Oltre le stelle - scene

di ellephedre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Una gita al mare ***
Capitolo 2: *** 2 - Una cena in famiglia ***
Capitolo 3: *** 3 - Scoprire il potere ***
Capitolo 4: *** 4 - Antichi litigi ***
Capitolo 5: *** 5 - Troppo studio ***
Capitolo 6: *** Temporale ***
Capitolo 7: *** Sciolti ***



Capitolo 1
*** 1 - Una gita al mare ***


Oltre le stelle - scene NdA del Febbraio 2010: primo capitolo revisionato. Sistemato lo stile, cambiati parti dei dialoghi (la gaffe di Ami soprattutto), aggiunto alcuni particolari.
Grazie ancora per aver letto.

Oltre le stelle - scene

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


Note:
- Temporalmente ambientata qualche giorno dopo la fine di "Oltre le stelle". È necessario aver letto il capitolo 4 di quella fanfic per capire questa fanfic.
- Grazie a ISA1983, romanticgirl, luisina e jaj984 per l'idea di questa scena. Le loro recensioni mi hanno fatto venire in mente di scriverla.

1 - Una gita al mare


La mattina, d'estate, si stava decisamente bene.
Mamoru inspirò a pieni polmoni e riprese a camminare.
All'appuntamento con Usagi e le altre ragazze mancava ancora un quarto d'ora, ma a lui piaceva arrivare in anticipo. Si sistemò meglio sulle spalle il grosso zaino che aveva preparato per i tre giorni che avrebbero trascorso al mare. Avrebbe preferito usare la propria macchina per il viaggio, ma non era abbastanza spaziosa per sei persone e due gatti, perciò il treno si era rivelata l'unica soluzione adatta a tutti.
Di certo non gli sarebbe spiaciuto andare in viaggio solo con Usagi, ma lei aveva insistito per andare tutti insieme, almeno per quella volta. In fondo, aveva sottolineato con un sorriso, era un luogo di villeggiatura bellissimo e che motivo c'era per non andarci tutti insieme?
Probabilmente le stesse ragazze avrebbero preferito stare per conto loro, ma, alla fine, Usagi aveva convinto sia loro che lui.
Comunque non aveva niente in contrario a passare del tempo con Ami, Rei, Makoto e Minako: erano una compagnia divertente e non le frequentava da un po'. Le aveva viste solo un paio di settimane prima, in occasione del saluto alle Starlights e alla loro principessa, tuttavia, per via della sua assenza nei tre mesi precedenti, non ci aveva realmente parlato da molto più tempo.
Alzò lo sguardo. Il punto d'incontro era stato fissato a poca distanza dal binario di partenza del loro treno. Proprio lì si trovava già Ami, accanto un trolley scuro, immersa nella lettura di un libro piccolo ma voluminoso.
Le arrivò accanto. «Ciao Ami-chan.»
Lei sobbalzò appena.
«Ah... ciao Mamoru.»
Perché si era spaventata? 
Non le era certo spuntato alle spalle. Hm, forse era stata solo una sua impressione. «Anche questa volta ci hai preceduti tutti. Non credo riuscirò mai ad arrivare ad un incontro prima di te. »
Gli venne rivolto un sorriso nervoso. «... sì.» I grandi occhi blu iniziarono a guardarsi attorno, a disagio.
C'era qualcosa che non andava? «Tutto bene?»
«S-sì. Ehm... pare che oggi sarà una bella giornata.»
«... già.» Parlava del tempo con Ami? Proprio con lei che ogni volta che lo vedeva si illuminava all'idea di poter discutere di argomenti complicati?
... magari si stava immaginando problemi inesistenti. «Hai poi pensato alla branca di medicina in cui ti piacerebbe specializzarti? L'ultima volta mi avevi detto di essere indecisa tra Cardiologia e Neurologia.»
«Ah, è vero!» Ami si lanciò in un'appassionata spiegazione sulle possibilità di ricerca offerte da Neurologia.
Finalmente era tornato tutto a posto.
«Ehi!» Makoto arrivò di corsa, salutandoli con la mano. Si era caricata sulle spalle un grosso zaino e nella mano sinistra portava di peso un contenitore termico.
Ami osservò proprio quello con aperta curiosità. «Ciao, cos'hai lì dentro?»
«Sandwich ripieni per tutti. Più tardi mi ringrazierete.»
Mamoru le sorrise. «Sicuramente, cucini sempre molto bene.»
Makoto parve notarlo per la prima volta solo dopo quel commento. Lo fissò per un attimo, in imbarazzo.
E perché mai?
«Ah... ciao Mamoru.»
«Ciao.»
«Grazie per il complimento.»
«... Di nulla.» Grazie per il complimento? Si conoscevano da anni o da due minuti?
«Che bella giornata, vero?»
Hm. «Sì.»
Ami si mise in mezzo a loro, alzando verso le loro facce il libro che aveva avuto in mano. «Guardate, ho con me una cartina con il nostro itinerario.»
«Eccomi!» Rei apparve da dietro l'angolo, trascinandosi dietro una voluminosa valigia rossa.
«Ciao Rei!»
«Ciao Rei.»
«Ciao Rei.» Alzò anche lui la mano, in segno di saluto.
Quando gli occhi di Rei lo scorsero, il volto le si deformò in una smorfia, le guance all'improvviso imporporate.
Ma che-?
Rei si riprese subito. «Ciao a tutti! Minako e Usagi non sono ancora arrivate?»
«No, non ancora.» Makoto appoggiò a terra il contenitore.
«Le solite ritardatarie.»
«Beh, siamo noi ad essere in anticipo.» Ami guardò il proprio orologio.
Rei fece spallucce.
Mamoru cercò di attirare la sua attenzione. «Tuo nonno sta bene?»
Di nuovo quella strana espressione, anche se era più rivolta alla colonna di cemento accanto a loro che a lui. «Sìsì... dicono che oggi farà bel tempo, no?»
Hmm. «... così pare.»
Makoto tirò Rei per una manica. «Guarda, Ami ha una cartina da farci vedere.»
Mentre le ragazze guardavano la mappa, Mamoru si trovò a rimuginare: qualcosa non gli quadrava.
«Ragazze!» Minako arrivò di corsa, per quel che poteva con uno zaino e un trolley appresso. Artemis era dietro di lei.
Si ripeté il giro di saluti e fu Mamoru a chiuderlo. «Ciao Minako.»
«Oh...»
E adesso cos'era quel sorriso? si chiese.
«Ciao Mamoru!»
Perché tanto entusiasmo?
«Tutto bene?» continuò lei.
«... sì.»
«Senti, è da un po' di giorni che voglio chiederti una cosa. Non è che per caso hai qualche amico da presentarmi?»
Eh?
«Per uscirci insieme, si intende.»
Un amico da... presentarle? «Conosco qualcuno, ma non penso che sia il tipo di ragazzo che cerchi.»
Lei gli mostrò un sorriso a trentadue denti. «Le apparenze spesso ingannano.»
Rei la strattonò di lato, rivolgendo a lui una risatina nervosa.
Qualcosa non gli quadrava proprio.
Percepì uno strofinio contro le gambe e abbassò lo sguardo. «Ehi, ciao.»
Artemis non poteva parlare in un luogo pubblico tanto affollato, ma almeno lui lo guardava con l'espressione amichevole di sempre.
Grato, Mamoru allargò le mani e Artemis gli saltò in braccio.
Poco dopo, arrivò in mezzo a loro Luna. Li salutò tutti anche lei solo con un cenno del capo.
«Ehi, sono arrivata anche io!» Usagi si avvicinò con un enorme zaino, un trolley e una gabbietta per gatti al seguito.
Come prima cosa gli si fece vicina, fino a stampargli un bacio sulla guancia. «Ciao!»
«Ciao» Con le altre a guardarli, Mamoru si sentì lievemente in imbarazzo. «Se mi avessi detto che avevi tutta questa roba, sarei venuto a prenderti in macchina.»
«Non ti preoccupare. Ciao anche a voi ragazze!»
«E così ora le amiche si salutano dopo.» Makoto ridacchiava.
«Sei in anticipo, si sta preparando un evento cosmico» la punzecchiò Rei.
Usagi le rispose con una linguaccia.
Mamoru alzò gli occhi al cielo. «Ci siamo tutti, possiamo salire sul treno.»
«Sì.» Usagi appoggiò a terra la gabbietta che aveva portato nella mano sinistra. Si abbassò per sollevare la porticina e fece un cenno con la testa a Luna. «Su, dentro.»
Luna la fulminò con lo sguardo.
«Credevi l'avessi portata solo per bellezza?»
Luna annuì vigorosamente e le girò attorno, indicando lo zaino rosa.
«Questa volta non ci stai. E poi l'ho portata apposta, l'altra volta ti sei lamentata di quanto eri stata scomoda. Guarda quanto è spazioso qui invece.»
Luna ingaggiò una battaglia di sguardi con Usagi: in quella scatola da gatti qualunque lei non ci sarebbe entrata!
Artemis gli scese dalle braccia e con un balzo spinse Luna dentro la gabbietta. In silenzio, prese a ridere a squarciagola.
«Oh, ma guarda quanto spazio c'è ancora!» esclamò Minako. Si piegò e con un'unica mossa spinse Artemis dentro la gabbietta, proprio mentre Luna era sul punto di uscire. Prontamente, Usagi applicò la chiusura.
Lei e Minako si scambiarono un sonoro cinque, prima di esclamare contemporaneamente «E ora andiamo!»
Mamoru si trattenne a stento dal ridere: entrò nel treno assieme a cinque ragazze e a due gatti fumanti di rabbia.

Si ricordò di chiedere delucidazioni ad Usagi solo quando stavano ormai sistemando le loro cose nella stanza d'albergo prenotata.
«È successo qualcosa alle ragazze?»
Lei trafficò con la chiusura del trolley, tentando di aprirlo. «In che senso?»
«Oggi mi hanno guardato tutte in modo... strano.»
Il trolley fu aperto con uno scatto improvviso. «Ah sì?»
Era una punta di ferocia quella che le sentiva nella voce? si domandò lui. «Ne sai qualcosa?»
«Ma no. Sarà il caldo.»
Il caldo? «Oggi si è discusso molto del tempo.»
«Eh?»
«Nulla.» Era ora di lasciar perdere. Non doveva essere niente di importante, in fondo le ragazze dopo avevano ripreso rapidamente a comportarsi in modo normale.

«Che sole!» Makoto allargò le braccia al cielo.
«Sì, è bellissimo!» Minako era ugualmente entusiasta; corse verso un punto quasi vuoto della spiaggia. «Qui!» Mollò le proprie cose e si diresse rapidamente verso l'acqua.
Usagi la imitò senza pensarci due volte.
Arrivando con più calma, Rei ed Ami appoggiarono le proprie borse sulla sabbia, accanto a quelle delle altre, pensando come prima cosa a sistemarsi.
Mamoru prese a piantare l'ombrellone in pezzi che si era portato dietro.
Makoto cominciò a fare lo stesso con uno suo, con una certa fatica. «Ehi, Minako, Usagi! Scansafatiche, venite qui ad aiutare!»
Erano tutte e due già sul bagnasciuga, totalmente assorte.
«Scommetto che se adesso grido che chi non lavora non mangia, tornano qui in un istante.» Makoto sospirò e scosse la testa.
A Mamoru scappò una risata. «Non ti preoccupare, ti aiuto io.»
«Ah, no no, ce la faccio da sola. È...» Affondò l'ombrellone nel buco che aveva fatto nella sabbia, sbuffando per lo sforzo. «... il principio però.» Si allontanò dal palo dritto e quello cadde subito di lato.
Fu Mamoru a raccoglierlo da terra. «Anche io sbagliavo così all'inizio: il buco deve essere più profondo. Ci vuole questo.» Tirò fuori la pala apposita che aveva comprato e iniziò a scavare nella sabbia.
Lei gli mostrò un breve sorriso. «Allora grazie e scusa per il fastidio. Inizio a tirare fuori la roba da mangiare.»
«Eccomi!» esclamò Minako, sbucata dal nulla.
«Manco a dirlo» ridacchiò Makoto.
«Cosa?»
«Niente.»
«Voglio essere utile, in cosa posso aiutare?»
«Aiutami a mettere la crema solare sulla schiena» Rei era già in costume e aveva raccolto i folti capelli neri sul petto. «Se la metto già ora, si sarà completamente assorbita per quando entrerò in acqua.»
«Agli ordini!»
Avendo finito di piantare l'ombrello di Makoto, Mamoru si guardò attorno. «Qualcuna di voi ha altri ombrelli da piantare?»
«Io!» esclamò Minako e corse al borsone gigante che si era portata dietro. Tirò fuori l'ombrellone arancione e glielo porse con un mezzo inchino. «Grazie!»
Ami aveva appena finito di posizionare strategicamente borse e teloni secondo l'inclinazione degli ombrelli già piantati: non li avrebbe portati via il vento e col passare delle ore sarebbero stati comunque coperti dal sole. «Si chiama sfruttamento, Minako» commentò, di sfuggita.
«Esagerata» obiettò lei, tornando alla schiena esposta che doveva massaggiare. «E poi sappiamo bene che a Mamoru l'energia non manca.»
Mamoru sentì cadere un silenzio tombale.
Beh?
Si guardò intorno e scorse Makoto che ancora preparava i sandwich, gli occhi fissi sull'insalata.
Ami giocherellava con un dito nella sabbia e osservava attentamente il mare.
Minako stava ancora spalmando la crema solare a Rei.
Hmm... forse se l'era solo immaginato: in fondo quello di Minako era stato un complimento qualunque. «Grazie.»
Rei affondò il viso tra le braccia conserte.
«Grazie a te per l'ombrello.» Minako gli sorrise tranquilla. «Se ti serve, posso aiutare anche te con l'abbronzante.»
«Che cosa?!?» Usagi le apparve dietro, emanando un'aura minacciosa.
Minako scoppiò a ridere, alzando le mani in alto. «Scherzavo, sapevo che stavi ascoltando.»
«Ah, ecco.» Usagi continuò a fissarla con divertito sospetto. «Scusate se non sono venuta prima, ma non riuscivo a staccarmi dall'acqua.» Si tolse i vestiti, rimanendo in un costume a due pezzi e dirigendosi quasi subito da Makoto. «Oh, questi panini ripieni sembrano buonissimi!»
«Lo spero. Serviti pure. Venite anche voi, è pronto.»
Per divorare il cibo di Makoto non serviva né essere stremati né avere particolare fame.
Come al solito, gradirono tutti ampiamente: Mamoru con un complimento alla cuoca, Ami e Rei col sorriso dell'appetito saziato, Minako stiracchiandosi quanto più poteva e Usagi con tre colpetti lesti alla pancia piena che aveva accolto il bis.

