Deyman

di _diana87
(/viewuser.php?uid=13963)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Come tutto è iniziato ***
Capitolo 3: *** Non è un paese per scrittori di gialli ***
Capitolo 4: *** Scontro interiore ***
Capitolo 5: *** Il nuovo mondo ***
Capitolo 6: *** L'assenza ***
Capitolo 7: *** Due mondi separati ***
Capitolo 8: *** La nostra parola ***
Capitolo 9: *** Salvate lo scrittore Castle ***
Capitolo 10: *** Informazioni riservate ***
Capitolo 11: *** Terra di nessuno ***
Capitolo 12: *** Beirut ***
Capitolo 13: *** Rick ha gli occhi azzurri ***
Capitolo 14: *** Prigioniero di guerra ***
Capitolo 15: *** Una separazione ***
Capitolo 16: *** L'altra parte del mondo ***
Capitolo 17: *** Oltre le sbarre ***
Capitolo 18: *** A proposito di Castle ***
Capitolo 19: *** Inferno e ritorno ***
Capitolo 20: *** Vai e vivrai ***
Capitolo 21: *** Le ultime ore (Parte I) ***
Capitolo 22: *** Le ultime ore (Parte II) ***
Capitolo 23: *** La stella ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                             


New York vista dall’alto dà uno degli spettacoli più belli al mondo. Le uniche cose a turbare il panorama sono le sirene della polizia che sembrano urlare disperate verso il luogo da loro annunciato via radio. Le strade diventano una crocevia di volanti; taxi e auto lasciano spazio alle forze dell’ordine, mentre qualcuno è uscito dai propri veicoli per osservare il cielo: quando la nube di fumo provenire dalla metropolitana diventa più evidente, passando dal colore grigio scuro al nero, i newyorkesi hanno in mente una sola data e hanno paura di ritrovarsi di nuovo coinvolti in quella stessa tragedia che li colpì più di dieci anni fa.
Un gruppo di agenti si fanno largo tra la folla incuriosita per oltrepassare il cordone giallo della scena. Tra morti e sopravvissuti, i giornalisti indirizzano l’evento ad una sola possibile causa.
“Non ci sono dubbi, qui a New York c’è appena stato un attentato terroristico.”
Kate Beckett guarda accigliata le telecamere e i giornalisti che fanno a gara per accaparrarsi l’ultimo scoop. È sempre la stessa maledettissima storia. Quando esplode un ordigno o c’è un grave incidente, l’America pensa sempre al peggio. Ormai è diventata una paura presente e costante che si è insinuata nell’animo del newyorkese più radicale fin dall’11 settembre 2001.
Scuote la testa, tenendo le mani in tasca e oltrepassa la linea gialla per avvicinarsi al luogo dell’esplosione. Vede Lanie, Javier e Kevin di spalle, che parlano preoccupati con agenti dell’Interpol, ma lei cammina oltre per raggiungere una figura alta e magra, intenta a fare domande ad una persona all’apparenza irriconoscibile, seduta su una lettiga. Dietro di lei, altri due agenti con l’etichetta Interpol stampata sulle loro divise.
Arriccia la bocca appena sente quel timbro di voce profondo dell’inglese che conduce l’interrogatorio, un uomo che negli ultimi due anni le è stata indispensabile per tirare avanti, continuare a sperare, e avere una spalla su cui sfogarsi, proprio come lei faceva con quell’altro uomo della sua vita. Abbassa la testa mettendosi le mani nella tasca del giubbotto, non curandosi della persona lì seduta.
“Agente Jones, cominciamo con l’interrogatorio mattutino, come ogni giorno.”
L’uomo fa una smorfia che assomiglia ad un sorriso, appena la riconosce; ha sentito il suo inconfondibile profumo di ciliegie, ormai diventato famoso anche oltre il Dodicesimo; quindi si volta a mezzo busto verso di lei. Gli occhi azzurri, la fisionomia spigolosa e i capelli castano chiaro tagliati accuratamente la ipnotizzano, e ricomincia a sentire il groppo allo stomaco. Le fa sempre questo effetto ogni volta che lo vede.
“Vuole condurlo lei, agente Beckett? Magari il suo ex fidanzato saprà dirle qualcosa di più.”
L’attimo dopo, si spoglia di quella maschera che ha assunto. Dimentica l’agente Jones e gli altri della Interpol per concentrarsi sulla persona seduta sulla barella. Si blocca, come congelata all’istante. E avrebbe voluto essere messa in un congelatore in quel momento, per poi risvegliarsi tra mille anni, proprio come nella serie animata Futurama.
L’uomo con le manette la guarda attraverso i suoi occhi azzurri, la barba incolta, i capelli cresciuti di poco sotto le orecchie, qualche taglietto sul volto, lo sguardo impassibile e fisso su di lei. Indossa un completo nero e sul petto ha una specie di medaglietta gialla e verde con delle parole scritte in arabo. Non ha bisogno di dire altro per capire di chi si tratta.
Mike Jones, capo del dipartimento dell’Interpol inglese, dedito alla minaccia contro il terrorismo internazionale, squadra divertito Beckett dall’alto del suo metro e novanta. Poi tira fuori il suo telefono cellulare, un iPhone di ultima generazione, e compone un numero annunciandosi trionfante.
“Qui Mike Jones all’Interpol di Londra, missione compiuta. Richard Castle, ricercato per terrorismo da due anni, accusato dell’attentato alla metropolitana di New York e delle precedenti esplosioni, sospettato di essere membro di Al-Qaida, è stato arrestato.”
 
Kate Beckett è immobile nella stanza interrogatori e dal vetro osserva quell’uomo che due anni fa era sul punto di sposare, lo stesso che aveva scritto una serie di romanzi su di lei, una saga di libri rimasti incompiuti a causa della sua cattura anni fa; la stessa persona che le portava il caffè ogni mattina; che le ripeteva che ci sarebbe stato per lei “sempre”; che le aveva detto di amarla dopo essere stata sparata, e che l’aveva aiutata a mettere in prigione il senatore che aveva ucciso sua madre... proprio quel Richard Castle che lei aveva amato per sei lunghi anni, e che non aveva mai smesso di amare anche dopo, era lì di fronte a lei, ammanettato e pronto per attendere l’interrogatorio dell’Interpol e poi della CIA.
“Non mangi niente da stamattina, tesoro. Neanche il caffè?”
Con un gesto della mano, Kate allontana l’amica Lanie, e l’aroma della caffeina. Quel caffè ha smesso di avere un significato quando Rick Castle ha smesso di portarglielo.
L’anatomopatologa posa i due bricchi sul tavolino e torna ad avvicinarsi alla detective, guardandola preoccupatissima. Cos’altro potrebbe dirle in quel momento? L’unica cosa che le viene in mentre è un gesto spontaneo: l’abbraccia. Anche contro la sua volontà, Kate si stringe in se stessa, si contrae con tutti i suoi muscoli. Alla fine, però, cede, e avvolge Lanie con le braccia, per lasciarsi andare ad un pianto liberatorio, ma silenzioso, posando la testa sulla spalla dell’amica. Non le importa se la bagnerà e se Lanie uscirà da quella stanza con la necessità di cambiare camice da lavoro.
Kate aveva bisogno di piangere da molto tempo.
La porta della stanza si apre ed entrano anche Javi e Kevin. Lanie fa segno con il dito di far silenzio. I due detective rispettano la tranquillità e la privacy di Kate Beckett, una donna che è stata forte per tutta la sua vita, ma che in quel momento ha abbattuto tutte le sue difese, per mostrare la sua fragilità.
Se Kate aveva un tallone di Achille, quello si chiamava Richard Castle.
“Io—io ancora non ci credo...” balbetta tra i singhiozzi. Sentendo la presenza degli altri due detective, Beckett si asciuga le lacrime con forza, scacciandole, impedendo che esse scendano di nuovo.
Esposito si avvicina mettendole una mano sulla spalla.
“Beckett, quello là dentro non è più Castle. Quella persona solare e divertente se n’è andata due anni fa.”
La mazzata arriva alle spalle come un colpo di pistola. Anzi, come un coltello affilato che incide la carne lentamente. Lei lo guarda fisso negli occhi come se avesse appena detto una grandissima cavolata.
“Bugiardo!” urla lei, disperata. “Bugiardo!” gli si butta contro prendendolo per il colletto, tanto che Kevin e Lanie devono separarli.
“Tesoro, l’ultima volta che vi siete visti, ti ha puntato la pistola contro.”
La voce di Lanie la riporta all’ultimo incontro avuto con Rick, a Beirut, prima che lui fuggisse di nuovo con quel gruppo di terroristi. Gli occhi azzurri del suo scrittore erano spenti, svuotati della sua aura positiva e sognatrice, e riempiti con odio contro la civiltà occidentale.
Kate stringe i pugni, abbassa lo sguardo, tornando in sé, rialzando il muro.
“Non era in lui. Sono ancora convinta che c’è qualcosa che non ci sta dicendo.”
“Allora perché scapperebbe se è innocente?”
Non ha il tempo di replicare alla domanda sussurrata da Ryan, perché Mike Jones è appena entrato nella stanza interrogatori.
L’inglese si accomoda sbottonando la giacca per sentirsi più a suo agio. L’aria sicura di sé che assume non è mai andata a genio ai due bro, che stringono i denti, bisognosi di difendere e proteggere il Dodicesimo, ovvero il loro territorio e la loro casa.
Rick e Mike si guardano per qualche istante, studiandosi a vicenda. Lo scrittore osserva come l’agente dell’Interpol posa le mani unite sul tavolo, sporgendosi verso di lui, pronto a stabilire un dialogo. Apre la cartellina che ha sotto gli occhi per dare l’ennesimo sguardo a colui che considera l’attentatore. Soddisfatto della sua cattura, l’agente Jones inclina la testa, sistemandosi la cravatta color bordeaux.
Non solo hanno la puzza sotto al naso e pensano di saperne più degli americani, ma gli inglesi hanno anche un pessimo gusto nel vestirsi, pensa Rick in quel momento, non spostando lo sguardo su di lui. Per fortuna qualche briciolo di umorismo sembra essergli rimasto.
“Perché non inizia a parlare signor Castle? Così potremmo capire cosa c’entra lei in questa storia...”
“Quindi lei, agente, crede che sia innocente?”
“Non ho detto questo. Ma la sua ex fidanzata, che ci sta guardando dall’altro lato della vetrata, sembra convinta del contrario.”
Sentendosi citata, Kate sobbalza. Si sente osservata e spogliata improvvisamente di quel muro che si era ricreata.
Esposito e Ryan si trattengono dall’entrare e prendere a pugni quell’inglese.
Rick, invece, quando sente citare Kate, si sposta leggermente dalla sedia per poi tornare a prendere posizione. Apre la bocca per ribattere qualcosa, invece riesce solo a sputare della saliva in faccia all’agente Jones. L’inglese si schiarisce la voce, restando composto. Molto lentamente, tira fuori un fazzoletto bianco dalla tasca interiore della giacca per asciugarsi il viso.
“Non riusciremo a concludere niente con quell’agente lì dentro.” La Gates fa la sua entrata nella stanza vetrata con eleganza e risolutezza. Alza le braccia e si fa largo tra i suoi detective per prendere il primo posto vicino a Kate.
La Iron Lady del Dodicesimo sa il fatto suo. Guarda Beckett e la vede rigida nella sua posizione. Se l’avrebbe toccata anche solo con un dito, lei sarebbe andata in frantumi, come un bicchiere di cristallo.
“Detective, se vuole possiamo interrompere l’interrogatorio.”
Senza guardarla, Kate stringe i pugni e continua a fissare davanti a sé.
“No, voglio andare in quella stanza con lei capitano, se non le dispiace.”
La Gates accenna un sorriso. La guerriera Beckett è tornata. Senza indugiare oltre, ordina a Esposito, Ryan e Lanie di restare nella stanzetta, mentre lei e Kate entreranno in quella degli interrogatori.
Il capitano sa che la detective è l’unica che può far parlare Castle. Saranno passati anche due anni, ma deve esserci ancora qualcosa che li lega l’uno all’altro, e deve sapere cos’è che ha spezzato quel loro legame.
Appena Kate entra nella stanzetta, Rick riprende a fissarla mettendola in soggezione. Vuole assicurarsi che sia ancora lei, con i suoi lunghi capelli folti ondulati, castano chiaro, gli occhi che sfuggono al suo sguardo, indugiando altrove. Kate si siede accanto a Mike, con la Gates in piedi dietro di loro.
L’agente Jones fa un gesto verso la detective come a invitarla a iniziare, invece è Rick a farlo.
“Io sono innocente. E comunque non avete prove contro di me.”
“L’abbiamo presa mentre fuggiva dalla metropolitana con quel completo”, ringhia l’agente Jones, poi gli indica la medaglietta sulla maglia, “E quel simbolo sa cosa vuol dire? Allahu Akbar.”
“Dio è il più grande”, dicono insieme.
Mike fa una smorfia.
“E’ la frase fondamentale per un musulmano. Ora vuole ancora farmi credere che è innocente?”
“Non tutti i musulmani sono dei terroristi. Forse voi dell’Interpol dovreste rivedere le vostre credenziali, perché non siete affatto credibili.”
Kate inizia a sentirsi a disagio e volge lo sguardo alla Gates dietro di lei, che rotea gli occhi di fronte all’interrogatorio.
La detective torna a guardare Rick e fa per allungare la mano verso la sua, movimento che non sfugge agli occhi di Jones, ma poi subito si ritira, capendo che un gesto del genere non può più farlo.
Decide di intraprendere la strada del dialogo.
“Castle, io ti credo, ma abbiamo bisogno che ci racconti tutta la storia.”
Lo scrittore fa una risatina nervosa. “Tu mi credi? Come puoi credermi dopo quello che ti ho fatto?”
“Perché l’amore che provo per te mi ha portata avanti per tutto questo tempo.”
Si guardano intensamente negli occhi, che si stanno chiedendo se ancora sono innamorati l’uno dell’altra. La mano di Kate vibra e arde nel volerla tendere verso di lui per fargli sentire la sua presenza. Abbozza un sorriso per fargli capire che lei è lì.
“Che scenetta commovente.” Interrompe l’agente Jones, prontamente ammonito dalla Gates che avanza vicino a lui.
Lui si sistema la cravatta e sentendosi circondato, decide di alzarsi, allontanando la sedia. In piedi, si tocca la fronte sentendola in incandescenza, poi si rivolge uno ad uno.
“Senta, capitano Gates... detective Beckett. Io rappresento la polizia internazionale del Regno Unito. Non posso permettermi figure del genere quando c’è in ballo la sicurezza mondiale. O la finiamo coi siparietti, oppure ricorrerò alla forza.”
“Non nel mio distretto, agente.” Lo ammonisce la Gates, restando con lo sguardo fisso su di lui.
Kate sorride appena, nascondendo il rossore delle guance da dietro i capelli. Quando alza lo sguardo, Rick è a lì a fissarla, ammaliato. Quanto le è mancato tutto questo.
La Gates si rivolge a Rick, interrompendolo dai suoi pensieri.
“Signor Castle, se la detective Beckett crede in lei, io mi fido, perché è la migliore che ho qui. Perciò siamo pronti ad ascoltarla.”
Si dimenticano che Mike Jones sia lì presente, ma l’agente dell’Interpol la pensa diversamente e torna a sedersi vicino a Kate, per riprendere posizione.
“Sì, ci dica tutto fin dall’inizio. Una ragione per cui dovremmo crederle, prima di tutto.”
Rick si sistema nella sua sedia e allunga le mani sul tavolo. Su di esse, un colore nero, forse di cenere, e un tatuaggio con alcune scritte arabe fatto con l’henné che colpisce Kate.
“Agente Jones, se c’è una cosa che ho imparato in questi due anni in cui sono stato via è che la gente vive di pregiudizi. Solo perché una persona incontra un musulmano, questo non vuol dire che egli sia un terrorista. Voi non conoscete tutta la storia.”
Mike fa una risatina e si sistema anche lui sulla sedia, incrociando le braccia al petto.
“Allora ce la dica, noi non ci muoviamo da qui.”
L’agente Jones e Castle si scambiano di nuovo sguardi di sfida, che fanno innervosire Kate. Rick assume la posizione dello scrittore che sa tutto, ritirando le mani e poggiandole dietro la testa per stiracchiarsi, occupando del tempo. Poi torna a rimetterle sul tavolo.
“E va bene, vi dirò tutto, ma voi dovete lasciarmi parlare senza interrompermi, okay? Fate finta che vi stia raccontando una storia... agente, lei sa come funziona un romanzo, mi auguro... c’è un prologo, che potremmo identificarlo in questo momento, in cui il bravo ragazzo viene scambiato per un traditore e cerca di convincere la polizia che lui non c’entra niente... poi c’è il corpo, che è la parte centrale in cui vi racconto come si sono svolti i fatti... infine, c’è l’epilogo, in cui c’è la resa dei conti e la morale della storia... perché ogni racconto ha sempre la sua morale...”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Come promesso (?) sono tornata a rompere le scatole.
Premetto che la storia ho cominciato a scriverla a inizio maggio, quindi prima del season finale, e già immaginavo un non-happy ending per i Caskett lol
E premetto che ho cominciato a scriverla prima che sapessi di tutta la crisi in Medio Oriente, quindi dovrei smetterla di scrivere su questi temi che poi finisce sempre male XD
Tante domande in questo prologo, sopratutto due: Castle è un terrorista?! Che vuol dire 'deyman'?
Per saperlo, non vi resta che seguirmi u.u
Alla prossima! D. :)

ps: è inutile che googlate, tanto la parola del titolo non la trovate :p

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Come tutto è iniziato ***




DUE ANNI FA

 
 
I fiori lunga la navata, altre catene floreali lungo l’altare, e lo sguardo verso il mare.
Sospira guardando l’orizzonte e poi vede la sua sposa. Il matrimonio sulla spiaggia degli Hamptons è ciò che ha sempre desiderato. Qualcosa di diverso rispetto alle sue due precedenti nozze, perché stavolta avrebbe sposato la donna giusta per lui, la sua anima gemella.
Lo aveva percepito fin dal primo momento in cui si erano incontrati. Per lui fu colpo di fulmine, per lei un po’ meno perché lo odiava all’inizio.
E poi il caffè per cominciare la giornata, l’assisterla nei suoi casi, il confortarla man mano che si scoprivano cose di più sull’omicidio di sua madre, la sofferenza, la gioia, gli sguardi, le parole, quell’Always che aveva cambiato le cose... ogni piccolo evento li aveva condotti lì, a giurarsi amore eterno.
Lei, davanti a lui lo tiene per mano, raggiante, sorridente, come mai l’aveva vista. Arrossisce, come una bambina, chiedendosi se da piccola aveva immaginato così il suo matrimonio. Probabilmente non pensava neanche di sposarsi, perché non voleva legarsi a nessuno per evitare di restare ferita, quella paura che si era insinuata in lei dopo la morte di sua madre. Ma lui le aveva fatto cambiare idea. Il suo carattere forte, premuroso, coraggioso, l’aveva colpita, perché lui non si era mai arreso a comprendere la sua testardaggine, e con il piccone, nel corso dei sei anni insieme, aveva abbattuto mattone dopo mattone di quel muro che la circondava.
Ed ora eccoli là, mano nella mano, in attesa che il sacerdote pronunci quelle solenni parole per legarli per sempre.
Il sorriso di entrambi si spezza.
Un rumore sordo.
Inaspettatamente, un boato in lontananza, distrugge l’atmosfera, facendo prima alzare la sabbia, poi distrugge l’altare floreale.
Il prete viene sbalzato in avanti, Castle e Beckett si prendono per le mani e si gettano a terra, mentre tra gli invitati, solo urla e tante parole, qualcuno si nasconde sotto le sedie, poggiate così, tranquillamente sul terreno, ma non sono forti abbastanza da restare incollate.
C’è appena stata un’esplosione.
Dei gabbiani che si erano appollaiati sulle ghirlande di fiori, non è rimasto niente. Solo penne al vento.
Nella confusione generale, Kate cerca di mettere a fuoco la situazione, prima di svenire, ma si vede solamente circondata da uomini con passamontagna, giubbini anti-proiettili, e degli indumenti da militare addosso.
L’attimo seguente, c’è solo il nulla.
 
Kate cerca di aprire gli occhi, ma vede solo tanto fumo e fuliggine intorno a lei. Quando gira la testa dall’altra parte, non sente più la mano di Rick nella sua. Si rialza da terra, tenendosi il vestito tra le mani, e tossisce mentre chiama il suo nome.
Due mani forti l’afferrano. Kate identifica il viso di Lanie, spaurita quanto lei.
“Tesoro, stai bene?”
La detective risponde con un cenno della testa, e il medico legale l’abbraccia. Man mano, la polvere inizia a dileguarsi e Kate riesce a vedere meglio l’ambiente circostante.
Il suo bellissimo matrimonio è stato distrutto.
Tutti i preparativi dei mesi precedenti sono andati letteralmente in fumo.
Un attimo prima era di fronte e Rick, a tenerlo per mano, pronta per essere dichiarata sua moglie, e l’attimo dopo, lui era scomparso.
Vede Jim aiutare Martha a rialzarsi da terra e tenerla in piedi; Alexis è ferita alla gamba, e viene aiutata da Javier e Kevin, ma quando tenta di mettersi in piedi, zoppica e inevitabilmente deve reggersi a uno dei due per restare in equilibrio.
“Dov’è Rick?”
Lanie scioglie l’abbraccio per vedere il viso coperto di lacrime della sua amica. Passa due dita, una su una guancia e una sull’altra, sul viso per asciugarlo, poi scuote la testa lentamente in segno di diniego.
Kate si solleva il vestito per correre verso la sua famiglia e i suoi amici per assicurarsi che tutti stiano bene. Sfiora Alexis con il braccio, e nota un graffio enorme sulla gamba. Quando la ragazza prova a sollevarla, le fa male. La detective sospira e si rialza girandosi intorno.
Le immagini scorrono a rallentatore.
Altri invitati, la maggior parte conoscenti di Rick, tra cui scrittori famosi, amici suoi stretti, gridano e parlano nervosamente, ognuno aggrappandosi all’altro, in una scena di assoluta disperazione. Getta un altro sguardo a suo padre che consola Martha, la quale gesticola animatamente, e con il suo viso pallido e sconvolto sembra gridare il nome di suo figlio.
Kate si guarda le mani, sporche di sabbia e nere per l’esplosione. Lentamente se le passa tra i capelli, notando che l’acconciatura non esiste più, e si è ridotta a un cumulo di ciocche mescolate tra loro, senza una forma ben precisa. Con le stesse mani, va a toccarsi il vestito, ormai macchiato e rovinato, strappato sull’orlo.
Il vestito di sua madre.
Trattiene una lacrima stringendo le labbra, poi butta lo sguardo in alto, mormorando.
Scusa, mamma.
Stringe le mani a pugno sul vestito e solo adesso realizza il tutto.
Castle è scomparso.
Non riesce a vederlo, non riesce a percepire la sua presenza. Di solito lui veniva prendendola da dietro, cingendole la vita, oppure allungando la mano verso di lei per afferrarla e non lasciarla più.
Niente di tutto ciò.
Spalanca gli occhi e la realtà la colpisce peggio di una pallottola sparata vicino al cuore.
Lancia un urlo gracidante verso il cielo, accasciandosi di scatto sulle ginocchia. A terra, Kate stringe ancora il vestito con le mani, mentre dalla sua bocca escono solo grida, dagli occhi lacrime, e dal cuore tanto, tanto dolore.
Qualcuno l’abbraccia da dietro. Riconosce il tocco forte dell’amica Lanie che con una mano le porta i capelli dietro l’orecchio e le sussurra che va tutto bene, dondolandola come solo una madre potrebbe fare. Anche Martha va ad abbracciare Kate, e le grida di disperazione della donna vengono coperte dall’abbraccio della sua migliore amica e della sua neo suocera, che la stringono a mo’ di sandwich, carezzandole i capelli. La detective poggia la testa sulla spalla della signora Rodgers, mentre una mano cerca di ricambiare l’abbraccio. Martha abbozza un debole sorriso, capendo che Kate aveva bisogno di un simile conforto al momento. Jim Beckett resta a vedere sua figlia inerme, e stringe i pugni, prendendosela con sé stesso per non essere stato più vicino a sua figlia nel corso della sua vita.
Il mondo si ferma a guardare lo spettacolo di una donna disperata che ha appena perso l’amore della sua vita.
 
Ha tentato di dimenarsi inutilmente, perché è stato prontamente colpito allo stomaco ogni volta che cercava anche solo di aprire bocca.
Respira a fatica, avendo il volto coperto da un passamontagna nero, senza alcuna possibilità di scorgere qualcosa da una fessura.
Le mani sono legate con una rozza corda dietro la schiena, e non capisce bene dove il gruppo di uomini lo stiano portando. Uno di essi parla in una lingua semitica, che lui riconosce come arabo. Nel corso dei suoi studi e ricerche, gli era capitato di stare a contatto con gente mediorientale e aveva imparato le parole basi della conversazione, sapendo che è una lingua che si basa soprattutto su lettere gutturali, difficili da pronunciare per un comune occidentale. Tuttavia, quell’arabo che sente non è facile per le sue orecchie. Poi viene strattonato e costretto a fare una scalinata in un luogo apparentemente aperto. Riesce a respirare un poco e capisce di essere all’esterno di qualcosa, ma la sensazione svanisce, quando una mano lo prende per la testa e lo costringe ad abbassarsi. Alcuni uomini parlano di nuovo in arabo, e lui riesce solo a capire che stanno pronunciando il suo nome, ‘Richard Castle’. L’aria viene a mancare e ben presto si rende conto di essere in un luogo chiuso. Solo quando viene messo a sedere e gli tolgono il passamontagna dalla testa, lui scopre di essere su un aereo circondato da uomini dai tratti mediorientali, tutti coperti vestiti di nero e col volto coperto. Tra le mani stringono dei mitra.
Getta l’occhio su quello seduto davanti a sé che ha una medaglietta gialla e verde sul petto e la scritta bianca in arabo. Grazie alla conoscenza del suo arabo basilare, Rick riesce a tradurre mentalmente perché è una delle frasi fondamentali del musulmano credente.
Allahu Akbhar, Dio è il più grande.
Deglutisce cercando di non dare nell’occhio, ma lo sguardo d’incredulità si volge al di fuori. Getta l’occhio fuori il finestrino per vedere che l’aereo si sta preparando a decollare. L’uomo seduto davanti a lui alza il braccio ordinando qualcosa, e l’apparecchio si mette in moto.
Circondato da uomini col viso coperto che impugnano questi grandi kalashnikov, legato e costretto a stare seduto, Rick non può far altro che osservare fuori perché altrimenti la sua mente si affollerebbe di mille domande: in quale paese del Medio Oriente potrebbe essere diretto, cosa vogliono da lui, e soprattutto come fare per sopravvivere una volta atterrato.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
La storia riparte 2 anni prima, quindi torniamo nell'ipotetico season finale della sesta stagione.
Nella mia mente, avevo immaginato che il matrimonio si interrompesse a causa di una bella esplosione che faceva saltare tutti in aria *-* e nella confusione generale, Castle veniva rapito *-*
Una Beckett disperata c'è sempre, cercate di immaginarla come nel promo :p
Ora Castle si trova in una situazione alquanto complicata in cui dovrà capire come soppravivvere in quel luogo sconosciuto dove lo stanno portando... vai, Riccardò, siamo con te *-*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Non è un paese per scrittori di gialli ***


                                                          


Ha passato una settimana intera a chiedersi dove si trovasse.
Prigioniero di una cella piccola, tanto quanto quella di un carcerato comune, sporca, con una specie di letto su cui dormire, e un vasetto per la notte messo in un angolo. Non ha potuto neanche chiedere informazioni a chi veniva a portargli da mangiare, perché tutte le volte che ha tentato una mezza parola in inglese, è stato ammonito, o comunque la suddetta persona faceva finta di non averlo sentito.
Ha indosso ciò che rimane del suo smoking, e l’odore di chiuso mescolato al sudore e alla sporcizia sul suo corpo, iniziano a farsi sentire.
Si rannicchia a terra, tenendosi le gambe con le braccia e si mette contro il muro, nell’unico angolo illuminato della cella.
Rumori di passi congiunti e chiacchiere in arabo gli fanno alzare la testa verso la porta della sua cella.
C’è un uomo lì davanti, con indosso dei tipici indumenti arabi, che maneggia confusamente un mazzo di chiavi. Con l’occhio cerca la chiave giusta per aprire, e con l’altro guarda verso la sua sinistra, incitando nella sua lingua un gruppo di persone.
Rick è confuso. Si alza leggermente da terra per raggiungere, zoppicante, la cella. Si rende conto solo in quel momento di aver passato troppo tempo seduto e che i muscoli delle gambe gli fanno un gran male. L’uomo riesce ad aprire la porta e, con un gesto della mano, invita lo scrittore ad uscire. Rick non perde tempo, e zoppicante si tira fuori, solo per trovarsi in mezzo a quel corridoio lugubre con poca luce, se non filtrata dal soffitto. Probabilmente è una prigione sotterranea, di chissà quale città.
Da quando è stato rinchiuso, ha perso la cognizione del tempo e dello spazio. Anche il suo fisico ne ha risentito, perdendo peso e sentendosi più magro del solito.
L’uomo che lo ha liberato, lo spinge avanti con foga, puntandogli il mitra contro la schiena, e Rick alza le mani in segno di resa, non capendo cosa stia succedendo intorno a lui. Ben presto capisce di essere l’unico prigioniero in quella prigione sotterranea e che degli altri carcerati altro non è rimasto che un mucchio di ossa.
Uscendo fuori, deve coprirsi gli occhi per via del sole accecante. È rimasto al buio per troppo tempo che ora la vista gli fa male e non è più abituato. L’uomo che lo teneva sotto tiro, intanto, sta gridando all’altro gruppetto avanti qualcosa come un “Yalla, yalla!” e agita le mani in direzione di una torretta. Rick d’istinto si butta a terra, sentendo i colpi dei mitra che dall’alto arrivano verso il basso. Si copre le orecchie senza mai alzare lo sguardo; ha troppa paura e per la prima ammette con sé stesso di potersela fare addosso.
Gli uomini che l’avevano liberato lo circondano per un istante, ma poi uno di loro lo fa alzare da terra con forza, afferrandolo per il braccio. Lo scrittore cerca di coprirsi la testa con l’altro braccio perché i colpi di arma da fuoco sono ancora tutti intorno. Il cervello non riesce a connettere e tra la confusione di una guerrigliera, Rick viene sbattuto nel sedile posteriore di uno di quei camion militari, mentre gli altri uomini salgono insieme a lui, senza mai smettere di sparare contro un altro gruppo di soldati, probabilmente quelli che erano a guardia dello scrittore.
Disteso, Rick percepisce i dolori allo stomaco, ma non per i colpi subiti dall’essere sbalzato da una parte all’altra, bensì per colpa della fame.
Da quanto tempo non mangia un pasto caldo? Ricorda a malapena i cibi preparati da sua madre e il caffè mattutino con la sua fidanzata.
Kate.
Chissà cosa sta facendo in quel momento, e se sta pensando a lui come già morto.
Se la immagina sofferente a piangere rilegata nel suo loft, ma che indossa una corazza al distretto, nascondendo, come sa fare lei, la sua fragilità.
Già, la sua Kate.
Pensa tra sé che deve trovare il modo di farle capire che lui è vivo, perché non sopporterebbe vederla in quelle condizioni: lei è una guerriera, e non si abbatte mai. Inizia a vaneggiare, sparando parole a caso, mentre sente i suoi sensi venir meno, finché non vede più niente.
 
Un uomo sta urlando nella sua direzione.
Lo sente, sebbene in un’altra lingua, e muove lentamente gli occhi per aprirli e scoprire che la persona che lo sta svegliando è sopra di lui e gli sta sventolando qualcosa davanti la faccia. Una secchiata d’acqua e Rick si sveglia di soprassalto, urlando per il freddo improvviso.
Delle sonore risate giungono alle sue orecchie. Quasi sente gli zigomi alzarsi e le labbra inclinarsi per un mezzo sorriso.
Il primo dopo una settimana di agonia.
Guarda l’ambiente circostante. È un luogo maestoso, regale, coperto di tessuti pregiati e variopinti.
“Benvenuto amico mio.”
Rick guarda quel giovane che gli allunga la mano. Avrà una trentina d’anni, anche se la barba, non troppo lunga, giusto a coprirgli da sotto le orecchie al mento, gli dà qualche anno in più. I capelli folti, neri come barba e occhi, e la pelle abbronzata. Indossa una camicia bordeaux, anch’essa pregiata e costosa, e sopra una mantella azzurra.
Lo scrittore è un attimo spaesato, ma ricambia la stretta di mano per non sembrare scortese. Con il dito indica prima lui, poi se stesso, come cercando di mettere in moto le parole.
“Come sai la mia lingua?”
Il giovane ride guardando tre dei suoi uomini dietro di lui. Sono proprio quelli incappucciati che l’avevano liberato dalla prigionia.
Said, ho studiato dalle vostre parti, e letto i tuoi libri... possiamo darci del tu, signor Castle?” parla in un impeccabile inglese, sebbene la cadenza araba si sente lo stesso, ma finora non ha sbagliato neanche una parola.
A Rick non resta che fare dei cenni entusiasti con la testa. Con quegli uomini muniti di mitra, lo scrittore capisce che la cosa migliore da fare è stare al gioco di questo giovane dall’aria potente, ma umile di persona. Se gli ha salvato la vita, incaricando i suoi uomini, significa che lo vuole vivo, altrimenti lo avrebbe già ucciso appena liberato dalla cella.
“Dove mi trovo?”
“Al momento ci troviamo a Tora Bora, in Afghanistan, ma domani siamo diretti a Saqlawiyah.” Lui lo guarda con sguardo indagatore, arricciando la bocca, poi mette le mani sulle spalle dello scrittore. “Rilassati, Richard, ti sento teso. Credo che un buon pasto e poi un riposo siano l’ideale per te.”
Ancora confuso, Rick lo guarda con sguardo interrogativo, ponendo una domanda che non sia minacciosa, ma piuttosto preoccupata.
“Cosa volete da me?”
“Abbiamo tutto domani per parlare, said.
Il giovane stringe le mani sulla spalla dello scrittore, come a voler stabilire un contatto. Poi gli sorrise.
Quel sorriso appare così genuino, ma Rick ha imparato, dopo anni a contatto con le forze dell’ordine, e altrettanto tempo a scrivere romanzi gialli, che le apparenze ingannano. Lo aveva intuito lui stesso prima: se l’hanno voluto vivo, è perché vogliono qualcosa da lui. Tutto sta capire il cosa.
Quando viene lasciato da solo nella sua stanza, molto più grande di quella cella stretta e buia, Castle si prende del tempo per ispirare l’aroma di bazar che viene al di fuori della casa che lo ospita; sotto c’è un suq, un grande mercato arabo, in pieno fermento. La camera in cui alloggia profuma di incenso, ed è contornata da tendine di seta con delle praline che scendono come gocce. C’è una camicia viola sul suo letto e un paio di jeans. Li prende e nota che sono della sua taglia; tutto coincide, sembra che quel luogo aspettasse solo lui. Fa capolino per notare una porticina vicino alla finestra, e lì c’è un bagno, pulito e profumato anch’esso. Sorride pensando che almeno potrà farsi una doccia.
Al bagno segue un banchetto, al quale Rick trova spazio per rifocillarsi, in compagnia del giovane padrone della casa, che osserva lo scrittore dall’altro lato del lungo tavolo di venti metri. Castle afferra cosci di pollo con spezie, kebab e qualche verdura, non volendo fare troppi complimenti per l’ospitalità ricevuta. Ma il suo stomaco continua a brontolare, e lui deve ubbidirgli se non vuole rischiare di svenire proprio ora. E poi, a pancia piena potrà pensare meglio a come far sapere a Kate la sua posizione. Ci sarà un Internet Point da qualche parte, non vorranno tenerlo segregato in casa?
Il giovane musulmano schiocca le dita e subito quattro servi ritirano i piatti e i bicchieri, sparecchiando il tavolo in men che non si dica. Poi guarda Castle allungando le braccia lungo la tavola, ormai vuota.
“Sei pronto per la nostra chiacchierata? Vieni con me.”
Rick decide di fidarsi, e segue il giovane lungo un corridoio, in apparenza infinito, che passa da un arredamento lussuoso, ad uno povero, privo di ogni ornamento. Lo scrittore si volta di tanto in tanto, senza dare nell’occhio e non vede nessuno dietro. Sono solo lui e il giovane. I due percorrono il corridoio per un tragitto che sembra infinito, finché giungono in una stanza piena di computer, con alcuni addetti davanti lo schermo.
Le scritte in arabo gli impediscono di capire di cosa si tratti. Il giovane percepisce il suo disagio, ma lo invita a seguirlo attraversando la sala, giungendo in una stanza vetrata, forse la sede operativa di tutto. È solo quando vede quel simbolo, quella bandiera nera con le scritte bianche, che capisce.
I cassettini della memoria si aprono, e vanno a toccare quelle immagini relative all’11 settembre 2001. Lui stava in casa con Meredith, era mattina, e preparava la colazione. Sorridente e raggiante, vedeva interrompere i programmi per trasmettere le torri buttate giù da due aeroplani. Il telegiornale iniziava parlando di attacco terroristico e poi di Al-Qaida.
Le parole del giovane musulmano lo riportano alla realtà, e ridacchia orgogliosamente quando lo sorprende a fissare la bandiera.
“Sulla bandiera c’è scritta la professione di fede, si chiama shahada. Quando qualcuno decide di diventare musulmano, questa è la prima preghiera che deve fare. La conversione non è immediata e deve essere fatta con tutta la volontà possibile, altrimenti non è valida.”
Rick deglutisce, annuendo.
Forse ha capito dove vuole andare a parare il giovane, e inizia ad avere paura.
“Non mi hai ancora detto il tuo nome.” Cambia discorso, ricordandosi di sembrare il più rilassato possibile, senza innescare il dubbio che non sia grato che lui gli abbia salvato la vita. Perché Rick lo è, lui è un brav’uomo, ed è riconoscente alle persone, ma adesso non sa se preferirebbe essere morto.
Il giovane inizia a passeggiare davanti a lui, tenendosi le mani dietro la schiena. Poi si ferma guardandolo fisso.
“Il mio nome è Nasir Sayf Al-Islam e questa è la mia sede operativa.” Non vedendo nessuna reazione, Nasir spalanca le braccia, mostrando il suo impero. “Benvenuto ad Al-Qaida, Richard Castle.”
Lo scrittore sta cercando di far mente locale, ma non riesce proprio a ricordare dove ha visto il giovane. Forse, conclude, è uno dei giovani terroristi che non si vedono mai in televisione, per questo non lo ricorda. Eppure il suo nome gli è familiare.
“Il mio arabo è scarso, ma Sayf Al-Islam vuol dire... la spada dell’Islam? Nome originale.” Dice, facendo una smorfia per stuzzicarlo.
Nasir ha capito tutto e fa una risatina nervosa, portandosi le mani a mo’ di preghiera davanti la bocca.
“E’ per questo che ho scelto te, Rick. Il tuo senso dell’umorismo è prezioso e geniale.”
Un brivido percorre Rick, mentre Nasir parla come il dottor Frankenstein che guarda la sua creatura.
“Non hai risposto alla mia domanda. Cosa volete da me?” adesso Rick sente di cambiar tono della voce, quindi diventa serio e si muove al suo ritmo, per averlo faccia a faccia.
Il giovane capo è intelligente e nota che lo scrittore è agitato e sta guadagnando tempo facendogli delle domande. Sembra conoscere bene chi ha davanti, e del resto glielo aveva detto: aveva letto i suoi libri.
“Hai paura, e lo capisco. Ma la mia richiesta è semplice.”
La gocciolina di sudore attraversa metà faccia dello scrittore. In quel lasso di silenzio, gli addetti ai computer non hanno smesso un attimo di battere i tasti.
“Ti ascolto.”
“Convertiti all’Islam, e non ti sarà fatto niente, e lascerò la tua famiglia in pace.”
La risposta arriva chiara e decisa, senza giri di parole. Nasir sa quello che vuole, ma non sarebbe a capo di una delle più grandi organizzazioni terroristiche se non avesse un carattere forte e non sapesse trattare con gli ostaggi o i suoi alleati.
Ecco dunque che ricorda dove ha sentito il suo nome.
Qualche mese fa, prima che il senatore Bracken venisse arrestato, Rick e Kate stavano seguendo anche una pista terroristica per l’omicidio di sua madre, poiché la detective era convinta che l’omicida di sua madre potesse essersi ingraziato una di queste potenti cellule per la sua corsa alla Casa Bianca. Tra i file di ricerche che erano spuntate fuori, c’era anche il nome di Nasi Sayf Al-Islam, ma era di sfuggita. Un nome lasciato lì al caso.
Si morde la lingua, pensando che quel giorno avrebbe fatto meglio a leggere di più su di lui, ma per quella volta aveva dato retta al suo istinto e aveva accantonato l’ipotesi terroristica.
“Perché dovrei farlo?”
Il giovane sorride, sicuro di sé. “Te l’ho detto, è semplice. Voglio dimostrare che la nostra organizzazione è in grado di piegare gli Stati Uniti alla nostra religione. Nel tuo paese ti amano, hai molti sostenitori, quindi sarà, come dite voi, un gioco da ragazzi convertire gli americani.”
Certo, è una cosa facile, perché non ci ha pensato prima. Rick Castle, genio dell’inventare teorie strampalate e complottistiche, non ha pensato alla più semplice delle ipotesi: una conversione per diventare una macchina da guerra e sacrificarsi per il bene della sua famiglia. Gli sembra una bella cosa per cui morire. Fa una risatina, scacciando il pensiero, ma subito torna serio.
Nasir non sta scherzando, e anche Rick capisce di non avere altra scelta, e sa che sarà inutile porgli la domanda seguente.
“E se io mi rifiutassi?”
L’altro fa la stessa risatina di Rick, ma senza coglierlo di sorpresa. Passeggia con le mani congiunte in preghiera. Aveva previsto tutto, anche questa domanda. Si ferma davanti allo scrittore, pochi centimetri dalla sua faccia.
Gli occhi scuri lo scrutano come a leggergli l’anima.
“In caso contrario ucciderò la tua famiglia e farò esplodere il Dodicesimo. Fidanzata detective compresa.” Conclude con un sorriso d’intesa che però mette paura a Castle.
Nasir aveva previsto anche questo.
 
È tornata al lavoro solo per distrarsi, e i suoi colleghi lo sanno, perché è dalla mattina che non parla e preferisce starsene per conto suo a leggere e scrivere. Ha raccolto i capelli in una cipolla, poi gli ha sciolti, dopo li ha di nuovo tenuti assieme aiutandosi con una penna. È in continuo movimento, bisognosa di trovare una pace interiore.
Javier e Kevin, seduti vicino alla postazione di Kate Beckett, si lanciano un’occhiata, per nulla entusiasti dalla situazione.
L’irlandese si intrattiene davanti al computer. Il GPS di Castle è stato disattivato e neanche la più esperta informatica del Dodicesimo è riuscita a localizzare lo scrittore con una delle sue moderne tecnologie. Kevin sbuffa, portandosi le mani dietro la testa. Questo non è un buon segno. Senza cellulare, i detective non hanno alcun modo per rintracciarlo.
Poi il monitor s’illumina, e compare una lucetta rossa in basso a destra, è quella degli avvisi della mail. Kevin chiama Javier con un gesto della mano, e senza staccare gli occhi dallo schermo, va ad aprire il messaggio.
La fonte è araba.
Il contenuto della busta è un filmato. Tre uomini in piedi impugnano dei kalashnikov, tutti col volto coperto, posizionati davanti un muro bianco con una scritta, in arabo anche questa. Vicino a loro, inginocchiato, c’è un uomo incappucciato, di corporatura robusta, con una camicia viola. Pur non essendo esperti linguistici, i due detective capiscono il senso del messaggio.
Javier chiama Kate con un fischio, che si alza dalla sedia come un razzo.
L’audio è impossibile da decifrare, al contrario dello sguardo terrificato di Beckett. La detective si porta una mano sulla bocca cercando di non urlare.
Il cappuccio viene sollevato, rivelando il viso dell’uomo.
Quell’uomo inginocchiato, al quale stanno puntando i mitra, è Rick.
La temperatura si alza, le immagini intorno a lei iniziano a girare e le voci si accavallano in maniera confusa.
“H-ho bisogno di aria.” Riesce a dire, prima di camminare traballante verso il bagno.
Kevin e Javier si guardano ed entrambi sanno di non aver bisogno di parlare.
 
Il detective Ryan, seguito da Esposito, posiziona il suo portatile sulla scrivania ordinata del capitano Gates.
La donna, conosciuta per essere una lady di ferro, sente crollare le sue certezze di fronte quel video. Con gli occhiali indica la persona inginocchiata, e sena dire nulla, alza lo sguardo verso i due detective.
“Sì, è Richard Castle, capitano.”
“Questo è appena diventato un caso di portata internazionale.” Con la mano sposta il computer per raggiungere il telefono. Pensierosa, poggia i gomiti sul tavolo, reggendosi la testa tra le mani.
“Cosa dobbiamo fare?” chiede Javier.
“Dobbiamo chiamare la CIA e l’Interpol, che mandino un interprete e i loro migliori agenti di terrorismo internazionale. Da solo, il Dodicesimo non può far nulla.”
Compone qualche numero, restando a fissare l’immagine dello schermo. Uno degli uomini incappucciati, ha tolto il velo su Castle, rivelando un volto dimagrito, pieno di lividi, e provato dello scrittore. La Gates deglutisce e inizia ad agitarsi appena il telefono comincia a squillare.
 
Chiusa nel bagno, Kate è come Rick se la stava immaginando: accasciata a terra, piangente, un volto coperto dalle lacrime.
Si rende conto che non piange da una settimana, proprio dal giorno in cui lui è stato portato via, e vederlo in quello stato, in pericolo e da solo, ha scatenato in lei una fragilità nascosta e un senso di impotenza.
Tiene le mani contro la porta del bagno, la testa abbassata, e lentamente si lascia andare, scivolando sempre più giù, fino a quando abbraccia il suo corpo.
Lo sguardo fisso in avanti, chiedendosi quando quest’incubo finirà.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Capitolo incentrato su Rick in cui veniamo a sapere dove è stato portato, da chi, e perché è lì...
Il nostro cattivone ha dei piani ben precisi, e mi sa al nostro Castle tocca accettare la sua parte, se non vuole che i suoi cari se la passino male :(
Kate, invece, è disperata, piange... proprio come lui l'aveva immaginata.
Per lei l'incubo è appena iniziato :(
I nomi sono di fantasia, il banner fa schifo... non sono abituata al programma e mi ci vuole un po' XD
Grazie mille a chi mi segue, non posso dirvi altro per ora :p
Alla prossima!
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Scontro interiore ***


                                               


Cammina con passo felpato, e l’unico rumore è determinato dai suoi tacchetti neri e dalla sua parlantina sbrigativa e autoritaria. I tre agenti dell’Interpol inglese fanno fatica a starle dietro. Ha voluto incontrarli personalmente, sentirsi in prima linea e informarli sul caso, ma si è resa conto che loro sanno più cose di lei.
Quando si era messa in contatto con l’ufficio dell’Interpol degli Stati Uniti, l’impiegato le aveva passato quelli di Londra, per via del loro capo, l’agente Mike Jones, che aveva già catturato diversi terroristi nel corso della sua carriera ventennale. La preoccupazione per la Gates era la lingua; gli inglesi, con i loro termini tecnici, forse si sarebbero trovati male davanti alle maniere più brusche e irruente della polizia americana, specialmente quella di New York. Tuttavia, la Iron Lady ci teneva a fare bella figura, quindi aveva invitato i suoi agenti alla bella presenza.
Gesticola, attraversando il corridoio, venendo poi interrotta proprio dall’agente Jones, che la ammonisce con una mano. Posa le mani sui fianchi, rivelando il distintivo della polizia internazionale del Regno Unito, e qualche altra firma dei suoi incarichi, poi si gratta la testa per un attimo, come se cercasse di fare un riassunto su quanto Victoria Gates avesse detto.
“Capitano, mi faccia capire. Mi sta dicendo che ha mobilitato la polizia internazionale perché un suo collega è stato rapito da dei terroristi, di cui lei e la sua squadra non sapete il nome?”
La Gates lo fissa e solo in quel momento si rende conto della sua altezza. L’agente inglese arriva al metro e novanta, occhi azzurri, capelli corti tagliati accuratamente e sguardo indagatore.
“Richard Castle non è un poliziotto. È, chiamiamolo così, un consulente,” sospira pensando proprio allo scrittore, e per una volta deve ringraziare di non averlo tra i piedi perché lo sta difendendo. Anche se avrebbe immaginato una situazione diversa per non avere Castle al Dodicesimo.
Mike alza un sopracciglio stupito, poi rivolge un’occhiata ai suoi due colleghi, che si stanno guardando intorno, in particolare rivolgono lo sguardo sulle scrivanie disordinate di Ryan ed Esposito.
“Magari il gruppo terroristico di cui mi parlava è Al-Qaida? Ha detto di avere un video?” continua Jones, ignorando le occhiatacce tra i suoi colleghi e i due agenti del Dodicesimo.
“Sì, ma non siamo in grado di tradurlo, per questo ci aspettiamo un traduttore dalla CIA per capirne il messaggio. Intanto vi presento la mia squadra, anche se non sembra ci sia bisogno di presentazioni...” il tono di voce della Gates va scemando appena volge lo sguardo verso Kevin e Javier.
I due detective si sono alzati e messi davanti le proprie postazioni con le braccia incrociate. Stanno guardando i due agenti inglesi con superiorità, come a voler marcare il territorio. Mike si schiarisce la voce, distogliendo gli occhi da quella scenetta appena uscita da un film gangster.
La Gates riconosce il passo da fuggitiva di Kate, che se la sta dando a gambe dietro di lei, quindi la blocca afferrandola per il braccio, prima che possa indugiare oltre.
“Agente Jones, lei è la detective Kate Beckett, una delle migliori del Dodicesimo.”
L’inglese la squadra, studiandola. Indossa una semplice camicia di cotone rosa, i capelli lasciati sciolti, jeans, e in mano regge una cartellina. Probabilmente era già pronta a mettersi al lavoro indisturbata prima che la Gates la fermasse. Kate si sente in soggezione, e rotea gli occhi verso una possibile via di fuga, ma la Gates è lì a fulminarla con gli occhi, come a ricordarle della bella figura davanti la polizia internazionale.
“E’ un piacere conoscerla,” dice infine, voltandosi verso di lui. Abbozza a stento un sorriso pieno di tensione, e allunga una mano verso di lui.
Mike ricambia con una stretta forte e decisa. Anche lei è visibilmente stupita dall’altezza dell’agente, soprattutto perché è alto quanto il suo Rick.
Quindi lo vede lì davanti a lei, che le sorride.
Batte le ciglia tornando alla realtà. Rick scompare tra nuvole di fumo e il distretto torna a popolarsi di agenti a lei sconosciuti. Mike ha già ritirato la mano e accanto a lui ci sono i due colleghi.
“Questi sono Owen Rodriguez e Sonny Preston...”
“... che hanno già fatto conoscenza con i detective Kevin Ryan e Javier Esposito...” il tono della Gates è da rimprovero verso i suoi detective. E anche il suo sguardo è glaciale appena incrocia i loro occhi. Il capitano ha assistito alla scena.
Come Kate stringe la mano anche ai due agenti inglesi, non può fare a meno di notare la sottile somiglianza coi due bro.
Owen Rodriguez è affascinante, robusto, anche lui coi capelli tagliati alla perfezione – sembra un vizio degli inglesi essere sempre impeccabili nell’aspetto – e ha i lineamenti di un uomo dell’America del Sud, proprio come Javi.
Sonny Preston è tosto come il suo collega, solo più basso rispetto a Rodriguez e Jones, e ha l’aria di uno che ha bisogno sempre di una spalla durante le missioni, ma che sa sempre prendere tutto sullo scherzo. Forse in fondo a quell’aspetto da duro si nasconde un cuore tenero, come il suo amico Kevin.
Mentre la Gates prende la cartellina tra le mani di Kate per mostrarla a Mike, Beckett non si accorge che anche i due agenti inglesi la stanno fissando per studiarla.
Vede Sonny puntarle il dito contro e rimpicciolire gli occhi come per mettere a fuoco. Lo sguardo poi si amplia e il dito prende a tremare.
“Aspetta un momento... lei è Nikki Heat?”
Infastidita, Kate sobbalza, incalzando. “Scusi?”
Il capitano e l’agente Jones alzano gli occhi verso di loro. Mike si rimette nella posizione stile interrogatorio, con le mani sui fianchi.
“Chi?”
“Ma sì, capo, la protagonista dei romanzi di Richard Castle... è a lei che si è ispirato per i suoi libri, vero?” fa Owen, ridacchiando tra sé, e punta anche lui il dito verso Kate, facendola arrossire.
“La focosa agente Heat.” Ribatte Sonny, e stavolta il tono è dei più maliziosi possibili.
Kate alza lo sguardo e si sente avvampare. È mai possibile che tutti devono vedere in lei solo Nikki Heat, la protagonista dei romanzi di Castle?
La Gates fa per dire qualcosa, ma la sua detective l’anticipa. Si passa svogliatamente una mano tra i capelli, poi si volta verso l’agente Preston, mordendosi il labbro inferiore. L’irritazione la sta consumando.
“Il mio nome è Kate Beckett, non Nikki Heat. Nikki Heat è solo un personaggio fittizio.” Sentenzia, e adesso è Sonny a sentirsi piccolino di fronte a lei. L’altezza già non lo aiuta molto. “Credo che lei abbia problemi a distinguere la realtà dalla finzione.”
L’agente Jones, che ha osservato la scena, volge un’occhiata alla cartellina che la Gates gli stava mostrando. Richard Castle, l’uomo rapito da un gruppo terroristico, ovvero il ‘consulente’ scrittore del Dodicesimo, è in prima pagina. A giudicare da come Kate si è agitata a parlare di lui e da come lo ha difeso, Mike non deve indagare oltre per sapere come stanno le cose. Chiude la cartellina di scatto e fa una risatina di chi la sa lunga.
“Ora è chiaro il motivo per cui la detective Beckett vuole partecipare in prima linea al rapimento del signor Castle.”
“Che intende dire?” ringhia Kate, subito bloccata dall’occhiata della Gates che le intima con lo sguardo di lasciar stare. La detective, pur vedendo il suo capitano, la ignora. Fissa l’agente inglese, incrociando le braccia al petto. “Agente Jones, con tutto il rispetto che nutro per il suo lavoro e la lotta contro il terrorismo, credo che lei mi abbia sottovalutata. Inoltre non mi conosce per niente e ha espresso un giudizio basandosi su ciò che legge sui giornali.”
Hanno iniziato un siparietto che mette a disagio gli altri agenti.
Javier e Kevin abbassano lo sguardo tornando ai loro affari, Sonny e Owen fanno lo stesso, voltando le spalle e camminando lentamente per il distretto, la Gates, invece, resta a guardare di sottecchi, fingendosi indifferente e interessata allo stesso tempo. Mike avanza di qualche passo verso la detective. La camminata tranquilla non sembra presagire qualcosa di buono. La sfiora con il dito ma Kate resta a fissare i suoi occhi azzurri, tanto simili a quelli del suo scrittore. Con la differenza che quelli di Mike sono freddi come il ghiaccio.
“Lasci che le dica una cosa. Come agente dell’Interpol da vent’anni ne ho visti di casi difficili e conosco persone come lei. È normale che non la ritengo adatta per questo tipo di indagine di livello internazionale. Lei è coinvolta emotivamente.”
Kate si sente colpita nella parte più fragile. Il suo cuore. I suoi sentimenti.
Si morde il labbro perché è evidente che l’agente inglese ha ragione, e non si aspettava di essere così trasparente quando si tratta di Castle.
È davvero così innamorata di lui che ormai glielo si legge in faccia. Il rossore è appena accennato sulle guance e gli occhi le brillano appena sente il suo nome. Si passa la lingua sulle labbra, inumidendole, e parla nel modo più tranquillo possibile.
“E va bene. Richard Castle ed io siamo fidanzati, e stavamo per sposarci quando è stato rapito da quel gruppo terroristico.”
Lui la guarda scuotendo il viso, nascondendo la stessa risatina di prima mentre si passa una mano sulla testa. Un’espressione di incredulità si dipinge sul suo volto.
Kate lo fissa a sua volta, sentendosi presa in giro.
“Vede che non ci siamo capiti? Quel gruppo terroristico potrebbe essere benissimo Al-Qaida. Stiamo parlando della più grande organizzazione terroristica al mondo.”
“Mi lasci finire. Non so cosa abbia letto di me sui giornali, ma io non sono quel tipo di detective che approfitterebbe della fama per far soldi. Non so se è informato, ma sono riuscita a catturare il senatore Bracken, accusato dell’omicidio di mia madre, prima che lui diventasse presidente degli Stati Uniti grazie ad elezioni basate sulla falsità.”
Mike non riesce a trattenersi. O meglio, non riesce a capirla del tutto. O forse è lei che non riesce ad accettare il modo di vedere dell’agente inglese.
Lui alza gli occhi al soffitto. “Ci risiamo,” dice cantilenando, poi le rivolge un’occhiata che a lei non piace. Non è uno sguardo malizioso, neanche di disgusto, piuttosto la squadra dall’alto in basso come a farle notare che lei è una donna ed è capo della polizia. “Anche in quel caso era coinvolta emotivamente. Per carità, è stata una gran bella cattura, tanto di cappello per una come lei.”
“Una come me?!” Kate alza il tono di voce imprecando contro di lui. Guarda i suoi occhi azzurri, impenetrabili e freddi, non riuscendo a scorgere un briciolo di emozione, come se ci fosse un velo davanti che gli impedisca di comportarsi da un essere umano.
“Mi scusi, ma capisce che l’agenzia inizierà a chiedersi come ha fatto una donna attraente come lei a finire sulle prime pagine dei giornali.”
Le voci sono più alte del normale, e nonostante Javier, Kevin, ma anche Sonny e Owen, facciano finta di non sentire, diventa inevitabile.
A quel punto, Victoria Gates sente il dovere di intervenire, e lo fa facendo segno a Kate di spostarsi con lei verso l’entrata del Dodicesimo. Il capitano, con il telefono vicino l’orecchio, sta parlando con il suo interlocutore e procede in direzione di Javier e Kevin per chiamare anche loro a raggiungerla.
Kate spalanca la bocca a sentire quelle parole, quindi sbraita e dà le spalle a Mike. “Questo è offensivo. Non intendo parlare ancora un altro minuto con lei.”
“E con chi vuole parlare?” le chiede Mike, ma lei si sta già incamminando verso l’uscita.
Si volta solo per rispondergli, allargando le braccia, e mantenendo il passo all’indietro come un gamberetto.
“La CIA, per esempio? Sicuramente i loro agenti saranno più educati di voi inglesi.”
Lui si tocca il cuore con la mano destra e la guarda con la testa inclinata dalla sua parte. “Oh, adesso ferisce me.”
“I miei saluti, agente Jones.”
Beckett torna a respirare con il cuore che le batte all’impazzata per la rabbia. Sta già odiando quell’agente inglese e non pensa che la collaborazione tra Interpol e polizia di New York potrà portare buoni risultati. Si tortura le mani, che passa prontamente in mezzo ai capelli, per darsi una sistemata.
Cammina dietro alla Gates, che guida Esposito e Ryan verso l’entrata del Dodicesimo.
Fermi sull’uscio, il capitano chiude la conversazione telefonica e poi fa segno ad una grossa auto cilindrata che si ferma proprio davanti al distretto.
La macchina blu scuro ha i vetri oscurati e due bandierine degli Stati Uniti su entrambi i lati del parabrezza.
La donna che viene fatta scendere dal sedile posteriore, aiutata dall’autista, è impegnata a mantenere in equilibrio l’ammasso di fogli sotto il braccio, e il cellulare in mano. Bionda, tiene i capelli raccolti in una coda di cavallo, una maglietta viola dalla quale spunta la camicetta, e dei jeans. Poco trucco sul viso, ad occhio e croce, ha la stessa età di Beckett.
Javier e Kevin scambiano un’occhiata curiosa con Kate che è dietro di loro.
Dall’altro lato della macchina, scende una ragazza che sembra uscita da un college americano prestigioso. Mora, con colpi di sole ai capelli ondulati, camicetta a quadri colorata, giacchetto grigio e un paio di pantaloni scuri. Aiuta la donna bionda a reggere i fogli, mentre con un colpo di spalla, manda dietro la schiena la borsa costosa di Prada. La bionda incrocia lo sguardo della Gates, mentre la mora congeda l’autista, che riparte indisturbato.
“Sì, tutto apposto, capo. Siamo arrivati. La terrò aggiornata.”
Un luminoso sorriso compare sul volto di quella che sembra un membro della CIA, a giudicare dalla targhetta sul lato destro della maglietta.
“Mi hanno detto che avete già conosciuto Mike Jones e i suoi scagnozzi. Sono un trio di rompipalle, ma sono anche professionali.” Spigliata, la bionda sembra già essersi conquistata la simpatia di Beckett e la sua squadra, che annuiscono. Guarda la ragazza mora accanto a lei, alla quale lascia anche la sua cartellina. La giovane, impacciata, tra fogli e borsa, non sa come destreggiarsi, quindi viene aiutata da Kate, che prende i fogli al posto suo, facendole un sorriso.
La bionda allunga la mano verso la Gates, sfoggiando un braccialetto d’oro al polso destro. “Christina Finch, alto funzionario della CIA ed esperta in terrorismo, ovvero lavoro a stretto contatto con il nostro Presidente.” Fa segno scuotendo il cellulare, ancora alla mano, facendo intendere di aver appena parlato con lui. Ripone il telefono nella tasca del jeans, e senza guardarla, muove il braccio verso la giovane accanto a lei, cominciando a gesticolare, “Hayley Soderbergh, giovane traduttrice di lingue orientali della sezione. Non so come faccia a sapere arabo ed ebraico e parlarli come se niente fosse. Per me altro non sono che...”
“... scarabocchi.” Conclude la Gates, raggiante.
Le due donne si scambiano uno sguardo d’intesa, seguito da un sorriso sornione.
Christina schiocca le dita proprio davanti a lei. “Esatto, capitano!”
Avendo finalmente una mano libera, Hayley Soderbergh saluta tutti con un gesto circolare della mano, sorridendo impacciata.
“Salve, è così fantastico conoscervi! Ho sentito tanto parlare della detective Beckett e della sua squadra! Sapete, traduco tutto il giorno quindi la sera mi rilasso con l’iPad, ascoltando musica, vedendo qualche film e leggendo news, quindi...” lascia cadere lì la frase, appena si rende conto che la stanno fissando senza dire una parola.
Christina rotea gli occhi e le fa segno con la mano.
“Bene, mettiamoci al lavoro. Andiamo, Hayley.”
Prende la giovane traduttrice sottobraccio, come se fosse una sua vecchia amica, si carica le mani di fogli e della cartellina, e torna a gesticolare.
Javier, Kevin e Kate guardano le due introdursi nel Dodicesimo, quasi stessero a casa loro.
“Quella Finch mi ricorda tanto qualcuno che conosciamo.”
“Già, concordo, Esposito.”
“Ricordate di non farmi fare brutta figura. Il governo ci guarda!” la voce sorniona della Gates che passa davanti al trio, li fa drizzare, mettendoli sull’attenti.
Appena si sono assicurati che il loro capitano sia a dovuta distanza, i tre tornano a guardarsi.
“Ecco chi mi ricorda.” Esclama Esposito, scatenando una risata da parte di Ryan e Beckett.
 
