E se non fossimo davvero così soli?

di aiLari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno strano presentimento ***
Capitolo 2: *** Nuovi incontri ***
Capitolo 3: *** Rosso come lui ***



Capitolo 1
*** Uno strano presentimento ***


Cap 1: Uno strano presentimento

Era notte, ormai. Le strade erano vuote e non si sentiva il benché minimo rumore, se non dei piccoli insetti presenti nei ristretti spazi verdi della città. Le vie venivano illuminate dai lampioni che emanavano una luce non troppo luminosa, ma abbastanza forte da permettere la vista dei marciapiedi.
Ogni tanto passava una macchina, ma di rado.
Quando ciò accadeva, lo spazio intorno a quest'ultima diventava vuoto e tutto veniva concentrato su di essa, sul forte trambusto che il motore emetteva al suo passaggio. Gli insetti si zittivano, anche se per un breve istante, per poi continuare le attività che poco prima svolgevano.
La maggior parte delle case presenti in questa città erano abitate da persone oramai stanche ed immerse nel proprio lungo sonno, tanto profondo da sembrare difficile da battere, se non impossibile.
I bambini più fortunati dormivano beatamente nel proprio dormitorio ed i loro genitori, dopo aver augurato loro la buonanotte, si incamminavano per la loro stanza. Altri, invece, si gettavano al di sotto delle coperte, dopo aver affrontato una brutta giornata basata sulle liti dei membri della propria famiglia.

Non tutti avevano una vita spensierata. I sogni di alcuni venivano continuamente turbati da brutti incubi creati da preoccupazioni, stress o brutte esperienze che hanno compromesso alcune parti essenziali della vita di quest'ultimi.


In una di queste case, un bambino chiuse da poco gli occhi, stringendo a sé il morbido peluche di sua appartenenza. Il suo sonno durò poco, sentendo dei rumori provenire dal pian terreno della propria abitazione.
Alzando con fatica le coperte che lo tenevano al caldo, abbandonò il nido dove, con la sua presenza, si era creata un'area, abbastanza ristretta, riscaldata dal proprio calore corporeo. Una volta messi i piedi saldamente a terra, un brivido lo percorse lungo la schiena per il cambiamento di temperatura: era oramai arrivato il periodo autunnale, e le calde giornate d'estate stavano man mano svanendo. Si incamminò verso la porta avendo poco presente la propria meta.

Quella sera sembrava tutto molto più silenzioso del solito.

Lo scricchiolio quasi inudibile che sentiva ad ogni suo passo sul parquette di legno di cui tutta la casa era tappezzata, sembrava quasi impossessarsi della sua mente costringendolo a concentrarsi sui propri movimenti.
Si avvicinò sempre di più alla massiccia porta di legno che aveva davanti, alzando il braccio sinistro verso la maniglia con l'intento di uscire dalla propria stanza mentre, nella mano destra, teneva stretto il pupazzo di peluche che, fino a qualche istante prima, stringeva al proprio petto.
Varcò di poco la soglia, osservando lo spazio a sé circostante cercando di capire da dove, quello strano rumore sentito poco prima, provenisse. Un misto di paura e di preoccupazione lo fece dubitare delle proprie azioni, spingendolo quasi a ritornare dov'era un attimo prima. La curiosità insieme alla poca voglia di riprendere sonno, lo spinse comunque a proseguire e ad avvicinarsi alle scale che conducevano al primo piano della piccola villetta. Percorse quel breve tragitto molto lentamente, guardandosi bene intorno. Nell'atmosfera si respirava una strana aria che neanche al bambino, nonostante la sua giovane età, riusciva a sfuggire.


"Mamma...?", disse, quasi sussurrando.

"... Papà?", continuò, scendendo gradino per gradino, osservando lo spazio a lui circostante. Il palmo della mano sinistra quasi scivolava sulla ringhiera ad ogni suo singolo passo.

"... Mamma?", ripeté ancora una volta, mentre il suo sguardo si rivolse ad una porta semi-aperta mossa dal vento, che cigolava leggermente. Vi si avvicinò a passo poco deciso guardando per qualche secondo le scale che aveva appena disceso. Una strana sensazione gli percorse la colonna vertebrale facendolo sentire improvvisamente a disagio.

Prese con entrambe le mani il peluche che fino a quel momento aveva trascinato per terra, stringendolo tra le braccia, quasi sprofondando col mento nella sua testa, cercando una sorta di coraggio attraverso quel contatto. Poi lo alzò inconsapevolmente, coprendo gran parte del viso. Solo gli occhi erano liberi dal tocco del materiale di cui era stato fabbricato l'orsacchiotto. Cercava in qualche modo di nascondersi, intimorito.

"C'è qualcuno... Qui?"

La finestra aperta che, improvvisamente, cominciò a sbattere contro la propria chiusura, provocò un rumore che lo fece quasi sobbalzare. Il vento, in quel preciso momento, decise di farsi più vivo irrompendo negli spazi dove era possibile il passaggio. Si avvicinò alla piccola finestra affiancata all'entrata dell'abitazione. Alzandosi sulle punte dei piedi, cercò di arrivare con i polpastrelli agli sportelli della fessura, tentando, in qualche modo, di socchiuderli, facendo sì che lo sgomento cessasse.

