Golden Age

di quirke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Spring ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Summer ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Autumn ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Winter ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Spring ***


 
!!!!!!
Eccomi qui con questa minuscola long, ora di quattro capitoli.
Non so proprio cosa dire, non vorrei svelare nulla e al tempo stesso spiegare mille cose. Quindi mi limito a presentarvi Harry e Pedro, senza aggiungere nulla nello spazio autrice. Spero vi sia piaciuto questo capitolo, come i personaggi che ho cercato di gonfiare di anima propria. Mi rendo profondamente conto che il mio stile di scrittura è leggermente noioso, dato che preferisco concentrarmi anche sui dettagli che interferiscono tra qualche dialogo e un altro. Anzi!, non cerco proprio di nascondere il fatto che le conversazioni sono rare quanto nonsocosa, ma comunque io preferisco così. E inoltre i capitoli prendono il nome delle stagioni dato che la storia si basa sull'evoluzione del protagonista principale, quindi saranno primavera, estate etc
Spero abbiate notato la nota musicale: tutto si intensificherà se ascoltate la playlist!! bacioniii, e se vi va, lasciatemi un vostro prezioso parere :)
 
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golden age


Golden Age

Capitolo I - Spring
 

“Quando hai diciassette anni 
non fai veramente sul serio

 

Harry si accomodò ulteriormente, stringendosi nei suoi fianchi ed assopendo il malumore che appesantiva la sua testa.
Erano le sei e mezza, ed il cielo si era addensato di un buio pesto, graffiato di tanto in tanto da miriadi di luci accecanti che si espandevano ogni qualvolta Harry stringesse un pochino gli occhi.
Il finestrino su cui vi aveva posato il capo era striato da goccioline competitive tra di esse, che non facevano altro che infoltire le luci colorate provenienti dall’esterno.
L’autobus, cigolando e sferragliando, si fermò appena in tempo, prima di ignorare il semaforo che, possente, troneggiava davanti a lui.
A fatica, Harry, riuscì a mantenersi in equilibrio, stringendo una colonna tra le mani morbide e grandi.
Si fece piccolo piccolo, per quel che poteva, per lasciar passare una famiglia e permetterle di uscire. Le porte si aprirono stridendo ed Harry fu avvolto da una ventata gelida, completamente invernale.
Si schiacciò ancora una volta contro una colonna, inspirò profondamente e, furtivo, cercò di farsi spazio tra la gente. Sorrise appena, strinse i pugni e finalmente, appena in tempo, si buttò sul sedile vuoto, addossato al finestrino.
Il secondo dopo fu accompagnato da un paio di ragazzini, uno aveva trovato posto affiancandolo, l’altro lo fissava di sfuggita, con astio e amarezza.
Ma poco gli importava, pensò, scrollando le spalle ed allungando le gambe.
I capelli spettinati gli ornavano il viso che, prima corrucciato, si stava rilassando. Un docile sorriso spuntò tra le due tenere fossette, per poi incupirsi e ritornare a traballare in una linea rigida, riflessiva.
Harry, tremante per il freddo, tentennò un po’ prima di riuscire a far coincidere la zip del parka e finalmente tirarla su, coprendo completamente la felpa blu.
Gettò con nonchalance le mani dentro le tasche del giubbetto, alla ricerca del telefono. Una volta trovato, sistemò meglio gli auricolari nelle orecchie ed avviò la riproduzione casuale.
Espirò profondamente, svuotando i polmoni tesi e stanchi. Il suo petto riprese a respirare lentamente, docile e regolare.
Allungò appena il collo verso il finestrino, vi posò la testa e si addolcì tra le parole sputacchiate dagli auricolari. Si guardò intorno, fissò qualcosa in particolare e ignorò qualche altro dettaglio, assorbendo forme e colori di sfuggita.
Il calore dell’autobus gli attanagliò le ossa, gli entrò dentro perforando il precedente gelo. Finalmente si trovò bene, a suo agio.
Senza nemmeno accorgersene, abbandonò lo sguardo su una strana coppia di persone poco più lontane da lui. La giovane ragazza sembrava agitata, urlava contro l’altra, smuoveva la chioma nera, abbaiava con furore riferendosi a qualcosa che non aveva fatto altro che deluderla e ferirla.
L’anziana donna la ascoltava in silenzio, rabbuiandosi e stringendosi in se stessa. Temeva qualcosa, vibrava, tremava ogni qualvolta la nipote, o la figlia, strepitava guardandola negli occhi.
Harry schiuse appena la bocca, unì le palpebre affaticate e pesanti … Rilassò le spalle, e la schiena, e tutti i muscoli, finalmente.

L’abitacolo puzzava di aria consumata, ed Harry rischiava veramente di vomitare.
Erano indecenti, poveri e sfigati. Lo aveva ammesso perfino a Pedro, ad alta voce e più volte.
Chiunque passasse di lì li avrebbe guardati male, non che gliene fregasse qualcosa, ma potevano perlomeno mantenere un decoro. E nemmeno ubriacarsi era il massimo dell’eleganza, ma potevano perlomeno provarci.
Il vecchio furgoncino rosso di Pedro traballava ad ogni minimo movimento dei due ragazzi, ricoperto di sudiciume, fradicio di alcool e bottiglie di birra abbandonate ai loro piedi. Pompava a fatica della musica americana, rap per niente profondo o logico. Nemmeno stavano ad ascoltarlo, a dirla tutta.
Pedro, al suo fianco, si era appoggiato contro il volante, singhiozzando di tanto in tanto. Canticchiava, con gli occhi chiusi e le mani abbandonate sopra la sua testa.
I capelli lattei erano sporchi e tirati indietro così tante volte da essere appiattiti da un lato, esausti. La fronte imperlata di sudore era corrucciata, ospitava appena delle ciocche leggere che, appiccicate sulla pelle, lo rendevano più selvaggio, forse scorbutico.
Tirava continuamente su con il naso, giocherellando con il nuovo mozzicone tra le dita.
Sollevò il capo, scontrandosi contro la luce opaca dei lampioni fuori. Gli occhi chiari rifulgevano, limpidi e vitrei. Lo fissavano, le sopracciglia aggrottate e le labbra carnose schiuse.
"Non parli?" più che una domanda, sembrava proprio una constatazione chiara. Era sicuro di sé.
Harry scrollò le spalle, stiracchiando un po' le gambe, quasi volesse abbandonarsi, scendere dal sedile e finire per terra. Posò le mani sulla stoffa ruvida e, issandosi a fatica, ritornò su.
"Come mai?" continuò imperterrito Pedro.
Tamburellava contro il volante, richiamando con le dita affusolate il ritmo della canzone che la radio rimbombava. Era più calma rispetto alle precedenti, alleggeriva l'atmosfera, svuotava il cervello di  Harry e rilassava le sue mani, al contrario di quelle di Pedro.
Harry giocherellò con la lattina di birra mediocre, respirò a fondo e posò l'alluminio umido e freddo sulle labbra screpolate. Risucchiò il contenuto, accorgendosi più tardi di averla terminata, di aver finito l'ennesima lattina di birra. Di aver cercato di ubriacarsi con Pedro con cinque sterline, comunque racimolati a fatica.
Pedro sbuffò, soffiando rumorosamente contro l'aria condensa e consumata dell'abitacolo. Impregnata di sudore, fatica e noia. Di alcool, tabacco scadente e dubbi esistenziali, stupidi, banali.
Ancora insoddisfatto, perse qualche  secondo a fissarlo inviperito, come sperando che l'altro buttasse giù tutto d'un colpo. Poi, arrendendosi a scoprire cosa attanagliava il cervello di Harry, cosa nascondesse con tanto silenzio, ritornò a spiaccicare la fronte contro il volante, gobbo. Riprese a canticchiare sottovoce ed illudersi di divertirsi.
"È una cosa veramente stupida" borbottò Harry, dopo una manciata di minuti in silenzio "Ma la faccenda é seria"
"Spara" Pedro rimase ancorato al suo volante, rizzando comunque le orecchie.
Pedro serrò gli occhi, stringendo le palpebre e allungò una mano in basso, verso il vuoto, verso il tappetino sporco ai suoi piedi. Palpò vari oggetti sconosciuti, non degnandoli di uno sguardo per riconoscerli.
Quando finalmento incontrò una busta di plastica tra le sue dita, la afferrò, poggiandola sulle sue ginocchia. Cominciò a tormentare le labbra ruvide, suddividendo tutta quella cianfrusaglia, organizzando e cominciando a manipolare a fatica gli strumenti, data la scarsa luce.
"Pedro?" Harry reclamò la sua attenzione, affascinato dai movimenti studiati che l'altro esercitava. Si era perso tra quello strano odore e la sofferenza di non poter dargli una mano, incapace.
Se già lui non riusciva a seguirsi, fare fatica, come poteva Pedro comprendere quello che diceva?
"Ti ascolto, tranquillo" lo calmò Pedro, incitandolo a continuare.
Harry sbuffò, ritornando a fissare davanti a lui. La strada era deserta, l'asfalto costellato da piccole pozzanghere che andavano espandendosi.
Si perse tra i palazzi alti e rovinati davanti a lui, le mura incrostate di sudiciume e le finestre serrate, illuminate o buie.
I quartieri poveri circondati da recinti distrutti, l'erba danneggiata e i pochi alberi che faticavano a rimanere in piedi andavano in rovina, piegandosi a causa dal gelido vento. Rischiando spesso di spezzarsi, in solitudine.
"Sì?" Pedro lo spronò a continuare, trafficando ancora con quello che aveva in grembo.
Harry si risvegliò, sussultando sul posto.
Inspirò profondamente.
"Io credo proprio di essere fottuto. L'ho vista, questione di un secondo, mentre era seduta sullo sgabello nella nostra classe a dipingere non so cosa, silenziosa e bella. E la sto pensando ancora adesso"
"Ma chi?" Pedro alzò gli occhi verso di lui, confuso. Credeva di aver perso un passo importante, di essersi sconnesso per qualche secondo e saltato un'intera frase.
"Lei. Non so come si chiama. Ma frequenta il mio stesso corso d'arte del lunedì. Io non ce la faccio più ad ignorarla"
Quello era decisamente un record. Che Harry parlasse così tanto ed avesse formato più frasi organizzate, era una novità bella e buona.
Per questo Pedro abbandonò quello che stava facendo, aggrottò le sopracciglia, come a riflettere su qualcosa, poi semplicemente sbuffò, ritornando al mozzicone che andava riempendosi di erba.
"Harry?" mormorò, pronunciando a fatica il suo nome.
"Sì?" Harry si girò completamente verso di lui, raggiante e luminoso.
"Tira fuori le palle e non rompermi più il cazzo con questi discorsi da ubriacone delle undici di notte"
Di scatto, come bruciato e deluso, Harry abbassò lo sguardo verso la canna finita. Aspettava qualche incoraggiamento o chiarezza, aveva perfino sperato ad una veloce ramanzina, dove Pedro gli avrebbe spiegato quanto fosse gay a fare pensieri del genere.
"Okay" soffiò Harry.
Ma niente, lo aveva liquidato con delle veloci frasi che dovevano servire da incentivo. Anche se in realtà lo avevano solo confuso di più, non spronandolo a fare qualcosa.
Lo osservò ripiegare la busta in se stessa, più volte, e buttarla ai suoi piedi. Contemplarono insieme il mozzicone gonfio e quasi sorrisero, appagati.
Qualche secondo e sentirono il cuore bruciare, le mani prudere. Pedro scattò alla ricerca di un accendino, che poi trovò sulla tasca dei suoi jeans. La accese. Agitato, compiaciuto, eccitato.
La posò sulla bocca, schiuse le labbra e d'un tratto la musica divenne un dolce sottofondo, Harry scomparse insieme a tutti i suoi problemi e un delizioso tepore lo invase, insediandosi fino alle ossa, ingombrando i polmoni ed intensificando il piacere.
La passò ad Harry, che cercò di imitarlo, un po' più goffo e rozzo.
Fu questione di un momento, Harry nemmeno se ne rese conto e perfino Pedro fece fatica a seguirlo, talmente inebriato dalla beatitudine.
"Che cazzo fai?"
Harry gli aveva gettato tra le mani il mozzicone, aveva aperto lo sportello e si era catapultato  fuori, in preda a delle dolorose convulsioni.
Si tenne la testa, si schiacciò la fronte con le mani e non riuscì più a resistere, tanto attorcigliato in se stesso. Non trattenne il conato di vomito, non combatté.
"Che sfigato!" scoppiò a ridere Pedro, scombussolando l'auto. Senza accorgersi del debole spruzzo di sangue che contaminava il naso di Harry.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Summer ***


