Non Passerai

di barb_s91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incontri ***
Capitolo 3: *** Un Nuovo Inizio ***
Capitolo 4: *** Quanto Tempo! ***
Capitolo 5: *** Ballo in maschera ***
Capitolo 6: *** Sulle nuvole ***
Capitolo 7: *** Primo NON Appuntamento ***
Capitolo 8: *** "Amici" ***
Capitolo 9: *** Fiducia ***
Capitolo 10: *** First Time ***
Capitolo 11: *** Serata Movimentata ***
Capitolo 12: *** Contraddizioni ***
Capitolo 13: *** Bowling ***
Capitolo 14: *** Brunch ***
Capitolo 15: *** A lume di candela ***
Capitolo 16: *** viversi ***
Capitolo 17: *** Assenze ***
Capitolo 18: *** Perdite ***
Capitolo 19: *** Incatenati ***
Capitolo 20: *** Inesorabilmente Noi ***
Capitolo 21: *** Marchi D'appartenenza ***
Capitolo 22: *** Incompatibili? ***
Capitolo 23: *** l'ultima notte al mondo la voglio passare con te ***
Capitolo 24: *** Certezze sconvolgenti ***
Capitolo 25: *** Paralleli ***
Capitolo 26: *** Specchio ***
Capitolo 27: *** addii..? ***
Capitolo 28: *** Realtà ***
Capitolo 29: *** Fiume in piena ***
Capitolo 30: *** Can't Take My Eyes Off Of You ***
Capitolo 31: *** Incontri (S)Piacevoli ***
Capitolo 32: *** Andare Avanti ***
Capitolo 33: *** Finirà mai? ***
Capitolo 34: *** Battiti ***
Capitolo 35: *** Istinti ***
Capitolo 36: *** addio al nubilato ***
Capitolo 37: *** Ieri Sera? ***
Capitolo 38: *** Ieri sera... ***
Capitolo 39: *** Preparativi ***
Capitolo 40: *** signor e signora Horan ***
Capitolo 41: *** La verità dell'amore ***
Capitolo 42: *** Andrà Tutto Bene ***
Capitolo 43: *** L'altra parte della mela ***
Capitolo 44: *** Il Futuro? ***
Capitolo 45: *** Distanze ***
Capitolo 46: *** Il tempo passa, e noi? ***
Capitolo 47: *** Voliamo insieme? ***
Capitolo 48: *** nuovi viaggi ***
Capitolo 49: *** Il Sogno Realtà Diverrà ***
Capitolo 50: *** Guscio ***
Capitolo 51: *** Troublemaker ***
Capitolo 52: *** Finalmente Tu ***
Capitolo 53: *** Tutti Insieme ***
Capitolo 54: *** Silenzio ***
Capitolo 55: *** Zuppe e Vertigini ***
Capitolo 56: *** Bolle e Tempesta ***
Capitolo 57: *** Muri ***
Capitolo 58: *** Vagabonda ***
Capitolo 59: *** E Se.. ***
Capitolo 60: *** Mondi Distrutti ***
Capitolo 61: *** Lacrime ***
Capitolo 62: *** Il dolore dell'amore ***
Capitolo 63: *** Orgoglio ***
Capitolo 64: *** Cuori che battono ***
Capitolo 65: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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31 luglio 2016

 

Erano passati tre anni dall’ultima volta che avevo messo piede in quest’aeroporto. Da allora erano cambiate molte cose, ma soprattutto ero cambiata io; la mia vita aveva preso pieghe inaspettate, anche a causa delle scelte a cui ero stata sottoposta.

Era stato difficile riprendere in mano la mia vita dopo la mia ultima avventura newyorkese, ma mi ero rialzata, solo grazie alle mia forze e grazie alla mia innata passione: la scrittura. Scrivere mi aveva aiutato a canalizzare tutte le esperienze e tutto il dolore in una semplice penna. Era stato un semplice e comune oggetto a salvarmi dal baratro e dallo sconforto. Sin da piccola avevo l’abitudine di scrivere i miei pensieri in un semplice pezzo di carta; ecco perché ho sempre considerato un foglio di carta e una penna i miei più cari confidenti. 

Ero titubante sul mio ritorno a New York, ma la mia dolce e svampita cugina si sarebbe sposata, e io non potevo di certo mancare, non solo perché ero la sua testimone di nozze, ma anche perché era stata una delle poche persone nella mia vita che mi era stata sempre vicina, e l’unica che aveva saputo darmi un concreto aiuto quando ne avevo più bisogno.

E ora eccomi di nuovo qui, davanti ad uno degli hotel più lussuosi di New York City; Elis, mia cugina, aveva deciso di fare alloggiare tutti i suoi ospiti in quest’albergo. Ovviamente lei non aveva alcun problema economico, anche perché il suo futuro marito, Niall, era diventato uno dei più prestigiosi avvocati newyorkesi, mentre lei, insieme a mia zia, dirigeva una casa di moda di tutto rispetto.

Fin da piccola, mi ero sempre sentita inferiore a loro, non economicamente parlando, ma per la loro caparbietà; non c’era niente che le scalfisse, ogni volta che si prefissavano un obiettivo non c’era niente e nessuno che le potesse fermare; non si arrendevano mai, fino a quando non raggiungevano il loro scopo. Io, invece, tendevo sempre a nascondermi, mi ero sempre sentita inferiore agli altri, anche nello studio; sapevo di poter essere la migliore, ma il mio carattere mi aveva sempre impedito di emergere e far vedere quanto realmente valessi. Ma quando, dopo aver finito l’università, mi ero trasferita per sei mesi in casa loro, la mia vita era cambiata. Mi avevano resa più forte, più caparbia e più sicura di me; ero soddisfatta della persona che ero diventata, anche se per esserla avevo dovuto affrontare dolore, sconfitta e perdita, ma niente ti ripaga di più nella vita di fare ciò che ami.

Una volta scesa dal taxi, ero rimasta a guardarmi intorno; mi ero quasi dimenticata della magnificenza dei grattacieli newyorkesi. Ricordo che inizialmente era stato difficile abituarsi a tutto il lusso caotico, solo ora mi rendevo conto di quanto mi fosse mancata questa città. Facendo un respiro profondo, finalmente mi decisi ad entrare; passata la porta girevole, mi pietrificai: il lusso più sfrenato era qui davanti a me e io non riuscivo più a muovermi. Mi sembrava di essere entrata in un mondo parallelo, era come se fossi un’importante attrice, o comunque una donna di rilevante importanza, quando invece ero una semplice giornalista, brava si, ma comunque una giornalista.

«Salve, come posso aiutarla?» un inserviente dell’hotel, un ragazzo di bell’aspetto che sembrava essere un mio coetaneo, riuscì finalmente a farmi tornare alla realtà.

«Oh, ehm. Ho una prenotazione. A nome di Elisabeth Morgan, sono la sua testimone di nozze».

«Ma certo. La signorina Morgan ci ha avvisati del suo arrivo, ha prenotato la suite per lei. Quindi lei è la signora Grimaldi, corretto?».

«Signorina. Comunque si, sono sua cugina».

«Oh, mi scusi, pensavo che fosse venuta qui in compagnia» disse ammiccante.

Non riuscivo a capire il motivo di quell’uscita, perché mai doveva aver pensato che fossi venuta in compagnia. Si accorse della mia espressione, forse un po’ troppo perplessa e confusa, e continuò.

«Lei alloggia nella suite platino, che è un piccolo appartamento con due camere comunicanti. Per questo pensavo che fosse con qualcuno. Mi scusi ancora» si giustificò.

«Non si preoccupi, davvero. È stato solo un malinteso. Ora mi potrebbe dare le chiavi, sarei un po’ stanca».

Dopo aver firmato una quantità infinita di documenti, aver dovuto lasciare lì i miei documenti, e finalmente aver ricevuto la mia benedetta chiave, mi diressi agli ascensori, diretta al quarantunesimo piano. Mentre controllavo il piccolo schermo che mi indicava il numero dei piani che avevo percorso, il mio cellulare squillò.

«Elis, sono appena arrivata in hotel. Mi aspettavo una migliore accoglienza; ma dove sei finita?» dissi con voce squillante, avevo una voglia matta di rivedere quella pazza.

«Bea, tesoro. Emh, io tra un po’ arrivo. Non uccidermi ti prego».

«Ma dai, sto scherzando! Sai che non me la prendo. Ti aspetto alla suite, ok?».

«Ok» disse con voce debole, e addirittura dispiaciuta. 

Non ne capivo il motivo; era strano il suo comportamento. Di solito Elis era il tipo di persona logorroica, che non la smetteva un secondo di blaterare. Mi aspettavo fosse più entusiasta del mio arrivo, ma forse era solo nervosa per il matrimonio.

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Capitolo 2
*** Incontri ***


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Mi trovavo davanti all’entrata della mia suite con un’inaspettata ansia; forse perché tutto quel lusso sfrenato non faceva parte di me, forse perché questa città mi aveva regalato il periodo più bello della mia vita, insieme a quello più oscuro. Mi ritrovo inconsapevolmente a passare la mia tessera magnetica nel sensore.

Davanti a me si aprì un’enorme e lussuosa stanza, estremamente monotematica. L’ambiente era freddo e serio, ma allo stesso tempo confortante. La prima stanza era costituita da un salotto dalle pareti tortora e un divano ad U color panna che riempiva gran parte della stanza. Davanti al divano un televisore di circa 50 pollici occupava gran parte della parete. Questa stanza non rispecchiava minimamente il mio stile, ma sicuramente rispecchiava quello di mia cugina, anche se lei aveva gusti molto più eccentrici.

«Bea??» disse qualcuno dietro di me.

Avrei riconosciuto quella voce tra mille, no anzi, tra milioni di persone. Ero immobile, non riuscivo a muovere un solo muscolo, avevo persino smesso di respirare. Il mio cuore, dopo anni, aveva ricominciato a battere forte, come solo per lui aveva fatto. 

«Bea, che ci fai qui?» disse, e, vedendo che ero rimasta immobile, si avvicinò cautamente.

Non potevo permettere che mi toccasse, neanche sfiorasse. Così riaffiorai dal limbo in cui ero temporaneamente caduta e mi voltai. Era ancora più bello di quanto ricordassi; i miei ricordi non erano in grado di descriverlo a pieno. Era davanti a me, in giacca e cravatta, come un vero uomo d’affari; la barba incolta, insolita per lui, gli dava un’aria ancora più sexy del possibile. Per non parlare dei suoi capelli color cioccolato, che mi facevano impazzire. Per mia fortuna li aveva tagliati un po’; sarebbero stati una tentazione troppo grande, non sarei riuscita a non toccarli.

«Harry – presi aria, questa situazione mi rendeva difficile anche respirare – questa è la mia camera, ecco che ci faccio qui» dissi con un tono palesemente acido.

«Credo che tua cugina abbia escogitato qualcosa, al suo solito. Vedi, questa è anche la mia stanza» disse, sfoggiando il suo sorriso malizioso, che, oltre a farmi impazzire, faceva comparire sul suo viso le sue fantastiche fossette.

«Sicuramente deve esserci un malinteso. Ora la chiamo» senza aggiungere altro mi diressi nella prima stanza a portata di mano. 

Con la mano tremante digitai il numero della mia futura ex-cugina.

Mi distesi sul letto mettendomi un braccio sulla testa. Avevo le gambe molli e non trovavo più la forza per muovermi. Probabilmente non mi sarei mossa più da questa stanza per le prossime due settimane, ovvero fino al giorno del matrimonio. Mia cugina non mi degnava di una risposta, forse lo faceva intenzionalmente; ora forse capivo il suo strano comportamento. 

Dopo quattro lunghissime chiamate, senza risposta, sentii aprire la conversazione.

«Hei cuginetta!» disse Elis, con un tono stranamente tremante.

«Brutta traditrice! Che cosa hai combinato? Che cosa ti è passato per la testa? Perché mi sono ritrovata il mio ex nella mia stessa stanza? Non hai pensato a me? Non hai pensato alle conseguenze del tuo gesto? Non hai pensato che potessi starci male? Non hai…».

«Ferma, ferma, ferma, Bea. Respira! – m’interruppe – avete due stanze separate, condividete solo un insignificante salotto; non mi sembra così atroce. Senti, non era mia intenzione, ok!? Tutte le altre suite erano occupate, così, invece di mettervi in una piccola stanza, abbiamo pensato a questa soluzione».

«Raccontala a qualcun altro questa balla, Elis».

Ero furiosa.

«Ok, forse avevamo pensato che fosse una buona idea, un modo per farvi finalmente chiarire. Anche perché, conoscendovi, non vi sareste nemmeno salutati altrimenti. Ma se è un problema troviamo un’altra sistemazione. Anche se sia io che Niall volevamo un ambiente privo di tensioni al matrimonio, soprattutto da parte dei due testimoni» disse mia cugina con un tono vittimistico; sapeva farti sentire una merda anche se era palesemente colpevole.

«Quindi è lui l’altro testimone, fantastico! – dissi sarcastica – più tento di evitarlo per non far riaffiorare in me i ricordi, più me lo trovo davanti» dissi con voce tremante, avevo ormai le lacrime agli occhi.

«Tesoro, ti prego. Fallo per me! E poi è un modo per ristabilire un rapporto. Non ne saresti felice?».

«No! Non voglio aver alcun tipo di rapporto con lui; non dopo tutto quello che è successo» dissi, mentre lacrime di rabbia scendevano ormai copiose.

«Non negare che non t’interessa; sento quello che provi, lo sento dal tono della tua voce».

Non sapevo più cosa rispondere, una parte di me sapeva che Elis aveva centrato in pieno, l’altra continuava imperterrita a rifiutare la sola idea di trovarmi a stretta vicinanza con lui. La mia parte razionale, che negli ultimi anni era quella che predominava, mi diceva di scappare a gambe levate da questa situazione, che sicuramente mi avrebbe recato dolore. La parte che avevo sempre represso era inaspettatamente tornata prepotentemente in me, e ora il mio cuore mi stava quasi obbligando di riallacciare i rapporti, a provare un riavvicinamento. Fino a quando non l’avevo rivisto ero fermamente convinta di aver accantonato tutta quella storia, di non provare più niente per lui. Ora, averlo a pochi metri da me mi destabilizzava proprio come anni prima. Ma perché? Perché era stato inaspettato trovarmelo davanti o perché in realtà avevo cercato solo di sopprimere i miei veri sentimenti? L’unico modo per saperlo era tentarci. Ora credevo fermamente al detto : ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’. 

Ero fottuta!

«Ci proverò Elis, ma non ti assicuro niente» dissi rassegnata.

«Grazie, grazie, grazie. Ti sarò debitrice per tutta la vita; vedrai che non te ne pentirai. Ci vediamo tra un po’ di sotto. Dobbiamo andare a provare il tuo abito da damigella».

Restai sdraiata su quel letto a torturarmi il cervello per un tempo che mi sembrò infinito. Non avevo ancora preso una decisione definitiva, ma dentro di me la sapevo; il mio cuore la conosceva.

Presi un profondo respiro, mi alzai e mi diressi verso il salotto. Lo vidi e improvvisamente il mio cuore ricominciò a scalpitare nella mia cassa toracica. Era seduto sul divano intento a guardare alla televisione una partita di basket, il suo sport preferito.

«Vedo che almeno in quello non sei cambiato» dissi, appoggiata allo stipite della porta, con un sorriso accennato.

«Certe cose non cambiano mai! – cantilenò sorridendo – vuoi unirti a me?» mi chiese picchiettando la sua mano sul divano.

«Potrei farlo» dissi sarcastica.

Dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, stavo cercando di trovare un qualsiasi argomento che non portasse a discorsi imbarazzanti.

«Ti devo fare le congratulazioni – disse, mentre io iniziai a guardarlo stranita – per il libro!» disse leggendomi nel pensiero.

«Ah, quello» dissi, evidentemente in imbarazzo.

«Un giorno mi sono ritrovato in libreria e mi è caduto l’occhio su una bellissima copertina color pastello, ed ecco che ho letto il tuo nome sopra – disse sorridente – l’ho comprato e finito nello stesso giorno. La trama è molto interessante, sai?! Ho anche riscontrato delle similitudini tra Robert, il protagonista maschile, e me. È una coincidenza?» mi chiese, anche se era già a conoscenza della risposta.

Ero andata a New York per trovare ispirazione, e almeno in quello ero riuscita. Una volta tornata in Italia, mi ero letteralmente buttata a capofitto sulla scrittura e in poche settimane ero riuscita a finire il mio primo vero libro, che era arrivato negli Stati Uniti anche grazie alle conoscenze di mia cugina. 

Era diventato un best seller internazionale; il sogno della mia vita si era realizzato, almeno la sfera lavorativa.

«Sai anche tu che non è una coincidenza. Diciamo che mi hai ispirato» ridacchiai.

«Almeno ho fatto qualcosa di utile, visto dove sei arrivata».

«Non ti ringrazierò mai abbastanza per quello».

Abbassai lo sguardo mentre lo dicevo. Non riuscivo a mentire con lui, perché nonostante tutto il dolore che mi aveva causato, non sarei mai diventata la donna che sono oggi senza di lui. Era stato l’unico ragazzo, l’unica persona, ad avermi insegnato a vivere senza rendersene conto. Non lo ringraziavo solo per avermi dato l’ispirazione nella scrittura, ma anche perché tramite la sofferenza mi aveva aiutato a crescere e vivere.

«Devo dirti una cosa – interruppe lui l’improvviso silenzio, attirando la mia attenzione – non ho mai avuto l’opportunità di chiederti scusa per tutto quello che ti ho fatto. Sono stato uno stupido a non capire in tempo cosa avevo tra le mani. Sappi solo che se tornassi indietro lasciarti andare via da me sarebbe l’unica cosa nella mia vita che non rifarei».

Il cuore non smetteva di scalpitare, le mani iniziavano a sudarmi, il respiro si faceva affannato. Erano i segni che contraddistinguevano ‘l’effetto Harold’. 

Ogni volta che mi trovavo accanto a lui mi ritrovavo in queste condizioni. Non era cambiato niente, nemmeno il mio sentimento per lui, purtroppo. Questo mi faceva rabbia, anche perché ero consapevole di poter nuovamente soffrire. Il suo sguardo era perso nel mio, era come se fossimo tornati a tre anni prima. L’intensità del suo sguardo verso di me non era cambiato, era totalmente immutato, ma questa volta nei suoi occhi leggevo anche qualcos’altro. 

Rimpianto? Dispiacere? Non ne avevo idea, ma dovevo in ogni caso proteggere il mio cuore.

«Tranquillo, ormai sono passati anni, possiamo metterci una pietra sopra; anzi, ti devo ringraziare. Facendomi male mi hai fatto crescere e capire che nella vita posso contare solo su me stessa. Mi hai fatto capire quanto io sia importante per me stessa, e quanto valgo realmente. Il dolore mi ha fatto ritrovare me stessa». 

Era ciò che realmente pensavo, ma non so perché il mio cuore piangeva, come se stesse dicendo addio.

«Bene, sono contento per te; anche perché devo dirti una cosa importante, ma avevo timore a rivelartela. Ora che so realmente il tuo pensiero però, sono più tranquillo».

Sembrava attendesse un mio assenso; gliel’avrei dovuto dare e, qualsiasi cosa fosse, dovevo restare impassibile, lo dovevo soprattutto a me stessa e alla mia dignità.

«Il prossimo febbraio mi sposo – disse guardandomi intensamente – lei è una ragazza che ho incontrato quando ho fatto il master a Parigi».

Il mio cuore, che prima batteva inesorabile, si era fermato alle prime cinque parole. 

Lui continuava a parlare del suo romantico incontro con la sua fantomatica ragazza, ormai fidanzata; io non riuscivo ad avere alcun collegamento sinaptico. Ero totalmente bloccata, immobile.



SPAZIO DELL'AUTRICE:

salve a tutti, 
questo è il primo capitolo della mia storia. Ho deciso di pubblicare sia il prologo che il primo capitolo per darvi la possibilità di farvi un'idea della storia, a cui tengo particolarmente. Parte della storia è autobiografica, ovviamente non ho avuto una storia con Harry, mio malgrado ahahahah.

spero che la storia vi piaccia e vorrei avere delle vostre opinioni su di essa.

a prestooo

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Capitolo 3
*** Un Nuovo Inizio ***


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1 AGOSTO 2013

 

«Tesoro mi raccomando, stai attenta! New York è una grande città ed è risaputo che è piena di pericoli. Sei sicura di voler affrontare tutto questo da sola?». 

Il suo sguardo era contrito e pieno di preoccupazione; aveva quasi le lacrime agli occhi.

«Mamma starò bene, non preoccuparti- dissi lanciandole un’occhiata alla stai tranquilla sopravvivrò- ci saranno zia Mara ed Elisabeth con me, me la caverò, stai tranquilla».

«Lo so tesoro. Non so se io riuscirò a stare senza di te. So che la nostra vita non è stata perfetta, non è stata come la desideravamo, ma mi sono impegnata tanto per renderti la donna che sei diventata; lasciarti andare via è difficile per me. Mi dispiace averti creato tanti problemi e preoccupazioni» le lacrime le rigarono il viso.

«Mamma, non mi hai mai fato mancare niente, sei stata la madre migliore del mondo; è solo che inizio a sentirmi stretta in questa città. Tutto qui».

«Lo so tesoro mio» disse a capo chino.

Mi lanciai verso di lei, stringendola forte a me, consapevole di non rivederla almeno per i prossimi sei mesi; Mi si strinse il cuore vedendola così, sapendo di lasciarla sola, abbandonarla. Mio padre, una decina di anni fa, decise di andarsene con la segretaria del suo ufficio stampa e riscrivere la sua vita, cancellando quella precedente. 

So quanto difficile fosse questo momento per lei.

«Ci sentiremo ogni giorno mamma, non preoccuparti».

«Ok, tesoro».

«Ora devo andare» dissi con la voce rotta, mentre una lacrima scendeva sul mio pallido viso. 

Mi girai di scatto e m’incamminai, senza voltarmi indietro, iniziando così un nuovo capitolo della mia vita.

E così eccomi lì: all’aeroporto di Linate ad aspettare l’apertura dell’imbarco per un volo di sola andata. Destinazione New York. 

Il sogno di una vita si stava per realizzare. A ventidue anni, dopo essermi laureata, potevo permettermi di viaggiare e costruirmi una mia vita, la vita che desideravo.

«L’imbarco del volo diretto a New York è ora aperto». 

Una voce dall’alto mi distolse dalle fantasticherie.

Dopo poco più di mezz’ora ero già al mio posto. Quando ero piccola, io e mamma andavamo ogni anno a trovare la zia. Ricordo che io e mia cugina Elis eravamo molto unite e ogni volta, arrivata la partenza, ci dovevano staccare con la forza, perché eravamo strette in un abbraccio ‘stritolante’. Dopo l’abbandono di mio padre, però, mia mamma non poteva più prendersi le ferie desiderate, per tentare di far quadrare i conti e riuscire ad arrivare a fine mese. L’ultima volta che ero stata a New York avevo tredici anni; quella era stata un’estate indimenticabile. 

Quell’estate avevo dato il mio primo bacio ad un amico d’infanzia di mia cugina per cui avevo sempre avuto una cotta. Era un bambino formidabile; quando era piccolo, e io andavo a trovarli, stavamo sempre insieme e lui accontentava ogni mio capriccio. Con l’età era cambiato: era diventato più borioso, ma con me non era cambiato di una virgola. Dopo il nostro primo bacio, avvenuto dentro un armadio mentre giocavamo a nascondino, c’eravamo dovuti separare. Ero rimasta cotta di lui per anni, fino a quando il tempo guarì le piccole ferite di un’adolescente. La mia vita da quel momento aveva preso il volo; non ero più quella bambina incosciente e immatura. L’abbandono di mio padre mi aveva fatto crescere e maturare, forse un po’ troppo, vista la mia giovane età. Nonostante il grande dolore che provavo, non lo facevo vedere a nessuno, soprattutto a mia madre, che già soffriva abbastanza. 

Avevo il massimo dei voti a scuola, ero la prima della classe e una figlia modello; quando andai all’università le cose non cambiarono. Ero in pari con gli esami, tutti presi con il massimo dei voti; in più il penultimo anno avevo conosciuto un ragazzo, Enrico, di cui m’innamorai. Era il mio primo vero amore, ma c’era qualcosa che mi frenava dal lasciarmi andare. Avevo sempre pensato che la persona a cui avrei donato anima e corpo sarebbe stata poi l’unica per me; invece con lui non riuscivo a lasciarmi andare. Dopo i primi mesi, lui iniziò a tirare la corda, sembrava che volesse stare con me solo per portarmi a letto. Era diventato scontroso e irritabile, tutto il contrario del dolce e sensibile ragazzo di cui mi ero innamorata. Purtroppo l’amore spesso ti rende cieche, così una sera mi lasciai convincere. Fu la notte più brutta della mia esistenza; in tutto quello che faceva non c’era amore o passione, era rude e volgare, senza un briciolo di sentimento. Non fu minimamente delicato, nonostante sapesse di essere il primo per me, e nonostante gridassi dal dolore, lui non si scompose e continuò imperterrito. Non si curò nemmeno di darmi alcun piacere, quando finì di godere si alzò, senza neanche degnarmi di uno sguardo, e si andò a fumare una sigaretta. 

Dopo quella notte non riuscì più nemmeno a baciarlo, il nostro rapporto stava lentamente cadendo a pezzi, fino a quando un giorno non lo beccai a letto con una nostra amica. Quel giorno decisi sarei partita dopo essermi laureata; ormai mancava solo qualche mese. In quel periodo mi dedicai solamente allo studio, la mia vita sociale si era estinta; nonostante la batosta presa riuscii a laurearmi con il massimo dei voti e il giorno stesso preparai la mia valigia. Ed ora eccomi qui, a cercare di ricominciare, a cercare un’ispirazione, a cercare di costruirmi la mia vita.

 

Più di dieci ore dopo ero finalmente arrivata. Non ne potevo più di stare rinchiusa in quel velivolo, a non so quanti piedi da terra, con le hostess che ti svegliano ogni ora per sapere se era tutto apposto. Mi sentii come un ago in un pagliaio, troppo piccola in confronto a tutta questa magnificenza. 

L’aeroporto di New York era enorme, molto più di quello che mi aspettavo; dovetti seguire i miei “compagni di viaggio sconosciuti” per trovare il ritiro bagagli. La prima cosa che notai guardandomi intorno era che qui la gente andava di fretta, era indipendente e sicura di sé. Riuscirò un giorno a non sentirmi fuori luogo ovunque vada?

Il tempo mi avrebbe dato le risposte che cercavo.

Ad aspettarmi al terminal c’erano la mia cara e svampita zia e la mia esuberante cugina. Mia zia aveva lasciato l’Italia quando ero ancora una bambina in fasce. Era una ragazza madre, infatti, Elisabeth ed io abbiamo la stessa età; quando aveva diciotto anni ha fatto un errore che, come dice lei, è stato il miglior errore della sua vita. Era una quarantenne tuttofare, alta e snella con dei lunghissimi capelli biondi e due grandi occhi blu, come il mare; sua figlia era la sua fotocopia. Anche mia madre aveva la loro stessa fisionomia, solo io ero uscita dalla famiglia, prendendo tutto dal mio scomparso padre: capelli castani e occhi verdi, con un fisico informe, senza un pizzico d’eleganza. 

Ed ecco che le vidi in lontananza con i loro vestitini succinti, occhialoni e sneakers. Mi salutarono saltellanti nonostante non avessi ancora varcato la soglia degli arrivi. A grandi falcate mi avvicinai a loro e, senza nemmeno il tempo di aprir bocca, loro mi avvolsero in un abbraccio di gruppo, sorridenti e spensierate. 

«Benvenuta Bea! Non vedevamo l’ora di vederti. Com’è andato il viaggio? Sarai molto stanca. Dai andiamo!». 

Mia zia era così vulcanica!

Prese velocemente la mia valigia e buttò addosso a mia cugina il mio zaino da campeggio, facendola quasi cadere.

«Caspita Bea! Non ti sei risparmiata con i vestiti» disse Elisabeth a mezza voce.

Scoppiai in una fragorosa risata, dovuta sia alla situazione sia al fatto che mia cugina avesse rimosso la mia risaputa repulsione verso la moda; era ancora ignara del fatto che dentro il mio zaino ci fossero solo libri. 

Dopo circa mezz’ora eravamo arrivate. Mia zia, grazie al nuovo impiego presso un famoso architetto newyorkese, si era potuta comprare un grande appartamento a Manhattan. Era un appartamento di lusso: una cucina più che abitabile laccata bianca, con al centro una grande penisola; un salotto con un divano a L beige e una parete attrezzata in tinta; due camere e una per gli ospiti, ognuna con un suo bagno personale; infine un enorme bagno di servizio con addirittura una vasca idromassaggio completava la magnificenza di quell’appartamento. 

Elisabeth mi prese con forza per mano e mi portò di fronte una porta in legno bianco.

«Vieni Bea, abbiamo cercato di rendere la tua stanza il più accogliente possibile- fece una pausa e aprì la porta- tadà!!» esclamò.

Restai a bocca aperta quando vidi la stanza. Era magnifica, proprio come l’avevo sempre sognata. Le pareti erano tappezzate da cartelloni cinematografici dei miei film preferiti – Titanic, Le pagine della nostra vita, I passi dell’amore. Al centro della stanza si ergeva un enorme letto a baldacchino in stile moderno a due piazze; tutta la stanza era illuminata da una grande lampada a parete dalla quale usciva una luce soffusa.

«E’ magnifica Elis! Grazie, non so cosa dire, davvero» la abbracciai con affetto.

«E’ il minimo Bea. Sono felicissima di averti qui, e questo è uno dei modi che ho per dimostratelo. Mi sei mancata tanto».

«Mi sei mancata tanto anche tu, Elis. Ma ora basta con le smancerie. Che facciamo?» scoppiammo entrambe in una risata.

«Allora, sono le cinque, mamma è dovuta scappare in ufficio, quindi siamo sole. Che ne dici di andare a fare un po’ di sano shopping? E naturalmente nel frattempo spettegoliamo un po’?!».

«Perfetto, ci sto! Andiamo allora». 

Mi diressi verso l’ingresso, ma mi accorsi che Elis si era fermata.

«Bea, tesoro, da buona stylist quale sono, non posso farti uscire conciata così. Vieni, andiamo nella mia cabina armadio».

Scioccata, ma anche assolutamente consapevole del mio stato, l’assecondai. La sua stanza era tutta rosa confetto e delle coroncine erano sparse ovunque sulle infinite mensole. Fissai nell’enorme specchio rettangolare della sua stanza la mia figura, e, in effetti, ero proprio in uno stato pessimo; purtroppo ero fatta così, non impiegavo molto tempo a curarmi e a cercare il vestito perfetto, diciamo che prendevo quello che mi capitava prima sotto mano. Riflessa allo specchio vedevo una mediocre ragazza, senza un filo di trucco, con un magliettone, un jeans stracciato e in paio di converse vecchio modello; niente di più, niente di speciale. Non me ne facevo una colpa, questa ero io, e vestita così mi ero sempre sentita a mio agio, soprattutto perché amavo non dare nell’occhio, non farmi notare. Ma, per rendere Elis soddisfatta, feci uno sforzo. 

Mezz’ora dopo non riconoscevo più la ragazza riflessa davanti a me: trucco, vestitino succinto e ceretta possono davvero fare miracoli. Alle sei eravamo già fuori di casa. 

New York era magnifica: grattacieli e cielo limpido si sposavano alla perfezione. Amavo trovarmi lì, avrei amato anche il caos del traffico, e la sua vita frenetica e caotica. 

Elisabeth cercò di attirare la mia attenzione, distogliendomi dalle mie affascinanti fantasticherie. «Allora Bea. Come sei messa con i ragazzi? Dopo quella cottarella che hai avuto sei anni fa per quell’Alberto, non ho saputo più niente dei tuoi flirt». 

Non avevo raccontato a nessuno la mia avventura con Enrico; nessuno sapeva che stavo con un ragazzo, e nessuno sapeva cosa mi era successo. Solo mia madre sapeva ogni piccolo passo della mia vita.

«Oh, Elis, la mia vita, soprattutto quella amorosa, credo che sia molto più noiosa di quella che ti aspetti. Dopo Alberto, che mi ha mollato dopo due settimane, sono stata solo con un altro ragazzo, ma non è il caso di parlarne ora; non è una storia felice, quindi godiamoci questa giornata insieme. Avremo modo di parlarne. E comunque non ho trovato più nessuno che mi facesse battere il cuore dopo l’ultimo. Trovo tutti molto noiosi, o molto stronzi, dipende dai casi».

Elisabeth, ripresasi dallo sgomento iniziale, sorrise: «Beh, ok. Vedremo cosa si può fare a riguardo. Magari qui troverai il tuo principe azzurro, chi lo sa?!».

Scoppiai in una sonora risata, mia cugina avrebbe dovuto proprio fare dei provini per qualche programma di cabaret.

«Si, Elis. Magari nei sogni. Partendo dal fatto che i principi azzurri non esistono, se non nelle favole, e per di più sono stati creati per far crescere a dismisura le aspettative femminili sull’uomo. E poi Elis, guardami; non sono per niente un bocconcino delizioso».

«Tesoro, guarda che tu sei davvero bellissima; è solo che non ti curi molto e hai un grande difetto: non sei per niente sicura di te. Ecco tutto. Ma qual è il compito di una perfetta cugina, se non quello di aiutare la sua disperata cugina in cerca d’amore e affetto?».

Dopo un attimo di assoluto silenzio, forse dovuto alla disperazione o alla sua pseudo battuta, scoppiammo a ridere e ci buttammo l’una nelle braccia dell’altra.

 

«Hei mamma! Sono arrivata; qui è tutto bellissimo, ma già mi manchi».

«Amore mi manchi anche tu. Divertiti, mi raccomando. Tienimi aggiornata!».

«Certo mamma. Ora vado a mangiare; la zia si è dilettata in cucina oggi. Chissà cosa mi aspetta»dissi sorridendo.

«Oh, tesoro. Allora ti mando un grosso in bocca al lupo» disse, scoppiando in una fragorosa risata.

«Crepi! Ora vado».

«Notte piccola».

Era risaputo che mia zia Mara non era una cuoca provetta. L’odore del pollo in agrodolce raggiunse la mia stanza, accompagnato dallo strillo di mia zia, che dalla cucina annunciava l’inizio della cena. Quando arrivai in cucina, mia cugina era già seduta, con stampato in volto un sorriso d’incoraggiamento. 

Mi aspettavo di peggio, la cucina di zia Mara stava notevolmente migliorando. 

«Bea, ti andrebbe di lavorare un po’ mentre sei qui?» mi chiese Elis.

«Si, certo. Solo che non sarà tanto facile trovarmi un impiego; sai che sono un vero disastro».

«Oh, Bea. No, non sarà facile- disse con il broncio, ma cambiò improvvisamente espressione- sarà facilissimo- urlò – vedi, alla gelateria dove lavoro si liberato un posto, perché il bellissimo, ma stronzo, ragazzo che ci lavorava ha avuto una discussione con il capo, perché tutte le sue innumerevoli conquiste venivano a fare scenate alla gelateria, facendo scappare la clientela».

Non potevo trovare soluzione migliore per il mio soggiorno.

«Mi piacerebbe molto» dissi soddisfatta.

«Ottimo, inizierai lunedì».

«Non vedo l’ora, Elis» e un enorme sorriso mi si stampò in volto.

Finita la cena, andai nella mia nuova e lussuosa stanza. Dopo qualche minuto bussarono alla porta. Elis entrò e si adagiò dolcemente accanto a me, nel mio nuovo, enorme letto.

«Bea, domani è sabato, perciò di sera usciremo, così conoscerai i miei amici. C’è una festa a casa di un ragazzo che organizza a casa sua quasi ogni mese; è una festa in maschera, quindi domani andremo a comprare un bel vestito adatto alla situazione e una maschera estremamente sexy, che ne dici?».

Odiavo le maschere, ma, pur di far contenta mia cugina e pur di non essere un peso, o una limitazione per lei, sarei stata costretta a portarla; quindi mi stampai un sorriso in faccia e annuii con finto entusiasmo a mia cugina, che invece non riusciva minimamente a contenere il suo entusiasmo.

«Siamo d’accordo allora. Vado a letto, e dovresti farlo anche tu. Sarai sfinita e ti voglio carica per domani» disse facendomi l’occhiolino.

«Ok Elis. Buonanotte».

 

«Notte, Bea».

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

 

Buona Doenica a tutti!

Qui abbiamo un salto del passato, per capire come è iniziata la storia dei Barry <3 (Bea e Harry).... Sarà così per molti capitoli, perchè la storia si svolge prima nel presente, ppoi nel passato, per capire appunto la loro storia, e poi si tornerà al presente.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate della storia, e ringrazio tutti quelli che hanno commentato, o anche solo letto la storia e l'abbiano apprezzata!

 

Buona giornata!

 

Con amore, Barb <3

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Capitolo 4
*** Quanto Tempo! ***


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Incredibilmente mi svegliai prima che il mio cellulare iniziasse a intonare le note di “Who you are” di Jesse J, dando così il benvenuto ad un nuovo giorno. 

Ero ancora sovreccitata e non avevo realizzato dove mi trovassi realmente. Era ancora tutto così nuovo. 

Mi alzai e mi diressi in cucina, stupita dal fatto che non ci fosse nessuno. Il display del mio nuovo Iphone bianco segnava le sette e un quarto e, essendo sabato, era normale che Mara ed Elis non si fossero ancora alzate. Dopo essermi preparata una bella tazza di latte e cereali al cioccolato, mi sedetti nel magnifico divano a L a vedere un programma di cucina alla TV. Alle otto vidi spuntare Mara ed Elis, che, essendo ancora immerse nei loro sogni, mi salutarono con un impercettibile gesto di mano. 

Dopo aver riso e spettegolato quasi per un’ora e dopo un’attenta preparazione, io ed Elis uscimmo.

Andammo in un delizioso negozio che vendeva una varietà infinità di vestiti in maschera. Era un piccolo negozio di circa trenta metri quadri, con stand pieni di vestiti, divisi per genere e colore. Al centro della stanza c’era un bancone d’acero con delle piccole vetrine sul fronte, dove erano esposte maschere e accessori. Scegliemmo con cura, ma nello stesso tempo con estrema facilità, i nostri vestiti e accessori. Il tempo stava passando molto più velocemente di quanto mi aspettassi. Dopo un’ora, infatti, eravamo già fuori; un record per gli standard di mia cugina.

«Bea, oggi è il mio giorno libero, però devo passare dalla gelateria per dare dei documenti a Theodore, il nostro capo, e ne approfitto per annunciargli il tuo ingaggio».

«Va bene Elis» le dissi sorridendo.

La gelateria era un locale abbastanza grande e colorato; il pavimento era riempito da lucide piastrelle bianche e le pareti, invece, con carta da parati azzurra e bianca. Sul lato sinistro del locale era posizionato un enorme bancone a forma di L, beige con delle rifiniture azzurre, che richiamava il colore della carta da parati. All’esterno un tendone azzurro con dei coni gelato stampati ombreggiava l’ingresso.

«Bea, aspettami fuori. Se il capo ti vede, ti farà il terzo grado e non voglio perdere più di cinque minuti qua dentro nel mio giorno di pausa».

«Certo, Elis. Aspetterò qui».

Ne approfittai per osservare ciò che mi circondava: uomini in giacca e cravatta che, con le loro ventiquattrore di pelle, a grandi falcate si dirigevano verso i loro uffici. Donne con vestitini succinti e tailleur facevano sfoggio dei loro gioielli preziosi. Ad un tratto il mio sguardo cadde su un giovane alto e muscoloso, che si dirigeva proprio verso me con un sorriso alquanto enigmatico. Aveva sicuramente la mia età, o poco più, ma a colpirmi furono i suoi occhi: due occhi verdi come il mare cristallino, tanto profondi da intimidirmi. I suoi capelli erano bruni con delle sfumature cioccolato; il suo viso fine ed armonioso. Restai quasi fulminata dal suo sguardo; era intenso, passionale, tanto da entrarmi dentro. Sentii un brivido percorrermi tutta la schiena, non riuscivo bene a capire che sensazione stessi provando. Stava per entrare proprio in gelateria, quando ad un tratto si fermò sulla soglia; vedevo a stento la sua espressione: aveva un sorriso colpevole stampato in viso, si girò verso di me per poi proseguir un attimo dopo all’interno del locale. Cercai di non guardare dentro, ma inspiegabilmente la tentazione era troppo forte.

Stava parlando con un uomo di mezz’età, tarchiato con dei capelli brizzolati ed un vistoso baffo nero. Sembrava stessero discutendo, ma purtroppo non ero per niente brava a leggere il labiale. Qualche minuto dopo si strinsero la mano e il ragazzo del mistero si diresse verso l’uscita. 

«Quindi sei tu che prenderai il mio posto qui?» disse freddamente, prendendomi alla sprovvista. 

Oddio, stava parlando con me?! Ero scioccata, avevo gli occhi sbarrati, la salivazione annullata e i battiti cardiaci accelerati.

«Cosa..? Io.. Non lo so. Mia cugina Elis mi ha detto che si era liberato un posto qui e mi ha offerto di lavorarci. Non so dirti altro» balbettai dall’imbarazzo.

«Tranquilla, non è mica colpa tua. Certo che con una bella ragazza come te dietro il bancone, Theo triplicherà i suoi incassi –  rise maliziosamente, mentre un verginale rossore mi comparve in viso – aspetta, chi hai detto di essere?» mi chiese infine.

«La cugina di Elis, una ragazza che lavora qui» dissi, intimidita dalla sua presenza.

«Quanto tempo è passato! – disse aprendosi ad un enorme sorriso, facendo comparire sul suo volto due adorabili fossette – a quanto pare così tanto da non ricordarti più di me, vero Bea?».

Ero alquanto confusa da quell’affermazione, ma in effetti la sua fisionomia non mi era nuova, mi sembrava di conoscerlo. Cercai di scrutarlo, per associare la sua figura a qualche mia conoscenza passata, ma quella furia di mia cugina mi distolse improvvisamente dal mio studio accurato.

«Harry, non è qui nemmeno da un giorno e già la importuni? Ti prego datti una regolata. Vai a provarci con qualcun’altra, lei ormai è off-limits per te!».

Harry???? Quel Harry??? Il ragazzo di cui mi ero follemente innamorata da adolescente e a cui avevo dato il mio primo bacio era qui davanti a me e io stentavo a riconoscerlo? C’era qualcosa che non quadrava; dovevo ammettere che, anche se non l’avevo riconosciuto, il mio corpo l’aveva fatto eccome. L’effetto che mi provocava quel ragazzino non era affatto cambiato negli anni. 

Restai basita da quella scoperta, continuando a guardarlo come un pesce lesso. Elis mi strattonò facendomi tornare alla realtà.

«Scusami, non ti avevo riconosciuto. Che stupida!» dissi.

«Tranquilla, anche io ho avuto difficoltà, ma poi non ho potuto fare a meno di ricordare i tuoi occhi. Mi hanno perseguitato per anni» disse, sfoggiando un sorriso alquanto malizioso.

«Si, ok! – s’intromise mia cugina – ora dobbiamo proprio andare. Ciao, Harold; e ricordati che ti ho avvertito!».

Elis, che si era fiondata come un falco nella conversazione, come per salvare una donzella in pericolo, mi afferrò per un braccio e trascinò via di lì, senza avere nemmeno il tempo di rivolgere un saluto a Harry. Provavo una strana sensazione, mai provata prima; mi sentivo debole, ma rinvigorita da quell’incontro. Il mio stomaco rumoreggiava, sentivo qualcosa lì, come se si stesse contorcendo. Eppure ero un tipo razionale, raramente mi facevo prendere, e soprattutto, trascinare dalle emozioni.

«Bea! Terra chiama Bea!» canticchiò mia cugina, distogliendomi dal vortice d’emozioni che stava invadendo il mio organismo.

«Bea, senti. Guardami – mi voltai puntando gli occhi su di lei meccanicamente – ti ricordi il bellissimo stronzo di cui ti parlavo ieri a tavola? Beh, è lui. Harry si è laureato a Yale con il massimo dei voti, ma in compenso è anche diventato un grande stronzo; tratta le ragazze come merce di scambio. Lo conosco ormai, siamo amici, e non ha mai avuto una ragazza per più di due ore. Non incasinarti la vita, non è più l’ Harry di una volta». 

Sentivo le sue parole, ma era come se non riuscissi ad assimilarle. In quel momento mi sentivo come chiusa in una bolla.

«Non ti avvicinare più a lui – continuò – capito? Lo dico per te. Non voglio vederti stare male – fece una pausa – Bea, dì qualcosa».

E nella mia mente provai a formulare qualcosa: «Ok Elis. E’ che mi sento così strana, non so cosa mi prende. Era tanto che non lo vedevo, e questo incontro mi ha davvero scombussolato. Penso che il mio stomaco si voglia staccare dal resto del corpo» dissi con voce incerta.

«Bea, vengono comunemente definite “farfalle allo stomaco”. Si calmeranno – sorrise – dai, ora andiamo a casa».

Non avevo provato una sensazione simile nemmeno con Enrico; sentivo come se il mio corpo sentisse il richiamo di qualcosa, qualcosa che evidentemente mi era sconosciuto. Avevo sempre pensato di essere innamorata di Enrico; ma se non avevo provato queste sensazioni, che a quanto pare erano alla base di qualcosa di forte, come potevo avere la certezza di essermi realmente innamorata nella mia vita? Avevo avuto solo un ragazzo, quindi non avevo alcun termine di paragone. 

La separazione da Enrico era stata difficile, ma ero stata male soprattutto perché aveva ferito il mio orgoglio e la mia dignità. Sapevo che la mia sofferenza non era dovuta alla mancanza di quel rapporto,ero sempre stata consapevole che lui non fosse il mio vero amore.

Con questi massimi pensieri andai a tavola, ma non avevo appetito. Guardavo il piatto di pasta davanti a me con disgusto, forse perché il mio stomaco non aveva ancora smesso di contorcersi. Alzai lo sguardo dal mio piatto, vedendo che mia zia e mia cugina mi fissavano, come stranite, dovevo provare a fingere quella serenità d’animo che era repentinamente scomparsa dopo quell’incontro “fatale”. 

Feci un sorriso sforzato e mi sforzai di mangiare la pasta. 

Dopo cena tornai nella mia stanza, a guardare il soffitto, mentre ascoltavo “Amazing” di Janelle. Non riuscivo a fermare la mia immaginazione e la mia mente stava inesorabilmente fantasticando sul mio prossimo incontro con Harry. Forse era meglio se non l’avessi più rivisto, soprattutto dopo aver ascoltato le parole di Elis; questo nuovo pensiero, però, mi provocava una fitta al cuore. Ma in fondo non lo conoscevo più, poteva non piacermi più come una volta, potrebbe essere talmente cambiato da disgustarmi; forse aveva ragione Elis. Sicuramente mi avrebbe trattata come tutte le altre, sedotta e abbandonata.

Non riuscivo ad addormentarmi.

Harry aveva segnato la mia adolescenza. Ero stata invaghita di lui per anni e poi, come logico che sia, il tempo aveva guarito le piccole ferite di un adolescente. Averlo rincontrato aveva riaperto quella parte di cuore che avevo chiuso a chiave, facendo riaffiorare tutti i ricordi e i sentimenti che mi legano a lui.

Ma sarebbe passato anche questo momento.

Doveva.

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Capitolo 5
*** Ballo in maschera ***


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Mi svegliai di soprassalto. 

Elis era accanto a me e mi guardava con uno sguardo pieno d’amore, ma al tempo stesso pieno di preoccupazione; le lanciai un sorriso affettuoso e mi tolsi le cuffie. La guardai e notai che il suo sguardo mi poneva una domanda che la sua bocca non riusciva a formulare, forse per paura della mia risposta.

«Mi passerà, Elis. Tranquilla. E’ solo che Harry mi ha colpito, come non mi succedeva da tempo; il suo sguardo, il suo atteggiamento, il suo modo di porsi hanno scaturito in me qualcosa. Sembra così sicuro di sé, così tenebroso» dissi per rincuorarla.

«Stasera sarà alla festa – disse preoccupata – lui esce con noi, Bea. E’ per questo che sono in pensiero per te, tutto qui» la sua fronte era corrucciata.

«Allora vorrà dire che gli starò alla larga. Ma ora cambiamo argomento, o almeno soggetto; abbiamo parlato sempre di me, ma ora confessati. Tu e il mondo maschile in che rapporto siete?» le riservai un grande sorriso d’incoraggiamento.

«La mia situazione sentimentale non è molto diversa dalla tua, sai?! Sono stata con due ragazzi, non per molto tempo, solo per pochi mesi. Ma entrambi volevano quel di più che non ero disposta a dargli, almeno non dopo due giorni, così finiva sempre. Ora c’è un ragazzo, che in realtà è sempre stato nei miei pensieri, ma che non mi fila per niente. Si chiama Niall ed è, neanche a farlo di proposito, il migliore amico di Harry. E’ bellissimo – aveva gli occhi a forma di cuore, era veramente presa a quanto pare – solo che non ho il coraggio di farmi avanti. Ho paura di essere rifiutata o, ancor peggio, di essere usata».

Le sue labbra, che mentre descriveva Niall erano piegate in un sorriso, ora si erano curvate verso il basso, in un’espressione triste, quasi rassegnata. Per la prima volta vedevo mia cugina insicura, non era da lei comportarsi così. Avrei voluto capire meglio la situazione e cercare di aiutarla.

«Di cosa parlate di solito?» dissi e immediatamente lei, con fare colpevole, si guardò nervosamente le mani, intrecciate l’un l’altra.

«Non gli ho mai rivolto la parola» disse piano.

«Cosa? – le chiesi aumentando il tono della mia voce – Tu, miss logorroica, non gli hai mai rivolto la parola? Chi sei!? Cosa ne hai fatto di mia cugina» conclusi in tono leggermente ironico, anche per sdrammatizzare la situazione.

«E’ l’unico ragazzo che mi è sempre piaciuto veramente, ma non riesco a iniziare un discorso con lui. Mi blocco. Mi piace da quando andavo a liceo; lui ha fatto la corte a tutte le mie compagnie, ma mai a me. Quindi è assodato che non gli piaccio» disse timidamente.

«O non si sente all’altezza! – la incalzai – vedremo cosa si può fare. Tu aiuti me ed io aiuto te, giusto?».

«Giusto. Ora andiamo a prepararci, farfallina» e si alzò, mentre un sorriso le si era stampato in volto.

Ok, essere donna era veramente stressante, non so se ero adatta a tutto questo. La preparazione fu davvero estenuante; stare due ore seduta in una sedia a truccarmi e sistemarmi i capelli mi era risultato quasi impossibile. Quando però mi guardai allo specchio, pensai che nella mia faccia ci fosse troppo trucco, anche perché avrei dovuto indossare una maschera per tutto il tempo.

«Elis, scusa la domanda, ma perché tutto questo trucco se poi avrò sempre indosso la maschera?» dissi seccata.

«Ma non avrai la maschera per tutta la sera! – raggelai alla sua affermazione – a mezzanotte ci sarà il conto alla rovescia e poi tutti si toglieranno la propria maschera».

Era eccitata all’idea, a differenza di me, che ero terrorizzata. Odiavo l’idea di indossare una maschera, ma era sempre meglio di essere scrutata da tutti i presenti, a me sconosciuti.

«Capito» dalla mia bocca non riuscì ad uscire una parola con più di tre sillabe. 

Dopo aver mangiato una mega pizza al formaggio, entrammo nella cabina armadio per indossare i nostri travestimenti. Passata mezz’ora eravamo già pronte, per fortuna: Elis indossa un vestito bianco, che le cadeva appena sopra il ginocchio; aveva uno stretto bustino che le evidenziava le fantastiche curve, mentre la gonna era tutta a balze di voile. 

Era un angelo bellissimo; i capelli li aveva tenuti sciolti e ondulati con un cerchietto bianco, come a richiamare un’aureola. La sua maschera, invece, era bianca di pizzo. Era di una bellezza mozzafiato. Dopo averla vista, non ero più sicura di volermi guardare allo specchio. Feci un respiro profondo ed Elis mi portò davanti al suo specchio. 

WOW! Ero davvero irriconoscibile. Una succinta tuta rosa antico mi evidenziava le curve, di solito inesistenti; era molto sagomata. Un paio di grandi orecchini di perle spiccavano, dando luce al mio viso. Il trucco era una favola visto nel complesso: molto brillante, con un ombretto rosa che contrastava con i miei occhi verdi. Due trecce mi partivano dall’attaccatura dei cappelli, per poi andare a formare un grosso chignon al quale era attaccata una retina argentata. La maschera invece era dello stesso colore del vestito, ricoperta da piccoli brillanti. Due deliziose ali trasparenti erano attaccate sulla parte posteriore del vestito. Mi sentii come se stessi andando ad un ballo di fine anno tipicamente americano. 

Mi sembrava di essere in un sogno.

«Sei bellissima, Bea».

«Anche tu, Elis» mi disse, mentre ci sorridevamo come due sceme.

Alle dieci eravamo fuori di casa e salimmo nella nuova Audi TT nera di Elis, il suo regalo di laurea. Sfrecciammo nella New York mondana, tutta illuminata e dopo dieci minuti arrivammo davanti ad una grande villa di cotto a tre piani. Davanti si ergeva un giardino pieno di peonie bianche e lilla; nel retro si poteva intravedere una piscina.

«Sei pronta?» mi sorrise Elis, con una punta d’incoraggiamento. 

Lei era totalmente a suo agio, d’altronde quelli dentro erano i suoi amici, non aveva motivo di essere in ansia, a differenza mia.

«Si» dissi tra l’eccitazione e il terrore.

E in me nacque di nuovo quella strana, ma intensa sensazione: il mio stomaco si stava contorcendo. 

Forse, anzi sicuramente, perché ero consapevole di poterlo rivedere. 

«Eli!» urlò a squarciagola una voce maschile dal vialetto. 

Era un ragazzo alto e snello, vestito da fenice. Indossava un paio di pantaloni e una maglia arancio e due enormi ali dello stesso colore; capelli castani e occhi castani si riuscivano a distinguere nonostante la maschera. Elis si portò immediatamente l’indice davanti alla bocca, come per zittirlo, ma era visibilmente divertita; vedevo il suo sorriso attraverso la maschera.

«Liam, questa è una festa in maschera; ovvero le nostre identità devono rimanere segrete almeno fino a mezzanotte».

«Scusami – disse con espressione realmente dispiaciuta – ho riconosciuto la tua camminata e non ho resistito» distolse per un attimo lo sguardo ammaliato da mia cugina e lo rivolse verso di me. 

Aveva uno sguardo interrogativo, ma anche colpito. Subito impallidii e abbassai lo sguardo, imbarazzata. 

«Ah, scusami. Questa è mia cugina Bea, te ne avevo parlato, ricordi?» disse Elis.

«Si, piacere – mi porse la sua mano e strinse la mia con forza – sono il migliore amico di Elis, Liam».

«Piacere mio» gli sorrisi.

«Bene, andiamo» c’incalzò Elis, che proseguì verso l’entrata.

La casa era piena di gente e la varietà di maschere era allucinante; l’arredamento della casa era però spoglio. Sul retro c’erano un’enorme piscina ovale e un giardino, con dei tratti di pineta; un percorso fatto di ciottoli formava un sentiero che finiva in un enorme gazebo, dove era allestita una console. Probabilmente il ballo sarebbe avvenuto lì.

«Ti piace?» disse Liam rivolgendosi a me.

«Si, è molto bello qui» sorrisi intimidita.

«Spero diventeremo anche noi buoni amici. Quanto tempo resterai qui?».

«Almeno sei mesi, però non ho ancora fatto il biglietto di ritorno».

«Fantastico!» sorrise apertamente.

«V’invitiamo a dirigervi tutti verso la pista da ballo, grazie2 dalle casse rimbombò una voce maschile, che interruppe la mia conversazione con Liam.

«Oh, si comincia. Vieni».

Liam mi afferrò per mano e mi trascinò in pista. Elis era dietro di noi.

La voce continuò: «Bene, questa serata in maschera è dedicata alle coppie, a quelle che si formeranno, ma anche a quelle che scoppieranno – fece una risata- il ballo consisterà in sei lenti; alla fine di ognuno si dovrà cambiare partner, sempre che non si sia formata una coppia. L’unione della nuova coppia dovrà essere suggellata con un bacio – fece una pausa – questo ballo è stato organizzato per divertirsi e conoscerci, quindi non abbiate paura» concluse.

«Dimenticavo - disse di novo la voce in diffusione -  A mezzanotte avverrà un conto alla rovescia, allo scadere del quale tutti dovremo togliere le maschere, per svelare la propria identità. Dopo inizierà la vera festa» il vocalist, travestito da zombie, fece l’occhiolino e scese dalla console. 

Elis era tornata vicino a noi, ma non sembrava molto felice dell’organizzazione della serata; continuava a brontolare qualcosa d’incomprensibile.

«Bea, io vado a prendere qualcosa da bere; salto il primo ballo. Tu balla con Liam, poi al secondo faremo il cambio, ok?» disse con aria annoiata Elis.

«Ok» dissi imbarazzata.

«E’ perfetto! – affermò Liam – oggi ho due donne tutte per me! Che cosa potrei chiedere di più».

Le note di una canzone cantata da Elton John risuonavano dalle casse, e ognuno si avvicinò al suo partner; Liam mi guardava fisso, gli sorrisi mentre lui prese l’iniziativa. Si avvicinò, mi cinse la vita, forse in modo troppo intimo. Io automaticamente gli poggiai le mani sulle spalle, imbarazzata. L’avevo appena conosciuto, ma sentivo che era un bravo ragazzo, lo doveva essere per forza, era amico di Elis, così mi tranquillizzai. Per fortuna fu comprensivo e mantenne le distanze.

«Bea, sciogliamo un po’ il ghiaccio. Come mai sei venuta qua?» domandò con aria curiosa.

«Mi sono laureata da poco, mi serviva una pausa e poi sono in cerca di un’ispirazione» dissi, stranamente a mio agio.

«In cosa ti sei laureata?».

«In lettere moderne, adoro scrivere. Il mio sogno sarebbe di diventare scrittrice, ma in questo momento non tho ancora una storia valida da raccontare».

«Ah, allora cerchi l’ispirazione per scrivere qualcosa?». 

Annuii.

«Beh, sarebbe utile vivere una storia d’amore passionale e travolgente, che potrebbe nascere in un nuovo paese sconosciuto. Sarebbe proprio una grande ispirazione – disse una voce maschile dietro di me – il primo ballo è finito, quindi, se non vi baciate, vorrei chiedere il cambio dama».

Mi girai nella direzione da cui proveniva la voce. 

Era un ragazzo alto e muscoloso, che portava una giacca e un pantalone nero, con sotto una camicia bianca e un papillon nero. Indossava una maschera nera molto ben rifinita, che gli copriva praticamente l’intero volto. Il suo travestimento lo faceva apparire un incrocio tra il cavaliere oscuro e James Bond. In pista c’era buio, perciò non riuscivo a vedere bene il suo volto, potevo scorgere solo le sue labbra strette in un sorriso furbo, erano carnose e visibilmente morbide. 

Mi accorsi di avere un’espressione inebetita; odiavo con tutta me stessa essere presa alla sprovvista e stare al centro dell’attenzione, mi rendeva nervosa. 

Liam aveva uno sguardo corrucciato, e visibilmente infastidito, che si spostava da me a lui: «Bea, sicura che non vuoi continuare con me?».

Non sapevo cosa rispondere. Se avessi voluto continuare con lui, avrei dovuto baciarlo? 

No, non volevo baciarlo, assolutamente. Per carità, era stato carino, ma conoscevo solo metà del suo volto; non potevo proprio farlo. 

Il cavaliere oscuro parlò di nuovo: «Beh, se vuoi continuare con lui, devi baciarlo. Sono le regole» il suo costante sorriso m’irritava.

Eh, no! Non volevo baciarlo.

«Liam, non preoccuparti per me. Vai a ballare con Elis» dissi, forse troppo poco convinta.

«Mi sa che anche lei ha trovato un accompagnatore». 

Il cavaliere oscuro indicò un angolo lontano della pista. Vidi Elis avvinghiata ad un ragazzo vestito da diavolo. Formavano una coppia perfetta, direi. Sorrisi al pensiero. Liam aveva lo sguardo perso nel mio.

«Liam, stai tranquillo. Puoi andare, starò bene. Vai a vedere se mia cugina sta bene, anche se a quanto vedo, non se la passa male. Io me la so cavare». 

Non so dove trovai tutta questa determinazione. Liam si arrese e cominciò a camminare verso Elis.

Bene, ero sola con un ragazzo che non conoscevo, in mezzo a persone sconosciute. La mia serata non poteva andare meglio di così! Ad un tratto i miei pensieri si bloccarono. Il mio nuovo cavaliere era davanti a me che mi tendeva la sua grande mano, da buon gentiluomo; dopo attimi di esitazione, mi decisi ad accogliere la sua silenziosa richiesta. Rimasi scioccata: quando toccai la sua fredda mano, un brivido intenso si propagò in tutto il mio corpo, ma non potei farci molta attenzione perché mi ritrovai a volteggiare tra le sua braccia sulle note di “In the arms of an angel”, una delle mie canzoni preferite.

«Beh, non sono un angelo, ma per il resto ci siamo» disse con il suo sorriso furbo.

«Cosa?» dissi confusa. 

Non capivo niente, ero stordita. Stordita soprattutto dal suo profumo.

«La canzone s’intitola “nelle braccia di un angelo” -  sorrise ironicamente, sopraffatto dalla mia sbadataggine - Tu sei tra le braccia di qualcuno, ma di sicuro non di un angelo» disse, mentre il suo sorriso malizioso s’incupiva.

«Correrò il rischio. E poi sono una farfalla, posso volare via quando voglio». 

Ad un tratto mi sentii a mio agio tra le sue braccia. Mi rilassai a tal punto che gli posai le braccia al collo.

Ci guardammo intensamente e, per un attimo, riuscii a scorgere il suo sguardo. Mi sembra di conoscerlo, aveva uno sguardo familiare. Per un attimo ripensai a mia cugina, ma cercandola tra la folla, non riuscivo a vederla. Lui si accorse subito chi stessi cercando.

«Tua cugina è con un mio amico. E’ stata una mia idea: lui è sempre stato pazzo di lei, ma non ha mai avuto il coraggio di dichiararsi; allora ho colto l’occasione e li ho fatti ballare insieme, così avevo più possibilità di ballare con te. Direi che sono riuscito in parte nel mio intento – sorrise – a dire la verità, la sua cottarella è stata per me solo un pretesto per ballare con te» sorrise, facendo tornare il suo sorriso malizioso.

«E chi ti assicurava che avrei accettato?» dissi spudoratamente. 

Ma che mi succedeva? Da quando ero diventata così loquace?

«Diciamo solo che ci speravo>. 

Questo ragazzo del mistero mi sorprendeva ogni secondo di più, ed era sorprendente quanto mi sentissi a mio agio con lui vicino. 

La seconda canzone si dissolse e ne iniziò una terza. Improvvisamente sperai che nessuno venisse a chiedere il cambio dama; ero troppo incuriosita da questo ragazzo, forse più del dovuto. Whitney Houston iniziò a cantare “I’ll always love you” ed io iniziai a rilassarmi, perché nessuno aveva chiesto il cambio dama. 

Aveva detto che sperava che accettassi, ma come fa a sapere chi ero? 

Io ero qui solo da due giorni e non avevo conosciuto nessuno, ma in quel momento tutte le domande morirono anche solo prima di essere formulate, non mi andava di fargli domande del genere: volevo solo godermi quel momento. Mi sentivo felice e spensierata; non mi capitava da molto tempo, anzi, non mi era mai capitato. Alzai lo sguardo e mi accorsi che mi stava fissando. Finalmente riuscii a scorgere i suoi occhi, erano verdi, profondi e intensi. 

Fu come se il tempo si bloccasse, restammo a guardarci dentro fino alla fine della canzone; ne iniziò un’altra e attorno a me non vedevo nessuno che volesse intromettersi tra noi, per rovinare questo momento. 

«”Someone like you”, sembra una canzone perfetta per il momento – il suo sguardo mi entrò dentro, attraversandomi l’anima – già, dove altro si trova qualcuno come te, con questi occhi, con questo sguardo» disse, e io non potei fare a meno di arrossire, mentre il mio stomaco si stava di nuovo contorcendo.

Rossore, sguardo che penetra, stomaco in subbuglio erano sensazioni nuove, ma allo stesso tempo familiari. Sensazioni che mi aveva fatto provare solo una persona. E ad un tratto capii che si celava dietro quella maschera. 

Sbarrai gli occhi. 

 

Harry!

 

ANGLO DELL'AUTRICE:

eccomi qui!

grazie a tute le persone che hanno letto e commentato i precedenti capitoli e grazie anche ai lettori silenziosi <3

questo capitolo è uno dei miei preferiti, quindi spero che sia di vostro gradimento.

domani ricomincio l'università, ma soero di continuare a pubblicare almeno una volta a settimana o anche 2. 

questo capitolo è dedicato a tre persone speciali che fanno parte della mia vita: Fede, Deb e Sara <3 grazie di esistere e grazie di avermi permesso di condividere con voi questo cammino!

 

alla prossima, 

BARB

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Capitolo 6
*** Sulle nuvole ***


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Esistono spiriti liberi, audaci, che vorrebbero nascondere e negare di essere cuori infranti, superbi, immedicabili; e talvolta la follia stessa è la maschera per un sapere infelice troppo certo.

Friedrich Nietzsche.

 

 

Ancora sconcertata da quella scoperta non mi ero accorta che Liam era accanto a me. 

No, Liam, no!

«Cambio dama!» disse freddamente, trafiggendo con lo sguardo il mio cavaliere.    

«Solo se lei vuole» disse il ragazzo del mistero, non più così tanto del mistero, guardandomi speranzoso. 

Il panico invase il mio corpo. Volevo? Cuore e testa erano in procinto di iniziare una vera e propria guerra mondiale, ma sapevo perfettamente che uno prevaleva nettamente.

«No!» dissi con tono fermo e deciso, che poco mi apparteneva.

«Cosa no?» Liam aveva un’espressione delusa.

«Vorrei fare un altro ballo con lui, se non ti dispiace, Liam» dissi più dolcemente.

«Bea, ci sono delle regole qui – disse Liam, sorridendo sornione. Sapevo perfettamente dove voleva arrivare – devi baciarlo».

Ecco! Mi ero messa in un bel casino; cosa avrei dovuto fare? 

Sentii il mio cuore battere all’impazzata, stavo iniziando a sudare freddo e avevo la bocca asciutta. Sapevo quasi per certo che dietro quella maschera c’era Harry, e, anche se Elis mi aveva avvertito, non riuscivo a resistere al richiamo del mio cuore, che mi incitava a baciarlo. Non ebbi nemmeno il tempo di pensare a cosa fare che le sue morbide e carnose labbra si poggiarono dolcemente sulle mie; ora sapevo per certo che erano morbide. Le sue labbra restarono sulle mie, dolcemente immobili, restarono attaccate per un tempo che mi sembrò infinito, sembrava che il tempo si fosse fermato. 

Il suo bacio fu casto e dolce, e gliene fui grata. Ora sapevo perfettamente chi fosse, non avrei mai potuto dimenticare quelle labbra che per prime lambirono le mie, era lui. Quando dolcemente si staccò da me non riuscii nemmeno ad alzare lo sguardo, avevo ancora gli occhi sbarrati dallo sgomento. 

Non potevo credere a quello che era appena successo. 

Guardai sottecchi Liam: aveva un’espressione tra il furioso e lo scioccato. Non credevo che si aspettasse questo. Beh, nemmeno io, ma era stata quasi totalmente colpa sua.

«Ora se vuoi scusarci, vorremmo continuare a ballare» disse il “mio” cavaliere.

Mi poggiò nuovamente le mani sui fianchi e mi avvicinò a lui, con dolcezza. Mi sentivo incredibilmente protetta tra le sue braccia, per questo gli misi le mani intorno al collo e, siccome non avevo ancora il coraggio di guardarlo negli occhi, appoggiai la testa sul suo petto. Riuscivo a sentire il suo cuore battere, e il suo respiro vicino al mio volto. 

Era agitato? 

Avrei voluto tanto sapere cosa provasse  in quel momento.

«Come ti chiami? E’ imbarazzante essere baciata da qualcuno di cui non conosci neanche il nome, uno sconosciuto» dissi con il volto ancora sul suo petto.

«E’ incredibile che per te io sia considerato ancora uno sconosciuto» disse sarcastico, ma alzando gli occhi vidi che il suo sguardo si era incupito.

«Beh, non so chi sei» feci la finta tonta, volevo farlo stare sulle spine, in fondo un po’ lo meritava per come aveva trattato il povero Liam.

«Io credo che tu l’abbia capito. Ad ogni modo, non manca tanto; tra poco lo scoprirai».

Erano le 23:57. Mancavano solo tre minuti per scoprire l’identità del cavaliere oscuro. Improvvisamente ero invasa da mille emozioni. Lui sapeva sicuramente chi fossi, ma l’ansia s’impossessò ugualmente di me. Entrambi eravamo tesi, pur sapendo chi si celasse sotto le maschere. Forse perché, una volta tolte le maschere, ci saremmo davvero visti e il dolce e intenso bacio che c’eravamo scambiati diventava in qualche modo reale.

«E se scoprissi chi sei e tu non mi piacessi?» lo incalzai. 

Ero alquanto divertita dal mio stupido giochetto, ma ero ancora più stranita dalla mia capacità di interagire con quel ragazzo.

«Non penso che questo possa accadere – restai di sasso davanti alla sua sfacciataggine – sarebbe quasi impossibile che io non ti piaccia. La chimica tra noi due è palpabile. L’ho capito molto tempo fa».

«Quindi tu sai chi sono?» dissi sorniona.

«Si, sapevo che saresti stata qui. Ti ho cercato tra la folla e poi ti ho visto con Liam. Ballavate in modo freddo e distaccato. Non così» disse mentre faceva scorrere le mani dall’alto verso il basso, sfiorandomi coste e fianchi. 

Il suo sguardo era fisso nel mio, e il mio nel suo. 

Questo ragazzo provocava in me sensazioni nuove. Ogni gesto o parola che gli appartenesse era per me una scoperta, una magnifica scoperta. Sentii i brividi che percorrevano tutto il mio corpo, accarezzando tutte le mie parti anatomiche. Quando eravamo solo adolescenti provavo emozioni diverse al suo tocco; ora ero una donna e le sensazioni che mi trasmetteva erano di gran lunga superiori e mature rispetto al passato.

La voce del vocalist si fece sentire e i battiti del mio cuore aumentarono. «Bene ragazzi – ci guardammo con tensione ed aspettativa – tra meno di un minuto svelerete le vostre identità». 

I secondi passarono in fretta e i nostri sguardi restarono fissi l’uno dentro l’altro. Eravamo totalmente in noi stessi.

«Tre – il vocalist alzò il tono della voce – Due – ora parlava con ancor più enfasi – Uno! Zero! Ora, uomini togliete le maschere alle vostre donne del mistero! Dopo faranno lo stesso a voi!». 

Nonostante lui sapesse la mia identità, ero un fascio di nervi. Se non gli fossi piaciuta più? In fin dei conti mi aveva rivista solo una volta. Ma perché continuavo a sperare di piacergli? Io non la volevo mica una storia! Senza staccare gli occhi dai miei, allungò le braccia e poggiò con delicatezza le mani sul mio viso. Con altrettanta dolcezza inaspettata mi sfilò la maschera, mentre uno dei suoi bei sorrisi gli si stampava in volto. Attorno a me era come se non ci fosse più nessuno, a parte noi. Era come se la sua presenza oscurasse tutto ciò che mi stava intorno. 

Ma ora toccava a me. 

Mi accorsi di avere ancora le mani intorno al suo collo, perciò le alzai piano, accarezzandolo e lui socchiuse gli occhi. Gli toccai delicatamente la mascella e salii verso gli zigomi, coperti dalla maschera. Era preoccupato; me ne accorsi dall’espressione della sua bocca: aveva un sorriso sforzato, pieno di preoccupazione, come se avesse la consapevolezza che una volta tolta la maschera, la magia tra noi svanisse. Afferrai decisa la maschera dai lati e, facendo un profondo respiro, la sfilai. 

Era lui! 

Grazie alle luci, che non mi ero accorta si fossero accese, potevo vederlo in tutta la sua bellezza. I suoi meravigliosi occhi verdi smeraldo mi guardarono preoccupati. Il suo sguardo cercava delle risposte nel mio; lo guardai con un sorriso stampato in faccia, un sorriso ammaliato, dettato dalla felicità del momento.

«Ciao» disse, ancora visibilmente teso.

«Ciao a te» dissi, sorridendo come una stupida.

«Vuoi andare a fare un giro?». 

Mi tese la mano.

«Non lo so – dissi, d’un tratto remissiva – forse dovrei cercare Elis, non la vedo più».

Non mi fidavo di lui a tal punto da andarci in giro da sola, non sapevo realmente quanto fosse cambiato in questi anni.

«Bea, non dirmi che hai paura che possa approfittarmi di te! Cazzo, ci conosciamo da quando eravamo piccoli. Non sono diventato un mostro nel lasso di tempo in cui non ci siamo visti» disse, ferito.

«Lo spero! E’ solo che, crescendo, tutti possiamo cambiare; non so che persona tu sia diventata». 

Ero mortificata, perché aveva ragione; nonostante quello che mi aveva detto Elis, non credevo fosse diventato una brutta persona.

«A quanto pare tua cugina ti ha parlato di me».

«Q.B.» dissi sorridendo, non c’aveva messo molto a capire.

«Q.B.?» chiese interrogativo.

«Quanto basta» dissi sghignazzando.

«Credo che abbia ragione su tutto quello che ti ha detto. Non sono un tipo molto affidabile, ne sono consapevole, ma se volevo, invece di baciarti come ho fatto, potevo osare di più. Credo che appartenga maggiormente al ritratto che tua cugina ha fatto di me. Ma so come sei fatta e lo rispetto, anzi non mi dispiace affatto; sei diversa da tutte le altre ragazze, è questo che mi ha sempre colpito di te». 

Restai a fissarlo, senza parole.

«Bea, voglio solo parlare un po’ con te, da solo, non in mezzo a tutta questa gente. Odio che la gente parli di me e odio ancor di più il fatto che possano pensare che tu sia solo un’altra mia conquista. Non ti toccherò con un dito se non vuoi. Giuro». 

Il suo sguardo, forse per la prima volta, era limpido, sincero.

«Va bene, ma prima voglio sapere dov’è Elis». 

Non potei non arrendermi davanti alla sua bellezza, era come se mi rendesse impotente.

«E’ con Niall vicino ai laghetti, in giardino; mi ha mandato un messaggio».

«Andiamo allora». 

Prese con vigore la mia mano e mi spinse verso di lui, trascinandomi verso il giardino. Questa villa era immensa; il giardino alternava spazi di verde e pinete, integrate con diverse strutture: gazebo, piccoli orti e anche campi da tennis e calcio. 

Harry mi portò quasi all’estremità del giardino, dove si trovava un piccolo edificio che somigliava ad una piccola rimessa. Andammo sul retro, dove era posizionata una panchina con davanti un piccolo orto con al centro una piccola fontana in disuso. I grandi alberi che crescevano alle estremità della rimessa la ricoprivano interamente, formando un tetto artificiale. Anche se il posto non era ben tenuto, offriva un’atmosfera romantica.

«Porti qui tutte le tue conquiste ogni volta che c’è una festa?». 

Lo provocai, ma d’un tratto avrei voluto rimangiarmi la mia domanda inopportuna.

«No, ovviamente. Di solito ci vengo da solo, per rilassarmi. Mi piace estraniarmi per un po’ dalla massa». 

Mi sentii ridicola per la mia precedente provocazione.

«Voglio che mi parli un po’ di te». 

Restai di sasso alle sue parole; non ero abituata a queste richieste. Le poche amicizie che avevo instaurato negli anni non prevedevano certe cose, di solito ero io che perennemente ascoltavo i problemi altrui.

«Non c’è molto da dire, in realtà. Ho una vita piuttosto noiosa» dissi chinando lo sguardo. 

Istantaneamente sperai che non notasse il rossore delle mie gote.

«Cercherò di restare sveglio» sorrise come per incoraggiarmi.

«Come penso tu sappia, vivo a Milano con mia madre. Dall’ultima volta che sono venuta qui la mia vita si è complicata: mio padre se n’è andato quando avevo dodici anni e d’allora non ho più sue notizie. Per distrarmi da questa situazione, ho dedicato tutta la mia adolescenza allo studio. Mi sono diplomata e laureata con il massimo dei voti, così ho deciso di prendermi una piccola pausa e venire a trovare Mara ed Elis. Fine». 

Tralasciai di proposito la mia storia con Enrico, non sapevo ancora se potevo fidarmi a tal punto da raccontare una cosa di cui, oltre mia madre e alcuni amici, nessuno era a conoscenza. Eppure mi era balenato nella mente di aprirmi; strano da parte mia.

«Non ti ha fatto soffrire lasciare gli amici e i parenti?». 

Era quasi stupito.

«Non sono più abituata a fidarmi della gente, non riesco più ad aprirmi. Per questo la mia unica amica è Elis». 

Mi sentii a disagio per quell’ affermazione.

«E il fidanzato?». 

Arrossii.

«Non esiste» sorrise, quasi sollevato e io provai un insolito piacere interiore alla sua reazione.

«Allora oggi è il mio giorno fortunato» disse maliziosamente.

«Perché mai?» lo provocai.

«Perché ti ho trovato qui, perché mi hai permesso di ballare con te, perché non mi hai schiaffeggiato quando ti ho, diciamo, baciata e perché sei venuta qua con me. Ma soprattutto perché non avrò bisogno di contrastare un grande amore per averti».

Le viscere mi si contorsero. 

Aveva veramente detto “per averti”, come faceva a volere una come me? Sembrava tutto fin troppo bello. Mi resi conto di fissarlo con gli occhi sbarrati dallo stupore. Forse era meglio non far caso alle parole che aveva usato e cambiare discorso. Andai a sedermi nella panchina e lui mi seguì silenzioso.

«Parlami di te ora». 

E subito s’irrigidì.

«Io non parlo mai di me, neanche con i miei più cari amici». 

Per la prima volta lo vedevo debole, turbato.

«Nemmeno io, ma con te ci sono riuscita; mi è risultato più facile del previsto, forse troppo. Penso possa riuscirci anche tu» gli feci un sorriso d’incoraggiamento.

«Tu sei stata abbandonata da tuo padre; io capisco come ti senti. Mia madre è morta quando avevo quindici anni. Le sarebbe piaciuto che mi laureassi in un buon college, così mi sono laureato a Yale con il massimo dei voti. Volevo ringraziarla in qualche modo, e ho scelto questo. La mia vita non è stata facile, ma per fortuna ho un padre fantastico che mi ha sempre sostenuto ed aiutato. Ha fatto un ottimo lavoro con me e mia sorella. Nonostante questo però, la figura di una madre mi è mancata; sono cambiato, come ti ha detto tua cugina, a causa della sua morte, credo». 

Restai di stucco, quasi con le lacrime agli occhi.

«Mi dispiace» dissi con la voce spezzata dalle lacrime, che sarebbero volute scendere.

«Non preoccuparti, è passato molto tempo ormai». 

Poggiò la mano sulla mia e me la strinse, costringendomi a guardarlo. Non capivo come potesse un ragazzo con questo sguardo dolce a trattare le ragazze in modo così meschino e orribile.

«Posso farti una domanda?» dissi.

«Certo».

«Perché ti comporti così male con le ragazze?». 

Mi vergognai della mia spudorata curiosità.

«Non lo so – sputò secco – Non riesco più a provare un reale sentimento per qualcuno, forse è per questo che mi additano come stronzo, e hanno ragione. Forse perché, come te, non mi fido delle persone e quindi tendo a non affezionarmi, o perché ho troppa paura che un giorno se ne vadano, non lo so. Non credo però di aver ancora trovato quella giusta, quella per cui rischiare tutto; una persona che mi faccia sentire completo solo in sua presenza».

Restai di stucco. E’ così aperto con me, nonostante avesse detto di non parlare con nessun, io forse ero riuscita un po’ a scalfire la sua corazza. 

«Io però, al contrario, non sono come te. Non sono mai stata con qualcuno per poi abbandonarlo, perché non vorrei essere abbandonata, quindi non lo faccio agli altri – sbarrò gli occhi e forse per la prima volta si era reso conto cosa comportasse realmente il suo comportamento – in ogni caso, io credo che se una storia non la vivi non puoi sapere come va a finire».

«Forse finora non ho trovato una persona per cui vale la pena tentare» disse con il suo sguardo penetrante. 

Stavolta il suo sguardo non m’intimidii, anzi, mi fece sentire a mio agio, al sicuro.

Portò la sua mano verso il mio viso e cominciò ad accarezzarmi, istintivamente premetti il viso contro la sua mano. Lentamente mosse l’altra mano verso il mio viso e si avvicinò lentamente a me, senza staccare gli occhi dai miei. Il suo sguardo era come una calamita e dentro di me mi sentivo scoppiare, un tumulto di emozione m’invadeva ogni volta. 

Più si avvicinava, più il mio organismo andava in tilt.

«Posso baciarti? Ne sento il bisogno». 

Mi spiazzò, ma lo volevo, perciò annuii timidamente.

«Questa volta però – continuò – sarà un vero bacio» sorrise dolcemente.

Sentii come se dei fuochi d’artificio stessero scoppiando dentro il mio stomaco. 

Con ancora il suo sorriso dolce stampato in faccia, si avvicinò, molto lentamente. Ero pietrificata e terrorizzata, ma allo stesso tempo felice, per la prima volta dopo ciò che mi era accaduto. Il suo sguardo si era spostato sulle mie labbra ed era così vicino che riuscivo a percepire il suo caldo respiro, mentre le nostre labbra quasi si sfioravano. 

Mi baciò con dolcezza il labbro superiore, poi spostò l’attenzione su quello inferiore, succhiandolo leggermente. Mi rilassai e ricambiai i suoi baci; così il bacio, inizialmente dolce e calmo, si trasformò, diventando passionale e voglioso, ma restando armonioso. Le mie mani erano intrecciate tra i suoi soffici capelli cioccolato; le sue mani, grandi e possenti, sul mio viso. Con il pollice mi carezzava le tempie e gli zigomi. Il bacio non perse mai il desiderio iniziale, le nostre lingue s’incontrarono, si cercavano. Era un bacio senza precedenti e potevo sentire la voglia e il bisogno che avevamo l’uno dell’altro. Avevo baciato qualche altro ragazzo dopo di lui, ma nessuno mi aveva mai trasmesso questo tumulto interno. 

Dopo qualche minuto, si scostò per fissarmi.

«Sei bellissima. E hai un sapore buonissimo – sorrise, io come da consuetudine arrossii, voltandomi – Non girarti. Non so come mai, ma con te il tempo sembra passare troppo in fretta. Con te riesco ad essere me stesso, mi piaccio quando sono con te».

Mi baciò di nuovo, in maniera molto più intensa e sicura. Le sue mani si muovevano sui miei fianchi, in alto e in basso, ma non andarono oltre. Le mie mani gli accarezzavano il viso, le spalle e i capelli con dei movimenti sinuosi e vogliosi. La sua lingua toccava, cercava ed esplorava la mia. 

Era la sensazione più bella che avessi mai provato, sembrava che le nostre bocche combaciassero perfettamente; non c’era niente di forzato, niente di costruito, tutto era naturale, come lo era stata anche la nostra prima volta. Ma in quel momento quel ricordo mi faceva sorridere, perché ora era tutta un’altra storia! Ora eravamo cresciuti, adulti e consapevoli. 

«Beatrice! – un urlo esagerato mi distrasse, facendomi staccare immediatamente da Harry – Andiamo di corsa a casa!».

Elis arrivò come una furia, seguita da un ragazzo dalla carnagione chiarissima, con capelli biondo cenere e occhi blu marini. Presumevo fosse Niall.

«Harold, spostati». 

Elis era già davanti a noi, fece spostare con uno spintone Harry e mi afferrò per un braccio, trascinandomi verso l’uscita.

Non ebbi nemmeno salutarlo; non capivo perché Elis doveva essere sempre così teatrale. 

Non poteva farmi la scenata a casa? 

Mi voltai a guardarlo. 

Era ancora seduto sulla panchina con lo sguardo preoccupato e addolorato rivolto verso di me. Gli rivolsi un sorriso dispiaciuto e mi girai di nuovo, camminando a testa bassa.

«Elis, calmati, sto bene». 

Si fermò di colpo, ormai eravamo sole.

«Mi hai fatto prendere un colpo, davvero stai bene?».

«Si – feci una pausa – è stato carino e dolce, molto diverso da come me l’aspettavo dalla tua descrizione».

«Di quest’argomento ne parliamo dopo» disse visibilmente arrabbiata.

«Ok – dissi, ormai rassegnata – a te è andata bene, vero?».

Era meglio cambiare discorso, in questo ero davvero in gamba, infatti il suo sguardo cambiò, diventando raggiante.

«Si, è stata proprio una bella serata, fino a quando non ti ho persa» mi sgridò.

«Lo sai che ti ha organizzato tutto Harry?».

«Si, ma a quanto pare l’ha fatto solo per trarne dei vantaggi, lui è così».

«Che vantaggi?».

«Te!» disse secca, mentre dentro di me festeggiavo questa constatazione.

Il tragitto verso casa fu estremamente silenzioso e nessuna delle due ebbe il coraggio di parlare di quello che era successo.

«Ne parliamo domani, sono molto stanca. Buonanotte, Bea» disse Elis quando varcammo l’ingresso di casa.

«Ok, notte».

Entrai in camera a testa bassa. Perché mi sentivo così in colpa? In fondo avevo solo fatto ciò che mi sentivo, ciò che mi sembrava giusto in quel momento. Non capivo perché Elis se la prendeva così tanto. 

La mia tutina profumava ancora di lui, restai qualche minuto a sniffare quel meraviglioso odore su di me. Mi spogliai, buttandomi a capofitto nel letto. Mi alzai di scatto e mi misi a frugare nella mia borsetta: trovando la sua maschera, che avevo gentilmente messo in borsa. La misi sotto il cuscino, spensi la luce e scoppiai in un pianto liberatorio; avevo proprio bisogno di sfogarmi. 

 

Dopo pochi minuti, crollai in un profondo sonno.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno letto la mia storia fino ad ora! 

GRAZIE perchè siamo arrivate quasi ad 800 visualizzazioni e io non potrei essere più fiera di voi.

GRAZIE perchè avete apprezzato la mia storia e spero di non deludervi andando avanti.

Passiamo alla storia! Finalmente si sono baciati! che ne pensate??? Elis ha interrotto un pò l'atmosfera romantica, ma capitela, ha solo paura che Bea soffra. Ma magari un giorno cambierà idea....CHISSA'.

ora torno a studiare, perchè domani ho un esame :S 

NON VOGLIO STUDIARE PIU'!!!!

mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate del capitolo..

alla prossima, 

BARB.

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Capitolo 7
*** Primo NON Appuntamento ***


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Tutti vorremmo avere sia l'amore sia la libertà, ma quando otteniamo il primo, perdiamo la seconda. L'unica speranza si trova a metà strada ed è l'amicizia.

L'amico ti dà affetto senza toglierti la libertà.

Luciano De Crescenzo

 

 

 

 

La mattina seguente mi svegliai, ma senza riuscire ad alzarmi dal letto; avevo una paura tremenda di affrontare Elis. Erano ormai le undici, quindi decisi di alzarmi. In cucina trovai Mara, intenta a preparare il pranzo:

«Hei, piccola, tutto bene? – annuii – sei pallidissima!» disse preoccupata.

«No zia, sto bene» dissi, fingendo un sorriso.

«Che cosa vuoi per colazione?» cambiò argomento, capendo il mio imbarazzo.

«Latte e cereali, grazie».

Facemmo colazione insieme e ne approfittammo per parlare un po’; mi servì per dimenticare gli avvenimenti della sera precedente. 

«Dov’è Elis?» chiesi.

«In camera sua, tesoro».

«Vado da lei allora».

Mi diressi verso la stanza di Elis e bussai alla sua porta.

«Avanti!». 

La vidi seduta alla scrivania, davanti ad un grande foglio da disegno. Probabilmente stava disegnando qualche nuovo modello, ma appena mi avvicinai vidi solo due sagome, ancora indistinte; sembrava stessero ballando. 

Capii subito cosa ritraeva: erano lei e Niall, che ballavano stretti l’uno all’altro, guardandosi con un misto d’amore e passione.

«Buongiorno» tentennai, non sapendo il suo umore.

«Ciao Bea!» mi lanciò un sorriso. 

Era di buon umore.

«Raccontami della tua serata» dissi, volendo evitare che il discorso ricadesse su di me.

«Ok – disse con un sorriso raggiante – però dopo parliamo di te, signorina». 

Aveva un’aria minacciosa, mentre mi puntava il dito contro.

«Ok» annuii preoccupata.

«Dunque, da dove inizio – fece una pausa – ah, ecco. Sono andata a prendermi un bicchiere di vodka alla fragola e redbull al bar; ero giù, perché non vedevo Niall, e allora ho pensato che fosse già in buona compagnia. Ad un tratto un ragazzo vestito da diavolo si mise accanto a me, appoggiato al bancone; aveva un’aria familiare. Guardandolo meglio mi sono accorta subito di chi si trattava, era Niall; aveva un’aria tranquilla, ma quando si è girato e mi ha visto, ha cambiato subito espressione. Appena i nostri sguardi si sono incrociati è scattato qualcosa; era come se il mondo si fosse fermato, come se attorno non ci fosse più nessuno. Dopo è arrivato Harry, si è messo tra di noi, ordinando qualcosa e poi, sempre guardando davanti a sé ha detto: “Forse voi due dovreste ballare insieme”. Forse per la prima volta nella mia vita sono diventata rossa come un peperone, ma poi Niall ha preso coraggio e, porgendomi la mano, mi ha invitato a ballare.» 

«Abbiamo ballato vicini, molto vicini - continuò, visibilmente emozionata -  quando Liam è venuto a chiedere il cambio dama, Niall mi ha baciata, senza preavviso. E’ stato fantastico, non mi sono mai sentita così viva nella mia vita. E’ stato come se il tempo si fosse fermato e la gente attorno a noi non esistesse più. C’eravamo solo noi, mi è sembrato un sogno, Bea. Il tempo è volato e dopo che ci siamo tolti le maschere, siamo andati in giardino, per parlare. Credo di essere stata lì molto tempo, perché poi quando sono tornata in pista per cercarti, tu non c’eri più. Niall mi ha detto che eri con Harry, che gli aveva scritto un messaggio, quindi sapeva dove fossi. Non ci ho capito più niente, Bea; ero furiosa con te perché non mi avevi dato ascolto e con me stessa per averti lasciato sola, anche se credevo fossi con Liam».

«Io stavo benissimo, Elis» dissi con rammarico.

«Purtroppo l’ho visto – sorrise preoccupata – ma devi capire che lui non è adatto a te, non rispetterà mai i tuoi tempi. Lui è fatto così, ti dice che sacrificherebbe la sua vita per te e poi ti butta via; io non voglio vederti soffrire».

«Lo so. Ma mi ha fatto sentire così bene; era come se fossi l’unica». 

Avevo le lacrime agli occhi.

«Te l’ho detto. E’ una sua prerogativa ammaliare le ragazze».

Forse aveva ragione, forse non era fatto per me. Avrebbe voluto subito quel di più che non ero disposta a dargli, non ero pronta per una nuova relazione. Avrebbe fatto troppo male.

«Forse, anzi sicuramente, hai ragione. Gli starò alla larga, o almeno ci proverò. Non sono disposta a soffrire ancora, non sono ancora riuscita a superare l’ultima delusione, figurati aggiungerne un’altra».

«Bene. Mi dispiace, dovevo restare con te, ma mi sono fatta trasportare dalle emozioni; sai, aspettavo quel momento da una vita – disse realmente dispiaciuta – ma non capisco di che delusione tu stia parlando».

Non potevo più fingere, doveva raccontarle ciò che mi era successo. Doveva capire come stavo, perché in fondo era l’unica che potesse aiutarmi; era la mia migliore amica, lo era sempre stata, e io avevo bisogno di lei. Mi sedetti accanto a lei, sul suo letto, dove poco prima si era adagiata; le presi le mani tra le mie e feci un profondo respiro.

«Ti sto per raccontare il motivo principale che mi ha spinto a venire qui: il motivo per cui sto male e per cui non riesco più a fidarmi di nessuno. Nessuno è a conoscenza di ciò, ma sento il bisogno di sfogarmi con qualcuno, e quel qualcuno sei tu».

Iniziai a raccontarle tutto dal principio, da come avevo conosciuto Enrico, dal modo in cui c’eravamo messi insieme e come poi mi aveva convinto a farmi sua. Non mi soffermai a parlare di quella notte nei minimi dettagli, perché vedevo che soffriva, forse più di me. Piccole e lucenti lacrime le iniziarono a solcare il viso, e più il mio racconto si addentrava più le lacrime si facevano fitte. Fino a quando, finito tutto, sciolse l’intreccio delle nostre mani, per abbracciarmi con forza. Quel piccolo gesto fece abbattere le mie barriere e crollai in un pianto disperato, senza riuscire più a smettere.

«Mi dispiace, Bea. Mi dispiace tanto! Vorrei essere stata lì accanto a te, per consolarti e per spaccare la faccia a quel coglione». 

La sua sfacciataggine mi fece sorridere, anche perché sapevo che l’avrebbe fatto davvero. Mia cugina avrebbe fatto qualsiasi cosa per le persone che amava, e io le volevo bene anche per la sua esuberante possessività. Sciogliemmo quel dolce abbraccio e scoppiammo a ridere, proprio come succedeva da bambine.

«Forse sarebbe stato meglio se non fossi finita tra le braccia di Harry, ma, senza di lui, tu non saresti finita tra quelle di Niall. Allora saremmo entrambe tristi e depresse; preferisco di gran lunga che almeno una delle due è al settimo cielo. Non preoccuparti, è un momento, passerà prima che me ne accorga; d’altronde ho dovuto superare di peggio». 

Il mio sorriso si allargò e anche il suo; le feci l’occhiolino, sorridente.

«Almeno tu ora sarai felice – continuai – e poi Niall è pazzo di te!».

«Davvero? Come lo sai?» disse con espressione stupita.

«Si, me l’ha detto Harry. Sapeva che Niall aveva una cotta secolare per te, così ha fatto in modo che voi ballaste insieme».

«Bea, io…».

«Tranquilla, cambiamo argomento».

Restammo tutto il giorno a casa a fare le pulizie e a cucinare, mentre Elis mi spiegava come di solito si svolge una giornata di lavoro in gelateria. Preparammo insieme a zia Mara gli involtini primavera e una torta al cioccolato. La giornata passò in fretta e, essendo impegnata, non pensai costantemente a Harry. 

Alle undici, però, sfinita, andai a letto. Ora ero sola e mi misi a letto ad ascoltare la playlist del mio I-pod; Harry ricomparve magicamente nella mia testa, nei miei ricordi. C’era qualcosa che mi legava a quel ragazzo, ma non sapevo nemmeno io cosa fosse; sapevo solo di volerlo nella mia vita, volevo vivere con lui parte del mio tempo qui. Non sapevo perché, ma ritenevo che lui potesse aiutarmi a sconfiggere i fantasmi del mio passato. Non ero per niente pronta ad una storia, per giunta con lui che cambiava troppe ragazze per i miei gusti, ma sarebbe stato un ottimo amico in fondo. Non potevo negare che tra noi ci fosse troppa attrazione, troppa chimica, ma in fondo non avevamo niente da perdere. 

Ero persa nei miei pensieri, fino a quando dal mio Ipod fuoriuscirono le parole di “In the arms of a angel”; sul mio volto comparve un debole sorriso, in ricordo a ciò che era successo la sera prima. Devo dire che se fossi stata pronta per una relazione, avrei considerato la scorsa notte, la più romantica della mia vita. Era stato davvero tutto perfetto!

 

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«Bea, Bea sveglia. Sono le otto. Dobbiamo prepararci per andare a lavoro». 

La dolce voce di mia cugina mi svegliò.

Mi ritrovai rannicchiata con le cuffie del mio I-pod ancora alle orecchie e la maschera tra le mani. Elis mi guardò con espressione compassionevole.

«Che cosa hai intenzione di fare?» disse, guardando la maschera.

«Hai ragione. Lui mi forzerebbe e vorrebbe di più. Non penso che lui ci possa riuscire ad aspettarmi, mi potrebbe convincere molto facilmente. E’ questo quello che mi spiazza, l’effetto e il potere che ha su di me. Non sono pronta e poi ho già sbagliato una volta e non posso rifare lo stesso errore, sarebbe da stupidi. Però credo di volerlo nella mia vita, mi fa stare bene. Potrebbe essere un ottimo amico per me, per ora ho bisogno di questo».

«Lo penso anch’io – affermò, accarezzandomi i capelli – su, ora preparati» disse uscendo dalla mia stanza.

Mi sentivo uno zombie mentre mi preparavo. I miei movimenti non erano pensati, ma meccanici e incondizionati. Mezz’ora dopo eravamo in gelateria. Theodore era una persona davvero adorabile, mi mise subito a mio agio. Aveva trentacinque anni e sua mamma era italiana, ma si era trasferita in America dopo aver incontrato il vero amore, suo padre, infatti Theo era nato e vissuto qui. Per essere il mio primo giorno me la cavai piuttosto bene; ero abbastanza veloce e sorridente, anche se il mio umore non era alle stelle. C’era concessa una pausa pranzo di un’ora e mezza; con Elis avevamo deciso di prenderci un Big Mac e mangiare in gelateria, nella cucina sul retro.

Mentre eravamo sedute, immerse nel nostro pranzo, sentimmo la porta della gelateria aprirsi.

«Ho messo il cartello “chiuso” alla porta, deve essere Theodore. Bea puoi andare di là a dirgli che ci siamo fermate a pranzare qui?».

«Certo» affermai scattante.

Mi diressi dalla cucina al locale, ma appena misi piede dentro, mi pietrificai. Il mio cuore non rispondeva più delle sue azioni, arrossii e iniziai a sudare freddo. Davanti alla porta d’ingresso c’erano Niall ed Harry, entrambi bellissimi e sorridenti. Mi feci prendere da un’inutile ansia; e se lui invece non volesse diventare mio amico? Se lui avesse voluto quel di più? Ero troppo debole per rifiutare, ma dentro sapevo perfettamente di non essere pronta. Mi avrebbe capito?

«Ciao Bea – disse Niall, distraendomi dai miei dubbi, mentre Harry non mi toglieva gli occhi di dosso – puoi chiamarmi Elisabeth?».

«Si» dissi di scatto, scappando verso Elis.

«Elis, ci sono Niall ed Harry. Niall ha chiesto di te» dissi balbettante.

«Oddio – gridò – e tu che cosa hai intenzione di fare? Gli dirai tutto?».

«Si» sputai secca. 

Tornammo dentro la gelateria ed Elis si buttò tra le braccia di Niall; fu un momento estremamente imbarazzante. Harry ed io eravamo uno di fronte all’altro e ci fissavamo, senza dire una parola. Elis si staccò dalle braccia di Niall e, capendo il mio imbarazzo di fronte alla situazione, portò silenziosamente Niall sul retro. 

Eravamo soli, fisicamente vicini, ma troppo lontani in realtà.

«Ciao» disse con tono dolce.

«Ciao» risposi con tono malinconico, guardando per terra, imbarazzata.

«Riguardo ieri…» dicemmo all’unisono, facendoci scappare una risata.

«Prima tu» disse, galantemente.

«Ieri sono stata benissimo, è stato fantastico, direi; non avevo mai passato una serata così, piena di emozioni. Tu sei stato molto carino e dolce, mi hai davvero colpito».

«Ma?» disse con aria cupa.

«Ma non ti conosco, e tu non conosci me, non più; per questo mi fa strano averti sentito dire certe cose. Molte delle cose che mi hai detto mi sono sembrate esagerate; erano troppo belle, troppo affrettate e troppo strane dette da un ragazzo che di me, effettivamente, non sa niente». 

Lui non disse niente, era immerso nei miei occhi verdi.

«Non credo che potremmo stare insieme – continuai – non siamo compatibili; sempre che tu avessi intenzione di stare con me, perché per quanto ne so, potresti non volerlo affatto. Noi due abbiamo bisogni diversi, mentalità completamente differenti, opposte. Non posso essere come vuoi».

«Come fai a sapere come ti vorrei? Tu sei perfetta così come sei! Ma hai ragione. Sono venuto qui oggi con l’intenzione di chiarire le cose con te. Ma ieri non è stata una finzione; tutto quello che ho detto l’altra sera è la pura realtà. E’ come se con te riuscissi ad essere realmente me stesso, forse perché mi ricordi il ragazzo dolce e ingenuo che ero, non lo so. Ma non voglio rovinare quello che ci potrebbe essere tra noi con le mie solite cazzate. Quindi ti do ragione, non ti converrebbe per nessuna ragione al mondo stare con me».

«Grazie per non avermi messo in difficoltà, ma sai ho paura di soffrire ancora. Non voglio essere abbandonata di nuovo; già troppe persone l’hanno fatto».

«Hei, ho una richiesta da farti però – era imbarazzato, e io estremamente preoccupata da quella richiesta, ma annuii, come a dargli il consenso – prima ti ho detto che con te sto bene, mi sento me stesso. Beh, vorrei avere un rapporto con te e, visto che entrambi non vogliamo una relazione, potremmo provare ad essere amici» disse tentennando sull’ultima parte.

«Che coincidenza – dissi aprendomi in un sorriso – era la stessa cosa che volevo chiederti io!».

Anche la sua espressione si fece più tranquilla e si avvicinò cautamente, porgendomi una mano.

«Amici allora?» affermò con un sorriso radioso.

«Amici!» constatai soddisfatta.

Stipulammo il patto con una vigorosa stretta di mano; entrambi però cambiammo espressione. Una scossa attraversò il mio corpo e, come se mi fossi appena bruciata, allontanai velocemente la mia mano dalla sua. La nostra attrazione era innegabile, ma non sufficiente per spingersi oltre. 

«Bene – interruppe lui l’imbarazzante silenzio – ora è meglio che vada. Tra poco devi riattaccare, ma ci vediamo presto. Magari potremmo andare a mangiare qualcosa stasera, o domani. Che ne dici? Così potremmo raccontarci un po’ di cose».

«Sarebbe perfetto! Ma prima devo chiedere a Elis cosa fa. Se stasera esce con Niall potremmo uscire stasera. Non ho voglia di restare sola a casa, mia zia è partita per un viaggio d’affari».

«Ti lascio il mio numero».

Mentre ricevevo il suo squillo, Elis spuntò dalla cucina, con un sorriso paradisiaco; mi prese in disparte.

«Bea, ti dispiace se stasera esco con Niall? – disse sussurrando – E’ una specie di primo appuntamento. Ho paura che se rifiuto, scapperà».

«Oh, non scapperebbe in ogni caso! – risi – comunque tranquilla, io e Harry usciamo, in onore della nostra nuova amicizia – dissi l’ultima parte con tono più alto per farmi sentire – vero Harry?».

«Mai cosa più giusta!» ridacchiò. 

«Allora è fatta! Dai, ricominciamo a lavorare!» disse Elis.

Dopo aver salutato i ragazzi e dopo esserci scambiate i racconti di quello che c’era accaduto, aprimmo la gelateria, che si riempì in un baleno. Ero allegra e questo rese il duro lavoro del pomeriggio meno faticoso del previsto. Beh, come primo giorno non era andato per niente male!

 

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«Bea, secondo te questo va bene – chiese Elis, che aveva indosso il quinto vestito – no, forse oso troppo con questo. Ne provo un altro». 

Ero davvero esausta; si era provata cinque, ormai sei, vestiti, almeno dieci volte ciascuno, ma credeva che ognuno avesse qualche difetto. Dovevo intervenire.

«Elis, rilassati ti prego. Vieni qui – la feci sedere sul letto – tu sei bellissima; saresti bellissima pure se andassi ad un galà con un paio di jeans. Quindi ora ti siedi e scelgo io il tuo abito per stasera e tu non fiaterai, ti vestirai e uscirai da questa casa, diretta al tuo appuntamento. Ok?».

«Ok – ribatté lei – ma scegli bene, mi raccomando». 

Feci un risolino, dovuto alla sua poca fiducia in me. Ma come darle torto, io e la moda eravamo due universi paralleli, destinati a non incontrarsi mai. Scelsi un vestito lungo fino al ginocchio, color porpora, non troppo scollato; era sicuramente adatto ad un primo appuntamento, o quantomeno ci speravo.

«Oddio Bea! Sono perfetta! Grazie, grazie, grazie» urlò mia cugina.

«Te lo sei provato tre volte – dissi deridendola – comunque vai! Quel povero ragazzo ti aspetta da dieci minuti».

«Le donne si fanno sempre aspettare. Ma tu come ti vestirai stasera?» disse Elis, con tono fin troppo ammiccante. 

Ma non era contraria ad una papabile relazione con Harry?

«Così» dissi sfoggiando la mia misè: jeans, canotta e converse.

«Ma…» iniziò Elis.

«Ma niente. Il mio non è un appuntamento, quindi non ho bisogno di farmi bella per nessuno. Ora vai e divertiti. Ciao!» canticchiai, cercando di cacciarla di casa.

Finalmente il mio vulcano di cugina era uscita. Stavo per andarmi a fare una doccia quando il mio cellulare iniziò a squillare. 

Era Harry. 

Che volesse disdire il nostro NON appuntamento? Magari aveva trovato compagnia migliore per trascorrere la serata.

«Pronto?» dissi titubante.

«Ehi italiana! – esordì lui – pensavo che, invece di uscire, potrei venire a casa tua, visto che tua zia non c’è. Potremmo fare una serata pizza-film-chiacchere. Che ne pensi?».

«Sarebbe perfetto!» esclamai.

«Ok, allora apri la porta!».

Entrai nel panico, non ero pronta, anche se in realtà mi sarei solo cambiata la maglia, niente di più. Feci un profondo respiro e aprii la porta. Davanti a me c’era il mio amico bellissimo in jeans e maglietta nera, che aderiva perfettamente al suo corpo, facendo intravedere gli addominali scolpiti. Le volte precedenti non avevo notato il tatuaggio che compariva dalla maglietta. Non riuscivo a vedere cosa raffigurasse e, visto che mi avevano sempre affascinato, gli avrei chiesto di farmelo vedere più tardi.

«Ciao bellissima!» disse con tono malizioso, che ovviamente mi fece arrossire. Odiavo arrossire.

«Ciao Harry – dissi a testa bassa – entra pure».

Ero un po’ a disagio data la situazione. L’ultima volta che eravamo stati da soli eravamo tutt’altro che amici, ma ora sapevamo quello che eravamo. Nonostante ciò la tensione che c’era tra noi l’altra sera, non era svanita. 

«Non sapevo che genere di film ti piacesse, ma mi sono ricordato che da piccola ti piacevano le commedie d’amore, perciò ne ho portata una» mi porse la copertina di “Un amore di testimone”. 

Io adoravo quel film, quando avevo scoperto la sua esistenza avevo continuato a vederlo a ripetizione per giorni e giorni, senza sosta. Ero veramente irrecuperabile certe volte.

«Grande Harold! È uno dei miei preferiti. Vieni, andiamo di corsa a metterlo; mangeremo sul divano» esclamai, facendogli l’occhiolino.

Ci mettemmo alle due punte opposte del divano, con in mezzo un grosso cartone che conteneva una pizza familiare al formaggio. Durante la cena, nessuno dei due parlò, forse per l’ingordigia, o forse per l’imbarazzo del momento, ma quanto stavo per prendere l’ultimo pezzo di pizza, le nostre mani si scontrarono un’altra volta, dandomi l’ulteriore certezza che quest’amicizia era alquanto forzata.

 Noi la stavamo forzando, ma a me andava benissimo così. 

La scossa provocatami dal suo corpo venne trasmessa al mio. I nostri occhi s’incontrarono, scioccati, ma un secondo dopo il suo sguardo si trasformò, lasciando trapelare la malizia. Prese l’ultimo pezzo di pizza, che c’eravamo inconsapevolmente contesi, e lo portò vicino la mia bocca; capii perfettamente dove volesse arrivare, e glielo feci fare. Diedi un morso e lui a sua volte ne diede un altro, continuammo così fino alla fine del pezzo, ridendo e scherzando come non facevo da tempo. Man mano che si avvicinava la fine del film, i nostri corpi si avvicinarono, fino a che eravamo attaccati l’uno all’altro e le mie gambe erano sulle sue. Mi beai di quel contatto, che mi faceva sentire al sicuro dopo tanto tempo.

«Voglio sapere tutto di te – Harry fu il primo a interrompere il silenzio dopo la fine del film – voglio sapere cosa ti è successo in questi anni, quali sono le tue passioni, i tuoi sogni».

«Anche io voglio sapere i tuoi» dissi sincera.

«Bene, facciamo un gioco allora – proruppe lui – il gioco delle dieci domande. Ok?».

«Ok» dissi titubante.

«Inizio io. Cosa ti ha spinto a venire qui?» chiese lui.

«Sei partito dalla domanda più difficile. Diciamo che ci sono tanti motivi, uno dei quali è che sono in cerca di un’ispirazione. Vorrei scrivere un libro, ma il reale motivo per cui sono arrivata fin qui non mi sento ancora pronta a svelartelo. Scusa». 

Non ero ancora pronta a svelargli di Enrico, faceva ancora male e non sapevo se potevo realmente fidarmi di lui.

«Ho intravisto il tatuaggio che hai nel braccio – dissi, spostando l’attenzione su di lui – cos’è? Ha un significato particolare? Ne hai altri?».

«Hei piccola, piano. Una domanda alla volta, che poi le scordo» disse ridendo, mentre io arrossivo per il nomignolo.

«Allora – continuò, alzandosi la manica della maglietta – questo al braccio è una nave, ma ne ho un altro sul petto che ti farò vedere poi. La nave ha diversi significati in realtà, ma principalmente l’ho fatto per mia mamma. Lei mi ha sempre spronato a non restare fermo, ma a muovermi, a esplorare il mondo intorno a me senza aver paura. Lei diceva sempre una frase “una nave nel porto è al sicuro, ma non è per questo che le navi sono state costruite”. Io l’ho presa in parola e per non scordarmi di seguire il suo consiglio mi sono fatto questo tatuaggio qualche mese dopo la sua morte».

«Scusa, forse non volevi parlarne. Dovevo immaginare che potesse essere dedicato a lei» risposi abbassando lo sguardo mortificata.

«Hei – disse alzandomi il mento con un dito – con te voglio parlare di tutto. Mi piace la sensazione che sento dentro quando sono insieme a te. Non avere mai paura di chiedermi qualcosa, perché con te fa tutto meno male. Nonostante non ci vedessimo da tanto è come se non ci fossimo mai separati, come se il tempo non fosse mai passato».

Non avevamo bisogno di altre parole, perciò mi limitai a sorridere. Continuammo con le domande più assurde e banali fino a notte fonda. Avevo scoperto tante cose di lui: voleva diventare un architetto, suo padre si era risposato e ora aveva una sorella, Lea. Non credeva nel vero amore, pensava fosse una cosa da sognatori, ma in realtà credevo che rifiutasse l’idea dell’amore a causa della sua perdita. Viveva da solo in un piccolo appartamento a Brooklyn, mentre suo padre alloggiava in una suite del Four Seasons con la nuova moglie. Io invece gli raccontai dei miei studi, dell’amicizia che si era instaurata con mia mamma, della vita universitaria e del sogno di diventare una reporter di un famoso giornale. 

Fu una serata fantastica, non mi sentivo così libera e spensierata da molto tempo ormai. Mi sentivo di potermi fidare di quel ragazzo, nei suoi occhi vedevo ancora quel ragazzino forte e ambizioso che avevo conosciuto anni fa, solo che ora non era più motivato come allora. Doveva solo ritrovare se stesso, e io lo avrei aiutato, come lui avrebbe aiutato me a fidarmi di lui e della gente che mi stava attorno.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Eccomi qui a postare un nuovo capitolo!

Oggi siamo arrivate a 1K visualizzazioni e io non potrei essere più fiera di voi, ecco percjè ho deciso di postare un nuovo capitolo...

questo è il mio contatto ask, se avete qualche domanda da farmi: http://ask.fm/barbystew

e questo il mio twitter: https://twitter.com/BarbyDreamer

li trovate anche nella bio <3

Domani altro esame, ma siiiiiiii, tanto non abbiamo niente da fare!!!

grazie sempre ai miei piccoli angeli, loro sanno <3

a presto, 

BARB <3

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Capitolo 8
*** "Amici" ***


L’amicizia che scorre dal cuore non può congelarsi nelle avversità, così come l’acqua che scorre dallo spirito non può ghiacciare in inverno.

 

James Fenimore Cooper 

 

 

 

Era stata una mattina piuttosto tranquilla in gelateria, per questo ne avevo approfittati per scrivere un po’. Non avevo ancora avuto la vera ispirazione, ma avevo deciso di scrivere tutti i pensieri che mi passavano per la mente.

Ero seduta al bancone, quando il rumore della porta d’ingresso, mi destò dalla mia scrittura.

Fui sorpresa di vedere Harry entrare nel locale, ma un sorriso spontaneo comparve sul mio volto.

«Buongiorno!» dissi allegra, alzandomi dallo sgabello dietro il bancone.

«Buongiorno italiana!» disse, con quel suo sorriso paradisiaco.

Indossava una semplice maglietta bianca con lo scollo a V, che permetteva di ammirare alcuni dei suoi tatuaggi, e un pantalone nero stracciato a livello delle ginocchia.

Poteva indossare qualsiasi cosa, anche un sacco di iuta, ma lui era sempre fantastico.

«Ti ho portato il pranzo – disse alzando la sua grande mano, che teneva un sacchetto del take away – so che ti piace il chickenburger e te l’ho portato! E siccome sono un bravo ragazzo, ti ho portato anche un donut alla vaniglia, che so piacerti tanto» concluse, alzando il mento come per pavoneggiarsi.

«Sei il mio salvatore» esclamai in modo plateale, abbracciandolo.

Ero davvero felice che Harry fosse venuto a trovarmi, perché da quando eravamo amici, ero molto più serena.

Non so per quale strano motivo, ma quel ragazzo, che tutti definivano con aggettivi dispregiativi, mi trasmetteva qualcosa che mai nessuno aveva fatto prima. Quando eravamo insieme era un semplice ragazzo di ventidue anni, che scherzava e faceva lo scemo ogni qualvolta ne aveva l’occasione, ma sapeva anche essere gentile, galante e sapeva rispettarti. 

Iniziavo davvero a dubitare che quel cattivo ragazzo di cui tutti parlavano esistesse.

«Ti volevo proporre una cosa» disse incomprensibilmente, vista la bocca ancora piena di cibo.

Avevo appena chiuso il locale per la pausa pranzo ed io e Harry eravamo comodamente seduti a mangiare su un dei tavoli del locale.

«Sono tutta orecchie – gli risposi – ma prima finisci di mangiare. È disgustoso vedere il cibo masticato che esce dalla tua bocca».

Lui in tutta risposta aprì la sua bocca, facendomi ammirare il contenuto.

«Sei uno schifoso!» esclamai, dandogli un pugno sulla sua spalla tonica.

«Ah si?! – disse in tono minaccioso, una volta finito di mangiare – mi dovrai chiedere scusa per questi insulti».

E, non appena finì di dire ciò, si protese verso di me e cominciò a farmi il solletico. 

Io odiavo il solletico.

«No, smettila!» urlai, cercando disperatamente di divincolarmi.

Ma non ci riuscii.

Continuò per un tempo che mi sembrò infinito, fino a quando non fui costretta ad arrendermi e scusarmi con lui, implorandolo.

Ero senza fiato, e solo allora mi accorsi che durante la nostra lotta la mia maglietta si era spostata, lasciando in bella vista il mio reggiseno nero.

«Mi ha pure denudata – dissi, fingendomi offesa – maniaco!».

«Dovrei ricominciare. Perché mi hai appena insultato nuovamente, ma sarò clemente, perché sono una brava persona».

«Quando dormi – risposi sorridendo – comunque, cosa volevi dirmi prima di torturarmi?».

«Ah si – esclamò come risvegliato da un sogno – stasera c’è una festa a casa di un mio amico. Si balla, si beve, insomma ci sarà da divertirsi. Andiamo?».

Non ero molto entusiasta di questa proposta onestamente, volevo senza dubbio declinare l’invito.

Ma poi posai i miei occhi su di lui.

Era davanti a me, con indosso un’espressione supplicante e allo stesso tempo ammaliante, che non rendeva facile il mio compito. Se Harry Styles era davanti a te e aveva quell’espressione, tu non potevi fare nient’altro se non fare tutto quello che ti chiedeva.

«E va bene! – dissi alzando il tono della voce – ma ci sono delle regole: non mi lascerai sola per andare con qualche ragazzette delle tue».

«Si può fare» rispose dopo averci pensato qualche secondo.

«Non ho finito. Quando, e se, me ne voglio andare, tu mi riaccompagnerai a casa, a qualsiasi orario – continuai, puntandogli il diti contro il volto – sono stata chiara?».

«Chiarissima mia signora – disse, inchinandosi davanti a me – ti verrò a prendere alle otto. Sii puntuale almeno».

Si alzò dalla sedia accanto a me e andò a prendere la giacca, per poi riavvicinarsi a me.

Si protese verso di me e mi lasciò un bacio sulla guancia, che durò più dell’atteso. Potei sentire  chiaramente le sue labbra calde e morbide sulla mia pelle, e quello della sua colonia che riusciva a far risaltare l’odore della sua pelle.

«A più tardi, bellissima».

E se ne andò, prima che il mio cervello riuscisse ad elaborare una qualsiasi risposta al suo saluto.

Quel ragazzo mandava in pappa il mio cervello!

 

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Alle sette erao appena arrivata a casa, andai di corsa a farmi la doccia e prepararmi.

Ero già distrutta prima che la serata iniziasse.

Avevo scelto un abbigliamento molto informale, visto che non avevo idea di che ambiente avrei trovato alla festa. Indossavo un paio di pantaloni neri a vita altra e un crop top aderente bianco, che lasciava intravedere un filo di pelle. 

Harry arrivò alle otto in punto, suonando alla porta.

Andai ad aprire e, una volta aperto, mi lasciai qualche secondo per ammirarlo. Indossava un paio di skinny neri e una canottiera bianca, che questa volta lasciava vedere molti più tatuaggi di prima.; portava i capelli tirati indietro, che lasciavano libero tutto il suo bel viso.

«Siamo coordinati stasera, Bea. Se ci fosse un premio per la migliore coppia della festa, vinceremo di sicuro».

«Sempre simpatico» risposi ridacchiando.

«Andiamo! È tardissimo» disse prendendomi per mano, e dirigendosi verso la macchina.

Durante il tragitto in macchina non potemmo fare a meno di ridere e scherzare come i matti, mentre Harry cantava le canzoni che passavano alla radio storpiando tutte le parole. 

Non mi ero nemmeno accorta che aveva accostato fino a quando non percepii il rumore della musica ad alto volume.

«Nessuno si lamenta per la musica alta?» chiesi ad Harry, dubbiosa.

«Finora non è mai successo. Non ci sono molte case nei dintorni».

Evidentemente queste feste erano molto popolari, perché gruppi di persone si trovavano addirittura fuori dalla casa. Ballavano, evidentemente alticci con le bottiglie in mano e a piedi scalzi nel prato di fronte l’ingresso.

Li superammo con tranquillità ed entrammo in casa.

Harry, constatata la folla, mi prese con dolcezza la mano, intrecciando le sue grandi dite alle mie, che scomparvero, coperte dalle sue.

«Non voglio rischiare di perderti, principessa» mi disse facendomi l’occhiolino.

Mi trascinò in mezzo alla bolgia. 

Le scene che mi si presentavano davanti erano a dir poco indecenti; ragazze, vestite con sottilissimi pezzi d stoffa, evidentemente ubriache, che si strusciavano addosso al primo ragazzo che si trovavano vicino. Quando la calca si fece più fitta, mi fece mettere davanti a lui e, proteggendomi con le sue possenti braccia tatuate, mi condusse verso un angolo della casa più tranquillo.

Ero stata catapultata in un mondo totalmente distante dal mio.

«Ma vieni spesso a queste feste?» chiesi ad Harry, quasi sperando in una risposta negativa.

«Quando posso si. È divertente! – mi disse all’orecchio, cercando di farsi sentire sopra la musica – non ti è piaciuta la mia risposta, vero?» concluse sorridendo.

Si era sicuramente accorto della mia espressione, non molto compiaciuta.

«Diciamo che non è il mio ambiente preferito» risposi.

Scoppiò in una sonora risata, mostrando le sue adorabili fossette e non potei fare altro che seguirlo. 

Andammo verso il bar a prendere qualcosa da bere. Io ordinai una semplice birra, mentre Harry ordino un drink di cui non avevo mai sentito parlare, ma io non ero molto informata su queste cose.

«Guarda un po’ chi si rivede» disse una voce femminile dietro di noi.

Mi voltai nella direzione della voce e vidi a chi apparteneva. Una ragazza dai capelli color fuoco si stava avvicinando a noi, con passo sensuale. Indossava un vestitino paillettato, molto scollato e corto. Non proprio il genere di abbigliamento che prediligevo.

«Scarlet, ciao» disse Harry, con un tono abbastanza freddo. 

Ero quasi sicura che non provasse tutta questa simpatia per l’appariscente ragazza che ci stava di fronte.

«Vedo che hai trovato subito compagnia per la serata» disse osservandomi da capo a piede, con espressione quasi disgustata.

«Lei è una mia amica» tagliò corto Harry, infastidito.

«Ti conosco, piccolo – disse avvicinando a lui, scansandomi letteralmente da lui – e vorrei continuare a farlo» concluse con tono sensuale.

Eh no! Questo era troppo. Io e Harry eravamo amici, ma questa non poteva fare finta che non esistessi.

«Andiamo a ballare Harry?» dissi tirandolo via da lei.

«Non c’è bisogno di essere gelose, cara – disse guardandomi con pena – tanto domani non si ricorderà nemmeno il tuo nome».

Mi stavo davvero innervosendo. 

Harry non era come lei lo dipingeva, almeno non con me. Quando stavo per risponderle a tono, lei mi fermò.

«Non capisco nemmeno come abbia potuto scegliere te stasera. Guardati! – disse indicandomi – non ti si può proprio guardare tesoro».

«Ora basta, Scarlet – tuonò la voce di Harry, evidentemente furente – lei è mille volte migliore di te, non solo per bellezza. Ora se vuoi scusarci».

Harry mi prese per mano e mi portò al centro della pista, ma non potevo fare a meno di pensare alle parole di quella ragazza. Se davvero Harry era abituato a quello standard di donne, io con lui non c’entravo niente. Aveva ragione. Non mi capacitavo allora di come avesse potuto baciarmi alla festa. Cosa gli era piaciuto di me?

Non mi accorsi di star piangendo finché Harry asciugò una lacrima.

«Principessa non stare a sentire quella cretina. Tu sei bellissima! Anche quando piangi sei la più bella ragazza che io abbia mai conosciuto. Quindi smettila di far girare le rotelle del tuo cervello nel verso sbagliato» concluse sorridendomi con dolcezza.

E io non potei fare altro, se non assecondarlo. Quel ragazzo riusciva a tranquillizzarmi, come nessuno era mai riuscito a fare.

«Vuoi andare a casa?» mi chiese.

Sapevo che se avessi detto di si lui non si sarebbe affatto seccato, ma non volevo darla vinta a quella befana. Così gli dissi che volevo restare.

Restammo al centro della pista a ballare come pazzi. In fondo quella serata, nonostante il piccolo break, non era stata affatto male. Non sarei sicuramente andata ad una festa ogni settimana, ma uscire dalla routine una volta ogni tanto non mi avrebbe fatto sicuramente male

 

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«Che palle! Mi sto annoiando a morte» disse Harry.

Era passato qualche giorno dalla festa in cui mi aveva portato Harry. Ormai la nostra amicizia si poteva definire consolidata, poiché passavamo ogni giorno insieme, e ogni giorno imparavo qualcosa di lui che me lo faceva piacere di più. E’ vero che non si finisce mai di conoscere una persona, ma questo non sempre è una cosa brutta, anzi, per me in questo momento era la cosa più bella di sempre.

Stavo scoprendo ogni giorno qualcosa di Harry, e chissà se mai avrei smesso di farlo.

Quel giorno eravamo sul divano di casa sua alla ricerca di un film decente da vedere, ma tutti quelli che avevo proposto o non gli piacevano o li avevamo già visti. 

«Mi sta andando in fumo il cervello – dissi, stanca di scandagliare nel mio cervello tutto il mio scibile cinematografico – potresti proporre anche tu qualcosa!».

«Non me ne viene in mente nemmeno uno!» disse disperato, buttandosi con forza le braccia alla testa. 

E io non potei fra altro che ridere davanti a quella scena. Quel ragazzo era assurdo.

Dopo un’altra mezz’ora di indecisione, non avevamo ancora scelto il film. Era davvero una scena comica. Fino a quando non mi venne in mente un’idea completamente diversa. Una settimana prima eravamo usciti con Elis e Niall ed eravamo andati in una sala giochi. Ero rimasta estasiata dal biliardo, soprattutto da Harry che giocava a biliardo. Era davvero bravo e, per quello che avevo visto io, ancora nessuno era riuscito a batterlo. 

Mi era venuta voglia di giocare e volevo imparare, ma probabilmente ero davvero una frana. Quella sera c’erano davvero troppe persone per chiedergli una cosa del genere, ma ora…

«Posso proporre una cosa?» chiesi rompendo il silenzio.

«Parla pure, principessa. Permesso accordato».

«Sai che odio tutti questi nomignoli che mi affibbi? M’innervosiscono» dissi alterata.

«Lo so! - disse soddisfatto - è per questi che li uso» concluse ridendo.

«Tralasciamo questo argomento» mi arresi.

«Ti ricordi quando l’altro giorno siamo andati alla sala giochi e tu hai giocato a biliardo?  – continuai timida. Mi vergognavo un po’ a chiedergli di insegnarmi a giocare, ma sapevo che a lui faceva solamente piacere – beh, mi piacerebbe imparare» dissi l’ultima parte di getto.

Lui mi guardò inizialmente stupito, poi scattò a ridere. Non capii quella sua reazione e fui un po’ infastidita, ma lui, notando la mia reazione, smise subito.

«Non rido per la richiesta, ma per il modo in cui l’hai detto. Dai andiamo, permalosa!».

Si alzò di fretta e prendendomi per mano uscimmo da casa sua diretti alla sala giochi.