Mentre cercava inutilmente di raggiungere il proprio obbiettivo, la sua attenzione si spostò su una strana luce proveniente da fuori. Era una luce molto più forte di quella emanata dai lampioni. La vide muoversi in svariate direzioni, illuminando varie zone probabilmente casuali. Si spegneva e riaccendeva a tempo, come se fosse il segnale di un qualcosa. Successivamente si fermò, evidenziando una zona ben precisa, per poi chiudersi definitivamente.

Il vento cessò di soffiare e l'atmosfera si riempì del vuoto più assoluto.

Guardò in alto alla sua destra, dove era presente un orologio probabilmente di vecchia data. Il ticchettio di quest'ultimo si faceva largo nello spazio circostante aumentando sempre più di volume, fino ad impossessarsi di ogni minima particella di cui quella stanza era composta. Il cuore non smetteva di battere e l'ansia saliva: c'era qualcosa di strano in tutto questo.

Fece qualche passo indietro, ritornando dove si trovava qualche attimo prima di farsi distrarre dal rumore provocato dai vetri delle finestre. Continuando a guardare il punto che tanto lo aveva incuriosito una volta finita di scendere la rampa di scale, notò uno strano luccichio sul pavimento che subito lo fece stare allerta. Si avvicinò a quella zona, che non gli ispirava tanta fiducia, sentendo una strana aura, nell'aria: c'era qualcosa che, dentro di sé, gli diceva di allontanarsi da quel posto; gli diceva di non fare un altro passo, di starne il più possibile alla larga.

Allungò lentamente la mano posando le dita lateralmente al possente montante di legno davanti a sé. Sempre con la stessa cautela, lo tirò, aprendo completamente la porta.
Le pupille si restrinsero ed il cuore si fermò. Durante il passaggio del veicolo, il suono della sirena dell'ambulanza riecheggiò nell'ambiente, svegliando gli abitanti della città dal loro profondo sonno.



                                                                        ***


Il cuore gli si fermò in gola impedendogli di respirare. Si mise a sedere di scatto aprendo, di conseguenza, gli occhi. La vista era abbastanza offuscata e i raggi solari riflettevano sul suo viso.
D'istinto alzò il braccio per coprirsi la vista da quella luce, con gli occhi come fessure per il fastidio causato da quest'ultima. Si issò sulle proprie gambe andando a porre fine a quella seccatura, sospirando.
Rivolse successivamente il suo sguardo al letto dal quale si era appena alzato, notando le lenzuola abbastanza appiccicaticcie, impregnate del proprio sudore. Strinse in un pugno il bordo della t-shirt bianca a lui indosso, tirando con non-curanza il tessuto al proprio viso, cercando di eliminare i residui restanti sulla sua fronte.
Restò immobile per qualche istante, guardando un punto poco preciso nella stanza, mentre la sua mente era sovrastata da mille pensieri, dove era soprattutto uno a riemergere.


"Ancora quel sogno", pensò, guardando, successivamente, la piccola scatoletta rettangolare vicino al proprio comò, dove era segnata l'ora. Lesse il numero indicatovi sopra, scordandoselo una volta girato lo sguardo verso la porta.
Si incamminò verso l'uscita della propria stanza, per poi dirigersi verso il bagno, non molto distante dalla camera di cui aveva appena varcato la soglia. Si posò a corpo-morto con le mani sui bordi del lavandino, guardandosi attentamente allo specchio.


Osservò i suoi occhi neri e profondi come l'abisso, accorgendosi di quanto scuri fossero e di quanta insicurezza poteva leggerci dentro. Erano in pochi a rendersene realmente conto, questo perché faceva del suo meglio per dimostrarsi impassibile davanti a tutto.

Oramai era andata a finire così: Sasuke non poteva più mostrarsi per quello che era veramente, non ne era più capace. Qualcosa gli diceva che non era giusto agire in quel modo, costringendolo a rinchiudersi completamente in se stesso, allontanandosi, di conseguenza, quasi definitivamente dalla persona che era veramente.
Di una cosa lui, però, era ugualmente consapevole.
Sapeva di provare una sorta di paura, timore, ne era altamente al corrente.

Se gli fosse stato possibile, si sarebbe gettato all'interno delle sue pozze profonde per nascondersi dal mondo esterno, senza più provare nessun tipo di emozione, tra cui rancore, dolore, pentimento e... Amore? No, questo sentimento non lo aveva mai realmente sperimentato. Scosse la testa al solo pensiero, scompigliando ancor di più i capelli di un color corvino molto intenso, quasi come quello dei suoi occhi.


Allungò una mano alla manopola del rubinetto, facendo scorrere acqua a sufficienza da permettergli di bagnarsi completamente il viso. Prese una salvietta di fianco al lavello, tamponandosi il viso.
Possedeva la carnagione di una tonalità molto chiara, dando quasi l'impressione che anche il più piccolo granello di polvere fosse in grado di macchiarla. Anche la più piccola imperfezione poteva essere facilmente visibile sul quel tipo di pelle, ma lui aveva comunque un viso perfetto, che neanche la pubertà era stata in grado di scalfire.