Lontano miglia, si è tenuto in vita grazie ad un pensiero fisso: Kate.
Il solo immaginare il suo volto, pensandola felice e raggiante come lo era il giorno del suo matrimonio, gli ha dato speranza di poterla rivedere, un giorno.
Quando aveva rifiutato l’offerta di Nasir, era stato immediatamente sbattuto in una cella, ancora più piccola di quella dove era stato confinato giorni prima. Stretta appena da contenere il suo corpo disteso. Gli era stato concesso un solo pasto al giorno, e poca acqua, e dato le temperature elevate del luogo, e visto che la sua cella era stata posizionata in direzione del sole, bere significava restare vivi. Una punizione per il suo rifiuto, aveva spiegato Nasir, ammiccandogli, e mostrando quel falso sorriso. Come se torturare qualcuno fosse stato un comandamento all’ordine del giorno. Non gli fu concesso il lusso della parola, solo quella del posto, una lingua a lui sconosciuta, se non le semplici frasi di benvenuto e di ringraziamento. Le basi elementari che si imparano quando si studia una nuova lingua. Era questo il trattamento che riservata Al-Qaida a chi si ribellava?
Tuttavia, c’è qualcosa che lo turba.
Nasir lo vuole vivo, altrimenti lo avrebbe legato fuori di fronte al sole, e avrebbe lasciato che le carogne si nutrissero del suo corpo.
Kate, ti amo. Tornerò da te.
Le parole gli fanno eco nella testa, la quale gli fa brutti scherzi, perché immagina la sua musa davanti a lui, con indosso l’abito da sposa, che gli tende le mani. Lui allunga la sua per raggiungerla, ma l’immagine svanisce appena una secchiata d’acqua lo raggiunge.
L’uomo messo di guardia, coperto al viso e con una mitra a cingergli la spalla, lo guarda accigliato. Si toglie il panno dalla bocca e parla in un inglese stentato.
“Il capo vuole sapere se hai ripensato alla sua offerta.”
Abbozza un lieve sorriso ed è strano come anche nelle situazioni più estreme, la sua fantasia da scrittore voli leggera e spensierata.
Se vuole rivedere Kate, ha solo una cosa da fare. Cedere al lato oscuro, proprio come Anakin Skywalker aveva fatto per proteggere la sua amata Padme.
Si alza da terra, aiutandosi con le mani e mostra un viso segnato dal mal nutrimento, occhiaie per il poco sonno, segni e cicatrici sul volto. Guarda serio la guardia, stringendo le sbarre con entrambe le mani.
“Sì, ci ho pensato. Portatemi da lui.”
Viene fatto uscire, strattonato a destra e a sinistra. I suoi vestiti sono ridotti a uno straccio, e ha bisogno di una doccia perché emana un cattivo odore.
Sfoggia un sorriso cattivo, immaginando di essere l’eroe della saga di Guerre Stellari, appena entra e inquadra Nasir.
Il giovane capo di Al-Qaida è seduto su una poltrona ricamata in oro, e poggia i piedi su un sofà, corredato con il resto dell’arredamento. Lo sguardo è rivolto verso la televisione, un maxi schermo, mentre guarda un cartone animato in lingua orientale. Rick è quasi sorpreso e nel viso compare un velo di tenerezza nel vedere uno degli uomini più ricercati al mondo mentre vede un programma per bambini. Nasir apre la bocca senza voltarsi.
Said, mi hanno detto che hai finalmente deciso.” Spegne la televisione, e stavolta lo guarda. Le mani sono incrociate come se stesse pregando, e gli occhi scuri magnetici lo attirano come calamita. “Ebbene?”
Rick sa che ha due possibilità, e deve sceglierle bene se vuole sopravvivere. Morire da eroe, o vivere da cattivo.
Esita, e si mangiucchia il labbro inferiore, ricordando le parole esatte. Poi guarda fisso Nasir, che è impaziente e lo incita con lo sguardo.
Finalmente parla, dopo due giorni in cui gli era stato proibito. Le parole giungono rauche per via della poca acqua che gli è stata concessa, ma il giovane musulmano le comprende benissimo.
Allahu Akbar.
Nasir sorride, soddisfatto. Un ghigno cattivo compare sul suo volto. Come un bambino che ha ottenuto quello che vuole.
Allahu Akbar, saidi.*
 

*Dio è il più grande, amico mio.

Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Come vi avevo annunciato, ecco l'invasione degli ultracor--- ehm degli agenti...
Già potete trarre le vostre prime ipotesi su di loro, e mi auguro di avervi almeno dato un'idea sul loro carattere (le foto vi aiuteranno u.u)
Rick lo lasciamo un po' in disparte da adesso, ma attente a raccogliere ogni minimo dettaglio sulle sue prossime apparizioni ;)
Un grazie infinito per seguire questa povera squillibrata di mente :p
Alla prossima,
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il nuovo mondo ***


                                                      
 

La donna stringe le mani della detective, infondendole fiducia e speranza.
L’altra ricambia con un sorriso bonario.
Martha Rodgers capisce giorno dopo giorno il motivo per il quale suo figlio Richard si è innamorato di quella donna.
Kate Beckett è una donna forte, ma che nasconde una grande fragilità interiore. Sa che quando la parte più debole – il cuore – viene colpito, lei crolla emotivamente, ma ha anche il coraggio di rialzarsi da sola, con tutte le sue forze.
Le quattro mani si stringono, come a suggellare un patto. Anzi, una promessa.
“Ti ringrazio per averci avvisate, Katherine.”
Vede nei grandi occhi di Martha, quelli di una madre disperata, che non ha idea di dove si trovi suo figlio.
La detective ha avvisato lei e Alexis con grande premura, ma allo stesso tempo è stata diretta, senza giri di parole. È il suo lavoro, ma si tratta anche della sua famiglia, quindi perché mentire? Alla notizia “Castle è stato rapito da un gruppo terroristico, sospettiamo sia Al-Qaida”, Martha si era portata una mano davanti la bocca, per evitare di gridare, mentre con l’altra si era aggrappata alla prima cosa che aveva sotto mano. Una sedia.
Alexis, la più forte, aveva sorretto sua nonna, aiutandola a sedersi, sebbene la diva avesse rinunciato. Orgogliosa e cocciuta, Kate aveva notato un leggero rossore sul viso di Martha, come se si vergognasse nel farsi vedere in quelle condizioni, come ‘una comune mortale’.
Strano come in situazioni del genere, la vita ci ricordi che anche le persone più felici e solari siano umane come tutti gli altri.
Tiene ancora le mani strette a quelle di Martha, e sente di non volerle mollare. La madre che le è mancata è davanti ai suoi occhi. La guarda fissa, poi volge lo sguardo anche su Alexis. “Vi giuro che vi informerò su eventuali sviluppi, anche se il governo dovesse dirmi di stare zitta.”
La giovane Castle tocca il braccio di Kate, e le dice preoccupata, “Non metterti nei guai.”
“Alexis, tuo padre è la mia priorità adesso. E ad ogni costo, giuro che lo ritroverò, te lo prometto. Ve lo prometto.”
 
Quando Kate varca la porta del suo distretto, sente un’aria nuova. Camminando, infatti, scopre dei cambiamenti. La coda di cavallo le va da una parte all’altra, scatenando un sorriso mentre incrocia un addetto ai computer, che lei non ha mai visto.
Si ferma all’entrata, dopo essere uscita dall’ascensore e un brivido la percorre. Stringe le spalle, chiuse nella sua giacca di pelle e osserva il movimento.
Le scrivanie sono state disposte in file ordinate, vicine tra loro, e su ognuna di esse è stato posizionato un computer. Niente scartoffie in giro; esse sono state sostituite dai tablet. Un maxischermo è stato posizionato al centro del salone grande.
Kate inclina la testa mentre un’aria di tristezza l’avvolge. Il distretto si è trasformato in un centro governativo. Ovunque, ci sono stemmi della CIA e dell’Interpol, come se la loro presenza non fosse già stata sentita il giorno prima.
Owen e Sonny, i due agenti inglesi, stanno sistemando le ultime cose prima di connettersi al computer centrale.
“Il Dodicesimo non è più lo stesso da quando il governo si è stabilito qui.”
Kate si volta verso Esposito, che guarda sospirando le attrezzature super tecnologiche della CIA e dell’Interpol.
Più avanti, Christina Finch, vestita come il giorno prima, è in piedi appoggiata a una scrivania. Sbadiglia tra un sorso di caffè e l’altro, e guarda davanti a sé la giovane Hayley che maneggia con la tastiera del suo computer. A giudicare dai loro aspetti stanchi e dagli occhi infossati, non devono aver chiuso occhio. Incollata allo schermo, la giovane traduttrice sembra stia leggendo e scrivendo, senza staccare lo sguardo.
Javier dà una pacca sulla spalla a Kate per darle coraggio a introdursi ‘nel nuovo mondo’, poi raggiunge un assonnato Kevin che poggia la testa sulla scrivania, facendo finta di essere sveglio.
La detective si fa forza e cerca la sua scrivania, ma storce la bocca quando trova Mike Jones seduto sulla sedia, posto occupato da Rick Castle, vicino alla sua solita postazione. Resta lì in piedi per un attimo. Lui pare non accorgersi della sua presenza, perché sta leggendo il giornale, forse unico strumento cartaceo presente al distretto. Kate continua a mostrare in broncio, infastidita dalla sua presenza e ripensa alla discussione avuta con lui il giorno prima.
Si siede e lo saluta a denti serrati. “Agente Jones.”
Lui risponde freddamente al saluto, senza guardarla, sfogliando una pagina del giornale. “Detective Beckett.”
Javier compare al fianco della donna, non curandosi dell’agente inglese. “Yo Becks. Tu come preferisci il caffè? Scusa, è che di solito a portartelo c’è sempre...” appena si accorge della presenza di Jones, che lo fissa, Esposito lascia la frase in sospeso, esitando.
Kate ringrazia l’amico silenziosamente per non aver completato la frase e gli rivolge un sorriso complice. “Latte scremato, con due spruzzi di vaniglia e zucchero di canna. Grazie.”
Si scambiano uno sguardo comprensivo. Javier sa quanto sia doloroso per Kate non avere Rick a portarle il suo solito caffè. Sanno che è un rito quotidiano immancabile e impossibile da spiegare a parole. Come un cane fidato, il portoricano fa un cenno del capo, facendole intendere di aver capito, e che non ha bisogno che lei aggiunga altro, poi se ne va.
Beckett resta lì, metabolizzando il momento. Il sorriso è ancora stampato sul volto. Jones, che ha guardato prima lui e poi lei, rompe il silenzio schiarendosi la gola e chiudendo il giornale sulla scrivania.
“Posso darti del tu?”
Kate fa spallucce, risvegliandosi dal momento di prima, e poi fa un cenno con la testa. Nota Mike che si sistema sulla sedia, appoggiandosi allo schienale, e lasciando che una mano tamburelli sulla prima pagina del giornale. Sposta lo sguardo altrove, come se evitasse di guardarla negli occhi. “Credo che ieri siamo partiti col piede sbagliato.”
Kate viene colta di sorpresa, e si sente a disagio. Copiando le sue mosse, si appiattisce allo schienale della sedia, allunga le gambe sotto la scrivania, e incrocia le braccia, e lo guarda divertita. “Come mai questo cambiamento di rotta?”
Mike continua a non guardarla, volgendo gli occhi ai computer dove Javier e Kevin stanno insegnando a Owen e Sonny a fare la mossa del ‘feed the birds’. L’agente inglese sospira e sputa fuori un rospo che deve pesargli parecchio. “Ci ho pensato stanotte, e ho concluso che ti ho giudicata senza neanche informarmi.”
Lui la sorprende ancora e lei si ritrova inconsciamente a toccare le guance, che sente avvampare. Il picchiettio delle dita dell’agente inglese sulla carta è diventato un rumore incessante, segno del suo nervosismo. Kate allenta la tensione con una battuta, “Hai passato la notte a pensare a me? Wow, che cosa carina.”
Mike non sembra cogliere l’ironia, perché rimane impassibile e poi sposta lo sguardo verso le sue dita, che smettono di tamburellare. “So come ci si sente quando qualcuno che ami sparisce all’improvviso. Ti senti responsabile e ti prende una gran rabbia perché non puoi fare nulla per salvare questa persona.” Stringe la mano a pugno e Kate si morde le labbra chiedendosi, a sua volta, se sia questo il modo in cui ci si sente quando un mattoncino del proprio muro viene buttato giù. Mike rilassa la mano, distendendo il palmo, quindi guarda Kate. “Spero accetti le mie scuse così che possiamo iniziare le indagini.”
Kate sobbalza senza farsi accorgere. Gli occhi color nocciola di lei stanno guardando la sua versione al maschile. Le linee delle labbra si inclinano verso l’alto formando un lieve sorriso. “Scuse accettate, agente Jones.”
“Quello è il mio computer! Hai trasformato il mio computer?”
Entrambi si girano verso la postazione dei computer principale. Kevin sta indicando il pc dove è seduta Hayley. Il dito dell’irlandese si muove tremolante, mentre gli occhi ne seguono le oscillazioni dall’alto al basso.
“Stai tranquillo, biondino.” Lo rassicura Christina Finch, usando il tono più tranquillo mai usato. “Hayley l’ha solo modificato con tecnologia della CIA. A fine lavoro, il tuo bambino tornerà come nuovo.” Non accenna a guardare il detective, concentrandosi sulla giovane traduttrice. Kevin resta lì con la bocca spalancata, senza ribattere. “Allora, dimmi che hai tradotto il messaggio.”
“Traduzione fatta, è stato abbastanza semplice.”
La risposta esaltata di Hayley fa avvicinare il resto dei detective e degli agenti, che circondano la ragazza. Sullo schermo del suo computer, Hayley ha aperto un programma di traduzione simultanea molto avanzato. Preme un pulsante con il mouse, e la traduzione appare anche sul maxischermo davanti a loro, in modo che sia visibile per tutti.
Hayley sente le parole di sbalordimento e di congratulazioni verso di lei, quindi si volta a metà in modo da trovarsi tra la scrivania e gli agenti a mo’ di semicerchio. “In realtà...” si schiarisce la voce per far sentire la sua presenza e ottiene l’effetto di avere il tono leggermente acuto. “Ogni giorno ci arrivano segnalazioni del genere, quindi sappiamo come gestire questi video.”
“E quanti di loro sono vere?” chiede Javier fissando il maxischermo.
“Informazioni riservate.” Dicono Christina e Hayley all’unisono.
Kate trattiene una risata coprendosi le labbra con la mano, mentre Javier guarda Kevin e parla a voce strozzata. Chiaro segnale che si sente preso in giro. “Certo. Ovviamente.” Borbotta gonfiandosi il petto.
Hayley ingrandisce la pagina dal suo pc mettendola per intero, ed ora il testo appare più grande.
“E’ un testo in arabo classico, quindi è stata una passeggiata.”
“Già perché tutti parlano arabo al giorno d’oggi.” Kevin incalza Javier con un’altra battuta, che però viene intercettata dalla Gates, accorsa come un fulmine alla notizia della traduzione del messaggio. Il capitano brucia l’irlandese con lo sguardo, il quale si scusa subito alzando una mano.
La traduttrice indica sullo schermo la prima frase del messaggio e inizia è spiegare come se stesse facendo un esame. “Questa è tratta dalla prima sura del Corano. Poi segue una frase con cui di solito i jihadisti iniziano a glorificarsi...” quando si volta a metà busto e si accorge che le persone del Dodicesimo la guardano con un grosso punto di domanda sui loro volti, Hayley prende un gran respiro comprendendo che non tutti sanno cosa stia dicendo. “Si chiamano jihadisti coloro che seguono la jihad, la guerra santa.”
Le reazioni del Dodicesimo sono impassibili. Kate, Kevin e Javier si guardano tra di loro alzando le spalle. La Gates rotea gli occhi.
Mike si siede sulla postazione vicino al computer di Hayley, incrocia le braccia e guarda nelle loro direzioni. “La jihad è un termine creato da Maometto con lo scopo di invogliare i suoi seguaci a diffondere l’Islam, ma adesso è diventata una scusa per fare guerre. I terroristi la usano in ambito militare.”
Tocca la spalla di Hayley facendole segno di iniziare la lettura del messaggio, e la giovane comincia a leggere.
 
In nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso.
Allah è grande e ci guarda con rispetto. Molti sono ancora coloro che non hanno abbracciato la nostra fede, l’unica e la sola luce che ci condurrà verso la gloria. Perciò, siate dei guerrieri e siate forti. Allah è generoso, e vi ricompenserà.
 
“Il messaggio prosegue parlando del prigioniero...”
 
Guardate miscredenti. Ammirate l’uomo occidentale e come si è ridotto.
Egli non crede alla possibilità di una morte per un sacrificio più grande; egli è corrotto dal bene materiale, un bene terreno temporaneo, niente in paragone alla gloria che riceverà da Allah per le cose buone che farà in nome suo.
Il nostro prigioniero è l’americano Richard Castle, lo scrittore di gialli. Sappiamo quanto l’America tiene ai suoi eroi famosi, quindi la richiesta di Al-Qaida è semplice: la conversione in cambio della sua liberazione. In caso contrario, le truppe dell’esercito di Allah, marceranno e bombarderanno in nome suo. Noi siamo un esercito che combatte, non ci nascondiamo come gli americani, al sicuro nelle loro trincee.
 
Quando Hayley pronuncia il nome di Castle, Kate ha un sussulto.
Posa una mano sul cuore, sentendolo fare un tuffo. Poi poggia i gomiti dietro una delle postazioni, e si regge con le mani al bordo.
Lentamente, fa dei piccoli respiri, lasciando che la voce di Hayley le entri nelle orecchie.
 
Abbracciate Allah, il suo Profeta, e il Corano, come vostra unica e vera rivelazione.
Aggredite colori che vi aggrediscono. Temete Allah e sappiate che Allah è con coloro che Lo temono.
Allah è il più grande, l’Islam è il prossimo.
 
La traduttrice si zittisce, mordendosi il labbro. Attende un attimo prima di sentire la voce squillante di Christina che si congratula con lei, senza però, tuttavia mostrare nessuna emozione. “Ottimo lavoro, come sempre, Hayley.”
La ragazza si volta verso la sua superiore e fa un sorriso sornione. “Grazie.”
Javier e Kevin roteano contemporaneamente gli occhi chiedendosi se al governo sono sempre così altezzosi e modesti. Owen e Sonny li notano e si danno gomitate tra loro. Il primo a parlare è il sudamericano con un forte accento cileno.
“Spero sappiate che si tratta di Al-Qaida, detective.”
La frecciatina è indubbiamente indirizzata ai due bro del Dodicesimo, che li guardano e sembrano grugnire.
La Gates interrompe il teatrino avanzando di qualche passo al centro. “Come intende procedere, agente Jones?”
Chiamato in causa, l’inglese si alza dalla postazione e incrocia le braccia al petto, abbassando gli occhi. Ha lo sguardo pensante prima di parlare.
“Attualmente il capo di Al-Qaida è il giovane Nasir Sayf al-Islam. Direi di partire su di lui.”
L’alto funzionario della CIA guarda il resto dei presenti alzando un sopracciglio. “Adesso inizierà a fare il sermone su quanto l’Interpol sia stata utile negli ultimi anni.” Si rivolge a Mike osservandolo di sottecchi. “Oh, per favore. Ricercate Nasir da anni, e ancora nulla.”
“Non che la CIA abbia fatto molti progressi, Christina.”
“Qui volano scintille...”
“E’ peggio di Beautiful...”
La Gates fulmina di nuovo Ryan ed Esposito con lo sguardo e li fa zittire all’istante.
“Però c’è qualcosa che non mi convince. Nel filmato non c’è traccia di un termine dei patti, del tipo ‘Se non vi convertite tra 48 ore, uccideremo l’ostaggio.’ O mi sbaglio?” la giovane traduttrice torna a picchettare col il dito sul monitor del pc, ponendo attenzione sull’intero messaggio terrorista.
Christina torna seria e poggia una mano sotto il mento, assumendo una posizione riflessiva. Poi spiega. “Hayley ha centrato il punto. Vuol dire che Richard Castle è un prigioniero di guerra e Al-Qaida sta collaborando con un altro gruppo jihadista.”
Quando il Dodicesimo non dice una parola e hanno tutti gli occhi spalancati, la Finch passa a guardarli uno a uno. Gli sguardi sono di coloro che non hanno la minima idea di cosa stia parlando.
Esasperato, Mike alza gli occhi al cielo, e spalanca le braccia, come per imprecare. “Nessuno qui ha studiato storia?”
Hayley alza la mano, ma deve abbassarla immediatamente quando si rende conto che la stanno fissando. “Oh, era una domanda retorica. Scusate.”
Mike guarda i suoi colleghi e con un solo cenno della testa cede loro il testimone. Owen si fa avanti, sistemandosi la cravatta e incrocia lo traiettoria di Kate che lo sta osservando. L’agente ha anche il tempo di farle l’occhiolino, ma la detective gira subito lo sguardo chiudendo gli occhi, disgustata. Owen prende posizione al centro e tiene una mano in tasca e l’altra aperta, con il palmo rivolto verso di loro, pronto per la spiegazione. “All’epoca di Maometto, avere dei prigionieri di guerra era considerato un bottino. Essi venivano restituiti alle tribù di appartenenza tramite ricatto, oppure diventavano schiavi, e in questo caso, la conversione all’Islam era una strada per ottenere la libertà.”
Sonny lo raggiunge, ponendosi vicino a lui. Quei due insieme sembrano un pezzo di ferro indissolubile, e Kate sorride lievemente guardando a come Esposito e Ryan hanno assunto la loro stessa posizione. L’altro agente mette entrambe le mani in tasca e si riallaccia alla spiegazione del suo collega, guardando i presenti uno ad uno, preoccupato. “Al-Qaida non opera secondo questa concezione.” Dice, e guarda prima il suo capo Jones, poi il funzionario della CIA Finch, e loro aggrottano le sopracciglia, come se potessero leggerlo nel pensiero. “Il gruppo predica e organizza da tempo lo jihad islamico, intesa come attuazione di attacchi terroristici condotti nei confronti di obiettivi occidentali, con l’obiettivo di porre fine all’influenza dei paesi occidentali sui paesi musulmani e con il fine di creare un nuovo califfato islamico.”
Il Dodicesimo si prende del tempo per assimilare le informazioni, e Kate deve reggersi la testa con entrambe le mani, sentendola scoppiare.
L’associazione del nome Rick con ‘prigioniero di guerra’ è già qualcosa che la fa uscire fuori di senno.
La Gates la guarda e sospira. Sa anche lei quanto sia dura questa situazione, e sa che è l’unica che può mantenere i nervi saldi e scuotere la sua detective ad agire come un funzionario di polizia, piuttosto che come fidanzata. Se infatti Kate si lascia andare al personale, le cose non finiscono mai nel verso giusto. Esita prima di dire qualcosa, poi mormora mezza parola, e infine pone la domanda.
“Okay, quindi chi sarebbe questo gruppo jihadista?”
 
Gli hanno fatto indossare una lunga tunica nera e in testa un copricapo bianco.
Come un soldato, è simile agli altri che come lui attendono di eseguire la shahada, il rito di conversione musulmana.
Deglutisce, tenendosi la gola prima con una mano, poi con l’altra. Sente il sudore da entrambi i palmi. Non è abituato a vestire in quel modo, ma ha dovuto abbandonare i vestiti da occidentale per calarsi nella parte di quel rito.
Davanti a lui, Nasir incrocia le mani davanti a sé e gli sorride, poi allunga il braccio invitandolo con un semplice gesto a fare come gli altri.
Lui sente la gola andargli a fuoco. Si alza la tunica, aiutandosi a mettersi in ginocchio al fianco delle altre persone, che, come lui, attendono l’inizio del rito di conversione. In precedenza, Nasir gli aveva spiegato che durante la shahada non era necessaria la presenza di qualche testimone affinché una persona sia ufficialmente musulmana, comunque essi erano necessari così da rendere pubblica la conversione e riceverne il certificato, anche se “Allah non ha certo bisogno del certificato per sapere che tale persona è musulmana. Egli è Onnipotente e conosce tutto.”
In quel momento, Rick sente di nuovo il groppo alla gola, chiedendosi se sia la cosa giusta da fare. E se non riuscisse a far credere loro di essere sincero sulle sue intenzioni? Loro l’avrebbero scoperto e avrebbero ucciso le persone che ama.
Silenziosamente, abbassa la testa sul pavimento, seguendo i movimenti degli altri, e poggia entrambi i palmi delle mani vicino al capo.
Nasir batte le mani una volta per richiamare l’attenzione, quindi le alza verso il cielo. L’impotente moschea risplende in tutta la sua ricchezza, e dalle vetrate colorate, dove sono dipinti con mosaici le imprese del Profeta, la luce accecante del sole fa filtrare i suoi raggi.
“Ripetete con me. Testimonio che non c'è divinità se non Allah e testimonio che Muhammad è il suo Messaggero. Testimonio e attesto che Muhammad è il Messaggero di Allah.”
Il gruppo ripete in arabo, e solo la voce di Rick è più bassa e lenta rispetto gli altri. Lui sta leggendo da un foglio dove la shahada è stata trascritta a caratteri latini. Non conoscendo la lingua, si è dovuto arrangiare in quel modo.
Lo scrittore chiude gli occhi, ripetendo quelle parole e cercando di essere più sincero possibile. La mente gli dice che deve essere ragionevole; lui non sarà mai un musulmano convinto, e se lo scoprono, per lui sarà la fine. Il suo cuore però gli sussurra e gli parla dicendogli che può farcela, quindi mente e cuore gli procurano una serie di immagini.
Sua madre e sua figlia che ridono nel loft.
Esposito e Ryan che fanno il feed the birds.
La Gates con l’aria di rimprovero, che poi scoppia in risate.
La sua Kate che gli sorride e lo bacia.
Alza lo sguardo e vede Nasir che ha ancora le braccia verso l’alto. Gli occhi chiusi e concentrati. Prende un gran respiro e abbassa le braccia.
“Dopo aver pronunciato tali testimonianze, bisogna purificare il corpo. Al vostro lato troverete delle docce appositamente per voi. Said,” il giovane ferma Rick con la voce, mentre il resto dei nuovi convertiti raggiungono le docce.
Gli poggia una mano sulla spalla, e lo sente tranquillo e rilassato. Rick è già entrato nella parte.
“So che per te è complicato per via della lingua, perciò ci vedremo domani per l’iniziazione alle preghiere e i movimenti da fare mentre si dicono.” Conclude con un sorriso che si intravede appena.
Quando molla la mano, lo scrittore prende un gran respiro e sente di nuovo i muscoli contrarsi.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Iniziamo ad entrare nel vivo della storia e lo facciamo attraverso gli occhi di Kate che vede il Dodicesimo trasformato completamente...
L'agente Jones ha addirittura chiesto scusa a Kate, mentre volano scintille tra i due bro e i due agenti inglesi... santa Gates che si mette in mezzo!

Ho cercato di spiegare ogni cosa del capitolo, quindi se avete qualche dubbio, chiedetemi pure :)
Come accennato, Rick comparirà poco, ma lo farà lasciando "un segno": qui l'abbiamo visto convertirsi. (non ho mai assistito ad un rito di conversione, ma me ne hanno parlato) Ce la farà il nostro scrittore ad essere convincente?
Nell'attesa di un vostro parere, la vostra poco sana di mente vi augura una buona season premiere di Castle <3
D.

ps: sono stata troppo cordiale nei ringraziamenti, non fateci caso: sto mandando più CV di prima nell'ultimo periodo O__O

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** L'assenza ***


                                            



Gira e rigira la tazza, mentre il caffè al suo interno ormai si è raffreddato.
Non ha senso bere quella bevanda in sua assenza, e si rende conto di quanto sia diventata dipendente a lui.
Alza la testa guardando il Dodicesimo trasformato in un altro posto che lei non conosce, mentre vede passare gente sconosciuta fino a pochi giorni fa, che si agita e corre da una parte all’altra come se si trovasse a casa propria, inseguendo l’ultima notizia, sperando che l’ultimo dettaglio sia quello decisivo; ognuno che si dà da fare a modo suo. Mike gesticola e dà gli ordini a Sonny e Owen; Christina è con un orecchio al telefono mentre comanda con un altro cellulare; Hayley è incollata allo schermo del computer, digitando frettolosamente, mentre sullo schermo appare un programma super tecnologico. Poi volge gli occhi su se stessa.
Una detective di alto livello che non riesce neanche a finire di bere il caffè senza il suo fidanzato.
“Un po’ di attenzione, gente.”
Gli agenti si radunano verso il maxischermo, dove Mike e Christina si sono posizionati ai lati.
L’alto funzionario della CIA dimostra di essere una donna di gran classe, dato il completo costoso che indossa. I capelli sono raccolti e il trucco non si è sciolto neanche un po’; Kate sorride più a se stessa, pensando che Christina Finch abbia superato Victoria Gates in quanto stile impeccabile. Anche osservare il nuovo mondo che prende forma intorno a lei, è un modo come un altro per distrarsi e non pensare al suo scrittore.
I rumori di Javier e Kevin che prendono posizione vicino alla scrivania di Kate, sposando qualche sedia, attirano l’attenzione degli altri, e i due detective sono costretti a scusarsi per l’ennesima volta. Kate immagina la Gates in piedi in un angolo, che si copre il viso con la mano in segno di imbarazzo, e probabilmente sa che è quello che sta facendo il capitano in quel momento.
Poco dopo giunge Lanie, spoglia del suo camice da lavoro, che si siede vicino l’amica prendendole la mano. Le sussurra qualcosa che equivale a un “Volevo esserci prima, ma il lavoro, sai com’è”. La dottoressa lascia una scia di profumo dietro di lei che ammalia anche i duri agenti dell’Interpol, soprattutto Owen Rodriguez, che resta quasi abbagliato dalla grazia con cui Lanie si sistema accanto alla detective, spostando con un semplice gesto i capelli dietro le spalle.
Dal monitor del maxischermo compare una mappa del globo dove è rappresentata metà Africa e la parte del Medio Oriente.
Un titolo, inequivocabile, che grida “I paesi in cui Al-Qaida e i suoi affiliati sono attivi.”
Mike si schiarisce la voce guardando Christina che si appresta ad afferrare una specie di bacchetta per indicare sullo schermo.
“Il cuore di Al-Qaida è in Afghanistan. Tora Bora è stato il nascondiglio del suo numero uno Bin Laden per circa vent’anni. È proprio lì vicino che si trova la sede amministrativa del gruppo terroristico. Tuttavia ultimamente sono stati visti degli scontri in Iraq da parte dell’Isis, e più di preciso a Fallujah e ad una città a nord, Saqlawiyah. Riteniamo che in uno di questi due posti possa nascondersi Nasir Sayf Al-Islam.” Si ferma un attimo per osservare la platea davanti a lei. Tiene la bacchetta con entrambe le mani, guardando seria e senza lasciare trasparire una minima emozione.
Una mano si leva in alto.
“Ritieni che Al-Qaida stia collaborando con l’Isis?” la voce di Kate si smorza all’istante, appena mente e cuore le fanno pensare al suo Rick travestito da soldato che combatte con dei guerriglieri in un posto che non è il suo.
Deglutisce con tanta forza da far sembrare che stia per scoppiare in lacrime. Invece è solo il cuore che le si è fermato in gola.
Christina e Mike si lanciano occhiate e non sembrano presagire niente di buono. L’agente inglese incrocia le braccia guardando prima ai suoi piedi, poi cercando uno sguardo di comprensione negli occhi di Kate.
“Sarò sincero, Beckett. Ho avuto a che fare con i terroristi per vent’anni, e ti posso assicurare che se un gruppo si allea con un altro lo fa per un solo scopo. Costringere con la forza alla conversione più occidentali possibili. E con la forza intendo con uso delle armi.”
“L’Isis è uno dei tanti che potrebbe fornire Al-Qaida con gli armamenti, ma non ne siamo ancora sicuri.” Interviene Christina.
Kate ringrazia i due con un cenno del capo e si accascia alla sedia, sentendosi più pesante di prima.
La Gates guarda la sua detective e poi l’agente Jones e la Finch. Inizia a sentire un nodo allo stomaco per il nervosismo.
 
Si sveglia consapevole di dover posizionare il tappetino a terra rivolto verso la casa del Profeta, e recitare la prima preghiera della giornata. Si sente goffo nel dover raggiungere un libricino, posizionato sulla scrivania vicino al letto della sua maestosa camera, dove è contenuta la lista delle cose che il neo musulmano deve fare.
Al contrario degli altri, lui deve ancora far pratica con la lingua, ma Nasir ha pensato a tutto.
Oltre a riservare a Richard Castle la stanza da letto più grande della sua residenza, tanto da riempire il loft che aveva a New York, quella più luminosa, coperta di tessuti di seta di ogni colore, il giovane musulmano ha provveduto a istruirlo con un docente di lingua apposta per lui, e pagato a sue spese.
Così Rick si mette sul suo tappetino, prima in piedi, poi inchinandosi e prostrandosi, stando seduto. Apre il segnalibro sul libricino e legge le parole trascritte a caratteri latini. È la preghiera del mattino.
La sua voce stenta, ma per via delle parole a cui non è abituato.
Sa di non dover mostrare esitazione, neanche a sé stesso, mentre pronuncia quei vocaboli.
Conclude la preghiera girando la testa a destra e poi a sinistra, ogni volta salutando con un “Assalamu alaikum, la pace sia su di voi.”
Sistema il tappetino mettendolo dentro un bauletto dorato incastonato con pietruzze altrettanto rare. Rick si prende la briga di passare una mano su di esse. Quasi luccicano. Una in particolare attira la sua attenzione.
E poi è come se sul quella pietra vedesse gli occhi della sua musa.
Kate, perdonami. È l’unico modo che ho per tornare da te.
Il suono della tromba del muezzin, che richiama i musulmani in preghiera nella moschea, giunge alle sue orecchie come una musica soave.
Dà un’occhiata al calendario, scuotendo la testa.
È venerdì.
Sono passati dieci giorni da quando è stato catturato.
 
“Non ti piace quel caffè?”
Kate volta la testa per vedere Mike seduto alla scrivania dietro la sua. È accomodato all’indietro sullo schienale, divertendosi a ruotare, con movimenti impercettibili, la sedia girevole da una parte all’altra. Non vedendo alcuna reazione da parte della detective, lui indica con lo sguardo il suo caffè, ormai da buttare.
Kate si lascia sfuggire una risatina imbarazzata, e sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, abbassando la testa per coprire il lieve rossore sul viso.
“No, no, è che...”
Senza Castle non c’è gusto a berlo. Vorrebbe dire, invece si limita a una banalissima scusa. “Non l’hanno fatto come volevo.”
“E come lo preferisci? L’altro giorno non ho fatto in tempo a prendere appunti.”
La detective alza lo sguardo verso di lui, confusa, ma il suo “Cosa?” risulta essere più acuto del normale.
Mike scuote la testa, quasi vergognandosi di colpo per l’affermazione di prima, e si drizza con uno scatto sullo schienale della sedia. “Niente, tranquilla.” Tossisce e torna ad occuparsi dei suoi affari, indaffarato tra cellulare e computer portatile.
Kate resta un attimo a fissarlo, non capendo l’intenzione di poco fa, quindi scuote la testa e si volta anche lei, tornando a ciò che stava facendo.
Allontana la tazza fredda da lei, e afferra il suo cellulare. Si rende conto che sta componendo il numero di Rick.
Abbandona l’oggetto, portandosi entrambe le mani a coprirsi gli occhi. Quel gesto così automatico, come quello del caffè della mattina, sono cose che deve dimenticare se vuole riuscire a concentrarsi sul suo lavoro.
Già, ma come potrebbe essere d’aiuto? Toglie le mani dal volto e si osserva intorno.
Ogni agente è impegnato in un compito ben preciso. Perfino Javier e Kevin stanno collaborando con Owen e Sonny, anche se si può notare una certa irritazione nel volto dei quattro. Stanno collaborando a stento tra loro, ma in qualche modo vogliono essere utili a qualcosa.
Si alza, e fa qualche passo ampio, giusto per allontanarsi dalla sua postazione. Apre e stringe le mani a pugno, per distendere i muscoli. Vuole occupare il suo tempo, altrimenti se resta seduta a pensare al suo scrittore, non riuscirà a fare nulla.
“Pensi di potermi fare un riassunto delle sedi in cui opera Al-Qaida?” dice improvvisamente, facendo una giravolta verso Mike. Si sente stupida ad avanzargli una richiesta del genere, visto i precedenti.
L’agente inglese posa gli occhi su di lei, guardandola con curiosità.
“Come mai questa richiesta?” le chiede impassibile, notando come non riesca a star ferma con le mani, con le quali sta giocherellando.
“Voglio rendermi utile.”
Lui resta a guardarla esitando prima di rispondere. La scruta dall’alto in basso provando una certa compassione nei suoi confronti.
È evidente che lo fa per distrarsi, e lui l’ha capita fin da subito, e avrebbe potuto rifiutare subito la sua richiesta, se non fosse che Kate è stata sincera con la sua risposta.
Sorride a malapena, sempre senza scomporsi e raduna i suoi strumenti. “D’accordo. Seguimi.”
 
Si è vestito, tornando ai suoi indumenti da Occidentale, ma la cosa non sembra dar fastidio agli altri uomini che, come lui, si sono convertiti e stanno già iniziando l’addestramento.
Gli ricorda l’ultima volta che lui e Kate andarono a sparare insieme al Poligono, e lei lo aveva stuzzicato sul fatto che non era all’altezza. Chissà, forse vedendolo ora, avrebbe cambiato idea. Le labbra si inclinano verso l’alto formando un mezzo sorriso, ma quando un uomo si avvicina a lui per porgergli un kalashnikov, Rick torna alla realtà.
Le tazze di caffè che lui portava alla sua musa, improvvisamente scompaiono sotto una nube di fumo bianco, e al loro posto compare la grossa arma e un paio di cuffie. L’eccitazione prende il soppravvento poiché ha sempre desiderato vedere un fucile del genere, solo non si aspettava in una simile situazione.
Lo stesso uomo che gli aveva porto l’arma si allontana con dei passi indietro, e prende posizione al centro della sala.
Sullo sfondo ci sono delle sagome umane, e nei punti principali del corpo, ci sono dei bersagli.
100 punti a chi colpisce la testa.
80 punti al cuore.
50 punti al torace.
E si va avanti ad oltranza, in un’escalation di orrore, che tutti sembrano prendere come un gioco.
Rick si guarda intorno spaesato, ma l’uomo si avvicina di nuovo sorridendo e parlando in un’incredibile accento inglese-americano.
“Adesso iniziamo l’addestramento, signor Castle. È semplicissimo. Metta questo paio di cuffie sulle orecchie... bene... così. Le servirà per attutire i rumori generati dai proiettili della canna. Poi, basta mirare attraverso questa piccolo protuberanza che assomiglia a un binocolo con un bersaglio al centro, la vede, signor Castle?”
Lo scrittore risponde con cenni del capo. È ancora stupito dal parlare di quest’uomo mediorientale, e si chiede quale grado di istruzione abbia avuto. Magari è uno dei tanti immigrati nati e cresciuti in America, che si sono convertiti all’Islam e sono stati arruolati da Al-Qaida.
Gli occhi scuri che lo fissano mentre spiega come maneggiare l’arma, sono penetranti. Esattamente come quelli di Nasir.
Said, si sente bene? Ha capito tutto?”
Il tono di voce tranquillo lo fanno sobbalzare.
“Sì, sì. Ho capito tutto perfettamente. Grazie...” resta con la frase tagliata a metà, aspettandosi che l’altro dica il suo nome, cosa che non tarda ad arrivare.
“Mi chiamo Yoel, signor Castle. Yoel Zurk.” Gli sorride ancora e lo congeda. “Buon lavoro, signor Castle.”
Guarda gli altri che come lui hanno iniziato a mirare e sparare contro le sagome davanti a loro. Sparano e ricaricano, facendo dei movimenti meccanici. Forse dovrebbe darsi da fare anche lui.
Se si fa vedere bravo e in gamba, Nasir lo noterà, e lo farà entrare dentro i suoi progetti segreti contro il paese americano.
Prende la mira e alza il kalashnikov con un solo braccio.
Chiude un occhio mirando verso il bersaglio che gli farà guadagnare 100 punti.
E poi parte un colpo forte e secco.
La pallottola raggiunge la testa della sagoma davanti a lui. Uno sparo dritto che colpisce il centro della fronte.
La sagoma cade all’indietro e le urla di applausi si alzano intorno a sé. Si stanno congratulando con lui.
Rick sorride, rispondendo con un semplice “Shukran, grazie”.
Guarda l’arma che impugna tra le mani e un sorriso compare sul volto.
Dopotutto, potrebbe iniziargli a piacere questo gioco.
 
“Sei sicura di volerlo fare? Insomma il tuo fidanzato è laggiù che rischia...”
“Possiamo parlare d’altro?”
Kate lo ammonisce guardandolo seria.
Seduta in un angolo del Dodicesimo, tiene davanti a sé un notebook, pronta per prendere appunti come una studentessa modello.
Gli occhi azzurri dell’agente Mike la osservano incuriositi. È in piedi vicino a una lavagnetta bianca e poggia con il gomito sulla parte superiore.
“Lo so. Sono qui per fare altro.” Riprende Kate, facendo un respiro profondo. Si schiarisce la voce prima di parlare di nuovo. Accenna a un sorriso divertita. “Dimmi, agente Mike, quali sono i siti dove Al-Qaida è operativa?”
Lo sta prendendo in giro. Si accomoda sulla schiena incrociando braccia e gambe e lo guarda, ancora con quell’aria divertita.
Mike accetta quell’insolita sfida ma neanche lui sa il perché. Quella detective lo incuriosisce. Incrocia i suoi occhi senza vedere quell’ansia e quell’agitazione dei giorni precedenti. Ha lo sguardo sincero e rilassato e osserva come i capelli le cadono dolcemente avanti. In quel momento coglie parecchi particolari che a prima vista non aveva osservato. Che era una bella donna l’aveva capito fin da subito.
Toglie il gomito dalla lavagnetta, sogghignando, quindi estrae un pennarello nero dal taschino interno della giacca e inizia a disegnare.
“Allora, detective Beckett, la mia collega Christina Finch aveva parlato di Afghanistan e Iraq. In realtà esistono altri posti affiliati all’organizzazione. Lo stesso Iraq e la Siria, ad esempio.” Dal tratto del pennarello si capisce che non è un gran disegnatore, ma tuttavia ha quel poco che basta per disegnare Africa e la parte Mediorientale dell’Asia. Fa dei puntini rossi, estraendo un altro pennarello quindi, sui paesi menzionati, quindi fa delle frecce per unirli tra loro. “Sono collegati ad Al-Qaida grazie alle reti dell’Isis, di Jabhat e Al-Nusra.” Si blocca per guardare il viso di Kate, completamente confuso da tutti quei nomi. Con molta tranquillità, Mike mette il cappuccio ai pennarelli. “Capisco la tua espressione, era la stessa che avevo io i primi giorni all’Interpol. Tutti quei nomi arabi non riuscivo proprio a memorizzarli.”
“Eppure sei diventato uno degli agenti più in gamba al mondo contro la lotta al terrorismo.”
“Stai flirtando con me, agente Beckett?” dice improvvisamente, rivolgendole uno sguardo compiaciuto, senza malizia. Si vede che pensava di essere ancora al gioco.
Dapprima Kate spalanca gli occhi, poi arriccia le labbra, alzando le mani e mostrando i palmi in segno di difesa, ma si vede che sta scherzando. “Non mi permetterei mai.” Replica lei, scandendo le parole.
Quando lui abbassa lo sguardo, Kate torna subito composta. Si morde la lingua chiudendo un attimo gli occhi. Muove leggermente il capo. Cosa sta facendo? Schiarisce la voce, e non accenna ad alzare la testa, restando incollata a scrivere al suo notebook.
L’agente inglese non la guarda, ma sente il sangue affluire rapidamente, ed è facile capire il lieve rossore sul suo viso, data la carnagione chiara. Passa distrattamente una mano sulla fronte e poi sulla testa. Si sistema il colletto della cravatta per ingannare l’attesa, e prosegue guardando la lavagnetta, senza dare altri segni.
Con il dito ci picchetta sopra, seguendo dei puntini rossi che indicano i paesi e poi le rispettive frecce di collegamento.
“Al-Qaida è anche presente nella penisola arabica, nello Yemen per essere precisi. Scendendo verso il corno d’Africa, in Somalia e in Kenya troviamo gruppi minori, principalmente sono pirati, affiliati ugualmente con Al-Qaida.”
“Ho sentito parlare anche di Boko Haram.” gli fa la domanda con un tono di voce preoccupato che lui percepisce.
Aveva sentito di quel gruppo terroristico e le loro missioni guerrigliere sono sempre state violente nei confronti degli occidentali.
“La religione occidentale è vietata. Questo è il significato del loro nome.”
Kate alza di nuovo lo sguardo lasciando le dita a penzoloni sul notebook. Mike è rivolto di profilo, ma è sicura che con la coda dell’occhio la sta osservando.
“Facevano parte di Al-Qaida, poi se ne sono distaccati. Si concentrano nel nord dell’Africa, tra Algeria, Mali e Nigeria. Non preoccuparti, non avremo a che fare con loro.” conclude cancellando le scritte sulla lavagnetta con un cancellino di pezza. Poi silenziosamente, si allontana, volgendole le spalle.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
E mentre proseguono le indagini su Rick e il gruppo terroristico, Kate non riesce a star ferma, lascia raffreddare il caffè e alla fine chiede all'agente Jones di aiutarla a capirci qualcosa... Kate, Kate, cosa combini, eh? 
Intanto Castle inizia l'addestramento e fa sul serio! Lo credevate così capace a sparare? O__O (una nota: ho menzionato l'Isis, ma ho scritto il cap prima che iniziasse tutto il macello attuale... speriamo non mi banni nessuno XD)
Vi lascio con questo capitolo e le sue domande, e vi auguro un Happy Castle Monday *-*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Due mondi separati ***


                                             

“Una volta che si è divenuti musulmani, si è responsabili di acquisire conoscenza di come compiere la preghiera, chiamata salah, e l’abluzione, wu’du. Provi a pronunciarle, signor Castle. Ricorda la differenza tra le h gutturali, signor Castle?”
Il tono di voce saccente che usa il suo mentore ogni volta che lo chiama “Signor Castle” gli fa ingrossare la vena sulla tempia.
Per il nervoso, Rick stringe con forza la penna che impugna tra le dita, e digrigna i denti, rispondendo con un “Sì” stentato.
Il suo mentore, un uomo di cinquant’anni, è brizzolato e indossa degli occhiali da vista che lo rendono più un professore, grazie al completo di giacca e camicia scura che ha addosso.
Come uno scolaretto, tiene entrambe le mani incrociate in avanti, arrivando a toccare fuori dal bordo della piccola scrivania. Le lunghe e forti braccia occupano tutto lo spazio. Guarda davanti a sé la lavagna super tecnologica e ripete meccanicamente le parole impresse sullo schermo.
“Bene, per oggi abbiamo terminato. E ricordi, signor Castle: agisca tenendo conto dei pilastri dell’Islam e si sforzi a mettere in pratica ciò che man mano impara riguardo i precetti islamici. Inoltre è bene sapere che la Fede è composta da sei pilastri. Me li ripeta, cortesemente.”
Rick viene bloccato sul punto di alzarsi, arriccia le labbra e indica debolmente l’orologio con i numeri arabi appeso sopra la lavagnetta. Gli verrebbe voglia di prendere a pugni il suo mentore, non solo quando pronuncia il suo nome, ma anche quando fa quel falso sorriso ipocrita, trattandolo come se fosse un idiota.
Sconsolato, lo scrittore si rimette a sedere, crollando sulla sedia. Si lamenta perché struscia con il tallone nudo sul legno del tavolo, a causa del piccolo posto riservato a lui, dato la sua stazza. Soffia, anche se più che altro sbuffa, ma il mentore sembra non farci caso.
“I sei pilastri sono: la certezza che Allah è Uno e Unico, credere nei Suoi angeli, credere in tutti i Libri Sacri, che sono contenuti nel Corano, ovvero Bibbia (Torah e Vangelo), credere in tutti i Messaggeri che sono stati inviati a determinate comunità o a tutti gli esseri umani, credere nel Giorno del Giudizio Universale e che tutte le creature risusciteranno e saranno giudicate dalla prima all’ultima, su quello che hanno fatto nella loro vita, senza dimenticare nulla. E che la bilancia peserà le nostre opere meritorie e quelle malvagie durante la nostra vita; credere nel Destino nel bene e nel male e che tutto ciò che succede. Allah sa tutto e dirige tutto secondo il Suo desiderio. Posso andare adesso?”
Il mentore sospira e abbassa il busto per fare un inchino, mentre con entrambe le braccia gli indica l’uscita.
Rick si ritrova ad assaporare la luce del giorno per la prima volta dopo una settimana. Butta la testa all’indietro, chiudendo gli occhi, lasciandosi cullare dai dolci rumori che sente intorno a lui.
Bambini che giocano spensieratamente, madri che chiacchierano tra di loro, e Rick si ritrova ad alzare i sopraccigli, sorpreso di essere riuscito persino a cogliere qualche loro parola.
 
“Dov’eri finita?”
Kevin fa capolino di profilo, squadrando Kate con aria sospettosa. Dietro di lui, spunta la testa di Javier che guarda la sua collega e amica con la stessa espressione dell’irlandese.
Dal canto suo, la detective risponde sospirando verso di loro, e poi alzando un sopracciglio in direzione di Lanie, che è in piedi dall’altra parte del tavolo dell’obitorio. Il medico legale ha avuto poco da fare negli ultimi tempi, dato che gli omicidi cittadini sono passati in secondo piano da quando la priorità è diventata ‘Salvate lo scrittore Castle’, quindi dedica il suo orario lavorativo a sistemare vecchi cadaveri, svolgendo il lavoro degli schedari nel modo più tranquillo possibile.
“A... studiare.” Risponde Kate dopo qualche secondo. Mette le mani sui fianchi e torna a guardarli come a voler marcare il suo territorio. Una gamba, infatti, è piegata di lato, trattenendo il peso del corpo, mentre con il tacco del piede, picchetta a terra scandendo il tempo. “Vi sembrerà strano, ma volevo rendermi utile anche io. Comunque ho chiesto all’agente Jones di darmi una mano nel capire le sedi operative di Al-Qaida.”
“Non mi piace lui e neanche i suoi scagnozzi.” Si affretta a dire Javier. Lanie gli rivolge uno sguardo di sottecchi, alzando leggermente gli occhi dal foglio che sta compilando.
“Già, hanno quell’aria da sapientoni.” Continua Kevin, lamentandosi.
A Kate scappa una risatina e scioglie la posizione statuaria di prima. “Ma vi sentite? Sembrate dei bambini delle scuole elementari! In ogni caso lui è stato molto disponibile.”
“Questo perché ha una cotta per te, tesoro.”
Javier e Kevin, ma soprattutto Kate, si interrompono per guardare Lanie con la bocca spalancata. La detective sente il dovere di alzare le punte dei piedi e muovere le braccia, e probabilmente è ciò che sta immaginando di fare, se fosse stata un personaggio dei cartoni animati. Invece, ad alzarsi è solo il suo tono di voce, che diventa improvvisamente acuto.
“Che cosa dici, Lanie?!”
L’amica medico legale poggia una mano su un fianco, inclinando di poco il busto nella stessa direzione. Con l’altra mano, posa la penna sul foglio e gesticola col dito tenuto a mezz’aria. “Voi sarete anche degli ottimi detective nel risolvere casi di omicidio, ma quando si tratta di captare segnali di attrazione, beh l’esperta sono io.” Conclude, indicando se stessa con quel dito.
Kate scuote la testa cercando di pensare a che tipo di attenzioni Mike Jones avrebbe potuto rivolgerle.
Tanto per cominciare, al loro primo incontro avevano discusso perché lui non la considerava una detective a tutti gli effetti, a causa della reputazione che si era fatta con la serie di Nikki Heat. Poi, era stato lui a scusarsi e nel giorno odierno, le aveva domandato che tipo di caffè prendesse, ma non ci aveva colto niente in quella domanda, anzi lui si era ritirato, tornando bruscamente nelle sue ricerche. Dopo, era stata lei a chiedergli di aiutarla a ‘studiare’ i luoghi di Al-Qaida. E ammette che forse avevano anche flirtato. Un pochino.
Scuote di nuovo la testa, stavolta mettendosi entrambe le mani sul viso e ripete a se stessa che forse si era immaginata tutto. In ogni caso, quel flirt non era nulla di malizioso.
Quando si toglie le mani dal volto, guarda Lanie ridendo. “Non dire sciocchezze. Solo perché è stato disponibile non vuol dire che abbia una cotta per me!” dice con una smorfia e prende tra le mani uno degli strumenti di Lanie, come a voler distogliere lo sguardo dall’amica.
Al medico legale non sfugge nulla e mentre indugia nel cercare di leggere gli occhi di Kate, la voce possente della Gates li interrompe.
“Se avete finito con le chiacchiere da salotto, voglio avvisarvi che c’è una riunione in corso.”
 
