Where We Belong

di Soleil Jones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il ragazzo che aveva il Sole nel cuore ***
Capitolo 3: *** I gemelli ***
Capitolo 4: *** La leggenda delle Noci Crononaute ***
Capitolo 5: *** Riportalo a casa ***
Capitolo 6: *** Non se n'è mai andato ***
Capitolo 7: *** La risposta è lì, dove tutto è cominciato ed è finito ***
Capitolo 8: *** Hogwarts, la Stanza delle Necessità e il Pensatoio ***
Capitolo 9: *** Due facce della stessa medaglia ***
Capitolo 10: *** Il passaggio di carta e inchiostro ***
Capitolo 11: *** È come prendere un Nottetempo al volo ***
Capitolo 12: *** Com'era? Eravate diversi? – È diverso da me. ***
Capitolo 13: *** Risvolti ***
Capitolo 14: *** Il ricongiungersi delle due metà della mela ***
Capitolo 15: *** A un passo dalla meta... ***
Capitolo 16: *** ...ma a un oceano dalla soluzione ***
Capitolo 17: *** Fra le righe di una lettera ***
Capitolo 18: *** ❝ Sta succedendo. ❞ ***
Capitolo 19: *** Rancori o fiducia, sempre di fratellanza si parla ***
Capitolo 20: *** TimeRiders ***
Capitolo 21: *** Passaporta ***
Capitolo 22: *** Upside Street ***
Capitolo 23: *** Discordia e aggressioni ***
Capitolo 24: *** Cicatrici & Oboli ***
Capitolo 25: *** Tutti contro tutti ***
Capitolo 26: *** Il miracolo ***
Capitolo 27: *** Alla volta della West Coast ***
Capitolo 28: *** The American Dream ***
Capitolo 29: *** Lo Smistamento ***
Capitolo 30: *** Di sogni, bacchette e piani d’azione ***
Capitolo 31: *** La maledizione dei Dioscuri ***
Capitolo 32: *** { { avviso&spoilers ; ***
Capitolo 33: *** Mille e una illusioni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Prologo

 
Narra una leggenda che un tempo v'erano due gemelli figli di Zeus: Polluce e Castore.
Polluce era un grande pugile, mentre Castore era dotato di innata agilità. Insieme compirono grandi imprese, tra cui la creazione della città di Dioscuria, collocata secondo la leggenda in Colchide.
Ma c'era un problema, in quanto Polluce era immortale mentre Castore era mortale.


 
-Non piangere Ginny, ti manderemo stormi di gufi-
-Ti manderemo una tazza del gabinetto da Hogwarts-
 
Se avesse dovuto morire, farlo tra le mura di quella scuola sarebbe andato più che bene. Hogwarts era stata testimone degli anni migliori della sua vita: scherzi, guai, ancora scherzi e ancora di nuovo scherzi e poi guai!
Anche se l'aveva abbandonata a cavallo di una scopa e al fianco del fratello, George era in fondo molto legato a quel luogo, così come Fred, d’altronde.
C'era soltanto una cosa che gli impediva di pensare all'opzione di morire da eroe in quel luogo a lui tanto caro.

 
-Perché la mamma scrive i nostri nomi sui maglioni? Lo sappiamo benissimo che ci chiamiamo Gred e Forge!-
 
La sua metà.
Il suo gemello, il suo compagno di avventure, il suo socio, il suo migliore amico, tutto ciò che poteva far considerare una persona importante.
Fred; Fred e la loro promessa silenziosa di, un giorno, potersi vedere con la barba bianca così com'era avvenuto anni prima, dopo aver tentato ad iscriversi al Torneo Tremaghi ricorrendo alla pozione invecchiante.
Non se l’erano mai promesso a parole, erano sempre stati troppo impegnati a godersi attimo per attimo la loro quotidianità, ridendo in faccia alle regole e facendo scherzi. Ma l’avevano fatto con un semplice sguardo.
Non avvenne la notte in cui George perse un orecchio, né in una qualche situazione di pericolo: no, era un patto sancito a cavallo delle loro scope durante le partite di Quidditch e non solo.
Però bastò un attimo soltanto; fu sufficiente che si allontanassero una sola volta in venti anni, solo pochi minuti, perché la perfezione di quella promessa sincera venisse scalfita.
 
-Stai bene, Freddie?-
-Sì.-
-Anche io.-
 
E il cuore smise di battere per un attimo, contraendosi in una morsa che fece cadere di mano la bacchetta a George.
"Tum tum", "Tum tum".
Era questo il suono di un cuore che batteva, allora perché improvvisamente gli pareva si non avvertire il battito sotto la mano, compressa sul petto?
"Tum tum".
Era a metà.
Come se lo Yin rimanesse senza lo Yang, come se il Sole rimanesse senza la Luna o peggio: come se le due perfette, identiche metà dello stesso astro, venissero separate. Che sensazione orribile non riuscire a sentire altro se non la paura, la paura di non udire più la sua risata.
Secondo alcuni scienziati, i gemelli che siano eterozigoti o omozigoti sono legati da qualcosa che va oltre il semplice affetto: c'è un amore fraterno unico, una complicità tale che uno finisce le frasi dell'altro e viceversa, c'è un legame tale da poter essere collegato all'empatia se non addirittura alla telepatia.
Secondo la scienza stessa un legame così è indistruttibile anche dalla morte.
Forse fu a causa di ciò che andava oltre magia e realtà se ogni cosa, in quel momento, non ebbe più importanza per George Weasley dell'accertarsi che l'altra metà del suo battito non fosse cessata.
 
 
 
Un giorno, un tragico giorno, durante un'imboscata, Castore venne ferito gravemente e morì.


 


Writer's side
Con questo prologo -Che mi ha distrutta psicologicamente scrivere- do il via
a questa long fiction, dedicata a tutti coloro che, come me, ogni santa volta in cui arrivano alla fatidica scena della morte di Fred si mettono a piangere come fontanelle.

Per chiunque non abbia mai accettato la morte di Fred Weasley, questa fanfiction è per voi -E per me, anche; è una fanfiction terapeutica. xD
Un paio di precisazioni da fare? 
Sì. Gli aggiornamenti sono previsti a distanza di una settimana l'uno dall'altro, in tal modo anche io posso portarmi avanti a scrivere. Ho aspettato di essere a quota cinque capitoli per dare il via alla fiction, quindi... 
E niente, chiunque mi conosce sa che la mia fantasia va veramente verso l'infinito e oltre, quindi non mi resta che augurare a tutti una buona lettura, sperando che vi piaccia!
Detto ciò, al prossimo sabato people!
Sol F. Jones

PS: Mi sento un genio solo per aver montato l'immagine di sopra, lasciatemici gongolare almeno un pochino!
Oh, chi sono quei due bambini dagli occhi verdi? (Sono la stessa persona, perché attori gemelli coi requisiti adatti non li ho trovati, ma shhh!) Lo scopriremo!

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Capitolo 2
*** Il ragazzo che aveva il Sole nel cuore ***


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Il ragazzo che aveva il Sole nel cuore

 
Il Sole splendeva alto quel giorno di metà maggio, era una giornata così bella, senza nuvole.
Pareva fosse così in suo onore, o almeno così la pensava il rosso: splendeva il Sole, e ciò ricordava a George il suo gemello.
Fred Weasley aveva il Sole negli occhi color nocciola, sempre così accesi e vispi da parere ancor più chiari di quanto non fossero; i capelli color rosso pagliericcio, quasi arancioni alla luce del giorno, non erano da meno.
Non aveva mai ripensamenti, non aveva mai rimorsi e mai l'aria triste; rideva, sghignazzava o sogghignava sempre, le sue labbra non erano mai state prive di quell'espressione furba e così dispettosa da donargli un'aria da eterno bambino.
Per questo, per onorare la memoria del ragazzo con il Sole negli occhi e nel cuore, quel giorno di maggio splendeva alto il Sole.
George non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto cereo del gemello, non riusciva a spiccicare parola né ad azzardare alcun movimento: avvertiva un groppo in gola che quasi gli mozzava il respiro, ma che differenza faceva? Ormai, era già diviso, distrutto, in due.
Prima che la bara venisse chiusa, avvertì il calore della carezza di sua madre riscuoterlo, o almeno provarci, e voltandosi appena, la vide incoraggiarlo con lo sguardo.
Lo stava incoraggiando a dire qualcosa, per augurare alla sua metà buon viaggio.
O forse buona notte?
Deglutì a vuoto, George, ma avanzò approssimandosi alla bara: il suo gesto di congedo per il fratello fu scompigliargli i capelli con fare impacciato date le circostanze eppure complice perché, nonostante tutto, era pur sempre George Weasley, diamine!
Un sorriso sfiorò le sue labbra, un sorriso che non sapeva d'amarezza, non del tutto, accompagnato da parole pronunciate a voce spezzata.
«Sorridi anche oggi, eh fratello?»
La mano del rosso si abbassò incerta sul viso del giovane; non erano mai stati ragazzi particolarmente affettuosi, tutt'altro, anche perché tra di loro non c'era mai stato bisogno di chissà quale effusione affettiva.
Quand'era stata l'ultima volta che si erano abbracciati?
Si erano mai detti "Ti voglio bene"?

 
-Come ti senti, Georgie?-
-Romano.-
-Come hai detto?-
-Romano. Come il foro... Come il foro Fred, capito?-
-C'è un mondo di battute legate alle orecchie e tu scegli "romano". Sei patetico.-
-Sono comunque più bello di te.-

Oh, sì, milioni e milioni di volte, in un modo che solo loro potevano usare.
Non che fossero mai stati facili da comprendere, quanto prendereste sul serio chi è capace di ridere anche in faccia alla morte?
Era fredda, la guancia di Fred.
«Ti voglio bene, Gred
Non riuscì a dire altro, quel giorno, George Weasley. Non pianse neanche, non in apparenza, almeno. Forse perché da quel maledetto due maggio aveva pianto così tanto e così a lungo da non avere più lacrime da versare, o forse perché se Fred fosse stato lì e l’avesse visto versare una lacrima se la sarebbe presa: un motivo c’era se George era l’unico lì, al funerale, a non essere vestito di nero.
 

*
 

Frederick Gideon Weasley
1st April, 1978 - 2nd May, 1998

"Giuro solennemente di non avere buone intenzioni."
 
Non era rimasto più nessuno ormai al cimitero, nonostante - come sempre - Molly, Ginny, Ron, persino Percy, avessero tentato di convincere George a tornare a casa non v'era stato verso.
Possibile che perdere qualcuno facesse male a tal punto?
Possibile che la perdita di Fred valesse la perdita del sorriso di George?
Erano domande ricorrenti queste, che trovavano risposta nel vedere George fare finta di stare bene, senza però riavere indietro quello il ragazzo amante del gioco e della marachella.
Perdere un fratello significa perdere una persona amata, perdere un gemello cosa significa invece? Significa sentirsi portare via - Sentirsi strappare - parte di sé, significa non riuscire più a volgere lo sguardo a uno specchio senza rivedere l'altro - Senza sperare che il riflesso inizi a parlare, a muoversi da sé, a vivere.
Significa morire a metà.
Significa stare seduti di fronte a una pietra fredda con incisi nome, cognome, data di nascita e di morte della propria metà. George percorse con le dita i caratteri della frase incisa sulla lapide e avrebbe giurato di risentire la voce del fratello pronunciarla con quel suo tono burlescamente solenne.
Fu quasi tentato di piangere, di urlare anche, perché no? Ma se fosse bastato solo quello a riportare Fred indietro, allora non sarebbe lì, dato quante volte George aveva ceduto alle lacrime.
Nel chiudere il loro negozio, con le loro invenzioni in mano, cercando di addormentarsi...
Perché tutto ciò che lo circondava gli faceva tornare alla mente Fred, lo illudeva che voltando lo sguardo avrebbe incontrato un volto eternamente identico al suo.
Perché tutto ciò che era la vita di George era stato anche la vita di Fred, perché avevano costruito tutto quello che ora rappresentava la quotidianità insieme, loro due.
«Come stai, Freddie?»
Senza preavviso quelle parole erano uscite spontanee dalle labbra del mago dai capelli rossi, a bassa voce; soffocò una risata.
«Cosa te lo chiedo a fare? Stai benone, scommetto. Tutto il giorno a fare niente, dovrai sentirti così annoiato senza la presenza del tuo gemellino preferito.» Bofonchiò ridendo appena; ma perché diavolo rideva se dentro sentiva che stava cadendo tutto a pezzi?! 
«Di solito è il bello a morire alla fine della storia, sai? Ma allora cosa ci fai tu qua sotto? Dovrei esserci io.»
Allora, George pianse.
 
 

 


Writer's side
Ehilà! Sì, lo so che l'aggiornamento era previsto per sabato, ma ho preferito accelerare, solo per stavolta, i tempi; tanto più che questi primi capitoli sono stati corti corti rispetto ai miei standard, ma ho una buona spiegazione al riguardo, ovvero… Erano solo introduttivi!
Non vedo l’ora di continuare, sono impaziente io stessa di scrivere!
…Anche se so di fare pena, ma questo sta a voi giudicarlo!
Oh! Il nome intero di Fred, a quanto ho trovato sul web, dovrebbe essere quello sopracitato, ma non ne sono sicura e, come frase, ero indecisa! Alla fine ho scelto quella perché… Non so, ci sta troppo bene con lo spirito dei gemelli Weasley!
Devo chiedervi scusa, però, prima di dileguarmi. Perché? Per i pianti che probabilmente (Ma anche no, per come scrivo io poi...!) vi starete facendo.
SCUSATE!
Bene bene, a questo punto vi saluto, ci si vede sabato bella gente! 

 
Sol F. Jones

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Capitolo 3
*** I gemelli ***


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I gemelli
 

«George? Ehi, dormiglione, svegliati!»
Addormentarsi era un'impresa per George; non riusciva a capire perché si ostinasse a rimanere in quella stanza nonostante tutto lì dentro appartenesse al suo passato. Dio, quel luogo aveva visto lui e Fred crescere nel vero e proprio senso della parola; era un po' come il loro negozio - che ancora non aveva riaperto. Perché l'avrebbe riaperto, per Fred, giusto? - solo che quella stanza aveva visto lui e il gemello inventare quelli che poi erano divenuti i prodotti Weasley & Weasley, li aveva visti crescere, diventare maghi capaci e al contempo ben poco seri, molte volte.
Ovunque si voltasse, c'era un ricordo da guardare e da ascoltare, come se lo si vedesse tramite un proiettore – di quelli che i Babbani usavano in passato per far cinema, o comunque si dicesse.
E faceva male, dannatamente male.
Ma nonostante ciò non avrebbe mai lasciato quella camera, non avrebbe mai tolto quel letto affiancato al suo, troppo in ordine perché al risveglio George potesse illudersi che il suo gemello si fosse alzato prima e fosse quindi già di sotto a fare colazione.
«George! Sveglia!»
In compenso era abbastanza facile svegliarsi dicendo "Addio" ai sogni; i sogni di George erano sempre diversi, ciò che non cambiava mai erano i due protagonisti.
«George Fabian Weasley! Alzati, su!»
Ah, i toni soavi di sua madre però non sarebbero mai cambiati, anche se oramai chiamavano solo il suo, di nome.
Per lei e per il resto della sua famiglia George tentava di mostrarsi ancora capace di scherzare, nonostante dire quell'innocua bugia gli facesse un male indescrivibile. Che stupido, era palese che né i suoi fratelli né i suoi genitori erano tanto stupidi da cascare in pieno in quello scherzo. Scherzo di pessimo gusto aggiungerei.
«Arrivo mamma, arrivo.»
Bofonchiò con la voce impastata dal sonno, stropicciandosi un occhio e alzandosi; passandosi una mano tra gli scombinati e indomiti capelli rossi, come sempre dovette stare ben attento a non inciampare in qualcuno dei molteplici oggetti che costituivano il disordine regnante sovrano in quella camera.
A giudicare dalla luce che entrava dalla finestra filtrando dalle tende, George dedusse che fosse abbastanza tardi, forse mancava poco all'ora di pranzo.
Si fermò un attimo davanti allo specchio appeso alla parete; non che vi fosse nulla da vedere, l'aveva coperto la sera stessa in cui era tornato a casa.

- Char-Charlie! Charlie guarda, lo sapevo che non era morto, lo sapevo che non poteva essere morto! -
- George, è soltanto la tua immagine riflessa. Fred è... Lui... -
- Fred, ehi Fred, idiota il tuo scherzo non era per niente divertente lo sai? -
- George... Per favore... Non piangere. -
 
Charles Weasley? Ah, benedetto ragazzo!
Tra tutti i suoi fratelli era colui che possedeva quel qualcosa in più che permetteva a George di volerci passare del tempo: la discrezione. Non per dire, Ronald era indubbiamente il suo fratellino preferito, nonostante tutti i dispetti e gli scherzi che gli aveva sempre fatto. Ma lui, Ginny, Percy e Bill provavano – ognuno a modo proprio – a spronare il fratello a riscuotersi, a reagire al dolore. Per cosa, poi? Per pena, o almeno così appariva ai suoi occhi.
Charlie invece no.
Lui era una persona che ascoltava ma senza fare domande, che forse aveva persino compreso che perdere un fratello è ben diverso dal perdere un gemello, specie uno con cui si ha un rapporto saldo e profondo come in quel caso. Era anche molto simile a lui e Fred; era facile scherzare con lui, ridere. 
Sì, somigliava a Fred, anche se non era lui.
Nessuno sarebbe mai stato lui.
Per questo George sedeva al suo fianco, usciva con lui alle volte: senza parlare molto, scherzavano però. Evidentemente prendersi cura dei draghi e altre creature magiche non era l'unico talento del buon vecchio Charles.
George si chiedeva quando sarebbe tornato in Romania: non perché non gli piacesse averlo a casa, tutti i Weasley erano ben felici che Charlie fosse lì, però conoscevano la sua natura e il suo amore per il suo lavoro.
Scendendo le scale eccolo lì, a chiacchierare come niente con Percy.
Percy… Lui era particolarmente cambiato, da quel giorno in cui aveva visto morire dinnanzi a lui suo fratello, il suo pestifero fratellino.
Ha riso. Anche in faccia alla morte, Freddie ha riso.” Aveva detto con un fil di voce.
Non riusciva a guardare George senza sentire una morsa allo stomaco; era il senso di colpa dovuto al non aver potuto fare niente per proteggere il sangue del suo sangue.
Ma pareva riuscire a conviverci, come gli altri cercava di attaccare bottone con George, anche se con difficoltà date le circostanze. Per il resto, nulla pareva effettivamente cambiato: in casa Weasley c'era sempre aria di famiglia, di unione, di allegria. E un tempo, tutti lo sapevano, la presenza di due gemelli chiassosi e pestiferi contribuiva a creare questa atmosfera. 
Ovunque fossero, sull'orologio di Molly, la lancetta di quei due era sempre lì; sì, c’era una sola lancetta per due, perché Molly Weasley sapeva che sarebbero sempre stati nello stesso posto. Si muovevano praticamente in simbiosi, i suoi figli; mai, però, avrebbe immaginato che un brutto giorno non sarebbe più stato così.
George guardò quell'orologio: ormai non c’era più quella lancetta, ce l'aveva lui; Molly aveva pensato di dargliela, col risultato che adesso chiunque poteva notare un lieve rigonfiamento sotto la maglietta del ventenne.
Al loro ritorno l'avevano vista a sul settore del quadrante “Lost”; persi. Probabilmente sarebbe anche caduta a breve.
Così ora il rosso la portava al collo. Già; appesa a una catenella lunga tanto da portargli quella lancetta fino al petto, all'altezza del cuore.
Insomma, alla fin fine quella lancetta – in cui v’erano loro due – non era scomparsa, no? Così come Fred; lui c'era ancora, viveva ancora nel viso di George, nei suoi occhi, nelle sue movenze, nella sua voce. Neanche la mancanza dell'orecchio – resa poco visibile dalle ciocche dei capelli del mago – riusciva a non renderlo così uguale identico a Fred.
Be', ora come ora Molly non aveva più il problema di non riuscire a distinguere i gemelli, suo malgrado, ma se così non fosse stato neanche il fatto che a uno di loro mancava un orecchio l'avrebbe aiutata!
«'Giorno mamma.» Salutò entrando in cucina il rosso, dando un veloce bacio sulla guancia alla madre: in circostanze normali si sarebbe Smaterializzato lì per il gusto di farle prendere un piccolo spavento, ma non aveva più quell'abitudine.
«Ti sei alzato finalmente, tesoro! In tempo per apparecchiare, è ora di pranzo lo sai?» Lo riprese con fare amorevole Molly Weasley, non dando neanche il tempo al figlio di contestare e ficcandogli in bocca un manicaretto. George annuì mandando giù lo stuzzichino che la madre gli aveva concesso come antipasto e prese ad apparecchiare in silenzio: lui apparecchiare? 
Wow! Da quando in qua?
Okay che quando Molly ordinava di fare qualcosa ai figli questi sapevano che contestare non era consigliabile, ma rimaneva strano pensare a George Weasley che apparecchia la tavola senza fiatare.
«George caro, ti senti meglio oggi?» Domandò a un certo punto la signora Weasley, mentre trafficava in cucina, giusto per cercare di parlare un po' con quello che – come gli altri – per lei sarebbe sempre rimasto il suo bambino.
«Non ti preoccupare mamma, sto bene.»
Era una domanda alquanto scontata forse, ma George tra sé e sé pensava: "Si preoccupa, si preoccupa anche se lei non sta certo meglio di me". 
Ciò gli faceva rivolgere un sorriso dei suoi a sua madre; in fondo, le mancavano gli scherzi e i guai che combinavano i suoi figli più pestiferi. Le mancava sentire le imprecazioni di Percy o della vittima di turno e le conseguenti risate dei gemelli. Non si aspettava che George potesse continuare a fare di quei guai anche da solo, conosceva troppo bene il figlio per sapere che era una speranza vana.
Ma, per la barba di Merlino, avrebbe voluto sorridesse sempre in quel modo sincero e così da lui.
Perché era lo stesso, medesimo sorriso dell'altro suo bambino.
Certo, una delle differenze che difficilmente si riscontrava nei gemelli era il fatto che il sorriso di George era più malandrino, furbo, rispetto a quello di Fred, che celava malizia e dolcezza; stessa cosa per lo sguardo. Erano sottigliezze difficili se non impossibili da cogliere, però, tanto erano lievi.
Guardava George disporre le stoviglie sulla lunga tavola con fare assorto, cercando di immaginare di vedere lì anche Fred; una piccola fuga dalla realtà, facilitata dal fatto che George indossava l'ultimo maglione che Molly stessa aveva cucito lo scorso Natale.
Ne aveva fatti uno con la "F" e uno con la "G".
In quel momento, George indossava il maglione con l'iniziale del gemello.
 
- Perchè la mamma scrive i nostri nomi sui maglioni? Lo sappiamo benissimo che ci chiamiamo Gred e Forge! -
 
Era così buffo e al contempo malinconico pensare che in quel modo oltre che fare un regalo ai suoi figli poteva distinguerli in caso lo indossassero; peccato che fossero soliti scambiarseli come niente, proprio per confondere ancora di più gli altri.
«Fred-?»
Si portò subito una mano alla bocca, Molly, rendendosi conto di come aveva appena chiamato il figlio, il quale sussultò.
 
- Avanti Fred, tocca a te. -
- Lui non è Freddie, io sono Freddie! -
- Parola mia! Insomma e dici di essere nostra madre? -
- Oh, scusami, George! -
 
Sussultò sentendo di nuovo quella morsa al petto ormai diventata molto, troppo familiare; eppure sorrise di nuovo a sua madre, perché era tantissimo tempo – almeno per lui – che non lo chiamava per sbaglio con il nome di suo fratello.
 
- Te l'ho fatta! Io sono Fred! -
 
«Cosa... Cosa dici mamma? Io sono George.»
«Caro, le stoviglie.» Mormorò in risposta Molly, accennando al bicchiere che il figlio teneva in mano: guardando la tavola e contando un attimo il numero di bicchieri da lui disposti, George si accorse di aver appena aggiunto un posto di troppo.
Trattenne il fiato per un momento che parve infinito, prima di posare nella credenza quel bicchiere di troppo e lasciare la cucina senza dire nulla.
Prese dal ripostiglio la sua vecchia scopa, compagna delle partite di Quidditch giocate a Hogwarts nella squadra dei Grifondoro, insieme a Fred. C'era ancora, la scopa del suo gemello; stava affiancata alla sua e come loro erano perfettamente uguali in ogni cosa, la sola differenza era costituita dal fatto che vi erano stati incisi i loro nomi.
Bill aveva pensato di incidere i nomi dei gemelli sulle rispettive scope per evitare che le confondessero e, di conseguenza, bisticciassero per stabilire di chi era una scopa piuttosto che l'altra.
«Su!»
Montò sul manico di scopa e dunque, semplicemente, volò via.
Non sapeva dove si stava dirigendo, aveva semplicemente scelto una direzione a casaccio: volare sulla scopa era sempre piaciuto molto sia a lui che a Fred. Era liberatorio, era come se la tensione – che persino un ragazzo che una ne fa e cento ne pensa può avere – e tutto il resto sparissero all'istante lasciando il posto alla gioia donata dalla sensazione di leggerezza e libertà donata dal vento che gli scompigliava i capelli e gli sbatteva in faccia.
Era come se, volando veloce, sempre più veloce, avesse potuto battere il vento stesso in quanto a velocità; come se potesse infrangere ogni confine e limite umano e non.
Che bello poter volare in mezzo a tutto quell'azzurro, dove l'unico suono era il proprio respiro.
Arrestò un attimo la sua corsa, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca e cercando di liberare la mente e di asciugare le lacrime sfuggite al suo controllo con il dorso della mano.
«Wow! Siamo propr– Voglio dire, sono proprio in alto.»
Osservò guardando il paesaggio a lui sottostante; forse non era stato saggio agire così d'impulso, non solo perché quando volava a cavallo di una scopa perdeva la cognizione del tempo ma anche perché sua madre si era sicuramente preoccupata e, ovviamente, aveva allarmato tutta la famiglia.
«Una bella strigliata di famiglia, come i vecchi tempi! Mh, dovrei farlo più spesso.» Si disse ridacchiando e scuotendo il capo.
Be', d'altra parte però rimaneva sempre e comunque lui: se proprio doveva ricevere una lavata di capo meglio approfittarne!
Scese di quota fino a notare la radura a lui sottostante, dove pareva non esserci anima viva; a occhio e croce doveva essere distante chilometri e chilometri da casa. Niente di che stupirsi, si sarebbe Smaterializzato in casa Weasley più tardi; si sedette sull'erba adagiando la sua scopa vicino a sé.
Sia lui che Fred avevano sempre tenuto particolarmente alle loro scope, trattandole come se anche loro avessero un'anima – avrebbe potuto giurare di aver visto Fred esercitarsi a flirtare con la sua Scopalinda, una volta! – e questo era il motivo per il quale si curava di riesumare anche quella del gemello di tanto in tanto.
La zona circostante era tranquilla, non v'era la minima traccia di civiltà, il vantaggio di vivere in aperta campagna era proprio quello; si potevano fare incantesimi, allenarsi a Quidditch, volare senza correre troppo il rischio di poter essere visti.
Respirò a pieni polmoni l'aria frizzantina e calda di maggio, all'ombra di un grande albero, e gli venne spontaneo infilare la mano sotto la maglietta e tirare fuori la lancetta che portava appesa al collo; vecchia, un po' rovinata dallo scorrere del tempo forse, ma l'immagine di suo fratello era sempre la stessa.
Si perdeva spesso a guardare quel volto così spiccicato al suo e stranamente soltanto ora si accorgeva che qualsiasi cosa fosse riferita a lui era sempre stata riferita anche a Fred e viceversa; la gente aveva sempre usato il plurale parlando di uno perché era certa di parlare automaticamente anche dell'altro.
«E ora non c'è più nessun "Noi". Ti schianterei se potessi, Gred.» Bofonchiò George sospirando e ritirandosi tra le mani la lancetta, accarezzando distrattamente l'immagine del fratello. Sentiva pizzicare gli occhi, ma se avesse pianto ancora sarebbe stato il fantasma di Fred a lanciargli uno Schiantesimo, poco ma sicuro!
«Ho sentito bene? Nessun "Noi"? Eppure avrei giurato il contrario!»
«Come come? Non diciamo scemenze, mi pare ovvio che sta dicendo fesserie!»
George sobbalzò, colto di sorpresa da quelle due voci squillanti. Rimise velocemente la lancetta al suo posto, sotto la maglietta, e alzò lo sguardo color nocciola incontrando le figure di due bambini.
Due bambini con le mani e le guance un po’ sporche di terra, con dei vestiti un po’ larghi per loro ma soprattutto perfettamente identici.
Due gemelli, ovviamente, che dovevano avere al massimo dieci anni a giudicare dalla statura e dal tono acuto delle loro voci; avevano un aspetto gradevolmente diverso dall’ordinario. I capelli color cioccolato erano quasi riccioluti e adornavano due visi dal colorito mediterraneo e dai lineamenti delicati e tondeggianti, illuminati da occhi verdi come George non ne aveva mai visti e spruzzati di lentiggini.
Non sembravano essere inglesi, somigliavano di più a quelle figure dell’Arte italiana o greca: i cherubini, certo! Peccato che di angelico non avessero neanche il sorriso, troppo vispo e attento.
Uno di loro si avvicinò a George ignorando la sua aria perplessa e lasciando andare il ramoscello con cui stava probabilmente giocando. «George, mi aspettavo di trovarti in condizioni migliori lo sai?»
«Eric!»
«Che c’è, John?»
«Sei proprio uno scemo. È normale che stia così e tu sai anche il perché.» L’altro bambino, John, raggiunse il fratello. «Scusa, non l’ha fatto apposta.»
«Ho solo detto la verità!»
George soffocò una risata divertita, attirando l’attenzione di quei due sconosciuti su di lui. «Ti direi di non preoccuparti, pulce, ma… Voi chi siete? Non credo di conoscervi.»
«Ovvio che non ci conosci.» Affermò uno.
«Però noi conosciamo te. E conosciamo anche Fred!» Continuò l’altro.
Al che, George parve incupirsi lievemente. «Mh, siete per caso dei patiti dei prodotti Weasley & Weasley?» Tirò ad indovinare: perché, beh, quei due avevano tutta l’aria di due bambini che tutto possono avere tranne che buone intenzioni. I due gemelli annuirono all’unisono «Anche!»
«Ma non è questo il motivo per cui siamo qui, giusto Eric?»
«Giusto John! Detto senza mezzi termini, vuoi indietro tuo fratello, vero?»
«Oh, se è vero!»
George boccheggiò, non poteva credere al suo orecchio – Giustamente, ricordiamoci che ne ha uno – era davvero possibile riportare indietro Fred?
Se sì, come?
E chi erano quei due gemellini spuntati fuori dal nulla, così simili a lui e al suo gemello?
Una persona normale si sarebbe posta queste domande, certo «Certo che lo voglio!» Ma non George Fabian Weasley, evidentemente!




 


Writer's side
Buona... Notte? 
Hm, sì, buona nottata a tutti gente (Perché sì, è mezzanotte e un quarto ma scommetto quel che volete che finirò di formattare tutto non prima dell'una! O giù di lì, mezz'ora buona se ne va solo per i codici html).
Bene, innanzitutto premetto che ho versato fiumi di sangue e mari di lacrime alla stesura di questo capitolo. Non perché sia stato lungo da scrivere (Il lavoro lungo è stato rileggerlo, quello sì!) quanto per via dei contenuti. Ho sproloquiato, Santo Cielo! 
Quindi scusate, il genere introspettivo è il mio forte e mi sa che qui s'è visto pure troppo. xD
Comunque, ecco introdotti i due misteriosi (?) personaggi che vedete nella copertina (Se così posso chiamarla) della fiction. Non dirò nulla, altrimenti finirò con lo svelarvi tutti i perché e i per come che al momento non v'è dato conoscere (...Mi sento come se qualcuno mi stesse mandando Maledizioni Senza Perdono con la forza del pensiero.) ma... Uhm, posso dirvi il perché dei nomi scelti!
...Oppure no. xD
Dunque, Eric e John; è semplicissimo, quasi scontato! Così tanto che vi lascio con l'indovinello! xD
Premio: una One-Shot Request - Più scrivo e meglio sto, alé!
Ah! Aggiornerò, ZAZAZAAANNN, venerdì 2 maggio! Invece che sabato ho optato per il venerdì perché... Perché niente, chi vuole intendere intenta, sappiamo tutti che giorno tremendo sia per noi poteri Fan Writer (Esiste questa parola?). ç_ç 

Bene, con ciò, io vi lascio. 
Mischief Managed!
Sol F. Jones
 

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Capitolo 4
*** La leggenda delle Noci Crononaute ***


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La leggenda delle Noci Crononaute
 

Tutto ciò che era contrassegnato dal suo nome, dalla sua presenza, era sempre parso colorato, divertente, forse anche sciocco; ma sincero.
Tutto.
Eccetto quella fredda pietra portante il nome di Frederick Gideon Weasley.
«Mamma è venuta a trovarti, vero?» Notò il rosso, alludendo ai fiori freschi posti davanti alla lapide, sistemati in modo da non coprire l'incisione che poi era il motto dei gemelli Weasley.
«Sarà stata sicuramente lei, George è troppo preso ad autocommiserarsi per fare anche solo un incantesimo di protezione sui fiori che ti porta.» Aggiunse, storcendo la bocca in una smorfia che voleva nascondere il groppo che avvertiva alla gola.
Sospirò, prendendo coraggio — perché, sì: ne aveva bisogno per fronteggiare il gran senso di colpa che sentiva da settimane; dai primi di maggio, per l'esattezza.
«Fred, aiutalo. Aiutalo perché noi non sappiamo come fare.»
Una ventata d'aria primaverile scompigliò i capelli arruffati del giovane Weasley, facendo oscillare gli steli dei fiori che stava guardando. Gli occhi blu rivolsero la loro attenzione a un piccolo fiore inclinato verso il basso. «E perdonami se puoi. È stata colpa mia.»
Detto ciò, Percy lanciò un incantesimo di protezione sui fiori e se ne andò, senza riuscire più a voltarsi indietro, sperando che il suo incantesimo avesse salvato almeno quel piccolo fiore.

 

*

 
Le cose avevano preso una piega strana: così, per caso, due ragazzini perfettamente identici erano piombati fuori dal nulla dicendogli che esisteva un modo per riportare indietro Fred. Al che George si era subito mostrato interessato, ovviamente, se non impaziente di conoscere ciò che avevano da rivelargli quei due piccoli e strani bambini; ora però, guardandoli a braccia conserte mentre si infilavano dei vecchi vestiti riadattati con la magia, qualche domanda iniziava a farsi spazio nella sua mente.
Chi erano davvero?
Come lo conoscevano?
E come faceva a esistere la possibilità di riportare indietro una persona mor— Be', insomma, Fred. Come poteva esistere davvero un modo?
John – o forse era Eric? – allungò le mani sui capelli del gemello per sistemarglieli, gesto prontamente ricambiato dall'altro. Non che ci fosse molto da fare, i capelli dei due parevano ancor più disastrosi dopo tale operazione, ma appunto quel qualcosa di strano che c'era in loro rendeva la cosa anche gradevole.
Erano carini.
«Grazie per averci dato degli abiti puliti.» Proruppe a un certo punto uno dei due, venendo prontamente affiancato dall'altro. «E per le Cioccorane! Erano davvero buone.»
Un angolo della bocca del rosso di sollevò in un sorriso quasi fraterno. «Non c'è di che, anche se sporchi di terra o meno il vostro aspetto rimane sempre quello di due piccole pesti.»
«Così ci lusinghi, Weasley!» Esclamarono in coro i bambini.
«Ah, sta tranquillo! Lo sappiamo che vuoi sapere come riavere indietro Fred.» Aggiunse uno.
«Quindi tieniti pronto e apri le orecchie!» Esordì l'altro.
«Semmai l'orecchio, John!»
George rise, sedendosi sul suo letto e posando lo sguardo vispo e impazientemente curioso sui due. «Il mio orecchio, il mio foro romano ed io siamo pronti ad ascoltarvi!»
Eric, il bambino che indossava una vecchia maglia che poi era stata una delle preferite di Fred, undici anni prima, con un cenno della mano insonorizzò la stanza, prendendo la parola. Un sorrisino saccente ad adornare i lineamenti del viso.
«Le Noci Crononaute!»
«Le Noci Crono–Cosa?!»
«Dacci tempo, Weasley. Eric, lascia parlare me. Dunque, non credo che ad Hogwarts vi abbiamo mai accennato a questi oggetti prodigiosi, ma fortuna vuole che la leggenda non sia sfuggita a noi due!»
«Esattamente!» Annuì Eric. «Vedi, poco prima dell'anno mille e della fondazione di Hogwarts, immagino, la Gran Bretagna venne invasa dai Vichinghi!»
«Ottuse popolazioni barbare Babbane provenienti dalla Scandinavia, ma non è questo che importa. A quest'invasione conseguì la nascita del Regno di Jorvik e quello di Dublino. A noi in particolare interessa quello di Dublino, localizzato in Irlanda e dominato dai norvegesi. In sostanza fu un periodaccio, tanto che anche certi maghi presto si stufarono.»
«E per fortuna! Altrimenti queste noci non esisterebbero!»
George boccheggiò cercando di assimilare quelle parole. A Hogwarts c'era il corso di Babbanologia, vero, ma figurarsi se lui l'aveva mai frequentato! Chissà se avrebbe potuto apprendere questo pezzo di storia lì. Forse sì, forse no, d'altronde a stento prendeva sul serio Storia della Magia!
«Dal tuo sguardo deduco che non sai niente sulla storia.» Osservò divertito John. «Diciamo che a quei tempi era tutto un po' un macello! Macello a cui, strano a dirsi, dobbiamo attribuire il merito della nostra presenza qui.»
«D'accordo, d'accordo John, passiamo al sodo!» Proruppe Eric, tirando fuori dalla manica del maglione una bacchetta.
«Fabulator
L'agitò lentamente tracciando un grande cerchio luminoso sollevato a mezz'aria, che prese a vorticare velocissimo su se stesso tanto da sembrare una sfera all'interno della quale George vide apparire la figura di un ragazzino dai tratti angelici ma dallo sguardo tagliente d'intelligenza.
Sembrava un folletto con quei corti capelli rosso scuro scombinati, e aveva gli occhi verdi come smeraldi.
Teneva in mano una boccetta contenente due dita d'un liquido color celeste, o meglio la stringeva, come se fosse stata un tesoro.
John lo indicò. «Lui è il creatore della Pozione Crononauta: Ailleann. Irlandese, figlio di un mago druido e di una giovane strega celtica. È incredibile pensare che aveva soltanto quattordici anni quando... be', quando è successo. Era un allievo di Salazar Serpeverde, sai?»
«Sul serio?» George sbarrò gli occhi, osservando meglio la figura di Ailleann; la Casata dei Serpeverde godeva di una pessima fama, vero, specie dopo la Seconda Guerra Magica appena conclusa. Ma spesso il professor Curthbert Ruf lo diceva durante le lezioni: prima che si lasciasse soggiogare dalle sue idee folli, Salazar era un grande mago; magnanimo, ambizioso, brillante e audace.
John annuì energicamente. «Beh, è in quegli anni che nacque Hogwarts, Ailleann ebbe il piacere di frequentarla per qualche anno, lui e una sua presunta sorella che però venne prediletta da Godric Grifondoro. Purtroppo con la venuta della guerra, dato che i maghi scandinavi affiancarono i Babbani, entrambi lasciarono la scuola. Dopo il loro ritorno in Irlanda, nacquero i due regni; Jorvik in Inghilterra, Dublino in Irlanda.»
«La leggenda narra che Ailleann creò una Pozione perché potesse conferirgli l'abilità di spostarsi nel tempo, con l'obiettivo di salvare il Regno Unito dagli scandinavi. Purtroppo le forze magiche nemiche tenevano d'occhio gli studi dei giocavi maghi inglesi o gaelici che fossero, quindi riuscì a creare in segreto una minima dose di pozione.» Raccontò Eric; era surreale sentire la voce di un bambino pronunciare quelle parole, forse più del sentirli parlare in modo così sciolto e quasi maturo, oserei dire, di quel genere di cose.
Per qualche strano motivo George per un secondo vide nello sguardo acuto del ragazzino irlandese un'emozione familiare.
Ma quale?
Prima che potesse porsi la domanda – unita a quella su come potessero due bambini praticare la magia in tal modo – lo scenario cambiò, la figura di Ailleann sparì e comparve un cielo stellato.
Conosceva l'incantesimo "Fabulator", George; non bene, certo, non l'aveva mai utilizzato, ma l'aveva visto usare a sua madre quando voleva raccontare una favola a Ron o a Ginny, quando erano piccoli. Era come guardare quelle strane scatole animate che ai Babbani – e a suo padre – piacevano tanto, solo che appunto la sua essenza magica rendeva la cosa più... reale, oserei dire.
Ricordava che quando Molly l’usava, così come allora, l’atmosfera nella stanza si faceva soffusa, come se ci si trovasse in una realtà diversa dove lucciole blu svolazzavano intorno alla sfera luminosa in cui, volendo, si poteva confinare la storia.
«Decise di agire una notte di marzo, salì sulla torre più alta del castello, ma—»
«Ma venne scoperto da un mago vichingo.» Azzardò George. «Giusto?»
«Come lo sai?»
«Beh, è un classico.» Rispose aggrottando la fronte il rosso esibendo un sorriso sghembo come a sottolineare l’ovvietà della cosa. «Ma poi accorse qualcuno in suo aiuto proprio all'ultimo minuto, no?»
«No.» Risposero i gemelli.
–Crucio!– Gridò una voce roca da dentro la sfera, seguita da una più acuta. –Protego!–
«Ailleann riuscì a proteggersi dalla maledizione Cruciatus, ma per pochi istanti.» Mormorò Eric tenendo gli occhi fissi sulla scena, deglutendo a vuoto. «Lui era troppo forte.»
John si intromise nella narrazione, avvertendo l'inquietudine dell'altro bambino. «Gettò l'ampolla di sotto, convinto che, se doveva morire, la sua pozione non poteva finire nelle mani sbagliate.»
L'immagine andò svanendo, venendo sostituita dalla figura di un vecchio intento a cogliere qualcosa da terra.
«Ma-» George aguzzò la vista, osservando meglio i tratti – sfocati – del suo viso; se li immagino maggiormente segnati dall’età e magari ricoperti da una scarmigliata barba bianca. E allora ricordò di averlo già visto una di quelle poche volte in cui si era degnato di aprire il libro di Storia della Magia per studiare.< br / > «Ma quello non è...?»
«Merlino?» John annuì abbozzando un sorriso divertito. «Allora qualche volta li aprivi i libri di scuola!»
«A convenienza.» Ironizzò il rosso, sollevando un angolo della bocca.
«La Pozione Crononauta cadde su terreno fertile da cui crebbe una pianticella. Così, per puro caso, fece da fertilizzante a una pianta le cui noci acquisirono le sue proprietà magiche. Oltraggiato dall'omicidio di un bambino per mano di un mago adulto, Merlino colse la pianta e, si dice, portò il corpo di Ailleann qui.»
Una specie di cerchio, ecco cosa formavano quelle suggestive ed enormi pietre apparse nella sfera; era un luogo, quello, che George non conosceva se non perché alcuni maghi e streghe, i più anziani, lo ritenevano di grande importanza storica.
«Stonehenge.»
«Già, George.» Un lieve agitarsi del suo braccio e l'incanto si spezzò, svanendo dell'aria come una nuvola di fumo. «Luogo costruito nel "Periodo d'Oro del famoso Re Artù"; si dice che Merlino l'abbia fatto portare pezzo per pezzo in Gran Bretagna dall'Irlanda, dove è stato costruito dai Giganti, sul Monte Killaraus. Questa è la leggenda, almeno.»
«Quindi, se ho ben capito, sarebbe questo il luogo dove andare a cercare.» Azzardò George, passandosi una mano tra i capelli.
«Lui riposa lì, il suo spirito intendo. Per cui direi proprio di sì.» Rispose Eric.
Non era granché come indizio, Stonehenge, e pareva strano pensare che bastasse raggiungere quel luogo per trovare le Noci Crononaute. E George lo sapeva bene: nel mondo dei maghi niente era mai facile, trattandosi di oggetti magici così, poi!
Ma non aveva nulla da perdere, poco ma sicuro; gli occhi verdi dei gemelli erano troppo sinceri perché potessero mentire, di questo poteva starne certo pur non essendo un Legilimago.
Quindi sì: si fidava sicuramente, a priori. Perché, diamine, era per Fred che era lì!
Ne valeva la pena, no?
John rivolse un'occhiata al gemello e avanzò di qualche passo, portando la mano su quella del mago più grande.
Era morbida e calda, esattamente come ci si aspetterebbe alo sfiorare la pelle di un bambino; e gli occhi smeraldini, all'incontrare i suoi – più scuri – parvero folgorarlo tanto furono schietti.
«George, lo so che non ti tirerai indietro, ma Merlino era tutto fuorché uno sprovveduto. Non sarà una scampagnata, questa.» Disse il castano. «Non è impossibile, ma non è neanche facile. Basta crederci!»
«Quindi. . .» Eric dondolò sui talloni affondando le mani nelle tasche dei pantaloni con lo sguardo tentennante puntato sulla punta delle sue scarpe, come se avesse qualche pensiero. Alzò il viso, proseguendo senza esitazione. «Quindi ti chiediamo solo una cosa. Tu sei disposto a crederci? Per te ne vale la pena?»
Il rosso allungò le mani a scompigliare le chiome color cioccolato dei due, annuendo.
Per Fred ne sarebbe sempre valsa la pena.
«Mi pare ovvio!» Si alzò dal letto prendendo la bacchetta e racimolando un paio di cose dentro un vecchio zaino incantato: qualche cambio, una tenda e così via. Non molto, solo il minimo indispensabile.
Tempo niente e stava già uscendo dalla finestra con il suo manico di scopa in mano, davanti agli sguardi carichi d'incredulità dei gemelli i quali si guardarono battendo le palpebre, perplessi.
«Ma— Weasley, che cavolo fai?»
«Non sai neanche dove sia Stonehenge! Mi ci gioco la bacchetta.»
Il rosso si bloccò con un piede sul davanzale e fece lentamente dietro front grattandosi la nuca. «Potrebbe essere così, d'accordo.» Lasciò lo zaino sul letto, chiedendo con la più assoluta naturalezza: «Voi però lo sapete dov'è, vero?»
«Certo che non mentono le voci!» Sbottò John, ridendo divertito.
«I gemelli Weasley sono maghi capaci quanto scapestrati, geni del gioco che abbandonarono la scuola in sella a delle scope e con al seguito dei fuochi d'artificio a scrivere i loro nomi nella leggenda.» Concluse Eric, recitando quelle parole in tono quasi solenne.
«Qualcuno qui studia la storia, eh?» Sorrise fiero e fintamente commosso il rosso.
Il bambino si strinse nelle spalle. «Questo è ciò che reciteranno i libri di testo tra cinquant'anni.»
«E tu come lo sai?» Domandò sinceramente curioso George. John si sbatté una mano in fronte, come se il fratello avesse appena svelato a George un suo segreto imbarazzante.
«Precognizione.»
«Sarebbe tipo quello che dovrebbe avere la Cooman, insomma.»
«Lascia stare, George, e pensa piuttosto a prendere qualche galeone con te.» Si intromise John. «Noi penseremo a raccogliere quante più informazioni possibili.»
Il rosso aggrottò la fronte fermandosi a guardarlo. «E come avreste intenzione di fare?»
 




 


Writer’s side
Ho un paio di precisazioni da fare:
  1. L’Incanto Fabulator me lo sono inventato di sana pianta! È come… Come vedere un qualcosa proiettato, un ologramma.
    L’idea di confinarlo in una sfera deriva dal fatto che stavo guardando la TV mentre scrivevo, lo ammetto.
    Volete sapere perché ho scritto “l’atmosfera nella stanza si faceva soffusa, come se ci si trovasse in una realtà diversa dove lucciole blu svolazzavano intorno alla sfera luminosa in cui, volendo, si poteva confinare la storia.”?
    . . . Perché in TV guardavo con i miei fratellini il DVD de “Il pianeta del tesoro” ed era ala scena in cui, per sbaglio, Jim aziona la mappa per la prima volta.
    Ecco, mi ha ispirata! Da ciò – E da quel “volendo” – ne consegue che, sì, è possibile estendere la proiezione oltre una semplice sfera.
  2. I cenni alla storia “Babbana” ovviamente non sono di mia invenzione, sono davvero esistiti i Regni di Jorvik e di Dublino.[1]
  3. Ho cercato di capire con esattezza in che periodo storico fosse collocata la leggenda di Re Artù (Davvero, una cavolo di data non l’ho trovata, damn!) anche basandomi, magari, sulla data di creazione di Stonehenge.
    Visto che, però, su quest’ultima ci sono da sempre molte contestazioni, ho deciso di dar credito alla versione secondo la quale Merlino c’entra con il suo spostamento in Inghilterra. Insomma, ho collegato le due cose.
  4. E il terzo punto si lega a questo! Specifico solo che mi ritengo davvero fortunata perché a quanto pare, Hogwarts venne fondata nel periodo storico che ho preso di mira! [1] [2]
  5. Il nome “Ailleann” è un tipico nome irlandese che in inglese corrisponde ad “Alan”.
  6. Perché la noce?
    Ecco, beh, nella fiction ovviamente la cosa è totalmente casuale. Io personalmente mi sono in parte ispirata, per la scelta dell’oggetto in cui racchiudere un tale potere, a quello del film “Toki wo kakeru shōjo” – In realtà non è specificato che cosa sia quel congegno, come lo chiama Wikipedia, ma a me ricordava una noce. Perciò, per curiosità, sono andata a cercare il significato simbolico della noce.
    < Come pianta dedicata a una Grande Madre, il Noce ha sempre avuto una duplice valenza, di vita e di morte. I latini chiamavano questo albero “Jovis glans”, abbreviato in “Juglans”, a significare “ghianda di Giove, re degli dèi”, perché i frutti erano buoni e nutrienti e quindi potevano essere mangiati.
    I greci invece lo chiamavano “Karya basilica”, ossia “noci regali”, in quanto ritenevano che esso fosse stato portato dai re persiani. Il nome greco delle noci ci rimanda al mito di Carla, figlia di Dione.
    Il legame del Noce con divinità femminili si tramandò anche in epoca medievale, come testimonia la leggenda del Noce di Benevento. Si raccontava che nella notte di San Giovanni le streghe, guidate dalla dea romana Diana – Corrispondente alla dea greca Artemide –, sciamassero nei cieli per andare al gran sabba che si teneva sotto ad un grande noce millenario presso Benevento.
    In epoca recente, sono state scritte favole in cui le noci sono portatrici di tesori, e sono state considerate grandissimi talismani le noci divise in tre setti. >
  7. Non credo ci sia bisogno di dirvi cos’è un Legilimago. Per quanto riguarda la Precognizione, però, penso sappiate in cosa consiste; vi dico quindi che non è un caso che Eric possegga questo dono e che, secondo me, ogni mago ha un suo dono speciale o comunque un tipo di magia in cui eccelle particolarmente.
Bene, detto ciò, temo di superare in lunghezza il capitolo stesso con tutte queste precisazioni, quindi non vi trattengo oltre.
La prossima volta si parte, are you ready, guys?~
Io sì! Anche se la mia fantasia corre così tanto che non potete immaginare quanto mi stia acculturando per far quadrare i conti, qui. xD Nah, è un piacere per me!
Vi lascio, quindi, e vado a controllare piuttosto se il Fandom si è intasato di fanfiction Angst per l’occasione – Perché tutti sappiamo che giorno è oggi.
Buaaahhhhh, già piango! ç________ç
E niente, svanisco.
Mischief Managed!
 
Sol F. Jones

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Capitolo 5
*** Riportalo a casa ***


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Riportalo a casa

 
Una cosa fondamentale da avere per riuscire in una simile impresa, secondo i gemelli, era un piano. Anche qualcosa di vagamente vago, volendo citare Eric!
Perciò non erano partiti subito; George non riusciva ancora a realizzarlo: non solo erano ancora a casa sua, ma come se non bastasse John ed Eric avevano ben pensato di sfoderare l'innocenza che potevano trasmettere in apparenza per cacciare di bocca a Hermione tutto ciò che sapeva su Stonehenge.
Non che dessero particolarmente nell'occhio, la ragazza non si era mai fatta pregare nel dare spiegazioni su qualsivoglia cosa, però era incredibile!
«Dove li tenevi nascosti quei due?» Aveva chiesto divertito Ron al vedere Hermione seduta sul divano con un bambino alla sua destra e uno alla sua sinistra, intenti a tempestarla di domande di ogni tipo. Il rosso soffocò una risata, cosa gradita da Ron; gli piaceva che George si comportasse un po' più... un po' più da George!
Non sapeva per certo cosa avessero a che fare Eric e John con lui, ma dal momento in cui suo fratello aveva varcato la soglia di casa con loro nei suoi occhi c'era qualcosa di più simile ai momenti antecedenti al due maggio.
Qualcosa che aveva colto Molly, certo, non lui.
Nel primo pomeriggio suo figlio era tornato a casa con due ragazzini al seguito e le aveva detto di averli trovati che giocavano tutti soli soletti e che, senza volerlo, avevano anche fatto uso della magia. E questo era bastato perché Molly desse ospitalità ai bambini; bisognava ammettere che George era stato bravo a raccontare quella bugia – seppur parziale. Tutti li avevano trovati subito tanto strani quanto piacevoli; forse i Weasley erano semplicemente troppo abituati a sentire due voci parlare contemporaneamente perché la presenza di due gemelli così vivaci in casa non facesse loro sentire la mancanza di momenti ormai sepolti dal tempo e dalla guerra.
«Da nessuna parte! Erano da soli e quindi mi sono venuti dietro.» Rispose sul momento George, non sapendo che bugia inventarsi. «Però devo ammettere che sarebbero dei perfetti Malandrini!»
«Che?!» Gli occhi azzurri di Ron minacciarono di uscirgli dalle orbite. «Ma dai, guardali bene! Non vorrai traviarli, poverini!»
In senno di poi, una cascata di panna andò a coprire la matassa di capelli rossi di entrambi i Weasley che subito guardarono il divano, scorgendo Eric che reprimeva a stento le risate, gettando in mano al gemello la sua bacchetta; al che, John smise di trovare la situazione divertente. «Ehi!»
George portò il dito indice al viso del fratello, togliendogli dalla punta del naso la crema – che sarebbe dovuta fungere da dessert – e portandosela alla bocca. Il tutto ridendo.
«Come non detto. Sono già traviati.» Minimizzò in uno sbuffo Ron, rivolgendo un'occhiataccia ad Hermione che non accennava a smettere di ridere.
«Cavoli, fratellino, la levitazione non fa proprio per te!»
«Ron, non fare quella faccia, è magia involontaria!» Lo riprese Hermione. George pizzicò una guancia al fratello, sghignazzando tra sé e sé ed impiastricciandosi le mani con la crema «Già, Ronnino Piccino, non prendertela, anche perché altrimenti le tue orecchie andranno a fuoc— Ahi!» e ricevendo in risposta uno pizzicotto sul braccio da Hermione.
Ron gonfiò le guance togliendosi della crema dalle ciocche di capelli che gli ricadevano sul viso.
«Sì, bella spiegazione, peccato che siano le versioni in miniatura di Fred e George.»
Il sorriso dal volto di Hermione scomparve di colpo e i suoi occhi passarono rapidi a George, raggelati e preoccupati; non è che gli riservasse un trattamento di favore date le circostanze, per lei George Weasley rimaneva uno scapestrato con la testa piena di Puffole Pigmee saltellanti, ma poteva provare a immaginare quanto potesse fargli male sentire nominare il gemello.
E nonostante la sua mancanza di tatto, Ron si morse subito la lingua. «Cioè, nel senso che—»
«Non ti preoccupare, Ronnie.» Lo zittì il maggiore dei due, alzando un angolo della bocca in un qualcosa di simile a un sorriso. «Va tutto bene. Davvero.» aggiunse, imboccando le scale. «Vado a togliermi di dosso tutta questa crema prima che il piccolo Teddy mi scambi per un bigné gigante, fossi in te farei altrettanto!»
Hermione sospirò rivolgendo un'occhiataccia a Ron. «Una versione in miniatura di Fred e George? Ah, Ronald!»
«Non devi preoccuparti così, sai?» I due volsero lo sguardo a uno dei gemelli, John forse, che saltò giù dal divano venendo subito imitato dal gemello, che aggiunse: «George non se l'è presa.»
«Lo so, ma...»
«Ehi, Ron, posso assaggiarne un po'? Di crema, intendo! Sembri un dolcetto gigante!»
«Anche io ne voglio! Possibilmente non dalla faccia, però. Certo che potevi prenderla meglio, la mira, Eric!»
E con questo la discussione poteva definitivamente dichiararsi conclusa.
«No, no! Non se ne parla!»

 
 
*
 
 
L'acqua scorreva imperterrita, calda e avvolgente. Così come scivolava sulla sua pelle, pareva lasciar andar giù anche ogni pensiero.
Il calore scaturito dal contatto con l'acqua e dal vapore ricordava vagamente a George la sensazione data da un abbraccio, all'interno del quale riusciva a pensare a tutto e a niente.
Pensava a suo fratello, tenendo le mani poggiate sulla parete piastrellata e a capo chino.
Pensava a come sarebbe stato riaverlo intorno; si chiedeva se sarebbe riuscito a riportarlo indietro e — ancor di più — come avrebbe fatto.
Se avesse fallito? Sarebbe sprofondato nuovamente in quell'apatia che aveva accompagnato il vuoto che sentiva in quelle ultime settimane, di nuovo?
Gettò il capo all'indietro lasciando che l'acqua si mischiasse a quelle poche lacrime cui aveva permesso di uscire e rilassò i muscoli tesi delle spalle, sospirando.
"Che pensieri stupidi." Pensò, girando la manopola in modo che l'acqua cessasse di scorrere. Uscì dal box doccia con un asciugamano intorno alla vita e un altro con cui prese ad asciugarsi disordinatamente i capelli.
Era davvero inutile chiederselo, se c'era una cosa che George Weasley non poteva fare era... niente.
Solo al suo primo anno a Hogwarts aveva rubato dall'ufficio di Gazza la Mappa del Malandrino e scoperto come usarla, oltre agli innumerevoli passaggi segreti che aveva scoperto.
Al secondo anno era diventato Battitore della squadra di Quidditch di Grifondoro e infranto tante di quelle regole da farsi conoscere in tutta la scuola. Aveva sperimentato l'ebrezza dell'avere una barba bianca e lunga a soli sedici anni dopo aver sfidato il Calice di Fuoco, aveva ballato il valzer col suo gemello fingendosi una dama ottocentesca; aveva inventato le Merendine Marinare e tutti gli altri prodotti dei "Tiri Vispi" e li aveva spacciati a scuola facendoli amare agli studenti. Era stato espulso dalla squadra di Quidditch dopo aver picchiato Draco Malfoy — già! Non esattamente un Serpeverde qualsiasi —, aveva preso parte all'ES diventando un mago ancor più abile e capace di quanto già non fosse; era piombato in sella al suo manico di scopa nell'aula di quella rospa zitella della Umbridge scatenando i suoi Fuochi Forsennanti Weasley come se non ci fosse un domani facendola quasi morire di crepacuore, per poi volare via da scuola con al seguito gli altri studenti esultanti, facendo così passare alla storia quell'enorme "W" dipinta in cielo dai Fuochi. Aveva aperto il negozio dei "Tiri Vispi Weasley & Weasley" al numero novantatré di Diagon Alley, aveva fatto ridere anche con una guerra in corso; aveva perso un orecchio combattendo e preso parte alla Battaglia di Hogwarts.
Anzi, tutto ciò l'avevano fatto. In due; lui e Fred.
Non c'era niente che lui – che loro – non potesse fare!
Alzò il viso verso l'unico specchio rimasto in casa, incassando il colpo che ricevette all'incontrare di nuovo l'illusione di averlo lì davanti a lui, e regalò al suo riflesso un debole sorriso ammiccante.
«L'orecchio.» Mormorò in riferimento all'orecchio ormai mancante che spezzava quella sottile e flebile illusione sul nascere. Riprese ad asciugarsi i capelli rossi, abbassando lo sguardo.
Perché la schietta e dura verità era più dura da guardare della bugiarda e dolce illusione.
«Ti riporterò a casa, parola di Malandrino!»
Lo specchio gli rivolse in risposta lo stesso sorriso, illuminato dalla determinazione che poteva albergare solo nel cuore di un vero Grifondoro.
Avrebbe riportato indietro Fred, e di conseguenza anche quella parte di sé stesso al momento racchiusa dall'altra parte dello specchio.

 
 
*
 
 

Il piano era semplice; Stonehenge si trovava nella piana di Salisbury, una città della contea di Wiltshire, nel sud-ovest dell'Inghilterra. Questo era, almeno, ciò che Hermione aveva raccontato ai gemelli; le era parso curioso che due bambini le rivolgessero domande così specifiche, però a ben pensarci George era arrivato alla conclusione che erano stati geniali. Se gliele avesse poste lui si sarebbe quantomeno incuriosita, se non insospettita, al vedersi chiedere proprio da George Weasley informazioni circa uno dei siti archeologici più cari sia ai Babbani che ai maghi: in questo modo, invece, non era avvenuto.
«Ci staremo tutti e tre sulla tua scopa?» Chiese Eric, osservando con sguardo attento George che riponeva le ultime cose nel suo zaino. Ci aveva ficcato dentro mezza stanza, era una vera fortuna avere gli Incantesimi di Estensione!
«Siete due pulci, ovvio che ci staremo! E poi qualcosa mi dice che in caso contrario sapreste come arrangiarvi.» Rispose sbrigativo il rosso.
«E in effetti hai ragione!» Proruppe John, facendo capolino dalla finestra a cavallo di una scopa.
Okay, non solo i loro sprazzi di magia involontaria parevano fin troppo frequenti e padroneggiati alla perfezione, ma sapevano anche andare su una scopa!
A giudicare dall'altezza non parevano avere neanche l'età adatta per iniziare a studiare a Hogwarts e anche se così non fosse stato, George non li aveva mai visti prima di allora a scuola, tra i novellini dei primi anni. Guardò Eric salire dietro il fratello a cavallo della scopa e quasi in automatico chiese loro: «Quanti anni avete detto di avere?»
«Non l'abbiamo detto.» Risposero all'unisono i due bambini; Eric alzò lo sguardo smeraldini al cielo pensoso, passandosi distrattamente una mano tra i capelli. «Non sono molto ferrato con i conti, cavoli! John, tu ti ricordi quanti anni abbiamo?»
L'altro sembrò perdere per un attimo l'equilibrio, rischiando di volar giù dalla scopa; diede una gomitata al gemello sbiancando. «Non fare lo scemo, Eric! Otto! Sì, George, abbiamo otto anni.»
«Sei sicu—?»
«Vuoi farti scoprire?! Muoviti!»
Il rosso sollevò le mani in segno di resa, alzando gli occhi al cielo. «Okay, sissignore, signore! Aspettatemi fuori, vado a prendere la mia scopa.» Così dicendo, George si Smaterializzò al pianterreno, davanti al ripostiglio, e assicurandosi di non farsi sentire da nessuno lo aprì e tirò fuori la sua fedele Scopalinda, rischiando per altro di far cadere le altre. Si ritrovò a trattenere il fiato mentre scostava la vecchia scopa di Ron in modo tale che non cadesse mentre prendeva la sua, ma andando ad urtare quella di Percy, ottenne l'effetto contrario, ovvero il tonfo secco che produssero cadendo entrambe.
Imprecò sottovoce, rimettendo al loro posto gli altri manici di scopa e chiuse la porta del ripostiglio, esalando un sospiro di liberazione.
Ma il suo sollievo ebbe vita breve poiché, voltandosi, vide Ron appoggiato al corrimano delle scale a braccia conserte guardarlo con uno sguardo a metà tra il consapevole e il confuso.
Forse perché sapeva che qualcosa era cambiato, solo che gli veniva difficile riconoscerlo. Era maturato così tanto, Ron; fosse accaduta mesi prima, la cosa, probabilmente non lo avrebbe guardato a quel modo.
«Sapevo che prima o poi l'avresti fatto.» Disse con un fil di voce.
George si ritrovò per la prima volta senza la forza di sostenere lo sguardo del minore. Ron era cresciuto tra le burle dei fratelli maggiori che non perdevano occasione di fargli scherzi e prenderlo in giro e adesso uno di loro non riusciva quasi a guardarlo negli occhi; da non credere quanto potesse essere ironica la vita.
«Dove stai andando?»
«Salisbury.» Rispose meccanicamente George, alzando lo sguardo sugli occhi del fratello; erano blu, come quelli di Charlie, Bill e Percy, solo con una luce diversa.
Gli occhi di Charlie erano diretti e calorosi, sorridenti e maturi, eppure scherzosi; quelli di Percy erano profondi e apparentemente quieti quanto intelligenti e sfuggenti; Bill invece aveva due pezzi di cielo nello sguardo maturo e combattivo, capaci di trasformarsi – anche se raramente – in ghiaccio. Ron, invece, aveva da sempre due grandi pozze piene di genuinità, orgoglio, celata timidezza e dolcezza.
E in quel momento tradivano sorpresa e, incredibile ma vero, tanta forza; quel bagliore che ci si aspetterebbe da un Grifondoro coi fiocchi e controfiocchi.
Eh sì, Ronnie era cresciuto, era cambiato. A dir la verità era accaduto un po' a tutti, a causa della guerra.
Dire che fosse avvenuto lo stesso anche a George e Fred era impensabile, invece, perché i due ridevano sempre e comunque, non si risparmiavano affatto nel giocare scherzi agli altri; ma dire che, effettivamente, la guerra aveva cambiato George... be', quello un po' lo si poteva dire.
Davanti a lui Ron vedeva sempre lo stesso ragazzino di quindici anni che, quando erano andati a trovare Charlie in Romania, aveva rifilato – lui e il suo gemello – a uno dei draghi di cui il fratello si prendeva cura una pozione che gli aveva fatto intonare i migliori successi della musica lirica italiana. Lo stesso che aveva scherzato come se niente fosse sul suo orecchio perduto pur di non permettere allo sconforto di impadronirsi degli animi della sua famiglia e dei suoi amici.
George gli sembrava lo stesso George di sempre; era soltanto un po' più provato da un grande dolore.
Soltanto un po' più determinato, soltanto un po' più alto, soltanto un po' più solo.
«Senza dirci niente?» Domandò Ron, sorridendo a momenti divertito. George mostrò un foglietto un po' ingiallito, strappato dal suo vecchio libro di Incantesimi.
«Avrei lasciato un biglietto, così la mamma sarebbe stata un po' più tranquilla.» Rispose, porgendolo al fratello il quale, prendendolo, lo lesse per poi sorridere in modo più ampio. «Alla ricerca di idee per nuovi scherzi, eh?»
«Già, non crederai davvero che salvare il Mondo Magico ti faccia ottenere un trattamento di favore.» Annuì fermamente il rosso, sperando che il fratello credesse a quella piccola bugia; ne stava raccontando un po' troppe per i suoi standard, ma non voleva né far preoccupare Molly né sentirsi dire che non aveva senso dare ascolto a una vecchia leggenda raccontatagli da due bambini che gli arrivavano a malapena alla vita.
«Non ci spero neanche, lo sai. Lo dirò io alla mamma.» Assicurò il più piccolo, sorridendo con quel suo fare impacciato. George annuì e si fece accompagnare alla porta; ora che lo notava era ancora lui il più alto, anche se di non molto, almeno in questo le cose non sarebbero mai cambiate.
Rivolse un ultimo sguardo al fratellino e varcò la soglia di casa.
Ron lo guardò percorrere il vialetto, avvertendo un fastidioso e familiare groppo alla gola che gli mozzò il respiro, a momenti.
 
- Vuoi sapere perché ascolto quella radio tutte le notti? -
 
«George, un'ultima cosa.»
Il rosso si voltò verso il fratello, notando la tensione comparsa sulla sua espressione, ora molto meno tranquilla. «Che c'è?»

 
- Per assicurarmi di non sentire il nome di Ginny. O di Fred. O di George. O di mamma. -
- E tu credi che non l'ascolti anch'io?! Credi che non sappia cosa si prova? -
- No, tu non sai cosa si prova! I tuoi genitori sono morti, tu non hai una famiglia! -
 
Ron scacciò via quel ricordo; stavolta non avrebbe dovuto ascoltare nessuna radio per assicurarsi di non aver perso uno dei suoi fratelli o i suoi genitori. Stavolta no.
Rivolse un sorriso sghembo e sereno al fratello, per quanto accennato, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta.
«Riportalo a casa.»
George deglutì a vuoto, tornando sui suoi passi per, incredibile ma vero, abbracciare Ron.
Non l'avrebbe mai fatto in circostanze normali, mai e poi mai, ma aveva voleva ringraziarlo.

 
- Ron, ci presti Leo? -
- No, è fuori a consegnare una lettera. Perché? -
- Perché George vuole invitarlo al ballo. -
- Per spedire una lettera, cervello di cacca! -
 
Perché gli voleva bene - Gli volevano bene - altrimenti non sarebbe stato una delle vittime preferite dei gemelli Weasley.
Perché per quanto non avesse mai avuto niente a che fare con lui e Fred in quanto a personalità, era simile a loro, abbastanza da non averlo giudicato.
«Contaci, Ronnie
George gli diede un buffetto sulla guancia, sorridendo divertito al notare che certi gesti lo imbarazzavano ancora al punto di farlo arrossire e annuendo, per poi uscire e salire in groppa al suo manico di scopa.
Davanti a lui Ron vedeva sempre lo stesso George Weasley di sempre; soltanto un po' più determinato, soltanto un po' più alto, soltanto un po' più solo.
Soltanto un po' più forte.
Lo guardò andare via con la luce dell'alba riflessa negli occhi color mare, ricordando vividamente la volta in cui a sparire incontro al futuro erano stati in due. Era folle, forse, ma qualcosa gli dava l'insensata certezza che quell'immagine prima o poi non sarebbe stata solo un ricordo.
 
- Falle vedere i sorci verdi anche per noi, Pix! -
 

 

 

 
Writer's side
Buon pomeriggio EFP!
Dunque, ehm, cosa posso dire su questo capitolo? Nulla, non so che dire, se non che, per quanto riguarda la scena dell'età dei gemelli e del fatto delle loro capacità magiche, c'è una spiegazione.
Che non vi darò ora, sorry not sorry!
E nulla, vi dirò che all'inizio avevo pensato di mettere Charlie al posto di Ron, ma non so perché alla fine ho del tutto riscritto la scena. Alla fin fine nei film - Perché, ahimé, i miei genitori non mi hanno comprato i libri ç_ç - si nota quel rapporto fraterno che vige tra Ron e i gemelli; e no, non parlo di quanto è stato Rupert Grint nell'ultimo film, interpretando Ron che piangeva al capezzale di Fred.
Cioé, già da quello, dalla disperazione che mi ha trasmesso, mi è scattato subito qualcosa. E poi, si sa, tra fratelli prendersi per il c-- Ehm, per il naso, è solo un modo per dimostrare affetto, in molti casi, no?
Bene, ho finito.
Non siate timidi, ditemi pure cosa ne pensate, lanciate tutte le Caccabombe che volete - tanto pulisce Gazza, LOL - e via dicendo; le accetterò, promessa di Malandrina!
Sol F. Jones

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Capitolo 6
*** Non se n'è mai andato ***


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Non se n'è mai andato
 

Il Sole di mezzogiorno era alto nel cielo dell'Inghilterra – come sempre non proprio limpidissimo – e anche se, oggettivamente, il tempo non era dei migliori, a migliaia di chilometri dal suolo si stava bene. L'aria era umida, le nuvole somiglianti a batuffoli di cotone costellavano l'azzurro incerto del panorama circostante.
«Vedo, vedo... Ehm... Qualcosa di azzurro.»
«Il cielo.»
«Oh, fratello, un po' di vita! Dunque, George, vedo... Qualcosa di grande!»
«Il cielo, Eric?»
«Già.»
«Io vedo qualcosa di mortalmente noioso.»
«...Il cielo?»
«No, questo gioco. I ragazzini si divertono davvero così? Dovrei insegnarvi come ci si gode la vita!»
Ecco, quello era l'unico, vero problema di fondo: il cielo. Non c'era altro da un bel po' d'ore; l'unica soluzione era concentrare lo sguardo sul panorama sottostante, che andava cambiando rapidamente alla veloce andatura dei manici di scopa.
«Tra poco dovremmo riuscire a vedere la piana di Salisbury, dove è situato Stonehenge!» Annunciò John, additando un'area verde sotto di loro. «E vicinissimo c'è Salisbury stessa!»
«Finalmente! Ho una fame da lupi!» Esultò entusiasta Eric, allargando le braccia con tanta euforia che fa far quasi cadere il gemello dalla scopa – con una manata.
Fortuna volle che ciò non avvenisse.
«Questa è l'ultima volta che ti do il cambio per guidare!»
«Scusa ma ho fame!» Piagnucolò Eric con fare infantile.
George si tastò lo stomaco; non poteva negare che, nonostante l'impazienza fosse molta, anche lui era affamato. A quell'ora alla Tana sicuramente tutti stavano facendo colazione.
Chissà se Ron aveva già scelto cosa dire al resto dei Weasley.
 
«Oh cielo, il mio George! Dove si sarà cacciato?»
«Suvvia tesoro, non essere così melodrammatica, George è grande, sa badare a sé stesso! E tu, Ron, per l'amor di Morgana, dicci una buona volta dov'è tuo fratello!»
«Sì, certo. Ecco, mamma, George... Lui... Come dire, stamattina è andato... Be', hai letto il biglietto, no? Cioè, è partito per andare a—»
«Ronald, vuoi dirci o no dov'è andato tuo fratello?!»
«Miseriaccia, Hermione non ti ci mettere anche tu! Mi deve un grossissimo favore, poco ma sicuro!»
 
Chissà perché aveva la strana sensazione che fosse meglio non farsi questa domanda.
Nel mentre, i gemelli avevano continuato la loro piccola discussione.
«E poi come fai ad avere ancora fame dopo tutto quello che hai mangiato ieri sera? Fratello, sei insazi—» E lo stomaco di John prese a brontolare, chiudendo la discussione e facendo zittire il bambino. «—abile.»
«Come dici, scusa? Non ti sento bene col rumore del tuo stomaco in sottofondo!»
George non cercò neanche di trattenere l'ilarità; in quel momento gli sembrava di rivedere Ron ed Hermione quelle volte in cui, quand'erano ancora piccoli, il mastodontico appetito del rosso indispettiva non poco la Grifondoro.
John ed Eric gli ricordavano molto di Hogwarts, in effetti, ed era strano; in quelle a mala pena ventiquattr'ore che li conosceva, aveva rivisto in loro lui e Fred, Ron ed Hermione, dal modo in cui dormivano persino Charlie e Percy!
Era strano, sì, ma George non aveva considerato più di tanto la stranezza delle capacità di quei bambini.
Come aveva affermato una volta Lee Jordan: Corvonero si nasce, non si diventa!
«Non c'è niente da ridere. Se guardate giù, simpaticoni, vedrete Salisbury.» Bofonchiò John, gonfiano le guance al sentire la risata del fratello colorare l'atmosfera assieme a quella del giovane Weasley, il quale soffocò – o almeno tentò – le risate, annuendo. «Credo che ti chiamerò Piccolo Granger!» Affermò, prima di gettarsi in picchiata verso l'area sottostante; ovviamente si premurò di atterrare dietro un palazzo, lontano da occhi indiscreti.
Infilò – letteralmente – il manico di scopa in una tasca dello zainetto; non era granché ferrato con gli incantesimi d'estensione quando aveva incantato lo zainetto del gemello – anni prima –, ma non ci si poteva lamentare. Dentro quel vecchio oggetto aveva messo davvero di tutto.
Malgrado ne combinassero di tutti i colori a scuola, invece di studiare seriamente, lui e Fred erano sempre stati maghi molto capaci e svegli.
Eric e John atterrarono lì vicino e, riposta la scopa nello zainetto di George, la prima cosa che fecero fu affacciarsi sulle strade popolate di vita di Salisbury; sembrava che nessuno li avesse notati. La gente camminava tranquilla, beandosi dell'ordinarietà della vita quotidiana, quella che George non avrebbe mai imparato neanche a conoscere e che affascinava tanto suo padre.
«Quanto li invidio!» Mormorò Eric, fissando con insistenza un bambino che, in lontananza, camminava affianco alla madre con un pacchetto di scones in mano. Alzò lo sguardo su George, guardandolo con gli occhi imploranti. «Andiamo a mangiare anche noi? Io ho fame!»
«Eh?» Il mago si riscosse dai suoi pensieri e abbassando lo sguardo notò l'espressione a momenti sofferente del castano; anche John pareva affamato e non poteva biasimarli: in fin dei conti erano pur sempre due bambini! Senza contare che anche lui aveva appetito.
«Va bene, va bene — Non c'è bisogno di fare quelle facce, non avete mica davanti Piton e la sua grossa falce!»
«Chi?» Chiese Eric.
«Ma non era la Morte ad avere una falce come arma?» Obiettò John.
«Io parlavo del suo naso.»
 
 
*
 
 
Dopo un buon quarto d'ora passato a cercare un locale dove mangiare, l'attenzione di George fu attirata da un edificio strano, con una grossa e tonda M sull'insegna.
«M C Donalds.» Lesse malamente John, perplesso. «Che cavolo di nome è?»
«Il nome di un posto dove si mangia, a quanto pare.» Gli rispose Eric, indicando due ragazzini che uscivano con due pacchetti in mano – anch'essi sfoggianti la M gialla e tonda – contenenti patatine e... e qualcosa di rosso che personalmente non conosceva.
John fissò con insistenza e sospetto quella cosa rossa posta sopra quelle che parevano patate: i Babbani erano strani, okay, ma arrivare al cannibalismo era oltremodo aldilà di ogni limite dell'immaginabile!
«Secondo te quella cosa rossa è sangue o pomodoro?» Domandò dunque a George, strattonandolo per la manica della giacca.
Il rosso sogghignò, «E secondo te quelle cose lunghe che mangiano sono patate o qualcos'altro?» ridendo delle facce disgustate e scandalizzate con cui i due bambini si portarono le mani al cavallo dei pantaloni. «Stavo scherzando! Credo sia qualcosa di commestibile, quindi io vado a riempirmici lo stomaco. Appena vi riprendete potete anche raggiungermi.»
Detto ciò, il mago varcò la soglia di quel... ehm, posto. E rimase, doveva ammetterlo, piacevolmente sorpreso dall'odorino inusuale che arrivò a stuzzicargli l'olfatto; il posto in sé era pieno zeppo di gente, diviso in due piani – gran parte dei tavoli erano disposti in quello superiore, accessibile grazie a una scalinata a chiocciola – e come ogni cosa che riguardava i Babbani era strano quanto intrigante.
Sì, era questo il termine giusto, che usò per definire l'allegria del posto e il fatto che tutti quanti prendessero da mangiare ad un bancone per poi andarsi a sedere per gustarsi qualunque cosa cucinassero in quei MecCosi.
«Wow!» Fu l'unica parola che riuscì a pronunciare, divertito e meravigliato dalla vista di due bambini di sì e no dodici anni che tiravano fuori da quelle scatolette rosse e gialle una sorta di giocattolo. «Cibo strano che fa ridere e giochi scemi in omaggio, sto seriamente pensarlo di proporlo a Fred.» Aggiunse a mezza voce, scuotendo il capo.
«Ma questo—» Iniziò una voce meravigliata alla sua destra; Eric guardava con tanto d'occhi quegli stessi ragazzini e i loro due enormi panini – erano panini, no? – come se non avesse mai visto del cibo. In effetti non gli si poteva dar torto, sembravano particolari.
«—è il paradiso!» Concluse John, alla sinistra di George, con gli occhi che luccicavano alla vista di quella specie di menù che doveva essere l'enorme, gigantesco cartello appeso alla parete alle spalle dei commessi. La gente si accalcava lì, ordinava e poi si andava a cercare un tavolo; a grandi linee era così che doveva funzionare.
George squadrò i due bambini divertito da cotanta semplicità, prima di prenderli per mano – e quindi farli schiodare dal punto in cui si erano fermati – e trascinarli verso il bancone. L'unico problema erano i soldi; dubitava del fatto che avrebbe potuto pagare coi galeoni, ma a ciò vi avrebbe posto rimedio a tempo debito.
«Come pensi di pagare?» Domandò appunto Eric, riscuotendosi dallo stato di trance confusionaria in cui era crollato poco prima. George schioccò la lingua sul palato esibendo un sorriso che più che tale pareva un ghigno malizioso e furbo. «Ora guardate e imparate, vi mostrerò come s'incanta una Babbana.»
John scosse il capo bruscamente all'udire quelle parole. «Non vorrai usare un incantesimo, spero!»
«Nah, il mio fascino è più efficace.»
«...Sarebbe mille volte meglio trasfigurare una mattonella in cibo.» Concluse convinto John, annuendo tra sé e sé.
«Ti risparmieresti di fare la figura dell'idiota.» Aggiunse in tono pragmatico e quasi consolatorio Eric.
«Malfidati.»
Data l'ora il locale era abbastanza pieno, ma in poco tempo, arrivò il suo turno. Il fascino Weasley – quello dei gemelli, per intenderci – non aveva mai fallito con nessuna ragazza, che fosse una strega o meno, era un'arma particolare su cui George e Fred erano sempre stati certi di poter contare. E poi, andiamo, poteva permettere che due bambini avessero ragione e lui torto?
No, Hermione bastava e avanzava.
Non appena toccò a lui, dunque, George sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi alla giovane commessa, «Ciao!» ignorando bellamente le risate soffocate dei gemelli alla vista dell'espressione accigliata della ragazza.
Doveva avere sì e no diciassette anni, a giudicare dall'altezza; i capelli castano scuro erano raccolti disordinatamente sotto il cappellino della divisa e gli occhi, grandi e di un blu scuro tendente al verde, lo scrutavano con fare perplesso.
Eppure nulla; sul suo volto spruzzato da qualche lentiggine non c'era alcuna traccia di imbarazzo.
«Ehm, ciao.»
George poggiò un gomito sul bancone, senza abbandonare quell'espressione provocatoria che, già per natura, possedeva. «Vorrei ordinare un... ehm... un...»
Ecco, sì, cosa diavolo erano quei cosi che venivano venduti in quella specie di ristorante?
«Un hamburger? Già, è quello per cui si entra in un McDonald's.» Replicò la giovane, indicandogli il cartellone posto alle sue spalle. «Cosa volete ordinare?»
Al vedere Eric ridere contro la spalla del gemello, il quale faceva altrettanto senza però nascondere il suo divertimento, George si riscosse e guardò con fare confuso tutti quei nomi strani affiancati a panini che, a parer suo, sembravano essere più o meno tutti uguali. Rivolse lo sguardo color nocciola alla brunetta, grattandosi la nuca; poi ebbe una trovata a dir poco geniale – secondo lui.
«Qual è il tuo preferito?»
Inutile dire che alla povera ragazza dietro il bancone stavano per cascare le braccia; da che cavolo di pianeta veniva quell'idiota coi capelli rossi?
Che poi, erano rosso naturale? Probabilmente no, quasi nessuno – o almeno per quanto lei avesse mai saputo – aveva per natura dei capelli di quella tonalità, così vicina all'arancio carota.
Scosse il capo, in fondo divertita, prendendo a scribacchiare qualcosa su un bloc notes rispondendo distrattamente alla domanda del ragazzo «Il Big Tasty non è male, ma preferisco il McRoyal Cheese, personalmente.» il quale esultò interiormente per poi uscirsene in tono spontaneo e allegro con un: «Vada per il McRoyal Cheese, dolcezza
A quel punto Eric e John non resistettero oltre e scoppiarono a ridere di gusto al vedere la matita cader di mano alla Babbana e la sua espressione basita. Quest'ultima fece finta di nulla e recuperando la sua fida compagna da terra annuì. «Vada per il McRoyal Cheese, rosso
«George, dolcezza.»
«Come ti pare, rosso. E ai tuoi fratellini cosa faccio preparare?» Domandò, sporgendosi un po' per poter vedere meglio Eric e John, i quali, dopo essersi calmati dal loro attacco di ridarella, esclamarono all'unisono: «Big Mac e porzione doppia di patatine, per favore!»
«Hanno le idee più chiare di te, eh?» Commentò tra sé e sé la moretta, annotando il tutto sul suo taccuino e passandolo ad un collega che aveva appena finito di servire un ragazzino biondo.
George la vide iniziare ad armeggiare anche lei con la piastra e i fornelli; era interessante, non aveva mai visto un posto dove si preparava tutto così velocemente e con tanta precisione. Dopo pochi minuti e già la ragazza stava disponendo svelta un pacchetto su un vassoio, insieme ad una cosa strana contenente un liquido scuro e dall'aspetto strano, oltre che le patatine – sì, aveva scoperto cosa fossero quelle cose dorate a puntino poste dentro i sacchetti rossi e gialli!
«Cheryl, pensi tu alle patatine?»
«Subito.»
Eric seguiva ogni movimento compiuto dalle mani della giovane col mento poggiato al bancone, in punta di piedi, sotto lo sguardo del gemello che, sì, era anche lui chiaramente affamato, ma non tanto da appendersi – a momenti – al piano cottura. George intanto armeggiava distrattamente con la sua bacchetta, pronto ad usarla al momento più opportuno; non avrebbero dovuto esserci problemi, sarebbe riuscito a usare il Confundo anche in un luogo affollato se necessario.
Il trucco era essere discreti.
«Dunque ti chiami Cheryl.»
La ragazza lasciò i due pacchetti di patatine dei gemelli sul vassoio a loro destinato, guardandolo appena. «Che perspicacia.»
«È un gran bel nome!» Commentò il Weasley senza farsi scoraggiare; alla fin fine non mentiva neanche nel dirlo. Cheryl posò due Coca Cole sul vassoio fermandosi ad osservare il ragazzo di fronte a lei con occhi scrutatori, che sotto le ciglia lunghe e scure parevano ancor più penetranti di quando non fossero in realtà.
«Adesso gli tira il registratore di cassa in testa.» Sussurrò John, più rivolto al gemello che a se stesso; Eric annuì scuotendo il capo.
«Dì un po',» Incalzò la giovane, indicando poi con la matita l'ormai mancato orecchio del rosso con fare curioso. «cosa ti è successo all'orecchio?»
«Ecco...» Temporeggiò George, domandandosi come diavolo si poteva perdere un orecchio nel mondo Babbano.
«Una rissa da bar!» S'intromise Eric, al che gli occhi dei tre si posarono su di lui, che mollò la presa sui bordi del bancone tornando coi piedi per terra.
Cheryl guardò prima George – come se fosse appena entrato nel McDonald's vestito da panda – e poi il bambino, sgranando gli occhi chiari. «Una rissa da bar?»
«Una rissa da bar?!» Le fecero eco George e John. Eric li guardò con sguardo d'ovvietà. «Una rissa da bar.»
«Una rissa da bar.» Confermarono i due maghi. Il sorriso sornione sul volto di George crebbe, divenendo quasi spavaldo – o strafottente? – nell'affermare: «Però non credere, li ho Affatturati per benino
«A-affatturati?» Mormorarono con voce strozzata John ed Eric, uno sbattendosi una mano in fronte e l'altro soffocando a stento le risate.
«Tu non sei di queste parti, dico bene?»
«Probabile.» Fece in tono vago George.
«Decisamente.» Fece in tono sicuro Cheryl. «E di dove saresti, baldo Affatturatore dai capelli rossi
George rivolse un'occhiata invocante aiuto ai gemelli, i quali si strinsero nelle spalle; tanto non poteva dire stupidaggini più di quanto non avesse già fatto. Guardò il tabellone degli hamburger in cerca d'ispirazione.
Dal canto suo, la castana rivolse uno sguardo implorante clemenza al suo supervisore, il quale le rispose con un'occhiataccia che diceva chiaramente: "Sopporta e alla fine di': grazie per aver scelto il nostro ristorante e arrivederci."
«Italia.» Disse tutto d'un colpo George. Gli occhi di Cheryl s'illuminarono di sorpresa. «Sul serio?»
«Certo, è puro sangue italiese, il mio!»
«Si dice italiano.» Lo corresse tossicchiando John; stavano per cascargli le braccia, decisamente.
Cheryl porse il vassoio coi due hamburger a Eric, sorridendogli cordialmente come da copione – e sotto sotto anche per solidarietà – per poi fare altrettanto con George.
«Cinque galeoni e sette zellini, prego.»
Il rosso per poco non fece cadere il vassoio che teneva in mano dallo sbigottimento; si limitò a dare quanto richiesto alla giovane, fissandola con gli occhi sgranati.
«Be'? Che c'è?»
«Sei una strega e hai permesso che facessi la figura dell'idiota cercando di sembrare un Babbano?»
«Non eri Corvonero ad Hogwarts, vero? Eppure sei così perspicace!» Sogghignò divertita la castana, tirando fuori dalla tasca dei blue jeans una bacchetta magica. L'agitò lievemente, con una torsione del posto veloce «Commutatio.» per poi infilare l'estremità in una sorta di piccola serratura comparsa dal nulla.
Digitò velocemente un codice e all'aprire il cassetto la prima cosa che si poté notare furono i galeoni lì presenti. Lasciò cadere il denaro lì dentro e, dopo che questo si fu disposto al giusto posto, richiuse il cassetto che, automaticamente, ritornò normale. «Voilà! Grazie per aver scelto il nostro ristorante e arrivederci.»
«Per Merlino, che serpe!»
 
Piuttosto che dare modo a George di dimostrare di nuovo quanto poco avesse mai avuto a che fare con la gente senza poteri i gemelli preferirono andare a cercare un posto tranquillo dove sistemarsi e mangiare; in quel caso, il tetto dell'edificio. A mali estremi, estremi rimedi.
Avevano chiesto a Cheryl se ci fosse una sala adibita per i maghi come ad esempio il Paiolo Magico, situato niente meno che nel bel mezzo della Londra Babbana, ma la ragazza aveva scosso il capo spiegando loro che l'unico servizio offerto da Salisbury in generale era proprio la presenza di qualcuno che accettasse di essere pagato con galeoni, falci e zellini.
E aveva proposto loro il tetto.
George prese a mangiare impacciatamente il suo hamburger, constatando che per quanto fossero complicati i Babbani erano anche ingegnosi. Molto!
«Questo merita una O piena!» Disse, dando un altro morso al suo McRoyal Cheese. Eric alzò il viso guardando il più grande con gli occhioni verdi carichi di perplessità. «E che sarebbe?»
 
- Ho sempre pensato che Fred e io avremmo dovuto prendere O in tutto, visto che già il fatto di presentarci agli esami andava oltre ogni previsione. -
 
«Oltre ogni previsione.» Rispose distrattamente John, mordicchiando la cannuccia della sua bibita con fare divertito; aveva appena scoperto che, soffiandoci dentro, la Coca Cola prendeva a fare bolle.
Eric lo fissò aggrottando la fronte, per poi guardare George. «E... che sarebbe?»
Il rosso rise, indicandolo. «Hai la faccia tutta sporca, lo sai? Comunque, è uno dei voti che puoi prendere ad Hogwarts.»
«Ah sì?» Fece curioso il bambino. «E gli altri quali erano?»
«Be', c'è la E, che sta per "Eccezionale" ed è il massimo dei voti.»
«Che tu neanche ti sognavi la notte.»
«Sta zitto, Piccolo Granger. Poi c'è O, "Oltre ogni previsione"; A come "Accettabile", S come "Scadente", D come "Desolante" e T
Eric corrucciò la fronte. «Per cosa sta la T?»
«Troll.»
«Ecco, questo è già un voto più alla tua portata, Weasley.» Commentò John, fissando le persone che, sotto di loro, camminavano tranquille; erano così serene, così ignare di ciò che poteva accadere così vicino a loro da far quasi invidia. Loro non avevano nessun pensiero, no. I Babbani si preoccupavano solo di cose futili che neanche capiva, personalmente.
Lui si sentiva in dovere di curarsene, invece: di interessarsi al modo ignaro con cui Eric teneva le gambe penzoloni nel vuoto dal cornicione mentre scherzava con George circa il fatto che stessero andando a cercare delle noci.
Cioè, un potere così grande racchiuso in tre piccole noci!
Effettivamente la cosa aveva un che di ironico, di strano.
«Voi scherzate, ma vedremo stasera se continuerete a ridere.» Li riprese ad un certo punto; i due si zittirono fin da subito e un'ombra calò sullo sguardo di George. Lo avvertiva forte e chiaro, ciò che provava: John sapeva come ci si sentiva ad essere nei suoi panni «Eric, se ti sporgi un altro po' finirai col cadere!» ed era forse questo a spingerlo ad essere un po' più minuzioso nel pensare a ogni dettaglio di quella pseudo-missione.
D'altra parte, però, i gemelli erano due, diciamo così, guide e nulla più; il vero lavoro l'avrebbe dovuto fare George, quello sbarbatello senza un orecchio e con il fantasma di una risata sempre presente nella voce e negli occhi.
«Perché dici così?» Gli chiese lui. John accartocciò il cartone che prima conteneva le sue patatine, lasciandolo sul vassoio posto tra lui e il suo gemello, guardando poi il rosso: «Semplice! Io ed Eric possiamo darti tutte le dritte che vuoi, ma la parte grossa devi farla tu. Stonehenge è un po' diversa dalle credenze Babbane. Non è un antico modo che i celtici avevano per sapere che ora fosse, ma bensì una sorta di portale.»
«Oh, è vero, non te l'abbiamo detto!» Si illuminò Eric. «Più che un portale è un limbo, qualcosa con cui puoi star certo di entrare in contatto con la magia antica. Merlino, il suo spirito, si dice sia rimasto strettamente legato a quel luogo, ma non so se è il caso di dar molto peso a simili voci.»
«Non fare quella faccia, Weasley, tanto scopriremo tutto questa sera!» Sbottò ridendo John, additando l'ex Grifondoro e la sua espressione a momenti sconvolta. Questi puntò gli occhi nocciola su Eric e John, entrambi all'apparenza divertiti. «Questa non è la faccia di una persona sconvolta, ma di una che ha scoperto che questa Pozione Babbana ha un gran bel sapore!»
Con uno strano retrogusto: quello della responsabilità e dell'ansia.
 