Osservò i suoi tratti, concentrandosi soprattutto sulle occhiaie violacee che quasi gli incidevano il viso. Sembrava così stanco, così distrutto. Le sue giornate erano un susseguirsi di problemi e preoccupazioni, e neanche il riposo notturno poteva più soddisfarlo. Quel sogno, quell'incubo, cosa voleva mai significare? Era qualcosa di puramente casuale, oppure aveva qualche altro senso più logico? Una cosa, comunque, era certa: stava letteralmente impazzendo.

“La colazione è pronta", disse una presenza alle sue spalle, dopo aver picchettato con le nocche alla porta di legno spalancata del bagno, interrompendolo dai suoi pensieri.

Il diretto interessato rimase immobile, indifferente, come se nessuno avesse parlato. Ci volle qualche secondo prima che si voltasse, guardandolo.

“... Buongiorno", disse il moro, con fare passivo.

“Buongiorno a te, Otouto", rispose quello, accennando un dolce sorriso.

 

____Nota dell'autrice____ importante*

 

Salve! Grazie mille per essere arrivati fino a questo punto della storia. E' da un sacco di tempo che voglio scriverne una seria, quindi eccomi finalmente qua.

Questa è la mia prima FanFiction. Ho svolto anche altri lavori, che ho successivamente droppato/cancellato; o per la trama, secondo me poco coinvolgente, oppure per il blocco dello scrittore, che mi impediva di continuare il racconto.

Questo, comunque, è primo lavoro che pubblico ufficialmente su qualche sito/forum, quindi sappiate che ho la seria intenzione di portare a termine la storia. 
Prima di tutto ci terrei a dirvi che questa FanFiction la sto scrivendo principalmente per me stessa, quindi non so dirti ogni quanto l'aggiornerò. Considerando che la sto scrivendo per una ragione altamente personale, voglio prendermi tutto il tempo possibile e necessario. Però, vi assicuro che cercherò di non tenervi troppo sulle spine.
Recensite pure, mi farebbe tanto piacere!

Alla prossima _aiLari

PS: Se trovate degli errori nell'ultimo pezzo, vi prego di scrivermelo *l'ho scritto a scuola con il cellulare che mi correggeva anche i verbi, trasformandomeli in congiunzioni(?)*.

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Capitolo 2
*** Nuovi incontri ***


Cap 2: Nuovi incontri


Itachi era terribilmente inquieto. 

Era al lavello della cucina, concentrato a finire gli ultimi preparativi per la cena di quella sera. Girò il capo, guardando la persona seduta alle sue spalle, intenta a finire il proprio pasto. 

Teneva la testa china sulla propria ciotola, muovendo il cucchiaio d'acciaio in svariate direzioni, colpendo talvolta la ceramica della scodella. 

Il ripetuto ticchettio prodotto dal contatto della lama del coltello sul tagliere, insieme al tintinnio causato dal contatto di questi due oggetti, accompagnava il silenzio nella stanza.

Osservò attentamente il suo sguardo, concentrato sui movimenti che il polso svolgeva per compiere quell'azione. 
Sguardo perso nel vuoto, sguardo desideroso di un bel niente. 

Itachi intuiva che c'era qualcosa che gli veniva nascosto, anche se, effettivamente, gli era diventato abbastanza facile comprendere ciò l'altro potesse pensare. Si sentiva altamente colpevole nel vedere il fratello ridotto in quelle condizioni, credeva di essere lui il motivo di quel suo comportamento. Infondo era il maggiore nella famiglia, era lui quello a cui Sasuke avrebbe dovuto fare affidamento per la sua vita di tutti i giorni. 
Invece, non gli veniva mai detto nulla, c'era un enorme silenzio a regnare tra di loro. Nonostante fossero gli unici in quella casa, e ci abitassero oramai da anni, quando erano insieme nell'atmosfera regnava la quiete più totale.
Chiunque fosse riuscito ad assistere a quella scena, si sentiva intimorito ed incredibilmente a disagio; spinto a voltare lo sguardo verso la porta, aspettando il momento migliore per svignarsela. La tensione che c'era in quei momenti, poteva quasi essere palpata con le dita della mano. 
Quella mattina, come tutte le altre del resto, Itachi decise di fare il primo passo, cercando di trovare un argomento che spingesse l'altro a parlare e a "confidarsi".

"Non riesci a dormire bene, negli ultimi giorni?", chiese il fratello guardando le occhiaie del più giovane, voltandosi successivamente in avanti, ri-concentrando l'attenzione sul coltello con il quale era intento a tritare le verdure.

"Non proprio...", mugugnò il minore, senza muoversi minimamente dalla propria postazione.