Quando entra nella sala principale con gli altri, Kate incrocia lo sguardo con Mike, che alza gli occhi proprio nella sua direzione.
Non l’ha fatto di proposito, ma ha un senso di disagio dopo che Lanie le ha messo la pulce nell’orecchio.
“Ha una cotta per te, tesoro.”
Scuote la testa, abbassando lo sguardo ed evitando quindi il suo, mentre segue Javi, Kevin e anche Lanie nelle postazioni a loro assegnate in qualche fila più dietro. L’agente inglese, invece, segue Kate con gli occhi mentre si posizionata vicino al solito maxischermo.
Christina Finch, sempre vestita elegantemente, ha ancora due grosse borse sotto gli occhi, segno che ha passato un’altra notte insonne. Nonostante questo, appare in perfetta forma, impeccabile nel completo nero scuro, con tanto di gonna che le arriva sotto al ginocchio, e i capelli rigorosamente tirati in su. Praticamente è una Victoria Gates della CIA.
Kate la guarda sentendosi dispiaciuta per lei, e pensa se il suo lavoro all’FBI fosse andato in porto, forse si sarebbe trovata nella stessa condizione del funzionario della CIA. Sonno arretrato, vita sociale minima, e soprattutto niente Castle intorno.
La donna bionda accende il maxischermo dove compare la foto di un giovane musulmano, a giudicare dai tratti somatici del volto e dalla carnagione mulatta. Attende che lo squadrone di persone abbia assimilato la persona raffigurata, quindi si posiziona con entrambe le mani sui fianchi verso di loro.
“Nasir Sayf Al-Islam. Numero uno di Al-Qaida. È lui il nostro uomo.”
Kate sente una morsa allo stomaco. Istintivamente, se lo tocca con la mano. Non è la fame.
Quello che vede lì è la persona che ha portato via il suo Rick; la sua felicità; l’uomo che ama.
Ha una strana sensazione, come un dejà vu, appena rimpicciolisce gli occhi per mettere a fuoco il volto di Nasir. Dove lo ha già visto?
“Volevo avvisare che ci sono delle novità.” I suoi pensieri vengono interrotti da Mike che è già in posizione pronto per assecondare la Finch. “Grazie ad una falla nel sistema, Hayley è riuscita a localizzare una chat online molto particolare che potrebbe esserci utile per capire le mosse di Al-Qaida e raggiungere la sua base.”
Javier e Kevin hanno la mente altrove. Osservano la giovane traduttrice che sorride a stento quando l’agente Jones fa il suo nome e si congratula con lei. Anche Hayley è ridotta malamente, almeno nel fisico, colpa delle poche ore di sonno accanto a Christina Finch. Gli abiti sono quelli della sera precedente e i capelli sono stati arruffati a caso con delle mollette.
“Ma non dorme mai quella ragazza?” si chiede il portoricano inclinando la testa per vederla meglio. Il suo sussurro viene raggiunto da Kevin, in piedi vicino a lui.
“Secondo me la sfruttano troppo. Mi chiedo quanto la paghino.”
Kate interviene schiarendosi la gola nella loro direzione. Li guarda e pronuncia un “Ragazzi...” a denti stretti. Poi, con un movimento impercettibile della testa fa loro segno che vicino a lei c’è la Gates.
Il capitano non esita a fare capolino da dietro la testa della detective Beckett per guardarli in cagnesco.
“Volete fare silenzio?”
“No, li lasci anche parlare.” Fa Mike, notando uno strano movimento. Con le braccia incrociate davanti, lancia uno sguardo divertito ai due detective del Dodicesimo. Anche il resto degli agenti presenti rivolgono i loro occhi verso Ryan ed Esposito. Lanie, seduta davanti al suo fidanzato, rotea gli occhi e Kate può certamente capire il suo imbarazzo in quel momento. “Sono curioso di sapere cosa stiano dicendo.”
Esposito spalanca la bocca, sperando che escano le parole. Invece riesce solo a balbettare qualcosa. “Noi... ecco...”
“Che programma di hackeraggio hai utilizzato per scoprire la chat online?” ci pensa Kevin a salvare l’amico, rivolgendo una domanda a Hayley.
La giovane fa per rispondere, colta di sorpresa, ma viene anticipata da Christina, che replica duramente.
“Informazioni riservate, detective.”
Il clima si è di nuovo raffreddato e diventa difficile riuscire a collaborare quando da un lato si ha a che fare con i federali, e dall’altra degli ufficiali di polizia dediti al servizio pubblico.
La goccia che fa traboccare il vaso sta per arrivare, ed esce proprio dalla bocca dell’agente Owen Rodriguez. Da una gomitata leggera a Mike Jones facendogli segno con la testa verso i due detective del Dodicesimo.
“Capo, ma dobbiamo avere a che fare con questi incompetenti ancora per molto?”
“Ehi, modera i termini!” Javier è trattenuto da Kevin, che dietro di lui, lo tiene fermo per le braccia.
Sonny Preston mette il carico da dieci, alzando ancora la tensione e dando corda al suo collega. “In effetti, che venite a fare qui se è solo per chiacchierare?”
“Non stavamo chiacchierando!” replica Kevin, prima di rendersi conto del suo tono di voce arrogante.
Mike ha la faccia di uno che non sa più controllare i suoi agenti. Al contrario, Kate, che ha osservato lo scambio di battute muovendo la testa da una parte all’altra, come se assistesse ad una partita di tennis, si decide a intervenire. Incrocia le braccia e guarda i due agenti inglesi che hanno iniziato a provocare i suoi uomini. “Agente Rodriguez e agente Preston. Non vi permetto di usare quel tono di voce con i miei colleghi.”
Christina Finch si volta dall’altra parte borbottando, mentre si picchetta la fronte con una mano, forse maledicendo se stessa per aver accettato l’incarico di venire a lavorare a New York. Hayley guarda il suo capo abbozzando una risata nervosa, sperando così di smorzare la tensione che pulsa come una bomba ad orologeria.
“Sei tu a comandare in questo distretto, Nikki Heat?”
Basta la risposta acida di Sonny ad accendere la miccia. Mike si distacca dalla postazione dove era appoggiato.
“Ora basta. Siamo qui per lavorare.” Dice, dirigendosi verso i suoi agenti e dando loro uno sguardo duro. “Detective,” continua, stavolta indirizzandosi a Kate, “comportati come tale e dì ai tuoi uomini di fare silenzio.” Beckett spalanca occhi e bocca senza emettere un suono, ma soltanto stupendosi delle sue parole di rimprovero. “Non so i vostri metodi a New York, ma noi a Londra siamo dei professionisti.”
Gli occhi di Mike la guardano raggelandola e prova una fitta dentro di sé e una rabbia che ribolle. Scuote la testa facendo una smorfia. Non capisce l’atteggiamento bipolare dell’agente inglese, che prima la aiuta, poi le lancia frecciatine.
Guarda per un attimo Lanie, che le rivolge uno sguardo consolatorio, il minimo che riesce a fare. Come ha potuto la sua amica pensare, anche solo per un istante, che quel Jones avesse una cotta per lei? La dottoressa aveva proprio toppato! Scioglie le braccia incrociate e fa un passo avanti, tanto per fargli capire chi è che comanda lì.
“Critichi la mia squadra adesso? Prima cerchi di invitarmi a prendere un caffè, poi mi aiuti a capire Al-Qaida, e adesso cambi di nuovo atteggiamento?”
Gli sguardi dei presenti cercano delle risposte guardandosi l’un l’altro. Perfino Sonny e Owen non capiscono.
Mike però, da vero inglese, resta composto. “Non so di cosa parli.” Le dice con le mani in tasca.
“Già, è normale. Io sono solo una semplice detective della polizia, mentre tu sei un agente professionale dell’Interpol. E sai davvero comportarti bene e con umiltà, vero?”
L’ultimo sguardo che gli lancia è una smorfia di disprezzo, prima di voltare le spalle e lasciare la stanza.
Mike la osserva andar via. I capelli voluminosi che si muovono ondeggiando.
La Gates, che è stata in silenzio e osservante per tutto il tempo, cammina verso di lui, arrivandogli davanti.
“Agente Jones, capisco che è difficile collaborare quando in gioco c’è al sicurezza mondiale, ma devo stare dalla parte della mia detective. Se i miei agenti devono mantenere un comportamento decoroso, lo faranno. A condizione che anche i suoi colleghi siano obbligati ad avere un comportamento più professionale durante le indagini.” Detto ciò, Mike abbassa la testa abbozzando un flebile sorriso, poi guarda i suoi invitandogli a fare lo stesso.
“Bella figura davanti al Presidente.” Christina interviene come la Gates. Calma e scandendo le parole, per fare in modo che il concetto arrivi forte e chiaro. “Ovviamente non dirò niente per evitarvi la sua indignazione. Hayley, per piacere, comincia e facci vedere cosa hai scoperto dalla chat di Al-Qaida.”
La traduttrice obbedisce senza obbiettare, e inizia a mandare in onda una serie di slide che riportano la chat incriminata.
“E Beckett?” domanda Kevin. La sua voce spezza il silenzio dopo il mare in tempesta.
Christina gli risponde senza neanche guardarlo, mantenendo il suo pacato tono di voce. “Con o senza di lei, dobbiamo andare avanti. La CIA non ammette distrazioni e comportamenti del genere.”
La bionda guarda davanti a sé, senza batter ciglio. Eppure si percepisce che tutti stanno cercando di mantenersi composti e di non perdere il controllo.
Da ciò che appare sullo schermo, viene spiegato come sia stato possibile sfruttare una falla nel sistema di sicurezza operativa del corriere della cha di Al-Qaida, intercettando i pacchetti digitali ricevuti attraverso la localizzazione dei file. Slide dopo slide, si nota come la mole di dati in possesso del corriere sia davvero consistente: non solo registrazioni web ma anche audio e trascrizioni dei discorsi, tutti in arabo classico.
Una passeggiata per Hayley, che spiega di avere alle spalle ben sei anni di studio specifici, oltre a soggiorni all’estero, sulla lingua citata. Alcuni partecipanti si sono uniti alla conferenza tramite chat video, altri attraverso un collegamento audio e i più ortodossi solo con messaggi di testo. La registrazione comincia con un saluto di Nasir Sayf Al-Islam, leader della rete Al Qaida.
Incuriosito, Kevin interrompe l’analisi della chat con una domanda, “Mi scusi, ma non è violazione della privacy intercettare conversazioni di questo tipo?”
La Finch sorride. “Mi aspettavo questa domanda, detective.” Volta lo sguardo verso di lui, restando di profilo per un istante, e poi iniziando a compiere dei passi da una parte all’altra del maxischermo. “Sono state spese tante parole sull’uso scellerato dei sistemi di intercettazione. Da PRISM al Boundless Informat. La gente non è contenta, e lo capiamo, ma se c’è in ballo la sicurezza, si dà ragione ai federali, anche chiamati ‘spioni’. Se abbiamo finito con le domande, direi di proseguire.”
“La tua domanda è lecita, detective Ryan.” Mike gli parla senza guardarlo, mentre tra le dita tiene un pezzo di carta con il quale si diverte a fare un aeroplanino. Sembra avere la mente altrove, ma risponde meccanicamente, come addestrato a dare quel tipo di risposta. “In effetti, ci accusano spesso di usare questi metodi di spionaggio un po’ troppo spesso, considerandoli come conseguenza degli attentati dell’11 settembre.”
La Gates fa dei passi avanti. Poggia una mano su una delle postazioni in prima fila, reggendosi con il braccio. “Questo è vero, se si pensa che non solo la CIA, ma anche l’FBI hanno monitorato di continuo i principali siti web, forum e blog considerati come fucina del nuovo terrorismo. Ma, agente Finch, agente Jones, avete pensato che Al Qaida è riuscita comunque a sviluppare nel tempo metodi di crittografia avanzata per effettuare riunioni a distanza tramite funzionalità di chat testuali, audio e video capaci di scomparire dopo il loro termine?” la bocca si inclina in alto per formare un sorriso soddisfatto. “Non guardatemi così, ho fatto un breve corso sul terrorismo lo scorso anno.”
Lanie, Kevin e Javier si guardano in automatico, pensando alla stessa cosa contemporaneamente. Un punto in più per il Dodicesimo.
La Gates resta ancora interdetta. Fa un altro passo in avanti guardandosi le scarpe. Un improvviso prurito le sale dalla punta delle dita dei piedi fin sotto il ginocchio. Quei tacchi a spillo iniziano a farle un gran male, dato che ha passato metà della mattinata in piedi.
Alzo gli occhi verso Christina, che ammira dal profondo per la sua tenacia e per la sua vita da donna in carriera. Tuttavia, sa di trovarsi di fronte ai federali, e la sua passata esperienza le ricorda sempre che non bisogna fidarsi fino in fondo.
“Il punto è, Christina: gli americani e i cittadini di tutto il mondo sono disposti a concedere la propria privacy ai federali in difesa della sicurezza personale e di quella dei propri vicini?”



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Non vi sentite soddisfatte che Rick sta migliorando il suo arabo? *-* cavoli, io impiegai quasi un anno per imparare e dire una frase di senso compiuto, e lui ci sta mettendo qualche settimana ahahahaha
Intanto, le scintille al Dodicesimo continuano...
La CIA fa le nottate a lavorare, i bro spettegolano, Lanie ha messo la pulce nell'orecchio di Kate (voi siete d'accordo su quanto dice?), ma l'agente Jones sa coprire bene le sue emozioni... 
Fortuna ci pensa la Gates a dare il punto al Dodicesimo col suo discorso sul terrorismo... un punto in più al distretto di NY ;)
Vi lascio con la solita domanda di chiusura del cap :p e vi auguro un happy Castle monday! Al prossimo capitolo :)
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La nostra parola ***


                                               



Kate litiga con la macchinetta del caffè.
Dopo l’ultima discussione avuta con Mike, e per giunta di fronte a tutti, dal nervosismo rovescia il bricco sul tavolo, balzando all’indietro per evitare che la bevanda le cada addosso. Il caffè scorre verso il basso, raggiungendo il pavimento. Sbuffando, si accascia a terra per pulire con una pezzetta bagnata, prima che la macchia si espanda.
“E’ scontroso, e cambia umore da un momento all’altro. Ma ti ci abituerai.”
Si alza in piedi scattando e, quando si volta, vede Christina all’ingresso.
La bionda funzionaria della CIA spalanca gli occhi gioendo alla vista del caffè, e si precipita verso la macchinetta, non curandosi di Kate.
“Ne avevo proprio bisogno dopo questa riunione.” Senza troppi complimenti, la donna si mette a preparare una tazza di caffelatte anche per lei.
La detective rivolge lo sguardo alla pezzetta. Lentamente, scuote la testa, sentendosi confusa. Christina parla di Mike come se lo conoscesse bene, e forse è proprio così, dato che da come si erano ritrovati a parlare davanti a tutti, era chiaro che avessero dei trascorsi sul campo. Kate non sa se solo in campo professionale o anche personale.
Si tocca la fronte con la mano e chiude gli occhi per un istante. L’aroma del caffè le entra dentro e già si sente più rilassata per iniziare una conversazione.
“Scusa la domanda... tu e lui...?” la domanda le esce così, esitando alla fine.
Christina si porta il bricco sulle labbra, tempo per assaporare l’odore del caffelatte, che lo posa subito sul bancone, lasciandosi andare ad una fragorosa risata. Si tocca la pancia piegandosi in due. Kate si sente a disagio e per non essere di troppo, ride nervosamente.
Quando poi l’altra si rialza da terra, si sistema le ciocche dei capelli dietro gli orecchi.
“Oh no. No, no, non è il mio tipo.” Risponde alla sua sistemandosi il completo che ha indosso e riprende a bere il suo caffelatte.
Kate abbassa lo sguardo su ciò che rimane del suo caffè. Non ha neanche voluto prenderne dell’altro. Lentamente passa un dito sul bordo della tazzina.
La Finch la osserva mentre beve tutto d’un fiato.
“Lo conosco perché abbiamo lavorato parecchie volte insieme, ma non c’è mai stato nulla. Sicuramente tiene a te, ma non è uno che si lascia andare facilmente alle emozioni. Da quando ha perso la sua famiglia in un attentato in Iraq.”
Alza lo sguardo repentino sulla funzionaria della CIA, restando sorpresa dalla quantità di emozioni che le ha scatenato quella risposta. Apre la bocca prima esitando qualche sillaba.
“Io non lo sapevo.”
Christina fa spallucce. “Nessuno lo sa. Infatti l’ho letto nella sua cartella. Far parte della CIA ha i suoi vantaggi. Dato che i primi giorni si ostinava a non parlarmi, ho dovuto frugare nel suo fascicolo online e ho accidentalmente letto la tragedia che lo ha colpito nel 2003. Quindi ho cambiato atteggiamento e anche lui ha iniziato a collaborare.”
Posa il bricco del caffelatte vicino a quello mezzo vuoto di Kate. Afferra un fazzoletto per pulirsi delicatamente gli angoli della bocca. Poi, dalla sua borsetta tira fuori un rossetto rosso e un piccolo specchio, e in un mezzo secondo si rifà il trucco. La detective si ritrova a fissarla come una stupida, chiedendosi se alla CIA sia normale parlare di tragedie e morti mentre ci si mette il rossetto, come se nulla fosse. Già riesce a immaginare altre donne come Christina che, rinchiuse nel bagno, iniziano il discorso con ‘Oggi hanno decapitato quel reporter. Ah, hai saputo che la L’Oréal vuole mettere sul mercato i trucchi alla frutta?’ Le labbra si inclinano a mezzo sorriso pensando alla simpatica scenetta, ma alla fine conclude che donne come Christina devono essere abituate a leggere reportage su certi drammi internazionali e si sono in qualche modo abituate alle circostanze.
Arriccia il labbro inferiore e torna a pensare a ciò che lei le ha detto a proposito di Mike.
“Cosa è successo?”
“Non so se dovrei dirtelo...” obietta incerta la Finch, riponendo nella borsetta i suoi trucchi.
“Christina, io so cosa vuol dire avere un muro intorno a te che ti impedisce di parlare con le persone a te più strette. E dato che ci sono passata, non ho la minima idea adesso di come si abbatte quel muro.” Replica Kate, sicura di sé.
Christina la osserva da capo a piedi, incrociando le braccia al petto. Il suo sguardo è duro, ma c’è anche ammirazione verso di lei.
“Ok, in fondo sembri una detective in gamba.” Dice con una smorfia da far intendere che non vuole scomporsi più di tanto. Modesta fino all’osso, e con la caratteristica di non lasciar intravedere la sua simpatia verso i suoi colleghi. La Finch è proprio una specie di Victoria Gates della CIA.
Christina sospira. Poggia entrambe le mani al bancone vicino la macchina del caffè e guarda dall’altra parte. C’è Mike Jones che con una mano sta gesticolando duramente davanti ai suoi agenti, mentre tiene l’altra in tasca. Forse spiegando loro di nuovo il concetto di quanto sia importante collaborare al fine di mantenere un clima sereno e risolvere la questione internazionale in corso. Lo vede passarsi la stessa mano sulla testa, mentre ascolta i commenti di Sonny, udibili anche a porte sigillate, per poi sistemarsi il nodo della cravatta.
“Sua moglie era con Medici Senza Frontiere, e lui si trovava a dirigere l’operazione in Iraq quell’anno.” Inizia Christina, e Kate balza sull’attenti. “Dei terroristi hanno posizionato una bomba sotto l’auto sbagliata, così invece di colpire Mike, hanno fatto saltare in aria sua moglie e la loro figlia, che aveva solo 7 anni quando si trovava con loro.”
Ora anche Kate si ritrova a guardare Mike. L’agente inglese, dopo aver congedato i suoi uomini, va a sedersi in un angolo appartato. L’aria sempre corrucciata, come se ce l’avesse con il mondo intero. E adesso anche la detective sa il perché del suo atteggiamento.
“E quindi lui si è chiuso a riccio da quel momento...”
“Kate, non dovrei dire altro, e te lo sto dicendo perché mi sei simpatica, ma se lui sa che te ne ho parlato, la collaborazione potrebbe diventare difficile, sono stata chiara?” la Finch sposta gli occhi su Beckett, facendole uno sguardo d’intesa.
Kate capisce l’antifona e fa mezzo sorriso. “Grazie.”
“A proposito, chi diavolo è Nikki Heat?”
 
Poggia il kalashnikov sulla sua postazione.
Affannato, si piega in avanti, mettendo le mani sulle ginocchia. Sente il peso del suo corpo, un corpo stanco ma più in carne e in forze rispetto all’ultima volta. Merito del cibo con cui lo sta viziando Nasir. Il giovane musulmano gli aveva detto che era lui l’uomo chiave del suo piano, quindi doveva essere sempre in forma.
Alza gli occhi verso il cielo, usando una mano come riparo dal sole cocente. Sono all’aperto in una delle tante postazioni di addestramento di Al-Qaida.
“8 bersagli centrati su 10, ottimo lavoro, Rick.”
Yoel Zurk, il suo addestratore, gli passa accanto dandogli una pacca sulla spalla, poi gli offre una bottiglietta d’acqua fresca.
Lo scrittore ringrazia e si disseta, bevendo tutto d’un fiato. Guarda il bersaglio davanti a sé.
La sagoma dell’omino è piena di buchi, 8 dei quali sono stati distribuiti tra la testa, il torace e le braccia.
“Potresti fare di meglio”, si intromette Yoel, come a leggergli il pensiero, “ma abbiamo ancora un po’ di tempo per migliorare.”
Rick sorride sornione. In fondo quest’uomo gli sta simpatico. È sempre gentile con lui, non alza mai la voce, ed è stato disponibile ad offrirgli delle lezioni private sul tiro a bersaglio.
Che debba ricredersi sui metodi di reclutamento di Al-Qaida?
Lo raggiunge, mentre si siede su una panca all’ombra, mettendosi un asciugamano dietro la nuca. Il sudore gli cola da ogni angolo del viso.
Se ne stanno lì, a guardare la visuale davanti a loro. Un mare di sabbia contornato da mura alte dello stesso colore, forse messo apposta per mimetizzare il posto con l’ambiente circostante. Gli unici colori caldi sono il nero delle grosse armi e le sagome grigie.
“Sei un uomo innamorato, Rick?”
Prontamente lo scrittore volta la testa verso Yoel. Con la coda dell’occhio nota uno sguardo perso nel vuoto e tanta malinconia sul suo viso, che sembra segnato da sofferenza che ha subito nel corso degli anni, e che neanche le rughe hanno saputo spazzare via.
Sorride appena. Il viso di Kate gli compare davanti. “La mia fidanzata è americana. Dovevamo sposarci prima di... beh, hai capito, vecchio mio.” Conclude, tentando di buttarla sullo scherzo, un po’ per ironizzare, un po’ per smorzare la tensione. E ci riesce, strappando al suo addestratore una smorfia divertita.
“Si chiamava Leah ed era israeliana. Ironico il destino? Io ero un palestinese sulla soglia dei trent’anni, e lei era nel pieno della sua giovinezza, ne aveva venti. Il nostro era un amore impossibile.” Si passa una mano sui capelli, una folta chioma brizzolata, che s’intona col colore della sua barba.
“Gli amori impossibili non esistono. E’ questo su cui si basano le grandi storie d’amore, no? Smentire i pronostici.”
“Tu vivi nelle favole, Rick, eh?” Yoel ricambia dandogli una pacca sulla spalla con fare bonario. “Sei uno scrittore, te lo concedo.” Prende una pausa prima di riprendere il discorso. “La nostra era una relazione complicata. Ascolta, said. Quando suo padre scoprì di noi due, per impedirmi di continuare a frequentare Leah, mi accusò di essere membro di Hamas. La gente mi evitava, a lei fu proibito di vedermi se non da lontano... era un clima irrespirabile.” Yoel sospira. Getta le mani a terra raccogliendo qualche sassolino e poi si alza per lanciarlo lontano. Rick lo osserva. “Perciò sono fuggito, cercando rifugio, ma non prima di aver fatto promettere a Leah che ci saremmo incontrati di nuovo.” L’addestratore si siede di nuovo e poggia i gomiti sulle ginocchia. Con il dito inizia a scrivere sulla sabbia. “Ci siamo detti, ‘Ana wa enti, deyman sawa”, che nella tua lingua significa ‘Io e te, sempre insieme.” Deyman era la nostra parola.”
Quella cosa lo fa sorridere. Strano come anche quest’uomo, lontano anni luce da lui, dimostra di avere molte cose in comune con lo scrittore di quanto pensasse.
Deyman. E poi che è successo?”
Yoel torna a giocherellare con qualche sassolino, prima di lanciarlo in lontananza, restando nella posizione da seduto. Soddisfatto del bel lancio, fa una smorfia felice.
“Nasir mi trovò e mi salvò, dimostrandosi gentile. Mi accolse nella sua cerchia.”
“E Leah? L’hai più rivista?”
L’uomo sospira abbassando lo sguardo a terra. Lascia le braccia a penzoloni poggiate sulle ginocchia, poi alza gli occhi per guardare davanti a sé.
Rick scruta il suo profilo cercando di studiarne i lineamenti. Allearsi con Nasir significa salvezza e speranza, anche se il prezzo da pagare per la propria libertà è alta. Cerca di immaginarsi l’uomo che ha accanto ai tempi in cui fu costretto a lasciare tutto ciò che amava per sfuggire alla morte, solo con la speranza di ritornare dalla sua fidanzata. Yoel si passa una mano sui capelli, rivolge a Rick uno sguardo compassionevole e riprende il racconto.
“Passarono quasi vent’anni. Ci rivedemmo per puro caso. Lei era al mercato del paese, e io in missione in incognito. Ci scontrammo, io scappavo e me la trovai davanti. Bastò uno sguardo al suo anulare sinistro per capire tutto. Leah si era risposata, ma la nostra parola, deyman non l’aveva dimenticata. Ci guardammo negli occhi un’ultima volta. Mi sembrò di scorgere felicità nei suoi, perché si era rifatta una vita... una vita tranquilla, senza tutte le complicazioni derivate dall’essere io palestinese e lei israeliana. Ma scorsi anche tristezza e malinconia nell’avermi visto. Poco dopo, sentii le grida delle milizie che urlavano il mio nome. Fui costretto di nuovo a fuggire, di nuovo, sotto i suoi occhi. E di lei non seppi più nulla.”
Yoel termina i suoi ricordi, tornando a guardare davanti a sé. Di nuovo, da attento osservatore, lo scrittore guarda il suo profilo.
Nessuna lacrima che avanza, neanche sulla coda dell’occhio.
Nessuna gocciolina di sudore per la malinconia che ha appena vissuto.
Silenzioso, non batte ciglio, osservando l’orizzonte davanti a lui, e un punto indecifrato dell’infinito. È come se ormai si fosse rassegnato al suo destino e al suo ruolo nel mondo.
Nella sua mente, Rick si chiede se sarà questa la sua fine, domandandosi se Kate resterà ad aspettarlo per tutto il tempo del mondo. E in caso contrario, lui la lascerebbe andare affinché abbia una vita serena, senza le preoccupazioni di essere ricercato dalla polizia internazionale?
“E’ una storia triste, Yoel. Mi dispiace.” Dice lo scrittore, stavolta abbassando lui lo sguardo.
“Avrai l’idea per il prossimo romanzo.”
 
Mike la sente avvicinarsi alla sua scrivania senza aver bisogno di alzare la testa per guardarla. Ha sempre la stessa fronte corrucciata, impegnato a scrivere e compilare i soliti foglie e scartoffie con i timbri dell’Interpol. Strano come ormai si sia abituato al suo inconfondibile profumo di ciliegie. Kate fa per aprire bocca, ma lui è più veloce e l’anticipa.
“Ti chiedo scusa. I miei agenti possono essere dei veri stronzi.”
Kate fa una smorfia divertita alla pronuncia marcata dell’ultima parola. “Come il loro capo.” Si affretta poi a dire. Il commento pungente gli fa alzare lo sguardo. “Però ho apprezzato che mi hai difeso quando mi hanno chiamata Nikki Heat. Solo non capisco perché tu abbia mentito a proposito del caffè e del fatto che mi hai aiutato.”
“Sono un agente della sicurezza, devo mantenere un certo riguardo sul privato.”
“Ma non stavamo facendo nulla di male.”
L’agente Jones si alza dalla sua postazione per porgerle un foglio dal quale Kate intravede una serie di scritte ben dettagliate. “A proposito, ti ho fatto uno schema su Al-Qaida, così puoi farci tutte le ricerche vuoi.”
La detective posa il suo sguardo speranzoso su quel pezzo di carta. Piccole mappe, contornate di frecce con altrettanti nomi dallo stampo arabo.
Non conosce quei posti, se non per sentito parlare e improvvisamente si sente così piccola di fronte a quella sua mancanza di informazioni.
Accanto a lei, Mike le sfiora il braccio con fare incerto, forse non più abituato a quel tipo di contatto umano.
“Lo troveremo, Beckett.”
“E’ quello che mi ripeto ogni giorno.”
“Almeno sappiamo che è vivo.”
A quelle parole, Kate alza lentamente lo sguardo su di lui, rendendosi conto dell’altezza e della vicinanza che intercorre tra loro. Un barlume di speranza le accende le pupille. Mike le sorride e ruota la postazione per raggiungere il suo computer. Stando in piedi, poggia solo le mani sulla sua scrivania per maneggiare mouse e tastiera. La detective lo segue guardando il monitor in perenne stato di accensione. L’agente scorre una serie di immagini, saltando quelle superflue per trovare un pezzo specifico che mostra a Kate.
“Dalla chat online che ha intercettato Hayley, uno degli uomini di Nasir parla di un occidentale che si è unito al gruppo e lo descrive come ‘uno scrittore di gialli dagli occhi azzurri che chiacchiera troppo.’ Non so quanto sia utile questo ultimo pezzo.”
Kate ridacchia divertita fissando il monitor. “Sì, è lui.”
 
Una passeggiata per sgranchire le gambe è quello che gli ci voleva. La storia di Yoel l’ha davvero colpito, e ha dovuto inventarsi una scusa per stare da solo e riflettere, nascondendo le lacrime di commozione, così si è diretto verso la base operativa.
Nasir è sempre nella postazione di controllo, chiuso nella stanza vetrata. Il corpo rivolto verso i suoi uomini, con le mani poggiate sul computer centrale, osserva, scruta, controlla ogni dettaglio. Gli occhi diventano del più nero assoluto, trasformandosi come quelli di uno squalo, un predatore degli oceani, che aspetta silenzioso il momento più propizio per colpire.
Rick sale la scalinata che lo porta dentro la postazione del giovane, guardandolo mentre non fa neanche una mossa, e chiedendosi se respiri o sia solo un robot da combattimento. Nasir ruota la testa verso lo scrittore, percependo la sua presenza. Gli occhi prendono un altro colore, le labbra si inclinano in un sorriso e il busto riprendere a respirare tranquillamente.
Fa per dire qualcosa, e alza il braccio per indicare lo scrittore, quando uno dei suoi uomini, impegnati al computer, si alza. Agitato, inizia a percorrere il perimetro e il corridoio tra i pc, per salire le scale e correre verso Nasir. Ansimante, l’uomo si accascia a terra, allungando la mano verso il suo capo, che rivela un foglio scritto a macchina. Rick osserva il viso di Nasir contorcersi per la rabbia appena legge il contenuto del biglietto, che viene appallottolato immediatamente. Poi, il giovane musulmano torna nella posizione di vedetta e accende l’altoparlante. Sorride a denti stretti. La sua voce richiama sull’attenti il resto dei suoi uomini, i quali, smettono di usare la tastiera per starlo a sentire.
“Signori, qualcuno può gentilmente spiegarmi come è possibile che abbiamo appena avuto una falla nel sistema?”



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Causa festival mi stavo dimenticando di aggiornare... (e di recensire e rispondere alle recensioni... giuro di provvedere appena mi libero un po') comunque, in questo capitolo troviamo finalmente la risposta alla domanda "Che vuol dire Deyman?"
Rick e Yoel, il suo addestratore, hanno un sacco di somiglianze, ma peccato che la storia di quest'ultimo non sia a lieto fine. E il nostro scrittore pensa, e riflette...
Christina, la nostra Gates della CIA, chiacchiera con Kate e rivela il motivo del suo essere bipolare (per non dire un'altra parola)... speriamo che adesso sarà più simpatico :p
E infine, Nasir è un tantino incavolato... chissà che farà?
Vi auguro un Happy Castle Monday, e come sempre, se volete, al prossimo capitolo!
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Salvate lo scrittore Castle ***


                                                 

L’indomani della discussione, Kate riappare al Dodicesimo sorridendo a tutti, perfino a Sonny e Owen, che arrossiscono per la vergogna. Soddisfatta del suo atteggiamento da dura e matura, la detective passa accanto a loro, senza mostrare nemmeno un segno di rancore.
Il centro del distretto è il solito viavai di agenti; il maxischermo perennemente acceso al centro e in alto, le mostra la mappa dell’Afghanistan. Due punti rossi attirano la sua attenzione. Tora Bora e Saqlawiyah.
“Secondo te la CIA a quanto me lo può vendere quello schermo?”
La voce di Javier la mette già di buon umore, facendola trattenere dallo scoppiare a ridere.
“Espo, guarda che non è un televisore.”
“Pensa ai film che potrei vedere con il Dolby Surround...” il detective non ascolta la voce del suo superiore, che lo guarda mentre con gli occhi sognanti si immagina di trasportare quel maxischermo a casa propria.
Il sorriso mattutino svanisce subito appena pensa alla sua di casa e a quella che condivideva con Castle.
Abbassa la testa, e alza le sue difese, come le è solito fare, per coprire il viso pieno di malinconia.
“Ehi Beckett... la Gates ti cercava.” Kevin si ferma stoppando davanti ai due. In mano ha una cartellina. “Voleva sapere se sei stata informata sul resoconto della riunione dell’altro giorno... sai prima che tu te ne andassi...”
Kate si morde il labbro ripensando a quel momento imbarazzante.
Javier la conosce bene senza neanche voltare lo sguardo, e quindi ammonisce l’amico. “Come sei delicato, fra!”
“Sì, l’agente Jones mi ha accennato qualcosa...”
I due si girano verso Kate, entrambi trasalendo.
“L’agente Jones? Ora vi vedete anche in privato?”
“Te l’abbiamo detto che non ci piace?”
La detective li guarda. Tutti e due con le mani sui fianchi, sguardo fisso su di lei. Sembrano due comari che non vedono l’ora di conoscere l’ultimo succulento pettegolezzo. Si chiamano ‘fratello’ l’un l’altro per un motivo. Un nomignolo che hanno trasmesso anche a Kate, come a dirle che loro prima di essere una squadra sono una famiglia, e nessun altro elemento deve andare a spezzare quest’equilibrio. Un sorriso di comprensione e di orgoglio le compare sul volto.
“Ragazzi, calmatevi. Apprezzo le vostre premure, avete paura che mamma e papà si lascino, ma io non sto assolutamente tradendo Castle! Mike è solo un buon amico.”
“Odio il suo accento.” Dice Kevin, lasciando andare le braccia in basso, che cadono a peso morto. Contorce tutto il viso in una smorfia di disprezzo pensando all’agente dell’Interpol.
“Io odio proprio gli inglesi.” Javier conferma il parere dell’amico. Kate guarda prima uno e poi l’altro trattenendo le labbra dentro la bocca. Il teatrino sta prendendo piega e lei sta per scoppiare a ridere. “Chi si credono di essere con i loro modi e il senso dell’umorismo?” il portoricano alza il tono di voce spalancando le braccia, poi in falsetto tenta di imitare la voce di un inglese dell’Inghilterra, uno di quei personaggi che si vedono nelle serie televisive di costume. Sventole le braccia come una signorina, apparendo più gaio possibile. “Uh guardatemi, ho fatto un giretto al Saint James’s Park oggi a raccogliere fiori, proprio come un personaggio di Downton Abbey!”
Mentre il teatrino è di scena, tra Kate che si trattiene dal ridere con il pugno posato sulla bocca e lo sguardo rivolto dall’altra parte, Kevin improvvisamente sbianca e tossisce più volte chiamando l’amico per nome.
A schiarire la gola più forte ci pensa Mike Jones. “Detective Esposito, mi fa piacere vederla di buon umore. Immagino che possa illuminarci sugli ultimi risultati ottenuti su Sayf Al-Islam.”
Chiamato in causa, Javier si volta, seguito da Kate. Il portoricano si mette sull’attenti, petto in fuori e spalle dritte, e fa un cenno col capo all’agente inglese.
 
La squadra di Beckett resta a guardare Christina Finch e Victoria Gates che tranquillamente parlano tra loro. In piedi, una di fronte l’altra, ogni tanto sorseggiano il caffè che hanno in mano, lasciandosi andare a qualche bonaria risata di tanto in tanto. Quelle due vicine, due grandi donne da una forte personalità attiva, sono una minaccia alla sicurezza del Dodicesimo.
Come leggendosi nel pensiero, Eposito e Ryan si lanciano uno sguardo di terrore.
“La fine del mondo è vicina!”
Kate si volta verso di loro sorridendo sotto i baffi.
“Espo, fossi in te non farei lo spiritoso, visto che ti spetta l’interrogazione davanti tutta la classe!”
La detective alza il sopracciglio alludendo all’entrata dell’agente Jones nella sala. Tutto chiuso nel suo completo scuro, sente il bisogno di allentare la cravatta quando incrocia lo sguardo di Kate. Lei, da parte sua, si sente in soggezione e abbassa gli occhi evitandolo. Kevin Ryan che si schiarisce la voce la costringe a rialzarli.
“Io direi di sederci nelle postazioni davanti, da bravi studenti.”
“Ci siamo capiti!” concorda Kate, facendo l’occhiolino ai suoi due colleghi.
Christina schiocca la lingua e batte le mani richiamando l’attenzione degli agenti. Sul volto ha ancora un lieve sorriso, derivante dalla conversazione con la Gates, che però sparisce per dar spazio ad un viso più teso e duro. Gli occhi sono puntati su ciascuno dei presenti, come se li studiasse uno a uno.
Percepisce la tensione tra Javier, Kevin, e Sonny e Preston, costretti a condividere la stessa porzione di scrivania. Come i bambini, stanno gomito a gomito uno contro l’altro, facendo a gara a chi resiste di più. La Finch scuote lievemente la testa, decidendo di ignorarli.
“Signori, grazie per essere di nuovo qui, come tutti i giorni ormai. Detective Beckett, è un piacere averti con noi.”
Kate avvampa e si limita a un sorriso forzato, nascondendo il viso tra i folti capelli.
“Stamattina io e la cara Victoria ci siamo ritrovate a fare il punto della situazione. Hayley, puoi accendere il maxischermo?”
Mentre la traduttrice esegue il comando con un semplice click dal suo pc portatile, Javier e Kevin si scambiano l’ennesimo sguardo di paura. Ora la Gates è diventata “la cara Victoria”. La fine del mondo è davvero vicina.
“La base in cui si trova Nasir Sayf Al-Islam è a Saqlawiyah, in Afghanistan. Corrisponde a quella attuale di Al-Qaida, e fin dai tempi di Osama Bin Laden, è sempre stata una forte roccaforte del terrorismo internazionale. Riteniamo che Richard Castle possa trovarsi prigioniero in quella roccaforte.”
L’immagine di Richard Castle compare sul maxischermo. Con quel suo sorriso sghembo e lo sguardo malizioso, sembra uscito da una rivista di gossip.
Kate sussulta sentendo il cuore batterle a mille. Come se avesse la sensazione che le stia per uscire dal petto, poggia una mano, tesissima e distesa, sul petto.
“Ora vi chiedo di mantenere lo stretto riserbo riguardo le informazioni che state ricevendo, perché è importante non creare il panico. Informerò il Presidente che deciderà di inviare un blitz per liberare lo scrittore.”
La detective non sente più nulla di ciò che la Finch sta dicendo. Il corpo è lì, ma il cuore e la mente sono assenti.
Sa dov’è il suo Rick.
L’eventualità di incontrarlo diventa possibile.
Sorride immaginando di andargli incontro vestita da sposa, l’acconciatura perfetta e gli occhi che le brillano di gioia. Lei urla il suo nome, lui si volta, ricambia il sorriso e si mette ad aspettarla per abbracciarla. L’immagine sfuma quando sente la Gates parlare a gran voce.
“... per questo ritengo che se vogliamo salvare il signor Castle, dobbiamo contribuire tutti quanti.”
Le basta quella frase per mettere in moto il cervello. Alza la mano verso l’alto, come una studentessa.
“Io mi offro volontaria.” Dice una prima volta, ma nessuno si volta per ascoltarla.
“Capisco cosa intendi, e ti stimo tantissimo, Victoria, ma ti ricordo che nessuno dei tuoi detective è addestrato abbastanza...”
“Imparano in fretta, Christina!”
“Mi offro volontaria!” stavolta alza il tono della voce. Esposito e Ryan la fissano spalancando gli occhi; Mike, i suoi due agenti e Hayley fanno altrettanto.
“Beckett, che diavolo fai?”
Lei non li sta a sentire.
Victoria Gates e Christina Finch hanno iniziato a parlare animatamente a voce alta.
Si schiarisce la gola, in preda ad una crisi nervosa.
“Mi offro volontaria!” Adesso stanno a sentirla. Il tono di voce ha superato quello delle due donne che si sono girate a guardarla come se fosse pazza. Vedendo gli occhi puntati su di lei, Kate prende a parlare. “Mi offro volontaria per andare sotto copertura. Se è l’unico modo per avvicinarsi a Castle, io sono pronta a correre il rischio...”
Christina guarda prima la Gates, poi poggia dei fogli sul tavolo davanti a lei. Prende a toccarsi la tempia, sentendola pulsare. Evidentemente, come il capitano del suo distretto, il funzionario della CIA non crede che sia una buona idea. “Detective, è una missione pericolosa... non siamo addestrati per questo...”
“Ma sono addestrata per riconoscere Richard Castle in un paese straniero. Anche se indossasse altri abiti e avesse barba e capelli lunghi, io lo riconoscerei tra mille, perché vedrei i suoi occhi e sentirei il suo profumo.” Kate è completamente andata. Immersa nei ricordi dell’uomo che ama, parla di lui davanti a gente che conosce a malapena, senza neanche vergognandosene. Questo è un grandissimo passo per lei, ma appena si rende conto degli sguardi increduli puntati su di lei, in primis quelli dei suoi due colleghi che la fissano scuotendo leggermente le teste, la detective deglutisce, e guarda la Gates, trattenendosi per l’emozione. “La prego, capitano.”
Per la prima volta, la Gates non riesce a pronunciarsi. Tutti si aspettano una risposta da lei che sia austera, del tipo ‘Non faccia sciocchezze, detective. Questa è la guerra, non stiamo a pettinare le bambole!’, nel suo stile tipico che l’aveva definita Iron Gates. Invece guarda la sua detective preoccupatissima.
“Mi sembra un piano sensato, Victoria.” Christina le tocca una spalla facendole voltare la testa per guardarla. “La tua detective sa cosa vuole. E poi questo è l’unico modo per non creare confusione con un blitz.” Anche la Gates sta trattenendo l’emozione e si prende del tempo per farla andar via, prima che il distretto scopra la sua umanità dietro quel suo essere di ferro.
“Va bene, detective. Se ti senti pronta, puoi iniziare anche subito l’addestramento.”
 
Mike resta a guardarla appoggiato sulla soglia della porta. Kate è in piedi, non curandosi della sua presenza, perché concentrata a leggere degli appunti che Javi e Kevin hanno preso per lei in sua assenza. Sorride, mettendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mostrando all’agente inglese il suo profilo felice. I suoi colleghi e amici sono dei gran casinari quando stanno insieme, ma tuttavia si preoccupano per lei e da bravi studenti si sono presi la briga di prendere qualche appunto.
“Sicura di voler andare?” inizia lui, e quando lei si volta, lo vede guardarsi la punta delle scarpe, per poi rialzare lo sguardo sulla detective. “Non hai idea del gran casino che ti aspetta.”
“Sono consapevole, invece.”
“Tu lo fai per rivedere il tuo scrittore.” Lo dice con un tono consapevole e forse un po’ amareggiato, ma il silenzio di Kate gli dà la risposta ovvia che già sapeva. Fa una smorfia. “Dovevo immaginarlo.”
Kate prende a sistemarsi i capelli scompigliati portandoseli dietro le orecchie. “Senti, ho lavorato sotto copertura per l’FBI per un periodo di tempo. Ti ripeto che sono pronta.”
Mike continua a guardarla mentre lei sostiene decisa il suo sguardo. Lui scuote la testa avanzando di qualche passo verso di lei. “No, tu non sai quello a cui vai incontro.” Inizia a gesticolare con una sola mano, mentre l’altra è nella tasca dei pantaloni. Gli compare una ruga al centro della fronte. “Laggiù c’è l’Inferno. La gente muore sotto i tuoi occhi per colpa di qualche tiro sbagliato, c’è sofferenza e devi nasconderti continuamente.”
“Avrò il miglior addestratore, quindi non devo temere nulla, giusto?”
“E chi sarebbe?”
Lei sorride, abbassando e poi rialzando lo sguardo. “Intendevo te, Mike.” Dice, afferrando un paio di libri e un blocco da disegno. Gli passa accanto tenendo quel sorriso sul viso. Scuote la testa pensando che avrebbe potuto dirgli che per un agente di fama internazionale, abile a smascherare i cattivi, se la cava veramente male con le buone intenzioni delle persone.
 
Quando si reca da Hayley, la giovane traduttrice è in quello che una volta era l’ufficio principale, dove di solito Kate e gli altri parlavano con i parenti stretti delle vittime. Seduta perfettamente con gambe unite sul divano più grande, tiene un quaderno sulle cosce, e la testa piegata su di esso, mentre borbotta qualcosa tra sé. Giocherella con la penna in mano, e con un soffio sposta la ciocca di capelli cadutale sugli occhi. Si volta per afferrare il dizionario di arabo, un grosso mattone che sfoglia come un libro che lei già conosce. Kate fa qualche passo, tenendo il suo materiale didattico davanti a sé. Alza il sopracciglio appena Hayley sente la sua presenza.
“Kate! Cioè, detective Beckett... entri!”
“Oh ti prego, dammi del tu... potremmo essere sorelle!”
La giovane sorride e si fa spazio tra i libri, togliendone alcuni per farla sedere sulla poltrona di fronte. Kate ne afferra uno pesante, una grammatica moderna aggiornata, e inizia a sfogliarlo distrattamente.
“Come riesci a parlarlo perfettamente? Allora è proprio vero il detto ‘parlare arabo’... non si capisce davvero niente!” mostra alla ragazza una pagina presa a caso. È un’introduzione ai verbi con le varie forme. Hayley ride.
“Pensa che per imparare a parlarlo adeguatamente, sono stata due anni all’estero, frequentando la scuola a Gerusalemme.”
“E hai imparato lì?”
“Certo. Ma la lingua non si impara sui banchi di scuola... tu mi capisci, vero?” si ferma per strizzare l’occhio. Il momento iniziale di leggero imbarazzo è superato. Kate ride a sua volta, portando la testa indietro.
Una sonora risata che cattura l’attenzione dell’agente Jones, che si sofferma, in silenzio, ad osservare le due fuori dalla stanza, attraverso la vetrata. Divertito e intenerito, guarda Beckett e i suoi goffi tentativi di pronuncia.
“Allora iniziamo provando a pronunciare le lettere gutturali...” Hayley si schiarisce la voce, assumendo una posizione seria, che sembra più un Buddha in meditazione che una professoressa intenda a insegnare. Kate non trattiene un’altra sonora risata nel tentativo di pronunciare quelle lettere così complicate.
“Non ci riesco, sono così simili tra loro...”
Improvvisamente Hayley poggia i suoi libri dall’altra parte del divano. Tiene le mani unite e si allunga verso Kate.
“Posso chiederti una cosa? Com’è Richard Castle? Cioè tutto quello che so su di lui è grazie ai giornali... lui di persona, com’è?”
Beckett arrossisce di botto, e si gratta il naso nel tentativo di nascondere il rossore. Non c’è niente da fare, è davvero innamorata. Le basta udire il suo nome per sentire il cuore esplodere e poi fare un tuffo.
Sorride con l’immagine di Rick nella mente. “Beh è un narcisista. E un egocentrico. Ecco, quando spara una delle sue teorie fantascientifiche vuole aver ragione ad ogni costo. Ma non lo fa in maniera arrogante, al contrario.” Si ferma, sorride. “Ci fa sorridere. Da quando ha iniziato a girare per il Dodicesimo, ha reso il mio lavoro più leggero. Mi fa ridere quando risolve i casi nel modo più assurdo...” di nuovo una pausa. “E’ affettuoso. Con la famiglia, con le persone che ama... lui farebbe di tutto per loro. E’ umile. Riconosce il valore di una persona e lo rispetta.” Alza lo sguardo e vede Hayley che con occhi sognanti la incinta a continuare. “Porta il caffè la mattina solo per vederti sorridere. Lui riesce a leggerti dentro, come un vero scrittore. Ti capisce e vuole conoscere sempre più cose su di te...” Kate è partita in quarta a raccontare e lo fa in maniera calma. Forse è una delle poche volte in cui parla apertamente dei suoi sentimenti, ed è solo in quel momento che si rende conto di quanto lui le manchi. Inaspettatamente, sente una lacrima che vuole uscire. “Perché quando entra nel tuo mondo, difficilmente se ne va... Scusa, sto parlando troppo.” Conclude mordendosi il labbro e strofinando le mani sudate sui pantaloni.
Mike Jones ha sentito tutto, ma non ha voluto fare neanche un passo. È rimasto affascinato e senza fiato dal suo modo di raccontare.
Hayley è esultante. “No, affatto! Sei davvero innamorata di lui. Credo che tutte le ragazze della mia età sognano una storia d’amore come la vostra. Lo scrittore e la sua musa che combattono il crimine insieme! Ma come hai potuto notare, ho pochi svaghi.”
Kate nota lo sguardo pallido e triste che assunto la giovane traduttrice. Stavolta è lei ad allungarsi nella sua direzione, scrutando i suoi occhi bruni. “Hayley, perché hai scelto questo lavoro? Sei giovane, non hai pensato a divertirti prima di intraprendere una carriera del genere?”
La ragazza sospira, sentendo il bisogno di togliersi un peso. Sorride a malapena appena i ricordi le riaffiorano alla mente.
Banchi di scuola, ragazzi e i pochi amici. Tutte immagini che sbiadiscono nella sua mente, perché non è riuscita a memorizzarle in tempo.
“Ho 26 anni. La CIA mi ha notata quando ne avevo 20. Sono sempre stata un genio con il computer e avevo un’innata predisposizione per le lingue. Così dopo la laurea a Harvard, Christina Finch mi ha presa nella sua cerchia. Adoro il lavoro che svolge, e amo lavorare alla CIA. Forse mi pento un pochino delle scelte che ho fatto da giovane, ma è ciò che succede quando hai un quoziente intellettivo più alto della norma, no? Diventi speciale per i servizi governativi, che diventano la tua famiglia come il distretto lo è per te. E il tuo mentore finisce per diventare la migliore amica che ti è mancata al liceo.”
Kate la guarda rivedendo un po’ se stessa una quindicina di anni fa. Dovrebbe dirle che la capisce perché anche la sua vita è cambiata radicalmente dopo la morte di sua madre, ma non se la sente di rilasciare una bomba del genere. Non che non si fidi di Hayley, ma non la conosce abbastanza come Castle, che ha impiegato anni per entrare nella sua vita. Allunga la mano posandola sulla sua, per farle sentire il suo calore di conforto.
Le sorride semplicemente e alla giovane basta poco per riprendere lo spirito di entusiasmo che aveva prima.
Dall’altro lato della vetrata, Mike fa un passo, spostando il peso da una gamba all’altra. C’è qualcosa in Kate Beckett che l’ha colpito fin dal primo istante, e anche se ha dovuto combattere coi suoi tentativi di dimostrarlo, alla fine ha dovuto arrendersi. L’aveva giudicata male all’inizio, doveva ammetterlo, ma poi si era ricreduto giorno dopo giorno. Quella detective è una tipa tosta, crede in dei valori, e i suoi agenti per lei sono la sua famiglia. Non ha mai conosciuto una tipa con lei durante i suoi vent’anni di servizio, e la cosa lo spaventa a morte.
Si guarda le scarpe per distogliere il suo sguardo colpevole dalla detective. Non è giusto, non dovrebbe provare quelle sensazioni in quel momento, soprattutto perché non è né il luogo né la situazione adatta. Chissà se in altre circostanze...
“Agente Jones...” la voce calma che compare alle sue spalle è quella di Owen. “Il capitano Gates vuole parlare con lei...”
 
L’agente inglese si reca senza indugio nell’ufficio della Gates. Chiude la porta dietro di sé, restando in piedi con le mani in tasca.
“Voleva vedermi, capitano?”
“Sì, agente Jones. La prego, si sieda.”
“Stare seduto mi agita. Sembra di essere tornato a scuola.” La battutina sarcastica serve per smorzare l’aria tesa della stanza, però Mike dice il vero.
La Gates si sistema gli occhialini sul naso e lo guarda cercando di affrontare la sua altezza.
“Senta, siamo onesti. Io non piaccio a lei, e lei non piace a me, ma abbiamo in comune una persona. La detective Kate Beckett.” Si sofferma sul nome provocando un’impercettibile reazione da parte dell’agente. Avendo confermato la sua teoria, Victoria Gates inclina le labbra. “Entrambi vogliamo la sua sicurezza, quindi posso chiederle un favore? La addestri per questa missione.”
Mike si sente impacciato e prende a toccarsi la cravatta nervosamente.
“Non credo sia il caso. Non saprei da dove iniziare.”
In realtà l’idea di stare di più a contatto con la detective gli sta facendo sudare le mani.
“Ma come, un agente così importante come lei che si spaventa davanti a un piccolo ostacolo?” la Gates lo sta stuzzicando, ma è il suo modo di incitarlo. “Io mi fido di lei, e credo che anche Beckett si fidi. Se è l’unico modo per riportare indietro il signor Castle, sono pronta anche a trattare con i terroristi.”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Adoro Ryan ed Espo quando si comportano da fratelli maggiori per Beckett: sono preoccupati per lei e ovviamente non vedono di buon occhio l'agente Jones - e gli inglesi in generale. Al contrario, io ho un debole per l'accento british, ma non diciamoglielo :p
Kate, intanto, in pieno stile "Hunger Games", si offre volontaria per la missione sottocopertura... vedere Rick sullo schermo e la possibilità di incontrarlo non le ha fatto capire più nulla... ah, l'amour.
Poi approfondiamo il personaggio di Hayley e scopriamo che non solo è una fangirl ma che ha davvero un gran cervello (beata lei!)...
Infine la Gates. C'è da amarla. Mette da parte il suo 'odio' verso Jones e gli affida la sua detective affinché la addestri come si deve.
Grazie per essere arrivate fin qui, alla prossima :*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Informazioni riservate ***




Guarda il suo corpo allo specchio.
Dimagrito, barba incolta, e capelli sbarazzini che hanno bisogno di essere tagliati.
E poi getta l’occhio sui vestiti larghi indossati su quel corpo snello. Una siluette perfetta, quasi da modello, eppure non riesce ancora del tutto ad abituarsi all’idea di essere diventato un’altra persona.
Sono passati due mesi da quando Richard Castle è stato rapito da un gruppo di terroristi di Al-Qaida.
Non ha letto né visto il telegiornale; Nasir glielo ha impedito. Ma da ciò che gli ha rivelato Yoel, il suo addestratore al tiro, tutti stanno parlando di lui chiedendosi dove si trovi. Si è domandato spesso se anche Kate e il Dodicesimo si siano attivati per trovarlo, e il suo mentore gli ha sempre fornito la stessa risposta, “Dicono che stanno collaborando con CIA e Interpol, ma ovviamente il telegiornale non fornisce ulteriori informazioni.”
Si mette a sedere sul suo letto e si prende la testa tra le mani. Conosce la sua Kate e sa che non si sta arrendendo, ma allo stesso tempo ha paura che lei possa trovarlo prima che lui abbia concluso il suo addestramento.
Resta a fissare il vuoto davanti a sé.
E se fosse lui a smuovere le cose? Per settimane, non ha fatto altro che sparare con ogni tipo di armamento, ma non ha mai ricevuto un allenamento completo.
“Nasir, posso parlarti?”
Entra nella stessa stanza vetrata che aveva già visto altre volte. È quella che sta di vedetta nel suo centro operativo.
Il leader del gruppo terroristico è sempre vestito con quella lunga tunica di seta rossa, con la scollatura a V in oro, e pantaloni beige. Un abbinamento che farebbe storcere il naso a un qualsiasi stilista di moda, ma a Nasir non importa cosa pensano gli altri. Si volta per guardarlo appena lo vede. Cerca di essere il più normale possibile, togliendo ogni dubbio sul suo attuale stato di agitazione. Da quando c’è stata quella falla nel sistema di internet, Nasir tiene tutto sotto controllo come uno squalo. Toglie i gomiti che erano appoggiati sulla postazione del computer e allarga le braccia nella sua direzione, accennando un sorriso.
“Certo, Rick. Ho sempre tempo per conversare con il miglior scrittore di gialli che conosca.”
“Sono lusingato.” Castle sorride, ricambiando lo sguardo del suo interlocutore, ma cambia subito espressione, volendo arrivare al sodo. Si prende le mani stringendole tra loro e comincia ad avanzare verso di lui. “Ecco, volevo chiederti qual è il mio scopo qui. Sai, sono settimane che mi addestro a sparare, e credo di aver centrato l’obbiettivo, nel vero senso della parola.”
“Cosa vorresti chiedermi?”
Sostiene lo sguardo impassibile di Nasir, cercando di studiare quegli occhi che lo scrutano da vicino. Per quanto si sforzi, Rick non riesce a leggere nient’altro che odio, esitazione e tanta ansia. Immediatamente pensa anche lui alla falla nel sistema avuta qualche settimana fa e ha l’istinto di indietreggiare.
“Ho imparato ad usare le armi, sparando tutti i giorni a più non posso. Ho aggiunte nuove parole al mio povero dizionario, forse penso di essere pronto per un altro tipo di addestramento.”
“Che cosa vuoi che ti insegni, said?” adesso il tono di Nasir inizia a mostrare finalmente un cambiamento: è in allerta, come se sapesse dove lo scrittore stia andando a parare.
“Come si combatte a mani nude.” Lo scrittore fa delle mosse di pugilato e Nasir lo guarda corrucciando la fronte. “Se dovessi trovarmi senza armi, usare braccia e gambe potrebbe disarmare l’avversario.”
Il giovane musulmano si porta le mani dietro la schiena ridacchiando. Guarda a terra e poi alza lo sguardo. “Sei intelligente, Rick. Per questo ti ho scelto per la nostra missione. Ti invierò il mio miglior uomo.”
Castle è confuso. È stato facile avanzare la sua richiesta a Nasir. Eppure c’è qualcosa che non lo convince. Il fatto che lui abbia accettato senza esitare lo insospettisce. Si aspettava delle lamentale, o che almeno gli facesse intendere che non c’è bisogno di combattere a mo’ di Rocky Balboa, perché hanno sempre a disposizione ogni tipo di armamento.
Nasir lo guarda alzando un sopracciglio. Rick risponde scuotendo la testa. “Tutto qui?” dice con una risatina nervosa.
“Solo per te, il miglior trattamento, saidi. Ora va’ a riposare. Domani inizi l’altro addestramento.” Lo congeda in maniera frettolosa accompagnandolo all’uscita della stanza vetrata.
Rick si volta per guardarlo un’ultima volta. Nasir gli sorride e sembra tranquillo, ma lo scrittore inizia a sudar freddo quando gira incamminandosi attraverso il corridoio dei computer. E fa bene a preoccuparsi, quando il giovane capo di Al-Qaida lo osserva allontanarsi e torna con l’espressione tesa, intrisa di odio, mentre con il gesto della mano chiama uno dei suoi.
Fa la sua comparsa un uomo vestito di nero dalla testa ai piedi. È alto, tozzo, si intravedono solo gli occhi poiché la testa è coperta con un velo. Dietro le spalle, spunta un grosso kalashnikov.
“E’ furbo.” Fa l’uomo.
“Non quanto me.” Replica Nasir, senza staccare gli occhi di dosso da Rick. Lo scrittore è ormai fuori dalla struttura quando l’uomo col kalashnikov torna a parlargli.
“Come intende procedere?”
Nasir si volta. Sul viso è impossibile leggergli qualcosa di sereno. Muove sole labbra. “Se accenna anche solo minimamente a fare ulteriori domande sulla nostra base, o anche solo a ribellarsi all’addestramento, sai cosa fare.”
 
Tra tutte le missioni sotto copertura, questa le sembra la più difficile e, ironicamente, anche la più comica.
Nelle ultime settimane, insieme a Hayley ha imparato tanti nuovi vocaboli e ora riesce anche a comporre frasi di senso compiuto. Periodi brevi e basilari, tutto ciò che le serve sapere senza indugiare oltre. Perché ad ogni domanda specifica, mentre cercava di capire qualcosa sulla sua missione, Christina Finch e Hayley le ripetevano in coro “Informazioni riservate.” Una risposta che l’ha sempre irritata, perché odia essere all’oscuro di qualcosa.
La giornata di Kate è così scandita: mattinata metà riunione nella sala centrale, e l’altra metà conversazione con Hayley, seguita da una pausa pranzo con Esposito, Ryan e Lanie – unico momento della giornata dove sente di essere se stessa, scherzando e giocherellando con i suoi amici, tanto per rendere l’aria già tesa, più rilassata – e infine una veloce riunione per fare il punto della situazione.
Kate sa che per entrare sotto copertura non basta solo saper parlare e sapersi muovere: conta anche come ci si presenta. Durante il pranzo, lei e la sua squadra avevano scherzato sul fatto che la detective si sarebbe dovuta vestire in un certo modo, indossando lunghi vestiti a tinta unica, coprendosi la testa, e comunicando solo con lo sguardo. Dato che aveva imparato bene la cultura del luogo, prontamente aveva replicato che solo in alcuni paesi del Medio Oriente, quelli più chiusi e sciiti, le donne vanno in giro tutte coperte dalla testa ai piedi. Con l’aria perplessa, Kate si era domandata chi si sarebbe occupato del suo abbigliamento.
 
“Non penserai che sia io ad insegnarti come comportarti da donna araba?”
La voce sconsolata di Mike Jones le giunge da dietro le orecchie, mentre è impegnata a rimettere a posto i suoi libri nella stanza dove abitualmente fa conversazione in arabo con Hayley. Kate trattiene un sorriso giusto il tempo per voltarsi e vedere lo sguardo spaventato dell’agente inglese. Con un sopracciglio alzato e l’altro abbassato, è appoggiato con tutto il peso contro lo stipite della porta.
Kate inclina la testa per guardarlo. “Andiamo, Jones. Sono sicura che nei tuoi trascorsi, un uomo come te, abbia avuto a che fare con un sacco di spasimanti.” Kate si ferma di botto appena nota lo sguardo dell’inglese diventato improvvisamente assente che fissa il vuoto. Si morde la lingua passandosi frettolosamente una mano tra i capelli. “Mike, io non volevo...”
“Tranquilla, Kate.” Lui la ammonisce semplicemente alzando la mano. Mostra nell’altra quelli che all’apparenza sembrano due abiti, uno bianco e l’altro color panna che si rivela essere un velo, un hijab. Glielo porge. “So che Christina Finch ti ha detto cos’è successo alla mia famiglia in quell’attentato. E so anche che lei è andata a curiosare nel mio fascicolo ai tempi della nostra prima collaborazione.”
“E hai lasciato correre?”
“E ho lasciato correre. Quando lavori in questi contesti internazionali, non c’è tempo per le discussioni o per lasciarsi andare ai sentimentalismi.”
Kate prende a studiare il velo, e prova a metterselo in testa. Prima lega i capelli raccogliendoglieli in una cipolla, poi mette il velo bianco, più piccolo e sottile, con il quale avvolge il capo. Dopo, posiziona l’altro color panna, più grande, legandoselo dietro la testa e cercando di intrecciarlo a mo’ di cappuccio. Fa una smorfia, abbassa la testa e pensa alle parole di Mike.
“Sai mi ricordi me.” Fa un bel respiro realizzando in quel momento che sta per dire quella cosa che anni fa le sarebbe stata impossibile, se non stando in terapia. Sorpreso, l’agente Jones cambia posizione, spostando il peso sull’altra gamba. “Prima che mi aprissi, ero circondata da un muro che mi proteggeva dall’essere ferita, quindi impedivo a chiunque di conoscermi e di entrare in contatto con me. Poi è arrivato Castle, e sono diventata una sfida per lui. Non si è mai arreso con me.” Conclude, alzando lo sguardo verso di lui.
Vedendo in che modo arruffato ha sistemato l’hijab sulla testa, con i lati che le ricadono a penzoloni davanti, Mike avanza verso di lei. Le toglie l’hijab per riposizionarglielo sulla testa, facendo attenzione a lasciare un lato più lungo dell'altro e a non fare allentare la tensione sulla fronte. Kate, invece, alza lo sguardo timidamente e scruta i suoi occhi azzurri. Hanno ripreso un po’ di luce, e per la mente le sfiora l’idea che forse è la sua vicinanza a renderli così.
“E tu non intendi arrenderti con lui, giusto?” Mike parla evitando il suo sguardo. Si ferma e con la mano raggiunge la tasca anteriore del suo pantalone estraendo due spillette nere che fissa alla base del cranio le due estremità e poi le passa ad incrocio avanti al petto. Kate sussulta al contatto delle sue dita con la pelle, che vanno distrattamente a sfiorarle entrambe le guance. Chiude gli occhi per evitare i suoi che si sono posati su di lei. Mike si ritrae da quel contatto e torna ad occuparsi dell’hijab. “Ora capisco perché ti sei gettata in questa missione di copertura.”
Prende la parte più lunga, facendo attenzione a non tirare il lato più corto, e ci avvolge il collo in modo da non rendere visibile più nessun lembo di pelle. Dopo averlo avvolto completamente, cinge con lo stesso lato dell'hijab la parte opposta della testa posteriormente. Continua nel movimento di far passare lo stesso lato ripetutamente intorno al collo e dietro il capo fin quando non ha coperto tutta la testa. Si allontana da Kate quasi balzando all’indietro, in realtà per prendersi del tempo per osservarla. L’agente Jones si rivela ricco di sorprese quando tira fuori uno specchio da dietro di sé. Spalanca le braccia, sorridendo soddisfatto. “Ecco fatto. Ma la prossima volta dovrai riuscirci da sola.”
L’immagine riflessa che Kate vede è solo quella di una bambola un po’ goffa, rinchiusa in quell’ammasso di veli.
 