 
*
 
 
Anche se, esattamente com'era in apparenza, George era evidentemente ed inevitabilmente sprovvisto di pazienza, il trio riuscì a trascorrere la giornata senza dare nell'occhio. Salisbury era ricca di storia, così come qualsiasi città inglese Babbana avrebbero mai visitato – li aveva rimbeccati un mago anziano contro il quale Eric e John erano andati a sbattere mentre discutevano sulla direzione da prendere.
Alla fin fine George aveva anche scoperto qualcosa su Cheryl: sedici anni compiuti a marzo, Tassorosso e famiglia Babbana.
Per quanto potesse essere stata ingiusta con quel tiro che gli aveva giocato solo poche ore prima, era in gamba – per essere una novellina – e abbastanza discreta da indicar loro la direzione da prendere per Stonehenge senza chiedere nulla.
«Siete fortunati, non dista neanche dieci miglia da qui.» Aveva detto. «Ma non avrei mai detto che oltre ad essere un Affatturatore fossi anche appassionato di quelli che i Babbani chiamano riti spiritici
«Riti spiritici?»
«Esatto. Molte streghe e molti maghi dicono che quando i Babbani iniziarono a dare di matto e a bruciar vivo qualsiasi essere respirasse a trasudasse anche solo un grammo di magia le persone che iniziarono a credere che lì ci fosse davvero Merlino, pronto ad esaudire le loro preghiere e a salvarli, furono centinaia.» Gli aveva spiegato, divertita. «Come se un Patronus potesse davvero bastare!»
«Aspetta, frena, frena un secondo! Hai detto Patronus?»
«Sì, be', in qualche modo dovrai pur farti identificare dal nostro Serpeverde dalla barba bianca, no?»
Quello era un problema; l'unico ostacolo che George avvertiva lì, eretto tra lui e le pietre che si ergevano davanti ed intorno a lui. Eric lo aveva fatto posizionare su di una pietra riversa a terra, affermando che tutto ciò che doveva fare era lanciare un Incanto Patronus verso i due piccoli archi posti uno vicino all'altro – formati da tre pietre ciascuno – immediatamente davanti a lui.
«E poi?»
«E poi non lo so, mica l'ho inventato io, questo meccanismo!»
Il rosso rivolse un'occhiata nervosa a John e poi ai due archi; non capiva il perché, ma la sola idea di dover lanciare un Incanto Patronus lo atterriva; c'era qualcosa che lo bloccava. Il bambino tirò a sé il gemello, arretrando di qualche passo. «Tu rilassati, Weasley, sappiamo benissimo che sai lanciare un Patronus, devi solo concentrarti su un ricordo felice. Che ci vuole?»
«Non potreste farlo voi?»
«Ehi, chi è che sta cercando di far resuscitare il suo gemello? Io o tu?» Lo zittì il castano. «Non ci vuole molto, concentrati!»
George strinse la bacchetta tanto forte che le nocche sbiancarono e infilò la mano sinistra sotto la maglia, tirando fuori la lancetta sua e di Fred. L'accarezzò sentendo affiorare una sensazione talmente calda da essere quasi insopportabile, a cui non si sentiva più abituato.
"Pensa, Forge, pensa! A cosa hai pensato quando hai evocato per la prima volta il tuo Patronus?" Si domandò, stringendo l'oggetto con forza e socchiudendo gli occhi color nocciola.
 
- Non ci riesco, dannazione! -
- Ginevra! Questi termini non sono adatti ad una signorina! -
- Smettila di prendermi in giro, Fred! Piuttosto aiutami, qual è il tuo ricordo felice? -
- Il mio? George! Avevi dubbi? -
 
Sgranò gli occhi sentendo un colpo, un tuffo al cuore al ricordare quella scena, susseguita da un'altra ben poco piacevole, ovvero quella dell'esplosione, della pioggia di calcinacci, di quello che ormai era soltanto il fantasma di un sorriso.
Non riusciva a concepire un Patronus, non perché no avesse alcun ricordo felice, ma perché ogni istante a cui pensava era completato dal suo volto.
Ogni ricordo, bello o brutto, era collegato a lui, a Fred. Ed era una reazione a catena: il bel ricordo veniva prontamente sostituito da quel momento, impresso in maniera indelebile nella mente del rosso, e al confronto quasi svaniva.
Alzò esitante il braccio, fissando la punta della bacchetta, risplendente appena di un timido bagliore; tremava, George, ed Eric non ne capiva il motivo.
I ricordi sono tutto, sono il passato e parte del presente e del futuro di una persona. Sono ciò che fa di un uomo ciò che è, chi è, motivandolo; dandogli, in un certo senso, forza.
Chiunque ha bisogno di ricordi che gli rammentino chi è.
Allora perché per George era così difficile ricordare chi fosse davvero?
«Non ce la fa.» Concluse sotto voce John, ed Eric avvertì nella voce del gemello qualcosa di simile alla tristezza.
Perché John sapeva come si sentiva George.
Però lui, al contrario, sapeva com'era essere dall'altra parte.
«Eric, non ci riesce. Possiamo—»
«George, non avere paura di ricordare!» Lo richiamò il bambino. «Lui non se n'è mai andato, Fred vive in te e aspetta solo di venire fuori
Negli occhi nocciola del rosso, Eric fu felice di veder scoccare una scintilla che in realtà non era mai svanita. Quella luce particolare, che portò fuori dalla bocca del giovane Weasley quella formula che fino a pochi istanti prima neanche ricordava, spinta dal ricordo di ogni scherzo e ogni risata per cui adesso si trovava lì.
«Expecto Patronum
Quando, per la prima volta, George aveva evocato un Patronus, Fred era alle sue spalle ad oservarlo, curioso di vedere che forma avrebbe preso. E aveva sorriso all'uscire dalla bacchetta del gemello un bagliore argenteo vivace e guizzante.
Fred sorrise anche quella volta, solo che nessuno lo vide.
Ma un sorriso non ha necessariamente bisogno di essere visto, non nel loro caso, perché George lo sentì.
Fletté il braccio e dalla sua bacchetta magica uscì una nube argentata; si librò in aria e fece una capriola, poi prese forma.
E allora sui volti dei gemelli comparve un'espressione interdetta, perché il Patronus di George non era più un coyote.
Né era una iena, come quello di Fred.
Volteggiando attorno al suo creatore, l'incanto parve cambiare più e più volte. Una volta un coyote, un'altra una iena, finché non svanì tra i due archi di pietra, lasciandosi dietro solo tenui scintillii argentei segnanti il suo passaggio.
Calò il silenzio; George si accorse di aver trattenuto il fiato e, sollevando un angolo della bocca e passandosi una mano tra i capelli scompigliati, guardò elettrizzato Eric e John, ridendo.
«Lo avete visto anche voi?»
«Io l'ho visto bene, George Fabian Weasley.» Proruppe una calda voce maschile, scolorita dall'età e vibrante nell'aria. Il rosso si guardò attorno, perplesso. «Ma chi ha parlato?»
In mezzo ai due archi in pietra comparve un bagliore; tutto parve illuminarsi, ogni pietra ora sprigionava una luce tutta propria, compresa quella su cui era salito George.
La magia era palpabile, volteggiante nell'aria come il mago non l'aveva mai avvertita. E tutta concentrata lì!
Quella piccola luce crebbe fino a rivelare l'eterea figura di un uomo anziano e dalla barba bianca; gli occhi chiari brillanti d'arguzia e gentilezza.
«Io.» Disse. «Che c'è, non hai mai visto un fantasma prima d'ora, figliolo?»
 
 
 
 

 
Writer’s side
 
No ma dai, scrivo davvero così male? ç_ç
Neanche un parere piccino picciò, la scorsa volta…
Comunque, ecco, stavolta ho da dire soltanto che l’incantesimo usato per lo scambio della moneta l’ho – Anche questo – inventato io, traducendo in latino semplicemente un’espressione.
E…Hm, sì, beh, io non me l’immagino proprio un McDonald’s nel mondo dei maghi, e se consideriamo che i Weasley sono dei purosangue mi capirete quando vi dico che mi sono divertita un sacco a scrivere il primo pezzo del capitolo. XD
Oh, e l’espressione usata da Cheryl («Sì, beh, in qualche modo dovrai pur farti identificare dal nostro Serpeverde dalla barba bianca, no?») è dovuta al fatto che, non ricordo dove, mi pare di averlo letto in qualche spezzone di uno dei libri che Merlino era della Casa di Serpeverde.
Invece per la storia del Patronus, credo che tutti conosciate quel famoso headcanon con cui saremo tutti d’accordo, ovvero che George non ha più potuto evocare un Patronus poiché ogni suo ricordo felice era con Fred. Ebbene, sì, ho giocato su quello.
E poi per la forma non ben definita, variante da coyote a iena, a mia discolpa dico che come detto da Remus Lupin la forma corporea del Patronus può cambiare se accade qualcosa che sconvolge l’animo di una persona. Credo che la morte di una persona sia sufficiente, no?
Esempio? Severus Piton e Lily Evans.~
Ho finito, okay, mi dileguo. Mi dileguo ma vi lascio questo link – https://www.youtube.com/watch?v=Nv0sX4VpphI&hd=1 – che vi porterà a uno pseudo-video trailer che mi sono divertita a montar su per questa Fanfiction.
Ciao ciao a tutti!
 
Sol F. Jones

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Capitolo 7
*** La risposta è lì, dove tutto è cominciato ed è finito ***


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La risposta è lì, dove tutto è cominciato ed è finito


John ed Eric scattarono in piedi all'istante, raggiungendo George senza staccare gli occhi chiari dalla figura del mago appena apparso dinnanzi a loro. Dire che erano affascinati – Da tutta quella magia – e ammirati era riduttivo.
Strattonarono distrattamente il rosso, come per riscuoterlo dal naturale sbigottimento iniziale; di fantasmi ne aveva visti, ovvio, Hogwarts non ne era sprovvista e lo stesso professore di Storia della Magia era uno spirito. Ma no, non era così.
Sir Nicholas, il fantasma di Grifondoro, trasmetteva un inequivocabile e indiscutibile fascino d'altri tempi, coi suoi modi di parlare e di atteggiarsi – Specie con le giovani streghe – ma non emetteva quella strana aura.
Nell'aria, quando passava lui, o Pix, o il Barone Sanguinario, non si respirava mai tutta quella magia; un potere antico, che irradiava tutto con quel certo nonsoché proveniente da un'epoca lontana, da un luogo diverso. Non si sarebbe stupito, George, se da un momento all'altro le pietre formanti il luogo in cui si trovavano si fossero messe a cantare e ballare.
«George, non dici niente?! Per le sottane di Morgana, quello è Merli-!» L'esclamazione di John venne messa a tacere da lui stesso, che si portò le mani alla bocca rendendosi conto di aver appena nominato il nome della più grande rivale di Merlino invano.
Eric, in situazioni ordinarie, avrebbe riso del comportamento del gemello – Un po' perché era ironico che avesse appena rubato le parole di bocca – ma quella non era certo una situazione ordinaria, anzi!
Merlino rise divertito guardando i due bambini con fare minuzioso e attento. Poi semplicemente si avvicinò e poggiò loro le mani sul capo, socchiudendo gli occhi. La sua unica e palese intenzione era vedere, così Eric e John lasciarono le menti aperte quel tanto perché il mago potesse leggervi il minimo indispensabile.
Sul suo volto spuntò un sorriso soddisfatto.
«Ma guarda, due piccoli Tassorosso e Corvonero!» Esclamò tutto d'un tratto, allontanando le mani dalle teste dei due gemelli, i quali si guardarono come se si vedessero per la prima volta in vita loro. «Cosa pretendevate voi due? Di Patronus ne ho ricevuto solo uno, e voi qui siete in tre. Dovevo pur farmi un quadro della situazione!» Spiegò benevolo il mago, portandosi una mano alla lunga barba bianca, rivolgendosi poi a George.
«Hai idea di quanto possa dire un Patronus, ragazzo?»
Il rosso sbatté le palpebre, tornando alla realtà: si era sinceramente perso a guardare il punto in cui aveva visto apparire Merlino e quando questi gli rivolse la domanda lui non seppe bene che rispondere.
Un Patronus, dopotutto, cos'era? Tutto e niente.
«Hai visto che forma aveva?» Domandò imperterrito il mago più anziano.
«Un coyote. Il mio Patronus ha sempre avuto quelle sembianze, ma non sono sicuro, cambiava di continuo.» Rispose sinceramente perplesso il giovane. «Da coyote a iena, da iena a coyote. Non era mai successo.»
«Come ti ho già detto, l'ho visto. E devo dire che hai un bel Patronus. Sai il coyote rappresenta il caos e lavora incessantemente per generare nuove possibilità. Cade sempre nelle sue stesse trappole per poi riuscire a liberarsi uscendone tutte le volte ancora incolume come farebbe una fenice che sorge dalle sue stesse ceneri, non apprendendo dai suoi stessi errori cade spesso negli stessi schemi negativi di azione provocando gli stessi identici problemi. Il coyote possiede la peculiarità di riuscire a vivere alla giornata. Ti aiuta a prenderti meno sul serio e ad allargare il tuo punto di vista. Può costringerti a ridere delle tue debolezze, può portarti a vivere situazioni paradossali, la cui unica via di uscita è scoppiare in una sonora risata. Il Patronus riflette la nostra anima, in parte, no? Tu non sei forse tutto questo?»
Ebbene sì, George era quello e molto altro, ma proprio come il coyote la sua forza risiedeva in un punto di riferimento: Fred.
Era incredibile pensare che le uniche volte in cui i due gemelli si erano ritrovati divisi avevano pagato la cosa a caro prezzo.
George con l'orecchio sinistro; Fred con la vita.
Due gemelli, si dice così, sono collegati da un legame speciale, senza dubbi; Fred e George non facevano eccezione, e fu proprio la morte di Fred a far trasparire il lato più debole eppure forte dell'altro Weasley.
Perché Fred era il ricordo felice grazie al quale George aveva scoperto il suo Patronus, e da un momento all'altro da suo passato, presente e futuro si era trasformato solo in un ricordo la cui memoria era un'arma a doppio taglio.
Perché nonostante le mille analogie, erano così diversi da risultare complementari.
Fred sapeva vivere appieno il presente, senza mai voltarsi indietro; George no.
Fred avrebbe saputo, forse, vivere per due; George no.
Fece per rispondere, ma il vecchio non gliene diede la possibilità, da che non aveva ancora finito di esprimersi. «A quanto pare no. O non più o non del tutto, perché il tuo Patronus è incerto sul cambiare o meno e trasformarsi in una iena.»
«Sai» si intromise flebilmente John. «la iena era il Patronus del suo gemello. Secondo me è cambiato dopo la sua morte.»
«Tu hai un gemello, figliolo?» Domandò Merlino, gli occhi azzurri guizzarono attenti, attraversati da una strana scintilla. George annuì, semplicemente. «Sono qui per lui.»
«Per incontrarlo?»
«No, per riportarlo indietro.»
Uno strano silenzio avvolse il viso del mago; Merlino parve non essere poi così sorpreso dall'affermazione di George – Sicuramente aveva intravisto qualcosa nel Patronus con cui il giovane Weasley l'aveva richiamato – ma al contempo qualcosa era scattato; come una vecchia ferita non del tutto rimarginata.
«Allora so cosa cerchi, ma mi spiace, le Noci Crononaute non sono in mio possesso da un sacco di tempo.»
Eric si sentì opprimere da uno strano senso di malinconia; rivolse uno sguardo fugace al gemello. Era teso, forse quanto George probabilmente.
«E allora... Allora dove sono?» Chiese il bambino. Lui non poteva capirli, effettivamente; forse era l'attitudine nella Legilmanzia a favorire John, o forse più semplicemente lui e George avevano più affinità. Perché per quanto potesse immaginare il dolore che sentiva da settimane il rosso, Eric non riusciva a capirlo appieno, ad avere quel poco di tatto in più che John invece possedeva circa quella faccenda.
«George, conosci la leggenda di ciò che stai cercando, vero?»
Il rosso annuì con decisione alla domanda di Merlino, impugnando sempre con più forza la sua bacchetta. «Sì, so di Aillean, degli scandinesi o come si chiamavano quei tizi che hanno invaso l'Irlanda e il resto.»
«Scandinavi.» Lo corresse divertito l'anziano. «E comunque no, a quanto pare non conosci del tutto la vicenda.»
George guardò di sottecchi i gemelli, i cui occhi per poco non gli uscirono dalle orbite dalla sorpresa; evidentemente neanche loro immaginavano una cosa simile. Erano davvero convinti di ciò che gli avevano detto.
Poi guardò Merlino, e negli occhi del giovane questi vi scorse un lampo d'incertezza e ansia certamente innaturale per un ragazzo come lui. Alzò una mano come per tranquillizzarlo. «Non preoccuparti, non ti ho certo detto che non ti voglio aiutare! Sai, Aillean non è che il co-protagonista della vicenda delle Noci Crononaute, non ha inventato lui la Pozione per viaggiare nel tempo.» Spiegò.
«Ma se non è stato lui–»
«–Allora chi è stato?»
Merlino sospirò con rammarico. «La mente a cui si attribuisce il merito di tale prodigio non è quella di Aillean, e non ve lo sto dicendo per farvi perdere tempo. Anche perché, beh, io stesso non ne ho molto.» Affermò, alzando lo sguardo sui sottili fasci argentei che circondavano Stonehenge; poco prima erano molto più appariscenti, in effetti. «Ho accettato di vederti perché ho visto tanto nel tuo Patronus. Anche Fred. La iena è la sua, sai?»
Non era da lui essere così passivo, solitamente aveva sempre una risposta da dare a chiunque e in qualunque situazione. Ma ora no, non sapeva davvero cosa pensare o dire davanti al sorriso sornione di Merlino.
Somigliava molto a Silente, come lui aveva quel modo vago di parlare e quell'aria saggia quanto eccentrica. Pareva saper scorgere fin nel profondo della sua anima come se nulla fosse, pareva poter vedere la soluzione più ovvia senza rimuginarci.
«Determinazione, istinto, spirito di squadra, tenacia. La Iena insegna l'abilità di discernere, di fidarsi o meno "a naso". Era molto avventato, scommetto. Avventato quanto frainteso da molti. Non credo fosse una persona che si mostrava del tutto per quel che era davvero.»
«No, lui... Fred è una persona che bisogna conoscere per poter apprezzare davvero, o almeno così credo che sia per gli altri.» Annuì George, scuotendo il capo. «Ma non hai risposto alla domanda di fondo: se non le hai più tu, dove devo andare?»
«Hogwarts.» Disse semplicemente Merlino. Al che, la mascella di George per poco non toccò terra.
Hogwarts?!
Sarebbe dovuto tornare lì?
«Vedi, quando accadde tutto, decisi di mettere al sicuro le Noci Crononaute. Per cui, non le troverai mai tutte insieme, sono separate. Ricordo vagamente di essermi rivolto ai due maghi e alle due streghe più forti dell'epoca: i fondatori di Hogwarts. Mi aiutarono a tramandare nei secoli la memoria di ciò che successe quel giorno di maggio di mille anni or sono. Una verità intoccabile alle mani altrui. racchiusi le mie memorie in un'ampolla, e poi me ne andai, lasciandola a loro.»
«Non puoi dirmi direttamente dove hai nascosto la tua?» Chiese quasi in un filo di voce George, già di per sé provato; Merlino rise, aveva una risata fragorosa e segnata dai secoli. «Potrei! Ma dopo mille anni, i ricordi di uno spettro non sono più poi così attendibili. E poi sarebbe troppo facile, ragazzo mio!»
 
 
*
 
 
Non tornarono in città per la notte; nel suo zainetto George aveva una vecchia tenda incantata; a vederla da fuori non sembrava possibile che al suo interno avesse tutti i comfort di una casa vera e propria, con servizio idraulico e tutto il resto. L'avevano montata poco distante da Stonehenge giusto per non dover spostarsi troppo.
Per George non sarebbe stato un problema, ma John ed Eric dormivano praticamente in piedi, per quanto non la smettessero di parlare. Almeno ci provavano; l'umore di George, se ultimamente non era dei migliori, ora era sotto terra.
Ed ormai l'avevano accertato, nel giro di pochissime ore: un George giù di morale era scorbutico quanto una Banshee, a momenti. L'esatto opposto di com'era per natura, insomma.
Faceva avanti e indietro per la tenda-casa rimuginando sulle spiegazioni evasive date da Merlino; più che quello, forse era più il fatto di dover tornare ad Hogwarts il suo vero problema.
I lavori di ricostruzione sarebbero iniziati a breve, a quanto ne sapeva molti studenti erano già lì a cercare di dare una mano, come potevano.
La Battaglia di Hogwarts non aveva solo portato via con sé molte vite innocenti, aveva anche irrimediabilmente deturpato quelli che erano stati luoghi importanti per molti. Il pensiero di tornarci era strano, perché effettivamente non avrebbe mai pensato di rimettere piede alla scuola di magia. Era come con gli specchi; creava l'illusione che Fred ci fosse ancora.
Il vecchio orologio sulla parete scoccò un'altra ora, era notte inoltrata; tra poco sarebbe sorto il Sole e lui non aveva chiuso occhio. Aveva ripercorso in lungo e in largo la cucina, fermandosi ogni tanto con fare guardingo all'udire un qualche rumore strano – Che poi in realtà si rivelava essere lo scricchiolio di un mobile o uno spiffero.
«Se non dormo sembrerò uno zombie. Fred mi deve un grosso, enorme favore.» Borbottò tra sé e sé, entrando nell'unica stanza presente in quella vecchia tenda.
C'era un solo, grande letto a due piazze, ed era anche già occupato: però Eric e John erano minuti, per cui non sarebbe stato un problema starci in tre.
Dormivano rannicchiati su un lato – John sulla sinistra, Eric sulla destra – e i capelli scuri e scarmigliati si incontravano così come le loro piccole mani.
Mentre dormivano parevano la quint'essenza della pace e della tranquillità; i loro respiri regolari e sincronizzati erano l'unico suono che riempiva il silenzio della stanza.
Era una visione fin troppo dolce per essere scaturita da bambini così, ma la cosa che la rendeva più significativa agli occhi di George era appunto il fatto che i due fossero come lui e Fred; perfettamente identici quanto differenti e, in quel momento, più uniti che in qualsiasi altro momento della giornata. Sospirò sdraiandosi sulla metà di letto libera, nel vano tentativo di prendere sonno ma, come da lui previsto, non ci riuscì. Passò qualche altra ora a fissare il soffitto finché John ed Eric non si svegliarono, buttandolo giù dal letto con tutta la grazia di cui disponevano.
«Il mattino ha l'oro in bocca, Weasley! E Hogwarts ci aspetta!» Esclamò pimpante John, arraffando i suoi vestiti e infilandoseli alla bell'e meglio mentre correva in cucina, gesto prontamente imitato dal gemello il quale saltò giù dal letto e, prima di varcare la soglia della stanza, urlò a George di muoversi. Il rosso boccheggiò appena, ancora sdraiato sul pavimento a fissare la porta della stanza, poi rise alzandosi e andando ad assicurarsi che quei due non si mettessero, per disperazione, a – Tentare di – cucinare qualcosa.
«Non toccate i fornelli! Andiamo a fare colazione da Cheryl.»
«Oh oh, quanto entusiasmo!»
«Beh John, come biasimarlo? È carina, poco ma sicuro!»
Il rosso scosse il capo aiutando Eric ad infilarsi la maglietta nel verso giusto solo per dargli uno scappellotto dietro la nuca. «Come pensate di fare colazione altrimenti? Sono una frana con pentelle e padole
«Ma cos'hai contro la Babbanologia? Si dice pentole e padelle, semmai!»
«È uguale, Piccolo Granger.»
 
Stavolta invece delle scope avrebbero usato la Materializzazione; d'altronde, con tutte le volte in cui Fred e George l'avevano praticata per casa solo per cogliere chiunque di sorpresa, erano diventati molto bravi. Una volta fatta colazione, uscirono dalla città per non essere visti, e George porse le mani ai due gemelli.
Con un sonoro "CRACK!" la città di Salisbury scomparve, e subito dopo a sostituirla c'era già qualcos'altro. Era una sensazione strana Smaterializzarsi: era come usare una Passaporta, la sensazione era la stessa, solo che questa richiedeva una certa concentrazione e, nonostante tutto, pur di non rischiare di Spaccarsi, George ricordava sempre ciò che diceva Wilkie Twycross, l'insegnante di Materializzazione, circa le tre D.
Destinazione, determinazione e decisione erano alla base di una Materializzazione decente.
Durò pochi secondi e per paura John chiuse gli occhi. Quando li riaprì, un enorme e maestoso castello accolse i suoi occhi verdi: era percorso da innumerevoli crepe, molte mura erano crollate. Una volta doveva essere stato bellissimo, il castello di Hogwarts; ora, il Sole batteva sulle macerie e sui detriti come nel vano tentativo di riportare alla vita quel luogo.
Lì vicino, poi, quelle colonne mezze distrutte, un tempo dovevano essere state un campo da Quidditch.
Alzò lo sguardo nel tentativo di scorgere l'espressione di George. Stringeva ancora le loro mani, non le aveva mollate, probabilmente era troppo preso da quella visione; aveva lo sguardo alto e perso nel nulla, grazie al suo dono il bambino poteva sentire la sua mente correre veloce, assalita dai ricordi e da mille e più emozioni.
Deglutì a vuoto davanti a quella che per sette anni era stata la sua – La loro – casa, come a voler mandar giù un singhiozzo.
Come aveva immaginato, era quasi come mettersi davanti ad uno specchio; risvegliava in lui l'innocente e flebile illusione che da un momento all'altro Fred sarebbe spuntato dall'entrata, sporco di polvere e terra dalla testa ai piedi e con gli abiti sbrindellati, ridendo e rimproverandogli di non essersi fatto vivo per aiutare lui e gli altri a rimettere in piedi il Castello.
Era come una pugnalata al petto, George sentiva le loro voci – Bambine, infantili, da ragazzini, giovani e poi più profonde, adulte – riecheggiare nell'aria, ma si incoraggiava a non cedere all'emozione, come avrebbe fatto Fred.
Certo, forse lui sarebbe stato un po' più forte, ma alla fin fine che importanza aveva? Sarebbe arrivato fin lì, come lui, se la situazione fosse stata inversa.
Perché per entrambi vivere senza riuscire a fronteggiare il proprio riflesso, vivere con l'anima spaccata a metà, non era vivere.
Era sopravvivere.
Per quello era lì, no? George Weasley, il degno co-inventore dei Tiri Vispi, non avrebbe mai accettato di sopravvivere così; avrebbe reagito. In maniera ardita, in un modo cui solo un Grifondoro con le cosiddette avrebbe mai aspirato.
Trovarsi lì, in quel momento, era una sua scelta; riportare indietro Fred il suo obiettivo.
Per tornare a vivere, per ridere di nuovo.
Perché il coyote rappresentava la sua parte interiore oscura che spesso aveva guidato inconsciamente i suoi passi facendolo trovare in situazioni avverse solo per far sì che arrivasse a conoscere meglio sè stesso e a prendere la vita con maggiore leggerezza.
Sorrise al fantasma dei suoi ricordi; un sorriso vero, rivolto al luogo in cui tutto ebbe inizio il primo settembre del 1989 e trovò una fine il 2 maggio 1998.
«Eric, John, questa è Hogwarts.»
 
 
 
 



Writer’s side
Ma io boh, date che ho minimo due verifiche/interrogazioni al giorno mi riduco al sabato per finire di scrivere. È tremendo, chissà che schifo ho scritto! ç_ç
Comunque, non ho molto da dire stavolta (Per una volta, dai!) se non che trovare la simbologia della iena mi ha quasi uccisa.
Seriously.
E sapete poi dove ho trovato tutto? Su Wikipedia! *L’ironia*
Col coyote è stato molto più semplice.
E nulla, piano piano la storia si sta evolvendo, personalmente mi sto divertendo da matti! Se poi qualcuno fosse rimasto perplesso a causa dell’affermazione di Merlino, non temete; sono in arrivo uno o due capitoli appositi!
Vi lascio, sperando di non avervi annoiati e di ricevere un’opinione.
Ciao ciao!
Sol F. Jones
 

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Capitolo 8
*** Hogwarts, la Stanza delle Necessità e il Pensatoio ***


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Hogwarts, la Stanza delle Necessità e il Pensatoio


 
«Me l'immaginavo diversa.» Confessò John, guardandosi intorno. «Sì, insomma, un po' meno pericolante.» Aggiunse dopo aver rischiato d'inciampare in un calcinaccio.
Eric guardava ogni minima cosa con interesse e curiosità, tenendo per mano il gemello. Alzò lo sguardo sulle Torri di Grifondoro e Corvonero, semi distrutte; più che una scuola, adesso, Hogwarts sembrava un cimitero. Ma ogni cosa gli richiamava alla mente immagini di un luogo da lui mai visto, di una Hogwarts più forte e più bella. Più felice.
«C'abbiamo combattuto, naturale che sia così.» Rispose distrattamente George, cercando con lo sguardo di intravedere una figura amica in mezzo a tutta quella desolazione.
Attraversato l'atrio, l'interno era esattamente come lo ricordava quando l'aveva lasciato. Deglutì a vuoto, di nuovo, iniziando a salire una rampa di scale che li avrebbe portati al piano superiore.
Una volta alle scale piaceva cambiare, erano spassose in un certo senso; ora però non si muovevano neanche per sbaglio. Come se fossero morte, o tristi, o più semplicemente non ne avessero più la voglia.
«Dove stiamo andando di preciso?» Chiese imperterrito il bambino, trascinando Eric dietro di sé. Non spiccicava parola, segno che anche a lui quel luogo procurava delle sensazioni. In quanto Legilmago, l'unico fastidio per lui era un leggero senso di nausea – La Magia Oscura aveva lasciato tracce indelebili del suo passaggio – invece Eric doveva essere tartassato da visioni a tutt'andare.
«Nel vecchio ufficio di Silente.» Rispose George. «Se ci sono dei ricordi da vedere, allora sono lì. C’è un Pensatoio, credo, ed è giusto quello che ci serve.»
«Immagino tu sappia anche troppo bene come arrivarci.» Commentò il bambino. Il rosso sorrise appena. «Già.»
«John.»
Preoccupato, il castano si fermò su uno scalino e si voltò verso il fratello, solo per vedere gli occhi verdi, chiari e solitamente limpidi, persi nel vuoto. «Che c'è, Eric?»
«Vedo qualcosa. Un'ombra, non so bene chi sia. Ma sta percorrendo la nostra stessa strada. È parecchio dietro di noi, ma... Ma sta arrivando! Piano piano, e non con buone intenzioni!» Annaspò il bambino, aumentando la presa sulla mano del fratello come fosse la sua ancora di salvezza, spalancando ulteriormente gli occhi. George si inginocchiò confuso di fronte al castano; non sapeva bene che genere di dono fosse la Precognizione, né quanto fosse forte in Eric o se fosse causata da qualcosa in particolare. Ma lo sguardo di John lo allarmava tanto era terrorizzato!
Quest’ultimo poggiò entrambe le mani sulle spalle del suo gemello, fissandolo negli occhi e scuotendolo appena, con gentilezza. «Eric, cosa vedi esattamente? Tu– Insomma... Lascia che dia un'occhiata, okay?»
Evidentemente stava per insinuarsi nella sua mente, nel tentativo di capire cosa stesse vedendo Eric, ma quest'ultimo scosse il capo con decisione, e negli occhi verde smeraldo tornò la luce, la vitalità. Sbatté le palpebre perplesso, guardando prima John e poi George.
«Visione, eh?»
«Non ti ricordi che ti è successo?» Chiese stupito George, accorgendosi solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. Eric si strinse nelle spalle passandosi una mano tra i capelli. «Che pretendi, sono solo un bambino! Le mie visioni hanno dei punti ciechi e sono come dei sogni. Quando ti svegli, spesso li scordi nel giro di pochi secondi, o minuti al massimo.» Spiegò. «Allora, non dovevamo andare nell'ufficio del preside?»
John boccheggiò un istante, prima di lasciare le spalle del gemello e voltarsi stizzito «Andiamo!» e riprendere a salire, lasciando indietro George ed Eric.
«Il Piccolo Granger è un tipetto suscettibile.» Osservò inarcando un sopracciglio George, sollevando un angolo della bocca in un sorriso accennato. Eric, affianco a lui, scosse il capo. «Credo che si sia solo preoccupato, in effetti è un po' paranoico.»
«Ti ho sentito!» Sbottò John, arrivato in cima alla scalinata. George gli passò una mano sulla nuca, a mo' di consolazione. «Prendila sul ridere, aveva un'espressione da pesce lesso con cui neanche Ron potrebbe mai competere!»
 

«Etciù
«Fazzoletto?»
«Grazie, Harry.»

 
Il vecchio gargoyle era ancora lì in tutta la sua grandezza. Era scalfito in parecchi punti, però; il suo essere imponente non era che un flebile ricordo oscurato dalle spaccature che lo percorrevano. La battaglia aveva devastato anche lui.
George storse la bocca in un'espressione di disappunto, estraendo la bacchetta ed avvicinandoglisi. «Vecchio mio, come ti sei ridotto! Tranquillo, ti rimetto a nuovo!» Disse dando una pacca alla statua, sotto gli occhi perplessi dei gemelli. Agitò la bacchetta in pochi e fluidi gesti «Reparo!» e in un sol colpo, il gargoyle era come nuovo. Sorrise soddisfatto rimettendo la bacchetta nella tasca dei jeans. «Visto? Sei uno schianto! Ora, so che ci vorrebbe la parola d'ordine, ma non puoi fare un'eccezione e aiutare il tuo vecchio amico George?»
«Sta parlando con un gargoyle come ad un vecchio amico.» Mormorò Eric, osservando il modo in cui George cercava di far smuovere il grosso grifone.
«Con tutte le volte che l'avrà visto, ti stupisci?» Biascicò John in risposta, sobbalzando poi al sentire una voce inclinata dalla sorpresa e dal tempo levarsi alle sue spalle.
«Weasley!»
George smise di dare gomitate ammiccanti al gargoyle – E di proporgli appuntamenti al buio con altre statue a detta sua molto carine – scattando quasi in automatico sull'attenti; beh, così avrebbe fatto se vi fosse stato abituato, almeno.
«Professoressa! Che piacere vederla!» Esclamò sorpreso, allontanandosi dal gargoyle in una falcata; un sorriso innocente sbucò dal nulla, come un riflesso condizionato, sul suo volto.
In circostanze normali, se l'avesse colto in flagrante lì e con quel sorriso, Minerva McGranitt avrebbe subito fiutato una malefatta degna di lui. Ma non erano più nella Hogwarts tra le cui mura giravano due vivaci teste rosse; non poteva sospettare del gatto se non c'era anche la volpe con lui.
Era abituata a sgridarne due di lui, d'altronde. E vedere George da solo le dispiaceva più di quanto sembrasse, le era spiaciuto molto quando aveva saputo della morte di Fred Weasley; così giovane, così spensierato. Le erano anche pesati tutti i punti che aveva tolto a Grifondoro – Nel corso degli anni – a causa dei gemelli.
Ed erano tanti, ma tanti tanti.
«Non si faccia strane idee, non stavo cercando di rimorchiare quel gargoyle o, chessò, farlo spostare!» Si affrettò a giustificarsi George.
«Non l'ho neanche sospettato.» Concesse sospirando la strega. «Non avrei mai creduto di trovarti qui.» Aggiunse, con fare seriamente perplesso.
«Non le do torto. Infatti… Ehm…»
Intuendo che stava per inventare una qualche strana, stramba scusa, John interruppe prontamente il rosso.
«Infatti è qui perché ci ha accompagnati!»
«Oh, sì. Tra qualche anno dovremo iniziare anche noi a studiare qui, se tutto va bene. Quindi lo abbiamo implorato di portarci a vedere Hogwarts!» Aggiunse Eric.
George guardò i due bambini con perplessità crescente; perché non dire la verità a qualcuno che poteva esser loro d'aiuto?
E perché usare una scusa così inverosimile?!
«Sa,» Aggiunse John. «nostra sorella è morta durante la battaglia, George aveva una cotta per lei così ha acconsentito ad accompagnarci.»
«Solo per questa volta però. Lo ha specificato lui stesso.»
La professoressa McGranitt guardò prima il suo ex-alunno e poi quei due piccoli gemelli e, dall'altro della sua veneranda età e della sua esperienza, le parve di avvertire qualcosa di strano in loro.
Un potere, una magia, che non aveva mai captato.
Ma si auto ammonì, nella convinzione che la guerra avesse accresciuto troppo la sua diffidenza. Erano solo due bambini, la guerra era finita e quindi non c’era ragione per essere così sospettosa.
«Molto bene. Mi spiace per vostra sorella e, Weasley, mi rincresce la perdita che hai subito.»
Il sorriso di George scemò un poco, ma non sparì. E il giovane fece un cenno col capo. «Già. Grazie, professoressa.»
«Bene. Se mi cerchi sarò ad occuparmi dell'ala Nord del castello insieme ad alcuni tuoi compagni. Ma devo ricordarti che quel gargoyle non cederà alle tue lusinghe, i bambini vedranno la presidenza solo nel caso in cui decideranno di seguire le orme tue e di tuo fratello Fred.» Detto ciò, la professoressa McGranitt fece dietro front e si allontanò per il lungo corridoio, percorso di crepe e spaccature.
Non appena la vide sparire, Eric si concesse un mezzo sorriso. «Quella era davvero il Capo della Casata di Grifondoro? Ti conosce molto bene!»
«Riparleremo un'altra volta di quanto, in fondo in fondo, io le stia simpatico. Ora dobbiamo trov...» Le parole gli morirono in gola nel momento in cui un'idea gli balenò in mente. «Ma certo! La Stanza delle Necessità!»
«La Cosa?» Fecero i gemelli.
 
 
*
 
 

Settimo piano, immediatamente di fronte all'arazzo di "Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll".
Doveva farlo tre volte, se ben ricordava - E non sbagliava, aveva buona memoria.
George passò davanti all'entrata della Stanza delle Necessità una volta, poi una seconda e una terza dando voce ai suoi pensieri; permettendo che gli urlassero in testa cosicché anche la stanza potesse sentirli e, di conseguenza, fargli apparire una porta per permettergli di entrare.
La prima volta era accaduto per caso; quella stanza era divenuta un vero e proprio rifugio per i gemelli Weasley, nei momenti in cui scappavano da Gazza o cercavano un posto dove escogitare qualche bravata senza destare sospetti, ma esattamente come allora, ecco che una porta comparve sulla parete.
A quanto avevano raccontato loro Harry, Ron ed Hermione, la Stanza delle Necessità era andata bruciata durante la Battaglia di Hogwarts da un Ardemonio lanciato da Gregory Goyle, eppure quando varcò la soglia della porta in legno d'ebano, il rosso la trovò come se la ricordava; era enorme e non aveva assunto fattezze particolari.
Quando l'aveva scoperta Neville Paciock stava cercando un bagno, perciò la Stanza delle Necessità si era regolata di conseguenza; nel suo caso invece no: l'unico particolare lampante erano i colori sgargianti che accoglievano sempre lui e Fred, quel tavolo dove – All'età di undici anni – avevano passato ore a studiare la Mappa del Malandrino nel tentativo di scoprirne il segreto, e una foto – Di quelle vere, non quelle cose Babbane che rimanevano immobili – ritraente i gemelli Weasley mentre cospargevano la Sala Grande di Fuochi Forsennanti Weasley a cavallo dei loro manici di scopa.
Eric la prese e l'osservò rapito «Si muove!» mentre John parve più interessato alla stanza di per sé e al pacchetto di Api Frizzole che gli fece comparire tra le mani.
«Come faceva a sapere che avevo fame?»
«Beh, è la Stanza delle Necessità dopotutto.» Disse semplicemente George, osservando tutto ciò che era intorno a lui; la Stanza sembrava leggere costantemente i suoi pensieri e le sue emozioni, tanto più che bastò l'incrinarsi del suo tono di voce perché lo specchio davanti a lui, quella parete vetrata, si aprisse in una scalinata a chiocciola.
John lasciò cadere un'Ape sgranando gli occhi; si avvicinò al passaggio appena apparso cercando di scorgerne l'uscita. «Questo dovrebbe portare all'ufficio del Preside.»
«Come lo sai?»
«Eric, di cos'altro credi che abbiamo bisogno in questo momento? Un bagno?» Fece il bambino, inarcando un sopracciglio e vedendosi subito sparire il pacchetto di Api Frizzole dalle mani – Sostituito da un vaso da notte.
«...Era una battuta!»
«Hai un pessimo umorismo, la Stanza non ha neanche capito che stavi scherzando!» Concluse stringendosi nelle spalle George, oltrepassandolo e imboccando le scale. «Andiamo.»
Eric deglutì sonoramente accostandosi all'entrata del passaggio, facendovi vagare i suoi occhi smeraldini. «Qui dentro? Ma è...»
«Buio?» Azzardò George, arricciando il naso. Prese il bambino per mano senza pensarci su due volte «Dai John, dagli la mano.» e una volta che il castano prese per mano il suo gemello, i tre si inoltrarono nel passaggio, sentendolo chiudersi alle loro spalle. George tese la bacchetta «Lumos!» e pronunciò un incantesimo affinché potessero almeno vedere dove mettevano i piedi.
Eric sentì John irrigidirsi e gli venne spontaneo aumentare la presa sulla sua mano: era appurato che entrambi non amavano il buio, oramai.
Il passaggio fornito dalla Stanza delle Necessità era buio, illuminato dalla tenue luce scaturita dalla bacchetta di George; e stretto, anche. Era tutto scale e dopo cinque minuti passati là dentro non vederne l'uscita era snervante.
«Mi stai bloccando la circolazione, Eric.» Lo informò George, con un tono più divertito che altro. «Ci siamo quasi, riesco a ved- Ouch!» Il rosso arrestò improvvisamente la sua avanzata. Complice anche la parete contro la quale andò a sbattere. «Mi correggo: riesco a sentire l'uscita.»
«Smettila di scherzare, come usciamo di qui?» Gli chiese nervoso John; con quel tono, così simile a quello di Ron quando vedeva un ragno, tutto sembrava fuorché il promesso Corvonero che aveva riconosciuto Merlino.
Bastò che facesse pressione con la mano, perché il muro iniziasse a sfaldarsi.
Sembrava il passaggio che collegava Diagon Alley alla Londra Babbana; pochi secondi ed ecco erigersi un varco comunicante con una stanza che sette anni di marachelle e scherzi avevano reso familiare a George.
Lasciò andare la mano di Eric e, rapito, si inoltrò nell'ex-ufficio di Silente; essendo stato Piton l'ultimo effettivo occupante di quel luogo, si aspettava un ambiente spettrale ad attenderli e invece no: gli oggetti del vecchio preside di Hogwarts erano ancora lì. Certo, forse c'era più ordine, ma non era cambiato poi molto dall'ultima volta che era stato lì.
Era un luogo anch'esso importante, quello; e per quanto lo provassero i ricordi che gli invadevano prepotentemente la mente, si ritrovò a sentirsi bene, come a casa, anche lì.
 
Il Pensatoio era rimasto intatto nonostante tutto; era ancora lì e così anche le fiale di ricordi, tutte etichettate e disposte ordinatamente.
Appesi alla parete opposta, c'erano i quadri che George ricordava essere di tutti i presidi di Hogwarts; erano tutti vuoti. Gli abitanti dovevano essersi spostati, chi per un motivo e chi per un altro.
Ce n'erano giusto un paio di troppo, rispetto a quanto ricordasse il rosso; Piton e Silente dovevano ora trovarsi anche loro lì.
E, beh, alla fin fine anche il primo dei due se lo meritava.
Questo era il suo pensiero, mentre passava in rassegna le molteplici fialette contenenti ricordi presenti sullo scaffale affiancato al Pensatoio.
«Albus Silente... Lorance Fuocofatuo... Sibilla Cooman... Jeremy Doyle... Lucy Pevensie... Ah, ma dove diamine è?!» Sbottò John, continuando a spostare su un ripiano a parte le fiale che esaminava, aiutato dal gemello e da George.
«Ginger MacLiffe... Alexander Scarrow... Joanne Kathleen Rowling... Che barba, com'è poss–?»
«L'ho trovato!» Esclamò d'un tratto George, sfoggiando un'ampolla contenente al massimo tre gocce di quelle che dovevano essere lacrime. «Mago Merlino, eccolo qua!»
«Fantastico!» Esultò Eric.
«Finalmente!» Esclamò John. «Ora non ti resta che versare il contenuto dell'ampolla nel Pensatoio, immergervi il capo e... Beh, guardare tutto ciò che c'è da vedere. Merlino ha detto di non essere certo di ciò che ricordava–»
«E che era noioso renderci le cose facili.» Aggiunse il rosso.
«Anche quello! Ma se c'è qualche traccia che possa condurci anche solo ad una Noce, beh, quella è proprio lì, nella tua mano.»
 
Il tintinnio fugace dell'incresparsi dell'acqua riecheggiò in tutta la stanza, come se fosse stato più rumoroso del normale. George prese un profondo respiro, stringendo i bordi del Pensatoio e vedendo l'acqua sfumarsi di rosso e verde.
«Voi guarderete?»
«John è bravo con la Legilmanzia, o come si chiama. Stai tranquillo e immergiti.» Lo rassicurò Eric, sorridendogli e dandogli una pacca sul fianco – Complice l'altezza, o meglio bassezza, da lui posseduta.
Il rosso annuì e si immerse nel rosso e nel verde di un ricordo, sentendosi trascinare via. In un'epoca lontana, dove avrebbe saputo la verità.
Dove avrebbe saputo di più.
 




 



Writer's side
Buenas tardes gente! E ben ritrovati in questo nuovo capitolo!
Dunque, i prossimi due o tre - Non ne ho idea - capitoli saranno come Spin-Off, se vogliamo - Più o meno - in quanto ripercorreremo un attimo la vicenda di Aillean, Merlino, le Noci e... E vedrete!~
Voi direte: “E l’ombra che ha visto Eric?”
Io dirò: “Chi vivrà, vedrà! Muahahahah!”
. . . Alzi la mano chi mi ha già mandata a quel paese. U_U
Non so voi ma io mi sto divertendo un sacco a scrivere, mi sta piacendo dare una seconda chance al nostro Gred e al nostro Forge, perciò spero che così sia anche per voi!
Come sempre niente, qualcosa qui è frutto della mia fantasia - Come, ehm, il passaggio che porta alla presidenza - e devo dire che mi ci son soffermata un secondo a pensare: ma se no compariva sulla Mappa del Malandrino, Fred e George conoscevano la Stanza delle Necessità?
Su internet ho letto di sì, e visto che quei due hanno scovato tutti i passaggi segreti esistenti ad Hogwarts, mi è sembrato ovvio presumere che conoscessero quella stanza speciale e che la usassero un po' come covo XD
E... Hm, sì! Nell'ex-ufficio di Silente trovate anche un'ampolla etichettata col nome della nostra zia Row (Love 'ya~) e della piccola Lucy Pevensie (...Sì, ho rivisto uno dei film giusto ieri. MA SONO SOLO DETTAGLI. XD)
Okay, vi lascio, ci si vede sabato prossimo!~
Vi mando un mega-abbraccio e, a chi recensisce, anche un George da godersi un po' - Tanto la Smaterializzazione a qualcosa dovrà pur servire, no? XD
See 'ya soon~
 
Sol F. Jones

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Capitolo 9
*** Due facce della stessa medaglia ***


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Due facce della stessa medaglia
 

Fu come essere investito da un Nottetempo, solo che fisicamente George non sentì nulla; come se solo il suo spirito stesse viaggiando attraverso quel mare di rosso, venendo scosso in continuazione in balia di un terremoto inesistente.
Verde e azzurro. I tre colori principali, si andavano mischiando meticolosamente finché, pochi secondi dopo, formarono due figure.
Due figure in un castello, in una stanza buia.

 
 
 
Era alto, non troppo robusto e giovane. Molto, a occhio e croce tanto quanto lui.
Aveva gli occhi azzurri carichi di fin troppe emozioni perché le si potesse isolare e distinguere. Avvicinò una provetta alla guancia di una giovane, raccogliendo una sua lacrima. Una volta fatto, la ripose al sicuro nel suo mantello e tornò a guardare lei.
–Posso tirarti fuori di qui, non hanno pensato di fare incantesimi di protezione per impedire che qualcuno usasse la Smaterializzazione, sai?–
–Lo so.– Mormorò a mezza voce lei. La sua figura era minuta, raggomitolata su se stessa: le braccia esili cingevano le gambe. Non doveva essere coperta da molto, se non da quella veste macchiata di rosso e sporca di polvere.
Il giovane la costrinse a guardarlo, sollevandole il mento; lei aveva gli occhi verdi e grandi, colmi di un'espressione sofferente. I capelli rossi, corti quanto quelli di un ragazzo e tagliati alla bell'e meglio, pur dandole un'aria poco femminile non arrivavano a celare il dolore intriso nel suo sguardo.
Una volta dovevano essere stati una chioma riccioluta e indomita, quei capelli.
–Allora perché vuoi subire una simile ingiustizia? Dove diavolo è il tuo maledetto carattere da Grifondoro? Eh?!–
La rossa sorrise appena. –Non è poi così ingiusto, sai? A me sta bene.–
–Non sai quel che dici! Ascolta, se solo volessi io…–
–E invece sì che so quel che dico! Non puoi giudicarmi. No, non te lo permetto, perché né tu né nessun altro sapete cosa significa essere spaccati a metà.– S'innervosì la ragazzina. –Maledizione. è tanto difficile da capire?–
–Io... Non riesco ad accettarlo. Lui non lo vorrebbe, ti Schianterebbe, lo sai. E io lo aiuterei anche!–
–Ma non puoi aiutarlo, perché lui non c'è più. Fa quel che devi, semplicemente. Nascondi quella lacrima, In qualsiasi modo tu voglia, ma non farla andare perduta.–
–L'unirò alla mia memoria e lascerò tutto nelle mani di Lady Rowena, lei saprà cosa fare, te lo prometto. Ma perché? A cosa serve che qualcuno veda i tuoi ricordi?–
La ragazzina coi capelli rossi sorrise, i suoi occhi smeraldini rivissero, per un istante. Poi rispose.
 
 
*
 
 
Settembre, X secolo d. C.
Nonostante fossi un po' più grande degli altri, mi ero integrato senza problemi a scuola. Hogwarts era spettacolare, solo una mente come quella di Rowena Corvonero poteva aver ideato una struttura così.
Salazar Serpeverde era un mago straordinario, direi. Ambizioso, intelligente, scaltro, un ottimo insegnante.
Ognuno di loro aveva qualcosa che gli altri non avevano e viceversa; erano diversi e quelle loro diversità sommate davano vita a un ambiente dove trascorsi anni indimenticabili.
Sotto le gesta altruiste e l'animo nobile di Godric Grifondoro, il sorriso gentile e la pazienza di Helga Tassorosso, lo spirito ambizioso e l'esperienza di Salazar Serpeverde, e l'intelligenta e l'acume di Rowena Corvonero.
Hogwarts fu una seconda casa, che riuniva potenziali maghi diversissimi tra loro. Fu in quel tangente, che conobbi Aillean e Ailis.
Loro erano... Diversi, tra loro.
Una era allieva di Grifondoro, l'altro di Serpeverde.
Uno amava le Creature Magiche, l'altra era terrorizzata dagli Ippogrifi.
Forse l'unica cosa che avevano in comune era la tonalità del rosso dei capelli. Avevano anche gli stessi occhi.
Fatto sta che, sì, in pratica erano come si suol dire due facce della stessa medaglia.
Irlandesi, capelli rossi, occhi verdi e un destino, ahimè, tutt'altro che meritato.
 
 
Due ragazzini, non erano niente di più che due ragazzini di undici anni. Avevano entrambi i capelli ricci di un rosso acceso e non troppo scuro.
Impugnavano le loro bacchette e si guardavano con occhi carichi di sfida. Senza astio, però.
Si sorrisero.
–Voglio un confronto leale, capito?– Disse un uomo dai folti capelli rosso fuoco. Gli occhi celesti vagarono prima sul bambino e poi sulla bambina; forse avrebbero dovuto trovare un altro modo per decidere chi di loro si sarebbe dovuto aggregare a un gruppo piuttosto che a un altro.
Non che si fosse mai fatto male nessuno, ma era la prima volta che si ritrovavano a vedersi fronteggiare due gemelli, per di più irlandesi.
Salazar era sembrato fin troppo interessato a un simile duello; i due erano figli di un mago Druido e una strega galeica – Una famiglia che affondava le sue radici nelle antiche arti celtiche, quindi – perciò era palese che avessero già una certa dimestichezza nell'uso della magia, specie coi tempi che correvano.
Per una volta, non si era ritrovato in contrasto con l'opinione dell'amico.
I due rossi annuirono senza staccare gli occhi l'uno dall'altra –Sì, Sir Godric.– e poi si puntarono la bacchetta, nello stesso istante.
–Paura, Ailis?– Ghignò il bambino con fare sicuro.
–Ti piacerebbe.– Sussurrò la bambina, con un sorriso scaltro a incurvarle le labbra.
Un secondo dopo già si erano Schiantati a vicenda, andandosi a scontrare quasi contro le pareti. Ma la botta non arrivò poiché uno usò un incantesimo non verbale per fermarsi a pochi centimetri dal muro, mentre l'altra vi puntò i piedi spingendosi in avanti con un colpo di reni; l'agilità di Ailis e il suo saper fare quelle capriole così azzardate – Complice la vivacità che la caratterizzava da bambina, quando imparò a farle per gioco – la portava in vantaggio, ma era lui il più grande, per la miseria!
–Due gemelli?– Osservò aggrottando la fronte una donna dal portamento fiero e dai capelli neri e lucenti. –Non sarà mai uno scontro impari.–
–Io li trovo promettenti, per essere così piccoli!– Obiettò un'altra strega, più bassa e con gli occhi smeraldini che brillavano di entusiasmo. Si sporse in avanti dalla sua postazione per osservare meglio i due undicenni. –Dovete ammettere che sono bravi.–
Expelliarmus!– Disse a pieni polmoni il rosso, afferrando al volo la bacchetta magica della sorella. –Ora come la mettiamo, sorella?–
–Così!– Rispose Ailis, tendendo un braccio in avanti; chiuse la mano a pugno e la riaprì subito. E la bacchetta di Aillean gli volò via di mano, venendo afferrata prontamente dalla gemella.
–Ehi! Il campo di forza non vale! È parte del repertorio di papà!–
–Abbiamo mai promesso di non usarlo?– Domandò lei, sorridendo. –Vediamo come te la cavi a maneggiare la mia bacchetta e viceversa, ti va?–
Prima che il rosso potesse aprir bocca, Ailis iniziò a tempestarlo di incantesimi d'offensiva, con gli stessi movimenti con cui avrebbe maneggiato una spada.
Le piccole scariche blu uscivano dalle bacchette magiche veloci e i due fratelli si avvicinavano sempre di più.
Gli altri bambini li guardavano con la bocca spalancata, increduli.
Beh, essendo cresciuti con la consapevolezza delle loro capacità e discendendo da culture magiche tanto antiche, non era poi così anormale che conoscessero quei pochi incantesimi alla base dell'auto difesa, però.
–Le loro bacchette rispondono bene, pur non essendo in mano ai legittimi proprietari.–
Rowena Corvonero sollevò un angolo delle labbra fini e rosse. –Voi dite? Rispondono perché si sono disarmati a vicenda e perché c'è un legame che li unisce. Ma non stanno dando il meglio.–
–Avete puntato gli occhi su uno di loro o sbaglio, Salazar?– Intervenne Godric, mentre seguiva attento l'incantesimo celtico con cui Aillean sollevò dal suolo la sorella. Il castano sorrise beffardo –Probabile.–
Ailis puntò la bacchetta alla nuca del gemello, mentre con una mano cercava di tenere la gonna del vestito di modo che non si potesse sollevare oltre il ginocchio. –Giochiamo?–
–Giochiamo!– La incoraggiò Aillean.
Aguamenti!– Disse in una risata la rossa, dalla cui bacchetta partì un getto d'acqua che andò a colpire l'undicenne in pieno viso. Ailis cedette alla forza di gravità e, benché ancora supina a terra, non si fece scrupoli a tendere il braccio –Labi!– e a ridere, tenendosi la pancia col viso gettato all'indietro di modo da guardare il fratello scivolare rovinosamente a terra.
L'undicenne emise uno sbuffo seguito da un gemito strozzato, prendendo a massaggiarsi un bernoccolo prima di vedersi sovrastare dalla sorella. Ailis teneva ora in mano sia la sua bacchetta che quella di Aillean, e pareva anche parecchio divertita, per inciso – Così come molti lì dentro!
–Niente contatto visivo, niente levitazione!– Disse semplicemente, passandosi la bacchetta del fratello nell'altra mano e tendendogli quella libera.
Aillean sorrise scuotendo il capo –Allora un po' di teoria la sai.– e afferrò la mano della gemella; ma invece di alzarsi, con uno strattone la trascinò a terra e invertì le posizioni, bloccandole la mano al lato della nuca e prendendo in un gesto fulmineo una delle bacchette che Ailis teneva in mano, puntandogliela alla gola. –Anche se manchi di furbizia, sorellina.– Aggiunse, sorridendo trionfante.
–E tu manchi di galanteria, ragazzo mio. Lasciarla a penzolare a testa in giù senza curarsi del fatto che qualcuno potesse vedere troppo delle sue grazie... Poco carino, scommetto che è la prima cosa che ha pensato Sir Godric. Ma pazienza, va bene così, basta.– Intervenne una calda voce maschile dal tono lievemente divertito quanto obiettivo. Salazar si avvicinò e sollevò Aillean, dandogli una pacca sulla spalla, per poi porgere la mano ad Ailis.
L'undicenne sollevò un angolo della bocca riconoscente, provvedendo ad alzarsi da sé. –Grazie mille lo stesso, Sir, ce la faccio anche da sola.–
–Qualcosa mi dice che lei non sarà tra i suoi allievi.– Rise appena Helga, divertita dall'espressione perplessa dell'amico castano.
Rowena soffocò un sorriso a quell'affermazione. –Ne sono certa anche io.–
–Complimenti ad entrambi, siete stati leali quanto abili.– Proruppe Godric Grifondoro.
–Pronti e svegli, anche.– Aggiunse Salazar Serpeverde, guardando fisso l'altro mago con sguardo alto. –Avete per caso notato qualcosa di particolare, Godric?–
Il rosso poggiò la mano sulla nuca di Ailis. –Solo una nuova allieva della mia Casa.–
Ailis guardò sorpresa il mago più grande e l'espressione con cui pareva voler sfidare Sir Serpeverde. Poi guardò il fratello; avevano sinceramente sperato di finire entrambi ad imparare dalla stessa persona, tra i quattro maghi lì presenti.
Ma alla risposta di Serpeverde –Stavo per dire la stessa cosa. Aillean sarà uno dei miei studenti.– Ailis sentì gli occhi verdi del gemello farsi più distanti, e un senso d'angoscia salire dalla bocca dello stomaco fino alla gola.
–Felicitazioni ad entrambi. Ora possiamo procedere ed andare oltre, o preferireste che vi si facesse portare anche del the?–
–Ma certo, Lady Rowena. Forza, Ailis, raggiungi i tuoi compagni.–
La bambina annuì appena, alla spinta gentile di Godric Grifondoro; raggiunse gli altri bambini, più o meno suoi coetanei, ma la sua attenzione più che dal loro manifestato desiderio di imparare qualche incantesimo celtico, fu catturata da Aillean.
Il bambino distolse lo sguardo, rivolgendolo ad un ragazzino più alto, sui sedici o diciassette anni, che gli strinse la mano.
Si chiamava Merlino, le parve di udire.
 
 

 

Le scene si susseguivano in un ordine tutto loro, era difficile seguirne il corso a mente pensante; bisognava semplicemente guardare, assistere alla storia di due gemelli, proprio come Fred e George, vista da un punto di vista esterno.
 


 

 
–Anthony McAaston mi ha detto che Ailis sta dando del filo da torcere a Sir Godric, sai?–
Aillean alzò gli occhi dal legno che, con l'ausilio di un incantesimo, stava cercando di finire di intagliare, rivolgendo la sua attenzione al compagno di Casa. –Ne sei sicuro? Mi pareva che le piacesse Sir Godric, come insegnante.–
–Eccome se ne sono sicuro. Non ne vuole più saperne di scendere dall'albero su cui Sir Salazar ci ha fatto arrampicare due mesi fa.– Rispose il castano.
Il rosso per poco non cadde dal letto in preda alle vertigini, al solo ricordarsi dell'altezza spropositata di quell'albero cresciuto sulla sponde del Lago Nero. –Cosa?! E perché?–
–A quanto pare non le piacciono molto gli Ippogrifi.– Si strinse nelle spalle Merlino, sorridendo divertito. –Anzi, credo che la terrorizzino! Lady Helga ha anche provato a farla scendere offrendole una porzione di dolce in più. La Corvonero, invece, ha preferito rinfacciare a Sir Godric il suo approccio fin troppo diretto e avventato con gli studenti. Lo ha definito indelicato e inappropriato, mi sembra. Ah, quella donna è incredibile!–
–Non dirmi che anche tu sei attratto da lei come Aaron!–
–Ma certo che no! Io ti sto ancora parlando di tua sorella, hai presente? Rossa, rifugiata su di un albero alto più di due metri e compagnia.–
–Credo di ricordare com’è fatta mia sorella Ailis, grazie lo stesso.–
–Già, beh, Sir Salazar è l'unico che rimane a guardare e basta, Sophy Peverell l'ha chiaramente visto ridere di gusto quando Ailis ha tirato una scarpa a Sir Godric.–
–La cosa non mi sor- No. Aspetta. Che cosa ha osato tirare a uno dei quattro Fondatori della scuola, quel folletto idiota?!–
Aillean si portò una mano alle tempie, sospirando pesantemente e scendendo dal suo letto – Lasciando per altro la sua ocarina ancora incompiuta – e rimboccandosi le maniche, pronto a salire di nuovo su quel maledetto albero – Solo per poter spingere giù Ailis.
–Adesso gliela tiro io la scarpa!–
 
 
 
È come perdere una parte di te, sai. Smetti di esistere, per metà. Qualcosa, lì dentro, si spacca, svanisce e ti abbandona per sempre.
 
 
Gli studenti, la mattina presto, ricevevano posta.
Stormi di gufi arrivavano nella Sala Grande, planando sopra le loro teste e recapitando pacchi e lettere.
Ailis trascorreva i pasti al tavolo degli allievi di Sir Salazar, giusto perché Aillean non pareva capace di fare la prima mossa e prendere l'iniziativa per riappacificarsi con un ragazzino biondo sfoggiante una sciarpa color rosso-oro.
–Non è così difficile, sai? Basterebbe aggiungere anche la cannella.– Mormorò pensierosa Ailis, scribacchiando qualcosa su un pezzo di pergamena vecchio e sciupato. Merlino alzò gli occhi al cielo, rinunciando in partenza a cercare di comprendere ciò che solo lei e Aillean potevano capire. Il rosso, infatti, aggrottò la fronte fermando il calice di succo d'arancia poco lontano dalle sue labbra. –E a cosa pensi che possa servirci?–
–A dare alla pozione un po' di sapore, ad esempio.– Rispose sorridendo sommessamente Ailis. –Non sarebbe un delitto. Sangue di cuore di drago, crini d'unicorno, milza di... Oh, mamma mia. Dobbiamo proprio mettercela?–
Merlino sbuffò divertito al viso cereo e schifato dell'irlandese, espressivo quanto quello divertito del rosso che le sedeva accanto. –Si può sapere,– Domandò guardando un gufo fermarsi davanti ad Aillean. –cosa avete da confabulare tanto, voi e quella pergamena? Magari potrei anche aiutarvi, non me la cavo così male con le pozioni.–
Ailis stava per rispondergli, ma notò l'espressione rabbuiata del gemello e, sentendo la sua ansia impossessarsi anche di lei, gli prese la lettera dalle mani e la lesse con tale meticolosità che dovette compiere l'azione tre volte per capire appieno ciò che diceva. Guardò smarrita Aillean, i suoi occhi puntati nei suoi, per una volta sfoggianti la stessa espressione.
Merlino, preoccupato, li richiamò alla realtà, chiedendo loro cosa fosse successo.
–I norreni.– Sibilò Ailis, deglutendo a vuoto. –Hanno avuto la meglio sugli ultimi membri della resistenza delle Forze Magiche di Dublino. Si sono insediati lì e...–
Aillean si alzò bruscamente da tavola, facendo rovesciare il succo d'arancia sulla tovaglia color verde acqua e uscendo dalla Sala Grande sotto gli occhi di tutti. Merlino notò Rowena sussurrare qualcosa, scorrendo con gli occhi blu una lettera. Anche Ailis la notò, eppure non le prestava attenzione, la sentì solo chiamare il suo nome e chiedere di seguire lei e gli altri tre maghi.
Allarmato, Merlino raccolse la lettera che Ailis aveva lasciato lì; solo al leggere le ultime righe, capì.
 
Vostro padre e vostra madre se ne stanno già occupando. Andrà bene, sono tra i più forti contro dei barbari. Anche se sono partiti giorni fa. Ma non allarmatevi, se erano le ultime risorse della resistenza un motivo c'è. Sono molto forti.
Voi però non muovetevi da Hogwarts, è l'unico posto sicuro al momento. Nessuno si avvicinerebbe mai a un luogo protetto dai due maghi e le due streghe più brillanti dei giorni nostri.
A essere sincera, dubito persino che conoscano l'esistenza delle scuole in sé per sé, quei barbari.
Ve lo ripeto, restate dove siete. Vi farò sapere.
 
Zia Dáireen.
 
 
Non è una novità, è parecchio tempo che ci sono tensioni tra i Babbani, ma non immaginavo che ci si mettessero anche i maghi! Quando Lady Helga è arrivata a casa nostra mio padre non c'ha pensato su due volte; ha mandato me e Ailis a fare i bagagli e siamo partiti per venire qui.
 
 
–Aillean? Ehi!– Merlino fece schioccare le dita a un palmo dal naso del rosso, facendolo sobbalzare. –Cosa stai guardando?–
Il dodicenne indicò col capo una ragazzina dai lunghi capelli color cioccolato, seduta alla tavola di Corvonero e intenta ad ascoltare Lady Rowena senza guardarla, né risponderle, in realtà, tanto era presa a passarsi il dorso della mano sulle guance bagnate.
–Si chiama Kailey, è una nostra compatriota. Però ha anche origini iberiche, mi sembra.– Mormorò sospirando Ailis, seduta affianco al gemello. –Tu sai perché è così giù di tono, Merlino?–
–In effetti sì, l'ho sentito dire alla sua migliore amica, quella ragazzina con i capelli biondi sedutale affianco, che ieri ha ricevuto una lettera. A quanto pare, la madre è morta.–
–Accidenti, mi spiace. Stava combattendo i barbari anche lei?– Domandò Aillean.
–Lo avrebbe preferito, forse, sarebbe stato più indolore. A quanto pare con il mago vichingo c'era un Babbano, così l'hanno accusata di stregoneria.– Rispose in tono affranto il mago, distogliendo lo sguardo dalla giovane. –L'hanno messa al rogo.–
Ailis, senza accorgersene, allentò la presa sulla sua posata tanto che questa le cadde a terra. –Al... rogo?–
–Bruciata… Bruciata viva, quindi?– Le fece eco Aillean, con un fil di voce. –Ma è orribile!–
Merlino si morse il labbro inferiore, facendoli voltare entrambi. –Già. Mangiate, oggi credo che lavoreremo molto sugli incantesimi di offensiva.– Disse evasivo. E dentro di sé si domandò il motivo di tanto nervosismo. Si chiese come mai la guerra che incombeva fuori da quelle mura lo rendeva così poco lucido.
L'unica risposta che trovò, e che ebbe difficoltà ad accettare. fu la paura.
 
 
C’è un motivo per cui il Molliccio, prima, si è trasformato in Ailis. Non che io abbia paura di lei, ovvio, non in quel senso.
Io ho paura di perderla. Credo che sia la paura più naturale e scontata per un essere umano.

 
 
–Per la miseria, Ailis attenta a come mescoli!–
L'irlandese alzò lo sguardo sul gemello, distogliendolo dal calderone posto davanti a lei. –Come sarebbe a dire? Sto mescolando, accidenti! Guarda, così.– Sbuffò, facendo cenno al gemello di guardare come mescolava il prototipo della loro personalissima pozione.
Aillean spalancò la bocca afferrandole il polso già subito dopo due giri. –Ferma, ferma, ferma! Devi farlo in senso anti orario, sii anche più delicata, se riesci.– Le disse in tono pacato, guidando la mano della rossa in un fluido e delicato movimento. Il colore del liquido, da verdognolo divenne più chiaro, sfiorando le tonalità del verde acqua, al che Aillean fece una lieve smorfia senza accorgersene.
–Uhm, no, dovrebbe essere più chiario. Con questa non ti sposti indietro neanche di un minuto.– Affermò, scribacchiando qualcosa sul suo foglio di pergamena.
–Che dici, troppe rape?–
Alle parole di Ailis, Aillean alzò gli occhi spalancandoli. –Rape? Ailis, ti avevo detto "ravanelli", c'è una netta differenza!–
L'irlandese alzò gli occhi al cielo, chiedendosi mentalmente perché mai Sir Godric non li avesse mai portati nelle cucine di Hogwarts a prendere lezioni da Lady Helga.
"Oh, già, siamo maghi, non cuochi!" Commentò mentalmente.
–Rape, ravanelli... Io non sapevo neanche che…– Neanche il tempo di finire la frase, che un rumore improvviso invase la quiete del bagno in cui si erano rifugiati a fare esperimenti.
La pozione era esplosa.
–Okay, ora so che esistono.– Affermò, sputando fuori il liquido schizzatole in bocca, con la risata sommessa del gemello in sottofondo.
 
 
Non c’è niente da ridere, sai? Un Ippogrifo con la tua testa, fratello, è raccapricciante! Ho faticato a usare la formula per scacciare il Molliccio.
Sai, era inguardabile.
 
 
Helga sorrise con fare alquanto materno, salendo sulla Torre di Astronomia. Trovò lì due sagome sedute vicine, una accostata all'altra. Illuminò i due con la sua bacchetta e le bastò distinguere il colore dei loro capelli per capire chi fossero.
–Poveri piccoli.– Mormorò togliendosi il mantello color giallo canarino e adagiandolo sulle spalle della tredicenne, accoccolata al petto del gemello. Lo sistemò per bene, intimando Salazar – Non appena lo sentì giungere – a non svegliarli.  
–Sperano ancora che i genitori gli rispondano.–
–Non dovrebbero stare qui, lo sapete. Dovremmo dirglielo che non riceveranno mai una risposta. Lo comunicherò io ad Aillean domattina stesso. –
Disse stancamente il castano, poggiando il proprio mantello sulle spalle della strega bionda. –Inoltre, quassù fa freddo.–
–Vi state preoccupando, per caso?– Chiese Helga, sorridendo e stringendosi nel mantello dell'uomo. Quest'ultimo, sbuffò appena.
–Solo di perdere un allievo. Ora è meglio andare. Prego, dopo di voi. – Rispose, facendo passare per prima la bionda. La Tassorosso scosse il capo, facendogli strada giù per la torre.
Nessuno dei due aveva minimamente tenuto conto del fatto che Ailis avesse il sonno particolarmente leggero.
 
 
Passarono solo due anni ad Hogwarts. Benché non avesse ancora toccato direttamente la Scozia, dove si trovava la scuola. la guerra tra i maghi scandinavi e quelli inglesi continuò e si estese fino a toccare l'Irlanda, in contemporanea con quella Babbana.
 
 
Uno scricchiolio lo svegliò. Merlino aprì pigramente gli occhi; ultimamente aveva preso ad avere il sonno insolitamente leggero; colpa del cambio stagione, forse.
Sbadigliò. Sarebbe tornato volentieri a dormire, ma si impose di non farlo quando vide il compagno di Casa infilarsi in fretta e furia i vestiti con fare guardingo. Si sollevò facendo pressione sui gomiti e guardò il ragazzo, identificabile data la zazzera di capelli rossi, che gli dava le spalle.
–Cosa diavolo stai combinando?– Mormorò con la voce impastata dal sonno il ragazzo. Aillean sussultò appena, si girò e Merlino notò che si stava allacciando il mantello – Con qualche difficoltà, non era mai stato proprio ferrato con una cosa così semplice, stranamente; la lasciava fare alla gemella.
Lo guardò per un attimo sgranando gli occhi smeraldini, vigili e accesi da una luce stranamente determinata. Poi prese la bacchetta, lasciando perdere i fili di seta del mantello e annodandoli alla bell'e meglio. –Me ne vado, non è ovvio?–
Merlino boccheggiò appena, prima si sbuffare e gettare il capo all'indietro, ricadendo sul materasso. –Ecco fatto, ha perso la ragione.–
–Non è uno scherzo, Merlino. Devo andare.– Sbottò sottovoce il rosso tredicenne, dirigendosi fuori dal Dormitorio. Merlino si alzò e gli corse dietro, domandandosi che diavolo potesse aver bevuto quel ragazzino a cena.
Lo inseguì fuori dalla Sala Comune, cercando di fermarlo e farlo ragionare finché non arrivarono all'entrata del castello, l'atrio. –Non essere impulsivo, so che cosa sta succedendo in Irlanda ma... Ma pensa anche ad Ailis, vuoi lasciarla qui? Ti seguirebbe.–
Aillean si fermò e voltandosi appena, lanciò al più grande un oggetto di legno. Merlino lo afferrò al volo e lo rimirò un secondo, per poi guardare l'irlandese con uno sguardo accigliato. –Un'ocarina?–
–Ailis ha rotto la mia l'anno scorso, visto che le piaceva ne ho fatta una. Dille che me la riprenderò quando avrò trovato mamma e papà. E tienila lontana da questa porta.– Lo raccomandò il rosso, per poi pronunciare un –Alohomora.– e sparire oltre il grande portone.
Merlino sentì i capelli scompigliarsi all'aprirsi della porta, fuori faceva freddo, e quando questa si richiuse, il suo primo pensiero fu quello di andare a chiamare Sir Salazar, dato che era il loro insegnante. D'altra parte, se l'avesse fatto, Aillean l'avrebbe come minimo Schiantato alla prima occasione.
E purtroppo, se la cavava bene quanto lui con gli incantesimi.
–Sarebbe dovuto finire da Grifondoro solo per la sua inettitudine.– Borbottò scuotendo il capo.
 
 
Non puoi capire, il rapporto che ci lega è... Diverso, ecco. Forse è perché siamo nati insieme, non so, so solo che se lei è felice lo sono anche io. E se lei è triste, beh, io lo sono il doppio. È buffo, ma quel minuto e mezzo che mi rende il più grande mi fa sentire in dovere di proteggerla. Ci riuscirei, anche, se lei non fosse sempre in mezzo!
 
 
Era difficile concentrarsi sulla modalità con cui trasfigurare il calice che era davanti a lui nell'usignolo che era prima, Merlino stranamente non riusciva a concentrarsi senza avere vicino il borbottio di Aillean – Dovuto al fatto che non gli riusciva l'incantesimo all'inverso.
A colazione aveva visto Ailis entrare in Sala Grande e avvicinarsi, si era fermata subito al notare l'assenza del gemello; gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo a cui lui aveva risposto abbassando gli occhi sulla colazione.
Ricordava l'espressione di Sir Salazar quando – Prima che questi potesse andare a sedersi con i suoi tre compagni – l'aveva fermato dicendogli che uno dei suoi allievi era scappato. Era stato duro reggere il suo sguardo penetrante e palesemente sgomento.
Con l'immagine di Sir Godric che si alzava e raggiungeva Ailis all'entrata della sala, conducendola fuori senza darle il tempo di avvicinarsi e costringerlo ad alzare lo sguardo dalle sue uova, Merlino lasciò l'aula insieme ai suoi compagni.
 

–Ti prego, siediti.–
Ailis guardò il suo insegnante sedersi sul piano di marmo che si affacciava sul cortile. Sembrava nervoso, la sua espressione era ancor peggiore di quanto, due settimane addietro, le aveva spiegato che Aillean era andato via durante la notte.
Doveva essere un compito spinoso doversi occupare di allievi come lei, un po' le spiaceva, anche perché si vedeva che non era propriamente a suo agio.
Prese posto vicino al più grande, incrociando le gambe sul piano e rivolgendogli completa attenzione; Godric vide negli occhi della tredicenne una chiara luce, nota come speranza.
–Ditemi, lo hanno... Lo hanno trovato?–
L'uomo si passò una mano tra i ricci color fuoco sospirando e annuendo. –Sì, lo hanno trovato.–
Il viso di Ailis si illuminò di gioia, persino i capelli – Fino a un momento prima increspati – parvero riprendere il loro solito rosso. –Davvero? Oh, ma è fantastico! E tornerà qui, vero?–
–Ailis, in realtà...– Prima ancora che potesse parlare, la rossa si affrettò ad aggiungere: –Lo so che se l'è svignata di nascosto e per giunta a notte fonda, ma andiamo, non potete chiudere un occhio? Ve ne prego!–
Godric scosse il capo, chiedendosi quanta ingenuità potesse albergare nel cuore di un bambino. Perché sì, era ciò che erano tutti coloro a cui insegnava. In combattimento era più facile, o si vinceva o si perdeva. Si rendeva conto loro in quei momenti quanto confrontarsi con creature come i ragazzini fosse ancor più duro che combattere.
Se fosse stato troppo brusco l'avrebbe ferita, ma lasciandola sperare l'avrebbe solo illusa. E non era giusto.
–Credimi, se potessimo, avremmo già riportato qui Aillean. Ma...–
Ma cosa? Per amor del Cielo, Sir Godric era preoccupato per i nostri genitori! Certo, è stato un vero stupido ad agire in maniera tanto avventata, però...–
–Ailis.–
La tredicenne si zittì al sentire il sono grave quanto fermo del rosso, e solo allora notò che sul suo volto tutto c'era tranne che sollievo. Il suo sorriso andò via via scemando. –Cosa?–
–Ricordi… Ricordi il malessere che hai avuto qualche giorno fa, vero?–
–Sì, certo, ma non… Perché, cosa dovrebbe significare? –
Non tornerà.– Disse cercando di avere il massimo tatto. –Mi dispiace molto.–
Godric Grifondoro affrontò di tutto nella sua vita, anche le lacrime di bambino, già.
 
 
Una parte di te se ne va con lui, una parte di lui resta e vive in te. Dovrebbe ricordarti che lui non se n'è mai davvero andato, io trovo invece che stia lì a ricordarti ogni istante che di lui hai solo il ricordo.
 
 
–Ailis, dannazione, fermati! Cosa vuoi farci con quell'Ippogrifo?–
La rossa, stufa delle ciance del mago più grande, si fermò così all'improvviso che Merlino le andò quasi a sbattere contro. Si voltò e gli rivolse un'occhiata determinata. –Me ne vado, ecco cosa ci faccio.–
Non aveva pianto la sua perdita, Ailis, non aveva dato cenni di voler reagire in qualche modo al dolore. Merlino era andato a trovarla in infermeria; aveva accusato forti dolori al petto ed era quasi svenuta a cena. Ma non l'aveva neanche guardato. Non aveva guardato in faccia nessuno, si era raggomitolata sotto le coperte e aveva chiuso gli occhi, stringendo in una mano l'ocarina che lui stesso gli aveva consegnato.
 
 
Vorrei saperla suonare come mio fratello, un giorno. Lui è dannatamente bravo, io a mala pena pronuncio bene il nome di quello strumento tondeggiante!
 
 
–Dove vorresti andare? Mi sa tanto di déjà-vu, sai? Ascolta...–
–No, ascoltami tu, Merlino. Io ora salirò su questo Ippogrifo dopo le dannatissime e dovute cerimonie, e tu mi lascerai andare. Per favore, non l'ho neanche visto prima che... Beh...–
–Mandami un Patronus.–
–Come?–
–Se dovessi trovarti nei guai, mandami un Patronus. Gli amici servono anche a questo, no?–
La ragazzina annuì, guardandolo appena, dopodiché si rivolse all'Ippogrifo che temeva tanto; incredibile cosa ci fosse voluto perché tentasse di fidarsi di una creatura alata.
Dopo averlo visto inchinarsi, gli si avvicinò e cautamente lo accarezzò. Non era poi così cattivo come animale, alla fin fine: lo aveva giudicato male. Pareva capire, pareva scrutarla a fondo e comprendere ogni sfaccettatura del suo sguardo.
Quando si ritrovò a reggersi a lui, a voltarsi appena verso un'oramai lontana Hogwarts, rivolse uno sguardo al cielo denso di nubi all'orizzonte. Era puntellato di grigio, ma i raggi di Sole più impavidi e ribelli sbucavano dalle nubi illuminandole di una nota malinconica quanto surreale, donando al paesaggio nuove sfumature.
Vederlo era come sentirlo. L'orizzonte, così luminoso eppure così intristito, sembrava richiamare le melodie che mille volte aveva udito uscire dall'ocarina di Aillean, appesa ora alla cinta del suo vestito.
Erano melodie surreali e magiche, che catturavano lo spirito di chi le ascoltava riversandovi ogni sentimento ed emozione; erano cariche di tristezza celata, dell'immancabile e irrinunciabile amarezza del ricordo. Sembravano voler urlare, in un suono leggero quanto forte, parole che solo il vento aveva mai ascoltato.
Ailis si accorse di avere le guance bagnate. Si ricordò della raccomandazione di Merlino e si rese conto che non avrebbe mai potuto chiedergli aiuto con un Patronus.
Come l'avrebbe potuto evocare, di nuovo?
Si asciugò le lacrime alla bell'e meglio con il dorso della mano, reggendosi all'Ippogrifo con l'altra; vide una nota di tristezza scivolarle lungo il polso, cristallina e bollente di dolore, e si rese conto che sì, Aillean era morto davvero.
E allora pianse tutte le sue lacrime.
 
 
Trovò lui a casa, in Irlanda. Non ho mai osato chiederle come fosse, né come l'avessero ucciso. O chi.
Non ce ne fu bisogno, una mattina ricevetti una sua lettera, bagnata dalle sue stesse lacrime, finalmente; come i genitori, anche Aillean aveva voluto opporsi, ed era perito nonostante fosse appena un ragazzino.
Mi scrisse che conservava la sua aria strafottente anche da morto, e non mi disse più nulla. Non mi disse mai che, sotto la sua cotta di maglia, aveva trovato il suo ultimo motivo per sorridere, ovvero il foglietto su cui lei e Aillean appuntavano tutto circa la loro personale creazione.
Non mi raccontò mai di averlo letto, e di aver deciso di porre rimedio all'operato del fato.
La rividi un anno dopo, a Cork in Irlanda, prima che morisse.
 
 
–Chi va là?!–
Ailis sussultò imprecando e calcando il cappuccio sul viso, guardandosi attorno con fare nervoso. Mise mano alla bacchetta e strinse nell'altra l'ampolla con dentro il liquido cristallino; gli occhi verdi saettavano da un lato all'altro della cima della torre, su cui vide Materializzarsi qualcuno.
–Tu!–
–Stai indietro!– Gli puntò contro la bacchetta senza pensarci. Era più grande, un gigante, e dai tratti era chiaro fosse un vichingo. Lui la osservò diffidente, e sul suo volto poi si aprì un ghigno. –Ma tu guarda, sei irlandese, vero ragazzino?–
–Questo non ti riguarda, non cerco rogne.– Rispose atona Ailis, sperando che la sua imitazione della voce maschile del fratello reggesse.
Il mago vichingo allargò le braccia per poi lasciarle andare lungo i fianchi –Peccato!– e in un secondo aveva in mano anche lui la bacchetta. –Perché io invece sì. Crucio!–
Protego!–
 
 
L'ho gettata. Ho gettato giù dalla torre l'unico modo con cui avrei mai potuto sperare di riavere Aillean. Aver protetto e rafforzato l'ampolla credo sia l'unica cosa sensata che feci quella notte.
 
 
–Signore, signore!–
Un altero uomo dai tratti albini voltò lo sguardo verso il suo sottoposto, chiedendosi il perché di tanto chiasso; sperò vivamente che non si facesse accorgere, non con la presenza di altri vichinghi Babbani lì con loro.
Fortunatamente Hans si era ben guardato dal mostrare la bacchetta magica. Lo raggiunse in poche falcate, notando che aveva qualcuno con sé; una figura minuta che si dimenava e imprecava a gran voce, urlandogli nella lingua dei galeici chissà che cosa. Parlava il galeico, un po', ma sentirne le parole riversarsi così velocemente lo confondeva.
–Cosa c'è?–
–Abbiamo un piccolo intruso, oggi.– Disse tutto fiero del proprio operato Hans. –L'ho sorpreso sulla torre, è uno speciale. Capisce, sì?–
–Sì, capisco. Mostrami il ragazzo.–
Hans strattonò il suddetto ragazzino, scoprendogli il capo, coperto di corti riccioli rosso acceso; capelli così li aveva visti solo una volta, un anno prima. Johan ricordava perfettamente ogni sua vittima, era una sorta di tributo, dono straordinario, che anche un barbaro come lui concedeva, inconsciamente.
Hans costrinse il giovane ad alzare il viso, e quando i suoi occhi di ghiaccio incontrarono quel viso, quello sguardo, Johan avvertì la terra tremargli sotto i piedi.
Afferrò il viso del ragazzo, costringendolo a voltarsi prima a destra e poi a sinistra, osservandone ogni particolare di ambedue i profili.
Era lui, senza ombra di dubbio!
Ma come diavolo poteva essere ancora vivo? Non poteva, semplicemente!
–Come ti chiami, ragazzo galeico?– Chiese con tanto d'accento norvegese Johan. Lui deglutì senza abbassare lo sguardo, sputando fuori il suo nome con fierezza. –Aillean, idiota di uno Scandinavo.–
–Come ti permetti, moccioso?!– Si intromise Hans, strattonandolo per i capelli e ritrovandosene qualcuno in mano. Johan scosse il capo, poi notò qualcosa. Qualcosa che smentiva tutto e che creava ancor più scompiglio nella faccenda.
Aillean, dici?– Domandò liberando la spada dal fodero. La portò all'estremità della cotta di maglia del ragazzino e, con la punta, la sollevò rivelando macchie di sangue fresco che percorrevano il pantalone dell'irlandese, partendo dal bacino. –Credevo che qui fosse un nome da ragazzo. E credevo anche che ai ragazzi non venissero le mestruazioni.–
L'irlandese abbassò lo sguardo, arrossendo sul suo corpo; lungo le gambe scorreva imperterrito il suo stesso sangue, prova inconfutabile che aveva mentito circa la sua identità. Si lasciò sfuggire un'imprecazione in stretto galeico; possibile che la prima volta dovesse essere proprio allora e proprio lì?!
–Una ragazzina?– Mormorò con voce strozzata un vichingo Babbano.
Johan ghignò portando la punta della spada a sollevare il mento della rossa. –Una strega, mi sembra ovvio. Insomma, guardala bene. Capelli rossi e ricci, come quelli di Lucifero, e qui,– In un gesto fulmineo, le strappò di mano la bacchetta. –ecco la prova della presenza di qualcosa di non umano in lei.–
Il vichingo Babbano impallidì e arretrò di un passo, come se si fosse scottato; Ailis ripensò alla madre di Kailey e alle parole dette da Merlino l'anno precedente.
Lo avrebbe preferito, forse, sarebbe stato più indolore. A quanto pare con il mago vichingo c'era un Babbano, così l'hanno accusata di stregoneria. L'hanno messa al rogo.
 

–Che cosa vuoi, Merlino?–
Morgana, quale piacere rivederti.–
–Stessa cosa non posso dire io, non è il momento dei convenevoli. Sei qui per cosa, eh? Per umiliarmi e poi ricacciarmi ad Avalon? Beh, risparmiati la fatica e lasciami andare.–
–Non sono qui per questo.– Mormorò a denti stretti il mago. –Stai andando da Artù, vero? A cercare di salvarlo.–
La donna annuì appena. –Vuoi impedirmelo?–
–No, no. Volevo affidarti una cosa.–
La mora abbassò lo sguardo sulla mano che Merlino le porgeva e, senza staccare i suoi occhi da quelli azzurri del mago, la prese con diffidenza, avvertendo subito qualcosa che le veniva lasciato sul palmo della mano.
Era tondeggiante e ruvido, abbassò lo sguardo e la vide: una sorta di noce piccola e dorata. Alzò subito lo sguardo su Merlino, sgranando gli occhi. –Cosa...? Una noce?–
Merlino sorrise amaramente. –Non una semplice noce. Una Noce Crononauta. Ascolta, Morgana, ho bisogno che tu la prenda, che non la faccia cadere nelle mani sbagliate. Te ne prego!–
–Cosa vai farneticando?–
–I due ragazzi artefici di questo miracolo magico non ci sono più, ed è troppo rischioso che io tenga tutte e tre le Noci con me, capisci? Mi sentirei più tranquillo, sapendo che una è con te.– Disse, lasciandole la mano. –Non scorre buon sangue tra noi, è vero, ma lo faccio per rispetto e per prevenzione. Prendila come un armistizio, o come preferisci tu, ma ti prego, è per il bene comune.–
La strega si rigirò la Noce tra le mani, osservando di sottecchi il mago. –E le altre due?–
Merlino sorrise appena. –Darò disposizione perché una venga custodita ad Hogwarts, mentre l'altra... Beh, ho pensato ad un mago formidabile di cui nessuno mai sospetterebbe.–
–Ovvero sia?–
Emil Køhler.–
La strega sbiancò di colpo. –Vuoi darla ad un danese?! Ma ti ha dato di volta il cervello?!–
 
 
Emil tornò a farmi visita pochi decenni dopo. Non era più un ragazzino che aspirava a diventare un mago grande e giusto, ma un uomo con anni di memorie negli occhi.
Mi raccontò di una traversata vichinga che lo aveva portato in terre inesplorate, in cui fiorivano piante rosse come il fuoco mai viste e altro.
Non venne mai colonizzata quella terra, non dagli Scandinavi, almeno. Mi disse anche di esserne rimasto talmente affascinato da essere rimasto lì e averla esplorata fino a giungere al cospetto di una donna bellissima e fortissima di nome Califia.
 
 
I suoi passi svelti erano tutto ciò che si udiva a quell'ora tarda.
Passò davanti a quella parete spoglia una volta, poi si voltò e lo rifece. Dal canto suo, Godric teneva la bacchetta alta, scaturente una flebile luce che illuminava il corridoio, e osservava la strega dai capelli corvini dinnanzi a lui. Strinse forte il piccolo oggetto dorato, come se potesse volargli via di mano.
–Rowena, siete certa di dover ricorrere alla Stanza delle Necessità? Potremmo difendere questa Noce anche da soli, a ben pensarci.–
–Pensate alla luce, Godric.–
Una terza volta, e la Stanza delle Necessità comparve.
–Bene.– Fece il rosso. –Entriamo e la lasciamo alla Stanza delle Cose Nascoste. La custodirà meglio di quanto potremmo mai fare noi. Dopo di voi, prego.–
 
 
*
 
 
–Serve affinché qualcuno abbia la possibilità di vivere appieno, non per metà.–
Merlino sospirò annuendo, osservando il sorriso amaro apparso sul viso della piccola Ailis. –Me lo saluterai?–
La rossa si voltò a guardarlo e annuì con decisione. –Senz'altro.– Poi allungò una mano per spettinare i capelli castani del ago più grande, per la prima volta in vita sua dopo anni passati a desiderare di rivolgergli un gesto affettuoso. –Domani ci sarai?–
–Ti ho già vista andartene, Ailis, quando è morto Aillean. Non so se riuscirò a farlo di nuovo.–
La quattordicenne aggrottò la fronte, sollevando un angolo della bocca in un sorriso divertito. –Non essere melodrammatico. Diamine, quella che sta per essere arsa viva sono io, idiota!–
–E ci trovi da ridere?–
–Solo perché, ora che ci penso, mi sono sempre lamentata del freddo che fa in questa stagione.–
 
 

 
 
Ad un certo punto fu come se respirare – O meglio, non poterlo fare – fosse divenuto insostenibile così, all'improvviso.
Le immagini che gli corsero davanti agli occhi si susseguirono di nuovo così velocemente da farsi sempre più lontane. Ancora e ancora, finché George non si sentì scacciare dal Pensatoio, cadendo all'indietro contro il pavimento.
Più probabilmente era lui stesso che si era tirato fuori di lì per mancanza d'ossigeno, però.
«Ehi George, respira, su!»
Eric gli batté qualche colpo sulla schiena, convinto che stesse affogando. «Allora, com'era Aillean?»
«Cosa…? Ma avevate detto che avreste visto anche voi!»
John si strinse nelle spalle noncurante. «Una piccola bugia, giusto per darti una spintarella.»
«Cos'hai visto lì dentro? Abbiamo un qualche indizio, vero?» Chiese imperterrito Eric.
George si passò una mano tra i capelli fissando il soffitto e scuotendo il capo.
«Per i tanga di Merlino! Gente, lì dentro io ho visto tutto!»
Eric e George spalancarono la bocca guardandosi allarmati.
«Aspetta un secondo, frena! Mago Merlino aveva dei tanga, nel ricordo?! Che schifo!»
«ERIC!»



