Titolo: Innocence
(Avril Lavigne©)
Autrici: yami_x_dark
Parte: 2/4
Rating: nc17,
AU
Paring: J-squared ( Jensen Ross Ackles x Jared Tristan Padalecki)
Disclaimers: i
personaggi qui presentati sono maggiorenni ed ogni riferimento a cose, persone
o fatti è puramente casuale.
INNOCENCE
Secondo Capitolo
Present
I would
scream
“don't live me behind”
through this Last Night...
Norimberga, Settembre 1820
Si sistemò il vestito ancora profumato di
amido, il colletto della camicia alzato appena. Guardandosi allo specchio,
Jensen si vide al massimo del suo fascino.
Sorrise ammiccante, mettendosi di profilo per
un secondo: « Mi piace questo panciotto, mi fa magro! » ridacchiò, voltandosi a guardare Jared, posato alla
finestra come suo solito.
La luce del tramonto traspariva a stento, ormai
prossima a dar posto alla notte.
La figura di Jared, così statica, sembrava
rievocare uno di quei quadri che tanto andavano in quel periodo. Un'espressione
della natura “sublime”, come l'avevano definita i critici
d'arte. Malgrado ciò, per Jensen quell'attimo era uno
di quelli che avrebbe sempre recato nel cuore. Di nascosto, se necessario.
Jared socchiuse gli occhi, prima di voltarsi a
guardare il paesaggio al di là della finestra, osservando orde di mercanti
girovagare per i vicoli della città, un tempo centro più importante del
commercio Europeo : « si... ti dona molto...» rispose
di rimando, posandosi con entrambi i gomiti sul davanzale di legno del salotto.
Sorrise quasi forzatamente anziché studiare i
suoi, di abiti.
Portava quelli del loro primo incontro:
Quelli di vent'anni
fa, ancora completamente intatti:
pantaloni neri, lupetto nero, una cinghia rossa legata in vita; al collo una
semplice collana privata di un qualsivoglia ciondolo.
Posò il suo sguardo suoi mutevoli colori del
cielo studiandone il rosa salmone sfumato dall'azzurro dei lapislazzuli, al blu
scuro, quasi pece.
Dopodiché si passò una mano ai capelli,
sistemandosi un ciuffo castano che insisteva nell'andargli a coprire parte di
un occhio smeraldo.
In ogni gesto, Jensen aveva imparato a cogliere
intere frasi non dette.
Lo guardava, anche per un solo secondo, e
subito vedeva Jared dire con un semplice sguardo “Guardami, non vedi che c'è
qualcosa che non va in me?”.
Sorrise, pensando a quanto ingenuo fosse quello
che ormai considerava il suo unico legame. Da anni aveva scoperto che cos'era
Jared.
Quest'ultimo, non di meno, aveva pensato bene d'insegnargli il mestiere di
cacciatore di creature sovrannaturali. Una decisione bizzarra, dato che Jared
stesso era uno di quelle.
Ma Jared non sapeva che lui sapeva...
Per anni, gli aveva tenuto nascosta questa sua
piccola consapevolezza, celandola dietro un muro invalicabile della sua mente.
« Sei pronto...? » gli chiese Jared, andando verso l'appendiabiti dal quale
prese la sua giacca nera, che meglio rammentava un mantello, con tanto
d'orologio a taschino.
Se la posò sulle spalle, guardandolo con aria
pressoché assente.
Una delle sue espressioni più dure in volto.
Quelle che negli ultimi tempi spesso usava,
apparentemente senza un motivo preciso.
Jensen annuì, guardandosi intorno alla ricerca
di Zanzi: « Micio micio micio...?
Dai che andiamo a vedere il Macbeth! » esclamò tranquillo, senza notare lo
strano comportamento del compagno.
Quest'ultimo che già si trovava davanti alla porta che aveva provveduto ad
aprire, notò Zanzi uscire quasi a stento
da sotto al tavolo, zampettando con una certa lentezza verso Jensen.
Si passò una mano alla fronte, prendendo a
massaggiarsi una tempia con fare frustrato. Sapeva che non sarebbe
sopravvissuto ancora a lungo.
« solo se il principino si muove...»
provvedette poi a fargli notare con tono di voce seccato, pronto a dargli le
spalle ed avviarsi da solo lungo il sentiero che portava al viale principale.
Il viale della “piazza mercato”.
Si guardò attorno, non trovandovi altro che
mura datate molti secoli prima.
Poi si voltò, lanciando una rapida occhiata
alla casa.
Come sempre si ritrovò a pensare quanto isolata
fosse la sua piccola dimora.
Un po' rimandava alla realtà circostante:
chi avrebbe mai avvicinato un essere come lui?
chi avrebbe solo osato rischiare di avvicinare
tanta malvagità raccolta in un corpo dalle parvenze seducenti ed eleganti?
Sorrise.
Meglio l'isolamento pressoché totale invece
della consapevolezza di dolore altrui.
Il biondo prese tra le braccia il felino, senza dire nulla mentre si
chiudeva la porta alle spalle. In un attimo, fu al fianco sinistro di Jared, un
sorriso forzato sulle labbra. Ormai era alto non quanto lui, ma quasi. Di
certo, ora nessuno poteva più affermare chi fosse il più giovane tra loro due.
In vent'anni, Jared non era cambiato di una virgola,
ed ora potevano apparire agli altri come due fratelli.
Fratelli...
No, non lo erano, né lo sarebbero mai stati.
Non ci voleva nemmeno pensare.
Sospirò, prendendo a pensare dietro il solito
muro mentale che frapponeva tra lui e il compagno. Negli ultimi tempi, si era
trovato a pensare sempre più spesso a Jared, ma in un modo che nulla aveva di
fraterno. Non sapeva definirlo altrimenti se non tensione...Tensione e
basta, che fosse ben chiaro.
Si voltò a guardarlo, silenzioso, scoprendovi
sul viso un'espressione divertita e compiaciuta. Rabbrividì, facendo un passo
indietro:
« Non è come credi! » cercò di giustificarsi,
temendo la capacità di lettura del pensiero propria di alcune creature della
notte. In definitiva, non sapeva bene di che razza fosse Jared. Almeno su
quello era stato abile a non farsi scoprire.
Quello si voltò a guardarlo con cipiglio
evidentemente perplesso:
« come? » chiese, sforzandosi di risultare
perlomeno pacifico.
In realtà la sua mente vagava altrove da
parecchi giorni.
Schiuse le labbra come per parlare ma si bloccò
di colpo, scuotendo debolmente il capo. Non era il caso di lasciarsi andare a
ricordi troppo melensi pure per lui.
Jensen, rosso in viso, voltò il capo altrove,
cercando di rilassarsi.
Non avrebbe mai osato discutere di quei
pensieri con lui. Tutto troppo rischioso.
Dopo aver ripreso fiato con un lungo respiro,
tornò a guardare la strada davanti a sé, di lontano un via vai di gente diretto
proprio dove stavano andando anche loro. Osservò Jared con la coda dell'occhio,
chiedendosi solo in quel momento dove avesse la testa. Era da un po' di giorni
che faceva così.
Forse perché mancava poco all'anniversario di
quell'evento...
Sorrise tirato a Zanzi, accarezzandogli il pelo
ormai sciupato.
Una volta raggiunto il teatro presso il quale
si sarebbe tenuto lo spettacolo, Jared lanciò un’occhiata rapida all’orologio
da taschino argenteo che teneva nella giacca. Erano arrivati giusto in tempo
per accaparrarsi i posti migliori, forse.
A quel punto si guardò attorno confrontando i
loro abiti non troppo riservati con quelli di tutti i presenti; si lasciò
sfuggire un lieve sorriso.
Modestia a parte, erano i migliori.
Avanzò qualche passo verso la biglietteria,
sfilando dalla tasca dei pantaloni le monete necessarie per comprare due
biglietti in prima fila.
Jensen si guardò attorno per alcuni istanti,
prima di mettersi bene dietro al suo compagno. Con una mano, continuava ad
accarezzare Zanzi, preoccupato dalle sue flebili fusa. Sembrava sul punto di
smettere di respirare da un momento all’altro.
Il biondo guardò Jared, seguendolo una volta
entrati nella sala di rappresentazione.
Quello gli indicò un posto a sedere, alla sua destra.
Le poltrone rosse che stonavano con l’ambiente
circostante.
A partire dal palco color noce ai tendaggi
verde scuro.
Anche Jared guardò Zanzi per un breve istante,
preoccupato tanto quanto Jensen.
In fin dei conti, quel gatto, l’aveva
accompagnato per 26 lunghi anni.
Senza mai abbandonarlo un solo istante.
Sospirò, allungando una mano ad accarezzarlo
dietro alle orecchie con fare perso; del tutto improprio per uno come lui.
L’opera iniziò, le luci divennero soffuse, ed
un scrosciare di applausi accolse i primi attori sul palco.
Attento, Jensen, si prodigò ad assistere con
attenzione a quella storia, certo che, alla sua fine, Jared gli avrebbe
sottoposto il solito questionario didattico, lo stesso che gli aveva imposto
per tutti quegli anni.
Per alcuni minuti si mantenne vigile, poi il
suo sguardo si posò inesorabilmente su Jared. Il centro della sua esistenza,
rifletté, ecco che cosa rappresentava quell’individuo seduto tra molte altre
persone.
La sua famiglia, la sua casa…era tutto lì.
In vent’anni, non era
cambiato nulla.
Ora, invece, sentiva che qualcosa stava per
rompere quell’equilibrio, ed il solo pensarci lo faceva angosciare.