Più tardi, con in mano un mazzetto di carte ripetutamente usato, Usagi annuì soddisfatta. «Poker era troppo complicato, uomo nero è il gioco adatto a me.»
Rei alzò gli occhi al cielo e le rubò un tre di cuori. «Veramente all'inizio ti ho preso il joker solo per pietà. Sei un disastro a questo gioco, dalla tua faccia si capisce tutto quel che pensi.»
Usagi si profuse in una linguaccia. «Non è vero! E poi adesso non ce l'ho mica io l'uomo nero.»
Ami tirò fuori un nove di picche a Rei e lo sistemò nel giusto ordine di numero e seme tra le proprie carte. «Non dovevi dircelo, in questo gioco è importante mantenere il mistero.»
Il commento portò Usagi a riflettere. «Beh, la mia potrebbe essere una tattica per ingannare Rei.»
«Aspetta e spera.»
Ami sorrise sommessamente. «Se è così avresti fatto meglio a non dire nulla comunque.»
«Stavo solo cercando di farvi capire che non sono un'ingenua. E poi anche la sincerità è un'arma.» Usagi incrociò le braccia, infantilmente risentita.
Ami si ritrovò a studiare quell'ultimo commento, arrivando a una conclusione interessante. «Hai ragione. La sincerità può essere uno strumento importante in talune occasioni, tuttavia vi sono casi in cui assumere un'approccio di difesa sarebbe più efficace; rivelare tutto non sempre è la strategia migliore. Ad esempio l'altra volta ti sei pentita di non averci nascosto che tu e-» Alzò lo sguardo su Mamoru e si interruppe di colpo, portandosi le carte alla bocca. La pelle candida del viso sembrò d'un tratto aver passato un intero pomeriggio a rosolare al sole. «Ah, mi riferisco a...»
Makoto corse a sfilarle una carta qualunque. «A quella volta che Usagi e il gelato hanno passato un'intera ora insieme.» Rivolse una risatina a Mamoru. «Pensa, se lo era finito tutto senza lasciarcene nemmeno un po' ed è venuta a dircelo candidamente.»
Rei annuì con ripetuta convinzione. «Ma è solo un esempio. Un'altra volta ancora mi aveva strappato la pagina di un manga ed è venuta subito a scusarsi.» Quella era un'invenzione troppo plateale e cercò subito di glissare. «Dev'essere stato per tutte le volte che l'ho sgridata in passato.»
Gli angoli delle labbra di Minako puntavano a tutta forza all'insù. «Già. Non ci ha nascosto queste e tante altre cose.»
Makoto colpì il suo mazzetto di carte col proprio, non curandosi di nasconderlo alla vista.
Ami era sprofondata nell'imbarazzo.
Usagi sembrava pronta a commettere una qualche atroce violenza.
Mamoru non se la stava bevendo più.
Minako attirò la sua attenzione e gli mostrò il retro del proprio mazzo. «Tocca a te, prendi una carta.»
Non gli restò che annuire distrattamente: cosa gli stava sfuggendo?
Per il resto della partita non riuscì più a concentrarsi e alla fine solo lui e Usagi rimasero in gioco.
Lei raggruppò le ultime due carte che le erano rimaste in un pugno, nascondendosele contro il petto. «Vero che mi farai vincere, Mamo-chan?»
Erano alle solite. «Quindi va bene se invece perdo io?»
«Ma certo» gli confermò lei, riempiendosi il volto del piccolo sorriso che gli ricordava Chibiusa. Ne veniva puntualmente intenerito proprio per quel motivo, anche se renderne partecipe Usagi sarebbe equivalso a morte certa.
Comunque la carta che lei gli stava indicando con poca sottigliezza era appoggiata su una superficie molto morbida e in bel rilievo che lo faceva pensare sempre e solo a Usagi.
Sospirò e afferrò per un angolo proprio la carta indicata, trovandosi tra le mani il joker.
Usagi gli buttò le braccia al collo. «Grazieee!»
Rei sbuffò di nuovo. «Usagi, non dovresti approfittartene così. E tu Mamoru non dovresti darle queste soddisfazioni.»
«Lascia perdere.» Makoto sbatté in aria una mano noncurante. «Sai quante gliene avrà già fatte avere mentre tu non eri lì a vedere?»
Le teste di Rei, Ami e Minako si voltarono in un lento unisono verso di lei, con identiche espressioni stupefatte.
Makoto spalancò la bocca. E scattò in piedi. «C'è da buttare la spazzatura!»
Era scappata meno di un secondo dopo.
Mamoru si alzò anche lui, togliendosi la maglietta che aveva avuto indosso fino a quel momento. «Usagi, vieni in acqua.»
«Hmm... sì.»
Mentre solcava la spiaggia dietro di lui, Usagi trovò il tempo di girarsi e imitare uno strozzamento feroce con le mani.

Mamoru entrò in mare fino a che non fu certo di trovarsi abbastanza lontano da tutte le persone che si divertivano in acqua.
Solo lì si voltò verso Usagi. «C'è qualcosa che dovrei sapere, credo.»
«Che cosa?» Al tono mieloso si accoppiò uno sguardo innocente.
Non se ne lasciò giocare. «Non sei una brava attrice.»
«Cattivo, non ricordi come ho interpretato bene la strega di Biancaneve?»
«Se stai cercando di fare la parte dell'offesa, non sta funzionando.»
Usagi prese a scalpitare, lanciando occhiate ai dintorni.
«Niente vie di fuga. E sono più veloce di te.»
Lei lo osservò piccata, ma non disse nulla.
«Allora?»
Era lì ferma a rimuginare.
«La verità è la risposta giusta.»
«In molti casi, no.»
«Questo è uno di quelli?»
Si sollevarono sopracciglia speranzose. «Se dico di sì, lascerai correre?»
«No.»
«Allora... non so. Forse sì, forse no. Chi lo sa.» Portò le mani dietro la schiena e prese a dondolare da una parte all'altra, in volto il sorriso di poco prima.
«Non sta funzionando.»
Dopo uno sbuffo, l'espressione di lei cambiò repentinamente. Gli si fece vicina, fino a mettergli le braccia attorno al collo e le labbra vicine alla guancia.
Il bacio lento che appoggiò lì lo distrasse per un istante, ma fu lo sguardo che lei gli aveva regalato in ben altre occasioni a minacciare di fargli dimenticare di cosa stavano parlando.
Passò al contrattacco stringendola e abbassando la testa fino a poterle sfiorare il collo con la bocca. Le provocò un brivido e, all'orecchio, le mormorò, «Non sta funzionando.»
«Uffa!» Usagi si staccò di colpo, affondando le mani nell'acqua. «Quanto sei testardo!»
Lui le sorrise solamente: senti chi parla.
«Posso dirti che non ti guarderanno mai più così. È quello che conta, no?»
Le fece capire di no con un singolo movimento della testa.
«Non ti fidi di me?»
«Di nuovo la tattica della ragazza offesa?»
Gli occhi di lei si socchiusero in segno di sfida. «Non ti dirò nulla. È inutile insistere.»
«Invece posso assicurarti che me lo dirai.»
«Ah sì?»
«Sì.»
«E come farai?»
Ci pensò su un attimo. «Se non me lo dici, inviterò Luna e Artemis ogni volta che verrai a studiare da me. O le tue amiche. Male non ti farà.»
Nelle due precedenti settimane avevano provato a dedicare qualche pomeriggio allo studio: ogni nuova volta avevano passato un po' più di tempo sui libri, ma ancora non ammontava a neanche la metà delle ore trascorse insieme. E l'inizio del nuovo anno scolastico per lei era alle porte.
Come aveva sperato, Usagi si fece visibilmente nervosa. «Non- Non resisterai.»
«Sbagli, sarebbe per il tuo bene: ti concentreresti sullo studio senza alcuna interruzione. Quindi sì, resisterò.» Se proprio lei voleva costringere entrambi a un periodo di astinenza forzata pur di non rivelargli qualcosa, lui di certo non si sarebbe tirato indietro.
I profondi occhi blu scrutarono i suoi in cerca di un'inesistente traccia di indecisione. Poi si abbandonarono ad un'incondizionata resa. «Sei cattivo! Va bene, prima però le mie attenuanti. Innanzitutto, non ho fatto capire loro nulla. Le ragazze c'erano arrivate da sole.»
«Ah-ha.» Poteva immaginarlo.
«Seconda cosa: mi hanno assillato.»
«Sì.» Immaginava bene anche questo.
«Terzo: ho solo dato un paio di numeri.»
«Okay.» Che tipo di numeri esattamente?
«Quarto: è stato per prevenire un battaglia senza fine.»
«Cosa?» Battaglia?
«Tra Rei e Minako. Quinto-»
«Ora me lo dici.»
Nel volto di lei si fece viva la smorfia di chi era stato beccato con la mano nel vasetto di biscotti.
«Ho solo casualmente, vagamente, generalmente... menzionato... quante volte...» Alle guance rosse seguirono occhi bassi.
«Cosa?»
«Quante volte noi... insieme... quel primo giorno... sai?»
Che?
«Insomma, quante volte abbiamo fatto l'amore quel primo giorno!»
Lui sprofondò nel silenzio.
In altro silenzio.
In ancora più silenzio.
E in ulterior silenz- Scoppiò. «COSAA?!?»
Lei fece brillare i denti in un sorriso. «Non ti arrabbiare.» 
Mamoru le prese i codini bagnati con entrambe le mani.
«Che fai?»
«Sto progettando di strozzarti con i tuoi stessi capelli.»
«Nooo! Avevo minacciato la stessa cosa se te l'avessero fatto capire!» Partì a piagnucolare.
Lui le tirò i capelli di quel tanto che bastava ad attirare la sua attenzione. «Usa, con che faccia mi presenterò di nuovo davanti a loro?»
«Non sarà necessario: ora torno in spiaggia e le uccido» ridacchiò lei, prima di tornare un pochettino seria. «Semplice: fai finta di non sapere nulla. Loro dimenticheranno presto e fine della storia.»
Era un suggerimento sensato, ma... «Comunque lo sapranno sempre.»
«Sì, sapranno che ci amiamo tanto. E che ho un ragazzo con molta molta energia.»
Il commento di Minako. Arrossì. «Non sta funzionando.»
«Bugiardo, sta funzionando eccome. Mi farò perdonare.»
Come no. «Ti dovrai far perdonare ancora tra molti anni.»
«Hmm... secondo me, no.» Usagi si avvicinò di nuovo col viso al suo e portò la bocca all'altezza del suo orecchio.
Lì sussurrò solo poche ma efficaci parole, allontanandosi poi con uno sguardo molto soddisfatto.
Gli tese una mano e lo invitò a tornare a riva.
Mamoru la seguì senza una sola altra parola.

«Era un urlo quello?» Minako cominciò a scrutare l'orizzonte pieno di bagnanti, una mano a ripararle gli occhi dal sole.
«Sì... sembrava Mamoru» commentò Makoto. Si era disfatta del sacchetto della spazzatura e ora stava terminando di spalmarsi la crema solare con energiche passate.
«Cavolo, dite che l'avrà scoperto?»
«Penso di sì. Per quale altro motivo dovrebbe urlare?»
«Mi dispiace.» Increspò le labbra in un sorriso che non nascose.
«Tu lo facevi apposta» sbuffò Rei, sistemandosi meglio sul telone steso, gli occhiali neri sopra i capelli.
«Ma Ami e Makoto no. Stavo per morire dal ridere.»
«E si vedeva.» Con un piede, Makoto le tirò addosso un po' di sabbia.
«Andiamo, ragazze. Non è divertente?»
«Non sei tu che forse litigherai con lui» la redarguì Ami, che già si sentiva in colpa.
«Ma figurati se litigano, quello è cotto! Guarda là.»
Seguirono tutte con lo sguardo il punto indicato da Minako: Usagi camminava nell'acqua tenendo per mano Mamoru, lei davanti e lui dietro.
«Che dolci.» Makoto si lasciò vincere da un sorriso intenerito.
In lontananza, Mamoru trattenne Usagi per un braccio e si abbassò a dirle qualcosa all'orecchio. Lei iniziò a gettargli addosso dell'acqua. Lui fece altrettanto, ma pochi secondi dopo si stavano già baciando.
«Altro che cotti, sono flambè.» Rei trattenne a stento la smorfia.
Makoto imitò l'espressione. «Ritiro tutto, troppo zucchero per i miei gusti. E se li guardo ancora finisce che schiatto dall'invidia.»
«Macché invidia!» Minako le invitò con la mano a guardarsi intorno. «Abbiamo un'intera spiaggia di materiale interessante da visionare, non trovate?»
Guardandosi dietro le spalle, Makoto adocchiò un possibile sosia del senpai che le aveva spezzato il cuore.
Fingendo disinteresse, Rei scambiò una singola occhiata con uno niente male che la fissava da dieci minuti.
Ami valutò rapidamente che avrebbe preferito passare il tempo con un giovane Albert Einstein e che la biografia della sua vita era un degno sostituto.
Minako la squadrò e sbuffò. Rivolgendosi alle uniche due sane di mente, puntò la spiaggia.
«Diamoci da fare, ragazze!»
In definitiva, un'ottima idea.


Una gita al mare - FINE

Note dell'Autore (aggiunte in seguito e aggiornabili in futuro): grazie a luisina, bunny1987, fasana, ISA1983, jaj984, chichilina e maxia per le recensioni.
Sono davvero felice di essere riuscita a divertire come volevo e anche di aver suscitato da parte vostra commenti sul carattere dei personaggi. Addirittura parlare di 'ottima qualità della narrazione' ed 'eleganza' mi fa quasi arrossire :) A volte mi capita di leggere cose (libri, più che altro) che mi fanno capire che ho ancora diversa strada da fare, anche dal punto di vista dello stile. Ma al momento riesco a scrivere testi che riesco ad apprezzare (e che rileggo io stessa per divertimento :) ) e a far apprezzare e questo è già un ottimo passo avanti.
Grazie mille anche alle altre cinque persone che mi hanno inserita tra i preferiti.
Ciao
ellephedre

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Capitolo 2
*** 2 - Una cena in famiglia ***


Oltre le stelle - scene 2 NdA dell'Agosto 2010: ho revisionato anche questa scena, sistemando pesantemente lo stile e i punti di vista e aggiungendo qualche piccolo particolare alla narrazione.

Oltre le stelle - scene

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


Note:
Per capire al meglio questa scena, è meglio leggere il capitolo cinque di "Oltre le stelle" (anche se non è totalmente indispensabile).
La storia dell'infanzia di Mamoru l'ho inventata, non so se sia andata effettivamente così.
Nella storia tengo conto del sistema scolastico giapponese, nel caso vi venissero dei dubbi in merito (sei anni di elementari, tre di medie, tre di superiori e inizio anno scolastico in Aprile).
Grazie a chiunque vorrà lasciare un commento; risponderò aggiornando questo stesso capitolo, in fondo.
In questa raccolta inserirò un'ultima scena, prima di chiuderla (riguarderà i primi tentativi di allenamento di Sailor Moon col proprio potere senza il cristallo, aiutata appunto da Tuxedo Kamen).