 

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«Allora, metti il palmo aperto sul tavolo e poi porta il pollice sull’indice – feci come mi disse – ok, ora poggia la stecca nella spazio tra indice e pollice. Questa è la posizione della mano ottimale per tirare, tralasciando la tua mira, che ora constateremo».

I primi tiri che ne seguirono furono un vero disastro, però almeno Harry si stava divertendo. Era appoggiato sul tavolo reggendo il suo peso sulla stecca, che teneva tra le mani, e rideva come un pazzo.

«Non è molto divertente! E soprattutto non è molto carino da parte tua ridere così di me» dissi, fingendomi offesa.

«Oh, invece è divertente, non sai quanto. Vieni qui che ti aiuto» disse facendomi segno di raggiungerlo.

«Posizionati per tirare – lo feci – ok, ora posiziona la stecca in modo da colpire la bianca e di conseguenza la rossa in modo che vada a finire all’angolo. Devi colpirla più nel lato destro, per intenderci». 

Mentre mi spiegava queste cose si posizionò proprio dietro di me, sistemandomi nel modo corretto. 

Cominciai a sentire caldo.

Era troppo vicino a me e i nostri corpi si toccavano in parti a dir poco compromettenti. Non potei fare altro che arrossire, ringraziai mentalmente che lui non potesse vedermi.

«Anche se non ti vedo in faccia sento che stai arrossando, ora rilassati e concentrati sul colpo» sussurrò al mio orecchio.

Ero sicura che stesse ridendo, ma cercai di fare quello che aveva detto, così feci un respiro profondo e tirai, mandando per la prima volta in buca la palla.

«Evviva!» esultai, buttandomi letteralmente su di lui.

Harry, che non si aspettava questo tipo di reazione, barcollò per un attimo ma poi mi accolse nelle sue possenti braccia.

«Hai visto, principessa? Qualche altra lezione e sarai bravissima».

Continuammo la partita ancora un po’ ed ero riuscita a mandare in buca altre tre palline, avevo finalmente capito il metodo giusto. Harry però non si risparmiava nel fare battutine sarcastiche di tanto in tanto, causandomi i miei soliti imbarazzi che facevano diventare la mia faccia color porpora.

Ma mi sarei vendicata in qualche modo.

L’ultima pallina che mi restava non era molto difficile, ma la bianca si trovava proprio al centro del tavolo e, per riuscire a tirare, mi sarei dovuta letteralmente distendere sul tavolo. 

Quale miglior modo per vendicarmi?

Mi posizionai proprio davanti a lui, che era comodamente poggiato al muro, e mi posizionai per tirare. Un sorrisino mi si dipinse in volto, perché sapevo che lui aveva intuito il mio gioco, ma poco importava. Dopo qualche secondo mi girai verso di lui.

«Come sono messa?» gli chiesi, osservandolo.

«Bellissimo! Ah, ehm scusa. Volevo dire benissimo».

Aveva un’espressione che avrei voluto fotografare in qualche modo per poi deriderlo. Il suo sguardo, inizialmente, era puntato sul mio di dietro, non a caso avevo indossato dei pantaloncini di jeans attillati. Quando però si accorse che mi ero girata a guardarlo, fu colto di sorpresa e aveva sbarrato gli occhi in modo colpevole.

«Si, come no» risi.

Purtroppo sbagliai il tiro, ma la soddisfazione di vedere Harry in quello stato fu maggiore della soddisfazione che avrei provato ad imbucare la palla.

La partita era finita con Harry vincitore, ovviamente, ma io avevo avuto la mia piccola vittoria in fondo. Ero abbastanza soddisfatta della giornata.

«Che ne dici se andiamo a prederei un gelato?» gli chiesi.

«Ci sto – rispose – e comunque mi vendicherò!».

«Vendicarti? Di cosa» chiesi fingendo di non sapere a cosa si riferisse.

«Lo so io!» disse imbronciato.

Adoravo quando faceva il finto offeso, era di una tenerezza allucinante. Andai verso di lui e gli diedi un bacio nella guancia.

Non mi capacitavo come, in così poco tempo, mi fossi affezionata così tanto a lui. Ma in realtà la risposta era semplice. Harry era davvero un ragazzo speciale, nonostante quello che pensavano gli altri.

 

Con me era il ragazzo migliore che una ragazza potesse desiderare di voler accanto.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

eccomi qui!!

Mi fa piacere che le visualizzazioni aumentino, certo, voglio che aumentino sempre d più, ma credo che ci voglia tempo, quindi mi posso ritenere soddsfatta al momento.

Ciò non toglie che vorrei avere più pareri su cosa ne pensate della storia, ma... tempo al tempo! 

Vedremo come va.

Passiamo al capitolo: questo a mio parere è un capitolo di passaggio, per capire il tipo di rapporto che si è instaurato tra i BARRY <3 e sul fatto che la loro amicizia è fondamentalmente reale, nonostante tutto.

non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate, e spero che vi sia piaciuto!

 

PS: non so se cambiare la copertina. sto ancora pensando quindi non spaventatevi se vedete una copertina diversa domani ahahahha

 

un bacio a tutti <3

 

BARB <3

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Capitolo 9
*** Fiducia ***


“Tutti abbiamo dei segreti,non c’è niente di male.Ma tutti abbiamo bisogno di un confidente,un amico con cui condividere i segreti.In un certo modo,il condividere i nostri segreti con qualcuno ci fa capire chi sono i veri amici.Loro sono le persone di cui ci fidiamo di più.”

-Forever

 

 

Era ormai passato un mese dal nostro NON appuntamento, un mese e mezzo da quando ero a New York, e l’amicizia tra me e Harry procedeva alla grande. Elis e Niall non potevano essere più felici e innamorati e ci ritrovavamo ogni giorno a casa nostra. Eravamo davvero un gruppo affiatato, ridendo e scherzando tutto il tempo, mentre io acquistavo giorno per giorno fiducia in loro. 

Mi sentivo davvero bene. 

Il lavoro procedeva alla grande, Theo era fiero del mio impegno e gli affari andavano davvero bene. Ero finalmente fiera di me stessa, perché mi sentivo utile a qualcosa. Ero appagata, anche se non stavo svolgendo la vita che sognavo, mi sentivo serena e tranquilla. Ma come dicono in molti la felicità non dura per sempre.

Ero in pausa pranzo con Harry, Niall ed Elis quando il mio cellulare prese a squillare Era un numero che non conoscevo, ma il prefisso internazionale era inconfondibilmente quello italiano.

«Pronto, chi parla?» dissi risoluta.

«Ciao dolcezza. Quando torni da me?». 

Raggelai. Avrei riconosciuto quella fastidiosa voce ovunque. 

Cosa voleva ancora da me? Perché mi stava cercando?

«Enrico» sussurrai, senza riuscire a dire altro.

«Esatto, piccola. Perché te ne sei andata? Pensavo mi amassi. So che ti ho ferito, ma tu hai fatto la difficile. Sono un uomo, la carne è debole e ho ceduto, ma ora sono tutto tuo, torna da me».

Non riuscivo a dire niente, non riuscivo nemmeno a muovermi. Vedevo solo che Harry mi fissava preoccupato, ma non riuscivo proprio a muovere alcun muscolo facciale per tentare di rassicurarlo. Mi alzai dal tavolo dove stavamo mangiando tutti e quattro e vidi che Harry mi stava seguendo, ma non volevo piangere davanti a lui, non volevo farmi vedere debole, ma nel contempo non riuscivo a scacciarlo, avevo inconsapevolmente bisogno di lui.

«Mi devi lasciare stare. Hai capito» dissi alzando la voce, ma la mia voce risultò stridula e debole.

«Oh, piccola. Io sarò la tua ossessione! Mi manchi e se..». 

Non sentii come concluse il suo discorso, perché Harry mi prese dalle mani il telefono. 

«Lasciala stare, lei sta bene qui. Non ti azzardare più a richiamare, brutto coglione. Lei sta con me ora, quindi vatti a cercare qualche sgualdrina che ti soddisfi a dovere. Ciao» disse in perfetto italiano, mettendo poi fine alla chiamata.

In quel momento tutte le forze mi mancarono, la tensione e l’adrenalina che avevo accumulato per cercare di formulare qualche parola sensata, erano scomparse e mi dovetti appoggiare a Harry per non cadere.

«Ora ti porto a casa, babe – sussurrò al mio orecchio – Elis, porto Bea a casa mia. Non mi sembra il caso che faccia il turno pomeridiano. Dì a Theo che è stata poco bene» disse rivolgendosi a mia cugina.

«Se vuoi resto io con lei» si propose Elis.

«No Elis – aggiunsi io, con le poche energie che mi restavano – Theo non ce la farebbe da solo oggi. E’ sabato e ci sarà il pienone alla gelateria. Ci sarà Harry con me». 

E così dicendo ci avviammo in macchina, verso casa di Harry. 

Durante tutto il tragitto in macchina non spiccicai parola, i miei sensi erano completamente andati. Me ne stavo lì, seduta, a guardare il traffico scorrermi accanto. 

Ero paralizzata dalla paura.

Possibile che il ragazzo dolce che avevo conosciuto e con cui ero stata per un anno si fosse trasformato in un mostro senza cuore? Perché si era comportato così? 

Non aveva ottenuto quello che cercava da me e si era consolato con un’altra. 

Questo ero riuscita ad accettarlo, ma perché insistere con me? Ero diventata una sorta di sfida? 

Di una cosa però ero assolutamente sicura, non potevo più farmi mettere i piedi in testa da una persona così. 

A distogliermi dai miei pensieri oscuri fu la mano di Harry che si posò delicatamente sulla mia.

«Ei! Siamo arrivati» disse dolcemente. 

Gli rivolsi un debole sorriso e scesi dalla macchina.

Non ero mai stata a casa sua e, per quanto ne sapevo, poche persone c’erano state. Non amava far entrare gli altri nella sua realtà. Improvvisamente il pensiero che non si fosse fatto alcun problema a portarmi lì mi fece sentire meglio, infondo avevo lui, potevo contare su di lui. Lui si fidava di me, e io avevo appena avuto un’ulteriore conferma che di lui potevo assolutamente fidarmi.

Ci trovavamo a Brooklyn.

Davanti a me si ergeva una palazzina di circa dieci piani in mattoni rossi, che dava un’atmosfera molto londinese. Harry, ancora taciturno e con lo sguardo preoccupato, mi prese per mano e mi condusse al terzo piano. Tra di noi continuava a regnare il silenzio, ma le occhiate che Harry mi lanciava erano abbastanza eloquenti: era dispiaciuto e afflitto, forse dovuto al fatto che non riuscivo a mascherare il dolore e la vergogna, in sua presenza. Entrammo in quello che doveva essere il suo appartamento.

Era piccolo, ma allo stesso tempo confortevole e invitante.

L’ingresso consisteva in un salottino arredato con ornamenti abbastanza moderni ed era molto ordinato, cosa alquanto rara nel mondo maschile. La cucina era abitabile, con un piano cottura a L e un bancone al centro della stanza, che presumibilmente fungeva da tavolo da pranzo, entrambi laccati bianchi. La camera da letto, invece, era molto minimal, ma faceva trapelare tutta la sua passione per la cultura e la letteratura, infatti, la grande libreria che si trovava accanto a una piccola finestra era stracolma di libri di ogni genere: letteratura, storia, medicina.

«Vuoi un thè?» mi chiese. 

Annuii.

«Puoi sederti sul divano, arrivo tra poco» continuò. 

Feci ciò che mi aveva detto, mentre lui, dopo essere andato ad accendere il bollitore in cucina, si dirigeva in camera. Inconsapevolmente mi ritrovai a sporgermi con lo sguardo verso la sua camera per scrutarlo. Riuscii appena in tempo a vedere la sua schiena nuda, mentre era intento ad infilarsi una maglia. Era proprio una bella visione: i suoi muscoli erano scolpiti, ma per niente eccessivi. Dopo un paio di minuti tornò in salotto con due tazze fumanti di thè. Mi porse quella con la stampa di Spongebob, facendomi spuntare un sorriso in volto, per la prima volta dopo la telefonata inaspettata.

«E’ di mia sorella, quando viene qui vuole sempre questa tazza. Adora questo cartone» disse con il suo solito sorriso, quello che ti fa perdere il fiato.

«Anche a me piace. Un giorno di questi me la devi fare conoscere» dissi.

«Sarà fatto. Di sicuro s’innamorerà di te e non ti lascerà più andare» scherzò lui.

«Penso di poter correre questo rischio» risposi sarcastica.

Accese la piccola televisione e si mise accanto a me, facendomi sentire finalmente al sicuro, protetta, perché erano queste le sensazioni che predominavano in me quando mi era vicino.

«Ti va di parlarne?» ruppe il silenzio.

«Non ne ho parlato mai con nessuno, al di fuori di mia madre ed Elis».

«Allora quando ti sentirai pronta, sappi che io sono qui» confessò, poggiando la sua mano sulla mia.

In quel preciso momento capii che ero pronta, che potevo davvero fidarmi ciecamente di quel ragazzo. Non mi aveva mai messo fretta, era stato sempre gentile e galante, mi aveva protetta e consolata. Si era preso cura di me, proprio come Elis aveva detto che non avrebbe fatto.

«Sono pronta per parlarne con te!» dissi di getto. 

Lui rimase per un momento sbigottito dalla mia affermazione, ma poi il suo viso si rilasso e fece cenno di continuare. 

Gli raccontai tutto, mentre lui stava seduto accanto a me a tenermi la mano. Gli raccontai per filo e per segno l’abbandono di mio padre e dello stato in cui aveva ridotto mia madre; gli raccontai della scuola e dell’università, dove conobbi Enrico, della nostra storia e di come mi aveva trattato. Gli raccontai della mia prima volta e del motivo per cui non ce ne fu mai una seconda. 

Con le gambe al petto e singhiozzante gli raccontai di come avevo trovato lui e la mia coinquilina fare sesso sul nostro divano. Gli parlai del periodo successivo e di come mi fossi chiusa a riccio e pensassi solamente allo studio; di come non fossi più riuscita a fidarmi di nessuno, e che lui era il primo da allora.

Finito il mio estenuante viaggio nel passato, ero esausta e continuavo a piangere sul suo petto, senza riuscire a fermarmi. Non ero riuscita mai a piangere realmente dopo quello che mi era accaduto, la mia sofferenza superava la fase del pianto. Mi sentivo debole e fragile davanti a lui in quel momento, ma allo stesso tempo forte e al sicuro. Lui continuava ad accarezzarmi la schiena e i capelli con la sua mano grande e forte, ma molto delicata, e continuava a sussurrarmi all’orecchio parole di conforto.

«Ti prego, non abbandonarmi, non tradirmi. Non riuscirei a sopportarlo» singhiozzai.

«Non lo farò – sibilò – non lo farei mai, te lo prometto». 

E dopo la sua dolce confessione, fu tutto buio.

 

 >>>>>

 

Mi svegliai di soprassalto, sentivo caldo, tremendamente caldo, ma la cosa che più mi straniva era la mia impossibilità di movimento. Cercai di focalizzare dove mi trovassi, ma l’ultima cosa che ricordavo del giorno precedente era la promessa di Harry. 

Strabuzzai gli occhi quando mi resi conto di non essere a casa e, mettendo a fuoco l’ambiente attorno a me, capii di trovarmi nella camera di Harry. Infatti, ad impedire i miei movimenti era la cosa più inaspettata, ma anche più piacevole, che potessi immaginare: il braccio tatuato di Harry mi cingeva da dietro e le nostre mani erano intrecciate l’un l’altra. Restai qualche minuto a fissare la sua mano, lunga e affusolata, che stringeva con dolcezza la mia. 

Non avevo mai dormito con un uomo nella mia vita, nemmeno con Enrico, e avevo appena scoperto che era una cosa inaspettatamente piacevole e appagante. 

Sentii il mio stomaco brontolare, così decisi che era arrivata l’ora di alzarmi, cercando di non svegliarlo. Quando, con difficoltà immane, riuscii a mettermi seduta notai che non indossavo gli stessi abiti della sera precedente, anzi, si poteva dire che non indossavo abiti. Avevo indosso solo una maglietta di Harry, che per me era più simile ad un vestitino, senza niente sotto, a parte l’intimo. Diventai di mille colori immaginando che fosse stato lui a svestirmi e d’istinto mi voltai verso la sua figura.

Dormiva a pancia in giù, con una mano sotto il cuscino e l’altra, che prima era occupata a stringermi, vicino alla testa. Era davvero bello vederlo così sereno, così se stesso, senza alcuna inibizione. Nonostante la mia mise, mi diressi verso la cucina con l’Ipod alle orecchie e iniziai a preparare la colazione per entrambi.

Adoravo poter avere una mia indipendenza, mi sarebbe piaciuto vivere da sola, avere un mio appartamento, ma mia madre aveva necessariamente bisogno di me, non potevo abbandonarla anche io, anche se l’avevo appena fatto, in realtà. In ogni modo, adoravo restare sola a casa quando mamma partiva per i suoi viaggi di lavoro, perché adoravo gestirmi da sola e prendermi cura della nostra casa. 

E in quel momento, anche se non ero in una casa mia, ma di Harry, mi sentivo libera e disinibita.

Preparai la colazione muovendomi in cucina a suon di musica e canticchiando le mie canzoni preferite, ma mi bloccai quando qualcosa si posò sul mio fianco. Mi girai di scatto e avevo davanti a me la visione più dolce e celestiale che potesse esistere. 

Harry appena sveglio era, se possibile, più bello del solito. Indossava solo i pantaloni della tuta, e questo mi permetteva di poter ammirare i molteplici tatuaggi sul suo corpo, di cui bramavo scoprire ogni piccolo significato. 

Era visibilmente divertito, presumibilmente aveva assistito ad una delle mie performance.

Solite figuracce. 

«Buongiorno» dissi tra l’imbarazzo e lo stupore, mentre mi sfilavo le cuffie.

«Buongiorno a te, cantante» disse sorridendo. 

Si, aveva assistito.

«Ho preparato i pancake – sorrisi- spero ti piacciano».

«Li adoro» rispose dolcemente.

«Perfetto allora – feci una pausa – dov’è la marmellata?» chiesi.

«Nel pensile sopra di te».

Mi alzai sulle punte per arrivare al pensile, ma, vista la mia limitata altezza, dovetti sporgermi più del dovuto, causando l’innalzamento della maglia, lasciando a suo ben vedere parte del mio corpo.

«Ok, aspetta! – urlò – faccio io che è meglio» affermò imbarazzato, alzandosi dalla sedia.

«Ti ho per caso messo in difficoltà?» dissi con tono ammiccante.

«Beh, sono sempre un uomo, Bea – disse sorridendo maliziosamente – quindi è meglio per te se la prendo io».

«Ok» dissi, mentre ridacchiando mi mettevo seduta sul bancone, avevo una strana voglia di provocarlo. 

Ora che mi ero liberata dei miei “mostri”, ero più disinibita e provocante con lui, ero più me stessa, e non più quella ragazza chiusa e insicura che ero diventata col tempo.

«Come mai ho dormito qui?» lo incalzai.

«Ieri sera ti sei addormentata, piangendo sul mio petto. Eri così carina, e non ho avuto il coraggio di svegliarti, così ho chiamato Elis e le ho detto che saresti rimasta qua. Era anche felice, visto che è potuta rimanere a dormire da Niall» sorrise ammiccante.

«Oh mamma! Toglimi questa visione che è comparsa nella mia mente, ti prego! E’ mia cugina! Non la immagino in certe situazioni – scattò a ridere – Harry ti prego, cambia argomento! Parla di qualcosa, dai!» ma lui continuava a ridere, sempre con maggior intensità. 

Mi misi in posizione indiana sul bancone, con le braccia conserte, mentre lo fulminavo con gli occhi.

«Scommetto che appena ti dirò questa cosa smetterai di ridere – dissi divertita – come e quando hai avuto la geniale idea di togliermi i vestiti?».

Si raggelò all’istante e la tonalità del suo viso si fece più bianca, mentre nella sua espressione  comparve terrore. 

Era sicuramente preoccupato di una mia possibile reazione, non immaginando che non me la fossi presa per niente. Era sempre dolce e premuroso con me, come avrei potuto prendermela con lui? 

Sicuramente l’aveva fatto per un motivo ben preciso, e non perché fosse un maniaco. Nonostante ciò gliela volevo fare pagare, perciò la mia espressione restò seria, aspettano una sua risposta.

«Beh, vedi – balbettò – avevi ancora la divisa da lavoro e – fece una pausa, sicuramente per trovare i modi più carini per dirlo – e ho pensato che non fosse igienico metterti a letto in quel modo. Così ti ho spogliato, ma l’ho fatto al buio, e non ti ho toccata, te lo giuro! Mi dispiace se..».

In quel momento non ce la feci più a resistere, scattai a ridere, aveva una faccia troppo buffa, e non sarei riuscita a trattenermi un secondo di più. 

Lui cambiò nuovamente espressione, era furioso con me per averlo preso in giro.

«Scusami – dissi fra le risa – ma la tua faccia era troppo buffa».

«Ah, si?» disse, con sguardo di sfida.

D’un tratto capii le sue intenzioni, perciò scesi velocemente dal bancone, iniziando a correre in torno a questo, mentre Harry mi rincorreva. Le sue falcate, però, erano più lunghe delle mie e dopo nemmeno due giri del bancone ero sottomessa a lui, che iniziò a farmi il solletico. Dopo una lotta estenuante, dove dovetti pregarlo per farlo smettere, ci sedemmo a fare colazione. 

Parlammo serenamente tutto il tempo, ridendo e scherzando. In un attimo di silenzio mi misi a pensare al giorno precedente, ma senza quella tristezza che credevo di poter provare. Pensai che se non fosse accaduto ora non sarei stata qui, non gli avrei confessato tutto e non mi sarei sentita così leggera. 

Ad un tratto mi si formulò in testa una domanda.

«Riguardo ieri – feci una pausa – non sapevo che parlassi l’italiano».

«Sai che voglio diventare architetto – annuii – beh, adoro l’architettura italiana, tutta la sua cultura a dire il vero, per questo motivo ho frequentato molti corsi di italiano al college». 

Il suo sguardo era fiero ed orgoglioso.

«Complimenti, sei davvero bravo!».

«Grazie» disse, guardandomi a suo modo, ovvero nel profondo dell’anima. 

Il suo sguardo era intenso e penetrante, uno sguardo che mette a disagio. Nonostante oggi avessi fatto di tutto per stuzzicarlo, quello sguardo mi mise talmente a disagio da costringermi ad interrompere la nostra connessione e, per evitare che si potesse fare strane idee, trovai un altro argomento di cui parlare, per interrompere quell’imbarazzante silenzio.

«Comunque – dissi sorridendo – non sapevo fossi fidanzata». 

Alla mia affermazione un piccolo sorriso gli si formò in volto insieme alle sue dolcissime fossette.

«Beh, dovevo togliertelo di torno in qualche modo – annuii, mentre lui si passava una mano tra i capelli setosi – e poi, ammettilo, non ti è finita tanto male».

«No, direi proprio di no» sorrisi timidamente, evitando accuratamente il suo sguardo.

Con lui sorridere mi veniva naturale, con lui tornavo la me di tanti anni prima, spensierata, gioviale, estroversa. Tornavo l’adolescente che ero stata, senza il peso dei miei problemi addosso. Ero tornata a ridere, ma soprattutto mi sentivo finalmente parte del mondo, e tutto grazie al mio nuovo amico, il mio migliore amico. La sua mano che accarezzava la mia mi distolse dai miei pensieri e, per la prima volta, la realtà era meglio della fantasia, dei pensieri.

Mi voltai sorridendo e lui era in piedi, accanto a me, che mi guardava con adorazione.

«Sai – iniziò, accarezzandomi la guancia – è la prima volta che dormo con una donna – fece una pausa – soprattutto senza aver concluso niente – sorridemmo entrambi alla sua affermazione – non immaginavo fosse così piacevole».

«C’è sempre una prima volta nella vita. E anche per me era la prima volta, ed è stato molto piacevole» dissi, perdendomi nel suo sguardo.

«Sono felice che sia successo con te. Tu sei speciale, Bea».

«Anche io sono felice, Harry. Ed è solo grazie a te se mi sento così, grazie».

«Dovere» disse dolcemente. 

Fu come se in quell’unica parola ci fosse il mondo dietro, tutto da scoprire.

L’atmosfera era visibilmente cambiata, era come se fossimo chiusi in una bolla tutta nostra. Ero sicura che se ci fossero state mille persone attorno a noi, non ce ne saremmo nemmeno accorti. D’un tratto sentii invadermi un senso di paura e tensione, era come se non riuscissi a muovermi, come se il nostro rapporto stesse inevitabilmente cambiando, contro il nostro volere. 

Era palpabile la chimica tra noi, ma entrambi non volevamo impelagarci in una storia, ma allora perché tutto ci spingeva a stare vicini?

Non riuscii a muovermi nemmeno quando capii che lui si stesse avvicinando pericolosamente al mio viso, mi stava per baciare e i miei sensi erano totalmente andati. Una parte di me mi diceva di spostarmi, ma non ci riuscivo, ero come immobilizzata, forse perché una parte di me voleva farlo. 

Quando le nostre labbra stavano per sfiorarsi, un rumore assordante e fastidioso ruppe la bolla.

Era il mio cellulare.

«Scusa – mi scostai, accarezzandogli il viso – sarà Elis e se non rispondo mi uccide».

Mi diressi velocemente verso l’ingresso, dove avevo poggiato la borsa la sera prima e presi il cellulare appena in tempo. 

Era Elis.

«Tempismo perfetto, cara cugina, dimmi tutto!» dissi sarcastica, anche se in fondo mi aveva salvato in calcio d’angolo.

«Bea – disse con voce stridula – ho urgente bisogno di parlarti, è successa una cosa meravigliosa e ho bisogno di raccontartela subito. E poi è quasi ora di pranzo, quando torni?».

«Immagino cosa sia, purtroppo – rabbrividii al sol pensiero – comunque mi sto facendo accompagnare» dissi, voltandomi verso Harry, che non staccava gli occhi dai miei.

«Ok, a dopo!» ribadì Elis, interrompendo la chiamata.

Camminai a passi lenti verso di lui, che continuava a fissarmi, mentre io, presa dall’imbarazzo, abbassai lo sguardo a terra. 

«Era Elis – dissi piano – dovrei tornare a casa».

«Ok, andiamo» disse, con sorriso amaro. 

Ormai capivo quando non gli andava bene una cosa, o n’era dispiaciuto; e quel sorriso sul suo volto trapelava amarezza, forse rimpianto.

Il viaggio in auto fu un enorme disastro, fu terribile. Nessuno dei due riusciva ad aprire un argomento, perciò restammo zitti fino a sotto casa mia, dove ci salutammo a malapena con un gesto di mano e uno ciao, breve e conciso. 

Perché quando si raggiunge un punto di equilibrio le cose devono cambiare sempre? 

Harry e io eravamo amici, avevamo costruito un rapporto d’amicizia basato sulla fiducia, e ora che mi fidavo di lui, le cose sembravano sfuggirmi di mano. Avevamo deciso di comune accordo di mantenere un rapporto d’amicizia, allora perché sembrava che non fossimo più solo amici? 

Io non potevo avere di più, non volevo. 

Nonostante ciò non riuscivo ad allontanarmi da lui quando la situazione si faceva calda, ma non era solo questione di attrazione, entrambi non volevamo una storia, ma allo stesso tempo entrambi non potevamo fare a meno l’uno dell’altra. 

Mille dubbi e domande mi frullavano nella testa, ma nessuna risposta era adatta alla situazione; forse avrei dovuto parlarne con Elis.

Entrai velocemente in casa e vidi mia cugina intenta a pulire casa, con la musica a tutto volume.

«Pulizie settimanali?» le chiesi sorridente.

«Oh, tesoro. Non ti ho sentita entrare, domani arriva mamma e se trova tutto questo casino ci lincia, quindi – disse porgendomi il mocio – comincia a passare il mocio nelle camere; poi a pranzo avremmo di cui parlare».

Dopo un’ora di estenuanti pulizie, eravamo finalmente a tavola, a mangiare uno striminzito e insipido toast; questo perché, troppo impegnate con i ragazzi, ci eravamo dimenticate di fare la spesa.

«Bea, di solito non sei un tipo molto loquace, ma in questo momento sei proprio asociale! E’ per quello che è successo ieri?» chiede preoccupata.

«No, affatto. Ieri ho raccontato tutto a Harry, ed è come se mi fossi liberata di un peso – dissi sospirando – sono solo pensierosa».

«Sicura che non hai niente da raccontare?» e alla sua domanda mi sciolsi. 

 

Iniziai a raccontargli della serata e della mattinata passata con Harry e dei suoi comportamenti, dei suoi sguardi e di come mi facessero piacere le sue attenzioni. Le parlai dei miei dubbi e delle mie paure, e di come non fossi minimamente pronta ad una relazione, ma che quando ero con lui, non riuscivo a fermarmi, a smettere.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buona sera a tutti :)

Ecco a voi un nuovo capitolo, a cui sono particolarmente affezionata, come altri nel corso della storia, che ho scritto ormai quasi tutta.

In questo capitolo abbiamo una svolta nel rapporto tra Harry e Bea, in quanto lei si confida con lui e inizia a fidarsi cecamente di lui. Inizia anche a dubitare in un certo senso della loro amicizia, perchè parliamoci chiaro, come fai a resistere davanti ad un Harry Styles???

Vorrei sapere cosa ne pensate della storia, cosa pensate che succederà in seguito.

Lo desidererei tanto.

Anyway, 

continuerò a postare anche se la storia non dovesse avere successo, perchè la amo punto e basta. Questa storia ha accompagnato i momenti più brutti della mia vita, e anche quelli più belli. Ha coronato tutto il mio percorso universitario, quindi credo in lei <3

PS: questo capitolo è dedicato ad una personcina che in questo momento è di fronte a me e ha letto in anteprima il capitolo. TI VOGLIO BENE <3

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Capitolo 10
*** First Time ***


Puoi incatenarmi
Puoi buttare via la chiave
Ma non ci sono botole non me ne andrò
Tu sei la verità che posso spiegare
Tu sei l’unica che vedo
Non è un’illusione per me

One direction - Illusion

 

 

 

 

«Non so cosa dirti, cosa consigliarti. Questa è una cosa che devi vedere con te stessa, prima di vederla con Harry; riguardo a lui, sai che non mi fido, sempre nell’ambito delle relazioni intendo. Ma posso anche sbagliarmi, in fondo tutti possono cambiare per amore». 

Adoravo la saggezza che aveva Elis, sapeva sempre come risollevarmi e farmi riflettere. 

Anche da bambine era così.

«Ma lui non è innamorato di me, questo è sicuro. Però hai ragione; devo fare chiarezza dentro di me – sorrisi – ma ora veniamo a te. Cosa mi devi raccontare? Tralascia i dettagli sconci, per favore» dissi, e scattammo a ridere all’unisono, mentre lei aveva già iniziato a raccontare.

«Qui è Niall che vi parla, al momento sono occupato e non in grado di rispondervi, mi spiace e spero non siate sul punto di morire, per cui lasciate un messaggio dopo il beep e forse vi richiamerò».

Per l’ennesima volta quel giorno rispose quella dannata segreteria.

Beep…

«Horan, giuro sulle mie tanto adorate scarpe che ti prendo a calci nel sedere quando deciderai di farti vivo, semmai lo farai, perché credimi se fossi al posto tuo io starei alla larga dalla sottoscritta!» sbottai rabbiosamente al cellulare e lo gettai dentro il cassetto del bancone, che richiusi con tanta forza che i vetri dello stesso tremarono, facendomi temere che si rompessero in mille pezzi.

Avevo da poco cominciato il turno pomeridiano in gelateria e danni su danni, che sembravano non avere fine, avevano reso una normale giornata soleggiata, una giornata a dir poco disastrosa.  

A partire dal pranzo “accidentalmente” finito sulla mia uniforme mentre avevo cercato di evitare uno scontro con un tipo in tenuta da jogging, che aveva ben pensato di far mostra dei suoi “non pettorali” per le strade di New York sfrecciando incurante fra le persone. Per poi continuare con l’aggeggio infernale della panna che quel giorno non aveva la minima intenzione di collaborare. 

Risultato?! 

Indescrivibili quantità di panna sul pavimento e sul bancone d’esposizione dei gelati da dover ripulire. Ma quello che più aveva reso la mia giornata insopportabilmente fastidiosa era stato il non avere notizie di Niall dalla sera precedente, ed il solo fatto che non rispondesse a nessuna chiamata e nessun messaggio, mi aveva preoccupato e non poco.

Milioni di domande si facevano strada nella mia mente. Domande su cui gravavano dubbi ed incertezze, paure ed insicurezze che appartenevano ad una me fin troppo paranoica.

«Oh andiamo Elisabeth, sei davvero ridicola!» mi rimproverai, e scacciai quelle assurde paranoie che vorticavano senza limite alcuno nella mia testa.

Decisi così di alzarmi dallo sgabello dove ero seduta da almeno quindici minuti con lo sguardo fisso su quello che la grande vetrata della gelateria, che dava sulla strada, offriva, e con un panno cominciai a sistemare i tavoli stracolmi di fazzoletti e macchie di gelato pasticciato sulla superficie, in modo da tenere a bada quella mia mente malata. 

Un tintinnio alle mie spalle mi avvisò che qualcuno era appena entrato nel locale, così misi da parte lo strofinaccio, mi asciugai le mani sul grembiule che indossavo e mi voltai per accogliere il nuovo cliente armandomi del mio miglior sorriso.

«Buonasera sono Elis e sono qui per serv…» iniziai, ma mi fermai all’istante quando mi resi conto che era Liam.

«Oh Liam… sei solo tu» proseguii senza alcun entusiasmo nella voce, riprendendo ciò che avevo prima interrotto.

«Siamo addirittura arrivati al “sei solo tu”, bionda?» chiese fingendosi offeso, incrociando le braccia al petto e mettendo su un broncio da vero attore. 

«Scusami Liam, è solo che oggi è tutto un disastro» provai a giustificarmi e andandogli incontro, scoccandogli un rumoroso bacio sulla guancia, che portò sul viso del ragazzo un meraviglioso sorriso.

«Racconta!» mi incitò, mentre portava il suo braccio attorno alle mie spalle.

«Ho addosso un’uniforme che è peggio di un quadro di Picasso, ed ho panna fin dentro le mutande perché quella maledetta macchina laggiù oggi è impazzita» mi lamentai sotto lo sguardo divertito di Liam, indicando l’aggeggio dietro il bancone.

«E poi…» cercai di dire, ma lasciai la frase sospesa guardando il pavimento.

«Niall?» domandò, capendo cosa in realtà mi turbava. 

Annuii.

«E’ come fosse sparito, al cellulare non risponde ed io…io…» tentennai torturandomi le mani.

«Non cominciare Elis, ti prego - mi zittì portando il suo indice sulle mie labbra impedendomi di  continuare a parlare - non cominciare a montare castelli su castelli senza alcun motivo, ok? Vedo già le rotelle qui dentro fare un casino enorme» mi rimproverò picchiettando i suoi indici sul mio capo. 

Sorrisi a quel gesto.

«Ci sarà certamente un motivo per cui non risponde alle tue chiamate - continuò - Sarà semplicemente impegnato, o magari avrà dimenticato il cellulare a casa stamattina. Può succedere, no? Vedrai che appena vedrà le chiamate, sarai sicuramente la prima a cui il biondo telefonerà».

«Elisabeth Morgan?» chiese un fattorino che aveva appena varcato l’ingresso.

«Sono io» dissi prontamente avvicinandomi alla porta, non potendo non notare che reggeva in mano un mazzo di rose rosse e ad un pacco bianco chiuso con un enorme fiocco verde.

«Questi sono per lei, signorina» mi disse porgendomeli.

Ringraziai il ragazzo e mi avvicinai al bancone per poggiare le tredici rose rosse ed il pacco appena consegnatomi. Un bigliettino incastrato nel grande fiocco catturò la mia attenzione. Lo presi e lo aprì.

 

La prima volta che ti ho visto ho pensato che c’era qualcosa di te di cui avevo davvero bisogno.

Poi ho capito che non era qualcosa di te.

Era di te che avevo bisogno.

 

Time Square 8.00 p.m.

N.”

 

Rilessi il bigliettino più e più volte, ed ancora non riuscivo a credere che quei regali erano da parte di Niall.

«Oh, ma guardatela… sguardo perso, occhi sognanti, sorriso da idiota… sei completamente andata. Horan ti ha proprio colpito il cuore, eh?» disse Liam ridendo.

«Ma smettila Payne» lo rimproverai, guardandolo torva, per poi riportare l’attenzione sul pacco.

«A noi due» mormorai, cominciando ad armeggiare con l’enorme fiocco verde. 

Non avevo la minima idea di cosa potesse contenere, ma, se era Niall il mittente, sapevo sarebbe stato di sicuro qualcosa di estremamente meraviglioso. Quel semplice gesto aveva demolito qualsiasi dubbio avessi messo in piedi in un’intera giornata. Il pensiero che Niall mi stesse evitando, adesso mi sembrava assolutamente assurdo. 

Tolsi il coperchio dalla scatola ancora con le mani tremanti e scostai la carta bianca, che rivelava un tessuto chiffon rosa che le mie dita tremanti sfiorarono. 

Un altro bigliettino bianco.

 

“Un regalo speciale, per una serata speciale, per una ragazza speciale”

 Estrassi l’abito più bello che io avessi mai visto. 

«Oh mio Dio, Liam guarda qui che meraviglia» lo mostrai al mio amico incredula.

Le sottili spalline dell’abito davano vita ad un lungo e morbido vestito rosa, con un grande spacco laterale e una profonda scollatura sulla schiena, che rendevano l’abito un vero gioiello. Stretto in vita, ricadeva elegantemente sui fianchi.

«Time Square, quindi?» chiese Liam, divertito sicuramente dalla mia stralunata espressione. 

Annuii ancora persa nei miei pensieri.

«Ah l’amore!» scherzò roteando gli occhi e facendomi scoppiare in una fragorosa risata.

«Liam non fa bene tutto questo scetticismo, su su, un po’ di gelato al cioccolato per addolcirti, e siccome oggi è una splendida giornata, offre la casa».

«Ma non era un disastro di giornata fino a poco fa?» mi fece l’occhiolino.

Non c’era bisogno di rispondere a quella domanda, il mio sorriso era abbastanza eloquente..

Liam aveva proprio ragione: ero cotta, ero proprio innamorata di quel biondo che era entrato nella mia vita, ed era la ragione di ogni mio sorriso. 

Ero proprio innamorata di Niall James Horan.

 

>>>>>

 

Arrivata a casa, velocemente corsi a farmi una doccia. 

Mentre rivoli d’acqua fresca lambivano il mio corpo non potei fare a meno di ripensare al grande mazzo di rose rosse, il cui profumo potevo ancora sentire, a quel vestito, che in quel momento era stato con cura adagiato sul mio letto, pronto ad essere indossato. Poi il mio pensiero andò a quel biglietto.

Il biglietto bianco, tatuato di quell’inchiostro che sapeva di tutto, di lui, di me. 

Di noi.

Quel biglietto in cui Niall aveva confessato quanto per lui fossi importante. Quel biglietto in cui aveva detto di aver bisogno di me, ma lui non lo sapeva, non sapeva che ero io quella ad aver un grande bisogno di lui.

Indossai il “mio” vestito speciale, lasciai ricadere i miei capelli ondulati sulle spalle, fermando le ciocche laterali con due fermagli ed infine tracciai una sottile linea nera ad incorniciare i miei occhi azzurri e valorizzai le mie sottili labbra con del lucidalabbra.

Mi trovai a Time Square in largo anticipo cogliendo di sorpresa anche me stessa, considerando che non era mai stata mia consuetudine quella della puntualità. Ma quella sera la voglia di vederlo e stringerlo fra le mie braccia fu così tanta da non essermi nemmeno accorta di star correndo.

Le strade ancora affollate, brulicavano di gente che entrava ed usciva da ogni dove, gente che uscita da lavoro si affrettava a rientrare in casa, ed io con il cuore che batteva all’impazzata e le mani tremanti, mi trovai al centro di tutto quel caos proprio come il perno di una grande giostra che era la mia vita.

Inspirai ed espirai per tentare di rallentare i battiti del mio cuore che sembrava aver voglia di uscire fuori dal mio petto, quando una voce alle mie spalle, che avrei riconosciuto fra migliaia, milioni, migliaia di milioni di perosne, mi distolse dai miei pensieri.

«Elis!»

Mi voltai e lo vidi proprio davanti a me, sorridente, e tutto intorno improvvisamente svanì.

Mi si avvicinò e, quando la distanza fra noi lo permise, portando due dita sotto il mio mento, mi baciò dolcemente le labbra e, in risposta, un leggero rossore si fece largo sulle mie guance, come fosse stata la prima volta che le mie labbra toccavano le sue. Perché quando lui mi era accanto, ogni volta era la prima per me.

«Ciao» disse ancora sulle mie labbra, mentre il suo respiro continuava a mischiarsi con il mio.

«Ciao» dissi in risposta.

«Pronta?» mi chiese allontanandosi solo un po’ per potermi ammirare.

«Assolutamente sì» affermai eccitata.

Niall prese la mia mano fra le sue, intrecciando le sue dita alle mie. 

«Sei una meraviglia, stellina» mi sussurrò all’orecchio con un tono di voce talmente basso da risultare roco, provocandomi brividi per tutta la schiena.

Percorremmo solo pochi metri prima di fermarci davanti ad un grande edificio, sotto un’insegna che gettava la sua intensa luce rossa sulla 7th Ave. Alzai lo sguardo e sgranai gli occhi non appena vidi la scritta “Desire”. Giorni prima avevo parlato a Niall di quel ristorante, dove la mia coppia preferita del cinema si era giurata amore eterno sulla terrazza di quel locale a cinque stelle. Non avrei mai potuto immaginare che lui avesse fatto proprio attenzione a quel particolare e che mi avrebbe portato proprio lì. 

E, invece mi trovavo lì. 

Con il mio ragazzo, mano nella mano, di fronte a quella che poteva essere la scena di un film. 

Il mio film preferito. Niall. 

Sentii il suo sguardo addosso. Mi voltai verso di lui e lo baciai , senza mai sciogliere l’intreccio delle nostre mani.

«Sei un pazzo» dissi scuotendo la testa.

«Può darsi» fece spallucce lui. 

«Entriamo?» fece un cenno verso l’ingresso senza perdere il suo sorriso, e io non potei fare a meno di annuire.

Entrammo poi nel locale, dove note provenienti da un piano ed un violino rendevano l’atmosfera perfetta.

 

>>>>>

 

Aveva appena cominciato a piovere ed il cielo stellato era ormai coperto da un manto grigiastro.  Qualche lampo sfrecciava tra i tetti delle case, altri invece più in alto e ad intervalli folate di vento, scuotevano gli alberi, provocandone un movimento simile ad una danza dal ritmo incostante.

Risate e sguardi rubati carichi d’amore furono spettatori di quella cena che mai avrei dimenticato. Non era né il lusso intorno né il vestito a rendere quei momenti indimenticabili, ma il semplice fatto che ognuno dei due era stato il motivo del sorriso dell’altro. 

E fu in quel momento che, avvolta tra le sue braccia, ricordai le parole di mia madre: 

‘Elis tesoro, lo so che non sono nella giusta condizione per poterti raccontare dell’amore, perché io stessa non sono stata in grado di trovare “quella” persona con cui misurare ogni mio battito e con cui condividere ogni respiro, e sai anche quanto mi faccia stare male non averti dato esempio nella vita di cosa questo significhi. Ma l'amore è passione, ossessione, qualcuno senza cui non vivi. Io ti dico: buttati a capofitto, trova qualcuno da amare alla follia e che, offrendo se stesso, ti ami allo stesso modo. Come trovarlo? Beh, dimentica il cervello e ascolta il cuore. Senti di cosa ha bisogno e soddisfa i suoi bisogni. Come un bambino ha bisogno di attenzioni per crescere affinché possa proseguire per la sua strada. Perché la verità, tesoro, è che non ha alcun senso vivere se manca questo. Intraprendere un viaggio e non innamorarsi profondamente, equivale a non vivere. Ma devi tentare perché se non hai tentato, è come se non mai hai vissuto’.

Eravamo appena arrivati a casa di Niall ed il suo profumo riempiva ogni angolo di quell’abitazione, ogni cosa attorno gridava il suo nome. E, circondata in quell’abbraccio, sapevo bene che avevo deciso di lasciare il mio cuore fra le sue mani; gli stavo donando tutta me stessa, perché avevo appena intrapreso quel viaggio, il “mio”, lasciandomi dietro razionalità e logica, proseguendo senza paura e nutrendo pian piano quell’uragano di sentimenti che vorticosamente mi travolgeva sempre più, senza alcun controllo.

«Non era nei piani la pioggia» disse stringendomi ancora di più, mentre entrambi rivolti verso la finestra guardavamo l’improvviso cambiamento atmosferico. 

«Aggiungerei anche questo alla lista delle cose inaspettate della serata» dissi alzando la testa in modo da poterlo guardare in viso. 

Mi impegnai a fare mia ogni parte di quel suo viso, ogni suo singolo particolare: i suoi occhi, le sue labbra, che avevo sempre voglia di baciare, l’accenno di barba che adoravo sentire sotto il tocco delle mie dita quando lo sfioravo, quei nei sul collo che mi facevano impazzire.

Chinò il capo verso di me e, colta in flagrante, voltai velocemente il capo.

«Elis - mi chiamò dolcemente, portando il mio viso a pochi centimetri dal suo, per poi poggiare le sue labbra sulle mie - vieni con me, voglio farti vedere una cosa». 

Mi guidò su per le scale tenendomi per mano e, scalino dopo scalino, trovai sulla parete alla mia destra foto che ritraevano ricordi che raccontavano di Niall: foto da bambino, con la sua famiglia, alla cerimonia di consegna del diploma, insieme ai suoi amici, insieme ad Harry, foto su foto che fecero crescere in me la voglia di far parte anch’io della sua vita. 

Arrivammo di fronte ad una porta bianca e, quando l’aprì, capii subito che era la sua camera. Numerosi trofei troneggiavano su mensole che riempivano un’intera parete della stanza, pile di libri di diritto accuratamente riposti in una libreria nella parete opposta ed una chitarra appesa al muro, la stessa che i suoi genitori gli avevano regalato per il suo sedicesimo compleanno, la stessa di cui Niall mi aveva parlato quando avevo scoperto la sua passione per la musica e lo avevo supplicato di suonarmi qualcosa. Mi guardai ancora intorno e quando posai lo sguardo sulla parete alle mie spalle, sopra il suo letto, vidi un’enorme foto. 

Uno scatto che ritraeva entrambi alla festa in maschera, sorridenti, mentre avevamo lo sguardo perso l’uno nell’altro. 

«Dio mio, Niall è bellissima! Non ricordavo nemmeno che avessimo una foto di quella sera» dissi sorpresa con voce tremante per l’emozione. 

Avevo sempre creduto che, di quella festa, avrei solo tenuto stretto con me il ricordo, nulla di più. Ma mi sbagliavo, Niall teneva qualcosa di più, quello scatto rubato che dimostrava quanto tutto fosse stato reale, vissuto. L’immagine si estendeva per tutta la parete priva di cornice, ma non aveva importanza, perché bastava il nostro solo sguardo ritratto ad incorniciare quel ricordo. 

«Nemmeno io sapevo di averla, fino a qualche giorno fa - disse avvicinandosi - L’ha scattata Harry» mi spiegò.  

Sorrise e, abbassando lo sguardo sulle sue mani, vidi che teneva stretta la mia maschera.

«L’hai tenuta con te» dissi ancora sorpresa, strabuzzando gli occhi incredula. 

«Posso?» mi chiese riportando il suo sguardo sul mio, sollevando la maschera. 

Annuii e così, tendendo l’elastico dietro il mio capo, la fece scivolare sul mio viso, mentre le sue dita mi sfioravano.

«Avevi ancora indosso questa quando per la prima volta mi regalasti un tuo sorriso, quando un solo tuo “Ciao Niall” impacciato mi ha fatto perdere un battito, quando il mio cuore ti ha dato libero accesso e quando ti ha permesso di entrare nella mia vita. E tu l’hai fatto, e velocemente me l’hai stravolta. Dio solo sa quanto ringrazio il momento in cui ho trovato il coraggio di invitarti a ballare. Non immagini neanche quanto inerme mi sentissi davanti ad un tuo sorriso ed incapace di ogni cosa, sotto il tuo sguardo. Ti avevo lì di fronte e fremevo dalla voglia di baciarti, desideravo portarti via dalla quella festa, da tutto quel caos intorno, che però nulla aveva a che fare con quello che stava succedendo qui dentro - portò la mia mano sul suo cuore, senza mai distogliere la sua attenzione dai miei occhi, dove lacrime minacciavano di sgorgare - quando finalmente potei far mie le tue labbra, ebbi improvvisamente paura che tutto potesse finire una volta tornati a casa, che tu potessi sparire dalla mia vita. Non potevo permettermi di lasciarti andare una volta trovata, e avuta fra le mi braccia. Sai quando ho capito quanto tu fossi davvero importante per me?».

Scossi la testa in risposta e sentii i suoi battiti accelerare sotto il palmo della mia mano, ed in risposta anche i miei cominciarono a seguire lo stesso ritmo, come se si stessero rincorrendo per raggiungersi. Alzò entrambe le mani all’altezza del mio viso e tolse la maschera, mentre altre lacrime scendevano senza controllo sul mio viso, prontamente asciugate dalle sue dita.

«Quando ogni volta che succedeva qualcosa, avevo bisogno di correre da te e parlartene - continuò -  quando vedevo dei capelli biondi e pensavo a quanto avrei voluto averle i tuoi fra le mie dita. Adoro il tuo broncio, il tuo sorriso, la ruga che ti viene quando mi guardi come se fossi un pazzo. Mi piace che, dopo una giornata passata con te, sento ancora il tuo profumo sui miei vestiti, mi piace che tu sia l’ultima persona con cui chiacchiero prima di addormentami la sera e la prima di cui ho bisogno di sentire la voce, appena sveglio la mattina. La verità è che… la verità è che tu sei la verità che io non sono in grado di spiegare - fece una pausa, prese un respiro profondo e - mi sono innamorato sul serio di te, Elis» concluse poggiando la sua fronte sulla mia.

«Dì qualcosa, amore» mi supplicò, riaprendo i suoi occhi, che si erano fatti lucidi.

«Scrissi di te sul mio diario un giorno, prima che entrassi qui dentro - e, come poco prima aveva fatto lui, portai la sua mano sul mio cuore – forse già allora, in realtà, un suo pezzo ti apparteneva. Scrissi: beato chi può abbracciarlo quando vuole, vederlo quando vuole, beato chi può prenderlo per mano e vedere il suo sorriso, beato chi può averlo lì con sé tutti i giorni. E adesso mi sembra ancora impossibile che sia io a bearmi di tutto ciò. Poi un solo suo pezzo non ti è bastato, e lo hai preso tutto con te, risponde solo a soltanto a te».

Mi gettai sulle sue labbra lasciando cadere per terra la maschera e avvolgendo le braccia attorno al suo collo, attirandolo con più forza a me. 

«Ti amo, Elis» sussurrò con voce tremante sulle mie labbra.

«Ti amo da morire, Niall» confessai giocando con i suoi capelli. 

Tornò sulla mia bocca, intensificando il bacio. Sentì la sua lingua sulle mie labbra, e subito le diedi accesso alla mia. Passione e amore dettavano il loro movimento, volendo sempre di più. Si staccò dalle mie labbra, per poter riprendere fiato, il suo respiro era spezzato come il mio, come se avessimo appena fatto una corsa, ed il suo sguardo mi bruciava addosso. 

«Non mi stanco mai di sentire le tue labbra sulle mie» Sciolsi il nodo della sua cravatta e la tolsi.

«Ho bisogno di sentire le tue mani su di me» lasciai cadere dalle sue spalle la giacca.

«Amo sentire il tuo respiro che si fonde con il mio» sbottonai pian piano la sua camicia per poi lasciar cadere anche quella sul pavimento. 

Tutto sotto il suo continuo sguardo che incendiava ogni lembo della mia pelle, che scandiva ogni battito del mio cuore, che dettava il ritmo del nostro amore.

«Io ho bisogno di sentirmi tua». 

Confessai più a me stessa. 

«Ed io ho bisogno di averti» disse, e mi bastò questo per non tornare più indietro.

Scostò i capelli dalla mia spalla per poi lasciarvi sopra umidi baci con una lentezza disarmante, che mi dovetti poggiare con entrambe le mani sul suo petto per non cadere sulle mie gambe, perché la paura di non essere all’altezza, ed il desiderio che avevo di lui, facevano a gara dentro di me, facendomi rabbrividire ad ogni suo tocco e tremare ad ogni gemito che senza controllo sentivo uscire dalla mia bocca. Chiusi gli occhi, godendomi quella dolce tortura, totalmente impreparata a quel genere di sensazioni. Con la sua bocca risalì sul mio collo mordendolo leggermente, mentre una sua mano faceva scivolare giù una spallina del vestito, poi l’altra, mentre il tocco della sua lingua sulla mia pelle  provocava una scarica di brividi lungo tutta la mia schiena. Sentii il suo respiro farsi più pesante, quando il vestito scivolò ai nostri piedi e le mie mani percorsero il suo petto nudo.

Prima che le mie mani inesperte potessero raggiungere la cintura dei pantaloni, mi sentii sollevare di peso e abbracciai con le gambe la sua vita. Ci guardammo negli occhi in silenzio, con solo i nostri respiri a riempire quella camera. Si avvicinò al letto, mantenendo i suoi occhi inchiodati ai miei, e, lentamente, mi adagiò su di esso stendendosi su di me.

Sorrisi leggermente mentre le mie dita iniziarono a percorrere il suo petto.

«Che c’è?» chiese divertito. 

«Nulla» scossi in capo.

Poi mi lasciò un bacio in fronte e coprì la mia mano con la sua e la guidò fino alla cintura dei suoi pantaloni, che slacciai velocemente mentre il suo respiro accelerava sempre più.

«Ho così tanta paura di ferirti, Elis» confessò più a sé stesso che a me. 

«Non lo farai Niall» lo rassicurai, e di nuovo poggiò le sue labbra sulle mie. 

Quando le sue mani presero a giocare con l’elastico degli slip, sentii un calore a me sconosciuto diffondersi in tutto il corpo fino al basso ventre. Inarcai la schiena in risposta, mentre lui cominciava a far scivolare via anche quelli, raggiunti poco dopo dai suoi. Per la prima volta fui completamente esposta a lui, e non sentivo il minimo imbarazzo. 

Bastò un solo cenno del mio capo, come tacito assenso a farmi sua, e sentii piano piano il suo corpo entrare nel mio, nella maniera più intima possibile, mentre affondavo le mie unghia nella pelle delle sue spalle. 

Nuove sensazioni, nuove emozioni, nuove consapevolezze, scossero il mio corpo sotto il suo. 

«Mia» sussurrò con fiato spezzato nel mio orecchio, mentre con movimenti lenti, si muoveva su di me.

Nonostante il ritmo delle spinte fosse dolce, il culmine per Niall arrivò prima del previsto, la fronte premuta contro la mia, il suo respiro pesante sul mio viso, il cuore che batteva contro il mio. Gli occhi a pochissimi centimetri l’uno dall’altro, era come se si stessero leggendo dentro.

 

«Tua» e lo ero davvero. 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Salve a tutti <3

Ecco a voi un nuovo capitolo. In realtà questo capitolo non faceva parte della storia inizialmente, ma ho voluto lasciare un pò di spazio anche alla mia OTP! Questo capitolo l'ha scritto la mia Elis, a cui è dedicato il capitolo.

Spero vi sia piaciuto!

un bacio, 

BARB <3

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Capitolo 11
*** Serata Movimentata ***


“Ma ragazzi, sapete cos’è un’emozione? No?

Immaginate di essere a casa vostra, nel vostro salotto. Immaginate di prendere un lenzuolo e appenderlo al muro con due chiodi. Prendete anche della vernice. Bene. Ora lanciate la vernice contro il lenzuolo. Avete visto cosa succede? Il colore passa attraverso il lenzuolo e sporca il muro. 

Voi siete il lenzuolo e la vernice è l’emozione. Perché, ragazzi, le emozioni vi trapassano, vi segnano per sempre.”

 

— Educatore.

 

 

 

 

«Bea, stasera andiamo in discoteca con i ragazzi, quindi preparati psicologicamente, ok?» urlò mia cugina al mio orecchio, facendomi saltare sul posto.

«Wow, che felicità!» esclamai.

«Guarda che ci sarà da divertirsi! E poi stasera dovrai bere. Dobbiamo scaricare un po’ la tensione dei giorni passati».

«Ora si che mi sento meglio!» dissi, mentre sentivo la risata di mia cugina allontanarsi dalla mia stanza.

Lei di sicuro aveva già scaricato parecchia tensione, lo capii perfettamente dal sorriso che aveva in volto.

 

>>>>>

 

Andare in discoteca non mi era mai piaciuto.

Avevo sempre odiato tutto quel caos, la musica alta, che ti stordisce, tutta la calca di persone sudaticcia, le luci psichedeliche, che ti fanno giare la testa. Non ero mai stata un tipo mondano, infatti nella mia adolescenza avevo sempre preferito di gran lunga restare a casa, davanti ad un buon film, o un bel libro, piuttosto che uscire con gli amici. Che poi, diciamoci la verità, non avevo mai avuto veri amici e, quei pochi che avevo, dopo aver capito il mio stile di vita, così diverso dal loro, si erano dileguati pian piano. Li avevo sempre compresi per il loro comportamento, anche se all’inizio c’ero rimasta male.

Chi vorrebbe avere per amica un’asociale? 

Tutto ciò mi ha fatto crescere senza vizi e sempre indipendente, senza mai farmi influenzare da nessuno. La mia migliore amica era sempre stata mia madre, l’unica persona a cui ho sempre raccontato tutto, tutti i miei segreti, le mie cotte, le mie avventure. Lei è l’unica che c’è sempre stata e sempre ci sarà. Una volta arrivata all’università le mie abitudini non sono cambiate molto, ma, quando mi sono fidanzata, mi sono dovuta adattare ad uno stile totalmente diverso dal mio, solo per amore. Mi sono dovuta sorbire interminabili serate in discoteca, con le rispettive sbronze e liti. Questo nuovo stile di vita, a cui non mi ero mai abituata, mi aveva fatto odiare ancora di più le discoteche e tutti gli eventi mondani.

Ero davanti il mio armadio, da un tempo ormai indefinito, nel tentativo di trovare qualcosa da mettere, ma soprattutto in cerca di un briciolo d’entusiasmo, cercando di trovare i “pro” di questa uscita, e impensabilmente ne trovai: per una volta nella vita avevo voglia di divertirmi davvero insieme ai miei amici, i miei veri amici. Avevo accanto delle persone davvero speciali che mi apprezzavano per quello che realmente ero, quindi niente e nessuno mi vietava di lasciarmi andare, almeno una volta. 

Misi i miei jeans preferiti, una maglietta rossa e le All Stars rosse.

«Bea, sei pronta?» irruppe Elis, entrando nella mia stanza.

«Si» dissi sfoggiando il migliore dei miei sorrisi, ma la sua espressione passò dall’entusiasmo al terrore.

«Ma come ti sei vestita? –  disse mettendosi le mani in testa, presa da una crisi di panico – corri in camera mia, ora!» urlò.

Elis era sempre incorreggibile, ormai, dopo più di un mese di convivenza, avevo capito quanto fosse inutile controbattere le sue convinzioni. Da quando ero in America, ero stata costretta a cambiare il mio stile di vita, ma soprattutto il mio modo di vestire, poiché Elis mi costringeva a vestirmi “in modo appropriato”, o almeno così lo definiva lei, ogni volta che uscivamo. 

Ho sempre tentato di convincerla del contrario, cercare di farle capire che non amavo affatto i vestitini, perché mi mettevano a disagio e odiavo essere messa al centro dell’attenzione, ma non potei far niente per farla desistere.

Entrare nella sua cabina armadio era sempre un colpo al cuore. La sua passione per la moda trapelava da tutti i pori. Non avevo mai visto un armadio così in ordine: tutti gli abiti erano divisi per modello e colore, aveva addirittura interi scomparti contenenti borse e cappelli, anch’essi divisi per colore.

«Ecco, prova questi» disse, porgendomi una dozzina di abiti striminziti.

Silenziosamente, ormai rassegnata, mi diressi in camera sua. 

Dopo la più lunga mezz’ora della mia vita, passata a provare e riprovare gli abiti che mi aveva dato, Elis decise finalmente cosa avrei dovuto indossare: un vestitino, lungo fino a metà coscia, color oro, con le cuciture nere; sopra il tessuto color oro era cucita una rete nera piena di piccoli diamanti. Per fortuna avevo convinto mia cugina ad indossare le mie All Stars nere, con la scusa di volermi scatenare e ballare, cosa alquanto assurda, ma non impossibile. 

Non avevo mai visto Elis così su di giri, stava letteralmente impazzendo all’idea di andare a ballare insieme. Per fortuna la sua euforia venne interrotta dal suono del campanello. Ciò mi permise  di mettere a punto il trucco, lontana dal giudizio di mia cugina, che come un falco si aggirava sempre intorno a me. 

«Wow!» disse una voce dietro di me, inutile dire che sapevo perfettamente a chi appartenesse. 

Mi voltai verso di lui, con lo sguardo basso e un sorriso imbarazzato in volto. 

Era davvero bellissimo con quel paio di jeans che gli definivano le lunghe e muscolose gambe e una maglietta nera con scollo a V che faceva intravedere i suoi tatuaggi.

«Elis mi ha costretto a vestirmi così» dissi con voce flebile.

«Allora devo fare i complimenti anche a lei» disse con il suo sorriso furbo.

«Smettila di fare il melenso – dissi, prendendolo in giro – andiamo va'».

Mi diressi verso lui e con un sorriso marcato gli presi la mano, portandolo all’ingresso, dove Niall ed Elis erano impegnati a sbaciucchiarsi.

«Ehm, ehm» esordì Harry, schiarendosi la voce, divertito. 

Elis e Niall si girarono, ancora visibilmente arrossati dalla passione.

«Scusateci, invidiosi» disse mia cugina.

Ci dirigemmo tutti nella macchina di Niall, che era abbastanza grande da ospitarci tutti e, dopo un decina di minuti, arrivammo davanti a quella che doveva essere la “nostra” discoteca: era all’ultimo piano di un grattacielo ed era totalmente all’aperto, ciò mi rese alquanto felice, almeno non sarei morta soffocata. 

All’entrata trovammo Liam, che, avendoci visto, ci venne incontro sorridente. 

«Ehi, ragazzi. Vi stavo aspettando – disse, posando lo sguardo su di me più del dovuto – wow, Bea, sei fantastica stasera! Non che le altre volte sei da meno» finì, facendomi l’occhiolino.

«Si, ok. Entriamo» disse scontroso Harry, trascinandomi dentro per un braccio. 

Aveva un’espressione strana in volto, sembrava furibondo. Trovammo un tavolino poco distante dall’entrata, dove posare le giacche e le borse.

«Vado a prendere da bere. Vuoi qualcosa?» mi chiese Harry.

«Si – dissi, sorridente – un Cosmopolitan». 

Seguii i sinuosi movimenti del suo corpo, mentre si dirigeva verso il bancone; non avevo mai visto una bellezza così disarmante.

Se non fossi così disturbata, e se non fosse un dongiovanni, anche io sarei cascata nella sua rete, senza pensarci due volte. 

Vidi due ragazze, con addosso due vestitini fluo inguinali, dirigersi verso Harry, sorridenti e maliziose, mettendosi accanto a lui e iniziando a parlare. In quel momento avrei voluto essere una mosca per ascoltare i loro discorsi, ma soprattutto per ascoltare ciò che diceva Harry. Un moto di fastidio si insinuò in me e non capii a cosa fosse dovuto, d’altronde ero a conoscenza delle abitudini di Harry, sapevo che tipo era e sapevo cosa pensava delle relazioni amorose. 

Quindi perché stavo rimuginando così tanto? 

«Dai Bea – disse Elis – andiamo a scatenarci». 

Così dicendo mi trascinò in pista.

Stranamente la musica era di mio gradimento, così iniziai ad ancheggiare, imitando i movimenti di mia cugina, che era particolarmente a suo agio. Ballammo fino a quando sentii una mano estranea sfiorarmi il fianco, mi girai di scatto, notando un gruppo di tre ragazzi metallari, che guardavano me ed Elis con espressione disgustevole. Con uno scatto felino allontanai la sudicia mano di uno dei tre e iniziai ad allontanarmi, ma quando ci provai fui impossibilitata.

«Pupa, dove scappi?» disse il più grosso dei tre, che mi aveva afferrato una mano. 

Aveva una voce roca e impastata, di sicuro aveva bevuto parecchio e io ero immobile, inerme.

Non potevo fare niente, nemmeno ritrarmi, era troppo forte per me. 

Improvvisamente il ciccione fece un balzo indietro, cadendo rovinosamente per terra, mentre si toccata la mascella dolorante, mi voltai e vidi un uomo alto il doppio di me e molto robusto. Capii all’istante che si trattava di un buttafuori. Lo ringraziai con un sorriso e mi diressi insieme ad Elis verso il nostro tavolino, dove trovai i nostri tre accompagnatori che bevevano in compagnia delle due ragazze che prima intrattenevano amorevolmente Harry. 

Il moto di rabbia, che Elis era riuscita ad affievolire, tornò prorompente nel mio stomaco, così afferrai irruentemente il mio cocktail e lo tracannai tutto in un sorso, davanti agli sguardi sbigottiti dei presenti. Ovviamente tutti sapevano che io e gli alcolici non avevamo mai stretto amicizia, ma in quel momento la rabbia aveva sovrastato talmente tanto la mia razionalità che mi ero già diretta verso il bancone ad ordinare due shortini. Tracannai anche questi velocemente e cercai, con il briciolo di lucidità che mi era rimasta, di capire il motivo di tutta questa rabbia. 

Non poteva essere per colpa di Harry, sapevo come era fatto, quindi non potevo essere infastidita dal suo comportamento. E poi questo significava essere gelosa, e io non potevo esserlo. Avevamo deciso di comune accordo che eravamo migliori come amici, che come coppia, quindi, che mi stava succedendo?

«Vuoi ballare un po’ con me, Bea?». 

Mi voltai e riconobbi Liam, che si era seduto nello sgabello accanto a me. 

Non avendo mai bevuto in vita mia, sentivo la mia testa girare come un mulino e, con la poca lucidità che mi era rimasta, iniziai a cercare il nostro tavolo con lo sguardo. 

Restai di sasso quando vidi Harry in mezzo alle due ragazze di prima, che erano avvinghiate a lui come due sanguisughe. Cercavano di baciarlo, gli lasciavano carezza sulpetto e gli sussurravano qualcosa all’orecchio, ma la cosa che più mi faceva rabbia era che lui era impassibile, anzi, non disdegnava quelle moine. 

Presa dalla rabbia, accentuata dalla mia impellente sbronza, presi Liam per mano e mi posizionai proprio davanti al nostro tavolino, dove era in atto la pseudo orgia. 

Iniziai ad ancheggiare attorno a Liam, strusciandomi su di lui come fosse un palo e io stessi ballando una lap dance. Contemporaneamente i miei occhi erano fissati su Harry, cercando di attirare la sua attenzione, ma in realtà non ce ne fu bisogno: lui mi fissava, come se non mi avesse mai vista realmente. Il suo pomo d’Adamo faceva su e giù continuamente, e non prestava più alcuna attenzione alle due sgualdrine accanto a lui. Mentre ero ancora persa in quello sguardo caldo, Liam mi prese per i fianchi e mi immobilizzò davanti a lui, iniziando anche lui a muoversi in modo sensuale e le sue mani guidavano il movimento dei miei fianchi. 

Decisi di assecondarlo ma, non appena avevamo preso il ritmo, una mano mi distacco dal ballo proibito e mi trascinò con sé. Non c’era bisogno che guardassi a chi apparteneva la mano, lo sapevo già e, onestamente, ne ero un po’ lusingata.

Scendemmo in strada senza mai aprire bocca, eravamo entrambi troppo scombussolati ed arrabbiati per motivi talmente diversi da esser uguali. Due facce della stessa medaglia, eravamo questo noi, tanto diversi da essere complementari. Tanto opposti da attrarci, tanto diversi da essere uguali.

«Che cosa stavi combinando là dentro?» disse infervorato. 

Il suo sguardo era completamente diverso da quello che mi riservava di solito; era duro e ferito, era totalmente freddo e distaccato. 

«Non stavo facendo niente di male, mi sembra. Tu stavi facendo certamente di peggio» dissi, alzando il tono della voce.

«A te non piace Liam, quindi smettila di comportarti così con lui».

«Così come?» urlai.

«Come se volessi ottenere qualcosa di più di una semplice amicizia da lui».

«Lui sa benissimo che per lui non provo niente, ma anche se fosse? Cosa importa a te se ci provo o no con qualcuno?».

«Non credo che lui lo sappia, o se lo sa, può non importargli. Tu non sai nemmeno l’effetto che provochi agli altri. La tua innocenza, la tua genuinità sono le tue armi di seduzione. Non esiste ragazzo sano di mente che non s’invaghisca di te, proprio per queste qualità, che tu non ritieni tali». 

Ero sbigottita dal senso delle sue parole, c’erano dei concetti sottintesi, che da ubriaca non riuscivo proprio a cogliere in pieno. 

Ma che voleva dire?

«Ma perché te la prendi tanto, stavamo solo ballando. Che t’importa?» dissi, tentando di deviare un discorso troppo arzigogolato.

«Allora perché non balli in quel modo con me? Perché con lui ti è venuto così spontaneo, mentre non ti avvicini mai a me in quel modo? Perché con me t’inibisci e con lui no?».

«Se non ti conoscessi direi che sei geloso, ma siccome so come la pensi non capisco proprio di cosa tu stia parlando. Quando tu ci provi con qualcuna, o viceversa, io non ti dico niente, non ti ho mai detto niente». 

Stavo mentendo spudoratamente, a me stessa e a lui.

Prima, quando quelle due gallinelle ci provavano con lui, ero gelosa marcia. Avevo capito cosa provava lui, ma l’avevo fatto solo per fare provare a lui ciò che avevo provato io. Perché ero gelosa di un ragazzo che poteva solo essere mio amico? E perché lui si comportava così?

«Purtroppo ho notato anche questo: la tua indifferenza. Non ti importa niente se le altre ci provano con me, ma non ti ho mai dato l’opportunità di esserlo. Da quando ti ho rincontrato non sono stato più con nessuna, anzi, ti dirò di più, non ho mai più guardato nessuna». 

Il suo sguardo si fece dolce, ma contemporaneamente rassegnato. Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo, era troppo penetrante, e faceva male, tanto.

«L’ho notato. Ma non sapevo quanto frequenti fossero le tue “relazioni” prima di conoscermi. Non ho potuto fare paragoni. Ma stasera eri abbastanza divertito, mi sembra».

«Tu non hai capito proprio niente – sussurrò, avvicinandosi pericolosamente a me, che ero appoggiata a muro; si mise davanti a me, ormai ero intrappola – da quando sei tornata non sono più quello di prima. E’ come se tu avessi ricominciato a farmi respirare, a vivere. Mi hai fatto capire, senza dirmi niente e senza giudicarmi, che la vita che conducevo era sbagliata, io ero sbagliato. Con te mi sento giusto. So cosa ho detto, e so cosa pensi tu. Ma ora posso dire con certezza che mi rimangio tutto quello che ti ho detto. E’ vero, prima di rincontrarti ero l’ultima persona sulla faccia della terra a volere una relazione, pensavo di non averne bisogno, ma ora – sospirò, cercando forse le parole esatte da dire – mi sento completo quando ci sei tu. Non sai quante volte ho avuto l’impulso di baciarti. Stasera ti avrei voluto strappare dalle braccia di Liam dicendogli ”lasciala stare, lei è mia”. Questi atteggiamenti, i sentimenti che provo, non sono comportamenti che un amico dovrebbe avere. Io credo che…».

«No, non dire più niente – dissi mettendo una mano avanti, come se questo gesto avesse potuto fermare le sue parole – io non posso, lo sai». 

E con le lacrime agli occhi scappai, come una codarda. Mi era stato difficile andarmene, ma avevo fatto la cosa giusta, lo sapevo. 

Non potevo stare con lui, non potevo soffrire di nuovo.

Ma allora perché piangevo? 

Svoltai l’angolo, presi il cellulare, che avevo messo nella coppa del reggiseno e chiamai Elis. 

 

Dopo venti minuti ero a casa, nel mio letto, pronta a farmi abbracciare da Morfeo. 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

E si torna a parlare di Harry e Bea.

Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento... Beh questo si può definire un capitolo di svolta, dove si fanno vedere i primi sentimenti all'orizzonte, almeno da una parte... Ma il fato non è sempre benevolo!

Detto ciò sono sommersa dallo studio, ho esami ogni secondo però per fortuna riesco ad aggiornare perchè la storia è già tutta scritta, o quasi.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate della stori, anche con una piccolarecensione. Apprezzo tutte le persone che l'hanno fatto e vi ringrazio di cuore <3 apprezzo anche i lettori silenziosi, che hanno contribito anche loro ad arrivare alle 2.5K visualizzazioni!

 

Vi amo <3

 

B.

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Capitolo 12
*** Contraddizioni ***


E allora si chiese: devo starlo a sentire questo desiderio, o devo togliermelo dalla testa?

 

A. Baricco

 

Mi svegliai con un forte dolore in testa, non sapevo se per la sbronza della sera precedente o per il continuo pianto che aveva accompagnato la mia notte. 

Non ero riuscita a chiudere occhio fino alle luci dell’alba e, quando finalmente c’ero riuscita, era suonata la sveglia. Andai a lavoro, sperando di riuscire a tenere la mente occupata, ma invece il resto della giornata sembrava non passare mai, servendo coni gelato uno dietro l’altro in modo automatico, con un sorriso palesemente finto in volto. Non vedevo l’ora di tornare a casa per buttarmi a capofitto nel letto e risvegliarmi l’indomani mattina, sperando di avere un umore migliore. 

Elis non mi perse d’occhio nemmeno un secondo, era visibilmente preoccupata, ma non trovavo la forza di rassicurarla, non in quel momento. I flash della sera precedente erano ancora vividi nella mia mente, e io, pur provandoci con tutta me stessa, non riuscivo a non pensarci.

Mi proposi per andare a prendere il pranzo al fast food, che si trovava a pochi isolati dalla gelateria, magari una camminata m’avrebbe fatto schiarire le idee. Non feci i conti però con una cosa non di poca importanza: il fast food si trovava proprio accanto al palazzo dove abitava Harry. 

Maledissi la mia inusuale intraprendenza,ma a quel punto non potevo tornare indietro, così continuai a camminare, sperando che il destino fosse dalla mia parte, almeno per una volta. 

Ma, quando le cose ti vanno male, non posso che andare peggio. 

Proprio nel momento in cui stavo passando sotto casa di Harry, il portone del suo palazzo si spalancò e ne uscì lui, il soggetto di tutte le mie preoccupazioni e di tutti i miei viaggi mentali. I suoi occhi caddero immediatamente su di me, impedendomi qualsiasi atto di fuga, così decisi di aspettarlo mentre scendeva le scale. Quando fu davanti a me, i battiti del mio cuore accelerarono sempre di più, tanto da sentirmi mancare.

«Che ci fai qui?» iniziò lui. 

Era visibilmente teso, ma nel suo sguardo riuscivo a cogliere un barlume di speranza. Mi stupivo ogni giorno di più del fatto che riuscissi a capire ogni sua emozione e sensazione solo dal suo sguardo.

«Sono venuta a prendere da mangiare, a dire il vero» dissi a sguardo basso.

«Ah – disse, incupendosi – riguardo a ieri…».

«Sai come la penso» lo interruppi io, senza sapere nemmeno il motivo.

In realtà ero confusa, anzi, non ero mai stata così confusa in tutta la mia vita. L’istinto di protezione che mi ero costruita, però, era più forte e vigile della mia stessa razionalità.

«Quindi mi stai dicendo che non vale la pena provarci?».

«Sento già che non andremo da nessuna parte». 

Avevo le lacrime agli occhi, perché, in realtà, solo una piccola parte di me credeva a ciò che stavo dicendo, mentre l’altra mi stava urlando di correre da lui e baciarlo. Non ero pronta a rischiare, anche se in fondo credevo alla sua confessione, perché non erano solo parole. Anche i gesti che mi riservava erano concordi con le sue parole. 

Ma se poi quella parte di me avesse torto?

«Tu non eri quella che diceva che una storia se non la vivi non sai come andrà a finire? Ti stai contraddicendo!». 

Il suo volto era contrito e pieno di rabbia.

«Si, ma preferisco per una volta seguire la mia testa. Preferisco soffrire ora che dopo, quando sarà troppo tardi».

«Se la pensi così, non posso dirti più nulla, non voglio farti soffrire. Questa è l’ultima delle mie intenzione, anzi, il sol pensiero non ha mai sfiorato la mia mente. Dalla prima volta che ti ho rivista in me è scattato qualcosa, che ancora non riesco a spiegarmi. E’ come se tu mi avessi fatto cambiare il modo di vedere le cose. Volevo cambiare, per te, ma evidentemente il mio passato mi precede». 

Abbassò lo sguardo e iniziò a camminare nella direzione opposta a quella che dovevo intraprendere io. 

Restai ferma nella mia posizione per un tempo che sembra infinito, mentre le lacrime avevano trovato la via d’uscita. Ero amareggiata e dispiaciuta, non solo per quello che avevo fatto a lui, ma anche per quello che avevo fatto a me stessa. Per paura di soffrire rinunciavo ad un rapporto che poteva anche essere sincero. Harry aveva ragione, mi ero contraddetta. Ma era meglio così. 

E poi se ci teneva veramente avrebbe lottato, no? Allora perché stavo così male? Perché quando lui mi era vicino, mi sento così bene? 

Era come se con lui nelle vicinanze mi sentissi a casa, al sicuro e nessuno mai mi aveva fatto sentire così. 

Con le lacrime agli occhi andai a prendere il pranzo e tornai in gelateria. Quando andai a posare la borsa nel retro, sentii una presenza dietro di me, mi girai con ancora il viso rigato dalle mie stupide lacrime e vidi Elis che si avvicinava.

«Tesoro, come va?» chiese dolcemente. 

Alzai le spalle, sentendomi troppo fragile. Improvvisamente, senza nemmeno pensarci mi buttai tra le sue braccia e piansi, stavolta rumorosamente.

Finalmente arrivò l’ora di chiusura e poco dopo eravamo finalmente a casa.

«Bentornate – disse Mara – ho preparato arrosto panato e patatine fritte!».

«Scusa zia, non sto molto bene, ho un gran dolore alla testa. Stasera non ho voglia di cenare, vado a letto» dissi con un filo di voce e senza sentire la sua risposta mi diressi in camera e, ancora vestita, mi misi sotto le coperte.

E se avessi sbagliato? 

Se lui fosse stato il mio vero amore e l’avessi fatto scappare così? Avevo paura di aver sbagliato, ma al tempo stesso paura di soffrire. 

Eppure ho sempre pensato che il vero amore non è per forza l’amore giusto, ma l’amore che ti fa fare pazzie, quello per cui rischieresti tutto, quello che ti stravolge i piani, la vita. Le favole ci insegnano che il vero amore si può trovare per caso, quando meno lo si aspetta. Il vero amore può non rispecchiare l’idea che c’eravamo fatte o addirittura essere incompatibile con la nostra vita. 

Ho sempre creduto che nella vita ci si possa innamorare più volte, ma quando s’incontra il vero amore spero si riesca a riconoscerlo e spero che, in fondo al nostro cuore, siamo consapevoli che quella persona ha qualcosa in più delle altre. Il vero amore riesce a superare mille avversità: vedi Romeo e Giulietta, il loro amore era così forte e intenso, che hanno preferito morire piuttosto che vivere una vita senza il loro amore. 

Sapevo benissimo cosa dicesse il mio cuore, solo che non riuscivo a seguirlo. 

Era già mattina, e un altro giorno di lavoro mi attendeva. Il giorno precedente non avevo avuto nemmeno la forza di parlare con Elis di quello che era successo. La giornata alla gelateria passò in fretta, grazie all’abbondanza di clienti, che mi tenne occupata la mente per tutta la durata del turno. Arrivata la chiusura, andai a prendere i miei effetti personali sul retro, ma mi bloccai proprio davanti alla porta. 

Sentii Elis parlare al telefono, magari era Niall, meglio non disturbarla. Feci per andarmene, ma mi bloccò il tono alto di voce che Elis stava usando.

«No, Harry! – rabbrividii a quel nome, perché stava parlando con lui? – lasciala in pace. Ha preso questa decisione e devi rispettarla. Come sta? Sta male e non capisco nemmeno il perché, non sapendo quello che è successo ieri. No, non me ne ha parlato – fece una lunga pausa, evidentemente lui le stava raccontando a grandi linee il suo monologo – Ho accettato il fatto che voi siate amici, perché sai che lo sei anche per me, ma nient’altro tranne questo, Harry. No, io non credo che tu stia male, è solo una facciata. Ma non capisco cosa vuoi da lei, se ci sono tante altre ragazze che ti vengono dietro. No, tu non la conosci. So che lei è speciale, la conosco da sempre»

«Va bene, parlerò con lei per saperne di più - disse stavolta in tono più dolce - ma sappi che io non voglio che voi due vi mettiate insieme. Perché ho paura che la farai soffrire, lei sembra forte, ma non è così. Per ora dalle spazio. Ok, ciao».

Riattaccò e prese le sue cose, e allora entrò nella stanza.

«Ho sentito la tua conversazione – s’irrigidì – cosa ti ha detto?». 

«Sicura di volerlo sapere?» disse, visibilmente a disagio.

«Si». 

Ora ero attenta come un falco.

«Mi ha raccontato della conversazione di ieri e non capisce perché tu rifiuti i tuoi sentimenti. Lui è sicuro di ciò che provi per lui e pensa che sia stata io ad influenzarti, raccontandoti del modo in cui viveva prima. Ha voluto sapere come stavi e ha detto che lui sta uno schifo ed è molto dispiaciuto, perché le cose che ti ha detto erano vere, le pensava sul serio e le continua a pensare».

«Mi risulta difficile pensare che fosse sincero – dissi, con poca convinzione – perché non concepisco come si possano dire certe cose ad una persona che conosci appena. Non può credere di conoscermi realmente, eravamo solo dei ragazzini l’ultima volta che ci siamo visti. Ma la cosa che mi fa stare male è che una parte di me, non indifferente, gli crede. Sto attraversando una lotta interiore allucinante per questo!» finii il mio discorso e mi accasciai a terra, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani sul capo.

«Bea, riguardo quello che ti ho detto – fece una pausa – beh, non farci caso. E’ vero che penso quelle cose di lui, ma magari mi sbaglio. Magari è cambiato e gli interessi davvero. Non voglio influenzarti, quindi se vuoi veramente stare con lui, fallo. Io ti starò sempre vicina, ti aiuterò. Ho solo paura di vederti soffrire, tutto qui».

«Anche io ho paura. Per ora non me la sento di rischiare; forse tra un po’ di tempo magari». 

Il solo fatto di poter soffrire mi terrorizzava.

Uscimmo dalla gelateria, inaspettatamente tranquille e sorridenti, mi sentivo più leggera, come se mi fossi tolta un peso di dosso. Le strade di New York erano, come sempre, affollate a qualsiasi ora del giorno e della notte. Mentre i negozianti stavano abbassando le saracinesche dei loro locali, il sole iniziava a calare, perdendosi tra i grattacieli, creando un’atmosfera deliziosa; i giochi di luce creavano un paesaggio maestoso, indelebile nella mia mente. Si chiudeva così un nuovo giorno, un altro giorno senza Harry.

Poi il cellulare di Elis si mise a squillare.

«Ciao Liam. Bene, grazie. Oggi? A che ora? Aspetta in linea – si voltò verso di me e, coprendo con la mano il cellulare, mi disse sottovoce – è Liam, dice se vogliamo andare con lui al cinema. Ti va?».

«Si, certo – annuii – potrebbe servire a distrarmi un po’. E poi Liam è molto simpatico» sorrisi. 

Mi andava sul serio, avevo voglia di distrarmi un po’, cosa che sicuramente non sarei riuscita a fare stando in camera da sola.

«Ok, Liam. Andiamo a prepararci e ci vediamo davanti al cinema. Ok, a dopo» chiuse la conversazione.

 

>>>>>

 

Dopo essere passate da casa ed esserci cambiate, arrivammo velocemente al cinema. 

Liam era già all’entrata, ma non era solo, c’era Niall accanto a lui. Capii di essermi appena imbucata in un’imbarazzante uscita a quattro e non potei fare a meno di arrossire. 

Liam era piuttosto elegante: indossava una camicia bianca e dei jeans scuri, piuttosto attillati. Mi resi conto che era davvero carino, non mi ero mai soffermato tanto su di lui, ma nonostante quella scoperta non riuscivo a vederlo in modo diverso, se non come amico. Appena ci vide il suo volto si aprì in un grande sorriso di approvazione e ci venne incontro.

«Ciao tesori – ci abbracciò – siete uno schianto. Dai, entriamo».

Elis si fermò davanti a Niall e, con un grande sorriso stampato in faccia, gli diede un casto bacio sulle labbra. 

Provai una tenera invidia, perché loro, a differenza mia, riuscivano a vivere le loro emozioni. Mi sentivo in imbarazzo, fuori posto. Liam, invece, era esageratamente su di giri e continuava a parlarmi sorridente ed energico. I suoi occhi castani non si staccavano mai da me, mentre io ero intenta a guardare Elis e Niall che si scambiavano effusioni. 

Forse Harry aveva ragione, Liam non era completamente disinteressato, e io avevo peggiorato la situazione, quando l’avevo deliberatamente provocato. 

Per fortuna, una volta entrati in sala, Elis si sedette alla mia sinistra e, nonostante Liam fosse alla mia destra, ero più a mio agio. Il film iniziò qualche minuto dopo. Neanche a farlo apposta trattava di una storia d’amore complicata e strappalacrime, mentre il mio pensiero si spostava inevitabilmente a Harry e alle sensazioni che mi aveva fatto provare, e che provavo ogni volta che ero con lui. 

Sentii per tutta la durata del film lo sguardo preoccupato di Elis, forse non sapeva che genere di film andassimo a vedere. Ero sicura che non mi avrebbe portato a vederlo se avesse conosciuto la trama; improvvisamente mi resi conto che era stato organizzato tutto da Liam, magari perché sperava di avere qualche possibilità con me. Questo pensiero mi fece sorridere, la mia nuova vita era davvero incasinata, non mi sarei mai aspettata che la mia vacanza prendesse questa piega. Arrivare in una nuova grande città e stravolgere il mio mondo. 

Il film ebbe, ovviamente, il solito e scontato finale con la risoluzione di tutte le difficoltà e uno smielato bacio finale. Ero così presa dai miei pensieri e persa nei miei ricordi, da non accorgermi che la mano di Liam era poggiata sulla mia, stingendola. Guardai basita la scena, come se fossi dentro un film.

Mi risvegliai dal momentaneo trans e sfilai velocemente la mia mano dalla sua, sdegnata dalla sua sfacciataggine. Vidi il suo sguardo incupirsi, ma restare fisso sui titoli di coda che scorrevano nel grande schermo del cinema. Per fortuna le luci della sala si accesero e io mi alzai velocemente senza aspettare gli altri, dirigendomi verso l’uscita. Avevo assolutamente bisogno di aria. 

Sentii i passi di Elis seguirmi, tentando di reggere il passo.

«Che ti succede, Bea?» disse sconvolta.

«Non lo so. Liam mi stringeva la mano, e io non me n’ero nemmeno resa conto. Da quando sono qui sto vivendo troppe situazioni nuove, che mi stanno sovrastando. Non so nemmeno io cosa provo». 

Ero in crisi e le lacrime stavano cercando di farsi strada dentro di me. Non avevo mai pianto così spesso nella mia vita, di solito ero una che soffriva in silenzio.

«Tranquilla. E’ normale che ti senta così, sei scioccata da quello che è successo con Harry e ad aggravare la situazione ci si mette anche quel cretino di Liam. Tu gli piaci Bea e, non sapendo quello che ti è successo, cerca di avvicinarsi a te. Gli parlerò io» disse, mentre mi accarezza le guance.

«No. Gli parlerò io. Tu torna a casa con Niall, avete bisogno di stare da soli. Io me la caverò» affermai ricacciando le lacrime. 

«Sicura?».

«Sicurissima!» dissi, convinta della mia decisione.

Vidi Liam uscire a testa bassa fuori dal cinema, lo raggiunsi e mi fermai davanti a lui, cercando di stamparmi un sorriso in faccia.

«Scusa per prima – dissi – non so cosa mi sia preso. Che ne dici di andare insieme a mangiare un pezzo di pizza? Così avremo l’opportunità di conoscerci un po’ meglio». 

Un sorriso speranzoso crebbe nel suo volto.

«Scusami tu. Non dovevo osare così. E’ solo che tu mi piaci e mi piacerebbe approfondire la nostra conoscenza. Quindi, si! Andiamo a mangiarci questa pizza». 

Mi prese sotto braccio e ci incamminammo.

Dopo aver camminato per una decina di minuti, ci fermammo davanti ad una piccola pizzeria d’asporto. Una luce al neon illuminava l’insegna posizionata fuori dal locale, che aveva un interno molto colorato e alternativo. Liam mi chiese di aspettare fuori e, dopo pochi minuti, lo vidi tornare con un’enorme pizza in mano. Ci sedemmo in uno dei tavolini esterni al locale e iniziammo a parlare. 

«Tu mi hai colpito, sai – disse – i tuoi modi di fare, ma soprattutto il tuo sguardo mi hanno catturato. Vorrei tanto poterti conoscere meglio, ma ho paura che per te non sia la stessa cosa».

«Grazie, per i complimenti, ma hai ragione, in questo periodo la testa mi sta scoppiando. Mi stanno succedendo molte cose, che sono fuori dal mio controllo. Non posso avere una storia con te, posso essere solo una tua amica, niente di più» dissi, dispiaciuta, perché in fondo Liam era davvero un bravo ragazzo, ma non era abbastanza. 

«Capisco. Allora saremo degli ottimi amici, poi nella vita non si sa mai» disse sorridendo.

Restammo a parlare per un bel po’, davanti al nostro piatto di pizza, ormai vuoto. Era piacevole stare in sua compagnia, Liam era davvero simpatico, giocoso, ma sapeva anche essere profondo e un buon ascoltatore quando ce n’era bisogno. Trattammo anche l’argomento del ballo, quando Harry aveva interrotto uno dei nostri balli e poi mi aveva baciato; stranamente ne parlai tranquillamente, forse perché lui trovava sempre l’occasione di ironizzare. 

Improvvisamente il suo sguardo cambiò, diventando più freddo e distaccato, mentre il suo corpo s’irrigidiva visibilmente, ma non ne comprendevo il motivo.

«Ciao ragazzi non mi aspettavo di vedervi qui – fece una pausa – insieme» disse con freddezza una voce alle mie spalle. 

Riconobbi subito a chi apparteneva, e un brivido caldo mi attraversò il corpo. Trovai il coraggio di voltarmi e vidi Harry in piedi dietro di me.

«Ciao, Harry». 

La voce di Liam era indecifrabile, ma dai suoi occhi trapelava un misto di ansia e rabbia. Chissà se la ragione di questo astio tra loro ero solo io, o vi era qualche altra ragione. 

L’atmosfera tra di loro era gelida e dovevo cercare di stemperare la situazione, ma come?

«Ciao! – dissi con voce falsamente tranquilla, la sua presenza mi provocava un buco nello stomaco, dopo l’altra sera – che ci fai da queste parti tutto solo?». 

«Stavo tornando a casa, sono stato con degli amici in un pub qui vicino. Voi?».

«Noi siamo stati al cinema con mia cugina e Niall, ora siamo venuti a mangiare qualcosa. Abbiamo preferito lasciarli da soli». 

Gli lanciai un sorriso timido, l’atmosfera e la situazione erano alquanto imbarazzanti. Vidi Liam immobile, con lo sguardo contrito, e non riusciva proprio a non guardarlo con disprezzo.

«Capito. Tolgo il disturbo. Ci vediamo in giro, ragazzi». 

Con un sorriso da perfetto ammaliatore, si allontanò.

Restammo in silenzio, entrambi sconvolti da quell’incontro, ovviamente per motivi differenti. Più passavano i giorni e più mi rendevo conto che l’effetto che quel ragazzo aveva su di me era forte.

«Ti piace tanto, a quanto vedo». 

Irrigidii alla sua affermazione, perché non sapevo nemmeno io cosa provavo, come facevo a rispondergli? 

Capii che in realtà Harry era stato sempre più di un semplice amico, altrimenti non gli avrei mai raccontato cose che nella mia vita non sapeva nessuno, e non gli avrei mai dato la mia fiducia così facilmente. 

Liam diceva la verità: Harry mi piaceva tanto, forse troppo.

«E’ un bellissimo ragazzo, tutto qui» dissi, fingendo disinteresse.

«Secondo me è molto più che un bel ragazzo per te. Si vede da come lo guardi e dalla tua reazione. Sei agitata».

«No, non è vero». 

Ero agitata, molto agitata, ma cercai di mascherarlo con tutte le mie forze.

«Ok, come vuoi. Ora cambiamo argomento. Non sono venuto qui per parlare di lui».

Restammo seduti a parlare ancora. Il tempo passava velocemente in compagnia di Liam.

«E’ tardi, Liam. Dovrei andare a casa, mi accompagni tu?» dissi.

«Si, ho la macchina qui vicino, andiamo». 

Si alzò e mi porse la mano. 

Questa volta non tentennai, afferrai la sua mano, sentendomi ancora un po’ a disagio e stordita dal nostro precedente incontro con Harry.

Salimmo sul vecchio Pick up di Liam e sfrecciammo nella notte newyorkese sulle note dei Coldplay

Dopo pochi minuti eravamo già sotto casa. 

«Beh, è stata una bella serata, tolta una piccola parentesi» disse sorridente.

«Si – sorrisi – proprio una bella serata. Grazie per la compagnia, Liam».

«E’ stato un piacere» disse sorridendo. 

Si avvicinò a me, cauto, e mi stampò un dolce bacio nella guancia, molto vicino alle labbra. Arrossii e scesi di corsa dalla macchina.

Le mie giornate newyorkesi si facevano sempre più interessanti, sempre più stressanti. Non sapevo mai cosa mi aspettasse giorno dopo giorno.

Le mie giornate erano tutte un crescendo di eventi, eventi catastrofici. Il mio incontro con Harry mi aveva sconvolto, facendomi sorgere il dubbio di aver sbagliato tutto, come mio solito. Liam era stato davvero una scoperta, ma troppo sfacciato per me, e per nulla galante. Harry era tutta un’altra storia, fatto di un’altra stoffa: tenebroso, galante ed una calamita per me. Ogni giorno il mio pensiero andava a lui, sempre di più e il mio desiderio, invece di scemare, cresceva continuamente. Chissà se avessi seguito il mio cuore cosa sarebbe successo.

«Bea! Com’è andata?» disse Elis appena entrai in casa.

«Bene, bene. È molto simpatico, ma forse un po’ troppo esuberante per me» dissi timidamente.

«Perché? Che ha fatto?» disse sconvolta.

«Diciamo che ci ha provato, abbastanza. Soprattutto dopo che abbiamo incontrato Harry. A quanto pare lo odia».

«Hai visto Harry?» disse basita.

«Si, stava tornando a casa. Non mi è sembrato tanto contento di vederci insieme, ma soprattutto Liam non era molto contento di vederlo. Sputava odio dagli occhi».

«Immagino… è cotto di te!».

«Ma io non di lui» sputai secca.

«Lo so. Tu sei cotta dell’altro, direi. Sicura di non averci ripensato?».

«No! Anche se vederlo mi fa sempre effetto diverso, ora che so cosa prova. Non riesco più ad essere come prima» dissi sincera.

«Penso sia normale. Fai passare un po’ di tempo, magari la situazione si stempera pian piano» disse, sfoggiando uno dei suoi sorrisi comprensivi.

«Qualcosa mi dice che non saresti più così tanto dispiaciuta, se mi mettessi con lui».

«Diciamo che comincio a credere ai suoi sentimenti, me ne ha parlato Niall». 

Sgranai gli occhi, incredula del ripensamento che aveva avuto mia cugina.

«Capito». 

Fu l’unica parola che mi uscì dalla bocca.

Mi misi a letto e ripensai ai suoi occhi verdi, pieni di rabbia e tensione, ripensai a quel sorriso enigmatico e malizioso. 

Che fossero veri i suoi sentimenti? Com’era possibile che un ragazzo come lui potesse volere una come me, che era restia a qualsiasi relazione amorosa? Avrebbe potuto avere di meglio. 

Avevo avuto la prova che non mi servivano le attenzioni di un ragazzo qualsiasi, ma le sue. 

Liam poteva avere tutto quello che cercavo in un ragazzo: era carino, simpatico, dolce ed intelligente, ma non era abbastanza, mancava quel qualcosa che finora avevo trovato solo in Harry. Lui era sempre riuscito a scaturire in me sensazioni uniche e poi la chimica che c’era tra noi era la mia fregatura. 

Era comprensivo e protettivo nei miei confronti, sapeva capirmi, ascoltarmi, anche senza parlare, anche con uno sguardo. Quando avevo addosso il suo sguardo mi sentivo la persona più importante dell’universo, nessuno mi aveva mai guardato in quel modo, nessuno mi aveva mai donato l’emozione che mi dava lui col suo sguardo. Quando mi trovavo con lui mi sentivo vulnerabile, ma al tempo stesso protetta e potente, mi sentivo bella e desiderabile. 

 

Mi sentivo unica.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Salve bellezze!

Oggi ho dato il mio ennesimo esame, e sono davvero esausta. Non ne posso più, ma per fortuna penso che manca solo un anno e poi... alla ricerca del lavoro, finalmente!

Spero che la storia vi piaccia, anche se non vedo partecipazione.

Vorrei fare crescere questa storia, vorrei che la gente ne parlasse e la conoscesse. Vorrei continuare a crescere con questa storia, come ho fatto negli ultimi anni, per questo sono ben accette anche le critiche. 

In ogni modo, la storia come sapete è in parte scritta, ma da oggi in poi posterò solo una volta a settimana, ovvero il sabato. Ci sono vari motivi che mi hanno spinta a prendere questa decisione, ma non starò qui ad annoiarvi.

 

BARB <3

 

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Capitolo 13
*** Bowling ***


E se arrivassi con un secondo di ritardo? 

Se qualcuno tagliasse prima di te il traguardo? 

Se prendessi la ‘decisione giusta’ un attimo dopo il ‘momento giusto’, quando qualcuno ha già scelto per te?

 

 

Il resto del mese fu una noia mortale in confronto ai miei primi tempi a New York, ma la noia non mi era mai piaciuta così tanto. 

Il lavoro andava a gonfie vele e ormai avevo fatto amicizia con tutti i miei colleghi, che ogni giorno mi portavano a fare aperitivo dopo la chiusura. Harry non si era più fatto vedere e ne sentire dalla sera dell’uscita con Liam, che invece passava ogni giorno dalla gelateria. La mia nuova vita aveva ormai un ritmo ben definito, avevo finalmente una mia routine. Vivere con Mara ed Elis era un sogno; erano sempre gentili e divertenti, mi facevano davvero sentire a casa, anche se mi mancava da morire mia madre. La chiamavo ogni giorno e, anche se non le avevo parlato apertamente di Harry, aveva già intuito qualcosa. Le avevo raccontato di un ragazzo che mi piaceva molto, ma che era uno sciupa femmine, quindi non ero sicura se potermi fidare di lui. 

Secondo lei, quando un uomo s’innamora davvero, da sciupa femmine diventa un romanticone, per mi consigliò di buttarmi, di vivere le emozioni che la vita offre. Parlare con mia mamma mi era sempre tornato utile, perché sapeva dire sempre la cosa giusta. 

Ero arrivata ad un bivio però: testa o cuore? La risposta era ovvia. 

Il mio cuore stava sovrastando la mia testa. Forse avrei dovuto parlargli e dargli una possibilità. 

«Bea – Elis entrò nella stanza, interrompendo la mia lettura di “Romeo & Giulietta” – stasera andiamo tutti al bowling. Vuoi venire?».

«Si, certamente!» sorrisi.

«Però ti avverto, c’è anche Harry». 

Il suo volto era preoccupato, come ogni volta che lo doveva nominare, sapeva che non mi faceva piacere sentire il suo nome. 

Ma ormai avevo preso una decisione e non restava che seguirla.

«Non fa niente. Tanto avevo intenzione di parlare con lui, anche se non immaginavo sarebbe successo così presto» esclamai, inaspettatamente tranquilla.

«Parlargli di cosa?». 

Era incuriosita, cosa normale per mia cugina, che era la curiosità fatta persona.

«Voglio provare a fidarmi di lui anche come più di un amico. Non voglio correre il rischio di perdere qualcosa che potrebbe rendermi finalmente felice, perché qualcuno in passato mi ha fato soffrire. Il passato è passato, ora voglio vivermi il presente».

«Buona idea!» disse mentre mi schiacciava l’occhio, sorridente. 

A quanto pare Elis aveva veramente cambiato idea su di lui. 

Ero impressionata.

 

>>>>>

 

Indossai un vestitino blu a pois rosa di Elis, che mi calzava a pennello, e delle ballerine blu. I mie capelli erano raccolti in una lunga coda di cavallo. Per fortuna Elis mi aveva risparmiato la sua solita seduta di make-up, ma mi aveva obbligato a mettermi la matita nera agli occhi. 

Ero piuttosto nervosa, perché la consapevolezza di rivederlo rendeva tutto ancora più difficile. 

Era passato parecchio dall’ultima volta che l’avevo visto, ma l’effetto che aveva su di me non sarebbe stato sicuramente differente. Elis entrò nella stanza in tutta la sua bellezza: indossava un paio di short, una canottiera attillata azzurra e un paio di converse di jeans. Era radiosa e visibilmente felice, ormai lei e Niall facevano coppia fissa. Erano adorabili insieme ed estremamente dolci e si vedeva che si desideravano molto. Ero molto felice per loro, si meritavano a vicenda e sicuramente il loro amore sarebbe durato a lungo.

«Stai benissimo, Elis» dissi sorridente.

«Anche tu. Sei bellissima! Sei pronta?».

«Si» dissi facendo un profondo sospiro.

Il bowling non era molto lontano da casa, infatti scendemmo a piedi. Dopo una decina di minuti eravamo arrivate, e anche per prime, visto che non c’era nessuno davanti all’ingresso.

«Chi siamo stasera?» dissi martoriandomi le pellicine delle mani, visibilmente nervosa.

«Io, tu, Liam, Niall ed Harry con due loro amiche».

Mentre Elis pronunciava i loro nomi, questi spuntarono da dietro l’angolo. 

Sembravano tre adoni, completamente diversi gli uni dagli altri, ma veramente bellissimi. Non riuscivo ancora a capire come a due di loro piacessi io, cosa mai ci trovassero in un’asociale e apatica come me. 

Si avvicinarono con il loro portamento fiero e il mio sguardo cadde immancabilmente su Harry.

Come potevano un paio di semplici jeans e una felpa rendere un ragazzo così bello? 

Il mio sguardo si spostò poi verso Liam, che sembrava piuttosto rilassato, nonostante la presenza di Harry. Dietro di loro vidi due ragazze, altrettanto belle e alte. Avevano dei vestitini molto provocanti di colori altrettanti estrosi. Non sarei riuscita mai a vestirmi come loro, mi sarei sentita a disagio, anche perché notai che i passanti non potevano fare a meno di girarsi a guardare il loro di dietro, e ciò avvalorava la mia tesi. 

I tre ragazzi si fermano davanti a noi, sorridenti. Prima venni salutata da Niall e poi da Liam; Harry era dietro di loro e, non appena gli altri due si spostarono per salutare Elis, me lo ritrovai davanti.

«Ciao Harry» dissi sorridente.

«Ciao» disse anche lui altrettanto sorridente, ma nel suo sguardo vidi qualcosa di diverso, forse preoccupazione, dispiacere, ma non ne capii il motivo. 

Nel frattempo le due ragazze ci avevano raggiunto e si posizionarono davanti a me ed Elis. Riconobbi subito i loro volti, una volta avvicinate; erano le due ragazze che avevano cercato di flirtare con Harry quella sera in discoteca. 

Tenta di non far trapelare il mio disgusto per quelle due e di stamparmi in viso un’espressione presentabile; ma la rabbia che cercavo di reprimere, saliva ogni secondo di più. Scoprii che la più alta si chiamava Denise, che era molto bella: occhi azzurri e capelli castani a caschetto. Aveva un viso molto fine e sofisticato e sembrava anche simpatica, nonostante la sua aria da cheerleader. L’altra si chiamava Amber, ma non era bella come Charlie, nonostante fosse indubbiamente molto carina. Aveva i capelli molto lunghi biondi, palesemente tinti, e due grandi occhi castani; il suo sguardo era meno dolce. 

La cosa che però mi infastidì di lei, rendendomela ancora più antipatica, fu il fatto che continuava a scrutarmi attentamente con aria di sufficienza.

«Amore, entriamo?» mentre disse quelle parole afferrò il braccio di Harry e gli stampò un bacio sulle labbra. 

Rabbrividii e mi irrigidii contemporaneamente. 

Avevo un motivo in più per dire che, non solo Amber mi stava antipatica, la detestavo. Avevo ancora gli occhi sbarrati, fissi su di loro; ero scioccata. 

Fino a qualche giorno fa lui mi voleva, mi aveva detto tutte quelle cose, e ora stava con questa ragazza involgarita dalla voce stridula? 

La cosa che mi faceva più imbestialire era che Harry non si era fatto scrupoli nel portarla, sapendo della mia presenza. L’aveva fatto di proposito, ne ero sicura.

Provai, per la seconda volta nella mia vita, gelosia nei confronti di un ragazzo; ragazzo che poteva benissimo essere mio, ma me l’ero fatto scappare come una stupida. 

Ero arrabbiata, soprattutto con me stessa, per aver perso la mia opportunità, sempre per colpa delle mie stupide congetture mentali. 

Riuscii finalmente a distogliere lo sguardo da quell’orrida scena e notai che tutti mi stavano guardando; Elis era quella preoccupata, evidentemente non se l’aspettava nemmeno lei. Ripresi i sensi e, senza guardare nessuno in faccia, mi diressi verso l’entrata. 

Sentivo dietro di me dei passi, mi stavano seguendo, per fortuna.

«Aspetta Bea – riconobbi la voce di Harry, dietro di me, ma non avevo la minima intenzione di voltarmi e affrontarlo – fermati!» urlò. 

Mi afferrò la mano e fui costretta a fermarmi, aveva una presa troppo forte, che non potei contrastarla. 

«Che vuoi?» dissi, dandogli ancora le spalle.

Sentivo il suo sguardo fisso su di me, allentò la presa senza però lasciarmi la mano.

«Ragazzi, voi entrate. Io e Bea dobbiamo parlare un attimo. Stiamo arrivando» disse a voce alta ai ragazzi dietro di noi. 

Senza aspettare risposta mi sorpassò e, con ancora la mia mano nella sua, mi portò in una piccola strada adiacente al bowling. 

Sentii la voce stridula di Amber che gli gridava: «Dove stai andando, amore? – fece una pausa, in attesa di una risposta, ma vedendo che questa non arrivava, continuò – fai presto amore?». 

Brutta oca dalla voce stridula!

«Quindi Harry, che cosa vuoi?» dissi infuriata, a braccia conserte.

«Voglio sapere il perché di questa reazione».

«Tu ti presenti qui con la tua nuova fidanzata, sapendo che ci sono io. Io sono quella che tu hai preso in giro come tutte le altre – dissi gridando – menomale che finalmente hai trovato qualcuno per cui vale la pena provare». 

Mi sentivo distrutta, dovevo andarmene da questa strada buia. 

Feci per andarmene, lo sorpassai, ma lui mi afferrò di nuovo, e io non mi opposi, troppo avvilita per divincolarmi.

«Perché ti comporti così?». 

La sua espressione era esausta, stremata.

«Perché sei uno stronzo!». 

Le parole mi uscirono dalla bocca prive di filtri; questo per me era davvero troppo. 

Mi lasciò la mano, così potei correre dentro e catapultarmi in bagno, avevo bisogno di stare da sola. 

Avrei ricordato per sempre la sua espressione indecifrabile, ma visibilmente distrutta. Non capivo il motivo del suo dolore; era stato lui a scegliere di stare con lei. Non mi aveva dato nemmeno il tempo di pensare. Non dovevo essere poi così importante, se ero stata sostituita così presto. Sostituita da una ragazza obiettivamente antipatica e svampita, ma perfetta per il suo stile di vita. Avrei cercato di accettare questa nuova situazione, anche se ne avrei sicuramente sofferto. Mi sentivo una vera cretina: volevo una cosa che poteva benissimo essere mia e allora non l’ho voluta, e ora che era troppo tardi, la volevo con tutta me stessa.

Sperai di non rivederlo più, cosa impossibile, ma almeno così sarebbe stato più facile togliermelo dalla testa, nonostante la voglia di averlo davanti e poterlo baciare di nuovo era incontrollabile. Purtroppo avevo acquisito la consapevolezza che lui non era adatto a me, o forse era il contrario: io non ero adatta a lui. 

Non volevo credere, però, di essere stata solo un’altra sua banale conquista, perché il modo in cui ci guardavamo non era normale, i nostri sguardi dicevano esattamente il contrario. 

Ma ormai avevo deciso: avrei ascoltato la mia testa.

 

>>>>>

 

Ero chiusa da non so quanto tempo in uno sporco e puzzolente bagno, sapevo solo che non volevo più uscirne. Mi sembrava strano che Elis non mi avesse ancora chiamato. 

Mi accorsi subito perché non avevo ricevuto nessuna chiamata: non c’era campo. 

Cercai, restando nel bagno, di trovare un punto in cui ci fosse linea e, stranamente, fui fortunata. 

Iniziarono ad arrivarmi messaggi a raffica. 

Sei erano da parte di Elis:

 

“Bea, dove sei? Harry è tornato, ma tu no.”

“Dimmi che stai bene!!”

“Bea, cazzo!! Mi rispondi??”

“Dove sei???”

“Bea, non sto scherzando. Tra poco chiamo la polizia.”

“Ti prego, rispondimi.”

 

Gli altri tre erano di Harry: 

 

“Bea, non farci preoccupare così. Siamo tutti in pensiero per te.”

“Dicci dove sei, ti prego Bea.”

“Sono troppo preoccupato. Ti ho cercato dappertutto, ma niente. Bea, ti prego, non fare sciocchezze. Ho bisogno di parlarti.”

 

Non riuscii a trattenere le lacrime, dovute soprattutto agli ultimi tre messaggi. 

Forse era il caso di farmi viva, perciò chiamai Elis, ma non era raggiungibile. 

Purtroppo non mi restava che chiamare la causa dei miei mali.

«Bea, finalmente. Ma dove sei finita?». 

La sua voce era a dir poco preoccupata.

«Nel bagno» dissi singhiozzante. 

La chiamata s’interruppe.

Restai nel bagno confusa, non sapendo cosa fare, come comportarmi. Sarei dovuta uscire, ma non ci riuscivo, non volevo affrontare Elis o Harry. 

Mi richiusi nel piccolo bagno, ormai familiare, e mi sedetti sulla tavoletta del water, rannicchiata. La porta del piccolo bagno femminile si aprì velocemente; sperai fosse una semplice cliente, ma purtroppo quasi istantaneamente sentii un profumo stupendamente familiare e le porte dei vari bagni aprirsi una ad una, fino a quando non fu il turno della mia.

«Grazie al cielo!» disse una voce, ormai perfettamente riconoscibile. 

Non avevo ancora il coraggio di alzare lo sguardo e soprattutto non avevo intenzione di farmi vedere in questo stato, soprattutto da lui. 

Sentii le sue braccia avvolgermi, stringermi, le stesse che mi presero in braccio e mi portarono verso l’uscita. Ad un tratto mi sentii incredibilmente stanca, pesante e sfinita. Appoggiai la testa sul suo petto e mi sentii a casa. Questa consapevolezza mi distrusse, mi fece sprofondare ancor di più nello sconforto. Lui non era mio, l’avevo perso ancor prima di averlo. 

Le lacrime mi inondarono il viso, tanto da farmi singhiozzare, ancora. 

«Non ti azzardare mai più a scomparire così! Mi hai fatto prendere un colpo. Capito?» mi sussurrò vicino l’orecchio sinistro. 

Non ebbi nemmeno la forza di rispondere, ma il suo tono non era arrabbiato, ero solo estremamente preoccupato e dispiaciuto, di sicuro si stava dando la colpa di ciò che era appena successo.

«Bea – continuò – dimmi qualcosa, ti prego». 

Sapevo solo piangere, nient’altro.

«Elis è tornata a casa - lui non si arrese facilmente - pensava che saresti tornata prima o poi; io sono rimasto ore a cercarti qui, nelle vicinanze. Sapevo che eri vicina, me lo sentivo. Mi dispiace che sono stato io a causarti questo, non avrei mai voluto farti del male». 

Aveva lo stesso tono di voce di prima, ancora dispiaciuto, triste.

«E’ quello che stai facendo». 

Finalmente qualcosa riuscii a uscire dalla mia bocca.

«Non pensavo potessi stare male, visto mi hai rifiutato, Bea. Sei stata tu a non voler stare con me> disse con un velo di rabbia nella sua voce.

«Non hai impiegato tanto tempo a rimpiazzarmi, a quanto vedo».

Lui non rispose e restammo in silenzio per minuti, fino a quando non mi poggiò sul sedile della sua macchina, a me sconosciuta. 

Era un’Audi RS 5 coupé grigia, bellissima; probabilmente era la sua macchina, perché sapeva di lui, del suo profumo, ma non era la macchina in cui ero salita in passato. Me lo ritrovai accanto, nel sedile del guidatore, mise in moto e sfrecciammo verso casa.

«Lei non è te, Bea – disse ad un tratto – ma sei stata tu a dirmi che se una storia non provi a viverla, non sai mai come andrà a finire. Tu, in una sera, mi hai insegnato più di qualsiasi altra ragazza io abbia mai conosciuto. Te ne sono grato».

«Mi odio» dissi sussurrando.

«Perché?».

«Perché dicendoti quelle cose, ti ho perso». 

Il silenzio calò di nuovo tra di noi, fino a sotto casa mia; nessuno aveva il coraggio di dire qualcosa. 

Eravamo sconvolti. 

Quando fermò la macchina non potei fare a meno di guardarlo e, nonostante non fosse mio, sentii che qualcosa ci legava, qualcosa di forte. Ora che sapevo cosa provavo per lui, lo vedevo bellissimo e perfetto, come non l’avevo mai visto prima d’ora; non mi aspettavo neanche che potesse essere così dolce e premuroso. 

Lo fissai ancora e un sorriso si fece strada dentro di me, Harry se ne accorse e si girò. 

Ci guardammo dritto negli occhi per un tempo stupendo e infinito. Sentivo un’energia insolita, strana, attorno a noi, simile all’energia che avevo sentito la sera del ballo. Eravamo vicinissimi, solo a pochi centimetri l’uno dall’altro; non mi ero accorta che ci fossimo avvicinati così pericolosamente. Lui mi guardava ancora fisso negli occhi e, continuando ad avvicinarsi, spostò lo sguardo sulle mie labbra. Capii subito le sue intenzioni, perché anch’io avevo voglia di baciarlo, una voglia indicibile. Le nostre labbra quasi si sfioravano, ma subito mi ricordai di Amber e della sua stridula voce. 

Mi bloccai istantaneamente e indietreggiai. 

«No! Non possiamo» dissi di getto.

«Perché?» disse contrito.

«Stai con Amber e io non voglio essere una tua amante, o qualcosa del genere. Io volevo essere tua, solo tua. Ma forse l’ho capito troppo tardi e ti ho perso; ecco perché mi odio».

«Non hai alcun motivo per odiarti. Sei la persona più fantastica che abbia mai incontrato». 

Le sue parole furono per me come una pugnalata. 

Faceva troppo male sentirgli dire queste cose, perché nonostante questo lui non stava con me. Tutte queste belle parole erano inutili alla fine.

«Devo andare» e senza neanche aspettare un suo saluto ero già davanti al portone del palazzo.

Non sarei voluta tornare a casa, avevo paura ed ero distrutta. La serata appena trascorsa era da inserire assolutamente nell’albo delle più brutte serate della mia vita. Con poca convinzione inserii la chiave nella toppa e la girai. 

Vidi subito Elis che mi aspettava, seduta nel divano, con le ginocchia su di esso. Era visibilmente arrabbiata, ma non m’interessava in quel momento; scoppiai in un fragoroso pianto e mi buttai tra le sue braccia. Emisi sonori singhiozzi, e non riuscivo proprio a smettere. Sentivo anche le lacrime di Elis bagnarmi la spalla. Mi sentivo davvero in colpa, doveva essersi preoccupata molto, perché lei non era un tipo che piangeva, non succedeva mai.

«Mi dispiace tanto, scusami» dissi tra un singhiozzo e l’altro.

«Sei una stupida. Non mi sono mai preoccupata così tanto nella mia vita. Se non ci fosse stato Harry a convincermi avrei chiamato la polizia». 

Era disperata. 

«Lo so, perdonami!».

«Harry era così sicuro che ti avrebbe trovata! È riuscito a tranquillizzare anche me. Aveva ragione».

«Si. E’ stato molto carino».

«Molto carino?? – disse mentre si scostava da me – ti avrebbe cercato in capo al mondo, e non solo perché si sentiva in colpa. È stato molto più che carino! Lui ti vuole sul serio, Bea».

«Sta con quella. Non credo che poi gli importi tanto di me».

«Spero tu stia scherzando. L’ha lasciata lì da sola con Denise per venirti a cercare. Di lei non gliene frega niente. Secondo me lei è solo un banale rimpiazzo per togliersi te dalla testa». 

In effetti, se gli fosse importato di lei, non avrebbe provato a baciarmi e non avrebbe passato ore a cercarmi. 

Forse Elis aveva ragione. 

Ero molto pensierosa e dubbiosa ed Elis se ne accorse.

«Ne sono sicura – disse - non dovrei dirtelo, ma ne sono sicura perché me l’ha detto Niall. Harry gli ha parlato e in poche parole gliel’ha confermato». 

La guardai con gli occhi sbarrati.

«Voi due – continuò – dovreste davvero stare insieme. Perché continuate a farvi del male se in realtà volete la stessa cosa? Questo è masochismo puro!».

«Non lo so».

«Volete stare insieme e lo farete. Te lo impongo!» disse convinta e sorridente.

«E se non fosse la cosa giusta?».

«La cosa giusta è fare quello che il tuo cuore ti dice. Il tuo cosa dice?».

«Che mi potrei innamorare di lui».

«E allora fallo. Non puoi restare a vita nella tua bolla».

«Ho paura di soffrire. E poi cosa dovrei fare? Chiamarlo e dirgli di lasciare Amber?».

«Si, secondo me, anche perché lui non aspetta altro. Però ho uno scenario perfetto alla situazione – e in quel momento cambiò sia posizione che espressione, aveva in mente qualcosa, facendomi preoccupare – ogni anno organizziamo un brunch dove invitiamo tutti i nostri amici e anche la famiglia; quindi io, tu e mamma dobbiamo andarci. Lui sarà lì. Digli quello che provi e ti faccio vedere che tutto andrà per il meglio».

«E se non andasse così? Se lui mi rifiutasse?» dissi spaventata.

«Non lo farà. Ho visto come ti guarda. È pazzo di te, Bea».

«Ok, ci tenterò».

Riuscì a tranquillizzarmi un po’, grazie anche ad Elis, che era rimasta ad ascoltare, senza batter ciglio, i mie piagnistei e le mie paranoie. Mia cugina riusciva a darmi sempre buoni consigli, ma io dovevo trovare da sola la determinazione giusta. 

Dovevo riuscire a dire a Harry quello che provavo, altrimenti me ne sarei pentita amaramente. Dopo lo stato in cui mi ero ridotta non avevo più intenzione di rinunciare a qualcosa che avrebbe potuto rendermi felice. Avrei fatto quello che mi sentivo, sempre. E io volevo lui! Ora ne ero certa. 

Alle cinque del mattina, Elis ed io eravamo ancora nel sontuoso divano del soggiorno a parlare.

«Forse è meglio andare a letto ora, Bea. Domani sarà un grande giorno per te! Devi avere un aspetto smagliante» disse sorridente.

«Si, forse è meglio andare, anche se non ho per niente sonno. Non vedo l’ora che sia domani». 

Mi sentivo radiosa, felice, anche se non ero certa che Harry lascerà Amber, per me. Ma inaspettatamente mi sentivo fiduciosa.

«Dobbiamo essere là alle undici. Saremo nella casa dove c’è stato il ballo in maschera – disse sorridente – vado, ci vediamo domani mattina». 

Fece per andarsene e mi sentii improvvisamente più cupa.

«Elis – si girò all’istante quando la chiamai – posso dormire con te?» e mentre lo dissi mi sentii tanto piccola.

 

«Certo! Non vedevo l’ora che me lo chiedessi» disse con un radioso sorriso.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE: 

 

ECCO A VOI IL NUOVO CAPITOLO!!!

Che ne pensate? Bea sembra aver chiarito tutti i suoi dubbi e insicurezze, finalmente!

Cosa vi aspettate nel prossimo capitolo?

 

alla settimana prossima :*

 

BARB <3

 

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Capitolo 14
*** Brunch ***


“Speciale è chi ti prende per mano e, nonostante tu ogni giorno gli dia mille motivi per lasciarla, ogni giorno la stringe un po’ più forte.”

— 

Agne Rumi

 

 

 

 

 

Trascorsi le cinque ore di sonno più rigeneranti della mia vita, mi sentivo nuova, sveglia, ma soprattutto felice. 

Stanotte l’avevo sognato, ma questa volta il sogno era magnifico e mi ero sembrato così reale, che al sol pensiero mi venivano i brividi. Eravamo nella casa dove c’eravamo baciati, seduti sul prato e facevamo un picnic su un classico telo a quadri bianchi e rossi. Sembravamo proprio una coppia: due persone che si amano incondizionatamente, che si sacrificherebbero l’un l’altro. Forse il mio risveglio era stato così dolce grazie al sogno. 

Mi girai nel letto, Elis era accanto a me con il suo viso angelico, ancora addormentato, così le feci una carezza e lei iniziò a stiracchiarsi. 

«Oggi è il gran giorno» disse ancora assonnata, come fosse una cantilena.

«Mi sa di si» sorrisi.

Poco dopo eravamo già pronte e scattanti. 

Avevamo un abbigliamento molto più confortevole, molto vicino al mio stile di vita: jeans stracciati e una semplicissima T-shirt colorata. Prendemmo l’ Audi TT di Elis, ormai familiare, e sfrecciammo per le strade, ancora deserte, della New York domenicale. 

Arrivammo poco dopo davanti alla villa, che quel giorno aveva un aspetto notevolmente diverso rispetto a come la ricordavo, forse perché l’ultima, e unica volta, in cui ero venuta era di sera. La casa mi sembrava più vissuta, o forse la vedevo in modo diverso perché avevo la consapevolezza di cosa mi aspettasse. 

Ormai conoscevo le persone presenti e sapevo come comportarmi, così entrai in casa con disinvoltura e notai che era più arredata della volta precedente: un enorme tavolo di legno scuro ricopriva quasi interamente il salotto. Piante e tende bianche rendevano l’ambiente più confortevole e luminoso. 

«Bea, io vado in cucina. Potresti andare a posare le giacche nella camera al piano di sopra?» chiese Mara gentilmente, mentre invitava Elis ad accompagnarla in cucina.

«Certo zia!» dissi radiosa.

Salii le grandi scale di parquet e arrivai in un lungo corridoio, che ospitava almeno cinque stanze. Non sapevo in che stanza poggiare le giacche, ma istintivamente mi fiondai sulla prima porta disponibile. 

Aprii e raggelai. 

Vidi due sagome che si muovevano indistintamente sul grande letto a due piazze che occupava la stanza.

«Scusate, non volevo disturbare. Cercavo la stanza dove posare le giacche» dissi, distogliendo subito lo sguardo.

«Bea! Allora sei viva!» disse una voce inquietamente stridula. 

Mi voltai di scatto, sperando di non vedere chi mi aspettavo. 

Speranze vane: Harry e Amber erano distesi nel letto, non più avvinghiati. Il primo mi guardava scioccato, il suo sguardo era mortificato e sorpreso di vedermi, mentre la seconda aveva sul volto un ghigno soddisfatto.

«A quanto pare». 

Non riuscivo a guardare Amber, il mio sguardo sdegnato era rivolto verso quello che fino a qualche minuto fa ritenevo il mio futuro ragazzo. Harry mi guardava ancora con gli occhi sbarrati, sicuramente non si aspettava di poter essere interrotto, soprattutto non da me.

«Sono contenta che tutto si sia risolto» disse Amber, con tono palesemente falso.

«Anche io sono contenta per te» dissi guardando Harry e ricambiando il tono falso di Amber.

«Ora tolgo il disturbo – mi rivolsi ad entrambi – con permesso».

Chiusi la porta e mi infilai di corsa nella stanza di fronte, sperando di non sentire niente di spiacevole. Mi buttai a terra con la schiena appoggiata alla porta e tentai di respirare normalmente.

Ogni giorno passato qui mi sentivo sempre più stupida. Mi facevo dei castelli, che poi venivano immancabilmente distrutti. 

Dopo un paio di minuti, impiegati a fare respirazione, come mi avevano insegnato ai corsi di yoga, mi ripresi e, ancora piena di adrenalina, scesi di corsa le scale, vedendo subito Liam, Harry, Amber, Niall e Elis nel salotto. 

Ebbi uno scatto di follia, misto alla rabbia. 

Andai dritto verso Liam con il cuore che batteva all’impazzata, e davanti a tutti, presi il suo viso tra le mani e, avvicinandolo al mio, stampandogli un bacio sulle labbra. Vidi la sua espressione stupita ed esterrefatta. Mi sentii subito in imbarazzo per il mio gesto, alquanto insensato.

Mi voltai a guardare gli altri e notai di avere gli occhi di tutti puntati su di me. Non sapevo cosa fare, o meglio, non sapevo cosa avevo fatto, e perché. 

Lasciai scivolare le mie mani dal suo viso, continuando a guardarlo.

«Scusami, non volevo. Mi sono fatta prendere dalla rabbia» gli sussurrai, sperando che gli altri non avessero sentito, altrimenti avrei fatto la figura della cretina, doppiamente cretina.