Quando sul tardi Kate ritorna in sala grande, quella delle riunioni, vede Javier e Owen impegnati animatamente in una discussione.
Si avvicina a Kevin, che sta fermo con le braccia conserte, a guardarli dalla sua postazione con aria perplessa.
“Che succede?”
“Da quello che ho capito, l’agente Rodriguez fa il filo a Lanie.”
Le scappa una risatina che soffoca. L’irlandese si volta verso di lei. Basta poco perché il riso venga ricambiato.
“Sì, lo so, è buffo? Siamo qui a lavorare su una cosa di portata internazionale, e abbiamo i siparietti da telenovela spagnola.”
Kate concorda con un cenno del capo. Poi torna seria insieme a Kevin quando si accorgono che la situazione sta degenerando.
“Una chiacchierata con la dottoressa Parish?! Ho visto come la guardi, razza di agente dei miei stivali!!”
“Beh, una donna così merita di essere guardata!”
E poi un bel pugno che va a colpire l’agente Rodriguez dritto al naso.
“Che diavolo succede qui?”
La Gates e Lanie accorrono solo per vedere Owen Rodriguez toccarsi il naso con gli occhi lucidi dal dolore, e Javier che saltella stringendo il pugno. L’impatto con il viso dell’agente deve avergli provocato un gran male. Victoria Gates mette le mani sui fianchi e guarda prima uno e poi l’altro.
“Dovrei prendervi per le orecchie e portarvi fuori da questo distretto, ma dato che non stiamo in una scuola elementare, mi limiterò a sospendervi al momento.”
Javi abbassa la testa per evitare Lanie che lo sta fulminando.
“Lei non può sospendermi, non è il mio capo!” ribatte Owen, che però viene stoppato da Mike, arrivato poco dopo dietro di lui.
“Ma io sì, agente Rodriguez. Segua il detective Esposito e prendetevi qualche giorno per riflettere su quello che avete fatto.”
Kate e Kevin si guardano nello stesso momento perplessi. Annuiscono pensando la stessa cosa. Javier e Rodriguez come due bambini della scuola elementare.
Come cagnolini, Esposito e Rodriguez si allontanano sotto gli sguardi dei loro colleghi. Beckett invece rivolge gli occhi all’amica dottoressa, arricciando le labbra. Sa di doverle parlare, confortarla, dato che Lanie è stata sempre al suo fianco, consigliandola.
“Gente, ho evitato di intervenire perché scene del genere le vedo solo in un film d’azione con Stallone.”
Ecco che Christina Finch compare nel modo più elegante possibile. “Quindi, parliamo d’altro. Abbiamo occasione di catturare qualche terrorista di Al-Qaida. Dovete sapere che è arrivato quel periodo dell’anno in cui i nostri amici hanno bisogno di rifornimenti di armi, perché non se le fabbricano da soli se hanno bisogno di alleati e di soldi.” Racconta il fatto come se stesse narrando una storia. Un fatto ordinario e pericoloso, al quale lei ci è evidentemente abituata. “Tuttavia i rapporti che Al-Qaida ha con i paesi vicini non sono assolutamente dei più rosei. Proprio per sviare i servizi di Intelligence, il gruppo sceglie di fare lo scambio di armi in luoghi dove nessuno si immagina, e lo fa con un gruppo affiliato chiamato Fronte al-Nusra.”
“Il gruppo jihadista?” chiede la Gates, e Mike Jones conferma la sua teoria con un cenno della testa.
“Al-Nusra è attivo in Siria e principalmente in questa zona che vedete qui. Nasir Sayf Al-Islam invierà i suoi novelli soldati per far rifornimento. E tra questi dovrebbe esserci anche Richard Castle.”
Dovrebbe... quindi non ne siete sicuri?” insiste la Gates. Vuole esserne sicura al cento per cento.
Kate rivolge uno sguardo furtivo verso il suo capitano.
“Hayley farà del suo meglio continuando a intercettare le chat nel sistema, e a quanto vedo, si è aggiunto anche il detective Ryan a dare una mano.” Aggiunge Christina divertita, osservando Kevin che ha preso posizione vicino alla ragazza, addentando un panino.
“Christina, quindi che ruolo avrebbe la detective Beckett in quest’azione?” chiede la Gates. C’è una nota di preoccupazione nella sua voce, che la Finch, abile a smascherare ogni bugia nel suo campo, percepisce.
“Lei dovrà semplicemente seguire i nostri ordini.”
“Sarebbero?”
“Informazioni riservate.”
Di nuovo quella risposta che tanto odia. Kate la guarda e poi distoglie lo sguardo scuotendo la testa verso la Gates.
La detective dovrà restare all’oscuro degli ordini impartiti dall’alto fino a quando non sarà sul campo di battaglia. Una missione difficilissima per lei, abituata a stare al comando di una squadra e a conoscere ogni dettaglio fin dall’inizio.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Rick vuole accorciare i tempi e provare a fare Rambo con un combattimento a mani nude... ma qualcosa ci dice che Nasir non è molto convinto di questa sua propensione...
Intanto a NY, Kate sta studiando come una pazza e l'agente Jones è così 'carino' con lei da aiutarla anche con l'hijab... Non che ce n'era bisogno, aggiungerei XD
E poi il siparietto da telenovela spagnola, e non a caso la Finch nomina Stallone... che abbia sentito Rick che vuole fare Rambo in Afghanistan? :p
La missione è quasi pronta, se non fosse che i servizi segreti ci tengono all'oscuro di tutto... 
Alla prossima e grazie ancora per chi segue questa storia :)
D.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Terra di nessuno ***



Quando la rossa diva varca la soglia del Dodicesimo lo fa come se camminasse sul palcoscenico. Un’eleganza unica, racchiusa nel suo abbigliamento non troppo sgargiante, con colori vivaci in grado di mettere in risalto i suoi capelli e la sua carnagione, e per finire, gli occhiali da sole scuri che fanno voltare tutti gli agenti del Dodicesimo.
Si ferma, seguita da Alexis, chiedendo qualcosa ad un agente in borghese, e questo risponde volgendo lo sguardo verso Kate.
“C’è una visita per te, Beckett.”
La detective alza la testa dai suoi appunti e non si trattiene correndo a braccia aperte verso i suoi ospiti.
“Martha, Alexis!”
Un abbraccio caldo, consolatorio. Forse quello di cui aveva bisogno. Vedere qualcuno di famiglia, qualcuno che fosse lontano dalla diplomazia e dalla burocrazia. Negli ultimi mesi, aveva visto sempre e solo le stesse facce tese, corrucciate, obbligate a sorridere per allentare la troppa tensione di fronte ad un caso di portata mondiale.
“Oh Katherine! Aspettavamo tue notizie, ma non ti sei fatta più sentire!” le dice Martha, allentando l’abbraccio.
La detective non riesce a rispondere alla domanda della donna perché la voce squillante di Hayley le giunge da dietro. “Kate, ricordati la nostra lezione dopo! Oh mio Dio, Martha Rodgers!” la giovane traduttrice si avvicina con fare pimpante davanti la diva. Alexis guarda la ragazza davanti a lei e poi rivolge uno sguardo preoccupato verso Kate.
“Ho visto in streaming il suo ultimo lavoro a teatro... oddio, lei è una dea, è stata superba nel ruolo della comare di Windsor!”
“Grazie, cara.” Fa semplicemente Martha. Sorridendo alla giovane ma senza indugiare oltre. Con la coda dell’occhio osserva gli sguardi tra sua nipote e Kate. Alexis sta tentando di studiare lo sguardo cupo della detective, ma senza risultato. È come se avesse subito intuito qualcosa, come se Kate si stesse trattenendo dal dir loro qualcosa di importante.
“Hayley! Vogliamo far sapere al mondo che i dipendenti della CIA seguono i programmi illegalmente? Rappresentiamo gli Stati Uniti, per l’amor del cielo!” Christina passa accanto al gruppetto di donne tenendo lo sguardo fisso sul suo tablet. Non ha neanche alzato gli occhi per vedere di chi si trattasse. Troppo presa dal suo lavoro.
Non c’è da meravigliarsi se quella donna non conosce Nikki Heat.
Il tono di voce austero della Finch ammonisce Hayley, che si porta le labbra in dentro e dice quasi in un sussurro “Mi scusi...”
Martha le prende le mani, e calore e gelo si fondono in un uno. Quella ragazza passa tanto tempo al computer. Fortunatamente, alla diva basta poco per far rilassare chiunque, anche rivolgendole un semplice sorriso.
“Ti manderò un autografo, se desideri. Ti chiami Hayley, giusto? Lo manderò per posta a quei brontoloni della CIA.”
Kate sorride a sua volta, conoscendo lo spirito animista di mamma Castle. Ci vorrebbero più persone come Martha Rodgers in giro, allora sì che il mondo sarebbe un posto migliore.
Dopo che la giovane traduttrice si è allontanata, la diva torna ad assumere il suo sguardo preoccupato verso Kate.
“Allora, cara, che succede?”
“Venite, parliamone da un’altra parte.”
Il modo in cui Kate si fa strada davanti alle due Castle spaventa Martha ancora di più.
Alexis aveva già percepito quell’aria di ansia e tensione, anche da come l’aveva abbracciata: stretta, poggiando la testa sulla spalla, accarezzandole dolcemente la schiena, come a non volersi sciogliere più da quell’abbraccio. Le fa accomodare nella stanza dove ormai lei e Hayley fanno lezione di arabo. Si prende del tempo per sistemarsi sulla poltroncina, struggendosi nel trovare la giusta posizione, ma senza mai alzare lo sguardo sulle due, sedute davanti a lei.
Finché Martha azzarda a iniziare la conversazione.
“Abbiamo provato a chiamare qui, ma dava sempre occupato. E quando siamo entrate, grazie a un agente che si è rivelato essere mio fan, abbiamo trovato il distretto completamente cambiato. Che cosa sta succedendo?”
“Mi dispiace se non ho potuto dirvi nulla, ma c’è un protocollo di riservatezza da rispettare. Stanno monitorando Al-Qaida e i suoi movimenti, quindi loro hanno tutto sotto controllo.” Risponde Kate, mantenendo un distacco nel suo tono di voce. Lo sguardo è ancora abbassato.
Alexis e Martha si guardano a vicenda, e ora tocca alla piccola Castle prender parola.
“Perché quella ragazza parlava di una lezione che ti attende?”
Kate si morde il labbro, sentendosi esposta. Non può più mentire.
Martha le poggia la mano sulla sua ed è a quel punto che la detective vede crollare il suo muro di difesa. Quando alza lentamente lo sguardo, ha gli occhi lucidi, trattiene una lacrima, ma questo non le impedisce di parlare. “Sarò schietta con voi. Partirò per una missione sotto copertura con la speranza di trovare Castle.”
Martha le stringe ancora di più la mano. “Katherine!”
“Non preoccupatevi, sto facendo un addestramento molto serrato. Non mi succederà niente.”
La lacrima è lì, pronta per scendere, lo sente.
“Lo spero per te, sai! Ho già perso Richard, e non posso rischiare di perdere anche te! Sei come una figlia per me, Katherine.” Il tono di voce di Martha è tremolante, un misto tra il rimprovero e la preoccupazione. Non molla la presa.
Alexis invece si protrae e va ad abbracciarla. La lacrima è scesa, non ce l’ha fatta a trattenerla, e va a posarsi sul maglione nero della piccola Castle. Chiude gli occhi, lasciando che l’abbraccio le porti conforto.
“Riportaci papà, Kate.”
“Lo farò.”
Tocca a Martha alzarsi e abbracciare le due. Stavolta è un abbraccio frettoloso, ma molto stretto, come a suggellare un patto: riportare a casa Richard Castle. Alexis scioglie l’abbraccio e si adagia vicino alla detective, mentre la diva si siede dall’altro lato della poltroncina.
Prende i capelli di Kate da entrambi i lati, per sistemarglieli sul viso. Sorride ed estrae un fazzoletto dalla sua borsa, una di quelle all’ultima moda che sicuramente Christina Finch possiede. Delicatamente, le asciuga le lacrime dal viso, come solo una madre avrebbe potuto fare.
Pone le mani sulle guance, adesso asciutte, e marca un sorriso sul suo volto.
“Stai attenta. Ti voglio bene.”
 
Continua a passeggiare avanti e indietro per l’obitorio, torturandosi le mani.
L’amica dottoressa alza di tanto in tanto l’occhio dalla cartellina giusto per vederla fare questo giochino snervante. Infine, posa il tutto sul tavolo vicino a lei, vi poggia una mano sopra e l’altra la mette sui fianchi.
“Ok, tesoro, dimmi cosa c’è che non va e non dire ‘niente’, perché te lo leggo in faccia. Hai qualcosa che ti turba.”
Impossibile nascondere qualcosa a Lanie Parish. Kate l’ha imparato ormai da tempo, e l’amicizia che le lega da anni ne è una prova.
Si blocca improvvisamente lì davanti, tenendo ancora le mani una sull’altra, con le dita intrecciate tra loro. Esita per un istante, decidendo se sputare subito il rospo, oppure continuare a giocarci su. Alla fine opta per la prima.
“Io e l’agente Jones abbiamo avuto... un momento.”
La dottoressa lascia volontariamente cadere le braccia lungo il corpo e spalanca la bocca.
“Che vuoi dire? Il nostro sexy agente inglese ti ha fatto delle avances?”
“Lanie!” la rimprovera la detective, con un tono di voce alto, ma si ritrae imbarazzata.
“Che c’è? A me piace.” Le fa il verso la dottoressa, spalancando le braccia.
Per qualche istante si fissano divertite. Kate la guarda stralunata, incapace di credere a ciò che l’amica le ha appena detto. Lanie, invece, alza i sopraccigli e poi fa spallucce. La detective ritorna a torturarsi le mani. Un altro espediente per allentare la tensione, che però non sembra riuscirle minimamente.
“Niente di tutto ciò. Mi stava aiutando con l’addestramento sotto copertura e ci siamo solo trovati molto vicini.”
“Vicini quanto? Tesoro, niente panico. Non hai fatto nulla di male.” Ma Kate non la sta ascoltando. Abbassa lo sguardo, grattandosi la testa. “Quanto tempo è passato da quando non vedi Castle? Due mesi.”
È a quel punto che Kate la interrompe alzando il suo sguardo afflitto. “Mi manca, Lanie. E ho paura di non riuscire in questa missione.”
La dottoressa comprende il suo dolore. Si avvicina per consolarla come solo lei riesce a fare. Mettendoci un po’ di umorismo e dandole carica. Aggiungendo quella dose di gesti con le mani. “Da quanto tempo ci conosciamo? Non rispondere. Da troppo tempo.” Prende a farsi domanda e risposta da sola, e provocando continui sorrisi sul volto della detective. “Non ti ho mai vista indecisa su una sola cosa nel tuo lavoro. Ora non farti influenzare da tutti questi agenti sparsi per il Dodicesimo, ma dimostra loro quanto vali.”
Basta uno sguardo. Un semplice sorriso e una mano sulla spalla per sollevarle il morale.
Lanie Parish sa quando far sentire bene una persona, specialmente se quella persona si tratta della complicata e conflittuale Kate Beckett, che per anni non ha fatto altro che anteporre un muro tra lei e chi cercava di capirla e di entrare nel suo mondo.
Solo Richard Castle era stato in grado di abbattere quella barriera e lo aveva fatto togliendo mattoncino dopo mattoncino, senza andare di fretta, senza metterle pressione.
Eppure in quella circostanza, senza lui a darle il sostegno necessario, lei si sente spaesata. Era arrivata anche a non prendere più il caffè la mattina per evitare di non condividerlo con nessuno, ma poi ci aveva ripensato ed era giunta alla conclusione che doveva dimostrarsi matura e combattiva.
Doveva farlo per lei e per il suo scrittore.
“A proposito. Immagino avrai saputo che l’agente Rodriguez è passato qui questa mattina e ha iniziato a flirtare con me.”
Lanie cambia discorso e conclude la frase con fare malizioso. Kate la guarda e ridacchia. Sembra che alla dottoressa faccia piacere ricevere attenzioni e stuzzicare il suo uomo.
“Ecco perché Esposito ha dato di matto l’altro giorno.”
“Oh sì, e ha risposto col suo modo di fare da prima donna... ‘Hey chica, se prova a toccarti, gli spacco il muso’.” Dice Lanie, facendo il verso a Javier. “Ah, questi uomini.”
“Va bene, dove vuoi arrivare?”
Gli occhi vispi di Kate guardano Lanie con impazienza. In realtà, la detective sa benissimo dove l’amica vuole andare a parare, ma la paura di ammetterlo le blocca anche il respiro. La dottoressa riprende la sua cartellina e con una penna in mano si mette a fare dei segnetti sulle pagine, come ad annotarsi qualcosa. L’altra continua a fissarla senza muovere un muscolo.
“Tesoro, vorrei sapere qual è il tuo problema con gli agenti inglesi. L’ultima volta che uno di loro ti ha fatto la corte, hai rinunciato a uscire con lui perché aspettavi Castle.”
Ecco il momento in cui Kate si decide a fare una mossa.
Un piccolo passo in avanti, accorgendosi di avere le gambe più rigide del previsto. Deglutisce non facendosi notare e ricorda quando un paio di anni fa c’era quell’agente di Scotland Yard che le faceva il filo di cui ora a malapena ricorda il nome. Anche allora lei e Lanie avevano discusso sui sentimenti che provava per Castle.
Si morde il labbro inferiore, portando indietro nel tempo quel ricordo. Lanie, intanto, la guarda inclinando la testa da un lato, e si avvicina a lei con fare preoccupato. Le sfiora il braccio, giusto per accertarsi che lei la stia ascoltando dal suo stato apparente di trance.
“Ti voglio bene, Kate, e so quanto ami quel folle di uno scrittore. Ma forse dovresti considerare anche l’opzione che lui potrebbe non voler tornare più.”
 
Kate non vuole pensare all’ipotesi di Lanie. Vuole essere positiva e credere che tutto andrà per il meglio, e che il suo Castle tornerà da lei.
È pur vero che l’amica le ha fatto aprire gli occhi ponendole di fronte ad una realtà sconcertante: è passato del tempo, lui è in un posto straniero, costretto a partecipare al folle piano di un terrorista, magari è stato anche minacciato, e forse è anche cambiato.
Non ha valutato l’opzione che lui non voglia più rivederla, dopotutto. Lei si sta facendo a pezzi per rintracciarlo e sperare in un suo contatto, ma come può sapere se anche lui stia facendo lo stesso per lei? Magari l’ha dimenticata.
E poi c’è l’agente Mike Jones. L’aveva aiutata, si era dimostrato cordiale, nonostante i suoi sbalzi d’umore, ma sembrava sinceramente interessato a lei e a fare in modo che ritrovasse Castle. Forse lo aveva anche involontariamente incoraggiato a starle accanto, e di questo se ne dava una colpa.
Scuote la testa, poggiandola sul muro che divide la stanza degli interrogatori con la stanza al di là del vetro, dove si trova lei in quel momento. Sospira tra sé, riempiendosi la mente con assurdi pensieri. È voluta andare in quella camera neutra, una sorta di ‘terra di nessuno’, per rilassarsi, riflettere, invece si è accorta che è impossibile fare entrambe le cose. È in quell’esatto momento che si chiede se salvando Castle stia facendo la cosa giusta.
 
Qualche ora più tardi, la stanza principale è in fermento.
Il maxischermo continua a mostrare le stesse immagini: l’Afghanista, i militanti jihadisti pronti alla guerra che alzano i loro kalashnikov verso il cielo, un muezzin che richiama i fedeli in preghiera, e poi foto di Al-Qaida, di al-Nusra e infine quell’orrendo video di Castle tenuto prigioniero.
Christina Finch, però, decide di bloccare l’immagine sul logo del Fronte al-Nusra, chissà forse per turbare la sensibilità di Beckett, oppure semplicemente perché vuole introdurre l’argomento.
“Fronte al-Nusra, gruppo affiliato ad Al-Qaida, operativo in Siria e in Libano. Il suo nome completo si traduce con ‘fronte del soccorso al popolo di Siria.’ Formatosi nel 2012, è stato definito dal governo degli Stati Uniti come organizzazione terroristica proprio in quell’anno.” Fa una pausa, prendendo il telecomando per far scorrere altre immagini. “Al-Nusra è un gruppo jihadista che pratica la jihad, la guerra santa, occupando militarmente e con la forza, i territori circostanti per annetterli ad Al-Qaida.” Lo schermo va avanti fino a quando non mostra la foto di Nasir Sayf Al-Islam.
È il ritratto di un giovane, bell’aspetto, all’apparenza sembra discendere da una ricca famiglia, ma il Dodicesimo come gli altri agenti della squadra sanno bene che le apparenze ingannano.
“Nasir sa il fatto suo. È giovane, intelligente, ma non molto esperto in strategie di guerra. Per questo invierà un gruppo di uomini a Beirut la prossima settimana per far rifornimento. Dato la situazione geopolitica attuale, si aspetta che saremo noi a rintracciarlo in Siria, e invece colpiremo in Libano.”
“Mi scusi, come ha fatto ad avere questa soffiata? La falla nel sistema sta funzionando?” la interrompe Kate.
Christina si volta a mezzo busto per guardarla. Si è ricomposta, indossando un tipico completo da agente federale. Ha anche pettinato i capelli a dovere e si è rifatta il trucco; è come se indossasse una maschera in quel momento, e lo stesse facendo per ingannare se stessa e far credere a tutti che sta bene. Fortunatamente il funzionario della CIA è un’ottima osservatrice, altrimenti non starebbe volgendo quel tipo di lavoro, però rispetta la sua privacy e non dice niente per stuzzicarla.
“Di solito risponderei con ‘informazioni riservate’, ma in questo caso sento di dovervelo dire.” Dice facendo una risatina, che provoca un sorriso alla detective. “Ringraziamo la nostra fonte in Egitto che ci sta informando a distanza sugli spostamenti degli uomini di Nasir. I suoi uomini e il gruppo di al-Nusra si incontreranno a Beirut. Detective Beckett, verrai inviata in mezzo al più grande suq del paese, ti confonderai con la folla, ti comporterai normalmente. Ricorda: non dare nell’occhio e parla poco.”
Conclude quella riunione facendo un cenno del capo che sta ad indicare che tutti possono tornare al proprio lavoro.
Kate fa un passo per raggiungere Mike, che intercetta il suo movimento, ma la detective cambia idea all’ultimo; si volta, afferra Hayley per un braccio, indossando di nuovo la maschera di prima, e le chiede se può ascoltarla mentre legge un testo in arabo.
 
Dall’altra parte del mondo, in quello stesso istante, è notte fonda. Mentre gli abitanti di Saqlawiyah riposano, Nasir ha appena terminato una riunione con alcuni dei suoi strettissimi collaboratori.
Il resto dello squadrone composto da cinquanta uomini, è rimasto in disparte, seduto a terra fuori le mura. Ma da quella stanza vetrata, Rick ha cercato di leggere senza successo il labiale di Nasir e i suoi fidati, mentre Yoel, suo addestratore, è rimasto seduto accanto a lui mangiucchiando gli avanzi della cena. Fino a quando uno degli uomini esce fuori per parlare.
È alto, massiccio, tutto vestito di nero e i suoi occhi sono scuri come il catrame. Stringe i pugni e prende parola senza neanche muovere un muscolo. Potrebbe sembrare un robot e l’idea stuzzica lo scrittore. Ogni tanto l’uomo alza l’indice per porre enfasi su determinate parole, che Castle riesce a capire.
Beirut, armi, mercato, attenzione, americani.
Appena l’uomo rientra da Nasir, lo squadrone innalza inni di gioia, impugnando ciascuno il proprio kalashnikov.
“Yoel, che cosa hanno detto?” chiede Rick sottovoce, mentendo.
“Nasir vuole fermarsi al mercato di Beirut. Noi in codice la chiamiamo ‘terra di nessuno’ perché un posto affollato ideale per effettuare scambi di armamenti. Ci si confonde facilmente con la folla.”
“E’ sicuro quindi? E che succede se qualcuno ci nota?”
L’addestratore smette di mangiare, riponendo pezzi di carne sul piatto. Si prende le mani, sistemandosi a sedere, e le lascia a penzoloni sopra le ginocchia.
“Non starai pensando di scappare, Rick?” il silenzio dello scrittore, fa avvicinare Yoel. “Said, te lo dico da amico: lascia perdere. Ti uccideranno prima ancora che tu possa fare un passo se non ubbidirai ai loro ordini.” Lo mette in guardia, ma Castle deglutisce e distoglie lo sguardo. Seduti lì, nel buio, all’addestratore è impossibile notare le goccioline di sudore che scendono dalla fronte percorrendo la guancia dello scrittore. “Nasir pensa che sia stato te a creare la falla nel sistema operativo.”
“Cosa?! Ma se so a malapena accendere un pc, scrivere e navigare su Internet!”
Yoel sospira. Alza la testa davanti a sé. Il gruppo terrorista è impegnato nel suo rituale di gioia, eccitato dall’idea di andare in missione.
L’addestratore di Rick muove le labbra il più piano possibile, senza distogliere lo sguardo dal gruppo di uomini. Alza lo sguardo per notare il capo di Al-Qaida che dà dei colpetti sul braccio al suo fidato, sorridendo.
“So solo che Nasir ti tiene sotto controllo. Tu gli servi per questa sua missione jihadista, ma appena finirà tutto, non esiterà a farti fuori.”


 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Mi mancavano le donne Castle tutte riunite, sebbene per una situazione poco piacevole...
Non bastonate Lanie: da amica sta dando a Kate tutti i suoi consigli da valutare... io aggiungerei che anche l'agente Rodriguez deve tenere le mani lontane da Lanie :p
Intanto, Yoel è diventato amico di Rick e lo mette in guardia... speriamo non faccia passi falsi a Beirut!
E con questo, mi prendo una pausa. Settimana prossima non ci sono, quindi non posterò. 
Chi ha gli arretrati, avrà tutto il tempo per recuperare ;)
Mi dispiace lasciarvi proprio così, ma siamo arrivati a metà storia. Dal prossimo capitolo, le cose iniziano a farsi ‘serie’.
Grazie per chi continua a seguirmi, leggere, recensire ecc...
A presto!
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Beirut ***




Il piccolo aeroplano viaggia a velocità modesta. Stretto ma confortevole da contenere dieci persone, tutte vestite in maniera diversa. È per non dare nell’occhio e mescolarsi tra la folla. Sono stati abili a nascondere i kalashnikov sotto i loro mantelli, che usano per coprirsi le spalle e davanti, fin sotto il torace.
Rick osserva come uno di loro stia intrattenendo il gruppo canticchiando un motivetto e nel frattempo si guarda allo specchio per pettinare i capelli scuri ricci, arruffati.
Dal finestrino, lo scrittore scruta il paesaggio.
Molto diverso da Saqlawiyah, nell’Afghanistan rupestre e battagliero. Beirut, al contrario, è più moderno.
Solo quando atterrano, si rende conto che l’aria è già diversa. Prende un gran respiro, spalancando le braccia, e lascia che l’aria entri nei suoi polmoni.
Ha indosso abiti che non sono suoi e sono decisamente più larghi della sua stazza; camicia marrone, pantaloni beige, scarpe di prima qualità e un giaccone verdastro. Con le mani tocca le sue tasche; la pistola è dentro una di esse, al sicuro.
“Benvenuti a Beirut, signori.” La voce sicura del capo a comando della squadra lo fa voltare. Parla con un accento inglese incerto ma di facile comprensione. Impossibile non notare quell’uomo grande e tozzo, tutto vestito di nero, tranne per il viso che è scoperto. “Cercate di non distrarvi troppo tra i bazar e le bellezze del luogo. Non siamo qui per divertirci, ma per portare avanti una missione. Avete tutto chiaro quello che dobbiamo fare? Giriamo per il suq da indisturbati.” Il resto della squadra annuisce. Qualcuno si gratta il naso, qualcun altro ascolta attentamente con le braccia incrociate al petto. “Un gruppo distrae le milizie locali, un altro parla con i mercanti, e l’altro, quello di Jamal, si occupa di effettuare lo scambio. Rick, tu sei con loro. Facciamo presto, gli uomini di Mohammad ci attendono.”
Lo scrittore segue i loro movimenti, annuendo. Alza lo sguardo al cielo, coprendosi la fronte con il braccio.
Il sole è alto, è quasi mezzogiorno e il suq pullula di gente, ignara che da lì a pochi minuti ci sarebbe stato un grosso traffico di armi.
 
Non lontano dal mercato al centro di Beirut, un elicottero plana delicatamente su una collinetta, posandosi indisturbato.
Mike Jones, nel suo completo di agente con tanto di occhiali da sole scuri, esce dallo sportello dell’apparecchio reggendosi con una mano, mentre con l’altra aiuta Kate a scendere dalle scalette.
La detective, immersa nel suo vestito completo di hijab, si tiene il velo sulla testa con entrambe le mani, aspettando che le pale dell’elicottero smettano di girare. Quando il rumore si è attenuato, Kate cerca di accendere la piccola ricetrasmittente posizionata sull’orecchio. Quell’hijab le nasconde tutto ed è talmente spesso da non riuscire a trovare la cimice. Preme un bottoncino, sperando sia quello giusto. Dall’auricolare sente la voce sempre squillante della Finch, che la costringe a indietreggiare per il volume troppo alto.
“Kate, sono Christina, mi ricevi? Io, Hayley e il resto della squadra ti monitoriamo dal Dodicesimo. Tu ascolta le indicazioni di Mike e fai la brava.”
La detective sorride, concedendosi l’occasione di rispondere in maniera sarcastica. “Certo, Christina. Cercherò di non sparare a nessuno.”
“Non scherzare, Kate. Questa missione è di vitale importanza. Contiamo su di te.”
Sente il rumore del microfono che viene spostato. E poi la voce di Esposito che la fa sorridere. “Yo, Beckett. Posso chiederti una cosa? Se passi vicino al bazar delle spezie, puoi portarci qualcosa?”
“Detective Esposito!” esclama la Gates in sottofondo.
Anche se non può assistere alla scena, Kate ormai conosce benissimo le espressioni di entrambi. E sa che il suo capitano sta incenerendo il suo amico con lo sguardo.
“Come non detto, lascia stare.”
“Buona fortuna, detective Beckett. Riporta il signor Castle a New York.” Conclude il capitano con voce risoluta.
La conversazione viene tagliata bruscamente, lasciando Kate con le mani in mano. Stringe i pugni e arriccia le labbra. La consapevolezza si impadronisce di lei: dipende tutto dalle mosse che farà.
Mike la guarda percependo la sua tensione, quindi cerca di riportarla alla realtà.
“Benvenuta a Beirut, detective. Questo non è più un paese adatto per i civili.”
Lei alza lo sguardo ma per osservare il panorama davanti a sé. Un’immensa distesa fatta di tendoni colorati, gente che cammina vestita variopinta che sembra uscita da un quadro impressionista. Inclina il labbro facendo un mezzo sorriso.
“Dovrò ricordarmi di depennarlo dalla lista dei viaggi di nozze.”
Lui si limita a seguire il suo sguardo, capendo il riferimento. “Laggiù c’è il suq.” Dice, allungando il braccio nella sua direzione. Con il dito le indica i tendoni che lei stava guardando prima. “In questo periodo dell’anno è pieno di civili e milizie, perché sanno che gli attentati sono all’ordine del giorno.”
A Kate scoppia una risata. “Puoi chiamarli ‘persone’ per una volta? Non tutti sono sospettati di terrorismo.”
Ancora, Mike non la guarda, ma si avvicina per stringerle il vestito. Ha quasi paura che le si possa vedere l’arma che ha nascosto bene con cura sotto la cinta. “Quando arrivi al mercato, non devi dar retta a nessuno. Lo scambio di armi avverrà nelle vicinanze. Segui le istruzioni, quindi cammina facendo finta di nulla. Parla poco e dì l’essenziale.” La sua voce è agitata così come lo sono i suoi movimenti. È in ansia per lei. “Meno cose dici, meglio è. Soprattutto, cerca di non perderti e di non perdere il collegamento con noi, altrimenti ci renderai il lavoro complicato. Mi hai capito?”
Segue un momento di silenzio, con Kate che ha il viso paonazzo. “Ti risponderei se non mi avessi stretto troppo la cinta del vestito... non riesco a respirare.”
L’agente inglese risponde rilasciando l’abito della detective e fa un passo indietro, passandosi una mano sulla testa. Mormora un “Scusa” che Kate riesce a sentire a malapena.
Il vento inizia a farsi sentire con più costanza, e il suo hijab si alza di conseguenza. Posa una mano sulla testa cercando di controllarlo, poi passa a sfregarsi le mani. È difficile tenere una conversazione quando il tuo interlocutore è più silenzioso di te.
Kate non è come Castle, un gran chiacchierone che riesce a coprire le pause con le battute. Ma si meraviglia del fatto che sia riuscita a comportarsi come lui, ed è stupita ancora di più perché ha tirato fuori delle buone battute di spirito. Vivergli accanto per così tanto tempo l’ha fatta diventare come lui.
Abbassa lo sguardo, tenendo il braccio all’altezza della fronte per coprirsi dai raggi del sole. La gente del suq continua a muoversi tra le bancarelle senza notare nessun movimento.
“Non hai una guida del posto?” il silenzio ammonitore di Mike le fa fare una smorfia. “Giusto. Devo sembrare araba, non una turista.”
Finalmente lui sembra sciogliersi facendo una risatina. Colpa del sole davanti a lei e di lui in controluce, che funge da riparo in qualche modo, Kate non riesce a guardalo in faccia come vorrebbe, e non sa se è riuscita nel suo intento di allentare la tensione.
“Più che araba sembri un’armena, ma va bene lo stesso.”
 
Il distretto di Hamra si trova nel cuore di Beirut, circondato da cemento e vetro, centri commerciali e un traffico opprimente, ma è anche la sede di una piccola oasi: una strada lunga meno di cento metri, dove i contadini delle zone circostanti vendono i propri prodotti ogni martedì mattina. Al mercato arabo è possibile trovare pane arabo, kechek , sumac – una spezia dal colore rosso scuro e dal gusto di agrumi, che sarebbe piaciuta molto a Javier, Kate ne è sicura – mwaraka, che è un dolce sottile, presentato in forma di rotolo e ripieno di noci, mandorle e miele, e infine erbe aromatiche. 
Passeggia tra le bancarelle sorridendo tra sé, mentre immagina di far spesa e tornare a casa dalla sua famiglia. Rick è seduto sul divano, con il laptop sulle sue gambe, Alexis sta preparando da mangiare, mentre ascolta Martha, tutta presa dalla sua prossima rappresentazione teatrale. Un altro successo assicurato, magari un sold out in soli sette giorni.
Un brivido le attraversa la schiena, ma non è una sensazione di freddo. Usa le braccia come scudo per coprirsi da quella strana emozione, così famigliare che le fa scendere una lacrima involontaria sulla guancia.
Giunge ad un bivio, ma viene attratta da una ragazzina che afferra una mela da un bancone e fugge dal commerciante che si lamenta perché gliel’ha rubata. La piccola si rifugia sotto la gonna verde di sua madre, che prontamente fa un inchino e ripaga l’uomo dal furto.
“Beckett, stai andando bene”, la voce di Mike le giunge nell’orecchio a disturbare l’atmosfera incantata del posto. “Se noti qualcosa di sospetto, fai un segno qualsiasi.”
 
È riuscito a svignarsela dall’occhio duro di Jamal. Quell’uomo non gli piace.
Fa giochetti con le armi, che maneggia come giocattoli, e fa battute in modo che lo scrittore non riesca a capirle. In altre parole, gli sta antipatico ed è insopportabile. Sorride passeggiando tra le varie bancarelle. Colorate, allegre, spensierate.
Un tempo considerata la Parigi del Medio Oriente in virtù delle sue vitalità culturale e atmosfera cosmopolita, Beirut è stata stroncata da una guerra civile durata 15 anni, durata dal 1975 al 1990. In seguito ha vissuto ripetute crisi, culminate nel 2006 nel conflitto fra le milizie Hezbollah e l’esercito israeliano, che hanno ulteriormente azzoppato l’economia e il tessuto sociale. Oggi Beirut si è ripresa, ma ha abbracciato la modernità insieme a uno sviluppo perlopiù incontrollato, seguendo l’esempio dei vicini stati dell'area e abbandonando interi settori della società libanese. Le ricche tradizioni culturali della città stanno rapidamente lasciando strada  ai gusti più standardizzati e a un gran numero di centri commerciali all’occidentale.
Eppure lui non vuole vedere la modernità che irrompe nella tradizione. Essendo uno scrittore, è abituato a pensare come tale.
Fantastica e immagina di vedere lui e la sua famiglia che visitano la città. Kate persa tra le stoffe pregiate, mentre sua madre la tempesta di parole quali ‘corredo nuziale’ e ‘bambini’, pensando già a due marmocchi che gireranno per casa, e infine Alexis divisa tra i libri e le attenzioni del commerciante carino che per far colpo le sta raccontando una storia tratta da Le Mille e Una Notte.
Tutte immagini che svaniscono all’improvviso, come anche il suo sorriso che si appassisce.  
L’obiettivo del suq di Beirut è non solo di quello di creare uno spazio dove vendere e acquistare i prodotti, ma è soprattutto quello di offrire un luogo di incontro e di socializzazione. E di scambio di armi.
Davanti a sé vede Jamal, tutto fiero nel suo abito fucsia con i ricami dorati. L’espressione accigliata sul volto gli dice tutto senza neanche aprir bocca.
È arrabbiato perché si è allontanato.
Senza muovere le labbra, gli fa segno con la mano di seguirlo. Un gesto impercettibile, fatto di aprire e richiudere subito la mano a pugno. Rick risponde con un cenno del capo, e anche il suo è un movimento appena accennato. Dopo essersi assicurato che lo scrittore lo seguirà come un cagnolino, un ghigno compare sul suo volto. Troppo convinto del suo essere un leader.
Castle stringe i pugni ed è il suo modo per dire che quando torneranno ‘a casa’, gliela farà vedere. Si incammina con quell’aria imbronciata e segue Jamal verso un vicolo, ma purtroppo del suo capo non vi è più traccia. Si volta indietro, sperando di trovarselo alle spalle, invece si accorge di aver imboccato la strada sbagliata.
 
In quello stesso momento, Kate sta osservando e vede del movimento tra la folla di persone.
Un uomo con un abito sgargiante color fucsia e i ricami dorati le passa accanto guardandola con malizia. Lei abbassa il capo, come le è stato insegnato, e poi lo rialza per voltarsi e seguirlo. Il suo istinto di detective le dice di non fidarsi.
L’inseguimento avviene con successo. È abile a destreggiarsi tra le bancarelle, fermarsi a sorridere alle donne con i bambini, e l’uomo davanti a lei non sa di essere pedinato. A malapena si volta, il che le dà la conferma.
Dalla sua postazione di comando, dentro l’elicottero, Mike si agita. Si avvicina all’addetto davanti ai computer e impreca.
“Che cosa sta facendo? Perché si sta muovendo?”
Da New York, al Dodicesimo, anche Christina è nello stesso stato. In piedi, poggia le mani sulla scrivania di Hayley e Kevin, che stanno seguendo il GPS di Kate da quei monitor.
“Jones, dammi la posizione di Beckett!”
L’agente inglese obbedisce senza indugiare e prova a rintracciare Kate.
La Gates non riesce a star seduta e con un gesto della mano rifiuta qualsiasi offerta di cibo. Ha lo stomaco in subbuglio e apprensione.
Dietro di lei, Lanie si stringe a Javier mentre sullo schermo guarda la sua migliore amica mentre rischia la vita.
 
Kate è troppo presa dal pedinamento per stare a sentire le parole di Mike che la richiamano all’ordine. Colpa delle spezie o dei profumi d’Oriente, Kate continua a seguire l’uomo tra le bancarelle. Lui ha il passo sicuro e sa dove sta andando, il che la porta a concludere che sarà lui a condurla da Castle.
Non ha pensato alla conseguenza del come verrà scoperta, perché avverrà, ma avere il suo scrittore a pochi metri la mette in stato di frenesia. E il pericolo a cui va incontro perde di significato. I pensieri le hanno fatto perdere l’uomo color fucsia. Ora si trova davanti a un vicolo cieco. Spaesata, si guarda intorno non sapendo come agire. Poi vede un’ombra davanti a sé, probabilmente è il tizio che stava seguendo. L’oscurità le impediva di vedere oltre.
“Detective, che stai combinando? Kate, rispondimi! Kate!”
Ci pensa su, poi sorride.
Se deve incontrare Rick, tanto vale farsi catturare.
Con un gesto automatico, stacca la ricetrasmittente dall’orecchio.
Dall’altro lato del monitor, sia la CIA e sia l’Interpol sentono un segnale morto. Un bip incessante.
“Abbiamo perso il collegamento.” Dice Hayley abbattuta.
Kevin si toglie le cuffie dalle orecchie e le sbatte contro il computer, alzandosi dalla sua postazione.
Christina è troppo arrabbiata per rimproverarlo del suo comportamento infantile. In uno scatto di rabbia, sbatte le mani sulla postazione, imprecando. “Dannazione.”
“L’ha perso di proposito.” La voce di Mike Jones è calma. Anche lui ha davanti a sé uno schermo piatto, e di Kate non c’è traccia. Sospira avendo già capito cosa sia successo. “Avrà visto qualcosa, o meglio dire qualcuno, e avrà pensato di agire di testa sua.”
Christina sembra prenderla a ridere. “Che tipa tosta, eh, Jones? Perfino per te.”
L’altro uomo alla postazione guarda l’agente inglese che si limita a schiarire la gola e sistemarsi la cravatta con fare nervoso. Il collegamento tra i due si chiude e Christina concentra l’attenzione su ciò che è successo fino a quel momento.
Kate è arrivata davanti a quella che sembra una via chiusa. Intorno a lei non si vede nulla.
Il funzionario della CIA si porta il dito sotto il mento e riflette qualche secondo, prima di voltarsi verso la squadra del Dodicesimo.
“Okay, trovatemi la sua ultima posizione. Cominceremo da lì, e inviate uno squadrone per riprendere la detective Beckett.”
 
Sente che la copertura è sfumata e ora deve mostrare la sua vera persona.
Il trambusto dietro di lei offusca i suoi movimenti, il che è un bene. Si spoglia del vestito, togliendosi con forza l’hijab fissato sulla testa, e rivela il suo completo in giacca e camicia bianca e una coda di cavallo. Lentamente, sfodera la pistola che teneva nascosta dentro l’abito.
Avanza lentamente, con l’arma puntata. Deve coglierlo di sorpresa. Lo minaccerà e si farà dire chi è.
Ma qualcosa va storto.
È in quel preciso istante che lei lo vede meglio.
È di spalle, e le sembra dimagrito per i suoi gusti, ma lo riconosce.
Rick Castle.
Sobbalza, il respiro sembra mancarle, e il cuore pare uscirle dal petto. Non riesce a prender aria. Le parole non le escono dalla bocca, se non attraverso sillabe inudibili.
Lui, come se l’avesse sentita, si volta lentamente. Kate riconosce il profilo; è il suo scrittore, magro ma ancora bello come lo ricordava... lui è a tre quarti, e riesce a vedere le cicatrici e il volto scuro, determinato dall’abbronzatura. Poi, si gira completamente e sono faccia a faccia.
Anche lui sobbalza con il cuore che batte all’impazzata. Gli occhi s’illuminano e Kate vede quella scintilla che aveva visto la prima volta che si erano incontrati. Quel misto di passione e di curiosità che lo aveva fatto innamorare di lei. Le braccia gli fremono, perché vorrebbe correre a stringerla a sé, ma lei, incerta, gli sta puntando ancora la pistola, come non credesse di trovarselo di fronte.
Kate è come la ricordava: bellissima, affascinante, perfino il passo felpato verso di lui lo attrae. Non è cambiata di una virgola, tranne per le occhiaie sotto gli occhi. Prende un gran respiro, sollevato, intuendo le notti insonni che lei ha passato a lavorare. Si intenerisce e capisce. Lei non ha mai smesso di cercarlo.
Il labbro tremolante le impedisce di pronunciare il suo nome; l’emozione le blocca l’uso della parola. Sta per scoppiare a piangere, ma non riesce ancora ad abbassare l’arma.
Il volto di Rick cambia all’improvviso. Diventa corrucciato e con decisione afferra la pistola da sotto la camicia marrone; la cintura dei pantaloni gliela teneva ben salda. La reazione di Kate è immediata: lo guarda avvilita e spalanca gli occhi. Le viene da indietreggiare, invece resta immobile.
Sono uno davanti all’altra che si puntano le pistole.
Kate guarda nel profondo dei suoi occhi azzurri. C’è ancora il suo scrittore lì, da qualche parte. E allora perché quegli occhi la stanno guardando così duramente?
In sottofondo, dei bambini stanno giocando per strada. Rick carica la pistola, e la detective scuote la testa con fare pauroso.
Per un attimo, ha pensato davvero che lui fosse felice di vederla. Mai avrebbe pensato che potesse spararle.
Yalla, yalla! Ya, Rick!”
Le grida dietro di lei arrivano come un fulmine, e con irruenza, degli uomini le passano vicino; riconosce anche l’uomo vestito di fucsia, Jamal.
Rick abbassa l’arma, lo stesso fa Kate, senza staccare gli occhi dalla sua musa ed è in quel preciso istante che avviene qualcosa tra i due. Un messaggio lanciato solo con lo sguardo, o forse una promessa.
Jamal ignora la donna e strattona Rick, prelevandolo prima che lei possa dire o fare qualcosa.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Con questo capitolo ci colleghiamo a ciò che è stato accennato nel primo capitolo...
Rick e Kate si incontrano a Beirut, senza dir nulla, bastano gli sguardi... ma si ritrovano a puntarsi la pistola contro...
E adesso sappiamo il perché :(
Qualcosa ci dice che la missione non è andata a buon fine.
Sono cattivella, lo so :p
Susu consolatevi con Castle stanotte\domani *-*
D. :)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Rick ha gli occhi azzurri ***




Il silenzio invade l’apparecchio in volo. L’unico rumore è quello delle pale che ruotano a gran velocità.
Mike fissa duramente Kate, seduta davanti a lui con lo sguardo perso nel vuoto. Ha abbandonato i vestiti da donna araba a terra, nel posto esatto in cui lo squadrone della CIA l’aveva presa e riportata in elicottero. Completamente in stato di trance, è rimasta con l’abbigliamento da detective che aveva sotto l’abito, e la coda di cavallo ormai scompigliata.
Non riuscendo a star fermo, l’agente inglese decide di alzarsi per sgranchire le gambe. Sospira. Il viaggio del ritorno sarà lunghissimo.
Kate volge lo sguardo fuori il finestrino e nota come il paesaggio colorato del mercato sia ormai solo un ricordo lontano, prontamente sostituito da collinette e poi deserti degli altopiani africani.
Come scende la notte, la detective si appoggia su una delle brandine disposte nell’apparecchio. Sebbene sia calma l’atmosfera lì dentro, non riesce a prendere sonno. Le palpebre si abbassano e si alzano meccanicamente, mentre con la coda dell’occhio vede Mike, in fondo, concentrato sul suo laptop, posizionato sulle gambe.
Getta l’occhio sull’orologio. Sono le 2 passate. Le palpebre tendono ad abbassarsi di nuovo e lei cade in un sonno profondo, tenendosi stretta alla sua copertina. Non sente neanche l’agente Jones che si avvicina a lei cautamente, e con passo felpato la copre con un’altra coperta più pesante.
Kate sogna e vede due grandi occhi azzurri davanti a lei che la fissano. Sono quelli di Castle. Allunga la mano, cercando di afferrarlo per il braccio, ma lui è lontano e indietreggia sempre di più da lei, finché la distanza diventa incolmabile.
Quando riapre gli occhi, svegliatasi di soprassalto, la delusione compare sul suo volto. Davanti a lei c’è solo Mike Jones che le annuncia che sono approdati sul suolo americano.
 
“Tesoro, mi hai fatto prendere uno spavento, lo sai?” Lanie è la prima a correrle incontro quando lei e Mike entrano al distretto.
La dottoressa ignora completamente l’agente inglese, che intanto raggiunge la Finch e la Gates, per concentrarsi sulla sua amica. La stringe forte, chiudendo gli occhi, poi rilascia l’abbraccio toccandole entrambe le braccia. Le mani scorrono sulle sue, e poi passa a toccarle le guance fredde, dandole del calore. “Io, Javi e Kevin eravamo tutti in ansia! Non farlo mai più!”
Kate abbassa la testa, imbarazzata. In realtà, il suo sguardo dice altro. “Lo so, Lanie e mi dispiace.”
“Cos’è successo laggiù? Hanno detto che hai perso il collegamento.” È la voce di Javier, che si avvicina alle due insieme a Kevin. Entrambi hanno lo sguardo preoccupato e teso. Kate se ne accorge perché Kevin ha irrigidito il braccio tenendo in mano un fascicolo.
Quando la detective alza di nuovo lo sguardo, gli occhi sono lucidi.
“Ho visto Richard Castle.” Inizia, parlando lentamente. L’emozione la sta sopraffando e la voce è strozzata. “Lui era lì. Ecco perché mi sono allontanata e ho perso di proposito il collegamento.” Guarda i suoi colleghi e amici uno ad uno. Si passa una mano sulla testa, scuotendola. “Cioè ho seguito un tipo sospetto e mi sono ritrovata Castle davanti a me. Mi ha puntato la pistola contro e lo stesso ho fatto anche io, e poi l’attimo dopo, è sparito.”
Per qualche secondo, Lanie, Javier e Kevin si guardano nello stesso istante, finché l’irlandese parla.
“Devi fare rapporto alla CIA e all’Interpol.”
“E prepararti alla ramanzina che ti farà la Gates.” Aggiunge Javier.
Nessuno dice niente riguardo Rick Castle. E a Kate va bene così. È ciò di cui ha bisogno. Non parlare di lui.
Vederlo in quel breve istante è stato un colpo al cuore. Ma è quel momento dopo che l’ha distrutta di più: quando l’ha guardata puntandole la pistola contro, senza nessuna intenzione di abbassarla.
Con lo sguardo abbattuto, la detective si rivolge all’ufficio del suo capitano, dove la vede discutere con Christina e Mike.
“Lo so. E so anche che Jones non perdonerà ciò che ho fatto.”
Lanie le dà un colpetto al braccio col pugno.
“Io credo di sì, dopotutto ha una bella cotta per te, ricordi?”
 
“Qualcuno mi spiega cos’è successo a Beirut?”
La Gates è in piedi e osserva prima il funzionario della CIA e poi l’agente dell’Interpol. Chiusi nell’ufficio del capitano, sperano di non essere ascoltati dall’esterno, sebbene il loro continuo gesticolare può essere notato anche a un metro di distanza. Entrambi, anch’essi in piedi davanti a lei, si lanciano un’occhiata fugace prima che la Finch prenda parola. Si porta distrattamente una ciocca dietro l’orecchio, propria quella che le è sfuggita mentre cercava di legarsi i capelli.
“Victoria, stiamo cercando di capire. Forse l’agente Jones può dircelo.”
“Beckett non ha aperto bocca per tutta la durata del viaggio.”
“Andate proprio d’accordo.” Conclude Christina, facendolo zittire.
Mike semplicemente fa spallucce, concordando con il comportamento scontroso della detective. Victoria sbotta di fronte al botta e risposta dei due.
“E lei non ha cercato di parlarle?”
L’agente inglese si passa una mano sulla testa, voltandosi e camminando verso le vetrate dell’ufficio. Da lì osserva Kate parlare con i suoi colleghi e la dottoressa Parish. Vedi il suo sguardo abbattuto rivolto verso il basso e sospira.
“Ero furioso.” Con un passo veloce torna a voltarsi verso le due donne. “Le avevamo dato degli ordini e lei ha deliberatamente disobbedito!” dal tono di voce si percepisce che è ancora irritato dal comportamento irresponsabile di Kate. Ma c’è dell’altro oltre l’irritazione.
Christina corre in aiuto all’agente. “In missioni come queste, soprattutto per agenti inesperti, ci sono delle regole da rispettare”, puntualizza.
Victoria Gates ora fa il giro del tavolo per raggiungerli. Scuote la testa, incrociando le braccia.
“Non doveva andare sotto copertura, sapevamo fin dall’inizio che era sbagliato, ma la detective Beckett ha coraggio da vendere e mi dispiace che non le avete dato occasione di mostrarlo.”
“Nessuno lo mette in dubbio, e capisco che entrambi eravate preoccupati per lei.” Interviene Christina, facendo una pausa. “Sebbene per motivazioni diverse”, dice infine, e poi lancia uno sguardo prima alla Gates e poi a Jones. Inutile, per quanto l’agente inglese tenti di nascondere quella cotta da adolescente per la detective, ormai glielo si legge in faccia.
Christina gli lancia uno sguardo come per provocarlo, ma anche per fargli intendere che ha capito il motivo della sua sfuriata con Beckett.
“La verità è che la detective si è lasciata distrarre.” Sentenzia Mike, quasi come in risposta alla Finch. “Credo che abbia visto il signor Castle in mezzo al mercato e abbia deciso di seguirlo senza che noi sapessimo nulla.”
La Gates lo guarda strabuzzando gli occhi, incredula e scioccata, ma non si scompone più del dovuto.
“Ci sono dei filmati che possiamo controllare per accertarci che sia lui?”
“Purtroppo possiamo fidarci solo delle parole di Kate Beckett”, conclude Christina e i tre concordano che solo la detective può accertare i fatti.
 
Quando sul tardi decide di prendersi una pausa, lo fa sedendosi nella stanza con la macchina del caffè. Lanie le ha prestato degli abiti nuovi, una felpa con cappuccio e un paio di jeans, e lei ha deciso di cambiarsi in fretta e in furia davanti alla dottoressa, senza dire nient’altro.
L’amica non l’ha guardata con compassione, e non ha neanche cercato di capire cosa avesse significato per Kate rivedere Rick dopo tutto quel tempo. Da brava confidente, conoscendola da anni, ha lasciato che fosse lei a fare il primo passo.
Probabilmente sa che Kate deve prima realizzare il tutto e deve farlo con calma, prima che la CIA e l’Interpol inizino con i loro giochetti mentali a farla confessare. Si siede tenendo la calda tazza tra le mani. Si prende del tempo per assaporare l’aroma e restare da sola con se stessa.
Quando, invece, lui entra nella stanza, la fa sobbalzare.
Mike le dà le spalle, preparandosi a sua volta una tazza di caffè e senza preferir parola. Dall’accaduto di Beirut, non si sono più parlati, rivolgendosi sguardi furtivi, come se l’una aspettasse l’altro per iniziare una conversazione. Kate prende qualche sorso di caffè, sebbene la tazza sia ancora bollente e quindi si passa la lingua sulle labbra.
“Quando ti deciderai a parlarmi?” azzarda quasi a bocca dischiusa. Lo sente posare la tazza sul ripiano della macchinetta. Ha attirato la sua attenzione. “Mi dispiace, okay? Ho pensato di agire da sola.”
“Quale parte di ‘seguire le mie istruzioni’ non ti era chiaro?” si scaglia su di lei, e quando Kate si volta lo vede con le mani sui fianchi, l’atteggiamento furioso e lo sguardo corrucciato.
“Ho già detto che mi dispiace.” Replica lei con occhi sinceri, sperando di cavarsela con delle semplici scuse.
Mike alza il tono di voce e le punta il dito contro. “Potevi mandare a monte la copertura!”
“Ma non è successo.”
“Non importa, hai disobbedito gli ordini. C’è in gioco la sicurezza nazionale, e tu corri dietro al tuo ex fidanzato!” il suo tono di voce è ancora più alto, dando l’enfasi sul fatto che lui sa. Kate si alza lentamente, spalancando gli occhi. Mike annuisce, contraendo la bocca, senza aver bisogno di aggiungere altro.
“Se avessi avuto occasione per parlarci, io—“
“Ti ha puntato la pistola contro, Kate! Secondo te voleva parlare?” ora ruggisce, mettendola di fronte alla dura realtà. Poi, indietreggia e le parole restano lì sulla punta della lingua, chiedendosi come è possibile che lui sappia anche questo.
“Sì, i tuoi partner me lo hanno detto poco fa.”
Ecco svelato il motivo. Abbassa lo sguardo, sentendosi allo scoperto. Mentre lei si stava sistemando con Lanie, Mike deve aver fermato Kevin e Javier per un breve interrogatorio. O magari sono loro che si sono presentati di spontanea volontà.
“Si preoccupano per te.”
Un’altra risposta a confermarle i suoi dubbi. Alza lo sguardo verso Mike e capisce che i suoi partner non erano gli unici ad essere preoccupati per lei. Riabbassa lo sguardo e sorride, vagando nella sua mente e trovando il momento esatto in cui aveva incrociato la strada con Rick.
“I suoi occhi. Ho visto i suoi occhi azzurri. C’è ancora il Richard Castle che conosco lì dentro!” lo afferma con determinazione, stringendo i pugni e smettendo di fare la donna fragile che piange per la scomparsa del suo amato. “La prossima volta...”
“Non ci sarà una prossima volta perché tu non andrai più sotto copertura.” Lui la ammonisce, le volta di nuovo le spalle e torna a concentrarsi sul suo caffè, che ormai è diventato imbevibile.
“Non mi ritieni in grado di farcela?”
“No, non lo sei abbastanza.”
Kate fa qualche passo verso l’agente, scuotendo la testa. Le sta mentendo.
“Sono stata addestrata per bene, e in breve tempo, quindi sono solo un mucchio di stronzate!”
Lui rinuncia a farsi un’altra tazza di caffè, optando per un succo da bere nel minifrigo vicino alla macchinetta.
“Non intendo continuare questa discussione.”
Lo guarda in ogni minimo movimento. Sta temporeggiando e non capisce per quale motivo. Sente solo un gran nervosismo che si fa sempre più strada dentro di lei. Ed è in quell’istante che la Beckett degli interrogatori, quella dura e tosta, urla la sua presenza.
“E io non mi muoverò di qui finché non mi dici come stanno le cose!”
L’agente non è abituato a questo tipo di Beckett, e si limita a poggiare le mani, a distanza l’una dall’altra, sul ripieno, come cercasse la concentrazione per urlare più di lei. E ci riesce, appena si volta e se la trova davanti.
“Se alzi la voce sarò costretto a buttarti fuori con la forza!”
“La stai alzando anche tu!”
Si bloccano all’istante, realizzando entrambi che il loro tono di voce ha attirato il resto del Dodicesimo verso la stanzetta. Con il vetro, gli agenti possono vederli. Kate si schiarisce la voce, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come è suo solito fare.
“Senti, Mike. So che non ti sono mai andata a genio fin dall’inizio, e in tutti i modi hai tentato di sabotarmi, di prenderti gioco di me, ma quando hai iniziato ad aiutarmi, ho pensato che finalmente mi avevi accettata, quindi non capisco questi tuoi sbalzi d’umore con me... che cosa c’è che non mi stai dicendo?”
Alza lentamente lo sguardo, vedendo che lui abbassa il suo. Mike scuote la testa, facendo una smorfia e prende a torturarsi le mani, per poi portandosele in tasca. Kate scruta la sua fronte segnata e quella vena pulsante che sta per esplodere, ma non riesce a leggerlo in faccia per capire cosa stia pensando. Quel tipo è davvero più complicato di lei. L’inglese prende un gran respiro, restando con lo sguardo fisso sul pavimento. Parla lentamente, misurando le parole, come se avesse paura a dire ogni cosa.
“Avrei potuto perderti laggiù, come è successo con la mia famiglia, non lo capisci?”
Kate rimane di sasso e resta a fissarlo immobile, senza dire niente. Scuote leggermente la testa, ed immediatamente le parole di Lanie le tornano alla mente e collega tutto. Ha cercato di non dar peso all’apparenza, a quella pulce nell’orecchio che l’amica le aveva messo qualche tempo prima, ma alla fine ogni pezzetto del puzzle era sistemato al punto giusto. Aveva capito del debole che lui aveva per lei, ma non ci aveva mai fatto caso perché il suo unico pensiero era sempre stato rivolto ad un’unica persona. Finalmente riprende a muoversi, respirando normalmente, e si prende le mani, giocherellandoci.
Le mani di Mike, invece, iniziano a tremare per le parole che ha appena detto, e nella sua mente compare l’immagine orrenda di quel macchinone militare che salta in aria, mentre sua moglie e sua figlia si trovavano al suo interno. Anche in quell’occasione era rimasto con le mani in mano, inerme e tremante.
“Beckett, ti vuole la Gates.” Kevin li interrompe facendo capolino dalla porta. Non indugia oltre, forse percependo un’aria strana all’interno della stanzetta. Attende quindi che Kate gli risponda al più presto, così da lasciarli.
Mike torna con le mani in tasca e si volta verso le vetrate. Lo sguardo fisso nel vuoto.
“Sì, okay, vengo.” Gli risponde Kate, ancora visibilmente scossa. Ruota la testa verso il suo partner e poi dà un’ultima occhiata di compassione verso Mike, consapevole di non poter ricambiare ciò che lui prova per lei, prima di uscire dalla stanzetta.
 
