutta. In parole povere, siamo a corto di un continente e la terra sembra che sia stata addentata come un dolce. – e qui si scatena il panico. I tre romani scattano tutti in piedi, prendendo contro al tavolo su cui hanno appoggiato lo scudo, che si rovescia rovinosamente sul pavimento. Il clangore metallico è assordante anche per noi.

– Ehi! Ci ho messo una settimana per costruire questi cosi, fareste meglio ad avere un Leo dalle vostre parti che sappia rimediare ai danni! – esclamò indignato il figlio di Efesto, alzandosi a sua volta.

L'immagine è sfocata ed intermittente, e nonostante lo schermo viene subito raddrizzato, è difficile vedere per più di dieci secondi di fila senza che emettesse un suono stridente.

– Sentite, dobbiamo andare al confine del pezzo di terra che ci manca, in una maniera o nell'altra, e se vogliamo evitare di fare il giro lungo, vi passeremo a prendere noi! – mi affretto a dire precipitosamente, prima che lo schermo si oscuri.

Una piccola esplosione, e dal bordo comincia ad uscire del fumo nero.

– Per tutti gli dei, grandioso! – sbuffa Leo al limite della ragione, cominciando ad armeggiare freneticamente estraendo cacciaviti e bulloni a raffica, nel disperato tentativo di bloccare l'emorragia fumogena che comincia a contaminare l'aria della stanza.

Spero che la possibilità di azionare l'Argo II lo renda un po' più di buon'umore, perché se non ci sarà lui a mantenere alto il morale del gruppo, allora nemmeno la nave riuscirà a a salpare.

 

SONO IMPERDONABILE

ma sono anche tornata, quindi siate clementi, ve ne prego.

Allora, premetto che questo capitolo è un po' più breve, ma almeno ora sono riuscita a tirare fuori qualche idea, non necessariamente buona, ma meglio di nulla...

spero recensiate e che non mi stiate odiando, perché mi odio già abbastanza da sola.

un bacione!!!

 

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