«Tranquilla – sorridente mi schiacciò l’occhio – starò al gioco».

Mi prese dolcemente per mano, dicendomi silenziosamente di seguirlo. Forse voleva davvero aiutare, pensai; magari facendo ingelosire Harry. 

A quel punto, mi stampai in faccia un sorriso ammaliato.

«Scusateci» dissi ad alta voce. 

E ci incamminammo verso il giardino.

Osservai lo sguardo di Elis, che era sbigottita e confusa, così come Niall. 

Lo sguardo che più m’interessava, però, era quello di Harry, il quale non riusciva a non far trapelare lo stupore, ma notai anche un velo di rabbia, che fosse gelosia? 

Sapevo cosa si provava, e non era affatto bello, ma ciò che avevo dovuto subire io era di gran lunga peggiore. Se non fossi entrata in quella stanza sarebbe successo molto di più tra loro. Improvvisamente ero quasi contenta di essere entrata nella stanza sbagliata. 

Arrivammo nel giardino e Liam si posizionò di fronte a me.

«So che il bacio tra di noi non significa niente – mi disse con lo sguardo dolce, e nel frattempo mi accarezzava la guancia – e dovrei essere arrabbiato con te per avermi usato, pur sapendo che tu mi piaci. Ma voglio aiutarti, perché hai messo subito in chiaro come stavano le cose tra di noi. Siamo amici, e gli amici si aiutano».

«Mi devi perdonare. Prima sono entrata in una stanza, per posare le giacche e li ho visti distesi nel letto, insieme, e non c’ho capito più niente. Sono andata su tutte le furie e ti ho usato per vendicarmi» dissi mortificata.

«Beh, ci sei riuscita. Hai visto la faccia di Harry? Era sconvolto» sghignazzò, continuando ad accarezzarmi, facendo credere agli altri che ci stavamo sussurrando dolci parole.

Scoppiammo a ridere, perché la situazione era davvero assurda e paradossale. Era tanto che non ridevo così di gusto, tanto che non mi accorsi che Harry era davanti a noi. Appena me ne resi conto, e mi voltai verso di lui, mi afferrò per il braccio e mi portò via, ignorando Liam. 

Mi portò nel luogo del nostro primo bacio, e, anche se l’atmosfera tra noi era completamente diversa, i ricordi mi pervasero tutto il corpo, ma questa volta eravamo entrambi arrabbiati, e non poco.

«Che cosa volevi dimostrare con quel gesto?» disse infuriato.

«Non capisco cosa intendi» dissi con noncuranza, senza nemmeno guardarlo.

«Hai capito benissimo, rispondimi!» ordinò.

«Intendi il bacio che ho dato a Liam? – annuì inorridito – ho fatto quello che mi sentivo di fare».

«Ora vuoi lui?» disse afflitto. 

Il suo tono mi fece voltare verso di lui, guardarlo negli occhi era una tortura per il mio cuore, il suo sguardo lo aveva spezzato in mille pezzi. 

Improvvisamente mi pentii della mia vendetta, aveva un’espressione stanca, distrutta. 

Ma allora perché stava con lei? Che Elis avesse ragione? Lo faceva solo per scordarmi, dato il mio rifiuto?

«Non credo che la cosa ti debba importare. Sei felicemente fidanzato a quanto vedo» dissi sarcastica, ma con voce debole.

«Non stiamo parlando di me» chiuse secco.

«E di chi stiamo parlando allora? – alzai la voce, il suo comportamento m’irritava, e non poco – sei tu la causa del mio star male, sei tu che ieri sera mi hai cercato per ore facendomi credere di essere importante per te, e sei tu che hai tentato di baciarmi. O sbaglio?». 

Stavo urlando, ormai.

«No, non sbagli. Ma in una cosa si: tu sei importante per me».

I suoi occhi erano fissi nei miei, che si perdevano nei suoi, come al solito.

«Tanto importante da stare con un’altra».

«Non è Amber il problema, Bea».

«Ah no? E quale sarebbe?».

«Tu – spalancai gli occhi a quella semplice parola – tu non hai voluto stare con me e ieri sera mi hai rifiutato di nuovo. Cosa dovrei fare secondo te? Aspettare che cambi idea?» disse esasperato, passando una mano nei suoi setosi capelli. 

Ero sbalordita, ma in fondo non potevo dargli tutte le colpe. Ero io che l’avevo rifiutato e lui non avrebbe potuto aspettare che io cambiassi idea per sempre.

«In uno dei messaggi di ieri hai detto che mi volevi parlare. Cosa mi volevi dire?». 

Il mio tono si addolcì.

«In questo momento non ha importanza, non spostare su di me l’argomento. Mi irrita». 

Era arrabbiato, ma potevo chiaramente vedere nel suo volto la rabbia scemare ogni secondo di più. 

I suoi occhi erano curativi, mi facevano superare ogni cosa.

«Ok – dovevo dirgli quello che provavo – oggi sono venuta qui, anche se non avevo molto voglia dopo ieri, solo per parlare con te. Poi ti ho visto in quella stanza con lei, mentre vi baciavate. Non immagino quello che avreste potuto fare se non fossi entrata. Sono contenta di averlo fatto, ma poi ho perso le staffe» dissi a testa bassa.

«Cosa volevi dirmi?» disse con la voce piena di aspettative, e mentre sentivo i suoi passi, si stava avvicinando a me.

«Volevo dirti che – feci una pausa, facendo un profondo respiro – mi da fastidio che tu stia con lei».

«Perché?» chiese secco. 

Si aspettava una risposta precisa, ma non sapevo darla a me stessa, come potevo darla a lui?

«Non lo so perché. Perché si».

«Questa non è una risposta, lo sai Bea». 

I suoi occhi diventarono come specchi di ghiaccio, profondi e impenetrabili.

«Non smetto mai di pensare a te e vorrei non averti detto quelle cose sotto casa tua. Vorrei riscrivere quel giorno. Per ora sarei felice, e non starei così male». 

Abbassai di nuovo lo sguardo e sentii lui sempre più vicino. 

Il cuore iniziò a battermi forte, mentre il mio corpo era immobile davanti a lui, ero agitata, ma speranzosa. Sentivo i brividi attraversarmi il corpo, freddi, misti a caldi. 

Un flusso infinito di emozioni che non riuscivo più a controllare, unito alle farfalle allo stomaco, ormai perennemente presenti in me.

Mi sollevò il mento, prendendolo tra pollice ed indice, in modo che potessi guardarlo negli occhi.

«Bea, vuoi che la lasci?». 

La sua domanda mi sconvolse, non volevo fargli fare una cosa di cui magari non era sicuro, ma non potevo pensare sempre cosa era giusto e cosa non lo era. 

Cosa volevo io? Volevo che la lasciasse o che restasse con lei? 

Ovviamente la risposta era semplice.

«Si» dissi con voce flebile, senza distogliere lo sguardo dal suo.

Non riuscivo a decifrare il suo sguardo: sembrava stesse pensando a qualcosa, ma non riuscivo a capire a cosa, e questo succedeva raramente.

«Aspettami qui un attimo. Ok? Non scappare e non fare cose stupide».

«Ok» dissi perplessa.

E in un attimo scomparve correndo verso l’interno della casa. 

Non sapevo mai cosa aspettarmi da quel ragazzo, che era sempre imprevedibile e sconcertante,  e riusciva sempre a destabilizzarmi. 

Ma ero sicura di una cosa: quello che c’era tra di noi era un legame speciale. Non riuscivamo a stare lontani, nemmeno volendolo; non mi era mai capitato di incontrare uno come lui, uno che mi facesse sentire come lui. 

La cosa mi piaceva, forse mamma aveva ragione: quando incontri il vero amore lo riconosci, perché ha qualcosa in più. Ora capivo cos’era quel qualcosa in più: era l’energia che percepivo quando lui mi era vicino, quando mi toccava o mi guardava. Non è la persona in sé che deve avere una qualità speciale, ma la cosa speciale è nel rapporto, nello sguardo, in qualsiasi cosa li unisce. 

Sembravano passate ore da quando se n’era andato. 

Ero impaziente, cosa starà facendo? 

Forse sarei dovuta andare a controllare, ma avevo detto che sarei rimasta ferma. Decisi di obbedire una volta tanto. Perciò mi misi bella comoda sulla panchina.

«Bea – mi alzai di scatto, mentre lui, ancora col fiatone, mi aveva già raggiunta – fatto!» disse con il sorriso più bello che mi aveva regalato finora, mentre si avvicinava a me.

«Cosa hai fatto?» dissi confusa.

«Ho lasciato Amber. Io voglio stare con te. Basta con le scemenze. Ora possiamo stare insieme, sempre che tu lo voglia davvero». 

I suoi gli occhi s’illuminarono insieme ai miei, diventando una cosa sola.

Il mio cuore si riempì di gioia. Non sapevo si potesse provare una tale gioia. Finalmente avevo la possibilità di vivermi la storia che desideravo, l’uomo che volevo.

«Certo che lo voglio» dissi raggiante, buttandomi tra le sue braccia. 

Eravamo entrambi sorridenti e spensierati, lui mi strinse forte e io mi lasciai cullare tra le sue possenti braccia. 

I nostri sguardi erano persi l’uno nell’altro, Harry era bellissimo, ed era mio, mi sembrava incredibile. Ero certa che mi avrebbe fatto impazzire, ma la cosa bella era che ne ero contenta. Spostò le sue mani sul mio viso e mi accarezzò le gote, mantenendo sempre con lo sguardo sui miei occhi si avvicinò alle mie labbra. 

Avevo tanta voglia di baciarlo, ma non ci riuscivo; l’avevo appena visto in atteggiamenti tutt’altro che tranquilli con Amber. Non potevo baciarlo, non in quel momento.

«Harry, aspetta! – lui si bloccò – non voglio fare le cose in modo affrettato. Oggi sono già successe molte cose che mi hanno disorientato. Non è stato per niente facile vederti in quelle circostanze con Amber. Voglio iniziare tutto d’accapo con te, voglio fare tutto nel modo giusto» sorrisi.

«Lo so. Anche per me è stata una giornata abbastanza strana. Ti capisco, quando ti ho visto baciare Liam credevo di impazzire. Non ho smesso mai di pensare a te – mi guardò dolcemente – e, tanto per rassicurarti, non avrei fatto niente con Amber. Non ci sarei riuscito».

«Ne sono contenta» dissi raggiante.

Restammo abbracciati, silenziosi, ma senza mai smettere di guardarci. Ci appartenevamo, e questa consapevolezza ci rendeva tranquilli, felici.

«Bene – disse con un sorrisino malizioso – hai detto che vuoi iniziare d’accapo. Io sono d’accordissimo. Ti chiedo allora se questa sera ti va di venire a cena con me, una sorta di primo appuntamento». 

Il suo sguardo era speranzoso e pieno d’aspettativa. Sapeva già quale sarebbe stata la mia risposta, ma la voleva sentire uscire dalla mia bocca.

«Harold Edward Stewart, sarà un onore venire a cena con te». 

Un sorriso imbambolato mi spuntò in viso.

«L’onore è tutto mio, signorina Beatrice Grimaldi» si scostò da me, mi prese la mano e cominciò a baciarmi le nocche. 

Era anche galante.

Questo ragazzo aveva qualche difetto?

«Forse è meglio tornare – continuò – penseranno che ti stia maltrattando» disse sorridendo.

«Credo che molti, soprattutto mia cugina, penseranno il contrario» ridacchiai divertita.

«In effetti hai ragione – disse, mentre io continuavo a ridacchiare – sei molto carina quando ridi». 

Mi guardò tra il divertito e l’ammaliato.

«Solo carina, eh?» scherzai, dandogli un buffetto sul braccio.

«Molto, molto di più direi».

Si avvicinò a me, cauto, e mi posò un delicato bacio sulla guancia. Adoravo il rispetto che mi portava, adoravo il fatto che riuscisse a capirmi come nessun altro aveva fatto prima, adoravo LUI.

Ci avvicinammo cautamente ed agitati verso la casa. Mi chiesi cosa stesse pensando Elis, o anche Liam, ma in realtà quella che mi preoccupava di più era Amber. Sperai non le venisse in mente di tirarmi i capelli, o di darmi un pugno. Forse me lo meriterei in fondo. 

Harry si accorse della mia preoccupazione.

«Stai tranquilla. Ormai sei mia. Non ti succederà niente» mi diede un altro casto bacio e mi afferrò con forza la mano.

Era rassicurante averlo accanto, nonostante non fosse particolarmente muscoloso, ma ancor più rassicuranti, però, erano le sue parole. Aveva detto che ero sua e aveva ragione; in questo momento mi sarei affidata completamente a lui. 

Non avevo più voglia di ragionare, avevo solo voglia di vivere! 

Sentivo il suo sguardo su di me, alzai lo sguardo su di lui e gli lanciai un sorriso fiducioso. Ci incamminammo e, arrivati dentro, tutti gli sguardi dei presenti furono posati su di noi. Alcuni di questi erano stupiti, altri felici, ma alcuni erano alquanto straniti e contrariati. 

Elis capì il mio imbarazzo e mi venne incontro sorridente.

«Finalmente – disse, rivolgendosi ad entrambi – era ora che vi decideste a mettervi insieme. Sapete che all’inizio ero contraria, ma mi devo ricredere. Siete bellissimi».

«Grazie» dicemmo in coro, imbarazzati. 

Non sapevo che Harry fosse uno che si potesse imbarazzare, era strano. Staccai la mano dalla sua.

«Forse è meglio evitare – dissi, guardando le nostre mani ormai divise – non voglio che gli altri ci giudichino. E poi Amber potrebbe soffrirne».

«Non m’interessa quello che pensa la gente, Bea. In ogni modo hai ragione su Amber, anche se non credo provasse qualcosa di forte per me. Non mi hai mai conosciuto» disse riprendendomi la mano con vigore, ma anche con dolcezza.

«Nemmeno io ti conosco, eppure eccomi qui» sorrisi preoccupata.

«Oh, Bea. Tu mi conosci più di quanto credi – mi guardò intensamente – ora è meglio che vada ad aiutare Niall, altrimenti vallo a sentire» mi sorrise, mentre stava iniziando ad allontanarsi.

«Ok, io andrò ad aiutare in cucina – lo spinsi verso di me, grazie all’intreccio delle nostre mani, mi alzai verso il suo viso e, senza pensarci, gli stampai un piccolo bacio sulle labbra – fai il bravo». 

Mi guardò scioccato, ma felice. Dopo un attimo di sgomento mi lanciò un sorriso sghembo e si diresse verso il barbecue, girandosi ogni due passi.

Raggiunsi le altre in cucina, dove Elis, Mara, Amber, Charlie e altre due signore di cui non conoscevo il nome stavano preparando gli antipasti. 

Mi sentivo confusa e in imbarazzo, non sapevo come comportarmi. Avrei dovuto essere felice, e lo ero, ma trovarmi di fronte ad Amber mi metteva a disagio. Preparammo dei piatti tipici americani e dei contorni per accompagnare la carne arrosto.

«Bea, mi aiuti a preparare la tavola?» mi chiese Elis, ma sapevo che era solo una scusa per potermi fare il terzo grado.

«Certo» dissi sorridente.

Eravamo nel soggiorno ad allestire la grande tavolata e la curiosità di Elis era visibilmente alle stelle. Le raccontai per filo e per segno tutto quello che era successo. Lei, tutta eccitata, mi aveva riempito di domande, a cui sono stata costretta a rispondere.

«Non vi siete baciati?» disse scioccata.

«No, l’ho fermato. Aveva appena baciato Amber e non mi sembrava il caso, così gli ho proposto di iniziare tutto d’accapo e lui ha accettato volentieri».

«Siete molto strani voi. Vabbè, contenti voi, contenti tutti!». 

Aveva lo sguardo contrariato, ma sapevo che era felice per noi. 

Questo mi bastava.

Non ero mai stata ad un brunch, e constatai che era molto divertente. Era un modo per stare tutti insieme, come una vera famiglia, forse era per questo che mi piaceva, non avevo mai avuto l’opportunità di farlo prima. Io ed Harry, nonostante ci fossero molte persone a giudicarci, ci lanciavamo continuamente dolci sguardi d’intesa. 

Eravamo tutti seduti nel prato su grossi teli colorati, anche perché era una bella giornata, perfetta per prendere un po’ di colore. 

Niall e Harry erano usciti con Liam a prendere il dolce, quindi io ed Elis approfittammo della loro assenza per parlare e spettegolare un po’. Elis mi raccontò i particolari della sua fantastica storia d’amore: la sera precedente, prima che tutti si accorgessero della mia assenza prolungata, Niall aveva confessato ad Elis di amarla; ero molto felice per lei. 

Finimmo di parlare di loro e ci rilassiamo sul telo, la stanchezza si fece sentire e mi addormentai.

Mi rigirai sul telo, sul punto di svegliarmi, ma accanto a me sentii una presenza. 

Aprii gli occhi e vidi Harry, che, con la testa poggiata sulla mano, mi fissava.

«Sei bellissima quando dormi» disse dolcemente.

«E’ imbarazzante essere guardata mentre dormo. Mi ricorderò di non farlo più in tua presenza» dissi dolcemente, avvicinandomi a lui e poggiandomi sul suo petto.

«Ti ricordo che è già successo e spero che capiterà ancora» disse, baciandomi i capelli.

Restammo nella stessa posizione per molto tempo, ad accarezzarci. Il suo petto era confortevole e si adattava perfettamente al mio capo. Sentivo i suoi respiri profondi, sentivo il suo cuore battere regolarmente. 

Alzai lo sguardo verso di lui, mi accorsi che dormiva, ne approfittai per ammirarlo, come aveva fatto lui con me. 

Aveva delle lunghe ciglia nere e le sue sopracciglia sembravano disegnate. Le labbra erano socchiuse, carnose e morbide, pensai a quanto avrei voluto tanto assaggiarle, assaporarle e gustarle. Lui era inerme sotto di me, e io non riuscivo più a resistere. 

Mi scostai piano da lui e appoggiai un braccio sul telo, mettendomi proprio di fronte a suo viso, occhi su occhi, naso su naso. Mi avvicinai piano, proprio per gustarmi il momento. Poggiai le mie labbra sulle sue, delicatamente, cercando di non svegliarlo. Gli diedi piccoli e dolci baci sulle labbra e sul collo, ma dopo qualche bacio sentii le sue labbra contorcersi, irrigidirsi, allora capii che stava per svegliarsi, così mi rimisi nella ormai “nostra” posizione.

«Credi che non me ne sia accorto?» disse, e sentii che stava sorridendo.

«Lo speravo». 

Mi mise una mano all’altezza del mento e lo spostò, costringendomi a guardarlo.

«So che abbiamo detto di non correre, lo condivido. Ma questo non significa che non possiamo baciarci. Ti darò tutto il tempo che ti serve per darti completamente a me. Il bacio non implica niente, puoi starne certa». 

Mi baciò sulla fronte e poi scese e me ne diede un altro sul naso.

«Non pensavo potessi essere così dolce» sorrisi.

«Ci sono tante cose che ancora non sai di me» sorrise, un po’ incupito.

«Sarò felice di scoprirle tutte» dissi, dandogli un bacio nella guancia. 

Lui mi guardò sorridente, ma sapevo che in fondo era preoccupato.

Stare accanto a lui era rassicurante, rilassante. Di solito, solo all’idea di stare con un ragazzo, m’imbarazzava. 

Con lui invece era tutto il contrario.

«Piccioncini, ora basta! Sembrate due sanguisughe» disse la voce squillante di Elis, visibilmente divertita. 

Entrambi scoppiammo in una fragorosa risata, imbarazzati.

«Bea, dobbiamo andare ora. Mara sta per impazzire, non è il suo ambiente questo!» continuò Elis, sarcastica.

«Ok, arrivo – dissi, mentre mi alzavo lentamente da Harry, che mi guardava adorante – ci vediamo dopo?».

«Assolutamente si – sorrise – ti passo a prendere alle otto».

«Scontato» dissi sarcastica.

«Ti ricrederai presto, Bea».

«Non vedo l’ora». 

 

Mi abbassai di nuovo verso di lui e, prendendolo alla sprovvista, gli diedi nuovamente un piccolo bacio sulle labbra. 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buona sera a tutti <3

siete tutti soddisfatti?? Finalmente il capitolo della svolta!

Spero sia stato di vostro gradimento e non vi abbia delusi. Ho pubblicato oggi perchè domani non riesco a pubblicare perchè vado al cinema e poi esco!

Buon San Valentino a tutti per domani, a chi ama, a chi è amato, a chi ha amato, perchè tutti in fondo sono stati amati o amano qualcuno. Chi in segreto, chi apertamente, ma tutti doniamo il nostro cuore a qualcuno!

Vi ricordo che se volete aggiungermi nella mia bio ci sono tutti i miei contatti Face, Twitter, IG e Ask

un bacio a tutti <3

alla prossima settimana!

BARB <3

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Capitolo 15
*** A lume di candela ***


Al principio c'è il mistero, al termine la conferma, ma nel mezzo ci sono le emozioni che arricchiscono l'intera esperienza. Per la prima volta da mesi, non provava alcun dolore e sapeva che i suoi interrogativi avevano trovato una risposta.

 

Nicholas Sparks

 

 

 

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Raggiunsi Elis a grandi falcate, sprizzando gioia da tutti i pori.

«Elis, c’è un problema» dissi con tono disperato quando varcammo la soglia di casa.

«Quale?» disse preoccupata.

«Non so cosa mettermi stasera». 

Mentre lo dissi il suo viso si rilassò visibilmente, ma improvvisamente diventò stranito.

«Dove hai intenzione di andare stasera, signorina Beatrice?» disse divertita.

«Al mio primo vero appuntamento con Harry» dissi sovreccitata.

«Oh, bene. Ci penso io a te, allora» concluse sfregando le sua mani l’una contro l’altra.

Dopo un’ora di attenta preparazione e scrupolosa scelta d’abbigliamento, ero finalmente pronta.

Ero, a mio parere, irriconoscibile. 

Indossavo un lungo vestito bianco con una profonda scollatura, stretto in vita, con dei ricami floreali color petrolio e neri, infine uno spacco scopriva poi le mie snelle gambe e un paio di scarpe col tacco nere slanciavano il mio corpo informe. Avevo i capelli sciolti, ma mossi. Tutto opera di Elis, che con scrupolosità, mi aveva reso simile ad una dea. 

Non ero mai stata così fine ed elegante.

«Elis, se mi porta in un semplice fast food ricordami di ucciderti al mio ritorno» dissi sarcastica, ma con un velo di sincerità.

«Tranquilla, conosco Harry. Ti porterà in un ristorante costosissimo, se lo può permettere» disse vedendomi imbarazzata.

«Lo spero, per te» sorrisi.

Sentii il campanello suonare e il mio cuore iniziò a battere fortissimo. 

Non ero mai stata così agitata nella mia vita, nemmeno il giorno della laurea. Mi ero ormai rassegnata all’idea, più volte vedevo Harry, più la mia agitazione aumentava. Feci un profondo respiro, che venne mozzato dal rumore della porta d’ingresso, che veniva chiusa. 

Lui era qui.

«Vado ad annunciarti» disse divertita Elis.

«No, Elis» dissi in preda al panico, ma mia cugina era già uscita.

Dovevo assolutamente calmarmi, non potevo essere così agitata per un semplice appuntamento. 

Quando avrei dovuto affrontare prove più dure come mi sarei sentita? 

Mi sarei di sicuro fatta venire un infarto. 

Lentamente uscii dalla mia camera e mi diressi verso il soggiorno, reggendomi al muro, evitando così di fare una delle mie solite cadute. Sporsi la testa verso il soggiorno e lo vidi, in tutta la sua bellezza; indossava una camicia di lino blu e un paio di jeans scuri. Era molto semplice, ma addosso a lui ogni cosa era speciale. Resti ad ammirarlo mentre parlava con Mara ed Elis con disinvoltura, quindi non si accorse subito della mia presenza. 

Non mi capacitavo di come avessi resistito più di un mese ad avere quell’adone come amico, come avevo fatto a resistere ad una tale beltà? 

Ammirai il mio uomo, era davvero difficile credere che un ragazzo così fosse mio. Purtroppo si accorse di me e arrossii istantaneamente, colta in fragrante. Mi sentivo a disagio e troppo al centro dell’attenzione, mentre suo sguardo mi penetrava l’anima. Mi scrutò per qualche secondo e poi puntò i suoi occhi verdi sui miei, e io avvampai ancora di più. Gli spuntò un sorriso compiaciuto, a quanto pare ero di suo gradimento, per fortuna. Mi avvicinai cautamente a lui e contemporaneamente vidi mia zia ed Elis ritrarsi e dirigersi verso la cucina.

«Buona serata!» dissero in coro, mentre sparivano sghignazzanti.

Ora eravamo uno di fronte all’altro, a scrutarci.

«Sei bellissima» sussurrò dolcemente.

«Neanche tu sei tanto male» risposi.

«Andiamo. Non vedo l’ora di stupirti» concluse ridendo. 

Mi prese per mano e uscimmo, verso il nostro primo appuntamento.

Salii sulla sua Audi RS 5 coupé, dopo che galantemente mi aveva aperto la portiera. Sembrava tutto naturale e semplice, senza imbarazzo.

«Dove mi porti?».

«Segreto professionale». 

La sua risposta mi irritò, ma in fondo mi fece sorridere. Era sempre così enigmatico.

«Ho almeno il vestito adatto?» chiesi, piena di vergogna.

«Sei perfetta, direi» disse, mentre mi guardava sottecchi. 

Arrivammo di fronte ad un grande e lussuoso hotel che aveva all’esterno degli enormi tendoni rossi. 

Era immenso. 

Mi stupii quando Harry mi accompagnò all’interno, non capivo cosa ci facessimo all’interno di un hotel così costoso, poi mi resi conto che in realtà che ci trovavamo al Four Season, l’hotel dove viveva suo padre. La hall era tutta di marmo rosato, sembrava di essere in una grandissima grotta illuminata. Gli impiegati erano molto giovani e gentili, ci condussero in un’ala ristorazione sempre di marmo dove ogni tavolo era diviso dall’altro da un séparé. 

Era molto intimo e confortevole, un ottimo posto per un primo appuntamento.

«Ti piace?» mi chiese Harry.

«Mi hai già stupito. Come mai mi hai portato qui? Non voglio che spendi tanto, sono abituata a molto meno».

«Io ci vivevo qui. Mio padre faceva l’inserviente qui quando ero piccolo, poi la mamma è morta e il capo dell’albergo gli ha offerto un alloggio qui. Sono diventati ottimi amici, a tal punto da cedergli parte della sua eredità. Così una percentuale di quest’albergo appartiene a mio padre».

«Ah, allora mi sento più a mio agio» sorrisi.

«Tu devi sentirti sempre a tuo agio con me» disse stringendomi la mano. 

Mi portò in un piccolo tavolo imbandito per due all’estremità del ristorante, l’angolo più intimo. 

Attorno a noi non c’era nessuno. 

«Hai qualche preferenza nel cibo?» mi chiese.

«No, fai pure tu». 

Con un cenno di mano chiamò una cameriera molto giovane e carina, che a grandi falcate si diresse verso di noi.

«Ciao Harry – disse in confidenza – cosa preferisci oggi?». 

Non mi degnò nemmeno di uno sguardo, era troppo impegnata ad ammirare Harry. Un monito di gelosia mi attraversò le membra. 

Che fosse una sua precedente conquista?

«Melanie, questa è Beatrice – disse e lei mi fece istantaneamente un cenno con la testa – porta pure il solito, ma questa volta per due» mi sorrise.

«Arrivo subito» disse lanciandogli un sorriso d’intesa.

«Mi sa che è interessata a te, sai?» dissi schietta.

«Davvero? – il suo sguardo era stupito – non c’ho mai fatto caso, a dire il vero. Guardo solo ciò che mi interessa» disse, guardandomi intensamente.

«Meglio così» sorrisi.

Dopo qualche minuto Melanie ritornò con in mano due enormi piatti e ce li porse delicatamente davanti.

«Odio aspettare le diverse portate, così mi faccio portare tutto in un grande piatto. Così posso scegliere cosa mangiare prima, lasciandomi per ultimo ciò che preferisco» mi spiegò.

«Sono d’accordo. Faccio anche io così» sorrisi ammirata. 

Ci somigliavamo più di quanto mi sarei aspettata.

Mangiammo varietà infinite di pesce, accompagnato da un ottimo vino bianco. Parlammo molto delle nostre vite, dei nostri interessi. Harry era un tipo molto dinamico e allegro e lo ammiravo perché, pur avendo molti soldi, era umile e cercava di guadagnarsi il suo denaro per non vivere sulle spalle del padre. Quando l’avevo rivisto mi sembrava uno sbruffone e un approfittatore, ma in realtà era tutto il contrario.

«Posso farti una domanda personale?» mi chiese. 

Improvvisamente avevo paura della sua domanda, non sapevo perché.

«Dimmi pure» dissi, tentando di nascondere la tensione.

«Perché non sei più stata con nessuno dopo quel deficiente?» sputò secco.

«Non ho mai più trovato qualcuno che mi piacesse davvero, che mi facesse battere il cuore. Così invece di fare come tutte le mie conoscenti, che avevano un ragazzo diverso ogni sera, ho preferito preservarmi per quello realmente giusto. Ho fatto l’errore più grande della mia vita in passato, dandomi ad una persona che non mi meritava e non voglio sbagliare di nuovo. Ho il terrore di riprovare quelle sensazioni, la sensazione di sentirmi usata, di essere trattata come un oggetto. La mia prima volta è stata tremenda e ho cominciato a pensare che andare a letto con qualcuno fosse una cosa tremenda, ma poi ho visto lo sguardo di Elis, dopo che aveva fatto l’amore con Niall, e ho capito che deve essere fantastico sentirsi amata in quel modo».

«Anche io non ho mai fatto l’amore con qualcuno, per me è stato sempre e solo sesso; avrei voglia di provare ciò che hanno provato Niall ed Elis. Deve essere qualcosa di totalizzante».

«Già» dissi non potendo fare a meno di arrossire alle sue parole.

«E’ per questo che ti sei sempre frenata con me? Hai paura che ti costringa a fare cose di cui non sei convinta? – annuii – tu mi piaci davvero, Bea. Aspetterò tutto il tempo che serve» disse comprensivo.

«Grazie».

Capì che quest’argomento non era dei miei preferiti, infatti voltò pagina e mi parlò dei sui progetti futuri: quello di diventare un architetto rinomato.

«Mi stupisci ogni minuto di più, sai?» dissi adulata da quest’uomo.

«Davvero? – disse stupito, mentre annuivo – perché?».

«Perché la prima volta che ti ho rivisto non immaginavo che fossi così. Anzi, pensavo che fossi un borioso nullafacente che se ne andava in giro a spezzare cuori» risi di me stessa e del mio alquanto affrettato giudizio.

«Sono cambiato molto dopo averti rincontrata. Ho ridefinito la mia vita, i miei scopi».

«Mi fa molto piacere» dissi, con un grande sorriso stampato in faccia.

Il tempo in sua compagnia passava molto velocemente, ma non avevo nessuna voglia di tornare a casa. Avrei voluto che la serata non finisse mai, il tempo passato con lui mi sembrava sempre troppo poco.

«Volevo farti conoscere mio padre e mia sorella, ma si è fatto tardi. Dovresti tornare a casa, domani ti aspetta un’intensa giornata di lavoro e non voglio che Theodore ti sgridi perché sembri uno zombie» disse soffocando una risata.

«Hai ragione».

Si alzò e galantemente mi fece alzare, spostandomi la sedia; ci dirigemmo mano nella mano verso l’uscita. 

Ad aspettarci c’era la sua splendida macchina.

«Ho un’idea!» disse, una volta saliti in auto.

«Dimmi» e mentre lo dicevo mi voltai verso di lui.

«La prima canzone che ascolteremo sarà la nostra canzone, che ne dici?». 

Mi guardò speranzoso.

«Non ti facevo così romantico» dissi, sottintendendo un enorme si.

Lo speaker della radio annunciò la canzone successiva: «E ora ascolteremo “Can’t take my eyes off of you” del grande Frankie Valli. Buon ascolto a tutti voi, mondani newyorkesi». 

I nostri sguardi s’incontrarono e non potemmo fare a meno di sorriderci. 

«Mi sembra assolutamente perfetta» mi disse senza distogliere lo sguardo dal mio.

«Anche a me» dissi, e istintivamente misi la mia mano sulla sua, che era sul cambio.

Rimanemmo ad ascoltare la “nostra” canzone, fino alla fine. 

Ormai molte cose erano “nostre”: un posto, una posizione, una canzone. 

Il testo della canzone era stupendo, sperai che riflettesse la nostra storia, lo sperai con tutto il cuore. La fine della canzone coincise con il nostro arrivo sotto casa mia.

«Grazie della bella serata – dissi avvicinandomi a lui e accarezzandolo con la mano libera – è stato un bel primo appuntamento».

«Stupendo direi». 

I nostri sguardi si fecero profondi e vitrei, come sempre persi l’uno nell’altro. Senza accorgermene mi avvicinai a lui, ormai era un istinto naturale. Senza pensarci gli diedi tre piccoli baci, uno dietro l’altro, succhiandogli dolcemente il labbro inferiore.

«Buonanotte, Harry» gli dissi guardandolo dolcemente negli occhi.

«Buonanotte, Bea». 

Si avvicinò a me e mi diede un bacio sul naso, mentre la mia bocca poggiava sul suo mento.

Fluttuai verso la porta di casa con un solo pensiero in testa: Harry. 

Mi aveva davvero stupito, era l’uomo che avevo sempre desiderato avere accanto. La cosa che più mi stupiva era l’effetto che aveva su di me, che cresceva ogni giorno d’intensità. Mi potevo realmente innamorare di lui, forse con troppa facilità, ma non volevo farmi spaventare dalle mie emozioni. E se anche mi fossi innamorata, non ci vedevo niente di brutto. 

Ero troppo felice per pensare ai possibili effetti collaterali.

Era molto tardi, quindi aprii con cautela la porta ed entrai in casa in punta di piedi, non volevo svegliare Mara ed Elis. Restai stupita quando entrai in camera mia e trovai Elis coricata sul mio letto.

«Elis? Che ci fai qui?». 

Lei aprì di scatto gli occhi, mettendosi seduta sul letto.

«Fai la notturna ora? Allora dimmi com’è andata. Ho aspettato ore, ma poi sono crollata in un sonno profondo».

«E’ andata meglio di quello che speravo» dissi con l’occhio languido.

«Sono contenta – disse con lo sguardo assonnato – i dettagli me li dici domani. Ora vado a letto, sono davvero distrutta».

«Ok – dissi sorridendo – a domani».

Mi misi a letto, ma non riuscii a prendere sonno. Ero ancora troppo eccitata dalla serata appena trascorsa, che era finita troppo in fretta. Avevo come l’impressione che con lui sarei riuscita a vivere la storia dei miei sogni, quella che avrei ricordato per tutta la vita. Aspettavo questo momento da anni, aspettavo e speravo di sentirmi così, come se fossi sulla nuvoletta dell’amore; finalmente, forse, avevo esaudito il mio desiderio.

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

 

 

BUON SABATO A TUTTI!!

Questo è un capitolo calmo, senza alcuna ansia o suspance.. I Barry si meritano un pò di tranquillità finalmente.

Spero vi sia piaciuto!

La storia non ha molto successo, e questo non può che dispiacermi.
Se avete delle critiche da fare, sono ben accette anche quelle. Sono tentata di non pubblicare più qui, perchè è davvero un pò deprimente. In ogni caso la mia storia andrà avanti, qui o in qualche altro posto, dove per fortuna ricevo più consensi.

Spero che le cose cambino, ne sarei veramente felice.

Detto questo vi auguro una buona serata <3

 

alla settimana prossima <3

 

with love,

BARB <3

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Capitolo 16
*** viversi ***


Cause all of me loves all of you

Love your curves and all your edges

All your perfect imperfections

Give your all to me, I’ll give my all to you

You’re my end and my beginning

Even when I lose, I’m winning

Cause I give you all of me

 

And you give me all of you, oh

- John Legend

 

 

Ero tornata alle due di notte, ma nonostante questo non ero riuscita a prendere sonno prima delle cinque, non potendo non ripensare ai giorni appena trascorsi. 

Era cambiato tutto. Erano cambiati i miei sentimenti, ero cambiata io. 

Erano le otto quando la mia sveglia suonò, ma nonostante le poche ore di sonno mi sentivo rinvigorita e rinata. Alle nove ero già in gelateria, attiva come non mai, ricevendo anche i complimenti da Theodore per la mia efficienza. Nei momenti in cui avevamo un attimo di respiro, raccontai ad Elis del mio appuntamento con Harry, e, ovviamente, volle sapere tutto nei minimi dettagli, ogni minimo particolare e ogni suo movimento. Non si risparmiò nemmeno nel chiedermi se c’erano stati particolari piccanti. 

La solita Elis. 

Grazie alle varie distrazioni, ai discorsi con Elis e alla mia inusuale frenesia, il mio turno volò in un baleno. 

Una volta arrivate a casa, Elis andò a fare un sonnellino, mentre io approfittai della calma inusuale di mia cugina per andare a farmi una doccia rilassante. Andai nel piccolo bagno accanto alla mia camera, e azionai il mio Ipod. Adoravo ascoltare la musica mentre ero sotto la doccia, mi dava la carica giusta per affrontare resto della giornata e allo stesso tempo mi rilassava. Era il mio piccolo momento di pace. Dopo mezz’ora ero pulita, rilassata e rinvigorita, anche se la mia mente era elettrizzata dagli avvenimenti accaduti, il mio corpo aveva risentito dello stress che avevo accumulato. Mi diressi in camera con il mio piccolo asciugamano rosa, per fortuna non c’erano maschi in casa, adoravo avere la libertà di camminare come volevo in casa.

Aprii la porta della mia camera e quasi svenni nel vedere Harry, coricato nel mio letto che fissava il soffitto. Quando però mi resi conto di avere indosso solo un’asciugamano striminzita, la mia faccia diventò color porpora.

«Oddio – esclamai – ma che ci fai qui?». 

Il mio tono uscì più alto del previsto; ero altamente in imbarazzo.

«Buon pomeriggio, principessa!» disse sorridente.

Vedendo il mio imbarazzo, ma soprattutto il mio mutismo, continuò.

«Volevo farti una bella sorpresa. Di sicuro sono riuscito nella sorpresa, ma dalla tua faccia non credo sia stata una buona idea. Scusa, ci sentiamo dopo» finì, alzandosi dal letto e dirigendosi verso l’uscita. 

Mi risveglia dal mio limbo.

Davvero pensava che vederlo non mi rendesse felice? Magari stava pensando che mi fossi pentita? 

Era assolutamente fuori di testa.

«Non sono mai stata più felice di vederti – sorrisi, afferrandogli il polso – mi hai solo sorpreso, fantasticamente sorpreso». 

E in quel momento mi lasciai andare, mi alzai sulle punte, verso il suo viso e gli diedi un bacio, un bacio di quelli che contano, di cui si ricordano le sensazioni per molto tempo, forse per sempre. Non mi curai nemmeno del fatto di essere mezza nuda davanti a lui, poco importava. Continuai ad assaporare le sue morbide labbra rosee, senza riuscire a smettere di farlo. Il sapore di Harry mi attraversava corpo e anima, arrivava al cuore.

Mi staccai lentamente da lui, senza smettere di guardarlo negli occhi, scrutando la sua espressione intensa, quasi infuocata. Non avevo mai provato certe sensazioni baciando qualcuno. Il mio corpo andava in fiamme, e non era di sicuro per l’imbarazzo, c’era qualcosa di più, qualcosa che mi dava l’impressione di camminare ad un metro da terra, qualcosa per cui non vedevo l’ora di svegliarmi, qualcosa che era meglio dei bei sogni.

Eravamo ancora uno di fronte all’altro, le sue mani non smettevano di accarezzare il mio viso, mentre i suoi pollici carezzavano le mie gote arrossate.

«Sai andare sui rollerblade?» sussurrò dopo qualche minuto.

«Sono una frana in tutti gli sport, deducine la risposta» sorrisi.

«Allora sarò costretto ad insegnartelo sul momento – disse incamminandosi verso la porta – perché questo pomeriggio usciremo con questi e ti porterò in un bel posticino» disse, sfoggiando due paia di rollerblade.

La sua espressione somigliava a quella di un bambino di cinque anni davanti ad una stanza piena di caramelle. Era impossibile resistergli, ma allo stesso tempo era impossibile che riuscissi a fare più di due metri con quei cosi ai piedi.

«Potremmo arrivarci a piedi!» proposi canzonante.

«Nemmeno per sogno, io adoro spostarmi con i rollerblade per la città, non puoi togliermi questo piacere! E poi non vedo l’ora di immortalare il momento in cui cadrai con il sedere per terra» affermò, evidentemente divertito.

«Grazie mille – esclamai offesa – non mi aspettavo così tanta dolcezza oggi» mi girai di scatto, con le braccia incrociate al petto.

«Forse – continuai – dovrei ripensarci, non voglio avere un fidanzato che si prenda gioco di me». 

Improvvisamente le sue braccia mi sovrastarono, abbracciandomi da dietro, trasmettendomi un calore inimmaginabile, soprattutto perché il mio corpo, essendo coperto da una semplice asciugamano, riusciva a sentire prepotentemente il suo corpo.

«E io non desideravo altro che una fidanzata permalosa» disse marcando la penultima parola, e istantaneamente mi accorsi di essermi fatta uscire una parola troppo grande. 

Non avevamo stabilito esattamente cosa fossimo diventati, per lui potevamo essere ancora in una fase di conoscenza. Harry capì immediatamente cosa mi stesse frullando nella testa, ormai capiva ogni mio pensiero e ogni mia mossa.

«Se ti stai chiedendo se sei la mia fidanzata, la risposta è sicuramente affermativa. Bea, tu sei la mia prima fidanzata!».

Prendendomi di peso, mi fece girare verso di lui e mi alzò il viso, prendendomi il mento tra indice e pollice. Senza rendermene conto, le sue labbra lambirono le mie.

Dopo la rivelazione che mi aveva appena fatto, tutti i possibili dubbi che potevano attraversare la mia mente bacata si erano volatilizzati, così dischiusi leggermente le labbra, permettendo alla sua lingua di cercare la mia, e trovarla, iniziando la danza più sensuale che potesse esistere. Ad ogni bacio che ci regalavamo, l’intensità cresceva.

«Forse è meglio andare ora» disse con un tono roco di voce, evidentemente faceva fatica a trattenere certi istinti.

 

>>>>>

 

«Sono una vera frana, Harry – mi lamentai – non avevo nemmeno sceso il primo scalino!!». 

Ovviamente ero caduta nell’esatto istante in cui Harry, che era troppo impegnato a sghignazzare alle mie spalle, aveva lasciato le mie mani.

Quando ebbe finito, mi fece rialzare, porgendomi la sua possente mano e, dopo aver rischiato di cadere di nuovo, trovai finalmente il mio baricentro.

«Bene, Bea – iniziò dolcemente – ora che hai trovato, diciamo, il tuo equilibrio, devi piegare leggermente le ginocchia, per avere più stabilità, e flettere leggermente il busto». 

Feci ciò che mi aveva detto, e mi scappò un risolino, non sarei mai riuscita a muovermi da quella posizione, sembravo un tronco alla deriva.

«Ci sei – Harry non demordeva per nessuna ragione – ora non lasciare la mia mano, e iniziamo a muoverci. Devi mettere le punte dei pattini un po’ divergenti: uno quasi perpendicolare rispetto all’altro. Così brava, ora devi darti una piccola spinta e poi fai la stessa cosa con l’altro piede».

Con gli occhi stretti in una fessura, provai a fare quello che mi aveva spiegato. 

Mi stupii quando il mio fondoschiena non aveva ancora toccato l’asfalto, ero miracolosamente rimasta in piedi. Continuai a muovermi come Harry mi aveva istruito, mentre lui mi aiutava, grazie all’intreccio delle nostre mani.

Dopo dieci minuti di cammino non ero più caduta, anzi, avevo addirittura preso dimestichezza con i miei nuovi “piedi”, tanto che ormai l’ansia da prestazione era scomparsa. 

Il luogo di cui mi aveva parlato Harry era Central Park.

Era un vero gioiello e aveva qualcosa di poetico, era come trovarsi in un mondo parallelo, lontano da tutto il trambusto che poteva esserci in una metropoli. Fu come estraniarsi totalmente dal mondo, come entrare in un luogo dove c’eravamo solo io e Harry, nessuno faceva caso a noi, perché ognuno stava vivendo nel suo piccolo e momentaneo mondo. C’erano ragazzi solitari appollaiati sotto gli alberi in compagnia di un buon libro, c’erano bambini che, insieme ai genitori, giocavano felici e spensierati e infine ragazzi e adulti impegnati a fare jogging. 

Harry mi portò davanti ad uno dei tanti laghetti presenti e ci sedemmo sul prato fiorito. Ero appoggiata sulle sue gambe, che ammiravo il suo dolce viso dal basso, mentre lui mi raccontava delle sue bravate da adolescente e mi apriva altre piccole porte del suo mondo, mondo che amavo scoprire sempre di più.

Restammo in quel paradiso terrestre fino al tramonto, ad ammirare lo spettacolo che la natura ci aveva offerto e a coccolarci, proprio come una tipica coppia d’innamorati.

 

>>>>>

 

Quando tornai a casa, dopo aver mangiato in un piccolo fast food con Harry, trovai mia zia intenta a mangiare un gelato, davanti ad un film strappalacrime.

«Mara – odiava essere chiamata zia, la faceva sentire anziana – Elis è uscita?».

«Si, è andata a casa di Niall. E’ davvero un bravo ragazzo, sono contenta che mia figlia se lo sia scelto bello, bravo e dolce. Quando era piccola temevo che un giorno mi avrebbe portato a casa uno scapestrato».

Ridacchiai della sua affermazione, Elis era troppo fine ed elegante per presentarsi a casa con qualcuno così distante dal suo mondo.

«E’ davvero un bravo ragazzo» le dissi comprensiva. 

Era turbata per qualcosa, si vedeva, non era pimpante ed allegra come al solito, così le feci segno di continuare.

«Lo so – la sua voce era rotta, come se stesse iniziando a singhiozzare – e sono felice, lo giuro!». 

Ecco, ora aveva proprio iniziato a singhiozzare.

«Zia! Che succede?» chiesi, avvicinandomi cautamente a lei e sedendomi nel divano.

«E’ che siete cresciute – disse, con espressione fiera, ma al tempo stesso addolorata – e presto ve ne andrete e io resterò sola. So che non è un discorso sensato, perché dovrei semplicemente dire che sono felice che mia figlia abbia trovato la persona giusta, ed è ora che si faccia la sua vita, ma proprio non ci riesco. Sono una cattiva madre!». 

La sua non era una domanda, ma volli ugualmente rassicurarla.

«Io ed Elis abbiamo avuto la fortuna di avere delle madri speciali, perché nonostante fossero da sole, ci hanno dato tutto quello che un figlio potesse desiderare. Non abbiamo mai avuto accanto a noi una figura paterna, ma nonostante ciò siamo cresciute forti e sicure, grazie alla forza che avete dimostrato di avere. Non tutte le donne possono dire di essere altrettanto forti e determinate. Avete fatto si che crescessimo come voi, forti e mature. Ora siamo delle donne che nella vita non aspirano ad altro se non a diventare delle donne forti e determinate come le loro madri».

«Oh, tesoro – disse con i lacrimoni – noi siamo fiere di voi». 

I suoi occhi blu mi guardavano con fierezza.

«Anche noi lo siamo di voi. E anche se dovessimo lasciare il nido, non lasceremo mai voi, perché siete la nostra ragione di vita».

«Grazie piccola. Sei diventata una donna di cui andare fieri, non mi stupisco del fatto che tua madre non faccia altro che elogiarti. Non tutte le madri possono dire di aver sfornato figli di cui vantarsi».

«Lo stesso vale per voi».

E così suggellammo il nostro amore e rispetto reciproco con un abbraccio caldo e avvolgente. Mara era stata sempre la mia seconda mamma ed essendo stata sempre sola capitava che avesse questi piccoli crolli. Noi, però, le avevamo sempre fatto presente che non sarebbe mai stata sola.

Eravamo una famiglia particolare, e per questo speciale. 

Appena entrai nella mia stanza, la voglia di sentire la voce di mia madre sovrastò ogni altro pensiero. In Italia era di sicuro notte, ma mamma non se la sarebbe di sicuro presa, e io non potevo rimandare più, così presi il mio I-Phone dalla borsa e mi sedetti sul letto.

Al terzo squillo la conversazione si aprì. 

«Mami!».

«Amore mio, che piacere! Non mi aspettavo la tua chiamata, qui è piuttosto tardi, a cosa devo l’onore?».

«Scusa per l’ora».

«Non lo dire nemmeno per scherzo».

Adoravo il tono che ogni volta mi rivolgeva, il suo amore per me trapelava da tutti i pori, e io non potevo esserne più fiera. L’amore per un figlio doveva superare qualsiasi sentimento, qualsiasi barriera, essere genitore doveva essere la cosa più appagante e bella del mondo, ma al tempo stesso più difficile. 

Nonostante la mia giovane età, l’idea di diventare mamma mi aveva sempre accompagnato, forse ciò era dovuto al tipo di rapporto che volevo instaurare con mia figlia, come quello di mia madre e me. Ho sempre desiderato un figlio con cui parlare e confrontarsi, non soltanto educarlo, ma anche aiutarlo a sbagliare e farlo rialzare dopo aver subito un dolore, e aiutarlo a realizzare i suoi sogni e gioire delle sue gioie. Mia madre era sempre stata questo per me, una compagnia di vita, la persona che correva insieme a me, la persona che mi sarebbe stata sempre accanto e che non mi avrebbe mai sovrastato o imposto i suoi pensieri. 

Per tutti questi motivi mi mancava come l’aria.

«Volevo sentire la tua voce» dissi con voce flebile.

«Oh, tesoro! Non vorrai mica farmi piangere?» replicò, con voce già rotta.

«No, mami. Volevo solo darti la buonanotte e ricordarti che ti voglio bene, tanto».

«Anche io, cucciola. Sei la mia ragione di vita e mi manchi tanto».

«Manchi anche tu».

«Devo raccontarti tante cose, anche se già le immagini – sorrisi – domani ti chiamo, ora vado a letto anche io».

«Già, credo proprio di immaginare. Notte, baby». 

Aveva già il pianto in gola, per questo motivo voleva chiudere la chiamata. Mia madre era un tipo ipersensibile, soprattutto se si trattava di me. Piangeva sempre, ad ogni mia recita scolastica, ad ogni mia saggio di danza, ad ogni compleanno, perché mi facevo troppo grande, e ad ogni capodanno. Sempre! E io l’amavo soprattutto per questo.

«Notte, mom».

Chiudemmo così la conversazione.

 

>>>>>

 

Stavo sicuramente sognando: sentivo le mie guance calde, amate. 

Sicuramente stavo sognando Harry che mi riempiva di baci, o magari era un flashback del pomeriggio precedente, quando eravamo distesi davanti al laghetto di Central Park. 

Ma allora perché ragionavo? 

Perché non ero semplicemente all’interno del sogno, come se lo stessi vivendo realmente?

Quando sogni non ti rendi mai conto che lo stai facendo, finché non ti risvegli, io invece sentivo perfettamente tutto.

Aprii lentamente gli occhi, ma il calore che provavo non scomparve, anzi, non fece che crescere, sempre di più. 

Appena riuscii a focalizzare ciò che mi era intorno, mi accorsi che la mia porta era aperta, e io odiavo dormire con la porta aperta.

Quando cercai di rialzarmi, ma qualcosa me lo impedì.

«Buongiorno!».

Una voce familiare mi fece letteralmente saltare in aria e voltai lo sguardo alle mie spalle, rivelando dietro di me il miglior risveglio che potessi desiderare. 

Harry era dietro di me, e non era un sogno, ma semplicemente era la mia realtà.

«Oddio!» e a quella esclamazione mi girai verso di lui e mi buttai letteralmente su di lui, intrappolandolo nel mio abbraccio.

«Non potevo desiderare reazione migliore. Per un momento avevo temuto che mi tirassi un ceffone».

«Tu sei pazzo! Da quanto tempo sei qui?».

«In realtà da un bel po’. Ho dovuto darti almeno mille baci per riuscire a svegliarti. Sai che parli nel sonno?» disse, con il suo tipico sorriso furbo.

«Menti! Io non parlo e non russo la notte!».

«Oh, si che lo fai!» disse ironico.

«Sentiamo, cosa ho detto?» lo sfidai.

«Parlavi di me. Di quanto sono bello, dolce e sensibile!» rise.

«Impossibile! Io non parlo nel sonno, te l’ho detto!».

«Come fai a saperlo se dormi?».

«Beh, ho dormito con tante persone e nessuno mi hai mai detto niente?».

«Dovrei essere geloso, vista la tua affermazione?» disse serio.

«Beh, forse. Dovresti essere geloso di mia madre, Elis, le mie coinquiline e qualche sporadica amica. Si credo che dovresti essere tanto geloso» suggellai il discorso con un bacio.

«Mi sento meglio – sospirò – vorrei proporti una cosa» disse, spostando il suo sguardo sui miei occhi.

«Sono tutta orecchie» esclamai.

«Ho parlato tanto a mio padre di te. Stamattina, quando sono andato a prendere mia sorella per accompagnarla a scuola, mi ha espresso il piacere di averci a pranzo oggi. Credi di poter venire?». 

Dalla sua espressione traspariva la voglia che aveva di farmi conoscere la sua famiglia e anche la preoccupazione di un mio rifiuto.

«Oggi inizio il turno alle quattro, quindi si – dissi, aprendomi in un sorriso – non vedo l’ora di conoscere la tua famiglia».

Harry non rispose, ma il suo sorriso lo fece per lui.

Restammo sul mio letto per un’altra ora, a baciarci. 

Ogni giorno che passava i nostri baci diventavano più caldi, e il desiderio che avevamo l’uno dell’altro cresceva sempre di più. Ancora però non riuscivo a lasciarmi andare completamente, mi restava ancora quel minimo di raziocinio che mi permetteva di non lasciarmi andare completamente al mio istinto. 

La stessa cosa però non valeva per Harry, lui era pronto, eccome. 

Per fortuna riusciva anche lui a darsi un contegno e rispettare i miei voleri, ma ciò non gli impediva di muovere le mani lungo tutto il mio corpo, e io non glielo vietavo, anzi, mi faceva sentire ancora più amata e protetta.

 

>>>>>

 

M’impossessai di un vestitino di Elis, visto che volevo fare una buona impressione sulla famiglia di Harry. Arrivammo davanti al Four Season intorno a mezzogiorno e la mia agitazione era cresciuta a dismisura durante il tragitto. Più ci avvicinavamo alla meta, più la mia sudorazione aumentava e più i battiti cardiaci si facevano frequenti. 

Sentivo lo sguardo di Harry su di me, sicuramente aveva intuito la mia agitazione, infatti quando mi fece scendere dall’auto prese la mia mano tra le sue, suggellando quell’unione con un bacio.

«Stai tranquilla. Andrà tutto bene! E poi se piaci a me piacerai anche a loro».

Non riuscii a rispondere a parole, così annuii, poco convinta. Ci incamminammo mano nella mano verso l’entrata dell’hotel; quell’intreccio mi fece tranquillizzare, era come se Harry m’infondesse coraggio tramite quel semplice tocco.

Non avevo mai conosciuto i genitori del mio precedente fidanzato, quindi per me questa situazione era del tutto nuova. Con Harry avevo fatto tanti passi avanti in pochissimo tempo, ciò poteva significare l’importanza che entrambi davamo al nostro rapporto. Neanche lui aveva mai presentato nessuna a suo padre, non come fidanzata almeno; le sue erano “solo amiche” per suo padre. Forse per questo ero tanto agitata, perché non sapevo cosa aspettarmi da quell’incontro, ma sicuramente sarei stata me stessa, in tutto.

Arrivammo all’ultimo piano dell’hotel, davanti a noi solo una porta di legno lucido ci separava dall’imminente incontro.

«Sei pronta, piccola?» chiese, stringendo maggiormente l’intreccio delle nostre mani.

«Si» dissi convinta.

Suonammo, e pochi secondi dopo ci trovammo davanti quella che doveva sicuramente essere la moglie di suo padre. Era una giovane donna, sulla quarantina, abbastanza alta, capelli biondo cenere e occhi nocciola; era davvero bella, con portamento elegante.

«Ciao, tu devi essere Beatrice! Molto piacere, mi chiamo Helen».

«Piacere mio, signora». 

Ci stringemmo le mani e fui costretta a lasciare per qualche secondo la mano di Harry, il mio porto sicuro.

Dopo le presentazioni di rito Helen ci fece entrare nel salone della suite, dove al centro della stanza c’erano due piccoli divanetti, separati da un tavolino di vetro. Ci fece accomodare lì, annunciandoci che James, il padre di Harry, sarebbe arrivato a minuti con sua figlia Lea.

«Perciò, Beatrice. Sei davvero la fidanzata di Harry, oppure è uno dei suoi tanti scherzi?» disse sarcastica, una volta seduta nel divanetto accanto a noi.

«Mi può chiamare Bea, signora. E no, non credo sia uno scherzo, o almeno lo spero» dissi l’ultima parte rivolta verso Harry.

«Oh, allora non sei gay!? Per fortuna! E comunque chiamami pure Helen. Signora mi fa sentire vecchia».

«Grazie» dissi ridacchiando della sua battuta. 

Harry gay? Si, come no. 

Se solo sapesse!

«Helen, oggi hai mangiato pane e simpatia, vedo» esordì Harry, fintamente offeso.

«Oh, figliolo, scusami. E’ che non avendoci mai presentato nessuna fidanzata, ma solo amiche, avevamo pensato che avessi – Helen fece una pausa – altri gusti, ecco».

L’aria si era notevolmente stemperata, infatti scoppiammo a ridere. La risata durò fino a quando non si sentì il rumore della serratura.

«Harry!!!!» urlò una piccola voce melodiosa. 

Pochi istanti dopo comparve davanti a me la bambina più bella che avessi mai visto: aveva i capelli della mamma e gli occhi uguali a quelli di Harry, sicuramente ereditati dal padre. Doveva sicuramente trattarsi di sua sorella, Lea; di lei sapevo solo che aveva cinque anni e che, nonostante fossero fratellastri, lei e Harry avevano un rapporto morboso. 

Lei lo adorava, letteralmente. Come biasimarla.

Come previsto, in pochi secondi, Lea arrivò nel divanetto dove io e Harry eravamo seduti, e gli si buttò in braccio. Mi scappò un piccolo sorriso nel vedere quella scena: Harry, che era sempre composto e sulle sue, si trasformava davanti a sua sorella, spogliandosi di tutte le maschere che portava ogni giorno. 

Distratta da quella scena idilliaca non mi ero resa conto che davanti a me si ergeva un uomo altissimo e anche abbastanza muscoloso; presa in contropiede mi alzai di scatto. L’uomo davanti a me era la fotocopia di suo figlio, quindi bellissimo.

Con imbarazzo, tesi la mia esile mano verso di lui. 

«Piacere, io sono Beatrice».

«Salve, signorina – disse con un dolce sorriso in volto – io sono James, il padre di quel mascalzone che hai accanto». 

Mi scappò un risolino, era anche simpatico, forse la giornata non sarebbe andata tanto male.

Mi voltai verso Harry e vidi che era ancora impegnato a coccolare sua sorella.

«Ho sentito tanto parlare di te, Beatrice. Il ragazzo qui presente non smette mai di parlare di te da mesi».

«Grazie, papà. Molto carino» rispose sarcastico Harry, che mi aveva appena affiancato.

«Lea – la chiamò James – vieni a presentarti».

La piccola bambina ci raggiunse e si mise tra Harry e me con indosso un’espressione cupa, magari era il caso che fossi io ad iniziare le presentazioni. 

Mi chinai, per eguagliare la sua altezza, e le tesi la mano.

«Ciao Lea, io mio chiamo Beatrice, ma tu puoi chiamarmi Bea» conclusi sorridendo.

Lea era un po’ perplessa, infatti spostò subito lo sguardo verso Harry, che la incitò a presentarsi a sua volta.

Pochi secondi dopo tese anche lei la mano e la unì alla mia. 

«Io mi chiamo Lea. Tu chi sei?» chiese infine.

«Io sono – feci una pausa – un’amica di tuo fratello. Sai che sei molto carina con questo vestitino?».

«Grazie. E’ nuovo! Mamma l’ha comprato ieri» rispose timida.

«Ti sta molto bene!».

«Anche tu sei carina» esordì, stupendomi.

«Oh, grazie tante, piccola».

«Ti posso fare vedere i miei giocattoli?». 

«Lea, non è il caso di annoiare Bea» s’intromise Harry.

«Harry, noi femmine non ci annoiamo mai con i giocattoli» dissi, facendo a Lea l’occhiolino.

Ora che mi ero guadagnata anche un tiepido consenso da parte della sua sorellina, ne volevo approfittare. Così, mano nella mano, io e Lea ci dirigemmo verso la sua stanza.

Prima di varcare la soglia della sua camera, mi voltai verso Harry, che mi guardava con espressione estasiata e sognando. Gli lanciai un sorriso e mi voltai, entrando nella camera di Lea.

Restai con Lea per un bel po’; aveva un’infinità di giocattoli meravigliosi, e io li adoravo davvero tutti. 

Amavo giocarci, era come tornare bambina per un po’. 

Nella mia infanzia, mia mamma non mi aveva fatto davvero mancare niente, ma dentro di me, dopo l’abbandono di mio padre, capii che non avrei potuto giocare per tutto il tempo, che nella vita c’era di più. Forse avevo capito troppo presto che avrei smesso di giocare, prima o poi; così, invece di smettere quando qualcuno mi avrebbe obbligato a farlo, smisi di mia spontanea volontà.

A dodici anni ero già una bambina molto più matura della mia età, infatti mia mamma mi diceva che certe volte dimostravo quarant’anni, soprattutto per i discorsi che facevo. Quando aveva qualche crisi mia madre sembrava quasi più piccola di me, ed essendo sole, ero io che la consolavo, così a volte si invertivano i ruoli: io ero la mamma quarantenne e lei la figlia dodicenne. Allora ne soffrivo di questo, perché era come se avessi delle responsabilità di cui a dodici anni non dovresti nemmeno conoscere l’esistenza, ma oggi posso dire che non sarei quello che sono senza quelle piccole grandi responsabilità che mi soppesavano. 

Per tutti questi motivi adoravo perdermi nel mondo delle favole di tanto in tanto, e adoravo restare a giocare ore ed ore con i bambini, soprattutto se erano dolci e sensibili come Lea.

«Bambine, a tavola» esordì Harry, sbucando dalla porta.

«Dai principessa, andiamo a mettere qualcosa in quel bel pancino» dissi a Lea, che per tutta risposta si fece portare in braccio fino alla sala pranzo.

Il pranzo fu davvero piacevole, James e Helen erano due persone fantastiche e non mi sentii nemmeno per un secondo in imbarazzo. Mi chiesero della mia famiglia, dei miei studi e della mia decisione di venire a stare a New York. Riuscii a parlare di tutto liberamente, senza filtri.

Erano davvero molto simili nei modi di fare a Harry, forse per questo mi venne facile confessare di mio padre e del reale motivo che mi aveva spinto a venire in America. Mi sentivo ormai libera da quel peso, ma questo solo grazie alla presenza di Harry; lui era diventato il mio tutto, era stato colui che per primo mi aveva capito e aiutato a liberarmi dei mostri del mio passato. Gli dovevo tutto.

Alle tre uscimmo dall’hotel per dirigerci in gelateria.

«Sono davvero stupito, amore» disse Harry, una volta usciti.

«Dillo di nuovo!».

«Sono davvero stupito?!» disse confuso.

«No, sei stupido – risi – ripeti il modo in cui mi hai chiamato».

Appena finii la frase vidi, forse per la prima volta, Harry arrossire. Non si era reso conto, evidentemente, del modo in cui mi aveva chiamato.

Dopo aver ristabilito la calma, si sporse verso di me e mi diede un dolce bacio sulle labbra.

«Ma tu sei il mio amore» ripeté, ad un millimetro dalle mie labbra.

«Lo sai che è una cosa importante quella che hai detto?» chiesi, temendo la sua risposta.

«Si, lo so – fece una pausa – ma forse tu non sai quanto sei importante per me».

«No, in effetti non lo so» lo provocai.

«Potrebbe spaventarti quello che penso, lo sai?!».

«Tu provaci! Al massimo ti dirò di non ripeterlo più».

«Sei diventata la cosa più importante della mia vita – disse guardandomi intensamente negli occhi, forse come non aveva mai fatto prima d’ora – e questa cosa mi spaventa. Non avevo mai provato niente del genere per nessuno, soprattutto dalla morte di mia madre, mi sono sempre chiuso ad ogni genere di relazione, sia amorosa, che d’amicizia. Ma con te mi è venuto fin troppo facile lasciarmi andare. Non voglio nemmeno pensare cosa potrebbe succedere se…».

«Ei – dissi, prendendogli il viso tra le mani – non rovinare il discorso più bello che potessi sentire con certe stupidaggini. Non pensiamo ad un futuro che potrebbe anche non esserci mai. Viviamoci, giorno per giorno, senza pensare al futuro. Noi siamo qui, ora! Tu mi hai cambiato la vita, e non ti ringrazierò mai abbastanza per questo. La mia vita prima di te era monotona, senza emozioni, invece appena mi sei apparso davanti, dopo tutti quegli anni, nella mia vita è rispuntato il sole. Quindi viviamoci per ora, come se fosse per sempre».

Suggellammo il nostro tacito amore con un bacio pieno di dolcezza e desiderio. 

Si, perché eravamo innamorati, follemente innamorati.

«Ah, di cosa sei stupito?» dissi, soffiando sulle sue labbra carnose.

«Hai superato il test al primo incontro».

«Quale test?» dissi discostandomi da lui quel tanto da poterlo guardare negli occhi.

«Lea. Di solito quando portavo qualcuno, anche amici, era una tortura. Lei è molto chiusa e gelosa di me, ma tu sei in grado di rendere migliori le persone che ti stanno attorno, quindi di che mi stupisco?».

Sorrisi, ristabilendo il contatto tra le nostre labbra. 

Lo amavo, ormai ne ero sicura, ma il problema era che non sarei riuscita a confessarglielo.

Secondo il mio pensiero era troppo presto per provare determinati sentimenti, ma, come dice mia madre, i sentimenti non hanno tempo e spazio, solo quando li provi sei consapevole della loro esistenza. E come sempre, mia madre aveva ragione. 

 

Dopo più di un mese che avevo ritrovato Harry, me ne ero innamorata, di nuovo, ma in modo totalmente diverso da come può fare una tredicenne.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

 

BUON SABATO A TUTTI <3

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. non ho molto da dire oggi, solo un enorme e gigantesco grazie: oggi siamo arrivato a 7K visualizzazioni!!

Questo capitolo lo dedico alla mia dolce stella che giovedì mi ha raggiunto nel mondo delle dottoresse!

Auguri piccola stella, torna presto a casa perchè mi manchi <3

 

All the love, 

BARB <3

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Capitolo 17
*** Assenze ***


Tanto a qualcuno la dovrai raccontare, prima o poi, la verità.

 

A. Baricco

 

 

 

«Vi faccio vedere io come si cucina la vera pasta!» esclamai ai presenti.

Io, Harry, Elis e Niall avevamo organizzato un pranzo a casa di Harry. Era il nostro giorno libero, quindi avevamo bisogno di staccare la spina. Era passato un mese da quando Harry mi aveva presentato la sua famiglia. Tutto andava a gonfie vele, non ero così tranquilla da molto tempo ormai; io e Harry avevamo trovato un nostro equilibrio, che però era destinato ad essere messo alla prova. Non avevo mai avuto il coraggio di rivelargli a parole i miei sentimenti, anche se entrambi eravamo consapevoli cosa provassimo l’uno per l’altro. Harry era davvero la persona più fantastica che potessi avere accanto; non mi aveva mai fatto pressioni, non mi aveva mai chiesto di spingermi oltre i miei limiti, ma sapevo che prima o poi sarebbe successo. In realtà non mi dispiaceva affatto l’idea di essere totalmente sua, di darmi a lui completamente e in tutti i modi possibili. Mi fidavo di lui.

«Cugina! Fai vedere a questi maschi chi comanda qui!» scherzò Elis, distraendomi dal vortice di pensieri che ormai accompagnava tutte le mie giornate.

Scoppiai a ridere, soprattutto per l’espressione che avevano i ragazzi; erano davvero scettici riguardo alle mie doti culinarie, ma per una volta si sbagliavano. Modestamente, ero davvero brava ai fornelli. 

Dopo una decina di minuti era tutto pronto, così sedemmo a tavola.

Vidi che alla prima forchettata della mia pasta al tonno, tutti i presenti strabuzzarono gli occhi, così rimasi ad aspettare il loro verdetto, sorridente.

«Amore! Ma questa pasta è spettacolare!» esclamò Harry.

«Io l’avevo detto che era brava a cucinare» si vantò Elis.

«Harry, amico! Cosa aspetti?! Sposala all’istante! Dove la trovi un’altra che cucina così?» esordì Niall, che non riusciva mai a dire qualcosa di serio.

«Prima o poi lo farò, amico» disse a bassa voce Harry, ma non tanto da non sentirlo. 

Mentre pronunciava quelle semplici parole, che sapevano tanto di promessa, non mi aveva staccato nemmeno per un secondo gli occhi di dosso. E ancora una volta mia mamma aveva ragione: se vuoi arrivare al cuore di un uomo, devi passare prima dal suo stomaco.

Ridemmo per tutto il pranzo, Niall era davvero un burlone. Non c’era attimo in cui non se ne uscisse con qualche battuta. Elis lo guardava con occhi adoranti, non l’avevo mai vista in quel modo; era anche molto accondiscendente, cosa alquanto rara in Elis.

Verso le tre Elis e Niall uscirono per andare a fare shopping: fortunatamente ora che c’era Niall mi scampavo spesso queste uscite, per me estremamente noiose.

«Dove hai imparato a cucinare così bene» chiese Harry, una volta che gli altri erano usciti.

«Sai, a volte mamma lavorava fino a tardi, così qualche volta, essendo sola a casa, mi dilettavo a prepararle qualcosa. All’inizio – dissi facendomi scappare un risolino – preparavo davvero cose orribili, però mia madre per non farmi dispiacere le mangiava comunque. Pian piano iniziai a migliorare, anche grazie a mia madre, che cominciò a darmi consigli. E così eccomi qui».

«La tua vita non è stata per niente facile – sussurrò, cingendomi le spalle – e io che pensavo che la mia vita fosse uno schifo».

«Hai ragione, la mia vita non è stata facile, ma sono fiera di aver vissuto in quel modo, altrimenti non sarei così, non sarei quella che sono ora. E poi la vita di tutti è difficile. Ogni vita, ogni persona deve affrontare qualcosa di difficile» dissi sorridendo.

«Sei la donna più forte e matura che conosca».

«Grazie. Sono felice che pensi questo di me» dissi, lasciandogli un bacio sul mento.

«Che ne dici se ci mettiamo un po’ a letto? Riposiamo e poi torni a casa per cena» propose Harry; aveva un’espressione troppo carina per rifiutare, e poi non volevo affatto farlo.

«Ok» canticchiai.

Mano nella mano ci dirigemmo in camera sua; ad un tratto Harry mi prese e mi buttò di peso sul letto.

«Che delicatezza! Che fidanzato burbero che mi sono scelta!» dissi, facendo la finta offesa.

«Sei ancora in tempo per cambiare fidanzato sai?!» affermò lui, provocandomi.

«Credo che cercherò di abituarmi al mio fidanzato burbero – dissi, accarezzandogli il viso – ah, a proposito. Eri serio prima?».

«Quando?» disse spaesato. 

Adoravo quella sua espressione, gli si formava sempre una piccola V tra le sopracciglia; era una delle sue espressioni più erotiche, ma ciò che la rendeva speciale era la sua spontaneità. Lui non si rendeva mai conto quanto fosse attraente anche nelle sue più piccole sfaccettature.

«Quando hai detto che un giorno mi sposerai» sorrisi.

Gli feci questa domanda perché in realtà c’avevo pensato anche io. Mi era capitato di pensare ad un ipotetico futuro con lui, ma per lui era lo stesso?

«Certo! Tu mi hai fatto completamente cambiare il modo di vedere la mia vita. Mi vedo con una famiglia e con una moglie accanto, un giorno, e spero che la madre dei miei figli sia proprio tu».

Si avvicinò a me e suggellò quella speranza in un bacio, che, però, finì troppo in fretta.

«Posso chiederti una cosa?» mi chiese con tono serio.

«Certamente».

«Non hai mai pensato di riallacciare i rapporti con tuo padre?».

«Non c’è nessuno rapporto da riallacciare, Harry» sbuffai. 

Odiavo parlare di lui.

«Ma tu sei fortunata, in un certo senso. Hai entrambi i genitori».

«Oh, lo so cosa stai pensando. So di essere fortunata, ma i nostri casi sono diversi. Mio padre se n’è andato, ma in realtà non è stato mai presente nella mia vita, era come un fantasma che vagava per casa. Non ricordo nemmeno un momento di gioco passato con lui. Uno dei ricordi più belli che ho, risale a quando avevo circa otto anni: avevo la febbre, e non potevo nemmeno alzarmi dal letto. Lui arrivò a casa all’ora di pranzo con un grande pacco in mano, me lo fece aprire e dentro c’era una piccola bambola di porcellana che ritraeva Biancaneve» terminai, abbassando lo sguardo. 

Harry percepì il mio cambio d’umore, allora mi prese per il mento e mi avvicinò a lui, fino a rubarmi un morbido bacio sulle labbra.

«Scusami, non volevo rattristarti, solo non capivo perché non avessi mai provato ad avere un confronto con lui, tutto qui».

«Nel periodo successivo alla separazione io andavo ogni fine settimana a dormire a casa sua, ma mi sentivo un’estranea, qualcosa di troppo. Quando poi sono cresciuta, ha almeno avuto la decenza di far scegliere me quando andarci. Le mie visite diventarono sempre più sporadiche, fino a che un giorno non ci volli andare più. Sai, avevo sempre voluto avere un confronto con lui dove gli sputavo tutto quello che pensavo di lui in faccia, ma ogni volta che mi trovavo davanti a lui non ci riuscivo. Era come se fossi bloccata dal passato, da quella sua espressione severa che mi aveva sempre fatto paura; avrei voluto dirgli tantissime cose, quello che sentivo, quello che provavo, ma lui non capiva neanche quelle poche cose che gli dicevo. Lui non c’è stato mai per me, a volte non era presente neanche durante i miei compleanni». 

«È brutto dirlo - continuai, lasciando parlare tutti i miei più intimi pensieri - ma certe volte guardo dei bambini che giocano insieme al padre e non posso provare invidia nei loro confronti, io non ho mai provato questa soddisfazione. Impressa nella mente ho solo l’ immagine di mio padre che se ne va di casa con in mano due valigie e mi dice: “ci vediamo, cucciolo...”. E io che lo guardavo con un viso ormai rassegnato e inespressivo; non dissi nemmeno una parola, lui si girò, io mi girai verso la TV e quando sentii la porta chiudersi, tutto il modo mi crollò addosso, tutte le mie certezze svanirono nel nulla. Fu in quel momento che diventai più grande. Ma questo non segnò la fine delle mie sofferenze; liti, dove la causa ero spesso io, compleanni separati, piccole speranze svanite nel nulla, altre persone nella mia vita, entrate con forza, accettate, ma mai volute. Nessuno ha mai capito quello che io ho provato, si giustificava dicendo: “ma io mi devo fare la mia vita, non posso essere condizionato da quello che vuoi tu, ormai tra noi è finita, mi devo fare un’altra vita”. E a me chi ci pensava? Nessuno! Io ero quella che doveva sopportare tutto, ma nessuno si è mai messo nei miei panni, nessuno».

Nessuno ha mai capito come io mi sentissi in mezzo a quell’uragano chiamato separazione - proseguii con le lacrime agli occhi -  Ma io dovevo essere forte e capire, dovevo essere grande e capire, dovevo crescere e non essere più una bambina. Mentre mia mamma soffriva, lui si faceva una sua vita, lontano dai miei problemi. Un giorno mi fece davvero infuriare, così gli spuntai tutto quello che ti ho appena detto, e molto altro, in faccia. Gli dissi anche che non volevo saperne più niente di lui e che non aveva bisogno di me, aveva una sua famiglia ormai, e io ero di troppo. Da quel giorno non l’ho sentito più; ha preso alla lettera le mie parole. Che amore di padre eh!?».

Di slancio, Harry mi catturò in un abbraccio e io mi rilassai, appoggiando la testa sulla sua spalla. 

Restammo così per molto tempo fino a quando lui disse: «Dormiamo un po’ ora».

E mentre mi accarezzava delicatamente i capelli, che sapeva essere il mio punto debole, caddi in un sonno rigenerante, tra le braccia della mia ragione di vita.

«Ti amo, piccola mia. Ora e per sempre».

 

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Aprii gli occhi e mi voltai verso Harry e constatai che dormiva beatamente. 

Ricordai immediatamente le parole che avevo udito, ma ad un tratto non riuscii a ricordare se le avevo realmente sentite, oppure le avevo sognate. Speravo di aver realmente sentito quelle due piccole parole, perché ciò voleva dire che finalmente eravamo arrivati ad un punto di svolta. 

Non avevo mai provato per nessuno quello che provavo quando ero tra le braccia di Harry; la sicurezza e l’amore che mi infondeva solamente con uno sguardo, mi riempiva dentro, totalmente. 

Avevo sempre invidiato bonariamente tutti gli innamorati che scorgevo per strada o nei film, perché non avevano bisogno di parole per esprimere ciò che provavano l’uno per l’altro; a loro bastava un semplice, ma profondo sguardo. 

E , seduta su quel letto, avevo compreso pienamente che quell’amore totalizzante, che ti cambia la via, esiste davvero. Esiste davvero la persona che riempie le tue giornate, che ti accompagna e supporta in ogni tua avventura. Esiste davvero la persona per cui non vedi l’ora di svegliarti la mattina e quella per cui non andresti mai a dormire. 

Guardai al di fuori della piccola finestra davanti a me.

Era pomeriggio inoltrato, ragion per cui sarei dovuta tornare a casa. Mi chinai sul mio adone, che ancora dormiva beato, e cominciai a lasciargli dolci baci sulla tempia, per poi scendere fino alla giugulare. La sua pelle era dolce e fruttata, adoravo l’odore che emanava; era come assaggiare un frutto tropicale, un frutto afrodisiaco.

«Mmh» mugolò.

«Harry, devo andare. Quindi se vuoi salutarmi, devi alzare il tuo bel sedere da questo letto» dissi, soffiando nel suo orecchio.

«Non puoi restare qui? Con me?».

Adoravo anche il tono della sua voce impastata dal sonno. 

Era così sensuale! 

Ma d’altronde, cosa di lui non era sensuale?!

«No, ho promesso ad Elis che avrei cenato a casa».

«Uff». 

E così dicendo si alzò, assomigliando più ad un cavernicolo, che ad un ragazzo di appena ventitré anni, ma prima che me ne rendessi conto le sue labbra si precipitarono fameliche sulle mie.

La voglia di tornare a casa si stava esaurendo irrimediabilmente, data la piega che aveva appena preso il nostro bacio. Le sue carnose e morbide labbra succhiavano instancabilmente le mie, che ormai pulsavano, a causa dell’euforia del bacio. 

Era una sensazione troppo piacevole, soprattutto quando attenuata dalla lingua di Harry che le accarezzava con sensuale dolcezza.

«Guarda che così non mi aiuti ad uscire da questa casa» mormorai con un filo di voce.

«Non hai pensato che potrebbe essere il mio intento?» disse con tono gutturale.

Dopo un’altra mezz’ora di baci infuocati riuscii a staccarmi dal mio paradiso e scendere da casa del mio angelo tentatore.

Per strada, non potei fare a meno di pensare alla conversazione avuta con Harry. 

Aveva ragione quando diceva che mi dovevo ritenere fortunata ad avere ancora entrambi i genitori su cui poter contare, ma mio padre era sempre stato inesistente. Era come se non avessi mai avuto un padre, in realtà. Ma nonostante questi pensieri, una parte di me, consistentemente grande da farmi pensare, aveva sempre voluto riallacciare un rapporto con lui. Avevo sempre sognato, sin da piccola, di avere un padre presente, come quello di tutte le mie compagne, e anche il desiderio di averlo acanto non era più forte come una volta, avevo ancora voglia di sentirlo accanto.

Da quando se n’era andato non avevo mai più sentito il bisogno di ascoltare la sua voce, ma forse tutto questo era dovuto al fatto che avevo sempre tenuto il solo pensiero lontano.

Ora, dopo aver parlato con Harry, mi sembrava solo di aver perso ulteriormente tempo con mio padre. La voglia di raccontargli la mia nuova vita, e le mie nuove esperienze, si faceva sempre più forte in me. Volevo raccontargli del mio viaggio in America, della mia laurea, di Harry e di come mi avesse cambiato; si, perché era solo grazie a lui se avevo anche solo pensato di riavvicinarmi a lui. 

Sapevo di non provocare dolore a mia madre facendo quei pensieri, perché lei per prima mi aveva sempre spinto a riallacciare i rapporti con mio padre, ma io mi ero sempre rifiutata. Lo odiavo da quando avevo dodici anni, e lo odiavo anche in quel momento, ma parlare di lui con Harry mi aveva aperto la mente. 

Non avevo mai parlato a nessuno di mio padre così apertamente. 

Improvvisamente mi ritrovai a fissare insistentemente il display del mio cellulare e quando alzai lo sguardo, come se fosse un segno del destino, mi ritrovai ad osservare due figure: un padre che usciva da un negozio con un pacco di caramelle in mano si stava dirigendo verso la sua bambina e, con sguardo dolce, gli porgeva il pacchetto. La bambina, che aveva potuto avere cinque anni, per ringraziarlo gli saltò in braccio lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia.

Una lacrima solitaria scese dai miei occhi, fuori dal mio controllo.

Era questo che avevo sempre desiderato ricevere, niente di speciale, niente di costoso, ma solo amore incondizionato. Invece avevo sempre visto mi padre come una figura severa e altezzosa, troppo occupato con il lavoro per potersi permettere certi gesti. Erano almeno sette anni che non mi usciva nemmeno una piccola lacrima per qualcosa che lo riguardava.

Dati i vari segni del mio cedimento, mi convinsi che forse era il caso di tentare questo riavvicinamento. Digitai velocemente il numero, che, per qualche strano motivo, conoscevo ancora a memoria e portai il telefono all’orecchio, sperando tacitamente in una risposta.

Finalmente dopo il sesto squillo, sentii aprire la conversazione.

 

«Pronto, chi parla?» disse dall’altro lato una voce dura.

«Ciao papà, sono Bea. Beatrice» dissi in un sussurro, la mia voce faceva fatica ad uscire.

«Ciao» rispose perentorio.

«Come stai?».

«Quanto ti serve?».

Non riuscivo a capire di cosa parlasse, così glielo chiesi.

«Ti servono soldi, no?».

Certo, c’era d’aspettarselo. 

Non sentiva sua figlia da anni, e la prima cosa che gli veniva in mente era che mi servissero dei soldi. Mi sentii una stupida. Come avevo fatto ad illudermi che potesse essere felice di sentire sua figlia, almeno un minimo? Ero carne della sua carne, cavolo. Come poteva non provare un minimo sentimento nei miei riguardi.

«No, papà…» dissi con un filo di voce. 

Ormai stavo iniziando a singhiozzare, la delusione era fin troppo grande, anche per me. Conoscendolo non mi aspettavo certo che urlasse di gioia, sentendo la mia voce, ma almeno speravo che mostrasse un minimo d’amore per sua figlia. 

Ma evidentemente mi ero illusa per l’ennesima volta.

«Allora perché mi hai chiamato?».

Il suo tono era sempre più distaccato e freddo.

Ne avevo abbastanza, non sarei riuscita a sostenere neanche un altro secondo di quell’assurda conversazione.

«Volevo solo dirti di andare fottutamente all’inferno, Caleb».

Così dicendo chiusi la conversazione e mi accasciai a terra, singhiozzando fortemente. Ero in un piccolo vicolo, dove fortunatamente nessuno poteva vedermi, con le ginocchia al petto, come a proteggermi dall’ennesima delusione da parte di mio padre. Con me non era cambiato di una virgola, mentre ero a conoscenza di quanto fosse un buon padre per i suoi “nuovi” figli. La rabbia cresceva sempre di più, perché la consapevolezza di essere una figlia ripudiata dal padre era davvero troppo doloroso da sopportare. 

In quel momento avevo davvero bisogno di avere qualcuno accanto, che mi facesse sentire amata, che mi facesse sentire importante. Allo stesso tempo, però, volevo davvero essere importante per qualcuno, essere il suo tutto. 

C’era solo una persona che potesse farmi sentire in quel modo.

Harry.

Mandai velocemente un messaggio ad Elis, tentando di trovare la lucidità necessaria perché, conoscendola, si sarebbe preoccupata alla massima potenza non vedendomi arrivare per cena. 

Mi alzai di scatto e comincia a correre, sempre più veloce, dritta alla meta.

La strada che mi separava dalla mia ancora di salvezza sembrava infinitamente più lunga delle altre volte, nonostante stessi correndo. Distratta dai miei singhiozzi, non mi accorsi di un signore che camminava davanti a me, e ci andai a sbattere letteralmente di sopra. Provocai così la mia caduta, con il sedere direttamente all’interno di una pozzanghera, ovviamente.

Senza far caso al signore, che si era messo ad imprecarmi contro, mi rialzai, continuando la mia corsa verso la salvezza.

Dopo qualche altro minuto di corsa sfrenata, arrivai davanti al palazzo di Harry, sfinita e fradicia.

«Harry. Harry – urlai contro la sua porta, ormai senza fiato – Harry, ti prego. Aprimi».

Mi accasciai al pavimento, sfinita e rassegnata. 

Ormai non riuscivo più a trattenere i singhiozzi, ed ero sicura che, se Harry non avesse aperto entro qualche minuto, qualcuno mi avrebbe sicuramente visto in quello stato pietoso.

Per fortuna ciò non accadde perché, dopo un tempo che a me sembrò infinito, Harry affacciò dalla porta.

«Bea, che ci fai qui? – appena vide il mio stato, il suo sguardo cambiò radicalmente, trasformandosi in una maschera di preoccupazione – cosa ti è successo?».

Non riuscivo proprio a rispondere. Volevo dirgli di non preoccuparsi, che avevo solo scoperto di avere un padre senza cuore, e che nessuno mi aveva dato fastidio; perché dalle condizioni in cui mi ero ridotta grazie alla caduta, sembravo proprio appena uscita da una lotta estenuante. 

«Amore mio, parlami per favore. Mi fai morire dalla paura così – disse accarezzandomi le tempie con una dolcezza smisurata – dimmi qualcosa».

Mi pregava, letteralmente, ma io continuavo il mio mutismo, come facevo esattamente prima di incontrarlo.

«Qualcuno ti ha fatto del male?» chiese terrorizzato.

Riuscii a scuotere la testa in segno di dissenso e lo vidi rilassarsi per un secondo. Ma lui non sapeva che quello che avevo subito era forse qualcosa di più grave; era innaturale essere rifiutata da un genitore, era qualcosa che andava letteralmente contro natura. 

Persa nel mio dolore, non mi accorsi di non essere più nel pianerottolo, ma tra le braccia di Harry, che mi stringeva stretta a sé. Gli buttai le braccia al collo e i miei singhiozzi s’intensificarono; riuscii finalmente a dire qualcosa, anzi ad urlarla.

«Papà!».

Lui si irrigidì sotto il mio corpo. Forse con quella semplice parola aveva intuito qualcosa, e ne fui felice, perché solo lui poteva capirmi in quel modo e sapevo che non mi avrebbe chiesto niente. Sapeva che gliene avrei parlato solo quando sarei stata pronta.

Restammo immobili, stretti l’uno all’altro, mentre lui mi sussurrava parole di conforto così dolci che poco dopo riuscii a calmarmi e a smettere di piangere.

«Scusa» fu la prima parola che riuscii a dire.

«Bea, non dire cavolate. Il mio compito è anche quello di starti vicino anche in questi momenti. A proposito, grazie di aver scelto me come “spalla su cui piangere”» concluse con un sorriso, tentando di far sorridere anche me, ma al momento era un traguardo troppo arduo da raggiungere.

«Ti ho sporcato tutto di fango!» dissi dispiaciuta, e per poco non ricominciai a piangere.

«Esistono le lavatrici, sai? – disse, lasciandomi un dolce bacio sulle labbra – forse è il caso di mettere anche te dentro. A parte gli scherzi, vai in bagno e mentre io vado a prenderti qualcosa da metterti, anche se non ho niente della tua misura».

Come un automa mi diressi verso il bagno, e improvvisamente mi sentii di nuovo male, perché  senza averlo accanto mi sentivo persa. In quel momento avevo assolutamente bisogno di sentirlo più vicino possibile. Non potevo stare lontano da lui nemmeno un attimo, non volevo.

Lo vidi entrare in bagno e posare una tuta sul mobile accanto al lavandino. Quando fece per andarsene, però, lo bloccai.

«No, Harry – esclamai, facendolo bloccare davanti alla porta del bagno – ho bisogno di te. Non andartene ora, ti prego» conclusi con un filo di voce.

Si girò di scatto e vidi la sua espressione stupita, ma nonostante ciò tornò indietro e si chiuse la porta dietro di se. 

Lo volevo, ne ero già certa da tempo, ma la paura mi aveva sempre bloccato. In quel momento, però, la mia paura era solo quella di non averlo accanto, di perdere anche lui.

Presi coraggio e mi avvicinai a quella figura che da mesi riempiva di gioia i miei sogni, quella persona che aveva migliorato la mia vita e che era in grado di sopire qualsiasi mio dolore con un solo piccolo gesto.

«Voglio non sentirmi più sporca – dissi togliendomi la maglietta – voglio sentirmi di nuovo viva».

Iniziai a slacciare i jeans, mentre sfilavo le scarpe, senza preoccuparmi di apparire in alcun modo sensuale; non era quello che volevo, volevo solo tornare ad essere me stessa.

«Voglio sentirmi importante, ed essere importante per qualcuno».

Sfilai definitivamente i jeans, restando in biancheria intima. Il viso di Harry era diventato di un colore tendente al bordeaux, di sicuro non si aspettava questa intraprendenza da me.

«Ti voglio – dissi sfilando il reggiseno – voglio essere pienamente tua» conclusi, liberandomi dell’ultimo indumento. Ora ero completamente nuda davanti a lui, per la prima volta.

«Voglio che fai la doccia con me, Harry».

Così dicendo, iniziai a spogliare anche lui, che sembrava essersi paralizzato. Gli sfilai lentamente la maglietta, godendomi la sua pelle morbida sotto le mie dite, dopodiché passai ai pantaloni. Arrossii, pensando a cosa mi aspettasse dopo, ma ormai c’ero troppo dentro e non mi sarei tirata indietro per nessuna ragione al mondo. 

Passai il mio indice sotto l’elastico dei pantaloncini e, guardandolo fisso negli occhi, li abbassai lasciando che cadessero sul pavimento. Restai a fissarlo ancora, era come se si trovasse in un’altra dimensione, ma aveva lo sguardo fisso nel mio. 

Lo amavo, con tutta me stessa.

Portai una mano alla sua guancia e lo accarezzai con dolcezza, lui chiuse gli occhi e spinse ancor di più il suo volto verso la mia mano. Con l’altra mano, nel frattempo, accarezzavo il suo torace scolpito, e pian piano scendevo, fino a quando non arrivai ai suoi boxer.

Vidi i suoi occhi aprirsi di scatto, e il suo volto allontanarsi dalla mia mano. Feci un profondo sospiro e iniziai ad insinuare le mie dita sotto l’elastico di quell’indumento; dopo qualche secondo iniziai la discesa, lasciandomi così in bella vista la sua erezione. Ero ovviamente in imbarazzo, ma meno di quello che mi sarei aspettata.

Ero già sua, mancava solo esserlo fisicamente.

Avevo sempre pensato che avrei provato imbarazzo quando mi sarei ritrovata a dover affrontare tutto questo, invece non ero mai stata così tranquilla e sicura di me; era lui che mi infondeva tranquillità, e l’aveva fatto dalla prima volta che l’avevo rincontrato.

«Ti amo!».

Quelle due paroline mi distolsero immediatamente dalle mie solite elucubrazioni mentali, riportandomi alla realtà: me, lui, nudi, doccia, amore.

Unii istantaneamente i nostri corpi in un abbraccio e, dopo avergli lasciato un dolce bacio sulle labbra, presi coraggio.

«Anche io ti amo, Harry. Da impazzire».

 

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Continuavamo a baciarci, circondati dal vapore che l’acqua della doccia rilasciava. Harry mi baciava delicatamente, come fossi di porcellana; accarezzava il mio volto, senza mai spostarsi altrove. Per la prima volta ero io quella audace tra i due; volevo sentirlo, volevo provare tutte le sensazioni che il suo amore poteva darmi.

«Puoi toccarmi, Harry» dissi con un sorriso imbarazzato.

«Vieni, entriamo».

E così dicendo entrammo in doccia.

«Amore – disse prendendomi il viso tra le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi – voglio che la nostra prima volta sia speciale, spontanea; sai quanto io desideri fare questo passo, ma lo voglio fare con la vera Bea. Tu sei forte, determinata, intraprendente, ma sei anche fragile e timida. Io ti adoro, ti venero, e amo da morire quando ti imbarazzi. Sono io che in questo momento non mi sento pronto. Ho paura, paura che tu lo faccia solo perché tuo padre ti ha detto qualcosa che ti ha fatto star male, e non perché ne sei veramente convinta. Non voglio che tu lo faccia solo perché hai paura di perdermi. Io ti amo, e ti voglio anima e corpo, ma non ora, non così».

«Ok».

Fu l’unica parola che riuscii a dire, mentre lacrime, celate dall’acqua, scendevano dai miei occhi.

Lo capivo, e forse aveva anche ragione. Ero stata abbandonata dalla persona che mi aveva messo al mondo, e per questo avevo paura che potesse farlo anche lui. 

In fondo io non gli avevo dato molto; ero restia a qualsiasi contatto fisico, e per quanto lui potesse amarmi e per quanta pazienza potesse avere, era sempre e comunque un uomo. Non avevo però tenuto conto dell’infinita bontà del mio uomo; era sempre pronto a consolarmi e confortarmi, senza mai mettermi pressione e rispettando i miei tempi.

«Vieni qui. Fatti coccolare un po’. Rilassati» esordì, mostrandomi le mani piene di bagnoschiuma.

Ebbi una fitta allo stomaco, non di dolore, bensì di pienezza.

In quel momento capii che non serviva fare l’amore con Harry per sentirmi importante, per sentirmi amata da lui bastava un solo piccolo gesto, o sguardo.

Sapere che avrei avuto le mani di Harry sul mio corpo nudo mi diede un’enorme scarica di adrenalina.

Ora capivo cosa stava succedendo al mio corpo, al mio stomaco; non erano semplici fitte, era un’esplosione di farfalle, non un semplice svolazzamento.

Posò le sue mani fredde sul mio collo, senza mai spostare lo sguardo dal mio, muovendo le sue mani dal collo alle spalle, con movimenti concentrici. Lentamente, e senza mai staccarsi, le sue mani discesero verso il mio petto, sfiorando appena il mio seno. 

I suoi movimenti lenti mi fecero ansimare a tal punto da essere costretta a chiudere gli occhi per godere appieno del suo tocco. Lisciò la mia pancia per poi avvicinare il suo corpo al mio, iniziando a dedicare le sue attenzioni alla mie schiena. Eravamo intrappolati in una sorta di abbraccio, quando lui arrivò ai miei glutei, ma li oltrepassò. 

«Harry» sospirai.

Nessuno mai mi aveva toccato in quel modo, così casto da essere troppo eccitante anche per me. 

Ma lui non mi diede retta e si abbassò, passando le sue vellutate mano su gambe e cosce.

Si rialzò, lasciandomi un bacio a fior di labbra che mi fece riaprire gli occhi. Restai meravigliata dalla luce che emanava il suo sguardo. Avevano una lucentezza che non avevo mai scorto prima d’ora; anche il colore delle sue iridi era cambiato, era più lucente.

«Toccami, Harry. Ti prego» dissi con voce supplicante.

«Non c’è bisogno che mi preghi. Come potrai vedere tu stessa, non riuscirei a resistere ancora per molto» rispose con un malizioso sorriso.

Ridacchiai anche io alla sua affermazione.

Era tutto così naturale che, senza alcun indugio, presi anche io il flacone del bagnoschiuma e me ne versai una piccola quantità nella mano. Tornai a volgere lo sguardo verso Harry, come a chiedergli il permesso e lui, ovviamente, accettò.

Le mie mani percorsero esattamente lo stesso tratto che avevano percorso le mani di Harry, con la sola differenza che, presa dalla frenesia del momento, una volta arrivata alla sua pancia non fermai il mio percorso. Presi un profondo respiro, come per incoraggiarmi, e continuai la discesa verso la parte più sensibile del suo corpo. Abbassai per la prima volta lo sguardo, non per l’imbarazzo, ma solo per ammirarlo, in tutta la sua virilità. Lo toccai, lo venerai, come non avevo mai fatto in passato; sentire il respiro affannato di Harry era un segno che mi incitava a non fermarmi, a continuare ad amarlo. Con la mano libera, presi una delle sue mani e me la portai su uno dei miei seni, incitandolo a continuare da dove aveva interrotto.

Il tocco rude e volgare al quale ero sempre stata abituata erano solo un brutto ricordo. Harry mi stava pulendo, non solo nel corpo, ma anche nell’anima, che era sporca prima di rincontrarlo. In quel momento, invece, lo sporco era pian piano sostituito dalla purezza e della pienezza d’amore. Ognuno lavò le angosce e i dolori dell’altro. Lui lavò via mio padre e ciò che avevo perso con lui; cancellò Enrico e ciò che mi aveva fatto odiare, il mio corpo appartenente al suo. Io lo liberai dal suo passato, dalla sua incapacità di fidarsi e di affidarsi a qualcuno.

Per la prima volta nella vita seppi cosa significava donarsi realmente una persona, e per la prima volta provai la piacevole sensazione di ricevere e donare piacere alla persona amata.

 

Avevo sempre pensato fosse una sensazione prettamente fisica, invece era esattamente il contrario: donarsi completamente ad una persona era la massima dimostrazione d’amore. Vedere negli occhi della persona che ami, la totale e incondizionata fiducia fu la sensazione più gratificante che avessi mai provato. Il calore del tocco di Harry s’irradiò dal punto di contatto fino al cuore, all’anima. Non mi vergognai dei sospiri e degli ansiti che pronunciai, perché dimostravano l’amore e la venerazione che provavo per lui.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon Sabato a tutti <3

Questo è un capitolo a cui tengo particolarmente, e lo amo indipendentemente da come è scritto. L'ho scritto qualche anno fa, ma è come se l'avessi scritto ieri, non chiedetemi perchè. Spero che vi sia piaciuto anche un decimo di quanto piaccia a me.

Alla settimana prossima <3

All the love,

BARB <3

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Capitolo 18
*** Perdite ***


“Se amate la vita non sprecate tempo, perché è ciò di cui sono fatte tutte le nostre vite.”

 

 

Benjamin Franklin

 

 

 

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Avevo sempre pensato che l’intimità personale riguardasse, appunto, la persona. Avevo sempre ritenuto che ci fossero azioni, gesti, abitudini che non potessero essere condivise con altri individui. Non avevo mai amato condividere la mia intimità, ma da quando stavo con Harry amavo condividere con lui qualsiasi cosa. 

Harry si prese cura di me in tutto e per tutto quel pomeriggio.

Mi aiutò ad asciugarmi e vestirmi, in silenzio, mentre io assaporavo il suo tocco, di cui non potevo più fare a meno ormai. Mi fece sedere sulle sue gambe e mi asciugò i capelli, tastandoli dolcemente e massaggiandomi con cura la cute.

Mi sentii protetta come poche volte prima, mi sentii amata, proprio come desideravo.

In quel momento capii che molte persone ti possono abbandonare nella vita, ma ci sono altre che non lo faranno mai. Perché molti non ti amano nel modo giusto, non tutti sarebbero disposti a soffrire pur di vederti felice. Non tutti fanno dei sacrifici per mantenere vivo e saldo il loro amore.

 

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«Ora devo andare, altrimenti Elis commetterà un omicidio» dissi, soffiando sulle sue labbra.

«E io ti voglio tutta intera, per molto, molto tempo» disse sorridente.

«Grazie della cena, ma soprattutto grazie di esserti preso cura di me».

«Dovere e piacere».

E così mi avviai verso casa, con addosso l’odore di Harry, emanato dalla sua tuta, che mi aveva gentilmente dato in prestito, visto la condizione pessima dei miei vestiti. Era stata una giornata davvero imprevedibile, ma al tempo stesso rivelatrice. Avevamo dichiarato ciò che provavamo l’uno per l’altro e avevamo appena raggiunto un’intimità impensabile fino a poche ore prima. 

Mi sentivo leggera e felice, nonostante la bufera a cui ero stata sottoposta.

Aprii la porta di casa e fui stranamente colpita dalla mancanza di luce. Ad illuminare il soggiorno c’era solamente la televisione, accesa su un canale di moda, ma che apparentemente nessuno guardava. Feci velocemente il giro del divano e trovai Elis seduta sul grande tappeto bianco con le ginocchia al petto.

«Quando intendevo che dovevi apportare un cambiamento di stile, non mi riferivo ad un peggioramento sai?!» disse improvvisamente Elis, acidamente.

«Mia cara e dolce cugina, non puoi nemmeno immaginare il motivo per cui non ho più i miei vestiti addosso. Tu piuttosto, sei diventata una vampira che non sopporta la luce o cos’altro?».

Continuava a tenere gli occhi fissi sul grande schermo davanti a lei.

La sua espressione non era mutata minimamente e, per quanto non fossi brava nelle battute sarcastiche, il comportamento di Elis era alquanto insolito. La conoscevo, forse meglio di chiunque altro, per questo ero sicura che qualcosa che la turbasse, e doveva essere anche qualcosa di grosso.

Avanzai verso lei e mi sedetti accanto a lei, spalla contro spalla.

«Per quanto ami il tuo insolito silenzio, non posso che esserne preoccupata. Vuoi parlarne?».

Ancora silenzio.

Ma quando stavo per alzarmi, ormai sconfitta, sentii un rumore impercettibile venire da Elis. 

Mi girai di scatto verso lei e constatai che stava piangendo. Piccole e silenziose lacrime bagnavano il suo esile e dolce volte, e i suoi occhi piangevano con lei, trasformandosi in pozzi profondi d’acqua blu.

Istintivamente portai un mio braccio attorno alle sue spalle, per infonderle anche un pizzico della tranquillità che avevo appena assaporate.

«Piccola stella, piangi. Sfogati con me. Ma devi dirmi cosa ti è successo, altrimenti non posso fare niente» esordii.

Elis tentò di placare i singhiozzi, prendendo un profondo respiro, e iniziò a parlare.

«Dopo aver pranzato da Harry, io e Niall siamo andati a casa sua, ma ho subito notato che era distante e freddo. Non capivo perché – fece una pausa, ricominciando a singhiozzare – allora gli ho chiesto cosa non andasse, il motivo del suo comportamento. Mi ha risposto che mi ama, che quello che prova per me non l’aveva mai provato per nessuno. Mi ha detto che io sono la SUA persona. Ma i suoi occhi lo tradivano, c’era tristezza, dolore, nel suo sguardo. Poi ha continuato, dicendo che aveva dovuto prendere una decisione importante, sul suo futuro. Ed è stata una decisione sofferta. Ieri gli è arrivata una lettera dalla Cambridge University che gli comunicava la possibilità di prendere parte ad uno stage semestrale. All’inizio sono stata felice, perché è il suo sogno, capito?!».

Niall aveva sempre sognato di diventare un importante avvocato, e di fare giustizia, cercando di migliorare, nel suo piccolo, il nostro mondo corrotto. Quella che gli era appena stata offerta era la sua opportunità, l’opportunità di far avverare il suo sogno, ma nella vita non si ha mai un solo sogno. 

Avevo appena capito cosa era successo. 

Niall aveva appena dovuto scegliere tra il suo sogno lavorativo e il suo sogno d’amore.

«Ma poi ho capito – continuò Elis – ho capito perché era così distante. Lui mi stava abbandonando. Aveva scelto il suo futuro, dove io non ero inclusa; e in quel momento è scoppiato il putiferio. Non riuscivo, e non riesco tuttora a capire perché accettare quello stage escluda a priori me». 

In quel momento capii quanto potesse essere grande il suo dolore, quanta sofferenza dovesse provare. Aveva paura di perdere quella persona che per lei era fondamentale, quella persona che aveva riempito il suo mondo e ora lo stava svuotando, completamente.

«Ha detto che non riuscirebbe a sopportare una relazione a distanza, e quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso - continuò, gesticolando inconsolabilmente - gli ho urlato che se lui crede che la nostra relazione non riesce a superare sei mesi di distanza, allora non è realmente innamorato di me. Gli ho detto che io, al contrario di lui, sarei stata disposta a sopportarla questa merda di distanza, che nelle grandi storie d’amore non va mai tutto liscio, che si devono superare molti ostacoli. Gli ho detto che se lui scappa alla prima difficoltà, allora ha fatto bene ad accettare, perché almeno così mi ha risparmiato solo una futura sofferenza. Non continuo. Hai abbastanza elementi per capire da sola cosa sia successo dopo».

Vedere mia cugina in quello stato mi aveva letteralmente fatto piangere il cuore. 

Elis era quel tipo di persona che quando si trovava davanti ad un ostacolo non abbassava mai lo sguardo, non si abbatteva, ma piuttosto lo affrontava, scavalcandolo a testa alta. Invece di piangersi addosso, lei sbraitava contro quel qualcosa, o qualcuno, al contrario di me che invece piangevo molto più spesso, soprattutto per rabbia. Mi era capitato in passato di dover affrontare da sola una persona che mi aveva fatto un torto, ma nel momento di affrontarlo, nonostante gli tenessi testa, qualche lacrima traditrice finiva sempre per solcare sempre il mio viso.

Non ero per niente abituata a vedere Elis in quello stato e per una volta fui io a dovermi prendere cura di lei. 

Le asciugai una ad una le lacrime, le baciai dolcemente gli occhi e cercai di farla sorridere, o almeno di spostare i suoi pensieri altrove. Preparai una cena ipercalorica e insieme affogammo i suoi dispiaceri. Subito dopo l’accompagnai a letto e mi distesi con lei, ad ascoltare i suoi singhiozzi diventare sospiri, ad aspettare che il respiro affannoso si regolarizzasse. 

Cercai di alzarmi dal suo letto il più silenziosamente possibile e mi recai nella mia camera. Presi il mio cellulare dalla borsa e digitai velocemente un numero che, ormai, era più che familiare.

«Abbiamo un problema» dissi nel momento stesso in cui si aprì la conversazione.

«Penso di sapere a cosa ti stai riferendo» rispose.

«Bene. Domani finisco il turno alle tre, mentre Elis resta in gelateria fino alle sei. Dì al tuo amico che ci vediamo alle tre e mezzo al bar di Time Square dove siamo soliti andare».

«Ok, guerriera. Fai dolce notte».

«Anche tu – sospirai – ti amo, Harry».

«Anche io, babe».

 

>>>>>

 

Il giorno dopo, finito il mio turno, arrivai puntuale all’appuntamento con Niall, doveva veramente avere una buona giustificazione per aver rotto con Elis, se non voleva essere strozzato a mani nude. Una delle cose che meno sopportavo era veder star male le persone a me care, a partire dalla mia famiglia. 

Attesi davanti al bar per una decina di minuti prima di vederlo comparire.

Senza perderci in convenevoli ci sedemmo silenziosamente in un tavolino vicino all’entrata ed ordinammo due cappuccini. Il silenzio regnava sovrano, fino a che non mi decisi a prendere parola.

«Allora – feci una pausa per ottenere la sua totale attenzione – voglio ascoltare la tua versione prima di privare il mondo della tua esistenza» dissi con tono notevolmente malvagio. 

Quando i problemi non riguardavano me in prima persona la rabbia non mi scalfiva, non mi faceva piangere, anzi, mi fortificava. Quando a soffrire erano le persone a me care, la rabbia mi faceva uscire fuori gli artigli, mi faceva diventare come una madre che sarebbe disposta a tutto per difendere i suoi cuccioli. 

Gli occhi di Niall, nel frattempo, erano imperscrutabili, erano freddi e vuoti, come se anche a lui fosse caduto il mondo addosso, come se Elis fosse per lui acqua, senza la quale non si sopravvive.

«Sono in confusione totale, Bea. Per una volta nella vita andava tutto per il verso giusto, finalmente avevo ottenuto la donna dei miei sogni. Per la prima volta mi sono innamorato, e la cosa che più mi rendeva felice era il fatto di essere ricambiato. Non ricordavo più nemmeno di aver mandato quella richiesta alla Cambridge University. Quello è sempre stato il mio sogno di vita. Ma quando ho scoperto di essere stato preso per quello stage, mi sono sentito messo alle strette, come se mi trovassi ad un bivio e dovessi scegliere che strada prendere, capisci?».

Il suo tono di voce era inaspettatamente distrutto, e man mano che proseguiva nella sua versione dei fatti il suo tono di voce si era ridotto notevolmente.

«No, Niall. Sinceramente non ti capisco proprio. Nessuno ti ha mai imposto di scegliere, perché non ce n’è assolutamente bisogno. Per la prima volta nella vita puoi avere tutto quello che hai sempre sognato, sia nel lavoro che nell’amore. Perché ti stai privando volutamente di qualcosa che ti rende felice? Non capisco minimamente. Con la tua scelta senza senso, stai facendo del male non solo ad Elis, ma soprattutto a te stesso. E siccome ora so cosa significa amare, so anche che fare soffrire la persona che ami fa più male della tua stessa sofferenza» dissi tutta d’un fiato.

«Ma era tutto troppo bello! Troppo bello per essere vero. Sono uno stupido lo so, ora me ne rendo conto. Ho solo pensato di non meritarmi tutto questo, non merito Elis e il suo amore. Sono stato male quando mi sono reso conto che non avrei mai rinunciato a quello stage, a costo di far sorgere problemi con lei. Per questo ho pensato di non meritarmi il suo amore».

«Si, sei uno stupido. E’ normale che non avresti mai rifiutato, perché si tratta del tuo futuro, e non puoi metterlo a rischio. Il problema è che Elis non ti avrebbe mai costretto a scegliere proprio perché sapeva quanto tu ci tenessi, ed era felice per te. Ti ama così tanto che è disposta ad aspettarti sei mesi, e non le importa cosa comporterà, perché sa che il vostro amore è forte» dissi, sfiorando la disperazione.

«Appunto! Merito il suo amore?».

«Da quello che sto vedendo oggi, si! Perché nonostante penso tu abbia fatto una cavolata ho capito che l’hai fatto solo per paura. Hai paura di farla soffrire e di perderla, e hai paura di non ritrovarla al tuo ritorno. La paura è legittima, ma non lasciare che la paura ti faccia perdere ciò che ami. Puoi avere entrambe le cose. Perché devi renderti infelice quando puoi essere l’uomo più felice e realizzato del mondo?».

Una luce inebriante s’irradiò dai suoi occhi, e capii che avevo fatto centro. Ero appena riuscita a farlo ragionare. Quella strana luce non si spense nemmeno quando iniziò a parlare.

«Bea, ho bisogno del tuo aiuto. Cosa posso fare per rimediare a questa enorme cazzata?» disse allungando le sue mani sul tavolo fino a trovare le mie.

«Lascia fare a me – risposi – sono una scrittrice sognatrice e romantica. Mi verrà in mente qualcosa davvero eclatante in men che non si dica».

Il piano si stava già formando nella mia testa, e, modestamente era un piano davvero mozzafiato.

Spiegai per filo e per segno le mie idee a Niall, che non sembrava disdegnare affatto.

Mezz’ora dopo, quando tutto era stato deciso e studiato nei minimi dettagli, andai in gelateria a recuperare Elis, che aveva appena finito il turno.

«Ciao, piccola cugina depressa!» esclamai quando la vidi uscire.

«Ciao, mia insolitamente sarcastica cuginetta. Da dove proviene tutta questa euforia?» disse scettica.

«Oh, ci sono tante cose che ti sei persa. Ieri, per cause di forza maggiore, non ti ho potuto raccontare delle cose importanti: tipo che sono stata ripudiata da Caleb, o che ho fatto la doccia con Harry. Ma avremo tempo per questo, ora ho voglia di andare in un posto».

«Hai fatto la doccia con Harry, e non mi hai detto niente?» urlò ad occhi sbarrati.

«Chissà perché di quello che ho detto hai recepito solo la parte più bella. Comunque se te la senti ti racconto per strada. Ora andiamo» e così dicendo la trascinai per strada.

«Certo che lo voglio raccontato! Questo è un evento che deve essere festeggiato. Ma dove stiamo andando?».

«In un posto che non visito da tanto tempo, e ho tanta voglia di andarci. Quindi per distrarci e parlare un po’, ci andremo. Ora!».

Mentre ci dirigevamo verso la meta stabilita, raccontai ad Elis tutto quello che mi era accaduto il precedente pomeriggio, cercando di tralasciare il più possibile momenti dolci passati con Harry che potevano ferirla. Ma mia cugina era davvero una persona dal cuore grande, e non si scompose minimamente quando le raccontai le sensazioni che avevo provato dentro quella doccia. Mi chiese come era stato, se ero felice; e quando comprese che ancora non ero realmente tornata con i piedi per terra non ebbe remore ad esternarmi la sua felicità. 

Dopo circa quarantacinque minuti di chiacchiere eravamo finalmente arrivate.

«Che ci facciamo davanti all’Empire State Building?» chiese stupita Elis.

Sapevo che il grande sogno d’amore di Elis era aver fatta una dichiarazione d’amore proprio in cima a quell’edificio. E ora, anche se ancora non ne era a conoscenza, tutto ciò si stava avverando. 

Dentro di me però ero anche preoccupata.

Speravo ardentemente di fare la cosa giusta per entrambi e speravo che Elis avrebbe perdonato Niall, altrimenti quel posto non sarebbe più stato il suo luogo d’amore, ma di odio.

«Sono passati più di dieci anni dall’ultima volta che ci sono salita. Non vedevo l’ora di salirci di nuovo. Ti prego» la supplicai sfoggiando il migliore dei sorrisi.

«Solo perché sei tu! Odio questo posto» e io risi, perché sapevo che pensava tutto il contrario.

Entrammo velocemente, fiondandoci sul primo ascensore disponibile, trovandoci in una grossa cabina mobile insieme ad una famiglia che, constatato l’accento, doveva essere di origini francesi. Quando arrivammo sul terrazzo mi diressi immediatamente verso l’angolo prestabilito. Nonostante l’agitazione non potei fare a meno di notare la vista mozzafiato che si poteva scorgere da quell’altezza.

Adoravo New York ogni giorno di più, e non solo per il luogo in sé, ma anche perché questa città mi aveva ridato la vita.

In mezzo alla marea di persone riuscii finalmente a scorgere Niall con in mano un mazzo di rose bianche e il viso visibilmente in ansia.

Elis era ancora ignara della presenza di Niall, perché camminava a testa bassa, così la presi per mano e la portai a pochi metri da lui. Quando mi fermai, lei mi guardò stranita, ma, quando guardò davanti a sé, capì.

«Il mio compito finisce qui – mi voltai verso di lei, prendendole il viso tra le mani – l’ho fatto per te. Vi amate ed è inutile soffrire. E’ il tuo primo vero amore, e, siccome so che vuoi sia anche l’ultimo, vi ho creato l’opportunità di chiarire. Per qualsiasi cosa resto nelle vicinanze; mandami un messaggio quando finisci. Ti voglio bene»

E così dicendo feci per andarmene, non prima di averle dato un bacio sulla fronte.

«Ah, Niall – continuai – non farmene pentire».

Me ne andai a testa alta, dopo quella piccola minaccia, sorridendo. Se prima ero preoccupata, ora ero assolutamente tranquilla ed euforica; due persone che si guardano così intensamente come loro due non possono fare a meno di stare insieme, è il loro destino.

Varcai l’ingresso dell’Empire con un enorme sorriso in volto.

Presi il cellulare e provai a chiamare Harry, che doveva essere nei paraggi. 

Ma suonava a vuoto.

Provai diverse volte, ma quando stavo per preoccuparmi seriamente due grandi mani mi coprirono gli occhi.

«Chi sono?» disse con la sua voce soave.

«Un uomo morto! Mi ha fatto preoccupare, stupido» dissi, dandogli un colpo sulla spalla, che non lo scalfì minimamente.

«Era troppo bello vedere da lontano la tua faccina dolce – disse, baciandomi dolcemente sulle labbra – mi sei mancata tantissimo».

«Lo sai che non sono nemmeno passate ventiquattro ore, vero?» risposi, scostando le sue mani dal mio viso.

«Stai dicendo che non ti sono mancato?» esclamò, fintamente ferito.

«Non mi sei mai mancato tanto quanto nelle ultime ore».

Suggellammo la pace con un bacio carico d’amore e passione.

«Che ne dici di andare a fare una passeggiata nei dintorni mentre quei due si chiariscono?» propose Harry, porgendomi il braccio, al quale mi aggrappai subito.

«Sarebbe un onore» sorrisi.

E così passeggiammo per la Fifth Ave mano nella mano, come due veri fidanzati. Fino a quel momento non avevamo mai fatto una passeggiata come due veri fidanzati, forse perché non c’era mai stata occasione. 

Dopo circa mezz’ora, mentre stavo pensando a cosa stesse facendo Elis in quel preciso istante, sentii l’avviso di un messaggio. Presi velocemente il cellulare e lessi ad alta voce:

 

 

“Sei un angelo! Non so davvero come ringraziarti. Abbiamo chiarito, anche se ci sono ancora molte cose da chiarire. Visto che mamma non c’è, dormo a casa di Niall. Ci vediamo domani. Xoxo”

 

 

«Credo che sia andato tutto secondo i piani, mio piccolo genietto!» esordì sorridente Harry.

«Credo proprio di si! E ora stranamente ho voglia di shopping, quindi, mio prode cavaliere, sei costretto ad accompagnarmi».

«Tutto per te!».

Girammo per un’infinità di negozi per il resto del pomeriggio e, stranamente, avevo anche comprato qualcosa di carino. Mi sarebbero servite parecchi indumenti pesanti per poter affrontare l’inverno newyorkese.

Quando verso le sette uscimmo dall’ennesimo negozio si presentò un grosso problema. 

Stava letteralmente diluviando.

«Ora come facciamo a tornare a casa!?» dissi con tono disperato.

«Siamo giovani e forti, hai mai fatto qualcosa di pazzo nella tua vita?» chiese.

«Raramente. Sono sempre stata una con i piedi per terra e la testa sulle spalle, in effetti lo sono stata sempre fin troppo» pensai ad alta voce.

«Bene! Perché oggi farai la prima cosa pazza della tua vita».

«Cosa?» chiesi, lievemente preoccupata.

 

«Corri!!».

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Ho deciso di pubblicare questa sera perchè domani parto, vado a trovare una delle mie migliori amiche, che non si contano nemmeno in una mano. Vado a riabbracciae una delle persone più importanti della mia vita, una di quelle persone che la vita, inaspettatamente, ti regala. Ringrazio ogni giorno di averla incontrata in mezzo alle casualità della vita, e devo ringraziare quei cinque pazzi per questo.

 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ho visto che lo scorso capitolo, nonostante le visualizzazioni siano state molte, non è stato molto commentato. Spero che, anche se silenziosamente, vi abbia trasmesso qualcosa.

 

Buon fine settimana <3

 

All the love, 

BARB <3

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Capitolo 19
*** Incatenati ***


Lo sai come si fa a riconoscere se qualcuno ti ama? Ti ama veramente, dico?

Credo che sia una cosa che ha a che vedere con l’aspettare.

Se è in grado di aspettarti, allora ti ama.

 

A. Baricco

 

Dopo la sua esclamazione, Harry mi prese per mano e mi trascinò per strada e iniziammo a correre. 

Mi sembrava di essere in una di quelle bellissime scene di un film romantico: due innamorati che corrono sotto l’incessante pioggia e poi una volta arrivati si lasciano andare ad un bacio mozzafiato. 

Ormai ero bagnata da capo a piedi e, man mano che continuavo a correre, sentivo i piedi appesantirsi a causa dell’acqua che stava impregnando le scarpe. Ma non m’importava di niente, in quel momento c’eravamo solo io e Harry, che ridevamo come due adolescenti spensierati. 

Fortunatamente casa di zia, in Madison Avenue, era abbastanza vicina, quindi arrivammo in pochi minuti. 

Con il fiatone cercai le chiavi nella mia borsa zuppa, mentre Harry continuava a sghignazzare.

«Dillo che non avevi mai fatto una cosa del genere» disse mentre entravamo in casa.

«E’ stata una delle cose più pazze che abbia mai fatto – esclamai, non potendo non esternare la mia euforia – grazie!». 

«Mi credi un pazzo, non è vero?» domandò con un sorriso sghembo.

Mi avvicinai sorridente a lui, che era rimasto sulla porta per evitare di allagare casa, mi alzai sulle punte dei piedi e lo baciai. Inizialmente era un semplice bacio d’amore, senza pretese, ma si trasformò repentinamente in qualcosa di più forte, si trasformò in bisogno, mentale e fisico.

«Forse è meglio se ora vado» disse irrompendo il bacio.

«Sei un pazzo solo se adesso te ne vai».

Le parole mi uscirono di getto, senza nemmeno essermi resa conto di averle anche solo pensate.

«Lo so che piove, ma mi comprerò un ombrello. Troverò qualcuno che li vende per strada».

«Non intendevo questo - dissi guardandolo intensamente nei suoi occhi verdi - Non è perché non hai l’ombrello che ti chiedo di restare».

Portai una mano sul suo viso, accarezzandogli la guancia, resa ruvida dalla barba incolta. Sentii una delle sue mani poggiarsi su un mio fianco e iniziare a lisciare lo strato di pelle rimasto scoperto dalla maglietta. 

Portai la seconda mano ai suoi setosi capelli cioccolato, resi più scuri dall’acqua della quale erano impregnati e feci aderire il mio corpo al suo. Lui in risposta mi cinse la schiena con l’altro braccio. 

Eravamo ormai incatenati, un cuore diviso in due corpi. Non avevamo, però, interrotto il contatto visivo nemmeno per un istante.

Le parole erano ormai superflue, bastava ascoltare i battiti accelerati dei nostri cuori, che si  muovevano all’unisono. Volevamo entrambi la stessa cosa, ed entrambi eravamo consapevoli dei desideri dell’altro.

Avvicinai cautamente il mio viso al suo, perché ero consapevole che questo bacio avrebbe significato qualcosa in più degli altri. Presi il suo labbro inferiore in bocca e lo succhiai dolcemente, e successivamente leccai l’intero contorno delle labbra. 

Harry rimase per tutto il tempo immobile, intento a subire quella dolce tortura. 

Continuai fino a quando lui non mi assalì letteralmente sbattendomi contro muro accanto alla porta, insinuando la sua lingua nella mia bocca, che la accolse con estremo piacere. Le nostre lingue danzarono, i nostri fiati diventarono uno, i nostri sospiri si scambiarono, le nostre mani vagano nel corpo altrui, senza meta, fin quando non raggiungemmo il massimo livello di sopportazione.

«Bea» sospirò Harry, staccandosi da quel groviglio di emozioni.

«Ti voglio» riuscii a rispondere.

«Oddio, Bea» esclamò, scostandosi velocemente dal mio corpo con le mani nei capelli, creando tra di noi una certa distanza.

«Ti voglio ora!» esclamai, ribadendo il concetto.

Non mi capacitavo nemmeno io della mia intraprendenza. Potevo affermare di non avere esperienza in queste cose, ma la Bea di un anno prima non si sarebbe mai azzardata di esternare così esplicitamente le sue sensazioni e le sue voglie. 

In quel momento, però, non potei fare a meno di comunicargli i miei desideri, l’avrei anche urlato davanti al mondo intero.

«Lo voglio, voglio farlo! Ti voglio sentire dentro di me, voglio unirmi a te. Perché continui ad esitare, io sono pronta per te!»

Harry continuava a non guardarmi, cercando attorno a se qualcosa di interessante, su cui posare la sua attenzione.

«Forse io non sono pronto per te - disse, lasciandomi di stucco - Ho paura. Paura di farti del male, paura che tu ti possa pentire. Ho paura di non essere abbastanza per te».

«Sei tutto quello che ho sempre voluto accanto a me» dissi, senza avere il minimo dubbio.

La mia determinazione diede gli effetti voluti. 

Harry, che si era allontanato torturandosi i capelli dalla frustrazione, si girò di scatto verso di me, rivolgendomi uno sguardo di fuoco.

Non fuoco di rabbia, rancore, odio, ma fuoco di voglia, passione, amore.

Chiuse la porta di casa e iniziò a muoversi verso di me molto lentamente, tanto che avevo come l’impressione di vivere tutto a rallentatore. 

Una volta arrivato davanti a me inchiodò il suo sguardo nel mio e rimasi folgorata dall’intensità del suo sguardo, che da vicino era ancora più inebriante. Portò le sue mani ai due lembi opposti della maglietta ed iniziò ad alzarla, fino a che non fui costretta ad alzare le braccia per facilitarlo nel suo intento; subito dopo slacciò il reggiseno, lasciandomi nuda dalla vita in su.

Presi l’iniziativa iniziando a slacciami i jeans, che finirono, insieme agli slip, con agli altri indumenti sul pavimento. 

Restai nuda davanti a lui, senza riserve e pudore.

L’eccitazione che provavo in quel momento mi permise di prendere l’iniziativa, così gli sfilai contemporaneamente la felpa e la maglia, e subito dopo i pantaloni, facendolo restare in boxer.

«Sei stupenda» disse di getto, ammirando il mio corpo nudo.

Io, al contrario, non riuscivo a proferir parola, ero come ipnotizzata dal suo corpo e dalla sua bellezza. 

Non aveva un fisico esageratamente muscoloso, ma sembrava ugualmente scolpito; la sua piccola tartaruga faceva avanti ed indietro a causa del suo respiro accelerato, ma la cosa che mi faceva letteralmente impazzire era la V che gli si formava proprio al di sopra dell’inguine. Passai la mano per tutto il suo torace senza tralasciare nemmeno un lembo di pelle, soffermandomi sui suoi tatuaggi, che tanto parlavano di lui e che completavano la sua bellezza, rendendolo unico ai miei occhi. 