Varca la soglia dell’ufficio della Gates mordendosi il labbro inferiore. Mani nella tasca della felpa e testa abbassata, lasciando che i capelli le coprano il viso. Sa di essere in torto e aspetta soltanto la ramanzina del suo capitano per concludere in bellezza la giornata.
Victoria non dice nulla e resta a battere i tasti nervosamente, imprecando sottovoce perché la connessione internet viene e va. Colpa della tecnologia sofisticata della CIA e dell’Interpol che, da quando hanno invaso il Dodicesimo, hanno attratto a sé tutta la connettività possibile.
Dà una botta al modem del computer, sperando che riparta magicamente. Kate alza di poco lo sguardo facendo un debole sorriso. L’attimo di divertimento svanisce subito appena la Gates finalmente le rivolge lo sguardo. Toglie gli occhialini e li stringe tra le mani, poi si alza, appoggiandosi alla scrivania. La guarda severamente.
“Detective, eravamo tutti preoccupati per te. Qui dobbiamo seguire gli ordini superiori, non agire di testa nostra, sono stata chiara? Non farmi più prendere certi spaventi.”
Il suo tono di voce è altrettanto severo, ma quello che Kate non riesce a percepire è la comprensione e il sollievo nel rivedere la sua detective sana e salva.
La detective ascolta la ramanzina come un cane bastonato, e sa di meritarsi tutte le dure parole.
“Non ho scusanti, capitano, me ne rendo conto, ma...”
Ma appena apre bocca per parlare e ammettere il suo senso di colpa, succede qualcosa di inaspettato.
Un silenzioso abbraccio l’avvolge. Si ritrova circondata dalle braccia della Gates che la stringono per quei pochi secondi interminabili.
Non capisce bene cosa stia succedendo, ma è qualcosa che le scioglie il cuore. L’istinto le dice di ricambiare la stretta, così le sue braccia raggiungono la schiena del capitano.
Un breve istante in cui la dura Iron getta la maschera da capitano del distretto per dimostrare alla sua miglior detective che anche lei ha un cuore, dopotutto.
 
Il suo viso colpisce duramente il pavimento spoglio e freddo. Si aiuta con le mani, all’altezza della testa, per provare a capire dove si trovi, e improvvisamente realizza di essere in una cella. Con fatica, tenta di rialzarsi da terra, provando almeno a mettersi seduto, ma i muscoli e le ossa gli fanno un gran dolore.
Poi ricorda.
I pugni e i calci contro il suo corpo.
Preso in disparte, nell’accampamento del gruppo, mentre due uomini dietro di lui lo tenevano fermo con le braccia, e Jamal cominciava a colpirlo sul volto.
Una volta, due volte, tre volte.
E poi passava al torace, con la stessa frequenza e la stessa forza, finché non sputava sangue per terra.
Si tocca il volto coperto di lividi, e ricorda come gli è stato procurato ognuno di questi.
La sua colpa è stata quella di essersi allontanato dal gruppo e aver fatto di testa sua, rischiando di smontare la sua copertura a Beirut. E poi l’aveva vista. Aveva incrociato i suoi occhi, e ciò gli bastava. Era stato quello il suo piano, del resto. Fingersi ciò che non era, convincere tutti, al solo scopo di rivedere la sua Kate e tornare da lei. Non aveva previsto, però, che quel gruppo terroristico di cui faceva parte, lo seguiva come un segugio. E ora ne paga le conseguenze.
L’uomo che l’ha strattonato in quell’orrida cella, putrida e buia, come fosse un animale da soma, lo deride, pronunciando parole in dialetto a lui sconosciute e capisce di esser diventato mezzo sordo in un orecchio. O forse, si dice, sarà a causa dei duri colpi ricevuti.
Adesso prova a strisciare a carponi, verso le sbarre della cella. Mette una mano davanti l’altra, con calma, e cerca di non badare all’uomo al di là della prigione che continua a schernirlo. D’un tratto, le sue risate cessano, e sente il rumore di passi congiunti.
Con una pronuncia elegante, riconosce la voce di Nasir che chiede alla guardia di essere lasciato da solo con lo scrittore.
Quando gli è di fronte, non lo saluta ma si limita a passeggiare da una parte all’altra della cella, tenendo le mani dietro la schiena.
“Mi hai molto deluso, saidi.” Inizia, con un tono calmo, almeno apparente. “Caro Rick, io contavo su di te per questa missione.”
Castle riesce a raggiungere le sbarre e con le mani si aggrappa ad esse, aiutandosi ad alzarsi.
“Jamal ti ha detto tutto?” gli chiede dolorante.
Nasir si blocca e si ferma davanti a lui. Faccia contro faccia. “Qui le domande le faccio io.”
Un raggio di sole fa capolino da un buco del soffitto, illuminando il viso dello scrittore per metà, ma quel poco che basta per mettere in risalto i suoi occhi azzurri. Stanchi, arrossati e lucidi. Consapevoli di essere in trappola senza via di uscita.
Nasir mette le mani unite davanti a sé, mantenendo una postura retta da leader, subito tradita dal suo evidente stato di furia.
“Mi ha informato su quanto accaduto a Beirut. Era un semplice scambio di armi, Rick! Cos’è, ti sei perso tra i bazar e le bellezze locali? Ci sarà tempo per divertirsi, ma prima c’è da lavorare.”
“Quindi resterò in cella?”
Ecco quella risatina e quella smorfia fastidiosa. Lo guarda dall’alto in basso. Il volto segnato dalla sofferenza sia fisica e psichica, eppure quegli occhi azzurri sono pieni di coraggio e sfida. Una cosa che a Nasir piace, e si sente soddisfatto.
Quando aveva scelto Rick Castle per la sua missione di conquista, sapeva fin da subito di aver centrato il segno. Nel corso dei suoi anni nella polizia di New York, uniti ai suoi studi letterari e criminologici e alla fama acquisita, lo scrittore era la persona perfetta per convincere un popolo ad allearsi con la sua organizzazione. Un boccone prelibato, e ora era nelle sue mani, vivo.
“Devi sapere una cosa su di me. Sono un tipo magnanimo, mentre tu sei tenace. E questo mi piace, perciò voglio darti un’altra opportunità per dimostrarmi quanto vali e quanto tieni a restare in vita.”
Rick deglutisce, non riuscendo ad immaginare quale sarà il prossimo piano di Nasir.
“Voglio darti un ultimatum.”



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Qualcuna l'aveva detto: Kate si è beccata una bella ramanzina da tutti...
La Gates che l'abbraccia forse è un po' OOC, ma ho pensato fosse una cosa proprio da lei: tiene e Kate, pensava di non rivederla più, e l'abbraccio mi sembrava la cosa giusta. Istintivo, senza parole dolci, ma solamente con un gesto semplice e materno a dirle che ha davvero temuto per la sua vita.
E poi l'agente Jones... beh direi, cara Kate, se non l'ha capito adesso che le ha fatto capire la sua cottarella, non so proprio come spiegarglielo :p
E infine il povero Riccardone... trattato peggio di prima, colpito, pestato a morte, ma Nasir è magnanimo e gli offre un ultimatum!  Aiuto!
Io me ne scappo e vi auguro un Happy Castle Monday :p
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Prigioniero di guerra ***


 


Un ultimatum.
Guarda confuso il suo interlocutore e sa che, nel profondo, lui sta godendo nel vederlo in quello stato. Spesato.
Stringe ancora di più le sbarre, sentendo le mani andargli a fuoco, e immagina di stritolare Nasir in quel modo.
Il giovane riprende a passeggiare da una parte all’altra davanti la sua cella, rendendo lo scrittore ancora più nervoso. Quest’ultimo prende un respiro profondo e chiude gli occhi. Deve mantenere la calma.
“Sto progettando un attacco a New York.”
Nasir getta la bomba, in questo caso in modo figurativo, ma poco basta per far balzare indietro lo scrittore.
“E tu sarai il protagonista del mio progetto.”
Il suo folle piano.
Sente il cuore battergli più forte appena inizia a comporre i pezzi del puzzle. Più di due mesi tenuto in quel posto straniero, costretto a convertirsi e convincere tutti per una causa che non era neanche la sua. L’addestramento, poi la missione sul campo per il recupero armi. Adesso tutto combacia.
“Non ho altra scelta, vero?” la sua voce è sconsolata e sente la lingua secca mentre pronuncia quelle parole di desolazione.
“Sei un prigioniero di guerra, Rick. Non lo avevi capito?” Nasir gli risponde facendogli quella smorfia che tanto odia proprio davanti la sua faccia, in modo che lui veda e soffra. “La prima regola per sopravvivere qui è agire. Siamo tutti pedine di un grande piano.” Nel dire ciò, con il dito indica in alto, verso il cielo.
Ma Rick vede solo buio intorno a lui e nessun cielo. Una sola via d’uscita, e lo sapeva fin dall’inizio. È Nasir il suo cartellino per liberarsi da tutta quella sofferenza e tutto quel dolore.
Cosa gli hanno sempre detto a proposito della jihad? Una guerra santa nata per far conoscere la religione islamica ai popoli, e diventata, poi, una scusa per imporla con la forza. È quel movimento che ha scatenato una serie di eventi, soprattutto dopo l’11 settembre, che hanno messo in ginocchio non solo un’intera nazione, ma il mondo intero.
Chiude gli occhi, prende un altro respiro. Apre e chiude le palpebre più volte; vuole svegliarsi da quell’incubo, ma non c’è nessuno a tendergli la mano per farlo uscire da quella prigione. Nasir ha la chiave.
“Sono tutto orecchi.”
 
Mentre se ne sta seduta nella sua postazione, rimasta immacolata per suo volere, Kate sorride quando vede l’agente Rodriguez con il naso gonfio, dopo il pugno ricevuto da Esposito. Il gonfiore gli ha reso l’espressione del viso ancora più corrucciata.
Le labbra tornano a formare una linea orizzontale quando incrocia lo sguardo di Mike Jones, che prontamente si gratta la testa, come è il suo modo di fare, e si volta dall’altra parte. Kate è lì, stringe i pugni e incrocia le braccia, poi scuote la testa.
Tra tutti i problemi che aveva causato a partire dalla missione fallita a Beirut, ora le tocca anche avere a che fare con un agente scontroso, impossibile da capire, che le aveva implicitamente dichiarato quel che provava per lei. In una situazione assurda come quella, capisce che non può continuare a comportarsi come una bambina, e deve invece risolvere la questione chiaro e tondo.
Se solo Mike non fosse così contorto con le parole...
“Mi stai evitando.” Dice quasi sussurrando, raggiungendolo da dietro.
Lui si volta e trattiene il respiro. Si guarda intorno, e senza dire una parola, le fa segno di seguirla in un ufficio vuoto lì accanto.
Kate entra per prima, mentre Mike chiude la porta dietro di sé. La detective si sente a disagio davanti a quell’aria di segretezza, e l’agente che indugia sulla maglia della porta, la mettono ancora di più in agitazione. Fa un piccolo passo in avanti, come se cercasse di darsi il via da sola.
“Ti devo delle scuse.” Mike la anticipa e lei torna nella posizione di prima. Si mette le mani nelle tasche, portando la giacca dietro. Il distintivo dell’Interpol brilla davanti a Kate, segno che passa il suo tempo libero a lucidarselo. Resta di profilo, senza voltarsi. “Ho iniziato a provare qualcosa nei tuoi confronti e non ho rispettato te e la tua storia con Richard Castle.”
Kate avvampa e lo ringrazia mentalmente per non guardarla in quel momento. Resta freddata in quella posizione, poi abbassa la testa, come se qualcuno le avesse appena dato una secchiata d’acqua. Non si aspettava che l’agente inglese fosse così diretto, ma almeno ha sputato il rospo senza troppi giri di parole e lo ha fatto in maniera professionale. Il problema per lei è come rispondergli. I secondi scorrono, lei deglutisce così forte che lui riesce a sentirla. Mike fa una risatina nervosa.
“Dimmi qualcosa perché questo silenzio è imbarazzante e io non sono abituato.”
“Sono lusingata e apprezzo la tua sincerità.” Anche lei sputa il rospo senza girarci troppo intorno.
Lui finalmente si volta nella sua direzione e diminuisce la distanza tra di loro. Kate alza lo sguardo ma non riesce a leggergli nulla nel suo viso. Troppo bravo a nascondere le sue emozioni sia in campo lavorativo che in quello emozionale. Una corazza che si è costruito dopo la morte della sua famiglia.
“Quindi stiamo a posto?” dice lui e allunga la mano.
Kate gliela stringe e cerca di sorridere per smorzare la tensione. Ma anche la stretta di mano è troppo fredda e sbrigativa.
Si chiede cos’abbia detto di sbagliato e se è stata troppo brusca nei suoi riguardi.
“Mettiamoci una pietra sopra.”
In quel preciso istante, Christina Finch, guardando al suo iPad, spalanca la porta, non curandosi dei due, che rilasciano la stretta di mano.
“Beckett, spero saprai che adesso devi far rapporto su quanto accaduto a Beirut.” Poggia l’iPad tenendoselo stretto contro il petto, poi alza lo sguardo verso di loro accorgendosi di Mike. “Spero che Jones non ti abbia corrotto per prima. Mi spiace, ma siamo in territorio americano e la CIA ha la precedenza.”
Sorridendo forzatamente, l’agente inglese spalanca le braccia in alto. “E’ tutta tua.”
Kate sbuffa leggermente, costretta a seguire la Finch. La ciocca di capelli che le ricade ai lati del viso si alza. La sua giornata sta andando di male in peggio.
 
“Metti una firma qui sotto.”
“Cos’è questo?”
“Ti basta sapere che è un fascicolo in cui dichiari che ciò che ci stai dicendo è veritiero.”
Kate e Christina sono sedute una di fronte l’altra nella stanza interrogatori. Per una volta, la detective è posizionata dall’altra parte del tavolo. Il funzionario della CIA le porge una cartellina gialla contenente dei fogli, e lo stemma dell’organizzazione a caratteri cubitali. Si prende del tempo per leggere velocemente qualche informazione.
Prima ci sono tutti i vari cenni su cos’è la CIA e che lavoro svolge, poi si passa ai capi d’accusa e la seconda pagina è tutta dedicata alle azioni contro il terrorismo. Kate vede uno spazietto bianco in fondo e sa che è lì che deve firmare.
Christina si schiarisce la gola e quando la detective alza lo sguardo la vede sorridere impazientemente. Le mani sono tenute unite sul tavolo, strette nervosamente.
Una firma leggera e le riconsegna il fascicolo.
“Dato che lavoriamo insieme da alcuni mesi, mi scuso in anticipo se sarò brutale.”
Kate sorride. Fortuna il senso dell’umorismo non è scomparso dalla cosiddetta Gates della CIA. “Spara pure.”
“Dichiara le tue generalità.”
“Detective Katherine Beckett, Dodicesimo distretto di New York.”
“In cosa consisteva la missione a Beirut?”
“Ero sottocopertura. L’ordine era di aggirarmi per il mercato senza dare nell’occhio, e localizzare un possibile movimento sospetto tra la folla.”
“Specifica.”
“Il mercato di Beirut è luogo di scambi di armi tra i terroristi.”
“Perché proprio a Beirut?”
Kate deglutisce, sentendo la tensione alle stelle. Si ferma qualche secondo, quel poco che serve perché Christina alzi lo sguardo, impaziente.
Le verrebbe da dirle che non riesce a pronunciare il suo nome, perché le fa male il suo ricordo.
“Sono stata inviata da CIA e Interpol per recuperare lo scrittore Richard Castle, rapito da un gruppo appartenente ad Al-Qaida. Ritenendolo convertito e costretto ad agire per conto dell’organizzazione terroristica, Richard Castle si trovava lì nel momento dello scambio.”
“L’hai visto? Puoi descriverlo?”
Beckett scuote la testa. Gli occhi sono lucidi man mano che il viso dell’uomo prende forma nella sua mente.
“Alto, dimagrito, indossava un completo chiaro, non suo.” Prende un respiro profondo, mentre la figura intera di Rick le compare davanti, stavolta più nitida. “Camicia marrone, pantaloni beige, scarpe di prima qualità e un giaccone verdastro.”
Christina fa un sorriso soddisfatto e si appunta tutto. Kate non esprime emozione perché sa che la prossima domanda le farà ancora più male.
“Cos’è successo esattamente dopo?”
Posa una mano sulla tempia, sentendola andare a fuoco.
Non lontano, dall’altra parte della stanza interrogatori, ci sono la Gates, Esposito e Ryan che stanno osservando e ascoltando. Tutti e tre consapevoli che Kate sta facendo uno sforzo immane nel descrivere gli eventi.
“Ci siamo guardati in faccia.” Si lascia sfuggire, finalmente, con un sospiro che segue la frase. Stringe i pugni sul tavolo. “Io gli puntavo la pistola in faccia, non ero ancora sicura che fosse esattamente lui perché la forma fisica era diversa. Poi ho visto i suoi occhi... e non ho avuto più dubbi.” Stringe ancora di più i pugni, come a volersi infliggere dolore. “A quel punto, anche lui mi ha puntato l’arma contro.”
“Che tipo di arma era?”
“Non so, eravamo in un vicolo e non ho notato il calibro.”
Christina si ferma posando la penna sul fascicolo.
“Hai notato i suoi occhi ma non sei riuscita a vedere la pistola?”
Come spiegarle che ha lasciato che il suo cuore e il suo istinto lo riconoscessero? Come dirle che sono stati i suoi occhi azzurri ad attrarle?
Si limita a scuotere la testa, con la Finch che invece sbuffa e riprende a scrivere.
Anche Mike Jones e gli agenti Rodriguez e Preston si aggiungono nella stanza vetrata. Esposito e Rodriguez si lanciano occhiatacce, mentre il portoricano si sofferma sul suo naso gonfio. Si limita a fare una smorfia soddisfatta e mettendo in risalto i suoi bicipiti.
La Gates e Jones si guardano nello stesso momento cercando di non tornare a sgridare i loro agenti.
“Okay Beckett, poi cos’è successo? Castle ti ha detto altro?”
Alza lo sguardo lentamente e sente gli occhi andarle a fuoco. “No.” Dice mordendosi il labbro.
La Finch la incita con gli occhi a proseguire, come se si stancasse di farle ulteriori domande che risulterebbero tutte uguali.
“Sono intervenuti degli uomini a prelevarlo, senza che potessi far nulla.” Adesso ha attirato l’attenzione del funzionario della CIA e dei presenti nella stanza vetrata. “Uno di loro era più scuro di carnagione, con un completo fucsia e dei ricami dorati. Mi sembrava piuttosto robusto.”
“Dimmi di più. Qualche cicatrice, qualche particolare che ti ha colpito?”
Scuote la testa, dispiacendosi per non essere di ulteriore aiuto.
Come se sapesse che ci fosse la Gates dall’altra parte e sapesse individuare il suo sguardo, la Finch rivolge l’attenzione sulla stanza vetrata, capendo che può smettere con l’interrogatorio. Guarda Kate, tutta ritirata in se stessa, come un riccio.
Le mani ancora strette a pugno, incollate sul tavolo.
Christina la libera dall’incantesimo di prigionia sfiorandola con le dita.
“Puoi andare, per ora abbiamo finito.”
Senza dir nulla, attende che la donna esca dalla stanza per alzarsi. Con la testa abbassata, chiude sbattendo la porta, percorre frettolosamente il corridoio del Dodicesimo ed esce dal distretto decisa, verso l’unico posto che può chiamare casa.
 
È notte fonda, ma lui non riesce a prender sonno. Come potrebbe? La mente è ricca di strani pensieri, che si sono insinuati a gran forza, costringendolo a riflettere e a prendere decisioni repentine. Stavolta sul serio, senza scherzare.
Si siede nel profondo dell’oscurità, a terra, incrociando le gambe e tenendo le braccia davanti. Gli occhi azzurri sono gli unici fari nella notte.
Ma lo sguardo è cupo, così come il cuore.
Scuote la testa, confuso circa le scelte che l’hanno condotto fin là, chiedendosi che senso abbia tutto ciò. Porta le mani sul volto e le sfrega con forza su di esso. Poi se le guarda: mani sporche che hanno afferrato armi e hanno stretto amicizia con uomini pericolosi.
Alza gli occhi al cielo e lascia che le lacrime gli attraversino il viso.
Sa cosa deve fare.
È l’unica scelta che ha a sua disposizione.
 
Cammina sotto la pioggia incessante, con le lacrime che si mescolano con l’acqua, riparandosi solo con la felpa che Lanie le aveva prestato. Tiene le mani in tasca per non prendere freddo. Non si è più cambiata, non ha mangiato.
Si sente vuota, incapace di digerire del cibo, e sente le forze abbandonarle.
Come un cane che ha smarrito la via, riesce facilmente a ritrovarla. Sale le scale piangendo, e, disperata, bussa a quella porta di casa.
Ad aprirle trova la diva. Sorridente e smagliante, cambia improvvisamente espressione quando la detective le getta le braccia intorno al collo. Chiude gli occhi, lasciandosi andare ad un pianto che aveva trattenuto stringendo i pugni in quella stanza degli interrogatori.
Martha Rodgers la stringe forte, incurante di bagnarsi, e non ha bisogno di dire altro per capire.
Poi, tra le lacrime, sente Kate ripeterle, “Mi dispiace, mi dispiace tanto.”
Dietro di loro, i capelli color zucca di Alexis compaiono. La ragazza assiste alla scena e sente tutto.
Dà un’occhiata furtiva a Kate, che in quel momento alza lo sguardo verso di lei.
Ma sul volto della piccola Castle c’è solo rabbia e frustrazione. Alza i tacchi e torna nella sua stanza.
Dov’è suo padre?


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
L'ultimatum di Nasir sembrava logico, del resto la storia deve tornare al punto di partenza - al prologo con l'attentato a NY e la cattura di Rick.
Kate fa rapporto alla CIA, sotto pressione, riuscendo a fare del suo meglio, ma poi deve andarsene dal distretto... e tornare al posto che sente come casa sua, da Martha e Alexis.
Senza dir nulla, le due capiscono cos'è successo e hanno diverse reazioni...
Happy Castle Monday e buon 8 dicembre *-*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Una separazione ***




Lentamente allunga il braccio dall’altra parte del letto. Passa la mano sulla parte vuota e sente una stretta al cuore.
Rotola per raggiungere il cuscino e lo stringe a sé, immaginando di abbracciare lui in quel momento.
C’è ancora il suo odore impresso sulle lenzuola, e non sa se questo la consoli, la faccia star meglio, oppure la faccia soffrire. In ogni caso, si dice, cosa importa. Meglio provare un sentimento negativo che non viverlo.
Si addormenta così, abbracciata al cuscino, macchiandolo di lacrime mescolate con il mascara, che pigramente, non ha rimosso dal volto.
L’aroma del caffè la fa svegliare. Apre un occhio, poi l’altro, getta uno sguardo alla sveglia vedendo che sono quasi le otto. Questo non le provoca niente. Ha deciso che per un paio di giorni non andrà al distretto, quindi ha spento il cellulare per stare lontana dal mondo esterno.
Svogliatamente, torna ad abbracciare il cuscino, volgendo le spalle alla sveglia.
“Buongiorno Katherine. Dormito bene?” la voce dolce di Martha, però, la fa girare di nuovo.
Le sorride timidamente, cercando di ricomporsi, scuotendo i capelli arruffati. Poi si ferma, rendendosi conto che è stupido vergognarsi che tua suocera ti veda così mal sistemata. È mattina e si è appena svegliata, è normale che stia così.
Mentre la diva le poggia la tazza col caffè sul comodino, Kate si imbarazza quando nota il mascara colato sul cuscino e tenta di nascondere il misfatto rigirandolo. Si mette seduta, poggiando la schiena sul muro.
“Ci ho provato. Grazie.”
La tazza è calda. La stringe tra le mani e chiude gli occhi sentendo l’aroma dolce.
“Per così poco, è solo un po’ di caffè.”
Martha le fa intendere che non è solo un po’ di caffè, e le risponde facendole l’occhiolino complice.
Quella donna ha già fatto tanto per lei, accogliendola nella sua casa e nel letto di suo figlio, senza chiedere mai perché fosse comparsa sulla porta piangendo e in pessime condizioni. Riposa la tazza sul comodino. Ha bevuto il caffè tutto d’un fiato e sente di star bene adesso.
Poggia entrambe le braccia davanti a lei e si raccoglie i capelli in una coda.
“Dov’è Alexis?”
“E’ in cucina.”
“Devo parlarle.” Fa Kate, alzandosi di colpo per recuperare i suoi vestiti.
Percependo la tensione, la diva le posa una mano sulla spalla. “Non c’è bisogno che ti stressi, cara. Ora devi solo riposare la mente.”
“Ma io devo spiegarle, Martha. Devo dirle che è colpa mia se non sono riuscita a riportare suo padre a casa.”
Kate trova Alexis nel salotto con le gambe raggomitolate sotto il sedere, intenta a leggere il giornale sulla poltrona dove di solito si sedeva suo padre.
La detective si blocca, restando a contemplare quell’immagine. È così simile a Castle. Entrambi hanno quegli occhi che brillano appena leggono qualcosa.
“Ciao.” Inizia la conversazione salutandola. Un modo semplice a cui lei non può sottrarsi.
Alexis non apre bocca e continua a leggere. Fa finta di non notarla. Kate si avvicina portando le mani dietro la tasca dei jeans e si morde il labbro.
“Mi dispiace.”
La zucchina alza leggermente gli occhi dal giornale e guarda fisso davanti a sé. La detective azzarda di nuovo: un altro passetto in avanti e allunga le mani per posarle sull’altra poltrona, quella posizionata vicino ad Alexis. Lo sguardo della ragazza è glaciale, appena si gira verso Kate.
“Mi fidavo di te. Me l’avevi promesso.” Comincia. Le prime parole sono apparentemente calme, poi alza la voce e si alza anche lei dalla poltrona. Le punta il dito contro. “Avevi promesso di riportare mio padre a casa!”
Il braccio inizia a tremare tutto e il tremolio segue il dito. Il corpo è come posseduto e la collera si impossessa di lei.
Kate rimane immobile, osservandola con gli occhi sbarrati. Il magone le sale su e prende a torturarsi le mani.
E poi, la giovane si avventa su di lei. La colpisce coi pugni contro il torace, ma la detective non si muove.
“L’avevi promesso, l’avevi promesso!” urla con la testa contro il suo petto.
Martha fa capolino nella stanza. È una scena che ha già visto in molte sue opere teatrali, ma qui non si sta recitando.
Beckett riesce a prendere le mani di Alexis per tenerla ferma; la giovane Castle alza la testa e c’è uno scambio di sguardi tra loro, seguito da lacrime di rabbia, delusione, e senso di colpa. Senza dir nulla, la donna l’abbraccia; la ragazza smette di dire e fare qualunque cosa, per ricambiare.
Si abbracciano così, in silenzio, mentre Martha deve coprirsi la bocca con la mano per evitare di unirsi al loro grido disperato.
È rimasta solo lei a dare un sorriso di speranza in famiglia.
 
Per pura curiosità, dopo la lunga giornata, accende il cellulare. Venti chiamate e una decina di messaggi. Controlla i mittenti: Lanie, Esposito, Ryan, la Gates, l’agente Jones, Hayley e perfino la Finch. Tutti messaggi di preoccupazione. Tutti che vogliono sapere che fine abbia fatto, e se ha voglia di parlare, ma nessuno che le chieda come si senta realmente.
Spegne di nuovo il telefono, per paura che in quel breve minuto possa arrivare un’altra chiamata. Quindi si reca nell’ufficio di Castle.
Rimasto immacolato, controlla col dito la libreria e nota un filo di polvere. È come se quella stanza aspettasse il suo ritorno.
Cammina verso la scrivania e si siede lì davanti. Accende il computer e vede l’immagine di loro due come salvaschermo. Ha una fitta al cuore. Toglie lo sguardo dal monitor e chiude gli occhi, coprendoli con entrambi le mani, sentendosi colpevole. Perché lo ha fatto?
Stupida, stupida, stupida.
Il bip incessante sullo schermo cattura la sua attenzione. È un puntino rosso. Ci clicca sopra e vede che viene da Skype. Una videochiamata in arrivo da un numero che non conosce. Forse un internazionale.
Accetta la chiamata, e si apre la schermata davanti a lei. Corruccia la fronte, concentrata su ciò che l’immagine distorta le propone. Qualcuno dall’altra parte dello schermo, sta cercando di assicurarsi che il segnale sia buono.
L’immagine si fa più nitida e ha un tuffo al cuore.
Davanti a lei, dall’altra parte dello schermo, c’è Castle.
Il suo Rick Castle.
Ha il volto provato. Vorrebbe toccarlo e tracciare tutte le cicatrici e i lividi con le dita, invece ha quel monitor che la separa. E qualche centinaio di chilometri.
Si copre la bocca, gioendo. Le lacrime non si trattengono più.
“Kate, sono Rick” dice, sospirando. Ma quel tono di voce è insicuro. Lo vede deglutire e cerca di capire dove si trovi.
“Sei proprio tu. Sei libero? Non sei in cella?” parla sottovoce per non svegliare Martha e Alexis. Intorno a Castle vede una parete scura, forse costellata da mattoncini. Non nota finestre. È tutto buio e tetro.
“Sì, c’ero ma, mhm, mi hanno lasciato uscire dopo una missione andata a buon fine.” Di nuovo quel tono di voce incerto, ovattato.
Kate corruccia la fronte e si mette comoda. “E se ti scoprono mentre parli con me?”
“Tranquilla, non c’è pericolo.”
“Mi manchi.”
Non resiste. Doveva dirglielo. Si copre di nuovo la bocca con la mano, coprendo quelle lacrime di gioia che ormai continuano a scendere ininterrottamente. Quanto vorrebbe riabbracciarlo. La reazione che ottiene, però, non è quella che Kate sperava.
Lui resta impassibile e la blocca freddamente, ammonendola con una mano alzata. “Senti, Beckett...”
Beckett. Quando la chiama per cognome, sa che non anticipa nulla di buono.
“Non posso tornare a New York.”
Balza indietro sullo schienale e per un attimo resta a fissarlo. Ridacchia. “È uno scherzo.”
Subito dopo, si rende conto che Rick non sta affatto scherzando. La guarda freddamente. Dal suo viso non riesce a esprimere nient’altro se non indifferenza. Cosa gli è successo?
“Mi sono ambientato e non intendo andarmene.”
Kate sente come se lui le avesse strappato il cuore dal petto e gettato a terra, per poi pestarlo duramente, fino a ridurlo in mille pezzi. Deglutisce, cercando di non urlare. Alza leggermente il tono di voce, ma Rick riesce a percepire il suo stato di collera.
“Stai dicendo un mucchio di stronzate... ti conosco!”
“Sono serio, Beckett.”
C’è una pausa. Prendono a studiarsi.
Lei si mordicchia il labbro inferiore, struggendosi, arrovellandosi la mente. Lui abbassa lo sguardo, sentendosi colpevole.
“Hai conosciuto un’altra? È così?”
“Non c’è nessuna donna. Questa è la mia casa ora. Sono musulmano.” Le risponde, alzando la testa e mostrandole un piccolo corano.
Lei scuote la testa e si avvicina di più allo schermo, come se sentisse la necessita di stritolarlo. Un po’ per risentire la sensazione di averlo tra le sue braccia, e un po’ perché se la sta prendendo in giro, è meglio che smetta di farlo.
“Non puoi lasciarmi così, Castle!” la voce è tremolante “Sono venuta per te laggiù... per salvarti e riportarti a casa dalla tua famiglia!”
“Non mi importa più di nessuno.”
Kate fa una smorfia. Non ci crede. Non vuole credere alle sue orecchie. Volta lo sguardo dall’altra parte, verso la finestra dello studio, e scuote la testa. Poi torna a fissare l’uomo sul monitor con sguardo di sfida.
“Questo scherzo sta durando anche troppo. Mi stai prendendo in giro. Alexis, Martha e io ti stiamo aspettando!”
“Ti ripeto che sono serissimo, Beckett. Non voglio tornare.”
Lui è serissimo. Adesso ci crede.
Nominare i membri della sua famiglia non gli ha provocato nessun effetto. Neanche un battito di ciglia. Quegli occhi di ghiaccio sono così freddi, e tutto intorno a lui è uguale e cupo. Una prigione priva di emozioni. Forse deve arrendersi all’evidenza. Lui non vuole più tornare.
Dopo tutto quello che lei ha fatto per lui...
“E non pensi a me? Come farò senza di te?”
“Ti rifarai una vita. Troverai qualcun altro.”
“Ma io ti amo, Rick.” Glielo dice piangendo, ma ancora non riceve nessuna risposta.
Lui è lì, lo vede. Esita.
Poi, sgancia la bomba.
“Io invece non ti amo più. Dimenticami e lasciami in pace.”
Kate riaggancia la conversazione. Chiude il computer, sbattendolo. Lo allontana da sé, allunga le gambe, si sistema sullo schienale e si porta le mani sul volto. Un fiume di lacrime in discesa. Afferra un fazzoletto bianco per pulirsi gli occhi.
Rick non la vuole più nella sua vita. Doveva aspettarselo. Già a Beirut lui le aveva dato quell’impressione.
Si dà pugni sulla testa, come una pazza. Come ha fatto ad essere così stupida? Le lacrime cessano per un momento.
Poggia un gomito sulla poltroncina e resta a guardare un punto indecifrato davanti a sé.
Si dice che nel momento prima di morire, ripercorri tutta la tua vita in quell’attimo. Per Kate è proprio così.
Rick non è morto, ma lei si sente così per lui.
 
Dopo che lei gli ha riagganciato la conversazione in faccia, Rick getta la maschera.
Chiude anche lui Skype e resta per qualche istante a testa in giù, con entrambe le mani a coprire il viso. Emette dei gemiti, facendo attenzione a non farsi sentire dalle guardie poco più in là. Si dondola per qualche secondo, mentre è seduto a terra di quell’orrenda cella. La puzza di chiuso e di putrefazione si fa sempre più intensa. Un topolino gli passa accanto, per poi scomparire in un piccolo buco del pavimento, ma lui non ci fa caso.
Quando torna con lo sguardo a fissare il computer spento, il suo viso è colmo di lacrime. Gli occhi sono arrossati, le fosse sotto di essi sono diventate profonde. Sente il mugolo tornargli su, quindi copre la bocca per evitare di scoppiare di nuovo. Passa un’ultima volta la mano sul volto per togliersi le ultime lacrime rimaste.
Sospira profondamente. Sa di aver fatto la cosa giusta. Doveva richiedere un computer e l’ha detto a Yoel, che glielo ha portato con una scusa. Si fida solo del suo ex addestratore in quel luogo spaesato, prigioniero per ragioni che neanche lui ancora comprende a pieno. Ha pregato. Lo ha fatto come mai in vita sua, e si è calato nella parte, seguendo le istruzioni di sua madre, prima di ogni performance teatrale. Dopo essersi assicurato di essere freddo, taciturno e distaccato, ha aperto Skype e lo ha fatto in modo che Nasir rintracci il suo video, l’unica prova per mostrargli che ora è dalla sua parte. Sa che lui lo controlla, quindi perché non dargli prova di fiducia con la sua interpretazione?
Ha visto Kate sul monitor; l’ha vista splendente mentre la guardava. Bella anche quando è sfinita. E avrebbe voluto abbracciarla e accarezzare i suoi capelli, sentendo quel profumo di ciliegia. Invece doveva fingere. Ancora una volta. Proprio come aveva fatto a Beirut.
Facendole credere che non l’amasse più, l’ha allontanata impedendole che Al-Qaida le faccia del male. Nasir lo aveva minacciato già; se non sarebbe stato dalla sua parte, la sua famiglia e tutto il Dodicesimo ne avrebbero pagato le conseguenze.
Vuole che Nasir si fidi completamente di lui. Deve essere il protagonista della sua ultima missione.
Anche se questo vuol dire uccidere vite innocente. Anche se questo vuol dire passare la vita in prigione. È un prezzo altissimo da pagare.
Passare la vita a fare il cattivo o morire degnamente nel proprio paese?
Senza la sua messinscena, Rick morirebbe con nessuna possibilità di ritorno.


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Dovrebbero dare un Golden Globe a Rick, seriamente! E lo darei anche a Nathanone se lo facessero recitare in questo modo :p
Ci sono quasi cascata alle sue parole :( ( dico 'quasi' perché sono l'autrice :p) 
Alla fine Kate e Alexis si sono confrontate, e dalla rabbia la piccola Castle si è unita alla disperazione della donna, capendo che lei aveva fatto di tutto per riportare indietro suo padre...
Ora le donne di casa Castle sono convinte che lui non voglia più tornare... :(
E invece lui ha dovuto mentire per proteggerle :( che uomo, dico io! 
Chiudo qui l'angoletto e purtroppo niente Castle Monday :(
Alla prossima!
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** L'altra parte del mondo ***






Due anni.
In quell’arco di tempo, una persona può sposarsi, metter su casa, trovare lavoro o semplicemente cambiare stile di vita.
Kate Beckett ha imparato a convivere con l’ultima opzione.
Ospite fissa a casa Castle, che si è ripopolata dopo la scomparsa di Rick Castle, – ormai considerato uomo ricercato dalla polizia internazionale – ogni mattina è Martha a prepararle la colazione, mentre con Alexis condivide i momenti salienti della vita collegiale della giovane. La diva non potrebbe essere più felice nell’avere una nuova inquilina, sebbene si senta che manchi qualcuno.
Ma nessuna donna in famiglia si azzarda a pronunciare il suo nome.
Castle sarà contento di apparire sempre e comunque in televisione; se fino a due anni fa era per i suoi romanzi, adesso è famoso per essere braccio destro di Nasir Sayf Al-Islam. Quando le donne Castle sentono il suo nome, è ricorrenza il non cambiar canale, ma ascoltare in silenzio senza far commenti.
Difficile per loro dimenticarlo, ma è qualcosa con cui hanno imparato a convivere.
La scomparsa di una persona cara, porta al cambiamento e Kate lo sa bene. Ha tagliato di poco i capelli, che sono ugualmente ricresciuti come prima, veste di nero ed è diventata serissima sul lavoro. Non si concede più svaghi, se non qualche occasione rarissima, come compleanni o feste.
Javier e Kevin l’hanno osservata, ma non si azzardano a dirle nulla. Anche se qualche battuta sarcastica sul suo aspetto esce di tanto in tanto.
La Gates è fiera dell’operato della sua miglior detective, ma come i due bro, si comporta normalmente, fingendo che vada tutto bene.
Il Dodicesimo è ancora occupato dall’Interpol, mentre la CIA ha preferito continuare il lavoro monitorando le cose da Washington. Fortunatamente, Hayley passa a salutare i detective, soprattutto Ryan a cui lascia gli aggiornamenti software per i computer del distretto, e Kate, con la quale condivide la passione per la lettura di gialli. Chissà, forse è un modo tutto suo per mantenere un contatto con il suo scrittore di gialli.
 
“Katherine, cos’è successo?”
L’aveva udita piangere dall’ufficio di suo figlio e non si era trattenuta.
La detective aveva il viso coperto di lacrime, che tentava di scacciar via con gesti compulsi.
“Se n’è andato, Martha, non torna più, non torna più.” aveva replicato lei, tra i singhiozzi.
La diva si era stretta nella sua vestaglia di seta violetta, e si era avvicinata. Accarezzandole la schiena, lentamente aveva allungato il braccio, per stringerla poi in un soffice abbraccio. Kate aveva posato la testa sulla spalla e si era lasciata andare in un pianto disperato. Il primo di una lunga serie.
A Martha non serviva aggiungere altro perché aveva capito. L’occhio le era caduto sul computer dove si vedeva la lucetta gialla lampeggiante dello stand-by, e aveva immaginato che suo figlio aveva contattato casa per dare la sconcertante notizia.
L’aveva stretta ancora di più a sé, immaginando il dolore che stesse provando in quel momento.
La testolina arancione di Alexis faceva capolino nello studio, quasi in punta di piedi. Le goto diventavano rosse, vergognandosi di aver udito tutto. Sua nonna aveva alzato lo sguardo, senza dir nulla. Silenziosa, anche la giovane Castle si era avvicinata per unirsi all’abbraccio.
 
Forse l’unica alla quale non può nascondere niente è proprio Lanie.
“Tesoro, ti ho osservata in quest’ultimo anno.” Comincia, come quasi ogni mattina, con il suo sermone, mentre sono sedute a un bar per una pausa caffè. Una di fronte l’altra.
Kate fa finta di non sentirla e continua a girare la tazza con un cucchiaino. Lanie, invece, arriccia il naso. La conosce troppo bene.
“E sai chi mi ricordi? Te. Prima che conoscessi Castle.”
Smette di girare e posa il cucchiaino sul piattino sotto la tazza.
“Lanie, sto bene. Non devi più preoccuparti per me.”
“Ecco un altro segno che mi indica che non stai affatto bene.” L’amica la costringe a voltarsi verso di lei, alzando leggermente il tono della voce. Le sopracciglia sono inclinate in segno di irritazione, ma l’espressione si trasforma in preoccupazione. “Nomino Rick Castle, tu abbassi la testa per non far vedere che ti fa ancora effetto sentire il suo nome, poi cambi argomento. È ora di affrontare il fatto che lui non c’è più.”
“Ma io l’ho affrontato!”
“E come? Standotene silenziosa? Senza reagire?”
Kate si congela, restando a tenere il cucchiaino in quella posizione di incertezza. Non sapendo se intingerlo di nuovo nel caffè, o decidersi a berlo piuttosto. La mente vaga a due anni fa, nell’attimo esatto in cui era tornata al distretto, il giorno dopo la conversazione con Castle, convinta di essersi lasciata tutto alle spalle e di ricominciare.
 
Era tornata al distretto il giorno dopo, indossando i suoi soliti abiti da detective.
Non voleva starsene a casa, o avrebbe finito per piangere come aveva fatto il giorno prima, o la sera, quando Martha e Alexis l’avevano stretta e si erano lasciate andare ad un pianto disperato, ma silenzioso.
Tutti l’avevano guardata camminare dritta, con una meta ben precisa, e poi avevano abbassato lo sguardo mormorando tra loro.
“Detective Beckett... bentornata... tutto apposto?” la Gates l’aveva accolta un po’ incerta, preoccupandosi del suo stato di salute. Le occhiaie erano sintomo che la sua detective aveva passato molto tempo sveglia, cercando di trovare un senso a ciò che era accaduto a Beirut.
Un evento che aveva sconvolto non solo lei, ma l’intero distretto.
“Ho sentito Castle. Mi ha contattata ieri sera su un contatto Skype.” Se fosse stato un robot a parlare sarebbe stato lo stesso. Kate aveva aperto la bocca seguendo i movimenti del labiale per comporre le parole. Un movimento meccanico a cui ogni essere umano è abituato. Aveva alzato le ciglia lentamente, mostrando quello sguardo perso altrove, come se stesse ricreando di nuovo quella scena.
La Gates era rimasta ferma, voltandosi a mezzo busto verso i detective Esposito e Ryan, i quali erano accorsi in modo repentino. Dietro di loro, si erano aggiunti anche Christina e l’agente Jones.
“Detective. Spiegati meglio.”
“Era davanti a un computer. Mi ha detto che intende rimane in Afghanistan, da Nasir. Perché quella è la sua casa. Non più New York.” Aveva deglutito forzamento pronunciando le ultime, durissime parole.
Christina aveva alzato la mano, facendo uno schiocco con le dita. “Hayley, possiamo rintracciare il server?”
“Credo si possa fare. Ma avrò bisogno del computer da dove ti ha contattata.”
“Certo, è...” Kate aveva tentennato per qualche secondo dal dire ‘a casa sua’. Alla fine, si era limitata solo con “A casa Castle.”
Tutti erano rimasti immobili, meravigliandosi della freddezza con la quale la detective aveva risposto. In confronto al giorno prima in cui si era dimostrata scossa e tremava al pensiero di pronunciare qualsiasi frase.
La Finch la stava guardando e vedeva quella donna svuotata davanti a sé, che non riusciva a trasmettere alcuna emozione.
“Perfetto. Manderò i miei uomini seduta stante. Per ora il lavoro della CIA si conclude qui.” Aveva lanciato l’ultima sentenza, alzando i tacchi verso la giovane traduttrice, che l’aveva guardata con un’espressione delusa. Hayley non aspettava di andarsene così presto.
“Ve ne andate?” le aveva chiesto la Gates, bloccandola per il corridoio.
“Dovrò riferire al Presidente cosa abbiamo scoperto, e controlleremo il resto delle operazioni dalla sede di Langley.” Il capitano del Dodicesimo aveva risposto con un lento cenno di assenso, nascondendo anche lei il dispiacere per una collaborazione terminata proprio quando le cose sembravano essersi calmate tra le forze di polizia.
Dal canto suo, Christina aveva portato la pancia in dentro e il petto in fuori, mantenendo una posizione eretta, e le aveva allungato la mano, sfoggiando un mezzo sorriso. Anche lei aveva il suo stesso pensiero, ma c’erano delle cose alte in ballo di cui doveva occuparsi, e restando al Dodicesimo non poteva fare niente. “Victoria, è stato un piacere lavorare con voi. Detective Beckett,” l’aveva chiamata e la stava guardando come un’amica, “mi auguro che questa storia abbia un lieto fine. Ci terremmo in contatto da Washington.” Aveva concluso, portando le labbra all’interno e salutandola con un cenno.
Christina restava comunque una donna fredda e in apparenza distaccata, ma quello sguardo che aveva scambiato con Kate era sincero. Desiderava davvero che le cose si sistemassero e che tutti vivessero felici e contenti come nelle favole. Ma come Rick Castle le aveva insegnato, se volevano avere il loro lieto fine, lui e Beckett dovevano lottare. Ma fino a quando lei sarebbe stata disposta a combattere?
Timidamente, stringendo il suo portatile tra le mani, Hayley si era avvicinata ai detective del Dodicesimo, mostrando le sue gote arrossate.
“Ragazzi, volevo salutarvi e dirvi quanto mi sono divertita a stare con voi.”
Javier e Kevin si erano voltati, e il portoricano le aveva dato un’amichevole pacca sulla spalla.
“Ehi, Hayley, se vuoi uscire qualche volta, sei libera di unirti a noi.”
“Altrimenti sfondiamo le pareti di Langley.”
“Ma la CIA non lavora al Pentagono?”
“Esposito, non dire altro o ti rinchiudono per scarsa informazione.” Aveva aggiunto Kate, camminando a testa bassa verso di loro. L’aveva rialzata per fare l’occhiolino complice alla ragazza.
“Non credo esista un reato del genere.” Aveva replicato il portoricano, quasi sentendosi offeso.
“Mi spiace che tutto quel tempo e tutta quella fretta per imparare l’arabo... e alla fine non è servito...” aveva detto Hayley rassegnata, facendo spallucce verso la detective. Kate le aveva però sorriso genuinamente facendole intendere che il tempo passato insieme non era stata una perdita di tempo.
“Ho imparato una nuova lingua.”
In quello stesso momento, poco lontano dal gruppetto, La Finch aveva raggiunto Mike Jones, tutto indaffarato a impacchettare le sue cose con lo scatolone sopra la scrivania. La donna avanzava con passo svelto e il suo ticchettio era sempre stato inconfondibile. Aveva sempre portato il solito tacco nero a spillo che aveva reso la sua figura slanciata, più adatta ad essere una modella che un funzionario della CIA.
Lui l’aveva riconosciuta e si era voltato per un attimo, salutandola con un’alzata di testa. Poi, era tornato a sistemare le sue cose.
“Mike, tu sai qual è il passo successivo. Dichiarare Richard Castle come persona sospettata di essere membro di Al-Qaida, pericolosa e ricercata per terrorismo.”
“Informerò gli uffici una volta tornato a Londra.”
“Tu resterai qui. Avrò bisogno del tuo aiuto.”
Mike aveva posato la sua cartellina, ultimo oggetto che gli restava da introdurre nello scatolone, e si era voltato guardandola con aria interrogativa.
“Cosa?”
“Sei quello con maggior esperienza sul campo. Cerchi la famiglia di Nasir da vent’anni, e questa è la tua occasione per catturarlo.”
Lei gli stava parlando tranquillamente; lo conosceva da un sacco di tempo, era vero, e aveva imparato a gestirlo. Mike l’aveva guardata divertito, posando entrambe le mani sui fianchi.
“Christina Finch sta cedendo a me la gloria e l’onore?”
Il funzionario della CIA aveva risposto con una smorfia, nascondendo il fatto di essere stata beccata sul fatto. Poi, aveva preso il cellulare dalla sua tasca della gonna e glielo aveva sventolato davanti. “Attento, Mike, non stuzzicarmi. Mi basta una parola per far cambiare idea al Presidente su questa missione.”
Sì, decisamente lei gli stava facendo un favore da amica. Anche se entrambi non avrebbero mai ammesso, neanche sotto giuramento, di stimarsi reciprocamente. Christina aveva allungato lo sguardo dietro di lei, indicando i detective del Dodicesimo che erano presi in una divertente conversazione con Hayley. Mike l’aveva seguita con gli occhi.
“Sai, dopotutto, la detective e il suo team sono delle persone simpatiche.”
C’erano Javier e Kevin che stavano insegnando a Hayley la mossa del ‘feed the birds’. La giovane traduttrice rideva, portandosi dapprima la mano la mano sulla bocca, poi tossendo per le troppe risate. Poi Christina e Mike avevano spostato lo sguardo su Kate, che appariva rilassata e sembrava godersi quell’attimo di evasione.
“E inoltre credo che stare vicino a Beckett non ti dispiaccia poi così tanto.”aveva infine osservato la Finch, rivolgendosi a Jones uno dei suoi sguardi di chi la sapeva lunga.
Mike aveva drizzato la schiena e si era apprestato a rimettere giù lo scatolone. “Avverto i miei agenti.”
Christina aveva trattenuto un sorriso, per poi tornare a concentrarsi sul suo cellulare. Nella rubrica, tra i suoi mille numeri divisi in gruppi da gestire, stava cercando un contatto specifico a cui inoltrare la sua richiesta.“Farò avere a te, Preston e Rodriguez un permesso speciale per stare negli Stati Uniti. Ricordiamoci che non è una vacanza.”
Essere collaboratrice stretta del Presidente degli Stati Uniti aveva i suoi privilegi e la Finch sapeva sfruttarli a dovere.
 
Sorride ripensando all’ultima volta che aveva saluto Christina Finch e Hayley. Quelle due donne così apparentemente distanti per categoria sociale, eppure così vicine a capirsi con un semplice gesto sul lavoro e sul personale, le ricordano troppo lei e Lanie.
Si poggia indietro sullo schienale della sedia e sospira. Il fascicolo che tiene in mano ha ancora troppe pagine che devono essere compilate e gettando l’occhio sull’orologio, capisce che non farà in tempo a fare una piccola pausa merenda.
“Detective Beckett.”
L’inglese si avvicina alzando la testa dal suo giornale per salutarla. Kate risponde a sua volta sorridendo, per poi tornare sulle sue carte.
Era stato carino averlo vicino nel corso dei due anni, ma per lei altro non era che un buon amico, una spalla su cui contare e un buon partner. Anche se le seccava avere intorno altri agenti che non erano parte integrante del Dodicesimo, con i tre uomini dell’Interpol si erano tutti arresi all’evidenza che ormai si erano stanziati al distretto. Qualcuno doveva pur monitorare la situazione nel caso quel qualcuno si sarebbe fatto risentire.
Nota quel caffè sulla scrivania. Una tazza semi vuota. Più volte Mike si era offerto di portarle il caffè al lavoro, ma lei aveva sempre rifiutato, e alla fine anche lui aveva capito il motivo e non aveva più insistito.
“Agente Jones.”
Si siede sopra la scrivania di Kate, prima guardando davanti a sé, poi rivolgendosi a lei. Assorta in quel fascicolo, gira le pagine nervosamente, sbrigandosi a compilarle. Lui sospira.
“Sbaglio o avevamo detto che ti saresti presa una pausa? Ci pensa l’Interpol o la CIA a continuare il lavoro sporco.”
“Sono solo dei fascicoli da compilare, Mike. Posso farlo da sola e impiegarci meno tempo senza perdermi in chiacchiere.” Afferma, ed era vero. Nella sua lunga carriera in polizia aveva appreso che molto spesso chi fa da sé, fa per tre.
“Che ne dici di farlo in compagnia e davanti a un caffè?”
Smette di sfogliare il fascicolo. La penna le trema tra le mani, e si alza per guardarlo. Sta parlando seriamente. Dalla sua bocca escono solo dei balbettii.
Mike la ammonisce sfiorandole la spalla e scende dalla scrivania. “Non c’è bisogno che mi rispondi subito, Kate. Prenditi il tuo tempo. È solo un’uscita amichevole.”
 
Si ripete che non le avrebbe fatto male staccare dal quotidiano e dal mondo lavorativo. Eppure la sua paura più grande è perdersi e non riuscire più a tornare in quel suo posto che si era costruita nel corso dei due anni. Un luogo segreto, nascosto, in cui vi entra ogni volta che varca la soglia dello studio di Castle.
È nel modo in cui passeggia intorno al suo tavolo da lavoro, passando delicatamente il dito su di esso.
È nel modo in cui gira intorno al posto vuoto lasciato dal suo computer, dal giorno in cui la CIA ha deciso di confiscarlo per hackerarlo e scoprire tutto il necessario su Richard Castle, pericoloso e ricercato possibile membro di Al-Qaida.
È nel modo in cui si stringe a sé, abbracciando se stessa con quelle braccia che un tempo stringevano il suo uomo, inclinando la testa di lato e immaginando che lui sia al suo posto, seduto, a scrivere una nuova storia.
Lanie la scruta e le sventola una mano davanti al viso. L’amica la guarda incuriosita e le mostra un cadavere sul lettino, scherzandoci sopra.
“Ti ricordi quando i primi tempi qui immaginavamo che tipo di vita conducevano queste persone? Lo so, era un modo un po’ macabro, ma ci divertivamo.” Inizia a parlare a ruota, ma si accorge che Kate non la sta ascoltando. “Ok, conosco quel tuo modo di torturarti le mani. Allora devo chiederti che hai oppure vuoi parlare?”
Smette di giocherellare con le mani, e pianta i piedi nella direzione della dottoressa. Si porta i capelli dietro le orecchie e fa un bel respiro.
“Giusto. Mike mi ha chiesto di uscire.”
Alza la testa verso Lanie, aspettandosi una sua risposta di spirito, che non tarda ad arrivare. L’amica posa una mano sui fianchi e la guarda con aria maliziosa. “Che sfrontatezza.”
“Già, ma io non intendo uscire.” Pronuncia le ultime parole quasi gridando e riprende a torturarsi le mani. Passeggia avanti e indietro, osservando ciò che vede davanti a sé. Uno scaffale pieno di fogli e cartelle, reperti medici e lettini vuoti, coperti solo da lenzuoli bianchi. “Non voglio avere un altro uomo nella mia vita.” Si lascia sfuggire un sospiro, tornando ad abbassare la testa.
Lanie rilascia la posizione di prima per avvicinarsi e confortarla con un gesto spontaneo. “Oh, tesoro...”
“Nessun altro dramma.”
“Sei chiusa da due anni sul lavoro e lo sappiamo entrambe che l’agente Jones non è rimasto qui a New York per affari col governo, ma perché voleva starti intorno. È un’uscita, cosa può esserci di grave?”
Kate scuote la testa e quando la rialza, ha gli occhi sognanti. “Sai, il suo ufficio è vuoto e impolverato. È come se attendesse il suo ritorno da un momento all’altro.”
“Katherine Beckett, non azzardarti a cambiare argomento con me!” la rimprovera Lanie, ma nella sua voce c’è divertimento.
L’amica detective si volta verso di lei e la ringrazia con un luminoso sorriso. “Lui diceva sempre che se vogliamo il nostro lieto fine, non dobbiamo mai smettere di lottare. Ma son passati due anni e lui è scomparso...” Torna con la testa bassa, lasciando che le ciocche di capelli le coprano il viso. Quando la rialza, delle lacrime scorrono distrattamente sul suo viso. “Dimmi che devo fare perché io non so più niente...”
Lanie abbraccia l’amica e le strofina le spalle con le mani. Poggiano le teste una sull’altra, poi la dottoressa le sussurra, “Fai quello che ti senti.”
 
Lo vede seduto nella sua postazione, quella in fondo a tutto, nel suo angoletto, impegnato in una conversazione telefonica. Regge con una mano il cellulare, mentre con l’altra afferra un pezzo di carta e una penna, scrivendo qualcosa. Si avvicina titubante verso di lui, ma prima si assicura di non avere più l’aria di chi ha appena pianto, quindi passa velocemente le mani sotto gli occhi. La pelle è pulita.
Lui rintraccia il suo sguardo e chiude la conversazione telefonica, salutando il suo superiore di Londra.
“Agente Jones.”
“Detective. Tutto bene?”
Glissa la domanda abbassando lo sguardo. Si morde il labbro inferiore pensando che tutto il fondotinta che ha messo, non è servito a cancellare le ultime tracce di pianto. “Se è ancora valido l’invito, io sono libera.”
Un sussulto improvviso gli sfugge dalla labbra, ma copre il tutto schiarendosi la voce. “Domani sera va bene?”
“Ok, fai tu.” Si affretta a dire, e si allontana da lui velocemente.
Mike resta a fissarla e Kate riesce a percepire il suo sguardo. Ha l’aria incerta, chiedendosi se accettare quell’invito sia stata la scelta giusta.
 