2 - Una cena in famiglia

«Cosa gli piace mangiare?»
«Un po' di tutto... aspetta, le zucchine no.»
Ikuko annuì e rimase a contemplare sua figlia: davanti al proprio armadio, Usagi era impegnata alla ricerca di qualcosa da indossare. Ikuko la osservò valutare attentamente un completino rosa solo per rimetterlo al proprio posto, in fondo a diversi altri capi che non le aveva più visto indossare da... molto?
Un tempo sua figlia aveva adorato il rosa. «Perché non quello?»
Usagi si voltò verso sua madre, sorpresa: era già insolito averla in camera sua, ma non l'aveva mai sentita commentare il suo guardaroba. «Ahh... non so, non mi sembra adatto. È carino, ma un po' infantile.» Le sorrise, girandosi e rimettendosi a cercare. Quella maglietta azzurra doveva essere da qualche parte...
«Usagi. È da un po' di tempo che voglio parlarti.»
Quando sua madre sceglieva quel tono, in genere non si trattava mai di nulla di buono. Eppure, non le sembrava di aver fatto nulla di male durante le vacanze. Sfoderò un sorriso. «Cosa c'è mamma, perché quell'aria seria?»
Prima di iniziare, Ikuko sospirò, cercando le parole giuste. «Usagi... va tutto bene? Mi sei sembrata diversa negli ultimi tempi. Non in senso cattivo, però...» Scosse la testa. «È successo qualcosa?»
Nel viso di Usagi si dipinse un'espressione tra il sollievo e la... tenerezza? Ikuko ricevette un sorriso tranquillo e un sereno diniego col capo. «Mamma, ti preoccupi troppo: io sto bene. Non mi è successo nulla di particolare. Ecco, forse... credo di sentire un po' la mancanza di Chibiusa, tutto qui.»
Chibiusa? Oh, già! «È vero, dobbiamo chiamarla, è da tanto che non la sentiamo. Lo facciamo più tardi tutti insieme.»
Usagi arricciò le labbra. «Uhh, meglio domani. Tra poco devo uscire con Mamoru, ricordi?»
«Giusto, che testa che ho.» Doveva mettersi a preparare la cena. Si alzò. «Allora ricordate di essere puntuali, per le sette e mezza.»
«Nessun problema!» ridacchiò Usagi.
Uscendo dalla stanza, Ikuko rimase a riflettere, poco lontano dalla porta.
Già. Chibiusa poteva essere una spiegazione: lei e Usagi erano sempre state molto legate e sua figlia aveva cambiato atteggiamento più o meno da quando la piccola era tornata a casa.
Sospirò: quella bambina mancava tanto anche a lei. Però aveva la sensazione che non fosse stata solo la sua partenza a cambiare la vita di Usagi. Era successo qualcos'altro, qualcosa che le sembrava di poter afferrare fino al momento stesso in cui il pensiero spariva. La sensazione era frustrante, destabilizzante.
Fissò il legno bianco della porta.
A Usagi era accaduto qualcosa di importante. E lei voleva saperlo, perché sua figlia l'aveva appena guardata come faceva un genitore col proprio figlio, quando si rendeva conto di averlo fatto preoccupare per cose più grandi di lui, per cose che erano una sua esclusiva responsabilità.
La sua Usagi-chan aveva appena sedici anni.
Non era più piccola, ma era ancora giovane e niente avrebbe dovuto farla crescere in quel modo.

Seduta sulla panchina e appoggiata alla spalla a Mamoru, Usagi continuò col suo racconto. «Ieri pomeriggio sono andata con Minako a fare compere e ho preso dei pantaloncini davvero carini. Di jeans, forse un po' attillati, però per una volta mi andava di provare qualcosa di diverso. Ah, sempre ieri Makoto mi ha detto che per il compleanno di Ami vuole organizzare un'uscita fuori e naturalmente sei invitato anche tu. Ami come al solito si sta preparando per una delle sue simulazioni di ingresso all'università, non si stanca mai. Sapessi che ridere, ha detto che magari un giorno dovrei provarci anche io. Mi ha visto con un po' più di voglia di studiare e già mi vede accanto a lei a questo esame.» Rise. «E poi Rei-» Si interruppe.
Mamoru fissava con occhi vacui un cestino della spazzatura che stava dall'altra parte del sentiero.
Non la stava ascoltando.
Usagi si morse la lingua: se avesse sbraitato, sarebbe sembrata una ragazzina. E va bene, vada per il silenzio: gli avrebbe trapassato il cranio col solo sguardo.
«Ah.» Mamoru si voltò di colpo. «Scusa.»
Lei si voltò con uno sbuffo platealmente offeso: fece finta solo per metà.
«Non ti stavo prestando attenzione, lo so. Perdonami.»
Usagi persistette nel guardare dall'altra parte.
«Stavo pensando alla cena coi tuoi di stasera.»
Come? «Perché?» 
«Non mi sento tanto sicuro di me.»
Oh, che sciocchezza. Però... «Detto da te, è un'affermazione leggendaria.» Sorridendo, gli accarezzò una guancia. «E carina.» Tanto carina.
«Carina?»
Sì, perché doveva ripeterglielo con questo tono perplesso? «Sai che ti trovo tenero quando sei insicuro.»
Mamoru trattenne un sospiro. Da qualche settimana lui e Usagi erano entrati molto più in confidenza e, se già da prima Usagi aveva manifestato la tendenza a dirgli sempre quasi tutto quello che pensava, ora finiva col riferirgli anche commenti che probabilmente prima aveva riservato solo alle sue amiche.
Era divertente, ma anche imbarazzante a volte: lui non era una ragazza e non poteva comportarsi come tale, specie nei momenti in cui parlavano proprio di lui.
«Mamo-chan, non fare quella faccia! Ho detto che sei tenero, non mostruoso.»
Sarebbe stata quasi meglio la seconda. «Al mio posto, preferiresti altri aggettivi.»
Lei rimuginò con gli occhi al cielo, le labbra arricciate. «No, a me piacerebbe se tu dicessi che mi trovi tenera.»
Solo perché aveva sbagliato esempio. «Per fare un buon paragone devi usare una parola diversa. Ad esempio... caruccia. Sei caruccia, Usagi.»
Lei fece una smorfia. «Così sembra che parli di una bambina di cinque anni.»
Ecco. «Esatto. Per me 'tenero' non è così diverso.»
Usagi sembrò finalmente capirlo. «Hmm, allora... dolce?»
Appena meglio, ma sempre- Scosse la testa.
«Carino?»
Ah, ma questo lo sapeva già. Sorrise. «Puoi fare di più.»
Da lei aveva ricevuto complimenti migliori. 
«Beh, ma certo.» Usagi gli circondò la testa con le braccia. «Potrei dire che sei bellissimo, che baci molto bene, che mi fai impazzire quando-»
Mamoru le tappò la bocca: non era il caso di completare quella frase nel bel mezzo di un parco.
Usagi si ritrasse. «Quando mi prendi in giro» finì. Ma cosa aveva creduto lui? Ah. Gli si avvicinò con un sorriso malizioso. «Però poi sai così bene come...» Terminò la frase bisbigliandogliela all'orecchio. «Ecco, era questo che non volevi che dicessi ad alta voce?» Si scostò e lo colpì sul petto. «Anche io so essere discreta!» Il movimento del braccio le fece scorgere il quadrante del suo nuovo orologio: glielo aveva comprato proprio Mamoru come regalo di compleanno, quello che non aveva avuto occasione di darle.
Erano le sette.
«È ora, dobbiamo andare.»
Mamoru guardò il cielo ancora chiaro: era arrivata l'ora della fine. Era peggio di un colloquio di lavoro, peggio di... ma chi stava prendendo in giro? Era peggio di tutto, non era mai stato così nervoso.
Si sentì tirare per un braccio e incontrò la risata di Usagi. «Sai, credo che se continui così potrei divertirmi molto stasera. Però ci tengo ad averti tutto intero per la fine. Riprenditi, su!»
Di malavoglia, Mamoru si lasciò trascinare verso la macchina.

«Oh, benvenuto Mamoru» lo salutò la madre di Usagi, sulla porta.
Il sollievo gli uscì come fumo dalle orecchie. «Grazie signora.»
Ikuko Tsukino si fece benevolmente da parte, invitandolo a entrare. Mamoru mise cautamente piede nell'ingresso, fino ad entrarci completamente. Tolse le scarpe con calma circospetta: del padre di Usagi ancora nessuna traccia.
... forse aveva avuto un impegno di lavoro improvviso? Un'intervista dell'ultimo minuto. Forse-
La madre di Usagi si dileguò in cucina. «Andate pure in salotto, sono di là.»
Sono? Shingo e-
Usagi lo aveva già trascinato nell'altra stanza.
Mamoru inspirò profondamente. «Buonasera signore.» Riuscì a non balbettare.
Seduto minacciosamente sul divano, simile ad un re che riceveva il più umile dei sottoposti, Kenji Tsukino lo fissò senza tradire alcuna emozione. «'sera.» Spezzettò la parola come avrebbe voluto fare con lui, Mamoru non ebbe dubbi in merito.
«Ehilà!»
Abbassò lo sguardo. «Ehi, Shingo.»
Il fratellino di Usagi era cresciuto un po' dall'ultima volta che lo aveva visto, ma non aveva ancora cambiato voce. Negli occhi gli brillò una luce furba. «Sai, se ti fossi scelto una ragazza più carina e intelligente ora non saresti qui a dover parlare con mio padre.»
«Shingo!» Usagi lo colpì alla testa.
La signora Ikuko entrò in salotto. «Sarà pronto tra dieci minuti.» Si pulì le mani nel grembiule. «Mamoru, mettiti pure comodo nel frattempo.» Gli indicò il divano e, contemporaneamente, lanciò uno sguardo di avvertimento a suo marito.
Per fortuna aveva un'alleata. Peccato che dieci minuti dentro quella stanza stessero cominciando a sembrargli un'etern-
«Usagi, vieni a darmi una mano di là.»
Cosa?
Fu sul punto di afferrare la mano di Usagi, ma si trattenne prima di iniziare il movimento. Lei lanciò un'occhiata perplessa prima a lui e poi a suo padre, quindi si diresse in cucina.
Regnò un momento di calma apparente.
«Puoi sederti» esordì Kenji Tsukino.
A Mamoru non restò che sistemarsi sulla poltrona libera. Il fratello di Usagi sprofondò allegramente accanto a suo padre, proprio come se non vedesse l'ora di poter assistere alla scena.
Non ci sarebbe stata nessuna scena, lui non si sarebbe comportato male e il signor Tsukino... Era meglio non fare ipotesi.
Optò per guardarlo solo nel momento in cui avesse avuto qualcosa da dire e iniziò a pensare in silenzio.
Nel silenzio.
E in altro silenzio.
Un paio di scarpe iniziarono a battere ritmicamente sulla moquette. Mamoru abbassò lo sguardo e si affrettò ad immobilizzare i piedi.
Doveva dire qualcosa. Qualunque cosa, era sufficiente che non se ne stesse lì, zitto come un'idiota, ad aspettare che fosse il padre di Usagi a iniziare la conversazione.
Un argomento, un argomento...
Voltò la testa e aprì la bocca per parlare. Fermò il movimento delle labbra nell'istante stesso in cui incrociò gli occhi di Kenji Tsukino.
Il padre di Usagi lo stava annichilendo con lo sguardo.
Aveva pensato di non piacergli, ma era stato ottimista. Se solo il signor Tsukino avesse avuto una qualche idea su tutto quello che c'era stato tra lui e Usagi, su quello che ci sarebbe stato, allora forse- Già. Non c'era nessun forse a riguardo: il padre di Usagi avrebbe dovuto imparare ad andare d'accordo con lui, volente o nolente.
La consapevolezza lo rese sicuro, perciò si limitò ad appellarsi alle conoscenze ricavate da un'intera vita passata a dialogare con successo con adulti di ogni tipo.
Sfoderò un sorriso cortese. «La ringrazio per l'ospitalità di questa sera.» Fu compìto e formale, impeccabile.
Spiazzò Tsukino-san, che si ritrasse lievemente sul divano prima di offrirgli un cenno dubbioso del capo. «È stata mia moglie a proporre l'idea. Ed è stata Usagi ad insistere, però ora sono convinto anche io che fosse giunto il momento di parlarci.»
Mamoru si limitò ad annuire.
Kenji Tsukino si sporse in avanti, acquisendo l'attenzione di un falco. «Tutto ciò che so di te lo so per interposta persona, perciò ho delle domande.»
Non stava richiedendo risposte, le pretendeva.
«Quanti anni hai di preciso?»
Come? «Diciannove, compiuti da qualche giorno.» Non glielo aveva detto nessuno?
«Giorno? Non hai iniziato il terzo anno di università?»
Sì e poteva sembrare un'incongruenza, ma la spiegazione era semplice. «Quando avevo nove anni ho saltato un anno di scuola.»
La risposta non ricevette l'accoglienza gradita che si era aspettato. Ora era una cosa negativa essere intelligenti?
«So che non hai i genitori. Come sei cresciuto?»
Era una domanda che nessuno aveva mai avuto il coraggio di porgli, a parte Usagi. Troppo personale. «In una casa famiglia. Non sono mai stato adottato perché ho sempre dimostrato di preferire quel luogo ad altri. Ho ottenuto l'emancipazione legale a quindici anni. Da allora vivo da solo.»
«Come ti sei mantenuto?»
Ancora troppo sul personale. «Perché vuole saperlo?»
«So che hai una casa e una macchina. Queste cose non si comprano con poco e troppo denaro alla tua età può rappresentare un problema.»
Abbastanza logico, non poteva biasimarlo. «Mi sono mantenuto con l'eredità dei miei genitori, anche se l'ho usata principalmente per comprare cose che avrei avuto comunque se avessi avuto una famiglia. Per le altre spese, cerco di limitarmi a quello che guadagno col mio lavoro. Conosco il valore del denaro.»
«Hai seriamente intenzione di diventare medico?»
Quello era un tasto dolente. «Ho deciso quest'anno di cambiare facoltà.»
«Cambiare? Al terzo anno?»
Si era atteso sia l'incredulità che la velata disapprovazione. «Ho chiesto il trasferimento al dipartimento di Economia Politica.»
«Perché?»
Perché non mi serve sapere come operare su un corpo umano per fare il re. Peccato che non potesse dare una simile risposta. «Perché medicina richiede impegno e dedizione totali da parte di una persona. Per gli anni di studio, ma soprattutto per gli anni di pratica, fino al termine della carriera. In particolare per chirurgia, l'unica branca che interessava a me. Ho capito che non è più questo che voglio per la mia vita. Non aver incontrato difficoltà negli studi non mi ha aiutato a capirlo prima.»
La risposta l'aveva preparata, ma in effetti aveva scelto medicina prima di incontrare Usagi. Prima di immaginare che la sua vita potesse essere riempita da qualcosa di diverso dallo studio e dal lavoro. Anche se, se la situazione fosse stata diversa, non avrebbe certo abbandonato il sogno di diventare medico. Guardò il pavimento, pensieroso. «Comunque non avrò problemi a recuperare i due anni persi.» Probabilmente era l'unica cosa che interessava al padre di Usagi.
Kenji Tsukino rimuginò tra sé prima di squadrarlo di nuovo da capo a piedi, col preciso intento di intimidirlo. «Per ora è tutto quello che volevo sapere.»
Per ora?
L'interrogatorio avrebbe avuto un seguito quindi. Le obiezioni del padre di Usagi erano tutt'altro che esaurite ovviamente; forse si stava solo prendendo il tempo di elaborare quel che aveva sentito.
Mamoru si permise un sorriso: comunque andasse, si era aggiudicato quel primo round.
Cercò di non palesare troppa soddisfazione.

