We can be heores, just for one day di BlueParadise (/viewuser.php?uid=621518)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
'Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Joanne
Kathleen Rowling;
questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'
A
Vels,
senza
la quale non avrei
mai
ripreso a fare ciò
che più amo.
WE CAN BE HEROES,
JUST FOR ONE DAY
PROLOGO
I, I will be king
And you, you will be queen
Though nothing will drive them away
We can beat them, just for one day
We can be Heroes, just for one day
And you, you can be mean
And I, I’ll drink all the time
‘Cause we’re lovers, and that is a fact
Yes we’re lovers, and that is that
Though nothing, will keep us together
We could steal time,
just for one day
We can be Heroes, for ever and ever
What d’you say?
I, I wish you could swim
Like the dolphins, like dolphins can swim
Though nothing,
nothing will keep us together
We can beat them, for ever and ever
Oh we can be Heroes,
just for one day
I, I will be king
And you, you will be queen
Though nothing will drive them away
We can be Heroes, just for one day
We can be us, just for one day
I, I can remember (I remember)
Standing, by the wall (by the wall)
And the guns shot above our heads
(over our heads)
And we kissed,
as though nothing could fall
(nothing could fall)
And the shame was on the other side
Oh we can beat them, for ever and ever
Then we could be Heroes,
just for one day
We can be Heroes
We can be Heroes
We can be Heroes
Just for one day
We can be Heroes
We’re nothing, and nothing will help
us
Maybe we’re lying,
then you better not stay
But we could be safer,
just for one day
Oh-oh-oh-ohh, oh-oh-oh-ohh,
just for one day
David
Bowie, Heroes
C'era
lei, Lily Evans, la madre che si
sacrificò per proteggere il figlio che amava molto
più di se stessa. Ricordata
da tutti per la bontà e il coraggio che tanto la
caratterizzavano.
Un
animo dolce, in grado vedere la bellezza in chiunque, perfino in chi
non la vedeva
in se stesso. Nata Babbana, leale, testarda e orgogliosa. Una testa
calda e
stranamente propensa allo spaventare a morte chiunque la facesse
arrabbiare. Molti
sussurravano che soffrisse di doppia personalità: la parte
altruista e gentile
e la parte furiosa e manesca. Ex migliore amica di Severus Piton e
sempre
pronta a tormentarsi con problemi e colpe.
Un
viso lentigginoso e una cascata di capelli rossi come il fuoco, colei
che donò
al figlio dei meravigliosi occhi verdi. Quegli occhi che diventavano
quasi
dello stesso colore dell'anatema che uccide quando si trattava di un
particolare soggetto: James Potter.
Quest'ultimo
era ricordato per essere un ribelle dai capelli castani sempre
scompigliati, un
paio occhiali la cui caratteristica era l’essere sempre stori
e teneri occhi
color nocciola. Quelli che lo conoscevano potevano dire che fosse un
ragazzo
sempre gentile e con il sorriso pronto. Cercatore eccezionale,
rubacuori
spensierato, a volte capriccioso e particolarmente esasperante. Sempre
con in
mano un boccino intento a scompigliarsi i capelli che tutti
scommettevano
avessero vita propria e naturalmente a fare la corte a Lily. Lui,
però,
nell'ultimo anno si fece anche serio e responsabile quanto leale e
coraggioso.
Nemico mortale del già accennato Severus Piton, alias
Mocciosus, e membro dei
famosi Malandrini.
Sirius
Black,
fratello - non di sangue, ma è come se lo fossero - del sopracitato James e
anche lui componente
Malandrino. Comportamento altezzoso, rubacuori perfino maggiore di
James e
bellezza aristocratica. Si trascinava con sé una storia
piuttosto confusa.
Nato
dall'altezzosa famiglia Black in cui purezza di sangue e idee
estremiste erano
all'ordine del giorno, fu smistato a Grifondoro a differenza di suo
fratello
minore Regulus e della maggior parte della sua famiglia Serpeverde.
Diverso in
quanto non condivideva la loro stessa filosofia di vita, fu cresciuto
con
freddezza e senza amore, così all'età di sedici
anni scappò di casa per trovare
poi rifugio dai Potter, coloro che lui presentava come la sua vera
famiglia.
Il
terzo componente della fatidica banda era Remus
Lupin. Remus, con un grande segreto da proteggere, era il
Malandrino buono
e mamma del gruppo, almeno stando a sentire James e Sirius. Si
dichiarava la
loro coscienza, ma definito come il secchione che li teneva a bada. A
volte con
un'espressione da lupacchiotto e spesso segnato da cicatrici, viso
stanco e
periodi di malattia. Capelli ambrati, occhi azzurri, sempre protetto
dal resto
del gruppo e con scarsa autostima.
L'ultimo
dei Malandrini era Peter Minus,
visto
come un ragazzino spesso insicuro e tendenzialmente accondiscendente,
così
grato di essere stato incluso nel gruppo che seguiva sempre
ciò che facevano
gli altri tre. Non molto bravo a scuola, ma dal carattere timido e
buono.
Con
loro c'era anche Frank Paciock,
abbastanza immune alle pazzie dei Malandrini, ma comunque loro grande
amico.
Sapeva destreggiarsi bene tra la sua dolce metà e la scuola.
Brano in Erbologia
e tifoso accanito di Quidditch – tifoso soltanto, dato che le
sue esperienze
con la pluffa erano state piuttosto esilaranti e maldestre - tutti
sapevano che
Frank era follemente innamorato di Alice
Prewett da più o meno ... sempre.
Alice
era una delle migliori amiche di Lily. Assetata di gossip e di Franky,
naturalmente. Era molto intuitiva e allegra. Teneva i capelli corti e
assomigliava esteticamente ad un folletto, ma Lily specificava che
caratterialmente il folletto in questione era uno della Cornovaglia.
Del
gruppo di Lily e di Alice facevano parte anche Mary
McDonald e Marlene
McKinnon.
Mary
era una delle ragazze più belle e ambite della scuola. Alta,
magra e con un
fisico slanciato dato dagli allenamenti di Quidditch. Capelli biondo
cenere e
occhi ipnotici quanto espressivi.
Marlene,
invece, sempre dolce e allegra. Pronta ad aiutare gli altri e anche lei
con un
sorriso per chiunque. Lunghi capelli castani e occhi vispi e gentili.
Seconda
tra i fratelli McKinnon, di mezzo tra suo fratello William e sua
sorella Elise.
Tutti
loro furono eroi, morti in guerra o sopravvissuti amaramente.
We can be Heroes, for ever and ever
What
d’you say?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
CAPITOLO
1
Il tremolio delle mie mani era un chiaro ed evidente segnale di quanto
la mia mente fosse in subbuglio. Era del tutto normale che lo fosse,
tuttavia il pensiero non riuscì comunque a tranquillizzarmi.
L’unica cosa che riuscivo a sentire erano le pulsazioni
accelerate del mio cuore. Non c’era spazio per altro, in
questo momento ogni singolo muscolo dentro di me si tendeva e si
protraeva irrequieto.
Dovevo calmarmi, non li avrei mai affrontati se avessi continuato
così, perfino le parole, quelle che dentro di me mi ripetevo
da giorni e giorni nella speranza di conferire loro un tono
più sicuro e convincente di quanto fosse nella
realtà, mi sembravano ora un insieme di lettere confuso e
nervoso.
Questa non era una decisione facile, anzi, era la più
difficile che avessi mai preso, ardua e allo stesso tempo necessaria.
Era di vitale importanza per me articolare quelle frasi tanto segregate
per dare loro modo di comprendere perché dovevo fare quello
che mi ero riproposta di fare.
Avevo paura. Io, Lily Evans, avevo talmente tanta paura da sentirmi
stordita. E c’era perfino chi diceva che gli impavidi e
coraggiosi Grifondoro non conoscessero la parola paura, in questo
momento a me pareva decisamente il contrario. Non potevo rimandare,
sapevo che in un modo o nell’altro avrei dovuto affrontare
questa maledetta situazione.
Presi un lungo respiro e mi concedetti ancora qualche secondo,
dopodiché spalancai la porta della mia camera e scesi
velocemente le scale che portavano al piano terra
dell’abitazione.
Sapevo che i miei genitori si trovavano in cucina, li sentivo
chiacchierare allegramente. Loro avevano la loro vita, io avevo la mia.
Ero divisa fra due mondi: quello babbano e quello magico, ma sapevo di
appartenere molto di più al secondo. Durante gli anni mi ero
sempre più legata alla magia fino a ritenere assurda la vita
senza di essa. Non potevo vivere in un mondo che ignorava la sua
esistenza, io ero nata per essere una strega.
Entrai in cucina con passo lento, per nulla convinta di quanto stessi
facendo.
«Vi devo parlare» annunciai, ma la mia voce
risuonò malinconica.
Rose e Cristopher Evans si girarono verso di me confusi.
«Qualcosa non va, tesoro?» mi domandò
mia madre.
Desiderai con tutta me stessa non dover pronunciare queste parole, ma
mi obbligai a parlare. «Si, mamma. Credo che sia meglio che
vi sediate.»
Loro mi ascoltarono e si sedettero guardandomi apprensivi e sbigottiti.
In effetti tutto questo doveva apparire strano e senza senso, ma
ciò che stavo per spiegare loro avrebbe cambiato ogni cosa,
nella mia vita come nella loro.
«Sentite, quello che devo dirvi è assolutamente
importante. Non so neanche da dove incominciare» iniziai con
agitazione. «È una faccenda seria di cui non ho
mai voluto parlare, forse perché ho sempre avuto paura di
questo momento, ma ora mi rendo conto che meritate delle spiegazioni.
»
Il loro silenzio mi spronò a pronunciare la frase che tanto
avevo cercato di nascondere. «Il fatto è che siamo
in guerra, l’intera comunità magica è
in guerra.»
I loro visi, i visi famigliari dei miei genitori inorridirono senza
parole. Riuscivo quasi a sentirne i pensieri, pensieri che cercavano
inutilmente di realizzare la situazione.
«So che siete spaventati, ma c'è molto di
più. Non posso continuare a fingere che tutto vada bene,
perché non è così. Oltre che a essere
in guerra, la gente viene continuamente uccisa. Io rappresento un
pericolo per voi, capite?»
Presi un profondo respiro per riordinare il caos che imperversava nella
mia mente. «Nel mio mondo vengo discriminata, chiamano quelli
come me Sanguesporco. Un mago molto potente e oscuro vuole eliminare e
distruggere quelle persone che per lui sono impurità e i
Mangiamorte, i suoi seguaci, ritengono che coloro che sono nati da una
famiglia senza poteri magici siano da eliminare, così come
voi Babbani. Ci ritengono una razza infima, dicono che siamo indegni
perché abbiamo rubato la magia.»
«Ma tu non hai rubato nulla!» esclamò
papà all’improvviso. Avrei tanto voluto
risparmiare loro tutto questo, ma non potevo andarmene senza una
spiegazione.
«Certo che non ho rubato nulla, ma sono degli estremisti,
uccidono senza il minimo rimorso. Quello che sto cercando di farvi
capire è che non posso più stare con voi. Devo
proteggervi, se nessuno vi collegherà a me sarete salvi. E
la verità è anche che il vostro mondo mi
è stretto, capite? Io non riesco a vivere secondo le vostre
regole.»
«Le nostre regole? L'unica regola che ti chiediamo di
rispettare è di non usare la magia finché sei con
noi per non turbare Petunia e per non destare sospetti. Non
è particolarmente difficile Lily, hai vissuto undici anni
felici ignorando la magia» rispose mio padre.
«E non ci devi proteggere tesoro, siamo noi i genitori che
dobbiamo badare a te, non il contrario » sussurrò
mamma con voce tremante.
Era pallida e aveva il viso rigato dalle lacrime. Mi si strinse il
cuore quando vidi che stava piangendo. Oltre che essere una pessima
figlia, ero anche la fonte primaria dei loro problemi. Odiavo non poter
dare loro ciò che avevano tanto desiderato, non poter essere
semplicemente la figlia che avevano cresciuto con amore.
«No, mamma. Voi non capite, io sarò segnata sulla
loro lista nera in ogni caso, ma voi non dovrete necessariamente farne
parte. Anzi, voi non dovete e basta. Devo proteggervi e questo
è l’unico modo» dissi con forza
appoggiando i pugni chiusi al bordo del tavolo.
«Lily, sei sempre stata una bambina testarda, la mia bambina.
Ma non devi per forza andartene, puoi sempre trovare un
equilibrio» propose papà guardandomi quasi
speranzoso.
«Un equilibrio?»
«Sì, potresti finire questo anno ad Hogwarts e poi
magari frequentare l’università e trovarti un
lavoro, vivere una vita normale e senza magia.»
Rimasi talmente scioccata che non trovai nulla da dire, fissandoli
senza parole.
Come potevano chiedermi di rinunciare per sempre ad una parte di me
ormai indissolubile? Come potevano anche solo pensare che mi sarei
tirata indietro, che avrei detto addio al mio mondo? No, era evidente
che non conoscevano questa parte di me. Ci eravamo allontanati troppo e
ora non sapevano più chi io fossi diventata.
«Davvero pensate che lo farei? Siete completamente fuori
strada, non rinuncerò mai al mondo magico! Non sono una
codarda! Sono una strega e continuerò ad esserlo, anche se
questo vorrà dire rinunciare a voi!» urlai
arrabbiata e ferita. «Voi non mi conoscete, non sapete nulla
di me. Non potete chiedermi una cosa del genere, dovrete accettare che
ho fatto la mia scelta. E ho deciso di allontanarmi da voi solo
perché vi voglio bene e voglio che voi abbiate la vostra
vita felice. Non posso vivere in un mondo dove non mi sento me
stessa.»
«E quando sei te stessa?» domandò mio
padre con lo stesso ardore.
«Mi sento me stessa con una bacchetta alla mano, con le
persone che mi accettano per come sono e con la magia intorno a me. Nel
mio futuro non vedo un lavoro da segretaria o chissà
cos’altro. Mi dispiace, ma è la verità.
Ho scelto di proteggervi, ma ho anche scelto quella parte di me che
preferisco.»
Controllai le loro espressioni preoccupata, non volevo ferirli, ma non
volevo nemmeno dovermi separare da loro lasciando in sospeso la
questione. Non mi avevano mai accettata, non avevano mai afferrato fino
in fondo cosa significasse veramente per me la magia. Per loro era
qualcosa che andava ben oltre la consueta capacità di
comprensione, capivano che la magia esisteva ma cercavano di ignorarla
il più possibile. Ne erano spaventati, talmente tanto che
avevano preferito perdere una parte di loro figlia pur di vivere una
vita che fosse il più abitudinaria possibile, una vita
lontana da qualcosa che non riuscivano a spiegarsi.
«Ci dispiace tesoro. Noi non volevamo …»
mamma non finì la frase perché si
appoggiò distrutta alla spalla di papà,
piangendo.
Anche io sentii le lacrime agli occhi, vederli così
disperati mi faceva un male terribile. Vedere la donna che mi aveva
donato la vita e che mi aveva insegnato a viverla in quello stato fece
scivolare la prima lacrima sulla mia guancia.
La consapevolezza che probabilmente non avrei più rivisto i
miei genitori fu destabilizzante. Era l'ultima volta.
L’ultima volta che avrei potuto vedere gli occhi di mio padre
o il viso di mia madre.
«Tra circa venti minuti me ne andrò per sempre da
quella porta, per cui ho bisogno di spiegarvi alcune cose molto
importanti» chiarii con ritrovata determinazione, aspettando
nuovamente la loro attenzione. «Me la caverò, non
dovete preoccupatevi.»
Mamma sospirò, mordendosi con forza il labbro inferiore,
cercando invano di trattenere le lacrime.
«Ho preparato tutto in questi giorni e ho racimolato un
po’ di soldi, non sono tanti, ma basteranno in caso di
necessità. Questa mattina ho praticamente inscatolato la mia
stanza, spero non vi dispiaccia. La cosa più importante
è che se doveste vedere una specie di grosso teschio nero in
cielo o uomini incappucciati di nero, scappate il più
lontano possibile. Il teschio è il simbolo dei Mangiamorte e
gli uomini potrebbero essere loro.»
Mamma e papà inorridirono, lessi la paura nei loro occhi, ma
mi decisi a continuare.
«Per qualsiasi cosa potrete contattarmi, se doveste aver
bisogno o se ci sarà un’emergenza, ma soltanto per
quello. Dovete accettare questa cosa, altrimenti renderete tutto
soltanto più difficile e pericolo per me e per voi stessi.
Vi lascerò sempre il mio gufo, ora è in giardino.
Dovrete solo scrivere una lettera e consegnargliela dicendogli di darla
a me come tutte le volte, lui saprà dove trovarmi. Io
prenderò con me Martin. State attenti e se dovesse succedere
qualcosa contattatemi subito» specificai.
Mamma continuava a piangere e papà la stringeva comprensivo.
Sapevo di avergli dato il colpo di grazia, erano distrutti e si vedeva.
Ma avevo bisogno che capissero che il legame si sarebbe spezzato, che
non avrebbero più dovuto preoccuparsi per me come avevano
sempre fatto. Se volevo che questa decisione funzionasse, dovevo fare
in modo che l’addio, per quanto doloroso potesse essere,
fosse definitivo.
«Non ti vedremo davvero più?»
domandò papà con voce rotta.
Presi un lungo respiro prima di rispondere, mi sentivo un mostro,
proprio come mi descriveva Petunia. «No
papà, mi dispiace, neanche per me è facile, ma
è la soluzione migliore. Vi sto chiedendo di lasciarmi
andare perché devo, perché sono costretta. Se non
lo faccio tutti noi saremo ancora più in pericolo e voi non
lo meritate. Promettetemi che andrete avanti, che accetterete questa
mia decisione senza interferire.»
Papà annuì soltanto, così mi costrinsi
a continuare. «Vado a salutare Petunia e spiego anche a lei
la situazione. Nel frattempo, cercate di calmarvi, vi prego.»
Mi avviai al piano superiore della casa e bussai gentilmente alla porta
della stanza di Petunia.
«Petunia, potresti aprire?» domandai imponendomi la
calma.
Sentii la serratura scattare e mi ritrovai davanti un viso infuriato.
Il viso di mia sorella, il viso della persona che aveva condiviso con
me l’infanzia.
«Allora? Che cosa vuoi?»
«Sono venuta a salutarti, ma me ne andrò di casa
per sempre. Quindi ci tenevo a dirti addio.»
Lei assottigliò lo sguardo con derisione. «Ho
sperato tanto che te ne andassi e finalmente le mie preghiere sono
state ascoltate, sei solo un mostro e porti solo guai. Guarda cosa hai
fatto a mamma e papà! Li hai feriti per l’ennesima
volta. Sei contenta adesso che hai rovinato tutto?»
Non piangere, mi ripetei. Non piangere, sii forte.
«No, certo che no. Non ho mai voluto questo. So bene cosa
pensi di me, non preoccuparti, ho soltanto bisogno della tua attenzione
per due minuti. Pensi di poterlo fare?»
Petunia restò in silenzio così continuai.
«Se vedi uomini incappucciati o un grosso teschio nero nel
cielo, scappa più lontano che puoi, si tratta di persone
cattive. E se dovesse succedere qualcosa a te o a mamma e
papà il mio gufo saprà cercarmi.»
Petunia alla parola gufo inorridì talmente tanto che divenne
cadaverica. «Quell’uccellaccio? I vicini lo
noteranno prima o poi! Come faremo a spiegare che abbiamo come animale
domestico un gufo e da anni poi!» sbraitò
guardando ansiosa fuori dalle finestre. Di tutte le cose che le stavo
spiegando, lei si preoccupava dei pettegolezzi.
«Non lo so. So che mi consideri un mostro e una persona
orribile, però la cosa non è reciproca. Per
quanto mi riguarda resti sempre mia sorella e sempre lo
sarai.»
Sperai con tutto il cuore che almeno per una volta mettesse da parte
l’odio e il rancore. Sentivo la necessità di farle
capire che potevamo ancora rimediare a tutti questi anni in cui ci
eravamo odiate talmente tanto da non vedere quello che stavamo
perdendo. Avevamo spezzato un legame che invece avrebbe potuto durare
nel tempo, eravamo state troppo orgogliose, entrambe. Lei non aveva
saputo guardare al di là delle differenze che ci separavano
e io non avevo saputo mostrarle quanto fossero belle e quanto potessero
in realtà unirci quelle medesime differenze.
«Per me no, io non ho una sorella. Tu hai portato via la
felicità da questa famiglia, hai deciso di andartene in
quella stupida scuola, beh, questo è il risultato. Ti odio e
non potrò mai perdonarti.»
Accusai i colpi uno ad uno, sentendomi esattamente come mi aveva appena
descritto. Non solo ero una pessima figlia, ero anche una pessima
sorella. A quanto pare non andavo bene per nessuno. I miei genitori
aveva desiderato soltanto una figlia speciale entro i limiti della
normalità e avevo ripagato loro con anni di stranezze e
bugie. Avevano voluto che io fossi ordinaria e non lo ero mai stata, mi
avevano chiesto di lasciar perdere la magia e non ci ero riuscita.
Avevano relegato ogni singola mia peculiarità in un baule
resistente e io, per cercare di compiacerli, lo avevo accettato, ma mai
del tutto. E adesso la mia stessa sorella mi odiava esplicitamente e
anche loro, con ogni probabilità, lo avrebbero fatto, forse
non così apertamente, ma in cuor loro, con il passare degli
anni, il rancore avrebbe preso il sopravvento.
«Non voglio più sentire parlare di te, te ne
andrai per sempre e ne sono felice. Hai altro da dirmi o posso andare
da Vernon? A differenza tua io non sono una perdigiorno.»
Aveva ragione, lei aveva Vernon e un lavoro. Aveva un fidanzato e una
stabile occupazione che le potesse dare un guadagno. Aveva la sua vita,
tre anni di differenza e l’abisso tra noi si era fatto
incolmabile. Io dovevo ancora finire la scuola, mentre lei ormai era
un’adulta. Per tutta l’estate non avevamo fatto
altro che litigare, ma ora era il momento di mettere da parte il
risentimento e salutarla per sempre.
«Addio Tunia» sussurrai, non rendendomi conto di
aver usato il nomignolo di quando eravamo bambine.
Andai veloce in camera e mi chiusi la porta alle spalle, lasciandomi
scivolare stremata.
Un minuto di più e sarei crollata. Mi concentrai sul mio
respiro, cercando di calmare i miei nervi tesi e pensare con
lucidità. Avevo bisogno di essere lucida, c’erano
tante cose a cui dovevo ancora pensare.
Guardai il mio baule pronto per essere portato via e Martin
acciambellato sul letto. Mi osservò e poi capendo che ero
giù di morale mi venne incontro, rannicchiandosi tra le mie
gambe. Lo accarezzai dolcemente e lui fece le fusa.
Era un gatto di razza europea con il manto tigrato di colore grigio e
profondi occhi verdognoli. L’avevo trovato sul ciglio della
strada, a qualche isolato da qui, circa due anni fa e da allora era
sempre stato con me.
Capii di essermi calmata quando il respirò tornò
regolare.
Presi in braccio Martin e guardai l’orologio. Il piano
prevedeva che mi sarei materializzata alla stazione di King’s
Cross, quindi non avevo fretta, il treno partiva alle undici.
Guardai per un’ultima volta la mia stanza. Le pareti lilla
spoglie senza più disegni e fotografie, la libreria di
mogano bianco vuota senza più libri a colorarla, il letto
troppo ordinato e la scrivania senza più quaderni e fogli ad
ingombrarla. L’armadio se ne stava lì immobile,
privo di vestiti da contenere e anche la poltrona mi sembrava un
semplice arredo ora che non mi ci potevo più sedere per
leggere davanti alla finestra che dava sul giardino. Tutto era troppo
monotono, troppo distante. Era come se la mia stessa stanza si stesse
trasformando nel ricordo di una vita passata, quando fino a ieri era la
camera in cui ero cresciuta e avevo abitato per anni.
Avvertii una certa malinconia, malinconia che non potevo permettermi,
così presi la borsa dentro la quale avevo riposto qualche
galeone, la divisa di Hogwarts e le cose necessarie per il viaggio.
Dentro il baule avevo sistemato il resto e ci ero riuscita grazie ad un
particolare incantesimo. Feci per prenderlo, ma mi accorsi che con
tutto quello che conteneva era troppo pesante. Poi mi ricordai
dell’incantesimo, così presi la bacchetta.
«Baule Locomotor.»
Subito il pesante baule ondeggiò uscendo dalla camera e
scendendo magicamente le scale. Io lo seguii e trovai i miei genitori
all’ingresso, l’espressione allucinata mentre il
baule si posava delicatamente a terra.
«M-magia» balbettò mamma.
Sospirai, posando Martin per terra. «Sì, il baule
era troppo pesante. Non l’ho mai fatto perché non
me lo avete mai permesso. Allora, mi materializzerò
direttamente in stazione a Londra come vi ho già
spiegato.»
Loro deglutirono nervosi e papà si sporse verso di me.
«Avevamo intuito che te ne saresti andata prima o poi,
abbiamo visto durante l’estate che eri un animale in gabbia.
Pensavamo, però, che magari parlandotene avresti cambiato
idea, ma sei sicura della tua scelta. Inoltre non sapevamo nulla della
guerra e della situazione nel mondo magico.»
L’ingenua speranza che io potessi vivere senza la magia mi
suggerì che ormai eravamo troppo distanti.
«Resterai sempre la nostra bambina, purtroppo dobbiamo fare i
conti con il fatto che sei cresciuta. Sei cresciuta in un mondo
lontano, di cui non abbiamo mai fatto parte. Ti vedevamo partire a
Settembre e tornare in estate o a Natale ed eri sempre più
distante, eccitata dalla magia e orgogliosa di farne parte. Tornavi e
crescevi sempre di più e io mi sentivo gelosa e arrabbiata
verso quel mondo che ti aveva portato via da noi. Ormai sei una donna,
ma sei comunque la mia bambina» iniziò a
singhiozzare mamma.
Io cercai di parlare, ma lei mi bloccò. «Quello
che voglio dire è che mi sono persa anni della tua vita,
perché mentre tu eri in quella scuola, noi eravamo qui. Sei
sempre stata una ragazza speciale, soltanto che noi non siamo stati
abbastanza bravi da capirlo. Non biasimarmi se vorrei tenerti qui,
capisco che è la tua ora di sganciare le redini.»
Chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie con evidente spossatezza.
«Ma il fatto che Petunia passa ormai tutto il suo tempo tra
Vernon e il lavoro e tu te ne stai andando, mi rende terribilmente
infelice. Tutte e due siete troppo giovani e tutte e due avete
già scelto la vostra strada. Lei credo sia felice e spero
che anche tu lo sarai. Anche se non approvo, lo capisco. Vorrei che le
cose potessero andare diversamente, vorrei soltanto che tu potessi
restare qui con noi, vivere come noi.»
Mi ritrovai a piangere perché questo era un addio,
perché nonostante tutto amavo le persone di fronte a me.
Anche papà mi guardò. «Sarai sempre la
mia Lily, la bambina che mi faceva sempre controllare che non ci
fossero mostri sotto il suo letto, quella che si arrampicava
sull’albero in giardino e dovevo prometterle ogni volta la
merenda per farla scendere. E io sarò sempre il tuo
papà. Ricordati che questa casa sarà sempre
aperta a te, ogni volta che lo vorrai, anche se ho capito che ormai hai
deciso. Questo mi rammarica, ma ho fiducia in te e nelle tue decisioni,
per cui cercherò di adattarmi ad esse.»
Corsi ad abbracciarlo, stritolandolo in lacrime. Lui mi avvolse
dolcemente, come era solito fare quando avevo qualche incubo. Ci
staccammo e mi precipitai ad abbracciare anche mamma. Lei mi strinse a
sé con quel calore che solo una madre poteva darti.
«Mi mancherete ogni secondo, vi voglio bene e sto facendo
tutto questo per proteggervi. Ricordate, se dovesse accadere qualcosa o
se doveste avere bisogno mandatemi una lettera. Dite ancora addio a
Petunia da parte mia. E mamma, non era stata Petunia a magiare il
cioccolato quattro anni fa e nemmeno a rompere quella statuetta che ti
aveva regalato la nonna, sono stata io» dissi e lei rise tra
le lacrime.
«Quella statuetta nemmeno mi piaceva, la tenevo soltanto
perché era un ricordo per tuo padre. E ti vogliamo bene
anche noi»
Li guardai entrambi dolcemente. Mamma con quei suoi capelli biondi, lo
stesso colore di Petunia, gli occhi azzurri e il viso dolce. Quei
quarantacinque anni portati così bene, pieni di vita. Con la
sua espressione gentile e amorevole, pronta a capirti in ogni momento.
Anche adesso, nel pieno di un addio, lei rimaneva sempre se stessa.
E papà, i capelli color carota che si stavano lentamente
sbiadendo data l’età, la barba leggermente
incolta, le lentiggini sparse qua e là e i miei stessi
occhi. I suoi erano così bonari e limpidi. Qualche ruga data
dal lavoro e dalla preoccupazione per le sue due figlie.
Gli amavo tanto da lasciarli. Gli amavo tanto da permettere loro di
vivere la vita come l’avevano sempre desiderata, lontano dai
problemi che io avevo portato in questa famiglia.
Presi in braccio Martin e strinsi il manico del baule e la bacchetta.
Lanciai un’ultima occhiata all’orologio sulla
parete in soggiorno, segnava le undici meno un quarto.
Li guardai ancora, mi osservavano piangendo, papà che
stringeva un braccio intorno a mamma e lei che poggiava la testa sulla
sua spalla.
Volli ricordarmeli così: pieni di amore, anche per la figlia
che non era stata in grado di renderli felici.
«Vi voglio bene.»
«Te ne vogliamo anche noi.»
Capii che erano pronti e mi accorsi stupita di esserlo anche io,
così mi concentrai. Pensai intensamente, pensai alla
stazione di King’s Cross, ad ogni particolare che mi venisse
in mente. Dopo quello che mi sembrò qualche secondo avvertii
la tipica sensazione di smarrimento e soffocamento.
Urlai un ultimo addio e poi iniziai a sentirmi schiacciata in un
vortice nero.
Quando riaprii gli occhi ero esattamente dove volevo essere.
Mi guardai intorno alla ricerca di qualcuno che avrebbe potuto vedere
la mia comparsa dal nulla, ma grazie al cielo non c’era
nessuno.
Lascai Martin sopra il baule e poi rovistai nella borsa. Presi uno
specchietto e guardai il mio riflesso: occhi gonfi e viso pallido. Con
un veloce incantesimo che mi aveva insegnato Alice, il mio viso
tornò quasi perfetto e solo se mi si osservava bene si
poteva notare che avevo pianto. Rimisi tutto in borsa e guardai il mio
baule, era assurdo pensare di poterlo trascinare fino al binario. Vidi
allora una fila di carrelli da trasporto poco più avanti e
ne presi uno. Posai con qualche sforzo il baule e Martin sul carrello,
chiusi la borsa e mi incamminai un po’ scossa verso la
stazione.
I babbani camminavano ignari accanto a me, qualcuno correndo con la
paura di perdere il treno e altri chiacchierando allegramente con il
collega o l’amico. C’era un gran fermento,
funzionari che correvano da tutte le parti e famiglie con bambini che
intralciavano spesso la strada; mi piaceva osservare la gente, mi
piaceva provare ad immaginare cosa si nascondesse dietro quei visi
così umanamente diversi gli uni dagli altri.
Percorsi velocemente il ponte di collegamento e arrivai spedita al
binario nove e tre quarti.
Senza indugiare attraversai la barriera che divideva la stazione
babbana dall’espresso per Hogwarts.
Oggi era il primo settembre 1977, da oggi iniziava la mia nuova vita.
Da oggi sarei stata sola. Da oggi le mie scelte mi sarebbero
appartenute.
*****
Sentii un tonfo provenire dal bagno seguito da
un’esclamazione piuttosto spazientita.
«Padfoot?» domandai allarmato.
«Tutto a posto!» mi rispose Sirius al di
là della porta.
Scossi la testa esasperato, rendendomi conto solo in quel momento che
Sirius era in bagno da più di un quarto d’ora.
«Pad, cosa stai facendo esattamente?»
Ci fu un momento di silenzio, poi Sirius borbottò:
«Dannate mutande, non so quale scegliere!»
«Stai ancora scegliendo le mutande! Muoviti, razza
d’idiota!» sbraitai nel pieno di una crisi isterica
da perfetta ragazzina. Di solito queste cose le faceva Moony e io ero
quello chiuso in bagno a farsi bello, ma oggi non potevo permettermi
questo lusso.
«Quelle rosse con l’osso o quelle nere?»
chiese lui in tono assolutamente tranquillo.
Non risposi ed iniziai a tirare leggeri calci alla porta.
«Vestiti.»
Un calcio.
«E.»
Un calcio.
«Muoviti.»
Un altro calcio.
Mia madre poi sarebbe salita e sì che sarebbero stati guai.
Nessun poteva fermare Dorea Potter, nessuno. Lei era esattamente quel
tipo di donna che ti costringeva, obbligava e persuadeva a fare ogni
cosa soltanto con lo sguardo.
Sbuffai disperato. Dovevamo ancora preparare i bauli e mancava poco
alle undici. Era un dramma! Un fottutissimo dramma.
Piegai la divisa per Hogwarts e la infilai nello zaino insieme ad un
sacchetto di galeoni. Presi a gettare vestiti alla rinfusa, prendendo
tutto quello che mi veniva in mente e cacciandolo disordinatamente nel
baule. Non che normalmente fossi un promotore dell’ordine, ma
questa mattina era proprio l’ultima delle mie
priorità.
Dovevo ricordarmi la mappa del Malandrino, il mantello
dell’invisibilità e la lista con gli scherzi che
avevamo stilato diligentemente durante l’estate. E poi
c’era anche il materiale per Hogwarts, l’occorrente
per gli scherzi e naturalmente la spilla da capitano e da Caposcuola e
la mia bellissima scopa.
Già, quest’anno sarei stato Caposcuola, oltre che
capitano della squadra di Quidditch. Sirius non aveva perso
l’occasione di prendermi in giro senza lasciarmi il tempo di
realizzare la cosa, cioè il gran casino in cui Silente mi
aveva cacciato, mentre Moony si era dichiarato orgoglioso di me, il che
per Padfoot era stato doppiamente divertente. La cosa positiva era che
l’altra nomina di Caposcuola era stata assegnata a Lily, per
cui avremmo passato molto tempo insieme.
Riposi tutto nel baule, sedendomi sopra per chiuderlo. Nel momento
esatto in cui stavo facendo una strana contorsione per restare seduto e
al tempo stesso chiudere quel dannato baule, Sirius entrò
nella stanza e iniziò a ridere, tenendosi una mano sulla
pancia e appoggiandosi allo stipite della porta.
«La tua virilità è andata a farsi
fottere Prongs!»
Lo guardai imbufalito, si permetteva pure di fare lo spiritoso.
«E anche il tuo cervello, Sirius. Ti conviene fare il tuo
baule dato che mamma ci chiamerà tra meno di due
minuti» ribattei incrociando le braccia al petto e
guardandolo con superiorità.
«Niente di più facile» rispose alzando
le spalle. Con disinvoltura prese la bacchetta ed esclamò
«Bagaglius!»
Osservai stupefatto ogni cosa di Sirius levarsi a mezz’aria,
la sua scopa inclusa, e finire perfettamente ordinata nel baule,
compresa la divisa che svolazzò piegandosi nella borsa a
tracolla.
«Io ti odio!» strepitai più arrabbiato
di prima.
Lui ghignò e chiuse fischiettando il suo baule, rimettendo
la bacchetta nella tasca posteriore dei pantaloni neri.
Poco dopo mi resi conto che non c’era molto da stupirsi, a
Sirius tutto veniva semplice. Lui era quel tipo di persona che riusciva
a cavarsela in ogni situazione, probabilmente sarebbe sopravvissuto
pure ad Azkaban. Moony ripeteva sempre che se continuava
così ci sarebbe finito.
«Scendiamo?» chiesi dopo essermi dato
un’ultima occhiata allo specchio.
Sirius si mise la borsa a tracolla in spalla e prese il manico del suo
baule in una mano e con l’altra prese la gabbia del gufo, io
feci lo stesso e lo afferrai per una manica per fare la
materializzazione congiunta. Sir, infatti, doveva ancora sostenere
l’esame in quanto aveva compiuto diciassette anni solo questo
agosto. Atterrammo proprio davanti alla porta di casa, scatenando come
al solito l’ira di mamma.
«Non è possibile che per ogni minimo movimento voi
due vi dobbiate smaterializzare a vostro piacimento! Siete degli
irresponsabili! E se eravate distratti e non funzionava? Ci lasciavate
il cervello, magari» gridò con tutte le corde
vocali che aveva in gola.
Sentii Padfoot accanto a me deglutire terrorizzato. Eh già,
quella era mia madre. La spaventosa, ma meravigliosa Dorea Potter.
Un viso dolce e materno incorniciato da morbidi capelli castani e un
indole autoritaria degna di un qualche sergente babbano.
Tutti quegli anni a fare l’auror l’avevano resa di
carattere forte. Ora ogni tanto aiutava al San Mungo, anche se si
vociferava fosse controllato dai Mangiamorte, e faceva di tutto per
combattere la guerra. Lei e papà erano spesso fuori casa, ma
cosa facessero io e Sirius non eravamo mai riusciti a capirlo.
Arrivò di corsa anche papà, guardando mamma con
la nostra stessa, medesima espressione.
«Tesoro, pensavo fosse un attacco di Mangiamorte. Le tue
grida sono arrivate fino allo studio.»
«Charlus Potter, i tuoi figli si sono smaterializzati ancora,
quando li avevo espressamente pregati di non farlo» lo
accusò lei come se fosse colpa sua.
«Beh, non è il caso di far scoppiare la terza
guerra mondiale babbana, cara. Avete tutto pronto?»
Papà, invece, faceva l’auror a tempo pieno e
questo gli causava ormai capelli ingrigiti dalle pressioni e
dall’età.
«Sì, siamo pronti. Anche perché
è il caso di andare, mancano dieci minuti alle
undici» risposi.
Mamma ci guardò di nuovo e dopo un sospiro di esasperazione,
mi concentrai per smaterializzare me e Sirius al binario nove e tre
quarti.
In un attimo sentii la famigliare sensazione di volare e quando aprii
gli occhi, il vociare e la confusione mi invasero potenti.
Mamma e papà riapparvero a qualche metro di distanza da noi
e ci raggiunsero per salutarci.
«Bene. Guai a voi se riceverò lettere dalla
McGranitt, non combinate casini e non andate in cerca di guai. Studiate
e impegnatevi perché questo è l’ultimo
anno, lasciate in pace quelle povere ragazze e James, ricordati che sei
un Caposcuola e pettinati quei capelli, per l’amor del
cielo» finì mamma.
Papà, invece, iniziò a fare il suo solito
discorso drammatico. «Fate i bravi e vedete di trovarvi
finalmente una ragazza, che vorrei al più presto avere dei
nipotini, e salutatemi anche il resto della banda.»
Abbracciammo entrambi papà e poi mamma stritolò
me e Sirius in un unico, grande abbraccio.
«I miei ragazzi al loro ultimo anno ad Hogwarts, vi voglio
bene e state attenti per favore» mugugnò cedendo
alle lacrime.
Io e Padfoot ricambiammo la stretta imbarazzati e poi ci staccammo
prendendo le nostre cose.
«Ci si vede a Natale!» esclamai ilare.
Ci incamminammo per salire sul treno, sentendo la voce di mamma, ormai
distante, gridarci «Vedete di scrivere almeno qualche
lettera, razza di scapestrati!»
Sirius rise e io ghignai.
«Prongs, pensi che Remus e Peter siano già
saliti?»
«Non lo so, avevamo detto che ci saremmo ritrovati sul treno.
Saliamo sul treno e … cavolo, gli specchi
gemelli!»
«Li ho presi io, sapevo che te li saresti dimenticati. Tu hai
preso la mappa e il mantello?»
«Sì sì, figurati se me li dimentico.
Stavo dicendo, saliamo sul treno e troviamo uno scompartimento libero.
Al massimo guardiamo se sono già saliti» risposi
sollevato.
Io e Sirius ci incamminammo trascinandoci dietro i bauli e salimmo con
qualche fatica sul treno.
Vedevo genitori in lacrime ovunque, anche se sembrava che il clima
generale fosse molto più cupo. C’erano molte meno
famiglie rispetto agli anni passati e i sorrisi mi sembravano
più spenti, alcuni si dileguarono in fretta, quasi avessero
paura di un attacco dei Mangiamorte a sorpresa.
«Non ti sembra che la guerra si faccia sentire anche
qui?» domandai accigliato.
«L’ho notato anche io, tutto sembra molto
più spento.»
Ci guardammo senza bisogno di parole, entrambi eravamo consapevoli del
rischio in cui tutti noi ci trovavamo.
Subito pensai a Lily, mi chiesi se stesse bene e se fosse
già salita sul treno. Nel frattempo Sirius trovò
uno scompartimento libero e caricò il suo baule e la gabbia
con il gufo sul portabagagli, sedendosi poi stravaccato sui sedili. Io
esitai alla porta, guardandomi in giro in attesa di vedere un viso
scarlatto tra i mille sconosciuti. Il treno fischiò e mi
sentii ancora più irrequieto, avevo bisogno di assicurarmi
che stesse bene.
Per tutta l’estate avevo rischiato di dare di matto,
l’infinità di lettere disperate che avevo scritto
ad Alice o a qualcuna delle ragazze pregandole di darmi
l’indirizzo di Lily non erano bastate a tranquillizzarmi.
Ogni volta che sentivo di qualche attacco dei Mangiamorte volevo
smaterializzarmi a casa sua e controllare che stesse bene. E ogni volta
Padfoot mi teneva inchiodato ad una sedia per impedirmi di finire
arrostito, o peggio. Entrambi sapevamo che se mi fossi presentato a
casa sua, mi avrebbe ucciso o, secondo Alice, ci avrebbe pensato il
padre.
Qualcuno gridò il mio nome e girandomi riconobbi Moony e
Wormtail che correvano verso di me con tanto di bauli e gufi.
«Non hai tempo di salutarci, idiota! Perché non se
già nella carrozza dei prefetti?»
Cavolo, avevo dimenticato la riunione!
Anche Sirius si affacciò alla porta e mi guardò
sghignazzando.
«Muoviti, Lily è qualche vagone più in
là e ti sta aspettando!» mi riprese di nuovo
Remus, questa volta esasperato.
Grazie a Godric stava bene!
Presi a correre per raggiungerla e mi tastai la tasca dei pantaloni
cercando la bacchetta. Passai qualche vagone dopodiché la
vidi: stava chiacchierando con Alice, ma non aveva esattamente una
bella cera.
«Evans!» esclamai con il fiato corto.
Lei si girò e mi guardo con un’espressione
sofferente. «Ti stavo aspettando Potter, non che la cosa mi
faccia piacere.»
Sorrisi scompigliandomi i capelli e poi salutai Alice con un abbraccio.
Lei mi fece cenno con la testa di andare, così mi incamminai
accanto a Lily.
Mi presi qualche minuto per osservarla, era cambiata molto durante
l’estate. I capelli rossi creavano una deliziosa e ondulata
cornice attorno al viso di porcellana. Notai che era molto pallida,
tanto che le lentiggini quasi risaltavano sulla pelle bianca e i suoi
occhi, di solito accesi di un’abbagliante luce, erano spenti.
In più era dimagrita molto e sembrava ancora più
fragile di quanto non fosse prima. Lily non era propriamente alta, ma
con la corporatura magra ancora più marcata, sembrava
più piccola ed esile di quanto effettivamente non fosse.
Non mi accorsi che nel frattempo eravamo arrivati davanti alla porta
della carrozza dei prefetti e che Lily si era fermata di colpo per
guardarmi.
«Potter» mi puntò il dito accusatore
contro, «vedi di non farmi fare figure. Se Silente ha deciso
di farti Caposcuola, che tra parentesi non so quanto Whisky Incendiario
si fosse bevuto quando ha preso questa malsana decisione, un motivo
forse c’è. Per quanto assurdo possa sembrare, ora
sei un Caposcuola e dato che ce ne sono due in tutto, e
l’altro sono io, vedi di collaborare, perché non
ho intenzione di assumermi anche le tue responsabilità.
Quindi non fare casino e carca di essere all’altezza della
situazione, chiaro?»
La guardai scioccato. Come poteva apparire sempre così
terrificante?
«Potter, mi stai ascoltando?» mi
richiamò lei.
«Sì sì, certo. Niente cavolate in
pubblico, ho capito. Avrei solo una domanda.»
«Ovvero?»
«Non sono mai stato un Prefetto e di conseguenza non sono mai
stato ad una riunione. Noi cosa dobbiamo fare esattamente?»
domandai confuso.
«All’inizio presenteremo i nuovi componenti, poi
esporremo le regole generali, che sono le stesse di sempre, e i
Prefetti si sceglieranno gli orari e i giorni di ronda. Noi dovremo
solamente supervisionare il tutto.»
Va bene, sembrava facile. Non c’era nulla di cui
preoccuparsi, sarei andato bene.
Lily mi guardò ancora una volta e poi entrò nello
scompartimento.
Non ero mai stato nel vagone dei Prefetti, era l’ultimo
vagone del treno e per noi Malandrini, tranne che per Moony
logicamente, quella era una zona ad alto rischio. Sirius era solito
definirli “cervelloni isterici moralisti” e
siccome, sempre secondo il suddetto ragazzo, l’isteria
moralista poteva essere contagiosa, negli anni avevamo sempre evitato
come la peste questa ala del treno.
Quando entrai, tutti smisero di parlare e mi osservarono sbigottiti. I
Serpeverde furono i più audaci, non si degnarono neanche di
nascondere il disgusto.
«Potter, dove hai lasciato il resto dei tuoi amici
bastardi?» mi domandò Regulus.
L’altro Black, il fratello di Sirius. Lily sbuffò
e l’attenzione si concentrò su di lei.
«Una Sanguesporco Caposcuola?» continuò
Regulus.
Persi la pazienza in un attimo e tirai fuori la bacchetta con rabbia.
L’aveva davvero chiamata in quel modo? L’avrei
preso a pugni.
«Prova ancora a ripeterlo e giuro che non
risponderò delle mie azioni, Black!» sputai con
odio.
Lo odiavo. Lo odiavo perché ogni singola volta riduceva
Sirius uno straccio, perché era un cretino, ma di quelli
della peggior specie, quelli che sapevano di poter cambiare, ma erano
troppo codardi per farlo.
«Ora capisco perché quel traditore ti chiama
fratello, siete entrambi due sciocchi.»
Sentii una mano stringermi delicata il braccio destro. La pressione
aumentò e mi accorsi che era Lily. Mi girai e lei
bisbigliò soltanto «Controllati.»
Era un chiaro avvertimento, avrei dovuto far vedere che ero maturato.
Sapevo gestire la situazione, non mi sarei lasciato coinvolgere.
«Appena saremo ad Hogwarts ti toglierò venti punti
per mancato rispetto verso i due Caposcuola. Esatto Black, sono il
secondo Caposcuola e ora sedetevi che abbiamo una riunione da
fare» ordinai e mi sedetti accanto a Lily.