 




Writer's side
E per la vostra disperazione, sono tornata!
Okay, non è stato facile, no. Spero non sia uscito un completo disastro. E non so cosa dirvi, sinceramente; tutto ciò che ho messo, inculcato, in questo capitolo, è pre meditato. 
Visto il vostro mutismo circa lo scorso capitolo ho il terrore di postare questo che, per me, è un disastro disastroso! 
Ma lo farò comunque, in nome delle anime pie che hanno inserito la storia tra le preferite, ricordate e seguite. Mi commuovete! Grazie davvero! :')
Serio, ragà, vi voglio bene!
Smammo, okay. Alla prossima!
Soleil
 
 

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Capitolo 10
*** Il passaggio di carta e inchiostro ***


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Il passaggio di carta e inchiostro
 

Per quanto nella vita – Specie nella vita di un mago – nulla fosse impossibile, George aveva da sempre avuto la certezza che, sì, lui e Fred costituivano l’eccezione a tale regola.
In sette anni non avevano messo piede in biblioteca se non una volta, forse.
E per errore.
Non erano mai stati come Hermione – O come un qualsiasi altro studente normale – né ne avevano mai sentito la necessità; oltre che per via della presenza di tomi anche di dimensioni spropositate, le biblioteche erano noiose anche per un altro motivo: non si poteva parlare, si doveva bisbigliare. Altrimenti, chi la sentiva Madama Pince?
Già questo bastava per renderla un posto inospitale a due ragazzi chiassosi quali erano Fred e George Weasley.
Era una convinzione, una tesi inconfutabile: nessuno avrebbe mai visto uno dei gemelli in biblioteca.
Eppure, eccolo lì. Girava tra gli scaffali – Quelli ancora in piedi – della Sezione Proibita con passo quasi incerto, guardando attento ogni singolo libro ancora intatto che vedeva, alla ricerca di un qualsiasi indizio circa ciò che aveva visto nel Pensatoio.
«Abbiamo avuto una bella sfortuna. Se solo Grifondoro e Corvonero non avessero nascosto la loro Noce nella Stanza delle Cose Nascoste l’avremmo praticamente già in pugno.» Osservò distrattamente Eric, emergendo da un mucchio di libri malridotti a momenti più alto di lui. Sfogliò le pagine di un volume velocemente, scorrendone il contenuto in maniera distratta e sbrigativa.
Affermato che non conteneva alcuna informazione utile, lo lasciò ricadere a terra e riprese a cercare. «Accidenti a quell’idiota che ha usato l’Ardemonio!»
«Smettila di lamentarti.» Lo ammonì distrattamente John, facendosi largo tra i libri e i pezzi di calcestruzzo e legno che affollavano il pavimento; teneva lo sguardo fisso su un libro che non si ostinava ancora a lasciar perdere. Sembrava molto più a suo agio del fratello in mezzo a tutta quella cultura. Agguantava libri con fare attento e selettivo e con altrettanta velocità decideva quali consultare e quali no.
«Neanche a me fa piacere dover fare questo lavoraccio, ma è necessario. Avalon non l’ho neanche mai sentita nominare!»
«Sei troppo piccolo per conoscerla, a Storia della Magia se ne fanno parecchi accenni. Mi pare fosse una terra magica legata a Morgana, nel senso che lei c’aveva qualcosa a che fare, mi sembra. Nel ricordo di Merlino c’era anche lei, l’ha nominata.» Disse George, sfogliando un volme di storia. «O almeno credo. Non sono sicuro, di solito o dormivo o giocavo a Gobbiglie durante le lezioni.» Aggiunse stringendosi nelle spalle.
«Zuccone.» Bofonchiò scuotendo il capo Eric. John gli diede un colpo dietro la nuca con il libro che aveva in mano. «Senti chi parla!»
Il bambino si massaggiò piccato la nuca, facendosi cadere a terra a gambe incrociate e sbuffando.
«Comunque, sì, se Morgana è in possesso di una delle due ultime Noci rimaste allora ha senso supporre che Avalon sia un indizio.» Proseguì John, trotterellando verso uno scaffale crollato. Più che con gli altri stava probabilmente parlando con se stesso, pensava ad alta voce, giusto per riempire il silenzio innaturale di quel luogo.
In realtà il castello stesso era innaturalmente silenzioso, almeno per lui ed Eric. Non era in alcun modo legato a quel preciso luogo di Hogwarts, George, eppure così come i corridoi pareva troppo rumoroso.
Se da una parte gli sembrava di sentire risuonare per quelle mura i suoni della battaglia, degli incantesimi e delle urla, dall’altra non avrebbe sopportato il silenzi perché ogni pensiero, prepotentemente, sarebbe saltato fuori pronto a colmarlo.
Era contraddittorio pensare che avrebbe di gran lunga preferito essere lì per fare un compito di punizione.
O forse no, neanche tanto.
A ben pensarci l’unica differenza era il contesto; frugare tra i libri era tutt’allora una vera tortura e una vera noia.
Sbuffò riponendo al suo posto il libro di storia da cinquecento pagine dopo neanche due minuti di attenta – Si fa per dire – analisi.
«Accidenti, non finiremo più. Di questo passo rivedrò Fred per cause naturali.»
«Come, ti farai Affatturare da John o preferisci ricevere in testa il mattone che sta sfogliando? Sei molto vicino ad entrambe.» Lo informò Eric, sbuffando. «Che poi, come facciamo a trovare qualcosa in mezzo a questo casino? Mannaggia a voi, scommetto che sognavate da così tanto di radere al suolo questo posto che i Mangiamorte si sono rivelati la perfetta scusante.»
John abbassò il libro, rivelando la sua espressione sconvolta e irritata. Chiuse il tomo e senza tante cerimonie, lo diede in testa al gemello.
«Ahi! Che ho detto?!»
«Pensaci un po' su, magari ci arrivi! Insomma, come puoi– Ma certo!» Gli occhi verdi di John parvero risplendere di luce propria tanto si animarono tutt'a un tratto. Tirò fuori dalla manica della felpa la sua bacchetta magica, che prese a sprizzare piccole scintille dorate. «Possiamo usare la magia!»
«Mh, non credo sia una buona idea.» Osservò George, grattandosi la nuca. «Una volta io e Fred stregammo i libri della sezione di Antiche Rune. Sentirli recitare tutti insieme appassionatamente i loro contenuti ha mandato così in bestia Madama Pince che non ci ha più voluti veder varcare la soglia della biblioteca per tutto l'anno scolastico. Non che ci sia dispiaciuto, s'intende.» Spiegò con fierezza, sospirando appena in maniera assai teatralmente nostalgica. «Che donna! L’ho sinceramente amata per quella punizione!»
«Perché così avevate pronta una giustificazione più o meno valida per non studiare a dovere.»
«Quand'è che l'avete fatto?»
«Secondo anno. Sì, lo so, due bambini prodigio!» Sghignazzò il rosso, con una luce di nostalgia mista all'orgoglio ad animargli gli occhi nocciola. John soffocò una risata.
«Certo, certo. Comunque io pensavo di Appellare un libro specifico, non di animarli tutti.»
Al che, immediatamente, Eric sguainò la sua bacchetta prendendo quasi a saltare sul posto per l'euforia. «Lo faccio io, lo faccio io!»
«Prego, fratello!» Fece John, esibendosi in un mezzo inchino. Eric si schiarì la voce, cercando di farla sembrare più solenne di quanto avrebbe mai potuto sperare di averla.
«Accio...! Ehm, un attimo.» Il suo sorriso scemò un istante, sostituito da un sopracciglio lievemente corrugato indicante che stava pensando, ma non ci mise troppo a tornare. «Ci sono! Accio qualsiasi-cosa-ci-possa-dare-una-qualsiasi-informazione-sensata-su-Avalon
Nello stesso istante in cui George prese a ridere per aver appena sentito l’incantesimo d’appello più lungo della storia, qualcosa – Dall’altra parte della biblioteca – li raggiunse alla velocità di un Bolide impazzito e, dati i trascorsi da giocatore di Quidditch, il rosso scattò e l’afferrò in tempo, prima che potesse andare a colpire Eric. Il castano sgranò gli occhi ammirato da cotanta prontezza di riflessi e riprese a respirare; vedersi piombare addosso un volume così da un momento all’altro lo aveva spaventato.
«Per Circe!» Esclamò John in un sussurro, come a voler esprimere i suoi pensieri. George stirò le labbra in un sorriso, passandosi il libro da una mano all’altra. Il fatto che il Quidditch gli scorresse praticamente nelle vene era da sempre utile e soprattutto motivo d’orgoglio – Almeno per lui e Fred.
Era da tanto che non vedeva qualcuno commentare ammirato il suo talento.
«Sei stato for– Ahi
«Guarda, un altro libro.» Osservò John, chinandosi a raccogliere il volumetto che era accorso al richiamo del gemello – Certo, non proprio in maniera delicata, tanto per essere puntigliosi.
Allungò il collo nella direzione da cui era venuto, per poi osservarne la copertina minuziosamente.
Era logora, sembrava aver passato anni e anni sott’acqua, tanto i colori erano sbiaditi; le pagine apparivano ingiallite e rovinate, ad una prima occhiata.
«Sembra molto vecchio! Chissà in che scaffale era situato.»
«O più semplicemente, potrebbe essere che sia passato qualche allegro Mangiamorte giocando a fare la Fata Turchina
George fissò i due bambini con fare perplesso, chiedendosi tra sé e sé chi fosse codesta Fata Turchina, ma quando qualcosa cadde dal libro che teneva in mano rinunciò all’idea.
«A proposito, John, credo che ci siamo di nuovo scambiati le bacchette.»
Era lungo, in legno e appuntito.
«Oh, è vero, questa è la tua. Tieni.»
George lo raccolse da terra; a occhio e croce doveva essere… Ehm… «Cos’è questa cosa?»
«Una matita! Per scrivere. Sai, loro non usano piuma e inchiostro.» Rispose Eric, notando poi come il gemello stesse tentando di aprire il vecchio libro; eppure questo non pareva volersi smuovere, pur mettendoci tutte le sue energie, John non riusciva ad aprirlo.
«Deve essere incantato.» Concluse, rinunciando all’idea con uno sbuffo. «Cosa dice l’altro?»
George prese a sfogliare le prime pagine del libro; non era molto grande, anzi a giudicare dal modo disordinato in cui v’erano scritte le parole al suo interno, doveva essere un diario.
«Sembra un… Diario di bordo o roba simile.» Mormorò confuso il rosso. «Le pagine scritte non sono molte, ma la calligrafia cambia.»
Mentre le pagine scorrevano veloci, fu come se l’aria iniziasse a fermarsi; John avvertì un brivido lungo la schiena e gli occhi di Eric si sgranarono.
«C’è qualcosa all’inizio, alla prima pagina.» Continuò George, aggrottando la fronte. «Volevo una vita piena di risate, era quanto di meglio avrei mai potuto chiedere.» Lesse, e si bloccò non appena sentì una voce aggiungersi alla sua nella lettura.
Una voce femminile che non aveva mai sentito.
Eric parve ridestarsi in parte dallo stato confusionale in cui pareva essere sprofondato e lo guardò curioso. «Continua.»
«Leggi, forza George.»
George tornò ad osservare le parole scritte a mano, riprendendo a leggere, un po’ esitante. «Così lo feci, scrissi. Scrivere è come intraprendere un viaggio o fare un bel sogno, è qualcosa di magico di per sé. Prendi la matita, è normalissima, descrivi tutto ciò che vedi, ciò che sogni, ciò che brami, ciò che ti aspetta. Il capitolo è già iniziato, devi solo
«-Devi solo continuare a scriverlo.»
George guardò John annuendo. «Sì, c’è scritto così. Hai sentito anche tu quella voce?»
«Era la voce di chi ha scritto quelle parole.» Disse Eric, indicando con capo il libro. «Ho visto un ragazzo biondo con la divisa di... Credo Serpeverde, ma non sono sicuro. Doveva essere lui. Dice altro?»
«Hm, sì, c’è scritto un nome.» Rispose noncurante George. «Louis Kyle Zafón. Non l’ho mai sentito nominare.» Tornò a sfogliare le pagine fino ad arrivare a scoprirne una macchiata d’inchiostro, di parole che prima non c’erano. Scosse il capo incredulo guardando la matita che teneva in mano, in una silenziosa domanda: e adesso?
«Beh? Che aspetti?»
«In che senso?»
«Louis parla chiaro, hai tutto in mano tua. Potrebbe essere, chessò, una specie di Passaporta o roba simile! Ha detto che il capitolo è stato cominciato e che sta a te continuarlo. Quindi leggi e scrivi.»
Eric aggrottò la fronte dubbioso. «Leggere e scrivere decentemente non credo siano mai state capacità di cui George possa vantarsi. E se, poi, fosse pieno di magia oscura?»
«Quanta fiducia, quanto ottimismo! Merlino, sono commosso!» Commentò sarcastico il rosso.
«Eppure ti senti bene, se fosse stregato com magia maligna non riusciresti neanche a tenerlo in mano, quel libro.»
«Dopo l’esperienza di Ginny con il diario di Riddle anche io non mi fido più di tanto di libri sbucati fuori dal nulla, se vi interessa anche la mia opinione è avete smesso di discutere.» S’inserì con un sorriso innocente il rosso. «Però… Vediamo cosa dice.»
George si schiarì la voce. «I due figli del cielo pronunciarono la parola d’ordine, e il passaggio segreto scattò, aprendosi.»
Eric abbassò il capo, attirato da un rumore lieve e sordo; si guardò intorno, eppure non c’era nulla fuori posto nella biblioteca.
«L’aria si colorò di magia, d’incanto, di un qualcosa attraversante i secoli. Sotto la guida di Castore e Polluce, il ragazzo con i capelli di fuoco osservò meravigliato un albero fiorire. Era un melo.»
John sussultò, ricordando cosa aveva letto di sfuggita prima – L’unica, vera informazione riguardante Avalon – ovvero il nome “Isola delle Mele”. Secondo alcune teorie significava quello, mentre nella lingua celtica significava “Regno delle fate”.
«Sentì il tintinnio di un campanellino in lontananza e un fugace battito d’ali, così sfuggente da parere quello di un colibrì. L’istinto gli urlò di seguire quel battito d’ali, di raggiungere la fine del passaggio. E il giovane coi capelli di fuoco era ancor più impulsivo della sua metà dispersa, all’occorrenza.» Deglutì a vuoto, pensando automaticamente a Fred. Si fece forza e continuò a leggere. «Così vi si addentrò senza timori, alla ricerca di quel posto dimenticato dal mare, suo custode, e dal mondo, ove il Re dei Pendragon dormiva cullato dal tempo.»
Impugnò saldamente la matita, leggendo ciò che scrisse; aveva il cuore in gola dall’eccitazione, non sentiva alcuna paura. Impossibile averne, sentiva che Fred era sempre più vicino.
C’era quasi.
«E la vide.»
«Eric, il libro!»
«L’isola delle Mele.»
Il bambino guardò il gemello, spaesato. «Cosa devo fare?»
«Avalon.»
George mise un punto, e fece appena in tempo ad alzare gli occhi sui gemelli che vide il vecchio libro ora aperto tra le loro braccia traboccante d’acqua.
«Oh, santissimo Godric!» George infilò il diario e la matita nel suo zaino, senza tuttavia abbandonare la sua espressione sconcertata.
Dalla rilegatura delle pagine ne usciva a fiotti, in un primo momento John ed Eric, colti di sorpresa, lasciarono andare il libro, facendolo cadere a terra.
«Ma che succede?!»
«Stiamo calmi, okay, non c’è niente che non va. Capito? Calma e sangue freddo!»
John fulminò George con lo sguardo, mentre Eric raccolse il vecchio libro da terra. «Niente che non va? Sul serio?!»
«Beh, più o meno!» Si corresse George, notando che il livello dell’acqua, stranamente, si stava alzando così velocemente da essergli arrivato al polpaccio. «Insomma, dipende dai punti di vista!»
«Quale punto di vista?!» Gli sbraitò contro Eric, alzando il libro sulla sua nuca per cercare di non farlo bagnare; già, peccato che essendo lui stesso a far scorrere tutta quell’acqua ottenne soltanto una doccia fredda. «Ma ch- Quest’acqua è salata!»
«Chi se ne importa se è salata?! Accidenti a me quando ho pensato di sigillare la porta dell’entrata per non farci beccare!»
George raggiunse Eric quasi a nuoto – Dato il livello a cui l’acqua era salita – e gli prese il libro dalle mani, richiudendolo più e più volte. «Non succede niente! Stupido libro, ecco perché li odio tanto.»
«John, dai reggiti a me!»
«Qualche problema?» George nuotò vicino ai gemelli; John era pallido come un lenzuolo, si reggeva al gemello come se fosse stato la sua ancora di salvezza e, dal canto suo, Eric non pareva essere intenzionato a lasciarlo andare. «Non sa nuotare.»
«Il libro e il diario sono collegati da un incantesimo, ciò che hai scritto si è concretizzato. Ti ho sentito, sai? Isola delle Mele. Sul serio?! Non potevi fermarti al nome?!»
«Che ne sapevo io che si sarebbe allagato tutto!» Obiettò piccato George, arretrando per evitare che John lo raggiungesse per strozzarlo.
«Smettetela! Proviamo a usare qualche incantesimo per fermare l’acqua, piuttosto!» Li riprese Eric, più per l’aver notato di non toccare più il fondo da un paio di secondi che per altro. John annuì «Okay, tieni il libro aperto.» e, tenendosi aggrappato al gemello puntò la bacchetta contro il volumetto.
Guardò George per un istante, gli occhi lucidi e colpevoli. «Scusami tanto.»
Non c’era incantesimo per fermare una magia di cui non conosceva neanche la provenienza, l’unica maniera di salvare la vita a tutti e tre era quella di distruggere il libro che, con tutta probabilità, era l’unica possibilità che avevano per avvicinarsi ancora un po’ a Fred. E per questo John si sentì male al solo pronunciare la formula.
«Deprimo
Il raggio di luce fioca squarciò le pagine con cui era in contatto la bacchetta magica del moretto, ma, prima che potesse accadere altro, i tre si ritrovarono completamente sommersi dall’acqua.
Eric aveva ragione: era salata, acqua di mare.
Fu l’ultimo pensiero di John, prima che i suoi occhi guardassero in alto e vedessero luce filtrante accompagnante il buio che l'avvolse.

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Capitolo 11
*** È come prendere un Nottetempo al volo ***


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È come prendere un Nottetempo al volo
 

Tutto intorno a lui era buio, l'unica cosa a brillare nell'oscurità era quella luce accecante che si stagliava dinnanzi a lui; non sentiva nulla, eppure aveva la testa intasata di immagini e voci confuse quanto familiari.
Tutta la sua vita gli stava scorrendo davanti come un film, come se lui ne fosse solo uno spettatore anziché il protagonista.
E oltre quella pellicola cinematografica fasulla, ecco lì la luce che tanto lo attraeva, manco fosse stato una falena.
«Cosa cavolo ci fai qui?!»
George sobbalzò distogliendo lo sguardo dall'oltre per poi rivolgerlo al suo riflesso, munito di un orecchio in più rispetto a lui. E sobbalzò incredulo, dandosi un pizzicotto per assicurarsi di non star sognando.
Davanti a loro – Davanti a lui e Fred – il ricordo della loro prima partita di Quidditch correva veloce.
«Fred...? Ma come, sono morto?» Chiese balbettando incredulo.
«Ma neanche per idea!» Sbottò l'altro rosso; per la prima volta, da venti anni, somigliava vagamente alla loro madre. «Non ho intenzione di vederti qui adesso, quindi fila, sciò! Hai una vita da vivere, capito?»
George fece per obiettare piccato; come sarebbe a dire che non lo voleva lì con lui?!
«Ascolta, so cosa stai facendo dall’altra parte, cioè... Sì insomma, lì dentro.» Affermò in tono più pacato Fred, indicandogli il susseguirsi di ricordi – In quel momento arrivati al momento in cui avevano donato la Mappa del Malandrino a Harry – che, quindi, doveva essere davvero la sua vita.
«Ti ringrazio. Sei... Beh, un fratello, Georgie, davvero. E spero che tu riesca perché manchi anche a me. Davvero tanto! Ma per quanto capisca che una vita senza di me è una vera e propria sofferenza dato che, diciamocelo, sono il più figo dei due,» E qui sorrise ammiccante. «non posso permetterti di buttarla per un po' d'acqua. Un Weasley che muore annegato, per Merlino, non esiste proprio!»
«Affogato? Aspetta, ma allora…»
George si ricordò dell’acqua di mare, del libro, del diario, di John ed Eric, della biblioteca, di Hogwarts, della folle impresa in cui si era lanciato e, quindi, di tutto il resto.
«Già, ora ricordi.» Annuì Fred, sorridendo tranquillo e indicandogli l’immagine argentea di loro due e il loro negozio di scherzi al numero novantasei di Diagon Alley. «Devi solo tornare, tutto qua! È come… Prendere un Nottetempo al volo!» Affermò. «Sì, lo so, è impossibile da fare nella vita vera e non ti consiglio di provarci. Anzi, te lo proibisco, era solo per dire!»
«Se è così semplice, perché non l’hai fatto tu?»
Il sorriso sul volto di Fred gelò alla lecita domanda del gemello e, soprattutto, al tono casuale con cui era stata posta.
Conosceva George e per quanto sembrasse superficiale, Fred sapeva che l'altro era più propenso a mostrare le sue emozioni; per quanto a quest’ultimo non piacesse, si vedeva.
Notava, a volte, un’ombra calare sugli occhi color nocciola della sua metà e sapeva anche a cos’era dovuta.
 
- Mi sento sporco, odio quando la gente ci chiama con un unico nome: Fred e George, fredegeorge, sembra che non possiamo esistere scissi. Sembra che agli occhi della gente non abbiamo due caratteri distinti. Siamo un unica entità, sono solo l'appendice di Fred. -
 
Ad Hogwarts esisteva un pozzo, un pozzo magico, in un punto imprecisato della foresta, più a sud della capanna di Hagrid.
Era ormai un luogo dimenticato dalla memoria degli studenti. Ma quando erano piccoli, ricordava che nonno Septimus avesse raccontato loro di quel luogo – Più che a loro, certo, era rivolto all’allora piccolo Ron.
Era un posto speciale, a cui si poteva confidare ogni paura, ogni emozione negativa, ogni segreto; questo, come d’incanto, sarebbe svanito.
Non aveva mai pensato a quel luogo in modo serio, per quanto avesse vissuto a contatto col mondo dei maghi sin dalla nascita, ma George sì.
Lui non si teneva mai nulla dentro. Che lo facesse con un sasso o una persona – Molto poco probabile, a parte Charlie quale persona di fiducia con cui sentirsi liberi di esprimersi avevano? – lui alla fin fine si sfogava sempre.
Certo, a modo suo, ovvio, ma lo faceva.
Questa sua caratteristica Fred l'ammirava, in gran segreto.
George aveva la sicurezza di mostrarsi semplicemente così: come George. E basta.
Fred invece si fidava solo del fratello, della sua personalità che per certe sfaccettature era così opposta alla sua da risultare complementare.
Se George aveva perso un punto di riferimento e anche di più – E sapeva che era così – lui allora?
Vedere il suo sempre allegro fratello gemello –  E il resto della sua famiglia e dei suoi amici, s'intende –  distrutto dalla sua perdita era forse stato divertente?
Assolutamente no.
E no, non lo voleva lì con lui, perché significava guardarlo morire e, a meno che George non fosse stato un ottantenne con un piede nella fossa, Fred non ci stava proprio ad assistere alla scena. Aveva un carattere abbastanza sicuro per affermare e sostenere questa convinzione.
Tuttavia non si era mai posto il problema che George gli facesse una domanda così, anche perché, teoricamente, non avrebbe mai potuto rispondergli, dato che era morto.
Poggiò una mano sulla spalla del fratello – E per quella volta la sentì al tatto – fissando lui e George indossare l’ultimo maglione ricevuto a Natale – Quello del 1997.
«Le circostanze erano diverse. Ho visto tutto così velocemente da non rendermi conto di niente e, poof, un secondo ed ero già oltre.» Rispose in tono pacato, un tono di voce così sommesso da non sembrare quasi da lui e che George conosceva: Fred stava soffrendo dentro, stava covando emozioni comuni a vivi e non e che non voleva esternare per fare la parte del fratello maggiore. 
Anche se il più grande Fred non lo era di certo.
«Non mi è sembrato lungo, ma prima di arrivare qua sono stato sulla Terra. Vi ho visti. Poche ore, certo, ma… Alla fine abbiamo vinto!» Concluse sorridendo e battendo una pacca al gemello il quale distolse lo sguardo da quel momento che a lui, vivendolo, era parso quasi epico – Sopraggiungere in Sala Grande, ad Hogwarts, davanti a Piton e tutti gli altri.
«Una pacca sulla spalla da mio fratello, frutto dei miei deliri, per altro. Gran bella vincita.» Rispose George, alludendo al gesto appena compiuto da Fred.
Il rosso scosse il capo, non scorgendo il minimo risentimento nelle parole di suo fratello, e volse lo sguardo al volto rigato dalle lacrime di Ron.
«Ronnie... Non ha pianto così neanche quando gli Trasfigurammo Merlin l’Orsacchiotto in una finta Acromantula.»
«Credo che avrebbe preferito vedere e dover baciare Hermione trasformata in un ragno gigante a tutto questo.»
«Tu sei qui per rimediare, no?»
George aggrottò la fronte. «Io sono qui per riportarti indietro.»
«Fantastico! Ci speravo, anzi lo sapevo!» Sbottò Fred, alzando la voce di qualche ottava con entusiasmo. «Allora fa un bel sorriso, monorecchino, e salta al mio tre!»
«Sei sempre più pess– No, aspetta, come hai detto?!»
«E tanto per la cronaca, tutto questo non è un tuo delirio. Un pony arcobaleno con la voce della Signora Grassa, quello sì che è un delirio!» Ci tenne a precisare.
«Pronto?» Chiese Fred, con fare rassicurante e incoraggiante..
«Pronto.» Annuì George, col cuore Grifondoro che rimbombava nel suo petto.
«Uno
George guardò a metà tra il trasognato e lo sconvolto la lancetta sua e di Fred cadere dall’orologio della loro madre – E istintivamente la cercò, trovandola, sotto la maglietta.
In lontananza sentiva qualcuno chiamarlo, ma erano suoni ovattati e confusi, come se fossero state parole pronunciate sotto il pelo dell’acqua.
«Due
Vide lui, John ed Eric entrare nel McDonald’s di Salisbury e il viso di Cheryl che squadrava perplesso e divertito il suo scarso saper destreggiarsi nell’ordinare qualcosa in un fast food.
Poi vide le mura distrutte di Hogwarts, la McGranitt, la Stanza delle Necessità che apriva un passaggio per la presidenza, il Pensatoio.
«Tre
Poi nulla.
Avvertì la mano di Fred, poggiata sulla sua spalla, dargli una spinta e si sentì avvolgere dalla sua vita, letteralmente.
Poté giurare a se stesso di aver sentito suo fratello salutarlo, da lontano. E non era stato un Addio, il suo.
I mille colori della sua vita si fusero e, così come nella realtà dei colori, divennero nero.
Finché un tonfo secco – Una sberla – non indusse George a socchiudere gli occhi – Sputò anche un bel po’ d’acqua.
«Anapneo! Maledizione, forza! Anapneo! Oh, bene. Così, svegliati George.»
«Ma cosa…? John?» Mormorò il più grande, strizzando gli occhi, mettendosi a sedere e tossendo per liberare le vie respiratorie.
Il bambino scosse energicamente il capo. «No, io sono Eric.»
Ecco, questo era buffo: lui, abituato ad avere affianco una un gemello e a scambiarcisi di posto, aveva confuso due ragazzini nella sua stessa situazione.
«Scusa. Se tu sei Eric, allora John dov’è finito?»
Il visetto del bambino trasudava ansia, tant’era pallido; Eric sospirò.
«Non lo so. Ho anche perso la bacchetta, come se non bastasse!» Rispose tirando su col naso e strizzandosi la maglietta, bagnata fradicia quanto lui.
«Lui non sa neanche nuotare, chissà che gli è successo!» Continuò. E, al vedere gli occhioni del moretto riempirsi di lacrime e minacciare di scatenare qualcosa cui George non era assoutamente preparato, il rosso cercò di tranquillizzarlo passandogli una mano tra i capelli grondanti d’acqua salmastra.
«Non fare così, non c’è bisogno di piangere, Eric!» Mormorò con tono gentile e dolce, un modo di parlare che, con dei fratelli più piccoli, aveva appreso.
Anche se, a dirla tutta, gli veniva inquietantemente spontaneo a parer suo – Più di quanto succedesse a Fred, sicuramente.
Inoltre, oltre al fatto che era sicuro che John stesse bene, sapeva meglio di chiunque altro a che dolore sarebbe andato incontro Eric se i suoi timori si fossero rivelati fondati.
E, se possibile, voleva evitarglielo; non lo avrebbe mai augurato a nessuno, neanche a Voldemort – No, beh, a lui forse sì.
«John è un tipetto in gamba, e poi se stesse male lo sentiresti, lo sai? Garantisco io.» Continuò con un sorriso amaro, puntando l’indice sul petto del bambino. «Proprio qui. Tu senti niente?»
Eric si passo il dorso della mano sulla guancia destra, scuotendo il capo.
«Bene!» Concluse con un sorriso George. «Ora, dove ci troviamo?» Fece, alludendo al luogo in cui erano arrivati.
Che fosse una spiaggia era evidente, il suono dello scrosciare delle onde sulla riva galleggiava nell’aria come bolle di sapone, in un’atmosfera di pace e tranquillità.
Se guardava oltre Eric, all’orizzonte, George non vedeva che mare; il cielo azzurro, limpido, era coperto tenuemente da un sottile strato di nebbia.
Eric fece spallucce. «Tu hai scritto Avalon, per cui, ecco, questa è Avalon!»
George ricordò improvvisamente quello che era avvenuto… Ecco, quanto tempo prima? Un’ora? O forse di più?
D’istinto, tastò la sabbia alla sua destra finché non trovò, con sollievo aggiungerei, il suo zaino, dove aveva messo al sicuro il diario – O qualunque cosa fosse quell’affare incantato.
Poi, però, realizzò che gli mancava qualcosa di ancor più importante. Qualcosa che lo accompagnava da nove anni, oramai.
«La mia bacchetta! Dov’è la mia bacchetta?!»
 
 
*
 
 
Idas indignans gladio Castori inguina traiecit.
 
“Cosa…?”
Una voce argentina e lontana lo destò dal suo stato d’incoscienza, una luce accecante e forte all’inverosimile filtrò attraverso le palpebre.
 
Quod cum annuntiassent Polluci, accurrit et Idam uno proelio superavit corpusque fratris recuperatum sepulturae dedit.
 
«Po-Polluci. Devo aiutarlo.» Mormorò a denti stretti.
John aprì un poco gli occhi smeraldini, ridotti a due fessure, e non vide che azzurro.
I capelli color cioccolato danzavano con la complicità della forza di gravità.
Portò la mano libera, quella che non reggeva tre bastoncini di legno di cui al momento ricordava poco o niente, davanti al suo viso, esaminandone i tratti minuti e le linee dolci.
 
Cum autem ipse stellam ab Iove accepisset et fratri non esset data tunc deprecatus est Pollux, ut liceret ei munus suum cum fratre communicare.
 
"Una stella come dono." Tradusse aggrottando la fronte mentre contemplava la sua linea dell’anima, stranamente lunga e marcata.
“Devo aiutare Pollux a trovare la stella e… No, aspetta!”
Uno dei bastoncini che teneva in mano reagì alla sua stretta, emanando una tenue luce che, rispecchiandosi nel suo sguardo, fece scattare qualcosa.
John sgranò gli occhi «Eric!» e, sentendo la pressione dell’acqua rozargli nelle orecchie e la brutta sensazione di star soffocando, impugnò con la mano libera la sua bacchetta usando un incantesimo non verbale.
Testabolla!”
Una volta che riuscì a respirare bene, dopo aver quasi rischiato di sputare i polmoni nel tentativo di svuotare le vie respiratorie dall’acqua, il bambino alzò lo sguardo – O forse lo abbassò; era capovolto a testa in giù! – e non fece in tempo a notare come più andasse a fondo più il fondo marino sembrava la volta del cielo che emerse, semplicemente.
Sbigottito, si ritrovò seduto sulla riva del mare, l’acqua gli arrivava ai gomiti.
«Ma com’è possibile?» Si chiese, annullando l’incantesimo usato poco prima. Si alzò e cercò un qualsiasi segno che potesse significare che non era solo, ma purtroppo non vide nessuna chioma rossa all’orizzonte.
Solo vegetazione rigogliosa, atmosfera incantata e nebbia argentea all’orizzonte.
«Avalon?»
Quasi quella terra avesse voluto rispondergli, John sentì una ventata d’aria che gli scompigliò i capelli.
«Questo spiega molte cose.» Concesse. «Devo trovare Eric e George!»
Strinse l’impugnatura delle loro bacchette e, con decisione, si inoltrò nella foresta puntando in avanti quella di George.
«Coraggio, è la bacchetta che sceglie il mago, no? Per cui aiutami a trovare il tuo.»
 
 
 
 


 
Writer's side
Lo so, sono in lieve anticipo (Seh, un'oretta alla mezzanotte). Ma vabbé!
Ho solo una cosa da precisare, o meglio due.
Partiamo dalle parti in latino dell'ultimo pezzo, appartenenti a una versione su Castore e Polluce che dicono all'incirca questo, a grandi linee: 
 << Ida indignandosi, trafisse con la spada l'inguine di Castore. 
Polluce accorse e superò Ida in un solo scontro e diede alla sepoltura il corpo recuperato del fratello.
Ricevette una stella da Giove, affinché gli fosse permesso come suo dono di comunicare con il fratello.
>>
Poi, avete presente il pezzo del pozzo? E la frase di George?
Ecco, quelli sono due pezzi(?) di questa fanfiction qua (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1462597&i=1).
Quando l'ho letta sono rimasta molto colpita dall'approfondimento della personalità di George e in effetti è vero, noi tutti mettiamo sempre Fred prima di George e... Beh, non sono riuscita a non includerla; è ben scritta, la coppia (Per me totalmente nuova) dolcissima e davvero, davvero Wow.
Semplicemente Wow! XD
Riconosciamo i meriti a questa bravissima autrice, appausi prego!
. . . Nulla, okay, ho finito.
Ringrazio come sempre tutti coloro che seguono, ricordano e preferiscono e invito anche a recensire perché, beh, fa piacere e in caso aiuta a migliorare! :)
Filo via!
Ciao!

 
Soleil Jones

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Capitolo 12
*** Com'era? Eravate diversi? – È diverso da me. ***


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Com'era? Eravate diversi? – È diverso da me.
 
«Stare senza bacchetta fa schifo, è ufficiale!» Sbottò George, facendosi largo tra la fitta vegetazione con Eric al seguito. «Come faremo a rimediarne un’altra a testa? Non possiamo fare un salto da Ollivander e tornare qui, ti pare?»
Il castano alzò gli occhi al cielo: sul serio, lui era infantile e tutto il resto, ma decisamente quel ragazzo batteva anche lui! E sì che difficilmente George Weasley si lagnava per qualcosa – Anzi, non l’aveva mai fatto in vita sua.
Però d’altra parte era anche normale che non fosse abituato a stare senza magia; d’altronde i Weasley erano una famiglia Purosangue, per quanto le altre Casate di nobili origini li considerassero dei traditori.
Era cresciuto, George, tra colpi di bacchetta magica, pozioni e formule.
«Una vera tragedia, già.» Concordò con finto entusiasmo Eric, incrociando le braccia dietro la nuca e guardando per aria: il cielo di Avalon era di un azzurro molto insolito.
Non una nuvola né altre screziature erano presenti in mezzo a quel blu acquoso, che pareva appena uscito dalla tavolozza di un pittore.
Era incantevole.
«Sento puzza di sarcasmo.» Lo ammonì senza tracce di rabbia il rosso.
«Allora hai un buon olfatto.» Concordò sogghignando Eric. «Ti facevo più ottimista e sicuro di te, sai Weasley?»
Ottimismo e fiducia in se stesso.
Oh sì, erano tutte caratteristiche che gli calzavano a pennello, che nonostante ciò che aveva passato era orgoglioso di poter dire di avere ancora.
Certo, era più insicuro di quanto non lo fosse prima, ma per i Grifondoro non valeva neanche dire che si piegavano senza mai spezzarsi, perché gli appartenenti alla culla dei coraggiosi non facevano nessuna delle due cose.
La morte di Fred aveva messo a soqquadro tutto di lui, aveva stravolto ogni sua certezza e annullato ogni sua iniziativa; ma se avesse permesso al dolore, al senso di incompletezza e ai ricordi di avere la meglio su di lui era certo che non sarebbe arrivato mai a capo di quella situazione.
«So che alla fine arriva sempre un bel colpo di fortuna, è un classico. Succede ogni volta.» Rispose stringendosi nelle spalle, cercando di intravedere una testa castana in mezzo a tutte quelle fronde e quel verde.
«Solo—» Continuò. «—è difficile capire come. Ammettiamolo, siamo troppo dipendenti dalle nostre bacchette magiche!»
«John me l’ha detto una volta: servono a incanalare e a dirigere la magia a nostro piacimento. Usare i nostri poteri è più semplice così, perché si concentrano tutti in un oggetto particolare con cui creiamo un legame. Ma si può anche fare a meno delle bacchette, volendo, una volta diversi maghi e streghe praticavano la magia senza.»
«Tuo fratello sa parecchie cose per essere così piccolo.» Gli sorrise George. «Per quello è un Piccolo Granger. Anche Hermione era così quando era più piccola. Anche se lui è peggio, considerando che non ha neanche dieci anni.»
Eric si strinse nelle spalle. «John è solo diverso, ecco tutto.» Mormorò fissando rapito i piccoli petali rosati che volteggiavano attorno a quella che, ad occhio e croce, doveva essere una ninfa o qualcosa del genere.
Era distante da loro, George non l’aveva sicuramente notata, ed era uno spettacolo per gli occhi.
«Prima era meno caotico, ora ha sempre la mente occupata da qualcosa. È intelligente e sveglio, molto più di me. E devo dire che è molto preso dalle Noci; ci teniamo tutti e due ad aiutarti, ma lui in modo particolare.»
Lui capisce, lui sa cosa si sente.
Era ciò che una vocetta insidiosa gli mormorava all’orecchio e, lo sapeva, aveva anche ragione. Eric sapeva solo cosa significasse essere dall’altra parte, diciamo; John no.
«La fai sembrare una cosa cattiva.»
Il bambino si fermò alzando lo sguardo sulla schiena del ventenne; George, non sentendolo più muoversi dietro di lui, fece altrettanto e si voltò a guardarlo interdetto.
«Eric?»
Non appena si vide puntare addosso quegli occhi così verdi e così chiari, George ebbe come l’impressione che vi ci sarebbe potuto sprofondare. Eric e John erano identici, così come lui e Fred, ma alcune piccole differenze fisiche permettevano di distinguerli; gli occhi erano una di queste.
John aveva gli occhi smeraldo, non troppo chiari, che scrutavano tutto con interesse e curiosità e che al contempo nascondevano qualcosa.
Erano come quelli del professor Lupin, a ben pensarci: tristi, alle volte.
Eric aveva uno sguardo più ingenuo e di un colore più tendente al verde acqua del mare d’estate; erano occhi innocenti macchiati di qualcosa di indistinto e così evidente da rivelarsi un segreto. Qualcosa che stonava con tutta quella genuina ingenuità.
Erano molto forti, duri da sostenere, e in quel momento parvero perdersi un attimo, prima di tornare ad animarsi.
«Stai bene? Sei… Pallido. Uno straccio, cavolo!»
«Credo di avere solo fame.» Rispose scuotendo il capo il bambino, massaggiandosi la pancia. «A quest’ora la gente normale mangia. Ti prego, dimmi che la nostra tenda si è salvata dall’acqua!» Pigolò speranzoso.
George si scrollò lo zaino di dosso e vi immerse tutto il braccio, prima di tirar fuori la suddetta tenda. La manica della felpa era asciutta, il che era un buon segno.
Fece una smorfia di disappunto, ricacciando la tenda dentro il suo zainetto.
«Non ne vale la pena di montarla solo per mangiare, ci metteremmo una vita. Guarda lassù!» Seguendo il dito del giovane Weasley, lo sguardo di Eric si rianimò alla vista di un albero di frutta. Corse incontro ad un cespuglio di bacche lì vicino, mentre George si accingeva a raccogliere dai rami le mele rosse.
«Ecco perché la chiamano Isola delle mele, guarda quant’è grossa questa, Eri— Ehi, aspetta un secondo.»
«Hm?» Eric, il musetto ormai inesorabilmente macchiato della polpa dei mirtilli che stava assaporando, fissò la mano fermata a mezz’aria di George con perplessita. «Cosa c’è? Perché non le cogli?»
«Ricordi cosa c’era scritto sul diario di bordo di Louis?» Chiese George, accovacciandosi a terra per tiare fuori l’oggetto in questione, aprendolo nella pagina dove aveva lasciato la matita. «Dice: sotto la guida di Castore e Polluce, il ragazzo con i capelli di fuoco osservò meravigliato un albero fiorire. Era un melo. Come questo! È l’unico nei dintorni, in mezzo ad una radura e davanti a questo cumulo di pietre. E non mi risulta che questa sia stagione per le mele, no? Non così, sono rossissime! Quindi è chiaro, ci serve John, perché io questi Castore e Polluce non li conosco. Ma lui sicuramente sì!»
«Oh, per Circe!» Fece a bocca aperta Eric.
«Già.» Annuì serio George.
«Quand’è che sei diventato così acuto?»
 
 
*
 
 
Bevve dal calice d’argento un ultimo sorso di succo di zucca, riponendolo poi sul tavolo senza premurarsi di non far rumore – Tanto era solo, non avrebbe disturbato nessuno.
Era incredibile come avesse trovato quella sorta di tempio, o abitazione, o quel che era!
E lo era altrettanto il fatto che non vi fosse anima viva e che, nonostante ciò, al suo minimo comando tutto gli appariva davanti, com’era accaduto con la sua merenda.
Aveva girato ore per quell’isola incantata, la cui atmosfera pareva essere corporea – Colorata, argentea – e al sussurrare alla sua bacchetta un «Guidami.» questa l’aveva condotto lì; la domanda era: perché quel luogo?
Inclinò il capo di lato, osservando gli arazzi e le rifiniture di ogni oggetto presente. Tutto fatto a mano.
«Questa è la Dea.» Mormorò chinandosi davanti alla statuina di una donna; ai suoi piedi giaceva un telo bianco immacolato che non appena venne riposto sul suo capo, parve prendere le sue sfumature.
John lasciò andare il telo sul capo della statuina, osservandolo ricaderle in maniera aggraziata sulla schiena e donarle un’aria pacifica e devota. Sollevò un angolo della bocca in un sorriso.
«La leggenda dice che Avalon esisterà finché qualcuno crederà ancora nella sua Dea Madre. Quando nessuno ci credette più ad un certo punto, così Avalon scomparve, ma la verità era che la Dea era riapparsa. Solo, sotto altre sembianze.» Recitò. «Era scritto su uno dei libri della biblioteca di Hogwarts. Diceva anche che l’unico modo per andarsene di qui è per mare, che fa tutto l’isola, appure…»
Il suo sguardo captò qualcosa fuori posto; dietro il velo che copriva quella che ora era la Madonna cui i Babbani cristiani erano devoti, v’era un’incisione, sulla parete.
Era una lingua che non conosceva, una lingua antica che non aveva nulla a che vedere col latino. Impugnò la sua bacchetta, sussurrando un «Disputatio ad me.» e lesse quella poche incisioni col sorriso sulle labbra.
Il mondo è sottosopra, aldilà del melo.
«Eppure c’è un altro modo!» Esultò, rimettendo a posto la Madonnina. «Un po’ complicato, ancora, ma sono un promesso Corvonero, io!»
 
 
*
 
 
«Il Sole ci sta lasciando.»
«Questo lo vedo da me, cervello di Puffola. Miseriaccia, stai a quasi due metri da terra e non vedi niente di niente? Non so, magari una testolina marrone come i ricordini di Leo!»
«Ehi! I capelli miei e di John non hanno il colore della cacca del gufetto di tuo fratello Ron! E tu non sei alto due metri, sai?!»
«Sono un metro e novant’uno di pura bellezza, scricciolo.»
«Oh, Merlino, aiutami tu!»
«Non lo scomodare, ti prego, potrebbe mandarcela peggio.»
Se qualcuno li avesse visti per strada, avrebbe creduto di vedere un fratello maggiore che teneva il piccolo seduto sulle proprie spalle; se invece ciò fosse avvenuto lì e in quel momento, il suddetto qualcuno li avrebbe aggirati solo ascoltando la loro conversazione.
 
 
*
 
 
«Temo che dovrò dormire qua.» Ammise a sé stesso, abbandonando l’idea di allontanarsi troppo dall’unica zona abitabile che aveva incontrato sul suo cammino. Non sapeva se ci fossero animali feroci nel bosco, né se George ed Eric stessero bene, ma il suo sesto senso gli diceva che il suo gemello stava bene e, col tempo, aveva preso ad avere fiducia in quella buffa e ingiustificata sensazione.
Inoltre lì era più al sicuro che in mezzo gli alberi.
Trasfigurò una panchina in marmo per non dover passare la notte sul duro e, sdraiatosi, si perse nel cielo che si poteva vedere.
Era raro da vedere, nel mondo dei Babbani sicuramente era impossibile; la Luna era l’unico faro acceso ad illuminare la notte, completamente priva di nubi e puntellata di piccole stelle luccicanti. La stella Polare era, ovviamente, la più riconoscibile; non conosceva l’astronomia dei maghi, probabilmente la chiamavano anche con un altro nome. Aveva solo dei ricordi confusi di nozioni circa l’arte dell’osservare le stelle. Eric era sempre stato il più bravo a collegarle e formare le costellazioni, aveva occhio per ciò che non poteva essere visto se guardato superficialmente, ma John riuscì a riconoscere lo stesso la costellazione dei Gemelli.
Si addormentò guardandola.
 
«George, senti, posso chiederti una cosa?»
Il rosso mugugnò un qualcosa di simile a un assenso, entrando nella stanza e buttandosi con nonchalance sul letto; montare la tenda aveva richiesto più tempo, senza le bacchette, e avrebbe riposato più che volentieri se ad Eric non fosse venuto in mente di voler fare quattro chiacchiere con lui.
Il bambino lo guardò esitante, seduto sull’ampio davanzale della camera. «Quindi, posso?»
«Spara.» Rispose facendo leva sui gomiti per guardarlo; i suoi tratti paffuti, dolci e mediterranei erano messi in evidenza dal tenue chiarore lunare, che andava a creare dei contrasti sulla pelle del piccolo; gli occhi chiari però celavano incertezza, lo si capiva dal fatto che non glieli aveva puntati addosso.
«Fred.» Iniziò esitante, vedendo il rosso scattare sull’attenti sul letto – Seduto – e con gli occhi vispi e visibilmente intristiti puntati su di lui. Lo stava esortando a parlare.
«Com’era? Voglio dire, eravate diversi?»
George si grattò uno zigomo guardando il vuoto, increspando le labbra in una smorfia celante un singhiozzo.
«Se non vuoi dirmelo non fa niente!» Si affrettò ad aggiungere Eric.
«No, no, tranquillo scricciolo. Davvero.» Rispose calmo George, prendendo un bel respiro e poi annuendo. «Era dive— Voglio dire, è diverso da me.» Proseguì.
«Sai, spesso mi sono sentito un po’ la sua ombra. Fred è molto sicuro di sé, è più schietto, al punto da essere tremendamente indelicato se vuole.» Disse, e sulle sue labbra si delineò un sorriso malinconico, mentre nella sua mente mille immagini scorrevano – Come quelle che aveva visto quando aveva rischiato di annegare. «Però non lo è in realtà. Stranamente è molto protettivo e dolce; sai, io ho lo sguardo da figo, lui quello da pesce lesso. Nel senso che si vede anche da come ti guarda che nasconde un lato tutto da scoprire. Io invece mi mostro come sono e basta; per i caratteri è al contrario, all'inverso. È orgoglioso e geloso, aggiungerei. Già, così tanto che se io posso non farmi condizionare troppo dalle emozioni e, magari dopo qualche giorno, affrontare a viso aperto la questione, lui è tutto il contrario. È… Insicuro di quello che sente, molto bravo quando si tratta dei problemi altrui ma pessimo coi suoi. È una di quelle rare persone che per quanto siano intelligenti, geniali, sono anche tremendamente stupide. E viceversa. Ci credi che al Ballo del Ceppo abbiamo ballato insieme una sorta di valzer o quel che cavolo era? No, sul serio! Lui era Lord Frederick, io Lady Georgina. Non c’era un motivo preciso, scherzavamo parecchio sul nostro legame dicendo che era ancor più indissolubile di quella dei nostri genitori, quella volta abbiamo pensato bene di coinvolgere tutta la Sala Grande. Anche se al momento del casquè mi sono ritrovato abbracciato al pavimento e con lui e il suo dolce peso addosso. Abbiamo riso come matti. Due idioti e una capanna, altroché! Poi, beh, ride sempre; è il Re degli Scherzi, al pari con me. Trova la forza di ridere su ogni cosa, anche quando è morto sorrideva, pensa un po’. Certo, quando persi l’orecchio non era tanto in vena di risate, ma credo fosse colpa dello spavento che gli ho fatto prendere. Non c’è un solo nostro prodotto che non abbiamo inventato, costruito, testato e brevettato insieme, davvero. Ci sono molte cose che ci accomunano, tante quante le differenze. Siamo indistinguibili, ad occhio esterno, e a noi è sempre andato anche bene così. Una volta a scuola Fred l’ha notato, un giorno mi ha detto: Georgie, ti sei accorto che parliamo sempre al plurale, anche quando siamo con qualcuno singolarmente?»
«E tu?»
George si strinse nelle spalle, asciugandosi una lacrima che era scivolata lungo la sua guancia fino ad arrivare a quella fossetta inesistente; quella che compariva solo sul viso di Fred quando rideva, quella piccola differenza cui nessuno aveva mai dato troppa importanza.
«Io gli ho detto di no, che però non mi importava granché perché, gli dissi, tanto me lo sarei sempre ritrovato fra le scatole e viceversa. Tanto valeva rassegnarsi a scambiarci le dentiere da vecchi – Dopo averle lavate, s’intende. Ci siamo visti con la barba bianca, vecchi, a sedici anni.»
«E poi è successo.» Mormorò Eric, tornando a guardare fuori, chiedendosi quanto potesse costargli parlare di suo fratello con lui.
Fu sincero nel pensare che sì, era proprio un vero Grifondoro: aveva il coraggio di affrontare quello che ormai oltre che il suo ricordo felice era anche un incubo ricorrente.
«John lo capisce meglio di me cosa provi, però credo di poter dire che Fred non avrebbe mai voluto che gettassi alle ortiche la tua vita. Parlo da gemello. Se morissi—» Tale espressione gli lasciò l’amaro in bocca. «—non vorrei vedere John nelle condizioni pietose in cui eri giusto l’altro giorno.»
Bugiardo – Gli diceva la coscienza – è inutile che usi il condizionale, cambia tempo e usa il passato.
«Non è così facile, quando hai condiviso ogni attimo della tua esistenza con una persona e questa se ne va così, in un poof, certi ragionamenti li mandi direttamente a quel paese, per quanto possano essere sensati. Non ho mai smesso di parlare al plurale, neanche dopo la Battaglia di Hogwarts, e non credo che lo farò mai, qualunque cosa accada.» Confessò il rosso, accarezzando la lancetta dell’orologio della madre. «Non ho neanche più sopportato gli specchi, e finché non lo riavrò a casa sarà così.»
«E tu sei sicuro che ci riusciremo?»
George rise; una risata cristallina, infantile e fragorosa come lo sciabordio del mare sugli scogli.
«Sono un Grifondoro! Certo che ne sono sicuro!»

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Capitolo 13
*** Risvolti ***


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Risvolti
 

 

Londra – Venerdì, 30 gennaio 1953.
Sono le dieci. L’orologio appeso alla parete è rotto, tuttavia non ho perso la cognizione del tempo – Come potrei, del resto? – e, anzi, sto cercando di aggiustarlo.
Fortunatamente, ad Hogwarts ho imparato qualche incantesimo utile per tener conto dello scorrere delle ore con precisione e sapere come riparare oggetti e, nel caso, anche ossa e legamenti.
Chissà chi ha vinto la Guerra, alla fine. Avrei voluto andare a controllare, anche per assicurarmi che gli altri stessero bene – Che lui, che Merlino lo protegga, stesse bene, dato quanto era vicino al momento dell’esplosione – ma, ovviamente, Max ha fatto di tutto pur di impedirmelo.
Quell’idiota di Reyes non ha ancora smesso di "addestrarmi" – Che poi, che cavolo vuoi che ci voglia a usare quell’affare? Insomma, sembra una GiraTempo! È diversa, okay, ma il principio è lo stesso: serve a muoversi nel tempo, oltre che  a schermare chi la indossa perché non contamini nulla o venga visto.
A quanto ne so, il moretto era un Indacocclumante, ad Amstrong – Esiste una scuola di magia americana, lo sapevate? Io sì! – il che mi fa pensare che quella Casa sia l’equivalente di Serpeverde.
Perché sì: Maximillian Reyes è una Serpe mancata.
Fortunatamente c’è James; è sicuramente il Corvonero più simpatico – Udite udite! Le parole “simpatico” e “Corvonero” sono state messe nella stessa frase! – che io abbia mai conosciuto.
Se avesse frequentato la scuola “ai miei tempi” forse non ci saremmo mai notati. In caso contrario, forse avrei prediletto i biondi piuttosto che i rossi.
Mi ha detto che aveva un fratello di Serpeverde, ma nient’altro; non ama parlare della sua vita passata così come me. Ogni tanto Max prova a estorcerci qualcosa, raccontandoci qualche aneddoto di Amstrong.
Secondo lui è importante non dimenticare le persone che, in passato, sono state le più importanti delle nostre vite; dice che diventano il perché di tutto questo, che ci fanno pensare "Faccio tutto questo per proteggere qualcuno".
Ragionamento molto Tassorosso, questo, direi.
Se penso che nel 1998 lui aveva solo la mia età e ora ce lo ritroviamo qui, ventenne, dal 2001, mi viene quasi di darmi della pazza.
So che è decisamente poco Grifondoro dirlo, ma ogni volta che esco da questo buco – E non per aggiustare il tempo nell’arco di un secolo – mi sento piccola piccola. Ho la mia bacchetta con me, certo, e sono più pericolosa io della gente che incontro per strada, ma rispetto a tutto questo macello mi sento impotente.
E vorrei solo aspettare che arrivi la notte del 31 gennaio con la sua inondazione per affrontare il destino cui mi hanno strappata, piuttosto che entrare qui sapendo che, allo scoccare della mezzanotte, rivivrò sempre e solo il 29 e il 30 del mese.
Stesso giorno, stesso mese, stesso anno.
È snervante! Mi sento usata.
Funziona così: hai delle determinate potenzialita, stai per morire, arriva uno sconosciuto a tenderti la mano – Quasi spacciandosi per l’Arangelo Gabriele aggiungerei – ma avvertendoti che non avrai mai indietro la tua vita, gliela afferri e BOOM!
Eccoti reclutato chissà dove – E quando, soprattutto – con la responsabilità dei viaggi nel tempo sulle spalle.
Posso dirlo?
Sì?
Che palle!
 

«Vuoi mandare quello nel futuro, Hailey?»
La mora alzò il viso stanco sul biondo Corvonero – Ex, per la precisione – il quale accennò al cumulo di fogli che lei teneva sulle gambe.
«Potrei farlo?» Chiese lei, e James avrebbe giurato di aver visto gli occhi blu scuro della Grifondoro – Ex, ma non era neanche mai arrivata ai M.A.G.O. per cui lei si definiva ancora tale.
«Dipende dal destinatario e dal contenuto. E dalla data in cui la farai recapitare. Ma, sì, potresti.»
Hailey scosse il capo. «A chi dovrei voler scrivere?»
James alzò le spalle con nonchalance. «Oh, non saprei. Ma ho notato che, quando sei uscita con me e Max due giovedì fa per andare a mangiare qualcosa, abbiamo incrociato per strada un tipo coi capelli rossi. A quel punto, sei sbiancata e arrossita nel giro di dieci secondi, prima di biascicare un nome che non ho mai sentito e strattonarci per cambiare direzione.»
Diretto e schietto: James era anche questo.
I suoi occhi chiari, imperscrutabili e attenti, parvero lampeggiare di celata soddisfazione al notare lo sguardo cobalto della compagna sfuggirgli. Sapeva di aver ragione, coi Grifondoro era facile spuntarla; erano quasi un libro aperto per chi era stato Smstato a Corvonero – Hailey era un po’ più difficile da interpretare, per questo non era noiosa.
«Era un mago. Avrebbe potuto, chessò, riconoscerci. Avevo la bacchetta troppo esposta, in effetti.» Rispose con un alzata di spalle la Grifondoro.
«E come sai che era un mago?»
«Lui… Era l'avo di alcuni ragazzi che frequentavano Hogwarts con me, somigliava loro così tanto che… Oh, dai, lo sai! Tu e Max capite che non è poi così facile. Tu sei anche più piccolo di me! Dovresti avere più complessi.»
«Teoricamente sono più vecchio di vent'anni o giù di lì.» Precisò James, sedendosi accanto alla castana e sollevando un angolo della bocca in un piccolo sorriso. «Sai, ho sempre pensato che una Grifondoro, per poter essere definita tale, non avrebbe dovuto piangere mai, che sarebbe dovuta essere coraggiosa. Una cosa tipo Amelia Earhart o Emmeline Pankhurst. Poi ho conosciuto te, e devo dire che mi hai fatto cambiare idea.»
«Mi stai dando della codarda o cosa?»
«Che bisogno ce n’è? Lo fai già da sola.»
Hailey soffocò una risata, guardando per la prima volta James negli occhi. «Zafón, tu sei la prova vivente che con voi Corvonero non si può parlare senza fare la figura degli idioti.»
 
 

 
 
Era chiaro come il Sole, ormai, che John non poteva trovarsi su quell’isola – Ammesso, inoltre, che quella fosse Avalon.
Avevano trascorso un’altra giornata a vuoto cercandolo, eppure sia a George che Eric pareva fosse trascorso più tempo.
«È l’aria. Non dimentichiamo che quest’isola è piena di magia antica fino al midollo.» Aveva dedotto George, scendendo dall’albero su cui si era arrampicato. «Ma non credo che la magia antica si sia pappata John, tu che ne dici?»
«No, troppo indigesto persino per il terreno.»
Eric sembrava inconsolabile – Aveva notato il rosso.
Riusciva a stento a strappargli qualche sorriso con battute che spesso non avevano né capo né coda, ma anche George si sentiva alquanto provato: sia ben chiaro, non era come Harry e Ron.
Lui non aveva bisogno di Hermione e del suo cervello perché, bene o male, studente scapestrato o meno, lui aveva sempre potuto vantare un notevole ingegno e dell’intelligenza non da poco – Seppur ben celati.
Aveva quindi consultato il diario di Louis, aveva provato a scrivere, ma ogni volta si era fermato con la matita sul foglio e una domanda: cosa scrivere di preciso?
«E fu così che i due impavidi George e Eric inciamparono su un ramo sottile e magico, spezzandolo e ricavandone le tanto agognate bacchette – Degne sostitute di quelle andate perdute. Le agitarono, trovarono John, e per premiarli della loro gran fortuna la bella Morgana apparve loro davanti e diede al bel rosso la Noce. E il resto si sa!   Che ne dici?»
Eric sbatté le palpebre, assimilando parola per parola e portandosi una mano tra i riccioli color cioccolato. «Se fossi John credo che ti picchierei.»
«Ma non lo sei! Da Eric, che ne dici?»
«Siamo sicuri che nel ruscello non scorra Burrobirra o qualsiasi altra cosa che possa averti fuso il cervello?» Chiese timoroso il bambino.
Il diario era, in sostanza, pressoché inutile. Era chiaro che c’entravano qualcosa Castore e Polluce, però; Eric sperava tanto che George ci arrivasse da sé, ma cosa ne poteva sapere dei due gemelli figli di Zeus uno che durante le ore di Astronomia era già nel primo sonno?
Dopo ore passate a sentire le sue ipotesi – Una più disparata dell’altra, a dimostrazione del fatto che possedeva una fervida immaginazione – esplose.
Non letteralmente; peggio.
«Accidenti, George! Castore e Polluce siamo io e John, come fai a non averlo capito?!» Sbottò alzando gli occhi al cielo, rendendosi conto solo subito dopo di ciò che aveva detto; si portò le mani alla bocca maledicendosi in tutte le lingue conosciute e sconosciute all’uomo.
Era stato avventato e stupido a parlare così a sproposito.
George lo guardò a metà tra lo stupito e il risentito – Più per la tensione del momento che per altro, normalmente prendeva tutto abbastanza alla leggera.
«Che cosa?! E me lo dici solo ora? No, aspetta. Prima spiegami bene come cavolo fate a essere loro e poi a essere anche… Voi, ecco!»
«No! Noi non siamo loro! O noi. Cioè… Nel senso che, sì, siamo noi ma non lo siamo!» Esclamò balbettando il bambino, sentendosi mancare. Cercò di calmarsi, di ragionare in fretta e con lucidità come avrebbe fatto John; ma il punto era proprio quello: lui non era suo fratello, non era un potenziale Corvonero!
«Castore e Polluce erano due gemelli, George. Se tu sei il tizio rosso di cui parla il diario, chi altri possono essere se non io e John? Lì si parla in maniera metaforica, e quindi la chiave, in teoria, dovremmo essere io e John!» Azzardò gesticolando, cercando un senso in quel che aveva detto tutto d’un fiato.
Effettivamente, però, alla fin fine il suo ragionamento era anche abbastanza azzeccato!
«Ha senso.» Concesse il rosso, lasciandosi cadere seduto a terra. «Ora non ci resta che trovare il nostro Castoro
«Castore. E comunque lui dovrebbe essere Polluce.»
«C’è tanta differenza?»
Più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Eric si morse il labbro scuotendo lievemente il capo «No, non molta.» e prese ad osservare con insistenza il cespuglio di more che, girando per l’isola, aveva già intravisto almeno due volte: non appena si erano svegliati, lui e George avevano mangiato qualcosa e dopo si erano subito messi a cercare un qualsiasi cosa che smuovesse la situazione per tutto il giorno.
C’era un orologio dentro la tenda del giovane Weasley – Tempo qualche ora, e l’avrebbero montata – ma anche senza quello Eric teneva d’occhio lo scorrere delle ore.
Gli pesava terribilmente – E a quanto sembrava solo a lui – l’atmosfera di quell’isola. Lo faceva sentire ogni minuto un po’ cresciuto, come se fosse passato fin troppo tempo dall’istante in cui avevano lasciato Hogwarts: e la cosa, per quanto non gli piacesse, sapeva che era normale.
George sembrava star bene: era solo molto provato interiormente. Camminava con le spalle leggermente curve, ma sempre a testa alta; era nervoso, sempre più impaziente, ma comunque speranzoso ed ottimista.
Era ammirevole quanto un legame potesse essere forte; non lo avrebbe mai ammesso, no, ma anche senza la morte di Fred, George avrebbe continuato a pensare a suo fratello come al suo punto fermo – Fratello, migliore amico, confidente, compagno di guai. Tutto, cavolo, proprio tutto – per cui sarebbe stato pronto a fare pazzie.
«Senti, Geor—» Eric si interruppe all’avvertire lo scricchiolio di un ramo secco che si spezzava. Sussultò, e per un secondo sperò che fosse suo fratello ma, quando vide George guizzare in piedi con gli occhi sgranati, realizzò che non era lui.
«Ho un Mangiamorte alle spalle?» Chiese in un sussurro il bambino. Il rosso scosse il capo e lo tirò dietro di sé, indietreggiando.
Istintivamente cercò la sua bacchetta nella tasca posteriore dei jeans logori ma, ovviamente, non la trovò.
«Porco Salazar, magari fosse così! Corri, Eric, corri!»
 
 
*
 
 
«Tu sei un qualcosa di simile a un… Folletto
Ne aveva tutto l’aspetto: nonostante avesse palesemente chissà quanti secoli alle spalle, era mingherlino e alto un metro e una Pluffa e vestiva di tonalità accese di verde e celeste, oltre alle orecchie a punta.
Sfoggiò un bianco sorriso, infantile e curioso. La sua età era segnata solo dal suo sguardo e dai fili argentei tra i capelli.
«Tu sei una stella, invece?» Chiese.
Il bambino aggrottò la fronte, deviando la discussione. «È che hai i capelli verdi. Quindi sei un Metamorfomagus, o magari lo spirito. Vero?»
«Cos’è un Metamorfomagus?»
«Non si risponde a una domanda con una domanda, sai?» Sbuffò John, gonfiando le guance. Il folletto dondolò sui talloni portando le braccia esili e corte dietro la schiena. «Perché, hai domande da farmi?»
«Un paio. Ad esempio, sai dove sono George e il mio gemello? George ha solo un orecchio, è altissimo e ha i capelli rossi. L'hai visto?»
«E l'altro che faccia ha?»
«M-ma la mia! Ha la mia faccia, siamo gemelli! Vuoi rispondermi, per tutti i fulmini?!»
«A te piacciono le mele, Polluce?»
 
 
 



 
Writer’s side
Sì, sì, eccoci qua!
Ho scritto tutto tra ieri sera e ora – Per mancanza di tempo: domani parto – e spero non sia venuto poi tutta questa schifezza.
BENE, precisiamo un paio di cosine.
Il primo pezzo vi farà di certo arrovellare il cervello solo per quel che c’è scritto, personaggi esclusi, e non vi biasimo!
Diciamo che, per questo pezzo di storia – Che si rivelerà importante negli ultimi capitoli della fanfiction – mi sono ispirata a una serie che amo e che sto leggendo: Time Riders, di Alex Scarrow – Anche lui inglese; ma amiamoli, cavolo! Sono dei geni!
Se volete capire bene cosa vuole dire Hailey, vi consiglio di dare un’occhiata alla trama, magari vi aiuta a capire un pochino la situazione di Max, James e Hailey.
Ma non basatevi su quella! Dopotutto, questa non è una fanfiction Crossover, io devo sempre metterci lo zampino e non sarebbe originale se non apportassi certe modifiche.
Potete anche non sforzarvi troppo a capire, se volete tenervi la sorpresa! 
(Sì, parlo anche del fatto che James faccia “Zafón” di cognome).
Per il resto, che dire? Si va avanti!
Nei giorni a seguire avrò più tempo per scrivere, dato che sarò in mezzo ai monti – Guai a chi parte con battutine basate su Heidi, i monti che sorridono, le caprette che salutano etc. Potrei seriamente diventare poco Grifondoro e tanto, TANTO, Serpeverde.
Come ogni estate, avrò una connessione di cacca – Grazie, famiglia, per essere così anticonformista da non concedermi un viaggetto alla mia veneranda età (Che tanto veneranda non è!) ♡ – e ho pensato che, visto che non ho soldi per caricarmi la chiavetta, userò il cellulare come router.
CHE MERLINO ME LA MANDI BUONA.
Ultima cosa!
Amstrong.
Sì, era citata in una mia One-Shot, ma ho rivisto Case etc. Ora non vi lascio papiri inutili, tanto più che, comunque, arriveranno le fiction su di essa. Volevo solo precisare questo: che la Casa degli Indacocclumanti è una delle quattro presenti ad Amstrong.
Ho finito, sì.
Okay.
Vi lascio, mi fiondo tra i bagagli.
Ditemi un po’ che ne pensate, eh? E grazie a chi segue, ricorda, preferisce e recensisce!
 
Soleil Jones

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Capitolo 14
*** Il ricongiungersi delle due metà della mela ***


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Il ricongiungersi delle due metà della mela
 

Giocare a Quidditch aveva i suoi vantaggi – E lui non vi aveva mai visto nessun contro particolarmente rilevante, Bolidi inclusi.
Era uno sport che rafforzava il rapporto tra le persone, essendoci bisogno di coordinazione e lavoro di squadra, e che temprava l’anima ma soprattutto il corpo. Sì perché ci voleva agilità per destreggiarsi su un manico di scopa a velocità esorbitanti e, nel mentre, adempiere al proprio ruolo.
Essere un Battitore, in particolare, voleva le sue abilità e a propria volta ne sviluppava altre. Ci volevano dei buoni riflessi, bisognava essere scattanti e avere braccia forti e una presa salda per usare bene la propria mazza; ci voleva anche empatia con l’altro Battitore – Un buon vantaggio per la squadra dei Grifondoro, i cui Battitori erano gemelli! – e impulso.
Tutte qualità che George possedeva, dopo anni e anni passati a giocare. Ma a quello, per il calderone rosa confetto di Merlino, la sua carriera di Battitore non l’aveva assolutamente preparato.
«Cosa vuole da noi?!»
«Ci tieni davvero a saperlo?! Tu pensa a correre!»
Se avesse avuto la sua bacchetta, se solo ce l’avesse avuta lì con lui, non starebbero correndo.
Dietro di loro, il felino – E anche se non era mai stato in uno zoo, George sapeva che non avrebbe dovuto essere così grosso – saettava tra gli alberi con facilità, inseguendoli con le fauci spalancate.
Stavano correndo in tondo, probabilmente; George stringeva la mano di Eric – Gesto dettato dall’istinto – e lo trascinava anche se non sapeva di preciso in quale direzione.
Le gambe bruciavano d’adrenalina, i polmoni sembravano in procinto di scoppiare e il cuore pompava tanto di quel sangue che pareva minacciare di saltargli fuori dalla gola da un momento all’altro.
Come quando combatteva.
Anche allora l’istinto aveva prevalso su tutto: era dipeso tutto da quello, non dalle teorie di Incantesimi o dai ragionamenti su quale fosse la formula corretta da usare per contrastare l'avversario.
In quel caso, non importava dove sarebbero finiti, l’importante era mettersi in salvo; e anche allora la paura di non farcela era agli ultimi posti delle sue priorità; George non aveva mai temuto la morte.
Né quando era stato colpito alla testa da un Sectumsempra perdendo un'orecchio, né prima di combattere contro i Mangiamorte a Hogwarts, né in quel momento.
Sentiva Eric, dietro di lui, ansimare col fiato corto. Era agile e scattante, essendo così piccolo, sembrava stesse per prendere il volo tanto le sue gambe erano veloci – E dovevano esserlo, per tenere quasi testa a lui.
Il bambino sentiva le orecchie ronzare e qualcosa insinuarsi nel suo cervello; una magia di quel luogo, probabilmente, stava stuzzicando i suoi sensi. Non sentiva malvagità alcuna nell’aria. Quel leone non gli trasmetteva cattiveria, e di colpo smise di vederci e inciampò su una radice.
La vista oscurata da un’altra visuale.
 

 
Gli occhi d’ambra erano illuminati da una luce gentile e paterna, priva della ferocia che avrebbe dovuto animarli. Un debole ruggito, e la natura parve ravvivarsi, al comparire di un’eterea figura maschile dai capelli biondi come il grano al Sole.
 
Qualcosa accomunava tutti quei ragazzi. Non avevano l’obbligo di portare una divisa fuori dalle ore di lezione, ma comunque tutti portavano una giacca da aviatore.
Lo stemma era lo stesso, su tutte, con quella A stilizzata; solo lo sfondo variava colore.
Rosso, verde, blu, o violetto.
Il ragazzo dai capelli corvini aveva il violetto.

 
«Eric! Eric! Non è il momento per gli stati di trance!» Lo richiamava una voce ovattata; dei colpi attutiti dall’intorpidimento battevano svelti sulla sua guancia destra.
Scosse freneticamente il capo, distinguendo la figura sfocata dei capelli rossi di George, sentì la sua stessa voce chiamarlo flebilmente.
Gli occhi verdi saettarono alle spalle del ventenne il quale, con lo sguardo fisso davanti a sé, lo sollevò di peso indietreggiando. La figura mastodontica del leone era ferma a pochi metri da loro; avanzò di una falcata e, automaticamente, George indietreggiò, sentendo le radici di un albero a intralciargli i movimenti.
Scosse appena le spalle al bambino castano, che si riscosse.
«Un melo?»
«Cosa?»
«Questo è il melo di ieri.»
Il rosso boccheggiò un attimo guardando Eric con la coda dell’occhio, sogghignando divertito. «Un grosso leone ci vuole mangiare e lui pensa al melo! Certo, offrigli della frutta, magari gli piace di più della prospettiva di papparsi il tuo bel nasino!»
 

*

 
John inarcò un sopracciglio, guardando il melo davanti a lui. «Bene, suppongo che chiederti perché m hai portato qui sia inutile, eh?»
Il folletto rise indicando una mela rossissima appesa a un ramo. «Riusciresti a coglierla?» Domandò.
«È un po’ in alto. Posso usare la magia?»
La creaturina dai capelli verdi inclinò il capo di lato, arricciando il buffo naso all'insù. «Usare la magia per cogliere una mela non è esagerato?»
John sospirò rassegnato, avvicinandosi all’albero. Alzandosi sulle punte e allungando ben bene il braccio, constatò che avrebbe anche potuto arrivare a cogliere il frutto tanto agognato da quel folletto. Magari se gliel’avesse dato, lui avrebbe smesso di rispondere in quel modo strano ed enigmatico.
«Oh, senti un po’!»
«Cosa?» Ringhiò il bambino, sul punto di perdere la pazienza.
Gli occhi a mandorla del folletto si strinsero all’aprirsi di un largo sorriso sul suo volto. «Riesci a sentire cosa dice?»
John gemette esasperato sbattendo stancamente la fronte contro il tronco. «Cosa dice chi
«L’albero non sta forse chiamando il tuo nome? Ebbene, non gli dici quello della persona che cerchi?»
John sgranò gli occhi e sollevò il capo sulle fronde verdi del melo; il vento gli scompigliò lievemente i capelli color cioccolato, invitandolo all’empatia.
Sentì qualcosa, senza usare la magia; si sentì più vicino a suo fratello.
E rialzandosi sulle punte, raccolse la mela.

 
Si sporse in avanti, allungando un braccio verso un ramo che, grazie alla sua posizione, poteva raggiungere.
Gli occhi verdi erano ancora assorti, persi nel contemplare se stesso – O forse non proprio lui – fare altrettanto. Sentì una voce mellifua chiamare il suo nome – Quello vero – e ricordando del passaggio sul diario di Louis, seppe cosa dire.
«Pollux.» Mormorò e, nello stesso istante, cominciò a capire cosa volevano dire le parole scritte sul diario.

 
«Castor
Uscì da solo dalle sue labbra, e automaticamente John si tappò la bocca come se avesse sputato la peggiore delle parole esistenti, un tabù che, effettivamente, per lui era tale.
Non vide il sorriso felice che si dipinse sul viso del piccolo folletto dai capelli color prato, perché la sua attenzione fu tutta per la mela appena colta che si volatilizzò in centinaia di piccoli petali di luce.
Seguì ipnotizzato il loro andamento, il loro disporsi – Collegati da magia argentea – ad arco sotto l’albero di mele, tanto che non s’accorse che la natura intorno a lui stava tornando a vivere.
Il cielo lasciò quel suo piatto colorito celestino, divenne più intenso e chiaro: i caldi raggi del Sole filtravano le fronde degli alberi, mosse a loro volta dalla brezza sottile portante aria di mare, aria di vita.
John guardò oltre l’arco comparso, sorridendo radioso al viso gemello che incontrò.


*
 

 
«Come c’era scritto. Coincide.» Mormorò sorridendo di sbieco George, osservando meravigliato ed entusiasta le scintille colorate volanti per aria che illuminavano la grotta apertasi come per miracolo nel tronco del melo.
Quelle lucciole, o qualunque cosa fossero, erano l’unica fonte di luce a cui si potesse aspitare, dato che non appena erano entrati, il grande leone aveva lanciato un debole ma eloquente laratro che aveva, chissà come, fatto chiudere l’ingresso della grotta.
«È forte! Vero, Eric?»
Il bambino annuì, trotterellando curioso subito dietro di lui. Lanciò un’occhiata dietro di sé, sorridendo divertito. «Alla fine non voleva mangiarsi il mio bel nasino, eh George?»
«È ancora in tempo a farlo!» Si difese ridendo il rosso, al che il grande felino lo spintonò gentilmente col muso. George rise, lasciando ricadere pesantemente le braccia lungo i fianchi con aria teatrale. «Ah! Questa è bella, risponde anche alle mie battute. Sto cominciando a vederne troppe, anche per essere un mago!»
«Finiscila, non lo nascondi neanche che la cosa non ti dispiace neanche un po’!» Lo punzecchiò Eric, la cui risata si affievolì non appena vide una luce infondo alla grotta e, nello specifico, qualcuno che aveva il suo stesso volto e che li aveva visti.
Sorpassò George in un attimo, correndo come un fulmine incontro al fratello gemello e, in uno slancio, lo travolse in un abbraccio così improvviso che John cadde all’indietro sull’erba.
Ma non lo respinse, per quanto lui non avrebbe mai tentato di soffocarlo così, anzi si sentì meglio: come se non si fossero visti per mesi e mesi.
George rimase interdetto a quella visione; gli era capitato, fino ad allora, di paragonare il rapporto gemellare che legava Eric e John a quello che legava Fred e lui. Si ritrovò a figurarsi loro, in una situazione simile, magari alla fine di tutta quell’avventura; certamente non sarebbero mai riusciti ad essere così diretti come Eric, avevano altri modi di fare e di volersi bene a vicenda, ma il punto chiave era: perché John ed Eric gli sembravano così?
Perché uno era così diverso dall’altro, tanto da ricordargli le differenze che infondo c’erano tra la sua personalità e quella di Fred?
Perché tra loro pareva esserci stato un distacco insormontabile?
Perché non si guardavano mai direttamente?
Perché, nonostante ciò, sembravano non aver bisogno di niente se non di rimanere uniti?
Non c’aveva mai pensato prima, nei giorni precedenti, ma la sua curiosità era stuzzicata dalle stranezze dei due gemelli. E che non si dica che George Weasley non era curioso!
Lo era molto, molto, molto più di suo fratello.
Li raggiunse con calma, socchiudendo appena gli occhi al contatto improvviso con la luce del Sole. Respirò a pieni polmoni l’aria del luogo e, non appena Eric e John si furono staccati, la prima cosa che seppe di dover assolutamente accertarsi fu: «John, per amore di tutto ciò che di buono e malandrino c’è a questo mondo schifoso. Ti prego, ti supplico, dimmi che hai trovato tu la mia bacchetta magica.»
 


 

 
Writer’s side
Se sono riuscita davvero ad aggiornare – E quindi a far andare d’accordo cellulare e PC così da connettermi – allora fatemi martire.
Sul serio. ç___ç
Okay, ceeeeeeeeeeercherò di non dilungarmi, anche perché non ho proprio molto da dire, anzi— L’unica cosa potrebbe essere che dal prossimo capitolo in poi, troverete un nuovo banner (E qui mi appello a voi: COM’È CHE NON TROVO UN BIMBO COI CAPELLI MOSSI E MARRONI E GLI OCCHI VERDI? >___<) e vorrei anche cambiare il titolo della storia, perché quello attuale è troppo… Lungo? Già.
Il nuovo titolo sarebbe “We’re going back where we belong” – Perché la fanfiction, effettivamente, mi è venuta in testa con l’omonima canzone, che ho usato anche nel Trailer.
Vedremo! Questo è per avvisarvi: ovviamente lo scriverò nell’introduzione, in caso.
E nulla, basta, mi dileguo.
Sono contenta che questa storia stia piacendo a molti, davvero, faccio del mio meglio per tirare fuori idee e, soprattutto, per usare uno stile mio personale senza fare troppi riferimenti a quello della Rowling- (Diciamo che ce l’ho un pochino con lei; non so se avete letto l’articolo che ha scritto, ma avrebbe potuto scegliere una cosa più carina da fare piuttosto che usare la penna della Skeeter per gettare merda sui suoi personaggi. Opinione mia, eh, liberi di non condividerla! E sono anche influenzata negativamente da una cosa che solo noi ragazze possiamo capire) –quindi, se vi piace, io sono la peersona più felice del mondo!~
Se ne avete voglia, mi farebbe piacere ricevere un vostro parere J e, in caso, sarò ben contenta di andare a curiosare fra le vostre storie!
Ciao Ciao!
 
Soleil Jones
 

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Capitolo 15
*** A un passo dalla meta... ***


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A un passo dalla meta…

 
Durante quel poco tempo in cui erano stati separati John aveva girato parecchio per i dintorni, arrivando a trovare una struttura intrisa di magia bianca; o almeno era quello di cui era convinto lui. Era vuota, abbandonata a se stessa, ma la natura circostante non ne aveva intaccato l’antico splendore – Sempre secondo il bambino.
«È lì che dovete andare, io e Louz avevamo solo il compito di aiutarvi a non perdere la giusta via. Sarà sufficiente che vi mostriate, perché troviate ciò di cui avete realmente bisogno.»
Ora, sì, a Hogwarts c’erano i centauri – Come Fiorenzo – e Ron aveva detto che il ragnone di Hagrid parlava, okay, ma di leoni dotati di parola George non ne aveva mai sentito parlare!
Non che parlasse nel senso letterale del termine, la bocca non si smuoveva neanche, però in qualche altro senso parlava eccome!
«Non potevi dirci che ci stavamo allontanando dall’entrata invece di spaventarci a morte?» Gli aveva chiesto esterrefatto Eric, e il felino aveva semplicemente affermato che fuori dalla parte di isola nascosta e concentrata di magia era già un fortuna che avesse potuto ragionare con lucidità invece di provare l’istinto primitivo di sbranarli.
E la discussione era morta lì.
John, invece, fissava torvo la sua guida – Chiamamola così – senza neanche provare a nasconderlo. E Louz, questo, lo trovava infinitamente divertente.
«Non capisco perché con me rispondevi con domande allusive!»
«Non facevi altro che chiedere anche quando a domandarti qualcosa ero io, era divertente!» Aveva minimizzato il folletto. «Tu non ti sei divertito?»
«Dal modo in cui ti guardo ti sembra che stia sull’orlo di una crisi di ilarità?»
«Oh, non lo sei?»
«Per tutti i fulmini, vi prego, andiamocene!»
Il lato positivo era che ora Eric e George avevano di nuovo le loro bacchette. Era stata una fortuna che John le avesse trovate e tenute con sé; il rosso ne aveva sinceramente sentito la mancanza, abituato com’era a lei.
E a giudicare dal modo in cui Eric faceva incantesimi a destra e manca senza smetterla un secondo, si poteva supporre che anche per lui fosse lo stesso. John lo aveva minacciato di togliergli la bacchetta, se non l’avesse smessa di trasfigurare il colore dei suoi capelli.
«Non ti piace molto il bordeaux, capito.»
«Smettila o i capelli te li taglio. Tutti tutti, sì, hai capito bene!»
Ora che glieli guardava, George si accorse che John aveva i capelli lievemente più lunghi di quando si trovavano a Hogwarts; e prima non era almeno dieci centimetri più basso?
Non era mai stato un gran osservatore, di per sé, ma non era cieco. Non si era accorto che Eric era cambiato probabilmente perché lo aveva sempre avuto sotto gli occhi; invece anche lui sembrava cresciuto.
Era come se avesse compiuto due o tre volte gli anni in pochissimo tempo.
Osservando i due camminare affiancati, poco davanti a lui, notò che i pantaloni di Eric – Appartenuti a Ron – ora sembravano più corti. Scosse il capo, sicuramente era stanco, solo stanco.
«Bene, eccoci qui!» Esordì John, fermandosi davanti alla costruzione dove aveva stazionato il giorno prima; Eric emise un verso di stupor, ammirando l’immensa struttura col nasino all’insù e gli occhi sgranati. «Questo posto è… È wow!» Esclamò, salendo di corsa i gradini e inoltrandosi lungo il corridoio ampio e luminoso, girandosi in tutte le parti per ammirare gli affreschi semplici ma suggestivi delle vetrate, che filtravano la luce del Sole.
George arricciò il naso. «A me sembra come Hogwarts, solo più luminoso e… Beh, diverso, ecco.»
«Eric è fatto così.» Minimizzò John, andando dietro al gemello. «È molto sensibile alla magia, se sta bene vuol dire che questo posto non è mai stato neanche sfiorato dalle Arti Oscure. Non la senti questa sensazione di pace? Ecco, è perché i tuoi poteri reagiscono alla magia Bianca!” Spiegò sorridendo e, sì, in effetti George poteva dire di sentirsi abbastanza a suo agio a camminare tra quelle mura; si sentiva così carico di energia che, secondo lui, avrebbe potuto far risorgere Voldemort e ucciderlo nuovamente con un solo, potente Schiantesimo.
«Tu distingui la magia solo in Bianca e Nera, eh Piccolo Granger?»
«È un modo per dire se è buona o cattiva, spilungone.» Sbuffò piccato il bambino, scoccando un’occhiata ad Eric. Il castano era entrato di corsa in una delle poche stanze presenti al primo piano; salite le scale, infatti, tutto quello che si erano trovati davanti era stato un lungo corridoio con delle porte. Eric ne aveva semplicemente aperta una.
«Qui dentro è buio.» Osservò a bassa voce, indietreggiando e andando a sbattere contro George il quale, memore della sua fobia dell’oscurità, illuminò l’ambiente con la sua bacchetta ed avanzò, curioso.
Le mura, in confronto a quelle che aveva visto prima, parevano più semplici e non c’erano finestre, il che era strano.
Sentì Eric irrigidirsi e strattonarlo per la maglietta, pigolando: «George, la porta! La porta è scomparsa!»
«È solo un po’ bu— Aspetta, cosa?» George si voltò di scatto e, con la punta della bacchetta illuminata, vide uno dei due gemelli – Probabilmente John – formulare incantesimi a tutt’andare.
«E non ne vuole sapere di riapparire. Revelio! Maledizione, Revelio! Revelio, Revelio, Revelio!»
Il rosso si sorprese di non essere spaventato più di tanto: era tranquillo e stranamente curioso. Più del solito.
«Ricomparirà da sola.» Minimizzò, allontanandosi da loro e alzando il braccio di modo da farsi luce; avanzava nel buio tranquillamente, era da sempre un ragazzo che prendeva qualsiasi cosa abbastanza alla leggera, finché non ruzzolò a terra, dopo essere inciampato su qualcosa.
L’espressione sul viso dei gemelli si fece meno allarmata e più divertita, tant’è vero che scoppiarono a ridere additandolo.
Il rosso si rimise in piedi scrollandosi i vestiti e chinandosi ad afferrare ciò che lo aveva fatto cadere.
«Una pietra? Cioè, entro in una stanza deserta, senza mobili o altro, e inciampo su una pietra?» Esclamò a bocca aperta, quasi divertito dalla sua goffaggine che, a ben pesarci, era stata paragonabile a quella di Tonks.
Era perfettamente levigata, tondeggiante e leggera, e se non fosse per il fatto che parve reagire al contatto con lui, George non avrebbe esitato a rimetterla al suo posto.
Sembrò infatti pulsare energia contro la sua mano.
«Eric, alza la bacchetta e illumina quella parete.» Mormorò John. Il gemello sussurrò un «Lumos!» e fece come gli era stato chiesto.
Gli occhi verdi del bambino lessero con interesse i fini caratteri, che George fissò perplesso.
«Questo non è inglese, è alieno!» Bofonchiò increspando le labbra in un’espressione così buffa e perplessa che a Eric scappò una mezza risata.
«Certo che non è inglese!» Ribadì con ovvietà John. «Basta dire Disputatio ad me per capire di più quel che c’è scritto. E smettila di farmi il verso, Weasley!»
George si schiarì la voce mettendo su un’espressione più o meno seria – Sicuramente più convincente della precedente – e rivolse la sua attenzione alle parole che, all’incantesimo di John non erano minimamente cambiate.
«Piccolo Granger, non ha funzionato, quel che c’è scritto alieno era e alieno è rimasto.»
«Questo incantesimo potrebbe tradurre tutto quanto!» Esclamò piccato John, incrociando le braccia al petto e fissando pensieroso la parete di fronte a loro. Eric, al suo fianco, torturava le sue ciocche di capelli – Accorgendosi che gli ricadevano sugli occhi più di prima – come se avesse un dubbio, o un’ipotesi che non aveva il coraggio di azzardare.
Al che, John lo guardò come a dirgli di parlare. «Eric?»
«Potrebbe essere… Non so, magari è un incantesimo, no? Una formula.» Azzardò il castano. «Ha senso?»
«Non so, non ho ai sentito la formula Detector Cor.» Rispose accigliato George. «Però non mi sorprenderebbe se—»
«George!»
«Mh?» La voce unanime dei gemelli fece notare al rosso il bagliore crescente proveniente dalle sue mani, o meglio da ciò che tenevano.
La pietra emise scosse di pura magia, illuminandosi di un’aura dorata, luminosa come e scoppiettante come i Fuochi Forsennanti Weasley e, subito dopo, dal piccolo oggetto saette e scie di luce guizzavano per la stanza, facendola diventare sempre più luminosa. Più ampia, più viva.
Il Lumos della bacchetta di George ed Eric – Una di esse abbandonata a terra – andava scemando in mezzo all’oscurità morente e, quando George sentì le mani scottare e lasciò cadere la pietra, questa si frantumò.
Le scegge di pietra, sottili come petali e dalle forme imperfette, persero la loro luminosità quando la figura di una donna si materializzò.
Aveva gli occhi imperscrutabili, i capelli scurissimi e lunghi e la pelle nivea; sembrava irreale, ma la sua consistenza non pareva come quella del Mago Merlino, che era chiaramente spirito.
Guardò il ragazzo alto e dai capelli rosso pagliericcio che raccoglieva subito la sua bacchetta da terra, di riflesso, per potersi eventualmente difendere – O almeno così suppose, dato il velo di diffidenza guardinga che intravide nel suo sguardo color nocciola.
Poi guardò i due bambini gemelli dai capelli castani; uno di loro la guardava a bocca aperta, in un’espressione di stupore e meraviglia, ed era lievemente arrossito; l’altro sbatteva le palpebre come a volersi capacitare di quanto stava veedndo e, notando l’espressione del gemello, gli diede una gomitata arrossendo a sua volta.
«Mago Merlino, vero?» Azzardò aggrottando le fini sopracciglia scure.
I tre sconosciuti annuirono. La donna annuì mpercettibilmente le guance e aggrottando le sopracciglia in un’espressione vagamente seccata. «Lo immaginavo. Dunque, i vostri nomi?»
Il ragazzo dai capelli rossi inclinò il capo, guardandola. «George Weasley.» Rispose, abbassando impercettibilmente la bacchetta per poi voltarsi verso i due bambini, ai quali si rivolse con un tono decisamente più disinvolto. «Credevo che Artù fosse un lui, non una lei!»
John si riscosse solo per poter rimanere sconcertato dalle parole di George; com’era possibile che l’avesse detto?
«Ma George! Lei non è Artù! Giusto, John?»
«E me lo chiedi anche, Eric?»
«Puoi abbassare la bacchetta, George?» Chiese pacatamente la donna, avvicinandosi di un passo al ventenne; il rosso, di per sé fiducioso nel prossimo, accolse la richiesta di quella che a una prima occhiata sembrava una donna come le altre. Molto bella, certo, troppo per essere vera; ma comunque normale.
«Ti ringrazio.» Disse in un sorriso lei. «E ti chiedo scusa, ma non sono Artù. Io sono Morgana, la sua sorellastra. Mi hai evocata tu, poco fa. Non avresti mai potuto trovare il Re, riposa sull'isola ma il suo spirito non è sigillato. Perciò chissà dov'è.»
«Ah! Allora scusa, non intendevo scambiarti per un masch— Cioè, per tuo fratello! O meglio, fratellastro, sì.»
Morgana fece un cenno con la mano. «Beh, sei molto giovane, probabilmente avrai solo sentito i nostri nomi, dunque non preoccuparti. Che anno corre, fuori dai confini dell’isola?» Chiese con interesse; i suoi occhi brillarono di curiosità, il che la fece apparire molto più umana agli occhi di John.
«1998.» Rispose seccamente George. «Senti – O senta? Non so, come ci si rivolgeva a una donna ai suoi tempi? Non che lei sia vecchia, non lo sembra!» Si morse la lingua; stava iniziando a divagare, spesso gli accadeva di prendere a parlare senza più fermarsi se era in imbarazzo o in una situazione difficile in cui cercava, il più delle volte, qualcosa su cui ridere. Inoltre John si era sbattuto una mano in fronte, e per quanto poco tempo fosse che lo conosceva, già aveva imparato che era da interpretare come “Stai dicendo una scemenza dietro l’altra, te le sogni la notte o ti vengono spontanee?”
«Dicevo che non vorrei sembrare maleducato, però mi serve una cosa che hai tu, che ti ha dato Merlino. Una Noce Crononauta.» Disse; fortunatamente era molto spiccio nel parlare. Morgana srganò gli occhi, come se fosse stata appena schiaffeggiata. «Noce Crononauta?»
«Esatto, quella.» Annuì il rosso. «Mi ha detto, in un modo tutto suo, di cercare a Hogwarts. Allora l’ho fatto, sono entrato nella Stanza delle Necessità e da lì si è aperto un passaggio che arrivava fino alla presidenza dove c’erano dei ricordi di Merlino. Allora li ho guardati e, andando per esclusione, ho pensato di dover cercare te visto che l’ho visto darti una Noce! Quella custodita a Hogwarts è andata distrutta e… Beh, eccoci qua!» Concluse tutto d’un fiato.
Eric guardò George chiedendosi da chi avesse preso tutta quella parlantina; al contrario, più che a quella, Morgana parve pensare alle parole in sé. Aveva l’aria pensosa e inquieta.
«Capisco. Mi permetti di verificare se quel che dici è vero?»
«Eh?» George boccheggiò guardando i gemelli, visibilmente confuso, per poi voltarsi di nuovo verso la fata. «Scusa ma non ti fidi?» Stava chiedendole, quando lei gli prese il volto tra le mani e fissò ben bene i suoi occhi in quelli del ragazzo che, nonostante avesse secoli meno di lei, era più alto.
George notò che era comporea, a differenza di Merlino, e che aveva occhi ipnotici; si sentì scavare a fondo e stordire.
Morgana, in effetti, stava praticando una forma antica di Legilimanzia, e non solo vide la veridicità delle parole del ragazzo, ma anche il suo passato. Era una vita fatta di risate, quella, erano il suono che sentì di più, e in parte era anche fatta di battaglie.
Quel ragazzo aveva visto la guerra, ma ne era rimasto segnato solo a causa di una perdita essenziale. Decisa a scoprire di più, andò più a fondo, avvicinandosi u poco al viso del rosso, e quasi se ne pentì.
Due.
Una sola parola: due.
Due ragazzi identici, due sorrisi, due paia di occhi dello stesso colore, due vite intrecciate e legate che, a un certo punto, si erano divise di colpo. E c’era solo una cosa che poteva dividere due persone così a quel modo: la morte.
Mollò George come scottata e indietreggiò, riprendendo a respirare. «Bene, hai detto la verità.» Mormorò, profondamente scossa. «Se ti senti strano sta’ tranquillo, è normale.»
George annuì, dandosi qualche schiaffetto per riprendersi dal torpore e guardando la fata speranzoso. «Allora adesso puoi darmi la Noce! Magari, spiegami anche come si usa; il tuo illustre collega è già tanto se mi ha parlato in inglese.» Scherzò, ricevendo una gomitata al fianco da John.
«Lo farei volentieri.» Annuì la castana, sospirando. «Ma non vedo come potrei fare.» Aggiunse. «È impossibile.»