Facendo attenzione a non rompere niente, Usagi posò rapidamente sul tavolo la pila di piatti che sua madre le aveva chiesto di tirare fuori dalla parte alta della credenza. «Perché vuoi che ti aiuti proprio adesso? Sai che dovrei essere di là ora.»
«No, vuoi essere di là» chiarì sua madre, spegnendo il fuoco della cucina. «Ti ho chiamata perché è meglio che si parlino un po' da soli.»
Usagi tese un orecchio: insomma. Non aveva udito ancora nessuno alzare la voce, ma questo la innervosiva quasi più di urla vere e proprie.
«E poi con loro c'è Shingo.»
Come se questo fosse d'aiuto! «Mamma, Shingo ha tredici anni e in tutti i suoi videogiochi preferiti scorre sangue.»
Sua madre rifletté per un momento di troppo. «Non arriveranno a tanto.»
Non ne era convinta nemmeno lei. «È il meno di tanto che mi preoccupa.»
«Non stare in ansia, Usagi-chan. Conosci tuo padre, sai che alla fine è innocuo.»
Di solito sì, ma quell giorno le era sembrato pronto a dar battaglia fin dal primo mattino.
Sospirò. Fortuna che in casa non sapevano nulla del periodo in cui lei e Mamoru si erano lasciati, altrimenti... No, non voleva immaginare l'altrimenti.
Sospirò di nuovo.

Kenji lanciò uno sguardo a Shingo, che gli sorrise furbo di rimando.
Con suo figlio lì non poteva parlare liberamente. «A quest'ora c'è il telegiornale» disse e, preso il telecomando, accese la tv.
Fece finta di concentrarsi sulle notizie.
... e così non c'erano neanche tre anni di differenza tra quel ragazzo e Usagi. Lui aveva pensato a quasi quattro, piuttosto. Non che l'età in sé contasse qualcosa: a guardarlo quello gli sembrava più adulto dei suoi anni; non tanto di aspetto, ma di... carattere. In altre circostanze avrebbe potuto quasi apprezzarlo, supponeva, però lì c'era in ballo sua figlia.
Più ci pensava e meno capiva come facessero quei due a stare assieme: cos'avevano in comune? Quello lì era serio, impegnato nello studio e... calmo. Usagi invece era allegra, iperattiva, sbadata e - senza voler fare un torto a sua figlia - molto poco seria. Forse negli ultimi tempi era un po' cambiata, ma non così tanto da assomigliare a quel ragazzo.
Kenji non aveva mai creduto che gli opposti si attraessero, né che grosse differenze di carattere potessero essere la base per una buona relazione, se non ad un livello puramente temporaneo e probabilmente solo... fisico.
«È pronto! Venite pure!» gridò sua moglie dalla cucina.
Kenji spense la tv e si diresse in cucina, seguito da Shingo e... Mamoru. Gli risultava difficile persino pensare al nome dell'essere che avrebbe voluto schiacciare come uno scarafaggio.
A tavola, durante la cena, non fece nulla per nascondere il suo pensiero su di lui.
Il ragazzo poteva pure starsene seduto, perfettamente composto, a mangiare con ottime maniere, ma se pensava di ingannarlo si sbagliava di grosso.
«È molto buono, signora.»
Lo fulminò con lo sguardo. Ruffiano.
«Ah, grazie mille.»
Ikuko non sapeva neanche riconoscere quando veniva adulata con secondi fini.
«Io invece preferirei un po' più di sale» si intromise Usagi. «Papà, è vicino a te, me lo passi?»
Kenji afferrò la saliera e si sporse in avanti, allungandosi verso l'altro capo del tavolo per passarla.
Mamoru Chiba si alzò per prendergliela dalle mani. Si trovava più vicino rispetto ad Usagi e Kenji fu costretto a cedergli il sale, ma non riuscì a trattenersi dal tirare un po' prima di lasciare la presa.
Alla sua sinistra, Shingo sghignazzò. Kenji lo zittì con un'occhiata ben assestata.
Ikuko tossicchiò. «Ah Mamoru, vorrei ringraziarti per aver preso a dare una mano tutti i giorni ad Usagi con i compiti.»
Kenji si strozzò col boccone di cibo. Co-Co-Co-?!? Si batté il petto.
«Caro, stai bene?»
Un colpo più violento lo aiutò a deglutire. Compiti?!? Afferrò un bicchiere d'acqua, mandandola giù. Tutti i giorni?! Con i compiti?
In tutti quei giorni Usagi era uscita per andare da Chiba?
Sua figlia lanciò un'occhiata felice verso la propria destra. «Grazie a Mamoru finalmente capisco bene cose che prima proprio non mi entravano.»
L'acqua gli andò di traverso.
«Caro, insomma!»
Lui tossì e scattò in piedi. «Ho bisogno di un attimo.» Si diresse di corsa in bagno.
Non poteva ammazzare quel verme a tavola, doveva calmarsi, calmarsi!
Fu raggiunto da Ikuko. «Kenji!» Lo spinse dentro il bagno, chiudendo la porta dietro di loro. «Si può sapere che cos'hai?»
«Io? Cos'hai tu!» Lo bisbigliò più forte che poteva. «Sapevi che Usagi stava andando tutti i giorni a casa sua e non hai detto nulla? Hai creduto alla frottola dei compiti
Gli occhi di sua moglie si fecero sottili. «Sì, ci ho creduto. Usagi mi fa vedere tutti i giorni quaderni pieni di esercizi risolti di matematica e inglese. Sei pieno di pregiudizi verso quel ragazzo, ma non lo conosci come me. Come madre io mi fido del fatto che rispetterà i tempi di Usagi, ne sono assolutamente sicura.»
Come madre? Quando Ikuko la metteva giù così, non si poteva discutere: scoppiava un litigio alla minima critica.
«Kenji, calmati e dà loro una possibilità. Credo che sia davvero importante che tu almeno ci provi.» Portò una mano sotto il getto del rubinetto appena aperto e gli bagnò delicatamente la fronte. «Su, torniamo di là.»

Mamoru era stufo di sentirsi come un criminale dentro una stazione di polizia: per tutta la durata della cena il padre di Usagi era parso pronto a portarlo in una stanza buia, puntargli in faccia una lampada e gridargli 'Confessa!'
Lui non aveva fatto niente di male! E non aveva dato ragione a nessuno di venire a intromettersi tra-
... intromettersi? Il padre di Usagi aveva il diritto di preoccuparsi e sapere.
Sospirò: senza aver mai avuto genitori, non era abituato a sentirsi valutato e tenuto d'occhio tanto da vicino.
Riusciva anche a comprendere perché a metà cena il padre di Usagi si fosse alterato tanto, ma non gli andava comunque di sentirsi... accusato.
«Ehi, che ne dite di uscire in giardino?» suggerì Usagi, dopo avergli lanciato un'occhiata. «È rimasto qualche fuoco d'artificio dalla festa di Tanabata, sarebbe un peccato aspettare il prossimo anno per sfruttarli.»
«È una bella idea» commentò la signora Ikuko, alzandosi. «È rimasta qualche bacchetta luminosa e mi pare anche un razzo, non è vero caro?»
Kenji Tsukino annuì di malavoglia, ma sua moglie lo ignorò. «Vado di sopra a prendere quel che ci serve. Voi uscite pure intanto.»
«Ah, aspetta mamma!» Usagi la raggiunse sulle scale, superandola. «Le bacchette luminose sono in camera mia, le prendo io.» Sparì al piano di sopra.
A tavola rimasero in tre.
Si alzarono, uscendo dal salotto ed entrando nel corridoio. Mamoru infilò le scarpe in silenzio. Non fu il solo.
Shingo iniziò a scalpitare. «Non ce la faccio più, devo andare in bagno! Torno subito, voi due aspettatemi!» Schizzò via.
Il padre di Usagi aprì con decisione la porta di casa, dirigendosi fuori.
Mamoru lo seguì a ruota. O adesso o mai più. «Lei vuole rompermi una gamba.»
Kenji Tsukino si voltò, sorpreso. L'attimo di confusione svanì immediatamente. «È così.»
Già. «Me la romperei io stesso piuttosto che fare del male ad Usagi in un qualunque modo.»
Il sorriso beffardo non sembrava convinto. «Non credo che 'male' significhi la stessa cosa per me e per te.»
Forse no, però poteva esserci un punto d'incontro tra le loro due visioni. «Nemmeno la costringerei a fare nulla che non volesse, né la spingerei mai a fare qualcosa per cui non fosse pronta.» Fece una pausa. «Mi riferisco esattamente a quello a cui stava pensando.» Era vero: non aveva mai costretto Usagi a fare nulla, lei era stata pronta a ciò che avevano condiviso, lo aveva desiderato almeno quanto lui.
La bocca di Kenji Tsukino rimase immobile, ferma in una linea unita.
Mamoru proseguì. «Per la verità, arriverei persino a lasciarla se pensassi che è la cosa migliore per lei.» Lo aveva fatto in passato, non stava mentendo. In ogni caso, ormai era fermo su punto. «Però, finché Usagi mi amerà quanto la amo io, non andrò da nessuna parte.»
Il padre di lei sbuffò pesantemente, voltandosi. Per un po', rimase in silenzio.
«Perché proprio mia figlia? Siete completamente diversi.»
Quell'affermazione si basava sull'apparenza. «Non lo siamo poi così tanto. E dove siamo diversi... ci aiutiamo, completandoci.» Già. «Usagi mi completa. E io faccio lo stesso per lei. Usagi è...» Tutto il mio mondo. Ancora una volta, non poteva dire una cosa del genere. «La ragazza migliore che abbia mai conosciuto. Da quando stiamo insieme, sono felice solo quando lo è lei.»
Sollevò lo sguardo. Non valeva forse la stessa cosa anche per un padre?
Sì. Per questo dovevano tentare di trovare un punto d'incontro. «Io non pretendo nulla da lei signore, ma voglio che capisca che per me Usagi viene prima di me... prima di qualunque altra cosa.»
... aveva esagerata, ma la frase gli era uscita di bocca prima che riuscisse a fermarla.
Udì l'improvviso sospiro rassegnato di Kenji Tsukino, pesante e non del tutto felice.
Si ritrovò a guardarlo in faccia.
«Allora, per me... per adesso... va bene così.»
«Va bene cosa?» domandò Shingo, arrivando di corsa con una frenata rapida.
Kenji ridacchiò. «Niente che ti riguardi.»
Usagi e Ikuko uscirono in giardino.
Usagi sorrise nel notare la mancanza di tensione tra suo padre e Mamoru. Finalmente.
«Uffa! E io che speravo almeno in una spintarella» si lamentò Shingo.
Usagi lo accontentò. «Eccola!» Con un colpo dei fianchi, lo buttò a terra, scappando rapidamente dietro Mamoru.
Suo fratello sbatté un piede sul suolo e si diresse dai loro genitori.
«Caro, tu sai come sistemare questo fuoco d'artificio?»
Kenji annuì e si allontanò verso un punto abbastanza pulito del terreno, col piccolo razzo in mano.
Con la coda dell'occhio, guardò dietro di sé: Usagi stava accendendo una delle sue bacchette. Ne aveva passato una anche al suo... fidanzato.
«Accendiamo la tua con la mia» gli disse, sorridendo dolcemente. Poi, come la bambina che era stata, iniziò a far volteggiare in aria il bastoncino che sprizzava luci.
Kenji spostò lo sguardo su Mamoru Chiba e comprese ancora meglio perché Ikuko si fidasse tanto di lui.
«Oh, andiamo Mamo-chan, non stare lì fermo! Muovilo un po' anche tu!» Usagi gli saltellò accanto.
«Okay, vediamo se riesci a riconoscere cosa faccio.»
Osservando i movimenti in aria del bastoncino di Chiba, Kenji iniziò a notare una forma precisa. Era un... kanji?
Il ragazzo di sua figlia completò il segno.
Amore.
Usagi lo guardò come poteva fare solo una ragazza innamorata.
Kenji si voltò, ritrovandosi a guardare l'erba.
Aveva sempre pensato che avrebbe avuto ancora tempo per arrivare ad una consapevolezza simile, ma quel momento era già lì e lui non poteva più far finta di niente: Usagi ormai grande, quasi adulta.
Sentì la mano di Ikuko sulla spalla e riprese a concentrarsi sull'accensione del fuoco d'artificio.
Shingo si unì a lui, entusiasta. «Facciamolo volare questo razzo!»
Sì... lasciamolo volare.