Jared socchiuse gli occhi, per nulla
preoccupato di perdersi parte dell’opera che si stava svolgendo su quel palco
dalle parvenze lussuose.
Non era la decima volta che lo stava guardando,
ma quasi.
Si passò una mano alla fronte, dando
improvvisamente l’aria di essere molto, molto stanco. Non si prodigò nemmeno di
nasconderlo mantenendo, in questo modo, intatta la sua perenne facciata.
Accarezzò con fare perso il bracciolo della
poltrona sulla quale era seduto, arrivando a credere di star man mano
impazzendo.
Con il passare dei minuti.
Delle ore.
Degli anni.
Accavallò le gambe, com’era suo solito fare,
prima di chiudere totalmente gli occhi lasciandosi trasportare dalle voci degli
attori che giungevano alle sue orecchie come un semplice brusio di sottofondo.
Jensen finse di non vedere. Da sempre agiva in
tal modo, credendolo l’unico in grado di mantenere l’equilibrio vigente tra lui
e Jared.
Detestava tale stratagemma, perché poneva un
ostacolo nel loro rapporto, seppur necessario. Guardò il palco: una giovane
donna era appena entrata, gemente nel suo recitare. Si chiese perché Shakespeare amasse così tanto la tragedia.
Lui la odiava. Gli riportava alla mente cose
che mai avrebbe voluto ricordare.
Il biondo si lasciò sfuggire un sospiro,
lasciandosi cadere con il capo sulla spalla vicina di Jared. “Consolami…”,
pensò.
Quello respirò a fondo, senza mai aprire gli
occhi, mentre passava un braccio dietro la schiena di lui; posando la mano alla
nuca del ragazzo che prese a massaggiare con calma alquanto forzata.
Le dita che si muovevano in lentissimi segni
circolari, adeguandosi involontariamente al respiro di lui.
Voltò appena il capo posando le labbra sulla
testa di lui, baciandone i capelli con fare frustrato.
Poi tornò, almeno in apparenza, a guardare
quella recita dalle tonalità decisamente scure che ben si adeguavano al suo
attuale umore:
« Ho sempre preferito l’Otello…» commentò, più
a sé stesso che ad altri, ritornò a mettersi in posizione eretta e composta
sulla comoda poltrona.
Jensen sorrise con aria mesta, cercando di
recuperare un briciolo di entusiasmo:
« Perché non ce ne andiamo…?» propose, quasi
temendo un’occhiata remissiva da parte del compagno. “Una cosa la si guarda
fino alla fine!” , lo sentiva spesso dire.
« Perché ho pagato i biglietti…» rispose invece
il moro prima di lanciare un’occhiata rapida al gatto che Jensen teneva fra le
braccia.
Improvvisamente i tratti del suo viso indurirono,
incapace di nascondere in altri modi ciò che realmente, dentro, stava provando.
E così Zanzi se n’era andato.
Lì, in quel momento.
Come a volerlo avvertire che, prima o poi,
sarebbe tornato ad essere accolto dalle braccia dell’amorevole solitudine.
Più prima che poi.
Alzò i suoi occhi smeraldo su Jensen senza
aprir bocca.
Non aveva parole, per quell’infame circostanza.
Il giovane non se n’era accorto, sentendo
ancora caldo il corpo del felino sulle sue gambe. Annuì diligentemente il capo,
tornando a guardare il palco. Non sapeva più quante volte, ormai, aveva
compiuto quel gesto.
Guardare Jared, guardare il palco, annoiarsi,
rimettersi a guardare Jared.
Con un nodo alla gola, chinò il capo ad
accarezzare Zanzi. Rimase angosciato, nel vedere gli occhi di vetro fissi al
vuoto, la testa che rischiò di trascinare a terra tutto il corpo del felino.
Trattenne a stento un gemito, portando una mano
alla bocca.
Morte, di nuovo.
Terrorizzato, controllò che Jared fosse ancora
al suo fianco.
Quello prese fra le sue mani affusolate il
caldo corpo del felino che, sapeva, avrebbe rischiato di cadere in giro di
pochi istanti.
Si alzò, facendo un rapido cenno a Jensen,
pregandolo di seguirlo fuori dalla stanza padronale del teatro.
Una mano che continuava ad accarezzare il folto
pelo del gatto, l’altra che lo reggeva quasi fosse stata la cosa più importante
su quel pianeta.
Aumentò il passo, sembrando quasi correre fuori
da teatro, arrivando nel piazzale davanti allo stesso sotto l’incessante
scrosciare della pioggia.
Non gli era mai piaciuta la pioggia.
Lo faceva sentire solo.
Completamente.
Portava solo disgrazie.
Il giovane dietro di lui esibì un sorriso di
circostanza a chi li vide uscire con tanta rapidità. Non amava mentire alle
persone, ma quello di certo non era un evento come un altro. Anche se la parola
“evento” aveva una connotazione fin troppo positiva per ciò che era successo.
Si accostò a Jared, prendendolo per un
braccio:« Non riesco a starti dietro…» gli fece notare, ansante.
Avevano già percorso l’intero piazzale di
Norimberga, ed ora erano allo sbocco della terza stradina presa da Jared nella
sua corsa disperata.
Jensen aveva il fiatone, il sudore che
gl’imperlava la fronte come quando rincorreva uno dei suoi bersagli.
Il moro lo fissò negli occhi, quasi con astio:
« Colpa tua, che non ti alleni a sufficienza »
sembrò ringhiare, scuro in volto « com’è che pensi di ammazzare un vampiro, un
licantropo o qualsiasi altra creatura stando in questo stato pietoso?! » gli
fece notare con un cenno del capo, facendo riferimento al respiro accelerato ed
al sudore che ricopriva parte di viso.
Jensen rimase impietrito, sentendosi una
pugnalata al cuore nell’udire quelle parole tanto cariche di rabbia. Lasciò la
presa dal braccio del vicino, guardando il viale acciottolato davanti a loro,
nel più completo sconforto: « Non mi trattare così…» protestò, la voce ridotta
ad un sussurro.
« Vattene » ribatté soltanto Jared, con voce
secca; i lineamenti del viso ancora induriti dalla rabbia che stava per avere
la meglio in quell’istante.
Apparentemente.
Realmente era una rabbia controllata.
In fin dei conti, era ora che Jensen se ne
andasse per la sua strada.
Guardò il gatto dal pelo ormai umido ancora fra
le sue braccia.
Era meglio far tutto.
E subito.
Com’è che si diceva, di quei tempi?
Due piccioni con una fava.
Perso in quei ragionamenti, non si accorse di
ciò che aveva appena causato nell’animo del ragazzo ancora al suo fianco.
Jensen lo stava fissando senza alcun sentimento
apparente, camminando con le mani in tasca. Aveva un piccolo ciuffo di capelli
biondi che gli coprivano la fronte che fino a pochi momenti prima era
rilassata. Ora, invece, era talmente corrucciata al punto che con difficoltà
qualcuno non avrebbe intuito qualcosa.
« Cosa c’è, hai paura di farmi del male, Jared?
» chiese, mettendo molta enfasi nel pronunciare quel nome: « Vuoi eliminare
anche me ora, Jared? » continuò, un ringhio gutturale nella gola.
Quello si limitò dapprima a fissarlo con uno
strano bagliore nero negli occhi.
Sembrava quasi che la pupilla si fosse dilatata
a dismisura ma, in realtà, così non era. Poi incurvò leggermente le labbra in
un sorriso alquanto sinistro, specie se stampato su una bocca come la sua: « e
se così fosse, Jensen? » chiese con voce metallica, chinando il capo di lato, con
il chiaro intento di allontanare quel ragazzo a cui doveva anni della sua
tormentata felicità.
Quello avanzò una mano su quella di lui che
ancora accarezzava il felino, guardandolo con palese dolore: « Non te lo posso
concedere…Jared…» sussurrò.
Il moro lo guardò sorridendo forse di più
mentre andava a posare il gatto su un lato della strada, tornando pochi istanti
dopo davanti a Jensen allargando le braccia con fare teatrale: « su, allora. Dov’è la tua pistola? ».
Una mano del ventiseienne andò a raggiungere la
pistola che aveva nascosto dietro la schiena, all’altezza della cintola. La
sollevò, facendola vedere bene a Jared: « Questa? » chiese, mollando di colpo
la presa. La colt cadde a terra con un tonfo metallico, mentre gli occhi del
ragazzo andavano alla ricerca di quelli del suo protettore. Del suo maestro.
Dell’unica persona che gli interessasse in vita.
« Come sei teatralmente sentimentale e
melanconico…» rispose l'altro a quel gesto con finto fare disgustato, scuotendo
deluso il capo.
Con uno scatto raccolse la pistola che fece
rigirare fra le proprie dita in quei pochi istanti necessari a rimettersi
eretto.
Lo guardò, facendo spallucce.
Se la puntò alla fronte, compiaciuto.
« Se non lo fai tu, lo faccio io. E’ sempre
stato così e sempre lo sarà. »
Jensen cadde visibilmente nel panico per la
seconda volta, scattando a prendere la pistola con entrambe le mani: «
Smettila! » urlò, tremante.
Zanzi e Jared?
In un giorno solo?
Dio lo voleva morto fino a quel punto?
Cercò di strappare via la pistola dalle mani di
Jared, ma quelle dita non sembravano voler mollare minimamente la presa: «
Smettila di fare i tuoi trucchetti da creatura
sovrannaturale!» protestò, guardandolo in faccia: «Subito! »
Jared scosse il capo con lentezza esasperante,
passandosi la lingua sul labbro inferiore, i canini belli in vista: « Mi hai
molto deluso… non si è mai visto un cacciatore… supplicare…? » chiese con fare
quasi innocente, portando l’indice al grilletto della colt.