 
Ecco il secondo capitolo, come promesso. 
All'inizio ho voluto creare per la seconda volta la giusta atmosfera, giusto per farvi avvolgere dal tepore che tanto volevo. 

 
-Incontriamo come sempre Pedro, mi hombre preferido, e il suo carateraccio che comunque non scuote Harry più del previsto. Spero che si sia notata la lentezza con cui Harry tratta la questione, ha paura e non sembra per niente coraggioso (difetto della sottoscritta); solo alla fine sembra cogliere la palla e farsi avanti.
 
-Poi incontriamo Lola, e spero che non vi abbia annoiato con il vestiario, ma ci tenevo tanto. Spero anche che abbiate raccolto piccole sottigliezze, per esempio il professor Toad e la sua mania di aprirsi troppo con le ragazze. 
 
-Infine la mia Ashley, non vi nego che la ragazza che ho utilizzato come prestavolto è la mia debolezza, l'avevo già inserita come prestavolto in una vechissima ff sui 5sos che poi ho cancellato!!! Ma ora è permanente, dai.
Spero che abbiate apprezzato i miei personaggi, e che non vi siano risultati sopratutto banali e superficiali.

 
-Non dimenticatevi di cliccare la nota prima di leggere!! Un bacio
 
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Golden Age

Capitolo II - Summer
 

“Quando hai diciassette anni 
non fai veramente sul serio

 

Piovigginava e tuonava, il vento fischiava incessantemente fuori dalla finestra. I tuoni rimbombavano rumorosi, sprazzi di luce illuminavano per qualche secondo la cucina per poi tramutarsi in sonori ruggiti.
Ed Harry non poteva fare a meno di deprimersi ancora di più, cominciando seriamente a rimuginare sulla scuola. Davvero ne valeva la pena?
La nebbia densa offuscava la vista, ed Harry, con gli occhi stretti in due fessure inquisitorie, cercava invano di proiettare qualche immagine ben delineata oltre la finestra appannata e cosparsa di goccioline, illuminata da guizzi di respiro caldo che andavano schiarendo la visuale.
Dondolava sulle scarpe, fissando ancora l'orizzonte ingarbugliato e confuso.
Sorseggiava a fatica il succo d'arancia dalla sua tazza, attento a non fare il minimo rumore per svegliare sua madre.
Non era riuscito a dormire più di tanto, ancora dolorante da quelle convulsioni al ventre. Dubitava che fosse colpa dell'alcool, dato che pensava di essersi abituato oramai. Dopo varie camminate verso il bagno, per rinfrescarsi un po' la faccia e, dopo averci pensato a lungo, era arrivato a dare la colpa al cibo spazzatura che era solito mangiucchiare all'ora di punta, una volta sgattaiolato fuori dalla scuola.
Non che reputasse quei intrugli gustosi, ma sembravano migliori delle poltiglie servite in mensa.
Poggiò la tazza sul tavolo, nemmeno finendone il contenuto. Si addossò all'entrata, inficcandosi il suo parka e coprendosi con la cuffia grigia. Afferrò lo zaino, incastrandolo nelle spalle, ed uscì fuori dal suo appartamento, incontrando un calore meno confortevole rispetto a quello casalingo.
Come era solito, s'incastrò nelle orecchie gli auricolari e, qualche minuto dopo, si catapultò in un mondo tutto suo, ignorando qualsiasi tipo di rumore fastidioso.
Solo le goccie di pioggia che gli penetravano dentro le ossa dai posti più impronibili. Seppur ricoperto da testa a piedi, con il cappuccio tirato sulla cuffia, non riuscì a non sentire il suo corpo rabbrividire per il freddo e l'umido.
Arrivò a scuola in ritardo, giustificandosi saggiamente con il traffico, e completamente fradicio. I capelli erano bagnati solamente sulle punte, quindi fu questione di un'ora prima che assumessero il loro naturale decoro, selvaggi ed impetuosi.
Passò la mattinata in silenzio, calmo e pacato sopratutto a causa del mal di pancia. Perfino le due ore di matematica passarono talmente in fretta da non essergli rimaste addosso, non se ne rese conto.
A mezzogiorno incontrò, come al solito, Pedro al cancello principale e, mentre uno s'imbottiva di patatine fritte e hamburger, Harry si guardava intorno tentennante, tamburellando qualcosa sul tavolo traballante del locale.
"S-sicuvo di stave bene?" borbottò Pedro con la bocca piena, incespicando sulle proprie parole.
"Sì" mormorò Harry, rizzando la schiena contro lo schienale e sistemando meglio la guancia sulla sua mano.
"Mh" bofonchiò Pedro, smettendo di fissarlo con quell'aria tanto interrogativa.
"È da quella sera che non mi sento tanto bene" si lamentò il riccio, poco dopo. "Ho dei dolori insopportabili"
Pedro masticò il suo boccone, ingurgitando una bella dose di Sprite. Si pulì la bocca con un fazzoletto, poggiando il panino appena cominciato sul vassoio. Arricciò le labbra, più per accertarsi di non avere nulla tra i denti che per altro, poi alzò un sopracciglio folto.
"Ti sembro forse tua madre?" mugugnò alla fine, stizzito. "Non penso nemmeno che possa ricordartela in qualche modo. Quindi smetti di fare la fighetta e ritorna ad essere, provaci almeno, un po' più virile. Grazie" terminato il discorso, riprese a mangiucchiare le patatine fritte, sotto l'occhiataccia amara dell'amico.
"Comunque," riprese Pedro poco dopo, "perché non salti le lezioni questo pomeriggio? Non sembri avere una bella cera"
Harry trattenne a fatica un sorriso, divertito dal drastico cambiamento d'umore del suo amico. Non riusciva a seguirlo, inciampava sui suoi stessi piedi se si trattava di delineare Pedro a grandi linee. Cosa poteva dire?
L'unico aggettivo che potesse rispecchiarlo alla perfezione era l'essere lunatico, magari anche acido. Spesso, quasi sempre.
Allungò una mano verso il vassoio dell'amico, verso quell'accumulo di patatine fritte ricoperte da quantità enormi di ketchup.
Pedro era anche disgustoso, poteva permettersi di dire anche quello.
Sfilò dalla scatolina un paio di patatine inermi, prive di salsa. E poi si ritirò indietro, pronto a gustarle.
"Non permetterti mai più di farlo" lo riprese acidamente Pedro, non degnandolo nemmeno di un'occhiata.
Harry annuì, arrendendosi.
"Non penso di poter saltare le lezioni oggi" affermò, chiaro e deciso. "Ho la verifica di francese e ..." diminuì sempre di più il tono della voce, fino a sfumare le ultime parole nel silenzio.
Lo avrebbe infamato per l'ennesima volta, avrebbe screditato le sue intenzioni come se non fosse capace di provare qualcosa di simile.
"E?"
"Niente"
"Non puoi fare così, non é giusto" esclamò Pedro, sempre più curioso. "Cosa non puoi saltare?"
Harry sbuffò, buttando indietro la testa ed evitando così di guardarlo mentre ammetteva una sua debolezza, si scopriva.
"Oggi la vedo"
"Puoi vedere questa fantomatica ragazza anche domani"
Harry si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia, soppesando le parole dell'amico e rendendosi conto di quanto fosse vigliacco e debole. Lui poteva fare qualsiasi cosa volesse, poteva vederla anche il giorno seguente e parlarle.
"Ma non é questo il problema" annunciò, ritornando a fissare Pedro con l'aria stanca, quasi sconvolta, "Io ho lezione con lei solamente il lunedì"
"Ah, quella ragazza! E sei così femminuccia da non afferrarla per i corridoi e sbatterla contro un muro? Tu vuoi ma non puoi, perché non hai le palle per farlo" dicendolo, Pedro lo indicò più volte, manifestando la delusione che gli recava.
Harry non poté contraddirlo, per questo annuì leggermente con il capo.
"Nemmeno tu lo faresti" precisò Harry, alzando un sopracciglio.
"Sì, lo so" Pedro ingurgitò qualche sorso dal suo bicchiere, "Ma non é questo il problema, no? Stiamo parlando di te, non di me" lo beffeggiò riprendendo le sue stesse parole, deridendolo.
Harry sorrise divertito, in trappola.

