The odds are never in my favor

di AlessiaDettaAlex
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


The odds are never in my favor
 
Capitolo 1
 

«Laree Amberdeen!»
La voce di Julius, l’accompagnatore del Distretto 6 per la mietitura, mi lascia del tutto impreparata. Non importa per quanto tempo io abbia continuato a sperare che non fosse lei, quanti dei abbia pregato perché potessi passare il resto della mia vita perfettamente felice con la ragazza che amo.
Non si è mai pronti per certe cose. A meno che tu non sia in uno dei distretti favoriti. Ma bastava un unico secondo, magari un dito di Julius inarcato più a destra, e Laree sarebbe stata per sempre fuori dai Giochi. Per sempre! E invece no. Lei ha superato con successo ben sei mietiture, e aveva una buona speranza di sfuggire a Capitol City per sempre, ma non si è salvata lo stesso. Ha solo posticipato di anno in anno la sua agonia. La buona sorte non solo non è a suo favore, ma si è perfino presa gioco di lei. Sento i muscoli rigidi, e fino a questo momento non mi ero nemmeno accorta di aver serrato i pugni così forte da farmi male. Tutta la mia vita, ogni promessa, ogni sforzo, stanno svanendo proprio ora, proprio qui. Davanti ai miei occhi infuriati. E la cosa più brutta è che ricordo ogni particolare, di questa vita.
Ma non permetterò certo che accada. Capitol City mi ha privato di tutto ancor prima che nascessi, ma non mi priverà di lei. Scatto, mi metto a correre, spintono la gente, ignoro tutti i Pacificatori che travolgo. Capitol City non mi porterà via Laree.
«No!» grido con rabbia, «non lei!» tremo di terrore e di fatica, quando la raggiungo davanti al palco. «Mi offro volontaria come tributo al suo posto!». Non posso credere di averlo fatto sul serio. Un brivido mi corre lungo la schiena, di paura ed eccitazione insieme, nella consapevolezza che sto per morire. Sto per morire per lei. Sul volto dei presenti si dipinge un’espressione stupita, ma Julius mi sorride e mi chiede il nome.
«Mi chiamo… Alyss. Alyss Knight». Sussurri di sorpresa provengono dalle mie spalle, e con la coda dell’occhio vedo il Capo Pacificatore agitarsi, spintonare qualche suo collega e indicarmi con un'incredulità tale che sembra abbia visto un fantasma. E in effetti, per le autorità del Distretto 6, è quello che sono. Alyss Knight. Colei che porta questo nome dovrebbe essere morta quasi dieci anni fa, giusto?
Mio padre, Cedric Knight, ultimo figlio di uno dei capi rivolta dei Giorni Bui, è sempre stato un uomo che non aveva paura di prendersi gioco pubblicamente di Capitol City. E ne pagò le conseguenze. Si dice che nella sua ultima mietitura, ai tempi dei sedicesimi Hunger Games, la boccia dei maschi venne truccata per avere la certezza dell’estrazione del suo nome. È così che lui morì, lasciando nel Distretto 6 la sua giovane fidanzata incinta di me. Nessuno, in particolar modo mia madre, volle mai dirmi cosa videro in quell’anno sui maxischermi degli Hunger Games. Ma so per certo che Capitol City si prese la sua vendetta, e che quello che gli fecero passare prima di permettergli di morire fu davvero disumano. Fui cresciuta solo da mia madre, che arrancava con lavoretti improvvisati per arrivare a fine giornata senza farmi morire di fame. Qualche volta rubava – era costretta a farlo, se voleva che sopravvivessi – ma nessuno sembrava mai davvero curarsene. Fino al giorno in cui, quando io avevo appena otto anni, fu colta con le mani nel sacco dal comandante Basil, il più irascibile Capo Pacificatore di cui si sia mai sentito parlare. Nonostante la pena per un furto fosse composta semplicemente da svariate frustate, Basil pensò fosse più divertente giustiziarla in piazza e spogliarla di tutti i suoi beni. È così che vidi la testa di mia madre rotolare nella polvere, tra gli sguardi attoniti dei compaesani e il ghigno feroce dei Pacificatori. È così che rimasi totalmente sola al mondo. I Pacificatori mi riportarono a casa, fecero razzia di tutti i suoi pochi beni di valore e poi diedero fuoco alla vecchia abitazione assicurandosi di avermi rinchiusa per bene dentro. Ma io riuscii a fuggire e mi salvai. Nessuno ovviamente aveva voglia di stare a controllare se una bambina di otto anni fosse riuscita a scampare o no a una baracca in fiamme, così la furia di Basil si spense con quella casa. C’era solo un problema: ora che tutti credevano che fossi morta non avevo idea di dove mi sarei rifugiata da quel momento in poi. Sapevo soltanto che dovevo sopravvivere, in qualche modo. Sin da bambina avevo una predilezione per un unico luogo, al di fuori della nostra vecchia casa: la stazione dei treni. Precisamente la zona che si distende tra i casolari di lavoro degli operai – qui al 6 ci occupiamo di fornire i mezzi di trasporto per tutta Panem – e la ferrovia vera e propria. Non so perché, ma quel posto suscitava in me una grande forza attrattiva. Mi impiantai senza troppi preamboli in una vecchia locomotiva abbandonata, passando attraverso le porte rotte. Lì dentro sopravvissi immobile e tremante a tre giorni di agonia, straziata dalla fame e dalle piaghe dovute dal poco movimento – praticamente mi alzavo solo per rubare dalle scorte d’acqua dei lavoratori del cantiere e orinare dietro a qualche ferrovecchio. Finché non mi trovò lui, il vecchio Sirius. Era, ed è, un Pacificatore anziano, capo stimato di una guarnigione che teneva d’occhio la zona industriale del Distretto. Lui mi trovò, mi riconobbe come la bimba fuggita dalle fiamme di casa Knight e fece ciò che fin’ora nessuno aveva avuto il coraggio di fare: ebbe pietà di me. Mi prese sotto la sua custodia, nutrendomi dei suoi avanzi e fornendomi qualche suo vecchio vestito e coperta per l’inverno. Fece anche più di questo: mi diede un’istruzione di base. Per il Distretto io non esistevo più, ero ufficialmente morta e sepolta sotto un cumulo di macerie, quindi andare a scuola era off limits, se non volevo far scoprire al comandante Basil che ero viva e vegeta. Ma il vecchio Sirius mi diede anche questa opportunità. Certo, lui non poteva ignorare la pericolosità delle sue azioni, perciò tutti i nostri taciti accordi venivano presi di notte e ben nascosti tra i relitti metallici del cantiere della stazione. Dio solo sa in quali terribili punizioni sarebbe potuto incorrere se il comandante avesse scoperto che proteggeva e teneva in vita una bambina che sarebbe dovuta essere morta! Comunque, in seguito accadde molto più di quello che potessi sperare. Non solo Sirius, ma anche gli operai e la gente che viveva nei dintorni della stazione sapeva che Alyss Knight era viva, e potevo sentirmi un po’ meno sola. Ero conosciuta così, come la bambina fantasma o la bambina dei treni, in dipendenza dei discorsi che facevano su di me. Nessuno disse mai a Basil che vivevo. È la silenziosa solidarietà che unisce dei compagni di distretto.
Così crebbi, e a dieci anni incontrai quella che sarebbe diventata la mia migliore amica, Laree Amberdeen. Capelli lunghi fino alle spalle color cioccolato e occhi scuri, dai quali fluisce con chiarezza ogni emozione come di fronte a un libro aperto. Mi colpì da subito, un giorno che gironzolava per il cantiere per aiutare quello che doveva essere suo padre. E subito desiderai esserle amica. Ci conoscemmo in un modo del tutto inusuale: sulla via di casa, da sola, ma seguita con lo sguardo da me, lei inciampò su un Pacificatore che aveva avuto una giornata un po’ difficile. Irritato, l’uomo le gridò contro e afferrò il frustino per punirla; fu in quel momento, quando lo vidi col braccio alzato pronto a colpire un’atterrita Laree, che senza pensarci mi buttai a capofitto tra lei e lui, prendendomi la frustata in piena guancia sinistra: da quel giorno la lunga cicatrice rimase sempre il mio segno distintivo. Fortunatamente intervenne quasi subito il vecchio Sirius, con due Pacificatori al seguito, che assicurò all’uomo che si sarebbe occupato personalmente di noi, evitandoci altri guai. Mi curò alla bell’e meglio senza mai riuscire ad eliminare definitivamente lo sfregio.
Ed è proprio quello sfregio che uno dei tirapiedi di Basil sta guardando in questo momento. È lo stesso di quella volta, e si è accorto solo adesso di chi sono io. Una ragazza teoricamente morta. La ragazza fantasma.
«Alyss» la voce di Laree mi riscuote con violenza dai miei pensieri. La sua mano tremante mi sfiora il braccio, ma non ho il coraggio di voltarmi. So già che quello che vedrò sarà uno strazio. «Non farlo, ti prego!» supplica, ma la sua voce è incrinata. Non piangere, Laree. La spintono da una parte per non lasciarmi indebolire dal suo – e dal mio – dolore e guardo dritto negli occhi Julius per avere l’ok. Lui, però, mi guarda appena e continua a discutere animatamente con il sindaco e il comandante Basil sui problemi che comporta la mia situazione. Io sono sfuggita a ben sei mietiture semplicemente perché Capitol City non sapeva della mia esistenza. Imperdonabile. Guardo Basil mentre urla, si agita, mi indica, so che vorrebbe giustiziarmi seduta stante. Non ho mai dovuto temere per la mia vita durante la mietitura, certo. Imperdonabile, certo. Ma lui non può sapere che ogni anno ero nascosta in mezzo alla folla degli adulti in preda ad un ben altro terrore, pregando perché non estraessero il nome di Laree.
Sembra che Basil e Julius siano giunti a una conclusione: in età rientro comunque tra i giovani estraibili, e se proprio devo essere giustiziata per aver nascosto la mia sopravvivenza alle autorità per dieci anni, tanto vale lasciarmi andare a morire nell’arena come tributo. È così quindi che Julius mi tende la mano e mi conduce al suo fianco, mostrando il mio volto a tutti.
«Wow, Alyss. Devo ammettere che il tuo intervento è stato un vero colpo di scena!» ridacchia eccitato. «Sembra che la presenza di una ragazza fantasma sarà un vero e proprio unicum in trentaquattro anni di Hunger Games!» continua battendo le mani. «E non sembri per nulla preoccupata».
Il mio sguardo cerca e trova finalmente quello disperato di Laree. Per trovare la forza di rispondere.
«Non mi sono offerta volontaria per morire. Mi sono offerta volontaria per vincere» faccio io, sprezzante. Julius trattiene una risatina isterica, troppo contento di vedere così tanta determinazione in un distretto che non è certo uno di quelli favoriti. Dove la gente non fa a botte per offrirsi volontaria.
«Bene! Vediamo subito chi sarà il tuo compagno d’avventura!» si fionda sulla boccia contenente le striscioline dei nomi maschili, ed estrae, altro colpo di scena, un tredicenne. Un grido disperato e un singhiozzare sommesso accompagnano la salita sul palco del piccolo che porta il nome di Roy. Mi rendo conto che ciò che ho appena detto pubblicamente, sul fatto di vincere, implica la morte di questo bambino e le lacrime amare della sua famiglia che ora lo deve lasciare andare. Ho le spalle irrigidite e i pugni serrati. Se esito già di fronte al mio compagno di distretto, come farò ad uccidere altri ventidue tributi? Il nostro accompagnatore ci prende le mani e le tira su per presentarci ufficialmente alle telecamere, rigorosamente puntate su di noi.
«Roy Cutter e Alyss Knight! Ecco i tributi del Distretto 6 per i trentaquattresimi Hunger Games!» esulta, accompagnato da un lieve applauso di incoraggiamento. Ma Laree non applaude. «Felici Hunger Games, e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!»



 
Note dell'autrice:
Ebbene sì, eccomi qui con una nuova long che spero con tutto il cuore di completare. So cosa state pensando. Perché ho scelto per la mia storia proprio il Distretto 6? Forse perché, come la protagonista di questa storia, ho un'attrazione fatale (?) per i treni, un fascino inaspettato per i mezzi di trasporto, una simpatia strana per i Morfaminomani di Catching Fire e perché, diciamocelo,il Distretto 6 non se lo caga mai nessuno. Detto ciò, sono graditi i commenti, anche negativi.
Alex

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Le pacche di un Pacificatore mi risvegliano dallo stato di trance in cui sono caduta per qualche secondo. Giusto. Il Palazzo di Giustizia. È lì che daremo l’ultimo saluto ai nostri cari. Con la coda dell’occhio guardo il piccolo Roy. Trema e si guarda intorno con occhi strabuzzati. No, lui non ha la minima opportunità di tornare indietro dall’arena. Non posso preoccuparmi di qualcuno che è spacciato in ogni caso. Non me lo posso permettere.
«Credo questo momento sarà molto veloce per te, ragazza fantasma» sghignazza il Pacificatore alle mie spalle, mentre che mi indica la porta di una stanza. Non rispondo, sono troppo impegnata a farmi prendere dal panico per quello che vedo davanti ai miei occhi: una stanza candida, immacolata, con al centro un piccolo divanetto a due posti. Mi sento lo stomaco sottosopra e la testa mi gira. Questa stanza è lo specchio perfetto della mia anima. Pulita quanto voglio, per ora, ma vuota. Mi sto accorgendo solo adesso di quanto può essere grave il passo che ho fatto quest’oggi. Di quale vuoto e che tipo di dolore sto per causare alla mia Laree. Mi blocco sulla soglia, ignorando gli ordini stizziti del mio accompagnatore.
«Che fai? Devi entrarci, ragazzina» mi attacca lui piantandomi la canna del fucile tra le scapole. Un lamento mi esce dalle labbra, ma obbedisco, mentre sento gli occhi inumidirsi per la prima volta da molti anni.
Io non piango mai. Odio farlo, il vecchio Sirius mi ha sempre intimato di essere forte, di affrontare la vita di petto. Non piansi quando ricevetti la frustata destinata a Laree in pieno viso, e non piansi il giorno in cui l’inverno mi costrinse immobile, infreddolita e ammalata dentro quel treno scassato, sferzata dovunque da dolori lancinanti. Il mio ultimo pianto fu, in effetti, quando mi accorsi che mia madre, morta qualche giorno prima, non mi avrebbe più abbracciata; quando mi resi conto che la sua mano esile non avrebbe più scompigliato i miei capelli, che i suoi baci sulla mia pancia gonfia d’aria non mi avrebbero più consolato dalla fame. Quella fu l’ultima volta che piansi, perché avevo ancora qualcosa da perdere. Ma da quando vivevo sola, all’ombra del vecchio Sirius che mi ordinava di non affezionarmi a nessuno e di rendere la mia faccia una maschera di ferro, io ero diventata più forte. Ecco però che di nuovo il mondo mi crolla addosso, come le travi della mia casa in fiamme. Perché avevo aperto il mio cuore a una ragazza.
La porta della stanza si spalanca di botto e una chioma castana mi travolge sul posto, mentre sono ancora intenta a riordinare le mie idee fissando di divanetto. Lei mi stringe, affonda il viso bagnato nella mia felpa, mi chiama, chiama il mio nome, più volte, e più volte ancora, come se stessi già andando via da lei, come se le stessi sfuggendo dalle braccia, come se stessi morendo tra le sue braccia. E io la stringo, fortissimo, e non riesco più a trattenere le lacrime. Sento i suoi capelli che si bagnano, l’odore di vaniglia del suo corpo che si mischia a quello asettico della stanza bianca. Ascolto i suoi singhiozzi, i miei, i nostri, che si confondono. E capisco di aver già deluso Sirius. Con lei sono tornata di nuovo debole, fragile, attaccabile. Non voglio staccarmi da quest’abbraccio. Non voglio dividere il corpo unico che siamo diventate. Così, le sussurro tra i capelli: «Tornerò, te lo prometto». Lei trema e stringe di più le braccia attorno al mio collo.
«Non dovevi farlo. Tu… sei…» ma non riesce a continuare, la voce si incrina e nuove lacrime rovinano i suoi bellissimi occhi scuri. Prendo un grosso respiro e continuo la frase per lei.
«Tu sei tutto quello che mi rimane, Laree. Non posso perdere anche te» trovo il coraggio di allontanarla da me quel tanto che basta per guardarla in faccia, per avere un’ultima immagine di lei da portare con me nell’arena. Per cui combattere e vincere. Il suo viso è bagnato, le guance arrossate e le palpebre stanche e gonfie. Non potevo immaginare che un giorno l’avrei vista così. Gli occhi tristi che affondano nei miei, distrutti, e urlano una sola domanda: perché?
La bacio. Le mie mani le accarezzano il viso mentre le nostre labbra aderiscono, inumidite dalle lacrime. È un attimo quando me la strappano di dosso a forza: la sua bocca, prima bramosa della mia, adesso grida il mio nome alla porta mentre si dibatte contro il Pacificatore che la trascina via.
«Tempo scaduto, bellezza». Già. Tempo scaduto. Forse è davvero finita qui la mia avventura insieme a lei. Mi accascio sul divano senza forze, mentre le mie mani vagano tra i capelli spettinati in cerca di un senso da dare a tutto questo. Il secondo dopo non sono più sola, perché Sirius è venuto da me.
«Ehi…» sussurra lui, fermo sulla soglia. Alzo lo sguardo: è in abiti da Pacificatore, col casco sotto braccio. La barba grigiastra e folta gli incornicia il mento mentre ciuffi di capelli dello stesso colore cadono ben ordinati sulle spalle. Perdo un battito: lui non dovrebbe venirmi a trovare, capirebbero immediatamente che è lui che mi ha coperto in tutti questi anni!
«Non preoccuparti per me. Ho detto al comandante che ti avrei personalmente scortata al treno, inventandomi una scusa plausibile» si giustifica lui, leggendomi l’ansia negli occhi. Un lieve sospiro si libera dalle mie labbra. E poi accade l’inaspettato: lui mi si avvicina, mi fa rialzare e mi abbraccia. Mai aveva avuto un gesto d’affetto nei miei confronti, sebbene sapessi che a me ci teneva. Mi accorgo all’improvviso e solo ora di quanto lui per me sia stato come un padre. Gli devo la vita, gli devo tutto.
«Lyss, il mio collega che è venuto a portar via Laree vi ha viste mentre vi baciavate. Vuole denunciarvi immediatamente a Basil, tu e lei siete in pericolo» il respiro mi si mozza, a sentire le sue parole sussurrate al mio orecchio.
«Sirius…»
«Interverrò io a calmare le acque, Lyss» mi interrompe lui, «ti giuro che non le accadrà niente finché vivo», e mi stringe più forte.
«Grazie» è l’unica cosa che riesco a dire prima di staccarmi dal lui. Mi sorride triste e poi si rimette l’elmetto.
«Andiamo adesso».
Il viaggio dalla stanza bianca al treno è questione di secondi, vista la vicinanza tra la stazione e il Palazzo di Giustizia nel mio Distretto. Quando le porte scorrevoli del vagone si chiudono tra me e Sirius, alzo lo sguardo verso i luoghi in cui ho vissuto. Scorgo il cantiere, dove lavora il padre di Laree. La piazza ancora gremita di gente e Pacificatori. Il deposito di hovercraft che troneggia sulla collina alle spalle del villaggio. Ferraglia di locomotive dismesse che mi sfreccia davanti quando passo di fronte al vecchio cantiere che avevo per casa. Il mio Distretto, dietro questo vetro, è veramente brutto: un agglomerato di metallo stridente. Eppure non c’è cosa che sacrificherei per riuscire a tornarci, per invecchiare qui insieme a mille ferrivecchi, tra le braccia di Laree.
«Alyss, cara, dobbiamo presentare a te e a Roy il vostro mentore!» è la voce tre toni sopra del normale di Julius a risvegliarmi dai miei pensieri. Mi volto e annuisco, ormai svuotata completamente di ogni sentimento.
Il Distretto 6 ha un unico vincitore da mettere a disposizione come mentore per i tributi. È raro vederne, nei distretti che non siano l’1, il 2 o il 4. Noi siamo più fortunati di molti altri, che nei distretti più abbandonati non hanno neanche un vincitore e devono accettare nel ruolo di mentore il personale sgangherato proveniente da Capitol City. Per lo più sono istruttori ignoranti ma profumatamente pagati. Grazie al cielo Layla Fross è una vera e propria reduce degli Hunger Games, e sa cosa significano molto meglio di quei fantocci colorati che inviano negli altri distretti. Li ha vinti a soli quindici anni, cinque anni fa. È poco più grande di me, quindi, e ho intenzione di farmi aiutare a vincere ad ogni costo.
Mi siedo sulla poltroncina accanto a Roy, di fronte a Julius e al nostro mentore. Il mondo di fuori, intanto, sfreccia velocemente. Saremo a Capitol City al massimo entro sei ore. E pensare che i treni a levitazione magnetica che ogni anno portano i tributi al macello in tempi record li abbiamo inventati proprio noi al 6 almeno un secolo fa.
«Salve mocciosi. Sono Layla Fross e sarò il vostro mentore per le prossime settimane, un mese al massimo se riuscirete a sopravvivere qualche giorno in più nell’arena» dice secca squadrandomi. «Mettiamo subito in chiaro una cosa: quando siete con me non voglio piagnistei o sentire che chiamate la mamma per farvi consolare» e stavolta lancia un’occhiata al piccolo Roy, che per tutta risposta trattiene un singhiozzo.
«Andata» intervengo subito io. Lei annuisce e torna a scrutarmi gli occhi di ghiaccio.
«Benissimo. Volete che vi alleni insieme o separatamente?»
«Insieme!» fa Roy.
«Separatamente» replico io. Non ho alcuna intenzione di lasciarmi indebolire da un tredicenne senza speranza. Però non ho il coraggio di guardarlo. Layla ride.
«Ho capito, vi terrò separati. Le tue intenzioni sono chiare come il sole, mocciosa» mi dice con un mezzo sorriso la mia mentore. Non mi piace il modo in cui mi guarda, mi analizza e soprattutto mi chiama mocciosa. Ho solo due anni meno di lei, in un’altra vita avremmo potuto benissimo essere amiche! Avremmo addirittura frequentato la stessa scuola, se io ci fossi andata.
«Tu, piccoletto, adesso vieni con me, ci facciamo quattro chiacchiere. Aspettaci qui, Knight» sussulto a sentirmi chiamare col mio cognome. Li guardo allontanarsi: abbiamo poco tempo, sicuramente vorrà conoscerci meglio singolarmente e capire che strategia farci usare. Dopo toccherà a me. E a quel punto lei sceglierà chi salvare. Dovrò essere io, per forza.
«Alyss»                
Mi giro verso il mio accompagnatore, rimasto in silenzio per tutto il tempo. «Chi era la ragazza per cui ti sei offerta volontaria?» mi chiede. No, la cosa più preziosa che ho al mondo non deve arrivare a quelle sporche orecchie capitoline.
«Era… un’amica» rispondo evasiva. Lui sembra confuso.
«Ma credevo che nessuno sapesse della tua esistenza nel Distretto… lei sì?»
«Sì» mi volto verso il finestrino, «era l’unica»
«Oh, ma che gesto nobile da parte tua!» cinguetta Julius, e io devo lottare con me stessa per non stampargli un pugno in faccia. «Beh, ti lascio alle tue riflessioni, vado a tenermi aggiornato sulla giacca con le paillettes che ho ordinato direttamente dal Distretto 8!».
Un sospiro di sollievo lascia le mie labbra quando lo vedo finalmente uscire dal vagone.
Dopo un tempo che mi sembra infinito Layla fa finalmente la sua comparsa, ma al suo fianco Roy non c’è.
«Bene, Knight» comincia lei sedendosi stancamente sul divanetto di fronte a me, «sei una volontaria e sei una ragazza che non dovrebbe esistere. Gli occhi di Capitol City saranno tutti su di te, azzarderei. Hai già delle buone carte da giocarti con gli sponsor»
«Aiutami a vincere» taglio corto. Lei mi scruta seria per qualche secondo, come per capire qualcosa di me che le sfugge. Poi la sento tirare un leggero sospiro.
«Sai, conosco molto bene gli Amberdeen» e a quel cognome, sono tutt’orecchi. Conosce la famiglia di lei. «Sono molto amici dei miei genitori, e da piccola mi capitava spesso di giocare con Laree. Non ti sei mai chiesta perché non soffrissero la fame, sebbene fossero degli umili operai di cantiere?» prende una ciliegia dalla ciotola sul tavolino in mogano e la infila in bocca, come per darmi il tempo di soppesare quello che sta per dirmi. «Da cinque anni a questa parte, io dono una parte della mia vincita alla sua famiglia, col benestare dei miei».
Sono senza parole. Chi avrebbe mai detto che sarei stata accompagnata ai Giochi dalla persona che mantiene dignitosa la vita di Laree e dei suoi?
«Comunque io e lei non siamo amiche» ricomincia Layla, come per mettere le mani avanti, «o meglio, è lei che non mi può proprio vedere… le sono sempre stata antipatica, vuoi per il mio caratteraccio freddo e scontroso, vuoi per il mio egoismo imperante» scatta in una sonora risata, piegando la testa indietro. Poi si ferma di botto, mi incatena col suo sguardo e avvicina il suo viso al mio, alzandosi appena dal divanetto. «Ma sai, nessun puro di cuore vince gli Hunger Games» le sue ultime sillabe sono un sussurro che mi fa rabbrividire.
«Io sono disposta a tutto per tornare da lei» mi lascio sfuggire in un soffio. Layla si rimette comoda a sedere e appoggia la guancia sul palmo della mano sinistra.
«Cosa rappresenta per te Laree?»
Una parte di me si rifiuta di aprirsi fino a questo punto con lei, e mi dice di mentire, proprio come ho fatto con Julius poco fa. Eppure sento che se decido di affidare la mia vita nelle sue mani, tra noi non devono esserci segreti.
«Lei… è la mia ragazza» mormoro. Lo sguardo di Layla, da malizioso si fa improvvisamente serio; raddrizza la schiena e inchioda le mani sui braccioli.
«Allora ficcati in testa questa prima, importantissima regola: mai, per nessuna ragione al mondo, neanche in punto di morte, lasciati sfuggire davanti alle telecamere che tu e Laree avete una relazione. È chiaro, Knight?»
Io annuisco, capendo immediatamente cosa cerca di dirmi. Se Capitol City vedesse pubblicamente ignorata la sua legge sulle relazioni omosessuali nei distretti, ucciderebbero seduta stante Laree e procurerebbero una morte lenta e dolorosa a me nell’arena. Sicuro al duecento percento. E non posso permettere che accada. Layla mi sorride, probabilmente per farmi sciogliere i muscoli, visto che a questa sua minaccia mi sono irrigidita eccessivamente.
«Hai delle possibilità, Knight. Innanzitutto la tua situazione particolare, che possiamo sfruttare per farti pubblicità; poi sei nella fascia massima d’età, questo significa che sarai più grande di molti altri tributi nell’arena… a meno quest’anno la sorte non voglia far estrarre tutti diciottenni. E da ultimo, non meno importante, tu hai un motivo per sporcarti le mani. Sei disposta a perdere la tua innocenza pur di tornare da lei. E questo è fondamentale per uno che aspira alla vittoria. Ho deciso che ti terrò in vita»
«E cosa farai con Roy?» le parole sono uscite dalla bocca senza passare per il cervello. Mi mordo la lingua: non dovrei mostrare interesse per quel bambino. Il suo sguardo si incupisce.
«Lo convincerò a buttarsi nel bagno di sangue alla Cornucopia» mi si gelano le ossa. Ma in fondo, c’è solo un vincitore giusto? E lei ha scelto me. Sì, ha scelto me. Dovrei gioire per questo. Tanto morirà comunque, lui. Meglio subito, meglio rapidamente nel bagno di sangue. Giusto?
«Alyss, Layla, di là c’è un buffet coi fiocchi! Venite a mangiare, stanno anche trasmettendo in diretta la mietitura dell’8!» pigola Julius scostando appena la porta scorrevole. Mi rendo conto di avere lo stomaco che mi brontola. E credo sia arrivato il momento di mettere su qualche chilo. Io e la mia mentore ci scambiamo un’ultima occhiata d’intesa prima di alzarci entrambe e dirigerci nel vagone ristorante.
 

Note di me.
Ebbene sì, ecco fresco fresco anche il secondo capitolo.
E poi boh, una mentore progetta la morte di uno dei suoi tributi. Troppo crudele? Ah, ma Layla non ha certo vinto perché era buona. Mi piace questo personaggio. Mai quanto la mia Alyss, ma ci va vicino.
Voi che ne pensate di questo capitolo?
Fatemi sapere, che se mi arriva un pomodoro in faccia mentre domani sarò a studiare in biblioteca almeno saprò il perché.
Ho bisogno delle vostre adorabili/crudeli recensioni <3 perché le recensioni sono il pane quotidiano di uno scrittore <3
A presto, gentaglia!
Alex

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Roy sta ingurgitando affamato un’intera scodella di zuppa di verdure quando arriviamo. Anche lui forse non ha mai avuto abbastanza da mangiare. Ma a sorprendermi davvero è tutto quello che c’è sopra alla tavolata del vagone: o forse dovrei dire quello che non c’è! Lo potrei definire un banchetto da re, ma ho dei dubbi che gli antichi re di questo pianeta mangiassero così tanto e così bene. Mi avvento su una succosa fettina di manzo come se fossi un animale affamato. Ma, in fondo, chissà che Capitol City non ci veda proprio così? Tanti piccoli animaletti affamati, pronti a sbranarsi a vicenda nell’arena.
«Piano, piano…» commenta Julius con una punta di apprensione «Così vi verrà un’indigestione!»
«Vi conviene alzare lo sguardo dai piatti, ragazzini» interviene Layla indicando con un cenno del capo la televisione. Siamo all’inizio della mietitura del Distretto 8: quella del 7 dev’essere finita da poco. Guardo distrattamente la tv mentre vengono annunciati i tributi che combatteranno contro di noi nell’arena. No, è assolutamente impossibile concentrarsi sulla propria pancia vuota e sulle mietiture insieme. E io voglio mangiare tutto quello che mi entra in corpo. Così comincio a provare ogni varietà di formaggio con miele e salsine varie, mentre con la coda dell’occhio noto che anche Roy mi segue. Davvero squisito! Il vecchio Sirius me lo fece provare una volta sola, il formaggio. La maggior parte delle volte che gli avanzava diceva che era preferibile buttarlo piuttosto che darlo a me, col rischio che mi sentissi male. Per questo il giorno in cui entrò nella mia locomotiva con una mezza forma di pecorino avvolta da un panno azzurro e un filone di pane sotto il braccio, sbarrai gli occhi incredula: quella sera mi disse che quando lo aveva assaggiato era così buono che non poteva non condividerlo con me. Mangiammo pane e pecorino spalmato insieme sotto le coperte. Avevo appena dodici anni, e fu uno dei giorni più belli della mia vita.
Un pugno sbatte con forza sul tavolo, facendomi quasi andare di traverso il melone che avevo appena messo in bocca.
«Basta ingozzarvi. Lì sopra ci sono i vostri avversari!» ringhia Layla a due centimetri dalla mia faccia, indicando lo schermo alle sue spalle.
«Ma tanto ci sono le repliche stasera!» mi lamento io.
«Lo ripeterò una volta sola: guardate quella cazzo di tv!» ruggisce lei per tuta risposta, esalandomi addosso il suo alito da caffè misto a nicotina. Anche Sirius spesso ha quell’odore. Trattengo a stento un conato di vomito.
«Stanno estraendo i tributi dell’11!» interviene Julius a mani giunte rivolto verso lo schermo. Sembra perennemente in apprensione per noi. Che significato abbia un atteggiamento del genere da parte di un accompagnatore, mi chiedo, non lo so.
Mi degno di guardare la mietitura – giusto perché non voglio più ritrovarmi il fiato asfissiante di Layla in faccia. I due tributi dell’11 non sembrano un granché: alti, dalla carnagione scura ma piuttosto mingherlini e decisamente spaventati. Anche i due tributi del 12 non lasciano molto da immaginare: hanno la faccia di chi sa che andrà a morire. Almeno su questi quattro ho quindi un discreto vantaggio.
«Stasera a Capitol City rivedremo le mietiture dei distretti dall’1 al 10. Ora sparite dalla mia vista» sospira Layla. È ironico come sembra sia lei quella più stufa della situazione. Ma siamo noi che stiamo andando a morire, lei ha già superato vittoriosa un’arena!
Inutile dire che la mia mente, anche su un letto, preferisce viaggiare per i suoi sentieri invece che spegnersi per riposarsi. Una sfilza di volti mi passano davanti intrecciandosi: Laree, Sirius, Layla, Roy, Julius, i tributi dell’11 e del 12… e quando mi addormento è anche peggio: incubi di ogni sorta sull’arena mi inseguono, una Laree insanguinata e disperata finisce tra le fauci di un ibrido gigante, somigliante a quella specie di troll che sbranò brutalmente metà dei tributi dell’anno scorso. Io, a dirla tutta, non ho mai dovuto seguire gli Hunger Games alla televisione. Il vecchio Sirius ha cercato sempre di impedirmelo e nessun’altro mi obbligava a guardarli. Ma la verità è che non puoi evitare per sempre qualcosa che è tanta parte della vita di Panem. Non potevo evitare, andando a casa di Laree o girando per il cantiere, di posare lo sguardo sui tanti maxischermi che tappezzavano i luoghi di lavoro e le vie principali. Solitamente distoglievo lo sguardo quasi subito, ma c’erano volte in cui quello che vedevo mi paralizzava, mi rendeva schiava delle immagini. Mi ritrovavo così, senza apparente motivo, a non riuscire a non fissare i cadaveri vuoti, le battaglie, le morti orrende, la fine delle alleanze. E ne avevo estrema paura. Mi spaventava l’idea di un’arena piena di ibridi e bambini che volevano il mio sangue. Provavo angoscia per i tributi che venivano estratti ogni anno e, ben nascosta nel gruppo degli adulti, davo mentalmente il mio addio ad ogni ragazzo, sconosciuto o meno, che sapevo sarebbe entrato in quell’inferno. Finché un bel giorno tutte le mie energie non furono concentrare a preoccuparsi solo di Laree.
Mi risveglio col fiatone nemmeno due ore dopo. Ci metto dieci minuti buoni per tranquillizzarmi, ricordando a me stessa che sono io, non lei, che entrerà nell’arena. Lei è salva, è al sicuro a casa. Butto indietro la testa sul cuscino e sospiro. Nonostante tutto, adesso voglio solo dormire.
Mi sveglio definitivamente quando arriviamo a Capitol City.
Questa città mi dà le vertigini. Ripenso alla piccola cuccetta che avevo in quella locomotiva rotta al 6, e la paragono a questi palazzi immensi e sfavillanti: le vertigini aumentano. Una mano mi tocca la spalla.
«Tra poco saremo nel nostro appartamento al Centro di Addestramento!» sorride eccitato Julius, «l’amore che Capitol City nutre per voi abitanti dei distretti è così grande! Vedrai come verrete trattati bene!». Io tiro su a forza l’angolo sinistro della bocca, simulando un sorriso. Fortunatamente arrivano Layla e Roy a far tacere quel sacco di menzogne che è il nostro accompagnatore per parlare di cose più serie.
«Appena ci sistemeremo al Centro i vostri preparatori vi riporteranno al Livello di bellezza zero» fa la nostra mentore.
«Che significa?» bisbiglia Roy, tutto tremante.
«Significa che vi faranno belli per la sfilata di domani»
Istintivamente mi tocco la cicatrice sulla guancia con l’indice e il medio.
«Te la cancelleranno dalla faccia, non preoccuparti»
Cancellare? Veramente questa è la cosa che mi lega più di tutte a Laree. Non voglio privarmene. Non voglio assolutamente. Credo che si legga negli occhi il mio disappunto perché mi guarda alzando un sopracciglio.
«Io… vorrei che la lasciassero» e lei mi fissa. Punta indice e pollice sotto il mio mento e mi sposta il viso di lato, in modo da analizzare meglio lo sfregio biancastro e rugoso.
«Li avvertirò di non toccarla»
Ah, davvero? Non credevo sarebbe stato così semplice ottenere questa concessione. Ancora una volta legge l’incredulità nei miei occhi, e per tutta risposta caccia dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette e se ne accende una al volo, soffiandomi il fumo in faccia con un ghigno. Non mi abituerò mai a questa puzza.
 