Jensen ringhiò, andando a tappargli la bocca
d’impulso con le proprie labbra. Vi mise tutta la sua energia, lasciando
perdere la pistola, afferrandolo per le spalle.
Poco importava: se Jared avesse voluto, si
sarebbe sparato comunque, anche con lui attaccato alla sua mano nel tentativo
disperato di fermarlo.
Valeva di più dire tutto, prima che fosse
troppo tardi.
Abbattere il muro che aveva creato nella sua
mente, lasciare che Jared sapesse: di quello che provava per lui, di quello che
sapeva di lui, degli anni passati a proteggerlo senza conoscere la verità, troppo
terrorizzato per comprenderla.
Jared rimase immobile come una roccia, gli
occhi fissi ad osservare il viso di Jensen così maledettamente vicino al suo.
Respirò a fondo, quasi fosse stato agonizzante.
Quasi stesse bruciando.
E poi uno sparo squarciò il silenzio devastante
che li circondava, mentre Jared si accasciava su Jensen senza dire una sola
parola.
Il battito cardiaco di Jensen aumentò di colpo,
ora inarrestabile, mentre tentava di tenere in piedi Jared, vedendo la colt
cadere a terra, la presa delle mani di Jared che sembrava esser venuta meno.
Con uno sguardo disperato, guardò il moro,
sentendosi squarciare da dentro. Peggio di quando erano morti i suoi genitori,
peggio di quando era morto il marito di Ellen, peggio di quei precedenti
minuti, in cui aveva perso il suo compagno di giochi di quand’era bambino.
« …ma io sono…» le parole gli morirono in
bocca, le lacrime che iniziarono a cadere sulle sue guance.
“…innamorato di te…” avrebbe voluto concludere,
mentre sprofondava il viso nella spalla di Jared, confuso, disperato,
completamente sotto shock.
« …Che scena… commuovente…» commentò con voce
roca il vampiro, gli occhi nuovamente smeraldo fissi sul capo di un Jensen
troppo stupido per capire che non si era sparato.
L’aveva messo alla prova.
Non poteva farne a meno.
Lo sentì gemere in modo assurdo, poi i loro
occhi s’incontrarono.
Quelli di Jensen erano già rossi di pianto, le guance rigate
di due continui fiumi di lacrime. Gli si dipinse sul volto una smorfia, prima
incredula, poi furiosa.
« Oh… il Tigri e l’Eufrate…» commentò allora,
ilare, riferendosi a tutte quele lacrime che
solcavano il viso distrutto del biondo.
« …TU! MALEDETTO STRONZO! » sbraitò, dandogli
un pugno all’addome.
« IO? » chiese ingenuamente, facendo gli occhioni dolci, sbattendo le ciglia un paio di volte
soltanto « colui del quale “ti sei innamorato” ? non pensavo di reincarnare il
tuo ideale di donna… a quanto pare ti ho cresciuto male…» si passò una mano ai
capelli sorridendo ora mestamente, sistemandogli quel ciuffo di capelli biondi
che, ancora da prima, desiderava sfiorare con tutto sé stesso.
Il ragazzo lo lasciò andare, dandogli di
spalle, cercando invano di asciugarsi il viso, dato che anche i suoi vestiti
erano bagnati.
Jared chinò appena il capo fissandogli l’incavo
del collo, silenziosamente, prima di scuotere il capo.
Si era smascherato così presto solamente a
causa di quello.
Una pulsazione troppo rapida rischiava di
dargli la testa e fargli perdere il controllo. Specie se era la “sua” di
pulsazione.
Avrebbe voluto rimanere immobile più tempo, per
osservare ciò che Jensen avrebbe fatto. Ma gli era stato impossibile.
Il suo viso divenne una smorfia di disgusto
mentre tornava a rimettersi in piedi, diretto verso casa, Zanzi già in braccio.
Jensen ora era libero di seguirlo, o meno.
Certo era che avrebbero dovuto parlarne.
Nel caso l’avesse seguito anche dopo la messa
in scena di tutta quella tragedia.
Non gli riuscì di carpire alcun pensiero
proveniente da lui.
Cosa che Jensen stava cercando di fare
appositamente, fin troppo scosso da quel bello scherzo di cui era stato
vittima.
Il biondo sentì Jared allontanarsi, e si voltò
a guardarlo per un lungo momento.
« Vampiro, insomma…» constatò solo, chinandosi
a prendere la pistola. Se la rigirò tra le mani, controllando i proiettili. Ora
erano tutti d’argento.
Il primo era sempre di ottone. Non avrebbe
comunque causato la morte di Jared, fosse lui stato licantropo o zombie, tanto
meno vampiro.
Rise sconsolato.
Era davvero stupido.
Mosse un passo verso Jared, indeciso. Alzò gli
occhi a guardare quella figura allontanarsi piano piano,
e si affrettò a seguirla. Come aveva sempre fatto quando l’altro lo lasciava
indietro.
Jared chinò impercettibilmente il capo,
rendendosi conto che il ragazzo lo stava seguendo per davvero. Sorrise
mestamente scuotendo debolmente il capo con fare abbattuto. Avrebbero dovuto
parlarne per davvero.
Jensen gli era ormai di fianco, lo sguardo
chino a terra per evitare ogni sorta di contatto. Stava ancora cercando di
mantenere la calma, ed accettare la natura che sempre aveva sospettato di
Jared. Ma rendersi conto che i suoi presupposti erano validi lo confondeva non
poco. Perso, si arrese al bisogno, andando a stringere la mano libera di Jared,
sperando di non essere rifiutato.
Il vampiro alzò gli occhi al cielo rimuginando
su ciò che era effettivamente successo poco prima, mentre allacciava le sue
dita a quelle di lui.
Un miscuglio fra il caldo vitale e il freddo
mortale.
Ripensandoci, si rese conto di essere stato
scosso da un brivido, tanto era che non aveva un qualsiasi tipo di contatto con
un corpo “vivo”.
A parte quelle misere strette di mano a cui
ormai si era abituato.
Respirò a fondo osservando la loro casa
avanzare man mano che la loro camminata proseguiva inesorabile.
Non sentì una parola da parte di Jensen nemmeno
quando giunsero davanti alla porta. Il biondo l’aprì con le sue chiavi,
lasciando la presa delle mani per prendergli il gatto che ancora teneva stretto
al petto. Jared lo vide allontanarsi, deporlo in quello che per anni era stato
il suo giaciglio, sorridere alla figura ormai priva di vita di Zanzi, alzare lo
sguardo su di lui.
Il tutto con una tranquillità e con un vuoto di
pensieri proprio solo di un bambino.
Jared richiuse la porta alle sue spalle,
passandosi una mano ai capelli bagnati dalla pioggia che solo per un breve
momento aveva smesso di cadere.
Una specie di tregua.
Si addentrò nella sua stanza con l’intento di
cambiarsi d’abiti:
pantaloni neri e camicia bianca semi
sbottonata.
Tornò in sala abbandonandosi al divano pronto
per un eventuale discussione.
Pronto per eventuali domande.
Che, a dirla tutta, si aspettava.
Invece, Jensen gli arrivò davanti, sedendosi a
terra a gambe incrociate, un taccuino sgualcito in mano. L’aveva visto spesso.
Era stato il suo primo regalo per lui. Lo vide aprirlo, alla ricerca di una
pagina poco lontana dall’inizio, e poi la voce profonda di Jensen riempì la
stanza:
« Oggi siamo andati da Ellen. Fuori era freddo.
Jared ha detto che oggi era ilo tergiversario del
nostro incontro. Ho pensato che fosse qualcosa d veramente speciale, il tergiversario di noi tre. Ellen sembra non essere
d’accordo. Ma lei non è mai d’accordo. Jared la chiama “ Madama controversa”.
Madama controversa, appena ci ha visti, ci ha lasciato me e Zanzi con quei suoi
due cosi brutti, Jo e Ash.
Quelli due non mi piacquono. Dicono che non mi devo
fidare di Jared.»
Il giovane girò con calma la pagina,
continuando la lettura senza badare di essere ascoltato. Sapeva che Jared era
attento. Doveva esserlo.
«Jared quando parla di me con Ellen si irrita.
Oggi era irritato. Quindi parlava di me. Mentre parlava con Ellen ho visto due
cose spuntare dalla sua bocca. Due zanne, splendenti e affilate.» fece un lungo
sospiro, poi continuò la lettura.
« …Ma ho deciso. Io non le ho viste. Non ho
visto niente. Jared poi è tornato da me e ha cacciato Ash
e Jo in malo modo. Era di brutto umore. Io gli ho
sorriso. Lui si è rilassato e mi ha scompigliato i capelli. E’ la verità: io
non ho visto niente.»
Accarezzò la nota a piè di pagina, la data riportava
il 30 Novembre del 1802.
Guardò Jared, inspirando a fondo: « Un anno
dopo che mi hai raccolto, già sapevo che tu non eri umano. E non ho mai detto
nulla. Non perché temessi che tu mi divorassi. Non volevo essere abbandonato,
né tantomeno volevo abbandonare te. Puoi capire
questo?»
Il moro inspirò a fondo, accavallando le gambe
di proposito mentre spostava il suo sguardo dal ragazzo al soffitto.