Alcuni mi guardarono ancora più stralunati di prima e
riconobbi Susan e Andrew, compagni Grifondoro, sorridermi entusiasti.
Sapevo che tutti erano stati presi in contropiede, essere nominato
Caposcuola non aveva fatto parte nemmeno dei miei stessi programmi, ma
quest’anno avrei fatto in modo che tutto funzionasse nel
migliore dei modi, non avrei commesso errori. Avevo stretto un patto
con me stesso, lo facevo perché volevo dimostrare che ero
cambiato. E non solo per le altre persone, ma soprattutto per me stesso.
Nessuno mi avrebbe più etichettato come Potter
l’arrogante, il montato o il pallone gonfiato. Questo sarebbe
stato l’anno dei cambiamenti, l’anno in cui avrei
dimostrato che nulla avrebbe potuto fermarmi.
Questo sarebbe stato l’ultimo anno.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
CAPITOLO 2
«Lily?»
«Mmh?»
«Hai intenzione di continuare a fissare il nulla o pensi di
salire sulla carrozza?» mi riprese Alice guardandomi
divertita.
Caddi dalle nuvole e mi sedetti sulla carrozza un po’
disorientata.
Per tutto il viaggio ero stata interamente risucchiata dai miei
pensieri, ritrovarmi di nuovo nel mondo magico mi aveva presa alla
sprovvista, facendomi realizzare quanto fosse indispensabile per me
farne parte. Sentivo l’esigenza di usare la magia, la sentivo
dentro di me.
«È ufficiale. Lily Evans ha perso la
ragione» rise Mary.
«Sono solamente sovrappensiero. La magia mi è
mancata tantissimo.»
«Va tutto bene, Lily. Non ti preoccupare» mi
sorrise rassicurante Lene.
La carrozza partì, come al solito trainata dal nulla, e io
mi sistemai meglio sul sedile.
«Allora, ti ho sentito gridare contro James solo tre volte
oggi. È un record, sai?» scherzò Mary.
«Effettivamente stai migliorando. Però hai
leggermente esagerato quando gli hai gridato contro soltanto
perché aveva fatto uscire tutte le Cioccorane dal pacchetto.
A chi non è mai capitato?» mi riprese bonaria
Alice.
Marlene rise e Mary scosse la testa, alzando una mano per smentire la
teoria di Alice.
Ridemmo tutte e quattro e le persone sedute nella carrozza qualche
metro più avanti a noi si girarono a guardarci curiose.
«Ma le aveva spiaccicate tutte sul finestrino. È
irritante quando fa così» mi difesi mettendo il
broncio.
Le ragazze si scambiarono un’occhiata furtiva e Lene, seduta
accanto a me, mi guardò con la sua tipica espressione
comprensiva. «Tesoro, James è cambiato, spero lo
capirai.»
Incrociai le braccia al petto e non risposi.
Potter aveva reso questi sette anni seccanti, era solamente un
arrogante in cerca di attenzioni. Perdeva tempo con me soltanto
perché ero l’unica ragazza ad averlo rifiutato,
l’ultimo agognato trofeo da aggiungere alla collezione. Non
mi ero mai fatta abbindolare dalle sue parole dolci o dalle
dichiarazioni plateali, tutt’altro, detestavo quel suo modo
di fare così troppo sicuro di sé.
Lui e Black erano degli idioti con il cervello grande quanto
l’unghia del mio mignolo e un ego decisamente e
sproporzionatamente più grande. Vivevamo in guerra e loro
pensavano solamente ai loro stupidi scherzi. Come poteva Potter essere
cambiato?
La carrozza si fermò e noi scendemmo sotto braccetto.
Entrammo dal portone principale e il baccano aumentò
notevolmente.
Potter mi si avvicinò e io lo guardai alzando un
sopracciglio. «Ti serve qualcosa?»
«No, volevo solo dirti che ho tolto quei venti punti a Black
e che mi hanno riferito la parola d’ordine per entrare in
sala comune, è “coraggio”.
L’ho già fatto sapere ai prefetti, hanno detto che
ci pensano loro» mi rispose lui con aria tranquilla.
«Senti Lily …»
«Evans» lo interruppi scocciata. Ma possibile che
il concetto ancora non gli fosse chiaro?
Lui sospirò e prima che potesse riaprire la bocca, dalla
quale sarebbero sicuramente fuoriuscite sciocchezze non degne della mia
attenzione, i Malandrini al completo e Frank ci raggiunsero.
«Se andassimo a sederci prima che qualche nanerottolo ci
fotta il posto?»
«Sir! Modera il linguaggio!» lo riprese Mary.
Ci incamminammo prendendo posto e io mi sedetti accanto a Lene, la
quale, distratta, non mi notò. Ne compresi immediatamente il
motivo, sembrava essere infatti molto interessata a Remus, anzi, lo
stava osservando piuttosto esplicitamente. Non ci avevo mai fatto caso,
ma sarebbero stati molto carini insieme.
«Da quando Remus attira la tua attenzione?» le
bisbigliai all’orecchio.
«Non attira la mia attenzione» mi rispose
arrossendo vistosamente.
Beccata. «Non ti credo neanche un po’»
risi a bassa voce.
Tutti presero posto e il baccano cessò quando la McGranitt
entrò nella sala grande, seguita da una lunga fila di
undicenni spaventati. Vederli così impauriti e nervosi mi
ricordò la prima volta in cui anche io varcai la soglia
della Sala Grande in attesa di trovare una casata a cui appartenere.
Lo smistamento durò a lungo e alla fine avevamo ottenuto
dieci nuovi Grifondoro.
Si erano seduti sollevati, ma ancora provati dall’agitazione,
così mi alzai e andai da loro con l’intenzione di
presentarmi.
«Sono Lily Evans, Caposcuola e molto lieta di avervi fra di
noi» sorrisi, cercando di sembrare almeno un pochettino
rassicurante.
I ragazzini mi risposero esitanti e sentii una risata dietro di me.
«Evans non traumatizzarli già la prima sera.
Comunque, sono James Potter, Caposcuola a vostra completa
disposizione» continuò a sghignazzare.
Sbuffai seccata, mentre i bambini sembravano stregati da Potter,
soprattutto le bambine. Come sempre.
«Ed ecco che avete conosciuto il buffone di corte. Se avete
bisogno non esitate a chiamarmi» dissi loro,
dopodiché mi allontanai per ritornare al mio posto accanto a
Lene.
Hogwarts mi era mancata in un modo quasi preoccupante. Durante le
vacanze estive avevo provato un senso di vuoto incredibile ed ero
arrivata a sperare intensamente nell’inizio della scuola, la
verità era che non mi sentivo più a mio agio nel
mondo babbano e avevo dimostrato a me stessa che la magia era ormai una
parte indissolubile di me.
Il silenzio ricalò quando Silente si alzò per il
consueto discorso di inizio anno che, come d’abitudine,
furono dieci parole senza significato, ma combinate tra loro in modo
tale che tutti scoppiassimo in una fragorosa risata.
Albus Silente era l’uomo più brillante che io
avessi mai conosciuto, il mago più potente in circolazione.
Gli occhi bonari, in grado di osservare tutto con una perspicacia
difficile da eguagliare, la lunga barba argentea e l’insolito
modo di apportarsi ad ogni cosa. Al diavolo chi diceva che Tu-Sai-Chi
era più potente di Silente, tutte fandonie. Silente era
l’autorità in persona, perfino più
imponente del Ministro della Magia, anzi, certamente più
importante.
Sui vassoi apparvero magicamente le pietanze e la cena
iniziò, o meglio, quella che ero solita definire
“lotta di sopravvivenza”, soprattutto quando
condividevi il tavolo, e di conseguenza il cibo, con i Malandrini. Non
conoscevo nessuno più vorace e affamato di loro, a volte
erano davvero insaziabili.
«Allora ragazze, come avete passato
l’estate?» ci domandò Remus e Marlene
quasi si strozzò con il cibo. Poteva negare quante volte
voleva, ma era evidente che Rem non le fosse affatto indifferente.
Alice, notando la gaffe di Lene, prese la parola velocemente.
«Diciamo che non è stata una delle migliori,
papà ha dovuto prendere parte ad un sacco di missioni e
mamma era sempre preoccupata. Sono stata da Franky, principalmente, e
Lily è venuta a stare da me per due settimane.»
Il padre di Alice era un auror e, di conseguenza, un combattente in
prima linea. Avrei sempre ricordato la notte dell’attacco a
Londra, lo scorso anno, quando suo padre venne colpito da un forte
incantesimo e ricoverato al San Mungo, quella stessa notte Alice fu
svegliata dalla Professoressa McGranitt e portata direttamente
nell’ufficio di Silente.
«Io sono stata in crociera con i miei, sapete mia madre aveva
bisogno di svagarsi. Al ministero le stanno facendo pressioni e
papà ha deciso che una bella crociera in Africa tra zanzare
e coccodrilli non ci avrebbe fatto male.»
La madre di Mary aveva conosciuto da molto giovane un babbano di
origini norvegesi, da cui Mary aveva ereditato quegli invidiabili
capelli biondi. Dai racconti era stato amore a prima vista e lei gli
aveva subito confessato di essere una strega, due mesi dopo si erano
sposati e dopo un po’ di tempo era nata Mary. Una storia
davvero romantica. Ora la madre di Mary lavorava all’Ufficio
del Trasporto Magico, mentre il padre era un chirurgo che
però viveva attivamente nel mondo magico.
«Beh, io sono stata a Parigi due settimane per via del lavoro
di papà. È stato molto carino» sorrise
Lene, evitando accuratamente lo sguardo di Remus.
Marlene, invece, era una Purosangue da generazioni, suo padre lavorava
per la Gringott, mentre sua madre per l’Ufficio Applicazione
della Legge sulla Magia al Ministero.
«E tu, Lily?» mi domandò Frank.
Questa fu la mia volta di strozzarmi con il cibo e per mia sfortuna
tutta l’attenzione dei Malandrini si era focalizzata su di me.
«Io, ehm … sono stata a casa per la maggior parte
del tempo. Ho passato qualche giorno in Cornovaglia da amici di
famiglia, nulla di speciale, e due settimane da Alice» mi
strinsi nelle spalle a disagio. Sapevo di essere l’unica a
non aver fatto nulla di straordinario come crociere o viaggi
interessanti. I mei genitori avevano lavorato per tutta
l’estate, Petunia aveva passato la maggior parte del tempo
libero con Vernon, forse per evitarmi il più possibile, e io
mi ero tenuta alla larga dalla situazione difficile con Petunia e con i
miei quanto bastava per evitare inutili liti in famiglia. La solitudine
per un po’ mi aveva annoiato, ma mi era anche servita per
meditare bene su ciò che volevo e desideravo per me stessa.
«Scusate, non voglio intromettermi, ma non ho potuto fare a
meno di ascoltare. Deve essere stato terribile per te Lily, i tuoi sono
babbani, non è così? Con tutti gli attacchi che
si sentono in giro. È terribile.»
Il volto esageratamente angosciato di Amanda Benson si
soffermò sul mio viso con un’espressione
fintamente comprensiva. Non ero mai riuscita ad intrattenere con lei
una conversazione che non fosse più di un paio di frasi di
circostanza, Amanda era quel tipo di ragazza troppo banale per poterla
considerare un’amica.
«Grazie per il pensiero, Amanda» risposi
leggermente acida.
«Dico sul serio, non deve essere stato facile. Pensando che
quelli come te rischiano ogni giorno, sai, non ti invidio affatto.
Già sapete che Brittany Hall, Tassorosso del sesto anno,
è stata ritirata? È stata una decisione della
famiglia, a quanto si dice.»
«Sì, lo sappiamo» la fermò
Mary piuttosto seccata.
Nessuna di noi quattro sopportava la Benson e non ci premuravamo
affatto di nasconderlo.
«Era solo per dire. Comunque, hai tutto il mio appoggio, Lily
cara» se ne uscì con un sorrisetto a dir poco
ridicolo. La falsità di quella ragazza non aveva proprio
limiti. Ritornò alla sua cena e mi sfuggì uno
sguardo esasperato con Alice.
«Alla fine come sei arrivata fino a King’s
Cross?» mi domandò Remus abbassando la voce in
modo che solo noi potessimo sentirlo.
«Mi sono smaterializzata» bisbigliai e lui
annuì come per confermare un'ipotesi a se stesso.
Continuammo a mangiare, chiacchierando di tutte le novità. A
quanto pare non ero l’unica ad aver notato il clima teso alla
stazione questa mattina.
Finimmo la cena e in breve tempo anche i dolci vennero divorati,
scomparendo dai vassoi e dai piatti. Tutti stavamo aspettando con ansia
il discorso di Silente, lo capivo dai volti irrequieti degli insegnanti
e dai visi impazienti degli studenti.
Silente si alzò con prontezza e ci sorrise con la sua tipica
espressione sagace.
«Buonasera a tutti! Spero che il nostro banchetto vi abbia
soddisfatto, come al solito devo farvi alcuni annunci di inizio
anno» esordì perforandoci con il suo sguardo
attento.
«Gli studenti del primo anno si dovranno ricordare che
l’accesso alla foresta proibita è severamente
vietato a tutti gli studenti e farebbero bene a ricordarlo anche alcuni
dei più grandi» nel dirlo sembrò
lanciare una fugace occhiata verso i Malandrini, che a loro volta
sghignazzarono quasi compiaciuti.
«Inoltre, il Signor Gazza mi ha chiesto di ricordarvi che
è vietato iniziare o prendere parte a combattimenti di
qualsiasi genere nei corridoi della scuola. Chiunque sia interessato ad
iscriversi alle squadre di Quidditch contatti i direttori delle
rispettive case, le selezioni si terranno la seconda settimana di
scuola.»
Il sorriso che Silente esibì fu di pura riconoscenza.
«In più, sono lieto di dare il benvenuto al nuovo
insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, il professor George
Ripterson.»
Un uomo alto e spigoloso, sulla settantina e con i capelli e la barba
ingrigiti, si alzò e salutò con un breve cenno
del capo. Doveva essere un ottimo insegnante a giudicare
dall’intensa con Silente, e lo sperai davvero,
perché necessitavamo di una persona in grado di insegnarci
veramente cosa volesse dire combattere le Arti Oscure.
«E ora vorrei la vostra completa attenzione. Purtroppo ognuno
di noi è consapevole che attualmente stiamo vivendo una
situazione particolarmente allarmante, ma quello che dovrete ricordare
è questo: non importa quante tenebre ci saranno ad
avvolgerci, l’importante è che ognuno di noi trovi
la propria luce per combatterle. Non perdetevi d’animo,
ricordatevi che il futuro siete e lo costruirete voi. Non importa
quanto Lord Voldemort … »
Silente si interruppe quando il bisbiglio generale si fece consistente
al suono di quel nome impronunciabile.
«Oh suvvia, non c’è bisogno di aver
paura di un banale nome. Stavo dicendo, non importa quanto Lord
Voldemort distrugga, l’importante è ricostruire.
Ed è su questo che voglio soffermarmi. Rimettete in sesto
voi stessi, trovate la forza di reagire ai recenti avvenimenti,
combattete la paura» dichiarò. «E poi
vorrei chiarire un ultimo punto riguardante alcune voci che sono
circolate negli ultimi tempi. Hogwarts è, e sempre
sarà, un luogo sicuro, non permetterò che nulla
accada ai miei studenti. Bene, i vostri letti vi attendono! Fate sogni
felici, via di corsa!»
Lo stridio di panche invase la Sala Grande e noi ragazze ci alzammo con
lentezza. I prefetti Grifondoro avevano già raggruppato il
gruppetto del primo anno per mostrare loro la via per i dormitori e
molti studenti gli avevano anticipati. Il professor Lumacorno mi
salutò radioso e ricambiai con un sorriso cordiale.
Ci avviammo dirette alla torre e Sir Nicholas ci salutò
galante. «Buonasera!»
«Salve, Sir Nicholas!» rispose Mary salutandolo con
una mano.
Salimmo svelte le scale e alla fine ci ritrovammo davanti al ritratto
della Signora Grassa.
«Oh, salve care! La parola d’ordine?»
«Coraggio» dissi e il quadro si aprì
rivelando l’entrata alla nostra sala comune.
Ci facemmo strada fino alle scale, ingarbugliate nella calca si era
formata, quando un mano mi bloccò gentile il polso.
«I ragazzi vi augurano la buonanotte, in particolare James mi
ha detto di riferirti che ti sognerà tutta la notte, perdona
la sua stupidità, la maggior parte delle volte non connette
il cervello alla bocca» rise Remus, strofinandosi un mano sul
viso. «E poi Alice, Frank dice di volere il bacio della
buonanotte.»
Alice alzò gli occhi al cielo e si catapultò
verso la poltrona su cui si era stravaccato il suo Franky, li vidi
stringersi e poi distolsi lo sguardo. Altro che bacio della buonanotte.
«Dì a Potter che potrei sempre decidere di
ucciderlo nel sonno. Buonanotte Rem» sbuffai addolcendomi
sull’ultima parte, poi guardai Mary e Lene. Marlene sembrava
non avere affatto voglia di salire in camera, lei e Remus si stava
rincorrendo con lo sguardo. Era ovvio che volessero passare ancora
qualche minuto insieme.
«Io, mi fermo un po’ e saluto mia sorella. Recupero
Alice e poi arriviamo» rispose infatti lei esitante.
«Va bene, salutala da parte nostra. Buonanotte
Remus.»
Io e Mary trattenemmo a stento le risate e una volta in camera
scoppiammo a ridere, troppo divertite dall’imbarazzo dei due.
«Avranno bisogno di una mano per smuoversi un
po’» sghignazzò Mary, mentre la mia
mente continuava a ripensare al viso rosso di Lene. Sapevamo
già di chi sarebbe stata la mano, di Alice, ovviamente. Lei
era un asso in questo genere di cose, non avevo idea di come facesse,
ma era Cupido in persona.
«Posso farmi la doccia o preferisci andare tu?»
domandai a Mary.
«No, vai pure.»
Disfeci veloce il baule e presi il pigiama e l’occorrente per
la doccia.
«Ah, Mary. Io mi prendo il solito letto!»
«Certo» mi rispose urlando al di là
della porta del bagno.
L’acqua calda della doccia mi donò un senso di
tranquillità che raramente mi apparteneva. Il vapore che
saliva verso l’alto formava scintillanti goccioline sulle
piastrelle del muro e mi ritrovai a sospirare rilassata.
Ero finalmente ad Hogwarts, ero a casa. Il pensiero dei miei genitori,
che ero riuscita a relegare in un angolino della mia mente fino ad ora,
ritornò a galla con prepotenza. Avrei dovuto convivere per
sempre con questa colpa, con il senso di mancanza e di rimpianto. Solo
il tempo avrebbe potuto aiutarmi a fare i conti con questa difficile
realtà, ora come ora il solo pensiero mi rendeva gli occhi
lucidi e la voglia di piangere e di gridare si faceva troppo forte da
contrastare, per cui, forse poteva non essere la decisione
più giusta, ma avrei cercato di pensarci il meno possibile,
per non rovinarmi i momenti futuri.
Mi asciugai con calma, gustandomi quel silenzio che a breve sarebbe
stato interrotto.
Questa sera avremmo festeggiato a modo nostro, era una tradizione. Un
rito che dal primo anno a questa parte aveva celebrato la prima sera ad
Hogwarts. Niente di eclatante, una semplice serata tra ragazze.
Lasciai a Mary campo libero e mi sedetti sul mio consueto letto,
compagno fedele di innumerevoli nottate. Le altre non erano ancora
rientrate, con ogni probabilità Alice si stava ancora
sbaciucchiando con Frank e Lene magari stava intrattenendo una
piacevole conversazione con Remus.
Misi in ordine tutte le mie cose, ripiegando i vestiti con cura e
lasciando nel baule i libri e il resto dei miei averi. Stavo giusto
riponendo un paio di cose nei cassetti del comodino quando la porta
della stanza si aprì, rivelando Marlene ed Alice, la prima
con gli occhi che brillavano di felicità e la seconda con le
guance in fiamme e un sorriso ebete stampato in viso a caratteri
cubitali. Nel frattempo Mary era uscita dal bagno e Alice ci si
fiondò senza dire una sola parola.
Probabilmente, conoscendola, avrebbe fatto una doccia fredda per
calmare i bollenti spiriti che diventavano particolarmente evidenti
quando era in compagnia di Frank.
«Tua sorella?» domandai a Lene e Mary contenne a
stento un sorrisetto furbo.
«Oh, le ho soltanto dato la buonanotte, ha detto di
salutarvi» mi rispose lei svuotando e ordinando il suo baule.
«E Remus?» chiese Mary non resistendo
più dalla curiosità.
«Cosa?»
«Oh, dai Lene. È ovvio che volevi parlare con lui,
non puoi averci messo più di venti minuti soltanto per
salutare Elise» sghignazzai notando il suo rossore.
«Sì, abbiamo parlato, ma nulla di
importante.»
Ora si ragionava.
«Effettivamente Remus è interessante. Quell'aria
da bravo ragazzo incuriosisce molto, ma secondo me sotto sotto
è un vero ragazzaccio, eccitante vero?»
«Mary!» esclamò Lene coprendosi
imbarazzata il viso con entrambe le mani.
Io scoppiai a ridere e quando Alice uscì dal bagno, Marlene
andò esasperata a farsi una doccia. Il discorso non sarebbe
finito qui, proprio no.
«Che cosa mi sono persa?»
«Crediamo che Lene abbia una cotta per Remus.»
«Che cosa?! Perché io non me ne sono
accorta?»
«Credo tu fossi un po’ troppo presa dal tuo
ragazzo» risposi ridendo. Anche Alice e Mary risero con me,
decretando che in effetti non avevo tutto i torti.
«Noi ci siamo visti per una settimana, dovevamo
rimediare» si difese la diretta interessata.
Scherzammo e parlammo, e quando Marlene ci raggiunse, il clima si fece
molto più divertente. Per l’occasione ci
abbuffammo di cookies al cioccolato e spettegolammo fino a tarda ora,
non prima di avermi fatto raccontare come era stata la mia giornata e
aver appurato che stessi bene dopo aver dovuto dire addio ai miei
genitori. Era quella la vera amicizia, quella che avevo sempre cercato
disperatamente.
Mary mi guardava dispiaciuta. «Sei proprio sicura quindi di
voler tagliare tutti i ponti?»
«Sì, i miei non hanno mai voluto fare parte del
mondo magico, prima o poi sarebbe comunque successo. È stato
difficile, ma so che è la decisione più
giusta.»
«Per loro o per te?» domandò Alice.
«Per entrambi, credo» risposi sospirando.
«Una parte di me è ovvio che non vorrebbe questo,
ma ho paura, sul serio, e non voglio che accada loro nulla di male per
colpa mia. Posso sopportare di averli persi se almeno saprò
che avranno l’occasione di vivere una vita lontano dai nostri
problemi.»
«Come hanno reagito?»
«Ho sganciato una bomba che non si aspettavano, sono rimasti
scioccati. Mi hanno proposto di vivere senza magia, potete immaginare
la mia reazione.»
«Io i tuoi genitori proprio non li riesco a capire»
reagì Mary. «Avrebbero potuto sostenerti e
aiutarti e invece in tutti questi anni non hanno fatto altro che
rinnegare la parte magica di te. Sei pur sempre loro figlia, dovrebbero
accettarti esattamente così come sei, magia
inclusa.»
«Lo so, è anche uno dei motivi per cui ci siamo
detti addio. Il fatto di sapere che per loro io sono un problema mi fa
stare male, ho passato tutta l’estate a pensarci, vedevo le
loro espressioni ansiose e capivo che mal tolleravano il fatto che io
fossi a casa. Ho cercato in tutti i modi di non usare la magia, ma
è stata dura, e sinceramente non credo neanche di essermelo
meritato.»
«Hai sempre cercato di fare a modo loro, Lily, non
è colpa tua. Non avrebbero mai dovuto chiederti una cosa del
genere, tu sei stata incredibilmente altruista a stare alle loro
regole» mi consolò Marlene con un sorriso
comprensivo.
«Mi mancheranno, mi mancano già, ma non ce la
facevo veramente più a recitare la parte della Lily senza
magia assolutamente ordinaria soltanto per compiacerli.»
Alice si sporse dal suo letto dispiaciuta. «Mi dispiace che
tu abbia dovuto lasciarli, tesoro.»
Anche Mary mi si avvicinò. «Non sei mai stata una
persona ordinaria, avrebbero dovuto capirlo tempo fa.»
All’alba delle quattro le altre erano ormai crollate dalla
stanchezza e anche io faticavo a tenere gli occhi aperti.
«Lily, sei sveglia?» bisbigliò Alice dal
letto accanto al mio.
Mi girai verso di lei e annuii intorpidita.
«Volevo solo dirti che ti vogliamo bene, so che hai bisogno
di sentirtelo dire.»
«Alice, non serve» sussurrai nel buio.
«Sì che serve, voglio che tu sappia che puoi
contare su di noi, sempre.»
La sua voce era appena udibile, ma capii perfettamente. Loro erano le
mie migliori amiche, lo sarebbero sempre state.
«Lo so, so che ci sarete per me.»
«Buonanotte, Lils.»
«Buonanotte, Alice.»
Le palpebre mi si chiusero da sole e il sonno mi reclamò
possessivo, invadendo la mente stanca. Desideravo solamente trovare il
mio posto nel mondo, trovare la strada per me stessa, era forse
chiedere troppo?
Mi lasciai trasportare dai pensieri più profondi e dopo
qualche attimo mi addormentai, tranquillizzata dalla certezza di avere
accanto a me persone che mi amavano.
Loro non mi avrebbero mai lasciata sola e io non avrei mai permesso
loro di rimanere sole, ci saremmo aiutate a vicenda.
******
Venni svegliato dal rumore di qualcosa che cadeva in frantumi a terra.
Cercai di aprire gli occhi impastati dal sonno, ma, non appena ci
provai, un forte capogiro mi trafisse la testa. Iniziai a ricordare
sprazzi della serata precedente. La festa, le casse di Whisky
Incendiario, i Calderotti … per Godric!
Aprii di scatto gli occhi, inforcando gli occhiali che erano caduti a
terra. Lo stordimento ebbe la meglio e ci misi qualche secondo a
focalizzare la stanza e dove fossi seduto. Mi trovavo con la testa
appoggiata al letto di Sirius e le gambe distese sul pavimento freddo,
accanto a me erano sparse bottiglie di Ogden, Whisky e carte di
caramelle.
Alzai il capo e trovai Padfoot russare con la bocca aperta e la lingua
di fuori, esattamente come il cane che era. Dormiva di traverso, tutto
arrotolato nelle coperte del letto. Mi alzai, reggendomi al letto per
non cedere alle vertigini. Provai a scrollarlo un paio di volte e in
risposta ricevetti una manata e un grugnito.
«Pad …»
Nulla.
«Sir!»
Niente.
«Sirius, porca miseria!»
Ancora niente.
Mi costringeva a farlo, era un dovere Malandrino.
Cercai la bacchetta, trovandola sul mio letto e mi avvicinai a Padfoot
di soppiatto.
«Aguamenti!»
Subito una cascata d’acqua fuoriuscì dalla mia
bacchetta e lo strillo di Sirius fu probabilmente sentito perfino nei
sotterranei. Iniziai a ridere come uno stupido, la faccia di Pad era
impagabile.
«Tu! Razza d’idiota!» strillò
alzandosi infuriato.
Grondava d’acqua, era una scena davvero divertente. Continuai
a sghignazzare, sentendo gli occhi lacrimare e lo stomaco contorcersi
per lo sforzo.
«Ehi, che cosa sta succedendo?» Remus si
alzò dallo stipite della porta del bagno su cui si era
addormentato e ci raggiunse lentamente, barcollando un po’
disorientato.
«Niente, Padfoot non voleva alzarsi. Tu come ti
senti?»
«Mi gira un sacco la testa, ma credo che Pet sia messo
peggio.»
Ci girammo tutti e tre verso il bagno, dove vidi Wormtail addormentato
malamente contro il gabinetto. Peter era quello che di noi reggeva meno
l’alcool e si era ubriacato subito, passando poi la notte a
vomitare l’anima.
«Lo svegli tu, Moony?» chiese innocentemente Sirius.
«Perché tocca sempre a me?»
«Perché tu sei il più bravo, Remmy
caro» risposi io iniziando a riordinare la stanza.
«Un momento. Dove diavolo è Frank? Ieri sera era
qui.»
«Credo di averlo sentito uscire questa mattina, mi ha
scavalcato per lavarsi e vestirsi» rifletté Moony.
«Si sarà dato appuntamento con Alice. Il sesso
mattiniero è una delle cose più
…»
«Sirius!» lo riprese Remus coprendosi le orecchie
con entrambe le mani.
Io e Padfoot ci mettemmo all’opera e, dopo qualche minuto,
almeno il pavimento era stato ripulito dai residui delle bottiglie
vuote e delle cartacce.
«R-ragazzi, a qualcuno dispiace se vado io p-per primo a
farmi una d-doccia? C-credo di averne p-proprio bisogno»
balbettò Peter con la faccia di uno spaventoso colorito
verdognolo.
«Certo Wormtail, fai pure.»
Si chiuse la porta alle spalle e sentimmo l’acqua scorrere
nella doccia.
«È messo parecchio male. Dovremmo darci una mossa
se vogliamo arrivare in tempo per colazione»
ribadì Moony riordinando le sue cose.
Mi buttai a peso morto sul letto, fischiettando l’inno di
Hogwarts. Oggi iniziava la scuola, mi sembrava quasi strano pensare a
quello che sarebbe successo a breve.
Quando Peter uscì dal bagno, Moony ci si fiondò
di corsa.
La sbornia stava lentamente passando, anche se la testa faceva i
capricci e non voleva ricordarsi molto della serata precedente.
Riaffioravano soltanto tante risate e divertimento.
Anche Moony si preparò, indossando la divisa di Hogwarts con
tanto di cravatta annodata alla perfezione. Solo lui riusciva ad essere
sempre così ordinato a preciso, così poco
malandrino, in effetti.
Mi trascinai in bagno e dopo qualche minuto ero sotto l’acqua
bollente della doccia. Mi lavai e asciugai in fretta, poco interessato
a rendermi presentabile quanto più all’incombente
desiderio di mettere qualcosa sotto i denti, testimoniato dal mio
stomaco brontolante.
Indossai la divisa e mi guardai allo specchio, scompigliandomi i
capelli.
Uscii dal bagno e Padfoot prese il mio posto.
«Secondo voi a cosa ci condanneranno? Prima ora del
lunedì … » bofonchiò
Wormtail con un leggero terrore in viso.
Nessuno di noi gli rispose, anche se sapevamo già quale
triste destino ci sarebbe toccato in sorte. Trasfigurazione, come ogni
singolo lunedì di ogni singolo anno.
In realtà a me Trasfigurazione piaceva molto, solo che la
McGranitt era esattamente quel tipo di insegnante che non vorresti
avere alla prima ora del lunedì.
Sir uscì dal bagno in perfetto ordine, a parte per la
cravatta che giaceva slegata attorno al collo e i bottoni della camicia
un po’ più sbottonati del normale.
«Andiamo?» propose Moony già in fermento
e visibilmente elettrizzato.
Prendemmo i nostri zaini e scendemmo le scale dei dormitori,
incontrando studenti ovunque. Tutti erano visibilmente in fermento per
l’inizio del nuovo accademico.
Gli schiamazzi e le risate ci accompagnarono per tutto il viaggio verso
la sala grande.
Ci sedemmo accanto alle ragazze che appena ci notarono sorrisero
raggianti, non Lily però. Lei ci salutò con
quella che doveva essere una smorfia infastidita.
«Buongiorno donzelle» esordì Padfoot,
imitando un gentiluomo.
«Buongiorno anche a lei» rispose Mary stando al
gioco.
«Com’è stata la vostra notte, Milady?
»
«Oh, molto interessante, Messere. Io e le mie dame sappiamo
come intrattenerci.»
Tutti scoppiammo a ridere in seguito all’affermazione di Mary
e la risata di Lily fu musica per le mie orecchie. Sembrava stesse
molto meglio rispetto a ieri, gli occhi erano vivaci e divertiti e il
viso un po’ meno pallido.
Presi un toast alla marmellata di arance e mi servii una fetta di torta
di mele, il tutto accompagnato da un bicchiere abbondante di succo
d’arancia. I postumi della notte scorsa mi fecero apprezzare
a dismisura questa colazione abbondante.
Mangiai affamato, sentendo il chiacchiericcio attorno a me. Qualche
minuto più tardi, Alice e Frank ci degnarono della loro
presenza, sedendosi accanto a noi mano nella mano. Frank
evitò accuratamente di guardarci ed Alice sorrise alle
ragazze.
«Dove sei sparito questa mattina?» lo
stuzzicò Sirius con un ghigno divertito in volto.
«Ero con Alice» rispose lui scrollando le spalle.
«Questo lo sappiamo, intendo dove e a fare cosa.»
«Abbiamo semplicemte passato del tempo assieme, tutto
qui.»
I due piccioncini si scambiarono uno sguardo complice che, ovviamente,
a nessuno di noi sfuggì. Forse Padfoot non aveva
propriamente sbagliato a credere nel loro incontro
“progettato”.
«Comunque, parliamo di cose importanti. Avete notato che
Silente non è presente?»
Ci girammo tutti e nove verso il tavolo degli insegnanti dove la grande
poltrona riservata a Silente era effettivamente vuota.
«Secondo voi è successo qualcosa di
grave?» mugugnò Wormtail.
«Non credo. Magari ha avuto semplici impegni.»
considerò Remus, mangiucchiando il suo muffin.
«La McGranitt si sta avvicinando. Comportatevi decentemente,
per favore» ci supplicò Alice.
Mi sedetti composto e Sir esibì quello stupido ghigno
strafottente che usava sempre in presenza della McGranitt. Ero ovvio
che cercava di indispettirla e sarebbe stato altrettanto ovvio che lei
avrebbe spedito Sirius in punizione.
«Oh, bene. Siete tutti qui.»
Si avvicinò svelta, con la sua andatura sottile e le labbra
contratte in una lunga linea dritta. Consegnò gli orari
prima alle ragazze e a giudicare dalla loro espressione, non vi vidi
molto entusiasmo.
«Bene Potter, mi aspetto da lei grande impegno, sia come
Caposcuola, sia come Capitano. Non voglio perdere la coppa di
Quidditch, chiaro? Ecco, questo è il suo orario. Esigo un
ottimo impegno in Trasfigurazione anche
quest’anno.» Mi consegnò
l’orario, ma notai che mentre parlava, nonostante fosse
diretta e concisa, sorrideva leggermente.
Si spostò a consegnare l’orario anche a Pet e
Remus e per ultimo toccò a Padfoot.
«Black, vedo che per lei è ancora difficile
rispettare il regolamento d’abbigliamento della scuola. E si
tolga quel sorrisetto compiaciuto.»
Sirius ghignò ancora più apertamente e rispose
sfrontato «È un piacere anche per me,
Professoressa. Non sa quanto mi è mancata.»
Moony sprofondò con il viso tra le mani, Pet fece una sorta
di versetto spaventato, io ridacchiai e la McGranitt … beh,
lei dilatò le narici del naso e assottigliò gli
occhi, squadrando Sir pericolosamente.
«Vuole finire già in punizione, signor
Black?»
«Oh, se proprio insiste …»
A questo punto, Remus lasciò cadere la testa sul tavolo,
preso dallo sconforto, e le ragazze, che avevano seguito
scrupolosamente tutto il teatrino, sbarrarono gli occhi sbigottite.
«Bene, in punizione con me questa sera alle cinque. Sono
contenta di aver inaugurato la prima punizione di
quest’anno» dichiarò asciutta e Padfoot
sorrise a trentadue denti.
Si allontanò e Moony guardò Sirius esasperato.
«Era proprio necessario? Dovevi per forza farla irritare
così?»
«Ma è divertente» protestò
lui, ritornando a mangiare.
Diedi un’occhiata all’orario e subito raggelai.
Prima ora del lunedì avevamo Trasfigurazione e al pomeriggio
doppie Pozioni. Sarei morto, me lo sentivo dal profondo del cuore.
Udii le ragazze parlottare a bassa voce e il mio sguardo raggiunse
veloce il viso di Lily. Stava bisbigliando qualcosa, ma non riuscii a
distinguere le parole, l’unica cosa che notai fu la sua
espressione confusa.
Era davvero bella, anche in quel momento. Così particolare e
delicata. Indossava la divisa che aderiva perfettamente al suo corpo
magro e teneva i lunghi capelli rossi sciolti, liberi di risplendere.
«Prongs, ti sei incantato?» mi bisbigliò
Padfoot dal capo opposto del tavolo. Mi ripresi dalla mia paralisi e
abbassai imbarazzato la testa, finendo il resto della mia colazione.
Conscio di essermi incantato a guardare la bellezza di Lily, arrischiai
una veloce occhiata alla ragazza in questione, ma apparentemente
sembrava non mi avesse neanche notato, tuttavia lo sguardo di Sirius fu
difficile da accettare. Lui non approvava, per Pad mi stavo perdendo
tutto il divertimento per correre dietro all’unica che non mi
considerava.
Le ragazze si alzarono e noi con loro. Percorremmo la strada fino
all’aula di Trasfigurazione insieme, anche se Lily e Mary
rimasero indietro rispetto al gruppo. Camminavano l’una
accanto all’altra, ridendo divertite da qualcosa.
Subito mi sentii curioso di sapere cosa le passasse per la mente,
desiderando capire cosa stesse catturando la sua attenzione. Riuscimmo
a superare la calca di studenti nei corridoi e alla fine arrivammo a
destinazione. Mi sedetti accanto Padfoot negli ultimi banchi in fondo e
quando notammo che, ovviamente, la McGranitt era già seduta
alla propria scrivania. Dopo qualche minuto, la lezione
iniziò e io mi concentrai per metterci tutto il mio impegno.
Quando noi Malandrini arrivammo a pranzo, dopo che ebbi avuto
un’ora libera, tra gli studenti alleggiava un po’
meno entusiasmo rispetto a questa mattina. C’era chi si
lamentava già per la mole di compiti ricevuti e chi gemeva
per punizioni o lezioni troppo impegnative.
Alice e Lily entrarono in Sala Grande e si sedettero un po’
più in là rispetto a noi altri.
Non capii perché non si fossero sedute al solito posto, ma
notai che Alice guardava Lily con apprensione e Lily teneva la testa
bassa, permettendo ai suoi lunghi capelli di farle da scudo.
Avrei tanto voluto sapere cosa le fosse successo e per cosa fosse
angosciata. Mi mossi agitato sulla panca e Moony se ne accorse.
«Tutto bene?»
«Oh, io … sì» risposi per
nulla convinto.
«È per Lily?»
«Mhm.»
Non dissi altro e lui non insistette, si limitò a
smangiucchiare il suo roast beef con sguardo assorto. Padfoot, invece,
era tutto intento a flirtare con Ashley Cartier e non degnava
minimamente il cibo nel suo piatto.
Arrivarono anche Marlene e Mary. Le guardai, ma loro sembravano prese
da altro, continuando a chiacchierare senza mai alzare il tono di voce.
La risata squillante della Cartier alleggiò
nell’aria e notai l’espressione compiaciuta di Sir.
Una nuova conquista. Mi limitai a ridacchiare, notando Frank camminare
verso di noi trafelato.
«Franky! Dove sei stato?» domandò Alice
con uno sguardo minaccioso.
«Ero a parlare con alcuni amici, tesoro.»
«Amici maschi o femmine?»
«Maschi, amore!» si difese lui, terrorizzato dalle
conclusioni di Alice. Beh, o forse semplicemente terrorizzato da Alice,
quando ci si metteva sapeva intimidire.
Le ragazze ridacchiarono e Alice assottigliò lo sguardo.
«Sarà meglio per te.»
Frank le sedette accanto e Mary mi si avvicinò.
«Allora Capitano, come va?»
«Bene, suppongo» risposi scompigliandomi con una
mano i capelli.
«Senti, volevo chiederti una cosa …»
«Dimmi pure, Mary cara.»
«Sai se per caso Remus esce con qualche ragazza?»
domandò lei abbassando la voce per non farsi sentire dal
suddetto ragazzo in questione.
«Interessata?» domandai d’un tratto
più attento.
«Ma no! È per un’amica. Senza offesa, ma
Remus non è proprio il mio tipo.»
«D’accordo, comunque, no. Non credo, Remus
è una persona riservata.»
«Perfetto! Anzi, perfettissimo!»
saltellò sulla panca presa da un’eccitazione
improvvisa. Mi scoccò un sonoro bacio sulla guancia e
ritornò trillante dalle ragazze.
«Silente non si è ancora visto»
bisbigliò Sirius una volta salutato la Cartier.
«Sembra che oggi non ci sia» rifletté
Moony. «Avrà sicuramente tanto altro da
fare.»
Già, a quanto pare Silente non era ad Hogwarts. Strano,
visto lo stato di allarme in cui ci trovavamo, magari era proprio per
quello.
«Siete pronti per le terrificanti doppie ore di
pozioni?»
Lo sguardo raggelato di Peter contagiò anche la mia faccia.
«No, non sono per niente pronto. Come
farò!» mi disperai.
Odiavo Pozioni e odiavo il professor Lumacorno. Non faceva altro che
criticare ogni cosa io facessi, sempre a elogiare Mocciosus e Lily.
Finché la sua preferita era lei ne ero anche contento, ma
Piton proprio no. Continuava a ripetere che il mio lavoro non andava
bene, che facevo scoppiare calderoni in classe e che ci mettevo tutto
il mio impegno nel combinare un disastro. In realtà ai
M.A.G.O. ero pure riuscito ad ottenere un Oltre Ogni Previsione e in
generale non è che i miei voti fossero così
pessimi, non come quelli di Peter almeno, ma sapevo di non andargli
affatto a genio, Pozioni era proprio il mio tallone
d’Achille.
Finimmo il pranzo e in breve la Sala Grande iniziò a
svuotarsi, gli studenti cominciarono ad alzarsi dalle panche per
raggiungere le aule di lezione. Ci alzammo anche noi Malandrini.
L’unico che sembrava contento era Remus, lui infatti era
abbastanza bravo in Pozioni, non quanto Lily, ma se la cavava piuttosto
bene. Il resto di noi brancolava nel buio. Peter era un disastro
perfino peggiore di me, un vero pericolo, proprio non ne combinava mai
una giusta. Sirius la passava sempre liscia grazie alla sua enorme
fortuna e al fatto che Lumacorno lo considerasse un po’ come
uno studente della sua casata e, visto che la sua famiglia era
Serpeverde fino al midollo, chiudeva spesso un occhio, cosa che
sinceramente mi faceva innervosire.
Ci avviammo verso i sotterranei, dove si trovava l’aula di
Pozioni, e non mancò di fare qualche incontro spiacevole. I
sotterranei erano il regno dei Serpeverde, codardi che strisciavano in
profondità. Provavo un così forte disgusto per
quella casa, tutti ipocriti e doppiogiochisti. Bleah, piuttosto che
finire a Serpeverde mi sarei ritirato da Hogwarts.
Lumacorno era già in classe, così noi Malandrini
ci disponemmo al nostro solito tavolo da lavoro, il più
lontano possibile dagli occhi del professore. Frank e le ragazze si
misero nel tavolo accanto al nostro e anche il resto della classe si
sedette chiacchierando.
«Bene! Benvenuti miei cari all’ultimo, e
impegnativo, anno di questo corso. Come prima lezione vorrei fare un
veloce ripasso di tutto ciò che avete appreso lo scorso
anno. Bene, bene! Vediamo un po’, qualcuno saprebbe dirmi che
cos’è il Distillato della pace?»
gongolò Lumacorno tutto entusiasta.
Io purtroppo non condividevo la sua stessa eccitazione, ma vidi subito
le mani di Lily e di Mocciosus scattare in aria più veloci
della luce.
«Oh, ma guarda un po’. Come al solito i
più bravi, non mi stupisco affatto. Prima le fanciulle,
prego signorina Evans.»
«Il distillato della Pace è una pozione guaritrice
che calma l’ansia e lo stress, bisogna ricordare che se si
esagera si rischia di essere vittima di un lungo sonno
pesante» rispose Lily con voce squillante.
Sempre pronta e attenta, lei non cambiava mai, ma era per questo che mi
piaceva tanto.
«Oh, perfetto! Più perfetto di così non
si può! Ottimo signorina Evans, cinque punti a
Grifondoro!» batté le mani orgoglioso. Sorrisi
contento e vidi un piccolo sorriso imbarazzato spuntare anche sul viso
latteo di Lily.
«Bene! E ora chi mi sa dire cosa sia il Distillato di Morte
Vivente?» continuò.
Di nuovo si alzarono le solite due mani, ma questa volta la mano di
Piton fu più veloce. Mi era parso quasi come se Lily
l’avesse fatto apposta ad alzare la mano più
lentamente, ma probabilmente fu soltanto una mia impressione.
«Severus, è il tuo turno.»
«Il Distillato di Morte Vivente è una pozione
molto potente che genera un sonno profondo, quasi simile alla
morte» proferì Mocciosus con quella sua voce lenta
e apatica.
«Eccellente! Sì, davvero ottimo. Cinque punti
anche a Serpeverde!»
La lezione continuò in questo modo, domande di teoria e
dimostrazioni di pratica.
Il suono della campanella, dopo due interminabili ore, mi
sembrò quasi irreale e mi alzai in fretta e furia, ritirando
tutte le mie cose.
«Davvero bravi ragazzi! Dalla prossima lezione inizieremo il
programma del settimo anno. Ottimo!»
Uscimmo tutti quanti, respirando aria finalmente più pulita.
Merlino! Pozioni era davvero snervante e Lumacorno ancora di
più. Con le sue preferenze e i modi pomposi, detestavo il
fatto che avrei potuto ottenere voti più alti se solo lui
avesse smesso di criticarmi in base alla mia appartenenza a Grifondoro.
Certo, ero ben consapevole di essere uno studente abbastanza mediocre
in Pozione, ma io e Sirius eravamo più o meno allo stesso
livello e chissà per quale motivo lui generalmente otteneva
voti più alti dei miei. Non era Sirius il problema, era
Lumacorno.
«Mi è appena venuto in mente che dovremmo
organizzare il nostro solito scherzo d’inizio
anno.»
«Sirius, non possiamo. James quest’anno
è Caposcuola» tentò di persuaderci Rem.
«Io ci sto. Dimostriamo che i Malandrini saranno sempre i
Malandrini» accettai contento della proposta.
Wormtail batté le mani entusiasta, ma Moony scosse la testa.
«Ma i tuoi propositi di qualificato e responsabile
Caposcuola, James? È già finito tutto?»
«No, certo che no. Dimostrerò che sono cambiato,
ma siamo i Malandrini, questo non si può
cambiare!» risposi ridacchiando.
Remus sospirò sconfitto e Peter approvò la
proposta felice.
Probabilmente non saremmo mai cambiati, invecchiando insieme e
continuando ad essere migliori amici. Padfoot sarebbe rimasto scapolo
d’oro a vita, o forse anche lui avrebbe trovato qualcuno con
cui condividere la sua pazzia, Moony avrebbe finalmente trovato la sua
dolce metà e con gli anni avrebbe superato i pregiudizi
verso se stesso, Wormtail si sarebbe fatto una vita dove essere
accettato per come era e io avrei convinto Lily a diventare LadyProngs
e a passare con me il resto della vita.