Ci fu un attimo di silenzio, nel quale Itachi cercò di pensare a cos'altro dire. Sin dall'inizio si aspettava di non ricevere risposte chissà quanto elaborate dall'altro, quindi non si era minimamente sorpreso di ritrovarsi in un punto morto, dove non gli era concessa la possibilità di ribattere in qualche modo alle risposte monotone e dannatamente dirette del fratello. In fondo si assomigliavano molto, caratterialmente, oltre che fisicamente, sia chiaro.
Effettivamente avevano molte cose in comune, ma Itachi era quello che, sin da quando ne aveva memoria, aveva lavorato in tutti i modi possibili ed immaginabili a cambiare i lati introversi del suo carattere, cercando di essere più aperto con le persone da cui veniva circondato, specialmente col fratellino, che si era trovato a dover crescere con man propria sin dalla tenera età. Il problema principale, però, risiedeva nel non essere ricambiato in questo suo gesto, in questo suo sforzo. 

"Ieri mi ha chiamato Iruka - disse, facendo una breve pausa, nella quale guadagnò l'attenzione del moro più giovane che, nel sentire quelle parole, si girò quasi di scatto, osservandolo, in attesa di sentire la fine della frase - Dice che dovresti provare a relazionarti di più, nella classe, ed io penso che lui abbia ragione".

"Io, invece, penso semplicemente che questi non sono affari che vi riguardino", ribatté acido, lasciando il cucchiaio cadere nella ciotola. Inclinò la testa di lato, per poi posare il mento sul palmo della mano destra, col gomito fisso al legno del tavolo. 

"Sasuke, io sono tuo fratello, e lui è il tuo insegnante. È normale, per noi, essere preoccupati per te", rispose atono, socchiudendo gli occhi per il disagio venutosi a creare per quella situazione. 

"... Fate come vi pare", dichiarò il diretto interessato, senza mezzi termini. 
Si alzò, facendo strisciare le punte piatte delle gambe della sedia sulla pavimentazione, incamminandosi, poi, verso l'uscita della cucina.

Itachi lo guardò allontanarsi, fino a che non vide scomparire del tutto la sua sagoma. 
No, quella non era sicuramente l'argomentazione migliore per iniziare una bella chiacchierata in famiglia. 


 

Sasuke, più velocemente di quanto si aspettasse, arrivò nella sua camera: l'unico posto dove riusciva a trovare la tranquillità di cui realmente necessitava. L'unico posto dove gli era possibile rimanere in pace con se stesso, senza che nessuno glielo impedisse. Spalancò la porta ed entrò di scatto, richiudendola, poi, alle sue spalle. Era stato preso dal panico, e l'unica cosa che riuscì a fare in quella situazione, fu agire di conseguenza.
Si bloccò per qualche attimo sull'uscio della porta, ripensando all'accaduto di poco prima. Si sentiva incredibilmente stupido e dannatamente debole. Questa era la parte di sé che più detesta. Sapeva, conosceva molto bene il fratello maggiore.
Era a conoscenza di quello che faceva giornalmente per lui e di quanto fosse in pensiero per il suo comportamento freddo e distaccato, soprattutto nei suoi riguardi, soprattutto quando venivano toccati argomenti del genere. Eppure, non riusciva proprio a farne a meno. Era talmente ridicolo.
Forse aveva una grande necessità di sfogarsi. Forse aveva un grande bisogno di buttare fuori tutto il marcio che aveva dentro - e, di marcio, sicuramente, ne aveva accumulato tanto, negli anni-, aveva l'assoluto bisogno di ripulirsi completamente e di cambiare prospettiva di vita. Il piano c'era... ma forse la forza interiore per svolgerlo era talmente scarsa da essere quasi del tutto inesistente. Magari, essere soli, era la scelta sbagliata. Isolarsi era sbagliato. Essere se stessi, era sbagliato... Ma com'era, lui, veramente?

Si lasciò cadere all'indietro, sbattendo con le spalle alla porta dietro di sé. Scivolò su di essa, ritrovandosi a gambe incrociate a terra, esausto per un'attività che non aveva svolto. Chiuse gli occhi, lasciando cadere di peso la propria testa contro il legno presente alle sue spalle.
Nella mente rivisse alcuni momenti della sua infanzia. Ricordò quelli più felici, quelli indimenticabili; come quando provò per la prima volta ad andare in bicicletta, e ne era uscito fuori con lividi e graffi.
Rammentò la persistenza con la quale continuava imperterrite a rialzarsi e a risedersi sopra il sellino della "vettura", senza fare caso al sangue che gli colava dalle ginocchia e dai gomiti. Sorrise, quando pensò al fratello che, dopo averlo osservato come un segugio da lontano, gli si era avvicinato, sorreggendolo ed incoraggiandolo a fare del suo meglio, a non arrendersi, a non perdere di vista l'obbiettivo.
Era un sorriso amaro, il suo, un sorriso sofferente e pieno di rammarico. Si era creato un grande e forte legame, tra di loro.
Camminavano sempre assieme, l'uno affianco all'altro, inseparabili come non mai... Quand'è che tutto questo è cambiato? Da quanto tempo stavano andando avanti in questo modo? Da quanto tempo, soprattutto, aveva perso quella stessa voglia di vivere e di non arrendersi mai, neanche per le piccole cose? Evidentemente doveva essere tanto, visto che non riusciva nemmeno a ricordarselo. "Sono proprio un ingrato", pensò, abbassando la testa.
Si guardò le dita delle mani, intente ad intrecciarsi tra di loro, roteando i pollici. Le osservava, ma senza darci realmente peso. La sua mente era altrove, ed era completamente distaccata dalla sua vista.