Sentì un grosso peso addossarsi al suo petto
ma, al contempo, una grossa parte di quello svanire: « a quanto pare sono stato
un pessimo… istruttore? Posso dire di esserlo stato? ».
Socchiuse gli occhi abbandonando il capo alla
poltrona.
Addolorato per ciò che aveva causato in Jensen.
L’aveva costretto a mantenere un segreto.
L’aveva caricato di un grosso fardello, a soli
sette anni.
Quasi non gemette per la frustrazione di tale
consapevolezza.
L’altro richiuse quel piccolo diario,
legandogli attorno un laccio di cuoio che teneva unite tutte le pagine ormai
prossime a scindersi l’una dall’altra.
Lo posò sul mobile vicino al divano dove Jared
sedeva, rimanendo in silenzio.
Quest’ultimo si passò una mano sul viso, nascondendo parte del turbamento che
gli aveva causato quella lettura.
Sospirò, storcendo leggermente la bocca, non
sapendo come comportarsi in quel preciso istante.
Spesso era così.
E risultava irritante e frustrante al contempo.
Jensen rimase a guardarlo a lungo, poi decise
di andare a sedersi al suo fianco, porgendogli una mano con fare
disinteressato.
Il moro non la guardò nemmeno, alzando il capo
a guardare il muro davanti a lui, massaggiandosi l’attaccatura del naso. Si
morse appena un labbro trattenendo l’ennesimo sospiro carico di frustrazione.
«… e dunque, cosa ti aspetti ora da me? che
diavolo vuoi, da me? » chiese, serrando la mascella con fare abbattuto.
Sentì una risata carica di amarezza. Sembrava
proprio una di quelle pessime situazioni da coppia in crisi.
Jensen sollevò una mano al mento di Jared,
facendolo voltare verso di lui:
«…un premio.» disse solo, lo sguardo alle
labbra ora diafane del vampiro.
Il moro roteò gli occhi, deglutendo appena nel
pensare quale tipo di “premio” avesse in mente Jensen.
Accavallò le gambe nel senso opposto,
avvicinandosi al biondo con fare totalmente inconsapevole in quell’istante.
« Vuoi una macchinina giocattolo? » chiese,
perplesso come non mai.
L’altro alzò un sopracciglio, poco incline a
credere a quella panzana dell’ultima ora: possibile che Jared non ci arrivasse?
E poi sarebbe stato lui il bambino, ma per favore.
Il giovane riflettè
solo un istante di più prima di rispondere: « Ormai sarei pronto anche per una
vera, se è per quello. Ma no, non voglio una macchinina. » commentò non molto
entusiasta.
« E allora cosa? » chiese, incrociando le dita
delle mani, preoccupato.
« Dimmelo chiaramente, senza tanti giri di
parole, possibilmente. Non sono “in vena” » disse aspramente « di tante
cialtronerie ».
Il ragazzo al suo fianco sorrise tranquillo,
una scintilla di timore che passò sui suoi occhi prima che desse la risposta.
« Voglio te…» gli riuscì di sussurrare, un nodo
già in gola nell’attesa di una risposta negativa.
Jared chinò appena il capo, prima di andare a
guardarlo quasi con ovvietà:
« Mi hai già » disse allora, quasi stupito,
fissandolo dritto negli occhi con aria ora abbattuta. Il fatto che non arrivasse
a comprendere fatti che per lui erano quasi certezze, lo facevano sentire non
male, ma quasi.
« Non come vorrei in questo momento, Jared...»
sospirò l'altro, passandosi una mano ai capelli, lo sguardo che dava ad
intendere più dei gesti quale fosse il senso recondito delle sue parole.
« E come vorresti, dunque? credevo di averti
insegnato a esprimerti liberamente con me » ribatté, portando una mano a
massaggiarsi nervosamente il collo.
Nel petto un senso di pesantezza maggiore, che
lo caricava più della sua capacità di portata. Non avrebbe resistito oltre.
Jensen si passò ripetutamente le mani sui
pantaloni, quasi a togliervi una polvere che non c'era. Poi chinò il capo, in
modo da poter voltarsi verso Jared, sfiorandogli le labbra con un bacio. Si
fermò subito, ritraendosi di poco: « Voglio te...Jared...capisci...?» chiese,
catturandogli di nuovo le labbra, la mano posata a quella di lui che reggeva il
collo.
Jared strinse con forza la mano libera in un
pugno ben serrato, imprimendovi tutta la sua frustrazione mentre si limitava a
scuotere il capo con lentezza ineluttabile. Dicendogli che no, non capiva.
O meglio.
Era meglio che non capisse.
Un umano ed un vampiro, per di più dello stesso
sesso in un'epoca come quella?
O voleva il linciaggio o, comunque fosse,
voleva morire.
Quell'altro lasciò cadere la mano che aveva
stretto, allontanandosi con il viso, la morte nel cuore: « Scusami. » gli
riuscì di dire a fatica, mostrando un sorriso palesemente falso. Si sedette
composto, mani in grembo, a fissare il vuoto.
Il moro si limitò ad annuire, scompigliandogli
i capelli con fare amichevole, quasi tentato di provare a spiegare le sue
motivazioni più concrete, ma scosse il capo, arrendevole.
Si avviò verso la propria stanza color cremisi,
tentando di lasciarsi alle spalle quel trucido scambio di sguardi avvenuto fra
loro due nel giro di soli pochi minuti.
Che avevano cambiato pressoché tutto.
Jensen lo lasciò andare. All'inizio non si
mosse. Aveva il vuoto più completo in testa. Si morse il labbro, cercando di deviare
quel senso di abbandono altrove.
Chiuse gli occhi per un lungo momento e si
alzò, diretto verso camera di Jared.
Si posò al stipite della porta, braccia
incrociate al petto, guardandolo cambiarsi con aria disinteressata. Un
repentino cambiamento sembrava averlo colpito. Pareva intento a guardare non
più una persona che amava, bensì tutt'altro.
« Preparo una tisana alle cinque erbe, ne
desideri una tazza?» chiese con tono conciliante.
« Mi piacerebbe un bel piatto di ostriche »
rispose Jared invece, con aria persa, immaginandosi di già quella vampata
d'energia che lo avrebbe invaso. Tutto grazie all'ossigeno contenuto in esse,
capaci di epurare il suo sangue.
Il compagno annuì accondiscendente,
allontanandosi verso la cucina a fare come gli era stato chiesto. Passo calmo,
tranquillo, senza timori.
Jared terminò di vestirsi con pantaloni in
pelle nera e lupetto dello stesso colore.
Ai piedi ora calzava un paio di stivali a
punta, praticamente nuovi.
Si passò una mano ai capelli castani, come per
sistemarseli, prima di tornare in cucina, posando entrambe le mani al tavolo
lavorato da un loro amico artigiano.
Fissò la schiena di Jensen, intento a capire
cosa stesse preparando:
« le cucini davvero? » chiese, incredulo.
Il giovane si fermò, voltandosi a guardarlo,
posandosi con le mani al mobile su cui erano disposte le ostriche che Jared
aveva richiesto: « Sì, ma, malauguratamente mi sono tagliato nell'aprirne
una... » spiegò con aria tranquilla, portando alla bocca un pollice
insanguinato.
Lo umettò, cercando di rimuovere l'evidente
liquido rossastro, gli occhi estremamente calmi fissi sulla figura di Jared,
come se guardarlo lo aiutasse nel compiere il gesto. Non v'era più nessuna
coerenza tra il comportamento tenuto fino a pochi minuti prima.
Quell'altro socchiuse gli occhi cercando,
evidentemente, di trovare altra distrazione, che non lo portasse al profumo del
sangue di lui.
Indurì appena la mandibola, deglutendo
pesantemente nel notare che ogni suo tentativo era chiaramente vano.
Ma non si arrese.
Aprì nuovamente i suoi occhi ancora smeraldo su
Jensen, nel notare una lieve striscia di sangue scivolare dal pollice fin sotto
la manica della camicia blu.
Si passò una mano alla tempia: « finché si
tratta di un simile taglietto, non è nulla di così grave...» disse allora,
coraggiosamente.
Jensen chinò lo sguardo, osservando per un
attimo la ferita che persisteva nel sanguinare. Leccò via la scia di sangue che
gli era sfuggita, poi iniziò a passarsi sulle labbra il pollice con estrema
calma: « Mi dispiace...sono stato sbadato.» rispose con scarso entusiasmo.
Il moro nemmeno rispose, intento com'era a
deconcentrarsi da tutto quel pulsare attorno a lui: « non devi scusarti con me,
semmai dovrei esserlo io che ho lanciato questa pessima idea » spiegò, la voce
pacata.
Jensen avanzò di un passo, tra loro il tavolo
enorme della cucina. Vi si posò con un fianco, guardandolo con attenzione: «
Vuoi assaggiare...?» chiese di punto in bianco, umettando le labbra col sangue
per l'ennesima volta.
Jared si immobilizzò per un lungo istante,
prima di studiarlo con calma, i lineamenti del viso totalmente rigidi: « no »
disse chiaro e tondo, prima di scostare lo sguardo, incrociando le braccia al
petto, con l'intento di mettervi maggiore distanza fra loro.
Di scorcio, vide il biondo passarsi la punta
della lingua sul labbro superiore, mordendo quello inferiore un istante dopo: «
Parlavo delle ostriche, Jared...» spiegò rilassato il giovane, sospirando, un
eco di gemito nel farlo.
« E a cosa credevi mi riferissi? » ribatté
l'altro, dandogli le spalle, evitandosi, in quel modo, di balzare dall'altra
parte del tavolo per afferrare il polso di Jensen e portarselo alle labbra.