Quando finii di ammirarlo, alzai lo sguardo sul suo viso e gli sorrisi dolcemente.

«Ti amo, Harry. Non credo che si possa amare qualcuno come io amo te. Tu mi hai ridato la vita» dissi, incantata dal suo sguardo.

Lui mi baciò dolcemente, con devozione.

Incatenai le mie braccia al suo collo e mi alzai il più possibile sulle punte, per arrivare alla sua altezza. 

Lui, per tutta risposta, portò le sue mani sui miei glutei e mi issò, facendomi portare le gambe attorno alla sua vita. Mi portò in camera mia, senza mai smettere di baciarci, e mi pose delicatamente sul letto.

Vidi che aveva in mano l’involucro argentato, ma io non lo volevo. 

Ero stata profanata da Enrico senza alcun ritegno, senza alcuna protezione, senza avere dato nemmeno il consenso. Ma ora volevo che Harry mi pulisse, mi purificasse dal quel precedente episodio; volevo sentire la sua pelle dentro la mia, volevo sentire ogni suo centimetro attraversarmi non solo nel corpo, ma anche nell’anima.

«No – dissi bloccando la sua mano – voglio sentirti totalmente, almeno la prima volta».

«Non so se una volta che ti avrò avuta così riuscirò a smettere» disse dilaniato dal desiderio.

«Allora non farlo. Pensiamo al presente, al momento. Il dopo si vedrà» replicai, pregandolo.

«Non so quanto resisterò. Non l’ho mai fatto così, e poi con te…» continuò lasciando la frase a metà.

Poggiai una mano sul suo viso e ci sorridemmo.

«Mi fido di te – lo rassicurai – e poi sarò un’altra delle nostre tante prime volte insieme, no?».

«Sei-la-persona-più-fantastica-che-abbia-mai-conosciuto» disse mentre mi baciava ogni centimetro del viso.

Ero sotto di lui, e da quella posizione potevo ammirare ancor meglio il suo corpo, con i muscoli delle braccia tesi, per evitare di far gravare su di me il suo peso. Eravamo ormai entrambi nudi, e sentivo il suo corpo combaciare perfettamente con il mio; cuore contro cuore, labbra contro labbra.

Continuando a baciarci intensamente, divaricai leggermente le gambe per dargli il mio tacito consenso. 

Lo sentii entrare in me lentamente, come se fossi di porcellana. 

Smise di baciarmi e alzò lo sguardo sul mio, mentre io ero intenta ad assaporare ogni parte di lui.

Lo sentii colmarmi, saggiarmi, amarmi, e non potei fare a meno di sentirmi completa, per la prima volta nella mia vita sentii di appartenere realmente a qualcuno. Per la prima volta avevo affidato me stessa ad un altro essere umano, per la prima mi fidavo così ciecamente di una persona da consegnargli il mio cuore. 

I nostri corpi iniziarono a muoversi all’unisono, come la migliore delle danze, la danza dell’amore. 

Ansiti rubati a baci, baci che rubavano ansiti.

Sentivo il mio corpo rinascere, come se fosse un fiore di primavera pronto a sbocciare, come se fosse un bruco pronto a diventare una bellissima farfalla, come il brutto anatroccolo che si tramuta cigno. 

Mi liberai dell’oppressione e della vergogna che provavo per il mio corpo e scacciai le insicurezze che avevano leso qualsiasi rapporto che avevo instaurato in passato. 

Ora ero di nuovo Bea; la Bea che aveva affrontato l’abbandono del padre a testa alta, la Bea che scherzava maliziosamente con i suoi amici solo per riderne con loro, la Bea che desiderava essere qualcuno nella sua vita e s’impegnava per raggiungere i suoi obiettivi.

Mi lasciai cullare fino a che non sentii il piacere salire dallo stomaco fino alla gola, e lo lasciai uscire, senza paura, senza pudore.

Restammo immobili, in attesa che i nostri corpi si rilassassero e i respiri si placassero, in attesa che le nostre menti potessero realizzare ciò che era appena accaduto. 

Ci addormentammo così, uno accanto all’altro. Harry in posizione supina mi cingeva il corpo, accarezzandomi la schiena e io con la testa sul suo petto, proprio in corrispondenza del suo cuore.

Mi addormentai così, ascoltando la più dolce delle melodie, il battito del suo cuore.

 

>>>>>

 

Fui svegliata dall’inebriante e libidinoso odore di caffè. Allungai braccia e gambe, indolenzite dalla notte appena trascorsa, tastando infine la parte del letto accanto la mia, ma la trovai vuota. 

Aprii di scatto gli occhi e volsi lo sguardo alla mia destra, constatando che era vuota. 

Una punta di delusione s’insinuò dentro di me: che se ne fosse andato? 

Tutte le domande che mi stavano vorticando in testa furono annullate quando vidi ai piedi del letto la maglietta che Harry aveva indosso il giorno prima. Senza pensarci un secondo, mi alzai e la infilai, mentre mi dirigevo verso la cucina.

Lo vidi armeggiare in cucina, indaffarato a preparare quelli che erano, presumibilmente, dei pancake; doveva fare molto di più, però, per farsi perdonare la fuga mattiniera. 

Andai verso il frigorifero e, senza degnarlo di uno sguardo, presi il succo al pompelmo.

«Buongiorno» disse balbettante.

Ma io continuai la mia recita e mi diressi verso il divano, sorniona.

«Bea? – fece una pausa, e, vedendo che non rispondevo, continuò – che hai?».

Sbuffando venne verso di me e, una volta davanti a me, mi strappò di mano il succo e si mise a cavalcioni su di me.

Mi stampai in volto il migliore dei miei bronci e alzai verso di lui il volto.

«Quanto è bello questo musetto?!» disse, prima di mordermi entrambe le labbra, decretando inesorabilmente la fine della mia finta arrabbiatura.

«Perché non sei rimasto a letto?» chiesi.

«Volevo portarti la colazione a letto, ma riesci a rovinarmi sempre le sorprese» concluse, accennando un sorriso.

«Ah» fu l’unica cosa che riuscii a dire.

«Fammi indovinare – disse con espressione fintamente dubbiosa – pensavi che me ne fossi andato».

Il mio silenzio valse più delle parole.

«Sei proprio stupida – esordì prendendomi il viso tra le mani – non ti avrei mai lasciato sola, soprattutto dopo aver passato la notte più bella della mia vita».

E mi baciò. 

Senza più la paura di essere cauto, senza la paura di un rifiuto, ma con la consapevolezza che ci appartenevamo. 

«Posso farmi perdonare invitandoti ad assistere ad una partita di basket, nella quale giocherò questo pomeriggio?».

«Ci devo pensare» dissi, fingendo di pensarci.

«Sarò tutto sudato, dopo».

«Sarete tutti sudati» sorrisi, aspettando la sua reazione, che non tardò ad arrivare.

«Allora resti a casa» rispose puntandomi il dito contro.

«Oh - dissi tirandolo per un braccio verso di me - non guarderei nessun altro al di fuori di te. Mai».

Sorrise, quasi sollevato da quella mia affermazione.

 

Non aveva ancora ben chiaro quanto lui fosse unico e insostituibile?

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Capitolo 20
*** Inesorabilmente Noi ***


Hai le braccia in cui voglio morire e gli occhi in cui voglio abitare.

 

 

«Bea, sei pronta?» urlò Harry dalla cucina.

Odiavo quando qualcuno mi metteva fretta, anche perché ero solita non essere mai in ritardo, e non lo ero nemmeno in quel momento.

Harry, invece, era un eterno ritardatario, ma quando si trattava di qualcosa che lo interessava particolarmente, come il basket, doveva essere sempre in anticipo.

«Un secondo! - urlai esasperata - mi dai almeno il tempo di mettere i pantaloni, o vuoi che esco senza?».

«Ok» concluse sbuffando.

Sette minuti d’orologio dopo eravamo fuori dall’appartamento di Harry, che sfrecciavamo verso la palestra a bordo della sua auto, sulla quale adoravo viaggiare ogni volta di più. Amavo tutto di quella macchina, non solo perché era la macchina dei miei sogni, ma perché anche quella parlava di lui. 

Adoravo l’odore che m’investiva ogni volta che mi sedevo sul sedile del passeggero, adoravo il piccolo portachiavi a forma di nave che pendeva dallo specchietto retrovisore, ma la cosa che adoravo di più era vedere lo sguardo di Harry alla guida; impazzivo per quella sua espressione concentrata sulla strada, assorta e pensierosa.

Anche quella volta non potei fare a meno di osservarlo.

Gli si era formato un cipiglio sul volto, come se stesse pensando a qualcosa in particolare, qualcosa che lo preoccupava.

«Che hai?» gli chiesi, quasi senza pensarci.

«Cosa - si girò di scatto verso di me, come se lo avessi appena svegliato da un sogno - ah, stavo pensando che ora conoscerai molti dei miei amici».

«Sei preoccupato?».

Non avevo effettivamente pensato al fatto che avrei conosciuto i suoi amici, ma in quel momento la cosa cominciò a preoccuparmi. Non sapevo se sarei piaciuta ai suoi amici e, sicuramente, non si sarebbero mai aspettati un tipo come me accanto al loro amico.

Ma soprattutto, quanto aveva parlato di me a loro?

«Ei - mi sentii chiamare, mentre sentivo la mano di Harry, prima sul cambio, poggiarsi sulla mia - non ti mettere idee strane in testa. Stavo solo pensando alla reazione che avranno vedendoti arrivare con me. Diciamo che non sono abituati a vedermi arrivare in compagnia».

«Ah, ok» risposi, facendogli un sorriso.

Non potevo però potevo evitare di far formulare al mio cervello mille domande senza risposta, mille dubbi che non potevo risolvere.

 

>>>>>

 

Ci fermammo davanti ad una palestra, che aveva un piccolo cortile sul davanti, con aiuole piene di fiori colorati. Scendemmo dalla macchina e Harry venne subito verso di me e mi prese per mano, portandomi verso il campo da gioco poco distante da noi.

M‘irrigidii leggermente quando vidi dei ragazzi scambiare qualche palleggio ed iniziare a riscaldarsi. Ridevano e scherzavano, rubandosi la palla come dei bambini, ma in fondo tutti i maschi restavano bambini, almeno un po’.

Non potei fare a meno di ridere a quella scena, e notai lo sguardo di Harry posarsi su di me. Mossi il mio sguardo verso di lui e lo vidi guardarmi sorridente.

«Vieni, ti presento i ragazzi» disse portandomi verso di loro, senza mai lasciare la presa della mia mano.

«Ragazzi!» urlò Harry una volta arrivato al centro del campo, dove ancora gli altri si stavano riscaldando.

Alle sue parole si girarono velocemente verso di lui, e poi notarono la mia presenza. Ovviamente, per mia sfortuna, non potei fare a meno di arrossire.

Avevo gli sguardi di tutti i presenti su di me.

Due ragazzi, entrambi molto alti e carini, si avvicinarono per primi correndo verso di me e, una volta arrivati davanti a me, si presentarono sorridenti.

Il primo si chiamava Jason, un ragazzo molto palestrato, carnagione scura, capelli rasati e occhi blu oceano; mentre l’altro si chiamava Derek, che invece aveva un fisico più esile, lunghi capelli neri e occhi verdi.

Per fortuna mi misero subito a mio agio, ed erano anche simpatici, o almeno lo sembravano a prima vista. Non potei fare a meno di ridere alle loro battute, e anche Harry mi sembrava abbastanza tranquillo.

Ero così intenta ad ascoltare Jason e Derek prendere in giro Harry, da non accorgermi della presenza di un terzo ragazzo davanti a me. Notai la sua presenza solo quando sentii qualcuno che non conoscevo, schiarirsi la voce. Mi girai nella direzione dalla quale proveniva la voce e mi ritrovai un ragazzo altissimo davanti a me. Non era solo alto, ma anche molto muscoloso, mi metteva quasi in soggezione per la sua fisicità. 

Andai con lo sguardo al suo viso e scrutai il bellissimo ragazzo di fronte a me. Aveva i lineamenti  marcati, così diversi da quelli di Harry, occhi color ghiaccio che intimorivano e capelli color oro. Era davvero bellissimo, un ragazzo che non puoi fare a meno di notare, uno di quei ragazzi che quando incontri per strada non puoi fare a meno di notare.

Ma c’era qualcosa in lui che mi turbava.

Sembrava fisicamente un vero e proprio angelo, ma nel suo sguardo c’era qualcosa che mi turbava, qualcosa che non mi convinceva.

«Ciao bellezza» disse con voce melodiosa il ragazzo.

«Ciao, piacere io sono Bea» dissi timorosa, allungando la mano verso di lui.

«Christopher» si presentò, prendendo la mia mano nella sua, accarezzandomi il dorso con il pollice.

Tentai di divincolarmi dal suo tocco senza farmi notare da Harry, ma Christopher non voleva proprio lasciare la presa. Risi di circostanza, guardandolo negli occhi, ma nel suo sguardo non trovai altro che un’espressione di sfida.

«Chris, puoi lasciarle la mano, ora» s’intromise Harry con voce profonda.

Christopher fu costretto a lasciare la mia mano, il suo sguardo non era più rivolto su di me, ora guardava Harry, ma la sua espressione non cambiò.

In quel momento capii a cosa potessi paragonare quel ragazzo, che non avrebbe portato niente di buono: era un ragazzo dalle sembianze angeliche, ma dall’anima oscura.

«Forza ragazzi - intervenne Jason, tentando di smorzare la tensione - cominciamo!».

Harry distolse lo sguardo da Christopher e lo spostò su di me. Potevo chiaramente vedere la rabbia impossessarsi di lui, così tentai di rassicurarlo sorridendogli dolcemente.

«Io vado a posare il borsone - mi disse ad alta voce, sicuramente per farsi sentire da quello strano ragazzo che ancora guardava nella nostra direzione - puoi andarti a sedere sugli spalti».

Feci un segno di assenso e mi girai uscendo dal campo di gioco.

Sentivo però dietro di me qualcuno seguirmi, e sapevo con certezza che non si trattava di Harry, perché ogni volta che lui mi era vicino mi sentivo completa, felice. Invece la presenza che sentivo era sconosciuta, e a me l’ignoto aveva sempre fatto paura.

«So che sai della mia presenza dietro di te - disse una voce che avevo già iniziato a disprezzare - ti sei irrigidita non appena ho iniziato a seguirti, quindi fermati».

A quelle parole non potei fare a meno di obbedire.

Mi voltai verso di lui con sguardo di sfida, non amavo che mi si imponesse cosa fare, soprattutto se tutto ciò veniva da un perfetto sconosciuto.

«Non ti rivolgere a me con questo tono» dissi dura.

«Oh - ridacchiò Christopher, facendolo apparire più viscido di prima - Harry si è preso una con un bel caratterino! Mi piacciono i tipi come te, bellezza».

«Sai quanto m’interessa di piacerti? Meno di zero» mi risposi, senza attendere che fosse lui a parlare.

Ogni cosa uscisse da quella bocca mi provocava un senso di disgusto mai provato prima. La cosa che m’innervosiva ancora di più era la convinzione delle sue parole, era un ragazzo arrogante e borioso, senza nessun senso del rispetto e del pudore.

«Mi piaci veramente tanto - continuò ancora - quando finisci con Harry vieni a cercarmi. Ti farò divertire sicuramente di più di quel ragazzetto pelle e ossa».

Le persone potevano insultarmi quanto volevano, soprattutto quelle che erano delle sconosciute per me, tanto non mi conoscevano affatto e mi giudicavano solo per quello che davo a vedere, solo pochi s’impegnavano a conoscermi davvero. Poco m’importava se la gente mi vedesse come una facile, o una poco intelligente, perché erano in pochi a impegnarsi nel conoscermi realmente. Forse questi erano i reali motivi per cui i miei amici e le persone a me veramente care si potevano contare sulle dita di una mano. Ma nessuno, proprio nessuno poteva offendere le persone che amavo davanti a me, in quei momenti usciva una parte di me che pochi conoscevano.

Mi avvicinai cautamente a lui fino ad arrivare ad un palmo dal suo viso.

«Non verrei con te nemmeno se fossi l’ultimo uomo sulla terra. Di un’altra parola contro Harry e ti privo di ciò che ti rende un uomo, anzi un maschio, sempre che tu lo sia».

«Mi piacciono le tipe violente» replicò lui, come se non avesse compreso nemmeno una parola di quello che avevo detto.

La mia mano si mosse da sola verso il suo viso, ma fu prontamente bloccata.

La mano di Christopher stringeva con forza il mio polso, mentre il suo sguardo era fisso nel mio. La mia aria di sfida gli aveva appena dato un buon motivo per combattere, lottare contro tutto per avermi, anche solo per una notte. Non avevo messo in conto che un mio plateale rifiuto avrebbe potuto portare a galla il suo orgoglio.

«Lascia la mia mano» gli sussurrai freddamente.

«Lasciala subito» una voce alle mie spalle coprì la mia voce.

Voltai subito lo sguardo verso la voce e vidi Harry con le braccia tese lungo il corpo e le sue mani chiuse in un pugno, come per reprimere la sua voglia di prenderlo a botte.

«Chris, Harry, si gioca» intervenne per fortuna uno dei ragazzi che era già sul campo.

Per fortuna questo riuscii a placare la tensione che si era appena creata tra di noi, ed entrambi, a debita distanza l’uno dall’altro, si diressero verso gli altri, mentre io tirai un sospiro di sollievo e mi sedetti.

Li vidi mettersi in cerchio e parlare tra di loro, per poi separarsi pian piano in due differenti squadre. Conoscevo solo pochi di quei ragazzi ma, oltre a Christopher, sembravano tutti affiatati. Speravo, e credevo in fondo, che fossero davvero molto affiatati, che fossero dei buoni amici. Potevo vederlo dal modo in cui Jason rideva e scherzava con Harry, e dal modo in cui Derek picchiava scherzosamente Harry dandogli delle leggere pacche sulle spalle.

Christopher se ne stava per conto suo e non l’avevo ancora visto interagire con nessuno, se non per fare delle battute fuori luogo. Non credevo fossero realmente amici.

Non mi stupii quando notai che Harry e Christopher fossero avversari.

 

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Il gioco era iniziato già da un po' di tempo e io non potevo fare a meno di guardare Harry ammaliata.

Potevo distinguere dalle sue espressioni tutto quello che gli passava per la testa, tutte le tattiche di gioco e le idee che gli attraversavano la mente. Non ero molto vicina a lui, ma grazie al sole che batteva su di lui, riuscivo a vedere la sua pelle imperlata di sudore. Avrei voluto baciarlo proprio in quel momento, perché per me non era mai stato tanto attraente come in quel momento. Forse perché lo stavo guardando mentre faceva una delle cose che lo rendeva più felice.

Il suo basket in fondo era la mia scrittura. La vera passione è quella che ti salva, quella in cui sai sempre di poterti rifugiare in un momento di sconforto, quando tutto ciò che ti sta attorno non fa altro che farti del male. La vera passione è la cura, l’unica cura che non ha bisogno di prescrizione medica. È una prescrizione del cuore.

Mi destai dai miei pensieri quando vidi che i ragazzi si erano velocemente disposti in cerchio.

Non riuscii subito a vedere Harry, ma ad un tratto riuscii a sentire la sua voce.

«Lei è mia!» lo sentii urlare.

Mi alzai di scatto dalla gradinata e lo vidi. Cercava con tutta la forza che aveva in corpo di avventarsi su Christopher senza però riuscire nel suo intento, perché Derek e Jason cercavano di trattenerlo con la forza.

Guardai la scena impotente, senza sapere cosa fare, perché se fossi intervenuta forse avrei solo peggiorato la situazione.

Posai lo sguardo su Christopher per un secondo e lo vidi ridacchiare, con un’espressione soddisfatta in volto. Non avevo mai sopportato i tipi come lui, quei tipi che si credevano i padroni del mondo, quelli che si credono invincibili.

Le persone invincibili sono quelle che conoscono le proprie debolezze, quelle che trasformano un difetto in pregio, non quelle che tentano di emergere mettendo in risalto le debolezze altrui. Le persone forti sono quelle che cadono e sono in grado di rialzarsi, quelle che sono consapevoli che nella vita si cade, ma ci si può anche rialzare.

Non potevo più stare a guardare quella scena senza intervenire, perciò, un passo dopo l’altro, mi diressi verso di loro. I miei piedi sembravano muoversi più lentamente del voluto, sembravano più pesanti del solito, come se fossero legati a pietre pesanti. Quando fui a pochi metri da loro sentii i ragazzi incitare Harry ad andare negli spogliatoi a cambiarsi.

Mi dispiaceva la situazione in cui si era trovato, perché in fondo era colpa mia. Se non fossi andata con lui tutto questo non sarebbe accaduto.

Vidi Harry fare un lieve cenno d’assenso agli altri e, senza degnare nessuno di uno sguardo, andò dritto verso gli spogliatoi. Non mi aspettavo che mi rivolgesse un sorriso, ma che almeno intercettasse il mio sguardo, invece non mi degnò nemmeno di un fugace sguardo. Il mio cuore prese a battere al ritmo dei miei passi, quando inconsapevolmente mi stavo dirigendo verso Harry, che ormai aveva oltrepassato una piccola e malandata porta grigia.

Abbassai la maniglia della porta titubante, ignorando il chiacchiericcio dei ragazzi dietro di me. Sicuramente, dopo quell’avvenimento, non sarei stata vista di buon occhio dai suoi amici, ma poco m’importava, in quel momento ero solo preoccupata per Harry. Non l’avevo mai visto così arrabbiato, non l’avevo mai visto perdere la teste in quel modo. Era come se dentro di lui fosse scattato qualcosa, come se un piccolo ingranaggio nel suo cervello fosse sfuggiti al controllo.

Il cigolio della porta annunciò la mia presenza.

«Harry?» lo chiamai affacciandomi dalla porta, ma non ottenni nessuna risposta.

Una volta dentro lo vidi. Era di schiena, senza maglietta, e potevo vedere distintamente il movimento affannato delle sue spalle. Ad ogni respiro i suoi muscoli si contraevano, era a testa bassa e i suoi capelli, bagnati dal sudore, ricadevano sul suo viso, nascondendolo alla mia vista.

«Harry» provai a chiamarlo ancora, e questa volta si girò verso di me.

Il suo sguardo era intenso, come poche volte prima d’allora, ma potevo chiaramente vedere che non vi era alcuna rabbia nei miei confronti, ma qualcosa di diverso, come se vedesse solo me nel suo mondo, come se fossi la sua ultima bottiglia acqua in mezzo ad arido deserto.

Non potevo capire quello che stava provando in quel momento, ma ero certa che non ero mai stata tanto sua come in quel momento. Quello sguardo, la sua intensità, mi aveva intrappolata, mi aveva legata ancora di più a lui, se ciò era possibile.

«Tu sei mia!» disse in tono quasi rabbioso.

A grandi falcate venne verso di me e, senza rendermene conto, mi ritrovai contro la porta, ancora una volta intrappolata, ma questa volta fisicamente.

Harry era la mia gabbia, la mia prigione. Aveva rapito il mio corpo con i suoi occhi, mi aveva imprigionato il cuore con il suo. La mia cella non aveva un numero, portava sopra il suo nome, e non ero mai stata più felice di essere in trappola.

La sua bocca famelica era sulla mia, come se cercasse di rubare ancora una parte di me, non sapendo che ero già inesorabilmente sua. Le sue mani vagavano instancabili sul mio corpo, facendo accelerare incontrollabilmente il mio respiro, già fuso col suo. Ad un tratto sentii il rumore della chiave girare nel chiavistello e subito dopo le sue mani erano sotto le mie cosce. Lo assecondai cingendogli i fianchi con le gambe e, senza interrompere il bacio, camminò fino alle docce. 

Staccai la mia bocca dalla sua solo quando sentii l’acqua fredda bagnarmi prima i capelli, poi il resto del corpo. Risi per l’assurda situazione in cui ci trovavamo, risi perché sarei dovuta uscire con vestiti zuppi d’acqua, risi perché non me ne importava assolutamente niente.

Scesi con i piedi per terra e tolsi ad Harry l’unico indumento che indossava, mentre lui, freneticamente, cercava di togliermi il mio nuovo vestitino a fiori, avventandosi nuovamente sulla mia bocca. Lo amavo come mai avrei pensato di poter fare, lo amavo con ogni singola cellula del mio corpo. Era così bello amarlo, che faceva quasi male.

Il suo corpo bagnato schiacciava il mio sulle mattonelle fredde della doccia e i nostri corpi bagnati premuti l’uno contro l’altro, mi permettevano di sentire maggiormente il suo corpo premere contro il mio, ogni suo piccolo respiro su di me, ogni suo bacio più inteso e profondo.

Lo sentii entrare con forza in me, lo sentii riempirmi centimetri dopo centimetro, come se tutto stesse avvenendo a rallentatore. Era la prima volta che la passione sovrastava la dolcezza, la prima volta che possesso e voglia prendevano il sopravvento sulla delicatezza. Questo Harry focoso, senza controllo, mi piaceva più del dovuto, più di quanto mi sarei aspettata, perché sentii quanto appartenessimo l’uno all’altro, quanto fossi sua.

 

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«Che ti ha detto per farti perdere la testa in quel modo?» gli chiesi, mentre lui era intento a cercare nel suo borsone una maglia e dei pantaloncini che potessero entrarmi.

«Mi ha chiesto come fosse scoparti, e poi ha detto che lo avrebbe scoperto da solo» disse con un filo di voce, mentre il suo sguardo vagava ovunque, ma non nella mia direzione.

Vidi le sue spalle irrigidirsi e le sue mani strette in un pugno, per questo andai verso di lui e m’inginocchiai, ritrovandomi due pozze verdi propio davanti a me.

«Capisco che ti sia arrabbiato - dissi accarezzando il suo viso con entrambe le mani - ma sei solo stato al suo gioco agendo in quel modo. Voleva privare in te una reazione e c’è riuscito».

«Lo so» rispose, abbassando nuovamente il suo sguardo verso il pavimento.

«Sono così talmente tua che mi fa paura - iniziai a dire, riportando con una mano il suo sguardo sul mio - anche io ho paura di perderti. Ho paura che un giorno tu te ne possa andare ed io non riuscirò a provare per nessuno quello che provo per te. Quello che sento quando sono con te è unico; è come se il nostro amore fosse destinato al per sempre, ma ho paura che noi non lo saremo. Ho paura che un giorno prenderemo strade diverse e che io mi possa ritrovare a vagare senza meta. Quindi non devi aver paura che io trovi qualcun altro perché, anche se volessi, sarebbe assolutamente impossibile».

Harry mi guardò sbigottito, mentre quel fiume di parola inaspettato sgorgava dalla mia bocca. Quello che gli avevo appena confessato non era stato calcolare, era uscito incontrollato dalla mia bocca, era uscito direttamente dal cuore, senza essere filtrato dal cervello.

«Non amerò mai nessuna come amo te. Te lo prometto» mi disse con un filo di voce.

 

E suggellammo quella promessa appena pronunciata con un dolce bacio.

 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

 

Questi giorni per noi Directioner sono stati molto difficli, e spero che questo capitolo vi abbia strappato un sorriso e vi abbia fatto scordare per un attimo il tormentone in cui siamo finite.

Zayn per me farà sempre parte dei One Direction. 

Mi sono chiesta se fosse il caso di non scrivere di lui, di toglierlo dalle mie FF (anche se al momento non è presente non è detto che non ci sarà in futuro), ma poi ho pensato di non esserne capace, di non riuscire a scrivere una FF in cui lui non esista, perchè per me farà sempre parte di quei cinque scemi che ho imparato a conoscere ed amare.

Sono felice della scelta che ha preso perchè, in fondo, è la scelta migliore della sua vita. Sapevamo tutte quanto si sentisse fuori luogo, e non l'ha mai negato. Ho sofferto molto del suo abbandono, ma sapevo che in fondo era la cosa giusta per lui e la sua vita, quindi gli auguro il meglio.

Per questo, questo capitolo è dedicato a tutte voi. INSIEME SIAMO INVINCIBILI  <3

Detto questo spero passiate un buon weekend.

 

All the love, 

BARB <3

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Capitolo 21
*** Marchi D'appartenenza ***


C’è una grande differenza tra il piacere e l’amore. Se ti piace un fiore lo stacchi immediatamente; se lo ami, lo innaffi e te ne prenderai cura per sempre.

-Kristiano Loshi

 

 

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Aprii lentamente gli occhi a causa di una fioca luce che attraversava le tende, che avevo comprato il pomeriggio precedente. 

Erano ormai due settimane che mi ero stabilita quasi permanentemente in questa stanza, la stanza di Harry. 

Ogni sera mi ritrovavo ad addormentarmi sul suo divano e lui era costretto a svegliarmi per riaccompagnarmi a casa, ma dopo una settimana avevamo capito che questo meccanismo non era fattibile per la salute mentale di entrambi, così decidemmo che se mi fossi addormentata sarei rimasta a dormire in casa sua. 

Dopo qualche giorno c’eravamo resi conto che stavamo affrontando una sorta di convivenza, così decisi di prendere la mia valigia e portare qualche mio vestito da Harry. Da quel giorno non avevo più dormito a casa di zia, che continuavo comunque a vedere tutti i giorni.

Voltai lo sguardo alla mia sinistra e trovai Harry, che ancora dormiva profondamente. 

Potevo godermi tutta la sua inconsapevole bellezza quando dormiva: la bocca socchiusa, il profilo perfetto e sopracciglia lunghe nere. 

Portai una mia mano sul suo viso, accarezzandogli la fronte e le tempie, per poi passare alle carnose labbra rosate. Accarezzare la sua pelle era come accarezzare un cristallo, sulla superficie tanto liscio da sembrare fragile, ma dentro forte, duro. 

«Adoro svegliarmi con tutta questa dolcezza» disse una voce roca.

Spostai il mio sguardo sui suoi occhi e li vidi aperti, a fissare i miei, mare contro terra, topazio contro smeraldo.

«Scusami, non volevo svegliarti» mi scusai, posando un dolce braccio sulle sue labbra.

«Hai fatto benissimo invece – continuò, lasciandomi una scia di baci sul collo – non bisogna mai perdere tempo prezioso».

Sentii le sue mani insinuarsi sotto la mia canotta, fino ad arrivare al seno, mentre con la sua bocca continuava a percorrere il tragitto che andava dal mio collo alla clavicola, per poi tornare indietro e ricominciare la solita tortura. 

Quando fu abbastanza soddisfatto mi tolse la maglia, buttandola sul pavimento, mentre aveva già iniziato a baciare uno ad uno i capezzoli.

Cominciai a slacciare i suoi jeans, troppo impaziente di averlo, di sentirlo. 

Quando entrambi fummo nudi, uno sull’altro, sentii ogni parte del mio corpo in contatto con la sua. Potevo chiaramente sentire su di me la morbidezza della sua pelle l’odore fantastico che emanava e che restava sulla mia pelle per tutta la giornata.

«Ti amo» dissi con voce ansante.

«Ti amo anche io, Bea – rispose Harry, interrompendo quella dolce tortura – ora e per sempre».

Ci amammo come solo due anime che si appartenevano potevano fare, come due corpi che ormai si conoscevano, come due persone che si amavano incondizionatamente.

 

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Alzarsi ogni mattina era una tortura se accanto a me c’era Harry, ma per fortuna avevamo la possibilità di passare tanto tempo insieme, in quanto la gelateria rimaneva chiusa per un mese, sia perché l’anno era andato benissimo, sia perché era impossibile pensare di comprarsi un gelato nel bel mezzo dell’inverno newyorkese.

«Ho voglio di fare una torta» esordii improvvisamente, una volta finito di fare colazione.

Modestamente ero abbastanza capace in cucina, ma i dolci non erano proprio io mio forte. Ricordavo ancora il disastro che avevo combinato cucinando la prima e ultima torta della mia vita; non era riuscita nemmeno ad uscire dal forno.

«Direi che vederti nei panni della cuoca sexy mi alletta, e non poco» rispose Harry ammiccante.

«Sempre il solito volgare» dissi ridacchiando.

«La mia era solo una constatazione».

Si, certo.

Dopo poco più di mezz’ora passata al supermarket tornammo in casa.

Ero super eccitata da questa mia nuova ed insolita voglia.

«Sono già stanco» esordì Harry.

«Infatti non devi fare niente. Ci penso io a cucinare, tranquillo».

«Ma io voglio aiutarti» rispose, facendo comparire sul viso la sua tipica espressione da bimbo ingenuo.

«Vedrò cosa posso fare, o meglio cosa puoi fare tu» ridacchiai.

Dopo aver indossato una divisa da basket che Harry usava al liceo ed essermi raccolta i capelli in una coda di cavallo, mi diressi in cucina ed iniziai ad organizzare il piano cottura.

«Altro che cuoca sexy – urlò Harry entrando in cucina – saresti stata una bravissima giocatrice di basket» finì strabuzzando gli occhi.

«Ma se non saprei nemmeno fare un canestro da un punto» esclamai.

Ero sempre stata una frana in qualsiasi sport, facendo disperare mia madre, che pretendeva che da piccola facessi attività fisica.

«Non avevo dubbi su quello – disse sorridente, guadagnandosi una linguaccia – ma sfido qualsiasi giocatore a non farsi distrarre da te».

«Stupido!».

«Anche io ti amo» disse, scoccandomi un sonoro bacio sulle labbra.

Avevo incaricato Harry di sbattere con un frullino i tuorli delle uova, mentre, davanti a lui, ero intenta a distendere sul bancone la farina. Non era un compito difficile.

Ad un tratto Harry fece lo starnuto più potente ed inverosimile a cui avessi mai assistito, e il risultato fu disastroso: ero totalmente ed inspiegabilmente piena di farina.

«O mio Dio. Scusami! – cercò di dire tra le risate – sembri proprio un fantasmino».

Ero furente.

Non solo mi aveva letteralmente riempita di farina, ma aveva anche il coraggio di ridere. Investita da un impeto di rabbia, presi un pugno di farina e gliela gettai in faccia, centrando in pieno la bocca, ancora spalancata a causa delle sue grasse risate. 

«Uno a uno, palla al centro» esordii vittoriosa.

Il suo cambiamento di sguardo mi fece preoccupare, perché preannunciava una vera e proprio lotta, ormai la sfida era iniziata.

La scena che ne seguì fu davvero indecente: ci lanciammo tutto quello che era possibile, tutto ciò che era commestibile. 

Ci rincorrevamo attorno alla penisola della cucina come due bambini, come se nessun problema potesse mai scalfirci. 

Dopo qualche minuto di lotta, Harry riuscì a prendermi per la vita, mentre io tentavo ancora invano di sfuggire dalle sue grinfie. Dopo svariati minuti di lotta, presi dalla passione e dall’adrenalina che ormai era in circolo Harry mi prese in braccio e mi buttò letteralmente sul bancone della cucina, catapultandosi in modo famelico sulla mia bocca, iniziando a spogliarmi.

Poco importava se eravamo luridi, nulla contava al di fuori di noi. Il divertimento iniziale si era repentinamente trasformato in bisogno, bisogno sfrenato l’uno dell’altro. Era ormai diventati indispensabile per noi essere uno dentro l’altro, essere un’unica cosa.

Mi aprii con forza le gambe e, una volta messo il preservativo, si unii a me, entrando velocemente. Mi mancò il respiro, ma nel contempo non riuscii a trattenere un ansito.

Sentivo Harry dappertutto.

Lo sentivo nella parte più intima di me, lo sentivo sulla mia bocca e su tutto il resto del corpo, che era saggiato dalle sue mani. Ma soprattutto lo sentivo nella parte che è fondamentale all’umanità, è fondamentale alla vita; lo sentivo nel cuore, l’unico posto in cui non potevi dare il consenso d’entrare, perché quella era una porta che si apriva a suo piacimento. L’unica porta che non sei tu a decidere di aprire.

Fu la passione e l’amore a guidare i nostri movimenti, fino a quando entrambi raggiungemmo l’apice, insieme.

«Non mi sono mai divertito così tanto in vita mia» disse Harry, che ancora era abbandonato sul mio petto nudo.

«Non posso che esserne onorata» risposi con un filo di voce,

«Non credo che potrò mai provare con qualcun altro quello che provo per te».

Piccole lacrime di felicità minacciavano di farsi largo nei miei occhi, sentendo quelle parole. 

Quello era uno dei piccola attimi di felicità che la vita ti concedeva. 

Ad ogni compleanno esprimevo sempre lo stesso desiderio: raggiungere la tranquillità. Non avevo mai voluto essere felice, perché avevo sempre visto la felicità come un attimo rubato che svanisce all’istante, facendo tornare il buio attorno a te. Ma in quel momento ero estremamente felice che la vita mi avesse dato quell’attimo rubato; me lo sarei portato dentro per il resto della vita.

«Ti amo» risposi dopo un tempo indefinito.

 

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«Beh, visto che la torta è andata – disse Harry una volta ripuliti – ti voglio portare in un posto, anzi mi devi accompagnare».

«Ok, amore. Tutto quello che vuoi».

«Ruffiana» rispose, poggiando amorevolmente le labbra sulle mie.

Camminavano da un quarto d’ora e non avevo ancora la ben che minima idea di dove Harry mi stesse portando.

«Ma dove stiamo andando? Manca ancora molto?» chiesi per la milionesima volta.

«Bea, smettila! Stiamo arrivando» sbuffò Harry.

Persa nelle mie mille ipotesi mentali non mi ero resa conto che Harry si era fermato.

«Siamo arrivati, lagnosa» ridacchiò.

Gli feci una linguaccia, ma poi mi concentrai subito avanti a me, constatando che ci trovavamo davanti ad un tatuatore. Entrammo e notai il tipico locale scuro, con le pareti piene di foto di tatuaggi di ogni genere.

«Che ci facciamo qui, Harry?» chiesi stringendo maggiormente la sua mano.

«Prenotiamo una vacanza» disse prendendomi in giro.

«Divertente!» risposi sarcastica.

«Volevo fare qualcosa che mi ricordi sempre come è dolorosamente bello stare con te, così che, se dovessi perderti, saprei di essere un coglione».

«Certe volte sei proprio dolce – dissi portandogli le braccia al collo – ma ricordati sempre che dobbiamo viverci e goderci il presente. Noi siamo NOI, ora».

«Ma voglio che siamo NOI per sempre!» rispose risoluto.

«Anche io, ma pensare al presente mi fa avere meno paura di un possibile futuro senza te» dissi, facendolo sorridere dolcemente.

Improvvisamente un’insolita idea mi balenò nella mente.

«Ho avuto un’idea – esordii – noi siamo totalmente diversi, tanto diversi da completarsi. Io cerco di vivere al meglio il presente, perché l’ignoto del futuro mi ha sempre spaventato, tu invece non hai paura del futuro. E qui arriviamo alla mia favolosa idea».

«E quale sarebbe?» chiese Harry curioso.

«Andiamo e vedrai» risposi.

Dopo due ore e mezza eravamo finalmente usciti dal locale. Ero inaspettatamente euforica e soddisfatta. Niente e nessuno avrebbe potuto farmi pentire di quella scelta, molto insolita per me.

«Sicura che tra qualche ora non te ne pentirai?» mi chiese Harry con aria preoccupata.

«Mai» dissi, buttandomi letteralmente tra le sue braccia.

Toccai le sue labbra con le mie e dischiusi le mie labbra, permettendo alla sua lingua di giocare con la mia, di amarla. In quel momento flash delle ore appena passate si facevano strada nella mia mente.

 

«Ragazzo, cosa avevi pensato di tatuarti?» esordì James, lo strambo, ma simpatico tatuatore. 

Era un uomo sulla cinquantina, abbastanza tarchiato. Lunghi e scuri capelli gli davano un’aria alquanto burbera, ma in realtà, anche dallo sguardo, si poteva capire che era una persona dolce e disponibile.

«Pensavo..» iniziò Harry, ma lo interruppi subito.

«Volevamo farci una scritta» dissi con tono di voce alto, in modo da superare quello di Harry.

«Cosa?» disse Harry allibito.

«Hai sentito benissimo – dissi sicura di me e, girandomi verso di lui, continuai – pensavo di farci una scritta, che ci completi anche se un giorno dovremmo essere lontani».

«Sono alquanto stordito» rispose lui con gli occhi sbarrati.

«Avevo pensato che potremmo scriverci “You’re the first, My last, My everything”, visto le nostre prime volte insieme e visto che saranno le nostre ultime prime volte. E poi adoro quella canzone. Che ne pensi?» chiesi timorosa.

«Penso che sei dannatamente pazza, ma è dannatamente perfetto» concluse con un sorriso a trentadue denti.

«Ma ne sei sicura?» chiese ancora Harry.

«Mai stata così sicura di qualcosa in vita mia».

«Bene, iniziamo» dissi dandogli un dolce bacio sulle labbra.

 

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«Oddio! Sei davvero impazzita – urlò Elis una volta arrivata a casa – e se vi lasciate?».

«Qualsiasi cosa accada non potrò mai scordare quello che Harry ha fatto per me. Se ci dovessimo lasciare, questo segno mi ricorderà ciò che di buono c’è stato».

«Che romanticona che sei diventata!» disse con gli occhi a forma di cuore.

«Stupida stellina mia – dissi abbracciandola – perciò, come vanno i primi giorni senza la tua dolce metà?».

Da quasi una settimana Niall era partito per lo stage in Inghilterra e non sarebbe potuto tornare per molto tempo. Non gli avevano concesso nemmeno di tornare per le vacanze natalizie.

«Mi manca già terribilmente e mi sento tanto sola, soprattutto da quando quell’ingrata di mia cugina è andata a convivere, lasciandomi sola in questa casa».

«Mi dispiace» dissi a capo chino.

«Scherzo scema! Stai con lui tutto il tempo che vuoi – alzai il capo, facendole un sorriso – posso chiederti una cosa?». 

Annuii.

«Come farete quando dovrai ripartire? Cioè tra poco più di un mese?».

«Non ne ho idea» dissi sinceramente.

In realtà non ci avevo minimamente pensato, o meglio evitavo di far arrivare la mia mente a quel pensiero. Sarei rimasta qui per il resto della mia vita, ma avevo dei doveri in Italia e soprattutto non potevo lasciare da sola mia madre. Ma come avremmo fatto io e Harry ad affrontare questo rapporto a distanza? Ne avremmo sicuramente parlato al più presto, ma per il momento non volevo rovinare il tempo a nostro disposizione con simili problemi.

 

Vivi il presente, vivi nel presente: era ormai diventato il mio mantra.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

 

Volevo intanto augurarvi una buona Pasqua, e spero abbiate la possibilità di mangiare tanto cioccolato, perchè migliora la vita ahahahah.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vorrei veramente sapere cosa ne pensate.

Non mancano molti capitoli alla svolta. Finalmente scoprirete cosa è successo a Bea e Harry, e cosa ha portato alla loro rottura. Mi farebbe piacere sapere le vostre supposizioni.

Secondo voi cosa porterà alla rottura??

 

VOLEVO RICORDARVI LA PAG FACEBOOK SULLE MIE STORIE: 

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All the love,

BARB <3

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Capitolo 22
*** Incompatibili? ***


Una volta mi hai detto che io sono un angelo. E come tutti gli angeli, soffro.

 

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«Amore?».

Sentii la sua voce provenire dall’ingresso e poco dopo lo vidi. 

Ancora dopo mesi non mi capacitavo di come potesse essere mio.

Harry se ne stava lì, appoggiato alla porta, nella sua divina semplicità. Anche se non indossava niente di particolare, lui si faceva notare. 

Questo era per me un grosso problema.

Ero sempre stata un po’ possessiva, forse per il semplice fatto che tutto quello che mi era appartenuto, prima o poi scompariva. Ma per fortuna ero una persona che aveva un po’ di cervello, per questo non avevo mai impedito a Harry di uscire con i suoi amici in tutta libertà, e lui aveva sempre fatto lo stesso con me.

«Bentornato!» gli dissi avvicinandomi a lui e lasciandogli un piccolo bacio a fior di labbra.

Lui in tutta risposta mi attirò nuovamente a se, facendo aderire alla perfezione i nostri corpi. Riuscii a vedere la passione nel suo sguardo. Il modo in cui mi guardava mi faceva sentire un calore dentro che non si era mai affievolito con il passare dei mesi.

«Mi sei mancata da morire» mi disse serio.

«Ti devo mandare a comprare le uova più spesso» lo derisi.

La mia affermazione, invece di farlo ridere, lo accese ancora di più.

Mantenendo il suo sguardo serio sul mio, portò le sue mani giù per i fianchi e, senza preavviso mi alzò le gambe dal pavimento e mi adagiò delicatamente sul bancone della cucina.

«Sei la donna più ingenua e allo stesso tempo più sexy che abbia mai conosciuto» mi disse, mentre cominciava a tracciare con le labbra una scia di baci sul mio collo.

Quello era il segnale che non c’era più tempo per le parole, ma solo per l’amore.

 

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Dalla cucina ci eravamo spostati velocemente in camera, ed ora ero beatamente poggiata sul suo petto nudo.

Potevo sentire il suo respiro affannato, e questo lo rendeva ancora più sexy del solito.

«Mi hai fortemente distratto prima – mi disse, facendomi ridacchiare – mi sono scordato di dirti che stasera vado una festa».

«Ah, ok. A che ora vai?» chiesi.

Ero certa che lui avesse capito che tutte le feste a cui andava non mi rendevano felice, ma quella era la sua vita. Non c’era settimana nella quale avesse saltato una festa, ma mi fidavo di lui. Nei primissimi mesi lui aveva insistito molte volte nel portarmi con lui, e qualche volta avevo anche accettato, ma poi si era reso conto che mi annoiavo a morte. Perciò per il bene di entrambi avevamo questo tacito accordo: lui andava alle feste e io restavo a casa così io non mi sarei annoiata e lui non sarebbe stato costretto a lasciare prima del tempo la festa per riaccompagnarmi a casa.

«Vado subito dopo cena. Tanto è qui vicino, a casa di Ed».

«Buon divertimento, allora - gli dissi lasciandogli un bacio a fior di labbra - stai attento però,ok?».

«Sempre - rispose sorridendomi ad un centimetro dalle labbra - stai tranquilla».

 

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Dopo che Harry era uscito, io, per ingannare il tempo, mi misi a lavare i piatti e a sistemare un po’ casa. Con il lavoro a tempo pieno facevo davvero fatica a tenere la casa in ordine, ed Harry era una vera e propria distrazione da tutti i miei doveri da brava donna di casa.

Quando però andai per sistemare il bagno mi accorsi che, in mezzo ai vestiti di Harry, c’era il suo cellulare. Sicuramente l’aveva dimenticato quando stava per uscire.

Era quasi mezzanotte ma decisi comunque di vestirmi e portargli il cellulare. Avevo paura che se avesse avuto bisogno di qualcosa non avrebbe saputo come rintracciarmi, e questo mi spaventava di più che uscire da sola a tarda ora.

Mi vestii velocemente, tentando di essere il più carina possibile, e mi diressi subito a casa di Ed, che per fortuna sapevo dove fosse.

Capii subito di essere vicino quando senti il rimbombo della musica provenire dalla casa, che altro non era che un magazzino adibito ad abitazione.

Non appena entrai un odore di sigaretta, misto ad alcool mi invase come una nube. 

Cercai di non farci caso e iniziai a cercare Harry, ma non appena mi spostai verso il centro del magazzino sentii un coro di voci.

«Harry, Harry, Harry» urlavano.

Cercai di farmi spazio tra le persone attorno a me lo vidi.

Era su un tavolo di legno scuro che ballava in mezzo a due ragazze, e quello non era un grosso problema.

La cosa che mi fece raggelare il sangue fu che era a petto nudo che ballava. Nella mano destra teneva un bicchiere di birra e nell’altra una bomboletta. Intuii che la bomboletta non fosse altro che panna, poiché le due ragazze che ballavano con lui si misero a leccare alcuni residui di panna sul suo corpo.

Questo fu la goccia che fece traboccare il vaso.

La rabbia che provai in quel momento fu immane. 

Ero stata sempre permissiva, nonostante sapessi che la sua vita prima di me era questa, non potevo però ammettere che continuasse. Volevo essere rispettata, solo questo.

Raggiunsi il tavolo con forza, strattonando occasionalmente tutte le persone che intralciavano inconsapevolmente il mio cammino. Una volta arrivata proprio sotto di lui, picchiettai con il dito il suo ginocchio.

Non appena si accorse che qualcuno lo stesse chiamando, abbassò lo sguardo.

Era visibilmente ubriaco e il sudore, dovuto al ballo sfrenato che era intento a fare, gli imperlava il viso, rendendolo odiosamente attraente. Non appena però si rese conto che ero stata io a chiamarlo, la sua espressione cambiò. Il suo viso, che prima era rilassato e divertito, si trasformò in una maschera di panico.

«Ti sei scordato il cellulare – urlai freddamente – magari ti servirà dopo» gli dissi buttandogli il cellulare addosso.

Così come ero arrivata me ne andai. Non aveva senso dirgli una parola di più, tanto non avrebbe capito niente.

Uscita da quell’inferno presi subito il mio cellulare, dirigendomi verso un vicolo, così che se Harry fosse uscito non mi avrebbe vista. Mi affrettai a chiamare Elis, e non appena rispose, scoppiai a piangere.

«Che succede?» mi chiese preoccupata.

«Posso venire a dormire da te?» le chiesi implorante.

«Sono da Niall. Dimmi dove sei e ti vengo a prendere».

Fosse stata un’altra circostanza le avrei detto di no, ma al momento avevo proprio bisogno di lei.

 

Non appena chiusi il telefono una mano si posò sulla mia spalla, facendomi trasalire.

«Bea, che ci fai qui?».

Non avevo bisogno di voltarmi per capire a chi appartenesse la voce, ma lo feci lo stesso, almeno così avrebbe visto il disprezzo che provavo al momento per lui.

«Non era mia intenzione rovinare i tuoi piani. Volevo solo portarti il cellulare in caso avessi avuto bisogno di qualcosa, ma a quanto vedo avevi tutto quello che ti serviva» dissi con voce atona.

«Era solo un gioco» esclamò, come se quello che avevo appena visto fosse normale.

«Oh, scusa! – esclamai sarcasticamente – anche io gioco spesso a farmi leccare dagli altri maschi. Come ho fatto a dimenticarmene».

La sua espressione mutò, come se avesse appena compreso la gravità del suo gesto. Non riuscivo a capire come, per certi versi, fosse così immaturo. Harry era perspicace, intelligente e furbo, ma in certi aspetti e momenti della sua vita era davvero un bambino.

«Oddio, scusa – disse con voce tremante – non mi era mai successo prima. Ma non ti ho tradito!».

«Oh, che sollievo!».

Ero ancora più rabbiosa di prima. 

Come facevo a non pensare che ogni volta che io ero a casa ad aspettarlo lui non si comportasse in questo modo?

Harry nel frattempo, comprese le sue azioni, iniziò a girare su se stesso con le mani sui suoi capelli castani in cerca di qualche spiegazione da darmi.

«Non voglio parlare – gli dissi, anticipandolo – non mi interessano le tue spiegazioni o scuse».

Feci per andarmene, ma lui mi prese per il braccio, bloccandomi.

Non riuscii a girarmi verso di lui questa volta, poiché la mia corazza stava inesorabilmente crollando e le lacrime stavano iniziando a rigarmi il viso.

Non appena alzai lo sguardo vidi accostare la macchina di Niall vicino al marciapiede.

Sospirai di sollievo.

«Ah, dimenticavo – dissi tentando di controllare la mia voce tremate – dormo da Elis stasera».

E così dicendo strattonai il braccio, liberandomi dalla sua presa e mi precipitai in macchina.

«Parti, Niall. Ti supplico» dissi a mezza voce.

E lui lo fece, partì, mentre Harry continuava a sbattere i pugni sul finestrino del passeggero.

Una volta fatti pochi metri vidi Niall guardare lo specchietto retrovisore e accelerare. Potei sentire Naill sussurrare tra se e se: «Scusa, amico».

Istintivamente guardai indietro e vidi Harry fermarsi, dopo aver tentato di raggiungere la macchina in corsa.

 

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Erano passati tre lunghissimi giorni da quella sera. 

Non passava ora che Harry non provasse a chiamarmi e non passava giorno senza che provasse almeno una volta di entrare in camera mia. Stavo da zia Mara da due notti. Elis era passata da casa di Harry a prendere parte delle mie cose. 

Non mi aveva detto del loro incontro, ma dalla sua espressione non doveva essere stato molto piacevole. 

La notte in cui tutto era accaduto l’avevo passata a sfogarmi con mia cugina. Le avevo raccontato cosa avevo visto e come lui si fosse malamente giustificato. Elis era rimasta esterrefatta, ma mi aveva anche rassicurato sulla fedeltà di Harry. Neanche lei era un tipo molto festaiolo, ma conosceva tutti quelli che andavano a quelle feste e mi aveva rassicurato che avrebbe saputo se Harry mi avesse tradito.

Mi fidavo di Harry, ed ero abbastanza sicura sul fatto che non mi avesse tradito, ma vederlo in quella circostanza mi aveva fatto vacillare. 

Conoscevo davvero la persona che amavo?

Avevo paura che io fossi solo una limitazione e che lui in realtà volesse una vita differente. Avevo paura che volesse essere la persona che era alla festa.

 

Purtroppo per me, però, la mia reclusione nella vecchia camera doveva assolutamente finire, poiché sarei dovuta andare a lavoro. Negli ultimi giorni mi ero fatta sostituire o coprire dai miei colleghi, ma era ora di alzarmi da questo letto cosparso di fazzoletti utilizzato e reagire.

 

Tornare a lavoro era stata una buona idea. 

Nelle ultime ore il pensiero di Harry era meno forte, il lavoro riusciva a distrarmi dai problemi e a risollevarmi l’animo. 

Era l’ora di punta, e questo significava una grande affluenza in gelateria. Servii svariati clienti, sfoderando il migliore dei sorrisi, ma in realtà non avevo nemmeno il tempo di guardarli in faccia.

«Chi è il prossimo?» chiesi, guardando un punto indefinito avanti a me.

«Io!».

Fu come se una corrente fredda avesse invaso il mio corpo. 

Era qui, Harry era “il prossimo”.

«Desidera?» dissi fingendo professionalità.

«Parlare con te» concluse.

Mi voltai verso di lui con occhi sbarrati. 

Nonostante per il resto del mondo potesse sembrare al massimo della sua bellezza, per me che lo conoscevo, aveva davvero un aspetto orribile. Insolite occhiaie oscuravano i suoi splendidi occhi verde acqua e anche la sua postura era cambiata; era come se camminasse per inerzia, come se stesse trascinando il suo corpo.

«Non è nel menù» risposi piccata.

Non volevo sembrare maleducata agli occhi degli altri clienti, che nel frattempo guardavano straniti la scena, ma non potevo nemmeno comportarmi in modo normale e cordiale con lui, avevo una dignità.

«Ti prego» mi disse con aria supplicante.

Mi si stringeva il cuore vedendolo in quello stato, ma non potevo comportarmi altrimenti. Se avessi acconsentito, lui si sarebbe sentito in diritto di comportarsi sempre come meglio voleva.

«No – dissi con fermezza, cercando di guardarlo dritto negli occhi – chi è il prossimo?» chiesi poi agli altri clienti.

Iniziai a servire il clienti successivo e lo vidi spostarsi velocemente indietro. Tirai un sospiro di sollievo e servii l’ordine, congedando poi il clienti con gentilezza. 

«Scusate il disturbo» sentii urlare da un punto in fondo alla stanza.

Un silenzio assordante invase la stanza e poi lo vidi.

Era salito su un bancone che si trovava, in linea d’aria, proprio di fronte a me.

«Tre sere fa – iniziò, parlando a tutta la clientela, nonostante il suo sguardo fosse fisso nel mio – mi sono comportato come un vero stronzo» disse aprendo le braccia, facendo ridere tutti attorno a lui.

«Il problema – continuò guardandomi, se possibile, più intensamente di prima – è che nella mia vita sono sempre stato da solo. Non ho mai dovuto rendere conto ad una ragazza dei miei comportamenti, perché non mi è mai importato».

«La verità è che non mi sono mai innamorato di nessuna, fino a quando non ho incrociato gli occhi di quella bellissima ragazza che sta dietro a quel bancone» disse indicandomi, facendo così girare tutte le persone verso di me.

Non ero mai stata così tanto in imbarazzo in vita mia. 

Non amavo stare al centro dell’attenzione e, in quel momento, avrei voluto solamente scappare, ma il suo sguardo mi aveva incatenato. Era come se mi avesse appena fatto un sortilegio che mi impediva di muovermi.

«Io amo da impazzire quella ragazza, perché è stata in grado di vedere quella parte di me che ho sempre tenuto nascosta. La amo perché è ingenuamente inconsapevole della sua bellezza; è insicura, ma al contempo è la persona più determinata che io abbia mai conosciuto. È comprensiva, leale, è diventata la mia migliore amica prima di diventare la donna della mia vita».

Ci furono dei mormorii generali a quelle dolci parole, mentre dai miei occhi iniziavano già a far capolino le prime lacrime. Il mio cuore purtroppo lo aveva già perdonato, perché l’amore che provavo per lui mi spingeva a perdonarlo, sempre. 

«Ma sapete una cosa? – fece una pausa, come se attendesse davvero una risposta – io quella ragazza lì non la merito. Lei è davvero troppo per me, ma io sono troppo egoista per lasciarla andare, perché senza di lei io non sono niente. Lei mi ha fatto diventare la persona che per anni sarei voluto essere. Quindi sono qui ad implorare il suo perdono e prometterle che il comportamento dell’altra notte non si ripeterà mai più».

A quelle parole scese dal bancone e venne verso di me, con quella sua maledetta camminata inconsapevolmente sensuale e quel suo sorrisino spontaneo che avrebbe fatto cadere ai suoi piedi qualsiasi donna.

Oltrepassò il bancone e arrivò davanti a me e, senza mai smettere di guardarmi, posò le sue mani sul mio viso, asciugandolo dalle lacrime.

«Perciò – mi disse con voce non molto alta – mi puoi perdonare?».

Non trovavo la forza di rispondere, perciò gli mostrai la mia risposta. Alzai la mano verso il suo viso, dopo aver aggiustato un ciuffo ribelle sulla fronte, gli presi il viso tra le mani e, sollevandomi sulle punte dei piedi, lo baciai castamente.

Era più forte di me.

Avrei sempre perdonato quel ragazzo.

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Capitolo 23
*** l'ultima notte al mondo la voglio passare con te ***


Se il lieto fine non c’è quasi mai, ti regalerò sempre nuovi inizi.

-Massimo Bisotti

 

 

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Non avevo mai amato particolarmente il capodanno, ritenevo fosse una festa inutile, senza significato. Trovavo fosse un modo per i ragazzi di avere una scusa per ubriacarsi, fare cose di cui il giorno dopo si sarebbero pentiti, e infine dar colpa all’alcol.

Ma quell’anno sarebbe stato diverso, perché sarei stata con Harry e qualsiasi cosa facessi, con lui era sempre unica e speciale. La cosa importante per me era stare con lui, passare ogni attimo con lui prima della mia imminente partenza.

Certi giorni pensavo a quanto poco mancasse alla mia partenza e a cosa sarebbe accaduto dopo.

Harry mi ripeteva sempre che niente sarebbe cambiato, che saremmo rimasti insieme nonostante tutto, e volevo credergli, ma non potevo fare a meno di pensare anche al peggio, era una mia caratteristica vedere il lato negativo delle cosa.

Cercavo di guardare le cose da tutti i punti di vista possibili, in modo da avere una visuale completa delle cose, di non aspettarmi sempre il meglio, perché non sempre tutto va come credi, non sempre tutto quello che ti programmi va come immaginavi.

Per la prima volta mi sentii un po' Elis. Erano diversi minuti che guardavo un punto fisso del mio armadio, senza avere la minima idea su cosa indossare. Non volevo osare, ma allo stesso tempo volevo stupire Harry, volevo lasciarlo a bocca aperta.

Avevamo superato la piccola crisi, dovuta al suo comportamento, non molto corretto. Da quel giorno aveva cercato in tutti di modi di farsi perdonare, di rimediare a quell’errore che mi aveva fatto vacillare, che mi aveva fatto perdere un po' della totale fiducia che avevo riposto in lui. Prima di quel momento avevo sempre pensato che Harry non avrebbe mai potuto deludermi, che fosse quasi perfetto, e invece non lo era. Avevo iniziato a vederlo per quello che era realmente: umano.

Prima d’allora avevo visto Harry come una persona che fa sempre la cosa giusta, una persona invincibile, perché da quando stava con me era davvero il ragazzo perfetto, quello che non fa mai un errore, quello che ti da esattamente tutto quello di cui una ragazza ha bisogno.

Da quell’avvenimento lo avevo visto reale, e forse lo amavo di più in quel modo, con le sue fragilità e debolezze, con i suoi difetti.

«Hai per caso bisogno d’aiuto?» sentii dire a mia cugina.

Mi girai verso di lei e la vidi sulla soglia della porta con un sorriso furbo in volto. Sapeva che avevo bisogno del suo aiuto, aspettava solo che fossi io a chiederglielo apertamente, era una soddisfazione per lei vedermi in quelle condizioni.

«Ho bisogno di te, ma non esaltarti troppo».

Come se non avessi detto niente, la vidi saltellare nella mia direzione con un sorriso entusiasta in volto. Si mise vicino a me, scrutando con cura ogni capo presente nel mio armadio, e poi iniziò a farmi provare tutti i vestiti che secondo lei erano adatti alla serata.

Fu davvero una cosa infinita, ma non sentii come al solito il fastidio di svestirmi e rivestirmi molteplici volte, perché stavolta lo facevo per stupire Harry, ed Elis era l’unica che potesse aiutarmi.

 

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Ero finalmente pronta.

Un lungo abito a sirena valorizzava le mie curve, la cui scollatura faceva intravedere il mio seno, reso più grande da un miracoloso reggiseno imbottito. Era color oro, ma non era così appariscente come pensavo inizialmente. Prima di provarlo ero stata molto titubante, ma una volta infilato avevo subito capito che era l’abito perfetto: sensuale, ma non troppo appariscente.

Harry l’avrebbe adorato.

Elis aveva scelto per me l’abito perfetto per la serata che Harry e Niall ci avevano organizzato. Saremmo andati a mangiare in un ristorante molto altolocato e, successivamente, saremmo andati a ballare, ma non in una comune discoteca in mezzo a tutti quei ragazzi sudati e ubriachi, ma in un locale dove ci aspettava un tavolo per quattro con tanto di bottiglia di Champagne.

Mi sentivo una vera principessa.

Non ero mai stata trattata in quel modo, non avevo mai fatto tutto quello a cui Harry mi aveva abituato, ero come una piccola bambina viziata dal nonno, pronto sempre a comprarle tutte le caramelle che desidera.

Non sapevo se mi sarei mai potuta abituare a tutto quello, ma provarci non era difficile.

Il mio cuore iniziò ad accelerare i suoi battiti quando sentii il campanello di casa suonare, annunciando che i ragazzi erano arrivati.

Feci un respiro profondo e andai ad aprire, visto che Elis era ancora impegnata a truccarsi. Immaginavo che Harry si sarebbe vestito di tutto punto, ma non ero minimamente preparata a ciò che mi si presentò davanti agli occhi.

Harry stava dritto davanti a me con un piccolo mazzo di fiori in mano; era un piccolo bouquet di peonie tutte sulle sfumature del rosa.

Se ne stava lì disinvolto nel suo completo nero, che faceva risaltare quella bianca camicia chiusa da una cravatta nera. Era davvero divinamente bello.

«Signorina, questi sono per lei» mi disse porgendomi quei fiori, di cui potevo sentire distintamente l’odore.

«Grazie» dissi prendendo i fiori, non riuscendo a guardarlo negli occhi dall’imbarazzo.

«Sei bellissima» disse poi a voce bassa, come se volesse sussurrarlo all’orecchio, come se dirlo ad alta voce avrebbe fatto la differenza.

Lui era bello, bello da mozzare il fiato. Ancora non riuscivo a capacitarmi di come un ragazzo così bello potesse volere me, con i miei difetti e le mie varie sfaccettature. Ogni giorno mi svegliavo con il suo volto davanti agli occhi, e lo guardavo dormire fino a che non apriva quegli occhi verdi che facevano vibrare la mia anima.

«Vi siete imbambolati?» disse una voce dietro Harry.

Niall sbucò con il suo sorriso che era in grado di illuminare una stanza buia, con le sue battute che non potevano non farti scappare un sorriso. Niall era così, un ragazzo frizzante come pochi, e buono come nessuno.

Niall era l’anima gemella di Elis.

«Sono pronta!» urlò Elis irrompendo nella stanza.

«Era anche ora, amore» esordì Niall guardando l’orologio argentato sul suo polso, provocando una risata generale che mise ufficialmente iniziò all’ultima serata dell’anno.

 

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Mancavano pochi minuti allo scoccare della mezzanotte.

Eravamo ormai arrivati in discoteca, e la mia testa girava un po' grazie all’ottimo vino che aveva accompagnato la cena e al delizioso Champagne che ci avevano offerto una volta arrivati.

Dentro quel locale faceva un caldo pazzesco, nonostante fosse pieno inverno, per questo andai verso la terrazza.

Il freddo, stranamente piacevole, invase il mio corpo, facendomi sospirare di sollievo. Avevo sempre amato l’inverno, rispetto all’estate; adoravo la neve e il freddo che ne scaturiva, amavo coprirmi con enormi maglioni maschili. Invidiavo tutte quelle ragazze che indossano quei fantastici pantaloncini attillati, e avevo sempre voluto indossarli, ma non c’ero mai riuscita, perché non avevo mai amato il mio corpo. Forse era per questi motivi che amavo l’inverno, per questo mi rifugiavo in esso come fosse il mio nascondiglio.

«Come mai sei uscita senza avvertirmi?» disse una voce dietro di me.

«Scusami, stavo soffocando là dentro» dissi girandomi verso Harry, che aveva un cipiglio di disapprovazione sul volto.

«Sarei uscito con te».

«Lo so» risposi sorridendogli.

Ed era vero. Harry mi seguiva in ogni cosa, in ogni istante della mia vita; era come la mia ombra e a me non dispiaceva, perché vivevamo insieme ogni istante, con una tale intensità da far invidia al mondo intero.

«Manca poco alla mezzanotte, e io la voglio passare con te. Voglio iniziare l’anno insieme a te, come ogni anno a venire» disse serio.

Si avvicinò a me e sentii improvvisamente un brivido freddo scorrermi lungo tutto il corpo, ma non era per la temperatura, bensì era la sua presenza a provocarmi tutte quelle sensazioni. Quando arrivò accanto a me, mi fece girare e si mise dietro di me, facendomi poggiare la schiena su suo petto.

«Sarei entrata prima di mezzanotte. Non potrei passare con nessun altro il primo attimo del nuovo anno, se non con te» gli risposi tardivamente.

Lui non mi rispose. Ci godemmo quegli ultimi minuti dell’anno in silenzio, solo ad ascoltare i nostri pensieri silenziosi aleggiare tra di noi, solo per goderci ogni nostro respiro.

Poi sentimmo il conto alla rovescia previe dall’interno del locale.

«4…3…2…1… BUON ANNO!!» sentimmo urlare.

Mi voltai verso di lui e lo baciai per la prima volta nel nuovo anno, sperando nel mio cuore che fosse il primo di un’infinita serie di baci.

Assaporai ogni sfaccettatura delle sue labbra e ogni singolo sapore che le accompagnava. Lo baciai come sempre, ma ogni volta sembrava avere qualcosa di diverso.

«Esprimi un desiderio» mi disse Harry, una volta interrotto il bacio.

«Perché?» dissi ridendo.

«Perché il primo dell’anno si esprime sempre un desiderio» disse come se dovessi essere a conoscenza di questa inusuale tradizione.

«Non ne ho bisogno» risposi di getto.

«Perché?» chiese incupendosi.

«Perché ho tutto quello che ho sempre desiderato» risposi guardandolo negli occhi, e vidi la sua espressione addolcirsi.

 

«Allora desidera che niente cambi».

 

 

ANGOLO DELL' AUTRICE:

Questo capitolo è il preludio di qualcosa di grande che succederà tra Harry e Bea. E siccome è un capitolo di passaggio anche questo, ho deciso di pubblicarlo prima di una settimana. Sabato ci sarà il capitolo della svolta, dove si capirà qualcosa.

Spero vi sia piaciuto questo piccolo capitolo, anche se siamo ben lontani dalle festività natalizie ahahahah.

 

All The Love,

BARB <3

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Capitolo 24
*** Certezze sconvolgenti ***


Se qualcuno ti resta accanto nei momenti peggiori, allora merita di essere con te nei momenti migliori.
 
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Due linee colorate.
Era questa la condizione in cui mi trovavo.
Una condizione che non mi sarei mai aspettata così presto, e soprattutto così inaspettatamente.
Linea rosa.
Fino a quel giorno, il rosa era sempre stato il mio colore preferito. 
Il rosa rappresenta l'amore e la dolcezza, ma ora questo colore rappresentava l'ignoto. Avevo sempre visto il rosa come un colore che rappresenta l'infanzia, ma in quel momento quel colore mi stava dicendo che ero inevitabilmente cresciuta.
Erano bastati tre velocissimi minuti per apprendere la notizia, ma per assimilarla non ne sarebbero bastati cinquanta.
Ero chiusa nel piccolo bagno di Elis da almeno un'ora, con lo sguardo perennemente rivolto in basso, sul pavimento, e il corpo immobile, pronto ad attutire il colpo.
Ero incinta.
I sei differenti test di gravidanza posti sul lavabo ne erano la prova. 
Mi sentivo come in una bolla, tutto attorno a me era ovattato. Mille pensieri affollavano la mia mente, ma io non riuscivo a catturarne ed elaborarne nemmeno uno.
E pensare che fino a due settimane ero la persona più felice del mondo che passava a New York il miglior natale della sua vita.
 
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«Tieni gli occhi chiusi, babe» sussurrò Harry al mio orecchio, mentre mi guidava in avanti trattenendomi dai fianchi.
«L'ho promesso, Harry. Circa un milione di volte» sbuffai.
«E' sempre meglio rinnovare certe promesse».
Mi sarei dovuta trovare a casa del padre di  Harry, la sera di natale, visto che sia zia che Elis erano volate a Londra per fare visita a Niall, ma quando arrivai a casa di James non trovai nessuno, a parte Harry.
Tutto questo faceva parte di una sua machiavellica sorpresa, e io, purtroppo, adoravo le sorprese.
Quando, dopo interminabili minuti, mi fu concesso di aprire gli occhi, mi trovai davanti alla più romantica e spettacolare atmosfera possibile. Mi trovavo all'interno di quello che doveva essere una magazzino, che però aveva preso le sembianze di un giardino, con tanto di prato sintetico. Davanti a me c'era un gazebo pieno di candele ed un tavolo, con il nostro cenone natalizio.
«Oddio Harry, è stupendo!» dissi incantata.
«Felice di renderti felice» sorrise Harry.
«Lo fai sempre» dissi baciandolo dolcemente sulle labbra.
Fu il miglior natale della mia vita.
Nella mia famiglia non amavamo festeggiare il natale, perché non c'era mai stata l'atmosfera giusta. Non eravamo una di quelle grandi famiglie che si riuniva per le feste, che giocava a carte e rideva e scherzava amorevolmente. Eravamo piuttosto una famiglia riservata e poco numerosa, per questo non avevo mai provato grande entusiasmo durante le feste.
Quest'anno era diverso.
Quest'anno c'era Harry con me, e questo bastava a rendere le feste migliori, il mio mondo migliore.
Era stata una semplice cena, niente di complicato, solo un piatto di pasta accompagnato da buon vino, ma fu sufficiente a rendere il mio natale migliore. Quella serata fu meglio di qualsiasi regalo Harry potesse farmi. Non lo avrei mai dimenticato.
Dopo cena Harry si alzò e mi porse la sua mano, incitandomi a prenderla.
«Vuoi ballare con me?» mi chiese, sfoggiando uno dei più dolci sorrisi.
«Tu odi ballare!» dissi ridendo, stupita dalla sua richiesta.
«Ma amo tutto quello che faccio con te».
E a quelle parole non potei che afferrare la sua mano.
Ballammo diverse canzoni, di cui non mi ricordavo nemmeno, perché troppo concentrata ad ammirare Harry, a godermi quel momento unico che mi stava regalando.
Mi sentivo davvero speciale accanto a lui. Era come se fossi davvero l'unica per lui, l'unica persona in gradi di stargli accanto. L'unica per cui ne valesse la pena.
«Ho qualcosa per te» disse interrompendo il ballo.
«Ancora, Harry? Hai già fatto abbastanza, non voglio che...».
«Stai zitta - disse interrompendomi - non rovinarmi il momento».
«Ok» dissi canzonante.
Seguii con lo sguardo i suoi movimenti e lo vidi andare verso la sia giacca ed estrarre da una delle tasche un cofanetto rosa. Mi raggiunse in fretta e me lo porse, incitandomi ad aprirlo. 
E così feci.
Restai ammaliata dal contenuto di quella scatoletta. Non avrei potuto sperare in un regalo migliore, poiché racchiudeva tutto ciò che eravamo, insieme.
 
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Mi accorsi solo alla fine del mio piccolo viaggio nel passato che il mio sguardo era perso ad osservare la fedina che Harry mi aveva regalato. Dentro aveva incisa la frase che più di tutte ci rispecchiava: now and forever.
Ma sarebbe davvero stato per sempre? 
In quel momento tutto era un grosso punto interrogativo.
«Bea! Allora, che dicono? — sentii mia cugina parlare, ma non riuscivo ad articolare alcuna parola — cazzo!» concluse non appena vide i sei test positivi.
La vidi chinarsi su di me, cercando di attirare la mia attenzione, ma niente riusciva a farmi scollare gli occhi da quel piccolo anello.
Un conato di vomito investì il mio esofago, facendomi rigettare tutto quello che avevo in corpo. 
«Piccola, guardami — disse Elis, aiutandomi a ripulirmi — troveremo una soluzione vedrai; magari si sbagliano, ti prenoto una visita dal ginecologo. Va bene?».
Vedendo il mio stato penoso, poggiò una mano sul mio capo e mi accarezzò, come se fossi una bambina bisognosa d'affetto. 
Restammo in quella posizione un tempo indefinito, strette una all'altra. Tra di noi non c'era bisogno di parole; bastava uno sguardo per capirci, una risata per intenderci, un abbraccio per consolare.
Era reale, ero veramente incinta. Come avrei fatto a dire a mia mamma che la sua bambina era cresciuta e sarebbe stata una ragazza madre, proprio come lei non si sarebbe mai augurata.
Cosa avrebbe pensato Mara di me? 
Fin da piccole ci aveva avvertito e messe in guardia per evitare i suoi "errori". Era ovviamente fiera di avere una figlia come Elis, ma aveva ripetuto più volte che avere una figlia così giovane non era stata una sua scelta. L'avrei sicuramente delusa. Ma più di ogni altra cosa, come l'avrei comunicato a Harry?
"Hei, Harry. Non fare progetti per il futuro, diventerai padre. Non sei contento?"
Dire che ero terrorizzata era un eufemismo.
Mi accorsi di essere in lacrime solo quando sentii le dita di Elis asciugarmi il viso. Fu allora che mi girai a guardarla. Anche lei piangeva; come quando eravamo piccole, se una delle due cadeva e piangeva, l'altra per solidarietà si metteva a piangere. 
Ma questa volta non si trattava di un ginocchio sbucciato.
 
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«Che succede qui?» chiese una voce dietro di noi.
La riconobbi subito nonostante mi arrivasse ovattata, era zia Mara. Mi girai verso di lei, e, quando incontrai i suoi occhi, capii che forse lei era l'unica persona che potesse realmente capirmi in quel momento. Zia scostò lo sguardo dai miei occhi e vidi chiaramente che osservava i test messi in fila sulla vasca da bagno.
«Eli potresti lasciare me e tua cugina da sole un momento?».
Elis fece un cenno con la testa e si alzò, lasciando me e mia zia in bagno.
Sentii i passi di Mara avvicinarsi, fino a quando non sentii il suo corpo caldo accanto al mio, sul pavimento.
«Era tutto perfetto» dissi con voce atona.
Lei mi carezzò i capelli, lasciandomi un piccolo bacio sulla fronte.
«Può essere ancora tutto perfetto, bimba. L'hai già informato?».
«No» dissi, senza riuscire ad aggiungere altro.
«Quando scoprii di essere incinta di Elisabeth ero più piccola di te, non solo per l'età anagrafica. Ero un'adolescente complicata, che aveva avuto tutto dalla vita e credeva che divertirsi era la sua più grande priorità. Non ero nemmeno lontanamente una ragazza modello, anzi, totalmente il contrario. Il giorno che scoprii il mio stato ero sola, completamente; tua madre era partita con i suoi amici e io non sapevo a chi chiedere aiuto. Le uniche amiche che avevo non erano persone affidabili, non mi potevo fidare, e non avrei mai avuto il coraggio di chiedere a tua nonna. Io e mia mamma avevamo sempre avuto un rapporto burrascoso, ero la pecora nera della famiglia, e non aveva poi tanto torto. Ma quando scoprii che dentro di me viveva un'altra persona, improvvisamente non mi sentii più sola, ma soprattutto mi sentii utile. Ero stata scelta; un Dio lassù aveva scelto me per mettere al mondo un figlio» finì la frase con il sorriso.
«All'inizio, comunque — continuò, con gli occhi lucidi — mi sentivo spaesata. Mi chiedevo come avrei fatto a mantenerla, come sarebbe cresciuta senza una figura paterna accanto. Ma poi mi rimboccai le maniche e mi presi la responsabilità delle mie azioni. Non avevo intenzione di abortire, nonostante fosse più semplice. L'avrei rimpianto per tutta la vita» sospirò.
Mi prese il viso tra le sue mani e mi fissò negli occhi.
«Tu sei stata più fortunata di me. Sei una ragazza matura e responsabile, con la testa sulle spalle. Hai dovuto affrontare così tante piccole battaglie nella tua vita, che ti hanno permesso di diventare la donna magnifica che sei oggi. Per ora vedi tutto nero intorno a te, ma fermati un secondo a pensare razionalmente il dono che stai per ricevere. Affronta le difficoltà che la vita ti pone, come hai sempre fatto, a testa alta. Sii superiore, sii forte! Questa è forse la battaglia più piacevole che ti possa capitare perché, nonostante tutti i problemi che ti si porranno davanti, avrai in dono il premio più bello che ti possa mai capitare. E' una battaglia vinta in partenza. Harry ti ama, bimba. Capirà, vedrai. Ma, nell'ipotesi in cui non lo accetti, non farti condizionare».
Mi asciugò le piccole lacrime che mi solcavano il viso e si alzò, dirigendosi verso la porta.
«Un'ultima cosa — disse sulla soglia — la scelta spetta solo e soltanto a te. Ti ho detto di non farti condizionare da Harry nel caso non lo accettasse, ma non farti condizionare nemmeno da me. Pensa a ciò che desideri. Pensa che, se lo vuoi, tra nove mesi avrai un pargoletto tra le braccia, e rifletti su come ti sentiresti. La risposta che cerchi sta solo nel tuo cuore. Ora ti lascio il tempo che ti serve, noi ti aspettiamo in soggiorno».
Avevo sempre avuto uno spiccato istinto materno fin da adolescente. Il mio sogno era quello di costruirmi una famiglia vera, dove amavo mio marito incondizionatamente e dove lui mi trattava come se fossi l'unica al mondo. Sognavo di poter avere dei figli, un giorno. Nonostante l'esperienza dei miei genitori, credevo che l'amore, come lo sognavo io, esistesse e non avevo mai smesso di credere nella famiglia. Ma questo sogno di vita lo vedevo ancora lontano per me, e invece mi si era presentato con qualche anno d'anticipo. 
Sarei mai riuscita ad essere una buona madre a soli ventidue anni? 
Il pensiero di me che tenevo mio figlio in braccio, per la prima volta mi fece spuntare un debole sorriso. Il mio cuore aveva già scelto prima ancora che il mio cervello iniziasse ad elaborare qualsiasi pensiero sensato. Se avessi abortito, non me lo sarei perdonato per il resto della mia vita.
L'unico ostacolo che mi si proponeva era come dirlo a Harry. Finora avevo pensato egoisticamente, senza farmi condizionare, come aveva detto zia, ma se lui non avesse accettato la mia condizione, come avrei fatto ad andare avanti? La vita di Harry era già cambiata radicalmente da quando mi aveva rincontrata, avrebbe retto ad un tale cambiamento?
Pensai alla peggiore eventualità, quella in cui Harry non avrebbe accettato il bambino, e una rabbia improvvisa si fece spazio dentro di me.
In quel momento fui certa di una cosa. Non avrei mai abbandonato il mio bambino.
Tornai in salotto, dove ad aspettarmi impazienti c'erano Mara ed Elis. Appena si accorsero della mia presenza mi scrutarono, per capire quale fosse il mio stato emotivo.
«Voglio andare dal dottore» dissi con fermezza.
Elis sbarrò gli occhi, agitandosi sul divano.
«Bea, non vuoi nemmeno pensarci? Potresti pentirtene...» iniziò a dire mia cugina.
«Piccola — intervenne zia, rivolgendosi a sua figlia — dallo sguardo che ha tua cugina in volto non credo che voglia andare dal dottore per il motivo che tu credi».
Sul mio volto comparve un sorriso sincero. Lei, in quel momento, mi capiva come nessun altro era in grado di fare.
«Non vuoi prima informare Harry» chiese mia zia.
«No, sento che devo fare questa cosa senza di lui. Voglio accertarmi che dentro di me ci sia un'altra vita, prima di affrontarlo. In ogni caso lui non è in città. E' andato in campeggio con Niall e tornerà tra due giorni. Credo di aver voluto fare il test oggi proprio perché lui non c'è».
«Ok, andiamo» disse Mara, alzandosi.
 
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«Signorina Grimaldi, tocca a lei» disse con voce squillante la segretaria del dottore, sicuramente mia coetanea.
Mi alzai da quella piccola sedia fredda e poco confortevole e mi diressi verso quella porta che tanto temevo di varcare. Ero sicura della mia scelta, fermamente sicura, ma la paura che mi attraversava, attanagliava il mio cuore. La mia paura più grande era, stranamente, che fosse tutto una finzione. Avevo paura che tutti quei test si fossero sbagliati, avevo paura che tutto ciò non fosse reale. Non volevo un bambino così presto, soprattutto senza aver ancora costruito una famiglia, ma solo il pensiero di portare nel grembo mio figlio mi donava speranza. 
Dopo aver passato tutta la mia vita in una famiglia incompleta, finalmente potevo costruirmi una famiglia tutta mia. Il sogno della mia vita si stava avverando, in modo anticonvenzionale, ma lo stava facendo.
Entrai nello studio del dottor Anderson e ne rimasi stupita. Mi aspettavo una stanza asettica e seria, invece mi ritrovai in una stanza colorata e vissuta. L'uomo che si trovava davanti a me era molto alto e indossava una camicia a righe che evidenziava il suo girovita, già abbastanza pronunciato. Scrutai il suo sguardo e trovai solo dolcezza. Avevo il timore che, vedendo una ragazza così giovane, e per giunta sola, avrebbe pensato male, ma mi sbagliavo.
«Ciao — mi disse porgendomi la mano — devi essere Beatrice, vero?».
«Si, dottor Anderson» dissi con voce tremante.
«Chiamami pure Rick. Non essere agitata, tesoro. Metti questo e poi stenditi tranquillamente nel lettino» disse porgendomi un piccolo camice bianco.
Dopo essermi cambiata e dopo aver risposto alle domande di rito, prese un tubo bianco e ne fece uscire il gel proprio sulla mia pancia.
Chiusi istintivamente gli occhi e pregai di sentire il rumore del suo piccolo cuore. Dopo interminabili secondi, lo sentii. Portavo in grembo una vita, che a sua volta mi avrebbe dato vita. Ebbi come l'impressione di sentirlo fisicamente, nonostante sapessi che era impossibile sentire una cosa ancora troppo piccola per essere addirittura chiamata essere vivente, ma io la sentivo comunque dentro. Piccole lacrime di gioia solcarono il mio viso. Non mi ero mai sentita così viva in vita mia, mai così importante. Piccoli pezzi di me e Harry sarebbero esistiti per sempre dentro qualcun altro. Il nostro amore sarebbe durato per sempre, nonostante tutto.
«Beatrice — mi chiamò Rick, facendomi tornare sulla terra ferma — il bambino sta bene, ma mi devi assicurare di non fare molti sforzi e di agitarti il meno possibile. Siamo proprio all'inizio della gravidanza e anche la più piccola agitazione può portare ad un peggioramento della vitalità fetale. Detto questo: auguri mammina».
 
Uscii da quella stanza con un enorme sorriso, dopo aver ringraziato e salutato il dottor Anderson. Sapere che tutto questo era reale ed essere certa dell'esistenza di mio figlio, mi avevano fatto superare ogni dubbio e incertezza. 
Insieme al mio piccolo potevo superare qualsiasi difficoltà.
Mara e Elis si presero cura di me per tutto il giorno, senza smettere un secondo di chiedermi come mi sentissi. Elis non resistette e comprò la prima cosa per il bambino: una tutina gialla con gli orsacchiotti; un colore neutro, visto che avremmo dovuto aspettare ancora molto per sapere l'effettivo sesso del bambino.
Tornammo a casa in tarda serata ed ero letteralmente distrutta, ma immensamente felice. Mi misi a letto e guardai per un tempo infinito il soffitto. Mi ritrovai ad immaginare ad occhi aperti come sarebbe stata la mia vita da quel giorno in poi. Fino a poche ore fa ero immensamente confusa, ma dopo aver avuto la certezza della sua esistenza era tutto più chiaro. Immaginavo già una piccola bambina dai boccoli color cioccolato che correva verso di me e, guardandomi con due meravigliosi occhi verde acqua, mi chiamava mamma.
Lo squillo del cellulare interruppe i miei soliti viaggi mentali; lessi il display e risposi, sospirando.
«Mamma, ciao» risposi timorosa.
«Amore mio, come stai? — disse con voce tremante — quanto vorrei essere lì con te».
Come faceva a saperlo? Forse zia Mara aveva pensato di alleggerirmi la situazione per evitarmi ulteriori stress? Sicuramente si.
Restai a parlare per quasi due ore a telefono. Avevo la madre più buona ed eccezionale del mondo. Non mi sgridò, non fu in disaccordo nemmeno per un secondo sulla mia decisione, anzi mi sostenne. Non fece altro che infondermi fiducia e coraggio per tutta la conversazione.
Quando finii di parlare, però, sentii una pesantezza nel petto. Ormai tutti quelli a cui tenevo veramente sapevano del bambino, tranne la persona più importante della mia vita, nonché padre di mio figlio. 

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Capitolo 25
*** Paralleli ***


Puoi chiudere gli occhi davanti a quello che non vuoi vedere, ma non puoi chiudere il cuore davanti a quello che non vuoi sentire.
Johnny Depp
 
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Era arrivato il giorno della verità, dovevo farmi forza e trovare il modo più indolore per dirlo a Harry. Mancavano solo poche ore al suo ritorno, e io ero sempre più in ansia. Nonostante il dottore mi avesse raccomandato di non fare sforzi e di non sottopormi a forti stress ero costretta ad affrontare il mio imminente futuro, e questo mi terrorizzava. 
Mi terrorizzava l'idea di perdere Harry, ma ancor di più temevo che lui non accettasse il bambino. Sapevo che per lui sarebbe stato inaspettato. Lo era stato anche per me, e ancora facevo fatica ad abituarmici, per questo gli avrei dato tempo di metabolizzare il tutto.
Ero sicura che la sua paura fosse quella di non sentirsi all'altezza, di non essere un buon padre. Era comprensibile, perché io stessa avevo avuto quel dubbio, ma ero sicura che l'avremmo affrontato insieme.
Sarebbe andato tutto bene.
Era questa la frase che mi ripetevo in continuazione, come se cercassi di convincermene.
Il giorno del ritorno di Harry mi alzai praticamente all'alba, dopo aver tentato tutta la notte di dormire, inutilmente. Per fortuna non avevo le solite e angoscianti nausee mattutine, altrimenti alzarmi sarebbe stato un vero strazio.
Dopo aver fatto un'abbondante colazione ed essermi fatta un bagno rilassante, ero pronta ad andare a casa di Harry. 
Arrivata davanti al portone del palazzo di Harry restai immobile per non so quanto tempo a guardare il campanello. La mia vita sarebbe cambiata radicalmente di lì a poco, ma ancora non sapevo se sarebbe cambiata in meglio o in peggio. Dopo aver fatto un respiro profondo, suonai e il portone si aprì quasi subito.
Vidi Harry venirmi incontro a braccia aperte.
Erano passati solo pochi giorni dall'ultima volta che l'avevo visto, ma sembrava passata un'eternità. Non ero più abituata a stare senza di lui, era entrato nella mia vita così prepotentemente che non riuscivo più a farne a meno.
«Mi sei mancata da morire» urlò, mentre mi prendeva in braccio facendomi girare.
«Mi sei mancato anche tu» gli dissi una volta scesa dalle sue braccia. 
Scrutai per bene il suo viso perché non sapevo se l'avrei mai rivisto così sorridente. Poggiai una mano sul suo viso e i suoi occhi s'illuminarono. Mi amava e ne ero consapevole, ma non sapevo quanto il suo amore fosse forte, fino a che punto potesse arrivare.
Prima di stare con me, nemmeno sei mesi fa, Harry era ancora un ragazzo immaturo, che andava con mille ragazze solo per divertimento e, per quanto apprezzassi il suo cambiamento, dentro di lui c'era ancora una piccola parte del vecchio Harry.
«Che ne dici di entrare?» gli chiesi con voce tremante.
«Si, certo» disse prendendo la mia mano nella sua, guidandomi dentro.
Quando chiuse la porta, mi attirò se, incastrandomi in un suo abbraccio, che mi fece mancare il respiro. Era un abbraccio così pieno che riuscii a percepirne l'intensità, sentendo il sentimento che provava per me, e quanto realmente gli ero mancata.
Mi prese il mento tra indice e pollice e posò le sue labbra sulle mie, con delicatezza.
Nonostante non ci fossimo visti per giorni sentivo che non voleva solo il mio corpo. Non potevo negare che il bisogno fisico che avevamo l'uno dell'altro era innegabile, ma non era solo quello che ci legava, bensì un sentimento che andava ben oltre il fisico e la mente, era un sentimento dell'anima. Le nostre anime erano legate da un filo indissolubile, e lo sarebbero state sempre, che lo volessimo o meno
 «Mi sembri strana. Sembra ci sia qualcosa che ti preoccupa» disse, una volta staccatosi dalle mie labbra.
Avevo bisogno di prendere le distanze da lui se volevo rivelargli tutto quello che era successo in sua assenza, così mi diressi subito verso il divano.
«Harry, dobbiamo parlare» dissi tutto d'un fiato.
La felicità che contornava il suo volto sparì immediatamente, facendo spazio ad uno sguardo vuoto, preoccupato.
«Vuoi lasciarmi?» chiese disperato.
«No, se non lo vuoi tu».
Il suo volto si rilassò, ma sapevo che dentro di lui covava ancora preoccupazione. Lo capii anche dal fatto che non si avvicinò a me, ma rimase in piedi vicino alla penisola.
Fu silenzio.
Non sapevo proprio come iniziare il discorso; ero sempre stata una frana a rivelare i miei piccoli segreti. Quando diedi il mio primo bacio tornai a casa e volevo dirlo a mia mamma, come facevo per ogni cosa, ma come in questo caso non sapevo come iniziare il discorso. 
E così lo dissi di getto: presi un bel respiro e...
«Sono incinta».
Capire quello che in quel momento passasse nella mente di Harry fu estremamente difficile. Sul suo volto aleggiavano mille sensazioni, così tante da non riuscire a captarne nemmeno una. 
L'attesa era snervante, ma dovevo pazientare e fargli assimilare la notizia. D'altronde io avevo impiegato moltissimi minuti prima di riuscire a dire una frase di senso compiuto.
«Qualche giorno fa — iniziai a parlare di quello che mi era accaduto — mi accorsi di avere un ritardo, non ci avevo fatto caso prima perché purtroppo il mio ciclo è sempre irregolare, quindi pensavo fosse normale, ma era un ritardo eccessivo. Decisi di comprare un test e di farlo quando eri in campeggio così che, se fosse risultato positivo, avrei avuto il tempo di assimilare tutto e di pensare al futuro».
Feci il mio discorso senza distogliere nemmeno per un secondo il mio sguardo dal suo. Avevo spiegato a grandi linee quello che era successo, ma in quel momento toccava a lui dire qualcosa.
«Non mi hai detto niente» fu l'unica cosa che riuscì a dire.
«Ti ho spiegato il perché».
Lo vidi pensare, assorto, e ad un tratto si mise a contare.
«Non sarai nemmeno a due mesi. Dobbiamo sbrigarci» disse infine.
«Sbrigarci a fare cosa?» dissi con tono accusatorio, sperando che il mio presentimento fosse sbagliato.
«Non voglio e non posso diventare padre, Bea. Dobbiamo abortire».
Fu lì che il mio mondo si sgretolò, candendo in mille pezzi.
Avevamo passato mesi a costruire il nostro piccolo, ma solido, castello di sabbia, inumidendo pian piano i granelli di sabbia per renderlo più solido e potente. Aveva resistito alle paure, alle incertezze, alle debolezze, e lui l'aveva appena frantumato, in un misero secondo.
Mi sarei aspettata di tutto.
Avevo costruito nella mia mente mille ipotetiche reazioni di Harry alla mia rivelazione, ma nessuna arrivava a tanto. Per qualche secondo anche io avevo pensato a quella soluzione, ma l'avevo scartata ancor prima che il reale pensiero si formulasse completamente nella mia mente, figuriamoci dirlo ad alta voce.
Ma poi, il mio pensiero non contava? Quello che volevo io aveva importanza per lui?
«Dobbiamo abortire?? — dissi indignata — per prima cosa non usare il plurale, perché quella che porta TUO figlio in grembo sono IO. E poi chi ti ha detto che voglio farlo».
Ed ecco che, come nei miei peggiori incubi, il mio mondo si stava pian piano sgretolando, insieme al mio cuore.
«Io non lo voglio» disse in tono glaciale.
«Tu vorresti uccidere tuo figlio perché non lo vuoi? Pensi che io l'abbia voluto? Ma è arrivato. E non è un sacco di immondizia da poter buttare così facilmente».
Nella mia voce stava affiorando odio, odio puro.
Avrei capito le incertezze e i dubbi, avrei anche accettato di parlare di darlo in adozione, ma di uccidere nostro figlio no. Non l'avrei permesso a niente e nessuno, mai.
«Sai quante persone lo fanno?» ribadì.
«E sai quante lo rimpiangono per tutta la vita? No, io non voglio vivere per tutta la vita con questo senso di colpa — dissi decisa — sai cosa penso in questo momento? Penso che siamo su due lunghezze d'onda diverse. Abbiamo progetti di vita che non potranno mai combaciare tra loro e abbiamo modi di pensare e di vivere opposti, e per questo non possiamo più stare insieme. Non ti sto accusando di non essere la persona giusta per me, ti sto solo dicendo che non siamo giusti l'uno per l'altro». 
«Tu sei una persona eccezionale, Harry, davvero - continuai, senza far trasparire alcuna debolezza, anche se dentro stavo pian piano morendo - ma siamo due poli opposti. Tu hai dimostrato di non essere pronto per una famiglia, e nemmeno io lo sono. Ma crescendo, ho capito che bisogna sempre prendersi la responsabilità delle proprie azioni, e io lo sto facendo, e lo farò sempre. Non sono pronta a diventare madre, ma il destino ha scelto questo per me, e lo porterò avanti. Non mi tirerò indietro, e non permetterò che ad un bambino sia tolta la vita solo perché tu non sei pronto». 
«Lo crescerò, gli parlerò sempre di te e del nostro amore - feci una pausa, aspettando magari una sua parola, ma questa non arrivò, così continuai il mio monologo - gli dirò quanto sia magnifico suo padre, e di come mi ha fatto sempre sentire viva. Se mai vorrai conoscerlo, se mai cambierai idea, io non ti ostacolerò. Ma in questo momento sei troppo immaturo, a quanto pare, per prenderti una responsabilità del genere. Lo accetto, ma non lo condivido, perché è anche per merito tuo che ci troviamo in questa situazione, e anche colpa tua se sono incinta. Non siamo stati attenti, non abbiamo pensato alle possibili conseguenze; pensavamo che non ci potesse succedere, ma la vita è fatta di sorprese, e lui lo è stata. Non sono arrabbiata con te, ma sono delusa, perché tu vuoi convincermi a sbarazzarmi di lui. Beh, mi dispiace. Preferisco rinunciare a te, piuttosto che uccidere una vita». 
Conclusi finalmente il mio discorso. Non avevo più niente da dirgli, anche se avrei potuto continuare a sputargli in faccia tutta la mia delusione, così mi diressi verso la porta. Mi lasciai qualche secondo per osservarlo in faccia, e constatai che il suo sguardo non era cambiato, e lui era sempre immobile, con lo sguardo sempre fisso nel vuoto.
«Non puoi lasciarmi così» sussurrò.
«Posso, e lo farò — dissi, mentre le prime lacrime insistevano per uscire dai miei occhi, ma le ricacciai indietro — Capisco quando mi dici che non sei pronto, ma tu cerca di capre anche me. A causa di quello che ho passato nella mia vita, sono maturata in fretta, forse troppo in fretta. Ho bisogno di una persona che nella vita mi stia accanto, che corra insieme a me; non ho bisogno di una persona che mi completi, perché nella vita si è già completi. Ho bisogno di una persona con cui condividere la mia vita e la mia completezza. Non ho bisogno di una persona che mi freni, che stenti a seguirmi. Ti amo, Harry, e ti amerò sempre. Ma la vita ti impone delle scelte, dei bivi, e io ho scelto la mia strada».
Senza aspettare la sua risposta, uscii da casa sua. Il mio corpo doleva, ma cercai di mascherarlo. Il mio cuore si era spezzato, e ora restava solo un vuoto dentro di me, un vuoto incolmabile.
Eravamo stati due rette incidenti: i miei bisogni erano stati i suoi, le mie passioni erano state le sue; i miei piaceri, i miei dolori, le mie gioie erano stati anche i suoi. Ma le cose cambiano, perché inconsapevolmente si cresce. Eravamo appena diventati due rette parallele, destinate a non incontrarsi mai più, limitandosi solo a guardarsi da lontano.
 
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Durante il tragitto verso casa non sentivo altro che dolore. 
Mi sentivo distrutta.
Tutto quello che avevo costruito era stato distrutto e, improvvisamente, non sapevo con chi ero stata per tutto il tempo. Davvero ero stata con una persona così insensibile? Avevo immaginato che potesse non prenderla bene, ma addirittura cercare di convincermi ad abortire no, non lo avrei mai pensato.
«Saremo sempre insieme, tu ed io. Non preoccuparti, ti proteggerò io, da tutto» sussurrai, toccandomi il ventre.
Non riuscivo più a controllare le mie lacrime, che scendevano senza controllo sul mio viso. Ero stata distrutta un'altra volta. Avrei dovuto esserci abituata, ma non ti abitui mai al dolore, perché ogni dolore è diverso da quello che hai provato in precedenza. 
Ma il dolore che Harry mi stava facendo provare era più grande degli altri. 
Tutto ciò non riguardava solamente una storia finita, riguardava suo figlio; un figlio che voleva uccidere e che non avrebbe mai desiderato tenere in braccio. Un figlio che non avrebbe mai voluto sentir piangere, o veder correre verso di lui. Ero consapevole che non tutti la pensano allo stesso modo, ma da lui mi sarei aspettata più comprensione. 
Finalmente arrivai a casa, dove, quelli che erano diventanti i miei due angeli custodi, mi aspettavano impazienti.
Appena videro la mia espressione distrutta, capirono. Non c'era bisogno di parole. Questo non era più tempo di spiegazioni o consolazioni, era tempo di piangere, buttare via tutto il dolore per poi rialzarsi. 
Mi sarei rialzata, più felice di prima e anche più forte. Perché da quel momento in poi non sarei stata più sola.

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Capitolo 26
*** Specchio ***


Cosa fai quando l'unica cosa per la quale vivi ti abbandona?
-New Moon
 
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Mi svegliai di soprassalto per il suono del mio cellulare.
Mi ero addormentata tra le braccia di Elis in lacrime, ma lei non era più accanto a me. Avevo fatto prendere loro un grande spavento. Non deve essere stato facile gestire la situazione di ieri, nemmeno dall'esterno.
Mi allungai verso il comodino per prendere il telefono. Ero ancora dolorante e sentivo i muscoli tutti intorpiditi, sicuramente tutto ciò era dovuto alle ore interminabili di pianto. Ero stata distrutta. Ero come uno specchio rotto che, per quanto avessi provato ad aggiustarlo mettendo tutti i pezzi al posto giusto, non avrebbe più avuto il riflesso iniziale.
Presi il cellulare e lessi il messaggio:
"Non posso permettermi di perderti. Bea, tu mi hai ridato la vita. Ti sei fatta amare per quella che sei e mi hai insegnato ad amare me stesso. Ho fatto tanti errori in passato, è vero, ma io voglio te. Non mi sento pronto a fare il padre, perché ho paura di non esserne in grado. Ma se questo significa perderti, accetto qualsiasi cosa, anche NOSTRO figlio. Il mio rifiuto non era causato da LUI, ma da ME. Ho una paura fottuta, amore, ma so che accanto a te posso superare tutto. Ti prego perdonami.
Harry."
 
Sorrisi e lacrime si mischiavano sul mio volto.
Non volevo illudermi, ma forse c'era ancora una speranza per noi. Sicuramente avremmo dovuto parlare, discutere sul nostro futuro, ma per amore del nostro bambino avremmo superato tutto.
Un dolore acuto alla testa si aggiunse all'intorpidimento dei miei muscoli.
Probabilmente il dolore del giorno precedente mi aveva davvero indebolito, ma ora mi dovevo calmare. Ora c'era una speranza di felicità e, per il bene mio e del mio bambino, non dovevo più affaticarmi.
Feci per alzarmi, ma una fitta allo stomaco mi colpì.
Ero proprio ridotta male. Avevo sofferto già in passato, ma mai il mio stress aveva inciso così tanto sul mio corpo. Dopo vari tentativi riuscii ad alzarmi, accantonando il dolore allo stomaco, ed un odore metallico mi arrivò dritto alle narici.
Accadde tutto a rallentatore.
Mi girai verso il letto, da dove veniva l'odore, e constatai che le lenzuola, un tempo bianche, erano ormai rosse. Erano piene di sangue, interamente. D'istinto inizia ad urlare con tutta la potenza che avevo in corpo. Mi spostai con le mani tra i capelli e giravo intorno, senza meta, senza sapere dove andare.
«Bea, che succede?» chiese mia zia, accorsa in fretta in camera mia.
Non ebbi bisogno di rispondere, sapevamo entrambe cosa fosse successo.
L'ultima cosa che ricordo fu lo sguardo angosciato di mia zia che si spostava da me al letto, continuamente. Poi fu tutto buio.
 
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Bip bip bip
 
Un suono incessante e costante mi sveglio dall'incubo più brutto che avessi mai fatto. Tentai di aprire gli occhi e lo feci dopo alcuni secondi, ma con difficoltà. Appena misi a fuoco la stanza intorno a me mi resi conto che c'era qualcosa che non andava. Non mi trovavo nella mia stanza, non mi trovavo proprio a casa di mia zia. Le pareti che mi circondavano erano verde pastello e nessun quadro adornava quelle pareti fin troppo spoglie. Girai la testa alla mia sinistra e vidi uno strano macchinario, dal quale arrivava il fastidioso suono che mi aveva svegliato.
Mi trovavo sicuramente in un ospedale.
I battiti del mio cuore aumentarono e cominciai ad agitarmi, come un animale in gabbia.
«Tesoro, calma - disse una voce troppo familiare - ben svegliata, stella».
Mi girai con cautela verso quella voce e vidi mia madre che mi stava per raggiungere.
«Che ci fai qui? - dissi, presa dal panico - quando sei arrivata? Perché mi trovo qui?».
Mi era mancata da morire, ma la sua improvvisa visita mi aveva messa in allerta, tanto da non riuscire ad esternare quando fossi felice di rivederla. C'era sicuramente qualcosa sotto.
«Amore - disse sedendosi accanto a me - appena la zia mi ha detto che eri stata ricoverata, ho preso il primo aereo per raggiungerti. Non potevo stare così lontana da te, sapendoti qui».
«Mamma, sarà stato solo un capogiro. Nemmeno mi ricordo di essere svenuta. Sarà stato ieri sera, per il troppo stress» dissi, accennando un sorriso.
Mia mamma era sempre stata super apprensiva riguardo la mia salute e io mi ero sempre lamentata di questo suo comportamento. Ma ora la comprendevo, capivo cosa significava amare una persona con tutto il cuore, anche se ancora era un piccolo esserino dentro di me.
«Bea, tu non sei svenuta ieri sera, ma ieri mattina».
«Ma che dici mamma! - la derisi - ieri mattina ero da tutt'altra parte, fidati. Me lo ricordo bene» m'incupii, ripensando alla lite con Harry.
«A proposito - continuai - dov'è Harry?».
«E' qui fuori» rispose con voce cupa.
«Fallo entrare, no? Sarà molto preoccupato. E poi devo dirgli che ho letto il messaggio e possiamo parlare».
Sorridendo, tentai di sistemarmi meglio sul lettino ed alzarmi leggermente il busto, ma mi risultò impossibile, perché un dolore al basso ventre me lo impedì.
«Non sforzarti tesoro. E poi prima di tutto dobbiamo parlare».
Sul volto di mia madre si dipinse un velo di dolore e dispiacere. Poche volte nella mia vita l'avevo vista così abbattuta. Non era da lei reagire in questo modo. Comprendevo che lo spavento di sapermi in ospedale l'aveva terrorizzata, ma ora ero qui davanti a lei e stavo bene.
Perché si comportava così?
«Oddio! - esclamai, intuendo cosa poteva farla stare in quel modo - il bambino sta bene vero? Ma poi come sei arrivata qui in così poco tempo? Cavolo mamma, parla chiaro. Mi stai facendo paura» conclusi con le lacrime agli occhi.
«Ok, piccola, intanto calmati. Ti racconterò tutto, ma devi stare calma. Non sei svenuta ieri sera, ma ieri mattina. Due giorni fa hai parlato con Harry, ricordi?».
«Ma io ricordo che ieri ho parlato con Harry. Com'è possibile mamma?» dissi quasi in lacrime.
«Perché hai dormito per un giorno intero qui. Per questo non ricordi. Comunque, dopo che hai parlato con Harry sei tornata a casa in lacrime e ti sei addormentata nel tuo letto tra le braccia di Elis. La mattina seguente ti sei alzata e, quando ti sei accorta che avevi avuto delle gravi perdite, sei svenuta. In realtà sei svenuta perché avevi perso troppo sangue, tanto che hanno dovuto farti una piccola trasfusione».
«Mamma, dimmi che il bambino sta bene, ti prego».
Non appena vidi mia madre abbassare lo sguardo, mi resi conto che quello che credevo un terribile incubo, era una semplice e terrificante verità. Avevo perso il mio bambino.
Da quando avevo scoperto di essere incinta, avevo fatto spesso degli incubi in cui perdevo il bambino; in tutti piangevo a dirotto, ma ora che il mio più temuto incubo si era realizzato, non avevo la forza di versare una lacrima.
«Voglio restare sola» dissi a mia madre con voce atona.
Lei si alzò ed uscii singhiozzando.
Istintivamente mi portai una mano sul ventre, ma la ritrassi subito.
Non c'era più niente dentro di me. Ero davvero vuota.
Il rifiuto iniziale di Harry mi aveva rotta, come uno specchio. Uno specchio rotto, però, si può aggiustare, rimettendo i pezzi al proprio posto; non avrà più lo stesso riflesso, ma potrai vedere la tua sagoma attraverso esso. In quel momento ero uno specchio rotto e appannato, uno specchio che aveva perso la sua bellezza e lo scopo per cui era stato creato. Ero vuota, e nessuno poteva più aggiustarmi.
Non so per quanto tempo restai a contemplare la stanza in cui mi trovavo, fino a quando fui interrotta dall'ingresso di un uomo in camice, che odiai, perché mi aveva appena riportato alla brutale realtà.
«Ciao Bea, sono il dottor Robinson. L'ho seguita io in questi due giorni di ricovero - concluse, ma, vedendo la mia totale intenzione di rimanere in silenzio, continuò - so che la notizia che ha appena appreso è difficile da digerire, ma col tempo tornerà come prima, glielo assicuro. Molte pazienti, quasi tutte, si trovano nel suo stato d'animo in queste situazioni. Per questo motivo l'ospedale mette a disposizione una dottoressa che aiuta le donne a superare il dolore. Le lascio il suo biglietto da visita in caso le servisse» e così dicendo uscii di nuovo dalla stanza.
Sospirai di sollievo. Potevo tornare nel mio mondo vuoto, finalmente.
 
La giornata passò molto lentamente. Mi rifiutai di ricevere visite e non parlai con nessuno. L'unica persona che feci entrare fu mia madre, ma solo per dirle di lasciarmi in pace e andarsene a riposare.
Tutto quel tempo da sola mi ha permesso di pensare, arrivando anche a qualche conclusione. So che la colpa di quello che è successo è per la maggior parte mia, perché mi sono agitata troppo, anche se il dottore mi aveva detto l'esatto contrario. Ma ho capito che tutto questo non sarebbe successo se Harry non avesse rifiutato nostro figlio, volendolo anche uccidere. Sarò cattiva e irrazionale, ma lo odio. La colpa del mio stress è stata sua.
Mamma mi aveva detto che Harry non si era mai mosso dalla sala d'aspetto in attesa del mio risveglio e in attesa di entrare, ma con un cenno del capo avevo impedito che lo facesse. Non lo volevo più vedere, soprattutto perché il suo comportamento era dovuto senza alcun dubbio ai suoi stupidi senza di colpa.
Avevo preso una decisione nel tempo che ero stata costretta a trascorrere dentro quella stanza; non appena mi avrebbero dimesso da quell'orrendo ospedale avrei preso il primo volo per l'Italia e avrei ricominciato la mia vita, un'altra volta.
 

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Capitolo 27
*** addii..? ***


La persona che ti rende più felice, a volte la persona che può ferirti maggiormente.
 
 
 
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Dopo altri due giorni di ricovero mi permisero di uscire dall'ospedale. 
Avevo indossato una maschera di serenità, ma dentro di me non vi era nient'altro che sofferenza e rabbia. L'unica persona che avevo visto era mia madre, l'unica alla quale era permesso entrare in stanza. Sapevo che Mara ed Elis non avevano nessuna colpa, ma non ce la facevo a fingere anche davanti a loro. 
Per questo mi ero preparata mentalmente in quei due giorni a recitare la parte della ragazza che avrebbe reagito ad un'altra sofferenza. 
Avevo sempre odiato l'idea di essere un peso per le persone che mi stavano accanto e, anche in quel caso, avrei evitato sguardi di compassione. Avevo deciso di tornare a casa il giorno stesso delle mie dimissioni dall'ospedale; era la cosa migliore per tutti. 
Di Harry non avevo più notizie, perché avevo detto esplicitamente a mia madre di non nominarlo. 
Ero nella mia camera a casa di zia e stavo sistemando tutte le mie cose in valigia. Avevo accuratamente lasciato fuori tutte le cose che mi potessero ricordare la mia esperienza a New York, poi avrei detto ad Elis di liberarsene come meglio credeva.
«Posso entrare?» disse mia cugina dall'esterno.
«Certo – dissi, facendo un grosso sospiro, in preparazione della mia migliore interpretazione – entra pure».
«Come va?».
Il nostro rapporto si era incrinato, ed era tutta colpa mia. Purtroppo non potevo fare altrimenti, perché in quel momento averla accanto mi ricordava tutto quello che di bello o brutto mi era successo in sei mesi.
«Bene, ho quasi finito».
Sentii i suoi passi mentre si avvicinava cautamente a me, quasi come se avesse paura di ferirmi. Quasi come se starmi vicino mi potesse fare del male.
«Mi dispiace per».
«Non continuare – la interruppi – non ne voglio parlare».
«Scusa» disse con un filo di voce.
«Non ti devi scusare di niente. Dovrei essere io a scusarmi per aver creato problemi a te e zia. Grazie di avermi ospitato qui per tutto questo tempo».
Non mi ero ancora girata a guardarla. Non ne avevo la forza, perché mi sentivo in colpa. Avevo creato a lei e mia zia molti problemi anche se non l'avrebbero mai ammesso.
«Ti vorrò sempre bene, Bea, qualunque cosa accada. Se avessi bisogno di qualsiasi cosa sappi che ci sarò sempre per te. Niente potrà cancellare il nostro legame» disse, poggiandomi una mano sulla spalla.
Il suo tocco mi fece irrigidire all'inizio, ma poi fu come se il suo amore per me mi desse la forza di reagire. Per questo trovai la forza di girarmi verso di lei e abbracciarla.
«Grazie davvero di tutto – dissi cercando, per la prima volta da giorni, di trattenere le lacrime – ti vorrò sempre bene come una sorella».
Il nostro abbraccio fu interrotto da un ingresso inaspettato. Il mio corpo reagì istantaneamente a questa sua vicinanza, nonostante non lo vedessi ormai da giorni.
«Scusate l'interruzione – disse Harry sulla soglia della porta – avevo visto la porta aperta e pensavo fossi sola» disse rivolgendosi direttamente a me.
Aveva un aspetto stanco e cupo, che non gli era mai appartenuto. Non lo avevo mai visto così provato, ma questo non me lo faceva odiare di meno.
«Che cosa ci fai qui?» dissi freddamente, mentre mi staccavo dall'abbraccio di mia cugina, che ci lasciò subito da soli.
«Avevi intenzione di andartene senza nemmeno avvertirmi? Pensavi davvero che ti avrei lasciato andare così?».
Nel suo tono c'era risentimento e rabbia, ma non era consapevole che dentro di me aleggiavano gli stessi sentimenti, triplicati.
«Non vedo perché avvertirti – cominciai tentando di mantenere la calma – non permetterti di entrare nella mia stanza d'ospedale mi sembrava una mia chiara volontà d'intenzione».
«Ecco – ribatté risoluto – iniziamo a parlare del motivo per cui non mi volevi lì dentro o vuoi iniziare da altro?».
«Non ho niente da dirti».
Eravamo a qualche metro di distanza e ci fissavamo intensamente, ma non vi era traccia d'amore nei nostri sguardi. Tutto quello che c'era intorno a noi era letteralmente scomparso, c'eravamo solo noi e la nostra rabbia. Non capivo davvero il motivo per il quale lui fosse così arrabbiato, in fin dei conti era colpa sua se avevo perso il bambino. Non mi sarei aspettata che venisse a sapere della mia partenza e ancor meno mi sarei aspettata una tale reazione da lui.
«Oh, ti sbagli – rispose avvicinandosi a me – mi devi dare delle spiegazioni, le esigo!».
Mi prese il braccio e lo stinse, obbligandomi ad avvicinarmi ancor di più a lui. Per la prima volta da quando lo conoscevo la sua vicinanza mi dava davvero fastidio.
«Lasciami stare!» urlai.
«Mai. Non ti lascerò, almeno fino a quando non mi darai una spiegazione valida per il tuo comportamento – fece una pausa, ma vedendo che non rispondevo, continuo, senza lasciarmi andare il braccio – ho sbagliato quella sera a dire di volermi liberare del bambino, ma sono stato preso alla sprovvista, avevo bisogno di assimilare. Quando ho capito l'errore che ho fatto ti ho mandato un messaggio. L'hai letto almeno? Lo volevo, volevo il bambino! Perché mi hai respinto in ospedale?» concluse con le lacrime agli occhi.
«L'ho letto, cazzo – imprecai – l'ho letto subito prima di vedere che il letto era pieno di sangue. Avevo già perso il mio bambino! E non ti azzardare a dire che era anche tuo perché non te lo meritavi il suo amore. Quello era il mio bambino e tu, in un modo o nell'altro, l'hai ucciso! Mi sento fottutamente in colpa perché se non mi fossi stressata, se non mi avessi distrutta con il tuo rifiuto, lui sarebbe ancora qui. Mi hai distrutto. Hai distrutto la mia vita e quella di mio figlio. Io ti odio!».
Gli urlai il mio odio in volto e a quella parola lui si ritrasse e si allontanò da me, come se lo avessi pugnalato. Se lo meritava e doveva soffrire almeno quanto stavo soffrendo io, per quanto impossibile fosse.
«Non ti ho fatto entrare in ospedale perché solo guardarti mi ricorda quello che ho perso, quello che mi hai tolto – continuai, questa volta avanzando io verso di lui – non voglio avere niente a che fare con te, mai più. Non mi hai solo fatto del male, ma mi hai distrutto e io non me lo meritavo. Quindi vedi di sparire dalla mia vita; prima esci da quella porta, prima potrò cancellare quello che mi hai fatto, nonostante non possa più tornare quella di una volta».
Sul suo volto si dipinse un'espressione indecifrabile, vuota. Non credo si sarebbe mai aspettato che dalla mia bocca potesse uscire così tanto odio; in realtà nemmeno io ero consapevole quanto il mio odio verso di lui fosse grande, prima di esternarlo. Era immobile a pochi passi da me e sembrava quasi non respirare, fino a quando abbassò lo sguardo, si girò dandomi le spalle e uscì dalla stanza, senza dire nemmeno una parola.
Fu in quel momento che il mio muro crollò, che le mie difese si sfaldarono inesorabilmente e caddi a terra singhiozzando come una bambina. 
Avevo perso tutto per l'ennesima volta. Mio padre, se si poteva considerare tale, non ne voleva sapere niente di me; quello che credevo l'amore della mia vita mi aveva ferito come mai nessuno nella mia vita aveva fatto, togliendomi l'unica persona che avrei amato più di lui, mio figlio. L'unica persona che non mi aveva mai tradito in alcun modo e che era rimasta, nonostante tutto, era mia madre. Avevo appena realizzato che potevo contare veramente solo su di lei; non potevo fidarmi di nessun altro. È vero, c'erano Mara ed Elis, ma tra poche ore ci avrebbe diviso un oceano e quindi non potevo più contare sul loro costante appoggio.
 
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Poche ore dopo ero già sull'aereo diretto in Italia. Da un lato non vedevo l'ora di tornare a casa e lasciarmi tutto alle spalle; dall'altro lato però mi sentivo già in colpa per le parole che avevo detto a Harry. Non mi ero pentita di ciò che avevo detto ma, pensandoci a freddo, potevo usare un tono differente o quantomeno non rinnegare il nostro passato. In realtà non mi pentivo minimamente di aver vissuto la nostra storia d'amore, non avrei cambiato nemmeno una virgola. Era stato l'ultimo terribile avvenimento a far prevalere la rabbia nei suoi confronti. 
Questo, però, non era il momento dei rimpianti, bensì il momento di guardare avanti, senza voltarsi indietro. Avrei proseguito la mia vita, mi sarei creata nuovi scopi; magari dalle mie esperienze vissute avrei potuto scrivere un libro o grazie al perfezionamento della lingua inglese avrei trovato facilmente un lavoro. Non sapevo cosa mi avrebbe riservato il futuro e non ero a conoscenza di quanto tempo mi sarebbe servito a colmare la perdita che mi portavo dentro. 
Sapevo però che dovevo andare avanti per il mio bene e per quello di chi mi stava accanto.
Ero stanca di pensare e sentivo l'esigenza di liberarmi dei miei pensieri. Non riuscivo però a parlare con nessuno, nemmeno con mia madre. Era un dolore troppo grande da esprimere a parole; parlarne avrebbe significato renderlo ancora più reale. Così presi dal mio zaino il mio taccuino e iniziai a scrivere tutto quello che mi passava per la testa. 
E poi, chissà, forse un giorno sarei riuscita a trasformare il dolore in qualcosa di più piacevole.
 
 
 
 
 
ANGOLO DELL'AUTRICE:
 
Ecco a voi il capitolo.
 
Questa è la fine del passato, dal prossimo capitolo si ritornerà al presente, con la preparazione del matrimonio di Elis e Niall.
 
A quanti di voi piace questa coppia?
 
Io personalmente la amo <3 sono la mia OTP.
 
Io ora vi saluto, devo andare a studiare, tra poco ricominciano gli esami :S
 
Si salvi chi può!!
 
 
 
ALL THE LOVE.
 
BARB <3
 

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Capitolo 28
*** Realtà ***


Ma lui era uno di quelli che, quando non ci sono più, lo senti.
Come se il mondo intero diventasse da un giorno all'altro un po' più pesante.
A. Baricco
 
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1276 giorni dopo
 
 
I ricordi sono fatti per ricordare ciò che sei stato, per farti ricordare come sei arrivato ad essere quello che sei. Devono essere guardati con timida nostalgia, ma non con rimpianto, altrimenti vuol dire che non hai imparato niente dai tuoi errori.
 
 
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Dopo un viaggio mentale durato sei mesi, mi trovavo ancora in quella camera, davanti a lui; colui per il quale la mia vita si stava frantumando per l'ennesima volta e per il quale avevo provato tanto amore da star male.
Riusciva sempre a farmi sentire debole e indifesa. Aveva sempre avuto il potere di far riaffiorare in me quella ragazza piena di dubbi che tentavo di nascondere nell'angolo più remoto del mio essere. Il mio cuore si era distrutto in mille pezzi per lui anni prima, ma non ero mai stata in grado di odiarlo, per quanto inizialmente lo credessi. La cosa che mi faceva più rabbia era che, nonostante fosse lui la causa del mio dolore, era anche l'unica persona in grado di guarirmi.
Tre anni prima ero fuggita, non solo da lui, ma anche da me stessa. Ripensando alla sua reazione alla scoperta del bambino, oggi sarei stata più tollerante, forse. Non aveva avuto tempo di assimilare la notizia, l'avevo lasciato, e, quando aveva cominciato ad accettare l'idea del bambino, io ero così distrutta da non vedere altro che dolore.
E per questo ero fuggita.
Le sofferenze a cui ero stata sottoposta mi avevano costretto a costruire intorno a me una corazza infrangibile; non mi ero più sentita debole o attaccabile, ma in quel momento, davanti a lui, ero di nuovo quella fragile, ma determinata ragazza di tre anni prima.
Dopo mesi di sofferenza passati sotto il piumone del mio letto, avevo detto basta. Mi ero imposta di reagire.
Avevo indossato una maschera di aggressività, credendo che, se mi fossi mostrata forte e aggressiva, nessuno avrebbe potuto più scalfirmi.
Dopo un anno dalla mia partenza stavo molto meglio.
Il pensiero di Harry mi faceva sempre male, ma non mi logorava più come prima. Col passare del tempo era nato in me di nuovo il bisogno di amare. Avevo bisogno di donare a qualcuno le mie attenzioni, ma non ero più riuscita a provare per nessuno quello che avevo provato per lui. Avevo avuto mille occasioni, mille primi appuntamenti, mai arrivati al secondo. Non avevo mai cercato un nuovo amore, ma lo aspettavo, invano.
Lui, a quanto pare, era stato molto più fortunato di me; aveva trovato una persona con cui voleva addirittura costruire tutto il suo futuro, cosa che con me non era evidentemente riuscito a fare.
Forse era vero che non eravamo fatti per stare insieme, perché se così era, nessuno dei due avrebbe più trovato una persona a cui donare amore. Eravamo due opposti che si attraevano, ma nessuno ha mai detto che due opposti possano realmente stare insieme.
Quando trovi l'amore, quello vero, gli altri amori che si possono trovare sono superflui e frivoli, nonostante la tua grande voglia di donarti a qualcun altro.
 
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«Sono felice per te».
Fu l'unica cosa che riuscii a dire, senza far trasparire l'amarezza.
Dentro di me, anche se non l'avrei mai ammesso nemmeno a me stessa, avevo sempre continuato a sperare in un futuro con Harry. Non avevo mai trovato nessuno che con un solo sguardo, o con un piccolo gesto, riuscisse a trasmettermi quello che mi trasmetteva lui. Ma in quel momento, messa di fronte a quella nuova realtà, mi ero resa conto di aver vissuto nell'illusione.
In fondo sapevo che Harry ed io non saremmo mai potuti stare insieme, ma, da sognatrice quale purtroppo ero, avevo sempre pensato che, nonostante appartenessimo a due mondi opposti, il nostro amore avrebbe abbattuto tutte le barriere. Era bello pensare che un giorno avremmo potuto superare tutte le nostre divergenze e le nostre diversità, ma razionalmente sapevo che tutto ciò era praticamente impossibile.
Sfortunatamente il mio cuore spesso la pensava diversamente.
Fui distratta dal braccio di Harry che si avvicinava a me. Improvvisamente tutti i miei muscoli si tesero quando il suo braccio mi cinse le spalle, attirandomi verso di lui.
Fu l'abbraccio più imbarazzante e doloroso della mia vita.
«Grazie, Bea. Ho sempre pensato che fossi una donna eccezionale, e avevo ragione» sussurrò vicino al mio orecchio.
Per fortuna questo momento imbarazzante fu interrotto dal suono del mio cellulare. Con una velocità fulminea, mi alzai e risposi alla chiamata senza nemmeno vedere chi fosse il destinatario.
«Pronto?».
«Tesoro! - urlò mia cugina dall'altro capo del telefono - sono nella hall, ti aspetto per la prova dell'abito da damigella!!».
«Ok, sto arrivando» risposi atona.
Dopo aver recuperato la borsa in camera e aver salutato Harry, mi precipitai fuori dalla camera. Presi aria come se stessi trattenendo il respiro da un'eternità. La vicinanza di Harry mi opprimeva, non mi faceva pensare lucidamente.
Arrivai nella hall dove mia cugina, vestita sempre in modo casual ed elegante, mi aspettava impaziente.
«Scusa, scusa, scusa» mi sussurrò, venendomi ad abbracciare.
«Ti perdonerò col tempo - scherzai, tentando di alleggerire la situazione - lo sapevi almeno che si sposerà a breve?».
«Cosa?? Niall non mi ha detto niente - disse sgomenta - ora lo uccido!».
«Elis, calma i tuoi istinti omicidi. Non fa niente, davvero. Sto bene» cercai di mentire.
«Ti conosco da quando avevamo il pannolino. Smettila di mentire. So che non vuoi parlarne e non ne parlerò, ma non raccontarmi balle e andiamo a provare il tuo fantastico vestito! Si mangerà le mani quel povero cretino».
E con una risata generale uscimmo dall'hotel.
 