Il suo giubbetto odorava di acerbo, di tabacco aspro e pioggia acida, mentre la sua pelle rilasciava un aroma forse più dolce, una fragranza forte ma armoniosa, morbida.
Harry rimase ancora un po' contro la parete biancastra del corridoio del terzo piano, regolarizzando al massimo i suoi respiri e scrivendo il numero della classe a Lola.
Una volta spiegatole come arrivarci, bloccò il telefono e lo buttò dentro una tasca a caso. Rimosse dalla testa la cuffia e la conficcò dentro l'altra tasca del giubbetto.
Con garbo e lentezza, si staccò dalla parete, spingendosi sempre di più verso il centro del corridoio. Camminò con la testa bassa e gli auricolari intrecciati tra di loro dentro il suo zaino. Le gambe lunghe si muovevano con dolcezza, estremamente pigre. Il viso era rilassato in un'espressione quasi apatica, spenta, riflessiva.
Dentro, invece, Harry si sentiva scoppiare da un momento all'altro. Reprimeva tutta quell'eccitazione a fatica, e non sapeva nemmeno come riuscisse ad apparire così calmo.
Qualche minuto dopo entrò dentro l'aula prestabilita, cercandola immediatamente tra quella miriade di visi sconosciuti.
Ed eccola! Era lì in fondo, nella fila centrale.
Il corpo esule era stretto in paio di skinny jeans neri che terminavano in un paio di Chelsea scure e leggermente aguzze. Le spalle erano avvolte da una camicia oversized in flanella grigia. Sotto al suo banco, vi erano abbandonati un cappello nero in lana infeltrita e una bowling bag, sempre scura, che lasciava intravedere una sciarpa di lana bianca.
I capelli corti e scuri oscuravano i tratti docili ed asiatici del suo viso, sicuramente impegnato in una smorfia corrucciata intenta a definire i dettagli del lavoro che avrebbero dovuto consegnare per la settimana prossima.
Mentre giocherellava con la matita, una gamba era allungata sotto al banco mentre l'altra era posizionata ai bordi della sedia, facendo poggiare così il mento sul ginocchio.
Quando Harry deglutì, ancora impalato all'uscio della porta, lei spostò lo sguardo oltre la finestra appannata, verso un panorama triste e buio.
Le labbra carnose e rosee venivano torturate incessantemente, come se stesse riflettendo ardentemente su qualcosa d'estremamente importante.
Le palpebre nude erano combaciate leggermente, come volesse rimanere ancorata al brusio della classe.
"Ragazzi, su" esclamò il professore alle sue spalle, risvegliandolo finalmente. "Tutti ai vostri posti. Non sprechiamo tempo inutilmente"
Harry seguì le sue parole, dirigendosi verso un banco a caso, un po' più dietro rispetto a lei.
Si tolse il giubbetto, posizionò l'astuccio sul banco e, quando avrebbe dovuto recare tutta la sua attenzione alle parole del professore, tornò a contemplarle la schiena piccola.
Lola arrivò una decina di minuti più tardi, ansimante ed allegra. La felpa grigia dell'Adidas che le arrivava all'ombellico, lasciando così intravedere il jeans scuro a vita alta. In una mano teneva la giacca in faux cuir, e sulla spalla tremante un silk Shannon Bag nero.
Si scusò velocemente con il professore saltellando sulle sue converse consumate. E quest'ultimo, sotto lo sguardo vigile di Harry, si lasciò scappare un sorrisino fin troppo languido, quasi seducente.
Nonostante lei fosse solita arrivare in ritardo, sembrava che il professor Toad non glielo facesse mai notare.
Solo alla fine della prima ora di lezione d'arte, dedicata alla teoria e tutto il noioso resto, Harry cominciò ad allontanarsi da lei e allungare il collo verso gli appunti di Lola, seduta al suo fianco, iniziando così a seguire un po'.
"Quindi" dichiarò il professor Toad alzandosi in piedi, "Dovreste lavorare in due. E spero vivamente che abbiate capito la consegna"
Harry aggrottò le sopracciglia, pensieroso. Non aveva capito un accidenti del nuovo capitolo, e sperava soltanto che Lola avesse afferrato qualcosa.
Posizionò il libro sul quaderno, pronto a ficcarli dentro la sua borsa.
"Harry?"
Si girò verso Lola, schiudendo la bocca e spronandola a parlare con un leggero sorriso.
"Non prenderla sul personale e mi dispiace veramente," mormorò intimidita. "Ma penso che tu mi conosca e che tu sappia con chi vorrei tanto iniziare questo lavoro in coppia" cominciò a sorridere e indicargli con delle occhiate una ragazza bionda più in là: Chanel.  "Speriamo che sia la volta buona, no? Le chiedo di lavorare con me, attacchiamo bottone e finalmente la sbatto contro un muro" ridacchiò divertita.
Harry, alle ultime parole, non riuscì a non sussultare sul posto. Le annuì vivacemente, imponendosi di sorridere per non lasciar intravedere qualche minuscola particella di disappunto che solo una ragazza come lei vi avrebbe scorto.
La vide riordinare la borsa vivacemente. Il rossetto scuro veniva continuamente sbiadito a forza di leccarsi le labbra, pensierosa; i capelli erano raccolti in due alte trecce che dal capo finivano a sfiorarle il seno.
La vide agitarsi, contenersi a fatica, grattarsi la pelle olivastra, leccarsi nuovamente le labbra e scroccarsi le dita.
Perché privarla di un'occasione che calzava a pennello con le sue necessità? Era da parecchio tempo che lo torturava raccontandogli di Chanel, riempendogli la testa di quello che avrebbe tanto voluto farle. Non lo aveva lasciato tranquillo nemmeno una volta e ... Non si trovavano mica nella stessa situazione?
Harry spalancò gli occhi, indebolendo piano piano il sorriso che decorava il suo viso. Salutò Lola con un veloce cenno del capo, chiuse gli occhi e prese a trafficare, pensare rapidamente mentre ficcava tutto il materiale dentro la sua borsa.
Si fece coraggio, strinse i pugni ed afferrò la sua borsa. Si diresse spedito, per evitare qualsiasi inutile ripensamento, verso il suo banco, accertandosi che fosse libera e che nessuno la stesse puntando.
Davanti a lei, schiuse le labbra ed aggrottò le sopracciglia.
Inspirò, rilassando i pugni sui suoi fianchi morbidi.
"Ti dispiace? Non c'é più nessuno disponibile, ormai"
Lei scrollò le spalle, come ad invitarlo a sedersi con lei. Harry strinse la mascella, cercò di abbozzare un sorriso per apparire perlomeno simpatico e si girò a pescare una sedia e quindi accomodarsi al suo fianco.
Tra il rumore generale e il chiacchiericcio che si sollevava dai suoi compagni, Harry riuscì a contraddistinguere i suoi respiri calmi e un'aroma dolciastro provenire dal suo corpo che non faceva altro che ingarbugliargli la mente. Qualcosa che rimandava a un campo ricoperto di fiori e tenerezza.
Arrivò una ragazza davanti a loro, puntando una mano sul fianco e sorridendo verso di lei, non degnandolo di un'occhiata, come se lui fosse invisibile, o non esistesse.
"Sei già stata presa?" sorrise sornione, facendo oscillare l'alta coda bionda.
Lei sembrò pensarci su, come se volesse veramente scrollarselo di dosso ed abbandonarlo, accoppiarsi con quella ragazza come se lui non le avesse chiesto proprio nulla.
Forse era paranoia, o autostima che andava a mancargli proprio in quel momento dato che si reputava totalmente inferiore a lei. A ripetersi e convincersi che lei potesse accartocciarlo quanto più le pareva, paura di essere messo da parte da chi più stimava. Da qualcuno per cui avrebbe dato qualsiasi cosa seppur lo conoscesse appena, quasi per niente.
Non era colpa sua, non poteva e non sapeva controllarsi. Magari era stato solo l'istinto, paura di passare innosservato davanti a qualcuno di così estremamente importante per lui, ma non poté non farsi avanti ed irrigidire la mascella.
"Sì, lo é" Harry rispose al suo posto.
La ragazza si congedò con l'ennesimo sorriso, ed un "Peccato!" sussurato, mentre lei si girò improvvisamente verso di lui, inacidita.
"Penso di saper parlare, che dici?"
"Scusa" Harry, accortosi solo in quel momento di quella beffa, ritornò a fissare la lavagna.
Tanti dubbi esistenziali e ossessioni, manie, inutili.
Toad si avvicinò a loro, per accertarsi che almeno la maggioranza abbia saputo organizzarsi senza il suo aiuto.
E, per l'ennesima volta, Harry si sentì totalmente fuoriposto. Le era quasi appiccicato, riusciva a sfiorarle la spalla al minimo accenno di movimento, e chiunque passasse di lì non sembrava notarlo. Quasi fosse un microscopico ed insignificante puntino messo accanto a un tulipano appena germogliato, ricoperto di brina.
"Con chi sei capitata, signorina?"
Harry riuscì a contraddistinguere il tono lascivo con il quale conversava il professore con lei, con Lola. Con qualsiasi ragazza del suo corso.
Arricciò le labbra, disgustato. Un uomo della sua età non avrebbe mai dovuto abbassarsi a così tanto.
"Con lui" sbuffò indicandolo con il pollice, senza smuoversi.
La classe era avvolta da un lieve tepore familiare, forse appesantito dall'aria leggermente consumata e da mille fragranze diverse e contrastanti. Le finestre scure e appannate lasciavano proiettare qualche lontana e debole luce, e quest'ultima sembrava infrangersi contro il vetro per poi diramarsi in mille deviazioni ancora più fiacche.
Dentro, invece, le lampade al neon ronzavano possenti. Le ombre dei ragazzi si allungavano sulle pareti, gobbe ed ingarbugliate, confondendosi spesso con le altre ombre, amalgamandosi.
"Bene, allora vi lascio lavorare" esclamò, "Mi dite i vostri nomi, così vi segno?"
"Harry Styles" mormorò Harry, alzando lo sguardo. Spinse i capelli indietro; servendosi delle dita, li spostò frettoloso. Poi rizzò le orecchie, pronto ad assorbire il suo nome, dato che gli era totalmente sconosciuto.
Lei sorrise a Toad, alzò una gamba sui confini della sedia in legno e schiuse le labbra, poggiando prima le mani sul suo ginocchio spigoloso, e poi il mento.
"Ashley Kaelin" affermò dolcemente.
Harry se lo ripeté mentalmente almeno un centinaio di volte, e una volta sicuro di averlo ben impresso, riprese a respirare regolarmente. Imporsi un po' di contegno.
"Bene, bene" ripeté il professore, congedandosi poi con ottimismo.
Harry abbassò lo sguardo, osservandola scribacchiare qualcosa sul suo quaderno. Riuscì a capirci bene o male solo la consegna del compito, data la calligrafia sottile e frettolosa, quasi illegibile.