Itachi, intanto, continuava i preparativi nella stanza affianco, poco distante da quella dove era presente il fratello, immerso nei propri pensieri. Anche lui, però, aveva molto a cui pensare, quasi che la testa gli sarebbe potuta scoppiare da un momento all'altro.
Con due dita si massaggiò la fronte, decidendo di porre fine ai suoi dilemmi e di concentrarsi esclusivamente su quello che da un po' era intento a svolgere. Quella sera avrebbero avuto degli ospiti, a cena, e voleva far loro una buona impressione.

Da poco, vicino casa loro, si era trasferita una nuova famiglia. Non sapeva bene chi fossero e di chi si trattasse, ma il proprietario della struttura - amico di vecchia data del Uchiha maggiore - aveva raccontato ad Itachi dell'interessamento da parte di qualcuno nell'acquisto di quel appartamento.
Il moro, dopo aver sentito che tra di essi c'era un ragazzo molto giovane, della stessa età del fratello per giunta, si era "esaltato" - per così dire. Quella sarebbe stata l'occasione perfetta: avrebbe fatto in modo che i due si avvicinassero, così che Sasuke riuscisse a trovare finalmente un... amico.
Sperava solo che potessero andare d'accordo; sperava che il fratellino riuscisse, una volta per tutte, ad uscire fuori dal guscio nel quale si era, oramai da tempo, imprigionato. 
Guardò il numero indicato dalle lancette dell'orologio che indossava al polso. Si rese conto che il tempo non gli mancava e che, quindi, poteva procedere con tutta la possibile calma. Quella serata sarebbe stata molto importante. 


                                                          ***
 

Ore 19:24, mancava poco all'arrivo degli ospiti tanto attesi. 

Itachi era già davanti all'entrata, con l'intento di aprire la porta il prima possibile ai nuovi arrivati, senza farli attendere troppo all'uscita. Pensava, intanto, a cos'altro potesse mancare. La tavola era apparecchiata ed il cibo era caldo, pronto per essere servito.
La casa era perfettamente in ordine, con neanche un cuscino fuori posto; aveva passato l'intera giornata ad assicurarsi che tutto fosse rigorosamente in ordine, nonostante fosse già ordinato di suo. Indossava una camicia grigia, con dei pantaloni neri non troppo aderenti. Si squadrò da capo a piedi allo specchio che aveva di fianco, chiedendosi se quel tipo di abbigliamento potesse andar bene - infondo gli bastavano due minuti per ricambiarsi, in caso cambiasse idea a riguardo.
Si rese conto che neanche lì c'era qualche problema. Fece quindi un profondo respiro, stendendo i nervi. 

"Itachi, non è da te comportarti in questo modo. Sii naturale. Sii naturale", si ripeteva mentalmente. 

Sasuke, intanto, era nel soggiorno seduto comodamente sul divano. Riteneva quella serata abbastanza inutile ed insensata, oltre che improvvisa ed insolita. Non gli era mai capitato, in diciassette anni, di vedere il fratello ridotto in quelle condizioni.
Non gli era mai capitato di vederlo così interessato a qualcosa. Lo osservava dalla sua postazione, vedendolo quasi tremare dal nervosismo. Non si sarebbe minimamente sorpreso se l'avesse visto svenire da un momento all'altro. Sudava freddo, e glielo si leggeva in faccia che era a disagio. 
"Ma cosa gli prende... "

Il campanello suonò ed il cuore di Itachi smise per un secondo di battere. Ingoiò la saliva che gli era rimasta in gola e che non riusciva a mandar giù.
Si avvicinò con la mano alla maniglia, aprendo la porta. Le corde vocali gli si ritorsero contro, perché non si decidevano ad entrare in funzione. L'unica cosa che, alla fine, riuscì a dire, fu una parola uscitagli anche male:

"B-Buonasera!", quasi gridò, una volta avuti davanti i suoi nuovi vicini di casa. 

Quella sera, forse, qualcosa sarebbe cambiato. Sentiva che quello era il momento giusto per fare in modo che la situazione venisse sfruttata a proprio vantaggio. 

 

 

____Nota dell'autrice____

Salve a tutti, ragazzi! Alla fine ho pubblicato il capitolo prima del previsto *non mi aspettavo seriamente di finirlo così presto*.

C'è una cosa che non vi ho chiesto, nel capitolo precedente: cosa ne pensate della lunghezza del testo?
E' una domanda abbastanza importante, perché così riuscirei finalmente ad orientami a riguardo.
Detto questo, vi ringrazio per aver letto anche quest'altro capitolo! Ho già un'idea - anche se vaga - di come scrivere il successivo, quindi non penso ci vorrà molto neanche per la pubblicazione di quest'ultimo - salvo imprevisti.

Consigli, critiche? Sono aperta a tutto - come scrittrice, infatti, non sono di chissà quale livello, e vorrei provare a migliorarmi -.

Grazie ancora, un bacione!