Tutti loro Malandrini erano la mia famiglia, ma Sirius era mia
fratello. Senza di lui io non ero James.
Poteva accadere di tutto, ma noi saremmo stati sempre noi. Guerra
oppure no, la nostra amicizia avrebbe resistito ogni
avversità. Perché quando diventi un Malandrino,
resti un Malandrino. Per sempre.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
CAPITOLO 3
Camminavo tranquillamente, senza fretta, diretto a Babbanologia. Prongs
e Peter erano rimasti in sala comune, mentre Moony aveva preferito
portarsi avanti con lo studio.
Ovviamente ero stato l’unico a dover fare la fatica di andare
a lezione, però Babbanologia mi piaceva e non mi era di
nessun peso. Avevo scelto questa materia al terzo anno, pensando
potesse essere una chiara e fiera provocazione nei confronti dei Black
e del loro odio per i babbani e poi, ovviamente, il mondo babbano era
una figata.
Avevo imparato tutto ciò che si poteva sapere su telefoni,
televisioni, automobili, metropolitane e tutto il resto. Trovavo strano
come i babbani si fossero adattati ad una vita priva di magia, ma al
tempo stesso ne ero affascinato.
Svoltai l’angolo e quello che vidi mi riempì di
una rabbia immensa. Tre Serpeverde deridevano un bambinetto
dall’aria spaventata che doveva appartenere alla casa di
Tassorosso.
«Allora! Sei ancora contento di essere uno schifoso
mezzosangue!»
Mio fratello. O meglio, quello che una volta era stato mio fratello, ma
che ora sembrava soltanto un codardo senza rimorsi ne colpe. Purtroppo
condividevamo la stesso sangue, ma ad unirci c’era
più solamente quello; eravamo distanti l’uno un
abisso dall’altro.
«E tu sei ancora contento di essere l’idiota che
sei sempre stato?» domandai retorico, avvicinandomi al
singolare gruppetto.
I tre Serpeverde si girarono al suono della mia voce e potei gustare
l’espressione sorpresa di Regulus. Con lui c’erano
anche Nott e McNair, degni compari di mio fratello.
«Ma guarda un po’ chi abbiamo trovato! Lo sporco
traditore del suo sangue!» mi derise Nott.
«Beh, sempre meglio che essere dei bastardi come voi,
no?» risi privo di allegria.
«Sei proprio insolente, non ti smentisci mai. Non hai ancora
capito che ora comandiamo noi?» le parole di mio fratello mi
trafissero gelidamente.
«Già, vedo come comandate voi. Ve la prendete con
un ragazzino di dodici anni, molto maturo. È
perché non siete in grado di battervi con persone della
vostra stessa taglia? Codardia o incapacità?» li
canzonai io.
«Vuoi che ce la prendiamo con te, Black? Di solito
l’agnello non sfida i lupi.»
«E l’agnello chi è? Io o voi?»
risi di nuovo.
McNair mi puntò la bacchetta dritta davanti al petto, ma non
mi spaventai più di tanto, restava pur sempre un codardo.
«Dovreste fare attenzione, voi stupidi ribelli. Ma non mi va
di perdere tempo con te, Black. Abbiamo cose molto più
importanti.»
Lasciarono la presa sul bambino e se ne andarono con passo arrogante.
Guardai deluso la schiena di mio fratello allontanarsi e sparire dalla
mia vista. Avrei tanto voluto pareggiare i conti, ma sarebbe stato del
tutto inutile, mio fratello non sarebbe cambiato, aveva deciso quale
fosse la sua strada e io mi ero scelto la mia.
«Tutto bene?» chiesi al bambino.
«Sì ... sono in ritardo, devo andare a lezione
…» rispose ancora spaventato, arretrando di
qualche passo.
«Aspetta!» gridai, ma se l’era
già data a gambe.
Avrei potuto inseguirlo, l’avrei trovato facilmente, ma in
realtà sapevo bene cosa si provasse in quei momenti.
L’avevo provato molte volte da bambino, quando Orion e
Walburga Black avevano reso la mia infanzia un inferno.
Sentii la campanella suonare in lontananza e imprecai. Incominciai a
correre, lo zaino che penzolava da una spalla e la camicia che usciva a
tratti dai pantaloni neri della divisa.
Quando finalmente arrivai all’aula di Babbanologia, la misera
classe mi guardò stupita.
«Scusi per il ritardo, Professoressa Burbage» mi
scusai sedendomi al mio solito banco accanto alla finestra.
«Stavo giusto spiegando ai suoi compagni quanto il programma
di quest’anno sarà difficile e
impegnativo» pronunciò con la sua voce squillante
ed esaltata.
Mi lasciai scivolare sulla sedia, aprendo un quaderno e scribacchiando
di trulattori … o erano frullatori?
La Professoressa Burbage era una donna sulla quarantina con lunghi
capelli biondi. Era un po’ bizzarra, ma mi piaceva il fatto
che non si lasciasse intimorire dai tempi bui. Non era sicuramente un
vantaggio insegnare che i Babbani erano esattamente come noi, quando
là fuori c’erano persone che uccidevano per il
contrario e per molto meno.
Eppure, lei non si era mai tirata indietro. Continuava a ripetere, e
anche molto fieramente, che sotto la protezione di Silente nessuno le
avrebbe torto un capello. Forse era un po’ azzardato, ma in
fin dei conti Silente era Silente.
La lezione passò velocemente e mi affrettai a raggiungere
gli altri a Trasfigurazione, c’era un gran fermento, ma per
fortuna James mi aveva tenuto il posto.
«Ehi» lo salutai.
Mi sorrise e la McGranitt intimò il silenzio. Ci
spiegò che avremmo incominciato con la teoria per poi
passare alla vera e propria pratica. Il libro del settimo anno era un
mattone dall’aria tosta e dalle pagine finissime, decisamente
un cattivo segno.
Mi tornò in mente la discussione con Regulus e avvertii il
bisogno di dire tutto a James, di trovare una qualche consolazione
nelle parole che sicuramente mi avrebbe rivolto. Qualcosa come
“tu non sei come loro, mettitelo bene in testa”.
Detestavo sapere di averne bisogno, ma era così, avevo
bisogno che James, mio fratello, il mio vero fratello, mi promettesse
ancora una volta la sua amicizia, perché oggi, esattamente
come in quel primo viaggio in treno anni fa, la fiducia che James
riponeva in me era il mio piccolo miracolo. Il miracolo che aveva reso
sufficientemente sopportabili cinque estati a Grimmauld Place, il
miracolo che mi aveva accolto a casa sua quando la mia vita mi era
sembrata senza più speranze, il miracolo che mi aveva
permesso di conoscere e fare parte di una meravigliosa famiglia come
quella dei Potter.
Cercai di seguire la lezione, ma James continuava a distrarmi
raccontandomi di quanto fossero splendidi, lucenti, attraenti e
delicati i capelli della Evans. Per non parlare di quando cominciava a
blaterare degli occhi o delle lentiggini del viso. Uno scassaboccini di
prima categoria.
Moony, seduto davanti di noi assieme a Peter, era ingobbito sul banco
per prendere appunti in maniera veramente poco Malandrina e ogni tanto
si girava a lanciare chiare occhiate di avvertimento a James.
«Potter, Black, volete condividere con il resto della
classe?» ci riprese la McGranitt scocciata.
«Ehm … no, professoressa» rispose James
sfoderando il viso da agnellino.
«Avete preferito parlare per tutta l’ora, mi vedo
costretta a mettervi in punizione. Questa sera alle cinque nel mio
ufficio.»
Ridacchiai, ma in quel momento la campanella suonò e quindi
chiusi il libro e ritirai tutto nello zaino.
Questa era già la seconda punizione che prendevo in una
settimana, grandioso, ero partito con la carica giusta!
Uscimmo dalla classe e ci dirigemmo verso le serre per arrivare in
tempo ad Erbologia.
«Vi avevo avvisati di piantarla di parlare» ci
riprese Moony seccato.
«No, non l’hai fatto. Eri troppo preso a non
perderti una sola parola della lezione, secchione.»
«Ahia!» esclamò James dopo aver ricevuto
un pugno sulla spalla da Remus.
«Oh, sta zitto! Urli come una femminuccia!» mi
intromisi io.
«Non è vero!»
«Sì, invece.»
«No, io sono molto virile! Diglielo Peter!»
«Ehm … James … tu
…» balbettò Wormtail in evidente
difficoltà.
«Peter! Neanche tu mi appoggi!»
«Ma io …»
«Ti consideravo mio amico!» lo aggredì
Prongs probabilmente punto sull’orgoglio.
«Ma James … è solo che …
insomma …»
«È inutile che provi a difenderti! Che razza di
amici che ho!»
«Adesso fa l’offeso» lo prese in giro
Remus.
«Mi dai un pugno, mi dite che strillo come una ragazza, salta
fuori che secondo voi non ho un briciolo di virilità, vengo
tradito Peter e poi non devo offendermi! Che ingiustizia!»
Scoppiammo tutti a ridere in seguito alla scenata di James e molte
ragazze si girarono a guardarci. Sembravano mangiarci con gli occhi e
la cosa non mi dispiaceva, ero abituato ad essere al centro
dell’attenzione e sapere di essere l’oggetto dei
loro desideri era abbastanza soddisfacente.
Arrivammo alle serre e prendemmo posto in fondo al lungo tavolone
già occupato da tutti gli strumenti per la lezione.
Non ero mai stato un tipo da storia seria, non ci avevo neanche mai
pensato. A me piaceva divertirmi, non ero fatto per impegnarmi, almeno
non ora. Alcune ragazze avevano provato a chiedermi di fare coppia,
anche solo per poco tempo, ma proprio non faceva per me. Io non ero
James, non potevo stare con una ragazza e provare a fare andare le cose
per il verso giusto, nonostante anche lui avesse avuto il suo periodo
di allergia ad ogni tipo di relazione stabile, e poi aveva trovato
“l’amore della sua vita”, ma per me non
sarebbe mai successo. Le ragazze che uscivano con me sapevano a cosa
andavano incontro; nessun impegno, nessuna promessa. Non lo facevo con
cattiveria e in realtà mi dispiaceva anche non poter dare
loro il tipo di rapporto che cercavano. Ero semplicemente fatto
così, Moony una volta aveva provato a psicoanalizzarmi.
Secondo lui rifiutavo ogni tipo di affetto perché ne avevo
paura, avendo trascorso l’infanzia con una famiglia che non
conosceva amore, tendevo a rifiutare l’idea di potermelo
permettere. Poi era arrivato James, mio fratello. Ero rimasto
così sorpreso da quel bambinetto che mi aveva subito dato il
suo cuore senza pretendere nulla in cambio, in neanche cinque minuti mi
aveva giurato amicizia eterna e, senza nemmeno saperlo, mi aveva donato
una cosa che non sapevo che potesse esistere.
Certo, c’era stato Regulus, gli avevo voluto bene, ma prima
di Hogwarts c’era comunque stata una sottile ma netta linea a
separarci. Eravamo cresciuti diversamente, lui aveva deciso fin da
subito di essere il perfetto Black, rispettando e compiacendo le
assurdità dei nostri genitori, mentre io non ero riuscito a
rientrare nel perfetto e disfunzionale schema di famiglia.
Crescendo, io diventai il ribelle ancora più odiato e lui il
pupillo perfetto dei nostri genitori, mentre con James e i Malandrini
le cose erano diverse. Loro sapevano che ero un idiota, sapevano che
non mi piacevano certe smancerie, ma erano anche a conoscenza del fatto
che nel profondo le desiderassi.
«Pad! Ehi!» mi chiamò Prongs.
Oh Merlino! Avevo passato cinque minuti buoni imbambolato, mentre il
resto della classe stava già accarezzando delle piante.
«Che mi sono perso?»
«Dobbiamo calmarla, non ho capito il nome della pianta, ma
è velenosa. Non so, Frank dice di accarezzarla, di dirle
cose dolci e rassicuranti» mi rispose lui titubante.
Nessuno di noi era particolarmente sveglio in Erbologia,
l’unico era Frank, ma lui era vicino alle ragazze, per cui
niente aiuti.
Guardai la mia pianta con occhio vigile e avvicinai cautamente le mani,
ma James mi distrasse dal mio intento.
«Ehi piantina, sei molto carina, lo sai? Hai delle
… sì, delle belle foglie lucenti e un fusto molto
solido. Sei molto bella, sì, davvero molto bella.»
E poi James si lamentava della sua mancanza di virilità, ero
ovvio che così nessuno l’avrebbe mai preso sul
serio.
Nel frattempo, la misteriosa pianta senza nome stava già
tentando di squartare la mano del povero Peter, mentre Remus intonava
quella che sembrava essere una ninna nanna babbana o qualcosa di
simile. Guardai Frank e rimasi sorpreso nel vedere che la sua pianta
giaceva nel vaso senza lamentarsi e senza uccidere nessuno.
«Oh, andiamo! Non siate timidi ragazzi! Il signor Paciock ha
già finito, datevi da fare!» ci
incoraggiò la Sprite facendo un giro del tavolo per vedere
come stessimo lavorando.
Va bene, forse avrei dovuto mettermi d’impegno se volevo
uscire tutto intero da questa situazione.
«Come facciamo?» bisbigliai a James.
«Non lo so. Dai bella piantina, rilassati. Fallo per zio
James, per favore.»
Mi scappò una risata che non passò inosservata al
resto della classe.
«Zio James?» lo presi in giro.
«Che c’è di male?»
«E me lo stai chiedendo? Prongs, stai implorando una fottuta
pianta.»
Lui fece una smorfia e io risi di nuovo.
«Allora pianta, le cose stanno così: se
collaboriamo possiamo ottenere tutti e due un vantaggio, se non
collaboriamo … beh, posso sempre tagliarti le tue belle
foglioline. Cosa scegli?»
La pianta in risposta fece un sibilo minaccioso, e per un attimo
temetti veramente il peggio, ma con mia grande sorpresa
abbassò di poco i rametti che la ricoprivano.
«Bene, perfetto. Vedo che ci siamo capiti, ora prova a
rilassarti. Su, fai la brava» continuai mormorando.
In risposta lei si afflosciò su se stessa fino a rendersi
innocua. Mi guardai attorno e notai che molti altri ci erano riusciti,
comprese le ragazze e Remus.
Wormtail stava ancora lottando per non rimetterci qualche arto e James
sembrava sul punto di esplodere in una crisi isterica di prima
categoria.
«Ti prego! Per favore, non farmi questo! Io ho bisogno che tu
faccia la brava. Ti prego, ti prego, ti prego!» piagnucolava
Prongs con aria afflitta. Era davvero ridicolo.
«Tu!» disse rivolgendosi verso di me,
«come ci sei riuscito?»
«Abbiamo chiacchierato un po’
…»
«Non è possibile! Non è
giusto!»
«James, più ti arrabbi e più lei si
agita» intervenne Moony, pacato come sempre.
«Semplice per voi» protestò sempre
più indispettito.
«Fai un profondo respiro e pensa a … ehm
… a Lily. Rivolgiti alla pianta come se ti stessi per
rivolgere a lei» bisbigliò Remus in modo che solo
noi potessimo sentirlo.
Per tutte le consunte mutande leopardate di Morgana! Uno sproloquio
interminabile su Lily Evans non era esattamente ciò che
avrei voluto ascoltare.
«Secondo voi funzionerà?»
domandò Prongs d’un tratto più timido.
«Male di certo non fa» tentò Wormtail
battendogli pacche d’incoraggiamento sulla spalla. Sbuffai,
ma nessuno mi prestò attenzione.
«Allora, so che non andiamo tanto d’accordo, ma
potremmo farlo, se volessimo. Vorrei solo che tu capissi che non voglio
farti del male, non lo farei mai. Puoi fidarti di me, io non sono
pericoloso. Credimi, l’ultima cosa che voglio fare
è ferirti. Ti sembrerà strano, ma ho un certo
rispetto per le creature come te. Sei tenace, forte»
sussurrò pacato. «Mi ricordi una persona che
conosco, ma ho bisogno soltanto una cosa da te. Puoi aiutarmi? Per
favore, potresti provare a calmarti per me?»
La cosa più sorprendente, oltre ad aver ottenuto la totale
obbedienza della pianta, fu il tono con cui James pronunciò
queste parole. Era tenero, amichevole, quasi impacciato. Aveva davvero
pensato alla Evans, anche se ancora non riuscivo a capire
perché questa cosa mi sorprendesse in continuazione. Forse
speravo che James potesse aprire gli occhi.
Di nuovo mi chiusi in me stesso e mi allontanai mentalmente dalle
esultazioni di Prongs, dal panico di Peter e dalla lezione della Sprite.
Non potevo accettare che una persona così speciale come
James si fosse impuntata su una tanto banale come la Evans.
La guardai, forse desiderando trovarvi quei particolari che tanto
enfatizzava James, ma non mi sembrava nulla di così
sorprendente. Più la guardavo e più mi venivano
in mente tutte le volte che aveva ridotto Prongs uno straccio, tutte le
volte che eravamo finiti in punizione per colpa sua, tutte le volte che
aveva dimostrato il suo odio verso di noi. Non riuscivo a capire come
Remus o Alice e Mary potessero esserle amici. Non la odiavo, no,
però non sopportavo quel suo modo altezzoso di fare. In
realtà con le altre persone sembrava anche piuttosto
gentile, addirittura altruista, ma evidentemente era solo con me e
James che sfogava tutta la sua rabbia. E che rabbia poteva avere la
Evans? Quali dannate ingiustizie poteva aver subito?
Nessuna, mi sembrava piuttosto ovvio. Era una strega brillante, questo
bisognava concederglielo, probabilmente aveva una bella famiglia che
l’amava, una vita felice. Certo, c’era stato
Mocciosus, ma mi pareva che lei l’avesse presa bene dopo la
fine di quella disgustosa amicizia. Era una NataBabbana, ma non era in
pericolo e con ogni probabilità non lo sarebbe mai stata.
Cosa potevano volere i Mangiamorte da lei? Era una come tanti, nessuno
l’avrebbe mai notata. Lei non aveva un fratello bastardo o
una famiglia che non l’aveva mai accettata, no, la Evans era
una persona senza nessun tipo di difficoltà.
E allora cosa ci trovava James in lei? Cosa ci vedevano di tanto
interessante le altre persone?
Sapevo che molti ragazzi la consideravano bella, li avevo sentiti o
visto molti di loro chiederle di uscire. Anche adesso, mentre le sue
labbra erano distese in un sorriso divertito, la trovavo perfettamente
detestabile. In effetti era bella ragazza, questo era vero, ma bastava
che aprisse la bocca e l’effetto era rovinato. Una sputa
sentenze so tutto io, ecco cos’era.
«Sirius? Sir! L’hai fatto di nuovo!» mi
riprese James.
«… e per la prossima volta voglio cinquanta
centimetri di pergamena sugli effetti che abbiamo appena visto. Signor
Gallin, sicuro di stare bene?»
Riemersi nel mondo reale e il viso di James mi guardò
preoccupato.
«Ho fatto cosa?»
«Chiuderti in te stesso» mi rispose Moony con lo
stesso sguardo di Prongs.
«Ero soltanto sovrappensiero! Per Godric, quanta
apprensione!» mi lamentai uscendo meccanicamente insieme agli
altri.
«Ringrazia che ogni tanto qualcuno si preoccupi,
idiota.»
Accelerammo il passo quando Wormtail iniziò a decantare ogni
genere di pietanza servita ad Hogwarts, aveva fame e il suo stomaco
brontolava impaziente.
Quando arrivammo in Sala Grande i vassoi erano già stracolmi
di prelibatezze che avrebbero di sicuro colmato la voracità
di Pete. Le ragazze si sistemarono accanto a noi e iniziammo a parlare
del più e del meno. Mary raccontò della caduta
epocale di un secondino che questa mattina aveva tentato invano di
salire nei dormitori femminili. Pivello …
Mentre Mary stava descrivendo il modo in cui era rotolato malamente
giù dalle scale del dormitorio femminile, James, troppo
preso dal racconto, decise di far levitare la brocca di succo di zucca
per non perdersi neanche una parola, peccato che quando si
arrivò alla parte in cui al bambino si strappò la
parte posteriore dei pantaloni, finendo con il sedere
all’aria, James perse di poco la concentrazione e buona parte
del succo si rovesciò, ironia della sorte, sul grembo della
Evans.
«Potter! Cosa diavolo pensavi di fare! Si può
sapere cos’hai in quella stupida testa bacata?»
gridò furiosa. Merda.
«Oddio, mi dispiace molto!» tentò di
scusarsi Prongs.
La Evans si alzò con un balzo dal tavolo e un
po’di teste si girarono verso la nostra parte. Merda, merda,
merda.
«Sei così, così, così
… Irritante! Possibile che devi sempre combinare un
casino!»
«Lily, tesoro, calmati.»
«Non dirmi di calmarmi, Alice! Come se fosse la prima volta
che mi rovescia qualcosa addosso!» strillò.
Ripetere nuovamente la parola merda sarebbe stato troppo poco.
«Posso asciugartela con un incantesimo. Mi dispiace veramente
molto, non l’ho fatto di proposito.»
«No! Lascia perdere, faccio da sola!»
La Evans si risedette al suo posto e con un veloce movimento di
bacchetta tutto il succo venne asciugato, ma le rimase stampato in
volto a caratteri cubitali lo sguardo maniacale tipico della sua
psicopatia.
Se la Evans era arrabbiata, James se ne stava seduto mogio e
dispiaciuto con un’espressione da cucciolo bastonato. Faceva
tenerezza pure a me quando faceva così, possibile che la
Evans non capisse che Prongs era veramente dispiaciuto?
Ecco, era in questi momenti che la detestavo. Ora mi sarebbe toccato
sorbire un James depresso per il resto della giornata, tutta colpa di
quella stupida. Non le sarebbe costato nulla accettare le scuse di
Prongs ed evitare una scenata, ma no, lei doveva per forza arrabbiarsi
e strillare come la ragazzina sciocca ed egoista che era.
«Lily …»
«Evans!» sbraitò con un diavolo per
capello.
«Okay, okay» James alzò le mani in segno
di resa e poi continuò, «Evans, mi dispiace
veramente molto, mi sono distratto. Puoi perdonarmi?»
Il vecchio James avrebbe fatto saltare ancora di più i nervi
della Evans, il nuovo James le aveva chiesto scusa con tono serio e
maturo. Che gran sfigato.
«Smettila di assillarmi Potter!» fu la risposta di
lei.
Mary le lanciò uno sguardo ammonitore e lei
abbassò la testa con uno scatto.
Remus si occupò di James e a me e Peter non rimase che
mangiare in silenzio.
Notai che tra il tavolo Grifondoro volavano certi sguardi e molti
avevano un sorrisetto divertito, effettivamente quei due riuscivano
sempre a dare spettacolo. Anche io mi sarei fatto beffe di loro, se
solo non sentissi quello stupido peso all’altezza dello
stomaco. James era mio fratello, tutto ciò che lui sentiva,
lo sentivo di riflesso anche io. Ed era una gran fregatura.
L’unica persona che avevo veramente a cuore era James. Lui mi
aveva accolto quando non avevo più un posto in cui stare,
lui mi era sempre stato accanto, nonostante il mio carattere di merda e
nonostante tutti i problemi che trascinavo con me.
Nelle lunghissime giornate a Grimmauld Place, quando contavo le ore che
mi separavano dal ritorno a scuola o quando scappavo di nascosto per
ritornare a essere me stesso anche solo per pochi minuti, era la
compagnia di James a non farmi perdere la lucidità. Ci
parlavamo attraverso gli specchi gemelli o ci scrivevamo via gufo,
anche se molto spesso le nostre lettere venivano intercettate dalla mia
famiglia e quindi addio contatti con il mondo esterno. La cara Walburga
era veramente un asso in fatture e maledizioni, mentre il buon vecchio
Orion preferiva metodi più tradizionali, come reclusione
forzata in camera senza cibo ne acqua o le mazzate di Kreacher, quello
stupido elfo provava piacere nel vedermi coperto di sangue.
Essere nato Black era stata la mia maledizione, ma essere diventato un
Potter era stata la mia salvezza.
****
La luce entrava offuscata dalla piccola finestrella della stanza. Le
pareti scure e scrostate creavano strani giochi di ombre e la Testa di
Porco non era mai apparsa così trascurata. Aberforth era
riuscito a mandare via quei pochi clienti inusuali, liquidandoli con
una banale “Sto chiudendo, ho da fare”.
Quel vocione e l’aspetto rozzo e grezzo riuscivano a metter
paura a chiunque.
Ah, se solo quei poveretti avessero saputo che in realtà qui
si sarebbe riunita un’associazione segreta che combatteva
silenziosamente Voldemort se ne sarebbero andati via da soli.
La situazione stava peggiorando, le perone avevano sempre
più paura e pochi erano quelli che avevano ancora il
coraggio di combattere. L’ordine della Fenice stava
scivolando in uno stato di svantaggio permanente, ci servivano nuove
persone, nuova speranza.
Li guardai tutti in viso, scrutandoli come ero solito fare. Sui loro
volti era segnata l’apprensione e la preoccupazione data dal
pensiero di poter perdere un amico, un alleato. Mi sentivo inquieto e
tale era la distrazione in me che quasi non riuscivo a restare fermo.
La porta in legno massiccio si aprì, rivelando i visi di
Benjamin Fenwick e Dearborn Caradoc e un primo sospiro generale ruppe
il silenzio nella stanza.
«Stanno bene, lo scontro non è stato
particolarmente violento, i Prewett hanno saputo cavarsela ed Emmeline
ha contratto solo qualche graffio. C’erano i due Lestrange e
Malfoy» raccontò Dearborn con il fiatone e un
secondo sospiro di sollievo invase tutti quanti.
«Meno male» sussurrò Dorea portandosi
una mano al cuore e Charlus, accanto a lei, le mise una mano sulla
spalla.
«Dovevano essere più cauti, lo dico sempre io!
Vigilanza costante!» abbaiò Alastor e Benjamin
ridacchiò.
«Allora Albus, come ci organizziamo?» mi
domandò Elphias.
Gli occhi di tutti ritornarono sulla mia figura e mi lisciai la barba
meditando. A rigor di logica, Voldemort non avrebbe aspettato ancora
molto prima di sferrare un nuovo attacco. Il Ministero stava ancora
ripulendo la memoria dei babbani sopravvissuti all’esplosione
causata dai Mangiamorte a Liverpool, ma se conoscevo Tom, qualcosa mi
diceva che avrebbe puntato ad un’altra grande
città. Il problema consisteva nel prevedere quale.
«Credo che Voldemort punterà ad un'altra
città, non saprei dirvi quale però. Qualcuno ha
qualche idea?»
Dovetti reggere gli sguardi sconsolati dei presenti e Aberforth, che di
certo non mancava mai di sottolineare la sua impazienza,
sbuffò seccato.
«Io dico di attaccarli! Non possiamo continuare a giocare al
gatto e al topo, dobbiamo agire!»
«Già siamo in pochi, se li attacchiamo apertamente
rischiamo di subire qualche perdita» replicò
Charlus.
A questo punto mio fratello batté un rumoroso pugno sul
tavolo di legno scuro e il viso gli si oscurò.
«Qualche perdita? Perché secondo te
così non stiamo già perdendo? Stupidaggini. Qui
ci vuole uno scontro con i fiocchi. Quegli schifosi devono capire che
c’è qualcuno che ancora gli tiene testa.»
«Aberforth, ragiona. Succederà un pandemonio, e
non solo con i Mangiamorte. Pensa al Ministero … quante
grane salteranno fuori, ci sono degli infiltrati, lo sai»
tentò di convincerlo Elphias.
«Ah, sai cosa me ne faccio di quei rincitrulliti del
Ministero!»
«Aberforth» lo richiamai mettendo fine alla
discussione.
Quando tutti si zittirono continuai. «Queste chiacchere
inutili non ci portano da nessuna parte, dobbiamo capire come agire, ma
dobbiamo farlo con la solita discrezione. Dove possiamo fare la
prossima riunione?»
«Da noi può andare bene» rispose Dorea
sicura.
«Bene, convocherò tutto l’Ordine. Direi
… sabato prossimo? Può andare bene?»
Tutti annuirono gravi e si alzarono, avviandosi verso la porta.
Benjamin, Dearborn e Charlus parlottavano tra loro, mente Alastor ed
Elphias tentavano invano di far ragionare Aberforth.
Dorea mi si avvicinò e la sua espressione mi fece capire che
qualcosa la turbava.
Era una donna dall’animo forte, ma sapevo che poteva essere
particolarmente fragile. La famiglia era il suo punto debole, per cui
immaginai che dovesse trattarsi di questo.
«Cosa ti turba, mia cara? Lo leggo nei tuoi occhi.»
«È solo che … oh, non so se dovrei
disturbarti per questo, Albus» mi rispose titubante.
«Dorea, dimmi pure.»
«Sono preoccupata. Charlus fa continuamente pattuglie per il
Ministero, l’altro giorno ci è mancato veramente
poco, ed entrambi siamo sempre fuori per l’Ordine. Tu li vedi
i miei ragazzi, stanno bene vero?»
Le sorrisi dolcemente. «Credimi Dorea, James e Sirius stanno
benissimo. E se sei preoccupata per Charlus, potete sempre diminuire i
turni, nessuno vi obbliga, cara.»
«Ma no! Siamo felici di dare il nostro contributo, ci
mancherebbe! È solo che a volte, non so … penso
che rischiamo molto ogni giorno e che potrebbe succedere che li
lasciamo soli alla fine, i due scapestrati che ho per figli.»
Dorea era una madre, erano comprensibili i suoi timori.
«Non ti angosciare, cara. Tu e Charlus ve la cavate
egregiamente e se vuoi … potrei tenerli d’occhio
per voi, i due scapestrati» risposi facendole
l’occhiolino.
«Lo faresti? Ti ringrazio davvero Albus. Ho visto che
quest’estate sono cresciuti molto, in effetti la tua idea di
nominare James Caposcuola ci ha un po’ sorpresi,
però so che se l’hai fatto un motivo
c’è, per cui ti ringrazio. Lo confesso, ero un
po’ orgogliosa.»
Ridacchiai e sospirai enigmatico. «Ah, l’amore fa
maturare anche i cuori più giocosi. Tranquilla Dorea, i tuoi
ragazzi sono al sicuro e farò in modo che lo siate anche tu
e Charlus. Ora va’ e non ti rattristare.»
Lei mi sorrise riconoscente e poi andò verso il marito.
Uno dopo l’altro uscirono dalla locanda e si
smaterializzarono velocemente.
«Torno ad Hogwarts» dichiarai girandomi verso
Aberforth.
Era ritornato dietro al bancone e stava lavando dei boccali vuoti di
qualche bevanda.
L’ispida barba si bagnava sulle punte, ma lui non sembrava
curarsene e le grosse mani si muovevano attorno ai bicchieri con
movimenti grossolani.
Mio fratello mi squadrò, respirando rumorosamente dal naso.
«Certo, certo.»
Mi smaterializzai proprio nel mio ufficio, atterrando davanti alla
scrivania e mi sistemai sulla grossa poltrona in velluto.
«Dove sei stato?» mi domandò il ritratto
di Phineas Black.
«Fuori, dovevo sistemare alcune faccende» risposi
vago.
Mi passai una mano sul viso, stanco e abbattuto.
Non riuscivo a venirne a capo, non sapevo come prevedere le mosse di
Tom. Aveva attaccato per lo più grandi città
babbane, ma non erano mancati anche piccoli sobborghi o
comunità magiche. Questa volta si stava rivelando
più astuto di me e non potevo permetterlo.
Mi alzai e andai verso la finestra.
Il cielo era limpido e il sole alto e splendente, doveva essere da poco
passata l’ora di pranzo. Sarebbe stato un pomeriggio di
meditazione, dovevo assolutamente trovare una strategia vincente,
l’Ordine aveva un compito ben definito da svolgere e io avevo
il mio.
Sospirai e provai ad immedesimarmi nella mente del mio avversario.
A volte bastava soltanto vestire i panni di un’altra persona
per comprenderne le sfumature.
Certo, a volte.
****
«Siete due idioti.»
«Non è la prima volta che ce lo dici»
risposi io mentre Sirius annuiva.
«Siete due idioti» ripeté Remus.
«Sì, lo sappiamo» constatò
Padfoot chiudendo il libro di Erbologia.
«Sono le cinque …»
«La punizione!» urlai rendendomi conto solo in quel
momento che eravamo in ritardo.
La McGranitt ci avrebbe scuoiati vivi.
Lasciai i libri lì dov’erano e mi catapultai fuori
della sala comune, correndo insieme a Sirius.
«Fottuto, fottutissimo orario!» imprecò
Padfoot con il fiatone che rendeva più difficile pronunciare
quelle poche parole.
Scendemmo le scale che portavano al primo piano saltando due gradini
alla volta e per poco non travolsi un gruppetto di primini. Arrivammo
davanti all’ufficio della McGranitt con il fiato corto e
qualche goccia di sudore sulla fronte.
«E pensare che dovremmo essere allenati a correre»
scherzò Sir lisciando i pantaloni neri della divisa.
«Mai dare per scontato» risposi io pulendomi gli
occhiali.
Bussai alla porta e la voce della McGranitt ci esortò ad
entrare.
«Come al solito siete in ritardo. Ma mi chiedo io, ci
sarà una buona volta in cui vi presenterete alla mia porta
in orario e sistemati per bene? Ormai ho perso le speranze»
esordì con fare rassegnato.
«Allora, questa sera mi aiuterete a riordinare queste
cartelle, il Signor Black aveva già iniziato questo
lunedì, quindi direi che potete portare a termine il lavoro.
Le voglio schedate in ordine alfabetico, intesi?»
Annuimmo e iniziammo con il primo pacco. A quanto pare erano vecchi
schedari di G.U.F.O. e M.A.G.O.
«Ehi James, guarda qui. Amedeus Gribbens … Troll
in tutte le materie!»
«Oh Merlino! Che gran stupido devi essere per riuscire a
prendere Troll in Babbanologia!» ridacchiai io.
«Non finirete mai se andate avanti a questo ritmo»
ci riprese la McGranitt.
Iniziammo ad impilare i vecchi schedari e tra una risata e
l’altra si fecero le sette. Finimmo giusto in tempo per
vedere lo sguardo della McGranitt posarsi sul nostro operato.
«Bene, direi che avete finito. Mi verrebbe da dire
“che vi serva da lezione”, ma so che tanto non
cambierà nulla. Dopo sei anni, anche io imparo le mie
lezioni. Forza, andate a cena e guai a voi se combinate qualche guaio
nel frattempo» ci congedò.
Uscimmo dalla stanza con il sorriso sulle labbra e ci dirigemmo in sala
grande.
«Non ti è sembrata più gentile del
solito?»
«Già.»
Il profumo di pollo arrosto e patate ci invase le narici e i nostri
stomaci brontolarono sincronizzati.
«Secondo te Wormtail ci avrà lasciato
qualcosa?»
«Sono solo le sette, Sir. Saranno appena scesi, è
impossibile che Pet abbia già fatto razzia.»
Percorremmo il corridoio deserto e poi sentimmo delle voci.
«Ehi guardate! Sono quei cretini Potter e Black!»
Mulciber, Avery e Piton ci raggiunsero con passo lento. I primi due
sembravano presi da una particolare euforia, il terzo se ne stava
più indietro e ci guardava annoiato.
Perfetto, ora sì che le cose si facevano interessanti.
«Oh, guarda Sirius! Abbiamo compagnia, che bello!»
esclamai fingendomi contento.
La verità era che continuavo a squadrare Mocciosus, quello
schifosissimo pezzo di bolide stagionato.
«Bleah, che schifo. Mocciosus, ancora non ti sei lavato i
capelli? Andiamo, hai avuto un’intera estate per
farlo» ridacchiò Padfoot.
«Secondo me neanche sa come si fa, tu che dici
Sir?»
«Smettetela, stupidi imbecilli. Vi credete divertenti? Ti
credi furbo, eh Potter?»
«Sicuramente più furbo di te, mio caro
Mocciosus» risi compiaciuto.
Avery sputò sul pavimento e Mulciber alzò la
bacchetta puntandocela contro, noi lo imitammo e il risultato fu come
in quei film babbani che una volta mi aveva fatto vedere Sirius. Beh,
quelli con i towboy e le fistole.
«Noi siamo tre e voi siete due» constatò
ghignando Mulciber.
«Beh, tecnicamente non è proprio così.
Diciamo che se sommiamo i nostri due cervelli vengono fuori tre
persone, quindi siamo in parità»
ridacchiò Padfoot.
«E poi voi perdete punti per via dei capelli unti di
Mocciosus e …aspettate un momento! Io sono un Caposcuola!
Per Merlino, me l’ero scordato!» esclamai.
«Quindi, tolgo dieci punti alla casa Serpeverde per aver
alzato le bacchette contro degli studenti innocenti, altro da
aggiungere Sir?»
«No, direi di no James. Hai fatto un ottimo
lavoro!»
Senza che potessimo fare nulla per evitarlo, dalla bacchetta di Avery
partì un incantesimo Incarceramus diretto proprio verso il
petto di Sirius.
Padfoot si buttò a terra e io lanciai un Expelliarmus che
disarcionò Avery, ma mentre vidi la sua bacchetta schizzare
via, qualcosa mi colpì alle costole e mi
scaraventò a terra. Sentii un forte dolore, ma strinsi i
denti e riaprii gli occhi.
Sirius era davanti a me e aveva sbalzato Mulciber qualche metro
più in là.
«Exulcero!» urlò Padfoot.
«Stupeficium!» gridò Piton.
I due incantesimi si sfiorarono e quello di Sirius arrivò a
segno, mentre lo Stupeficium di Piton colpì di
strisciò Padfoot, provocandogli un taglio
all’altezza della spalla dalla quale cominciò a
sgorgare sangue. Il viso di Piton si riempì di piccole
ustioni, simili a punture e io mi alzai con fatica.
«Expelliarmus!» dissi, disarmando anche Piton.
«Forza Piton! Cosa vuoi fare adesso!»
gridò Sirius furente.
Gli tremavano le mani e il suo viso era latteo e sudato.
«La pagherete! Cruc …» sibilò
Avery minaccioso, ma Mocciosus lo fermò bloccandogli un
braccio.
«Ci beccheranno se li finiamo.» Piton prese le
bacchette da terra e se la filarono trascinandosi dietro il corpo
debole di Mulciber.
«Li lasciamo andare così?» mi
guardò Sirius furioso.
Anche dentro di me si stava scatenando una tempesta, ma dovevo impormi
di stare calmo. Lo dovevo fare per Sirius, mio fratello.
Non avrebbe retto la situazione ancora a lungo e probabilmente neppure
io. Era come lottare contro se stessi, la voglia di ammazzarli con le
mie stesse mani era immensa e tentatrice. Loro ci avevano attaccati, ci
avevano scagliato contro fatture e incantesimi e Avery …
Avery aveva tentato di cruciarci.
«Sì, anche loro la pagheranno. Sirius ti sta
sanguinando la spalla, forse è meglio andare da Madama
Chips» mi costrinsi a dire, provando disgusto verso me stesso
nel rinunciare alla sfida che avremmo potuto ancora vincere.
«E anche tu perdi sangue, ma non possiamo andare da Madama
Chips, quando ci chiederà cosa è successo cosa le
diremo? Abbiamo avuto uno scontro con i Serpeverde? Non
possiamo.»
Sentivo un dolore continuo alle costole e mi doleva la testa per via
della caduta, ma guardai Sirius preoccupato. Il suo taglio non smetteva
di sanguinare e ormai aveva lasciato una grossa ed evidente macchia
sulla camicia. Aveva ragione, non potevo dirlo a nessuno. Sapevo che
anche se avessimo provato a parlarne con Silente le conseguenze
sarebbero state troppo grandi per poterle evitare. Ci sarebbe stata una
guerra anche dentro Hogwarts, oltre che fuori. E non ero ancora pronto
a trascinare nel vortice con me tutte le persone a cui tenevo. Sirius,
i Malandrini … Lily.
Il suo nome risuonò in me come una campana. No! Non avrei
permesso che questo genere di cose di rendessero la vita di Lily un
inferno. Lei non se lo meritava, non potevo lasciare che accadesse.
Era ovvio che ormai buona parte dei Serpeverde aveva scelto di passare
dalla parte sbagliata e nel profondo del mio cuore sapevo che Piton e
il suo gruppo ci erano dentro fino alla testa. Magari non erano ancora
Mangiamorte, ma in ogni caso si comportavano come tali e questa sera
era stata la prova definitiva.
«Cosa facciamo?» domandai.
«Andiamo in stanza. Ci medicheremo come facciamo sempre
quando torniamo dalla luna piena.»
«E gli altri?»
«Remus e Peter noteranno la nostra assenza.»
Il tono di Sirius era troppo diretto, troppo conciso, troppo sbagliato.
Doveva essere scosso, lo eravamo entrambi.
Ci incamminammo con passo malfermo fino alle scale, pregando che
nessuno potesse vederci per porre le ovvie domande sbagliate. I quadri
erano troppo presi nelle loro conversazioni per notarci e io e Sirius
nascondevamo a vicenda la parte ferita ai loro sguardi.
Si sentiva un certo brusio diffondersi dalla sala grande e immaginai,
in un disperato tentativo di non pensare a ciò che era
successo, Remus e Pet intenti a divorarsi l’intero tavolo
dalla fame.
«Questa mattina ho beccato mio fratello e quegli idioti del
suo anno mentre spaventavano un bambinetto. Ci siamo sfidati, ma solo
verbalmente. Ecco, volevo dirtelo.»
Mi fermai di botto e la costola fece i capricci per il movimento
brusco. La ignorai e guardai mio fratello incredulo.
Perché diavolo non me l’aveva detto? Si era
scontrato con Regulus e non ne aveva fatto parola per tutto il giorno.
Sirius sapeva essere proprio stupido quando voleva.
«Razza di idiota! Sapevi di potermelo dire!»
«Oh, James. Non fare le tue solite scenate»
scherzò lui.
Evidentemente non capiva che io non avevo proprio nulla da scherzare.
«Per una delle poche volte nella mia vita, sono assolutamente
serio.»
Entrammo in sala comune, pronunciando velocemente la parola
d’ordine alla Signora Grassa e salimmo rapidamente le scale
della torre fino alla nostra camera.
«Lo so. È solo che ormai non ci faccio
più nemmeno caso a Regulus.»
Questa era una grossa bugia. Per quanto provasse a rinnegare quel
legame che li univa, purtroppo quello non si slegava mai. I segni
indelebili che la sua famiglia gli aveva inflitto se li sarebbe portati
con lui per sempre.
«Ciò non toglie che avresti potuto
dirmelo» provai a spiegare. Era vitale per me che Sirius
capisse che poteva dirmi qualunque cosa volesse, che poteva fidarsi.
«Lo so.»
E per me, o per lo strano e contorto linguaggio di Padfoot, quel
“lo so” equivaleva ad uno
“scusa”. E mi bastava, perché se
conoscevo quel cagnaccio insopportabile, sapevo che giorno dopo giorno
si stava sforzando di farci capire che anche lui aveva dei sentimenti.
Lo sapevo già da quando, tempo prima, l’avevo
incontrato per la prima volta sul treno per Hogwarts. Lo avevo saputo
quando avevamo scoperto il segreto di Remus, quando ci eravamo
trasformati in Animagus, quando lui era scappato di casa ed era venuto
da me. Me l’ero travato davanti la porta di casa,
insanguinato e in pigiama, ma non mi era importato, e per una volta ci
eravamo abbracciati come non facevamo mai, ma in realtà come
facevamo sempre.
Perché a noi due bastava la sola presenza
dell’altro, per me c’era lui e per lui
c’ero io. E quando ci stuzzicavamo o facevamo squadra,
eravamo insieme. Poco importava in che modo lo dimostravamo,
l’importante era esserci, e ormai l’avevo capito.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
CAPITOLO 4
L’acqua mi era sempre piaciuta, fin da bambina avevo amato
quelle rilassanti giornate uggiose, quando potevo alzare gli occhi al
cielo e scorgere soltanto una distesa di nuvole scure. La pioggia mi
attraeva e amavo quando, senza che nessuno lo sapesse, uscivo
all’aperto per bagnarmi il viso e sentire sulla mia pelle il
vento arrabbiato.
Poco importava che fosse inverno o estate, adoravo quella sensazione di
libertà, sentire i capelli pesanti appiccicarsi al viso, la
pelle che rabbrividiva al contatto con la pioggia fredda. La maggior
parte delle persone odiava l’acqua per svariati motivi, ma
non io.
Mi piaceva essere l’unica a passeggiare per il parco durante
un acquazzone particolarmente violento, era adrenalina pura. Gli alberi
che si piegavano, sottomettendosi al vento, così come il mio
ombrello.
Le gigantesche pozzanghere formavano incantevoli specchi
d’acqua e il cielo scuro mi donava un senso di calma e
tranquillità come solo poche cose riuscivano a fare.
Adoravo i temporali, fulmini e tuoni mi affascinavano a tal punto che
avevo sempre desiderato poter vedere quei flash abbaglianti il
più vicino possibile.
Quando uscivo a godermi questi rari momenti, le persone mi squadravano
chiedendosi perché non potessi semplicemente starmene
tranquilla all’asciutto e al caldo. Alzavo le spalle e me ne
infischiavo di quello che si pensava di me, non avrebbe fatto nessuna
differenza spiegare loro il modo in cui mi faceva sentire.
Mi voltai e osservai il castello in lontananza.
L’acqua aumentò d’intensità e
pensai che forse fosse il caso di rientrare, una bella doccia e
un’oretta in biblioteca avrebbero reso questa giornata quasi
perfetta. Così mi incamminai, ritornando sui miei passi.
Era settembre, eppure oggi pareva pieno novembre. Era una di quelle
tipiche giornate autunnali, da impermeabile e stivali da pioggia.
Il sentiero assomigliava ormai ad un rivolo infangato e non osai
abbassare lo sguardo verso le scarpe. Le avevo sporcate sicuramente, ma
non importava, le avrei pulite più tardi.
Arrivai nei pressi del castello, ma vidi Hagrid poco più in
là ritornare verso la sua capanna. Incominciai a correre,
avvertendo di nuovo quell’eccitazione improvvisa data
dall’adrenalina.
«Hagrid!» gridai per sovrastare lo scrosciare della
pioggia. Era rumorosa e assordante e a me piaceva anche e proprio per
quello.
«Lily! Cosa ci fai in giro con questo tempo! Per la miseria,
ti prenderai un accidente! Forza, vieni dentro!»
Mi aspettò davanti alla porta della sua piccola casetta ed
io entrai, chiudendo velocemente l’ombrello.
«Ma sei matta! Uscire con questo tempo! Ci ho preso uno
spavento quanto ti ho visto lì fuori!» mi
aggredì.
«È solo un po’ di vento e di
pioggia.»
Lui borbottò qualcosa e io, dopo essermi asciugata con un
veloce incantesimo, mi sedetti sulla grossa poltrona.
Il pavimento della disordinata capanna era cosparso di piccoli
filamenti di paglia e nel calderone sul camino stava bollendo una
strana e verdognola sostanza.
Mi piaceva un sacco venire qui e Hagrid era sempre così
gentile con me.
«Ci ho dovuto raccogliere tutte le verdure
dall’orto. Non poteva aspettare un po’, dico io.