Batté nervosamente le dita sul tavolo, l'anello
al pollice che aggiungeva un ticchettio
metallico al tutto. Cercò di non pensare al seguito di ciò che avrebbe voluto
fare, ridendo debolmente, una mano alla fronte.
Non si accorse dei movimenti di Jensen, ora
praticamente ad un passo da lui. Era talmente concentrato a resistere, che una
cosa importante come quella gli era sfuggita. Il ragazzo si portò davanti a
lui, bloccandolo tra il suo corpo e il tavolo. Senza una visibile via d'uscita.
Jared si bloccò per la seconda volta, nell'arco
di quella che stava risultando la più lunga ed estenuante giornata della sua
vita.
Non alzò gli occhi su Jensen, ormai resosi
conto delle intenzioni dell'altro, evitando ogni contatto possibile. Dagli
occhi, al resto del corpo.
Oppure avrebbe potuto letteralmente perdere il
controllo che aveva ancora su di sè.
Jensen posò le mani al tavolo, ciascuna vicina
ai fianchi di Jared, ma senza muoversi oltre. Respirava con calma insolita, gli
occhi bassi a guardare il poco spazio tra loro. In realtà, non c'era malizia in
quel suo agire. Era solo delusione, una forza repressa che chiedeva sfogo e vendetta.
Jared si passò una mano alla bocca, poi
all'attaccatura del naso, gli occhi semi chiusi, il respiro evidentemente
irregolare.
Il petto che si alzava ed abbassava a velocità
prossima ad un attacco cardiaco, se solo fosse stato un umano.
Sentendosi chiuso in trappola, a stento, alzò
gli occhi su di lui.
Occhi nei quali già albeggiava un bagliore
pericolosamente prossimo al rosso.
La mano tornò ad abbassarsi con eleganza, e la
posò sulle proprie labbra, quasi accarezzandole, prima di farla cadere pesantemente
lungo il suo fianco.
Oramai era troppo prossimo al limite di
sopportazione, ma Jensen voleva davvero tutto questo?
Il ragazzo di fronte a lui volle imitarlo,
posando il pollice nell'esatto punto dove prima lui stesso aveva passato le sue
dita. Lo guardava con aria vaga, quasi ignaro dello stato in cui Jared versava.
Passò con estrema lentezza tutto il labbro
inferiore, guardando solo ed esclusivamente la sua mano sulle labbra di Jared.
Le labbra di Jared.
Il sangue sulle labbra di Jared.
Sorrise, chinando appena il capo di lato, come
un bambino che scopre qualcosa per la prima volta.
Il moro schiuse appena le labbra, senza mai
rompere quel contatto visivo che aveva tanto voluto non instaurare.
Respirò a fondo, osservando il modo in cui
Jensen lo stava, o meglio, si stava osservando. Di riflesso, chinò il capo a
sua volta, le mani che graffiavano il tavolo con violenza. L'impulso era di
fare tutt'altro.
D'istinto, si passò la lingua sulle labbra,
lieve.
E già quello fu un errore.
Il primo di una lunga serie.
Di questo, almeno, ne era perfettamente
conscio.
Il sorriso di Jensen sembrò diventare più
consapevole, gli occhi che andavano a ricercare quelli sfuggenti di Jared: «
Guardami...» gli chiese con voce bassa, premendo lievemente il pollice sul
labbro inferiore del vampiro.
Quest'ultimo fece come gli era stato chiesto, più per eco, che per reale
consapevolezza di starlo facendo.
Affondò le unghie della mano sinistra nel
tavolo, la destra ora al fianco del biondo.
Ora combattuto.
In parte era capitolato.
In parte persisteva nel tentativo alquanto
flebile di resistergli.
Gli occhi che lo guardavano erano del consueto
azzurro, eppure non sembravano più tanto innocenti quanto li ricordava. Avevano
una nota di grigio, che la diceva lunga sul perché Jensen ora stesse prendendo
il mento del moro, avvicinando le loro labbra. Il corpo che si lasciava
sorreggere in parte dalla mano di Jared.
Quello si lasciò sfuggire un respiro
rantolante, nel percepire le calde labbra di Jensen su quelle mortifere di lui.
Anche la mano sinistra andò a posarsi sul
fianco corrispondente del ragazzo, con l'intento di attirarlo verso di sè, seduto comodamente sul tavolo di noce della cucina.
Gli accarezzò le labbra con la propria lingua,
concentrato a pulire ogni residuo di sangue rimasto sulla bocca di lui.
Le labbra del biondo non dovevano rimanere che
candide.
Caste e pure.
Jensen mugolò contrariato, sentendo di dover
alzare il capo per ritornare a baciarlo. Passò le mani intorno al collo di
Jared, stringendolo a sè, quasi nel tentativo nel
fondere le loro labbra, inspirando a fondo.
Fu un brivido caldo a smuoverlo, allargando di
più le gambe per lasciargli tutto lo spazio necessario a muoversi, piegandosi
più verso di lui per fare in modo che quel bacio divenisse qualcosa di più.
Non c'entrava più il sangue ora.
C'entrava invece il calore, le labbra, il
desiderio.
La consapevolezza che Jared stesse desiderando
lui quanto lo stava desiderando a sua volta, gli fece venire quasi un capogiro.
Jensen schiuse le labbra, approfondendo quel
bacio ancor più di quanto non avesse tentato Jared, mentre una mano vagava per
i capelli del vampiro.
Il moro raggiunse quella stessa mano, che
strinse con forza risoluta nella propria.
Se la portò alle labbra e, nel contempo, riaprì
gli occhi che altro non esprimevano se non amore per quella creatura che gli
stava davanti.
Amore e desiderio, di averlo tutto per sè.
Fissò i suoi occhi a quelli di Jensen, mentre
le sue labbra baciarono la soffice pelle di lui con fare letteralmente
altisonante.
Il ragazzo tradì nello sguardo qualcosa di
simile al dolore, ma con una carica di coinvolgimento tale da far comprendere
facilmente di che tipo di sofferenza si trattasse. Calmo, in apparenza,
avvicinò a sua volta le labbra alla mano che reggeva la propria, senza smettere
di guardare il suo mondo.
Jared richiuse gli occhi, mentre le sue labbra
prendevano a concentrarsi in un sol punto, l'espressione del volto che non
lasciava intuire alcun tipo di emozione.
Passò a leccargli l'indice, poi il pollice in
modo chiaramente lascivo.
Un ciuffo di capelli castani che andava a
coprirgli parte del viso.
Un brivido percorse tutto il braccio del
compagno, quasi fosse stato colpito da una scossa elettrica. Il biondo posò la
testa alla spalla più vicina del moro, inspirando a fatica, la presa sulla sua
mano che andava aumentando nervosamente. Non c'era bisogno di parole, di
sguardi. Jared sapeva esprimere tutto solo con i gesti. Gesti che lo stavano
facendo impazzire più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Jared respirò a fondo, tornando a posare lo
sguardo su Jensen che pareva stare per collassare.
Sorrise malizioso, allontanandosi il minimo necessario dal ragazzo per
sistemarsi quella ciocca ribelle dietro l'orecchio; dopodiché accavallò le
gambe, sedendosi composto sul tavolo.
Le mani posate al tavolo grazie al quale si
reggeva:
«...tutto qui...?» chiese poi, tranquillo,
passandosi la lingua sul labbro superiore.
Quella che stava per attuare era una specie di
vendetta.
Niente di personale.
Jensen rimase imbambolato per un lungo momento,
come privato dell'aria, senza capire bene cosa fosse successo. Si guardò
intorno alla ricerca delle mani di Jared e non vedendole guardò il vampiro
emettendo un gemito contrariato: « No! » esclamò sul punto di crollargli lì
davanti.
Jared sorrise ilare, alzando appena la gamba in
modo che la punta degli stivali andasse ad accarezzargli l'inguine:
«... come no...?» ribatté, passandosi una mano
fra i capelli.
Il ragazzo boccheggiò, come alla ricerca di
parole sensate. L'unico problema era metterle in ordine: « Mi tenti...tu mi
stai tentando! » protestò, cercando di avanzare verso di lui, di toccarlo di
nuovo, di prenderlo e non lasciargli più possibilità di fuga.
Il piede prontamente lo bloccò, lasciando tempo a Jared di chinare con estrema
lentezza il capo, il solito ciuffo di capelli che tornava a coprirgli l'occhio:
«...ma no... ma cosa dici... » sussurrò
sottovoce, alzando poi la testa al soffitto, mettendo così, il collo in bella
vista.
Quel semplice gesto, unito all'impossibilità di
movimento, provocarono in Jensen un ghigno di pura malignità. Prese la gamba di
Jared e la piegò, portandola tra le gambe per poter nuovamente avere in pugno
il compagno. Gli prese una ciocca di capelli all'altezza della nuca e lo fece
piegare verso di lui, iniziando a giocare con la lingua sull'orecchio destro
del moro.
Jared ridacchiò, passandogli una mano sul
fianco avvicinandolo a lui per l'ennesima volta. Il ginocchio che si sollevava
appena, arrivando a zone a cui solo poco dopo avrebbe donato tutta la sua
attenzione.
L'altra mano libera ai soffici capelli di lui.
Jensen sembrò apprezzare alquanto il gesto,
lasciando che gli istinti si concentrassero solamente a procurare piacere al
compagno. Aprì la mano sul collo di lui, massaggiandolo dovutamente con una
certa pressione.
« Vuoi ...qui...?» chiese al suo orecchio con
un sussurro, senza essere troppo chiaro.