 


Writer's side
Ehilà, gente! Visto? 
Titolo nuovo, banner nuovo!
Mi scuso per il mancato aggiornamento della settimana scorsa, ma davvero non ce l'ho fatta; i denti del giudizio mi hanno portata all'esasperazione (E non è che ora ci diano giù leggeri) tanto che non ho avuto neanche la forza di... far nulla. XD
Okay, questo capitolo a me fa pena, e funge un po' più da transito.
Non dico nient'altro. :3
Forse il colpo di scena finale vi avrà lasciati u po'... Hm, non so. Ma scommetto che molti mi tirerebbero in testa qualcosa!
Beh, trattenetevi, c'è ancora della strada da fare! ;)
Alla prossima!
Soleil

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Capitolo 16
*** ...ma a un oceano dalla soluzione ***


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…ma a un oceano dalla soluzione
 

Era sera.
Nel momento in cui i loro piedi avevano toccato, trasportati da un "Crack” il suolo di Salisbury, era sera.
Eric camminava stringendosi nella giacca che, senza fiatare, George gli aveva poggiato sulle spalle; aveva capito che l bambino soffriva particolarmente il freddo. Alzò il viso, leggermente sporco di polvere, sulla figura del mago più grande.
Era silenzioso e dall’espressione che aveva in viso aveva ben poca voglia di scherzare. E come poteva dargli torto?
 
«Tu hai…»
«Non ci posso credere.»
Morgana annuì, semplicemente.
«Non avevo scelta, Avalon non esisteva più. Le sue porte non si sarebbero aperte, perché nessuno credeva più nella magia della Dea Madre. Ero lì, su una canoa, con il mio fratellastro morente. Ho dovuto ricorrere alla mia ultima risorsa.»
Al contrario di John ed Eric, George non sapeva davvero cosa dire.
Morgana non gli avrebbe dato la Noce che tanto gli occorreva per riportare indietro Fred perché non l’aveva più, perché l’aveva usata per necessità tempo prima.
Si sentì montare dentro un qualcosa di troppo simile al rancore, che non avrebbe dovuto e voluto sentire; era giusto ciò che aveva fatto Morgana, non aveva mai stretto un Voto Infrangibile né era mai stata ufficialmente designata come custode soltanto della sua Noce.
Però se non l’avesse fatto, sarebbe stato tutto diverso.
«Va bene. C’è l’altra Noce, no?» Mormorò sforzandosi di apparire il più sereno possibile; solitamente quello a montare su una maschera era Fred, George non si sarebbe mai sognato di apparire ciò che in realtà non si sentiva di essere.
 
«Perché le hai chiesto di Smaterializzarci qua?»
Eric lanciò un’occhiata furtiva al suo gemello, vedendolo guardare avanti a sé. Sembrava perso, con la mente altrove; sicuramente stava pensando alla terza Noce.
Perché c’era ancora una terza Noce in cui sperare, no?
George si strinse nelle spalle calciando con fare distratto una lattina gettata da qualche passante, rispondendo evasivamente «Evocherò di nuovo Merlino e proverò a chiedergli qualcosa su… Com’è che si chiamava? Emily, Emilio— No, aspetta, Emil, giusto? Sì, lui.» E passandosi una mano tra i capelli. John aveva notato che lo faceva spesso quando aveva qualche grattacapo o era in imbarazzo.
«Per ora ho solo fame.» Aggiunse, entrando nel McDonald’s di Salisbry in cui erano stati giorni prima.
Alcune persone si voltarono a guardare i tre nuovi arrivati come se avessero appena visto entrare nel fast food un alieno e, non appena George raggiunse il bancone, prima ancora che potesse chiedere a Cheryl – La quale era intenta a sistemare delle patatine su un vassoio – qualcosa da mangiare, lei lo vide. E assunse un’espressione sbigottita.
E le cadde il vassoio.
«Per le braghe di Serpeverde, cosa vi è successo? Non avrete mica incontrato dei… Beh, sai chi, no?» Chiese allarmata. «E voi due-» Aggiunse guardando i gemelli. «-non eravate più bassi di una spanna?»
Al che, George aggrottò la fronte «Non capisco di che parli.» e si voltò; i Babbani lì presenti, vedendolo girarsi, tornarono a mangiare e chiacchierare tra loro, seppur lanciando ogni tanto qualche occhiata curiosa al trio appena venuto. «Perché ci guardano tutti?»
«E me lo chiedi anche, George? Siete fradici, sembrate appena usciti da… Oh, Merlino, sai da cosa!»
«Ma che problemi hai?» Sbottò divertito il rosso, prima di prenderla sul serio e guardare prima Eric e poi John; sì, beh, in effetti erano un po’ stravolti. A parte i capelli scompigliati e i visi sporchi di polvere, si vedeva che erano un paio di giorni che non si cambiavano. E sicuramente lui non era da meno. «Oh. Sì, in  effetti hai ragione, siamo venuti solo a prendere qualcosa da portar via. E tranquilla, i soldi ce li ho.»
Cheryl sospirò pesantemente, scoccando un’occhiata al suo orologio da polso e poi ai tre; il suo sguardo color zaffiro, per un momento, ricordò a George quello di sua madre, tanto era deciso.
«Dovete darvi una ripulita tutti e tre, sembrate appena usciti da… Da voi sapete cosa!» Probabilmente non tollerava particolarmente i conflitti. «E no, Weasley, col cavolo che do ai bambini del cibo spazzatura, scommetto che non mangerebbero di meglio vista la tua destrezza nel mondo dei Babbani.»
Mai furono dette parole più vere.
John ed Eric si guardarono, trovandosi d’accordo nel constatare, con un solo sguardo, che quella ragazzina di sedici anni doveva essere stata un Testurbante, destinata sia ai Tassorosso che ai Grifondoro.
«Cheryl, qualche problema?» Domandò un ragazzo dalle spalle larghe. La ragazza scosse il capo, tenendo lo sguardo fisso negli occhi color nocciola di George. «No, nessun problema, stavo solo dicendo a mio fratello di filare dritto a casa a darsi una ripulita. Muoviti, mamma e papà ti aspettano per cena.»
George, al contrario, doveva essere stato Smistato per esclusione, perché la pazienza non era decisamente tra le sue virtù.
«Quindi che dovremmo fare, Greene?» Chiese il ragazzo, alzando gli occhi al cielo, non appena il collega della Tassorosso si fu allontanato.
Grifondoro al cento per cento; dell’intelligenza dei Corvonero non c’era traccia, in lui – Pensò John, sbattendosi una mano in fronte.
«Sedetevi a un tavolo e aspettate, finisco il turno tra una mezz’oretta.» Rispose semplicemente Cheryl, pulendo con un veloce gesto della bacchetta il disastro fatto poco prima con il vassoio.
John la guardò con sguardo dubbioso. «Scusa, ma se sei ancora minorenne non dovresti avere addosso la Traccia?»
«Infatti ce l’ho, perché?»
«Beh, sapevo che non era permesso fare incantesimi nel mondo Babbano.»
«Sono autorizzata a usarla qui dentro, visto che ci lavoro.»
«Traccia o meno-» Li interruppe George. «-sei moto carina e tutto quanto, ma un posto dove dormire ce l’abbiamo.»
«Se è una tenda, allora lascia perdere.»
«Perché?»
Cheryl si guardò attorno circospetta, come se temesse di essere ascoltata – Probabilmente da qualche collega senza poteri – e si sporse un po’ oltre il bancone, abbassando la voce. «In questi ultimi giorni si sono viste in giro delle brutte facce. Per lo più sono Obliviatori, sai, però corre voce – o almeno così mi ha detto uno di loro – che ci siano ancora dei Mangiamorte in circolazione. Ed è così, ne stanno acciuffando a fiotti. Però oltre a loro c’è anche una persona, uno sconosciuto apparso poche notti fa che ha cercato di corrompere Stonehenge con  vari incantesimi oscuri di alto livello; solo che non c’è riuscito, così ha attaccato, credo per ripicca, una coppia di Babbani. Per questo non è sicuro che voi ve ne stiate all’aperto, quel folle è a piede libero e, qualsiasi cosa cercasse, non credo si sia arreso dopo solo un tentativo.»
E la discussione era morta lì. George non avrebbe avuto paura di misurarsi con quel fantomatico mago, però non appena si era azzardato a dirlo John gli aveva tirato un calcio allo stinco da sotto il tavolo.
«Se hai voglia di Schiantare qualcuno reprimila e soffri in silenzio, abbiamo già qualcosa da fare.» Lo aveva rimproverato, giocherellando con la cannuccia della sua bibita.
C’aveva preso in pieno, però: in quel momento al rosso non sarebbe dispiaciuto avere un Mangiamorte con cui sfogarsi; non che rimpiangesse i tempi in cui lo faceva quotidianamente, sia chiaro, però interiormente si sentiva smarrito. E per quanto fosse una persona dotata di una buona dose di autoironia, non riusciva a vedere il lato divertente della faccenda; questo lo preoccupava un poco.
E se stesse perdendo il suo vero Io?
E se stesse cambiando fino a diventare la triste copia di suo fratello Percy?
Merlino, la buon’anima di suo zio Fabian si sarebbe rivoltata nella tomba.
«Dici che in Danimarca fa tanto freddo, in questo periodo dell’anno?»
«Perché me lo chiedi?»
George soffocò con il sorso d’acqua che stava bevendo. Eric si strinse nelle spalle. «Beh, Merlino ha affidato l’ultima Noce a un danese, no?»
«Questo non c’entra, Eric, Merlino ha anche detto di averlo rivisto, questo danese. E ha affermato di aver saputo da lui stesso che aveva viaggiato molto, i Vichinghi non erano molto svegli, pensa se l’avesse data a qualcuno a sua volta!»
«Bene!» Esordì George, interrompendo il battibecco e battendo le mani sul tavolo con fare fintamente entusiasta; i gemelli si voltarono a guardarlo, trasalendo «A questo punto, perché non facciamo una seduta spiritica direttamente e glielo chiediamo?» ma subito dopo averlo ascoltato, entrambi scossero il capo.
Poco dopo, Cheryl era già di fronte a loro; senza divisa e coi capelli lasciati sciolti, notò George, aveva un aspetto totalmente diverso; gli pareva di ricordarla allo Smistamento del suo quinto anno. Non prestava mai particolarmente attenzione alla cerimonia, ma non avrebbe mai potuto ignorare l’ingenuità con cui, in tutta la Sala Grande, aveva detto “Chi ha spento le luci?” quando il Cappello Parlante le era scivolato sugli occhi tanto era grande.
«Sei meno nana di quanto ricordassi.» La rimbeccò il rosso, giusto per rompere il silenzio che li accompagnava mentre Cheryl infilava la chiave della serratura di casa sua.
«Ci credo.» Rise lei, aprendo la porta ed entrando in casa. «L’ultima volta che mi hai vista avrò avuto tredici o quattordici anni. Entrate, i miei genitori non ci sono. Quando hanno messo su la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani ho preferito che se ne andassero e visto che la guerra è finita da poco preferisco che se ne stiano ancora un po’ in California.» Spiegò, richiudendo la porta dietro Eric.
Tutto in quella casa faceva presagire la presenza di almeno un mago, perché alcune foto si muovevano. Inoltre, gironzolando per la casa Eric finì nella stanza di Cheryl; incorniciata e affissa a una parete c’era la sua prima lettera per Hogwarts, evidentemente, e un’intera libreria era stata riservata a testi magici, molti dei quali non erano per la scuola; sulla scrivania, poi, c’era un calamaio e una piuma, oltre a tanti fogli di pergamena svolazzanti. Curioso, il bambino si avvicinò, ma la voce del gemello giunse come un fulmine al destarlo da ciò che stava per fare. Eppure aveva sentito qualcosa, una sorta di richiamo.
«Oh, eccoti qua!» Il bambino arrossì violentemente: si era fatto trovare proprio dalla padrona di casa nella sua stanza, non doveva aver fatto buona impressione, però lei non sembrava infastidita. «Su, fila in bagno, George e tuo fratello sono già lì.»
«Ehm, grazie, Cheryl.»
 
 
*
 
 
«Non ci posso credere che non abbiate mai visto un rubinetto in vita vostra.»
George sembrava davvero, davvero allibito; coperto solo da un paio di boxer, fissava John ed Eric – Completamente senza vestiti – con le braccia lungo i fianchi e un’espressione atterrita. «Sul serio, da che cavolo di pianeta venite?»
John gonfiò le guance incrociando le braccia al petto e guardando la vasca da bagno, riempita quasi fino all’orlo di acqua calda. George aveva ben pensato di estenderla con la magia, ed ora gli ricordava molto quelle vasche vere – Cioè, quelle che conosceva lui.
Poi guardò con aria di sfida  il suddetto rubinpetto – O come cavolo si chiamava – dal quale usciva l’acqua. George, con un gesto secco della mano – Notò – lo fece smettere di sputare fuori acqua e indicò ai gemelli la vasca.
«E va bene, non c’è problema, non voglio saperlo.»
E per fortuna – Pensarono entrambi i gemelli – altrimenti sarebbe stato ancor più complicato gestire la situazione, per loro.
«Forza, tutti dentro.» Aggiunse, sollevando di peso Eric per primo e lasciandolo cadere in acqua. «Visto? Non morde, è solo acqua!»
«Weasley, ci hai presi per cavernicoli? Che è solo acqua lo sappiamo!» Disse piccato John, raggiungendo il gemello e immergendosi fino alla testa in acqua, per poi riemergere. La sensazione di relax era la stessa, l’unica differenza era la presenza di quel coso in ferro – O di qualsiasi materiale fosse fatto – di cui aveva già scordato il nome e… Di altre cose strane, ecco.
«Tu non entri?» Domandò Eric, decisamente più rilassato del gemello; George scosse il capo «Qualcosa mi dice che è meglio di no, mi laverò dopo di voi.» e prese in mano un flacone di shampoo, versandosene un po’ sul palmo della mano per poi cogliere il castano di sorpresa, prendendogli la testa fra le mani e strofinandogli i capelli, che ben presto furono tutti insaponati.
Il tutto sotto lo sguardo di John, il quale di spinse verso il bordo opposto, il più lontano possibile da suo fratello, il quale ora in testa pareva avere tutto fuorché i suoi capelli. Però non sembrava infastidito, anzi non appena George gli porse una spugna e un bagnoschiuma non esitò a usarli – Spremendo il flacone così tanto da far schizzare un bel po’ di sapone sul pavimento.
«Forza Piccolo Grang—» Prima ancora di finire la frase, George non vide più John. In compenso sentì un peso avvinghiato al suo braccio destro. «Ma cosa fai? E dai, scollati! John! Non fare il bambino!»
Disse l'adulto.
Il mago si alzò persino in piedi nel tentativo di far staccare il castano dal suo braccio, ma John vi rimase ben aggrappato, finendo col venir sollevato.
«Non la voglio quella cosa sulla mia testa, Weasley! Non la voglio!»
E Merlino solo sa quanti scrolloni ci vollero prima che il bambino mollasse la presa e cadesse nella vasca; veloce come un fulmine, George insaponò i capelli anche a lui, stentando a credere che stava sul serio facendo il bagno a quei due marmocchi quando l’unica volta in cui l’aveva fatto con Ron l’aveva quasi affogato.
John si dimenò a più non posso, strepitando e urlandogli di smetterla – Perché data la foga gli era finita della saponata negli occhi, e bruciava.
E intanto Eric rideva tenendosi la pancia, tanto che scivolò all’indietro e finì sott’acqua; ma no appena riemerse non aveva ancora perso la voglia di ridere del gemello – E di George, il quale, guardandolo, pareva che stesse affrontando un’impresa titanica.
«Va bene, basta!» Sbottò il rosso, mollando il bambino e prendendo in mano la doccia. «Ora sta’ fermo, fammi la grazia! Così dopo puoi uscire e tanti saluti!»
Non appena azionò il getto d’acqua, questa doveva essere bollente – O fredda – perché John scattò in avanti finendogli addosso e, dato che il pavimento era bagnato e insaponato, George finì a gambe all’aria, completamente zuppo.
Nel mentre, l’acqua bagnava il soffitto.
John scattò in piedi di scatto e si rituffò in acqua, abbracciando il gemello. «È g-gelata, We-Weasley!»
A quel punto, l’unica reazione che George riuscì a concepire, fu scoppiare a ridere, ancora abbracciato al pavimento piastrellato.
 
 
*
 
 
Se fossero stati a Hogwarts, probabilmente, avrebbero dovuto ripulire tutto senza magia; per fortuna, non appena George – Strofinandosi i capelli con un asciugamano, sistemato nella stanza del fratello di Cheryl – vide la Tassorosso affacciarsi sul bagno, la scoprì a passarsi una mano tra i capelli castani mormorando tra sé e sé: «Oh beh, tanto avrei dovuto pulirlo comunque.»
Ovviamente, per galanteria Grifondoro, ci pensò il giovane Weasley – Con un bel po’ di incantesimi – a rimettere a lucido il bagno. Perché se lei era stata all’altezza dei valori della sua Casa lui non sarebbe stato da meno, e doveva ammettere che era da quando era partito che non mangiava qualcosa di così buono.
«A differenza di qualcuno io sono italiana sul serio, da parte di nonna.» Aveva detto gongolante la castana quando John si era complimentato con lei per come cucinava. «Naturale che sappia cucinare della pasta vera, quella che fanno qui sembra quasi scotta.»
«Hm, sì, una Tassa coi fiocchi e controfiocchi! Confessa, a scuola ti scambiavi le ricette con gli Elfi domestici.» Borbottò con un sorrisino beffardo George; Cheryl, a quelle parole, si strozzò, e ci vollero diversi bicchieri d’acqua per smettere di tossire. «Chi te l’ha detto?»
«Intuito!»
«Senti, Cheryl, prima ho visto una cosa in camera tua.» Incalzò John, un po’ titubante. «Non l’ho fatto apposta, però mi ha incuriosito!»
Cheryl gli sorrise accondiscendente, invitandolo a continuare: «Di che si tratta, gemello che non riesco a capire chi sia?”
«Era un libro.» Lo precedette Eric. «Un libro sulla storia di un luogo chiamato Amstrong. Cos’è? Non lo conosciamo.»
«Oh, è una scuola di magia; tipo Beauxbatons e Dumstrang. Si trova in America; in California, per la precisione.»
«L’ho sentita nominare una volta, mi pare. È vero che è sospesa in aria?» Le chiese George, il quale ricordava che, pur essendo un mago, aveva quasi stentato a crederci. Cheryl annuì sorridendo appena; aveva l’aria malinconica, come se la cosa la riguardasse da vicino. «Come direbbe il suo vecchio Preside: che Califia mi butti giù dalla scopa se mento!»
Calò il silenzio.
Califia.
L’aveva già sentito, quel nome. John ed Eric si fissarono silenziosi, guardando poi George posare la forchetta sul piatto e Cheryl guardarli perplessa.
«Beh? Che c’è?»
«Hai detto Califia?» Fece John.
«Certo, Califia. È una figura leggendaria lì, a quanto ne so. Perché?»
«Califia.» Fece Eric.
«Sì, proprio lei. Ma perché avete quelle facce? Vi è andata di traverso la pasta?»
«Cheryl, se conosci Califia conosci anche il nome di Emil Køhler, vero?»
George la guardò con gli occhi carichi di speranza; non si era accorto del viso scuro che aveva la ragazza da quando avevano iniziato a parlare di quella scuola di magia, ma se ne sapeva qualcosa al riguardo e se Califia aveva a che fare con quel luogo, in automatico avrebbe potuto essere coinvolto anche il terzo custode.
Lui si era innamorato di quella donna, doveva per forza c’entrare qualcosa nella vicenda di Amstrong!
Cheryl annuì, passandosi una mano tra i capelli. «L’ho già sentito, è nel libro che hanno visto i ragazzi prima. Ma a voi cosa importa di Køhler?»
«È importante, Cheryl.»
La Tassorosso annuì serrando le labbra e alzandosi. «Seguitemi, devo mostrarvi una cosa.»
George, Eric e John si alzarono da tavola lasciando il pasto a metà e seguendo Cheryl nella sua stanza; la ragazza accese la luce e, prendendo il libro sotto braccio, prese dalla libreria un album.
«Che cos’è?» Chiese George.
«Vedi questa?» Rispose Cheryl, aprendo l'album è sfogliandolo fino a che non le si presentò davanti una foto di gruppo.
Vi erano ritratti come minimo una trentina di ragazzi che il rosso non conosceva. Era una foto magica, perciò mobile; i ragazzi sorridevano. C’era chi faceva il buffone, chi posava e basta, chi lanciava incantesimi, chi chiacchierava con altri… Erano tutti diversi, ma ad accumunarli erano i bomber che indossavano e che Eric riconobbe perché identici a quello che aveva visto su Avalon, nella sua visione.
Solo gli stemmi cuciti sul lato sinistro del petto cambiavano di persona in persona.
Fra tutti, a George parve di conoscere solo una persona, una ragazza che aveva perso la vita nella Battaglia di Hogwarts. «Jani?»
«Sì, Hailey January Grint.»
Guardandoli meglio, George ricordò che anche se non li conosceva li aveva comunque visti quasi tutti durante la Battaglia di Hogwarts; l’occhio gli cadde su due gemelli castani, alti e assolutamente identici, che abbracciavano una ragazza dai folletti capelli rossi; il colore era fin troppo acceso perché fossero naturali.
Ricordava di aver visto solo uno di loro.
«Questa è diciamo la versione americana dell’Esercito di Silente, altrimenti nota come l’Armata di Amstrong; si è formata all’inizio del ‘96. Erano degli studenti che conoscevano la situazione in cui eravamo qui in Inghilterra e che, un po’ perché Tu-Sai-Chi non giungesse anche in America, un po’ perché alcuni avevano persone care qui, un po’ per spirito di solidarietà e altro, decisero di allenarsi nell’utilizzo di magia di alti livelli per aiutarci. Hanno combattuto con noi in trenta, mi sembra, e ne sono morti dieci.»
«Tu come fai a sapere tutte queste cose?» Chiese Eric, avvicinandosi alla figura della ragazza tra i gemelli; i suoi tratti gli erano familiari, li aveva già visti.
«È una storia un po’ lunga, però potrebbe aiutarvi a scoprire qualcosa, suppongo.»
«Raccontacela, per favore.»
 
 
 
 



Writer ‘s side
 
Ehià, people! How are you?
Duuuuuunque, ci sono delle cose da dire?
Precisazioni?
Sì, direi di sì!
Uno: ciò che dice Morgana è riferito al film “Le nebbie di Avalon” – Spero di ricordare il titolo corretto.
Due: il personaggio di Cheryl Greene non è stato difficile da metter su, per quanto riguarda la storia dei genitori mi sono ispirata a quella di Seamus Finnigan (Mi sembra) in quanto anche lui aveva allontanato la madre, quando O’Tuise salì al potere. Cosa c’entri lei con Hailey – Collegate, bimbi belli, collegate :3 – lo scopriremo presto!
Tre: non stranitevi del fatto che John ed Eric non conoscono i prodotti come lo shampoo o cose come l’acqua corrente; credetemi, il perché è più scontato di quel che pare.
Quattro: la scuola di Amstrong, forse l’ho già detto, è di mia invenzione. Ora non sto qui a descrivervela nei dettagli, perché voglio tenervi la sorpresa e perché, beh, ci sarà tempo! Solo, l’ho collegata a Califia per via della sua ubicazione: Alcatraz – Baia di San Francisco – California – U.S.A. in quanto questo personaggio non è inventato, è leggenda! [ Clicca qui per conoscere “La leggenda della regina Califia e dell’Isola di California”. ]
Cinque: che dire dell’Armata di Amstrong, se non che ce l’ho in testa da settimane? I ragazzi si sono ispirati all’ES, ma come faranno a conoscere l’esistenza di una pseudo organizzazione di soli studenti se stanno a un oceano di distanza? Lo scoprirete!
…Basta. Non ho altro da aggiungere. (?)
Sono sempre più commossa dalle vostre recensioni :’) Davvero, devo ringraziarvi! Sono felice che la storia vi appassioni!
E, beh, se così non è ovviamente no, non mi fa piacere. xD
Come sempre, vi invito a dirmi cosa ne pensate, e vi saluto fino al prossimo weekend. Se mai ci fossero problemi, lo scriverò sul mio fantareal di Facebook (Reperibile dalla home di questo account, l’ho collegato) quindi, se vi va, aggiungetemi pure.
Okay, mi dileguo! Ciao ciao a tutti!
 
Soleil

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Capitolo 17
*** Fra le righe di una lettera ***


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Fra le righe di una lettera



John sfogliava con interesse il blocco di carta che Cheryl gli aveva messo in mano. 
Erano seduti su delle buffe poltroncine morbide che più che tali parevano essere dei cuscini giganti – Puff, aveva detto che si chiamavano. 
La Tassorosso, seduta vicino a lui, aveva lo sguardo vacuo; la prima volta che l'aveva vista, ciò che il bambino aveva subito notato di lei erano stati gli sfavillanti occhi color zaffiro nascosti dai ciuffi di frangetta e dal berretto della divisa del McDonald's. Grazie ai suoi poteri, poteva sentire la sua anima: era in conflitto, animata da una forte malinconia eppure riscaldata da un qualcosa che il bambino non poté che ricondurre all'amicizia. 
Cheryl era amica della ragazza della foto e a quanto aveva capito anche George la conosceva.
Certo, non bene quanto la castana, ma sapeva di chi si parlava. 
«Non capisco, Hailey è stata una studentessa di Hogwarts, solo che poi non è rientrata per il suo quarto anno perché... Beh...» 
Già, perché
Hailey lo zittì alzando una mano e prendendo dal blocco di fogli che John teneva in grembo una busta bianca, contenente una lettera fatta da ben tre fogli di pergamena. «Ho detto che ti avrei raccontato tutto e lo farò. Hailey, o come la chiami tu Jany, ha frequentato Amstrong per un anno e mezzo.» Esordì Cheryl. «Vedi, quando Tu-Sai-Chi ha fatto la sua comparsa al Torneo Tremaghi la notizia è dilagata, ma nessuno voleva dar credito alle parole di Harry Potter e credo che tu conosca questo lato della vicenda molto meglio di me. Ma c'era chi gli credeva eccome e che, addirittura, aveva una paura folle di... Di lui, ecco, di Tu-Sai-Chi. Certo, erano in pochissimi e non temevano di cader vittime di torture e compagnia bella; avevano le loro ragioni.»
«E allora perché?» Chiese Eric, il quale a giudicade dall'espressione rapita pendeva completamente dalle labbra della Tassorosso. Cheryl indugià un secondo «Questo è un segreto, Hailey mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno.» e si passò una mano tra i capelli, scostandoseli dagli occhi e guardando la lettera. «Mi spiace, non posso dire il motivo per cui Hailey non è più tornata a Hogwarts, ma riguardava il padre e Voi-Sapete-Chi.»
Tipico dei Tassorosso – Pensò George, sollevando un angolo della bocca – Fedeli alla loro parola e leali fino alla fine, delle tombe!
«Non fa niente.»
Cheryl gli sorrise riconoscente. «Sì, bene, ecco... Quando iniziò il suo anno ad Amstrong mi scrisse. Mi arrivavano sue notizie non meno di una volta a settimana e credetemi se vi dico che più che lettere erano romanzi, quelle che Asper mi recapitava la mattina.» Raccontò sorridendo al ricordo. «A sentirla, Amstrong era il posto più bello del mondo, ma era anche così infuriata per il fatto di non essere a Hogwarts in un momento così critico che la bellezza di quel luogo passava in secondo piano, così le scrivevo tutto quello che accadeva.»
«Come la descriveva?» Chiese d'impulso Eric, la cui curiosità sfavillava nelgi occhi chiari. Cheryl sorrise, quel bambino aveva un'espressione dolcissima nella sua curiosità e spontaneità. Gli indicò la lettera «Me lo ha scritto.» e ne lesse un pezzo. «Non sto scherzando, giuro che è sospesa in aria! Ci sono due modi per arrivarci, io ho usato la metropolitana di Manhattan. Funziona come per l'Hogwarts Express, ma è completamente diverso perché il binario esiste anche per i Babbani. È un treno in transito, ecco. Non devi prenderlo, perché ti sfreccia davanti e solleva tanta di quell'aria da sembrare un tifone, e quando scompare non sei più lì, ma su Alcatraz. Sai, è un'isola vicina alla Baia di San Francisco che nessuno visita da solo, i Babbani temono sia pericolosa e c'è anche un carcere abbandonato. Si viene qui solo con una guida, a quanto sembra, e questa è sempre un mago o una strega. Ad attendere sulla spiaggia non c'è nessuna carrozza o altro, ma se entri nell'unica grotta che trovi, questa ti porterà nei giardini della scuola. Credo sia un incantesimo molto complicato, neanche il ragazzo più grande che ho conosciuto sa quale sia. C'è anche un altro modo che usano solo gli studenti maggiorenni, ma devo ancora capire quale sia; stai sicura che te lo dirò. È fantastica, sembra fatta unicamente di cielo e anche qui si viene Smistati, ma non c'è nessun Cappello Parlante; i bambini - e anch'io - devono usare la bacchetta. E nessuno avrà mai un risultato uguale a quello di un altro, a seconda del colore dell'incantesimo vieni collocato in una Casa piuttosto che in un'altra. La mia magia è violetta, perciò sono finita in quelli che qui chiamano Indacocclumanti. Poi ci sono i Terresploratori, i Rossincendi e i Cobaltaurora. Che nomi! In una parola qui è tutto diverso, il cibo non è buono come quello preparato dagli Elfi, ma pazienza, in compenso è molto più variegato - non so se sei mai stata in un McDonald's - e poi sai che non sono schizzinosa come voi Tassorosso quando si parla di cibo.»



«Parlamene un po'.»
Hailey alzò il capo verso Maximilliam – detto Max – che, seduto al tavolo della cucina, giocava a Gobbiglie con James. Non la guardava nemmeno, però la mora capì di cosa parlava. «Sai già com'è Amstrong, Max, l'hai frequentata per molto più tempo di me.» Gli ricordò cercando di tornare a ciò che stava facendo: c'erano degli accorgimenti da fare nella loro abitazione e anche se non era mai stata una persona organizzata e ordinata, fare lavori in cui doveva impiegare concentrazione e mente l'aiutava molto. 
L'alternativa era sfoderare la bacchetta e sfogarsi e, anche se era liberatorio e non repressivo come quell'altro metodo, non era proprio il caso di farlo. 
«Non attraverso gli occhi di un'inglese.» La corresse il moro, sorridendo. «Allora va bene, spostiamoci di qualche migliaia di miglia. Hogwarts
Il rumore secco dello spezzarsi della piuma con la quale Hailey scriveva attirò lo sguardo di James; decisamente, la Grifondoro non doveva aver mai avuto un grande autocontrollo. 
«Perché non usi una penna, Hailey?» Le chiese in tono pacato. «Ti ricordo che per quanto Diagon Alley sia una zona da perlustrare giornalmente per ovvi motivi non possiamo permetterci di fare compere se non per emergenze, senza contare che mi rimane solo una piuma.» Continuò. 
Il Corvonero aveva un modo tutto suo di rimproverarla, era incredibilmente gentile anche se pareva non interessarsi alle sue necessità più di quanto fosse opportuno fare per cortesia. 
«Scusa, James.» Mormorò la mora, passandosi una mano tra i capelli e guardando con una punta d'astio nello sguardo Max, il quale, impassibile, continuava a giocare. «Perché ti ostini a ricordarmi che prima di questa follia avevo una vita?»
«Io mi ostino a ricordarti chi sei.» Disse il moro. 
«O chi ero.» Puntualizzò in tono piccato Hailey. «Per quanto tu possa saperne.» Aggiunse, incassando l'occhiata eloquente del suo interlocutore.
James scosse il capo, voltandosi a guardare la Grifondoro. 
«L'incomprensione del presente cresce fatalmente dall'ignoranza del passato.» Disse. «Perciò, a rigor di logica, se non ricordi chi eri, come fai a dire chi sei ora?»
Hailey boccheggiò guardando l'ex-Corvonero perplessa. «Mi stai dando... Cosa, dell'ignorante di me stessa? Max, tu la parli la sua lingua?»
Il ragazzo dai capelli neri sogghignò scuotendo il capo, divertito. «Marc Bloch?»
«Già.» Annuì James. «Pensaci, Hailey.»
La Grifondoro sbuffò sonoramente alzandosi e arraffando la piuma rotta «Basterebbe un incantesimo per ripararla.» e il foglio su cui stava scrivendo.
«Meno magia usiamo e più ci abitueremo a non usarla a sproposito, ma date le nostre finanze direi che, sì, puoi aggiustarla.» La liquidò Max. «Se lo sai fare.»
James soffocò un sorriso vedendo Hailey scattare sull'attenti, colta sul vivo. 
«L'attacco è la miglior difesa, Max, quindi lasciala in pace. È una strega brillante.» Disse il biondo del trio, tirando una biglia in testa al moro. «Ed è più grande di te, tecnicamente, perciò porta rispetto.»
Hailey sorrise appena, fermandosi sull'uscio «Comunque, Hogwarts è un bellissimo castello le cui scalinate si muovono in continuazione da un piano all'altro, ed è circondato da una foresta abitata da creature inimmaginabili e un lago con tanto di piovra gigante. Ci si arriva con un treno che parte da un binario che per i Babbani non esiste neanche, e prima della prima cena i primini vengono Smistati dal cappello appartenuto a uno dei quattro fondatori, che a seconda di ciò che ti legge nella mente e nel cuore decide: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero o Serpeverde. Saresti stato una Serpe perfetta, Maximilliam.» per poi attraversarlo.


*


«Sospesa in aria?» Chiese preso dall'euforia George. 
«Magia colorata?» Esclamò con gli occhi curiosi John. 
«Cibo locale?» Fece con gli occhi brillanti Eric.
«Wow!» Conclusero in coro. 
«Dev'essere bella, mi piacerebbe vederla.» Aggiunse Eric.
«Certo, per via del cibo, vero?» Lo stuzzicò John, ben conoscendo il gemello il quale si fece piccolo piccolo.
«A parte ciò, Hailey ci teneva sul serio a noi, e quando le ho parlato dell'Esercito di Silente disse di aver avuto un colpo di genio.»


 
Guardandosi attorno circospetta, la ragazza si accucciò nel suo bomber, per riparasi dalla frescura della sera. Alle volte lei stessa faticava a capire il suo modo di pensare e agire; le era bastato sentire Reese che raccontava alla maggiore dei fratelli MacFly che suo zio era espatriato dall'Inghilterra perché scattasse qualcosa nella sua mente. 
C'era solo una motivazione per la quale l'esponente di una Casata così prosperosa e ricca si fosse allontanato di colpo dal paese e quella motivazione l'aveva messa in allarme; perché lì, in quel posto, c'erano persone a cui voleva bene.
E lei dov'era? Al sicuro, in America. Non era l'unica a pensare che restare in disparte fosse da vigliacchi o quantomeno inutile: se Voldemort avesse vinto, quanto ci sarebbe voluto perché si espandesse? 
Per questo, quella sera, aveva chiesto a tre esponenti delle altre Case di raggiungerla nell'ampio sottoscala della torre ovest. 
Impugnando saldamente la bacchetta, si sporse e vide tre diverse figure sgattaiolare nell'oscurità suggestiva di Amstrong, al che si rilassò. Sapeva chi erano: Ivory Thriving, Aileen Mitchell e Im Yong-Soo. 
Sapeva di aver scelto bene chi radunare: tutti e quattro, lei inclusa, erano – Chi per voti, chi per abilità magiche – studenti brillanti e con una fedina scolastica talmente immacolata che vederli in giro a quell'ora non avrebbe destato alcun sospetto. 
«Oh, eccola lì. Ciao January, sai che questo taglio ti dona?»
«Ivory, è il taglio che ha sempre.»
«Non direi, guarda il suo ciuffo, Il flebile battito d'ali di una farfalla si dice provochi un uragano dall'altra parte del mondo, lo sapevi, Aileen?»
Im Yong-Soo, studente di origini coreane, sorrise divertito dalle sue compagne e si rivolse all'Indacocclumante con il suo solito fare pacato e curioso al tempo stesso. «Grint, che c'è? Hai convinto il preside a farci studiare incantesimi più potenti?» Domandò. «Perché lo escluderei, sei troppo poco entusiasta e pimpante.»
«Infatti.» Hailey scosse il capo mostrando ai compagni di scuola una lettera, sorridendo. «Ho fatto di meglio, ho avuto un'idea! Creeremo un gruppo di studio illegale per esercitarci!»
A quelle parole, tutti espressero la loro opinione con un perplesso «Cos'hai detto che faremo?» mentre la più piccola del gruppo – Ivory – osservava interessata la lettera. 
«Chi è Cheryl Greene?»


«Crearono un gruppo dentro il quale si  conoscevano tutti un minimo. Era composto da studenti di ogni età, pensa che i più piccoli erano del terzo anno.» Raccontò Cheryl, indicando a George due ragazzini che si facevano la linguaccia a vicenda, separati da uno castano alto quanto loro. I due maschi, uno biondo e l'altro moro, avevano entrambi il colore verde sullo stemma del bomber mentre la ragazzina bionda ne sfoggiava uno rosso. Ricordava di aver intravisto soltanto uno di loro a Hogwarts, ovvero sia il biondo. 
«E c'erano anche degli esterni, delle persone più grandi, che però erano in netta minoranza.» Aggiunse, additando quattro soggetti: tre ragazzi e una giovane donna.
A giudicare dalla foto dell'Armata di Amstrong, nella scuola non si respirava tensione; i volti dei ragazzi erano tutti distesi in espressioni serene. George li ricordava perché li aveva intravisti durante la battaglia, solo che non vi aveva fatto caso, credeva fossero ex-studenti diplomati o simili; insomma, nel bel mezzo di una guerra, chi avrebbe dato importanza alla presenza di una trentina di estranei se questi erano dalla parte del bene?
«Sembrano felici, non dovevano rischiare per noi.» Si lasciò sfuggire.
«Anch'io l'ho pensato, però a prescindere dalla Casa cui appartenevano, a quanto pare, erano tutti tremendamente idioti come i Grifondoro. Senza offesa, s'intende.»
«Non è mai un'offesa, per un bravo Grifondoro.» Disse sincero George, sollevando un angolo della bocca. «Ora come sta Jany? L'ultima volta che l'ho vista stava salvando Hannah da un Mangiamorte.»
Eric vide Cheryl irrigidirsi, serrare la mascella e divenire pallida all'inverosimile, mentre John avvertì le emozioni della giovane Tassorosso divenire forti, pulsanti e... negative
«Volevi sapere di Califia, ci sto arrivando!» Rispose sbrigativa, trafficando coi fogli della lettera finché non trovò quello che le interessava, ignorando l'occhiata accigliata assunta dal ragazzo. «Non starò qui a leggerti tutto, ti riassumerò la storia. Si dice che Amstrong sia stata fondata solo di recente dagli spagnoli quando colonizzarono la California, ma effettivamente non è così. La scuola fu agibile da allora, ma esisteva già come struttura e serviva per custodire qualcosa, si dice.»
Il silenzio regnava sovrano, solo lo sfrecciare delle auto, di tanto in tanto, lo spezzava. 
«E cosa?»
«Non si sa, George. Però Hailey mi scrisse, una volta, dell'esistenza di una camera nascosta nella torre più alta della scuola. Disse che lei e gli altri l'avevano usata per gli allenamenti clandestini, ma che c'era un lato della stanza nel quale Ivory Thriving, una Cobaltaurora, consigliò loro di non andare per evitare di far arrabbiare l'unico fantasma presente nella scuola. Mi disse come si chiamava, se non sbaglio... Ecco... Ce l'ho sulla punta della lingua, è un nome strano.»

 
Molti le avevano detto che la vista da lassù era spettacolare, lei però ci andava solo per rimanere da sola e scrivere in santa pace all'unica persona che a Hogwarts sembrava non essersi rassegnata a lasciarla in pace nonostante la lontananza e la sua improvvisa scomparsa: Cheryl. 
Molte delle cose che vedeva quando girava per Amstrong a Hogwarts non c'erano, e viceversa: una cosa che lì mancava, ad esempio, erano i fantasmi. A quanto aveva capito gli americani avevano un'altra concezione del paranormale. Se la sarebbero fatta sotto se avessero visto Nick-Quasi-Senza-Testa, ma sarebbero stati capaci di prendere in giro Voldemort in persona per la mancanza di un naso sul suo viso.
Erano tipi caratteristici, sicuramente. 
«Mi manca vedere Sir Nicholas staccarsi la testa a metà; all'inizio mi faceva schifo, però se arriva a mancarti anche il fantasma del Barone Sanguinario vuol dire che-» Si interruppe, avvertendo un brivido di freddo e vedendo una nebbiolina fosforescende materializzarsi nella figura evanescente di una ragazzina che, al notarla, sgranò gli occhi e sparì nella parete. 
«Cosa... No, aspetta! Ehi!» A nulla valsero i richiami della giovane, perché non ottenne risposta. Osservò basita il punto in cui lo spettro era sparito per poi accorgersi della presenza di una ragazza nella torre. Si chiamava Ivory Thriving.
«Oh, ciao Ivory.»
«Non devi preoccuparti, Ailis è un po' timida, però se si è mostrata a me prima o poi lo farà anche a te.»
«Ailis?»
«Sì, è il suo nome. Molto bello, a mio parere.»


A sentire quel nome, George scattò: Ailis era il nome della co-inventrice della Pozione Crononauta, possibile che fosse anche il fantasma che si aggirava per Amstrong?
«Te l'ha mai descritta?» Chiese a Cheryl, fremente di sentire la risposta. Lei, però, scosse il capo «No.» e si affrettò ad aprire il libro di storia che aveva lasciato abbandonato sul pavimento e ad aprirlo nella pagina interessata. Lo voltò, per mostrare all'ex-compagno di scuola un paragrafo in cui era citato Emil Køhler. «Ma Hailey amava davvero la sua nuova scuola, ed era difficile ignorare il segnalibro colorato che aveva messo qui, quando mi ha regalato il libro.» Aggiunse.
George prese tra le mani il libro, fissando i caratteri sottili con cui era scritto il nome del mago scandinavo così ostinatamente che quasi gli parve che le parole a esso circostanti si muovessero.


 

    Quando gli uomini delle nevi sbarcarono sulla nostra florida America, un miracolo portò i fiori a sbocciare e l'aquila a colorare l'aria del suo grido.
Un fanciullo con l'oro nei capelli e il cielo negli occhi, celante un incanto che attraversa i secoli, sbarcò sulla spiaggia assolata con la neve ancora incastonata tra i capelli. Nessuno degli uomini del gelo rimase affascinato da queste terre quanto lui, che vi si adentrò con curiosità e con il solo sostentamento di una bacchetta e un piccolo tesoro.
Quando arrivò al confine del mondo allora conosciuto, si dice che s'imbatté in una terra abitata solo da donne: splendide giovani dai capelli e gli occhi scuri come una notte senza stelle e senza luna, forti e vestite di gemme.
Rimase così affascinato dalla loro regina, Califia, che le giurò di mantenere segreta l'ubicazione di quel luogo allora ignoto al mondo in cambio della sua amicizia e del suo affetto.
Ma la fiducia nei confronti dell'altro sesso spingeva Califia a guardare comunque con sospetto il giovane vichingo, tant'è che egli, quando ripartì, le donò il suo tesoro.
"Vi faccio dono di questa noce, in segno della mia onestà. In essa, v'è racchiuso in tempo: la possibilità di modificare il passato, di rivivere il presente e di esplorare l'avvenire. Se mai un giorno io dovessi venir meno alla mia promessa e queste terre si riempissero della neve scandinava, vi prego di usarla per tornare indietro."
Nessuno vide mai quel prodigioso oggetto e quando, secoli dopo, uomini con gli occhi di Sole e i capelli di terra arrivarono a solcare i nostri mari, essa fu data per dispersa. C'è chi afferma con totale fermezza e sicurezza che, però, la noce simbolo dell'amore di due facce della stessa medaglia venne tratta in salvo su un'isola dalla prima indigena Nata Babbana della storia d'America. 
La giovane attraversò l'isola e, arrivata ai suoi estremi, seppellì la noce nella sabbia e la affidò ai suoi legittimi proprietari. Poi, semplicemente, si tolse la vita perché nessuno violasse mai la memoria di qualcosa che al momento era troppo grande per poter essere usato o anche solo compreso.
Su quel punto preciso, oggi, a mille metri dal suolo e oltre, sorge la scuola di magia e stregoneria di Amstrong, la cui struttura venne scoperta nel 1477; nessuno trovò mai la noce dorata di Califia poiché essa non appartiene più alla terra. 
Per i corridoi della scuola dei cieli, infatti, molti studenti affermano tutt'oggi di vedere aggirarsi una creatura dall'essenza ectoplasmatica il cui unico colore sgargiante è il dorato dell'oggetto che tiene in mano.
 



*
 

L’arcata era silenziosa, il che era anche normale a quell’ora della notte; Hailey entrò nel cucinotto a passo felpato, stringendosi con una mano alla coperta di lana e tenendo la bacchetta con l’altra. Le veniva naturale, dopo tutto quello che aveva passato, portarsela dietro costantemente.
Al minimo rumore alzò la sua compagna, la cui punta era illuminata dalla magia, davanti a sé, abbassando il braccio, più rilassata, al distinguere dei tratti familiari nella penombra.
Lo sguardo color pece del ragazzo fece intendere che oramai si era abituato alla facilità con cui la Grifondoro metteva mano alla bacchetta. Inarcò un sopracciglio e le porse una tazza.
«Camomilla? Ne avresti bisogno, Grint
«Sta' zitto, Reyes.» Sbottò la mora, passandosi una mano tra gli scarmigliati capelli scuri, ritraendola subito dopo. Non le dava una bella sensazione toccarli e constatare che quelli che una volta erano capelli mossi e lunghi ora erano corti quasi quanto quelli di un ragazzo. James glieli aveva tagliati con un incantesimo al notare le ciocche bruciacchiate, rassicurandola con un «Non conta l’estetica nel nostro lavoro. Ricresceranno, e poi non stai male conciata così. Sembri un folletto di quelli delle fiabe irlandesi».
Afferrò la tazza che l’americano le porgeva e l’avvicinò alle labbra, soffiandoci sopra per non scottarsi. 
«Potresti anche chiamarmi Max, come fa James.» Osservò il moro, sorridendole ironico; credeva che i Grifondoro fossero l’equivalente dei Rossincendio, ed in effetti sembrava fosse così, a giudicare dalle caratteristiche comuni delle due Case. Allora com’era possibile che l’inglese lì presente riuscisse ad essere acida come una Cobaltaurora sotto esame e nei suoi cinque giorni del mese?
«Potresti anche chiamarmi Hailey, come fa James.» Gli fece il verso lei, ribadendo che, sicuramente, la Casa degli Indacocclumanti doveva per forza equivalere a quella delle Serpi. E il fatto che lei fosse stata un’Aura-Viola non era altro che l’eccezione che confermava la regola, dato che il suo cuore sarebbe sempre stato rosso-oro, come la sua Casa Natale.
Max scosse il capo sorseggiando un goccio di camomilla, tenendo lo sguardo fisso sulla diciassettenne davanti a lui. Era buffo, perché teoricamente i diciassette anni li avrebbe dovuti compiere il giorno dopo quello in cui era… morta, ecco. 
Hailey Grint, secondo le informazioni che aveva ricevto, era infatti nata il 3 maggio 1981 a Boston; era americana d’origine, come lui, e si somigliavano anche. Forse era per via del fatto che le famiglie Purosangue, alla fin fine, erano sempre, in qualche modo, imparentate tra di loro. 
«Sia benedetto il nostro Corvonero, allora.» Sbottò tranquillo. «Comunque, come mai sei sveglia?»
La Grifondoro si strinse nelle spalle. «Incubi.»
«Circa il tuo reclutamento?»
«Direi di… Di sì. Ma non sono sicura.»
«Visioni, allora? Sai, è all’incirca quello il tuo ruolo.»
Hailey arricciò il naso, scuotendo il capo. «Nessuno si è mosso al momento. È solo nostalgia di casa, e la cosa non credo ti importi.»
«No, infatti.» Annuì Max, lasciando la propria tazza nel lavello. «Comunque, hai un secondo nome carino, Jany.» Continuò, passandole di fianco. La mora s'irrigidì e lo fermò, posandogli una mano sul petto e, facendovi pressione, lo indusse a indietreggiare e a guardarla. Max vide il suo viso più pallido del solito e il suo sguardo vitreo, di ghiaccio. 
«Cosa sai di quel soprannome? Eri curioso e hai usato la Legilimanzia o cos’altro?”»


Che fosse un promesso Corvonero non poteva essere messo in alcun modo in dubbio: John aveva il viso immerso nei libri da ore e ore. Aveva esordito con un «Ci andremo!» e si era ritirato nel suo mondo fatto di carta e inchiostro.
Eric, al contrario, preferiva di gran lunga seguire i movimenti di Cheryl come un'ombra e sommergerla di domande a non finire. E lei, con una pazienza degna di una Tassorosso, rispondeva.
George non sapeva bene cosa fare; era più che d'accordo: occorreva andare ad Amstrong visto che, a quanto si diceva, tra le sue mura si aggirava lo spirito di Ailis in persona. 
«Se te lo ha detto Hailey, mi fido. Poi neanche tu avresti motivo di mentirmi.» Aveva semplicemente affermato con un sorriso sghembo quando Cheryl gli aveva domandato cosa gli desse la convinzione che una voce fosse degna di credito. 
«La conoscevi, allora?»
«Non bene. Abbastanza da permettermi di sapere quale fosse il suo secondo nome e di storpiarlo.» Aveva risposto George. «Ma sai, era pur sempre un membro della mia stessa Casa; era piccola, l'ultima volta che l'ho vista, ma la conosco perché è stata una delle prime cav- Cioé, una dei primi volontari che hanno provato i prodotti miei e di mio fratello. Mi ricordo che a causa di un prototipo di Crostatina Canarina rise per ore e ore senza fermarsi e le spuntarono due ali giallo lione sulle scapole. Ha provato anche a volare, ma più di trenta centimetri non riusciva ad alzarsi da terra.»
Cheryl aveva sorriso in una maniera che il rosso giudicò troppo effimera e nostalgica se riferita a un episodio come quello; inoltre, aveva deviato la sua domanda, prima, quando le aveva chiesto come stesse la loro amica. Il che non doveva essere una buona cosa.
«Cheryl, cosa c'è che non va?» Chiese serio, togliendole di mano la tazza vuota che guardava con fin troppo interesse. «Davvero, puoi dirmelo. Avete litigato? Per questo fai così quando si parla di Jany?»
Litigato? – Pensò Cheryl, scuotendo il capo – Magari!

- Vattene subito di qua! Hai capito, Cheryl?! Va' via! -

«No, affatto, lei mi ha salvato la vita quella notte. Che vizio! Se non salvava qualcuno almeno una volta a settimana stava male.» Mormorò la Tassorosso, volgendo lo sguardo verso il ragazzo di modo che George vedesse quanto i suoi occhi erano lucidi. 
«Mi ha salvata e se n'è andata.» Disse a bassa voce, asciugandosi tempesivamente le lacrime che le pizzicavano gli occhi e solcavano le guance. 
«Quando... Quando il muro del settimo piano è crollato eravamo lì, un secondo prima non so né come né perché mi ha Schiantata lontana intimandomi di andarmene mentre lei combatteva contro un'Acromantula. Poi c'è stata l'esplosione e subito dopo il crollo. Non l'hanno mai trovata. Né viva, né morta.»
Allora calò il silenzio, perché George conosceva bene le dinamiche dell'esplosione, del crollo. Troppo bene.


Max alzò un sopracciglio «Non ho fatto né so niente; ho solo giocato col tuo secondo nome, tutto qui.» e si scostò. «Te l’ho detto che non m’importa niente del tuo passato.»
Hailey annuì, lasciando ricadere il braccio con cui aveva trattenuto il moro lungo il fianco. «Scusami, Max.»
L’Indacocclumante annuì, stranamente non c’era stizza nei suoi occhi. 
Si era convinta, Hailey, che in qualche modo ce l'avesse con lei, dato il suo comportamento.
«Qualche giorno fa James mi ha detto che quando ti è venuto a prendere nel passato, o meglio nel futuro, durante la Battaglia di Hogwarts, c’era un’altra persona che venne coinvolta nell’esplosione. Non ti parlo della tua amica Tassorosso, lui mi ha parlato di un ragazzo. Mi ha detto che lo conoscevi.»
«Sì, era un compagno di Casa che ho conosciuto, niente di che. Perché?»
Gli occhi di Hailey, a differenza di lei, non potevano mentirgli; erano tremendamente espressivi, e in quel momento trasudavano preoccupazione, curiosità e un pizzico d’ansia. James aveva ragione, dunque, a supporre che a Hogwarts Hailey fosse stata affezionata a molte più persone di quanto ammettesse con loro. 
«Perché ho controllato. Il suo nome era Percy Weasley, giusto?»
E, come sospettava, non si trattava di quella persona, dato il modo in cui la Grifondoro si rilassò facendo una smorfia. Bevve un sorso di camomilla facendo un cenno di diniego.
«Capisco.» Così dicendo, Max oltrepassò la più piccola – O più grande? Difficile dirlo, ma in quel momento era vero che il maggiore dei due era lui – e uscì dalla cucina, fermandosi subito dopo aver attraversato la porta. «Era lì con suo fratello minore Fred, la sua famiglia l’ha perso nell’esplosione. Mi spiace.»
Biascicò le ultime parole e ingoiò le imprecazioni riservate al biondo Corvonero che gli aveva detto fosse meglio farle sapere la verità e se ne tornò a letto.
Hailey rimase interdetta per qualche secondo, le parole di Max le rimbombavano nella testa senza davvero essere captate dal suo cervello; quando realizzò ciò che aveva sentito, non sentì altro che la tazza scivolarle dalle mani finendo con il frantumarsi al suolo e le lacrime tornare a riempirle gli occhi scuri.
E non riuscì che a chiedersi perché.
Perché James aveva salvato lei e non lui?
Non avrebbe mai augurato a nessuno una vita come quella che aveva scelto di avere quella notte, ma non avrebbe neanche mai augurato la morte a una persona con un futuro così radioso davanti.
Perché, poi, stava piangendo come una bambina?
Sigillò la porta della piccola cucina, insonorizzò l’ambiente e solo allora pianse. Una Grifondoro non si sarebbe mai neanche piegata al dolore e l’avrebbe affrontato di petto, ma un’Indacocclumante l’avrebbe fatto da sola.


 


Writer's side
Yep, sono viva. 
No, davvero, mi scuso! Ma in pratica è accaduto che, la settimana scorsa, prima di sabato, ho avuto due incidenti domestici. Uno con il vetro di una finestra e l'altro con una presa non isolata.
Eh, la fortuna. Poi, quando mi sono messa di bbuona lena a continuare a scrivere, t'oh, mi è saltato tutto Microsoft Office! Tutt'ora non so come fare, perché non ce l'ho proprio più!
Infatti mi sono dovuta arrangiare con il telefono e ho finito mezz'ora fa di stendere il capitolo di oggi - che arriverà dopo mezzanotte, se continuo di questo passo.
Quindi boh, scusatemi ancora!
Dunque, che posso dire? 
Non so, dunque... Sto, diciamo, cercando di spianarvi la strada perché capiate un po' di più le dinamiche della storia, ancora sono confuse ma vi prometto che tutto si chiarirà!
Davvero, mentre scrivo mi dico sempre "Ooooh, devo spiegare questo! E anche quello e quell'altro!" poi arrivo qui e niente, non so che dire.
Vabbé- Se avete qualche domanda, circa i personaggi non Canonici - tutti tranne George xD - o altro, io sono qui!
Spero, come sempre, di sapere che ne pensate e vi saluto; alla prossima!

 
Soleil Jones

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Capitolo 18
*** ❝ Sta succedendo. ❞ ***


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❝ Sta succedendo. ❞

 

«Non credo di aver capito, ragazzo. Cos'hai detto che ti serve?»
«Mi serve una Passaporta, Kingsley.»
Il nuovo, provvisorio Ministro della Magia arcuò un sopracciglio, guardando intensamente il giovane dai capelli rossi. Conosceva bene George, essendo stato un Membro dell'Ordine della Fenice, e aveva ben presente la sua caparbietà. Solo, non capiva il motivo di questa sua richiesta.
Dopo la fine della guerra non aveva più avuto occasione di vederlo se non una o due volte e poteva giurare che quello che aveva davanti pareva tutta un'altra persona rispetto allo spettro dai capelli rossi che ricordava. Devastato dalla perdita del suo gemello. L'uomo di colore lo ricordava più magro del normale, con i capelli arruffati e le labbra ostinate nel piegarsi in un sorriso che ben poco ricordava – Anche solo vagamente – quelli cui tutti erano abituati.
Sembrava determinato ad ottenere quel che voleva e nonostante in quel periodo post-guerra il Ministero si stesse concentrando sui processi dei Mangiamorte il responsabile del suddetto ufficio gli avrebbe anche concesso una Passaporta, ma – C'era un ma – per quanto il Ministro ne sapeva era da una settimana buona che i Weasley non vedevano il ragazzo. 
E anche se sapeva di potersi fidare del giovane ventenne, era sospetta questa sua intenzione di avere una Passaporta.
«Vorresti una Passaporta per...?»
«New York, più precisamente Manhattan.» Lo aiutò George. Volendo avrebbe potuto cercare di imparare l'incantesimo di attivazione da sé, non era Hermione Granger ma era comunque un mago capace e intelligente. Però John, ancora una volta, aveva dato dimostrazione di un'impeccabile logica – E per quanto George fosse un tipo da colpi di testa, si era ritrovato a dovergli dare ragione.
«L'incantesimo per creare una Passaporta non è qualcosa che puoi imparare dall'oggi al domani. A parte il fatto che avresti sicuramente imparato quantomeno la parte teorica a scuola, se non te la fossi data a gambe a cavallo del tuo prode destriero–»
«La mia Scopalinda, prego. Che non è neanche un cavallo!»
«–Dettagli. Non subito delle tue capacità, ma è incosciente quello che vuoi fare, c'è il serio rischio che l'incantesimo non ti riesca e in caso chissà cosa potrebbe accaderci! Inoltre è illegale.»
«Quanto mi ricordi Hermione, santo Godric
«Potremmo ritrovarci a essere rivoltati come calzini, Weasley, non sarebbe un bel vedere.»
«E va bene, va bene. Cavolo, ecco cosa provavavano Harry e Ron all'inizio! Cosa proponi, allora, Grangerino Sapientino
«Chiediamola al Ministero, solitamente è così che funziona, no? In questo modo non avremo creato Passaporte illegali e potenzialmente pericolose.»
E così, quella stessa mattina, aveva preso per mano i gemelli per poi Smaterializzarsi a Charing Cross Road.
Diagon Alley – Così come aveva scoperto una volta attraversato il passaggio nel Paiolo Magico, collegante il mondo dei Babbani e quello dei maghi – era in fase di ricostruzione. Con tutto quel che era successo, negozi come quello di bacchette e altri erano stati quasi rasi al suolo. La sensazione era simile a quella che aveva sentito a Hogwarts: era come ricevere una pugnalata al petto.
Nell'aria riecheggiava la vita che pian piano stava tornando, più speranzosa di quanto George ricordasse di averla mai avvertita dalla prima volta in cui aveva messo piede a Diagon Alley. 
Da lì al Ministero della Magia la strada da fare non era molta; una volta dentro al rosso quasi parve di star rivivendo una scena passata. Niente, lì dentro, era cambiato.
Okay, c'era stato solo poche volte e per via del lavoro del padre, ma ricordava di aver sempre descritto quel luogo come “affollato, troppo pieno di gente in giacca e cravatta”. Più o meno.
Aveva lasciato Eric e John appena fuori dalla cabina telefonica tramite la quale aveva potuto accedere all'ottavo livello del Ministero, l'Atrium, semplicemente perché era palese persino per lui che i due non avevano una vera e propria identità. Cosa avrebbero detto al terminale presso il quale ci si rivolgeva una volta dentro?
Con un pizzico di fortuna, pensava, sarebbe riuscito ad arrivare all'Ufficio Passaporta al sesto livello.

Sperando.
«George, manchi da casa da una settimana.»
“Solo? A me sembra un'eternità!” Commentò mentalmente il ragazzo, annuendo colpevole. «Lo so, ma sono maggiorenne da un pezzo, non credo sia un problema se vado dove voglio, no?»
«Lo è se la cosa spinge tuo fratello Percy a rivoltare Diagon Alley per cercarti. I tuoi genitori non sapevano dove fossi finito, non so se mi spiego.» Ribadì severo Kinglsey. «Non ti sto parlando come Ministro, ma come amico, se vogliamo.»
«Tu pensi che io sia un fanatico delle Arti Oscure che rivuole indietro quella testa di Troll di Riddle?» Chiese George, incrociando le braccia al petto.
Kingley si accigliò. «Certo che no!»
«Credi, allora, che sia andato fuori di testa e che stia progettando di buttare giù la Statua della Libertà con Schiantesimi e Caccabombe?»
«Spero di no, anche se...»
«O pensi che abbia scassinato la Gringott e che voglia scappare in America?»
L'uomo di colore sospirò pesantemente e scosse il capo, sbottando: «Per Morgana, George!»
«Oh, ho capito!» Esordì George, come se avesse appena avuto un'illuminazione direttamente inviatagli da Godric Grifondoro e rivolgendo a Kingsley un ampio sorriso. «Credi che ti stia riempiendo la testa di scemenze per raggirarti e in effetti è così! Bene! Chiarito questo, ci si vede! Se mamma e papà cercano spiegazioni, Ron gliele darà!»
E in meno di un battito di ciglia, George si era già dileguato, dandogli una pacca sulla spalla.
Inutile che il mago più grande lo richiamasse: conosceva abbastanza bene il tipo e sapeva per certo che prima di farsi obbedire avrebbe dovuto Schiantarlo.
Pensiero allettante, da una parte, ma poco conveniente da un'altra.
Mentre raggiungeva l'Ufficio del sesto livello, George pensò che il suo fratellino era da santificare.
O forse no. Un grazie come minimo glielo doveva, però.



*

 

«Non ci posso credere!»
Eric, le gambe penzoloni dalla sedia, guardò John mangiucchiando con fare assorto il suo gelato. Prima di entrare nella cabina telefonica che lo avrebbe condotto al Ministero George aveva consegnato a lui e al gemello qualche galeone, indicando loro un posto dove, a detta sua, avrebbero potuto pranzare in modo alternativo.
Ed in effetti quello era un modo alternativo eccome di mangiare, per loro!
La grossa insegna recitava “Gelateria Florian” e da lì John aveva dedotto che quello che il proprietario aveva servito loro doveva essere un gelato.
«Anche se non ha molto senso come nome.» Aveva aggiunto, prima di cacciarsi in bocca un cucchiaio intero di quella pietanza e sbiancare. «No. Calza a pennello!»
Ora, invece, con ancora i baffetti di crema tra il labbro superiore e il naso, pareva essere insoddisfatto. 
Eppure di gelati ne aveva mangiati due.
«Che c'è?» Chiese allora Eric. 
«Non credevo che avessimo ancora questo con noi.» Disse John, alzando il diario trovato nella biblioteca di Hogwarts, di modo che suo fratello potesse vederlo. «Ci è stato utile per raggiungere Avalon, sì, ma—»
«Cos'è?»
«Mh?»
Eric si pulì il muso frettolosamente e si sporse sul tavolo, avvicinando il volto alle pagine. Le pupille degli occhi color smeraldo si dilatarono e il volto perse colore. «Attento tu, Dioscuro immortale, poiché questa tua eterna esistenza è poco più di un battito di ciglia con la tua metà così com'è un'eterna tortura senza di essa.»
Sussultando, John fece per chiudere il diario di scatto, ma non gli fu possibile, poiché Eric glielo prese di mano e si sedette, appoggiando il volume sulle sue gambe e continuando a leggere senza batter ciglio. 
«Attento tu, Dioscuro che perì, l'ombra del passato è costantemente celata nei meandri del presente. Sei disposto a permettere che la storia si ripeti?»
«Eric, lascia il libro.»
«Aspetta, stanno comparendo altre parole!»
«Non importa, lascialo subito è pericoloso!»
Il castano fece finta di non sentirlo e continuò. John lo raggiunse e cercò di allontanarlo il più possibile dal libro: il viso cadaverico del suo gemello esprimeva malessere, e anche lui percepiva oscurità in quelle parole così come in quell'oggetto. 
Il cuore, palpitante nel suo petto, divenne pesante come un macigno. Eric leggeva di una faida tra luce e buio, tra vita e morte, tra eterno e mortale; ma era impossibile! Non era mai successo – Si diceva lui. 
Preso dal panico, al solo pensare che l'ipotesi che si era insinuata nella sua mente fosse corretta, tirò fuori la bacchetta e la puntò al diario. «Eric, lascialo! Non costringermi a Schiantarti.»
«Il Dioscuro mortale osservava giorno dopo giorno il mago rosso che si affannava per riavere quella parte di lui rubatagli dalla Morte, e dentro il suo animo puro e ingenuo cresceva la domanda “Perché”. Il mago rosso non era un essere superiore, era anzi poco più che un ragazzo, eppure stava facendo ciò che il Dioscuro immortale, suo fratello, non si era accinto a fare alla sua morte.»
«Castore! Basta, mettilo giù.»
«Perché io e non tu?» Mormorò Eric, con la voce tremante e gli occhi smeraldini vacui e lucidi; lungo le sue guance piene presero a scendere delle lacrime. «Non è giusto. Perché?»
«Ti prego.» Anche la voce di John, ora, tremava, così come la bacchetta che stringeva convulsamente. «Quel libro è maledetto, sai che io—»
«TU COSA
Fu un attimo, e l'intera gelateria saltò in aria, sconvolgendo la quiete di Diagon Alley.
Nessuno s'accorse del tremolio dello zainetto abbandonato sulla sedia dove prima era seduto uno dei due bambini dagli occhi verdi.

Fu molto veloce, tutto accadde in un istante. Un minuto prima stava bene e rideva, e uno dopo Hailey si ritrovò con le ginocchia al pavimento e ad essere sorretta da James.
«Max, Max! Sta succedendo!» Urlò il biondo. «Respira, Hailey, non è niente.» Aggiunse poi, rivolgendosi alla diciassettenne in tono pacato e rassicurante.
Anche se non era vero.
«Va tutto bene. Maledizione, Max
In un secondo, con i capelli e il corpo grondanti d'acqua e la vita avvolta solo da un asciugamano, l'americano piombò in cucina e s'inginocchiò di fronte alla Grifondoro, prendendolo il viso tra le mani di modo da poterla guardare.
«Sta succedendo.» Annuì.




 




Writer's side
Okay, quanti aggiornamenti ho saltato?
Due.
E mi spiace, ma giuro che una spiegazione c'è! Prima ho perso Office, e allora ho preso ad arrangiarmi con Word Online, poi la batteria è morta e ho dovuto mandare il PC a riparare. L'hanno tenuto una settimana.

Me lo ridanno e la batteria non funziona, glielo riporto ed è quella sbagliata; quindi ora il mio portatile più che tale è un fisso. Almeno mi hanno messo LibreOffice, dai.
Poi si è rotto il modem, quindi niente linea Wireless. Glielo porto e scopro che è da ricomprare.
Per cui lne ho comprato un'altro.
Non riuscivo a farlo funzionare.
Il tecnico è dovuto venire a casa mia.
Ed eccomi qua!
Cioé, è possibile essere tanto sfigati?! xD
Ho aggiornato oggi per non rimandare oltre e conto di tornare a farlo sabato; farò del mio meglio, lo giuro!
Nel mentre... Ehm... Sì, ecco, per scrivere questo capitolo ho dovuto attenermi molto alla Wikipedia Potteriana - e quella normale, sempre per quanto riguarda il Ministero della Magia - e alla mitologia greca per quanto riguarda i Dioscuri.
Vi linko tutto.
Per qualsiasi chiarimento, here I am!
Ora scappo; la scuola è alle porte e io ho ancora compiti arretrati.
Alla prossima!

 

Soleil

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Capitolo 19
*** Rancori o fiducia, sempre di fratellanza si parla ***


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Rancori o fiducia, sempre di fratellanza si parla


George uscì soddisfatto dall'Ufficio Passaporta, intascando il biglietto dove aveva segnato il luogo e l'ora in cui avrebbe potuto prendere la Passaporta per New York e prendendo l'ascensore per tornare nell'Atrium.
La sua felicità, però, ebbe vita breve «George!» perché fu spazzata via da un Percy curiosamente furioso. Il rosso si bloccò sul posto all'istante prima di poter uscire, per poi voltarsi verso il fratello con un sorriso di quelli che usava quando si cacciava nei guai. «Percy! Ciao.»
«Ciao? Sparisci, non dai tue notizie, ti becco al Ministero e come se mi avessi visto per l'ultima volta stamattina a colazione mi dici “Ciao”?!» Sbottò il più grande dei due Weasley. «Sul serio, stai bene?»
Avrebbe voluto suonare furioso, perché lo era, ma non ci riusciva perché, data la situazione, si era preoccupato come tutti all'apprendere della scomparsa di George.
Che poi avesse lasciato detto a Ron chissà cosa che neanche quest'ultimo aveva voluto dir loro non aveva tranquillizzato nessuno. 
Eppure sembrava stare bene, stranamente. Non sembrava il vecchio George, certo, ma neanche il suo fantasma. Le guance erano colorite, non aveva il viso pallido, i capelli scomposti come sempre, la ferita all'orecchio visibile e non ostinatamente coperta dai capelli come prima. 
Aveva l'aria di star bene.
«Direi di sì, sto bene, grazie.» Rispose George, annuendo. «Meglio, ecco. E sono di fretta, scusa, se vuoi riportarmi a casa allora scordatelo.» Aggiunse.
«Certo che voglio riportarti a casa, zucca vuota.» Rispose Percy. «Hai idea di quanto si è preoccupata nostra madre? Credevamo che volessi— Beh...»
«Suicidarmi?» Incalzò George, inarcando un sopracciglio e scuotendo il capo. «Mi credete davvero così disperato?»
«Abbiamo torto?»
«Non molto, ma anche tanto.»
«Certo, certo. Senti, sul serio, torna a casa.»
George aprì la bocca per rispondergli, ma prima che potesse parlare il pavimento sotto i loro piedi tremò impercettibilmente. «Cosa...?»
«Chiama il Ministro, Lynn, due ragazzini stanno duellando!» Grugnì un Auror, entrando a passo di carica nell'Atrium.
“Fà che non siano loro, fa che non siano loro!”
«Cosa?» L'altro Auror, una donna, guardò storto quel che doveva essere il suo mentore. «Perché il Ministro dovrebbe scomodarsi per due ragazzini litiganti?»
«Ma non hai sentito la scossa, stupida? Stanno radendo al suolo Diagon Alley! Muoviti!»
“...Ecco, sono loro.” 
«Devo andare.»
«Cosa? George! Dove vai?» Percy non ricevette risposta; o almeno, l'unica che ricevette fu vedere suo fratello entrare in uno dei camini del Ministero e sparirvi. In un battito di ciglia si era volatilizzato, e lui non aveva fatto niente per fermarlo o capirlo. Ancora.
E non aveva fatto quest'errore solo con lui. Il senso di colpa bruciava ancora impetuoso in Percy e quest'ultimo si chiedeva con quale faccia poteva dire di essere stato un Grifondoro; quale membro della Casa dei coraggiosi avrebbe agito come il più codardo dei Serpeverde?
“Non io.” 




Non avrebbe mai voluto puntare la bacchetta contro nessuno; secondo John la magia non doveva essere usata per far del male al prossimo, ma per migliorare la qualità della vita propria e altrui. Questa era la concezione di una persona intelligente, secondo lui, e per quanto Eric fosse sempre stato un tipo più pratico e meno propenso al fermarsi a riflettere, sapeva che la pensava come lui.
O almeno così credeva, perché se combattersi tra maghi era sciocco, allora farlo tra fratelli cos'era? 
Continuava a ripetersi che ad attaccarlo non era effettivamente Eric, anche se tecnicamente, sì, era lui. 
Ma al contempo no, non lo era; perché suo fratello era troppo buono per farsi corrodere da un'invidia insensata.
Eric non aveva mai avuto quella luce spenta e cieca negli occhi; era chiaro che quel diario lo avesse soggiogato e che fosse intriso di magia oscura. Qualcuno lo aveva stregato, li aveva raggiunti e seguiti passo passo.
«Ma chi?» Bofonchiò alzandosi da terra; un rivolo rosso attraverso il suo campo visivo: aveva battuto la testa molto forte contro una palazzina. La gente, intorno a loro, inizialmente aveva pensato a una piccola lite tra fratelli, poi però la situazione era degenerata. Nessun mago avente l'età che dimostravano loro, evidentemente, poteva conoscere tanti incantesimi potenzialmente pericolosi e, forse per via dei precedenti che la comunità magica aveva avuto con la guerra, il fatto che due ragazzini li usassero con tanta violenza bastò ad allarmare subito tutti.
«Sei già stanco, fratello?» Lo schermì Eric, picchiettando il piede a terra com'era solito fare quando era impaziente. «Non ci credo!»
A chi era dovuto tutto quello?

 
- Un'ombra, non so bene chi sia. Ma sta percorrendo la nostra stessa strada. È parecchio dietro di noi, ma... Ma sta arrivando! Piano piano, e non con buone intenzioni! -

«Smettila!» John deviò una maledizione con un solo colpo della mano, la quale andò a finire contro una locandina alla sua destra. 
«Stupeficium
«Protego
«Oh, bravo, ottima difesa. Vuoi provare a disarmarmi, già che ci sei?»
John annaspò, asciugandosi con la manica della maglietta il sangue che gli stava colando da una ferita che doveva essersi aperta sul suo capo. Pacato, gettò la bacchetta a terra. «Non voglio combattere con te e lo sai bene.»
E fu un attimo; tutto accadde così velocemente che John quasi non sentì nulla. Dalla bacchetta di Eric partì un incantesimo esplosivo diretto al muro della palazzina stante dietro John, il quale, per istinto, si riparò la nuca.
«Evanesco
Il bambino aprì gli occhi e riprese a respirare, il cuore gli batteva furioso nel petto più che mai. Seguì lo sguardo indispettito di Eric, ma non vide nessuno con la bacchetta protesa, il che gli parve piuttosto strano.
Quell'attimo di distrazione permise ad Eric di cogliere di sorpresa John, sollevandolo per aria con un semplice movimento del polso e un incantesimo non verbale. 
Quando quest'ultimo scorse dei rivoli rossi sul suo campo visivo, capì che il pulsare della sua nuca non era immotivato. Si tastò il naso con le punte delle dita e, portandosele davanti al viso, le vide sporche di sangue.
«Ragazzi, cosa sono queste ur—? Che succede qui?!» John voltò lievemente il capo socchiudendo gli occhi verdi al riconoscere la voce di George; doveva essersi Materializzato poco lontano di lì ed essere corso, con tutta quella confusione, a controllare cosa stessero combinando.
Curioso, per uno come lui, doversi preoccupare per due bambini, vero?
Vero. Perché George aveva visto la guerra, ma non aveva mai visto due fratelli ridursi così male e in così poco tempo. La tonalità del suo viso perse qualche gradazione e gli occhi si sgranarono dalla sorpresa.
Alle sue spalle, la voce di Percy lo chiamava a gran voce, da lontnao, intimandogli di allontanarsi.
«Ciao, George!» Esclamò come se nulla fosse Eric. «Vuoi giocare con me e Johnny?»
«Eric... Eric, mettimi giù, per favore...» John si portò le mani alla bocca per impedirsi di vomitare: l'affluenza di sangue al cervello lo nauseava, forse più del sangue che gli colava dal naso o dalla ferita alla nuca.
George impugnò la sua bacchetta e la puntò contro Eric; in molti non se la sarebbero sentita di attaccare un ragazzino, un bambino, ma non lui.
Non appena il più piccolo dei due opponenti si vide puntare addosso l'arma, letteralmente, obbedì alla richiesta del fratello. George si ritrovò infatti a ruzzolare all'indietro, prendendo al volo John. La bacchetta cadde a terra, poco vicino a loro. 
Il rosso avvertì la spalla destra, quella su cui il corpicino del bambino aveva fatto più pressione durante l'urto, dolergli. Doveva essersela slogata, o peggio rotta. Imprecò a denti stretti; e pensare che il cielo dinnanzi a lui era così limpido!
«John?» Mugugnò alzandosi e aiutando il bambino a fare altrettanto. «Niente di rotto?»
Dal modo in cui, nonostante barcollasse, il castano lo guardò, George ne dedusse che la sua salute in quel momento era l'ultimo dei suoi pensieri. «Eric è posseduto, George. Credimi, non è lui, quello. Non è Eric! Il diario ha fatto venir fuori i suoi sentimenti più oscuri e li ha amplificati! Lui non vuole farci del male.»
La voce di John andava alzandosi di qualche ottava di parola in parola così come il suo pallore; era sul punto di scoppiare a piangere, eppure no l'avrebbe mai fatto. Come poteva non capirlo, George?
John non voleva attaccare il suo gemello, né voleva che terzi lo facessero.
Il rosso non fece in tempo a rispondere che richiuse la bocca così come l'aveva aperta per parlare, tirando di lato il bambino per evitare che un Anatema lo colpisse e gettandosi quasi a terra per afferrare la bacchetta. 
«Quanto vorrei essere mancino, in questo momento!» Mugugnò il rosso, passando la bacchetta dalla mano destra a quella sinistra. 
«Oh, no, non voglio far del male a George! Figurati, non lo farei mai!» Esordì con nonchalance Eric, giocherellando con la sua bacchetta e inclinando il capo di lato. Aveva un'aria innocente eppure maligna. Non sua. «Come potrei? Tu stai facendo tanto per tuo fratello, stai espiando il non essere morto al posto suo cercando di riportarlo in vita! È ammirevole e coraggioso!»
John si frappose tra il fratello e George, senza pensarci scagliò contro il primo un incantesimo non verbale: per il suo corpo, ancora bambino e zampillante di energia magica, era normale rilasciare energia quando si trovava sotto un particolare stato emotivo. Si dicevano essere sprazzi di magia involontaria, eppure John sentì di voler davvero fare male ad Eric. 
Perché lui non poteva capire cosa si provasse ad essere dalla loro parte; da quella di chi sopravvive fisicamente ma che in realtà muore per metà.
«Non è colpa sua se Fred è morto! Smettila, basta!»
«Piantala tu, Polluce
Nello stesso momento in cui a John si gelò il sangue nelle vene, in George scattò una molla: qualcosa che lo riportò indietro.

 
- I due figli del cielo pronunciarono la parola d’ordine, e il passaggio segreto scattò, aprendosi. L’aria si colorò di magia, d’incanto, di un qualcosa attraversante i secoli. Sotto la guida di Castore e Polluce, il ragazzo con i capelli di fuoco osservò meravigliato un albero fiorire.  -

«Ci stai arrivando, eh George?»
«Non c'è niente a cui arrivare!» Sbottò John. «Perché ti comporti così? Ti lasci soggiogare dall'egoismo e dal risentimento, Eric, e questo non è da te.»
«Se qui c'è un egoista, quello sei proprio tu. Hai fatto forse quello che lui-» E qui Eric indicò George. «-sta facendo? Hai anche tu sfidato il destino? Oh, no, certo che no! D'altronde, cos'ero io? Solo il tuo gemello. E un gemello è il riflesso dell'altro, no? Uno vale l'altro. Tu l'immortale, io il mortale; uno dei due è destinato a prevalere sull'identità dell'altro così come uno dei due prima o poi dovrà sparire. È un controsenso il fatto che, così come senza due metà un cerchio non è tale, colui che vive non è più lo stesso dopo che l'altro muore. Se George fosse morto al posto di Fred, cosa sarebbe cambiato? Saremmo sempre qui, ad aiutare uno che non vuole indietro suo fratello. Perché lui vuole indietro se stesso, perché sente che per tutti gli altri non è più George. No. Per tutti lui è Fred. Al nostro caro Grifone non importa della vita di Fred, vuole solo che la gente smetta di rivedere in lui il fantasma di suo fratello; una persona che non è e non sarà mai.»
«Eric.» George prese da terra la sua bacchetta e la strinse, ancora un po' e la sua stretta sarebbe divenuta tale da spezzarla in due. «Ma che cazzo stai dicendo?» 
  
Sputò fuori quelle parole con un tono di voce talmente duro che a stento Percy, comparso dietro di lui in quel momento, lo riconobbe. Vide suo fratello Schiantare un bambino che era la fotocopia di un altro il quale lo affiancava e... E sinceramente, non ci stava più capendo niente!
Gli tremava la voce, lo sapeva solo ascoltando un abbozzo di parola farfugliata che tentò di uscirgli dalle labbra quando George corse a soccorrere quella specie di demonio. 
Solo un demonio – Si diceva chiunque, lì intorno – o un seguace del Signore Oscuro, sarebbe capace di questo.
John sentì, preoccupato, il polso del fratello. Era riverso a terra e sul viso c'era un'espressione corrucciata, infastidita, come se stesse lottando per riprendere i sensi. Ma era vivo, fortunatamente, e ciò fece gioire il bambino, prima che tornasse serio. Sentì delle voci lontane che perlustravano le strade. Gli Auror si erano mobilitati.
«Andiamo via.» Sentenziò, Appellando la sua bacchetta. George annuì e fece per prendere in braccio Eric, ma John lo fermò. «È mio fratello, a lui ci penso io. E poi, devi poter usare la sinistra, no?»
Il rosso sorrise mestamente e annuì. «Faccio schifo come mancino.»
«Allora siamo fortunati. Se fossi stato al bravo non basterebbe un Reinnerva ad Eric.» John sorrise stancamente e si chinò, facendo passare un braccio del fratello attorno alle sue spalle, cercando di tirarlo su.


*

«Cosa diavolo ti è saltato in testa? Eh?»
Hailey si morse il labbro passandosi una mano fra i corti capelli scuri, a capo chino. Max aveva tutte le ragioni di avercela con lei, lo sapevano entrambi; d'altronde, era sua la responsabilità di insegnarle ad agire sul campo. Se fosse stata sola, probabilmente, avrebbe fatto finire in guai seri lui, James, e quella sottospecie di loggia di protettori del tempo.
«Mi spiace. Davvero, Max, ho sentito di dover lanciare quell'incantesimo. È stato un istinto irrefrenabile! Come se fosse destino, la cosa giusta da fare.»
«Hailey, devi ringraziare il cielo che avevi al collo la protezione, capisci? Perché altrimenti― Non ci voglio pensare!»
La Grifondoro annuì, fissando con sguardo perso la suddetta protezione. Somigliava molto a una Giratempo, ma l'unico tempo su cui effettivamente agiva era quello corrente per chiunque la indossasse. 
Anche lei e James ne avevano una; senza quella, pur spostandosi indietro nel tempo, si sarebbero persi fra un'epoca e l'altra.
«Direi che possiamo lasciar stare, si tratta di un semplice Evanesco
Max fece per ribattere, ma lo sguardo di James lo pierificò. Il biondo guardò poi Hailey. «Qui?»
«Sì, qui. Non ricordo niente, in realtà, ha fatto tutto Max. Ma è qui.»
«Nella sua visione c'era qualcuno, un'ombra, che risaliva un muro di mattoni molto alto. Ma i mattoni erano di carta e sopra c'erano dei numeri, che andavano via via aumentando. Fino alla fine del tunnel, la cima, che era datata 1998.» Spiegò il moro. James annuì con fare pensoso e si sporse dal cornicione del palazzo sul quale si erano Materializzati. «E il libro, diario o quaderno in questione sarebbe quello?»
Max guardò Hailey in cerca di conferma e la mora, subito dopo essersi affacciata per cercare la figura sgualcita del libro in questione, si tirò in dietro di scatto e si voltò, piegandosi in due.
«Sì.» Annuì Max, indicando con un cenno del capo la chiazza di vomito lasciata dalla Grifondoro sul pavimento. «Direi che è quello. E anche qualcosa dentro quello zaino vicino.»
«Non chiedere conferma stavolta, però.» Mormorò Hailey, pulendosi la bocca con la manica del maglioncino e guardando male l'Indacocclumante.
«Signori, sapete cosa fare, dunque.» Esordì sospirando James, puntando la bacchetta contro un punto lontano. Max e Hailey fecero lo stesso. «Io il libro, voi lo zaino. Al tre! Uno, due... Tre!»
«Confringo
Contemporaneamente, tre fasci di luce tagliarono in due l'aria e provocarono un esplosione di dimensioni controllate che chiunque si trovasse nella Gelateria Florian poté ammirare.

«Perché si agita così tanto?»
«Non ne ho idea, entra qui! Ci Smaterializzeremo in un posto sicuro e stasera prenderemo la Passaporta.» 
George si voltò per controllare che la Polvere Buiopesto Peruviana stesse tenendo ancora sotto controllo gli Auror e spintonò John in un vicolo fra due negozi di articoli magici. «Dentro, forza!»
John si trascinò dietro Eric, ma non appena George fece per andar loro dietro il 'Crack' della Materializzazione lo bloccò. 
«George, per Merlino, tu... Hai completamente perso il senno!»
Il rosso si voltò; era così nervoso che avrebbe potuto prendere a urlare in faccia al fratello qualsiasi cosa, anche la più nsensata. Ma lo sguardo ferito di Percy lo bloccò. 
Percy era deluso, deluso da sé stesso per non essere stato un buon fratello; era frustrato, perché non capiva come aveva fatto a lasciare andare due persone in una sola volta; ed era arrabbiato con George, perché come suo solito lo stava trattando come l'ultimo degli idioti.
Senza vedere quanto i sensi di colpa lo portassero, ogni notte, a fare sempre lo stesso sogno.
«Non sono impazzito.» Mormorò stancamente George. Percy serrò la mascella e si avvicinò in poche falcate; suo fratello minore lo sovrastava di qualche centimetro, ma ciò non gli importava minimamente.
«E allora spiegami perché.» Ringhiò. «Porca miseria, George, perché non sei più tornato a casa? Perché hai costretto Ron a campare scuse in aria per coprirti? Perché sei insieme a quei due piccoli... Cielo, non so neanche chi o cosa siano! Perché? Eh, George?»
«Per Fred!» Sbottò George, trattenendo malamente un singhiozzo. Si passò una mano sulla fronte mandida di sudore e scosse il capo. «Sto facendo tutto questo per Fred, Percy. Non sono lui, ma lo rivoglio indietro! Puoi provare a fidarti di me, per stavolta? Niente scherzi, né prese in giro o altro. Non siamo più dei ragazzini, per una volta ti sto parlando seriamente.»
A quelle parole, gli occhi blu del più grande si inumidirono visibilmente; da quando era successo, il nome di Fred era una specie di tabù. Non lo si doveva pronunciare in presenza di George, perché rischiava di farlo sprofondare in un'apatia peggiore dei suoi vani tentativi di mostrarsi sereno. Ora, invece, era George stesso a rompere il tabù.
Con una mossa secca, diede uno strattone al braccio destro di George, facendogli lanciare un urlo. Dopodiché, gli diede una pacca sulla spalla. 
«Meglio?» George mosse la spalla e annuì. «Bene. Ora, va' via, sposterò la tua Passaporta a Edimburgo, un'ora prima.»
«Grazie, davvero Percy. Grazie.»
«A te. E ora, muoviti.»

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Capitolo 20
*** TimeRiders ***


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TimeRiders


L'arcata non era mai stata più sgombra: vivere con due maschi significava avere a che fare con il caos ogni giorno, per Hailey, ma l'attitudine di quest'ultima al disordine faceva sì che la cosa non fosse mai un problema.
Quel giorno, però, il salone era completamente libero: Max aveva – Su richiesta di James – spostato i mobili verso le pareti perché quest'ultimo potesse tracciare la Runa Temporale sul pavimento.
«Di solito non hai bisogno di tanto spazio.» Osservò Hailey, seduta sul tavolo con le gambe penzoloni e osservando il ragazzo biondo che, con la bacchetta, solcava la moquette malandata. James terminò di tracciare la Runa in silenzio, completamente assorto, e poi si alzò. «Perché di solito non ci sono passaggi da attraversare.»
«Passaggi?»
«Nella tua visione c'era una persona che, come dire, scalava un passaggio per arrivare nel presente del 1998, no? Ecco, è tutto nella tua testa.»
«James, ora sono più confusa di prima.» Sbottò Hailey, scendendo dal tavolo e raggiungendolo: la Runa brillò di luce argentea all'avvertire l'energia magica sprigionata dalla pietra che la Grifondoro portava al collo, come sempre. James fermò la compagna e la fece indietreggiare. Prese il suo zainetto e ne tirò fuori un accozzaglia di fogli e rilegature che Hailey non riconobbe subito.
«Ma questo...» Hailey sbiancò e al sentirsi cingere le spalle si voltò di scatto, accorgendosi di essere quasi finita addosso a qualcuno: Max la lasciò andare in tutta tranquillità «Non ti morde, tranquilla.» ed indicò il libraccio con un cenno del capo.
«Quello dovrebbe essere un passaggio? Sembra alquanto malridotto.»
«Mettiamola così: il diario che voi due avete puntato è andato distrutto subito. Polverizzato, andato. Questo invece no. A occhio e croce direi che è protetto, e se è così dev'esserci una ragione.» Spiegò James. «Qualcosa è imprigionato qui dentro, potrebbe essere l'Horcrux di qualcuno. Oppure potrebbe essere un passaggio che attraversa il tempo. E, semplicemente, se distruggiamo l'altro capo e poi anche questo, debelliamo il pericolo. Vi è chiaro?»
«C'è una cosa che non mi è chiara.» S'azzardò Hailey, alzando la mano. Max bofonchiò un “Ti pareva” mentre James la incitò ad andare avanti. Dunque, la ragazza indicò stizzita l'americano al suo fianco. «Dobbiamo proprio andare insieme? Gli agenti operativi si alternano, o almeno così mi hai detto tu!»
«Come se a me facesse piacere!» Ribatté Max.
James si interpose fra i due dividendoli bruscamente e guardandoli entrambi con gli occhi azzurri ridotti a due fessure. «Mandarvi da soli è troppo pericoloso e per il bene di tutti spero che riusciate a non bisticciare almeno in missione, per cui il primo che lascia morire l'altro ne risponderà a me. Vi è chiaro?»
«...Chiaro.» Bofonchiarono Max e Hailey. James annuì convinto e andò a posare il libro sulla Runa del Tempo.
Fece finta di non accorgersi della linguaccia che Hailey fece a Max, o della smorfia con cui l'americano rispose.
Il meccanismo con cui si viaggiava nel tempo secondo i TimeRiders – Nome adoperato sul campo – era semplice: il viaggiatore doveva indossare una pietra – Variante a seconda del proprietario, in quanto essa veniva scelta in base al segno zodiacale e all'ascendente del destinatario – che lo avrebbe reso intoccabile dalle ondate temporali – I cambiamenti causati dai viaggi nel tempo, in sostanza.
Solitamente erano i due Agenti Operativi della squadra ad averne una, in quanto il terzo membro era la mente del gruppo, ma poiché poteva capitare che le circostanze richiedessero l'intervento di più persone, anche all'Osservatore veniva fornita.
L'Osservatore, lì, era James, che aveva il compito di uscire ogni giorno e guardarsi intorno, semplicemente: individuare il più piccolo cambiamento nel presente – Il colore di un cartellone, le dinamiche di un avvenimento, la presenza di un negozio – era il primo passo importante.
Se qualcosa cambiava voleva dire che il tempo era stato alterato, e la conferma arrivava insieme al malessere del secondo membro: l'Empatico, il quale soffriva di visioni legate ad avvenimenti significativi passati, presenti o futuri.
Solitamente, chi aveva quel ruolo era naturalmente predisposto, o aveva una personalità altamente recettiva.
Hailey aveva questo compito all'interno del trio, che aiutava a capire quale punto della storia – Nell'arco di un secolo – fosse stato modificato.
Ad interpretare le visioni, era il Legilimens del trio, detto Scrutatore, che assisteva alle visioni.
A quel punto, scoperta la falla, l'Osservatore tracciava la Runa del Tempo servendosi di un incantesimo solo a lui noto e questa, all'avvertire l'entità magica dell'agente – E della protezione – immediatamente vicina a lei, reagiva di conseguenza. La catturava e la filtrava attraverso la barriera dello spazio-tempo.
«La protezione subisce lo stesso incantesimo con cui viene creata la Runa.» Aveva spiegato James ad Hailey, la prima volta in cui l'aveva portata con sé in un viaggio di prova. «Non la trasforma, no, ma in questo modo, la Runa sa che sei un viaggiatore. Come quando prendi un treno e devi avere il biglietto, solo che qui o ce l'hai o non vai da nessuna parte. Per controllare l'arrivo, non devi fare altro che fidarti di te stessa. È tutto nella tua testa
Max guardò assorto la Runa reagire al contatto con l'oggetto, segno che era stato stregato, e poi guardò Hailey con sguardo eloquente.
«Il Revelio.» Le ricordò.
La castana annuì meccanicamente e si affrettò a pronunciare l'incantesimo insieme a lui. Fece un passo avanti incuriosita, quando le pagine, già stracciate di loro, si sparpagliarono disordinatamente, sollevate da un turbinio senza fonte. Davanti ai loro occhi, in pochi secondi, al posto della moquette, c'era un foro nel pavimento.
«Per Godric!»
«Prima le signore.»
Hailey superò Max a passo di carica dandogli una spallata; dal bordo del foro, vide che c'erano delle scale a chiocciola fatte in marmo chiaro. O almeno così pensava finché non vi poggiò un piede sopra e le sentì emettere un suono secco.
«Carta.» Commentò James, che le aveva afferrato una mano non appena aveva sentito lo scricchiolio.
«Però regge.» Aggiunse Max, poggiando a sua volta un piede sullo scalino con cautela. «Non sembra esserci pericolo, ma è meglio essere prudenti. Lumos
Così dicendo, il ragazzo si addentrò per le scale con passo felpato, trattenendo il respiro ad ogni movimento brusco che faceva.
Dietro di lui, Hailey procedeva a passetti.
Max sentiva il suo respiro affannato dall'ansia e, probabilmente, dalla prospettiva di avere la superficie sempre più lontana. Gli venne in mente che da quando era arrivata, lui e James non avevano più potuto spegnere tutte le luci, la sera.
«Dammi la mano.»
«Cosa
«Ti ho detto di darmi la mano.»
La Grifondoro avvertì le guance arrossarsi leggermente, mentre annuiva e prendeva la mano che Max le porgeva: erano ostili l'uno nei confronti dell'altra praticamente da quando si conoscevano, per chissà quale motivo. Forse era quella la ragione per cui James non la mandava mai in missione da sola.
«Tu in giro per la storia da sola? Cielo, Hailey, una parte di responsabilità sulla vostra condotta è mia. Ho fiducia in te, ma non sono stupido.»
...Beh, le sue ragioni le aveva.