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«Stai da favola!» urlò Elis una volta che fui uscita dal camerino.
In effetti stavo davvero bene. Elis era un mago in queste cose, non a caso ne aveva fatto il suo lavoro. Aveva fatto fare su misura per me un vestito lungo a sirena azzurro pastello finemente glitterato. Dovevo ammetterlo, mi stava davvero bene e valorizzava le mie forme.
Louis, lo stilista a cui si appoggiava Elis per le sue creazioni, si era innamorato delle mie linee, per questo, dopo aver provato il mio abito da damigella, che avevo adorato, fui letteralmente costretta a provare altri abiti, con la scusa di provare la vestibilità.
«Secondo me questo dovresti prenderlo» disse mia cugina, riferendosi ad un abito a tubino bordeaux, molto corto.
«Non lo so, mi sento un po' a disagio» provai a replicare.
«Ma cara, ti sei guardata in giro - s'intromise Louis- hai visto come vanno vestite oggi le ragazzette? Tu, con questo vestito sembri una dea».
Louis era inconfondibilmente dell'altra sponda, ed era la persona più simpatica che avessi mai conosciuto, per questo non stentavo a credere che fosse uno dei migliori amici di mia cugina. Sarebbero state anime gemelle, se solo non avessero avuto gli stessi gusti in fatto di uomini.
Dopo aver cercato per diversi minuti una scusa plausibile per non comprarmi il vestito, dovetti cedere al volere di quelle due arpie.
«La settimana prossima, la sera dell'addio al nubilato, ti voglio vedere con addosso quel vestito, mia cara» m'incoraggiò Louis.
«Sarà fatto» dissi ridacchiando.
Uscite dal negozio sentii il mio stomaco brontolare.
«Quanto tempo siamo state dentro?» chiesi stranita ad Elis.
«Diciamo che siamo in ritardo per il pranzo che ci ha prenotato Niall - ridacchiò mia cugina - ah, dimenticavo. Al pranzo c'è anche Harry».
«Non vedevo proprio l'ora di un pranzetto a quattro» dissi fulminandola con lo sguardo.
 
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Arrivammo poco dopo in un piccolo ristorante nei pressi dell'albergo, e quando entrammo vidi subito i due uomini che ci attendevano.
Niall era proprio di fronte a noi vestito elegantemente in giacca e cravatta, mentre Harry, che ci dava le spalle, indossava una camicia di lino bianca, sicuramente sbottonata sul davanti. Quando Niall alzò gli occhi verso di noi, il suo ammaliante sorriso comparve sul suo volto.
Si alzò di scatto e, solo dopo aver salutato la sua futura sposa, venne ad abbracciarmi, facendomi volteggiare per la sala.
«Cugina! Come stai?? - urlò Niall, baciandomi la guancia - sei fatta troppo magra. Sarei riuscito ad alzarti con un dito!».
«Smettila di dire stupidaggini! - dissi schiaffeggiandogli il braccio muscoloso - agitato per l'imminente evento?».
«Che evento? - scherzò, mentre Elis lo schiaffeggiò - scherzo, amore» disse rivolto verso Elis, la quale le scroccò un altro sonoro bacio.
«Bene - esordì Elis - ho una fame da lupi. Sediamoci».
Arrivati al tavolo l'odore di Harry m'investì, causando un fremito che mi attraversò tutto il corpo.
«Ciao - mi disse - non sapevo che ci fossi anche tu» terminò col suo odioso sorrisetto.
«Già, nemmeno io ne ero a conoscenza».
Detto ciò, presi posto tra mia cugina e Harry. L'imbarazzo era innegabile da parte mia; quanto ad Harry, se era nervoso, non lo dava a vedere minimamente. Avevo imparato a decifrare i suoi comportamenti, ma stavolta non riuscivo a capire se la sua fosse solo una maschera oppure era davvero così tranquillo come voleva far credere.
Le prime due portate furono abbastanza tranquille, perché Elis era impegnata in uno dei suoi monologhi riguardante il matrimonio. Forse per la prima volta ero felice di avere una migliore amica logorroica, almeno mi evitava certi imbarazzi.
«Ah tesoro, lo sapevi che il tuo migliore amico si sposa?».
E fu così che mia cugina rovinò l'atmosfera del pranzo.
Sentii il mio corpo irrigidirsi a quella domanda. Accanto a me, Harry rimase immobile; se non fossi stata certa della sua sfacciataggine in molte occasioni, avrei giurato che fosse arrossito. Ma era impossibile.
«Veramente si, amore» rispose Niall, con addosso un sorriso di circostanza.
«E perché non ne ero a conoscenza?» disse Elis furiosa.
«Perché è una notizia fresca e volevo essere io a dirtelo» s'intromise Harry, per salvare Niall da un'imminente lite con la sua futura sposa.
«Beh, potevi dirmelo prima di metterti nella stessa stanza con Bea».
«Non ne vedo il motivo. Se Bea non si crea alcun problema ad avermi nella sua stessa camera, perché devi creare problemi? E poi Charlotte arriverà il giorno del matrimonio, non si vedranno nemmeno, se è questo il tuo problema».
«Questa verrà al matrimonio?» urlò Elis, alzandosi dalla sedia rumorosamente.
Era davvero furiosa.
E lo ero anche io, solo che ero costretta a reprimere la mia reazione, ma dentro di me avevo reagito esattamente come lei.
«Elis, ti prego...» cercò di dire Niall, ma fu prontamente interrotto dai due pazzi che mi stavano accanto.
Iniziò una discussione abbastanza accesa, dove accuse e insulti gratuiti non mancarono. Io ero in mezzo a questa faida, senza poter fare niente.
L'unica cosa che volevo fare era piangere.
Ogni momento che passavo vicino a lui mi faceva rendere conto che il mio affetto per lui non sarebbe mai diminuito. Non era più amore, ma era un mio rimpianto. Nonostante gli errori che entrambi avevamo fatto, ero consapevole che ero stata io a farmelo scappare. Mi erano successe cose terribili nel mio passato e non ero riuscita a reagire nel modo giusto. Anche prima di Harry avevo subito dei torti, ma non ero riuscita ad imparare niente da essi e per questo mi sono resa conto troppo tardi che le mie reazioni erano state esagerate, per quanto male potessero fare. Era stata la mia storia con lui a farmi capire qual era il modo giusto di reagire, di comportarmi.
Avevo capito che non è il dolore in sé a cambiarti, ma piuttosto è il modo in cui reagisci al dolore a farti cambiare.
«La storiella che ho avuto con tua cugina è finita. Perché non te ne fai una ragione! Entrambi siamo andati avanti, e io sto per sposarmi con la donna che AMO. È finita per sempre tra di noi!».
Anche se non avesse urlato, l'avrei comunque sentito forte e chiaro. Così come sentii il mio cuore andare ulteriormente in pezzi. E ora, vedendo il modo in cui difendeva la sua amata, avevo davvero capito di averlo perso.
Ed eccola la goccia che fece traboccare il vaso.
In mezzo al silenzio che era calato attorno alla nostra tavolata, mi alzai senza fare ulteriore rumore. Rivolsi un sorriso di circostanza ai presenti e uno di comprensione e gratitudine verso mia cugina, e mi congedai.
«Scusate, ma ho delle commissioni da sbrigare. Ci sentiamo stasera Elis».
E prima che potessi mettermi a piangere, me ne andai.
 
 
ANGOLO DLL'AUTRICE
 
 
Buongiorno tesori, e buon pomeriggio.
 
Questo è il primo capitolo del 'ritorno al presente'. Ho deciso di pubblicare oggi perché dalla prossima settimana cambierò il giorno di pubblicazione, che passerà al mercoledì.
 
 
Spero anche che i commenti aumentino perché penso che la cosa più gratificante per una 'scrittrice' è sapere quello che la gente pensa di ciò che scrive. Quindi nel mio piccolo anche io vorrei sapere cosa pensate.
 
Ricordo di mettere 'mi piace' alla pagina Facebook della storia: https://www.facebook.com/barbsstories
 
Vorrei sapere da che parte dell'Italia, o del mondo venite. Io sono siciliana, ma da 5 anni mi sono trasferita al nord per l'università, ora sto a Milano.
 
Voi da dove venite?
 
 
Alla prossima,
 
BARB
 

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Capitolo 29
*** Fiume in piena ***


"Il vero è nei discorsi da ubriachi e quando parli con lacrime agli occhi"
 
 
 
- Brokenspeakers
 
 
Ogni luogo della città che conoscevo mi faceva ricordare lui, la sua presenza e quello che aveva significato per me. Quindi mi diressi in una zona di New York dove non ero mai stata prima.
Camminai forse per due ore prima di fermarmi in un comune bar, senza neanche fare caso da che tipo di persone potesse essere frequentato.
«Un gin senza ghiaccio» dissi al barista.
«Subito, dolcezza».
Alzai lo sguardo verso di lui e scoprii che, nonostante il tono viscido che aveva usato, il barista non aveva le sembianze di uno stupratore pronto a catturare la sua prenda. Era un ragazzetto di circa vent'anni che voleva solamente sembrare più figo, ma non aveva capito che usando quel tono le faceva scappare. O almeno avrebbe fatto scappare me, se fossi stata più lucida.
Dopo avermi servito il drink, nessuno mi rivolse più la parola; anche perché il mio sguardo era rivolto solamente alla mia mano che muoveva in modo circolare il bicchiere.
Decisi di prendere il mio adorato taccuino dalla borsa e iniziai a scrivere.
Non avrei mai pensato di scrivere di nuovo di Harry, non apertamente almeno. Mi capitava spesso di andare a rileggere quello che scrivevo, per rispolverare il passato. Mi accorgevo che inconsapevolmente, in ogni pagina, scrivevo qualcosa che velatamente riguardava anche lui. Anche quando scrivevo delle mie uscite con altri ragazzi li paragonavo a lui, nel fisico, nel modo di vestirsi e di atteggiarsi.
A tutti mancava quel qualcosa che mi faceva dire: ok, forse ne vale la pena.
Dopo svariati bicchieri di gin e un'indefinita quantità di tempo, non riuscivo più nemmeno a elaborare una frase di senso compiuto. Questo era il segnale che mi costringeva a raccogliere le mie cose e andarmene a dormire, sempre se avessi ritrovato la strada del ritorno.
Non ero un tipo che era solito ubriacarsi, anzi, ero esattamente il contrario!
Non mi piacevano per niente le persone che per scappare dai loro problemi si rifugiavano nell'alcool. La mia visione era però cambiata da quando mi ero lasciata con Harry. Il primo anno dalla separazione, passato un periodo di clausura, ero una persona irriconoscibile che beveva, fumava e andava in discoteca ogni sera; ero diventata esattamente il mio opposto, quello che non sarei mai voluta diventare.
Dopo tempo però, il dolore era diventato sopportabile, tanto da permettermi di guardarmi attorno e vedere che la persona che ero diventata, mi faceva ribrezzo. Mi ero accorta che stavo facendo del male solo a me stessa, e così avevo ricominciato a tornare me stessa, una fenice in rinascita.
Mi misi a cercare in borsa il mio cellulare, ma non riuscivo proprio a trovarlo.
Poi ricordai.
L'avevo uscito dalla borsa al ristorante. Sicuramente per la fretta di scappare da quell'inferno l'avevo lasciato sul tavolo. Ero ubriaca, ma non così tanto da essere così tanto incosciente da tornare in hotel a piedi.
«Scusi - dissi cercando di attirare l'attenzione del giovane barista - potrebbe per favore chiamarmi un taxi? Ho perso il mio cellulare».
«Certo, tesoro» mi rispose, facendomi anche l'occhiolino.
«Ragazzino - lo chiamai, cercando di attirare la sua attenzione - ti do un consiglio. Non rivolgerti così ad una ragazza se ci vuoi provare. Non è il modo giusto. Per attirare l'attenzione di una donna non serve affibbiarle dei nomignoli stupidi e viscidi. È un consiglio».
Lui mi guardò come se avesse appena scoperto che davanti a lui era comparso un alieno. Non potei evitare di ridacchiare alla sua espressione e lui, accortosi di ciò, si mise a ridere e mi rispose: «Grazie del consiglio, lo seguirò. Il taxi arriva tra due minuti, comunque».
«Grazie mille, ragazzo» e lo salutai con un cenno della mano, mentre mi avviavo verso l'uscita.
«Zayn - urlò - mi chiamo Zayn».
«Allora grazie mille, Zayn».
 
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Rientrai in hotel poco dopo. La sbornia non mi era completamente passata, ma mi sentivo molto meglio, e la situazione sarebbe sicuramente migliorata dopo un bel bagno rilassante.
Non appena aprii la porta della suite, però, trovai Harry seduto sul divano che parlava concitatamente al telefono.
«È tornata, cazzo! Si Elis, tranquilla. Buonanotte».
Si alzò velocemente dal divano e mi venne incontro con aria furente. Mi prese con forza per le spalle e mi fissò per qualche secondo inspirando profondamente, come faceva quando doveva mantenere la calma.
«Mi vuoi spiegare dove cazzo sei stata? - mi urlò contro - e puzzi anche di alcol! Da quanto sei un'alcolizzata?».
I suoi occhi verdi mi guardarono con così tanto schifo che mi sentii ferita. Forse aiutata dall'alcol, forse perché tutto quello che avevo saputo e sentito in quella giornata era stato troppo, finalmente scoppiai.
«Alcolizzata? - urlai spingendolo lontano da me - ma tu che cosa ne sai di me? Solo perché abbiamo avuto una STORIELLA non vuol dire che ti devi comportare come se fossi mio padre! E poi, che cazzo te ne fotte dove sono stata? Chi ti da il diritto di sapere quello che faccio o non faccio. Hai chiarito abbastanza bene quanto poco ti sia importato di me e ora ti metti a fare la paternale? Sai una cosa? Vaffanculo, Harry».
Finalmente mi ero sfogata, non totalmente, ma era sufficiente per il momento.
Andai verso la mia stanza, ma Harry mi afferrò per la borsa, versando il contenuto per terra.
«Oh perfetto!» imprecai, chinandomi a raccogliere i miei effetti personali.
Lui mi imitò e prese tra le mani il mio taccuino.
No!
«Dammi!» urlai, afferrando con forza il taccuino dalle sue mani.
«Scusa, cercavo solo di aiutare. È solo un'agenda, non volevo infettarla» disse alzando le mani in segno di resa.
«Non è solo un'agenda per me».
Il discorso per me era chiuso.
«Bea - sussurrò, facendomi bloccare controvoglia sulla soglia della porta - non volevo dire quelle cose oggi, ma Elis mi ha davvero innervosito».
«Non fa niente - dissi abbassando lo sguardo - è giusto dire quello che si pensa».
«Ma non pensavo quelle cose» disse avvicinandosi a me, fino a sfiorarmi il braccio con la sua grande mano.
«Quali cose non pensavi di preciso? Così tanto per capire».
«Sei stata molto più di una storiella per me. Sei stata la prima persona che ho amato veramente nella mia vita, ma più importante, sei stata la persona che mi ha insegnato ad amare me stesso. Tu hai sempre creduto in me, tanto da farmi credere che potessi davvero fare qualcosa di utile nella mia vita. Se non fosse per te non sarei qui oggi, non sarei diventato un importante architetto e».
«E non ti staresti per sposare - lo interruppi - Sai, forse sarebbe stato meglio che non fossi qui».
«Perché dici questo?».
Mi rivolse uno sguardo ferito, ma purtroppo non riuscivo più ad avere filtri, e poco influiva l'alcol.
«Perché se non fossi qui non ti avrei rivisto. Non avrei visto quanto tu sia felice senza di me, quanto tu ti sia realizzato nella tua vita. E non fraintendermi. Sono felice che tu ti sia realizzato, ma mi distrugge sapere che non c'ero nel momento in cui è accaduto».
Dovetti fermarmi, a causa delle prime lacrime che iniziarono a scendere dai miei occhi.
«Ma anche tu ti sei realizzata. Sei diventata una scrittrice, sei tutto quello che volevi essere».
«Non volevo essere tutto questo senza di te. E l'ho capito troppo tardi - sussurrai, non riuscendo ormai a trattenere le lacrime - e mi ferisce il fatto che non ti manco, che non ti fa male vedermi realizzata e non aver potuto gioire con me di questo».
«Non capisco. Sei stata tu a lasciarmi, tu a non rispondere alle mie chiamate, che sono durate mesi. Sei stata tu a non cercarmi per tre anni! Avevo il diritto di ricominciare e farmi una vita».
Ora era arrabbiato, lo sapevo. E aveva ragione ad esserlo, perché il mio discorso non aveva senso, ne ero consapevole. Ma come facevo a spiegargli che quando mi ero resa conto dell'errore che avevo fatto ero stata troppo codarda per tornare indietro?
Con le mani che torturavano i suoi meravigliosi capelli color miele, si sedette sul divano, in silenzio.
Lo stavo destabilizzando, ne ero consapevole. Ma ormai ero partita e dovevo liberarmi dei miei scheletri.
«Col passare dei mesi avevo capito che avevo esagerato. Avevo riversato tutto il mio dolore su di te, quando non avevi colpe per la perdita del bambino. Sono stata codarda. Non ho trovato il coraggio di chiamarti e poi, sono passati anni e mi sono rassegnata. Mi sono autoconvinta che non potevamo stare insieme, perché eravamo troppo diversi. Tutte le mie sicurezze e convinzioni sono cadute quando ti ho rivisto. Ho capito all'istante che per me non era cambiato niente, che per te avrei sempre provato qualcosa che andava aldilà dell'attrazione o dell'affetto. Quando ci guardiamo negli occhi, sento ancora quel calore familiare che si irradia dentro di me, che mi riempie l'anima. Volevo dimenticarlo, e credevo di esserci riuscita, fino a quando i miei occhi non hanno di nuovo incontrato i tuoi. Ho scritto quel libro pensando a te e ho chiesto ad Elis di trovare una casa editrice qui perché in fondo al mio cuore volevo che lo leggessi e che capissi che ti avevo perdonato».
Alzai lo sguardo verso di lui, e lo trovai nella stessa posizione di quando avevo iniziato a parlare. Non sapevo cos'altro dire, non sapevo fino a che punto potessi spingermi.
«E che non ho mai smesso di amarti».
Fu questa frase che lo fece trasalire.
Alzò istantaneamente lo sguardo verso di me e mi fissò dritto negli occhi. Il suo sguardo era freddo, e riuscivo a percepire il suo respiro accelerato.
«E me lo dici dopo tre anni? - finalmente era scoppiato anche lui - me lo dici ora che sto per sposarmi? Io sono felice ora. Per un anno della mia vita sono stato un uomo distrutto, che non riusciva a fare un passo senza sentirsi in colpa, senza pensare a te. Poi ho incontrato Charlotte, che pazientemente si è insinuata nella mia vita, prima come amica, poi come qualcos'altro. Ha dovuto passare anche lei l'inferno, e solo per essersi innamorata di uno che amava follemente un'altra. Ma alla fine ce l'ha fatta. Ha lottato e ha vinto. E tu ora mi vieni a dire che mi ami?».
Ora girava per la stanza senza una meta, con le mani strette in un pugno. Evitava deliberatamente di guardarmi, lo capivo.
«Mi dispiace tanto - dissi piangendo - scusami, ma dovevo dirtelo prima che fosse tardi».
«È già tardi!» mi urlò contro.
Eravamo talmente sfiniti che alla fine ci ritrovammo seduti ai due poli opposti del divano. Io che non riuscivo a smettere di piangere, lui invece era contrito e inerme.
Il suo sguardo quando avevo detto che ero ancora innamorata di lui mi aveva fatto soffrire, inizialmente, perché era pieno di rancore e sofferenza. Avendo però il tempo di pensarci, visto il lungo silenzio che stavamo attraversando, ero certa che provasse ancora qualcosa per me. Poteva amare lei, anzi, certamente l'amava, ma quello che c'era tra noi non era finito.
Il nostro rapporto andava oltre l'amore, oltre il bisogno; era come un filo indissolubile, che non riusciva a spezzarsi per quanto entrambi lo avessimo desiderato ardentemente.
Avevo bisogno di lui e avevo bisogno di sentirlo vicino, di sapere che non mi odiava.
«Mi posso mettere vicino a te?» dissi, mentre il mio cuore batteva all'impazzata.
«Certo» mi disse espirando rumorosamente.
Poi, anche se flebile, gli comparve in volto il sorriso che tanto avevo amato in passato, e che non avevo mai smesso di amare.
Andai verso lui come un cucciolo in cerca d'affetto, un affetto familiare, confortevole; mi coricai accanto a lui, nella nostra solita posizione, così familiare, ma anche tanto strana. Era come se non fosse cambiato niente, ma in realtà era cambiato tutto.
Mi toccava i capelli, come aveva sempre fatto, amava farlo e sapeva che era l'unica cosa che potesse calmarmi. Il silenzio ormai regnava all'interno della stanza.
«Mi potrei addormentare in questo momento» disse, rompendo il silenzio.
«Allora è vero che ti faccio annoiare, è questo il problema» risi, fingendo di scherzare, ma in realtà lo pensavo realmente.
Certe volte, quando stavamo insieme pensavo che, essendo così lontana dal suo modo di vivere, lo annoiassi tutto il tempo. Era stato sempre un mio problema, di cui lui però non era a conoscenza. Non era un problema così grande da creare discussioni.
«No, Bea. Non mi sono mai annoiato con te; quando sono con te mi rilasso».
Volevo davvero smettere di piangere, ma poi lui diceva qualcosa, qualsiasi cosa, e ricominciavo. Mi sentivo davvero patetica. Dentro di me stava avvenendo una guerra: una parte di me mi diceva di rassegnarmi, perché ormai l'avevo certamente perso; l'altra, invece, m'incitava a non arrendermi, perché leggevo nel suo sguardo qualcosa di strano. Nelle sue espressioni leggevo tormento, indecisione; mi guardava nello stesso identico modo di tre anni prima, come se tra noi non fosse cambiato niente.
Quando il suo sguardo raggiunse il mio, la mia bocca si aprì senza pensare.
«Vorrei un ultimo bacio, un bacio d'addio» dissi spudorata.
«Lo sai che non posso».
Iniziò a coccolarmi, a fare i gesti che faceva quando ci amavamo: mi diede un bacio sul naso, eravamo vicini, fin troppo per resistergli. Restammo così per molto tempo, a guardarci e ammirarci con intensità mai provata prima.
Iniziai a dargli piccoli baci sul mento e lui, con mia grande sorpresa, ricambiava ogni bacio dandomene uno sul naso. Poi smise e tornò a fissarmi, ma stavolta la nostra lontananza si era notevolmente ridotta, tanto da poter sentire il suo respiro caldo e profumato sul mio viso.
Come se si fosse improvvisamente risvegliato da un sogno, Harry, accortosi della pericolosa vicinanza, si scostò.
«Non preoccuparti - dissi - non ti bacerei mai contro il tuo volere. Lo farò solo quando me lo chiederai».
Immobili, restammo immobili per qualche minuto, minuti che per me furono infiniti. Poi lo sentii, era il suo cuore, che batteva così forte da poterlo udire. Anche il mio batteva, ma io sapevo cosa provavo, era normale che battesse. Ma il suo? Perché batteva così forte, se lei era così importante, perché provava una così forte emozione?
Continuavo però a stare ferma, non potevo baciarlo, ma il mio respiro si faceva sempre più forte e ansioso; e il suo con il mio. Il mio cuore era perfettamente sopra il suo, il mio cuore era il suo, era totalmente suo. Respiravo con lui, ansimavo con lui. Non avrei resistito ancora molto, anzi, non resistevo più.
Avvicinai lentamente le mie labbra alle sue, come se fossero di porcellana, e finalmente le toccai, erano fredde, gelide e impassibili.
Fu per questo che mi allontanai.
«Perché l'hai fatto?» mi chiese con gli occhi sbarrati.
«Scusa».
Fu l'unica parole che riuscii a dire.
«Io non devo farlo, cazzo; io non posso farlo. Non rovinare tutto, ti prego».
«Ma vuoi - esclamai sicura - so che lo vuoi perché se non avessi sentito battere il tuo cuore forte, come il mio, non l'avrei mai fatto. Te lo giuro. Ad ogni modo, scusami».
Chinai subito il capo, ma lui lo rialzò subito prendendomi per il mento.
Fu lui stavolta a fare il primo passo.
Iniziò a baciarmi, ma non era più freddo. Era il mio amore, era lui, era tornato e mi desiderava come mai prima d'ora.
Passione, era questo il sentimento che ci sovrastò; non controllai più il mio istinto. Ormai lui era mio, almeno per quella notte.
Mi posizionai a cavalcioni su di lui, con naturalezza, perché con lui riuscivo ad essere me stessa, sapevo cosa fare, come comportarmi. A differenza delle altre volte, però, provai qualcosa di nuovo. Un vortice di nuove emozioni m'invase: forse tutto ciò era dovuto alla consapevolezza che sarebbe stata l'ultima volta, o forse avevo realmente capito quanto entrambi dipendessimo l'uno dall'altro, quanto ci appartenessimo. Mi sentivo viva.
«Questo resterà sempre il nostro segreto, capito?? Solo nostro» mi disse, spiazzandomi.
«Ok».
Non mi interessava, avrei fatto per la prima volta nella mia vita quello che mi sentivo, anche se andava contro ogni regola e morale. Forse, se fossi stata completamente lucida, quelle parole mi avrebbero fatto scappare a gambe levate; ma l'alcol, per una volta, mi stava aiutando a lasciarmi andare, a fare qualcosa che bramavo da anni.
Harry mi strinse a sé ed invertì le posizioni; ora era sopra di me, in tutta la sua bellezza, tra le mie gambe, e mi baciava, insinuando la sua fresca lingua nella mia bocca. Mi sfilò con estrema facilità il vestito e staccò il gancetto del reggiseno. Iniziò a baciarmi il collo, e poi i seni, venerandomi con un mix di passione e dolcezza.
Facemmo l'amore come mai prima d'allora, perché quello era un addio; il più bell'addio che potessi desiderare.
E per la prima volta dopo tre anni, mi addormentai serena.
 

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Capitolo 30
*** Can't Take My Eyes Off Of You ***


Come si fa a scappare da qualcosa che ti porti dentro?
 
 
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La notifica di un messaggio interruppe il mio sonno. Non mi sentivo così riposata e in pace con me stessa da moltissimo tempo, così tanto che non mi ricordavo nemmeno l’ultima volta che mi ero svegliata col sorriso. Spostai lo sguardo alla mia destra e lo vidi. Fissai con amore il motivo di quella mia ritrovata felicità. 
Harry era ancora accanto a me, addormentato. La trapunta gli copriva il fisico perfettamente scolpito, lasciando però a vedere parte del suo tatuaggio sulle coste, il nostro tatuaggio. Speravo che non se lo fosse cancellato o coperto, e così era. All’inizio avevo pensato di coprire il mio, perché faceva troppo male svegliarsi ogni mattina e avere un segno indelebile addosso che mi ricordasse cosa avevo perso, ma non avevo mai avuto il coraggio di toccarlo. Significava troppo per me. Per questo motivo ogni anno che passava andavo da un tatuatore e mi facevo disegnare sopra una piccola rondine, in segno degli anni che passavo senza di lui. Quell’abitudine però doveva finire presto, altrimenti mi sarei ritrovata il corpo ricoperto di rondini, e la cosa non era molto elegante.
Passai delicatamente la mano sul suo tatuaggio, facendo attenzione a non svegliarlo. Ma fui interrotta da un’ulteriore notifica del suo cellulare. Mi protesi verso il comodino e presi il suo cellulare. 
Non potei fare a meno di leggere l’ultimo messaggio che appariva sul display. Il nome del destinatario era ‘Honey' accompagnato da uno stupido cuore. Poteva appartenere solo ad una persona. 
 
“Buongiorno amore. Mi sono liberata dagli impegni prima del previsto. Tra qualche ora sono lì da te. Non vedo l’ora di vederti. Ti amo”
 
 
«Che stai facendo?».
Mi girai verso Harry e lo vidi con gli occhi a malapena aperti che mi guardava curiosamente divertito. 
Mi alzai dal letto tempestivamente, presa da una consapevolezza che faceva davvero male. Lei stava arrivando in una stanza che profumava di sesso e amore, il nostro amore. 
Dovevo andarmene da lì all’istante. 
Per la prima volta nella vita mi sentii in colpa con lui e con me stessa. 
Ero andata contro i miei più saldi principi. Ero andata a letto con un uomo impegnato, nonostante avessi la scusante che prima di essere impegnato con lei era mio, mi sentii comunque uno schifo.
«Lei sta arrivando – dissi atona – me ne devo andare».
Iniziai a raccogliere da terra i miei indumenti come una ladra che stava per essere smascherata, e mi diressi verso la porta.
«Chi sta arrivando, Bea?» esordì lui confuso.
«La tua fidanzata. Ti è arrivato un messaggio e l’ho inconsapevolmente letto, per fortuna».
«Doveva arrivare tra dieci giorni».
«Si è liberata dagli impegni. Scusami per tutto» e dicendo ciò uscii velocemente dalla sua camera senza guardarmi indietro, mentre lacrime di vergogna solcavano il mio viso.
Arrivai nella mia camera, chiudendomi a chiave. Volevo tenere il più possibile le distanze dalla stanza di fronte alla mia, e da Harry. Mi rannicchiai nel mio letto, come una bambina, e iniziai a guardare la stanza, fredda e atona, che mi circondava. 
Avevo fatto un errore, di nuovo. 
Mi ero fatta trasportare dal sentimento che ci aveva legato in passato, ma, razionalmente, come potevo essere sicura che tra noi avrebbe funzionato ora? Eravamo cambiati entrambi, e non potevo essere certa che questi cambiamenti ci avrebbero fatto avvicinare. Con il mio gesto sconsiderato avrei potuto compromettere un rapporto solido, prossimo al matrimonio, senza avere la sicurezza che tra noi potesse realmente funzionare.
Per questo mi sarei tenuta a debita distanza da lui, per quanto le circostanze lo rendessero possibile.
Decisi di alzarmi dal letto e godermi questo breve soggiorno a New York. Avevo sempre amato questa città e, non potendomi permettere di soffrire nuovamente per amore, decisi di reagire.
Mi misi il costume che avevo comprato per l’occasione e preparai la borsa per andare nella piscina dell’hotel. Avevo proprio bisogno di un bagno rilassante.
Scesi all’ultimo piano ed entrai nella S.P.A. 
Era stupenda. Il pavimento e il muro erano ricoperti da mattonelle a mosaico azzurre, che si continuavano con il fondale delle piscine. Sembrava proprio di essere immerse nell’oceano. Solo entrare in quel posto aveva rilassato i miei nervi. 
Andai verso la piscina idromassaggio e mi immersi nell’acqua calda, lasciandomi sfuggire un sospiro di sollievo. 
La notte precedente mi aveva abbastanza indolenzito. Nonostante nei tre anni precedenti avevo avuto qualche storiella passeggera, soprattutto nel primo anno, nessuno poteva essere messo a confronto con Harry. Avevamo una chimica che mai con nessuno ero riuscita a raggiungere.
Quando stavo con lui non me n’ero mai resa conto, perché infondo non avevo un reale termine di paragone. 
Ma quelli dopo di lui erano stati un vero e proprio disastro. Quando stavo con loro mi sentivo come un automa, una bambola da riempire senza alcun sentimento. Non erano loro il problema, però; molti di loro volevano anche intraprendere una relazione seria con me, ma il problema ero io. 
Non mi trasmettevano niente.
Appoggia il capo sul bordo della piscina e mi lasciai cullare dal getto dell’idromassaggio.
«Oddio! Ma questa piscina è spettacolare!» disse una voce femminile, alquanto squillante, dietro di me.
«Abbassa la voce Charlie – sussurrò qualcuno accanto a lei – le persone qui vogliono il silenzio».
«Ti sei svegliato col piede sbagliato stamattina, Harold? – continuò la donna squillante – nemmeno sembri contento che mi sia liberata prima dal lavoro. Ho dovuto annullare un servizio fotografico molto importante!» concluse infastidita.
Harold? No, non è possibile! Proprio ora doveva venire qui?
Alzai lo sguardo nella direzione delle uniche due voci che si percepivano nella stanza, ed eccoli lì. Ora capivo perché si era innamorato di lei. Era la ragazza più bella che avessi mai visto, non stentavo a capire il motivo per cui avesse ceduto. Era una ragazza bionda, con occhi azzurri che facevano invidia al colore dell’oceano; il fisico slanciato e perfetto. Non era magrissima, ma aveva le curve al posto giusto e un seno capiente. Insomma era perfetta, soprattutto in confronto a me.
Lui, forse percependo di essere osservato, abbassò lo sguardo verso la piscina, e mi vide. 
Mi guardava fisso negli occhi, in modo totalmente diverso rispetto alla sera prima. Non c’era più traccia di rancore o rabbia nel suo sguardo, ma aleggiava una qualche sensazione intensa, che non riuscivo a identificare.
La solita elettricità che imperava tra noi mi colpì in pieno. 
Anche solo uno sguardo tra di noi scatenava una guerra dentro di me. Il corpo iniziava a riscaldarsi, partendo dai piedi, fino alla testa. Il cuore accelerava, le guance si colorivano di un rosa intenso e gli occhi diventavano lucidi, non di tristezza, bensì di emozione.
«Ciao» disse rivolgendosi a me.
«Ciao a te» risposi con un filo di voce.
Lui si voltò istintivamente verso la sua fidanzata, che aveva osservato la scena. In quel momento decisi di fare la cosa giusta.
«Piacere – dissi, porgendole la mano – sono Beatrice, la cugina della sposa».
«Oh – esclamò entusiasta – ho sentito molto parlare di te. È un piacere conoscerti».
Non sapevo in che termini avesse sentito parlare di me, ma dall’entusiasmo del suo saluto ero quasi certa che non fosse a conoscenza dei miei trascorsi col suo attuale fidanzato.
Harry osservò la scena silenziosamente, mentre io gli rivolsi un sorriso comprensivo. Era giusto lasciarci il passato alle spalle, compresa la notte precedente.
Dopo essersi cambiati, i due fidanzati entrarono in piscina e Charlotte si diresse verso di me, a quanto pare voleva fare amicizia con un’amica d’infanzia del suo fidanzato. Cosa che non mi andava propriamente a genio, visto la mia volontà di mantenere la distanza. 
Mentre stavano per raggiungermi non potei non notare un nuovo tatuaggio sul corpo di Harry. Orizzontalmente nel fianco si era tatuato un’altra frase, che una volta avvicinatosi, compresi. 
Recitava “Can’t take my eyes off of you”
Non potei non infastidirmi. 
Quella era la frase, nonché il titolo, di una canzone che aveva fatto da sottofondo alla nostra storia.
Vederla su di lui, sicuramente rivolta ad un’altra persona, mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Per me il tatuaggio che avevamo fatto insieme era il simbolo del nostro amore eterno e vedere che per lui era solo una scritta in più nel suo corpo, mi fece male. Pensavo che il nostro tatuaggio fosse un’esclusiva, una cosa che non si fa con tutte le fidanzate che si hanno. 
Ma evidentemente lei mi aveva superato, lei era diventata più importante di me. In effetti aveva senso. Era prossimo a sposarla, quindi di cosa mi stupivo?
Quando alzai lo sguardo corrucciato verso di lui, vidi la sua espressione cambiare. Ancora una volta non capii se il suo sguardo fosse dispiaciuto o dubbioso. Ormai non lo capivo proprio più. Ci eravamo persi.
Mi congedai inventando una scusa banale e uscii dalla piscina.
Dovevo veramente trovare un posto tranquillo e lontano da Harry in quella città. Ne avevo proprio bisogno.
 
 
 
ANGOLO DELL'AUTRICE:
 
Salve a tutti <3
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, cosa ne pensate dell'arrivo della fantomatica fidanzata?
 
Aspetto con ansia le vostre risposte!
 
Intanto se vi va passate dalla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/barbsstories
 
 
All The Love,
 
BARB <3

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Capitolo 31
*** Incontri (S)Piacevoli ***


Ma tu, di tutti i nostri momenti, cosa ne hai fatto? No perché sai, io me li sogno, li scrivo, li vedo quando la gente pensa che io stia fissando il vuoto, li sento in ogni canzone, sai, me li porto ovunque.
 
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Dopo essere andata in camera, mi vestii e decisi di uscire a fare shopping. 
In realtà non era il mio hobby preferito, ma avevo bisogno di comprarmi qualcosa che mi facesse sentire carina, all'altezza di Charlotte, o almeno ci volevo provare. Non volevo essere migliore di lei, ma volevo sentirmi il meno possibile inferiore a lei, almeno nella bellezza, perché per quello che avevo percepito, oltre ad essere bella esteriormente, lo era anche interiormente.
Uscii di fretta e furia dall'hotel, quasi come se qualcuno mi stesse seguendo e, senza pensare, mi diressi verso Broadway. Mi dilungai per la strada lasciandomi catturare dalle molteplici vetrine che trovavo lungo il mio cammino. Arrivai a Time Square, fino ad arrivare ai teatri. Adoravo gli spettacoli di Broadway, ed era tantissimo che non andavo a vederne uno. Sarebbe sicuramente stata una mia prossima tappa. Dopotutto avevo tanto tempo da impiegare, avevo ancora dieci giorni da godermi in tranquilla solitudine.
Quando stavo per entrare in un negozio, che all'apparenza sembrava centrare pienamente i miei gusti, mi sentii toccare un braccio e, pensando fosse un disturbatore qualunque, mi girai con sguardo truce.
«Scusami, sei Bea?».
Mi ritrovai di fronte, o per meglio dire ai piedi, una bambina bionda non più grande dei dieci anni. Mi chiesi come facesse a conoscermi, visto che i miei soggiorni a New York non erano durati tantissimo. Poi la guardai negli occhi e la riconobbi. Era molto più alta in confronto all'ultima volta che l'avevo vista, e la sua voce non era più squillante e da bambina.
«Sei Lea?» le chiesi con occhi sbarrati.
Era la sorella di Harry, o almeno la sua copia femminile, ma bionda.
«Si» disse ad alta voce, mentre le cresceva un enorme sorriso in volto.
«Scusa se non ti ho riconosciuto subito, ma sei talmente tanto cresciuta quanti anni hai ora?» le chiesi, guardandola adorante. 
«Quasi nove ormai» rispose fiera di se.
Durante la mia storia con Harry mi era capitato tante volte di passare il mio tempo a giocare con lei, e l'adoravo.
Restammo per qualche secondo a fissarci, senza dire una parola. Era una sorpresa ritrovarsi dopo tutti questi anni. In più non sapevo come comportarmi con lei, visto che non sapevo come aveva reagito alla mia scomparsa. Fu lei, però a fare il primo passo. Si protese verso di me e mi abbracciò fortissimo.
«Mi sei mancata tantissimo» mi disse con voce tremante.
«Anche tu, tesoro» le risposi, passandole affettuosamente la mano su e giù per la schiena.
 
«Lea, che fai?» disse una voce dietro di me.
«Guarda chi ho incontrato, mamma!» urlò la ragazzina, dirigendosi verso sua mamma.
Mi voltai e vidi Helen, che a differenza della figlia non era cambiata di una virgola, a parte forse essersi tagliata di poco i suoi capelli biondo rame.
«O mio Dio! – esclamò platealmente – sei davvero tu o sto avendo una visione?!».
«Ahahah, mi sa che sono davvero io» dissi ridendo.
Lei senza avvertirmi mi corse incontro e mi intrappolò in un vero e proprio abbraccio stritolante. Io ricambiai il gesto, felice di quella reazione. Avevo sempre temuto che, il modo in cui me n'ero andata, avesse ferito tutti, avevo paura che tutti ce l'avessero con me. 
Ero felice di dovermi ricredere.
«Io ti obbligo a venire a prendere come minimo un caffè con noi, altrimenti non ti rivolgeremo più la parola. Sbaglio Lea?» chiese alla figlia, facendole un plateale occhiolino.
«No, non sbagli mamma – le disse, e poi puntando un dito contro di me, continuò – se non vieni volontariamente, ti leghiamo».
«Ok, mi arrendo. Verrò ovunque vogliate» recitai, alzando le mani sulla testa.
«Sai che ti dico allora? – s'intromise Helen – sei ufficialmente, e senza possibilità di rifiuto, invitata a cena a casa nostra. James sarà molto felice di rivederti».
Non stavo esattamente mantenendo la promessa che mi ero fatta qualche ora prima. Mi ero promessa di fare qualcosa che mi tenesse lontana dal passato e dai ricordi, e stavo facendo esattamente il contrario. Non volevo però deludere quella che per me era stata, anche se per poco, una seconda famiglia. Avevo voglia di stare con loro, e l'avrei fatto!
«Ci sto!» esclamai, mentre gli urletti di madre e figlia si sentirono indistintamente per tutta la strada.
 
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Arrivammo a casa dopo circa un'ora. La famiglia Styles non abitava più al Four Season, ormai. James aveva comprato per sua moglie una villetta appena fuori la città. Mi guardai intorno, una volta entrata e mi innamorai all'istante di quella casa.
Era arredata in modo moderno, ma non era fredda, come spesso può capitare in una nuova casa. Sembrava già vissuta e piena d'amore.
«Helen, è una casa fantastica!» esclamai.
«Grazie tesoro. L'ho fatta ristrutturare con tutto l'amore necessario – rispose, visibilmente orgogliosa del suo lavoro – mi ha aiutato moltissimo Harry. Senza di lui non sarebbe stato lo stesso».
Lea, impaziente di farmi vedere la nuova camera, mi trascinò verso un lunghissimo corridoio. Oltrepassai la seconda porta a destra ed entrai letteralmente nel mondo delle favole. La nuova cameretta di Lea era molto più bella della precedente. Dal modo in cui era stata arredata era chiaro il fatto che fosse cresciuta; mi ero persa davvero molto.
«Perché non sei venuta più a trovarmi?» mi chiese improvvisamente.
Come facevo a spiegare a una bambina quello che era successo? 
Non volevo in nessun modo che addossasse la colpa a suo fratello, e tantomeno volevo che mi odiasse, quindi cercai di darle una risposta neutrale e falsa, del tutto falsa.
«Tesoro, mi dispiace tantissimo. Sono dovuta tornare a casa mia, che è molto lontana da qui. Non ho fatto in tempo a salutarti e mi dispiace tantissimo».
«Pensi che sia ancora una bambina – mi rispose altezzosamente – ma ti sbagli. Ho capito, col tempo, che tu e Harry vi eravate lasciati. Lui era sempre triste».
«Oh».
Non sapevo cosa rispondere. Non mi aspettavo questa risposta da lei, ma dovevo aspettarmelo. Già da piccola, Lea era una bambina più che perspicace.
«Harry non rideva più e aveva tanto tempo per giocare con me, ma era triste e non era più bello come prima giocare con lui. Poi è partito, ed è tornato con Charlotte; lei cerca di farsi piacere, ma tutti qui preferivamo te. Lei è davvero carina, ma non è te».
«Oh, piccola – dissi abbracciandola forte – lo so che mi vuoi bene, ma è lei la fidanzata di tuo fratello e tu devi esserne felice. Lui è felice con lei» conclusi sorridendole.
Restai con lei a giocare per un po', poi mi congedai e la lasciai a giocare ad un videogioco delle principesse Disney. 
Andai verso la cucina dove ero sicura di trovare Helen intenta a preparare qualche dolce fantastico. Mi misi accanto a lei, una volta entrata in cucina, e senza dire niente mi misi ad aiutarla, come ero solita fare.
«Bea, posso parlarti apertamente?» disse Helen, interrompendo il nostro silenzio.
«Certo che puoi» sorrisi, cercando di mascherare l'ansia che mi stata attraversando.
«Fermalo – esclamò, lasciandomi senza parole – non lo fare sposare con lei. Charlotte è una bravissima ragazza; una ragazza che tutte le madri vorrebbero per il proprio figlio. Io non sono sua madre, ma l'ho visto crescere e lo amo come se fosse mio figlio. E visto che sono una madre percepisco le cose. Lui non la ama. Pensa di amarla, si è sforzato di farlo perché era l'unico modo per dimenticarti. Ma lui amerà sempre te».
«Penso che ti sbagli – la interruppi – lui la ama e stanno davvero bene insieme. Noi siamo il passato. Resterà sempre qualcosa tra di noi, ma siamo due opposti che, per quanto si possano attrarre, non è detto che siano fatti per stare insieme».
«Ora sbagli tu – ribatté lei – non ho mai visto due persone cercarsi come voi due».
«Ma se negli ultimi tre anni non ci siamo nemmeno parlati» la derisi.
«Cercarsi non significa solo chiamarsi o sentirsi. Ti ho visto prima, in mezzo alla strada. Tu c'eri fisicamente, ma la tua mente era da lui. Lo sai come ho fatto a capirlo – fece una pausa, aspettando un mio assenso – la tua espressione. I tuoi occhi sanno di lui, parlano di lui anche quando cammini per la strada. Io, che conosco l'amore, queste cose le so. Non si ama spesso come fate voi due».
«Come faccio io forse. Hai parlato di me, e mi hai beccato. Non posso negare davanti all'evidenza. Ma lui...».
«Lui cambia espressione ogni volta che ti si nomina – m'interruppe – ogni volta che al telegiornale parlano dell'Italia i suoi occhi sperano che compaia Milano, per cercarti tra la gente. Ogni volta che passa da una libreria cerca il tuo romanzo. Ogni volta che Lea gli chiede di andarle a prendere un gelato lui, seppure lontanissimo, va a prenderlo da Theodore; e lo so perché il gelato arriva praticamente sciolto e ogni volta è costretto ad andarlo a ricomprare infondo alla strada. So riconoscere l'amore, quando lo vedo. E il vostro è palpabile. Fa qualcosa».
La guardai esterrefatta. Non poteva essere vero quello che diceva. Io li avevo visti insieme e avevo visto il modo in cui si guardavano. Lui l'amava, ne ero sicura. Non potevo permettermi di farmi inculcare certe cose, non potevo permettere a me stessa di soffrire di nuovo.
«Non posso fare niente, mi dispiace – dissi abbassando lo sguardo – non sono sicura che tu abbia ragione. E anche se avessi ragione non so se funzionerebbe. Per questo non sono disposta a soffrire di nuovo. Mi distruggerei definitivamente questa volta».
«Ok – disse, passandomi delicatamente la mano sulla guancia – posso dire di averti messo davanti ai fatti almeno, e di averci provato. Ora finiamo questa dannata torta» concluse sorridendo.
 
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Sentii la porta d'ingresso aprirsi e contemporaneamente vidi Lea correre verso la porta, sicuramente per accogliere suo padre.
«Tesoro, sono a casa – urlò James – ho portato con me una sorpresa, anzi due!».
«Anche io ho una sorpresa per te – urlò sorridente Helen accanto a me – e scommetto che la mia batte le tue due sorpresine!».
Scoppiamo a ridere, senza riuscire a smettere. Adoravo quella donne, riusciva a farmi divertire anche nei momenti meno opportuni. Era davvero tanto che non ero così serena.
«Helen, per quale motivo ridi così fortemente?».
A parlare era stato Harry. Non potevo crederci.
Mi girai istintivamente verso Helen, chiedendole tacitamente se fosse stata una sua idea, ma lo capii senza bisogno di parole. Infatti pochi secondi dopo entrò in cucina anche Charlotte, ed ero sicura che, se Helen avesse organizzato una cosa del genere, la fidanzata di quello che voleva fosse il mio fidanzato non ci sarebbe stata.
«Beatrice – esordì lei – non mi aspettavo di trovarti qua!» disse scrutando tutti da capo a piedi, in cerca di qualche spiegazione.
Ma prima che qualcuno potesse rispondere, James entrò in cucina.
«Non ci posso credere – disse ad alta voce – sei tornata a casa finalmente! Mi sei mancata molto, tesoro».
Mi avvolse in un caloroso abbraccio e finalmente, dopo tre anni, mi sentii veramente a casa. James, nonostante non fosse un tipo espansivo, mi aveva fatto sentire il suo amore per me. Mi aveva trattato come una figlia, e lui per me era diventato come un padre.
«Harry – disse Charlotte, tentando di attirare l'attenzione del suo fidanzato, che invece era imbambolato a guardare me e suo padre – non mi avevi detto che i tuoi genitori conoscessero così bene Beatrice. Come mai?».
Mi staccai dal caloroso abbraccio di James e rivolsi lo sguardo verso Harry, che ora fissava Charlotte con difficoltà. Per questo decisi di intervenire.
«Charlotte – dissi, facendola girare verso di me – un po' di anni fa sono stata qui qualche mese e sono diventata amica di Helen e James. Tutto qui».
«Ah – rispose non molto convinta della mia spiegazione – ora è tutto più chiaro».
«Che ne dite di mangiare?» intervenne Helen, cercando di smorzare la tensione che ormai si era creata.
 
Mangiammo in un religioso silenzio, smorzato qualche volta da Lea che faceva domande a me o ad Harry. Eravamo tutti a disagio e, anche se cercavamo di essere più disinvolti possibili, Charlotte aveva percepito l'aria gelida attorno a lei. 
Avevo cercato anche di intrattenere una conversazione con lei, ma non avevo ricevuto il lascia passare da parte sua. Mi rispondeva a monosillabi e in modo distaccatamente freddo.
Finita la cena dissi a Helen che dovevo andarmene, perché l'indomani avevo delle commissioni da sbrigare con Elis, ma le avevo promesso che mi sarei fatta vedere di nuovo.
«Puoi andare con i ragazzi – mi disse Helen, indicando Harry e Charlotte, che si stavano dirigendo all'ingresso – tanto andate nello stesso posto».
Dovetti accettare, anche se a quel punto sarei rimasta di più in quella casa, ma non potevo rimangiarmi i miei "impegni" del giorno dopo.
Fu il viaggio più silenzioso e pieno di ansia della mia vita. Gli unici rumori che si potevano udire erano il suono del motore e delle buche che prendevamo. Per questo quando intravidi il posteggio dell'albergo, tirai un respiro di sollievo.
 
 
ANGOLO DELL'AUTRICE:
 
Buon Mercoledì a tutti!
 
Ecco il nuovo capitolo! Questo è una sorta di capitolo di passaggio, dove Bea prende consapevolezza del suo amore, sempre di più, ma non ha fiducia sul sentimento di Harry, nonostante tutti attorno a lei vedano l'amore che provano l'uno per l'altro.
 
Cosa pensate voi del sentimento di Harry? Credete che ami realmente Charlie e abbia scordato Bea? Che lei sia solo un ricordo nostalgico o il suo vero amore?
 
Ecco la pagina di Facebook: https://www.facebook.com/barbsstories
 
E il mio Ask se volete farmi qualche domanda: http://ask.fm/barbystew
 

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Capitolo 32
*** Andare Avanti ***


Io per lui non ero nemmeno un granello di sabbia; mentre lei era la mia spiaggia e il mio mare. Come poteva funzionare?

 

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Evitai di prendere l'ascensore, perché il silenzio che era regnato in auto era già stato sufficiente. 

Iniziai a salire le scale, con molta calma, dopotutto avrei dovuto fare più di dieci piani a piedi; arrivai finalmente in camera quando i due fidanzati si erano ritirati nella loro stanza. Quando entrai nella mia e sospirai di sollievo, poiché finalmente un'altra giornata era passata e mancava un giorno in meno al matrimonio e alla mia conseguente partenza. Mi misi il pigiama e m'infilai sotto le coperte alla ricerca di un film che potesse distrarmi dal vortice di pensieri che riempivano la mia mente. 

Per mia fortuna trovai un film che adoravo: "Colpa delle stelle". Prima dell'uscita del film avevo letto già diverse volte il libro. L'autore del romanzo, John Green, era stato la mia ispirazione, un modello da seguire e da cui attingere. Le sue parole mi erano state d'insegnamento nel periodo più oscuro della mia vita.

Mi aveva insegnato che la sofferenza è un passaggio obbligatorio nella vita di un uomo e senza di essa non si matura e non si cresce mai nella vita. Una vita senza dolore è anche una vita senza gioia, perché, se non conosci il dolore, non puoi apprezzare la gioia, la felicità e la tranquillità che la vita ti può offrire.

L'uscita del film era poi stata la mia rovina; non passava mese che non lo avessi visto almeno un paio di volte. Avevo sempre sognato di incontrare qualcuno che mi amasse nel modo in cui Gus amava Hazel. La verità era che, fin da piccola, ero sempre stata innamorata dell'idea dell'amore, quello vero, intenso, che riesce a sconfiggere tutte le avversità, perfino la morte.

Oggi, però, grazie al mio scetticismo, non ero più davvero convinta che quell'amore esistesse davvero.

Mi ero convita che quello tra me e Harry fosse vero amore, ma visti i risvolti dovevo ricredermi. L'amore vero è corrisposto, è forte, autentico, non si sfalda e non si distrugge alla prima avversità. L'amore vero persiste nel tempo, nello spazio, è per sempre.

Ad un tratto, sentii un frastuono provenire dall'altra stanza. Mi alzai dal letto, incuriosita, e mi sedetti vicino alla porta. Non ero mai stata una persona a cui piaceva farsi gli affari degli altri o che origliava, ma in fin dei conti era una cosa che riguardava anche me.

«È lei non è vero?» sentii urlare.

Ok, stavano sicuramente parlando di me. Per questo motivo mi concentrai maggiormente sulla conversazione che stava avvenendo ad una porta di distanza da me.

«Charlie, rilassati» disse poi Harry a bassa voce.

«È per questo che non mi vuoi, vero? - fece una pausa, attendendo la sua risposta, che non sentii - non abbassare lo sguardo, non prendermi in giro. Perché non mi hai detto che sarebbe stata qui? Ti faceva piacere che venissi solo il giorno del matrimonio, così potevi stare con lei, no?».

Continuò così per diversi minuti, accusandolo di qualsiasi cosa, mentre io restai seduta per terra ad ascoltare la loro conversazione. Le mani iniziarono a sudare e avrei voluto intervenire per difenderlo, anche se avrei dovuto fare il contrario in realtà. 

Iniziò anche ad accusare i suoi genitori di preferire me a lei, di non essere accettata e trattata per come lei meritava. Sapevo che erano enormi bugie, poiché la famiglia di Harry era la famiglia più accogliente che io conoscessi e, nonostante l'affetto che provavano indiscutibilmente per me, sapevo che non facevano notare lei la preferenza, qualora effettivamente ci fosse. Fu a quelle accuse che Harry scattò. Iniziò ad urlare anche lui, che prima tentava di calmare i toni della sua fidanzata.

La lite durò ancora per molto, ma dopo qualche minuto avevo deciso di aver ascoltato abbastanza. Mi faceva male anche sentirli litigare. Le liti in una coppia non sono sintomo di disinteresse, ma tutto il contrario, significava che entrambi tenevano all'altro.

Per distrarmi dalle urla ed evitare di ascoltare ancora, presi il mio Ipod dalla borsa ed attivai la riproduzione casuale. L'ultima canzone che ricordo di aver ascoltato prima di addormentarmi fu "Say Something" di Christina Aguilera e A Great Big World.

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Era un nuovo giorno, finalmente. 

Mi vestii e scesi subito a fare colazione. La cosa che più adoravo quando alloggiavo in un albergo, era la colazione. Restavo estasiata nel vedere tavolate imbandite delle più svariate pietanze. E non rimasi delusa quando vidi la sala della colazione. Un'enorme tavolata, posta al centro della stanza, era piena delle più svariate pietanze; era presente qualsiasi tipo di colazione, a partire da quella tipica americana, fino a quella italiana ed orientale. 

Posai la mia chiave magnetica sul primo tavolo che trovai libero e andai a prendere la mia solita colazione, si, perché anche se amavo osservare tutti quegli strani cibi sul tavolo, io ero un'abitudinaria: caffè e fette biscottate con la marmellata.

Dopo aver finito la mia colazione e controllato la mia mail, andai in camera. Elis mi aveva mandato un sms la sera prima, avvertendomi che avremmo pranzato a casa di zia Mara.

Quando aprii la porta della camera, rimasi sbalordita. Harry era seduto nel grande divano di fronte a me.

«Buongiorno» dissi con un filo di voce.

Era sempre bellissimo.

Indossava un semplice paio di pantaloni neri e una maglietta bianca con lo scollo a V, da cui s'intravedevano i tatuaggi che tanto mi facevano impazzire. Potevo già sentire l'odore che emanava, non perché fossi così vicina a lui da sentirlo, ma perché era un odore che era rimasto impresso nella mia mente negli ultimi anni.

«Dobbiamo parlare» disse atono.

Era come se stesse aspettando il mio ritorno.

«Ok - dissi avvicinandomi a lui - Charlotte è uscita?».

«Si, è andata a sbrigare delle commissioni».

Mi sedetti sul divano, a debita distanza da lui, che allontanò la schiena dal divano e poggiò i suoi gomiti sulle ginocchia, girandosi verso di me.

«Penso tu abbia sentito la lite di ieri sera, non penso che i muri che ci separano siano così spessi, giusto?».

«Si - dissi con voce quasi colpevole - ma appena ho capito che stavate discutendo ho messo l' Ipod».

«Lei è importante per me» esclamò dopo qualche attimo di silenzio.

Questa improvvisa affermazione mi fece trasalire. Non capivo il motivo per cui dovesse rendermi partecipe dei suoi sentimenti per lei.

«Voglio sposarla davvero, e quello che è successo l'altra notte non significa niente - continuò - le ho raccontato del nostro passato e l'ho rassicurata sul fatto che tra di noi è finita per sempre».

«E da me cosa vuoi in questo momento?».

La mia voce risultò acidamente fredda. 

In fondo sapevo che quello che era successo tra di noi era stata una debolezza e che non significava niente, ma averlo detto in faccia con tanta noncuranza mi aveva ferita nel profondo.

«Volevo chiarirlo, per essere certo che fossi d'accordo con me».

«Messaggio ricevuto» dissi piccata.

Mi alzai precipitosamente dal divano e mi diressi verso la mia camera, ma arrivata alla porta mi bloccai e qualcosa scattò in me. Stavo scappando, di nuovo.

Era come se tutto quello che avessi imparato in sua assenza scomparisse ogni volta che lui mi stava vicino, e non potevo più permetterlo. Perciò mi girai verso di lui e lo guardai dritto negli occhi.

«Sei il più grande stronzo che io abbia mai incontrato - dissi freddamente - pensi che il mondo ruoti attorno a te, ma ti sbagli. Da quello che hai detto sembra che ti abbia costretto a venire a letto con me, ma non è così. È stata colpa di entrambi, non solo colpa mia».

Fece per dire qualcosa, ma lo fermai con un gesto della mano. Ora che avevo iniziato non potevo permettergli di interrompermi.

«La colpa non è mia e non sono venuta a letto con te per farti cambiare idea. È successo perché il mio sentimento per te non è mai finito, ma, nonostante questo non ho mai detto di voler tornare con te. E sai una cosa? Venire a letto con te è stato l'errore più grande che potessi fare e, nel contempo, è stata come un'illuminazione. Ora sono certa che tra noi non è mai esistito l'amore. È stata tutta una finzione».

Erano la rabbia e il risentimento a parlare, e ne ero consapevole, ma se avessi cominciato a piangere o a subire le sue parole, sarei stata peggio. Dovevo allontanarlo il più possibile da me, e ferirlo era l'unico modo.

I suoi occhi si sbarrarono alle mie parole. Quella era una Beatrice che lui non aveva mai visto, quella era la persona che ero diventata dopo la nostra rottura, una persona che feriva gli altri per non essere ferita.

«Sai che ti dico - disse una volta ripresosi dalle mie parole - pensa pure quello che ti pare, tanto non m'interessa. Se ho superato il tuo primo abbandono, posso superare anche il secondo».

«L'hai superato facilmente a quanto vedo».

Potevo vedere chiaramente dalla sua espressione quanto quella frase lo avesse ferito. Nei suoi occhi non si vedeva più il suo bellissimo verde; erano come diventati neri, di odio.

«Non ti permettere mai più di dire una cosa del genere. Ho passato l'inferno per colpa tua - urlò - sono anche arrivato ad odiarti. Quindi non venirmi a dire che mi sono ripreso in fretta perché non lo puoi sapere. TU NON C'ERI! Hai capito?».

«Ho capito che l'altra notte è stata la tua occasione di vendetta - ribattei - potresti vincere un Oscar per la tua interpretazione, complimenti».

«Vaffanculo, Bea!».

E così dicendo si alzò e, con un rumore immane, si chiuse la porte della sua stanza dietro di sé.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buongiorno a tutte!

Scusate l'assenza della scorsa settimana. Avevo scritto un messaggio per tutti i followers, ma non so quanti di voi l'abbiano effettivamente letto.

Sono stata al concerto di Vienna e ovviamente non ho avuto il tempo di pubblicare. E' stata un'esperienza favolosa, ho conosciuto persone fantastiche, e sono arrivata, dopo 34h di fila, davanti ai miei cuccioli! 

Ringrazio davvero tutte le persone fantastiche che ho incontrato, perché non importa di che ship fai parte, chi è il tuo preferito o in cosa credi... Quando si vuole sappiamo essere tutte unite, per loro.

Perciò questo capitolo, seppur corto, è dedicato a loro. ( Il prossimo sarà più lungo).

Vi ricordo di passare dalla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/barbsstories

E se volete nella mia bio ci sono i contatti Twitter e IG, se volete farmi qualche domanda o solo conoscermi.

vorrei sapere cosa ne pensate della storia, così da essere anche spronata a scrivere...

 

All the love, 

BARB.

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Capitolo 33
*** Finirà mai? ***


Ma l'amore non ha ma un senso. Insomma non è la logica che lo fa nascere oppure morire, anzi l'amore è totalmente insensato. Ma dobbiamo continuare a viverlo, perché altrimenti saremmo perduti, e se l'amore muore allora all'umanità non resta altro che sparire. Perché l'amore è la cosa più bella che abbiamo.

-How meet your mother

 

>>>>>

 

Ero arrivata a casa di zia Mara, ma Elis, come era ovvio, non era ancora arrivata. Mia cugina era la ritardataria per eccellenza, ma l'adoravo anche per quello. Mi misi ad aiutare la zia a sistemare la tavola e a preparare gli ultimi antipasti. Per fortuna sarebbe stato un pranzo in famiglia, che prevedeva quindi solo me, zia, Elis e il nuovo compagno della zia, Kevin. 

Quest'ultimo sembrava un uomo molto alla mano, sulla cinquantina e molto affascinante. Mia zia l'avevo incontrato durante una riunione in ufficio e, da quel momento Kevin non aveva smesso di corteggiarla per mesi, fino a quando anche mia zia, che era restia a qualsiasi tipo di relazione amorosa, si era fatta travolgere. Ora stavano insieme da poco più di due anni e si amavano tantissimo. 

Ero davvero felice per lei.

Finalmente, dopo molti anni, aveva incontrato qualcuno per cui valesse la pena rischiare. 

Zia aveva detto che Elis lo adorava a tal punto da chiedergli di accompagnarla all'altare. Andavano davvero d'accordo e lui aveva rappresentato per lei quella figura paterna che le era sempre mancata nella vita.

Avrei voluto che anche mia mamma avesse incontrato nella sua vita qualcuno come Kevin, ma purtroppo lei era stata molto più sfortunata. Sarebbe davvero voluta venire anche durante i preparativi del matrimonio, ma un improrogabile viaggio di lavoro, che le aveva dato l'opportunità di un importante aumento, non gliel'aveva permesso. Sarebbe arrivata la sera prima del matrimonio, e io non vedevo l'ora che arrivasse per avere vicino la mia spalla.

«Tesoro, cos'hai? Ti vedo un po' spenta» esordì mia zia, una volta tornata in cucina.

Ero intenta a tagliare il pane in fette e la sua domanda mi fece trasalire, a tal punto che rischiai seriamente di tagliarmi.

«Sono stati giorni stancanti, zia, ma sto benissimo, veramente» le risposi, sfoderando il più falso dei sorrisi spontanei.

Non volevo parlare dei miei problemi durante il mio soggiorno a New York.

Quello era il momento di Elis e non volevo che nessuno si trattenesse o si preoccupasse per me inutilmente. Avevo superato tutto già una volta, da sola, e lo avrei rifatto senza problemi una seconda volta.

Circa mezz'ora dopo, quando la tavola era imbandita e tutto era pronto per il pranzo, Elis aprì la porta d'ingresso.

 

>>>>>

 

Il pranzo trascorse in modo tranquillo, grazie soprattutto ad Elis che riuscì ad intrattenerci per tutto il pranzo parlando dei preparativi del matrimonio e delle commissioni che nel frattempo doveva svolgere in negozio.

«A proposito di matrimonio - esclamò mia cugina, facendo quasi tremare il tavolo - domani sera abbiamo le prove generali della cerimonia, Bea!».

«Non sapevo niente di queste prove generali» dissi preoccupata.

Se ci fosse stato bisogno della mia presenza a queste prove, di sicuro ci sarebbe stato anche Harry. Ormai dovevo mettermi l'anima in pace; avrei dovuto condividere forzatamente gli ultimi giorni a stretto contatto con lui e la sua fidanzata. Mancavano solo pochi giorni. 

Potevo farcela.

«Ok, ci sarò» le dissi infine, sorridendole.

Ma Elis aveva cambiato espressione. Sin da piccole avevo l'abilità di capirci con un solo sguardo, non so se fosse perché eravamo cugine o altro, ma era un dono innato. 

Dal suo sguardo avevo capito. Mia cugina aveva percepito che era successo qualcosa e che quel "qualcosa" era una divinità tatuata di nome Harry Styles.

Alle quattro, mia cugina ed io ci congedammo da casa della zia e andammo a fare una passeggiata, o almeno questo era quello che mia cugina aveva detto alla zia. La verità era che aveva capito che qualcosa in me non andasse bene. Dopo qualche minuto in cui parlò di svariati argomenti di poca importanza, arrivò all'argomento che più le interessava. Me. 

«Mia dolce e riservata cugina - iniziò canzonante - dimmi immediatamente cosa è successo».

Risi alla sua finta spontaneità.

«Mi serve un enorme tazza di caffè per trovare la forza di raccontarti tutto quello che è successo in questi giorni».

E così facemmo. 

Entrammo nel primo Starbucks che trovammo e, davanti ad un enorme cappuccino, iniziai a raccontarle tutto quello che era successo. Iniziai raccontandole tutto quello che era successo dopo la sbronza al bar, fino all'enorme litigata della mattina.

«Voi due siete due disastri».

Fu la prima cosa che disse non appena ebbi finito il mio monologo.

Ero stranita dal fatto che non mi avesse interrotto nemmeno una volta. 

Di solito le esclamazioni di Elis, a metà di un importante discorso, erano una cosa assolutamente normale. Evidentemente questa volta non voleva interrompermi, non so se perché troppo interessata all'argomento o perché immaginava che una sua interruzione avrebbe portato me a cambiare radicalmente discorso, lasciandola così a bocca asciutta.

«Siamo solo due persone piene di rabbia, a parer mio» risposi istantaneamente.

Era davvero quello che pensavo.

Ci eravamo lasciati senza avere nemmeno una vera lite e, per questo motivo, avevamo molte questioni irrisolte. Ma parlarne a distanza di anni non sarebbe servito a molto, per questo ci accusavamo come due bambini che si litigano un giocattolo. Facevamo a gara a chi avesse ragione, quando obiettivamente sapevamo che entrambi avevamo sbagliato in qualcosa.

«Probabile - rispose pensierosa - anche se a parer mio oltre alla rabbia c'è qualcos'altro che vi unisce. Voi due vi amate e l'unico modo che vi è rimasto per dimostrarlo, senza sentirvi in colpa con voi stessi, è quello di urlarvi contro».

Non sapevo cosa risponderle, perché in realtà il suo ragionamento non faceva una piega. Ed ero colpevole, perché aveva ragione su di me. Quello di cui non ero assolutamente sicura era se avesse ragione anche su Harry. Ogni volta che discutevamo potevo vedere il risentimento e la rabbia che provava nei miei confronti, ma tutto questo era un sintomo d'amore? Non potevo saperlo.

«Devi lottare, Bea - disse poi Elis, interrompendo il flusso dei miei pensieri - lotta per la persona che ami, non scappare di nuovo. Vedi dove ti ha portato scappare la prima volta? Non farlo di nuovo».

I suoi occhi blu mi guardavano con aria supplichevole. Sapevo che lei avrebbe voluto che io e Harry tornassimo insieme. Non aveva mai cercato di nasconderlo.

«Non posso, Elis - dissi sconfitta - non solo per quello che mi ha detto stamattina, ma anche perché non voglio più ferirlo. Soprattutto però non voglio più stare male. Lui è felice con Charlotte, e lei è davvero una brava ragazza. Chi mi assicura che, per come siamo oggi, staremmo bene insieme? Potrebbe essere davvero un disastro».

«Rischia!» disse concitatamente.

«Sono stanca di lottare e rischiare. Basta così» dissi con un tono non molto convincente.

Stavo mentendo.

Non solo a mia cugina, ma anche a me stessa. Ero consapevole che fondamentalmente non avevo lottato per il nostro amore. L'unica cosa che ero stata in grado di fare era stata scappare e, una volta che me ne ero pentita, non avevo rischiato.

«Come vuoi - rispose sconfitta - ma non pensare che la questione sia finita qua. Voi due non siete finiti».

E così dicendo si alzò, con aria sconfitta, e andò a pagare i nostri caffè.

 

>>>>>

 

La sera dopo un taxi mi lasciò di fronte la chiesa largamente in anticipo. Non avevo la minima intenzione di arrivare per ultima, quando sarei stata costretta a salutare tutti. Erano passati ormai due giorni dall'ultima volta che avevo visto Harry. Non si era più fatto vedere dalla nostra lite, e io non avevo fatto in modo di vederlo. 

Mi soffermai a guardare la chiesa dall'esterno e ne restai meravigliata. Era una modesta chiesa, con attorno un campo, dove presumibilmente i bambini dell'oratorio si riunivano a giocare. Non era la chiesa in cui sarebbe avvenuto il matrimonio, quello sarebbe avvenuto nella cattedrale di San Patrizio. Sembrava un ambiente davvero tranquillo e confortevole, un ambiente in cui io stessa avrei desiderato sposarmi. Per la prima volta da quando ero tornata a New York, mi sentivo davvero bene, nel posto giusto. 

Decisi di entrare poco dopo, per avere il tempo di osservare la struttura anche dall'interno. Non appena entrai però vidi una figura seduta nelle panche in ultima fila. 

Harry era di spalle, seduto in ultima fila. Potevo distinguere chiaramente, anche da lontano, i suoi ricci cioccolato.

Risi all'ironia della situazione.

Per non trovarci in una situazione imbarazzante avevamo deciso di anticipare il nostro arrivo, ma così facendo c'eravamo trovati nell'esatta situazione che volevamo evitare. Presi un respiro profondo e attraversai l'ingresso, chiudendo la porta principale che, con il suo cigolio, fece girare di scatto Harry verso di me. Mi guardò inizialmente stupito di trovarmi lì, in anticipo, ma, quando capì che le mie intenzioni erano uguali alle sue, potei vedere un sorriso impercettibile attraversargli il volto.

Restammo a fissarci per qualche secondo senza sapere come comportarci. La discussione che avevamo avuto aveva ormai rovinato il finto equilibrio che avevamo raggiunto, ormai fingere non aveva più senso. I nostri scheletri erano usciti dall'armadio, dopo tre anni di sofferenza, e ora danzavano attorno a noi, come vere e proprie presenze. Decisi di avanzare verso di lui, camminando con cautela verso la navata, e quando arrivai di fronte a lui, lo salutai con un flebile cenno della mano e mi accomodai nella panca opposta alla sua.

Non seppi quantificare con certezza quanto tempo restammo immobili a fissare il vuoto, ma mi sembrò un tempo infinito. Era chiaro che nessuno dei due aveva più niente da dire all'altro, o forse c'era così tanto da dire che nessuno dei due sapeva da dove iniziare. Era ormai una battaglia persa in partenza.

Sospirai di sollievo quando sentii l'ormai familiare cigolio della porta di ingresso.

«Scusate il ritardo - disse Elis, entrando come una furia in chiesa - ma questa volta non è proprio colpa mia!».

«Incredibilmente ha ragione - disse Niall entrando dietro di lei, mentre si toccava nervosamente il suo ciuffo biondo - ho avuto un contrattempo» concluse, sfoggiando uno dei suoi magnifici sorrisi.

«Si è addormentato - disse Elis furente - noi abbiamo le prove del nostro matrimonio e lui si addormenta!».

«Elis - la richiamai - siamo in chiesa e non devi urlare. E poi puoi capitare! Fai un respiro profondo e iniziamo».

Per fortuna la calmai e, dopo aver chiamato il prete, eravamo pronti ad iniziare.

«Bene - iniziò a spiegare il prete - lo sposo e il testimone vadano al loro posto, all'altare. La sposa e la damigella vadano verso la porta, così possiamo iniziare».

Il prete era un uomo sulla sessantina molto attivo e gioviale, che trasmetteva davvero la sua vocazione. Elis mi aveva parlato di lui e, da quello che mi aveva detto, era davvero una bella persona. Non ero mai stata una cattolica praticante, ma ero credente. 

Credevo che da qualche parte esistesse un Dio, qualunque nome egli avesse, in grado di controllare la nostra vita. Il nostro destino era già scritto e a noi restava solo viverlo e godercelo.

Ci mettemmo in posizione e, dopo pochi minuti, la marcia nuziale partì.

«Parta la damigella» sentii urlare la prete.

Così iniziai a camminare verso l'altare. La chiesa non era molto grande, ma quella traversata mi sembrò non finire mai.

E non era nemmeno il mio matrimonio.

Non potei fare a meno di ridere all'ironia della situazione. Sorriso che svanì quando alzai lo sguardo verso l'altare e lo vidi. Mi fissava intensamente, come se stesse aspettando il mio arrivo all'altare. I miei occhi s'inumidirono al pensiero che mai mi avrebbe aspettato realmente all'altare. Tra qualche mese si sarebbe ritrovato nello stessa posizione, ma non ad aspettare me.

Continuavo a camminare, come in trance. Mi sembrava anche di star trattenendo il respiro, in attesa che quella tortura svanisse in fretta. I suoi occhi non si staccarono nemmeno per un istante dai miei, così come i miei erano ipnotizzati dalla sua imponente figura.

Mi diressi così verso la destra dell'altare, proprio verso Harry e, in pochi passi, arrivai davanti a lui. Harry in tutta risposta allungò la sua mano nella mia direzione e, dopo averla accettata, mi aiutò a salire lo scalino dell'altare. Era così vicino da poterne sentire l'odore, che negli anni si era trasformato in vero e proprio odore di uomo. Avevamo ancora le mani l'una nell'altra e potei chiaramente sentire le sue dita che accarezzavano il dorso della mia mano, mentre lui mi guardava sorridendo.

«Scusate» tossì il prete, rompendo la piccola bolla che si era creata tra di noi.

Ritrassi la mano, come scottata da quel flebile contatto, e presi le distanze da lui. Quando ero così vicina a Harry la mia lucidità scompariva.

«Signorina - cominciò a dire il prete avvicinandosi cautamente a me - lei dovrebbe andare dall'altra parte dell'altare, alla sua sinistra. È quello il lato della sposa e quindi il suo».

Mi parlò cautamente, come se fossi così visibilmente fragile da potermi spezzare.

Mi guardai intorno e vidi dietro di me Elis, che mi guardava con una sguardo triste, quasi compassionevole. Mi voltai di nuovo verso l'altare e guardai Niall, che aveva indosso un sorriso sforzato. Tutta l'attenzione della stanza era su di me.

Mi vergognai così tanto dell'ingenuità del mio gesto che uscii dalla chiesa, scusandomi con tutti.

Appena fuori dalla chiesa, presi un profondo respiro ed inspirai tutta l'aria che i miei polmoni avevano accumulato. Mi appoggiai con tutto il peso del corpo al muro e scivolai lentamente sul pavimento, rannicchiandomi su me stessa, portandomi le ginocchia al petto. Ero stata davvero un'imbecille, senza nemmeno rendermene conto. Ancora mi chiedevo come mi fosse passato per la testa di andare verso di lui. Forse erano stati tutti quei pensieri su un nostro matrimonio, che mai sarebbe avvenuto. Anche Harry, però, aveva avuto un comportamento strano. 

Ma d'altra parte, quando era mai successo che entrambi avevamo reazioni normali?

Sentii dei passi accanto a me, che mi fecero alzare lo sguardo verso l'alto.

Non poteva essere altri che Harry. La mia perfetta tortura.

«Hey, posso?» disse indicando il pavimento accanto a me.

«Certo, è libero» risposi cercando di essere simpatica, con pochi risultati.

Mi sorrise dolcemente e poggiando una mano sul muro si adagiò accanto a me, tenendo i gomiti sulle ginocchia.

«So cosa stai pensando e posso sentire gli ingranaggi del tuo cervello camminare alla velocità della luce. Smettila» mi ordinò.

«Scusa per prima».

Fu l'unica cosa che riuscii a dire. Non avevo nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia, per questo mi ero messa ad osservare ogni albero attorno a me, facendo viaggiare il mio sguardo in ogni direzione a parte la sua. 

«Scusa per cosa? Non ricordo niente per cui tu mi debba delle scuse».

Potei percepire il suo sorriso farsi largo nel suo viso, perciò sorrisi anche io. In realtà gli dovevo delle scuse per tutti i comportamenti che avevo avuto negli ultimi anni, così come lui ne doveva a me. Ma avevo capito che si riferiva solo a quello che era successo in chiesa.

«Per mia fortuna sei invecchiato - risi - non mi aspettavo che lo avessi fatto così in fretta».

«È stata anche colpa mia prima - iniziò lentamente - tu sei venuta verso di me, ma sono stato io ad attirarti vicino a me».

Non sapevo cosa rispondere.

«Non so perché - continuò Harry, toccandosi nervosamente i capelli - finirà mai questa cosa tra di noi?».

«Me lo chiedo anche io sai? - riuscii a dire - me lo sono chiesta tutti i giorni da quando sono arrivata qui».

Fu in quel momento che trovai il coraggio di voltarmi verso di lui. Sarebbe stato meglio non l'avessi fatto, perché l'intensità del suo sguardo fisso nel mio mi diede la risposta a quella domanda.

Restammo in quella posizione, a guardarci, fino a quando i due sposini non uscirono e ognuno prese strade diverse, che però portavano tutte alla stessa direzione. 

 

 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Come promesso ecco qui il capitolo! 

Questo è un capitolo più lungo del precedente, anche per questo motivo ho deciso di pubblicare un altro capitolo questa settimana.

Mi farebbe piacere vedervi più attive, almeno così so se è il caso di continuare questa storia o no... Visto che sto seriamente pensando di non continuare, visto le 2 recensioni in 32 capitoli... è inutile continuare a perdere tempo se la storia non piace

Spero veramente di trovare tempo per scrivere, perché in queste settimane ho solamente tre esami da preparare, e sono abbastanza stanca, ma speriamo in bene.

DOMANDINA: cosa pensate accadrà nei prossimi capitoli? chi farà il primo passo, sempre che lo facciano? O Harry percorrerà il suo destino e sposerà Charlotte (che ho visto quanto amate ahahahah)?

Questo capitolo è dedicato ad una delle persone più importanti per me. Perché nessuno deve permettersi di tarpare le ali agli altri, perché tutti abbiamo diritto a sognare, a fare progetti irrealizzabili, a sbagliare e a cadere, imparando a rialzarci da soli.

Perciò, continuate a sognare, anche quando vi sembra inutile, perché è proprio quando stai per arrenderti che qualcosa accade <3

 

Alla prossima settimana,

All The Love, 

BARB <3

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Capitolo 34
*** Battiti ***


Image and video hosting by TinyPic Erano attratti l’uno dall’altra. Bastava guardarli per capire che c’era qualcosa che li legava fortemente. Sembravano due bambini che giocavano a rincorrersi e desiderarsi ogni istante. Erano abbracci, carezze, parole di conforto, suggerimenti, qualche pizzico di gelosia non manifestato. Erano tante cose, solo che avevano paura di dirselo. E capita di perdersi, mancarsi e farsi del male. Far regnare l’orgoglio, i rimorsi, i ripensamenti. In fondo però, c’era qualcosa che li avrebbe legati per sempre e un giorno si sarebbero ritrovati per creare quello che in passato non erano stati abbastanza coraggiosi da costruire.

 

— Susanna Casciani 

 

 

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Da quel giorno fuori dalla chiesa, io e Harry non avevamo più avuto nessun contatto; ci eravamo limitati solo a rispondere se interpellati, ma non avevamo più parlato l’uno con l’altro, anche perché con lui c’era sempre Charlotte. Ormai mi ero quasi abituata alla sua presenza, dovevo riuscirci.

Era una ragazza davvero adorabile se non fosse perché avrebbe sposato l’amore della mia vita. Ma ero stata io a permetterle di prenderselo, e non gliel’avrei portato via per un capriccio. Lui era felice con lei, non importava quanto potesse fare male.

Quella mattina ero uscita a comprare gadget alquanto ambigui per l’addio al nubilato di Elis, che sarebbe stato l’indomani sera. Avevo dovuto incontrare tutte le sue più care amiche, e ovviamente anche Louis, in un pub a Manhattan. 

Era stato un incontro davvero inusuale, perché le amiche di mia cugina erano ancora più strambe di lei, infatti mi avevano costretto ad ingaggiare uno spogliarellista e a comprare oggetti di qualsiasi genere, l’importante era che avessero forma fallica. 

Io mi sarei davvero vergognata da morire, ma Elis era… solo Elis. 

L’incontro, e il conseguente shopping, era durato tutta la mattinata, per questo mi fermai a mangiare in un grazioso bar che trovai percorrendo la strada di ritorno insieme ad Louis.

«Perciò – cominciò a parlare il mio compagno di pranzo. E già sapevo dove sarebbe andato a parare, se avevo realmente capito come era fatto – chi hai ammaliato con i vestiti che ti sei comprata l’altro giorno?».

«Proprio nessuno» dissi sinceramente.

Era vero, a parte la breve ed imbarazzante parentesi con Harry, da ubriaca.

«Non ci credo minimamente – controbatté – sono indubbiamente gay, ma so riconoscere ancora una bella ragazza quando la vedo. E tu lo sei, eccome».

«Non ti sto mentendo! – dissi piccata – nessuno mi ha degnato di uno sguardo».

«Sei tu a non vedere quella che sei. Sei tu a non piacerti e quindi a non accorgerti di chi ti sta attorno. Da quando siamo entrati qui, la maggior parte dei ragazzi non ha fatto altro che guardarti, cosa che mi da alquanto fastidio. Inoltre il cameriere ti ha scritto il suo numero sul tovagliolo e tu non te ne sei nemmeno accorta – abbassai lo sguardo verso il tovagliolo e vidi che aveva ragione, c’era un numero scritto con una penna blu. Ma quando lo aveva scritto? – l’ha scritto quando ha portato l’acqua e tu eri troppo interessata dal menu per accorgertene» rispose alla mia silenziosa domanda.

«Le cose sono due – continuò – o sei lesbica, cosa che ritengo improbabile, visto che Elis mi ha raccontato qualcosa di te. O sei innamorata».

Scoppiai in una risata. 

Adoravo quel ragazzo, era davvero speciale. Sapeva scherzare come non mai, ma sapeva anche intraprendere discorsi seri con una facilità strabiliante. Era un grande amico di Elis, questo sottintendeva che fosse davvero una brava persona, per questo decisi di raccontargli la mia storia, partendo da tre anni prima.

«Che storia fantastica! – strillò Louis, una volta finito di raccontare la mia storia, e io non potei far altro che sorridere – dovete stare insieme voi due! Cosa aspetti a rubarlo ad Ursula?».

«Ursula?».

«Hai capito solo questo di quello che ho detto? Comunque mi riferivo alla fidanzata di scorta».

«Non siamo fatti per stare insieme. L’ho capito perfettamente, a mia spese» risposi, intristendomi un poco.

«Non dire cazzate, donna. Quando Louis ha una sensazione, non sbaglia mai. Poi me lo confermerai».

 

 

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Poco dopo ero arrivata in hotel e, quando entri nella suite, vidi la porta della mia camera aperta. Stranita mi avvicinai cautamente alla porta e vidi Harry vicino al mio letto con un taccuino in mano.

Il MIO taccuino.

«Cosa stai facendo?» dissi con voce strillante.

No, no, no! Non poteva leggere i miei pensieri più intimi; nessuno poteva, men che meno lui. Mi mossi velocemente verso di lui, strappandogli velocemente il taccuino dalle mani, e vidi cosa aveva letto. Era quello che avevo scritto la sera che mi ero ubriacata, prima della notte passata insieme.

 

8 agosto 2016

Prima della mia partenza per New York, la mia vita aveva raggiunto un equilibrio, o almeno fingevo di averne uno. La verità era che andavo avanti per inerzia. 

Non avevo niente di speciale.

La mia vita ruotava attorno al mio lavoro, forse perché era l’unica cosa a darmi davvero soddisfazioni. Per il resto avevo una vita di merda. 

E ora ne conoscevo la ragione.

Tutta la mia vita ruotava intorno al passato, a quello che poteva essere e invece non era. Ruotava intorno ai dubbi, ai se e ai ma. Ero perennemente triste, la mia sofferenza persisteva, costantemente, e non sapevo proprio come aggiustare le cose. 

TU mi torni sempre in mente per quanto io possa far finta di non provare più niente per te, mento a me stessa. Mento perché mi manchi da morire, ma sono consapevole di non poter risolvere la nostra situazione e questo pensiero è insopportabile. 

Mi manca tutto di te.

Mi manca il modo in cui mi facevi ridere, ma anche quello in cui mi facevi piangere, perché adoravo quando poi con le tue grandi mani coprivi il mio volto, asciugando le mie lacrime.

Mi manca il modo in cui mi toccavi i capelli, perché sapevi quanto mi facesse stare bene.

Mi mancano i tuoi baci, perché non ho mai più baciato nessuno che mi facesse sentire come facevi tu.

Mi manchi e mi mancherai per sempre, ma sono consapevole che devo lasciarti andare, devo permetterti di vivere la vita che ti meriti, e che non sono sicura di poterti dare.

Ti amo e, proprio per questo, proibirò al mio cuore di lottare per te. Perché ti amo e ti amerò per il resto della mia vita.’

 

 

Volevo scappare, sotterrarmi, addormentarmi per risvegliarmi in Italia. Volevo andare il più lontano possibile da lui.

«Hai scritto tu queste cose?» mi chiese Harry rompendo il silenzio.

«Si – risposi, arrabbiata – e tu non avevi il diritto di leggerle».

«Hai ragione, scusami. Non avrei dovuto farlo. Ma non posso fare finta di niente, ora che ho letto».

«Perché? Pensi forse che parlino di te? Fa parte del nuovo libro che sto scrivendo» mentii.

Sapevo di non essere una credibile bugiarda, ma tentar non nuoce mai.

«Non sono uno stupido, Bea» rispose piccato.

Avanzò verso di me, fissandomi, e io indietreggiai istantaneamente.

«Non ricordavo nemmeno di aver scritto quelle cose – dissi, stavolta sinceramente – ero completamente ubriaca».

Vidi il suo sguardo incupirsi leggermente, ma poi un sorriso comparve sul suo volto. Cercai di non abbassare la guardia, di non farmi ammaliare dalla sua presenza, troppo opprimente per il mio cuore.

«Da ubriachi si dice la verità».

«Dov’è la tua fidanzata?» chiesi cambiando discorso, arretrando verso la porta.

«È alla SPA, credo. Perché?» chiese stranito.

«Dovresti raggiungerla».

Ma non appena dissi quella frase feci per uscire dalla stanza e allontanarmi il più possibile da lui. Più lontano ero da lui, meno il mio cuore avrebbe sofferto. 

«Bea, aspetta» disse, facendomi istintivamente voltare verso di lui, che era ancora più vicino a me.

«Dimmi» dissi freddamente, fingendo che il suo fisico scolpito in bella vista non mi stesse destabilizzando.

«Vieni qui un secondo».

Mi lasciai convincere facilmente e mi avvicinai cautamente, ritrovandomi ad un passo di distanza dal suo corpo. Da quella distanza ravvicinata i dettagli erano più nitidi. Si potevano notare le sfumature verdi dei suoi occhi, i suoi addominali scolpiti, ma non eccessivi. Indossava una canottiera bianca che lasciava intravedere il tatuaggio sulle costole, complementare al mio.

«Non voglio più tradire Charlotte».

«Questo l’ho capito. Sei stato chiaro già l’altro giorno» dissi acida, ma anche stranita.

Ne avevamo parlato qualche giorno prima e non capivo il senso di ripeterlo, soprattutto in quel momento.

«Aspetta – m’interruppe – ho detto che non voglio tradirla, ma ho bisogno di capire una cosa».

Rimasi in silenzio in attesa che lui concludesse il suo discorso. Avevo intuito dai suoi gesti che la sua richiesta lo metteva a disagio, e per questo ero ancora più agitata. Non avevo idea di cosa passasse nella testa di questo ragazzo. Non lo avevo mai capito.

«Ho bisogno che tu mi baci».

Sentii come se una corrente fredda avesse investito il mio corpo. Non era ovviamente la prima volta che accadeva, ma, nella situazione in cui eravamo in quel momento, la sua richiesta mi aveva scioccato.

Dopo la discussione che avevamo avuto pochi giorni prima la sua richiesta mi sembrava alquanto infondata e senza senso. Dopo tutte le malvagità che ci eravamo detti l’un l’altro, non mi sarei aspettata nemmeno un minimo contatto tra noi, figuriamoci un bacio.

Ma dopo anni di esperienza avevo capito che il mio cuore e la mia mente non erano abituate a camminare vicine, bensì andavano in direzioni completamente opposte.

Per questo motivo non potei fare a meno di avvicinarmi lentamente a lui, senza mai distogliere il mio sguardo dal suo. Quando fui ad un solo passo da lui, mi protesi verso le sue dolci labbra carnose fino a che si congiunsero alle mie. Ogni volta che avevo un qualsiasi contatto con il suo corpo, io tornavo finalmente a respirare. Sentivo il mio respiro accelerato, il cuore batteva forte nella cassa toracica, il viso si colorava grazie al calore che s’irradiava dentro il mio corpo.

Le nostre labbra si muovevano simultaneamente, come se non si fossero mai allontanate, come se tutti quegli anni non fossero mai trascorsi. I nostri corpi si conoscevano e riconoscevano il sentimento che ci legava, nonostante le nostre menti si rifiutavano di ammetterlo.

Controvoglia mi staccai e mi allontanai velocemente da suo corpo. Ogni volta che ero vicina a lui il cuore aveva il sopravvento sulla mente e io, per il mio, ma anche per il suo, bene, non potevo più permetterlo.

«A cosa è servito tutto questo? – chiesi fingendo freddezza – perché hai voluto che ti baciassi dopo tutto quello che è successo? Cosa hai capito, eh?».

Lui, senza rispondere, si avvicinò di nuovo a me e prese la mia mano destra, continuando a fissarmi, e la porta sul suo petto, proprio sul cuore.

Poi lo sentii. Sentivo perfettamente il suo cuore battere forte per me. Dopo tutto il dolore che ci eravamo fatti, dopo tutte le oscenità che ci eravamo detti, i nostri cuori battevano ancora all’unisono.

«Non passerai mai – alzai di scatto i miei occhi, che erano ancora fissi sul battito, verso i suoi – posso incontrare tutte le persone giuste della mia vita, ma tu sarai sempre l’unica persona sbagliata che mi farà battere il cuore in questo modo».

Rimasi sbalordita dalla sincerità delle sue parole, per questo, istintivamente, presi la sua mano e me la poggiai sul cuore.

«Nemmeno tu sei mai passato. E mai passerai».

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Capitolo 35
*** Istinti ***


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Ci sono persone che non finiscono mai di volersi bene, semplicemente perché ciò che le lega è più forte di ciò che le divide.

-Johnny Deep


 

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Potevo ancora sentire il suo respiro sul mio viso, mentre i suoi occhi verdi studiavano ancora con accuratezza il mio viso. Potevo vedere il suo sguardo spostarsi su qualsiasi parte del mio volto. Non avevamo nessun contatto fisico, ma la sua vicinanza mi dava calore, amore.

«Sapevo che venire qui avrebbe portato a questo» disse una voce dietro di noi, facendoci sobbalzare.

Mi voltai di scattò in direzione dalla porta, dalla quale veniva il rumore, e la vidi. Appoggiata allo stipite della porta c’era Charlotte, a braccia conserte che ci guardava con sguardo furente.

«Charlie, io…» tentò di iniziare a dire Harry, che però fu prontamente bloccato con un gesto della mano da quest’ultima.

«Non voglio sentire niente – iniziò, avanzando verso di noi – sapevo che questo matrimonio ti avrebbe portato nostalgia di lei. Sapevo che rivedendola ci saresti ricaduto, perché sei una persona debole, e lei ti ha sempre condizionato la vita, fin da quando ti ho conosciuto». 

Si fermò proprio di fronte a noi, facendo spostare il suo sguardo da me a Harry. Poi il suo sguardo si fissò su di me.

«E tu, brutta deficiente! – disse fissandomi dall’alto in basso, indicandomi con un dito – non sai quanto ho dovuto lottare, quanto ho dovuto soffrire prima di averlo. Mi sono sentita sempre una scorta, la seconda scelta. Poi con il nostro fidanzamento ho sperato di averti cancellata, per sempre. E invece sei ancora davanti a me».

Il suo sguardo mi atterriva nel vero senso della parole. Non vi era altro che odio e risentimento, ma potevo capirla. Io le stavo rovinando la vita, nonostante mi ero ripromessa di non farlo, di farmi da parte.

«Ma lui, a quanto pare merita una come te – disse avanzando verso di me – una sgualdrina, ecco cosa sei!».

Successe tutto in un secondo.

Sentii come se il collo mi si stesse staccando dal resto del corpo, e per un attimo mi mancò il respiro. Mi resi conto solo dopo che Charlotte si era avventata su di me, tirando i miei capelli.

«Charlotte, smettila!» sentii urlare a Harry.

Mi accasciai a terra, senza avere la forza di reagire, mentre vedevo Harry che tirava via da me Charlotte, mentre lei continuava a scalciare, cercando di inveire su di me. Come potevo non biasimarla? Aveva appena visto quello che doveva essere suo marito baciare un’altra. Non potevo reagire, non volevo, perché in fondo un po’ me lo meritavo.

Se quella sera non mi fossi ubriacata, magari non saremmo finiti letto insieme. Se qualche giorno prima io non fossi andata verso di lui all’altare, noi non avremmo ricominciato a parlare, e ora non saremmo in questa situazione.

Tanti se che però non portavano a niente, perché ormai tutto era accaduto e non si poteva tornare indietro, per quanto tutti lo volessimo.

«Mi dispiace» fu l’unica cosa che riuscii a dire, anche se questo scatenò ancora di più l’ira di Charlotte.

Harry trascinò la sua fidanzata fuori dalla mia camera chiudendosi la porta dietro di sé, non prima però di avermi mimato delle scuse.

Restai sola nella mia stanza a fissare quella porta che si era chiusa davanti a me. Sola, era quella ormai la condizione in cui mi ritrovavo con maggior frequenza.

Quello che era appena successo era del tutto surreale. Ero appena stata picchiata dalla fidanzata del mio ex, e io non avevo minimamente reagito. Mi facevo pena da sola.

Nonostante quello che era appena successo, il bacio che ci eravamo scambiato era ancora sulle mie labbra, tanto da poterne ancora sentire il calore. Non era stato un bacio passionale, ma mi aveva confuso le idee, più di quanto già non lo fossero. Non riuscivo proprio a capire quel ragazzo che tanto amavo. La maggior parte delle sue parole e dei suoi comportamenti erano contraddittori. Prima mi diceva che stava per sposarsi, poi faceva l’amore con me. Dopo quella notte, arrivò la lite furibonda tra di noi, mentre ora mi baciava e diceva che provava ancora qualcosa per me.

Non potevo far altro che chiedermi: chi era Harry?

La persona che fa l’amore con me e che mi proclama il suo amore, o quello che sta per sposarsi con la persona che ama e riserva invece a me tutte quelle accuse che mi sono dovuta sorbire? Sapevo che non avrei avuto mai risposta a questa domanda. Ma una cosa la sapevo. Nella mia vita non volevo essere una seconda scelta, una ruota di scorta. Volevo accanto a me una persona sicura dei propri sentimenti, che ama quella che sono, senza volermi cambiare. Volevo accanto a me una persona che vede solo me accanto a lui e che non sia innamorata di un ricordo che ormai è morto, ma che ami quella che sono oggi.

Per questo sapevo cosa dovevo fare. 

Dovevo comunque lasciarlo andare, per quanto lo amassi, fidanzato o no, perché la sola idea di riprovarci con lui, per poi doverlo lasciare andare un’altra volta mi avrebbe spezzato. Non ero disposta a soffrire un’altra volta in quel modo e sapevo che se lo avessi perso di nuovo il mio cuore non avrebbe retto. Per questo preferivo non averlo, di nuovo.

Non era un atto altruistico, non volevo lasciarlo a Charlotte. Per una delle poche volte nella mia vita non stavo pensando al bene degli altri, ma al mio. Era un atto puramente egoistico, il mio. 

Ero sicura che lui avrebbe superato questo momento e avrebbe accettato col tempo la mia decisione, perché se era riuscito a rifarsi una vita una volta, ci sarebbe riuscito una seconda.

Presi la borsa e uscii in fretta dalla mia stanza, fingendo di non sentire le urla che provenivano dalla stanza accanto. Scesi in strada e iniziai a camminare senza una meta precisa, fino a quando non mi ritrovai davanti al bar di qualche sera prima, quello dove mi ero ubriacata pesantemente. Entrai e andai verso il bancone.

«Ciao, scusami – dissi tentando di attirare l’attenzione del barista – c’è, ehm, Zach?».

«Non c’è nessuno Zach qui – mi rispose il barista, guardandomi stranito – forse cercavi Zayn!».

«Si, lui!» esclamai.

Il barista, di cui non conoscevo il nome aprii una porta sul retro e sparì dietro questa, ma poco dopo da quella stessa porta spuntò Zayn. L’altra notte non l’avevo notato, ma era un ragazzo davvero carino; aveva una carnagione scura ed era abbastanza alto, con un fisico possente, e aveva capelli e occhi castani. 

Non sapevo perché tra tutti i posti in cui potevo andare mi ero diretta proprio lì, ma credevo nel destino, quindi non potevi fare altro che inseguirlo.

«Ciao, ragazzo!» dissi, salutandolo con un gesto della mano.

«Guarda chi si vede – rispose, mentre i suoi occhi s’illuminarono alla mia vista – pensavo che non ti avrei più visto! Perché ti ostini a chiamarmi ragazzo?» concluse ridendo.

«Perché sei più piccolo!» dissi con un sorriso furbo.

«Ho ventiquattro anni! Tu quanti ne hai per considerarmi piccolo, cinquanta?»

«Solo due in più, a dire il vero» ero in imbarazzo, sembrava molto più piccolo.

«Allora chiamami Zayn - sorrise, e non potei non notare la perfezione di esso sul suo volto scuro - Hai voglia di bere qualcosa?» mi chiese infine.

«No, a dire il vero non ho avuto tempo di cenare e avrei un po’ di fame».

«Perfetto, allora mi vesto e andiamo a mangiarci qualcosa insieme» concluse facendomi l’occhiolino.

«Ma non devi lavorare? Non voglio mica che ti licenzino!».

«Il mio turno era appena finito. Aspettami un secondo, ehm».

«Beatrice, per gli amici Bea» sorrisi.

Che cosa ridicola, non gli avevo detto nemmeno il mio nome.

«Aspettami qui, Bea».

«Ok».

Zayn mi porto in un piccolo, ma grazioso locale, poco lontano dal bar in cui lavorava. Entrammo nel locale ed un cameriere ci fece accomodare. Sembrava proprio un appuntamento, ma per me in fondo non lo era, e speravo che per lui fosse lo stesso.

«Allora Beatrice, cosa ti ha riportato di nuovo nel mio bar?» mi chiese, dopo aver ordinato la nostra cena.

«A dire il vero non lo so. Credo che avessi bisogno di una distrazione, di fuggire dalla mia vita per un po’» risposi sinceramente.

«Sono onorato allora che tu abbia scelto me per evadere dalla tua realtà» sorrise.

«Non esaltarti troppo» dissi, non riuscendo a trattenere un sorriso.

Zayn non era affatto un cattivo ragazzo, anzi era davvero molto interessante. Era un musicista e lavorava al bar per mantenere gli studi al conservatorio. Era un ragazzo con la testa sulle spalle che non amava dipendere da nessuno. 

Restammo a parlare a lungo delle nostre vite e io, stranamente, mi ritrovai a confidarmi con lui. Gli parlai un po’ di Harry e della nostra storia.

«Devi avergli davvero folgorato il cuore» fu la prima cosa che mi disse una volta finito di parlare.

«Anche lui ha folgorato il mio» dissi sincera.

«Allora dovresti lottare per quello che ami. La vita è una sola, perché rischiare di avere rimpianti?».

«Non sopporterei di soffrire un’altra volta».

«Bea – disse, avvicinando la sua mano e mettendola sulla mia, che era adagiata al tavolo – la sofferenza fa parte della vita. Senza di essa non si crescerebbe e non si apprezzerebbero le cose belle che la vita ci dona. Magari lui ti farà soffrire un’altra volta, oppure incontrerai un ragazzo che ti sembrerà quello giusto, ma che poi ti farà soffrire più di quanto abbia mai fatto lui».

«Pensa alle mie parole – continuò – vivi la tua vita, non continuare a sopravvivere».

Rimasi sbalordita dal suo discorso, perché aveva perfettamente ragione. Non sapevo se avrei realmente seguito il suo consiglio, ma ero certe che avrei pensato a quel discorso per un po’.

 

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Era tardissimo quando tornai nella mia stanza.

Il silenzio regnava sovrano, ma notai che la camera di Harry era aperta, ma sbirciando dentro la trovai vuota. La valigia rosa di Charlotte non era più nella stanza, vicino a quella di Harry, che però era ancora aperta sul pavimento. Il letto era disfatto, ma vuoto.

Entrai nella mia stanza e, esausta, buttai la mia borsa sul letto.

«Aia, porca miseria» disse una voce, proveniente dal mio letto.

Accesi la luce e mi ritrovai Harry disteso nel letto. Stava sicuramente dormendo, prima del mio assalto, lo capivo dal suo sguardo assente. Non potei fare a meno di ridere alla scena: si guardava intorno, smarrito, per capire cosa lo avesse colpito.

«Scusami» gli dissi, ridendo ancora.

«Bea – pronuncio in modo biascicato quando si accorse finalmente della mia presenza – ti stavo aspettando, ma mi sono addormentato».

«Ho notato, ma perché mi aspettavi?» chiesi curiosa.

«Volevo parlare di quello che è successo prima, ovviamente. Ma dove sei stata?».

«Con un amico» tagliai corto.

Non dovevo e non volevo dargli alcuna spiegazione, ma lui in tutta risposta si alzò e, a grandi falcate, mi raggiunse posizionandosi davanti a me.

«Hai qualcun altro?» mi chiese, quasi irritato.

«Io non ho nessuno» risposi piccata dalla sua accusa.

«Tu hai me, e lo sai. Sempre».

«Ti sbagli» risposi.

Senza dire niente prese il mio viso tra le sue grandi mani e si avventò sulle mie labbra, senza alcun preavviso. Ero immobile, non mi aspettavo una reazione del genere, così inizialmente non ricambiai il bacio. Ma quando mi resi conto cosa stava effettivamente succedendo non potei fermare i miei istinti, perciò aprii la bocca, accettando che la sua lingua incontrasse la mia. 

Fece correre le sue mani su tutto il mio corpo, fino alle mie cosce, che prese saldamente tra le sue mani, sollevandomi. Gli circondai le gambe attorno ai fianchi e, dopo avermi letteralmente sbattuto al muro, mi portò verso il letto, dove mi adagiò con impeto. Il mio respiro si fece pesante, e col mio il suo.

Cominciò a baciarmi e spogliarmi con foga, buttando i vestiti a terra. Iniziò baciandomi il collo, per poi arrivare alla pancia, fino a scendere ancora. Mi aggrappai ai suoi capelli, tirandoli con forza, e non potei fare a meno di chiamare il suo nome più e più volte.

«Dio, quanto sei bella!» disse, mentre continuava a baciarmi ovunque.

«Ti amo tanto».

Dissi quelle tre parole senza nemmeno rendermene conto. Lo amavo e lui lo sapeva, ma sentirlo uscire dalla mia bocca faceva tutto un altro effetto, per questo m’irrigidii. Vidi Harry sollevarsi la testa e fissarmi, preso alla sprovvista.

«Ti amo tanto anche io» disse dopo essersi avvicinato, lasciandomi un dolce bacio sulla bocca.

Entrò in me dolcemente, riempiendomi completamente, e io non potei far altro che aggrapparmi alle sue possenti spalle con le unghia che graffiavano quella dolce pelle chiara, piena di tatuaggi. Accompagnai ognuna delle sue spinte, muovendoci all’unisono, fino a quando arrivammo entrambi al culmine e ci accasciammo sul letto, esausti, ma felici.

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Capitolo 36
*** addio al nubilato ***


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Era bello sentirti e tenerti vicino, anche solo nella luce del mattino. E se hai mentito è uguale ma ora lasciami andare.

-Raf

 

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Avevo affittato per tutta la notte una limousine bianca, come tacitamente espresso da Elis, che ci avrebbe portato al "Touch Me Club" e che poi, a fine serata ci avrebbe riportato a casa, non si sa in quali condizioni. In fondo l'idea della limousine era stata ottima, perché a fine serata nessuna sarebbe stata in grado di guidare, nemmeno io, che mi ero ripromessa di divertirmi come non mai stanotte.

Avevo fatto in modo di uscire dopo Harry, evitando così di incrociarlo, e il mio piano era andato a buon fine. Lui avrebbe avuto l'addio al nubilato di Niall e non volevo pensare quali intenzioni avesse. Sarebbe tornato in stanza con una spogliarellista? Non pensavo realmente che lo facesse, ma ero stata appena delusa, quindi la mia mente faceva viaggi interminabili, viaggi inutili. Mi imposi di smettere di pensare ad Harry e non farlo per il resto della serata.

Dovevo dire che la presenza di Louis mi aiutava notevolmente nel mio intento; quel ragazzo era una vera forza, dovevo ammetterlo.

Il "Touch Me Club" era uno dei più rinomati night club di New York, famoso per gli attraenti spogliarellisti che ci lavoravano. Elis, sarebbe impazzita una volta capito il luogo del suo addio al nubilato. Non vedevo l'ora di vedere la sua reazione.

Quando arrivammo di fronte al locale la reazione di Elis non tardò ad arrivare.

«Oddio!! – urlò già alticcia, a causa di tutto lo champagne che ci eravamo tracannati nella limousine – avevo chiamato per vedere se avevate prenotato lì, ma non c'era nessuno dei vostri nomi!».

«Ti conosciamo! – esclamai sorridendo – sapevamo che avresti chiamato, per questo abbiamo prenotato a tuo nome, Elis Horan».

«No, non ci credo! Voi siete pazze» urlò eccitata.

«Tesoro, perdonami se te lo faccio ricordare – le disse Louis, anche lui alticcio – ma tra di voi, nonostante i differenti gusti sessuali, c'è anche un maschio. Se continui a parlare al femminile sarò costretto ad andare dal chirurgo plastico» concluse facendo ridere tutti.

Entrammo all'interno del locale e restai a bocca aperta. Era un semplicissimo locale, poco illuminato, ma non presentava niente di eccessivo, come invece mi sarei aspettata. Entrammo nel privè che avevamo prenotato e ci sedemmo nei nostri tavolini.

Ci fu subito portato da bere da un cameriere davvero carino, ma troppo palestrato per i miei gusti. Indossava un pantalone nero di velluto e, nella parte superiore, solo un papillon abbinato al pantalone.

«Ecco a voi, dolcezze» disse, ammiccando però particolarmente Louis, che sornione, sorrise.

«Ragazze mie – disse gongolante – penso che stasera ci sarà un posto libero in limousine, perché io ho appena trovato un passaggio» concluse facendo ridere tutte sonoramente.

La serata passò tranquillamente, tra un bicchiere e l'altro, tra una battuta e l'altra. Poi arrivò il momento che Elis aspettava impazientemente: il ballo dello spogliarellista, che a parer mio di ballo non aveva niente.

Capii che era arrivato il momento perché la classica canzone di "nove settimane e mezzo", "you can leave your hat on" di Joe Cocker, partì dalle casse, provocando sospiri e urla dalle presenti. Io ero a dir poco imbarazzata dal comportamento delle ragazze attorno a me, soprattutto di quello di mia cugina che, una volta partita la canzone, si mise a ballare sul tavolo. Per fortuna l'alcol che mi scorreva in circolo mi permise di lasciarmi andare un po', ancheggiando a suon di musica accanto ad Louis che mi aveva preso per la vita.

Pochi attimi dopo, dal piccolo palchetto allestito per l'occasione spuntò un ragazzo, altissimo e palestrato, vestito da pompiere. Un classico.

Si muoveva sinuosamente sul palco attorno ad una sedia, muovendo i suoi lunghi capelli neri a ritmo di musica. Non rispecchiava assolutamente il mio tipo di uomo, ma l'alcol aveva oscurato tutto, per questo mi misi anche io ad urlare insieme alle altre. Poco dopo Elis venne chiamata sul palco e venne fatta sedere, in modo focoso, sulla sedia. Il ragazzo cominciò a spogliarsi davanti a lei, continuando a danzare sensualmente, fino a quando non restò in slip davanti a lei, o meglio su di lei. Lo spogliarellista si era seduto a cavalcioni su mia cugina, facendo movimenti molto equivoci su di lei. 

Per la prima volta nella vita vidi mia cugina in imbarazzo.

Non potei far altro che ridere per tutto il tempo, anche perché Louis, che era accanto a me, non si risparmiava nelle battute sarcastiche su mia cugina e lo spogliarellista.

«Ma guarda che frigida! – urlò Louis per farsi sentire al di sopra della musica – se ne sta impalata lì, senza muoversi. Se io fossi al suo posto qualche palpatina gliela darei!».

«Non avevo dubbi!» gli risposi ridendo.

«Oh, guarda! – disse, rivolgendo lo sguardo verso di lui – mi sta guardando!».

Mi voltai verso lo spogliarellista e, in effetti, vidi che guardava proprio nella nostra direzione.

«Dici che è della tua sponda?» domandai senza filtri ad Louis.

«Lo spero, dolcezza! Il cameriere mi ha dato appuntamento alla fine del suo turno, ma un giretto con lui nel frattempo me lo farei anche!» rispose tranquillamente.

«Louis! Che schifo!» urlai, indignata.

«Disse quella che ha una faccia abbastanza soddisfatta – mi guardò attentamente – hai fatto sesso ultimamente, vero?».

«Non sono affari tuoi!» risposi piccata.

«Conosco il mondo delle donne, meglio delle donne stesse, a volte. Questa tua affermazione significa un grade e gigantesco 'SI, CAZZO!'».

Non potei far altro che iniziare a ridere! Mi ero appena innamorata platonicamente di Louis, ne ero certa.

«Per festeggiare la tua recente deflorazione, andiamo a bere!» mi urlò all'orecchio Louis.

Ci facemmo strada verso il bar, mentre Louis mi trascinava attraverso la folla tenendomi saldamente per mano. Mi guardai intorno e mi sembrò di vedere Zayn, ma sicuramente era l'alcol che mi faceva avere le allucinazioni.

Arrivammo al bancone e ordinammo due rum e pera. Dopo averli tracannati sentivo l'alcol, che prima scendeva versi il mio stomaco, salirmi in testa. Era una sensazione davvero orribile.

Eravamo ancora seduti al bar, quando sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla. Mi girai di scatto e vidi un ragazzo alto, con i capelli neri, lunghi fino alle spalle, che mi sorrideva ammiccante.

«Ciao – mi disse sensualmente – sono Kevin».

Ci misi un po' a riconoscerlo, ma poi capii: era lo spogliarellista.

«Ciao – dissi ridestandomi dal mio stato di momentanea trance – io sono Beatrice». 

Mi strinse la mano con forza e la tenne stretta alla sua per qualche secondo.

«Ti andrebbe di ballare con me?».

«Si» dissi senza nemmeno pensarci.

«Mi sa che è della mia sponda» sussurrai all'orecchio di Louis, prima di dirigermi al centro della pista. 

Arrivammo vicino alla consolle grazie al fisico possente di Kevin, che mi faceva da scudo, ed iniziammo a ballare. Kevin si era, ovviamente, rivestito e ora indossava un paio di jeans strappati e una canottiera verde che lasciava ammirare tutti i suoi possenti muscoli. Mi prese per la vita e mi attirò velocemente a lui, cominciando a muoversi su di me.

Se non fossi stata completamente ubriaca mi sarei ritratta al suo tocco, ma il mix alcol e arrabbiatura mi aveva destato da quel pensiero. 

«Ti avevo notata dal primo momento che ho messo piede nel privè» mi sussurrò Kevin all'orecchio.

M'imbarazzai alla sua affermazione e mi spostai per guardarlo negli occhi. Non era affatto brutto, anzi, ma non aveva lo stesso effetto che Harry aveva su di me.

No, non potevo pensare a lui in questo momento. Lui sicuramente stava facendo tutto tranne che pensare a me.

«La tua apparenza innocente – continuò, stavolta guardandomi negli occhi – mi ha fatto eccitare da morire, piccolina».

Non sapevo davvero cosa dire.

A dire il vero ero un po' disgustata dalla sua sfacciataggine. Avevo sempre odiato i tipi come lui, che sanno di essere belli e usano la loro bellezza per attirare le ragazze.

Cercai di allontanarmi un po' dal suo corpo, ma lui era troppo forte per me. Vidi che il suo viso si stava avvicinando pericolosamente al mio, e io non riuscivo a ritrarmi più di quanto non avevo già fatto.

«Bea, ti ho cercato dappertutto».

Per fortuna un'Elis visibilmente ubriaca sbucò dal nulla salvandomi dal mio disgustoso destino.

Appena Kevin sentii la voce di mia cugina si allontanò da me, quel poco da permettermi di allontanarmi totalmente da lui.

«Stavo tornando al tavolo – le dissi biascicante – buona continuazione, Kevin».

Tornai sana e salva al privè, dove al tavolo c'era Louis con un sorriso divertito sul volto. Sicuramente aveva assistito a tutta la scena e ora stava gongolando come non mai. Mi sedetti vicino a lui ed Louis, senza dire niente, mi passò la bottiglia di champagne.

«Bere – iniziò a dire – oggi bere è la tua soluzione! Domani si vedrà».

Senza dire una parola presi in mano la bottiglia che mi aveva offerto e la tracannai, tutta d'un fiato.

«Cosa ti affligge, bellezza? – mi chiese Louis, passandomi un drink – parla col tuo amico».

«Io. Io mi affliggo! Sono un fallimento totale in amore. Penso seriamente che l'amore non faccia per me».

«Ti sbagli. Non vedevo così tanto amore negli occhi di qualcuno da tanto tempo. I tuoi occhi quando parli di lui, anche senza nominarlo, sprigionano amore. Non farti condizionare dalla mente, ma segui il cuore».

«Mi ero ripromessa anni fa di seguire il mio cervello, e non il mio cuore. Appena me lo sono ritrovato davanti, invece, ho seguito solo il mio stupido cuore. Ed è stato un completo errore».

«L'amore non è mai un errore» mi rispose dolcemente, mettendo una mano sulla mia.

«Oggi non la penso così».

«Dai tempo al tuo cuore, dagli una possibilità».

E brindammo, nonostante i discorsi deprimenti, ai nostri cuori rotti, malati e infelici, sperando che un giorno sarebbero guariti.

Infiniti brindisi, infiniti drink, risate, scherzi, che portarono nella mia testa una nube nera carbone per il resto della serata.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Sorpresinaaaaaa!

Sono un po' giù in questo momento, perché sono sola in quel di Milano, mi hanno abbandonato tutte *piango*.

Ho notato un calo in questa settimana nella lettura, spero sia solo perché vi state divertendo a mare, e non perché non vi piace più a storia.

Fatemi sapere cosa ne pensate e soprattutto cosa pensate sarà successo nel BUOI!!

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/barbsstories

e se volete farmi qualche domanda: http://ask.fm/barbystew

 

All The Love,

BARB <3

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Capitolo 37
*** Ieri Sera? ***


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Magari poi due non se lo dicono nemmeno, ma glielo si legge negli occhi che passerebbero la vita ad aspettarsi, a trovarsi, a volersi, a prendersi

 

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Mi sentivo davvero malissimo, avevo come la sensazione di avere un coltello piantato nel cervello, sentivo la pancia farmi male e la gola bruciarmi. Avevo ancora gli occhi chiusi e stentai ad aprirli. Quando riuscii ad aprirli cercai di focalizzare quello che mi stava attorno. Davanti a me riuscii a distinguere un water, che guardai stranita e, voltando lo sguardo, capii di trovarmi in un bagno. Capii poco dopo di trovarmi nel bagno della mia stanza, ma non ricordavo minimamente come c'ero arrivata. 

L'ultimo ricordo che avevo della serata precedente era la chiacchierata con Louis, poi il buio. 

Tentai di alzarmi, ma non appena ci provai la testa mi girò vorticosamente. Poggiai le mani per terra ma mi ritrovai invece a toccare qualcosa di morbido; abbassai lo sguardo e vidi che la mia mano si era poggiata su una coscia. 

Quando vidi a chi apparteneva restai di sasso.

Harry era poggiato con la schiena sulle piastrelle del muro e dormiva, tenendo però una delle sue mani sul mio fianco.

Come ero arrivata lì? E perché Harry era accanto a me?

Non avevo risposte a queste domande. 

Riuscii ad alzarmi poco dopo e mi diressi nella mia stanza a prendere un'aspirina. Mi sentivo davvero malissimo.

Camminando come uno zombie andai in cucina e, dopo essermi riempita un bicchiere d'acqua, ingoiai la pillola, tentando di non far caso al bruciore della mia gola. Dovevo chiamare mia cugina, solo lei poteva aiutarmi a ricordare quello che era successo la sera prima.

«Pronto» rispose al quinto squillo con voce assonnata. 

«Elis, sono io, Bea. Scusa se ti ho svegliato. Ti lascio tornare a dormire subito, ma prima potresti dirmi se sai quello che è successo ieri? Non ricordo molto».

«Mmm – farfugliò – ti ho visto parlare con un ragazzo molto carino, scuro di carnagione. Sembravi in confidenza con lui. Non so chi fosse, ma vi ho visto uscire insieme, ti ho seguito, ma tu mi hai detto che era tutto apposto e potevo tornare a festeggiare. Basta».

«Ok, grazie!» dissi chiudendo la conversazione.

Con le poche informazioni che mi aveva dato mia cugina cercai di ricordare qualcosa, ma nel mio cervello era tutto oscurato. Poi però ricordai che quando ero andata al bar con Louis mi era sembrato di vedere Zayn. In quel momento mi era sembrata una visione, ma dal resoconto di mia cugina dovevo averlo incontrato realmente, e proprio in quell'istante partì il flash della sera prima.

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Ero ancora seduta al nostro tavolo con Louis quando, spostando lo sguardo verso la pista, mi sembrò di vedere Zayn, per la seconda volta in una serata. Per quanto potessi essere ubriaca, non ero una visionaria, per questo mi alzai dal mio posto e mi diressi nel luogo in cui mi era sembrato di vederlo. Mi guardai intorno, ma di lui non vi era nessuna traccia, perciò feci per tornare al mio tavolo.

«Non ti facevo tipo da night club» disse una voce dietro di me, che riconobbi all'istante.

«Zayn - urlai - ciaooooooo».

Mi buttai letteralmente su di lui e lo abbracciai forte. Aveva proprio un bell'odore, dovevo ammetterlo.

«Hai bevuto un po', eh?» mi chiese ridendo.

«Solo pochino così» dissi, mimando con le dita quanto poco avevo bevuto.

«Si, si - rispose Zayn continuando a ridere - quando però ti ubriachi non è un buon segno. Ho imparato a capirlo».

«E' successo qualcosa?» mi chiese poi, rabbuiandosi.

«Niente di cui valga la pena parlare! - tagliai corto - ora andiamo a ballare».

E senza aspettare un suo assenso lo trascinai al centro della pista. 

Iniziammo a ballare come due stupidi, senza riuscire a smettere di ridere. Non sapevo per quale motivo, ma quel ragazzo, nonostante lo avessi visto appena tre volte, mi faceva sentire a mio agio. Gli poggiai le mani intorno al collo e lo avvicinai a me, muovendomi in modo sinuoso, lui, dal suo canto, restò freddo, forse perché non si aspettava da me così tanta intraprendenza. Lo sguardi negli occhi e gli sorrisi, per poi portare il mio volto sul suo petto, rilassandomi.

«Lo sai - dissi, cercando di farmi sentire sopra la musica - sei davvero un bel ragazzo, Zayn».

«Grazie - rispose sorridendo - vorrei che lo avessi detto da sobria, però» concluse portando una mano sotto il mio mento per farmi alzare lo sguardo verso di lui.

«Lo pensavo anche prima» risposi sincera.

I nostri occhi restarono incatenati, e nessuno dei due parlò. Poi, non so per quale motivo, mi protesi verso di lui e poggiai le mie labbra sulle sue, ma durò un secondo, perché mi resi subito conto delle conseguenze che avrebbe potuto portare quel mio gesto.

«Scusami - gli dissi mortificata - non so perché l'ho fatto».

«Tranquilla, so perché l'hai fatto e so che non significa quello che vorrei».

«Cosa?» chiesi, presa alla sprovvista dalle sue parole.

«Non ci vuole un genio a vedere che mi piaci, ma è altrettanto facile capire che il tuo cuore appartiene a qualcun altro».

«A volte vorrei che non fosse così» dissi intristendomi.

«Lo vorremmo tutti - disse accarezzandomi il volto - forse è meglio che ti accompagno a casa ora».

«Ok» dissi senza riuscire ad aggiungere altro. 

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Avevo ricordato una parte della serata, ma ancora non riuscivo a ricordare come fossi finita nel bagno con Harry. Ero seduta nella penisola della cucina e mi portai le dita alle labbra, avevo baciato Zayn la notte scorsa, non riuscivo a capacitarmene. 

Avevo sempre pensato che Zayn fosse un bel ragazzo, e mi trovavo benissimo a parlare con lui, ma mai avevo pensato di baciarlo.

Saltai sul posto quando sentii una mano poggiarsi sulla mia spalle e mi girai di scatto, trovando davanti a me un Harry con espressione preoccupata che mi osservava.

«Stai bene?» mi chiese timoroso.

«Sono stata meglio, ma si, sto bene» risposi fredda.

Non avevo certo scordato quello che era successo il giorno prima, ma allo stesso tempo volevo sapere cosa era successo la notte prima, quindi non potevo ignorarlo.

«Sai dirmi quello che è successo ieri?» chiesi.

«Non ti ricordi niente?» mi chiese quasi dispiaciuto, anche se non ne capivo il motivo.

«Se te lo sto chiedendo, evidentemente non ricordo».

«Scusa» rispose, quasi mortificato.

Ok, forse stavo esagerando, ma non poteva prima illudermi e poi far sembrare tutto come prima. Ci furono interminabili secondi di silenzio, nei quali io aspettavo una sua spiegazione, mentre lui fissava il suo bicchiere di latte, ormai vuoto.

«Erano le tre quando sono rientrato, ma tu non c' eri, mentre Niall mi aveva detto che Elis era già nel suo letto. Mi sono preoccupato e ho cominciato a chiamarti, infinite volte, fino a quando non mi ha risposto un ragazzo, Zayn credo si chiamasse. Ero incazzato nero e non sapevo cosa pensare, non potevo credere che te ne fossi andata con un altro, dopo quello che era successo tra di noi».

«Come scusa? Perché ti saresti dovuto incazzare, scusa?».

«Stai zitta e fammi finire - mi disse con sguardo minaccioso - mi ha detto che voleva riaccompagnarti in hotel, ma tu farneticavi su qualcosa che lui non capiva, perciò gli ho indicato la strada io. Dopo 20 minuti sei arrivata, piangevi e dicevi cose senza senso e...».

In quel momento ricordai.

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Il viaggio in macchina, per quanto era stato tremendo per la mia sbronza, era durato meno di quanto mi aspettassi. Quando la macchina si fermò davanti all'hotel, riuscii a malapena a reggermi in piedi fino all'ingresso, ma per fortuna accanto a me c'era Zayn che mi reggeva.

«Si, siamo sotto, ma ho bisogno di una mano mi sa» lo sentii dire al telefono.

Non sapevo con chi stesse parlando e nemmeno di che aiuto avesse bisogno, ma ero davvero stanca, così mi appoggia alla sua spalla, chiudendo gli occhi.

Poco dopo sentii delle braccia possenti prendermi in braccio, una mano mi prese dalle ginocchia e l'altra mi teneva la schiena. Gli poggiai il viso nel petto e sentii un odore familiare, quello di Harry, ma non era possibile che fosse lui, perciò alzai gli occhi per constatare che mi sbagliavo e invece vidi Harry a guardarmi con espressione preoccupata.

«Grazie di averla riportata a casa, e di non esserti approfittato della situazione» gli sentii dire.

«Non le avrei mai fatto una cosa del genere, ma ti chiedo una cosa - sentii dire ad un'altra voce, sicuramente Zayn - non farla soffrire ancora. Quelle poche volte che l'ho vista stava sempre male, oggi peggio delle altre volte, e lei non se lo merita. Lei è speciale e merita qualcuno alla sua altezza, se pensi di non esserlo, lasciala andare».

«La amo più di qualsiasi altra cosa al mondo» rispose Harry.

«E' una ragazza facile da amare, ma meriti il suo amore?» chiese Zayn.

«Lei è il mio destino. Sono stato uno stupido a non averlo capito prima, ma ora lo so».

«Lo spero per voi. So quanto lei ti ama, parlale chiaro, dille quello che provi».

«Lo sa già» rispose piccato Harry, sicuramente stava odiando l'impertinenza di Zayn.

«Non si direbbe visto quello che mi ha detto in macchina - disse freddamente Zayn - ora è meglio che vada. Buona fortuna».

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«Bea? - disse Harry, agitando una delle sue mani davanti alla mia faccia - ci sei?».

«Si, scusa. Ho ricordato come sono arrivata qui» risposi frastornata.

«Ricordi tutto quanto?» chiese speranzoso.

«Fino a quando sono arrivata in hotel, poi no. Perché? E' successo qualcosa di particolare?» chiesi dubbiosa.

Non ricordavo altro, non ancora almeno.

«No, niente, tranquilla» disse Harry, ma potevo vedere dalla sua espressione che c'era più di quanto mi stesse dicendo.

«Dimmi la verità, tutta» gli ordinai.

«Niente, veramente. Appena siamo arrivati sopra, ti sei sentita male e hai vomitato tutta la notte. Non potevo lasciarti sola, così sono stato lì con te, ma questo penso che l'hai capito anche da sola».

Non ero per niente convinta dalla sua versione, ma non volevo insistere, perché magari avevo detto qualcosa che lo aveva ferito. Ero davvero arrabbiata con lui, e lo ero ancora.