Una cena in famiglia - FINE


Note finali: grazie a chichilina, luisina, bunny1987, USA1983, fasana, m00nlight e romanticgirl per le recensioni. Grazie a luisina per la particolarità delle sue recensioni. Per quanto riguarda la tua domanda, fasana, sì, ho intenzione di scrivere un giorno di quando i genitori di Usagi scopriranno la verità sulla doppia vita della loro figlia. Però lo farò nel sequel vero e proprio di 'Oltre le stelle'. Penso che sia una scena che richiede una buona trama dietro. Questo sequel comunque lo pubblicherò dopo la fine di questa breve raccolta e anche dopo aver completato una one-shot su Ami, simile a quella che ho scritto su Rei (qui per Ami ho scelto un personaggio originale, inventato da me).
Grazie a tutti per i complimenti e per aver letto le mie chiacchiere finali. Ciao a tutti, Ellephedre

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Capitolo 3
*** 3 - Scoprire il potere ***


Oltre le stelle - scene


NdA: questa è l'ultima scena di questa raccolta. Ci sarà sicuramente il sequel di 'Oltre le stelle' (con un titolo diverso, ancora da decidere), però prima metterò online una one-shot su Ami. E forse anche altre cose, di cui però non sono ancora sicura.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito e seguito questa storia e che continuano a seguire 'Oltre le stelle', mettendo la storia tra i preferiti. Come al solito, risponderò ai commenti aggiornando questo stesso capitolo, in fondo.
Ciao, ellephedre




Appoggiò il piede sul bordo e saltò verso l'altro tetto. Il balzo sarebbe stato impossibile per un normale essere umano. In quel momento infatti la sua figura era avvolta dal costume bianco di Sailor Moon.
Sentì il sibilo solo nell'istante in cui la rosa le schizzò vicino ad un braccio. Atterrando sull'altro tetto, lanciò in aria il proprio diadema.
In aria l'oggetto si scontrò con un'altra rosa lanciata nella sua direzione, distruggendola.
"Yu-huuu!" l'esclamazione di gioia le uscì spontanea.
Un paio di secondi dopo la raggiunse Tuxedo Kamen. "Sei stata davvero brava."
"Non è vero?" Sailor Moon continuò a saltellare sul posto.
"Quell'altra era troppo vicina. Scusami."
"Ma dai, non ti preoccupare. Più fai sul serio, più l'allenamento funziona. Hai visto, no? Non ero così veloce e precisa qualche settimana fa."
Lui però non sembrava condividere il suo entusiasmo.
Il suo problema era che a volte pensava troppo. "Anche se mi avessi colpita, sai che la ferita sarebbe guarita abbastanza rapidamente. Succede sempre così quando mantengo la trasformazione."
"Sì, ma cercherò di lanciare più lontano."
"Se non mi sento in pericolo, non rendo allo stesso modo."
"Credo sia importante che tu riesca ad utilizzare al meglio le tue capacità anche quando non ti senti minacciata."
Sì, sì, tutto molto logico. "Dici così solo perchè non vuoi rischiare."
"In parte sì."
Le faceva sempre piacere vederlo ammettere quanto tenesse a lei. Non riuscì a trattenersi e andò ad appoggiargli le labbra su una guancia, dove schioccò un rapido bacio. Approfittò del suo momento di distrazione per levargli la maschera bianca che portava sempre.
"Allora facciamo qualcosa di meno pericoloso. Ora aiutami ad allenarmi con ... l'evasione, si dice così, giusto?"
"Vuoi scappare?"
"Esatto. " Gli sventolò giocosamente la maschera davanti agli occhi. "Con questa. Vediamo per quanto riesci a non prendermi." Ridendo, schizzò via, sul tetto di fianco.
Lui le fu subito dietro, ma ben più di qualche minuto dopo Usagi correva ancora libera.
Vero, lui era ormai sul punto di raggiungerla, ma si sentiva vittoriosa comunque: un tempo l'avrebbe presa in meno di un minuto.
Tuttavia pregustava anche il momento della cattura: non guastava che quel tipo di gioco mettesse addosso a entrambi una scarica adrenalinica che non si limitava alle attività di combattimento.


"All'allenamento della settimana prossima, farò polpette delle ragazze."
Mamoru era così stanco che l'ascoltò solo con un orecchio e con metà cervello spento.
Ma sì, sapeva che probabilmente sarebbe stato come diceva: le ragazze avevano programmato un allenamento speciale in comune dopo aver saputo che lui ed Usagi avevano preso ad allenarsi insieme da qualche settimana.
Usagi aveva insistito per intensificare il proprio allenamento proprio durante quel weekend, in vista di quell'evento. Si erano allenati anche la notte prima, per diverse ore.
Per fortuna il giorno dopo era domenica, così poteva dormire.
Usagi in quel momento sembrava invece non sentirne la necessità: la sua voce era limpida e ben sveglia. Non capiva come potesse avere ancora tutta quell'energia.
"Stai morendo di sonno." la sentì dire.
"Sì."
"Allora buonanotte."
Usagi lo abbracciò e appoggiò la testa contro il suo petto, preparandosi a dormire anche lei.
Qualche secondo dopo però gli parlò ancora, "Sai una cosa?"
Mamoru sospirò. "No, cosa?"
"Questa è la prima volta che dormiamo insieme senza ... hmm ...."
Sentì il bisogno di aprire gli occhi e alla luce della luna vide il sorriso imbarazzato di lei.
Nonostante la stanchezza, non riuscì a non sorridere a sua volta. "Beh ... mi hai già stremato ieri sera."
"Così mi fai passare per un'assatanata. Non mi stavo lamentando. Era solo .."
Le accarezzò con una mano la schiena, "Lo so. Comunque se dormo ora domani sarò riposato."
La sentì ridere e lasciò che quel suono lo cullasse. "Buonanotte." le disse.
Registrò vagamente e solo dopo qualche attimo che non aveva ricevuto risposta.
Passò ancora qualche istante e poi sentì un bacio leggero sulla bocca. "Ti amo Mamo-chan. Dormi bene."
C'era ancora una parte di lui che non smetteva mai di sorprendersi quando gli diceva dire una cosa del genere.
Forse era quella parte che ogni notte era andata a dormire in solitudine, andando avanti con la sola speranza che un giorno ... sarebbe stato diverso.
Quel giorno e lei ora erano lì.
La strinse fino a non sentire altro che il suo corpo, il suo respiro, il suo odore.
Poi crollò.

La mattina dopo si svegliò col letto vuoto.
Si alzò e la trovò in salotto, seduta sul divano e intenta a fissare la propria mano.
"Cosa fai?" le chiese, incuriosito.
Usagi si girò di scatto verso di lui, sorridendo. "Oh, sei sveglio! Ho preparato la colazione. Te l'avrei portata di là, ma non avevi un vassoio adatto. Devi comprarne uno. Anzi no ... lo comprerò io."
Lo raggiunse sul bancone, sedendosi davanti a lui mentre iniziava a mangiare.
"Stavo ... " portò la mano in mezzo a loro, col palmo rivolto verso l'alto. "Stavo pensando che ancora non sono riuscita a fare qualcosa di davvero magico da sola. Non riesco ancora a utilizzare il potere del cristallo d'argento senza trasformarmi. E anche in quel caso, riesco a manifestare il mio potere solo grazie a degli oggetti. Non come le altre guerriere."
"Non sono passati neanche tre mesi."
"Sono impaziente?" sorrise. "Sì ... beh, stavo provando a concentrarmi su una luce, una qualunque. Pensavo ... c'è sempre tantissima luce quando uso il mio potere, perciò magari posso cominciare da lì. Dal crearne una."
"E' un buona idea. Ma non sforzarti per ottenere subito un risultato simile, non sembra facile."
Mamoru notò che lo squadrava con interesse. "Per te sì."
Non capì. "Non riesco a creare luci."
"Già ... solo rose." Nel tono di lei era evidente l'enfasi sull'ultima parola.
Curioso.
Certo, lui usava le rose, ma ... non aveva mai pensato di 'crearle'. Le utilizzava, le prendeva ... era questo quello che aveva in mente quando aveva bisogno di averne una in mano.
Crearle però ...
Usagi interruppe i suoi pensieri, "Fanne apparire una. Una rosa."
Mamoru appoggiò il braccio sul tavolo e alzò la mano in mezzo a loro, stringendola a pugno. Quando la aprì, girandola velocemente verso l'alto, la rosa era lì. L'unica cosa che sapeva su quel suo potere era che gli era incredibilmente facile farne uso quando si trattava di Usagi.
Lei prese ad accarezzarne i petali, sorridendo. "Tu non hai bisogno di nessun cristallo per fare una cosa del genere."
"Sì, ma il mio potere non è paragonabile al vostro."
Lei si mise a riflettere. "Non saprei ... a queste rose fai fare un po' quello che vuoi, in fondo. E poi ... ci sono state volte in cui mi sono sembrate davvero potenti. Credo che la loro forza dipenda da te."
Prima che potesse pensarci, Usagi gli prese dalle mani il fiore e si girò. Provò a lanciarlo a terra, imitando il movimento che gli aveva sempre visto fare. La rosa cadde sul pavimento senza particolare forza, perdendo parecchi petali. Lei si alzò a raccoglierla.
"E' una cosa straordinaria quella che fai." Tornò da lui e gli porse uno dei petali che si erano staccati. "Questa rosa è un essere vivente. Non è un raggio di luce, del fuoco, dell'acqua, un fulmine o chissà cos'altro. Non è un oggetto. E' ... vita." Se la portò al naso, dove ne inspirò l'odore. Il profumo tipico di una normalissima rosa. Ma già lo sapeva. "Ed è anche una semplice rosa; solo tu riesci ad usarla come fai. Credo che non sia altro che un mezzo che usi per espandere il tuo potere."
Il suo potere? Mamoru sapeva di poter fare molto poco: la sua fortuna era solo quella di essere agile e forte. Erano capacità che venivano incrementate ulteriormente quando si trasformava in Tuxedo Kamen, così da non essere davvero umane in quella sua forma. Ma ... "Sai che ho incominciato a trasformarmi e a venire ad aiutarti senza neanche rendermene conto. Io penso che il mio potere sia strettamente collegato a te. Non credo di riuscire ad espanderlo. Ci ho provato in passato."
Usagi non commentò, ma continuò a giocare con la rosa che aveva appoggiato sul bancone. Poi lo guardò, "Ti sei mai chiesto perchè ... perchè proprio una rosa?"
"Sì. E' per via di una cosa che è successa quando ero un bambino, quando i miei genitori ... Era successo da poco e io ... non avevo più nulla, ero solo. E' stata una rosa a rappresentare per me l'inizio di una nuova speranza." Sorrise. "In ospedale incontrai una bambina che me ne diede una. Le aveva prese per darle a sua madre che aveva appena partorito. Me la regalò per farmi stare meglio. Da allora la rosa ... ha sempre rappresentato l'amore per me. La possibilità di non essere soli."
Usagi si mise a riflettere, colpita all'improvviso da un pensiero. "In quale ospedale stavi?"
Glielo disse e la vide spalancare gli occhi.
"Quando sei stato là?"
"Perchè?"
"Perchè Shingo è nato il 23 Ottobre. E io ... la mamma ricorda ancora che papà mi aiutò a scegliere delle rose per lei. E a me sembra di ricordare che ..."
I suoi genitori erano morti nella seconda settimana di Ottobre. Mamoru focalizzò all'improvviso un'immagine. La bambina aveva avuto due codini biondi ... e gli occhi blu.  E ricordò anche una voce infantile, dai meandri della memoria, che diceva: 'Usagi-chan ha avuto un fratellino ... '
"Eri ... tu."
Era sorprendente e così ... giusto. 
Era sempre stata presente per lui, anche quando non lo aveva saputo.
Usagi gli parlò con gli occhi lucidi. "Non sai quanto ... ho sempre desiderato poter avere la possibilità di essere lì con te durante quei momenti. Pensare a quanto eri stato solo, quando eri così piccolo, mi spezzava il cuore. E ora so che ad un certo punto sono stata con te. Sono riuscita a fare qualcosa che ti ha aiutato."
Lui fece per alzarsi e andare da lei, ma Usagi lo precedette girando intorno al bancone e abbracciandolo. "Sono felice."
E lo era anche lui. Gli sembrava di vedere un tassello della sua esistenza tornare al proprio posto. Anche da bambino non era mai stato veramente solo.
"A pensarci è così logico. Da dove altro mi poteva venire quella forza?"
Lei lo guardò negli occhi. "Da te. Se ti ho dato speranza, comunque tu hai una forza tua."
Quella poca forza che aveva l'avrebbe usata fino alla morte, se fosse servito a proteggerla.
Ma non sarebbero morti. Sarebbero stati insieme per un'eternità.
Non c'era un modo davvero adatto a dimostrare quanto la amasse in quel momento.
Ma Usagi sembrò ritenere adatto cominciare con un bacio.
Giusto cominciare.