"Che tempo, eh?" Harry s'impegnò a fondo, seriamente. Cercò un bel argomento interessante con cui spronarla a parlare, conversare con lui fino a lasciarsi andare completamente. Un bel pretesto per catturarla definitivamente, averla per cinquanta interi minuti sotto il suo controllo.
"Già"
Ma aveva fallito miseramente.
"Ti piace?" Magari era una di quelle ragazze che amavano la pioggia, e gli avrebbe confidato quella sua debolezza, aprendosi completamente a lui e ringraziandolo per quella domanda, per essere un ragazzo così sensibile. Piaceva alle ragazze, no?
"Non mi piace la pioggia" borbottò, smettendo di scrivere.
L'aveva irritata, innervosita. Spostò nuovamente una mano sui capelli, torturandoli. Quanto poteva essere noioso?
Monotono, seccante e fastidioso. Assolutamente.
"Perché?" Harry si morse immediatamente la lingua. Cosa perché? Se a qualcuno non piaceva la pioggia era così e basta.
"Ma cosa puoi trovarci di bello, invece?"
Proprio come lui. Tradusse quelle parole come un insulto indiretto, dedicato proprio a lui.
Era caduto così in basso ...
"Ah, infatti" affermò, immergendo la testa dentro il suo zaino per afferrare il suo astuccio. E sopratutto nascondere quella poca dignità rimastagli.
"Che origini hai?" riprese poco dopo, giocherellando con la zip del suo astuccio. Agitato.
"Asiatiche" pronunciò, continuando ancora a scrivere.
"Quello l'avevo capito. Io dicevo più nello specifico" se prima poteva apparire piccato, man mano che terminava la frase e guadagnava innumerevoli smorfie da Ashley, tendeva ad abbassare il tono di voce ed abbozzare un sorriso che più che simpatico, sembrava solo goffo.
"Mia madre é inglese, mentre mio padre é cinese" gli spiegò, rilassando la schiena contro lo schienale e fissandolo.
I capelli corti erano spettinati quanto i suoi, gli occhi grandi erano scuri e comunque vitrei. Brillavano di qualcosa di estraneo, sconosciuto.
"Sei davvero carina"
Harry si morse immediatamente il labbro inferiore, torturandolo e irrigidendo la mascella. Si era pentito, anzi, di più. Come aveva potuto indebolirsi a tal punto, addolcirsi fino a lasciarsi sfuggire una cosa del genere?
Non lo avrebbe più guardato come una volta, non che lo avesse mai degnato di uno sguardo un pochino più profondo, qualcosa che andasse oltre il "Hai rotto le palle, ora stai zitto". Ma, accidenti!
Dov'era tutta quella virilità di cui tanto si vantava? Se Pedro fosse stato accanto a lui, non gli avrebbe risparmiato di certo un bel pugno in faccia. E se lo sarebbe meritato, a dirla tutta.
"Grazie" Ashley accennò un debole sorriso, scrollò le spalle e ritornò ai suoi appunti.
L'aveva scampata. L'aveva assolutamente scampata per un soffio.
Tentennante, nervoso e forse un po' intimidito, Harry cominciò a farsi avanti e proporre qualche idea, che spesso si rivelava sbagliata e stonante con la consegna.
Ashley gli rispiegò a grandi linee la lezione, tracciarono un percorso insieme, abbozzando quello che ne sarebbe uscito fuori.
Furono quindici tetri minuti, dove Harry dovette concentrarsi così tanto da sentire la testa dolorante e le tempie pulsare.
Giocherellava con la matita tra le dita, poggiando la guancia rosea sul palmo dell'altra mano. Qualche minuto dopo, improvvisamente, sentì una fitta dolorosa allo stomaco. Deglutì rumorosamente, spalancando gli occhi e costringendosi ad ignorarla.
I respiri divennero sempre più profondi, rapidi e rumorosi. Fu costretto ad allontanarsi un po' da lei per riprendere a respirare normalmente. Il collo cominciava a premergli, quasi sudare.
Sentì la gola bruciare, lo stomaco attorcigliarsi in una morsa dolorosa. Le mani cominciarono a tremare e le clavicole dolere.
"Che hai?"
"Nien ..." Harry fu costretto a deglutire per l'ennesima volta, strabuzzando gli occhi e tenersi il ventre con una mano, quasi questo volesse abbandonarlo e staccarsi dal resto del corpo.
Attutire il dolore, riprendersi e rinstaurarsi. Ma niente, il dolore non sembrava voler collaborare quella volta.
Le sue guance si colorarono, più per la vergogna, l'imbarazzo che quella situazione gli recava che per altro.
Per la prima volta, dopo così tanto tempo, si era ritrovato vicino a lei e si stava rammolendo ... Era una vera e propria fighetta.
"Posso uscire?"
"Ti senti male?" Ashley si allontanò dal banco, facendo stridere la sedia contro il pavimento allarmata.
Harry fu colpito da una fitta dolorosa alla testa. Approfondì i respiri.
Annuì leggermente, ripiegandosi un po' su se stesso.
"Signor Toad" Ashley balzò su, in piedi. Sventolò il braccio magro in alto e, una volta catturata l'attenzione del professore tra il baccano, indicò il suo compagno e domandò velocemente il permesso di uscire.
Lo afferrò per una spalla e lo condusse fuori, dove fu completamente liberato dai sintomi di nausea precedenti. Poggiò la testa sulla parete alle sue spalle, aumentò la velocità con cui respirava fino a indebolire il mal di testa e lenire il nodo allo stomaco.
Una volta ritornato a un ipotetico benessere, si staccò dalla parete e si diresse verso i bagni, con affianco Ashley.
"Mi hai fatto prendere un colpo" ribadì stizzita, "Cos'avevi?"
Harry sorrise e, continuando a camminare, ficcò una mano tra i capelli, spettinandoli. Si grattò la nuca, quasi sembrava buffo.
"Sinceramente non lo so, ho questo mal di pancia da qualche settimana" serrò subito le palpebre, pentito di quello che aveva appena mormorato. Peggio di così, non poteva proprio andare.
Svoltarono un angolo, tra un silenzio comodo e giusto, e l'eco delle suole delle Chelsea di Ashley.
"Cioé, non é niente di grave"  cercò subito di rimediare Harry, ridacchiando.
Entrarono nei bagni maschili, e lei non sembrò avere nessun problema a seguirlo. Si appoggiò contro uno sportello qualsiasi dei bagni, osservandolo dallo specchio di fronte a lei, mentre constatava la temperatura dell'acqua con un dito.
Il getto d'acqua cristallina s'infranse poco dopo contro il marmo, la scia robusta e compatta si frantumò in mille goccioline trasparenti che rimbalzavano dovunque.
Una volta raggiunta la sua temperatura ideale, Harry chiuse le mani a coppa e si piegò in avanti, abbassando il viso e gettandosi una bella dose rinfrescante d'acqua, come cercando di risvegliarsi.
Nei bagni, le lampade ronzavano ancora di più, difettose e sopratutto molto più delicate.
"Sarà qualcosa che hai mangiato, penso" constatò lei, intrecciando le dita dietro la schiena e poggiandovi il bacino, "Oggi, per esempio, cosa hai preso?"
Harry girò la manopola del rubinetto, terminando così lo scroscio incessante del liquido. Avanzò qualche passo a destra, e staccò qualche pezzo di carta, senza mai distaccare lo sguardo dal riflesso della figura di Ashley.
"A colazione ho bevuto del succo d'arancia, poi non ho pranzato ..."
"Vedi!" lo interruppe immediatamente, scostandosi dallo sportello. Inasprì lo sguardo ed arricciò le labbra, quasi un cipiglio severo, una minaccia che dal suo riflesso era avanzata direttamente su di lui. Per questo Harry si girò completamente, incontrandola leggermente più esasperata.
"Così sarà solo peggio!"
"È bello lavorare con te" Harry cambiò discorso inconsciamente, alleggerendo ogni muscolo e rallentando i movimenti con cui pretendeva di asciugarsi le mani.
"Tu sei stato noioso" Ashley si poggiò nuovamente alla colonna alle sue spalle, che divideva lo sportello di un bagno dall'altro.
"Vorrei uscire con te"
"Okay" Ashley spostò lo sguardo verso la sua schiena riflessa, addolcendo forse i muscoli del suo viso.
"Eh?" Harry aggrottò le sopracciglia, confuso.
"Cosa vuoi che ti dica?"
I riflessi deboli, quasi fragili, della lampada si scontravano contro le piastrelle lucide e bianche, illuminandole di pulito.
"È perché sono carina?" riprese lei, torturandosi l'interno della guancia.
"Anche" Harry avanzò di qualche passo verso di lei, incerto.
Rimasero in silenzio, un silenzio che si era proteso forse un po' troppo, costringendoli a rintanarsi dentro loro stessi. Erano a disagio, in imbarazzo. Bisognosi di una spinta che tardava a raggiungerli.
"Me lo dai il tuo numero?"
Ashley sussultò sul posto, alzando gli occhi verso di lui ed imponendosi di essere un po' più risoluta, forte. Indipendente.
"Certo" rispose poco dopo, attutendo forse l'acidità che in quei casi la caratterizzava.
Harry si palpò i jeans, alla ricerca del suo telefono.
La mascella tesa si scioglieva di tanto in tanto, le sopracciglia aggrottate si addolcivano, i suoi piedi racimolavano il poco coraggio rimastogli per avanzare ancora di qualche passo verso di lei, incerti. Ecco che era sicuro di farcela, e riprendeva a torturarsi la lingua, costringendosi quindi a rimanere fermo e non fare proprio nulla, per non spaventarla.
"Non mi ricordo il mio numero, ed ho il cellulare nello zaino"
"Ah" Harry accennò un sorriso, esitante e timido.
Lei cominciò a scroccarsi le dita, guardarsi intorno e portarsi delle ciocche ribelli dietro le orecchie. Le guance erano rossee, forse per la situazione e l'imbarazzo, o per il precedente caldo nella classe.
"Sei sicura che non ti dia fastidio?" osò Harry, puntando gli occhi verdi sul suo viso. "Non voglio forzarti a fare qualcosa che non vorresti fare. Magari non vuoi uscire con me" Harry balbettò appena, tremendamente consapevole di quello che stava dicendo. Era pur meglio accertarsi prima, senza illudersi inutilmente. Anche se, a dirla tutta, lui l'avrebbe pure minacciata, costretta ad uscire con lui se avesse rifiutato. E sopratutto se lui avesse avuto il coraggio di fare qualcosa del genere, perché sicuramente avrebbe abbozzato un sorriso dispiaciuto, per poi lamentarsi incessantemente con Pedro più tardi.
"Sì, sono sicura" lo rincuorò rapidamente.
Harry inspirò profondamente, abbassò lo sguardo e cacciò una mano dietro la propria nuca, accarezzandola goffamente.
Combaciando e baciando.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Autumn ***