«Vado a riposare un po', altrimenti domani al matrimonio sembrerò una mummia» dissi dirigendomi verso la mia camera.

«Ok» rispose lui, senza aggiungere altro. 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Ecco un nuovo aggiornamento!!!

Non vi abituate troppo ad avere due capitoli a settimana, questa è stata un'eccezione... nonostante non nego che potrà ricapitare. 

Ho l'ultima settimana di studio, poi sarò in vacanza, quindi magari potrei portarmi avanti con la scrittura, anche se vedo le visualizzazioni e i commenti calati, spero però sia solo perché p estate, fa caldo e si va a mare.

In questo capitolo si scopre cosa è realmente successo la sera dell'addio al nubilato, e già vi immagino con i forconi ad aspettarmi al varco.

Questi due proprio non riescono a stare tranquilli un attimo, e Harry è inconsapevole di cosa sia successo.

Perdonatemi, se potete, magari arriveranno tempi migliori!

 

All The Love, 

BARB <3

 

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Capitolo 38
*** Ieri sera... ***


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POV HARRY

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Aprirsi a qualcuno significa abbattere i muri che hai costruito per tutta la vita.

-Grey's Anatomy

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L'addio al celibato di Niall sarebbe davvero stato uno spasso, e l'avrei ricordato per tutta la vita se non fosse stato per un paio di occhi verdi che avevano oscurato tutta la mia serata. Erano in ogni mio movimento e gesto, in ogni mia parola, avevano invaso i miei pensieri.

Erano passate solo poche ore dall'ultima volta che quegli occhi si erano posati sui miei, ma quell'ultimo sguardo mi aveva squarciato il cuore. Era arrabbiata e delusa, ma non sapeva realmente cosa era accaduto, non sapeva la verità, ma non ero riuscito a parlarle, non aveva voluto sapere la mia versione dei fatti.

Avevamo sempre avuto questo problema io e lei. Eravamo soliti scappare dai problemi, rinchiuderci in noi stessi per paura di perderci, perché temevamo che portare a galla i problemi avrebbe distrutto ciò che avevamo, ma io avevo capito che i nostri sentimenti erano l'unica cosa al mondo che era indistruttibile.

Lo avevano provato tutti quegli anni lontano da lei, quando, anche se non avrei voluto, mi svegliavo con i suoi occhi davanti a me. Lei era in tutto ciò che facevo, e a volte non me ne rendevo nemmeno conto. Mi capitava di sentire il suo profumo per casa, quando in realtà quel profumo, unico e raro, apparteneva solo a lei, ed era impresso nella mia mente, indissolubilmente. Mi mancava come l'aria, ma mi ero imposto di continuare a vivere, di convivere con quella mancanza, a cui ormai mi ero quasi abituato.

Non avevo pensato nemmeno per un momento di dimenticarla, perché il pensiero di una vita senza il suo ricordo, mi avrebbe lacerato ancora di più. Preferivo vivere una vita con il dolore del suo ricordo, piuttosto che una vita fingendo di essere felice in sua assenza.

La vedevo tra la gente, anche quando ero a conoscenza del fatto che non potesse essere realmente lei, ma il mio cuore non smetteva mai di sperare.

Per tre anni, nonostante pensassi di vivere una vita normale, in realtà stavo solo sopravvivendo.

Aprii la porta della camera d'albergo, ed entrai in una stanza buia. Speravo di trovarla illuminata, e lei accovacciata sul divano, rimasta in piedi ad aspettarmi, invece non era così.

Andai a controllare la sua camera, forse era ancora arrabbiata con me, ma anche quella era vuota, di lei nessuna traccia, e non potei fare a meno di restarne deluso.

Era troppo tardi, e lei doveva già essere tornata in quel momento, per questo iniziai a preoccuparmi, perché solo il pensiero che le potesse essere successo qualcosa mi aveva già creato un vuoto al cuore.

Presi il mio cellulare, e composi il primo numero che mi venne in mente.

«Niall» dissi quando sentii la chiamata aprirsi.

«Ei, amico! - esordì, ancora allegro dalla serata appena trascorsa - dimmi tutto! Ti sento forte e chiaro».

«Hai notizie delle ragazze?» chiesi, evitando di far trasparire la mia preoccupazione.

«Certamente - disse, e io tirai un sospiro di sollievo - quando sono rientrato un piccolo facocero si era impossessato di Elis. Dovevi sentire come russava» concluse scoppiando a ridere.

Quindi Elis era tornata prima di noi, e se lei era tornata, allora dov'era Bea?

«Bea è lì con voi?» non potei fare a meno di chiedere.

«Ovvio che no! Sarà in hotel. Tu non sei ancora arrivato?».

«Si... No. E' tutto ok. Ci sentiamo domani».

Non sapevo cosa rispondere così chiusi la conversazione, solo per aprirne un'altra.

Sette squilli, poi la segreteria, altri sette, e di nuovo quella voce che conoscevo a memoria.

'Salve, sono Bea. Se avete qualcosa di urgente da dirmi lasciate un messaggio in segreteria'.

Quella voce aveva tormentato le mie notti per anni, tutti i miei giorni ruotavano attorno a quella voce che m'imponevo di cancellare dalla mia vita, ma non riuscivo a farlo. Quella voce registrata era così diversa dalla voce della ragazza che amavo, era senza sentimento e senza quell'intensità che la rendeva unica. La sua voce era la melodia che guidava la mia vita, e il suono della sua risata era la luce alla fine del tunnel, il suono della salvezza.

Mi chiedevo ogni giorno come avessi fatto a resistere così tanto senza sentirla, ma forse la risposta era semplice, l'amavo a tal punto da rinunciare a lei, se questo la rendeva felice. Come potevo sapere che anche lei era infelice senza di me, se non aveva mai provato a richiamarmi?

Persi il conto di quante volte sentii quei maledetti squilli susseguirsi sul mio cellulare, non ricordavo nemmeno quanti inutili bip sentii, ormai era come se stessi facendo una chiamata di continui bip. Iniziai a camminare per la stanza, avanti ed indietro, sperando che quegli squilli, smettessero di essere tali, speravo di sentire la sua voce, speravo che stesse bene.

«Pronto?» e restai senza parole, perché quella non era la voce di Bea.

Ero paralizzato dalla paura, mentre la mia mente costruiva infiniti scenari sul perché non stessi sentendo la sua voce. Lo scenario migliore era che avesse perso il cellulare, ma questo non spiegava il perché non fosse tornata, quello peggiore, non appena l'aveva partorito, la mia mente lo aveva voluto cancellare istantaneamente.

«C'è nessuno?» la voce dall'altro capo del telefono mi fece tornare alla realtà.

«Sono Harry» fu l'unica cosa che riuscii a dire.

«Ah. Harry» disse, quasi fosse ovvio stesse parlando con me.

Non riuscivo a distinguere bene quella voce, dovevano essere ancora vicino alla discoteca, perché potevo sentire chiaramente la musica. Mi sembrava di non conoscere quella voce, ma di sicuro era una voce maschile, e questo non mi faceva stare tranquillo, nonostante sapesse della mia esistenza.

«Si, sono io. Dov'è lei?» chiesi, non potendo più aspettare.

«E' qui, sta bene» e nello stesso momento in cui lo disse mi sembrò di sentire Bea lamentarsi.

«La vengo a prendere. Dove vi trovate?» dissi perentorio.

«La lascio io, dimmi solo dove venire».

«Se sei ubriaco, col cazzo che tu metti in macchina con lei».

«Ehi, tranquillo - quella voce non mi stava affatto simpatica - sono sobrio. Ora dammi l'indirizzo».

E non appena lo feci il ragazzo dall'altra parte chiuse la conversazione, senza dire una parola.

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Erano solo passati pochi minuti, ma sembravano passate ore da quando quello sconosciuto aveva chiuso la chiamata e, non sapendo da dove venissero, non potevo capire se fosse normale quel tempo d'attesa, o le fosse successo qualcosa.

Mi rendevo conto di essere apprensivo, ma lei era tutta la mia vita, e la paura di perderla di nuovo mi paralizzava, soprattutto l'idea di poterla perdere per sempre.

Non ce la feci più a stare chiuso in quella camera d'albergo, ad aspettare il suo arrivo, avevo bisogno di aria, per questo scesi nella hall, sperando di vedere arrivare una qualsiasi macchina.

Si fermarono tre macchine, e ogni volta il mio cuore aumentava i suoi battiti, per poi rallentarli, deluso da un falso allarme. 

Quando non stai aspettando qualcosa, quando ti limiti a vivere, il tempo passa senza nemmeno rendertene conto, ma quando stai aspettando qualcosa con tutto il cuore, i minuti diventano ore, e i secondi diventano minuti. Il tempo sembra fermarsi contro il tuo volere, perché più tu desideri che il tempo passi, più lui sembra durare per sempre. Il tempo non ti è mai amico.

Avevo quasi perso le speranze, stavo quasi ipotizzando l'idea di chiamare la polizia, quando sentii il mio cellulare squillare.

«Siamo sotto, ma ho bisogno di una mano mi sa» lo sentii dire al telefono.

E la vidi, finalmente. Potevo vedere i suoi lunghi capelli ondulati posarsi sinuosi sul sedile della macchina, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta, segno che stava dormendo. Senza pensarci un secondo mi misi a correre verso la macchina, aprendo d'istinto lo sportello.

Non avevo nemmeno volto lo sguardo sul ragazzo che l'aveva accompagnata, ma poco importava al momento, volevo solo assicurarmi che stesse bene, volevo riportarla a sicuro, nella stanza.

Il più delicatamente possibile la presi in braccio, facendo presa sulla parte posteriore delle ginocchia e tenendole saldamente la schiena. Finalmente era tra le mie braccia e, se non fosse stato per il suo profumo che mi era arrivato alle narici, avrei pensato fosse un sogno.

«Grazie» dissi rivolto allo sconosciuto, prima di andare verso l'entrata.

«Ehi - disse una voce dietro di me, e dovetti girarmi, facendo attenzione a non svegliarla - non pretendo chissà cosa, ma almeno essere guardato in faccia» disse piccato il ragazzo davanti a me.

«La conosci?» chiesi, evitando di iniziare una discussione.

«Si, è venuta nel mio bar, e si è ubriacata anche quella notte».

Il suo sguardo sembrava accusatorio, come se lei le avesse raccontato di me e della nostra storia, ma forse non era a conoscenza dei cambiamenti che erano avvenuti.

«Sono cambiate molte cose d'allora» risposi, anche se non vedevo il motivo per cui dovessi giustificarmi con uno sconosciuto.

«Non sembra» rispose poi indicandola.

«E' così. Ora la porto su - e mi girai per andarmene, ma qualcosa, forse il senso di gratitudine, mi fece voltare nuovamente - grazie di averla riportata a casa, e di non esserti approfittato della situazione» conclusi.

«Non le avrei mai fatto una cosa del genere, ma ti chiedo una cosa. Non farla soffrire ancora. Quelle poche volte che l'ho vista stava sempre male, oggi peggio delle altre volte, e lei non se lo merita. Lei è speciale e merita qualcuno alla sua altezza, se pensi di non esserlo, lasciala andare».

«La amo più di qualsiasi altra cosa al mondo» non potei non essere sincero in quel momento.

«E' una ragazza facile da amare, ma meriti il suo amore?».

Iniziavo seriamente a non sopportare quel ragazzo. Che ne sapeva lui di quello che provavo, che ne sapeva del nostro amore?

«Lei è il mio destino. Sono stato uno stupido a non averlo capito prima, ma ora lo so».

«Lo spero per voi. So quanto lei ti ama, parlale chiaro, dille quello che provi».

«Lo sa già» risposi innervosito.

«Non si direbbe visto quello che mi ha detto in macchina - disse freddamente - ora è meglio che vada. Buona fortuna».

E mi girai senza più voltarmi indietro.

>>>>>

Avevo sempre amato guardarla dormire, era il momento di sua massima vulnerabilità, senza inibizioni, senza il timore di essere guardata, ed era il momento che preferivo in assoluto.

Me ne stavo seduto in un angolo del letto per evitare di disturbarla. L'avevo spogliata da quel suo bellissimo vestito, che in altre occasioni le avrei sfilato sensualmente, e le avevo fatto indossare una delle mie magliette. Lei nel frattempo non si era svegliata, ed era meglio così, ma era da qualche minuto che aveva iniziato a lamentarsi.

La vidi aprire gli occhi, mentre altri lamenti uscivano dalla sua bocca.

«Ehi, è tutto apposto. Sei in camera» le dissi per rassicurarla.

Era visibilmente disorientata, potevo vederlo dal modo in cui spostava lo sguardo nelle diverse direzioni per scrutare lo spazio attorno a lei, ma quando posò lo sguardo sul mio, lessi stupore, e poi qualcos'altro che non riuscii ad identificare.

Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime, e mi spostai accanto a lei, cominciando ad accarezzargli i capelli.

«Ehi, tesoro. Va tutto bene, non piangere» ma quelle mie parole non fecero che peggiorare la situazione, fino a quando non sentii i primi singhiozzi.

«L'ho baciato - disse fra le lacrime, mentre il mio cuore ebbe un sussulto - mi dispiace, ero arrabbiata. E' stato solo un secondo, mi sono resa subito conto che stavo sbagliando e mi sono scostata. Mi dispiace tanto! Ora non mi perdonerai mai, e ti perderò di nuovo».

Non sapevo cosa dire, ma non mi sarei mai aspettato niente del genere. 

Una fitta di gelosia mi attraversò il corpo, e se lo avessi saputo avrei sicuramente picchiato quel ragazzo, anche se non ero a conoscenza di chi si trattasse, ma forse era meglio così. Aveva sbagliato, avevamo sbagliato entrambi molteplici volte, ma tutti gli sbagli che avevamo fatto ci avevano portato a quel momento, quel momento dove finalmente eravamo insieme. Forse quell'accumulo di sbagli ci era servito a renderci così forti, perché nonostante ce ne fossero stati molti, più gravi e non, noi eravamo sempre lì, a combattere contro tutti e tutto.

Non sarei mai riuscito a lasciarla andare, non quando finalmente le cose si stavano aggiustando, così dissi le prime parole che mi vennero in mente.

«Non fa niente. Ti perdono».

«Mi sento male, Harry» e feci appena in tempo a portarla in bagno, che iniziò a rimettere, ripetutamente.

Andò avanti per non so quanto tempo, forse un'ora, o anche di più, mentre io cercavo di aiutarla, per quanto mi era possibile. Le tenevo i capelli con una mano, mentre con l'altra tracciavo piccoli cerchi sulla sua schiena, era terribile vederla in quello stato, e non potevo non sentirmi in colpa, perché era colpa mia se si era ubriacata.

Quando finì era visibilmente distrutta, mi poggiai al muro, accanto al water e me la misi tra le gambe, con la schiena poggiata sul mio petto.

«Vuoi che ti vada a prendere un po' d'acqua?» chiesi,ma feci comunque per alzarmi.

«No, ti prego, resta qui con me. Non mi lasciare» disse con un filo di voce.

«Non ti lascerei per niente al mondo» dissi sinceramente.

«Sicuro?».

«Bea, l'unica cosa che voglio è passare il resto della mia vita con te. Il mio unico pensiero quando mi sveglio è vedere il tuo volto e il tuo sorriso, e vorrei vederlo ogni giorno della mia vita. Voglio avere un figlio da te, e lasciarti scegliere il nome, perché so che avrai già in mente il nome di nostro figlio, e io voglio solo vederti felice, perciò fingerò di essere d'accordo, qualsiasi nome sia. Voglio litigare con te per delle stupidaggini, come per il fatto che non abbasso mai la tavoletta del water, e poi fare pace entrando delicatamente dentro di te, perché fare l'amore con te è la sensazione più fantastica che io abbia mai provato, quasi ultraterrena. Voglio invecchiare con te e continuare a dirti che, nonostante le rughe, sei sempre la donna più bella che io abbia mai visto. E voglio morire prima di te, perché anche un solo giorno senza di te mi ucciderebbe, non voglio vivere in un mondo in cui non ci sei, perciò promettimi che mi lascerai morire per primo, per poi rincontrarci in paradiso, e poterci amare per l'eternità». 

Non riuscii a trattenermi, dovevo dare aria ai miei pensieri, troppo grandi per contenerli ancora, ma forse avevo esagerato, forse in quel momento era troppo per lei sentire tutte quelle cose.

«Bea, io... - feci una pausa, per trovare le parole giuste, ma non c'erano altri modi per dirlo - Bea?».

Accarezzai il suo viso, sperando che si girasse verso di me, che mi dicesse qualcosa, quel qualcosa che mi potesse spingere a continuare, quel qualcosa che mi potesse far capire che aveva compreso ogni mia parola.

Ma quando mi protesi verso il suo viso, la vidi dormire beata.

Non sapevo da quanto tempo si fosse addormentata, ma speravo con tutto il cuore che l'indomani avremmo potuto continuare il nostro discorso.

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon pomeriggio a tutti!
Oggi è assolutamente una giornata no! Il mio ultimo esame è andato male e sono parecchio incazzata, perciò... Per riprendermi un po' ho bisogno di voi è dei vostri commenti, soprattutto anche di quelli divertenti, ho voglia di ridere un po', nonostante questo capitolo non sia affatto divertente.

Ho voluto fare felice qualcuna di voi, che desiderava ardentemente un pov Harry, quindi eccolo qui. 
Spero di non avervi deluso e di avervi trasmessi quelli che realmente prova Harry. Mi è venuto più facile del previsto scrivere questo capitolo, non chiedetemi perché!
Ora sono in vacanza, e passerò tutta l'estate a scrivere, finalmente!!

Alla prossima settimana! 

All the love,
BARB <3

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Capitolo 39
*** Preparativi ***


Anche quando non ci sei, io mi giro a cercarti.

-Grey's Anatomy

 

>>>>>

 

«Tesoro mio - sentii una voce che mi parlava, ma sembrava lontana - alzati, altrimenti tua cugina viene qui e ti ucciderà».

Non riuscivo a distinguere bene la voce, ma sembrava quella di mia madre.

Perché stavo sognando mia madre? lei sarebbe arrivata solo la mattina del matrimonio, allora perché sentivo la sua voce?

Merda! 

Il pomeriggio precedente, quando ero andata a riposarmi, non avevo impostato la sveglia per il giorno dopo perché convinta di svegliarmi per cena, e invece mi ero addormentata per tutta la notte!

Aprii gli occhi di scatto, alzando contemporaneamente il busto dal letto, e mi guardai intorno, trovando mia mamma ai piedi del letto che mi guardava divertita.

«Ho dovuto chiamarti un numero talmente elevato di volte che mi è sembrato infinito, se sapevo che bastava nominare tua cugina, l'avrei fatto subito».

Mi ridestai subito dal mio sonno e andai ad abbracciarla. Nonostante non la vedessi da due settimane, mi era mancata da morire. La strinsi forte e assimilai il suo odore che tanto mi era mancato in questi giorni. Me n'erano successe di ogni in questi giorni e sentivo davvero il bisogno di sfogarmi con lei e di sapere ciò che pensava riguardo alle mie ultime avventure.

«Mi sei mancata tanto» le dissi all'orecchio.

«Signora Grimaldi, la macchina è arrivata e vi aspetta sotto» disse una voce accanto alla porta.

Mi staccai da mia mamma per vedere a chi appartenesse, ma non c'era nemmeno bisogno che lo facessi. Harry era davanti l'uscio della porta in tuta e aveva nelle mani un vestito elegante, sicuramente quello per il matrimonio. Non volevo nemmeno immaginarmi la sua figura con quel vestito, sarebbe stato sicuramente tanto bello da dover essere considerato illegale, ed era meglio che non ci pensavo.

Mi rendevo conto di essere esagerata nelle mie reazioni, ero davvero una ragazza piena di complessi e me ne rendevo conto, ma non potevo fare a meno di essere così, soprattutto quando Harry mi fluttuava vicino. Odiavo ammetterlo, ma tornavo quella ragazza insicura di tre anni prima.

«Oh grazie Harry caro, ma chiamami Liliana - disse mia mamma, provocandomi sgomento - ora andiamo a prenderci un bel caffè, mentre la principessa qui si prepara. Ti aspettiamo di là» concluse, prendendo Harry per il braccio e trascinandolo in salotto.

Da quando mia mamma ed Harry erano entrati in confidenza?

A quanto ne sapevo non si erano mai né visti né sentiti, a meno che non l'avessero fatto a mia insaputa, ciò che ritenevo improbabile. Mamma aveva sempre adorato Harry sin da quando era piccolo e, quando le avevo raccontato tutta la nostra storia, aveva anche giustificazione parte il comportamento di Harry, dicendo che gli uomini non sono mai preparati ad avere un bambino.

Avevo sempre amato l'imparzialità di mia mamma, perché mi permetteva di capire realmente se stavo prendendo la decisione giusta o meno. Mi aveva dato ragione in molte cose nella mia storia con Harry, ma era rimasta contrariata dal mio insano istinto di fuga ogni qualvolta mi trovavo in una situazione scomoda.

Iniziai a prepararmi continuando a pensare alla situazione in cui mi trovavo.

Mi resi conto che anche questa volta avevo sbagliato. Avevo deliberatamente evitato lo scontro con Harry per paura che le sue parole, e la sua eventuale confessione, mi potessero ferire, ma avevo deciso: dopo il matrimonio avrei parlato con lui, anche se ciò avrebbe portato alla nostra completa rottura. Almeno sarebbe finita davvero, stavolta.

M'infilai un paio di shorts di jeans a vita alta e un crop top verde, preparai un borsone con tutto ciò che mi potesse servire per prepararmi, una volta arrivata da Elis, e mi diressi verso il salotto.

«Ma non ha voluto sentire alcuna spiegazione» sentii Harry che parlava sottovoce con mia mamma.

«Tranquillo» disse mia mamma, poggiando una sua mano su quella di Harry, prima di accorgersi della mia presenza e scostarsi.

«Sei pronta finalmente!» disse risoluta alzandosi dal divano.

«Si. Andiamo?» dissi freddamente, alquanto irritata da quel rapporto di cui non ero a conoscenza.

Dopo essere scese dall'albergo e dopo mezz'ora di macchina eravamo finalmente arrivate a casa di Elis. Di solito quando ero con mia mamma non c'era un attimo di silenzio, perché lei era davvero una donna vulcanica, ma quella volta il silenzio regnava nell'auto, evidentemente aveva capito che ero infastidita dal suo strano comportamento e, conoscendomi, sapeva che parlandomi sarei scattata in cinque secondi.

«Finalmente! - urlò mia cugina una volta aperta la porta di casa - se non ti fossi presentata nel giro di mezz'ora sarei venuta io stessa a prenderti per i capelli».

Non ebbi nemmeno il tempo di controbattere perché Elis mi tirò con forza dal braccio, trascinandomi nella sua stanza, momentaneamente allestita per la preparazione al matrimonio. Nell'angolo vicino alla finestra c'era una ragazza, poco più che maggiorenne, intenta a truccare sai Mara, mentre nell'angolo opposto c'era Louis, intento a sistemate i capelli di Felicity, un'amica di Elis.

«Non sapevo ti fossi dato all'hairstyle» dissi dirigendomi verso di lui, che non appena mi vide, mi fece uno dei suoi più smaglianti sorrisi.

«Tesoruccio, tu non sai nemmeno quante cose io sia capace di fare» mi rispose.

«Quanto sei modesto» dissi deridendolo.

«Dove sei finita la sera dell'addio al nubilato?» chiese curioso.

Aveva stampato sul volto uno dei suoi soliti sguardi ammiccanti, che tanto odiavo, ma che allo stesso tempo mi divertivano.

«Lasciamo perdere, è meglio - dissi esasperata - ciao Felicity» dissi poi alla ragazza.

«Ciao» rispose fredda, a quanto pare non le andavo molto a genio, me lo aveva anche confermato Louis, ma poco m'importava.

«Scusa tesoro - disse rivolto alla ragazza - mi assento un secondo» concluse per poi trascinarmi con se in cucina, l'unico spazio della casa momentaneamente libero dall'uragano del matrimonio. 

«Perdonala» iniziò a dire.

«Ma figurati. Vorrei solo capire il motivo del suo odio nei miei confronti, ma me ne farò una ragione».

«E' un motivo molto facile. Lei è cotta del tuo fidanzato» rispose Louis, come se stesse dicendo un'ovvietà.

«Peccato che non sono fidanzata».

«Peccato che sei scema» mi rispose a tono e, senza darmi il tempo di ribattere, mi riportò in camera, dove iniziai a prepararmi.

Per fortuna non ci misi molto a prepararmi, perché tutta l'attenzione era, ovviamente, destinata alla sposa. Una volta infilato il vestito andai verso lo specchio, per osservare il risultato, e restai senza parole. Avevo amato quel vestito da quando lo avevo visto la prima volta, ma ora, insieme al trucco e ai capelli ben fatti, sembravo davvero un'altra persona. Osservai la mia figura allo specchio con molta attenzione, più di quanta non ne abbia mai avuta, il vestito era lungo fino ai piedi, color salmone, stretto in vita, in modo da far valorizzare le mie forme, e con uno scollo all'americana. 

Avevo espressamente chiesto a Grace, la ragazza che si occupava del trucco, di farmi un trucco molto semplice e poco marcato, e lei era riuscita esattamente nel mio intento. Non avevo, invece, potuto dare nessuna direttiva a Louis perché, come espressamente detto da lui, mi aveva immaginato innumerevoli volte con addosso quel vestito e sapeva esattamente cosa fare. Per questo mi ero completamente affidata a lui e non me n'ero pentita. Mi aveva lasciato i capelli sciolti, per poi farmi uno chignon a mezza coda, con attorno dei piccoli fiori bianchi. 

«A quanto vedo ti piaci» disse mia mamma, posizionandosi dietro di me ed interrompendo la mia contemplazione.

«Mi fa strano ammetterlo, ma si. Per una volta mi piaccio veramente».

«Ne sono felice» rispose, mettendo le sue mani sulle spalle.

«Mamma» cercai di direi qualcosa, ma fui prontamente interrotta da lei.

«Tesoro, capirai quando sarà il momento. Ma voglio dirti una cosa: non farti scappare quel qualcosa che potrebbe renderti davvero felice. So che hai paura, perché l'amore è qualcosa che non si può controllare, e so anche che tu ami avere il controllo delle cose, ma la felicità non si controlla. Come arriva, se ne va, quindi goditela finché è tra le tue mani».

Non sapevo come controbattere a tutto ciò, ma di una cosa ero sicura: mia mamma sapeva di più di quanto mi diceva. Era sempre stata una mamma protettiva, e non mi avrebbe certamente buttato in qualcosa che avrebbe potuto farmi soffrire, in alcun modo. Sicuramente aveva parlato con Harry, ma io avevo sentito quello che lui aveva detto a Niall, e non stava di sicuro parlando di me.

«Signore - mi girai, sentendo la voce di Louis dietro di me - la sposa è pronta!».

Pochi attimi dopo Elis fece il suo ingresso nella stanza. ed era meravigliosa come sempre.

Non capivo davvero come facesse a non accorgersi della sua bellezza. Ognuna di noi vede i propri difetti, ma oggettivamente apprezza anche parti di se stessa, lei invece no. Lei, nonostante fosse la ragazza più determinata e caparbia che io avessi mai conosciuto, non riusciva a vedere niente di buono in lei. Ma non sapeva che lei era davvero perfetta, soprattutto in quel momento.

L'abito era davvero meraviglioso. Rigorosamente bianco, con scollo a cuore, che però nella parte posteriore era leggermente più scollato. Era stretto in vita e più largo sotto, da vera principessa e, a completare il tutto un cinturino beige le circondava la vita. Era un abito semplice che faceva risaltare la sua figura e la sua personalità.

Ma non era l'abito a renderla meravigliosa, era il suo sguardo. 

Aveva in volto un'espressione agitata, ma dai suoi occhi traspariva l'amore. Dai suoi occhi potevo vedere quanta voglia avesse di prendere quella dannata macchina, arrivare in chiesa e sposare l'uomo che amava, l'unico uomo che era mai appartenuto al suo cuore.

Non potei non emozionarmi vedendola, ma cercai di trattenermi, perché sapevo che se ci avesse visto piangere, sarebbe scoppiata. Elis mi cercò con lo sguardo, scandagliando tutti i presenti e, quando m'intercettò, si diresse verso di me e mi abbracciò forte.

«Non ti sciupare» urlò Louis dietro di lei, facendo ridere tutti.

«Ma stai zitta» disse Elis, prendendolo in giro.

«Solo perché oggi è il tuo giorno non ti insulterò» rispose, facendo velocemente uscire tutti dalla stanza e lasciandoci da sole. 

«Bea - iniziò a dire mia cugina, una volta che restammo sole - perdonami se non sono stata molto attenta a quello che ti è successo in queste due settimane, ma è stato tutto un casino».

Feci per interromperla, ma lei mi bloccò prima, continuando il suo discorso.

«Sono stata occupata, ma non sono cieca. Ho capito che quel giorno a casa mia è successo qualcosa e, anche se non so cosa, sono sicura che sia stato un malinteso. Lo so perché conosco te, e ho imparato a conoscere il vero Harry. Senza di te quel ragazzo è un'altra persona e non sai cosa abbiamo dovuto passare io e Niall per farlo tornare a sorridere, ma non è mai stato come quando c'eri tu. Anche quando l'ho visto con lei non era il solito Harry. Sai quando l'ho visto tornare? Quando ho visto il suo sguardo tornare come prima? - fece una pausa, come se stesse cercando in mio assenso - quando sei tornata».

Il suo sguardo era sincero, ma la mia testa pulsava dalla confusione. La mia solita disputa 'cuore o cervello' non sapeva placarsi, anzi, al contrario veniva continuamente alimentata da nuove informazioni.

«Non sto cercando di convincerti a tornare con lui, ma ti sto solo dicendo cose che magari tu non sai o non vedi. Ti ama e non smetterà mai di farlo, come non lo farai tu. Quando due persone sono destinate a stare insieme, niente potrà mai mettersi tra di loro. E io lo so bene. Ora andiamo, che mi sa che devo sposarmi» concluse sorridendo.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon giorno a tutti! Si sta avvicinando il capitolo del matrimonio di Elis e Niall, e io non vedo l'ora di farvelo leggere.

Sono tornata a casa e finalmente, tra alti e basi mi sto rilassando anche io. Ho notato che ci sono nuove lettrici, perciò, se non l'ho fatto prima, ben arrivate!

COSA VE NE PARE DEL CAPITOLO?

I SOSPETTI DI BEA SU HARRY E SUA MAMMA SONO FONDATI? SECONDO VOI COSA E' SUCCESSO??

aspetto le vostre divertenti risposte!

All the love,

BARB <3

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Capitolo 40
*** signor e signora Horan ***


39° CAPITOLO: Signore e Signora Horan

La psicologia sostiene che non si smette davvero di amare, o non l’hai mai fatto, o lo farai per sempre.

 

>>>>>

 

Avevo sempre adorato lo stile neogotico, infatti, una volta entrata nella Cattedrale di San Patrizio, non potei fare a meno di innamorarmene. L’interno della chiesa emanava un’insolita intimità, nonostante l’ambiente fosse alquanto ampio. M’incamminai verso l’altare, dove notai una panca in legno per i due futuri sposi e, agli estremi di essa, altre due piccole panche; ovviamente una era per me, la testimone della sposa. Mentre ammiravo le decorazioni floreali che ornavano l’altare, sentii dei passi dietro di me e non potei fare a meno di sorridere, perché, nonostante i fiori emanassero un profumo sublime, l’odore che emanava la colonia di Harry era inconfondibile.

«Elis ha reso questa chiesa ancora più incantevole di prima, vero?» disse quando arrivò al mio fianco. 

«Si – dissi in un sospiro – Elis è riuscita a renderla intima e romantica, proprio come voleva».

«Credo che l’atmosfera non sia data tanto dai fiori o dalle candele, ma dal loro amore; e noi due ne sappiamo qualcosa».

«Hai ragione anche tu. Tutti abbiamo un primo amore, ma non è detto che sia quello vero; io invece ho sempre saputo che il loro sarebbe durato e arrivato fin qui» risposi, guardandolo negli occhi.

Quando fece per rispondere, però, fu bloccato dalla voce di Niall, che arrivò davanti a noi bianco in volto e con espressione terrorizzata.

«E se non verrà?» mi urlò in volto prendendomi per le spalle, disperatamente preoccupato.

«Ero con lei fino a dieci minuti fa, Niall. È prontissima, e sarà qui tra poco» finii accarezzandogli una guancia; potevo solo immaginare quanto fosse, giustamente, in ansia.

«Fai un respiro profondo, fratello» intervenne Harry, dandogli una pacca sulla spalla.

«Si! – gli urlò Niall – voglio proprio vederti il giorno del tuo matrimonio come riuscirai a respirare».

Niall evidentemente non sapeva tutto quello che era accaduto nei giorni precedenti, quindi non poteva mai immaginare che la sua affermazione potesse lenire il mio cuore. Il gelo era sceso tra di noi, ma fu prontamente interrotto dal prete che mi intimava di raggiungere l’entrata perché la sposa era pronta.

Raggiunsi l’entrata appena in tempo per veder Elis scendere dalla macchina accompagnata da Kevin. 

Quello era il mio segnale. 

Iniziai a camminare verso l’altare, guardando attentamente tutti gli invitati, per evitare lo sguardo di Harry, che però sentivo comunque su di me. Scorsi tra la gente tutte le amiche e gli amici di Niall ed Elis, e poi mia madre e mia zia, visibilmente emozionate, che mi guardavano con espressione ammaliante. Sorrisi loro debolmente e spostai il mio sguardo al pavimento, imbarazzata, perché tutta l’attenzione degli invitati era momentaneamente su di me. Per fortuna arrivai in fretta all’altare  e mi misi al mio posto e mi girai verso la navata, sorridente. Sapevo da quanto Elis aspettasse questo momento e io non potevo che essere contenta per lei.

La vidi comparire accanto a Kevin e la marcia nuziale partì.

Mi voltai verso Niall. 

Adoravo osservare lo sguardo dello sposo mentre la sua futura consorte s’incamminava verso di lui. Ero stata a diversi matrimoni, e questo era ormai un mio rituale, ma non avevo mai visto qualcuno guardare la sposa come Niall guardava Elisabeth. Un sorriso comparve sul volto di entrambi e gli occhi di Niall si facevano sempre più lucenti man mano che Elis si avvicinava a lui. La troppa intensità di quello sguardo mi costrinse a voltarmi, altrimenti avrei finito per emozionarmi seriamente, e non potevo permettermelo in quel momento. Incrociai lo sguardo di Harry, che trovai posto su di me, ma una volta resosi conto di essere stato colto in flagrante, si spostò, senza però riuscire a trattenere un flebile sorriso.

Una volta arrivata di fronte a lui, Elis lasciò il braccio di Kevin e si affidò a Niall, una volta e per sempre.

Durante la parte iniziale della cerimonia, la mia ansia scemò, ma qualcos’altro sopraggiunse e tanti pensieri m’investirono.

Chissà se un giorno mi sarei trovata al posto di mia cugina, chissà se questo momento sarebbe arrivato per me. Non potevo non provare un pizzico d’invidia, non perché Elis aveva coronato il suo sogno ed io no, ma perché volevo un amore come il suo. Un amore che ti appartiene, che ti rende viva. Forse se non avessi saputo cosa significava amare veramente, sarei stata felice per lei e basta, ma non era così. Ero più che felice per lei, ma sarei mai stata felice per me stessa?

Mentre questi pensieri mi affollavano la mente rivolsi lo sguardo verso quello che era stato il mio grande amore, trovandolo ancora a fissarmi.

 

«L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità»

 

Recitava la prima lettera dei corinzi, mentre il mio sguardo s’incatenava inesorabilmente a quello di Harry. La verità era che continuavo ad amarlo, e avrei continuato a farlo sempre, nonostante  mi illudessi di poter trovare un giorno un’altro amore.

 

«Soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L'amore non verrà mai meno» (1cor 13:4-10)

 

Mai parole più veritiere.

 

Per tutta la cerimonia Harry non si mosse, restò a guardami sfacciatamente per tutto il tempo, mentre io tentavo di seguire la cerimonia, ovviamente con pochi risultati. 

Ritornai a focalizzare la mia attenzione sugli sposi appena prima delle promesse nuziali.

«Alla presenza di Dio e davanti alla Chiesa qui riunita, datevi la mano destra ed esprimete il vostro consenso. Il Signore, inizio e compimento del vostro amore, sia con voi per sempre» concluse il sacerdote, mentre la mano di Niall si apprestava già a prendere quella tremante di Elis.

«Elisabeth Morgan, vuoi unire la tua vita alla mia, nel Signore che ci ha creati e redenti?» recitò Niall, visibilmente emozionato. 

«Sì, con la grazia di Dio, lo voglio. Tu, Niall James Horan, vuoi unire la tua vita alla mia, nel Signore che ci ha creati e redenti?» disse mia cugina con voce rotta.

«Sì, con la grazia di Dio, lo voglio» concluse, con un magnifico sorriso dipinto in volto.

«Noi promettiamo di amarci fedelmente, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di sostenerci l'un l'altro tutti i giorni della nostra vita» recitarono insieme, guardandosi l’un l’altro, riempiendosi vicendevolmente d’amore.

Io nel frattempo ero letteralmente in lacrime, ormai non riuscivo proprio a contenermi. Ero davvero vergognosa.

Per fortuna la cerimonia non continuò per molto, e, dopo aver firmato tutti i documenti, i novelli sposi si diressero verso l’uscita della chiesa, finalmente marito e moglie.

Dopo le foto di rito, arrivammo alla sala ricevimenti. 

Niall aveva affittato per un giorno una villa medievale, simile ad un piccolo castello, dove poi tutta la famiglia avrebbe pernottato. Salii la grande scalinata che portava all’ingresso della struttura e quando arrivai in cima restai estasiata da quella visione. Elis era stata davvero impeccabile, aveva trasformato un semplice giardino in un eden; sembrava di essere entrati dentro un vero film, ad un matrimonio regale. Era un enorme giardino, sul quale erano disposti diversi tavoli rotondi con tovaglie bianche e, ognuno di essi, aveva delle composizioni floreali lilla e bianche. In fondo al giardino c’era invece un piccolo palchetto con sopra tutta l’attrezzatura musicale, che però non stonava con l’ambiente che lo circondava.

«Ti ho già detto che se bellissima oggi?».

Mi voltai e vidi Harry davanti a me.

Non potei non ammirare la sua bellezza. Anche se non indossava niente di complicato o vistoso, ma un semplice completo con la camicia bianca e un papillon nero, era semplicemente fantastico. Era sensuale con qualsiasi cosa addosso, ma quel completo rendeva davvero giustizia alla sua persona.

«In realtà no» dissi, non potendo evitare di sorridere. 

«Beh, allora perdonami! Sarebbe dovuta essere la prima cosa che avrei dovuto dirti» disse serio, guardandomi negli occhi.

«Smettila» dissi flebilmente, non potendo fare a meno di arrossire.

Si avvicinò a me, cautamente, senza mai distogliere lo sguardo dal mio e, alzando verso il mio viso una sua mano, mi accarezzò la guancia rossa.

«Sarebbe la prima cosa che ti direi ogni mattina, se tu ti svegliassi accanto a me».

Il mio cuore cominciò a battere intensamente alle sue parole. Non potei non immaginare come sarebbe stato bello averlo ogni mattina accanto a me, e come sarebbe stato bello poter condividere le mie giornate insieme a lui.

«Noi due dobbiamo assolutamente parlare - continuò - perché tu non hai capito che..».

«Dai ragazzi - ci interruppe mia madre - dobbiamo andare a prendere posto».

«Parleremo dopo» lo anticipai, e ci incamminammo verso i tavoli.

Presi posto nel tavolo con Elis e Niall, ed era una situazione un po' imbarazzante, visto che accanto a Niall c’era Harry. Eravamo solo noi quattro al tavolo, ma per fortuna l’esuberanza di mia cugina smorzava la situazione. 

Il pranzo passò tranquillamente e ci stavamo divertendo come i pazzi, tra un bicchiere di vino e l’altro. Elis e Kevin aprirono le danze, mentre Niall chiese a me di ballare e io, titubante, accettai.

«Cosa aspettate a finirla con questa messinscena?» mi domandò con un sorrisetto.

«Di che stai parlando?» risposi, fingendo di non sapere a cosa si stesse riferendo.

«Si - disse iniziando a ridere di gusto - fai la finta tonta! E’ vero che ultimamente sono stato abbastanza distratto da tua cugina, ma l’intensità dei vostri sguardi è così forte che, anche io che sono accecato da lei, l’ho percepito. Vi amate ancora, e non riuscite a nasconderlo. Perché negarlo?».

«E’ complicato, Niall» dissi con un filo di voce.

«Sono felice che almeno non hai negato. Bea, qualcosa è definita complicata sono se si ha paura di affrontarla. Abbi il coraggio di confessare, non solo a me, quello che provi».

«L’ho già fatto, ma succede sempre qualcosa che me ne fa pentire un attimo dopo. Magari oggi pensa di amarmi ancora, ma forse si è solo fatto prendere dagli eventi, altrimenti non avrebbe mai acconsentito a sposarsi con un’altra. Io non mai avuto nemmeno la forza di innamorarmi di nuovo, mentre lui è riuscito a rifarsi una vita nonostante tutto».

Le lacrime, ormai avevano iniziato a sgorgare dai miei occhi stanchi di tutte quelle emozioni.

«Sappiamo entrambi che quello che provava per lei non era lontanamente paragonabile a quello che ha sempre provato per te. Abbi fiducia in voi, piccola» concluse, baciandomi in fronte.

Mentre ci godevamo le ultime note della canzone, vidi Elis, che aveva finito di ballare con Kevin, raggiungere Harry al tavolo, sussurrandogli concitatamente qualcosa all’orecchio.

Alla fine del ballo andai a sedermi al mio posto, stremata. Guardavo gli sposi volteggiare al centro della pista, spensierati e pieni d’amore. 

«Cosa ci fa una ragazza così magnifica seduta tutta sola ad un matrimonio?» disse una voce alle mie spalle. 

Mi girai e, quando vidi a chi apparteneva la voce, scattai dalla sedia andandogli incontro.

«Liam!» urlai, saltandogli letteralmente addosso.

Liam si era rivelato davvero un buon amico. Quando tre anni prima me ne andai, fu lui ad aiutarmi e soprattutto sostenermi dopo quel brutto periodo. Non avevamo mai smesso di tenerci in contatto in tutti quegli anni, e non vedevamo l’ora di abbracciarci di nuovo.

«Ciao, bambolina, finalmente ci rivediamo».

Sorrisi al suo nomignolo, ormai lo usava sempre.

«Non eri alla cerimonia, vero?» chiesi.

«In verità sono passato, ma sono rimasto poco perché dovevo iniziare il turno all’ospedale. Ma ora sono libero e quindi sono arrivato. E’ stata una cerimonia stupenda».

«Si, davvero magnifica» dissi sognante.

«Sembrava quasi un matrimonio a quattro!» esordì Liam.

«Tu sei stupido!» risposi, dandogli un pugno sul braccio.

«No, sono solo dotato della vista, per mia fortuna – sorrise – comunque, per toglierti da quest’imbarazzo perpetuo, balli con me?».

«Con molto piacere» conclusi, afferrando la sua mano.

Ci dirigemmo al centro della pista e cominciammo ad ondeggiare sulle note di “The Only Exception” dei Paramode.

«Dove hai lasciato Sarah e le principesse? Fai finta di essere uno scapolo?» chiesi al mio amico.

Pochi mesi dopo la mia partenza, Liam aveva conosciuto una ragazza poco più grande di lui, e se n’era innamorato perdutamente. Tanto che, nemmeno un anno dopo, si erano sposati. Ora Liam aveva due figlie femmine, che aveva chiamato Beatrice ed Elisabeth, in nostro onore.

«Sono rimasti a casa. Ieri le gemelle avevano la febbre. E poi, mia cara amica, qualche giornata da scapolo non guasta mai» disse ridendo.

«Mi ricorderò di dire a tua moglie questa tua ultima frase quando ci vedremo!».

«Sei spregevole» disse, e finimmo per ridere a crepapelle.

Parlammo delle nostre carriere e delle varie novità che ci riservava la vita, fino a che non fummo interrotti dalla voce squillante di Elis che si diffondeva per tutta la sala.

«Salve a tutti – disse sorridente – vorrei chiedere al DJ di mettere una canzone, che significa molto, non solo per me – disse guardandomi ammiccante – la dedico a mio marito e a tutti quelle persone che si amano, nonostante le difficoltà e il passare del tempo».

Finito il suo discorso sentii le prime note di una canzone, che conoscevo a memoria. Era una canzone che ormai era marchiata nel mio cuore, una canzone che, nei momenti più bui, ascoltavo a ripetizione. Nonostante fosse una canzone che mi legava indissolubilmente a Harry, riusciva a trasmettermi quella serenità tale da poter affrontare qualsiasi tempesta.

Can’t take my eyes off of you’ si diffuse intorno a noi, provocandomi al tempo stesso serenità e malinconia, perché stavolta non la stavo ascoltando sul mio confortante letto, ma la stavo ascoltando in presenza della persona che l’aveva scelta per un noi che era ormai cessato.

«Ecco che la storia si ripete!» disse Liam canzonante.

«Di che parli?» chiesi, mentre lui guardava oltre la mia spalla.

«Vuoi un cambio dama, Harry?» disse, ignorando completamente la mia domanda.

«Sarebbe gradito, di nuovo» disse quello che ormai avevo capito fosse Harry.

Liam mi guardò per capire quali fossero, in realtà, le mie intenzioni, ma non credo riuscì a capire molto, perché era come se il mio cervello si fosse momentaneamente spento.

«Tre anni fa ti ho tacitamente proposto di baciarmi, ora non posso più, bambolina» disse sarcastico Liam.

«Tranquillo, Liam. Grazie del ballo» dissi una volta ripresami, baciandolo dolcemente sulla guancia.

«E’ stato un piacere». 

Sorrise e se ne andò, mentre Harry aveva già preso il suo posto.

Per un minuto restammo a guardarci, a scrutarci, cullandoci e assaporando ogni parola della canzone. Harry alzò la mano verso il mio viso e mise una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio, provocandomi un brivido, ormai conosciuto.

«Sei bellissima» disse, interrompendo il silenzio.

«L’hai già detto, sai?» dissi sorridendo.

«Non smetterei mai di ripetertelo» concluse serio.

«Ho visto Elis che ti imponeva di ballare con me» lo provocai per spostare l’attenzione su un altro argomento.

«Stupida! – mi disse con un sorriso sornione – sai già che ballare con te era la cosa che bramavo di più. Diciamo solo che Elis mi ha dato una mano a creare la giusta atmosfera».

Mi strinse a se. Tra le sue braccia mi sentivo al sicuro, a casa. 

«Ti amo ancora come il primo giorno» esordì lui.

«Anche io. Ma ora è tutto diverso, più complicato».

La sua espressione mutò, facendosi più cupa, quasi arrabbiata. Sapevo che mi stavo contraddicendo da sola, ma lui sapeva che avevo sentito la sua conversazione con Niall, quindi era consapevole di cosa mi avesse portato a pensare quelle cose.

«Ma ti senti? Ti rendi conto delle stupidaggini che dici? Dopo tre anni siamo ancora qui e tu mi dici che è complicato. E’ complicato non stare insieme!» urlò.

«Le nostre vite sono cambiate, Harry. Noi siamo cambiati e potresti non innamorarti più di quella che sono oggi».

«Quale parte del ti amo non hai capito, Beatrice?» disse fissandomi con disapprovazione.

«Sappiamo entrambi che non sempre l’amore è sufficiente. In un rapporto c’è anche dell’altro. Fiducia, rispetto, ma soprattutto compatibilità e le nostre vite non sono più compatibili, per quanto io ti ami, ancora oggi, so che potrebbe non andare bene».

«Ti sbagli, perché..».

«No, non mi sbaglio – lo interruppi – non l’avresti portata qui se non l’avessi amata. Poi sono arrivata io e ho distrutto tutto quello che avevi costruito. La ami nel modo giusto, invece il nostro amore non è sano».

«Magari il nostro amore non è sano, ma io accanto a te mi sento vivo. Non mi ero accorto di vivere in apnea fino a quando non ti ho rivisto e ho ricominciato a respirare. E poi perché parli di lei quando l’ho già lasciata? Non abbiamo più nessuno impedimento».

«Non mentirmi. Sappiamo entrambi che ho sentito te e Niall parlare quella mattina».

Si allontanò di scatto da me, quasi indignato.

«Davvero ancora non hai capito che non stavo parlando di lei, ma stavo». 

Cominciò a dire, ma fummo distratti dal tintinnio di un bicchiere, mi girai verso quel rumore e vidi che Niall stava richiedendo l’attenzione dei presenti per un suo discorso, così ci scostammo per sentire le sue parole. 

«Scusatemi, ma vorrei l’attenzione di tutti per una manciata di minuti – disse, posizionandosi sopra il piccolo palchetto allestito per la band – Di solito il discorso per gli sposi non viene fatto dallo sposo, ma dai due testimoni; beh, oggi sarà diverso. Ho pensato di fare io un discorso a loro, e a tutti voi. Tre anni fa, grazie a questi due meravigliosi ragazzi che sono proprio davanti a me, ho avuto il coraggio di parlare con quella che oggi è diventata mia moglie. Se non fosse stato per il mio caro amico, e fratello, Harry, che mi aveva lasciato da solo per inseguire una ragazza – seguì una risata generale – io non avrei mai offerto un drink ad Elisabeth quella sera, e forse oggi non saremmo qui. Se non fosse stato per questa magnifica ragazza – disse indicandomi – io ed Elis non saremmo riusciti a superare molti ostacoli che il destino ci ha riservato. In quella che oggi è diventata mia moglie ho trovato un’amica, un’amante, una sorella. Ho trovato il mio tutto, perché accanto a lei posso dire di essere realmente completo. Non saprei cosa fare se lei mi lasciasse. Lei è stata la persona che mi ha risvegliato nel periodo più buio della mia vita. Mi sono innamorato di quei suoi lunghi capelli color oro, e di quei occhi blu. Oh, amo quel blu oceano, e amo perdermi dentro il suo oceano. Non ho pensato nemmeno una volta di lasciarla andare, perché ci apparteniamo. Prima di essere la mia fidanzata, lei è la mia migliore amica. Ho trovato, per mia incredibile fortuna, “l’altra metà della mela”, e, se fosse possibile, la sposerei ogni giorno della mia vita».

Avevo ormai il viso solcato da innumerevoli lacrime, così come Elis, che si era posizionata accanto a me non appena Niall aveva iniziato il suo discorso. 

Non mi sarei mai aspettata un discorso da Niall. 

Il ragazzo timido era cresciuto, ed era diventato un vero uomo, un uomo di cui andare fieri. Ma le mie lacrime, oltre che per le fantastiche parole di Niall, erano di rabbia. Rabbia verso me stessa, perché avevo finalmente capito cosa era accaduto. Ero arrabbiata con me stessa per aver dubitato di Harry e per non avergli permesso di spiegarsi. Le parole che avevo sentito uscire dalla bocca di Harry pochi giorni prima non erano rivolte a Charlotte, ma lui stava solo leggendo il discorso di Niall.

«Insieme a questi due ragazzi – continuò indicandoci – ho trascorso mesi indimenticabili, forse i più belli di tutta la mia vita. Eravamo una squadra più che affiatata, ma poi purtroppo la lontananza non ci ha permesso di condividere altri momenti indimenticabili. Nonostante questo, però, siamo rimasti sempre uniti, come una vera famiglia. Sono una persona che crede nel destino e, se due persone sono destinate a stare insieme, troveranno sempre il modo di ritrovarsi e amarsi più di prima. Ma certe volte si deve dare una spinta al destino, e io oggi sono qui a farvi questo discorso per questo motivo».

Capii subito che il discorso di Niall, oltre che per sua moglie, era per me e Harry. Tutti attorno a noi avevano capito che il nostro amore era quel tipo d’amore che capita una sola volta nella vita. L’amore che non si scorda mai, che sconfigge le intemperie, gli anni e le convenzioni. Tutti tranne noi credevano ciecamente nel nostro amore, e questo non fece che aumentare la mole di lacrime sul mio volto.

«Ora mi rivolgo direttamente a voi due, ragazzi. Nella nostra vita incontriamo molte persone giuste per noi; non è vero che esiste solo una persona con cui potremmo mai stare, o amare. Ma è anche vero che non sempre la persona giusta è in realtà quella di cui abbiamo bisogno. A volte la persona che ci sembra quella più sbagliata, è quella che fa al caso nostro, quella che ci rende vivi davvero. Non voglio che voi siate condizionati da questo discorso, ma voglio che riflettiate sulle mie parole. Lo dico per il vostro bene; vi voglio bene, ragazzi. Grazie di aver reso possibile questo giorno». 

L’applauso degli invitati risuonò per tutto il giardino, e io restai immobile a guardare davanti a me, senza sapere cosa fare e come comportarmi. Non avevo scuse, ero stata davvero una cretina e non sapevo come scusarmi o giustificare il mio comportamento infantile. 

Poi sentii la mano di Harry sfiorare la mia.

Abbassai lo sguardo verso le nostre mani vicine e, senza pensarci presi la mano di Harry nella mia. 

Avevamo molto di cui parlare, ma con quel contatto c’eravamo già detti l’indispensabile.

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Capitolo 41
*** La verità dell'amore ***


Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. 

Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità.

A. Baricco

>>>>>

Il discorso di Niall si era concluso già da qualche secondo, ma né io né Harry eravamo riusciti a sciogliere l'intreccio delle nostre mani. Quel contatto rappresentava un tacito assenso a quello che c'eravamo detti pochi giorni prima, ma ancor di più a quello che non eravamo stati capaci di dirci. Quando sentii il pollice di Harry accarezzarmi il dorso della mano, non potei fare a meno di alzare lo sguardo verso di lui, incatenando i miei occhi ai suoi. Fu come essere stata appena sommersa da acqua cristallina.

Lui era lì davvero, non solo la sua presenza fisica, ma anche la sua anima, che riuscivo a scorgere nei suoi occhi.

«Scusami».

Fu l'unica cosa che riuscii a dire.
Mi ero comportata da ragazzina stupida, e me ne stavo rendendo conto solo in quel momento. 

Era come se fino ad allora la mia mente fosse stata offuscata, forse a causa della paura di soffrire. Ero stata così con lui fin dall'inizio, tre anni prima, perché la paura di perderlo era così forte da rendermi cieca ai miei stessi sentimenti. Avevo avuto sempre paura che lui mi potesse abbandonare, visto il mio passato, e per questo mi ero comportata da immatura. 

Ma le cose sarebbero cambiate, avrei smesso di combattere il destino.
Se dopo tre anni ci trovavamo ancora l'uno davanti all'altro, vi doveva essere un motivo ben preciso.

Harry non parlò, ma mi rivolse un bel sorriso e, portandosi la mia mano verso il suo viso, mi lasciò un dolce bacio su di essa. Potei sentire le sua labbra umide nitidamente sulla mia pelle, che bruciava ogni volta che lui la sfiorava. Quando mi era vicino sentivo come se il mio corpo ardesse, come se stessi implodendo.

Non avevo più provato con nessuno quella sensazione, non sentivo un buco nello stomaco quando qualcuno, al di fuori di lui, mi guardava negli occhi. Non arrossivo quando uno sguardo sconosciuto mi scrutava con insistenza, ma bastava solo che Harry pronunciasse il mio nome per sentire le mie guance arrossire. Non sentivo l'istinto di baciare labbra diverse dalle sue.
Harry era la mia condanna, e io l'avrei scontata.

Senza proferir parola, Harry mi sottrasse dai miei pensieri trascinandomi al centro della pista, dove era ricominciata la musica, sotto le note di 'Say Something' di A Great Big World&Christina Aguilera. 

Il testo della canzone parlava per noi, perché entrambi eravamo stati sul punto di arrenderci, contro il nostro volere. Ci stavamo arrendendo ad un destino che non ci apparteneva. Stavamo rinunciando ad un noi che, invece, era destinato ad essere.

«Io mi stavo arrendendo, ti stavo lasciando andare via - cominciai - ero convinta che lasciarti andare fosse la cosa giusta, ma, mentre la mia ragione ne era realmente convinta, il mio cuore ha sempre saputo che era un errore».

Parlai piano, senza mai staccare gli occhi dai suoi, che erano concentrati e potenti, tanto da riuscire a scorgere in essi la potenza del suo amore. Anche lui si stava arrendendo, ma in modo completamente diverso dal mio, perché lui si era adattato come meglio aveva potuto al mio abbandono. Per una volta nella mia vita ero stata io ad abbandonare qualcuno, forse l'unica persona che non aveva mai avuto intenzione di farlo.

Non l'avrei abbandonato più, non l'avrei più spinto ad andar via da me.

«Non hai mai smesso di essere mia, e il mio cuore non è mai appartenuto a nessun'altra se non a te».

Sorrisi, emozionata alle sue parole.
Avevo cercato per tre anni di rialzarmi, di reagire alla sua assenza. Mi ero costruita una vita senza di lui, ma ne ero costantemente insoddisfatta, perché l'unica cosa che mi poteva far tornare a vivere era l'unica da cui mi ero allontanata, da cui ero scappata.

Mi allungai verso il suo viso e, incurante delle persone attorno a noi, sfiorai dolcemente il mio naso contro il suo, senza però
unire le mie labbra alle sue.
Mi alzai maggiormente sulle punte e lo abbracciai forte, come se avessi la paura impellente di perderlo per l'ennesima volta, mentre lui di rimando stringeva forte i miei fianchi, come se provasse la medesima paura.

«Ho bisogno di fare l'amore con te - mi sussurrò sulla bocca - ho bisogno di sentirti totalmente mia, questa volta per sempre».

Senza aspettare un mio assenso interruppe il contatto dei nostri corpi e mi prese per mano, portandomi verso la pineta. Attraversammo quest'ultima in silenzio, ma riuscivo a percepire l'impazienza di entrambi aleggiare nell'aria. Arrivammo poco dopo davanti ad un piccolo casotto e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nei paraggi, entrammo.

Non feci nemmeno in tempo a chiudere la porta che Harry, dopo aver interrotto l'intreccio delle nostre mani, mi spinse contro il muro adiacente alla porta, prendendomi per le spalle. Non ebbi nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo che la sua bocca era già sulla mia.

Harry leccò le mie labbra, che io aprii per consentire alla sua lingua di unirsi alla mia. Il suo tocco mi provocò una scarica di eccitazione e quando cominciò a succhiare con potenza e passione le mie labbra non potei fare a meno di ansimare. Con le mani iniziò a cercare la zip del vestito sulla mia schiena e, quando la trovò, la fece scendere facendo scivolare il vestito per terra.

Io, dopo un attimo di sorpresa, lo imitai impaziente, iniziando a staccare il papillon, seguito dalla camicia.

«Non hai dea di quanto ti voglia - sussurrò ansimando sulle mie labbra - Non mi basti mai, voglio sempre di più».

«Sono totalmente e incondizionatamente tua. Da sempre» risposi quasi senza fiato.

A quelle parole qualcosa in lui si accese e, prendendomi con forza dalle cosce, mi alzò portando i nostri bacini a contatto, mentre la mia schiena premeva sempre con maggior intensità contro il muro. Continuammo a baciarci, toccandoci freneticamente, mentre le nostre parti più intime entravano in contatto, strofinandosi l'una sull'altra sotto l'intimo. 

Improvvisamente sentii uno stappo, ma non ebbi il tempo di capire da dove provenisse perché Harry intrecciò le sue mani alle mie portandole sulla mia testa contro il muro e mi riempì di lui, completamente.
L'improvvisa sensazione di averlo dentro mi fece gemere senza contegno, mentre Harry continuava ad affondare in me con ritmo incalzante. Baciò i miei seni con fervore, succhiandoli come se dovesse prelevarne il nettare e, in quel momento, il mio cuore si arrese a lui, gridando il suo nome. A Harry bastarono solo poche spinte per raggiungermi e accasciarsi sul pavimento, portandomi dolcemente con lui.

Non servivano parole, o forse nessuno dei due ne aveva.
A cavalcioni su di lui, iniziai a baciargli gli occhi, il naso e ogni parte del suo bellissimo viso. Accarezzai la sua schiena, che prima temevo di aver graffiato e poi gli accarezzai il volto, protagonista dei miei sogni più belli, ma anche dei miei peggiori incubi.

«Ti amo Harry Edward Styles - sussurrai un attimo prima di poggiare la mia bocca sulla sua - scusa se stavo per arrendermi un'altra volta».

«Ti perdono - disse sorridendomi - scusami per aver pensato di poter vivere senza di te».

«Perdonato» e detto questo i nostri sorrisi si fusero in un bacio, che aveva appena suggellato una promessa eterna.

Perché poteva succedere qualsiasi cosa, ma noi saremmo esistiti per sempre. Non saremmo mai passati.
Nudi sul pavimento, continuammo a baciarci per un tempo indefinito, senza mai averne abbastanza. Sentivo le mie labbra calde pulsare a contatto con le sue, ma non m'importava, il suo tocco era troppo indispensabile per me. A cavalcioni su di lui sentii ad un tratto la sua eccitazione crescere sotto di me e, senza pensarci un secondo, mi alzai leggermente e mi unii nuovamente a lui.

«Tu sei il mio posto. La mia casa» dissi con voce rotta, causata dalla sua pienezza.

Iniziai a muovermi lentamente, torturando sia me che lui; ma mai tortura era stata più sublime.

«Dio, Bea!» disse Harry, alzando il tono della voce.

Mi prese con forza per i fianchi e iniziò a muovermi con maggiore intensità, mentre la sua bocca cercava la mia, saggiandola con attenzione e devozione.

La parte più sensibile del mio corpo sfregava contro il suo pube con forza, facendomi ansimare vergognosamente. Se non mi fossi trovata con Harry, mi sarei sicuramente vergognata di me stessa e mi sarei sicuramente trattenuta, ma con lui non riuscivo a proibirmi niente. Volevo godermi anche la più piccola sensazione che riusciva a regalarmi.
Harry venne gridando il mio nome e premendo il suo viso nell'incavo del mio collo.

«Scusa - mi disse con voce spezzata - non sono riuscito ad aspettarti e...».

«Ti amo - lo interruppi - non m'importa niente. Non sto facendo del sesso con te, sto facendo l'amore. E quello, con te, mi soddisfa sempre. Sarà per la prossima volta» sorrisi.

«Allora mi sa che ti devo un orgasmo».

«Me ne devi infiniti» dissi baciandolo.

«Iniziamo da ora» sorrise sornione.

Mi alzò dalle cosce e io automaticamente gli circondai i fianchi con le gambe. Camminò fino ad un tavolo, che sicuramente era avanzato nell'organizzazione del matrimonio, e mi ci poggiò sopra. Si staccò da me e mi guardò intensamente negli occhi, in cui poter distinguere chiaramente il desiderio e l'intensità del suo amore.

Mi tenne le gambe allargate, spingendo le mie ginocchia, e si abbassò sfoggiando uno dei suoi sorrisi ammiccanti, che fece comparire sul suo volto l'adorabile fossetta.
Leccò la parte più intima e sensibile del mio corpo, prendendomi alla sprovvista.

«Adoro il tuo sapore. Non hai idea di quanto mi sia mancato» sussurrò, mentre la sua faccia era ancora tra le mie gambe.

E poi iniziò a leccarmi, baciarmi e succhiarmi con talmente tanta intensità e passione che venni dopo solo pochi minuti, perché il contatto della sua bocca sul mio corpo e la visione di lui che avevo dall'alto mentre mi saggiava, era davvero troppo da sopportare per il mio corpo.

Si alzò con addosso un sorriso soddisfatto e io, prendendolo dalle sue grandi spalle tatuate, lo abbracciai. E fu come fermare il tempo.

«Mi sa che dobbiamo tornare di là, avranno già notato la nostra assenza» dissi, interrompendo il silenzio tra di noi.

Eravamo abbracciati da un tempo indefinito, che sembrava però passare sempre troppo in fretta.

«No - si lamentò Harry, fregando il suo naso contro il mio collo - restiamo qui per sempre».

Risi al suo comportamento, sembrava proprio un bambino capriccioso.

«Se Elis non mi vede per il taglio della torta, mi ucciderà. E tu mi vuoi vedere viva ancora per un po', spero».

«Ok» sbuffò, facendomi ridere.

Solo in quel momento feci caso al posto in cui ci trovavamo. Il casotto era abbastanza spoglio, tranne per degli oggetti posizionati nell'angolo in fondo alla stanza, ricoperti da un telo bianco che li proteggeva dalla polvere.

Mi misi a cercare i miei indumenti e, per mia fortuna, trovai subito il vestito, che infilai velocemente.

«Mi aiuteresti con la cerniera, per favore» chiesi ad Harry che si avvicinò prontamente, mettendosi dietro di me.

«Questo vestito ti sta d'incanto, ma è davvero un reato allacciarlo, sapendo quello che nasconde sotto».

«Dovrei quindi uscire nuda?» lo provocai, non potendo però non arrossire alle sue parole.

«Mai - disse indignato - solo io posso vederti senza niente addosso» concluse, lasciandomi un piccolo bacio sulla spalla scoperta.

«Non trovo le mie mutandine» dissi cercando disperatamente sul pavimento, facendomi luce con il cellulare.

«Ehm, veramente» iniziò a dire Harry.

Mi voltai verso di lui e notai subito la sua espressione colpevole mentre teneva in mano un  piccolo indumento bianco di pizzo, mentre con l'altra mano si grattava la testa. Mi avvicinai velocemente a lui e presi in mano quelle che credevo fossero le mie mutandine, di cui però scoprii che non restava molto.

Capii in quel momento cosa fosse stato quello strappo che avevo sentito subito prima che Harry mi facesse sua.

«Oh, fantastico - esclamai, fingendomi arrabbiata - ora devo uscire senza mutande. Davvero fantastico!».

«Scusa, è che io... io ero preso dal momento e..».

Non riuscii nemmeno a farlo finire di spiegare, che scattai a ridere tenendomi lo stomaco e accasciandomi a terra. Adoravo quando Harry s'imbarazzava o si sentiva colpevole per qualcosa. Aveva sempre un'espressione buffa e dolce allo stesso tempo. Lui, resosi conto della mia reazione, cambiò espressione e in poche falcate mi raggiunse, iniziando a farmi il solletico.

Io odiavo il solletico.

«Ti prego, basta!» urlai tra le sue braccia, tentando di respirare.

Lui continuò ancora, nonostante le mie suppliche per un tempo che a me sembrò infinito. Poi smise e restammo a guardarci dritti negli occhi, sorridenti. Si avvicinò piano a me mentre il suo sguardo correva dai miei occhi alla mia bocca e, pochi secondi dopo, unì le nostre labbra in un dolce e casto bacio.

Finalmente riuscimmo ad alzarci e ad uscire da quel fantastico casolare, che aveva assistito alla nostra unione e riunione. Per la prima volta pensai che forse era veramente tutto risolto, ora speravamo solo che nessuno, soprattutto Elis avesse notato la nostra assenza. Non ero pronta alle domande di tutti, soprattutto quelle della mia adoratamente pazza cugina. 
Mano nella mano c'incamminammo verso il giardino, per raggiungere tutti gli altri. Non ero sicura di voler condividere quello che era appena successo con il mondo intero, mi sentii per un attimo possessiva.

Non volevo condividere Harry con nessuno.
Ero sicura che Elis avrebbe percepito subito ciò che era appena successo tra di noi, ma ero davvero pronta a farlo sapere al resto del mondo?

Volevo tutto il suo amore per me, tutti i suoi sguardi miei, tutti i suoi pensieri verso di me. Non avevo alcun dubbio sulle scelte che avevo appena preso, amavo Harry, anzi, non avevo mai smesso di farlo e non l'avrei più lasciato andare, non sarei più scappata. L'idea di avere gli occhi di tutti gli invitati intenti a fissarci e pronti a giudicarci, però, mi terrorizzava.  

Avanzammo finché non intravidi l'ultima fila di alberi che ci separava dai festeggiamenti e quindi dal resto del mondo. Senza nemmeno rendermene conto mi fermai, continuando a guardare davanti a me.

«Che succede, amore?» mi chiese Harry stranito dal mio strano comportamento.

Mi destai dai miei pensieri e mi voltai verso di lui.

«Non so se voglio far sapere agli altri di noi».

A quelle parole vidi l'espressione di Harry, prima rilassata, cambiare completamente. Sicuramente aveva frainteso le mie parole.

«Hei, non mi sono pentita di niente - dissi avvicinandomi a lui, accarezzandogli il viso, cercando di tranquillizzarlo - solo che sono stata così lontana da te da essere quasi gelosa degli altri. Non voglio che lo sappiano tutti, perché voglio tenere il nostro amore solo per noi, per quanto sia possibile. E' come se farlo sapere agli altri mi rubasse parte del tuo amore. So che è stupido» conclusi abbassando lo sguardo.

Lui in risposta mi alzò il viso, sollevandomi il mento e incatenando i nostri occhi gli uni agli altri.

«Sei la creatura più straordinaria che abbia mai conosciuto, e non potrei amarti di più. Farò quello che vuoi, ma solo per oggi, perché non posso trascorrere nemmeno un giorno in più senza far sapere al mondo che sei mia».

Sorrisi alle sue parole e feci per avanzare, ma lui mi bloccò tirandomi verso di sé.

«Almeno dammi un bacio come si deve prima di tornare alla realtà».

Mi avvicinai al suo viso con il sorriso sulle labbra e, lentamente, unii le sue labbra alle mie.

Lui non si fece pregare e ricambiò passionalmente il bacio, insinuando la sua lingua zuccherina nella mia bocca. Potei sentire chiaramente il suo sapore, misto a quello del vino; era un mix letale.

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Saluti da una Londra particolarmente uggiosa, oggi!
È già una settimana che sono qui, e mi sembra di essere arrivata solo ieri. Voglio restare qui per sempre, giuro! Inoltre ieri sono stata a casa del nostro bel riccioluto, peccato che non sono entrata però! Ahahah

Ma non mi sono scordata minimamente di voi, e potete ben vederlo. 

Questo è un capitolo dolce, dove finalmente i Barry si lasciano andare all'evidenza delle cose, finalmente smettono di combattere il loro amore.

Vi è piaciuto? Quale parte in particolare??

Andrà tutto rose e fiori... O qualcosa aleggia nell'aria?

Lascio a voi i commenti!

All the love,

BARB ❤️

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Capitolo 42
*** Andrà Tutto Bene ***


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Credo sia questo il vero amore, avere l’ impressione di stare al centro della propria vita, non ai margini. Nell’angolo giusto, senza avere bisogno di sforzarti per piacere all’altro, restare se stessi.

K. Pancol

 

>>>>>

 

Silenziosamente, e a debita distanza l’uno dall’altro, Harry e io superammo gli alberi che ci separavano dai festeggiamenti, dal resto del mondo.

Intravidi subito mia cugina, che danzava al centro della pista raggiante, mentre Niall, che ondeggiava attorno, la faceva ridere spensierata. Adoravo il modo in cui si amavano ed esprimevano il loro amore, era davvero un sentimento genuino e spontaneo. Non avevano imparato ad amarsi pian piano, erano solamente nati per farlo, si erano trovati e scelti tra tanti.

Elis mi aveva sempre detto che, fin dalla prima volta in cui i suoi occhi si erano posati su Niall, il primo giorno di liceo, quando era un piccolo ragazzetto dai capelli lunghi color oro, occhi color oceano e denti orribilmente storti, aveva capito che lui era quello giusto, che se ne sarebbe innamorata. Aveva sentito scattare qualcosa in lei, come se ci fosse stato qualcuno nel suo corpo che avesse premuto un pulsante di accensione, che mai nessuno era tornato a spegnere.

Mi voltai sorridente verso Harry, che stava guardando la stessa scena, e gli feci un cenno verso di loro, per avvertito che li stavo raggiungendo, mentre lui mi fece cenno verso il bagno, così c’incamminammo in direzioni opposte. Non avevamo più detto una parola dal nostro ultimo bacio, come se parlare avesse potuto spezzare una qualche magia, o come se una parola avesse potuto  distruggere all’istante quel muro che ci eravamo imposti di erigere.

Raggiunsi finalmente Elis, che non si accorse della mia presenza fino a quando non picchiettai il mio indice sulla sua spalla, che si muoveva a ritmo di musica, facendola fermare all’istante.

«Tu, brutta traditrice - mi puntò il dito contro, una volta accortasi della mia presenza - sono stata costretta a fingere di voler continuare a ballare all’infinito per non far rompere la torta e tirare il bouquet, che tra l’altro, sei costretta a prendere. Altrimenti ti uccido!».

«Elis - dissi ridacchiando - rilassati e comportati da sposa responsabile, almeno oggi».

«Ti odio!» disse mettendosi a braccia conserte e girando il capo nella direzione opposta alla mia.

«E io ti adoro - dissi, buttandomi letteralmente su di lei, stringendola - grazie Elis, davvero. Grazie di tutto».

«Grazie di essermi stata sempre vicina, anche quando credevo di non farcela - continuai, sciogliendo il nostro abbraccio per poterla guardare negli occhi - grazie di trovare sempre il modo giusto di rallegrarmi e di farmi ridere, quando l’unica cosa che voglio fare è piangere. Grazie di conoscermi quasi meglio di me stessa. Grazie per essere un’adorabile ficcanaso, e grazie perché ami intrometterti nella vita altrui, facendo da cupido. Non so davvero chi dover ringraziare per avermi dato una cugina, una sorella, un’amica come te, concentrata in un’unica persona».

Nonostante Elis fosse una ragazza esuberante ed espansiva, raramente mostrava agli altri le sue più profonde emozioni, per questo mi stupii quando vidi una piccola lacrima solcarle il viso.

«Grazie a te. Questo è stato il miglior discorso da testimone che potessi farmi. Ma volevo soffermarmi su un aspetto del tuo discorso - continuò - perché mai sarei un cupido?».

La sua espressone non nascondeva la curiosità che stava provando in quel momento, non aveva ancora capito quello che le volevo dire, o forse non voleva illudersi che i suoi piani avevano funzionato con il minimo sforzo.

Non ebbi nemmeno il tempo di parlare, perché le bastò un mio sorriso per farle capire quello che era successo; e potei vedere chiaramente nel suo viso un’espressione soddisfatta e felice.

«O mio Dio! Devo assolutamente dirlo a Niall, devo dirgli che ci siamo riusciti!» urlò.

«Elis - le dissi tirandola per un braccio - per oggi è meglio che nessuno lo sappia, vogliamo tenerlo per noi in questo momento, ok? Perciò, se devi proprio farlo, dillo a Niall a bassa voce e senza essere plateale, mi sono spiegata?».

«Ok, mamma mia! Come sei noiosa» concluse, dirigendosi sorridente verso Niall.

La vidi saltellare nel suo meraviglioso vestito bianco fino a quando non raggiunse Niall, che stava parlando con un suo collega. Risi a crepapelle quando Elis, senza nessun preavviso, tirò via per il braccio suo marito dalla conversazione che stava avendo, allontanandolo da tutti.

Iniziò a parlargli, gesticolando concitatamente e, quando finì finalmente il suo discorso, vidi l’espressione di Niall addolcirsi. Lo vidi cercare con lo sguardo tra la folla e, una volta individuata, mi sorrise dolcemente facendomi segno di raggiungerlo. Mi avvicinai lentamente a lui, tentando di nascondere il mio sorriso ebete, mentre Elis si dirigeva nuovamente al centro della pista.

Niall era sempre stato un tipo estroverso e gioviale, era sempre stato l’anima della festa, l’eterno bambinone, ma sapeva essere anche un buon amico. Adoravo il suo saper comprendere le situazioni e il saper capire qual era il modo più corretto di agire, per questo ero sicura che si sarebbe contenuto nella sua reazione, intuendo già il nostro non voler dare nell’occhio.

Non mi stupii infatti quando, ormai a breve distanza da lui, fui attirata in un caloroso abbraccio.

«Hai visto che è andato tutto per il meglio?» mi sussurrò all’orecchio.

«Grazie anche a te, Niall» gli dissi, staccandomi leggermente da lui per guardarlo nei suoi magnifici occhi oceano.

«A dire il vero - si fermò per ridacchiare - l’artefice di tutto è quella pazza di mia moglie. Ha organizzato tutto lei, dalla camera d’albergo, alla chiesa e a tutto quello che di programmabile si potava architettare. Voi ci avete solo messo un po' meno tempo del previsto».

«Scusa, cosa è successo in chiesa» chiesi dubbiosa.

«Le prove della cerimonia in realtà erano alle sei, e non alle cinque, come vi avevamo detto, ma sapevamo che vi sareste evitati deliberatamente, così abbiamo fatto in modo che foste costretti a stare insieme, da soli nella stessa stanza» sorrise, grattandosi i suoi capelli dorati.

«Un giorno me la pagherete» scherzai puntandogli un dito sulla punta del naso.

«O mi ringrazierai» mi rispose, baciandomi dolcemente una guancia.

Fummo interrotti dal nostro dolce uragano che ci trascinò letteralmente in pista. Ballammo insieme a Louis sulle note di ‘Shake it off’ di Taylor Swift, facendo anche le solite mossette a cui la cantante era solita. Mi tolsi gli odiosi tacchi, a cui ero ormai stata costretta ad abituarmi a causa del mio lavoro, e li tenni con due dita, continuando a ballare.

Grazie alle ultime tracce di vino che mi scorrevano in corpo, non sentivo ancora la stanchezza.

«Forse dovresti prestare qualche attenzione in più al tuo cavaliere» disse al mio orecchio una voce conosciuta, proveniente da dietro.

Non appena mi girai, sorrisi inevitabilmente.

«Perché non ti unisci a noi, Liam?» dissi prendendolo per mano, incitandolo a raggiungerci.

Lui però oppose resistenza e mi spinse contro di sé, facendomi sbattere contro il suo petto, ormai muscoloso.

«Bea, hai sentito quello che ti ho detto? - chiese sorridendomi, ma vista la mia espressione spaesata, continuò - secondo me stai trascurando un po' troppo il tuo cavaliere. E non appena lo vedrai sono sicuro che non avrai più tanta voglia di ballare».

Non capivo proprio cosa Liam volesse dire, Harry non era un bambino che dovevo controllare a vista e poi stare vicini in questo momento senza toccarci risultava impossibile ad entrambi.

«Ma tu come fai a sapere?» gli chiesi poi.

«Vi conosco da un po' di tempo ormai, fin troppo bene. Forse è meglio che lo cerchi» concluse, mentre s’incamminava per raggiungere Elis.

Mi guardai intorno dubbiosa, non riuscendo ancora a capire dove Liam volesse arrivare con il suo discorso, ma questo fece comunque insinuare un dubbio nella mia mente. Per questo iniziai a cercare Harry con lo sguardo, che si fece preoccupato quando non riuscii a trovarlo, anche a causa della mia limitata altezza.

Mi spostai, allontanandomi dalla folla e, dandomi un’ulteriore occhiata attorno, riuscii a trovarlo.

Mi si fermò il respiro quando quello che stava succedendo mi si presentò davanti. Harry era seduto su uno degli sgabelli del bar, intento a bere un cocktail, mentre Felicity gli girava intorno come una gazzella. Louis mi aveva avvertito su di lei, sapevo che si fosse invaghita di Harry, e non potevo certo biasimarla, ma lui era mio.

Harry non le prestava la minima attenzione, e questo non poteva far altro che lusingarmi, ma vedere Felicity che continuava a girargli intorno cercando di attirare la sua attenzione, mi mandava su tutte le furie. Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu quando lei poggiò una delle sue viscide mani curate su una coscia di Harry.

Le mie gambe si mossero da sole e, inconsapevolmente, mi stavo dirigendo a grandi falcate verso di loro con uno sguardo che non prometteva niente di buono. Mi feci spazio tra la folla che mi ostacolava il cammino, senza mai distogliere gli occhi dalla scena che aveva fatto scaldare il mio cuore di rabbia. Felicity continuava a muovere la sua mano sulla coscia di Harry, ma aveva anche iniziato a sussurrargli qualcosa all’orecchio, mentre lui continuava ad ignorarla, voltando lo sguardo dalla parte opposta alla sua. Potei chiaramente vedere il suo sguardo cambiare quando la mano di Felicity si avvicinava alla parte superiore della sua coscia.

Sapevo che quella ragazza non era una brutta persona, ma era solo infatuata da Harry, ma lui era la persona sbagliata. 

Il tragitto che mi separava da loro mi stava davvero sembrando infinito.

Mi fermai a pochi centimetri da loro, a braccia conserte, aspettando che almeno uno dei due si accorgesse della mia presenza. Quando vidi che nessuno dei due mi prestava attenzione, picchiettai l’indice sulla spalla della ragazza.

«Scusami» dissi in un tono alto di voce, cercando di attirare la sua attenzione.

«Che vuoi?» mi rispose infastidita.

«Elis ha chiesto di te» risposi, cercando di mitigare la situazione, non avevo voglia di fare scenate, non ero il tipo.

«Dille che al momento sono impegnata».

E a quelle parole Harry, che si era ovviamente accorto della mia presenza, strabuzzò gli occhi.

Avevo davvero voglia di prendere il cocktail che teneva tra le sue mani curate e versarglielo addosso, ma non l’avrei fatto, per poi passare dalla parte del torto, così usai l’unica arma che mi era rimasta.

«In realtà è lui ad essere impegnato» dissi indicando Harry.

«Non mi risulta» rispose, riservandomi un sorriso acido.

«Ti faccio vedere».

La spostai con forza in maniera non molto signorile e mi posizionai tra le gambe semiaperte di Harry, che era ancora seduto sullo sgabello. Lo guardai fisso nei suoi occhi verde marino e, sorridendogli dolcemente, gli presi il viso tra le mani, unendo finalmente le nostre labbra.

Non feci più caso a ciò che mi circondava, mentre le labbra di Harry lambivano le mie, mentre la sua lingua supplicava di unirsi alla mia, come se fosse passata l’eternità dal loro precedente incontro. Portò le sue mani su miei fianchi e mi cinse completamente, avvicinandomi sempre di più a lui e facendo combaciare i nostri corpi alla perfezione. Perché noi eravamo l’incastro perfetto; i suoi pregi colmavano i miei difetti, e i miei colmavano i suoi.

Eravamo nella nostra piccola grande bolla, dove potevamo coesistere solo noi due, ma era grande abbastanza da contenere l’amore di entrambi.

«E’ ora del taglio della torta!».

La voce di Elis interruppe il nostro bacio.

Ci voltammo contemporaneamente verso la voce, e vedemmo chiaramente che l’attenzione di tutti gli invitati era rivolta a noi. Gli sguardi di amici e parenti erano fissi su di noi, alcuni soddisfatti e felici, come quello di Elis e Niall, altri straniti e delusi, come Felicity e amici di Harry, che l’avevano visto soffrire per causa mia.

Cercai con lo sguardo mia mamma e mia zia, e le trovai vicine.

Il loro era il vero giudizio di cui m’importava, poi, poco contava se alcuni amici non approvavano la situazione. Vidi nei visi delle due donne più importanti della mia vita così tanta gioia, che era anche sfociata in piccole lacrime che rigavano il loro viso. E in quel momento non ebbi più dubbi.

Sarebbe andato tutto per il meglio.


ANGOLO DELL'AUTRICE:

Come sempre le letture sono scarse, ma non starò qui a lamentarmi, altrimenti pensate che sono una frignona. Spero che le recensioni aumentino, spero che la storia continui a piacervi.

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Capitolo 43
*** L'altra parte della mela ***


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È davvero importante fermarci una volta ogni tanto, uscire dalla propria testa e vedere le cose in prospettiva. In effetti, scoprire che guardavi le cose nel modo sbagliato può essere quasi liberatorio. E all’improvviso vedi nuove potenzialità, nuove possibilità, dove non le avevi mai viste prima

 

Grey’s Anatomy

 

 

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Per fortuna con l’intervento di Elis, nessuno fece più caso a noi, l’attenzione si era per fortuna spostata sui veri protagonisti della serata, gli sposi.

Ero ancora tra le gambe di Harry, e mi ero voltata di nuovo verso di lui. Un sorriso soddisfatto riempiva il suo volto, rendendolo ancora più bello del solito, i suoi occhi erano lucenti, pieni un emozione che non riuscivo ad identificare. Accarezzava lentamente il mio fianco, facendo movimenti circolari con il pollice, provocandomi il solito calore che solo lui riusciva a trasmettermi.

«Amo quando fai la gelosa» disse mantenendo quell’irresistibile sorriso.

«Gelosa?» controbattei, fingendo di non capire.

«Si - disse avvicinandosi al mio viso, lasciando un breve bacio sulle mie labbra - diventi ancora più eccitante».

«Harry - risposi, dandogli una leggera pacca sulle spalle - ti possono sentire».

«Beh, non c’è più niente da nascondere ormai, hai fatto saltare la nostra copertura» concluse ridacchiando, mentre avrei voluto baciare ogni singolo centimetro della fossetta che gli era comparsa sulla guancia.

«Andiamo - lo spronai prendendolo per mano - altrimenti Elis ci uccide».

«Ok, mia signora».

Ci mischiammo con il resto degli invitati camminando mano nella mano, ormai non più preoccupati di dare nell’occhio. Potevo sentire distintamente ogni suo singolo dito sulla mia mano, e gli spazi tra le nostre dita combaciare alla perfezione. Ogni parte di noi combaciava alla perfezione, ogni sua parte di lui combaciava con la mia, ci completavamo. Anche il nostro, come quello di Elis e Niall, era un amore destinato ad esistere, un amore inevitabile. Per quanto quell’amore potesse avermi fatto soffrire, per quanto ci eravamo fatti del male, niente poteva cancellare quello che lui era per me, quello che mi faceva sentire la sua presenza accanto alla mia.

Una torta a tre piani ricoperta di panna si ergeva davanti ad un Elis sovreccitata a quella sublime visione, niente in confronto però alla faccia che aveva Niall. La sua espressione era davvero impagabile, quel ragazzo aveva sempre amato mangiare, e quella era una cosa che negli anni non era affatto mutata.

Gli sposi tagliarono la torta, tenendo il coltello tra le loro mani unite, nelle quali non si potevano non notare le lucenti fedi che ora accompagnavano i loro anulari. Guardai quella scena con un sorriso in volto che non si voleva spegnere, anzi, aumentò nel momento in cui i due sposi suggellarono il taglio con un dolce bacio, che durò più del previsto, provocando fischi da parte degli amici che cominciarono a riempire il giardino.

«Ciao, cuore mio» riconobbi la voce di mia mamma alle mie spalle.

«Mamma!» le sorrisi e andai ad abbracciarla.

«Ciao, Harry» disse poi mia mamma sporgendosi in direzione di Harry.

«Salve signora - cominciò a dire, ma poi vedendo l’espressione di mia mamma si corresse - salve, Liliana» concluse sorridendo, incamminandosi verso un gruppo di amici, lasciando così a me e mia mamma l’opportunità di parlare.

Lo osservai allontanarsi da noi con la sua solita camminata, che faceva aumentare i battiti del mio cuore. Non riuscivo proprio a staccargli gli occhi di dosso, mentre lui aveva già raggiunto i suoi amici e cominciare a conversare. Lo vedevo parlare animatamente, gesticolando di tanto in tanto, quando ad un certo punto il suo sorriso si fece più pieno, più felice, e, dopo aver abbassato lo sguardo per qualche secondo, i suoi occhi si alzarono, puntando nella mia direzione, incatenandosi ai miei.

«Non hai sentito niente di quello che ti stavo dicendo, vero?» sentii poi la voce di ma mamma, che mi fece tornare alla realtà.

«Scusa mamma» le risposi arrossendo.

«Non scusarti per essere innamorata, Bea» mi disse dolcemente, accarezzandomi la guancia dolcemente.

«Si vede così tanto?» chiesi imbarazzata.

«Si, in particolar modo per chi ti conosce, poi diciamo che il vostro bacio non ha lasciato molto all’immaginazione» sorrise.

«Che vergogna» dissi nascondendomi il viso tra le mani.

Mia mamma in risposta prese le mie mani tra le sue, obbligandomi a guardarla.

«Sai cosa hanno provato le persone guardando il vostro bacio? - fece una pausa - molte delle persone, quelle che vi amano incondizionatamente, erano felici per voi. Penso abbiano tirato un sospiro di sollievo, come me. Le altre persone sai cosa hanno provato? Invidia. Non tutte le persone possono dire di aver incontrato nella propria vita il vero amore. In quel bacio non ho visto solo desiderio, passione e amore, dentro quel bacio c’era qualcosa di eterno, qualcosa che niente e nessuno riuscirebbe a scalfire. Dentro quel bacio c’era la vostra eternità». 

Continuava a guardarmi come solo una madre può fare, come se fossi il suo mondo. Il suo sguardo non era stato mai più felice, lei viveva della mia felicità, si alimentava di essa.

«E io non potrei essere più felice. Quando hai un figlio, vuoi il meglio per lui, vuoi che sia felice e che trovi la persona giusta - continuò - quella persona che la protegga quando ne ha bisogno, che la fa ridere e risollevare ad ogni problema e che la sostenga ogni giorno della sua vita. Non tutti i genitori possono dire di aver donato il proprio figlio alla persona giusta, ma Harry lo è. Lui è la tua persona, lui è l’unica persona in grado di tenere integro il tuo cuore, e l’unica che possa riuscire a romperlo in mille pezzi».

Ero emozionata a quelle parole.

Mia mamma aveva sempre sostenuto tutte le mie scelte, senza mai sbilanciarsi, ma allo stesso tempo riusciva sempre a farmi ragionare qualora stessi sbagliando. Mi aveva sempre stupito il fatto che, dopo la rottura con Harry, non aveva mai aggredito lui come persona. Ovviamente mi aveva sostenuto, ma al contempo aveva cercato di farmi comprendere i suoi comportamenti.

«Come fai ad essere così sicura di lui?» chiesi stranita.

«Oltre al fatto che ti guarda come se tu fossi il perno della sua vita?»

«Si» dissi sorridendo debolmente a quelle parole.

«Vieni con me».

Mi prese per mano, portandomi in disparte dal resto della gente e, trovata una panchina, ci sedemmo.

«Circa tre anni fa - cominciò portandosi una mia mano verso il grembo, stringendola tra le sue - quando mia sorella mi chiamò per dirmi che eri in ospedale, sentii il mio mondo cadere in frantumi. Partii subito e corsi dritta in ospedale. Quando ti vidi su quel letto d’ospedale, fredda ed immobile - fece una pausa per trattenere un singhiozzo - sentii il mio cuore frantumarsi perché tu sei il mio vero amore, Bea. Tu sei l’amore della mia vita».

«Uscii dal quella camera d’ospedale devastata - continuò - poi lo vidi,  vidi un ragazzo seduto in sala d’aspetto, con la testa fra le mani, che non riusciva a controllare il tremore delle sue gambe. Mi avvicinai a lui, perché in fondo al mio cuore sapevo fosse Harry. Mi sedetti accanto a lui e gli misi una mano sulla spalla e solo allora lui si rese conto della mia presenza e mi guardò con uno sguardo vuoto e spento di chi si sente in colpa, di chi non sa come comportarsi. Non c’era bisogno di parole per esprimere quello che stavamo provando, ma poi lui iniziò a singhiozzare come un bambino, e io mi ritrovai a consolarlo, come fosse mio figlio. Ogni giorno in cui tu eri all’ospedale, lo trovavo sempre lì, seduto sulla stessa sedia della sala d’aspetto a sperare che ti svegliassi e poi a sperare che gli permettessi di entrare in quella stanza. Quando uscivo dalla tua camera lui era già lì pronto a sapere qualcosa di te, anche la minima informazione, e allora capii che il suo sentimento per te era reale, perché tutti sbagliamo nella vita, commettiamo errori stupidi che si trasformano in errori più grandi di noi, errori che non riusciamo a gestire».

Le verità che mi stava rivelando non me le sarei aspettate. Avevo sempre immaginato cosa fosse successo in quei miei giorni di degenza, ma mai avrei pensato le cose che mia mamma mi stava rivelando.

«Quando uscisti dall’ospedale e non volevi vederlo, fui io a farlo entrare a casa, per darvi la possibilità di chiarire, ma tu eri ancora troppo dentro al tuo dolore, che ti offuscava. Ho sempre compreso le tue ragioni, ma ti ho sempre reso partecipe anche dei tuoi errori in quella situazione. Quando decidesti di partire lo contattai e gli lasciai il mio numero, perché in quel momento non eri solo tu ad aver bisogno di aiuto, ma anche lui. Tu sei una persona insicura e diffidente, lo sei sempre stata, ma sei anche abituata a superare le avversità, tu sei una persona forte e io non ero così sicura che lui lo fosse. In questi tre anni non ho mai smesso di ricevere sue chiamate. Nei primi mesi dalla tua partenza non c’era giorno in cui lui non mi chiamasse e mi chiedesse di te, di come stessi e se eri felice. Lui sarebbe anche stato felice se tu avessi trovato qualcun altro d’amare, perché a lui bastava la tua felicità, ed è questo l’amore, Bea. Amare una persone è anteporre la sua felicità alla tua. Per questi motivi non potrei essere più felice, per questo non provo nessuna tristezza nel lasciarti andare, nel donarti a lui».

Tutte quelle parole avevano appena riempito un buco di tre anni, anni dove mi ero sempre chiesta se Harry mi avesse pensato, e quelle parola mi avevano dato la certezza che lo aveva fatto e che non ero stata l’unica a soffrire.

Quelle parole mi avevano illuminato sull’amore di Harry nei miei confronti. 

Aveva continuato a chiamare mia mamma in quei tre anni, si era sempre preoccupato che la mia vita fosse piena e felice, ma non poteva sapere che senza dai lui la mia vita era vuota.

Mi avvicinai a mia mamma e mi protesi verso di lei, stringendo poi in un caldo abbraccio uno di quelli che ti scalda il cuore, che ti riempie d’amore.

«Grazie, mamma» le sussurrai all’orecchio.

Sapevo che le sarebbero bastate anche solo quelle due parole per comprender tutto quello che in realtà non le stavo dicendo.

«Ora vai da lui. E’ lì il tuo posto» disse con le lacrime agli occhi.

E in quel momento capii, che mi stava lasciando andare, stava lasciando andare la sua bambina, perché ormai quella bambina era cresciuta e non le apparteneva più. Stava affidando il futuro e la vita di sua figlia a qualcun altro.

Sciolsi l’abbraccio, lasciandole un dolce bacio sulla sua guancia dalla pelle ancora morbida nonostante l’età. M’incamminai, senza dire più una parola, verso il centro della sala, cercando con lo sguardo l’uomo che aveva illuminato la mia vita.

Lo trovai insieme ad Elis e Niall, che rideva, sicuramente per una delle battute di Niall, tenendo un calice di vino bianco in mano. Li raggiunsi già con il sorriso sul volto e, una volta aver affiancato Harry, non potei fare a meno di intrecciare le mie dita alle sue, come per rassicurarlo.

Mi protesi poi verso il suo viso e gli lasciai un piccolo bacio sul collo.

«Grazie» gli sussurrai dolcemente all’orecchio.

«Per cosa?» chiese stranito, mentre un adorabile cipiglio s formava sul suo volto.

«Per non essere mai passato, e per essere quello che sei».

«Sono così solo grazie a te» rispose, facendo nascere sul mio volto un sorriso adorante.

«Ma guardali - disse una voce interrompendo il nostro contatto visivo - prima ci hanno fatto penare e ora tubano come due piccioncini davanti a noi».

Mi voltai verso mia cugina che ci guardava con sguardo adorante, anche se faceva finta di essere infastidita dalla scena a cui doveva assistere. Non potei fare a meno di scoppiare a ridere, contagiando gli altri tre.

«Dai, devo andare a lanciare questo bouquet» continuò, facendoci incamminare tutti verso i palchetto.

Elis mi costrinse a mettermi in mezzo a tutte le ragazze che volevano a tutti costi prendere quel bouquet. Non avevo mai capito davvero il senso di quella tradizione, e non ci avrei mai creduto, ma pur di non sentirmi riprendere da Elis, feci quello che mi aveva chiesto, o meglio ordinato.

Cercai di mettermi in disparte, cercando di allontanarmi sempre di più e, quando mia cugina si girò, pronta per lanciar il bouquet, vidi tutte quelle ragazze in cerca di marito accalcarsi l’una sull’altra, come se Elis stesse lanciando banconote da cinquecento dollari.

Ovviamente non presi quel mazzetto fatto di rose rosa e bianche, che avevo adorato quando l’avevo visto perla prima volta tra le mani di Elis.

Una ragazza sbucò da quell’ammasso di gente, sollevando al cielo il bouquet che era riuscita a prendere, come se stesse sollevando un trofeo. Vidi i suoi occhi illuminarsi, sognanti, e poi si diresse verso un ragazzo snello e biondo, che la guardava con un sorriso di circostanza, fingendosi felice di quella conquista. Ecco perché non capivo quella tradizione, aumentava le aspettative della donna che se ne impossessava, e dava un’illusione alla stessa, che ora si aspettava una proposta dal fidanzato.

Distolsi gli occhi da quella scena e li rivolsi su di Elis, che mi guardava con un espressione dispiaciuta. Non aveva capito che non m’importava affatto.

Alzai le spalle in segno di resa e le feci un sorriso, così facendo lei si arrese, purtroppo non aveva speranze con me, e se ne rendeva conto ormai.

Non aveva ancora smesso di sorridere, quando sentii due braccia circondarmi i fianchi, facendomi arretrare, in modo da unire i nostri corpi.

«Non ti preoccupare, Bea. Io ti sposerò comunque» sussurrò poi al mio orecchio con voce roca.

E io trattenni il respiro.

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Capitolo 44
*** Il Futuro? ***


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L’uomo disse che si ricordava. Che non aveva fatto altro, per anni, che ricordarsi tutto.

A. Baricco

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E se, nel momento in cui credi che la ruota si sia fermata per sempre, questa ricominciasse a girare?

Le parole più importanti che Harry mi avesse mai detto continuavano a vagare nella mia mente.

Fino a pochi giorni prima credevo di averlo perso per sempre, in quel momento invece lui era di nuovo mio, e lo sarebbe stato per sempre stavolta.

Mi beai del calore di Harry sul mio corpo ancora qualche secondo, prima di prendere le sue mani nelle mie, accarezzando la pelle morbida.

«Forse è meglio andare nella nostra stanza ora» gli dissi sottovoce, sicura che potesse sentirmi, vista la sua vicinanza .

«Andiamo, allora» rispose prendendomi per mano.

Il matrimonio era ormai finito, e gli invitati si stavano pian piano congedando, salutando calorosamente gli sposi. Feci segno ad Elis che stavo per andarmene e lei mi rispose sorridendomi, come solo lei sapeva fare. Presi per mano Harry e, silenziosamente, ci dirigemmo verso l’interno della villa.

Non ero ancora mai entrata dentro, e restai letteralmente senza fiato di fronte a quella spartana eleganza che rendeva tutto quello che era appena successo ancora più speciale. Mi sentivo come una principessa, anche se quello non era realmente il mio giorno, ma lo era stato più di quanto mi sarei mai aspettata. Quello era stato uno dei giorni più belli e importanti della mia vita, uno di quei giorni che te la cambiano la vita, che ti fanno realmente capire qual è il tuo posto.

Harry si fermò per parlare con qualche amico che stava andando via e, dopo aver chiesto quale fosse la nostra camera, salimmo al secondo piano, dove un lungo corridoio ci avrebbe condotti alla nostra stanza. Aprimmo la porta in legno scuro e entrammo nel nostro piccolo mondo, chiudendo tutti gli altri fuori, eravamo solo io e lui, finalmente, lontano da tutti quegli occhi pronti a giudicare le nostre scelte.

In quel momento iniziai a sentire la stanchezza della giornata appena trascorsa.

I preparativi e l’emozione per il matrimonio mi avevano di certo stancato, ma quello che aveva contribuito ad aumentarla erano state le moltitudini di emozioni che l’avevano accompagnata.

Buttai un sospiro di sollievo quando sentii il rumore della porta che si chiudeva dietro di me. Sentii i passi di Harry raggiungermi lentamente e, una volta dietro di me, portò le sue mani sulle mie spalle, massaggiandole per sciogliere i muscoli e mandar via la tensione accumulata.

Le sue grandi mani mi toccavano con intensità, ma allo stesso tempo con adorazione, mentre il suo viso si avvicinava al mio collo, provocandomi brividi che si propagavano lungo tutto il mio corpo, fino ad arrivare alla punta dei piedi.

«Sei stanca?» mi sussurrò vicino all’orecchio con la sua voce melodiosa.

«Un po’» gli risposi, poggiando la mia testa sul suo petto.

«Vieni con me, allora». 

Mi prese dolcemente per mano, conducendomi verso il bagno, dove un’enorme vasca idromassaggio si ergeva proprio al centro della stanza.

Sorrisi lievemente immaginando già la sensazione di un bagno caldo, delle bollicine sul mio corpo, del bagnoschiuma sulla mia pelle.

Sentii lentamente la zip del mio vestito scendere, fino a quando quest’ultimo cadde sul pavimento, raggiunto poco dopo dal reggiseno. Sentii le mani di Harry accarezzare il mio corpo, venerandolo centimetro dopo centimetro, analizzando al tatto ogni mio minimo particolare. Iniziò a staccare una ad una le forcine dai miei capelli con delicatezza, stando attento a non farmi del male.

Poco dopo i miei capelli cioccolato ricaddero sulla mia schiena oscillando a destra e sinistra, solleticandomi la schiena. Percepii il fiato di Harry sulla mia spalla, prima di sentire le sue labbra umide sulla mia pelle lasciare piccoli baci, ora più leggeri, ora più intensi. Il mio respiro aumentava di intensità ad ogni bacio e, mentre i miei muscoli iniziavano a rilassarsi, altre parti del mio corpo si riaccendevano di una fiamma che solo Harry era in grado di alimentare.

Mi voltai verso di lui, obbligandolo a interrompere il contatto delle sue labbra sul mio corpo, e mi persi nei suoi occhi verdi. Harry non aveva bisogno di parole, perché i suoi occhi, anche se silenziosi, facevano un rumore pazzesco.

Iniziai a togliere il papillon, e poi a sbottonare lentamente tutti i bottoni della camicia, lasciandomi un po' di tempo per ammirare i tatuaggi che tanto amavo su di lui. Non potei fare a meno, una volta sfilatagli la camicia, di passare la mie dita su quel tatuaggio che tanto parlava di me, di noi, quel tatuaggio che si era fatto per ricordarsi di me nonostante la sofferenza, nonostante l’abbandono.

Quando entrambi ci trovammo nudi ci prendemmo qualche secondo per ammirarci, per imprimere nella nostra mente la visione dei nostri corpi vulnerabili quando ci trovavamo l’uno davanti all’altro.

Harry entrò per primo nella vasca, ormai piena d’acqua calda, per poi aiutarmi ad raggiungerlo. Mi sedetti tra le gambe snelle di Harry e poggiai la mia schiena contro il suo petto, lasciandomi andare completamente su di lui.

«Ricordi la nostra prima doccia insieme?» gli chiesi poi, mentre ricordi del nostro passato mi attraversavano la mente.

«Ricordo ogni minimo particolare che ti riguarda, ogni tuo sguardo o gesto è conservato nel mio cuore. Ricordo il nostro primo bacio, come se fosse ieri, e come era difficile esserti solo amico. Ricordo le tue paure e insicurezze, e di quanto ho lottato per scacciarle una ad una. Ricordo la prima volta che ho visto il tuo corpo nudo davanti a me, e di come fossi terrorizzato a toccarti, come se tu potessi romperti. Ricordo la prima volta che abbiamo fatto l’amore, e di come mi sentii completo per la prima volta nella mia vita. Ricordo di non aver provato mai niente di così totalizzante per nessun’altra, fino a qualche settimana fa, quando ho capito di non essermi mai dimenticato di te. Quando sei entrata nella stanza dell’hotel e ti ho vista, ho pensato che fosse il ricordo di te a provocami quel tormento che sentivo dentro, ma quando siamo stati insieme e quando poi è arrivata Charlotte, che mi ha riportato alla mia vita reale, mi sono reso conto che stavo solo mentendo a me stesso. Tu sei stata la prima persona che ha aperto il mio cuore, e se non ti avessi incontrato sarei ancora quel cinico e freddo ragazzo, che distribuisce in giro solo cuori spezzati».

«Ti amo, Harry - dissi con voce flebile, ancora appoggiata al suo petto - e scusami ancora».

«Non devi più scusarti, è finito tutto. Ora siamo io e te, il resto non conta più».

L’acqua calda stava lentamente sciogliendo i miei muscoli, facendo calare tutta la tensione accumulata in quella strana e meravigliosa giornata. Sentii le mani di Harry spostarsi verso il bordo della vasca per prendere il bagnoschiuma alla vaniglia e versarlo sulle sue mani, sfregano con cura. 

Percepii la sue mani avvicinarsi al mio corpo, fermandosi poi sulle spalle, massaggiandole con cura con movimento circolari. Iniziò a toccare tutto il mio corpo uniformando su di me il bagnoschiuma, che emanava un odore sublime, mentre il mio respiro s’intensificava e gioiva di quel contatto. Massaggiò i miei seni, facendo indurire i miei capezzoli sensibili, fino ad arrivare al mio stomaco, senza più fermare la discesa. Toccò la parte più sensibile di me con una delicatezza che fece incendiare il mio corpo, con un amore che mi sovrastava ogni volta.

«Harry» ansimai, chiudendo gli occhi, aumentando così la percezione delle sue mani sul mio corpo.

«Shhh - sussurrò al mio orecchio - lasciati andare».

E così feci.

Spinsi il mio corpo verso la sua mano per percepire anche il suo minimo movimento e ancora ad occhi chiusi cercai di godermi ogni piccola sensazione che il suo tocco mi procurava. Il mio corpo si tendeva sempre di più mentre il mio respiro intensificava il suo ritmo e dalla mia bocca iniziavano ad uscire forti sospiri. 

Quando un suo lungo e corposo dito s’infilò in me, non riuscii più a trattenermi e un grido uscii dalla mia bocca.

Il mio respiro irregolare stava pian piano scemando e i miei muscoli stavano tornando a rilassarsi, forse più di prima.

«Non sai quanto è bello sentirti in questo modo» disse Harry al mio orecchio con voce roca.

Sentivo la sua presenza dietro di me, volevo soddisfare anche lui, così cercai di spostarmi da lui.

«No, non fare niente. Voglio restare così» mi stupii alle sue parole.

«Ma..» feci per dire qualcosa, ma lui m’interruppe.

«Il mio maggiore piacere, è il tuo».

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Quando finii di passarmi la crema sul corpo e dopo essermi lavata i denti, raggiunsi Harry a letto.

Era disteso a pancia in giù nel letto ed indossava solo un paio di boxer neri che gli fasciavano il corpo perfettamente scolpito. I capelli ondulati ancora umidi ricadevano morbidi sul cuscino e il materasso sotto di lui aveva già preso la forma del suo corpo, come se si stesse deliziando della sua presenza. 

M’incamminai verso di lui silenziosamente, non sapendo se fosse già addormentato, ma quando arrivai ai piedi del letto vidi i suoi occhi verdi guardare un punto fisso davanti a lui, che poi si spostarono sul mio corpo. Un debole sorriso comparve sul suo volto quando mi vide, un sorriso stanco ma felice.

«Vieni qui» mi disse, visibilmente stanco, picchiettando una sua mano accanto a lui sul letto.

Senza esitare un secondo mi coricai sul letto, proprio davanti a lui, e rimasi a fissarlo intensamente, ammirando tutta la sua bellezza. Non potei fare a meno di sorridere, in realtà non facevo altro da un’intera giornata, e non riuscivo a smettere di farlo.

Harry alzò una sua mano verso il mio viso e accarezzò dolcemente una delle mie guance, muovendo il pollice lungo le mie gote, ancora arrossate dal bagno che ci eravamo appena fatti.

«Oggi ti ho detto una cosa importante, e tu hai sviato il discorso - iniziò a dire, e capii subito a cosa si stesse riferendo - non vorrei che avessi frainteso le mie parole. Quello che ho detto lo voglio veramente, ma non volevo metterti pressioni».

«Hei - lo interruppi, portando una delle mie mani sulla sua, che era ancora sul mio volto - non ho frainteso niente. Non ho risposto perché mi hai solo preso alla sprovvista. Ci sono ancora tante cose da decidere, di cui parlare».

«Non dobbiamo più parlare del passato» disse con occhi tristi.

«Non voglio parlare del passato, anche se da questo non si può scappare. In fondo dobbiamo ringraziare le nostre scelte, perché magari oggi non saremmo qui».

Chissà cosa sarebbe successo se io non avessi perso il bambino e fossimo rimasti insieme. Magari ci saremmo stancati l’uno dell’altro, magari saremmo sposati, ma sono ipotesi ignote, che non si possono sapere. Forse allora eravamo ancora troppo immaturi per questo tipo d’amore, mentre crescendo avrebbe potuto funzionare. E’ come se avessimo conservato per anni il nostro amore, come se l’avessimo ibernato per poi riprendercelo nel momento migliore per noi, nel momento in cui entrambi saremmo stati pronti.

E lo eravamo davvero questa volta.

«Dobbiamo parlare del nostro futuro, dei nostri progetti. Dobbiamo prendere delle decisioni».

«Domani» rispose con un filo di voce, non facendo scemare però il suo fantastico sorriso.

«Ok» dissi, continuando a fissarlo nelle sue pozze verdi.

Restammo coricati, uno di fronte all’altro, solamente a fissarci, imprimendo nella mente ogni minimo particolare dei nostri visi. Potei vividamente vedere la barba che stava per rispuntare nel suo mento, la piccola ruga tra le sopracciglia, le sue labbra che sembravano morbide anche solo a guardarle.

Non ci toccammo e non ci parlammo, fino a quanto il sonno vinse su di noi, interrompendo la nostra connessione.

>>>>>

Mi svegliò un fastidioso rumore costante, come se qualcuno stesse attaccando dei chiodi al muro. 

Aprii gli occhi, cercando di orientarmi.

Voltai il mio sguardo tentando di focalizzare ciò che mi stava attorno e riconobbi la stanza dove la sera prima mi ero dolcemente addormentata con Harry. Mi voltai velocemente verso di lui e lo vidi ancora addormentato. Mi presi qualche secondo per ammirarlo anche quando era completamente vulnerabile. Sembrava dormire tranquillamente, visto il suo respiro profondo, che usciva dalla bocca socchiusa. La mattina aveva le labbra più carnose, ed ebbi l’istinto di baciarle, così mi avvicinai a lui, ma fui bloccata proprio all’ultimo secondo dal fastidioso rumore che mi aveva svegliato.

Qualcuno bussava alla porta.

Mi misi in fretta la vestaglia e, sperando che quel qualcuno non bussasse più, mi affrettai ad andare verso la porta, sperando di non svegliare Harry.

«Ma dico - disse mia cugina entrando con la sua solita esuberanza nella stanza - che sonno pesante avete?».

«Fa piano - le dissi dandole una pacca sulla spalla - Harry sta dormendo ancora».

«Beh, deve svegliarsi! Dobbiamo fare colazione tutti insieme» s’impuntò, mettendosi le mano sui fianchi.

«Dammi il tempo di svegliarlo e».

«Oh no! - m’interruppe - se lo svegli tu immagino già cosa succederà dopo, e io devo partire per la luna di miele tra poco. Quindi lo sveglio io!».

Così dicendo si diresse verso il letto e scoprì Harry, cercando di svegliarlo a forza di strattoni.

Elis era già vestita di tutto punto di prima mattina, non avrei mai capito dove trovasse tutta quella voglia di agghindarsi ad ogni ora del giorno.

Harry, al decimo strattone, si svegliò e guardò Elis con espressione stralunata.

«Ma che succede qui?» chiese confuso, guardando con circospezione Elis.

«Dobbiamo fare colazione! - urlò - io e Bea ti aspettiamo giù. Muovi il culo!».

«Agli ordini, signora Horan».

E bastò questo per addolcire mia cugina, che riservò a se stessa e a noi un sorriso smagliante, che però non fu sufficiente a scordarsi del suo obiettivo. Infatti venne verso di me e, prendendomi per un braccio, mi trascinò alla porta.

Venni però fermata da una seconda mano che aveva afferrato il braccio libero e, voltando lo sguardo vidi un Harry assonnato che mi sorrideva.

«Voglio un bacio del buongiorno, almeno» disse sia a me che ad Elis, che mi lasciò il braccio.

«Si, ma una cosa veloce» disse uscendo poi dalla porta.

Mi voltai a guardare Harry e mi alzai sulle punte, unendo le mie labbra alle sue. Anche di prima mattina il sapore di Harry faceva accendere tutto il mio corpo, che non ne avrebbe mai avuto abbastanza. 

Non mi sarei mai stancata di lui.

Succhiai le sue labbra, prendendole tra i denti, e poi feci unire le nostre lingue, che non chiedevano altro che essere congiunte.

«Devo andare - dissi con il fittone - altrimenti quella pazza mi uccide».

«Non sia mai - disse dandomi una pacca sul sedere - ho troppi progetti per te».

Risi uscendo dalla stanza, e trovai mia cugina a braccia conserte appoggiata davanti alla porta.

«Era ora!» disse fingendosi arrabbiata.

«Stai zitta! - risi ancora - so che non vedi l’ora di sapere tutti i dettagli. E’ per questo che sei venuta in camera. Pessima scusa la colazione comunque, visto che tu non fai mai colazione».

«Merda! - esclamò - mi conosci troppo bene! Devo cambiare tattica con te».

Arrivammo al bar e ci sedemmo in un piccolo tavolino, e ordinai il mio amato caffè.

Elis, come già avevo immaginato, non aveva ordinato niente; se ne stava con i gomiti sul tavolo e le mani poggiate sotto il mento ad ascoltarmi, stranamente in silenzio. Le raccontai tutto per filo e per segno, le dissi ogni particolare che sapevo avrebbe gradito sapere. Non le diedi il tempo di fare domande, di fare delle obiezioni. 

Poi però qualcosa cambiò.

Un pensiero mi era balenato nella mente, un pensiero che fino a quel momento avevo cercato di scacciare dalla mente, un pensiero a cui non volevo dar risposta.

«Bea, che cosa succede? Perché hai quella espressione?» chiese Elis stranita dal mio repentino cambio d’umore.

«Domani parto. Cosa Succederà?» chiesi più a me stessa che a lei.

«Cosa vuoi che succeda? Se lui ha scelto di tornare con te, l’ha fatto sapendo tutti i pro e i contro. Se la distanza e gli anni non vi hanno separato, niente potrà farlo».

«Lui non lo sa» dissi abbassando gli occhi sul mio caffè, ormai freddo.

«Non hai detto a Harry che domani torni in Italia?» disse con un tono di voce fin troppo stridulo.

Stavo per risponderle, quando mi accorsi del suo sguardo.

Vidi Elis guardare alla mie spalle e strabuzzare gli occhi. Non potevo vedere dietro di me, ma sapevo, anche senza voltarmi, cosa mi sarei trovata davanti, o meglio chi.

Nonostante ciò lo feci, mi voltai verso di lui. Ma forse sarebbe stato meglio non farlo.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon Lunedì a tutti <3 

ecco a voi il nuovo capitolo di questa storia che sta volgendo al termine, almeno per me. Non Passerai sta per concludere il suo cammino, e vi posso anticipare che saranno circa 65 capitoli, e a me mancano da scrivere solo gli ultimi due.

Cosa vi aspettate succederà dopo la partenza di Bea? Partirà o resterà a New York con Harry?

Ho visto un calo negli ultimi capitoli, pochissimi commenti, e mi dispiace se la storia vi sta annoiando,ma vorrei sapere anche quello, se avete qualche critica o appunto da fare.

Spero che qualcuno di voi abbia letto la mia nuova OS su Harry, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate :) Wattpad: https://www.wattpad.com/162403125-in-her-strings-h-s-little-black-dress
EFP: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3243039&i=1

 

P.S. è in cantiere una nuova FF, completamente diversa da questa, dove i ragazzi sono famosi e che io amo a dismisura... chissà, magari presto vi ritroverete con una mia nuova storia.

alla prossima,

BARB <3

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Capitolo 45
*** Distanze ***


A volte non ti rendi conto di una cosa fino a quando l'evidenza non ti si presenta davanti. A volte fingi che una cosa irreale fino a quando la realtà non è proprio davanti ai tuoi occhi.

>>>>>

Harry se ne stava immobile sulla porta, vicino alla quale eravamo sedute io ed Elis. Aveva lo sguardo rivolto verso di me, ma era come se il suo sguardo fosse fisso nel vuoto, in quel punto indefinito dove tutti i pensieri vengono racchiusi. Era come se il suo sguardo stesse al centro del suo corpo, cercando di leggere il cuore, cercando di controllarlo, di trovare una risposta.
Era come se la stanza fosse caduta nel silenzio, come se tutto intorno a noi fosse sfocato, come se fossimo soli, soli insieme.
«Io..» tentai di iniziare un qualche discorso, ma non avevo niente da dire.
La verità era che non avevo pensato alla mia partenza fino a pochi minuti prima, non avevo ancora realizzato che le settimane fossero trascorse così velocemente, e che era arrivato il momento di andare. Quando ero arrivata, poche settimane prima, non vedevo l'ora di tornare a casa, in Italia, perché questo posto mi provocava un dolore irreparabile, dolore che ora avrei riprovato lasciando New York.
«Allora ragazzi! Siete pronti a salutare i vostri amici?».
Niall era entrato dalla porta, superando Harry come se niente fosse, ma in effetti lui non sapeva che attorno a lui il tempo si era fermato, lasciandoci immobili. Non ricevendo risposta Niall si mise vicino ad Elis, cercando il suo sguardo in cerca di una spiegazione.
Avrei veramente voluto che Harry mi urlasse contro, che se la prendesse con me per non aver pensato al domani, e invece restava ancora immobile, ed era insopportabile.
Mi alzai dalla sedia, non potendo più sostenere il suo sguardo, e lo raggiunsi.
«Io avrei..» provai a dire, ma Harry alzò una mano verso di me, come a fermarmi.
«Lo capisco».
«Cosa?» gli chiesi, confusa.
«Dovevo immaginalo che saresti dovuta partire, ma forse non volevo accettarlo, non volevo pensarci. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato».
Quelle sue parole furono quasi più dolorose di uno schiaffo, perché mi sarei aspettata mille possibili scenari di quel momento, ma quello proprio no. Non capivo se quelle parole fossero sincere o meno, se volesse solo tranquillizzarmi o forse l'aveva messo già in conto da tempo.
«Quindi che faremo?» domandai, spaventata dalla sua apparente tranquillità.
«Bea - disse il mio nome quasi ridacchiando - se sei convinta che ti lasci andare di nuovo così facilmente, ti sbagli. Cercheremo di conciliare le cose, cercheremo di sopportare la distanza. Troveremo una soluzione, come sempre».

>>>>>

Stavo mettendo le mie ultime cose in valigia.
Eravamo tornati da quasi due ore al Four Season, subito dopo aver salutato i due novelli sposi diretti in Thailandia; e mentre loro se ne stavano nella prima classe di un aereo con un bel cocktail fresco in mano, io ero accovacciata sul freddo pavimento della mia camera, cercando di far entrar tutto in valigia.
Ero sola, ma, nonostante questo, tentavo di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire dai miei occhi. Harry aveva preso la mia partenza meglio di quanto avrei creduto, e non sapevo se questo mi faceva realmente piacere.
Come al solito il mio cervello viaggiava più veloce della luce, creando tutti gli scenari futuri possibili. Ormai mi ero abitata a conviverci, ero consapevole che il mio cervello era stato tarato male. Faceva viaggi interminabili, assurdi e talvolta impossibili.
«Sei pronta?».
Mi voltai e trovai Harry che mi sorrideva timidamente, come se volesse capire cosa mi stesse passando per la testa, come se mi stesse studiando.
«Si, ho quasi finito» conclusi senza guardarlo oltre.
Il suo sguardo mi faceva male, perché ero consapevole che da lì a poche ore non l'avrei rivisto più per parecchio tempo.
Cercai di concentrarmi sulla camera, sulle cose che mi erano attorno; il letto dove avevo fatto l'amore, la prima volta dopo tanti anni. Voltai il mio sguardo verso il divano, quello che aveva suggellato il nostro incontro e la sua scioccante rivelazione. Non avevamo passato tanto tempo in quella camera, ma ogni istante era stato magico, ogni istante l'avrei portato nel mio cuore per il resto della mia vita. Grazie a quella stanza avevo ricominciato a respirare, a vivere.
Poco dopo salii sulla sua macchina, mentre Harry silenziosamente poggiava la valigia nel portabagagli. Eravamo ormai diretti all'aeroporto, e questa volta non sarei tornata indietro, sarei tornata in Italia, lontano chilometri e chilometri da lui. Non volevo partire, nemmeno una cellula del mio corpo voleva farlo ma avevo dei doveri, non potevo lasciare la mia vita in Italia da un giorno all'altro.
Cercai di assimilare ogni particolare e ogni odore durante quel viaggio. Guardai fuori dal finestrino cercando di imprimere nella mia mente tutti le vie, i negozi, tutte quelle cose che sapevano di noi.
Non avevo bisogno di fare la stessa cosa con Harry, non avevo bisogno di tenermi a mente le sue espressioni, i suoi sguardi e i suoi sorrisi, perché quelli vivevano in me. Era rimasto nella mia mente e nel mio cuore per anni senza che riuscissi a scacciarlo, pur desiderandolo con tutta me stessa.
Mi voltai comunque verso di lui, anche se faceva male, anche se era così insopportabile da farmi quasi lacrimare gli occhi. Non avevo avuto davanti gli occhi Harry per tre anni, ed era stato insopportabile, ma lo sarebbe stato di più in quel momento, quando avevamo entrambi esternato i nostri sentimenti, quando eravamo certi che il nostro amore non fosse finito.
Nei tre anni che erano trascorsi avevo sempre pensato di essere l'unica dei due a soffrirne ancora, per questo mi ero rassegnata ed avevo accettato quel dolore, quel vuoto che riempiva il mio cuore. Ma in quel momento non era più così; era cambiato tutto.
Sentii la mano calda di Harry sulla mia, mentre i miei occhi erano ancora fissi sul suo viso angelico. Harry non era solo bello, la bellezza non era la sua migliore qualità; era quello che i suoi occhi ti dicevano a renderlo unico, erano i suoi difetti a renderlo inimitabile, era il suo cuore a renderlo unico.
«Siamo arrivati» mi disse, e per la prima volta sentii la sua voce incupirsi.
Non mi ero resa conto che la macchina si fosse fermata, non mi ero resa conto che eravamo arrivati. Non mi volevo rendere conto di doverlo salutare, di nuovo.

>>>>>

Di nuovo in un aeroporto, di nuovo su un aereo a dire addio a qualcosa.
Ero consapevole che il mio amore per Harry non sarebbe cessato, ma la distanza non è mai amica dell'amore. La distanza ti mette dubbi e incertezze nella testa, ti fa dubitare anche che la terra sia rotonda se ti coglie impreparata. Harry avrebbe continuato ad amarmi, nonostante la distanza, o almeno volevo crederlo.
«Bea - mi chiamò Harry, mentre trascinata la mia valigia, che aveva insistito a tenere - smettila».
Lo guardai curiosa e al tempo stesso stranita dalla sua affermazione.
«Non riesco a lasciarti andare se hai quell'espressione in volto» si spiegò, mentre nei suoi occhi leggevo sempre più malinconia man mano che ci avvicinavamo al banco dei controlli.
«Il punto è proprio lasciarsi andare, Harry. Sono stanca di doverti lasciare andare» sputai secca.
«Cosa vuoi che faccia? - chiese quasi disperato, portandosi la mano libera ai suoi adorabili capelli ondulati - Vuoi che ti convinca a restare? L'unica cosa che vorrei è svegliarmi con te accanto ogni mattina, preparati la colazione e trovarti a casa nella pausa pranzo. Ma capisco che non puoi lasciare la tua vita per me».
«Lo so» fu l'unica cosa che riuscii a dire.

>>>>>

E partii veramente.
Salii su quell'aereo, senza voltarmi indietro.
Non versai una lacrima fino a quando non superai i controlli, fino a quando Harry non scomparve, fino a quando non lo vidi voltarsi di spalle e incamminarsi verso l'uscita. Camminava a testa china, e non si voltò nemmeno una volta verso di me. Forse faceva troppo male, e io lo sapevo bene quanto ne facesse, ma i miei occhi non riuscivano a staccarsi da quella figura, e non lo fecero fino a quando non lo vidi più, fino a quando non si disperse tra la folla e non riuscii più ad intercettarlo.
Mi aveva baciato, uno dei suoi soliti baci, quei baci che si ricordano nel tempo. In una coppia ci sono mille baci, infiniti baci, ma ce ne sono alcuni che ti restano impressi nella mente. Ci sono baci che non ti scordi facilmente, che sia per la situazione, per il momento particolare che stai vivendo, ma certi baci sono inequivocabilmente più importanti di altri. Con Harry ogni bacio era speciale, ogni bacio aveva un significato nascosto da decifrare, come un biscotto della fortuna, che apri solamente per svelare la frase, non per il gusto che ti lascia sulla bocca.
«Non scordarti di me» mi aveva detto una volta terminato il bacio.
Ma come puoi chiedere ad una persona di scordarsi di respirare? Come puoi chiedere alla luna di presentarsi di giorno, e al sole di notte? Come puoi chiedere ad un uccello di strisciare e ad un cavallo di volare?
Ma come potevo scordarmi di lui, che era colui per cui il mio cuore batteva ancora nel mio petto?

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon lunedì a tutti!
Ho ricominciato a studiare e sono completamente in coma, e non so se ce la farò a fare questo esame, ma ci provo comunque.

Bea è partita, senza di Harry, ma cosa accadrà ora? La distanza è difficile da vivere per una coppia, ma per loro due? Il loro amore è forte come credono?

Vi mando un grosso bacio e se non l'avete fatto passate a dare un'occhiata alla OS su Harry che ho scritto! 

All the love,
BARB

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Capitolo 46
*** Il tempo passa, e noi? ***


Il tempo passa. Anche quando sembra impossibile... Passa in maniera diseguale, tra strani scarti e bonacce prolungate, ma passa. Persino per me.

-New Moon

>>>>>

Erano trascorse due settimane.
Milano non era cambiata di una virgola, era tutto immutato nonostante lo scorrere del tempo, e per questo non ebbi difficoltà a riabituarmi alla mia solita routine quotidiana. Avevo ricominciato a lavorare, ed era stato semplice. Tutti, il mio primo giorno di lavoro, mi avevano chiesto come fosse stato il mio soggiorno in America, com'era stato il matrimonio, ci fu persino qualcuno che mi chiese delle foto, che però io non avevo fatto.
Non avevo nemmeno una foto di quelle due settimane passate a New York, nemmeno un ricordo a cui attaccarmi in un momento di sconforto. Avevo sempre amato le foto, ma non ero mai stata una capace di farle, non era mai stata una mia passione. Eppure doveva essere fantastico saper racchiudere le emozioni in una sola immagine, poter trasmettere alla gente le sensazioni che tu stessa hai provato in un determinato momento. 