Quando arriviamo a sera, io e Roy siamo sfiniti e decisamente traumatizzati. Sono stata spellata e torturata in tutti i modi possibili con creme, pinzette e anche spazzole di ferro. I miei capelli, prima una matassa corta e nera, ora hanno una parvenza di ordine e sono tenuti fermi da una discreta quantità di gel. Come promesso, la cicatrice non è stata neanche sfiorata. A conclusione di tutto ciò io e Roy ci siamo infine ritrovati nella stessa stanza, già sulla difensiva come se ci aspettassimo di subire chissà quante altre angherie, di fronte a due ragazzi di giovane età. Gemelli, maschio e femmina, sono i nostri stilisti. Si sono presentati come Seismòs e Telluria, altrimenti conosciuti a Capitol City come i gemelli Rikter.
Sospiro al ricordo delle ore passate a farmi rivoltare come un calzino da quei pazzi e mi butto sul divano accanto al mio compagno di distretto. Layla non perde tempo e accende la tv di fronte a noi.
Le repliche delle mietiture sono appena cominciate e già i Favoriti riservano una sorpresa: nel Distretto 1, ad offrirsi volontario al posto di un suo coetaneo, è un ragazzino castano di soli tredici anni. Cerco di cogliere la reazione di Roy alla notizia che un altro tredicenne, in un altro distretto, parteciperà come lui agli Hunger Games. Evidentemente però questo tributo e il bambino moro che ho affianco non hanno altro in comune oltre all’età: infatti lo si vede sul palco mentre agita i pugni con aria di sfida, grida, ride. Ride. Cosa faranno agli abitanti dei primi distretti per convincerli ad amare in questo modo gli Hunger Games? Un tredicenne. È allucinante accorgersi di come un semplice bambino non veda l’ora di diventare un assassino. Cosa ci sta facendo la Capitale? La nostra mentore interrompe il flusso dei miei pensieri con delle delucidazioni di carattere tecnico.
«Il protocollo del volontariato nei primi due distretti funziona così: può offrirsi volontario solo un coetaneo del ragazzo che è stato mietuto. Questo per evitare che questi distretti, noti per la loro preparazione fisica e mentale, abbiamo sempre i tributi più grandi e allenati. Solitamente quando estraggono nomi di dodicenni o tredicenni non c’è nessun loro coetaneo abbastanza forte da volersi offrire, così capita che vadano ai Giochi i bambini estratti dalla boccia. Questo Axel, quindi, è un’eccezione».
Axel. Mi era sfuggito il suo nome, prima.
Rimango senza parole: lui, così giovane, eppure già così sicuro di se stesso!
«Ma lui non sarà una minaccia, giusto?» chiede Roy. Layla gli getta uno sguardo crucciato. Giuro di aver visto addirittura un lampo di mestizia nei suoi occhi.
«Per quanto mi riguarda, sì. Perché se si è offerto volontario non è sicuramente per fare amicizia con te».
Il Distretto 2 si distingue in ugual modo per alcuni particolari che mi rimangono impressi: la ragazza ha uno sguardo sicuro di sé ma anche molto dolce e quasi umile, il che si intona malissimo con l’idea di tributo Favorito che dovrebbe rappresentare. Il ragazzo invece ha dei capelli lungi raccolti in una coda di cavallo, tinti di rosso fuoco, con due smeraldi incastonati in un viso duro e spigoloso. Entrambi volontari, ovviamente. Il 3 e il 4 passano velocemente sullo schermo, ma io mi soffermo un attimo di più sui codini biondissimi e gli occhi verdemare della ragazza del 4, di cui registro anche il nome – Lavender. Il Distretto 5 ha due tributi molto giovani, immagino usciranno praticamente subito dai Giochi. Guardiamo in silenzio tombale la replica del nostro distretto: io che mi offro volontaria, che ringhio contro i Pacificatori che mi riconoscono, che poso gli occhi sulla mia ragazza. E poi il piccolo Roy, terrorizzato e in lacrime, che aggiunge un tocco di orrore a questa mietitura. I telecronisti commentano la replica in diretta, puntando l’attenzione su di me, la ragazza fantasma, e sulla mia particolarissima storia. Poi li sento fare riferimenti a parole che non conosco, probabilmente a un commento precedente a questa trasmissione, quando questo pomeriggio mostravano la diretta. Noi rimaniamo in silenzio.
Il Distretto 7 offre uno spettacolo sorprendente: il tributo maschio, un giovane dagli occhi dorati, ride sguaiatamente quando viene estratto il suo nome. Lo vediamo salire sul palco velocemente, e quando si volta verso le telecamere i suoi occhi sono luminosi e un sorriso – che assomiglia di più a un sogghigno – è stampato sul suo volto.
Sento Roy tremare al mio fianco.
«Credevo che solo i Favoriti provassero soddisfazione nel partecipare ai Giochi» mormora al vento, non rivolgendosi a nessuno in particolare.
«Ognuno entra nell’arena con una propria storia, diversa da quella di tutti gli altri» risponde Layla, giocando a bruciacchiarsi le punte dei capelli con l’accendino, «non giudicare mai un tributo dal distretto da cui proviene».
I tributi dell’8, il 9 e il 10 non sembrano nulla di speciale, a prima vista. Ciò che tutti hanno in comune è solo quell’aria molto, molto, spaventata. Come dargli torto? Tutti abbiamo paura.
Layla spegne il televisore e sparisce dietro la porta trascinandosi dietro Roy, senza una parola. Allora decido di ritirarmi nel silenzio della mia camera a meditare sui miei futuri nemici. La camera è gigantesca, almeno per i miei standard, e davvero non avevo idea che una persona potesse aver bisogno di tutte queste cose. Anche se non sembra che Capitol City ragioni in base al semplice bisogno. Nella mia esistenza ho sempre fatto a meno di così tante comodità che adesso che sono qui, seduta su un morbido letto a due piazze al centro della stanza, mi sembra di essere dentro a un museo di oggetti da contemplare. Un grosso museo di cianfrusaglie inutili, di quelli che una volta Laree mi disse di aver visitato durante una gita scolastica. Per cominciare ad ambientarmi decido che è cosa buona e giusta farmi una doccia. Appena finisco di armeggiare con il complicato touch screen del bagno ed esco dall’ampio box rettangolare, mi ritrovo una Layla in vestaglia da notte stesa sul mio letto con una sigaretta in bocca.
«Che ci fai tu qui?!» sbraito io coprendomi con l’accappatoio.
«Era ora che uscissi. Dobbiamo discutere della tua strategia»
«Adesso?»
«Adesso»
«Ok, ma potresti per favore evitare di fumare sopra il mio letto?» dico con astio.
Lei per tutta risposta mi guarda e poi preme uno dei tanti bottoncini colorati che stanno sopra il comodino, che attiva una specie di ventola – dal rumore sembra così – che risucchia verso una grata sul soffitto tutto il fumo della sigaretta, lasciando al suo posto un lieve aroma di vaniglia.
«Va meglio adesso?» mi chiede facendo un’ultima tirata e gettando poi il mozzicone su un portacenere di legno intagliato. Io annuisco e mi siedo sul letto.
«Allora, cosa farò per accaparrarmi sponsor?»
La mia mentore si tira a sedere affianco a me.
«Pensavo di presentarti come una guerriera» comincia lei. Già mi piace. «Ci ho pensato oggi, quando hai voluto tenerti la cicatrice: quello dovrà essere un segno, il tuo segno, un monito per tutti gli altri tributi di stare in guardia da te, perché sei già reduce di grandi battaglie per la sopravvivenza nel tuo Distretto» dice mentre con il pollice traccia la linea del mio taglio. Io annuisco con decisione, e un sorriso si forma sul mio volto. Alyss Knight, l’implacabile guerriera da temere. Come per tirarmi giù dalle nuvole, lo sguardo di Layla si fa improvvisamente duro e mi strattona con forza per il bordo dell’accappatoio finché i nostri visi non sono, di nuovo, vicinissimi.
«Questo, Knight, significa anche che diventerai un obiettivo di primaria importanza per tutti gli altri tributi. Per questo voglio che durante l’allenamento tu tenga gli occhi bene aperti e ti cerchi uno o più alleati. In caso contrario, preparati a essere predata senza pietà».
«Vedrò cosa riesco a fare» concludo io distogliendo lo sguardo da lei. La sento mollare la presa e dirigersi verso la porta con passo svelto. All’ultimo si gira verso di me.
«Vedi di valutare bene, Knight» e chiude la porta con un tonfo.
Subito mi assale il sonno. Dovrei rimuginare su tutto quello che ho visto e sentito oggi, farmi un’idea già da ora di chi dovrei fidarmi nell’arena e riflettere su come comportarmi domani quando sfilerò di fronte a tutta Panem. Però la stanchezza dell’agitazione e lo stress hanno la meglio e io mi ritrovo quasi senza accorgermene tra le coperte con ancora solo l’accappatoio addosso.

 
Note di Alex
E rieccomi qua! Incredibile quanto ci metto a pubblicare. Forse dipende dal fatto che porto avanti troppe long contemporaneamente? >_>
Che poi... "portare avanti" è una parola grossa.
Beh, BUON ANNO A TUTTI! Vi auguro tutto il bene di questo mondo e spero che questo lungo capitolo non faccia talmente schifo da rovinarvi l'inizio del 2015 <3 vi avverto che più avanti allegherò al capitolo anche i miei disegni su i tributi dei 34° Hunger Games. Sì, ovviamente ci sarà anche Alyss.
Lasciate un commentino! (non disprezzo nemmeno le lunghe recensioni dettagliate, eh)
A presto (spero)
Alex

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Telluria Rikter, la mia stilista, mi squadra coi suoi occhi blu e grandi. Leggo un misto di disprezzo e superiorità nel suo sguardo. Io non smetto di guardarla in faccia, in segno di sfida: già la odio. Sbuffa.
«Quindi… “ragazza fantasma”, “volontaria”, “guerriera”… cosa posso fare con te?» mormora senza voglia.
«Beh, sei tu la stilista, non io» le rispondo acida.
No, decisamente non la sopporto. Lei sbuffa un’altra volta.
«Se non fosse che stimo e rispetto la tua mentore, mi sarei rifiutata categoricamente di fare la stilista del Distretto 6… al diavolo mio fratello e le sue fisse! Se non fosse stato per quello scandalo adesso sarei ancora a creare abiti favolosi per i bei tributi del 4! Povera me…». Ha iniziato parlando a me, ma ha concluso rivolgendosi più a se stessa. Sento che continua a borbottare cose incomprensibili mentre prende le misure della mia vita e scribacchia qualcosa su un foglio.
Cerco di distrarmi e pensare ad altro, perché proprio non mi va di ascoltare parole di disprezzo da qualcuno che mi fa bella per mandarmi a morire. E comunque, la bellezza non è mai stato il mio forte. Tanto per cominciare sono esageratamente alta. Diceva mia madre che questa è una caratteristica ereditata dalla mia famiglia paterna, in cui praticamente tutti, maschi e femmine, sono soliti ritrovarsi a guardare gli altri dall’alto in basso. Questo è un punto forte per gli uomini, ma oggettivamente su una donna non rende altrettanto. Inoltre sono denutrita, il che mi rende più simile a un palo della luce – alto – che ad una ragazza. Poi c’è il fatto che al posto dei capelli ho una specie di nido d’uccello carbonizzato. A volte mi chiedo cos’è che Laree abbia trovato di così meraviglioso in me. Quando mi ha conosciuta in particolar modo ero una specie di brutto anatroccolo, col viso annerito dalla sporcizia, avvolta nella grande felpa del vecchio Sirius, con i soli miei occhi, cristallini, che splendevano mentre mi rivolgevo a lei. Lei che si era messa a piangere alla vista del graffio insanguinato che mi bruciava sulla guancia. Io, sinceramente, non avevo ben capito cosa stesse succedendo: un attimo prima ero di fronte al Pacificatore, con una mano inondata del sangue della mia ferita, l’attimo dopo ero nel mio piccolo vagone, in compagnia di Laree e con Sirius che mi premeva uno straccio umido sulla faccia. Fu dopo le medicazioni che le sorrisi e mi presentai, e lei scoppiò in una risata liberatoria, a metà tra l’incredulo e il divertito:
«Tu sei matta!» disse, e io piegai la bocca in una smorfia che doveva intendersi per sorriso.
«No, io sono Alyss!» ribattei convinta. Per tutta risposta lei rise di più.
«Io mi chiamo Laree, ma… è così normale per te prendersi le frustate al posto degli altri? Potevi farti davvero male!»
«Volevo conoscerti» alzai le spalle io, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lei si asciugò col braccio le ultime lacrime rimaste al bordo degli occhi e il suo viso si illuminò di gioia. Decisi in quel momento che amavo il suo sorriso.
«Certo che hai delle maniere davvero strane per conoscere la gente, Alyss. Nessuno si era mai preso una frustata per venire a parlare con me… ma grazie» l’ultima parola era quasi sussurrata; io arrossii appena – nessuno mi aveva mai ringraziata in vita mia – e a quel punto scese il silenzio tra noi. Una settimana dopo tornò da me con un braccialetto fatto di maglie metalliche – pezzi di lamiera lavorata proveniente dal cantiere, per la precisione – che lei aveva fatto con le sue mani apposta per regalarmelo, come ulteriore segno di riconoscenza. Non era certo un accessorio di moda all’ultimo grido di quelli provenienti da Capitol City, ma aveva lo stesso valore, se non maggiore. Rappresentava l’inizio della nostra amicizia.
Guardo distrattamente il braccialetto che porto anche ora sul polso sinistro, mentre Telluria mi annuncia che il suo progetto è finito e che dopo pranzo avrò il mio vestito per la sfilata. Che il costume sarà pronto in tempo record è quasi un eufemismo. Ci salutiamo velocemente senza guardarci in faccia, e io decido di rifugiarmi in camera fino all’ora di pranzo.
Quando arrivo al salone dove è pronto il nostro pranzo, trovo Layla e Roy già seduti l’uno affianco all’altra a parlottare animatamente. Mi chiedo da dove abbiano preso tutta questa confidenza, considerati i piani della mia mentore per lui.
«Ehi» saluto io, alzando una mano. Noto subito l’assenza dei due stilisti: «Seismòs e Telluria?»
«Oggi mangeranno nelle loro stanze, stanno creando» interviene la voce di Julius alle mie spalle. Ci giriamo tutti a guardarlo e lui, per tutta risposta, arrossisce vistosamente. Assurdo! Eppure dovrebbe essere abituato ad avere gli occhi puntati su di lui, col lavoro che fa. Non l’avevo mai visto imbarazzato prima d’ora.
Roy salta giù dalla sedia e gli va incontro, prendendolo per un braccio: «tutto bene?». L’accompagnatore annuisce e gli scompiglia i capelli.
Ma che diavolo è successo in mia assenza? Sembrano tutti cambiati. Sono forse impazziti?
Mi siedo al tavolo e attendo che gli altri facciano lo stesso. Ho una certa fame. A parte gli arretrati di diciotto anni, è da stamattina presto che non tocco cibo per star dietro a quella rottura di scatole di Telluria. Mi domando come sia andata a Roy, e se almeno Seismòs sia più simpatico. Poi mi viene in mente quello che la mia stilista ha detto a proposito di suo fratello: accennava a delle fisse e a uno scandalo che li ha fatti trasferire dal 4 al 6. Scuoto la testa e scaccio quei pensieri. Non sono la tipa che ama fare gossip, preferisco concentrarmi sul cibo. Quello che fa questa gente non sono affari miei. Io devo solo focalizzare la vittoria e raggiungerla. Sono qui solo per questo: per riuscire a tornare da Laree, indipendentemente da quante gole dovrò tagliare e da quanto tutto ciò provocherà il gaudio di Capitol City.
Layla si accende una sigaretta senza toccare cibo.
«Non hai fame?» le chiede Julius. Lei scuote appena la testa e fa una lunga tirata. Poi dice a me e a Roy:
«Vi voglio carichi per questo pomeriggio. Sarà la vostra prima apparizione ufficiale, gli sponsor saranno tutti lì ad aspettarvi».
Non so perché ma l’idea di una sfilata con tutta Panem che guarda mi mette più agitazione degli stessi Hunger Games. E non è che durante i Giochi ci sia pure molta privacy. Ma forse è perché lì dentro la mia prima preoccupazione sarà la sopravvivenza, e non lo spettacolo di me stessa mentre sono acclamata dalla gente che mi vuole morta. Bene, è ufficiale. Sono in ansia per questa sera.
Mi si chiude lo stomaco dopo il terzo boccone e resto immobile a fissare il piatto, mentre Layla, Julius e Roy fanno discorsi sul nulla, la prima per dare aria alla bocca, il secondo perché è realmente interessato e il terzo probabilmente per pensare a qualcos’altro che non sia l’arena. Ma poi percepisco qualcosa che cattura la mia più completa attenzione. È Julius che sta parlando.
«…e alla fine sono tornato col mio ex… ora stiamo cercando un appartamento a basso costo dove convivere, e alla fine credo mi ritirerò dal business degli Hunger Games». Il SUO ex? Alzo lo sguardo vacuo verso di lui, e contemporaneamente sento su di me gli occhi freddi di Layla che mi intimano di non dire cose compromettenti. Ma non ce n’è bisogno, lo so perfettamente. L’accompagnatore si accorge di come lo sto fissando e anticipa qualsiasi mia parola: «ovviamente prima di ritirarmi farò di tutto per sostenere i miei tributi, non temere cara!» e mi sorride. Rimango interdetta e sto per replicare, ma un colpo di tosse probabilmente proveniente da Layla mi manda il chiaro messaggio di fermarmi qui. Deglutisco con forza e piego gli angoli della bocca in quello che dovrebbe essere un sorriso rassicurante.
«Meno male, avevo proprio paura che te ne andassi!» dico col tono meno credibile che potessi assumere. Lui si poggia la mano sinistra sul petto, aperta proprio sopra il cuore, mentre con l’altra si asciuga gli occhi leggermente inumiditi. Non credo sia molto abituato a dimostrazioni di interesse nei suoi confronti da parte dei suoi tributi. Sempre che il suo piccolo fraintendimento e la mia frase di circostanza possano essere considerati interesse.
Comunque tra la scoperta della sua omosessualità e il divieto di Layla di poter sapere di più – sapere di più su questi maledetti capitolini che possono convivere tranquillamente con i loro amanti dello stesso sesso mentre io e Laree dobbiamo temere la morte – mi sono inacidita non poco. Questo pranzo è stato un boccone amaro da mandar giù. Mi congedo con poca grazia dalla civiltà e mi rinchiudo in camera decisa a non uscirne finché Telluria non mi dice che il costume è pronto.
Non faccio neanche in tempo a toccare il letto col sedere che subito bussano alla mia porta. Non rispondo, convinta al cento per cento che sarà Layla che vuole urlarmi contro per come mi sono comportata o quel rompiscatole di Julius con le sue asfissianti attenzioni.
«È permesso?» e invece è la voce tremante di Roy a raggiungermi da dietro la porta.
Resto in silenzio a riflettere sul da farsi.
Non è che faccia i salti di gioia al pensiero di parlare col bambino che in quel posto disumano chiamato arena poi dovrò uccidere. È anche vero che lui è sicuramente la persona che stimo di più in questo buco. O, perlomeno, quella più innocente. Mi accorgo all’improvviso di invidiarlo. Non ho ancora tagliato la gola a nessuno eppure mi sento più sporca che se avessi già ammazzato con le mie mani più della metà dei tributi. Forse è perché dentro di me l’ho già fatto: ho già squartato uno per uno tutti loro, nella smania di tornare a casa.
Altri tocchi risuonano nella stanza e io mi risveglio dallo stato di trance.
«Vieni pure» dico sbrigativamente.
Una bassa testa castana fa capolino pudicamente da uno spiraglio nella porta, ma poi si blocca. Io, ancora seduta sul letto, mi sporgo di lato per incrociare il suo sguardo e incitarlo a farsi avanti. Una figura tremante entra nella mia camera. Finora non lo avevo mai guardato veramente in faccia, Roy Cutter. O meglio, l’ho sempre guardato, ma mai visto. Persino il suo aspetto esteriore in questo momento mi riesce nuovo: ha dei capelli castano scuro, tagliati cortissimi; i suoi occhi sono due mandorle piuttosto grandi, di un marrone scuro che si avvicina al nero. Il suo viso ha dei lineamenti dolci che lo rendono davvero più indifeso di quel che è lecito per un tributo degli Hunger Games. In generale si vede che è ancora un bambino di corporatura: affianco a me, che sono esageratamente alta, sembriamo madre e figlio.
Lui si siede sul letto alla mia sinistra.
«Ti dispiace per quello che ha detto Julius?» mi chiede bruciapelo.
Non capisco a cosa possa riferirsi di preciso, perché lui non dovrebbe sapere della mia situazione. Lo guardo un po’ confusa, e lui si affretta a spiegare: «la ragazza per cui ti sei offerta volontaria… tu la ami, vero? Lo so perché me l’ha detto Layla».
Mi faccio un appunto mentale di uccidere Layla Fross se torno viva dall’arena. Poi dice a me di non parlarne con nessuno.
Abbasso lo sguardo e annuisco, cercando di mascherare la rabbia che mi assale. È strano: quando sto con Roy non riesco a farmi uscire le parole dalla gola. Mi riesce difficile persino guardarlo in faccia.
«Io lo so che Layla ha scelto te» sussurra improvvisamente Roy, con un singulto. Io mi pietrifico.
«Anche questo te l’ha detto lei?»
«No. L’ho capito da solo»
Alzo le spalle.
«Aiuterà anche te, sicuramente»
«No. Io non ho possibilità di vittoria… ma tu» fa una breve pausa e prova ad incrociare il mio sguardo –inutilmente, perché il mio è piantato a terra – «tu puoi farcela. Ma non ti devi sentire in obbligo di consolarmi, lo so già che morirò» la sua voce è stranamente atona, ma sento che il suo corpicino è scosso da sporadici singhiozzi. Ti prego, non piangere.
«Comunque non fa niente se muoio, anche se ho un po’ di paura. Almeno… almeno potrò raggiungere la mia mamma in cielo». La sua voce arriva quasi impercettibile, tanto che faccio fatica a rendermi conto di ciò che ha detto. Ma quando capisco, non posso fare altro che voltarmi finalmente verso di lui e guardarlo sforzarsi di non far scendere le lacrime dagli occhi gonfi, mordendosi il labbro inferiore coi denti per riuscire a trattenersi. Nonostante tutto la prima lacrima scende lo stesso e sento che comincia a piovere anche sulle mie guance. Non è possibile che io stia piangendo di nuovo… non va bene! Comincio a non ragionare più, tanto che seguo il mio primo istinto e lo abbraccio con forza.
«Anche mia madre non c’è più» bisbiglio tra i suoi capelli. Lo sento annuire contro la mia maglia, e rimaniamo stretti così per lunghi minuti. In qualche modo, ne avevo bisogno. Tutto questo atteggiarsi da dura per prepararmi alle telecamere mi sta facendo desiderare come nient’altro un po’ di affetto. E forse, inconsciamente, un po’ con tutti, lo stavo già mendicando, quest’affetto. Perché la verità è che ho paura, paura come quando mia madre fu condannata, paura per me, paura per Laree, paura per Sirius, paura per Roy, paura che non esista un aldilà in cui le nostre mamme vegliano su di noi. Paura, paura, paura. Mi concedo questo momento di debolezza con il mio compagno di distretto, almeno ora. Così che se morirò anch’io in quell’arena, saprò che c’è stato almeno uno che ha visto la verità di me, con tanto di debolezze, in mezzo a tutta la falsità dei trentaquattresimi Hunger Games. Qualcuno con cui condividere questo dolore.
Noi tributi siamo solo questo: gli agnelli più belli, giovani e forti del gregge, strappati dai propri compagni per attendere al sacrificio da tributare a dèi oscuri. E il nostro sangue bagnerà l’altare dei potenti, tra grida di giubilo e l’eco lontana del lamento degli ultimi, che piangeranno per lunghi secoli i loro figli. Che mondo è quello in cui viviamo? Perché siamo costretti a vivere così? Me lo dice sempre, il vecchio Sirius, che mi faccio troppe domande. Mi dava anche della sognatrice, della visionaria, quando passavo intere giornate a seguire con gli occhi i treni che se ne andavano silenziosi così come erano arrivati. Immaginavo che forse avrebbero raggiunto terre lontane e portato con sé storie di gente libera. Libera e felice. Un posto distante da questo inferno, dove Roy e la sua mamma avrebbero potuto stare insieme per sempre. Un mondo in cui io e Laree potevamo vivere così, libere e felici.
La realtà ci richiama subito all’attenzione, perché i nostri stilisti irrompono nella mia camera con fare scocciato. Io e Roy ci separiamo, lui comincia a guardare imbarazzato il pavimento torturandosi le unghie, mentre io mi asciugo velocemente il viso arrossato con la manica della maglia. Telluria alza gli occhi al cielo, sbuffando.
«Questi tributi, sempre con le solite sceneggiate…»
Non sono sicura di aver capito bene quello che ha detto, perché è stato poco più che un brontolio. Ma quello che credo di aver sentito basta e avanza per dimenticare il dolore di poco fa e farmi salire la furia che dalla mietitura mi caratterizza così tanto. Eppure giurerei che prima di venire qui a Capitol City io non ero così irascibile: sembro un cane rabbioso.
«Roy, piccolo, vieni in camera che proviamo il tuo abito! Tra due ore inizia la sfilata!»
L’interpellato annuisce, salta giù dal letto e corre a seguire il suo preparatore.
È la prima volta che sento parlare Seismòs. Ha una voce più profonda di come la immaginavo. E anche modi decisamente più gentili di quelli di sua sorella. Lo guardo un attimo prima che sparisca nel corridoio con Roy e registro la sua figura: è un uomo grande e grosso, vestito di un elegante e pomposo smoking verde brillante decorato a strisce orizzontali giallo limone, della stessa tonalità dei suoi capelli – non biondi, ma proprio un’innaturale giallo limone – pettinati in una cresta alta e verdognola. Gli occhi, completamente neri, sono contornati da un trucco pesante dalla sfumature giallo-arancio che li risaltano ancora di più. Dal collo vedo spuntare un tatuaggio vagamente fucsia, che sembra sfumare leggermente verso il blu nella parte nascosta. Sua sorella, che ancora mi guarda in cagnesco, è ancora più ridicola: il suo look si basa tutto sul blu. Blu sono i suoi occhi, blu i capelli cotonati e corti – a pois luccicanti che fanno somigliare la sua testa a una palla stroboscopica, di quelle che da piccola vedevo in tv quando trasmettevano in diretta le feste a Capitol –, blu il trucco a motivi di farfalle in faccia e blu il vestito a palloncino – veramente sobrio, per appartenere a una capitolina. Ho comunque notato con piacere che entrambi i nostri stilisti hanno detto no a quel sacrilegio che è la moda di dipingersi tutto il corpo di bizzarre tinte, uniformi o meno.
«Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi per molto tempo ancora?» chiede lei retorica.
«Ci sono, ci sono…» mugolo io.
Lei si sistema i capelli con superiorità e poi apre la valigetta che si è portata dietro. Mi mostra il costume, ma non riesco a capire come sia fatto: sembra un cumulo deforme di… pezzi di metallo tintinnante. Che schifo, altro che fare bella figura per gli sponsor!
«Cos’è quella faccia scettica?»
«La vera domanda è: cos’è quel coso
«Ciò che ti renderà un po’ meno insopportabile al pubblico, tesoro» sibila lei lanciandomi contro il suo costume. Che è un po’ come se mi avessero tirato addosso un armatura da battaglia. Mi massaggio il naso il naso dolorante per lo scontro col duro metallo dell’indumento, mentre borbotto improperi contro quella megera.
«Infilatela velocemente. Poi qui ho anche la parte di sotto»
Parte di sotto? Credevo fosse un vestito unico. Eseguo celermente l’ordine, ho intenzione di porre fine a questa sceneggiata il prima possibile. Telluria mi impedisce di guardarmi allo specchio finché non sono completamente vestita – con tanto di pantaloni e stivali fatti dello stesso materiale di quella che ho scoperto essere una specie di felpa metallica. Ma anche arrivata a questo punto scopro che mi tocca passare prima per la fase trucco: dopo un’ora abbondante, insomma, mi è finalmente concesso di guardare l’effetto finale. Mi avvicino al grande specchio ovale che prende buona parte di una parete della mia stanza con molta cautela. Ho veramente paura di quello che vedrò. Telluria nel frattempo ha la gentilezza di darmi una spintarella per accelerare i tempi. Guardo nello specchio e rimango senza parole: sono una vera guerriera. Il costume, che prima sembrava senza senso, indossato rivela tutti i suoi punti forti. Tanto per cominciare, per essere un abito tutto di metallo non è per nulla del tipo che siamo abituati a vedere noi nel Distretto 6. È un metallo rifinito in modo particolare, mi spiega Telluria, flessibile e leggerissimo, tanto da sembrare un tessuto qualunque. Tre grosse lamine metalliche saldate insieme mi ricoprono rispettivamente la parte destra del torace, la sinistra, e l’addome. Dal collo si alza la parte inferiore di quello che sembra un elmetto rigido, che si completa tirando il cappuccio sulla testa: in questo modo l’elmo mi arriva proprio sopra fronte. Delle spalline rigide a più strati mi proteggono scapole e clavicole, mentre lunghe maniche argentee scendono fino ad intrecciarsi attorno alle mie dita strette a pugno. I pantaloni sono fatti più o meno allo stesso modo, e gli stivali di ferro dorato, a dispetto di come appaiono, sono molto comodi. La cosa che mi sorprende di più è la decorazione stampata su questa divisa: è fregiata delle lunghe strisce rosse parallele che si vedono sulle fiancate dei vagoni predisposti al trasporto di personalità importanti: queste partono dal petto e si incontrano sulla schiena, intrecciandosi. Il cappuccio ha sui lati due trapezi rossastri, staccati rispetto al resto del tessuto metallico: sono i lunghi finestrini della locomotiva di un treno ad alta velocità.
Mi hanno praticamente trasformata in un treno. Un mezzo pesante, ma anche rapido e affascinante. Sono proprio io, sono la ragazza dei treni.
Il trucco è leggero e prevede una patina bianca che mi schiarisce il viso e fa risaltare di più i miei occhi blu, lucenti come due fari che corrono veloci tra i binari. Ma a risaltare più di tutto è la mia cicatrice: l’hanno ripassata di rosso e dai suoi contorni sgorgano volute di finto sangue che mi macchiano il viso.
Alla fine, non mi aspettavo tutto questo. Mi giro verso Telluria a bocca semiaperta, mentre lei mi guarda con un misto di noia e soddisfazione sul volto.
«Grazie» riesco a mormorare alla fine io, prima di incrociare quello che sembra essere il suo primo sorriso per me.
La sfilata inizia e io mi sento di vivere in un mondo parallelo, fatto di nebbia e confusione. Sono così agitata che a malapena mi accorgo dei consigli di Layla e di come è vestito Roy – che sembra molto simile a come lo sono io. In mezzo a questo mare confuso mi rendo conto dell’immensa folla di persone che grida a destra e a sinistra: un agglomerato di puntini colorati e deliranti che peggiora il mio senso di vertigini e la voglia di scappare da quel carro trainato da cavalli grigi. Vorrei fermare tutto e chiedere a tutta questa gente che cosa ci sta facendo qui, che cosa ci faccio io qui, e mi viene da vomitare. Una gomitata di Roy mi riporta alla realtà e la sua vocina flebile mi dice: «Sta su!» e io mi rialzo immediatamente. Giusto, io ho una missione da compiere. Laree torna ad occupare la mia mente e, forte del fatto che lei sta guardando, mi tiro su il cappuccio mostrando l’opera di Telluria completa, sollevo il mento e metto in scena il sorriso più strafottente che ho nel mio repertorio. Il pubblico mi acclama. Guardami, Laree, ho già addosso la mia armatura: la battaglia sta per cominciare e io vincerò. Per te. Quando arriviamo di fronte al presidente Snow per ad ascoltare il suo discorso, tiro comunque un sospiro di sollievo: la parte difficile è passata. Ciò non toglie che io non capisca una parola di quello che Snow dice, perché troppo concentrata a spiare gli altri tributi: riconosco immediatamente Axel, il ragazzino volontario dell’1, e il tipo del 2, quello con gli occhi verdi e i capelli tinti di rosso, che lo fa somigliare a una fenice.
Anche il percorso inverso passa nella lotta più accesa tra il volto di Laree che mi incoraggia a mettercela tutta e le mie vertigini imperanti. Quando finalmente riesco a mettere i piedi a terra, lontana il giusto dalle telecamere, perdo completamente l’uso della parola. Le esclamazioni gioiose di Layla, Seismòs e Telluria mi scivolano addosso quanto i loro consigli prima di partire, e non sono in grado di sostenere una conversazione fino a tarda sera, quando finalmente si chiude il sipario su questa lunga giornata.
Ora posso finalmente fermare i pensieri.


Note Di Me.
Questo capitolo è infinito, come cavolo ho fatto a pubblicarlo per intero? Il problema di base è che non riuscivo a trovare un punto sensato dove dividerlo. Devo comunque dire di essere molto soddisfatta di ciò che è venuto fuori: in questo capitolo vengono fuori aspetti prima nascosti di molti personaggi, e anche Alyss alla fine giunge alla consapevolezza che nessuno di quelli che ha davanti può essere semplicemente ridotto a quello che mostra esteriormente.