«... Non sarei di certo io ad avere
problemi...» mormorò di rimando, attirando il viso di lui al suo con entrambe
le mani, mettendovi più foga di prima nel bacio che seguì.
Nel ricambiarlo, Jensen si sistemò a suo
piacere sulla gamba di lui, trattenendolo a sé con tutta l'energia che aveva in
corpo. Approfondì con malizia il bacio che v'era tra loro, la mano libera
intrufolatasi sotto la camicia.
Jared si lasciò sfuggire di proposito un lieve
mugolio di piacere, mentre raggiungeva lascivo la mano del compagno che vagava
sul suo petto scolpito.
Una volta trovata, vi posò sopra la propria,
guidandolo su zone che sapeva essere molto sensibili, tremando e gemendo nel
percepire le sue attenzioni.
L’espressione del viso che esprimeva estasi
allo stato puro.
S’inarcò verso di lui posando la mano sinistra,
quella libera, alla cintola del ragazzo, con la quale giocò a lungo:
intrufolando la mano e toccando zone molto sensibili prima; allontanando la
mano e leccandosi le labbra sensuale poi.
Il biondo protestò con un gemito, andando a
baciarlo di nuovo, mordendogli le labbra per sfogare la frustrazione che il
vampiro aveva provocato in lui. Quasi rabbiosamente, premette con intensità la
mano sotto il comando di quella dell'altro: « Letto...» suggerì, la mano libera
che massaggiava il freddo collo di Jared con palese bisogno.
Il moro sorrise del tutto a suo agio,
prendendolo in braccio in modo tale da non allontanarlo dal suo corpo di per sé
ancora interamente vestito.
Camminava con semplice calma lungo tutto il
perimetro della casa, le labbra che solleticavano il collo del biondo con
costante malizia.
Lo posò a terra solamente una volta entrato
nella stanza, della quale chiuse la porta con un semplice movimento di spalle,
chiudendola con un tonfo chiaro e netto. E allora, solo in quel preciso
istante, tornò a guardare Jensen dritto negli occhi, mentre le proprie mani
esperte andavano a denudarsi della camicia che aveva indossato solamente da
pochi minuti.
Lo sguardo del ragazzo era miseramente caduto
su quei gesti accorti che stavano chiudendo la distanza tra loro. Mugolò,
distogliendo lo sguardo per ritrovare un minimo di lucidità. Gesto che non
servì a niente, dato che si permise di sbirciare con desiderio quei muscoli
scolpiti che facevano capolino dal tessuto.
Jared posò il proprio sguardo su quei stessi
movimenti che stava egli stesso compiendo arrivando ad aprire ogni bottone di
quell'intrigante camicia.
Respirò a fondo, come afflitto da qualcosa,
mentre se la toglieva con calma, lasciando che scivolasse a terra con chiari
movimenti calcolati.
Dopodichè tornò a guardare Jensen di sottecchi, appositamente, prima di decidere
di parlare con assoluta “discrezione”, posando le mani sulla camicia del
ragazzo, con aria quasi disinteressata: «...faccio io...? » chiese in un
leggero mormorio, mentre il pollice andava ad accarezzargli la parte di collo
scoperta, il capo leggermente chino a studiarlo.
Il biondo chiuse gli occhi risentendo le mani
di lui sul proprio corpo. Respirando a stento, annuì, fremente. Non era più in
grado di negare nulla, solo di accettare e pretendere, nell'eventualità. Ma
Jared pareva così a suo agio, così sensuale...
A quel cenno del capo, il vampiro decise di non
attendere oltre, portando le mani al livello del petto di lui cominciando a
sbottonarlo con calma assidua.
Avanzò di un passo, arrivando ad aprire i primi
tre bottoni prima di intrufolare le proprie mani gelide sulla pelle scoperta
che ora s'intravedeva da sotto la camicia.
Si chinò per posarvi le labbra, e poi la
lingua, mentre le mani terminavano il proprio lavoro privandolo della camicia
con tanto di panciotto senza mostrare il minimo impaccio. Le labbra che ancora
vagavano per il petto di lui, ora libero da ogni intralcio. Sospirò lascivo.
Simili gesti fecero rabbrividire dalla testa ai
piedi il ragazzo, mentre cercava di rimanere in piedi. Avrebbe voluto crollare
a terra, in ginocchio, tanto le gambe faticavano a rispondere. Si aggrappò alla
cintola di Jared, poi si fece forza e retrocedette, verso il letto a
baldacchino che lo avrebbe salvato.
Il moro lo lasciò retrocedere, limitandosi a
seguirlo con calma:
avanzando di un passo mentre Jensen
retrocedeva, fermandosi quando Jensen tentennava.
Una volta che lo vide raggiungere il letto, si
fece avanti deciso, lo sguardo gentile posato unicamente sul viso di Jensen che
accarezzò con una mano, l'altra posata al fianco di lui, che lo aiutò a
stendersi su quelle lenzuola in cui troppo spesso stava sdraiato la notte, ad
attendere che giungesse il sole.
In attesa che Jensen si svegliasse e venisse a
chiamarlo.
A quel pensiero sorrise, andando a mettersi
sopra di lui, accorto, per l'ennesima volta. Il ragazzo accarezzò le sue
spalle, gli occhi su di lui: era delicato ed impacciato al contempo, come
sempre era stato.
Infine Jared lo fissò a lungo, ergendosi sopra
di lui, pressoché etereo, quasi un' illusione della mente; le mani che
sfioravano lussuriose il petto di lui, gli occhi che facevano lo stesso,
lascivi:
« Sicut erat, in Principio... » spiegò in un sussurro allora,
maestoso, chinando il viso sulla pelle di lui. Scivolando in basso, sempre più
in basso...
Le labbra che giocavano maliziose in zone proibite.
__________________________________
“ E fu sera, e fu mattina. ”
__________________________________
Entrarono alla locanda, chiacchierando con
insolita tranquillità, entrambi vestiti con abiti puliti. Jensen sorrideva, la
mano quasi sul punto di stringere quella di Jared. Sembrava maturato, più
sicuro di sè, più rilassato. Si tolse il cappotto
lungo e nero, piegandolo sul braccio, porgendo la mano verso Jared in attesa
che gli consegnasse il suo.
Jared si volse a fissarlo negli occhi mentre si
levava la giacca nera che indossava quel giorno. Gliela porse, ben piegata,
prima di sedersi con aria seria a quello che ormai considerava il “loro”
tavolo.
Posò le braccia al tavolo, la schiena
leggermente piegata in avanti, in attesa che Jensen facesse il suo ritorno.
Gettò uno sguardo ad Ellen, ricevendo in cambio
un breve cenno di saluto.
Jensen si sedette giusto in quel momento,
muovendo la sedia quel tanto che bastava. Posò le mai al tavolo, sorridendo a
sua volta alla locandiera.
Il biondo si sentiva vivo più che mai, in quel
momento. Aveva tutto ciò che desiderava. Lo pensava ogni volta che guardava
Jared.
Sorrise, rendendosi conto di essere a dir poco
inebetito.
Jared unì le mani sopra al tavolo, socchiudendo
debolmente gli occhi, una volta accortosi che Jo, la
figlia di Ellen, si stava avvicinando al tavolo per prendere le ordinazioni. Si
sistemò un ciuffo di capelli mentre quella salutava tranquilla, accostandosi al
tavolo, blocchetto in mano:
« Da quanto tempo, messeri...» disse scherzosa,
con quel suo solito tono di evidente sarcasmo.
« Da ieri, Jo, non
sai contare il tempo? » chiese allibito Jensen, con innocenza innata, mentre
portava le mani sotto al mento a guardarla: « Voglio una bistecca al sangue.
Non secca come le fai te, quelle sono suole di cuoio.»
Jared si volse a guardare l'espressione ilare
di Jo, che scriveva tutto nel suo blocchetto di carta
giallastra: « Mi limito soltanto a riprodurre le parvenze del cliente... »
disse allusiva « in questo consiste la mia arte. » la sentì rispondere il
vampiro. Una risposta a tono, come solo lei sapeva.
Dopodiché la osservò voltarsi verso di lui,
negli occhi un'implicita domanda a cui rispose con una semplice scossa di
testa. Non aveva voglia di bere quella sera.
Per niente.
« Apposto così' ? »
chiese infine la bionda, già pronta a nascondere la penna dentro ad una
tasca del piccolo grembiule bianco che teneva legato in vita.
Jensen annuì agitando appena una mano per
congedarla, di nuovo concentrato su Jared: « Dopo che facciamo? » gli chiese,
curioso.
« Non lo so. » rispose secco ed irritato nel
guardare oltre le spalle del biondo.
Pareva di pessimo umore da quando era entrato
nella locanda.
Apparentemente senza una motivazione valida.
Il biondo era preoccupato da quello strano modo
di fare. Fino a pochi istanti prima erano stati entrambi rilassati, eppure
Jared sembrava aver perso la calma.
Avanzò una mano verso la sinistra di lui,
quella più nascosta a chi avesse guardato: « Che cosa c'è...?» chiese,
sentendosi uno strano peso sullo stomaco.
« Lasciami stare, Jensen. ».
Una risposta immediata, che non gli diede
nemmeno il tempo necessario per guardarlo negli occhi. In verità non l'avrebbe
guardato comunque, sempre concentrato a fissare alcuni elementi dietro le
spalle di Jensen.
Erano tre uomini, due dei quali vestiti con
abiti molto eleganti, puliti e curati. Parlavano in una lingua facile da
riconoscere: inglese.