 
Scusate il ritardo, ma queste settimane sono state pesanti e non ho avuto proprio tempo. Questo è il terzo capitolo, e tutto si è evoluto senza tanti dettagli, lascio il lavoro di tessere gli avvenimenti tra il capitolo precedente e questo qui alla vostra immaginazione. Riempire e dare troppe spiegazioni, qualche volta potrebbe risultare noioso.
Siamo alla festa di compleanno di Lola :)

-Pedro è il solito noioso, e all'inizio sembra lamentarsi completamente. Beh, tutta quella rabbia era solo alimentata dalla frustrazione e gelosia riguardo Lola che, ahimè, si lascia andare ferendolo più del dovuto.

-Harry è davvero egoista. Silenzioso, carino e gentile, ma spingere il suo amico tra le braccia del diavolo è stata una mossa stupida che la mia Ashley cerca di far evitare, senza riuscirci comunque.
Intanto, se lui è felice, Harry se ne frega altamente di chi gli sta intorno. 
La scena dell'autobus riprende il primo capitolo, e mentre la stringe a lui, affrontano argomenti che, seppur siano normali, s'ingigantiscono e perdono senso se sono loro, in quelle condizioni, a condividere.

Non so cos'altro aggiungere, spero solo che il capitolo vi sia sembrato carino, non accettabile perchè quello che io avevo in mente ed avevo intenzione di creare era mille volte meglio dentro la mia testa ma comunque, dai! Buona lettura, e vi ricordo la nota musicale :)
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Golden Age

Capitolo III - Autumn
 

“Quando hai diciassette anni 
non fai veramente sul serio

 

"Smettetela con queste effusioni del cazzo"
"Secondo me, sei solo geloso Pedro"
La stanzetta offuscava ogni briciola d'intelligenza o salubrità. Il tavolino, incastrato tra un paio di divani in camoscio rosa pallido, era affogato da piattini colmi di chips, pop corn e schifezze di qualsiasi genere. Le confezioni di pizza ordinata erano posizionate dovunque, sia sul pavimento che in precario equilibrio su due lattine di coca cola.
Ogni tipo di rifiuto, dalle sigarette consumate alle bottiglie di birra terminate, era abbandonato sul pavimento della stanzetta, sopratutto ammassati agli angoli per non infastidire i vivaci movimenti degli ospiti.
Il karaoke barcaffé, artisticamente chiamato Karaoke dal proprietario, tanto ricco d'immaginazione, era stracolmo di gente quel sabato sera e Lola era riuscita a fatica a prenotare ed affittare una sala per quella sera.
Non che rispecchiasse a pieno i suoi gusti, dato che il suo diciottesimo compleanno lo voleva organizzato su uno yatch privato con tanto di Lil Wayne e il resto della Young Money a bordo, ma intanto quello era meglio di niente.
Con il microfono in mano, e dopo varie acrobazie che avevano messo a rischio la vita degli altri, si era finalmente decisa e sedersi sul sofà vellutato. Seppur la voce stridula non si fosse ancora stancata di strepitare, quello che per lei era cantare, Gold Digger.
Il caldo estenuante in quella piccolissima stanza era soffocante, le fronti imperlate di sudore e la voce annaspante.
Lola si era spogliata del maglioncino in lana rosa, rimanendo così in un paio di pantaloncini a vita alta consumato ed un body bianco con su disegnato un mazzo di carte. La pelle olivastra sbirluccicava per il caldo, la coda alta oscillava ad ogni strofa terminata. E, per approfondire il malumore di Pedro, Chanel aveva da poco afferrato l'altro microfono e cominciato a strillare, accompagnando la festeggiata e facendole il verso.
Pretendevano di cantare.
Il fumo annebbiava la stanza, la lampada illuminava quei metri quadrati di mille colori vivaci e diversi. Proiettava ombre e figure strane, bruciava la pelle di ogni invitato, colorava l'allegria instaurata nella festa.
Una volta terminata la canzone, sfumata nel baccano generale che si era creato, Poppy, carissima amica di Lola, s'appropriò del telecomando, impostando Beware di Big Sean, euforicamente.
Rubò l'ennesimo microfono da sopra il televisore e si affiancò alle altre due ragazze, spronandole ad alzarsi in piedi ed accompagnare la canzone con tanto di balli sensuali.
Le ubbidirono, saltellando sul pavimento umido e ricoperto da una miriade di coriandoli colorati e stelle filanti.
Cominciarono a cantare all'unisono, interrompendosi di tanto in tanto per ingurgitare un sorso di birra.
Pedro si era accomodato nel divano all'angolo, calmo e pacato. La camicia era sbottonata nelle prime asole, tradendo un paio di scapole sudate e magre. I capelli lattei avevano perso un po' di colore, erano umidi e, comunque e ancora, leggermente gonfi.
Sul grembo teneva un paio di mozziconi ed un accumulo di caramelle gommose, che andavano terminandosi tra un sorso di birra e un profondo assaggio di erba.
"Che palle!" borbottò flebilmente, indirizzandosi ad Harry.
Harry ridacchiò, facendo rabbrividire il petto. Allungò le gambe ed incrociò gli stivaletti in camoscio sotto al tavolino.
Protese una mano verso il ventre di Ashely, afferrò una manciata di croccantini e cominciò a mangiarli elegantemente, uno per uno. Posandone anche qualcuno sulla bocca umida della ragazza che schiudeva le labbra, permettendogli di accarezzarla quel poco indispensabile prima di appoggiarle il biscotto sulla bocca.
Era allungata sul resto del divano, poggiando la testa sulle sue coscia, a fissare lo spettacolo davanti a lei. Non si stava lamentando, anzi, si stava anche divertendo seppur non avesse sfiorato nemmeno un goccio d'alcool, non lo reputava necessario.
All me, di Drake, tuonò tra le quattro mura improvvisamente, allegerendo un po' l'atmosfera.
Ashley piegò le ginocchia spigolose, avvolte da un skinny jeans e prese a tamburellare il ritmo della canzone contro le sue coscia.
"Voglio divertirmi!" protestò ancora una volta Pedro.
"Ripeto" esclamò Ashley, non smuovendosi ancora, "Sei solo geloso che siano lesbiche, e quindi non ti degnino di un'occhiata" Allungò una mano all'indietro e, una volta incontrato il ginocchio di Pedro, lo accarezzo come a dargli forza, compatirlo.
"Poppy non é lesbica" mormorò Harry.
In tutto erano una decina di ragazzi, di cui la maggioranza proveniva dalla sua stessa scuola, mentre gli altri erano degli scarti pescati da vecchie conocenze della festeggiata. Avevano il loro fascino, certo, forse erano anche fin troppo belli rispetto a lui, ma avevano fumato così tanto da frantumare ogni sorta di divertimento o conoscenze che si sarebbero potute creare in quella festa. C'erano Lola e le sue amiche che ballavano davanti al karaoke, loro tre che le fissavano senza alcun apparente problema, dato che potevano godersi la vista di un bel paio di fondoschiena in primo piano, e poi quel gruppetto sospetto che balbettava parole incomprensibili tra un mozzicone e l'altro. Lo stesso gruppo che aveva passato a Pedro un paio di canne, gentilmente.
"Ma é bruttina" rispose Pedro, senza peli sulla lingua.
"E non venire a lamentarti se poi nessuno vuole intavolare una conversazione civile con te" lo rimbeccò subito Ashley, "Sei stronzo"
"Ho il mio fascino" obbiettò sensualmente Pedro, ancora una volta.
Lola, Poppy e Chanel, ormai ragazza indiscussa della festeggiata dato che avevano preso a slinguazzarsi nel centro della sala, e finalmente!, ballavano sotto le note di Dont Tell 'Em, di Jeremih.
Qualcun'altra si era aggiunta a loro, alzando le braccia in alto e abbandonando ogni sorta di dignità rimastale.
"Provaci, allora" sentenziò Harry.
Sapeva chi era l'obbiettivo di Pedro, chi tanto bramava e desiderava, sopratutto quella sera.
"Non ne varrebbe la pena"
"Cosa?" Ashley s'introdusse nel discorso, girando il capo verso di loro. Non capiva niente.
"Non ti riguarda, stellina" la ammutolì Pedro, rinfacciandole una smorfia infantile.
Con quella risposta, Pedro non fece altro che catturare la sua attenzione. Infatti, Ashley abbandonò completamente la posizione precedente, puntellando così i gomiti contro le coscia di Harry e sdraiandosi a pancia in giù, per osservarli meglio.
"Che ti frega" esclamò Harry, cominciando ad accarezzare la schiena di Ashley. "Potrai giustificarti domani, dicendole che eri così ubriaco da non averla più riconosciuta"
"Sei matto" sbuffò subito dopo Pedro, incrociò poi le gambe mandando al diavolo il restante delle caramelle che cadde sul pavimento.
"Dai, lo sai perfino tu che lo vuoi"
Pedro si rilassò contro lo schienale del divano, abbracciò il collo di una bottiglia di birra tra le dita e ritornò a fissare la festeggiata scuotersi come non mai, muovere il bacino e accarezzare il collo di Chanel con la lingua.
"Vai" lo spronò ancora Harry, fissando il suo profilo ardentemente.
Pedro balzò su, sbattendo la bottiglia vuota contro il tavolino. Si sistemò il colletto della camicia, tolse dai jeans i residui di cibo e spettinò i capelli, portandoli da un lato.
"Che vuole fare?" Ashley lo seguì dirigersi verso il gruppetto di ragazze, sicuro, tentennante. Forse più debole che fiducioso.
"Shh" soffiò Harry, dolcemente.
Afferrò una lattina di Fanta, portandola sulle labbra umide e non smuovendo lo sguardo dal suo amico.
Pedro, imponendosi un'aria un po' brilla e inconsapevole, si diresse verso Lola e Chanel. Gli occhi chiari brillavano libidinosi, viziosi. Allungò una mano e s'incastrò tra le due ragazze, cominciando a smuoversi, agitarsi lentamente e oscillare ogni parte del suo corpo.
Ashley ritornò a guardare Harry, fissò la mandibola rilassata, gli occhi scaltri e le labbra divertite. I capelli spettinati e scombussolati, il collo nudo e seducente.
Sbuffò e ritornò a fissare nuovamente Pedro.
Hey Daddy, di Usher, rieccheggiava senza sosta.
Pedro, intanto, si era completamente lasciato andare. Chanel aveva morso le labbra di Lola, sotto lo sguardo impotente del ragazzo. Poi Lola, e nel mentre Pedro non si era permesso di respirare, rischiando quasi di soffocare, si era allungata verso di lui lentamente. Aveva combaciato il bacino, sfiorato il suo petto tremante con il seno prosperoso, e si era avvicinata alla sua bocca, secca. Il corpo fremeva, era eccitato, e perfino Ashley se ne rese conto.
Pedro schiuse velocemente le labbra, invitandola senza tanti giri di parole. Cercò di cancellare subito il sapore di Chanel e concentrarsi solo su quello di Lola, bramato, desiderato così tanto da non averne abbastanza.
Chanel aveva cominciato a ridacchiare divertita, lasciandoli divertire. Era evidentemente un po' brilla, se rideva di gusto a quella scena.
Lola aveva incastrato le unghia laccate di rosso sui capelli di Pedro, cominciando a graffargli la nuca ed approfondire il bacio, fino a finire contro un muro, incastrata dai respiri irregolari del petto di Pedro.
"Si farà soltanto male" confessò Ashley, tracciando dei ghirigori con le dita sulla coscia di Harry. "Dovresti fermarlo"
"Passerà"
"Dai"

 