Poi mi è mancata Layla. Non l'ho molto considerata in questo capitolo perché di lei si parlerà meglio più avanti, ma mi è sinceramente mancata.
Ah, tanto per dire, gli stilisti sono ispirati ai terremoti. Proprio nel senso che i loro nomi - l'avrete capito - vengono fuori da parole che rimandano al campo semantico dei terremoti: "Telluria" da "tellus", che è la terra in latino, da cui deriva l'aggettivo "tellurico". "Seismòs" dalla parola greca che significa "movimento" (mi pare) e da cui deriva invece l'aggettivo "sismico". Poi chiaramente il cognome Rikter è la pronuncia del nome tedesco di Richter, da cui la "scala Richter", che individua la magnitudo dei terremoti, prende il nome. Abbiate pietà, questi nomi li ho inventati dopo aver sentito un terremoto 4.1.
Beh, ora mi placo e lascio la parola
ai vostri commenti sempre fin troppo gentili, davvero.
Un abbraccio,
Alex

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Sgattaiolo fuori dal mio cubicolo di rottami e cammino a passo svelto e a testa bassa – per non farmi notare dai Pacificatori – verso casa di Laree. Tengo stretto tra le mani il dono che stamattina il vecchio Sirius mi ha fatto: un panino col formaggio che ieri sera ha avanzato apposta per me. Me l’ha regalato perché sa che oggi è una giornata importante: Laree mi porterà a fare un’escursione in un posto bellissimo, in onore del primo anniversario del nostro incontro. Quando arrivo mi tiro su il cappuccio della felpa e mi guardo bene intorno per assicurarmi di non dare nell’occhio. Solo quando sono sicura al cento per cento che non ci siano Pacificatori o il comandante Basil stesso in giro, busso. Ovviamente anche il tocco che uso è speciale: così tutti in casa sanno che sono io e che cerco Laree.
«Ehi!» mi saluta lei, aprendomi.
«Sono pronta!» esclamo io non riuscendo a contenere l’emozione. È la prima volta che faccio una gita in un posto nuovo del distretto. Lei mi sorride e saluta con un urlo i suoi genitori e suo fratello maggiore.
Dopo mezzora di cammino raggiungiamo la cresta di una collina che sovrasta il villaggio. È cosparsa di botole metalliche che conducono alle fabbriche sotterranee dove costruiscono gli hovercraft, mi spiega lei.
«E’ bellissimo quassù!» non posso fare a meno di esclamare.
Lei ride e poi mi picchietta sulla spalla per attirare la mia attenzione.
«Guarda qui, Alyss!» raggiunge con una corsa il punto più alto della collina e, rivolgendosi verso il villaggio sotto di sé, spalanca le braccia e prende più fiato che può:
«SONO LA REGINA DI PANEM!!» e le sue parole rimangono sospese nell’aria. Per un attimo sembra che tutti i distretti si siano fermati ad ascoltarla, come se lei ne fosse davvero la regina.
«Sei sempre la solita chiassosa, Laree!» una voce sconosciuta arriva alle nostre spalle.
Lei si gira immediatamente e il suo volto si allarga in un sorriso enorme.
«Dinah! Rik!» esclama per poi gettarsi addosso ai due ragazzini appena arrivati. «Alyss, questi sono due miei compagni di classe! E sono noiosi, al contrario di me»
«Sentila, come si vanta!» dice il ragazzo, Rik, e si prende un pugno amichevole sul petto da parte di Laree. Io sfoggio il mio miglior sorriso e colgo l’occasione per presentarmi:
«Io sono Alyss!»
«Tanto piacere Alyss!» interviene subito Dinah.
«Quanti anni hai?» aggiunge Rik.
«Dodici»
Si levano grida di stupore.
«Eh? Ma allora sei nostra coetanea! Perché non ti abbiamo mai visto a scuola?»
«No, sei troppo alta per avere solo dodici anni… dicci la verità!»
«Se una di quelle persone che saltano la scuola di proposito?! Perché sai, mia mamma dice che…»
«Basta!» irrompe Laree, accorgendosi appena in tempo che tutte queste attenzioni mi stanno mettendo a disagio.
«Sì, ha dodici anni, e non l’avete mai vista a scuola perché lei in realtà è la bambina fantasma! Ed è anche la mia migliore amica» sottolinea quest’ultimo pezzo con fierezza. Le sorrido per ringraziarla di avermi risparmiato tutta la spiegazione.
Ma i due ragazzi di fronte a me sembrano più eccitati di prima.
«Davvero?! Tu sei proprio quella bambina?»
«Wow forte! Ma è vero che vivi in un treno?»
«Rik, Dinah! Venite immediatamente qui!» è una donna adulta, dai capelli lunghi e neri, che parla. Sarà la madre di uno dei due. Loro si voltano allarmati:
«Mamma, lei è…» inizia Dinah.
«Lo so chi è» e mi lancia un’occhiataccia, «e voi non ci dovete avere niente a che fare!»
«Come scusi?» chiede Laree alzando un sopracciglio.
«Quella ragazzina porta solo guai!» quelle parole mi si conficcano nell’anima come mille chiodi. Perdo definitivamente l’uso della parola. «Non dovete più starci insieme. Ci farà ammazzare tutti se la scoprono viva!»
«Ma signora…» prova a replicare Rik.
«Niente ma! A meno che non vuoi che io chiami tua madre…» e il ragazzino si zittisce subito.
La donna li porta via per mano, assicurandosi prima di aver guardato con astio me e Laree. Ma le sue parole continuano a rimbombarmi nella testa.
Quella ragazzina porta solo guai!
Ci farà ammazzare tutti!
Non ci dovete avere niente a che fare!
 
***
Esco dalla doccia.
Sopra il letto c’è già preparato un completo di tuta blu scura, con delle strisce rosse sulle spalle e il numero del mio distretto stampato sul davanti e sul retro.
Oggi è il primo dei tre giorni che ci concedono per l’addestramento in preparazione degli Hunger Games. Mi ripeto mentalmente gli ordini che Layla ci ha rivolto a colazione:
Usate il primo giorno per le tecniche di sopravvivenza.
Guardatevi intorno e cercate di conoscere gli altri tributi.
Siate socievoli e disponibili, ne va della vostra sopravvivenza.
Mi passo una mano tra i capelli umidi. Questa sarà una lunga giornata.
Quando io, Layla e Roy usciamo dall’ascensore, lei mette una mano sulla spalla ad entrambi:
«Mi raccomando. Prima la sopravvivenza. Altrimenti morirete prima di aver avuto la possibilità di combattere» ci dà una pacca sulla schiena e ci spinge nella palestra.
Appena arriviamo tutti e ventiquattro ci fanno sedere a terra intorno a un istruttore: lui ci spiega passo dopo passo tutte le postazioni presenti in palestra, la loro utilità e la necessità di seguire più corsi possibili nei prossimi tre giorni. Io registro subito qualche corso interessante: quello di caccia e delle piante commestibili. Non mi sono mai procacciata del cibo da sola in vita mia, e credo che quella sia la prima cosa che devo imparare.
«Posso stare con te?» mi sussurra Roy. Esito.
«…va bene»
Ci troviamo insieme di fronte all’istruttore addetto alla caccia. Siamo io, Roy e i due ragazzi del 3. Lui passa subito a spiegarci come creare delle perfette trappole in grado di catturare piccoli animali. Poi dilunga nelle singole tecniche da usare per ogni tipo di ambiente naturale e, all’interno di questo, per ogni specie di preda commestibile. La ragazza del 3 lo interrompe regolarmente per fare osservazioni che non capisco fino in fondo: ha tutta l’aria di una che cerca soltanto di mettersi in mostra per sentirsi dire che è brava.
«Complimenti! Sei molto brava… com’è che ti chiami?» e infatti.
«Coreen!» pigola lei.
«Bene, Coreen. Tu puoi passare direttamente alla parte pratica: dietro di me ci sono delle serre contenenti vari tipi di biomi. Esercitati con la costruzione di trappole!»
Coreen si scosta con una mano i riccioli castani dal volto, si sistema gli occhiali da vista e finalmente se ne va, lasciandoci seguire in pace il resto del corso teorico. Era ora. Lei è esclusa a priori da una mia ipotetica rosa delle alleanze: è furba, intelligente e decisamente antipatica. Il mix perfetto per trovarsi con la gola tagliata nel sonno. Il suo compagno di distretto ha uno sguardo acuto, ma sembra riflettere più sulla sua imminente morte che sul modo di creare una trappola perfetta. Neanche lui mi sembra un possibile alleato.
Alla fine la mattinata scivola via tutta col corso di caccia, anche se avrei voluto fare di più. Affianco a me, nella serra che contiene il bioma di una giungla, Roy si è attorcigliato da solo con la corda che doveva servirgli per preparare una rete per uccelli, e sta lottando nel fango per liberarsi: è una scena buffissima e non posso fare a meno di scoppiare a ridere.
«Vuoi una mano, piccoletto?» lui, per tutta risposta, starnutisce.
«Credo di essere allergico a questa pianta qui» mi informa indicando le foglie di un arbusto vicino al suo naso.
«Speriamo allora che l’arena non sia una giungla!» sorrido io, aiutandolo a districarsi. In quel momento gli strateghi, dall’alto della loro postazione, annunciano la pausa pranzo.
«Va’ in bagno a sciacquarti e vieni a mangiare» gli dico dolcemente. Dio, sembro sua madre!
A un lato della palestra, proprio sotto il palco degli strateghi, è allestito un banchetto self-service. Ottimo, avevo una discreta fame. Mi riempio un piatto con tartine di funghi e salsa rosa – così recita il cartellino sotto il vassoio – e mi siedo lungo la tavolata, affianco al ragazzo del 12. Dopo qualche secondo arriva anche Roy, che si posiziona alla mia sinistra. Davanti a noi ci sono il tributo del 7, quello dagli occhi dorati e l’aria spavalda, Coreen e la ragazza del 10. Mangiamo in silenzio.
Dalla parte opposta della tavolata si sente la confusione del gruppo dei favoriti che pranzano insieme. Getto un’occhiata nella loro direzione: tutti, tranne il biondo del 4, partecipano alla conversazione. Lui semplicemente li osserva, con un sorrisetto sghembo stampato in volto. L’ultimo dei favoriti a rimanere in piedi nell’arena sarà lui, ci scommetto.
«Spettacolo raccapricciante, vero?» è il tributo del 7 che mi sta parlando.
«Diciamo che non sono molto socievoli con chi non è dei primi distretti» mi limito a replicare io, mettendo in bocca una tartina. Lui scambia un’occhiata d’intesa con Coreen, poi mi tende la mano.
«Io sono Gilbert, Distretto 7» io lo osservo con un sopracciglio alzato, per capire se sta facendo sul serio. Richiamo alla mente le immagini di lui che ho registrato dalla replica della sua mietitura: sogghignava, mentre saliva sul palco, accanto all’accompagnatrice.
«Sono Alyss, del 6» dico, ma non rispondo alla sua stretta.
«Siamo un po’ scontrosi, eh?» ridacchia Coreen. Prima che possa risponderle male Roy si mette in mezzo.
«Io sono Roy, invece! Molto piacere!» gli sguardi di tutti, compresi quelli timidi del tipo del 12 e del tributo femmina del 10, si puntano su di lui.
«Il tuo compagno di distretto mi è molto più simpatico» sorride Gilbert. Posa gli occhi su di lui e poi torna da me. «Voglio fare una grande alleanza contro i tributi favoriti, e volevo chiedervi se vi va di unirvi a noi».
«Voi due, noi e chi altri?» chiedo.
«Ho intenzione di chiedere ai due del 5 e alla ragazza del 9, quella dagli occhi azzurri, perché ha la faccia di una che non si fa scrupoli ad uccidere»
Involontariamente mi volto verso il tributo al mio fianco, che non è stato nominato. I suoi occhi grigi sono puntati sul piatto e un lieve sospiro esce dalle sue labbra. Lui e la ragazza del 10 hanno appena ricevuto un rifiuto pubblico e non certo velato da questo pallone gonfiato.
«Quindi? Pensi di unirti alla Gilda?» ah, beh, ha addirittura battezzato la sua alleanza. E magari aveva anche data per scontata la mia partecipazione. Ne faccio una questione di orgoglio rifiutare.
«No» e torno a concentrarmi sul pranzo.
Forse avrei dovuto accettare. Questo pensiero mi coglie all’improvviso, senza chiedermi il permesso, mentre io e Roy stiamo seguendo il corso di piante commestibili. Il pensiero continua a tormentarmi per tutto il pomeriggio, finché la sera, a cena, Layla spezza il silenzio creatosi.
«Ti vedo silenziosa, Knight. Qualcosa non va?» non c’è preoccupazione nella sua voce. Solo rimprovero. Sa già che cosa ho fatto.
«E’ stata una giornata stancante» taglio corto.
«Dai, raccontateci qualcosa!» sorride Julius, avuto l’appoggio anche del gemelli Rikter. È Roy a cominciare, e poco dopo è già lì che tenta di spiegare a Sesimòs come costruire un trappola per scoiattoli. Sembra davvero entusiasta di quello che ha imparato, almeno lui.
Dopo la cena Layla mi prende per un braccio e mi trascina in camera mia. Mi inchioda al muro con aggressività e ringhia:
«Come ti è venuto in mente di rifiutare un’offerta d’alleanza così propizia?»
«Non mi fido di Gilbert… e nemmeno di Coreen» mormoro con lo sguardo basso.
«I loro mentori sono venuti nel pomeriggio a pregarmi di farti accettare l’alleanza. Sanno che hai delle possibilità e che sei un miniera di sponsor per via del tuo passato. Dovrei forse dir loro che sei decisa a rifiutare perché hai voglia di suicidarti?»
A dirla tutta non vorrei proprio avere nessun tipo di alleati. Non c’entra niente la fiducia: voglio solo stare da sola.
«Non voglio allearmi con loro!» sibilo, alzando finalmente gli occhi su di lei.
«Ah sì? E dimmi, con chi ti vorresti alleare? Magari quei poveracci del 12? Dell’11?» mi schernisce lei.
«Non voglio nessuno. Voglio che mi vedano tutti da subito come una nemica! Non voglio dover colpire alle spalle dei compagni!»
Layla mi stringe le spalle e mi sbatte di nuovo contro il muro, più adirata che mai. Un gemito di dolore mi esce dalla gola.
«Non devi diventarci amica, devi usarli
«Io non voglio usare nessuno!» sbotto, «preferisco che mi odino tutti piuttosto che tradire qualcuno!». Le alleanze non sono altro che l’ennesimo strumento di tortura psicologica dei Giochi. Che senso ha condividere la sopravvivenza con qualcuno che poi dovrai uccidere? Magari le possibilità di arrivare alla fine aumentano, ma a che prezzo? Pugnalare alle spalle qualcuno che te le ha coperte fino al giorno prima, le spalle.
«Sveglia! Sono gli Hunger Games, non un pic-nic in campagna! Non c’entra niente la lealtà! Niente! Come pensi che abbia vinto, io? Quante persone pensi che abbia dovuto usare per sopravvivere? Eh? Spara un numero, e saranno comunque troppo poche!» la guardo sconvolta: ha gli occhi lucidi.
«Credi che sia semplice vincere gli Hunger Games? Credi che basti sfondare la testa a chi ti odia? No: devi sfondarla anche chi si affeziona a te, se ci tieni a portare a casa la pelle!» sta urlando, adesso. Nel suo sguardo leggo tutto l’orrore che prova nel ricordare i suoi Giochi. Chiudo gli occhi e mi sforzo di ricordare la sua edizione: i ventinovesimi Hunger Games. Ma le immagini non riescono a focalizzarsi. Non li ricordo, e forse è perché non li avrò nemmeno seguiti bene. Layla intanto fa un profondo respiro e si calma. Sento che allenta la presa intorno alle mie braccia.
«Posso provare a riportare indietro da quell’arena solo te. E sto già facendo un torto alla memoria di mia cugina non scegliendo il ragazzino. Quindi, per favore, vedi di uscirne viva»
Mi lascia definitivamente ed esce a passi lenti dalla stanza.
Io rimango immobile con le spalle al muro e lo sguardo puntato sul nulla. Ripercorro più volte tutta la conversazione, in una spirale di pazzia che non mi lascia tranquilla un attimo. Usare gli altri tributi. Uccidere indifferentemente amici e nemici. Uscire viva dall’arena. No, mi rifiuto. Devo vincere solo con le mie forze, non importa cosa dice Layla. Anche se è la mia mentore… questo non posso farlo. Non posso proprio farlo.
Mi accascio a terra con le ginocchia strette al petto, finché la stanchezza non prende il soppravvento.
 
***
Laree mi guarda scocciata.
«Non darle retta, quella brutta strega dà solo aria alla bocca»
Io la guardo sorpresa.
«Però è vero. Se mi scoprissero tutti quelli che hanno dato segno di conoscermi sarebbero nei guai. Tu per prima» osservo io. Lei fa un’alzata di spalle e si stende sul prato, invitandomi a fare lo stesso.
«Mio fratello mi dice sempre che nessuno merita di stare da solo. Neanche il più pericoloso degli assassini. E comunque tu non mi sembri proprio un’assassina, no?» ride.
«Io ti provocherò solo una sfilza di problemi. Come fai a non avere paura di me?» insisto io. Ma lei mi sorride.
«Sei la mia migliore amica! Ogni problema sarà solo un’avventura, insieme te!».
 
Note di me
Un dubbio atroce di assale: è se... questo capitolo è troppo sentimentaloide? D: Intendo, la parte dei ricordi con con Laree.... ma... ma... *muore* *risorge* basta, meglio non farsi troppi problemi.
Comunque. Primo giorno di allenamento! Sono contenta di aver finalmente presentato alcuni dei personaggi che saranno fondamentali nell'arena. E nel prossimo capitolo (dedicato agli ultimi due giorni di allenamento con tanto di sessione privata), conosceremo tutti gli altri.
D'ora in poi, nei capitoli, ci sarà uno spazio dedicato a dei ricordi significativi di vita vissuta con Laree, in modo da farla conoscere meglio.
Passo la parola a voi!
P.s. prossimo aggiornamento 19/20 gennaio.
Alex

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Sono nella postazione dei coltelli da lancio per affinare la mia mira.
Stamattina mi sono svegliata nel mio letto: sono sicura di essermi addormentata per terra, perciò non ho idea di chi mi abbia trascinata lì. Subito dopo colazione, comunque, ho parlato con Layla. Sembra essere tornata quella di sempre, nessuna traccia della nostra discussione di ieri sera nei suoi occhi. Le ho raccontato di un passatempo che avevo al 6, quando era troppo freddo per uscire dalla mia cuccetta o aspettavo Sirius per una pseudo-lezione scolastica o un pasto caldo. Avevo, in quel rottame, una tavoletta quadrata di segatura, unico pezzo superstite di qualcosa che ancora non so spiegarmi cos’era. In quelle giornate l’appoggiavo dritta su un tavolinetto, il più lontano possibile da me, e ci giocavo a freccette. Cioè, non avevo certo delle freccette, ma lanciavo tutti i pezzetti di metallo o vetro aventi una punta che trovavo in giro per il vagone. Non era chi sa quale divertimento, ma mi teneva la mente impegnata.
Per non pensare, per dimenticare dov’ero e per dimenticare la fame.
E poi tutto sommato ero davvero brava.
Certamente non immaginavo che un giorno avrei usato quell’innocuo talento per lanciare coltelli veri contro persone vive. Sicuramente non l’avrei fatto di mia spontanea volontà. Ma, come ha notato Layla, questa è la mia migliore opportunità di essere letale.
Così lancio, lancio, lancio.
Anche adesso per non pensare, per dimenticare dove sono, per dimenticare i Giochi della Fame.
Centro.
Mi giro a cercare Roy, ma al suo posto trovo a guardarmi – gran caso – la ragazza del 2. Ha un arco in mano e mi guarda con finta innocenza. O forse è reale?
«Non volevo interromperti, continua pure» prendo le sue parole come un ordine: quale migliore occasione per impressionare un favorito?
Mi cerco un obiettivo difficile e prendo in mano l’ultimo coltello del mio set: miro e lancio. Colpisco il manichino a una gamba. Non era esattamente quello che volevo – stavo mirando a qualcosa più tipo il cuore – ma la ragazza si lascia andare a un breve applauso.
«Posso fare di meglio» mi affretto a spiegare.
Lei mi sorride e si avvicina alla postazione di tiro con l’arco continuando a mantenere il contatto visivo con me. Sceglie un manichino altrettanto difficile da colpire e incocca una freccia.
Il pupazzo ha il cuore trafitto.
Mi sorride e mi fa un cenno del capo.
«Se ti va puoi ritentare…»
Mi sento montare la rabbia: battuta e umiliata!
Ritento, ovvio che ritento. Stavolta faccio un lungo respiro prima di lanciare e cerco di calcolare bene distanza e forza. E questa volta è centro! La guardo vittoriosa e lei per tutta risposta incocca un’altra freccia. È una sfida?
Andiamo avanti a lanci e scoccate per buona parte della mattinata, mentre intorno a noi si raduna una folla di curiosi: gli istruttori delle due postazioni, Roy, Gilbert, Coreen e due favoriti. Al cinquantesimo coltello-freccia decido che può bastare. Mi fanno male gli occhi e ho voglia di sedermi. Lei mi si avvicina sempre sorridendo.
«È stato divertente. Io sono Lana»
«Alyss. Mi sono divertita anch’io» ma che sto dicendo? Devo essere impazzita. Quando mi metterò in testa che tutti qui dentro dovranno morire? Sono gli Hunger Games, non un pic-nic in campagna! Quanto ha ragione Layla!
Decido di rifugiarmi al corso di combattimento corpo a corpo insieme a Roy finché non arriva pranzo.
Ma anche il momento del cibo ha delle sorprese: il gruppo dei favoriti mi squadra, primo fra tutti Phoenix – così ho ribattezzato il tributo del 2 coi capelli rossi e gli occhi verdi – che mi scocca delle lunghe occhiate curiose. Roy, poi, sembra divertirsi un mondo a chiacchierare con Gilbert.
Il pomeriggio lo dedico al corpo a corpo con Axel, il bimbo-volontario del Distretto 1. Dal vivo fa ancora più paura che in tv. Lancia sguardi di sfida a tutti, è un mago a maneggiare due sciabole insieme e soprattutto, ed è la cosa che mi inquieta di più, sembra che tutti i favoriti lo rispettino. Possibile che l’abbiano eletto loro capo? Ha solo tredici anni! Quanto può essere letale?
Mi guardo un po’ intorno: Lavender, la ragazza coi codini del 4 che avevo memorizzato sin dalla mietitura, è intenta a massacrare un sacco da boxe con dei tirapugni di ferro mentre urla a squarciagola. Questa è pazza, penso. Roy, poco più in là, sta tentando di maneggiare un bastone aiutato dall’istruttore. Gilbert, Coreen e qualche altro tributo – probabilmente i famosi alleati della Gilda, la fantastica associazione anti-favoriti dei trentaquattresimi Hunger Games – sono al corso di sopravvivenza di base. Il ragazzo del 4 li sta osservando, esattamente come faceva ieri a pranzo con gli altri favoriti e con lo stesso sorriso sghembo. Mi chiedo a cosa pensi tutto il tempo.
Questi Hunger Games non saranno una passeggiata.
Nel letto, la sera, ripenso al terribile Axel, al possente Phoenix, a Lana e le sue frecce, al misterioso tributo del 4, alla pazza Lavender, alla Gilda e a tutti gli altri. Tutta gente che vorrei evitare come la peste, ma con cui presto dovrò confrontarmi. C’è solo un vincitore.
 
«Allora, hai deciso di snobbare definitivamente l’idea di un’alleanza?» mi chiede Layla.
Abbiamo appena fatto colazione e il suo alito pungente di caffè e nicotina torna a farsi sentire.
«Sì, ho deciso»
«Benissimo, ci vediamo prima della sessione privata allora» risponde secca voltandomi le spalle.
«Layla!» mi accorgo di chiamarla quasi urlando, in un moto di terrore. Lei si gira, ma nei suoi occhi c’è il ghiaccio.
«Non abbandonarmi nell’arena…»
Seguono dei secondi di silenzio. Poi accenna un sorriso.
«Figurati se ti lascio morire, Knight» e se ne va.
Il mio cuore si libera di un peso. Non ce l’ha con me. Vuole ancora salvarmi.
Oggi abbiamo solo la mattina per l’allenamento. C’è fermento nell’aria, perché subito dopo pranzo ci saranno le sessioni private: ognuno di noi dimostrerà di fronte agli strateghi ciò che vale, e alla fine ci verrà dato un voto da 1 a 12. Gli sponsor fanno molto affidamento sul punteggio che viene dato ai tributi, quindi è un momento molto importante ai fini del reality show.
Questa mattinata vola e il pranzo anche.
Sono agitata. È inutile girarci intorno, non ho mangiato nulla proprio perché non pensavo ad altro che a quello che avrei fatto vedere agli strateghi durante alla sessione. Le ultime parole che mi ha rivolto Layla prima di lasciarmi entrare nella sala d’attesa mi rimbombano ancora nella testa: Fai in modo che tutti gli altri tributi ti temano, quando vedranno il tuo punteggio. Devo dare il massimo. Devo far vedere che sono pericolosa. Devono temermi.
La sessione privata comincia, e uno dopo l’altro tutti i tributi vengono chiamati per la loro prova finale. Sento l’ansia che cresce sempre di più.
«Distretto 6. Roy Cutter» annuncia l’altoparlante.
L’interpellato si alza meccanicamente, trema appena.
«Fa loro vedere chi sei» gli sussurro dandogli una leggera pacca sulla spalla. Lui mi guarda con un sorriso triste e sparisce dietro la porta di metallo.
Nell’attesa ripasso mille volte il tracciato della mia cicatrice, torturandomi nello stesso tempo la punta dei capelli. Il sussurrare degli altri tributi in attesa mi mette solo più agitazione. Mi asciugo le mani sudate sulla tuta più volte, ed ogni volta si bagnano più di prima.
Poi finalmente sento l’altoparlante:
«Distretto 6. Alyss Knight»
Balzo in piedi e deglutisco. Gilbert, dietro di me, ridacchia.
«Buona fortuna, Alyss» io farfuglio un grazie in risposta, mentre i miei piedi si dirigono verso la palestra.
Il palco degli strateghi è gremito di gente: alcuni sono in piedi, altri stanno seduti a bisbigliare tra loro. qualcuno è intento a scrivere su un taccuino. Faccio un lieve inchino.
«Prego, cominci pure» mi annuncia quello che deve essere il Capo Stratega.
Mi metto all’opera: corro a staccare tutti i manichini delle postazioni di combattimento e li posiziono sopra i tavoli, a terra, sospesi a degli appendiabiti e in ogni angolo che trovo utile. Sono venticinque manichini in tutto. Prendo un set di venticinque coltellini da lancio e li fisso alla mia cintura. Mi volto rapidamente verso gli strateghi, per assicurarmi che stiano seguendo quello che sto per fare. Gli occhi verdi del Capo Stratega si piantano nei miei. Ho intenzione colpire tutti e venticinque i cuori dei miei obiettivi nel minor tempo possibile. Ovviamente ho solo una possibilità per ciascun manichino. Sfilo dal cinturino otto coltelli, che tengo nell’incavo tra le dita di entrambe le mani, e parto.
Mi fiondo subito sul manichino più vicino e lancio un coltello ben piazzato nel suo cuore; rotolo a terra e mi volto per colpirne altri due; corro e lancio, adocchio i manichini, studio la mossa migliore, calibro la potenza e tiro, e continuo, continuo, uno dopo l’altro, è in pochi secondi finisco i coltelli. Sono piegata con un ginocchio a terra, entrambe le mani sul pavimento bagnato dal mio stesso sudore. Ho il fiatone, e mi giro verso gli strateghi: alcuni annuiscono sorridenti, altri scrivono. È allora che mi viene in mente di guardarmi intorno e controllare se ho davvero centrato tutti gli obiettivi.
Sedici. Sedici su venticinque sono stati colpiti in pieno petto, ma gli altri no. Stringo i denti per la rabbia. Non ce l’ho fatta!
«Grazie, signorina Knight. Può andare»
Mi alzo e mi congedo con un altro lieve inchino.
Nel nostro appartamento Layla e Roy mi stavano aspettando seduti sul divano.
«Allora? Com’è andata?» mi chiede Roy balzando in piedi. Io scuoto la testa sconsolata, e subito lo sguardo di Layla si incupisce.
Una micidiale pacca sulla schiena mi fa incurvare in avanti.
«Puzzi come una fogna, Alyss. Spero che almeno tu abbia fatto faville alla sessione privata!»
È quella fastidiosa di Telluria, dovevo immaginarlo. Affianco a lei c’è Seismòs, che appena vede Roy emette un urletto di gioia – sì, con la sua voce profonda – e corre ad abbracciarlo. Se non fosse per il fatto che non si somigliano per nulla sembrerebbero padre e figlio, tanto si sono affezionati.
«Poteva andare meglio» mormoro io rispondendo all’esclamazione della mia stilista. «Ma dov’è Julius?»
«Sono qui, cara!» Julius compare dietro la porta. Mi sorride con tanta sincerità che non posso fare a meno di sorridergli a mia volta.
Credo di essermi sbagliata sui capitolini. Non sono quelle creature malvagie e senza cuore che credevo. I nostri stilisti, il nostro accompagnatore… sono esseri umani anche loro. Certo, magari un po’ superficiali, e soprattutto hanno questo orrendo difetto di non accorgersi che per noi dei distretti non è un onore immolarci in un’arena per riscattare le colpe dei nostri padri, ma in fondo loro sono solo figli di Capitol. Probabilmente non si rendono nemmeno conto fino in fondo della portata degli Hunger Games. Forse sono pedine anche loro, programmati per esultare per un eccitante reality show senza avere idea di che cosa significhi veramente parteciparvi. Forse, prima dell’era Snow, il presidente Morse*, lo psicopatico da cui ha avuto origine tutto questo, ha creato Giochi così perfetti da tenere in pugno sia gli abitanti dei distretti che i capitolini.
È per questo che a cena racconto tutto quello che ho fatto vedere agli strateghi, non rifiuto nessuno spunto di conversazione e forse, per la prima volta da quando sono qui, mi sembra davvero di non buttare via la realtà che vivo. Tutti sorridono. Ma non è un sorriso di circostanza, come quelli che ci rivolgevamo all’inizio di questi giorni: stavolta è sincero e leggo negli occhi di tutti il desiderio che questo momento con finisca mai.
Eppure i bei momenti non sono eterni.
Arriva l’orario previsto per l’annuncio dei punteggi e ci ficchiamo tutti a sedere sui divani, ansiosi. Claudius Templesmith, il presentatore dei Giochi, appare in tv. Fa un breve saluto ai telespettatori e poi passa a leggere i punteggi che hanno assegnato questo pomeriggio in ordine di distretto. Axel, tanto per cominciare positivamente, riceve un sonoro dodici. Il massimo!
«Ma cos’è quel bambino, una macchina per uccidere?» si lascia scappare Layla, più incredula di me.
Sento sospirare Julius alle mie spalle, in evidente stato di preoccupazione per noi.
La ragazza dell’1, Lana e Phoenix del 2, ricevono tutti dei punteggi molto alti, sebbene non il massimo. Quando tocca a Coreen, del 3, vediamo sullo schermo un pericoloso dieci. Sbuffo. Quell’antipatica li avrà storditi con le sue chiacchiere saputine. Subito dopo annunciano il ragazzo del 4, quello che usava spiare gli altri tributi durante l’allenamento, e scopro che si chiama Skeeter. Anche lui, a sorpresa, riceve un incredibile dodici.
«Cosa? Non era mai capitato che dessero due dodici nella stessa edizione finora!» esclama Seismòs. Rimangono tutti a bocca aperta, ma non io. Io lo sapevo che quel ragazzo ci nasconde qualcosa. E al momento è il tributo che mi preoccupa più di tutti. Anche Lavender riceve un bel punteggio, mentre con i tributi del 5 il livello comincia a scendere.
«Adesso i tributi del Distretto 6» annuncia Claudius. Tratteniamo tutti il fiato.
«Roy Cutter: tre»
Tre?!
Ci giriamo tutti verso Roy e lui abbassa lo sguardo. Questa non ci voleva.
«Alyss Knight: dieci»
Dieci! Subito l’atmosfera cambia e tutti si congratulano con me, dandomi pacche e scompigliandomi i capelli. Questo è molto buono. Potevo fare di più, ma sembra che gli strateghi abbiamo apprezzato ugualmente.
Poi annunciano Gilbert, del 7: undici. Ci zittiamo tutti subito. I punteggi vanno avanti, e con il progredire dei distretti si fanno sempre più bassi. Nessuno di loro è un vero pericolo, a parte forse la ragazza del 9, che ha preso otto. Spegniamo la tv: vorrebbero festeggiare per il mio risultato, glielo leggo in faccia, ma sappiamo tutti che sarebbe ingiusto nei confronti del povero Roy.
Layla rompe il silenzio:
«Dei punteggi bassi non frega niente a nessuno» dice rivolgendosi al ragazzino. Lui annuisce e poi, come per smorzare quella tensione che si è creata a causa sua, mi salta addosso e si siede sulle mie gambe.
«Tu sei stata bravissima, Lyss!»
Lyss. Così mi ci chiama solo Sirius. Gli scompiglio i capelli neri, sorridendogli, mentre tutti riprendono coraggio e cominciano i soliti sproloqui di gossip sugli Hunger Games.
E io ormai so, in cuor mio, che non riuscirò mai a far del male a Roy.
Per questo deve starmi il più lontano possibile nell’arena.
 
***
«Sai, odio l’idea di poter venire estratta alla mietitura» mi dice Laree.
«Hai paura?» le chiedo io.
«Sì. Ma non per me. Per mamma, per papà… e per mio fratello. So che sarebbe un inferno per loro»
«Ma lo sarebbe anche per te…»
«È vero. Ma io posso cavarmela, se mi impegno. È l’idea che qualcuno soffra per me che mi distrugge. E poi, se il destino vuole che io partecipi agli Hunger Games, chi sarei io per impedirlo?»
Io la guardo, interrogativa. Sempre con questo “destino”! Io non ci credo, ma lei non fa altro che nominarlo. Credo sia colpa dell’influenza di quell’inguaribile ottimista di River, suo fratello maggiore.
Alzo gli occhi al cielo e mi metto a osservare la scia di fumo causata dal passaggio di un hovercraft. Sospiro.
«Credo sia inutile starci a pensare. Non hai così tanti biglietti col tuo nome, in fondo»
Laree si gira verso di me e mi rivolge uno sguardo carico di sarcasmo.
«Vuoi scherzare? Ho sedici anni, non ci vorrebbe molto ad estrarmi!»
«Io mi offrirei volontaria al tuo posto»
«Non te lo permetterei»
«Prova a fermarmi»
Entrambe facciamo una lunga pausa. Poi scoppiamo a ridere insieme. Io smetto praticamente subito per poterla ammirare: in fondo è così bella quando ride. Non permetterei mai che Capitol City la distrugga.
Piuttosto, chissà se si sarà accorta di quello che ho cominciato a provare per lei da un po’ di tempo. Forse prima o poi glielo dirò, in barba a queste stupide leggi di distretto.
«Che c’è?» mi chiede, notando che la sto fissando da un po’.
«Sì» dico con decisione, «mi offrirei volontaria mille volte per te»
Mi godo il suo volto leggermente arrossato e lo sguardo che si abbassa. Ad un certo punto, però, sembra ritrovare il coraggio di parlare.
«Sai, Alyss? Questo mondo non si merita persone così buone. Tutto questo ha un significato. E se tu sei sopravvissuta alle fiamme è perché il destino ha in progetto cose grandi per te»
Cose grandi? Io sarei dovuta morire in mezzo a quelle fiamme, sarebbe stato mille volte meglio. La buona sorte non è mai a mio favore, figuriamoci il destino.