Dall’altra parte del mondo, un uomo conclude il suo addestramento.
Viene coperto d’oro anticipato, nuovi abiti e nuove armi. Ne afferra una, facendola ruotare tra le dita della mano, e poi la depone nella fondina. Prende delle garze e inizia a legarsele intorno alle mani, stringendole a pugno. Poi, un movimento agile, si alza, saltellando sul posto.
Il sacco da boxe davanti a lui continua a urlare; vuole che lui la colpisca di nuovo, fino a morte, fino a farla cadere di nuovo a terra.
Passa le mani sulle sue braccia, diventate forti e muscolose. Il sudore fuoriesce da ogni lembo di pelle, bagnando la canotta nera, corredata con i pantaloni sportivi. Nasir non si è fatto mancare nulla.
Quando Rick aveva accettato il suo folle piano, sapeva di aver firmato un contratto con il diavolo. Lui gli aveva fornito una stanza apposita dove allenarsi, non solo con le armi, ma anche col fisico, proprio come gli aveva richiesto tempo prima. In due anni, ha visto il suo corpo diventare più forte e agile, come una scheggia.
Fa una smorfia ripensando al giorno prima, quando, in un combattimento all’ultimo sangue, era riuscito a prendersi una rivincita su Jamal, strattonandolo a terra con uno sgambetto, e iniziando a colpirlo più volte sul viso. In sottofondo, gli altri uomini che lo incitavano a infierire di più. Rick vedeva il volto di Jamal e ripensava a come era passato vicino a Kate, tempo prima a Beirut, con il terrore che lui potesse farle del male. Più pensava a quell’avvenimento, e più si accaniva sull’uomo, con il pugno fermo e le nocche distrutte dai colpi.
Prende a pugni il sacco, balzando all’indietro di tanto in tanto per riprender fiato. Saltella, si passa una mano sulla fronte sudata e si rimette nella posizione da guerriero. Pugni in avanti, il sacco torna a fermarsi, e lui riprende a pestarlo.
Domani è il grande giorno.
Domani tornerà nella sua patria, a New York, consapevole che sarà l’artefice di un attentato terroristico alla metropolitana della città che tanto ama.
Domani tornerà e si consegnerà alla polizia, come stabilito da Nasir.
Ciò che il grande capo non sa è che lui rivedrà la sua Kate e dovrà far di tutto per convincerla che in questi due anni si è finto collaboratore di Nasir col solo scopo di tornare da lei.
Il domani è ancora lungo, e mancano solo quattro ore, ma l’adrenalina che ha in corpo continua a premere e a fargli bollire il sangue, colpendo ripetutamente quel sacco da boxe, fino a staccarlo dalla catena che lo teneva appesa, e allontanarlo da terra con un calcio ben serrato.



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Scusate il capitolo lungo ma non potevo dividerlo :p
Stiamo tornando al prologo della storia, che qui si colloca nel giorno prima dell'attentato.
Kate ripensa agli eventi accaduti due anni prima, quando la CIA se ne era andata lasciando il posto all'Interpol... e l'agente Jones si azzarda pure a invitarla per un caffé... fermatelo, quella è roba dei Caskett! ><
Nel frattempo nessuno si azzarda a parlare di Castle, tranne Kate che lo fa quando si chiude in se stessa, nello studio dello scrittore, ed è come se attendesse il suo ritorno... lui sta tornando, Kate, ed è più cazzuto che mai! *-*
Questo è l'ultimo capitolo dell'anno! Ci si legge a gennaio :*
Grazie a tutte le persone che leggono, quelle che lasciano una recensione, ma anche quelle silenziose!
Buone feste :*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Oltre le sbarre ***



Era atterrato al JFK con un volo di linea. Si era camuffato da russo con il nome di Alexandre Koflowki sul passaporto.
Vestito con un abito scuro, nascondendo il cartellino di Al-Qaida dentro la tasca del giubbotto color sabbia, aveva passato i controlli in maniera regolare, seppur quella barbetta accennata e quei lineamenti del viso sembravano strani per essere tipicamente russi. Le guardie però non ci avevano fatto caso.
Fu quando mise piede nella metropolitana di New York che il suo cuore fece un tuffo e si ritrovò con il volto commosso.
New York era la sua città dove era nato, cresciuto, dove aveva amato e lavorato. Non era difficile emozionarsi per così poco.
Si era guardato intorno senza nessun indugio, ripetendosi che doveva farlo.
C’erano cose per cui valeva la pena lottare.
Dentro il borsone, che aveva in mano, nascondeva un esplosivo a comando a distanza. Bastava una semplice telefonata, un numero composto, e sarebbe esploso. Sapeva il vagone nel quale posizionarlo.
Ai controlli all’aeroporto, era riuscito a passarla liscia perché l’esplosivo non era visibile ed era stato scambiato per un giocattolo. Infatti, esso aveva la forma circolare di una palla da football e il chip interno collegato al telefono, era piccolissimo.
Si sedette su una panchina a quattro posti, poggiando il borsone a terra. Attese tre fermate, giusto il tempo perché la metropolitana si riempisse – la mattina c’era sempre una gran folla, tra studenti e lavoratori – e scese, facendo finta di dimenticare il borsone lì. Tra tutta quella gente, nessuno l’avrebbe notato, o almeno si sarebbe accorto della sua dimenticanza troppo tardi.
Varcò la porta, poi i tornelli, mise entrambe le mani in tasca e con dei semplici gesti sul suo telefonino, compose tre numeri.
Chiuse gli occhi. Silenzioso, li riaprì. Lo sguardo avanti a sé, senza accennare un sorriso.
Qualche secondo dopo, il fumo invase la metropolitana.
 
PRESENTE
 
Termina la parte centrale del racconto, quella in cui, secondo le regole della scrittura, si racconta come si sono svolti i fatti.
Ritira le mani dal tavolo. È visibilmente emozionato, e si controlla la gola, sentendola secca.
La storia lo ha straziato.
“Questo è tutto.” Dice con voce flebile, prendendosi del tempo per studiare le espressioni dei presenti.
La Gates giocherella con gli occhialini tra le mani, restando con lo sguardo fisso su di lui. Le braccia incrociate al petto, l’unico movimento è quello degli occhiali che usa come ventaglio.
Kate è rimasta a bocca mezza aperta, affascinata dal suo modo di parlare, e mai come adesso capisce quanto le è mancata la sua voce. Fa per allungare le mani, una ad una, con fare lento le trascina sul tavolo per raggiungere le sue, che tornano a protrarsi in avanti, ma arrivate a metà, l’incontro non avviene. Le mani si ritirano. Lei si morde il labbro e abbassa la testa.
Mike è spazientito, si guarda altrove per poi tornare a rivolgersi allo scrittore davanti a sé. Allunga una mano sul tavolo verso di lui e alza il sopracciglio.
“Ci sta dicendo che per due anni si è finto un terrorista col solo scopo di ritornare in patria?” sentenzia incredulo.
Rick si schiarisce di nuovo la gola prima di parlare con voce rauca. “Vi sto dicendo che avete la possibilità di catturare un potenziale terrorista. Nasir mi conosce bene, e mi sono infiltrato a meraviglia nella sua organizzazione. Gli ultimi due anni sono stato addestrato per compiere questo attentato.”
Cerca di far pesare le parole, per ribattere il suo concetto. Guarda Kate cercando complicità, e lei alza lentamente gli occhi rispondendo alla sua richiesta.
“Cosa vuole, una medaglia?”
“Non voglio nessuna medaglia, agente.”
“Okay, basta così, signori.” Interviene Iron Gates. Fa un passo avanti e si mette in mezzo ai due, allungando le braccia ai lati come per dividerli. Anche se non serve, perché sono seduti. “C’è già abbastanza testosterone qui dentro. Agente Jones, penso di poter gestire da sola la situazione. Signor Castle, lei capisce che non posso lasciarla a piede libero adesso, soprattutto perché la stampa potrebbe riconoscerla e divulgare il suo ritorno. La gente potrebbe essere confusa.”
“Lo so, capitano. Mettetemi in cella. Credo di essermi abituato a stare dietro le sbarre.” Dice lui in tono gentile e consapevole, ponendo le mani avanti strette a pugno, pronto per essere ammanettato.
Davanti quello spettacolo con lui indifeso, Kate scuote la testa e strabuzza gli occhi, azzardandosi a prender parola.
“Potete lasciarci da soli?” domanda, ma si rivolge a Mike più che altro. L’agente fa per dire qualcosa in dissenso, ma lei lo ammonisce. “Jones, ti prego.”
Senza dir nulla, lui alza le mani in segno di resa, si alza dal suo posto e apre la porta della stanza, cedendo prima il passo alla Gates.
Restano da soli a guardarsi per qualche secondo. Occhi negli occhi.
Vorrebbero di nuovo allungare le braccia andando a incontrarsi, per poi intrecciare le mani, ma non possono.
Lei abbassa lo sguardo, per qualche istante, incapace di dire o fare qualcosa. Quella distanza che li separa è un oceano, ma lui non può far meno di continuare a sorriderle. È riuscito a rivederla. Parte del suo piano è riuscita. E per lui è già una vittoria.
Potrebbe anche morire felice in quel momento.
Inclina la testa e le labbra fanno una linea storta.
“Ti sei tagliata i capelli?”
Lei mormora qualcosa che assomiglia a un “Mhm-mm.”
Avvicina le mani intrecciandole davanti a sé e fa il vago. “E così... tu e l’agente Jones...?”
Lei ridacchia. “Wow, sparisci per due anni, e quando ritorni la prima cosa che mi chiedi è se mi sto frequentando con un altro?” poi lo guarda, imitando i suoi gesti. Lo stuzzica con lo sguardo e si passa la lingua sul labbro con un movimento involontario. Infine, torna seria.
“La risposta comunque è no. Cioè, ieri sera mi ha chiesto di uscire e ho accettato... poi stamattina, eccoti qui...” conclude la frase lasciandola in sospeso. Apre le mani, rivolgendo i palmi verso di lui.
“Chiedevo giusto per sapere, visto che l’ultima volta stavamo per sposarci.”
“Credo tu abbia saltato qualche passaggio, perché l’ultima volta che ci siamo visti, ci siamo puntati le pistole contro.”
Tono sarcastico risponde a tono sarcastico. Di nuovo se ne stanno in silenzio ad osservarsi per qualche istante.
Il tempo e la distanza non ha annullato il sentimento reciproco che hanno sempre provato l’uno verso l’altra, e quella voglia di avvolgersi pulsa a velocità massima, seguendo il ritmo dei loro cuori. Non resistono più. Lei allunga la mano, lui l’afferra.
Sorridono.
Si sono ritrovati.
“Mi sei mancata.”
“Castle, non hai idea di come mi sia sentita durante questi lunghi due anni. Credevo davvero che non mi volessi più.”
Lei ritrae la mano e abbassa lo sguardo. Lui deglutisce e sospira.
“Mi dispiace. È stata la cosa più difficile che abbia mai fatto nella mia vita. Mentire e dire che non ti amavo più.”
“Beh, sei davvero il figlio di Martha Rodgers perché ci sono cascata in pieno.” Replica Kate sarcastica. Sposta lo sguardo altrove, e fa per scacciarsi una lacrimuccia dal volto.
“Era quello il piano. Ma adesso sono qui, Kate.” La rassicura, recuperando la sua mano. La stringe e le passa il dito sul dorso della mano.
Un piccolo gesto che le restituisce il sorriso.
“Lo so.”
“Ho fatto tutto questo per tornare da te.”
“Lo so,” replica, cercando di sembrare più oggettiva possibile, “ma ciò non cambia che hai ucciso delle persone, Castle.” Fa una pausa, guardandolo dritto negli occhi. Si allunga ancora di più, quasi volendo accorciare la distanza che li separa, e raggiunge l’altra mano. “Ho sempre saputo che eri innocente, e non mi sono mai fermata di fronte a niente. Perciò voglio aiutarti.”
“Non sto chiedendo un riconoscimento, giuro. Voglio solo liberarmi da tutto questo.”
“Non sarà facile.”
“Che mi succederà?”
Kate sospira ed entrambi lasciano andare le mani. Lei torna a sfogliare la cartellina che ha sotto gli occhi per nessun particolare motivo e poi la richiude, incrociando le mani davanti a sé.
“Non ne sono sicura, ma penso che passerai almeno una notte in cella.”
“Mi manca stringerti tra le mie braccia.”
Lo guarda. L’aria da cucciolo è rimasta sempre lì. Non può fare a meno di continuare a sorridergli. Ancora non crede di averlo lì, davanti a sé.
“A me manca tutto di te. Aspetta qui. Due agenti ti scorteranno.” Lo rassicura, e alzandosi va a posargli una mano sulla spalla, sentendola gonfia. Contorce la bocca immaginando quanto dolore deve aver subito per tornare da lei sano e salvo.
“E’ stato bello vederti.” Le dice, mentre lei raggiunge la maniglia della porta e senza voltarsi, gli risponde, “Anche per me.”
Il profumo di ciliegia lascia la stanza, e lui attende lì il suo destino, con il sorriso sul volto.
 
Quando Mike Jones le si avvicina lo fa con passo pesante. Si gratta nervosamente la testa, agitato. Mani in tasca, come se volessero frugare per cercare qualcosa, la raggiunge seguendo il suo sguardo fisso sulla cartellina che teneva prima in mano.
“Immagino niente caffè questa sera.”
Lei alza lo sguardo e fa quell’espressione per sottolineare che non è proprio il momento per parlare di appuntamenti. In risposta, lui fa un passo indietro e alza le mani. “Scherzavo.”
Kate chiude la cartellina, se la porta sotto il braccio, stringendola. “Scusami, Mike. Sei una brava persona. Mi hai aiutata tantissimo in questi due anni, e mi piace il lavoro che svolgi, ma...”
“Ascolta, Kate. Lui è tornato e ora sei felice. Va bene così.” Spalanca le braccia per marcare che non sta scherzando. Lei sussulta, viene colta di sorpresa, non aspettandosi una simile risposta.
Mike torna a fare un passo verso di lei prima si guarda le scarpe, poi le punta addosso gli occhi serissimi. “Ricorda una cosa: ho visto prigionieri di guerra tornare da un continente all’altro con l’intento di volersi costituire. Non sono mai tornati alla vita che conducevano prima. Stare a lungo in posti dimenticati da Dio, ti cambia. Io ci sono passato e ti posso confermare che è così.”
Lei deglutisce e scuote la testa, non riuscendo a spiccicare una parola. Non vuole credergli. La cartellina che teneva ben salda sotto il braccio cade a terra, e i fogli si spargono in maniera confusa, ma non ci fa caso. Continua a fissare l’agente inglese, sforzandosi di pensare che gli sta dicendo un mucchio di stronzate, ma Mike non ha intenzione di prenderla in giro. Lui inclina la testa di lato, forse sentendosi in colpa per averle detto quelle cose, in fondo veritiere, e fa per allungare la mano per toccare la sua spalla.
“Detective,” la Gates, con gli occhialini in mano, compare dietro l’agente Jones, facendo voltare lei e Beckett, “ho appena sentito Christina Finch dalla sede di Langley. Dice che se il signor Castle se la sente, può iniziare a collaborare con loro e con l’Interpol.”
“Capitano, capisco l’urgenza ma, Castle è appena tornato in patria. Magari vorrà del tempo per pensarci...”
“Non è andato in vacanza, Beckett.” Interviene Jones, duramente. “È stato l’artefice di un attentato terroristico. Se vogliamo che la notizia del suo ritorno non si diffonda tra i giornali, dobbiamo agire subito.”
Kate guarda il suo capitano, aspettando un segnale di conferma. Victoria Gates alza i sopraccigli per incitarla ad eseguire gli ordini.
Alla fine, si inginocchia per raccogliere da terra la cartellina e la getta sulla superficie più vicina a sé, una postazione non sua lì accanto. Si morde il labbro guardandosi le mani.
Non ci sarà mai un attimo di pace per lei e Castle?
“Vado a parlargli.”
 
Scende le scali che conducono alle prigioni come un robot. La sua figura magra, tutta vestita di nero, si mescola con le pareti dell’ambiente circostante.
Seduto nella sua cella, sorride, riconoscendo il suo odore e chiude gli occhi per perdersi, ancora una volta, in quel profumo.
“Sentivi già la mia mancanza?” dice senza voltarsi. Quando non riceve nessuna risposta, gira la testa verso di lei, che lo sta guardando seria. “Okay, smetto di fare il bambino.”
La battuta riesce a strapparle un sorriso su quel viso triste. “Come ci riesci?” gli chiede ingenuamente. Rick si avvicina alle sbarre afferrandole. “A essere sempre col sorriso anche nelle situazioni impossibili.”
Lui ridacchia, poi sente le mani della detective sulle sue.
“Immagino sia il mio lavoro. Far vedere il mondo con gli occhi dello scrittore.”
Intrecciano le dita, che danzano tra loro a un ritmo che solo loro riescono a capire.
“E che mondo vedi adesso?”
“Beh, al momento molto cupo, a giudicare dalla mia cella. Ma quando vedo i tuoi occhi, scorgo un barlume di luce alla fine di tutto questo buio.”
“Vorrei poterlo credere.”
Giocherellano con le dita intrecciate.
“La nostra storia è una di quelle impossibili. Ricordi che il giorno prima del nostro matrimonio non riuscivi a ottenere il divorzio da quel tuo ex? E il vestito da sposa era completamente distrutto?”
Kate si porta una mano sulla bocca trattenendo una risata, che alla fine esce comunque.
“Ricordo benissimo. È stata una lunga battaglia riuscire ad arrivare all’altare.”
“Ma alla fine ce l’abbiamo fatta. A parte il fatto che prima della fine della cerimonia, io sia stato rapito da Al-Qaida e costretto a diventare un terrorista per salvare la mia famiglia.”
“Un piccolo inconveniente.”
“Una sottigliezza!”
Ridono, sorpresi di trovare divertente quella situazione, forse è anche una reazione spontanea per allentare la tensione. Improvvisamente, il viso di Kate s’imbrunisce. Il sorriso sparisce e lei abbassa lo sguardo osservando i loro piedi. Ancora una volta distanti con un ostacolo che impedisce loro di abbracciarsi e toccarsi come vorrebbero.
“Kate, guardami.” Le dice lui quasi ordinandoglielo. Lei risponde e sostiene il suo sguardo. Gli occhi lucidi e il naso che le prode. Scuote la testa sistemandosi i capelli. “Supereremo anche questo.”
“Mike Jones dice che andare in posti di guerra ti cambia completamente. Ti va di parlarne?”
La sua fidanzata ora è diventata anche psicologa. Fa una smorfia divertito, ma dura poco.
Si allontana dalle sbarre, dandole le spalle, e si mette seduto dov’era prima, su quella specie di brandina. Si tiene le mani in mano, contemplando davanti a sé per qualche istante. Almeno la cella del Dodicesimo è meno sporca di quella di Saqlawiyah. Rivolge lo sguardo verso Kate, che sta stringendo le sbarre attendendo con ansia una risposta.
Lui sospira per l’ennesima volta. Il suo petto si gonfia e si sgonfia come un palloncino.
Come spiegarle cos’ha passato laggiù? Raccontarle dei trattamenti, di Nasir, della gente del posto e di Yoel? Il caro amico Yoel che gli ha dato tanti preziosi consigli. Colui che lo ha ispirato per una nuova, possibile, storia, solo pronunciando quel Deyman, sempre.
“Non me la sento. L’agente Jones che ne sa di queste cose?” chiede, alzando un sopracciglio, con quel pizzico di gelosia.
Kate scuote semplicemente il capo.
“Lunga storia.”
Anche per lei è difficile spiegare le molte cose avvenute mentre lui era laggiù.
“Mi sono perso molte cose in questi due anni.” Osserva con rammarico.
“Quello che ti stanno chiedendo è di collaborare con la CIA e con l’Interpol. Loro possono darti l’incolumità.”
“Ciò non cambia che ho ucciso delle persone.”
“Ti daranno uno sconto della pena.” Implora Kate, stringendo a più non posso le sbarre. Non vuole mollare la presa, non con lui. “Non so come funziona in questi casi, ma è l’unica occasione che hai.”
Le mani iniziano a sudare al sol pensiero che lui lo scopra. Se le strofina sui pantaloni in modo convulsivo, poi torna a guardarla.
“Se Nasir lo venisse a sapere, io sarei un uomo morto. Voi non lo conoscete come lo conosco io.”
“Per questo devi aiutarci. Prima lo troviamo, e prima potrai tornare a casa. Dalla tua famiglia e da me.”
Molla la presa sulle sbarre per osservarlo un’ultima volta.
Vorrebbe aprire quella cella, abbracciarlo e dirgli tante altre cose.
Ah, se ha tante cose da raccontargli! Sarebbe stata lei la scrittrice in quell’occasione.
Ma scompare prima che lui si volti a darle un ultimo sguardo.
 
Sonny Preston non è mai stato un tipo svelto, per questo quando corre per il Dodicesimo attira l’attenzione degli agenti. Perché lo fa in modo goffo. Il sedere si muove a ritmi inusuali, e le gambe sembrano scoordinate.
“Capo! Capo!” giunge da Jones quasi buttandosi a terra.
Si piega in due poggiando le mani sulle gambe, col fiatone ancora in bocca.
L’agente Jones guarda spaesato Owen Rodriguez, che al contrario del collega ha una postura composta e ordinata. Entrambi si schiariscono la gola, aspettando che Sonny si riprenda.
“Abbiamo ricevuto un messaggio... la CIA... ce l’ha passato...”
I due scuotono la testa non capendo.
Poi Rodriguez fa un ampio sorriso.
“Nasir Sayf Al-Islam?” chiede soddisfatto della sua intuizione. Quanto egocentrismo all’Interpol.
Mike evita il pavoneggiamento del suo agente.
“La CIA L’ha già tradotto?”
“Sì. Lui sa che Richard Castle è tenuto prigioniero, e lo rivuole.”
 

 

Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
La storia ritorna quindi nel tempo presente, dopo il prologo.

Mi devo scusare perché ho fatto un errore: Saqlawiyah è in Iraq, non Afghanistan, come avevo in precedenza scritto. Prometto di essere più attenta con le mie carenze geografiche :p
La Gates ha ragione: c’è troppo testosterone lì dentro >< e sebbene qualcuna potrebbe gioirne di tanto testosterone, Jones farebbe meglio a tenere le mani al proprio posto u.u
Non vi siete sciolte con Riccardone e Kate che si ritrovano? *-*
Dimenticavo: AAA cercasi signorina disposta a sostituire Beckett all’appuntamento :p

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** A proposito di Castle ***


 
La Gates resta immobile quando Mike le spiega il messaggio ricevuto da Nasir.
Kate scuote la testa e si passa una mano sui capelli in segno di stress.
Il capitano del Dodicesimo accenna a fare un passo avanti, incrociando le braccia. Scruta l’agente dell’Interpol, in piedi davanti a lei, anche lui con l’espressione di chi sa qual è la prossima mossa da fare.
“Quindi dobbiamo rispedire Castle laggiù.” osserva Iron Gates, e con la coda dell’occhio vede Beckett accanto che ha un fremito.
Mike fa un cenno del capo per confermare e poi fa segno alle due di seguirlo.
“Non credo che la CIA lo manderà in Iraq senza chiedere qualcosa in cambio. Comunque, siamo collegati con Christna adesso. Ci mostrerà il tutto in videoconferenza.”
“Castle può unirsi a noi?” gli chiede Kate, mentre a fatica sostiene il passo veloce di Mike.
“Non credo proprio.”
“Ma-”
“Niente ‘ma’, detective.” Si volta di scatto facendola sobbalzare. Guarda la Gates, rimasta impressionata dalla risposta ricevuta. Mike si ricompone e cambia tono di voce. “Sebbene abbia mentito sul collaborare con Nasir, resta un prigioniero di guerra, e come tale non può partecipare in via ufficiale.”
Kate morde il labbro.
Giunti al gran salone, il maxischermo è acceso e mostra Christina Finch in tenuta elegante con il solito capello raccolto in uno chignon, mentre attende l’arrivo di Beckett, la Gates e Jones. Tiene le mani avanti, intrecciate tra loro, come una giornalista pronta a dire il notiziario.
Kate si colloca vicino a Lanie, che subito le afferra le mani, Kevin e Javier. Si salutano con un cenno del capo, mentre l’amica dottoressa ha uno sguardo preoccupatissimo.
Mike non riesce a star seduto e passeggia nervosamente avanti e indietro davanti allo schermo, fino a quando qualcuno fa cenno alla Finch di iniziare a parlare. La donna sorride lievemente e si sistema sullo schienale della sedia. Dietro di lei si vedono computer e persone collegate con auricolare.
“Capitano Gates, agente Jones. Detective del Dodicesimo, è un piacere rivedervi. Come siete già stati informati, Nasir Sayf-Al Islam ci ha contattato in videoconferenza, proprio nel bel mezzo di un meeting con il Presidente. Immaginate la sua faccia mentre sentiva Nasir dire che Richard Castle è tornato a New York e lo rivuole nella sua organizzazione.” Pronuncia le ultime parole con sarcasmo, e distoglie lo sguardo alzando un sopracciglio.
Esposito e Ryan non resistono a far una battuta di spirito.
“Scommetto un’espressione non felice.”
Fortunatamente, la Gates è sempre lì pronta per fulminarli con lo sguardo accigliato.
“Allora, sarò breve e vi manderò il video sottotitolato, così potete trarre anche voi le vostre conclusioni.”
Cala il silenzio, l’agente Preston spegne le luci e parte lo spettacolo.
Nel video, Nasir è seduto a un tavolo in legno. Dietro di lui, un muro bianco e la bandiera con il nome e il motto di Al-Qaida. Il giovane terrorista sorride facendo una smorfia, sentendo il petto rigonfiarsi di orgoglio e di fierezza. Saluta in arabo i presenti che lo stanno ascoltando, e dal suo sguardo si immagina tutte le organizzazioni internazionali che sono alla sua ricerca, che si stanno mangiando le mani nel tentativo di cogliere ogni minimo dettaglio nel video. Inclina leggermente la testa di lato, come per sgranchirsi un muscolo, poi torna dritto e inizia a parlare.
Non gesticola e pronuncia le parole come un robot, come gli è stato insegnato.
Gli agenti presenti leggono i sottotitoli e ogni tanto lanciano uno sguardo al volto di Nasir. Lui sta dicendo che sa che Rick Castle è tenuto in ostaggio al Dodicesimo distretto di New York.
“Come faccio a saperlo? Semplice. Leggo anche io i giornali. So della detective Kate Beckett.”
La diretta interessata sente gli sguardi degli altri su di lei. Quello che percepisce, però, è solo un tuffo al cuore. Deglutisce e stringe le mani di Lanie.
“So che la CIA e l’Interpol mi stanno dando alla caccia, è sempre stato così. Da anni ormai. Ma voglio venirvi incontro.”
Ecco il momento che tutti stanno attendo con ansia.
Ora lui dirà le sue richieste.
Nasir abbassa lo sguardo per creare tensione, poi lo rialza guardando dritto verso la telecamera davanti a lui.
“Propongo uno scambio di prigionieri. Richard Castle in cambio di John Storm, quel corrispondente della CNN che il vostro governo ha mandato qualche settimana fa in Iraq. Ha una famiglia che lo aspetta, e immagino che, secondo il vostro patriottismo, voi non vorrete che lui muoia qui senza rivedere i suoi cari – tra cui la moglie incinta. La scelta è tutta nelle vostre mani.”
Il video si interrompe bruscamente, lasciando il Dodicesimo in silenzio per qualche secondo.
La Finch ricompare sullo schermo, mantenendo sempre quel comportamento serio.
Mike raggiunge gli occhi di Sonny nell’oscurità e gli fa cenno di accendere di nuovo le luci.
“La CIA ha deciso che Richard Castle dovrà tornare in Iraq ma lo faremo a condizione di uno scambio con l’ostaggio americano.” dice Christina.
Kate stringe la mano di Lanie ancora più forte. Si guardano. Ha bisogno del suo sostegno in quel momento. Lo sguardo si allunga verso Javier e Ryan.
“John Storm della CNN.” Continua il funzionario della CIA, “Castle verrà monitorato da lontano, non preoccupatevi, così non lo perderemo un attimo di vista. Non falliremo come l’ultima volta.” Dice riferendosi chiaramente alla missione di Kate a Berut. “Mike, tu sei d’accordo con me?”
L’agente Jones chiama i suoi due uomini, che attendono la decisione unanime. Lui si prende qualche secondo per fare un bel respiro, incrociare le braccia al petto e guardarsi ai piedi. Le scarpe che indossa iniziano a fargli un gran male. Non è stato fermo un attimo e per l’agitazione, non è riuscito a sedersi e rilassarsi. Sa che tocca a lui parlare e spera che quella sia l’unica decisione sensata. Alza lo sguardo verso lo schermo.
“In qualità di rappresentante dell’Interpol londinese ritengo che sia l’unica opzione. Il signor Castle deve ripartire e andare sotto copertura per smascherare Nasir una volta per tutte.”
Senza dir nulla, Christina fa un cenno di assenso, scrive sul tablet che ha davanti, quindi volge lo sguardo oltre.
“Victoria?”
La Gates guarda i suoi uomini, che si girano verso di lei nello stesso momento. Un muro incrollabile, che si muove alla stessa velocità. Quello è il significato della vita al Dodicesimo. Insieme, fino alla fine. Iron Gates in quanto capitano di quel distretto, si trova di fronte ad una scelta impossibile quando gli occhi di Beckett la implorano a pensare onestamente come una donna e non come un comandante di un battaglione.
Quando Victoria Gates toglie lo sguardo dalla sua detective, però, tradisce i suoi ideali umani.
“Non posso che essere d’accordo con voi.”
Christina fa la stessa cosa che ha fatto con Mike. Un cenno di assenso, e si appunta anche il suo nome sul tablet.
“Scusate ma nessuno ha chiesto a Castle cosa ne pensa di tutto questo.” La domanda di Kate arriva dritta e precisa come una freccia scoccata da un tiratore esperto. Gli occhi della detective sono freddi. Ha lasciato libera la mano di Lanie, per sentirla addosso. Prima posata sul cuore, che pulsa a gran velocità, poi tenuta nell’altra mano a pugno.
La Finch scuote la testa. “Non capisco.” O almeno fa finta di non capire.
Kate fa un passo avanti. Le mani sono ancora a pugno lungo il suo corpo.
“Magari lui avrà da dire la sua, visto che deve di nuovo ripartire in missione. E sarà ancora più difficile per lui.”
“Come già ti ho spiegato, Beckett, lui è un prigioniero di guerra,” interviene Mike, senza però, voltarsi nella sua direzione, “e in territorio americano è considerato un terrorista. Non ha diritto di parlare.” Conclude girandosi di profilo, giusto per vederla con la coda dell’occhio.
“Non avevo chiesto il tuo parere, Jones.” Risponde acida, una chiara frecciatina alle risposte che lui le aveva dato prima. Questo lo fa voltare completamente verso di lei, guardandola serio.
La Gates schiocca la lingua. “Posso parlare con la detective da sola?” guarda prima Jones, poi la Finch alzando un sopracciglio, ed entrambi le danno segno di assenso. Il capitano s’incammina verso l’uscita, facendo passare prima Kate davanti a lei.
“Detective, attenta a quello che dici...” inizia la Gates, parlandole sottovoce. Si avvicina a lei per metterla sull’attenti, e il tono di voce resta basso ma calmo e severo. “Da ciò che Christina ha fatto intendere, il Presidente non è stato molto contento del fatto che il signor Castle sia tornato e che lui non sia stato subito informato perché noi lo stavamo interrogando. Capisci cosa voglio dire?”
Lei si morde il labbro nervosamente, come è solita fare nelle situazioni di tensione, dispiaciuta per il suo comportamento impulsivo, e abbassa la testa facendo dei piccoli cenni di assenso. Si guarda le mani che bollono di rabbia. Suda freddo per la tensione e l’ansia a cui è sottoposta.
Victoria la osserva capendo il suo stato d’animo, quindi ammorbidisce il tono di voce.
“Sarai d’accordo con me che non c’è altra scelta. Castle deve tornare da Nasir.”
Kate alza gli occhi deglutendo. Il suo capitano ha tristemente ragione. Fa un cenno con la testa, come un soldato.
“Sì, signora.”
La Gates la guarda un’ultima volta e risponde a sua volta stringendo le labbra e facendo un cenno con la testa. Le indica la porta d’ingresso, che chiude una volta entrata anche lei.
“Oh bene, eccovi qui.” Fa eco la Finch dal maxischermo. Kate torna vicino ai suoi uomini scambiando con loro degli sguardi e scuotendo la testa.
“Mi spiace essere dura con voi dopo tutto il lavoro che abbiamo svolto insieme in questi anni, ma sono ordini che provengono dall’alto e devo essere obbiettiva. Quindi, avete deciso?”
“Il Dodicesimo è d’accordo.” Replica la Gates con voce risoluta.
Kate sente gli sguardi compassionevoli di Lanie, Javier e Kevin su di lei e fa un grandissimo sforzo a evitarli. Non vuole sentirsi così esposta.
“Ovviamente il signor Castle verrà informato dall’agente Jones riguardo la sua missione.”
“Lui può partire ma a una condizione, Christina.” È Kate a parlare. La sua voce proviene dal fondo della stanza, lo sguardo è deciso, puntato verso il maxischermo, come se la Finch fosse lì davanti a lei in quel momento. La donna le fa cenno di proseguire la sua richiesta. “Che gli sia concesso di salutare la sua famiglia prima della partenza.”
“Certo, ma deve essere fatto entro oggi. Contiamo di rispedire Castle domattina in Iraq.”
Rispedire? Cos’è, un pacchetto regalo?
Kate fa una smorfia, scuotendo la testa. Quel prurito alle mani, derivante dal sentimento di spaccare tutto in quel momento, è ancora lì, a provocarle quel tremolio.
 
“Ehi, perché quella faccia?”
“Vogliono rispedirti a Saqlawiyah.”
“Come? Di già?”
Kate guarda Rick in apprensione.
Lo sguardo da cucciolo in gabbia, attaccato alle sbarre, che urla, con i soli occhi, il suo desiderio di uscire al più presto e di smettere con questa passerella di prigioni. Come dargli torto?
Lei si avvicina per posare le mani sulle sue. Le guarda, tracciando delle linee immaginarie con l’indice sul dorso della mano.
“Ci sarà uno scambio di ostaggi. Te in cambio della vita di un giornalista americano. Sarai spedito subito in missione sotto copertura.” Sente i suoi muscoli irrigidirsi e smette di toccare il dorso della mano. Lo guarda e vede tanta tristezza e rassegnazione sul suo volto. “So che non dovrei dirlo, ma non voglio che tu vada. Sei appena tornato...”
Ora lui la guarda come a dire che questo non ci voleva. Sospira.
“Neanche io voglio allontanarmi ancora da te... ma quanto ancora durerà questa lontananza? Quando potrò abbracciarti?”
“Immagino presto. Tra poco verranno a liberarti così ti spiegheranno la missione nel dettaglio. E poi, potrai salutare Martha e Alexis prima della partenza.”
Non potendosi abbracciare, si accontentano di toccarsi le dita delle mani, immaginando di stringersi forte, corpo contro corpo.
 
Che liberazione essere uscito da quella cella. Più pulita rispetto a quella in cui era stato gettato a Saqlawiyah, ma comunque una stanza con le sbarre, in cui era impossibile uscirne se non con un paio di chiavi.
Si stringe i polsi, primo uno, poi l’altro, sentendosi libero. Alza lo sguardo e rivedere il Dodicesimo.
Non che non lo avesse notato anche prima, entrando qualche giorno fa dopo l’attentato, ma ora riesce a cogliere i particolari.
Gli agenti del distretto lo osservano, non sapendo esattamente come reagire. Per loro era un mito, ma adesso è solo un terrorista. Rick sorride passando in mezzo a loro, ma il sorriso si affievolisce quando essi abbassando lo sguardo, bisbigliando.
Kate è rimasta in disparte, in fondo alla sala, poggiandosi al muro. Rick viene condotto da Esposito e Ryan davanti al maxischermo, dove la Finch è rimasta in costante collegamento. I due detective lo salutano con una sonora pacca sulle spalle, forse per dargli sostegno.
I loro sguardi si incontrano, e il funzionario della CIA gli rivolge un sorriso inclinando la testa di poco. Lui risponde con un debole sorriso.
Quegli occhi puntati su di lui lo stanno mettendo a disagio come mai prima d’ora.
“Salve, signor Castle è un piacere conoscerla. Io sono Christina Finch, alto funzionario della CIA, dalla sezione terrorismo internazionale.”
“Piacere mio.”
“Lei verrà mandato di nuovo a Saqlawiyah. Una squadra sarà con lei per monitorizzare i suoi movimenti, e si mimetizzerà tra la gente del posto. Noi nel frattempo la controlleremo dall’alto, con un drone.” Quando vede che lui la sta guardando con occhi interrogativi, spezza il tono autoritario per mimare, con finta svogliatezza, una sorta di aeroplano con le mani. “Ha presente, quegli aeroplanini volanti che si vedono nei film per fare le riprese aeree? Ecco, chiamiamole così.”
“Un drone come quello di Guerre Stellari? Figo!”
Ecco basta poco per fargli tornare il sorriso. E basta poco per donar sorriso anche a quegli agenti che prima lo guardavano con dubbi impressi sul viso.
Gli sguardi altrui si rilassano, Rick prende un gran respiro e batte le mani per poi portandosele davanti la bocca in segno di stupore. Ha la mente già planata sul drone. Per fortuna non ha perso il suo senso dell’umorismo.
Si volta per lanciare uno sguardo a Kate, dietro di lei, ancora appoggiata alla porta con le braccia incrociate al petto. Ma lei non ride. Non riesce.
L’espressione sul volto di Rick cambia improvvisamente. Le labbra inclinate verso l’altro vanno a formare una linea retta, mentre la fronte si aggrotta per alzare alcune rughe pensierose.
“Niente cimici?” chiede la Gates, rimasta in silenzio finora.
Christina sospira, lasciando intendere che non c’è propria nessuna possibilità di monitorare Castle più da vicino. Le dispiace non poter fare più di quel che può.
“Assolutamente no. La perquisiranno per assicurarsi che lei sia ‘pulito’. Quindi mi raccomando, continui la recita come ha fatto con la detective Beckett.”
La porta si apre e si chiude violentemente. Rick intravede solo le ultime ciocche di capelli castano chiaro e capisce chi ha appena lasciato la stanza.
Al di fuori di essa, Kate si passa le mani sul collo, sentendo la vena giugulare pulsare a mille, poi va a toccarsi ogni centimetro del suo volto, percependo la sensazione di andare a fuoco. Arriva alla fronte e si solleva i capelli dal volto. Poi, poggia una mano sul muro affianco a lei. Lentamente, cammina, vedendo tutto offuscato intorno, e tante voci ovattate.
Non sta succedendo di nuovo.
Lui non sta tornando di nuovo laggiù, dove c’è l’Inferno.
Non lo sta perdendo di nuovo.
Con le spalle al muro, scivola giù, inclinando la testa all’indietro ed emette dei singhiozzi convulsi.
 
“Papà, sei tornato!”
“Al! Madre!”
Alexis e Martha entrano al Dodicesimo portando con loro gioia e vitalità. La piccola Castle corre ad abbracciare il padre, che la fa dondolare sul posto, poi si unisce la rossa diva che avvolge entrambi in un’unica stretta.
“Sono riusciti a liberarti? Resti?” chiede Alexis speranzosa, con il viso immerso nella spalla di suo padre. Lui rallenta l’abbraccio.
Martha se ne accorge. Le sue braccia restano a penzoloni, rilasciando la stretta. Non ha bisogno di guardare oltre sua madre, che inclina la testa e la scuote tristemente come a volergli dire di non fare qualcosa.
Rick sorride nervosamente mentre Alexis corruccia la fronte, non capendo subito lo scambio di sguardi tra suo padre e sua nonna. Posa le mani sulle braccia della piccola Castle, ma guarda entrambe le due donne.
“C’è qualcosa che devo dirvi... anzi, non so se posso dirvelo... al diavolo.” Fa una pausa che sembra durare all’infinito, abbassando lo sguardo verso terra. Si guarda la punta delle scarpe, consumate fino all’osso.  “Devo tornare a Saqlawiyah,” dice infine risoluto, rialzando la testa, “e al mio posto tornerà un giornalista tenuto prigioniero dall’organizzazione laggiù.”
Alexis non sembra reagire. Continua a scuotere la testa, mentre Martha si porta le mani tremolanti sul viso.
Poi la ragazza realizza e allora l’orrore si impossessa del suo volto.
“Come sarebbe che devi ripartire? Ti prego, papà, non andare!” si aggrappa disperata alla sua camicia e si accoccola sul suo torace. Lui l’avvolge di nuovo con le braccia e le accarezza i capelli.
“Tesoro, devo... contano su di me, sono la loro ultima risorsa...”
“E’ una missione suicida!”
“Sono addestrato per questo...”
Sente la camicia bagnarsi e ci mette poco a capire che sua figlia gli sta piangendo addosso.
“Lo diceva anche Kate e stava per rimetterci la pelle laggiù!” replica lei, singhiozzando. Rick guarda sua madre, che non dice nulla, ma si volta dall’altra parte. “L’Iraq non è Beirut! Ti uccideranno!”
“Non preoccuparti, Alexis... tornerò. Tu devi essere forte e badare alla nonna, okay? Guardami, tesoro. Promettimelo.” La costringe a voltarsi verso di lui, afferrandola per i polsi. Dapprima facendo forza, poi liberando la presa.
Alexis ha il volto coperto di lacrime, ma quando incrocia gli occhi di suo padre vede tanta sofferenza, sincerità e soprattutto paura... paura di non farcela, di non tornare a casa questa volta. Lei si libera dalla presa e asciuga le lacrime, togliendole violentemente dal viso mentre strofina la camicia.
“Ti voglio bene, papà.”
“Anche io.”
Un sorriso, ecco ciò di cui aveva bisogno. Martha ora torna a guardare suo figlio e sua nipote che tornano ad abbracciarsi, adesso più tranquillamente.
Rick non ha bisogno di salutare ulteriormente sua madre. Lei sa che la persona da tranquillizzare più di ogni altra cosa è sua figlia, che non riuscirebbe a capire perché suo padre deve lasciarla di nuovo. La diva, in un certo senso, si era quasi abituata alla sua assenza, avendo Kate che girovagava per casa Castle.
Lui guarda sua madre per l’ultima volta. Si sorridono ed entrambi sanno di non dover aggiungere altro.
“Signor Castle, mi spiace interromperla.”
La famiglia Castle si volta nello stesso istante per vedere Mike Jones sull’uscio della porta. La mano chiusa a pugno che batte un colpo sulla porta. Abbassa la testa appena si rende conto della calda atmosfera di casa che si respira in quella stanza. Ha quasi paura ad entrare, come se sentisse di calpestare qualche luogo sacro. Un luogo famigliare che non gli appartiene più.
“Agente Jones, insomma!”
Eccola Martha Rodgers, la diva che si esprime con gesti teatrali. Agita le braccia verso Mike, che spaventato, fa un passo indietro. L’espressione terrorizzata dell’inglese fa ridere di sottecchi Alexis e Rick. “Non vede che stiamo in una situazione straziante, e ci si mette anche lei ora! Un po’ di tatto!”
L’agente apre bocca per rispondere, ma Castle interviene con tono bonario. “Mamma, tranquilla. Arrivo.”
Jones ha condotto Castle nella stanza interrogatori per dargli un cellulare usa e getta che dovrà usare solo in caso di estrema cautela, alcuni soldi, e gli ridà i documenti e gli abiti nuovi. Poggia tutto sul tavolo, facendo il giro, e lasciando che lo scrittore si prenda del tempo per assicurarsi che ci sia tutto.
Mike lo osserva e si poggia con la spalla contro la parete della stanza. Le mani restano nelle tasche.
“Mi dispiace averla sottratta dai suoi familiari in quel modo.”
“Dovere.”
“Sa quello che deve fare, non devo dirle più nulla quindi.”
“Non mi lascerete morire lì, vero, agente?” gli chiede Rick, voltandosi.
Mike osserva meglio quegli occhi azzurri di cui Kate parlava. Sono quei due grandi occhi che riescono a leggere e scrutare l’anima alle persone, e quello sguardo penetrante ne è la prova. L’agente Jones si sorprende e solo in quell’istante capisce tutto.
Il legame che unisce Kate a Rick va ben oltre i romanzi gialli che lui scriveva ispirandosi a lei. Va oltre il significato dello stare insieme come coppia. Si amano, si capiscono, si cercano continuamente, e senza neanche parlare, ma solo con uno sguardo, riescono a comunicarsi tante cose. Sono anime gemelle destinate a stare insieme, e neanche la distanza potrà separarli.
Mike fa una smorfia e scuote il capo. Si è comportato da stupido per tutto quel tempo passato con Kate. Credeva veramente che Castle l’avesse abbandonata e fosse tornato solo per dirle quanto era cambiato. Invece ha visto la sua umanità, il suo senso del coraggio e del sacrificio quando ha rivisto la sua famiglia. Lui ha avuto una seconda possibilità per salutarli di nuovo, cosa che a Jones era stata privata nel momento in cui le persone che amava di più sono morte davanti ai suoi occhi, e lui non ha potuto far nulla. Si passa una mano sulla testa realizzando di aver commesso un errore di giudizio nei suoi confronti.
Vede lo scrittore mentre cerca di capire come funziona quel vecchio cellulare usa e getta e si avvicina. Gli provoca una mezza risata nel vederlo goffo a maneggiare oggetti che non conosce e pensa di capire perché Kate sia innamorata anche del lato infantile dello scrittore.
Fa un cenno con le mani per prenderselo e gli mostra come sia semplice utilizzarlo. Apre il coperchio della batteria e gli fa vedere che ha inserito un GPS collegato al drone della CIA, in modo che ogni volta che lui proverà a contattarli, gli agenti sapranno come localizzarlo. Telefoni come quelli non li producono più ma in casi d’emergenza è bene sapere come funzionano.
“Lei tornerà signor Castle, a costo di venirla a prendere di persona. Non vedrò distruggere un’altra famiglia sotto i miei occhi.” Mike lascia la frase in sospeso, non sapendo lui stesso perché l’abbia pronunciata. Non aggiunge altro e torna con lo sguardo abbassato, assorto nei suoi pensieri, ma Rick lo scruta e, proprio come fece anni fa con Kate, abbatte qualche muro e forse capisce a cosa si sta riferendo.
Alza i sopraccigli e guarda l’agente che è tornato ad appoggiarsi al muro mentre maneggia con il suo cellulare.
“Lunga storia.” gli aveva risposto Beckett quando Castle gli aveva chiesto qualcosa di più a proposito dell’agente Jones.
Anche lui realizza di averlo giudicato male. Pensava fosse arrogante, e non capiva il suo status di perenne rabbia, come se ce l’avesse con il mondo intero perché qualcuno gli aveva distrutto qualcosa, ma aveva percepito che era protettivo nei confronti di Kate. Forse anche troppo.
Inoltre, aveva notato l’espressione di disagio quando aveva interrotto il suo ritrovo con Martha e Alexis, quindi aveva compreso. Ci sono certi muri difficili di abbattere, e lui ne sapeva qualcosa.
Sorride e ringrazia la luce soffusa che lui non riesca a vedergli il viso.
“Agente Jones, lei non mi piace ma... grazie per essersi preso cura di Beckett in questi due anni.”
Anche l’altro sorride in penombra, e si schiarisce la voce per coprire il tutto.
“Il sentimento è reciproco, signor Castle. E non lo dica neanche.” Si sposta dal muro per avvicinarsi allo scrittore. Gli poggia una mano sulla spalla, restando con lo sguardo fisso su di lui, e realizza quanto sia più facile raggiungerlo dato che hanno la stessa altezza. Sorride con la mano serrata. “Pensi a tornare vivo e vegeto senza far cazzate, altrimenti le sparo.”
 
“E’ bello abbracciarti di nuovo.”
“E’ bello abbracciarti di nuovo... anche per me.”
Dicono entrambi. Lei affonda la testa e i capelli nell’incavo del suo collo, lui la tiene stretta a sé, più che può, con la sensazione di non voler mollare la presa. Restano così, per dei secondi che sembrano interminabili, senza dir nulla.
L’agente Jones lo aveva lasciato da solo nella stanza interrogatori e quando poco dopo si era presentato facendo entrare Beckett, Castle non si aspettava di vederla finalmente a distanza ravvicinata, senza quelle sbarre a separarli. Poi, Mike aveva chiuso la porta, lasciando la loro privacy, senza aggiungere altro.
Lui le accarezza la schiena con le sue grandi e forti mani, lei fa altrettanto. Si dondolano per altri minuti, poi lasciano delicatamente la presa.
Le mani passano dalle spalle fino a toccarsi i rispettivi volti. Sono vicinissimi, si sorridono, strofinano i nasi l’uno contro l’altro, e prendono ad esplorarsi ogni parte del volto, ancora increduli di essere l’uno di fronte l’altra. Lei gli tocca il labbro screpolato, passando con il dito sopra delle cicatrici. Con la punta della lingua, si avvicina per assaporare quelle labbra che le erano tanto mancate. Poi avvicinano le bocche e si assaggiano, prima pian piano, timorosi, poi affamati, avvolgendosi di nuovo.
Si separano e lei gli getta le braccia intorno al collo, lui poggia le mani sui suoi fianchi sinuosi, non senza prima aver percorso le curve da sotto il seno fino alla vita. Abbassano la testa entrambi, toccandosi le fronti.
“Se qualcosa dovesse andare storto laggiù...” comincia lui.
“Non dirlo neanche! Tu tornerai!” sussurra lei, più disperata che mai.
Rick le prende le braccia per tornare a guardarla negli occhi. È serio, ma ha gli occhi lucidi, consapevole di ciò a cui sta andando incontro, e sincero nel dirle quelle cose.
“Se non dovessi tornare, promettimi una cosa.”
“No, non posso farlo.”
“Promettimelo, Kate.” Alza il tono della voce, che non vuole sembrare duro e ostile, ma piuttosto un risveglio per farle capire cosa gli sta comunicando. Rick deglutisce e sospira pesantemente. “Ti rifarai una vita e andrai avanti.”
Kate lo guarda come se fosse un pazzo. Come può dirle una cosa del genere?
Scansa le mani che prima la stringevano e si copre le orecchie per non ascoltarlo. “No, no, no...”
“Promettilo! Dovrai vivere per me e per te. Tua madre vorrebbe questo!”
“Non potrei sopportarlo.”
Lui torna a stringerla, ma lei lo respinge. Come può essere così meschino?
“Promettimelo. Voglio che tu sia felice.”
Quando le dice quelle parole, Kate alza lentamente lo sguardo. Più coraggiosa, stavolta, lo guarda seria e lo bacia violentemente, afferrandogli il viso tra le mani, per ribadire il suo concetto.
“Torna da me. Ti amo.” Gli sussurra tra le labbra.
Rick sorride, arrendendosi al suo amore. “Sei più testarda di una roccia. Farò del mio meglio. Ti amo anche io.”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Il ritrovo tra Rick e Kate termina subito, perché lui deve ripartire... ordini dall'alto.
Fortuna la nostra detective riesce a fare la dura e permette che lo scrittore saluti lei e la sua famiglia prima di andare via...
E poi ci voleva un confronto tra Mike e Rick, che forse hanno appianato le loro divergenze, che dite?
Beh intanto vi auguro Happy Castle Monday e alla prossima *-*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Inferno e ritorno ***




Ha dormito male per tutta la notte e il fuso orario non aiuta, a giudicare dalle occhiaie che sembrano due borsoni.
Gli agenti Preston e Rodriguez lo hanno trascinato fuori dalla sua cella, mettendogli le manette, e assicurandosi che nella tasca interna dei nuovi pantaloni, abbia i documenti e il telefono usa e getta che Jones gli aveva dato.
A cosa serve un metaldetector quando i due agenti inglesi lo tastano più volte prima di salire sull’elicottero che li porterà in Iraq? Procedure burocratiche, gli avevano spiegato. Ancora non si fidano di me, si era risposto lui, invece, sbuffando.
Quando atterrano in territorio iracheno, è notte fonda. L’ideale per non esser notati.
“Signor Castle, lei verrà lasciato qui, come da ordine.” Gli annuncia Preston con fare sbrigativo.
Rick annuisce, mentre Rodriguez gli lancia un copertone per proteggersi durante la notte.
“Uno squadrone che si trova già a Saqlawiyah la accoglierà l’indomani”, aggiunge Rodriguez. “Adesso pensi a riposare.”
“Mi lasciate qui? Nel mezzo del nulla?” chiede ai due agenti inglesi, spalancando le braccia per fargli notare l’immensa altura dove sono appena planati.
“E’ solo una notte, può resistere.” Risponde Preston senza mezzi termini.
I due tornano dentro l’apparecchio, che prende quota senza che lo scrittore possa replicare o dir altro.
Nel freddo del deserto, Rick Castle deve stringersi più che può con la sola coperta per ripararsi dall’aria notturna. Si accomoda a terra, cercando riparo in una piccola grotta. Girato di fianco, guarda le piccole luci in lontananza provenire dalla città, mentre gli uccelli della notte si fanno sentire con i loro richiami. Stringe le mani per scaldarle e prega affinché i raggi del sole si sbrighino a baciarlo.
L’indomani, viene svegliato dal belare di alcune pecore non poco lontane da lui. Apre lentamente gli occhi, prima uno e poi l’altro, per ammirare un’immensa macchia di lana davanti a sé. Si alza da terra, tenendosi la coperta sulle spalle, e sorride. Qualcosa di candido a prima mattina, che lo rende felice. È una piccolezza, ma ha bisogno di mantenere il sorriso dopo la notte passata al freddo, cercando di proteggersi dagli sciacalli che sentiva in lontananza.
Avrebbe di gran lunga preferito dormire su un letto.
Vede delle persone vestite con abiti ornamentali e degli strani cappelli in testa, avvicinarsi a lui. Immagina siano gli uomini dello squadrone sotto copertura. Conferma i suoi dubbi quando riesce a inquadrare i loro volti tipicamente occidentali. L’uomo al centro, più grosso degli altri, allunga la mano per presentarsi.
“Signor Castle, sono l’agente Lewis. Questi sono Douglas, Callaghan e Montgomery. La scorteremo fino al luogo dello scambio.”
“Siete sotto copertura?” domanda Rick lungo la strada. È seduto nel retro di un pick-up nero insieme a Lewis, intento ad osservare una cartina.
“Sono circa otto anni che stiamo in Iraq. Stiamo studiando i movimenti di Nasir Sayf Al-Islam.” Poggia la mappa accanto a sé. “Lascia che le esprima la mia ammirazione per il lavoro che ha svolto. Nessuno di noi avrebbe avuto fegato. Posso chiederle cosa l’ha spinto a restare in vita per due anni?”
Rick non risponde subito, ma allontana lo sguardo assorto davanti a sé. L’agente Lewis segue il suo sguardo incuriosito.
“Una donna.” Si limita a replicare lo scrittore, senza aggiungere altro.
 
Kate Beckett è seduta alla sua scrivania e tortura le pagine del suo report senza però riuscire a leggere.
Esposito rotea la sedia verso di lei e inclina la testa di lato.
“Sei ancora a pagina 5?”
Lei scuote la testa, chiudendo velocemente la cartellina, che quasi scaraventa lontano da sé. Si porta le mani sulla tempia, passandole poi più volte sulla coda di cavallo. Un tentativo compulso di cercare un anti-stress.
“Non ho chiuso occhio stanotte.” Dice sbuffando. “Continuo a pensare a Castle.”
Lui si ferma ad osservarla capendo il suo stato d’animo.
“Vuoi parlarne?”
Kate fa una risata nervosa, sottolineando l’ovvietà. “Non c’è molto da parlare, Espo. Lui è tornato laggiù, in quell’Inferno, e io sono qui, senza nessun potere e senza sapere se lui stia bene. Questo perché la CIA ha tutto il controllo sui suoi spostamenti.” Conclude sconsolata, abbassando lo sguardo come un cane bastonato.
Javier non può far altro che allungarsi per darle una pacca sulla spalla.
“Ci faranno sapere qualcosa, vedrai. Castle è partito solo ieri sera.”
Senza esser visto, il portoricano incrocia lo sguardo di Kevin, che stava per avanzare verso loro due e gli fa cenno di fermarsi.
La detective gli sorride per metà, tornando alle sudate carte. Sfortunatamente, per quanto apprezzi il conforto del suo amico, sa che la CIA non rilascerà dichiarazioni almeno per i primi giorni.
Javi segue Kevin fuori le mura del Dodicesimo. La Gates ha dato loro il solito caso procedurale da seguire. Sono gli unici detective che riescono ad avere la mente fissa sul loro lavoro, al contrario di Kate che ha la testa altrove.
“Che hai in mente?” chiede l’irlandese senza guardare l’amico.
L’altro fa spallucce e tira fuori il cellulare dalla sua tasca.
“Sai essere persuasivo quando serve?” aspetta un secondo prima di gettare l’occhio su Kevin che lo fissa preoccupato. Esitante, mugola qualcosa. Esposito compone un numero e attende che dall’altra parte risponda quel qualcuno. “Ti voglio forte, amico. Devi aiutarmi a fare una cosa.”
 
Cercando un modo per divagarsi, dà un’occhiata all’orologio e ne approfitta per fare una pausa. Esce dal distretto per andare al chiosco davanti e prendersi un caffè. Lanie non è disponibile ad accompagnarla perché sta finendo di sezionare un cadavere – la criminalità a New York non si ferma mai – quindi deve accontentarsi di andare da sola. Non è la stessa cosa bere quel liquido nerastro che ama tanto e che la fa svegliare di buon umore ogni mattina, soprattutto se c’è quella persona speciale a portarglielo, ma resta un bel diversivo per darsi la carica.
Il taschino della giacca vibra. Posa la tazza di cartone sulla panchina dove si è appena seduta, per controllare sul display chi la sta chiamando. Aggrotta le sopracciglia non aspettandosi di sentire proprio lui.
“Agente Jones. Novità?”
“Ti va di vedere la CIA da vicino? Christina ci vuole a Washington, così avrai occasione di vedere come procede il monitoraggio di Castle.”
Incredula, Kate boccheggia, e riesce a contenere l’emozione. Fa una mossa vittoriosa, tipica di un giocatore di baseball che ha appena tirato la palla in fuoricampo. Quando vede che l’uomo del chiosco degli hot-dog la sta guardando male, lei si schiarisce la voce, tornando ad assumere un tono serio, che però non funziona con Mike, che sorride dall’altra parte del cellulare.
“Come l’hai convinta?”
“Diciamo che ho barattato un paio di informazioni, ma se te lo dicessi, poi dovresti passare sotto la protezione testimoni.”
“Okay, meglio non sapere.” Lo interrompe subito, e dal tono di voce si capisce che è emozionata come una bambina.
Anche Mike ha più o meno la stessa espressione. È contento di sentirla felice e sorride.
“Vengo a prenderti tra un’ora.”
Lei annuisce silenziosamente e poi chiudono la conversazione.
Kate resta pensierosa e sorride tra sé, immaginando chi debba ringraziare per quell’enorme favore.
Subito le viene in mente il suo nome. Javier. Che probabilmente avrà spifferato tutto a Kevin riguardo il suo stato d’animo, e con la complicità di Lanie, avranno convinto Mike Jones a far pressioni su Christina per farla andare alla CIA.
Alza lo sguardo verso il cielo, fa roteare gli occhi per impedire che quelle piccole lacrime di gioia le rovinino il trucco.
L’ora dopo, l’auto blu si ferma davanti al Dodicesimo, e Kate ci si precipita dentro. L’impazienza si è impossessata di lei tanto da non aver neanche mangiato nulla nel corso del tempo che ha passato facendo il conto alla rovescia dalla chiamata di Mike. Sul sedile accanto c’è proprio lui che si sistema la giacca e le sorride guardando i suoi capelli tutti arruffati.
Lei ricambia sorridendo nervosamente.
Appena Mike fa segno all’autista di partire, Kate si morde il labbro cercando un argomento di conversazione, invece si ritrova a torturare la giacca sopra la camicia.
“Mike, non ti ho ancora ringraziato.”
Lui si volta lentamente per poi tornare guardare davanti. “Tranquilla, lo faccio con piacere. Anche se, i tuoi amici sanno essere molto persuasivi.”
Kate ridacchia immaginando i modi possibili per descrivere il modo di Esposito, Lanie e Ryan di essere ‘persuasivi’.
“Come ti hanno convinto?”
L’agente Jones si muove sul sedile, sistemandosi e un lieve rossore compare sul suo viso. Alza gli occhi cercando di ricordare. “Vediamo... la dottoressa Parish ha minacciato di macchiarmi gli abiti con qualche sostanza chimica, il detective Ryan, invece, avrebbe piazzato una bomba sotto la mia macchina, mentre il detective Esposito ha detto che se non riuscivo a farti ottenere il permesso di andare nella sede della CIA, mi avrebbe ridotto il naso come quello dell’agente Rodriguez.”
Sì, adesso riconosce i suoi amici e colleghi di lavoro. È riuscita a immaginarsi perfettamente la scena. Tre bulli che prendono in disparte il preside della scuola e iniziano a minacciarlo per far riammettere a lezione la loro compagna di avventura. Il ritratto ideale del Dodicesimo.
“Sì, direi che siamo una bella squadra.”
“Dovrei farvi fare rapporto all’Interpol perché siete una minaccia per le forze dell’ordine...” scherza, poi torna serio a guardarla, “ma adesso capisco anche perché siete il miglior distretto di New York.”
Cerca di mascherarlo, ma nelle sue parole c’è certamente ammirazione.
Il viaggio successivo dall’aeroporto a Washington dura circa un’oretta.
Kate non è mai salita in un aereo privato con solo dieci posti, hostess che danno il benvenuto con ogni tipo di comfort e tv satellitare. Ne approfitta per fare zapping su alcuni canali via cavo, trovandosi a ridere appena trova l’episodio di Friends quando gli amici ripercorrono i precedenti giorni del Ringraziamento, con Joey, che per divertimento, si era messo il tacchino in testa, e alla fine gli era rimasto incastrato.
Mike invece si siede in fondo, come al suo solito, e si mette a fare chiamate a Christina, probabilmente, per avvisarla dell’orario di arrivo. Quando una hostess si avvicina per chiedere a Kate se desidera il giornale, la sua attenzione si focalizza su un quotidiano. La foto grande di Nasir è in prima pagina, e accanto alla sua c’è un cerchietto con dentro l’immagine sfocata di Castle. Senza dir nulla, si alza e si avvicina a Mike mostrandogli ciò che ha visto e lui deve interrompere la conversazione telefonica per leggere quel titolo.
Minaccia di Al-Qaida allo stato di New York: ridateci Rick Castle.
Lui la guarda dal basso con la sua stessa espressione spaurita e sbotta, “Come diavolo fanno a sapere i giornalisti che Rick Castle è tornato in territorio americano?”
 