Di quelle due settimane non mi restava niente se non i ricordi.

Avevo scritto pagine e pagine sulle sensazioni che avevo provato, quello era il mio dono, ero nata per farlo e, anche se non ero la più brava, la migliore, avevo comunque fatto della mia passione la mia professione. E per quello ero fiera di me.

Trascrissi tutti i ricordi e le sensazioni provate nel mio taccuino, ormai logoro dal tempo. Cercai di riportare su carta tutto quello che io e Harry c'eravamo detti, tutti gli sguardi nascosti, tutti i sentimenti che avevamo cercato di reprimere, e poi scrissi di come non ce l'avessimo fatta a combattere i nostri sentimenti, che loro erano fuoriusciti dal nostro corpo come fiume in piena, come non fossimo più riusciti a controllarli.
Anche se non era la fotografia, qualcuno lassù mi aveva dato il dono di esprimere i miei sentimenti e di poterli raccontare al resto del mondo, di far provare sensazioni che senza la mia scrittura non avrebbero provato, o almeno era quello che cercavo di fare.

Tutto attorno a me era rimasto immutato.
Non appena rientrai nel mio piccolo appartamento nella periferia di Milano, tutto era come l'avevo lasciato, anche l'odore di casa era rimasto uguale, come se il tempo non fosse passato. Sistemai malinconica le mie valige, mettendo tutto ordinatamente apposto, prendendomi tutto il tempo che serviva, perché non avrei dovuto cucinare per nessuno, se non per me stessa, non sarei dovuta uscire con un ragazzo, perché quello che avevo era lontano chilometri e chilometri da me.

Erano passate due settimane e invece per me il tempo sembrava non passare mai. 
Eppure conducevo la stessa vita di un mese fa, prima della mia partenza, andavo a lavoro, in palestra e poi tornavo a casa. Tutto era rimasto uguale, ma qualcosa era cambiato.
Ero io ad essere cambiata, ero io ad essere diversa.
L'ennesimo giorno di lavoro volgeva a termine, così mi misi a sistemare la mia scrivania, mettendo tutte le stampe in un cassetto, chiudendo tutte le finestre del mio computer, e mi alzai per andarmene, quando il mio cellulare squillò.

«Elis! - esclamai rispondendo al telefono - tornata stanca dal viaggio di nozze?» dissi, con tono ammiccante.

«Non sono mai stata più stanca di così» disse con voce avvolta, e io non potei fare a meno di scoppiare a ridere.

«E' inutile che ridi in quel modo - il suo tono era quasi offeso - magari fossi stanca per il motivo che credi! Tu non hai idea di quanto quel biondo mi abbia fatto camminare! Ho i piedi in fiamme!» concluse teatralmente.

«Ti sei portata solamente scarpe col tacco, immagino» dissi, sicura della risposta.

«Era un viaggio di nozze, mica un pellegrinaggio! Mi sono comprata un paio di orribili scarpe da ginnastica qui, ma le misure non sono come le nostre, secondo me erano più piccole. Ora ho tutti i calli ai piedi».

«Povera cugina!» la derisi, perché Elis era sempre Elis, e mi mancava da morire.

Mi raccontò tutti i posti che avevano visitato, tutti i luoghi in cui erano stati e tutto quello che aveva comprato. Niall, come punizione per gli infiniti pellegrinaggi che le aveva fatto fare, si era dovuto sorbire tre giorni interi di shopping, e io non avrei voluto essere nei suoi panni.

«Dove sei comunque?» mi chiese una volta finito il suo interminabile monologo.

«Sto andando a prendere qualcosa al supermercato e poi torno a casa».

«Mangi dalla zia?» mi chiese poi.

«No, mia mamma è andata un weekend a Roma. Non chiedermi a fare cosa, perché non ne ho idea» risposi, abbastanza stranita dalla sua curiosità.

«Ok. Ora devo andare, ma ci sentiamo presto ok?» 

«Va bene, Elis. A presto» e chiuse velocemente la conversazione, lasciandomi alquanto perplessa.

>>>>>

Aspettavo il momento del mio ritorno a casa con impazienza, tutti i giorni. 
Ogni attimo della giornata non pensavo ad altro che a tornare in quella casa, e non perché mi mancasse particolarmente, ma perché era il momento in cui sentivo Harry. Non vedevo l'ora di varcare la soglia di casa e accendere quel dannato computer, che nelle ultime settimane era diventato il mio migliore amico.

Ogni sera avevo un appuntamento fisso con Harry, su Skype. 

Non era certo quello che avevamo desiderato, ma era sempre meglio di non vederci completamente, meglio del sentirsi a telefono solo per qualche minuto.
Almeno in quel modo potevo vedere i suoi occhi verdi che tanto amavo, potevo vedere spuntare le sue piccole e profonde fossette su quel viso angelico. Amavo scrutare i suoi lineamenti, mentre era intento a raccontare la sua giornata. Ogni giorno parlavamo per ore, nonostante non avessimo molte novità da raccontarci, ma solo la nostra giornata, eppure eravamo capaci di parlare per ore, di qualsiasi argomento. 

Non toccavamo mai, però, un argomento che interessava molto entrambi: il futuro.

Entrambi sapevamo che quella situazione non sarebbe potuta durare all'infinito, che uno dei due si sarebbe dovuto trasferire, uno dei due avrebbe dovuto lasciare la vita a cui era abituato. Sarei stata disposta a lasciare il mio lavoro per lui, ma ero titubante; avevo paura che la mia vita sarebbe cambiata troppo, avevo paura che poi mi sarei ritrovata con le mani in mano.
Ma la cosa che mi spaventava di più era la possibilità che, una volta trasferita in America, le cose non avrebbero funzionato, e che il mio sacrificio sarebbe stato inutile.
Aprii ed accesi finalmente il mio computer e mi sedetti sul divano. Accesi la televisione in attesa che Harry si collegasse su Skype e mi misi a fare zapping, in cerca di qualcosa che potesse attirare la mia attenzione, ma niente riusciva a distogliermi dal pensiero di Harry. 

Così mi ritrovai ad osservare quella piccola foto e quel pallino, quel pallino che era ancora trasparente, quel pallino che non voleva proprio diventare verde.
Ero alquanto stranita da quella situazione, perché ogni volta ero io quella che arrivava in ritardo, quella a collegarsi per ultima.
Impaziente, presi il cellulare e provai a chiamarlo, ma anche lì si presentò la segreteria. Fu in quel momento che iniziai seriamente a preoccuparmi, fu in quel momento che un dubbio s'insinuò nella mia mente.
La paura che gli fosse successo qualcosa, che si trovasse in difficoltà e io non ero lì, pronta ad aiutarlo, mi stava dilaniando, mi stava uccidendo.

Il suono del campanello mi riportò alla realtà, mi fece smettere di pensare e incamminare verso la porta.
«Chi è?» chiesi  ad alta voce.
Ma non ottenni nessuna risposta, così cercai di guardare dall'occhiello, ma vidi solo nero, evidentemente le luci del patio erano spente.
Non so cosa mi spinse ad aprire quella porta, non so per quale motivo lo feci, ma sentii qualcosa dentro che mi spingeva a compiere quel gesto, pur non sapendo chi si celasse dietro alla porta, pur sapendo di rischiare.
Girai la chiave nella toppa e finalmente aprii, rivelandomi chi avesse suonato alla mia porta.

«E tu che ci fai qui?».

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Visto che lo scorso capitolo era piccolino, vi ho fatto questo regalino (rime orride).
Chi sarà a bussare alla porta di Bea?? So chi sperate che sia, ma sarà davvero lui o no???? Voglio le vostre ipotesi, che sono sempre interessanti e a volte divertenti!

Questa storia sta giungendo al termine, in meno di un anno, e io mi sento così piena di speranza è a tratti malinconica, perché ha accompagnato una parte difficile e a tratti bella della mia vita, e finendola chiudo un vero e proprio capitolo della mia vita.

Aspetto tanti commenti, mi raccomando ❤️ 
(Altrimenti addio sorpresine! Ahahahah)

All the love, 

BARB

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Capitolo 47
*** Voliamo insieme? ***


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Devi prendere le cose belle quando le hai davanti, perché, se non lo fai, le prenderà qualcun altro.

>>>>>

Me ne stavo ancora davanti a lui, con la bocca semiaperta, senza saper dar voce ai miei pensieri, che cozzavano l'uno con l'altro.

Avrei lasciato tutto della vita che stavo conducendo per lui, ma non potevo non rendermi conto che questo significava anche lasciare la mia vita completamente nelle sue mani. La Bea di qualche anno fa non avrebbe pensato nemmeno un secondo di non accettare la proposta di Harry, di abbandonare tutto per amore, ma la Bea del presente era consapevole che l'amore non è tutto, che la parola amore non è sempre accompagnata al per sempre.

«Io...» tentai nuovamente di iniziare un discorso, senza però ottenere grandi risultati.

«Dì di si» m'incitò poi Harry.

Aveva lo sguardo lucido, di chi è pieno di speranza, di chi vede un futuro che io faticavo a visualizzare.

«Ci devo pensare» era l'unico pensiero sensato che era fuoriuscito dal flusso dei miei pensieri.

«Ma non c'è niente a cui pensare - alzò il tono di voce - se vuoi davvero stare con me non c'è motivo di pensarci».

Non era esattamente vero.

Non era lui a dove lasciare 'unica vita che conosceva e saltare nel buio. Avevo lui, era vero, ma poi? Cosa avrei fatto una volta trasferitami dall'altra parte del mondo? Sarei andata a vivere da lui, ma senza un lavoro, senza poter contribuire economicamente, e questo non lo potevo accettare.

«Ti troverai un lavoro!» esclamò, come se potessi leggermi nel pensiero.

«Come se fosse facile» dissi più a se stesso che a me.

«In realtà non è così difficile come sembra»

«Che vuoi dire?» dissi con un cipiglio in volto.

«Ho mandato il tuo curriculum a qualche testata» una sfumatura di senso di colpa comparve nella sua voce.

«Tu cosa?» ero davvero stupita.

«Sapevo che per convincerti non sarebbe bastata la mia presenza qui. Così ho mandato il tuo curriculum in giro, e le possibilità che trasudano sono molto alte».

«Come fai ad esserne certo?» domandai.

«Perché ho già ricevuto delle chiamate. Tu sei grande in quello che fai, sei la migliore! Hai un trascorso ce poche hanno avuto. Tutti vorrebbero te al loro fianco».

Non potevo credere alle sue parole.

Pur di vedermi accanto a lui ogni giorno aveva fatto tutto quello, per essere certo di poter costruire un futuro con me. Una parte di me avrebbe dovuto essere in collera con lui, per avermi messo con le spalle al muro. Ma questa parte era quasi inesistente in me.

Ero piena d'amore per quell'uomo che mi stava davanti, che avrebbe fatto di tutto per tenermi accanto a lui. E' vero che l'amore supera il temp e le distanze, ma se l'amore non si vive, giorno per giorno, che amore è?

Mi avvicinai a lui fino a trovarmi proprio a pochi centimetri dal suo volto.

«Si» dissi alzandomi sulle punte dei piedi per baciarlo.

Fu un bacio speciale, un bacio carico di silenti promesse, di parole che non avevano bisogno di essere pronunciate. Non potevo permettermi di non seguire il mio cuore, perché in fondo avevo aspettato quel momento per anni e non potevo tirarmi indietro proprio quando ero riuscita a raggiungere ciò che desideravo.

Mi era bastato rispondere ad una piccola domanda che si era fatta largo nella mia mente: Cosa saresti disposta a fare per raggiungere il tuo sogno? Cosa sei disposta a perdere?

E la risposta era semplice. Sarei stata disposta a lasciare tutto per avere la possibilità di amare ogni giorno Harry, avrei fatto qualsiasi cosa per vivere con lui. Avrei lasciato la mia città, il mio lavoro, e allontanarmi da mia madre, se ciò significava svegliarmi ogni mattina accanto all'unico uomo che era in grado di curare il mio cuore distrutto.

«In questo momento non potrei essere più felice di così» sussurrò Harry sulla mia bocca.

«Quando si parte?» dissi, non potendo fare a meno di sorridere, perché il pensiero di vivere con Harry si faceva in me sempre più reale.

«In realtà - disse grattandosi la testa - potremmo anche partire domani».

«Ma io devo ancora daee le dimissioni!»

«Allora partiremo quando ti sentirai pronta» sorrise dolcemente Harry, mentre il mo sguardo era fisso su una delle adorabili fossette.

«Partiremo? - ero stranita dal suo plurale - intendi che resterai con me per tutto il tempo?».

Il sorriso più idiota al mondo comparve sul mi volto. Era possibile amare una persona ogni giorno di più?

L'amore smette mai di crescere? Forse no, forse l'amore è come un fiume, in continuo movimento e in continua evoluzione. L'amore è un flusso infinito.

«Non potrei pensare di stare lontano da te un giorno di più».

>>>>>

«Signor Peterson, potrei parlarle un secondo?».

Entrai quatta nell'ufficio del mio capo. Era un uomo sulla settantina dall'apparenza dura e severa, ma, dai suoi occhi azzurri come il mare, traspariva l'amore che risiedeva nel suo cuore e nella sua anima.

«Certo, Beatrice! Entra pure».

«Volevo parlarle di una cosa - feci una pausa - Io mi trasferirò in America, quindi devo dare le mie dimissioni».

Abbassai lo sguardo a quella affermazione, perché mi sentivo fortemente in colpa verso quell'uomo. Dovevo rappresentare una vera e propria delusione per quello, che negli ultimi anni, era stato il mio mentore, che era stato quasi un padre per me.

Aveva accolto una ragazza senza esperienza e ne aveva fata una donna in carriera, una donna che, professionalmente, si era fatta da sé, senza aver bisogno di ricorrere a strani e immorali meccanismi.

«Beatrice, guardami - la sua voce suonava perentoria, e non potei non alzare lo sguardo verso di lui - ti ho accolto qui quando eri solo una ragazzina».

Si alzò dalla sua grande sedia nera di pelle e venne verso di me, ancora in piedi vicino alla porta.

«Ti ho insegnato tutto quello che avevo imparato da solo durante tutta la mia gavetta - continuò - sai perché l'ho fatto?» e quando vide che dissento, rispose alla sua stessa domanda.

«Perché in te ho visto qualcosa di speciale. Non ho visto solo la ragazza volenterosa, che ama quello che fa e lo rispetta in tutta le sue parti, che aveva ottenuto ottimi voti universitari, Ho visto anche una ragazza che aveva un cuore. Per questo motivo mi sono convinto a leggere il tuo libro e pubblicarlo, per questo ti ho assunta e fatta diventare la giornalista di punta».

Strabuzzai gli occhi perché non mi sarei ami aspettata quelle parole da parte sua. Negli anni in cui avevo lavorato per lui non mi aveva mai detto niente del genere, perché il signo Peterson era una persona che non ti diceva quanto fosse orgoglio del tuo lavoro, ma te lo dimostrava, con la fiducia che riponeva in te.

«Hai sempre cercato di nascondere per bene il tuo cuore - e a quelle parole non potei fermare una piccola lacrima che stava per fuoriuscire dai miei occhi - ma io ho sempre visto il tuo cuore. Finalmente ti sei decisa a seguirlo» concluse sorridendo da sotto i suoi folti baffi bianchi.

«Grazie».

«Lui è qui?» aggiunse poi.

«Chi?» chiesi non sapendo a chi si stesse riferendo.

«Il protagonista del tuo libro, l'uomo che non è mai uscito dal tuo cuore. E' qui?».

«Si» risposi imbarazzata, mentre lui mi faceva segno di farlo entrare.

Andai verso la porta e, quando l'aprii, non potei fare a meno di sorridere di fronte ad un Harry seduto su una poltroncina della sala d'aspetto in visibile nervosismo. Potevo chiaramente vedere una sua gambe sbattere freneticamente sul pavimento, mentre le sue mani battevano un tempo inesistente sulle ginocchia.

«Harry - dissi, e lui si girò di scatto - Vieni dentro».

Sul suo volto c'era un punto di domanda a cui non potevo rispondere, perché non sapevo il reale motivo per cui il signo Peterson volesse incontrarlo, ma ero sicura che non avesse brutte intenzioni. Quando si trovarono uno di fronte all'altro si strinsero con forza la mano e successivamente il signor Peterson ci fece accomodare.

«Ragazzo - iniziò a parlare rivolgendosi ad Harry - conosco questa ragazza meglio di tutti i miei dipendenti, nonostante sia quella che parla di meno. Le sue parole sono il suo cuore, ed è così che ho imparato a conoscerla, attraverso la sua scrittura. Abbi cura del suo cuore, e non farla più soffrire. Trattala il meglio possibile, perché è il meglio che si merita».

«Si signore - rispose Harry, voltando lo sguardo verso di me, stringendomi di più la mia mano intrecciata alla sua - le darò tutto quello che si merita».

«Ora potete andare» sorrise il signor Peterson alzandoci.

«Arrivederci Signor Peterson, ci vediamo domani».

«No, Beatrice. Sei libera di andare anche ora» e non potei fare a meno di abbracciarlo, anche se lui non era un tipo da abbracci. Lui era un tipo di parole, e nemmeno tante.

Io e Harry uscimmo poi in silenzio da quella stanza, senza proferir parola, fino a quando non fummo fuori. Non potei fare a meno di girarmi verso di lui, sorridendo.

«Allora, a che ora abbiamo l'aereo domani?» dissi, e lui sorrise, guardandomi negli occhi felici.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon primo giorno di scuola per chi ha iniziato oggi la scuola. Purtroppo per me questo momento è passato da moooooooooolto tempo, e io adoravo questo giorno, in realtà a me piaceva andare a scuola. Lo so, sono strana, ma vi assicuro che un giorno vi mancherà, o almeno alla maggior parte di voi!

Saremo giunti al termine di questa storia o no?!

Questo capitolo non vi lascia l'amaro in bocca, spero, c'è un finale concreto, ovvero la decisione di partire, insieme, alla volta di NY! 

Siete contenti????

Mi piacerebbe foste un po' più attivi, non costa niente lasciare un piccolo commento alla fine del capitolo, così magari mi faccio un'idea di ciò che pensate, e chissà, magari aggiornerò con maggiore frequenza se vedo partecipazione.

Vi lascio tutti i miei contatti e pagine, se avete tempo, cliccate un mi piace o segui ;)

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All The Love,

 

BARB

 

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Capitolo 48
*** nuovi viaggi ***


Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiare.
-Denis Waitley

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«Si prega di allacciare le cinture - la voce metallica proveniente dagli altoparlanti invase l'abitacolo - siamo in arrivo a New York».
E alla fine avevo veramente preso quell'aereo, alla fine ero partita verso una nuova vita, una vita con Harry.
Era stata un'ardua impresa fare entrare tutto nel mio piccolo trolley. Avevo portato lo stretto indispensabile, anche se il mio viaggio non sarebbe durato pochi giorni o qualche settimana; il mio viaggio sarebbe durato per tutta la vita. 
Dopo aver lasciato lo studio del signor Peterson, eravamo andati in giro per Milano. Mi sarebbe mancata quella città, per molti caotica e inquinata, che per me invece era una continua scoperta. Avevo abitato quella città per ventisei anni, e non c'era un giorno in cui non scoprissi qualcosa di nuovo. Non c'era giorno in cui quella città non mi stupiva. A volte mi regalava panorami inaspettati, di tramonti azzurri e senza nuvole, riempito solo da piccole sfumature rosa che il sole decideva di fare ammirare al mondo.
Dopo aver fatto i turisti per tutto il resto del pomeriggio, c'eravamo messi a cercare scatoloni, che poi mia mamma avrebbe spedito dall'altra parte del mondo. L'avevo chiamata non appena avevo accettato la richiesta di Harry, non appena avevo seguito il consiglio del mio cuore. Era felice della mia scelta, come sempre accettava le mie decisioni, se queste mi rendevano felice.
Lei aveva sempre saputo che io e Harry eravamo uno la felicità dell'altro, e non aveva mai negato il suo pensiero, nemmeno nei periodi neri, nemmeno quando non volevo che il nome di Harry venisse pronunciato. 
Harry, diceva mia mamma, era la luce che mi poteva salvare dal buio; l'unico che era stato in grado di distruggere il mio cuore, e il solo a poterlo guarire.
«Sei pronta a vivere la tua nuova vita?» Harry poggiò la sua mano sulla mia, facendomi voltare verso di lui.
«Sono pronta a vivere l'unica vita che vale la pena di essere vissuta» gli sorrisi dolcemente, fissando quelle due labbra rosa distendersi in un sorriso.
«Ti amo, lo sai?».
«Lo so» risposi sorridendo, lasciando che la mia testa ricadesse di nuovo sulla poltrona.

>>>>>

Quell'ascensore, che avevo presto così tante volte da non poterle più contare, stava salendo al quarto piano del palazzo che aveva fatto parte della mia vita.
Erano passati quasi tre anni dall'ultima volta che mi era trovata lì, a casa di Harry.
Non potevo non notare l'evidente tensione di Harry, che stava in piedi accanto a me. Muoveva compulsivamente le mani, facendo tintinnare le chiavi di casa che teneva nella mano destra.
Nessuno dei due aveva detto una parola da quando avevamo ritirato i bagagli dal rullo dell'aeroporto, Non sentivo la sua voce da quando aveva comunicato al tassista l'indirizzo di casa sua. Eravamo entrambi ansiosi, forse perché in quel momento ci stavamo veramente rendendo conto che era tutto reale, che era davvero arrivato il nostro momento.
Potevamo finalmente vivere il nostro amore, senza ostacoli, senza nessuna intromissione o paura. Era il momento di vivere il nostro per sempre.
Dopo un tempo che mi sembrò infinito, l'ascensore si fermò, facendo sospirare entrambi di sollievo. Ci guardammo negli occhi e, per la prima volta da quando eravamo partiti, scoppiamo a ridere, una risata quasi isterica. Tornammo subito seri, come se esprimere contentezza fosse inappropriato in quel momento, come se quel momento fosse troppo importante per ridere, come se essere felici avrebbe rovinato tutto.
Il silenzio tra di noi mi permise di sentire chiaramente il rumore delle ruote dei trolley sulla moquette, i miei passi, e quelli più pesanti di Harry sbattere sul pavimento, e infine il rumore della chiave entrare e girare all'interno della serratura.
Il click che fece scattare la serratura fece accelerare il mio battito cardiaco, e la frequenza dei miei respiri.
«Prego - Harry aveva aperto al porta e si era spostato per permettermi di entrare - benvenuta a casa».
Feci un passo, ma il mio corpo si bloccò non appena si rese conto di essere veramente tornata in quella casa, che aveva visto il meglio e il peggio di noi.
L'ultima volta che avevo messo piede in quell'appartamento, portavo nel mio grembo una creatura vivente, con un piccolo e veloce battito cardiaco, con mani e piedi non ancora completamente formati, una creatura incompleta che per me era già la cosa più importante. La cosa più completa che avessi mai posseduto.
L'ultima volta che ero stata lì stavo abbandonando Harry, era stato l'inizio della fine. Quel momento lo potevo definire, invece, come la fine del buoi, l'inizio della luce.
Non potei fare a meno però di far viaggiare la mia mente, di riportarmi al passato, a quel giorno, di ricordare la moltitudine di sensazioni che avevano accompagnato quella giornata e l'avevano resa una delle giornate più brutte della mia vita. Non era, però, stata la peggiore; quella era stata il giorno dopo, quando mi ero risvegliata in una pozza di sangue, quando avevo perso il mio bambino, il nostro bambino.
Dopo quel giorno mi era capitato spesso di sognarlo e, nonostante avessi pensato sempre ad una piccola bambina dagli occhi verdi, nei miei sogni non era così. Era un maschietto dagli occhi verdi come il padre, dai capelli color ramato scuro e il casino piccolo, proprio come il mio. Aveva una stupenda bocca a cuore, di un rosa da fa invidia a qualsiasi donna.
Io piangevo sempre in quei sogni.
Piangevo per non ave mai potuto abbracciare quel piccolo fagotto, che non avrebbe mai imparato a camminare, non gli avrei mai potuto insegnare a parlare, e Harry non avrebbe mai potuto insegnargli a giocare a basket.
Tornai al presenta quando Harry si posizionò davanti a me, prese una mia mano nella sua e la strinse. Mi voltai per guardarlo.
Aveva la mia stessa espressione, ed ero certa stesse pensando al nostro ultimo giorno qui, a come si era conclusa.
«Non è cambiato molto dall'ultima volta - disse, confermando i mie sospetti - a parte noi».
«Vero. Manca solo la poltrona».
Era davvero tutto uguale in quell'appartamento, come se tutto fosse rimasto immutato negli anni, come se non fosse passato nemmeno un giorno d'allora, invece erano passati anni.
Mi sentivo a casa e, anche se queste mura conservavano dei momenti brutti, custodivano anche tutto il nostro amore, passato e presente.
Tutto era come l'avevo lasciato, a parte quella poltrona che non era più al suo posto, era sparita. era la poltrona più comoda che avessi mai avuto, l'avevo messa vicino alla finestra per trovare ispirazione per il mio libro, adoravo scrivere mentre guardavo il panorama newyorkese. Ricordo che la comprammo insieme, in uno di quei negozi dell'usato, simili a mercatini; c'eravamo trovati lì per caso, o forse quella poltrona doveva essere mia.
«Vuoi sapere che fine ha fatto? - annuii, mentre sul suo viso si stava formando un'espressione colpevole - quando ho scoperto che eri veramente partita, ero arrabbiata, anzi furioso. Quando sono tornato a casa, e i miei occhi si sono posarti su quella poltrona, non ce l'ho fatta. Faceva troppo male vederla lì tutti i giorni, senza te seduta su di essa, senza vederti scrivere ogni giorno. L'ho fatta in mille pezzi, senza riuscire a capire come».
Non so per quale assurdo motivo scoppiai a ridere, senza riuscire a trattenermi. Non so se la mia risata era una risata di disperazione, o se stessi cercando di stemperare la tensione che si era creata attorno a noi. Sapevo solo che stavo ridendo di gusto.
«Lo trovi divertente?» Harry mi guardava sbigottito, come se stentasse a credere a ciò che stava vedendo.
«Scusami - dissi fra le risate - non so perché sto ridendo, ma sto immaginando la scena di te che distruggi la poltrona. E non posso non ridere!».
Restò a guardarmi ancora per qualche secondo, mentre io non riuscivo a smettere di ridere. Poi vidi il suo sguardo trasformarsi, aveva in volto un sorriso tra il dolce e il furbo, uno dei sorrisi di Harry che adoravo.
Ogni sua espressione aveva il suo perché, la sua sfumatura. Ogni cosa di Harry era speciale, anche tutti i suoi mille sorrisi.
«Ti faccio ridere io, piccola» si scrocchiò le dita, con fare minaccioso, e si avvicinò cautamente a me, che mi era allontanata da lui per le troppe risate.
«Che cosa vuoi... - stavo per dire, ma poi capii le sue intenzioni - no, ti prego» e iniziai a correre.
Cercai di scappare, facendo il giro della penisola. Avevo capito cosa stava tramando: il solletico, la cosa che più detestavo al mondo.
«Tanto lo sai che ti prendo. Meglio arrenderti! Più tempo passa, peggiore sarà la punizione».
«Non mi arrenderò mai!» dissi convinta.
«Come vuoi!» e la lotta cominciò.
Non passò nemmeno un minuto prima che mi prendesse.
Odiavo il solletico, ma qualsiasi cosa Harry mi facesse, la rendeva bella, speciale. Lo supplicai di lasciarmi andare infinite volte, ma solo quando iniziai a baciarlo, si fermò.

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon inizio settimana a tutti! 
Bea si è convinta a partire con Harry per una nuova avventura, una nuova vita. Credo che in molti abbiate pensato che Bea sarebbe stata pazza a non accettare, beh, io non sono d'accordo. Per esperienza personale vi posso dire che nella vita bisogna mettere al primo posta se stessi e non pensare alle conseguenze sugli altri. Io probabilmente non avrei lasciato il mio posto sicuro per un amore, quindi capisco i suoi dubbi. 

Spero vi sia piaciuto il capitolo! 

Vi ricordo di passare a leggere la mia nuova OS se non l'avete già fatto. 

All the love,

BARB

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Capitolo 49
*** Il Sogno Realtà Diverrà ***


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Tieniti i tuoi sogni, perché se è vero che nulla ci appartiene, almeno sognando, puoi sempre andare ovunque, e con chiunque.

 

>>>>>

 

Ero immersa in uno di quei sogni che valgono, uno di quei sogni in cui tutto nella tua vita fila nel verso giusto, come fosse un puzzle ben composto.

Era uno dei sogni più belli che avessi mai fatto, dove non percepivo quel senso di incompletezza, quel senso di vuoto che mi aveva accompagnato per gran parte della mia vita. La cosa più bella di quel sogno, però, non era il sogno in sé, ma la consapevolezza che quello che stavo sognando non era distante dalla mia realtà.

Fino a poco meno di un mese prima, la mia vita era come un puzzle, uno di quei puzzle con i pezzi piccolissimi, difficili da incastrare, quello dove difficilmente trovi l’incastro giusto. Avevo provato a costruire i bordi, ma quelli erano facili da costruire, avevano una linea guida, avevo poi pian piano iniziato a costruire il centro, ma quello non era semplice come il passo precedente.

Il mio centro era rimasto vuoto, incompleto, fino a quando Harry non era ritornato nella mia vita. Lui aveva avuto sempre l’abilità di farmi sentire nel posto giusto, al momento giusto. Con lui, la costruzione di quel puzzle, diventava quasi semplice, lui era la mia linea guida, la luce che m’indicava il cammino, la stella polare che ti indica la strada da percorrere quando tutto attorno a te è sconosciuto, quando ti senti solo e lei ti ricorda che non lo sarai mai davvero.

Il mio sogno fu interrotto da qualcosa di esterno a quel mondo parallelo in cui ero felice di trovarmi, qualcosa di esterno mi stava disturbando e, per quanto volessi continuare quel sogno, ormai quel qualcosa mi aveva svegliato.

Sentii un flusso d’aria calda sul mio corpo, salire verso la mascella, fino a posarsi sotto il mio orecchio.

Brividi mi attraversarono tutto il corpo, facendomi trasalire, tanto da essere costretta ad aprire un occhio, mentre l’altro lottava per rimanere in quel mondo parallelo.

Il mio campo visivo era offuscato da un ammasso disordinato di capelli color cioccolato, così vicini al mio viso da riuscir a vedere le loro sfumature ramate. Mugolai, capendo di chi fosse la colpa di quell’indesiderato risveglio.

Non ero solita sognare, e ancor più di rado mi capitava di fare bei sogni. Di solito mi capitava di rivivere fasi difficili della mia vita, o di perdere persone fondamentali, ma tutto ciò non era accaduto quel giorno. Mi ero appena risvegliata da uno dei sogni più belli della mia vita e che, impensabilmente, ritraeva quella che era diventata la mia vita. Per la prima volta la mia realtà era un sogno, un sogno da cui non volevo più risvegliarmi, e dovevo ringraziare solamente quel ragazzo che era stato capace di insegnarmi ad amare.

«Alzati, dormigliona! Devo andare a lavoro» mi sussurrò all’orecchio, e potei sentire l’odore della sua pelle anche di prima mattina.

«Non devo mica andarci io a lavoro» brontolai, cercando di nascondere il volto nel cuscino, mascherando un sorriso che stava facendo capolino sul mio viso, perché ogni volta che Harry era vicino a me, il mio cuore sorrideva a tal punto da trasmetterlo al viso.

Sentii il peso del suo corpo sul mio, percependo indistintamente ogni suo muscolo sulla mia schiena, sentendo perfino il sul cuore battere su di essa, perfettamente sul mio.

«Dai, svegliati! Ti ho preparato la colazione. E’ il nostro primo giorno qui. Insieme» disse calcando l’ultima parola.

E a quelle parole non potei non alzarmi, senza però riuscire a trattenere uno sbuffo.

Con poca femminilità, simile ad uno zombie, mi alzai dal letto. Ogni mattina era la stessa storia. Fino a quando il caffè non entrava in circolo mi aggiravo per casa come un fantasma trascinando il corpo da una parte all’altra, andando a sbattere di tanto in tanto sul muro.

Mi fermai non appena entrai in cucina e vidi la tavola imbandita. Su quella tavola c’era tutto quello che adoravo, tutto quello che ero solita mangiare la mattina. Harry non aveva scordato nemmeno il più piccolo particolare, e in quel momento fu come se tutti quegli anni separati non fossero mai trascorsi. In quel momento ritornai al passato.

Harry non solo non si era scordato di me, ma non aveva scordato nemmeno tutto quello che faceva parte di me, tutte le mie abitudini, i miei gusti, ogni minima sfaccettatura che mi faceva essere me stessa. E in quel momento mi accorsi che non ero cambiata molto dall’ultima volta che eravamo stati insieme, niente di me era cambiato a parte l’età. Era come se avessi aspettato lui per tutti quegli anni, come se mi fossi fermata ad aspettarlo, come se avessi imposto solo al mio corpo di poter cambiare, ma dentro ero sempre la stessa, ero sempre la sua Bea.

Harry mi prese sottobraccio e mi fece sedere di fronte ad una tazza piena di fumante caffè, proprio come ero solita prenderlo. Presi una delle fette biscottate di fronte a me, accuratamente tostate e con un filo di marmellata alle fragole su ognuna di esse. Iniziai a mangiare, sotto lo sguardo ammaliato di Harry, che mi fece arrossire, come succedeva ogni volta che i suoi occhi si posavano su di me.

«Ah, guarda cosa ho trovato!» lo vidi alzarsi di tutta fretta e dirigersi nel suo studio.

Lo attesi non smettendo di fissare la porta attraverso la quale era scomparso, fino a quando non lo vidi spuntare con quella che sembrava una cartolina tra le sue mani.

Venne davanti a me e drizzò le braccia porgendomi quello che sembrava un pezzo di carta. Quando lo presi in mano mi resi conto che non era una semplice cartolina, bensì una foto. Quella foto ritraeva una Bea felice, pochi anni prima, ma che non aveva ancora accettato l’amore, che non lo conosceva affatto. Una Bea che non conosceva il vero significato del dolore, della paura e della perdita, che non era a conoscenza di tutte quelle emozioni che aveva vissuto grazie ad Harry, nel bene e nel male.

Ricordavo ancora perfettamente il giorno in cui era stata scattata quella foto, il giorno in cui la mia amicizia con Harry si stava trasformando in qualcosa di più, o almeno il giorno in cui me n’ero resa conto. Ci eravamo guardati diversamente quel giorno, e ogni volta che il mi corpo era entrato in contatto con il suo, avevo sentito qualcosa di diverso, mi ero sentita protetta.

Non potei fare a meno di soffermarmi su quei due ragazzi che una volta conoscevo, quei ragazzi che erano cresciuti, che avevano dovuto sopportare ingiustizie e dolori, ma dentro di loro il loro amore era rimasto uguale. Sorridevo in quella foto, sorridevo col cuore, proprio come avevo fatto pochi minuti prima, quando mi ero risvegliata dal sogno, quando avevo visto Harry accanto a me. Eravamo vicini, come accadeva sempre, com’era inevitabile, perché ogni volta che ci trovavamo nello stesso luogo, eravamo come due calamite, troppo diverse per non attrarsi.

Quante cose che avrei detto a quella ragazza sorridente, che guardava quel ragazzo accanto a lei, senza sapere che sarebbe stato l’amore della sua vita. Le avrei detto di proteggersi, di tutelarsi, di rifugiarsi nel suo guscio e non uscirne, perché una volta che lo avrebbe fatto, avrebbe sofferto, ma allo stesso tempo non potevo farlo. Non potevo dirle quelle cose, perché non le avrebbero permesso di vivere, non le avrebbero permesso di conoscere la persona della sua vita.

Quella ragazza avrebbe scoperto di lì a poco la cosa più potente della vita, quella per cui vale la pena lottare e vivere: avrebbe scoperto l’amore. E, per quanto avrei voluto non aver sofferto, se la sofferenza mi aveva portato in quella casa, in quel preciso istante, allora avrei preferito soffrire, piuttosto che vivere una vita senza amore.

Perché la sofferenza aiuta a crescere, aiuta a capire che si sopravvive alle tempeste, che si può ballare sotto la pioggia, invece di restare ferma a bagnarsi, invece che restare ferma a scontare il proprio destino. Quella ragazza non aveva idea di cosa significasse davvero lottare, ma la Bea che ero diventata, lo sapeva, e io potevo essere davvero orgogliosa di quello che ero diventata, di quello che avevo ottenuto.

La mano di Harry sulla mia mi fece tornare alla realtà. Sentii la sua grande mano chiudersi sulla mia, mentre il suo sguardo era fisso sui noi di tre anni prima.

«Sembra passato tantissimo da quella foto, sembra una vita fa» disse più a se stesso che a me.

«Già - risposi spostando il mio sguardo sul suo viso - però allo stesso tempo sembra ieri, come se niente fosse cambiato».

«In realtà sono cambiate tante cose».

Non capivo dal suo sguardo il suo reale pensiero, non capivo se guardasse quella foto con nostalgia e rammarico, o fosse solo un timido ricordo. Eravamo cambiati, ma il nostro amore non l’aveva fatto, la lontananza l’aveva addirittura rafforzato.

«Perché hai preso la stanza in albergo se potevi restare a casa tua?» gli chiesi senza nemmeno rendermene conto.

Quella era una domanda che vagava nella mia mente sin dal primo giorno, sin da quando lo avevo visto nella stanza.

«Non lo so. Niall me l’ha proposto ed ho accettato. Forse perché inconsapevolmente sapevo che in quel modo ti avrei incontrato più facilmente. Se invece fossi rimasto qui sapevo che non ti avrei visto così spesso».

«Ma eri fidanzato» non potei fare a meno di ribattere.

«Quando ti ho visto entrare tutta indaffarata nella nostra stanza ho capto che niente sarebbe resistito a noi, niente poteva vincere contro il nostro amore. Noi siamo inevitabili - fece una pausa - forse fin dal primo momento che i tuoi occhi si sono posati di nuovo sui miei avevo capito come sarebbe andata a finire».

«Avevo paura che fosse finita - dissi continuando a perdermi nel suo occhi verdi - ho seriamente avuto paura che ti avessi perso, che non provassi più niente per me».

«Dovevi sapere che questo era impossibile» si protese verso di me e mi lasciò un bacio sulle labbra.

Le sue labbra calde entrarono in contatto con le mie, e come sempre fu come se il mio corpo si stese rilassando, come la quiete dopo la tempesta, come l’arcobaleno che fa capolino sul cielo.

Mossi le mie braccia verso di lui, avvolgendolo e stringendolo il più possibile a me perché non l’avrei più lasciato andare via.

Le sue mani strinsero con forza i miei fianchi e il bacio si fece inevitabilmente più intenso, più profondo, come l’oceano, senza una fine, senza una meta, come se potessi solo scoprire ogni volta un tassello in più. Perché ogni volta che eravamo vicini ci rubavamo una parte di noi, ogni volta scoprivamo di più la nostra anima e la regalavamo all’altro, senza remore e senza rimpianti.

«Non dovevi andare a lavoro?» dissi.

«Sarei già in ritardo» disse col fiato corto.

«Allora vai - sorrisi dispiaciuta - io sarò qui ad aspettarti».

«Ti amo».

«Anche io, sempre!».

>>>>>

Harry era andato a lavoro da appena un’ora, e già sentivo la sua mancanza. Stare sola in questa casa che sapeva così tanto di noi, senza di lui, sembrava una casa vuota, quasi sconosciuta.

Non potevo fare a meno di sentirmi inutile.

Non avevo un lavoro, e avevo finito le cose da poter fare. Avevo passato la mattina a pulire una casa già pulita, avevo disfatto le valigie, e avevo cercato di fare entrare tutto negli armadi, con ottimi risultati. Dovevo solo aspettare che arrivassero dall’Italia le altra valige, allora sarebbe stato un problema, che avrei risolto però a tempo debito.

Decisi di aprire il frigo e preparare qualcosa per Harry. Amava i dolci, ma io non ero molto brava nei dolci, così decisi di preparargli una cenetta sostanziosa, ma dovevo andare al supermercato, perché il frigorifero era vuoto.

Corsi in camera, felice di avere qualcosa da fare, e mi preparai velocemente, non facendo attenzione a vestirmi bene. Infatti m’infilai una delle felpe di Harry, che per me erano più simili a vestitini e, senza un filo di trucco scesi di casa.

Scesi le scale di fretta, senza aspettare l’ascensore, e quasi corsi verso il supermercato, che per fortuna era vicino casa. 

Avevo sempre adorato fare la spesa, l’avevo sempre visto come una responsabilità come una cosa che fa una madre per i suoi figli e suo marito. Una cosa di famiglia.

Una volta entrata, mi diressi al reparto dolciumi, che mi avrebbero fatto compagnia quando Harry sarebbe stato a lavoro, e avevo un’inspiegabile voglia di comprarli tutti, ma mi buttai solo sulle barrette di cioccolato fondente.

«Bea» stavo per andare al reparto salumi quando una voce dietro di me, che mi pareva di conoscere, mi chiamò.

Non appena mi voltai, sorrisi alla visione che mi si presentò davanti.

Era quasi un mese che non lo vedevo, e i miei ricordi non gli rendevano affatto giustizia. Se ne stava davanti a me, con il carrellino della spesa davanti a se. Indossava una maglietta a maniche corte, con una fantasia strana, che non riuscii ad identificare, e dei pantaloni neri stretti che evidenziavano le sue gambe fin troppo magre.

«Zayn!».

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon inizio settimana a tutti <3

Questa è la mia ultima settimana di libertà, poi inizieranno e lezioni, finalmente ultimo anno di studi, sono stanca di studiare ahahahahah

Cosa ne pensate del capitolo?

Sono troppo dolciosi, ma alla fine c'è stato un incontro... cosa succederà dopo?

Aspetto le vostre ipotesi e considerazioni <3

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All The Love,

BARB <3

 

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Capitolo 50
*** Guscio ***


Non possiamo dire in quale preciso momento nasce l'amicizia. Come nel riempire una caraffa goccia a goccia, c'è finalmente una stilla che la fa traboccare, così in una sequela di atti gentili ce n'è infine uno che fa traboccare il cuore.

-Fahrenheit 451

 

>>>>>

 

«Pensavo fossi partita».

Zayn era ancora immobile davanti a me, lo sguardo sul mio, e un sorriso pieno di gioia.

Il nostro era uno di quegli incontri inaspettati, imprevisti come un temporale durante una giornata di sole, come una di quelle piogge estive che ti risollevano dal calore del sole sulla pelle. Fin dalla prima volta che avevo visto Zayn, nonostante la sua apparente sicurezza, avevo capito che in lui c'era qualcosa di più. Il suo atteggiamento mascherava un animo dolce e sensibile, proprio come un Flan, come un dolce al cioccolato duro all'esterno che, non appena tagliato, mostra tutto il suo cuore liquido e caldo.

Non credevo che lo avrei rivisto, tantomeno così presto.

New York era una grande città e, a meno che non frequentassi sempre gli stessi quartieri, incontrare una persona per due volte, era quasi impossibile. Invece eravamo lì, uno di fronte all'altro, dopo nemmeno un giorno dal mio trasferimento. Nello stesso quartiere, nello stesso supermercato, a fare la spesa alla stessa ora.

A volte il destino decide di metterti sul cammino di un'altra persona, senza un motivo apparente, senza una spiegazione, lo fa e basta. Forse non scoprirai mai il motivo per cui tutto questo succede, spesso pensi che il destino ti sia avverso, che ti metta di fronte difficoltà troppo grandi per te, insormontabili. Altre volte invece non puoi fare a meno di ringraziarlo, perché riesce a donarti persone uniche, persone che non passeranno mai, come Harry. Altre volte ancora ti manda persone che non capisci che ruolo avranno nella tua vita, come Zayn. Te le manda e basta, e tu sai che in fondo quella persona avrà un ruolo nella tua vita, non sai per quale motivo, cosa farà e dove ti porterà, sai solo che è giusto così.

Mi avvicinai a lui, non potendo fare a meno di sorridere. 

Ero felice di averlo incontrato, ero felice che il destino avesse messo proprio Zayn nel mio cammino. Camminai verso di lui, quasi intimorita dalla sua presenza, perché non potevo fare a meno di chiedermi: perché proprio lui?

«Ero partita, ma sono ritornata» dissi una volta davanti a lui.

Potevo vedere la sua felicità nel rivedermi dal luccichio dei suoi occhi, dal sorriso dolce che mi stava rivolgendo. Le sue labbra carnose erano distese, per permettere al suo splendido sorriso di far capolino sul suo volto, mostrando i suoi denti perfetti.

«Pensavo non ti avrei più rivista dopo 'quella sera'» e nella sua voce mi parve di leggere quasi sollievo, come fosse felice di essersi sbagliato.

«Ti riferisci alla sera dell'addio al nubilato?» dissi, facendomi uscire una risata quasi isterica al ricordo di quella sera.

«Esattamente».

Con lui riuscivo a parlare anche senza formulare la frase. Bastava guardarci negli occhi per capire quello che pensavamo, e ciò era anche strano visto le poche volte che avevamo avuto l'opportunità di parlare e stare insieme.

Sapevo a cosa stava pensando. 

Quella sera ero distrutta, rotta in mille pezzi, come non lo ero da tanto tempo, e lui era riuscito a non approfittarne, a raccogliere addirittura i pezzi di quel cuore distrutto, e a ricomporlo, quando aveva deciso di riportarmi da Harry. Non avevamo più parlato di quell'avvenimento, non ne avevamo mai avuto occasione, era stata l'ultima volta che ci eravamo visti.

Eppure dal suo sguardo non percepivo nessun cambiamento, nessun imbarazzo. Avevo temuto che, vedendomi in quello stato, avesse potuto cambiare l'opinione che si era fatto di me, che mi disprezzasse, ma ero felice di constatare il contrario.

«In ogni caso, come mai qui?» mi chiese, mentre ci stavamo dirigendo verso le casse, io con il carrello pieno di cibo, lui solamente con una confezione di birra e un pacco di patatine al formaggio. 

«E' una lunga storia» risposi non potendo fare a meno di sospirare.

«Allora ti va di raccontarmi la tua storia davanti ad un bel pranzetto?».

Non eravamo dei veri e proprio amici, eravamo dei semplici conoscenti, che avevano già condiviso più di qualsiasi conoscenti, ma troppo poco per essere amici. Però con Zayn c'era stato fin da subito un legame speciale, come una strana connessione che non si può spiegare. Se non fosse stata la quarta volta nella mia vita che vedevo quel suo bel volto, l'avrei definito un mio amico, quel fratello che non avevo mai avuto. Per questo non ebbi difficoltà a rispondere.

«Con piacere, ma prima devo portare la spesa a casa».

«Certo, ti accompagno».

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«Così sei andata a vivere con lui?».

Dopo aver posato la spesa a casa, io e Zayn c'eravamo incamminati verso l'underground e ci eravamo diretti verso Central Park.

Durante la strada, l'odore libidinoso degli hot-dog aveva invaso le mie narici, e non potei fare a meno di sospirare di piacere. Zayn aveva notato subito quel mio strano gesto, ed era scoppiato in una sonora risata, facendomi arrossire. 

Non gli avevo dovuto chiedere niente.

Continuando a ridere, più compostamente di prima, si era diretto verso la bancarella e aveva comprato due hot-dog con sopra la maionese. Era arrivato davanti a me e me ne aveva dato uno, incamminandoci verso il parco.

Avevamo mangiato in silenzio, seduti su una panchina all'ombra di uno dei grandi alberi. Nessuno dei due aveva aperto bocca fino a quando non avevamo finito di mangiare.

«Si» risposi alla sua precedente domanda.

Lessi dai suoi movimenti uno strano irrigidimento, come se non si aspettasse veramente quella risposta, o come se la temesse. Lo capivo, mi aveva vista stare male per lui tutte le volte che c'eravamo incontrati, ed ero sicura che la sua reazione fosse perché in fondo era preoccupato per me.

«E' una scelta abbastanza impegnativa» riuscì a dire dopo qualche secondo di riflessione.

Non potei fare a meno di riflettere sulle sue parole, su quella panchina al fresco degli alberi, mentre la gente ci correva attorno, mentre urla di felicità dei bambini attorno a noi riempivano il silenzio della natura.

«Probabilmente si. Ma siamo stati così a lungo lontani, così tanto tempo divisi, che questa era la scelta più giusta da fare» sospirai.

«Non sempre la scelta giusta, è quella che si vuole veramente» m'irrigidii alle sue parole.

Avevo avuto sempre attorno a me persone che appoggiavano la mia storia con Harry, che, conoscendoci, ci avevano addirittura spinto a tornare insieme. Non avevo mai avuto accanto qualcuno che non fosse a conoscenza della nostra storia, del nostro amore, Zayn era la prima persona estranea alla nostra storia che mi dava un'opinione disinteressata.

«Io e Harry ci apparteniamo. So che per quello che hai visto non sembra, ma è così - feci una pausa, volendo dire troppo, ma non riuscendo ad esprimerlo a parole - Siamo stati lontani per tre anni, rassegnati al fatto che il nostro amore era finito, e pronti a rifarci una vita. Ci abbiamo tentato con tutte le nostre forze ad andare avanti, perché dai, le possibilità che il tuo primo amore sia realmente l'amore della tua vita, per quanto tu ci possa sperare, sono irrisorie».

Vedevo Zayn ascoltarmi attentamente, fare attenzione ad ogni mia singola parola e gesto, come se mi stesse studiando, come se volesse capire quanto realmente credessi io stessa alle mie parole. Era seduto accanto a me, appoggiato con il costato alla panchina, con un braccio sullo schienale ed una gamba completamente appoggiata sulla panchina.

«Pensavamo entrambi di essere andati avanti, di aver superato tutto il male e tutto l'amore che avevamo provato l'uno per l'altro, ma quando i nostri occhi si sono posati sull'altro, è stato come se i tre anni che avevamo passato lontani non esistessero più. Nessuno dei due ha fatto caso a quanto eravamo cambiati, ma avevamo capito quanto non eravamo cambiati, quanto eravamo rimasti uguali nel nostro amore. Harry non è solo l'amore della mia vita, lui è il centro attorno al quale gira il mio amore, lui mi rende capace di amare, senza di lui non so cosa significhi. Harry è come una pozione magica, è come se senza di lui non avessi potere d'amore».

«Wow! - m'interruppe Zayn, mentre mi guardava con occhi sbarrati - allora è vero che si può provare un amore del genere!».

«Penso di si» abbassai lo sguardo, arrossendo.

«Ma ti sei mai soffermata sul fatto che tu non abbia mai cercato di andare avanti? Che tu in realtà non ci abbia nemmeno provato perché restare ancorata al tuo dolore era più facile?».

«Il nostro amore non è così, Zayn» risposi sicura.

«Se lo dici tu. Forse sono troppo scettico e cinico» disse più a se stesso che a me.

«Ti sei mai innamorato?».

«No» rispose secco.

Calò uno strano silenzio attorno a noi, come se quella confessione fosse il punto di non ritorno, come se parlare di quell'argomento avrebbe dettato l'inizio reale della nostra amicizia, come se parlare della sua vita fosse il suo limite. 

E non sapevo se potevo varcarlo o meno.

«Cosa si prova? - ruppe il silenzio, stupendomi - Come fai a capirlo?».

«Ci sono tanti modi per capirlo. Ci sono quegli amori che nascono con il tempo, imparando a conoscere tutto della persona di fronte a te. Magari inizialmente non penseresti mai che è la persona della tua vita, ma poi ti accorgi piano piano che senza di lui non c'è vita, che la sua assenza di impedisce di vivere la vita che vorresti. Poi ci sono quegli amori che ti fulminano, che ti colpiscono proprio come un fulmine a ciel sereno, e tu non puoi fare a meno di essere colpito».

Conoscevo l'amore, pur avendo amato una sola persona nella mia vita, Harry mi aveva regalato tutti i tipi d'amore che una persona dovrebbe conoscere nella sua vita. L'amore disperato, l'amore ponderato, doloroso, l'amore coscienzioso e pazzo. L'amore che ti colpisce, senza lasciarti via d'uscita.

«Capire se si è innamorati è la cosa più facile e al tempo stesso più difficile al mondo, perché sei tu stesso a non ammetterlo, sei tu stesso che hai paura di amare. Non perché hai paura dell'amore, ma perché hai paura di poter soffrire per amore - continuai - Ti accorgi di amare una persona quando ti vuoi muovere se lui si muove, quando non ti accorgi che, solo guardandolo, non puoi fare a meno di sorridere. Quando ti guardi allo specchio e, pensando a lui, i tuoi occhi brillano e il tuo sorriso scoppia di felicità. L'amore è semplice, è l'uomo che lo rende difficile».

«Grazie».

«E di che?» dissi poggiando una mia mano sulla sua.

«Grazie di avermi fatto capire cos'è l'amore».

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Restammo a parlare di noi, delle nostre vite, e finalmente riuscì a capire di più su quel ragazzo tenebre che aveva così tanta difficoltà ad uscire dal guscio. Avevo capito che Zayn aveva un modo dietro di sé, un modo tutto da scoprire, piano piano.

Era già tardo pomeriggio quando incominciammo ad incamminarci verso casa mia.

Mi faceva ancora uno strano effetto pensare che casa di Harry, era anche casa mia, ma il solo pensiero mi riempiva il cuore d'amore, perché finalmente il mio sogno si era realizzato e tutto filava liscio, come avevo sempre desiderato. Finalmente potevo guardare al futuro, potevo pensare in grande, potevo sognare una vita con Harry, tutta una vita.

«Siamo arrivati!» dissi una volta di fronte casa.

«Ormai so dove abiti. Posso venire a disturbarti quando voglio» disse Zayn sfoggiando un suo meraviglioso sorriso.

«Non mi dispiacerà più di tanto, credo» risi anche io.

«Beh, allora - fece una pausa, non sapendo cosa dire, mentre spostava il peso del suo corpo da un piede all'altro - ci si vede in giro?» e dopo avermi fatto un cenno di saluto, si girò per incamminarsi verso casa sua.

«Zayn» lo chiamai facendolo fermare.

Lui in tutta risposta si girò di scatto, con una strana espressione in volto.

«Puoi venire quando vuoi. Anzi, mi farebbe piacere avere la tua compagnia. Harry lavora tutti i giorni, e un amico è proprio quello che mi serve».

«Siamo amici, quindi?» chiese, ravvicinandosi piano a me.

«Penso di si» dissi titubante, quando lui arrivò proprio di fronte a me.

«Amici allora!» disse allungando la mano verso di me.

«Amici» risposi stringendogli la mano.

«Ok, allora verrò a disturbarti. Intanto prendi il mio numero» e mi porse un bigliettino stropicciato.

Lo aprii e vidi un numero scritto a penna e sotto il suo nome, scritto con una bella calligrafia, rovinata però dalle condizioni logorare del foglietto.

«Ti chiamerò» sorrisi.

Si girò di nuovo per andarsene, ma mancava qualcosa. 

Era come se dovessi dirgli qualcosa, come se mancasse un tassello fondamentale nel nostro discorso.

«Ah, Zayn - lo chiamai, ma non si girò del tutto, solo il necessario da poter capire che mi stesse ascoltando - troverai qualcuno che ti amerà. Devi solo lasciarti andare, farti conoscere per quello che sei, perché se lo permetterai, nessuno potrà fare a meno di innamorarsi di te».

Lui rispose con un cenno del capo e qualcosa che non riuscii a sentire, ma forse non era poi una cosa così importante visto che l'aveva pronunciata sottovoce.

Così presi le chiavi di casa, e aprii la porta.

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Capitolo 51
*** Troublemaker ***


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I viaggi più belli si fanno dentro le persone. E’ che a volte uno dei due non riesce più a tornare a casa.

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Era passata una settimana da quando mi ero trasferita definitivamente a New York.

Avevo fatto in una settimana più colloqui di quanti ne avessi fatti in una vita intera, mi restava solo scegliere che strada voler intraprendere, quale testata giornalistica scegliere. 

Non m’interessavano i soldi o la fama. Come ogni scrittrice su questa terra, m’interessava solo essere lasciata più libera possibile su quello che dovevo scrivere e avere l’opportunità di trasmettere emozioni al lettore. Perché è questo che è realmente uno scrittore, un portatore di emozioni, che si nutre delle sensazioni che riesce a scaturire nel lettore.

Chi scrive deve essere lasciato libero di scegliere, libero di dire la sua, perché la scrittura non è altro che questo: libertà.

Tutte coloro che sentono l’esigenza di iniziare a scrivere lo fanno per sentire il senso della libertà, che può essere dettata da diversi sentimenti, felicità, amore, tristezza, o anche odio, ma tutti iniziano a farlo per sentirsi liberi.

La scrittura diventa pian piano la tua migliore amica, quel qualcosa di cui non puoi fare a meno, proprio come una droga. Lei c’è sempre, nei momenti di felicità, quando scrivi per ricordare i momenti felici della vita, e quando la tristezza avvolge la tua vita, per ricordarti che si risale sempre, che niente di quello che ti può succedere nella vita è invincibile, che tutto si può superare.

Per questi motivi non avevo mai amato scrivere sotto imposizione, ma sapevo che il lavoro di giornalista aveva questo limite, ed ero riuscita ad adattarmi piuttosto bene quando lavoravo a Milano, speravo solo che qui sarei riuscita a fare lo stesso.

Dovevo prendere una decisione in fretta, ma avevo tutto il fine settimana per scegliere, e l’avrei fatto mentre tentavo di sistemare, con notevole difficoltà, tutti i miei scatoloni che erano arrivati pochi giorni fa dall’Italia.

Ero davvero in confusione.

Avevo sempre avuto un buon senso organizzativo, su qualsiasi aspetto della mia vita. Ero brava ad organizzare i miei viaggi nei minimi particolari, le mie giornate, i miei esami universitari, ma una cosa che davvero non riuscivo ad organizzare era il mio armadio. Non sapevo se fosse per la mia repulsione per la moda, ma ogni qualvolta mi ritrovavo a fare il cambio stagione dei vestiti, era per me una tragedia.

Ero riuscita a liberare due scatoloni, ma ne restavano ancora quattro, e non avevo davvero idea di come sistemarli, anche perché lo spazio nell’armadio di Harry stava per esaurirsi.

Rimasi a cercare una soluzione, fissando incessantemente l’ammasso disordinato di vestiti davanti a me. Nonostante non amassi particolarmente la moda mi ero accorta di avere anche troppi vestiti, ma ogni volta che tentavo di liberarmene, trovavo sempre motivi validi per non darli via. Ero stata sempre una persona attaccata ai ricordi, anche i vestiti li avevano, magari perché indossati ad un particolare evento o in una particolare situazione.

In quel momento avrei avuto proprio bisogno di Elis.

Il suo armadio era sempre in ordine, addirittura i vestiti erano divisi per colore, modello e tessuto, io non sarei riuscita a fare una cosa del genere.

Harry era andato a lavoro presto quella mattina e, siccome non mi aveva voluto svegliare, aveva lasciato la caffettiera sui fornelli, pronta per essere accesa, e un bigliettino di buongiorno sul vassoio con sopra marmellata e fette biscottate.

Non avrei mai immaginato che vivere con lui potesse essere così bello, intimo e gratificante. Tre anni prima stavo sempre in questa casa con lui, dormivo addirittura qui, ma sapere di non avere un’altra casa in cui tornare, lo faceva sembrare tutto più reale, tutto più bello.

Era come se vivere con lui fosse una cosa naturale, una cosa che non poteva fare a meno di accadere. Non c’era nessun imbarazzo, nessun fastidio, era come se vivessimo insieme da sempre, come se il passato fosse stato cancellato e tutti si fosse magicamente aggiustato.

Lo squillo del mio cellulare interruppe il mio contatto visivo con la pila di vestiti rimasta nella stessa posizione di prima.

Non appena lessi sul display il nome, non potei fare a meno di sorridere.

«Zay!».

Avevo passato quasi tutte le mie mattinate con lui. Dopo quell’incontro al supermercato e quel pranzo al parco, non ci eravamo staccati più. Avevo imparato a conoscerlo, a conoscere molte delle sfaccettature nascoste del suo carattere, ed eravamo diventati amici, nonostante non fosse passato molto tempo.

Avevamo molte cose in comune, e riuscivo a parlare di qualsiasi cosa con lui, come se lo avessi sempre conosciuto. Ero felice di averlo incontrato proprio in quel preciso periodo della mia vita, dove tutto finalmente andava per il verso giusto e potevo concentrarmi sulle vere amicizie. Se non ci fosse stato lui, in quella settimana sarei stata completamente sola.

Il giorno dopo esserci rincontrati, avevo ricevuto una sua chiamata prima di pranzo. Era venuto a mangiare a casa mia e successivamente ci eravamo seduti sul divano a vedere film e mangiare ciò spazzatura.

Era stato divertente.

«Ciao, Troublemaker!»

«La vuoi smettere di chiamarmi così?» dissi non potendo fare a meno di ridacchiare.

Zayn aveva iniziato a chiamarmi così da qualche giorno, quando, in uno degli ultimi pomeriggi soleggiati, avevamo deciso di andare a fare una passeggiata a Time Square. Dopo una lunga e stancante camminata c’eravamo fermati in gelateria, da Theodore, che non avevo ancora visto da quando mi ero trasferita.

Avevo preso il mio solito gelato alla nocciola, quando, nel modo di salutare Theo, mi ero girata forse un po' troppo impetuosamente, andando a sbattere completamente su Zayn, spalmando tutto il mio gelato sulla sua maglietta di Iron Man.

Da allora non aveva smesso di chiamarmi in quel modo, ma d'altronde non potevo biasimarlo.

«Non smetterò mai di chiamare così, prendila come una vendetta!» e potevo sentire la sua voce angelica dall’altro lato del telefono ridere di gusto.

«E quanto hai intenzione di fare durare questa vendetta?».

«Spero per sempre - e non sapevo cosa rispondere, mentre lui, capendo forse il mio imbarazzo, continuò - Che stai facendo?».

E non appena mi fece quella domanda non potei fare a meno di farmi venire un’idea per risolvere il mio problema, anche se non sapevo quando Harry fosse stato d’accordo, ma volevo cavarmela senza il suo aiuto.

«Mi serve il tuo aiuto!» esclamai.

«Vuoi che venga lì?» chiese con tono preoccupato.

«Si, ma non è nulla di grave. Devi solo aiutarmi a fare una cosa».

«Ok, tutto quello che vuoi» disse sicuro.

«Puoi passare a prendermi con la macchina?».

«Certo. Cinque minuti e sono sotto, Troublemaker. Non farmi aspettare!».

«Ci proverò» e chiusi la conversazione ridendo. 

Perché con lui non potevo fare a meno di farlo.

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«Siamo arrivati!» esclamò Zayn sorridente.

Se non avessi amato più della mia vita Harry, avrei ammesso davanti al mondo intero che Zayn era davvero irresistibile. 

Una volta scesa di casa avevo aspettato qualche minuto prima di vedere spuntare dall’angolo della strada la macchina vecchia e logora di Zayn. Non appena avevo aperto la portiera della macchina, non avevo potuto fare a meno di ammirare la bellezza di quel ragazzo. Indossava dei semplici jeans ed una maglietta nera, ma a renderlo bellissimo erano i capelli tirati indietro da un leggero strato di gel e gli occhiali da sole che gli donavano un fascino che nessuno poteva fare a meno di notare.

«Ok, entriamo» dissi sospirando.

Ero in ansia, ma non ne conoscevo il motivo, perché in realtà non ce n’era uno. Forse temevo che Harry non avrebbe preso bene la mia intraprendenza, perché in fondo, anche se ci vivevo, era comunque casa sua. O magari era la presenza di Zayn ad innervosirmi, temevo che non appena Harry avesse saputo che stavo facendo questa cosa con lui ci sarebbe rimasto male.

«Benvenuta all’IKEA!» e non potei fare a meno di scoppiare a ridere quando Zayn urlò quella frase, saltando a destra e sinistra come un vero bambino, facendomi passare all’istante tutte le mie preoccupazioni.

Entrammo, senza prendere un carrello, quello lo avremmo preso poi in magazzino, non avevo intenzione di comprare niente di particolare, ero focalizzata sul mio obiettivo.

Venti minuti dopo non avevo mantenuto la mia parola.

Avevo obbligato Zayn a ritornare verso l’entrata ed andare a prendere un carrello, perché avevo cominciato a prendere tantissime cose che, per Zayn, sarebbero state totalmente inutili. Avevo comprato le lampade nuove, e degli adorabili sacchetti per il bagno, dove avrei messo le mie creme.

«Sai che hai comprato delle cose davvero inutili?».

«Sta zitto! - dissi in prenda all’euforia, mentre stavo per prendere delle candele profumate che sarebbero state benissimo in soggiorno - non capisci niente».

«Certo, non capisco niente - disse con tono evidentemente sarcastico - ma dimmi all’ora cosa c’è di utile in questi adesivi, troppo grandi per appenderli in un foglio».

«Sono degli adesivi murali! Non capisci proprio niente» sbuffai esasperata.

«Ripetilo?» mi sfidò.

«Cosa? Che non capisci niente?» chiesi, senza girarmi verso di lui, troppo impegnata ad ammirare tutte quelle meraviglie attorno a me.

In quel momento capivo cosa provava Elis, quando entrava in un negozio d’abbigliamento.

Un momento dopo mi ritrovai schiacciata su uno dei divani, in prenda ad un attacco di solletico. Zayn, incurante della gente attorno che ci guarda sbigottita, mi aveva letteralmente spinto sul divano e aveva iniziato a torturarmi, e lo avrebbe fatto fino a quando non avrei implorato perdono.

«Ok, basta - dissi tra le risate - Perdonami!».

«Non basta» disse solamente.

«Dimmi che devo fare» dissi con un filo di voce, stavo per smettere di respirare.

«Devi semplicemente dire ‘scusa, Zayn, mio padrone. Non lo farò mai più, e potrai chiamarmi per il resto della vita Troublemaker’».

«Ok, ok, lo dico. Ma smetti» e finalmente fui libera.

«Sto aspettando» il suo volto era soddisfatto, come poche volte prima lo avevo visto, perciò feci un respiro profondo e recitai la mia promessa.

«Scusa, Zayn, mio padrone. Non lo farò mai più, e potrai chiamarmi per il resto della vita Troublemaker».

«Brava, Troublemaker! Ora focalizziamoci su quello che siamo venuti a comprare, basta stupidaggini».

«E va bene!» esclamai, mentre il mio tono era più simile a quello di una bambina di due anni.

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Avevamo girato l’IKEA in lungo e largo, fino a che non mi ero innamorata a prima vista di uno degli armadi più belli ed eleganti che avevo ami visto. Non appena i miei occhi si erano posati su di lui avevo avuto come una visione: sarebbe stato divinamente nello studio, e lì avrei messo tutti i vestiti del cambio stagione.

Quell’armadio doveva essere mio, e così era stato.

Ero seduta per terra, china sul foglio delle istruzioni, intenta a cercare di capire come montare il mio nuovo acquisto. La luce che filtrava dalla finestra dello studio lo colpiva a quell’ora del giorno, mentre la sua rifrazione faceva sì che il riflesso raggiungesse tutti gli angoli della stanza, illuminandoli totalmente, come se veri e proprio raggi solari fossero stati catturati da esso.

«Dimmi che stiamo per finire, ti prego».

Zayn era sulla scala, intento a montare le ultime viti di una delle ante.

Lo avevo letteralmente schiavizzato, ma lui sembrava resistere. Aveva montato gran parte dell’armadio, mentre io mi ero limitata ad aiutarlo, leggendo le istruzioni e passandogli di tanto in tanto gli attrezzi e le viti che gli servivano.

«Si, Zay - dissi, cercando di trattenere una risata - manca solo l’ultima anta».

«La prossima volta paghiamo qualcuno per fare queste cose» sbuffò dall’alto.

«Dai! E’ divertente» tentai di sdrammatizzare.

«Divertente per te che sei lì sotto a leggere, mentre io mi torturo le dita!».

«Non farla così tragica!». dissi platealmente, nonostante sapessi che aveva ragione, perché senza di lui non ce l’avrei mai fatta.

Infatti mi guadagnai un’occhiataccia ben meritata, mentre impugnava un cacciavite, indirizzandolo verso di me, indicandomi minacciosamente.

«La prossima volta facciamo al contrario - disse mentre cercava di trattenere un sorriso, con scarsi risultati - così riderò io delle tue dita frantumate e delle tue unghia saltate rotte in mille pezzi».

«Non sapevo ci tenessi così tanto alle tue unghia smaltate!».

«Non ti mando a quel paese solo perché mi sono offerto spontaneamente, ma la prossima volta ci penserò due volte prima di assecondarti nei tuoi piani folli».

Quando l’ultima vite fu posizionata, Zayn tirò un sospiro di sollievo e scese dalla scaletta, con una grazia tale che solo lui poteva possedere in quelle condizioni.

«Bene - disse lui una volta posizionatosi davanti a me - ora è arrivato il momento di pagarmi».

«Pensavo fosse un favore di un amico fatto ad un’amica».

«Purtroppo si» e protese la sua mano verso di me, facendomi alzare.

La presi e mi tirò su, un po' troppo energicamente, tanto che andai a sbattere contro il suo petto.

«Troublemaker, sei proprio debole!».

«Ei - alzai lo sguardo verso il suo, incontrando i suoi occhi color cioccolato brillante - sembro debole, ma è tutta apparenza».

Ma era come se non mi stesse più ascoltando, i suoi occhi fissi sul mio volto, vagando su di esso, studiando ogni suo centimetro, ogni segno e difetto, ogni minimo particolare.

«Che c’è?» gli chiesi dubbiosa.

Alzò una sua mano sul mio viso, poggiando delicatamente l’indice sulla mia guancia. Fu un tocco quasi impercettibile, ma inteso, perché dal suo sguardo traspariva l’affetto che provava per me. Staccò lo sguardo da me solo per guardarsi l’indice precedentemente posato sul mio volto.

«Avevi un ciglio - disse continuando a guardare il suo dito - esprimi un desiderio».

E non ebbi nemmeno il tempo di pensare ad un desiderio, che sentii la porta d’ingresso sbattere, annunciando l’arrivo di Harry. E fu come se il mio cuore avesse ricominciato a vivere. Ci vollero pochi secondi prima di vedere Harry fare capolino nello studio.

«Pensavo fossero entrati i ladri - rise una volta entrato nello studio, ma quando vide la vicinanza tra me e Zayn, vidi il suo volto incupirsi - che state combinando?».

«Ciao Harry» lo salutò Zayn, non accennando a spostarsi.

«Ciao Zayn».

«Amore! Stavamo montando il mio nuovo acquisto» gli indicai l’armadio sorridente, cercando di stemperare la tensione che si era creata attorno a noi.

Mi mossi verso di lui, richiamata dal desiderio di baciarlo dopo una lunga giornata senza di lui, e, quando gli fui davanti, mi alzai sulle punte e lo baciai, assaporando il sapore delle sue labbra, che non mi sarebbe mai bastato.

«Non sei ancora pronta?» e forse per la vicinanza di quegli occhi color acqua marina, non riuscii a capire cosa stesse dicendo.

«Bea, ti sei scordata della cena di stasera?» mi chiese, accortosi della mia faccia perplessa.

«Che cena?» corrucciai la fronte.

«A casa di Sarah e Liam. Ci sono anche Elis, Niall e Louis».

«Che scema! - dissi picchiettandomi la mano sulla fronte - mi era completamente passato di mente».

«Non fa niente» rise Harry, accarezzandomi la stessa guancia che prima aveva assaporato anche il tocco di Zayn, ma non poteva competere con quello dell’uomo che amavo.

«Vado a prepararmi, allora» Harry fece un gesto di assenso, prima di lasciarmi un dolce bacio sulla fronte.

E fu in quel momento che mi ricordai della presenza di Zayn dietro di noi.

«Zayn, vuoi venire con noi?» mi uscii di gettò.

Dopo quello che aveva fatto per me, invitarlo a cena con noi era il minimo.

«Se non creo problemi» disse incerto.

«Ma figurati! E’ l’occasione perfetta per presentarti ai nostri amici, no?» mi girai verso di Harry cercando la su approvazione.

«Certo, Zayn. Vieni con noi».

 

 

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Capitolo 52
*** Finalmente Tu ***


Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano.

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Zayn era andato a casa a cambiarsi, mentre io ero andata a farmi una doccia.

Non avevo potuto fare a meno di notare la tensione tra di loro. Harry era entrato nella stanza sfoggiando un suo sorriso, uno di quelli che non vedi l'ora di vedere sul suo volto, ma una volta che aveva visto me e Zayn vicini, il suo volto era diventato una maschera inespressiva. Era ridicolo che fosse geloso, dopo tutto quello che avevo fatto per lui, e lui per me, dopo che avevamo sconfitto il nostro passato, le avversità e tutti i problemi che si erano posti sul nostro cammino. 

Non avrei permesso a niente e nessuno di ostacolarci, tantomeno di separarci, e lui doveva saperlo, non poteva pensare il contrario. Eppure avevo visto la sua sicurezza vacillare, le sue certezze sfaldarsi, e la paura di perdermi comparire nei suoi occhi.

Ero appena uscita dalla doccia, un telo bianco a coprirmi il corpo, le piccole gocce cadevano picchiettando sulle mie spalle, scendendo sulle spalle e solleticandomi la pelle. Guardai il mio riflesso sullo specchio di fronte a me, riconoscendo a stento quella ragazza riflessa, così cambiata nelle ultime settimane. Occhi vivi, pieni di quella luce che solo l'amore riesce a dargli, gote rosse, come se il calore di Harry arrivasse dritto sul mio volto.

Ero diversa, ero un continuo cambiamento da quando Harry era entrato nella mia vita. Quando lo avevo incontrato, più di tre anni prima, ero solo una semplice ragazza, che non aveva mai provato le grandi emozioni della vita, i veri sentimenti; con lui, invece, mi ero lasciata andare all'amore, al dolore, alla lotta ed infine al vuoto completo, vuoto che solo lui era in grado di riempire.

Il silenzio della sua assenza si tramutava in un'armoniosa melodia, il vuoto riempiva il mio cuore fino a scoppiare, il buio lo tramutava in luce con i suoi occhi carichi di certezze e amore. La sua presenza nella mia vita era indispensabile, ed era quello che ogni giorno vedevo nel mio sguardo: vita.

Presi la spazzola per districare i nodi, ma il rumore della porta m'interruppe.

Fui catturata dalla sua presenza, come sempre, mentre i suoi occhi vagavano sul mio corpo, senza arrestare il loro cammino. Si avvicinò a me, mentre il mio corpo diventava più sensibile alla sua presenza ad ogni suo passo verso di me. Arrivò dietro di me, passando lo sguardo dal mio riflesso nello specchio e la spazzola.

«Posso?» chiese indicando la spazzola.

Non risposi, incatenata dal suo sguardo, a tal punto da non riuscire ad emettere un suono. Feci solo un segno d'assenso, e lo lasciai libero di agire.

Chiusi gli occhi quando le setole della spazzola entrarono in contatto con la mia cute. Avevo sempre adorato aver toccati i capelli, era una delle cose che mi rilassava di più al mondo, e Harry lo sapeva. Sentivo l'attrito della spazzola contro i nodi, per poi tornare a fare un percorso indisturbato, e poi di nuovo, una nuova ciocca, ed un'altra ancora, fino a quando tutti i nodi erano scomparsi e la spazzola si muoveva indisturbata tra i miei capelli castani, troppo lunghi ormai per il mio standard.

«Ti sei rilassata?».

«Da morire- sorrisi- grazie».

«Qualsiasi cosa che ti riguarda è un piacere per me».

E mi limitai solo a sorridere al suo riflesso davanti a me, perché anche io avrei fatto qualsiasi cosa per quel ragazzo tutto sorrisi, fossette e occhi magnetici. Occhi che erano tornati a vivere, dopo quell'attimo di disorientamento. Perché io sapevo cosa significava perderlo con la paura di non ritrovarlo più, mentre per lui era tutto novità, non si era mai insinuato nella sua mente il pensiero di dover competere contro qualcun altro per il mio amore, e non sapeva che questo era impossibile, perché solo la morte non avrebbe potuto farci vivere il nostro amore, solo quello avrebbe potuto costringermi ad amarlo da lontano. 

Perché noi eravamo tutti da vivere. 

Ora era tutto per me, quello sguardo che amavo, perché quando non c'erano ostacoli, e la nostra bolla non rischiava di essere intaccata, il suo sguardo era limpido e chiaro, nessuna nube ostacolava il cristallino dei suoi occhi.

Esistevamo solo io e lui, e niente e nessuno poteva impedirlo.

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Harry, dopo essere passati a prendere Zayn, aveva guidato silenziosamente per altri venti minuti, fino a che non si era fermato con sicurezza davanti ad una grande villa color tortora.

Protesi il mio sguardo oltre il finestrino per ammirare una grande e verde distesa di prato davanti alla villa, che aveva sul davanti un porticato circondato da colonne in mattoni. Un grande albero sulla sinistra faceva ombra su parte della casa, doveva essere un albero molto vecchio per essere tanto alto. Potei chiaramente vedere, circondato da grandi vasi di tulipani, un dondolo in legno bianco in cui avrei voluto passare ore ed ore a scrivere, immersa nella pace dei sensi.

Feci per scendere dalla macchina e, senza distogliere lo sguardo dalla casa davanti a me, notai un vialetto di sassi che, a metà strada biforcava in due direzioni diverse, una portava da qualche parte dietro casa, l'altra portava dritta al porticato. Alzai lo sguardo verso la porta d'ingresso, e sorrisi alla vista della persona che aveva appena aperto la porta.

Liam se ne stava davanti alla porta, sorridendo, a braccia conserte, mentre rivolgeva il suo sguardo divertito su di me.

«Bambolina - mi disse una volta avvicinatomi a lui - allora, ti piace la mia casa?» concluse, facendo trasparire la sua fierezza.

Indossava una semplice tuta grigia con una linea blu di lato, ed una felpa dello stesso colore con il cappuccio. Era bellissimo, e gli volevo un gran bene, perché era rimasto quando il mondo mi era crollato addosso, quando vedevo tutto nero e lui, con una battuta o una risata, mi faceva uscire per qualche secondo da limbo nel quale ero caduta.

Mi aveva visto scendere nei posti più oscuri del mio cuore, e poi in quelli della mia mente, fino a quando mi aveva aiutato a rialzarmi, prendendomi per mano e guidandomi passo passo, salendo un gradino alla volta, con i miei tempi, e rispettando i miei spazi, non quelli fisici e reali, ma quelli della mia anima.

«E' bellissima, Liam» ma lui non sapeva che non stavo parlando solo della sua casa, stavo parlando soprattutto della sua anima.

Andai ad abbracciarlo, perché mi era mancato tantissimo, e al matrimonio non avevo avuto l'opportunità di stare davvero con lui. Non potei fare a meno di inspirare forte, gustandomi l'odore della sua colonia, misto a quello della sua pelle, che sapeva di casa, che m'infondeva sicurezza e amore.

«Mi sei mancata, bambolina» mi sussurrò all'orecchio.

«Mi sei mancato anche tu, nonostante io odi quel soprannome».

«Dai che ti piace in fondo» concluse, poggiando una delle sue grandi mani sulla mia spalla, portandomi dentro casa.

Rimasi senza fiato non appena misi piede dentro quella che sarebbe stata la mia casa dei sogni. Entrai in quello che doveva essere l'ingresso, il più grande che avessi mai visto, nel quale troneggiava sul soffitto un enorme lampadario a bracci, dal quale pendevano piccoli, ma luccicanti, gioielli di Swarovski; voltai lo sguardo verso destra e, oltre un piccolo arco in muratura, riconobbi il salotto, nel quale Liam e Sarah, seduti amorevolmente nel grande divano nero al centro della stanza, cercavano di intrattenermi nelle mie serate di solitudine.

«Ciao, Bea! Finalmente ci incontriamo di presenza» e mi voltai di scatto con gli occhi sbarrati, perché, nonostante avessi sentito la sua voce solo attraverso un computer, nonostante avessi solo immaginato come fosse averla a pochi centimetri di distanza, la riconobbi all'istante.

Finalmente me la ritrovai davanti, ad un solo metro di distanza, mentre, come al solito, indossava uno dei sui grembiuli eccentrici, quel giorno ne aveva scelto uno pieno di panda animati, o almeno le loro facce. Dopo anni di chiacchiere al telefono, e comunicazione Skype improvvisate, dopo pianti e risate, sfoghi e scleri, avevo davanti a me la persona che più al mondo avevo desiderato incontrare di persona.

Avevo la sua immagine ben fissa nella mia mente, ma era davvero molto più bella di quanto avessi potuto immaginare. Grandi occhi color cioccolato mi guardavano luminosi, mentre lunghe ciocche ramate le ricadevano ondulate sulle spalle.

«Sarah» sussurrai il suo nome, quasi fosse impossibile averla davvero davanti a me, in carne ed ossa.

Quando Liam, in una delle nostre innumerevoli chiamate, mi aveva presentato la sua fidanzata, non sapevo avrei incontrata quella che sarebbe diventata una delle mie più grandi amiche. Sarah era una di quelle persone che incontri per caso e non possono fare a meno di far parte della tua vita. Era più di una semplice amica, era una sorella, talvolta una mamma, perché quella ragazza tutta sorrisi, quando donava il suo cuore a qualcuno, dava tutto di se stessa.

Era una di quelle persona che ti donava l'anima senza chiedere nulla in cambio.

Cercavamo di sentirci il più possibile, nonostante il fuso orario, nonostante i vari impegni, e non avrei mai smesso di ringraziare Liam di averla fatta entrare prima nella sua, e poi nella mia vita.

Sarah era stata un vero e proprio regalo, di quelli inaspettati, di quelli che ti sorprendono, nonostante non siano all'apparenza preziosi. Era stata quel regalo pieno di umiltà e sentimento, un regalo non scontato e prevedibile, un dono di cui capisci realmente l'importanza col tempo, quando tutti gli altri regali vengono riposti in un vecchio cassetto, mentre quel semplice regalo inaspettato resta sempre sul tuo comodino, a ricordarti che nel momento del bisogno è sempre lì ad aspettarti.

Eravamo ancora una di fronte all'altra, immobili, come se fossimo solo delle proiezioni di noi stesse. Feci un passo verso di lei, e lei uno verso di me, entrambe caute e timorose, come se quel momento non stesse realmente accadendo, come se fosse tutto un sogno.

Quando però a dividerci fu solo un passo, potei sentire il suo dolce profumo alla vaniglia, che lei adorava, ed era l'odore che mi ero sempre immaginata. A quel punto ebbi la certezza che tutto quello che stavo vivendo era reale, perciò le saltai letteralmente addosso, congeniale la vita con le mie gambe, e lei in risposta, mi cinse con forza, trasmettendomi tutto l'amore del mondo.

«Non ci credo che sei veramente qui» mi sussurrò lei all'orecchio.

«Finalmente non c'è più un maledetto computer a dividerci!».

Dopo qualche settimana che Liam ci aveva presentate, avevamo già una routine. Quando eravamo libere dai nostri impegni, io, Elis e Sarah passavamo ore davanti al computer, a parlare di sciocchezze, quelle sciocchezze che ti fanno sentire nel posto giusto, quelle che ti riempiono il cuore e ti fanno sentire a casa.

«Harry - disse una voce dietro di noi - forse dobbiamo seriamente iniziare a preoccuparci».

«Pensi siano amanti?» e potei sentire chiaramente il sarcasmo nella sua voce, infatti quando mi voltai vidi che fingeva di restare serio.

«Secondo me si» rispose il mio amico, guardando sua moglie con dolcezza.

«Oh, ma stai zitto» rispose Sarah, staccandosi sorridente dal nostro abbraccio.

«Siete due pettegoli» risi, incatenando il mio sguardo su quello brillante di Harry.

Durante il tragitto verso casa di Liam avevo notato il suo insolito comportamento, che poi era quello che assumeva ogni volta che Zayn era con noi.

Zayn!

Ero così euforica al pensiero di vedere Sarah e Liam che mi ero completamente dimenticata della sua presenza, dimenticandomi anche di presentarlo ai miei amici.

«Che maleducata! - dissi, non potendo non far trasparire il mio imbarazzo - Sarah, Liam, questo è Zayn, l'amico di cui vi avevo parlato. Zayn, loro sono Sarah e Liam» concluse spostando il mio sguardo su di lui.

Sapevo quanto potesse sentirsi in imbarazzo in quel momento, e mi sentivo in colpa, perché lo avevo completamente lasciato da solo. Avevo imparato che la sua sfacciataggine era solo una facciata, Zayn in realtà era un tipo taciturno, che aveva costruito un muro di sicurezza davanti a lui, proprio come avevo fatto io in passato, ma dietro quel muro c'era un ragazzo sensibile, che difficilmente si apriva agli altri.

Non potei non chiedermi se non avessi sbagliato a portarlo lì con me.

Zayn, dopo qualche secondo di imbarazzo, si avvicinò ai miei amici e strinse loro le mani, indossando il suo grande sorriso.

«Piacere nostro Zayn - esordì Sarah - Bea ci ha parlato molto bene di te, sono felicissima di averti conosciuto».

«Bene! - intervenne Liam, comprendendo l'imbarazzo di Zayn - ora è meglio che lasciamo questa donne a fare il loro lavoro, altrimenti non si mangia più stasera».

«Potrei avere la facoltà di lasciarti a digiuno, mio caro maritino» concluse Sarah con tono minaccioso.

«Ti piace quando sono in forze, amore, Non avresti mai il coraggio di farlo» esclamò sicuro di sé.

«Continua a mettermi alla prova» ma potevo già vedere il suo sguardo offeso sciogliersi, come fosse lava, come se Liam fosse il fuoco e lei la miccia di una candela, destinata a sciogliersi davanti a quell'uomo che le aveva rubato il cuore.

Quando il loro contatto visivo si interruppe, non prima di rivolgersi un dolce sorriso, mi portò con lei in cucina. Era interrante bordeaux ad angolo, ed una grande penisola dello stesso colore al centro, mentre all'angolo più lontano un grande tavolo con sedie in pelle bianca era vicino ad una grande vetrata che dava sul retro della casa.

«Non ho visto le piccole principesse. Dove sono?».

Bea ed Elis, le figlie di Liam e Sarah, erano le bambine più adorabili ed educate che avessi mai conosciuto, ed era come se facessero parte della mia famiglia, come se fossero delle nipoti. Erano identiche, capelli color rame come Sarah, e occhi grandi, ovviamente color cioccolato. Anche se esteticamente somigliavano più a Sarah, io riuscivo ad intravedere tanto di Liam in loro, quasi tutte le loro espressioni, da quelle più buffe, a quelle divertenti, erano indiscutibilmente di loro padre.

«Sono da mia madre per il weekend, si divento molto lì - fece una pausa - e anche io e Liam» concluse facendomi l'occhiolino, e non potei fare a meno di scoppiare a ridere.

«Che stupida! - esclamò all'improvviso dopo aver messo in formo uno sformato - devo farti vedere qualcosa che ti farà impazzire!» prese velocemente una mia mano e io, confusa, non potei fare a meno di seguirla.

Aprì la vetrata e mi condusse nel giardino sul retro, fino ad arrivare davanti ad una dependance interamente finestrata.

«Chiudi gli occhi» e lo feci, attendendo questa inaspettata sorpresa.

Mi affidai completamente a lei e camminammo per qualche metro, fino a quando la sentii posizionarsi davanti a me.

«Apri».

«O mio Dio».

Rimasi senza parole, girando su me stesso cercando di catturare ogni minimo particolare di quella meraviglia. Non era una semplice dependance, era una libreria, o meglio una biblioteca; scaffali di libri riempivano quella parte di stanza che non era occupata dalle finestre. C'erano anche delle scale a pioli, sicuramente per prendere i libri posizionati in alto. Abbassando lo sguardo vidi un piccolo divano, posizionato al cento della stanza, con un piccolo tavolino in legno davanti, che dava proprio sulla piscina.

Quella sarebbe stata la mia stanza, quella in cui avrei amato perdermi, in cui avrei potuto scrivere per il resto della vita.

«Ti piace?» chiese Sarah, piena di aspettative.

«E' la cosa più bella che abbia mai visto».

Restammo in silenzio per qualche minuto, perché Sarah mi conosceva, conosceva la parte più intima di me, conosceva quella parte che mi rendeva me stessa, l'arte della scrittura.

Fummo interrotte da un rumore, un rumore familiare, che sapevo da dove proveniva.

E sapevo anche che avrebbe interrotto la nostra momentanea tranquillità.




 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Stiamo giungendo alla fine di questa storia, mancano circa dieci capitoli, e poi saluterò per sempre Bea e Harry, ma non sono triste. Questi due hanno fatto parte della mia vita per 5 lunghi anni, ed è il momento di lasciarli andare, perché hanno fatto e concluso il loro percorso. 

Ma c'è ancora tempo, e succederanno molte cose, più di quelle che vi aspettate.

Avete conosciuto la mia Sarah, realmente esistente e molte di voi la conoscono. Ho cercato di descrivere al meglio quello che provo per lei, e dovete ringraziare, perché senza di lei questa storia non sarebbe mai stata pubblicata. AHAHAHAHAH LOVE U

Vi lascio tutti i miei contatti e pagine, se avete tempo, cliccate un mi piace o segui ;)

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Alla prossima settimana!!

 

All the love, 

BARB.

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Capitolo 53
*** Tutti Insieme ***


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53° CAPITOLO: tutti insieme

Il mondo fa meno paura se hai qualcuno vicino che ti stringe la mano

 

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Fummo interrotte da un rumore, un rumore familiare, e sapevo da dove provenisse.

Ci staccammo cautamente l’una dall’altra e posai il mio sguardo sul suo, non potendo fare a meno di sorridere. Avevo desiderato vedere quel sorriso magnifico di persona per anni, ma non avevo mai avuto il coraggio di tornare in America, e Sarah era troppo impegnata tra lavoro e bambine per venire a trovarmi.

«Avevate per caso intenzioni di fare festa senza di me?».

Ci girammo verso la voce e trovammo un’Elis sull’uscio della dependance, con le mani sui fianchi che fingeva di essere offesa.

Il suo volto era più radioso del solito, le sue guance più rosee ed un sorriso, che ormai non riusciva più a trattenere, le riempiva il volto di gioia.

Ci vollero solo pochi secondi prima che iniziasse letteralmente a correre verso di noi e raggiungerci, incatenandoci in un altro abbraccio, questa volta più completo, questa volta più unico, molto più casa.

«Finalmente tutte insieme!» urlò alle nostre orecchie.

Insieme eravamo un gruppo affiatato, ognuna compensava le mancanze delle altre, avevamo raggiunto il nostro equilibrio, avevamo trovato il posto al quale appartenevamo. Eravamo anime gemelle, che avevano impiegato anni ad incontrarsi, ma solo un secondo per conoscersi e riconoscersi, perché era come se le nostre anime si conoscessero da sempre, ma i nostri corpi avevano faticato a farlo. Ma il destino ti mette davanti le perone della tua vita, devi solo essere tu bravo a riconoscerle e farle tue, trovargli un posto nella tua vita.

E questo era successo a noi, che non ci eravamo mai incontrate tutte insieme, ma era come se fossimo abituate a farlo.

«Volevo esserci quando le avresti fatto vedere questa stanza! Volevo vedere la sua faccia!» si lamentò mia cugina.

«Aveva una faccia inebetita» rise Sarah.

«Era per questo che volevo vederla! Invece me la sono persa».

«Ricordatevi che sono qui in carne ed ossa, e posso menarvi» tentai di essere seria, con scarsi risultati.

«Non puoi» disse Elis con espressione vittoriosa.

«E per quale motivo?» chiedemmo in coro io e Sarah.

«Perché non vorrete mai fare del male al vostro nipotino» disse fingendo noncuranza, ma non appena disse l’ultima parola vidi il suo sguardo illuminarsi.

E allora capii che stava dicendo la verità.

«Tu…» iniziai.

«Sei…» continuò Sarah.

«Si, ragazze! Non ci vuole molto a dirlo: IO-SONO-INCINTA!».

«Oddio! E da quanto tempo lo sai?» chiesi, ancora scossa da quella notizia inaspettata.

Sapevo quanto Elis desiderasse costruirsi una famiglia, era il nostro sogno fin da quando eravamo bambine, sogno che io non avevo ancora realizzato, anche se c’ero andata vicina.

Nonostante fossero passati anni, il ricordo di quel bambino perduto faceva ancora male, era ancora una ferita aperta sul mio cuore, e niente e nessuno avrebbe mai potuto ripararla, perché era colpa di dolore e senso di colpa.

«In realtà da qualche giorno. Siete le prime a saperlo, a parte Niall» concluse abbassando lo sguardo, forse ripensando alla reazione di Niall.

«E a chi dovevi dirlo per prime, se non a noi!» urlò Sarah.

«Sono andata dal dottore pochi giorni fa, e mi ha dato questa meravigliosa notizia, alquanto inaspettata direi» e per la prima volta vidi mia cugina toccarsi con amore quel pancino invisibile, ma che conteneva il frutto di un amore, che sarebbe diventato presto la sua ragione di vita.

«Sono felicissima per te» dissi sorridente.

In quel momento capii quell’insolito luccichio nei suoi occhi, più splendenti del solito, quel sorriso che non poteva fare a meno di restare fisso nel suo viso, quella spensieratezza nei suoi movimenti.

Aveva un comportamento diverso, ma lo avevo associato alla nuova vita matrimoniale, al fatto di essere cresciuta, ma in quel moneto avevo capito che era qualcosa di più grande, di più forte.

Andai ad abbracciarla ancora, più forte e più intensamente di prima, perché quella ragazza spensierata, tutta sorrisi e battute, era per me l’altra metà della mela, era la mia famiglia, mia sorella, e ben più di un’amica. Era il mio tutto, nonostante la vita ci aveva separato fisicamente, lei era sempre con me, qualsiasi cosa facessi.

«Bene! Dopo tutto questo miele mi è venuta fame. Sono una donna gravida ormai!» esclamò mia cugina una volta interrotto l’abbraccio.

E potei vedere il motivo di quel gesto, aveva gli occhi lucidi, emozionata di condivider con le sue amiche quella gioia, perché dirlo alle persona care lo rendeva reale, e io lo sapevo bene.

«Tu hai sempre appetito, Elis» dissi cercando di farla ridere.

«Beh, ora ho una scusa in più. E potrò rubare il cibo a Niall senza che metta il muso. Saranno nove mesi divertenti» disse ghignante

«Oddio! Lo sformato! Liam mi ucciderà!» e vedemmo una Sarah urlante uscire correndo dalla dependance, diretta in cucina

 

Arrivammo in salotto, dove gli uomini stavano intrattenendo una conversazione sugli sport, ovviamente. Harry e Liam avevano sempre amato il basket, e lo credevano il gioco migliore al mondo, mentre Niall era stato sempre ossessionato dal golf, e difendeva a spada tratta quello sport, nonostante gli altri due lo stessero deridendo.

Zayn invece se ne stava in silenzio accanto a loro, ascoltando quella conversazione, forse assurda per lui. Per quanto ne sapevo non aveva mai praticato nessuno sport, ma non lo conoscevo a tal punto da poter giudicare. Ero certa che la sua passione verteva sulla musica, era quella la sua vita, come per me era la scrittura.

Quando si accorse della mia presenza mi sorrise dolcemente, per poi volgere nuovamente la sua attenzione alla discussione a cui stava silenziosamente prendendo parte.

Intercettai per un attimo gli occhi di Niall che mi sorrise, con gli occhi pieni di quell’amore che solo lui sapeva donare e, non appena si accorse della presenza di Elis accanto a me, vidi quell’amore sconfinato che solamente l’amore della tua vita può donarti. Perché gli occhi di Niall erano sempre colmi d’amore, ma non appena si trovava nella stessa stanza di Elis, quell’amore era solo per lei, e anche per quella piccola creatura che teneva in grembo.

Si avvicinò a noi, e mi venne ad abbracciare.

«Congratulazioni» gli sussurrai all’orecchio.

«Ti ha detto?» e vidi il suo sorriso illuminarsi.

«Ovviamente! Come avrebbe potuto non farlo?» conclusi facendo l’occhiolino.

E guardai Harry, che si era avvicinato a noi, e ci sorridemmo. Da quel sorriso capii che anche lui sapeva, Niall aveva trovato il tempo di dire al suo migliore amico la novità, e lo capii anche dal modo in cui mi stava guardando, era felice, ma al tempo stesso timoroso che potessi rompermi, cadere in mille pezzi.

Ma non lo avrei fatto, perché sapevo quanto fosse importante quel momento per Elis, era il suo momento, e non me lo sarei rovinato con quello che non avevo.

Quando fu proprio davanti a me, prese il mio viso tra le sue mani e l’avvicinò dolcemente al suo, facendo unire le nostre labbra, nate per incontrarsi, nate per essere fuse le une alle altre, perché il mio posto era accanto a lui.

«Ti amo» mi sussurrò guardandomi negli occhi, una volta interrotto il bacio.

«Ti amo anche io, non scordarlo mai».

«Non potrei farlo» ma vidi quella sfumatura di preoccupazione attraversargli il volto.

Come dovevo fargli capire che aveva rubato il mio cuore e che nessuno mai mi avete portato via da lui? Come potevo spiegargli che il mio cuore si era nascosto dentro di lui e non voleva essere più trovato?

 

>>>>>

 

La cena trascorse in tutta serenità, tra risate e scherzi, tra racconti di vita quotidiana e passata. Niall, per festeggiare la novità, che ormai sapevamo tutti, aveva portato un prelibato vino d’annata, e per questo eravamo tutti più allegri e disinibiti. Anche Zayn sembrava essersi ambientato, e aveva intrattenuto una conversazione con Liam sulla medicina. Il padre di Zayn era stato un dottore, e fin da piccolo lo aveva istruito sul mestiere, sperando che un giorno avrebbe preso il suo posto, ma non era stato così.

Mi alzai per aiutare Sarah a sparecchiare, mentre Elis se ne stava comodamente seduta sulla sedia, con la scusa di non poter fare sforzi per i prossimi nove mesi, come se prima fosse diversa.

«Scusatemi, vado a fumarmi una sigarette qui fuori, mi aiuterà a digerire» sentii dire a Zayn.

«Bea! Mi stai ascoltando?» mi chiese Sarah, sventolandomi un tovagliolo davanti.

«No, scusami» dissi un attimo spaesata.

«Dicevo. Zayn è un tipo introverso».

«Si, ma con me non lo è stato. Forse non è stata una grande idea portarlo».

«E perché mai! Già si sta lasciando andare! Stai tranquilla. Non sei mica sua mamma».

«No no» ma non potei fare a meno di pensare a lui.

Restai qualche secondo a guardarlo attraverso la finestra, e mi sembrava pensieroso. Potevo vedere dalla sua espressione, i pensieri camminare nella sua mente, ormai lo conoscevo a tal punto da capire che qualcosa lo turbava.

«Puoi andare se vuoi, qui abbiamo quasi finito» mi sorrise Sarah, comprensiva.

«Grazie».

Senza guardare oltre andai verso la porta e l’aprii, uscendo nel porticato.

«Me ne offri una?» chiesi raggiungendolo, e lui in risposta me le porse.

«Troublemaker! Non sapevo fumassi!» mi guardò stupido, mentre sfilavo una sigaretta dal suo pacchetto.

«Infatti non lo faccio» risposi non potendo fare a meno di sorridere.

«Non pensavo di aver bevuto così tanto da avere addirittura le allucinazioni».

«Cretino - esclamai dandogli un buffetto sulla spalla - ogni tanto faccio uno strappo alla regola».

«Non ti facevo così temeraria - disse prendendomi in giro - Beatrice Grimaldi che fa uno strappo alla regola? Non sia mai!».

«Oh, ma sta zitto! Piuttosto ti senti a disagio a stare qui? Forse ho sbagliato ad invitarti?» dissi dando voce ai miei pensieri.

Era da quando eravamo arrivati che lo vedevo in visibile imbarazzo, e non potevo fare a meno di sentirmi in colpa, ma volevo farlo entrare nella mia vita, volevo farlo conoscere ai miei amici, volevo far vedere al mondo che persona fantastica avevo incontrato, ma forse avrei dovuto farlo in condizioni diverse.

«Con te non mi sento mai a disagio, Bea» mi sorrise.

«Infatti non stavo parlando di me».

«I tuoi amici sono simpatici - e potei vedere la sincerità delle sue parole trasparire dal suo sguardo - in quanto al tuo ragazzo, non penso di stargli molto a genio».

«Ma che dici! Non avrebbe motivo» esclamai convinta.

Conoscevo Harry, ed era la persona più buona e amichevole di questa terra, sapeva che Zayn era mio amico, e per quello lo avrebbe accettato, avrebbe imparato a conoscerlo, perché sapeva quanto fosse importante per me. 

«Ne avrebbe invece - rispose Zayn interrompendo i miei pensieri - qualora pensasse che voglia fregargli la ragazza che ama».

«Si, ma sappiamo entrambi che non è così. Dovrebbe fidarsi di me e del mio amore, soprattutto dopo tutto quello che abbiamo passato».

«Io lo farei».

E a quelle parole m’irrigidii, senza nemmeno capirne il motivo.

Zayn sapeva che appartenevo ad un’altra persona, e lo conoscevo a tal punto da essere certa che non avrebbe mai cercato di ostacolare la mia vita e quella di Harry, però quelle parole furono come un segnale d’allarme per il mio corpo, perché suonavano strane dette da lui. 

Quelle parole le avevo sempre sentite da Harry, le avevo sempre volute sentire dalla sua bocca, e non da quella di qualcun altro. Quando Harry pronunciava parole simili mi sentivo giusta, nel posto giusto, mentre in quel momento mi sentii fuori luogo, quasi come se le stesse parole, dette dalla persona che non ami, suonassero sbagliate.

Feci per rispondere, ma il rumore della porta d’ingresso si aprì, rivelando un Harry alquanto nervoso.

«Che ne dici di andare? Domani devo andare a lavoro» chiese rivolgendosi esclusivamente a me, come se Zayn non fosse proprio davanti a lui.

«Si, va bene» dissi con un filo di voce.

«Allora ti aspetto in macchina» e se ne andò.

Non ci fu bisogno di domandare qualcosa a Zayn, che mi fece segno di entrare. Restai confusa dallo strano comportamento di Harry, ma forse era solo stanco.

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Capitolo 54
*** Silenzio ***


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Era la cosa più bella e pulita che avessi mai provato nella mia vita. Sai cosa significa trovarti davanti ad una persona e renderti conto che da quel momento in poi nessun’altra potrà più contare allo stesso modo per te?

-Giorgio Faletti

 

 

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Quando uscimmo da casa di Liam, dopo aver salutato tutti, Harry era già in macchina ad attenderci.

Sentivo la presenza di Zayn dietro di me, ma nessuno dei due aveva voglia di parlare.

«Non capisco perché si comporta in questo modo» bisbigliai più a me stessa che a lui.

Harry era sempre stato un tipo socievole, sempre pronto a sorridere a chiunque gli rivolgesse la parola, sempre disponile ad aiutare gli altri, non aveva mai mostrato quel suo lato cupo. Era sempre stato un ragazzo tranquillo, dalla battuta sempre pronta e, al tempo stesso, una persona con cui poter parlare di qualsiasi cosa, per questi motivi, prima di diventare l’amore della mia vita, era stato il mio migliore amico.

Mettendomi nei suoi panni però potevo capirlo, l’amicizia tra me e Zayn era una di quelle amicizie inusuali, che dall’esterno poteva essere fraintesa, per questi motivi capivo il suo fastidio. Avevo passato tanto tempo con Zayn nell’ultimo periodo, forse più con lui che con Harry, ma questo non voleva dire niente, il mio cuore gli era sempre appartenuto, e niente poteva cambiarlo.

«Sono io il problema» disse Zayn a bassa voce, come se Harry potesse sentirlo attraverso i finestrini.

«Non ne vedo il motivo» mentii in parte, accingendomi ad aprire la portiera.

«Io si» mi sembrò di aver udito quelle parola uscire dalla bocca di Zayn, ma era troppo tardi per replicare, ero già dentro la macchina.

Mi voltai verso Harry, mentre sentii Zayn entrare dietro di noi e chiudersi la portiera della macchina dietro di se.

Harry non mi aveva degnato nemmeno di uno sguardo, nonostante sapesse di essere osservato, e lo sapevo perché ogni volta che era lui a fissare me, sentivo il suo sguardo sul mio corpo, lo sentivo attraversarlo e soffermarsi su certi punti, come se una scia di calore attraversasse il mio corpo. Sentivo quel suo sguardo bollente infuocarmi l’anima, irradiare ogni singola cellula del mio corpo, e sapevo che lo stesso accadeva a lui.

Il nostro amore era così, pieno di sguardi e passione, e potevamo stare ore, giorni, senza parlare, ma dicevamo tutto con gli occhi, con i nostri sguardi incatenati, ci dicevamo il mondo, e anche di più.

Quando capii che il mio sguardo non sarebbe stato mai ricambiato, mi arresi e mi voltai verso la strada buia di fronte a noi, e fu proprio in quel momento che Harry accese la macchina e partì alla volta di casa, riempiendo il silenzio dell’abitacolo con una musica assordante, che abbassai prontamente.

«Che turno hai domani, Zay?» fu la prima cosa che mi venne in mente di chiedere per interrompere il silenzio attorno a noi.

Il silenzio non mi aveva mai dato fastidio, perché il silenzio è compagno dei pensatori, è come per un pittore la tela bianca, dove puoi creare i tuoi suoni, anche dove di suoni non ce n’è affatto. Senza il silenzio non sarei mai stata in grado di scrivere, di dipingere la mia personale tela bianca, di parole e suoni che solo io riuscivo a carpire dal silenzio, perché ognuno pensa in modo diverso da un altro individuo, le parole escono come flussi di pensieri, come l’acqua agitata di un fiume, che non si arresta mai.

Il silenzio è compagno della solitudine, la solitudine dell’anima, che non è mai un male, perché è quel tipo di solitudine che ti permette di far uscire la vera te, che ti permette di conoscerti, di essere realmente la persona che vuoi. Il silenzio e la solitudine erano stati i miei compagni d’avventura, e insieme avevamo creato qualcosa di unico e magico, mi avevano aiutato ad osservare il mondo con occhi diversi, con occhi di qualsiasi persona mi passasse accanto, ed è stato lì che ho capito quanti mondi si possono vedere con gli occhi degli altri.

Il silenzio, che era stato il mio miglior amico, in quel momento era il mio peggior nemico, pieno di rancore e parole non dette, perché il silenzio di Harry celava qualcosa che stentavo anche io a capire, un silenzio chiassoso, di pensieri che vorticano nella mente senza trovare la via d’uscita, incasinando ulteriormente la mente.

«Capito, Bea?» sentii dire poi a Zayn, ricordandomi solo in quel momento della domanda che gli avevo posto.

«Scusami, mi ero distratta» risposi sincera.

«Ho il turno di mattina - fece una pausa - comunque, ora vado. Ci si sente».

E non ebbi nemmeno il coraggio di girarmi a salutarlo per paura di sbagliare ulteriormente, per paura di ferire Harry, anche se questo significava mancare di rispetto a Zayn. Solo quando fu sceso lo seguii con lo sguardo e, non appena arrivò di fronte alla porta d’ingresso, Harry diede gas e partì alla volta di casa.

«Casa di Liam è stupenda» dissi dopo qualche secondo di silenzio.

L’assenza di Zayn non aveva migliorato l’atmosfera, forse l’aveva peggiorata, perché la persona accanto a me non aveva più bisogno di trattenersi, di fingere che tutto andasse bene. Non avevo ancora capito cosa turbasse Harry così tanto, sapevo che la causa era la mia amicizia con Zayn, ma non capivo l’elemento scatenante, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

«L’ho progettata io» rispose atono.

«Wow! Grandioso!» emisi un versetto eccitato, più per il fatto di aver ricevuto una risposta, che per la risposta in se.

Poi ci fu solo silenzio. Nessun gesto, nessun piccolo sorriso, solo il vuoto.

«Mi è dispiaciuto che non ci fossero le bambine» provai di nuovo ad intrattenere una conversazione.

«Già» ottenni solo quella come risposta.

E di nuovo silenzio. Solo la musica di sottofondo a riempire il silenzio incolmabile.

Il mio cuore iniziò a battere vorticosamente, la paura e l’angoscia lo stavo mangiando, lo stavano facendo correre verso una salvezza che non conosceva, non sapeva dove andare, dove fosse l’uscita, dove fosse finita la sua luce. Perché il non sapere a volte, ferisce più del sapere.

«Diventeremo zii» tentai un’ultima volta.

«Tecnicamente no».

E non ebbi più la forza di rispondere, perché quella era una risposta senza cuore, senza emozione, e quello accanto a me, non era di sicuro l‘uomo che amavo.

Ancora silenzio, mi arresi mentre il sangue ribolliva dentro le mie vene, e il nervosismo si stava pian piano impossessando di me.

Quando arrivammo a casa lasciai che Harry aprisse la porta d’ingresso e, contrariamente a come accadeva di solito, non mi fece entrare prima di lui, ma mi sorpassò, lasciandomi fuori casa, dirigendosi velocemente in cucina, decretando in me il punto di non ritorno.

«Mi dici qual è il tuo problema?» gli urlai contro, arrivando a grandi falcate in cucina.

Ma lui continuava a stare in silenzio, mentre mi dava le spalle, intento a prendere un pezzo di cioccolato dalla credenza.

«Ho fatto qualcosa di male? - insistetti - ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? Parlami! Dimmi qual è il problema. Pensavo avessimo imparato dai nostri errori, pensavo non l’avremmo commessi più. Pensavo che, più tu di me, avessi imparato che tenersi tutto dentro non fa bene. Io l’ho capito, forse troppo tardi, ma l’ho fatto. Pensavo tu fossi più avanti di me» conclusi, usando un tono quasi supplicante.

«Lui mi da fastidio - iniziò sottovoce, quasi come si vergognasse di dire il suo pensiero - mi da fastidio il fatto che tu gli dia attenzioni».

«Zayn? Il problema è davvero Zayn?» sbarrai gli occhi.

Me l’aspettavo, ma averne la certezza faceva tutto un altro effetto.

«Si, lo è!» urlò.

«E’ mio amico! E’ la prima persona che mi sono fatta amica da sola, senza nessun tramite, senza che fosse un mio parente, o un amico di amici. Zayn è la mia prima vera amicizia qui. Perché vuoi togliermela? Io ci tengo a lui» avevo quasi le lacrime agli occhi.

«Lo so, si vede».

«E dove sta il problema?».

«Il problema non è quello che tu provi per lui, ma quello che lui prova per te» potevo vedere la vena del suo collo ingrossarsi, era visibilmente nervoso, e non riusciva più a trattenere la rabbia che aveva dentro.

«Ma di cosa stai parlando?».

«Vedo il modo in cui ti guarda, e te ne accorgeresti anche tu se solo non fossi così ingenua».

«E come mi guarderebbe?».

«Il modo in cui ti guarda non è giusto, non è giusto per me!» e in quel momento, nonostante fossi nervosa anche io, nonostante non capissi a pieno tutta quella rabbia, non potei far altro che sciogliermi, perché lui era tutto per me, e lo era ancor di più perché non aveva ancora capito di esserlo.

«Non ti capisco. Ho aspettato te per anni, non sono riuscita a rifarmi completamente una vita senza di te, perché nessuno è mai riuscito a farmi sentire come fai tu, e pensi che una volta che sei tornato da me, io m’innamori di un altro?».

«Lui è innamorato di te».

«Ma non è vero - risposi con sufficienza - e anche se fosse io amo te, io ho scelto te, e ti voglio nella mia vita, per sempre» conclusi con dolcezza.

«Non capisci che ho una fottuta paura di perderti di nuovo? Di vederti scivolare dalle mie braccia per l’ennesima volta? Ho paura, paura di non essere mai abbastanza per te, di non meritare il tuo amore».

Mi avvicinai a lui e, una volta arrivata davanti a lui, misi le mani sul suo viso.

«E tu non capisci che sono io a non meritare il tuo amore? Per me non c’è persona più perfetta di te, e non potrei mai vedere nessun uomo accanto a me, se non te. Nemmeno quando pensavo che non ti avrei più rivisto, nemmeno quando pensavo che tra noi fosse finita per sempre, ho mai pensato di poter vivere la mia vita con qualcun altro. Quindi smettila di dubitare del nostro amore, smettila di non credere in te stesso, in noi».

A quelle parole lo sentii sciogliersi, buttando fuori tutta la tensione che aveva accumulato, sospirò come di sollievo, arrendendosi finalmente all’evidenza che niente e nessuno avrebbe mai potuto ostacolarci, che qualsiasi problema si fosse presentato, noi l’avremmo affrontato, superandolo più forti di prima.

«Almeno abbiamo fatto un passo avanti - disse, facendo finalmente comparire la sua amabile fossetta - siamo riusciti a parlare e affrontare i problemi senza scappare. Siamo riusciti a litigare, per la prima volta seriamente, senza aspettare o trattenerci».

«Stavi scappando però» replicai.

«No, stavo cercando di trattenermi, però. Perché non volevo ferirti» disse sincero.

«Mi ferisci più quando m’ignori, preferisco litigare con te, che vivere con la tua indifferenza. Preferisco aver detto quello che pensi piuttosto che ascoltare il tuo silenzio, quello che mi uccide, quel silenzio lo odio, perché mi ricorda il silenzio della tua assenza».

Eravamo ormai uno davanti all’altro, senza che però i nostri corpi entrassero in contatto, ma lo facevano i nostri occhi, che come sempre si stavano raccontando il mondo, quello era il nostro contatto preferito, verde oceano contro verde scuro, che insieme sapevano proprio di speranza.

«Non smetterò mai di farti sentire la mia presenza, lo giuro».

E la distanza si annullò, mi baciò, come sempre e come mai prima d’ora, perché ogni suo bacio mi dava la sensazione di casa, ma anche quella di smarrimento, ma lui restava sempre la mia ancora, sempre la mia salvezza.

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Capitolo 55
*** Zuppe e Vertigini ***


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Raccogliamo i pezzi e facciamo il possibile per rimetterli insieme.

-Grey’s Anatomy

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Erano passate tre settimane da quella notte, quella notte in cui i pezzi della mia vita si erano sfaldati per poi rimettersi insieme un secondo dopo, incastrati perfettamente.

Appena una settimana dopo ero stata chiamata da una testata giornalistica, una di quelle che avrei scelto se avessi potuto, e mi avevano offerto il lavoro della mia vita. Non avevo esitato un secondo ad accettare, saltellando per casa come una bambina di due anni, mentre Harry non riusciva a trattenere le risate.

Harry.

Da quel giorno sembrava esser più sicuro di se stesso e del nostro rapporto, ma, cosa più importante, del mio amore per lui. Era tornato il mio Harry, forte e combattente, e soprattutto sorridente. Il suo sorriso era stato il primo motivo per cui mi ero perdutamente innamorata di lui, per vederlo sorridere ogni giorno della nostra vita insieme, me n’ero innamorata ogni giorno più del precedente, sempre di più, amavo il suo sorriso divertente e spensierato, ma più di ogni altra cosa amavo il sorriso che indossava quando non sapeva di essere osservato, quello che riservava solo e soltanto a me, il sorriso dei suoi occhi, quel sorriso in grado di imprigionarmi inconsapevolmente, intrappolandomi alle catene del suo cuore.

Ero felice anche perché aveva cambiato modo di comportarsi con Zayn, anche se sapevo non gli andasse ancora a genio, stava iniziando ad accettare il nostro rapporto e vederlo per quello che era, una bellissima amicizia, almeno da parte mia.

Per tutto quello che stava facendo, lo amavo ancora di più, per la sua forza di volontà, perché mi stava dimostrando quanto tenesse a me, quanto fosse forte il suo amore per me, quanto fosse disposto a fare per la mia felicità.

Zayn.

Zayn era sempre e comunque Zayn.

Occhi intensi che incutono quasi timore, la pelle olivastra risaltata dai suoi capelli neri come la fuliggine, ed un sorriso che riesce ad illuminare la più intensa delle oscurità. Era diventato la mia nuova luce e, quando Harry non c’era, la sua presenza mi faceva sentire meno sola. Era l’amico che avevo sempre sognato di avere, perché sapevo che, con lui accanto, potevo essere realmente me stessa, con tutte le mie stranezze e paranoie, senza maschere o muri, potevo mostrargli la mia anima consapevole del fatto che non l’avrebbe distrutta.

Perché Zayn era una di quelle persone che incontri per caso, ma sei subito consapevole faranno la differenza, quelle persone che incontri per la prima volta, ma che ti sembra di conoscere da una vita intera.

Tra di noi non era cambiato niente, anche se avevo cominciato a notare quegli atteggiamenti che tanto facevano innervosire Harry, quegli atteggiamenti che un occhio esterno poteva fraintendere. Avevo cercato di mettermi nei panni di Harry, e forse anche io avrei avuto la sua stessa reazione, ma ero consapevole dei miei sentimenti, sapevo perfettamente cosa provavo per entrambi, e i due sentimenti non potevano essere paragonabili.

Harry Styles era l’amore della mia vita, quell’amore indistruttibile che vince contro tutto, quell’amore che non riesci a distruggere nemmeno desiderandolo con tutta te stessa. Zayn, invece, era stato una piccola luce in più nella mia vita, quella luce che riesce a farti vedere meglio ciò che hai davanti.

Erano le mie punte dell’iceberg, le mie ancore di salvezza, perché entrambi mi avevano salvato, anche se in modi totalmente diversi.

Il suono del campanello mi ridestò dai miei pensieri, facendomi saltare di sorpresa, aumentando inevitabilmente il mio mal di testa. Era qualche giorno che mi sentivo debole, avevo continui mal di testa, avevo avvertito un calo dell’appetito, spesso il cibo, anche quello che avevo sempre amato, mi disgustava.

Da due giorni avevo un’intossicazione alimentare, che mi aveva costretto a letto, dovendomi prendere le ferie, cosa che non sopportavo perché volevo imparare a farmi rispettare dai miei colleghi e dal mio capo, volevo mostrare che la mia assunzione era meritata, perché io meritavo il mio posto, e volevo che tutti ne fossero certi e coscienti, ma per il momento sentivo che stavo fallendo, mi ero dimostrata debole ai loro occhi.

Mi alzai riluttante dal letto, emettendo un suono che voleva essere un lamento, ma sembrava ben altro, ed ebbi una vertigine, sentivo come se al posto della testa avessi un pallone, pronto a scoppiare da un momento all’altro. Continuai a camminare arrancando fino alla porta e l’aprii, senza nemmeno curarmi di chi ci potesse essere dall’altro lato.

«Ho portato una zuppa calda la mia bella malaticcia».

Uno Zayn sorridente mi si parò davanti con la sua solita giacca di pelle nera e i soliti skinny neri, e un’adorabile barba incolta che gli dava un’insolita aria da uomo maturo.

«Non ho fame, Zayn» fu l’unica cosa che riuscii a dire, mentre il sol pensiero di mettere qualcosa nel mio stomaco me lo faceva rivoltare.

«Ma l’ho fatta con le mie mani!» disse alzando la voce mentre si dirigeva in cucina, e fui costretta a seguirlo.

Senza dar peso alle mie parole, mise la tovaglia in tavola, prendendo le posate ed un piatto fondo; si muoveva proprio come se fosse in casa sua, con una naturalezza che mi fece quasi sorridere, nonostante il mio malessere.

«Tadan!» disse platealmente, aprendo la sporta.

Non appena l’aprì, l’odore della zuppa arrivò dritta alle mie narici, fino a raggiungere lo stomaco, rivoltandolo nuovamente, tanto che dovetti correre in bagno.

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«Sei andata dal dottore?» mi chiese Zayn una volta uscita dal bagno.

«Si, mi ha dato delle medicine, che finora sono servite a poco, direi» risposi raggiungendolo.

Improvvisamente la testa girò, la vita si offuscò e due secondi dopo mi ritrovai tra le braccia di Zayn, senza forze. Nonostante non avesse una prestanza fisica rilevante, Zayn riuscì a portarmi sul divano, adagiandomi con dolcezza.

«Bea, mi fai preoccupare così. Devi pur mangiare qualcosa, non lo so - vedevo che era preoccupato, camminando avanti e indietro tenendosi la testa tra le mani - non ho mai dovuto pensare a nessuno prima d’ora, non mi sono mai preoccupato per nessuno, tu sei la prima persona per cui lo faccio, senza nemmeno rendermene conto, e questo mi turba».

«Tranquillo, passerà».

Avrei voluto ringraziarlo per quello che faceva per me tutti i giorni, per essermi sempre accanto nonostante io non potessi dargli molto in cambio, ma non riuscivo a parlare, ero emotivamente e fisicamente scossa.

«Deve passare. Cosa farei altrimenti senza di te, Troublemaker?» concluse strappandomi un sorriso.

«Avresti meno persone di cui preoccuparti» dissi continuando a sorridere.

«Mi piace preoccuparmi per te» e vidi così tanta sincerità nel suo sguardo da farmi arrivare un brivido dritto al cuore, perché anche se non volevo ammetterlo a me stessa, Zayn era molto più importante di quello che volevo.

«Posso chiederti una cosa?» mi chiese dopo attimi interminabili di silenzio.

«Certo».

«Sicura che, beh… Non so come dirlo, se non in modo diretto. Sicura di non essere incinta» e il mio cuore perse un battito, per la tristezza che provavo in quel momento.

«Si, Zay. Sono quasi sterile, o meglio, ho ridottissime probabilità di rimanere incinta» e a quelle parole, così maledettamente veritiere, piccole lacrime si affacciarono dai miei occhi, perché il ricordo di quel periodo era ancora vivo in me, come fossero passati solo pochi giorni.

Quando avevo perso il mio bambino avevano dovuto operarmi, ma qualcosa era andato storto, e avevo ricevuto la notizia più brutta che una donna possa mai ricevere: probabilmente non avrei mi potuto avere un bambino. C’erano probabilità infinitesime che potessi restare incinta, anche se era la cosa che desideravo di più nella vita, ma spesso capita di non poter esaudire un desiderio, spesso nella vita vuoi qualcosa che sai di non poter ottenere. Cerchi di vivere normalmente la tua vita, ma una parte di te resterà sempre aggrappata a quel qualcosa per te impossibile, ma che gli altri possono lietamente avere.

«Scusami, non lo sapevo» mi guardò con occhi dispiaciuti e uno sguardo profondo, e seppi subito cosa dovevo fare, avrebbe fatto bene ad entrambi. 

E così gli raccontai tutta la verità, tutto il dolore e i pianti, tutto quello che nessuno, a parte mia mamma, sapeva, perché non avevo detto a nessuno quello che era realmente accaduto, nemmeno a Harry. Non ero riuscita a dirgli che non gli avrei mai potuto dare un figlio, si sarebbe sentito in colpa, senza motivo, perché quello che era successo non era colpa di nessuno.

E Zayn ascoltò ogni parola in silenzio, senza proferir parola, a parte qualche sospiro sofferente, restò ad ascoltare la mia storia, ad ascoltare i miei pianti e i miei rammarichi.

«Ti hanno detto che è difficile, non impossibile».

«Non ho nemmeno il dieci percento di possibilità, Zay. E’ inutile».

«Che ti costa provare a fare un test?» disse in tono quasi supplicante.

«Vedere un risultato negativo sarebbe una pugnalata al petto, l’ennesima».

«Ti prego - posò la sua mano sulla mia - togliti almeno il dubbio. Fallo per me».

«Ok» sospirai in risposta.

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Tornò pochi minuti dopo col test di gravidanza in mano.

Lo presi in mano e con riluttanza mi diressi in bagno, ricordando perfettamente l’ultima volta che ne avevo fatto uno. Controvoglia seguii tutte le istruzioni a dove e, una volta finito, lasciai il test sul lavandino, in attesa della risposta, che non avevo voglia di vedere, per questo raggiungi Zayn in soggiorno.

«Allora?» chiese impaziente, alzandosi di scatto dal divano.

«L’ho fatto» risposi controvoglia.

«E?» mi spronò a continuare, quasi come se l’ipotetico figlio potesse essere suo.

«E’ in bagno. Si dovrebbe aspettare qualche minuto per il risultato».

Lo vidi scattare a grandi falcate verso il bagno, e io non lo seguii, ma presi il suo posto sul divano, cominciando a fissare il vuoto davanti a me, senza aver voglia di pensare, se non al vuoto stesso.

«Bea» sentii la voce ovattata di Zayn arrivare alle mie orecchie pochi minuti dopo.

«Zayn, non voglio parlarne, buttalo per favore».

«Bea, tu sei incinta».

E non pensavo che dopo il vuoto potesse esserci un luogo in cui il vuoto può essere superato, ma esisteva.

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Capitolo 56
*** Bolle e Tempesta ***


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Forse abbiamo il destino delle bolle di sapone, talmente fragili da scontrarsi ed esplodere oppure diventare una cosa sola.

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E se improvvisamente tutto ciò in cui avevi creduto, tutto quello che ti eri rassegnata di non poter avere, comparisse magicamente davanti a te, e tu non fossi pronta ad ottenerlo? E se non avessi la forza di gioirne?

Era in quel modo che mi ero sentita, così piena da sentirmi vuota, vuota delle mie amare certezze smontate.

E' normale sentirsi vuota quando ti sembra di aver ottenuto tutto? Doveva esserlo, perché mi ero sentita esattamente in quel modo, come se tutto quello che stessi vivendo fosse irreale, come se stessi vivendo in uno dei miei sogni.

«Bea?» sussurrò a malapena Zayn che, scosso quasi quanto me, mi si era avvicinato cautamente, come se potessi rompermi da un momento all'altro.

Avrei voluto rispondergli, davvero, ma le parole non uscivano, nonostante avrei saputo cosa dire, ma anche lì, il vuoto.

«Bea, hai capito quello che ti ho appena detto?» annuire fu l'unica cosa che riuscii a fare.

Perché avevo sentito le sue parole, e il mio cervello le aveva accuratamente recepite ed elaborate, e quella era la mia risposta, la paralisi.

«Ti senti bene?» chiese di nuovo Zayn, ormai davanti a me.

Ma a quella domanda non avrei avuto risposta nemmeno se avessi avuto facoltà di parola, perché non capivo nemmeno come stavo, figuriamoci sapere se stavo bene. Sentivo qualcosa dentro di me, una strana sensazione che ricordavo di aver provato anni prima, ma che pensavo non avrei più sentito, quella sensazione di completezza, di pienezza e speranza.