Sicuramente non c'era luogo più adatto del santuario di Rei per un allenamento tra Sailor. E dell'oscurità della notte.
Il boschetto che circondava il santuario era grande e non c'era pericolo che li sentisse nessuno, inclusi il nonno di Rei e Yuichiro, che dormivano in casa.
"Ciao, Usagi. Mamoru." li salutò Rei, già trasformata in Sailor Mars.
Anche le altre guerriere li salutarono. Poi Makoto chiese, incuriosita: "Partecipi anche tu, Mamoru?"
Lui scosse la testa. "Sono solo venuto ad assistere."
"Beh," iniziò Minako. "Potresti fare da arbitro. Che ne dite, ragazze?" Annuirono tutte. Lei gli sorrise furba. "Perfetto. Ricordati solo che se favorirai in un qualunque modo Usagi, tutte quante faremo in modo che tu non esca da qui intero."
"Io veramente-"
"Zitta Ami."
Ami alzò gli occhi al cielo, sospirando, e Mamoru annuì divertito. "Sì, non vi preoccupate."
"Avete già deciso cosa fare?" chiese Usagi.
"Sicuro," Rei indicò gli alberi che li circondavano. "Faremo un combattimento sugli alberi, una contro una. Chi cade per primo perde."
"Andiamo a eliminazione?"
"No, pensavamo di combattere ciascuna contro tutte le altre. Poi conteremo il numero di vittorie singole e in caso di pareggio andremo alle eliminatorie."
Usagi guardò le altre. "Questa modalità a torneo l'ha decisa Rei, vero?"
Minako sorrise a denti stretti. "E' così."
"Beh, che c'è di male?" si difese Rei. "Così ci sarà maggior spirito di competizione. E poi abbiamo caratteristiche diverse come guerriere, avere di fronte tutte le altre potrebbe mettere in luce i nostri difetti e punti di forza."
"Sì, non è necessario spiegare Rei, siamo già d'accordo." si intromise Makoto. "Piuttosto cominciamo! Se non vi spiace, vorrei iniziare io."
"Se ti va bene, andrei io contro di te." si propose Rei.
"Perfetto. Andiamo!"
"Vi seguo sugli alberi per guardare." disse Mamoru e saltò via anche lui.
Minako sorrise. "Erano proprie entusiaste all'idea."
"E' una fortuna che Rei abbia imparato a spegnere il proprio fuoco," commentò Ami. "Altrimenti tra tutti questi alberi sarebbe stato poco saggio usare il suo potere."
Nei successivi cinque minuti osservarono attentamente lo scontro serrato tra Sailor Mars e Sailor Jupiter. La seconda vinse di misura: la potenza del suo fulmine rivaleggiava alla pari con l'intensità del fuoco di Rei, almeno in quel frangente, quando i poteri venivano lanciati in fretta e con più attenzione per la precisione che per la potenza. Ma Makoto era sicuramente superiore in quanto a forza fisica e agilità. Quando riuscì ad avvicinarsi abbastanza a Mars, trovò il modo di farla cadere.
Tuxedo Kamen riuscì a impedire il contatto di Rei col suolo.
Makoto rise dall'alto, "Allora farai anche da materasso?"
"Se riesco sì. Siete molto veloci."
"Grazie Mamoru." Rei, tornata in piedi, puntò giocosamente un dito contro Makoto. "Un giorno avrò la rivincita. E ci sono ancora quattro scontri, non è detta l'ultima parola."
"Infatti, ma stasera mi sento un leone!" Makoto portò i pugni in aria.
Minako, arrivata ai loro piedi, rise. "Può darsi, adesso però scendi. Abbiamo deciso che tocca a me e ad Usagi."
Makoto scese e assieme a Rei ed Ami guardò con grande interesse lo scontro tra Usagi e Minako; voleva proprio vedere se i suoi allenamenti con Tuxedo Kamen fossero serviti a qualcosa.
Tre minuti dopo Minako cadde a terra, non molto lontano da lì. "Ahi!"
Mamoru atterrò quasi contemporaneamente accanto a lei. "Scusa, non sono riuscito a raggiungerti." La aiutò con una mano a rialzarsi.
"Ti sei fatta male, Minako?" chiese Usagi dall'albero accanto, con una nota di preoccupazione nella voce.
"No, no." Minako si massaggiò il fianco e rise. "Sei diventata forte, ragazza."
Minako aveva visto il diadema di Sailor Moon sviare più volte la propria catena dell'amore. L'aveva usata inutilmente nel tentativo di afferrarla e mandarla al suolo. Quando aveva capito che non avrebbe funzionato, era passata al più semplice scontro fisico. Alla fine, si erano scontrate in aria battendo i tacchi l'una contro l'altra, ma lo slancio di Usagi era stato più potente e aveva finito con l'avere la meglio.
"Ora tocca a me," disse Ami. "Contro chi vado?" si rivolse a Rei e Makoto.
"Io me la sento ancora," si intromise Usagi. "E poi guarda là Rei, è ancora stremata."
"Ha, figurarsi! Vuoi solo vantarti." Le due si scambiarono una linguaccia reciproca. "Va e distruggila, Ami!"
Ami rise, "Tenterò."
E a vincere fu Sailor Mercury. Usagi si ritrovò a sottovalutarne l'acume e si maledì da sola per la propria arroganza. Ritrovandosi in chiara superiorità, prese sottogamba la nebbia di Ami e le permise di coglierla di sorpresa.
Alla fine, Mercury riuscì in effetti a vincere solo contro di lei, ma impegnò tutte le altre in scontri molto impegnativi, che si decisero solo all'ultimo istante. Mancava di potenza e velocità, ma la sua strategia di combattimento era formidabile. 
Venus riuscì a battere anche Jupiter e Mars. Col suo fascio di luce fu abbastanza veloce da riuscire a tagliare il ramo da sotto i piedi di Makoto prima che questa riuscisse a spostarsi. Poi, pur stremata dal lungo scontro, riuscì a cogliere alle spalle Rei e a buttarla di sotto. Anche con Ami fu decisamente la sua agilità a prevalere. 
Jupiter piegò sia Mars che Mercury, ma non riuscì a battere nè Venus nè Sailor Moon, che non si lasciò cogliere in fallo nemmeno una volta.
Mars battè solo Mercury alla fine, ma il suo ultimo scontro contro Sailor Moon fu memorabile. Fu la sua sola volontà di non perdere a far andare avanti avanti l'incontro per quasi un quarto d'ora.
Alla fine Rei era decisamente frustrata. "Che disastro! Non pensavo mi andasse così male. Ti avevo contata tra le mie vittorie, Usagi."
Usagi le fece vedere la lingua. "Hai fatto male."
Mercury si avvicinò a loro. "Sei molto migliorata Usagi. In precisione, velocità e forza. Hai perso contro di me solo per sfortuna."
"No, perchè mi manca il cervello." Usagi si battè un dito sulla testa. "Non avevo proprio pensato a quello che avresti potuto fare. Tu Ami sei la migliore a pianificare uno scontro."
"Può darsi, ma non è servito a vincere. Dovrò allenarmi di più, è chiaro che non ne ho bisogno solo nello studio."
Usagi sorrise, vedendo che Rei non aveva ancora smaltito la rabbia per le sconfitte. "Non prendertela Rei. Questo non è stato proprio uno scontro tra i nostri poteri, altrimenti probabilmente avresti vinto tu su Minako e Makoto. In concentrazione e determinazione è difficile batterti."
"Sì, lo ammetto anche io, Rei." disse Makoto.
Rei scosse la testa, rilassandosi. "Mi secca ammetterlo, ma oggi è venuto fuori che sono meno veloce di voi. E meno forte di Makoto fisicamente, ma questa non è una novità."
Minako si mise le mani sui fianchi e ridacchiò soddisfatta. "Io invece sono a posto. Sono la perfetta combinazione di forza, velocità e cervello. Non per niente sono diventata una guerriera prima di voi." Puntò un dito in alto, in segno di supremazia.
"Ma sentitela," Usagi rise divertita. "Io ho vinto il tuo stesso numero di scontri, credo che abbiamo bisogno di uno spareggio."
"Eh? No, grazie!" Dopo la baldanza di prima, la sua improvvisa ritirata fece ridere tutti quanti. "Sono stanca morta e poi sono sicura che vinceresti di nuovo. Parlando seriamente, ho vinto contro Makoto grazie ad un poco velocità in più e contro Rei ed Ami mi è stato molto difficile. Infatti è bastato qualcuno che avesse le mie stesse capacità ad un livello superiore," annuì verso Usagi. "E ho perso rapidamente." Scosse la testa. "No, non mi sento affatto sicura di me. Durante tutti gli altri scontri ho pensato più volte di poter perdere. Dovrò allenarmi anche io."
"La stessa cosa vale per me," concordò Makoto. "Devo farti i miei complimenti Usagi. Sei davvero migliorata tanto. Non avrei proprio potuto batterti."
"Eh? Grazie mille!" Usagi si mise una mano dietro la testa, sorridendo imbarazzata. "E' tutto merito di Mamo-chan! Mi mancavano agilità e forza fisica e allenandomi con lui nei weekend sono riuscita a migliorarmi. Lui sotto questi aspetti non è inferiore a nessuno e io sono ancora lontana."
Mamoru colse nella sua voce il solito orgoglio che aveva nei suoi confronti. "Ma manco quasi del tutto di potere. In un scontro al massimo delle forze, mi distruggereste tutte quante."
"Solo se non ci colpissi prima." Usagi si rivolse alle amiche. "Non dategli retta, ultimamente gli piace sottovalutarsi."
Le ragazze risero.
"Allora," riprese Ami. "Io andrei. Questi scontri mi hanno stremata e ho bisogno di una bella dormita."
"Io pure." confessò Minako. Makoto annuì.
"Ah, Usagi, prima ha chiamato tua madre." le comunicò Rei.
Nessuno fiatò.
"Le ho detto che stavi facendo un bagno. Chiamala domani mattina."
Ciò che era implicito in quel discorso non venne detto. "Grazie mille, Rei." 
Rei sbattè una mano in aria. "Sì, sì. Buonanotte a tutti allora." Detto questo, si diresse verso casa.
Minako saltellò su un albero. "Ciao ciao." Fece l'occhiolino a Usagi. "E buon divertimento!"
Ami parlò prima di pensare, "Ma non è troppo stanca per-" si portò una mano alla bocca. "Io vado, ciao." Sparì in un secondo fra gli alberi, inseguita dalla risata di Minako, che subito si unì a lei.
Makoto li salutò anche lei ridacchiando.
Rimasti soli, dopo un attimo di silenzio, sia Mamoru che Usagi scoppiarono a ridere sonoramente.
Poi si avviarono verso casa.


Durante il tragitto, saltando di tetto in tetto, mentre seguiva Mamoru a poca distanza, Usagi continuò a pensare.
Sì, era stata brava.
Ma era ancora troppo lontana da quello che voleva fare davvero: usare il potere del cristallo d'argento senza averlo in mano.
Anche perchè, era una contraddizione: lei lo aveva addosso il cristallo d'argento. Sempre. Era il suo seme di stella dopo tutto.
La cosa davvero straordinaria era che riuscisse a staccarlo dal proprio corpo per utilizzarlo. Che non morisse senza avere la sua energia dentro di sè.
Forse però ... ripensò al cristallo che aveva al petto. Forse era proprio quel cristallo a non essere altro che un guscio, un guscio che le serviva solo a utilizzare un potere che invece era dentro di lei. Che le serviva a focalizzarsi. Proprio come la rosa per Mamoru.
Ci aveva pensato a lungo ed era arrivata a quella conclusione.
Un'idea del genere sembrava non coincidere con quanto aveva saputo del futuro.
La Regina Serenity che sarebbe diventata non era riuscita a contrastare la Luna Nera senza il suo cristallo, preso da Chibiusa, inglobato dal suo piccolo corpo.
Ma qualcosa non le quadrava neanche lì: nonostante tutto, le sembrava di essere ad un passo dal riuscire ad utilizzare il suo potere senza il cristallo. Non riusciva a capire come potesse non esserne già capace in futuro. E, anche se non sarebbe riuscita a spiegarne il motivo, sentiva che se avesse dovuto combattere ora contro il grande Saggio, non avrebbe fatto fatica quanto in passato.
Non dopo Galaxia, che era stata impregnata del potere di Chaos. Chaos, il fulcro del male che aveva generato ogni altro male, grande Saggio compreso.
Ad avvalorare la sua teoria poi c'era il passato: sua madre, la precedente regina Serenity, aveva mandato sulla terra il proprio cristallo d'argento. E così facendo era morta, proprio come se fosse stata privata del proprio seme di stella.
Il cristallo d'argento che aveva usato contro il Regno delle Tenebre, quello andato distrutto nello scontro finale ... era stato quello di sua madre. Sua madre il cui spirito era sparito quando le aveva fornito il nuovo cristallo d'argento.
Il proprio, questa volta.
Forse quello che rendeva speciali le regine della luna era la loro capacità di separare il proprio potere in un cristallo, di 'rendersi' cristallo, in un certo senso.
Galaxia aveva avuto una capacità simile in fondo. Ma lei aveva addirittura dato forma umana al suo seme di stella.
O forse ...
Sospirò. Forse stava solo facendo una gran confusione.
Qualunque fosse la verità, poteva comunque continuare a provare a usare in modo autonomo il proprio potere.
Si trovavano su un edificio molto alto ora e calcolò attentamente la distanza dall'altro edificio per calibrare bene il salto da fare.
Appoggiando il piede sul limite del tetto, si sentì rapidamente sbalzare in avanti e cadere nel vuoto.
Era scivolata!
Fu il pensiero di un secondo.
In quello dopo pensò, 'Non può finire così.'
Ma ormai era a parecchi metri di distanza dal tetto, in caduta libera.
Vide il mantello di Mamoru sopra di lei, mentre si buttava anche lui, ma era troppo lontano, troppo.
E non poteva finire così.
Non poteva.
No.
No!
Dev'essere ora, ora!
E successe.
Iniziò a fluttuare.
Fu superata in volo da Mamoru, che allungò il proprio bastone giusto all'ultimo, per attutire, seppur violentemente, la propria caduta.
Lei invece toccò terra, nel vicolo spazioso, in maniera delicata.
"Ce l'ho fatta ..." lo mormorò piano a se stessa, piena di felicità. E' vero, era ancora trasformata in Sailor Moon, ma era riuscita a utilizzare il cristallo in modo incredibile con la sola forza di volontà e senza avere di fronte chissà quale nemico.
"Ce l'ho fatta." ripetè, vedendo Mamoru avvicinarsi rapidamente a lei.
"Ce l'hai fatta?" Lo vide guardarla incredulo e scuotere la testa. Poi iniziò a stringerla così forte da bloccarle quasi il respiro.
Che stupida. "Non ti preoccupare. Sto bene, sto bene. Non è successo niente."
Ma per un attimo risentì anche lei dentro di sè quel senso di impotenza che aveva provato per qualche istante, quel senso di terrore profondo.
"Sono qui, con te." Ma questa volta lo disse anche per tranquillizzare se stessa.
Sentì i brividi nel corpo di lui, così forti da arrivare a scuoterlo. No, se fosse crollato in quel momento sarebbe crollata anche lei.
"Stai calmo, sono qui." Ma ormai aveva già le lacrime nella voce. Stava per succedere e non-. "Portami a casa, amore."
Forse fu il singhiozzo che le udì nella voce o il fatto che non l'avesse sentita quasi mai chiamarlo così.
Ma Mamoru si riprese e, cercando per quanto possibile di evitare i tetti, la riportò nel suo appartamento.


Due ore dopo Usagi si svegliò col vento sul petto nudo.
Quando erano entrati avevano dimenticato di chiudere la finestra. Si alzò a farlo.
Tornò nel letto, caldo dei loro corpi, e appoggiò ancora una volta la schiena contro il petto di lui.
Guardò le proprie mani e si concentrò su di loro, molto intensamente.
E, in modo quasi impercettibile, crebbe una minuscola luce.
"Ce l'ho fatta ancora," mormorò molto piano, sorridendo. E ora non era nemmeno Sailor Moon. Ma ormai aveva capito a quale parte di sè doveva attingere per usare quella forza.
A quella parte profonda, quella dove giacevano tutti i suoi sogni e tutte le sue speranze. Tutto il suo amore. Era lì che risiedeva tutta la volontà che le serviva per usare il proprio potere.
Ma aprire quella parte di sè era come denudarsi, scoprirsi totalmente. L'incidente di poco prima era servito solo a ricordarle che più volte aveva temuto di perdere tutto quanto e che non poteva non aprire quella parte di sè, quando serviva.
L'unica sua forza stava davvero in tutto quello che per fortuna aveva ancora.
La piccola luce crebbe, fino a diventare della dimensione di una lacrima.
"Che cos'è?" sentì all'orecchio.
"Una luce. Ce l'ho fatta." Si girò appena verso Mamoru, sorridendo. "Guarda." La portò appena più vicino ai loro visi.
Poi lo vide allungare una mano, per fermarla a pochi centimetri dalla luce. "Credi che bruci?"
"No." Ne era sicura.
La mano di Mamoru passò attraverso la fonte luminosa, che andò ad illuminare persino l'interno della sua pelle. Mamoru vide le ossa del proprio dito, i vasi sanguigni, i nervi. E non sentì il minimo dolore.
"Ma è ... fenomenale."
"Sì." sorrise Usagi, sentendosi piena di soddisfazione. Poi la sua contentezza svanì e assunse un'espressione preoccupata.
Mamoru percepì il suo silenzio. "Cosa c'è?"
Usagi richiuse la mano e la luce sparì. "Mi sento un po' ... debole."
Mamoru rammentò le molte volte che era svenuta dopo aver utilizzato il suo potere nella sua forma più pura. "Per ora non sforzarti."
La sentì annuire contro il proprio viso.
La strinse ancora a sè e, addormentandosi nuovamente, si ricordò ancora una volta che avrebbe potuto farlo per molto altro tempo ancora.