Entrare nel dipartimento di Langley risulta più difficile del previsto, e Kate viene bloccata diverse volte nei vari ingressi, costretta ad alzare le mani e allargare le gambe, per poi essere perquisita dal metaldetector. Sbuffa roteando gli occhi verso l’alto, mentre Mike Jones controlla costantemente l’orario facendola innervosire ancora di più.
Non solo è ansiosa all’idea di entrare nel dipartimento della CIA, forse più riservato e controllato di tutti, ma deve anche contenere l’eccitazione nel rivedere il suo Rick sul grande schermo! Ah, a lui sarebbe piaciuta una gita in quel posto. Insieme, si sarebbero esaltati come bambini. Lei avrebbe nascosto il tutto, lui l’avrebbe stuzzicata, facendola ridere, e poi...
“Farrell, sposta quel cazzo di drone, non si vede un tubo!”
Le urla di Christina Finch giungono altisonanti anche a una ventina di metri di distanza. La guardia che sta accompagnando Jones e Beckett si volta per guardarli con aria preoccupata, poi si limita a far spallucce come a dire “non fateci caso, è sempre così.” La detective si gratta le orecchie con la paura di restare sorda. Quando poi l’uomo in divisa apre la porta, si trovano di fronte a un grande stanzone, simile a come era il Dodicesimo due anni fa, attrezzato con maxi schermi e uomini al computer ovunque. Riconoscono la Finch che, di spalle, è in piedi al centro della stanza, e poggia le mani in avanti, dando ordini mentre agita le braccia da una parte all’altra.
“Grant, taggami quei civili... E tu, Dennis, lo so che stai giocando alla battaglia navale! Ma insomma, vengo pagata milioni l’anno per guidare una squadra di ingegneri laureati ad Harvard che non sanno come spostare l’obbiettivo da una telecamera all’altra?”
Vedere Christina Finch nel suo habitat naturale significa assistere ad un reality show.
Hayley alza lo sguardo riconoscendo l’agente Jones e Beckett, e fa loro dei sorrisi muovendo la mano per salutarli. Poi si toglie le cuffiette, afferra il suo portafogli, probabilmente con l’intento di andarsi a prendere qualcosa da mangiare, e passa accanto a loro.
“Benvenuti al lato oscuro!” dice sussurrando a denti stretti.
Kate e Mike si guardano a vicenda intimoriti, restando ancora sull’uscio della porta.
Christina si volta. Il suo viso è stanco, ma viene da chiedersi come faccia a restare sempre in ordine e impeccabile nel vestirsi anche in situazioni di stress. Chiude gli occhi, si porta la mano sulla fronte e prende un gran respiro. Poi spalanca lo sguardo facendo uno dei ampi suoi sorrisi.
“Jones, Beckett, benvenuti!” dice venendo verso di loro. “Mi spiace che vi siete sorbiti le ramanzine da scuola elementare, ma davvero sto impazzendo più del solito.”
“Volevo ringraziarti per avermi concesso quest’opportunità.” si affretta a dire Kate, e lo dice con gli occhi che le brillano.
La Finch è quasi terrorizzata dallo strano barlume che nota e si gira lentamente verso Mike, che però, invece di salvarla dall’essere smascherata perché si è dimostrata generosa nei confronti di Beckett, incita divertito incrociando le braccia.
“Christina non vuole dirlo, ma in realtà si è commossa informandosi sulla la vostra storia.”
Ora è Kate a sentirsi in imbarazzo. Apre la bocca come per dir qualcosa, ma la Finch, che ha capito la frecciatina dell’agente inglese, risponde con professionalità, marcando le sue parole in direzione dell’agente.
In realtà, Hayley mi ha costretta a leggere su Wikipedia la biografia di Richard Castle che parlava anche di te, quindi... ho solo fatto il mio lavoro!”
“Sono su Wikipedia?”
“Signora, abbiamo inquadrato Nasir!”
Dallo schermo principale si vede Rick, tenuto con le mani legate dietro la schiena, mentre viene trasportato dal gruppo di agenti della CIA sotto copertura.
A Kate per poco esce un urlo, che copre prontamente con entrambe le mani. Spalanca gli occhi quando vede il suo povero scrittore ridotto in quello stato, solo per poter tornare da lei. Mike l’accompagna vicino al maxischermo, dove Christina si è già posizionata. Sempre in piedi, mani in tasca, mentre Farrell le passa le cuffiette.
Anche Hayley ritorna silenziosamente con un pacchetto di patatine in mano, e si mette in posizione.
Sono tutti sull’attenti, aspettando l’obbiettivo principale. Nasir, il quale non tarda ad uscire dalla sua auto, una piccola cilindrata scura, e avana lentamente verso lo scrittore.
Christina e Mike si fanno prendere dall’eccitazione nel vedere quell’uomo che hanno ricercato per anni così vicino, eppure così lontano. Kate può giurare di vedere negli occhi di entrambi quella scintilla che aveva lei poco fa nel guardare Rick.
“Presto, accendete quel dannato microfono!” sussurra Christina, spostando per un attimo il Bluetooth attaccato alle cuffie.
Ma accendere il microfono per l’audio serve a poco dato che nessuno degli interessanti allo scambio sta parlando.
L’unico scambio che avviene per qualche secondo è quello di sguardi tra Rick e Nasir.
Finalmente si sente qualcosa. Un sussurro. Farrell aumenta il volume, Hayley si prodiga per attaccare quanto può le cuffiette sulle orecchie, preparandosi per la traduzione simultanea.
Nasir dice qualcosa in tono un po’ altezzoso, ma Castle non replica. Ascolta e abbassa la testa. Gli agenti dietro di lui lo strattonano gettandolo con le ginocchia a terra. Kate teme il peggio e senza rendersi conto inizia a sentire la temperatura corporea alzarsi. Si toglie la giacca, stringendosela a sé e inizia a mangiucchiarsi le unghie, cosa che fa di rado.
“Hayley, che cosa ha detto?” chiede Christina, senza voltarsi. È anche lei in uno stato di allerta.
La giovane traduttrice scarabocchia qualcosa sul suo blocco di appunti e impiega qualche secondo per mettere insieme le frasi. Si toglie le cuffie e gira la sedia verso la Finch.
“Dice che è contento di aver ritrovato Rick, anche se si aspettava che il suo aspetto fisico fosse peggiorato. Si immaginava che gli americani lo avrebbero trattato male.”
Christina rivolge uno sguardo di rimprovero verso Mike e poi si allunga in direzione di Kate.
“Potevate evitare di dargli dei panni puliti? Si vede lontano un miglio che sono stati lavati e stirati!”
“Sua madre ha voluto farlo.” Sussurra Kate, facendo star zitti tutti.
Lei fa per ribattere qualcosa, ma Mike capisce le parole della detective. Ricorda Martha Rodgers, una diva per niente vanitosa, che guardava suo figlio per l’ultima volta, ma non piangeva per mostrarsi forte. Alza una mano verso la Finch per ammonirla e scuote la testa in senso di diniego. Non c’è tempo per discutere o per rimproverare.
Dal maxischermo, Nasir spalanca le braccia e sorride verso Rick. Christina fa segno ai suoi di zoomare sull’immagine.
Il leader di Al-Qaida sembra sincero. Lo scrittore viene slegato ai polsi, che sfrega l’uno sull’altro, colpa della stretta troppo forte, e viene accolto tra le braccia di Nasir. Un gesto sorprendente, inconsueto, che invece di sorprendere Kate, la spaventa a morte.
Christina, invece, nota qualcos’altro.
“Zooma di più! Alzate il volume, maledizione! Voglio capire cosa gli sta dicendo nell’orecchio!”
“Signora, non possiamo avvicinare il drone più di così, altrimenti rischiamo di essere scoperti.” Gli fa osservare Grant.
“Porca puttana.” Sbraita lei, portandosi entrambe le mani nei capelli.
Mike è stranamente calmo, ma col piede sta tamburellando a terra.
Nasir rilascia l’abbraccio e ora mette una mano sulla spalla di Rick. Poi si rivolge agli agenti davanti a lui, si volta indietro e dalla sua auto esce John Storm, il giornalista della CNN che era stato catturato da Al-Qaida. L’uomo stempiato appare sciupato e in condizioni povere. Legato con le mani dietro la schiena, viene condotto e poi gettato verso gli agenti della CIA.
Christina allunga la mano dietro di sé e schiocca le dita verso Hayley. La traduttrice compie gli stessi gesti di prima.
“Ringrazia la CIA per lo scambio e dice che adesso il giornalista John Storm è libero di tornare a casa. Rick Castle resterà qui in Iraq. Per sempre.” Conclude chiudendo il blocco degli appunti e rivolge lo sguardo verso Kate, che però è di spalle. Chiude gli occhi, sentendo quegli sguardi di compassione su di lei.
Sul maxischermo, Nasir riparte, portandosi dietro Rick, e lo stesso fanno gli agenti della CIA con quel giornalista ancora visibilmente scosso dall’accaduto. Farrell muove il drone, allungando la visuale, ma la macchina del capo di Al-Qaida va a confondersi tra quelle di un grosso borgo, dove ci sono tutte autovetture uguali alla sua.
“Lo abbiamo perso.” Dice Grant sconsolato.
“Basta così per oggi.” La squadra si toglie le cuffie nello stesso momento. Qualcuno sbuffa, qualcuno è sollevato. In ogni caso, gli stomaci che brontolano allo stesso momento indicano che è ora di alzarsi dalla sedia per una pausa.
Kate resta a fissare quello schermo, che mostra immagini del deserto, dove poco fa si è effettuato lo scambio di prigionieri. Spera di scorgere qualcosa che possa aiutarla a capire dove sia andato il suo Rick. Le basta qualunque cosa. Ma si rende conto che è inutile.
Mike la fissa pensieroso, finché Christina sopraggiunge. “Se volete restare qui ci sono delle stanze libere-”
“No, ti ringrazio.” Si affretta a dire Kate con un mezzo sorriso. Finalmente distoglie lo sguardo dallo schermo e si rimette la giacca. “Ho visto abbastanza.” si rivolge a Jones con lo sguardo afflitto. “Possiamo tornare a casa?”
Lui si limita ad annuire senza dire nulla e le fa spazio per farla passare e uscire dalla stanza.
Christina segue lo sguardo preoccupato di Mike.
“Se ho notizie, vi aggiorno.”
“Non farlo troppo tardi però.”
 
Nel viaggio del ritorno, Mike ha costretto Kate a mangiare qualcosa, altrimenti rischiava seriamente di svenire. Ha comprato un’insalata da asporto e lei si è sforzata di ingerirla, non senza qualche difficoltà. Per fortuna le hostess del loro aereo privato sono state comprensive e per nulla assillanti, dandole del cibo leggero, non troppo pesante.
Il mal di testa e la sensazione di svenimento sembrano essere svaniti. Appiattisce la schiena contro la poltroncina, mettendosi più comoda possibile. Allunga le gambe davanti a sé, poggiandole su un sofà, e dispone le braccia sui braccioli del sedile. Quando sta per chiudere gli occhi e rilassarsi, vede Mike sedersi davanti  lei. Rivolge lo sguardo fuori al finestrino. Il sole sta tramontando.
“Non ti ho detto una cosa.”
Kate si drizza sulla sedia riportando le gambe ad angolo retto.
“Ho parlato con Rick Castle prima di consegnargli tutto ciò che gli serviva per la missione.”
“E...?” lo incalza e vede un mezzo sorriso.
“Ho visto i suoi occhi, come dicevi tu. È sincero, tiene alle persone,” si ferma e la guarda, facendole intendere che ‘e tiene a te’, poi prosegue, “ha avuto fegato nel fare ciò che ha fatto. Non ho mai conosciuto una persona così coraggiosa quanto lui. E non è neanche della polizia!”
“Spero tu non glielo abbia detto perché altrimenti si sarebbe gonfiato il petto di modestia da qui fino in Iraq.”
Lui scuote la testa non capendo il sarcasmo nella sua voce, al che Kate sfugge una risatina e deve spiegarsi meglio.
“E’ come un bambino di 12 anni. Gli piace stare al centro dell’attenzione ed è contento quando gli si dà ragione,” è partita a parlare di Castle e lo si capisce dal tono di voce farfallino, il sorriso sulle labbra e gli occhi sognanti, “per questo è importante non fargli notare che lui è un genio, altrimenti si monta la testa. Però è quel suo fare infantile che lo rende così adorabile.” Si morde il labbro, dondolando le gambe, e si perde nei suoi pensieri. Quando si rende conto che Mike la sta fissando, Kate si schiarisce la gola tornando sull’attenti.
“Scusami.” Scuote la testa, abbassando lo sguardo, leggermente imbarazzata.
Mike sorride, ignorando le sue scuse, che appaiono superflue in quel momento. Si era perso anche lui a sentirla parlare. “Tieniti pronta che tra dieci minuti atterriamo.” L’avvisa, alzando il braccio per richiamare l’attenzione di una hostess.
 
Torna a metter piede dentro la casa che l’aveva accolto per due anni come un altro fratello.
Durante il tragitto in auto, Rick era nel sedile posteriore tra Nasir e un altro uomo che non conosceva, mentre sul posto del passeggero c’era Jamal e a guidare uno dei tiratori che aveva conosciuto nel suo addestramento. La conversazione era tipicamente in lingua pashtu, che Rick aveva imparato oltre l’arabo classico, e sapeva capire i loro discorsi. Ogni tanto Jamal gettava l’occhio dietro verso di lui, come a ricordargli che avevano una questione in sospeso. O semplicemente era geloso delle attenzioni che Nasir gli aveva dato, visto che il capo di Al-Qaida aveva smosso mari e monti per riavere il suo fidato scrittore di nuovo tra la sua cerchia.
“Bentornato a casa, saidi. È esattamente come l’avevi lasciata.”
Proprio vero. Appena Nasir spalanca le due ante principali, Rick viene accolto dall’atmosfera di incenso, dai fiori, dalle stoffe pregiate che riempiono la dimora.
Per un attimo si concede il gusto di sorridere e ammirare fermo, al centro della stanza. Poi, viene condotto nella sua camera, rimasta immacolata.
Si volta verso Nasir, rimasto sul ciglio della porta, congiunge le mani e lo ringrazia. “Shokran. Posso usare il bagno?”
Gli sorride. “Certo.” Risponde con molta calma, ma lo blocca prima che lui possa fare il passo successivo. “Ma se devi fare una telefonata, c’è un cellulare a tua disposizione dentro il comodino.”
Freddato. Rick suda freddo.
Lo guarda e resta impietrito. Nasir continua, e vedendolo come stordito, con il dito gli fa cenno verso il mobiletto accanto al suo letto. C’è un iPhone. “È un modello nuovo di zecca.”
Il capo di Al-Qaida gli fa l’occhiolino e si congeda, lasciando la porta della stanza aperta.
Castle muove a malapena la testa verso il nuovo oggettino tecnologico. È l’ultimo iPhone prodotto, il cui rilascio era previsto per l’anno successivo, ma a quanto pare Nasir ne possiede già uno. Non indaga oltre per conoscere i dettagli dei traffici illeciti che gli hanno permesso di avere quel cellulare prima di vederlo sul mercato. Le sue mani vanno a piazzarsi dentro le tasche, che frugano alla ricerca del suo vecchio modello uso e getta, che in confronto all’iPhone non vale nulla, ma che per lui, potrebbe trattarsi della sua unica via di fuga.
Guarda l’oggetto che ha in mano, e poi getta l’occhio sull’altro cellulare. Lo riposa in tasca e scuote la testa.
No, ha solo una chiamata a sua disposizione, e non la sprecherà in quel momento.
E poi, non è detto che Nasir abbia intuito che lui possiede un telefono usa e getta.
“Bentornato, Rick.” La voce profonda di Jamal fa capolino dalla soglia della porta. Dal dietro della sua lunga barba vede gli zigomi alzarsi per un sorriso cattivo. “Spero tu sappia che non puoi cavartela liscia adesso.”
“Che intendi dire?” domanda Castle, corrucciando il volto.
“Ci vediamo fuori tra un’ora. Ti ricordi ancora come si combatte corpo a corpo, vero?” gli fa mimando delle mosse di boxe, la quantità giusta per metterlo in soggezione. Ma lo scrittore non si spaventa così facilmente.
Resta immobile e volta il corpo completamente verso di lui.
“Puoi starne certo.”
E dallo sguardo cupo che Rick gli rivolge, Jamal può star sicuro che lo scrittore ricorda benissimo tutti i pugni e i calci che lui gli aveva inferto anni addietro. Stringe il pugno, appena l’uomo si allontana dalla stanza, e lo guarda come un puma osserva la sua prossima preda.
 


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Capitolo kilometrico anche questo, mea culpa, ma come prima non potevo dividere nulla!
Riccardone è tornato nell'Inferno e anche se l'accoglienza sembra calorosa da parte di Nasir, Jamal non è della stessa idea...

In realtà lo scambio di prigionieri doveva essere più sul drama (tanto per aggiungere altro angst lol), ma sarei finita sul genere di Homeland e meglio lasciar sare :p
Mike fa un favore a Kate (ringraziando i due bro e Lanie per le minacce lol) e la porta alla sede della CIA, con una Christina che sembra una camionista più che una graziosa donna lol ormai si è capito, pure Jones si è innamorato di Rick :p
Vi lascio immaginare cosa accadrà dopo e vi auguro un Happy Castle Monday!
Alla prossima e grazie a chi legge\segue\recensisce :D
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Vai e vivrai ***


 


Deve essere una cosa appartenente alla natura umana.
Quel desiderio innato e selvaggio di far valere la propria virilità e dimostrare il diritto di restare in quel territorio. La chiamano legge del più forte.
Richard Castle non avrebbe mai pensato di trovarsi a fare un incontro di boxe alla Fight Club nel seminterrato del centro di addestramenti. Gettata a terra la camicia, mostra un torso nudo scolpito ma colpito dai segni dei due anni passati a lottare per la sopravvivenza dentro la sede di Al-Qaida.
Jamal è di fronte a lui, che si pavoneggia con le braccia spalancate verso il suo gruppo di tifo. Incita la folla ad alzare il volume della voce.
Rick non ha bisogno di un branco di idioti che urlano e sbraitano affinché l’uno colpisca l’altro a morte. Perciò prepara i pugni, mettendosi in posizione di combattimento. Saltella sul posto, ricordando a mente le mosse del corpo a corpo, e immaginando che davanti a sé ci sia il sacco da boxe.
In fondo a tutti, Yoel se ne sta in silenzio, cupo, appoggiato contro il muro con le braccia incrociate. La luce fioca del seminterrato non lo sfiora nemmeno.
Parte il conto alla rovescia, e i due sfidanti si posizionano uno di fronte l’altro, pronti per sferrarsi i colpi. Si studiano, si guardano gli occhi e le parti del corpo più sensibili. Castle nota le ampie cicatrici ricucite sul torace di Jamal, e delle contusioni all’altezza delle spalle.
Il gong suona, almeno nella sua mente, e lui si scaraventa sull’altro. Lo scrittore schiva i colpi, abbassando la testa, e con il pugno destro, il più forte, colpisce l’avversario proprio su una delle cicatrici. Quella più fresca.
Jamal si lamenta, ma dura poco. Colpisce Rick con un gancio sotto al mento; lui viene sbalzato all’indietro e finisce nelle mani della folla, che con un lancio, lo fa rialzare. L’altro si avventa di nuovo sullo scrittore, approfittando del momento di debolezza. Un altro pugno schivato, un altro gancio portato a termine, alla fine Castle lo afferra per il torace e con tutta la forza che ha, lo sbatte contro la parete.
Per Jamal non c’è altra via di fuga. Rick immagina che al suo posto ci sia il sacco da boxe.
Un pugno, due pugni, tre pugni.
Schizzi di sangue vengono sputati fuori dalle labbra, rosse come il fuoco.
La folla incita a colpire più forte, e lui obbedisce.
Digrigna i denti e mette a segno un altro colpo, stavolta al naso.
Ripensa a tutte le volte che lui lo aveva schernito, colpendolo in ogni parte del corpo, e gettandolo come spazzatura contro il duro e lurido pavimento della cella.
Non si percepisce quanto tempo sia trascorso. Solo quando Jamal cade a terra, sbattendo ciò che resta del viso, Castle si ferma.
L’altro non si rialza. È sommerso in una pozzanghera di sangue.
Lo scrittore non riesce ad esultare come invece gli altri uomini stanno facendo.
È uno scrittore di gialli, o almeno lo era, abituato a raccontare il crimine. Non è un assassino. Umanamente, si accovaccia a lui, rigirandolo, e con due dita va a sentire la giugulare. C’è battito. Debole, ma ancora c’è.
“Ha bisogno di cure. Presto, portatelo in infermeria!” urla, facendo stare in silenzio la folla. Fa un’espressione di stizza, muovendosi verso di loro come farebbe un giaguaro prima di mordere la sua preda. È quello scatto felino che li fa muovere.
Sente stringere il suo polso. Si volta e vede Jamal che lo sta fissando. Gli occhi scuri sono piantati su di lui appena sente mollare la presa.
“Non intendevo farti del male.” Sussurra Rick, come risposta al suo sguardo implorante. “Ora ti medicheranno e ti rimetterai presto. Spero che tu abbia capito che non devi farmi arrabbiare.” Dice alzandosi da terra.
Si guarda le mani, strette a pugno. Le nocche sono nere, piene di lividi, i dorsi sono contusi. Gli fanno male i muscoli.
Punta di nuovo gli occhi su Jamal, come se lo guardasse per l’ultima volta e da quello scambio di sguardi, l’avversario a terra capisce che dovrà stare alla larga da Rick Castle per un po’. Muove le labbra inclinandole in quello che sembra un lieve sorriso di rispetto.
“Sei forte.” Mormora a malapena, prima di esser trasportato in barella in infermeria, con il sangue che continua a scorgere dal naso.
 
Tornato nella sua stanza, sorreggendosi sulle pareti, Castle si distende sul letto, aspettando che Yoel entri per medicarlo.
Guarda il soffitto e sospira, poi torna ad osservare le mani, coperte da bende provvisorie, troppo rosse che meritano di esser tolte e disinfettate.
Yoel entra nella sua stanza e chiude la porta dietro di sé. Ha in mano una valigetta del pronto intervento e scuote la testa vedendo le condizioni del suo amico. Sembra una mummia sopra quel letto.
Castle ricambia ridacchiando. La situazione lo fa divertire e in un certo senso gli sembra di rivedere sua madre in quel brav’uomo.
L’ex addestratore si siede sul bordo del letto, mentre lo scrittore si mette con la schiena contro la parete e allunga le braccia verso di lui per farsi medicare. Castle sorride, tra i gemiti di dolore, pensando alla fortuna che ha avuto nel trovare un amico in un posto che sembra l’Inferno. Il suo ex addestratore continua a scuotere la testa, non capendo l’atteggiamento divertito del suo ex allievo.
“Rick, amico mio... tu giochi col fuoco.”
Castle fa spallucce come se fosse una cosa da niente. Quella faccia da bambino pestifero è sempre là, dipinta sul suo volto, e la mostrando a Yoel.
“Nah, è stato divertente tornare sul campo.”
“Com’è stato tornare nella tua casa?” domanda, cambiando discorso.
Gli copre entrambe le mani con bende nuove, non senza però averlo medicato con dell’alcol e messo del ghiaccio sulle nocche. Rick si guarda le mani coperte.
“Una bella sensazione.” Risponde, alludendo anche alla sensazione di sollievo derivata dalla medicazione.
Yoel posa la valigetta del pronto intervento sul comodino. La scritta Al-Mustashfa Saqlawiyahi, ospedale di Saqlawiyah, luccica.
“E lei l’hai vista? La donna di cui sei innamorato?”
“E’ sempre bellissima, Yoel.” Gli risponde con una vena di malinconia.
L’addestratore si volta verso di lui e gli dà una pacca sulla spalla, poi torna a osservare davanti a sé con lo sguardo sognante. Gli occhi sono rivolti al di fuori, ma non verso il campo di addestramento. Altrove. Ancora più lontano.
“Deve essere una bella cosa uscire di qui e vedere posti che non siano segreti.”
Lo scrittore si volta facendogli un sorriso. La malinconia è ancora dipinta sul viso. Gli fa un cenno di assenso, capendo lo stato d’animo dell’amico.
“New York mi era mancata. Ti piacerebbe visitarla?”
Yoel lo guarda quasi spaventato, quasi meravigliato. Nei suoi occhi brilla quella scintilla tipica del viaggiatore sognante, che vuole evadere dalla propria prigione per vivere nuove esperienze, conoscere persone nuove. Subito cambia espressione, abbassando lo sguardo a terra. La dura realtà lo colpisce mostrandogli la sua vera esistenza.
“Vorrei fare tante cose, Rick. Ma purtroppo sono bloccato qui.”
“E se ti dicessi che c’è una possibilità di fuga?”
Torna a guardarlo di colpo. Castle non sta scherzando, ma è quella sua espressione seria a mettergli paura.
“Non scherzare. Se pensi certe cose, tienitele per te.” dice, alzandosi dal bordo del letto per raggiungere la porta, ma prima che lui possa uscire, Rick lo blocca ponendogli un’insolita domanda.
“Fuggiresti, vecchio mio?”
Sull’uscio della porta, il buon vecchio Yoel indugia con i piedi. Finché, sempre rivolto di spalle, gira lentamente la testa di lato. Quel poco che basta per farsi sentire dallo scrittore, che, ne è certo, lo starà fissando con sguardo speranzoso mentre tessa una trama. Tipico della sua professione di autore di gialli.
“Buona notte, said.”
 
“E’ assurdo! La gente minaccia di morte Castle! Se solo sapessero quel che invece ha fatto...” sbotta Kevin Ryan, irritato. Spegne il televisore piazzato al Dodicesimo, quasi sbattendolo su una delle scrivanie, poi si mette le mani sui fianchi.
La Gates lo guarda fisso e risponde battendo il pugno sulla postazione davanti a sé.
“E non devono saperlo per ora!” tuona con la voce, facendo sobbalzare i poveri agenti Preston e Rodriguez, che si erano seduti proprio lì.
A Esposito scappa una risatina, fermata sul nascere da una gomitata di Beckett. I due sono, invece, seduti dall’altro lato della postazione degli agenti inglesi. Mike Jones non si accorge di nulla perché ha la mente altrove, concentrata sul giornale che sta leggendo.
Il capitano del Dodicesimo ignora l’ennesimo teatrino sotto i suoi occhi e continua a mostrare il suo nervosismo. “Dobbiamo mantenere il riserbo. Tuttavia, mi chiedo come abbia fatto la stampa a sapere del ritorno del signor Castle.” Conclude, e la sua osservazione somiglia più a una domanda.
“Una fuga di notizie, a quanto pare.” Ipotizza Javier, alzando un sopracciglio.
L’aria è tesissima. Kevin, che stava giocherellando con una penna, smette di farlo e la posa davanti a sé. Kate abbassa la testa, volgendo lo sguardo verso le sue scarpe e tentando di concentrare l’attenzione altrove. Preston e Rodriguez annuiscono tra di loro, non riuscendo a cavare un ragno dal buco.
“Niente di tutto ciò.” l’agente Jones rompe il silenzio alzandosi e gettando la pagina del giornale che stava leggendo nella scrivania tra i suoi uomini e quelli della Gates. Dà loro il tempo di accerchiarsi per poi fare un passo indietro e mettere le mani nelle tasche. Il titolo dell’articolo parla chiaro. “Leggete. Qualche hacker si è divertito ad entrare nel sistema di Al-Qaida e mettere online il video in cui Nasir parlava dello scambio di ostaggi, quindi tutto è venuto da sé. John Storm, il giornalista rilasciato, ha raccontato la sua storia dicendo di aver riconosciuto Richard Castle durante lo scambio.”
Kate chiude meccanicamente gli occhi e socchiude le labbra, per poi portarle in dentro.
Per un piccolo e stupido errore che nessuno aveva calcolato, ora i giornali di mezzo mondo sanno che Richard Castle è tornato a New York ed è stato riportato in Iraq grazie a uno scambio.
La Gates sbotta di nuovo, battendo il pugno sul tavolo. Stavolta sobbalzano tutti.
“Dannazione. Aspettiamoci di trovare la stampa qua fuori al Dodicesimo.”
“Sono già qui, capitano.” Osserva Kevin, anticipandola. L’irlandese è affacciato alla finestra e fa notare come ci sia già una folla appostata. Giornalisti, fotografi, non solo stampa americana, ma anche quella europea.
“Non preoccupatevi, ho un piano.” Interviene Mike fissando Kate. “Detective Beckett, è evidente che vorranno parlare con te, quindi devi prepararti un discorso.”
L’idea di apparire da sola con occhi puntati su di lei la fa arrossire immediatamente e prende a balbettare. Indica se stessa con l’indice spalancando la bocca.
“I-io davanti le telecamere? I-io n-non-“
“Ci servi da diversivo.” Le spiega, alzandosi. È già pronto con il suo cellulare in mano a contattare i piani alti. “Ai giornalisti piacciono le storie d’amore, quindi parla di te e del signor Castle, mentre io contatterò la CIA. Sono certo che Christina starà preparando un blitz per salvare il tuo scrittore.” Dice l’ultima frase e si allontana con il cellulare poggiato sull’orecchio.
Kate è rimasta nella stessa posizione da alcuni secondi. Javier e Kevin si divertono a prenderla in giro imitandola. Carini.
 
Si chiude nella stanza degli interrogatori, diventata ormai luogo di pace per poter riflettere e pensare con se stessi.
Afferra svogliatamente una sedia e l’avvicina al tavolo. Si siede, apre la sua cartellina e tira fuori un foglio bianco a una penna. Sbuffa, ma poi ride da sola.
Tutto ciò è veramente assurdo e le ricorda di stare al liceo, quando prima di un esame si comportava esattamente così. Si raccoglie i capelli in una cipolla sulla testa, aiutandosi con una matita. Comincia a posare la penna sul foglio, sperando che le parole riescano a comporsi da sole.
Cosa dovrebbe dire alla stampa? Non sa neanche da dove iniziare.
Lei non è Richard Castle. Non trae ispirazione da una storia fantastica, non riesce a comporre teorie. Figuriamoci un discorso!
Lascia la penna sul foglio, sbuffa di nuovo e si copre il volto con le mani in segno di stress.
La porta della stanza si apre e la voce squillante di Lanie la rasserena.
“Tesoro, dove ti hanno chiusa?”
“Lanie, grazie al cielo. Aiutami a mettere insieme questo discorso. Sono super agitata.”
“Tranquilla. Ti starò vicina.” Dice dolcemente, sedendosi davanti a lei.
Kate sorride semplicemente ringraziandola con il labiale, poi torna con lo sguardo sul foglio bianco.
La dottoressa sente un brivido percorrerle le spalle pensando di non essere mai stata dentro quella stanza. Si osserva intorno immaginando alla sua amica che interrogava chissà quali e quanti criminali lì dentro. Un bel duro lavoro.
“Come mai l’agente Jones non ti aiuta?”
“Deve contattare la CIA.”
Lanie annuisce e distoglie per un attimo lo sguardo, come cercasse di trovare altro argomento di conversazione.
Dopo qualche secondo, se ne esce con un “Cosa si prova ad essere contesa tra due uomini?”
“Lanie!” Kate alza lo sguardo spalancando gli occhi. Sa che la sta stuzzicando ma avvampa ugualmente. L’amica inclina la testa prima da una parte poi dall’altra, per divertimento. “Nessuno sta combattendo per me! Io amo Castle, Jones l’ha capito e si è comportato in maniera professionale. Fine della storia.” spiega alzando le mani.
Appena ritorna con gli occhi sul foglio, Lanie riparte in quarta. “Però avete viaggiato insieme da New York a Washington... un aereo privato...”
Kate scoppia a ridere, mettendosi una mano davanti la bocca. “Santo cielo, non è successo nulla. Anzi, è stato un buon amico.”
“Mi spiace per il povero Mike. Non mi piacciono i tipi freddi, io preferisco quelli caldi...” dice con enfasi, e scuote volontariamente il suo corpo come una danzatrice del ventre, “se sai ciò che intendo...”
Di nuovo la detective ride e deve interrompere la dottoressa per non conoscere altri dettagli sulla sua vita sessuale. “Okay, hai detto abbastanza e non voglio sapere altro!” alza lo sguardo con quel sorriso sghembo.
Lanie la sta fissando divertita e Kate la ringrazia mentalmente, ma l’amica ha già capito. Si schiarisce la voce, alza il foglio per sistemarlo e lo rimette davanti a sé, passandoci una mano sopra, come per fissarlo sul tavolo. Riprende la penna e la punta sul bianco. Lentamente inizia a comporre le prime parole, poi prende a scrivere a raffica, restando solo lei e il suo discorso.
Silenziosamente, soddisfatta, la dottoressa si alza, lasciando la stanza nello stesso modo in cui era entrata.
 
Si è alzato dal letto, non riuscendo a dormire.
Passeggia per il corridoio dell’imponente residenza e passa davanti la stanza di Nasir, lasciata appannata.
Sente voci divertite provenire dallo schermo del suo televisore. Butta l’occhio dalla piccola fessura e vede il giovane seduto su un grosso cuscino rosso di seta. Gambe incrociate, mani sulle ginocchia e sguardo sereno e divertito mentre guarda una sit-com in tv.
A vederlo così, non sembra neanche l’uomo più pericoloso del mondo.
Chissà se con la forza del suo ottimismo e delle sue parole, Rick Castle riuscirebbe a convincere Nasir Sayf al-Islam, numero uno di Al-Qaida, a rinunciare alla sua assurda sede di conquista e di dominio?
Si allontana e indugia oltre, continuando a camminare per poi sbucare all’ospedale vicino alla residenza. Si tiene le mani sulle braccia, sfregandole tra loro e si morde un labbro perché non ha pensato a portarsi un giaccone prima di uscire dalla stanza. Il freddo della notte si sente e gli fa raggelare anche i piedi nascosti da un paio di calzini e dalle calde pantofole.
Stringe i denti compiendo altri passi verso l’ospedale. Vede un uomo di spalle che parla con alcune persone e riconosce il buon vecchio Yoel con il viso preoccupato. Lui li saluta e incrocia lo sguardo di Rick, scusandosi per allontanarsi.
“Ehi, Yoel. Che è successo?” domanda lo scrittore, volgendo lo sguardo al gruppetto di persone, tra cui una donna con un burka nero e il figlioletto.
L’uomo scuote la testa.
“Un attentato non lontano da qui. Hanno distrutto la sua casa, ferendo il figlio più piccolo che si trovava nella sua stanza. Ora stanno aspettando notizie.” Sospira e si passa una mano sulla testa guardando a terra. “E’ l’Inferno. Tutti i giorni.”
“E Nasir non fa nulla per proteggere la sua gente?”
Segue Yoel che è andato a sedersi. Si guarda le mani, anche le sue, come quelle di Rick, sporche e nere.
“A lui interessano le armi, saidi.”
Per qualche secondo se ne stanno in silenzio, osservando i dottori e gli infermieri che camminano a passo svelto da una parte all’altra del corridoio. Voci accavallate e concise si mescolano tra loro. Castle torna a guarda il suo amico e lo vede stanco, ma non è una stanchezza fisica.
“Hai pensato a quello che ti ho detto?”
Da quella rughetta che si è formata sulla sua fronte, Yoel ci ha pensato. Molto.
Gli poggia un mano sulla spalla, guardandolo. “Rick, tu sei un sognatore. E io ammiro quelli come te. Con le parole, riuscite a dare speranza alle persone e ad evadere dalla realtà. Ma siamo prigionieri qui. Non possiamo muoverci.”
Segue un altro silenzio. È come se con lo sguardo gli indicasse l’Inferno intorno a loro che li tiene prigionieri.
La stessa donna di prima ascolta attentamente le parole di un dottore. Da quel poco che riescono a udire, Castle e Yoel comprendono che suo figlio non potrà più camminare. L’impatto dell’esplosione lo ha reso paralizzato dal bacino in giù. Lei si mette una mano sulla retina del burka che copre gli occhi e si siede, non riuscendo a sostenere la notizia. Non grida, non dice nulla. L’altro figlioletto le siede accanto e poggia la testa sul braccio della mamma, non capendo cosa stia accadendo, ma volendo solo stare accanto a lei. È come se fossero abituati tutti i giorni a ciò che vedono.
Rick stringe i pugni e digrigna i denti. Non può assistere a uno spettacolo del genere. Immagina l’espressione della sua famiglia. Di Martha, Alexis e Kate, straziate dal dolore perché lui è tornato dalla guerra in quello stato.
E non gli va bene.
Guarda Yoel serissimo. Convinto di ciò che sta per dire. Vuole che anche lui abbia una nuova vita, lontano dall’orrore.
“E se io ti dicessi che invece c’è una possibilità di fuga?”
 


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Ci avviciniamo al gran finale.

A parte la parentesi al Dodicesimo, con Lanie che aiuta Kate a prepararsi alle domande della stampa (con le chiacchiere che solo la dottoressa sa fare per distrarre la detective dal suo stato di ansia :p), questo capitolo è molto incentrato su Castle e sul suo amico Yoel, perché meritano di avere un capitolo a parte..
Non aggiungo nient'altro e vi lascio crogiolare con la domanda di Rick :p
Alla prossima :*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Le ultime ore (Parte I) ***





Yoel resta a fissarlo come se gli avesse appena esposto una delle sue strampalate idee.
Non si sono mossi da lì. L’uno guarda l’altro. Pazienti e dottori continuano a mescolarsi tra loro, così come le voci che si accavallano l’una sull’altra. Castle accenna a deglutire e batte le ciglia una volta, poi guarda l’amico con il viso speranzoso, attendendo una risposta.
Non parla, ma lo incita con gli occhi a dargli un responso positivo. Ci tiene a portarlo in salvo. Non sa come, ma vuole farlo. È riconoscente per la sua amicizia e per averlo aiutato tante volte nel corso della sua prigionia, e ora sente di dover ricambiare il favore.
Fa per aprir bocca, ma un’esplosione li travolge.
 
“L’attentato nell’ospedale di Saqlawiyah ha causato una cinquantina di feriti, mentre è ancora incerto il numero dei morti.” La giornalista, la cui voce rimbomba in televisione, racconta la vicenda con un timbro squillante, quasi come se stesse facendo la telecronaca di una partita di calcio, piuttosto che narrando un evento tragico. “Le tracce rinvenute nelle macerie rivelano che potrebbe trattarsi di un attentato di rivendicazione da parte di qualche affiliato di Al-Qaida. Vi terremmo aggiornati.”
Spegne il televisore con forza. Il telecomando non funge più, e per poco non rompe anche il bottone di accensione del tv.
Mette le mani incrociate e guarda serissimo gli uomini davanti a sé.
Qualcuno abbassa gli occhi, qualcun altro si osserva intorno, mentre quelli più coraggiosi sostengono lo sguardo del loro capo.
“C’è una talpa tra noi.” Dice finalmente Nasir, sospirando duramente. Comincia a camminare verso destra, portando una mano dietro la schiena a pugno, mentre con l’altra prende a strofinarsi la fronte. Pensa, si scervella, programma qualcosa da dire che possa intimorirli.
Cosa avrebbe fatto il padre al suo posto? Troppo difficile da rispondersi, aveva dieci anni quando lui è morto. Ricorda quando entrava nella stanza oscura, dove lui programmava gli attentati, e si reggeva in punta di piedi per guardare il tavolone pieno di case di cartone e soldatini giocattolo in posizione. Un gioco, pensava all’epoca. Figo, voglio giocarci anche io un giorno. Ripeteva a suo padre, che sorrideva prendendolo in braccio.
Ma suo padre non c’è più.
“Con questo attacco, Al-Nusra voleva informarci e minacciarci allo stesso momento.” Continua, tornando a guardare i suoi uomini. Ora vede qualcuno sudare e toccarsi la testa per togliersi il velo. Accenna un sorriso e spalanca le braccia.
Dimostra che sei loro amico, non inimicarteli se vuoi scoprire chi ti sta tradendo. Una perla d’astuzia che gli aveva insegnato suo padre.
“Miei cari fratelli, come sapete io sono magnanimo e quindi offro la possibilità a chiunque ci stia tradendo, di farsi avanti e pentirsi entro 24 ore. Scaduto il termine, giuro su mio padre, che ucciderò ognuno di voi a caso.” Conclude e getta lo sguardo su ognuno di loro.
Gli occhi dei suoi seguaci si fanno piccoli, le loro spalle si incurvano, sentendosi senza alcun potere di fronte alle sue parole.
Lo sguardo di Nasir si posa su Rick Castle e ne squadra le cicatrici e le bruciature derivate dall’esplosione all’ospedale.
Lui e Yoel si erano subito gettati a terra, coprendosi la testa con le mani per non essere colpiti. Si era sollevato un gran polverone, e loro avevano tossito, cercando di respirare quanto meno possibile. Rifugiatasi in una stanzetta, Yoel lo aveva condotto al di fuori dell’edificio, tramite una via d’emergenza che pochi conoscevano. Oltre loro due, si erano salvati solo quattro dottori e una decina di pazienti, trasportati sulle sedie a rotelle da un paio di infermiere.
Una grossa cicatrici è sul suo occhio, che lo rende un po’ pirata, due bruciature sono disposte sulla guancia sinistra e sulle mani, che ha coperto con dei guanti perché ancora fanno male. Lo scrittore deglutisce e in quella frazione di secondo ne è sicuro: Nasir sa.
Il giovane capo accenna un lieve sorriso ed è come se rispondesse alla sua domanda mentale. Poi torna ad osservare i suoi uomini, assumendo un’aria divertita.
“Intanto, facciamo vedere agli amici degli americani che Al-Qaida non scherza. Alì, portami la mappa. Voglio giocare a ‘Quale città faccio esplodere oggi’.” Ordina, sfregandosi le mani una sull’altra.
 
Più o meno in quello stesso momento, al Dodicesimo, la Gates ha appena spento il grosso televisore nel salone centrale, dopo aver ascoltato il servizio sull’attentato all’ospedale.
Tamburella con il telecomando sulla scrivania, facendolo girare e rigirare su se stesso, poi incrocia le gambe, mostrando dei piccoli graffi sulle sue calze. In quella situazione, neanche Iron Gates ha il tempo per curare il suo aspetto.
Beckett, Esposito e Ryan si voltano nello stesso momento verso il loro capitano.
Il viso corrucciato significa una sola cosa: Victoria Gates sta preparando la sua domanda.
“Mi perdoni, agente Jones.” Eccola che inizia, con quel tono di voce autoritario al quale non si può sfuggire. “Se non sbaglio, per un attentato di rivendicazione s’intende una minaccia per l’organizzazione terroristica?”
Mike non si volta, ma resta a fissare il tavolo dove è seduto. Non passano neanche dieci secondi per risponderle. “Capitano Gates, io al momento mi preoccuperei per la copertura del signor Castle.” Adesso guarda la Gates, si alza dalla sua sedia e si abbottona la giacca. “Hanno capito che c’è una talpa all’interno di Al-Qaida. Non sanno ancora che si tratta di lui, ma potrebbero scoprirlo.”
“E noi cosa possiamo fare?”
“Un bel niente purtroppo. Spetta al signor Castle contattarci e spero che sappia usare quel telefono usa e getta nel miglior modo possibile.” Conclude con una nota di amarezza, passandosi una mano sulla fronte.
Non conoscono la posizione di Castle, ed è impossibile stabilire un contatto.
“E il drone della CIA?” chiede improvvisamente Kevin, sorprendendosi che tutti lo stiano fissando. Si schiarisce la voce, allentandosi la cravatta. Ha forse detto qualcosa di sbagliato? “Non hanno uno di quegli aeroplanini volanti sopra il territori afghano?”
“Il drone può controllare solo l’esterno. Se dalla CIA non ho ricevuto nessuna notizia, vuol dire che il signor Castle è rimasto all’interno della residenza di Nasir per tutto il tempo, o comunque si è spostato tramite tunnel sotterranei da un posto all’altro.”
Kevin fa cenno col capo di aver capito, e torna al suo posto come uno studentello. Javier borbotta qualcosa di inudibile, perché volta lo sguardo dall’altra parte. Sono tutti in uno stato di tensione. Vorrebbero far qualcosa, ma sono legati.
“Posso ordinare delle pizze?” chiede Sonny e nel momento di silenzio, il suo stomaco si fa sentire con qualche brontolio. Imbarazzato, si copre la pancia.
Spazientito, Mike gli fa segno con le mani di fare come vuole.
A ruota, Javi e Kevin si propongono di accompagnare l’agente dell’Interpol a prendere qualche pizza. Del resto, sono quasi le due del pomeriggio e ancora non hanno pranzato.
I minuti scorrono lenti, le pizze sono arrivate, e tutti cercano di fare qualcos’altro per ingannare il tempo.
L’agente Jones e la Gates sono chiusi nell’ufficio di quest’ultima, presi a conversare e studiare dei piani per contattare Castle in qualche modo.
Sonny e Rodriguez ormai si sono amalgamati con Javier e Kevin e si divertono a giocare a uno stupido videogames al computer.
Kate è seduta poco distante da loro a leggere alcuni giornali. Sta cercando di capire, in ogni notizia, qualsiasi indizio che possa farle capire dove si trovi Rick. Quando sente esultare, ogni tanto alza la testa e getta l’occhio sui quattro, sorridendo tra sé.
Lo squillo forte e acuto del telefono del Dodicesimo la fa sobbalzare. Meccanicamente, Kate sposta la testa verso di esso.
Tutto sembra calmarsi al distretto perché tutti impegnati a udire quel secondo squillo che arriva più forte del primo e sembra un richiamo d’aiuto.
Beckett molla i suoi giornali e si alza per afferrare la cornetta. La voce affannata che sente dall’altra parte del telefono la fa sussultare e aumentare la temperatura corporea in un battibaleno.
“Kate, sono io, Rick.”
Chiude gli occhi. Una lacrima di commozione le scende sulla guancia.
“Castle!” sorride, trattenendo l’emozione con una mano sulla bocca. “Stai bene? Ho sentito di un attentato all’ospedale...”
“Sì, io ero lì, ma ne sono uscito con qualche ferita.” Risponde Rick, poi sente la voce strozzata di Kate e la rassicura. “Niente di cui preoccuparti, tranquilla. Ascolta,” e lei ascolta. Si mette seduta, come sa fare e ha lo sguardo abbassato per concentrarsi. Il tono di Rick va a smorzarsi, come se sentisse di doversi nascondere per non farsi udire. “Nasir sa che sto collaborando con voi. Non l’ha detto ma me l’ha fatto intendere.”
Anche la Gates e Jones sono usciti dall’ufficio per unirsi agli altri.
“Dove sei adesso?”
“In un vicolo cieco della città.” E in sottofondo sente le persone gridare al mercato e le macchine per la strada. “Ascoltami ho poco tempo.”
“Ti metto in vivavoce.”
Mike fa segno ai suoi di collegare il telefono con l’apparecchio per le registrazioni e il computer, in modo da poter localizzare la fonte della chiamata.
“Nasir sta organizzando un attentato a Londra, nella sede dell’Interpol. Sta reclutando nuovi soldati.”
Kate alza lo sguardo verso Mike che lo vede preoccupato.
“Come lo sai?”
Sente Rick fare una risatina e cominciare a parlare con una voce maliziosa che lei ben conosce. “Beh hai presente quel giochino che facciamo io e te durante le notti insonni?”
Pur non fissando gli altri, sa di avere gli sguardi puntati addosso. Kate avvampa violentemente portandosi una mano sugli occhi.
Riesce a sentire Javi, Kevin e gli agenti dell’Interpol che ridacchiano, e perfino alla Gates, che deve mantenersi seria, non sfugge una mezza risata, subito bloccata da una tosse.
Peccato che lo scrittore non possa sapere cosa sta accadendo... “Prendiamo quella lista, tu chiudi gli occhi e scegli quale gioco fare...”
“Castle, siamo in vivavoce.” Lo interrompe Kate.
“Sì, lo so.”
“Al distretto. Con il Dodicesimo. E l’Interpol.” Pronuncia i presenti uno ad uno, soffermandosi. Scopre lentamente gli occhi togliendo la mano sul viso, che passa sul collo, sentendo le pulsazioni a mille. Trattiene una risatina portandosi le labbra indentro. La situazione è alquanto imbarazzante. Fortuna che il rossore sul suo viso non è più attenuato. “Presenti.”
Dall’altra parte non sente più nessuna risposta per qualche secondo, se non qualche rumore di automobili. Poi con il tono di voce di chi è terrorizzato, Rick chiede: “La Gates ha sentito tutto?”
“Forte e chiaro, signor Castle. Non siamo qui ad ascoltare le vostre perversioni.” La voce squillante della Gates è a metà tra il rimprovero e il divertito.
Ci pensa Esposito ad aggiungere un po’ di pepe. “Per quello c’è quel programma su MTV. Come si chiama?”
“Castle, continua.” Dice Kate dolcemente, ignorando la battutina tragicomica del suo amico detective.
Lui torna serio, lo sente allontanarsi di poco, e infatti il segnale comincia a dar problemi. “C’è questo attentato programmato tra due giorni, e io non sono stato incluso. Suppongo che mi voglia qui perché sa chi sono.”
Temendo che la conversazione possa concludersi senza aver stabilito le coordinate di Castle, Mike raggiunge Kate e il telefono.
“Signor Castle pensa di poterci dire la sua posizione?”
“La mia no, ma... posso dirvi dove si trova la residenza di Nasir.” afferma trionfante, e dal tono di voce si sente quella voglia di andarsene al più presto da quel posto infernale.
Si mette anche nella posizione dell’insegnante. Prende a gesticolare per spiegare, come se stesse parlando faccia a faccia con loro.
“Appena giungete sulla collinetta dove mi avete lasciato, percorrerete un sentiero montuoso, ottimo per mimetizzarsi.”
Ryan si mette al computer e con il GPS collegato, traccia una mappa seguendo le indicazioni di Castle.
“Giungete verso le lucette della città, ma camminateci intorno fino ad arrivare a una specie di mura color sabbia. Da fuori, sembra una base militare con tanto di filo spinato. Non dovete entrare lì. Dovete fare il giro e introdurvi dentro una botola che troverete nel retro dell’edificio. Vi lascerò un segno così saprete dove si trova. Entrando da lì, vi apparirà un grosso corridoio. Percorretelo fino in fondo.” Fa una pausa, tanto per creare suspense. “Ta-dan, siete arrivati a casa di Nasir.” conclude con fare teatrale. Riprende a parlare tranquillamente, abbassando il tono della voce, appena intravede qualcuno di sospetto nel mercato. Comincia quindi a camminare nella direzione opposta del vicolo. “Vi consiglio di attaccare tra le 2 e le 6. Lui si raduna con i suoi uomini fino all’1, poi solitamente passa un’ora nella sua stanza a fare le sue cose prima di andare a dormire. Alle 5,30-6 ci sono le prime luci del mattino, quindi alcuni militanti iniziano l’addestramento.”
“Ottimo lavoro signor Castle. Ha un futuro come agente segreto.” Osserva Mike, ammonito dallo sguardo di Kate che gli indica di non dire più niente, altrimenti inizierà a pavoneggiarsi. Lui sorride.
“Davvero? Oh, è sempre stato il mio sogno!”
“Riferisco alla CIA. Lei si sbarazzi del telefono. Veniamo a prenderla stanotte.”
Quell’ultima frase lo fa fermare, arrivando alla fine del vicolo cieco. Davanti a lui ha un muro fatto di fili spinati, quasi invalicabili. Osserva quella barriera dal basso verso l’alto, preparandosi a scavalcarla.
“Agente Jones, ho un’ultima richiesta.”
“Dica.”
“Oltre a prendere me, vorrei che venisse anche un’altra persona. È il mio ex addestratore, Yoel Zurk.”
L’agente Preston e l’agente Rodriguez passano al database dei ricercati tramite un iPad, e trovano quel nome sotto la lista nera degli esponenti di Hamas. Mostrano l’iPad a Jones e scuotono la testa in segno di diniego.
Mike sospira. Una cosa alla volta. Prima deve riportare a casa Castle, poi pensare a tale Yoel Zurk.
“Non posso garantirle niente. Dipende dalla CIA.”
“La prego, può fare qualcosa? È un mio amico e un prezioso alleato. Non sarei sopravvissuto senza di lui.”
Adesso le parole iniziano a pesare e l’agente inglese si trova in una posizione difficile. Kate si sposta, togliendo di mano l’iPad ai due agenti, così da trovarsi di fronte a Mike per guardarlo con le braccia incrociate. Schiarisce la gola e alza un sopracciglio con fare intimidatorio.
Chiunque abbia aiutato a restare in vita Richard Castle, è anche amico di Kate Beckett.
Mike sospira e la guarda con aria interrogativa, inclinando la testa di lato. Non ha proprio altra scelta.
“Vedo quello che posso fare.” Risponde rassegnato, e si allontana seguito da Preston e Rodriguez.
“Grazie.”
Quasi saltellante, Kate toglie il vivavoce e raggiunge la cornetta. “Se ne è già andato, Castle.”
“Siamo soli?”
Anche la Gates, Ryan ed Esposito capiscono che è il momento di togliere il disturbo.
“Solo io e te.”
Sorride come una ragazzina. È innamorata. Le gote diventano rosse e dondola su se stessa arricciandosi una ciocca di capelli.
Dall’altra parte, lui fa lo stesso. Tranne per l’arricciarsi i capelli.
“Sto tornando a casa.”
“Ti sto aspettando.” Conclude.
Si salutano con lo stesso sorriso colmo di speranza.
Lui lancia uno sguardo dietro di sé e vede due lunghe figure all’inizio del vicolo. Deve mantenere la calma e restare freddo.
Si sbarazza del telefono usa e getta, togliendo la batteria e facendo a pezzi la SIM. Si tira su le maniche della camicia e si arrampica sulla rete di fil di ferro. Abile, esperto, mentre sente i passi dei due uomini farsi più vicini.
Sorride, arrivando in cima e scavalcando la rete. Guarda in basso. Saranno 3-4 metri, poco male.
Si regge con entrambe le mani e prende un respiro. I due uomini stanno arrivando.
Li saluta sorridendo furbamente e fa un gran salto da quell’altezza. Atterra agile come un gatto, e prende a correre più veloce che può, verso la direzione opposta.
 
Jones e la Gates sono tornati nell’ufficio di quest’ultima. Dopo aver fatto presente di dover accettare le richieste di Castle, il capitano del Dodicesimo vuole accertarsi che gli accordi vengano mantenuti.
Concede il suo posto all’agente, che però rifiuta cordialmente con un gesto della mano, preferendo restare in piedi. La Gates rotea gli occhi chiedendosi se nell’arco della giornata si sia mai seduto.
Compone il numero della Finch, mettendo in vivavoce. Un solo bip dopo e la voce della donna appare squillante e sempre sull’attenti.
“Christina, sono Mike. Richard Castle ci ha contattati ed è riuscito a inviarci le coordinate della residenza di Nasir.” comincia, senza troppi giri di parole.
Dall’altra parte, si sente la Finch presa a smistare delle carte.
“Grandioso.”
“E non solo.” Interviene la Gates, che alza lo sguardo su Mike. “Ci ha detto anche quando possiamo attaccare. A quanto pare conosce le sue abitudini.”
Christina Finch posa le sue carte e fa una risatina. “Chi l’avrebbe mai detto? Questo Richard Castle non è solo un ottimo scrittore di gialli, ma è sa fare anche il lavoro sotto copertura. Avete mai letto Heat Wave?”
Victoria scuote la testa e si porta gli occhialini sul naso. Hanno trovato un’altra fan di Castle.
“Come intendi procedere?” domanda Mike.
Sentono Christina prendere qualcosa da un busta e dalla voce esitante capiscono che ha appena messo qualcosa sotto i denti. “Io e il Presidente ci siamo già confrontati. Lui vuole ordinare il blitz stanotte. Manderà la stessa squadra di SWAT che anni prima uccise Bin Laden.”
Jones alza un sopracciglio guardando la Gates che inarca le labbra in giù, formando una mezzaluna, in segno di sorpresa.
“Fa le cose in grande.”
Segue un momento di pausa. Christina torna seria e si avvicina al suo telefono. “Mike, non posso guidare il blitz da sola. Dovrai darmi le indicazioni dal comando.” Lo sente replicare, ma lo ferma prima che possa continuare. “Tu conosci la famiglia di Nasir, sei stato in quel posto.”
L’agente inglese poggia le mani sui bordi della scrivania della Gates e abbassa la testa. Il ricordo di quel tragico evento che gli ha scombussolato la vita riaffiora. “E’ accaduto molti anni fa.”
“Agente Jones, scusi se mi intrometto.” Fa la Gates. Delicata, percepisce una certa vena di disagio nel rifiuto di Mike, e lo guarda facendogli segno che può fidarsi di lei. “Dobbiamo tirar fuori il signor Castle da lì e anche tale Yoel Zurk, al quale lui deve la vita. La CIA farà questo favore allo stato di New York?”
“Yoel Zurk? È un ricercato!” sbraita Christina dall’altro capo del telefono.
“Gli amici del signor Castle sono anche amici del distretto. Se volete catturare quel terrorista, dovete accettare le condizioni di Richard Castle.”
La Finch sospira e la sentono posare la busta, forse contenente le patatine o qualche stuzzichino, al lato. “Lo faccio solo per te. Allora, Mike, io dovrò seguire i miei uomini da Langley. Ti passerò le informazioni e tu seguirai tutto dal distretto, con la supervisione di Victoria.”
Gli altri due annuiscono senza dir nulla, e poi Christina conclude con un “Mettiamoci al lavoro.”



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Le 'ultime ore' dell'operazione di salvataggio Castle e cattura di Nasir sono appena iniziate!
Fortuna Rick è stato intelligente a chiamare Kate e il distretto nel momento giusto, e tutti sono stati in ascolto... sì, hanno sentito anche i particolari piccanti :p
Ora si fa sul serio: riusciranno i nostri eroi nell'impresa di salvare Castle e Yoel?
A voi i commenti! Alla prossima e grazie a tutti quelli che seguono la storia :)
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Le ultime ore (Parte II) ***





Sono le tre del pomeriggio quando a Washington, Christina Finch spiega il suo blitz per catturare Nasir e liberare Richard Castle al Presidente.
Sono le quattro del pomeriggio a New York. La Gates e la sua squadra sono riuniti intorno a un tavolo che mostra gli avanzi del take away cinese, piattini vuoti, fazzoletti accartocciati. Si intravedono i piedi incrociati di Esposito sulla scrivania, intento a terminare il suo pranzo. Il capitano lo guarda strabuzzando gli occhi, e il detective toglie i piedi dal tavolo e con le bacchette si affretta a prendere l’ultimo boccone di pollo al curry, riempiendosi la bocca. Ryan sputa l’ultimo pezzo dei ravioli a vapore sulla scrivania della Gates, non riuscendo a trattenere il riso.
Kate è nell’obitorio con Lanie, aiutandola a sistemare delle cartelle cliniche. Non aprono bocca. Si guardano e sorridono, ma il sorriso della detective è teso. Non se la sente, ancora, di salire al piano superiore per seguire la parte prima del blitz.
Jones e i suoi agenti sono chiusi nell’ufficio della Gates. L’attrezzo delle registrazioni è pronto, mentre con il GPS collegato al computer sono pronti a seguire gli ordini dalla CIA. Il puntino rosso è fisso sul maxischermo del Dodicesimo e indica il luogo della residenza di Nasir.
È mezzanotte a Saqlawiyah. Rick attende nella sua stanza, non riuscendo a dormire. Si gira e si rigira nel letto, sentendo la tensione bloccargli lo stomaco. Tra due ore ci sarà il blitz. Tra due ore sarà libero. E deve trovare il modo di convincere Yoel a venire con lui, senza che Nasir se ne accorga. La porta della sua stanza si spalanca. Lui si alza di colpo dal letto, e d’istinto, afferra l’arma sul comodino, ma prima che possa puntarla, i due uomini che in precedenza lo avevano pedinato per le strade e il vicolo cieco, lo strattonano, senza dir nulla, prendendolo da entrambe le braccia. Si dimena, cercando di sfuggire alla presa, ma è troppo tardi. Percorre insieme a loro il corridoio verso quella stanza in fondo, tutta addobbata con sete e ricami dorati, dove sente rumori provenire da un televisore acceso.
 