Non era, però, l'unica sensazione che stava invadendo il mio corpo, ce n'era un'altra che si affacciava prepotentemente in me, quella della paura, paura dell'ignoto, paura del futuro e del vuoto. Avevo, per anni, vissuto nel mio stesso vuoto, sapevo cosa significava doverci convivere, e non sapevo se sarei riuscita a risalire una seconda volta.

Io e Harry avevamo convissuto per anni dentro ad una bolla, quel piccolo spazio vitale solo nostro, che rendeva il mondo più bello proprio perché riuscivamo a condividerlo, a goderne la bellezza insieme, la stessa bolla in cui potevamo coesistere solo noi due, la stessa che avevamo costruito anni prima, e niente era riuscito a romperla.

L'avevamo messa alla prova, eravamo riusciti a farci entrare il nostro amore, troppo grande per essere anche solo spiegato, ma sarebbe riuscita a contenere una terza vita e il nostro amore verso essa?

Ero terrorizzata ed elettrizzata.

Terrorizzata per la paura che tutto stesse per finire di nuovo, ma allo stesso tempo elettrizzata di poter finalmente vivere la vita dei miei sogni.

«Ho paura» riuscii finalmente a dire.

Sentii una mano calda sul volto, e d'istinto appoggiai la testa su di essa, quasi a chiedere un ulteriore conforto.

«Di cosa hai paura?» mi chiese poi dolcemente.

«Ho paura che sia tropo bello per essere vero, ho paura che accada qualcosa di brutto. Ho paura del vuoto».

Alzai lo sguardo per fissare i miei occhi ai suoi, prato e terra, fusi armoniosamente, ma sempre distinguibili l'uno dall'altro, così diversi da due occhi verde chiaro ai quali ero abituata.

«Andrà bene questa volta. So che sarà diverso stavolta, me lo sento» sorrise flebile.

«Ho il terrore di dirglielo. So che sarà diverso questa volta, ma ho comunque paura».

«Sarà così, vedrai. E poi ora hai qualcosa che prima non avevi» abbassò lo sguardo, fissandolo sulle sue scarpe da ginnastica bianche.

«Cosa?» chiesi non capendo cosa intendesse.

«Me. Hai me, sempre. Io non ti abbandonerei per niente al mondo».

«Lo so».

Senza pensarci un secondo, mi buttai su di lui, con la poca forza che avevo in corpo, e lo strinsi talmente forte da sentire il suo cure battere forte sul mio petto, mentre io mi beavo del suo profumo così familiare da farmi sentire a casa, perché in fondo Zayn era diventato un po' casa.

Restammo abbracciati per un tempo talmente lungo che, quando ci staccammo, ebbi quasi un brivido di freddo dovuto all'assenza del suo corpo a contatto col mio.

«Vuoi che ci sia anche io quando glielo dirai?» disse dolcemente.

«Non so se sono in grado di farlo» e mi sentivo davvero una stupida.

Sapevo di doverlo fare, e lo volevo, con tutta me stessa, ma c'era qualcosa che mi bloccava, una piccola voce dentro di me che intimava di scappare, come sempre.

«Devi dirglielo, Bea. Non puoi tenerglielo nascosto, Vedrai che lo accetterà, perché ti ama».

E non potei non notare l'angoscia attraversargli il volto, e per la prima volta pensai davvero che i dubbi di Harry fossero fondati, forse era vero che Zayn provasse qualcosa per me, ma io ero troppo egoista in quel momento, troppo debole per lasciarlo andare via da me. Avevo troppo bisogno di lui per fare la cosa giusta.

«So cosa devo fare, Zay» abbassai lo sguardo per non farmi ferire ulteriormente dai suoi occhi, per non sentirmi un mostro, ma lui mi prese il volto con entrambe le mani, fissando ancor più di prima i miei occhi ai suoi.

«Sai che ci sarò sempre per te, ogni volta che ne avrai bisogno, a qualsiasi ora, anche per sciocchezze, anche solo per sfogarti. Voglio che tu sia felice, ma non voglio perderti, sono troppo egoista per non far parte della tua felicità»

E lo sapevo bene, per quel motivo mi sentivo una brutta persona.

«Non mi perderai» perché sono più egoista di te, avrei voluto continuare.

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Tutta sola, di nuovo, in una casa non totalmente mia, senza nessuno con cui parlare.

La volta precedente c'era Elis con me, mi sentivo più a casa, più compresa e protetta, mentre stavolta c'era stato Zayn, che non faceva parte della mia vita, tre anni prima, e non sarebbe mai stato come avere accanto mia cugina.

Ero incinta, anche se ancora la mia mente non era riuscita ad elaborarlo del tutto, e quel giorno avevo preso anche coscienza di quello che vedeva Harry in Zayn, di quello che provava per me, per lui ero qualcosa di più di una semplice amica. Nel momento stesso in cui avevo avuto la consapevolezza di quel di più, avevo colto tutti i segnali e i gesti che avevo frainteso, ma ero egoista, avevo bisogno di lui nella mia vita, e non potevo negarlo a me stessa.

Zayn era importante, lo era diventato in poco tempo, fino a diventare fondamentale e, finché non sarei stata costretta a scegliere, lo avrei tenuto con me nella mia vita e nel mio cuore.

Sapevo già, dentro di me, che le cose sarebbero presto cambiate, perché nel mio futuro imminente sarebbero cambiate tante cose, e sarei stata costretta a scegliere. Ero sempre stata abituata ai repentini cambiamenti, e agli eterni periodi di stasi, la mia vita era paragonabile ad una di quelle isole di cui si sente spesso parlare in televisione, sempre tranquille nell'alternarsi delle stagioni, caldi estati e temperati inverni, ma poi, da un momento all'altro, vengono investite da una tempesta, da un tornado, più unico che raro, e tu non sai come comportarti, come combattere quell'agente atmosferico inatteso che ti coglie impreparato, e fai la prima cosa che ti viene in mente, che sia scappare, nasconderti, o affrontare il tuo destino.

Ma la cosa importante è una sola, quando la tempesta finisce, e sei ancora vivo, ti devi rialzare, raccogliere i pezzi della tua vita passata e cercare di rimetterli insieme e, quando quel puzzle , che non sarà mai come prima, è ricomposto, lo devi mettere in una teca e, giorno per giorno, lo devi guardare per ricordarti cosa significa uscire viva dalla tempesta, così, quando ne verrà una nuova, questa sarà meno inaspettata e saprai come combatterla.

Quella era una tempesta che conoscevo, e che avevo creduto di non poter più combattere, una di quelle tempeste di cui sai di poterti aspettare l'arcobaleno, una volta finita. 

Le cose erano cambiate, io e Harry lo eravamo, volevamo affrontare quella tempesta, e la consapevolezza che volessimo farlo insieme mi rendeva felice, perché sarebbe stato difficile e complicato, ma sapevo che alla fine sarebbe andato tutto bene. Ero certa che questa volta Harry avrebbe affrontato diversamente la notizia, e io sarei stata meno preoccupata ed impulsiva.

Mi andai a sedere sul divano, in attesa del suo arrivo, impaziente ma felice, preoccupata ma sicura del risultato.

Non dovetti aspettare molto prima di sentire la porta del nostro appartamento aprirsi, e contemporaneamente il mio cuore accelerò i suoi battiti, consapevole anche lui di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.

Lo vidi comparire davanti a me, in giacca e cravatta, sfoggiando tutta la sua bellezza, con un'espressione stanca in volto, sicuramente affaticato dalla giornata lavorativa. Gli andai incontro cauta, come se il mio subconscio fosse anche lui terrorizzato al sol pensiero di rivivere il suo abbandono.

«Harry» sussurrai al suo orecchio, una volta protetta dalle sue braccia.

Mi staccai in fretta dal suo abbraccio, troppo impaziente di rivelargli il mio piccolo grande segreto, ma c'era qualcosa di strano nella sua espressione, così come nel suo abbraccio, troppo freddo rispetto al solito.

«E' successo qualcosa?» chiesi spaventata, incantata come sempre dai suoi occhi, quel giorno più freddi del solito.

«Dobbiamo parlare di una cosa importante».

«Anche io devo dirti una cosa» esclamai non potendo fare a meno di sorridere nonostante la preoccupazione.

«Inizio io - prese una pausa, sospirando nervosamente - mi devo trasferire per lavoro, per qualche mese. Si tratta di un importante stage, ho avuto il posto perché il mio ultimo progetto è stato notato da molti. Non posso rinunciarci, è la mia occasione per fare il salto di qualità, capisci?».

Non potei fare a meno di allontanarmi da lui, avevo bisogno di prendere aria, di pensare lucidamente alle sue parole, di metabolizzarle e comprenderle, perché dovevo aver sicuramente frainteso.

Lo guardai un'ultima volta, e capii dal suo sguardo colpevole che avevo capito tutto perfettamente.

E fu in quel momento che la tempesta che pensavo di dover affrontare si rivelò più inaspettata del previsto.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon Sabato a tutti.

Forse non è il giorno giusto per pubblicare una FF, perché quello che è successo stanotte è straziante e terribile. Non comprendo questi atti, perché vanno fuori dal mio immaginario, dalla mia fantasia e dal mio mondo fantastico, quello che sono solita costruirmi nella mia mente.

Però penso che chi leggerà questo capitolo oggi, vorrà estraniarsi dalla cruda realtà, proprio come faccio io.

Questo è uno dei miei capitoli preferiti, perché ci sono frasi che non so da dove mi siano usciti! davvero!

Spero che vi piaccia!

 

All the love and #PrayForParis,

 

BARB <3

 

 

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Capitolo 57
*** Muri ***


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Ho la guerra negli occhi, un buco nel petto e una vita che aspetto.

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Mi sarei aspettata di tutto, ma non quello che avevo appena sentito uscire dalla sua bocca.

Inerme era l'aggettivo che più poteva descrivermi in quel momento, ero rimasta pietrificata alle sue parole, quasi come se quel momento non fosse reale. Ero abituata ad essere colta alla sprovvista dal destino, ma tutte quelle novità in un giorno erano troppe anche per me. Non riuscivo a capire come mi dovevo comportare, cosa dire, cosa aspettarmi da un futuro ancora più incerto di prima.

Ero stanca, era quella la verità.

Ero stanca di essere sempre messa alla prova, stanca di dover sempre affrontare nuovi ostacoli e problemi, volevo solo un po' di tranquillità, un po' di stabilità. Non avevo mai ambito alla felicità, perché quella rappresenta un solo attimo di gioia assoluta, che svanisce, così come è arrivata, come una folata di vento che senti a malapena sul corpo, e di cui ti resta solo il ricordo della sensazione stessa.

«Bea - mi richiamò Harry, vedendomi immobile - hai capito?».

«Certo che ho capito» usai un tono involontariamente amaro, che sorprese anche me.

«E cosa ne pensi?» mi chiese lui, quasi impaurito dalla risposta.

«Non pensavo di aver voce in capitolo, pensavo avessi già deciso» esclamai irritata a braccia conserte, come per proteggermi.

«Infatti. Non posso rifiutare quest'offerta» disse con tono spavaldo, tanto da farmi rivoltare lo stomaco dal disprezzo.

«Allora non ho niente da dire» risposi piccata, non riuscendo più a guardarlo nemmeno in faccia.

«Pensavo fossi felice per me».

«Lo sono, ma non capisco che ruolo ho io nella tua nuova vita» e buttargli la cruda verità in faccia mi fece inumidire gli occhi, ma questa volta non avrei pianto davanti a lui, ero stanca.

Sarei stata davvero felice per lui, se solo non avessi appena scoperto di essere incinta, se solo non avessi lasciato l'unica vita che conoscevo per seguirlo, se solo non avessi perso tutto a parte lui, che se ne sarebbe andato via da me, che mi avrebbe lasciato sola.

Ero arrabbiata, e molto delusa, non perché aveva accettato quell'offerta, ma perché non aveva minimamente pensato a me mentre sceglieva, perché aveva fatto di tutto per tenermi vicina, solo per andarsene un mese dopo. Ero triste e delusa, perché le aspettative sul futuro che una persona si costruisce nella mente non equivalgono mai alla realtà, perché quando credi che finalmente tutto vada nel verso giusto, la ruota si ferma improvvisamente e cambia direzione, distruggendo in un secondo tutti i progetti fatti.

«Lo so che la distanza sarà difficile, ma la supereremo, come sempre».

«Tu mi hai fatto trasferire qui perché non la sopportavi, la distanza» la mia voce uscii stridula dalla mia gola, senza riuscire a non far trasparire il risentimento.

«E' stata una tua scelta, se non sbaglio».

«Beh, se avessi saputo di dover restare da sola avrei scelto qualcos'altro» soprattutto se avessi pensato di dover affrontare da sola una gravidanza, mi dissi nella mente.

Conoscevo Harry meglio di quanto conoscessi me stessa, e sapevo che se gli avessi detto in quel momento di aspettare un bambino sarebbe rimasto, avrebbe rinunciato al suo sogno e, magari un giorno, me l'avrebbe rinfacciato, o peggio ancora avrebbe vissuto una vita nel rimpianto, e quella era l'ultima cosa che volevo per lui, nonostante stessi soffrendo tantissimo.

«Non sei sola, ci sono Sarah ed Elis, Liam e Niall, e poi c'è Zayn, no?» calcò l'ultimo nome quasi con disprezzo.

«Ricominciamo?» esclamai esausta.

«No, non voglio rovinarmi questo momento con queste faccende» e fece per andare nella nostra camera.

«Quindi ora sarei una faccenda?» chiesi ferita, e dovetti fare un respiro profondo per trattenere le lacrime.

Per quanto ancora sarebbe durata quella tortura? Per quanto avrei dovuto ancora soffrire? Quando non avrei più dovuto lottare per amore?

«Sai a cosa mi riferivo - disse con un filo di noncuranza che mi ferì ulteriormente - non cercare un pretesto per litigare» concluse sbuffando.

«Stiamo già litigando!» e questa volta urlai senza trattenermi.

Stentavo quasi a riconoscere la persona che avevo davanti, non mostrava alcun senso di colpa, nessuno sguardo triste o dispiaciuto, indossava un'aria di insolita superiorità, sembrava una persona arrogante ed egocentrica, totalmente diversa dalla persona che avevo imparato a conoscere ed amare. E' vero che non si finisce mai di conoscere una persona, perché ognuno ha delle sfumature dentro di se, che nasconde, che mostra al momento opportuno, ma quel volto non poteva appartenere alla persona di cui mi ero innamorata, non poteva appartenere alla stessa persona che mi accarezzava i capelli per farmi addormentare quando stavo male, alla persona che mi baciava ogni mattina per svegliarmi, a quell'uomo che mi faceva trovare ogni mattina la colazione pronta.

«No, Bea. Non stiamo litigando, perché io non ho voglia di farlo» sussurrò stanco, mentre si avvicinava a me, e più mi era vicino, più lo sentivo lontano.

«Che mi dovevi dire tu?» si sforzò di sorridere, toccandomi la guancia, ma io arretrai di riflesso.

«Niente di importante» mentii.

Forse stavo sbagliano, e forse ne ero anche consapevole, perché sapevo che tutti dovevano avere la possibilità di scegliere. Forse avrei dovuto parlare e lasciare a lui la decisione da prendere, ma non lo feci, perché ero stanca di sentirmi in colpa, non volevo deluderlo, infrangendo il suo sogno, non volevo sentirmi il solito peso da portare.

«Ora non ti fai nemmeno toccare? Tu si che sai come rovinare le belle notizie».

«Anche tu» mi uscii d'impulso, ma lui non ci fece nemmeno caso.

«Ora sono stanco - sbuffò allontanandosi da me - ne parleremo domani»

«Non hai mai pensato di portarmi con te, vero?» ero ormai sull'orlo delle lacrime.

«Sarebbe complicato. E' un anno, Bea, non una vita».

«Avevi detto qualche mese - sussurrai, più a me che a lui - siamo stati separati così tanto che un anno è una vita. Possono succedere tante cose in un anno».

«Che vuoi che ti dica? - alzò il tono della voce - ho accettato e non ho intenzione di rimangiarmi la parola data. Se mi vuoi aspettare, bene, altrimenti me ne farò una ragione» e sparì in camera, lasciandomi in salotto, agghiacciata dalle sue parole.

Non poteva aver detto davvero quello che avevo appena sentito, dovevo aver capito male.

Ci sfaldammo, come mai prima d'allora, perché quella volta avevamo avuto un vero confronto, un confronto che aveva messo tutte le carte in tavola. Eravamo come un vaso di creta, ci vuole molto a costruirlo e modellarlo, a smussare gli angoli, arrotondarli per adattarlo alle sue armoniose misure, ma basta un secondo di distrazione per distruggere tutto il lavoro, basta un secondo per mollare la presa e vedere milioni di pezzi sul pavimento.

Con le lacrime agli occhi mi chiesi cosa potessi fare, dove avessi sbagliato, come dovevo agire in quel momento, ma non avevo risposta, ovviamente. L'unica cosa di cui ero consapevole era che dovevo allontanarmi da quella casa, avevo bisogno di pensare lontana da lui, di prendermi il tempo per metabolizzare l'accaduto.

Andai in bagno, presi il minimo indispensabile, per poi andare in camera e, mentre lui si stava svestendo, presi una tuta per la notte ed un ricambio per il giorno successivo, infilando tutto velocemente in un borsone.

Non appena sentì la zip, lo vidi girarsi di scatto verso di me con occhi sbarrati.

«Dove stai andando?» per la prima volta quel giorno, il tono della sua voce faceva trapelare angoscia, ma non cambiai idea, avevo bisogno dei miei spazi, e il suo pentimento non avrebbe cambiato la mia decisone.

«Dormo fuori stanotte, ho bisogno di pensare» dissi atona, continuando a sistemare le mie cose dentro il borsone.

«Vai da lui?» ringhiò prendendomi con forza per un braccio.

«No, e anche se fosse sei tu quello che se ne sta andando, non io, Harry».

«Smettila di comportarti da bambina».

«Lasciami! - ringhiai stavolta io, ma lui non volle mollare la presa, stringendo il mio braccio con più forza - sei l'unica persona che riesce ancora a farmi soffrire così tanto, l'unica in grado di scalfire la mia corazza» conclusi sull'orlo delle lacrime, che pregavano di uscire da un tempo infinito.

E a quelle parole mi lasciò, e mi voltai verso l'uscita, perché non avevo più niente da dirgli, lo lasciai nel silenzio di quella casa, senza voltarmi indietro, chiudendomi la porta alle spalle.

>>>>>

Bussai a quella porta ormai familiare, sperando che ci fosse qualcuno in casa, sperando di non dover girare ancora per la città con un borsone in spalla.

Restai davanti la porta, spostando nervosamente il peso del mio corpo da un piede all'altro, timorosa delle domande che potevo giustamente ricevere, degli sguardi inquisitori, ma anche compassionevoli, e delle eventuali pacche sulle spalle.

Poco dopo sentii una presenza dietro la porta e, successivamente, un click della serratura, e finalmente la porta si aprì.

«Bea - due occhi marroni mi guardarono stupiti - che ci fai qui? E' tardi!».

«Lo so, scusami. Posso restare qui stanotte» chiesi in imbarazzo, mentre le lacrime che avevo tanto trattenuto scesero inesorabili.

«Ma certo! - esclamò aprendo ancor di più la porta per farmi entrare - sai che questa è anche casa tua».

«Grazie» e l'abbracciai, più forte che potevo.

Mi ero trattenuta dal piangere davanti a Harry, perché ero stanca di sentirmi debole e perché non volevo fargli pena, ma ora davanti a lui sapevo di poter essere me stessa.

«Ehi - mi strinse a sua volta nell'abbraccio - non devi ringraziarmi. Ti voglio bene, forse bene è troppo poco, lo sai».

Ci stringemmo ancora di più, perché avevo proprio bisogno di quell'abbraccio, quell'abbraccio che sapeva di casa, di protezione.

«Vieni, preparo il divano. Vuoi una tazza di tea?».

«Camomilla, forse è meglio» tentai di sorridere.

«Ok, e camomilla party sia» sorrise, illuminando l'intera stanza.

E poco dopo ci trovammo sul divano a sorseggiare una grande tazza di camomilla fumante e, contrariamente a quello che avevo pensato, non mi fu posta nessuna scomoda domanda, nessuna pacca sulla spalla, solo la compagnia delle anime silenziose, quelle che condividono il loro silenzio, quelle che sanno capire e comprendere senza bisogno di spiegazioni.

Ci addormentammo così, in un divano forse troppo piccolo, ma perfetto per quell'incastro di anime disastrate.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Buon Sabato a tutti!

Nonostante gli esami universitari, sono riuscita ad essere puntuale! Non mi merito un piccolo premio???

A parte i miei scleri vari, dovuti anche alle ultime interviste-esibizioni-apparizioni dei ragazzi, volevo sapere che ne pensate di questo capitolo in cui vediamo un Harry completamente diverso dal solito, che dice cose che spero non pensi.

Ci siete rimaste male della reazione di Harry o ve lo aspettavate?

Siete d'accordo con la decisione di Bea di non dire niente a Harry, per non sentirsi rinfacciare la cosa in un futuro??

Ci sarà davvero un futuro tra loro??

Ma più di ogni altra cosa: BEA E' ANDATA DA ZAYN COME PENSA HARRY, O NO?

Si lo so, sono molte domande a cui spero vivamente rispondiate per capire cosa pensate.

 

Un'ultima cosa, che mi incuriosisce: VORREI SAPERE COME VI IMMAGINATE IL FINALE DI QUESTA STORIA, CHE E' IMMINENTE, COME MOLTI SANNO. BEH, VORREI SAPERE CHE FINALE VI ASPETTATE, E CHISSA', MAGARI PRENDERò SPUNTO DA UNA VOSTRA IPOTESI <3

 

Vi lascio tutti i miei contatti e pagine, se avete tempo, cliccate un mi piace o segui ;)

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ALL THE LOVE <3

 

 

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Capitolo 58
*** Vagabonda ***


A volte è giusto essere egoisti. Pensare sempre e solo agli altri può essere nocivo per la vostra mente e il vostro corpo.

>>>>>

Un rumore di stoviglie e la luce proveniente dalle finestre, dimenticate aperte la notte precedente, interruppero il mio sonno.

Aprii lentamente gli occhi, ispezionando l’ambiente che mi circondava, pareti conosciute, ma che sapevo non appartenermi, e anche se avevo sperato che la sera precedente fosse stato solo un brutto sogno, ero consapevole che non lo era stato affatto.

Mi trovavo su un divano di pelle nera abbastanza grande, ma troppo piccolo al tempo stesso da passarci la notte in due. Mi alzai cautamente, massaggiandomi il collo indolenzito dalla notte appena trascorsa, tentando di non svegliare la persona accanto a me che dormiva come un angelo, ed infondo lo era, quel ragazzo era il mio angelo, sapevo di poter sempre contare su di lui, di avere sempre una spalla su cui piangere e delle braccia in cui rifugiarmi. Lui c’era sempre, anche quando pensavo di non averne bisogno, quando ero convinta di potercela fare da sola. Lui era una presenza costante e mai invadente, sempre pronto a sopportarmi ed accompagnarmi.

Andai verso la cucina, dando un’ultima occhiata al mio amico e, per la prima volta da quando avevo lasciato casa di Harry, sul mio volto comparve un sorriso spontaneo.

«Devo essere gelosa anche di te?» disse una voce femminile una volta entrata in cucina.

«Credo proprio di si» dissi seria.

«Lo sapevo che mi avresti fregato l’uomo prima o poi» e a quelle parole non potemmo far altro che scoppiare a ridere all’unisono.

Sarah era in cucina, intenta a preparare la colazione, sempre dentro quel suo grembiule blu con i panda, sempre sorridente e allegra. L’avevo sempre vista in quel modo, nonostante le difficoltà e i problemi, sempre pronta ad affrontarli di petto e a testa alta. Nascondeva insicurezza dentro di sé, ma non permetteva a nessuno di vederla realmente, se non a chi sapeva di poterla mostrare senza essere giudicata, ed io per fortuna ero una di quelle persone elette dal destino.

Il profumo dei pancake che riempiva la stanza, misto a quello del caffè, che amavo tanto quanto Sarah lo odiava, mi fece sentire a casa, perché lei e Liam erano quel tipo di persone che trovavano sempre il modo di guarire le tue ferite con i piccoli gesti.

«La colazione è quasi pronta. Puoi andare a svegliare le due piccole pesti?».

«Certo!» esclamai allegra, mentre mi toccai istintivamente il ventre, constatando che da quel giorno, qualunque cosa fosse accaduta, non sarei più stata sola.

Dovevo essere felice, perché lo meritavo, e perché da quel giorno in poi sarei stata occupata a prendermi cura del mio bambino. 

Salii le scale che portavano al piano superiore ed entrai nella stanza delle bambine. Mi soffermai ad osservarle dormire, nella stessa esatta posizione del padre, e mi scappò un sorriso immaginando quanto mio figlio sarebbe stato somigliante a suo padre. Non poteva fare a meno di immaginare il broncio sul suo volto quando avrebbe desiderato qualcosa che sapeva di non poter avere, o quel dolce sorriso che indossava solitamente suo padre quando voleva convincermi a fare qualcosa che sapeva non andarmi a genio.

«Zia?» la piccola Elis mi chiamò dal suo piccolo letto.

«Ciao tesoro - le risposi dolcemente, andandomi a sedere sul suo letto - la colazione è pronta».

Nonostante fossero gemelle le avrei riconosciute anche ad occhi chiusi, erano perfettamente uguali, ma i loro caratteri erano a dir poco opposti. La piccola Elis era calma e dolce, molto riflessiva e timida, mentre la piccola Bea era un piccolo vulcano in esplosione, l’esatto opposto di sua sorella. Liam rinfacciava sempre a me ed Elis i loro caratteri, nonostante avesse erroneamente invertito i nomi.

«Come mai sei qui?» chiese, mentre io mi perdevo sui suoi piccoli occhi color cioccolato, l’esatta miscela di quelli dei suoi genitori.

«Sono venuta a trovarvi» mentii, perché non potevo di certo dire ad una bambina di tre anni il motivo per cui avevo passato la notte in casa sua.

«Allora scendo, ma ti avverto, per svegliare Bea ci vorrà un po’» rise. 

«Chissà perché lo immaginavo» e mi unii alla sua piccola risata contagiosa.

>>>>>

Quando finalmente fui sicura che la piccola Bea si sarebbe alzata, le lasciai un piccolo bacio in fronte e feci per tornare in cucina.

«Si, ha dormito qui» sentii la voce di Liam un attimo prima di fare il mio ingresso in cucina.

«No, non mi ha detto niente, ma non stata affatto bene, amico. Che le hai fatto?» continuò il mio amico, ignaro della mia presenza. 

Sarah, invece, mi aveva vista, e dal suo sguardo ebbi la certezza che Liam stesse proprio parlando con Harry.

«Si, è vero, sono iperprotettivo, ma puoi darmi torto? - fece una pausa, prendendo un profondo respiro, quasi dovesse calmare la rabbia - si, cercherò di convincerla. Ciao».

«Convincermi a fare che?» chiesi facendolo sobbalzare.

«Mi hai spaventato - rispose poggiandosi una mano sul petto - a tornare a casa» concluse poi.

«Ho bisogno di tempo» dissi più a me stessa che a loro.

«Mi sembrava abbastanza impaziente». 

Sapevo quanto fosse in difficoltà, perché Harry e Liam erano diventati veri amici negli anni, e sapevo quanto gli costasse trovarsi in mezzo.

«Non m’interessa» ed era la verità. 

Non m'importava cosa stesse provando o come si stesse sentendo. Non volevo parlare con lui e non l'avrei fatto, almeno non quel giorno.

«Che ti ha fatto?» chiese poi Liam, mentre Sarah si limitava ad ascoltare muovendo il capo prima nella mia direzione, poi in quella di Liam, e non accennava a parlare, perché sapeva che, se avessi voluto, ne avrei parlato spontaneamente. 

«Non mi va di parlarne».

«Come posso aiutarti allora?» odiavo quando il suo sguardo era così sconfitto, supplicante.

«Hai già fatto molto Liam. Grazie».

«Non ho fatto proprio niente, invece!» e in quel momento comparve anche l'impotenza, non sapeva cosa fare e io non volevo metterlo ulteriormente in mezzo, così presi la decisione più giusta per loro due.

«Me ne devo andare, lui verrà qui».

«E dove vai?» Liam prese le mie spalle tra le sue mani, incatenandosi i suoi piccoli occhi preoccupati ai miei.

«Non preoccuparti, starò bene» e dopo avergli lasciato un piccolo bacio sulla guancia, aver salutato Sarah e le bambine, uscii anche da quella casa.

>>>>>

Bussai all'ennesima porta, in quei giorni mi sentivo davvero di non appartenere ad un luogo, e non era una sensazione piacevole.

Zayn venne ad aprirmi pochi secondi dopo, aveva il volto assonnato e non indossava la maglietta, solo un pantalone di tuta nero, abbastanza largo da poter vedere il suo ventre firmare una V.

«Buongiorno Troublemaker» aveva la voce roca, di chi è stato appena svegliato, forse un po' prima del voluto.

«Scusami - dissi con mostrarsi sul pavimento, sia per il dispiacere, sia per la visione del suo fisico, che sarebbe rimasta a lungo impressa nella mia mente - ti ho svegliato, vero?».

«Si, ma non ti preoccupare» concluse sbadigliando.

«Forse dovrei andare» e mi voltai per andare, ma fui bloccata dalla sua mano che stringeva il mio braccio. 

«Resta» me lo disse con un tale bisogno che, senza dire una parola, entrai in casa.

Non mi fece nessuna domanda, restammo a parlare tutta la mattina, seduti sugli sgabelli della sua cucina. Lui era capace di farmi ridere anche quando non avevo motivo per farlo, farmi sentire meno il vuoto che avevo dentro.

Quando fu ora di pranzo, mi proposi per cucinare, come ero solita fare, ma fui bloccata da Zayn, che non volle saper ragione, poi capii perché.

«Perché non mi hai mai detto che cucini così bene?» esclamai stupita ancora con il cibo in bocca.

«È la mia arma segreta. La sfodero come asso nella manica, ma solo con le persone importanti» concluse facendomi l’occhiolino.

«Sono una persona importante, quindi» sorrisi.

«Non fingere di non saperlo - fece una pausa e vidi la sua espressione addolcirsi, fino quasi ad arrossire - Bea, vuoi dirmi cosa è successo?» concluse di getto.

Con lui non avevo bisogno di fingere, con lui avevo imparato ad essere me stessa, senza inibizioni o imbarazzi. 

Fu la prima persona a cui raccontai ciò che era successo, perché volevo farlo, nonostante non ne capissi il motivo. Avevo voglia di parlare, volevo che sapesse e che potesse starmi vicino, perché avevo bisogno di lui, come spesso era successo nei giorni precedenti.

«Vieni, piccola, andiamo sul divano» ma, senza rispondergli, mi alzai e andai verso di lui, buttandomi letteralmente tra le sue braccia. 

Avevo bisogno di essere consolata, per quanto potesse sembrare una cosa patetica, volevo sentirmi protetta e compresa. Avevo sempre odiato mostrarmi debole davanti agli altri, ma con Zayn era diverso.

Mi strinse a se, forte, come se non volesse più lasciarmi andare, come se potessi scappare dalle sue braccia da un momento all'altro. Mi prese poi di peso, senza staccare le sue braccia dal mio corpo e mi sollevò, facendomi accovacciare su di lui, che si era seduto sul divano.

Mi tenne stretta anche in quel momento, accarezzando delicatamente i miei capelli, mentre io non riuscivo a smettere di piangere poggiata sul suo letto nudo.

Non mi resi conto di quanto tempo passai a piangere sempre nella stessa posizione, ma ad un tratto sentii gli occhi pesanti, talmente tanto che non potei non chiuderli, pronti finalmente a lasciarsi andare al sonno.

«Io mi sono innamorato di te, e anche se so di non poterti avere, lotterò per raggiungere il mio impossibile. Tu hai ottenuto il tuo impossibile, chi mi dice che non possa ottenerlo anche io?».

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Scusate l'enorme ritardo, ma il dovere chiama, a volte più del solito.

Ho dovuto dare l'esame più importante all'università, e ho dovuto forzatamente spostare la pubblicazione di qualche giorno. 

Spero che non vi siate scordate di me nel frattempo!!

VI ASPETTAVATE CHE AD ACCOGLIERE LA NOSTRA BEA NON FOSSE SATO ZAYN, BENSì LIAM???

E BEA AVRA' SENTITO LE PAROLE DI ZAYN, O LE DIMENTICHERA'?

 

A VOI I COMMENTI!!!!

 

All The Love <3

 

BARB 

 

 

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Capitolo 59
*** E Se.. ***


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Possono due occhi farti tremare le gambe?

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Mi svegliai con un dubbio martellante in testa, non sapevo se quello che avevo sentito nel sonno fosse qualcosa successa realmente o se fosse solo frutto della mia immaginazione.

In fondo al mio cuore speravo di essermelo immaginato, speravo si fosse trattato solo di un sogno, perché i sogni, per quanto possano somigliare alla realtà, non fanno paura dopo che ti svegli. La realtà, invece, può fare paura, può far male.

Ma in fondo lo sapevo, anche se non volevo ammetterlo a me stessa, sapevo che era tutto reale, che, per quanto avessi cercato di evitarlo, il giorno che tanto temevo, quello in cui avrei perso Zayn, era più vicino di quanto avessi sperato.

Non avevo il coraggio di aprire gli occhi e trovarlo accanto a me, non volevo vedere il suo volto guardarmi con quegli occhi che sapevano di amore non corrisposto, perché l'ultima cosa che avrei voluto era vederlo soffrire, ma sarebbe successo. Zayn era più di un amico per me, era una persona a cui sapevo di potermi affidare totalmente, sapevo di potermi fidare di lui, e che non mi avrebbe mai fatto del male.

Ma non lo amavo, per quanto potesse essere la persona giusta, quando mi era vicino sentivo solo affetto, niente di più, niente farfalle allo stomaco, niente brividi e ondate di calore, non arrossivo, ma, nonostante tutte queste cose, avevo paura di perderlo.

Non riuscivo ad immaginare le mie giornate senza di lui, soprattutto in quel momento, perché tutto era reale, perché ero certa che mi avrebbe lasciato da sola e il vuoto della sua perdita sarebbe aumentato a dismisura. Niente più passeggiate al parco, niente più picnic, niente più discorsi stupidi che ti riempiono le giornate, niente più attenzioni, ormai fraintese.

La parte egoista di me avrebbe voluto trovare una vita d'uscita, un modo per bloccare quel momento in cui avrei dovuto lasciarlo andare, in modo da poterlo avere nella ia vita, di poterli avere entrambi. Ma l'altra parte di me, quella che voleva il meglio per il ragazzo tenebroso che era diventato suo amico, voleva il meglio per lui e non voleva vederlo soffrire. Sapevo la sofferenza che si provava nel vedere la persona che ami, amare un'altra, e non volevo che Zayn continuasse a soffrire. Dovevo parlargli, dovevo salvarlo prima che per lui fosse troppo tardi, che fosse tardi per il suo cuore.

Essere odiata da Zayn era l'ultima cosa che volevo, avrei preferito mille volte la sua indifferenza, preferivo non incrociare più il suo sguardo per strada, o vederlo evitare il mio saluto. Tutto sarebbe stato meglio di essere odiata e disprezzata da lui.

Feci un respiro profondo e mi costrinsi ad aprire gli occhi, stupendomi quando mi resi conto di non essere sul divano.

Mi guardai intorno e riconobbi la stanza di Zayn, che doveva avermi portata lì la sera prima, quando ormai mi ero profondamente addormentata. Accanto a me il letto era vuoto, nessuna traccia di Zayn accanto a me, e sembrava non avesse nemmeno dormito lì con me, il letto non era disfatto dalla sua parte, le lenzuola fredde, lui non era stato lì. Mi alzai in fretta per controllare che fosse tutto apposto, e in effetti lo era.

Lo trovai sdraiato sul divano, che dormiva tranquillamente. Era indescrivibilmente somigliante ad un angelo, coricato su un fianco, e potevo vedere le piccole onde formate dai suoi capelli, ormai non più ordinati, le lunghe ciglia nere, la pelle olivastra perfettamente liscia, piena di nessuna imperfezione.

Si, era proprio un angelo, non uno di quegli angeli puri ed immacolati, ma più simile ad un angelo dannato dal cielo, troppo bello per restare insieme agli altri, troppo unico per amalgamarsi, troppo diverso per non essere unico.

Mi aveva portato in camera sua, nonostante fosse più facile che dormisse nel suo letto, ma avevo imparato a conoscerlo, era protettivo e gentile, era un perfetto cavaliere travestito da bad boy.

Dopo averlo osservato un altro secondo, mi diressi in cucina. Ero stata poche volte in quella casa, non ero a mio agio, come invece lui in casa mia, ma mi misi ugualmente a frugare nella credenza, cercando di trovare tutto l'occorrente per cucinare dei pancake, non riuscendo a smettere di pensare, però, che forse dopo quel giorno non sarei più stata in quella cucina ancora sconosciuta.

Il futuro è sempre un punto interrogativo, sai che deve arrivare alla fine, ma certe volte speri che lo faccia il più tardi possibile.

«Che bello svegliarsi con questo odorino! Troublemaker, potrei abituarmi a tutto ciò».

Zayn entrò sorridente in cucina, con il viso visibilmente addormentato che lo faceva sembrare ancora più piccolo.

«Mi dovevo far perdonare per essermi addormentata ieri sera» cercai di essere il più naturale possibile.

«Non mi è dispiaciuto averti addormentata tra le braccia» continuò a sorridere.

«Potevi lasciarmi sul divano, non devo essere molto leggera a peso morto» tentai di sdrammatizzare.

«Mi aspettavo di peggio» disse avvicinandosi a me, meritandosi un piccolo pugno sulla spalla.

«Ehi, non è carino dire questa cose!».

«L'hai appena detto anche tu!» toccandosi la spalla fintamente dolorante.

«E' una cosa che noi donne diciamo, ma voi maschi dovete sempre smentire».

«Ricevuto, capo!» e fece il tipico segno da militare, facendomi ridere.

E dopo quell'affermazione facemmo colazione, come se le parole che avevo sentito la notte precedente non fossero mai esistite, come se non fossero mai uscite dalla sua bocca, tanto che mi chiesi se non le avessi effettivamente sognate.

Lui mangiò quasi tutti i pancake che avevo preparato, accompagnati da un succo di arancia, mentre io ero riuscita solamente a mangiarne mezzo, perché la nausea si era nuovamente fatta sentire.

«Ti senti bene?» chiese Zayn preoccupato.

«Si, solo un po' di nausea».

«Hai preso appuntamento dal dottore?» mi chiese poi muovendosi nervosamente sulla sedia.

«Non ho avuto tempo. Pensavo di chiamarlo dopo averlo detto a Harry, ma non è andata come pensavo».

«L'hai sentito?» domandò, con un pizzico di fastidio.

«No».

«Come no! Bea non puoi scappare» e si alzò dalla sedia.

«Non sto scappando, ho bisogno di tempo».

«E lui lo sa?» esclamò alzando il tono della voce.

«No».

«Cercherò di lasciare i miei interessi personali fuori da questa discussione, per questo ti dico che dovresti chiamarlo» disse, mentre il suo sguardo si era addolcito.

Vide la mia faccia perplessa.

«So che hai sentito quello che ti ho detto ieri»

«Oh» non ero pronta a quel momento, ero stata appena presa contropiede, e non sapevo cos'altro rispondere.

«Già. So che è sbagliato, ma sono egoista anche io, e fino a quando vedrò anche una piccola speranza, anche infinitesima, io non mollerò».

«Zay, io sono incinta».

«Ti amerei anche di più, se...».

Fu interrotto dallo squillo del suo telefono, lo prese e per qualche minuto spara nella sua stanza, per poi tornare da me.

«Devo andare a lavoro, vieni con me?».

«Si, se non è un problema».

Non avevo voglia di restare a casa, avevo bisogno di qualcuno vicino, e quel qualcuno era Zayn.

>>>>>

Zayn aveva ragione, dovevo parlare con Harry, dirgli che non stavo scappando stavolta, che avevo solo bisogno di metabolizzare la notizia, e avrei anche dovuto dirgli del bambino, ma ero davano troppo spaventata per farlo.

Harry era tutta la mia vita, e avevo paura di perderlo di nuovo, ero terrorizzata solamente all'idea che partisse per un anno, figuriamoci vederlo andare via da me per sempre. Ed era questo di cui avevo paura rivelandogli in quel momento del bambino, paura che si potesse sentire incastrato, che non potesse più realizzare i suoi sogni, per colpa mia.

«Vuoi qualcosa da mangiare?» Zayn si fermò al tavolo dove ero ormai seduta da ore, con lo sguardo perennemente fisso nel vuoto.

«No, grazie» sorrisi, tornando poi a fissare il nulla.

«Sto per finire il turno, tra poco andiamo» disse a voce più alta, come se potessi non sentirlo.

Annuii solamente, sentendo la mancanza di Harry ogni istante di più.

Presi il cellulare dalla borsa e lo accesi, sperando dentro di me che Harry mi avesse cercato, che avesse magari cambiato idea senza che fosse costretto a farlo, perché avevo bisogno di lui più di qualunque altra cosa al mondo, perché, per quanto avessi bisogno di Zayn, il bisogno che avevo di Harry non poteva mai essere paragonabile.

E ogni notifica che arrivò era un battito perso del mio cuore, e in quei secondi, ne persi molti di battiti.

Sospirai di sollievo quando notai che la maggior parte dei messaggi erano proprio da parte di Harry, e solo alcuni da parte di Elis. Li lessi tutti, prima quelli di mia cugina, preoccupata senza ancora conoscerne il motivo, e poi quelli di Harry, che chiedeva dove fossi, ogni messaggio potevo leggerne la disperazione, l'angoscia e il senso di colpa. 

Era preoccupato per me, e mi diedi della stupida per aver lasciato per così tante ore il cellulare spento, perché se fosse successo il contrario, io sarei già impazzita. Erano arrivati quasi venti messaggi, tutti dicevano la stessa cosa, con parole e toni diversi, tranne l'ultimo, l'ultimo fu quello che mi spiazzò, che mi fece vacillare e tremare le gambe.

'Se questo è il tuo modo di dirmi addio, di scappare per l'ennesima volta, va bene. Io prenderò quell'aereo, che tu sia lì a salutarmi o meno, e qualora non ci fossi, cercherò di andare avanti, di ricominciare un'altra volta la mia vita senza di te'

Nient'altro, nessuna parola di tristezza o dispiacere, solo rabbia, furente ed accecante. Mi spezzai, come forse ero troppo abituata a fare, ero abituata ad essere spezzata, ma quando è la stessa persona a spezzarti ripetutamente, il dolore si fa più forte ogni volta di più.

Quel messaggio era chiaramente un messaggio d'addio, ma io non volevo lasciarlo andare, ed era solo colpa ia se lo aveva solo pensato.

«Sono pronto! - disse Zayn, arrivando velocemente davanti a me, ma quando vide il mio volto rigato dalle lacrime, s'incupì - ti fa stare sempre male, non lo vedi?».

«Possiamo andare» mi alzai, tentando di evitare quella discussione, che sicuramente avrebbe avuto un finale disastroso.

«No, cazzo! - mi prese per un braccio e mi fece voltare verso il suo viso, furente - mi sono stancato di vederti così, di vederti piangere sempre per lui!».

«E' complicato, Zay» risposi cercando accuratamente di incontrare il suo sguardo.

«Non dovrebbe esserlo - esclamò con voce tremante, costringendomi a guardarlo - con me sarebbe semplice, io ti renderei felice, non ti farei piangere, e non permetterei a niente e nessuno di portarti via, non glielo farei nemmeno pensare. Tu sei speciale, e meriti di ridere ogni secondo della tua vita, e piangere solo di felicità. Io ne sarei capace».

«Zayn, ti prego, basta. Io...».

E non feci in tempo a finire la frase, che le sue labbra furono sulle mie, sentii la loro morbidezza sulla mia bocca, il suo sapore misto a quello delle mie lacrime, e fu come se fossi paralizzata, non riuscii a scostarmi, ma nemmeno a ricambiare quel bacio così inatteso quanto aspettato. 

Quando mi ridestai, mi spostai velocemente da lui, guardandolo negli occhi lucidi, pieni di gioia e tristezza allo stesso tempo, perché anche lui in fondo sapeva che quel bacio era importante per lui, ma non per me allo stesso modo.

Quando stavo per dire qualcosa, il mio sguardo si spostò verso la vetrata del locale, e tutti i battiti persi in quella giornata non furono intensi quanto quello che persi in quell'attimo, quell'attimo in cui vidi Harry guardarci da fuori il locale, quell'attimo in cui vidi tutto il mio mondo scomparire, quell'attimo in cui sarei stata costretta a perdere entrambi.

 

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Capitolo 60
*** Mondi Distrutti ***


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Pensavo a me con il mondo in mano, ma senza di te, dove vado?

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«Harry» fu un sussurro il mio, un sussurro di sollievo misto a terrore, perché ero consapevole di cosa avesse visto, ed ero sicura che avesse frainteso, perché io stessa l'avrei fatto al suo posto.

Senza nemmeno accorgermene, dai miei occhi erano già fuoriuscite nuove lacrime, perché il momento che tanto temevo era arrivato prima del previsto, e dovevo dire addio ad uno dei due, nella migliore della ipotesi, altrimenti avrei addirittura perso entrambi.

Per me non era una scelta, non devo scegliere tra i due, perché per il mio cuore c'era solo un uomo, il mio amore era tutto per uno dei due, il mio cuore l'aveva amato dal primo istante e l'aveva aspettato per anni, e non se lo sarebbe fatto sfuggire, a meno che il cuore di Harry non l'avesse lasciato andare per sempre.

Guardavo Harry spostare lo sguardo da me a Zayn, fulminando entrambi. Riuscivo a vedere le infinite sensazione che stavano attraversando i suoi occhi, delusione, rabbia e angoscia lo riempivano a tal punto che il suo sguardo non era più verde lucente, era spento, sempre di più man mano che passavano i secondi.

Aveva il cuore spezzato, ed era tutta colpa mia, era colpa del mio egoismo e della paura dell'abbandono che non riuscivo ad accantonare, che era sempre latente dentro di me, ma per quell'egoismo stavo per perdere l'unica persona che non mi aveva mai realmente abbandonato.

«Harry, non...» iniziai a dire, ma fui interrotta dal suo sguardo accusatorio.

«Se ti azzardi a dire 'non è come credi' penso di non poter più rispondere delle mie azioni» mi guardò con occhi iniettati di sangue.

Non mi aveva mai guardato in quel modo, non l'avevo mai visto rivolgere quello sguardo a nessuno, mi stava letteralmente odiando e io gli avevo dato solo motivi per farlo.

«Ehi, modera i toni» s'intromise Zayn, mettendosi quasi davanti a me.

Non volevo che si intromettesse in questa conversazione, perché era una questione tra me e Harry, era la conversazione che avremmo dovuto aver più e più volte in quei giorni. Non volevo che Harry odiasse Zayn più di quanto già non lo facesse.

«Lo sapevo che sarebbe successo» continuò Harry rivolgendosi a me, come se Zayn non fosse lì con noi.

«Non è colpa sua» continuò invece Zayn.

«Forse è meglio che tu stia zitto» Harry strinse i suoi pungi lungo i fianchi, quasi stesse cercando di trattenersi dall'aggredirlo.

«Beh, dovresti farti due domande se eri già consapevole che sarebbe successo. Forse non sei abbastanza per lei» rincarò la dose Zayn.

«Zayn» urlai infuriata.

«No - m'interruppe di nuovo Harry, avanzando verso di noi - ti prego, fallo continuare, perché forse ha davvero ragione. Forse ti meriti uno come lui» concluse guardandomi dritto negli occhi.

Ed una nuova pugnalata arrivo dritta al mio cuore.

Non stava mentendo, lo pensava veramente, e lo potevo vedere dal modo intenso e sincero in cui mi stava guardando. Il mio cuore si frantumò insieme al suo, perché stava davvero pensando a quelle parole, e se si rompeva lui, inevitabilmente mi rompevo anche io.

«Finalmente l'hai capito!» esclamò Zayn, alzando platealmente le mani.

E non ebbi nemmeno il tempo di zittire Zayn, che un pugno gli arrivò ritto sulla mascella, facendolo arretrare prima di cadere per terra. D'istinto mi voltai verso Harry, perché per quanto tenessi a Zayn, la mia priorità era sempre un'altra persona.

Ci guardammo, lui col fiato corto di chi aveva appena scaricato la rabbia che aveva in corpo, e io, che non avevo ancora smesso di trattenere il respiro, sentendomi impotente.

Poi si voltò di scatto e s'incammino verso l'uscita, e, senza rendermene conto, lo seguii, prendendolo per un braccio.

«Non andare, parlami, ti prego» lo supplicai.

«Non ho niente da dirti» rispose continuando a guardare davanti a se.

«Ti prego» dissi piangendo.

«Non ho niente da dirti, a parte che ti odio con tutto me stesso».

Quelle poche parole mi gelarono, perché mai avrei pensato di poterle sentir uscire dalla sua bocca. Avevo il cuore distrutto, come trapassato da mille lame, il corpo gelato, e la mente vuote di tutte quelle parole che avrei voluto dire, e lo lasciai andare, perché se l'ultima cosa che avrei voluto era vedere Zayn odiarmi, non mi sarei mai aspettata che invece sarebbe stato Harry a farlo.

Avevo agito in modo da non fare del male a nessuno, costringendomi talvolta a soffrire io stessa, ma avevo sbagliato, perché quella stanza era piena di cuori spezzati, di vite così talmente unite da essere separate per sempre al primo soffio di vento.

Restai a fissare il punto esatto in cui vidi Harry scoprire per attimi infiniti, quasi sperando di vederlo ricomparire dallo stesso punto, quel punto in cui lo avevo visto lasciare il locale a grandi falcate, portandosi il mio ed il suo cuore con sé.

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Il tempo non è scandito dal ticchettio delle lancette di un orologio, non è dettato dal ritmo incalzante di una canzone, o dal mutare di un numero, il tempo è datato da te stesso, dalle cose che ti stanno attorno, dal tempo condiviso con le persone a te care, e dal dolore.

Il dolore è infimo e crudele, ha la facoltà di fermare il tempo, per far assaporare al meglio la sua presenza, per sentirlo fin dentro le vene, sentirlo scorrere centimetro dopo centimetro.

Avevo imparato a sopportarlo il dolore, ma non ci si abitua mai veramente ad esso, ogni volta è diverso ogni volta è una nuova pugnalata al petto, sempre più intensa, sempre più infondo.

«Non ci possiamo più vedere, Zayn» non sembrava nemmeno mia quella voce, eppure lo era.

Avevo sentito lo sguardo di Zayn su di me per tutto il tempo in cui il dolore si stava nuovamente impossessando di me.

Mi voltai verso di lui, la sua pelle scura risaltava grazie ai raggi del sole che filtravano dalla stessa finestra attraverso la quale avevo visto Harry per l'ultima volta. Sapevo avrei dovuto corrergli dietro, ma quelle parole mi avevano fatto desistere, mi avevano letteralmente ucciso, e la cosa più importante che potessi fare per lui, nonostante tutto, era lasciare andare Zayn, per sempre.

Gli occhi color cioccolato di Zayn continuavano a guardarmi con aria supplicante e vidi la sua bocca in procinto di iniziare un discorso che sapevo già mi avrebbe ulteriormente spezzato.

«Io non ti avrei lasciato - iniziò a parlare, avvicinandosi a me - mi sarei incazzato, quello sì, e avrei spaccato la faccia a qualsiasi coglione avesse anche solo provato a baciarti, e non mi sari limitato di certo ad un solo pugno. Ma soprattutto non ti avrei lasciato qui con me, non dopo tutto quello che avete passato per stare insieme, sempre che per lui abbia contato qualcosa questo amore che tanto esalta». 

Mi venne di rispondere, ma lui mi fermò, continuando la sua arringa.

«Non ti dirò che sono una persona migliore di lui, sarebbe squallido, ma sono sicuro di poterti dare di più. Potrei proteggerti, tenerti al sicuro e amarti per come meriti. Dalla prima volta che ti ho vista, quella sera al bar, ho capito che eri speciale, ho capito c'era qualcosa che mi legava a te, che avevamo una connessione speciale. Inconsapevolmente mi hai fatto innamorare di te, per quella che sei, per le tue battute senza senso e per i tuoi discorsi forse troppo i maturi per la tua età. Mi hai trattato come nessuno aveva mai fatto prima, una persona normale, senza stranezze o pregiudizi, hai voluto vedere solamente me stesso».

Non sapevo davvero cosa dire.

In fondo sapevo già ma sentirlo uscire così chiaramente dalla sua bocca mi aveva spiazzato. Una parte di me aveva sempre rifiutato l'idea che quel ragazzetto del bar, su cui avevo riversato tutto il mio sconforto, che poi da diventato mio amico, si fosse realmente innamorato di me. Avevo paura di questa certezza, perché ora l'ipotesi di lasciarlo andare, era diventato solo l'immediato futuro, perché io non l'amavo.

Il mio cuore apparteneva ad una sola persona, una persona per cui il mio cuore era stato calpestato più e più volte, ma che era riuscito anche a curarlo più volte di quante l'avesse distrutto.

«Ti chiedo solo di darti una possibilità, datti la possibilità di amarmi» disse, vedendo che non avevo ancora accennato a rispondere.

Alzai lo sguardo, e quando incontrai i suoi occhi e si accorse della mia espressione distrutta, potei chiaramente vedere le sue pupille dilatarsi e lo sguardo farsi pian piano più cupo.

«Sei stata una delle persone che più mi è stata vicino in questi mesi - iniziai, ma non sapevo cosa dire di preciso, sapevo solo che dovevo farlo - già dal nostro primo incontro mi hai mostrato il tuo gran cuore e pian piano ho conosciuto tanti pezzi di te. Io credo nel destino, e anche nell'amore, e penso che ognuno di noi debba fare delle scelta nella vita. Io la mia scelta l'ho fatta quasi quel quatto anno fa, e non è mai cambiata. Non so se sia la scelta giusta per me, ma preferisco fare una scelta sbagliata che mi renda felice piuttosto che fare una scelta giusta e vivere una vita a metà. Non so se io e Harry risolveremo mai questa situazione, ma non ho alternativa, perché ti meriti di essere scelto, di essere l'unico, e io non posso scegliere te, ti voglio troppo bene per farti soffrire».

Chinò il capo in senso di sconfitta, e non pensavo di potermi sentire peggio quel giorno, eppure il dolore continuava ad aumentare senza arrestare la sua corsa. 

Mi mancò il respiro quando vidi due punti lucenti sulle sue guance, Zayn stava piangendo per colpa mia, e io non potevo far niente per impedirlo.

«Mi dispiace, Zay. Mi dispiace perdere un amico come te, ma per il tuo bene devo lasciarti andare».

E senza aggiungere altro andai nel retro del locale e silenziosamente presi le mie cose. 

Senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, che l'avrebbe fatto soffrire di più, aprii la porta e feci per uscire.

«E quei baci?» Chiese con voce rotta.

«Non mi pento di quei baci, è stata anche colpa mia, e in un'occasione sono stata io a volerlo. Non ti ho preso in giro, è solo che stai combattendo contro qualcosa che ha sempre vinto, su tutto. Scusami».

«Non devi scusarti, mi sono solo illuso».

«Perdonami. Spero tu un giorno riesca a farlo» ed uscii dal locale con le lacrime agli occhi, ma senza voltarmi indietro.

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«Dove sei?» fu la prima cosa che dissi non appena sentii la chiamata aprirsi.

«Bea, finalmente! Dove sei tu!?» sospira al suono di quella voce familiare.

«Sto andando a casa da Harry» esclamai, quasi come fosse ovvio, eppure non lo era, soprattutto per il modo in cui mi ero comportata.

«Non è a casa» e il mio corpo si bloccò di colpo, come il mio cuore.

Quel giorno era Domenica e, per quanto ne sapessi, ormai con una certezza disarmante, quanto Harry fosse devoto al suo lavoro, non sarebbe mai andato di lavoro nel fine settimana, a meno che non avesse avuto un lavoro da finire, e sapevo non fosse quello il caso.

«E dov'è?» e non so perché, ma sperai che non fosse già partito, non poteva essersene andato davvero senza dirmi niente.

«Niall lo sta accompagnando all'aeroporto».

«No, non può partire» e le prime lacrime mi rigarono il viso.

«Ti vengo a prenderne andiamo a fermarlo».

«Ok, ti aspetto sotto casa mia».

Non impiegai molto tempo ad arrivare sotto quella che doveva essere la nostra casa, alzai lo sguardo verso la finestra, quella della nostra camera che dava sulla strada, con un piccolo vaso di gardenie sul davanzale, quelle gardenie che sarebbero appassite se lui se ne fosse andato. Io non ero tipo che si prendeva cura delle piante, quella era una prerogativa di Harry.

«Dai, sali!».

Elis non tardò ad arrivare, o almeno mi sembrò così, perché richiamò con energia la mia attenzione, mentre io ero ancora intenta a fissare quella casa che, anche se non potevo vedere all'interno, sentivo vuota.

Non appena chiusi la portiera delle macchina sentii le ruotare stridere sull'asfalto e contemporaneamente il mio corpo sbattere contro il sedile.

«Sono troppo in ansia per dirti di stare attenta» dissi con un filo di voce, quasi terrorizzata.

«Come sei pesante! - esclamò mia cugina, alzando per un attimo le mani dal volante, un attimo spaventoso per me - non avrei mai pensato di fare una cosa così emozionante nella mia vita. Mi sembra di essere in un film» concluse eccitata.

«Zitta e cammina!» esclamai, ma non potei fare a meno di farmi scappare un sorriso, nonostante la situazione.

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Sentivo l'ansia salire e scendere nel mio stomaco, sempre di più, man mano ci avvicinavamo all'aeroporto. Nella mia testa viaggiavano mille sensazioni; angoscia, per la paura di non rivederlo più, rabbia, perché aveva davvero osato partire senza dirmelo, o almeno, volendosene andare veramente, lontano da me; preoccupazione, perché tre anni prima l'ansia non mi aveva portato niente di buono, avevo perso il mio bambino, e non lo avrei sopportato di nuovo.

Avevo paura, paura di perderlo per sempre, paura di non poter crescere mio figlio con lui.

Nostro figlio, quello che avevo scoperto di portare in grembo pochi giorni prima, quel figlio di cui gli avrei detto l'esistenza non appena me lo sarei trovato davanti.

«Siamo arrivate. Vai, ti aspetto qui» Elis mi aprii addirittura la portiera, spingendomi quasi fuori a calci da quella macchina.

E anche se non avrei potuto farlo, mi misi a correre, più veloce che potevo, e non m'importava del pugnale che sentivo nel petto, dei respiri mancati, delle gambe pronte a cedere da un momento all'altro.

Arrivai davanti alla sala controlli, sorpassando senza ritegno tutti quelli che mi stavano davanti, e, incurante degli insulti, degli spintoni, arrivai di fronte al controllore.

«Scusi, devo passare» lo supplicai.

«Il suo biglietto?».

«Non devo partire, devo fermare il mio ragazzo».

«Mi dispiace, ma non posso farla passare» e il brusio dietro di me si fece più forte.

«La prego» dissi quasi in lacrime.

«Senta signorina, non posso farla passare. Ma posso dirle se il suo aereo ha chiuso l'imbarco. Dove deve andare il suo ragazzo?» se non fosse stato un uomo sposato, data la fede al dito, e più grande di mio padre, lo avrei baciato.

«Londra!» urlai.

«Mi dispiace - e vidi la sincerità nei suoi occhi - mi dispiace tanto signorina, ma il volo è appena decollato».

Da quel preciso momento, non ricordo più niente.

 

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Capitolo 61
*** Lacrime ***


Perché, se qualcuno ti manca, altre braccia non servono.

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POV ELIS

Da giorni era seduta su quel divano senza dire una parola, e se non era sul divano era sul letto, e se non era nemmeno lì la trovavo in bagno, rannicchiata per terra a fissare un punto indefinito davanti a lei, apparentemente in trance, apparentemente senza nessun pensiero coerente in testa. Potevo chiaramente leggere il turbinio di sensazioni attraversarle il volto, cercare soluzioni dove non ce n'erano, trovare un punto di arrivo, rifiutando l'evidenza della situazione: Harry se n'era andato, e con lui anche lei stessa.

Niall ed io avevamo tentato di farla parlare, spiegarci ciò che era accaduto, ma lei ha sempre continuato a guardare il vuoto, senza dare il minimo accenno di risposta. Harry non era stato da meno, aveva chiamato Niall solo per avvertirlo del suo arrivo a Londra, dopo di che non aveva più risposto alle nostre incessanti chiamate.

Sapevo cosa significasse vedere la persona che ami andarsene via, partire per inseguire il proprio sogno. Quando Niall, ormai anni prima, aveva scelto di partire per affermarsi professionalmente, il mio cuore si era spezzato in mille pezzi, il pensiero di non poter rivedere ogni giorno quei soffici capelli biondo cenere mi faceva mancare l'aria anche in quel momento, anche se ormai quel periodo era trascorso da molto tempo. Quello era ufficialmente stato l'anno più brutto della mia vita, ma allo stesso tempo era stato l'anno più importante, perché mi aveva fatto capire quanto realmente fossi innamorata di quel biondo tutto sorrisi e risate. Avevo apprezzato ogni secondo che riuscivamo a trascorrere insieme, ogni attimo diventava speciale, ogni parola e gesto mi faceva innamorare nuovamente di lui, quell'anno avevo capito che era l'uomo della mia vita e non me lo sarei fatto scappare per niente al mondo.

Sentivo ancora quella sensazione di vuoto dentro, quella mancanza che mi accompagnava incessantemente, giorno e notte, senza un secondo di respiro, e per quello sapevo con certezza che mia cugina non stesse nemmeno lontanamente provando quella sensazione, lei stava provando qualcosa di peggiore, e io non riuscivo realmente a capire cosa fosse. 

C'era di più di una semplice mancanza nel suo comportamento. Non era arrabbiata, non era risentita dalla scelta inaspettata di Harry, c'erano dei motivi dietro a quella chiusura, e né io, né Niall riuscivamo a capire cosa fosse.

Era distrutta, era un vaso rotto, che continuava a cadere, che continuava a mettere i pezzi insieme, pezzi sempre più piccoli ad ogni caduta, e quella era stata l'ennesima caduta, forse la definitiva. Aveva perso importanti pezzi di se in quegl'anni, ma era riuscita comunque a ricostruirsi, ma in quel momento sembrava aver perso il pezzo fondamentale, il pezzo portante.

Io non facevo altro che osservarla tutto il giorno, rannicchiata per casa accanto a lei, a guardare quegli occhi magnificamente verdi assottigliarsi ogni secondo di più, quelle guance diventare sempre più incolore, mentre scie nere iniziavano a circondarle gli occhi.

Pregavo tutto il giorno Niall di continuare a chiamare Harry, e lui lo faceva, senza mai dire una parola, ma il suo amico continuava ad essere un fantasma, continuava a non rispondere, ed io non ne potevo più di sentire quegli squilli incessanti, non ne potevo più d vedere il viso triste di Niall, mentre quegli squilli erano unico suono che riempiva la nostra casa.

Sospirai rassegnata quando l'ennesima chiamata s'interruppe senza alcuna risposta.

Spostai il mio sguardo su Bea, e mi soffermai a guardarla, trovandola sempre nella stessa posizione, a guardare sempre nella stessa direzione, senza accorgersi minimamente della mia presenza, del mio sguardo fisso su di lei. Indossava una tuta grigia, una delle poche che possedevo, ed una felpa di Niall, troppo grande per il suo fisico, che già in pochi giorni si era notevolmente asciugato.

La sera in cui eravamo tornate dall'aeroporto non aveva smesso di piangere nemmeno un secondo, nonostante avessi tentato di consolarla invano, aveva continuato fino a quando non si era addormentata.

Avrei voluto che avesse continuato a piangere anche nei giorni seguenti, e invece, dal giorno dopo, non aveva più versato una lacrima, non aveva più parlato, era entrata nel suo mondo senza via d'uscita. Piangere sarebbe stato meglio, sia per lei che per me, almeno avrei avuto un compito definito nella sua vita, avrei potuto consolarla invece di restare seduta accanto a lei senza poter far niente.

Le lacrime contengono emozioni, che siano lacrime di gioia o di dolore, che siano di rabbia o di emozione, le lacrime sono un guscio, un piccolo guscio nel quale è racchiuso un mondo, un mondo personale, quello delle emozioni, del dolore o dell'amore, un mondo che lasciamo libero di essere mostrato agli altri, quasi fossero un dono o una punizione. Non appena quelle lacrime escono dai nostri occhi,quel guscio si apre, mostrando realmente te stessa, mostrando le tue paure, le tue gioie ed i tuoi dolori.

Quando non hai più la forza di piangere, impedisci alle persona che ti stanno accanto di vedere il tuo mondo, di vederti dentro, il guscio resta chiuso dentro di te e, per quanto la gente attorno a te voglia aiutarti, non riuscirà mai a capire, non riuscirà mai a farlo, perché non riesce a leggerti, non riesce ad entrare nel tuo mondo, e si sentirà impotente.

Mi sentivo impotente, ecco la parola perfetta, impotente verso una delle persone che più amavo al mondo.

Quando smetti di piangere è come se smettessi un po' di vivere, di sognare, di amare. Non piangere è indifferenza, assenza di emozione, e rifiutavo di credere che Bea se ne fosse andata per sempre.

«Ancora niente» una mano mi si posò sulla spalla e, quando alzai gli occhi, m'inebriai della visione che mi si presentò davanti.

La mia ancora, la persona che riusciva a tranquillizzarmi che nei momenti più neri, il mio migliore amico che era da poco diventato mio marito.

Non riuscivo ancora a capacitarmi di come fossimo riusciti a superare tutte le avversità che la vita ci aveva posto lungo il cammino, eppure accanto a lui ero riuscita a superare tutto, qualsiasi momento difficile della nostra vita di coppia, e della mia vita personale. Accanto a lui il buio non era più tanto tenebroso, con la sua risata riusciva sempre a farmi vedere il bello delle cose e della vita. Perché in fondo il più grande pregio di Niall era quello di amare la vita stessa, di riuscire a vivere senza la preoccupazione del domani. Mi aveva insegnato che il domani è bello, che non deve per forza far paura, che fare progetti sul futuro è bello se fatto con spensieratezza e senza tutte le ansie che ne derivano.

Senza di lui mi sarei persa, e non riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lui, ma peri fortuna non avevo motivo di farlo.

«Mi stai ascoltando?» chiese, corrucciando lo sguardo azzurro cielo.

«Scusami, ero distratta» sorrisi.

«Da cosa?» si guardò intorno, ed sorrisi ancora di più, perché amavo la sua ingenuità.

«Da mio marito» esclamai.

«Beh, allora distraiti più spesso!» e con quel suo sorriso che faceva invidia al mondo, si avvicinò al mio volto, per poi poggiare le sue labbra sottili sulle mie, e per un secondo mi scordai del mondo intero, dei problemi e delle paure, perché accanto a quell'uomo niente faceva più paura.

«Da lei nessun segnale?» chiese una volta staccatosi da me.

«Non la vedi?!» esclamai tornando alla cruda realtà.

«Vedrai che si riprenderà» sentire nel suo tono tutta quell'incertezza mi fece venire le lacrime agli occhi.

Mi voltai di nuovo verso mia cugina, ma niente, non aveva fatto il minimo movimento, era come se non ci stesse nemmeno sentendo, come se non si accorgesse della nostra presenza.

Un moto di rabbia invase il mio corpo, come un fuoco che divampa, invadendo tutto il mio corpo, e mi alzai andando verso di lei, fino ad arrivare a due centimetri dal suo naso, obbligandola quasi a guardarmi.

«Bea - urlai - vuoi dire qualcosa?»

Ero letteralmente in lacrime e, nonostante la vicinanza, sembrava che lei continuasse a non vedermi, mentre il suo silenzio stava iniziando a distruggermi.

«E' inutile, Elis» Niall mi prese per un braccio, portandomi lontano da lei, quasi come se temesse che potessi farle del male.

«No, Niall - continuai ad urlare, mentre lui mi portava lontano da lei - Deve parlare! Non può continuare a comportarsi così! Devo fare qualcosa, altrimenti impazzirò».

Mi staccai da lui, iniziando a camminare avanti ed indietro per il salotto, in cerca di una qualsiasi idea, in cerca di qualsiasi cosa potesse far star meglio sia lei che me, perché continuando in quel modo sarei sicuramente impazzita insieme a lei.

E ad un tratto mi venne in mente una persona, l'unica persona che forse avrebbe potuto farla uscire da quel tunnel senza fine dove era entrata, dove si era chiusa.

Non sapevo se la mia idea avrebbe potuto peggiorare la situazione, ma era comunque un'idea, era l'unica cosa a cui avevo pensato che potesse realmente funzionare.

«So dove andare!» esclamai andando a prendere il cappotto.

«Che fai? Dove vai?» domandò Niall, che dal tono della sua voce pensa sicuramente che fossi impazzita anche io.

«Sto andando dall'unica persona che può farla parlare».

«Ma...» lui continuò, ma io non sentii cosa stesse dicendo, perché ero già fuori casa, diretta alla macchina.

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Anche se un po' tardi spero che ci sia qualcuno 😉 
Beh che dire, Bea non è in grado di parlare, come avrete ben capito, così qui è Elis a farlo per lei. 
Harry alla fine è davvero partito, e da chi andrà Elis?? 

Fatemi sapere cosa ne pensate e lasciate  un commento, mi fareste felice <3 

All the love, 
BARB

 

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Capitolo 62
*** Il dolore dell'amore ***


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Devo andare, perché restare farebbe più male.

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POV ZAYN

Erano passati giorni dall'ultima volta che l'avevo vista, giorni che mi erano sembrati un'eternità. Sentivo la sua assenza dentro di me, sentivo come se mi avessero strappato qualcosa che mi apparteneva dal cuore, perché anche se non era fisicamente mia, il mio cuore l'aveva scelta.

Una parte di me avrebbe voluto cancellare tutto, anche la sua esistenza, tutte le mattine passate insieme, tutti i pranzi in casa sua; avrebbe voluto cancellare il suo volto da ogni mio sogno, tutti i suoi sorrisi dalla mia mente, quei sorrisi che erano miei, che erano per me. Tutti quei particolari che mi avevano fatto perdutamente innamorare di lei.

Se qualcuno avesse provato a cancellarla dal mio cuore, ero sicuro avrei sentito ugualmente la sua assenza, perché lei mi era entrata dentro come mai nessuna aveva fatto, lei era stata la prima che mi aveva visto realmente, la prima con cui non mi ero nemmeno accorto di essere me stesso, in tutto e per tutto.

Non era in programma, non avevo deciso di innamorarmi di lei, solo un pazzo l'avrebbe fatto, perché lei era irraggiungibile e, per quanto le cose irraggiungibili possano attrarre, io non avrei mai scelto lei come mio primo vero amore. Ma lei aveva qualcosa di speciale, che non avevo mai notato in nessuna prima d'allora, e me n'ero reso conto la prima volta che l'avevo vista e mi aveva chiamato 'ragazzino'. Non aveva tentato di sedurmi, come facevano la maggior parte delle ragazze che servivo al bar per aver offerto il 'giro' successivo, lei non mi aveva nemmeno degnato di uno sguardo. Sarebbe stato quello il momento giusto per scappare da lei, per evitarla, eppure era stato inevitabile cercare di attirare la sua attenzione, era stato inevitabile sceglierla.

Era stato facile amarla, imprevisto e veloce, come un battito di ciglia, era stato naturale quasi come respirare, non puoi fare a meno di farlo, perché altrimenti non potresti sopravvivere, vedere il mondo per quello che è, pieno di cose meravigliose, e lei aveva fatto questo, mi aveva fatto vivere.

In quel momento, nella sua assenza, mi sentivo perso, così vuoto, come mai lo ero stato prima, perché se non possiedi una cosa che non hai mai avuto, non puoi sentirne la mancanza, ma quando conosci l'amore e lo perdi, la mancanza la senti eccome.

Erano passati solo pochi giorni in confronto al tempo che sarei stato costretto a passare senza di lei, per quello avevo cercato di continuare la mia solita vita, e per fortuna le mie abitudini non eran cambiate molto, perché lei era entrata nel mio mondo, un mondo che sembrava più vuoto ora che se n'era andata, ma era pur sempre il mio mondo.

Ero andato, come ogni giorno, a lavoro, sempre con la voglia di fare, di guadagnarmi da vivere, perché senza quel lavoro non avrei potuto continuare a studiare e non potevo permettermi di mandare tutto all'aria.

Frank, il mio capo, si era accorto che qualcosa in me non andava, ma ogni volta che mi chiedeva cosa avessi deviavo il discorso, non volevo annoiare nessuno con i miei piagnistei e soprattutto non era da me parlare apertamente con qualcuno che non fosse lei. Quella era una cosa mia e sua, e sarebbe rimasta tale fino a quando non avrei incontrato un'altra persona di cui potermi realmente fidare, perché nonostante quello che era successo, non ce l'avevo con lei.

Era stata tutta colpa mia, lei non aveva colpe, mi aveva detto quello che provava per Harry dalla prima volta che l'avevo vista e non aveva mai fatto niente per farmi pensare il contrario, a parte quel bacio da ubriaca, ma era, appunto, ubriaca. Lo amava, come io amavo lei, e l'avevo sempre saputo.

Un'altra giornata di lavoro era finita, era proprio grazie a questo che le mie giornate passavano relativamente in fretta, era grazie al mio lavoro se i giorni senza di lei mi sembravano meno vuoto. Frank era dovuto andare in banca a depositare l'incasso del giorno e aveva lasciato me a sistemare le ultime cose al bar. Mi piaceva stare da solo in questo locale, mi faceva sentire a casa e in realtà mi sarebbe piaciuto avere un locale tutto mio, ma i miei progetti erano totalmente diversi.

Stavo mettendo l'ultima sedia su uno dei tavoli quando sentii la porta aprirsi.

«Mi dispiace, siamo chiusi» dissi senza nemmeno guardare verso l'entrata.

«Meglio, così non devo aspettare molto».

Voltai lo sguardo incuriosito da quella voce, che mi sembrava di aver già sentito, e quando mi accorsi a chi apparteneva la guardai sbigottito. L'avevo vista solo una volta nella mia vita, a quella cena con Bea, ma ne avevo sentito parlare molto, quasi ogni giorno. La ricordavo perfettamente quella ragazza bellissima, ricordavo i suoi capelli oro e quegli occhi magneticamente azzurri, non somigliava per niente a sua cugina, eppure non appena la vidi il mio cuore iniziò a battere più forte, come se sapesse che quella ragazza era una delle persone più vicine alla ragazza che amavo.

La guardai meglio, dopo il primo secondo di smarrimento, e non potei non notare uno strano cipiglio nel suo volto, quasi di preoccupazione. Piccole occhiaie le solcavano il volto e lo sguardo non era luminoso come lo ricordavo, sembrava stanco, sembrava quasi essersi arreso e, per essere venuta fino al mio locale, poteva esserci solo un motivo.

«Cosa è successo?» andai verso di lei.

«Devi venire subito con me» e senza aspettare una mia risposta uscì dal locale.

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Per tutto il viaggio ebbi un inspiegabile stato di ansia attanagliarmi l'anima, avevo un groppo in gola che non riuscivo a mandar giù, lo stomaco in subbuglio. Non ero mai stato preoccupato come in quel momento, soprattutto perché la persona accanto a me non voleva saperne di parlare, nonostante avessi provato per diversi minuti a capire cosa stesse succedendo, eppure lei era rimasta zitta, non aveva detto niente a parte un 'aspetta e vedrai'.

Ma cosa dovevo vedere? Cosa mi aspettava una volta varcata la porta di casa sua?

Nella mia testa si susseguirono in quei minuti interminabili immagini, immagini angoscianti, tristi e strazianti, perché sapevo che in quella casa non ci sarebbe stato niente di bello e confortante, speravo solo che Bea stesse bene, che non avesse fatto niente di stupido o avventato, perché non l'avrei sopportato. Potevo sopportare la sua assenza se ero consapevole che lei stesse bene, che fosse felice, ma non potevo sopportarla se non la sapevo al sicuro.

Dopo un tempo che mi sembrò interminabile, finalmente scendemmo in un garage, proprio al centro di Manhattan. Sapevo che Elis, la cugina di Bea, fosse ricca, ma rimasi comunque sbalordito dello sfarzo di quel palazzo, e per un secondo mi distrassi, perché non ero abituato a vedere quei posti, non mi erano mai appartenuti, e probabilmente non l'avrebbero mai fatto. Prendemmo l'ascensore e poco dopo ci trovammo davanti ad una porta blindata in legno chiaro.

«Spero che tu possa risolvere la situazione. Non so quello che sia successo tra di loro, ma spero che vedendoti, le cose possano cambiare» non mi restò altro da fare se non annuire, non sapevo cos'altro dire, perché non sapevo cosa mi aspettava una volta entrato.

Quando entrai lei fu la prima cosa che vidi.

Era rannicchiata in un enorme divano, proprio davanti a me, in una tuta troppo grande per lei. Non riuscivo a vederla in volto, perché il suo corpo era talmente piccolo in confronto a quella felpa che la nascondeva quasi totalmente. Sembrava non aver notato la nostra presenza e sembrava addirittura non ci avesse nemmeno sentito entrare. 

Senza chiedere il permesso andai verso di lei, e man mano che mi avvicinavo a lei potevo vedere più chiaramente quale fosse il problema. Quella che avevo davanti non era Bea, era solo la sua figura, la sua personificazione, ma di quella ragazza piena di sorrisi e piante, di ansie e gioie inaspettate, non restava niente, era solo l'involucro di se stessa.

«Piccola Troublemaker?» mi rannicchiai esattamente davanti a lei, ma non sembrava vedermi.

Ma in quel momento io potevo finalmente vedere lei e, anche se era sciupata e triste, era sempre lei, la ragazza bellissima che il mio cuore aveva scelto di amare, quella ragazza per cui avrei fatto di tutto. Avevo paura di toccarla, toccarla per poi vedere cadere in mille pezzi, quasi come fosse di cristallo, troppo bello da ammirare, ma con la paurosa voglia di toccarlo, così preziosamente fragile da potersi rompere al minimo contatto.

«E' così da giorni» sentii Elis avvicinarsi dietro di me.

«Cosa è successo?» cercai di non far trapelare la rabbia dal mio tono di voce, anche se mi risultò più difficile del previsto.

«Non ne ho idea. Harry è partito e lei è così da quando ha cercato invano di fermarlo. Ma non so cosa sia successo tra di loro, cosa può essere successo di così grave da lasciarsi così?» sentii la sua voce tremare, e sapevo cosa significava sentirsi impotenti con le persone che ami, lo sapevo benissimo.

«Quindi è partito» la mia fu più una riflessione, avrei tanto voluto capire che intenzione avesse quel ragazzo, ma nonostante ci provassi, non riuscivo proprio a capirle.

«Sapevi della sua partenza?» esclamò Elis, e non potei non notare la sorpresa nel suo volto.

«Si» dissi voltandomi verso Bea e la vidi quella piccolissima lacrima solcarle il volto, quello era un piccolo segnale, lei era lì.

«Mi lasceresti un secondo da solo con lei?» chiesi infine.

«Certo» e sentii i passi dietro di me, mentre mi misi ancora più vicino a lei.

«Cosa è successo, Bea?» chiesi non aspettandomi una risposta, non sarebbe stato così semplice farla parlare, guardando un punto indefinito davanti a me.

«Sai - iniziai a parlare, sperando di riuscire a sbloccare qualcosa in lei - visto che sei entrata in questo tunnel di silenzio senza fine, ti dirò tutto. Fin dalla prima volta che sei entrata nel bar, ho capito che qualcosa di te mi avrebbe fregato, e così è stato. La prima volta che abbiamo parlato eri adorabilmente insopportabile, mi hai aggredito con quella tua vocina così dolce, che non avrei mai potuto prendermela. Pensavi che fossi uno di quei baristi stereotipati, quelli che ci provano con qualsiasi ragazza che entra nel locale, beh, non nego che certe volte mi è capitato, ma non l'avrei mai fatto con te, sai perché?» e mi girai a guardarla, ma non mi diede nessun segnale, così continuai.

«Non ci avrei mai provato con te quella sera perché mi facevi paura. Non appena sei entrata nel locale, ho viso qualcosa in te, no, ho visto un intero modo dentro di te, pieno di dolore, gioie, divertimento e complicazione. Non ti ho visto come una preda, ti ho visto subito come qualcosa di inarrivabile, ma mi conosci, le cose impossibili mi piacciono - risi di gusto, nonostante lei non desse nessun segno - Poi siamo diventati amici, ed ero veramente tuo amico, non l'ho fatto per un secondo fine, ma mi sono innamorato di te, è stato avventato ed inevitabile, non ho potuto controllarlo. Sapevo come sarebbe andata, sapevo di non poter essere mai tuo, ma pur di starti accanto ho preferito vivere nell'illusione. E poi qualche giorno fa è crollato tutto, e so che è anche colpa mia, perché non mi dovevo dichiarare, perché dovevo smettere di sperare invano, ma soprattutto non ti dovevo baciare, se non lo avessi fatto lui sarebbe venuto a parlare con te, avreste chiarito, e ora tu sorrideresti, parleresti e gioiresti con lui. Quindi perdonami».

«Bea - presi il suo volto tra lei mani, costringendola a guardarmi puoi perdonarmi?» e per la prima volta i suoi occhi si mossero, fissandosi sui miei, entrandomi dentro, come accadeva ogni volta, ma in quel momento, sentire il suo sguardo nel mio, mi rese la persona più felice della terra.

«Ti prego, dì qualcosa» la supplicai.

«Perché sei qui?» riuscì a dire lei in un sussurro, mentre io tiravo un sospiro di sollievo.

«Tua cugina mi ha detto che avevi bisogno di me» mi affrettai a rispondere, avevo paura che si richiudesse nel suo guscio di nuovo.

«No, intendevo, perché sei qui dopo tutte le cose orribili che ti ho fatto» aveva gli occhi lucidi, ma le lacrime stentavano ad uscire, nonostante ne avessero estremo bisogno.

«La risposta è la stessa: perché avevi bisogno di me - sorrisi - mi hai insegnato che non si sceglie chi amare. Non è colpa tua se non hai scelto di amare me, il tuo cuore non poteva farlo, come il mio non poteva scegliere di non amare te. Il mio cuore, per qualche motivo strano, ha scelto te, ha scelto la persona che non avrò mai, ma che in un certo senso avrò per sempre, nel mio cuore. Il mio cuore ha scelto l'unico modo possibile per tenerti con me per sempre».

E furono quelle parole la fine e l'inizio di tutto, la fine del silenzio e l'inizio del pianto, quel pianto che sapeva di libertà e sfogo, quel pianto che fece uscire tutte le emozioni che aveva trattenuto per giorni.

«Vuoi dirmi quello che è successo?» dissi non appena i suoi singhiozzi si fecero più flebili.

POV BEA

«Si» risposi tra i singhiozzi.

«Posso andare a chiamare Elis? E' preoccupata, merita di sapere» annuii solamente.

Non sapevo perché scelsi proprio lui per parlare, nonostante Elis avesse passato giorni a scongiurarmi di parlare.

Eppure avevo scelto lui, e gli raccontai tutto, tra le sue braccia, tra le braccia del mio punto di luce, che avevo cercato di allontanare da me, mentre lui teneva strette a sé le mie mani.

Iniziai il racconto non appena mia cugina si sedette sul divano accanto a me e non potei impedire alle  lacrime di continuare a solcare il mio volto, soprattutto quando raccontai della reazione di Harry, erano lacrime di dolore che meritavano di essere sprecate. Finii il mio racconto e mi sentii sfinita, non mi accorsi nemmeno di aver chiuso gli occhi, l'ultima cosa che riuscii a sentire furono le loro voci flebili riempire la stanza.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE: 

Buon Natale a tutti e buon S.Stefano!

Questa sorpresina (anche se il capitolo non è poi così felice) volevo farvela ieri, ma on ho avuto assolutamente il tempo di postarlo, così eccomi qui!

Finalmente Bea si è risvegliata dal suo silenzio e ha scelto proprio Zayn per farlo. Cosa ne pensate???

MANCANO DUE CAPITOLI ALLA FINE: COSA VORRESTE CHE SUCCEDESSE?

mi farebbe piacere che lasciaste un commentino :) sarebbe il regalo di Natale migliore del mondo <3

 

All The Love,

BARB <3

 

 

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Capitolo 63
*** Orgoglio ***


"Trilli c'è sempre stata per Peter".

"E Peter?".

"Lui ha scelto Wendy".

>>>>>

Quel giorno raccontai tutto ad Elis, tutto quello che le avevo nascosto senza volerlo.

Mi sentivo in colpa per aver nascosto ad una delle persone più importanti della mia vita quello che era successo, e ancora più in colpa per aver scelto di parlare solo in presenza di Zayn. Avevo paura si fosse offesa, nonostante non lo avrebbe mai ammesso, perché eravamo sempre state solo io e lei, al minimo problema, sapevamo che potevamo contare l'una sull'altra, ma quella volta non avevo fatto fede al nostro patto non scritto, e avevo paura si sentisse tradita.

Non temevo il suo giudizio, sapevo che sarebbe stata imparziale, perché voleva bene sia a me che a Harry e sapeva che la nostra storia era così, terribilmente complicata e stupenda nello stesso moneto. La sua storia con Niall era completamente diversa, era stabile anche nell'instabilità, erano costernati dalla serenità nonostante le liti, erano uniti, mentre io e Harry non avevamo ancora capito come far andare bene le cose, come superare gli ostacoli, perché era quello il nostro problema, non riuscivamo ad affrontare allo stesso modo i problemi, e questo ci aveva portato a sfaldarci.

Quella notte Elis mi aveva fatto addormentare, dopo che Zayn aveva lasciato casa lasciando il posto ad un Niall sconcertato. Ero riuscita a dormire, anche se gli incubi mi avevano fatto svegliare non poche volte, ma almeno avevo riposato, cosa che non facevo da molti giorni.

Da quel giorno era passata solo una settimana, nonostante sembrasse fosse passata un'eternità. Da quel giorno avevo ricominciato a rialzarmi, a vivere per me e per il mio bambino, che meritava tutto l'amore e la serenità che potevo dargli. Avevo provato a chiamare tutti i giorni Harry, senza però ricevere nessuna risposta, ero arrabbiata perché non avevo avuto la possibilità di spiegare, di chiarire quello che era successo, ma lo capivo in fondo, era quello che io avevo fatto anni prima.

Mi chiedevo se lui si fosse sentito come me in quel momento, così impotente, così in colpa, così arrabbiato e al tempo stesso rassegnato, e avevo paura di non poterlo mai scoprire.

Era una nuova mattina, e per fortuna ogni giorno che passava il dolore al petto diminuiva un poco, il vuoto era sempre presente, ma non come il giorno in cui il mio mondo si era distrutto. Avevo Elis e Niall che mi aiutavano ad uscirne, giorno per giorno, ed ero veramente fortunata ad avere due persone così nella mi vita.

«Cazzo, amico. Ragiona!». 

Stavo per entrare in cucina, quando udii la voce concitata di Niall, che mi fece fermare sulla soglia della porta, ad origliare, nonostante non fosse assolutamente corretto.

Mi scorsi il tanto che bastava per vedere la figura di Niall camminare nervosamente avanti e indietro per la cucina, aveva lo sguardo fisso sui suoi piedi e non era difficile immaginare con chi stesse parlando, speravo solo non notasse la mia presenza.

Sapevo che stava facendo di tutto per farlo ragionare, ma sapevo anche che, nonostante tutto, avevo torto, lo avevamo entrambi anche se motivi totalmente diversi. Eravamo impulsivi e passionali, e spesso queste caratteristiche, soprattutto se concomitanti, non erano esattamente un pregio.

Ma Niall ci stava tentando, ci stava provando con tutte le sue forze, soprattutto ora che era a conoscenza della verità, che l'aveva totalmente sconcertato, forse anche più di quanto aveva fatto con Elis. Era tornato da lavoro quando stavo già per concludere il mio sfogo, aveva sentito solo le ultime battute della mia arringa, ma avevo chiaramente visto nel suo volto la sofferenza per me e per il suo amico, per quell'amore in cui aveva creduto per anni, per cui aveva lottato insieme a noi. 

Sapevo che Elis gli aveva raccontato il pezzo mancante una volta che erano andati a dormire, infatti avevo notato un ulteriore cambiamento la mattina seguente, così come lo era stato per l'intera settimana.

«Devi tornare immediatamente! - continuò a dire, cercando con tutte le sue forze di contenere il tono della sua voce che si faceva sempre più alto - non m'interessa del tuo nuovo stage del cazzo. Hai lottato così tanto per lei e ora che fai? Scappi? Come ha fatto lei anni fa? L'hai criticata per quello e ora fai la stessa cosa? Te ne sei andato via dopo che l'hai convinta a trasferirsi, Harry. Ti sembra una cosa sensata?» al suo nome il mio cuore andò in fibrillazione, perché in quei giorni quel nome era stato un tabù, nessuno si era mai permesso di nominarlo in mia presenza.

«No! - continuò non riuscendo più a controllarsi - dieci mesi sono troppi, e poi te ne sei anche andato senza dire niente, senza dare la minima spiegazione nemmeno a me, al tuo migliore amico! Beh, se non vuoi tornare per lei, allora fallo per me».

Il viso candido e sorridente di Niall era completamente scomparso, si faceva più scuro e corrucciato ad ogni sua parola, ma soprattutto alle parole di Harry, che avrei voluto tanto sentire. Sapevo quanto Niall volesse dirgli la verità, ma stava cercando di trattenersi, anche se non sapevo ancora per quanto ci sarebbe riuscito.

«Ora sta zitto e mi ascolti - lo minacciò dopo averlo fatto parlare per qualche minuto - Ora tu prendi un cazzo di aereo e te ne torni a casa, perché lei ha bisogno di te, ora più che mai - fece una pausa - no non hai capito, non hai scelta. Lei sta male, e quello che hai visto non è come sembra, ma non le hai dato nemmeno il tempo di spiegarsi. Lei non ha mai avuto il minimo dubbio sul vostro amore, non è stato per quello che è andata via, e dovresti saperlo benissimo. Ha sbagliato, è vero. E' stata ingenua? Anche, ma non ha mai avuto intenzione di lasciarti, su questo non ho alcun dubbio».

«Bea?» la voce di Elis mi fece sobbalzare, cogliendomi in flagrante. 

Mi voltai nella direzione da cui proveniva la voce e la trovai a fissarmi con un sorrisetto furbo, uno dei soliti, e capii che aveva perfettamente capito quello che stavo facendo, pigliare spudoratamente.

«Scusami» dissi, sentendomi improvvisamente in colpa.

«Perché ti scusi? Se mi avessi chiamato mi sarei messa ad origliare anche io» rise.

«Perché mi cercavi?» chiesi tra le risate.

«C'è qualcuno che è venuto a vedere come stai» e da modo in cui cambiò la sua espressione capii all'istante di chi si stesse trattando.

La seguii senza dire una parola in salotto, dove trovai proprio chi mi aspettavo. Se ne stava seduto sul grande divano a fissare un punto indefinito davanti a lui e, da quello che potevo vedere, era sciupato in volto, aveva il viso stanco, come se non dormisse da un po'. Avevo anche io quell'espressione in volto? Non lo sapevo, perché nonostante la quantità enorme di specchi in quella casa, li avevo accuratamente evitati tutti.

«Ciao» dissi facendo sentire la mia presenza.

Lui si voltò subito verso di me e potei constatare che avevo ragione, sembrava stanco e preoccupato, e sapevo chi era la causa di tutto questo: io. Soffrivo a vederlo in quello stato, soffrivo nel veder soffrire tutte le persone che mi stavano accanto e, in realtà, mi chiedevo come mai ci fossero ancora persone che riuscivano a sopportarmi nonostante tutto. Mi resi conto che in realtà il soprannome che mi aveva affibbiato Zayn mi si addiceva, ero un vero e propri disastro, rendevo la vita delle persone che mi stavano attorno complicata e triste, eppure restavano sempre accanto a me, lo apprezzavo, ma non ne capivo proprio il motivo.

Dal giorno in cui era venuto in quella casa per farmi parlare, per farmi risvegliare dal mio incubo, non l'avevo più visto, ma sapevo che parlava ogni giorno con Elis, perché spesso, quando squillava il cellulare, la vedevo allontanarsi e bisbigliare, non avevamo segreti, perciò sapevo che era lui.

Zayn continuava ogni giorno a preoccuparsi di me, mi dispiaceva, perché questo gli rendeva sicuramente ancora più difficile staccarsi da me, dall'idea di me e lui insieme, ma allo stesso tempo lo apprezzavo, perché il suo sentimento, per quanto mi facesse male ammetterlo, era vero, avrebbe fatto di tutto per vedermi felice.

«Ciao - disse quasi in imbarazzo - Come stai?».

«Meglio» sorrisi, mentre lui non la smetteva di martoriarsi le mani.

Il silenzio calò nella stanza, nessuno dei due sapeva cosa dire, perché quel giorno mi ero appoggiata su di lui, ma non ero realmente me stessa, ma in quel momento, con la mente lucida e i ricordi di quello che era successo al locale, non sapevamo cosa dirci e non volevamo affrontare quell'argomento, almeno io non lo volevo.

«Tu come stai?» chiesi poi.

«Avevo pensato di andarmene per un po', farmi uno di quei viaggi senza meta» continuava a non guardarmi, forse faceva troppo male per lui, e non potei non ammettere a me stessa che quella notizia mi aveva spiazzato.

Ero contenta avesse preso quella decisione, si meritava tutta la serenità del mondo e se per dimenticarsi di quello che era successo doveva fare quel viaggio, io ero felice per lui, nonostante saperlo lontano mi facesse egoisticamente male.

«E' una buona idea, Zay» mi avvicinai a lui fino a sedermici accanto, cercando di intercettare il suo sguardo.

«In qualche modo devo andare avanti, no?» sorrise amaramente.

«Si va sempre avanti, magari non sembra, pensi di restare ancorato alle cose, ma il tempo passa, le cose attorno a te cambiano sempre» fui io questa volta a voltare lo sguardo nel caso si fosse voltato verso di me, ma non lo fece.

«E se non si volesse andare avanti, ma indietro?».

«Per fortuna è una cosa che non si può controllare».

«Per fortuna?» e fu in quel momento che si voltò, ed i nostri occhi si incontrarono, forse per l'ultima volta.

«Si, perché magari andando indietro cambieresti cose della tua vita che ti rendono quello che sei oggi, e non ti vorrei mai in altro modo se non per quello che sei» non smisi di guardarlo, perché lo pensavo realmente, anche se non era l'uomo della mia vita, io non avrei cambiato niente in lui, perché lui era perfetto così com'era.

«Quello che sono non sarà mai abbastanza per te».

«Si che lo è. Sei abbastanza per me, sei meglio di qualunque cosa io possa meritare. Nella vita ci si appartiene, ci si completa, devi solo trovare il pezzo che combacia, io non sono il tuo. Spero tu riesca a trovarlo».

«Lo spero anche io - si alzò di scatto, forse per lui era tropo difficile parlare con me, per questo lo imitai, trovandomi faccia a faccia con lui - Ciao, piccola Troublemaker» si voltò verso di me e lasciò un timido bacio sulla mia guancia, andando a grandi falcate verso la porta d'ingresso, riuscendo da quella casa senza voltarsi indietro.

«A presto, Zay» sussurrai, anche se non l'avrebbe mai sentito.

>>>>> 

Zayn se n'era andato ed io ero ancora nello stesso punto, e stranamente la mia mente era vuota, non riuscivo a pensare, forse perché avevo troppe cose a cui dovevo pensare.

«Hei» sentii una voce dietro di me. 

Mi girai trovando le due persone che in quel momento si stavano facendo in quattro per me, e non avrei saputo come ringraziarle mai abbastanza.

«Ciao ragazzi» sorrisi loro, era il minimo che potessi fare.

«Ho preso l'appuntamento dal dottore. Domani sera».

«Perfetto».

Avrei tanto voluto che Harry fosse presente, avrei voluto condividere tutti i momenti di quella gravidanza miracolata con lui, ma non sarebbe stato così e me ne stavo facendo una ragione, lo stavo metabolizzando. Harry non ci sarebbe stato l'indomani, forse non ci sarebbe stato più, e dovevo accettarlo, per me e per il bambino che portavo in grembo.

Vidi i miei due angeli custodi voltarsi, come per andarsene.

«Niall - dissi avvicinandomi a lui - hai fatto tutto quello che potevi per me e Harry. Hai lotto per il nostro amore forse più di quanto abbiamo fatto noi. Grazie, di tutto, sei un buon amico, sia per me che per lui» e lo abbracciai, aggrappandomi a lui come fosse la mia ancora, perché in fondo fino a quando avrei avuto loro, non sarei mai stata sola..

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

La settimana prossima pubblicherò l'ultimo capitolo e poi l'epilogo.

Anche se magari molti non leggeranno questo capitolo oggi, penso che questo sia il miglio modo per chiudere il MIO anno. Domani sarà esattamente un anno dalla pubblicazione del capitolo di questa storia, domani sarà il primo dell'anno. 

Ma domani perché ha un significato enormemente più grande, nel domani di qualche anno fa è nata una delle persone più importanti della mia vita, e quale miglior modo di festeggiarla, se non quello di dedicare un capitolo ad una persona che è nata per scrivere? Ti amo. 

Lascio a voi i commenti a questo capitolo.

Ma voglio augurare a tutti un anno pieno di serenità, perché puoi avere soldi, e tutto quello che di materiale ed effimero voglia, ma se non sarai sereno non potrai goderti i doni che ti vengono fatti, quindi SIATE SERENI.

Vi voglio bene dal profondo del mio cuore.

All The Love, 

BARB <3

 

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Capitolo 64
*** Cuori che battono ***


Non si dimenticano le persone che ti hanno scosso il cuore

-Federica Manelli

>>>>>

POV HARRY

Sembrava ieri il giorno in cui avevo preso quel aereo, ma allo stesso tempo sembrava un'eternità dall'ultima volta che avevo visto Beatrice.

Ero incazzato con lei, davvero tanto, mi sentivo illuso e preso in giro, perché avere ragione non è sempre una bella cosa, e in quel caso specifico avrei voluto non averne. Non avrei voluto avere ragione su Zayn e su quello che provava per lei, non avrei voluto aver ragione nel pensare che il loro rapporto non avrebbe giovato al rapporto tra me e Bea, non avrei voluto aver ragione nel pensare che l'amore di Bea non era poi così forte come faceva credere. Era di quello che si trattava, il suo amore non era così forte come credevo se aveva ceduto ad un altro, e non era paragonabile alla mia precedente storia, anche se stavo per sposarmi, io l'avevo fatto perché credevo di averla persa per sempre, invece lei mi aveva lì, poteva stare con me e invece aveva deciso di rovinare tutto un'altra volta.

Sapevo di non essermi comportato al meglio, sapevo che partire senza dire niente a nessuno non era stata la decisione migliore del secolo, ma l'avevo fatto per me, avevo scelto di rincorrere il mio sogno, anche a discapito dell'amore, non volevo rinunciare al mio futuro, e in fondo avevo fatto bene a non rinunciare tutto per lei, che si era rivelato un amore fragile.

L'aveva baciato, se n'era andata da casa ed era andata da lui per farsi consolare invece di affrontarmi, ognuno aveva fatto la sua scelta, e io ero contento della mia, perché avrei rimpianto di non aver preso questa scelta qualora avessi scelto lei e poi lei avrebbe scelto Zayn.

Amavo quello che stavo facendo, avevo iniziato lo stage da qualche giorno e ne ero davvero felice, avevo dei colleghi fantastici che mi invitavano alle loro cene, ero riuscito ad ambientarmi in fretta, ma c'era qualcosa che stonava in tutto questo, mi sentivo come se qualcosa mancasse e, anche se non volevo ammetterlo, lei mancava nonostante tutto.

Era stato il mio grande amore, come fai a scordare un amore così grande da scoppiarti dentro, come fai a dimenticare una persona che ha riempito la tua vita per anni, anche nell'assenza. Anche quando lei non era con me, lei riusciva a riempire le mie giornate. Come fai a cancellare un amore così?

«Harry? - mi distrasse una voce, che poi capii appartenere a Celine, una mia collega - guarda che ti squilla il cellulare da un bel po'».

«Scusa, ho dimenticato di mettere il silenzioso» dissi per giustificarmi mentre vedevo a chi appartenesse il numero.

«Pronto?» risposi dopo essermi accertato del mittente.

«Cazzo! Finalmente rispondi!» urlò Niall dall'altro capo del telefono.

«Scusa, sono stato impegnato» inventai la prima scusa che mi venne in mente.

«Merdate! Ora vedi di riportare il tuo culo a casa» non avevo mai sentito quelle parole uscire dalla bocca del mio amico, l'avevo visto arrabbiato, ma mai fino a questo punto, e non riuscivo a capirne il motivo.

«Sai che non posso. Cercherò di tornare per le vacanze di Natale, Nì, ma non ti assicuro niente».

«Mi stai prendendo in giro, vero?» sentii la sua voce salire di un'ottava e capii si stava agitando.

«Che vuoi dirmi. Parla chiaro, ma se devi dirmi di tornare per lei te lo puoi scordare» chiarii subito.

«Cazzo, amico. Ragiona - il suo tono era un misto tra il supplichevole e il nervoso - devi tornare immediatamente!».

«No! Ho preso questo impegno e lo manterrò. E' il mio sogno, e sinceramente non vedo un motivo per tornare, stai sprecando fiato. Non dirmi che ti manco così tanto" conclusi cercando di stemperare la situazione.

«Non m'interessa del tuo nuovo stage del cazzo. Hai lottato così tanto per lei e ora che fai? Scappi? Come ha fatto lei anni fa? L'hai criticata per quello e ora fai la stessa cosa? Te ne sei andato via dopo che l'hai convinta a trasferirsi, Harry. Ti sembra una cosa sensata?».

«Si, mi sembra una cosa sensata, e lo penseresti anche tu se sapessi cosa è successo. Dovrò stare qui per altri dieci mesi, se al mio ritorno lei ci sarà chiariremo la cosa, altrimenti me ne farò una ragione!» iniziai ad alterarmi anche io.

«No! Dieci mesi sono troppi, e poi te ne sei anche andato senza dire niente, senza dare la minima spiegazione nemmeno a me, al tuo migliore amico! Beh, se non vuoi tornare per lei, allora fallo per me» risi di gusto a quella affermazione, ma non era proprio una risata di gioia, ero nervoso, perché mi sarei aspettato altre parole da lui, non di sicuro essere attaccato in quel modo.

«Niall, per quanto io ti voglia bene, non sprecherei questa occasione per te. Non voglio parlare di lei, perché in questo momento potrei dire qualcosa di cui potrei pentirmi. Se non rispondo alle sue innumerevoli chiamate ci sarà un motivo» sbuffai.

«Ora sta zitto e mi ascolti -mi minacciò - Ora tu prendi un cazzo di aereo e te ne torni a casa, perché lei ha bisogno di te, ora più che mai»

«Davvero? Mi sa che hai sbagliato persona, perché da quello che ho visto, quello di cui ha bisogno è il suo caro amico Zayn. Quindi, se permetti, resterò qui, invece di dover vedere altre scene come quella» il sangue iniziava a ribollirmi nelle vene, perché quella scena era ancora vivida nella mia mente, nei miei ricordi e nei miei incubi.

«No, non hai capito, non hai scelta. Lei sta male, e quello che hai visto non è come sembra, ma non le hai dato nemmeno il tempo di spiegarsi. Lei non ha mai avuto il minimo dubbio sul vostro amore, non è stato per quello che è andata via, e dovresti saperlo benissimo. Ha sbagliato, è vero. E' stata ingenua? Anche, ma non ha mai avuto intenzione di lasciarti, su questo non ho alcun dubbio».

«Sei diventato l'avvocato delle cause perse, per caso? Ho visto con i miei occhi quello che è successo. La amo, la amerò per sempre, ma quello che ha fatto è una cosa orribile. Mi ha tradito, mi ha mentito dicendo che erano solo amici. Capisci da quanto tempo potrebbero stare assieme alle mie spalle?».

«Ok, amico. Ora mi hai fatto davvero incazzare, perché ti sei fatto film che non esistono. Niente di tutto quello che dici è vero, e lo sapresti se solo le avessi dato il tempo di parlare. E' venuta anche in aeroporto, ma era troppo tardi, ha corso, ha sofferto e non potrebbe nemmeno farlo dovrebbe stare serena e tranquilla e...» si bloccò all'istante, come se avesse detto qualcosa di sbagliato.

«Posso non capire perché la stai proteggendo in questo modo? C'è qualcosa che devi dirmi? Te la scopi anche tu per caso?» strinsi i pugni per non prendere a pugni il muro accanto a me.

«Da quando sei diventato così stronzo? Non dovrei nemmeno dirtelo, ma lo farò, così capirai il gran coglione che sei. Ti ricordi per caso che, la sera in cui hai avuto la brillante idea di partire, anche Bea doveva dirti qualcosa?».

«Forse voleva dirmi del suo amante, presumo».

«Stai zitto! - poi continuò - non era esattamente questo che doveva dirti, doveva dirti che era incinta, di tuo figlio, ma poi tu le hai dato la tua bella notizia, e aveva bisogno di metabolizzare e, invece di scappare come la prima volta, si è presa il suo tempo, ma questa volta sei stato tu a scappare».

La mia mente si era fermata a quella parola: incinta.

Quella semplice parola era bastata per spazzare via tutto ciò che mi stava attorno, non c'erano più i miei colleghi, i tavoli, le sedie e i muri, c'eravamo solo io e quella semplice parola che riusciva a racchiudere il mondo intero, quella parola che era riuscita a spazzare tutti i litigi, tutti i problemi e tutte le mie convinzioni. Ero ancora incazzato con lei, ma in quel moneto ero più incazzato con me stesso, perché era servito Niall per farmi vedere cose che non riuscivo a vedere, per togliermi le mie convinzioni costruite sul niente, era servita sulla notizia a farmi rinsavire, a farmi capire cosa avrei dovuto scegliere, chi avrei dovuto scegliere.

Non volevo davvero quel lavoro, non a costo di perdere lei, l'amore della mia vita e, anche se quel lavoro era sempre stato il mio sogno, a volte i sogni cambiano, mutano, a volte i sogni della vita vengono sostituiti da sogni più grandi. Avevo avuto la possibilità di realizzare quel sogno inconsapevole e, una volta che l'avevo avuto tra le mani, l'avevo lasciato andare.

«Senti, devo andare a lavoro ora» e chiusi la chiamata, nonostante Niall stesse ancora parlando.

>>>>>

POV BEA

Mi trovavo nella stessa stanza di tre anni prima, nella stessa situazione: incinta e senza il padre del bambino accanto a me e, chissà perché, la colpa alla fine era sempre mia. Elis era anche quella volta accanto a me, e avrei tanto avuto bisogno anche di zia Mara, ma lei questa volta non c'era, e se ci fosse stata avrei sicuramente pensato di essere finita dentro uno di quegl'incubi che accompagnavano molte delle mie notti, che mi vedevano sempre in quella stanza. Era venuto anche Niall, che aspettava ovviamente in sala d'attesa e che, dopo l'abbraccio della sera precedente, era sempre più vicino a me, quasi come a sostituire Harry, come se volesse colmare la sua assenza.

Il dottor Anderson, non appena mi aveva visto, oltre a dirmi nuovamente di chiamarlo Rick, mi aveva abbracciato calorosamente. Mi aveva consegnato il camice, che avevo indossato, e mi ero seduta nel lettino, con il cuore che batteva all'impazzata e pregavo che il mio bambino stesse bene, che tutto lo stress a cui ero stata sottoposta non aveva influito sulla sua salute.

Ero pronta per la prima ecografia. Stentavo davvero a crederci in quel momento, perché non avrei mai pensato di potermi ritrovare di nuovo in quell'occasione, eppure era così e dovevo abituarmi all'idea.

Se avessi detto a Harry del bambino, magari in quel momento lui sarebbe stato accanto a me, a tenermi la mano e a piangere con me non appena avremmo sentito il battito, ma non era così e dovevo fare i conti con le mie decisioni.

«Sei pronta, Bea?» i miei pensieri vennero interrotti dall'ingresso del dottore nella stanza.

«Si, Rick» sorrisi emozionata, mentre Elis prese una delle mie mani tra le sue.

«Bene, vediamo come sta questo piccolo fagiolino».

Feci respiri profondi mentre osservavo Rick preparare tutto l'occorrente, e sobbalzai al contatto con il gel freddo che veniva accuratamente versato sul mio ventre.

«Vado» mi disse poi con voce paterna, perché conosceva il mio passato e sapevo mi vedesse come una bambina da proteggere, e lo ammiravo per il suo tatto e la sua dolcezza.

Ad un tratto, però, quando Rick stava per poggiare la sonda dell'ecografo sulla mia pancia, non potei non sentire il trambusto provenire dall'esterno, che mi distrasse da uno dei momenti più importanti della mia vita. Non avrei dovuto farci caso, eppure lo feci, non sapendo il motivo preciso ero attratta da quei rumori, sempre più intensi man mano che passavano i secondi. 

Poi sentii una voce tra il trambusto, una voce maschile.

«Non m'interessa se sta visitando, io devo entrare».

Quella voce.

Sentii una voce disperata e preoccupata, pieni di un fiume di emozioni inimmaginabili, che mi colpì dritta al cuore. Man mano che il tempo passava mi sembrava sempre più di star vivendo qualcosa di irreale, surreale, perché sentire quella voce, che sembrava così familiare quanto lontana, mi sembrava qualcosa di inspiegabile.

«Signore! - urlò una donna - non può entrare».

Era sicuramente la segretaria che parlava a voce alta, proprio dietro la porta della mia stanza, e il mio cuore accelerò quando, anche il dottore che aveva già iniziato la sua visita senza che me ne rendessi davvero conto, si girò verso quella.

«Mi dispiace, ma non sarà lei a fermarmi!».

E sentii tutti i suoni più belli dell'universo incontrarsi, mischiarsi e fondersi fino ad amalgamarsi, diventando una cosa sola. Il suono più bello che una donna possa sentire è il battito del proprio bambino provenire dal suo corpo, non c'è melodia che lo possa eguagliare, sinfonia che riesca ad avvicinarsi, niente è più bello di sentire la vita nascere dentro di te, ti fa sentire viva e utile, ti fa sentire nata per un motivo ben preciso, sentendo quel cuore che batte sai che la tua vita non è stata vana, che è stata utile a qualcosa, qualcosa più grade di te.

Ma non sapevo potesse esistere suono migliore di quello, non lo credevo possibile, e invece ne esisteva uno, perché in quella stanza non sentii solo il cuore del mio bambino, ma sentii altri due cuori battere con esso, il mio, che batteva all'impazzata e quello di suo padre, tre cuori che erano nati per essere uniti da qualcosa, e quel qualcosa era l'eternità.

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Buona befana a tutti!!!
Le feste sono finite e, per rallegrarvi un po', ecco a voi l'ultimo capitolo di questa storia! 
Lascerò i ringraziamenti all'epilogo che arriverà prestissimo, promesso. 
Ma comunque non posso non ringraziare ogni singola persona che ha partecipato alla stesura e alla lettura di questa storia. Ringrazio ogni singola persona che ha letto anche solo un capitolo, a chi ha aspettato con pazienza ogni settimana per leggere un nuovo capitolo, e chi con i suoi commenti ha migliorato notevolmente questo mio strano ed intenso anno. 

Non vi lascio domande, voglio solo sapere cosa ne pensate del finale e cosa vi ha realmente lasciato questa storia,

All the love, 

BARB <3

 

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Capitolo 65
*** EPILOGO ***


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Un libro non si ama per il numero delle sue pagine, ma dall'intensità di ognuna di esse.

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" Central Park, 31 Dicembre 2016.

«Ci siamo rincorsi per anni, ci siamo trovati e amati senza restrizioni. Ci siamo persi, senza mai dimenticarci, e poi ci siamo ritrovati e rincorsi di nuovo, senza rendercene nemmeno conto. Abbiamo tentato invano di ignorarci, di non stare insieme, ma è stato tutto inutile. Perché noi siamo destinati ad esistere, a coesistere, e non può esserci una vita se non stiamo insieme, perché le nostre anime, quando ci siamo incontrati, si sono unite, fino a fondersi. Io non esisto senza di te, senza il tuo amore»

Beatrice aveva seguito tutte le indicazioni di quel bigliettino che aveva trovato quella mattina accanto a lei, nel letto dove aveva riposato. Era andata a Central Park, davanti al laghetto che ricordava alla perfezione, quello stesso laghetto dove aveva passato con Harry momenti indimenticabili. E Harry era proprio lì ad attenderla, e le stava parlando, senza esitazione alcuna, la guardava negli occhi e lei, che amava perdersi nei suoi magnetici occhi verdi, quel giorno non lo fece, perché le parole che stava dicendo sentiva fossero più importanti di qualsiasi altra cosa.

«Per tutti questi motivi - continuò Harry dopo aver fatto una pausa, nella quale aveva chiuso le mani di lei nelle sue - Beatrice Grimaldi, vuoi passare tutto il resto della tua vita con me?».

«Ci devo pensare» rispose lei sorridendo, perché la sua risposta non aveva bisogno di parole, la risposta era scritta nei suoi occhi fissi dentro quelli di Harry.

«Ti prometto che ogni giorno della nostra vita verremo qui - continuò lui sorridendo di rimando - In questo preciso posto, anche alla stessa ora se necessario, e ogni giorno ci metteremo uno davanti all'altro, promettendoci che il nostro amore non passerà mai. Non basteranno i litigi, il tempo che passa e lo spazio tra di noi a farti uscire dal mio cuore, perché tu sei il mio cuore stesso, Bea. Per questo, ti ripeto, vuoi diventare mia moglie?».

«Si» rispose Bea con le lacrime agli occhi, suggellando il loro patto amore con uno dei loro baci, quelli che riescono a togliere il fiato, mentre Harry accarezzava le due cose più importanti della sua vita, la sua futura moglie e il frutto essenziale del loro amore.

Pochi mesi dopo nacque una bellissima bambina di nome Ginevra. Aveva gli stessi colori del padre, anche i suoi erano di quel verde marino in cui Bea amava perdersi. I lineamenti fini ed eleganti, però, li aveva ereditati tutti dalla mamma, quel nasino piccolo e quella rosea bocca carnosa su cui Harry amava poggiare le sue labbra.

Gin, così si faceva chiamare, crebbe in una famiglia felice, dove l'amore, nonostante i momenti di tristezza e sconforto, non era mai passato. L'amore di Bea e Harry non era mai finito, ma era cambiato, era cresciuto e maturato. Non pensavano più al passato, erano concentrati sul presente e focalizzati sul futuro, progettavano una vita insieme, fino alla fine.

Loro erano la prova che l'amore, quello vero, esiste. Esiste davvero quell'amore che nonostante tu provi a scacciarlo, resta inciso nel tuo cuore. L'amore vero non è quello tutto rose e fiori, quello in cui va sempre 'Tutto bene', il vero amore è quel tipo di amore che viene continuamente messo alla prova, come se ogni volta dovesse essere riconfermato dal destino, per sempre, esattamente come era successo a loro. La loro vita insieme non era perfetta, non mancano futili litigi, e nemmeno le grandi e dolorose discussioni, ma c'era sempre un bacio o una parola che li rendeva inseparabili, che li rendeva infiniti.

Si, perché il loro amore più che vero era infinito e, ogni giorno, rinnovavano la promessa che si erano fatti trent'anni prima. 

Ancora oggi, Bea e Harry si scambiavano e loro promesse, ogni giorno, nello stesso posto in cui avevano deciso di condividere il resto della loro vita insieme.

Fine."

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Ginevra alzò gli occhi dal libro che ormai conosceva a memoria.

Fin da quando era piccola, sua mamma, proprio come faceva ora con sua figlia Aria, le raccontava ogni sera quella storia. Teneva in mano la stessa copia da cui sua mamma gliela leggeva, e ormai apparteneva a lei; le pagine ormai ingiallite dall'età, l'odore della carta sempre impressa in ognuna della pagina, la facevano sentire a casa, al sicuro.

Avrebbe potuto recitare a memoria ogni capitolo, ognuna delle pagine, ed ogni singola parola, ma raccontarlo avrebbe fatto perdere quel senso di vissuto, che invece era l'aspetto che Ginevra adorava di più.

Si accorse, solo quando la parola 'Fine' riempiva l'ultima pagina, che sua figlia si era addormentata.

Non avrebbe mai immaginato di poter amare così tanto, così intensamente, di essere capace di amare qualcuno in modo così assoluto, eppure si ritrovava lì, a guardare quel piccolo angelo dormire beato. Ogni sera restava a guardarla per qualche minuto, assaporando ogni suo respiro, e beandosi dei sorrisi inconsapevoli donati da sogni che avrebbe tanto voluto scoprire.

Chissà cosa avrebbe mai potuto sognare una bambina di quattro anni, cosa riempiva il suo cuore, cosa potesse desiderare.

La studiava ogni sera, accorgendosi dei piccoli cambiamenti che faceva giorno dopo giorno, i capelli pieni di metodi boccoli, pian piano sempre più lunghi, la bocca carnosa leggermente aperta, le sue lunghe ciglia castane. E ogni sera si chiedeva come avesse mai potuto creare un essere così meravigliosamente perfetto, più perfetto di una bambola di porcellana.

Quando fu certa che Aria si fosse definitivamente addormentata, Ginevra si alzò dalla sua sedia a dondolo, cercando di fare meno rumore possibile, accese la piccola lucetta da notte a forma di cuore e, dopo aver spento l'abat-jour,  chiuse la porta della camerata dietro di lei. Scese le scale, senza riuscire a smettere di pensare a sua figlia, e all'amore che provava per lei.

Quando aveva scoperto il sentimento che provava per Christian, pensava di non essere capace di amare qualcuno più di lui. L'amore che provava per quel ragazzo la riempiva, la investiva totalmente ed incondizionatamente, ma quando aveva stretto per la prima volta Aria tra le sue braccia, stanche dal parto estenuante, si era resa conto di avere tra le braccia quell'amore che ti completa, quell'amore con cui sei certo convivrai per il resto della tua vita, quell'amore infinito, perché sua figlia aveva rubato una parte del suo cuore, che avrebbe vissuto sempre con quella piccola creatura.

Aria si era rubata la parte più bella e pura del suo cuore, la parte migliore di lei, quella parte incontaminata che vedeva ogni volta che i suoi occhi color cielo entravano in contatto con i suoi.

Il vocio allegro, proveniente dalla piccola veranda sul retro di casa sua, la distrasse dai suoi pensieri, e le comparve un flebile sorriso in volto. Amava la sua famiglia, e amava quelle serate d'estate, tutti insieme in cerchio, a parlare di banalità, che riempivano però il suo cuore di gioia. Era stata una bambina fortunata, sempre accerchiata dall'amore, e sperava in cuor suo che sua figlia avrebbe vissuto come lei stessa aveva fatto, ma sapeva anche che il futuro era inaspettato, e non poteva prendere cosa sarebbe potuto accadere domani.

Era certa che l'amore tra lei e Christian era forte, solido e vero, proprio come quello che leggeva ogni sera a sua figlia, quello di Bea e Harry, ed era certa che scalfire quel tipo d'amore, dopo aver superato così tante avversità, era estremamente difficile.

Si fermò in cucina, a sistemare gli ultimi piatti sporchi, così da potersi godere poi a pieno la sua famiglia.

«Il piccolo angelo si è addormentato?».

Christian aveva fatto il suo ingresso in cucina, sentendo il rumore proveniente dalla cucina, e non aveva resistito all'idea di rivedere sua moglie, perché nonostante anni insieme, ogni volta che i suoi occhi si posavano su di lei, anche dopo pochi minuti, era come innamorarsi per la prima volta di lei, di un amore sempre più forte e intenso, ogni volta più della precedente.

«Si, e non mi sono nemmeno resa conto quanto tempo abbia impiegato a farlo» e Christian sorrise al pensiero di sua figlia, coperta da quelle adorabili lenzuola rosa.

«Immaginavo fossi rimasta a leggere».

«Beccata!» rispose Ginevra sorridendo.

«Quando scriverai tu la nostra storia ed inizierai a raccontare quella a nostra figlia?».

«Chi ti dice che io non lo stia già facendo?».

La loro storia d'amore era stata complicata. Di solito l'amore è semplice, sono le persone a renderlo difficile, nel loro caso però era stato diverso, era stato l'amore stesso ad essere avverso e difficile. Perché purtroppo anche l'amore era fatto da convenzioni, da leggi non scritte, ma loro erano andati contro queste, contro tutto e tutti per stare insieme, e avrebbero superato anche l'impossibile per avere la possibilità di vivere la loro vita insieme.

Se per Bea e Harry era stato difficile superare tutti gli ostacoli che il destino aveva posto di fronte a loro, nel caso di Ginevra e Christian era stata una lotta contro il destino.

Avevano provato con tutte le loro forze di contrastare il loro sentimento, a lottare contro il loro stesso amore, e il destino aveva messo davanti al loro cammino le persone giuste, ma chissà per quale motivo, nella loro famiglia si sceglieva sempre l'amore sbagliato, e lo si sceglieva ogni giorno per il resto della vita.

Erano cresciuti sapendo che il giusto non è universale, si erano innamorati nel modo sbagliato, ma forse proprio perché erano due sbagli, erano giusti insieme.

E dal loro amore sbagliato era nato l'essere più giusto del mondo, la loro piccola Aria.

«Andiamo dagli altri?» chiese Christian, con il petto poggiato sulla schiena di Ginevra, mentre godeva del suo inebriante odore, tanto da non poter fare a meno di baciare una delle sue spalle nude, assaporando il dolce sapore della sua pelle.

«Si, ho finito» rispose Ginevra dopo qualche secondo troppo distratta dal contatto delle labbra di suo marito sulla sua pelle.

Sospirando all'unisono si staccarono l'uno dall'altra, non potendo fare a meno di sorridere e catturarsi a vicenda gli sguardi. Christian si era innamorato degli occhi verde marino di Ginevra fin dalla prima volta che aveva avuto la facoltà di formulare un pensiero coerente, Ginevra invece aveva rifiutato quel sentimento fino a quando l'assenza di Christian era talmente insopportabile che avrebbe preferito essere lapidata piuttosto che stare lontana da quegli stessi occhi color cielo che ora appartenevano anche a sua figlia.

Si presero per mano, quelle mani che erano fatte apposta per incastrarsi alla perfezione, quelle stesse mani che quando si univano completavano un segno indelebile che avevano deciso di imprimere per sempre sulla loro pelle, ormai molti anni prima.

Uscirono fuori e trovarono la loro famiglia, tutti e sei seduti in tre piccole poltrone a due posti, fatte apposta per loro.

Ginevra sorrise ai suoi genitori, stretti in uno dei loro abbracci speciali, uno di quelli di cui puoi sentire il calore sulla pelle, perché Bea e Harry non avevano smesso di amarsi nemmeno per un secondo in quei trent'anni, nemmeno quando il destino li aveva separati.

Christian guardò i suoi genitori, talmente belli che nemmeno il tempo avrebbe potuto scalfirli, perché Elis e Niall avevano vissuto l'amore più puro che lui avesse mai conosciuto, senza tentennamenti o ripensamenti, senza permettere a niente e nessuno di mettersi in mezzo al loro amore.

Poi Gin e Chris si girarono verso la terza coppia quella che era entrata nella loro famiglia in punta di piedi, senza alcun vincolo di sangue, quella che il destino aveva scelto di inserire in quella famiglia grande famiglia di giusti sbagli.

Sarah e Liam erano le anime che completavano la loro famiglia, erano il collante di quella anticonvezionale combriccola.

Si sedettero nella quarta poltrona, completando il cerchio, unendo finalmente quel cerchio imperfetto ed infinito. Perché si, un cerchio potrebbe sembrare una figura geometrica finita e delimitata, ma quando congiungi la punta della matita al tuo punto iniziale puoi scegliere se fermarti, o continuare a percorrerlo, all'infinito, proprio come l'amore di quelle quattro coppie che senza dubbio avevano continuato a tracciare quel cerchio, e lo avrebbero fatto fino a che non avrebbero trovato la fine di un cerchio infinito.

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Iniziamo con i ringraziamenti!

Grazie a tutte voi, che ci siete state fin dall'inizio, e grazie a quelle che si sono aggiunte pian piano. Con i vostri commenti e i vostri scleri avete riempito questo mio anno, che non dimenticherò mai.

Grazie alla mia anima gemella, alla mia compagna di vita, alla persona che mi sopporta ogni giorno, giorno e notte, da quasi sette anni sempre accanto a me. Grazie per tutto quello che hai fatto per me e per questa storia, grazie di esserci stata nel mio momento buio, dal quale è nata questa storia, grazie di avermi aiutato ad uscire da questa storia e di avermi aiutato a renderla un vero e proprio libro. Grazie delle intere giornate a leggere i capitoli, a strutturare una trama con senso. Senza di te questo libro non sarebbe così. Grazie Stellina.

Un enorme grazie va anche alla persona che è entrata appena un anno fa nella mia vita e che mi ha convinto a pubblicare questa storia che senza di lei sarebbe rimasta nel mio pc per tutta la vita. Grazie, perché anche grazie a te è rinata la mia voglia di scrivere. Grazie Panda.

Un grazie particolare va alla persona per cui originariamente è stata scritta questa storia, grazie di essere stato quello che sei stato, grazie per avermi fatto soffrire così tanto, perché senza di te questa storia non sarebbe mai nata. Mi hai dato lo spunto perfetto per questa storia.

Un grazie immenso va alla persona che invece popola i miei sogni più belli, perché grazie a lui ho deciso di ricominciare a scrivere questa storia che avevo accantonato per due anni. Grazie Harry, perché hai reso il protagonista di questa storia l'uomo che vorrei nella mia vita, ben diverso da quello che avevo descritto in precedenza. Perché tutti meriteremmo un Harry, un ragazzo che lotta per noi, che sbaglia, ma sbaglia amando, che non si arrende. Un uomo che ama veramente dal profondo del cuore, non un uomo che ti riempie di parole che si porta via il vento.

E infine un grazie va alla cosa più importante: alla scrittura.

Grazie di esserci sempre nei miei momenti bui e nei momenti felici, grazie, perché sei un dono che non tutti possono dire di avere, grazie perché sei la compagnia della mia vita, grazie perché mi fai rialzare quando penso di non potercela fare. GRAZIE!

All the love,

Sempre vostra, BARB <3

 

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