*
 
                                                                         Foresta Baciu, Romania
George si svegliò di soprassalto nel momento in cui, a causa di qualche movimento fatto nel sonno, cadde dal divano: aveva dormito per tre ore buone – Notò guardando l'orologio appeso alla parete di fronte a lui – abbracciato al cuscino e per di più lasciando la bacchetta abbandonata sul pavimento.
C'erano stati tempi in cui non avrebbe potuto farlo tanto a cuor leggero, ma non sapeva proprio cosa avesse da temere, lì.
Si alzò sbadigliando e recuperò la sua bacchetta da terra mettendosela in tasca, e si affacciò su quella che di consueto era la camera di suo fratello Charlie.
La Romania – Nello specifico la casa di suo fratello maggiore – era il primo posto che gli era venuto in mente in cui lui, John ed Eric potessero trovare ristoro senza dover dare spiegazioni – Anche perché Charlie era ancora in Inghilterra – e dove quest'ultimo si sarebbe potuto riprendere.
Era accoccolato sotto le coperte, però si era svegliato; stava dicendo qualcosa a John sottovoce. George diede un colpo di tosse e non appena ebbe entrambi gli sguardi smeraldini dei gemelli puntati addosso fece loro un cenno di saluto con la mano ed entrò.
«Come va?»
Eric sorrise come se l'avessero appena pescato a rubare marmellata ed abbassò lo sguardo sulle sue mani, che giocavano nervosamente con le lenzuola. «Davvero è la prima cosa che ti viene in mente di chiederci?» Chiese.
«Davvero.» Annuì il più grande, sedendosi sul letto con nonchalance. «Perché, cosa dovrei chiederti?»
«Ad esempio,—» John si passò una mano fra i capelli inspirando a fondo, nervoso. «—dovresti volere delle spiegazioni.»
«O qualcosa del genere.»
«Come minimo.»
«Ci dispiace di averti mentito, George.» Aggiunse subito Eric. «Ma ci sono cose che non puoi venire a sapere così alla leggera. Del tipo—» George alzò subito una mano per zittirlo. «Non me lo dire, okay? Non m'importa!»
I gemelli si scambiarono un'occhiata perplessa, chiedendosi che razza di reazione fosse quella, e poi lo guardarono, sbottando all'unisono: «Non t'importa?»
«Sembrerà assurdo, ma dopo una vita come la mia impari che tutto – ma proprio tutto – è possibile e ha un suo senso.» Spiegò semplicemente George, notando le loro facce stupite. «Cosa siete, delle reincarnazioni? Qualcosa del genere?» Continuò, gesticolando per aggiungere enfasi alle sue parole, per poi esclamare: «Bene! Che problema c'è?»
«Ma...»
«Per tutti gli Dei, Weasley, e se avessimo avuto cattive intenzioni?!»
George scoppiò in una fragorosa risata «Con quei faccini d'angelo? Sul serio?» che andò via via calmandosi. «Mettiamola così: non ho idea del perché siate sbucati fuori dal nulla, non me lo chiedo neanche perché è inutile arrovellarsi il cervello. Ma la possibilità che mi avete dato non me la sarei lasciata sfuggire per niente al mondo. Davvero, grazie.»
Ed era serio; George sembrava sereno, gli occhi color nocciola erano appena lucidi ma in essi non c'era tristezza, perché per lui poter riavvolgere tutto, tornare indietro e riprendersi suo fratello era il dono più grande. Più prezioso dei Tiri Vispi o di qualsiasi altro bene che fino a pochi anni prima gli sarebbe parso di vitale importanza.
John annuì e, guardando il gemello di sottecchi, lo vide fissarlo con uno sguardo carico di qualcosa che non seppe definire: il fatto che, fisicamente, stesse cambiando, come lui, significava che erano sempre più vicini al compimento della loro missione.
I capelli color cioccolato incorniciavano ora un viso dai tratti sempre armoniosi ma meno paffuti, che era illuminato da occhi sempre grandi ma con un taglio più affilato. Espressivi come sempre, sembravano voler specchiare il suo stato d'animo.
«Io non posso capirti appieno, però ho quasi ammazzato mio fratello. Il che, è anche peggio.» Bofonchiò. «Mi dispiace, non so cosa mi sia preso.»
«Oh, tranquillo Eric, l'intera Diagon Alley se n'è accorta!» Esordì ironicamente George, in tono allegro. «Sì, la smetto, Granger mancato.» Aggiunse poi all'indirizzo di John, il quale non pareva trovare così divertente la faccenda.
«Sul diario sono apparsi dei versi che parlavano di... noi, ecco.» Qui si morse il labbro nervosamente, giocherellando con le dita. «Ma allo stesso tempo sembravano non riferirsi solo a noi. L'unica cosa che so per certo, però, è che ad un certo punto non ci hai capito più niente, Eric.»
«Infatti non ricordo molto, l'unica cosa che ricordo è... Niente. Ad agire ero io, e ammetto che mi sentivo bene, sentivo di volermi riscattare, di poter essere più forte!» Ammise il bambino, con voce soffocata. Prese un profondo respiro; le sopracciglia erano aggrottata e gli occhi confusi che cercavano di scrutare qualcosa di troppo lontano per essere davvero accaduto solo poche ore prima.
«Ma non ne capivo il motivo. Non che m'importasse, certo, ma erano sentimenti non miei.»

*

«Beda il Bardo? Non sei molto credibile!»
Max rivolse un'occhiataccia alla compagna d'avventura, chiudendo in un colpo secco il libro. «Newt Scamander? Scriveva in modo davvero singolare, se per capire il testo devi tenerlo al rovescio.» Ribatté.
Hailey sbuffò e chiuse il libro con calma, guardandosi attorno con aria assorta. Vicino a loro un ragazzo di Serpeverde dai capelli unti studiava indisturbato, senza badare a loro. Come avrebbe potuto, dato che grazie alle loro Protezioni, erano completamente Disillusi?
«Quel ragazzo, un giorno, insegnerà Pozioni qui ad Hogwarts.» Esordì Hailey, indicando il giovane dai capelli neri che, resosi conto dell'orario, prese a riporre i libri nella borsa. Uno strano sorriso le increspò le labbra. «Non credevo che, un giorno, avrei rivisto questo posto. Figurarsi nel passato, poi!»
«Strano orario d'arrivo, non trovi?»
«Dici?»
«Il tuo futuro professore di Pozioni se ne sta andando, per cui possiamo dedurre che il coprifuoco scatterà a momenti. O, molto probabilmente, essendo lui un Prefetto, potrebbe già essere l'ora delle ronde notturne.»
Hailey diede un'occhiata al suo orologio da polso, ormai fermo da giorni sulle dieci e trenta del mattino e sbuffò, gettando un'occhiata oltre qualche scaffale più in là, intravedendo il cielo notturno del 1976 filtrare i raggi lunari nell'edificio. Trattenne un moto di angoscia quando si rese conto di essersi domandata se il paesaggio sarebbe stato poi molto diverso da come lo ricordava lei, se si fosse affacciata da quella vetrata.
«Vado a rimetterli a posto. Abbiamo aspettato a sufficienza.» Sbottò alzandosi di scatto, facendo quasi cadere la propria sedia e prendendo di mano il libro di fiabe a Max, il quale la guardò svoltare l'angolo senza fare una piega. Fissò quel punto per interminabili secondi, prima di distogliere lo sguardo color notte e puntarlo sulle sue mani.
Se era vero che il futuro era scritto tutto lì, su un palmo, se era vero che ciascuno costruiva il proprio avvenire con le sue mani, allora loro cosa potevano fare?


«E allora di chi erano?»
Eric si strinse nelle spalle, guardando George fare avanti e indietro per la stanza, lo sguardo pensoso rivolto al soffitto, le mani sui fianchi e la bocca contratta in una smorfia. Rispose: «Non ne ho idea.»
«Di colui che ha creato il diario! Potrebbe essere possibile!» Esordì John, schioccando le dita con enfasi, soddisfatto della sua ipotesi. «E mi gioco qualsiasi cosa sul fatto che ha creato anche il libro che ci ha portati ad Avalon!»
«Potrebbe essere così, sì!» Annuì convinto il mago più grande. «Com'è che si chiamava?»


Hailey sistemò il suo libro sulle Creature Magiche nell'apposita sezione; le dita affusolate accarezzarono quelle copertine con affetto.
E pensare – Sorrise al notarlo – che lei non aveva mai stravisto granché per la biblioteca della scuola!
Smise solo quando, alle sue spalle, avvertì un rumore di passi, che la distolse dai ricordi. Doveva essere Max, data l'ora tarda.
Fece per richiamarlo per avvertirlo della sua posizione, ma invece abbassò lo sguardo scocciato sull'opale appeso al suo collo – O meglio, alla catenina che lo reggeva – all'avvertire un lieve strattone. Alcune ciocche brune si erano, chissà come, attorniate alla catenella fino a rimanervi inesorabilmente intrecciate.
La Grifondoro diede qualche strattone lieve al ciondolo ma, temendo di romperlo, si guardò attorno per accertarsi di non essere vista e lo slacciò, liberando i capelli imbrigliati. Prima che potesse risistemarsi la Protezione al collo, udì una voce sconosciuta.
«Le prometto che ci vorrà un attimo, si fidi di me.»
«Sarà meglio per te, signorino. E non credere che ti lascerò entrare di nuovo a quest'ora!» Sbottò una voce femminile che ad Hailey ricordò molto quella di Madama Pince. Si affacciò dalla sua postazione e il cuore mancò un battito: deglutì a vuoto nello stesso momento in cui una testa bionda a lei nota si fece strada nel suo campo visivo. Il sangue le si gelò nelle vene, anche, al distinguere nella semi oscurità i risvolti del mantello dello studente appena entrato.
Verde.
Quel colore stonava molto con quei capelli, coi tratti che le pareva di intravedere e con il fatto che avrebbe dovuto essere blu.
Avvertiva il forte e significativo senso di nausea pervaderla, dinnanzi a quella presenza, ma non ne capiva il motivo! Insomma, lui era suo amico!
«'Sera, Severus.» Salutò nel suo stesso tono pacato il ragazzo.
Il giovane Piton passò vicino al Concasano e gli fece un cenno col capo «Zafón.» prima di affrettare il passo e sparire oltre la soglia della biblioteca.
Nello stesso istante, il rumore secco dell'opale di Hailey che cadeva al suolo echeggiò fin troppo rumorosamente; non quanto la sua voce, però, che attirò comunque lo sguardo ceruleo e fulmineo del Prefetto.
«James—?!»


«Si chiamava Zafón!» Esclamò George. «Ne sono sicuro. Louis Zafón


 


Writer's side
Coro di angeli che cantano l'Alleluja a me, prego!
No, dico, ce l'ho fatta! *^*
Non me ne vogliate, vi prego, sono incasinatissima con la scuola - e con i miei due Pg - tanto che mettere le mani sul computer per più di dieci minuti ormai per me è raro!
Comunque, ecco qui il ventesimo capitolo!
Come vedete, qui ho dato molta importanza alla storia secondo un punto di vista diverso: quello dei TimeRiders.
Ora, per chi non avesse capito bene - io ho cercato di chiarire il più possibile ç_ç - ecco due dritte: i ruoli e il meccanismo sono in parte ispirati all'omonima serie di romanzi di Alex Scarrow - che, vi assicuro, sono fantastici! - però, beh, ovviamente ho cambiato i nomi dei ruoli, adattando il tutto al Mondo dei Maghi, e i meccanismi - tutti inventati di sana pianta.
Per eventuali delucidazioni, se non potete aspettare, contattatemi!
POOOOOOI
 
L'ubicazione della casa di Charlie me la sono inventata, nel senso che fra tutti i posti della Romania ho scelto proprio la foresta Baciu perché ha fama di essere abitata dagli alieni e quant'altro. Insomma, circolano parecchie leggende circa strani fenomeni che mi hanno attirata ed ho pensato: 'E se i maghi ci avessero messo lo zampino?'
Insomma, le attività che si pensano esserci più che aliene potrebbero essere niente di più che incantesimi, no?
Era giusto per farvelo sapere.(?)
E niente, avete visto la Gif a inizio capitolo? Eheheh, opera mia! Credo si capisca abbastanza bene chi è chi. Farla è stato un calvario, ma ne è valsa la pena.
Cercherò, ovviamente, di aggiornare puntualmente il prossimo sabato ma non me la sento di fare promesse perché questa settimana sono piena di esami.
Nel caso, scrivo tutto nel mio fantareal di Facebook - il collegamento lo trovate nella pagina di questo account, aggiungetemi pure, anche solo per chiacchierare! -
Spero davvero di farcela! Voi, intanto, sbizzarritevi pure e ditemi cosa ne pensate della storia, come credete che andrà a finire, teorie, dubbi e compagnia bella! Io risponderò a tutti; promesso!

Soleil Jones

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Capitolo 21
*** Passaporta ***


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Passaporta


Hailey boccheggiò portandosi una mano alla bocca, come per frenare quell'unica parola che, ormai sfuggitale, aveva attirato l'attenzione del Caposcuola di Serpeverde. I suoi occhi chiari sgranati, sprofondarono in quelli del ragazzo; il suo volto, i suoi capelli biondi. Erano identici!
Eppure, negli occhi di quel James non c'era il cielo, ma il ghiacchio: la desolazione, il dolore, in quel momento anche la sorpresa.
«Chi sei?» Chiese guardingo lui, serrando la mascella e stringendo la bacchetta. 
Hailey si chinò lentamente e afferrò lesta la sua Protezione, tenendo lo sguardo fisso in quello del giovane. «Nessuno.» Rispose con calma, quasi sussurrando per paura di farlo innervosire. «Stai tranquillo, non sono nessuno.»
«Come conosci mio fratello?» Chiese imperterrito lui. Al che, Hailey si sentì il respiro mozzare in gola.
«Tuo fratello?»
«E' morto.»
«Cosa?!»
Hailey sentì la sua voce risuonare più strozzata e acuta del normale. Questo spiegava il colore della sua divisa, sì, ma James non aveva mai fatto cenno ad un fratello gemello. La Grifondoro si diede mentalmente della sciocca: era la prima volta che affrontava una situazione simile; era la prima volta che veniva vista, e per quanto non credeva che la sua potesse essere una vera e propria contaminazione temporale, Max era stato chiaro: parlare con la gente del passato era pericoloso.
«Si dice che il battito d'ali di una farfalla scateni un uragano dall'altro capo del mondo. È quello il principio di base.» Le aveva spiegato James.
Lo shock per aver trasgredito quella regola basilare la colse come uno schiaffo in pieno volto quasi quanto le sue parole.
James era morto?
Il terrore che, magari, tornando al quartier generale lei e Max avrebbero potuto non trovarlo a causa sua le diede un forte senso di vertigine.

Lui dovette leggere la muta confusione che illuminava gli occhi della sconosciuta, tuttavia la cosa non parve rincuorarlo quanto più inquietarlo.
«Ripeto la domanda. Chi sei tu
Hailey aprì la bocca per rispondergli alla stessa maniera di prima, mentre armeggiava con i ganci del ciondolo, pronta ad infilarselo, quando alle spalle del Serpeverde fece capolino un irritato Max.
«Grint, quanto diavolo ti ci vuole per rimettere a posto un libro?» Sbottò, arrestandosi non appena notò la presenza del fratello di James. D'istinto, Hailey lo chiamò per nome con un tono di voce molto simile ad una supplica; della serie “Ti supplico, aiutami a venire fuori da questo pasticcio”.
«Max?» Ripeté confuso il Serpeverde, voltandosi verso il punto alle sue spalle che la ragazza stava fissando.
Il suddetto interessato corrugò la fronte «Ma che ci fa lui qui? E perché non ha la Protezione? Ah, accidenti a te—» e provvedette a sfilarsi il bracciale in cui v'era incastonata la sua pietra, apparendo così dal nulla agli occhi di lui. «—James, che diavolo ci fai nel passato? È pericoloso, non sono da te certi colpi di testa. E si può sapere che hai detto ad Hailey? Sembra abbia visto un fantasma!»

«Hailey?»
«...Sì.» Annuì Max, inarcando un sopracciglio, confuso dalla perdita di colore repentina che stava subendo il viso della compagna. «Grint. Hai presente? Battaglia di Hogwarts, 1998 e via dicendo.»
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, Hailey avrebbe potuto considerarsi una pluriomicida; di colpo, Max si vide colui che pensava essere James crollare a terra come un sacco di patate e dietro di lui Hailey, con tanto di bacchetta alzata.
«Deficiente, lui non è James!» Sbottò inviperita la Grifondoro, tremando mentre si rimetteva al collo la Protezione in fretta e furia.
La bocca di Max si spalancò in una 'O' di stupore e dopo alcuni secondi, portandosi una mano ai folti capelli neri, l'Indacocclumante esclamò frustrato: «Merda—!»



*

 

«Volevi usare una Passaporta in pieno giorno?!»
George diede una leggera ma decisa spinta a John, mentre Eric gli stringeva la mano di modo da potersi girare a guardare in ogni direzione senza perderli. «Abbassa la voce! Vuoi farti sentire dai Babbani?» Soffiò il rosso, rivolgendo suito un sorriso nervoso ad un gruppo di studentesse che già da un po' gli rivolgevano delle occhiate curiose.
«All'inizio avevo fatto predisporre la Passaporta lungo Hight Street, vicino a Hogsmeade. È un insediamento di maghi, cavolo, che problema c'era ad usarla di giorno o di notte?» Aggiunse, poco dopo. 
«Sai che c'è?» Proruppe John. «Non aggiungo altro solo perché dover seguire un giro turistico in un antico castello medievale per te è già una punizione più che sufficiente. Istruisciti, Weasley, apri la mente alla cultura.»
Un sorrisetto soddisfatto incurvò le labbra del ragazzino al vedere il più grande esibire una smorfia disgustata; dopodiché tornò ad ascoltare la guida turistica con spiccato interesse; subito dopo essersi Materializzati ad Edimburgo, sulla Princess Street, una civetta era piombata addosso a George – Letteralmente – nel tentativo di consegnargli un biglietto da parte di Percy, in cui quest'ultimo indicava al fratello l'ubicazione della Passaporta: castello di Edimburgo, una delle torri.
Fortuna voleva che l'antico castello scozzese fosse adibito a museo e attrazione turistica; sarebbe stato molto più facile intrufolarcisi. Ma non sapendo con precisione dove cercare, John aveva proposto ad Eric e George di seguire una visita guidava.
«Visiteremo il castello con qualcuno che lo conosce bene e potremo quindi guardarci intorno e cercare la Passaporta senza che qualcuno si insospettisca data la nostra apparente, eccessiva curiosità.» Aveva spiegato ai due quando George si era ritrovato a dover Confondere il bigliettaio.
«Quanto manca?» Chiese a un certo punto Eric, distogliendo lo sguardo da un arazzo. George diede un'occhiata al suo orologio da polso – Era vecchio, ma almeno segnava bene l'ora – ed emise uno sbuffo di pura impazienza. «Cinque minuti.» Rispose. 
John roteò gli occhi; l'ex-Grifondoro poteva essere coraggioso, divertente e tutto il resto, ma la sua impazienza lo faceva sembrare meno sveglio di quanto fosse in realtà. «Abbi pazienza!»
«Scusi, signorina? E le torri?» La voce squillante di Eric fece ammutolire il mago prima che questi potesse rispondere al suo interlocutore, così come attirò l'attenzione della giovane donna che, cordiale, rivolse tutta la sua attenzione al ragazzino che l'aveva chiamata: «Sei molto curioso, vero? Fra poco le vedremo e prima avrete addirittura l'occasione di sentire gli spari del cannone della Mill's Mount Battery, proprio vicino a noi. Dovrebbero mancare meno di cinque minuti, inizialmente era un modo per segnalare l'orario delle imbarcazioni nello stretto di Forth, ma col tempo è diventata una tradizione cittadina.»
«Della serie: chiedi e ti sarà dato.» Commentò sottovoce John, dando una gomitata a George.
Un mormorio eccitato si levò e, approfittando del fatto che stessero per entrare nella Sala Grande, il rosso puntò la bacchetta su se stesso pronunciando la formula dell'Incanto di Disillusione, facendo subito dopo lo stesso con i gemelli. Fatto questo, tutto ciò che si poté vedere furono leggere increspature nell'aria, curiose quanto il rumore di passi svelti e che si fermarono non appena arrivarono nel cortile del castello.
«Come fai ad essere sicuro che la Passaporta sia nella Mill's Mount Battery?»
«Non lo sono, infatti!»
«John, Lassù!» Esclamò Eric, indicando una grande torre che comprendeva anche due piani del castello. «Cè un cannone, lo vedete?»
George annuì e, prendendo per mano i gemelli, in un 'Crack' Materializzò tutti e tre sulla torre.
M il suo entusiasmo era destinato ad avere vita breve.
«Ma...»
«Qui non c'è niente


*


 
«Non abbiamo altra scelta se non quella di Obliviarlo.» Commentò Max, guardando a braccia conserte il profilo del ragazzo di Serpeverde. Rivolse un'occhiata a Hailey e le fece cenno di pensarci lei. «Controllo che non arrivi nessuno.»
«Va bene, ma... Senti, perché James non ci ha mai parlato di— Beh... Di lui, ecco. Perché?»
Max aprì la bocca per risponderle, ma la voce seccata della bibliotecaria che imprecava lo convinse a tacere e, scattante, prese per il polso Hailey e la trascinò in un angolo fra lo scaffale dedicato ai volumi di storia e il davanzale di un finestrone. Hailey trattenne il respiro, quasi schiacciata contro il petto dell'Indacocclumante, che le aveva messo una mano sulla bocca poco prima per impedirle di proferire parola.
“Come se fossi stupida!” Pensò indignata, pestandogli il piede – E strappandogli così un gemito soffocato.
«Zafón, avevi detto solo—— Per Morgana, che diavolo è successo?!» La voce di una ben più giovane Madama Pince risuonò acuta nella biblioteca. Hailey ringraziò di essere completamente invisibile ai suoi occhi quando la bacchetta della bibliotecaria, illuminatando l'ambiente, puntò lei e Max. 
Il ragazzo tratteneva il respiro ed era teso, ma la sua espressione era quasi impassibile; manteneva una stretta ferrea sulle sue spalle, questo Hailey lo sentiva fin troppo bene, che non accennò a diminuire finché Madama Pince non lasciò perdere l'idea di scovare qualcuno per occuparsi del biondo di Serpeverde.
«Gazza, grazie a Merlino, vieni. Aiutami a portarlo in infermeria!»
Max serrò la mascella e rilassò i muscoli delle spalle, lasciando andare Hailey che, libera di parlare, non osò neanche dargli del cretino.
Il cuore le batteva all'impazzata, anche mentre distruggeva l'entrata del portale.
Avevano dovuto lasciare stare il ragazzo, e adesso lui li aveva visti.
«Potrebbe pensare di aver sognato.»
«Sì, potrebbe


*


A grandi falcate, George percorse l'intero perimetro della torre per l'ennesima volta, tastando ogni mattonella nell'arco di, sì e no, due minuti.
«Mancano due minuti.» Gli fece presente John. «Però qui non c'è nessuno, stranamente. I maghi devono avere a che fare anche con questo, mh?»
«Pensi che facciano sì che il cannone spari da solo?» Chiese Eric, sgranando gli occhi verdi. «Forte
George avrebbe voluto capire che diavolo di importanza aveva che metodo i maghi avessero adottato per evitare ai Babbani di fare quotidianamente su e giù per sparare palle di cannone all'ora di pranzo, quando l'occhio gli cadde su una vecchia scatola di fiammiferi abbandonata vicino alla scarpa di Eric.
Gli occhi nocciola si illuminarono e, sorridendo, la indicò. «Eccola!»
«Cosa...?» 

L'ultima cosa che sentirono i gemelli, prima di aggrapparsi all'ultimo secondo con George alla vecchia scatola, fu il colpo del cannone dell'una e trenta.


 

 


Writer's side
Salve salvino, notturni!
Dire che è tardi è poco, avrei aggiornato un'oretta prima, ma... Capitemi, c'era Madagascar 3 in TV. *^*
Il sonno potrebbe farmi sclerare, spero che il capitolo sia quantomeno venuto decentemente, quindi sarò breve.
Sono a vent'uno capitoli e all'inizio pensavo che la storia avrebbe raggiunto massimo i trenta prima di concludersi. Ora non ne sono più certa, perché prima era ancora tutto una bozza. 
Quel che so per certo è che siamo nel vivo della storia, che ogni capitolo è sempre più travolgente e impegnativo da scrivere e che io ho sempre meno tempo. Perché devo studiare, perché ho quattro Pg - Tracey, Regulus, George e Septimus, sì. Li amo! - e perché sono sempre stanchissima.
Ma non ho intenzione di lasciare l'opera a metà.
Probabilmente salterò una settimana o due, com'è già successo, ma il sabato o il mercoledì, in caso, ci sarò! Ed è anche per questo che vi invito ad aggiungermi sul fantareal, dove scrivo eventuali ritardi nell'aggiornamento.
E... Ehhhhmmmmm... Beh, ovviamente mi farebbe felice sapere cosa ne pensate di questa 'Cosa'. x3
Ringrazio di cuore chiunque mi sopporta e segue/preferisce/recensisce/ricorda questa storia.
Alla prossima!
 
Soleil

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Capitolo 22
*** Upside Street ***


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Upside Street



Quando George riaprì gli occhi si ritrovò disteso su di una superficie erbosa; non era svenuto, ma per quanto fosse abituato ad usare una Passaporta, la foga con cui lui e i gemelli avevano preso quella nascosta sulla Mill's Mount Battery l'aveva scombussolato. 
Vicino a lui, Eric si stava massaggiando il didietro ed Eric si guardava attorno con gli occhi sgranati.
«Credevo che New York fosse piena di grattacieli!» Esclamò. E né Eric né George capirono di cosa stesse parlando finché anche loro non alzarono lo sguardo. Ad entrambi sfuggì un: «Per Merlino!» 
Una moltitudine di persone di ogni età, chiacchieranti e allegre, animavano le larghe strade americane, accalcandosi ai negozi le cui luci e i colori sarebbero state visibili anche a miglia di distanza. Nell'aria si percepiva un forte odore di fritto: cheeseburger, pancetta, hot dog, muffin, cheesecake e tanti altri.
Il tutto alle otto del mattino!
Il cielo era costellato da nuvole bianche, infrante da gente che cavalcava scope volanti e da creature alate: quel particolare dell'America magica non lo conosceva, ma non riusciva a non staccare gli occhi da quel bellissimo spettacolo. 
«Questa non è New York.» Mormorò il ragazzo, infilandosi una mano in tasca per tirar fuori la lettera speditagli da Percy: la rilesse e, davanti ai suoi occhi, comparve un poscritto.


 
“ Non crederai davvero che ti lascerò vagare per New York senza che tu sappia dove andare, spero! Presta attenzione: i Babbani americani fanno sempre le cose molto in grande, sono tipi eccentrici a parer mio, per cui puoi solo immaginare come siano i maghi.
La loro Diagon Alley, chiamiamola così, è detta Upside Street, ed è il luogo in cui ti trovi in questo momento.
Non ho idea di cosa tu debba fare lì, ma per uscirvi ed entrarvi non basta dare un colpetto a qualche mattonella. Smaterializzazione a parte, gli americani utilizzano un sistema di trasporto a specchio: c'è un edificio, riconoscibile perché altissimo. Entra, lascia che controllino la tua bacchetta, vai a schiantarti contro il muro — no, non scherzo — e ci passerai attraverso, ritrovandoti in un bagno del Fairfield Inn, un hotel di Manhattan. 
Funziona come la barriera di King's Cross, in sostanza. Strani gli americani, vero? L'intero edificio, a dire il vero, è una specie di passaggio affatto segreto.
Dalla New York Babbana a Upside Street la strada è la stessa. Non cacciarti nei guai. ”


«Non posso crederci» Sentenziò George, facendo vagare lo sguardo color nocciola su un giovane dinoccolato che in sella ad una moto laccata di rosso atterrava in mezzo alla strada come se niente fosse, salutando un paio di amici.
John, rifiutando l'idea di doversi alzare sulle punte come aveva provato a fare il suo gemello per arrivare a leggere la lettera, prese il foglio spiegazzato di mano al rosso. Eric lo affiancò e i loro occhi si illuminarono contemporaneamente, non appena entrambi ebbero finito di leggere.
«Anche io non posso crederci.» Annuì Eric. «Un intero palazzo del mondo magico americano a fare da collegamento con un hotel Babbano e viceversa. È da megalomani!»
Ma George non si riferiva a quello: non poteva credere che Percy avesse fatto tutto quello per lui.
E per Fred.



*


Nei giorni a seguire, né Hailey né Max avevano parlato del loro ultimo viaggio nel tempo; in effetti a stento si erano rivolti la parola.
Una passava tutto il suo tempo a rimuginare su chissà che cosa, stesa sul suo letto con il capo reclinato all'indietro sul bordo, gli occhi chiari persi e i riccioli castani sparpagliati qua e là, mentre l'altro leggeva e si esercitava con incantesimi di ogni genere da mattina a sera. James si chiedeva se dormissero, quantomeno. 
Aveva anche tentato a parlare con Hailey, confidando nella sua natura ben più estroversa rispetto a quella di Max.
«Hai spazzato il pavimento a sufficienza con i tuoi capelli, sai? Dovresti ricordarti di mangiare, qualche volta. O potresti parlare e dirmi se c'è qualcosa che dovrei sapere.» Le aveva detto, sedendosi affianco a lei e togliendole di mano un Cubo di Rubik. Hailey aveva storto il naso e, riprendendosi il rompicapo aveva scosso il capo; i suoi occhi vagavano per la stanza senza meta. 
«Tutto okay, tranquillo.»
«. . . Bel rompicapo, quello. Quando l'hanno inventato ero al secondo anno e ricordo che ho imparato a risolverlo dopo pochi giorni. Onestamente non avei mai detto che fossi in grado di risolverlo.» Aveva insistito il biondo, cercando di cambiare argomento. «Non che tu sia stupida, s'intende.»
«Non ho la più pallida idea di che rompicapo parli.» Aveva mormorato pensosa Hailey, guardandolo accigliata dalla sua postazione alla rovescia.
Considerato il risultato, l'ex–Corvonero decise di tentare con Max; così, entrando nel salone, schivò per un soffio una Fattura. Max gli rivolse un brusco cenno col capo come a volersi scusare e riprese a tartassare qualcos'altro. «Wingardium Leviosa
James aggrottò la fronte e guardò a braccia conserte il suo compagno di squadra; poi ripensò ai comportamenti di Hailey, fino a realizzare che stavano entrambi reagendo in maniera del tutto innaturale.
«Non vi sarete scambiati di corpo, tu e Hailey?»
«Cosa te lo fa pensare?»
«In questo momento è stesa sul suo letto, in silenzio, a pensare, con un Cubo di Rubik in mano anche se in realtà non ha idea di cosa sia. Mentre tu sei qui, con la bacchetta e per poco non mi hai scagliato una Fattura Mollelingua a vista.»
Max portò il pesante volume di filosofia sopra la nuca del compagno, fra loro tre quell'oggetto aveva sperimentato qualsiasi uso: per James era un'ottima lettura, per Hailey un ottimo rimedio naturale per l'insonnia e per lui un buon fermaporta.
Avrebbe voluto testarlo anche come arma per colpire in testa qualcuno, ma James dovette rendersi conto dei suoi pensieri, poiché fece un passo verso destra.
Era vero: lui ed Hailey parevano effettivamente aver fatto a cambio di abitudini e modi di reagire, non era da lui sfogare in modo aperto e impulsivo i suoi dubbi così come non sarebbe mai stato da Hailey rimuginare su qualsivoglia questione senza dar voce a ciò che le sfiorava anche solo l'anticamera del cervello.
Sbuffò e fece atterrare con un lieve tonfo il grosso libro sul ripiano più vicino, esordendo subito: «Tu avevi un fratello e non ce ne hai mai parlato.»

Gli occhi azzurri di James lampeggiarono di sorpresa e, annuendo e con un tono di voce controllato rispose: «Louis. Sì, siamo gemelli. Quindi?»
Quindi – Avrebbe voluto dirgli – tuo fratello è uno di quegli idioti sconsiderati che si credono padroni del tempo e se avessimo saputo della sua esistenza ci saremmo risparmiati molte grane. 
Sarebbe stata la verità: Hailey scavava da giorni nella sua testa, cercando di costringere il suo sesto senso da Empatica a rilevare anche la minima increspatura nel corso del tempo-spazio che potesse essere stata causata da Louis. Si sentiva colpevole quanto Max per essere stata così sconsiderata, e sarebbe potuta tornare indietro e Obliviare il fratello di James, certo, ma come?
Solo quest'ultimo sapeva tracciare la Runa del Tempo, non avrebbe neanche saputo che inventarsi per giustificare quel viaggio e non era mai consigliabile recarsi in luoghi dove si era già stati in missione, a meno che non fosse necessario rischiare.
Hailey poteva solo cercare di sforzare le sue visioni e Max poteva soltanto lasciarla fare e, nel caso in cui avesse avuto successo, guardare e cercare di capire. Ed era frustrante per entrambi, anche se non ne parlavano mai.
«Lo sai cosa sogna Hailey la notte, ultimamente?» Chiese dunque il moro, serrando la mascella e sprizzando scintille color indaco dalla bacchetta. «È legato alla missione di due settimane fa; sai cosa o meglio chi c'era dall'altra parte del passaggio di carta?»
James aprì la bocca per rispondere, ma non emesse un solo suono. Era come se sul suo viso fosse calata un'ombra che, interiormente, pesava su di lui più di quanto si potesse intuire: la consapevolezza.
«Non dici niente?» Lo sbeffeggiò Max, scuotendo il capo amareggiato. «Andiamo bene, allora!»
«Max...»
«Dimmi solo che ci stiamo preoccupando a vuoto, James,—» Lo interruppe il ragazzo. «—e potrei anche decidere di non prenderti a pugni.»
«Non so dirtelo, purtroppo. Non ho sue notizie da... Beh, effettivamente non l'ho mai cercato. Ed è meglio per entrambi, non è stato facile essere reclutato come TimeRider.»
«Non è facile?» Sbottò Max, alzando la voce di un'ottava. «No, infatti, certo che non lo è! Non lo è stato per me, quel maledetto undici settembre del duemilauno, e non lo è stato per Hailey durante la Battaglia di Hogwarts. Ma né io né lei abbiamo scheletri nell'armadio, mi sembra. Rischio che un giorno tu mi venga a dire: "Max, io sono tuo padre", per caso?»
«Mi stai dicendo che ce l'hai tanto con me perché non ho mai sentito il bisogno o non ho mai avuto la forza di parlare di mio fratello con voi due, Max? Ho capito bene?»
«A saperlo non mi sarei fatto vedere credendolo te!» Urlò Max. Al che, James si fece improvvisamente più serio e perse colore.
La bocca rosea non si mosse quasi al sussurrare con fare atterrito: «Ti ha visto?»


*

 
«L'anno scolastico ad Amstrong termina il ventisette giugno assieme agli esami.» Puntualizzò George, umettandosi le labbra e guardando con fare accigliato il suo bicchiere di Burrobirra: era grande il doppio del normale, come minimo. «E dato che la scuola non ha subito attacchi direi che abbiamo qualche possibilità di entrarci.»
John annuì, mordicchiando la cannuccia della sua bibita: aveva un sapore a dir poco strano. Frizzante e dolciastra, gli solleticava la gola quando l'inghiottiva e gliene avevano servita decisamente troppa. Si chiamava Gazzosa.
Il ragazzino storse il naso stringendosi nelle spalle, pensando che quella specie di gelato che invece aveva scelto suo fratello fosse ben peggiore della sua bibita.
«Allora avremmo potuto prendere una Passaporta direttamente per lì, no?» Osservò Eric, senza preoccuparsi di pulirsi la bocca dalla schiuma della Root Beer Float. Il rosso scosse il capo, scolandosi mezzo boccale in un solo sorso: di stranezze gli americani potevano averne a bizzeffe, ma quella Burrobirra dall'insolito colorito e dal sapore eccessivamente zuccherato le batteva tutte.
Avevano adocchiato un locale e, anche per cercare informazioni utili, vi erano entrati: era come un McDonald's, aveva quell'inconfondibile tocco che contraddistingueva il posto da, ad esempio, La Testa di Porco piuttosto che I Tre Manici Di Scopa. A partire dalle decorazioni a stelle e strisce.

«Non credo. Cioè, si trova pur sempre in cielo! E anche se non ha subito attentati, ha perso degli studenti.»
«George ha ragione: la guerra è una ferita ancora aperta per la popolazione magica.» Annuì John, guardando con particolare interesse un gruppetto di persone che era appena entrato nel locale e che si era seduto ad un tavolo non particolarmente distante dal loro. Erano due ragazzi e una ragazza i cui volti non erano nuovi al bambino e che parevano essere pressapoco coetanei.
Eric seguì lo sguardo del gemello e, subito, aggrottò la fronte. «Hanno un aspetto familiare o sbaglio?»
George e John annuirono e il ragazzino, facendo Evanescere la sua bibita con un gesto veloce della bacchetta, si alzò e si diresse alla pattumiera alta e colorata, posizionata vicino al trio. Senza guardarli, tese l'orecchio e colse qualche pezzo di conversazione.
«Tornerai, vero?»
«Come potrei mancare, Lehireen?»
«Mi chiedo come faranno gli altri, che devono ancora finire.»
«Già. Io non capisco perché celebrare i caduti proprio lì.»
«Molti di noi non vedono più quella scuola come una casa, Martin, neanche io. Ma è giusto onorare tua sorella e tutti gli altri.»
«Vero. Non stai pensando di passare il testimone per la cerimonia a tuo fratello, vero?»
«Certo che no, Logan! Non dirlo neanche, è ancora piccolo e sta già abbastanza male. Tu, invece, per chi vieni?»
«Gabriel Altgriff. Tu, Lehireen?»
«Uno dei tre grandi del gruppo, eh? Comunque, Harmony Wright. Io e Aileen insieme.»
«Certo che è strano, vero? Amstrong aprirà le porte agli ex–studenti dell'Armata, amici e familiari.»
«Sono più fieri delle nostre gesta di quel che danno a vedere.»
John indietreggiò pensoso, scavando nei ricordi e illuminandosi.
«So chi è! Il cognome MacFly vi dice niente?»

Eric e George si guardarono perplessi e stavano per rispondere negativamente alla domanda, quando il ricordo di una foto vista a casa di Cheryl Greene si fece spazio nella sua mente.


 
- Non li conosco se non di vista. Questa qui, ad esempio, quella che si sta pizzicando con il biondino, è una dei ragazzi morti a Hogwarts. Jamelié MacFly; ribelle e attaccabrighe quanto nobile d'animo, dicono. Il suo gemello, qui, Martin, deve esserne uscito distrutto, così come il terzo, Eric MacFly. Nonostante fossero diversi, sempre fratelli restavano. -


«Fa parte dell'Armata come gli altri due!»
«Esatto! E so anche che non avremo problemi ad entrare a scuola!» Esclamò allegramente John; un barlume di furbizia si accese nel suo sguardo smeraldino.



 

 
Writer's Side
Volete uccidermi? xD 
Sì anche io lo vorrei. Ma, ehi, ho la febbre alta eppure sono qui: quindi perdonatemi, vi prego! Fra impegni scolastici e acciacchi di salute, ho terminato solo ora di scrivere questo capitolo!
. . . A dire il vero era già pronto, ma ho voluto allungarlo e aggiungerci un paio di cosette.
Non ho granché da dirvi, ora come ora; o meglio, non so più che volevo scrivervi.
Il fuso orario, prima di tutto. Dunque, se non erro tra noi e gli Stati Uniti ci sono sei ore di differenza, giusto, ma l'Inghilterra ne conta cinque, poiché il suo orario è un'ora indietro il nostro. Quindi, se la Passaporta è all'una, i nostri eroi arriveranno a New York alle otto del mattino!
Poi, ehhhhmmmmm... Il gelato di Eric non l'ho inventato. Esiste e lo amo: amo l'America in generale, ma dettagli!
Ho inventato Upside Street basandomi sull'idea di America che ho io, così com'è avvenuto per Amstrong, e l'hotel cui è collegata esiste veramente! 
E niente. Sparisco.
Vi prego ancora di scusare il ritardo, di essere buoni e dirmi che ne pensate delle schifezze che vi somministro. <3
With love and chocolate,
Soleil Jones

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Capitolo 23
*** Discordia e aggressioni ***


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Discordia e aggressioni


«Chi viene Smistato ad Amstrong ha undici anni e nessuna esperienza con la magia volontaria, quindi sorvoliamo sul pessimo movimento che avete fatto con le bacchette.»
«Come se tu sapessi fare meglio di noi!»
«Ti sei quasi slogato il polso quando ci hai provato!»
«Dettagli, piccole canaglie. Futili dettagli.»
Seduti sugli spalti di un grande campo da Quidditch, i gemelli sbuffarono all'unisono e rinfoderarono le loro bacchette. Dopo aver appurato che avevano ottime possibilità di entrare ad Amstrong, era rimasto loro il problema di come raggiungerla; il metodo più diffuso tra gli studenti – Tra quelli minorenni, per lo meno – era l'uso della metropolitana newyorchese. 
Secondo quanto aveva scritto Hailey a Cheryl nelle sue lettere, il tutto era fatto alla luce del Sole o quasi. George aveva visto una madre insegnare al proprio figlioletto il movimento da far fare alla bacchetta per chiamare il treno in caso di necessità.
«Arriva sempre e dovunque, purché tu non sbagli a muovere il polso, capito?»
Allora il rosso aveva estratto la bacchetta e aveva provato ad imitare l'incantesimo. L'unico risultato che aveva ottenuto era stata una scarica di scintille dorate che erano schizzate fuori dalla bacchetta facendogliela tremare tra le dita.
«Non siate così pessimisti, me la cavavo bene in Incantesimi a Hogwarts!» Ribatté George, cercando di infondere un po' di ottimismo ai gemelli e passandosi la mazza da Battitore tra le mani. Era da molto tempo che non ne impugnava una, e da quanto non cavalcava una scopa giusto perché gli andava di farlo?
Da molto, molto tempo. 
Data la presenza a Upside Street di un centro sportivo apposito, il ragazzo aveva pensato di approfittarne: così, ciondolando vicino alle tribune con nonchalance, aveva continuato a provare e riprovare a compiere il giusto movimento per Appellare l'Espresso per Amstrong, usando la mazza come se fosse stata la sua bacchetta magica.
«Sì, certo.» Assentì Eric, alzandosi e allontanandosi dal fratello e dal mago. John lo seguì con lo sguardo, perplesso. «Dove vai?»
«A fare un giro, torno subito.»
John seguì la figura del fratello finché questa non scomparve, subito prima di sentirsi colpire il testa; allora fulminò George con lo sguardo. «Ehi!»
«Prendi una scopa, dai, da solo non è divertente!»


*
 

«Avete fatto a botte?!»
«Solo un pugno innocente.» Disse atono Max, mentre Hailey gli schiaffava in faccia, sul labbro sanguinante, una bistecca surgelata. «Ah—! Accidenti a te, Grint!»
«La prossima volta mirerò più in basso.» Sibilò in risposta la mora, sedendosi di fronte a James e imbevendo d'alcool un po' di cotone; medicali alla bell'e meglio era il massimo che poteva fare al momento. In fin dei conti non si era mai pensato che due TimeRiders si sarebbero potuti prendere a botte e di conseguenza nessuno aveva rifornito la base di garze e compagnia bella.
Ultimamente c'era tensione all'interno del trio: tra James e Max pareva essere scoppiata una guerra – O almeno così era da parte dell'americano –, tra Max e Hailey i rapporti erano a dir poco burrascosi per motivi ignoti alla prima – Che comunque rispondeva a ogni singola provocazione con quanta più acidità possibile – e fin troppo chiari al secondo, mentre tra Hailey e James pareva essere calato un velo sottile ma impenetrabile altrimenti noto come diffidenza.
«Vorrei sapere perché.» Borbottò sospirando Hailey, tenendo fermo James per poter disinfettare il sangue colante dal sopracciglio destro.
«Perché cosa?» Domandò lui, soffocando un gemito di dolore.
«Perché siete venuti alle mani? Sul serio, mi allontano per andare in bagno e cosa trovo quando torno? Non due maghi, due adulti— Oh, no, no, proprio no. Trovo due marmocchi!»
«Da che pulpito—!» Sbottò Max, guardando storto la compagna.
«Non è che tu possa dire qualcosa. Chi sono i due adulti responsabili e maturi che l'altro giorno si sono tirati piatti e stoviglie fino a distruggere la cucina?»
«Vuoi un altro pugno?!»
«Okay, Time out! Adesso basta! » Sbottò Hailey, lasciando perdere il sopracciglio di James e alzandosi di scatto. «Mi sembra evidente che siamo tutti e tre dei completi deficienti, lo ammetto io per prima! Non volete andare d'accordo? Bene! A questo punto che si fa, molliamo? Perché io ne ho abbastanza di tutti questi litigi.»
«Cos'hai in mente di fare?» Mormorò James all'indirizzo della mora, la quale afferrò la propria bacchetta con malagrazia e si voltò a guardarlo. «Voglio andare via.»
Max sospirò profondamente, allontanando la bistecca surgelata dal suo labbro inferiore. «Credo di averti detto già centinaia di volte che non puoi far—»
«E credi che mi importi qualcosa?! » Lo interruppe Hailey, alzando la voce. 
«Dovrebbe!»
Max le fu subito di fronte, contrastandola con i suoi quindici centimetri di altezza in più e guardandola con sguardo dardeggiante.
«Forse non hai capito che qui non conta ciò che interessa a te, Grint. Forse non hai ancora realizzato che hai un dovere nei confronti di tutto il mondo e che non puoi fare quel che ti salta in testa durante i tuoi cinque minuti. Per cui ora te lo chiarisco io: tu da qui non ti muovi.»
«Oh, invece lo capisco. Il dovere, la salvaguardia del tempo e quant'altro! Solo che sono ancora dotata del mio libero arbitrio, Maximilliam, e di conseguenza sono libera eccome di fare quel che mi salta in testa durante i miei cinque minuti.»
«La fai molto facile, vero? Hai diciassette anni, Hailey, sei abbastanza grande per poter mettere da parte i capricci. Odi dover vivere così? Beh, benvenuta nel club! Anche io e James lo odiamo, proprio come te avevamo una famiglia che a quest'ora fuori di qui non esiste neanche, ancora!» Sbottò Max. «Lo sappiamo, dannazione, e quindi? Qual è il tuo brillante piano per rimediare? Uscire da quella porta e avventurarti in un'epoca che conosci appena e che giusto domani verrà stravolta da un'inondazione che rimarrà nella storia?!»
Hailey si perse nelle iridi scure del ragazzo, colpita da quelle parole. James avrebbe voluto fermare sia lei che Max, ma lui per primo era arrabbiato e stanco. E, inoltre, a cosa sarebbe servito?
Max era come una bomba a orologeria costantemente pronta a esplodere, mentre Hailey reprimeva un'ondata di potere derivante dalle sue forti emozioni che se non sfogata sarebbe stata pericolosa per lei e per loro.
Erano entrambi nervosi e, per quanto fosse sbagliato, quello era il loro modo di scaricare la tensione: sfogarla senza il minimo raziocinio.
«Vuoi mandare al diavolo la possibilità che ti è stata concessa?» Continuò Max con voce tremante. «Vuoi morire?!»
«Iᴏ sᴏɴᴏ ɢɪᴀ' ᴍᴏʀᴛᴀ, Mᴀx!» Urlò Hailey; contemporaneamente, dalla sua bacchetta fuoriuscirono scariche elettriche che la spezzarono in due e che, insieme alla sua affermazione, fecero sì che Max indietreggiasse come scottato.
Hailey trattenne il respiro abbassando lo sguardo sulla sua mano destra, la cui pelle puzzava di bruciato ed era percorsa da varie ferite e tagli. Le due metà della sua bacchetta caddero a terra inermi e, a quel punto, non riuscì più a trattenere i singhiozzi.
James si alzò di scatto e la raggiunse, cercando di avvicinarla, ma lei si ritrasse bruscamente per impedirgli di toccarla. Non voleva rischiare di fargli fare la fine della sua bacchetta. 
«Non è vero, Hailey.» Affermò James, cercando di mantenere un tono calmo per non farla agitare. «Grazie al cielo sei qui e sei viva.»
La ragazza scosse il capo, stringendo le braccia al petto e continuando a guardare Max. «Questa non è vita, questa è una non-esistenza. E vorrei capire una cosa, Max: cosa ti ho mai fatto perché tu possa odiarmi tanto? Da quando sono arrivata, non l'ho ancora capito.»
Il moro non rispose: gli occhi neri erano lucidi e la mascella serrata. Si limitò a indietreggiare e ad uscire dalla cucina sbattendo la porta.
James sospirò guardandolo sparire oltre la soglia e non fece in tempo a voltarsi che Hailey stava già correndo fuori, diretta alla porta d'ingresso.
«Hailey, aspetta!» Fulmineo, James la raggiunse e l'afferrò per un polso; faticò non poco per riuscire a far sì che la ragazza si voltasse verso di lui, aveva davvero una forza straordinaria, ma non si diede per vinto finché non riuscì a prenderle anche l'altro polso e ad incrociare il suo sguardo smeraldino.
«Ferma, sta' calma. Tranquilla, va tutto bene.» Le sussurrò, allentando la presa sui suoi polsi. Persasi negli occhi color acquamarina di James, Hailey sentì il respiro farsi man mano più regolare.
«Respira, okay? E guarda me.» Continuò il biondo, lasciandola andare per accarezzarle le guance bagnate con entrambe le mani. «Piangi, ti fa bene, ma continua a guardarmi. Non lasciarti andare, Hailey. Io... Ascolta: io ho gli occhi azzurri, vero?»
Hailey annuì.
«Concentrati su questo colore. È il tuo preferito, no? Cosa ti ricorda?»
Hailey esitò un momento, e in quei pochi attimi James sperò ardentemente di riuscire a non perderla. Quando era andato a prenderla per reclutarla sapeva molto di lei, a cominciare dal fatto che fin da prima che scoppiasse in definitiva la Seconda Guerra Magica la ragazza aveva un carattere così avventato ed emotivo da essere incapace di gestire i suoi sprazzi di magia involontaria.
Era il suo tallone d'Achille; continuare a soffrire di attacchi simili era un handicap che in guerra, in combattimento, poteva rivelarsi un'arma a doppio taglio. 
E se si era orgogliosi quanto Hailey January Grint, la situazione era anche difficile da sopportare.
Ma è forte – Gli aveva detto Max; lui era subito stato d'accordo – e non sarebbe sola ad affrontarli.
«Allora?» La incoraggiò James.
«Casa. Mi ricorda casa.» Gli rispose in un sussurro Hailey, stringendosi di slancio al suo petto. James trasalì all'improvviso contatto, irrigidendosi, ma subito ricambiò la stretta, affondando il capo nei capelli color cioccolato della compagna e posandovi un bacio.
«Ovunque tu abbia qualcuno che ti ama, lì puoi dire di essere a casa. Ed io ti voglio bene, Hailey. Ricorda che ti voglio davvero molto bene.»

 

*


«Dall'alto verso il basso e poi in alto; quindi scendi e— E non me lo ricordo già più! Uffa.» Eric imprecò a mezza voce, soffiando sulla punta della sua bacchetta perché si raffreddasse. Non gli era mai importato di eccellere con la magia quanto in quel momento e non riuscire ad ottenere i risultati voluti lo sconsolava.
Eppure non poteva essere così complicato, a meno che l'incantesimo non avesse un blocco che impedisse a determinate persone di usarlo.
«Forse funziona solo se sei americano.»
«Nah, noi non facciamo così tante differenze, sai?»
Sobbalzando, Eric si voltò verso la voce argentina che l'aveva distolto dai suoi pensieri: una bambina dai riccioli biondi lo guardava con interesse e innocenza. Aveva tutto l'aspetto di una piccola strega, non l'avrebbe scambiata per una Babbana nemmeno se l'avesse vista a New York anziché lì: aveva lo sguardo vispo e curioso color del cielo, capelli biondissimi ricci e sparati in tutte le direzioni i quali incorniciavano un visetto da angelo. Indossava abiti colorati talmente grandi che la facevano sembrare più piccola di quanto non fosse, a partire dalla felpa costellata di stelle rosse e i leggins violetti strappati all'altezza delle ginocchia fino ad arrivare alle scarpe con la punta arricciata che non volevano smettere di cambiare tonalità di giallo ad ogni movimento della piccola. 
Era strana, eccentrica, particolare.
«Come?»
«Stai sbagliando il movimento, tutto qua!» Proseguì la biondina, avvicinandosi e tirando fuori dalla tasca dell'enorme felpa una bacchetta palesemente finta. Al che, Eric la guardò perplesso. «Cosa vuoi fare?»
Lei lo guardò come se le sue intenzioni fossero ovvie. «Io andrò ad Amstrong solo tra due anni, ma mio fratello Shawn c'è già. Pensa, è un Cobaltaurora! Figo, vero?»
«Ehm...»
«Il movimento che facevi prima è sbagliato. Vuoi che ti insegni quello giusto?»
Eric, totalmente spiazzato dalla parlantina e dalla spontaneità della piccoletta, batté le palpebre e si passò una mano tra i capelli castani. «Sei sicura di conoscerlo?»
La biondina annuì con tanto vigore che i lunghi capelli color dell'oro si mossero incontrollati, ed Eric giurò di averli visti cambiare sfumatura: che fosse una Metamorfomaga? 
«Guarda, il segreto sta nel disegnare la scritta U.S.A. con la bacchetta! Dall'alto al basso e poi in alto è la “U”, poi da lì fai una “S” e poi sali, ti fermi e scendi. Tracci una linea obliqua ed esce una “A” un po' strana. Ma è giusto!» Spiegò la biondina, tracciando nell'aria il simbolo giusto con incredibile destrezza.
Eric provò a imitarla e si accorse che dopo il tentativo la sua bacchetta non si surriscaldò o altro, anzi tracciò dei filamenti luminescenti seguendo i suoi stessi movimenti.
«Wow! Davvero amate così tanto il vostro paese?»
«Tanto da dedicare alla sigla il movimento di un incantesimo di simile importanza?» Fece la bambina, ridendo. «Sì, assolutamente sì! Ai maghi serve tanto saperlo fare perché così, se sono in pericolo e hanno una stazione ferroviaria vicina, possono usare questo incantesimo! Però funziona solo per andare ad Amstrong o a Washington D.C..»
«Perché?»
«Una è la scuola di Magia e Stregoneria del paese, mentre l'altra è la sede del Ministero della Magia!»
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo, spara!»
«Perché sei venuta ad aiutarmi?»
Davanti a quella domanda, le guance rosee della bambina americana si tinsero di rosso; stringendosi nelle spalle, rispose: «Perché, da dove vieni tu non aiutate uno sconosciuto in difficoltà?»
«Non esattamente, no. O almeno, non sempre!»
«Allora sei fortunato ad essere qui!» Concluse con enfasi la biondina, rimettendo a posto la bacchetta. «Beh, allora ciao, magari ci rivedremo ad Amstrong.»
«Te ne vai?»
«Non posso mica stare qui tutto il giorno, la mia mamma e il mio papà mi staranno cercando!»
«Giusto. Allora se mi dici come ti chiami posso almeno ringraziarti?»
L'americana gli sorrise «Son, per gli amici!» ed Eric ricambiò con sincera gratitudine, ringraziando gli Dei che al mondo esistessero spiriti così innocenti e puri. 
Si abbassò all'altezza della biondina e le schioccò un bacio sulla guancia quasi d'istinto, sorridendole radioso «Grazie, grazie mille, Son!» e allontanandosi senza accorgersi di come le guance e i capelli della bambina si fossero tinti di rosso.
Non arrivò neanche all'atrio dello stadio, però, che si sentì invadere da una strana sensazione, la quale lo fece tremare da capo a piedi. Fece appena in tempo a realizzare cosa stava probabilmente accadendo prima di doversi abbassare per non essere colpito da un Anatema. 


«Dici che mi crescerà un corno? Perché, sai, fa un male cane, altro che bernoccolo!»
«Come siamo delicati! Tranquillo, Grangerino, ne ho passate di peggiori eppure sono qui con ancora tutti e quattro gli arti attaccati al busto!»
«E senza un orecchio.»
«Quell'incidente non fu dovuto al Quidditch, quindi non vale.»
George e John stavano dirigendosi verso il bancone del responsabile dello stadio per restituirgli le mazze, la Pluffa e i due manici di scopa che avevano affittato due ore prima. 
Arrivati, però, notarono che la postazione era vuota. 
E stranamente anche l'atrio era deserto il che era strano, dato che al pari di New York Upside Street era, a quanto si diceva, sempre gremita di gente. 
George aprì la bocca per parlare ma s'interruppe al sentire un gemito proveniente dal muro. Senza pensarci, scavalcò il bancone e tastò il muro finché non rischiò di finirci dentro.
«Ma è...» John affondò il braccio nel muro e lo ritrasse con aria stralunata.
«Liquido? No, è un incantesimo.» Disse a bassa voce George; tirò fuori la bacchetta e con essa sfiorò la superficie del muro, il quale rivelò la presenza di una porta spalancata.
John guardò il rosso annuendo e lo precedette nell'addentrarsi all'interno del corridoio, dove avanzarono fino a giungere in prossimità di un bagliore in una stanza, dalla quale provenivano voci confuse.
George si avvicinò e, sporgendosi, sgranò gli occhi.
«Mentire non ti servirà a nulla. Avresti dovuto informarci dell'esistenza di un gruppo di mocciosi che volevano opporsi all'Oscuro Signore o ancor meglio avresti dovuto farli fuori. A cominciare da tua figlia!»
Quella voce, quella fisionomia, quel tono... George non ebbe dubbi su chi potesse essere uno dei due misteriosi assalitori e dell'uomo steso a terra, stretto da delle corde magiche e con la bacchetta in mano ai suoi due carnefici, riconobbe la chioma. 
Era il gestore dello stadio sportivo!
«Perché avrebbe dovuto?» Sputò fuori sprezzante il secondo. «È un traditore, un doppiogiochista.»
«Hai ragione, Augustus, non avrei mai torto un solo capello a mia figlia o agli altri ragazzi per favorire quel pazzo assassino! Cosa volete voi due da me? Uccidermi? Bene, fatelo!» Esclamò senza paura alcuna l'uomo a terra. George trattenne il respiro e strinse la bacchetta, pronto a intervenire se non fosse stato per John.
Il moro scosse il capo, facendogli cenno di aspettare.
«Non così in fretta, Grint.» Sibilò Agustus Rockwood, rigirandosi tra le dita affusolate la bacchetta.
Al sentir pronunciare quel cognome, George ricordò che, effettivamente, aveva già visto quegli scarmigliati capelli ricci e quei lineamenti, in passato.

 
- Vedi, quando Tu-Sai-Chi ha fatto la sua comparsa al Torneo Tremaghi la notizia è dilagata, ma nessuno voleva dar credito alle parole di Harry Potter e credo che tu conosca questo lato della vicenda molto meglio di me. Ma c'era chi gli credeva eccome e che, addirittura, aveva una paura folle di... Di lui, ecco, di Tu-Sai-Chi. Certo, erano in pochissimi e non temevano di cader vittime di torture e compagnia bella; avevano le loro ragioni. -
- E allora perché? -
- Questo è un segreto, Hailey mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno. Mi spiace, non posso dire il motivo per cui non è più tornata a Hogwarts, ma riguardava il padre e Voi-Sapete-Chi. -

Ora era chiaro!
Il padre di Hailey doveva essere stato un Mangiamorte e, finita la Prima Guerra Magica, doveva essersi pentito del suo operato; da quel poco che sapeva i Grint non rientravano tra le antiche famiglie purosangue, per cui quando Voldemort era tornato il padre di Hailey aveva voluto mettere al sicuro la sua famiglia e se stesso, andando in America.
«Prima di farti fuori—» Continuò Rockwood. «—vogliamo delle informazioni circa una leggenda che riguarda la vostra cara scuola.»
«Un oggetto prodigioso.» Aggiunse Antonin Dolohov. «Che fornisce un grande potere a chi lo possiede, più grande di quello delle GiraTempo!»
Grint rise di cuore, suscitando delle espressioni perplesse sui volti dei due Mangiamorte. 
«Parlate del dono fatto a Califia? La noce dorata? Oh, questa è bella! Due Mangiamorte di tutto rispetto come voi che si mettono a correre dietro a una favoletta per bambini! Complimenti vivissimi, siete riusciti a cadere più in basso di quanto avrei mai immaginato.»
«Che insolente! Crucio!» Ruggì Dolohov; John si tappò le orecchie per non dover ascoltare le urla del signor Grint. Non le sopportava così come George, il quale fremeva dall'intervenire.
La sola vista di Rockwood gli faceva salire il sangue alla testa.
«Aspetta, Antonin.»
«Ma Augustus—»
«Da morto non ci servirà a molto, per ora.» Lo ammonì l'uomo. «E ora, feccia, comincia a cantare.»
«E che cosa potrebbe cantare? Fatemici pensare, la “Riddle piccola serpe vieni a riprenderti questi due miseri perdenti”?»
Dolohov e Rockwood si voltarono all'unisono verso la fonte di quella voce strafottente, che si rivelò appartenere ad un noto giovane dai capelli rossi. 
Appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto, George roteava la propria bacchetta con nonchalance.
«Weasley, giusto? Il gemello sopravvissuto.» Sibilò ghignando Rockwood. 
George si strinse nelle spalle, reprimendo a stento l'istinto di lanciargli un Anatema Che Uccide sedutastante «In persona.» e con un movimento di bacchetta slegò Grint.
«Ancora in circolazione? A quest'ora non dovreste, chessò, marcire in una cella senza finestre insieme ai vostri amiconi Mangiamorte?»
«Potremmo. Ma affari urgenti ci hanno fatto declinare il gentile invito del nuovo Ministro della Magia.»
John guardò accigliato prima i due uomini e poi Goerge il quale, assottigliando gli occhi color nocciola, li indicò. 
«John, ti presento Augustus Rockwood e Antonin Dolohov. Il primo, l'Indicibile traditore, è il responsabile della morte di Fred; il secondo invece è stato condannato quasi vent'anni fa per l'omicidio di Gideon e Fabian Prewett, i miei zii.» Esordì sprezzante George.
«Già, beh, mi spiace per il muro, ragazzo.» Si scusò Rockwood. «Sinceramente, io puntavo al tuo fratellino.»
A quel punto, George non ci vide più dalla rabbia.
«Avada Kedavra



 




Writer's Side
Ci sono, ci sono!
Che dire, non so come giustificarmi; sono completamente isterica e prima, quando ho acceso il computer per aggiornare, questo mi è morto tra le braccia(?).  ç__ç
Sì, sul serio! Dice che vuole il disco d'avvio o chessò io. La mia solita fortuna, insomma: due computer su tre sono andati.
Dunque dunque, questo capitolo si è scritto praticamente da solo e, se riesco a fare in tempo, potrei farvene trovare uno sotto l'albero. Non prometto niente, ma ci proverò! ;)
Fatemi sapere che ne pensate; ci avviciniamo sempre più alla fine - tranquilli, manca ancora molto - per cui sono sempre più ansiosa di conoscere i vostri pareri.
Scappo perché domani ho l'ultima verifica e devo studiare, nel mentre, in caso non riuscissi a farmi risentire per Natale, vi auguro buone feste!

Soleil Jones

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Capitolo 24
*** Cicatrici & Oboli ***


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Cicatrici & Oboli



«Max?»
«A fare un giro. È uscito stamattina molto presto, poco dopo l'azzeramento della bolla, probabilmente.»
«Capisco.»
Ma in verità Hailey non capiva più niente; guardò con sguardo corrucciato le due metà della sua vecchia bacchetta, della sua fida amica, e un groppo le si formò in gola. Allontanò la ciotola di latte e cereali e si limitò a vuotare il suo bicchiere di succo d'arancia. 
James invocò pazienza; Hailey era una testa calda, ma bastava saperla prendere con dolcezza e calma per ottenere la sua attenzione, e ciò provava, secondo lui, quanto non fosse poi così diversa da Max: anche lei portava una maschera.
E a proposito di lui, eccolo di ritorno: si era Materializzato anziché usare la porta d'ingresso, a giudicare dal suono che arrivò alle orecchie del giovane Osservatore. Un comportamento molto poco da lui; se nervosi, ironico a dirsi, Max e Hailey parevano davvero fare a cambio di modi di fare e di reagire!
«Mi sembra incredibile.»
James sollevò il capo verso la compagna, aggrottando la fronte. «Cosa?»
«Non credevo avrei mai avuto sprazzi di magia così forti.» Mormorò Hailey, allentando la presa sul bicchiere non appena si accorse dello sfarfallio della lampadina posta a illuminare la cucina.
Controllati, Jany! – Si disse – Niente rabbia, niente malinconia, dimentica i cattivi pensieri.
«Ne hai avuti molti, a quanto ne so, sin da piccolissima.» Annuì James, togliendole gentilmente di mano il bicchiere e incoraggiandola a parlare. Hailey credeva che bastasse domare le proprie reazioni emotive per placare i propri poteri, in effetti il suo problema non era neanche così raro, ma lui, invece, era convinto che solo il dialogo, lo sfogo, la comprensione e l'affetto potessero dare pace all'animo di una persona.
«Sono quelli che ti hanno procurato...?» Interrompendosi, il biondo si toccò la spalla destra. Al che, Hailey, capendo subito a cosa si riferisse, scostò appena l'orlo della T-shirt per scoprire una cicatrice bianca, percorrente tutta la spalla; da dietro il collo fino a raggiungere, quasi, lo scollo del reggiseno.
Alle sue spalle, i passi di Max si fermarono. L'americano, davanti alla porta scorrevole della cucina socchiusa, trattenne il respiro per un attimo; si passò una mano tra i capelli e portò una l'altra alla spalla sinistra, coprendo meglio una leggera imperfezione tracciata sulla sua pelle dal colorito roseo: una cicatrice.
Si accostò alla porta, appoggiandosi al muro, e sporgendosi appena, attraverso uno spiraglio, poté vedere Hailey e James seduti al piano cottura. L'espressione della Grifondoro esprimeva tutto lo sforzo che stava impiengando per ricordare da dove provenisse quella vecchissima ferita.
Una parte di lui, la stragrande maggioranza, sperava che qualcosa affiorasse tra i suoi ricordi.
«Io... Non me lo ricordo. Me lo sarò fatta ad Amstrong, durante una delle mie tante cadute sul campo di Quidditch. Ero brava, ma troppo impulsiva per ricordarmi di tenermi ben salda al manico di scopa.»
Ma era impossibile, questo lo sapeva da sempre.
James sorrise al tentativo di Hailey di fare dello spirito e guardò l'entrata della cucina con aspettativa. Intuiva che Max, invece, non aveva di che sorridere in quel momento.
«Immagino. Eppure ci avrei scommesso, non ne sarei stato sorpreso. Insomma, non per dire ma... Davvero a dodici anni hai dato fuoco alla coda del costume da drago di tuo fratello Mathias alla festa di Halloween?»
Poggiato al muro del corridoio, Max scosse il capo lasciandosi scappare un sorriso che sparì con la stessa rapidità con cui era apparso; si sentiva come se fosse stato colpito da una sfilettata. 
Era una sensazione che non provava da anni eppure che sentiva, sebbene ovattata, da mesi, ogni santo giorno.
Stringendo i pugni, attraversò il corridoio a passo di carica e si chiuse in camera sua. 
James, al sentire il rumore della porta, tornò a rivolgere tutta la sua attenzione ad Hailey, la quale pareva essere troppo immersa nei suoi pensieri per potersi accorgere di un rumore così lontano come quello.
«Matt, dici? Ho solo reso più credibile il costume di quel piccolo furfantello.» Mormorò divertita Hailey, soffocando una risata e prendendo in mano una delle due metà della sua vecchia bacchetta. «E pensare che non aveva che rubato i miei dolcetti, quasi quasi mi pento di quel mio piccolo scherzetto involontario! Spero mi perdoni, quando crescerà. Purtroppo anche lui ha un bel caratterino, sai, farà più danni di quanti ne avrei potuti fare io in tutta una vita.»
«Oh, era anche piccolo?»
«All'epoca aveva sei anni e no: non era solo un bambino, ma un piccolo demonio. L'ho sempre detto: mia madre deve averlo concepito con un demone. Quindi è un mezzodemone, no? Facile e logico.»
«Demoni? Perché, esistono ancora?»
Hailey si strinse nelle spalle. «Ad Amstrong c'è stato, nel corso dei secoli, più di un caso di creature non umane. Licantropi, vampiri, qualche sirena... I demoni in realtà vivono per la maggior parte in Giappone o comunque in Oriente ma, sai, la California è vicinissima e Amstrong ha fama di avere larghe vedute sul sovrannaturale. Come gli americani in generale, insomma. Mai sentito dell'Area 51
«Una scuola singolare davvero, ma converrai con me che Il sangue non è acqua, dico bene?»
Hailey si strinse nelle spalle, lasciandosi sfuggire una lieve risata che diede a James la volontà di non arrendersi: incassò il colpo di vedersi puntare addosso lo sguardo della ragazza non appena mise la sua mano su quella con cui la lei stringeva la metà della sua vecchia bacchetta magica.
Erano così espressivi da far male, a lui che là dentro celava se stesso e il proprio passato più di chiunque altro.
«Lo so che è un oggetto prezioso per un mago e che è la prima e l'unica che hai avuto.»
Hailey guardò la sua amata bacchetta; crine di unicorno, agrifoglio, dieci pollici, rigida. Amava il ricordo del momento era stata scelta dalla sua fida compagna: Ollivander l'aveva squadrata con gli occhi luccicanti.

 
- Il Crine di Unicorno è molto sensibile; ti direi di stare bene attenta a non trattarla male, ma qualcosa mi dice che non lo faresti mai. È anche fedele e difficile da convertire alle Arti Oscure. E devo dire che si sposa bene con il legno, l'agrifoglio: è un materiale raro e volto a proteggere. È adatto a chi tende ad arrabbiarsi facilmente o ad essere impulsivo. Credo proprio che, sì, lei abbia scelto bene. -
- Lei? La bacchetta? -
- Figliola mia, credo tu abbia potuto notarlo: è la bacchetta che sceglie il mago, non viceversa! -

«Non potrei mai tradirla.»
«Potresti tenerla! E intanto prenderne una nuova, giusto perché non puoi difenderti, in caso di necessità.» Esordì James con nonchalance. «Infondo tutta la magia di una bacchetta, per come la vedo io, non risiede nel suo nucleo o nel suo legno, ma nel legame che la porta a dare voce ai poteri del proprietario. Sbaglio?»
Hailey si perse nello sguardo color acquamarina di James, stordita da quelle parole: era una dote, la sua! Quel ragazzo sapeva sempre cosa dire, come farlo e quando parlare o tacere.
Infondeva sicurezza, forse troppa; sarà stato questo, uno dei motivi a far scattare Max al minimo ostacolo? 
«Ma... Davvero possiamo andare da Ollivander così? Come se nulla fosse, intendo.» 
«Certo che no! Ma—» E qui James ammiccò con fare furbo. «—noi TimeRiders abbiamo i nostri appigli.»


*

Tremava.
Tremava di rabbia e dallo stupore per ciò che aveva fatto pochi istanti prima: mai aveva pensato che avrebbe pronunciato quella formula letale, che avrebbe voluto davvero uccidere qualcuno – per quanto questo “qualcuno” non fosse quel che si dice uno stinco di santo.
Eppure non se ne pentiva, per quanto potesse essere sbagliato, anzi non appena il raggio di luce verde esplose dalla punta della sua bacchetta si sentì svuotato, liberato da un peso.
Non avendo mai usato quella Maledizione Senza Perdono, però, non si stupì più di molto nel vederla incontrollata e instabile, per cui afferrò John per un braccio, si Smaterializzò dietro le spalle dei due Mangiamorte, prese con sé il loro prigioniero ed usò la Smaterializzazione Congiunta per condurre tutti e tre nell'atrio dello stadio.
Scattò subito in piedi e si pose davanti ai due, levando la bacchetta.
«Bravo!» Esclamò Dolohov, Materializzatosi a sua volta con Rockwood al seguito. «Sembrava quasi che stessi facendo sul serio! Permettimi di mostrarti come si fa!»
Così dicendo, alzò la bacchetta e ne fece partire un lampo smeraldo ben più consistente di quello precedente. George deviò la maledizione con un incantesimo che neanche sapeva di conoscere; in verità avrebbe preferito un attacco frontale, ma la sua bacchetta si era praticamente attivata da sola, incanalando una quantità abnorme di magia.
Se non sapesse possibile lo sprigionarsi involontario di incantesimi non verbali in presenza di forti emozioni, anche negli adulti, George non ci avrebbe creduto.
Non fece in tempo ad alzare lo sguardo sugli avversari che si vide arrivare addosso una seconda maledizione. Il cuore gli si fermò nel petto per un secondo – un lasso di tempo che gli parve praticamente infinito – e si sentì paralizzato. 
Inutile, non avrebbe fatto in tempo neanche ad alzare la bacchetta, eppure non accadde nulla.
George sgranò gli occhi color nocciola, increduli, puntandoli sulla maledizione ad un palmo dal suo naso, infranta contro una barriera dorata innalzatasi giusto in quel momento davanti a lui.
Guardò John e lo vide con una mano alzata; gli occhi verdi sembravano colmi di una strana luce che li rendeva più simili a quelli di un mago adulto pronto a combattere; affondò le unghie nel proprio palmo e dell'Anatema e della barriera rimase solo un piccolo Boccino luminescente e apparentemente inconsistente.
Allentò la pressione sulle sue dita e la piccola sfera si ruppe in miriadi di piccoli frammenti.
Il tutto in un battito di ciglia.
Dolohov, con la fronte corrugata in un'espressione di muta sorpresa e chiara irritazione, fissò i suoi occhi vitrei e gelidi in quelli ardenti di John; parvero sfidarsi con lo sguardo e, in un secondo, entrambi sparirono e riapparvero al posto dell'opponente in un chiaro tentativo di sorprenderlo. 
George si apprestò ad allontanare Dolohov con un incantesimo ed indietreggiò finché non sentì la nuca di John contro la sua schiena; il ragazzino aveva estratto la bacchetta e la puntava minaccioso contro Rockwood.
«Voglio fare a pezzi il ragazzino, Augustus.» Sibilò Dolohov, trapassando George con lo sguardo. «Quello con gli occhi verdi.» Precisò.
L'ex-Indicibile ghignò e fece un passo indietro. «Prego, è tutto tuo.»
Nel momento in cui George credette di doversi concentrare su Dolohov per non permettergli di torcere un solo capello a John, quest'ultimo gli intimò di non muoversi. 
«Lo senti anche tu?»
«Di che parli?» Biascicò il rosso, assottigliando gli occhi color nocciola; l'adrenalina dentro di lui era in picchiata come ogni volta in cui aveva combattuto – ed era avvenuto spesso, negli ultimi anni, dacché faceva anch'egli parte dell'Ordine della Fenice. 
Sentì crescere in lui un senso d'inquietudine che scacciò prontamente, facendo spazio solo a pensieri più o meno positivi e all'ottimismo. 
O almeno ci provò.


Era stato tutto talmente veloce che non appena Eric scattò in piedi sentì il cuore saltargli in gola per poi ripiombare con un tonfo nel suo petto.
Da dov'era arrivato quell'incantesimo?
La vista gli si annebbiò per un istante, il tempo necessario perché gli passasse davanti agli occhi l'immagine di un uomo interamente nero – non vestito di nero; era oscuro di suo! - fronteggiare una figura minuta dai capelli color dell'oro alta neanche la metà dell'opponente.
Tremò al pensiero di uno scontro tra i due non appena distinse il profilo di due bacchette. Scosse il capo cercando di cacciar via il seguito, ma contrariamente alle sue aspettative alle spalle del bene – perché di quello doveva trattarsi – apparvero altre persone.
Tutte bambine, adolescenti al massimo. E pian pianino divennero una folla.
Allora, la chioma del bene divenne rossa.
Poi gli girò la testa e, nel momento in cui rischiò che le ginocchia gli cedessero, Eric si voltò improvvisamente trafelato; dalle sue labbra rosee uscì soltanto un mormorio incredulo: «Son?»
Non ricevette risposta. Una minuta figura femminile giaceva a terra esattamente dove prima si trovavano lui e la bambina sconosciuta che lo aveva aiutato con il richiamo per l'Espresso.
La raggiunse di corsa, trovandosi un po' impacciato a causa dei jeans divenuti improvvisamente più stretti – Possibile che lui e John stessero crescendo così in fretta? - e si inginocchiò affianco alla bambina.
Giaceva supina a terra, coi riccioli biondi sparpagliati qua e là impregnati in buona parte dal vivido colore del sangue; Eric sentì le membra contorcersi e cercò di riacquistare un minimo di sangue freddo.
Inutile dire che non ci riuscì.
«Ehi, Son?» La chiamò sottovoce, sfiorandole il viso tondeggiante contratto in una smorfia di dolore. Non v'era traccia del classico pallore che caratterizzava il viso di un morto, ma la maledizione che l'aveva colpita – di striscio; in tal caso o era possibile intervenire oppure il supplizio era destinato a durare dieci volte più del normale. Ed Eric non sapeva se definirla una sfortuna o meno dato che si trattava quasi sicuramente di un Anatema che uccide
Il petto della piccola americana si alzava e abbassava anche troppo velocemente; stava per affrontare il trapasso.
“No, no, no no no! Non ce la faccio. Insomma— In nome di Zeus, Ade, è troppo piccola!” 
Se aveva già visto la morte? Oh, ma certo, ovviamente! Ma mai e poi mai avrebbe sopportato vedere una creatura di tale innocenza venire ingiustamente strappata alla vita a quell'età. Se c'era una possibilità di impedire al destino di fare il suo corso, questa era una sola; al diavolo le conseguenze.
Eric si morse il labbro inferiore con ansia e sollevò il capo della bambina, poggiandolo sulle sue ginocchia. Mentre con una mano le sosteneva la nuca chiuse gli occhi, e quando li riaprì vide comparire sul palmo della sua mano destra una moneta d'oro.
Pesava davvero molto e al tempo stesso attirava a sé ogni energia magica presente nel suo corpo; era impossibile non percepirlo.
«Che il tempo per te si fermi.» Esordì in tono imperativo, seppur sommesso, guardando con insistenza la moneta d'oro apparsa nella sua mano e sentendola bruciare. «Cambia il disegno del fato, salva ciò che è andato perduto, ridà la vita all'anima cui è stata sottratta.»
Alzò lo sguardo al cielo e lanciò in aria la moneta. «Un obolo per il Traghettatore.»
Così com'era apparsa la moneta scomparve, si dissolse nel nulla. Eric sentì un fremito proveniente dal corpo di Son e quando abbassò lo sguardo su di lei vide che, sì, ce l'aveva fatta; aveva salvato il bene.
«Eric?» Mormorò la bambina, socchiudendo gli occhi celesti. Il ragazzino annuì e l'aiutò a mettersi a sedere; doveva essersi accorta di aver perso parecchio sangue – un po' a causa dei capogiri, un po' per via del fatto che ne era fradicia – a giudicare da com'era pallida e spaventata.
«Tutto... Tutto okay, Son?» Domandò imbarazzato il moretto. Non ricevendo risposta, respirò a fondo: non era più scosso di lei, no, certo. «Adesso ti sentirai un po' frastornata, ma con un po' di cioccolata, sai, sono sicuro che—»
«Eric, cos'è?»
Eric s'interruppe e i suoi sensi scattarono. Osservò il cielo socchiudendo gli occhi, confuso. «Non ne sono sicuro.»


«Il ragazzino sente, Antonin. Hai visto?»
«Non fa alcuna differenza se sente o non sente, sai che specialità!» Ringhiò in risposta il Mangiamorte dai capelli fulvi. 
George iniziò ad avvertire un lieve e crescente nervosismo impadronirsi di lui: cos'era che John sentiva?
Cosa?! - Si chiedeva.
Lo guardò con la coda dell'occhio: era teso. Non che l'avesse mai visto combattere, ma conosceva abbastanza bene le capacità sue e di Eric per sapere che avevano dei poteri molto – Forse troppo – sviluppati, per la loro età apparente. Non credeva che se la sarebbero cavata male contro due Mangiamorte, in caso.
Non aveva mai dato molta importanza alle loro reali origini; la loro unica intenzione era quella di aiutarlo a riportare Fred indietro, e tanto bastava.
Forse, però, non sarebbe stato un male far loro giusto qualche domandina in più. Avrebbe potuto, magari, capire fin dove si spingevano le capacità di anche solo uno dei due gemelli, e nel caso specifico avrebbe potuto avere una vaga idea di cosa diavolo avesse percepito John!
Oppure no.
Nell'esatto istante in cui si ricordò di non essere mai stato una persona riflessiva e realizzò che tutto quell'intricato ragionamento era passato per l'anticamera del suo cervello in due secondi netti, il suo sesto senso captò qualcosa. Una sensazione che solo un mago, probabilmente, avrebbe potuto sentire, a prescindere dal suo livello di preparazione: dopotutto, anche un bambino avrebbe percepito il male.
Alzò il viso al cielo, fattosi improvvisamente plumbeo, e cercò di intravedervi qualsiasi segno a conferma o negazione della sua ipotesi.
Niente.
Eppure c'era qualcosa nell'aria!
Lo si percepiva chiaramente. Nonostante fosse ferito e provato, infatti, il signor Grint fece di tutto pur di rimettersi in piedi. Perdeva sangue dal naso, tanto che laddove prima era sdraiato, a terra, v'era una piccola pozza cremisi. I capelli ricci erano più arruffati di quanto lo fossero di loro e gli occhi chiari – dello stesso colore di quelli della figlia, Hailey – cerchiati dalla stanchezza erano sgranati in un'espressione di puro terrore.
«Si sente, vero, vecchio mio?» Gli chiese sbeffeggiante Rockwood, inspirando a pieni polmoni. «Incredibile come persino nello Stato della Libertà e della Giustizia sia possibile riunire un simile esercito.»
«Che cosa avete fatto, maledetti?!» Sbraitò l'uomo; non era armato né poteva difendersi, ma ciò non pareva intimorirlo.
«Hanno chiamato i rinforzi.» Disse in tono incolore John.





 




Writer's side

Non ho parole. Scommetto che è più di un mese che non aggiorno e... Santo Cielo, non sapete quanto mi spiace!
Purtroppo non è un bel periodo, e i capitoli che seguiranno (i prossimi due sicuramente) saranno intrisi di particolari e azione, per cui hanno bisogno di essere curati e di ricevere attenzioni che portano via un tot di tempo che, al momento, faccio fatica a trovare.
Per questo ho spezzato i due capitoli! E come potete notare, qua dentro ci sono anche diverse citazioni, riferimenti (vi saranno saltati all'occhio quelli circa Caronte e, in generale, la mitologia greca), nuovi indizi e altrettanti enigmi!
Le espliciterei tutte, ma mi piace lasciarvi libero sfogo - potete benissimo dirmi tutto tramite recensione o messaggio privato, risponderò con piacere a chiunque - eeeeeee, cosa non meno importante, non ne ricordo più neppure una.
. . . No, non scherzo. XD
E sì, sono così di mio - in caso qualcuno, giustamente, pensi: “Ma ci fa o c'è?!” uwu
E vabbé, se notate qualcosa, volete farla notare, chiedere... per qualsiasi cosa, insomma, chiedete! Io risponderò sicuramente. :3
Grazie per la vostra pazienza, per il gran numero di visualizzazioni etc.
Non avete idea di quanto io sia felice di sapere che i miei scleri, almeno per qualcuno, hanno senso. ^^
Un abbraccione caldissimo ~

Soleil

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Capitolo 25
*** Tutti contro tutti ***


Se avete perso un po' il filo — come darvi torto, dopo tutto questo tempo? — vi consiglio di ridare una letta veloce al capitolo precedente, o quantomeno alle ultime righe. Così, giusto per avere un'idea.
Mi scuso per il ritardo madornale e spero che continuiate a recensire e seguire la storia nonostante questo mio periodo di silenzio. Per me è importantissimo.

Grazie e buona lettura,

Soleil

 

 

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Tutti contro tutti

 

Una macchia oscurò il cielo di Upside Street; i maghi americani, girovaganti per la grande, immensa via, si riversarono tutti nel punto in cui essa era concentrata: lo stadio da Quidditch.
«Che cos'è?» Chiese qualcuno nella folla. 
Nel momento in cui la macchia si estese e divenne fumo nero, d'istinto Eric – così come di tutti i presenti – estrasse la bacchetta, gli occhi puntati diffidenti sull'anomalia. 
Il fumo si districo in più scie che presero a scendere in picchiata sulla folla e, allora, un uomo sulla trentina urlò: «Mangiamorte!» e si Smaterializzò davanti alla folla: sulla giacca a vento che indossava spiccava un simbolo che Eric riconobbe poiché era lo stesso che aveva visto ai tre studenti facenti parte dell'Armata di Amstrong. 
Subito le scie nebulose si schiantarono al suolo rivelando figure di maghi – chi coperti da maschere e chi meno – i quali, prontamente, si riversarono contro la folla.
Eric si sentì strattonare; la ragazza bionda di poche ore prima lo mise in piedi e fece lo stesso con Son.
«Raggiungete il Wizard Farfield Inn, svelti!» Ordinò, soffermandosi un istante su Son: la scrutò e poi le chiese: «Tu sei la sorella di Frei, vero?»

«Chi?» Chiese confusa e tremante la biondina.
La bionda serrò la mascella e rettificò sbrigativa: «Shawn Fitzgerald.»

Vedendo gli occhi di Son illuminarsi speranzosi e la sua bocca pronunciare una flebile risposta affermativa, la ragazza parve rilassarsi. «Bene, c'è anche lui, là.»
Poi si rivolse a Eric.
«Devi dire che vi manda Firefiles.» Gli urlò per sovrastare le urla della folla, prima di voltarsi e scagliare una maledizione ad un incappucciato. «Muovetevi! Non è cosa da bambini, qua!»
Eric scosse il capo: non voleva e non poteva lasciare là John e George, ma al notare il pallore sul viso di Son convenne che, sì, avrebbe potuto lasciarla al sicuro e poi tornare indietro. Quindi annuì all'occhiataccia lanciatagli da Firefiles e strinse la mano a Son. 
«Corri e non mollare la mia mano, capito?» Le disse con sicurezza. Non aspettò una risposta: Schiantò un Mangiamorte e iniziò a correre verso l'immenso – era ben visibile anche da lì – Wizard Farfield Inn.
Ma qualcosa - un'orrenda sensazione - lo fermò. 
All'improvviso fu come se il mondo svanisse e la terra franasse sotto i suoi piedi; il suo cuore smise di battere per un'infinità lunga pochi secondi e una lama intrisa di veleno gli trafisse il petto, mozzandogli il respiro.
Eric caracollò a terra, in ginocchio, il fiato corto e il volto pallido come un cencio.
Son urlò, temendo che qualche incantesimo l'avesse colpito e cercò di tirarlo su, benché la costituzione del ragazzino fosse più robusta della sua e la differenza d'altezza evidente. Inoltre, era debole; molto, troppo debole.
Ma come poteva pensare di lasciarlo là dopo che le aveva salvato letteralmente la vita?

«Eric...? Eric! Che cos'hai?!» Gli chiese ansiosa, guardandolo premersi una mano sul petto come se temesse che il cuore schizzasse fuori dalla sua cassa toracica da un momento all'altro.
Eric emise un gemito strozzato, annaspando per recuperare ossigeno. La testa vorticava, l'ansia in lui cresceva, le lacrime minacciavano di uscire.
«John—!»
«Chi?»
«Mio fratello gemello è in pericolo! Io... Io devo...» Ma Eric non finì la frase, perché perse i sensi.
Son lo sorresse e raccolse la sua bacchetta da terra – l'aveva lasciata cadere all'istante non appena si era sentito male. 
Guardò la folla sprizzante scintille e poi il Wizard Farfield Inn: se Eric aveva qualcuno da salvare là in mezzo, in quelle condizioni, certo si sarebbe solo fatto ammazzare.
«Sta' tranquillo, Eric.» Decretò ferma la piccola americana; i suoi riccioli si tinsero di tonalità di oro sempre più forti e scure. «Adesso ti porto dagli altri dell'Armata, ti cureranno loro. E... E tuo fratello starà bene, te lo prometto.» 
In lontananza, però, qualcuno aveva altri progetti per loro.
«Oh, no, occhi verdi, non mi scapperai così.» Ghignò Antonin Dolohov, sbarazzandosi del suo mantello e mettendosi all'inseguimento della testa castana e riccioluta di Eric. 
Come poteva sapere di aver puntato il bambino sbagliato?



*
 


«Hanno chiamato i rinforzi.»
Non appena John aveva pronunciato quelle parole la risata gracchiante di Dolohov gli aveva invaso le orecchie e, incapace di tollerarla, d'istinto si lanciò contro di lui; tanto era ormai chiaro chi dei due George fosse davvero ansioso di conciare per le feste.
In un battito di ciglia Dolohov scatenò tutta la sua ferocia: per essere arrivato fin là, effettivamentte, doveva avere i suoi meriti in quanto mago. Era indubbiamente dotato di grande abilità, seppur malvagio, e John non era pratico di combattimento quanto lui. 
Quanto tempo era che praticava la magia, lui? Poco più di qualche mese. E sì, aveva ricevuto diversi ausili e un potenziale decisamente non indifferente, ma ciò non gli consentiva di abbassare la guardia per controllare dove fosse finito Eric, in mezzo a tutto quel caos.
I maghi si scontravano con incredibile velocità, senza risparmiarsi: da non credere! 
Era come se gli americani fossero naturalmente predisposti a mettersi in gioco, in mezzo a una guerra.
John urtò qualcuno con la nuca ma, concentrato com'era a respingere le maledizioni di Dolohov, non s'accorse che la schiena contro la quale era andato a sbattere era di un incappucciato.
Attraverso la maschera, egli ghignò all'indirizzo di Dolohov; alzò la bacchetta, pronto a scagliare un incantesimo contro John.
«Avada—»
«Sectumsempra
Da lontano, l'incantesimo tagliò la folla come un coltello, colpendo lungo la sua traiettoria più persone, e infrangendosi contro l'incappucciato, la cui voce si spense all'istante. Cadde a terra in un tonfo sordo. 
Con gli occhi verdi sgranati, John si voltò prima verso l'uomo che era appena morto e poi verso l'artefice di quella carneficina: la giovane dai capelli biondi che aveva visto al Café solo poche ore prima, quella che aveva fatto parte dell'Armata di Amstrong, il cui simbolo color dell'oro spiccava sulla giacca a vento. Gli stava urlando qualcosa, gesticolando di andar via.
Ma cosa più importante l'aveva salvato—! 
Era stato a tanto così dal morire!
Col respiro irregolare, John abbozzò un sorriso verso la spaventata e coraggiosa ragazzina, che raggelò non appena la voce di George gli giunse alle orecchie.
«John! Alle spalle!»
Il tempo rallentò, per John; si voltò e vide un lampo partire dalla bacchetta di Dolohov. Al contempo, riconobbe la figura di George – i cui capelli color fuoco spiccavano tra la folla – alle spalle del Mangiamorte. 
Senza pensarci due volte, con una prontezza di riflessi inaudita, lanciò uno Schiantesimo che sfiorò i capelli fulvi di Dolohov e che sorpassò George, colpendo la mano levata di Rockwood.
Allora un dolore lancinante lo colpì alla spalla, da cui sgorgò immediatamente del sangue.