Il terzo membro del gruppo si chiamava Klaus, ed era
una delle “guide” per i gentiluomini che desideravano visitare la città.
Chiedendo in cambio laute ricompense, naturalmente.
Uno dei due gentiluomini si voltò nella
direzione in cui sedevano Jensen e Jared, negli occhi una curiosità che
risultava fin troppo fastidiosa al vampiro.
Il moro si portò una mano alla tempia,
scansando lo sguardo dell'uomo per posarlo su Jensen, seduto davanti a lui.
Non riuscì a reggere lo sguardo di lui.
E nemmeno sapeva il perché.
Controvoglia, si ritrovò a stornare lo sguardo
su Ellen, in viso una smorfia sofferente.
La donna sembrava stesse attendendo un simile
gesto.
Mise a posto le sue cose, lo straccio e il
bicchiere, poi si diresse verso un angolo del locale, come per invitare il
vampiro a seguirla.
Jared scosse lentamente il capo, sbattendo
nervoso le mani sul tavolo.
Poi si alzò, portando quelle stesse mani in
tasca, chiudendo gli occhi per un breve istante come per recuperare la calma
che aveva perduto così in fretta, e la raggiunse:
« Dimmi.» la esortò ben poco cordiale, fingendo
di non accorgersi delle occhiate che Jensen lanciava loro.
Ellen non fece una piega, gettando un'occhiata
a Jensen che si era messo a giocare con la candela accesa sul tavolo. Stornò
uno sguardo agli inglesi, sospirando.
« Sono alla ricerca di un orfano che ha perso i
genitori. Genitori inglesi, che vent'anni fa avevano
ricevuto un importante incarico dalla Regina in persona. Come spie del governo
britannico. » spiegò, una mano ai capelli « Klaus ha
gentilmente fatto loro notare che il nostro Jensen...corrisponde a questa
descrizione. ».
A quella notizia, Jared la fissò in silenziosa contemplazione.
Una calma sinistra che lo invadeva man mano.
Sinistra, fatale e mortale.
La prefazione di un avvenire che, sapeva, lo
avrebbe cambiato nel profondo.
Cambiato, deluso e ferito.
Storse leggermente la bocca, gli occhi smeraldo
ancora fissi in quelli di Ellen che, accigliata, ricambiava quell'occhiata
eloquente.
Poi, infine, il vampiro parlò:
« Klaus...? » chiese
con una voce resa roca dall'immediata consapevolezza che lo stava lentamente
pervadendo; che lo avviluppava con efferatezza sepolcrale.
Lei annuì, portando le braccia conserte al
petto, come per proteggersi dallo sguardo mortifero che il vampiro le stava
mostrando: « Klaus...»
Non le lasciò nemmeno il tempo di aggiungere
altro, che già la sua imponente figura si stagliava davanti a
quell'insignificante omino il quale, evidentemente, era intenzionato a ridurre
in brandelli la sua misera esistenza.
Un'esistenza che, a
conti fatti, poteva ancora chiamarsi tale solo grazie a quell'unica persona che
persisteva nel restargli affianco: « Cosa diavolo vuoi da me, Klaus ?» inveì, rischiando di presentarglisi
davanti in tutta la sua essenza vampiresca.
Non notò lo sguardo
preoccupato di Jensen a vedere quella scenata. Troppo concentrato sul placarsi,
non si accorse che il biondo era ora al suo fianco, curioso e attento:
« Che succede, Jared? »
chiese, guardando solo lui, ignorando gli altri, compreso il “Klaus in questione” che sembrava sul punto di avere un
infarto.
« Chiedi a lui, giusto Klaus? » ripetè, nero in
volto, ben attento a sottolineare minaccioso quel vomitevole nome che i suoi
tanto benamati genitori defunti avevano provveduto ad assegnarli. Non aveva
nulla contro di loro, ma ora non gli riusciva di vedere in modo diverso quel
nome che avrebbe etichettato come “ripugnante” per il resto della sua vita.
Klaus ebbe un tremito ulteriore, cosa che mise
ancora più in guardia Jensen. Il ragazzo sospirò, scuotendo appena il capo,
ignorando il fatto che i due gentiluomini al tavolo con il bersaglio di Jared
lo stavano fissando da quand'era arrivato.
Sorrise, teso: « Klaus, che sta succedendo? Hai fatto irritare Jared. »
disse con estrema attenzione, sminuendo appositamente l'evidente e repentino
odio del moro al suo fianco.
Fu a quel punto che uno
dei gentiluomini prese parola: « Voi siete, dunque, i signor Jared? E voi siete
Jensen Ross Ackles,figlio di Evelyn e Jacob Leonard Ackles? » chiese in
tedesco, lasciandosi sfuggire un pesante accento londinese.
« Purtroppo si » rispose
prontamente il moro, spostando lo sguardo infuriato da Klaus
al nuovo interlocutore, ch'era chiaramente interessato a Jensen, l'unica sua
ragione di vita.
Forse era banale dirlo.
Era inutile tentare di
riassumere con quella frase fatta tutto l'amore e l'affetto che provava per il
ragazzo. Ma non conosceva altre parole con cui definire tutte quelle sensazioni
che lo invadevano solo nel scorgere sul viso di lui un semplice sorriso.
Dietro di loro, Ellen
guardava tristemente il vampiro, cercando di non rimanere troppo coinvolta
dall'evidente smarrimento che lo stava portando via. Sospirò: il giorno prima
Zanzi, il felino con cui lei l'aveva sempre visto negli ultimi dodici anni, era
mancato, per sempre; ora toccava Jensen, il bambino che Jared aveva cresciuto,
protetto ed istruito con più amore di un padre.
Guardò il biondo, cercando
di capire se avesse minimamente intuito qualcosa. Purtroppo, sapeva che
qualcosa l'avrebbe comunque intuito. Il resto, probabilmente, l'avrebbe capito.
Jensen strinse un polso a
Jared, continuando a sorridere cordiale: « Non vedo perché due signori come voi
siano capitati in una città comune come Norimberga...e per di più, per cercare
noi. » disse spiccio, senza tracce di malizia.
Jared, a quelle parole,
non si limitò a far altro che fissare attentamente il nobile senza aprir bocca;
in attesa che quello parlasse e mettesse in tavola le sue carte.
L'uomo, la pipa accesa,
sistemò il tabacco, facendo uscire degli sbuffi di fumo dala
bocca: « A dir la verità, siamo qui per voi, signorino Jensen. Siamo parenti. »
disse con estrema calma, quell'accento fin troppo pesante che sembrava infastidire
Jared ad ogni singola parola.
L'altro individuo,
tranquillo di fianco al coetaneo, rise grossolano: « Egli è vostro zio, per la
precisione! Suvvia, messer James, non tiratela troppo
per le lunghe! »
Jensen, a quelle parole,
si sentì invadere da uno strano sentimento. Guardò Jared, come alla ricerca di
un appiglio: « Che significa? » gli chiese, in modo che solo lui potesse
sentirlo, con un tono di voce impossibile da carpire per nessun altro se non
Jared.
Quello socchiuse gli occhi
lentamente, senza accennare né ad una risposta né ad una parvenza di movimento
che potesse essergli utile in qualche modo.
Le braccia abbandonate ai
fianchi e l'espressione del volto indecifrabile, lasciò che quella coppia di
uomini davanti a loro proseguisse il discorso appena iniziato.
« Ragazzo mio, sono il
fratello di tua madre! Tu sei il suo unico figlio,l'unico sopravvissuto alla
strage che ci ha privati di lei. Siamo venuti a riportarti a casa. La tua vera
casa. Dove hai una famiglia e persone che ti aspettano.» spiegò Sir James, con una calma pressochè irreale.
Jensen sembrava incapace
di spiccicare parola, quindi il gentiluomo si volse verso Jared: « E a lei, la
mia famiglia ed io siamo pronti a darvi una lauta ricompensa, nonché un
rimborso per tutte le spese che ha dovuto affrontare per mio nipote. » spiegò.
Jared non si mosse di un
passo, gli occhi fissi alle spalle dell'uomo, intenti a guardare qualcosa che
fosse realmente qualcosa. Invero, il suo sguardo vagava perso nel vuoto,
incapace di far altro.
Non aprì bocca, nemmeno
per ribattere.
“Ricompensa”.
Una parola che ora gli
rimbombava in testa, martellante e dolente.
Una misera ricompensa
sarebbe stata l'ultima cosa che gli sarebbe rimasta.
Come sostituto di Jensen.
“Non voglio un sostituto”,
si ritrovò a pensare in modo quasi bambinesco mentre lo sguardo vagava su visi
che non sarebbe mai riuscito a riconoscere una seconda volta.
La sua memoria già
lavorava per cancellare tutte quelle sagome che arrancavano per rovinargli
l'esistenza come meglio potevano.
Nel modo più efficace
possibile.
Aprì la bocca per provare
ad accennare qualche cosa, ma un peso opprimente gli bloccò il petto,
impedendogli di parlare o, unicamente, di respirare.
Chiuse gli occhi, non
trovando alcun rimedio a ciò che, sapeva, stava per accadere.
Quindi si ritrovò ad
abbassare il capo, in attesa che il fato ineluttabile facesse il suo corso.
Jensen dialogò a lungo con
i due stranieri, chiedendo di sua madre, di suo padre, della sua famiglia. Sir James gli rispose senza
esitazioni, soffermandosi sui particolari solo per dare più realtà ai suoi
racconti.