No, una bella tempesta con i fiocchi proprio i primi di settembre
… Bah.»
Anche lui si sedette davanti a me, ancora però tutto
bagnato. Dal barbone incolto scendevano piccole goccioline che andavano
a tappezzare il pavimento di legno grezzo e la sua pelliccia era
completamente fradicia.
«Hagrid, se vuoi posso asciugarti.»
«Oh, grazie! Voi ragazzi siete sempre tanto gentili con
me» mi ringraziò lui.
Quando tirai fuori la bacchetta, i suoi occhi si mossero velocemente
verso il portaombrelli all’ingresso.
Sapevo bene che la bacchetta che gli era stata confiscata si trovasse
tra quegli ombrelli. Lo asciugai, sorridendo leggermente quando
buttò in un angolo la grossa pelliccia.
«Allora come è andata questa prima settimana,
eh?»
«Se non mi uccidono i Mangiamorte lo faranno sicuramente i
professori.»
Sul subito non mi accorsi delle parole che avevo appena pronunciato, ma
quando vidi la faccia di Hagrid sbiancare, capii di aver decisamente
esagerato.
Non volevo sembrare megalomane, l’avevo semplicemente pensato
e non avevo fatto in tempo a riflettere sulle parole che mi erano
uscite della bocca.
«Lily … Non ci pensare. C’è
Silente, lui sistemerà tutto.»
«Sì, tranquillo Hagrid. So che
c’è Silente, io ...» balbettai sempre
più confusa.
Ero un caso perso, davvero. Hagrid non aveva bisogno di stare a sentire
i miei problemi.
«Andrà tutto per il meglio»
borbottò d’un tratto pensieroso.
Fuori il clima si face sempre più disastroso e potei notare
la tensione di Hagrid crescere. Per quanto si sforzasse, sapevo
riconoscere molto bene quando qualcuno nascondeva qualcosa e lui aveva
la tipica espressione assente.
Lo scrosciare dell’acqua era intenso e prepotente e riusciva
a colmare i lunghi silenzi di Hagrid. Se prima si era dimostrato
espansivo e allegro, ora sembrava muto come una tomba, il che era tutto
dire per uno come lui.
Bussarono alla porta e sia io che Hagrid sobbalzammo colti alla
sprovvista.
«Hagrid, sono il Professor Silente! Porto notizie!»
Oh per la barba di Merlino! Era Silente!
«Lily, per la miseria! Non posso farti restare, il professor
Silente mi licenzierà se scopre che uno studente
è uscito con questo tempo!»
Mi alzai veloce dalla poltrona e lo guardai non sapendo cosa fare.
«Mi spiace mandarti via così, però
svelta, esci dal retro!» sussurrò d’un
tratto rinvigorito.
«Hagrid! Sono Albus, se sei in casa apri per favore.
È urgente!» gridò dall’altra
parte Silente.
«Arrivo Professore, arrivo!»
Hagrid mi spalancò la porta e mi incitò ad
andare, lo salutai con un sorriso frettoloso e alla fine scesi i pochi
gradini che collegavano la capanna al giardino sul retro. Richiuse la
porta e poco dopo lo sentii aprire a Silente.
«Sono notizie dall’Ordine … »
Mentre correvo senza farmi vedere, riuscii solo a sentire queste poche
parole e ripercorrendo a tutta birra il sentiero per ritornare al
castello non potei fare a meno di incuriosirmi.
Notizie dall’Ordine? Chi era l’Ordine? O
cos’era?
Non seppi darmi una risposta, ma rimasi confusa. Perché
Silente sembrava così agitato? E cosa c’entrava
Hagrid in quel poco che ero riuscita a sentire?
Riuscii ad entrare all’interno e, neanche varcato il portone,
una voce arrabbiata mi fece accapponare la pelle.
«Ma sei scema! Uscire con questo tempo! Per tutti i
calderotti magici, che cavolo ci facevi là
fuori!?»
Alice era in piedi dritta davanti a me, ansiosa e arrabbiata come solo
lei poteva essere.
«Alice, ti prego. Ho fatto solo una passeggiata»
obbiettai seccata.
Non sopportavo questo lato così apprensivo di Alice, lo
trovavo esasperante. A lei piaceva avere le cose perfettamente sotto
controllo, mentre a me non piaceva essere controllata. Era una cosa che
avevo sempre odiato.
«Puoi fare tutte le passeggiate che vuoi, ma non oggi! Non
quando scende il diluvio universale!»
Sembrava sempre più arrabbiata, ma mi ricordai che lo era
soltanto perché si preoccupava per me.
«Oh Merlino Alice, sai essere esasperante. Sai che mi
piacciono i temporali, sono stata un po’ al lago e in giro
per il parco e alla fine sono andata da Hagrid, ma poi è
arrivato Silente e quindi sono dovuta scappare di nascosto. Sei
contenta ora che sai per filo e per segno quello che ho
fatto?»
Mi fulminò con lo sguardo, quasi avesse intenzione di
urlarmi contro di nuovo, ma alla fine decise di calmarsi. Fece un
profondo respiro e, quando riaprì gli occhi, si
rilassò esibendo un piccolo sorriso imbarazzato.
«Scusami, Frank mi dice sempre che sono invadente. A lui non
dà certo fastidio, ma alle altre persone … Oh,
non è questo l’importante. Quello che voglio dire
è che mi ero preoccupata» mi rispose
più controllata.
Mi avvicinai sgocciolando e mi diedi una veloce asciugata con un
incantesimo.
«Tranquilla, lo so. Io andrei a farmi una doccia, tu che hai
intenzione di fare?»
«Oh, io raggiungo Frank in biblioteca.»
Le sorrisi annuendo ed Alice si girò per raggiungere il suo
Franky che evidentemente l’aspettava.
«Aspetta, Alice! Lene e Mary?»
«In Sala Grande a studiare» mi rispose soltanto.
Mi accontentai delle risposta e sbuffando mi raccolsi i capelli in una
coda alta, incamminandomi verso la torre di Grifondoro.
Essere al chiuso mi faceva sentire in gabbia, amavo l’aria
aperta, specialmente oggi.
Le pareti grigie del castello riflettevano strani giochi di luci e
ombre e i corridoi scarsamente illuminati si schiarivano al contatto
con un nuovo fulmine.
Mi fermai davanti ad una finestra per bearmi ancora di qualche istante
di temporale e sembrava assurdo, ma questa tempesta aveva qualcosa che
non andava.
Era distruttiva, rabbiosa, violenta, il cielo era di un grigio scuro
così intenso. Mi piaceva tantissimo, ma al tempo stesso ne
ero spaventata. Ero sola, eppure non mi sentivo preoccupata, non da
questo almeno. Non sapevo a cosa attribuire la mia preoccupazione, ma
c’era qualcosa nell’aria, qualcosa che non mi
tornava.
Una mano mi sfiorò le spalle. Sobbalzai spaventata e il mio
cuore iniziò a correre furioso quando incontrai gli occhi
neri come la pece di quello che una volta era stato il mio migliore
amico. Era in piedi dritto davanti a me, mi fissava freddo e distante,
una maschera dietro a cui non seppi riconoscervi altre emozioni. Una
volta ci riuscivo.
«Lily» sussurrò.
Avevo oramai superato lo shock di vederlo e di incontrarlo, perfino di
condividere qualche lezione con lui, ma ora, pensando sinceramente,
solo io e me stessa, potevo ammettere di non aver superato affatto la
sua assenza. Sì, ci ero passata sopra soltanto
perché, in un certo senso, ero stata costretta. Non sarei
mai tornata indietro, questo mai, ne lo avrei perdonato,
però quel senso di rammarico continuava a crescermi
tutt’ora nel petto.
«Lils» disse ancora.
Sentivo ogni singolo neurone del mio cervello che mi urlava di correre
via, scappare da quello che era diventato, perché vedere in
cosa si fosse trasformato mi faceva un male terribile. Se io avevo
rischiato di cadere dal baratro per colpa sua, lui ci si era buttato
totalmente. Più lo guardavo e più non sapevo chi
avevo davanti, non era più il Sev che era stato il mio
migliore amico.
«Evans, per te sono solo Evans» mi costrinsi a
dire.
La mia voce risuonò gelida e tagliante, ma dentro di me mi
sentivo esattamente all’opposto.
Non sapevo cosa fare, se per una volta provare a cercare qualche segno
di rimorso da parte sua, qualcosa che mi facesse capire che lui poteva
ancora cambiare, o se andarmene e fare i conti con il fatto che ormai
non potevo più fare nulla.
La sua espressione mutò e il suo viso si contorse in
un’espressione di rabbia furiosa.
Si avvicinò ancora di più al mio corpo e non
potei che rabbrividire preoccupata, era troppo vicino.
Qualcosa mi inchiodava al suo sguardo, e non sapendo cosa fare o come
riempiere questo silenzio, dissi la prima cosa che mi saltò
in mente. «Non hai paura di infettarti? Sono una
Sanguesporco, no?»
I suoi occhi si ridussero a due fessure. «Non
c’è da scherzare! Ti rendi conto della
situazione?»
Lo disse con una tale ovvietà che mi sorprese, raggelandomi
dall’interno.
Non capii se mi dava già per spacciata o se c’era
dell’altro, sembrava si stesse trattenendo dal fare o dal
dire qualcosa.
«Non sto scherzando, Piton. Sei stato tu a chiamarmi in quel
modo, o non te lo ricordi?»
Odiavo il fatto che la persona di cui mi ero fidata di più
aveva tradito la mia fiducia. Lo odiavo.
«Smettila! Smettila di provare a convincerti a detestarmi. Tu
non mi detesti. Lily … noi potremmo tornare ad essere come
prima.»
Una lacrima scese dal mio occhio, senza che potessi impedirlo. Non
volevo piangere davanti a lui, non volevo dargli questa soddisfazione.
Severus proprio non riusciva a capire che non dipendeva dal voler
tornare indietro, ma dallo scegliere.
«Non potrei mai starti accanto sapendo ciò che
sei, non voglio farlo, ho scelto di non farlo» dissi fredda.
Volevo che capisse che io avevo fatto la mia scelta.
«Ma io posso proteggerti, posso fare in modo che a te non
vengo fatto del male!» urlò quasi.
Sembrava agitato, irrequieto.
«Io non voglio la tua schifosa protezione! Proprio non vuoi
capire? È da te che devo proteggermi!»
Mi afferrò il braccio e la stretta divenne sempre
più salda mano a mano che i secondi passarono. Sentivo le
sue unghie conficcarsi dolorosamente contro la mia pelle e non potei
che gemere di dolore.
«Smettila! Lasciami stare!» mi dimenai, ma lui mi
stritolò maggiormente.
«Tu devi capire! Sanno che sei una NataBabbana, ma posso fare
in modo che ti lascino stare!»
«E come? Trasformandomi in una schifosa seguace di quello che
tu chiami “Signore”? Mai! Preferisco
morire!» urlai con tutta la forza che avevo, la voce che si
mischiava alle lacrime.
La sua presa era come un gancio di piombo, un peso che mi faceva
scivolare sempre più giù, negli abissi.
Sentivo il braccio pulsare, la carne del mio polso che infuocata
gridava lacerata. Mi dimenai ancora, ma fu inutile. L’ansia
crebbe dentro di me, ma in lui non vidi altro che disperazione.
«Lasciami!»
Sembrò non sentirmi, guardava il mio viso aggrappandosi
deluso. Immaginai deluso da me, dal mio rifiuto, ma doveva farci
l’abitudine, d’altro canto io lo avevo fatto.
Vidi tornare lentamente la ragione nei suoi occhi e dopo qualche
secondo la sua mano lasciò andare il mio polso.
Fece un passo all’indietro e io potei tornare a respirare. Il
braccio mi bruciava da morire, ma non osavo abbassare lo sguardo dai
suoi occhi.
«Lily … mi dispiace tantissimo, io n-non volevo
…»
Il suo viso era l’incarnazione della sofferenza e dentro di
me ancora non riuscivo a dare un ordine a quello che stavo pensando.
Provavo un senso di dolore incredibile, un dolore che non credevo
sarebbe passato tanto facilmente.
«Lily, ti prego. Parlami, dì qualcosa …
i-io …»
Cosa voleva ancora da me? Ero in uno stato di apatia totale, era come
se fossi una spettatrice esterna e non fossi realmente dentro il mio
corpo.
«Mi dispiace veramente tanto, non ti farei mai del
male» sussurrò disperato.
Quella era la sua convinzione, ma era successo esattamente
l’opposto. Lui continuava a farmi del male. Ogni volta
riusciva sempre a ricordarmelo, non capiva che ormai il danno era
fatto.
Lo guardai rimanendo fredda e distante. «Tu continui a farmi
del male, quindi, ti prego, lasciami andare una volta per
tutte.»
Mi allontanai quasi correndo, non si mosse, ma lo sentii urlare
«Non posso!»
Corsi via da lui, lontano da tutto ciò che lo riguardava.
L’unica cosa che volevo era soltanto un po’ di
libertà e di solitudine. Mi sentivo schiacciata e avevo un
disperato bisogno di sfogarmi.
Mi accorsi di aver ricominciato a piangere solamente quando le guance
erano ormai completamente bagnate, così mi fermai dentro la
prima aula vuota che trovai e mi lasciai cadere a terra. Respirai
affannosamente mentre sentivo dentro di me crescere la consapevolezza
di quello che era appena successo.
Mi sfregai le mani sul viso, cercando di asciugare un minimo di lacrime.
O forse cercavo solo di eliminare i segni del dolore?
Mi ero illusa, avevo creduto di poter riempire quel vuoto creato dalla
sua assenza. Ma no, mi ero ingenuamente sbagliata. Ancora una volta.
Mi ero sbagliata adesso e mi ero sbagliata tempo prima quando avevo
creduto che lui potesse cambiare. Avevo sbagliato anche a fidarmi, non
avrei mai dovuto diventare sua amica.
Lui era stato il primo a parlarmi di Hogwarts, a mostrarmi un nuovo
mondo, a farmi capire chi fossi, ma era stato anche l’unico
in grado di scaraventarmi a terra con poche parole.
Crudele, vero?
Avevamo vissuto cinque anni con un profondo legame ed erano bastati
pochi attimi a far crollare ogni cosa. Tutto era iniziato molto prima
di quel giugno del quinto anno, quello fu soltanto il momento in cui la
goccia fece traboccare il vaso.
La verità era che la nostra amicizia si era lacerata pian
piano, le diversità erano state fin da subito evidenti,
nessuno dei due aveva potuto farci nulla.
Io Grifondoro, lui Serpeverde. Io Nata Babbana, lui Mezzosangue.
Tutti si erano resi conto che la nostra amicizia non poteva funzionare,
tutti tranne noi.
Mi alzai senza un vero scopo e cercai di darmi un contegno. Non potevo
lasciare che Severus si prendesse anche questa parte di me, non glielo
avrei permesso.
Avrei continuato la mia giornata e me ne sarei fatta una ragione. Per
il mio bene.
****
La guardai correre via, correre via da me.
Che cosa hai fatto Severus?
L’avevo allontanata, ecco cosa avevo fatto. L’unica
mia intenzione era stata quella di farla avvicinare e ora, invece, era
più lontana che mai.
Chi ero io senza di lei?
Uno sbaglio, uno stupido sbaglio e tutto quello che ero riuscito
costruire era svanito in una nuvola di fumo.
Ci avevo provato con tutte le forze, ma ero riuscito a dimenticarla.
Non capiva che io ero la persona giusta per lei, non aveva mai capito
quanto la amassi veramente. Potevo proteggerla, maledizione!
Mi appoggiai alla parete, chiudendo gli occhi. Riuscivo quasi ad
immaginare come quest’incontro sarebbe potuto andare
diversamente, con noi che ci riappacificavamo e il sorriso di Lily a
riempire questo vuoto. Quante notti avevo passato sveglio a
fantasticare su una possibile svolta, quanto dolore non avevo mai
esternato.
Mi stavo lasciando andare, non dovevo.
Ricomponiti.
Mi staccai dal muro e un passo dopo l’altro riuscii ad
incamminarmi in maniera drasticamente meccanica.
Severus, concentrati.
Odiavo perdere il controllo sul mio corpo, non ne ero per niente
abituato.
Essere un Serpeverde voleva dire tante cose, essere tante cose, prima
fra tutte la necessità di mascherare ogni tipo di emozione
che ti facesse sembrare quello che non dovevi essere.
I sotterranei erano gelidi e riuscivo a sentire da qui il vociare
pomposo di Lumacorno.
Arrivai davanti all’entrata della sala comune bisbigliando la
parola d’ordine e non appena la porta si aprì,
urla arrabbiate mi investirono prepotenti.
«Ancora non capisci? Dobbiamo agire!»
«Silente non è uno stupido!» disse
un’altra voce.
Mi diressi verso il centro della stanza dove riconobbi Black e Avery
fronteggiarsi l’uno davanti all’altro.
«Silente è un balordo, non possiamo continuare a
non fare nulla!» abbaiò Avery.
Quando mi avvicinai, gli occhi scuri di Sebastian mi scrutarono adirati.
«E tu dove diavolo eri finito?»
«Non sono affari vostri» dichiari apparentemente
annoiato.
Dovevo nasconderlo, dovevo nasconderlo ad ogni costo.
«Siete tutti così ridicoli a fingere di accettare
tutto questo marcio! Sapete cosa dice mio padre, dice il Signore Oscuro
riporterà il diritto magico al suo iniziale
splendore.»
«Questo lo crediamo tutti, ma ragiona, non possiamo fare
mosse affrettate» affermò Regulus lasciandosi
cadere sul divano di pelle nera.
Non sapevo se prendere posizione, cosa dire per far capire che io non
ero sbagliato.
In fin dei conti nessuno sapeva quello che era appena successo, nessuno
sapeva cosa provavo ancora per Lily. E nessuno avrebbe dovuto saperlo.
«Silente non sospetta nulla, sono sicuro che Potter e
quell’idiota di tuo fratello non hanno detto a nessuno quello
che è successo qualche giorno fa. Tutti ci credono ancora
dei ragazzini, io dico di far capire che invece non lo siamo»
ribatté Avery diminuendo la rabbia sul volto.
Quello che era successo qualche giorno fa … Lo scontro e il
tentativo di Sebastian di cruciare quei due maledetti.
L’avevo fermato in tempo, ma avevo capito benissimo il suo
odio, probabilmente in un momento di poca lucidità anche io
avrei potuto farlo.
Odiavo Potter e la sua stupida combriccola. Arroganti, sbruffoni e
dannatamente superficiali.
Iniziai a sentire ovattate le voci attorno a me, quando mi persi nel
lungo e infelice viale dei ricordi.
“Allora Mocciosus, te ne vai in giro ancora unto e sporco?
Fai un po’ ribrezzo, non credi?”
“Di nuovo tutto solo soletto, ancora niente amici?”
“Niente Evans, oggi? Che c’è, si
è finalmente resa conto del perdente che sei sempre
stato?”
“Mocciosus! Fai schifo!”
“Allora … chi vuole vedere togliere le mutande a
Mocciosus?”
No, non dovevo cedere!
Ritornai in me giusto quando entrambe le figure si girarono nella mia
direzione.
«E tu cosa ne pensi, Severus?»
Non risposi e mi limitai a sedere composto sul divanetto. Cosa ne
pensavo? Volevo vedere morti Potter e compagnia, ma ero veramente
pronto a fare del male a Lily? Certo che no, era quello che cercavo di
evitare da tempo.
«Lascialo perdere, probabilmente sta pensando alla sporca
Mezzosangue Evans» mi stuzzicò Sebastian.
Lo freddai con lo sguardo, ma Regulus rise sprezzante.
«Non prendi in giro nessuno Severus, ma confido che il tuo
interesse per lei sia soltanto fisico.»
Cercai di non deglutire e risposi nella più totale apatia.
«È sempre stata soltanto una piacevole
compagnia.»
Mi sentii immediatamente un verme a palare di Lily in questo modo, come
se tutto quello che c’era di bello in lei venisse sommerso
dalle mie viscide e meschine parole.
«Quando serviremo il Signore Oscuro lui potrà
piegarla al tuo volere» sostenne Avery leccandosi le labbra
con le tenebre negli occhi.
Forse avevano ragione, forse passare definitivamente dalla parte del
Signore Oscuro le avrebbe garantito una protezione e in più
anche l’obbligo a restare con me.
Non avrebbe potuto rifiutare, avrei potuto amarla e lei amare me.
«Io dico di attaccare, imponiamo il nostro potere
all’interno di Hogwarts» continuò
Sebastian.
Non si sarebbe mai arreso, lo sapevo bene. Non avevo scampo, avrei
dovuto per forza adeguarmi a ciò che loro volevano fare. Era
questo il problema, anche se avessi voluto evitarlo, non avrei potuto.
A ogni essere umano è
stata donata una grande virtù: la capacità di
scegliere. Chi non la utilizza, la trasforma in una maledizione
– e altri sceglieranno per lui.
Paulo Coelho
****
La biblioteca non mi era mai sembrata così calda e
accogliente. Il temporale infuriava arrabbiato e sommerso dai libri e
dal silenzio potevo finalmente rilassarmi.
Prongs e Padfoot erano in giro a fiutare guai, mentre Peter aveva
preferito restare al caldo in sala comune. Mi era sembrato molto
spaventato e non avevo insistito più di tanto. Non
disprezzavo affatto un’oretta in solitudine.
Per anni mi ero sempre ripetuto che nessuno avrebbe voluto la compagnia
di un mostro come me. Le cose erano cambiate, ma conservavo ancora
quella vocina interiore che mi ricordava sempre ciò che
realmente ero.
Madama Pince gironzolava tra gli scaffali sorvegliandoci attenta e
sussultava ad ogni minimo rumore. In realtà gli unici suoni
che si udivano provenivano dall’esterno, ma per Madama Pince
ogni rumore era sospetto.
Avevo gli occhi fissi sul libro che avevo casualmente scelto per
trascorrere questo pigro pomeriggio, quando sentii la sedia accanto a
me spostarsi dolcemente.
Avvertii una certa curiosità, chi si era seduto accanto a
me?
Non appena girai la testa, gli occhi allegri di Marlene mi guardarono
gentilmente.
«Posso sedermi?»
Si era già seduta, ma poco importava. Annuii a disagio.
La guardai di nuovo, aveva appena appoggiato una serie di libri sul
tavolo e si stava raccogliendo i capelli in una coda disordinata. Non
potei fare a mano di sbirciare tra i titoli dei voluminosi libri.
“Come praticare un incanto perfetto” era il volume
che più si notava tra gli altri tomi.
«Ti porti avanti con lo studio?» chiesi per
scherzare.
La sua faccia non colse l’umorismo e le sue guance si tinsero
di un acceso color roseo.
«In Incantesimi non sono un asso e quest’anno
vorrei puntare almeno ad un Oltre Ogni Previsione. Tu cosa stai
leggendo?» mi chiese sempre più rossa.
«Io? Oh, non è niente di che … Solo un
libro per passare il tempo.»
Mi sentii un po’ in imbarazzo e sperai di non arrossire o
cose del genere.
Ma perché cavolo dovevo arrossire? Non era niente, stavo
solamente intrattenendo una normale conversazione con
un’amica.
«Come mai qui tutta sola?» chiesi per interrompere
il disagio che si stava creando.
«Oh, prima ero con Mary, ma studiare in sala grande
è pressoché impossibile con il baccano che
c’è oggi e quindi mi sono cercata un posto
più tranquillo.»
«E le altre?»
«L’ultima volta che ho visto Alice stava urlando in
tutte le lingue del mondo contro Lily e Lily era fuori a fare quella
che lei definisce “una passeggiata”» mi
spiegò aprendo il libro che doveva leggere.
Ritornai anche io al mio libro, ma in verità non riuscivo a
concentrarmi su neanche una singola lettera. Percepire Marlene accanto
a me mi faceva sentire particolarmente confuso.
Non capivo se era perché succedeva raramente che qualcuno
cercasse la mia compagnia o se era Lene a mandarmi in confusione.
Era veramente molto bella, solare e divertente senza però
risultare mai invadente. I grandi occhi verde chiaro, una sfumatura
diversa rispetto a quella di Lily, erano concentrati per non perdersi
neanche una parola di ciò che stava leggendo e le labbra si
muovevano silenziosamente mentre scorreva tra le parole. Aveva delle
belle labbra, Marlene.
Ma a che cavolo stai pensando, Remus!
Tuttavia, se proprio dovevo pensare a queste stupidaggini, era anche
molto intelligente e possedeva una raffinatezza unica nel suo genere.
Anche adesso, tutta assorta nella sua lettura, era perfettamente
adorabile.
«Ehm … Remus, va tutto bene?»
Marlene si era girata nuovamente verso di me, probabilmente coscia di
essere osservata.
Mi schiarii la voce in imbarazzo. «Sì,
è solo che non riesco a leggere.»
«È per colpa mia? Se è per colpa mia
posso trovare un altro posto. Oddio, scusami. È solo che ti
ho visto qui e ho pensato …»
«Marlene, fermati. È tutto okay» risi
lasciandomi cadere sullo schienale della sedia.
Anche lei iniziò a ridere e, senza che potessimo evitarlo,
qualche minuto dopo entrambi stavamo ancora ridendo come pazzi.
«Non r-riesco a f-fermarmi!» balbettai in preda ad
un mal di pancia terribile.
«Neanche io!»
Ma cosa mi stava succedendo?
Ridevo così allegramente che iniziò a farmi male
la bocca. Questo attacco di risate era totalmente ingiustificato e
imbarazzante.
«Ora basta! Signor Lupin, le sembra questo un atteggiamento
consono ad una biblioteca, da lei non me lo aspettavo proprio! E lei,
Signorina, si dia un contegno!»
La figura di Madama Pince torreggiava su di noi come un avvoltoio
maledetto e i suoi occhi sembravano esplodere in pericolose scintille.
Mi passai una mano per asciugare le lacrime e quando feci per chiedere
scusa, Madama Pince era già sparita.
«Vedi, la leggenda narra che abbia un nascondiglio segreto
tra gli scaffali per cogliere sul fatto gli studenti maleducati. Sono
solo voci di corridoio, ma pare che un gruppetto di ragazzi, anni fa,
sia stato rapito e portato in questo nascondiglio misterioso. Solo uno
ne uscì vivo, ma non poté mai raccontare come
andarono veramente le cose perché venne rinchiuso al San
Mungo» mi bisbigliò Marlene all’orecchio
con aria cospiratrice.
Ricominciai a ridere, ma questa volta feci molta attenzione a non fare
troppo rumore.
Marlene, intanto, stava raccogliendo i suoi numerosi libri.
Non volevo che se ne andasse, mi era piaciuto passare del tempo con
lei.
Sbuffò quando un libro le cadde dalle mani e immediatamente
mi chinai a raccoglierlo, di riflesso. Glielo restituii con gentilezza
e quando sfiorai le sue mani avvertii una strana sensazione di
staticità, quasi una vibrazione nell’aria.
Le nostre mani rimasero vicine e le labbra di Lene si distesero in un
sorriso dolce e genuino.
«Beh, grazie per la compagnia Remus. È stato molto
divertente.»
Mi sorrise ancora prima di incamminarsi verso l’uscita della
biblioteca.
La guardai andare via, probabilmente incantato come un babbeo.
Sì, grazie per la compagnia, Marlene McKinnon.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
CAPITOLO 5
“5 morti, 11 feriti, 13 scomparsi.”
“Quartiere babbano distrutto nella periferia Londinese,
Mangiamorte scatenano il panico.”
“Attacco sventato al Ministero della Magia, il Ministro
Wilson non rilascia dichiarazioni.”
“Tempesta violenta distrugge parte di Diangon Alley, si
sospetta magia oscura.”
La prima pagina della Gazzetta del Profeta riportava questi quattro
titoli e più li rileggevo più non riuscivo a
comprendere.
Com’era possibile continuare ad accettare questa situazione?
Ad Hogwarts si erano già ritirati tantissimi studenti e
molte famiglie di maghi si erano trasferite dall’altra parte
dell’emisfero pur di evitare tutto questo. Perché
nessuno voleva combattere? Mi sembrava di essere l’unico a
pensarlo e ancora non capivo come potessero le persone preferire
rinchiudersi in casa piuttosto che affrontare la situazione.
«È scandaloso» fece notare Alice.
Eravamo tutti seduti in Sala Grande a fare colazione, in attesa di
iniziare questa seconda settimana di scuola.
«Gli Auror stanno facendo il possibile.»
«Ma dovrebbero fare l’impossibile» mi
interruppe Mary sorseggiando il suo tè.
I bisbigli preoccupati in Sala Grande ci accompagnarono per il resto
della colazione e anche al tavolo dei professori alleggiava
un’atmosfera afflitta. La poltrona riservata a Silente era
ancora vuota e ormai lo si vedeva di rado.
«Silente è di nuovo via» notò
Padfoot seguendo la direzione del mio sguardo.
Avevamo fatto congetture per tutta la settimana su dove Silente potesse
essere andato, ma ovviamente nessuno di noi sapeva nulla.
Gli altri professori sembravano abituati a queste sue assenze, ma
alcuni studenti avevano fatto notare che per la scuola non era prudente
che Silente lasciasse l’istituto. Si era visto il primo
giorno e poi sembrava essere svanito nel nulla.
«Beh, di certo non è in vacanza» si
inserì Moony.
La sala stava iniziando a svuotarsi e anche le ragazze si alzarono
prendendo le loro borse. Lily come al solito mi ignorò, ma
questo non mi impedì di osservarla.
Oggi aveva raccolto i suoi lunghi capelli rossi in una treccia laterale
e il suo viso lentigginoso era pallido e teso. Non aveva mangiato nulla
e da due giorni si comportava in modo strano. Era molto più
silenziosa del solito, raramente l’avevo vista ridere o
chiacchierare.
«Ehi Evans, cosa sono questi musi lunghi?»
Al suono dalla mia voce provocatoria alzò il capo
lanciandomi uno sguardo irritato. «Non deve interessarti,
Potter.»
Le sue non erano state parole dolci e carine, ma ero comunque riuscito
ad attirare la sua attenzione.
«Oh, insomma. Sei sempre così
scorbutica» borbottai fintamente offeso.
«E tu sei sempre così arrogante da credere che io
debba perdere il mio tempo con te.»
Ed eccola lì, la scintilla nei suoi occhi, la scintilla che
cercavo.
«Non è per fare il pignolo, Evans, ma tu stai
perdendo il tuo tempo con me» sghignazzai.
I suoi occhi si ridussero a due fessure infuriate e mi preparai
all’urlo che tra poco sarebbe arrivato, ma non accadde.
Lily fece un lungo sospiro e si alzò dal tavolo, seguendo
Mary, Alice e Lene fuori dalla Sala Grande. I Malandrini osservarono la
scena confusi tanto quanto lo ero io. Avevo previsto una sfuriata, una
minaccia decisamente poco velata su quanto fosse abile negli
schiantesimi, o peggio, sull’innata bravura di picchiare alla
babbana, e invece era rimasta impassibile. Lily Evans aveva appena
perso l’occasione di gridarmi contro epiteti poco carini.
«Questo è strano, molto strano» fece
notare Sirius.
Peter annuì scioccato, ma l’unico che non sembrava
sorpreso era Remus.
«Volevi che ti parlasse, non è
così?» domandò infatti.
Non risposi, ma mi limitai a caricarmi in spalla lo zaino e aspettare
che loro facessero lo stesso. Uscimmo dalla Sala Grande in silenzio,
con Peter che smangiucchiava ancora il suo muffin e Remus che ripassava
per la lezione di Trasfigurazione.
Non era stato esattamente un bel risveglio, con tutte quelle terribili
notizie e il tempo nuvoloso di fuori, ma da un po’ di tempo a
questa parte, quasi tutte le giornate non erano mai completamente
allegre.
«Secondo voi le cose cambieranno?» chiesi ad un
tratto.
Peter smise di smangiucchiare quel povero muffin, Moony alzò
il naso dalla sua attenta lettura e Sir mi guardò con una
faccia depressa a tal punto da fare invidia al Professor Rüf
in persona.
«Ma dobbiamo proprio parlarne?»
«Perché non dovremmo?»
«Perché ci mette ancora più di
malumore» rispose Wormtail facendo un piccolo sospiro.
«James, stai diventando sempre più deprimente,
sappilo» scherzò Padfoot per alleggerire la
tensione.
«Taci, cane.»
«Ma sentitelo! Si sente superiore soltanto perché
al posto di un pelo nero come la pece, una coda strafiga e un olfatto
niente male, ha un maledetto palco di corna e una sottospecie di
pelliccia tutta spelacchiata … bleah!»
«Punto primo, la “pelliccia” come la
definisci tu è in realtà un manto lucente. Punto
secondo, le mie corna ti hanno salvato quella dannata coda
più di una volta. Punto terzo, e questo ricordatelo bene
perché è il più importante, io sono
molto più figo di te» risposi offeso da tutte
quelle calunnie dette sul mio bellissimo Animagus.
«Beh, veramente James tutti amano i cani, di solito i cervi
non se li fila nessuno» rise Moony e Sirius si
gustò il mio disappunto.
«Non è vero, noi cervi siamo molto più
particolari, unici nel nostro genere. Puah, cani!»
Padfoot mi squadrò con aria superiore e io lo imitai.
Quando arrivammo all’aula di Trasfigurazione la McGranitt non
c’era ancora, così ci limitammo a sedere ai nostri
posti.
Lily e le ragazze erano sedute in prima fila e chiacchieravano tra
loro, mentre il resto della classe parlava dei recenti avvenimenti o
finiva il tema che avevamo per compito.
I Serpeverde sembravano gioire delle disgrazie altrui e questo non face
altro che irritarmi maggiormente. In una giornata come oggi riuscivo a
malapena a guardarli, figuriamoci a tollerarli.
La McGranitt entrò finalmente in classe, ma fu la sua
espressione a confondermi. Si fermò esattamente davanti a me
e mi guardò con un misto di preoccupazione e rassegnazione.
«Potter, il Professor Silente la attende nel suo ufficio. E
anche lei Signorina Evans» disse con voce controllata,
dopodiché aggiunse in un bisbiglio «La parola
d’ordine è Scarafaggi al Grappolo.»
Lily ci raggiunse e nella classe si estese un silenzio carico di
tensione, lasciammo l’aula di Trasfigurazione sentendo gli
sguardi dei presenti puntati sulla nostra schiena.
«Cosa pensi che voglia Silente?» chiesi, ma gli
occhi di Lily erano lontani e pensierosi. Era distratta in modo fin
troppo evidente, quasi non da lei.
«Ehm … Evans?» domandai di nuovo.
«Cosa?»
«Ti ho chiesto cosa pensi che voglia Silente.»
«Avrai combinato qualcosa.»
«E allora perché avrebbe convocato anche
te?»
A questo non trovò risposta, ma si limitò a fare
una smorfia di disapprovazione.
I suoi occhi si muovevano a scatti rapidi e mi sembrava quasi di udire
il vorticoso mare di pensieri che si rincorrevano dentro la sua testa.
Io, d’altro canto, non riuscivo a capire quale fosse il
motivo di tanta urgenza. Insomma, eravamo Caposcuola, e fin
lì nessun problema, ma l’espressione della
McGranitt e l’essere convocati da Silente nel bel mezzo di
una lezione. C’era qualcosa che non mi tornava e poi era una
settimana che Silente non si faceva vedere, ma evidentemente era nel
castello se aveva chiesto di vederci.
Senza rendercene nemmeno conto arrivammo davanti ai due Gargoyles e
Lily pronunciò la parola d’ordine con estrema
tensione.
Avrei voluto rendermi utile e tranquillizzarla, ma mi resi conto che io
e lei non avevamo tutta questa confidenza e sarei risultato invadente
se avessi provato a confortarla.
Io per Lily Evans ero soltanto uno stupido ragazzino prepotente e
viziato, amara verità che non potevo cambiare.
Davanti a noi comparve la scala a chiocciola che portava
all’ufficio di Silente. Saltai i gradini due a due,
muovendomi con famigliarità tra la mura della torre. Bussai
alla porta dell’ufficio e una voce squillante ci
esortò ad entrare.
Albus Silente, seduto composto sulla grande poltrona della sua
scrivania, ci osservò invitandoci silenziosamente a sederci
sulle due grosse poltrone di fronte a lui.
Aveva il viso stanco, teso e solcato da profonde occhiaie che
sembravano quasi inadeguate sul volto sempre gioviale.
«Miei cari ragazzi, come vi siete trovati in queste
prime settimane di scuola?»
La domanda mi colse di sorpresa, non mi ero aspettato di iniziare
questa conversazione in modo personale.
«Molto bene, Professore. Le lezioni sono molto
interessanti» rispose Lily con la sua immancabile gentilezza.
«E tu, James? Ho saputo che tu e i tuoi compagni di avventure
avete già dato filo da torcere a quasi tutto il corpo
docenti.»
Una scintilla di divertimento guizzò sul volto di Silente,
rallegrandolo visibilmente. Mi limitai a rispondere con un ghigno
divertito.
Quante volte mi ero ritrovato seduto su questa poltrona, con Sirius
accanto a me a spalleggiarmi, quante volte i professori ci avevano
spedito qui come se fosse la più cattiva delle punizioni e
quante volte io e Padfoot ci eravamo divertiti nell’ascoltare
Silente ammettere di essere impressionato dalla nostra grande
abilità nel farla sempre franca.
«Sicuramente vi starete chiedendo perché vi ho
convocato qui, e, ahimè, avrei di gran lunga preferito non
doverlo fare» esordì lasciando che la tristezza
conquistasse i suoi lineamenti.
«Abbiamo fatto qualcosa di male?»
domandò Lily con voce tremante.
Evidentemente doveva essere stata convocata poche volte dal Preside,
visto il visibile terrore che stava provando.
«Oh no, mia cara. Al contrario, sono io a dovervi chiedere un
grande sacrificio. Vedete, non è un segreto che la
situazione fuori da queste mura stia peggiorando, la Gazzetta del
Profeta di questa mattina ne è un chiaro esempio, e
purtroppo sono stato così sciocco da lasciare che anche
all’interno della nostra scuola si insidiassero rammarico e
sfiducia.»
Era l’incarnazione della sofferenza e mi sentii come un
bambino di fronte a qualcosa molto più grande di lui, forse
non ero pronto.
«Per un Preside è davvero scoraggiante percepire
che i propri allievi non si sentono più al sicuro tra queste
mura, comprendere che i genitori non lo ritengono più
affidabile.»
«Ma Signore, lei è esattamente il motivo per cui
questo castello continua ad essere il solo posto più sicuro
per tutti noi» rispose Lily con ovvietà.
«La ringrazio molto, Signorina Evans, ed è
veramente un onore sapere che lei rimponga così tanta
fiducia in me, ma con mio grande dispiacere la maggior parte delle
persone è di un altro avviso. Credono che ormai io sia un
vecchio, incapace di fronteggiare nel modo adeguato Voldemort e i suoi
seguaci e forse hanno ragione, perciò sto chiedendo il
vostro aiuto» disse con voce spezzata.
Ormai sentire il nome di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato dalla bocca
di Silente non mi faceva più nessun effetto.
«Che cosa dobbiamo fare?» domandai con fermezza.
Volevo essere di aiuto, volevo fare qualcosa di significativo, non
rimanere a guardare mentre crollavamo tutti in pezzi. Anche Lily
sembrò animarsi e munirsi di quella determinazione che tanto
la caratterizzava e con la coda dell’occhio notai i suoi
occhi, splendenti di un verde più intenso.
«Vi devo chiedere molto e mi dispiace per questo. Siete
Caposcuola, siete leader intelligenti e intraprendenti, possedete una
buona dose di popolarità e anche di astuzia. In primo luogo,
vorrei che d’ora in poi usaste la vostra carica per
assicurare una certa tranquillità tra gli studenti. Aiutate
chiunque abbia bisogno di un aiuto e punite chiunque meriti di essere
punito, nessuna eccezione.»
Il tono con cui lo disse era fermo, una linea netta e decisa in
contrasto con i lineamenti bonari del volto.
«Come seconda cosa, ho preso la decisione di aumentare le
ronde all’interno del castello per garantire maggiore
protezione. Vedete, mi sento in colpa ragazzi. Ho troppe cose a cui
badare e riconosco che accettare un po’ di aiuto non
è sinonimo di debolezza» affermò
indugiando a lungo sui nostri visi.
«Saranno ronde segrete, non potrete rivelare a nessuno,
nemmeno a vostri più cari amici, ciò che state
facendo. Le svolgerete dalle undici di sera, appena dopo la ronda dei
Prefetti e farete attenzione a non farvi vedere nemmeno da loro.
Controllerete tutto il castello e se vedrete o sentirete qualcosa di
sospetto, sarete autorizzati ad intervenire.»
«Ma Professore, tutta la settimana?» chiese Lily un
po’ preoccupata.
Capivo la sua preoccupazione, significava che in pratica avremmo dovuto
mentire ai nostri amici, trovare una scusa plausibile per giustificare
le nostre assenze e per tutta la settimana andare a dormire a
chissà quale ora. Tutto questo sommato all’enorme
quantità di studio e impegni che entrambi avevamo. Era
praticamente un suicidio.
«Oh no, Signorina Evans. Capisco che per voi diventerebbe
ingestibile. Vi impegnerò solamente due giorni: il
martedì e il giovedì. Mi sono preso la
libertà di controllare i vostri orari e ho notato che
entrambi il mercoledì e il venerdì mattina avete
un’ora libera, il che significa un’ora in
più per riposare » ci spiegò con
pazienza.
«E il resto dei giorni?» domandai confuso.
«Ci penseranno gli insegnanti e in più una squadra
di esperti Auror sorveglia costantemente la scuola.»
Rimaneva ancora un problema, un enorme problema. Come Merlino avrei
fatto a mentire a Sir, Remus e Peter?
«Signore, è praticamente impossibile trovare una
scusa che regga le nostre assenze, alle undici di notte poi»
provai a dire, cercando di nascondere lo scetticismo dalle mie parole.
«Lo so e ho già provveduto a risolvere anche
questo particolare. Potrete dire che dovete farmi rapporto, dato che
siete Caposcuola non credo che nessuno si insospettirà
più di tanto, e se dovessero insistere sull’ora
insolita risponderete che ultimamente ho troppe cose da fare e posso
ricevervi solo a quel determinato orario. La cosa vitale è
che l’informazione di queste ronde non cada nelle mani
sbagliate, potrebbe diventare pericoloso» terminò
lasciandoci intendere un sacco di cose.
In quell’esatto istante capii che Silente sapeva di certe
tendenze all’interno del castello, sapeva dei Serpeverde,
capii che sapeva tutto.
Mi chiesi se fosse a conoscenza anche degli enormi problemi tra me e
Piton o tra Padfoot e suo fratello, ma non aveva importanza, non in
questo momento perlomeno.
«Faremo attenzione, non si preoccupi» rispose Lily
con tono cordiale e gentile.
Lei aveva sempre la risposta pronta, non doveva combattere contro se
stessa per cercare di migliorare.
«Quindi mi aiuterete?»
«Ma certo.»
Silente sorrise, non un vero sorriso, ma qualcosa che ci si avvicinava.
Si capiva che era demoralizzato, ma si stava sforzando di non lasciare
trapelare troppo.
«Bene, grazie ragazzi. Incomincerete domani sera, vi
farò sapere per il prossimo incontro» ci
congedò alzandosi dalla scrivania e accompagnandoci alla
porta.
Mi ritrovai davanti ai gargoyles senza neanche rendermi conto di essere
sceso dalla torre e, alzato gli occhi, mi accorsi che Lily mi fissava
pensierosa.
«Questo complica le cose» disse radiografandomi da
capo a piedi.
«Quali cose?»
«Andiamo, Potter … noi due costretti a passare del
tempo insieme, non sono neanche sicura che sia legale.»
«Già, sarai obbligata a sopportarmi
Evans» risposi alla sua provocazione.
«Dovremo mentire, la cosa non mi piace più di
tanto, ma voglio essere d’aiuto.»
Non piaceva neppure a me dover mentire, ma l’avrei fatto dato
che si trattava di poter fare la differenza.
«Lo so, neanche a me fa piacere» dissi cercando di
apparire sicuro, molto più di quello che ero in
realtà. «Ma lo farò, se questo
significa poter fare qualcosa di utile.»
«Mi sembra veramente strano sentirti parlare come una persona
…»
«Responsabile? Matura? Degna di fiducia?» la
interruppi, forse con troppa enfasi.
«No, stavo per dire normale. Come una persona normale,
Potter.»
Ah.
«Quindi per domani sera io direi di incontrarci nel corridoio
a destra accanto alla Signora Grassa» continuò.
«Sì, di solito alle undici di sera
c’è ancora qualcuno in Sala Comune, dovremo fare
attenzione a non farci notare» assentii, ma appena finii la
vidi trasalire.
Sbatté più volte gli occhi, come risvegliandosi
da un sogno e a giudicare dalla sua espressione, un brutto sogno.
«Se ci vedono … noi saremo insieme e penseranno
che … Insomma, a tarda sera … Saremo
insieme» balbettò lasciando queste pochi frasi
sconnesse a galleggiare nell’aria attorno a noi.
E poi lo capii, capii la sua preoccupazione.
Aveva paura di quello che avrebbero potuto pensare le persone se ci
avessero visto insieme.
Giusto, per lei io ero una vergogna e farsi vedere con me sarebbe stato
un peso.
Fu come un giramento, una cascata di vertigini mi esplose in testa e
dovetti appoggiarmi con una mano al muro per sostenermi.
«Ehm … Va tutto bene?» mi chiese
riprendendosi dalla momentanea paralisi. «Davvero, Potter.
Sei leggermente pallido.»
Mi schiarii la gola. «Sì, va tutto bene. Non ti
preoccupare, nessuno crederà mai a una possibile
… Insomma, nessuno penserà mai che noi due
…»
Pronunciare anche solo quelle dannate parole comportava un sacco di
sensazioni che in una situazione normale non avrei dovuto provare.
«Sì, lo credo anche io, nessuno penserà
mai che tra di noi possa esserci di più di una semplice
collaborazione tra … colleghi» asserì
lentamente.
Quindi era questo che eravamo: colleghi. Non amici, non persone che si
conoscevano da sette anni. No, eravamo niente di più di due
estranei che si erano ritrovati a dover collaborare.
«Sai per caso che ore sono? Giusto per sapere se andare
direttamente a Erbologia o ritornare dalla McGranitt» chiesi
per cambiare argomento.
Volevo andarmene, sembrava stupido, ma avevo bisogno di allontanarmi un
po’ dalle parole che avevamo appena detto.
«Sì, sono le dieci meno cinque. Andiamo
direttamente alle serre?»
«Io faccio una deviazione, ci vediamo
là?» risposi disinvolto.
«Fa’ quello che ti pare, Potter. Ci vediamo
dopo.»
Scomparve subito dopo, con lo zaino in spalla e il passo sicuro.
Era bella, Godric se lo era, così bella che nemmeno se ne
rendeva conto.