 

 

*
 


Nello stesso istante in cui lo stadio si riempì di voci indistinte e urla, George fece cenno a Rockwood di farsi avanti, con un'espressione non sua in volto.
Era un lato, quello, che nessuno avrebbe mai immaginato di vedere nella persona luminosa e malandrina che era il più grande dei gemelli Weasley, eppure eccolo lì: pieno di rabbia e dolore che non avrebbe esitato neanche un secondo a sfogare sull'artefice del suo inferno.
Scansando senza esitazioni chiunque gli si ponesse davanti, George si lanciò su Rockwood, tempestandolo di ogni sorta di incantesimo letale e non che gli passava per la testa e deviando i suoi con una prontezza di riflessi inaudita. Ma, certo, l'ex-Indicibileaveva la sua veneranda età ed esperienza, per cui lo scontro pareva essere ad armi pari; questo finché George non si ritrovò a volare per almeno tre metri, colpito in pieno petto da uno Schiantesimo.
Atterrò sulla schiena e tossì, tirandosi subito in piedi – appena in tempo per vedere una Maledizione Senza Perdono piombargli addosso e, quindi, gettarsi all'indietro, supino.
Reclinò il capo all'indietro e vide che l'Anatema aveva colpito qualcun altro; un giovanissimo mago giaceva a terra inerme. 
George rotolò su un fianco e si tirò su con l'ausilio del braccio sinistro, mentre col destro lanciava una fattura a Rockwood. Il Mangiamorte la scansò con facilità e gli piombò addosso. Ma George non aveva intenzione di uscire perdente da quello scontro: si Smaterializzò a un palmo dal Mangiamorte e gli assestò un pugno in pieno volto. 
Metodo poco ortodosso, forse, ma di indubbia efficacia. Rockwood, abbassando la guardia, si portò una mano al naso grondante sangue e quando si accorse che la sua stessa bacchetta gli veniva puntata addosso era troppo tardi per riprendersela. 
«È così che finisce, dunque?»
La mano di George tremò e la stretta sulla baccheta di Rockwood divenne così forte e, per l'oggetto stesso, insostenibile, che nell'esatto momento in cui un lampo di rabbia attraversò gli occhi color nocciola del rosso, trascinando via parte di quello sguardo agghiacciante, una scarica di magia incontrollata raggiunse il palmo della mano sinistra del ragazzo. 
Rockwood urlò, al vedere la sua bacchetta sgretolarsi tra le dita di un impertinente mago Filobabbano qual era George Weasley.
«Io non sono vile come te.» Sibilò quest'ultimo, guardando il Mangiamorte dall'alto in basso. 
Stava per pronunciare un Incarceramus, ma il suono di un Sectumsempra lo interruppe, tanto l'incantesimo fu lanciato con violenza e impulso.
Commise l'errore più fatale che si potesse fare: voltò le spalle al suo avversario.
Colui che l'incantesimo sopracitato aveva colpito cadde a terra tra rivoli rossi, alle spalle di John, prima che potesse colpire quest'ultimo alle spalle. A lanciarlo era stata sicuramente una strega, ma da lì gli era impossibile dire chi fosse costei, e la cosa non interessò a George nel momento in cui s'accorse di ciò che stava per fare Dolohov.
Più veloce della sua bacchetta, la voce del giovane Weasley uscì impulsiva e forte: «John! Alle spalle!»
Subito gli occhi smeraldini del ragazzino, coperti a tratti dalle ciocche castane dei capelli ricci, furono puntati su di lui. Si sgranarono allarmati.
Il braccio di John s'alzò e ne partì un incantesimo, che però non colpì mai Dolohov. Con sbigottimento, George se lo vide passare affianco, e quando sentì l'urlo di dolore di Rockwood realizzò cosa stesse succedendo.
Quel vigliacco aveva approfittato di un attimo di distrazione per rubare la bacchetta a uno dei maghi morti là intorno e puntargliela contro e pur di salvarlo John... 
Tremante, George lasciò perdere Rockwood e volse lo sguardo verso Dolohov. Minacciosamente, il Mangiamorte si avvicinò a John, ridacchiando.
«Non sei più così saccente ora, eh, occhi verdi?»
Afferrò malamente il ragazzino per la nuca, strattonandolo per alzarlo da terra e tirandogli i capelli. 
Mordendosi la lingua quasi a sangue per on emettere un solo suono di dolore, John socchiuse gli occhi e li puntò in quelli folli di Dolohov. Il Mangiamorte, irritato, gli puntò la bacchetta alla giugolare.
«Sei fastidioso, lo sai?»
Dolohov ghignò premendo contro la pelle candida del ragazzino con la punta della bacchetta, ma il suo sorriso soddisfatto e sadico si spense non appena avvertì il suolo staccarsi da sotto i suoi piedi. 
«Cosa...?»
Non ebbe neanche il tempo di realizzare ciò che stava accadendo che Dolohov venne sollevato da terra in un batter di ciglia e, letteralmente, scagliato contro il suo degno compare. George non si curò di loro, si chinò a terra e sollevò John, di modo che non stesse riverso. 
Sembrava intontito, vicino allo svenimento. 
«John?» George schioccò le dita davanti a un palmo del naso del ragazzino, il quale parve, almeno un poco, ridestarsi dal suo torpore. «John! Per Merlino— Fa' vedere.»
«Non è... Ahi!» John digrignò i denti dal dolore, al sentire il tessuto strappato e nfetto della sua maglia venire scostato: non osò guardare la sua spalla, non se la sentiva praticamente più. «Ho ancora il braccio sinistro?»
«Sì, è ancora qui.» Rispose sbrigativo George, strappando un lembo della sua T-shirt e legandolo attorno alla parte lesa. Una chiazza di sangue dilagava sul torace di John, e la ferita doveva essere estesa, sicuramente si trattava di una maledizione micidiale. 
«Cerca di non muoverti, passerà tutto.» Gli sussurrò con più dolcezza, per quanto poco fosse convinto di ciò che diceva.
«Eric.» Mugugnò allora il ragazzino, mentre si sentiva sollevare. Si aggrappò al collo del mago più grande, la nuca appoggiata sulla sua schiena. «Dov'è mio fratello?»
«Starà sicuramente bene, ora allontaniamoci da qua.»
«No, George... Eric può... lui può aiutarmi. Solo lui, George, capisci?» Insistette John con tono mesto, mentre George Schiantava due nemici. Intravide Dolohov rimettersi in piedi e Rockwood inveirgli contro, brandendo un braccio sprovvisto di mano con fare minaccioso e alquanto isterico. 
George imprecò, vedendoli a sua volta, e si abbassò per evitare una Fattura. 
«Sto per Smaterializzarmi, quindi tienti forte e stringi i denti.» Comunicò con fare urgente, pregando tutti i Santi e i grandi maghi del passato affinché nessuno, tra lui e John, si Spaccasse.
Corse per allontanarsi dall'occhio di quel ciclone magico visualizzando il grande, immenso passaggio per la New York Babbana. Inspirò ed espirò, concentrato, e sparì assieme a John.
Quando i suoi piedi toccarono terra – ancora intenti a correre – quasi cadde in avanti, andando a inciampare sul tavolino di un Café aperto ventiquattr'ore su ventiquattro.



*


«Che pagliacciata.» Borbottò Max, affondando le mani nella sua giacca e sbuffando tanto forte che i riccioli che ricadevano davanti al suo viso rimbalzarono all'indietro. Guardò torvo James – per quanto fosse riconoscibile, e poi tornò a fissare Hailey.
«Quante storie per un travestimento!» Lo prese pacatamente in giro il biondo. «Vedila così: ci siamo andati leggeri.»
«Sembro quel musicista che la moglie Babbana di mio zio amava alla follia. Josh Lanny, Looney, Lannow— Argh–! Non ricordo neanche come si chiamava.»
«John Lennon, dici?»
«Quello, sì. E tu, con quell'ombrello, chi saresti, Mara Bobbings?»
«Mary Poppins.» Lo corresse James, dandogli un colpetto alla spalla con l'ombrello. «So che non ti va a genio camuffarti, ma Hailey ha origini inglesi ed i miei genitori, in questo momento, potrebbero scorrazzare per Diagon Alley come se nulla fosse. Non è il caso di riunire passato e futuro.»
«O presente e futuro.»
«Questione di punti di vista. Perché non pro– Ehi, Kelly! Stai andando nella direzione sbagliata!»
Hailey si voltò infastidita verso James e raggiunse i due. «Quel nome non mi piace, piuttosto chiamami Betty, Lola, Holly, Lizzie o— Aspetta, ce l'ho: Hailey.» Esordì incrociando le braccia al petto.
«Perché non Missie? O Nessy—! Anche se, riflettendoci, sarebbe offensivo per l'originale.» Annuì convinto Max, ghignando e ignorando l'espressione colorita e poco cordiale che gli rivolse Hailey.
Perlomeno – pensò James – le aveva parlato e aveva ricevuto risposta.
Sospirando, il biondo si interpose tra i due e, spingendoli gentilmente, li fece avanzare.
«Sono solo precauzioni. Mi spiace che ti dia fastidio, ma in alternativa dovrei evitare di chiamarti.» Spiegò pazientemente. «E non immaginate neanche, Bonnie e Clyde, quanto io ami richiamarvi di continuo come fa una mamma coi suoi figli pestiferi.»
Hailey e Max alzarono gli occhi al cielo, sbuffarono e continuarono a camminare, alla volta del Paiolo Magico.
Era bellissimo camminare per Diagon Alley in quel periodo, Hailey doveva riconoscerlo: a quei tempi Voldemort non non era ancora comparso, c'era soltanto un giovane, folle Tom Riddle con grandi piani in mente. Spesso aveva considerato la possibilità di annientarlo ora che poteva: per quanto fosse sempre stato un mago tanto brillante quanto temibile, il Signore Oscuro, nelle condizioni in cui si trovava Hailey avrebbe potuto sbaragliarlo.
In un possibile scontro, per dire, per lei ci sarebbe stata qualche possibilità avere la meglio senza alcun aiuto esterno.
Ma non sarebbe stato corretto approfittare di essere una TimeRider per modificare la storia, anche se ciò avrebbe salvato milioni di vite innocenti. Già.
Inoltre, in quel preciso momento chissà dov'era – ricordò, sfiorando con le dita la gemma che la rendeva invisibile alle folle dell'agosto del 1950.
James le aveva spiegato che in alcuni casi specifici era preferibile interagire con la  – poca – gente del passato che era al corrente dell'esistenza di piccoli gruppetti di Crononauti in un'epoca diversa da quella in cui il suddetto gruppo stanziava.
«La mia idea iniziale era Ollivander, vero. È da sempre un mago dal gran cuore, ma è da lui che comprerai, tra più di quarant'anni, la tua prima bacchetta. Gregorovitch, be', è il male minore. Non che avessimo molta altra scelta; sono pochissimi a sapere dell'esistenza di gente come noi e sono ancor meno coloro che possono ricordare di averci incontrati. Sai com'è: la curiosità è umana e se non si è predisposti a questo genere di segreti, be', si diventa un pericolo.» Le aveva spiegato con pazienza.
«Specie se parliamo di uno che ha spifferato come un idiota ai quattro venti di possedere la bacchetta di Sambuco, facendosela soffiare come un allocco da uno dei maghi Oscuri più potenti della storia, per giunta!» Aveva replicato lei, facendo una smorfia. «E quindi facendo arrivare anche Voldemort a quell'affare, alla fine della fiera.» Aveva aggiunto.
Avrebbe senz'altro preferito rischiare con Ollivander.
«Empatica?»
«Mh?»
Non appena la mano di Max le sfiorò il braccio, Hailey sussultò e si accorse di essere praticamente passata davanti al passaggio di mattoni per la Londra Babbana invece di fermarsi. Guardò spaesata Max, scorgendolo dietro i suoi temporanei occhi azzurri «Scusami.» e tornò sui suoi passi.
James era già là, e guardava con celata nostalgia ogni mattonella di quel passaggio.
Max, invece, non essendo mai stato là, si mise a guardarsi attorno distrattamente, fingendo di non essere incuriosito dal posto in cui si trovavano.
«E adesso?» Domandò annoiato, guardandosi attorno. «Dov'è Gregorovitch?»
«Che ore sono?» 
«Cinque e ventitré.»
James annuì e schioccò la lingua sul palato; un sorriso astuto illuminò il suo viso. Si allungò per gettare un'occhiata a pochi metri da loro, guardò il passaggio e alzò una mano.
«Quattro...» Ne abbassò uno. «Tre... Due...» 
Altri due. 
« Uno...»
Non appena chiuse la mano a pugno i mattoni del passaggio si smossero. Max alzò un sopracciglio indietreggiando d'istinto ed Hailey vide comparire un uomo dallo sguardo vispo quanto torvo. I lunghi capelli crespi parevano aver preso la scossa e incorniciavano un viso scarno e un tantino avvizzito. 
I due guardarono James con un'espressione palesemente stupita e lo seguirono: si era avvicinato all'uomo.
«Mi scusi, signore.» Esordì il biondo con fare affabile. «Lei è il signor Gregorovitch, dico bene?» 
L'uomo guardò circospetto James, Max e Hailey. «Sì. Voi sareste...?»
«Indicibili.» Annunciò James, guadagnandosi lo stupore dei suoi compagni. Si guardò attorno e aggiunse a bassa voce: «Indicibili alquanto speciali, che conoscono ieri, oggi è domani.»
Gli occhi di Gregorovitch si spalancarono a quelle parole e da diffidente la sua espressione divenne stupefatto e incuriosita. 
«Voi—?» Lì sguardo da capo a piedi. «Così giovani?»
«Già.» Borbottò Hailey, sospirando e incrociando le braccia al petto. 
«E da dove?» Chiese eccitato. «Da dove venite?»
«Da un paio di ieri.» Rispose Max, in contemporanea con Hailey, la quale disse: «Da parecchi domani.»
Si guardarono torvi.
«Sì. Molti domani.» Iniziò uno.
«Ma con qualche ieri di mezzo.» Completò l'altra, sghignazzando.
James si schiarì la voce e chiese: «Ha notato che tempo, signore?» pronunciando cauto ogni parola. «Un peccato per la pioggia.»
Così dicendo, James aprì l'ombrello, abbastanza grande da coprire più che a sufficienza lui e Gregorovitch. 
«Ma cos—» Hailey non fece in tempo a dire altro che Max le assestò una gomitata che gli valse uun'occhiataccia.
Lui in risposta le indicò il cielo. Hailey alzò il viso, scorgendo delle nuvole grigiastre che non presagivano certamente bel tempo. Le aveva notate anche prima, sì, ma abituata com'era al clima inglese non aveva pensato alla possibilità che preannunciassero pioggia!
Ben presto una goccia d'acqua le cadde sulla punta del naso, seguita da un'altra e un'altra ancora.
«È fastidioso. Specie per le giovani, quando le coglie di sorpresa.» Aggiunse James, mentre un gruppetto composto da quattro ragazze vestite di abiti prettamente estivi schizzava là davanti cercando di ripararsi dall'improvviso acquazzone. Guardò Max e Hailey con eloquenza e prima che l'Empatica potesse rendersene conto lo Scrutatore le aveva messo la sua giacca sui capelli, utilizzando per sé il cappuccio della felpa che indossava, e l'aveva attirata a sé, circondandole le spalle con un braccio.
«Merlino benedetto...» Gregorovitch da sorpreso divenne raggiante. «Che mi venga un colpo! Sei davvero un Indicibile Crononauta, ragazzo?» Chiese cauto, senza però contenere l'eccitazione.
James annuì affabile e indicò Max e Hailey. «I miei amici: Jany e Al
Al sentire quei nomi, Max serrò la mascella e sbiancò, mentre Hailey avvertì un lieve formicolio alla bocca dello stomaco.
Perché le pareva di aver già sentito quel diminutivo? 
«Ci servirebbe una bacchetta per lei, a tal proposito.»
La voce di James la riportò alla realtà.
«Oh, ma certo!» Esclamò Gregorovitch. «Andiamo al mio laboratorio, troveremo a questa bella fanciulla subito una bella bacchetta, vedrete! Su su, useremo la Smaterializzazione Congiunta.»
Hailey si sforzò di sorridergli con gratitudine, ignorando il ronzio che sentiva nelle orecchie. «La ringrazio.»


Il laboratorio di Gregorovitch non era poi tanto diverso dal negozio di Ollivander.
Era anch'esso pieno di scatole allungate etichettate e diverse tra loro. Solo, era più disordinato e aveva più spifferi.
Non appena erano arrivati, Gregorovitch aveva domandato al trio ospite se volessero una tazza di the, invito gentilmente declinato da James e Hailey.
«Torno subito col the per te, ragazzo, e qualche bacchetta da far provare a te, Jany.» 
Così dicendo, Gregorovitch era sparito.
A quel punto, Hailey raggiunse James e lo guardò come a chiedergli spiegazioni, ma tutto ciò che ricevette fu un sorriso di compiacenza.
«È pur sempre un Osservatore, sbaglio?» Si limitò a dirle Max quando lo sguardo indagatore dell'amica sfiorò anche lui, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e borbottando qualcosa circa la colossale differenza climatica presente tra l'Inghilterra e l'America.
Poco dopo, Gregorovitch fu di ritorno con un metro e qualche paia di scatole contenenti diverse bacchette. Fece levitare un vassoio colmo di pasticcini e una tazza di the fino a Max, che lo prese al volo per evitare che cadesse disastrosamente a terra, ringraziando cortesemente il padrone di casa ma decidendo con risolutezza di non avvicinare nulla di tutta quella roba dall'odore insolito alla sua bocca.
«Sono andato un po' ad occhio, sai. È la seconda volta che ricevo visite speciali, ma sarà sempre sorprendente, per me.» Le spiegò mentre le prendeva le misure. «Non so nemmeno se questo è il tuo vero aspetto, a ben pensarci!» Aggiunse.
«Sono più alta di pochi centimetri, in realtà.» Mormorò Hailey.
Soddisfatto, Gregorovitch aprì una scatolina e le porse la bacchetta in essa contenuta.
«Be', vediamo quale bacchetta ti sceglierà.» 
Sorridendo, Hailey impugnò almeno una ventina di bacchette senza risultato. Allora iniziò a scoraggiarsi.
Dopotutto, lei non apparteneva a quel tempo! E se avesse, con la sua visita, sottratto la bacchetta a qualcuno?
Tipo ad Alastor Moody!
O a Viktor Krum! Sapeva con certezza che la sua bacchetta l'aveva avuta proprio da Gregorovitch.
«Non scoraggiamoci, suvvia!» La incoraggiò quest'ultimo, imboscandosi nuovamente dal suo regno. Lo sentì chiaramente dire: «Non esiste mago che io non sia riuscito ad abbinare a una bacchetta, per Merlino, e tu non sarai l'eccezione. Nossignore.» 
«Non sarà sbagliato fare acquisti così importanti fuori tempo?» Esordì Hailey.
James scosse il capo e le lanciò la sua boccetta di Pozione Polisucco, indicandole i capelli. Da viondi stavano iniziando a tornare castani.
Arricciando il naso, Hailey mandò giù la pozione così come i suoi compagni. «Puah!»
«Già, quoto.» Annuì Max, sputando il primo e unico boccone di cibo che aveva assaggiato e appoggiandosi distrattamente a uno scaffale. Un suo movimento improvviso e il modellino in scala originale della bacchetta di Sambuco cascò a terra, seguito da un paio di scatole che si aprirono all'impatto col suolo.
«Cos'è stato?» 
Gregorovitch accorse quasi sommerso dalle bacchette e, alla vista del suo modellino a terra, ne fece cadere buona parte.
Max imprecò in stretta parlata americana e si affrettò ad aggiustare il danno con un colpo di bacchetta.
«Mi scusi, non l'ho fatto di proposito.» Disse al mago più anziano, rimettendo a posto il modellino «Faccio io, non si preoccupi!» e chinandosi per raccogliere le scatoline che aveva fatto cadere.
«Prova questa, figliola. È di ciliegio, chissà che non sia quella giusta! E comunque, ragazzo, sta' tranquillo. Quel modellino non sarebbe mai stato come l'originale. Era talmente formidabile, quella bacchetta—! Un gioiello! Sapete mica se in futuro la riavrò mai?»
«E lo chiede anche?» Sbottò sarcastica Hailey. «Neanche immagin— Ouch
James nascose l'ombrello dietro la schiena e si allontanò di un passo dall'amica, la quale rettificò, massaggiandosi il fondoschiena: «Neanche immagina quanto mi dispiace non poterle dare una risposta — Volevo dire questo, sì.»
«Capisco. È un peccato, però.»
Nel mentre, Max raccolse le cinque scatole da terra e le posò sul tavolo, assieme alle altre. Dopodiché guardò spaesato le cinque bacchette sul pavimento: aveva molta importanza la loro collocazione nei contenitori?
Andiamo, erano tutti più o meno uguali!
Sbuffando, fece per prenderne una a casaccio, ma la lieve scossa che ricevette non appena ne ebbe una in mano lo indusse a ritrarsi; si guardò la mano: non aveva sentito nulla se non alla punta del dito con cui aveva sfiorato casualmente un'altra bacchetta.
La guardò accigliato e, d'istinto, la raccolse: non lo riconobbe, era evidente che non l'aveva scelto, ma allora – si chiese – perché la sua bacchetta, nascosta nella tasca interna della giacca a vento, aveva iniziato a pulsare?
Si alzò con l'intento di dire a Gregorovitch che quella bacchetta doveva essere difettosa ma, prima ancora di aprir bocca, comprese. Sentiva l'impulso di avvicinarsi ad Hailey, o meglio era la sua mano destra ad avvertire l'impulso di avvicinarsi ad Hailey!
«Neanche l'ebano, mh?» Stava dicendo perplesso Gregorovitch, mettendo via l'ennesima bacchetta. «Se posso chiedere: com'era la tua prima bacchetta?»
«Oh, intende questa!» Hailey tirò fuori dalla sua borsa due pezzi di legno che poi erano i resti della sua bacchetta. 
Non appena la vide, il fabbricante di bacchette parve identificare subito di che legno fosse fatta. «Agrifoglio! Giusto?»
«Giusto.» Annuì Hailey. «Con Crine di Unicorno.»
«Proviamo con una bacchetta simile, allora. Scommetto che questa la comprerei da me, vero?»
«Prova con questa.»
Hailey si vide allungare sotto il naso una bacchetta dal colorito caldo. Guardò Max: sembrava più interessato a fissare la pioggia fuori dalla finestra che la sua interlocutrice.
«Quello è biancospino.» Osservò Gregorovitch.
«Mi pare sia un tipo di legno abbastanza diverso dall'agrifoglio.» Mormorò tra sé e sé James, guardando Hailey spostare lo sguardo da Max alla bacchetta che – notò - fremeva tra le sue dita.
Convinta che tentare non le costasse nulla, l'Empatica la impugnò e una sensazione di benessere provata solo una volta prima di allora l'avvolse. Dal palmo della sua mano parve sprigionarsi una calda energia, che si propagò alle sue dita, fino ad arrivare al nucleo della bacchetta. Di lì si animò e defluì verso la punta, da cui si sprigionò una lieve brezza che sapeva d'estate, di vita.
Hailey guardò stralunato Max il quale, in tutta risposta, distolse lo sguardo e si schiarì la voce Appellando con noncuranza le rimanenti quattro bacchette.
Gregorovitch gioì. «Ci siamo! Posso vederla, cara?»
«Cosa...? Oh! Sicuro.»
James seguì ogni movimento effettuato dalle dita del fabbricante di bacchette, pensoso.
Guardò i suoi compagni e sollevò un angolo della bocca.
«Biancospino, Corda di Cuore di Drago, dodici pollici, flessibile.» Sentenziò Gregorovitch, riconsegnando la bacchetta ad Hailey. «Una combinazione quasi agli antipodi della prima, mh?»
«In effetti... Quando l'ho acquistata mi è stato detto che le bacchette di agrifoglio sono volte a proteggere il proprietario e cose del genere.»
«Già. Quella di biancospino, invece, ha una natura complessa e intrigante. È una delle pochissime opinioni che condivido con quel diavolo di Ollivander.» Spiegò Gregorovitch, facendo una smorfia al pronunciare il nome dell'altro fabbricante di bacchette. «È ricca di paradossi come l'albero da qui proviene: i fiori e le foglie hanno poteri curativi, mentre i rami tagliati odorano di morte.»
Di lì, un imbarazzante silenzio calò nella stanza, che venne interrotto da James: «Bene, si è fatto tardi. Quanto le dobbiamo?»
«Oh, nulla!»
«Siamo Crononauti, questo sì, ma abbiamo il senso della decenza, sa?» Sbottò sospirando Hailey, frugando nella sua tasca e tirandone fuori un pezzo di carta colorato.
«Che cosa sarebbe quello?» Sibilò minacciosamente Max, mentre la ragazza porgeva il foglietto colorato a Gregorovitch, il quale lo accettò sbigottito.
Nella sua mente si chiese se l'Empatica del loro trio potesse davvero essere così idiota da lasciare nel passato del denaro proveniente da un'altra epoca.
Sulle labbra della suddetta Empatica si dipinse un sorriso affabile. 
«Soldi del domani da cui vengo, no?» Rispose con nonchalance. «Avrà l'esclusiva, così, quando verranno messe in circolazione. Oh, e—» Pescò dal suo giubbino una grossa moneta dorata. «—tenga anche questa!»
James arcuò un sopracciglio soffocando un sorriso divertito.
«Una moneta di cioccolato.» Precisò subito Hailey, scartandone un'altra, spezzandola a metà e ficcandone un pezzo in bocca a Max prima che potesse preferire parola. 
«Le basta?»
L'eccitazione palpabile che illuminava il volto arcigno di Gregorovitch era la risposta alla sua domanda.
Dopo che questi li ebbe ringraziati per l'acquisto della bacchetta, lì condusse alla porta.
«Non avete bisogno che vi riaccompagni a Diagon Alley, vero?»
«Si figuri, siamo maggiorenni quasi tutti e tre!» Rispose Hailey, puntellando la spalla di James – il quale, dai suoi sedici anni compiuti da poco, la superava in altezza di dieci centimetri e passa – con la bacchetta.
«E maturi.» Tossicchiò sarcastico Max, tirandola via.
James strinse la mano a Gregorovitch «Arrivederla, signore. E scusi per il disturbo arrecatole.» e con l'altra prese la sua bacchetta, puntandola contro il fabbricante di bacchette. «Mi permetta di alleggerirgliene il ricordo.»
«Cosa...?»
«Obliviate

«Gli hai dato dei soldi del futuro?!»
«Cosa? Certo che no!»
«Ma—»
«Quelli sono soldi del Monopoli, Al

 

 



 

Writer's side

. . . Io lo so che nel profondo di voi stessi mi amate nonostante tutto.
Sì.
...Già.
Lo so, sì sì!
.
.
.
No, eh? XD
Okay, ora sono seria. Davvero, sono tremendamente dispiaciuta di non essere riuscita a farmi viva prima!
Scusate-Scusate-Scusate-Scusate-Scusate all'infinitesima potenza — ho avuto le mie ragioni, eh, ma ho fatto seriamente l'impossibile per finire di scrivere queste misere – ma dense dense, direi – pagine Word.
Dunque dunquino, come al solito pur avendo eventuali riferimenti da esplicitare, arrivata qua, mi ritrovo la mente bianca. E vabbé, per qualsiasi curiosità basta comunque chiedere e chiarirò ogni vostro dubbio. Tanto lo sapete, ormai, che nulla in questa fanfiction accade o viene scritto per caso! x3
La scena più difficile da scrivere? Mh, nessuna in particolare, ho un debole per le scene come quelle di questo capitolo, sono stimolanti e quasi divertenti da buttar giù. La parte del lavoro non proprio immediata è stata creare dei collegamenti tra i vari paragrafi, ma mi sono sforzata perché così avete una visione a trecentosessanta gradi di ogni avvenimento e di ogni causa–conseguenza.
Spero di non avervi delusi e di sentire presto i vostri pareri (anche gli insulti più che giustificati rivolti alla mia persona xD).
In settimana ho tre o quattro verifiche, per cui compatitemi.
Sia chiaro: scriverò anche a costo di giocarmi la mia stessa e già di per sé carente sanità mentale. Giuro!
Ma, in caso non dovessi farcela a pubblicare qualcosa entro sabato, lo farò o domenica o... a sorpresa, come oggi! -w-
Per farmi perdonare – perché sì, il mio Occhio Interiore aveva previsto la mia morte imminente (a Malta, in Italia— non era previsto che arrivassi al mio diciassettesimo compleanno, insomma! xD) e mi son detta: “Se proprio devo morire, lo farò lasciandomi alle spalle una storia dal finale aperto ma con un tributo fAigo!” - ho qualcosa per voi!
A questo indirizzo — here — troverete una specie di nuovo (l'altro, il primo in assoluto che ho montato alla cavolo secoli fa, è qua!) VideoTrailer della fanfiction, dove appaiono i TimeRiders, George e i gemelli – in quest'ordine.
Godetevelo, se vi va aggiungetemi senza problemi, in caso di necessità o noia sentitevi liberi di scrivermi e— nada! Alla prossima!

Soleil Jones

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Capitolo 26
*** Il miracolo ***


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Il miracolo

 

Quando Eric riprese conoscenza lui e Son non erano ancora fuori pericolo; il suono distinto degli incantesimi e l'odore pungente del sangue, persistenti, ne erano la prova. Debolmente, si imponeva di ridestarsi, ma gli risultava impossibile: era una sorta di dormiveglia, la sua. 
Un campanello d'allarme continuava a suonare, a urlargli che John era in pericolo, ma il resto del suo corpo pareva essere fatto di marmo. 
A un certo punto, sentì il corpo di Son irrigidirsi contro il suo, tremare, e qualcosa di caldo, una brezza odorante di cenere e fuoco, gli sferzò il viso, facendolo tossire.
«Sta' buono, bello, sono solo dei bambini!» Proruppe una voce sconosciuta, di un ragazzo. Son si rilassò impercettibilmente. «Cosa vi è successo, piccola?»
«Per favore, è stata Firefiles a dirci di venire qui!» Squittì terrorizzata Son, prendendo a parlare nervosamente e a più non posso. «Con voi c'è anche mio fratello Shawn!»
«...Vieni con me, piccola — Artemis, apri! È tutto okay, c'è bisogno di Sigyn, qui!»
Eric mugugnò una debole protesta quando una presa più ferrea e forte rispetto a quella di Son l'avvolse, ma non ebbe nulla da ridire quando i rumori di Upside Street si fecero più lontani, sigillati dal rumore di una porta che si chiudeva.
«Chi è il mostro che li ha ridotti così?! Sembrano reduci da una carneficina!» Aveva esclamato colei che li aveva fatti entrare.
«Apollo, mi hai— Dio mio, Fitz, portami la mia bacchetta, presto!»
«Prendi il bambino, è svenuto.» 
Al che, la presa cambiò; Eric si sentì afferrare da sotto le ascelle e trascinare su quello che, a tatto, doveva essere un divano. «Torno fuori a controllare Incendio.»
«Fare da crocerossina non era esattamente la mia più grande aspirazione.» Sbottò ironica quella che doveva essere Artemis, la ragazza cui Eric era stato affidato. «Loki, reggigli il capo. Vediamo di farlo riprendere.»
«Niente sberle, Artemis, o te la vedrai con me, intesi? Loki, dategli del cioccolato.»
«Signorsì, Sigyn.»
Qualcosa di dolce e deliziosamente familiare destò Eric dal suo stato confusionale, sciogliendoglisi in bocca e scivolandogli in gola; mentre si umettava le labbra, sporche di cacao, il moro socchiuse gli occhi, incontrandone un paio azzurri come ghiaccio al sole. Illuminavano un viso femminile, tondo, roseo e puntellato di lentiggini, in perfetto abbinamento coi lunghe ciocche rosse che lo incorniciavano.
«È sveglio.» Esordì sollevata la rossa in tono brusco. Si allontanò e, così, Eric poté notare di trovarsi in un ambiente illuminato interamente da fiammelle fluttuanti, colorate di un rosso macchiato di blu. Ne rimase stupefatto, e doveva vedersi poiché qualcuno, alle sue spalle, disse in tono strafottente: «Sono Fuochi Fatui, già. Non sei di queste parti, vero?»
Ricollegando le frasi sconnesse udite poco prima, Eric ricordò la presenza di un certo Loki e realizzò di avere il capo appoggiato sulle sue gambe. Scattò in piedi barcollando appena, trafelato.
E lo vide: viso allungato, sguardo tanto intelligente quanto impertinente, di un verde glaciale, profondo ed ingannevole, ma imperscrutabile e forte, che pareva tendere al blu o alle sfumature più chiare del castano. Al vedersi osservare in quel modo, il ragazzo inarcò un sopracciglio. «Cos'è, non parli la mia lingua?»
«La parlo benissimo, invece.» Rispose ansante il castano, assottigliando gli occhi color smeraldo e guardando la rossa. «Chi siete? Che posto è questo? E già che ci siamo: dov'è Son?»
«Sta bene, piccolo, non preoccuparti!» Esordì la voce di una ragazza dai lunghi capelli biondo grano, che aveva sentito prima, quando aveva chiamato Fitz. Il suddetto – Shawn, a quanto aveva capito – era la perfetta copia maschile della sorella, e in quel momento fissava con minuziosa attenzione ogni gesto con cui la biondina – Sigyn – le stava prestando delle cure. «È una tipa tosta, vero, Shawn?»
«Se è per quello, è anche piccola.» Borbottò ansioso il dodicenne, guardando Eric come se stesse cercando il modo di ribassare il proprio orgoglio e, magari, ringraziarlo. Non dovette riuscirci, perché distolse lo sguardo e lo puntò sulla soglia di quello che, a occhio e croce, pareva un monolocale ampliato con la magia. 
«E tu non pari certo un Auror, per cui tieni.» Disse Loki, mettendo in mano ad Eric il rimanente di una tavoletta di cioccolato.
«Non sembri americano.» Esordì Artemis, giocherellando con quella che Eric riconobbe essere la sua bacchetta. «Europeo, sì? Greco o italiano, scommetto.»
«Inglese.» Biascicò il castano, incartando ben bene il cioccolato e mettendoselo in tasca. «E neanche voi lo sembrate, sinceramente.»
«Se è per come ci chiamiamo tra noi, sappi che sono solo pseudonimi. Io sono Alice, ad esempio: non Artemis, ma Alice Kirkland.» Rispose la rossa, indicando poi Loki, «Eirik Steilsson – anche se, lo so, il suo pseudonimo gli calza talmente a pennello che lo si dovrebbe chiamare Loki e basta! La sua famiglia è originaria dell'Islanda o giù di lì, hai capito.» Fitz, «Shawn Fitzgerald, l'avrai capito. Americano al cento per cento, è una matricola, tra di noi.» e Sigyn. «Julchen Beilschmidt, suo padre era tedesco. Non chiedermi come si scrive il suo cognome, è già tanto saperlo pronunciare!»
«Sbagli ancora a farlo, infatti. E mio padre era prussiano, Alice, del lato Est del muro di Berlino.» Rise Julchen. «Oh, il ragazzo che ha accolto te e Son, invece, era Apollo, altrimenti noto come Lukas Bøndevik.»
«Scandinavo anche lui, la sua famiglia a scuola è storica, una leggenda. E, a proposito, benvenuto in uno dei luoghi di ritrovo segreti dell'Armata di Amstrong.» Continuò Eirik, alzandosi dal sofà. «Se ci volessi dire come ti chiami non ci offenderemmo, promesso.»
«Eric. E se mi voleste ridare indietro la mia bacchetta neanche io mi offenderei.»
«Perché, è vera? Non sei piccolo per poter fare incantesimi fuori da scuola?» Ribatté Alice, guardandolo sospettosa. 
«Certo che è vera, e mi serve!» Disse semplicemente Eric, tendendole la mano destra. «Mio fratello è là fuori, devo andare a cercarlo!»
«Pft, non esiste proprio!»
«Alice!» Sbottò Julchen, sospirando; chiese a Son come stesse e, accertatasi che era tutto apposto, raggiunse l'amica e la guardò con biasimo. «Quel che voleva dire, Eric, è che è troppo pericoloso. Fuori c'è il caos più totale!»
«Ma a me non importa!» Sbottò Eric. «Ridammi la mia bacchetta!»
«Sennò che mi fai?»
«Alice...»
«Non ti piacerebbe scoprirlo.»
«Ha fegato, il ragazzino!»
«Mein Gott, Eirik—!»
«Ehi, che succede qui?»
«Voglio proprio vedere se hai il coraggio di far valere le tue parole!»
«Sta' pur certa che non mi manca!»
«. . . Afferrato. Accio bacchetta!» Lo sguardo di Eric, furente d'ansia e di rabbia, corse fino a raggiungere la figura di un ragazzo castano, alto, dai gentili e fieri occhi color prato e il volto lentigginoso. Quest'ultimo guardò prima lui e poi Alice con un sopracciglio inarcato, sorridendo divertito e lanciando ad Eric la sua bacchetta. 
«Il tuo comitato di benvenuto non manca mai, eh, Artemis?»
«Ci sono pericoli là fuori?» Gli domandò Eirik in tono spiccio.
«Non nelle immediate vicinanze, sembrerebbe. Ma Incendio non è tranquillo.» Rispose serio il castano.
Incendio? – si chiese Eric – Sarebbe il nome di un altro dei loro compagni?
«Allora potremmo tornare a scuola giusto in tempo per il coprifuoco, no?»
«Stai scherzando, Sigyn?! Là fuori c'è uno scontro e tu pretendi di tornartene a scuola?!»
«Artemis, datti una calmata. Parlava della bambina; Sigyn non è una Medimaga o cos'altro, e come ci hanno sempre detto: Amstrong è aperta a chiunque abbia bisogno di aiuto.»
Eric guardò Son con sguardo dispiaciuto: la maglia che indossava ora era pulita e priva di macchie di sangue – era troppo grande per essere sua – , tuttavia le fasciature erano visibili e il suo viso era pallido. Si stringeva al fratello maggiore, Shawn, come a un'ancora di salvezza e non smetteva di far correre gli occhi da un presente all'altro.
«Sì, Loki, ma sarà già tanto se troveremo il modo di spiegare come c'è arrivata, ad Amstrong, senza rivelare che abbiamo lasciato la scuola.»
«Io non la lascio qui, che sia chiaro!» S'infervorò Shawn, lasciando andare la sorella per fronteggiare Alice. Lukas si interpose tra i due.
«Non intendeva dire questo, Fitz; troveremo un modo. Non lasciamo mai nessuno indietro, lo sai.»
Neanche finì di dirlo, che un potente ruggito colorò l'aria – già intrisa di tensione – e l'acre e sgradevole odore di fumo arrivò alle narici di tutti i presenti. 
Eric vide Lukas sbiancare, Alice impugnare la bacchetta ed Eirik afferrare per un polso Julchen e spingerla dietro di lui. Di riflesso guardò Son, i cui occhi erano sgranati, e attraverso il vetro della minuscola finestra posta alle sue spalle vide un uomo dai capelli fulvi puntare la bacchetta, tra le fiamme. 
Senza pensarci, si gettò su di lei ed evocò piu forte che poté un incantesimo di protezione, che creò una barriera argentea su cui i pezzi di vetro della finestra e l'Anatema dell'uomo s'infransero.
«Alzati, muoviti!» Le urlò, spintonandola tra le braccia di Shawn, il quale indietreggiò tremante e stringendo a sé la sorella.
Eric si riconcentrò sull'uomo là fuori e, senza accorgersene, vide partire due diversi incantesimi, ad opera di Alice ed Eirik.
Quest'ultimo lo strattonò lontano dalla finestra e fece per scavalcare il davanzale e lanciarsi sullo sconosciuto, quando questo scomparve tra le fiamme. Il fuoco divampò e Alice fece appena in tempo a tirare indietro l'amico, afferrandolo per il mantello.
«Avrei usato un Protego.» La rimbeccò irritato il moro, ma la rossa non gli rispose male: doveva essere il loro modo di ringraziarsi. «Cambio di programma: qualcuno scorti Fitz e Son lontani da qui.»
«Ci penso io.» Esordì Alice, scrocchiandosi le nocche e prendendo per mano Shawn. 
I Fuochi Fatui che prima illuminavano l'ambiente schizzavano da una parte all'altra e la rossa ne evitò uno per un pelo.
Nel mentre, Julchen si era precipitata alla porta, incurante del fumo che lasciava filtrare da fuori e del calore eccessivo. La sbloccò con un colpo di bacchetta, premendosi una mano sulla bocca per non inalare tossine.
Lukas la raggiunse, le mise sul viso una maschera protettiva, tirata fuori da sotto il suo mantello, e l'allontanò, gridando: «Incendio!»
«L'abbiamo notato!» Gli urlò contro Eric, terrorizzato da tutto quel fuoco. Prese un profondo respiro e, quasi senza accorgersene, fece partire dai suoi stessi palmi un gran flusso d'acqua.
«Non quello, il mio drago!» Gli rispose agitato il castano, cercando di domare le fiamme. 
Eric lo guardò sconcertato e, quando tornò a guardare davanti a sé, si scontrò con l'uomo che li aveva aggrediti. Costui ghignò ferocemente e lo afferrò per i capelli, facendolo gridare.
In uno schiocco, Eric sentì le urla di Julchen e Son sparire ed il caldo soffocante delle fiamme venne sostituito dal duro gelo dell'asfalto.

 

 

*

 

 

«Magie Sinister? James, non è un po' sempliciotta come possibile spiegazione?»
«La proprietaria, Glenda Hawk, era... be', il tipo di persona da cui compreresti diari e libri oscuri.» 
Max tirò per un braccio Hailey prima che questa andasse addosso a un ometto tarchiato e dall'aria maligna, intenta com'era a fissare James con aria confusa.
«Non l'ho mai sentita nominare.» Disse.
«Questo perché morirà domani, mentre i tuoi genitori ancora non si sono neanche incontrati.» Rispose semplicemente il biondo. «Nessuno sa come sia morta, nemmeno io, negli archivi che ci sono stati lasciati non c'è nulla in proposito; solo la data del decesso.»
Max lo guardò torvo, chiedendosi come accidenti potesse parlare della morte di una persona come se si trattasse del tempo o di una qualsiasi altra piccolezza.
«E credi che possa davvero aiutarci?» Insisté Hailey, sondando con gli occhi chiari Nocturn Alley.
«Ha avuto dei precedenti discutibili, ma è una strega eccellente. So che avrebbe voluto diventare Indicibile, iniziò anche il tirocinio. Ma qualcosa la convinse a desistere, non ne ho idea e non m'interessa molto. Eccoci qua.»
Max storse il naso; non avrebbe trovato un nome più appropriato per quel postaccio se non Magie Sinister. Tutto, nella sua apparenza, trasudava mistero e qualcosa di losco – o meglio, indefinito; e Max non amava ciò che non riusciva a cogliere se non con rare eccezioni.
Si tolse la protezione e la infilò in tasca, venendo imitato da Hailey.
«Entrerò con voi, okay? Dopo Max e prima di Hailey, che chiuderà la porta. I vostri nomi sono Steve Rogers e Darcy Lewis.» Si raccomandò James, guardandoli come a voler loro chiedere se avessero capito le sue istruzioni.
Quando aveva deciso di indagare oltre sullo strano volume che aveva condotto Max e Hailey nella Hogwarts degli anni settanta aveva anche pensato che se da un lato non li avrebbe lasciati tornare laggiù da soli dall'altro lui non poteva permettersi di essere scorto. Ecco perché a farsi vedere sarebbero stati solo lo Scrutatore e l'Empatica, i quali si scambiarono un'occhiata e annuirono.
Max, rivolgendo una fugace occhiata ai compagni, spinse in avanti la porta del negozio e, con passo felpato, varcò l'uscio della porta.
«Madame Hawk?» Domandò al nulla, al buio che avvolgeva quel posto. Dietro di lui, James trattenne impercettibilmente il fiato, perdendosi ad osservare con gli occhi azzurri le ombre stagliate sulle pareti di legno ammuffito.
Hailey serrò la mascella, facendo lo stesso; nei tre anni in cui aveva frequentato Hogwarts e quindi Diagon Alley non aveva mai pensato di recarsi da Magie Sinister, per altro situata a Notcurn Alley, ma immaginava che nella sua epoca fosse un posto più curato. Meno inquietante, ecco.
La porta cigolò dietro di lei e si chiuse in un tonfo, facendo sobbalzare sia Max che James; il moro fece illuminare la punta della sua bacchetta e rivolse un'occhiata di biasimo alla compagna, la quale ricambiò con uno sguardo atterrito.
«Non sono stata io.» Sussurrò. Al che, Max la superò e afferrò la maniglia della porta, tentando di aprirla. Eppure nulla: non ne voleva saperne di cedere, e la cosa lo rendeva nervoso, neanche la magia funzionava.
«Alohomora, AlohomoraAlofottutissimahomora–!»
James, dal canto suo, parve non scomporsi più di tanto. Hailey non poteva vederlo, dacché aveva indosso la sua pietra protettiva, ma immaginava che stesse esaminando l'ambiente senza batter ciglio e lo invidiò, anche, per il sangue freddo che possedeva.
Ma anche James in realtà era nervoso, e tanto, anche; un presentimento, un tarlo che lo tormentava da un po', si faceva sempre più strada nella sua mente.
«Max?» Pigolò Hailey, scrutando con interesse un punto in cui l'oscurità di quel luogo pareva farsi compatta. Assottigliò lo sguardo, distinguendovi uno scintillio che la fece arretrare di un passo. Alla cieca, cercò lo Scrutatore, trovò il suo braccio e lo strattonò. «Max—!»
«Che c'è?!» Chiese impaziente l'americano, guardandola.
«Smettila con quella stupida porta, c'è qualcosa lassù!» Sibilò in risposta la castana.
«Hai notato che quella stupida porta è stata sigillata e che siamo bloccati qua dentro?!»
«Qualcuno, testone, è stato qualcuno!»
«Piantala di tremare, okay?! Mi rendi nervoso!»
Il loro scontro sibilante venne interrotto non da James – il quale non avrebbe potuto neanche essere sentito e che, inoltre, oramai non badava molto ai loro battibecchi – , ma bensì da una voce femminile roca e suadente, proveniente dal piano superiore del negozio, impossibile da scorgere.
«Hai paura del buio, ragazza?»
Hailey sobbalzò e, prontamente, impugnò la bacchetta e la puntò davanti a sé.
«Oh, per Merlino, mettila via! Se vuoi un po' di luce, basta chiedere.»
Uno schiocco di dita annunciò l'accensione di due fila di torce appese alle pareti che – Max lo notò solo in quel momento – non erano spoglie. Magie Sinister era pieno zeppo di oggetti dall'aria strana, che venivano sfoggiati in ogni angolo libero. Putando le iridi color notte in alto, vide una donna scendere con misurata lentezza una scala di legno; era grassa e alta, dal portamento fiero e la pelle scura, vestita di colori sgargianti. Le labbra carnose sorridevano con saccenza e gli occhi scuri, in parte nascosti dai riccioli corvini, li scrutavano senza sorpresa.
Avvertì le sue budella fare un balzo e un senso di nausea pervaderlo; prima che arrivassero James e Hailey era lui l'Empatico, nel trio dei TimeRiders, e conosceva quella sensazione. 
S'interpose tra Hailey e la donna e, diffidente, chiese: «Voi diete Glenda Hawk?»
«In persona, giovane.» Ribatté mellifua, fermandosi a pochi passi da loro. «E voi sareste, di grazia?»
«Steve Rogers e Darcy Lewis.» Rispose meccanicamente Hailey. «Vorremmo farle delle domande, Madame Hawk. Possiamo?»
Gli occhi neri della donna di colore si posarono sulla castana e, un attimo dopo, un sorriso accondiscendente si delineò sul suo viso paffuto. Tese una mano, invitandola a raggiungerla, ed Hailey superò Max con passo sicuro.
Sembrava uno scricciolo, in confronto alla proprietaria di Magie Sinister. Se ne accorse quando la mano della donna picchiettò affettuosamente la sua nuca – gesto che fece assottigliare lo sguardo a James che, diffidente, si avvicinò e poggiò una mano sulla spalla di Hailey.
Un pizzicorio colse il suo palmo, ma non vi badò: tenne gli occhi color cielo su quelli della donna finché questa non ritrasse la mano, insoddisfatta.
«La gentilezza e l'educazione sono cosa assai apprezzata nei giovani d'oggi, lo sai, Darcy?» Disse bruscamente Madame Hawk, in chiaro riferimento all'atteggiamento tenuto da Max poco prima. «Volete una tazza di the?»
«Noi...»
«No, Madame, grazie della vostra gentile offerta.»
Glenda guardò Max con entrambe le sopracciglia inarcate.
«Sì, ehm, lo abbiamo preso prima di venire qui, sapete.» Intervenne Hailey, sorridendo nervosa.
La sua risposta parve non piacere molto alla donna, ma quest'ultima non insisté oltre.
«Molto bene. Cosa volete sapere, dunque?»

 

 

*

 

 

«Eric... George, dov'è Eric? Voglio mio fratello...»
George non gli rispose; stava delirando, John, non faceva che mugugnare la stessa tiritera da dieci minuti buoni, il che era frustrante.
Reggendo il ragazzino da sotto le ginocchia e dalle spalle, il rosso diede un'occhiata al Café dove solo poche ore prima lui e i gemelli avevano incontrato per caso alcuni dei membri dell'Armata di Amstrong e, pur vedendolo deserto, entrò lo stesso.
I proprietari e i clienti dovevano essersi precipitati allo Stadio da Quidditch prima.
«George, è in pericolo... Mio fratello, ora, sta combattendo...»
«Come se tu stessi da pascià—!» Mormorò ironico tra sé e sé, raggiungendo il bancone. Un'esplosione in lontananza illuminò il cielo di Upside Street e, scacciando dalla sua mente le immagini delle stesse esplosioni avvenute a Hogwarts poco più di un mese prima, decise che se doveva cercare del Dittamo e qualche pozione per John avrebbe anche dovuto adagiarlo in un posto relativamente sicuro.
«Ho capito, John, ho capito. Troveremo Eric, okay?» Mormorò al bambino mentre si chinava a terra e Trasfigurava un apribottiglie in un cuscino. Storse la bocca; la McGranitt gli avrebbe dato una O come minimo, se fossero stati ancora a Hogwarts. 
«Prima dobbiamo aiutare te, però.» Aggiunse in tono conciliante senza guardare il castano, frugando nei ripostigli posti sotto il registratore di cassa. Si diceva che doveva cercare di far restare sveglio John, perché altrimenti la situazione sarebbe peggiorata all'inverosimile e lui sarebbe andato nel panico più totale.
«George?»
«Che c'è?»
«Io ed Eric siamo gemelli...»
«Lo so, Johnny, lo so.»
«Sai come vanno certe cose...»
George si arrestò di colpo; le labbra pallide e sottili serrate, gli occhi color nocciola persi in un ricordo tormentoso che lo fece trasalire.
Abbassò lo sguardo su John, guardando con espressione indecifrabile il viso cadaverico, gli occhi verdi vitrei, socchiusi e le labbra sporche di sangue rappreso incurvate in un sorriso amaro.
«Io non ero gravemente ferito, John, e non sono stato lo stesso accanto a lui.» Esalò, lottando per far uscire quelle parole veritiere, tenute nascoste per troppo tempo.
«Ma ci sei adesso...» 
George sorrise mestamente, aprendo la bocca per rispondere; le parole gli morirono in gola quanto la sua ferita all'orecchio sinistro vibrò. 
Si gettò su John stringendolo a sé mentre la vetrata, i tavoli e gli sgabelli del Café venivano spazzati via da un bianco accecante.
Quando l'esplosione fu passata, George aprì gli occhi; il registratore di cassa era ridotto in cenere, qualche galeone superstite gli era caduto addosso. Si ringraziò solo per aver avuto l'inconscia accortezza di scegliere il retro del bancone come rifugio e si alzò, sentendo un mugugnio familiare.
Non appena si sporse dal bancone fu proprio il caso di dirlo: parli del diavolo e ne spuntano le corna!
«Eric–?!»
Accucciato a terra coi vestiti sbrindellati, il labbro spaccato, i capelli sporchi di cenere e una mano a massaggiarsi la nuca, il ragazzino alzò lo sguardo su di lui.
«George–? Dove— AHIA! Perché mi hai colpito?!»
Trattenendosi dall'assestargli un'altra sberla dietro la nuca, George lo prese per la collottola della maglia e lo tirò dietro il bancone, lanciando una Fattura a Dolohov – e imprecandogli contro, anche.
Non appena Eric vide il gemello riverso a terra in quelle condizioni sbiancò e quasi lo travolse, tanta era la preoccupazione.
«Che cosa gli è successo?!» 
«Il tizio che con cui stavi combattendo l'ha colpito prima. Non so con che incantesimo, ma— Ah, maledetto bastardo, non ne vuole sapere di mollare! State qui, voi due!»
Prima che Eric potesse obiettare, George era corso fuori dal Café con la bacchetta sguainata. 
Il castano respirò a fondo, portandosi una mano alle gote sentì un'umida sensazione sotto i polpastrelli: lacrime.
Le asciugò in uno scatto e si chinò sul corpo tremante del gemello.
«John? Mi senti, vero? Andiamo, sono qui, Johnny. Sono Eric!» Gli diceva, dandogli dei lievi schiaffetti e scuotendolo, mentre gli occhi tornavano a pizzicare. 
«Era ora...» Rise piano l'altro, socchiudendo gli occhi. «Ti vedo malissimo...»
«Presto starai meglio.» Gli promise Eric, scostandogli i capelli da davanti al viso. Erano così vicini che poteva percepire il lieve respiro di John solleticargli la pelle.
Un singhiozzo uscì dalle sue labbra, incontrollato.
«Ho già usato il mio Obolo, Johnny. Ma ne abbiamo un altro, no?»
«Quello è per te, Eric...»
«Ma io sto bene!»
«Hai già usato la magia dell'Obolo, ci è concesso una sola volta a testa...»
«Sono sicuro di farcela, cos'ho da perdere?»
«Troppo, Eric. E se ti accadesse qualcosa?»
«Non voglio che tu muoia!»
Quella frase quasi la urlò, Eric, poggiano la fronte contro quella del gemello e singhiozzando. John socchiuse gli occhi stancamente e, non senza uno sforzo considerevole, confessò: «Ed io non voglio vederti morire di nuovo, fratello.» 
«Non succederà. Davvero, John, non stavolta.» 
John alzò un angolo della bocca. «Promesso?»
Eric annuì. «Lo giuro sullo Stige. Ed ora... Ora lascia fare a me, d'accordo? Fidati.» 
Chiuse gli occhi, chiamò a sé quanta più magia possibile, ma quando li riaprì nel suo palmo destro non c'era alcuna moneta d'oro.
In lacrime, ci riprovò.
Una, due, tre, quattro volte.
«Andiamo... Dai... So che ci sei... Accidenti, perché non funziona?!» 
Rivolse uno sguardo a John; il cuore martellante nel suo petto si fermò quando vide l'espressione degli occhi del gemello. Stava morendo, stava morendo e lui non poteva fare nulla.
«No—!» 
Scuotendo il capo, Eric prese John per le spalle e lo scosse con forza. «John! Non farlo, ti prego! Perfavore, John, perfavore! Ti prego!»
Scoppiò in lacrime, il giovane, e strinse a sé il corpo del fratello, senza trattenere urla e lamenti.
Solo in quel momento realizzò il perché John fosse così in sintonia con George e il motivo dei suoi atteggiamenti nei suoi confronti: solo in quel momento capiva, perché stava provando il dolore di chi resta.
«Non lasciarmi solo! — Obolo, Obolo, dove sei? Perché non appari?!»
«Ne hai già avuto uno, Castore.» 
Eric alzò il capo, emergendo dai folti capelli ricci di John, e sbatté le palpebre; le lacrime gli offuscavano la visuale.
«Sorella
Una figura eterea, delicata, solenne; ecco com'era la donna che gli era comparsa davanti. Eric non si alzò, non chinò il capo in segno di saluto o altro; la guardò negli occhi con sfrontato coraggio.
«Nostro padre vi ha dato un solo Obolo a testa, fratello.» Disse la giovane in tutta calma. «Per quanto egli ami i suoi figli, non ti concederà un'ulteriore occasione. Non è in suo potere.»
«Ma John ha ancora il suo Obolo!» Obiettò debolmente Eric. «Elena, neanche tu vuoi vederlo morire, vero?»
«Certo che no, piccolo.» Rispose piccata la giovane, sorridendogli. «Polluce non può salvarsi da sé e tu hai utilizzato il tuo Obolo, ma io no.»
«...Come?»
«Dispiacerebbe a molti perdere una costellazione con una storia così piena d'amore, fratello
Elena si avvicinò ai gemelli e si chinò. Chiuse gli occhi e, prima che li riaprisse, Eric vide affiorare nella sua mano una moneta dorata splendente.
«Che il tempo per te si fermi, Polluce, figlio di Zeus e Leda.» Esordì gentilmente Elena. «Cambia il disegno del fato, salva ciò che è andato perduto, ridà la vita all'anima cui è stata sottratta.» 
Lanciò la moneta «Un Obolo per il Traghettatore.» e si alzò.
Eric, ancora intontito da tutti quegli improvvisi eventi, guardò confuso il punto in cui l'Obolo era scomparso.
«Sorell—?» Non appena fece per dirle qualcosa, per ringraziarla, si accorse che era svanita nel nulla. Nello stesso istante, qualcosa tra le sue braccia si mosse.
«Ho sentito la voce di Elena...» Bofonchiò John, massaggiandosi la nuca e rivolto al gemello, il quale lo guardò incredulo. «O forse l'ho solo immaginata— Ehi, cosa ti sei fatto al labbro?»
In una frazione di secondo, Eric gli gettò le braccia al collo, facendolo ripiombare a terra.
«Eric—! Così mi strozzi—!» Si lamentò John con voce soffocata e il viso rosso dall'imbarazzo, pur senza respingere il gemello. Gli diede qualche pacca impacciata sulla schiena, fino a sciogliersi e ricambiare l'abbraccio.
«Non sai quanto mi hai spaventato, tu!» Sbottò singhiozzando Eric, ritraendo le braccia solo per dare dei pugni poco convinti alle spalle del fratello. «Non farlo mai più, capito?!»
«Lo giuro sullo Stige, Eric.» Gli rispose con tranquillità John, stringendolo a sé per qualche altro secondo e lasciando che si sfogasse. Poi Eric si allontanò lentamente e, mentre con una mano si asciugava le guance bagnate di lacrime, con l'altra frugò nella tasca della felpa malridotta e ne tirò fuori della carta colorata. Spiegandola, essa si rivelò contenere un pezzo di cioccolato che Eric porse al fratello.
John sbuffò una mezza risata, prese il dolce e lo spezzò in due.
«Andiamo da George, forza.» Esordì, portando alla bocca il suo pezzo di cioccolato.

 

 

Quando combatteva George non era più George.
Diventava più scaltro, veloce, impulsivo.
Eppure rimaneva al contempo se stesso, poiché combatteva con la sua solita aria beffarda e strafottente, deridendo quasi l'avversario.
In quel momento, però, del sorriso malandrino del giovane Weasley non c'era la minima traccia. Il suo volto era contratto dalla stanchezza e dalla determinazione; non c'erano pause, né tempo per pensare a una strategia o a quale formula fosse meglio utilizzare.
No, c'erano solo scatti di luce, colpi di bacchetta e loro due: i duellanti.
Sarebbe bastato davvero poco perché uno dei de avesse la meglio sull'altro e, a riprova di ciò, il minimo tentennamento portò George a schiantarsi con l'asfalto. Sotto il suo peso, il polso destro dolé terribilmente.
Dolohov rise – non c'era che una malsana e sadica allegria nella sua risata tronfia – e, in una sola mossa, sollevò George da terra.
Il rosso si lamentò e cercò di dimenarsi, nel tentativo di afferrare con il braccio buono la sua bacchetta, rimasta a terra.
«Puoi anche smettere di dimenarti, ragazzino, tra poco non ne avrai più bisogno!» Gli urlò contro Dolohov, ghignando.
Seguendo il suo sguardo, George si accorse della presenza di un corso d'acqua che tagliava in due Upside Street; lui e i gemelli l'avevano attraversato per andare allo Stadio di Quidditch tramite un ponte. A quanto aveva capito, gli americani lo avevano posto lì per permettere agli stranieri provenienti da fuori il continente di arrivare senza dare nell'occhio coi newyorchesi – un po' come avevano fatto i bulgari quando, da Dumstrang, erano arrivati a Hogwarts in occasione del Tremaghi.
Non si sapeva bene dove finisse, né da dove cominciasse, ma la velocità con cui l'acqua scorreva e il fatto che, cadendovi, sarebbe potuto finire chissà dove, certo non tranquillizzarono George.
«Ultimo desiderio, Weasley?»
Un sorriso sghembo si fece strada sul viso del giovane, che rispose: «Sì, in effetti! Voltati!»
Il ghigno di Dolohov vacillò e quando, diffidente, voltò appena il capo, si ritrovò la bacchetta di John puntata contro e gli occhi di quest'ultimo ridotti a due fessure taglienti e gelide. Confuso, il Mangiamorte guardò anche Eric, affiancato al gemello, e inarcò un sopracciglio.
«Dunque siete due, eh?»
«Riportalo a terra.» Sibilò John. «Adesso.»
Dolohov sbuffò una risata, scoccando ai gemelli un'occhiata divertita. «Altrimenti?»
«Altrimenti per te finisce male, Antonin.» Rispose una voce ironica alle spalle di Joh ed Eric; quest'ultimo, in uno scatto fulmineo si voltò e tirò fuori la bacchetta, ritrovandosi quella del Mangiamorte a un palmo dal viso.
«Abbassa la bacchetta, ragazzino, o tuo fratello finisce male.» Intimò Rookwood.
«Tu prova a fare il furbo e non esiterò a far fuori il tuo compagno.» Minacciò Eric.
«Noi due siamo ben coordinati.» Aggiunse John. «Se colpisce mio fratello, colpisco anch'io.»
George si portò le mani davanti alla bocca, trattenendo un conato di vomito; penzolare a testa in giù non era affatto piacevole, e rimpiangeva – quasi – tutte le volte in cui aveva trovato divertente vedere gente riservare quel trattamento ad altri.
«Basta che vi decidiate in fretta, voi quattro—!» Sbottò esasperato, cercando di allungare le braccia verso la sua bacchetta.
«E voi credete davvero che a me o ad Augustus importi di difenderci a vicenda e scemenze simili? Facciamo così, mocciosi!» Esordì Dolohov. «Voi mettete giù le bacchette e, in cambio, vi uccidiamo tutti e tre insieme. Non prometto morti indolori.»
Eric guardò John con la coda dell'occhio, nervosamente; quest'ultimo tremava un po', ma mantenne il braccio teso anche se, a conti fatti, sarebbe stato arduo uscire da quella situazione di stallo.
Aggrottò la fronte quando vide le espressioni sui volti di George e Dolohov divenire sorprese e, be', anche un po' atterrite. Affianco a lui, voltato, Eric sussultò appena.
Distolse lo sguardo dal Mangiamorte di fronte a lui inizialmente con diffidenza, ma poi, quando notò due grandi occhi verde scuro brillare minacciosi dietro Rookwood, sgranò gli occhi.
«Lascia andare il ragazzo, Mangiamorte.» Ordinò una voce di ragazzo che Eric riconobbe all'istante. Si voltò appena in tempo per vedere un basito Antonin Dolohov lasciar cadere a terra la propria bacchetta.
Non fece in tempo ad avere una qualsiasi reazione che una forte folata di vento per poco non scaraventò lui e John a terra. Un'ombra gigantesca e scura li sovrastò a gran velocità e, prima di finire in acqua, la mano di George venne afferrata da quella di un ragazzo vestito di una rudimentale ma sofisticata armatura scura e leggera, con tanto di maschera che lasciava intravedere solo gli occhi verde prato.
Ma non fu l'aspetto inusuale di quello che doveva essere un sedicenne a stupire i gemelli e George, bensì la bestia su cui questi era seduto a cavalcioni: un grande, grosso drago dal manto nero come la notte e gli occhi verdi come veleno.
«Lu—» Un lampo attraversò gli occhi color prato del ragazzo mascherato, ed Eric si corresse. «—Apollo, sei tu?»
«In persona.» Rispose gentile l'americano, facendo un cenno alle spalle del ragazzino. «Tu sei il fratello da salvare, vero?»
John, boccheggiante, annuì.
«E tu, allora?» Aggiunse Apollo in riferimento a George, ancora appeso al suo braccio e che, aggrottando la fronte, rispose: «Uno che ti è debitore, amico.»
«Un secondo, un secondo! Apollo, scusa, ma... Ma quello è davvero—?»
«—Proprio lui!» Rispose con enfasi l'americano, dando un buffetto affettuoso sul muso del drago che, emettendo un verso che doveva significare gradimento, scosse il capo. «Il mio amico: Incendio



 


 

 

Writer's Side
Bonjour tout le monde! (?) xD
Ce l'ho fatta, alé! Ricontrollare questo capitolo è stato lungo da fare, ma sono qui, ed è ciò che conta, no?
Beeeene, allora, la situazione continua ad evolversi e, infatti, sono stati introdotti dei nuovi personaggi che aiuteranno George, Eric e John a raggiungere Amstrong – possibilmente illesi, vero? XD
La faccenda degli pseudonii l'ho messa per, appunto, quegli studenti che fanno parte dell'Armata ma sono ancora o minorenni o comunque studenti che, di tanto in tanto, per un motivo o per un altro, escono di nascosto da scuola. E non li ho scelti a casaccio, anche se non ho il tempo di mettermi a spiegare ogni intrinseco significato di ciascuno di loro (sapete com'è: sono a scuola!)
Vi dico solo che simboleggiano la relazione tra i vari personaggi; Sigyn e Loki, ad esempio.
Se, come me, amate l'omonimo personaggio interpretato da Hiddleston, potete immaginare che tipetto sia Eirik (nah, non è un cattivo, è solo Loki inside). Sigyn, secondo la mitologia norrena, è la Dea della fedeltà, sposa di Loki.
Da ciò e dalle scene del capitolo in sé, intuite quanto io shippi Eirik e Julchen. XD
Artemis e Apollo, invece, secondo alcune versioni sono fratelli (gemelli, forse. Non ricordo), e quindi ho creato un legame molto forte tra Alice e Lukas. La famiglia di quest'ultimo, come anticipato da Eirik, è importante ad Amstrong – e anche nella storia. Vedrete.
Poooooi, avete visto Elena?
Eh eh eh — no, nulla avviene per caso. In questa fic, il caso non esiste!
Il giuramento sullo Stige è riferito a Percy Jackson, che mio fratello adora.
Eeeeee niente. Non so che scrivere. Se avete domande, riflessioni, ipotesi, whatever, recensite e non abbiate paura di esporle. uwu
Mi spiace solo di non essere stata qui ad aggiornare la settimana scorsa, in occasione dell'anniversario di questa fanfiction. Eh già, è un anno (e una settimana xD) che porto avanti questa storia, e non posso credere come si sia evoluta. *^*
Inizialmente non pensavo di metterci tutto questo ambaradam di personaggi & avvenimenti, prevedevo sarebbe durata una ventina/trentina di capitoli per miracolo. E INVECE NO. *Commossa*
Vi adoro, sappiatelo, vi adoro per tutto il sostegno che mi date!

Giusto per farmi perdonare (?) del mio ritardo, comunque, vi lascio coi volti – non so se li cambierò, non credo; se ve l'immaginate diversamente, vi prego, ditemelo! – dei quattro nuovi arrivati: Artemis, Apollo, Loki e Sigyn.
Con questo vi saluto e vi do appuntamento alla prossima (...che non sarà questo fine settimana, temo. Ci proverò, comunque!).

 

Soleil Jones

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Capitolo 27
*** Alla volta della West Coast ***


Nuovi personaggi presenti/accennati/menzionati nel capitolo :
 
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 Alla volta della West Coast

 
 
George ancora non poteva crederci: un ragazzino magro come un fuscello in sella a un drago grande tre volte lui lo aveva salvato?
Sul serio?
Questi americani sanno il fatto loro ― si ritrovò ad ammettere quando fu di nuovo a terra, con la bacchetta nuovamente in mano sua ― Charlie adorerebbe questo tizio.
Lukas guardò Rookwood e Dolohov accigliato.
«O vi arrendere spontaneamente, voi due, o mi vedrò costretto a consegnarvi agli Auror con la forza.» E nel dirlo il drago su cui era in groppa assottigliò gli occhi verdi, emettendo un basso ringhio.
Benché ne fossero visibilmente intimoriti, però, i due Mangiamorte non batterono ciglio.
«Non sei un po' troppo giovane per porre condizioni, ragazzo?»
«E tu—» Dolohov si irrigidì di colpo e, voltandosi, John vide sbucare dall'ombra un altro ragazzo. Alto e dalla postura fiera. Il viso era coperto da una maschera, ma attraverso le fessure di quest'ultima brillavano due zaffiri sbeffeggianti e sicuri. «—non sei un po' troppo vecchio per usare la bacchetta, nonnino?»
L'affermazione non dovette piacere molto a Rookwood, ma essendo braccato da due maghi – e un drago – dubitava di poter dar retta ai suoi istinti omicidi.
«Ci sono altri marmocchi che giocano a fare gli eroi o abbiamo finito?» Ringhiò, usando il braccio buono per tentare di scagliare una Maledizione a sorpresa.
Ma dalla sua bacchetta non uscì nulla, poiché un lampo di luce rossa bloccò il Mangiamorte nel momento stesso in cui sfiorò di striscio la punta del suo naso aquilino.
Avanzando a passo aggraziato e deciso, quella che Eric riconobbe a stento come Julchen – anche lei mascherata e con una parrucca viola acceso in testa – si fermò a pochi passi da Rookwood.
Della dolcezza che aveva ispirato ad Eric la prima volta che l'aveva vista non c'era più traccia.
«Abbiamo appena cominciato, sir.» Annunciò con un tono tanto dolce quanto tagliente.
«Entrata ad effetto, Sigyn, come sempre del resto.» Commentò divertito Apollo.
«Già, tu però dimentichi sempre le buone maniere.» Lo ammonì con nonchalance il ragazzo dagli occhi azzurri, puntando contro il suo compagno la bacchetta; «Signori, prima di prendervi a calci mi pare dovuto fare le presentazioni. Dunque: Apollo e Incendio,» poi passò alla giovane con la parrucca «Sigyn» e poi chinò lievemente il busto. «Loki.»
Una risata roca uscì dalla bocca di Dolohov. «Che razza di nome é “Loki”?»
Il giovane americano emise una mezza risata soddisfatta, gli occhi azzurri ridotti a due fessure entusiaste, cosa che mise George sull'attenti. «Speravo proprio che me lo chiedessi.»
E di lì, ricominciò la battaglia.
 
 
*
 
 
Madame Hawk era stata ad ascoltarli con attenzione per tutto il tempo, senza distogliere lo sguardo dai due giovani sconosciuti i quali avevano cercato, sulla base dell'esperienza avuta, di descrivere al meglio il funzionamento del libro e del diario rinvenuti senza tuttavia svelare alla donna più del minimo indispensabile.
Sarebbe morta prima dell'indomani, a quanto ne sapevano Max ed Hailey, ma la prudenza era essenziale in un lavoro come il loro.
In realtà a parlare dal punto di vista tecnico fu Max che, in quanto Scrutatore, aveva scorto con nitidezza ogni sensazione provocata dall'oggetto in Hailey la quale, invece, non aveva mai smesso di essere confusa sulla faccenda. Si limitò a intervenire di tanto in tanto e, nel mentre, girovagò un po' per il misterioso negozio, arricciando il naso; o aveva mangiato male a pranzo o c'era qualcosa di marcio in quel posto.
«Oggetti innovativi, non c'è che dire; perfetti per chi vuole farsi gli affari propri senza avere scocciatori intorno.» Annuì tra sé e sé Glenda, seduta comodamente a un tavolino.
James la guardò con insistenza, appoggiato allo stipite della porta serrata; assottigliò gli occhi, non percependo nel tono di voce della donna alcuno stupore. Qualcosa non gli tornava, non era tranquillo. Si rigirava il suo Stilo tra le mani, pronto ad aprire un portale; non gli importava se per lui e i suoi compagni o per quella donna. C'era un limbo, in genere, tra le varie dimensioni e le varie epoche, tramite il quale i TimeRiders viaggiavano senza problemi, pur spesso rischiando di attirare creature provenienti da quel luogo; una volta o due era capitato, da quanto sapeva, che un umano vi si perdesse, e non ne aveva più fatto ritorno.
Forse era crudele da pensare, ma se si fosse rivelato necessario ce l'avrebbe spedita, quella donna.
«Sono vostri articoli, quindi?» Domandò Hailey, sedendosi di fronte alla donna.
«Per Merlino, figliola, puoi scommetterci!» Rispose fiera la strega. «Sono come una Passaporta, solo più discreta, se capisci che intendo. Con quelli non hai bisogno di andare a fare richiesta al Ministero, i contraffattori usano molto quel genere di prodotto.»
«E funziona solo nello spazio?» Chiese Max, dubbioso; nella sua percezione della situazione, sospettava che qualcuno – e avrebbe anche avuto un nome da suggerire in proposito – volesse arrivare al futuro. O far arrivare esso fino al passato.
«Per spostarsi nel tempo esistono le GiraTempo, Steve.» Rispose con veemenza Madame Hawk. Si alzò e, col capo, indicò quello che pareva un grosso specchio rotondo coperto da due dita di polvere. «Questo è il primo prototipo di quello di cui mi avete parlato, ragazzi.»
Si avvicinò allo specchio polveroso e gli diede un colpo con la punta della bacchetta magica, proprio al centro del vetro.
James arricciò il naso e si avvicinò a braccia conserte, osservando attento le increspature comparire sulla superficie dell'oggetto; d'un tratto, fu come se non stesse più guardando uno specchio – fatto, quindi, di vetro – ma bensì acqua.
Acqua luminosa, per altro, praticamente fluorescente.
«Sta tutto nella testa di chi lo usa, sono due articoli in uno. Prendi questa, Darcy.»
Hailey afferrò al volo una grossa coppa d'oro, interdetta. «Cosa...?»
«Sono oggetti incantati, imbevuti di una pozione speciale.» Così dicendo, madame Hawk indicò alla giovane lo specchio. «Sembra acqua, quella, vero?»
James sgranò impercettibilmente gli occhi cerulei. «Non può essere.» ed evidentemente Max dovette avere i suoi stessi pensieri poiché, aggrottando la fronte, si avvicinò in una falcata all’oggetto e fece per immergervi la mano.
«Ragazzo!» Tuonò la signora Hawk, facendo sussultare Hailey. «Non farti venire strane idee, intesi? È pericoloso, oltre quel velo d’acqua esistono mondi, epoche, cose che sfiorano il limite dell’inimmaginabile.»
«Immagino che domandarvi come siate riuscita a riprodurre una simile pozione sarebbe inappropriato.» Commentò sarcastico Max.
«Immagini bene.» Sibilò Madame Hawk. Lo Scrutatore le lanciò un'occhiata torva e si allontanò dallo specchio, mentre Hailey esaminava con strano interesse la Coppa dorata che le era stata lanciata, probabilmente cercando di forzare i suoi poteri di Empatica.
«Una cosa del genere» Esordì a mezza voce. «avrebbe motivo di essere, non so, tramandata?»
James sorrise soddisfatto; Hailey aveva centrato il punto.
«Non molto perché vedi, cara, una volta che il legittimo proprietario marchia almeno uno dei due oggetti questi troveranno sempre il modo di tornare da lui.»
«Ma potrebbe essere utilizzato da altri?» Insistette Hailey; davanti ai suoi occhi, vide apparire un luogo luminoso e pieno di libri dall'aria familiare; due piccole sagome e una più slanciata che, con due libri alla mano, dopo un po' svanivano in un getto d'acqua.
Immagine che si riflesse nella mente di Max con più nitidezza e che gli permise di distinguere un tratto interessante dell'adulto del trio: il colore sgargiante dei capelli. Dopodiché tornò a vedere normalmente.
«Non se non è il proprietario stesso ad autorizzarli.» Rispose intanto Madame Hawk.
Max sentiva ancora lo sguardo della donna piantato sulle sue scapole quando, fingendosi interessato alla brutta copia di una mano tranciata, sentì la propria bacchetta vibrare lievemente nella sua tasca. Guardò con la coda dell'occhio Hailey, così concentrata – persa – nella conversazione e Madame Hawk, sempre più vicina all'Empatica.
«Tu e Steve siete proprio una strana coppia, tesoro, lo sai?» Max ed Hailey avvamparono all'istante. «Non mi capita spesso di ricevere ragazzi così giovani. Perché non avrete più di diciassette anni, no?»
«Venti.» Rettificò seccamente Max in un borbottio, guardando altrove.
«Noi. . . ecco, stiamo svolgendo delle ricerche davvero molto importanti, altrimenti non avremmo osato importunarla, signora.» Aggiunse il più educatamente possibile Hailey, passandosi la coppa tra le mani tremanti.
Madame Hawk sorrise melliflua e guardò prima il rigonfiamento della tasca superiore della giacca di Hailey – dove quest'ultima custodiva la sua protezione – e dopo quello della tasca dei jeans di Max, entrambi della stessa identica grandezza.
James fece schioccare la lingua sul palato e, pur non potendo essere sentito, disse: «Ci aspettava.»
Si avvicinò allo specchio e vi puntò contro lo Stilo; senza rendersene conto quella donna aveva creato ben altro che un sistema illecito di teletrasporto e questo dovevano averlo intuito anche Max ed Hailey.
Nemmeno il tempo di farlo scattare che il frastuono del tavolino che veniva ribaltato e la voce di Max che urlava: «Lumos Maxima!» lo fecero sobbalzare.
La luce irradiò l'ambiente chiuso di Magie Sinister tanto che l'Osservatore dovette strizzare gli occhi per distinguere il volto contratto di Max, frapposto tra Madame Hawk e Hailey.
La donna, estremamente infastidita, balzò all'indietro emettendo un verso che di umano aveva poco e niente; Hailey sgranò gli occhi chiari al vedere il suo sguardo iniettarsi di sangue ed i suoi canini allungarsi e appuntirsi tutto d'un colpo.
«È un vampiro!» Urlò rivolto a James Max, prima di venir sollevato di peso e scaraventato contro uno scaffale, le cui tavole e oggetti crollarono all'impatto, preceduti dal ragazzo.
Sommerso per metà da legno e oggetti strani, il moro fece appena leva sulle braccia, ricrollando subito a terra; la bacchetta sfuggitagli di mano dispersa chissà dove in mezzo a tutto quel caos.
Hailey urlò il nome del compagno spaventata e fece per raggiungerlo, quando, contemporaneamente al debole richiamo di Max, Madame Hawk l’afferrò per la gola e la sollevò da terra.
«James. . .!» Continuava a biascicare Max. Ma non c'era bisogno di chiamarlo: l'Osservatore si era già tolto di gran fretta la protezione, infilandosela in tasca e, senza pensarci, aveva piantato lo Stilo nella carne del vampiro.
La creatura urlò e cercò, facendo cadere a terra Hailey, di arrivare a togliere il corpo estraneo piantato nella sua schiena. James estrasse lo Stilo, ma non fece in tempo a sostituirlo alla bacchetta che Madame Hawk, che ora poteva vederlo, gli ringhiò contro.
«Che diavolo stai facendo, ragazzino?!» Tuonò assatanata. «Gli accordi erano chiari: i mocciosi sono mie prede!»
Calò il silenzio, attorno a James: sentì il respiro mozzarglisi, il cuore fermarsi e l'aria attorno a lui raggelarsi. Con gli occhi cerulei persi a guardare il viso impallidito e sconvolto di Hailey e gli occhi sgomenti e increduli di Max, realizzò chi fosse il responsabile dell'interferenza riguardante il diario e il libro. E, vergognandosene, non ebbe il coraggio di sostenere quegli sguardi, sentendosi in parte responsabile di tutto.
La colpa era sua e non poteva cambiare le cose, stavolta.
«Stai al tuo posto.» Si sentì intimare dal vampiro. Poi qualcosa lo scosse violentemente: una voce preoccupata lo chiamava e due mani piccole e forti gli arpionavano le spalle, infondendogli uno strano tepore.
Eppure James in quel momento non vedeva nulla, se non il disastro che aveva causato.
La presa di calore gli venne strappata via e, sbattendo gli occhi con fare stordito, il biondo cerco di riscuotersi, alzando lo sguardo su Max, il quale con tutta probabilità si era procurato un paio di costole fratturate, ma che cercava comunque di muoversi e alzarsi.
«Jᴀᴍᴇs
Come una secchiata d'acqua fredda, la voce rotta dalla paura di Hailey lo destò completamente dal suo stato di trance. Con una forza inaudita per una ragazza tanto esile di statura, l'Empatica fece indietreggiare il vampiro con un pugno per poi, con uno scatto, spingerlo oltre lo specchio.
«Hailey!» Attraversando la stanza in poche falcate, James afferrò una mano della compagna, cercando di tirarla a sé mentre le mani artigliose di Madame Hawk le attanagliavano le spalle, decise a trascinarla oltre lo specchio.
«James, per favore, non mollare la presa!» Singhiozzò Hailey, cercando di liberare il braccio prigioniero della stretta del vampiro e sentendo la mano con cui si affermava al compagno tremare in maniera innaturale. Sentiva delle urla, delle voci oltre quel velo d'acqua, testimoni delle terribili creature che abitavano il limbo. Rimbombavano maligne nei suoi timpani, dandole il tormento.
«Non ti lascio―» Le rispose prontamente James. «Hailey, tieni duro, andrà bene, fidati di me!»
Prati e nubi si scontrarono e, in quel momento, Hailey non seppe che rispondergli.
«Fidati di me, Hailey, ti prego! Non finirai là fuori!» Ripeté James, serrando la mascella e cercando di tirarla via con più forza.
«Non lo permetterò―!» Commentò in un singhiozzo sofferente Max, ingoiando il dolore provocatogli dalle sue povere ossa e facendosi largo tra i vari oggetti e simili in cerca della sua bacchetta. Alzò lo sguardo allucinato su James e Hailey in tempo per vedere quest'ultima liberarsi un braccio e togliere di mano al biondo lo Stilo, per poi piantarla nel bel mezzo dell'acqua.
Illuminandosi, questa iniziò a ghiacciarsi e cementarsi, finché anche la presa forsennante di Madame Hawk non s'irrigidì. Hailey si ritrovò tra le braccia di James, relativamente al sicuro, a fissare con occhi esterrefatti il suo operato. Si scostò bruscamente e gli rese lo Stilo, sconvolta.
«Che cos'ho fatto?!»
James non fece in tempo a risponderle che un lampo di luce passò a pochi centimetri dalla sua nuca, diretto allo specchio. Strattonò Hailey sotto uno scrittoio e la strinse per ripararla dall'esplosione di cristalli che avvenne di lì a pochi attimi.
Quando riaprì gli occhi, notò Max accasciarsi al suolo, il braccio proteso e la bacchetta strettamente impugnata.
Il resto del negozio era praticamente in pezzi.
Hailey sgusciò via e raggiunse di corsa lo Scrutatore, dimentica di tutto il resto.
«Max! Max, rispondi! Maledizione, Max! ― James, dobbiamo portarlo alla base. Subito!»
«Sì, io. . . Apro subito il portale.» Annuì frastornato il sedicenne.
Avrebbe pensato ai mostri del suo passato in un altro momento.
 
 
*
 
 
Non fosse stato che li aveva visti venire condotti via da Sigyn, George non sarebbe stato così concentrato nella lotta. Nel momento stesso in cui Loki aveva alzato la bacchetta di scatto, aveva creduto che l'avrebbe usata per Maledire o Rookwood o Dolohov; invece era stato un incantesimo di Disillusione a partire, diretto al drago del ragazzo chiamato Apollo il quale, subito dopo, era balzato a terra e aveva allontanato dalle rive del fiume tutti i presenti, per poi attaccare Rookwood.
Dalla statura, l'inglese non avrebbe saputo intuire la loro età precisa, ma sperò per il loro bene che fossero maggiorenni, data la mole e la potenza degli incantesimi da loro lanciati. Non aveva dimenticato quante ne aveva passate Harry, anni prima solo per aver usato l'Incanto Patronus contro due Dissennatori.
Aveva perso di vista Apollo pochi istanti prima, quando si era lanciato nella piccola folla di combattenti che era accorsa; non erano i soli a combattere quella sera.
Poteva anche aver privato Rookwood di una mano, ma ciò pareva averlo reso furibondo e pronto a farlo a pezzettini; e per quanto fosse abbastanza lesto e reattivo da non lasciarsi sopraffare, dopo quelle che a George parvero ore bastò un attimo concessosi per riprendere fiato perché un incantesimo lo colpisce in pieno, facendolo finire contro le porte automatiche del Wizard Fairfield Inn.
Accusando la botta, George non poté che ignorare la voce di Loki che gli intimava di allontanarsi dall'edificio per creare uno scudo che lo proteggesse dalla Maledizione Cruciatus. A sorpresa, non appena interruppe il maleficio, Rookwood lo disarmò e la bacchetta di George finì a tre metri da lui.
«Sei con le spalle al muro, eh?» Annaspò trionfante Rookwood. «Questa scenetta mi sa di dejá-vu.»
Quelle semplici parole bastarono a far montare in George un'ira che raramente, in tutti quegli anni, lo aveva colto; ira che, nel caso specifico, attenuava il bruciore della ferita ancora aperta e sanguinante provocata dalla morte di Fred.
Se al suo posto ci fosse stato chiunque altro si sarebbe arreso all'evidenza, ma non lui; l'idea non gli passò nemmeno per l'anticamera del cervello: arrendersi adesso?
Dopo tutto quello che aveva rischiato?
Dopo essere arrivato fin là?
Guardò la punta della bacchetta del Mangiamorte rabbioso, maledicendo la troppa distanza che lo separava dalla sua; no, arrendersi era fuori discussione e se avesse avuto la sua bacchetta a disposizione gliel'avrebbe fatta vedere, a quell'infame.
Gli prudevano le mani nel senso letterale del termine e attorno a lui l'aria si smosse con violenza, tanto che a un certo punto lui stesso si chiese se non fosse opera sua.
 
- Usare i nostri poteri è più semplice così, perché si concentrano tutti in un oggetto particolare con cui creiamo un legame. Ma si può anche fare a meno delle bacchette, volendo, una volta diversi maghi e streghe praticavano la magia senza. -
 
D'istinto, pensò intensamente: “Incendio!” e la sensazione di formicolio alle mani si espanse in tutto il suo corpo, per poi, semplicemente, svanire, dandogli i brividi. E la veste di Rookwood prese fuoco.
Il tempo che il Mangiamorte impiegò per dominare le fiamme con un «Aguamenti!» bastò perché George recuperasse la bacchetta.
«Stupeficium
Lo Schiantesimo lo mancò di poco. George lanciò, di rimando, la Fattura delle Pastoie seguita da altre mentre, indietreggiando, si ritrovò all'interno dell'atrio del Wizard Fairfield Inn.
Era mezzo distrutto, pareva quasi che un tifone fosse passato di là, devastando quello che prima doveva essere un salone vivace e pullulante di gente.
Respinse una maledizione e ne scagliò un'altra a sua volta, quando uno degli Schiantesimo di Rookwood andò a segno e George volò contro un pannello completamente intatto, fatto di cristallo, ritrovandosi, come per magia, addosso ad un uomo in giacca e cravatta, in una toilette – costellata di grossi cocci di vetro – per di più!
Inutile dire che questi si mise a urlare mentre George, massaggiandosi il fondoschiena e biascicando delle scuse poco sentite, lo trascinò fuori dal cubicolo.
«Spero vivamente che quell'affare che ho sentito contro il mio fondoschiena fosse il manico della sua ventiquattrore.» Borbottò spingendo l'uomo fuori dal bagno e affrettandosi a far sfoggiare i restanti a suon di scosse sul sedere lanciate con la bacchetta. «Muovete le chiappe, forza! Fuori, fuori di qui!»
 
 
*
 
 
«Salite quelle scale!» Ordinò loro Sigyn, strattonando la mano di Eric di modo da attirare lui e John a sé; nello stesso istante una vetrata alle sue spalle andò in frantumi. «Il Wizard Fairfield Inn è tutto un passaggio per la New York Babbana, capito? Per intero, fino a un raggio di quaranta metri. E la costruzione ne conta trentacinque.» Aggiunse velocemente, lasciando andare i gemelli e dando loro uno spintone.
Dopodiché si voltò a duellare con Dolohov.
Eric boccheggiò stordito; davanti ai suoi occhi tutto si muoveva al rallentatore e in maniera sfocata, una strana sensazione gli attanagliava le viscere: paura?
Oh, sì, molta.
Si riscosse quando John lo afferrò per un braccio e lo trascinò con sé su per la rampa di scale. «Corri, Eric, corri!»
Assicuratasi che i gemelli fossero fuori dalla portata del Mangiamorte, Sigyn lanciò uno Schiantesimo a quest'ultimo prima che potesse seguirli, mancandolo per un soffio e di proposito.
«Tu non vai da nessuna parte!»
«Vuoi il gioco duro, piccoletta?» Fece aspro il fulvo, caricando l'americana con una maledizione. Gli occhi blu di Sigyn riflessero la luce verde abbagliante dell'Anatema scagliatole e, all'ultimo minuto, la giovane eresse una barriera invisibile, venendo travolta da un'onda d'urto che la fece volare per metri e metri, mandandola a schiantarsi contro la parete.
Gemette intontita e dolorante, Sigyn, e dopo un po' tacque.
Antonin ghignò soddisfatto, scavalcando il corpo della giovane.
«Eccoti servita.»
 
 
*
 
 
«Incarceramus!» Esclamò a gran voce un uomo sulla trentina contro il Mangiamorte che stava fronteggiando e cercando di raggiungere il Wizard Fairfield Inn.
Attraverso la vetrata della grande porta d'ingresso, con sommo orrore, vide un gruppo di incappucciati seguire il mago con cui stava duellando un ragazzo dai capelli rossi attraverso il passaggio che collegava Upside Street al mondo Babbano.
Completamente a pezzi dalla loro parte.
Era normale passarci attraverso, sì, ma senza in alcun modo lanciare incantesimi che interferissero con quello che animava il passaggio!
Schiantando il suo avversario, l'uomo fece per raggiungerli quando, ridendo sguaiatamente, uno dei Mangiamorte puntò la bacchetta contro il soffitto e lo fece esplodere.
L'americano – Peter, si chiamava – si sentì trattenuto e allontanato dal collante edificio così come tutti gli altri.
In un gran fragore, la caduta del Wizard Fairfield Inn venne fermata per un soffio da almeno una trentina dei presenti.
«Sono passati nel mondo Babbano.» Mormorò sottovoce e ansante il ragazzo che l'aveva trattenuto, allentando la presa.
«Cazzo!» Imprecò Peter, allontanando malamente il giovane.
«Linguaggio, geniaccio!» Sbottò ilare una terza voce. «Apollo ti ha salvato la pellaccia.»
«Taci, Loki!» Gli intimò Peter. Voltandosi, furente, fu sorpreso di trovarlo in groppa ad un drago. «Che cosa ci qua Incendio?!»
«Non c'è tempo.» Proruppe Apollo, salendo in groppa al drago davanti a Loki. «Ci pensiamo noi a loro, voi occupatevi di rimettere in piedi questo posto.»
Neanche il tempo di dissentire, che Peter dovette indietreggiare per lasciar decollare Incendio, la cui figura immensa e squamosa ben presto non fu che un puntino all'orizzonte.
«Questi ragazzini e la loro smania di giocare a Captain America---!»
 

Intanto, dall'altra parte della barriera, infervorava un'accesa battaglia. George si era ritrovato con un gruppo di cinque Mangiamorte alle calcagna e, scavalcando poltrone, tavolini e qualche cane di taglia piccola, era schizzato verso l'uscita del Fairfield Inn babbano, lanciandosi indietro Fatture quasi alla cieca e sperando di non mettere a rischio l'incolumità delle persone presenti.
Sbucò fuori, sulla strada altamente trafficata e il marciapiede altrettanto, andando a finire addosso ad una bambina.
«Mi hai fatto cadere il milkshake!» Si lagnò questa.
George afferrò lei e la madre per un polso, spingendole in strada per allontanarle dalla frusta di luce diretta a loro. In un “Crack” tornò sulla traiettoria dell'incantesimo e lo bloccò con uno scudo, reindirizzandolo alla volta stellata, dove esplose.
Molti urlarono e di lì a poco la gente mise quanta più distanza possibile a tener lontani quegli strambi tizi.
George infilò una mano nella tasca della sua felpa e ne tirò fuori una Cioccorana ancora incantata, dopodiché la tirò alla bambina di prima, dicendole di sfuggita: «Attenta a non farla saltar via, piccoletta.» prima di rivolgersi ai Mangiamorte.
«Lasciate stare questa gente e combattete con chi può difendersi, codardi!»
«Fai sul serio, marmocchio?» Lo sbeffeggiò uno di loro.
«Con voi pappemolli, dici?» Gli rispose sogghignando il rosso. «Scherzi? Certo che no!»
Il mago mascherato alzò irato la bacchetta, ma Rookwood lo fermò riservandogli un'occhiata in tralice.
«Se qualcuno lo uccide al posto mio,» Sibilò. «garantisco che sarà l'ultima azione nefasta che compirà nella vita. E che qualcuno si occupi dei tre uccellini lassù.»
 