Due elicotteri stealth, partono silenziosamente dal suono americano, mettendosi in volo in modo impercettibile. Il viaggio è lungo e i soldati che sono seduti all’interno dei due apparecchi non hanno mai smesso di impugnare i loro fucili M14. Qualcuno tiene la testa abbassata che ogni tanto dondola da una parte all’altra, a seconda dei movimenti sussultori dell’elicottero, qualcun altro si limita a far cenno ai restanti di osservare come i loro compagni stanno dormendo. Si scatena una piccola risata che alleggerisce quell’atmosfera tesa.
Manca poco all’atterraggio quando, poco lontano, si vede un’unica lucetta in quella residenza regale. Dalla finestra si intravedono due figure, una più alta e grossa rispetto all’altra, che discutono gesticolando.
Nasir fa segno a Rick di sedersi, e lui si volta, indeciso se scegliere la poltrona in pelle oppure la semplice sedia in legno d’ebano. Alla fine, opta per quest’ultima. Il giovane si scusa per l’ora in cui l’ha chiamato e per il modo in cui i suoi uomini l’hanno condotto nella sua stanza, ma aveva bisogno di parlargli.
A Rick non serve che Nasir aggiunga altro. Ha già capito.
Lui sa tutto.
Pur non essendo Sherlock Holmes, riesce a leggerglielo nello sguardo attento e impenetrabile, con quegli occhi scuri che lo fissano con irruenza.
Nasir si siede davanti a lui. A separarli c’è solo la scrivania, anch’essa di legno d’ebano con i ricami in oro. Poggia le mani chiuse a pugno su di essa, si sistema sullo schienale e continua a fissarlo.
Castle è a disagio. Deglutisce e a fatica accenna un mezzo sorriso, distogliendo lo sguardo per un attimo.
“So tutto.”
Gli bastano quelle due parole.
Lo scrittore torna a guardarlo, raggelando. Anzi, suda freddo. Sfrega le mani sui pantaloni e scuote la testa, azzardando una risatina nervosa.
“Prego?”
“Collabori con gli americani, Rick?” Nasir è di poche parole, ma va dritto al sodo.
Castle non risponde. Sente solo il cuore pulsargli a mille. Istintivamente, va a cercare l’arma nascosta nei pantaloni, ma poi si ricorda di non averla presa perché gli uomini di Nasir lo hanno tirato a forza dalla sua stanza.
Il capo di Al-Qaida sbatte il palmo della mano sulla scrivania. “Rispondi alla mia domanda! Collabori con loro?”
Ancora nessuna risposta.
Lo sguardo di Nasir è duro.
Rick respira, rilascia i muscoli e le mani sembrano non sudare più. Si arrende allungando le mani in avanti per spiegarsi.
“Nasir, ascoltami. Puoi ancora cambiare le cose! Puoi costituirti e confessare i tuoi crimini! Non deve per forza andare così... non dobbiamo per forza essere nemici...”
Di nuovo, Nasir sbatte la mano sul pregiato legno, facendo sobbalzare Rick.
“Tu mi hai tradito!” si alza, tenendo sempre gli occhi fissi sullo scrittore, che adesso lo scrutano. La delusione è dipinta sul volto. “Io mi fidavo di te, e invece avrei dovuto dar retta a Jamal!”
Si aspetta che lo colpisca, dato che gli passa accanto noncurante. Invece, vede Nasir camminare verso la finestra della stanza, con le mani dietro la schiena. Poi, si volta, spalancando le braccia, quasi compiaciuto. “Complimenti, hai recitato perfettamente la parte. Credevo in te, eri in gamba e ti ammiravo, ma mi hai solamente deluso...” torna con le mani dietro la schiena e si avvicina a Rick, che è ancora seduto. Faccia a faccia, sente il respiro a pochi centimetri. Nasir lo squadra con disprezzo. “Sei un debole e come tale non venire a dirmi cosa devo fare.”
Castle fa una smorfia proprio davanti il suo viso.
Non può farsi mettere i piedi in testa. Ci ha provato a parlargli, a fargli cambiare idea, ma Nasir è impassibile. Il desiderio di potere lo ha accecato.
“Vuoi sapere una cosa? Hai ragione.” Comincia, per niente intimorito. Si alza, mostrando la sua imponente stazza. “Sarò anche un debole, ma di sani principi morali. Io ho ucciso delle persone per conto tuo, e alla fine credo che tu neanche volessi seguire le orme di tuo padre.”
“Di che diavolo stai parlando?” Nasir sobbalza all’indietro, quasi per porre le distanze.
Castle si gonfia il petto. È diventato così abile ad abbattere i muri delle persone.
Cerca di sorridergli e parlare in modo tranquillo. “Mi è capitato di passare davanti la porta della tua stanza. Ridi davanti alla televisione e giochi ai videogames. Ti diverti come un ragazzo della tua età. E dovrebbe essere così!” si avvicina, accorciando lo spazio e allunga la mano per posarla sulla sua spalla. Il giovane lo guarda spaesato, chiedendosi cosa stia cercando di fargli. Il lavaggio del cervello? “Pensaci, Nasir. Puoi tornare a studiare e avere una vita diversa, lontana dall’impugnare un’arma e guidare uno squadrone.”
Spari ovunque.
Nasir e Rick si guardano e poi si affacciano allo stesso momento fuori dalla finestra.
Vedono qualche figura in penombra che sta sparando. Le scintille di fuoco colpiscono alcuni uomini posti di guardia, che cadono all’indietro con un soffio di vento.
La porta della stanza si spalanca e vi entra un uomo armato, tutto vestito di nero dalla testa ai piedi. Dice qualcosa in arabo a Nasir, che risponde ordinando un’azione difensiva. Punta il dito verso di lui e questi fa cenni col capo, per poi indietreggiare e urlare nel corridoio.
“Ci stanno attaccando.” Commenta Nasir, senza guardare lo scrittore. Probabilmente ha capito che è stato lui a rivelare la sua posizione.
In tutta furia, il giovane capo si precipita fuori, portando con sé un kalashnikov.
Rick resta un attimo immobile, pensando alla sua prossima azione. Trovare Yoel.
 
Dal maxischermo, tramite un drone, Christina Finch sta ordinando ai suoi uomini di entrare nella residenza di Nasir, seguendo le indicazioni di Castle.
Non è facile. Le immagini che appaiono sono a infrarossi e le persone appaiono confuse. Le uniche luci sono quelle provocate dagli spari dei fucili M14. Due uomini sparano colpendone altri due di guardia. Uno fa cenno all’altro di entrare. La via è libera.
Il drone si innalza, riprendendo un ampio campo.
C’è una guerriglia.
Indisturbato, un uomo attende in un angoletto il momento giusto per passare.
Christina si avvicina al monitor, azionando il Bluetooth.
“Zoomate.” Ordina.
La figura prende contorno e il viso si fa più nitido.
È Richard Castle.
Dal maxischermo di New York, Kate sussulta appena vede il suo uomo camminare con passo svelto e furtivo verso una posizione che non conoscono.
“Dove diavolo sta andando? Ma perché voi americani non eseguite mai gli ordini che vi vengono dati?” borbotta Jones, dapprima sottovoce, poi parlando con frecciatine diretta anche a Kate e alla sua missione suicida a Beirut.
“Siamo un popolo evoluto, agente.” Commenta sarcastica la Gates. Santa donna. “Comunque mi concentrerei sul signor Castle al momento. Non dobbiamo perderlo di vista.” gli dice, sempre educatamente, puntando l’indice sul maxischermo.
Il diretto interessato viene visto saltellare da una posizione all’altra. In piedi, poi accucciandosi dietro un masso per nascondersi. Sempre con passo furtivo, raggiunge una piccola abitazione e il segnale viene a mancare.
Lo schermo si tinge di linee grigie. E poi alcuni bip incessanti.
Ryan, Preston e Rodriguez prendono a rianimare i GPS con impazienza, ma sembra inutile.
Dalla postazione di Langley, anche la Finch è spazientita.
“Che è successo?” domanda Kate agitandosi.
Mike la ignora e dà ordine di muovere il drone sulla guerriglia. Lo schermo riprende vita, e sempre con gli infrarossi, concentra l’azione al di fuori della residenza di Nasir, incuranti di ciò che sta succedendo al suo interno.
Solo la Finch viene informata, tramite l’agente Lewis, che guida altri soldati, Douglas, Callaghan e Montgomery, gli stessi che scortarono Castle quando fu rispedito in Iraq.
“Signora, abbiamo colpito una decina di persone. Tutti membri di Al-Qaida.” Spiega. “Stiamo mettendo al setaccio le stanze, ma quella che sembra di Nasir Sayf Al-Islam è vuota. Ora controlleremo le uscite secondarie.”
“Dividetevi. Controllate ogni angolo. Deve esserci un tunnel dal quale deve esser fuggito!”
La funzionaria della CIA chiude la conversazione in maniera nervosa. Si toglie per un attimo le cuffie del Bluetooth per passare in rassegna i capelli. Se li raccoglie in una cipolla in maniera sbrigativa. Hayley, dalla sua postazione, non ha mai visto il suo superiore così agitato durante un blitz.
Si rimette le cuffie e compone il numero dell’agente Jones.
“Mike, ci sono tunnel nella residenza della famiglia di Nasir?”
“I tuoi uomini non stanno controllando?”
A quella domanda, Kate e la Gates si voltano nello stesso momento. Entrambe con aria preoccupata che nessuno stia facendo la cosa giusta.
“Sì, ma non riescono a trovare nulla. Ricordi se il signor Castle ha accennato a qualcosa di simile?”
“Nessun tunnel. Ma deve essercene uno sotterraneo. Ti mando la piantina della casa tramite i miei agenti.”
 
Senza esser controllato, Rick è entrato nell’abitazione di Yoel.
L’ex addestratore impugna il suo kalashnikov pronto per andare in battaglia. Lo scrittore si pone davanti la porta e allunga la mano per bloccarlo.
“Non andare. Ti ammazzeranno.”                                        
“Nasir ti ha scoperto, vero?” Rick non risponde, ma si limita ad annuire. Abbassa il braccio, sentendosi colpevole. Yoel si guarda intorno e stringe ancora di più l’arma tra le mani. “E’ questo il blitz che ci aiuterà a fuggire?”
“Devi fidarti di me, Yoel. Tu mi hai salvato la vita quaggiù. Permettimi di ricambiare il favore.”
Yoel non risponde ma lo guarda spalancando gli occhi. Rilascia il kalashnikov che cade a terra facendo un tonfo sordo.
Ben presto, Rick capisce anche il perché.
La canna fredda di un fucile è posata dietro il suo collo.
Alza le mani in segno di resa. È immobile.
“Sapevo che eri tu.”
Riconosce la voce profonda e perfida di Jamal.
Fa per muovere un muscolo del piede. Uno solo che possa permettergli di sferrare il colpo e togliergli l’arma di mano.
Il suo nemico è più veloce di lui. “Un solo movimento e ti uccido.”
 
Dal maxischermo, il drone si allarga e si ristringe alla ricerca di Rick Castle. Ma dello scrittore non vi è traccia.
La guerriglia continua e ci sono altri morti, ma non si riesce ancora a trovare Nasir.
Mike suda freddo percependo lo sguardo minaccioso di Kate su di lui. Sembra sia in attesa della sua sentenza. E teme di sapere qual è.
L’agente inglese abbassa lo sguardo cupo guardandosi le mani. “Lo abbiamo perso.”
Neanche mezzo secondo dopo, la reazione di Beckett è immediata. Fa un passo lungo, tiene le mani a pugno e si accanisce su di lui.
“Che vuol dire? Jones, dov’è Castle?”
Lui si morde le labbra. Vorrebbe rispondere alla sua domanda, ma riesce solo a imprecare. “Maledizione.”
“Jones, dimmi qualcosa! Che sta succedendo?” Kate ha la voce tremolante e non riesce a sopportare questi attimi di esitazione.
Javier e Kevin osservano la detective e riescono a percepire la sua agitazione. Anche loro provano lo stesso. Si guardano e sospirano.
Dall’agente dell’Interpol non giunge nessuna risposta. Ritorna ad alzare lo sguardo che si posa sui suoi uomini. Sistema l’auricolare del Bluetooth e incrocia le braccia al petto. Kate si tortura le mani e torna a incalzare. Stavolta scandisce le parole, che escono stentate tra i denti digrignati.
“Ti ho fatto una domanda. Dimmi che diavolo sta succedendo.”
Mike non la guarda ma ha gli occhi fissi sul maxischermo. La sua mente sta cercando di elaborare qualcosa.
“Beckett, non posso lavorare con te che distrai qui.” Sente il fiato di Kate sul collo e capisce che sta per replicare col suo caratterino, ma senza muoversi, si rivolge a Javier e Kevin, girando di poco la testa dall’altra parte. Li vede con la coda dell’occhio. “Detective, posso chiedervi di portarla fuori?”
Hanno un attimo di esitazione e guardano il loro capitano come per avere conferma. Victoria è seria, anche lei bloccata in quella fredda posizione come l’agente Jones. Fa ai due dei lievi gesti con la testa. Ecco il segnale.
La Gates saprà come gestire una più che furibonda Kate Beckett, che adesso sta scalpitando e mandando al diavolo Mike.
Esposito fa il primo passo e allunga la mano verso la detective. “Becks, andiamo.”
“Espo, non toccarmi!” replica con quel tono di voce troppo alto. Dapprima non li guarda alzando le braccia per allontanare la presa di Javier. Poi posa lo sguardo su di loro. La scintilla si è accesa e li scruta con rabbia poiché anche loro si sono schierati contro di lei. “Non mi muovo finché non so cosa sta succedendo!”
Mike continua a ignorarla. Si porta una mano al centro degli occhi, concentrandosi, prima di esordire.
“Christina, riesci a zoomare la zona? Quei raggi infrarossi non schiariscono il segnale, che qui arriva debole.”
“Ci sto provando.” Risponde lei dall’altra parte con fare sbrigativo. La sente dar ordine a destra e a manca.
Ancora più furiosa perché l’agente Jones continua a non risponderle, Kate si arrende, spalancando le braccia, che fanno un sonoro rumore sbattendo lungo le gambe. Kevin e Javier riprovano ad avvicinarsi, ma lei torna ad alzare le sue difese fisiche.
“Lasciatemi! Esco da sola.” Dice prima di voltarsi, e nell’allontanarsi dal salone principale fa appositamente un gran rumore coi tacchi sperando di far innervosire Mike.
I due detective fanno per muoversi e andarle a parlare, ma la Gates si mette in mezzo. Alza la mano per bloccarli facendo intendere che ci penserà lei.
Quando poco dopo raggiunge Beckett, la trova di spalle, seduta sulle ginocchia, contro il muro. Le mani posate prima sui capelli percorrono la fronte e poi il suo viso. Singhiozza. Victoria si trattiene quasi sentendo di varcare una soglia che non dovrebbe, e vorrebbe posarle una mano sulla spalla per confortarla. Invece deve mantenere il suo status di Iron Gates, e fa del suo meglio per spronarla. Si schiarisce la gola, facendo sussultare Kate che, avvertendo la sua presenza, si asciuga una lacrima sulla guancia e con l’altra mano si poggia sul muro, aiutandosi a mettersi in piedi.
Quando si volta, vede la Gates con le braccia incrociate e lo sguardo mezzo divertito. Ma in senso buono.
“Mi secca doverlo ammettere ma l’agente Jones ha ragione.” Sospira, costatando la verità. “Devi mantenere la calma.”
“Come faccio a stare qui con le mani in mano? Sapendo che Castle è laggiù?” percepisce la disperazione nella sua voce, mentre Kate abbassa lo sguardo vergognandosi del suo tono di voce e del suo comportamento, forse troppo da bambina viziata.
La Gates rilascia le braccia e si avvicina a lei, senza però toccarla. “Lo so, e non vedo l’ora di sbarazzarmi di tutte queste forze governative così che il mio distretto torni lindo e pulito. Ma ancora c’è un ultimo sforzo da fare.” La Gates è ancora più vicina, costringendo Kate a guardarla. “Ho bisogno che inciti la squadra e che preghi soprattutto. Perciò smettila di piangere e vieni di là, altrimenti finisco con l’uccidere i detective Esposito e Ryan se non la piantano con le loro solite battutine.” A Kate scappa una risata immaginando che non può lasciare i due bro un attimo da soli, perché ricominciano con il loro teatrino. Victoria fa un sorriso, appena impercettibile. “Ah e un’ultima cosa.” Le porge un fazzoletto di cotone bianco. “Dai una ripulita a quel viso. Il mascara ti è tutto colato.” le fa segno indicandole il volto. Kate sente le guance arrossarsi. “Compratene uno buono la prossima volta. Anzi, te ne faccio ordinare un paio nuovi da Christina. Dice che alla CIA hanno dei campioni gratuiti.”
Lascia che Beckett si prenda il suo tempo per ripulire il viso e calmarsi. E così fa.
Prende un respiro, che le fa smettere di singhiozzare. Ripiega delicatamente il fazzoletto che le ha dato il capitano, sorridendo, come se fosse un cimelio di famiglia. Deve sentirsi fortunata ad avere un capo così. Dura fuori, ma stranamente tenera dentro. E dire che dopo Montgomery non pensava di trovare un capitano alla sua altezza. Invece la Gates l’aveva sorpresa. I primi tempi contrariata al suo operato, man mano si era fatta amare e aveva imparato ad amare anche i suoi uomini. Anche quei pazzi di Esposito e Ryan.
 
Iron Gates ritorna ticchettando nel salone principale e lo fa in fretta e in furia. Allunga lo sguardo verso i suoi detective chiedendo se ci sono novità. Loro gli fanno cenno verso Jones, Preston e Rodriguez, che sono concentrati a studiare una mappa virtuale di quello che sembra un complesso abitativo.
Avvicinandosi, la donna scruta con meraviglia le tecnologie dell’Interpol, sperando, una volta finito tutto, di avere uno di questi oggettini nel suo distretto.
“Ho trovato il tunnel sotterraneo.” Esclama trionfante Mike, guardando Victoria per poi rivolgersi ai suoi agenti. “Mettetemi in collegamento con la Finch.”
Christina Finch è una di quelle donne che mangiano e si rilassano poco. Soprattutto, una di quelle che riesce a stare in piedi anche tutta la giornata, perché a star seduta finirebbe col rovinare il suo miglior abito, che finirebbe con l’avere un sacco di pieghe. Per questo preferisce guardare l’azione della sua squadra in piedi, al centro della stanza.
Collega il Bluetooth sull’orecchio per sentire la voce di Mike dall’altra parte.
“Christina il tunnel è nella stanza di Nasir. Era lì, sotto i nostri occhi e non ce ne siamo resi conto. Nel posto più stupido del mondo.” Nel tono di voce di Mike c’è anche colpevolezza. Avrebbe voluto saperlo prima. Il nascondiglio era lì, ce l’aveva sulla punta della lingua. Forse se Kate non avesse sbraitato nel tentativo di capire cosa stesse succedendo, si sarebbe concentrato di più. Mentre pensa questo, la detective Beckett ritorna nella stanza e le basta guardare le facce attente di Ryan, Esposito e della Gates per capire che c’è stato un colpo di scena.
La Finch sobbalza, trattenendo un sorriso di soddisfazione. “Ti metto in collegamento con la mia squadra.”
Sta accadendo tutto così in fretta. È tutto così strano da esser vero.
Mike si siede, cosa strana per lui, e allontana la mappa virtuale della residenza di Nasir. Non gli serve più, ora che ha capito dove si trova il tunnel nascosto. Attendeva questo momento da vent’anni e vuole goderselo da una posizione comoda.
“Reggetevi forte, ragazzi. Stiamo assistendo in diretta alla cattura del numero uno di Al-Qaida.” Sussurra Esposito, inclinando di poco la testa tra Ryan e Beckett, con fare teatrale.
“Peccato non avere anche la macchina per i popcorn...” aggiunge l’irlandese, raggiunto con lo sguardo accecante della Gates. Deglutisce, impaurito. “Ma non fa niente, a me neanche piacciono...” dice con fare incerto.
Solo dopo, Javier e Kate capiscono che la sua risposta è dovuta alla Gates che l’ha incenerito con lo sguardo. Niente parole di rimprovero, però, stavolta. Concede loro questo piccolo momento di svago.
Mike guarda un punto immaginario davanti a sé e con la mente ripercorre un presunto blitz nella residenza dei Sayf Al-Islam. “Alzate il tappeto, quello sotto la scrivania.”
Nello stesso momento in cui parla, la squadra comandata da Lewis, è tornata nella stanza di Nasir per eseguire gli ordini di Jones.
“Se è nella stessa posizione di quella di suo padre, allora è lì sotto. Troverete un gancio piccolissimo. Quasi un bullone. Tirate delicatamente e si aprirà una botola che vi condurrà a un lungo tunnel. Percorretelo.”
I minuti che seguono solo quelli più critici. Tutti ascoltano silenziosi i passi felpati, quasi invisibili, della squadra. Qualcuno respira affannosamente, un altro bisbiglia qualcosa. Sono tutti molto eccitati dalla missione. Sul maxischermo compaiono immagini scure, dato che il tunnel non ha luci. È un nascondiglio segreto e come tale deve risultare introvabile. È solo dopo qualche ventina di metri, pari a dieci minuti, che la squadra rallenta, sentendo delle voci, quasi sussurri. Uno dei soldati alza la mano in segno di avanzata.
Dà un calcio alla porta e si trovano Nasir in compagnia di due persone. Puntano gli M14, sparando ai due ai lati del capo di Al-Qaida.
Nasir si sente piccolo e impotente, non avendo neanche un’arma a disposizione. Alza le mani in segno di resa, poi le pone davanti, difendendosi disperatamente. Invano. Lewis spara alla gamba del giovane, che collassa.
Sul volto di Christina Finch compare un ampio sorriso.
“Hai trovato quel bastardo, Mike. Congratulazioni.” Si diverte a stuzzicarlo.
Al Dodicesimo, si sentono applausi, e perfino la Gates sorride per la felicità. Del resto, hanno contribuito tutti alla cattura di Nasir, direttamente e indirettamente. Rodriguez e Preston danno delle pacche sulle spalle all’agente Jones. Gli si può leggere la soddisfazione sul viso, anche se ha un po’ di delusione. Dopo vent’anni di attesa, tutto qua? È questo il grande capo di Al-Qaida? Solo un ragazzo indifeso dietro un grande nome.
Mike però si trattiene e lo sguardo di Kate incontra il suo. Ha ancora una promessa da mantenere. “Aspetta a congratularti. Dobbiamo trovare Richard Castle prima che qui al Dodicesimo mi diano in pasto ai leoni.”
 
Legato con le mani dietro la schiena, Nasir viene strattonato fin fuori la sua residenza. Si dimena, sputa a terra, finché fuori, all’aperto, gli aspetta una sorpresa.
Una folla urla parole contro di lui e incita all’uccisione. Nasir si inginocchia e chiede pietà, ma è troppo tardi per essere perdonato. Viene assalito da un gruppo di persone che confermano solo il loro volere di vederlo morto.
Non lontano da lì, Jamal ha ancora la canna del fucile puntata su Rick, mentre Yoel assiste inerme. Le grida della folla li attirano e in un attimo di distrazione, Castle può sferrare il suo colpo. Si volta prendendo la canna dell’arma, la allontana gettandola a terra, poi sferra un gancio sul naso di Jamal, che si sbilancia all’indietro, mezzo tramortito.
Rick fa segno a Yoel di scappare. L’ex addestratore getta la sua arma a terra e lo segue.
In quel momento, il drone localizza Castle e parte l’ordine di colpire di Jamal, che si è ripreso dal colpo e li sta raggiungendo, prima che essi si mescolino tra la folla.
Kate per poco ha un mancamento.
“E’ lui! È lui!” indica allungando il braccio verso il maxischermo. Grida per farsi sentire, sperando che anche la CIA, tra le grida di gioia per la cattura di Nasir, riescano a udirla. “L’uomo con le vesti fucsia! Quello che a Beirut aveva portato via Castle!”
Due catture in un solo blitz non è mai troppo per la CIA e per l’Interpol.
Un colpo secco viene sparato al centro della testa di Jamal. Si accascia a terra, morendo all’istante.
Accanto a lui, c’è il cadavere di Nasir, pieno di contusioni e segni di coltelli che hanno lacerato i suoi abiti.
Rick si volta per sorridere. L’incubo è finito.
La folla si sta diffondendo per le strade, svegliando tutti gli abitanti e annunciare la notizia della morte dell’ultimo esponente della famiglia Sayf Al-Islam.
Le ultime fuliggini si alzano in alto, schiarendo il panorama. Ma lo scrittore sta cercando Yoel.
Il sorriso si affievolisce quando lo vede disteso a terra, con il corpo tremolante e del sangue che sgorga della bocca.
“Yoel! Yoel!”
L’uomo riesce a guardarlo per poco. Ha una ferita sul collo. Un vetro si è conficcato vicinissimo alla giugulare sinistra. “Vai via, Rick! N-non c’è speranza di redenzione... il prezzo che pagano i traditori come me... è la morte. Torna a casa, e cambia il tuo destino.”
Castle scuote la testa, visibilmente emozionato. Si tocca le mani, coperte di sangue e si rende conto che quelle non sono le uniche ferite sul corpo di Yoel. Si osserva attorno e vede brandelli di resti umani, case fatte a pezzi, e realizza che c’è stata un’esplosione. Un’altra.
Come se il blitz non fosse stato a sufficienza.
Dietro di lui, sente delle voci famigliari chiamarlo. Tra la nube di cenere, scorge la figura dell’agente Lewis.
Yoel tossisce, e Rick sa che deve lasciarlo andare. Ha fatto tutto il possibile per salvargli la vita. Avrebbe potuto fare di più. “Sei stato un buon amico.”
“Ricordati di me quando scriverai il tuo prossimo romanzo.” Sussurra prima di esalare l’ultimo respiro.
Deyman.”
La sensazione di vedere qualcuno morire sotto i propri occhi è un’esperienza che non si augura a nessuno.
Tra le sue braccia, sente il corpo dell’amico irrigidirsi, diventare freddo, e percepisce anche una certa leggerezza. Gentilmente, gli chiude gli occhi e lo rilascia alla sua terra.
“Signor Castle, dobbiamo andare!” la voce di Lewis si è fatta più imponente.
Lo scrittore si alza e lo vede vicino a lui che lo incita a seguirlo verso l’elicottero che lo porterà a casa.
Le prime luci del mattino fanno capolino appena i due caccia militari si innalzano in volo.



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Capitolo kilometrico, ma non potevo dividerlo e aumentare così la vostra pena :p
Il banner resta identico come il precedente perché in origine doveva essere un cap unico.
La missione è andata a buon fine, più o meno.
Rick ce l'ha messa tutta per salvare Yoel... ma alla fine, è morto nella terra d'origine, e come aveva detto lui, prigioniero era e prigioniero è rimasto, senza nessuna via di fuga... però Rick voleva salvare anche Nasir, perché, da eroe romantico, lo scrittore cerca sempre il bene nelle persone.
La Gates dà una scossa a Kate... che prima sbraita contro Mike, poi si riprende, capendo che non è quello il carattere da adottare.
Tutto è bene quel che finisce bene?
Ci si legge nel prossimo e ultimo capitolo.
Grazie per essere arrivate fin qui <3
D.

ps: i fusi orari mi fanno uscir di matto. Se ho fatto qualche errore di calcolo, fatemi sapere XD
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** La stella ***





Solo dopo qualche ora sull’elicottero, Castle ha il coraggio di voltarsi verso quella barella coperta con un lenzuolo bianco.
Sente brividi di angoscia percorrergli il corpo. Rivede l’immagine di Nasir a terra, coperto di polvere e di sangue, e in quel momento realizza che è tutto finito.
Però si trova a sospirare guardandosi le mani. Le unghie sono annerite, dovrà lavarsele, e ha ancora tracce del sangue, ormai asciutto, di Yoel sui suoi abiti. Scuote la testa e prende ad abbracciarsi. Ci ha provato. A lui piace trovare il lato buono delle persone, perché è fatto così.
Ha tentato di dissuadere Nasir nel portare avanti una guerra che non gli appartiene, perché ha visto la sua parte migliore. Quella del ragazzo spensierato che desidera fare ciò per cui sono addestrati i suoi coetanei: studiare, uscire e giocare con gli amici ai videogiochi.
Ha tentato anche con Yoel. Voleva dargli una seconda possibilità di vita, cambiando paese e ricominciando da capo. Lui era stato il primo amico conosciuto in territorio nemico che gli aveva dato tanto, e si sentiva debitore.
Entrambi avevano incontrato lo stesso destino. Una morte atroce.
Nasir aveva fatto i suoi danni, ma poteva ancora riabilitarsi.
Yoel meritava di riscattarsi dalla sua miseria vita.
Torna a guardare la barella dove giace quel giovane capo di Al-Qaida e trema. Dovrebbe essere felice, eppure sente una fitta di amarezza.
L’atterraggio sul suolo americano avviene alle tre del pomeriggio. I due elicotteri vengono accolti nella base aerea di Washington da una banda che intona l’inno americano. Castle si alza, appoggiandosi per capire chi è quella signora stravagante che sta agitando le mani in maniera troppo vistosa. Gli basta poco per realizzare che è sua madre, ma non si vergogna al pensiero che lei lo stia mettendo in imbarazzo.
Scorge una figura snella accanto a lei con i capelli arancioni liscissimi. È Alexis. Le gote della figlia si tingono di rosso, invece.
Quando le eliche hanno finito di girare, il pilota al comando dà l’okay per scendere, facendo aprire il portello.
Castle scende le scalette dell’eliccotero affaticato, zoppicando anche. Ma sorride.
Dopo esser stato quasi stritolato da Martha e Alexis, ritrova Kate.
La sua Kate.
Vestita in tenuta da detective, come Esposito, Ryan e la Gates, sembra stiano aspettando solo lui per la cerimonia ufficiale di bentornati. C’è anche Lanie in un abito blu scuro lungo fino alle ginocchia e tacchi.
I due amanti si guardano e si sorridono. Forse i sorrisi più ampi che abbiano mai fatto. Non hanno bisogno di dirsi nulla. Entrambi sanno che avranno tutto il tempo per parlare. Si abbracciano e chiudono gli occhi per assaporare il momento. Le grandi e forti braccia di lui la sostengono, e lei ritrova quel calore perduto del suo corpo. Lui, invece, riscopre quel profumo di ciliegie che gli era tanto mancato.
“Mi spiace interrompervi, piccioncini,” è la voce divertita di Kevin, che finge di fare il finto offeso insieme a Javier. Quando Rick e Kate sciolgono l’abbraccio e vedono le espressioni dei due scoppiano a ridere. Si dondolano come bambini e arricciano le labbra. “Non è giusto che solo Beckett ti abbracci.” Conclude il portoricano.
La detective si fa da parte e con un gesto della mano indica loro che “è tutto vostro.”
Gli abbracci tra uomini dovrebbero essere quelli più duri e mascolini, invece sono tutti teneri. I tre si dondolano.
Lanie si avvicina e agita il dito indice.
“Ora tocca a me. Fatevi da parte.”
L’abbraccio tra la dottoressa e lo scrittore è quasi da soffocare. Senza farsi notare, Lanie lo prende per l’orecchio e lo fa voltare verso Kate. “Non ti azzardare mai più a lasciare questa donna da sola!”
Kate la rimprovera divertita.
Arriva la Gates che si schiarisce la voce. Castle già non ne può più di tutti questi abbracci e Kate se ne accorge. Ha solo bisogno di riposare.
Il capitano mostra i palmi delle mani per dar importanza al suo vestito rosso di Chanel. “Signor Castle, la abbraccerei ma non vorrei rovinare il mio abito. Sa, è un modello nuovo.”
Castle sorride con fare sornione e le fa l’occhiolino. “Capitano, andiamo. Lo so che sotto sotto è felice di rivedermi.”
“L’accoglierò nel mio distretto solo se si sarà dato una bella lavata. E soprattutto, veda di non sparire di nuovo, altrimenti non so più come gestire la detective Beckett.”
Kate si morde le labbra trattenendo le risate. Rick rotea gli occhi. Deve subire anche la ramanzina dalla Gates. Resta a fissarla mentre si allontana, impressionato. I due bro lo salutano con una pacca sulla spalla, lasciando che la famiglia Castle si ricomponga.
La detective torna ad abbracciarlo, lasciando che la testa si poggi sulla sua spalla. “Lo sai che in fondo ti vuole bene. E vuoi sapere l’ultima? Mi ha anche abbracciata una volta.”
“Iron Gates che abbraccia? Forse era un alieno che aveva preso le sue sembianze!”
Lei si morde il labbro e gli dà un colpetto sul torace per scherzare. “Non cominciare!”
I due s’incamminano, seguiti da Martha con Alexis sottobraccio, raggiungendo il resto della squadra dentro alcune limousine.
Poco lontano, Christina Finch e Mike Jones, entrambi con gli occhiali da sole hanno assistito alla scena. A disagio, assistendo a uno spettacolo che non appartiene a nessuno di loro. Silenziosi, lei con le braccia incrociate e lui con le mani in tasca, salgono nella macchina blu apposta per loro.
Tutte le autovetture sono dirette a Langley.
 
“Oggi è un gran giorno. Il numero uno di Al-Qaida Nasir Sayf-Al Islam è stato ucciso dall’agente della SWAT Ray Lewis durante un blitz notturno in Iraq, e con lui anche alcuni membri dell’organizzazione terroristica. Grazie a questo intervento repentino, abbiamo potuto riportare sul suolo americano lo scrittore di gialli Richard Castle, prigioniero di guerra per ben due anni da Al-Qaida.”
Stringe le mani del suo uomo e lo guarda orgogliosa.
Lui respira e gonfia il petto, sorridendo per il fatto che la persona di prestigio che sta parlando da quel palco, in giacca e cravatta, l’abbiamo chiamato ‘scrittore’ e non ‘terrorista’ o ‘ex pentito’. Nomignoli dati solo ai carcerati o prigionieri. Sospira di nuovo. Per fortuna il suo paese non ha dimenticato che una volta Richard Castle era uno stimato scrittore di gialli.
La platea ascolta in silenzio dentro l’aula delle conferenze stampa della Casa Bianca. I giornalisti occupano le prime due fili, i fotografi si destreggiano da entrambi i lati per cogliere il profilo migliore del Presidente. Dietro, la terza fila è riservata alla CIA, dove siedono Christina Finch, Hayley e alcuni impiegati che hanno svolto un ruolo nel blitz, all’Interpol con gli agenti Jones, Preston e Rodiguez, e infine ai militari dello SWAT che hanno partecipato in prima linea al blitz, tra cui spicca Lewis, che ha ucciso Nasir. Nelle restanti fili, sono seduti, in ordine sparso, la Gates, Esposito, Ryan e Lanie, e poco più in fondo, la famiglia Castle coi suoi quattro componenti.
“Inoltre, è stato possibile salvare la vita al noto giornalista della CNN John Storm, che è presente con noi oggi.”
Il nominato alza lo sguardo dal suo tablet, dove stava riportando la conferenza stampa in diretta sui social network. Sistema gli occhiali da vista e fa un lieve sorriso, voltandosi verso i suoi colleghi e a chiunque possa riuscire a vederlo. Sul volto ha ancora i segni di chi è stato trattenuto prigioniero. Segue un momento di pausa per rispettare il suo operato.
“Tuttavia, il governo degli Stati Uniti, la CIA e l’Interpol sono consapevoli che queste uccisioni non porranno fine al terrorismo. C’è ancora tanto lavoro da fare, e lo svolgeremo in maniera professionale e repentina, come abbiamo sempre fatto.”
Le pause sono importanti durante un discorso presidenziale, soprattutto se fatto in diretta mondiale. Il Presidente volge lo sguardo alle telecamere. Fermo e deciso su ciò che sta dicendo, per fare in modo che quelle parole restino impresse nelle menti di tutti.
“Ringrazio Christina Finch della CIA, e Mike Jones dell’Interpol londinese, per il gran lavoro svolto sul campo nel corso di questi ultimi anni.” I due nominati fanno un cenno con la testa a segno di ringraziamento. Data la confidenza con il Presidente, Christina alza anche una mano per salutare e farsi notare. Vicino al funzionario della CIA, Hayley cerca di sfuggire alle telecamere, imbarazza dosi per il primo piano su di lei. “In particolare, il merito va all’agente Jones, che ha catturato Nasir Sayf al-Islam, dopo un ventennio di ricerche sulla sua famiglia. Non è riuscito a catturare suo padre, ma ha riscattato le vittime degli attentati catturando suo figlio. Gli Stati Uniti la ringraziano.”
Mike non si scompone, torna a fare cenni col capo e si sistema la cravatta. Le telecamere adesso vengono puntate su di lui.
Il Presidente ritira il suo discorso, saluta i giornalisti, non concedendo interviste. Al suo seguito, il Vicepresidente e la First Lady, che si ritirano nelle loro stanze.
La famiglia Castle resta lì seduta. Lo scrittore è impietrito e un po’ amareggiato.
Sperava che almeno venisse fatto un accenno al suo operato sottocopertura, del resto gran parte dello sporco lavoro è stato possibile grazie a lui.
Kate gli stringe ancora più forte la mano e con l’altra gli sfrega il braccio indolenzito. Lui la guarda e fa spallucce, cercando di mostrarsi indifferente. Non poteva pretendere dei ringraziamenti. Per due anni, copertura o non, quando è rimasto da solo, ha fatto della sua prigionia una missione per tornare a casa dei suoi cari, uccidendo e diventando un’altra persona.
La nazione non conosce questa parte della storia. Per l’opinione pubblica, Richard Castle è stato ritenuto prima un prigioniero di guerra e poi un membro di Al-Qaida, tornato in patria grazie all’opera buona delle forze governative, che lo hanno riportato sulla retta via.
La Gates, Lanie, Javier e Kevin si avvicinano alla famiglia con un’aria da funerale, prontamente spazzata dall’umorismo di Castle. “E’ morto qualcuno per caso?” una domanda che sa di humour nero, considerando che effettivamente era morta più di una persona durante il blitz. Ma lui non voleva ricordare il suo amico Yoel come l’aveva visto in quella pozzanghera di sangue. Vuole ricordarselo come un amico.
Quando i giornalisti e i fotografi lasciano finalmente campo libero, Christina si avvicina a Mike che sta guardando la medaglia data dal Presidente.
“Onore e gloria, a te Mike.” Canticchia, prendendolo in giro.“Ora non ti montare la testa.” Gli punta il dito indice fissandolo serio. Suona più come una minaccia.“E non azzardarti a dire che ti ho concesso questa vittoria o ti espatrio. Sai che mi basta-”
“...una chiamata al Presidente per togliermi tutto? Dai, sto scherzando.” Finalmente anche l’agente Jones può concedersi una sana risata.
 
Cammina per l’edificio da sola, sentendo solo il rumore dei suoi tacchi.
Con una scusa, aveva chiesto di andare in bagno, senza che né Alexis e né Lanie l’accompagnassero. Aveva aggiunto che una passeggiata l’avrebbe aiutata a sgranchirsi le gambe, dopo il lungo viaggio seduta. Le due l’avevano lasciata fare senza chiedere altro.
Alza la testa per osservarsi intorno. Le pareti bianche le danno un senso di freddo. Giunge al memoriale, quello composto da circa un centinaio di stelle, alcuni di loro hanno nominativi ignoti, che rappresentano tutte le persone che sono morte sul campo svolgendo la loro missione. Resta a fissare quel muro per un attimo, avvolta in un silenzio religioso. Fruga nella tasca destra, e tira fuori un pennarello nero.
Eccitata come una bambina, si morde il labbro inferiore guardandosi attorno. Nessuno nelle vicinanze.
Toglie il tappo, avvicina il pennarello al muro, dà un’occhiata alla stella adiacente e inizia a ricopiarla, tracciandone una identica accanto all’ultima. Non sarà uguale all’originale, stampate con altri metodi per far sì che il segno resti indelebile, ma non le importa.
Quella stella è Richard Castle.
E il suo amico Yoel Zurk.
Non gli hanno dato un riconoscimento, pazienza. Non si sono congratulati con lui. Può passarci sopra.
Ma chi ha detto che quelle stelle debbano rappresentare solo persone morte sul campo? Nessuno le dirà nulla, né si accorgerà della sua marachella. Castle e Yoel si meritano un posto d’onore perché hanno quasi rischiato la vita laggiù, in quel posto il cui nome le fa tremare le labbra.
Conclude la sua stella, restando a fissarla per un attimo, compiaciuta. Abbassa la testa in segno di rispetto ai caduti, quindi richiude il pennarello e lo ripone nella tasca. Di nuovo si guarda intorno.
Infine, ritorna fuori, indisturbata, portando dentro di sé la soddisfazione di aver avuto l’ultima parola contro la CIA.
 
“Oh, Richard, avrebbero dovuto darti una medaglia! Come si sono permessi a non citare il lavoro che hai svolto per loro?”
Kate raggiunge Castle prendendolo sottobraccio e si appoggia con la testa sulla spalla, sorridendo. Un gesto abitudinario, spontaneo, a cui neanche Martha, che gli sta sistemando la cravatta brontolando, ci fa caso.
“Madre, non preoccuparti. Va bene così. Non è che abbia fatto esattamente la parte del bravo ragazzo...” Rick lascia la frase in sospeso alludendo all’attentato alla metropolitana di New York e alle sue conseguenze. Persone ferite, gente morta. Sorride facendo spallucce, mentre tiene stretta la mano di Kate, senza mai lasciarla. Anche adesso sta recitando nella parte che gli è stata assegnata fin dalla nascita, quella che Yoel aveva riconosciuto.
Il sognatore che fa sorridere le persone con il suo umorismo. O con la brutale realtà.
Kate lo percepisce. Da quando è sceso da quell’elicottero, una parte di lui è rimasta laggiù. È difficile dimenticare ciò che ha vissuto e quel che ha fatto.
Segue un silenzio che porta la detective ad abbassare e poi rialzare lo sguardo verso Martha.
“E comunque poi si sarebbe montato la testa con una medaglia, quindi meglio lasciare le cose così.” Commenta con una smorfia di presa in giro.
“Visto? La mia fidanzata mi conosce bene!”
La diva guarda prima uno e poi l’altra con uno sguardo sospettoso. La complicità di quei due è strabiliante.
Pizzica le guance a suo figlio e poi dà una carezza a Kate. “Ci vediamo a casa. Vi aspetta un pranzetto coi fiocchi!”
Alexis saltella vicino a sua nonna.
“Nonna, ricordi che non ci sono? C’è l’incontro con gli studenti pre-laurea!”
“Aspetta...” Castle è lì. Allunga la mano con fare pensante. Il tempo per immagazzinare l’informazione. Ritrae la mano posandolo sugli occhi prima di sparare la sua sentenza, che arriva all’apparenza ingenuamente, ma semplicemente logica. “Al, stai per laurearti e io non sapevo nulla?”
“E’ tra due mesi la data.” La ragazza lo guarda e lo vede spaesato. Forse avrebbe dovuto aspettare. Suo padre è un po’ sotto shock. Dolcemente gli prende la mano e gli sorride. “Tranquillo, papà. A casa ti dirò tutto quanto!”
Qualcosa gli dice che la laurea non è l’unica cosa che Alexis ha da raccontargli.
Quanto è cambiata sua figlia.
Dalla timida studentessa a una ragazza indipendente, pronta a fare il grande salto nel mondo. Quel vestito nero, stretto ai fianchi con una cinta bianca a decorarli, e lungo fin sotto le ginocchia la rendono più donna. Gli stivaletti neri la fanno più slanciata. Il viso è meno arrotondato, il sorriso le traspare ogni volta che afferra il cellulare e guarda sul display.
Martha si avvicina alla nipote e le chiede incuriosita chi è, e lei furtivamente nasconde il rossore sulle guance riponendo il telefonino in borsa.
Rick sorride e sospira.
Ha tanto da recuperare. Non è stato parte di sua figlia durante i suoi anni di prigionia e quasi se ne fa una colpa.
Kate segue il suo sguardo malinconico, ma orgoglioso.
“Mia figlia si laurea. Come è successo?”
“Sono passati due anni, Castle.”
Lo sente di nuovo sospirare, stavolta più pesantemente. Scruta gli occhi appassiti, bisognosi di tornare a casa. Come in risposta al suo sguardo, Rick le fa segno di allontanarsi per godere di uno spazio privato, tutto per loro. Indica Lanie, Javier, Kevin e la Gates che stanno chiacchierando tranquillamente come un gruppo di vecchi amici. Se sgattaiolassero, neanche se ne accorgerebbero.
“Signor Castle!”
Si voltano e vedono Hayley giungere timidamente con un libro in mano. Sorride mostrando i denti stretti, fissando Castle.
“Mi scusi se glielo chiedo di nuovo ma...” gli porge il libro e gli occhi di lui brillano quando ne riconosce la copertina viola “potrebbe farmi un autografo sul romanzo di Storm?”
“Ancora vanno in giro questi libri?” scherza, trovandosi a mettere la sua firma sulla prima pagina bianca. Una calligrafia incerta e tremolante. Fa tenerezza guardarlo scrivere.
“Volevo dirle che il mio capo è diventato una sua fan.”
Kate strabuzza gli occhi. “Christina Finch si è messa a leggere i romanzi di Nikki Heat?”
“Intendi l’alto funzionario della CIA? Colei che ha guidato il blitz?” domanda Castle, restituendo il libro a Hayley.
“Praticamente è una Gates della CIA.”
“Visto, amore? Anche le donne più dure alla fine non resistono al mio fascino.”
“Prima fra tutte la tua fidanzata.”
Kate si mette le mani sui fianchi inclinando la testa. La sua faccia si contorce in una smorfia: incrocia gli occhi e gonfia le guance facendo l’espressione da pesce lesso. Lo sta facendo ridere. Lui si meraviglia, pensando che il ruolo del mattatone di turno, nella loro relazione, spettasse proprio all’uomo.
Hayley si sente di troppo e stringe il suo libro al petto. “Spero ci sentiremo ancora, Kate. Mi ha fatto piacere lavorare con voi. E anche alla Finch, sebbene lei non lo ammetterebbe mai. Arrivederci, signor Castle.”
“Ti prego, chiamami Rick. Potresti essere mia figlia!”
La traduttrice saluta entrambi con la mano e l’ultima immagine che hanno è lei che saltella, felice per il suo autografo, per poi ricomporsi non appena Christina intercetta il suo sguardo. Con un gesto, l’alto funzionario della CIA le indica di sedersi nel posteriore dell’auto blu. Indossa gli occhiali scuri e schiocca le mani, facendo segno all’autista di partire.
Kate sorride, consapevole che passerà del tempo prima di rivedere Hayley e la Finch tra i corridoi del distretto. Forse un po’ le mancherà quel trambusto che si era creato al Dodicesimo. È sempre dura tornare alla normalità.
Come se riuscisse a leggerla nel pensiero, Rick segue il suo sguardo. Sentendosi gli occhi addosso, lei ricambia, tornando a prendergli la mano per incamminarsi nella direzione opposta.
“Signor Castle. Detective.”
La voce profonda dell’agente inglese li fa voltare.
Impossibile non notare la medaglia al valore sul petto. Nonostante tutto, Rick accenna un sorriso e allunga la mano per stringergliela.
“Agente Jones. Volevo ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me. E intendo tutto.”
Restano in silenzio, assimilando le parole, guardandosi fissi, ma entrambi sanno che lo scrittore si sta riferendo a Kate.
“E’ il mio lavoro.” Replica semplicemente lui, nel suo tipico modo da inglese, senza scomporsi più di tanto.
Castle si schiarisce la gola e si sfrega le mani.
“Vado a salutare quei brontoloni di Esposito e Ryan” dice e allunga lo sguardo per vedere i due detective che stanno conversando tranquillamente con gli agenti Preston e Rodriguez. “Si sono già lamentati perché non ho portato neanche un souvenir dall’Iraq.”
Mike e Kate lo vedono mentre raggiunge i due detective e i due agenti. Di spalle, la camminata è zoppicante, probabile causa di tutto ciò che ha passato laggiù, nell’Inferno più ostile, ma appena poggia le mani sulle spalle di Kevin e Javier e si volta, il sorriso appare rilassato. Le rughe si adagiano tranquillamente sulla pelle.
“Sta bene.” Osserva Mike.
“Così sembra. Ma io so che finge.” Lui si volta per guardarla.“Credo sia il suo sorriso.” Spiega Kate, continuando a fissare lo scrittore come se lo stesse studiando. “Lo estende al massimo, tanto da sembrare forzato. E poi si stringe nella sua giacca, come tentasse di mantenere una certa posizione.”
“E tu come stai?”
“Bene.” Anche lei finge.
Mike sospira e volge lo sguardo su Castle. Sta facendo esattamente le stesse mosse che Kate aveva predetto. “Odio ripeterlo. La guerra cambia le persone. Non puoi aspettarti di ritrovare il Rick Castle che conoscevi. Ci vorrà del tempo prima che ritorni ad esserlo, e tu stessa l’hai già notato.”
Kate sostiene lo sguardo dell’agente con decisione. “Lo so. Ora tocca a me fare il lavoro inverso.”
“Cioè?”
Entrambi tornano a fissare Castle. Sta ridendo mentre stringe ai due agenti dell’Interpol. Ritirando il braccio, però, senza esser visto, se lo tocca e fa una smorfia di dolore.
“Abbattere il suo muro.” Si ferma quando vede che Mike rimpicciolisce gli occhi cercando di capire il senso della sua affermazione. Lei muove la mano per scacciar via il pensiero. “Lunga storia.”
Jones vede Preston e Rodriguez andare verso l’altra macchina blu che li condurrà in aeroporto.
Sospira, capendo che è il momento dei saluti. Si avvicina a Kate e le stringe la mano, trattenendo un sorriso.
“E’ stato bello lavorare con te. Per qualunque cosa, chiamami.”
“E tu correrai da Londra a New York in un battibaleno?” dice, muovendo due dita come se fossero le sue gambe sopra il palmo dell’altra mano.
Quel gesto lo fa ridere. “Non sottovalutare il potere dell’Interpol!”
Tornano seri e lei lo saluta un’ultima volta sventolando la mano. “Ci vediamo, Mike.”
“Buona fortuna, Kate.”
Castle sta salutando anche Ryan ed Esposito e raggiunge la sua musa, rimasta a guardare l’uscita di scena dell’agente Jones e dell’Interpol.
Lui le circonda le spalle con il braccio e appena si rendono conto di esser finalmente rimasti da soli hanno un unico pensiero: rifugiarsi nella loro oasi di pace.
 
Le onde infrangono dolcemente la riva, grazie al poco vento che verso la sera decide di riposarsi, concedendo alle coppie il giusto rilassamento di un tramonto sul mare. Una coppia in particolare è seduta sulla spiaggia, appena fuori la loro casa. Scalzi, stanno gustando il panorama davanti a loro. Sulla linea dell’orizzonte, il sole si intravede a malapena, lasciando dietro di sé, una scia di rosata,che rende il cielo di un colore magico.
Lei sorrise e si coccola sulla spalla del suo uomo, che posa il capo sui suoi morbidi capelli, per poi baciarglieli. Sorridono.
“Ti mancavano gli Hamptons?”
“Mi mancava tutto. Soprattutto il cibo.” Come offesa, lei alza di scatto la testa e gli dà un pizzicotto sul braccio. Quel poco che basta per fargli capire che ha capito che la sta stuzzicando. Lui si difende. “Scherzo!”
Ma lei è stanca di scherzare.
Gli strofina il braccio appena pizzicato e lo guarda. “Smettila di fingere, Castle.” Gli dice seria, costringendolo a voltare lo sguardo verso di lei. “Con me, almeno. Sii sincero.”
Castle la fissa con le labbra leggermente aperte, cercando di non distogliere i suoi occhi, ma lei sembra decisa più che mai a non mollare la presa. Arrendendosi, lui torna a guardare l’orizzonte. “Non capisco cosa vuoi dire.”
Lei sospira. Le onde del mare e i gabbiani sono gli unici rumori intorno a loro.
“Sei stato due anni lontano da casa, lontano da me. Hai visto cose che io neanche posso immaginare... e non hai nulla da dire?”
“Ho ucciso delle persone, Kate.”
Era questo che lei voleva sentirsi dire? Quando non la sente ribattere, né trasalire, Rick sa che è giunto il momento di svuotare il sacco. Del sole ormai non v’è più traccia, e il cielo si tinge di rosso fuoco con contorni di azzurro, dando spazio alla notte. Gli sembra di ritornare in Iraq con quel tramonto.
“Laggiù ho vissuto l’Inferno. Guarda il mio corpo...”
La invita a toccargli il braccio, togliendosi la felpa a chiusura lampo che ha indosso. Kate si siede sulle ginocchia e con il dito, guidato da lui, segue il suo ritmo attraverso la sua pelle. “Lividi, cicatrici... torturato, gettato in cella, costretto ad armarmi per combattere qualcosa che neanche io conoscevo...” la voce si smorza, trattenendo i singhiozzi. “E ho continuato a fare la parte e... ad un certo punto mi stava anche piacendo il tener in mano quei kalashnikov...” Kate lo aiuta a rimettersi la felpa. Non aspettava certo di sentire queste parole e quasi si sente in colpa per averlo ‘forzato’. Segue lo sguardo dello scrittore, perso sempre oltre la linea dell’orizzonte, come se la sua mente fosse ancora in Iraq. “C’era il mio amico Yoel. La sua storia era simile alla nostra, ma il destino ha diviso lui dalla donna che amava. Lei si è rifatta una vita, e lui è morto, nello stesso Inferno che lo aveva allontanato da lei.”
Kate poggia la mano sulla sua spalla. Vuole che smetta, ha sentito abbastanza e non vuole che soffra.
“Rick...”
Quando lui si volta, le lacrime gli coprono il viso. Forse lei un pochino si spaventa. Essendo stato lui la sua roccia, vederlo indifeso, senza la maschera dello scrittore di gialli che combatte il crimine col suo umorismo, Kate si sente messa a nuda, per la prima volta. Di fronte a quel muro di bugie dietro cui lei stessa si era nascosta anni fa.
“Io non so se riuscirò mai a superare questa vicenda... non credo di esserne capace...”
“Ci sarò io qui con te.”
Rick si copre il volto con le mani e scuote la testa. Non si aspetta che Kate comprenda cos’abbia provato, nessuno riuscirebbe. Non si sente pronto a tornare alla vita che aveva prima, ecco la verità. Sa che al distretto lo guarderanno sempre con sospetto, fingendo sorrisi perché ‘gli ha fatto pena’. Per il pubblico, lui sarà il prigioniero volontario e poi eroe che è riuscito a salvarsi.
Non riesce a convivere con un simile peso. E l’idea di non aver salvato né Nasir dal suo triste destino, né Yoel dal suo tragico epilogo, lo tormenta.
E quando ripensa a come impugnava quel kalashnikov, e poi a come ha piazzato quella bomba nella metropolitana, improvvisamente gli manca il respiro.
Che tipo di persona era diventato? Si guarda attraverso le fessure delle dita e prova disgusto per se stesso.
“Sarei dovuto morire anche io durante il blitz.”
“Che diavolo dici?” Kate lo scuote, tentando di farlo ritornare in sé.
Tra i singhiozzi esclama con rabbia, “Ho ucciso delle persone, come fai a starmi vicino?!”
Lei sorride dolcemente e genuinamente. Gli prende quelle mani bagnate e le stringe tra le sue. “Perché io ti amo. E se tu fossi morto, io non so come avrei fatto. Non mi sarei rifatta una vita come volevi tu, o come ha fatto la donna che amava Yoel. Perché sarei morta anche io con te, in quel momento. Tu volevi salvare Nasir e Yoel, perché sei buono. E vuoi sempre trovare il buono nelle persone, fino all’ultimo. E abbatteremo insieme questi muri che ti circondano. Nello stesso modo in cui tu hai fatto con me.”
Lui ricambia il suo sguardo etereo. Lei lo ha capito. È quello che lui prova, è quello che lui ha provato.
Si abbracciano, tornando a guardare il mare. L’oscurità sta per invadere anche il paradisiaco Hamptons e Kate sente i brividi sulla pelle. Rick l’avvolge più che può con il suo grande e forte braccio.
“Sai c’è una parola in dialetto palestinese che mi ha insegnato Yoel.” Stringono l’abbraccio per un attimo e lei lo guarda con ammirazione. Cos’altro nasconderà dal suo cilindro magico per sorprenderla? “Deyman. Significa ‘sempre’.” Fa una pausa, accarezzandole i capelli.
“Starai sempre accanto a me, Kate? Anche se per abbattere il mio muro potrebbe volerci del tempo?” pronuncia quelle parole con un timore infantile.
Ha paura di averla scossa con quello che le ha confessato. Teme che lei non possa sopportare.
Invece, Kate non risponde, ma gli afferra il viso con entrambe le mani e preme le labbra sulle sue, come a suggellare una promessa. I loro visi restano per un istante vicini, poggiando le fronti l’una sull’altra.
“Inizieremo togliendone uno per volta. Vivendo, giorno per giorno. Io e te, insieme. Sempre.”
Gli tocca le guance, sentendo altre cicatrici, poi passa il dito sulla fronte, percependone un’altra. Ci vorrà del tempo perché scompaiano, e il suo viso torni ad essere quello splendente e fantastico che lei ha sempre visto.
Tornano a guardare l’orizzonte. L’immenso mare si fonde col colore del cielo. Inizia a far freddo, ma stando abbracciati l’un l’altro, a sostenersi, riescono a riscaldarsi. La mano di Kate raggiunge il suo petto. Tocca il suo cuore e lo sente pulsare a ritmo irregolare. Abbozza un sorriso, trattenendo le lacrime. Rick fa lo stesso, consapevole che la sua musa riesca a percepire cosa stia provando in quel momento.
Potrebbe volerci una vita, al contrario, perché quelle cicatrici interne scompaiano del tutto.


 
Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
E siamo giunti alla fine.
Grazie a tutte le persone che hanno letto, che si sono presi del tempo per recensire e a quei lettori silenziosi che hanno seguito questa storia.
Un finale dolce-amaro per i nostri Caskett, che sono sì insieme, ma le ferite interne che entrambi riportano saranno dolorose da guarire. La nostra Kate dovrà fare il processo inverso e aiutare Rick ad abbattere il suo muro :) il fattore 'tempo' nella storia viene rimarcato: Alexis deve laurearsi, e Castle si chiede, giustamente, come si è arrivati a questo... due anni sono passati. Scherza in apparenza, ma dentro di sé ancora pensa a quanto accaduto e credo sia una cosa del tutto normale. Nessuno saprà mai che Kate ha disegnato la stella sul memoriale... facciamo che resta un nostro segreto :p ci tenevo che lei avesse l'ultima parola su tutto.
Inoltre, volevo a precisare che i fatti e i nomi della fanfic non sono reali, sebbene gli eventi narrati, purtroppo, accadono spesso nel mondo, anche se il telegiornale non li riporta tutti. Se ci fossero più persone, come il Rick Castle della storia, a comportarsi da eroi, allora il pianeta sarebbe un posto migliore. Infine, ringrazio i miei studi e la mia passione per la cultura islamica se ho potuto concepire un'altra storia di questo genere, ma dalla prossima, ve lo prometto, si torna al demenziale XD
Non ho altro da aggiungere se non che aspetto un vostro riscontro, almeno per capire se vi è piaciuta oppure no ;)
Alla prossima!
D. *-*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2802348