Lily Evans era una persona meravigliosa, una ragazza dalle mille
sfumature, vera e autentica. Brillante, intelligente, sensibile, forse
una delle streghe migliori della sua età. Lily Evans era il
viso sempre impresso nella mia mente, le iridi verdi che cercavo nei
corridoi, i capelli scarlatti che inseguivo instancabilmente dal
mattino alla sera, la voce che speravo di poter ascoltare. Lily Evans
era una persona estremamente complicata, ma era anche per questo che mi
piaceva tanto. Era testarda, orgogliosa, irascibile e irritabile,
specialmente quando si trattava di me, ma amava e comprendeva cose che
per la maggior parte delle persone erano inafferrabili, amava e
comprendeva il mondo attorno a sé come solo lei sapeva fare,
immancabilmente gentile e appassionata. Lily Evans era stata in grado
di farmi capire di voler essere me stesso, semplicemente e solamente
James, nulla di più e nulla di meno, per lei. Lily Evans era
la ragazza che speravo potesse rendersi conto che James Potter, il
James Potter che lei aveva cambiato, desiderava solamente starle
accanto.
Sentii la campanella squillare in lontananza, avevo continuato a
camminare fino a ritrovarmi all’esterno del castello, vicino
alle serre.
Mi acquattai per non farmi notare dagli studenti che incominciavano a
dirigersi verso il castello. Questa giornata aveva portato almeno una
nota positiva, d’ora in poi avrei passato due sere a
settimana con Lily, solo io e lei, e se riuscivo a giocarmelo bene,
questo era un bel vantaggio nella partita nella quale stavo impegnando
tutto me stesso. Lily avrebbe finalmente visto il mio cambiamento.
Sì, forse qualche speranza potevo ancora avercela, dovevo
solamente dimostrarle chi fossi veramente.
****
Il Professor Rüf era, se possibile, l’uomo
più noioso sulla faccia della terra, ma per quei pochi di
noi che dopo il quinto anno avevano voluto continuare le sue lezioni
era una sofferenza necessaria.
Dovevo ammetterlo, Storia della Magia mi piaceva. O meglio, quando la
campanella suonava ti sentivi la persona più infelice a
questo mondo, dopo Rüf ovviamente, ma sapere come
finì la terza guerra dei Folletti o quante vittime fece la
commercializzazione di unicorni nel diciassettesimo secolo ti faceva
sentire decisamente più colta.
Franky, accanto a me, prendeva appunti con una mano pigramente
appoggiata alla guancia e un banco più avanti, Lily e Remus
bisbigliavano tra loro.
Lily da due giorni si comportava in modo strano, era silenziosa e
sempre sulle nuvole. Mary aveva provato a parlarle, ma a quanto pare,
secondo Lily, non c’era nulla di cui parlare. Avevo cercato
anche io di capire cosa non andasse, ma le sue risposte erano state
vaghe e appena avevo tentato di scendere nel dettaglio lei si era
chiusa in se stessa.
Era ovvio, però, che qualcosa fosse successo.
La conoscevo bene e sapevo che l’atteggiamento sulla
difensiva era soltanto l’anticamera
dell’esplosione. Quando Lily Evans esplodeva non era un
piccola bomba a mano, era più l’eruzione di un
potente vulcano. C’era prima il grande scoppio e poi la lava
che lentamente colava e ricopriva ogni cosa, vivente o non vivente, che
incrociasse il suo cammino.
L’esplosione, secondo i miei calcoli, non sarebbe arrivata
subito, ma era ovvio che prima o poi sarebbe arrivata. Non sapevo cosa
fosse successo sabato, perché era da sabato che Lily si
comportava in modo inusuale, ma sapevo che aveva la cattiva abitudine
di tenersi tutto dentro senza sfogarsi mai.
Eravamo in guerra, mio malgrado, e Lily era una NataBabbana; questo
comportava un bel po’ di problemi, primo fra tutti e il fatto
che i suoi genitori avrebbero potuto essere coinvolti in qualcosa che
aveva cercato di evitare a tutti i costi, sacrificando il suo affetto
pur di tenerli al sicuro. La carica da Caposcuola era un peso recente,
un peso sicuramente non facile da reggere, e in più
ovviamente tutti gli impegni che questa comportava.
Lily era così drastica certe volte che proprio non riuscivo
a capirla. Per lei c’era il problema e la soluzione al
problema, o tutto bianco o tutto nero, quando poi, in
verità, si immergeva totalmente in tutte le sfumature
esistenti, solamente che questo non amava estraniarlo.
Delle volte mi arrabbiavo persino con lei, ma soltanto
perché le volevo talmente tanto bene da non sopportare
quando non fosse felice. E Lily, per uno stupido scherzo cosmico, era
portata all’infelicità. Quindi era ovvio che io,
Alice Uragano Prewett, volessi aiutarla.
«Alice?» mi chiamò Frank.
Era in piedi davanti al mio banco e notai che in classe erano rimasti
solo lui, Remus e Lils.
«Andiamo Prewett, ti sei annoiata così
tanto?» continuò Frank sorridendomi,
così gli feci la linguaccia e uscii dalla classe senza
aspettarlo.
Ovviamente mi raggiunse subito, e dopo avermi dato un veloce bacio
sulla guancia, mi prese la mano.
Lily mi affiancò e guardò Frank con un
sopracciglio alzato. «Spero per il tuo bene, Paciock, che ci
passerai i tuoi dettagliati appunti.»
«Giusto, non vorremmo che per caso succedesse qualcosa di
spiacevole alla tua ragazza, sai …» le diede man
forte Remus facendomi l’occhiolino.
«Eh va bene, per la sicurezza della luce dei miei
occhi» e a questo commento Lily alzò gli occhi al
cielo, «vi farò avere i miei preziosissimi
appunti.»
«Bravo Frank, hai fatto la scelto giusta» disse Rem
annuendo con aria superiore.
«Siete due ignobili! Solo per degli stupidi appunti, mi sento
personalmente offesa» dichiarai esibendo la faccia
più arrabbiata che potessi fare.
«Oh, andiamo! Devo ricordarti che tu stessa settimana scorsa
mi hai minacciato di scogliere la nostra amicizia per sempre se non ti
avessi passato gli appunti di Aritmanzia?» mi prese in giro
Lily ridendo della mia espressione. Oh, giusto.
«Bene, Franky amore mio, passerai gli appunti a
tutti» affermai facendo gli occhioni dolci e Remus
scoppiò a ridere.
I corridoi erano gremiti di studenti che si apprestavano a raggiungere
la Sala Grande per il pranzo. Come al solito vedemmo i Serpeverde
viaggiare a gruppetti e mi venne voglia di prenderli tutti a schiaffi,
dopo averli immersi nell’acido muriatico, ovviamente, e
magari prima averli fatti investire più volte dal
Nottetempo.
Quando arrivammo in Sala Grande scorsi subito Marlene e Mary sedute
accanto ai tre Malandrini. Presi posto di fianco a Frank e Lily si
sedette di fronte a noi, accanto a Mary.
Mi servii subito una porzione di roast beef e insalata. Notai,
però, che il piatto di Lily era ancora vuoto. Non andava per
niente bene, così lanciai un’occhiata eloquente a
Mary che subito dopo toccò il braccio di Marlene.
Fu così che vidi Remus prendere velocemente il piatto di
Lily, senza darle il tempo di protestare, e servirle
un’abbondante porzione di insalata.
Quando lei fece per ribattere, Rem fu più veloce.
«Ne abbiamo appena parlato, qualcosa devi mangiare, quindi
smettila di fare versi e mangia.»
Lei lo fulminò con lo sguardo, ma lui fece spallucce e
sorrise di fronte alle nostre espressioni di pura gratitudine.
Lily era testarda, ma sapevo che ascoltava sempre i consigli di Remus,
per cui non mi sorpresi quando iniziò a mangiare in assoluto
silenzio.
Intravidi poi la McGranitt avvicinarsi al nostro tavolo con in mano una
lunga pergamena.
«Potter, spero che tu abbia chiesto
l’argomentazione della lazione di oggi, perché per
mercoledì esigo che tu sappia esattamente tutto quello che
ho spiegato.»
«Sì, Professoressa» rispose James con un
sorriso impeccabile.
«Bene, Potter. Questo è l’elenco degli
iscritti per la selezione di Quidditch di sabato, ti avviso che voglio
vedere anche quest’anno quella meravigliosa coppa appoggiata
alla mensola nel mio ufficio, per cui sarò chiara: metti su
una bella squadra perché il Professor Lumacorno ha scommesso
che sarà Serpeverde a vincere. Cosa che non dovrà
succedere o mi accerterò personalmente che tu abbia
un’adeguata punizione, qualcosa di lento e doloroso,
possibilmente.»
James deglutì e balbettò qualcosa che non si
capì molto bene, mentre la McGranitt lasciò la
pergamena sul tavolo e poi si diresse a passo spedito verso il tavolo
dei professori.
«Merlino, quella donna mi ucciderà se dovessimo
perdere.»
«Non perderemo James … beh, sempre che tu mi
rivoglia nella squadra» lo consolò Mary.
«Ma ovvio che ti rivoglio nella squadra! L’anno
scorso sei stata eccezionale!» rispose con enfasi.
«Dobbiamo soltanto cercare un battitore e il terzo
cacciatore. E non sarà facile.»
Continuammo a mangiare ascoltando tutti i discorsi di James sulle
strategie che lui e Sirius avevano pensato durante l’estate,
ma in tutto il pranzo non udii una sola, singola parola pronunciata da
Lily, niente di niente. Aveva finito la sua insalata e giocava
svogliatamente con la forchetta.
Lils non era una grande tifosa di Quidditch, pensai che fosse
perché l’aveva collegato inconsciamente a James
Potter, ma di solito si interessava più che altro
perché era molto competitiva e adorava vincere, di qualunque
cosa si trattasse.
Dovevamo fare qualcosa, non si poteva continuare così.
Franky mi prese la mano e giocherellò con le mie dita mentre
parlava con Remus della traduzione di Antiche Rune che avevamo per
domani.
Fu solo per puro caso che vidi quel cretino di Piton passare accanto al
nostro tavolo.
Non guardò minimamente nessuno di noi, ma lasciò
cadere un bigliettino minuscolo che atterrò sulla gonna di
Lily. La osservai attentamente, notai come si accorse del biglietto e
di come guardò Piton, fu tutto molto veloce.
Feci finta di niente quando lei si guardò intorno per
controllare se qualcuno avesse visto e poi adocchiai mentre lentamente
apriva il biglietto sotto il tavolo.
La sua espressione fu come una doccia gelata. Strinse i denti e chiuse
gli occhi facendo un lungo respiro, poi, sempre senza farsi notare,
incenerì il bigliettino che divenne un mucchietto di cenere
sotto al tavolo. Lo fece sparire come una macchia indesiderata su una
maglietta bianca. Tutto mi divenne più chiaro.
Mi accorsi che i suoi occhi erano lucidi e si era fatta completamente
pallida. Nessuno degli altri aveva notato nulla, o almeno
così sperai, così lasciai la mano di Frank e la
seguii quando la vidi alzarsi dal tavolo e uscire dalla Sala Grande.
Probabilmente non si accorse di essere seguita perché
continuò imperterrita lungo i corridoi deserti del pian
terreno.
Mi acquattai al muro quando si fermò e senza farmi vedere
guardai cosa diavolo stesse succedendo; volevo delle risposte e le
volevo ora.
Piton era accanto a lei, ma a debita distanza e Lily si contorceva
nervosamente le mani.
«Ti avevo detto chiaramente di lasciarmi stare.»
«Ma sei venuta» sottolineò lui facendo
qualche passo verso di lei.
La vidi irrigidirsi e d’istinto la imitai. Ero pronta ad
intervenire nel caso le cose si fossero messe male.
«Non ti avvicinare. Sono venuta soltanto per dirti che non mi
interessa quello che hai da dirmi» disse con voce
incredibilmente ferma.
«Ma Lily …»
«Evans! Devi chiamarmi Evans! Io per te non sono
più Lily!» esplose stringendo le mani a pugno.
«Mi rifiuto di chiamarti Evans, io non sono
quell’idiota di Potter!»
«E adesso lui cosa c’entra? Devi sempre tirarlo in
mezzo, vero?»
«Questa mattina siete usciti insieme da Trasfigurazione, dove
siete andati? È uno sciocco Lily, non devi farti
ingannare» la aggredì lui afferrandole il polso.
Vidi Lils scattare indietro e allontanarsi velocemente di qualche passo.
«Devi starmi lontano! E lascia in pace Potter, lui non
c’entra niente. Sabato mi sembrava di essere stata chiara, tu
non hai più nessun diritto di parlarmi.»
Sabato! Quindi era Piton il motivo per cui Lily stava così
male, era colpa sua. Avrei voluto andare là e riempirlo di
schiaffi, ma mi trattenni e rimasi dov’ero.
«Ho fatto un errore, non avrei voluto farti del male. Questa
mattina ho visto che ti è rimasto il segno della mia
stretta, mi dispiace moltissimo» sussurrò lui.
Quindi era stato lui a lasciare quel segno viola sul polso di Lily,
quando gliel’avevamo chiesto lei aveva risposto che aveva
battuto il braccio da qualche parte. Aveva anche mentito per coprire
quel bastardo!
«Non mi interessano le tue scuse, Piton. Non cercarmi
più.»
«Ma io …»
«Basta, non voglio sentirti.»
«Ti prego, ho bisogno di parlarti»
ribadì guardandola.
«Vattene! Va’ via!» urlò Lily
munita di una nuova forza.
«Lily non urlare, ci sentiranno!»
«Vattene! Non voglio più vederti!»
gridò con tutte le sue forze, scoppiando in lacrime e
spingendolo lontano da lei.
Vidi Piton guardarla stupito e poi allontanarsi lentamente, spaventato
da quell’ira del tutto giustificata.
Lily crollò sul pavimento stremata e con il viso
completamente bagnato di lacrime. Decisi così di uscire dal
mio nascondiglio e mi avvicinai pronta alla sua sfuriata, ma non
accadde.
Lasciò che mi sedessi accanto a lei, appoggiando la testa
sulla mia spalla. L’avvolsi accarezzandole i capelli e
cercando di tranquillizzarla.
«Lils, va tutto bene. Ci sono io, tranquilla»
sussurrai stringendola maggiormente.
Si lasciò stringere e fu uno di quei pochi momenti in cui la
vidi davvero vulnerabile.
Quello che Piton le aveva fatto in tutti questi anni, quello era il suo
punto debole.
Si riprese dopo qualche attimo, appoggiando la testa sul muro dietro di
noi.
«Sono una stupida» sussurrò con voce
spezzata.
«No che non lo sei. Lo so perché continui a
seguirlo nonostante tutto quello che lui ti ha fatto» dissi
con estrema lentezza, monitorando la sua espressione.
Stavo cercando di essere il più delicata possibile, Lily in
questo momento era sull’orlo del precipizio e una mia parola
sbagliata avrebbe potuto rovinare tutto.
«Tu speri di poterlo cambiare, speri che nel nome della
vostra amicizia, di quello che avete condiviso insieme, lui possa
essere come vorresti che fosse» continuai e lei mi
guardò sorpresa.
«Pensavi che non me ne fossi accorta? Anche se non mi dici
nulla, io le cose le vedo lo stesso.»
«Io pensavo … non volevo caricarti con i miei
problemi» balbettò.
«È per questo che in questi due giorni ti sei
chiusa in te stessa? Credevi che noi non volessimo fare parte della tua
vita? Lils, questi problemi fanno parte di te ed escludendoci ci neghi
la possibilità di aiutarti» spiegai sperando che
capisse.
«Sì, lo so. È solo che continuo a
rimandare, continuo a rimandare il momento in cui ci diremo apertamente
di essere su due fronti opposti … e ho paura per quando
succederà.»
«Perché?» domandai soltanto.
Ci stavamo arrivando, stavamo arrivando al nocciolo della questione.
«Ci abbiamo sempre girato intorno, con mezze frasi e
verità dettate dalla rabbia, ma lui non mi ha mai detto
chiaramente di essere dalla parte opposta alla mia, non ha mai detto di
essere un suo seguace, anche se lo so benissimo. Ho paura
perché quando arriverà quel momento, non
potrò più fare niente. Lo perderò per
sempre» sospirò come facendo fuoriuscire tutto
quello che si era trattenuta dentro.
E stava meglio, molto meglio.
«È a questo che pensavi, quindi. Tu non vuoi
perderlo …»
«Io non voglio perdere il Severus che mi ha fatto scoprire
chi sono, il mio migliore amico. Il viscido Serpeverde che è
ora è niente di più di un estraneo. Non voglio
perdere il Severus che rimaneva con me per ore sotto la pioggia a
parlare e a ridere, però lo so Alice, che i miei sono
più solo ricordi. So bene che entrambi siamo cresciuti e lui
è cambiato» disse con un’eco di
rammarico nella voce.
Mi dispiaceva troppo vederla soffrire, era la mia migliore amica, non
volevo vederla stare male.
«Lily, purtroppo non si può cambiare il passato.
Ma capisco, capisco perché tu stia così male.
Vedere una persona che per te è stata molto importante
diventare giorno dopo giorno un nemico, immagino sia
devastante» bisbigliai nel silenzio generale.
«La verità è che fa schifo, Alice. Fa
schifo perché io ho dovuto lasciare i miei genitori per
quello che lui chiama “Signore”, perché
persone muoiono tutti i giorni e lui ha preferito appoggiare il male
anziché combatterlo. Siamo troppo diversi e sono stata una
stupida a non accorgermene prima.»
Gli occhi le si fecero di nuovo lucidi, ma si asciugò
immediatamente le lacrime. Erano spenti e aveva uno sguardo vuoto,
completamente distrutto. Ma sarebbe stata meglio, ne ero sicura.
«Vedi Lily, ti ricordi quel giorno al secondo anno quando ti
chiesi perché eri amica di un Serpeverde?»
«Sì, tu eri stata molto più
intelligente di me, avevi già capito come sarebbe andata a
finire la nostra malsana amicizia» rispose con un sospiro.
«Sì, è vero, ma mi sorprese molto la
tua risposta. Mi dicesti che lui era molto importante per te e che non
te ne importava niente se era un Serpeverde. Non avresti permesso a
stupidi pregiudizi di rovinare quello che per te era un bel
rapporto» cercai di spiegare. «Sì,
sapevo che lui ti avrebbe fatto del male, ma tu eri decisamente
migliore di me. Io già allora non riuscivo a fidarmi di lui,
non lo sopportavo soltanto perché era un Serpeverde. Tu
invece non ti sei mai lasciata corrompere dai nostri
pregiudizi.»
«Se lo avessi fatto, forse sarebbe stato meglio» si
lamentò e provai un po’ compassione per lei. Lily
cercava sempre di dare il meglio di sé ed era stata in grado
di vedere del buono anche in Piton, anche nella casa avversaria per
eccellenza alla sua.
«Non saresti riuscita, tu sei buona per natura, Lils. Ricordo
bene la battaglia che hai portato avanti per anni, ripetevi a chiunque
che i Serpeverde dovevano essere rispettati come qualunque altra casa e
ti arrabbiavi tantissimo quando questo non accadeva. Non ti capivo, ma
ora sono crescita e ho capito. Non tutti i buoni sono buoni e non tutti
i cattivi sono cattivi, ognuno merita di essere trattato in base alle
sue scelte e al suo comportamento.»
«Sì, ma ora mi rendo conto di aver sbagliato
tutto. Li difendevo tanto, ma guarda quello che Piton ha fatto a me,
guarda quello che Mulciber ha fatto a Mary. Sono stata stupida a
credere che le cose potessero essere diverse»
tentò di spiegare passandosi una mano sugli occhi per
asciugare le lacrime.
«Secondo me, Lils, non hai nulla di cui rimproverarti. Il
Severus che era il tuo migliore amico, così come
l’hai descritto tu, era tra le persone da difendere dai vari
pregiudizi. Il Piton che conosci adesso è soltanto uno di
quelli da incolpare se esistono questi pregiudizi» dissi.
«Per cui tu non hai fatto nulla di male. Hai saputo vedere
del bene in lui quando effettivamente del bene c’era e ora
vedi del male per lo stesso motivo per cui prima vedevi del
bene.»
Mi guardò con un piccolo sorriso che lentamente prese forma
sul viso distrutto dal pianto e si alzò trascinandomi con
lei. Mi abbracciò di slancio, stringendomi forte.
Sapevo che era il suo modo per dirmi grazie e finalmente mi sentii
utile a qualcosa. Lily era una persona forte ma allo stesso tempo
fragile, la “questione Piton”, come la definiva
sempre Mary, era una parte troppo dolorosa in lei e probabilmente non
sarebbe mai passata del tutto.
«Grazie, Alice. Avevi ragione, avevo bisogno di sfogarmi un
po’. Solo … non dire nulla a Lene e Mary, voglio
dirglielo io, voglio spiegare perché mi sono comportata in
modo strano questi due giorni.»
«Tranquilla, quando vorrai dirglielo io sarò
lì con te» promisi stringendo una sua mano tra le
mie. «E ora fatti dare una sistemata che in questo modo
sembri appena tornata dalla seconda guerra dei Troll!»
Presi in mano la bacchetta e con il solito incantesimo che usavo sempre
feci sparire il rossore agli occhi e il viso bagnato. Aveva comunque un
pessimo aspetto, ma era sempre meglio di niente.
Si rifece poi velocemente la treccia, che tra il pianto e gli abbracci
era diventata una sorta di ingarbuglio indefinito di capelli, e poi si
lisciò la divisa per avere un aspetto più
ordinato.
«Pronta?» domandai sorridendole con incoraggiamento.
«Sì, andiamo» rispose soltanto, ma il
suo tono era fermo e sul suo viso non vi era più neanche
l’ombra dello smarrimento precedente.
Era caduta e si era rialzata senza problemi. E mentre camminavamo verso
l’aula di Pozioni, mi resi conto di come le spalle di Lily
rimanessero fieramente dritte nonostante l’enorme peso che
era costretta a portare ogni giorno, esibendo la sua fierezza con
spontaneità.
Sì, ognuno di noi viveva con una parte ancora aggrappata al
passato, ma l’avremmo aiutata a rialzarsi sempre, ogni volta
dopo una caduta.
Abbiamo tutti un pezzettino di
passato che va in rovina o che viene venduto pezzo per pezzo. Solo che
per la maggior parte delle persone non è un giardino;
è il modo in cui pensavamo a qualcosa o qualcuno.
Amor Towles
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
CAPITOLO 6
L’aula di Difesa contro le Arti Oscure era la classe che in
assoluto preferivo, con le alte finestre che davano sul parco di
Hogwarts e il pavimento in legno.
Il Professor Ripterson doveva ancora arrivare, così io e
Padfoot ci sedemmo al nostro solito posto accanto alla finestra. Remus
e Peter presero posto un banco più avanti di noi e Moony
preparò già in perfetto ordine i fogli per i suoi
appunti con tanto di penna e boccetta per l’inchiostro.
Comportamento davvero poco Malandrino, anzi, per niente Malandrino.
Forse per questo del tutto giustificato motivo Sir prese la sua penna e
incantandola, iniziò a battere insistentemente sulla testa
di Moony.
«Oh, andiamo. Smettila Sirius!» esclamò
Rem irritato cercando di afferrare la penna birichina.
«E perché dovrei?» rispose Sirius
noncurante.
Il nostro teatrino stava attirando parecchi sguardi e quasi tutta la
classe rideva apertamente.
«Falla smettere!»
Wormtail si alzò per cercare di afferrare la maledetta
penna, ma ci rinunciò unendosi alle risate.
«Sirius Black!» ruggì Remus e a quel
punto Padfoot, con un movimento svogliato di bacchetta,
riportò la penna sul nostro banco.
Vedere la faccia di Rem fu impagabile, ma le risate si spensero in
fretta quando il Professor Ripterson fece il suo ingresso in classe.
Si avviò con il suo passo zoppicante verso la cattedra e
nell’aula calò il silenzio.
Per quanto bravo potesse essere, Ripterson era esattamente quel tipo di
uomo che intimidiva anche con un solo sguardo. Per sette anni di
seguito non avevamo mai avuto lo stesso insegnante e voci di corridoio
sussurravano che fosse per via di una maledizione, ma non ci credevo
più di tanto.
Ci aveva spiegato che era un Auror in pensione, ma non era uno che si
perdeva in chiacchiere, perciò avevamo ricevuto pochissime
informazioni su di lui.
«Bene, lieto di aver ottenuto la vostra attenzione. La
settimana scorsa abbiamo affrontato un veloce ripasso degli argomenti
dello scorso anno, da oggi, invece, si inizierà il programma
vero e proprio» esordì appoggiandosi con la
schiena alla cattedra. «Quest’oggi parleremo di un
argomento di massima attualità, un argomento che Silente
stesso ha deciso di introdurre nel programma del settimo anno.
Parleremo di Inferi.»
Nessuno disse nulla, ma io e Sir ci scambiammo uno sguardo preoccupato.
Tutti sapevamo che Voldemort li usava per seminare terrore e uccidere
senza pietà, ma fino ad ora erano sempre stati soltanto una
parola scritta sulla Gazzetta del Profeta e non qualcosa che avremmo
potuto affrontare veramente.
«Incominciamo con lo spiegare dettagliatamente che cosa sono,
qualcuno sa dirmelo?» domandò girando tra i banchi.
In un primo momento ci fu un imbarazzante silenzio, ma poi scorsi la
mano di Remus alzarsi lentamente.
«Sono cadaveri, Signore. Cadaveri riportati in
vita.»
«Esatto, Signor Lupin. Cinque punti a Grifondoro»
dichiarò.
«Gli Inferi, o Inferius dal latino, sono cadaveri riportati
in vita tramite magia oscura, molto oscura. Non possono decidere cosa
fare, ma eseguono gli ordini del mago che li ha creati, non pensano.
Capite? Ultimamente vengono usati da Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato
come esercito di battaglia. Auror esperti non sono riusciti a
difendersi adeguatamente.»
Non sapevo dire se mio padre ne avesse mai affrontato uno, in
realtà non parlavamo mai del suo lavoro. Era sempre molto
riservato e raramente si lasciava sfuggire qualcosa, preferendo
ripetermi in continuazione che avrei saputo tutto a tempo debito.
«Come ci si può difendere quindi, come si
può sconfiggerli?» domandò un
Corvonero.
«Sconfiggerli non si può, per ora nessuno
è mai riuscito ad eliminarli per davvero, ritornano cadaveri
solo se il mago che li ha creati muore. Si può indebolirli,
però, e sarà proprio ciò che vi
insegnerò a fare nelle prossime lezioni, qualcuno di voi sa
come si può fare?»
Questa volta nessuno alzò la mano, ma Ripterson non
sembrò scoraggiato.
«Me lo immaginavo, è naturale che non lo sappiate
se nessuno ve l’ha mai spiegato. Gli inferi possono provare
la paura ed è l’unica emozione che sono in grado
di sentire, per cui l’unico modo per indebolirli è
quello di usare contro di loro ciò di cui hanno
paura» spiegò con semplicità.
Quindi per potercela cavare contro uno di loro dovevamo solo
spaventarlo? E allora perché in pochi ci riuscivano? No, era
troppo facile.
«E come si può spaventarli?» chiese
Lily.
Era accanto a Mary e aveva ormai riempito una pagina intera di appunti.
Questa mattina mi ero accorto che qualcosa era cambiato di nuovo in
lei, aveva ripreso a mangiare, seppure in dosi minime. Aveva
addirittura scherzato, non con me ovviamente, ma avevamo tutti notato
che stava lentamente tornando alla normalità. Non avevo idea
di cosa le fosse successo, ma qualsiasi cosa fosse, doveva averla
sconvolta parecchio.
«Hanno paura di due cose: fuoco e luce. Producente incanti
abbastanza potenti da emanare questi due fattori e il gioco
sarà fatto. Ma devo avvisarvi di una cosa, il motivo per cui
in molti hanno fallito è per via di ciò che gli
Inferi sono in grado di fare» rivelò Ripterson.
«Oltre ad essere incredibilmente veloci, al contrario di
quello che si potrebbe pensare, sono anche esseri disgustosi, capaci di
rievocare tutti i drammi della nostra vita, è per questo che
molte persone ne rimangono pietrificate. Sono morti e la loro unica
arma è farti sentire come loro, morto.»
«So cosa state pensando, ma alla fine di queste lezioni spero
che sarete in grado di fronteggiare adeguatamente, almeno a livello
teorico, un Infero. Sapete dunque dirmi quali incantesimi potreste
usare contro un Infero?»
Beh, dovevamo spaventarli con fuoco e sole, quindi un incantesimo che
utilizzasse uno di questi due.
«C’è …
c’è Lumus Solem» rispose Frank
leggermente insicuro.
«Sì, esatto Signor Paciock. Il Lumus Solem
è un incantesimo efficace contro gli Inferi.»
«Anche Incedio può essere usato,
Professore?» domandò una Tassorosso seduta in
prima fila.
Bethany, mi pare. Me la ricordavo perché fu una delle mie
tante conquiste quando ero ancora un perfetto idiota. Il mio
comportamento a quel tempo era stato ridicolo, pretendevo
l’attenzione di Lily e lo facevo frequentando ragazze di cui
a malapena ricordavo il nome. Fu uno dei miei periodi peggiori, tra le
varie ragazze e gli scherzi continui a Mocciosus potevo ben capire
perché Lily mi odiasse tanto.
Non avevo fatto altro che dimostrare quanto immaturo fossi e, dovevo
ammetterlo, ancora adesso mi sentivo in colpa per tutte le ragazze che
avevo frequentato. Erano state oggetti, niente di più che
semplici distrazioni per dimenticare l’unica che volevo
davvero, ma avevo desiderato Lily soltanto perché era la
sola che non potevo avere, la desideravo come trofeo da aggiungere alla
collezione. Ora, invece, la situazione era cambiata. Io ero cambiato e
i miei sentimenti per Lily erano cambiati.
«… e quindi dovrete ricordarvi di fare attenzione
a non causare incendi o non ferire gravemente persone che potrebbero
essere nel vostro raggio d’azione. Mentre tentate di
proteggervi potreste danneggiare altri. Capisce ora, Signorina
Williams?»
«Sì, ma certo Professore.»
«Perfetto. L’ora è finita ragazzi, per
domani voglio che mi sappiate dire altri due incantesimi efficaci
contro gli Inferi e in più dieci centimetri di riassunto su
quanto abbiamo detto oggi. Tutto chiaro?» annunciò
con voce squillante. «Bene, ci vediamo domani.»
Godric! Dieci centimetri non erano pochi e in più avevamo il
tema di Trasfigurazione, di cui ero tremendamente indietro visto che
avevo saltato la lezione, e la ricerca di Erbologia.
Meno male che avevo il pomeriggio libero, voleva dire molto
più tempo a disposizione.
E questa sera ci sarebbe stata la ronda con Lily! Merlino che giornata
stressante.
Ci alzammo tutti insieme e venni subito raggiunto dal resto dei
Malandrini.
Mi scompigliai leggermente i capelli e mi raddrizzai gli occhiali sul
naso, mentre scorsi Sirius dirigersi con passo spedito verso una
ragazza. Quando ebbi modo di vederla bene in viso la riconobbi
all’istante: era Ashley Cartier, la stessa ragazza che Sirius
aveva fiutato da giorni. Lo vidi sparire con lei in un corridoio
scarsamente illuminato e non volli proprio sapere cosa avessero
intenzione di fare.
Non avrei mai giudicato Sirius, era mio fratello e in più io
non ero esattamente la persona giusta per fare una ramanzina a Padfoot.
Quello era compito di Moony.
Affiancai Peter e Remus, diretti verso la Sala Grande.
«Prongs, mi è venuta in mente una cosa!»
esclamò Wormtail avendo un’illuminazione
improvvisa.
«Spara!» risposi con la stessa eccitazione.
«Non abbiamo ancora fatto scherzi! E James, per tutte le code
di gatto, siamo ben alla seconda settimana di scuola!»
«Oh cielo, hai dannatamente ragione, Pete!» esultai
nello stesso istante in cui Remus borbottava «E io che
pensavo di averla scampata!»
«Questa sera, abbiamo già progettato ogni cosa,
è praticamente tutto organizzato. Ah, cavolo!
Dov’è Sirius quando serve!» bisbigliai
abbassando la voce, notando che eravamo ancora nella calca di studenti
e qualcuno avrebbe potuto sentirci.
«James, ragiona. Se ci scoprono …»
«Non ci scopriranno Moony, il piano è perfetto.
Nessuno s’insospettirà, questa volta vado sul
sicuro» lo rassicurai con un sorriso a trentadue denti.
Il piano era a prova di bomba, avevamo solamente bisogno di un posto
tranquillo dove poter appurare tutti i dettagli. Se Padfoot si fosse
degnato di mollare la fanciulla e raggiungerci avremmo potuto farlo
già ora.
Quando arrivammo in Sala Grande prendemmo posto e mangiai elettrizzato.
Remus non condivideva il mio stesso entusiasmo, dato che continuava a
scuotere la testa disapprovando i sorrisi felici stampati sul volto mio
e di Wormtail.
«E va bene, ma solo a patto che studierete tutto il
pomeriggio» si decise Moony dopo vari sbuffi e sguardi
seccati.
«Affare fatto» promisi senza smettere di sorridere.
Quando Padfoot arrivò e si sedette accanto a me, il pranzo
era quasi finito e notai che aveva alcuni bottoni dalla camicia ancora
slacciati.
«Abbottonati la camicia, depravato!» lo riprese Rem
puntandogli la forchetta contro in maniera incriminante. Sirius si
affrettò ad abbottonarsi, ma vidi chiaramente il sorrisetto
appagato sul suo viso.
«Mentre tu eri con la Cartier, noi abbiamo deciso che questa
sera ci sarà una grande sorpresa» annunciai
abbassando la voce.
«Tu non hai idea, quella ragazza è
…»
«Basta!» esclamò Moony coprendosi le
orecchie con le mani.
«Ma che persona facilmente impressionabile che sei, Rem. Di
che sorpresa stavi parlando, Prongs?»
«Rovina dei Serpeverde. Questa sera» bisbigliai
tutto contento.
Sir si lasciò andare ad un vero e proprio latrato e mi
batté il cinque, unendosi alla felicità di
gruppo.
«Ho imposto delle condizioni, però» ci
interruppe Moony con sguardo ammonitore.
«Rem è dei nostri soltanto se studiamo tutto il
pomeriggio.»
Sirius sbuffò ma alla fine accettò senza troppe
storie.
Aspettammo che Padfoot finisse il suo pranzo e poi, con fare del tutto
casuale, ci rinchiudemmo in dormitorio per rifinire i dettagli del
nostro geniale piano.
Ci sdraiammo in cerchio sul pavimento in legno e ci preparammo ad
entrare nei panni dei Malandrini, la banda più famosa di
tutta Hogwarts.
«Allora, nel vasetto qui appoggiato c’è
la mitica sostanza creata esclusivamente dalla madre di Peter
…» .
«È una semplicissima marmellata, James»
mi interruppe Wormtail.
«Sì sì, giusto. Come dicevo, questa
leggendaria marmellata sarà la rovina dei Serpeverde. Come
sappiamo, un piccolo cucchiaio è in grado di creare un tale
scompiglio all’interno dell’organismo che nemmeno
l’uomo con lo stomaco più forte al mondo
riuscirebbe a resistere ai suoi formidabili effetti» elogiai
afferrando il piccolo barattolo e alzandolo in aria con sguardo
trionfante.
Quel barattolo era il nostro asso nella manica, la nostra carta
vincente.
«Procederemo così: ad occuparsi di far volare
“casualmente” la marmellata nei piatti dei
Serpeverde ci penserai tu, Moony» spiegò Padfoot.
«Perché io?» domandò il
diretto interessato.
«Perché sei il più bravo in queste cose
e il più insospettabile tra tutti noi. James, invece, si
occuperà di rendere invisibile la suddetta
marmellata» continuò Sirius e io annuii, grato
dell’incarico.
«E io e Pete ci occuperemo di coprirvi le spalle. Tutto
chiaro?»
«Sì!» rispondemmo in coro io, Peter e
Remus.
«E ora che abbiamo finito, prendete un libro e sotto con lo
studio! Ti ho lasciato i miei appunti di Trasfigurazione sul comodino,
James. Io vado ad Antiche Rune, se per quando sarò di
ritorno non avrete ancora prodotto nulla, dovrete sopportare la mia
ira» ci avvisò Moony prendendo il suo zaino e
uscendo dalla stanza.
Quando si fu chiuso la porta alle spalle, ci scambiammo uno sguardo
scoraggiato.
«Dobbiamo proprio?» domandò Padfoot.
«Temo di sì» borbottai e mi sforzai di
camminare fino al comodino dove, esattamente come aveva detto Remus, vi
erano appoggiati i suoi appunti ordinati e scritti con la sua
calligrafia impeccabile.
«Io resto qui a studiare» mormorò Pete,
sdraiandosi sul suo letto a pancia in giù e con il libro di
Trasfigurazione in bilico sul cuscino.
Io e Sir ci guardammo e alla fine, entrambi con le braccia occupate a
tenere in bilico i pesanti volumi, decidemmo di scendere in Sala Comune
per studiare.
La Sala Comune era deserta, eccetto per Clarissa e Amanda, due ragazze
del sesto anno che io e Padfoot salutammo sorridenti. Le due erano
sedute a chiacchierare sul divano, così io e Sir ci
sistemammo sul grosso tavolo in legno massiccio disposto in un angolo
della stanza.
Presi gli appunti di Remus e inizia a leggerli, trascrivendo sulla
pergamena tutto ciò che mi sembrava utile. Fu un duro
lavoro, ma alla fine riuscii a completare il tema e a sentirmi anche
parecchio soddisfatto del risultato.
Passai poi a Difesa delle Arti Oscure, attività che
m’impegnò molto di più, dato che non
avevo preso nessun tipo di appunto e dovetti sforzarmi di ricordare
quanto detto questa mattina. Incominciai a scrivere il riassunto,
leggermente infastidito dalle risatine delle due ragazze sedute sul
divano.
«Andiamo Amy, saranno ben affari suoi.»
«No, se mentre raccontava tutto a Lupin ero lì
anche io. Mica potevo tapparmi le orecchie!»
Al cognome di Remus drizzai le orecchie e mi misi in ascolto. Di solito
stavamo attenti a non parlare del segreto di Moony, ma poteva essere
che Amanda avesse sentito qualcosa.
«Beh, no. Però non avresti dovuto origliare
così apertamente» stava dicendo Clarissa.
«Dovevi sentirli. La Evans era così
melodrammatica, continuava a dire di aver fatto la cosa giusta e poi
scoppiava in lacrime piagnucolando che le mancavano.»
Lily? Chi mancava a Lily? E perché aveva pianto con Remus?
Non aveva alcun senso. Era per questo che era stata triste in questi
giorni?
Purtroppo non riuscii a sentire altro perché fece il suo
ingresso nella torre proprio la diretta interessata, seguita a ruota da
Alice, Marlene e da Moony.
Remus ci fu subito accanto ed esaminò per bene tutto
ciò che avevamo fatto finora.
Lo scrutai in viso cercando di capire le parole di poco prima, ma
ciò che le due ragazze avevano detto rimasero un mistero. Si
accomodò accanto a noi e iniziò a scrivere il suo
compito di Difesa, mentre vidi Lily, Alice e Lene salire in dormitorio
parlottando tra loro.
Continuai il mio riassunto fino a terminarlo e alla fine mi dedicai
interamente ad Erbologia. Grazie ai suggerimenti che Frank mi aveva
dato il giorno prima avevo le idee chiare e incominciai a scrivere
sentendo il famigliare fastidio alla mano destra.
Ben presto la Torre di Grifondoro si riempì di studenti e in
men che non si dica dovemmo stringerci per fare posto ad altri due
primini con una pila di libri più alta di loro.
Sirius sbuffò sonoramente quando gli schiamazzi divennero
grida e qualcuno accese la radio, lasciando che i pezzi rock di qualche
band babbana facessero vibrare le mura.
Riuscii così a terminare la ricerca e quando ebbi finito mi
sfregai la mano leggermente dolorante, chiudendo tutti i libri che
avevo disseminato in giro per il tavolo.
Remus, che aveva accatastato un serie fogli accanto a lui, sfogliava
velocemente le pagine del dizionario runico e scriveva su un
quadernetto in bilico sopra due libri.
Ad un certo punto vidi Padfoot chiudere ogni libro e posarci
sonoramente la testa di sopra.
«Io ho finito e mi sento reduce dalla seconda guerra
babbana» dichiarò esausto e Moony alzò
il capo con sguardo confuso.
«E tu cosa ne sai di guerre mondiali babbane?»
«Studio Babbanologia dal terzo anno, genio» rispose
Pad sghignazzando.
«Oh, giusto» borbottò riemergendosi
nella sua attenta traduzione.
«Prongs, ho un certo languorino.»
«Cucine?» proposi lasciandomi andare in un sorriso
stanco.
Sirius annuì e incaricammo Remus di portarci in camera i
libri una volta finito. Lasciammo la Sala Comune e salutammo la Signora
Grassa che ci spiegò che stava prendendo lezioni di canto.
Da chi, rimase un mistero.
La cucina di Hogwarts si trovava proprio sotto la Sala Grande e per
accedervi bisognava soltanto solleticare la pera che si trovava dentro
il ritratto di un cesto di frutta posta a celare l’entrata
alla cucina. Era un’enorme stanza, dal soffitto alto e
pavimenti in legno grezzo con quattro grossi tavoli al centro su cui
venivano posate le pietanze che sarebbero apparse poi sui rispettivi
tavoli della Sala Grande. Vi lavoravano come minimo un centinaio di
elfi domestici e tecnicamente l’accesso era vietato agli
studenti, ma noi eravamo i Malandrini e l’osservanza delle
regole non era esattamente il nostro forte.
Quando arrivammo, fummo accolti con entusiasmo. Il camino addossato
alla grande parete in pietra era accesso e vi ci bollivano sopra grandi
pentoloni in rame. Tutti gli elfi erano indaffarati a preparare la
cena, sminuzzando verdure e affettando carne in gran
quantità.
«Oh, il Signorino James Potter e il suo amico Sirius Back
sono venuti a farci visita!» strillò tutto
contento il piccolo elfo.
«Mi fa piacere rivederti, Baddy» dissi con
entusiasmo e Sirius strinse sorridente la mano alla minuta creatura di
fronte a noi.
«Posso offrirvi qualcosa? Del tè con biscotti? O
preferite dei muffin alla vaniglia? Ci sono anche dei deliziosi
brownies e se volete abbiamo appena sfornato la buonissima torta alla
melassa che piace tanto al Signorino Sirius! Oh, Baddy è
così contento che i suoi due amici James Potter e Sirius
Black siano venuti a trovarci!» gioì Baddy
indaffarato a mettere sul tavolo tutti i dolci di cui aveva appena
parlato. Ci avvicinò gli sgabelli al tavolo e ci spinse fino
quasi a metterci seduti.
Sirius iniziò ad ingozzarsi di torta alla melassa, mentre
Baddy ci versò il tè in enormi tazze dipinte di
tanti colori diversi.
Io presi un brownie e sorseggiai lentamente il tè bollente.
«Sapete, quest’anno siamo aumentati! Il professor
Silente ha assunto un sacco di nuovi elfi domestici. Baddy pensa che
sia per via della guerra, molti elfi sono stati licenziati
perché la famiglia ha lasciato il paese! Ma Baddy
è contento di avere molta compagnia, Signori. Baddy
è felice di servire Hogwarts!» saltellò
eccitato.
Era uno strano elfo, con lunghe orecchie e un visetto infantile.
Continuò a servirci dolci fino a quando anche Sirius smise
di mangiare soddisfatto. Restammo in silenzio, guardando gli elfi
muoversi indaffarati spostando pentole e cucinando con allegria. Venire
qui mi faceva sentire a casa, non che avessi cento elfi domestici, per
Merlino, ma era una sensazione che mi riportava alla mente la famiglia
e il suo importante ruolo nella vita di ciascuno. Ero con Sirius e lui
era la mia famiglia.
Era mio fratello, poco importava se non lo fossimo di sangue.
Lui era Padfoot e io ero Prongs, lui era Sirius e io James. Sarebbe
sempre stato così, nulla sarebbe cambiato. Per quanto si
sforzasse di avere continuamente quell’aria da duro e
disprezzasse le manifestazioni d’affetto, Sir in
realtà adorava ricevere attenzioni. Amava sentirsi
importante per qualcuno e ricambiava l’affetto, in un modo
tutto suo, ma lo ricambiava. Eravamo una vera famiglia, quattro
persone, quattro Malandrini, che avevano condiviso non soltanto
esperienze comuni, ma anche un genere di affetto che in
situazioni normali si poteva solo sognare di ricevere. Ero
fortunato ad avere degli amici così magici.
E con questi pensieri in mente, mi buttai a capofitto in una
conversazione con Baddy e altri tre elfi su come ultimamente la loro
popolazione veniva trattata dalle famiglie di maghi.
****
Alice aveva spalancato la finestra, lasciando che la brezza di primo
settembre inondasse la stanza. Lene stava terminando i suoi compiti,
mentre io avevo aperto tranquillamente un libro che avevo preso in
prestito in biblioteca settimana scorsa.
L’intenzione era stata quella di leggere, ma non ero
sufficientemente rilassata e concentrata per farlo.
Questa sera ci sarebbe stata la ronda con Potter e non avevo idea di
cosa aspettarmi. In più volevo dire alle ragazze il motivo
per cui mi ero comportata in quel modo non da me in questi giorni,
dovevo loro una spiegazione.
Alice ovviamente sapeva già tutto e le sue parole mi avevano
sbloccato da quello stato di completa confusione. Desideravo
però chiarire anche con Mary e Lene, non che le avessi
trattate male, ma mi ero chiusa in me stessa e volevo che capissero che
ciò che avevo fatto non era stato per colpa loro.
Fu mentre stavo elaborando come avrei potuto scusarmi che Mary fece il
suo ingresso in dormitorio. Si era tolta il maglione ed era rimasta in
camicia e cravatta, legandosi i capelli in uno chignon improvvisato.
Riusciva ad essere sempre bellissima, ma avevo smesso
d’invidiarla da molto tempo oramai.
Alice uscì finalmente dal bagno e mi guardò
incoraggiante, così presi coraggio. Non amavo parlare dei
miei problemi, ma avrei dovuto farlo.
«Ehm, ragazze? Potete ascoltarmi giusto cinque
minuti?»
«Stai per spiegarci cosa non andasse in questi
giorni?» domandò Marlene chiudendo di scatto il
tomo su cui stava studiando. Ero un libro aperto allora, possibile che
per una volta non riuscissi a coglierle di sorpresa?
«Ma figurati, Marlene. L’ha detto solo ad Alice,
evidentemente noi non siamo degne» replicò Mary
guardandomi infastidita.
«Sei arrabbiata? Aspetta un attimo, come cavolo hai fatto a
saperlo?» chiesi girandomi verso di Alice con sguardo
incriminante.
«Oh, no. Non guardare me, io non ho detto nulla» si
difese scuotendo la testa.
«Certo che sono arrabbiata! E me ne sono accorta
perché siete pessime a fare finta di niente.»
«Mi dispiace Mary, ma …»
«Ma cosa? Lily, cavolo, ci conosciamo da più di
sei anni, puoi dirci tutto» ribadì Mary.
«Già, così almeno capiamo come poterti
aiutare» continuò Lene.
Feci spazio e si distesero sul mio letto, aspettando che iniziassi a
raccontare.
«Vi devo delle scuse, lo so, è stato parecchio
stupido. Ma sapete che non mi è facile parlare dei miei
problemi, quindi … beh, mi dispiace.»
«Grazie delle scuse, ma ora vai al punto» mi
esortò Mary.