* Presidente Morse: è venuto il momento qui di rendere omaggio alla più bella fanfiction che ho letto su questo fandom-> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2262426 (long completa: "Hunger Games: Per non dimenticare"), che racconta di chi era Snow prima di diventare presidente e soprattutto di diventare spietato come lo conosciamo noi. Morse è lo psicopatico presidente che governò fino ai 25esimi Hunger Games. A parte la vicenda di Ceasar, questa FF è il mio headcanon su Snow, perché è una storia veramente troppo bella, LEGGETELA.
Note di me
Lana <3

Non chiedetemi perché, ma amo quella ragazza.
Questo capitolo è stato piuttosto divertente da scrivere, e tutto sommato ci ho messo poco. Ho fatto una revisione un po' ad cazzum quindi se notate degli errori fatemelo presente, pls.
Alyss ha finalmente espresso la sua teoria - cioè la mia - sui poveri capitolini che non si meritano tutta questa cattiveria. Ma già dal prossimo capitolo cambierà idea *coff coff*
DICEVO.
-2 capitoli
all'arena. Non vedo l'ora! Ci sarà da divertirsi! (è proprio vero che noi scrittori siamo come strateghi)
Fatemi sapere che ne pensate, gentaglia.
Alex

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

«Sveglia, sveglia! Il sole sta sorgendo e oggi sarà una grandissima giornata!»
Mi rigiro nel letto con la precisa intenzione di rimanere a dormire.
«Altri cinque minuti, Sirius…»
«Sirius? Julius, vorrai dire»
Julius? Julius… Julius… accompagnatore. Mietitura. Tributi. Capitol City. Hunger Games! Scatto a sedere come una molla, gli occhi sbarrati verso di lui.
«Sicura di sentirti bene, Alyss?» mi si avvicina e mi posa una mano sulla fronte, assicurandosi che non abbia la febbre.
«Sì, sì… benissimo» sospiro io.
Lui mi scompiglia amorevolmente i capelli – non capisco perché piaccia così tanto a tutti, ho diciotto anni, mica dodici.
«Stasera ci saranno le interviste e dopo colazione Telluria ti aspetta in salone per istruirti sul portamento da tenere con il vestito che indosserai!»
Interviste. Portamento. Vestito. Ok, ci sono. Annuisco e mi vesto in fretta. Prendo un panino al volo – non ho molta fame stamattina – e vado subito da Telluria, che è seduta sul divano a leggere un giornale di moda. Appena sente i miei passi si gira e chiude la rivista.
«Buongiorno, Alyss»
«Giorno» rispondo sedendomi accanto a lei e prendendo a consumare la mia colazione.
«Benvenuta alla lezione di portamento elegante di Telluria Rikter»
Mi va di traverso un boccone.
«Perché elegante? Non serve eleganza quando si indossa un armatura»
«Oh, cara, ma tu non indosserai quel costume!»
«Come?»
Lei mi sorride serafica:
«La sfilata è un momento di presentazione dei tributi caratterizzato in special modo dall’effetto visivo. Chi sei è espresso da quello che indossi. Ma questa è un’intervista! Chi sei lo racconti tu, e lo racconti su un vero palco di uno studio televisivo e di fronte a un vero presentatore – del calibro di Domitian Braveheart, poi! – quindi l’eleganza è d’obbligo!»
Mastico lentamente il pezzo che ho morso, mentre cerco di immaginare cosa comporterà quello che mi ha detto Telluria. Immagino che dovrò indossare un vestito lungo… e dei tacchi. Sono molto preoccupata. La mia stilista mi fa cenno di aspettarla e sparisce dietro una porta. Dopo qualche minuto torna con un vestito azzurro e bianco e uno sguardo vittorioso.
«Cos’è?»
«Il tuo abito per stasera. L’ho preparato con cura in questi giorni, anche se nel farlo mi sono lasciata trasportare dai ricordi del Distretto 4» e si asciuga una lacrima col dorso della mano.
Lo osservo bene: è un lungo vestito a tubino a balze azzurre e bianche, che somigliano ad onde marine. Tutto sommato ha un taglio piuttosto sportivo, non posso lamentarmi. Poi mi mostra una giacchetta corta fatta a maglie metalliche, uguali a quelle della mia armatura della sfilata.
«Questo è da mettere sopra. Ovviamente è abbinata alle scarpe» e tira fuori dal nulla un paio di sandali argentati e splendenti. Beh, per lo meno non sono tacchi.
«Cominciamo?» mi chiede retoricamente. Io annuisco.
Va malissimo: stiamo la prima mezzora solo a curare la postura della mia schiena, perché a quanto pare incurvo troppo le spalle in avanti. E le ore che seguono, quelle dedicate proprio al modo di camminare, atteggiarsi e addirittura salutare, passano con una lentezza disarmante. A metà mattinata le chiedo il permesso per una pausa. A permesso accordato, mi propongo di salire in camera e andare in bagno.
Mi chiudo la porta alle spalle e comincio a muovermi per il corridoio. Sono quasi arrivata in camera mia quando sento degli strani rumori provenire da una stanza: sembrano… dei sospiri? E dei mugolii? Identifico l’origine del suono e mi stupisco dell’accorgermi che si tratta della camera da letto di Seismòs.
Dovrei entrare? Magari ha qualche problema. Non controllare mi dà la sensazione di non aver fatto nulla in un’ipotetica fase di agonia pre-morte, il che mi rende colpevole di omissione di soccorso. D’altra parte mi sento come se stessi per violare la privacy di un uomo che chissà cosa sta facendo.
Resto immobile per dieci secondi a cercare di capire come agire, quando sento arrivare da dentro una specie di urletto stridulo: irrompo in camera senza altri dubbi.
Ecco, quello che mi trovo davanti non è esattamente la scena di agonia che mi ero figurata fino a un momento prima. Certo, era difficile riuscire a immaginarsi Julius che giace inerme sul letto matrimoniale mentre un Seismòs seminudo lo bacia con passione su ogni lembo di pelle libera.
E così è lui il suo famoso ex-fidanzato ritrovato.
«Alyss…?» sussurra il mio accompagnatore, scostandosi di dosso lo stilista dai capelli sfatti giallo limone.
Non so cosa esprima la mia faccia in questo momento, ma so che non resterò qui un attimo di più.
Giro sui tacchi ed esco il più velocemente possibile, rinchiudendomi in camera mia.
Quindi Julius se la fa con Seismòs. Così, sul letto di un appartamento nel Centro di Addestramento, come se nulla fosse. Come se io e Laree non avessimo invece dovuto nasconderci tra i rottami di un treno solo per scambiarci un fugace bacio a stampo prima della mietitura. Crollo sul letto: tutto ciò è profondamente ingiusto!
«Alyss…» bussa alla porta.
«Julius, vattene»
«Ma tesoro! Ti prego, lasciami entrare!»
«Ho detto vattene…» la mia voce è quasi un sussurro, eppure tutto dentro di me urla.
Urla un perché, un motivo valido per tutto questo.
«Posso spiegarti!»
E a che serve? Mica deve chiedere il permesso a me per fare quello che vuole col suo fidanzato.
«Ascolta, Alyss, io… io non lo sapevo. Intendo… di te e Laree. Se Layla me l’avesse detto prima…»
Non so come, non so perché, ma ora sono di fronte alla porta aperta e lo sto guardando in faccia.
La figura che mi trovo davanti non sembra affatto lo Julius che sono abituata a vedere, quello perfetto e sistemato di ogni mietitura: ha i capelli corti e castani, non la solita criniera lilla – e criniera è davvero la parola esatta – che tiene per le normali relazioni sociali. Al posto dei completi sgargianti è coperto da un “sobrio” accappatoio leopardato. Solo gli occhi hanno sempre quell’innaturale colore violetto. Sembra quasi una persona normale.
Lui è chiaramente sorpreso, non si aspettava che gli aprissi. Nemmeno io, a dire il vero.
«Dicevi?» dico simulando disinteresse.
Lui in un primo momento balbetta qualcosa di incomprensibile, poi si schiarisce la voce.
«A causa del trambusto Layla poco fa è accorsa a vedere cosa è successo e… beh, ci ha spiegato tutto»
Ancora? Ma che problemi ha quella ragazza?
Non ho più nemmeno la forza di arrabbiarmi.
Invece noto che lui mi guarda colpevole e con una punta di sorpresa negli occhi. Probabilmente non se lo aspettava. Tanto meglio: se non se lo immaginava lui che mi vede ogni giorno, la giustizia di Capitol non avrà nemmeno l’ombra della possibilità di scoprirmi.
A meno che Layla non abbia la premura di comunicarglielo, penso con una punta di ironia.
«Non puoi capire cosa significa. Non serve che vieni da me a dispiacerti» le mie parole suonano più affilate di quello che volevo. Intuisco la sua mortificazione e pongo fine a questo strazio chiudendogli la porta in faccia. Non è proprio la cosa più delicata che potessi fare, ma, scossa come sono, se continuassi a parlare sarebbe solo peggio.
Mi sfilo l’abito da sera coi sandali e mi butto sul letto in tuta. Per stamattina la lezione è finita.
All’ora di pranzo non mi scomodo a raggiungere gli altri e, peraltro, nessuno si azzarda a venirmi a chiamare. Ordino delle pietanze direttamente dalla camera, sorprendendomi nel vedere che queste mi si presentano davanti dieci minuti dopo da un’apertura sulla parete. Servizio completo per anime solitarie.
Dopo il pasto, però, nulla impedisce a Layla di entrare come un carro armato in stanza sfondando quasi la porta d’ingresso:
«Incomincia adesso la sessione tematica di preparazione all’intervista, che ti piaccia o no!»
Io sbuffo e mi risveglio dallo stato catatonico in cui ero caduta per via della mangiata che ho fatto. Poi realizzo compiutamente chi è la persona che ho davanti e la fulmino con un’occhiata ostile.
«Non eri tu quella che diceva di non dire a nessuno della mia situazione con Laree?» la apostrofo.
«Era rivolto a te, non a me stessa» mi risponde con un alzata di spalle.
«E mi spiegheresti gentilmente quale sarebbe la differenza?»
«Che io so di chi devo fidarmi e tu no»
Odio essere trattata come una bambina ignorante e da tenere a bada, perciò mi propongo di obiettare un’ultima volta.
«Come fai ad essere sicura che Julius e gli altri terranno la bocca chiusa?»
«Primo: perché li ho minacciati. Secondo: perché non farebbero mai qualcosa che possa andare a svantaggio del team» elenca le ragioni su indice e medio, con una pazienza sconcertante per il suo carattere.
Credo di potermi fidare. In fondo non che io abbia proprio un’altra scelta.
«Finito con le domande? Possiamo cominciare a parlare di cose serie?» mi chiede sedendosi a gambe larghe su una sedia voltata, le braccia che penzolano dallo schienale. Io annuisco e mi siedo a gambe incrociate sul letto rivolta verso di lei.
La mia mentore fa un lungo respiro prima di cominciare a parlare.
«Stasera sarai su un palco con tutta la nazione che guarderà te e gli altri ragazzi. Dizzy ti farà delle domande per conoscerti meglio, perché lo scopo di tutta questa farsa è far affezionare gli spettatori ai tributi, in modo che ognuno possa garantirsi sponsor» mi spiega brevemente lei.
Domitian Braveheart, detto Dizzy, è uno dei più stimati intervistatori degli Hunger Games di sempre. Appare spesso in tv, tanto che persino io, che non ho una tv, ne ho sentito tanto parlare e l’ho visto quando trasmettevano i Giochi.
È un po’ fuori di testa. Nel senso che straparla e ha sempre la battuta pronta, anche per le storie più tragiche. È imbarazzante e a tratti odioso – solo per noi nei distretti, ovviamente – ma sa come scaldare l’atmosfera quando si fa troppo gelida. In generale, non ho così tanta voglia di farmi intervistare da lui.
«Ok, io cosa devo fare? Ti avverto che non mi metterò a ballare come una foca ammaestrata» faccio secca, scrocchiandomi le spalle con un rapido movimento.
Lei mi guarda e ride.
«No, non dovrai farlo. Ma il livello di finzione dovrà essere quello. Ascolta» e si accende una sigaretta, come se non l’avessi già avvertita di non farlo qui dentro, «tu sei una fonte di gossip per questa gente. Sono curiosi di conoscerti, fantasmino» e ispira profondamente quel veleno.
Fantasmino… provo a soprassedere su questa cosa.
«Ok, quindi parlerò di come sono sopravvissuta da sola nel distretto?»
«Sì. Inventati storie, e non nominare mai Laree o quel vecchio Pacificatore che ti ha aiutato»
Come fa a saperlo? Questa ragazza mi sorprende sempre di più.
«Che tipo di storie dovrei inventarmi?»
«Non lo so, ma qualcosa che faccia intendere che sei furba e forte, che bisogna puntare su di te perché tu, da sola, sei riuscita a fottere un’intera nazione e ne sei uscita viva»
«Ho capito. E se mi chiederà di Laree?»
«Te lo chiederà quasi sicuramente. È una tua vecchia amica, solo questo»
Annuisco. Sembra facile: fare qualche discorso sulle terribili condizioni in cui sono sopravvissuta, non nominare Sirius, dire che Laree è solo una mia amica. Dovrei farcela.
«Per il resto credo che tu possa benissimo cavartela. Sei un tipo tosto e traspare molto bene. Ah, e inventati una scusa per quella cicatrice, è bene che non si sappia che hai sfidato un Pacificatore. Sii forte, ma non ribelle»
«Ok»
«Vuoi fare qualche discorso di prova?»
«Sì, certo»
Passiamo tutto il pomeriggio ad architettare la mia nuova avventurosa vita, ripulendola da tutto quello che può essere nocivo per chi mi aspetta al 6. Devo proteggerli da ogni possibile accusa.
Alla fine di tutto Layla è molto soddisfatta di me: io sono piuttosto naturale e non ho difficoltà di sorta a parlare di eventi dolorosi – più o meno veritieri – che mi sono accaduti.
Anche a cena preferisco rimanere in camera, nonostante le lamentele di Layla. Non ho voglia di vedere gli altri prima dell’intervista.
 
Sono nel mio vestitino, seduta sul palco in mezzo ad altri ventitré tributi. Roy è affianco a me, incredibilmente calmo, in un completo rosso e bianco con tanto di papillon. Le interviste cominciano prima ancora che io possa rendermene conto.
Dopo la civettuola e scialba ragazza dell’1, Axel stupisce tutti con la sua sfrontatezza e sicurezza: risponde diretto alle domande di Dizzy, ostenta una sicurezza e una crudeltà che spaventano su di un tredicenne.
Lana è piuttosto calma invece. Sentirla parlare di sé mi rilassa. Ripenso a quando abbiamo ingaggiato quella sfida in palestra: se ci fossimo conosciute in un’altra occasione saremmo state buone amiche.
«C’è un motivo chiaro per cui ti sei offerta volontaria? Dai, dai, sono curioso! Parlaci del perché se qui con noi» le chiede Dizzy.
«Mi sono offerta volontaria per dimostrare al ragazzo che mi ha rifiutata che valgo di più di quello che pensa» il pubblico caccia un oh! tra il malizioso e l’ammirazione. Ma negli occhi di Lana – che riesco a vedere solo dallo schermo – io leggo ora una punta di rabbia.
«Ah! Si pentirà sicuramente di quello che ti ha fatto!»
«Oh, se ne pentirà eccome. Anche perché ha avuto pure il coraggio di offrirsi volontario con me»
Adesso il pubblico è in delirio mentre sullo schermo viene proiettato il volto impassibile di Phoenix. Una storia di rifiuto e vendetta? Questo è pane quotidiano per gli abitanti di Capitol City. Dubito che riuscirò a fare di meglio per attirare l’attenzione su di me. Se sta fingendo è un genio, se è la verità è molto coraggiosa.
Conclusa la sua intervista con un veloce scambio di battute finali, è il turno di Pheonix: lui viene accolto con dei fischi e urletti contrariati. Mi accorgo solo ora della reale portata di ciò che ha fatto Lana: ha costruito la sua popolarità infangando il suo compagno di distretto. Un’arma di difesa e di attacco insieme.
Sono invidiosa.
Phoenix, da parte sua, non sembra scomporsi più di tanto. Durante l’intervista vengo a sapere che ha la mia età e che è una vera roccia in fatto di autocontrollo. Non si scompone mai. Alla domanda sulla veridicità di quello che ha detto Lana, lui risponde così:
«E’ andata come ha detto lei. Si è dichiarata a me due settimane prima della mietitura e io l’ho respinta»
«Ma come mai? Una ragazza così bella! Aspetta, fammi indovinare: il problema è che sei impotente!» butta lì Dizzy, suscitando l’ilarità del pubblico.
«Semplicemente lei non mi piace» diretto come una lama.
«Ma come hai visto la nostra giovane se l’è legata al dito…»
«Non mi interessa»
Il pubblico è in delirio. Una rivalità così accesa tra compagni di distretto è una vera rarità, e la storia del rifiuto fa ribollire le passioni di ogni capitolino presente in sala. Ma la glacialità di quel ragazzo! Invece di difendersi ammette tutto con estrema facilità. Si vede che non ha bisogno minimamente del sostegno di un pubblico per pensare di poter vincere. Non fatico a crederci: è un favorito, è robusto e ha diciotto anni. Può permettersi quello che vuole.
I tributi del 3 non si discostano molto dall’idea che mi ero fatta di loro: lui spaventato e lei saccente.
Lavender, del Distretto 4, conferma la sua pazzia. Dice di voler vincere gli Hunger Games solo per il gusto di essere proclamata vincitrice mentre cammina sui cadaveri delle sue vittime. Un certo sconcerto si impossessa dello studio per qualche secondo. Ma subito dopo sono già acclamazioni di giubilo e sostenitori – cioè, purtroppo per me, sponsor – che fioccano da tutte le parti.
Finalmente è il turno di Skeeter, il misterioso bel favorito che sta sempre sulle sue. Dizzy accenna alla sua mietitura, in particolare a qualcosa a cui non avevo fatto caso finora: lui è stato estratto e nessuno si è offerto volontario al suo posto, come invece spesso accade al 4. Gli domanda come mai, e Skeeter risponde con un’alzata di spalle.
«Probabilmente è perché gli altri ragazzi non sopportano me come io non sopporto loro»
«Cioè hanno preferito rinunciare alla loro gloria personale per sperare che tu non torni mai più?»
«Qualcosa del genere»
«E quindi… hai intenzione di vincere per dimostrargli chi sei?»
«Oh no, caro Dizzy» risponde lui scotendo il capo, «non ho intenzione di vincere. Io al 4 non ci torno. Ma ho intenzione di sostenere fino alla fine un tributo che sceglierò»
Come?
C’è sconcerto in studio, ma un applauso improvviso sovrasta il balbettio senza senso dell’intervistatore. Con una dichiarazione del genere potrebbe benissimo mettersi contro gli strateghi, che sicuramente non hanno bisogno di gesti di altruismo negli Hunger Games.
Non riesco a capire a che gioco stia giocando. Possibile che voglia sacrificarsi per permettere a qualcuno che nemmeno conosce di tornare a casa? Come fa a non temere l’ira degli strateghi?
Poi capisco: non ha detto di non voler combattere, e nemmeno di ritirarsi. Lui combatterà, eccome. E poi c’è quel dodici dell’addestramento. Gli strateghi non uccideranno qualcuno con così tante potenzialità: darà un tocco in più allo spettacolo, qualsiasi destino sceglierà.
Mentre mi chiudo in questi pensieri, l’intervista di Skeeter è finita. Tocca ai ragazzi del 5, e io smetto definitivamente di ascoltare: mi sale l’ansia. Tra poco toccherà a me. Ho il cuore a mille sembro una fontana per quanto sono sudata. Il tempo sembra non scorrere più e fisso solo i miei sandali argentati.
E poi tocca a me.
Un applauso del pubblico, Dizzy che mi tende la mano, i riflettori puntati in faccia e io dimentico tutta la lezione di portamento elegante fatta da Telluria questa mattina. Tempo perso.
Mi siedo sul divanetto affianco all’intervistatore, che mi sorride mostrando fieramente i suoi denti d’oro. Porta uno smoking nero con paillettes dorate e i suoi capelli sono tinti di verde smeraldo e sparati in tutte le direzioni: dal mio punto di vista è un porcospino, dal punto di vista dei capitolini è alta moda.
«Allora, Alyss. Sono troppo curioso di conoscerti! Ma sono vere queste storie sulla ragazza fantasma? Cioè, fino a qualche giorno fa eri veramente considerata morta?»
«Sì» rispondo meccanicamente. Non riesco ad aggiungere altro, ho la bocca impastata.
«E come hai fatto… insomma, a sopravvivere? Senza un sistema d’istruzione, la possibilità di un lavoro, l’onore di partecipare alla mietitura! Non deve essere stato facile»
Mi schiarisco la voce.
«No… ma dopo la morte di mia madre mi sono tirata su le maniche e mi sono data da fare» metto su lo sguardo più amaro che ho nel mio repertorio «pensa che frugavo nella spazzatura per riuscire a trovare qualcosa da mangiare»
Qualcuno nel pubblico sospira. Ma io non sono soddisfatta.
«Hai vissuto l’arena prima ancora di parteciparvi!»
«Questa ne è la dimostrazione, Dizzy» gli dico indicando la mia cicatrice.
«Bellissima! Come te la sei fatta? No, no: voglio indovinare io! Hai provato a farti la barba!»
Ma che battute sono?!
Simulo una risata e poi scuoto la testa.
«Non sono sicura vi piacerebbe saperlo» rido ironica io.
«Invece io dico di sì!» mi sprona lui battendomi una mano sulla schiena.
«Come vuoi. Avevo dodici anni. Ero sotto il portico della macelleria a rovistare nei cassonetti in cerca di cibo, quando sento dei ringhi alle mie spalle» faccio una pausa e chiudo gli occhi, come per ricordare meglio quel momento, «non uno. Ben due giganteschi mastini mi stavano spingendo al muro. Credetti davvero quella sarebbe stata la mia fine, Dizzy! Ero la metà di loro e molto più scarna. Poi li affrontai: fu una rissa spaventosa dalla quale uscii vittoriosa grazie a una scheggia di vetro che avevo raccolto da terra: ti dico solo che non soffrii più la fame per settimane, con tutta quella carne. E questa cicatrice è il trofeo del mio valore»
Un applauso di stima da parte del pubblico è ciò che ho guadagnato. Dizzy annuisce, poi placa l’esultanza con un cenno della mano.
«Wow, sei una bomba! E poi c’è quella ragazza per cui ti sei offerta volontaria. Chi è? Da come ti guardava sembrava ti conoscesse da una vita!»
«Una vecchia amica», mi affretto a rispondere, «anche se a dire il vero non la rivedevo dai tempi in cui avevo ancora una casa. Non sapeva che ero viva, ma in passato eravamo molto unite… non volevo che morisse».
La sala si riempie degli ah! commossi.
Abbasso lo sguardo alle mie mani giunte sopra le gambe. Laree mi sta guardando. Devo rialzare lo sguardo per lei. Devo essere forte per lei.
«Ma io vincerò. Gliel’ho promesso» aggiungo.
«Col tuo background da vera guerriera – come ci hai dimostrato con quel meraviglioso costume durante la sfilata – non avrai difficoltà a vincere! Hai tutto il nostro sostegno!» conclude Dizzy mentre il pubblico esplode in un applauso.
«Alyss Knight, Distretto 6!» annuncia prendendomi la mano e alzandola in aria.
Quando torno a sedere tiro un sospirone: e anche questa è fatta! Ora posso studiarmi in santa pace gli altri tributi. E a proposito di altri tributi, adesso è il turno di Roy.
Dizzy gli fa subito dei complimenti per il suo bel completino e lo rinomina funghetto per via del colore dei capelli e la bassa statura. Tutti, persino Roy, sembrano apprezzare il nomignolo ironico. Probabilmente anche il nostro intervistatore sa che un bambino come lui sarà il primo a cadere, perciò cerca di buttarla sul ridere.
Parlano un po’ della sua vita nel distretto, finché Dizzy non se ne esce con un’esclamazione curiosa:
«Comunque dev’essere una sensazione strana essere accompagnati agli Hunger Games da tua zia!»
Zia?!
Il mio tasso d’attenzione si impenna improvvisamente.
«Beh, non è proprio mia zia. Layla è la cugina di mia madre, perciò forse è più una zia di secondo grado!» le telecamere inquadrano la mia mentore, che sorride un po’ forzatamente.
«E’ vero, ricordo l’intervista che le feci cinque anni fa! Disse che avrebbe vinto proprio per tornare a casa da questa sua cugina, che era l’unica parente ancora in vita che aveva!» esclama Dizzy, agitandosi sui braccioli della sua poltroncina.
«Fino a che mia madre non morì, un mese dopo la sua vittoria» conclude tristemente Roy.
«Ma tu proverai a vincere per entrambe?»
«Proverò vincere per entrambe» ripete lui accennando a un sorriso.
Poi la conversazione si sposta su argomenti più leggeri, finché il tempo di Roy finisce.
E quindi Layla e Roy hanno un legame di sangue. Devo farmi spiegare alcune cose.
Durante le successive interviste la mia testa è da tutt’altra parte: ho bisogno di chiarimenti, di capire le vere intenzioni della nostra mentore. Perché è chiaro che nessuno farebbe morire in questo modo un famigliare senza aver provato a proteggerlo. Ergo lei mi ha mentito. Non può, non è possibile che abbia scelto me.
A conclusione del programma, Dizzy dà la buonanotte a tutti e finalmente le telecamere si spengono.
Torno dietro le quinte e trovo Layla, che sta parlottando animatamente con Julius. La prendo da parte a forza e le grido contro senza ritegno:
«Quando pensavi di dirmi che quel bambino è tuo nipote?!»
«Quest’informazione cambia forse qualcosa?» mi risponde lei scostandomi con fare irritato.
«Sì, cambia la scelta di chi vuoi davvero tenere in vita!»
Lei mi guarda con disprezzo tale che per un attimo mi sento un verme ad averle urlato contro. Ma è solo un attimo.
«Ti ho già spiegato che scegliendo te avrei fatto un torto a mia cugina. Ora sai perché. Ma non mi rimangio la parola data… lui non ha possibilità, tu sì!»
«Mi stai dicendo che lasceresti che il figlio della tua amata cugina muoia senza far nulla?»
«Sì!» sbotta alla fine lei, «sì, perché preferisco sapere che riabbraccerà sua madre piuttosto che vederlo vivere in questo schifo di mondo! Io posso solo fare in modo che se ne vada nel modo meno atroce possibile e questo lui lo sa!»
«E’ vero» interviene una vocina alle mie spalle.
«Roy?» mi volto. Lui non dice nulla e mi abbraccia forte. Rimango interdetta.
«Lo so che non ce la farò. Anche se ho paura» mi sussurra.
Layla si avvicina e gli accarezza i capelli. Roy si stacca da me e si getta tra le braccia di sua zia. La mia mentore ha gli occhi lucidi. Li guardo stringersi e mi accorgo di non averli mai conosciuti sul serio. Tra loro c’è un legame che non avevo mai visto prima, un mondo interiore privato fatto di affetto e paura. Rimango ad osservarli a bocca semiaperta, fino a che un gruppo di Pacificatori non ci ordina di tornare nei nostri appartamenti. Eseguiamo l’ordine nel più completo silenzio.
È una notte lunga. Domani saremo nell’arena e io, nonostante la stanchezza, non riesco a dormire. Sono seduta sul letto con le ginocchia strette al petto, mentre guardo Capitol City in festa dal grande finestrone della mia stanza. Continuano a ronzarmi nella mente le parole di Layla, quelle di Roy, e poi i volti dei tributi durante le interviste, la risata di Domitian Braveheart, l’esultanza del pubblico e infine la tranquillità del mio distretto: ecco il volto di Laree, in lacrime, che mi prega di tornare da lei. È l’immagine che custodisco nella mia memoria dalla mietitura, quella che mi sono ripromessa di aver bene stampata in mente quando sarò nell’arena. E l’arena sta arrivando.
Gli altri tributi non sono per nulla deboli.
Le ho promesso che sarei tornata.
Non ne sono più così tanto sicura.
 
***
Siamo nascoste tra i cespugli del giardino della sua scuola. Laree si sta nascondendo da Rik, che cerca da tutto il giorno di convincerla ad uscire con lui. Nonostante la mia migliore amica gli abbia già detto più volte di no, lui non si dà per vinto. Per avere quattordici anni è già un bravo seduttore. Ma con Laree non funziona.
«Oggi l’insegnante di storia ci ha spiegato una cosa molto buffa» comincia lei giochicchiando con una foglia.
«Cosa?» le chiedo io seguendo con lo sguardo ogni suo movimento.
«L’“Editto sull’omosessualità” stilato durante il quindicesimo anno dai Giorni Bui» dichiara lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«E perché sarebbe molto buffo?»
«Perché la motivazione di questa legge è un rapporto secondo cui in quell’anno il tasso di malattie a trasmissione sessuale nei distretti aumentò in maniera spropositata: così Capitol City, per limitare i danni, vietò le unioni tra persone dello stesso sesso»
Cerco di capire cosa ci trovi di divertente in tutto questo, ma proprio non ci arrivo.
«Ripeto la domanda: perché sarebbe molto buffo?» insisto.
«Ma perché non è vero! Mio fratello River mi ha raccontato la verità: prima della legge c’era gente che fingeva di avere relazioni omosessuali solo per non dover dare alla luce bambini che poi avrebbero potuto perdere negli Hunger Games. Era un atto ribelle, in qualche modo. Così Capitol City intervenne» conclude lei vittoriosa.
Io la guardo scettica.
«Non potrebbe esserselo inventato tuo fratello? Lo sappiamo entrambe che lui ha uno spiccato spirito ribelle…» commento alzando un sopracciglio.
«No. È il destino»
«Il destino?» credo che sia la prima volta che sento questa parola.
«È ciò che muove gli eventi di questo mondo: tutto quello che accade ha un motivo e uno scopo ben precisi. Me l’ha detto River»
«Io non penso. Ma tu credi a tutto quello che ti dice tuo fratello?»
«Certo. Lo vedo: lui sa cose che noi non possiamo neanche immaginare!»
Destino? Motivo? Scopo? E la morte di mio padre? Di mia madre? Che scopo aveva? Sa anche questo River? No, non penso. Non ci credo neanche un po’.
 
Note di Me.
Ed ecco un lunghissimo capitolo pieno di sorprese tutto per voi. E sapete quanto ci ho messo a scriverlo?
Dizzy: aspetta, fammi indovinare!
Me: no, Dizzy, placati.
Comunque ci ho messo un sacco di tempo. Mi è costato fatica, perché le cose da trattare eramo molte e io non vedevo l'ora di passare a scrivere dell'arena. Non sapete che soddisfazione pubblicare finalmente questo capitolo! *-*
Allora, che ne pensate di Lana e Phoenix? Di Seismòs e Julius? E di Layla e Roy? (che so essere i vostri preferiti...e ora sono pure parenti)
Ma voi non potete immaginare quanto ho riso descrivendo la scena in cui Alyss scopre Julius e Sei in atti poco interpretabili, ahahaha.
Bene, lascio la parola ai vostri commenti. Al prossimo (fantastico) capitolo *-* ARENAAAAAAAH (il prossimo aggiornamento sarà il 28 gennaio, subito dopo il mio esame di Storia Moderna. Evvai)
Alex

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Introduco subito il capitolo con ciò che vi avevo promesso lo scorso capitolo: i miei disegni sui tributi dei 34esimi Hunger Games!

E la prima, beh, non poteva che essere la nostra Alyss Knight, dal Distretto 6 (anche se in questo disegno fa un po' schifo, un giorno dovrò rifarlo)!





Siamo nel bel mezzo della stagione fredda. Gennaio è iniziato da poco e il distretto è completamente bianco. Ho portato Laree in uno spiazzale coperto da due grossi casolari abbandonati che ha alle spalle la recinzione elettrificata che ci protegge dagli animali selvatici dei boschi. Da circa un anno questo è un posticino che teniamo solo per noi. È praticamente impossibile vederci girare altra gente, soprattutto Pacificatori, perché per scovarlo devi addentrarti in uno dei due edifici e gattonare sotto una parete lacerata. Probabilmente una volta era un cortile da cui si accedeva solo internamente, con una porta che ora è crollata. Le prime volte non mi abbassavo mai a sufficienza e finivo per sbattere la testa o graffiarmi le spalle.
C’è almeno un metro di neve, ma non è molto fresca: ci si può camminare affondando al massimo fino alla caviglia.
«Perché mi hai trascinata qui? Spero per te che sia per un buon motivo, visto che ero finalmente riuscita a convincere River a fare un pupazzo di neve con me» mi rimbrotta Laree da dentro la sua giacca a vento blu scura, sistemandosi meglio sulle orecchie il cappello di lana grigia. Poi si mette le mani sui fianchi e fa una smorfia seccata. Avrà pure quasi diciott’anni ma sembra ancora una bambina. Senza parlare di suo fratello, poi, che dovrebbe averne ventitré e a volte è peggio di lei.
«Sì, è un buon motivo. Avevo bisogno di dirti una cosa con una certa urgenza e ora che ho finalmente trovato il coraggio non potevo lasciarti scappare!» il cuore mi accelera ad ogni parola e alla fine della frase non sento altro che il suo martellante battito.
Se questo doveva essere l’inizio di una dichiarazione, non comincio bene per niente.
Mi guarda, e la sua espressione cambia da estremamente sorpresa a un sorriso da so-cosa-stai-per-dirmi. Ma dubito fortemente che possa immaginarselo.
«Sono tutt’orecchie»
Infilo le mani infreddolite nella tasca del cappotto – che apparteneva a suo fratello, ma a un certo punto è diventato troppo piccolo per lui e troppo grande per lei – e distolgo lo sguardo buttandomi su qualcosa di meno impegnativo dei suoi occhi: la neve.
«Io… ecco, vedi…»
Ho provato e riprovato il discorso tutta la notte, non dovrebbe essere difficile ripeterlo.
«Tu… diciamo che… sì, insomma…»
Lo so, davvero, non posso essermi dimenticata tutto ora!
«Volevo dirti che siamo amiche da tanto tempo e…»
Ecco, Alyss, questo è il modo di iniziare un discorso. Non fermarti.
«Sbrigati a dirmelo, prima che possa cambiare idea e decidere di risponderti di no» mi interrompe lei, e io rimango senza parole. Torno a guardarla in faccia e la vedo radiosa, con un sorriso luminoso e gli occhi nocciola che brillano come non avevo mai visto prima.
Rimango incantata.
Allora sapeva davvero cosa stavo per dirle. Faccio due più due: e mi ha detto di sì!
Una palla di neve mi colpisce dritta in mezzo agli occhi.
«Allora? Hai perso la parola?» ridacchia lei, «Sto aspettando solo te!»
Sputacchio tirando via la neve col dorso della mano.
Mi ci voleva una raffreddata.
Riprendo il controllo della situazione e incateno il suo sguardo nel mio. Quasi grido, per farmi più coraggio:
«Ti amo!»
E per tutta risposta ricevo un’altra palla di neve in faccia. Lei ride, con la risata più bella che le abbia mai sentito fare.
«Anche io, Alyss!» grida anche lei, confidando che la neve attutisca le nostre parole.
In tutto ciò devo riconoscere una cosa: faccio schifo a dichiararmi.
 
***
Sono sulla pedana degli Hunger Games.
Manca un minuto all’inizio dei Giochi.
Solo stamattina ero a fare colazione al Centro di Addestramento con Layla, Roy, Julius e gli stilisti. Poi ci siamo separati. Roy ha pianto e Layla lo ha abbracciato. Julius mi ha supplicato perdono con gli occhi tristi e io sapevo che non ha colpe per quello che è successo ieri. Avrei voluto chiedergli scusa. Ma non l’ho fatto.
 
«Cinquanta secondi.»
 
Layla, prima che salissi sul’hovercraft, mi ha dato i suoi ultimi consigli.
Buttati nella cornucopia e cerca attrezzature utili.
Uccidi tu per prima se non vuoi essere uccisa.
Non fidarti dei beni di prima necessità troppo facili da ottenere.
Pensa come penserei io.
Cerca di uscirne viva.
E poi mi ha abbracciata.
 
«Quaranta secondi.»
 
Telluria, nella cabina di lancio, mi ha aiutata a infilarmi gli indumenti: una canottiera; un maglione con cappuccio beige di un tessuto leggerissimo ma che riduce al minimo la dispersione di calore; una giacca grigia senza maniche progettata per proteggere gli organi vitali da freddo eccessivo; dei comodi pantaloni verde militare impermeabili; un paio di scarponi da montagna dello stesso colore.
Poi mi ha guardata negli occhi.
«Sei impulsiva, poco femminile e antipatica. Ma vedi di usare il cervello nell’arena» e così mi ha lasciata andare.
Posso giurare di aver visto sulle sue labbra l’abbozzo di un sorriso e ha fatto un debole sospiro quando l’ho ringraziata.
 
«Trenta secondi.»
 
Penso a Laree, che starà sicuramente con gli occhi fissi sullo schermo di casa sua, il fiato sospeso.
Il vecchio Sirius si starà forzando a non a guardare, ma sono sicura che appena suonerà il gong non potrà fare a meno di cercarmi. In fondo sono stata la figlia che desiderava tanto, ma che non poteva avere a causa del suo lavoro.
Spero solo che entrambi distoglieranno lo sguardo in tempo se mi dovesse accadere qualcosa nel bagno di sangue.
 
«Venti secondi.»
 
Mi concentro sul paesaggio: la terra è brulla e intorno a noi ci sono solo picchi inaccessibili. È probabilmente l’altopiano di una montagna, il che mi fa supporre che da qualsiasi parte voglia andare, debba calarmi dai pendii.
La cornucopia davanti a noi è piena zeppa di zaini e armi di tutti i tipi. Strizzo gli occhi alla ricerca dei miei coltelli.
 
«Dieci secondi.»
 
Eccoli! Un cinturino di coltellini da lancio sta appoggiato a uno zaino bello gonfio. Non è proprio sulla mia linea d’aria, è spostato un po’ più a sinistra: ma ho le gambe lunghe, sono veloce.
 
«Cinque secondi.»
 