 
*
 
 
«Quante scale ha questo edificio?!» Ansimò nervoso John. Sembrava non finire mai, quella maledetta rampa a chiocciola; più volte lui o Eric rischiarono di inciampare per la troppa fretta.
Come se non bastasse, dall'atrio proveniva troppo silenzio: che Dolohov avesse ucciso quella giovane strega?
Il solo pensiero gli diede la nausea.
«Sta salendo — John, ci sta raggiungendo!» Lo avvisò Eric, guardandosi indietro. «La sua presenza maligna mi sta dando il voltastomaco. . .»
John strinse maggiormente la presa sulla mano del fratello e corse più forte, incitando anche Eric a fare lo stesso; intravedeva finalmente una porta.
Coi muscoli delle gambe che bruciavano e il fiato spezzato, i gemelli l'attraversarono e la chiusero in un tonfo, per poi abbandonarsi contro di essa per riprendere fiato.
«E ora?» Chiese ansante Eric al fratello, guardando con occhi sgranati un punto alle sua spalle. John, piegato in avanti e con le mani sulle ginocchia, lo guardò accigliato, rispondendo: «Ora saltiamo.»
«Come sarebbe a dire “Ora saltiamo”?!» Sbottò preoccupato Eric. «È da---»
«---pazzi?» Lo interruppe John, azzeccano ciò che il fratello stava per dire. Sorridendo divertito e rimessosi in sesto, aggiunse: «Tu dici?»
Al che anche Eric, cogliendo al volo la certezza aleggiante nello sguardo del gemello, gli porse la mano esitante.
«Allora. . .» John la prese subito. «. . .saltiamo?»
Il rumore di passi sulle scale fu la risposta più eloquente che Eric avrebbe mai potuto ricevere.
Senza pensarci, i gemelli corsero incontro al cornicione del Wizard Fairfield Inn e si gettarono nel vuoto, urlando.
Ma invece che sentirsi affondare nel nulla, in balia della brezza serale, avvertirono la stessa sensazione provata ore prima con la Passaporta che li aveva condotti ad Upside Street.
E la prima sensazione che sentirono fu la botta che presero atterrando lunghi distesi su una superficie fredda, levigata ed estremamente liscia: vetro - constatò John, sbalordito, non appena fece per alzarsi.
«Per le consunte--»
«--lingerie di Circe!» Concluse Eric, sgranando gli occhi verdi, persi nelle mille luci che risplendevano con forza nelle immediate vicinanze e perdendosi oltre. «Ma hai visto che roba, John?»
«Prima di guardarti attorno, perché non provi a dare un'occhiata sotto di te?» Rispose farfugliando il castano, coi palmi e le ginocchia ancora piantati al vetro; non osava voltarsi verso Eric perché vederlo passeggiargli attorno non avrebbe fatto altro che mettergli ansia.
Oltretutto, c'era davvero qualcosa per cui dare un'occhiata: abbassando lo sguardo, ancora eccitato, Eric vide una sala molto grande, sotto di loro, gremita di gente che, avendoli notati, ora li fissava a bocca aperta.
«Potrebbe essere un problema per lo Statuto di Segretezza se, non so, facessimo loro un incantesimo?»
John fece per rispondere al gemello, ma un'esplosione lo fece zittire. Proveniva dal basso e, azzardandosi a sporgere il capo per dare un'occhiata, dopo un po' dall'edificio il ragazzino vide sbucare una testa rossa a lui familiare.
«Ma quello è George! Eric, dobbiamo scen---» Voltandosi di scatto, John impallidì; era così preso da quel che accadeva di sotto da non aver sentito qualcun altro arrivare ed ora, con la mano serrata attorno al collo di suo fratello, proteso nel vuoto a chissà quante decine di metri dal suolo, Antonin Dolohov sorrideva con sadismo.
E, sotto di loro, le persone presenti nella grande stanza da cocktail gridavano in preda alla paura.
Non appena l'uomo vide John metter mano alla bacchetta, strinse di più la presa attorno alla gola dell'altro ragazzino.
«Provaci e lo ammazzo.» minacciò. Ma lo stava già facendo: Eric si dimenava, annaspava in cerca di aria e tentava come meglio poteva di liberarsi dalla presa del Mangiamorte. Il tutto mentre soffocava!
Solo vederlo così mandò in tilt ogni singolo neurone di John, facendolo andare nel panico più totale. Col cuore a mille, si chiese migliaia di volte nel giro di un secondo come avrebbe risolto la situazione, stavolta, ottenendo come risultato altrettanti: “Non ne ho idea, maledizione, sta soffocando!”.
Smarrito, guardò Eric negli occhi e vi lesse chiaramente: uccidilo.
E i suoi di rimando non facevano che esprimere panico, tutt'altro che rassicurante, insomma.
Ad interrompere quello scambio di sguardi non fu la disperazione con cui la vita cercava di non lasciare gli occhi di Eric, né il cuore che minacciava di fermarsi di John. Un guizzo di magia bianca attraversò come una saetta il torace di Dolohov, e il tempo parve rallentare: il Mangiamorte che s'irrigidiva e abbassata lo sguardo sui fiotti di sangue uscenti dal suo petto, il respiro che lo abbandonava, la sua presa ferrea che lasciava andare Eric, John che inutilmente si gettava quasi oltre l'orlo dell'edificio - lungo disteso - nel tentativo di afferrarlo, una ragazzina che correva e saltava nel vuoto, le parole di quest'ultima per Trasfigurare la sua stessa bacchetta in una scopa volante, la sua mano libera con la quale afferrava quella di Eric, il mondo che tornava a girare per John.
«Non guardare giù, è tutto okay, capito?» Balbettò ansante quella che John riconobbe come Sigyn: la chioma viola acceso aveva lasciato il posto a scompigliati e lunghi capelli biondi sporchi di sangue e polvere, ma la maschera era ancora ben assicurata a nascondere il suo viso, anch'esso insanguinato e pieno di graffi.
Non capì bene chi dei tre stesse cercando di rassicurare, John, ma nel momento in cui Eric fu al sicuro davanti a lei, sul manico di scopa, sentì un gigantesco moto di gratitudine nei confronti della giovane americana.
«Tu stai bene?» Gli chiese apprensiva, avvicinandoglisi. Esterrefatto, il castano annuì, balbettando un ringraziamento.  «Menomale! Forza, salta su, vi porto ad Amstrong.»
«E loro?» Chiese Eric, additando i Babbani presenti nella grande e raffinata sala da cocktail. Sigyn si morse titubante il labbro inferiore, pensosa, poi rispose: «Se ne occuperanno gli Obliviatori, sono sempre di ronda al Fairfield Inn babbano e in special modo alla Sky Room.»
Ovvero la sala da cocktail: doveva essere quello il suo nome.
Mentre John montava dietro Sigyn e si assicurava dubbioso alla sua vita, guardò in basso, dove infuriata una battaglia tra George, Rookwood e altri che non conosceva neanche di vista.
Là in mezzo spiccava anche il corpo spappolato al suolo di Antonin Dolohov, a cui Sigyn si premurò di non rivolgere neanche un'occhiata.
«Lì sotto c'è il nostro amico, non possiamo lasciarlo lì!» Si oppose Eric.
«Ci penserà sicuramente Apollo, abbi fiducia.» Rispose in tono paziente la bionda, che divenne un po' più scosso quando un maleficio non mancò per poco la coda della sua momentanea scopa. «Ora reggetevi, la metropolitana non è a più di quattro isolati da qui.»
Così dicendo, serrando le braccia attorno ad Eric e assicurandosi che John si reggesse forte a lei, sotto gli occhi increduli dei Babbani presenti nella Sky Room, Sigyn sfrecciò giù in picchiata per qualche metro prima di prendere una traiettoria orizzontale e sorvolare su persone e auto, tenendosi sul marciapiede.
«Non sono stata che poche volte nella New York Babbana.» Si giustificò mentre voltava il capo a destra e sinistra. «La mia famiglia abita a Monterey, non molto lontano da scuola in effetti.»
«Ehm. . . Sigyn?»
«Non preoccuparti del semaforo rosso, John, stiamo a quattro met—»
«Non quello, Sigyn!» Sbottò nervosamente il ragazzino. «Quello
Neanche il tempo di voltarsi, che la scopa trasfigurato della bionda sbandò, colpita di striscio da una maledizione, perdendo violentemente e velocemente quota. Tant'è che nel giro di un attimo Eric, John e Sigyn si ritrovarono a terra.
Dietro di loro, facendosi largo tra la folla, avanzava minaccioso e tronfio un Mangiamorte.
«Correte!» Esclamò Sigyn, alzando entrambi i gemelli e dando loro uno spintone. Raccolse la scopa, la ritrasformò in bacchetta e andò dietro ai due. «Svoltate a destra — Protego! — Al diavolo il rosso, Impedimenta! — Scusateci tutti!»
Corsero tra stormi di persone e zigzagando tra le auto guidati dalla voce di Sigyn che, nel mentre, si voltava indietro a controbattere per difenderli.
«Giù per quelle scale! È la metr— Ah
La bacchetta le volò di mano, cadendo giù per la scalinata e finendo in mezzo a una gran calca di persone, e il polso destro di Sigyn divenne violaceo e inutilizzabile così come, ben presto, l'intero arto.
Eric, istintivamente, tirò fuori la sua bacchetta e lanciò un maleficio contro il Mangiamorte, restituendo all'americana la propria. Il tutto mentre John lo guardava esterrefatto.
«Dobbiamo aiutarla!» Si giustificò sottovoce il castano. L'altro, combattuto, ribadì: «Due ragazzini a stento in età da scuola che praticano magia meglio di un Auror? Eric, non—»
Ma qualsiasi proposito razionale stesse spingendo John a non intervenire, sparì non appena Eric lo spinse da parte beccandosi una Maledizione coi fiocchi. Urlò, vedendolo venir sbalzato di tre metri e battere la testa contro la biglietteria.
Senza pensarci, sfoderò la bacchetta e respinse la maledizione successiva per poi andare a soccorrere il fratello.
«Eric?» Lo chiamò John, facendogli passare un braccio attorno alle sue spalle dopo aver pronunciato un: «Reinnerva
«Potrei vomitare. . .» Mugugnò intontito Eric, tremante, strappando un sorriso carico di sollievo a John. Sorriso che svanì non appena un tonfo gli giunse alle orecchie.
Alzando lo sguardo, i gemelli videro i Babbani disperdersi e rivelare la figura coperta di sangue di Sigyn, accucciata sul binario della metropolitana.
E di lì il mondo parve ammutolirsi, zittito dal rumore sferragliante del convoglio in arrivo.
Eric sgranò gli occhi impallidendo, John non poté reprimere l'impulso di chiuderli, entrambi atterriti.
Uno schiocco, il treno che arrivava, si fermava e ripartita a velocità esorbitante.
Quando John riaprì gli occhi, vide una figura maschile inginocchiata con, tra le braccia, Sigyn.
«Ehi, biondina,» Sussurrava con voce rotta il biondo che Eric e John riconobbero come Loki. «va tutto bene, sì?»
«Non avevi detto di essere stato bocciato all'esame di Materializzazione?» Mormorò in risposta Sigyn.
Loki sorrise e, dopo un colpo di bacchetta, afferrò al volo un pezzo d'orecchio. «Già, mi andrà meglio l'anno prossimo.»
«Ho ucciso.» Proruppe a un certo punto Sigyn, in preda a singhiozzi crescenti. «Prima ho ucciso una persona, sono— sono un'assassina, vero?»
«Un Mangiamorte, non una persona.» Precisò in tono duro il ragazzo, accarezzandole una guancia. Alzò lo sguardo sul mago oscuro e aggiunse: «In ogni caso presto saremo in due.»
«Vuoi provarci?» Lo provocò il Mangiamorte, allargando le braccia con fare teatrale. «Sarebbe anche ora, non credi?»
John notò come gli occhi chiarissimo del ragazzo fossero passato dall'essere di un tiepido e sereno azzurro a un irato grigio tempesta. Senza guardare né lui né Eric, disse loro: «Prendete un binario ed effettuate la chiamata. Artemis vi aspetterà dall'altra parte.»
Nessuno dei due ebbe il coraggio di dissentire.
 
 
«Vieni via da qui subito!»
«Forse non te ne sei accorto, ma ci sono giusto un paio di Mang― aspetta, e tu da dove sbuchi?!»
«Ha importanza?!»
Mettere fuori gioco un paio di Mangiamorte non era poi così difficile per George; non era neanche facile, certo, ma era da sempre un mago molto capace! L'inconveniente principale era la particolare enfasi che Rookwood aggiungeva al suo modo di tentare di ucciderlo.
Quando Apollo lo affiancò rimase sorpreso di vederlo ancora in piedi, ma si sarebbe congratulato in seguito con il rosso per la sua tempra: ora ciò che più gli premeva era allontanarsi da là.
Dopotutto, lui era pur sempre uno stupende minorenne che avrebbe dovuto trovarsi dall'altra parte del continente, in quel momento.
In men che non si dica, dal Fairfield Inn uscirono almeno una trentina di Obliviatori addetti alla sua sicurezza, seguiti da una squadra di Auror, Materializzatasi sul luogo dello scontro.
«Senti, dobbiamo andarcene.» Esordì Apollo. George fu d'accordo con lui solo in parte: da qualche parte dentro di lui c'era una vocetta tanto cattiva quanto suadente che gli comunicava che no: lui doveva far fuori Rookwood prima di potersene andare.
Vedendo che il rosso continuava a combattere il Mangiamorte con ferocia, Apollo Schiantò quest'ultimo è poi prese per un braccio l'inglese, a dispetto della colossale differenza d'altezza che lo rendeva uno scricciolo in confronto a lui.
«Me la stavo cavando benissimo da solo!» Lo aggredì infuriato George, scostandosi con facilità dalla stretta del ragazzino. Apollo si intimò di non lasciarsi intimidire e, diplomatico, rispose: «Andiamo via e basta, okay? Hai già fatto la tua parte, ora ci penseranno gli Auror!»
«Certo, gran bell'idea! E come dovremm―» George s'interruppe non appena, a un cenno di Apollo, un'ampia vampata di fiamme li circondò, alzandosi e diramandosi seguendo la traiettoria di volo del suo artefice.
Incendio, il grosso drago dagli occhi velenosi, atterrò aggraziato e veloce di fianco a loro.
Al che a George venne spontaneo dire: «Lui
«Esatto.» Annuì Apollo, montando in groppa al drago, il quale si abbassò per permettere anche a George di salirgli in groppa.
Ora, quante persone l'avrebbero fatto, quando per tutta la vita e nel loro paese i draghi erano ritenuti pericolosi? Pochi, mi direte, e George Weasley è tra questi!
«Guido io, è meglio.» Gli comunicò Apollo, facendosi avanti sulla sella montata alla bell'e meglio su Incendio. George annuì e non appena fu salito ― rischiando di perdere una natica per colpa di una scaglia ― chiese: «Dove dovrei aggrapparmi?»
«A me.» Gli rispose con nonchalance Apollo. Prima che George potesse, oltre ad aggrottare la fronte, fare commenti sulla palese differenza di stazza che vigeva tra loro, il castano aizzò il drago, che spiccò il volo.
Veloce come una scheggia.
Avrebbe sempre preferito le scope, George, di questo ne era più che sicuro, ma sentire i muscoli della schiena di Incendio contrarsi ad ogni battito d'ala, avvertirli guizzare, sentirsi libero di lasciar condurre qualcun altro. . . be', non era poi così male.
Oltretutto il colore del drago permetteva a lui e Apollo un discreto camuffamento.
Sorvolarono un campo di luci di ogni sorta di colore e genere per qualche minuto e a un certo punto si trovarono in prossimità di una stringa puntellata di lucette in contrasto con l'innaturale nero screziato di stelle che poi George scoprì essere un ponte e la sua distesa d'acqua sottostante.
«È il ponte di Brooklyn e, non ci crederai, ma dobbiamo tuffarci nell'East River.» Gli comunicò Apollo. «Ci sono diversi modi per arrivare ad Amstrong. Agli alunni maggiorenni e ai genitori è confidato che c'è un collegamento tra questo ponte e il Golden Gate Bridge ― Baia di San Francisco, California, poco distante da Alcatraz e quindi Amstrong.»
«C'è una Passaporta sul fondo, quindi?»
«Estesissima e sempre attiva, vedr― aspetta, non mi chiedi come faccio a sapere tutte queste cose se vengono rivelate solo ai maggiorenni?»
George si strinse nelle spalle con un sorrisetto sghembo. «Ho fatto di peggio. Ma se vuoi te lo chiedo, eh.»
Scuotendo il capo e consigliandogli di reggersi a meno che di non voler farsi una sgradevole nuotata, Apollo esortò Incendio.
Se non fossero esistiti gli Obliviatori, l'indomani tutti i telegiornali babbani avrebbero trasmesso le immagini di testimoni oculari che affermavano d'aver visto una grossa sagoma nera scendere a rotta di collo giù nell'East River, passando sotto il ponte di Brooklyn, ed automobilisti provenienti da tutt'altro luogo affermati di aver scorto la medesima figura schizzar fuori dal Golden Gate, sorvolare il ponte sospeso e sparire nella nebbia soffusa che era solita venirsi a creare da quelle parti, come per magia.
 
 
 



Writer’s corner
. . . Chiedere scusa è inutile. Ma davvero mi dispiace, eh!
Credetemi, tra scuola e tutto avevo il capitolo scritto a metà già due settimane fa, ma qualcuno – la meH, ovvio – ha dimostrato di avere la grazia di un Ippogrifo e la goffaggine di Tonks, inciampando sul caricatore del PC e facendolo cascare a terra.
Cristalli liquidi andati, già: così ora mi sto arrangiando usando il monitor del computer fisso (morto, oramai xD Li facciamo fuori tutti, i PC, io e i miei fratelli!) in sostituzione del mio.
Mi sarei presa a schiaffi da sola fino a sentire le trombe angeliche, se non ci fossero state autrici sui gemelli – e non solo – braverrime e divertentissime (Word_shaker aka gemellaH, ti sto frecciatinizzando/?/ x3) a farmi sclerare & sorridere anche alla sfiga.
Perché sì, questa è sfiga.
Comunque… capitolo bello intenso, questo, da scrivere! Ieri sera guardando in TV “il Principe Mezzosangue” sono arrivata al penultimo paragrafo, ma alla fine la stanchezza ha vinto.
Poi oggi ho ripreso, ma — tanti ‘ma’ — mentre ricontrollavo per non lasciare errori di battitura/causati dal correttore automatico del telefono questo mi ha lasciata.
Quando si è riacceso, il file non si poteva riaprire; dunque ho dovuto finire il capitolo e ricontrollarlo.
In caso dovesse vedere qualcosa di strano (tipo qualche verbo: il congiuntivo è ignoto al mio telefono .-.) siete pregati di farmelo notare.
Eeeee nulla; a inizio capitolo vi ho messo una lista completa di Gif dei personaggi di mia invenzione presenti in maniera rilevante (o anche solo accennati, o nominati!) nel capitolo, sotto consiglio di crazyapple_ — macciao, cara! —. Nel caso doveste far confusione, non esitate a dirmelo, è più che comprensibile.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e di ricevere dei pareri. Ci tengo a questa storia e intendo portarla a termine, mi ci volessero anche trent’anni! U_U
Comunque non credo manchi molto, sapete? Siamo sulla decina di capitoli, forse.
Detto ciò, vi lascio e vi mando un pandabbraccio.
Al prossimo weekend! (Spero)
 
Soleil

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Capitolo 28
*** The American Dream ***


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The American Dream


C'era davvero un portale sul fondo dell'East River, attraversarlo era stato così veloce che George aveva dovuto trattenere il respiro per non più di dieci secondi, prima di risentire il vento – stavolta più freddo – sbattergli in faccia e scompigliargli i capelli fiammanti.
Da sopra a un manto di luci colorate lui, Incendio e Apollo si erano ritrovati in una nebbia dai colori caldi.
Dissoltasi, ecco di nuovo la sagoma nera del grande drago scagliarsi nel cielo: dato il fuso orario, da quella parte del continente il cielo stava ancora imbrunendo e proprio là, in mezzo alla volta celeste screziata di cremisi, ecco sbucare una macchia di terra interamente e letteralmente sospesa in aria.
«Siamo a casa.» Mormorò Apollo con affetto, probabilmente rivolto a Incendio.
La struttura di Amstrong era più o meno simile a quella di Hogwarts: l'enorme castello aveva quattro torri molto alte in corrispondenza esatta dei punti cardinali, una delle quali sporgeva dall'enorme ed estesa isola volteggiante, ma a differenza della scuola inglese aveva un aspetto meno antico. 
L'incredibile colore delle mura – «Riflettono approssimativamente le sfumature del cielo di fuori.» Spiegò Apollo a George – e le tante lucette accese davano a quel luogo un'aria eterea e surreale.
Oltre al castello, sull'isola dalla dubbia, sconfinata estensione c'era anche un grande campo da Quidditch, una distesa d'acqua limpida, aree verdi con tavolini e panchine in legno di quercia, tanti alberi da costituire un vero boschetto, sette serre, una guferia e un'area riservata alle creature magiche.
Molte di loro, quelle provviste di ali, volteggiavano attorno al castello o all'isola – Incendio dovette virare per non essere travolto da due piccoli Ippogrifi che giocavano tra loro.
«È incredibile!» Commentò ammirato George, gli occhi color nocciola sgranati. «Quelli li studiate?»
«Dal terzo anno in poi.» Annuì Apollo. «Scommetto che il Ministero inglese non vede di buon'occhio gran parte di loro.»
«Ci sono anche dei Thestral.» Commentò George, avvistandone una coppia mentre si abbeverava.
«Già, di questi tempi non sono pochi gli studenti che possono vederli. Senti, di solito a questo punto c'è qualcuno degli altri a passarmi un manico di scopa, ma dobbiamo togliere la sella a Incendio per cui useremo il passaggio dei minorenni.»
«Potrei Materializzarci lì, no?» Propose George mentre, prima che Incendio virasse e si dirigesse verso il basso, Apollo dava un lieve strattone alle briglie.
«Non credo ce ne sarà bisogno, guarda.» Annunciò, sorridendo ad Alice che, in lontananza, si sbracciava per farsi vedere da loro; era insieme a Son, John ed Eric, all’ombra di un albero dal tronco a dir poco gigantesco. «Smaterializzati laggiù, io penso a Incendio e vi raggiungo, okay?»
«D’accordo!» Così dicendo, in uno schiocco, George si ritrovò in piedi sul morbido manto erboso, subito davanti al quartetto. Alice e Son sussultarono dalla sorpresa mentre John rivolse al rosso un sorriso sollevato, sorreggendo un alquanto intontito Eric.
«Che cosa gli è successo?» Fu la prima cosa che chiese George, improvvisamente preoccupato.
«Un Mangiamorte.» Spiegò Alice. «Gli ho dato una pozione per non farlo indebolire, ma abbiamo bisogno di Julchen, temo.»
«No, no, sto bene così, davvero.» Assicurò il castano. «Ho solo battuto la testa, una bella dormita e starò meglio.»
«Nanerottolo, fidati, bernoccolo o dissanguamento ti serve un’occhiata.» Lo ammonì la rossa, per poi rivolgersi a George: «A proposito, e gli altri?»
Il ragazzo scrollò le spalle, rispondendo accigliato: «Io ho visto solo — si chiama Apollo, vero?»
«Lukas.» Lo corresse il diretto interessato, venendo fuori da sotto una delle grosse radici rialzate dell’albero secolare, sotto lo sguardo sorpreso di George.
«Passaggio per i minorenni.» Spiegò John. «Quando chiami il treno per Amstrong questo ti porta ad una spiaggia immensa che i Babbani non conoscono. Da fuori – da Alcatraz come la vedono i Babbani – si accede tramite un passaggio che cambia ogni ora, ci ha detto Artemis, Una volta lì, imbocchi una grotta e ti ritrovi sotto quest’albero. Credo che a settembre si alzi.»
«Sì, sì, impari in fretta, bravo. Ora però non è questo l’importante.» Si intromise nervosamente Alice.
«Shawn?» Chiese Lukas.
«L’ho mandato a cena, per non destare sospetti.» Spiegò sbrigativa la ragazza. «Lukas, dove sono Eirik e Julchen?»
La fronte del castano si aggrottò. «Come, non— non sono già arrivati con—» Perplesso, si rivolse ai gemelli. «—con voi due? Julchen era con voi ed Eirik vi è venuto dietro!»
Eric abbassò il capo, mordendosi le labbra. «Sì, erano con noi, ma il Mangiamorte che ci ha inseguiti. . .»
«. . .ha ferito Eric e ha. . .» John, impacciato e in evidente difficoltà, sospirò. «Credo che a Sigyn – o Julchen – abbia fatto più male.»
«Molto più male.» Aggiunse Eric in tono flebile. «Poi è arrivato Loki – scusate, Eirik – e ci ha ordinato di chiamare il treno e noi… noi non ce l’abbiamo fatta a opporci! Sembrava furibondo.»
Boccheggiando, Alice mollò la mano di Son e quasi saltò addosso ad un pallido Lukas. 
«Richiama Incendio, ora!»
«Cosa?!»
«Dobbiamo tornare indietro, Lukas, da loro!»
«Noi? Lo farò da solo, Alice, tu non—»
«Vuoi tagliarmi fuori così? Sul serio?!!»
«Alice, per Merlino, ragiona!»
Il diverbio tra i due si interruppe non appena il “Crack” di una Materializzazione risuonò alla loro sinistra. Pallido in viso, con il sangue colante dal naso e un’espressione assente, Eirik avanzò verso di loro, sorpassandoli a passo svelto senza degnarli di uno sguardo.
«Eirik!» Lo richiamò Alice, sbarrandogli la strada. Tra le braccia del biondo, Julchen pareva dormire profondamente.
Lukas li raggiunse subito, preoccupato. «Come state?»
«Non si vede, Lukas?» Rispose acido il biondo. Poi si morse le labbra e riformulò, in tono sbrigativo: «Io sto una meraviglia, come vedi. Devo solo farmi riattaccare un pezzo d’orecchio, mi sono Spaccato.»
«Ti aiuto a portarla in infermeria.» Si offrì il castano, facendo per prendere in braccio Julchen. Al che, Eirik si ritrasse bruscamente. «Non possiamo accalcarci tutti in infermeria, ci scoprirebbero.»
«Anche uno dei più piccoli ha bisogno di cure, Steilsson.» Soggiunse duramente Alice. «Ma hai ragione, per cui ho una proposta.»
«Spara.»
«Voi, venite qui.» A un cenno della rossa, George e i bambini raggiunsero il gruppetto. Eric venne preso per mano da Alice. «Io e Eirik porteremo Julchen e John — scusa, volevo dire: Eric — in infermeria. Nel frattempo, Lukas, tu porterai con te gli altri.» Spiegò mentre iniziava ad allontanarsi. «Ti cambierai, ti darai una ripulita e li porterai dal professor Arrow. Troveranno già lì Eric, me ne occuperò io. E no: non so cosa gli racconterete.»


*

«Come sta?» 
«Non sono un Medimago, Hailey, ma ce la farà senz’altro.» La rassicurò James, mentre metteva via le bende restanti in una cassetta del pronto soccorso scovata per pura fortuna. 
«Sai come aggiustare le ossa, e tanto ci basta.» Annuì la castana, guardando il profilo addormentato di Max dalla sua postazione; James si alzò dalla destra del capezzale dello Scrutatore e fece Evanescere la cassetta di latta. Poi la guardò; appoggiata allo stipite della porta, Hailey stringeva un’ampolla con fare incerto. 
«È per il dolore.» Gli spiegò. «Non sono mai stata particolarmente dotata come Pozionista, ma ho visto prepararne a bizzeffe di bevande come questa. Specie negli ultimi tempi, sai. E... be', so com’è svegliarsi con le ossa ancora in via di guarigione.»
«Hai avuto paura?»
«Per Max? Sì, è bravo a farmi prendere infarti.» Ammise Hailey, avvicinandosi. «E anche tu lo sei, James. Ad un certo punto quella. . . sì, insomma, il vampiro si è rivolto a te.» Appoggiò la Pozione Antidolorifica sul comò vicino al letto dove giaceva lo Scrutatore. «O no?»
«No, non a me, ma a Louis.»
«Sicuro?»
«Non ti fidi di me, forse?» Sbottò atono James, guardando con imperscrutabilità Hailey. 
«Se non mi fossi fidata, non sarei qui.» Rispose a tono la ragazza, sorreggendo con prontezza gli occhi cerulei del biondo. «Ma non capisco, James.»
«Non è difficile da intuire. Non se il ragionamento è frutto di una mente affine alla tua.» Fece spallucce l’ex-Corvonero. «Louis ha visto te e Max durante il suo settimo anno, giusto? Max ha fatto il mio nome e gli avete fatto ben intendere che ero — che sono — vivo, temo, per poi Schiantarlo. Non avete potuto Obliviarlo e immagino che avrete pensato che svegliandosi avrebbe pensato a un sogno o che sarebbe stato un po’ confuso. Ma Louis è mio fratello, Hailey, lo conosco: non è un idiota. Se non ha intuito cosa siete — cosa siamo — avrà comunque pensato che se avesse mai ritrovato voi avrebbe anche ritrovato me.»
«Ha senso, sì. Quindi il passaggio stesso è stato, inconsapevolmente o meno, tramandato da lui stesso a— a se stesso?» Bofonchiò confusamente Hailey, gesticolando come a voler dare un senso alle sue supposizioni.
Perché alle sue stesse orecchie risultavano teorie alquanto confuse. Stessa cosa non poteva dirsi per James, il quale seguì il flusso di parole della compagna in silenzio, per poi annuire: «Esatto. Come, ti chiederai: la risposta ce l’ha data Madame Hawk in persona: una volta che il legittimo proprietario marca almeno uno dei due oggetti questi troveranno sempre il modo di tornare da lui.»
«Sì, ma ha anche parlato di spostamenti spaziali, non temporali.»
«E si sbagliava!» Esordì con vigore James. «Anche Max lo ha notato, quando si è avvicinato troppo e lei lo ha ammonito. Per giungere al suo scopo, Madame Hawk è ricorsa a una soluzione alchemica unica e pericolosa. Qualcosa di così complesso che non se ne sarà neanche accorta: una pozione crononauta.»
«Che?! Ma come…?»
«Lei è stata a un passo da divenire Indicibile, probabilmente nell’Ufficio Misteri c’era e c'è qualcosa, non lo so, può anche aver erroneamente sbagliato il dosaggio di qualche ingrediente. Fatto sta, Hailey, che quel diario e quel libro erano imbevuti di quella pozione.»
«Okay. Un secondo, eh, sto cercando di metabolizzare tutto — Quindi un Louis del futuro ha…?» Le parole morirono in gola ad Hailey, la quale aggrottò la fronte scuotendo il capo. «No, non può essere così.»
«Hai ragione.» Assentì assorto James. «Perché noi abbiamo trovato quei due oggetti a Diagon Alley, ricordi?» 
«Sì, stavano per creare un’interferenza.»
«Non necessariamente. I tuoi poteri di Empatica ti permettono di captare qualsiasi cambiamento storico dovuto alla magia, è vero, ma anche la magia stessa. Quel diario potrà anche non essere mai stato utilizzato per viaggiare nel tempo, ma era intriso di magia oscura riguardante il tempo da più di vent’anni. Una magia incontrollata, che non è mai stata dosata: capirai che dopo un tot di tempo debba—» 
«— esplodere. Boom!» 
«Sì, Hailey.»
«Ma quindi non dovremmo, non so, cercare chi prima di noi ha usufruito di quegli oggetti?»
«Non ne sono sicuro. Credo piuttosto che in caso lo sentirai come sempre. Il punto fondamentale è, comunque, che Louis ha calcolato tutto.»
«Perché se lui non avesse tramandato il diario e il libro io e Max non saremmo mai arrivati negli anni settanta per indagare.» Concluse Hailey, illuminandosi. «Non lo avremmo mai incontrato e lui non avrebbe mai concepito a sua volta l'intera, contorta e totalmente insensata l’idea di ricorrere a Magie Sinister!» 
«Quindi non saremmo mai arrivati da Madame Hawk.»
«Perché lui sapeva che avresti subito pensato a lei.»
«Non lo sapeva, lo immaginava. Da lì abbiamo fatto andare in fumo il resto del suo piano. Evidentemente aveva avvisato Madame Hawk e preso accordi con lei perché cercasse di capire il più possibile di noi per poi ricevere in premio due elementi su tre: tu e Max. In cambio di me e di tutte le informazioni ottenute. È tutto una serie di eventi a catena.»
«Da mal di testa.» Commentò stancamente Hailey. «E adesso?»
«Adesso niente. Dobbiamo pensare a Max e ad andare avanti.»
«Ma. . . James, si tratta di tuo fratello!»
«Se dovesse essere un pericolo per la storia un’altra volta lo sentirai.» Con ciò, la discussione era chiusa. «Ora che ne dici di rimanere a controllare Max?» Propose James ad Hailey, lasciando che quast'ultima si sedesse dove prima c’era lui.
«Certo.» Annuì poco convinta la castana. Seguì la figura del più piccolo finché non fu sul ciglio della porta. A quel punto, lo richiamò: «Oh, ehi, James!»
«Dimmi.»
«Come mai hai pensato subito a Magie Sinister?»
Gli occhi chiari di James si raggelarono per pochi istanti, prima che quest’ultimo rispondesse evasivo: «Mio fratello era. . . diciamo molto legato a quel genere di compagnie. E no, non dirò altro al riguardo. A dopo, Hailey.»
Così dicendo, lasciò sola la ragazza. Sola con i suoi pensieri ed i suoi dubbi.
Sbuffando, Hailey si sedette sulla vecchia moquette della stanza con la schiena contro il letto di Max, la sua Protezione tra le dita e un’espressione persa dipinta in viso.
«E quel ragazzo avrebbe sedici anni?» Buttò fuori incredula, passandosi con esasperazione una mano tra i capelli riccioluti.
Si voltò appena verso il ragazzo dormiente per verificare che non accusasse particolari fastidi, al momento, e al vederlo così sereno Hailey stessa sentì il suo animo acquietarsi un po’.
«A volte mi domando se non sia sprecata, una persona, una vita così. E non parlo solo di lui, Max.» Mormorò l’Empatica, allungando la mano libera a cingere appena quella dello Scrutatore. 
Di riflesso, Max aumentò la presa; aveva il tocco gentile ma al contempo molto deciso e – di ciò Hailey se ne stupì – niente affatto molesto.


*

 
Ad Amstrong Lukas era un Cobaltaurora. 
George non conosceva le Case di quella scuola, ma sulla base di quel poco che conosceva del giovane avrebbe associato i componenti delle “auree blu” ai Corvonero, grossomodo, anche se Lukas lo avrebbe visto bene anche nei Grifondoro.
Le Sale Comuni e i Dormitori di tutte e quattro le Case erano disposte sulle quattro torri più alte del castello; quella dei Cobaltaurora era a nord.
Mentre Eirik, Alice ed Eric avevano preso l’entrata principale loro avevano optato per un passaggio segreto situato in una botola sotto gli spalti del campo di Quidditch.
«È stata Alice a parlarmene.» Spiegò calandovisi dentro e prendendo Son per la vita, di modo da tirarla giù senza che corresse il pericolo di cadere e farsi male. La prese per mano e, una volta che George e John gli furono dietro, chiese al primo di fare un po’ di luce. «I Rossincendio non hanno un entrata fissa per i loro dormitori, cambia ogni giorno. Ci pensano i Fuochi Fatui a guidare loro e loro soltanto al luogo del giorno. Arrivano sul posto, se è un passaggio ci entrano, dicono la parola d’ordine et voilà
«Questo è molto lungo?» Domandò John, tenendo a sua volta la mano di Son e quella di George, il quale aggiunse: «Già, non è esattamente comodissimo.»
Naturale che lo dicesse: era così alto, lui, da doversi chinare un po’ per non cozzare col capo contro il soffitto.
Non ci vollero che pochi minuti perché sbucassero dietro un gargoyle.
«Pianterreno.» Li informò Lukas sottovoce. «A due passi dalla Torre dei Cobaltaurora. Seguitemi.»
Di lì in poi fu tutto una gran bella sfacchinata, poiché il gruppo dovette percorrere un’infinita scala a chiocciola per chissà quanto, prima di arrivare a un vicolo cieco, costituito da un arazzo colorato, raffigurante due streghe che, in mezzo a un campo di battaglia pieno di uomini con armi che George non aveva mai visto, si tendevano la mano.
«Complesso storico Babbano, soggetti principali magici.» Commentò Lukas, indicando loro la donna di destra. «Lei è Ciel, la fondatrice della mia Casa, e l’altra strega è la sorella minore, Juliet. Una nata in Bretagna, l’altra a Greenwich.»
Così dicendo, sfiorò con le dita il punto in cui le dita delle due giovani si andavano a sfiorare. L’arazzo s’illuminò e appena pochi secondi dopo Lukas accolse tra le braccia un libro dalla copertina lucida e rigida.
Aprì una pagina a caso, contò prima fino a dodici e poi fino a quattro; dopodiché, pronunciò una parola che nessuno dei presenti riuscì a capire.
«Gli è andata la saliva di traverso?» Domandò ingenuamente Son a George, strattonandolo per una manica della maglia e parlando sottovoce.
«Segreto dei Cobaltaurora, piccola.» Le rispose Lukas con un sorriso paziente, mentre il libro si dissolveva nelle sue mani così come l'arazzo, che lasciò posto a una porta. Prese gentilmente per mano la bambina e la condusse oltre la porta. 
Fu come immergersi in un altro mondo; al di là della soglia c'era un'enorme stanza circolare che pareva inondata di una luce soffusa nonostante l'ora. Sia John che Son non poterono reprimere uno: «Wow. . .»
«Quanti libri—!» Fu invece l'osservazione accigliata di George. Le pareti della Sala non erano spoglie: se non per pochi spazi occupati da quadri e carta da parati color acquamarina erano piene di libri. Ce n'erano a milioni, probabilmente, era impossibile contare anche solo quanti fossero i piani occupati dai volumi colorati; fatto sta che arrivavano fino alla fine delle pareti, laddove sbagliava una grossa cupola appuntita, fatta di cristallo e finemente decorata con filamenti argentei. 
«Quanti sono?» Chiese curioso John. Son, che evidentemente aveva voluto provare a contarli, aggrottò la fronte confusa interrompendosi, per poi fare due conti sulle dita. 
«Nessuno li ha mai contati, e non credo che sia possibile riuscirci. Ci sono sia testi magici che Babbani, dai più famosi e celebri in letteratura a quelli, be', più leggeri. È il posto con più libri di tutta Amstrong, tant'è che non è strano che di tanto in tanto si vedano studenti di altre Case da queste parti.»
«E il segreto di prima?» chiese Son.
«Se uno ha bisogno può chiedere a un Cobaltaurora, e lui o lei si prende la responsabilità di bendare l'interessato e portarlo qua dentro. O di fare una consegna a domicilio.» Detto ciò, indicò loro i tavolini e i divanetti sparsi per la grande sala,. «Fate come se foste a casa vostra. Io mi vado a cambiare.»
Sparì dietro una porta affiancata al camino — spento — e ricompare dopo qualche minuto.
George fece fatica a riconoscerlo: Lukas come. . . be', come Lukas aveva un aspetto molto più ordinario.
Gli parve persino più basso e mingherlino di prima, sotto quei folti capelli castani e con quegli occhiali squadrati — celanti gli occhi color prato e posti sul naso lievemente a patata spruzzato di lentiggini così come il suo viso.
«E quella sarebbe una divisa scolastica?» Chiese senza pensarci. 
Lukas si guardò e poi alzò lo sguardo sul rosso. «Perché, che ha che non va?»
Un paio di jeans scuri, la camicia bianca a maniche corte fuori da essi, con tre bottoni slacciati, e una giacca a vento scura in mano: cos'aveva, quell'abbigliamento, di formale?
Assolutamente nulla, ecco cosa! Ecco perché a George piacque.
«Oh, niente, figurati!» 
Solo il fatto che non includeva una cravatta le conferiva punti: George aveva sempre detestato doverla indossare e nemmeno a Fred piaceva. 
«Troppo da Percy.» diceva,
All'inizio aveva tentato, George, ad imparare a convivere con quell'inutile indumento, ma dopo essere quasi soffocato nel tentativo di imparare a fare il nodo si era detto: «Che la mettano a Mrs. Purr!»
La McGranitt non era stata di quest'avviso quando aveva beccato i gemelli arrivare alla sua lezione: George aveva la cravatta penzolante dalle soalle e la camicia fuori dai pantaloni, mentre Fred l'aveva legata in fronte e non indossava il mantello — nonostante fossero in pieno novembre.
«Professoressa, per sbaglio ho lanciato un incantesimo ai capelli di Fred e— e sono cresciuti, gli finivano negli occhi. Così abbiamo pensato: rendiamo utile quella cravatta!»
«E la tua che utilità ha posta in quel modo, signor Weasley? A tal proposito mi piacerebbe sapere che genere di incantesimo avrebbe colpito la tua camicia.»
Giorni dopo Charlie li aveva presi da parte e aveva insegnato loro ad annodare ben bene le loro cravatte e a non disobbedire mai e poi mai alla McGranitt.
Solo Fred aveva imparato, però, i nodi di George venivano fuori strani, contorti, disordinati, storti o impossibili da sciogliere.
Per cui Fred, nonostante fosse il minore tra i due — «Sono solo tredici minuti più piccolo.» affermava in una smorfia — , ogni mattina per quasi sette anni aveva sempre aiutato il gemello a combattere la sua insidiosa cravatta, anche quando questi ebbe imparato a sistemarsela da sé, seppur lenta e un po' trasandata.
«Non sta male coi tuoi capelli.» Gli aveva detto una mattina Fred con un sorriso divertito, dopo aver squadrato il nodo fatto dal gemello. «Sembri proprio un bel demonietto, così, Georgie.»
«George
Riscuotendosi, il rosso abbassò lo sguardo su John, il quale alzò le sopracciglia e gli indicò Son e Lukas, immersi in una fitta conversazione. 
E George realizzò di aver ricordato un pezzetto del suo passato abbastanza ordinario e scontato, forse, ma che, confrontato con la realtà faceva male come il peggiore degli incubi.
«Andiamo?» Gli chiese John.
George annuì. «Sì, sì, andiamo.»
Seguirono Lukas finché non giunsero davanti a una porta che spiccava sull'ambiente circostante tanto era colorata.
Appesa al pomello c'era una testa. Non umana, certamente no; non si trattava di nient'altro che d'una testa d'aglio un po' fuori misura munita di lineette sottili quali sopracciglia e bocca. Più due occhietti neri.
«T'oh, guarda! Larry non ha dimenticato di essere ancora uno studente, dopotutto!»
«Lukas.» La corresse sospirando il castano. «Buonasera anche a lei. Felice di vederla sempre. . . sì, be', qua.»
George aprì la bocca per parlare ma, intuendo che genere di battute potesse tirar fuori, John gli pestò il piede, mentre Son strabuzzò gli occhi.
«Tu sei Coraruff!» Esclamò. 
«Ehi, bello mio, spostati o non vedo chi t'accompagna! — Oh, quante facce nuove! Sì, biondina, in carne e ossa, metaforicamente parlando!» Esclamò con ironia la testa d'aglio. Assottigliò gli occhi e fisso John malamente. «Ma tu non dovresti essere dentro, piccolo furfantello?»
«Piccolo furfantello?» Esalò George, trattenendosi a fatica dal ridere di fronte ai tentativi palesi e vani di Lukas di aprire la porta, sballottolando da una parte all'altra Coraruff. 
«Che c'è? Non sono tutti delle piante rampicanti come te. Oh, credo che i tuoi capelli stiano andando a fuoco, giovine.» Lo rimbeccò la testa d'aglio. Allora, sia John che Son scoppiarono a ridere e quest'ultima tinse i propri capelli di rosso carota. «Per la barba dei tuoi antenati, Lorys, mi hai presa per una pallina da ping pong?!»
«Ruff!» Gemette esasperato Lukas. «Dobbiamo entrare!»
«Vaaaaa bene.» Sbuffò la testa d'aglio, per poi aggiungere annoiata: «Parola d'ordine.»
«Prego?»
«Hai sentito bene, Lenny, qual è la parola d'ordine?»
«Non c'è mai stata una parola d'ordine, Cora, ti prego—!»
Coraruff fece un fischio «Corretto!», e il pomello girò. «Vedi dove può portarti la buona educazione, signorino? Tu, ragazzo dalla testa in fiamme, fossi in te mi abbasserei per non sbattere la testa.»
«Non è bellissima? Shawn dice che il preside Arrow ha conosciuto Coraruff in North Carolina e che se ne è subito innamorato!» Bisbigliò eccitata Son.
«Ma a cosa serve, lei?» Le bisbigliò a sua volta John, evitando di domandare come fosse possibile innamorarsi di una testa d'aglio. La bambina sorrise con più perplessità che altro e si strinse nelle spalle. «Difende il preside dai vampiri, no?»
«Siete proprio strani voi americani.»

 



Writer's side
Hello, mates!
Yup, vi sto facendo una sorpresona, vero?
Pensate che ho appena finito di scrivere il capitolo (il che significa che prima di postarlo saranno quasi le due, LOL).
Ed è stato un parto perché, se da una parte il PC oramai l'ho come ce l'ho, ci si è messo anche il telefono! Che è rimasto in assistenza fino a pochi giorni fa, con al suo interno le note & appunto il captolo.
Naturalmente, visto che sono io, più che risolvere i problemi che aveva quei geni gliene hanno aggiunti altri, per cui con loro ci si vede a settembre col secondo round.
Tra le altre cose, aggiungiamoci un giorno più schifoso dell'altro, persone stronze che mi fanno salire i nervi e venire gli attacchi tachicardiaci... Insomma, se avere periodi così bui mi da simili sprint per la scrittura forse dovrei sperare di averne più spesso, no? :"
Scherzo, seh.
Comunque, cercherò di aggiornare presto, ma non faccio promesse in quanto il nove o il dieci parto e mi porterò dietro un portatile non mio, in cui devo ancora per altro installare i driver della mia chiavetta per internet (sperando di riuscirci senza far saltare niente).
In caso, comunque, ci si vede a fine agosto, eh. Io continuerò tramite cellulare.
Parlando del capitolo. . . La parte di James e Hailey, lo so, è bella corposa solo per via dei discorsi corposi e pieni di (forse troppe) informazioni, che vi danno indizi per fare supposizioni sull'intricato mistero che lega le loro vicende a quelle di George e i gemelli.
Il titolo "American Dream" è ovviamente ricollocabile a uno dei tanti termini con cui ci si riferisce alla California, Stato a cui appartiene Alcatraz e (sopra quest'ultima) a cui è legata Amstrong.
E poi, be', abbiamo appunto la scuola. Mi sono divertita troppo a immaginarla e a inventare curiosità e caratteristiche delle quattro Case & Co. Verranno fuori nei prossimi capitoli.
E Coraruff. 
Cioé, Coraruff!, quella esta d'aglio! *^*
L'ho inventata giusto un'oretta fa, lei, e me l'hanno ispirata quelle specie di testoline di pezza che, nel film "Hotel Transylvania", stanno appese alle porte delle camere d'albergo. Lo ammetto.
Coraruff spacca tutto, LOL.
Fatemi sapere che ne pensate, io nel mentre vedrò di pubblicare almeno un altro capitolo prima di partire così, se non riuscissi a farmi viva per il resto di agosto, almeno potrò nel mentre darmi da fare e scrivere più capitoli.
Okay?
Okay.
Un'ultima cosa: la scorsa volta ho messo prima di tutto una lista con gif allegate dei nuovi personaggi presenti nel capitolo corrente. Come vedete qui manca (è troppo tardi e ho troppo sonno, pardonnez-moi); sono praticamente gli stessi e anche meno rispetto allo scorso capitolo, per cui ho pensato che dovreste ricordarveli, oramai. In caso mi scuso per l'eventuale confusione e vi prego di farmi avere notizie in merito.
Detto ciò, a presto, gentaglia.

Soleil

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Capitolo 29
*** Lo Smistamento ***


Nuovi personaggi; volti e nomi di quelli che appaiono in questo capitolo:
Zachary Wright;
Samantha Puckett;
Nyall MacFly;
Anthony Hale & Claire Mitchell;
Hikaru & Kaoru Hitachiin
;


 

 
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Lo Smistamento

 




L’ufficio del preside Arrow era molto diverso da quello di Silente. Era anch’esso pieno di oggetti strani, vero, ma più che ad un ufficio somigliava quasi ai Tiri Vispi: colori ovunque, rumori, oggetti svolazzanti, qualche Fuoco Fatuo qua e là…
Anche il suddetto Arrow era diverso dal prototipo di preside cui George era abituato: non aveva una lunga barba argentea o occhiali a mezzaluna; era alto e nonostante fosse palesemente anziano i suoi capelli, dall’aspetto spinoso e disordinato, conservavano una luminosa tonalità biondo cenere screziata di ciocche più chiare. Sommati agli occhi vispi e azzurri e all'aria sbarazzina con cui vestiva, non c'era da stupirsi che sembrasse essere sulla quarantina.
Quando Coraruff aprì la porta la prima cosa che la compagnia vide fu, appunto, il preside seduto dietro la sua scrivania che mangiava cupcake in compagnia di Eric il quale, appena li vide, sorrise radioso a John.
«Stai meglio.» Constatò sollevato il castano, mentre Son si nascondeva dietro George.
«Lukas!» Esordì Arrow, illuminandosi e rivelando una voce dal tono squillante e forte che fece sussultare il sopracitato. «Chissà perché mi aspettavo una tua visita. Alice è andata via pochi minuti fa.» Continuò l'uomo, sporgendosi dalla sua postazione. «Mi ha raccontato tutto.»
Il viso del giovane Cobaltaurora perse colore, tant’è che le efelidi che gli puntellavano le guance e il naso divennero ancor più visibili di prima.
«Eh?»
«E il piccolo Eric ha provveduto ad aggiungere quanti più dettagli possibili.» Aggiunse Arrow. Al che George e John guardarono il bambino con espressione inebetita. Il preside si alzò e andò a stringere la mano al rosso.
«Allen Arrow, ragazzo, piacere. Non è la prima volta che riceviamo studenti da Hogwarts, ma è sempre magnifico.» Disse con fare vivace, shackerando il braccio di George con energia. «Voi inglesi siete così... così inglesi!»
«Già, dovrebbe vederci all'ora del the! George Weasley, comunque.» Rispose sorridendo sfacciato il rosso, sebbene fosse alquanto perplesso. Cosa a cui, comunque, il mago più anziano non parve fare caso, in quanto prese come a fare un discorso che più che tale sembrava un vero e proprio monologo.
«Certamente capisco che il motivo della tua visita non sia poi così piacevole. Ho settantadue anni, ho combattuto anche io per il mio paese. Non sono stato uno dei primi americani ad avere accesso ad Amstrong, forse, ma ora eccomi qui, fiero di me stesso e dei miei studenti. Certo, è stato poco ortodosso da parte di Richards, Raimbow, Ootori e i fratelli Storm. L'ho detto, io: troppo giovani, dovevano pensarci due volte. Ma onestamente? Avrei fatto altrettanto!»
George guardò Eric chiedendogli in labiale di che diavolo stesse parlando quell’uomo. In tutta risposta, il ragazzino gli fece un cenno noncurante con capo.
«Parla dei membri più anziani dell'Armata, quelli già diplomati al momento della fondazione.» Sussurrò loro Lukas.
«Lei sa perché siamo qua, quindi?» domandò ad alta voce John, per sovrastare la voce di Arrow.
«Ovviamente!» Annuì vigorosamente quest'ultimo, decidendosi a lasciare andare George per allargare le braccia con eloquenza. Era un tipo che gesticolava molto, evidentemente.
La sua espressione si rattristò quando aggiunse: « Sei reduce dalla guerra, mi ha detto Eric, e come ti ho già accennato prima non sei il primo studente che arriva da Hogwarts.»
«Per cui…?» Mormorò confuso Lukas.
«Oh, andiamo, ragazzo mio, sei un Cobaltaurora, fa' due più due! È logico che siano qui per la cerimonia di commemorazione! Ed è stato molto gentile da parte tua e di Alice raccattar— ehm, dar loro una buona accoglienza, ecco. Specie dopo l'impiccio di Upside Street.»
«Di cos—?» Prima che Eric potesse aprire bocca, John gli diede uno schiaffetto dietro la nuca. «Una mosca.»
«È davvero un bel gesto, il tuo. Magnifico! E a proposito, i coniugi Fitzgerald ti sono grati per quel che hai fatto per Sonia.»
«Sonia?» Ripeté George, battendo le palpebre. John diede un colpo di tosse e gli indicò col capo la suddetta, e allora il ventenne si ricordò della piccola Metamorfomaga nascosta dietro di lui. «Oh, be', in realtà io non c'entro—»
«Vuoi un biscotto, piccola? Sei una Metamorfomaga come tuo fratello, eh?»

«—ma sono solo futili dettagli!»
Accigliati, tutti guardarono Lukas, mentre il preside Arrow continuava a parlare e parlare e parlare. Senza mai prendere fiato. Il Cobaltaurora, a bassa voce, bisbigliò loro di lasciarlo parlare senza interromperlo.
«Arriva alle conclusioni prima che ce lo possiate condurre voi. Potrà anche sbagliarsi, ma vi farà comodo, credetemi.»
«Tornando alla cerimonia, George... Scommetto che non hai la minima idea di come si svolga. È una tradizione che Amstrong riserva alle battaglie magiche cui partecipano anche gli studenti, per rendere omaggio al loro coraggio.» Continuò Allen Arrow, dopo aver messo tra le braccia di Son l'intero piatto di biscotti al burro. «Maggiorenni per legge, ovviamente, e solo in casi estremi, ma puoi capire che questa è un’occasione diversa dalle altre. Dieci persone non sono tante in confronto alle vostre perdite, ma molti di loro erano ancora minorenni. Le famiglie sono sconvolte, alcune sono addirittura furiose con me e gli insegnanti per non aver fatto qualcosa. Hanno ogni ragione di esserlo, ma, be', i ragazzi erano molto, molto ben organizzati. Non se la sono svignata tutti in una volta, ma l'hanno sempre fatto di notte; quando ce ne accorgevamo, erano già oltre il confine nazionale, oltre il quale io non ho autorità su di loro. In ogni caso, prima o poi l'aquila spicca sempre il volo, lasciando il nido per volare in solitaria. Quando non si sa, alle volte temo che alcuni di loro non fossero ancora pronti. Altre realizzo che ho di questi pensieri subito dopo aver ricevuto una lettera minatori da qualche membro delle famiglie dei ragazzi che non sono tornati a casa sani e salvi. Temo di non essere più sulla lista degli auguri natalizi del signor Anderson, in effetti.»
«Non si abbatta, potrebbe sempre decidere di spedirle un po' di carbone in regalo! In quel periodo dell'anno e a quest'altitudine farebbe comodo.» Concluse annuendo Eric, soffocando una risata. John lo guardò sconcertato, assestandogli una gomitata nelle costole.
«Ora, io ho fame.» Esordì Arrow, ravvivandosi. Evidentemente non aveva fatto caso ad Eric, preso com'era a divagare sull'appassionata minaccia di morte ricevuta il mese prima da un certo signor Sanchez. «Per cui non vi trattengo più del dovuto. Il succo è: tu vieni da Hogwarts, una studentessa di quelli periti in battaglia veniva da Hogwarts, la cerimonia di commemorazione si terrà tra qualche giorno, tu sei qui. È tutto chiaro come il Sole.»
George fece per aprir bocca e parlare, ma fu interrotto da Lukas il quale, illuminandosi, esclamò con fin troppa enfasi: «Questo spiega molte cose!»
«Lo penso anche io, Lukas! A proposito, ragazzo, credo che la signorina nascosta lì dietro—» Fece un cenno amichevole a Son, appostata dietro George con la bocca piena e le labbra sporche. Sentendosi tirata in ballo, scaricò il resto del suo dolce carico ad Eric per pulirsi al meglio col dorso della mano. «—non dovrebbe trovarsi qui. Ho provveduto a mandare un Patronus ai suoi genitori che, immagino, dovrebbero essere per strada, da qualche parte nei cieli del Kansas. Saresti così gentile da condurla incontro a loro in ?»
«Come vuole, professore.» Annuì esitante Lukas, facendo un cenno di saluto a George, Eric e John e aggiungendo rivolto a Son: «Vieni?»
La prese gentilmente per mano ed entrambi uscirono dalla presidenza; non prima d'aver salutato Coraruff.
«E sta' attento a come chiudi la porta, ragazzaccio! Cinquantadue anni che sono appesa qui e credi che sia ancora una giovincella?!»
In risposta la testa d'aglio ricevette un secco: «'Notte, Ruff.» e un borbottio stanco.
Una volta soli, se non fosse stato per l'indole spontanea e spiccia di George si sarebbe potuta venire a creare una situazione d'imbarazzante silenzio.
Con Arrow che faceva vagare lo sguardo sorridente e bonario ovunque e i gemelli che si guardavano pensando di trovare negli occhi dell'altro qualcosa di intelligente o sensato da dire.
«Ha detto di avere fame, per cui passiamo al sodo. Dunque, noi—»
«Non devi preoccuparti, ragazzo, Amstrong è perfettamente attrezzata per avere ospiti! La cerimonia si terrà dopo la fine degli esami di fine anno, cioé tra una settimana. Fino ad allora ti prego di fare come se fossi a casa tua: gironzola, conosci gente, divertiti... se dovessi incappare in un folletto con una maglia dell'NBA, digli per piacere di farmela riavere.»
«Che cos'è l'—?» Fece per chiedere Eric.
«—Perfetto!» Esclamò John. Guardò entusiasta prima George e poi Eric. «Potremmo scoprire molte, molte, molte cose nuove. Non trovate?»
«Oooooh, sì! E assaggiare la cucina locale, anche quella è cultura.» Aggiunse Eric.
«Ben detto, Johnny!» Esclamò il preside Arrow, confondendoli. «Sei Johnny, sì? Be', comunque... a questo punto vi congederei, ma non posso non dedurre che nessuno di voi tre sia mai stato Smistato qui. Giusto?»
«Ma noi non siamo studenti.» Obiettò George.
«Vero, ma Amstrong non è un luogo che ti rende la vita facile se non ti conosce. Forza, forza!» Così dicendo, fece il giro della scrivania, attraversò l'ufficio in poche falcate e aprì la porta con tanto trasporto che Coraruff cacciò un urlo di protesta. «Piccole misure per la vostra sicurezza, si tratta solo di una formalità che vi assicurerà il via libera a ogni angolo dell'isola e della scuola. Forza, chi ha tempo non aspetti tempo!»
George scrollò il capo e uscì, seguito dai gemelli. «Va bene, ci faccia strada!»
«Io? Volentieri, George, credimi, ma giusto poco fa un aereo del Ministero mi ha avvisato di una riunione circa l'utilizzo che i miei studenti fanno dei loro poteri fuori dalle mura della scuola.» Arrow mostrò loro un aereoplanino di carta ripiegato con cura. «Vi lascerò alle cure degli studenti, garantisco io: sono ragazzi molto piacevoli! Oh, Zachary! Capiti a fagiolo, ragazzo!»
Stava passando di lì, evidentemente; aveva i capelli neri folti e scompigliati, pelle diafana costellata di chiarissime efelidi e imperscrutabili occhi chiari, dal colore indefinibile.
Indossava gli stessi abiti di Lukas, ma le tonalità più che sul blu erano concentrate sull'indaco.
Si voltò ricettivo verso Arrow, aggrottando le sopracciglia scure. Lanciò uno sguardo fugace anche agli altri presenti, ma in esso non c'era molta curiosità.
Non appena lo vide, Eric sgranò gli occhi e si aggrappò al braccio di John, che gli scoccò uno sguardo d'intesa.
“ L'hai già visto, vero? ” chiedevano gli occhi color smeraldo di uno.
“ In una visione, su Avalon, credo che fosse lui! ” rispondevano quelli dell'altro.
«Ha bisogno di qualcosa, professore? »
«In effetti sì, Zachary — un Prefetto è... perfetto! Aha! — Oggi la ronda per gli Indacocclumanti tocca a te e a Samantha, giusto? »
«Puckett, esatto.»
«Farò riferire alla tua compagna che ritarderai un poco. Avrei bisogno della tua disponibilità.»
Senza batter ciglio, il ragazzo si avvicinò alla compagnia.
Il preside Arrow lo indicò con uno sguardo a George. «Lui è Zachary Wright, Prefetto Indacocclumante. Zachary, lui è George Weasley. E questi due giovanotti sono Eric e John — siete Weasley anche voi? Be', sì, ovvio
Li indicò rispettivamente, confondendo i gemelli.
«Sono ospiti, per la cerimonia.» aggiunse, ed Eric poté giurare di aver visto un'ombra scura tersa di rabbia e tristezza fare capolino nello sguardo di Zachary.
Mentre il preside Arrow gli dava istruzioni su cosa fare, entrambi i gemelli fissarono il ragazzo.
Eric perché sopraffatto dal suo sesto senso, John perché aveva notato di aver già visto quei lineamenti e quegli occhi.
«Puoi farmi questo piacere?»
«Non c'è problema. Seguitemi pure.»
George gli fu subito dietro, seguito dai gemelli.
A passo svelto, Eric affiancò Zachary, chiedendogli se potesse fargli una domanda.
«L'hai appena fatto.» rispose senza guardarlo Zachary, per poi aggiungere: «Ma d'altronde non sei mai stato qui prima, giusto? Chiedi pure.»
«Che anno frequenti?»
«Sesto.»
«Colore preferito?»
«Cremisi.»
«Cibo preferito?»
«Sushi.»
«Sei americano americano?»
«Californiano, di Santa Monica.»
«Il colore della tua Casa è l'indaco?»
«Tecnicamente no. Il colore che spicca sulla divisa varia a seconda dello studente. Neanche tra i membri della stessa Casa sarà mai identico.»
«Sai già evocare un Patronus?»
«Vagamente.»
«E che cos'è?»
«Non lo so ancora.»
«Giochi a Quidditch?»
«Sono Cercatore.»
«E sei figlio unico?»
«Non preferiresti farmi delle domande sulla scuola, piccoletto?»
«Ma—»
Zachary si fermò di colpo e guardò accigliato Eric, prima di annunciare a George: «Ci siamo.»
Tirò fuori la bacchetta e la picchiettò sul sigillo che teneva chiuso un portone alto almeno tre metri.
«Maride canterina
Un movimento circolare del polso e il sigillo si aprì così come la porta, rivelando una stanza circolare dalle piastrelle di marmo chiaro.
«Maride canterina?» Domandò con la fronte aggrottata e un sorriso divertito George.
«È la parola d'ordine della settimana.» Precisò prontamente Zachary, guardando altrove. «E questo è l'Auditorium.»
Era come la Sala Comune dei Cobaltaurora – pensò George – solo che era completamente sgombra, sulle pareti alte e sul soffitto doveva esserci impresso lo stesso incantesimo che animava la Sala Grande.
Al centro si ergeva un piedistallo su cui era appoggiato un grosso calice dorato, nel quale ardeva una fiamma senza colore.
Bianca, eterea.
«Di solito gli studenti più grandi assistono alla cerimonia di Smistamento da lassù.» Spiegò loro Zachary, indicando una fila di balconate che prima il rosso non aveva notato. «E quelli del primo anno si dispongono in cerchio lungo la parete. Uno per volta, vengono chiamati e sistemati ognuno nella propria casa. È il primo incantesimo ufficiale che compiono, quello dello Smistamento. Tu, grillo parlante fuorimisura, sarai il primo. Bacchetta alla mano.»
Eric, per nulla offeso dall'appellativo ironico usato dall'Indacocclumante, annuì e si fece avanti.
«Che devo fare?»
«Puntare, dare un colpo, ruotare, parlare.» Zachary fece vedere il movimento che andava fatto. «Mira al calice e, al momento opportuno, di': Detecto Cor
«E dopo che succede?» S'inserì George.
«Non lo so, succede qualcosa di diverso per ogni persona e ci si regola di conseguenza. Bando alle ciance, procedi pure.»
Eric annuì e rivolse lo sguardo davanti a sé; si umettò le labbra con un certo nervosismo e alzò il braccio destro. Un movimento, una formula e dalla sua bacchetta partì uno spruzzo dorato, come un fulmine, che andò a colpire in pieno il calice senza scalfirlo.
Le luci, nella stanza, si spensero all'improvviso, lasciando il posto solo al paesaggio esterno che per magia persisteva, nuvoloso e privo di stelle.
«Ho sbagliato qualcosa?» mormorò Eric, guardando il profilo in penombra di Zachary il quale, prim'ancora di aprir bocca, fu zittito da una piccola lucciola dorata.
Tutti guardarono in alto, dunque, e dal soffitto scuro videro iniziare a cadere quelli che a prima vista parevano fiocchi di neve color del Sole; sempre più numerosi e sempre più persistenti.
Dopo un po' il pavimento ne fu puntellato, mentre altri scintillii dorati volteggiavano e schizzavano per tutta la stanza attorno alle figure dei presenti.
Alcuni di essi rimasero imbrigliati nei capelli di Eric anche quando quasi tutti gli altri, raggruppandosi in un grosso mucchio, si riversarono tutti dentro il calice, che si accese di una calda e grande fiamma splendente come il Sole di agosto.
«Questo è stato. . .» farfugliò con crescente eccitazione Eric, voltandosi verso il gemello il quale, fiero, annuì: «Epico, Eric!»
«Wow! Semplicemente wow. Niente male davvero!» commentò con gli occhi nocciola sgranati George.
«Terresploratore. Non c'è bisogno di aspettare che torni bianca.» Commentò semplicemente Zachary, facendo cenno a Eric di cedere il posto al fratello.
Il colore del fuoco acceso nel calice dorato cambiò colore in una sola vampata non appena John eseguì l'incantesimo, divenendo di un intenso e forte violetto.
Le lucciole dorate rimaste prima sospese a mezz'aria, tra il pavimento e il soffitto, cambiarono colore una per una al venire collegate tra loro da un filamento di luce, anch'esso viola.
Tutti videro formarsi bozze di costellazioni, molte delle quali George non ricordava neanche di aver mai studiato.
Adesso era come stare sotto il cielo notturno, in tutto e per tutto.
Con mille costellazioni in continuo movimento.
E quando non furono che pochi, i puntini solitari sospesi, le stelle caddero nel calice. Semplicemente: come lacrime di San Lorenzo.
E la stanza rimase parzialmente al buio.
«Indacocclumante.» Sentenziò non molto sorpreso Zachary.
Senza farsi attendere, George impugnò saldamente la sua bacchetta.
«Detecto Cor!»
Il calice esplose — o meglio, la fiamma al suo interno saltò in aria; in una vampata fu subito tinta di un rosso intenso e dardeggiante, ricco dei riflessi e sfumature più disparati.
Zachary, Eric e John dovettero immediatamente coprirsi gli occhi e allontanarsi, per riflesso, ma George rimase lì dov'era col capo reclinato all'insù; gli occhi color nocciola sgranati dalla meraviglia, riflettenti i grandi e colorati scoppi di fuoco che riecheggiavano rumorosi.
Gli sembrava di rivivere una scena passata, appartenente a giorni ormai lontani e memorie celate dal tempo e dal dolore.
Per qualche attimo gli sembrò di trovarsi nuovamente a Hogwarts, di star sfrecciano sulla sua Scopalinda lanciando Fuochi Forsennanti Weasley a destra e manca.
Riusciva, George, a sentire due risate gemelle, fischi, urla eccitate, acclamazioni. Erano nell'aria, in quell'incantesimo, nei suoi ricordi e non si potevano scacciare via.
Due sagome identiche e scoppiettanti si rincorrevano in mezzo a tutto quel fantastico, grandissimo caos; a giudicare dalle fattezze sembravano due volpi che, dispettose, sfrecciarono intorno a George più volte prima di disperdersi nella confusione.
«Okay, Rossincendio, senza dubbio! Ora però ferma tutto prima che—» Zachary non ebbe il tempo di finire che le due volpi scoppiettanti erano già corse fuori dalla grande sala, lasciandosi dietro una scia di fuochi d'artificio.
«. . .Questo, appunto.»
«Non provare a farle Evanescere, te lo sconsiglio.» esordì in un moto di solidarietà George, divertito. «Si dissolverà tutto da sé, no?»
Sicuramente ci sarebbero voluti tutti i migliori sforzi di Zachary e della sua compagna Prefetto per fare il loro dovere, quella sera.
Il ragazzo affidò George, Eric e John ai primi loro Concasani che incontrò.
«Ogni Dormitorio ha sempre qualche stanza inutilizzata. I Terresploratori ne hanno ben cinquanta dalla fine del diciannovesimo secolo solo per gli ospiti, a quanto ne so.»


 

*



“Sta' giù!”
Uno scoppio, delle urla soffocate; Max si agitò nel sonno, cercando di scacciarle e di ignorare quella stessa voce che, insistentemente, lo chiamava da lontano. Non voleva sentirla, non voleva ascoltarla: faceva troppo male.
“È colpa mia...”
“Ehi, ragazzino, taci un po', mh? Non è colpa di nessuno. A mia figlia è sempre piaciuto molto fare l'eroina.”

«Ma cosa...? Colpa di chi, Max?»
Il moro avvertì il dolce tepore di una carezza data con timidezza; eppure non riusciva a smettere di agitarsi perché sapeva che stava per arrivare il colpo peggiore di tutti. E nel mentre, dall'altra parte, Hailey cercava di svegliarlo.
“Non ne sono certa, ma potrebbe non ricordare nulla degli avvenimenti di questi ultimi giorni. Data la reattività dei suoi poteri, io non azzarderei alcun incantesimo, non vorrei peggiorare la situazione. Infondo perderebbe solo qualche chiacchierata e le lezioni che ha seguito, no? Recupererà da sola.”
«No...»
«Che cos'hai che non va? — Max? Ehi?»
Un candido viso bianco come il latte, riccioli castani macchiati di rosso, bende a volontà, pelle fredda. E niente che lui potesse dire per fermare quegli occhi caldi che si aprivano e lo guardavano senza davvero vederlo.

Papà, dove...?”
Nell'infermeria della scuola. Come stai? Ricordi cosa ti è successo?”
Mi fa male la spalla... Sono caduta da parecchi metri, stavolta? La mia scopa andrebbe revisionata...”
«Max—?!»

Nella speranza che le loro vite continuino in un posto migliore, guidate dalla bellezza di quel che, a undici anni, con innocenza, loro hanno donato a noi. Si dia inizio alla cerimonia. Rendiamo omaggio ai nostri compagni caduti e ringraziamoli di cuore per l'amore e la forza che ci hanno dimostrato; perché a loro importava.”
«NO!» Scattando in piedi, il brusco incontro con la moquette svegliò del tutto il giovane Scrutatore il quale, con gli occhi lucidi, guardò spaventato Hailey. Si passò una mano tra i capelli e non appena vide l'Empatica cercare di avvicinarglisi si ritrasse, scuotendo il capo.
«Max, era... solo un sogno, okay?» Hailey fece un passo indietro, assecondando l'impulso di repulsione del ragazzo con evidente riluttanza e cercando di parlargli con quanta più dolcezza possibile.
«Stavo sognando?» Le fece eco con diffidenza il moro senza smettere di guardarla stralunato, rimettendosi a sedere sul letto dove era stato adagiato.
Hailey annuì «Stavi sognando. Un incubo, credo.» e sospirò sollevata; non poteva immaginare cosa stesse passando per la testa di Max e, sinceramente, per chissà quale motivo a lei ignoto avrebbe preferito tornare al loro stato “Facciamo finta che tu non esista e viceversa” piuttosto che vederlo in preda agli incubi.
A disagio, abbassò lo sguardo e si passò una mano tra i capelli.
«Ti preparo qualcosa di caldo, quando faccio brutti sogni funziona.» Così dicendo, girò i tacchi e fece per dirigersi in cucina quando la voce di Max, malferma, le giunse alle orecchie e la costrinse a fermarsi.
«Hailey?»
Le si avvicinò; nella sua mente era chiaro il pensiero – il desiderio – di rivolgerle anche solo un gesto d'affetto; non ci sarebbe stato nulla di strano, d'altronde, ma una parte del suo subconscio doveva non essere concorde con il resto della sua volontà, poiché la sua mano si fermò a mezz'aria, in prossimità della nuca dell'Empatica.
Hailey arrossì lievemente e guardò Max con curiosità e sbigottimento: quest'ultimo serrò la mascella, distolse lo sguardo dal suo e, dopo qualche attimo, fece ricadere il braccio propeso lungo il fianco, scuotendo il capo.
«No, niente.»


 

*



Eric fu lasciato alle attenzioni di un trio di ragazzini del quarto anno che ricordò all'istante di aver già visto nella foto dell'Armata di Amstrong, a casa di Cheryl Greene.
Di uno di loro conosceva addirittura già il nome — Nyall MacFly: capelli biondi e folti, occhi chiarissimi.
Gli altri due erano Claire Mitchell — occhi verdi, capelli corti e biondi — e Anthony Hale — suo cugino, meno esile di lei, gli stessi occhi e i capelli di un caldo castano.
Di tutti e tre Nyall era quello che pareva più sulle sue – notò Eric – ma per quanto potesse essere riservato trattò il nuovo arrivato con estrema gentilezza.
«Tu di che anno dovresti essere?» domandò mentre, insieme a Anthony e Claire, si allontanavano da John e George.
«Del terzo anno, credo.»
«Non essere timido, se hai bisogno di qualcosa basta fare un fischio. Per qualsiasi cosa.» lo raccomandò Claire.

«Confermo. Non so, se ad esempio ti serve un rene, o se hai fame, o se finisce la carta igienica in bagno... Cose così!» Esclamò Anthony, beccandosi uno scappellotto dalla cugina e un'occhiata rassegnata da Nyall.
Il più fortunato fu indubbiamente George, che andò via con Alice — di ritorno dall'infermeria — fino al Dormitorio dei Rossincendio.
Zachary dovette portarsi appresso John per un po', sopportando le domande a bruciapelo del ragazzino, prima che Samantha Puckett – un concentrato di strafottenza alto un metro e settanta dai capelli biondi – li raggiungesse, tenendo per i polsi due ragazzi asiatici alti come sì e no dieci centimetri più di lei.
«Zach, hai finito di fare da babysitter ai nuovi arrivati? Perché, sai, avrei bisogno del tuo aiuto con queste due piccole pesti!» Sbottò sarcastica, dando uno strattone ai due gemelli — erano identici, in una maniera a dir poco impressionante anche per John, che di gemelli ne sapeva parecchio.
Per poco non le venne un colpo quando si ritrovò a tenere due mani e basta, senza il resto dell'arto o del corpo. Inorridita, si voltò verso i due ragazzi, che ridevano senza ritegno.
«Fanno sempre così, se non peggio. E non ci si abitua mai.» Bofonchiò Zachary, rivolto a John. «Certi trucchi non invecchiano mai, vero, gemelli?» Commentò poi in uno sbuffo rassegnato.
«Mai!» confermarono in coro i due. «Non è ancora scattato il coprifuoco che, ti ricordiamo, per noi che siamo più grandi inizia dopo!»
«Stavano dando fastidio a dei marmocchi del primo anno.» Affermò Samantha. «Tanto vale che se ne vadano nelle loro Sale Comuni, se devono seminare zizzania!»
«Ci hanno fermati loro.» Obiettò uno dei due con fare annoiato.
«Stavamo solo giocando.» Aggiunse l'altro, con disinteresse.

«E tu non puoi proprio parlare, Sammie!» Terminarono in coro.
«Gemelli, io e Samantha siamo Prefetti e potremmo tranquillamente mettervi nei guai, lo sapete bene, quindi dateci un taglio.»
«Nei guai? E con chi, con il preside Arrow?» Commentarono i due, per nulla colpiti. «Ce l'hai detto anche gli altri miliooooooni di volte, in effetti!»
«Se non fosse per vostra madre svreste già rischiato di essere espulsi, per cui zittitevi e ascoltatemi. Hikaru—» Si rivolse al gemello la cui giacca sfoggiava uno stemma poco differente da quello del fratello. «—dovresti fare gli onori di casa e portare lui—» Indicò John con un cenno del capo. «—alla nostra Sala Comune. Spiegagli un po' come vanno le cose; non è uno studente, è qui per la cerimonia.»
«Ma io non sono Hikaru, sono Kaoru.» disse con nonchalance il ragazzo. La sua copia annuì con fare offeso: «Siamo nella stessa Casa e non mi riconosci nemmeno!»
«Non prendeteci per scemi, vi si riconosce dalle divise!» Lì riprese alzando gli occhi al cielo Samantha.
Uno era chiaramente un Indacocclumante, mentre l'altro un Cobaltaurora; rispettivamente Hikaru e Kaoru, per quel che aveva capito John.
«Vero.» Annuì il gemello dalla divisa blu oltremare.
«E falso.» Scosse il capo quello dalla divisa viola.
«Oggi mi sono detto: “Il blu si intona ai miei occhi” e così Hikaru mi ha ceduto la giacca e la cravatta.» aggiunse l'altro.
«Ma... non ha senso! Nemmeno due secondi fa hai detto di essere tu Hikaru!» Obiettò confusa Samantha, indicando il Cobaltaurora. «Se sei Kaoru, be', quella in teoria dovrebbe essere la tua divisa! E quindi non dovrei avervi scambiati!»
«Sul serio?» Domandarono contemporaneamente i gemelli, guardandosi. «Non sa nemmeno chi di noi è il Cobaltaurora e chi l'Indacocclumante, eh?~»
Era evidente che ci provavano un gusto immenso, a far ammattire così le persone.
«Okay, sapete che c'è? Non importa!» Sbottò Zachary, trattenendo la Concasana dall'Affatturare entrambi. «Chiunque di voi due sia Hikaru faccia quanto ho appena detto. Noi andiamo a fare la ronda. John,—»
«Sì?»
«—cerca di sopravvivere ai gemelli Hitachiin.»
Difficile dire se fosse una raccomandazione o un augurio, quello di Zachary. Quando si fu allontanato con Samantha, uno dei gemelli esordì atono: «Bene. Allora vieni, piccoletto?»
John annuì e seguì i due asiatici, stando un passo dietro di loro i quali, ogni tanto, si scambiavano qualche parola in giapponese.
«Voi inglesi siete silenziosi, eh?» esordì a un certo punto il gemello con la divisa da Cobaltaurora.
«Come fate a dire che sono inglese?»
«Perché ce n'era una, in quella che chiamano l'Armata di Amstrong.» Fece spallucce l'Indacocclumante ragazzo, per poi rivolgersi al gemello. «Hailey Grint, giusto?»
L'altro annuì.
«Voi ne facevate parte?» chiese John, determinato a iniziare a sondare il terreno.
I gemelli Hitachiin risero e negarono col capo. «Assolutamente no!»
«Non era qualcosa che ci riguardasse.» affermò l'Indacocclumante.
«E a fare gli eroi kamikaze ci hanno comunque pensato in trenta.» aggiunse il Cobaltaurora.
«Trentadue.» Precisò l'altro. «Wright e Lynch non erano membri dell'Armata, hanno fatto tutto all'ultimo minuto.»
«Wright? Cioè Zachary Wright?» S'inserì interessato John, accelerando per poter affiancare i gemelli. I due annuirono, commentando: «Cosa non si fa per il sangue del proprio sangue, d'altronde?»
«Non vi seguo.»
«Mettiamola così: l'Armata di Amstrong è tante cose, piccoletto.» iniziò l'Indacocclumante.
«Dimostra cosa può fare la tenacia di poche ma brillanti menti messe insieme, —»
«— è un simbolo di solidarietà tra maghi di nazionalità diverse, —»
«— è anche un buon modo per ammazzare il tempo, suppongo, —»
«— ma soprattutto è stata causa di cambiamenti.»
«Ha cambiato molte persone, qui dentro, e ha distrutto l'unità di molte famiglie.»
«Prime fra tutte quelle dei MacFly e degli Wright. Noi lo sappiamo colo perché la prima è nel giro di affari del Mondo Magico come la nostra. E anche perché le voci corrono, sia lì che qui.»
«Basta che ti guardi intorno o chiedi in giro. Di trentadue ne sono tornati ventidue, in America. A parte i membri già diplomati, quattro di loro non si sono neanche fatti rivedere a scuola.»
«Sono rientrati in tredici poche settimane fa. Li si vede spesso andare in giro a gruppetti, devono essere ancora sconvolti.»
«Altri non sembrano avere molta voglia di vedersi tra loro, invece.»
«Wright è uno di questi. Non ha mai approvato l'idea di sua sorella di unirsi a questo gruppo.»
«Ma Harmony era caparbia, e certo non si sarebbe tirata indietro solo perché suo fratello minore era contrario.»
«Hanno litigato.»
«Poi lei è andata via.»
«Poi lui l'ha seguita in Inghilterra.»
«Hanno fatto pace.»
«Ma alla fine lei è morta.»
«Ai MacFly è accaduto quasi lo stesso. I due più grandi, Martyn e Jamelié, e il più piccolo, Nyall, erano tutti parte dell'Armata.»
«Ma solo per via di Jamelié. Nyall era ed è troppo giovane per essere messo intenzionalmente a combattere, e Martyn ha sempre lasciato la parte di figlia ribelle e pecora nera della famiglia a sua sorella.»
«Ora non è più così, dicono. Martyn non si è più rifatto vivo, a quanto dicono i Cobaltaurora, ha solo rispedito a scuola Nyall.»
«Ma sicuramente i suoi compagni d'armi sanno qualcosa in più.»
«Molto di più.»
John, attento ad assimilare ogni singola parola, quasi non non si accorse che i gemelli si erano fermati alla base di quella che riconobbe essere la torre dei Cobaltaurora.
«Ti lasciamo qui.» disse uno dei gemelli Hitachiin all'altro, che annuì.
John notò la delicatezza con cui l'Indacocclumante passò una mano ad accarezzare la nuca del gemello, scompigliandogli affettuosamente i capelli. E non gli sfuggì nemmeno il sorriso che il Cobaltaurora rivolse al fratello: era genuino, sincero, luminoso e a dirla tutta anche molto dolce.
Niente a che vedere con quelli che gli aveva visto sfoggiare il castano nei minuti precedenti.
«Buonanotte a tutti e due.» Si congedò, incamminandosi per le scale.
Dopo un po', John esordì: «Quindi non vi aveva scambiati.»
«Mmh?»
«Quella Samantha, intendo. Tu sei davvero Hikaru.»
Il giapponese si strinse nelle spalle. «Che gusto c'è se te lo dico?»
«Anche io ho un gemello.» Lo incalzò John. «È con i Terresploratori, si chiama Eric. Anche noi siamo identici, ma non... sai, non ci scambiamo mai intenzionalmente.»
«Per me e Kaoru è diverso, a noi sta bene così. Anzi, è divertente.» Disse semplicemente Hikaru, guidando John attraverso delle scale che prima, il ragazzino ne era certo, non c'erano. Apparivano e sparivano sotto i piedi del ragazzo il quale, vedendo il castano così sbigottito, gli fece cenno di seguirlo.
«Un piede dietro l'altro, senza farti problemi. Se sei stato Smistato questo posto ti conosce e segue le tue esigenze. Esigi di salire le scale e lo farai.»
Ora John capiva perché il preside Arrow aveva voluto farli Smistare a ogni costo, per potersi muovere liberamente per Amstrong!
Incerto, seguì l'esempio di Hikaru e quando fu certo di poggiare metà del suo peso sull'aria, in realtà c'era un gradino bianco, marmoreo.
«Wow!»
«Muoviti, dobbiamo arrivare al terzo piano: aula di Astronomia teorica.»
«Perché lì?»
«Lo vedrai. E tieni per te il modo in cui arriveremo al Dormitorio, intesi?»
«Scommetto che Kaoru lo conosce.»
«Forse sì, forse no, la verità io la so è tu no — Spicciati, piccoletto.»


George ed Alice dovettero vagare un po' prima che il ragazzo si fermasse dopo aver scorto un bagliore bluastro con la coda dell'occhio.
«Là!»
«Finalmente! Certe volte è proprio una rottura dover giocare a nascondino con loro... Forza, seguiamolo. E non perderlo di vista!»
Seguirono quella fiammella nonostante questa sparisse e riapparisse a suo piacimento, e nel mentre Alice spiegò a George che se erano diversi da quelli che conosceva, quei “mostriciattoli lampeggianti”, era perché era stato Rifel - il fondatore della loro Casa - a portarli ad Amstrong e istruirli a comportarsi in quel modo.
«Alcuni dicono che glieli abbia donati un saggio stregone durante uno dei suoi viaggi, altri pensano che quando morì la sua anima si dissolse in tutti questi Fuochi Fatui. Per guidare i Rossincendio, sai, nessuno sa quanti siano veramente e non tutti possono vederli.»
Da parte sua, la mente di George lavorava senza sosta, elaborando tutto quello che sapeva e che avrebbe potuto condurlo all'ultima, agognata Noce Crononauta.
Sapeva che il terzo custode, il vichingo Emil Køhler, secondo delle leggende si era innamorato di una donna chiamata Califia e le aveva donato il suo prezioso tesoro, cioè la Noce.
Sapeva che i Babbani conoscevano Califia come regina della leggendaria isola di California ― John l'aveva letto nel libro riguardante la storia di Amstrong, a casa di Cheryl, prima che se ne andassero.
Concretamente sapeva che il luogo magico più importante della California era la scuola di magia.
E ultimo ma non meno importante Hailey Grint aveva scritto a Cheryl che ad Amstrong c'era un solo fantasma, le cui fattezze parevano corrispondere a quelle di Ailis e Ailleann, i creatori della Pozione Crononauta.
L'obiettivo, dunque, era il suddetto spirito.
«Hogwarts pullula di fantasmi, sono all'ordine del giorno! Una scuola di magia senza mi sembra quasi innaturale! Troppo, troppo silenziosa.» Esordì a un certo punto, con nonchalance, George, camminando con Alice lungo un corridoio deserto, rivolgendo un pensiero quasi affettuoso al ricordo di Pix.
«Hanno preferito l'isola di sotto.» Scrollò le spalle Alice. «Sai, troppo Sole a questa altitudine. Ma c'è chi afferma che un fantasma ci sia, qui.»
«Ed è vero?»
«Non ne ho idea, io non l'ho mai visto! O vista. L'ultima persona che ha detto di averci parlato―» Era ovvio che Alice non credesse all'esistenza di quel fantasma solitario. «―è stato un tizio morto qualche secolo fa. Oltre a Ivory Thriving, ma non è un segreto che quella ragazza sia un po'... ecco, per farla breve credo sia solo una che legge troppo. Con tutti i libri che ha la sua Sala Comune, poi! È strana, bizzarra!»
Mentre Alice pronunciava la parola d'ordine e un passaggio si apriva davanti a loro, George sorrise soddisfatto: nella sua mente ricordò con un moto di affetto di conoscere già una ragazza che leggeva troppo e una considerata un bel po' strana, entrambe grandissime streghe.
Sicuramente provare a parlare col concentrato vivente che era Ivory non l'avrebbe ucciso.
E nel frattempo, si rese conto che c'era sempre più vicino; quando si ritrovò sotto le lenzuola, con lo sguardo rivolto al soffitto, George chiuse gli occhi con la consapevolezza che, sì: ne stava valendo davvero la pena.
E dopo più di un mese dormì senza sognare, senza vedere o sentire nulla. Profondamente; perché gli sarebbe servita quanta più energia possibile, per quell'ultimo, grande sforzo.


 


 

Writer's side
Ehilà, gentaglia!
È da un po' che non ci si sente — come vi va l'estate (agli sgoccioli, per la mia personalissima gioia)? Spero meglio della mia...
Comunque, avviso che dopo la pubblicazione di questo capitolo, il ventinovesimo, passerà un pochetto prima che anche il trentesimo & seguenti siano completi. Un po' perché non ho ancora fatto mezzo compito e devo affrettarmi, un po' perché il tempo che ho di fare ciò che realmente vorrei – e dovrei, in questo caso! - non è mai abbastanza.
Poi, be', se qualcuno l'ha notato ultimamente vi ho tartassati con tre o quattro fanfiction nuove di zecca postate in, quanto?, un mese? Di meno! E coi gemelli come protagonisti!
Ne sto scrivendo adesso adesso un'altra, che non so quando finirò & pubblicherò.
Per cui volevo lasciarvi il capitolo e un messaggio speciale in cui, notatelo, ho iniziato a lasciarvi delle piste per districare un po' l'alone di mistero che attornia i TimeRiders e, in particolare, il da sempre complicato e burrascoso rapporto tra Max e Hailey. ;)
Gradualmente tutti i nodi verranno al pettine e, per quel che riguarda il contesto di George & Co., be', sto cercando di introdurvi nella realtà di Amstrong in maniera graduale, non troppo improvvisa. Questo è un capitolo di transito, potremmo quasi dire.

E questo l'ho detto.
POI. . .
Avevo in mente di fare qualcosa di particolare per la fine della storia che, credetemi, non è lontana. E per questo invito chiunque a lasciare qui su EFP (come recensione o messaggio privato), o su Facebook (come, anche qua, messaggio privato — al mio account o alla pagina Facebook che mi hanno costretta ad aprire per i miei disegni xD Rendiamola utile), o su Ask.fm eventuali domande, impressioni etc.
Davvero, di tutto!
Domande sui personaggi (sul loro concepimento, su qualsivoglia della loro personalità, sul loro rapporto con altri personaggi, sui loro atteggiamenti & compagnia bella), sulla trama (chiarimenti, versioni alternative, momenti particolari della storia e, davvero, chi più ne ha più ne metta) e qualsiasi cosa vi venga in mente.
Credo che lascerò questo messaggio alla fine di tutti i capitoli che verranno fino al penultimo, ma ho pensato di iniziare già da ora; I dunno, è un'iniziativa, la mia.
Nel frattempo vi lascio e vi mando un gigantesco abbraccio.