 

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Capitolo 3
*** Rosso come lui ***


In questo capitolo vediamo un'altra scena dalla prospettiva di un altro personaggio: il nostro biondino - ve lo scrivo qui, così che possiate capire a primo impatto il tutto.

Salve, ragazzi! Come va? Questa volta ho deciso di aggiungere le mie note personali all'inzio del capitolo, giusto per cambiare un po' - anche se, vi giuro, non ci sto più capendo niente di questo "Editor per l'html". Dannato tu sia. Lo so, mi odiate tanto perché è passato un sacco dalla pubblicazione del precedente, mi dispiace tanto-- Purtroppo ho avuto un sacco di casini, ultimamente, e la voglia di scrivere era davvero poca - senza contare che verso la metà mi era sparito tutto, quindi sono stata costretta a riscrivere parola per parola. Ho preferito aspettare il momento ideale per farlo, principalmente perché non mi andava di sforzarmi troppo rischiando di scrivere cavolate a destra e a manca - non l'ho fatto, alla fine, vero?...-. Pensavo di farmi perdonare allungando di più il testo di questo capitolo, ma poi mi sono detta che era meglio evitare, visto che non avrei saputo intuire il tempo che avrei impiegato per farlo *quindi magari alla fine sarebbe passato altro tempo ed avrei deciso di droppare tutto, considerando la vergogna che avrei successivamente provato per l'aggiornamento così... poco aggiornato(??)*. In questo capitolo ho un po' osato. Diciamo che ho provato ad essere molto più aperta ed ironica in alcune parti. Grazie mille per seguirmi e per aver recensito i capitoli precedenti. E' davvero bellissimo, per me, leggere quello che scrivete. Se lo faceste anche questa volta, ne sarei davvero tanto entusiasta. Ditemi cosa ne pensate, naturalmente. Accetto consigli e/o critiche. Baci, alla prossima! *non so quando sarà, però. Il pensiero di cosa si smetta scrivere mi fa salire l'ansia*

_aiLari

Cap 3: Rosso come lui 

Si diceva che lui era un sole. Un sole luminoso, un sole difficilmente spegnibile di cui era impossibile ignorare l'esistenza. L'altro invece era la notte. La notte buia e silenziosa, una di quelle notti nelle quali solo le stelle riuscivano ad illuminare la strada. In quel caso lui l'avrebbe definito una di quelle stelle, anche se l'altro non si sentiva in grado di possedere un'importanza tale da permettere la vista del cammino altrui. 
"Hey, hey, hey... Cosa sono? Una ragazzina innamorata che scrive frasi di cui neanche lei sa il significato?", sorrise, a quel pensiero, senza comunque riuscire a trattenere una risata soffocata: quante cose erano cambiate, in così poco tempo? Certo, da quando aveva compreso appieno i suoi veri sentimenti non era cambiato molto, tra loro - considerando il suo cercare di far finta di nulla, aspettando il momento giusto per dirglielo, sempre se gli si sarebbe mai presentato davanti -, ma dentro di sé sapeva qual era la verità, anche se non era pienamente consapevole per quanto tempo sarebbe riuscito a tenerla ancora nascosta. 
Uscì con una mano dalla tasca dal giubbotto a lui indosso per scompigliarsi i cadenti ciuffi biondi sulla fronte, continuando a camminare a testa bassa sul marciapiede bagnato dalla rugiada, facendosi spazio tra la poca gente presente in giro quella sera. 
Cosa avrebbe dovuto fare, per gestire la situazione da quel momento in avanti? Avrebbe dovuto aspettare? Avrebbe dovuto fare il primo passo? E se il tutto li avrebbe separati, allontanandoli l'uno dall'altro? Forse quello non era né il momento e né il posto adatto per pensarci. Si erano dati appuntamento fra qualche minuto in un bar della zona. Senza che ne avesse fatto parola, si era già ben deciso e ben organizzato il da farsi durante quella uscita: attività extra-scolastiche o, come meglio definito da lui, "quello-a-cui-non-sarei-mai-voluto-arrivare". Decise che era meglio non aggiungere altro, cercando di godersi quei pochi istanti di libertà prima dell'inizio di un periodo scolastico e di stress alle stelle che l'avrebbero costretto - per la millesima volta - a rinchiudersi in casa a... studiare.

Beh, se ci fosse sempre lui ad aiutarmi, non mi lamenterei sicuramente..."

Non era certo il primo della classe, ma cercava in ogni modo di riprendere le materie a lui arretrate evitando la bocciatura, visto che i suoi non ne sarebbero stati sicuramente entusiasti e lui, soprattutto, non ne sarebbe uscito illeso, considerando il gioioso carattere della sua adorabile madre dai capelli rossi che sembrano prendere vita, quando perdeva le staffe - cosa che capitava abbastanza spesso. La sua vivacità, però, lo metteva sempre a dura prova sia quando si parlava di studio che di vita in generale. 
Sta di fatto che, però, era cambiato molto, negli ultimi tempi - secondo il suo parere -, considerando che tempo prima prendeva tutto sull'ironico, anche quando c'erano in ballo situazioni ben più serie. Quindi, in fin dei conti, i suoi ne sarebbero dovuti essere orgogliosi, o, meglio, perché non si dimostravano per niente interessanti in questo suo... Ehm... Cambiamento? 