Gennaio si era poiettato ancora più gelido di dicembre, non che Harry non se lo fosse aspettato, ma sperava che perlomeno le temperature si potessero alzare.
Il cielo era buio, costellato di tanto in tanto da deboli accumuli di stelle che non servivano proprio a nulla dato che solo i lampioni si erano degnati di illuminare la strada.
Il vento fischiava instancabilmente, ruggiva ripiegando sotto al suo volere i rami spogli dei pochi alberi nei dintorni.
L'autobus frenò stridulo, accostandosi ad una fermata. Alla sua destra, miriadi di macchine e veicoli di qualsiasi tipo fuggivano intrepidi, brillando forse ancor più dei lampioni. Stridevano contro l'asfalto umido, tappezzato da pozzanghere.
L'acqua scrosciava rumorosamente, batteva contro le finestre appannate dell'autobus, rigandole. Quest'ultimo era quasi vuoto, vi erano soltanto qualche decina di persone.
Quando volle riprendere la strada, questo rieccheggiò un aspro e sgradevole lamento del motore. Poi, lentamente, si amalgamò al traffico ritornando a viaggiare tra quelle strade inglesi.
Harry si era coperto il collo con una calda sciarpa di lana. Il giubbetto pesante in velluto lasciava intravedere una camicia a quadretti slacciata, che a sua volta rivelava una semplice tshirt bianca. I jeans scuri terminavano in un paio di anfibi, quasi slacciati.
Respirava tranquillamente, dando importanza ad ogni inalazione. Odorava di tabacco, ma poco. I capelli erano incastrati dentro la cuffia grigia, gli occhi luminosi erano stanchi e fissavano il mondo fuori da quel finestrino, non prestandoci comunque molta attenzione.
Stretta a lui, stretta tra le sue mani e sinuosa, avvolta dalle sue braccia e nascosta come una rara perla, c'era Ashley.
Odorava di pioggia, e anche di campi infiniti di fiori e spensieratezza. Stringeva i suoi fianchi morbidi con le dita, come temendo che potesse sfuggirle da un momento all'altro.
Il maglione semplice e bianco, sempre oversized per renderla ancora più fragile, le copriva il corpo minuto. Le gambe lunghe erano strette in un jeans che veniva poi arrotolato in dei veloci risvolti che lasciavano scoprire un paio di calzini bianchi.
"Harry" Ashley soffiò il suo nome sulla porzione di collo scoperta, portandolo a rabbrividire.
Lo fissava da ormai parecchio tempo, ancorata al suo mento e tutti i tratti del viso rilassati. Una visuale che da sotto le forniva nuovi e preziosi dettagli che caratterizzavano il suo viso.
Harry si staccò dal finestrino, abbassando lo sguardo ed incrociando i suoi occhi, invitandola a parlare.
"Qualche volta mi capita di pensare, sai?" mormorò docile, "Secondo te, fino a quando dureremo?"
Ashley abbassò lo sguardo, cominciando ad accarezzare il petto di Harry, solleticarlo e disegnarci strane figure incomprensibili.
Harry non seppe cosa risponderle, non ci aveva mai pensato a quello. Semplicemente non era una ragazza, ed evitava tutte quelle seghe mentali assurde che non avrebbero fatto altro che distruggere quel poco che avevano creato. Anzi, si corresse subito, quel tanto che avevano messo in piedi.
"Non pensarci, no?"
Ashley sbuffò, fissandolo con un cipiglio inasprito.
"Non ci faccio mica apposta"
"Ashley?"
"Mh?"
"Come reagiresti se morissi domani?"
Ashley si tese quanto una corda di violino, si rilassò poi. Sussultò sulle ginocchia di Harry, tremando un po', e infine si ricompose, lanciandogli prima un'occhiataccia aspra e ridacchiando successivamente. Se avevano tutti quei pensieri strani in testa, era colpa solo di quella strana compagnia di Lola che li aveva covinti a fumare una loro "specialità" indimenticabile.
"Entrerei in camera tua, rubandoti qualsiasi cosa m'interessasse. Poi farei festa al Karaoke. Effettivamente , e solo in quel caso, mi concederei una bellissima sbornia"
"Soltanto per me"
"Sì, mi ubriacherei solo per te"
"Un giorno vorrei vederti ubriaca"
"Basta che muori"
Harry approfondì lo sguardo, scavando a fondo dentro Ashley, scuotendola senza alcun consenso. Aumentò la stretta sulla sua schiena, gliel'accarezzò dolcemente.
"Va bene"
Ashley ridacchiò divertita, spiaccicandosi ancor di più contro il suo corpo, avvinghiandosi a lui, combaciando il suo mento con l'incavo tra la spalla e il collo di Harry, stringendo le mani intorno al suo bacino.
"Mi farai impazzire" le sussurrò all'orecchio, soffiandole contro la pelle. Riscaldandola.
"È quello che voglio, infatti" gli mormorò sulla pelle nuda del collo, "Magari finisci per diventare uno squilibrato, ti suicidi e finalmente potrò ubriacarmi!"
Harry, semplicemente, scrollò le spalle.
L'autobus svoltò, curvò senza un briciolo d'eleganza, costringendo Ashley a premersi contro Harry, che a sua volta l'accettò senza tanti giri di parole, senza ripensamenti inutili. Senza nemmeno pensarci, quasi un tic involontario e sopratutto quotidiano, abituale.
Magari era già impazzito, no?

 

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Verde Vênus | via Tumblr
ogni diritto della foto appartiene a Paolo Raeli
 
 
 
 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Winter ***


 
Questo doveva essere il capitolo finale ma, eliminando un grandissimo pezzettone alla fine, ho fatto sì che ce ne fosse un quinto, e mi piace solo che dovrei migliorarlo e quindi non potrò garantirvi un aggiornamento vicino.
Ma intanto accontentiamoci di questo haha
Non voglio anticiparvi nulla, e non mi soffermerò a spiegare i comportamenti dei personaggi dato che poi rovinerei la sorpresa, per ogni dubbio o perplessità, o se magari volete solo commentare, vi aspetto :)
Inoltre vi ricordo per l'ennesima volta la nota musicale, perchè rende il tutto migliore, intensifica, ecco.
Vi lascio con Harry, Ashley e Pedro!
A presto, :)
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Golden Age

Capitolo IV - Winter
 

“Quando hai diciassette anni 
non fai veramente sul serio

 

L'unica lampada accesa all'interno della casa era quella del bagno, che fioca e sensibile ronzava posandosi sui leggeri delineamenti del viso di Harry.
Il silenzio rimbombava all'interno dell'abitazione astratto e comunque palpabile, irruento ed arrogante. I suoi genitori erano partiti il fine settimana da sua nonna, materna, per vedere se le sue cure stessero procedendo bene, se non meglio.
Harry lo sperava vivamente, perché senza tanti giri di parole inutili, non aveva per niente voglia di assorbire assordanti chiacchiere superflue da parte di qualche parente di troppo una volta arrivato, o di sopportare due ore di viaggio tortuoso e monotono, con sua madre che piagnucolava e il suo patrigno, incapace di tenere stretto il volante tra le mani tozze per più di qualche minuto senza rischiare di andare nella corsia opposta. Almeno in quel caso non sarebbe apparso come un superficiale e viziato nipote ingrato. Quindi sì, sperava soltanto che le sue cure stessero procedendo a gonfie vele.
Alzò sui fianchi morbidi il paio di jeans nero, sistemò meglio il maglioncino scuro e agganciò le dita affusolate sui capelli, sospirando frustrato, come se non riconoscesse più la figura che davanti a lui giaceva inerme e piegata. Ancora in piedi, nonostante tutto.
Gli occhi leggermente lucidi e la pelle ruvida, modellata dai sferzanti e freddi baci del vento che avevano caraterrizzato quella settimana. I suoi occhi si spostarono docili sulla vasca da bagno alle sue spalle, restando comunque fedele alla sua precedente posizione. Non mosse nemmeno un muscolo, si limitò ad osservare la sala da bagno dallo specchio.
Strinse la cuffia blu nella sua mano, aggrottando le sopracciglia folte e reprimendo un singhiozzo, fuori posto e sopratutto troppo femminile.
Intercettò qualche confezione di chips e un tramezzino lasciato a metà, i resti della cena della sera precedente traballanti sui bordi della vasca.
Arricciò le labbra, e deglutì rumorosamente pretendendo di ignorare completamente quel che c'era dentro la vasca da bagno, e quel che vi aveva lasciato. Semplicemente una parte di se stesso che ancora cercava di reprimere invano.
Ma quel nodo amaro e frustrante ancora giaceva nella sua gola, non permettendogli più di respirare come una volta o di andare avanti, proseguire, dimenticare e buttarsi nuovamente a capofitto su qualcos'altro, come era solito fare. Vivere e rivivere con qualsiasi parte del suo corpo, intensificare il tutto, ma così tanto da non sentire più niente l'attimo dopo. E di nuovo tutto.
Risoluto, inficcò sulla testa la sua cuffia, uscì a grandi passi dal bagno, evitando le lattine di birra e, prima di chiudersi alle spalle la porta dell'appartamento, afferrò alla cieca il giubbetto in velluto marrone dall'attaccappani.
"Vieni?" digitò sul cellulare.
Inficcò le chiavi nella toppa lucida e dorata, girandola più volte e bloccando quindi la porta.
Scese le scale correndo, senza saltarne qualcuna, ma comunque velocizzando sempre di più i gesti, sfiorando il corrimano delicatamente con i polpastrelli umidi e nervosi.
Uscì solo quando ebbe visualizzato la risposta al suo messaggio, che non tardò.
"Mi aspetti all'entrata, no?"
Una folata gelida ed invernale gli scompigliò le ciocche che erano sfuggite dal beanie, si strinse nel cappotto senza guadagnarci molto. Saltellò sul posto, cercando di riscaldare i piedi ed il resto del suo corpo, sussultando poi per lo strepito assordante che provocò il portone alle sue spalle, elegante e raffinato.
Il quartiere era silenzioso, distante. Al centro della strada davanti a lui, si prolungavano una serie di alberi allineati uno dopo l'altro, alti e possenti danzavano sotto le note dell'irruente vento, che si erano permessi di dividere il sentiero  in due stradine più piccole.
Avanzò un poco, prestando attenzione alle poche macchine che rigavano l'asfalto bagnato. Saltò sul marciapiede opposto rabbrividendo, attraversò un secondo sentiero quasi mettendosi a correre, sotto il cielo nuvoloso e buio, e svoltò poco dopo un angolo.
I lampioni del quartiere ronzavano, illuminando il viottolo muto scarsamente.
Harry, con le mani in tasca e la bocca stretta in una smorfia infastidita, procedette a testa in giù, fissando più il vuoto che le gambe magre che si muovevano rapidamente.
Una volta arrivato alla stazione del bus, si concedette un rumoroso sospiro, sotto l'occhio vigile di un ragazzino più piccolo, magari spaesato e sopratutto spaventato dall'eventualità di essere attaccato da qualcuno più grande di lui.
Harry non si era mai capacitato del fatto di far paura a qualcuno, di spaventare, perché semplicemente non era concepibile che qualcuno come lui potesse fare paura.
Per questo, si permise di sorridergli amichevolmente, più per cacciarsi dalla testa quei stupidi pensieri e quindi non preoccuparsi più del fatto di causare a quel povero tredicenne un infarto, che per altro.
Ritornò poi a vedere gli orari, una volta che quel bambino gli sorrise di ricambio, forse forzando un po'. E sbuffò ancora, gonfiando le guancie ed accarezzandosi la nuca. Non aveva proprio voglia di aspettare quindici minuti, tardare all'appuntamento e rimandare quella sottospecie di sollievo, appagamento futuro e prossimo.
Ricacciò le mani grandi e morbide dentro le tasche del suo giubbetto, cercò di rimpicciolirsi e ripararsi dal freddo, e riprese a camminare, dirigendosi verso il marciapiede opposto, e quindi alla metropolitana.
Montò prontamente dei gradini in ferro, che davano al cavalcavia. Cercò spesso di alzare sempre di più la zip del giubbetto, seppur questa fosse al limite. Sentì le ossa arrugginirsi, i muscoli stridere ed intorpidirsi. Camminò sul ponticello guardandosi intorno, solo ed abbandonato a se stesso. Attorniato da graffiti e murales di qualsiasi tipo che imbrattavano le mura sudice e scrostate. Fu questione di un paio di minuti che si ritrovò davanti alla scalinata che portava giù la metropolitana. Scese i gradini sporchi sempre con la solita rapidità che lo caraterizzava, rilassandosi solo una volta incontrato un calore meno rigido rispetto a quello esterno e una soffice canzone indie mormorata appena. Aspettò silenzioso l'arrivo del mezzo, stringendo gli occhi in due fessure, serrandoli completamente. Poi aprendoli, respirando a fatica, regolarizzando subito dopo il suo respiro. Cercando di non pensarci più.
Sbuffò. Cacciò una mano dentro le tasche del suo jeans, pescò un cofanetto argentato e posò la sigaretta sulle labbra secche.
Da quando aveva cominciato a fumare? E perché non riusciva più a farne a meno?
Torturò più volte i suoi capelli, e se doveva grattarsi una porzione di pelle ruvida del suo viso, allora la graffiava senza accorgersene. Si smontava, non rendendosi conto di quanto male gli facesse in realtà, inspirava dalla sua sigaretta quel acerbo fumo, raggrinzendo i suoi polmoni, raschiandoli per quanto tratteneva quella foschia aspra e velenosa dentro di sé.
Buttava fuori nuvolette di condensa, qualche paio di secondi dopo, socchiudendo gli occhi e spostando per l'ennesima volta il mozzicone sulla bocca rossa.
Sbuffando, stringendosi. Vivendo fino ad arrivare ad annullarsi per qualche secondo. Beato. Ma la stava comunque cercando intorno a sé. Ancora. Nonostante tutto.