Molleggio un po’ le ginocchia, già atrofizzate dal freddo pungente.
Tre. Due. Uno.
Un cannone, del tutto simile a quello che indica la morte dei tributi, segna l’inizio dei Giochi.
Io sono già a metà a strada tra i piedistalli e il mio obiettivo, ed evito di guardarmi intorno per non distrarmi. Raggiungo appena in tempo il cinturino, perché un ragazzo mi travolge assestandomi una spallata nell’anca, facendomi rotolare a terra. È il momento: sfilo un coltello e lancio dritto al cuore. Gli occhi grigi del tributo del 12 si spengono per sempre mentre cade a terra e lascia lo zaino che avevo adocchiato. Lo prendo in spalla e sfilo il coltello dal corpo del cadavere, mettendolo da parte. Ho tutto: comincio a correre verso l’esterno dell’altopiano, ma qualcuno agita un machete nella mia direzione e io mi ritrovo con un braccio ferito e sanguinante prima che possa rendermene conto: mi volto e blocco con il braccio libero il polso con l’arma della ragazza che ho di fronte. Sono più forte, nonostante sia ferita, e la spingo a terra, piantandole subito dopo un coltello nel petto. Appena glielo sfilo sono costretta subito a rilanciarlo: due ragazzi stanno accorrendo nella mia direzione e la mia arma si conficca precisamente tra gli occhi del più vicino. Mentre l’altro si ferma per soccorrerlo.
Sono costretta a scappare, non posso permettermi di perdere altri coltelli, non prima di sapere a quanto ammonta la mia scorta. Colgo di sfuggita l’immagine di Roy difeso in battaglia da Gilbert, ma non ho tempo di realizzare il tutto a causa del dolore al braccio sinistro che mi ricorda che devo fuggire.
Raggiungo il confine visibile dell’altopiano, un valico tra due vette: è un burrone che si estende per svariati metri fino a una foresta di conifere, ma ci sono delle corde fissate che permettono la discesa. Senza esitazioni mi aggrappo a una di quelle e mi calo in fretta. Non sono nemmeno a metà strada che mi devo già fermare, per via del braccio che non riesce a sorreggere il mio peso. Mi accovaccio su una roccia sporgente e mi lascio sfuggire un gemito. I Giochi sono appena iniziati e io sono già ferita, perfetto.
Guardo in cima e mi sincero con sollievo di non essere seguita. Di fronte a me si spande una vallata immensa, che si lega tramite la foresta alla base della montagna. Alle pendici di questa mi sembra quasi di vedere il luccichio di un ruscello, ma non ne sono sicura.
Decido che è il momento di analizzare la mia ferita. Un taglio piuttosto lungo mi lacera la maglia dalla spalla al gomito, ma la ferita sottostante non sembra così grave: a quanto pare la ragazza mi ha colpita solo di striscio. Tiro un sospiro i sollievo e apro il mio zaino alla ricerca di qualcosa per tamponare il sangue. Trovo subito un rotolo di bende e ne strappo un pezzo per legarlo stretto al braccio. Richiudo il tutto con attenzione e riprendo a calarmi con la corda.
Sono passati dieci minuti quando finalmente la corda finisce e metto i piedi su un pendio meno ripido ed erboso. Il bosco è di fronte a me e non esito ad avventurarmici.
Dei colpi di cannone mi bloccano: il bagno di sangue dev’essere finito. Sono nove vittime. La mente torna all’ultima scena che ho visto, cioè Gilbert che si batte con un tributo per proteggere Roy. O almeno questo è quello che sembrava. Saranno ancora vivi? Roy sarà sopravvissuto? Odio non poter sapere nulla fino a stanotte.
Avanzo per le ore successive, facendomi largo tra le foglie basse con un coltello più grosso che ho reperito dallo zaino. La ferita sembra abbia smesso di sanguinare. Trovo un grosso abete, dalla cui base partono due tronchi un po’ deformi, ben coperti dagli aghi. Mi nascondo nell’incavo tra i due alberi e decido che questo sarà il mio rifugio. Adesso devo capire il numero esatto dei miei coltelli.
Mi sfilo in cinturino e conto le lame. Diciannove. Contando quello che ho perso lanciandolo contro i due ragazzi prima di andarmene erano venti. Sono stati parsimoniosi, vedo. E io dovrò esserlo ancora di più.
Lascio stare il mio arsenale e mi dedico al contenuto dello zaino: le bende, il coltello che sto usando, una borraccia piena d’acqua – immensa fortuna – e una coperta di lana.
Niente cibo. Questo è male, anche perché non ho il necessario per costruire una trappola.
Mi guardo intorno: non c’è neve, fortunatamente, non dovrebbe essere così difficile procurarsi qualcosa da mangiare. Che so, magari delle uova, considerato che non ho il necessario per cacciare.
Alzo lo sguardo tra i rami, per capire se ho qualche possibilità di arrampicarmi: fortunatamente gli abeti hanno rami molto bassi, per cui dovrebbe essere facile salirci. Lascio lo zaino in equilibrio e mi aggrappo alla corteccia per tirarmi su. Un ramo, due, ma il terzo si spezza e io mi irrigidisco all’improvviso.
Ti prego, dimmi che nessuno mi ha sentito.
Resto immobile, col fiato sospeso, cercando di cogliere il minimo rumore intorno a me che mi segnalasse l’avvicinarsi di un tributo dalle dubbie intenzioni.
Lascio trascorrere cinque minuti, prima di decidermi a muovermi.
Scendo. Decisamente sono troppo pesante per arrampicarmi. Non posso procurarmi cibo in questo modo e un brivido mi percorre la schiena. Potrei provare a tagliare la corda con la quale sono scesa dal dirupo per poter costruire un cappio semplice per piccoli mammiferi, ma significherebbe riavvicinarsi alla cornucopia – dove potrebbero esserci ancora tributi – e soprattutto intraprendere un viaggio di più ore, a giudicare da quanto ho camminato per arrivare fin qui. Non posso permettermi di muovermi finché non passa la prima notte, quando sarò sicura che gli altri concorrenti si saranno dispersi abbastanza. Per fortuna mi sono sforzata di fare una colazione abbondante.
Mi accovaccio meglio tra i due tronchi. Sistemo i rami intorno a me finché non sono sicura che le foglie non mi nascondano perfettamente ad osservatori esterni, poi comincio a mettere ordine nel mio zaino. Mi cambio le bende zuppe del sangue della ferita, stando attenta a non lasciare macchie, e organizzo la giornata di domani, sperando di sopravvivere alla notte. Appena mi sveglio dovrò mettermi in marcia verso le corde se non voglio morire di fame.
La sera arriva e il cielo si fa scuro. Finalmente sento partire l’inno di Panem. Mi affretto a trovare un buco tra la fitta chioma per poter conoscere i volti dei caduti.
Il primo ad apparire nel cielo dell’arena è il ragazzo del 3. Seguono i due tributi femminili del 5 e del 7, e sussulto: i favoriti sono tutti vivi, così come Coreen e Gilbert e anche Roy. Non sono sicura che questa sia una buona notizia, ma mi ritrovo a tirare un sospiro di sollievo nel pensare al piccoletto in vita, che sarà sicuramente nell’alleanza di Gilbert. Poi appaiono i volti di entrambi i tributi dell’8 e mi rendo conto che ho ucciso io il maschio, quando gli ho tirato il coltello tra gli occhi. Ecco infine i tributi dell’11 e del 12. La ragazza dell’11 è quella a cui ho piantato il coltello nel cuore quando cercava di rubarmi lo zaino. E poi c’è il ragazzo del 12: i miei occhi indugiano un attimo di troppo su quelli grigi di lui, che ho visto spegnersi davanti a me. Inevitabilmente la mia mente ritorna a quando ho avuto compassione di lui durante il primo pranzo in palestra, quando Gilbert lo rifiutò nell’alleanza. Lui è stato il motivo per cui ho deciso di non unirmi alla Gilda. Eppure è stato il primo che ho ucciso.
Ucciso.
Cerco di focalizzare l’esatto significato della parola, per la prima volta dall’inizio di questi Hunger Games.
L’ho ucciso io.
Sto scavando dentro di me per cercare il dolore che dovrei provare, ma non sento niente. Non sento assolutamente niente. Lui non ha più una vita, il suo corpo è un involucro senza respiro e tornerà nel suo distretto dentro una cassa di legno. Freddo e vuoto.
Freddo. Vuoto.
È ciò che provo io in questo momento. Chi sono io, che uccido senza provarne rimorso? La mia mente è permeata di immagini di morte, sangue. Ma quello che sento è solo freddo e vuoto.
Un brivido mi riscuote e mi rendo conto che adesso dovrei provare a dormire.
Tiro fuori la coperta, me l’avvolgo intorno e mi accuccio con la testa sopra lo zaino. Mi ci vuole un po’ per abituarmi alla temperatura sempre più bassa, ma fortunatamente la coperta aiuta e gli abiti che indosso sembrano davvero essere progettati per climi glaciali. Inoltre è così buio che dubito davvero che i tributi saranno un problema, anche se si mettessero a cercarmi. L’ansia della giornata mi crolla addosso e si trasforma in stanchezza nel momento esatto in cui chiudo gli occhi.
 
Un’insistente annusare si inserisce prima nei miei sogni, poi mi costringe alla realtà. Sbatto le palpebre più volte, ma quello che vedo continua a essere solo nero. Uno spiffero gelido mi sfiora la guancia. Devo aver dormito qualche ora, perché è ancora notte fonda.
Di nuovo quel suono. Spalanco gli occhi, realizzando che qualcuno – o qualcosa – sta annusando davvero l’aria tra le foglie dell’abete nella mia direzione. Improvvisamente sento uno stridio metallico, poi l’urlo lontano di qualcuno seguito da alcuni secondi di silenzio. Poi eccolo, il colpo di cannone. E un lungo, penetrante, lugubre ululato squarcia l’aria. A quel suono finalmente li vedo: due occhi gialli luminosissimi, sventrati al centro da una pupilla piccola e di forma allungata. Mi prende il panico e per non urlare mi ficco la mano in bocca, stringendo coi denti.
Cos’è, esattamente?
Non mi guarda, comunque. È voltato verso l’origine dell’ululato, e il continuo annusare si è trasformato in una specie di gorgoglio stridente. È un suono strano, è difficile descriverlo. È simile allo sferragliare dei treni al 6, ma più lungo e lamentoso. Ad ogni modo è raccapricciante. Cautamente allungo il braccio alla ricerca della spallina del mio zaino, per infilarmelo in spalla. La creatura si gira di scatto verso di me, riprendendo ad annusare. Se questo coso sente la paura, sono in grossi guai. Comincio a distinguere dei particolari man mano che i miei occhi si abituano alle tenebre: vedo un muso lungo, due orecchie appuntite, molto pelo. Direi con certezza disarmante che si tratta di un lupo, se non fosse veramente troppo grosso per un animale del genere. Ma qui si sta parlando di ibridi.
Ad un certo punto smette di odorare comincia a ringhiare, mostrando lunghe zanne bianche. Mi ha vista! Non so se è una grande idea, ma mi tiro giù dall’albero e fuggo via. Subito un ululato mi avverte che sono inseguita. Sono praticamente in trappola: per quanto possa essere veloce, non distanzierò mai un ibrido e non so arrampicarmi sugli alberi. Visto che sono morta in ogni caso, tanto vale andarsene con onore.
Mi fermo e mi volto, un attimo prima di vedere una grossa ombra nera dalle zanne bianche saltarmi addosso; scivolo a terra pestando una radice, ma rotolo sulla destra proprio nel momento in cui il lupo tocca terra. Mi rialzo al volo e afferro il coltello grande, indietreggiando un po’. L’ibrido mi localizza di nuovo, e scatta contro di me: aspetto fino all’ultimo secondo prima di abbassarmi e conficcargli la lama nel torace, per poi riprenderla in mano e allontanarmi velocemente. L’ho colpito!
Lo sento uggiolare e la sua sagoma si contorce nel tentativo di lenire il dolore. Poi emette un sonoro richiamo, così profondo da penetrarmi nelle ossa. Ed ecco che dietro di lui appare un branco intero di lupi.
Bella mossa, Knight.
Non ce la farò mai contro tutti questi. Sono praticamente morta. Già mi vedo, fredda e vuota come il ragazzo del 12, consegnata al Distretto 6 in una cassa dal vetro trasparente, magari direttamente a casa di Laree.
Laree.
Che mi vedrà morire brutalmente sbranata da decine di ibridi-lupo.
Laree.
A cui forse non rimarrà nemmeno il mio corpo da compiangere, perché fatto a pezzi da questi mostri.
Laree.
Devo vivere per lei. La vedo all’improvviso: il suo volto contratto in una smorfia di dolore, le lacrime che le scendono sulle guance mentre mi bacia, mentre mi costringe a promettere con uno sguardo che sarei tornata da lei.
Sbatto la schiena contro il tronco di un albero, mentre molti occhi gialli avanzano verso di me.
Non posso morire.
Getto uno sguardo alle mie spalle: l’albero ha una corteccia ruvida e segmentata, da cui sporgono corti rami spezzati. Se non so arrampicarmi, imparerò adesso.
Posiziono un piede e poi l’altro, mentre faccio leva con le braccia per sollevarmi. Raggiungo il metro proprio quando sento dei denti schioccare a vuoto a qualche centimetro dal mio polpaccio. Ho il cuore a mille e mi sforzo di più. La ferita al braccio riprende a sanguinare, sento il dolore farsi più acuto. Le mani graffiate rendono difficile la scalata e vorrei lasciarmi cadere per stendermi e riposare, ma non posso. Mi fermo solo quando penso di essere a un’altezza di sicurezza, e i ringhi sotto di me si affievoliscono. I muscoli bruciano come se qualcuno gli avesse dato fuoco, ma devo resistere. Vedo i colori chiari del crepuscolo apparire lontano, dietro una valle. Resto ferma. Immobile. Rimanere appesi è ancora più difficile che tirarsi su e non so quanto ancora resisterò. Spero se ne vadano via presto.
I lupi girano intorno all’albero per una mezzora ancora, ma quando il sole sorge corrono via. Sono esausta. Non mi sento più le braccia e ho paura di muovermi. Provo lentamente a tirarmi giù, ma il piede non risponde ai comandi e scivolo.
Un gemito sfiatato mi esce dalle labbra, al contatto col suolo. Provo a respirare ma non ci riesco, e stritolo la terra sotto di me con le mani, un dolore allucinante mi percorre tutto il corpo; apro e chiudo la bocca, ad occhi sbarrati, e penso che stavolta morirò per davvero, finché un filo d’aria non entra nei polmoni, e riprendo a respirare.
Credo di essere rimasta stesa a terra per un tempo lunghissimo a tentare di mandare giù aria, a cercare di sopravvivere. Ho la sensazione di essermi rotta qualcosa. Muovo a mala pena le braccia, ma le gambe si rifiutano di collaborare. Mi sforzo, cerco di far leva coi gomiti, ma la schiena non si raddrizza. E alla fine smetto di agitarmi. Forse sarebbe stato meglio se quei lupi mi avessero sbranata subito.

 
Note di me
Ccccciao.
Ci tenevo ad aprire questo capitolo con un momento di cesura nella storia di Alyss e Laree (la dichiarazione), perché quello che si apre nella storia principale è un altro grande momento di cesura: L'ARENA *zan zaaan zaaaaan*

E l'arena è una montagna! *grande fantasia* ed ecco Alyss alle prese con le prime crisi da uccisione. E gli ibridi. E le ferite. Insomma, devo dire che per essere solo il primo giorno ne ho fatte accadere tante D:
Comunque al momento sto strutturando i vari giorni nell'arena (non li avevo ancora chiari fino ad adesso, sì) e preparando un altro esame, pertanto non mi rivedrete prima ancora di una settimana (prevedo di pubblicare il 5 febbraio, se tutto va bene).
Fatemi sapere cosa pensate di questo primo capitolo nell'arena *-*
Alex

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


E anche all'inizio di questo capitolo ecco il nuovo personaggio che vi presento. Il disegno di oggi rappresenta... *rullo di tamburi*
Roy Cutter!




 

Capitolo 9

Non so quanto tempo è passato da quando sono caduta da quell’albero. Sono qui immobile a trattenere i gemiti, cercando di tenere sotto controllo anche la rabbia contro me stessa. Non è molto confortante sapere che non sopravvivrò al secondo giorno di Giochi. Layla mi starà sicuramente maledicendo per la mia incoscienza… ma di che mi preoccupo? Alla fine, comunque, sarò io a morire, non lei. Lei è già sopravvissuta.
È a questo punto che uno scampanellio familiare mi arriva alla orecchie. Riapro gli occhi giusto in tempo per vedere un piccolo paracadute argentato volteggiare sul mio addome. Non riesco a crederci, il mio primo dono da parte di uno sponsor! Lo agguanto al volo e svito il tappo del contenitore di plastica: al suo interno ci sono tre pillole giallastre, di forma ovale appena accennata. Non perdo molto tempo a ingoiarne una.
Mi lascio giacere inerme a terra, tirando un grosso sospiro.
Con tutto il casino che ho combinato non immaginavo proprio che Layla avrebbe convinto qualcuno a puntare su di me. Come è possibile? Quale pazzo scommetterebbe su un tributo che è uscito ferito dal bagno di sangue e a causa della sua stupidità si è ritrovato addosso un intero branco di ibridi famelici? Il mio cervello continua a rimuginarci su, mentre il tempo passa.
Poi, l’illuminazione: sono rimasta ferita al bagno di sangue, ma dopo aver affrontato e ucciso da sola ben tre tributi. Sono stata inseguita da un branco di ibridi, ma dopo aver fronteggiato e vinto un singolo lupo grosso il triplo di me. E sono riuscita a sopravvivere a tutto questo con le mie sole forze. È chiaro che, se uno sponsor deve scegliere a quale tributo dare una mano, sceglierà sicuramente quello che ha già dimostrato di sapersela cavare da solo, nonostante tutto. Sarebbe del tutto inutile sponsorizzare qualcuno che non sa affrontare le sfide dell’arena, o che non ci prova nemmeno. Un sorriso trionfante mi increspa le labbra. Forse posso farcela.
Credo sia passata quasi mezzora quando un formicolio e un forte dolore alla parte bassa della schiena, nel punto in cui sono atterrata, mi fa stringere i denti; ma qualche secondo dopo è già sparito. Forse è arrivato il momento di provare ad alzarsi. Punto i gomiti a terra e mi tirò su lentamente: il mio corpo sembra rispondere bene. Mi posiziono a sedere e da lì mi alzo in piedi, ma mi ritrovo quasi subito a dovermi aggrappare a un albero per non cadere. Raccolgo il primo ramo lungo e robusto che mi capita tra i piedi e decido che mi farà da bastone finché la mia schiena non riuscirà a sostenere il mio peso da sola. Perché non ci penso nemmeno a starmene un giorno a terra ad aspettare la completa guarigione. E poi ho fame.
Raccatto la mia roba da terra e mi accorgo di una cosa che mi fa agghiacciare, letteralmente: la mia coperta non c’è più. Dov’è che l’ho persa? Mi spremo le meningi per un po’, cercando di fare il punto della situazione, quando mi rendo conto di averla lasciata sul mio albero-rifugio quando sono fuggita dal lupo… ma ora non ho la più pallida idea di come ritrovarlo. Tra la fuga e la lotta non riesco proprio a ricordare in che direzione sono scappata. Abbasso lo sguardo e mi accorgo della lieve pendenza del terreno: prima di incontrare gli ibridi era una vera e propria salita. Evidentemente sono scesa. Questo è bene, perché anche per recuperare la corda per le trappole dovevo risalire. Spero di incappare nella mia coperta prima che faccia buio.
Mi metto in cammino, a passo malfermo e sostenuta dal bastone. Alzo lo sguardo verso il sole: è mattino presto, spero di arrivare a destinazione abbastanza in fretta perché ormai non mangio da ventiquattrore e sono già esausta. Mano a mano che salgo il pendio si fa più ripido e io mi guardo intorno ansiosa cercando di riconoscere il mio vecchio albero. Nulla. È tutto così terribilmente uguale, in una foresta d’abeti. Se non ci fosse questa pendenza che mi indica almeno a che punto sono del versante della montagna non so davvero come farei. Poi io non ho mai avuto un gran senso dell’orientamento: al 6 ero in grado di perdermi persino per la via di casa di Laree. Il vecchio Sirius, non potendo venirmi in aiuto sotto gli occhi di tutti, aspettava sempre che si facesse notte prima di venirmi a cercare – in caso non fossi ancora tornata. Più di una volta mi sono ritrovata in braccio a lui nella mia locomotiva dopo essermi addormentata in lacrime nascosta in un vialetto. Lui c’era sempre per tirarmi fuori dai guai. Più volte mi aveva detto che se avesse potuto sarebbe accorso da me subito, sarebbe stato disposto ad accogliermi in casa sua per sempre, mi avrebbe nutrita e protetta come si conveniva a una bambina ancora piccola, sola al mondo: ma non poteva, perché sarebbe stato sicuramente scoperto. E a quel punto, chi altri mi avrebbe preso sotto la propria ala? Sicuramente il comandante Basil, ma per tagliarmi la testa.  
Il sole si sta alzando lentamente ma inesorabilmente e io comincio a perdere le speranze di ritrovare la mia coperta. Lo stomaco si lamenta e capisco che adesso la mia priorità è il cibo.
Uno scricchiolio di rami poco lontano da me, ma proprio nella direzione in cui sto andando, mi mette in allarme. Alleggerisco il mio passo – per quanto il mio sostegno possa permetterlo – e avanzo nascondendomi tra le foglie degli abeti più massicci. Nel mio campo uditivo fanno capolino delle voci umane. Resto in ascolto per un po’, cercando di capire di chi si tratta.
Un maschio che sghignazza, più che ridere.
Una ragazza che lo sostiene, di cui conosco la voce ma che non riesco ad associare a un volto.
Altri tributi che parlottano tra loro.
Sono quasi sicura di trovarmi di fronte ai Favoriti quando una voce da bambino, terribilmente familiare, mi fa emettere un gemito di sorpresa.
Roy.
Avanzo ancora di qualche passo e mi nascondo dietro a un folto cespuglio. Mi sporgo appena e li vedo: Gilbert, Coreen, il tributo del 5, la ragazza del 9 e Roy. La Gilda al completo. Sembra che stiano discutendo su come attaccare i Favoriti: Roy, che non partecipa alla discussione, sta ammucchiando dei rami secchi per farci un falò. Dulcis in fundo, alle loro spalle c’è proprio il mio obiettivo: la parete rocciosa dalla quale penzolano le corde di cui ho bisogno per cacciare.
Sono bloccata qui. Non posso farmi avanti in nessun modo senza essere vista. La tentazione di lanciare un coltello al cuore di ognuno di loro è tanta, ma è rischiosissimo pensare di poterli attaccare e uccidere tutti senza fallire e senza quindi ritrovarsene almeno altri tre addosso. Ho provato a fare una cosa del genere alla sessione privata con gli strateghi e non è che sia rimasta molto soddisfatta del risultato… so cosa mi direbbe Layla: non è saggio attaccar briga ora.
E poi c’è Roy.
Scuoto la testa nel tentativo di allontanare quell’ultimo pensiero. Alla fine decido di girare i tacchi e tornarmene da dove sono venuta.
«Ehi Roy» la voce superba di Gilbert mi blocca all’improvviso.
Questo è male. Non dovrei interessarmi di come si rivolgono al mio compagno di distretto, ma non riesco a fare a meno di rimanere a guardare.
«Laggiù ho visto della legna che può esserci utile, va’ a prenderla» continua il capo della Gilda.
Nascosta tra le foglie vedo Roy annuire e voltarsi verso la mia direzione.
Merda.
Ma, mentre mi aspetto di essere scoperta e poi brutalmente uccisa, succede l’impensabile: vedo il corpo di Roy aprirsi in due. Il suo sangue schizza fino al mio cespuglio e io me lo ritrovo sulle mani, che tremano. I pezzi del mio amico cadono a terra, mentre un colpo di cannone risuona in testa, rimbalzando nelle pareti del mio cervello più e più volte. Dietro, Gilbert fa roteare la sua grossa ascia nera bipenne, imbrattata di caldo liquido rosso. L’immagine di ciò che ho appena visto si ripete davanti ai miei occhi ancora e ancora, e non so davvero come fermarla. È come un video che il mio cervello riavvolge e ritrasmette senza sosta. È un incubo, una visione, immaginazione, ma in nessun modo riesco ad associare tutto questo alla realtà. Il mondo fuori di me si è bloccato all’istante della morte di Roy, e un vuoto assoluto mi preme contro il petto. Mi rendo conto di aver smesso di respirare solo quando questo vuoto si trasforma in dolore.
Roy è morto. Così, davanti ai miei occhi. Senza che fossi pronta o in qualche modo mi fosse dato di prepararmi a quello che stava per succedere. Il piccoletto spaventato che ha condiviso con me questa settimana di preparazione a Capitol City mi ha appena lasciato veramente sola in quest’arena.
«Allontaniamoci da qui, altrimenti l’hovercraft non può venirlo a prendere».
È la voce di Coreen a trascinarmi di nuovo a terra. Mi accuccio meglio tra le foglie e attendo che se ne vadano.
«Aspettiamo che lo prendano e poi ritorniamo. Questa è una buona postazione» aggiunge Gilbert.
Quest’ultima affermazione mi convince del fatto che non riuscirò mai a raggiungere quelle corde. Perciò non c’è più nulla per me qui. Nemmeno Roy.
Mi rialzo lentamente aiutandomi col bastone e, il più discretamente che posso, riscendo il pendio. Quando sono sicura di essere abbastanza lontana dalla Gilda scaccio con aggressività le lacrime che minacciano di scendere a momenti – non posso mostrarmi debole proprio adesso – e decido che posso dedicarmi all’unica attività da cui potrei trarre profitto: la caccia. Con le corde sarebbe stata tutta un’altra storia, ma purtroppo devo accontentarmi dei miei coltelli. Cammino senza fermarmi mai o guardarmi indietro, accompagnata ancora dall’eco lugubre dell’ultimo cannone.
La fame sta iniziando a farsi insopportabile. È ormai quasi il tramonto e finora ho trovato solo due lepri che ho provato ad uccidere lanciando coltelli, fallendo miseramente. Loro sono troppo veloci, io troppo stanca. Mi fa ancora male la schiena e il mio bastone purtroppo non riesce a sostituire del tutto la mia schiena come vorrei. Ho perso anche molte ore di sonno a causa degli ibridi. Mi fermo a sedermi per una ventina di minuti sotto a un albero, sorseggiando acqua dalla mia borraccia. Devo accamparmi prima che faccia buio. Dopo l’esperienza di questa notte non ci penso neanche lontanamente a stare a meno di cinque metri da terra. Cerco e trovo finalmente l’albero che fa per me: grosso, dai rami bassi e robusti, che permettono un’arrampicata abbastanza agevole. E una folta chioma che mi protegge da occhi indiscreti. Mi ritaglio un passaggio tra le foglie, salgo e capisco subito che la fame e gli ibridi stanotte non saranno i miei unici nemici: senza coperta il freddo sembra pungermi dritto nelle ossa, nonostante il mio equipaggiamento tutt’altro che leggero. Mi piazzo su un ramo abbastanza comodo e stringo tra le braccia lo zaino, tremante.
Arriva la notte e il sigillo di Panem appare nel cielo: il sorriso innocente di Roy splende un’ultima volta su questo mondo. Rimango a fissarlo finché non scompare, e anche allora non ho il coraggio di muovermi. Sento all’improvviso la gola chiudersi e faccio una smorfia nel tentativo di non far scendere le lacrime che già si stanno formando ai bordi degli occhi. Piangere non va bene. Potrei essere ripresa dalle telecamere in questo preciso istante e poi chi scommetterà più su di me? Mi ripeto le parole di Sirius, il suo avvertimento di non affezionarmi a nessuno, di non cedere mai, ma ormai è tardi. Non riesco a trattenere un singhiozzo e affondo la testa nella stoffa dello zaino, concedendomi di sfogare il dolore che provo in questo momento in un pianto silenzioso.
Roy non c’è più. La creatura innocente che portava la luce in questo covo di pazzi è morta davvero. Mi chiedo perché alla fine siano sempre i buoni a morire per primi. È stato tradito dal suo alleato. Così, senza motivo apparente. Ma non era proprio Gilbert che lo aveva difeso a spada tratta durante il bagno di sangue? L’ho visto coi miei occhi: ha rischiato la sua vita per proteggerlo. E allora perché colpirlo alle spalle solo il giorno dopo? Perché illuderlo in quel modo?
Roy avrà ritrovato sua madre? La starà abbracciando felice, in questo momento? Mi starà guardando piangere per lui da lassù? E poi, di preciso, cos’è questo lassù? Esiste? Laree sosteneva di sì. Ma io?
Quando sento di aver finito le lacrime – e le domande – tiro un profondo sospiro e lascio appoggiare la testa sul tronco duro. Devo cercare di dormire, almeno questa notte.
Il freddo mi fa tremare, la fame mi torce lo stomaco. Ci provo in mille modi, ma sembra davvero che io non abbia speranza di addormentarmi. Vicino, uno stridore metallico e una lunga serie di ululati svegliano definitivamente il mio cervello. Ora ci si mette anche la paura. Sento gli ibridi allontanarsi e a un certo punto un colpo di cannone rompe il parziale silenzio che caratterizza il bosco. Mi accorgo di avere il cuore a mille. Ogni fruscio mi fa saltare e credo di cominciare a capire a cosa servano questi lupi notturni: farci venire i nervi a fior di pelle e annullare le dormite rigeneranti dalle possibilità dei tributi. Mi costringo a chiudere gli occhi e a calmare il battito.
Dopo quelle che mi sembrano due ore di sonno indisturbato mi sveglio di colpo al suono lugubre di nuovi ululati, stavolta più lontani. È inutile, sono terrorizzata all’idea di trovarmeli sotto l’albero da un momento all’altro. La notte va avanti a tira e molla tra la mia stanchezza e i lupi che rincorrono prede lanciando richiami raccapriccianti. Ogni stridio mi fa drizzare tutti i peli. Quasi ringrazio di vedere i primi segni dell’alba, nonostante sia più stanca, infreddolita e affamata di prima.
No, una notte così non la voglio più passare. Devo assolutamente trovare l’uscita di questo bosco infernale. E del cibo. Soprattutto del cibo.
Appena vengo colpita dai raggi del sole scendo dall’albero: la testa mi gira terribilmente, e le palpebre mi sembrano di piombo. L’unica costatazione felice è che la schiena sembra finalmente reggere il mio peso senza l’ausilio di strumenti esterni. Per il resto, se non trovo qualcosa da mangiare temo ci lascerò le penne molto presto. Ma dove sono finiti gli sponsor? E Layla?
Prendo a camminare attraverso il bosco in senso laterale rispetto alla cima della montagna, decidendo che è meglio smettere solo di scendere o salire. Sono costretta a muovermi tenendomi agli alberi, perché ho come l’impressione che il mondo si possa ribaltare da un momento all’altro. Prima che me ne renda conto finisco con la faccia a terra. Sono inciampata? Ho avuto una specie di mancamento? Cercando di tirarmi su con le braccia ficco il naso in un cespuglio, e un piacevole odore di more mi pervade i sensi. Spalanco gli occhi: quelle sembrano davvero delle more! Ne afferro una e me la rigiro tra i palmi ansiosa. Sì, non c’è dubbio. Ho fatto diecimila esercizi di riconoscimento di bacche e frutti di bosco, al Centro di Addestramento. La butto in bocca e un piacevole sapore dolciastro mi ridà la vita. Svuoto il cespuglio – ci trovo almeno una ventina di frutti – e ne mangio quasi la metà, mettendo da parte le altre. Non è certo un bottino che può soddisfare una diciottenne che non mangia da due giorni e ha camminato per chilometri, ma è un inizio. Mi rialzo rincuorata e riprendo la mia ricerca di altre fonti di cibo. Credo sia quasi mezzogiorno quando noto una rientranza nella terra a ridosso di un tronco di pino. Se è la tana di qualche animale sono davvero fortunata. Mi accovaccio e provo a guardare nel piccolo buco: delle uova color ocra macchiate di nero stanno ammucchiate in un letto di aghi rinsecchiti. Ben cinque uova di pernice. Ne rubo subito due, bucandole col coltello e bevendone il contenuto. Se ci sono delle uova ci sarà anche una mamma-pernice. Credo proprio che mi piazzerò qui ad aspettarla. Mi metto dietro l’albero ad affilare uno dei miei diciannove coltelli mentre studio la zona. Questo punto del bosco è diverso da quello a cui mi sono abituata in questi giorni. Gli abeti sono sempre più radi e al loro posto ci sono sempre più pini di montagna. Questa cosa mi inquieta un po’, visto e considerato che è più difficile arrampicarvisi e trovarci riparo, perché rispetto ai loro cugini sono meno robusti e hanno rami più alti con chiome meno folte.
Uno vicino battito d’ali mi rimette sull’attenti. Mi sporgo leggermente e la vedo: una bella e grassa pernice bianca che atterra. Non posso lasciarmela sfuggire assolutamente. Miro e lancio, trafiggendola al collo.
Per oggi non morirò di fame! Accorro verso mia preda immobile, insanguinata. Uova e carne, non poteva andare meglio di così. Sventro e pulisco la pernice col coltello, poi raccatto le tre uova rimaste e le chiudo in borsa. Ora è il momento di fare un bel fuocherello e arrostire il cibo. Probabilmente accendere un fuoco qui ed ora non è una delle mie trovate migliori, ma conto di concludere in poco tempo e poi continuare a muovermi verso la direzione che sto seguendo da stamattina.
Accendere un fuoco è più difficile di quel che ricordavo dall’allenamento: ci sto dietro da almeno ventina di minuti prima di ottenere una scintilla decente che attizzi i miei legnetti freschi. Arrostisco per bene la mia pernice e ne approfitto per mangiare un’ala. Il resto va tutto in borsa. Mi rammarico di non avere né un sacco né una foglia larga su cui poter avvolgere la mia carne, ma per quanto poco igienico possa essere devo buttarla nello zaino così com’è.
Riprendo il cammino. Continuo a guardarmi intorno: sinceramente sono un po’ preoccupata per dove passerò la notte. Se dovessi scontrarmi con gli ibridi non riuscirei ad arrampicarmi facilmente, qui. Un mal di testa martellante mi fa compagnia sin da quando ho trovato le more, e ho un disperato bisogno di riposare.
In lontananza, all’improvviso, appare una zona rocciosa: il morbido letto d’erba che faceva da tappeto al bosco, si trasforma in un inferno di rocce gigantesche e spuntoni. Lontano mi sembra di sentire anche lo scroscio di una cascata. Zona impervia, niente alberi. Probabilmente tra le insenature rocciose ci sarà qualche grotta, ma l’idea di addentrarmi lì non mi alletta per niente. Questo posto non mi piace. Trovo più saggio rimanere al limitare del bosco. La sera sta calando e io mi arrampico sul primo albero agibile che trovo – e fortunatamente lo trovo. Do un’occhiata alle mie provviste: l’acqua della mia borraccia sta finendo. Bevo tutte e tre le uova rimaste per cena, nel tentativo far tacere il languore che mi supplica di addentare anche la pernice. Ma non posso permettermi di mangiarla ancora. Mi rannicchio sul un ramo e, già intirizzita per il freddo, riesco a tenere gli occhi aperti giusto il tempo di vedere il volto del ragazzo morto questa notte, accompagnato dall’altisonante inno di Panem: il sorriso del maschio del 5, uno degli alleati della Gilda, scompare dal cielo.

 
Note di me
Boom baby!
Con un discreto ritardo, ecco il grandioso - sè, come no - capitolo 9! Spero possiate perdonarmi, davvero, ma esami e impegni vari mi hanno tenuta piuttosto lontana dalla scrittura.
Che dire di questo capitolo? Ah già. La morte di Roy. Riesco quasi a sentire i vostri pianti da dietro il pc *tende le orecchie*
Ha fatto molto male anche a me ucciderlo. In quel modo poi... così, allegramente. Voi ve lo aspettavate? Spero di no, perché volevo un effetto sorpresa su tutti i fronti ù_u
Coooomunque. Il resto del capitolo è tutto "lezioni di sopravvivenza alla Bear Grylls", quindi non ho molto da aggiungere. E se vi ha fatto cagare, sinceramente, lo capisco. La vera novità viene il prossimo capitolo, non temete.
La prossima pubblicazione dovrebbe verirficarsi - sì, "verificarsi" come se fosse un'eclissi solare - tra circa una settimana, non so il giorno preciso. Pertanto, stay tuned.
Datemi feedback!
Un abbraccio,
Adam (citazione della citazione della mia cara Its Ellie <3)
*coff coff* Alex.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Salve! Il disegno del personaggio di questo capitolo rappresenta... *rullo di tamburi*
Coreen del Distretto 3!