"Eppure... È stato proprio questo mio modo di fare, ad averci fatti avvicinare...", sorrise ancora, questa volta per la sua stupidità. Nonostante ci stesse provando, non riusciva proprio a toglierselo dalla testa. Lui era al centro dei suoi pensieri. Lui era al centro della sua mente. Lo pensava. Sempre. Costantemente.

Girò lo sguardo verso la vetrina affianco, dove si erano accesi alcuni riflettori che permettevano la vista della merce esposta nel buio della sera. Erano sparsi lungo la vetrata, illuminandola da svariate direzioni. Lui continuava a camminare, senza dare importanza al tempo trascorso fuori. Si era da poco trasferito ed aveva deciso - di malavoglia, sia chiaro - di uscire fuori di casa lasciando il divertentissimo incarico di badare al trasloco ai suoi genitori. 

"Stare fermo" erano parole di cui il suo corpo non conosceva bene il significato, e, sicuramente, stare a guardare persone trasportare mobili ed aggeggi vari, non era, per lui, una vera e propria pacchia - nonostante avesse ripetuto con tanta enfasi il contrario, alla madre, qualche istante prima di sbatterle la porta in faccia, svignandosela. 
Per non rischiare di esplodere da un momento all'altro, quando si annoiava, doveva trovare qualcosa in grado di distrarlo. Questa sua caratteristica, infatti, gli impediva di stare a lungo seduto su una sedia con la testa china sui libri. 
Sta di fatto che, per l'appunto, preferì uscire a fare due passi ispezionando la zona circostante. Fortunatamente possedeva un discreto senso dell'orientamento, quindi non gli era mai capitato - secondo le sue ipotesi - di perdersi seriamente da qualche parte per poi essere costretto a chiedere l'aiuto di qualcuno che lo riportasse indietro - tranne che una volta e, doveva ammetterlo, era stato davvero imbarazzante, considerate le condizioni poco presentabili nelle quali si era fatto ritrovare.

Aveva il naso rosso per la bassa temperatura presente nell'atmosfera, nonostante indossasse una sciarpa abbastanza pensante con la quale cercava di coprirsi il viso. Al contrario di questo, comunque, adorava quel periodo dell'anno nel quale poteva sentire sulla sua pelle l'aria fredda invadergli tutto il corpo. Non era un'ossessione, la sua, era più che altro un cambiamento che amava sentire in prima persona. Prese la sciarpa rossa tra le mani, stringendola ed immergendovici dentro il viso. Aspirò aria nei polmoni, rigettandola quasi subito dopo, creando nuvolette di vapore intorno a sé che andarono man mano scomparendo, per poi riformarsi dopo un suo altro respiro. La lana della sciarpa gli solleticava leggermente le narici ed un pensiero lo fece sorridere per una terza volta, come un ebete: quella sciarpa gliel'aveva data lui, era un suo regalo.

Si fermò davanti ad un edificio una volta notata l'insegna che affermava il suo arrivo. Strinse con la mano la tracolla della borsa attorno al collo e sospirò, varcando poi la soglia. Si guardò intorno notando subito un bancone ben fornito di un po' tutto, tra cibo e bevande. L'ambiente molto accogliente e rilassante, oltre che poco affollato, accompagnava la piacevole atmosfera che si respirava in quel non troppo piccolo spazio chiuso, dove si poteva comunque ammirare l'esterno dalle grandi vetrate lungo i muri. I tavoli erano abbastanza ampi ed i sedili a primo impatto sembravano anche essere molto comodi. Insomma, pareva essere un posto ideale nel quale studiare. 

"Studiare... ? Davvero? Davvero sono venuto fin qui per fare una cosa del genere?!"

Continuò ad ispezionare lo spazio circostante finché la sua ricerca non venne portata a termine una volta intravisti i capelli rossi - come il rosso della sua sciarpa, che d'altronde non faceva altro che ricordarglieli - di un ragazzo seduto sui divanetti del locale, intento a leggere un libro. 

"È arrivato in anticipo - sorrise - ... me l'aspettavo". Si avvicinò a lui tenendo lo sguardo fisso sulla sua figura, con in viso lo stesso sorriso da ebete di poco prima che non riusciva a far cessare. Continuò comunque a guardarlo, nonostante fosse distante da lui di qualche passo. In un certo senso adorava osservarlo, soprattutto mentre possedeva quello sguardo concentrato, in questo caso sulla lettura. Avrebbe voluto avere su di sé, quello sguardo tanto attento. Scosse la testa ai pensieri poco casti che gli stavano passando per la testa, attirando inconsciamente l'attenzione dell'altro. I suoi occhi verde chiaro erano rivolti verso di lui, mentre le sue labbra si inarcavano in un piccolo e leggero sorriso, uno di quelli che solo lui era in grado di vedere e di cogliere appieno.