FINE




Risposte alle recensioni: grazie dei commenti a romanticgirl, bunny1987, luisina ed Ami_Mercury. Sono felice che sia piaciuta la parte della 'rosa'; era un'idea che aveva in mente da un po'. Grazie come sempre a luisina dei commenti sui diversi pezzi, è bello vedere cosa ne avete pensato.
Mille grazie ad Ami_Mercury: penso di aver corretto quegli errori, mi erano proprio sfuggiti e ora che mi li hai fatti notare la storia è finalmente a posto, come dovrebbe essere.
Grazie ancora a tutte e buon anno nuovo!

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Capitolo 4
*** 4 - Antichi litigi ***


sailor moon Note: in una delle puntate della prima serie, durante uno dei soliti litigi infantili tra Usagi e Mamoru, ho avuto modo di leggere il vero dialogo che era intercorso tra i due. Le parole di Mamoru mi hanno fatto morire dalle risate :D Ringraziate quindi i sottotitoli dei DVD della Dynit per questa one-shot.
Ho scelto di inserire questa storia all'interno della raccolta 'Oltre le stelle - scene' perché volevo ambientarla dopo la terza scena ma prima della prima scena di 'Interludio'. Questa piccola storia mi sembrava adatta per questa raccolta, visto che parla di Usagi e Mamoru e di un momento della loro relazione successivo a 'Oltre le stelle'. Come periodo siamo nell'autunno o inverno del 1995, prima dell'inizio di Acqua viva.



Oltre le stelle - scene

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


4 - Antichi litigi

Chi va con lo zoppo impara a zoppicare

Ogni pentola ha il suo coperchio
L'immondizia va al suo posto
A ogni testolina a odango il suo perdente.

Tre anni dopo Usagi si svegliò nel suo letto, gli occhi spalancati.
Legò il sogno a un chiaro ricordo.
Si dipinse il volto di un sorriso pieno di malvagissimo amore.

Quello stesso pomeriggio, come da accordi, andò a trovare Mamoru Chiba.
Ex-principe Endymion, futuro sovrano, futuro padre di sua figlia e suo attuale fidanzato nei guai.

«Ciao» le disse lui sulla porta, felice. In passato per salutarla si era limitato spesso alle sole parole, ma da quando si erano... ehm, scoperti, lui era diventato molto più affettuoso.
La baciò sulla guancia, indugiando per un tenero momento col respiro sulla sua pelle.
Riempiendosi le narici del profumo di lui, un magnifico odore naturale che avrebbe dovuto essere imbottigliato e venduto per il bene dell'umanità, Usagi iniziò a pensare che il passato fosse passato, che i rancori erano una cosa negativa, che tante cose erano cambiate e che-
Mamoru andò in cucina. «Se non ti dispiace oggi avrei bisogno di comprare una nuova pentola.» Con una smorfia stizzita, profondamente scocciata, lui ne tirò fuori una annerita. «Ieri ho bruciato la migliore che avevo.»
Dang!
Il gong nella sua testa diede inizio alla battaglia.
Peggio per lui che in tre anni non aveva cambiato faccia! «Ma certo» gli sorrise melliflua. «Andiamo!»

«Ne preferisco una col fondo più basso» disse Mamoru, esaminando attentamente l'interno di una pentola lucente.
Alle sue spalle Usagi trafficò con una confezione chiusa, strappando le chiusure e aprendola. «Mi sa che questo è il suo coperchio!» Fece volare il braccio in un arco.
Completamente per caso, Mamoru si beccò una sonora coperchiata alla nuca.
«Oh! Scuuusa!»

«Ti fa ancora male?» gli chiese lei una volta fuori dal negozio, non del tutto pentita.
«No... non preoccuparti.»
Non è che lei si stesse proprio preoccupando. Lo aveva visto prendere in pieno attacchi mostruosi, ondate di energia e una volta, per errore, persino l'Aqua Shine di Sailor Mercury - era stata lei a deviarlo e poi si era scusata in un modo che le aveva tolto ogni secondo di colpa - perciò sapeva che la testa di lui era fatta di ferro inossidabile e infrangibile. Poteva prendersi qualche colpetto in più, soprattutto se ampiamente meritato.
«Ah!» fece Mamoru, inciampando in avanti. Riuscì a non cadere e si guardò indietro. «Un sasso.»
Ma allora, pensò Usagi, lo faceva apposta.
Riprese a camminare e osservò per bene il marciapiede che stavano percorrendo. Costeggiava il parco, ma niente più sassi nelle vicinanze.
Mamoru la raggiunse. «Cerchi qualcosa?»
«No no» fischiettò lei. «Che ne dici se andiamo a mangiare in quel posto?» Indicò con un braccio largo un ristorante dall'altra parte della strada.
Lui si voltò. «Va bene.» Iniziò ad avanzare.
Lei allungò una gamba.
Lui inciampò e, tentando di riprendere l'equilibrio, bilanciò il peso portando avanti velocemente la gamba opposta. Col ginocchio colpì un palo.
«Ahia!»
«Oh no! Scusa!»
Attraversarono la strada con lui che quasi zoppicava.

«Usa...»
Lei trasformò l'espressione in innocenza. «Hm?»
«Per caso... c'è qualcosa che non va?»
«Ma no!» ridacchiò lei. «Piuttosto non ti fa più male niente, vero? Oggi sono stata così sbadata
«... già.»
«Che ti prende?» gli chiese, curiosa.
«Nulla.»
«Bene.» Sorrise.
Lo lasciò coi suoi dubbi. Per quanto la riguardava poteva tenerseli vita natural durante.
Sarebbe finita così.
Sarebbe veramente finita così, senza più feriti.
Ma, verso la fine del loro pranzo, Mamoru guardò malamente le zucchine che aveva separato dal resto del cibo. «Non l'avrei ordinato se avessi saputo che c'erano anche queste. Sono da buttare.»
Lo faceva apposta!
«Non mi sembrano così brutte.» Lei si sporse sopra il tavolo, in pugno i bastoncini con cui aveva mangiato. «Hanno anche loro una loro dignità, no?» Le trascinò all'interno del piatto. Fuori dal piatto e sopra i pantaloni di Mamoru.
Lui scattò in piedi.
«Ah!» si coprì la bocca lei, con entrambe le mani. «Perdonami!»

«Usako.»
«Sì?»
«Cosa c'è che non va?»
Erano entrati nel parco. Lei adocchiò un chioschetto mobile per il tiro a segno e si illuminò. «Giochiamo!»
«Cosa?»
«A quello!» lo afferrò per un braccio. «Dai!»
«Ma perch-»
Lei lo trascinò di corsa verso il suo destino.

«Devi sbagliare, Mamo-chan.»
Lui abbassò il fucile giocattolo e la guardò come se non capisse più nulla. «Non vuoi quel coniglio gigante?»
Oh, era tentata perché il coniglio era bellissimo: rosa, morbido, con una faccina adorabile, ma... no! «Devi perdere.»
«Perdere?»
«Sì!» Perché a ogni testolina a odango il suo perdente, no? Era ora per lui di dimostrarglielo.
«Usako...»
Lei incrociò le braccia e gli diede la schiena. «Non ti guarderò più in faccia se non perdi!»
Dopo un momento di silenzio sentì dietro di sé una serie di colpi rapidi - sparati a caso, pensò.
Si girò per fare pace.
«Ma sei fortunatissimo ragazzo!» Il gestore del chiosco si accucciò sotto il bancone. «Tiri senza guardare e ti becchi lo stesso un premio.» Gli porse una piccola custodia trasparente.
Usagi spalancò la bocca e marciò via.
«Usa!»
Lei accelerò il passo. «Oggi non ti voglio più vedere!»
«Non l'ho fatto apposta!» gridò lui.
«Non mi interessa!»
Maledizione, qual era la strada per uscire?!?
«Usa.» Si sentì prendere un polso.
Non ebbe la forza di strattonarlo via. Iniziò a piagnucolare. «Uffa....» Avanzò di un passo e riuscì ad appoggiarsi contro il petto di lui, del suo fidanzato che avrebbe dovuto difenderla dal cattivo che l'aveva fatta piangere o almeno, almeno!, punirlo per bene. «Uffa...» Lo colpì con un pugno debole. Perché lui e il cattivo erano la stessa persona?
«Usa?» Esitando, Mamoru le massaggiò le spalle. «Non ho capito niente. Cosa c'è che non va oggi? Dimmelo.»
Lei tirò su col naso e deglutì. Si tirò indietro, per guardarlo in faccia. «Beh... Stamattina non me l'ero presa molto.» Erano passati tanti anni in fondo.
«Per cosa?»
Il tono innocente la fece sbottare. «Per quanto eri antipatico! Lo sai cosa mi hai detto?»
Lui sussultò. «Eh?»
Ora glielo faceva ricordare! «Quando ti avevo detto che mi piaceva un ragazzo che poi era Motoki e lui mi aveva detto che ero speciale!»
«Eh?» ripeté lui, confuso e più attento.
«Tu mi hai detto-» Lo scimmiottò al meglio delle sue possibilità, assumendo la stessa aria altera e antipatica che l'aveva fatta stare male. «Chi va con lo zoppo impara a zoppicare, ogni pentola ha il suo coperchio, l'immondizia va al suo posto, a ogni testolina a odango il suo perdente.» Nel ripetere tutte quelle cattiverie ad alta voce si riempì di furia. «Tutte quelle frasi pronte per parlare male di chi si sarebbe messo con me!»
Fu colpita, letteralmente colpita, da un'intuizione geniale, meravigliosa. Cambiò espressione. «Per caso... eri geloso?»
Mamoru si era rabbuiato. «No.»
Lei espirò via una nuova ondata di rabbia. «Allora eri solo cattivo.»
«Ero stupido. Scusa.»
Lei abbassò lo sguardo. «Non basta.» Ma bastava, era quella la cosa peggiore. Erano passati tre anni da quando lui si era comportato in modo tanto infantile, ma sembravano passati secoli con tutto quello che era successo da allora. Lei se l'era presa solo perché era ancora una sciocca, ma... «Mi sarebbe bastato che perdessi al gioco di prima per dimenticare tutto quanto.»
«A ogni testolina a odango il suo perdente?» comprese lui.
Lei annuì, mogia.
«Scusa.»
Lei non riuscì a dire 'Va bene' e si sentì stupida.
Udì un suono e le parve, forse, un sorriso.
«Sai cosa farei se potessi? Tornerei indietro nel tempo e direi al me stesso di allora di piantarla. Si stava rendendo ridicolo.»
Usagi aggrottò la fronte, ma manenne lo sguardo basso.
«Non ero geloso di te, Usa. Solo invidioso, te l'avevo detto.»
Invidioso della sua allegria, della sua spensieratezza, della sua vita tranquilla e felice, come quella che lui non aveva mai avuto.
Alzò lo sguardo, sentendosi meschina non in passato ma in quel preciso momento. «Scusa.»
«Me l'hai detto spesso oggi» sorrise lui. «Dopo tanti incidenti
Lei scrollò le spalle.
«Me li meritavo» concordò Mamoru.
«Già.»
«Lo vuoi?» si sentì chiedere.
Abbassò lo sguardo. «Cos'è?»
Lui aprì il premio che aveva vinto al chioschetto. Da una confezione di plastica minuta estrasse un anello di plastica altrettanto minuto ma molto grazioso.
«In segno di pace» fece lui, prendendole una mano. «Immagina che abbia voluto dartelo dopo il ballo in maschera a cui avevamo partecipato. Era passato poco tempo da quando avevo insultato il tipo che sarebbe diventato il tuo ragazzo, perciò mi sembra una bella vittoria per te: a quel ballo ero io a seguirti dappertutto, non il contrario.»
Per non sorridere troppo lei si morse le labbra. Quando ebbe al dito l'anello azzurro sollevò in aria la mano e rimirò la graziosa lucentezza del gioiello di plastica. «Beh, ma ero trasformata. Era merito della penna lunare.» Inoltre, se non fosse stato lui a seguirla, lei lo avrebbe braccato senza lasciargli un attimo di respiro.
«Ti faceva sembrare un po' più grande.» Lui seguì con lo sguardo l'anello. «Meno di adesso però. Chiariamo che io ora sarei felice di chiamarmi zoppo, coperchio, immondizia e anche perdente se servisse a stare con te.»
Lei cercò di non saltargli al collo. Fu uno sforzo tremendo. «Ti se molto evoluto in questi anni. Dalle stalle alle stelle.»
«Diciamo così» sorrise lui, tranquillo, dolce e di nuovo solo e solamente il suo Mamo-chan.
Usagi si morse le labbra. «Te la prendi se interrompiamo il nostro appuntamento e torniamo a casa tua?»
L'espressione di lui iniziò a intuire.
«Per farmi perdonare» aggiunse lei.
Mamoru annuì. «No. Stranamente non me lo prendo.»
Usagi intrecciò le dita con le sue e sorrise al cielo. «Andiamo allora!»

FINE




NdA : spero che questa piccola storia vi abbia fatto divertire :)
Ogni commento è sempre graditissimo.
Se aspettate nuove per la terza parte del capitolo 26/2 di 'Verso l'alba', volevo solo farvi sapere che sono un po' bloccata, ma è normale: sapevo che sarebbe stata complessa da scrivere. Per questo ho scelto di prendermi un'oretta di pausa e buttare giù questa storiella semplice.

Alla prossima!
ellephedre


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Capitolo 5
*** 5 - Troppo studio ***


Oltre le stelle scene 5 - Troppo studio

 

Episodio 5 - Troppo studio

 

Era impossibile. Facendo del suo meglio aveva imparato i domini, le derivate prime, le derivate seconde, che cos'erano i punti di massimo, di minimo, di flesso... Era stato tremendamente complicato! Adesso non le si poteva chiedere di studiare anche la funzione di 'e' elevato alla x! Lei non sapeva da dove cominciare!

Sollevò gli occhi dal foglio.

Oltre il tavolo Mamoru studiava sereno. Si fidava.

Lei non poteva arrendersi senza aver nemmeno cominciato. Le risposte stavano nel libro, no?

Poteva consultarlo, quello era solo un esercizio. Poteva saltare fuori all'esame di ammissione, e se lei non scriveva neppure mezza parola... Rabbrividì e cominciò a sfogliare le pagine.

«Va tutto bene?»

Si morse un lato della bocca. «Solo un ostacolo. Adesso lo supero.»