 
 
Capitolo 10

Un’aquila mi insegue. Corro, mi allontano il più velocemente possibile. Ma il rapace è molto più veloce di me. Lo sento stridere, allo stesso modo in cui gli ibridi stridono nella notte dell’arena. Non mi volto, so che la mia fine è vicinissima. Il suo stridio si trasforma improvvisamente in un sussurro: Alyss.
Urlo.
Alyss.
Il mio nome risuona nell’aria. Che è successo? Sono forse morta? Mi guardo le spalle: l’aquila è scomparsa. Al suo posto una ragazza, più o meno della mia età, mi guarda sorridendo. Indossa un lungo vestito bianco, quasi luminoso. Il suo viso ha uno strano pallore che fa risaltare gli occhi scuri e profondi. Capelli lunghi fino alle spalle e del colore del cioccolato le incorniciano il viso.
È bellissima. Sono senza parole. Mi sembra di averla già vista prima d’ora, ma non riesco proprio a ricordare dove.
Alyss.
La sua voce, dolcissima, mi raggiunge nuovamente e io sento il cuore accelerare. Porto una mano al viso per darmi un pizzicotto, per assicurarmi di non star sognando, ma non appena tocco la guancia mi ritrovo la mano completamente bagnata. Sto… piangendo? Guardo la ragazza e lei mi sorride, ipnotizzandomi. La conosco, di sicuro. Ma non riesco a focalizzare chi sia.
Alyss.
L’aquila gigante riappare alle sue spalle e la ghermisce con gli artigli. Il suo sorriso scompare e stavolta è lei a urlare e piangere.
Mi si mozza il respiro. È…
«Laree!»
Ho i movimenti bloccati e sento una mano che mi preme sulla bocca. Spalanco gli occhi e una figura nera si staglia sopra il mio corpo: provo ad urlare di nuovo, ma il mio tentativo non fa altro che intrappolarmi di più sotto il peso di questa persona. Chi è e che cosa vuole? E soprattutto, dove sono? Distinguo i tratti di un’uniforme con un numero, il quattro, e da questo particolare riaffiorano alla mente dei momenti vissuti: io che dico addio alla mia ragazza con un bacio, Layla che fuma una sigaretta, Roy che viene tagliato in due. Sono nell’arena, e il ragazzo sopra di me potrebbe essere quello che porrà fine alla mia vita: scalcio tentando di disarcionarlo, ma lui è più forte di me.
«Calmati Alyss!» sussurra, ma il suo tono è imperativo.
Faccio come dice, anche perché ho il cuore che galoppa come un cavallo impazzito, e mi prendo il tempo di guardarlo in faccia e capire di che morte dovrò morire. Il volto del mio avversario, che prima vedevo scuro a causa della luce ambientale, adesso si rivela essere contornato da lunghi capelli biondissimi e due occhi verde acqua brillano nel volto abbronzato. Collego il suo viso col numero che ho letto prima, il quattro, e capisco di trovarmi di fronte a Skeeter. Il ragazzo strano. Quello che ha preso un dodici in addestramento. Con la coda dell’occhio noto che tiene in mano un tridente di un metallo grigiastro, probabilmente acciaio. Dovrebbe avere circa sedici anni, ma non ho comunque speranza contro di lui.
«Hai finito di guardarmi come fossi un animale selvatico?» fa lui a un certo punto, ironico.
«Dai, falla finita in fretta!» ringhio io, e mi accorgo di avere finalmente la bocca libera.
«Non scherziamo» fa una pausa e ride «Ho appena deciso di aiutarti a vincere e tu mi tratti così?»
Eh?
Poi ricordo la sua intervista: lui era quello che diceva si sarebbe alleato col tributo che avrebbe sostenuto fino alla fine. Se la sua è solo una strategia per poter colpire il malcapitato alle spalle non è per nulla divertente.
«No! Non mi alleo con te»
So che anche qui Layla avrebbe qualcosa da ridire, ma su questo punto ero stata abbastanza chiara.
Lui, per tutta risposta, scoppia a ridere un’altra volta.
«Credi forse di avere scelta?» mi chiede lui, indicandomi con un cenno del capo.
Abbasso lo sguardo e realizzo pienamente qual è il mio stato: sono stesa a terra, braccia e gambe bloccate dal possente corpo di Skeeter, col suo tridente che mi sfiora la pelle del collo. Effettivamente non sono nella posizione giusta per trattare.
Lui deve leggere sconcerto dalla mia espressione perché allenta il blocco alle gambe.
«Giusto perché tu lo sappia, è primo pomeriggio e fino a pochi minuti fa stavi dormendo su quell’albero. Io ti ho trovata e ti ho tirata giù»
Primo pomeriggio? Ho dormito davvero così tanto da ieri sera? Beh, in fondo è possibilissimo: non dormivo da due giorni. Ma gli ibridi? Perché stanotte non mi hanno tenuta sveglia?
Il lungo ruggito del mio stomaco rompe il silenzio che si è venuto a creare.
Skeeter si alza e mi tira su con sé con una facilità impressionante. Ricomincio a respirare regolarmente. Finalmente non sono più oppressa dal suo peso.
«Ho dei pesci, se ti vanno» mi annuncia, frugando nel suo zaino.
«Fammi capire. Tu hai appena deciso che saremo alleati e io non ho la possibilità di rifiutare?»
«Esattamente»
«A queste condizioni come fai ad essere sicuro che non sarò io a ucciderti nel sonno?»
«Fa’ come vuoi» replica con un’alzata di spalle, «ma il peggio è per te. Io so dove sono i Favoriti e posso aiutarti a trovare quelli della Gilda»
Improvvisamente mi faccio più attenta. Lui tira fuori da un impacco cartaceo due pesci di media grandezza, già arrostiti.
«Allora? Ne vuoi uno sì o no?»
«Ho già il mio cibo» taglio corto, controllando nel mio zaino che ci sia ancora la pernice.
«Credo ti converrà passare presto alla comunione dei beni, vista la poca acqua che ti è rimasta» fa lui staccando coi denti il dorso del pesce che tiene in mano.
E così ha già dato uno sguardo approfondito nella mia borsa. È irritante. Istintivamente porto una mano ai miei coltelli, ben fissati nel cinturino che ho in vita: ci sono tutti e diciannove.
«Te l’ho detto che voglio aiutarti a vincere» riprende Skeeter, facendomi sobbalzare.
Mi volto e lui mi lancia una delle sue prede, che afferro al volo.
«Dove li hai pescati?»
«C’è un ruscello scendendo verso la base della montagna, pieno di pesce»
Giusto. Al Distretto 4 sono quasi tutti pescatori provetti e lui non deve essere da meno. Addento finalmente l’animale, in piedi, appoggiata a un albero debitamente lontano dal Favorito del 4.
Mangiamo in silenzio due pesci a testa e finiamo le mie more, dividendoci anche l’acqua. Lui ha varie borracce che ha riempito e purificato al ruscello.
È un ragazzo strano. Che cosa spinge qualcuno con così tante possibilità di vittoria a sacrificarsi per una sconosciuta? Continuo a guardarlo di sottecchi mentre prepara lo zaino e sto quasi per chiederglielo quando lui mi precede:
«In questi giorni ho girato parecchio e mi sono fatto un’idea della struttura di quest’arena. È divisa in due aree: c’è un versante boschivo, quello in cui siamo adesso, e un versante roccioso, che è quello che vedi alle tue spalle»
Mi volto e guardo il paesaggio impervio che ieri mi sono rifiutata di attraversare.
«Qui siamo proprio al confine tra le due zone, cioè l’unico posto sicuro dagli ibridi»
«Che significa questo?»
«Hai visto quei lupacchiotti che girano la notte? Hanno un’area d’azione che si estende per tutta la foresta. Tralasciando i confini e il versante opposto»
«Ecco perché questa notte non li ho sentiti!» esclamo io, con un po’ troppa enfasi.
Lui annuisce e continua.
«Ma la zona rocciosa è altrettanto pericolosa. Grazie alla conformazione del terreno è ricca di caverne naturali, alcune con l’entrata nascosta da cascate che confluiscono nel fiume che scorre qui in basso. Ma di notte queste grotte sono zona di caccia di possenti ibridi-orso. Agiscono come i lupi: non oltrepassano la propria area e si muovono dal calare del sole fino all’alba, talvolta uscendo dalle caverne»
«Gli strateghi vogliono proprio portarci allo stremo delle forze» mormoro mettendomi lo zaino in spalla.
«Probabilmente. Per questo dobbiamo muoverci rapidamente di giorno e dare la caccia a più tributi possibile. Prima finiranno questi Hunger Games prima potremo dormire sonni tranquilli»
Sto per replicare che solo uno di noi dormirà sonni tranquilli dato che c’è solamente un vincitore, quando mi rendo conto che forse Skeeter si riferiva a qualcosa di diverso. Possibile che lui attenda la morte come il riposo agognato?
Un colpo di cannone improvviso mi fa drizzare i peli. Lui, con l’aria di chi non si è accorto di nulla, fa volteggiare agilmente il suo tridente e mi guarda con impressionante serietà.
«Io direi di inoltrarci nel bosco e cacciare la Gilda prima di tutto. Per i Favoriti ci sarà tempo. Ma decidi tu, io in fondo sono al tuo servizio»
Sebbene abbia ancora molte riserve rispetto a questa storia dell’alleanza, annuisco.
«Facciamo come hai detto allora. Troviamo Gilbert e la sua truppa».
Ci incamminiamo e continuiamo a spostarci per tutto il tempo che la poca luce del sole ancora ci concede. Scopro che Skeeter non è soltanto un buon pescatore, ma anche un discreto cacciatore di selvaggina: grazie al suo aiuto recuperiamo tre lepri bianche e uno scoiattolo.
Prima che il sole possa tramontare ci spartiamo la mia pernice per cena e cerchiamo due abeti su cui passare la notte.
A un certo punto lui mi lancia un sacco a pelo.
«Sembri piuttosto infreddolita. Usa questo per stanotte, io posso farne a meno»
«Scherzi? È tuo, stanotte morirai di freddo se non lo usi»
«Oh, grazie di preoccuparti per me, sorellona. Devo prenderla come la tua approvazione ufficiale della nostra alleanza?» ridacchia lui.
«Fai come ti pare» rispondo piccata.
Insopportabile.
Scelgo un albero su cui posso salire facilmente e comincio la scalata. Tra i rami mi accorgo che l’abete su cui è salito Skeeter è quello accanto al mio. Lui si accorge di me e, sorridendomi sornione, mi saluta con la mano.
Lo guardo malissimo.
L’inno di Panem mi distrae per un attimo e, con fatica, riesco a scorgere il volto del tributo morto questo pomeriggio: la ragazza del 10.
Torno a rivolgermi a Skeeter.
«Non dovremmo fare dei turni di guardia?»
Lui, per tutta risposta, ride.
«Saranno gli ibridi a fare la guardia a noi: mi sembra difficile che qualcuno riesca a muoversi di notte in quest’arena. Credo sia meglio che entrambi dormiamo il più possibile in preparazione della caccia i domani»
Deglutisco, impensierita. L’idea di avere addosso per tutta la notte gli occhi gialli di ibridi famelici non mi alletta per niente. Mi sembra già di sentire degli stridii metallici in lontananza – il loro biglietto da visita – quando il sonno mi porta via con sé.
È una notte tormentata e più di una volta mi capita di abbassare lo sguardo e incrociare i denti bianchissimi e gli occhi luminosi di qualche lupo che tenta un’arrampicata disperata sul mio albero. Ogni volta però mi obbligo a chiudere le palpebre e riprendere a dormire. Con mio immenso sollievo l’alba arriva presto e i mostri – anche quelli nei miei sogni – se ne vanno.
Quando scendo dall’abete scopro che Skeeter è già in piedi e sta mangiando la coscia di una lepre.
«Stavo per venirti a svegliare» dice con un sorriso.
Io non rispondo e getto un sguardo alla carne che ha in mano; lui mi porge un pezzo intatto.
«Dormito bene?» mi chiede.
«Ho passato notti migliori» rispondo atona.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto a finire la colazione. Ho passato giorni e giorni a rifiutarmi di trovare un alleato per questa battaglia aggrappandomi ai miei pochi principi morali, ma ora che ne ho uno tutto sembra essersi fatto più leggero. La percezione del pericolo si fonde alla sensazione di avere le spalle coperte. È rilassante, dà sicurezza e voglia di fare. Forse è proprio così che si sentiva Roy prima di venir colpito a tradimento. Mi irrigidisco appena al ricordo, mentre torna ad affacciarsi il pensiero che Skeeter potrebbe rivelarsi un pericolo per me. Come faccio a credere che voglia farmi vincere? È… inconcepibile.
«Che ne dici di andare, sorellona?» fa lui alzandosi in piedi.
«Chiamami ancora una volta così e ti infilzo da parte a parte col mio pugnale, Distretto 4»
«Hai la carica giusta, stamattina!» e ride.
Mi torna in mente la risata di Laree: era così bella. Il solo ascoltarla riempiva il cuore di gioia, come se tutte le sofferenze evaporassero magicamente. Lei riusciva a trovare il bello in qualsiasi situazione, sempre piena di speranza dentro tutto ciò che le accadeva. Io non sono affatto così. Limitata, scettica, cinica e disillusa, non sono altro che un’ombra scura comparata a lei. Lei che è la luce.
«Tu resti qui o vieni con me?»
La voce bassa del mio alleato mi trapassa come una lama. Mi sono distratta troppo. Mi alzo e lo seguo senza aggiungere altro.
Non abbiamo altro aiuto per trovare la Gilda se non i nostri occhi e le nostre orecchie. L’ultima volta avevano impiantato il proprio quartier generale a ridosso della parete rocciosa che porta all’altopiano della Cornucopia, così possiamo immaginare che abbiano mantenuto quella stessa altezza. Ma non abbiamo idea della coordinata della larghezza rispetto all’estensione della foresta.
In generale io e Skeeter ci muoviamo in un’area mediana, lui controlla la sinistra e io la destra. Facciamo passi piccoli e non scambiamo parola: ogni rumore potrebbe rivelare la presenza della Gilda nei paraggi e dobbiamo accorgerci per primi noi di loro se vogliamo vincerli.
Il tempo passa velocemente e all’ora di pranzo la concentrazione cala definitivamente per via della fame. Ci accampiamo e mangiamo in religioso silenzio. L’impressione di essere nel territorio nemico si fa sempre più nitida e non smettiamo mai di guardarci attorno.
Durante il primo pomeriggio facciamo qualche altro chilometro il salita. Stavolta i minuti sembrano non trascorrere mai. È ormai da tanto che ci muoviamo e la stanchezza sta prendendo il sopravvento: mi distraggo ad ogni ramo che calpesto, ogni uccello che sento cantare.
«Puoi, per favore, concentrarti?» mi riprende infatti Skeeter.
«Non è così semplice» mi lamento io.
«Sei nell’arena. Non tenere mai la guardia abbassata!»
Io sbuffo. Odio quando fa il sapientone, anche se è facile riconoscere che ha ragione. Forse semplicemente odio essere rimproverata.
Uno strano fruscio cattura improvvisamente tutta la nostra attenzione.
«Hai sentito?» sussurra il mio alleato.
In un attimo ci ritroviamo addosso Gilbert, Coreen e la ragazza del 9, saltati fuori da chissà dove. Non ho nemmeno il tempo di realizzarlo che sono già a terra, Coreen sopra di me che mi punta un pugnale alla gola. Ansimante, cerco con gli occhi Skeeter e mi accorgo che è schiacciato contro un albero dall’ascia di Gilbert e la lancia della sua alleata.
«Oh! Stavamo tendendo un’imboscata al ragazzino solitario del 10 e invece ci troviamo di fronte un alleanza piuttosto singolare!» ridacchia Gilbert, «ci avete risparmiato la fatica di venirvi a scovare».
Eccola, la mia fine. Per mano degli stessi che hanno ucciso il piccolo Roy, questi stessi vermi. E questa cosa mi manda su tutte le furie.
«Ma non vi preoccupate, i miei piani per voi sono altri» continua il leader, «come potete vedere noi della Gilda siamo rimasti solo in tre. Insufficienti per abbattere i Favoriti. Ma se avessimo dalla nostra parte il temibile ragazzo del 4 e l’interessante ragazza del 6 forse potremmo farcela»
Coreen, sopra di me, acuisce la pressione della sua lama sulla mia gola. Deglutisco a fatica.
«Vi stiamo proponendo un’alleanza, sì. Da soli, noi e voi, non saremo mai in grado di competere contro quei palloni gonfiati. Ma insieme possiamo porre fine al loro primato. Accettate?»
Dopo un attimo di silenzio, Skeeter prende la parola.
«Alyss, decidi tu»
Io guardo in faccia con disprezzo la ragazza del 3 che mi sovrasta e provo a immaginarmi sua alleata. Non è concepibile.
«Preferirei i Favoriti, piuttosto»
Le mie parole sono come il corno che dà inizio alla battaglia. Sento Skeeter agitarsi e colpire i suoi aggressori, mentre Coreen si ritrova scagliata contro un albero meno di cinque secondi dopo.
Mi rialzo incredula. Ha sbaragliato tre avversari da solo!
«Alyss, preparati a combattere!» fa lui imperativo.
Io tiro fuori il mio pugnale e mi scontro con il tributo del 9. Mi proteggo e schivo in contempo i suoi affondi con la lancia, potendo contare sul fatto che è piuttosto lenta. La ferisco più volte e poi mi ritraggo subito per evitare il suo contrattacco. Leggo nei suoi occhi la paura nel realizzare che sono più agile e forte di lei, così continuo ad attaccare per prima.
All’improvviso un colpo di cannone mi risuona nelle orecchie e non posso fare a meno di girarmi: Coreen ha la gola squarciata dal tridente di Skeeter, gli occhi spalancati e la bocca grondante di sangue. Accanto un Gilbert scioccato con la schiena a terra guarda impotente la scena. È stato ferito a un braccio.
Un forte colpo al petto con l’asta della lancia mi fa perdere il fiato e io cado in ginocchio ai piedi della mia avversaria; mi tira un calcio in viso e finisco distesa a terra, cercando disperatamente di respirare. La punta della lancia brilla di fronte ai miei occhi, ma rotolo su un fianco un attimo prima che possa trafiggermi: stringo il mio pugnale e le ferisco una caviglia. Lei urla e io ne approfitto per strisciare fino a Skeeter che intanto ha intrappolato Gilbert.
«Voi non capite un cazzo!» grida il tributo del 7.
Ci blocchiamo tutti. Ha gli occhi lucidi e il viso stravolto. Le iridi dorate, leggermente annacquate, sembrano riflettere mille colori diversi. Non l’avevo mai visto così debole e indifeso.
«Non capite un cazzo!» lo sento ripetere mentre dei rigagnoli gli scivolano sulle guance, «dobbiamo ucciderli, quei dannati Favoriti! Quei fottuti palloni gonfiati si meritano solo la morte! Mi hanno distrutto prima ancora che entrassi nell’arena, hanno ucciso prima mio fratello e poi il mio migliore amico…»
La sua voce si spezza e ha difficoltà a proseguire. Prende fiato ugualmente, abbassando lo sguardo distrutto.
«Loro potevano farcela. Mio fratello poteva tornare a casa due anni fa. Il mio migliore amico aveva le carte in regola per vincere l’anno scorso. Potevo rivederli, potevo riabbracciarli, ne sono certo… ma a un passo dalla vittoria i Favoriti me li hanno ammazzati…»
L’ultima frase è poco più che un sussurro e china la testa vinto, lasciando scorrere la lacrime che poi scivolano a terra. Per almeno un minuto tutto è immobile. Io a terra, sollevata sui gomiti, che guardo Gilbert piangere; Skeeter col tridente alzato contro di lui, la bocca semiaperta e lo sguardo indecifrabile; persino la ragazza del 9 ha smesso di agitarsi per la ferita alla caviglia e guarda il suo alleato appoggiata a un tronco d’albero. Mi chiedo come leggeranno questa scena a Capitol City. Se a loro andrà bene tutta questa esitazione o se stiamo per morire tutti fulminati perché c’è troppo poco odio, troppa poca violenza in questo momento. Se qui e ora traspare eccessivamente che siamo tutti umani e non macchine per uccidere.
All’improvviso Gilbert stringe pugni e denti e con un rapido movimento – che nemmeno Skeeter si aspettava – assesta un calcio sullo stomaco al mio alleato che si piega in due. La ragazza del 9 lo raggiunge immediatamente e scappano via entrambi.
«Non dobbiamo farceli sfuggire!»
Io mi rialzo e afferro i miei coltelli da lancio, inseguendoli. L’ora della compassione è finita.
C’è solo un vincitore.
Sfrecciando tra gli alberi consumo cinque coltelli e ferisco nuovamente la ragazza, senza mai riuscire a colpirla mortalmente come vorrei. All’improvviso saltano entrambi sopra un abete con un’agilità incredibile: si muovono tra i rami come scimmie e ora comprendo bene come abbiano fatto a tenderci un’imboscata dall’alto senza che ce ne rendessimo conto.
Io e Skeeter li seguiamo con lo sguardo da terra, ma nessuno dei due ha le capacità per ingaggiare una battaglia aerea con loro. Non posso nemmeno provare a colpirli coi miei coltelli perché gli alberi sono troppo fitti. La mano del tributo del Distretto 4 si posa sulla mia spalla.
«Non possiamo assediarli da qui, sta facendo buio e tra poco gli ibridi salteranno fuori»
Io annuisco. Getto un ultimo sguardo ai due che si stanno curando le ferite prima di correre alla ricerca di un riparo per la notte.
Splende per l’ultima volta nel cielo il volto di Coreen.

 
Note di me
Zalve.
Sì, sono tornata. Non vi libererete di me tanto facilmente. Alla faccia del "pubblico tra circa una settimana"

Comunque questo capitolo si è fatto attendere abbastanza a mio parere... spero almeno vi soddisfi quanto gli altri xD
Skeeter sceglie Alyss, ma ancora non sappiamo molto di lui, perché agisce e perché sta con lei. Ma credo che la vera rivelazione del capitolo sia stato Gilbert. Per i fans del personaggio sarà sicuramente un motivo in più per amarlo (perché finalmente ho fatto trapelare la vera profondità del mio tributo), credo. Coreen muore. Lei la odio e basta, quindi non vedevo l'ora di bruciarla xD

Non posso fare previsioni precise su quando uscirà il capitolo 11, ma sappiate che ho già tutti i giorni dell'arena strutturati quindi non devo inventarmi nulla: basta trovare il tempo di scrivere lol. Voi rimanete ancorati alla speranza di una pubblicazione rapida, che la speranza è l'ultima a morire <3
Fatemi sapere se siete ancora vivi!
Alex

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Salve!! Eccovi il disegno-personaggio di queesto capitolo: Phoenix del Distretto 2!


 
Capitolo 11
 
Stanotte gli ibridi mi hanno tenuta sveglia per un bel po’, tanto per cambiare.
«Vieni giù, dormigliona»
Guardo ai piedi dell’albero indispettita, sapendo troppo bene a chi appartiene quella maledetta voce. Ad ogni modo, è sempre meglio di quella di Gilbert.
Scivolo con attenzione dal mio abete e sbadiglio sonoramente. Skeeter fa altrettanto.
«Nottataccia, eh?» sorrido.
«Già», fa lui facendosi scrocchiare il collo, «comunque ecco il piano di oggi: si va a caccia»
Lo guardo stranita, toccandomi istintivamente la borsa.
«Credevo avessimo ancora delle provviste»
«Si va a caccia della Gilda»
Il mio volto deve essersi illuminato un po’ troppo, perché lui attacca a ridere. Si vede così tanto che li voglio vedere morti?
«Abbiamo delle possibilità in più ad attaccarli adesso: la ragazza del 9 è ferita alla caviglia, mentre il boss della Gilda ha uno squarcio su un braccio. Non possono essere andati troppo lontano, o almeno, non senza lasciare traccia»
Io annuisco. Quei due sono deboli e stanchi, ormai. L’arena li ha davvero decimati. Inoltre Coreen, il cervello del gruppo, è deceduta ieri: sarà un gioco da ragazzi finirli.
La mia mente ripercorre tutti i momenti dell’imboscata di ieri: la loro agilità, la forza, la gola squarciata della ragazza del 3, le lacrime e il discorso di Gilbert. Giusto, le lacrime e il discorso di Gilbert.
«Ehi, Distretto 4»
Stiamo camminando da circa mezzora nel più assoluto silenzio. Le mie parole sembrano aver spezzato l’alone d’irrealtà in cui la montagna era piombata.
«Che c’è?»
Il biondino mi risponde pur continuando a camminare e a guardarsi intorno.
«Secondo te è vero quello che ha detto Gilbert ieri? O era solo una storiella inventata per distrarci?»
Skeeter si blocca di colpo e io finisco per sbattere il naso contro la sua schiena.
«Che razza di domanda sarebbe?»
«Come che domanda sarebbe? Hai visto come ti ha attaccato appena ha visto che ti eri deconcentrato»
Lui si volta e mi incatena nei suoi occhi.
«Era sincero»
«Come fai a dirlo?»
«Perché nel momento in cui si ha la morte in faccia si è tutti più sinceri. Si diventa umani per davvero, e forse per la prima volta»
Rimango in silenzio e lui riprende a camminare. Per qualche motivo non riesco a scrollarmi queste parole di dosso. Mi rendo conto che è molto facile nell’arena dimenticarsi di avere davanti delle persone. Ma ci sono anche dei momenti, a volte, in cui l’umanità dei tributi viene a galla e ci colpisce come una doccia gelata: così è stato per quel minuto di silenzio in seguito alle dichiarazioni di Gilbert. Eravamo tutti zitti, sì, ma l’atmosfera era carica di domande. Sono certa che in quel momento ognuno di noi lì presente si è chiesto almeno per un secondo “ma che sto facendo?”.
O almeno io l’ho fatto.
La caccia non va molto bene. La Gilda sembra essersi volatilizzata, non riusciamo a trovare tracce di niente. Un assoluto nulla ci circonda. Facciamo un pranzo frugale e ci rimettiamo subito in marcia. Sul far della sera abbiamo perso ogni speranza di ritrovarli. Ci prepariamo per la notte quando uno spezzarsi di rami cattura la nostra attenzione: poco lontano da noi, una ventina di metri, il ragazzo del 10 è seduto a terra e guarda in alto. Skeeter prende il tridente e mi fa un cenno col capo.
Proprio quando si rialza il mio alleato gli si para davanti, con sguardo gelido. Il ragazzetto, che avrà pressappoco quattordici anni, emette un verso di terrore terribilmente simile a uno squittio. Si gira e fa per scappare dalla parte opposta ma sbatte contro di me.
«N-No… risparmiatemi, vi prego!»
Skeeter mi guarda sorridendo e lo afferra per le spalle, tenendolo fermo. So cosa devo fare. Tiro fuori il mio coltello e lo guardo intensamente negli occhi, per fargli capire che non mi sto divertendo nemmeno io. Che se potessi lo risparmierei come chiede.
«Tutti dobbiamo morire» sigla Skeeter stringendolo, e il secondo dopo io gli pianto il mio pugnale dritto nel cuore.
Il cannone spara, e il corpo del tributo cade a terra senza vita. Pulisco il coltello con i suoi vestiti e torno insieme a Skeeter dove abbiamo lasciato gli zaini. Raccattiamo tutto e ci arrampichiamo su due alberi grandi proprio mentre il sole cala. Stacco a morsi la coscia di una delle lepri catturate ieri, fingendo che mi basti una cena così striminzita.
Non passa molto dal tramonto che un altro colpo di cannone ci fa sobbalzare. Quando nel cielo dell’arena appaiono i volti della ragazza dell’1 e del ragazzo del 10, capiamo che ora i Favoriti rimasti sono solo quattro. Tanto meglio.
La mattina dopo una nuova sorpresa ci aspetta: la neve.
Skeeter è saltato sul mio albero, e insieme guardiamo i fiocchi scendere lenti dal cielo bianco. Verso la cima della montagna si stanno addensando nuvoloni neri.
«Sembra che presto arriverà una tempesta coi fiocchi… letteralmente» fa il tributo del 4 ridendo della sua stessa battuta. Ma io non ho tanta voglia di ridere. Primo, perché se davvero ci sarà una bufera resteremo bloccati su quest’albero per parecchio tempo. Secondo, perché la neve mi ricorda il giorno in cui io e Laree ci siamo messe insieme.
«Non ci conviene scendere prima di rimanere bloccati qui?»
«Per poi rimanere bloccati a terra insieme a ibridi e tributi? Fa’ pure, genio»
«Ma rischiamo di finire il cibo e restare senza» gli faccio notare con una punta di acidità, cercando di controllare la rabbia per la sua risposta alla so tutto io.
«Ci porremo il problema quando finirà. Non sappiamo nemmeno per quanto tempo continuerà a nevicare…»
Io guardo giù dall’albero, considerando il livello della neve a terra. Non è molto alta, ma sembra aumentare. Di pari passo col freddo. Rabbrividisco.
«Quindi oggi si sta fermi su quest’albero a fare nulla?» gli dico non nascondendo la preoccupazione di una ingloriosa morte per ipotermia. Lui annuisce giochicchiando con la punta del suo tridente.
Beh, visto che è così... quassù siamo anche piuttosto al sicuro, quindi posso permettermi di far vagare la mente dove voglio mentre osservo i fiocchi di neve intensificarsi. Oggi l’atmosfera è così calma e surreale per un’arena degli Hunger Games che sembra quasi che gli strateghi ci abbiano concesso un giorno di vacanza.
La mattina passa così, tra sbadigli e giochi inventati sul momento per ingannare il tempo. Verso pranzo lo scampanellio di alcuni paracaduti mi riporta in vita.
«Hai sentito?»
Skeeter alza lo sguardo e sorride.
«Visto che i tuoi sponsor non ti lasciano da sola?»
In alto, impigliato tra i rami imbiancati dell’abete, posa un grosso sacco a pelo sorretto da sei paracaduti.
«Non posso crederci!» grido contenta incominciando ad arrampicarmi.
Tiro giù con qualche difficoltà il mio dono, riempiendomi i capelli di neve fresca.
«Ora che ne hai uno tuo, non dovrai più chiedere il mio. Non sei contenta?»
«Ma se sei sempre tu che cerchi di rifilarmelo! Io non ti ho chiesto proprio niente!» ringhio nella sua direzione.
Ma lui ride. Ride sempre, questo idiota. Mi chiedo cosa ci trovi di così divertente in tutto ciò. A dire il vero mi chiedo tante cose di lui. Ad esempio: come ha fatto a ricevere quel dodici in addestramento? Perché nonostante sia così forte ha già deciso che non uscirà vivo dall’arena? Per quanto riguarda la prima domanda, comincio a capire un paio di cose. Mi è bastato vedere con che naturalezza si è tolto di dosso la Gilda al completo. Come ha ucciso Coreen. È sempre certo di ogni mossa che fa e mette a segno ogni colpo. Perché uno così dovrebbe arrendersi agli Hunger Games? Non ci arrivo proprio. Così, dopo averci rimuginato su un po’, decido di chiederglielo, vista la gran quantità di tempo che sembra saremo destinati a passare insieme.
«Vuoi sapere perché ho detto quelle cose all’intervista con Dizzy?» mi risponde lui facendosi serio in volto.
Skeeter è seduto su un ramo spesso alla mia destra, più in basso di me di svariati centimetri, sicché mi ritrovo per la prima volta a riuscire a guardarlo dall’alto in basso.
Io gli faccio cenno d’assenso con la testa.
«Io ero lo studente migliore dell’Accademia del Distretto 4, ma ero anche la più grande delusione per la mia famiglia e l’Accademia stessa» inizia atono; «questo perché ho sempre rifiutato l’idea di offrirmi volontario alla Mietitura per portare gloria a me e al mio popolo. Semplicemente non mi interessava, avevo altri progetti per il mio futuro» appoggia la testa al tronco e fa un profondo respiro.
In effetti, perché dovrebbe stupirmi? Anche se si viene addestrati per tutta la vita a uno scopo, nessuno dice che anche tu devi amare quello scopo.
«Mio padre mi considerava un talento sprecato, i miei compagni in Accademia erano invidiosi di me e mi maledicevano perché questa forza era toccata all’unico che non sapeva che farsene. Come biasimarli! Non mi è mai interessato il futuro che gli altri hanno scelto per me. Per questo quando sono stato estratto nessuno si è offerto al mio posto: vista la mia repulsione per gli Hunger Games, quale migliore punizione se non spedirmici e sperare che io muoia?»
«Aspetta, mi stai dicendo che era tutto organizzato? Che tutti sapevano che se fossi uscito tu nessuno si sarebbe dovuto offrire volontario?» sono sconvolta.
Nemmeno uno, una singola persona che abbia avuto pietà di lui. È disumano!
«Con la competizione che c’è nel mio Distretto scene del genere sono all’ordine del giorno. Se non vuoi far parte del delirio competitivo comune, sei fuori. Anche dalla famiglia»
Mi è parso di sentire una nota di malinconia nelle ultime parole. Sin dal giorno delle interviste l’impressione che ho avuto di lui è stata di un ragazzo impassibile come la roccia, con le idee chiare riguardo a tutto ciò che c’era da fare. Nessuna ferita che riaffiorasse in superficie, niente di spezzato dalla vita. In realtà mi accorgo ora che la sua è una maschera. Beh, come la mia, in fondo. O come quella di Gilbert. Per non farci vedere spezzati, per poter sopravvivere, indossiamo tutti maschere fatte di menzogna.
«Alla fine il destino pensa sempre a tutto» alla parola destino mi faccio subito attenta, «li ho fregati, i miei compagni di distretto. Ho scelto di usare il talento che tanto odiavo per aiutare a sopravvivere chi se lo merita, in barba a tutti i loro piani su di me. E se riuscirò a farti vincere… avrò la certezza che ero destinato a questo da sempre»
«Sempre con questo destino! Come fai a dire che è per questo? Anche Laree me lo diceva sempre. Come fate ad essere certi che esista un destino e che questo destino sia buono
Lui sorride e incrocia le braccia dietro la testa. Mi guarda fisso negli occhi con un’intensità disarmante e io mi trovo a tremare.
«Accadono cose nella vita che non ti puoi spiegare in altro modo. Ma spesso siamo troppo presuntuosi per riconoscerlo e pensiamo che dipenda tutto da noi. Se tutto dipendesse da noi, probabilmente né tu né io avremmo scelto di nascere, tanto per cominciare»
Deglutisco a vuoto e rimango in silenzio a scrutarlo. Sinceramente non so cosa pensare. Io a tutto questo non avevo mai pensato prima d’ora. Questo significa che c’è un motivo per cui tutto accade? C’è un motivo per cui dei tributi innocenti muoiono, un motivo per cui io sono stata risparmiata dalla morte più volte, un motivo per cui ho incontrato Laree, Sirius, Roy, Layla e gli altri? Se solo riuscissi a crederlo con la stessa semplicità con cui Skeeter lo fa, sicuramente vivrei molto più serena.
Mi rannicchio nel mio sacco a pelo fissando un punto imprecisato tra i rami.
«Skeeter… perché hai scelto me?» mi esce all’improvviso.
«Perché tu hai davvero bisogno di tornare a casa e perché hai le potenzialità per farlo. Entrambe le cose, però: c’erano tributi con molto più diritto di tornare a casa ma che non sarei mai riuscito a proteggere fino alla fine, ad esempio il bambino venuto con te; come c’erano tributi che hanno tutte le carte in regola per tornare ma che vogliono vincere solo per farsi acclamare dai concittadini, come la mia compagna di distretto. Tra tutti, ho fatto le mie considerazioni e ho scelto te»
Io annuisco in silenzio e per la prima volta da quando ci conosciamo non lo temo più. So che non sta mentendo, riesco a percepirlo. So che tutto ciò che mi ha raccontato è vero e che non mi attaccherà mai alle spalle. Ma questo significa anche che se riuscirà nel suo intento dovrò ucciderlo io. Il che è esattamente ciò che volevo evitare dall’inizio: uccidere con le mie mani un amico.
«Ehi, avrai fame. Prendi»
Mi lancia una coscia della lepre bianca presa l’altro giorno, che io afferro al volo. Gli sorrido.
«Grazie»
Le ore passano pigre in questo modo fino alla fine della giornata, quando la nevicata sembra rallentare un attimo. Dopo la nostra conversazione mi sento improvvisamente più leggera e rilassata. Se non altro ora ho la certezza di avere un alleato fedele al mio fianco.
Dormo e, per la prima volta da quando sono qui dentro, è una notte senza sogni.
 