Faci un profondo respiro. «Piton. Diciamo che la colpa
principale è stata di Piton.»
Le loro reazioni furono ciò che non mi sarei mai aspettata.
Mary si alzò con un impeto furioso e si diresse verso la
porta sbraitando parole come assassinio, Azkaban e squartare. Marlene
invece mi prese le mani e mi guardò con un misto di
apprensione e compassione.
Fu tutto molto strano, in particolar modo quando Alice dovette prendere
Mary di peso e lasciarla cadere goffamente sul letto.
«Sabato è successo un casino, motivo per il quale
ho quel livido sul polso.»
«È stato lui a fartelo?»
esclamò Lene sconvolta.
«Sì, stavamo litigando e mi ha afferrato il
braccio. Continuava a ripetermi che ero in pericolo, ma che poteva
proteggermi e poi ha tentato di convincermi che io non lo
detesto» raccontai rabbrividendo leggermente quando i ricordi
tornarono a galla.
Ricordare la sua stretta e il suo sguardo assente mi fece sentire di
nuovo debole, completamente insicura di me stessa e di cosa potevo
volere. Rivedere i suoi occhi neri come la pece e la rabbia che vi
avevo scorto fu come un pugno allo stomaco.
«Ma lei non lo detesta, non completamente almeno»
si intromise Alice.
Mi accarezzò il braccio e da quel gesto trovai la forza di
continuare.
«Detesto ciò che è diventato ora, ma
non riesco a dimenticare il Severus di prima. Cerco in tutti i modi di
far sparire il viscido Serpeverde e far tornare il mio migliore
amico» sospirai rendendomi conto di averlo finalmente detto
ad alta voce.
«E questo spiega molto cose» commentò
Mary alla fine, «ma ancora non riesco a capire come ha fatto
Alice a saperlo.»
«Mi sono scontrata con Piton una seconda volta, ieri a
pranzo. Mi ha chiesto di vederci, pensavo di essere sola, ma Alice mi
ha seguito e ha capito tutto.»
«Un momento, lui ti ha chiesto di vedervi e tu ti sei
precipitata da lui?» obbiettò Marlene guardandomi
stupita.
Ero solo stanca, volevo che la smettesse di tormentarmi. Effettivamente
sul momento non mi ero posta il problema, volevo dirgli di smetterla di
cercarmi, non mi ero preoccupata del fatto che avrebbe potuto farmi del
male. Forse confidavo proprio sul fatto che con me non sarebbe mai
arrivato a tanto.
«Beh, sì. In realtà volevo solamente
che la smettesse di darmi fastidio» risposi un po’
in imbarazzo.
«Ma sei pazza! Scusa, ma poteva essere pericoloso!»
esplose Mary scattando di nuovo in piedi.
«Andiamo, non esageriamo. Piton potrà anche essere
spregevole, ma non credo che … Insomma, non contro
Lily» mi difese Alice terminando la frase incerta.
Percepii una sorta di disagio all’interno della stanza, sul
volto di tutte e tre alleggiava la stessa espressione e subito capii a
cosa stessero pensando. La stessa, identica cosa su cui avevo meditato
per giorni, il tormento che non mi aveva dato pace.
«Ragazze, non mi ferite se lo dite» le avvisai.
«Voi credete che Piton al novantanove percento
sarà un futuro Mangiamorte e lo credo anche io.»
Vidi Mary guardarmi scioccata e immaginai che non si aspettasse una
risposta del genere. Potevo anche capire il perché mi
guardasse tanto sbigottita, in fin dei conti avrei dovuto difenderlo e
sostenere che non lo fosse, ma mi sarei sentita una grandissima ingenua
a sostenere una tale stupidata.
«Prima hai detto che Piton era il principale problema, ma gli
altri quali sono?» mi domandò Lene lentamente.
«La guerra» sospirai. «La guerra e tutto
quello che ne deriva.»
«I tuoi genitori» disse Alice scrollando le spalle
con fare ovvio. Lei ci era già arrivata, naturalmente aveva
capito tutto.
Non dissi nulla, anche perché non c’era nulla da
dire. Non feci nemmeno in tempo a spostarmi che me le ritrovai tutte
addosso, stritolandomi in un abbraccio gigantesco. Le strinsi anche io,
cercando di metterci tutto l’amore che provavo.
«Va bene, gente! Ho appena sentito un gomito, e credetemi,
è stata una bella botta» dichiarò Alice
sciogliendo l’abbraccio e massaggiandosi dolorante la pancia.
Ognuna di noi ritornò alle proprie attività e il
clima si fece decisamente più leggero. Non percepivo
più la tensione che si era accumulata in questi giorni,
sentivo che eravamo tornate le stesse di sempre.
Si fece presto il crepuscolo, ma lasciammo la finestra aperta,
ascoltando il vento sussurrare tra gli alberi.
Ero riuscita a portare avanti la mia lettura e, immersa tra le pagine
del libro, non mi ero resa conto che fosse quasi ora di cena. Alice e
Lene si erano già fatte la doccia e siccome Mary era solita
farla prima di andare a dormire, mi precipitai in bagno.
Lasciai che l’acqua calda della doccia mi scivolasse sulla
pelle e mi permisi qualche attimo di solitudine.
Avevo creduto che una volta ad Hogwarts avrei sentito la mancanza della
casa che non avrei più rivisto, invece mi ero resa conto che
non era affatto così; a mancarmi erano i miei genitori, non
la mia stanza o l’altalena in giardino. Hogwarts era casa,
almeno per me. Lo era stata fin dall’inizio, dalla prima
volta che avevo varcato il portone d’ingresso.
Spensi l’acqua e uscii dalla doccia, avvolgendomi
nell’ampio asciugamano.
Osservai il mio riflesso allo specchio e vidi una ragazza dalla
carnagione pallida che mi scrutava attentamente.
Dopo che abbi finito, ci sistemammo tutte e quattro e scendemmo le
scale della torre per raggiungere la Sala comune.
Frank si unì a noi, non prima ovviamente di aver dato un
lungo bacio alla sua fidanzata.
Una volta in Sala Grande ci sedemmo ai nostri soliti posti, accanto,
purtroppo, ai Malandrini. Fu proprio in quel momento che notai che
tutti e quattro esibivano un sorriso smagliante, molto Malandrino.
Salutai Remus sorridente e mi servii una porzione di arrosto.
«Ragazze, avete saputo?»
Amanda Benson si precipitò verso di noi con
un’espressione così falsamente disperata che mi
sentii quasi compassionevole verso di lei.
«No, cosa è successo?»
domandò Mary evitando proprio di fingere interessamento.
«Marylin, Marylin Grint è stata ritirata dal padre
mezz’ora fa.»
«Aspetta, la Marylin del quinto anno Grifondoro?»
chiese Alice e a questo punto fummo veramente tutte interessate.
«Sì, dovevate vedere! Il padre si è
messo a gridare quando Marylin si è rifiutata di partire,
l’ha rincorsa per mezzo castello!»
raccontò. «La McGranitt ha detto che a quanto pare
studierà per i G.U.F.O. a casa.»
Questo non andava bene, per niente bene.
Amanda si allontanò ricominciando a raccontare tutta la
scena ad un gruppetto di ragazze Tassorosso, questa volta premurandosi
di arricchire la storia con qualche dettaglio puramente inventato.
Quando le acque si calmarono, finalmente la sala si era riempita e
tutti stavano consumando il loro pasto parlando e ridendo.
Notai che al tavolo dei Serpeverde c’era qualcosa che non
andava, tanto che vidi molto di loro tenersi la pancia o mettere una
mano davanti alla bocca.
Esplose il caos.
Alcuni di loro iniziarono ad avere conati di vomito e si precipitarono
spintonandosi verso l’uscita, altri non riuscirono a smettere
di produrre rumori dalla bocca e dal fondoschiena.
Madama Chips accorse subito da loro e anche il professor Lumacorno,
nonostante quasi tutti i professori si tennero a debita distanza.
Non riuscii proprio a trattenere le risate e guardare le facce di Avery
e Mulciber rosse per lo sforzo di contenere l’aria che
probabilmente doveva uscire fu una scena decisamente appagante. Non
riuscivo a smettere di ridere, sembrava che la situazione diventasse
sempre più comica minuto dopo minuto, con Madama Chips che
si premeva un fazzoletto al naso e Lumacorno paonazzo in viso.
Tutti gli studenti ridevano apertamente e vidi i Malandrini tenersi la
pancia dal ridere, mentre Alice piangeva come una disperata. Dovevano
essere stati loro, per forza che erano stati loro, nessuno avrebbe
potuto fare niente del genere. Mi sorpresi del fatto che non avevo la
minima intenzione di denunciarli o di preoccuparmi della cosa e fu
strano.
Il clima cambiò radicalmente quando un primino dei
Serpeverde, correndo verso l’uscita, non riuscì
più a trattenersi e vomitò quella che sembrava
essere una sostanza dal colore scuro. Il professor Lumacorno la fece
sparire immediatamente e quasi tutti i Serpeverde furono accompagnati
in infermeria.
Era stato molto divertente, dovevo ammetterlo, uno scherzo davvero
geniale.
La cena continuò tranquillamente e tutti tornammo alla
normalità, ma non potei fare a meno di notare i sorrisi
compiaciuti dei Malandrini. Erano fra i pochi che ancora ridevano e
sghignazzavano tra loro.
Lentamente la Sala Grande si svuotò, ma quando avvistai la
Professoressa McGranitt raggiungere il tavolo dei Grifondoro, nessuno
di noi ragazze si mosse.
«Mi auguro che nessuno di voi quattro c’entri
qualcosa con quanto successo» sibilò guardando i
Malandrini con uno sguardo di fuoco.
«Ma no, professoressa. Noi non ci siamo mossi da
qui» ebbe il coraggio di rispondere quell’emerito
idiota di Black.
«Giuro che se verrò a sapere che voi siete i
responsabili, vi ritroverete fuori da Hogwarts prima ancora di poter
provare a comprendere la situazione» sbraitò.
«E no Signor Lupin, non chiuderò un occhio
soltanto perché lei è uno studente eccellente.
Quindi, come dicono i nostri cari amici babbani, uomo avvisato mezzo
salvato.»
Ci scambiammo tutte un’occhiata sbalordita di fronte alle
facce tanto sicure dei Malandrini.
Alla fine ci alzammo da tavola commentando quanto successo.
«Sono stati loro, c’era praticamente la loro
firma» stava dicendo Alice.
«Sì, ma come hanno fatto? Ero vicina a Remus e non
mi pare di aver visto nulla» rifletté Marlene.
«Beh, che siano stati loro è un dato di fatto,
è ovvia la cosa. Nessuno a Hogwarts fa scherzi del genere,
solo i Malandrini.»
«Sì, Lily. Ma come hanno fatto a non farsi beccare
da nessuno?» domandò Mary completamente stupita.
«Che li odi oppure no, beh Lils, devi ammettere che quei
quattro sono dei geni» disse di nuovo Alice con sguardo
ammirato. «Nessuno li ha beccati e lo scherzo è
stato una figata, una figata pazzesca.»
Ci ritrovammo in Sala Comune e salii velocemente in dormitorio per
andare a prendere un libro da leggere. Quando tornai di sotto, notai
che il divano non era occupato da nessuno, così mi sedetti a
gambe incrociate aprendo il libro in modo che restasse in bilico sulle
mie ginocchia.
Mary e Marlene iniziarono una partita a scacchi, mentre Alice si
sedette in braccio a Frank sulla poltrona accanto al divano.
Quei due erano veramente dolci. Mi sarebbe piaciuto poter contare su un
amore come quello di Alice e di Frank, ma purtroppo non avevo molta
fortuna in materia.
La serata passò velocemente e riuscii a isolarmi tra le
pagine del mio libro molto più facilmente di quello che
avevo previsto. Dovetti tuttavia intimare i bambini del primo anno di
fare meno casino, dato che avevano deciso di iniziare a fare casino tra
gli spazi smilzi della Sala comune. In più James Potter e il
suo compare Black non aiutavano per niente a mantenere
l’ordine, visto che si lanciavano la pluffa da una parte
all’altra della stanza.
Come avesse fatto un cretino simile a diventare Caposcuola non riuscivo
proprio a spiegarmelo, ma la cosa che più mi sconsolava era
dover passare due ronde a settimana con lui.
Verso le dieci la torre si svuotò e tutti ritornarono alle
loro stanze, così noi ragazze salimmo in dormitorio. Ci fu
il solito via vai verso il bagno per lavarsi e mettersi il pigiama e il
mio turno fu l’ultimo.
Avevo deciso che avrei trovato una scusa per scendere in Sala comune,
magari per leggere o cose simili, ma mi sentivo tremendamente in colpa.
Insomma, non capivo tutta questa segretezza da parte di Silente, le
ragazze non avrebbero rappresentato nessun tipo di pericolo e dir loro
la verità mi avrebbe fatto sentire soltanto più
tranquilla, ma non avevo intenzione di disubbidire alle regole di
Silente, per cui mi limitai a recitare la mia parte.
«Lily, ma sei ancora in divisa?» domandò
Mary alzando un sopracciglio confusa.
«Oh, sì. Scendo ancora un po’ a leggere.
Non aspettatemi alzate, credo farò tardi.»
«Non hai sonno?» mi chiese Alice che proprio in
quel momento si stava mettendo sotto le coperte. Accarezzai Martin
dolcemente e lui fece le fusa in risposta.
«No, per niente. Beh, buonanotte a tutte» dissi nel
mio tono più casuale possibile.
Presi poi il libro, e dopo aver augurato loro nuovamente la buonanotte,
spensi la luce e mi chiusi la porta alle spalle.
Avevo superato indenne questa prima parte della lunga nottata che mi
aspettava.
Scesi in Sala comune e notai che ero in perfetto orario. Come mi ero
aspettata era deserta, e dopo aver posato il libro sul tavolino accanto
al camino, mi avviai fuori dal ritratto, non senza qualche protesta da
parte della Signora Grassa, e mi diressi verso il corridoio che avevo
stabilito con Potter.
«Sempre puntuale a quanto vedo.»
Sobbalzai e la figura di Potter uscì dall’ombra.
«Scusa se ti ho spaventato» si scusò
passandosi una mano fra i capelli.
Lo guardai meglio, aveva i soliti occhiali storti sul naso e capelli
scompigliati, ma stava sorridendo, un sorriso molto alla James Potter.
«Andiamo» dichiarai allontanandomi subito da quel
ragazzo.
«Da dove incominciamo?»
«Dai sotterranei» risposi.
Era la prima ronda che facevo con Potter, la prima volta in cui ci
trovavamo a collaborare veramente come due Caposcuola. Lo vidi serio e
completamente impegnato nel suo ruolo e fu strano non vedere il ghigno
sfrontato che tipicamente esibiva.
«So che siete stati voi» affermai poi per rompere
il silenzio che si era creato.
«A fare cosa?»
«Lo scherzo ai Serpeverde.»
«Se stai cercando di farmi confessare, non ci riuscirai
Evans» dichiarò guardandomi leggermente seccato.
Un attimo, James Potter mi stava guardando seccato? Solitamente era il
contrario.
«Veramente non ne ho l’intenzione»
risposi con sincerità.
In quei pochi secondi in cui ci avevo pensato, avevo subito decretato
che avrei lasciato correre, perché in realtà,
anche se non l’avrei mai ammesso, anche io volevo quella
vendetta così infantile.
«E di grazia, perché dovrei crederti?»
«Non mi rubare le frasi, Potter.»
«Non hai risposto alla domanda» mi fece notare lui.
Sbuffai e scossi la testa. «Tu non sei obbligato a credermi,
ma sono sincera, ho detto che non vi denuncerò e non lo
farò. Il perché non deve essere di tuo
interesse.»
Potter mi guardò sorpreso e poi sorrise, raddrizzandosi gli
occhiali sul naso.
Era stato furbo, aveva dirottato la conversazione su di me in modo da
farmi distogliere l’attenzione da lui, o meglio, dal fatto
che io sapessi che erano stati loro. In questo modo non mi aveva dato
la conferma di quello che tanto già sapevo.
«C’è un sacco di silenzio.»
«Beh, cosa ti aspettavi. È notte»
risposi confusa da quella strana affermazione.
«Sì, questo lo so anche io. Intendevo tra di
noi» affermò lui.
«Tra di noi?»
«Hai capito, Evans» sbuffò con
impazienza.
«Oh Merlino, di cosa vorresti parlare?»
Si mise le mani in tasca e sembrò rifletterci su.
«Quando hai usato per la prima volta la magia e come
è successo?»
Sembrava morisse dalla voglia di chiedermelo da un sacco di tempo,
Potter era davvero un tipo strano.
«Stai scherzando?» esclamai imbarazzata.
«No, per niente.»
Sospirai e incrociai le bracca al petto.
«È una cosa personale» affermai.
«Avevo dieci anni, ero al parchetto vicino a dove abitavo,
cioè, vicino a dove abito.»
Cercai di non pensare allo stupido errore di parlare di casa mia al
passato, che sciocca. Potter tuttavia non diede segno di aver notato la
mia svista, così continuai. «Da bambina mi piaceva
arrampicarmi sugli alberi e nel parco dove ero solita andare
c’era questo albero bellissimo, così spesso mi
cimentavo nell’impresa di raggiungere uno dei rami
più alti e me ne stavo lì per un po’,
sai, a leggere. Quella volta volevo cercare di raggiungere il ramo
più alto e non l’avevo mai fatto, così
bastò mettere il piede in maniera sbagliata e
scivolai»
«E cosa successe?» mi domandò lui preso
dal racconto.
«Beh, precipitai e mi misi ad urlare a squarcia gola come una
bambina di dieci anni può fare. Mi ricordo di aver sperato
di poter volare e così accadde. Usai la magia per salvarmi e
planai fino a terra senza farmi un solo graffio. Se fossi caduta come
avrebbe dovuto andare mi sarei rotta come minimo un paio di
ossa» raccontai ricordando ogni singolo istante di quello
spiacevole episodio.
«Wow» commentò impressionato.
«È per questo che soffri di vertigini?»
«Oh, no. Ho paura dell’altezza da sempre, ma da
bambina mi arrampicavo sempre sull’albero nel giardino di
casa mia e non ne ho mai avuto paura. Però ho paura a stare
in sella ad una scopa e soffro di vertigini da quando ne ho
memoria» spiegai.
Ma perché diavolo stavo raccontando queste cose a Potter?
Erano affari miei, non avrei dovuto spifferarli e soprattutto non a lui.
«Sì, in effetti sei un disastro sulla
scopa» sghignazzò.
«Non osare, Potter» lo minacciai esibendo la faccia
più cattiva che potessi fare.
«Non mi spaventi, Evans. Ricordo bene come sei finita a gambe
all’aria la prima lezione di Volo. È stata una
scena davvero impagabile!»
«Ma piantala! Ti credi superiore soltanto perché
sei il Capitano?» lo rimbeccai con aria seccata.
«Decisamente sì, Evans. Da quando sono nella
squadra Grifondoro ha sempre vinto la coppa» si
vantò scompigliandosi di nuovo i capelli.
«Tranne al quinto anno.»
«Quello è stato un duro colpo, faccio ancora
fatica a digerire il fatto che …»
«Shh!» lo zittì di colpo tirandolo con
me vicino al muro.
Mi acquattai nella rientranza che fortunatamente ci avrebbe nascosto e
Potter fece lo stesso.
Qualcuno stava venendo nella nostra direzione, due voci e dei passi. Se
ci avessero visto avremmo potuto dire addio alla segretezza.
«… Secondo me, Avery ha ragione.»
Riconobbi subito a chi apparteneva quella voce, era di Mulciber.
«Ma non cambia il fatto che dobbiamo fare
attenzione» dichiarò quello che distinsi come
Regulus Black.
Si fermarono proprio davanti a noi, ma grazie a Dio rimanemmo nascosti
dal muro. Potter si mise davanti a me e non capii
l’intenzione di quel gesto.
Sapevo difendermi benissimo, tuttavia non mi mossi da dove ero.
«Io dico che Sebastian sa quello che fa. E poi hai visto cosa
ci hanno fatto quei quattro bastardi questa sera, per non contare
l’altro giorno.»
«Mio fratello e tutti i suoi stupidi compagni Grifondoro ce
la pagheranno!» dichiarò Black.
Non vidi quello che stava succedendo perché il muro ci
impediva di essere visti e di vedere a nostra volta, ma ci fu silenzio
per qualche attimo.
«Quindi staremo al piano di Sebastian?»
«Sì, ha ragione. Dobbiamo agire, con prudenza, ma
dobbiamo farlo. Non starò qui ad aspettare che tutta la
feccia di questa scuola la passi liscia.»
«Già, ad esempio la sporca Mezzosangue
Evans» sibilò Mulciber.
Sentii Potter accanto a me irrigidirsi e si sarebbe esposto se non lo
avessi fermato con una mano.
Gli afferrai il polso e lo tirai di nuovo accanto a me, lo sentii
rilassarsi leggermente e mi fece un piccolo sorriso. Scossi la testa e
ricambiai il sorriso restando in allerta.
«Quella schifosa, ma Severus la vuole e l’unica
cosa che possiamo fare è farle capire qual è il
suo posto.»
Cercai di rimanere impassibile, ma con scarso risultato. Potter si tese
come una molla, ma non avevo ancora lasciato la presa sul suo polso,
così ne approfittai per far sentire il mio tocco.
«Ma è l’oggetto dei suoi desideri,
l’ha detto lui stesso, e sappiamo entrambi che non gli
interessa nulla se sarà accondiscendente oppure no, la vuole
soltanto possedere» disse Mulciber con un certo divertimento
nella voce.
Iniziai a tremare e sentii le braccia di Potter accanto a me che mi
strinsero gentilmente. Lo lasciai fare, anche perché ero
troppo paralizzata per poter fare qualunque altra cosa.
“È l’oggetto dei suoi desideri e
sappiamo entrambi che non gli interessa nulla se sarà
accondiscendente oppure no, la vuole soltanto possedere.”
Le parole di Mulciber rimbombarono nella mia mente come martelli
pneumatici e non potei fare nulla per fermarle.
«La faremo pagare a tutti loro, dalla feccia che il traditore
di mio fratello definisce amici, alla Evans e alla sua sporca
combriccola» promise Black e sentii qualcosa di oscuro nella
sua voce.
«Quella puttana della McDonald mi è già
sfuggita una volta, avranno quello che si meritano, tutti
loro.»
Avevo sempre le braccia di Potter attorno a me, ma ora avvertivo una
nuova sensazione. Al cognome di Mary mi ero come riattivata, pronta a
combattere se necessario. Mi ero ripromessa che nessuno le avrebbe mai
più fatto del male e l’avrei difesa a costo di
esporre me stessa.
Stavo quasi per uscire dal mio nascondiglio e affrontarli di persona,
ma furono due cose a bloccarmi. La prima fu il braccio del ragazzo
accanto a me che mi afferrò saldamente e mi
riportò dietro di lui, la seconda fu l’arrivo di
una terza persona.
«Eccovi siete qui! Lumacorno mi ha mandato a chiedere se sono
tornati tutti.»
La sua voce, la voce di Severus.
«Sì, noi siamo gli ultimi. Quell’idiota
della Chips non voleva farci uscire» rispose Mulciber.
Se ne andarono tutti e tre e il corridoio rimase vuoto. Io e Potter
uscimmo dal nostro nascondiglio e nessuno di noi due parlò
per un po’. Alla fine ci guardammo e vidi i suoi occhi
combattuti tra la rabbia e la preoccupazione, dal canto mio provavamo
le stesse emozioni.
«Dobbiamo dirlo a Silente. Quelle erano minacce vere e
proprie» bisbigliai senza un vero motivo per parlare a voce
bassa.
Ero soltanto stanca e sconvolta.
«Lily …» iniziò Potter ma io
lo interruppi bruscamente.
«Finiamo la ronda e domani andremo a
comunicarglielo.»
Riprendemmo a camminare ma in realtà mi sentivo
più distante che mai.
“È l’oggetto dei suoi desideri e
sappiamo entrambi che non gli interessa nulla se sarà
accondiscendente oppure no, la vuole soltanto possedere.”
Queste parole continuarono a formarsi nella mia mente e non potei fare
nulla per concentrarmi.
Voleva farmi del male, Severus voleva farmi del male. Eravamo davvero
arrivati a questo punto? E Potter, lui mi aveva stretta a sé
e io glielo avevo lasciato fare. Pensava che non potessi reggere tutto
questo? Provai a guardarlo, ma il suo volto era teso e serio, nulla che
potesse dirmi il fine dei gesti che aveva appena compiuto.
Il resto della ronda fu silenziosa, riuscimmo ad arrivare alla Sala
comune e alla fine trovai il coraggio di dire le parole che avevo
macchinato per tutta la lunga camminata.
«Abbiamo sentito entrambi delle parole orribili, ma
… beh, ti ringrazio Potter per non avermi permesso di fare
una cavolata assicurata.»
Lui si diresse verso le scale del suo dormitorio, ma prima di
imboccarle si girò verso di me e vidi che il suo viso era lo
stesso volto Malandrino di sempre.
«Grazie anche a te, Evans.»
Sparì nascosto dalla massiccia scala a chiocciola e io
stetti lì, come una stupida, a riflettere su quanto
successo. Era la prima volta che Potter si era dimostrato
all’altezza della situazione, cosa che, sinceramente, mi
aveva sorpreso molto.
Presi il libro dal tavolino su cui l’avevo lasciato e facendo
luce con la bacchetta mi diressi anche io verso il dormitorio.
Era tarda notte ed era stata una lunga giornata, avevo decisamente
bisogno di dormire.
Salii così le scale, cercando di fare meno rumore possibile,
e pregai che le ragazze non si fossero accorte della mia assenza. In
quel caso, avrei avuto seri problemi.
Pensai di nuovo a Potter e a tutto quello che era successo oggi e
decisi che una dormita avrebbe sistemato tutto. Domani sarebbe stata
un’altra giornata faticosa e non avevo nessuna intenzione di
lasciarmi abbattere da tutto quello che stava accadendo.
Lasciai così che la mia mente vagasse per trovare una
spiegazione ad ogni cosa e, mentre entrai nella stanza, pensai che
forse avrei potuto farcela. Forse avrei potuto provare a me stessa di
essere in grado di prendermi cura delle persone che amavo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
CAPITOLO 7
Oggi era il giorno.
James mi aveva garantito che questa era soltanto una
formalità, tuttavia non riuscivo a smettere di sentirmi
nervosa. Sapevo che sarei stata all’altezza, solo che non era
facile esserne così sicura. Era come il giorno di un esame,
sapevi di aver studiato, ma non potevi comunque impedire
all’ansia di bussare alla tua porta. E se avessi fatto un
disastro? E se anziché segnare fossi caduta dalla scopa e
avessi fatto una figuraccia memorabile?
«Mary, smettila di agitarti!» strillò
Alice.
La sua voce mi giunse ovattata e girandomi vidi solamente un bozzolo di
coperte.
«Non ho neanche parlato!» borbottai.
«Ti sento sbuffare e scalciare da qui.»
«Scusa tanto se oggi ci sono le selezioni!»
«Odio il Quidditch» si lamentò Alice.
«E io odio voi due!» sbuffò Lily
coprendosi con le coperte fino alla testa.
L’unica che non avevo ancora sentito era Marlene,
così guardai verso il suo letto e lo trovai vuoto.
«Dov’è Lene?» domandai
accigliata.
«Boh, lei si alza sempre presto.»
«La volete piantare di parlare!»
protestò Lily.
«Non posso, sono troppo in ansia.»
«Andrà bene» sospirò Alice
uscendo dal bozzolo nel quale si era arrotolata.
Si stiracchiò per bene, facendo sghignazzare Lily e facendo
sorridere me.
«Non so, quest’anno è tosta. Ho saputo
che un sacco di persone si presenteranno alle selezioni»
risposi ormai completamente scoperta.
«Potter l’ha dato per ovvio, Mary tu sarai nella
squadra» sospirò Lily.
Lily non era una gran tifosa di Quidditch, ma era sempre venuta a
vedermi per darmi supporto. Apprezzavo molto il fatto che si stessero
sforzando di confortarmi, tuttavia non potei fare a meno di provare un
forte mal di pancia non appena mi alzai dal letto.
Dovevo restare calma, in fondo non era mica la partita decisiva del
campionato, erano soltanto delle stupide selezioni!
Camminai svogliatamente verso il bagno e mi lavai velocemente,
indossando la divisa per il Quidditch.
«Smettila di stressarti e vieni qui che ti faccio una
treccia» mi chiamò Lils seduta sul suo letto.
Le porsi spazzola ed elastico ed incominciò a pettinarmi
dolcemente i capelli.
Fu un vero toccasana per i miei nervi tesi e mi lasciai andare al
movimento delicato della mano di Lily. Alice ne approfittò
per andare in bagno e Lils iniziò ad intrecciarmi i capelli
in una resistente treccia alla francese.
Quando ebbe finito mi sorrise incoraggiante e non potei che fare un
lungo respiro.
«Vedrai che andrà bene, non assillarti.»
Sapevo di non aver motivo di dubitare di me stessa, eppure non mi
sentivo totalmente sicura.
Nel momento in cui Lily andò in bagno, Alice mi
aiutò a riordinare la stanza. Divenni in un istante
iperattiva e combinai più disastri del dovuto. Dopo che
dovetti rimettere a posto tutti i fogli che avevo fatto cadere dalla
scrivania, le ragazze decretarono che una bella colazione mi avrebbe
fatto sentire meglio.
Ci avviammo verso la Sala Grande e per la strada trovammo i Malandrini.
«In forma, McDonald?» mi domandò James
con un sorriso smagliante.
«Sì, completamente carica» risposi
cercando di non dare a vedere la mia agitazione.
«Andiamo Mary, tu sei certamente dei nostri!» mi
affiancò Sirius.
«Facile a dirsi per voi due, tu sei il Capitano e tu sei il
suo vice! Magari trovate qualcuno migliore di me» balbettai e
in un istante venni afferrata per i fianchi da James e da Sirius e
stritolata scherzosamente.
«Nessuno sarà più bravo della nostra
migliore Cacciatrice da ben quattro campionati!»
Ero entrata nella squadra di Quidditch di Grifondoro al mio terzo anno
e da allora ero sempre stata un vero asso, mi piaceva da morire il
Quidditch e ne ero sempre stata una grande appassionata.
Anche mia madre, come me, era stata una Cacciatrice di Grifondoro e
quando aveva saputo che sua figlia era brava quanto lei, mi aveva
riempito di lettere d’incoraggiamento e consigli. Era una
cosa di famiglia, ereditaria a quanto pare. Papà era
babbano, anche se mi ripeteva sempre che lui era un mito a calcio,
sport totalmente non magico.
Mi sedetti a tavola e notai fin troppi Grifondoro vestiti con la divisa
per le selezioni e fu strano dato che in realtà cercavamo
solamente un altro Cacciatore e un Battitore.
Presi una fetta di pane tostato e ci spalmai sopra marmellata di arance
e burro.
Mi servii il tè e bevvi una sorsata bollente, mentre Lily
aveva iniziato a battibeccare con James.
«Smettila di assillarmi, Potter.»
«Ma ci verrai, vero?» le chiese James come un
bambino intestardito.
«Ci vengo soltanto per Mary» rispose Lily con
noncuranza.
«In realtà sei segretamente innamorata di me e
quindi quella di sostenere un’amica è soltanto una
scusa.»
«Nei tuoi sogni» borbottò Lily con tanto
di linguaccia.
«Sì, in quelli sì. E non sai
com’è felice la nostra vita!»
«Potter, noi non avremo mai una vita insieme. Mettitelo bene
in testa» spiegò Lils con sguardo maniacale.
«Mai dire mai, mia bella Evans»
s’intromise Sirius per farsi beffe dei due.
Alice incominciò a ridere sotto i baffi, mentre Frank quasi
si strozzò con il suo porridge.
«Tu stanne fuori Black!»
«Esatto Sirius, stanne fuori. La nostra vita sentimentale non
ti deve interessare» chiarì James facendo i
capricci con un vero bambino.
«Per la milionesima volta, noi non abbiamo una vita
sentimentale! Ci conosciamo a malapena!» esplose Lily
incarnando il ritratto dell’esasperazione.
Incomincia a ridere e Peter mi seguì a ruota.
«Così mi offendi, Evans»
s’imbronciò James.
«Non so perché, ma la cosa mi lascia parecchio
indifferente.»
«Come puoi essere così perfida?»
«Semplice, sto parlando con te» rispose Lily
scrollando le spalle e facendo un sorrisetto angelico.
Capimmo tutti che era soltanto un teatrino ben organizzato. Se fossimo
stati in una situazione normale, Lily avrebbe già iniziato
ad inveire contro James riempiendolo di insulti ed epiteti poco carini.
Lui avrebbe fatto la solita faccia da cucciolo bastonato e poi sarebbe
rimasto depresso per il resto della giornata.
Invece le cose stavano prendendo una piega diversa, davanti a me
c’erano una Lily e un James che scherzavano tra loro stando
al gioco con complicità, una complicità che forse
non sapevano di avere.
«Ma Evans! Io sono un ragazzo dal cuore d’oro, come
puoi dire queste cose!» balbettò James
scandalizzato.
«Tu tiri fuori il peggio di me, Potter.»
Ridemmo tutti a queste parole, tanto che la stessa Lily fece un
sorrisetto divertito. In effetti quello che Lily avevo detto era
veritiero, perché era James l’unico in grado di
farla arrabbiare veramente.
«Che succede?»
Marlene e Remus si sedettero al tavolo e ci guardarono confusi.
Li osservai con un sorrisetto divertito in volto e non potei fare a
meno di scambiare un’occhiata vincente con Lily ed Alice.
«Dove sei stata Lene? Questa mattina ci siamo svegliate e non
c’eri»
«Già, anche Rem non era in camera»
notò Sirius malizioso.
I due si guardarono impacciati e completamente rossi in volto.
«Eravamo in biblioteca.»
«Siamo stati un po’ al parco.»
Esclamarono contemporaneamente e non riuscimmo a trattenere le risate.
«Insomma, prima siamo stati in biblioteca
…» disse Remus completamente paonazzo.
«… E poi abbiamo fatto una passeggiata al
parco» terminò Lene dello stesso colore.
Si sedettero uno dalla parte opposta all’altro e
incominciarono a mangiare in completo silenzio. Erano in imbarazzo, che
carini!
Finimmo tutti la colazione e poi ognuno si dedicò alle
proprie attività.
Lily e Remus si diressero verso la biblioteca, Alice e Frank sparirono
impegnati nei loro doveri di coppia e Marlene, James e Peter rimasero
in Sala Grande.
Io decisi di salire in Sala comune e Sirius mi seguì.
«Sei davvero così tanto agitata per
oggi?» chiese con un sorrisetto.
«Non ne hai idea.»
«Credimi, nessuno di noi ha intenzione di lasciarti
fuori» mi rassicurò dandomi un pugno scherzoso
sulla spalla.
«So che mi volete in squadra, ma se faccio schifo siete
obbligati a cercare qualcun altro» risposi sospirando.
«E perché dovresti fare schifo,
McDonald?»
«Perché è una sporca mezzosangue, ecco
perché» rispose qualcuno alle nostre spalle.
Ci girammo entrambi e riconobbi subito Mulciber.
Rimasi impassibile e cercai di mantenere la calma, ma Sirius non fu
bravo quanto me.
«Merlino Mulciber, cambia un po’ repertorio, sei
noioso» disse Sir tagliente.
In un attimo mi resi conto di quanto fosse teso, così mi
avvicinai involontariamente.
«E così adesso ti porti a letto la McDonald, eh?
Capisco, una puttanella come lei dovrebbe poter soddisfare i bisogni di
uomini come noi, non è così stupida
cagna?» rise sprezzante.
Fu davvero tutto troppo veloce, in un attimo vidi Sirius partire a
razzo e prendere a pugni sul viso Mulciber.
«Non provare mai più a parlare di lei in questo
modo!» gridò su tutte le furie.
Era come un felino, un predatore pronto a prendersi gioco della sua
vittima.
Si rotolarono a terra e continuarono a darsi pugni a vicenda. Io ero
paralizzata, non riuscivo a muovermi e le immagini di quel giorno
tornarono a tormentarmi.
Fu quando Sirius si beccò un paio di pugni in viso che mi
ricordai chi ero e cosa ero in grado di fare. Non potevo permettere che
succedesse qualcosa a lui, quando tutto questo era successo per causa
mia.
«Stupeficium!» gridai puntando la bacchetta alla
schiena di Mulciber.
Lo schiantesimo andò a segno e il Serpeverde cadde
schiantato. Era sbagliato colpire le persone alle spalle, ma in questo
caso era stata legittima difesa, giusto?
Mi precipitai da Sirius e lo guardai cercando di non piangere.
Aveva il labbro tagliato e piccole gocce di sangue gli scendevano sul
mento.
«Sei uno stupido! Cosa pensavi di fare!» gridai
tirandolo a sedere.
«Volevo soltanto fargliela pagare, non può
chiamarti in quel modo. Non può neanche guardarti dopo tutto
quello che ti ha fatto» mi rispose tossendo.
Di nuovo le immagini di quello che era successo tempo fa mi tornarono
alla mente e non potei fare nulla per scacciarle. Rividi Mulciber che
usava contro di me tutti i più spiacevoli incantesimi di
Magia Oscura, lo rividi mentre mi strattonava i vestiti e cercava di
baciarmi.
Ricordai le mie lacrime, le mie urla e alla fine ricordai di come mi
ero difesa ed ero scappata da quel verme.
Si tirò in piedi e mi sorpresi quando non si
lasciò sfuggire neanche una smorfia di dolore.
«Non … non ti fa male?» domandai
sentendomi all’improvviso a disagio.
«No, i miei genitori facevano molto peggio. Sono abituato,
ormai non sento più il dolore» mi rispose
rassicurante.
«Sirius, non avresti dovuto comunque farlo. Lui voleva
soltanto provocarci e non c’era bisogno di prenderlo a pugni
per me.»
«Però l’ho fatto. Non è che
conosci qualche incantesimo di guarigione? Non voglio andare da Madama
Chips» ribatté lui come se niente fosse.
Si era appena pestato con un Serpeverde e si comportava come se non
fosse successo nulla, proprio non riuscivo a capire.
«Lily è la più brava in queste cose, ma
posso provarci» balbettai per nulla sicura di quello che
avrei potuto combinare.
Puntai la bacchetta sul suo viso e, concentrandomi, pronunciai
sottovoce le formule che conoscevo per questo tipo di ferite. Il livido
sulla guancia sparì lentamente e alla fine non ne rimase
più alcuna traccia, ma purtroppo non potei fare nulla per il
taglio sul labbro.
«Non conosco incantesimi per il labbro, mi
dispiace» sospirai.
«Va benissimo così, grazie» rispose
tamponandosi il labbro con un fazzoletto di stoffa.
«Andiamo.»
Mi incamminai accanto a lui e prima di svoltare l’angolo
guardai Mulciber infastidita.
«Innerva» bisbigliai.
Seguii Sirius in silenzio, percorrendo le scale verso la torre di
Grifondoro.
«Perché l’hai curato?» mi
domandò stupito.
«Non voglio avere problemi e di sicuro non mi abbasso al loro
livello.»
Non ricevetti risposta e alla fine, prima di varcare il ritratto della
Signora Grassa, Sirius si fermò guardandomi.
«Ti sarei grato se non ti lasciassi sfuggire nulla di quanto
è appena successo.»
«Sì, certo. Non ti preoccupare» promisi,
anche se in realtà sapevo che l’avrei detto alle
ragazze prima o poi.
«Bene, ci si vede McDonald e grazie per aver sistemato il mio
aspetto» disse sparendo dalla mia vista.
Lo guardai andare, con la sua andatura sicura e lo sguardo che riusciva
sempre a metterti in soggezione. Sì, Sirius Black era
decisamente il più grande punto interrogativo che avessi mai
incontrato.
****
Mi precipitai ad aprire la porta d’ingresso e William
McKinnon e i fratelli Prewett crollarono sul pavimento coperti di
sangue.
«Charlus!» gridai e mio marito comparve correndo al
mio fianco.
Subito dopo quasi tutti i membri dell’Ordine ci raggiunsero
ed Emmeline Vance si apprestò a rimettere in sesto i tre
ragazzi.
«Mio Dio, ma cosa è successo?» domandai
portandomi una mano al cuore. Correva veloce, esattamente come la mia
mente.
«Siamo stati attaccati, eravamo di pattuglia a Diagon Alley e
i Mangiamorte ci hanno attaccato» spiegò Fabian
mettendosi a sedere con fatica.
«Sapete chi erano?» domandò Albus
visibilmente preoccupato.
«No, avevano le solite maschere»
borbottò William raggiungendo instabile il divano del
salotto. Feci stendere sul divano tutti e tre i ragazzi e appellai
altre sedie per i membri dell’Ordine.
«La situazione precipita sempre di più.»
«Ma cosa possiamo fare?»
«Ho notizie da comunicarvi» esordì
Silente. «Brutte notizie, purtroppo.»
Lo guardai subito attenta e Charlus mi prese la mano apprensivo.
«In primo luogo, abbiamo problemi anche dentro
Hogwarts.»
«Come sarebbe a dire?» domandò William
ancora debole.
James e Sirius erano a Hogwarts, i miei ragazzi avrebbero potuto essere
in pericolo!
«Ho incaricato due studenti fidati di controllare il castello
regolarmente e durante una ronda i due hanno sentito una conversazione
piuttosto spiacevole» spiegò Albus abbassando il
capo.
«Spiegaci Albus, ci sono i nostri figli
là!» si agitò subito Charlus.
Gli strinsi la mano dolcemente per tranquillizzarlo. Mio marito sarebbe
stato in grado di battersi contro cento Mangiamorte e farlo
coraggiosamente, ma il pensiero che Jamie o Sirius potessero farsi del
male lo terrorizzava come poche cose riuscivano a fare.
«Pare purtroppo che molti degli studenti della casa
Serpeverde abbiano già deciso da quale parte
stare» confessò scoraggiato, «e vogliano
imporre il potere di Voldemort anche nel castello.»
«Come avrebbero intenzione di fare? Sono solo dei
ragazzi» commentò Edgar Bones di fianco alla
sorella Amelia.
«Vedi Edgar, noi tendiamo a sottovalutarli troppo. A quanto
sembra questi studenti vogliono prendersela con le altre case, ma in
particolare con la casata di Grifondoro.»
«Voglio i loro nomi e li voglio ora!» esplose
Charlus alzandosi in piedi di scatto.
Mi alzai anche io e lo guardai cercando di calmarlo.
«Charlus, per favore, fare scenate non aiuterà i
nostri ragazzi» bisbigliai prendendo di nuovo la sua mano e
facendolo sedere gentilmente. Mi fece un piccolo sorriso tirato e
riportò di nuovo l’attenzione a Silente.
«Sì, Charlus. So cosa stai pensando e
l’annata dei tuoi figli è proprio quella presa di
mira per motivi di vario genere.»
«E quali sarebbero questi motivi?»
domandò Benjamin Fenwick.
Silente si prese un momento per rispondere e indugiò con lo
sguardo nella nostra direzione per qualche secondo.
«Divergenze» rispose semplicemente. «Il
gruppo di Grifondoro è sempre stato nemico del gruppo di
Serpeverde.»
«Albus, vorrei saperlo con certezza. James e Sirius e gli
altri ragazzi sono in pericolo?» domandai con fermezza.
«Potrebbero esserlo, sì» mi rispose
completamente dispiaciuto. «Ma farò il possibile
per fare in modo che non accada loro nulla di male, e in ogni caso,
sono ragazzi in gamba e determinati.»
William McKinnon, che sapevo avere le due sorelle minori a Hogwarts
strinse forti i pugni e lo vidi fare un profondo respiro. Marlene,
infatti, era compagna dei miei ragazzi e potei capire perfettamente la
sua preoccupazione.
«Ma chi sono i ragazzi che hanno sentito il piano dei
Serpeverde?» domandò Alastor.
«Due ragazzi di cui mi fido molto, Lily Evans e James
Potter.»
Rimasi sorpresa nel sentire il nome di mio figlio e Charlus ebbe la mia
stessa reazione.
«Il nostro James?» chiese stupito mio marito.
Silente annuì e poi si alzò dalla poltrona su cui
era seduto facendo avanti indietro per la stanza.
«Ovviamente una volta ricevuta questa informazione mi sono
premurato di intensificare i controlli all’interno del
castello, ma è tutto ciò che posso fare al
momento» ci spiegò. «Qualcun altro ha
qualcosa da dire?»
Restammo in silenzio, meditando su quanto appena detto.
«Bene, vi farò sapere per la prossima riunione,
aspetto solo di avere più informazioni. Per ora terremo gli
stessi turni di pattuglia» decretò Silente alla
fine.
Dopo aver salutato, si avviarono tutti fuori dai confini della casa per
materializzarsi.
«Dorea, Charlus, grazie come sempre
dell’ospitalità.» ci salutò
Albus.
«Figurati, casa nostra è un luogo sicuro per
l’Ordine» risposi salutandolo con un sorriso.
Charlus mi passò comprensivo un braccio intorno alle spalle
e anche Silente ritornò al castello. Feci sparire tutte le
sedie che avevo appellato e mi lasciai cadere su una poltrona
sospirando.
Avevo paura, avevo paura per i miei due figli e per i loro amici. Anche
se sapevo che Silente li avrebbe tenuti al sicuro, non potevo non
sentirmi preoccupata. Erano i miei ragazzi, ero una mamma. Volevo
soltanto che non rischiassero di farsi del male e in quello stesso
istante capii che la guerra era cominciata anche dentro Hogwarts, ma
che potevo fare ben poco per fermarla.
Charlus si sedette accanto a me e mi rassicurò con la sua
sola presenza.
«Staranno bene, ne sono certo. Ho piena fiducia in
Albus.»
«Lo so, anche io. Però non posso non sentirmi
spaventata dal fatto che siano in pericolo e mi sento inutile
perché non ho idea di come proteggerli» sospirai.
«Dorea, guardami. Dobbiamo continuare a combattere,
perché è solo così che li
proteggeremo. Purtroppo Silente mi ha confidato che i ragazzi a scuola
hanno qualche problema, ma dovranno essere loro stessi ad occuparsene.
È la loro vita, ormai sono degli uomini.»
«Problemi?» domandai smarrita.
«Sirius è sempre in lite con il fratello e James,
beh, sempre secondo Silente, sta combattendo una guerra personale
contro un ragazzino dei Serpeverde» mi raccontò.
«Ma perché James dovrebbe scontrarsi
così apertamente? Capisco che Sirius deve fare i conti con
il proprio passato, ma James?»
Non comprendevo quale fosse il motivo, mio figlio era senza dubbio un
ragazzo vivace, ma non avrei mai immaginato che potesse arrivare a
tanto.
«Una ragazza. Questa deve essere particolare, deve essere
quella giusta Dorea» gongolò Charlus esibendo un
sorriso orgoglioso.
«Jamie si è innamorato!» esclamai felice.
Ero felice che mio figlio stesse finalmente lottando per una donna,
felice che questa ragazza fosse così importante da farlo
maturare.
«Albus mi ha parlato molto bene di questa ragazza, si chiama
Lily Evans. Sì, è la stessa di cui ci ha parlato
prima. Dice che è una Grifondoro veramente brillante, una
studentessa gentile e molto coraggiosa.»