Da lui, Jensen scoprì che
i suoi genitori erano stati ricchi, un tempo, ma il loro lavoro, piuttosto
pericoloso, aveva finito per mandarli alla forca. Erano stati spie governative,
avevano lavorato sotto copertura e avevano voluto un figlio fin da giovani. A
sentire quelle storie, il ragazzo si rese conto che i loro genitori erano stati
davvero esemplari e l'orgoglio lo riempì nel profondo.
Stava persino dimenticando
l'altra fonte di gioia, molto più reale e vicina, che lo stava ancora
attendendo ad un tavolo del locale.
Jared a quel punto sembrò
scostarsi.
Inutile era continuare ad
attenderlo lì, impietrito, incapace di aprir bocca o anche solo mettere insieme
un qualche pensiero coerente.
Prima di avviarsi alla
porta, si lanciò un'occhiata alle spalle, per assicurarsi che Zanzi gli stesse
dietro. Poi sorrise amaro, ricordandosi che, ormai, Zanzi non era più là, in
quel luogo d'inferno, assieme a lui.
Si passò una mano ai
capelli aprendo e richiudendo la porta con un tonfo sordo, scoppiando
miseramente a ridere nel scuotere il capo, mentre si avviava verso quella che
era stata la loro casa.
Solo.
Di nuovo.
Jensen tornò a casa alcune
ore dopo, quando ormai il sole faceva capolino dietro le montagne. Era allegro,
cantava uno dei motivi di Beethoven: la notte passata
gli aveva portato davanti agli occhi una parte della sua vita che aveva perso
molti anni prima. Si guardò attorno, alla ricerca di Jared. Sulle prime non lo
vide, così andò a cambiarsi, indossando dei comuni vestiti, quali pantaloni
neri e una maglia trasandata dello stesso colore.
« Jared, ma ci sei? »
chiese alle stanze vuote, esitante.
Quello nemmeno rispose,
seduto davanti alla finestra, lo sguardo perso a guardare ciò che non v'era fuori,
in attesa dell’oscurità della notte ch’era prossima.
Il petto si alzava ed
abbassava, di tanto in tanto, al ritmo del suo respiro.
Jensen lo trovò solo
andando per esclusione, quando giunse in salotto.
Lo guardò, senza capire perché
fosse esposto ai raggi del sole. Gli si avvicinò con calma, abbracciandolo da
dietro: « Rischi di scottarti se stai qui...che stai facendo?» gli chiese con
aria malinconica ed estremamente preoccupata.
La gioia poteva svanire
facilmente, davanti alla sofferenza dell'unica persona che amava con tutto sé
stesso.
Jared non rispose nemmeno
quella volta, sentendosi improvvisamente sfinito.
Anche se avesse voluto,
già sapeva che da quelle labbra non sarebbe uscito alcuna parvenza di suono,
tanto sentiva la propria bocca arida.
La gola secca.
Il petto estremamente
pesante, caricato di un peso che non poteva sopportare da solo.
Ed i suoi occhi vacui che
attendevano soltanto ciò che sapeva per certo sarebbe successo. Non aveva il
minimo dubbio a tal proposito.
Si mosse soltanto per portare
una mano al proprio petto, come per ordinargli di calmarsi e lasciarlo
respirare, liberandolo da quel macigno che si stava portando appresso solamente
da poche ma infinitesimali ore.
Vide, tra le nebbie ormai
dense davanti ai suoi occhi, che Jensen andò a portare una mano nel medesimo
punto, calmo, controllato, come se nella sua mente non ci fosse nessun
turbamento, nessun rimpianto.
« Sai, Jared...» gli sentì
dire « Sir James, mio zio,
ha detto che potrei andare con lui in Inghilterra, per conoscere la mia
famiglia. Ha detto che c'è molta gente che vorrebbe vedermi, ci crederesti?»
rise. Rise, quel bambino troppo cresciuto.
Il peso al ventre aumento
ancora di più, mentre Jensen continuava il suo discorso « Sarebbe cosa breve,
tipo un annetto, niente più. Così potrei essere registrato come vero cittadino,
un bene per me. Sono sempre vissuto col terrore che ci fermassero e ci
chiedessero i documenti. Però non mi va molto di lasciarti da solo.»
Il moro lasciò sbattere il
capo contro lo stipite della finestra.
Non lo fece apposta,
solamente era stato privato di ogni voglia d’esistere.
Di vivere lì, in quel
preciso istante.
Socchiuse gli occhi,
ritenendo inutile sforzarli troppo per tentare di vedere oltre quella vacua
fissità che lo aveva accolto.
Gli parve di essere
colpito da un' ondata d'odio puro per quel ragazzo che tanto a lungo gli era
stato appresso. Ma chi era lui per impedirgli di partire?
Lui stesso, soltanto il
giorno prima, l'aveva spronato ad andarsene:
a cercare una casa, una
famiglia, ad avere figli.
Ma in una notte tutto era
cambiato. In peggio, per lui.
Quella stessa mano che
fino a poco prima sembrava sorreggergli il petto, risalì al viso, nascondendolo
ad altri.
Non disse nulla.
Non ancora.
Jensen era troppo su di
giri per rendersi conto di quello che gli stava realmente accadendo. Credeva
che fosse semplicemente stanco, come l'aveva visto altre volte. Si morse il
labbro inferiore, andando davanti a lui: « Mi stai ascoltando Jared? Ho detto
che non voglio lasciarti solo. Specie ora che Zanzi non c'è più.» disse deciso,
cercando i suoi occhi.
Il vampiro serrò la
mandibola, cercando di darsi un minimo di contegno.
Ma non scostò la mano dal
proprio viso, si limitò solamente ad aprire la bocca il minimo necessario per
parlare, ma tutto quello che ne uscì fu sospiro graffiato.
Al sentirsi ridotto in
quello stato per un ragazzino simile, che prendeva tutto alla leggera,
s'infuriò con sé stesso, ritrovandosi ad urlare poco dopo:
« E vorresti chiedermi di
venire con te, giusto!? ».
Jensen sobbalzò, facendo
un rapido passo indietro, spaventato da quel suono aspro e violento. Guardò il vampiro con occhi
terrorizzati, cercando di frenare i battiti del cuore che avevano preso a
correre all'impazzata.
Annuì,e fu l'unica cosa
che gli riuscì di fare.
« Non verrò. » fu la sola
risposta decisa del moro che tornò a posare lo sguardo al paesaggio fuori dalla
finestra « Vattene da casa mia. » terminò quindi, faticando a ripetere quelle
stesse parole che gli aveva urlato contro il giorno prima.
Raccolse un ginocchio
contro il proprio petto, posandovi la fronte con fare frustrato e sofferente,
incapace egli stesso di credere a quelle parole dal tono tanto duro ch'erano
appena uscite dalle proprie labbra.
Evitò così di vedere
qualcosa rompersi in mille pezzi, lì, in direzione di dove aveva urlato.
Gli occhi di Jensen si
erano spenti d'improvviso, dopo aver ricevuto l'ennesimo ordine di andarsene.
Possibile che la notte precedente per Jared fosse stata meno che niente?
Impossibile.
Il ragazzo si fece forza,
cercando di non far capire quale lotta interiore lo stesse consumando. Non
voleva andare. Ma non voleva nemmeno non andare.
Si sentiva confuso e
spaesato. Aveva sperato che Jared stesso gli dicesse “Vengo con te, che domande
ti fai?”, eppure quelle piccole speranze erano andate distrutte proprio in quel
momento. Riluttante, avanzò una mano, solo quella, verso Jared, in una tacita
richiesta accompagnata da una semplice parola:
« Vieni...».
Il vampiro nemmeno alzò il
capo a guardarlo, limitandosi a restare là, inerte ed immobile, seduto davanti
una delle tante finestre del salotto che s'affacciavano sul viale principale di
Norimberga.
E lì rimase.
Da solo, come sarebbe
sempre stato d'ora in avanti.
Partì il giorno dopo,
senza nemmeno guardare verso il salotto.
Aveva ancora gli occhi
rossi di pianto, quando giunse alla stazione.
Sorrise a suo zio, senza
dare spiegazioni sulle sue condizioni.
Si limitò a dire che “
Ormai non aveva più niente a Norimberga.”
Bugia.
Bugia.
Tremenda bugia.
Fine secondo capitolo
Commenti delle autrici:
Dark
Jared, Jared... il buon vecchio Jared...poveretto...*me piange*
Io stessa, la manipolatrice di quest'ultimo personaggio, non fatico a dire che,
caratterialmente, è del tutto OT. Forse
sono i personaggi di secondaria importanza che ruotano attorno ai due
protagonisti, come Ellen e Jo, appartenenti alla
serie di SPN, che mi danno quest'impressione...
ma credo che se lo avessi chiamato “Sam”,
“Sammy”, sarebbe stato DECISAMENTE meno OT.
Ma anche molto meno HOT X3 (oh, man! Che giuoco
di parole =P )
Il nome stesso, in sé, Jared Tristan
Padalecki, rimanda con più facilità ad una creatura della notte...( a mio
parere! )
e riesce a comunicarmi più senso di forza...
più MISTERY...
Oltretutto, perdonatemi... ma il vamp è sempre
quello che continua a farsi seghe mentali nel riflettere riguardo la propria
vita, il senso della propria esistenza...
e non mi riesce di farlo troppo diverso e
quindi sulla stessa linea caratteriale del vero Jared X3 sennò mi risulterebbe
troppo poco vamp! O.o
(?) X3
Quindi ciucciatevelo (?!) così com'è!
Baci8
Yami
copio e incollo da Dark.
e ci aggiungo una cosa...
BUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!
ç____________________ç