Soleil

 

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Capitolo 30
*** Di sogni, bacchette e piani d’azione ***


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Di sogni, bacchette e piani d’azione

 
George era certo di stare sognando. I colori, gli oggetti, tutto era deliziosamente sfumato e confuso; era ovvio che niente di tutto quel che vedeva fosse reale!
Ma a lui andava bene, anzi, ne era persino sorpreso; era più di un mese, oramai, che non dormiva decentemente: le sue notti erano o contornato dallo stesso incubo ― ricordi, precisava ogni volta con il battito a mille e le guance rigate di lacrime ― o dal nulla. Un sonno senza sogni che durava sì e no tre ore per poi lasciare posto all'insonnia.
John ed Eric non parevano essersene mai accorti, anche perché loro dormivano eccome ― condividevano lo stesso letto, uno sul fianco destro e l'altro sul sinistro; uno di fronte all'altro, vicini, con le mani intrecciate. Il che a George stava più che bene; non avrebbe sopportato sguardi ansiosi, apprensivi, compassionevoli et simila.
Camminando con le mani in tasca lungo una stradina piena di ciottoli, il rosso guardò con espressione indecifrabile ogni persona che gli camminava intorno; il loro abbigliamento era a dir poco bizzarro ed antiquato, come quello delle donne ritratte nei quadri di Hogwarts.
Decisamente nulla a che vedere con i suoi jeans o la sua T-shirt.
Nessuno dava l'idea di poterlo vedere, però. Nessuno tranne un paio di occhi dorati. George li guardò incredulo; che ci faceva un unicorno in una cittadella inglese d'altri tempi?
L'animale girò i tacchi e trotterellò via.
«Cos― Ehi!» Senza sapere perché, George si ritrovò a seguire l'unicorno, facendosi largo tra la folla senza che questa potesse davvero notarlo, e si fermò quando non vide più il candido manto bianco dell'animale. Pareva essere sparito nello stesso punto in cui ora svettava una chioma rossa riccioluta.
La figura era piccola ed esile e, voltandosi, quel viso pieno di lentiggini colorato dal Sole irlandese e illuminato da affilati e intelligenti occhi verdi lo lasciò senza fiato.
«Ailleann ― tu sei Ailleann!» Esalò George. Il ragazzino non rispose, ma gli fece cenno di seguirlo.
George lo fece. Sogno o meno, quel ragazzino era uno dei creatori della Pozione Crononauta, una delle ragioni principali per cui lui adesso aveva la possibilità di sistemare le cose.
«Dove siamo?» Chiese a un certo punto George. «Nella tua epoca?»
Di nuovo, Ailleann non rispose.
«Non dirmelo: parli solo galeico.» Aggiunse il rosso con ironia. «Non è possibile, non credo che Salazar Serpeverde fosse anche bilingue!»
Ailleann si fermò e lo guardò con la fronte aggrottata in un'espressione quasi divertita. Poi gli porse la mano.
George, roteando gli occhi, rispose: «Certo, logico.» e gliel'afferrò.
L'ambiente circostante sparì e venne sostituito da un luogo ben più familiare a George, il quale rivolse all'irlandese uno sguardo confuso.
«Ollivander?»
–Secondo Ron avremo tutti e due la stessa bacchetta. Tu che ne pensi?– Ridacchiò una voce infantile che George riconobbe all'istante. Alzando lo sguardo, dall'altro lato del bancone vide la porta chiudersi dietro due bambini di undici anni e un ragazzo robusto e alto in età da Hogwarts, che sorrise all'indirizzo dei due fratellini.
–Non essere sciocco! Ricorda che è la bacchetta che sceglie il mago!– Esalò con fare solenne l'altro bambino, gonfiano il petto e facendo la voce grossa. Il capo reclinato all'indietro e contorto in una smorfia di sufficienza talmente fedele all'originale che sia il suo gemello che il fratello maggiore scoppiarono a ridere.
Loro e anche il proprietario del negozio.
–Charlie Weasley, quanto tempo! Come sta la tua bacchetta, ragazzo?–
–Magnificamente, signor Ollivander, sono qui per i miei fratelli.–
Con un cenno, indicò i due gemelli che, sentendosi presi in causa, lo seguirono e salutarono in coro il fabbricante di bacchette.
«Che significa questo?» Farfugliò George, sentendo qualcosa smuoversi nel suo petto. «Perché hai voluto venire qua e proprio adesso?»
Ailleann lo guardò e sollevò un angolo della bocca.
–Neanche questa, eh?–
–Non va bene neanche per me.–
–Certo che non va bene neanche per te, George, siamo gemelli!–
–Questo non ha importanza, è impossibile trovare due bacchette completamente uguali.–

Il piccolo Fred guardò Ollivander come se avesse nominato la peggiore delle Maledizioni Senza Perdono davanti a loro. –Ma chissà, mi sembri un ragazzo convinto di quel che afferma, vero?– Aggiunse l'uomo.
Si allungò su uno scaffale e ne estrasse tre scatole diverse.
George ricordava: ricordava che la bacchetta di Fred era in una di quelle scatoline passate in rassegna da Ollivander e, quando lo vide prenderla in mano e agitarla appena, sorrise inconsciamente.
Attorno al piccolo Fred si scatenò una piacevole brezza, che gli scombinò i capelli e lo fece ridere; sia George che la sua versione in miniatura non si sarebbero mai stancati di sentire quel suono.
–Lo immaginavo!– Convenne Ollivander, soddisfatto. –Frassino, nucleo di crine di unicorno, dieci pollici e tre quarti, sufficientemente rigida. È una gran bella bacchetta, quella, lo sai?–
–Lei dice?– Chiese con gli occhi brillanti d'orgoglio Fred.
Ollivander annuì: –La bacchetta di frassino è estremamente fedele e perde i suoi poteri se tramandata o regalata. Sceglie maghi coraggiosi che non si lasciano distogliere dai loro propositi e dalle loro idee, ma sta' attento: non lega bene con l'insolenza e l'arroganza.–
–Avrei detto che era fatta per te finché non è arrivato a parlare di insolenza e arroganza, sai?– Esclamò il piccolo George con fare dispettoso, beccandosi una spintarella da parte del gemello, che ribadì: –Voglio proprio vedere quale bacchetta sceglierà te, invece!–
«Corniolo.» Disse George con voce roca. Ailleann lo guardò intensamente, come cercando di capire di più, e il rosso aggiunse: «La mia bacchetta.»
Il piccolo George continuò a provare bacchette su bacchette, facendone esplodere persino qualcuna.
–Per Merlino, ragazzo mio, così mi lascerai senza merce!– Bofonchiò Ollivander, mentre frugava negli scaffali.
Fred, annoiato, gonfiò le guance e alzò gli occhi al cielo. –Io prima non parlavo sul serio, possibile che non trovi niente?–
–Nah, Ollivander non ha mai fallito in questo campo, Fred.– Replicò Charlie.
Il piccolo George, anch'egli impaziente, iniziava a dare segni di nervosismo: non trovava più molto divertente ed emozionante agitare bacchette alla cieca e Fred, capendolo, smise di dondolarsi sui talloni e gli si affiancò.
Gomito contro gomito, dopo un po' fece una smorfia e agitò la sua bacchetta, guardandola perplesso: –Sai, forse la mia non va bene. Ha preso a vibrare da sola!–
–Sei sicuro, Fred?–
Intervenne Charlie, accigliato. –Sarebbe strano, è nuova di zecca!–
«Bel mistero. Eh, Charlie?» Commentò a bassa voce George, non sapendo bene come definire la strana sensazione che sentiva. Trasalì quando il piccolo Fred guardò nella sua direzione e incrociò, senza saperlo, il suo sguardo.
Qualcosa dentro di lui si mosse a quel contatto indiretto, quasi avrebbe sperato di essere stato visto dal suo fratellino, ma in realtà sapeva che non era lui che guardava.
–Prova quella!–
–Come?–
–Signor Ollivander! Passi a George quella scatolina. No, non quella, l'altra, a destra. Sì, proprio quella lì!–

Seguendo le indicazioni del bambino, Ollivander prese un pacchetto allungato e ne estrasse una bacchetta; se la rigirò per qualche istante tra le dita con delicatezza e se l'avvicino all'orecchio per analizzarla, dopodiché la sua espressione ebbe un guizzo di incredulità.
–Mmh...– Guardò Charlie, il quale lo fissava in attesa e curioso; quand'era stato lui a comprare la sua bacchetta non era stato così, ecco cosa doveva star pensando. –Scelta interessante, davvero molto, e tuttavia sapete cosa? Potrebbe funzionare!–
Porse la bacchetta al George undicenne il quale, convinto che un tentativo in più o in meno oramai non facesse differenza, la prese.
Appena il legno entrò in contatto con la pelle del ragazzino, George lo ricordava bene, uno strano calore si propagò dal palmo della sua mano alla punta della bacchetta, dalla quale uscirono scoppiettii dorati e una brezza calda come il Sole d'estate e forte come il vento d'inverno.
–Magico!– Fu l'unico commento di George; i capelli scompigliati all'indietro e un sorriso così entusiasta che persino gli occhi nocciola e le lentiggini sul suo viso parvero illuminarsi.
–Bene, bene, dunque: corniolo, crine di unicorno, undici pollici, abbastanza rigida!– Sentenziò Ollivander. –Direi che è abbastanza diversa da quella di tuo fratello: il corniolo genera bacchette vivaci e capricciose, che cercano un mago o una strega che offra loro emozioni e divertimento, ma che in condizioni difficili compiono incantesimi davvero notevoli e se abbinate ad un abile e ingegnoso proprietario producono incantesimi davvero splendidi. Hanno solo la curiosa caratteristica di non voler compiere incantesimi non verbali e spesso sono molto rumorose, però.–
–Be', direi che è perfetta, no?–
Sorrise Charlie, battendo una pacca sulle spalle dei gemelli.
–Già!– Sghignazzò Fred. –Rumoroso è il tuo secondo nome!–
–Da che pulpito!–

George sentì la morsa allo stomaco farsi più leggera e venire sostituita da un’ondata di apatica malinconia, che si propagò fino al suo sguardo, puntato ora sulla porta del negozio, da cui facevano capolino altre due teste rosse – Ron e Ginny – seguite a ruota da altre due, cioé sua madre e Percy.
–Allora? Come sono? Eh?– Domandò eccitata la più piccola di casa Weasley, saltellando a momenti sul posto pur di poter osservare meglio le bacchette che i fratelli maggiori stringevano in mano. I gemelli fecero mostra delle loro nuove, fidate amiche con non poco entusiasmo.
Al solo vedere che il legno di quella di George era visibilmente un po’ più scuro rispetto a quello della bacchetta di Fred, Ron fece una smorfia delusa. –Accidenti, eppure ne ero così sicuro!–
–Spiacenti di averti deluso, nanerottolo.– Si scusò il piccolo Fred, anche se era palese che non gliene importava un accidente.
–Ehi, Perce! Qual è la formula da usare per rendere simpatica una persona?–
–Ecco qui, a lei!–
Decretò Molly Weasley, passando al signor Ollivander la somma da pagare per le bacchette dei figli. –La ringrazio infinitamente.–
–Si figuri. Oh, voi due, a proposito!– Prim’ancora che l’uomo potesse dire qualsiasi cosa ai gemelli, questi se l’erano già filata fuori, alle calcagna di uno spazientito e stizzito Percy – seguiti a ruota dai fratellini minori.
Scuotendo il capo invocando pazienza, Molly chiese: –C’è qualcosa che non va? Può dire a me.–
–No, no, lasci stare. Non era molto importante.–
La rassicurò con un sorriso che la diceva lunga Ollivander.
George sentì un contatto delicato e caldo contro la sua mano e, trasalendo, si accorse che Ailleann gli aveva preso la mano, senza tuttavia distogliere gli occhi verdi dal punto in cui, fianco a fianco, i due gemelli dai capelli rossi – che a conti fatti non erano che un ricordo appartenente a un passato ormai irraggiungibile – erano scomparsi insieme.
«Non rifiutare i ricordi, sarebbe come rifiutare la tua stessa vita.» Gli disse il ragazzino, alzando lo sguardo su di lui. «E spesso sono proprio loro la chiave di tutto.»
I colori si fusero, la scena di disfò e divenne un susseguirsi di voci e un alternarsi di temperature. George sentì il trascorrere degli anni fin dentro le ossa e ne capì il motivo solo quando delle voci gli giunsero all’orecchio.
–Stupeficium! — George, ma che diavolo ti prende?! Difenditi, combatti!–
–Io… La mia bacchetta! È come impazzita!–

«No! Questo no!» Sbottò terrorizzato George, sgranando gli occhi. Ricordava quell’istante, poco prima che un tremendo capogiro lo cogliesse nel bel mezzo della battaglia la sua bacchetta aveva iniziato a surriscaldarsi e sprizzare scintille per conto proprio, senza più eseguire i suoi comandi. Come se sapesse, come se sentisse. «Ailleann! Dove ti sei cacciato?!»
«Qui.» Sussurrò la voce argentina del ragazzino. Proveniva da un punto imprecisato alle sue spalle, ma quando George si voltò non lo vide, il piccolo irlandese.
Dai suoi occhi color nocciola sgorgarono scie di paura, dolore, morte. Perché erano questo, le lacrime di George Weasley.
Si sentì come attraversato da una scossa elettrica quando qualcuno gli passo letteralmente attraverso – come se fosse stato un fantasma, tanto evanescente da non poter essere visto – e ancor di più quando si riconobbe in quel qualcuno.
«No…» Scosse il capo, affondando una mano trai propri capelli e scuotendo il capo. Con l’altra dovette sorreggersi alla superficie solida più vicina per non crollare a terra; svuotato di tutto, persino della forza di reggersi in piedi, di nuovo.
Aveva davvero pianto a quel modo, come quel lui del passato?
«Il dolore di chi resta è terribile.» Commentò la voce di Ailleann. George si voltò e lo vide appoggiato alla parete, il capo inclinato e gli occhi persi a osservare il cadavere di Fred attorniato dalla famiglia Weasley. «Ma anche coloro che sono costretti ad andarsee soffrono molto.»
Con un cenno del capo, indicò una figura opalescente rannicchiata sul George del passato. Si fece più nitida, quasi più vera, fino a rivelare una chioma rossa e dei lineamenti identici a quelli del gemello in lacrime.
«Fred… Lui…»
«Se era lì?» Lo precedette Ailleann. «A quanto pare sì. Sempre. Finché non ha dovuto decidere se andare avanti o meno.»
«E che cosa ha scelto?»
Lo spirito di Fred strinse per l’ultima volta il corpo singhiozzante di George, sorridendo con affetto e sussurrandogli qualcosa lì dove avrebbe dovuto esserci il suo orecchio sinistro, prima di alzarsi.
George sentì la voce del gemello pizzicargli la ferita alla nuca. Le lacrime si erano fermate, erano ancora impresse sulle sue guance; le percorrevano fino a perdersi in prossimità delle labbra fini, che si serrarono con forza.
–Sono contento che tu sia sempre stato lì con me. E se deve per forza andare così, allora grazie, Georgie. Grazie per tutto, davvero!–
La scena tornò a farsi confusa nel momento in cui Ailleann piantò i suoi occhi chiari sulla figura di George, tanto insistentemente da costringerlo a ricambiare lo sguardo.
«Lui ha scelto di amarti. Perché solo chi ci ama desidera la nostra felicità così tanto da lasciarci andare. Se il vostro legame è così intenso, com’è che tu lo rivuoi indietro a tutti i costi?»
«Forse perché l’amore a volte è anche egoista, piccoletto, che ne dici?» Rispose con un debole sorriso George, rendendosi subito conto di avere, per la prima volta in vita sua, esplicitato il sentimento che lo legava a Fred.
«Tu non sei egoista, George Weasley.» Dichiarò Ailleann. «Non si tratta solo di te, in effetti, ma anche di Fred. Credo che succeda, quando si parla di anime gemelle.»
«Di cosa stai parlando?» Chiese confuso il rosso.
–Nuclei gemelli…– Mormorò una voce familiare. George si voltò e vide arrivare suo fratello maggiore Charlie, accompagnato dal signor Ollivander. Lo vide fare un sorriso mesto e alzare il capo a fissare il cielo. –Chissà perché la cosa non mi stupisce. –
–Quando accompagnasti i tuoi fratelli da me, nove anni fa, stavo per dirglielo.– La voce affaticata di Ollivander attirò l’attenzione di Ailleann. Si trovavano nel cimitero in cui si erano tenuti gran parte dei funerali della gente morta durante la guerra, era una bellissima giornata di Sole e Charlie Weasley camminava affianco al fabbricante di bacchette. Si fermarono all’ombra di un albero secolare dai rami pericolosamente sottili, a pochi metri da George e Ailleann.
–Ma quelle due pesti se la svignarono e, be’, ho ritenuto superfluo, a quel punto, dirlo a vostra madre. Credevo che in fondo ne fossero consapevoli.– Aggiunse il mago. –Ora come ora non penso sarebbe d’aiuto farlo sapere a George, non adesso.–
–E neanche a mia madre. Loro… stanno già abbastanza male.–
E così lui.
Se non fosse stato troppo preso a cercare di comprendere di che stessero parlando con esattezza suo fratello e Ollivander, George avrebbe pensato proprio questo: che uno dei motivi per cui Charlie era un buon fratello era la forza con cui si faceva carico di tutto nei momenti più difficili.
–Questo però spiega molte cose, sa?– Riprese il giovane.
–Che genere di cose?–
–Ad esempio il fatto che sia stato Fred a trovare la bacchetta di George. Non dico che gliel’abbia scelta, ma…–
–George era già stato scelto, la bacchetta del suo gemello e la sua si sono sentite più affini e vicine che mai. E si sono chiamate.–
–E per quel che riguarda i poteri di George? Sono come impazziti! Ha sprazzi di magia involontaria alla stregua di un bambino, non alza mai la bacchetta, ma le poche volte in cui l’abbiamo visto farlo non… non è stato lo stesso. Non rispondeva bene ai suoi comandi. Può una bacchetta sentirsi sola?–
–Le bacchette vanno di pari passo con le emozioni dei loro proprietari, Charlie. Quella di tuo fratello, se ben ricordo, è già di per sé molto vivace e instabile, se prendiamo in considerazione lo stato emotivo in cui si trova attualmente George. La bacchetta di Fred conteneva il suo stesso nucleo; erano unite, e a loro volta lo erano i loro proprietari.–
–Mi sta dicendo che… che la bacchetta di George sta morendo?–
Farfugliò con un nodo alla gola Charlie, lo sguardo ansioso. –Perché è inutile negarlo: mio fratello è peggio che morto!–
Ollivander scosse il capo. –L’arte delle bacchette è complessa, nessuna sarà mai uguale ad un’altra, e funziona così anche tra le rare accoppiate di nuclei gemelli. Io ritenevo giusto dirlo a qualcuno, per rassicurarvi: George non è impazzito, la sua magia sta semplicemente reagendo al dolore suggestionandosi a vicenda con la sua bacchetta. Spero che col tempo le cose si sistemino, che lui sia davvero forte come sembra.–
George non capiva. Era vero, per un po’ di tempo i suoi poteri avevano agito spesso a briglia sciolta, ma a un certo punto il dolore era diventato tanto che alla rabbia e al dolore era subentrata l’apatia e la tristezza. E non aveva più lanciato un solo incantesimo.
Poi erano arrivati John ed Eric, e ogni incantesimo lanciato da quel momento in avanti era riuscito!
«Ailleann—»
«Ti saluto qui, George Weasley.»
«Non ti azzardare, sai? Non puoi mettermi la pulce nell’orecchio e—!»
«Ricorda.» Lo interruppe il ragazzino. «Devi solo ricordare. E, per favore, sii gentile con mia sorella, quando si farà trovare da te.» E si dissolse, letteralmente; in una nube dorata.
George rimase completamente solo, con un’espressione contrita e contrariata in volto. Ma era niente in confronto al caos che regnava nella sua mente.
Perché diavolo doveva sempre essere così? Cosa costava essere chiari, diretti e concisi?
Frustrato, il rosso diede un calcio al tronco dell’albero secolare — o meglio, l’avrebbe fatto se non ci fosse passato attraverso; il che lo fece imprecare a gran voce. Si lasciò scivolare a terra, seduto, e si passò le mani tra i capelli con fare morboso, chiudendo gli occhi e domandandosi perché.
Cosa significava tutto quello?
 
 
*
 
 
Eric e John si rividero la mattina seguente quando furono entrambi giunti davanti all'Auditorium.
Eric aveva seguito le indicazioni dategli da Miley White, la Prefetto dei Terresploratori.
«Basta andare nello stesso posto in cui ieri sera sei stato Smistato.» Gli aveva detto pacata. «Se non lo ricordi, tranquillo: vanno tutti lì, basta seguire il flusso!»
Viso gentile, sorriso educato... Ma allora perché ad Eric quella ragazza trasmetteva così tanta malinconia?
«Non potresti accompagnarmi tu?»
«Mi spiace, davvero; ti accompagnerei volentieri, Eric, ma non posso: devo andare in infermeria a vedere come sta una mia compagna. Però, ehi, sta' tranquillo! Tra Concasani ci si aiuta sempre, e anche i membri delle altre tre Case sono molto simpatici, vedrai.»
E si era dileguata.
Sicuramente parlava di Julchen - si era detto il castano. Ed in effetti, quando arrivò a destinazione e incontrò John, quest'ultimo gli disse: «Non ho visto Eirik in Sala Comune. Eppure Alice mi aveva detto che è un Indacocclumante.»
«Non avranno passato dei guai?»
«Con Arrow no di certo. Ma non ne sono sicuro, Eric.»
E la conversazione era morta lì, riprendendo solo dopo che John fece caso al persistente andirivieni che c'era nell'Auditorium.
«Me la ricordavo diversa, questa sala!» Commentò stupito l'Indacocclumante, superando il ciglio del portone e osservando le tante tavolate circolari e le vetrate che la sera prima erano semplici muri.
«Questo è per via della parola d'ordine.» Spiegò pigramente Hikaru Hitachiin, giungendo col gemello, Kaoru, che aggiunse: «Quella che conoscono anche i Prefetti fa accedere all'Auditorium, quella che conoscono solo i Corona è per l'ora dei pasti.»
«Chi sono i Corona?» Chiesero all'unisono i gemelli.
Hikaru e Kaoru, con ancora più sincronia, risposero: «Mitch e Nick. Una coppia di sposini Tuttofare.»
Eric e John li guardarono superarli e andare a sedersi a un tavolo libero.
«Ma chi sono quelli?» Domandò Eric a John. Quest'ultimo scrollò il capo: «Quello in viola è Hikaru, l'altro è Kaoru. Credo.»
Dopo pochi secondi, davanti ai due asiatici apparvero piatti, tazze, posate e cibarie.
Alcuni studenti ne raccattavano più che potevano e, in gruppo, lasciavano la Sala; una o più tovaglie sottobraccio.
«Evidentemente nel periodo estivo gli è permesso mangiare fuori.» Ipotizzò John. «Hai fame, eh?»
«Parecchia!» annuì Eric. «Sediamoci e aspettiamo George, ti va?»
Il suddetto, in quel momento, si stava giusto finendo di infilare dei vestiti puliti: erano apparsi da soli sulla sedia posta vicino allo scrittoio — al che aveva pensato che, probabilmente, anche Amstrong ospitava degli Elfi Domestici.
La sera precedente Alice lo aveva lasciato nella Sala Comune indicandogli di affidarsi ai Fuochi Fatui, ed erano stati loro a guidarlo in una delle stanze libere del Dormitorio dei Rossincendio.
Alla luce del Sole, non gli parve tanto male: ampio, arioso, inondato dai colori caldi delle pareti, con fiammella fluttuanti... Il caminetto era acceso, e quando aveva notato la sua espressione un bambino del secondo anno gli aveva detto di non farci caso, perché: «In estate è freddo!».
Seriamente, fuoco freddo?
Sul camino, nella sua grande cornice d'oro, un uomo scrutava con orgoglio chiunque passasse di lì.
«Non indugiare per perderti in quell'illusione, ragazzo. Se vuoi uscire non devi fare altro che gettarti oltre quell'arazzo.» Gli aveva detto con uno strano accento britannico misto a qualcos'altro, indicandogli una specie di grande mosaico raffigurante un Centauro e una sirena che parlavano, sullo sfondo di un laghetto attorniato da piante verdi e rigogliose.
George annuì, ringraziò e — dopo aver visto un paio di persone farlo — immerse la mano nella raffigurazione, tirò la prima cosa che sentì al tatto e aprì l'arazzo come se si fosse trattato di una porta.
«I fondatori di questo posto avevano un gran senso dell'umorismo.» Annuncio arrivando alle spalle dei gemelli, poco dopo. Si sedette e osservò insistentemente la tavola, finché non gli apparve davanti una tazza di latte, una di caffè e una fetta di pane spalmata di marmellata.
«Devo ricordarmi di non toccare più il laghetto nell'arazzo.» Aggiunse.
«Ci sei finito dentro?» Domandò Eric, ridacchiando con il fratello.
George sorrise appena «Già.» prima di abbassare la voce: «Ieri sera ho scoperto qualcosa, comunque, forse è una pista.»
«Cioè?» Chiesero all'unisono i gemelli.
«Alice mi ha parlato dell'esistenza di un fantasma che non si fa mai vedere da nessuno.» Spiegò George, con gli occhi color nocciola brillanti di giubilo.
Non era sincero con loro, in quel momento, o almeno non del tutto. Perché se lo fosse stato avrebbe accennato ai gemelli lo strano sogno che aveva fatto e le parole che gli aveva detto Ailleann.
Ma farlo significava rievocare tutte quelle immagini, significava tornare cento passi indietro, a settimane prima, quando aveva addosso sguardi desolati, compassionevoli e tristi. E a quel punto come avrebbe fatto a cercare l’ultima Noce?
Ailleann aveva detto che sarebbe stata Ailis a farsi trovare, ma nonostante ciò cosa costava, a loro, cercarla comunque?
«Sì, Ailis, lo ha scritto Hailey nella lettera che Cheryl aveva a casa sua.» Annuì Eric, per poi aggrottate la fronte e guardare il fratello: «Ma se non si fa mai vedere...?»
«Se Hailey sapeva di lei qualcuno deve averla vista di recente.» Affermò deciso John. George annuì con vigore e schioccò le dita, esclamando: «Ed è così!»
I gemelli lo guardarono con tanto d'occhi, in attesa.
«Un tizio morto secoli fa—» e qui Eric e John parvero sgonfiarsi come palloncini. «—ed una studentessa: Cobaltaurora, Ivory Thriving.»
«Mi ricorda qualcosa...» Mormorò meditambolo John.
«Ci credo, Cheryl ce l'ha nominata due volte!» Assentì George. «Una volta quando ha parlato della fondazione dell'Armata. Hailey propose l'idea a tre ragazzi, uno per Casa, tra cui lei.»
Eric annuì con vigore. «Vero, lo ricordo anch'io! Mentre la seconda volta...»
 
- Si dice che Amstrong sia stata fondata solo di recente dagli spagnoli quando colonizzarono la California, ma effettivamente non è così. La scuola fu agibile da allora, ma esisteva già come struttura e serviva per custodire qualcosa, si dice. -
- E cosa? -
- Non si sa, George. Però Hailey mi scrisse, una volta, dell'esistenza di una camera nascosta nella torre più alta della scuola. Disse che lei e gli altri l'avevano usata per gli allenamenti clandestini, ma che c'era un lato della stanza nel quale Ivory Thriving, una Cobaltaurora, consigliò loro di non andare per evitare di far arrabbiare l'unico fantasma presente nella scuola. –
 
«…quando ha accennato all’esistenza di un fantasma proprio qui!» Concluse John. «Quindi abbiamo una pista sicura da seguire! Pur non sapendo qual è la torre più alta, possiamo provare a cercarla. E il modo c’è!»
«Parlare con questa ragazza, esatto.» Annuì soddisfatto George. «Ma credo che bisognerà andarci piano.»
«Puoi ben dirlo: ieri sera i gemelli Hitachiin mi hanno detto che di quelli che sono tornati a scuola non c’è nessuno che frema dalla voglia di parlare dell’Armata e compagnia bella. Quin—»
«Finalmente!» Sbottò una voce familiare a John, il quale – sussultando dalla sorpresa – s’interruppe e ne seguì il suono fino a vedere Samantha Puckett, la Prefetto degli Indacocclumanti, dirigersi al loro tavolo a passo di marcia.
Prese una sedia, la girò e vi si mise a cavalcioni senza dire una parola.
«Bacon!» Notò. Una forchetta si materializzò davanti a lei; la prese e rubò una fetta di bacon dal piatto di Eric. «Non ricordo bene... Jerry?» Azzardò, puntandogli contro la posata. «Perché oggi sei in giallo?»
«John.» La corresse pacato il menzionato, alzando una mano e indicando il gemello: «Lui è Eric, mio fratello. E lui George.»
La bionda corrugò la fronte e scrutò i due, come se si fosse accorta solo in quel momento della presenza di tre persone invece di una sola.
«Ciao.» Esordì perplesso Eric.
«Ehilà!» Fece invece George, decisamente più divertito.
«Tre stranieri tutti ieri sera, ecco perché mi tocca fare anche il lavoro di quelle teste di tufo!» Sbottò tra sé e sé con una smorfia, per poi sbuffare. «Okay, dunque, ehm... Ciao, voi due che ancora non conoscevo. Io sono Samantha Puckett, Indacocclumante, quinto anno, disgraziatamente Prefetto.»
George soffocò nel tentativo di non ridere in faccia; sembrava che stesse recitando una cantilena a memoria, gli ricordava molto Ron i suoi primi giorni da Prefetto.
«Visto che non siete mai stati qui è compito dei Prefetti darvi una o due dritte. Quindi mi hanno gentilmente chiesto» Virgolettò le ultime due parole condendole con quanto più sarcasmo possibile. «di farlo.»
«Va bene, bionda, spara!» La incalzò George.
«La cerimonia si terrà subito dopo gli esami di fine anno, cioè la settimana prossima, di domenica. Fino ad allora potrebbero arrivare altri come voi, quindi non prendete questa scuola per un centro vacanze. Voi due siete in età da scuola,» Eric e John si lanciarono un'occhiata che voleva dire tutto e niente. «quindi se volete - non vedo come, ma in fondo è affar vostro - avete libero accesso alle lezioni senza obbligo di frequenza. Iniziano alle otto e mezza dal lunedì al venerdì e alle nove il sabato. Finiscono questo fine settimana, poi incominceranno gli esami.»
«Lezione di sabato? Sul serio?» Domandò Eric a occhi sgranati. «A giugno?»
Samantha gli rivolse un'occhiata sepolcrale come a dire: «Tu non sei costretto a frequentarle, di che cavolo ti lamenti?».
«Già.» Rispose. «Comunque, in breve, potete gironzolare quanto volete, agli insegnanti importa poco e niente. Amstrong non ha segreti. Però la vicepreside Montgomery non sopporta gli schiamazzi - a dirla tutta quella non sopporta i ragazzini e la vita in generale - quindi rigate dritto. Se vi serve qualcosa potete rivolgervi: tu» Additò Eric. «a Brandybuck o White, un biondino alto un metro e una mela e una che profuma sempre di vaniglia. Tu» Continuò, alludendo a George. «a Rogers  o Oswald, un tipo col viso d'angelo e una moretta con un orologio appeso al collo. Ha seri problemi di puntualità. John, conosci già me e Wright. In caso ci sono anche Foster e Watson dei Cobaltaurora.»
Con tutti quei nomi Eric sentì la testa iniziare a girargli.
«Potete venire qui a fare colazione dalle sette e mezza alle nove, qui o fuori non fa differenza. Pranzo all'una nel weekend e a mezzogiorno gli altri giorni. Cena alle otto e alle sette, stessa storia. Chiaro?» Domandò loro Samantha. Non aspetto neanche una risposta, si alzò e rimise la sedia a posto. «Perfetto! Ci si vede.»
E si dileguò.
«Lo terremo a mente, grazie!» Le urlò dietro George. Tornò alla sua colazione e commentò: «Sì prospetta una passeggiata, direi!»
«Faresti meglio a sbrigarti.» Commentò John, rivolto al fratello. Eric lo guardò perplesso. «Per cosa?»
«Per le lezioni, Eric!»
«Ma non sarei più utile se cercassi anch'io Ailis? E poi, scusa, ma perché io sì e tu no?» Obiettò il castano.
«Perché ieri sera sei entrato in confidenza con ben tre membri dell'Armata di Amstrong.» Rispose prontamente John, assicurandosi di non parlare a tono eccessivamente alto.
«Ha ragione.» Annuì George. «Suona un po' brutto, forse, ma stai con loro; parlaci, scherzaci, cerca di capire il più possibile, anche se non c'entra con Ailis. Quanto più sappiamo su di loro tanto più siamo avvantaggiati nelle ricerche.»
«Puoi spacciarti tranquillamente per uno del quarto anno. Un po' bassino, forse, ma credo non ci siano problemi.» Rincarò la dose John. «Io cercherò la biblioteca e vedrò se nei libri di storia c'è qualcosa di utile. Potrei anche chiedere a Lukas di portarmi qualche volume dalla sua Sala Comune, ora che ci penso!»
«Guarda, eccolo là!» Esclamò George, indicando col capo il giovane Bøndevik. «Se non ricordo male la sua famiglia è celebre, qui. Ed è un Cobaltaurora, quindi altro che libri da sfogliare a casaccio!»
«Hai ragione, ma devo sbrigarmi!» Detto ciò, John si alzò in tutta fretta e lasciò i due con un: «Ci vediamo dopo, datevi da fare!»
«Bello ostinato, il piccoletto!» Commentò George. Eric mugugnò qualcosa con un cenno di assenso. Non doveva andargli particolarmente a genio la prospettiva di frequentare la scuola, seppure per poche ore. «Oh, andiamo, non fare così! Sono pochissimi giorni, non anni! Pensa a me che ne ho passati sette, così!»
 

 

Writer’s side
Bene, dunque, è tardi.
Ed io ho sonno.
Quindi la faccio breve. xD
Prima di tutto colgo l’occasione per ringraziare le cinquanta (non so se mi spiego, ragazzi, / cinquanta! /) anime che seguono questa storia, tutti coloro che la preferiscono, ricordano e naturalmente recensiscono. Siete splendidi, davvero! *^*
POOOOOI— partiamo dal sogno di George.
Non mettetevi ad arrovellarvi troppo il cervello, in caso non abbiate capito molto, poiché avremo un chiaro riferimento ad esso solo più in là. Ne ho approfittato, tra l’altro, per scrivere di un momento importantissimo della vita di un mago e cioè dell’acquisto della sua primissima bacchetta!
Personalmente ho sempre avuto questo headcanon sulle bacchette di Fred e George (e quanto prima arriverà una One-Shot sull’argomento!) e, precisiamolo: ho letto i libri, ricordo ciò che ha detto Ollivander circa tutta la storia dei nuclei gemelli, ma ho puntato molto sul fatto che, appunto, nessuna bacchetta è uguale a un’altra, e che comunque è impossibile capirle appieno.
Infatti Ollivander stesso non sapeva come spiegare a Voldemort perché la bacchetta di Lucius Malfoy avesse avuto la peggio su quella di Harry Potter. Né nessuno credeva che l’arma di quest’ultimo avesse agito autonomamente!
Per quel che riguarda la composizione... Quella di George l'ho sognata. E non scherzo. 
Quella di Fred invece è data da Word_shaker. L'ho trovata molto azzeccata e quindi mi sono permessa di usare il frassino (perché sì, il mio unico problema era il legno xD).
C'è da ringraziare Potterpedia, perché grazie a lei ho controllato corniolo e frassino e ho scoperto che sono perfetti per i gemelli (a parer mio)! <3
SECONDO. Vi ho risparmiato scene sui TimeRiders perché ho pensato che, dopo questo pezzo, avrebbe potuto essere “pesante”. So benissimo che la trama di questa storia ha molti particolari intricati e intrecciati tra di loro e cerco di confondervi il meno possibile e renderveli chiari quanto meglio mi riesce. X3
Passando alla seconda parte del capitolo— stavo pensando alla possibilità, più in là, nei prossimi capitoli, di scrivere una specie di raccolta a parte sui Nuovi Personaggi di questa storia. Non su tutti, intendiamoci, ma sui membri dell’Armata di Amstrong, tanto per dirne una, cosicché possiate conoscerli. Trovo che sarebbe più facile leggere un determinato nome una volta ogni tot di righe e capire/ricordare a chi si riferisca e cosa c’entri con il contesto, in questo modo.
Tratterei, direi, due personaggi o tre a capitolo. E consideriamo che i componenti dell’Armata (escludendo Alice/Artemis, Lukas/Apollo, Julchen/Sigyn, Emil/Loki e Shawn/Frei – che sono membri nuovi e che avete già avuto modo di conoscere) sono trentadue, Hailey inclusa!
Quindi trentuno.
E questa era la mia proposta. 
Ultimo ma non ultimo, vi rinnovo l’invito dello scorso capitolo. Avevo in mente di fare qualcosa di particolare per la fine della storia che, credetemi, non è lontana. E per questo invito chiunque a lasciare qui su EFP (come recensione o messaggio privato), o su Facebook (come, anche qua, messaggio privato — al mio account o alla pagina Facebook che mi hanno costretta ad aprire per i miei disegni xD Rendiamola utile), o su Ask.fm eventuali domande, impressioni etc.
Davvero, di tutto!
Domande sui personaggi (sul loro concepimento, su qualsivoglia della loro personalità, sul loro rapporto con altri personaggi, sui loro atteggiamenti & compagnia bella), sulla trama (chiarimenti, versioni alternative, momenti particolari della storia e, davvero, chi più ne ha più ne metta) e qualsiasi cosa vi venga in mente.
E a questo punto, davvero, me ne vado a letto! :”D
Perdonate eventuali errori di battitura, appena potrò ridarò una controllata al capitolo – così come sto man mano facendo con la storia in generale.
Sogni dìoro / A presto,
Soleil
 
PIESSE: Qui vi lascio i “volti” dei Prefetti nominati da Sam.
Se qualcuno si stesse chiedendo perché “Merryck”, well… “Meriadoc” era troppo ovvio, già è palese da dove provenga l’ispirazione! <3

 
[ a.s. 1997/98] Prefetti:
Terresploratori | Merryck “Merry” BradybuckMiley White |
Rossincendio | Alan RogersClara Oswald |
Cobaltaurora | Alexander WatsonJane Foster |
Indacocclumanti |
Zachary Wright Samantha Puckett |
 

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Capitolo 31
*** La maledizione dei Dioscuri ***


Per riprendere un po' il filo della situazione potrebbe esservi utile ridare una letta veloce all'ultimo capitolo.
In breve, eravamo rimasti ad
Amstrong. Scuola di magia americana, presunto luogo custode dell'ultima Noce Crononauta.
George, Eric e John hanno solo questa certezza come pista da seguire, più una giovane studentessa –
Ivory Thriving – che è l'unica in tutta la scuola ad affermare di aver mai anche solo scorto la figura di Ailis.
John opta per il cercare qualsiasi informazione utile in biblioteca, mentre Eric – si da per dire – decide di frequentare le lezioni approfittando del fatto di essere nella stessa Casa e nello stesso anno di ben tre componenti dell'Armata di Amstrong, il cui luogo di ritrovo si dice essere proprio la torre in cui risiede il fantasma di Ailis.
Questi tre sono Anthony Hale e Claire Mitchell (cugini) & Nyall MacFly.
L'atmosfera tra i superstiti dell'Armata tornati a scuola è tesa come una corda di violino e la meta, per quanto possa non sembrare, si fa sempre più vicina.

PIESSE: Nello scorso capitolo o quello precedente sono stati citati i
MacFly (dai fratelli Hitachiin, ricordate?).
Beeeene.
Un po' più di qualche capitolo fa (parecchi capitoli fa) si è fatto riferimento a una certa Jamelié MacFly; sorella gemella di Martyn MacFly, morta ad Hogwarts. Sorella maggiore di Nyall MacFly.
Ecco, ho modificato il nome, optando per "Lauren".
 
 

Nuovi personaggi; volti e nomi di quelli che appaiono in questo capitolo:
Andrew MacFly;
Martyn MacFly;
Ivory Thriving;
Prof.ssa Phoebe Pixie;

 
 
 

La maledizione dei Dioscuri

 
Tutto sommato James non era stato così male come Medimago improvvisato; le costole di Max stavano tornando al loro posto velocemente. E neanche Hailey era così disastrosa come Pozionista, dato che lo Scrutatore non aveva mai lamentato dolori particolarmente acuti.
«Ho avuto una buona insegnante.» Affermò una volta l’Empatica, pestando degli ingredienti affianco al calderone fumante. «Molto più qualificata di quella ufficiale, in effetti. Ma anche lui ci mette del suo, è un osso duro!»
«Non sono più resistente di quanto lo possiate essere tu o James, in realtà, ricordi?» Intervenne l’interessato, sdraiato sul letto con lo sguardo scocciato rivolto al soffitto e le braccia conserte. James ignorò volutamente il suo atteggiamento ostentato; sia lui che Hailey avevano costretto Max a non muoversi finché le sue ossa non sarebbero tornate a posto ed evidentemente non avrebbero potuto scegliere tortura peggiore di quella.
«E non è solo per dire…» Aggiunse il moro, rivolgendosi poi a James: «Quand’è che ti ho raccontato del gene?»
«Pochi giorni dopo avermi reclutato.» Rispose il biondo, aggrottando la fronte: «Com’è che a lei non abbiamo raccontato nulla prima dell’altro giorno?»
«Perché adoro coglierla di sorpresa.» Affermò scrollando le spalle Max, lo sguardo ancora fisso al soffitto e un sorrisetto irriverente dipinto sull labbra carnose e diafane.
Hailey roteò gli occhi, pestando le erbe mediche più forte del dovuto e buttandole malamente nel calderone, astenendosi dal rispondergli. Dentro di lei si chiese se ci sarebbe mai stata fine alla lista delle cose che doveva ancora sapere circa la sua situazione attuale e si rispose che, no: era alquanto improbabile.
Aveva sempre sospettato di non poter essere capitata in mezzo a tutta quella storia assurda per caso, ma qualcosa l’aveva sempre bloccata dal chiedere più spiegazioni di quante sapeva di riuscire a metabolizzare. James rispettava questa sua necessità, ed infatti era stato Max ad aprire il discorso; del resto, tra i tre era il TimeRider con più anni di esperienza alle spalle, non stava facendo nulla di più del suo dovere. Come aveva fatto prim’ancora con James.
Sapendo che genere di reazioni scaturissero dall’incontro del temperamento di uno e dell’altra, però, e per amore del quieto vivere, quest'ultimo era stato presente e parte integrante della conversazione.
«Niente di particolarmente sconvolgente, tranquilla.» Le aveva detto. Max aveva soffocato una risata, aggiungendo sarcastico: «Già, si tratta solo di qualche nozione di biologia e genetica, come sei messa a proposito?»
«Cosa…?»
«Non ti sei mai domandata perché sei stata reclutata, Hailey? In fondo l'avrai capito: le casualità non sono comprese nel pacchetto dei viaggi nel tempo. Il motivo della tua presenza qui è proprio questo: la genetica.»
Più o meno niente magia, quindi: TimeRiders si nasce, non si diventa.
Era stato James a scegliere di reclutare Hailey, dopo che il precedente Empatico era venuto a mancare.
«Sono da sempre stato uno Scrutatore, non accade quasi mai che uno cambi di ruolo, James è stato l’eccezione che conferma la regola. È nato per essere un Osservatore, ma quando chi c’era prima di te è venuto a mancare siamo stati costretti a rimpiazzarlo temporaneamente. Una settimana o poco più, poi James ha scelto te.»
«Da un fascicolo che contiene tutti i nomi e allegati di ogni TimeRiders nato e di tutti i Portatori Sani, cioè quelle persone che non hanno un gene totalmente formato.»
«È come… passami il paragone – è come dire: mezzosangue. I Portatori sono quelli che hanno il gene formato a metà, infatti li chiamiamo anche "Mezzani". Per questo è raro che nascano persone come noi, perché dal punto di vista genetico ci vuole l’unione di due Mezzani o di due TimeRiders perché la malattia venga trasmessa alla loro progenie in manier evidente.»
Funzionava come con qualsiasi malattia ereditaria: due portatori sani hanno un cinquanta percento di possibilità di generare un altro portatore, un venticinque che il bambino sia sano e un altro venticinque che sia malato.
Malati, ecco cos’erano alla fin fine; non c’era nulla di magico, anzi, era… umano, normale, da un certo punto di vista.
Una realtà tutt’altro che segreta, come invece aveva sempre pensato Hailey: in fondo Gregorovitch aveva capito cos’erano davvero, quando si erano presentati a lui. Questo perché qualcuno era stato messo al corrente della verità – o almeno in parte –: due fabbricanti di bacchette in un arco di due secoli e una cerchia di maghi specifici designati in momenti precisi a distanza di secoli.
«Naturalmente non possiamo correre troppi rischi, per cui tendiamo a non lasciare mai tracce nitide al nostro passaggio; modifichiamo o cancelliamo il ricordo della nostra visita, a seconda dei casi. Facciamo così anche con i membri del Conclave. Io sono l’unico, qui dentro, che c’abbia mai avuto a che fare. È una cerchia di Indicibili che ha un quadro più dettagliato della nostra esistenza, registra tutti i TimeRiders e i Portatori Sani nati nella loro zona d’azione dall’ultimo prelievo fino a quello successivo, cioè il momento in cui uno di noi si presenta lì per ritirare questo fascicolo.È sottilissimo, di Portatori Sani ne nascono un paio o poco più per secolo, certo, ma TimeRiders completi… non più di due, per fortuna! I nostri poteri possono essere pericolosi, se lasciati incontrollati.»
«Il gene influisce sul nostro corpo. Abbiamo un fisico più resistente di quello di una persona qualsiasi, più longevo – sente meno lo scorrere degli anni, eppure in realtà è fortemente condizionabile.» Aveva precisato James. «Viaggiare nel tempo logora le cellule nervose e del corpo in maniera irreversibile. Solo che i nostri poteri di maghi rendono il processo molto più lento rispetto a quello che subiscono i TimeRiders babbani – e infatti sono numericamente inferiori a noi. A loro sono concessi sette o otto anni di aspettativa di vita a partire dal momento in cui vengono reclutati, a noi venti, nel migliore dei casi.»
«In aggiunta, combinandosi ai poteri di un mago questo gene lo rende predisposto a spostarsi nel tempo. A te non è successo, lo sappiamo, non è qualcosa che vale per tutti, ma c’è chi prima di essere reclutato salta accidentalmente avanti o indietro nel tempo una volta o anche dieci. Il che a lungo andare è pericoloso, per la storia e per il mago in questione; l’invecchiamento prematuro causato dal continuo spostarsi avanti e indietro accelererebbe, rischierebbe la vita. La Protezione serve a questo, principalmente, ad aiutare a controllare questo potere e a usarlo nella maniera più corretta possibile.»
Inutile dire che l’unico modo per digerire tutte quelle informazioni si era rivelato essere il pestello. A distanza di giorni, tuttavia, tutto quello che Hailey riusciva a pensare era a quanto fosse strano sapere che non sarebbe invecchiata, non nel vero senso del termine; si sarebbe consumata, logorata, sarebbe appassita. Ma non invecchiata.
E la cosa davvero strana era che, se era così, allora prima o poi i suoi genitori avrebbero dovuto affrontare la presunta perdita di un altro figlio, cioè suo fratello minore.
«A proposito di sorprese,» Esordì Max. «non voglio averne altre da tuo fratello, James.»
«Solo il tempo potrà dirci cosa è meglio aspettarsi da lui.»
«Oh, andiamo–!» Esalò esasperato lo Scrutatore, gettando il capo all'indietro, contro il cuscino. «Mi sembra abbastanza ovvio che non possiamo far finta di niente! Non sa, è vero, ma conosce la nostra natura, potrebbe essere pericoloso.»
«Max, lui è...»
«–tuo fratello, ecco perché non riesci ad essere oggettivo.»
«Max non ha torto, James.» Si intromise con meno enfasi Hailey, attirandosi addosso entrambi gli sguardi dei compagni. «Però... be', suppongo che se farà qualcosa ce ne accorgeremo, no?»
«Certo che ce ne accorgeremo.» Annuì lapidario James, voltandosi verso Max. «Alla prima visione, al minimo accenno interverremo, va bene?»
Detto ciò si scansò dalla parete a cui era appoggiato e, dopo aver lanciato un cenno verso il calderone di Hailey e averle detto: «Non lasciarla troppo sul fuoco, le proprietà curative della pozione ne risentirebbero.» se ne andò.
Max guardò il punto in cui era sparito per poi voltarsi nella direzione opposta, sospirando. «Non preoccuparti,» Mormorò. «non è arrabbiato, ha solo bisogno di digerire la faccenda.»
«Difficile con te che ti metti a fare certi discorsi, non trovi?» Commentò alzando le sopracciglia Hailey.
«Gli ho solo indorato la pillola.» Fece spallucce Max. «Roba da maschi, capisci?»
Hailey fece una smorfia sarcastica. «Non credo di volerlo capire, se è roba da maschi.»
 
 
*
 
 
Se George fosse stato un tipo da biblioteca in quel momento sarebbe stato con John, intento ad aggirarsi tra decine e decine di scaffali, ma, appunto, non lo era. Gli sarebbe stato difficile starsene a frugare tra tomi polverosi – e pensare che tra Fred e George era sempre stato quest’ultimo il gemello in grado di passare un quarto d’ora filato in biblioteca senza sentire l’aria seriosa di quel luogo iniziare a opprimerlo.
La definivano una specie di allergia, loro, mentre a detta di altri era semplice negligenza.
Ecco, nel caso specifico George non avrebbe resistito neanche dieci minuti. Forse era Amstrong, forse era lui, fatto sta che si sentiva irrequieto. Anche se di fronte ai gemelli aveva fatto finta di nulla e rimuginare non era mai stato compreso nel pacchetto ‘George Weasley’ il sogno di quella notte era ancora lì a punzecchiarlo.
George lo ignorava bellamente. Perché la priorità in quel momento era trovare Ailis e… e sperare; insomma, lei era lì, tra quelle mura, su quell’isola sospesa in mezzo alle nuvole. E con lei l’ultima Noce – e con l’ultima Noce anche Fred.
Questo spiegava perché il rosso fosse irrequieto.
Iniziò a gironzolare per conto proprio che i corridoi erano deserti, improvvisamente silenziosi e inondati dei raggi del Sole. Quelli che davano sull’esterno, nell’ala Est, erano vetrati, per cui a quell’ora del mattino era possibile ammirare il vasto e cristallino orizzonte che dava sull’oceano Pacifico, puntellato da milioni di piccoli cristalli lucenti.
Amstrong era un bel posto in cui vivere, tutto sommato; salire e scendere le scale era persino emozionante: se quelle di Hogwarts cambiavano in continuazione creando deviazioni e percorsi alternativi, quelle di Amstrong – o la maggior parte – si materializzavano all’occorrenza una dopo l’altra. George le aveva percorse in lungo e in largo mentre cercava di arrivare fuori dal castello; non è che avesse molto da fare finché non avrebbe parlato con Ivory Thriving e, per quanto fosse ampia, ariosa e tutto, quella restava pur sempre una scuola.
Meglio fuori che dentro, dunque, no?
Poco prima la Caposcuola dei Rossincendio gli aveva anche consegnato una bussola stregata per orientarsi meglio.
«Dalle un colpetto e di’ a chiare lettere il nome del posto che vuoi raggiungere, conosce tutto il perimetro dell’isola.» Gli aveva spiegato in quattro e quattr’otto prima di, letteralmente, scappare a lezione. Al che George aveva pensato che molti degli inglesi che definivano gli americani una marmaglia informe di yankee sarebbero rimasti sorpresi di vederli alle prese con gli ospiti.
Stava appunto seguendo la lancetta del quadrante quando un sonoro e secco “slap!” riecheggiò da dietro l’angolo, facendolo fermare.
Credeva di aver sentito male, ma affacciandosi dalla parete vide un uomo dai capelli neri, la fronte ampia e gli occhi verdi furente – con la mano levata – e davanti a lui un ragazzo poco più basso dai capelli castani. La guancia sinistra di quest’ultimo era arrossata e il viso voltato di lato, eppure non faceva una piega.
«Questo per essere entrato clandestinamente in Inghilterra, aver messo stupidamente a repentaglio la vita tua e di tuo fratello, demolito la reputazione della tua famiglia e non esserti fatto vedere fino ad ora.» Sibilò il mago, trafiggendo colui che doveva essere suo figlio con lo sguardo. «Cos’è, ti sei forse improvvisamente ricordato di essere ancora uno studente?»
Solo allora George si accorse della presenza di una terza persona, che riconobbe come Nyall MacFly; guardava con occhi sgranati il fratello, senza osare proferire parola.
Quest’ultimo, lentamente, si voltò verso il padre, rivelando un paio di iridi blu a dir poco gelide, in quel momento emananti solo ripugnanza.
«Se sono qui ora è appunto per mio fratello, non certo per te, papà.»
«Non sei nemmeno degno di pronunciare quella parola. Specie dopo quello che hai fatto.»
«Quale?» Sogghignò beffardo il ragazzo. «Papà’, forse? Hai ragione, in effetti non so come si faccia a considerarti tale.»
«Martyn!» Lo riprese sottovoce Nyall, allarmato dal nervo che aveva preso a pulsare sulla fronte del genitore.
«Non so se l’hai saputo, caro padre,» Continuò imperterrito Martyn, nel suo tono di voce incrinato era palese quanto si stesse trattenendo dall’urlare. «ma tua figlia è morta – morta, cazzo, non c’è più!»
«Lo so bene che è morta!» Urlò il signor MacFly, guardando il figlio con gli occhi iniettati di collera, vitrei in confronto a quelli dei figli. «E in che modo, poi! Per far parte di quel gruppo di ragazzini, per giocare a fare l’eroina, per disobbedire e fare di testa sua ancora, ancora e ancora — Lauren è morta, lo so, e nella maniera più stupida che avrebbe potuto trovare.»
«Papà, smettila! Lauren è
 morta per salvarmi la vita.» Scattò all’improvviso Nyall. «Per proteggermi, non per una stupidaggine.»
«Proteggerti?» Sputò sprezzante il signor MacFly, scuotendo il capo e mormorando: «Direi che è il minimo…»
Martyn fu sul punto di metter mano alla bacchetta tanto era livido di rabbia, ma Nyall – ben più calmo e controllato – lo trattenne, esalando: «Se è questo che pensi perché sei qui?»
«Perché sono tuo padre, Nyall.» Rispose cautamente l’uomo, rivolgendosi poi al figlio maggiore: «E che ti piaccia o no sono anche il tuo. E si dà il caso che foste tutti minorenni quando avete deciso di averne abbastanza delle lezioni di Incantesimi e volervela vedere con dei pazzi pronti a uccidervi, eravate sotto la responsabilità di—»
«Arrow, mi pare ovvio.» Lo interruppe con rassegnazione Martyn. «Visto, Nyall? Si potrebbe pensare che sia venuto qui per vedere come stai, e invece no; diamo tutta la colpa ad Arrow per farci belli agli occhi del Congresso e al diavolo il resto!»
«Martyn, per favore…»
«No, papà. Per favore lo dico io: dacci un taglio, okay? E almeno prova a fingere che t’importi qualcosa di come si sente Nyall, o io, o la mamma.»
Stava alzando nuovamente la voce. George in quell’atteggiamento un miscuglio di alcune fasi che conseguono alla perdita di una persona cara: quella in cui ce l’hai col mondo intero semplicemente per il fatto che continua a girare imperterrito nonostante ormai non valga più niente, quella in cui in realtà non vorresti avere a che fare con nessuno se non con la solitudine e lo strazio comportato da ricordi destinati a perdersi nel tempo e quella in cui, alla fin fine, in fondo sai che non potrai stare così per sempre.
Una bella gatta da pelare se, come Martyn MacFly, sei da sempre abituato a usare la testa, ma anche se, come George Weasley, hai sempre avuto qualcuno con cui prendere la vita per le corna.
Ad un certo punto il rosso decise che ne aveva avuto abbastanza e che per uscire dal castello doveva esserci qualche altra via; in fondo era una questione di famiglia, quella, e lui non era mai stato una persona avvezza a farsi gli affari altrui.
Ma l’arrivo di un’altra persona lo fermò.
«Scusate l'interruzione, ma il professor Stark mi ha chiesto di ricordarvi che siamo in una scuola, non alla Coppa del Mondo di Quidditch.»
«Puoi dire al professor Stark, signorina...?»
«Ivory Thriving. E lei è il signor MacFly, suppongo.»
Era una ragazzina minuta, se messa a confronto con i MacFly; nonostante avesse una voce dai toni dolci e pacati, i grandi occhi chiari trasudavano intelligenza e arguzia.
Portava una giacca a vento uguale a quella di Lukas legata in vita, sugli shorts di jeans e le calze a righe colorate. Forse erano quei particolari, forse le scarpe da tennis bianche, la camicia celeste a maniche corte, i braccialetti tintinnanti o il fiordaliso incastonato tra le ciocche castane — fatto sta che George più che “strana” trovò Ivory Thriving "appariscente".
Martyn guardò la nuova arrivata per appena qualche attimo prima di guardare altrove; viceversa, Andrew MacFly non la smetteva di squadrarla da capo a piedi – cosa che, tra l'altro, non pareva mettere in soggezione Ivory.
«Puoi dire al professor Stark, signorina Thriving, che se questa fosse una scuola in piena regola io e i miei figli non ci permetteremmo neanche di metterci a urlare per i corridoi.»
«Ha capito male: al professore non importa che Martyn e Nyall urlino, è perfettamente tollerabile e comprensibile.» Precisò la giovane strega, sgranando gli occhi come per enfatizzare le proprie parole. «Che lei lo faccia... quello lo è molto meno.»
Fu come una secchiata d'acqua fredda, la temperatura parve diminuire improvvisamente di parecchi gradi nello stesso istante in cui il padre di Martyn e Nyall ridusse gli occhi a due fessure dall'aspetto glaciale: «Prego?»
«Lei era a Hogwarts il mese scorso, signore?» Rispose candidamente Ivory. «Io c'ero, i suoi figli anche, ma per quel che ricordo lei no. Va da sé che se possiede un minimo di buon gusto concorderà con me che il massimo che può permettersi di fare ora come ora è elaborare la faccenda come meglio crede per fatti suoi e lasciare che i suoi figli facciano altrettanto. Capirà e filerà nell'ufficio del preside Arrow che, tra parentesi, al momento sarà più che disponibile a riceverla.»
Seguì un silenzio surreale, durante il quale Nyall guardò con tanto d'occhi la Cobaltaurora. Lanciandole un'occhiata penetrante, Andrew MacFly si allontanò da Martyn quasi con stizza, dopodiché si allontanò a passo di carica; quando voltò l'angolo per poco non andò addosso a George, ma non se ne accorse nemmeno. Lo sorpassò come niente e la sua figura slanciata scomparve seguita dalle pieghe svolazzanti del mantello color oltremare.
«Grazie, Ivory.» Si sentì dire dalla voce di Nyall.
Ivory gli sorrise, «Non c'è di che. Ora che ne dici di tornare dalla Pixie?» rivolgendo poi a Martyn un'occhiata eloquente. Il ragazzo guardò il fratellino biondo e proruppe: «Vai, prometto di non sparire.»
«Ci conto.» Gli sorrise il quattordicenne prima di congedarsi per tornare in classe.
Quando fu sicura che non fosse più a portata d'orecchio Ivory commentò: «A tuo padre la ricordi molto.»
«La ricordo molto a tutti,» Rispose senza guardarla il castano. «persino a me stesso.»
Ivory riempì la distanza che la separava dal compagno e, alzandosi sulle punte, senza esitazione, gli circondò il collo con le braccia. In una maniera così spontanea che Martyn parve irrigidirsi, prima di ricambiare goffamente l'abbraccio.
Quando la più piccola si allontanò il Cobaltaurora le rivolse un sorriso accennato, ma riconoscente.
«Non dirlo nemmeno, Martyn,» Lo precedette Ivory. «è a questo che servono gli amici, giusto?»
«Giusto. Vado a sistemare le mie cose in Dormitorio, ci vediamo dopo.»
Una volta sola, prim'ancora che potesse muovere un passo e fare dietro front, la giovane avvertì dei movimenti alle proprie spalle. George era uscito allo scoperto, mosso dal pensiero 'O adesso o mai più' – Si guardarono per pochi secondi, prima che Ivory esordisse: «Ciao, posso aiutarti?»
«Credo proprio di sì.» Rispose con decisione George.
 
 
*
 
 
Eric non sapeva come si svolgessero le lezioni a Hogwarts, ma trovò che frequentare quelle di Amstrong fosse quasi divertente: non per le materie in sé per sé, ma per gli insegnanti!
Quella di Incantesimi, ad esempio, era bassina, con un caschetto color pece e degli occhiali squadrati talmente fini da essere praticamente quasi invisibili; grandi occhi nerissimi, costantemente sgranati, e un sorrisetto furbo sempre dipinto in volto.
Anthony Hale lo definiva più perfido che furbo.
«Non è male, credo, ma falla arrabbiare una volta e soffrirai come mai nella vita.» Gli aveva detto. A dire il vero non sembrava avere poi molta ragione, la professoressa Pixie girò tra i banchi con la stessa grazia di una driade e una voce trillante che non faceva altro se non rilasciare incoraggiamenti a destra e manca.
«Facciamo tanti complimenti a Roots, che oggi non si è ancora fatto sfuggire la bacchetta di mano! Continua così, Tim!»
A modo suo.
Certo era meglio di quella di Pozioni, Yizma Kronck: uno stecco tutt'ossa e rughe il cui picco di gentilezza massimo che Eric le sentì raggiungere in un'ora fu un sarcastico e ridacchiato: «La risposta, piccolo sciagurato che è disgraziatamente parte integrante del futuro di questo mondo finito in malora, è dentro di te».
Anthony, stranamente a proprio agio nelle vesti di cicerone, confidò ad Eric che non lo faceva di proposito; era semplicemente, irrimediabilmente fuori di testa. Ma un'eccellente pozionista ed un'abile strega, tuttavia, altrimenti perché tenerla lì?
«È malvagia, già, fino al midollo!» Aggiunse con una scrollata di spalle, calcandosi una maschera protettiva davanti al volto.
«Perché quell'affare?»
«Per evitare di rimetterci le sopracciglia, la settimana scorsa mi sono saltate in aria a causa sua -- E non bere quella roba!»
Dipendeva dai punti di vista: per Claire Mitchell il fatto che ogni lezione fosse anche un po' una sfida di sopravvivenza significava molte cose, cioé che la Kronck possedeva un pessimo senso dell'umorismo e che voleva tenerli ben svegli e sempre all'erta.
«Facendoci venire una crisi isterica dopo l'altra. Certo, Claire, ceeeeerto
«Taci, cugino, e sta' attento: il tuo calderone si sta liquefacendo.»
A seguire, prima di mezzogiorno, lasciato l'infinito laboratorio di Pozioni, toccò a Cura delle Creature Magiche. Non si era mai tenuta una lezione al chiuso, là ad Amstrong; l'insegnante, un vecchio Nano piccolo e tozzo con una voce potente e roca, la barba folta e un pessimo temperamento aspettò la classe – composta dai Terresploratori e gli Indacocclumanti – direttamente al limitare di un boschetto. Oltre il quale, a quanto si diceva, c'era una vasta pianura dove molte delle creature che vivevano sull'isola volteggiante trovavano pace e ristoro, lontani dalla rumorosa e caotica realtà che aleggiava al di là della foresta.
Non che qualcuno ci fosse mai davvero arrivato: quel luogo non aveva sentieri tracciati, era composto da alberi piuttosto alti che si pensava avessero la facoltà di muoversi.
L'unico punto fermo era l'enorme sequoia che svettava poco più a sud rispetto all'attuale posizione del gruppo di studenti. Tra di loro c'era chi, un po' per sfida e un po' per curiosità, qualche volta aveva provato la tentazione di avventurarsi dentro "la Selva Incantata", ma in realtà l'unica persona in tutto il continente che avesse l'inspiegabile capacità di muoversi con familiarità per quel luogo era Borin. Il professore, per l'appunto.
«Non è basso, è veramente un Nano.» Ridacchiò sommessamente una voce conosciuta vicino ad Eric, rivolta proprio a quest'ultimo. Era Eirik, alias Loki; l'orecchio era tornato al suo posto e tutto sommato pareva stare anche lui abbastanza bene. Se gli altri studenti vestivano con una certa uniformità – giacche a vento e cravatte uguali per Casa in primis
 pur mantenendo una certa individualità, lui si discostava molto dallo stereotipo di studente.
Aveva completamente sfatto la cravatta per poterla usare come un guinzaglio, a cui tenere assicurato il minaccioso e ringhiante libro di testo, la candida camicia bianca – facente a pugni con la pelle pallida e gli occhi chiari – era sbottonata e celante una canottiera viola. Per non parlare del fatto che aveva preferito un paio di pantaloni corti di jeans a quelli in tessuto, o del fatto che teneva la bacchetta nella tasca posteriore dell'indumento sopracitato!
«Steilsson, via la bacchetta da lì! Accorto come sei potresti sedertici sopra!» Tuonò il Nano, facendo poi cenno al resto degli studenti di seguirlo.
Eirik inarcò un sopracciglio come a dire: “E allora?", poi fece cenno ad Eric di non preoccuparsi. «Can che abbaia non morde, si dice, no?»
«Non avevo mai visto un Nano vero, prima.»
«Oh, io neanche sapevo che esistessero ancora, quando sono arrivato. Ce ne sono pochi in effetti, e ancor meno sono quelli che accettano di avere contatti con le altre specie. Maghi in primis.» Scrollò le spalle il biondo.
Eric seguì la piccola figura di Borin muoversi svelta e senza affanno; vestiva in maniera davvero singolare, tanto che pareva uscito da un libro molto vecchio. E alla cintola portava appesa, accuratamente riposta nel fodero, una piccola spada.
«Ma... non la usa, quella, vero?»
«Contro gli animali, dici? Nah, magari! Una volta l'ha puntata contro Incendio,» Rispose Eirik, abbassando notevolmente la voce nel nominare l'enorme drago color notte cavalcato da Lukas. «ma per il resto credo che sia abitudine. Deve essere abitudine, cioè, voglio dire: chi mai vestirebbe così, altrimenti?»
Il modo eclatante con cui Eirik parlava, accompagnato dalla sua gestualità spiccia e spontanea, fecero sbucare sulle labbra di Eric un sorriso. Avrebbe voluto chiedergli molte cose, a ben pensarci: ad esempio di dove andasse a finire Incendio quando non era con Lukas, che genere di rapporto avevano, come mai Nyall, Anthony e Claire, pur essendo anche loro parte dell'Armata di Amstrong, non gli rivolgevano la parola... Solo che Eirik non aveva affatto l'aria di uno stupido: era affabile e disposto a parlare e scherzare con chi glielo permetteva, ma anche estremamente furbo. Si vedeva, era palese e, be', se il suo nome in codice era quello del Dio norreno degli inganni e delle malefatte un motivo doveva pur esserci.
Così il castano optò per la domanda che più gli sembrava naturale, cioè: «Come sta Julchen?»
«L'ho vista stamattina.» Rispose un po' evasivamente Eirik, facendo finta di nulla. «Perché sono andato a trovarla, non perché abbia dormito in infermeria, bello.» Precisò subito, dando una spintarella al castano.
«Io dicevo sul serio. Sta bene, vero?»
«Ehi, piccoletto, credimi quando ti dico una cosa.» Tagliò corto Eirik, fermandosi di botto e guardandolo con fermezza. «A volte sono proprio le persone che sembrano più fragili a possedere una forza incredibile. Julchen potrà sembrarti una di quelle principessine bisognose del loro cavaliere senza macchia e ciance varie, ma ha una tempra che nemmeno ti immagini.» Distendendo le labbra in un sorriso, l'Indacocclumante aggiunse: «Ed io lo so bene, una volta mi ha rifilato una padellata coi fiocchi, amico!»
«Voi due, là in fondo!» Li richiamò Borin. Eric quasi scattò sull'attenti, Eirik invece non si scompose affatto. «Datevi una mossa e state insieme al gruppo, non ho intenzione di saltare il pranzo solo per venire a ripescare qualcuno di voi in giro per la Selva.»
«Non è vero.» Rise Eirik, affrettandosi a raggiungere il gruppo e sfilando la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni. «Lo farebbe eccome, è un piccolo cuor di panna!»
 
 
*
 
 
«Sei parecchio lontano da casa.» Osservò giocherellando coi propri braccialetti tintinnanti e guardando un punto imprecisato tra gli alberi. «Posso chiederti perché sei venuto fin qui?»
«Per una persona.» Rispose prontamente George. Era vero, in fondo, non le stava mentendo: era lì per Ailis, che a conti fatti era stata una persona, e per suo fratello Fred. Quindi non una, ma due!
«Oh, devi fare da Rilasciatario?» Annuì Ivory, aggiungendo subito: «La cerimonia della settimana prossima è un tributo. molti dei miei compagni la trovano inopportuna, ma è a modo suo una maniera per lasciare andare chi non c'è più. Letteralmente. Quello che farai tu sarà rilasciare dalla coppa che hai usato allo Smistamento il Detector Cor di--- di chi, scusa?»
«Hailey Grint.»
«Di Hailey. Ecco, per questo Rilasciatario.» Concluse la ragazzina. «Lo trovi stupido?»
«Se avessi perso qualcuno di importante e mi toccasse fare una cosa del genere, sì: lo troverei stupido.» Rispose storcendo la bocca George.
«Allora sei come Martyn?» Domandò schiettamente Ivory; «Come la persona che stai cercando, anche?»
Il rosso si aprì in un sorrisetto divertito, sbottando: «Cosa sei, una Legilimes?»
«Me la cavo.» Scrollò le spalle lei. «Ma in realtà sono solo una buona osservatrice. Tu e Martyn avete in comune la Maledizione dei Dioscuri, e diciamo che è qualcosa che salta all'occhio.»
«Prego?»
«Conosci la storia di Castore e Polluce?»
«Un gemello muore e l'altro no?» Azzardò mestamente George.
«Ridotto ai minimi termini è così, già. Sono i maghi greci a chiamarla così, ovviamente non è riferita a chiunque nasca insieme a un'altra persona: si riferisce a due anime che un tempo erano un'unica entità, destinate a rincorrersi e a cercarsi ogni volta che il tempo, le circostanze, lo spazio o la vita le divideranno.» Annuì seria Ivory. «L'ho sempre trovata una meravigliosa storia d'amore, sai?»
«Storia d'amore?» George inarcò un sopracciglio. «Sul serio?»
In altre circostanze avrebbe riso alla grande, ricordando le volte in cui, da bambini, Fred e lui trovavano semplicemente rivoltante l'idea di
 un giorno – sposarsi e metter su famiglia; pur tuttavia stando sempre insieme, alla stregua di due fidanzatini. In quel momento rimpiangeva, invece, quei momenti in cui gli adulti trovavano adorabile la visione di due bambini irrequieti che si tengono per mano o si scambiano un bacetto a stampo sulle labbra nel reale intento di traumatizzare uno dei loro fratelli maggiori  Percy, nel qual caso; e Ron un paio di anni dopo.
Erano stati gesti infantili e privi di malizia celanti un sentimento di fondo molto più vero e forte dell'amore normale. Gesti che col tempo si erano trasformati in sguardi complici e frasi subordinate o lasciate a metà.
«Sul serio!» Lo sorprese Ivory. «Non quel tipo di amore, ma così particolare da non poter essere paragonato a quello che esiste in una coppia.» Aggiunse, lo sguardo come perso in un bel ricordo che, man mano che parlava, andava via via sfumando di spensieratezza. «Questo finché non ho incontrato qualcuno che lo sta vivendo in prima persona.»
«Ailis.»
«Avrei detto Martyn, ma a quanto pare sai più di ciò che dovresti.»
«Vero. Senti, senza girarci intorno: è vero che tu la conosci?»
«È vero.» Annuì Ivory. «Ma non intendo fare da tramite fra voi due.»
George gettò il capo all'indietro con esasperazione, gemendo con frustrazione: «Oh, ma ti prego!»
«Lei sa che sei qui,» Lo ignorò Ivory. Quella frase fu sufficiente perché riottenesse tutta l'attenzione del rosso. «gira per il castello la notte, sente il suono dei sogni altrui, e stanotte ha ascoltato il tuo.»
Quindi era vero, c'era sul serio! Finalmente!
«Se hai avuto abbastanza fiducia per credere alle voci che girano tra i miei compagni,» Concluse con una nota d'indifferenza nella voce, sicuramente rivolta al solo pensiero. «allora abbila anche per fidarti delle mie parole: Ailis non è cattiva, è solo una persona buona con cui la vita è stata ingiusta. Non si fida, ma una volta che lo farà sta' pur certo che sarà lei a cercarti.»
 
 




Angolo autrice

Dunque, dunque – non linciatemi, vi prego!
Faccio da sola.
Ho giusto un po' di cosette da dirvi.
Prima di tutto mi scuso perché è da settembre [ mi faccio schifo da sola. ç_ç ] che non mi faccio viva con questa storia. Mmmmmma sono felice di annunciarvi che ho comprato un nuovo portatile (il nuovo amore della mia esistenza), quindi sono molto più agevolata di prima e di conseguenza più veloce!
. . . Che poi a scuola non ci sia un minuto di tregua è un dettaglio, shush.
Poi, ecco... ho pianificato tutto, nel senso che ho scarabocchiato un foglio A4 fino ad arrivare alla conclusione che questa fanfiction, se va com'è nei miei piani, si concluderà presto. Non arriveremo ai quaranta capitoli, vi dico solo questo.
Terza cosa: ho preso l'abitudine di scegliere dei 'prestavolti' ai personaggi non canonici (e giustamente, qua, ne abbiamo parecchi) presenti nella storia man mano che essi fanno la loro prima comparsa.
Se notate ve li lascio sempre, solo che esaurita come sono non ho trovato nessuno per la nostra pazza Yizma Kronck. :'D
Lo stesso dicasi per Borin. Un nano, mmh – sinceramente io ho subito pensato a quelli presenti in certi (ma proprio a caso, eh *^*) film di Peter Jackson. Solo che, be', dovete ammettere che ceeeeerti nani presenti ne 'Lo Hobbit' di tutto sanno tranne che di Borin.
Voglio dire: Aidan Turner, Dean O'Gorman, Richard Armitage... avete presente?! cwc
Comunque, ricomponiamoci!
Se qualcuno mai dovesse avere qualche idea in proposito parli ora o taccia per sempre lo dica!
Sicuramente c'era anche una quarta nota da fare, ma ora come ora l'ho scordata. E vabbé.
Come sempre vi rinnovo l'invito a scrivermi per qualsiasi dubbio/curiosità/domanda/critica/perplessità su trama/personaggi/avvenimenti etc. – davvero, non mordo. :3
Sarebbe anche lecito: spero di non avervi confuso le idee con il pezzo sui TimeRiders, vuole essere solo a titolo informativo: una curiosità sulla loro realtà, ecco.
Per finire ringrazio
– ancora e come sempre – voi. Uno ad uno. Tutti tutti!
Ich liebe dich,
Soleil

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Capitolo 32
*** { { avviso&spoilers ; ***


Okay, uhm, salve.(?)
Non so se qualcuno si ricorda di questa storia (è da novembre che non aggiorno, se non sbaglio, meriterei una scarica di legnate epocale ç_ç). Spero di sì, io di certo non me ne sono dimenticata!
Sperando che a qualcuno delle cinquanta e passa anime che l'hanno tra le Seguite interessi, sappiate che il trentaduesimo capitolo è in fase di stesura, e che sarà ultimato il prima possibile.
Nel mentre, per recuperare il filo, consiglierei di ridare una letta veloce agli ultimi capitoli. 
Eeeeeee niente. 
Grazie a tutti e a presto,
Soleil

PS: giusto perché vi voglio bene, vi lascio con due spoiler del prossimo capitolo.
 
 

[ . . . ] “Devo solo dare un’occhiata, grazie lo stesso.” aveva risposto imbarazzato John.
Che poi la sua occhiata fosse durata praticamente tutta la giornata pasti compresi erano dettagli. Aveva trovato parecchi libri da consultare tra quelli sulla storia magica degli Stati Uniti e di Amstrong e quelli riguardanti leggende e miti del posto, e preso dalla curiosità aveva iniziato a leggerli uno per uno con interesse febbrile e minuziosa attenzione finché Eric non era andato a pescarlo col naso tra volumi polverosi con la ferma intenzione di trascinarlo fuori.
"Johnny, sono le undici, ho sonno."
"Allora vai a dormire."
"Non riesco a dormire se so che tu resti qua ad ammuffire."
"Non sto ammuffendo, Eric."
"La pazienza della bibliotecaria sì, però: questo posto deve chiudere. Forza, passami un paio di quei mattoni e andiamo!"
[ . . . ] "Ough — John, ma dove corri?!"
"Ti stavo cercando!"
George allargò le braccia con eloquenza. "E mi hai trovato. Che cosa—?"
"—Hai fatto strani sogni." Lo interruppe il ragazzino, mentre riprendeva fiato, negli occhi verdi un costante lampo di certezza. Tanto evidente che il rosso aggrottò la fronte confuso, puntandogli contro un dito, incerto. "Io... non penso ad alta voce, vero?"
John riprese a respirare e, prendendolo per mano, iniziò a trascinarlo via: "Dobbiamo trovare Eric."
"Stavo giusto venendo a cercarvi, ho trovato Ivory."
"E ti ha confermato che Ailis esiste?"
"Esatto!"
"E che fa qualcosa ai sogni della gente?"
"—Lo ha fatto anche a te?!" [ . . . ]

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Capitolo 33
*** Mille e una illusioni ***


Nuovi personaggi apparsi o menzionati:  
 

 32 — Mille e una Illusioni

 
C'era una stanza, nell'arcata in cui vivenano i TimeRiders; una stanza molto speciale, di cui Hailey non aveva mai varcato la soglia.
A dirla tutta non aveva mai visto neanche Max o James farlo; il primo sapeva rivolgere alla grossa porta in mogano solo occhiate torve, il secondo non la guardava affatto.
"Fidati di me, al momento è l'unica cosa che non hai bisogno di sapere." Le aveva detto James qualche giorno dopo averla reclutata. Il primo periodo passato all'interno della squadra era stato difficile per lei — a dire il vero, solo negli ultimi giorni il temperamento emotivo dell'ex-Grifondoro pareva essersi acquietato, iniziando, pian piano, a metabolizzare la realtà con più raziocinio — e l'Osservatore era convinto che sapere cosa ci fosse dietro quella porta avrebbe dovuto essere l'utlima delle preoccupazioni dell'Empatica.
O per meglio dire lui e Max ne erano sempre stati più che convinti.
Ma ora era diverso; Hailey era curiosa, e James non desiderava che arrivasse a fare determinate scoperte da sé piuttosto che tramite lui o Max: avrebbe leso il precario equilibrio fondato sulla fiducia reciproca che si stava creando all'interno della loro squadra.
"Sei d'accordo con me?" Chiese un giorno a Max.
"Hai dei buoni argomenti." Fu la risposta evasiva dello Scrutatore.
"Benissimo. Allora cerca di essere delicato, okay?"
Il moto aggrottò la fronte e si mise meglio a sedere sul letto, ribattendo sinceramente a disagio: "Non so se è una buona idea."
"Max..."
"Le stai più simpatico tu, non la prenderà male!"
"Non è questione di simpatia o antipatia, e non ti stavo chiedendo di farlo."
"Se per caso speri di far scattare qualcosa nella sua testa, James, lascia stare. Va bene così."
"Qualcosa scatterà comunque, prima o poi, ma non è questo. Non voglio e non potrei mai entrare là dentro. Cerca di capirmi, Max, te lo chiedo per favore."
Max guardò per qualche istante James come a voler scavare fin nelle profondità dei suoi occhi cerulei e scorgere un qualche motivo particolare per cui non voleva essere lui a parlare ad Hailey della Stanza, poi annuì. Il biondo era bravo a celare i suoi veri pensieri, davvero molto bravo, ma Max prim'ancora che uno Scrutatore era un ragazzo sveglio e dalla mente acuta: varcare quella soglia avrebbe riportato indietro ricordi che James non era ancora pronto ad affrontare.
'Ha solo sedici anni.' Si disse Max — esattamente l'età che aveva lui nel momento in cui era diventato un TimeRider. 'Nessuno lo avrebbe fatto per me, all'epoca, ma io non sono nessuno, dopotutto.'
I muscoli del viso di James si rilassarono visibilmente e, con una certa gratitudine, le sue labbra si distesero in un sorriso.
"Grazie, Max."
 
 
*
 
 
Su indicazione di Lukas, John aveva optato per fare prima una ricerca nella biblioteca scolastica. Non conoscendo la scuola aveva pensato che arrivarci sarebbe stato molto più difficile: d’altronde Amstrong era enorme! — “Oh, per questo ci sono i Fuochi Fatui! Ti aiuteranno loro, non si occupano solo dei Rossincendio.” Gli aveva detto il Cobaltaurora mentre scappava a lezione.
Così, seguendo una di quelle strane fiammelle fluttuanti, John era arrivato a destinazione. In confronto alla biblioteca di Hogwarts quella di Amstrong era molto più sgombra; che fosse per via della mole di volumi presenti invece nella Sala Comune dei Cobaltaurora?
“Non dovresti essere a lezione, tu?” Gli aveva chiesto con la fronte aggrottata la bibliotecaria: una strega bellissima, dal colorito perlaceo e lo sguardo sagace. Lo aveva squadrato per poco più di qualche secondo prima di addolcire la propria espressione e correggersi: “Oh, sei un ospite! Perdonami, ma a giudicare dal tuo aspetto avevo dedotto che fossi uno studente. Hai bisogno di qualcosa?”
“Devo solo dare un’occhiata, grazie lo stesso.” Aveva risposto imbarazzato John.
Che poi la sua occhiata fosse durata praticamente tutta la giornata pasti compresi erano dettagli. Aveva trovato parecchi libri da consultare tra quelli sulla storia magica degli Stati Uniti e di Amstrong e quelli riguardanti leggende e miti del posto, e preso dalla curiosità aveva iniziato a leggerli uno per uno con interesse febbrile e minuziosa attenzione finché Eric non era andato a pescarlo col naso tra volumi polverosi con la ferma intenzione di trascinarlo fuori.
"Johnny, sono le undici, ho sonno."
"Allora vai a dormire."
"Non riesco a dormire se so che tu resti qua ad ammuffire."
"Non sto ammuffendo, Eric."
"La pazienza della bibliotecaria sì, però: questo posto deve chiudere. Forza, passami un paio di quei mattoni e andiamo!"
Come primo approccio non era stato dei migliori, suo fratello si era dimostrato più ostinato del solito e si era anche portato via qualcuno dei libri su cui John aveva messo gli occhi.
Ovviamente non ne avrebbe letto più di mezzo, ma le buone intenzioni c'erano; ecco perché il giorno successivo Eric optò per leggere all'aperto, fuori dal castello, e saltare le lezioni.
Nel separarsi dalla folla e imboccare l'uscita si imbatté in un mago alto e distinto in testa a un gruppo di bambini indossanti i colori dei Cobaltaurora e dei Rossincendio: aveva capelli riccissimi che si muovevano ribelli e disordinati a ogni suo passo, scuri più o meno come gli occhi limpidi e accesi. A giudicare dall'ampio e leggero mantello che lasciava in bella mostra la divisa da Quidditch meno inglese che Eric avesse mai visto, doveva essere l'insegnante di Volo & Aviazione: materia presa spaventosamente sul serio dagli americani, che non consisteva solo nell'imparare a reggersi in equilibrio su una scopa.
Eppure era giovane ─ "Il professor Turner è il più giovane del corpo docenti, dopo quello di Trasfigurazione." Gli avrebbe detto più tardi Claire, non senza una punta di rossore sulle gote.
Non appena lo vide ─ perché Eric, concentrato com'era nel non farsi travolgere dal flusso di studenti ritardatari che andavano da una parte all'altra, nemmeno l'aveva notato ─ il suddetto professore scompigliò senza tante cerimonie i capelli del più piccolo, aprendosi in un sorriso spigliato e che tutto pareva fuorché quello di un adulto: "Segui noi, piccoletto, o potresti non arrivare indenne al cortile con questa mandria di scalmanati!"
Inutile dire che aveva ragione; i bambini che erano con lui lo seguivano a pochi passi di distanza, e gli studenti al suo passaggio o lo salutavano con entusiasmo o si facevano da parte senza comunque staccargli gli occhi di dosso.
Le ragazze erano comprese più nella seconda categoria che nella prima.
"Di solito arrivare in classe non è così problematico, è che in questi giorni i ragazzi hanno gli esami." Esordì il professore una volta fuori. Pareva essere una persona dalla chiacchiera facile, notò Eric, ma per quanto spigliato aveva anche l'aria di essere alla fin fine abbastanza riservato; a tratti, con quelle sopracciglia scure e pronunciate quanto lo sguardo intenso e profondo, poteva anche finire con l'incutere una certa soggezione.
A ben pensarci lo aveva scorto la sera prima in compagnia di un due altri insegnanti — uno biondo e col sorriso scanzonato, l'altro moro e con un'aria sardonica perennemente stampata in faccia — e solo quando era rimasto solo con il primo dei due si era aperto in un sorriso simile a quelli che lo vedeva rivolgere ai ragazzini del primo anno.
A quanto pareva diventava un cuore di panna con i più piccoli.
In ogni caso, dato che il campo da Quidditch era a dir poco enorme e nei dintorni non si vedeva che verde e cielo, Eric fu ben contento di seguirlo; almeno sarebbe stato certo di non perdersi.
Seduto sulla fila di spalti più alta, le gambe incrociate e un libro dallo spessore poco incoraggiante in grembo, il castano alzò gli occhi al cielo mormorando un: "Cosa non si fa per la famiglia!" prima di iniziare a esaminare il sommario.
Storia, storia, ancora storia — John si era concentrato su quella: come poteva un semplice edificio, per quanto straordinario potesse oggettivamente essere, aver bisogno di essere raccontato in milleduecentotrentadue pagine?
E che diavolo si aspettava di trovarci, poi, John?
Prima che potesse anche solo accorgersene, mentre le dita sottili sfogliavano pagina dopo pagina e la mente creava le immagini descritte dalle parole riportate nero su bianco, Eric avvertì appena le palpebre appesantirsi.
E si addormentò.
 
 
"Polluce, Polluce!"
La voce forte e bambina del fanciullo risuonò tra le verdi fronde degli alberi. Si guardò attorno nuovamente e, non sapendo che altro fare, raccolse un cumulo di terra. Lo avvicinò alla bocca e vi sussurrò parole segrete dalla dolce pronuncia; soffiò, dal suo palmo la terra si librò leggiadra e volò via, seguita dal giovane.
Un quarto d'ora più tardi arrivò con il cuore in gola a un albero secolare che ben conosceva: il confine con il mondo dei mortali. Deglutì e pensò di ritentare l'incantesimo, quando sentì la voce della persona che stava cercando in lontananza.
"Sì," ridacchiò una voce dal tono malandrino sopra di lui. Stravaccato su un ramo, un giovane dai capelli ricci gli sorrise. "l'ha fatto!"
"Naturalmente non potevi impedirglielo, Ermes, vero?" domandò ironicamente il più piccolo.
"Naturalmente!"
Se possibile Castore provò ancora più inquietudine.
"Polluce?" chiamò con tono incerto. La voce argentina non si zittì, ma neanche gli rispose, per cui, inspirando a fondo, il giovane passò oltre l'albero. La voce di Ermes, allibita e improvvisamente preoccupata, lo seguì finché finalmente non si imbatté nel gemello.
"Polluce, che stai facendo?"
"Castore! Giusto in tempo, ho bisogno di assistenza." Polluce teneva le mani premute sul fianco di una cerva, da cui sgorgavano rivoli cremisi. Castore gli fu subito vicino, intenzionato ad aiutarlo.
"Che barbaria..."
"Lo so, è ancora molto piccola, vero? L'ho vista da oltre il confine. Un uomo l'ha ferita e non ho potuto non intervenire."
Castore si voltò a guardare il gemello con occhi sgranati. "Un uomo? E ti ha visto?"
"Ovvio che mi ha visto, gli ho intimato di farsi indietro perché potessi curarla. Dopodiché lui ha chiesto perdono ed è fuggito." spiegò con leggerezza Polluce, lasciandosi sfuggire un lieve sogghigno. "In realtà più che altro ha implorato."
"E la cosa ti fa ridere?" sbottò Castore. Polluce scrollò le spalle; si alzò e rispose semplicemente: "Dovrei piangere?"
"Era un cacciatore, Polluce, un cacciatore armato!"
"Un cacciatore armato mortale. Un uomo senza poteri, Castore, innocuo anche per dei ragazzini della nostra età."
Castore, boccheggiante, emise un gemito frustrato e lasciò che la cerva si rimettesse in piedi.
"Andiamo," lo riprese bonariamente Polluce, abbracciandolo da dietro e facendo gravare giocosamente il suo peso sulle spalle del gemello. "non essere arrabbiato con me, sai che non avrei attraversato il confine senza una valida ragione."
Castore non scacciò via il gemello, ma non staccò gli occhi dalle sue mani, sporche del sangue rappreso dell'animale. Un senso di nausea gli attanagliò lo stomaco e gli fece arricciare il naso.
"E tu sai che in questo mondo non valgono le nostre leggi, ma le loro. Sai che la magia non può seguirci ovunque."
"Vero, ma i miei poteri non mi hanno abbandonato; infatti ho potuto aiutare la cerva." annuì Polluce, le braccia attorno al collo del gemello e gli occhi chiari sorridenti rivolti all'animale. Castore si mosse a disagio, al che l'altro aggiunse: "Sarei potente per tutti e due, se servisse. Non importa se i tuoi poteri sono deboli fintantoché rimani insieme a me."
"Non mi interessano i miei poteri, Polluce." obiettò mesto Castore. "Mi interessa il fatto che saresti disposto a usare i tuoi contro chi non può difendersi, contro un mortale."
Il castano, a quelle parole, perse un po' del suo entusiasmo. Lasciò andare il fratello solo per prendere le sue mani tra le proprie, stringendole forte; il mento sulla sua spalla.
"Anche noi lo siamo."
"Per metà."
"Attraversato il confine tu lo sei per intero." dichiarò in tono freddo Polluce.
Si morse le labbra, trattenendo il respiro: una grande differenza tra lui e Castore era proprio quella. Dinnanzi agli altri maghi erano entrambi due bambini mortali per metà, ma lontani dal mondo magico solo la metà umana di uno di loro prevaleva sul resto, ovvero quella di suo fratello gemello, i cui poteri erano meno potenti e vistosi rispetto alla media.
Conoscendo la reputazione del loro padre, Zeus, molti non avevano nulla da dire al riguardo. Ma 'molti' non è 'tutti', e Castore lo sapeva: per Polluce non c'era nessuno più importante di lui.
"Che importanza ha?" mormorò con un timido sorriso Castore. Polluce lo guardò inarcando un sopracciglio. "Non ho intenzione di allontanarmi da casa o da te molto presto, sai. Solo... niente magia con i mortali, Polluce, intesi?"
Polluce sorrise radioso, annuendo. "Se questo ti rende felice, fratello, allora va bene; intesi."
 
 
*
 
 
Quando John si svegliò si ritrovò con il proprio avambraccio destro a fargli da cuscino; il libro che stava leggendo abbandonato sotto di esso, un calamaio ormai bello che asciutto e nella mente voci confuse e lontane.
Intontito, quasi fu deluso nel vedere le piante sempreverdi e le acque trasparenti dissolversi man mano che la realtà gli dava il bentornato.
Si guardò intorno, nella Sala Comune, e notò che gli altri Cobaltaurora stavano appena iniziando, lentamente, ad entrare per lasciare i libri in camera e andare a pranzare. Qualcuno del suo stesso anno e con il quale aveva scambiato qualche parola da quando era giunto ad Amstrong lo salutò anche, ma John, riscuotendosi e abbassando gli occhi sulla pagina che stava leggendo, chiuse di scatto il libro davanti a sé e uscì di tutta fretta.
Quasi rischiò di caracollare giù dalle scale mentre scendeva dalla torre.
"Ough — John, ma dove corri?!"
"Ti stavo cercando!"
George allargò le braccia con eloquenza. "E mi hai trovato. Che cosa—?"
"—Hai fatto strani sogni." Lo interruppe il ragazzino, mentre riprendeva fiato, negli occhi verdi un costante lampo di certezza. Tanto evidente che il rosso aggrottò la fronte confuso, puntandogli contro un dito, incerto. "Io... non penso ad alta voce, vero?"
John riprese a respirare e, prendendolo per mano, iniziò a trascinarlo via: "Dobbiamo trovare Eric."
"Stavo giusto venendo a cercarvi, ho trovato Ivory."
"E ti ha confermato che Ailis esiste?"
"Esatto."
"E che fa qualcosa ai sogni della gente?"
"—Lo ha fatto anche a te?!"
 
 
*
 
 
"Non è un granché, in realtà, ma a volte le persone possono farla diventare pericolosa."
"E tu e James pensavate che con me sarebbe successo?"
Max schioccò la lingua sul palato e lanciò ad Hailey un'occhiata così eloquente che la castana si schiarì la voce e spostò il proprio peso da un piede all'altro: , l'avevano pensato. E a ragione.
"Allora, uhm, cosa... cosa c'è dietro questa porta?"
"La Stanza delle Mille e una Illusioni." rispose meccanicamente Max. "Non ho un'idea precisa per la quale sia stata creata, forse perché all'inizio la gente reagiva anche peggio di te quando veniva reclutata." Se notò il lieve rossore che comparve sulle gote dell'Empatica, di questo Hailey gliene fu grata, non lo diede a vedere. "O forse perché ci si allenasse in ambienti familiari, per prevenire traumi, curiosare nella vita altrui... non ne ho idea."
Si fermarono davanti a quello che la più grande aveva sempre pensato fosse uno sgabuzzino inutilizzato o comunque un luogo per qualche motivo off limits, chiuso a chiave e protetto da qualsiasi incantesimo d'apertura e simili.
Max infilò la mano nella propria manica sinistra e la ritrasse seccato, palpandosi ovunque da sopra il proprio maglione sotto lo sguardo perplesso di Hailey finché non si fermò di scatto e controllò la destra. Ne tirò fuori una chiave grande quanto la sua mano e piena di ruggine.
"Che razza di nascondiglio è quello?" Sbottò la castana.
"Quante possibilità avevamo che controllassi addosso a me?" Rispose serafico e con un che di imbarazzato e piccato il moro.
"Touché."
"Facciamola finita una volta per tutte. Ricorda: niente è reale, sta tutto nella tua testa, quindi vedi di non allontanarti. Potresti perderti."
Detto questo, Max impugnò la chiave alla rovescia e la usò per dare tre colpetti a ritmo alla serratura. Dopo il terzo, questa scattò, e la chiave sparì nella tasca posteriore dei pantaloni del moro.
Impugnò il pomello e spinse di poco, quanto bastava perché si intravedesse un abisso di colori caldi così terso e infinito che Hailey sentì la testa girarle.
Era come una finestra sul nulla, la castana ebbe l'istinto di pensare che se avesse oltrepassato l'uscio sarebbe precipitata senza raggiungere mai il fondo. Pensiero che venne interrotto da Max — non si era accorta di essersi posta dietro di lui e di star guardando da oltre la sua spalla, così vicina da poter notare qualche efelide spruzzata qua e là sul viso del moro — il quale, un sopracciglio alzato e la mascella serrata, si scostò appena.
"Fa un po' impressione, ma è perfettamente sicura se sai come usarla. Devi solo... chiudere gli occhi, Hailey, e immaginare." Le disse.
Hailey inspirò e fece come le era stato detto. "Cosa devo immaginare?"
"Casa. Un posto che senti tuo, che è stato importante... qualsiasi cosa. Poi fa' un passo avanti." Max emise un lieve sbuffo che fece pensare ad Hailey a un sorriso inghiottito. "Vedrai che trucchetti conosce, questa stanza!"
Dopodiché Max tacque, e si tenne a un passo da Hailey nel momento in cui quest'ultima varcò la soglia della Stanza delle Mille e una Illusioni, riempiendola di campi di grano e nuvole bianche.

 
 
 
Angolo dell'autrice negligente
 
Non ricordo nemmeno da quanto non aggiorno, so solo che... ehm... che è meglio tardi che mai? Heh.
Comunque, eccoci qua, a pochi capitoli dalla fine! In questi giorni ho ricontrollato questo e rivisto il finale che ho in mente. Tempo permettendo non dovrei correre il rischio di lasciarvi a secco per altri... ew, non voglio nemmeno pensare a quanti mesi ho lasciato passare senza postare nulla!
Comunque, siamo quasi alla fine. Quasi. Ugh. Appunto, yep, quasi.
 
Oh, so della scuola che la Rowling ha dato agli States eccetera ma, well, ponendo da parte il fatto che non mi ha entusiasmata chissà quanto (perché me tediosa e me anche tanto puah/?/), in un certo senso sono arrivata prima io con Upside Street, Amstrong & co. — col cavolo che mi metto a modificare e adattare, con tutto il rispetto. xD
 
Spero che ci sia ancora qualcuno interessato alla fiction e, se siete riusciti a fare un po' il punto della situazione e non state cercando di ripescare dai capitoli precedenti informazioni al fine di colmare buchi e dubbi vari, vi ringrazio e vi abbraccio! ;)

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