«Non ci posso credere, finalmente è successo anche
a James» esultai con la dolcezza di una mamma nel cuore.
«Ma lei ricambia?»
«Secondo Silente non ancora, ma è ottimista.
Diciamo che per ora lo detesta cordialmente, ma Albus ha detto che ha
già intravisto un cambiamento» mi
spiegò con un sorriso felice.
«Però lui sta combattendo contro un
Serpeverde.»
«Sì, pare che questa Lily sia stata molto amica di
questo ragazzino, poi le cose sono cambiate, ma il ragazzo ne
è rimasto legato. Questa almeno è la teoria di
Albus.»
Un’amicizia tra Grifondoro e Serpeverde? Non se ne sentivano
molte in giro, era molto raro che due caratteri così diversi
potessero ritrovarsi.
«E quindi Jamie, per l’amore di questa ragazza, sta
lottando contro un Serpeverde? Oh, sapevo che il mio bambino sarebbe
cresciuto prima o poi, sono così orgogliosa! Spero solo che
non succeda loro nulla di male.»
Finalmente anche James aveva trovato la persona giusta per cui farsi
valere.
«Già. Sembra che il Serpeverde sia dello stesso
gruppo del fratello di Sirius, brutta strada Dorea.»
Oh, un futuro Mangiamorte. Chissà chi era il ragazzino. Se
avesse anche solo osato ferire in qualsiasi modo James, avrei scatenato
l’inferno e forse anche di peggio.
«Sono cresciuti» sospirai.
«Già, sono degli uomini ormai» disse
Charlus prendendo la fotografia posata sulla mensola del camino.
Quando tornò a sedersi osservai anche io quella foto
così bella.
Un James e un Sirius quindicenni ci salutavano con una mano esibendo un
sorriso mozzafiato e una complicità unica, ridevano tra loro
e James ogni tanto faceva l’occhiolino. Mi incantai a vedere
la bellezza di quella foto, così spontanea e genuina.
Sì, li avrei protetti ad ogni costo, sacrificando anche me
stessa se necessario. Li avrei difesi con gli artigli ben in vista,
perché loro erano i miei figli e nessuno, ripeto, nessuno,
poteva permettersi di fare loro del male.
****
Il vento mi sferzava i capelli e mi mossi leggermente annoiata. Avevamo
promesso a Mary che ci saremmo state e che avremmo fatto il tifo per
lei, ma come tutti gli anni, i pochi spettatori seduti sulle tribune
erano decisamente più annoiati rispetto a giocatori in campo.
Si erano presentati in tanti fra gli studenti di Grifondoro, ma dopo
mezz’ora in sella ad una scopa quasi la metà aveva
rinunciato. Mary aveva provato a segnare ormai
un’infinità di goal, anche se erano stati pochi
quelli che il nostro Portiere non aveva parato. Zack era uno dei
migliori Portieri che Grifondoro avesse mai visto e, sinceramente, mi
stava anche molto simpatico.
Black sembrava lanciare dei bolidi fortissimi e Potter coordinava le
prove e ogni tanto gesticolava contro qualche ragazzino.
«Ehi Lils, come sta andando?» mi domandò
Alice arrivando solo ora.
«Bene, Mary è bravissima, ma dove sei
stata?»
«Ero con Franky» rispose e passò a
Marlene una sciarpa.
Oggi infatti si era alzato notevolmente il vento e la temperatura era
scesa di qualche grado. Si stava avvicinando il rigido clima autunnale.
Una ragazza cadde dalla scopa quando una pluffa la
colpì in pieno petto e quasi tutta la platea si
alzò a dare un’occhiata. Non sembrò
nulla di grave, infatti la ragazza si alzò con qualche
fatica e si diresse verso le panchine sostenuta da un paio di amiche.
Dopo poco tutto riprese normalmente e un altro paio di ragazzi
rinunciarono, atterrando a terra e scendendo dalle loro scope.
«Devi passare a raso terra e poi alzarti per segnare! Tutto
chiaro?» stava urlando James Potter per farsi sentire dalla
ragazza dall’altra parte del campo.
Mary passò la palla al suo compagno Josh Fincley, che faceva
parte della squadra da due anni ed entrambi provarono a segnare due
goal a testa che vennero prontamente parati da Zack.
Black, intanto, lanciava bolidi alla ragazza che era rimasta
l’unica per il ruolo di Cacciatrice e quest’ultima
provava a schivare la palla e a segnare goal in contemporanea.
«Chi è? Mi sembra bravina»
domandò Lene seguendo i movimenti della ragazza.
Era di media altezza e aveva i capelli raccolti in una lunga coda.
«Non riesco a vederla bene» si lamentò
Alice.
Alice conosceva praticamente tutti e sapeva sempre le ultime
novità. Potevi dirle un nome qualsiasi e lei ti sapeva dire
la Casa di appartenenza, l’anno e anche vita, morte e
miracoli. Quindi fu strano per lei non riconoscere quella ragazza.
«Aspetta Lene, ma quella non è tua
sorella?»
«Oh Merlino. Mia sorella sta provando per il ruolo di
Cacciatrice!» gemette Marlene portandosi le mani al viso con
rassegnazione.
Sì, era vero, era proprio Elise quella che voleva con
agilità lungo tutto il campo. Aveva talento, se la cavava
piuttosto bene. Stavo quasi per complimentarmi con Marlene quando venni
interrotta da delle grida di avvertimento provenienti dal fondo del
campo.
«Attenzione Mary!» si sentì gridare.
«Mary, spostati!»
In un istante vidi un bolide, lanciato nella direzione sbagliata,
volare dritto verso di lei, colpendola alla schiena e facendola cadere
dalla scopa.
Precipitò per qualche metro, colpendo il suolo con un tonfo
raccapricciante.
Mi alzai subito, correndo giù dalle gradinate per
raggiungerla. Le ragazze mi seguirono e quando arrivammo al campo,
anche Potter e il resto dei giocatori rimasti scesero dalle loro scope
e le si avvicinarono.
«Mary, come ti senti?» domandò Lene
guardandola preoccupata.
«Sento la schiena a pezzi, ma credo di stare bene»
rispose lei con il fiatone.
Non sembrava stesse così tanto bene, così
decretai che forse era il caso di portarla in infermeria.
«Ce la faccio, voglio solo finire
l’allenamento.»
Guardai Potter in cerca di un qualche aiuto e lui guardò
Mary con una faccia che non ammetteva repliche.
«No, Mary. Stai tranquilla, sei in squadra, ma ora ti fai
portare in infermeria» dichiarò lui. «E
chi è stato il furbo che non ha saputo gestire il
bolide?»
Vidi che tra i presenti si alzò una manina e notai che era
praticamente un bambino.
«Sono Roland, secondo anno»
«Bene Roland, un Battitore che non riesce ad avere il
controllo di un bolide, mi spiace ma non è quello di cui
abbiamo bisogno» disse Potter piuttosto gentilmente ma si
vedeva che era seccato.
«Ce la faccio, posso finire benissimo
l’allenamento» replicò Mary scocciata.
«Non discutere, fai come ha detto James e vai in
infermeria» intervenne Black.
Lo guardai piuttosto sorpresa, trovando strano il fatto che Black
avesse anche solo aperto bocca.
«Ma ce la faccio!»
Scossi la testa e la feci alzare lentamente, facendomi aiutare da
Potter.
«Mary, ti reggi a malapena in piedi. Ti porto in infermeria,
sono sicura che Madama Chips sistemerà tutto in un batter
d’occhio» le spiegai con calma.
«E va bene» sospirò cercando di
trattenere il dolore alla schiena.
Io e Alice sostenemmo Mary e lentamente ci avviammo verso il castello.
Marlene, invece, si premurò di andare a recuperare le sue
cose nello spogliatoio.
Fu un tragitto abbastanza lungo e cercammo in tutti i modi di
agevolarla e non affaticarla.
Quando arrivammo in infermeria lasciammo che Mary si distendesse su un
letto e Madama Chips si precipitò subito da noi. Dopo un
controllo alla schiena di Mary si diede subito da fare.
«Nulla di grave, soltanto una bella botta. Bevi questo cara,
per cena potrai uscire» disse porgendole un bicchiere
contenente un liquido bluastro. «Come è
successo?»
«Le selezioni di Quidditch, un bolide l’ha
colpita» spiegò Marlene che ci aveva raggiunto
quasi subito.
Ci eravamo sedute nel letto accanto a quello di Mary, aspettando che si
riprendesse.
Madama Chips intanto le faceva muovere gambe e braccia, facendole fare
strane contorsioni e sostenendo che questo avrebbe accelerato la
guarigione. Non si poteva discutere con Madama Chips e quindi anche
Mary dovette fare tutte quelle strane contorsioni, lamentandosi di
tanto in tanto.
Ad Alice più di una volta scappò qualche risolino
e anche io in effetti mi stavo divertendo.
Fu quando entrò in infermeria Potter che Madama Chips
iniziò a sbraitare sul fatto che fossimo in troppi e che non
permettevamo a Mary di concentrarsi.
«Sono qui in veste di Capitano della squadra di Grifondoro,
Madama Chips. Devo solo informare Mary dell’esito delle
selezioni» spiegò lui con sguardo angelico.
Dio, quando faceva così era leggermente insopportabile.
Si avvicinò a Mary e fece di tutto per non ridere di fronte
alla posizione in cui Madama Chips le aveva ordinato di restare.
«Beh, tutto sommato è andata abbastanza bene. Ho
travato la nuova Cacciatrice, Elise McKinnon ha parecchio
talento.»
«Se lo meritava, è stata bravissima»
cercò di dire Mary, ma l’infermiera le fece
cambiare posizione.
«E come Battitore ho scovato Oliver Carton, quinto anno, con
Sirius se l’è cavata piuttosto bene per cui mi
è sembrato quello giusto» continuò
Potter.
«Perfetto, la coppa è nostra James!»
esultò Mary.
Mary e Potter parlarono ancora per un po’, ma Madama Chips fu
inflessibile.
«Bene, Potter. Puoi andare ora.»
James ci salutò e poi se ne andò, scortato fuori
da Madama Chips in persona. Quando ritornò da noi ci
guardò decisa.
«Una di voi può restare, le altre fuori, la
Signorina McDonald non è in fin di vita.»
Alice e Marlene mi chiesero di restare e dopo essersi assicurate che
Mary sarebbe sopravvissuta lasciarono l’infermeria.
«Sono di là, non fate troppo baccano. Signorina
McDonald può stendersi ora, ma cerchi di rimanere
ferma.»
Mary annuì come una brava ragazza e Madama Chips ci
lasciò finalmente da sole.
Presi una sedia e mi sedetti accanto a Mary sentendola di tanto in
tanto sbuffare d’impazienza.
«Quando arriva l’ora di cena?» mi chiese
ad occhi chiusi.
«Perché? Hai fame? Posso farti portare qualcosa se
…»
«No Lils, tranquilla. Sto solamente aspettando di poter
uscire da qui» mi interruppe ridendo della mia aria
apprensiva.
Risi anche io e Madama Chips si affacciò fulminandoci con lo
sguardo.
Alzai gli occhi al cielo e poi mi concentrai su Mary. «Sai,
sei stata veramente molto brava. Ho visto Zack in difficoltà
nel parare i tuoi tiri.»
«Mi sono allenata molto durante l’estate,
papà mi ha costruito un piccolo campo di Quidditch in
miniatura» mi raccontò.
«Deve essere stato divertente» dissi anche se in
realtà non ero una gran patita degli sport.
«So che non ti piace il Quidditch» rise di nuovo
Mary.
«Okay, forse non capisco l’utilità di
tutto quello sforzo ma …»
«L’utilità? Il Quidditch è
una figata pazzesca e poi ci fa vincere il campionato. E a te piace
vincere Lils, lo sappiamo tutti» mi interruppe gesticolando
come una pazza.
Oh Merlino, discutere con Mary di queste cosa era come parlare ad un
muro. Potevi leggerle un intero capitolo di “Pericoli e
rischi del Quidditch” che Mary l’avrebbe adorato
ugualmente.
«Comunque, ora ti senti più tranquilla?»
chiesi cambiando discorso.
«Sì, decisamente. È solo che questa
mattina sentivo un po’ di ansia, sarà
l’ultimo campionato, capisci?»
Annuii e le lasciai spazio per stendersi meglio sul letto
dell’infermeria, sembrava stesse decisamente meglio. Restammo
per un po’ in silenzio, con Madama Chips che si
aggirava nei paraggi.
«Allora, non ho potuto fare a meno di notare il teatrino che
avete messo in scena questa mattina» proferì Mary
con tono falsamente casuale.
«Quale teatrino?» domandai senza capire.
«Quello tuo e di James a colazione.»
«Non so di cosa tu stia parlando» risposi con
altrettanta casualità.
Se proprio voleva giocare, sarei stata al gioco.
«Andiamo, Lils. Eravate divertiti e nessuno dei due era
veramente arrabbiato con l’altro. Le cose stanno per caso
migliorando tra di voi?» mi chiese senza nascondere il suo
entusiasmo.
Me l’ero chiesto anche io in questi giorni, qualcosa stava
cambiando? Non lo sapevo per certo, era come trovarsi sempre ad un
bivio e dover decidere quale strada scegliere. In più
sembrava che il vero cambiamento non fosse il mio modo di comportarmi
con Potter, ma il suo di comportarsi con me.
«Non … non credo» risposi dubbiosa.
«A me sembra di sì» replicò
Mary inclinando la testa di lato e scrutandomi.
«Non lo so. Sì, diciamo che lui si sta comportando
meglio, ma non basta questo per farsi perdonare per tutto quello che mi
ha fatto in questi anni.»
«Sai cosa penso? Penso che entrambi abbiate un po’
di cose da perdonare all’altro. Anche tu dovresti chiedergli
scusa per averlo giudicato, soprattutto l’anno scorso, senza
conoscerlo affatto e per esserti fatta influenzare da Piton»
disse senza scrupoli.
Mary era fatta così, se aveva qualcosa da dirti te lo diceva
senza troppi preamboli.
Aveva ragione? Ora come ora non ne avevo idea, mi sembrava ancora
troppo presto per tirare le somme e il rapporto tra me e Potter era
… complicato.
«Voi continuate a dire che Potter non è come lo
vedo io, ma mi piacerebbe capire come lo vedete voi.»
Mary sembrò pensarci su e poi mi rispose come se la cosa
fosse semplicissima.
«Beh, James è James. Sinceramente? Sono sua amica
da anni, e che tu ci creda oppure no, James si preoccupa per tutti noi
e cerca di dare sempre il suo meglio, soprattutto nell’ultimo
periodo. È cambiato Lils, non è più
l’immaturo che era un paio di anni fa.»
Sentire le parole che Mary disse fu come far combaciare due
realtà parallele. La mia visione di Potter e la sua, il
ragazzo immaturo e arrogante che vedevo io e quello gentile e
divertente di cui raccontava lei.
«Secondo te mi sono sempre fatta influenzare da Piton?
È per questo che ho dei pregiudizi verso i
Malandrini?» domandai cercando di capire cosa non andasse
nella mia versione della realtà.
Perché a quanto pare c’era qualcosa che mi
sfuggiva. Avevo notato come Potter si fosse comportato bene
nell’ultimo periodo e non mi ero ancora capacitata di come
fosse successo. Com’ero finita a rivedere totalmente il mio
punto di vista su una persona che odiavo da anni?
«Secondo me sì, hai sempre sostenuto che fosse una
persona insopportabile ma solamente perché era Piton a
pensarlo. È Piton ad odiare i Malandrini, non tu.»
Non sapevo se credere a questa teoria o lasciare perdere del tutto la
cosa.
«Ma tutti gli scherzi che mi hanno fatto? E il comportamento
di Potter, quelli non contano più?»
«Certo che contano e non sto difendendo il comportamento
immaturo che hanno avuto con te. Ma fermati un attimo a pensare a come
ti saresti comportata se una persona ti avesse giudicato senza
conoscerti, se ti avesse odiato senza un vero motivo per
odiarti» ribadì Mary con la sua solita
sincerità.
Aveva ragione, questo non potevo non ammetterlo. Tuttavia mi era
veramente difficile provare a cambiare ottica e a guardare Potter e i
Malandrini in un modo totalmente diverso.
Ma potevo provarci, non avevo nulla da perdere a questo punto,
tutt’altro, avevo soltanto da guadagnare e mi ritenevo una
persona abbastanza intelligente da provarci.
«Penso che ci proverò, proverò a
vederli come li vedete tutte voi.»
Mary mi sorrise e potei vedere lo scintillio orgoglioso nei suoi occhi,
ma riconobbi anche qualcos’altro, qualcosa che non riuscii a
decifrare.
Ero sola, non avevo più una famiglia, provare a costruirmene
una nuova era difficile ma non impossibile. E avrei cominciato
cambiando me stessa, facendo sparire tutti i pregiudizi su cui avevo
sempre fatto affidamento e puntando tutto sulla fiducia e sul rispetto.
Non sarebbe stato semplice, già lo sapevo, ci sarebbe voluto
del tempo e molti sforzi.
Non era un cambiamento dall’oggi al domani, ma avrei fatto in
modo di provarci.
Non dipendeva tutto da me, ma anche da quanto Potter mi avrebbe
dimostrato di essere cambiato. E avevo già un presentimento,
un presentimento che qualche anno fa avrei sperato non si fosse
avverato, mentre ora mi ritrovavo a desiderare il contrario.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
CAPITOLO 8
Questa era forse una delle situazioni più assurde in cui io
mi fossi mai trovato.
E conoscevo James Potter e Sirius Black da anni, quindi ne avevo viste
di cotte e di crude. Tuttavia, non riuscii a smettere di capacitarmi
dell’assurdità della situazione e mi lasciai
scappare una risata isterica. Tutto ciò era spaventosamente
sconvolgente.
«Lils … ehm, perché James è
appeso a penzoloni dal soffitto?» domandò Alice
accanto a me con cautela.
James, che evidentemente non poteva parlare, ci rivolse uno sguardo di
puro terrore.
Lily Evans alzò la testa dalla sua piacevole lettura e ci
guardò con un’agghiacciante lentezza.
«Oh, quello. Nulla di importante, mi ha solo stressato
all’inverosimile e quindi l’ho silenziato e appeso
a testa in giù. Volevo schiantarlo, ma mi sembrava un
po’ troppo teatrale» spiegò con
noncuranza.
Dal suo tono si sarebbe potuto benissimo pensare ad una chiacchierata
di routine, nonostante James continuasse a roteare su se stesso con
un’espressione terrorizzata.
«Ma Lily, non puoi lasciarlo così»
obbiettò ragionevolmente Frank.
«E perché? Sto solo aspettando che il sangue gli
vada al cervello e poi potremmo dire addio al grande James
Potter» rispose con nonchalance.
Okay, Lily Evans era una delle ragazze più terrorizzanti che
avessi mai conosciuto. Mi appuntai mentalmente, e con un certo terrore,
di non farla mai arrabbiare.
«Tutto questo è indispensabile?»
domandai pacatamente.
Lei sembrò pensarci su mentre il suo sguardo
oscillò da James a noi e viceversa per qualche secondo.
«E va bene, avete ragione» ammise dopo un
po’. «Ma Potter, mi prometti di smetterla di
rincorrermi per i corridoi urlando il mio nome come un
ossesso?»
Vidi James emettere un rantolo e annuire con il capo in maniera
frenetica.
Alla fine Lily incrociò le braccia e svogliatamente
agitò la bacchetta per liberare James da tutti gli
incantesimi. Cadde impacciatamente al suolo e toccò terra
con un tonfo poco promettente.
Mi avvicinai a lui e lo guardai critico. «Ehi, tutto
bene?»
«Remus» biascicò come risvegliandosi da
un incubo.
«Sì, sono io» risposi osservando le sue
pupille leggermente dilatate.
Lo scrollai un paio di volte e gli diedi qualche schiaffo in viso,
giusto per sicurezza.
«Ahia! E questo perché l’hai
fatto?» protestò indignato.
Okay, era James, tutto normale, stava bene.
«Bene, Potter. Se non hai altro da dirmi
…» incominciò Lily, ma James la
interruppe raddrizzandosi gli occhiali storti sul naso.
«Beh, io in realtà ce l’avrei una cosa
da dire.»
«E allora parla!»
Lui sembrò esitare e poi si scompigliò i capelli
con quel fare così da James che anche Lily sembrò
vacillare leggermente. Fu solo un secondo, ma mi bastò per
vedere la sua espressione mutare in qualcosa di diverso dalla semplice
apatia.
«Ecco, io mi chiedevo se … beh, se vorresti venire
con me a Hogsmeade, ovviamente quando ci sarà la prima
uscita» domandò coraggiosamente.
Tutta la Torre di Grifondoro restò con il fiato sospeso,
pronta ad ascoltare le urla assordanti di Lily Evans che avrebbero
minacciato James Potter di una morte lenta e dolorosa, ma tutto
ciò che si sentì fu una sola sillaba.
«No.»
«Oh, andiamo Evans! Perché no? Sono il Cercatore
più figo che Hogwarts abbia mai visto, non posso mica
accettare uno stupido rifiuto!» iniziò a
sproloquiare James.
«Beh, io pensavo che dopo sette lunghi anni di rifiuti, del
tutto meritati, ci avessi finalmente fatto
l’abitudine» ribatté lei non sembrando
in realtà cattiva. Anzi, nascondeva addirittura un
sorrisetto divertito.
«Come posso arrendermi di fronte alla tua
magnificenza?»
«Ah non lo so, questo è un tuo problema.»
Anche James sorrise con la sua solita espressione da Malandrino e
sembrò dimenticare il fatto che Lily Evans fino a cinque
minuti fa lo costringesse al silenzio e alla sofferenza.
«Chissà perché, ma ho sempre adorato i
problemi. Quindi Evans, esci con me?» domandò di
nuovo.
«Per Salazar! No!»
«Ti prego, ti prego, ti prego!» implorò
lui con una vocina da bambinetto.
Mi lasciai cadere sul divano della Sala comune e Frank mi
imitò con un lungo sospiro.
«No, Potter» dichiarò Lily.
«Io ti avviso Evans, ho intenzione di assillarti talmente
tanto che alla fine …»
«… Sarò costretta a dirti di
sì» lo interruppe Lily, ma lo sguardo era vispo e
divertito.
Vidi Sirius entrare nella Torre e guardarci con un sopracciglio alzato,
assumendo la solita posa da Black.
«Che sta succedendo?» domandò.
Buona parte delle ragazze in Sala comune sospirarono quando Padfoot si
passò una mano fra i capelli lunghi appena sopra le spalle.
«Niente di che, Lily ha appeso James a testa in
giù e l’ha silenziato, poi l’ha liberato
e ora stanno battibeccando come al solito» spiegò
Alice in tono del tutto normale.
«Ottima sintesi, Prewett» si complimentò
Frank nello stesso istante in cui Sirius esclamò
«Che cosa? Evans, per tutti i tanga di Morgana, hai appeso
mio fratello a testa in giù?»
«Beh, sì» rispose la diretta interessata
spostando lo sguardo su di lui.
«Insomma, chi farebbe una cosa del genere!»
«Voi, Black. Tu e Potter l’avete fatto a me per
anni» ribatté Lily piccata.
«Ma noi possiamo! Siamo i Malandrini, tu invece che scusa
hai?»
«Io sono Lily Evans!»
Sirius sbuffò infastidito e poi rivolse la sua attenzione a
James.
«Tutto bene, fratello?»
James annuì e si lasciò andare ad un piccolo
sorriso imbarazzato.
Padfoot, invece, si oscurò come la cupa notte prima di una
tempesta. Il che non andava bene, per niente bene.
«Ma quali problemi hai?» domandò
gelidamente rivolto verso Lily.
«Potrei farti la stessa domanda» rispose lei
incrociando le braccia la petto.
Guardai allarmato Alice, che a sua volta rivolse uno sguardo
preoccupato a Frank.
«Se non te ne sei accorta, un temperamento come il tuo
è troppo instabile, non puoi comportarti come più
ti pare e piace» sibilò guardandola scocciato.
«Oh, certo! Fino a quando eravate voi a farlo andava bene, ma
ora che lo faccio io devo essere una pazza. Hai decisamente ragione tu
Black, il tuo ragionamento non fa una piega»
sbottò sempre più infervorata.
E vedere Lily Evans e Sirius Black uno davanti all’altro a
discutere a suon di occhiate gelide e comportamenti orgogliosi, non era
propriamente uno spettacolo carino, in particolar modo per James, al
centro tra i due, con uno sguardo così angosciato da farmi
quasi pena.
Sirius assottigliò talmente tanto gli occhi che mi chiesi
come facesse Lily a non indietreggiare di fronte alla sua figura
dominante. Era la tipica posa da Black, quel misto di apatia e
freddezza agghiacciante che lo rendeva pericoloso a tal punto da
preferire tacere davanti alla sua intensità.
«Dovresti smetterla di trattare James come niente di
più di uno stupido giocattolino su cui scaricare la
frustrazione. È una persona e, tra parentesi, non meriti
nemmeno il suo tempo. Ti credi migliore di lui per quale motivo,
esattamente? Scendi un po’ da quel maledetto piedistallo di
superiorità e guardati in giro, perché nessuno in
questa stanza ti preferirebbe a lui.»
«Sirius!» lo interruppe Prongs con una nota di
avvertimento nella voce.
Padfoot tacque immediatamente e mi accorsi che Lily era talmente tanto
arrabbiata da essere paurosa esattamente quanto Sirius. Aveva le mani
lungo i fianchi strette a pugno e lo sguardo così omicida
che gli occhi sembravano letteralmente scagliare maledizioni.
Fece un grosso respiro tremante di rabbia e poi, con una ventata di
capelli rossi, sparì dalla Sala Comune a passo di guerra. Se
mi sforzavo potevo udire da qui gli epiteti poco carini che stava
urlando contro Padfoot.
Io e Alice ci guardammo e alla fine fu lei ad alzarsi dal divano su cui
era rimasta seduta tutto il tempo per raggiungerla, non prima di
fermarsi davanti a Sirius e sbuffare pesantemente.
«Dopo facciamo i conti» sillabò
arrabbiata e alla fine si affrettò a raggiungere Lily.
Padfoot dal canto suo guardò tutti nella sala in cagnesco e
si diresse freddamente verso la nostra stanza.
Non avevo bisogno di sguardi con James, a Sirius sarebbe servito
qualche minuto per sbollire la rabbia perché testardo qual
era, non ci avrebbe dato ascoltato e la situazione sarebbe peggiorata.
James si sedette accanto a me e sospirò, passandosi una mano
tra i capelli per sdrammatizzare.
Il chiacchiericcio ritornò a riempire le mura scarlatte
della Sala comune, ma l’allegria non colpì il
volto di James.
«E pensare che le cose stavano andando relativamente
bene» borbottò sottovoce.
«Lily non se la prenderà con te, credo di esserne
quasi sicuro» risposi con tranquillità.
«Non so, lei se la prende sempre con me.»
«Questa volta sarà diverso. Tu non hai fatto
niente e Lily lo sa.»
James alzò le spalle in maniera drammatica e non potei che
fare un piccolo sorriso.
Lily stava cambiando, vedevo chiaramente i suoi sforzi di ascoltare e
non prendersela con Prongs. Era una cosa strana, ma
l’espressione di lei mutava radicalmente quando
c’era anche James. Me n’ero accorto subito, nel
momento stesso in cui le sfuriate inferocite erano state sostituite da
sbuffi divertiti. Esattamente come mi ero accorto della
maturità di James, del suo istinto di protezione
così attento quando nei paraggi c’era anche lei.
Sembrava bearsi della sua compagnia e non perdere neanche un attimo.
Dal ritratto della Signora Grassa sbucò Marlene, in
compagnia di Peter.
Si sedette sulla poltrona a pochi centimetri da me, tanto che le nostre
ginocchia si sfiorarono. Fu una carica elettrostatica, come una scossa
ma che veniva dall’interno.
Arrossii immediatamente sentendomi uno sciocco.
Io non ero giusto per lei, meritava di meglio. Non ero giusto per
nessuno, ero uno mostro.
Non dovevo neanche permettermi di fare questo tipo di pensieri, non
meritavo di provare queste emozioni. Non potevo amare, non in quel modo
perlomeno.
Avrei finito per rovinare tutto. Se io fossi rimasto distaccato, lei
sarebbe stata immune alla mia presenza. E se mai fosse venuta a sapere
ciò che nascondevo non sarebbe più stata in grado
di guardarmi in faccia, le avrei fatto ribrezzo e sarei stato
così disgustoso da arrivare a farmi odiare. Era meglio per
entrambi rimanere semplici compagni di scuola.
Semplici compagni di scuola. Non sapevo perché, ma quelle
parole mi lasciarono un amaro in bocca tale da farmi stringere i denti
a forza. Non dovevo pensarci, non era nemmeno un problema di per
sé perché l’ipotesi non era certamente
neanche contemplabile.
«Credo che sia meglio che ci vada tu»
sospirò alla fine James.
Lo guardai confuso e senza capire.
«Da Padfoot. Devi andarci tu perché con me
sarà ancora arrabbiato per via di Lily.»
Oh, ma era James la persona con cui Sirius aveva bisogno di parlare,
non io. Tuttavia sotto lo sguardo implorante di Prongs fui costretto ad
alzarmi dal divano e a dirigermi verso il nostro dormitorio.
Mentre percorrevo i gradini della scala a chiocciola in pietra, mi
domandai quale fosse il modo migliore per non far degenerare la
situazione.
Quando arrivai davanti alla porta non esitai neanche un attimo e
abbassai con pazienza la maniglia.
Sirius era seduto sul letto a gambe incrociate e aveva lo sguardo perso
nel vuoto, rincorrendo chissà quali pensieri.
Alzò di scatto la testa quando si accorse della mia presenza
e quell’accenno di malinconia che avevo intravisto sul suo
volto lasciò il posto ad un’arrogante e scocciata
maschera di freddezza.
«Non sono in vena di fare conversazione, Remus. Per cui puoi
tornartene da dove sei venuto» sibilò tagliente.
Non mi sarei tirato indietro, Padfoot in queste situazioni aveva
soltanto bisogno di parlare con qualcuno diverso da lui, tutto qui.
«Non ho intenzione di muovermi, dovesse volerci tutta la
sera.»
Sirius mi studiò per qualche secondo, dopodiché
sbuffò sonoramente e assunse quei modi così
composti e innaturali che tanto lo caratterizzavano.
«Fa’ come vuoi» borbottò alla
fine.
«Prendertela con Lily non migliorerà la
situazione» constatai incominciando il discorso che avrei
dovuto fare.
«Ah no? La Evans è intoccabile solamente
perché James si è fissato con lei? O forse
è perché neanche tu riesci a vedere quanto sia
stronza e quanto stia facendo del male a quello che dovrebbe essere il
tuo migliore amico?» domandò con ferocia
preoccupante.
Sembrava animato da quell’odio verso Lily così
devastante da farlo sentire assolutamente sicuro di sé.
«Sbagli. Sbagli su tutto, Sirius. Tu odi Lily solo ed
esclusivamente perché sai che ti sta portando via un
pezzetto di James, perché giorno dopo giorno ti trovi a
condividere l’attenzione di tuo fratello.»
Ottenni l’interesse di Padfoot e mi affrettai a continuare.
«Tu non ce l’hai veramente con Lily, o perlomeno,
odieresti nello stesso modo qualsiasi ragazza verso cui James provasse
quel sentimento. Ed entrambi sappiamo che non è un
sentimento qualsiasi, Lily è quella giusta, e tu di
conseguenza ti senti in dovere di odiare Lily, vuoi odiarla con tutte
le tue forze, perché così è
più facile» bisbigliai sedendomi accanto a lui.
«No, la odio perché è una stupida
ragazzina. Perché non merita neanche un secondo di
James.»
«Perché, noi lo meritiamo? Perché io e
te, con i nostri problemi, meritiamo un cuore grande come quello di
James? Non siamo noi a doverlo decidere, Sirius. È una
scelta di James e se lui ha scelto Lily dovresti solamente fidarti di
lui e rispettare la sua scelta» risposi di conseguenza.
Volevo che Sirius lo capisse, volevo che capisse quanto la questione
fosse importante. Probabilmente questo mio discorso non avrebbe
cambiato nulla, ma mi sarebbe piaciuto almeno far recepire il messaggio.
«Tu sei imparziale perché sei amico della Evans,
non la vedi nel modo in cui la vedo io.»
Era vero, ma solo perché mi ero posto l’obbiettivo
di conoscerla meglio prima di giudicarla. E ne era valsa la pena,
perché Lily, una volta compresa, assomigliava tremendamente
a Sirius, ma questo lui non poteva ancora saperlo. Anche lei aveva
rinunciato ad una famiglia che non l’aveva apprezzata come
avrebbe dovuto, anche lei aveva trovato conforto nei suoi amici. E
anche Lily, esattamente come Sirius, possedeva il difetto
dell’orgoglio e quella stupida mania di cavarsela sempre da
soli, sapendo di avere persone su cui contare ma preferendo riporre la
propria fiducia solo in se stessi, forse per paura di essere delusi.
«Potresti anche avere ragione, ma se non provi a conoscerla
non saprai mai se il tuo odio è fondato. Oppure preferisci
continuare a ferirla? Perché sai che ferendo lei stai
ferendo James, tuo fratello» ribattei munito di tutta la
pazienza possibile.
«James deve aprire gli occhi, non può davvero
provare qualcosa per la Evans. Proprio lei che non è neanche
all’altezza di una persona come lui. Lei non può
capirlo, non lo capirà mai, finirà soltanto per
rovinarlo» rispose lui testardo come un mulo.
Tentare di far ragionare Sirius era come parlare ad un muro,
apparentemente nulla poteva smuoverlo dalle sue convinzioni. Ma ci
sarei riuscito, forse ci sarebbe voluto del tempo, ma prima o poi anche
Padfoot avrebbe capito.
«Lasciatelo dire, sei un emerito idiota. Tu vedi Lily solo
negli aspetti negativi, così come ti vede lei. Ecco, siete
entrambi due cretini! Voi non capite, se solo provaste a comprendervi!
Ma no! Proprio stupidi!» farfugliai cercando di dare un senso
alle parole che volevo dire.
«Tanto non cambierò idea. Per me Lily Evans
resterà sempre un’insopportabile, sciocca
ragazzina, niente di più di una seccatura di cui
dovrò trovare il modo di sbarazzarmene.»
«Tu non dici sul serio, so che non lo pensi»
osservai pacatamente.
Restai in silenzio per tutto il tempo in cui Sirius cercò di
arrivare ad una risposta logica, ma alla fine anche lui si arrese
all’evidenza. Il suo linguaggio non verbale ne prese
coscienza, ma quando Padfoot parlò, fu come se non fosse
cambiato nulla.
«Non mi interessa. Ho il diritto di pensarla come
voglio» sentenziò.
Sospirai scuotendo la testa, sapendo molto bene che la testardaggine di
Sirius, per quanto imponente, non era infinita.
«Se James si fosse fermato alle apparenze quel primo
settembre, pensi veramente che tu, io e Pete saremmo diventati suoi
amici? Saremmo stati niente di più di quattro ragazzini che
condividevano la stanza, non i Malandrini.»
Probabilmente la cosa migliore da fare era lasciare Sirius alle sue
riflessioni, tuttavia non mi mossi di un solo centimetro. Sentivo che
il posto in cui dovevo essere in questo momento era proprio dove mi
trovavo ora.
Passarono alcuni minuti, in cui il mio sguardo vagò per la
stanza alla ricerca di qualcosa che potesse interessarmi e lasciasse a
Padfoot il tempo di realizzare la situazione.
«Quindi cosa mi suggerisci di fare, Remus? Seppellire
l’ascia di guerra e diventare amicone della Evans?
Perché sai che non posso farlo.»
Distesi le gambe e lo guardai con cipiglio critico.
Beh, quella sarebbe stata sicuramente la soluzione migliore, ma non ero
così stupido da pensare che sarebbe potuto succedere.
«Non ti ho chiesto di diventare il suo migliore amico, ti sto
soltanto dicendo che se tu provassi a conoscerla forse cambieresti
idea.»
Ignorai volutamente il suo sguardo esasperato e aspettai che Sirius
raccogliesse la sfida, perché, esattamente come Lily,
adorava le sfide e odiava perdere.
«Ma non c’è nulla da conoscere, so
già tutto ciò che voglio sapere»
borbottò.
«Ti sbagli Sir. Non sai proprio niente di lei e con il tuo
comportamento stai costringendo James a tagliarti fuori da tutto
ciò che riguarda questo argomento. Vuoi davvero perderti una
parte del tuo migliore amico?»
L’avevo ferito, lo capii immediatamente dal suo sguardo
affilato come una lama.
«Non mettere in dubbio il mio impegno verso James, non lo
fare Remus» sibilò.
Deglutii di fronte alla sua freddezza, ma non mi ritrassi. Conoscevo
Sirius, sapevo fin troppo bene come gestirlo.
Farlo parlare dei propri sentimenti era un’impresa
praticamente impossibile. Essere allevato dalla crudeltà dei
Black gli aveva inaridito il cuore, ma Padfoot non era un involucro
vuoto e insensibile, era soltanto spaventato dalla grandezza infinita
delle emozioni.
«Vuoi la verità, Sirius? Continua ad odiare Lily e
sarà lei a guadagnare punti e terreno, non tu. Pensaci su,
quanto sei disposto a perdere per orgoglio? Prenditi il tuo
tempo.»
Mi alzai e mi diressi verso la porta, afferrando la maniglia.
«Non la odi, prima lo capirai e prima riacquisterai i punti
che hai già perso.»
Mi richiusi la porta alle spalle, sapendo che un secondo di
più mi sarebbe costato la vita o la sanità
mentale.
Ora era tutto nelle sue mani, la decisione spettava a lui, ma se
c’era una cosa su cui fossi sicuro, era che per James avrebbe
lottato con gli artigli. E a volte per vincere bisognava concedere e
concedere significava mettere da parte se stessi. Ne ero certo, ci
andava di mezzo il cuore di Padfoot. Un cuore rivestito di aghi
pungenti ma più sensibile di ogni altra cosa.
****
«Ancora non capisco perché tutte le
volte devo essere sempre l’ultima» si
lamentò Marlene dal bagno. Si stava sistemando i lunghi
capelli castano chiaro con una smorfia di disappunto.
«Perché sei troppo buona, ti fai sorpassare da
tutte noi» rise Mary e Lene la colpì con un
asciugamano afferrato velocemente.
«E perché sei anche la più veloce,
è pura logica. Visto che tutte ci mettiamo sempre
un’eternità a farci la doccia, finiamo che siamo
già in ritardo e tanto tu sei talmente svelta che non fa
differenza.»
«Alice, non ha molto senso quello che hai detto. Anche se la
facesse per prima, i minuti che ognuna di noi impiegherebbe sarebbero
gli stessi. Forse dovremmo solo prepararci con più
anticipo» feci notare ridendo insieme a Marlene.
Lei scosse la testa testarda ma lasciò perdere le sue
evidenti argomentazioni. Mai discutere con Alice Prewett, questo
sì che era un dato di fatto.
Mi sedetti sul letto aspettando che Lene finisse di sistemarsi e presi
Martin in braccio. Appoggiò il piccolo musetto aranciato
sulle mie cosce e iniziò a fare le fusa, aveva seri problemi
di affetto e a me non dispiaceva dargliene un po’.
«Tra l’altro, ci stavo pensando oggi pomeriggio,
avete notato che il Ministro Wilson appare in pubblico soltanto quando
c’è da smentire falsamente una notizia?»
Era vero, Mary aveva ragione. Il Ministro Wilson era
l’attenta definizione di codardo senza scrupoli, cinismo a
parte. Si nascondeva tra la quattro mura del suo prezioso ufficio e
solo Dio sapeva come potesse ancora guardarsi allo specchio dopo tutte
le bugie e gli occultamenti che stava mettendo in atto. Dichiarava che
il Ministero della Magia era stabile e forte, che aveva tutto sotto
controllo, eppure non muoveva un solo dito per assicurarsi che le
parole che pronunciava fossero vere, ed ero abbastanza sicura che lui
sapesse bene che non lo erano.
«Hai ragione, dovremmo poterci opporre a tutto questo.
Perché non lo licenziano?» chiese Alice arrabbiata.
«Non è così facile, papà mi
ha detto che, nonostante sembri assurdo, il Ministro non è
il solo convinto di quello che dice. Sono in molti a credere alle sue
parole, c’è chi addirittura nega
l’esistenza di Voi-Sapete-Chi, è come un rifiuto
alla realtà» spiegò Lene una volta
finito di prepararsi.
Ci richiudemmo la porta alle spalle e scendemmo le scale della torre
per raggiungere la Sala grande.
«D’accordo, ma non saranno tutti così.
Voglio dire, quelli che sanno la verità fanno lo stesso
gioco di Wilson, alla fine» obbiettò Alice.
«Ma se anche si pretendessero le dimissioni di Wilson, cosa
potrebbe succedere? La situazione potrebbe addirittura peggiorare,
magari salirebbe al potere un seguace di Voi-Sapete-Chi o magari lui
stesso prenderebbe definitivamente il comando. Un esercito ce
l’ha, giusto? Odio con tutta me stessa Wilson, ma almeno non
è un Mangiamorte» risposi ragionando.
«Oppure potrebbe esserlo, chi lo sa.»
«Andiamo Mary, Voi-Sapete-Chi non si abbasserebbe mai a
collaborare con un idiota del genere. Wilson un Mangiamorte? Ma ti
prego» sghignazzai senza ritegno.
«Eppure sono convinta che si possa fare qualcosa»
insistette Alice.
«Ma certo che possiamo fare qualcosa. E sono la prima a
sostenere che Wilson non sia adatto a fronteggiare la situazione.
D’altro canto, forse un ipotetico ritiro di Wilson potrebbe
dare l’opportunità a qualcuno di veramente valido
di fronteggiare la minaccia con serietà.»
«Tipo chi?» mi domandò Marlene
interessata.
«Silente, ad esempio, o qualche buon’anima che
sappia cosa vuole dire lottare per riportare un equilibrio, che conosca
l’onestà e la dedizione» rispose Mary al
mio posto.
Eravamo tutte d’accordo sul fatto che Silente sarebbe stato
il candidato più giusto.
Ci sedemmo ai nostri soliti quattro posti e i Malandrini ci salutarono
trepidanti. Il primo sorriso che vidi fu quello di James, con tanto di
fossette e dentatura perfetta, che ricambiai a mia volta con uno sbuffo
divertito.
«Potter, chiudi quella bocca, per favore. I tuoi trentadue
denti non mi interessano» proferii con sarcasmo.
«Sempre dolce, Evans.»
«Sempre irritante, Potter.»
«Sempre così divertiti!»
trillò Alice facendo ridere quasi tutti.
La fulminai con lo sguardo e Potter sembrò ghignarsela sotto
i baffi, così fulminai anche lui.
«Beh, lo sappiamo bene che Lily ed io facciamo scintille,
voglio dire, siamo così perfetti»
scherzò lui.
Merlino, non potevo credere che avesse davvero detto una frase del
genere.
«Punto primo, non c’è nessun Lily ed io,
sempre e solo Evans, ricordi? Punto secondo, hai appena detto la frase
più stupida che io abbia mai sentito. Punto terzo, non sono
perfetta io, non lo sei tu, e di sicuro non lo siamo insieme, dato che
non c’è ne ci sarà mai un
noi» elencai con solennità.
Adoravo i momenti di pura libertà in cui potevo prendermela
tranquillamente con James. Frank fischiò divertito e
batté delle sonore pacche alla schiena del povero Potter.
Povero Potter? Ora chi era l’idiota, io o lui?
Alice e Mary risero senza nasconderlo neanche un pochino e Remus
tossì per celare il divertimento.
«Per tutti i tanga leopardati di Morgana, Evans! Cosa ti
costa per una volta lasciarmi l’ultima parola?»
esclamò James con fare teatrale.
Mi servì una porzione di pollo arrosto e patate lesse e lo
guardai con un sopracciglio alzato.
«La mia dignità. Se ti dessi un minimo corda
perderei notevolmente credibilità» risposi con
ovvietà.
Perché le cose erano sempre evidenti a tutti tranne che a
lui?
«Mi piacerebbe che tu mi dessi un pochettino più
di fiducia» lo disse birichino, ma mi ritornarono in mente le
parole di Mary.
“Andiamo, Lils. Eravate divertiti e nessuno dei due era
veramente arrabbiato con l’altro. Le cose stanno per caso
migliorando tra di voi?”
E se fosse veramente così? Se davvero io e Potter stessimo
andando nella stessa direzione? Non sarebbe così drammatico,
avevo già promesso a me stessa di dargli
un’opportunità.
«Te la devi guadagnare» risposi guardandolo negli
occhi.
Quegli occhi castano chiaro che avevo guardato con disprezzo
così tante volte da memorizzare ogni singolo dettaglio.
«Me la guadagnerò, promesso Evans.»
«Non fare promesse che non sai se puoi mantenere»
si intromise Black e vidi Remus irrigidirsi e schiarirsi la gola.
«Sirius» mormorò serio.
«Ma la posso mantenere, Sir!» si
intestardì James.
«Non voglio che tu prometta nulla, Potter. Ti ho solo fatto
notare che la mia fiducia non è gratuita, non per te
almeno» dissi.
«D’accordo Evans, ho capito.»
Ritornai alla mia cena con un piccolo sorriso sulle labbra e non potei
fare nulla per impedirlo. Il fatto che James non si fosse lamentato, ma
che anzi sembrasse aver compreso il punto centrale della questione era
di per sé una piccola vittoria. Non mi sembrava vero che per
una volta non si fosse comportato come un bambino dell’asilo.
Incrociai lo sguardo di Remus e mi parve di vedere spuntare un
sorrisetto compiaciuto, ma fu solo per pochi secondi.
Ritornai alla mia cena pensando che sì, James Potter era
proprio strano.
Fu in quel momento che avvertii una serie di brividi lungo la schiena,
nell’istante in cui Silente fece il suo ingresso nella sala
con passo svelto e conciso. Fu proprio la sua espressione a lasciarmi
perplessa, sembrava amareggiato e arrabbiato.
Tutti si zittirono immediatamente, capendo, proprio come me, che
qualcosa di brutto era accaduto o stava per accadere. Anche gli
insegnanti sembrarono sbigottiti quanto tutti noi e nei pochi secondi
in cui il Professor Silente raggiunse il podio dove sedevano gli
insegnanti, mi chiesi a cosa avremmo dovuto reagire, quale pessima
notizia avremmo ricevuto.
Qualcuno di noi avrebbe pianto la morte di una persona amata? Avrebbe
provato compassione o rabbia?
«Non avrei voluto darvi questa notizia, e anzi, secondo il
nostro rispettabile governo neanche dovrei. Ma rispetto i miei
studenti, ognuno di voi. Meritate di sapere che circa un’ora
fa, Lord Voldemort e i suoi seguaci hanno sferrato un attacco diretto
al Ministero della Magia, colpendo uno dei quartieri generali della
difesa del Ministero nel nord dell’Inghilterra.»
Un silenzio carico di tensione si impadronì di ognuno di
noi, lasciando che la paura facesse il suo corso. Restai pietrificata,
avvertendo il sapore della rabbia in bocca.