"Naruto", disse poi, mentre il biondino aveva ancora il suo sguardo incollato addosso, paralizzato per quel piccolo gesto che ogni volta gli faceva perdere un battito. "Ultimamente sorride sempre più spesso...". Questo pensiero lo rasserenava, perché evidentemente era proprio così, quindi non poteva che esserne entusiasta.

"Hey, Gaara... È da tanto che aspetti?", sorrise timidamente, alzando la mano destra alla sua nuca scompigliandosi di poco i capelli.

"Sì. Quindi, per scusarti per l'attesa, offrirmi qualcosa da bere", dichiarò senza mezzi termini chiudendo il libro, per poi posarlo nella borsa stesa sul tavolo.

"Hey... T-tu... Da quand'è che sei diventato così ironico?", fece in smorfia di risposta.

"Ma io non stavo scherzando".

Inutile dire che alla fine era andata come da programma, anche se non si aspettava minimamente di essere costretto a tirar fuori il portafoglio appena entrato dentro il locale. Si erano accomodati in un posto abbastanza angolato ed isolato della sala, con il tavolo ripieno di libri, quaderni e penne. Si poteva benissimo ammirare la seguente scena: Naruto con la testa fumante e Gaara, affianco a lui, con una mezza-crisi di nervi per l'aver ripetuto una minima cosa per la centesima volta, nonostante lui fosse noto per possedere una pazienza fuori dal normale che, però, oramai, stava evidentemente perdendo. Anche questo, però, rientrava nel programma "prevedibilità".

"Naruto, cosa ti prende?", chiese esasperato. "Sapevo che non sarebbe stato facile, ma oggi ti vedo più distratto del solito", dichiarò, infine, guardando il diretto interessato, in attesa di una risposta.

Gaara aveva proprio ragione: quel giorno era molto più distratto del solito. E come avrebbe potuto non esserlo, avendo il ragazzo che oramai sognava ad occhi aperti - oltre che chiusi - a pochi centimetri di distanza? Senza considerare il suo respiro che sentiva continuamente addosso, ogni tal volta il rosso gli si avvicinasse per controllare i suoi lavori, facendo diventare quei pochi centimetri di distanza millimetri. Avrebbe davvero potuto concentrarsi, in una situazione del genere? Magari avrebbe dovuto - nonostante ci stesse provando -, ma sta di fatto che i suoi sforzi si dimostravano essere inutili, visto che il suo cervello non si decideva a collaborare.

"Scusami... ", sospirò anche lui, una volta mollata la penna dalle mani ed alzato gli occhi al cielo.

Forse... Quello sarebbe stato il momento ideale? Il momento giusto per dirgli una cosa del genere? In un posto come quello? In un giorno, come quello? Dio, quanto avrebbe voluto dirglielo e farla finita in quel preciso istante. Avrebbe voluto dirgli che lo sognava, lo pensava, lo voleva, lo desiderava, lo bramava e lo divorava anche solo con gli occhi. Avrebbe voluto dirgli che gli piaceva, gli piaceva da impazzire fino a darne di matto lui stesso. Questo fardello oramai lo stava distruggendo ed aveva bisogno di liberarsene alla svelta, per non finire sotto terra con esso per quanto fosse e diventasse sempre più pesante, rischiando di spezzargli le ossa.

"Senti... Devo dirti una cosa". 

O la va, o la spacca.


            ***

Prese il cellulare dalla tasca per controllare l'ora. La vista era offuscata e cercò di metterla a fuoco, scacciando con le mani le lacrime che gli rigavano il viso. Una volta fatto, vide la sua cartella dei messaggi intasata. L'aprì per controllare, trovando subito una serie di SMS poco tranquillizzanti da parte della madre che, minacciandolo, gli ricordò della cena di quella sera alla quale anche lui avrebbe dovuto prendere parte ed alla quale, naturalmente, stava già facendo ritardo.
Il suo cuore, però, era a pezzi e quella piccola parte ancora intatta non trovava la forza per alcuna reazione a quelle parole che, solitamente, gli avrebbero impiantato le ali sulla schiena facendolo volare alla velocità della luce per farlo arrivare il prima possibile, sempre se prima non gli avessero dato direttamente il dono del teletrasporto. 
Le lacrime continuavano a scendere imperterrite nonostante lui cercasse di scacciarle via. Loro, però, non gli davano retta e continuarono ad agire di propria volontà.
Era come una lotta, una lotta contro se stessi nella quale stava avendo la peggio. Si incamminò per la via del ritorno con talmente tanti pensieri nella mente che non sapeva più dove ficcare la testa. Che poi, alla fine, a cos'è che stava pensando, realmente? Non lo sapeva neanche lui, ma probabilmente lo sforzo di creare anche un piccolo ragionamento sensato lo stava mandando in tilt. 
Avrebbe dovuto smetterla e porsi un fine a tutto questo. 
In fin dei conti lui se l'aspettava. 
Già sapeva che sarebbe finita in quel modo perché, in fin dei conti, a chi sarebbe mai potuto piacere un tipo tanto insulso come lui? A chi sarebbe mai potuto piacere un tipo tanto comune, goffo, nulla-facente come lui? Sicuramente non ad un ragazzo come Gaara, certo. Certo. Non ad un ragazzo come lui...

 

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