Alle sue spalle, l'insegna luminosa indicava il nome del locale a caratteri cubitali: Tropico.
E, dietro di lui, ad infastidire le sue orecchie con un ronzio acuto e fastidioso, continuo, alla sinistra della porticina in ferro, ci pensava la targa che accennava all'apertura del club.
Harry, paziente come non mai, stringeva tra le dita il terzo mozzicone, ignorando il freddo, abituandosene.
Aveva ricevuto diverse spintonate, assorbite passivamente, quasi sembrava addormentato e stanco. Ma stanco non lo era solo fisicamente.
Si addossò a un palo, ricevendo l'ennesima spinta da un gruppo di ragazzi allegri e spensierati, che entrarono poi dentro.
"Harry?"
Harry aveva appena posato la sigaretta sulle labbra screpolate, e distolse lo sguardo dalla strada davanti a lui solo quando soffiò via il fumo, girandosi quindi verso chi lo aveva chiamato.
Schiuse la bocca per rispondere.
"Scusa. C'era un traffico del cazzo, non ci ho fatto apposta" si giustificò l'altro, servendosi delle mani per enfatizzare meglio il concetto.
Harry chiuse allora la bocca, spegnendo la sigaretta consumata contro il palo e lanciandola alle sue spalle, da qualche parte.
Silenzioso, avanzò dentro il locale, seguendolo.

Non se ne rese conto, non riusciva più a ricordare nulla e non sapeva nemmeno come fosse arrivato a ritrovarsi così consunto e deprimente, un completo straccio fradicio di alcool e tabacco, forse qualcosa di più.
Era ancora vivo, traballava sul posto, rispondeva alla musica muovendo piano i fianchi e bevendo i suoi stessi soldi. Sommergendosi di vodka, birra e disperazione alluncinante. Preso dal panico, lanciò uno sguardo davanti a lui, abbandonando il bicchiere colmo di birra noiosa sul bancone. Osservava la partita di biliardo perso e confuso, non sapendo ricollegare nulla, riconoscendo solo la musica che pompavano dall'altra parte della sala e che comunque arrivava alle sue orecchie fastidiosa ed assordante, arrogante.
Le luci psichedeliche del locale saettavano da ogni parte, arrivando spesso a colorargli il viso, corrugato in una smorfia patetica e triste.
Cercò Pedro con lo sguardo, reprimette un singhiozzo amaro, deglutì tremante. Fiacco, debole e così fragile da fare schifo. Si faceva pena.
E per la prima volta nessuno lo stava assillando con le solite domande di cortesia, o gonfiando di quei stupidi consigli da quattro soldi. Lui non riusciva a dimenticarla, e se avesse avuto l'opportunità di farlo, l'avrebbe semplicemente fatto senza giri di parole perché, sempre semplicemente, la odiava. La stava odiando con tutto se stesso, con le mani, con la bocca, con gli occhi lucidi e rossi. Con i pianti silenziosi in bagno, le unghia inficcate dentro i suoi pugni per non abbandonarsi nemmeno un momento ed andare avanti, spedito e contro tutto e tutti. Contro di lei, che vaffanculo.
Alzò lo sguardo, accorgendosi di come Pedro lo stesse guardando dall'altra parte del tavolo da biliardo, stringendo le labbra e la stecca di legno in una mano. Guardandolo con compassione, e rimprovero dato che si parlava sempre di quel solito Pedro.
Non riuscì a distogliere lo sguardo dal suo amico, Harry, allungò solo una mano alla cieca per afferrare la bottiglia di birra e portarla sulla bocca, sfidandolo. Annullando quel momento di debolezza che aveva visto Pedro come spettatore in prima fila, destandosi velocemente e mostrandogli quanto forte in realtà fosse.
Pedro si arrese, lo ignorò poi concentrandosi sulla partita.
Harry, invece, approfittò di quella lontananza, dato  che tra quella miriade di persone nessuno si stava interessando di lui. Inficcò una mano dentro la tasca del giubbetto, agguantando poi un mozzicone gonfio e nuovo, datogli poco prima da un ragazzo mai visto prima, e così amichevole.
"Un regalino a chi mi ha passato premurosamente la carta igienica" gli aveva detto quel Omar una volta uscito dal bagno, ringraziandolo per il fatto di averlo soccorso nel "momento del bisogno".
Harry, un po' spaventato all'inizio forse, aveva accettato la canna, che riprendeva maestamente la forma di una semplice sigaretta.
Avvicinò la canna sulle labbra, evitando per poco una gomitata da parte di uno dei giocatori della partita. Unì le palpebre degli occhi affatticati tacitamente.

 