«Tutti gli Auror sono intervenuti immediatamente e anche
molti degli impiegati del Ministero e dei civili che si trovavano nei
paraggi al momento dell’attacco. Ci sono stati feriti e
vittime, molte delle quali hanno combattuto strenuamente fino alla
fine. Purtroppo ancora non si sa l’identità dei
caduti, ma appena mi sarà possibile saperlo,
verrò immediatamente a comunicarvelo» disse come
se ogni parola gli costasse una fatica tremenda.
Avrei voluto gridare, prendere a pugni qualcosa fino a romperlo in
mille pezzi, rendendolo irriconoscibile. Perché era questo
il mondo in cui vivevo, irriconoscibile. Non volevo pensare che magari
il padre di Alice avrebbe potuto essere ferito gravemente, o la madre
di Mary, o i genitori di Marlene, o perfino il padre di James che
sapevo essere un Auror. Ero preoccupata per ogni persona in quella
stanza. Chiunque avrebbe potuto disperarsi per la perdita di una
persona cara, ma la cosa peggiore era non sapere. Non essere a
conoscenza di come stavano realmente le persone che amavamo.
«Tutto questo mi delude, mi atterrisce. Leggo nei vostri
occhi la disperazione e mi rendo conto che mai un individuo dovrebbe
provare questo tipo di sofferenza. Spero davvero con tutto il cuore che
a nessuno di voi venga portato via un famigliare o un amico»
continuò Silente. «Appena avrò notizie,
manderò gli insegnati per farvi sapere. Fino ad allora, non
lasciamoci prendere dal panico. Fatevi coraggio e siate forti, onoriamo
la memoria di chi non è più tra noi. È
l’unico consiglio che mi sento di dare.»
Terminò con ancora più rammarico e mi ritrovai a
stringere la mano di Alice, cercando di alleviare almeno un
po’ la sua paura.
Silente se ne andò velocemente tanto quanto era arrivato, ma
nessuno di noi tornò a parlare. Sembravamo svuotati,
completamente senza parole. Anche perché, cosa avremmo
potuto dire? C’era forse qualcosa che avrebbe dato un
significato a quanto era appena successo? L’unica cosa che
potevo fare era sperare, sperare di non dover assistere al dolore di
una delle persone qui presenti.
Alcuni sussurri iniziarono a riempire l’ambiente,
perlopiù parole di conforto bisbigliate ad un amico.
«Oddio.» La presa di Alice sulla mia mano divenne
più forte mano a mano che la realtà si fece
più definita.
«Non sarà successo nulla, a nessuno di
loro.»
Mi girai sentendo la voce decisa di James. Guardava Alice con un
piccolo sorriso, ma notai che non gli illuminava gli occhi come
succedeva ogni volta che gli angoli della sua bocca si incurvavano
all’insù. Cercava soltanto di essere forte,
proprio come aveva detto Silente.
«Merda» borbottò Black incupito. Nemmeno
in questa situazione aveva perso il suo linguaggio scurrile.
«No, non ditelo» esclamò James
stringendo i pugni sul tavolo. «Le persone a cui teniamo
stanno bene, ne sono certo. »
Lo osservai incuriosita. Come poteva non lasciarsi prendere dallo
sconforto?
«Esatto, dobbiamo pensare positivo» lo
appoggiò Remus. Remus che sembrava infinitamente stanco, lo
stesso Remus che di solito era il pessimista del gruppo.
«Sono morte delle persone questa sera.»
Lene stava a stento trattenendo le lacrime e lo sguardo di Rem non
appena si accorse dei suoi occhi lucidi si addolcì
all’istante.
Mi sentii male quando posai lo sguardo sugli avanzi della mia cena non
ancora terminati. Non avevo più appetito.
Un leggero tintinnio mi distrasse, come qualcosa che sbatte
ripetutamente su qualcos'altro producendo uno sfrigolio fastidioso. Era
Minus, che perso probabilmente nei suoi pensieri, non si era accorto
che stava muovendo ripetutamente la forchetta che teneva in mano contro
il piatto a poca distanza.
«Non posso credere che dobbiamo semplicemente starcene qui
seduti ad aspettare.»
Era una tortura, un’agonia. Volevo proprio vedere quale scusa
la Gazzetta del Profeta di domani avrebbe tirato fuori per calmare le
acque. Non potevano semplicemente insabbiare tutto quello che era
appena successo, sarebbe stato come infangare il nome dei caduti di
quest’ultimo attacco, esattamente come quelli dei precedenti.
Mi alzai disgustata e guardai le espressioni spaesate dei miei amici.
«Non riesco a starmene seduta qui a fissare quel piatto come
se ci potessi trovare dentro tutte le risposte del mondo.»
«Sali in dormitorio, Lily?»
«Sì.»
Si alzarono tutti, anzi, sembrava che quasi tutta la Sala Grande avesse
avuto la mia stessa idea.
«Veniamo anche noi» annuì Potter.
Durante il tragitto nessuno parlò, camminavamo tutti con la
testa bassa, coscienti che ci sarebbe stato ben poco da dire.
Seduta sul divano della Sala Comune, schiacciata tra Mary e Remus, mi
ritrovai a provare frustrazione per la mia impotenza.
Non potevo fare nulla, ero soltanto una ragazzina il cui unico
desiderio al momento era di non vedere nessuna delle persone a cui
volevo bene soffrire.
Iniziai a fantasticare su un mondo diverso, un mondo dove non esisteva
nessun Signore Oscuro, un mondo dove babbani e maghi potevano vivere
armoniosamente. Basta Purosangue, basta Mezzosangue, basta Nati Babbani
o Maghinò.
Un mondo dove la mia famiglia sarebbe stata contenta di me, avrebbe
capito la mia diversità e non avrebbe sentito il bisogno di
cambiarla, e dove io non avrei dovuto proteggere quella famiglia e me
stessa dalla guerra.
Erano solo fantasie, lo sapevo bene. Nessuno attualmente poteva
cambiare la realtà, ma ciò non significava che
era inutile continuare a combattere.
Appoggiai la testa sulla spalla di Remus, chiudendo stanca gli occhi.
Lo sentii sospirare e capii che tutti stavamo pensando alle stesse
identiche cose.
Non potevamo mollare, avremmo resistito e avremmo aiutato a sistemare
le cose. Non avrebbe avuto importanza il quando, se tra due anni o tra
dieci, ma l’avremmo fatto, perché ognuno si
meritava la vita per cui era nato. E mi rifiutavo di pensare che questa
sarebbe stata la mia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
CAPITOLO 9
Erano stati una dura nottata e un brusco risveglio.
La sera precedente, dopo una lunga attesa, la Professoressa McGranitt
si era presentata nel dormitorio Grifondoro a tarda notte portandoci le
tanto attese brutte notizie.
La madre di Isabelle Flyn era rimasta uccisa nello scontro ed entrambi
i genitori di Donald Moore e Jacob White erano stati portati al San
Mungo in fin di vita.
Avevo assistito alle urla disperate di Isabelle, una bambina di appena
dodici anni che probabilmente non avrebbe più guardato il
mondo con gli stessi occhi spensierati e al panico di Donald e Jacob, i
quali, un pochino più grandicelli, erano stati
materializzati dai genitori ed esentati dalle lezioni.
Quella giornata di metà settembre sembrava destinata fin
dall’inizio ad essere ricordata. Non era stata solo la casa
di Grifondoro ad aver subito delle perdite, Hogwarts stessa era in
lutto. Alcuni ragazzi erano stati portati via dalle famiglie in fretta
e furia non appena la notizia era giunta alle orecchie di tutti. Non
erano serviti a nulla i colloqui in cui il Professor Silente aveva
ricevuto i tanto spaventati genitori, desideroso di far cambiare loro
idea. Ritirare i figli da Hogwarts sarebbe stato come rinchiudersi in
casa sperando che la guerra finisse, insomma, che senso aveva?
A colazione era stato difficile consumare il solito pasto
perché la Sala Grande era stata invasa da centinaia gufi che
avevano portato notizie dalle famiglie degli studenti di Hogwarts e
viceversa.
Alice era stata rassicurata da una lunghissima ed esauriente lettera di
suo padre in cui non solo assicurava le proprie condizioni, ma anche
quelle del padre di Potter. Marlene e Mary avevano spedito alle proprie
famiglie la loro lettera ieri sera, dopo le comunicazioni della
McGranitt e anche loro, così come quasi tutti gli altri
ragazzi, avevano ricevuto risposta in mattinata. Ma non stavamo bene,
nessuno di noi stava bene.
Avevo visto pochissimi sorrisi e sentito altrettante parole.
L’unica che sembrava aver delle gran cose da raccontare era
Amanda Benson, ma nessuno stava veramente prestandole attenzione, a
parte le sue solite amiche.
Era stato difficile anche per la Gazzetta del Profeta dissimulare
quanto successo e aveva addirittura dedicato all’accaduto un
trafiletto in prima pagina. Ironia a parte, ovviamente il Ministro
Wilson aveva dichiarato che tutto era sotto controllo. Okay, anche
questa era ironia.
Trasfigurazione, ultima lezione della giornata.
La McGranitt stava spiegando tutti gli esempi di trasfigurazione umana
e normale grazie ai quali un mago poteva salvarsi la vita. Si era
parecchio infervorata dopo che un Tassorosso del nostro stesso anno si
era lamentato di come la Trasfigurazione fosse poco utile nella vita
reale.
Il modo in cui l’aveva sistemato era stato a dir poco epico
e, per ripetere le sue stesse parole, chiunque con un minimo di
cervello saprebbe riconoscere l’importanza della sua materia.
Elementare, Watson. O nel caso della McGranitt, sì, Signora.
Certe cose non sarebbero mai cambiate.
Mary, accanto a me, era tutta intenta a scribacchiare sul suo foglio
bianco spiegazzato un elaborato disegno che sembrava rappresentare le
radici e il tronco di un albero nodoso. Era sempre stata molto brava a
disegnare.
La lezione finì, portando un po’ di sollievo tra
tutti noi, che raccogliemmo le nostre cose sfiniti e sì,
bisognava dirlo, anche leggermente stressati.
Era passata una settimana dalle selezioni di Quidditch, la squadra di
Grifondoro si stava allenando duramente, perciò non mi
stupii quando Mary mi piantò in asso per raggiungere James
Potter, alias il Capitano, e parlare di nuovi schemi di gioco che aveva
sognato durante la notte. Altro che sogno, il Quidditch era un incubo.
Hagrid aveva invitato noi ragazze a prendere un tè
giù alla capanna, alle quattro, sapendo bene che per
quell’ora saremmo state tutte libere, ma Mary aveva detto che
aveva una valanga di compiti da finire e che nemmeno una giratempo
avrebbe potuto aiutarla, in più dalle cinque e mezza avrebbe
avuto l’allenamento di Quidditch ed Alice, invece, non si era
neanche premurata di inventare una scusa decente, la sua spiegazione
era stata che già il tempo che dedicava a se stessa era
poco, ma quello che passava con il suo Franky era ancora meno. Morale
della favola, solo io e Lene saremmo passate da Hagrid.
E grazie a Dio la sera scorsa ne io ne James avevamo fatto la ronda,
dopo che un messaggio di Silente ci aveva informati che avremmo potuto
meditare tranquilli.
Il punto era che ero esausta, nel senso letterale. Necessitavo di una
doccia calda e di una dormita rigenerante. Ma gli impegni scolastici e
non erano sempre più pressanti, tanto che avevo iniziato ad
apprezzare le ore di solitudine in biblioteca.
Ed eravamo soltanto alla fine della terza settimana di scuola, non
avevo idea di come sarei stata tra sei mesi, tanto per dirne una.
Pazza, magari.
Se mio padre fosse stato qui con me, avrebbe risposto che ero
già matta da legare esattamente così
com’ero.
Amareggiata mi resi conto che pensare a mio padre e alla mia famiglia
non avrebbe risollevato il mio umore nero come il carbone, ma non potei
fare a meno di ricordare il viso cordiale e sempre dolce di mia madre,
rievocando alla mente immagini di lei e papà seduti vicini
sul divano nel soggiorno di casa nostra. Le gambe di lei piegate
lateralmente, il viso appoggiato sulla spalla di lui mentre le
accarezzava ripetutamente il braccio con movimenti delicati. Le
immagini dei programmi serali alla televisione scorrevano sui loro
occhi, probabilmente entrambi seduti dopo aver sistemato la cucina.
Casa. Casa loro, Lily, oramai è casa loro. Non era mia
perché avevo deciso che non avrei più varcato la
sua soglia, non li avrei più rivisti, per la loro sicurezza.
«Signorina Evans, va tutto bene?»
Voltando il capo mi accorsi di essere rimasta l’unica in
classe, cosa che non era rimasta indifferente alla Professoressa
McGranitt.
«Oh sì, tutto bene, grazie» risposi con
un piccolo sorriso.
Lei mi sorrise a sua volta, con quel suo fare così tipico.
Gli occhi azzurro ghiaccio mi seguirono per tutto il tempo in cui
impiegai a raggiungere la porta e, prima di andarmene, le augurai una
buona serata.
Non potevo dire di non voler bene alla Professoressa McGranitt, anzi,
era forse l’insegnante che in assoluto preferivo, non
l’avrei mai detto a Lumacorno però, già
non sopportava l’idea che non fossi nella sua casa.
Una sporca mezzosangue a Serpeverde, come no! Poi ovviamente mi sarei
uccisa piuttosto che finire come tutti quegli idioti presuntuosi e
codardi. A Grifondoro stavo più che bene, avevo trovato la
mia famiglia.
«Lily?»
Remus mi stava aspettando, appoggiato a braccia conserte contro il muro
fuori dall’aula di Trasfigurazione.
Ultimamente stavamo passando molto tempo insieme, iniziando ad
apprezzare la tranquillità che accumunava entrambi. Il viso
pallido e tirato si distese in un sorriso d’intesa, e senza
dire una parola, iniziammo a dirigerci in biblioteca, complici del
silenzio tanto desiderato.
Sembrava stanco, come se non dormisse da giorni, e molto affaticato. A
confutare questa mia osservazione bastò il fatto che
camminava lentamente, sforzandosi di tenere un’andatura
normale ma senza riuscirci. Sapevo bene quale fosse la causa di tutti
quei sintomi.
«Hai sentito i tuoi genitori ultimamente?» gli
domandai.
Lo vidi esitare, incespicando leggermente sui suoi stessi passi.
«No, in realtà no. Papà lavora al
ministero, ma solitamente si tiene lontano dai guai. Mia madre invece
lavora per dei babbani, quindi non corre nessun pericolo,
teoricamente.»
«Devono essere delle persone splendide» dissi di
getto.
Remus mi sorrise addolcito. «Sì, lo
sono.»
Nonostante la tenerezza di quest’ultima frase avevo avvertito
una sfumatura di rimpianto in quelle parole e, conoscendo bene Remus,
era abbastanza certa che il motivo fosse la sua poca stima di se
stesso.
«Lo sei anche tu» risposi sincera.
Rem si limitò a guardarmi stupito, lasciandomi capire nel
suo solito modo riservato che mi era grato.
Madama Pince ci rivolse un cenno affrettato del capo quando ci vide
prendere posto in uno dei tavoli più vicini
all’entrata. Borbottò qualcosa e poi
sparì tra i vari scaffali con una pila di libri in mano alta
molto più di lei.
Iniziai con Antiche Rune, sbuffando rassegnata non appena mi resi conto
che il brano che avevamo da tradurre era lunghissimo.
Non è che non mi piacesse studiare, anzi, tutto il
contrario. Non ne avevo mai basta di imparare cose nuove e spesso mi
capitava di sapere più del necessario. L’unico
problema era che a volte, come oggi ad esempio, desideravo di voler
fare tutt’altro che stare sui libri.
Ma dovevo in qualche modo iniziare, perciò mi rimboccai le
maniche e mi immersi nella complicata traduzione e grazie a Godric che
esistevano i dizionari runici, perché altrimenti noi poveri
stolti studenti che avevamo deciso di studiare la materia non saremmo
sopravvissuti a neanche due misere righe.
Remus invece si stava occupando di Aritmazia. La professoressa Vector
ci aveva assegnato una valanga di esercizi da svolgere per la prossima
settimana, ma li avrei fatti domani. In più dovevo ancora
sistemare gli appunti di Storia della Magia ed esercitarmi in
Incantesimi, senza contare il programma super complicato che stavamo
affrontando in Difesa contro le Arti Oscure.
Una lunga tortura, insomma.
Trascrissi la traduzione del paragrafo centrale e passai a quella
finale del brano di Antiche Rune. La professoressa Babbling si
divertiva molto a consegnarci saggi a sfondo storico con una trama
complicatissima e un linguaggio piuttosto difficile.
«La traduzione com’è?» mi
domandò Remus facendo una pausa.
«Hai presente quando non hai la più pallida idea
di cosa stai scrivendo?»
Remus mi guardò scoraggiato. «Oddio.»
«Più che altro non capisco se dovrei essere in
grado di farla senza dizionario oppure se sono io ritardata. Senza
aiuti è impossibile.»
Lui scosse la testa ridendo. «Mi sa che un po’
ritardata lo sei.»
Lo colpii giocosamente sulla spalla con il libro di Incantesimi ma alla
fine risi con lui. «In effetti.»
Mi accorsi solo in un secondo tempo che se non mi fossi data una mossa
sarei arrivata in ritardo da Hagrid.
«Oh, cavolo! Scusa Rem, ma ho promesso ad Hagrid che sarei
passata da lui con Lene e sono già in ritardo!»
«Anche Marlene verrà con te?»
Nonostante stessi radunando tutti i miei libri dentro la borsa a
tracolla, colsi comunque il tentativo di dissimulare la morbosa
curiosità. Avrei tanto voluto chiuderli entrambi dentro una
stanza e vedere cosa fosse successo, ma ahimè, non potevo
farlo.
«Sì. Ci vediamo dopo, okay?»
Lui sorrise in risposta, così mi avviai velocemente verso
l’ingresso principale dove avevo appuntamento con Marlene. La
trovai seduta sui gradini delle scale, avvolta nella sua solita sciarpa
rossa e oro da vera Grifondoro.
«Sono in ritardo?» domandai notando il suo anticipo.
«No no.»
La guardai meglio, sembrava stanca, molto più stanca di
quando l’avevo vista qualche ora fa.
«Lene, va tutto bene?»
I suoi grandi occhi si sgranarono alla domanda e riuscii a scorgervi un
lampo di confusione.
«Sì, cioè, non lo so per la
verità.»
Scossi la testa. «Non credo di aver capito.»
«Non mi sto capendo neppure io» sospirò.
Lasciai cadere per terra la borsa e mi sedetti sui gradini della scala
accanto a lei.
«Me ne vuoi parlare?»
«Non so nemmeno come spiegarti cosa provo. Sono soltanto
stufa di aspettare.»
«Aspettare cosa?»
Volevo davvero provare a capire cosa non andasse.
«Tutto» rispose con un’alzata di spalle.
«Hai presente? Non faccio altro che aspettare. Aspetto il
prossimo attacco, aspetto il domani, aspetto di finire gli studi,
aspetto un sacco di cose.»
«E sei stufa» ritentai cercando un filo logico nel
suo discorso. Non che non avessi capito, tutt’altro,
comprendevo fin troppo bene ciò che stava cercando di dire.
«Penso di sì, vorrei solamente smettere di
aspettare.»
Un piccolo sorriso amaro mi si formò sulle labbra non appena
cercai risposta. «Non penso che possiamo realmente farci
qualcosa, però capisco cosa intendi dire e hai ragione,
anche io mi sento continuamente impotente.»
«E come fai a non impazzire?» domandò
Lene.
«Ti sembra che io sia normale? Certo che no, faccio
costantemente i conti con questo problema. Ultimamente, poi, do in
numeri molto più spesso di prima.»
Il sorrisetto che riaffiorò sulle lebbra di Marlene mi
sembrò spontaneo. «Già, abbiamo
notato.»
Sorrisi anche io di riflesso. La loro amicizia era l’unica
cosa che al momento faceva scorrere le mie giornate. Ci sostenevamo a
vicenda quando debolezze e paure riempivano il nostro cuore con una
densa e fitta nebbia.
«Lo so bene» risposi alzando gli occhi al cielo.
«Ora andiamo, Hagrid ci starà
aspettando.»
Ci incamminammo insieme dirette alla capanna. Il cielo era di un grigio
pallido, come se anche lui fosse sfinito, esangue dagli ultimi
avvenimenti. Rifletteva un po’ il mio umore, quella
stanchezza che sembrava intrufolarsi in ogni parte del mio corpo.
Il camino della piccola dimora in cui Hagrid viveva era fumante, segno
che un pentolone di qualche roba pericolosa stava bollendo
indisturbato.
Marlene dovette bussare due volte sulla porta in legno massiccio prima
che Hagrid finalmente ci aprisse.
«Oh, eccovi qui! Ci speravo che arrivaste!»
Rabbrividii quando una ventata di aria gelida ci seguì fin
dentro la capanna. «Mary aveva gli allenamenti di Quidditch e
Alice doveva portarsi avanti con lo studio. Si scusano per non essere
venute.»
«Oh, non ci importa, non è vero Thor?»
latrò Hagrid accarezzando rudemente il muso del cucciolo
disteso accanto a lui. «Avete tanto da fare, lo so. Sedetevi
ragazze, metto su un tè bello caldo.»
Per Hagrid significava che l’acqua sarebbe evaporata a furia
di bollire. Mi lasciai sprofondare su una delle poltrone sgualcite
mentre Marlene sorrise divertita. «Grazie mille.»
«Allora, come state ragazze?»
Alzai le spalle. «Considerando la nottataccia appena
trascorsa, direi che non siamo esattamente in forma.»
«Ah, brutta storia. Non ci volevo credere quando mi ci hanno
detto le vittime» borbottò sedendosi anche lui. La
poltrona scricchiolò leggermente al contatto con
l’imponente mole di Hagrid.
«Già, neanche noi. Eravamo tutti
preoccupati.»
«Immagino! Dovevate vedere quanto era infervorato ieri sera
Silente, ci è andato pure a parlare con il Ministro in
persona!»
Lene assottigliò gli occhi interessata. «E che
cosa si sono detti?»
Anche io mi sporsi leggermente, curiosa di conoscere la vicenda.
«Non lo so. Ieri sera si sono visti, però. E
quando Silente è tornato, una bestia era.»
«E poi questa mattina in tanti hanno lasciato
Hogwarts» aggiunsi.
«Pure quello! Come se non bastassero i problemi attuali
adesso anche le famiglie si mettono a contestare. Matti! Non esiste
posto più sicuro di Hogwarts.»
Sì, Hagrid aveva ragione. Finché saremmo stati
sotto questo tetto, ero sicura che non ci sarebbe accaduto nulla di
male.
«Il problema è che non tutti ne sono consapevoli,
alcuni genitori ritengono di poter proteggere meglio i propri figli
segregandoli in casa» disse Lene.
«E quindi Silente si è visto con Wilson?»
Hagrid annuì. «Non so altro.»
«Immagino sia una situazione difficile per tutti.»
Probabilmente Silente stava cercando di gestire la circostanza al
meglio e questo lo aveva portato a discutere con Wilson su come far
fronte all’emergenza.
«E quel barbuto del Ministro non vuole farci
niente!»
«Sì, lo sappiamo» risposi. Hagrid si
alzò con un impeto furioso e versò il
tè bollente in due grosse tazze dai bordi sbeccati.
«Quello è un mentecatto, ve le lo dico
io!» borbottò risedendosi.
La bevanda fumante mi scaldò le mani leggermente fredde. Si
stava avvicinando l’autunno, riuscivo a percepirlo
nell’aria.
«Stai bene, Hagrid?» domandò Marlene.
Doveva aver notato anche lei il viso nervoso dell’uomo seduto
accanto a noi. Raramente Hagrid era di pessimo umore, non accadeva
quasi mai.
«Non ci dovete preoccupare per me.»
«Ma Hagrid, tranquillo. Con noi puoi parlare» lo
rassicurai.
«È una sciocchezza» rispose.
«Voi avete sicuramente altro a cui pensare
…»
Sorrisi con dolcezza. «No invece, siamo qui per farti
compagnia.»
«Oh, d’accordo. È stupido, ma ci vorrei
fare qualcosa.»
Marlene posò intenerita una mano su quelle grandi e chiuse a
pugno di Hagrid. «Anche noi lo vorremmo,
assolutamente.»
Erano mesi, oramai, forse anni, che mi sentivo impotente. Non potevo
fare nulla se non guardare il mondo cadere lentamente a pezzi, senza
avere niente con cui difendermi. Brancolavo nel buio, sperando
ingenuamente che non accadesse mai nulla di male alle persone che amavo.
«E non è affatto stupido» aggiunsi.
Non lo era perché testimoniava la speranza su cui ancora
facevamo affidamento. Avrei tanto voluto poter fare qualcosa, schierare
la mia mossa in questa partita a scacchi infinita.
Hagrid sorrise toccato e il suo viso ispido e paffuto si distese
bonariamente.
«Ci sapete fare voi due, eh?»
«Vorremmo saper fare di più» rispose
Lene.
«Ah, no. Basta tristezza!» vociò Hagrid.
«Raccontatemi, come stanno andando le lezioni?»
«Un incubo, non abbiamo neanche più il tempo di
respirare.»
Passarono diversi minuti, forse addirittura un’ora intera.
Parlammo di svariati argomenti davanti ad una tazza di tè
fumante, cercando di dimenticare le ombre che strisciavano malignamente
nelle nostre giornate.
Fuori dalla finestra appannata dal vapore acqueo il tempo era scuro,
buio ormai. Si era fatta sera e le stelle del cielo scozzese avevano
incominciato ad illuminare l’aria notturna di questa giornata
di fine settembre. Thor si era addormentato accanto al fuoco e Hagrid
aveva preso ad osservarlo con divertimento.
Io e Lene lo salutammo con un sorriso e ritornammo al castello
soddisfatte del pomeriggio. In Sala Comune il caos era meno evidente
rispetto alle altre serate. Il clima teso e irrequieto della giornata
non era ancora volato via. I più piccoli parlavano tra loro
tranquilli e alcuni erano semplicemente seduti in silenzio, osservando
il vuoto con occhi annebbiati.
Scorsi Peter Minus giocare a gobbiglie con un ragazzino del terzo anno.
Mi chiesi dove fossero finiti i suoi tre compari, ma ricordai che Black
e Potter dovevano essere ad allenarsi e Remus, con ogni
probabilità, ancora chino su qualche tomo voluminoso.
Io e Marlene ci dirigemmo insieme verso la nostra stanza, salendo le
scale della torre con famigliarità. Di Alice ancora nessuna
traccia, anche se sapevo che il responsabile della sua scomparsa doveva
essere Frank. Dove sparissero, però, sarebbe rimasto un
mistero.
Martin celebrò il mio ritorno con gioia, facendosi coccolare
beato, mentre Lene si chiuse in bagno. Dopo poco sentii le tubature
dell’acqua sibilare, segno che era sotto la doccia. Con uno
sbuffo mi distesi sul letto, chiudendo gli occhi.
Caddi in un pesante stato di dormiveglia, sentendo il mio corpo
rilassarsi gradualmente.
Avevo bisogno di una pausa, desideravo soltanto un po’ di
tranquillità per poter continuare la mia vita. Eppure,
giorno dopo giorno, il pericolo sembrava farsi maggiore e la sofferenza
divenire sempre più intensa. Volevo solamente vivere senza
aver paura di farlo, ma forse era chiedere troppo.
****
Lasciammo il campo affaticati e più affamati che mai. L’allenamento era stato produttivo e stavamo lavorando duramente in previsione della prima partita del campionato, tra poco meno di un paio di mesi. Volevo impegnarmi al massimo, dato che sarebbe stato il
mio ultimo torneo di Quidditch.
Elise e Oliver sembravano andare d’accordo con il resto del
gruppo e stavano imparando piuttosto in fretta le dinamiche di gioco.
«Stiamo andando bene» dichiarai sulla strada verso
il castello.
Sirius annuì in sintonia, sorridendo stanco. «Ci
hai distrutto.»
«Forse dovremmo lavorare di più sulla
velocità.»
«Secondo me non serve» replicò lui.
«Altrimenti rischiamo di perdere la concentrazione.»
Il resto della squadra, poco più avanti, stava commentando
l’esito dell’allenamento e mi sentii soddisfatto
quando anche loro costatarono l’impegno che stavamo
dimostrando.
«Ho bisogno immediato di cibo» mi lamentai.
«Io di una doccia.»
Finalmente il weekend tanto sospirato era arrivato e potevo permettermi
un po’ di svago. Non che avessi chissà quanto
tempo a disposizione, ma una bella dormita non sarebbe mancata,
dopodiché avrei dovuto pensare all’enorme
quantità di compiti per la prossima settimana e allo studio
arretrato.
Quando arrivammo in camera trovammo Peter disteso sul letto.
«Era ora che arrivaste.»
«Ti sei annoiato senza di noi, Wormtail?»
«Remus è così noioso, è in
biblioteca da questo pomeriggio.»
«Puah» borbottò Sirius
teatralmente.
«Tutto solo soletto?» domandai.
«Mi pare che la Evans gli abbia fatto compagnia per un
po’» rispose noncurante. «Ma
l’ho vista in Sala Comune con la McKinnon poco fa.»
Immediatamente drizzai le orecchie, interessato come sempre a tutto
ciò che riguardasse Lily. Fu proprio in quel momento che
Moony fece il suo ingresso nella stanza, portando con sé una
quantità inimmaginabile di libri.
«Secchione» sghignazzò Padfoot.
Moony alzò gli occhi al cielo e raggiunse il suo letto con
fatica. I sintomi di ciò che sarebbe successo di qui a pochi
giorni erano ormai più che evidenti. Profonde occhiaie,
affaticamento e spossatezza. Sapevo bene che camminare sarebbe
diventato un dolore a malapena sopportabile e Remus avrebbe avuto
bisogno di noi per arginare la stanchezza.
«Lily era con te?»
«Sì, poi è andata a trovare Hagrid con
Marlene.»
Annuii e posai con attenzione la mia meravigliosa scopa nel suo
prezioso angolino. Il mio interesse venne catturato nuovamente dalla
lunga lettera tutta spiegazzata posata sul comodino accanto al letto.
Mi era stata recapitata dal gufo di famiglia questa mattina e aveva
rappresentato un briciolo di speranza in questa giornata senza
apparente gratificazione. Mio padre e mia madre avevano assicurato che
non era capitato loro nulla di male, considerato poi che
papà, in quanto auror, si era precipitato immediatamente nel
pieno epicentro della battaglia e aveva combattuto tenacemente.
Non aveva deciso di affrontare l’attacco soltanto
perché il suo lavoro, in un certo qual modo, lo costringeva
a farlo, ma perché mio padre era fatto così. Ed
io ero fiero di poter ammettere di assomigliare a lui in questo,
entrambi non ci saremmo mai tirati indietro di fronte ad una sfida.
Mai, anche se questo voleva dire accettare di poter perdere, in questo
caso addirittura la vita.
I miei genitori lottavano per uno scopo, si battevano con coraggio e
non potevo biasimarli. Naturalmente mi ero dato pena fino a quando non
avevo ricevuto loro notizie e ovviamente questo sarebbe sempre
successo. Però ero cresciuto e avevo capito che le loro
intenzioni erano nobili ed eroiche, anche se questo voleva dire
rischiare giorno dopo giorno. Avrei voluto che non dovessero farlo, ma
non potevo di certo chiedere loro di rinunciare a fare la differenza.
«Fissi quella lettera come se ci potessi trovare tutte le
risposte del mondo.»
Sirius, aveva in parte ragione, ma lui non era stato da meno, aveva
sofferto esattamente come me, anzi, l’assenza di informazioni
lo aveva reso senz’altro più nervoso e irascibile.
E quando la lettera era arrivata la gioia sul suo viso era stata
intensa quanto la mia.
«Una risposta l’ho avuta, almeno»
risposi. «Stanno bene, mi basta questo.»
Io e Padfoot avevamo impiegato l’intera mattinata per
scrivere due righe che esprimessero tutto il nostro sollievo. Sir era
mio fratello, parte integrante della famiglia, e voleva bene ai nostri
genitori in maniera incredibilmente autentica.
«Quando Silente ha annunciato quello che era successo non ci
volevo credere. Per pochi secondi ho sperato realmente che fosse tutto
un grande, gigantesco errore» ammise Remus nel silenzio che
si era creato.
«Io ho visto i loro visi, dei miei genitori, nitidi davanti a
me.»
Parlare fu liberatorio.
«So che volete saperlo» borbottò
Padfoot. Sembrava eccezionalmente in difficoltà e subito ne
capii il motivo. Stavamo mettendo in chiaro i nostri sentimenti e per
Sirius questo era una difficoltà da sempre.
«E ce lo dirai?» domandò Remus
Mi tesi a disagio. Sirius Black e sfera affettiva non erano affatto due
sostantivi che avrei accostato tra loro, tutt’altro.
Padfoot si sedette sul suo letto stringendo le mani con evidenti segni
di nervosismo. Non volevo che si sentisse costretto ad ammettere
ciò che aveva provato senza essere realmente sicuro di
volerlo fare.
Sirius si schiarì la voce e poi alzò la testa con
un’espressione atterrita che raramente gli avevo visto in
volto. «Ho pensato che ne avevo abbastanza di tutta questa
merda di situazione.»
Ne avevamo tutti abbastanza, su questo non avevo dubbi. Remus
annuì d’accordo e Peter chiuse gli occhi in
evidente stato di meditazione.
«E poi ho sperato con il cuore in gola che non succedesse
nulla di male alle uniche due persone che hanno provato ad accettarmi
per come sono, che mi hanno accolto come figlio loro senza
riserve.»
Mi immobilizzai senza parole. Sirius aveva appena ammesso, non senza
qualche difficoltà, ciò che realmente provava. E
poteva sembrare poco, ma non lo era. Non per uno come lui, abituato ad
ignorare tutto ciò che gli veniva suggerito dal cuore,
sempre alla disperata ricerca di affetto e riconoscenza, ma per nulla
convinto di meritarseli.
«Loro ti vogliono bene, dovresti saperlo» risposi
esitante.
I miei genitori amavano Sirius con tutto il loro cuore. Non avevano
esitato neanche un solo secondo quando Padfoot si era presentato a casa
nostra con la dignità calpestata da anni di maltrattamenti
malcelati. Avevano fatto il possibile per amarlo e accettarlo come
meritava e io ne ero stato orgoglioso.
«Forse ti apprezzano molto più di me, tra
l’altro» scherzai per alleggerire la tensione che
si era creata.
Sirius stette al gioco senza problemi. «E come non
potrebbero? Tutti sanno che sono migliore di te.»
«Ho detto forse, non che è
così!»
«Nah, è Sirius il preferito» si
intromise Moony.
«Remus Lupin!»
«Anche io voto per Padfoot» sghignazzò
Peter. Sirius gli diede una pacca sulla spalla e poi si girò
per dare un cinque a Remus, il quale si stava evidentemente divertendo
tantissimo.
«Beh, io sono il figlio che ha regalato loro anni di gioie e
soddisfazioni» piagnucolai peggio di un bambino.
«Ma smettila. Dorea mi adora, come tutte le donne del resto,
e non sa negarmi nulla. Mentre Charlus probabilmente ritiene che io sia
molto più maschio di te, sono il suo figlio prediletto, mi
sembra ovvio.»
«Non è vero, mamma preferisce me!»
«Io patteggio ancora per Sirius» aggiunse Moony con
un gran sorriso.
«Non puoi vincere, Jamie» cinguettò
Sirius usando il fastidioso soprannome che mi aveva affibbiato mia
madre fin da quando ero un bambino.
«Non chiamarmi in quel modo!»
«In quale, Jamie?»
«Smettila» protestai. «Quel nome
è irritante.»
«Oh, il mio piccolo Jamie» continuò a
sproloquiare Sirius. Si era alzato in piedi teatralmente e aveva
iniziato ad imitare il tono di voce cantilenante che molto spesso usava
mia madre nei rari momenti in cui si addolciva.
«Basta!»
Moony e Wormtail si stavano rotolando sui loro letti dal ridere, con
addirittura le lacrime agli occhi.
«Soltanto se ammetti che io sono il preferito.»
«Tu, stronzo!» inveii.
«Sì, ma tanto resto comunque più bello
di te.»
«Questo è da vedere» borbottai
imbronciato.
Sirius mi rispose con una pernacchia divertita ed esibì in
una posa da modello i suoi bicipiti più che evidenti. Ero io
il più bello, in un caso o nell’altro.
Dopo poco tempo Padfoot si fiondò in bagno con
l’intenzione di farsi una doccia, così io ne
approfittai per cercare di riordinare il disordine che sembrava
caratterizzare la nostra stanza. Remus mi diede una mano di sua
spontanea volontà, probabilmente turbato da giorni dalla
grande confusione, mentre Wormtail ci osservava con un gran sorriso,
deciso a non alzare nemmeno un dito.
«Scansafatiche» lo rimbeccò Moony
cercando di colpirlo con una vecchia pergamena appallottolata.
«Esistono gli elfi» rispose Peter.
«Non sono obbligati a pulire le nostre schifezze.»
Wormtail alzò gli occhi al cielo ed io scossi il capo. Avevo
sempre apprezzato il lavoro che svolgevano gli elfi e mai lo avrei
considerato come qualcosa di banalmente dovuto a noi maghi, sapevo che
costava loro parecchie fatiche. E come diceva giustamente Lily Evans:
“Da prima i maghi agli elfi domestici a prima i maghi ai
NatiBabbani, il passo è breve”. E io non mi
sentivo migliore di nessuno, assolutamente. Ero consapevole che i maghi
non avessero nessun diritto di trattare gli elfi domestici come niente
di più di servi inferiori per importanza. Ed ero quasi
sicuro che la situazione sarebbe andata soltanto peggiorando,
calcolando quanto i maghi sapessero essere distruttivi per chi non era
come loro. Lo avevano dimostrato chiaramente le tre guerre combattute
contro i folletti, le crociate ancora in atto in opposizione ai lupi
mannari e ovviamente nella lunga lista i Mangiamorte e il loro Signore
erano compresi. Bisognava cambiare atteggiamento e per farlo dovevamo
iniziare dalle piccole cose. Ad esempio evitare di pensare che la
pulizia della nostra camera, e di Hogwarts in generale, fosse dovere
degli elfi domestici. Non era così, ognuno di noi era tenuto
a fare la propria parte per il quieto vivere comune.
Finimmo soddisfatti di riordinare e Remus sopirò sollevato.
«Ci voleva proprio.»
«Da quanto progettavi di farlo?»
sghignazzò Peter.
«Un po’» rispose lui. «Stava
diventando un vero casino.»
«La vera domanda è: quando mai non lo
è?» esordì Padfoot uscendo dal bagno
con i capelli ancora gocciolanti.
Io sollevai le spalle divertito quando Remus sbuffò.
«È inutile Moony, la nostra stanza è
per definizione un disastro.»
Rem borbottò qualcosa tutto concentrato a pulire il comodino
di Wormtail dalle briciole di un vecchio e ormai stantio spuntino delle
cinque. Per i comuni mortali era il tè delle cinque, per
Peter lo spuntino.
«A proposito, quindi come abbiamo intenzione di
comportarci?» domandò Sirius stendendosi sul suo
letto
«In merito a cosa?» chiesi recuperando
l’occorrente per una doccia rigenerante.
Scosse il capo. «Secondo te? I Mangiamorte sono praticamente
dentro Hogwarts.»
«Questo non è vero» ribatté
Moony.
«Ah no? E allora spiegami quale ruolo abbiano Mulciber e
compagnia, compreso mio fratello.»
Non aveva tutti i torti, soprattutto considerando quello che
martedì sera avevo sentito durante la ronda con Lily. Non
potevo tuttavia farne parola per via della segretezza assoluta che
Silente ci aveva ribadito mercoledì mattina, quando io e
Lily ci eravamo presentati nel suo ufficio per riferire quanto
successo.
«Sirius, sono soltanto dei ragazzini esaltati»
tentò di farlo ragionare Remus.
«Questo sì, ma davvero pensi che non diventeranno
Mangiamorte?» mi intromisi io.
«So quello che mi state dicendo, so che avete ragione
…»
«Lo so, provo la stessa cosa. Il cervello mi dice che, se non
lo sono già, lo diventeranno di sicuro, però mi
rifiuto lo stesso di crederlo» lo rassicurai.
«È uno schifo» borbottò
Peter.
Padfoot annuì. «Già, quello che mi
chiedo è come dobbiamo comportarci noi.»
C’erano veramente pochissime cose che potevamo fare
concretamente. Eravamo semplicemente dei ragazzini, potevamo soltanto
guardare il mondo distruggersi pezzo dopo pezzo.
«Non dobbiamo comportarci diversamente dal solito. Possiamo
aiutare, però, anzi, dobbiamo aiutare» risposi con
cautela.
«Aiutare chi?»
Sospirai. «Tutti, Peter. Chiunque. Non ti sei accorto di
quanto le persone abbiano effettivamente bisogno di aiuto? Hanno
paura.»
«Tu non hai paura?» mi chiese Remus.
«Certo, continuamente, lo sapete.»
Mi rinchiusi in bagno pensando a quanto effettivamente la situazione
fosse peggiorata nel giro di pochi mesi. Gli attacchi erano
moltiplicati e la paura era sempre più destabilizzante, la
paura ma anche il bigottismo delle persone.
L’acqua calda della doccia mi scorreva sul corpo,
rilassandomi. Ripensai istintivamente a quanto la guerra avesse
effettivamente cambiato la vita e di riflesso la sua
qualità. Per noi ragazzi che vivevamo ad Hogwarts protetti e
rassicurati questo era meno evidente che nel mondo esterno. Al castello
le notizie giungevano tardivamente o attenuate dai mezzi di
informazione disposti dal governo, il cui desiderio era quello di
insabbiare la situazione allarmante. Beh, grazie al loro ridicolo
teatrino i Mangiamorte stavano acquisendo sempre più terreno
e loro ne stavano perdendo a dismisura. Come si possono stanziare fondi
e misure efficaci per combattere un problema se questo non viene
riconosciuto e reputato tale? La situazione faceva sinceramente
rabbrividire. Tutto questo sommato al pregiudizio e alla paura, sempre
più grandi da costringere intere famiglie ad entrare in
clandestinità o a nascondersi. Tantissimi NatiBabbani negli
ultimi mesi avevano fatto perdere le proprie tracce per paura di essere
riconosciuti e quindi incarcerati, o peggio ancora, uccisi. Tra la
gente si era insinuato il dubbio e i più stupidi e
vigliacchi, per paura di diventare a loro volta un bersaglio dei
Mangiamorte, avevano dato il via ad una sorta di “caccia alle
streghe”. Peccato che non eravamo più nel Medioevo.
Ero preoccupato, forse troppo. Non per me, perché di fatto
non correvo nessun pericolo, ma per tutte quelle persone a cui poteva
essere fatto del male.
Lily, martedì sera, mi aveva stupito. La sua indole
combattiva era qualcosa che ammiravo, una peculiarità che la
rendeva, ai miei occhi, ancora più incredibile. Quello che
aveva sentito avrebbe dovuto sconvolgerla, e probabilmente
così era stato, ma si era dimostrata forte, nonostante la
situazione.
E calcolando come io mi sentissi costantemente, non osavo immaginare
lei.
Quando uscii dalla doccia una nuvola di vapore acqueo soffocava il
piccolo ambiente che era il bagno. In quell’istante mi resi
conto che volevo parlare seriamente con Lily, che volevo cercare con
lei un rapporto serio e responsabile, perché sì,
avevo bisogno che lei facesse parte della mia vita.
Vestendomi fui pervaso da una sorta di eccitazione irrazionale. Il solo
pensiero di Lily, di quella meravigliosa ragazza dai capelli rossi e
dalle iridi verdi, mi faceva desiderare di essere una persona
differente. Non avrei saputo spiegare con esattezza la natura di quella
sensazione e neppure cosa questo avrebbe comportato, volevo solamente
instaurare un rapporto che fosse il più vero possibile con
la ragazza che, senza saperlo, mi stava cambiando la vita.
Perciò quando scendemmo in Sala Grande per cena sfoggiai il
mio miglior sorriso, malgrado la giornata storta, e salutai una testa
rossa scintillante intenta a chiacchierare con Mary.
«Ehi, Capitano» mi sorrise quest’ultima.
«Potter.»
Il piccolo sorriso che Lily mi rivolse fu per me una grandissima
soddisfazione e probabilmente lei stessa se ne rese conto, dato che
alzò gli occhi al cielo.
Mi sedetti perfettamente eccitato e mangiai contento anche solo del suo
saluto.
«Smettila, James» borbottò Padfoot.
Mi accigliai. «Di fare cosa?»
«Quella cosa.»
«Eh?»
Sirius sbuffò. «Sei un gran deficiente.»
Okay, ora ero ufficialmente confuso.
«Ancora non capisco» mi lamentai.
«Tu smettila e basta, okay?»
«Okay» risposi basito.
Padfoot ritornò alla sua cena con un’espressione
strana che non seppi decifrare. Lasciai perdere, forse distratto
proprio da Lily che in quel momento mi fissava stranita.
«Tutto bene?» le domandai.
Le mie parole la riportarono con i piedi per terra. Scosse la testa
ripetutamente per una decina di secondi e poi sorrise, un sorriso vero,
uno di quelli che raramente rivolgeva a me. Ovviamente ogni muscolo del
mio corpo si tese come una molla, pronto a scattare impazzito.
Sì, dovevo essere impazzito.
«Okay gente, Lily Evans ha appena sorriso a James Potter, non
credevo potesse essere possibile» esclamò Alice a
bocca aperta. E non era l’unica a bocca aperta, sottoscritto
compreso.
«Sul serio tesoro, stai bene?» continuò
Marlene sventolando e schioccando le dita davanti alla povera Lily che
la fissava divertita.
Lily rise di gusto di fronte alle nostre espressioni sbalordite.
«Adoro come vi siete agitati.»
«È che tu non … non hai mai sorriso a
me» balbettai come un idiota.
«Sì invece, è già successo
un sacco di volte, solo che ho saputo nasconderlo molto meglio di come
ho fatto prima.»
La guardai sbalordito. «Hai provato a nasconderlo?»
«Beh, certo. Tu la maggior parte delle volte mi fai infuriare
e mi innervosisci come pochi riescono a fare, però ci sono
anche volte, pochissime, non ti agitare, che questo non
succede» rispose alzando le spalle con aria disinvolta.
Porca miseria, se non fosse stato per l’atmosfera quasi
surreale che si era creata mi sarei messo a cantare dalla gioia.
«Secondo me sta per avere una crisi isterica»
sghignazzò Frank fissandomi divertito.
Non stavo per aver una crisi isterica! Ero semplicemente contento di
questa nuova scoperta.
Mi schiarii la voce, sicuro che sarebbe tremata. «Lieto di
venirne a conoscenza, Evans.»
«Ora non farci l’abitudine.»
Con nonchalance scosse ancora il capo e tornò alla sua cena
perfettamente tranquilla.
Io ero tutt’altro che tranquillo. Perché ogni cosa
di lei aveva il poter di trasformare ogni cosa di me, senza che lei lo
sapesse.
Remus mi fissava di sottecchi, soddisfatto e contento. Ricambiai lo
sguardo con un sorriso raggiante.
Sì, ero felice. Felice perché Lily Evans aveva il
potere di rendermi tale.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3000448
|