Il giorno dopo io e Skeeter facciamo un po’ di stretching tra i rami e ci accorgiamo con angoscia che non ha ancora smesso di nevicare. Le provviste dovrebbero bastare per garantirci la sopravvivenza anche per oggi, ma non credo che questa situazione potrà reggere a lungo. Il lato positivo di tutto ciò è che ho finalmente il tempo di riposarmi, rilassarmi e riflettere. Skeeter in questo è il compagno perfetto: non mi disturba se capisce che voglio stare sulle mie, sa come farmi divertire quando mi annoio – si è messo addirittura a creare un uccello di neve sul suo ramo che poi, fingendo di farlo volare, mi ha lanciato in faccia.
Però c’è da dire che questa quiete ci mette in allerta entrambi. Che staranno progettando gli strateghi? Perché permettono che ci riposiamo in questo modo?
Nel pomeriggio un colpo di cannone squarcia il silenzio irreale creato dalla neve. Il mio cuore accelera e mi volto verso il mio alleato: lui scuote le spalle e resta in ascolto. Nessun altro colpo per tutto il resto della giornata.
La sera ci facciamo spazio tra i rami per vedere chi oggi ci ha lasciato. Rimango a bocca aperta: è Phoenix. Cosa gli sarà successo? Era robusto e grande, un Favorito apparentemente senza debolezze. Rabbrividisco. Lui non mi aspettavo che uscisse di scena così in fretta.
Qualcosa mi dice che ci stiamo avvicinando alla resa dei conti. Dobbiamo riposarci il più possibile per quando arriverà quel momento. Rimaniamo solo in otto.

 
Note di me.
OHILA'! Sì è tipo PASSATO PIU' DI UN ANNO dalla mia ultima pubblicazione. Avevate creduto che non avrei continuato, eh?! E invece eccomi qui a persistere. Ma tanto so di stare parlando da sola, i miei recensori dell'anno scorso chissà se torneranno più ç__ç
Coooomunque. In questo capitolo abbiamo delle interessanti novità. Innanzitutto il primo omicidio premeditato di Alyss. Alcuni di voi volevano sapere se avrebbe ucciso non per autodifesa, e beh, questa è la risposta *coff coff*. Poi finalmente scopriamo la storia di Skeeter *Q* il mio aMMMore <3
Voi che ne pensate? Speriamo che questa storia attiri ancora qualcuno, il bello deve ancora venire. Ho tanti di quei colpi di scena da inserire che mi viene da piangere a pensare che ho probabilmente ho perso così tanti recensori che amavano la mia long. *sigh*
Tornateeeeee!!!
Alex

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 
Il mattino successivo una piacevole sorpresa ci attende: la neve ha smesso di scendere. Ormai mi ero quasi rassegnata all’idea che gli strateghi avessero fatto una scommessa per vedere chi fosse l’ultimo a morire di ipotermia– o di fame, chi lo sa. Nonostante la bella notizia decidiamo di non scendere dal nostro albero per tutta la mattinata, per verificare se il tempo avrebbe retto sul serio o se fosse solo una trappola.
Verso mezzogiorno Skeeter mi lancia addosso una pigna.
«Che diavolo fai?!» ringhio io massaggiandomi il braccio leso.
«Volevo vedere se eri ancora viva oppure eri già morta congelata» risponde lui con un’alzata di spalle.
«Ma ti pare?!»
«Sei rimasta quasi due ore immobile a guardare un grumo di neve impigliato tra i rami. Cosa avrei dovuto pensare secondo te?»
Io scuoto la testa con disapprovazione. Lui, per tutta risposta, ride.
Ride di gusto e viene da ridere anche a me. Non lo so perché, ma è la prima volta da tanto che rido così, come se andasse tutto bene, come se non fossi dentro un’arena piena di trappole mortali per proteggere la vita della ragazza che amo. Stare con Skeeter mi fa sentire meglio. Lenisce le mie ferite fresche, mi ridà speranza. È ora, guardandolo in quei suoi occhi cristallini, che mi rendo conto che a lui ci tengo sul serio. Qualcosa sembra cambiato definitivamente dal nostro dialogo di due giorni fa, ed è quell’esatto qualcosa che porterà alla rovina entrambi. Non siamo più tributi in competizione, non siamo più alleati, ma siamo amici. E ora non riesco più a togliermi le sue parole dalla testa:
E se riuscirò a farti vincere… avrò la certezza che ero destinato a questo da sempre.
«Credo sia ora di scendere, Alyss»
Io annuisco e lentamente cerchiamo di farci strada attraverso i rami gelidi e pericolosamente irrigiditi dal freddo. Ad ogni passo il terrore che un appoggio che mi sembrava sicuro ceda, rifacendomi provare l’ebbrezza della caduta micidiale del primo giorno d’arena, mi stringe il petto in un groviglio. Nemmeno il pensiero che stavolta ci sia un tappeto morbido di neve fresca ad attendermi riesce a farmi sciogliere la tensione della discesa.
Una volta a terra constatiamo con stupore che la neve non supera il livello delle nostre ginocchia, nonostante abbia nevicato per due giorni interi. Il mio alleato guarda in alto, alla ricerca del sole tra i rami.
«Sembra che abbiano alzato la temperatura di proposito per permettere alla neve di sciogliersi più rapidamente»
«A quanto pare» rispondo io sistemandomi i coltelli nel cinturino.
Li conto per scrupolo: sono tutti e quattordici.
«Andiamo»
«Dove?»
«A caccia di provviste».
Stamattina abbiamo finito tutto quello che avevamo per assicurarci di avere abbastanza energia per tornare a cacciare dopo due giorni di inattività quasi completa. Non so cosa potremmo trovare con l’arena in queste condizioni, ma siamo pronti ad arrivare dalla parte opposta della montagna per riuscire a mettere da parte qualcosa. Siamo carichi e inarrestabili.
Dopo quasi un’oretta di cammino a vuoto, il mio stomaco comincia a brontolare.
«Hai già fame?!» mi guarda Skeeter.
Io faccio per rispondergli quando una specie di gemito ovattato mi raggela la spina dorsale e mi volto di scatto sfilando tre coltelli dal mio cinturino. Nessuno. Me lo sono sognata? Guardo il ragazzo del Distretto 4 e vedo che anche lui è in posizione di guardia, una mano sul freddo acciaio del suo fidato tridente.
«Che è stato?» chiedo io in un sussurro.
Un altro gemito, simile al primo, ma più lungo e lamentoso, mi spinge a ricalibrare la fonte del suono udito prima. Viene esattamente da…
«Sotto di noi!» grida all’improvviso Skeeter saltando indietro.
Io provo a fare lo stesso, ma una mano si avvinghia alla mia caviglia sinistra facendomi perdere l’equilibrio e facendomi scivolare a terra. Una mano… da sotto la neve? Skeeter lascia andare la presa sul suo tridente e si mette a scavare attorno alla mano emersa. Io mi tiro in piedi ancora ansimante per lo spavento e sbarro gli occhi di fronte alla sorpresa che il mio alleato tira fuori dalla neve. In una specie di tana da volpi scavata nel terriccio e poi ricoperta di neve, giacciono nel sangue Gilbert e la ragazza del 9. Lei svenuta ma viva – sembra respirare ancora – lui che ci fissa senza espressioni particolare, la faccia sporca di terra, sangue e neve sciolta.
«Che sorpresa… ci rivediamo» sigla con freddezza Skeeter.
Gilbert ha una brutta ferita alla testa. Sembra che non sia stato del tutto sicuro per lui saltare in continuazione da un albero all’altro. Io lo guardo negli occhi. I suoi occhi che ci guardavano dall’alto in basso fino al nostro ultimo incontro, occhi carichi di orgoglio e presunzione, di voglia di vendetta e sete di vittoria. Ora, invece è uno straccio. L’oro delle sue iridi si è trasformato in bronzo, lo sguardo altezzoso è velato da una patina di delusione.
«Che ne facciamo, Alyss? Ormai sono spacciati comunque. Decidi tu»
Skeeter rompe il silenzio glaciale che si era formato nel mio cervello. Mi riscuoto. Gilbert mi guarda, accenna un ghigno, molto simile a quello che aveva poco dopo aver rubato la vita di Roy.
«Li uccidiamo noi» è la mia rabbia rinnovata a parlare.
«Sai perché ho voluto Roy nell’alleanza?» mormora il giovane del 7 all’improvviso. «Speravo con tutto il cuore che se ti avessi dimostrato di tenere al tuo compagno di distretto allora anche tu avresti deciso di unirti a me. Per lui»
Stringo i pugni al fianco. Tipico della mentalità calcolatrice di Gilbert.
Tossisce e prende un gran respiro per trovare la forza di continuare a parlare.
«Poi, quando ho capito che lui non sarebbe servito a farti cambiare idea, l’ho ucciso. Se ti fossi arresa avresti avuto qualche speranza di tener vivo quel bambino… ma non hai voluto, e lui è morto per causa tua»
«Smettila di dire cazzate» taglio corto io guardandolo con disprezzo. Come se Roy avesse avuto qualche speranza di tornare a casa. Proprio per questo Layla aveva deciso di farlo soffrire il meno possibile lanciandolo nel bagno di sangue. Ma no, Gilbert ha voluto proteggerlo, ha voluto dargli una speranza; una speranza che avrebbe poi fatto bruciare lui stesso con un terribile colpo d’ascia. Roy poteva andarsene in pace, invece ha passato gli ultimi momenti della sua vita ad essere usato come un oggetto senza valore da questo mezzo umano che giace qui davanti a me. Stringo i denti e afferro il mio fidato pugnale.
«Sta zitto. Non devi più permetterti di parlare di lui» le mie parole escono come veleno sputato.
È il momento di farla finita qui ed ora con te.
Mi piego su un ginocchio verso di lui.
«Per Roy!»
Alzo il coltello in aria e poi lo affondo con forza nel petto di Gilbert. Sgrana gli occhi, una goccia di sangue gli sporca il viso. Il suo corpo ha lievi spasmi, ma dopo poco è immobile. Un cannone risuona nell’arena. L’ho ucciso. Con queste mie mani. Ho vendicato Roy Cutter.
Ma in qualche modo questo non mi fa sentire meglio. Stringo tra le mie mani il manico del coltello ancora impiantato nel petto del mio nemico e sento gli occhi pizzicarmi di tristezza e rabbia. Non riesco a trattenere dei singhiozzi, e delle lacrime scivolano dalle mie guance, gocciolando sul sangue di Gilbert.
Perché… piango?
Rivoli di sangue sgorgano dalla ferita aperta, inzuppandomi la tuta.
Non ce la faccio più a stare qui dentro, in mezzo a dolore e morte!
Grido, e nel momento in cui lo faccio la mia bocca si riempie delle mie stesse lacrime. Continuo a piangere, incurante di Skeeter, delle telecamere, di Capitol City, di Layla, di Sirius o Laree. Sono umana anche io, e per una volta voglio esserlo completamente, senza fingere che tutto questo mi vada bene.
Quando riesco finalmente ad alzarmi in piedi e a pulire il coltello dal sangue di Gilbert, mi volto verso la ragazza del 9, ancora svenuta nella neve.
«Finiscila ora che è incosciente, per favore» sussurro senza forze a Skeeter.
Lui obbedisce senza fiatare, e il secondo cannone della giornata spara. Raccoglie gli zaini dei due ragazzi morti e ne controlla il contenuto; poi, senza dire nulla, se li mette in spalla e mi fa cenno di allontanarci.
Oggi ho mostrato tanto al mondo di me, forse troppo.
 
Il pomeriggio prosegue con varie ore di silenzio che io apprezzo tantissimo. Per mia fortuna una qualità del mio compagno di avventure è quella di intuire quando è il momento di lasciarmi sola coi miei pensieri e quando invece ho bisogno di essere distratta con ogni mezzo.
Io sto cambiando.
L’arena mi sta cambiando.
Ho ucciso senza battere ciglio quel ragazzetto del 10. Ho lottato, ho tolto la vita a Gilbert come se mi fossi trovata di fronte a un criminale, nonostante qualche giorno fa fossimo tutti lì, ad armi spianate, a realizzare quanto in realtà anche lui fosse solo un giovane qualunque, desideroso di vivere e riscattare le sue proprie ferite.
Laree ha visto tutto questo. Laree sta vedendo me così, la nuova me che si sta formando in questa gabbia per animali, e che avrebbe potuto essere lei. Mi starà odiando? Cosa penserà della sua Alyss, di quella ragazza insicura che tremava come una foglia prima di dire le due parole che ci avrebbero trasformato in amanti? Mi vedrà solo come un’assassina, adesso? Una bestia tra le bestie? Proverà ribrezzo di me?
Non avevo mai pensato a questa possibilità prima d’ora. Fin’ora ho ucciso pensando di farlo per lei, per tornare da lei. Ma se lei ora di me vedesse solo le mani sporche di sangue, per cosa starei lottando esattamente? Forse sarebbe stata più felice sapendomi morta con la coscienza pulita, piuttosto che viva ma profondamente cambiata.
«Alyss» mormora Skeeter fermandosi di colpo. «Smettila di torturarti con pensieri che non ti fanno bene»
Io lo guardo stupita. Prima che possa formulare un’ovvia domanda, lui mi anticipa:
«Ti si legge in viso che stai pensando solo al peggio. Basta adesso. Guarda qui, piuttosto» mi lancia uno dei due zaini presi alla Gilda. Io lo apro e controllo l’interno. C’è cibo e acqua a sufficienza per giorni di cammino. Nient’altro. Gilbert e compagni si portavano dietro solo lo stretto necessario: armi e vivande. Non avevano neanche una coperta per la notte a quanto pare. A meno che non l’abbiano lasciata da qualche parte tra gli alberi.
Alzo lo sguardo verso il mio compagno e mi sforzo di tornare a sorridere.
«Caccia alle provviste: completata!»
Lui annuisce.
«Lasciati il dolore alle spalle, Alyss. Dobbiamo proseguire per la nostra via se vogliamo vincere» fa una pausa che pesa come piombo, per me. E poi continua: «Che ne dici di andare verso la Cornucopia?»
Lo affianco con un pizzico di ritrovato coraggio.
«È arrivato il momento di trovare i Favoriti?»
«Dopo la bufera di neve è probabile che anche loro siano a corto di provviste ed è difficilissimo cacciare con la terra ancora coperta di neve. Se le mie intuizioni sono giuste, saranno diretti alla Cornucopia a vedere se è rimasto qualcosa»
Io deglutisco. Quanti ne sono? Faccio due conti e comprendo che loro sono rimasti solo in tre. Spaventoso ed elettrizzante allo stesso tempo.
«D’accordo. Andiamo»
Mandiamo giù un boccone di quello che sembra strano cibo sottovuoto di Capitol City – comunque incredibilmente nutriente – e ci incamminiamo.
È ormai il tramonto quando arriviamo alla parete rocciosa con le corde. La guardo in tutta la sua maestosità.
«Ci toccherà scalarla tutta. Non c’è una via meno pericolosa per tornare in cima?»
Skeeter scuote la testa.
«Non che io sappia. Io direi di accamparci su quel gruppetto di spuntoni rocciosi lassù. Non sono troppo lontani, ma abbastanza in alto per poter passare una notte tranquilla»
Comincio ad essere stanca. È stata una giornata complessa, sebbene fisicamente non abbiamo fatto nulla di stremante. Ma raccolgo tutte le mie ultime forze e con Skeeter mi lego una corda alla vita e mi tiro su. Appena arrivati al nostro designato giaciglio mi accoccolo dentro il mio sacco a pelo e guardo il cielo.
L’inno di Panem risuona, i volti di Gilbert e la sua compagna mi guardano fieramente. Non riesco a staccar loro gli occhi di dosso finché gli strateghi non li fanno sparire. Skeeter rimane in un silenzio contemplativo. Stiamo cominciando a sentire il peso di questi Giochi sulle nostre anime.
Non penso che Laree avrebbe retto tutta questa pressione.
Dopo tutto ciò che abbiamo passato, il pensiero di subire sul mio corpo e il mio spirito tutto quello che sarebbe toccato a Laree è l’unica cosa che mi dà la forza di addormentarmi serena.

 
L'angolo di Alex.
Buonsalve! Eccovi un nuovo capitolo a caldo della mia fic che, come promesso, sto continuando a scrivere.
Come avrete notato sono spairiti i disegni a inizio capitolo dei personaggi, perché mi sbatto a metterli ogni volta e perché adesso li disegnerei un po' diversamente da come li ho fatti l'anno scorso, eheh.
Ma veniamo al capitolo: la morte di Gilbert! Mi sono immaginata da tempo questa scena, e ogni volta era un po' diversa dalla precedente. Alla fine, quando l'ho scritta, le parole sono venute giù da sole ed è stato nuovamente diverso da come me lo immaginavo inizialmente. Qualcosa di nuovo sta accadendo nel cuore di Alyss, e mi piaceva porre l'attenzione soprattutto su questo: nell'arena, volente o nolente, finisci per odiare. Anche se non vorresti, anche se sai che il ragazzo di fronte a te, pur sembrando senza cuore, un cuore ce l'ha. Alyss sta cominciando ad accorgersi di questo gap, ed è ciò che la spaventa. E ciò che ha paura spaventi anche Laree.
Mi è piaciuto scrivere della morte di Gilbert. Voi come l'avete trovata?
Vi anticipo che nel prossimo capitolo (o i prossimi due, devo ancora capire se suddividerlo o meno) tornerà l'azione. Ma quella bella. Eh eh. Non so dirvi quando pubblicherò, ma state certi che lo farò, come ho fatto oggi.
Ne approfitto per ringraziare chi ha letto la mia mail e ha accettato l'invito di tornare a recensire questa long a cui vi vedevo tanto affezionati! Vi prego di non abbandonarmi, The odds are never in my favor ha bisogno anche di voi!
Alla prossima!
Alex

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

La mia mano si aggrappa con forza alla corda robusta. Contraggo i muscoli e mi tiro su, con fatica. Stiamo salendo sulla scarpata da ormai quasi un’ora. Nessuno di noi due è un gran scalatore abituato alle montagne, anzi. Questo non è proprio il nostro habitat.
Mi fermo su una grossa roccia sporgente per asciugarmi il sudore dal viso e per slegarmi la corda dalla vita e riallacciarla all’altezza a cui sono ora. Io e Skeeter stiamo facendo così ogni volta che possiamo, così in caso di caduta la corda ci blocca nell’ultimo punto di “salvataggio” e non quando siamo ormai arrivati a terra. Non che questo salvi la spina dorsale, ma forse la vita sì.
È decisamente la cosa più faticosa che ho mai fatto in vita mia, e il pensiero che quando arriveremo in cima probabilmente dovremo affrontare i favoriti non la rende più elettrizzante. Sono tra il vuoto assoluto e i guerrieri più forti dell’arena: eppure manca così poco alla fine di questo strazio di Giochi!
Riprendo la scalata puntando il piede in una modesta insenatura nella roccia e mi sembra quasi di sentire in sottofondo una musica eroica che accompagna la mia impresa disperata. Poi cede la roccia. Grido e mi aggrappo alla corda. L’eco risuona per la vallata.
«Tutto bene?» mi chiede Skeeter che è già qualche metro più in alto di me. «Ti serve una mano?»
«N-no» faccio io, ma ho il cuore a mille per lo spavento.
La musichetta eroica della mia testa si è spenta del tutto.
Faccio un profondo respiro e torno a fare pressione sulla montagna coi piedi. Non dovrei nemmeno pensarlo, ma ho davvero paura. Sento che se guardassi sotto di me per un secondo potrei cedere seduta stante. Ho le mani sudate e i muscoli che tremano per lo sforzo.
«Alyss, manca poco! Possiamo farcela!» mi sorride lui fiducioso.
Sempre positivo, il ragazzo. Layla, sponsor! Regalatemi un paio di ali, vi scongiuro!
Venti minuti di sofferenza dopo, la mia mano raggiunge la cima del dirupo. C’è Skeeter ad afferrare il mio braccio e a tirarmi su come fossi un sacco di patate. Mai stata più felice di vederlo!
«Devo dirtelo: credevo di morire» esalo aggrappandomi alla sua maglia per non cadere sulle ginocchia.
Lui mi fa cenno di fare silenzio e sussurra:
«Da quando sono qui non ho visto né sentito nessuno. Ma questo non significa che abbasseremo la guardia»
Annuisco. Lui mi aiuta a sedermi dietro una roccia per riprendere fiato.
«Che si fa?»
«Non lo so. La Cornucopia sembra completamente vuota e abbandonata. Direi intanto di aspettare che ti riprenda e mangiarci un boccone»
«Ma tu non sei stanco neanche un po’?»
«Certo che lo sono»
«Non si direbbe»
«Allenamento… e poi, scusa se te lo dico, ma io sono un uomo» ridacchia.
Allora anche lui ha un lato da pallone gonfiato tanto quanto gli altri favoriti. Buono a sapersi.
Condividiamo un pasto, presumibilmente l’ultimo in quest’arena, e poi ci riposiamo forti del nostro riparo rimediato tra le rocce. Tra di noi stavolta non parliamo di strategie, tributi e Hunger Games, ma ci ritroviamo a chiacchierare del più e del meno, in particolar modo di come sono fatti i nostri distretti. Se esco di qui viva mi piacerebbe visitare il Distretto 4, un giorno. Magari farmi un bel bagno, rilassarmi al sole… fare cose normali, una volta ogni tanto. Se vinco, in effetti, avrò abbastanza soldi da poter fare tutto questo e altro. Non avevo mai pensato al lato puramente veniale della questione, ma in effetti l’idea mi alletta.
Solo che quei soldi sono sporchi di vite umane, Alyss.

«Andiamo alla Cornucopia» mi propone all’improvviso Skeeter. «Siamo fermi da un po’ troppo, ormai è primo pomeriggio. Qui è evidente che non c’è nessuno»
Non so cosa spera di trovare alla Cornucopia, ma non glielo chiedo. Stavolta obbedisco e basta.
Ultimamente obbedisco e basta molto spesso. Ho perso le mie capacità decisionali? Forse sono troppo stanca per decidere io stessa i passi da fare per arrivare a uccidere di nuovo qualcuno. Forse mi sto inconsciamente affidando a lui perché io ho paura di scegliere. Per non dire che forse ho proprio ho paura di andare avanti.
Ci avviciniamo lentamente, nel più assoluto silenzio intorno a noi. Una nuvola copre il sole, un colpo di vento solleva la polvere posata a terra e mi costringe a tapparmi la bocca. Guardo in basso.
Polvere e sangue.
Polvere e sangue secco si mescolano a vicenda mentre il vento soffia tra queste rocce.
Schizzi rosso-bruni macchiano il metallo splendente della Cornucopia. Mi volto ammutolita, scrutando il paesaggio: dappertutto, ovunque mi giri, segni di morte. Tutto è immobile e secco e rosso. Sembra che qui la neve non sia caduta. Nulla ha lavato queste epigrafi di sangue.
Questo luogo è un cimitero. Mi tappo di nuovo la bocca con la mano, ma stavolta è per impedirmi di urlare e piangere. Mi pizzicano gli occhi e la gola è chiusa da un nodo.
Non ho mai pianto così tanto da quando sono iniziati questi maledetti Hunger Games.
Una mano si poggia sulla mia spalla e mi impedisce di crollare.
«È orrendo, lo so. Ma non possiamo farci niente» abbassa la voce, probabilmente ha paura di farsi sentire dagli strateghi; «ciò che vedi lo abbiamo realizzato con le nostre mani»
Ripenso ai ragazzi che ho ucciso nel bagno di sangue, agli occhi grigi del giovane del 12.
«Ora che siamo in ballo, dobbiamo ballare. Altrimenti non chiuderanno mai le danze» fa un profondo respiro. «Devi fare un ultimo sforzo. Ritira fuori la Alyss determinata a vincere che ho conosciuto all’inizio dei Giochi»
Deglutisco e capisco che ha ragione. Ricaccio indietro le lacrime e chiudi gli occhi. Quella Alyss è ancora lì. Quella capace di affrontare un branco di lupi-ibrido da sola, capace di uccidere a sangue freddo un ragazzino sperduto nel bosco. Ora più che mai mi serve quella me. Ora che sono a un passo dalla vittoria, a un passo da Laree.
Riapro gli occhi e la mia faccia torna ad essere una maschera di ferro.
«Andiamo a prenderci la testa dei favoriti!».
Sguaino il mio pugnale principale dalla cintura e faccio un cenno d’assenso verso Skeeter. Lui mi sorride e mette mano al suo tridente, facendolo roteare tra le dita e poi puntandone l’asta a terra con un colpo secco.
Ci incamminiamo dal lato opposto dell’altopiano in cerca di tracce che possano condurci alle nostre prede. Arrivati alla fine, il paesaggio che ci troviamo di fronte è totalmente diverso da quello che abbiamo lasciato. È il paesaggio che vidi quel giorno al confine con la foresta: roccioso, pochissima vegetazione, pieno di sorgenti e cascate piccole e grandi che scivolano verso la vallata. È un luogo rischioso. Le rocce formano molte insenature in cui è facile nascondersi, il che potrebbe rivelarsi un campo minato per noi che non conosciamo la zona.
«Cominciamo a scendere, magari troviamo qualcuno che ha voglia di farci compagnia durante la scampagnata…» ironizza Skeeter dandomi una pacca sulla spalla.
Inizio subito a saltare tra le rocce. Voglio porre fine questa storia il prima possibile. Lui mi segue a pochi passi, prendendosi cura della retroguardia. Abbiamo la tensione a mille. Anche lo scroscio di una cascata o il rumore di un sassolino che cade per un colpo di vento ci fanno sobbalzare.
Camminiamo per alcune ore e ormai riteniamo sia ora di fare una pausa. Il cielo si sta rabbuiando ed è ora di trovare un nascondiglio. Prima però decidiamo di avvicinarci a un ruscello per riempire le nostre borracce.
L’acqua del ruscello è limpida e freschissima, esattamente ciò di cui ho bisogno dopo tutto questo camminare e saltare. Mi chino a riempire la borraccia ormai vuota e Skeeter mi si para davanti per fare lo stesso.
«Ehi, prendila da più in basso, così me la sporchi…» lo prendo in giro io.
«Se vuoi ti ci sputo direttamente dentro, miss perfettina» risponde ridendo lui.
«Attenta!!» urla all’improvviso afferrandomi per un braccio, e io mi volto giusto in tempo per vedere una lama sfiorarmi la guancia sinistra e prendermi in pieno la cicatrice. Cado a terra spinta da Skeeter, che molto probabilmente mi ha salvato la vita scostandomi in tempo.
«Eccoti finalmente, Distretto 4» ghigna quello che si rivela essere il giovanissimo Axel del Distretto 1, che maneggia con destrezza non una, ma ben due spade affilate.
Skeeter fa roteare il suo tridente e si mette in posizione d’attacco.
«Mi cercavi, piccoletto?»
«Sì, perché tu sei il più forte qui dentro. Volevo ucciderti personalmente» risponde serio lui.
Sembra che stia per cominciare una sfida tra titani, tra gli unici due che hanno preso dodici in addestramento. Faccio per rialzarmi e unirmi alla battaglia, quando una freccia si infila nella mia spalla sinistra. Grido dal dolore ma mi giro e lancio un coltello contro chi ha scagliato la freccia. Ovviamente, la manco completamente. È Lana.
La ragazza del 2 sta caricando un’altra freccia e io mi affretto a trovare un’insenatura tra le rocce in cui ripararmi. Trovo di meglio: la bocca di una caverna ghiacciata. Mi getto dentro e mi nascondo dalla vista di Lana prima che possa capire dove sono andata. Mi tocco la guancia sinistra e me la ritrovo coperta di sangue. Axel mi ha riaperto la cicatrice!
Un dolore lancinante mi impone di tornare a concentrarmi sulla freccia infilata nella mia spalla. Fortunatamente non sembra una ferita mortale, a parte per il fatto che brucia da morire. Non so se faccio bene a sfilarmi l’arma, col rischio che la perdita di sangue mi faccia star male. Dopo aver ponderato un po’ sul da farsi decido di spezzare una parte della freccia che fuoriesce dalla mia carne, in modo che non mi sia d’intralcio mentre combatto, mentre mi assicuro che il resto tenga abbastanza chiusa la ferita. Non sono sicura che sia la cosa giusta da fare, ma a questo punto o la va o la spacca.
Lana è entrata nella caverna e si muove a passi lenti sul ghiaccio. Mi viene in mente quando l’ho sfidata al tiro al bersaglio durante l’addestramento. Quella volta mi sono divertita tantissimo. Presumo che anche lei si fosse divertita. Sono rifugiata dietro una grossa roccia congelata, tentando di riprendere fiato. Mi affaccio per guardarla, e la trovo alla perfetta distanza di lancio per i miei coltelli. Ne sfilo uno dal cinturino e lo stringo; faccio un passo in avanti e il mio coltellino vola verso Lana, che però si è accorta della mia posizione e riesce a schivarlo.
«Fai troppo rumore quando ti muovi, Alyss» replica scagliandomi una freccia.
Rotolo a terra per evitarla e afferro due coltelli, che lancio uno dopo l'altro cercando di prevedere la sua traiettoria; ci riesco, ma il tiro è troppo debole e la colpisco a una gamba. Lei non sembra nemmeno accorgersene e risponde subito con una freccia che mi sfiora pericolosamente il braccio destro. La spalla sinistra mi provoca una nuova fitta di dolore e corro a nascondermi dietro delle rocce.
«La tua mira è migliorata dall'ultima volta che ci siamo sfidate a Capitol City» la sento dire da lontano. Sorrido.
«Tu invece sei proprio un osso duro. Il mio coltello non ti ha fatto vacillare nemmeno un attimo»
Mi affaccio a guardarla, e scopro che si sta andando a sedere dietro un'altra roccia, al lato opposto della caverna rispetto al mio. Avrà bisogno di riposare anche lei.
«Al Distretto 2 ci abituano da piccoli a sopportare il dolore fisico. Nessuno però ti insegna a gestire quello interiore»
Appoggio la testa sulla dura roccia. In parte la capisco.
«E' stata dura arrivare fin qui, eh?» le chiedo. Per qualche motivo penso che lei sia uno spirito molto affine al mio.
«Direi di sì, persino per una favorita. Ci sono state molte cose da fare: uccidere gente, riuscire a mangiare, eliminare il ragazzo che ti ha rifiutata...»
«Hai ucciso tu Phoenix?» mi esce quasi senza pensare. Ricordo che la loro intervista prima degli Hunger Games aveva fatto impazzire il pubblico.
«Chi è Phoenix?»
Ah, già. Quello era solo il soprannome che gli avevo dato io per via dei capelli rossi.
«Scusami, intendevo il tuo compagno del 2»
«Sì. L'ho spinto giù dalla montagna mentre avevo il turno di guardia»
«Allora era... tutto vero quello che avete detto su di voi durante l'intervista»
C'è un attimo di silenzio, quel tanto che basta a farmi rendere conto che la verità è proprio questa.
«Volevo vendicarmi del dolore che mi ha fatto provare rifiutandomi. Ma dopo averlo ucciso... mi sono sentita più vuota di prima»
Oh, la capisco perfettamente. Il mio pensiero va immediatamente a quando ho voluto vendicarmi di Gilbert.
«Sai Lana, mi sei sempre stata simpatica in fondo. Da quando ci siamo sfidate»
Aspetta, Alyss, ma ti pare il momento di dire una cosa simile?! Hai appena ingaggiato una battaglia all'ultimo sangue con lei!
«... anche tu»
Sorride. Non posso vederla, ma lo capisco dalla sua voce. Sta sorridendo.
Un colpo di cannone ci distrae entrambe: il duello tra Skeeter e Axel è giunto al termine.
«È ora di concludere il nostro combattimento, Alyss. In guardia, perché non ci andrò più leggera con te»
«Arrivo!» rispondo, e pur non capendone il motivo non sto più nella pelle per la nostra battaglia.
Entrambe torniamo allo scoperto, frecce e coltelli alla mano. Lei punta subito ai miei organi vitali, ma io sono agile e rispondo con altrettanta voglia di concludere; schiviamo, corriamo, lanciamo, il ghiaccio a terra si sporca del nostro sangue, mai sufficiente per darci la morte. Prendiamo cinque secondi di pausa per guardarci negli occhi, l'una di fronte all'altra a una decina di metri di distanza: lei dritta in piedi, l'arco teso e una freccia incoccata; io leggermente curva per potermi dare la spinta giusta, con un coltello affilato tra le dita della mano destra. Entrambe col respiro affannoso.
La battaglia ricomincia e altro sangue di ferite superficiali scivola a terra, ma ormai conosciamo troppo bene lo stile di combattimento l'una dell'altra per non prevedere a vicenda le nostre mosse.
All'improvviso scivolo sul ghiaccio e finisco a terra a spalle contro un'immensa parete di ghiaccio. La freccia che avevo conficcata nella spalla affonda di qualche centimetro nella carne e urlo di dolore. Lana mi si para davanti, arco abbassato e sorriso di una che ha la situazione in pugno. Io tocco il cinturino e mi accorgo di avere solo due coltelli rimasti. Cazzo.
Li sfilo e li prendo in mano, cercando di analizzare la situazione. È piuttosto lontana da me e sta afferrando la sua ultima freccia dalla faretra. Deglutisco. Una goccia che cade dal soffitto attira la mia attenzione e lancio una rapida occhiata in alto: una serie di stalattiti affilate incombe sulla zona poco dietro di lei. Alcune sono più sottili di altre, per cui potrebbero essere fatte cadere con più facilità. Se riesco a farle fare il movimento che voglio io col primo coltello, tramite il secondo posso far cadere quelle stalattiti. Devo costringerla a indietreggiare. Se dovessi fallire sarei morta, ma non ho altra scelta che tentare un'azione impossibile.
Lana incocca la freccia e io, con le poche forze che mi sono rimaste, faccio due capriole verso di lei e le tiro il coltello addosso; indietreggia, sorpresa che io abbia ancora tutte queste forze, e schiva l'arma all'ultimo; a quel punto scivolo alla sua sinistra, faccio un giro su me stessa per darmi più spinta e scagliò con tutta la forza rimastami in corpo il mio ultimo coltellino contro la base della stalattite proprio sopra di lei: la lama si conficca, Lana appare prima confusa, poi capisce. Ma quando guarda in alto è troppo tardi, e una lama di ghiaccio le trapassa lo sterno prima che possa fuggire. Torna a posare gli occhi su di me, mentre la bocca le si riempie di sangue; mi sorride un'ultima volta prima di cadere a terra esanime.
Il secondo cannone della giornata rimbomba nella grotta.