E i pensieri cominciarono a svanire, dissolversi nel nulla dalla sua testa che andava allegerendosi minuto dopo minuto insieme al resto del suo corpo. Sembrava che fosse capace di alzarsi in volo da un momento all'altro.
Traballò sulle gambe molli, incespicò sui suoi stessi piedi. Indietreggiò incastrando il bacino contro il bancone, rabbrividendo. Continuò ad annullarsi, smontarsi in vari piccoli pezzi a lungo, cedette a un benessere che non aveva nulla di duraturo ed efficiente, vero.
"Smettila"
La fronte di Harry era imperlata di sudore, moriva di caldo. Schiuse leggermente gli occhi vitrei, ritrovandosi davanti Pedro.
I lineamenti del ragazzo erano duri, tesi e totalmente arrabbiati. La mascella rigida, i tratti che riprendevano l'origine nord europea, la pelle lattea. Gli stava gridando da tutti i pori il nervosismo che proprio lui era riuscito a scaturargli.
Lo ignorò, dedicandosi alle attenzioni docili e false che una ragazza accanto gli stava prestando da una decina di minuti. Non riusciva a mettere a fuoco il suo viso, e non ne comprendeva il motivo. Non si ricordava nemmeno dove fosse andata a finire quella canna che fino a poco tempo fa aveva annebbiato la sua testa, o magari era passato tanto tempo dall'ultima volta che ne aveva gustato il sapore?
Ignorò Pedro e si lasciò andare ancora una volta, reprimendo la voglia di piangere in un bacio lacerante e privo di significato.
"Non sei credibile" ripeté Pedro, controllato e calmo. "Smettila"
Non lo ascoltò.
Si accorse soltanto del cambio di canzone, di quel secondo di silenzio che gli aveva permesso di sentire doloramente i battiti irruenti del suo cuore. Si piegò per una frazione di secondo, riprese a respirare, sentire. Accorgersi del dolore che scivolava dentro il suo corpo continuamente, che miscelato al sangue scorreva nelle sue vene bruciandogli l'intera esistenza.
Ma subito se ne dimenticò, dato che l'attimo dopo la nuova canzone contaminò il locale, squarciandogli i timpani e spegnendolo ancora una volta. Anche le mani esperte della ragazza su di sé avevano il suo effetto, dopotutto.
Pedro scoppiò a ridere, osservando quella scenata patetica che si smontava da sola ai suoi occhi minuto dopo minuto.
"Vuoi davvero farmi credere che sei così fighetta?" esclamò a voce alta, intrufolandosi dentro la testa di Harry con enorme facilità. "Cerchi invano di cancellare Ashley con la prima biondina che ti ritrovi addosso? Sei davvero caduto in basso, eh!"
Si arrestò. Harry, colto in fragrante e spogliato da Pedro in un secondo, da un paio di occhi che ormai si erano abituati a conoscerlo e tradurre ogni suo gesto, fermò ogni cosa stesse facendo. Immobilizzò le mani vogliose sui fianchi della ragazza, cessò di respirarle sulla bocca e baciarle la mandibola umida, eccitarsi per qualcuno per cui non ne valeva la pena.
La ragazza, invece, sembrava non accorgersi di nulla, continuando così a tormentarlo e modellarlo a suo piacere.
"Fai pena, davvero"
Harry deglutì a vuoto, reprimendo la voglia di urlare e scaraventarsi addosso a lui. Tempestarlo di pugni fino a ritrovarselo addosso sfinito, sanguinante da ogni parte. Muto.
Allungò le braccia ed allontanò la ragazza, spingendola forse con troppa forza. Lei lo guardò soltanto male, prima di mollargli un ceffone ed allontanarsi da lui. Harry non se ne curò, fece pressione sullo sgabello su cui era seduto e si girò verso Pedro.
Il nome di Ahsley rimbombava possente dentro la sua testa, imbattibile. Ingurgitò il resto di vodka che giaceva sul bancone, cercando di cancellare quel nome e la sua faccia, osservando con arroganza il sorriso strafottente di Pedro, davanti a lui di qualche passo.
Posò il bicchiere dietro di lui, sulla superficie lucida. Scese dallo sgabello con un salto calmo, studiato. Si sistemò i capelli, incastrando la cuffia dentro la tasca del suo giubbetto ed avanzò verso l'altro lentamente, senza rimuovere lo sguardo nemmeno un secondo. A qualche paio di centimetri dal suo viso, irrigidì la mascella ripensando alle parole che gli aveva lanciato contro poco prima. Strinse i pugni.
Respirò profondamente buttando fuori tutto quello che lo corrodesse, senza preoccuparsi del fatto che stesse soffiando contro il viso di Pedro, su di lui.
E gli si lanciò contro, sfinito, stanco. Incapace di trattenere qualche paio di deboli delusioni, ferite minuscole che erano capaci di emarginarsi da sole a detta di tutti.
Aveva piagnucolato, strillato a tutti il suo dolore come un bambino, non sopportando il fatto di sentirsi bruciare il petto ogni qualvolta gli capitasse di pensarla, riportarla a galla. Aveva graffiato la sua stessa pelle non capacitandosi del fatto che lo avesse abbandonato, imbrattato le mura della città del suo nome specificando quanto fosse stronza ed insensibile. Senza curarsi nemmeno un secondo dello stato d'animo di Ashley, di preoccuparsi del fatto che forse anche lei ci stesse soffrendo, magari un po' di meno. Magari peggio di lui.
Si era lamentato ogni secondo con chiunque, addossando la colpa del suo stare male, del suo stato irriquieto ed instabile a lei, soltanto ad Ashley. Gonfiando Pedro di paranoie, dubbi e lamentosi pianti, fragilizzando qualsiasi cosa avesse intorno ed obbligando  chiunque ad accarezzare le sue ferite, curarlo. Odiare Ashley insieme a lui per farlo contento e meno triste.
Baciò Pedro, torturandogli le labbra gonfie, soffocandolo con le mani grandi strette attorno al suo collo, spremendosi contro di lui ed incastrandolo. Pedro si era rifiutato di prendere aria, cercava soltanto di scollarselo di dosso, spingerlo lontano. Disgustato, con gli occhi tanto stretti da far male, riuscì ad allontanarlo solo qualche paio di secondi dopo. Portando una mano sulla bocca e pulendosela, rimuovendo ogni traccia della debolezza di Harry.
"Che cazzo ti prende?" urlò ferito, "Vuoi risvegliarti, Harry? Sei soltanto una testa di cazzo che vuole buttare giù chiunque, lì con te" E si avvicinò spintonandolo, ignorando i respiri irregolari di Harry ed i singhiozzi irruenti. "Ma io non ci sto più a questo stupido gioco, stronzo. O la smetti di fare il bastardo, o me ne vado io" Con l'ultima spinta, lo addossò al bancone, facendogli male alla schiena.
Harry annuiva, silenziosamente e coscienzioso, forse non completamente.
Sembrò dimenticare subito l'accaduto e le parole di Pedro, poiché tirò fuori il telefono e se lo spiaccicò contro l'orecchio, aspettando pazientemente i squilli.
"Che cazzo fai?" Pedro gli rimosse all'istante il telefono, guardandolo di sfuggita. Sembrava aver capito che da lui non avrebbe ottenuto nulla, e per questo annullò la chiamata e si recò a vedere i messaggi.
Fece in tempo a leggere un paio di messaggi, che Harry si risvegliò e riprese il suo telefono.
"Sei una troia", "Ashley, spero vivamente che ti sia goduta questi mesi passati insieme. Il mio sarà l'ultimo cazzo enorme che avrà la pazienza di scoparti". Oppure: "Eri solo una puttana, ma mi hai fatto divertire almeno un po', dai".
E pedro sospirò profondamente, rendendosi conto di quanto Harry fosse infantile e stupido. Anche bastardo, un grandissimo stronzo che si faceva coraggio con qualche paio di Heineken per sparare enormi cazzate.
"Fai schifo" si premurò di dire Pedro, una volta incrociato lo sguardo. "Appoggierò chiunque vorrà mollarti, da oggi in poi"
Harry scrollò le spalle, incurante ed annoiato, ma non si dedicò più al suo cellulare.
"Vuoi davvero sprecarti così? Passare il resto dei tuoi giorni ad ubriacarti per Ashley?"
"La smetti di dire quello stupido nome?"
"Che bambinone!"
"Stronzo"
Incrociò lo sguardo di Pedro, duro e ferreo. Sicuro. Gli stava dicendo qualcosa senza nemmeno dare aria alle sue corde vocali. Magari Harry era davvero stupido, ma ne capì comunque qualcosa, di quelle parole nascoste.
Doveva rilevarsi e darsi importanza, seguire i consigli nascosti di Pedro, che indiretti e vacillanti gli sfuggivano dalla bocca senza che se ne accorgesse. Harry pensò che non era giusto, nemmeno per un secondo, diventare un qualsiasi altro personaggio nella sua storia, perdersi ed abbandonare il ruolo di protagonista. Farsi forza nonostante tutto.
Un leggero tintinnio dentro le sue tasche.

Harry strinse le dita sul manubrio del furgoncino di Pedro, stanco e confuso.
La notte aveva risucchiato la lieve luce opaca che contornava la strada deserta. I campi alla sua sinistra non erano altro che bozze di flora incompiute, avvolte da un manto di sbiadita precisione.
Imboccó lentamente la corsia a sinistra, sorridendo appena. Era riuscito a prelevare le chiavi dal giubbetto di Pedro senza che quest'ultimo se ne accorgesse.
Fu travolto da una fragrante esplosione di luce bianca, da qualsiasi parte questa assumeva anche altri colori, come il rosso o il verde.
Aveva serrato i finestrini, a malapena respirava. La radio trasmetteva qualcosa che mai aveva sentito prima d’ora ad un volume veramente basso, ma non se ne preoccupava. L’unica cosa veramente importante era seguire ogni parola borbottata dal cantante e comprenderla, assimilarla fino ad assorbirla.
Non avrebbe pensato a nient’altro, no?
Allungó un piede, strinse tra le labbra secche quel che rimaneva dell’ennesimo mozzicone e aggrottó le sopracciglia fino a sentire dolore. Fino a che le tempie sembravano bruciare, la mascella pizzicare e un retrogusto amaro salirgli in bocca, incendiandola.
Rallentó alla vista del semaforo, sciolse i muscoli della faccia e riprese a respirare sudicio ossigeno mischiato al fumo amaro.
Il furgoncino su cui aveva sfogato tutta la sua frustrazione, graffiato fino a lacerarsi le unghia e i pensieri, cominció a rallentare fino a fermarsi del tutto nell’autostrada deserta, solo un’altra auto dall’altra parte. Era riuscito a rubare le chiavi a Pedro proprio quando si era scaraventato su di lui, tanta sorpresa sarebbe bastata a farlo sprofondare e dimenticare le chiavi, no?
Il motore rimbombava all’interno dell’abitacolo, e quest’ultimo era cosí caldo e puzzolente da sembrare quasi annebiato.
Harry tiró fuori il cellulare, tremando e rabbrividendo all’interno, sentendosi sciogliere, sbriciolare ogni goccia di orgoglio che gli era rimasta in quel corpo prosciugato e testardo.
“Sei davvero stronza, mi dispIace”
Non riusciva a mettere a fuoco lo schermo del suo telefono, scrisse le prime parole che gli rimbombarono in testa senza prestarci attenzione. Si assicuró soltanto che il mittente fosse davvero lei.
I suoi occhi furono accecati da un brillante verde che lo costrinse a deglutire a fatica e lanciare il telefono sul sedile accanto al suo. Ripiombó sul pedale dell’acceleratore come un forsennato, e solo all’ultimo secondo si decise di cambiare marcia, rallentare e allo stesso tempo curvare a sinistra senza prevenire chi gli stava dietro.
Appena qualche clacson gli fece notare lo sbaglio, Harry chiuse gli occhi, stringendoli alla soglia del dolore e gonfió i propri polmoni rinsecchiti e neri.
Urló, niente di preciso o particolare. Sfogó tutta la propria rabbia graffiandosi i propri timpani con quel suono lacerante e doloroso, facendo del male solo a se stesso senza rendersene conto per l'ennesima volta.
Nella stradina di campagna, tortuosa e stretta, accostó dopo una manciata di minuti. Esausto e confuso, stanco di prestare fin troppa attenzione alle buche.
Appena spense il motore, buttó la testa all’indietro con formidabile veemenza e trasse, forse, uno dei respiri più lunghi della sua vita.
Alla cieca, palpó il sedile accanto al suo fino a ritrovare quell’infernale cellulare. Ma prima di fare qualsiasi cosa, strappó dalla sua bocca rosea il mozzicone, lo spense contro il volante e lo buttó a terra.
“Scusa per quEllo che TI Ho sCRitto prima, non lo penso davvero”
Respiró per l’ennesima volta. La gola gli bruciava tantissimo, aveva voglia di grattarsi tutta la faccia costellata da peli radi e ispidi. Le mani ruvide accarezzavano, pizzicavano, confuse le cosce magre.
Si passó una mano sul viso stanco, si grattó gli occhi e riprese il telefono tra le mani. Schiuse la bocca, la richiuse e strinse gli occhi.
“Un certo Omar mi ha passATo chissá cosa, hO bevuto troppo questa sera. Però penso davVero che il mio sia il cazzo più GRAnde” invió, premendo il pulsante più volte, come a scaricare la tensione che alleggiava nel suo corpo scosso da lievi brividi.
“NoN so dove cazzo sono” serró definitivamente gli occhi, allungó i piedi e cercó di rilassarsi.
Con ogni messaggio che aveva inviato, aveva ricevuto solo degli stupidi trattini che gli indicavano che lei stava leggendo.
“MA NON so PERCHé CaZZO non riesco a dimenticare dovE VORREI STARE”
Abbandonó il controllo delle mani dopo aver inviato anche quell’ennesimo messaggio, facendo cosí scivolare il telefono tra le sue gambe.
Lo riprese, esasperato.
“tI ODIO”
Una macchiolina lucente e lontana si avvicinava lentamente. Man mano che la luce s’ingigantiva, Harry, venendone accecato, fu costretto a stirngere le palpebre degli occhi.
“Ma sei BELISSIMa”
Come l’auto sparí alle sue spalle, Harry ne trasse un sospiro di sollievo. Le mani che pizzicavano di non so cosa, l’esasperazione e la confusione che regnavano sovrane in quella notte buia e solitaria.
“Smettila. E cancella subito il mio numero, stronzo.”
Se muoio, ti ubriachi solo e soltanto per me? Vaffanculo!

 

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