 


Angolo di Alex
Eh eh. Cosa? Come dite? Pensavate che non sarei più tornata? Too bad! Io torno sempre! Questa storia finirà, altroché se finirà, stolti lettori!
Minchiate a parte, vi presento il nuovo capitolo! Come potete notare ci stiamo avvicinando alla fine dell'Arena (ma chi sa se alla fine anche della storia? Uh uh), e ho deciso di dividere in due un unico capitolo che altrimenti sarebbe diventato troppo sostanzioso. Le battaglie finali si stanno consumando. Axel contro Skeeter (a proposito, chi avrà vinto secondo voi?), Alyss contro Lana. Lana è un bel personaggio. Mi piace (non si era capito, guarda...), la rispetto, come lei rispetta Alyss. Maaaaaa è morta. Quindi pace e si va avanti. Le battute finali dei Giochi saranno tutte nel Capitolo 14. Come pensate che finirà? Io non vedo l'ora di farvelo leggere. A presto!
Alex

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Ho un po' di paura ad uscire da questa grotta. Fuori c'è silenzio. Chi avrà vinto? Una parte di me vorrebbe che Skeeter fosse morto per evitare di doverlo fronteggiare io stessa, ma l'altra parte ha paura di ritrovarsi Axel come avversario finale dell'Arena. Avrà solo tredici anni ma le mie possibilità di vittoria contro di lui le vedo piuttosto minime. Faccio un gran respiro e prendo in mano il mio pugnale. Mi sento le rocce franare sotto i piedi, ho il cuore a mille e i palmi umidi e gelidi. Finalmente esco. Un vento strano mi solletica il collo e mi guardo intorno. Axel è a terra. Ma anche Skeeter lo è.
«Skeeter!» grido correndo da lui.
Una spinta inaspettata alla schiena mi butta a terra. Mi rialzo e con estremo orrore mi accorgo di aver fatto male i miei calcoli: non mi sono ricordata di Lavender. Faccio qualche passo indietro mentre la guardo negli occhi, quegli occhi da pazza che mi hanno fatto subito convincere di non dover avere niente a che fare con lei. Mai. Stringo il pugno dove tengo il coltello, ma le mie dita si chiudono sul palmo vuoto. Dov'è finito? Mi dev'essere volato via quando mi ha spinta!
«Ops, ti ho disarmata!» sibila leccandosi una goccia di sangue sul dorso della mano.
Ha un sorrisetto sadico in faccia, le mani le tremano dall'eccitazione. I tirapugni che indossa sono incrostati di bruno sangue umano. Questa è completamente squilibrata! Deglutisco e faccio un altro passo indietro.
«Dove vai? Resta a giocare con me»
Ride e comincia a correre nella mia direzione. Mi metto in guardia: se è una scazzottata che vuole, non mi resta altro che accontentarla. Sperando di non rimanerci secca.
Schivo i primi colpi e per contro incasso malamente gli altri nello stomaco; barcollo ma pianto con forza i piedi a terra, pronta a sferrare i miei attacchi: Lavender mi elude facilmente e mi assesta una gomitata in un fianco.
Così non va bene! Non va... assolutamente bene...
Con un ginocchio a terra tento di riprendere fiato, ma fa malissimo; fa davvero male, cazzo! Prima che me ne possa accorgere mi arrivano due calci sul mento e mi trovo stesa a terra totalmente inerme.
«Già finito? Credevo fossi più resistente!» cinguetta lei abbassando la posizione di guardia.
Maledizione! C'ero così vicina! C'ero quasi! Mancava pochissimo alla vittoria, potevo farcela! Digrigno i denti e mi asciugo con una manica gli occhi umidi di lacrime di rabbia. Potevo tornare e invece mi farò ammazzare da una psicopatica! E quel che è peggio è che Laree lo vedrà.
«Beh, se non hai nient'altro di divertente da mostrarmi, dovrò divertirmi a modo mio»
Sento che si siede sulla mia pancia ridacchiando; non ho il coraggio di aprire gli occhi. Un forte colpo allo sterno mi obbliga a farlo. Urlo di dolore. Poi altri colpi, sulla spalla, sulle braccia, lo stomaco e anche il volto: sento il metallo raschiare e strappare la mia carne e grido, continuo a gridare di smettere. Ecco cosa vedrà Laree: la sua ragazza che implora pietà mentre muore torturata. Lacrime e sangue si mischiano sulle mie guance, ma Lavender non si stanca di ridere. I suoi colpi continuano, allargando e approfondendo le ferite freschissime, ed è la prima volta che provo un dolore così disumano.
Sto per perdere i sensi, i contorni sono sfuocati e delle luci danzano davanti ai miei occhi. Forse è meglio così, la morte verrà in silenzio e io l'accoglierò in muto assenso.
Ma qualcosa cambia. Una voce familiare grida di furore e all'improvviso il peso seduto su di me sparisce. Mi sembra di sentire delle urla e dei rumori sordi.
C'è stato un... colpo di cannone?
Mi fischiano le orecchie. Magari era il cannone della mia morte.
Qualcuno mi prende per le spalle e mi scuote.
«Alyss! Alyss, resisti! Forza, non farmi questi scherzi, non svenire ora!»
Ah, sei tu Skeeter...
Il suo volto è sempre più una macchietta indefinita.
Ti sembra forse che...
io stia scherzando...?
Sei proprio...
il solito idiota...

Apro gli occhi e la prima cosa che vedo è il sorriso brillante di Skeeter.
«Ho un mal di testa terribile...» dico con la voce impastata.
«Non faccio fatica a crederlo, visto che la mia adorata compagna di Distretto ti ha fatto perdere i sensi a forza di colpi di tirapugni di metallo»
Mi tocco il viso con una mano e mi accorgo mi avere fasce e garze un po' ovunque. Ma non sento alcun dolore, solo un po' di indolenzimento generale.
«Cosa mi hai fatto mentre ero svenuta?»
«Ehi, non sono così indelicato. Di solito chiedo a una ragazza di uscire prima di passare al dunque»
«Ma che stai dicendo? Parlavo delle ferite!»
Incredibile come abbia voglia di scherzare anche in un momento come questo!
Lui si lascia andare a una risata prima di aiutarmi a rimettermi in piedi.
«Nello zainetto da merenda di Axel c'era un costoso kit di sopravvivenza pieno di quei medicinali miracolosi di Capitol City e io li ho usati per guarire le tue ferite. Sei rimasta svenuta solo qualche ora per cui non sarai completamente ristabilita, ma in fondo non ti è rimasto più nessun ostacolo prima della vittoria»
Lo guardo a bocca aperta. Quindi, mettendo insieme tutti i tasselli, Skeeter è riuscito ad avere la meglio su Axel, poi mi ha salvato la vita con Lavender. Questo significa che siamo rimasti solo noi due. E questo significa che...
«Prendi» dice lanciando ai miei piedi il suo tridente.
Abbasso lo sguardo sull'arma, poi lo rialzo sul mio compagno: è fieramente dritto, le spalle sono larghe e rilassate; mi guarda sorridendo con occhi sereni.
«È ora di ritornare a casa, non sei d'accordo?»
Io non so che dire. Lo sapevo, lo sapevo che sarebbe arrivato questo momento, ma quello che non sapevo è che in questi giorni insieme mi sarei affezionata a lui fino a volergli davvero bene. Fino a considerarlo un amico.
«Skeeter, io...»
«Non dire nulla. Stai facendo la cosa giusta, Alyss. Sono felice di averti conosciuta e di aver scommesso la mia vita su di te. Non si può tornare indietro, ma non aver paura: io oggi ho vinto!»
Un nodo mi si stringe attorno alla gola, ma non ci mette molto a sciogliersi in lacrime. Raccolgo il tridente e lo stringo forte tra le mie mani. In nessun modo potrò mai ripagarlo di tutto ciò che lui ha fatto per me. E capisco che il mio dovere verso di lui ora è proprio andare fino in fondo; e vivere la vita che sognavo con Laree.
Mi avvicino a passi lenti, i miei occhi non riescono a metterlo a fuoco per via delle lacrime. Non voglio ucciderlo; vorrei poterlo portare al Distretto 6, al sicuro, insieme a me. Fargli vivere altri cent'anni ancora, fargli conoscere Laree e andare a divertirci tutti e tre insieme in giro per il distretto. Ma non posso. Non posso. Lui non esita un attimo, è sempre così... certo e contento del suo destino. Come fa? Io ho paura di tutto, sono debole e meschina di fronte ad ogni cosa. Lui non vacilla, ha la faccia di uno che sa a cosa serve la sua vita e la spende per ciò in cui crede. Uno che può dire di vincere anche quando sta per morire. Chi può dire una cosa simile? Nessuno può, è impossibile. Ma lui lo fa.
Con un cenno del capo lo ringrazio di essere stato al mio fianco. Non esistono parole adatte. Le parole sono spesso consistenti quanto l'aria, soprattutto di fronte alla morte. I nostri occhi parlano molto di più. Mi asciugo le guance umide con una manica.
Mi sorride e io mi metto in posizione di guardia.
Gridando, per darmi coraggio, trafiggo il cuore di Skeeter con il suo tridente.
L'ultimo cannone di questi Giochi echeggia da ogni parte della montagna.
Seguono lunghi e interminabili secondi di silenzio, mentre vedo il corpo del mio amico accasciarsi a suolo privo di vita. L'Arena è muta, in lutto, mentre i suoi occhi azzurri diventano opachi e freddi. Finché avrò respiro non ti dimenticherò mai.
Poi, un suono.
Gli altoparlanti si accendono e la voce di Claudius Templesmith risuona forte e chiara.
«Signori e signore, ecco la vincitrice dei 34esimi Hunger Games: Alyss Knight del Distretto 6!»
Grida di giubilo e scrosci di applausi in diretta mi riempiono le orecchie; io alzo lo sguardo verso il sole e non riesco a credere di essere arrivata fin qui. Di aver vinto sul serio. Me ne rendo conto quando un hovercraft scende sulla montagna per portarmi di nuovo a Capitol City, viva.

Alcuni inservienti mi scortano fuori dalla stanza bianca e vuota dove ho passato le ultime ore. Continuo a guardare le mie mani: la pelle morbida e profumata, le unghie pulite e ben limate; tutto il mio corpo è stato trasformato e riabilitato dalla mia permanenza sotto i ferri di Capitol City. Mi hanno detto che sono rimasta incosciente per un giorno e mezzo e che adesso potrò rivedere il mio staff. Il Centro di Addestramento mi rievoca ricordi spiacevoli dei miei giorni precedenti agli Hunger Games, è come se riuscissi a fiutare la paura che ha permeato queste mura in quel periodo. La porta della sala principale si apre ed io entro.
«Congratulazioni, Knight»
È la voce di Layla ad accogliermi; e nonostante prima la trovassi odiosa e supponente, adesso non c'è cosa che mi faccia più piacere ascoltare.
«Layla!»
Corro verso di lei e la stringo forte in un abbraccio; lei sorprendentemente non mi rifiuta, ma mi circonda la schiena con le sue braccia. Non sono mai stata più felice di riempirmi le narici di quell'orrendo connubio di nicotina e caffè!
«Sei stata brava, davvero tanto. È tutto finito adesso» mi dice con la voce che trema.
È una rarità vederla così emozionata da non riuscire nemmeno a parlare. Mi discosto dal suo abbraccio e le sorrido di cuore. Telluria e Seismòs mi sorprendono alle spalle e si congratulano con me; la mia stilista è fredda e distaccata come al solito, ma posso giurare di aver visto un lampo di fierezza nei suoi occhi blu; suo fratello è più caloroso e amichevole.
«Bravissima Alyss!»
Stavolta è la voce di Julius a salutarmi. Appena lo vedo sono tentata di andare ad abbracciare anche lui, ma un flash delle nostre ultime ore passate insieme mi blocca. Giusto. L'ultima volta che ci siamo visti l'avevo trattato male ingiustamente per via della sua relazione con Seismòs. Ed ero entrata nell'Arena prima di convincermi a scusarmi con lui.
Anche Julius pare ricordare e infatti mi guarda con occhi un po' tristi; vorrebbe avvicinarsi a me ma non sa bene come comportarsi.
«Julius... io devo chiederti scusa. Quando sono entrata nell'Arena avevo paura che non avrei mai più avuto l'opportunità di farlo, perciò sono felice di rivederti. Ti ho trattato male e mi dispiace, non te lo meritavi. Mi perdoneresti?» le parole mi escono da sole, come un fiume in piena.
Da dove vengono? Non sono mai stata così loquace.
Lui si mette a piangere e viene ad abbracciarmi; capisco che ora è tutto perdonato e il mio cuore si libera di un peso.
Forse è per l'Arena: sperimentare cosa significa perdere delle persone senza potergli dire quanto sono state importanti o quanto sei dispiaciuta per non essere riuscita a proteggerle mi ha resa più compassionevole verso chi incontro. E infatti sono solo felice di poterli rivedere tutti, anche chi ero arrivata ad odiare.
Gli inservienti ci accompagnano tutti a pranzo e ci sediamo a tavola. Cibo vero! Ho una fame da lupi. Parliamo, scherziamo, io rido tanto, sebbene mi senta una strana sensazione al centro del petto; ogni tanto, mentre mangio, la foresta di abeti dell'Arena mi scorre davanti agli occhi e devo sforzarmi di ripetermi che va tutto bene, che sono fuori e non ci ritornerò mai più. Quando la situazione si fa insostenibile lascio spazio al pensiero di Laree. Lei mi aiuta sempre. Cancella ogni male e lava via ogni paura. E poi tra pochi giorni la rivedrò!
Stasera ci sarà la mia incoronazione come vincitrice. Sarà fiera di me quando mi vedrà? Forse fiera è una parola grossa, ma sarà certamente felice. Quante possibilità c'erano che sarei tornata da lei? Solo una su ventiquattro.
«Anche se il peggio è passato, stasera dovrai affrontare tre ore di sintesi di Hunger Games» mi informa Layla accompagnandomi in camera mia. «e comunque volevo ringraziarti di esserti presa tanto a cuore Roy» conclude in un sussurro.
Il nome di quel bambino è come un pugno sullo sterno per me.
«Ringraziarmi per cosa? Non ho saputo fare nulla per lui. Nemmeno la vendetta poteva riportarlo indietro»
Sento la sua mano che si posa sulla mia spalla.
«Gli hai voluto bene, seppur per poco. Per lui è stato importante, ti era affezionato»
Mi volto verso di lei e scopro che ha gli occhi umidi. Deve averle fatto un male cane vederlo morire e non poter far niente per impedirlo.
«Mi dispiace Layla»
Lei scuote la testa e mi sorride.
«Non ti preoccupare Alyss»
Alyss. È la prima volta che mi chiama per nome. Presumo significhi che la nostra relazione sia passata a un livello successivo e che io possa considerarla mia amica.
La guardo uscire dalla stanza e accendersi una sigaretta. In fondo ha solo vent'anni. È ancora una ragazza, come me. Chissà come si sarà sentita in questi cinque anni, ragazza tra i ragazzi che portava a morire; per quel che ne so io potrebbe aver fatto da mentore a suoi vecchi compagni di scuola o amici d'infanzia. Sarà stato atroce. La cosa positiva del mio ruolo da mentore, d'ora in poi, è che non la lascerò più sola. Potremo farci forza in due e magari così le cicatrici nelle nostre anime faranno meno male.
Entro in bagno e mi guardo allo specchio. Mi sorprendo nel vedere il mio viso riflesso: non lo vedo da dieci giorni ormai. I miei occhi sembrano più azzurri del solito, forse perché ho le pupille strette per via della luce a led che circonda lo specchio; i capelli neri sono un po' disordinati, ma lucidi e leggeri. La mia preziosa cicatrice è rimasta sulla guancia. Se la sono ricordata, allora. La sfioro con due dita, accarezzandola in tutta la sua lunghezza; è come se gli Hunger Games non ci fossero stati. Tutto è come prima, niente è apparentemente cambiato. Questo perché le cicatrici, quelle che contano, non si vedono fuori. Sono nascoste dentro di me, molto più all'interno del mio corpo rimesso a nuovo e tirato a lucido. Il volto perfetto di fronte a me ha una lacrima che scende verso il mento. Mi tocco istintivamente la guancia.
Prendo un grosso respiro ed entro in doccia.

Siamo sotto il palco in cui si terrà la cerimonia di chiusura dei trentaquattresimi Giochi. Sono dritta e tesa come un soldatino di plastica, rivestita della tuta che indossavo nell'Arena. Uno dopo l'altro, i membri del mio staff fanno la loro comparsa sul palco. I preparatori, i gemelli Rikter, il mio accompagnatore. Poi Layla e infine io.
Di fronte a me c'è un pubblico immenso, impazzito, adorante. Mille luci e flash immortalano la mia prima apparizione pubblica dalla fine degli Hunger Games. Un applauso infinito.
«Alyss! Alyss, che meraviglia rivederti su questo palco!» esclama Domitian Braveheart prendendomi la mano e accompagnandomi sul mio trono.
Sì, un vero trono ornato, di velluto rosso, bellissimo. Non riesco a decifrare le mille sensazioni che provo stando qui, così, al centro dell'attenzione di tutta Panem; mi sembra di vivere in una specie di sogno allucinato.
«Beh, anche io sono contenta di essere tornata!» mi esce con una punta di ironia.
Il pubblico ride e Dizzy mi dà una pacca sulla spalla per incoraggiarmi a sedermi.
«Non faccio fatica a crederlo, cara Alyss! Allora, come stai?»
«Sinceramente? Non so che dire, è tutto così... incredibilmente...»
«... bello? Meraviglioso? Ci credo che sei emozionata! Anche io lo sarei se avessi l'onore di parlare col grande Domitian Braveheart!» scherza lui.
Rido con tutto lo studio di registrazione.
«Veramente parlavo della mia vittoria» puntualizzo per fare la simpatica.
«Hai ragione, hai ragione! Questa è la tua serata e io – almeno per ora! – non te la toglierò! Come ogni anno abbiamo preparato un emozionante video per commemorare questa fantastica edizione dei Giochi. Sei pronta a rivederti in azione, Alyss?»
«Ci puoi scommettere»
Uno scroscio di applausi accompagna l'accensione dello schermo sul quale vedrò proiettati gli ultimi dieci giorni. Deglutisco e serro le mani sui braccioli della poltrona per farmi forza.
Le immagini scorrono e io finalmente posso vedere ciò che Layla, Laree e Sirius hanno visto: le mie imprese al bagno di sangue, io che affronto gli ibridi-lupo e le prime difficoltà tra cibo e acqua. Faccio fatica a crederlo, ma vista da fuori sembro davvero una guerriera impavida e decisa a sopravvivere. Non mi stupisce che Layla abbia trovato sponsor così velocemente. La morte di Roy passa sullo schermo e io mi lascio andare a un sospiro. Tutto questo dev'essere atroce per la mia mentore. E poi ecco Skeeter che entra in scena; i miei iniziali rifiuti suscitano delle leggere risate nel pubblico e anche a me in realtà viene da sorridere: lui era totalmente in buona fede, ma io non potevo sapere che sarebbe addirittura diventato mio amico. Io e Skeeter insieme siamo inarrestabili: diamo la caccia ai tributi, sterminiamo la Gilda – la mia vendetta su Gilbert dev'essere piaciuta parecchio a Capitol City, visto il tempo che dedicano alla mia furia e alla sua morte – poi passiamo alle battaglie coi favoriti. In un doppio schermo sono riprodotti insieme i duelli di Axel e Skeeter e di me con Lana: ne approfitto per notare come Axel fosse decisamente un nemico al di fuori della mia portata; tiene testa al mio alleato e riesce anche a ferirlo gravemente. Alla fine la forza fisica ha la meglio, e i sedici anni di Skeeter contro i suoi tredici lo portano alla sconfitta. Poi si torna allo schermo unico per mostrare la fine di Lana grazie alla mia trovata con le stalattiti. L'ultima battaglia con Lavender è molto veloce e si passa subito alla scena finale. La musica cambia e diventa molto triste. Ci scommetto la testa che in questo momento quei bastardi dei registi stanno facendo un bel primo piano sulla mia reazione. Io tengo ben saldo il mio sorriso per tutta la durata della registrazione, permettendomi che dai miei occhi traspiri appena un senso di nostalgia. Si sono già goduti anche troppo il mio dolore.
E il video si chiude su di me che con il tridente insanguinato stretto tra le mani alzo lo sguardo verso il sole. Da vera eroina.
Un fortissimo applauso irrompe nel silenzio dell'ultima scena e io mi sento gli occhi gonfi di lacrime di nuovo. Beh, poco male, immagino potessero aspettarsi che mi sarei, diciamo, commossa. Domitian mi passa un fazzoletto e mi scompiglia i capelli.
«Sei stata sensazionale! Mi sono veramente emozionato quando ti ho vista vincere!» sorride Dizzy porgendomi una mano.
«Ma adesso è il momento della tua incoronazione!»
Parte l'inno di Panem. Mi alzo in piedi e dalla sinistra del palco entrano il presidente Snow e un inserviente con un cuscino su cui è posata la corona che mi poggeranno in testa. Sospiro serena. Questo è l'ultimo atto, poi potrò finalmente rilassarmi un po'. Il presidente si ferma davanti a me con un sorriso. Io ricambio con indifferenza, ma poi mi cade l'occhio sull'uomo che porta la corona.
Per poco non cado a terra sconvolta.
È Sirius. È un senza-voce. L'hanno preso, hanno scoperto che mi ha tenuta nascosta per tutti questi anni! I suoi occhi sono addolorati, sembrano quasi chiedermi scusa per essersi fatto scoprire. Io sono senza parole, ma mi tengo stretta, strettissima, il mio sorriso di circostanza.
Torno a guardare il presidente Snow. Lui prende la corona e lentamente me la posa in testa; lo fisso insistentemente negli occhi per tutto il tempo, dentro le pupille, fin dentro l'anima per cercare di capire cosa è successo. L'ha fatto di certo apposta a schiaffarmi in faccia il vecchio Sirius in questo stato.
Questo bastardo!
Stringo i denti.
«Complimenti» dice solo lui.
«Grazie» rispondo secca io.
Poi si fa da parte e lascia che io mi prenda i miei vuoti applausi. Sirius esce di scena, ma prima di farlo mi dedica un lungo sguardo sofferente. Non so se per me o per se stesso.
Perdonami. È tutta colpa mia se sei in questo stato.
Poi, tutto finisce.
Le acclamazioni, le chiacchiere di Dizzy, le luci, le colonne sonore epiche.
Rimaniamo solo io e Layla, sedute vicine sul mio letto.
«L'hanno preso, Layla. Mi hanno portato via per la seconda volta mio padre» sussurro piano con lo sguardo basso.
Lei fa un tiro dalla sua sigaretta prima di rispondermi. Ancora non si è tolta il vizio di fumare nei posti in cui ci sono io, ma questo attualmente è il minore dei miei problemi.
«Lui mi stava proteggendo. Voleva difendere me e Laree al Distretto 6, è colpa mia se si è cacciato in questo guaio!»
Layla poggia una mano sulla mia.
«Capitol City è questa, Alyss. Snow non lascia impunito nulla. Fidati, sono cose che capitano nella vita di un vincitore. La nostra posizione è la più delicata di tutte»
Povera illusa io che credevo di essermi lasciata il dolore alle spalle una volta uscita dall'Arena!
Sento le mie dita strette dalla mano di Layla. Quanti altri dovranno morire perché io sono viva?
«Laree starà bene, vedrai» dice anticipando i miei pensieri, «l'abbiamo difesa molto bene durante le interviste»
Io annuisco un po' sollevata. Domani, dopo la chiacchierata finale con Dizzy, tornerò nel distretto, la riabbraccerò e tornerà tutto come prima. Questo incubo deve finire una volte per tutte.



 


Angolo dell'Autrice
Cia-ciao!
Finalmente l'Arena è finita. Ma adesso viene il bello. Cioè, probabilmente sto parlando da sola, ma ringrazio comunque i lettori, coloro che anche senza recensire sbirciano questi miseri capitoletti. Annuncio anche che nei prossimi giorni farò una revisione dei capitoli scritti prima del 2016, perché questa storia ne ha davvero bisogno (mi vergogno a morte di come ho scritti i primi 3 capitoli ad esempio... ho ancora così tanto da migliorare, uff!).
Grazie mille a tutti e ci vediamo al prossimo capitolo!
Alex

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15


Sbadiglio, cullata dalle curve appena percepibili che fa il treno a levitazione magnetica. Accanto a me Layla legge un libro, assorta. Intorno a noi c'è assoluto silenzio; non si sentono gli schiamazzi dei capitolini e il loro continuo battimani, eppure credo che il mio cervello continui a ripropormi le stesse immagini sonore degli ultimi istanti passati a Capitol City. Ho una confusione enorme in testa e le orecchie mi fischiano. Sospiro, e questo sembra per un attimo riportarmi coi piedi per terra. Guardo fuori dal finestrino scorrere le foreste, cercando di concentrarmi sul paesaggio.
Tra poco dovremmo essere al Distretto 6. Tra poco potrò riabbracciare Laree. Il pensiero mi fa sussultare e mi accorgo di aver incominciato a sorridere. Vedrò il posto dove sono cresciuta, la stazione dei treni... e avrò una casa tutta mia, per la prima volta! Una casa vera, con tutto il necessario per vivere dignitosamente, e forse anche più di quello che mi serve per vivere. Le ville dei Vincitori sono grandi e molto belle. Potrei perfino perdermici lì dentro. Sarebbe ancora più bello se potessi portarci Laree e farla vivere con me, ma non credo sarà così semplice. Troppe telecamere saranno sempre puntate su di me, troppi occhi. Ma allora per cosa ho combattuto nell'Arena? Sono tornata, ma molto probabilmente non riuscirò a realizzare il mio sogno di stare con lei per sempre. Sospiro di nuovo, rendendomi conto di essere scivolata pian piano in pensieri negativi. Questa volta Layla se ne accorge.
«Tutto bene?»
Annuisco.
«Ricordati che ti riprenderanno quando scenderai dal treno»
«Sì, lo so»
Lei chiude il libro – che fa un sordo tonf – e si appoggia a me mettendomi un braccio sulla spalla.
«Guarda» dice indicando fuori dal finestrino «laggiù c'è Laree».
Le prime case del Distretto 6 cominciano a fare capolino tra gli alberi e io ritrovo tutto il mio buonumore. Il grigiore metallico del mio distretto, paragonato al falso sbrilluccichìo di Capitol City, mi sembra che mi infiammi il cuore e all'improvviso sento di non riuscire a stare più seduta. Mi viene da ridere: un Distretto così brutto mi emoziona più della sfarzosa capitale di Panem!
Mi alzo in piedi e tiro con me anche Layla. Quasi mi ritrovo a correre verso le porte scorrevoli del treno. E mentre questo rallenta, il mio cuore accelera.
Layla mi raggiunge poco dopo e mi affianca posandomi una mano sulla spalla.
«Sei tornata a casa» mi sussurra con un sorriso.
«Siamo tornate a casa» la correggo sorridendole a mia volta.
Il mezzo si ferma e oltre i binari una folla di persone è pronta ad accogliermi. Quando si aprono le porte è un tripudio di luci e grida di gioia. Io e Layla salutiamo tutti agitando le braccia; mi sembra che il sole splenda più di quanto abbia mai fatto in tutta la mia vita. Tutto è inondato da una luce dorata che sembra avere il potere di non farmi smettere mai di sorridere. In lontananza mi sembra di aver intravisto River Amberdeen ma non voglio cercarli troppo con gli occhi mentre sono ancora ripresa: preferisco trattenermi per quando non ci saranno più telecamere.
Quando finalmente queste se ne vanno, mi tuffo fra la folla senza pensarci due volte e comincio a navigare tra le pacche delle persone che incrocio verso il punto in cui ho visto la famiglia di Laree. Non aspetterò un attimo di più per riabbracciarla!
Ed eccoli, finalmente! River si avvicina a me e senza dire una parola mi stringe tra le sue braccia.
«Alyss...»
La sua voce trema, probabilmente per l'emozione. Dietro le sue spalle intravedo i suoi genitori ma, a dire il vero, non sembrano felici di vedermi. I miei occhi saettano qua e là alla ricerca della persona che mi è mancata più di tutte, quella per cui ho partecipato, per cui ho vinto. Ma non la trovo.
«Alyss...» ripete River stringendomi più forte.
Il sorriso mi sfuma dalle labbra e cominciano a sudarmi le mani. Lui mi stacca da sé e mi guarda serio; mi decido a ricambiare lo sguardo. Mi accorgo che i suoi occhi sono tremendamente gonfi.
«Laree... è morta»
No. Non può essere vero.
River, che stai dicendo?
«È stata uccisa ieri»
Ero io nell'Arena, non lei. Ho fatto tutto questo per salvarle la vita.
Il mondo intorno a me comincia a svanire, il giorno diventa notte, la luce dorata che riempiva i miei occhi viene inghiottita da una tenebra profonda. La gente parla, la gente mi parla, ma io non sento più nulla. Qualcuno mi scuote per le spalle, sembra il tocco brusco di Layla.
Continuo a non capire. Nell'Arena ci sono entrata io. C'ero io. C'ero io. Lei dovrebbe essere qui, viva. L'ho fatto per proteggerla. L'ho fatto per poterla tenere in vita!
Non è vero. Non è vero. Non è vero.
«Non è vero!!» urlo, e insieme alla voce esce una cascata di lacrime che mi bagnano il volto.
Cacciò un grido che mi graffia la gola e un paio di braccia femminili mi circondando il petto e mi stringono. Io mi dibatto con tutta la forza che ho in corpo, ma stavolta sono i muscoli di River a tenermi ferma e mi ritrovo ancora una volta con la faccia sepolta sul suo petto.
Tutto comincia a girare vorticosamente, il mio mondo ha perso il suo porto sicuro ed ora è solo un oceano infuriato che tenta di annegarmi.
Lei non c'è più. Lei è sparita dalla faccia della terra. Non la rivedrò mai più. Alla fine sono riusciti a portarmela via comunque. Ce l'hanno fatta.
Pensavo di aver vinto, di averli fregati tutti. Ma loro sono i vincitori. Non io. Io sono solo una sopravvissuta per miracolo, rotta, a pezzi, una che ha perso.
Ha perso Roy. Ha perso Skeeter. Ha perso Sirius. Ha perso se stessa.
E ora ha perso Laree, che era l'unica cosa che le rimaneva.
Riprendo a gridare e a dibattermi, perché mi sembra di riuscire a sopportare meglio il dolore, se smettessi, soccomberei. E chi riuscirebbe poi a rialzarmi in piedi? Alla fine diventa tutto bianco. E mi spengo lentamente.

Riapro gli occhi e sento una fitta lancinante alla testa. Sono in una stanza che non conosco, su un letto sorprendentemente comodo. Accanto a me, seduta su una sedia a fumare una sigaretta, c'è la mia mentore.
«Ehi» mi dice dopo aver ispirato l'ultimo segmento della cicca.
«Come ti senti?»
A quella domanda mi torna alla mente come una doccia fredda l'ultima cosa che ho sentito: la dichiarazione della morte di Laree.
Mi pizzicano gli occhi e decido di non risponderle. Se parlassi, riprenderei solo a piangere.
Lei non mi fa altre domande e rimane in silenzio accanto a me. Io guardo il soffitto, immobile. Sono come una molla carica e pronta a scattare in qualsiasi momento, sento che se mi muovessi appena o respirassi in maniera diversa, questa specie di vuoto assoluto si trasformerebbe in inferno.
«Sei nella camera della tua nuova casa, nel villaggio dei Vincitori. Sei rimasta priva di sensi per qualche ora e ti abbiamo portata qui»
Mi informa Layla senza aspettare le mie domande.
«River è qui fuori, voleva raccontarti cos'è successo a Laree»
La sua voce esita appena nel pronunciare quel nome. Ecco, l'equilibrio è rotto. Mi copro gli occhi col braccio destro per paura di dover ricominciare a piangere; il nodo alla gola è sempre più stretto.
«Alyss, devi sapere che io non ti mollerò qui così»
Scosto appena il braccio dagli occhi per guardarla.
«Resterò con te finché non starai meglio. Non ti lascerò sola»
La sua ultima affermazione spezza tutte le mie deboli difese e mi sciolgo in pianto di nuovo. Lei mi prende una mano e me la stringe nella sua.
«Dirò a River di tornare un altro giorno».

Passano un paio di giorni prima che io smetta di piangere. Layla si prende assiduamente cura di me, si assicura che io mangi e dorme in camera mia, sul gigantesco letto matrimoniale. Un pomeriggio accende la tv e si mette a fumare sul divano mentre ascolta il notiziario. Io mi siedo affianco a lei, guardo il televisore ma non riesco davvero a seguire quel che dice.
Ad un certo punto passa un annuncio che attira la mia attenzione. Il comandante Basil, del Distretto 6, è stato arrestato stamattina e portato in manette a Capitol City, dove la giustizia si prenderà cura di lui per aver ucciso Laree Amberdeen cinque giorni fa.
Mi congelo sul divano.
Avevo dato per scontato che Capitol City c'entrasse con la morte di Laree. Che, al limite, Basil fosse solo un mero esecutore dei piani del Presidente. Sullo schermo passano le immagini di un corteo di Capitol City contro l'operato del capo pacificatore del mio distretto. Rimango a bocca aperta.
«A nessuno va giù che Basil abbia fatto giustiziare di sua spontanea volontà una persona per te importante... a modo loro, i capitolini ci tengono ai propri vincitori» commentò Layla.
«Tu... sai cos'è successo?»
«Sì, me l'ha spiegato River, ma lui saprà raccontartelo meglio di me, visto che ha seguito la vicenda in prima persona»
Voglio saperne di più. Devo sapere cosa è successo durante i miei giochi e l'unico che può darmi queste risposte è lui. È arrivato il momento.
«Devo incontrarlo» dico a bassa voce, guardandomi le mani incrociate sulle gambe.
Layla mi dà una manata sulle spalle.
«Vuoi che ti ci accompagni adesso?»
«No» deglutisco a vuoto, «ci vado da sola».
Sinceramente ho molta paura di rivederlo. Lui è l'immagine di sua sorella e non sarà semplice guardarlo negli occhi.
Do un ultimo sguardo d'intesa a Layla ed esco di casa. I miei piedi trovano da soli la strada verso la dimora degli Amberdeen, che ho frequentato così spesso fino a due settimane fa, e mi sorprendo di non dovermi nascondere più mentre mi muovo per le strade. Tutti mi conoscono ora, tutti mi salutano con un sorriso. Ma la mia vita è stata sconvolta nell'arco di qualche settimana talmente in profondità che non riesco a sorridere nemmeno sforzandomi.
Busso alla porta di casa.
Mi apre la signora Amberdeen: inizialmente sembra sorpresa di vedermi, poi il suo sguardo si tramuta in quello che mi sembra disprezzo. Sta per richiudermi la porta in faccia e io abbasso lo sguardo istintivamente, ma alla fine sento River venire in mio soccorso.
«Mamma, falla entrare... la porto in camera mia. Ha il diritto di sapere»
La donna lancia uno sguardo severo al primogenito, che poi si ammorbidisce appena.
«Dopo di oggi non voglio più vederla qui, però»
«Va bene» sussurra River prendendomi per mano e tirandomi dentro.
Comincio a sentirmi colpevole di qualcosa che non so di aver fatto ed evito di rialzare lo sguardo verso di lei. Ad ogni modo lui non mi lascia il tempo di rifletterci, perché quasi mi trascina correndo nella sua stanza – che era anche quella di Laree – chiudendosi la porta alle spalle. Mi lascia la mano e si siede sul bordo del suo letto con un sospiro, invitandomi con un gesto a fare lo stesso.
Stiamo così, in silenzio, per qualche minuto. Nessuno dei due ha veramente voglia di affrontare quel discorso, ma sappiamo bene che è una cosa che deve essere fatta.
«Quindi... cosa è successo?»
River prende un grosso respiro e comincia a raccontarmi tutto dall'inizio.


 


Note di Alex
NON CI CREDO NON CI CREDO NON CI CREDO.
Non ci credo di esserci arrivata finalmente. La scena. LA scena. Quella che avevo in mente sin dall'inizio della storia, la scoperta della morte di Laree. E ci siamo, siamo quasi alla fine! Mancheranno uno o due capitoli e nemmeno io riesco a capacitarmi di essere arrivata così lontano in 3 anni... Che bello! Sono emozionatissima!
Ora, però, il prossimo capitolo pone dei problemi. Avrà un punto di vista diverso da quello della protagonista e sono molto indecisa sul da farsi: se abbandonare la prima persona, il tempo presente... se tenerli con River... ma ho bisogno di spiegare un po' di cose, quindi un narratore onnisciente mi farebbe più comodo... d'altra parte lasciare un velo di mistero senza narratore onnisciente è molto figo... insomma, sono un po' confusa. E ciò che devo raccontare è tutto già programmato, ma scriverlo sarà la vera impresa. Speriamo bene!
Che ve ne pare di questo capitolo? E' tristissimo, lo so, e molte, moltissime volte ho pensato che la storia sarebbe potuta andare diversamente, che Laree sarebbe potuta sopravvivere. Ma le soluzioni finali poi non mi piacevano e... beh, il titolo della storia non avrebbe avuto senso. Per questo sto progettando un sequel, che inserisca un elemento che in questa storia manca: la speranza. E questo sequel dovrà fare da controparte anche attraverso il titolo a "The odds are never in my favor". Ma vediamo.
Grazie di essere arrivati fin qui, di aver letto in silenzio e magari apprezzato. Le recensioni sono sempre gradite, ad ogni modo. Anche per mandarmi a fanculo.
Alex

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