«Se vuoi un aiuto, sono qui.»

Evitò di guardarlo. Quando vedeva gli occhi gentili di lui aveva sempre voglia di buttarsi tra le sue braccia, per chiedergli di risolverle tutti i problemi che aveva.

Era sbagliato, all'esame sarebbe stata sola.

Se non capiva nulla dell'esercizio, era chiaro che doveva ricominciare dal principio. Da qualche parte c'era scritto sicuramente qual era il dominio di quella brutta lettera 'e'.

... forse aveva sbagliato a saltare dei pezzi nelle scorse settimane, ma non aveva tempo. Oltre a matematica, aveva un'enormità di materie da studiare per essere ammessa alla Todai.

Ce la stava mettendo tutta, ma non era ancora in pari.

«Usako?»

Respirò a fondo. Come avrebbe fatto a dirgli che non lo aveva ascoltato quando lui le aveva spiegato la funzione esponenziale? Si ricordava qualcosa del logaritmo naturale, che forse era il contrario, però...

«Usa.»

Lo guardò. «Voglio farcela da sola.»

Mamoru strisciò attorno al tavolo, raggiungendola. «Che esercizio è?»

«Quello che mi hai spiegato l'altra volta.»

Lui vide la funzione. «Ah, sì. Te lo rispiego?»

Gli stava facendo perdere tempo, anche lui aveva da studiare.

«Cosa c'è?»

«Forse... forse mi serve trovare... un mio metodo? Per ricordarmi come si procede in questo caso. Adesso leggo per bene il libro e faccio degli schemi, come mi hai insegnato tu.»

Pregò che non insistesse, ma Mamoru la conosceva abbastanza da capire che era nervosa.

«Non vuoi che ti aiuti?»

«Non voglio disturbarti.»

«Sei venuta a casa mia per studiare.»

Sì, e lo faceva tutti i giorni, da quasi un mese. Alcuni pomeriggi erano migliori di altri, imparava di più. In altri momenti invece guardava il cielo e pensava solo... 'Voglio uscire da qui.'

Lo studio le stava annebbiando la testa, ma arrendersi era fuori discussione. Aveva fatto troppi progressi.

La prima volta che aveva completato un esercizio complesso da sola, si era sentita così fiera. E Mamoru? Lui le aveva sollevato le braccia per aria. 'Verrai ammessa!'

Non poteva deluderlo, assolutamente no!

«Usagi, non ragionarci su per un'ora. Così perdi tempo. Adesso ti rispiego tutto, tranquilla.»

«Okay.» Si arrese e cominciò ad ascoltare.

Prestare attenzione la portò solo a confondersi. Perché un tizio di nome Euler si era inventato quel numero? E perché equivaleva a 2,71 qualcosa? Che significava 'irrazionale'?

La teoria matematica per lei era come la scienza aerospaziale, roba da geniacci ultraterreni. Riusciva a fare solo gli esercizi, perciò le interessava esclusivamente il trucco per risolverli in fretta.

Mamoru non se ne rendeva conto.

Ovviamente, aveva ragione lui. Al livello a cui era arrivata, oramai le toccava capire decentemente anche la teoria. Le serviva per fare i disegnini sul grafico, no? Le piacevano i disegni. Almeno davano un senso a tutti quei numeri.

«Hai capito?»

Colta in flagrante, deglutì. «Ho... bisogno di una pausa.»

«Devi andare in bagno?»

«... No.»

«Ci siamo messi a studiare da dieci minuti.»

Ecco il tono che la faceva sentire male. Lui lo aveva usato ai tempi in cui lei si era trovata ad un livello completamente diverso dal suo, nei panni della studentessa ignorante che a stento avrebbe preso il diploma. Quasi si mangiò un'unghia. «Mamoru... Oggi posso andare a casa?»

Lo sorprese. «Non devi chiedermi il permesso. Però...»

Non voleva sentire l'obiezione. «Allora vado a casa.»

«Usa.» Si sentì afferrare un braccio. «Usa

Dovette fermarsi mentre si alzava. «Sì?»

«Perché non mi stai guardando?»

Aveva paura di tradirsi. Ma poteva dirgli una parte della verità. «Quando non capisco le cose, mi innervosisco.» Incontrò i suoi occhi, per non farlo preoccupare. «Oggi le parole mi entrano da un orecchio e e mi escono dall'altro.» Ridacchiò come una stupida. «Ho la testa vuota!»

«... Sei stanca?»

Sì, ma non perché aveva sonno. Aveva bisogno di una giornata senza aprire libri. L'indomani si sarebbe pentita, però...

«Puoi rimanere a dormire qui, se vuoi.»

No. Al risveglio se lo sarebbe trovato accanto, con un sorriso incoraggiante che la invitava a una sessione di studio pre-cena.

Lui le lasciò la mano. «Non vuoi restare.»

Lo stava ferendo. «Non voglio studiare.» Si sentì enormemente bene nel dirlo.

«In effetti è da un mese che... Già, prenditi un pomeriggio. Così domani sarai in forze.»

Per studiare di nuovo. Giusto, inevitabile.

Ma era sbagliato da parte sua volere più di ventiquattro ore? Voleva una settimana intera di vacanze, anzi, un mese!

Era una stupida ragazzina: sapeva benissimo di non poter chiedere a nessuno tanto tempo, neppure a se stessa. La data dell'esame non si sarebbe spostata per far spazio ai suoi bisogni.

Mamoru la stava valutando. «Sei sotto stress. Okay, prenditi il tempo che ti serve.»

«Può essere solo questo pomeriggio. Non abbiamo ancora iniziato con Fisica. Non so niente di Fisica.» A scuola non aveva ancora smesso di prendere sufficienze rosicate. Se anche si impegnava a studiare le basi, il programma scolastico era molto più avanti, e lei ancora incredibilmente indietro. Solo con matematica aveva avuto qualche successo, ma alla fine, anche lì...

«Usa...»

Tratteneva a stento le lacrime.

«Perché ora piangi?» Mamoru provò a tirarla giù, ma lei resistette.

Le veniva da piangere perché, anche dopo mesi di sacrifici, non aveva smesso di sentirsi un'incompetente. Più andava avanti e imparava, più la massa di cose da sapere faceva un balzo in avanti, aprendole interi mondi che lei non era in grado di capire, che non voleva capire.

Era solo una sciocca ragazza a cui interessavano i manga, i drama, le canzoni... Ma da un mese a stento guardava la tv!

Una futura regina non si poteva permettere di restare ignorante.

Mamoru riuscì a farla sedere. «Usagi. Fai un bel respiro.»

Accolse il consiglio solo quando anche lui inspirò a fondo, per farsi imitare.

Espirando l'aria, Usagi rise piano e si stropicciò una guancia umida.

Mamoru annuì. «Se non vuoi studiare, possiamo non studiare. Basta dirlo.»

Non era così semplice, per troppe ragioni. «Ti faccio perdere tempo quando mi aiuti. Se non devi assistermi con lo studio, mi sento ancora più in colpa a distrarti dai tuoi libri.»

Mamoru era perplesso. «Pensavo che fossi tu a voler studiare tanto. Stavo seguendo i tuoi ritmi.»

Che voleva dire? «Non posso studiare di meno!»

«La cosa più importante è uno studio di qualità, Usa. Lascia perdere i tempi. Se devi scegliere, il tuo motto dev'essere 'Poche cose, ma buone'.»

Ahh, quelli erano i consigli che la facevano sprofondare! Quando lui parlava così aveva l'aria del professore, e al suo cospetto lei era solo una somara.

Mamoru la guardava, attento. «... Non devo più parlare di studio?»

Sì. No. «È meglio se vado a casa.»

Venne stretta in un abbraccio. «Aspetta.»

Non si staccò.

«Stiamo litigando?»

Sospirò contro il suo collo. «No.» Era lei il problema: si sentiva come una corda tesa, pronta a spezzarsi.

Mamoru non parlò più. La sistemò meglio contro di sé, sopra le proprie gambe, e Usagi si appoggiò a lui, in cerca di parole che non aveva.

Sul viso percepì dei piccoli respiri.

Poiché lo conosceva, sorrise a occhi chiusi: a volte anche Mamoru, che era tanto intelligente, non sapeva cosa dire.

Adagiò la testa sulla spalla di lui.

Cominciò a permettersi di riposare, di sentire.

La camicia di Mamoru era soffice contro la sua guancia. Profumava come le lenzuola del letto di quella casa - di lui e di serenità. Le poche volte che lei si svegliava lì, si arrotolava tra le coperte, per prolungare il momento. Guardava la luce del giorno attraverso le lenzuola bianche e sorrideva, cercandolo. Si accucciava contro il fianco caldo di lui, a volte si addormentava di nuovo.

Erano i suoi attimi di gioia infinita, piccoli e continui, forse meno frequenti di un tempo.

Da quanto non assaporava un abbraccio come quello?

Non ebbe subito una risposta e, mesta, lo strinse un poco più forte.

«Ti sono cresciuti i capelli.»

«Hm?»

Si senti prendere una coda.

«Ti arrivano alle ginocchia...»

Sorrise. «Può darsi.» Si era dimenticata quando era stata l'ultima volta che li aveva tagliati.

Mamoru continuava a strofinare una ciocca con le dita.

Lei si girò. «Cosa c'è?»

«Niente.» Lui li portò alla faccia. «Mi ricordavo che fanno il solletico quando stanno sul naso.»

Si agitò sotto i fili biondi, facendola ridere.

Mamoru le lasciò andare la coda. La guardò e posò la fronte sulla sua.

Avvicinandosi ancora, Usagi mischiò i loro respiri.

«A volte, non ti sembro... io, vero?»

Lei si scostò, per capire.

Lui pensava. «Ti comporti come se io fossi una persona che può dirti qualcosa che non ti piace.»

Suonava - pensò Usagi - tremendamente vero.

«Mi conosci. Che cosa potrei dirti, Usa?»

«Sei molto più studioso di me.»

Mamoru non capì se era un problema. «In questo mese mi hai superato.»

«Per me è uno sforzo così grande. Mentre... a te piace.»

Lui provò a capire qual era il nodo da districare.

«Mi sento... come quando ci siamo incontrati.» Usagi cercò di spiegargli. «Tu intelligente, io stupida.»

Mamoru si adombrò. «Non lo penso più.»

Lei apprezzò che non la smentisse sul passato. «Il problema è tutto quanto, non solo tu. Mi impegno a studiare e capisco, ma...»

«Hai fatto passi da gigante. Sono fiero di te.»

Questo le dava un mondo di felicità. Al contempo... «È una responsabilità. Ora mi vergogno molto di più quando vengo a dirti che, in alcune materie, non ce la faccio proprio, anche studiando.» Era in imbarazzo con lui più che con i suoi genitori: loro si erano rassegnati, non si aspettavano più niente da lei, a differenza di Mamoru.

Lui stava scuotendo la testa. «È normale, hai-»

«-delle lacune» terminò lei. «Ho delle voragini. In dieci anni non ho mai studiato bene. Ora devo recuperare tutto in pochi mesi.»

«Devi solo fare del tuo meglio.»

L'incoraggiamento le metteva tanta pressione.

«No, Usa. Devi fare del tuo meglio, ma questo non significa che devi riuscire a tutti i costi. Scegli tu qual è il tuo meglio. Con calma, coi tuoi tempi.» Il sorriso di lui fu amaro. «Mi sembrava che stessi andando troppo in fretta, ma... Non è necessario impressionarmi. Sono già impressionato.»

Per forza, bofonchiò lei.

«Cosa?»

Parlò a voce alta. «Rispetto al disastro che ero agli inizi, per forza ora ti sembro...»

«Una persona che si impegna.» Lui le sfiorò la guancia con le dita. «Agli inizi mi sembravi irraggiungibile, sai?»

«Eh?»

Mamoru quasi sorrise. «Tu eri normale rispetto a me, Usa. Per te era facile vivere. Io dovevo pensare a ogni parola, a ogni mossa. Mi chiedevo se, standoti vicino, sarei migliorato.» Le accarezzò la testa. «Mi chiedevo se un giorno ti sarei sembrato meno strambo.»

Lei provò a protestare, ma si zittì. Come lui, non sarebbe stata disonesta, ma non era piacevole.

Mamoru annuì. «Oggi mi guardavi nello stesso modo.»

«No.»

«Sì. Come se fossi troppo strano per te, e perciò tu non potessi starmi vicino.»

«Era senso di inferiorità! Perché sei troppo intelligente

Mamoru la osservò. «Non so tante cose. Quella di cui voglio essere sicuro è che... ti faccio sentire bene. La prossima volta, dimmi in faccia cosa c'è che non va.»

Suonò come un rimprovero. Usagi si sentì in colpa.

Mamoru abbassò le braccia. «Non ti riconosco.» Sorrideva. «In passato, quando ti sentivi così non mi davi contro?»

In passato non le era importato dell'opinione di lui. Ora era tutto per lei.

«Dammi contro, Usa. Crea un bel match.»

Eh?

«Li trovavo divertenti.»

Anche lei. «Adesso?»

Mamoru scosse la testa. «Affrontami quando senti di nuovo che ti sto dando fastidio, in qualunque cosa. Preferisco lo scontro alla fuga.»

Ah. «È solo che ho paura di farti male. Sei diventato così delicato quando si tratta di me...»

Lo colpì sul vivo, e si guadagnò un sorriso incredulo.

«Mai quanto la tua pancia» disse lui.

In che sen-?

Usagi saltò in aria. Il solletico no!

Si dimenò, ma non riuscì a scappare.

«Basta basta ba-!»

Si appoggiò sul tavolino e sgusciò via. «Ehi! Antipatico!»

«Codarda.»

«A me?» Afferrò il bicchiere da cui aveva bevuto. Era ancora mezzo pieno.

«No.»

Sorrise a trentadue denti. «Paura di un po' d'acqua, Mamo-chan?»

«Usa...»

Indietreggiare non gli servì. «Ti prendo!»

Rinvigorita, saltò sul tavolo come una folle, disegnando un arco in aria. Mentre volteggiava sopra la testa di lui, gli buttò l'acqua dritto sui capelli. Atterrò al suolo a ginocchia piegate, in equilibrio perfetto.

Fradicio, Mamoru spalancò la bocca.

Lei pure. «Ah... io...» Guardò il bicchiere vuoto. Aveva usate le sue capacità Sailor per bagnarlo!

Lui scoppiò a ridere.

Lei mollò il bicchiere sulla mensola dell'ingresso. «Scusa!»

Mamoru la tenne lontana con un dito, muovendosi verso il corridoio. «Adesso so cosa ci manca! Un allenamento!»

«Mamo-chan...»

Seguì le risate di lui verso il bagno.

Lo raggiunse mentre Mamoru prendeva un asciugamano.

«Non te la sei presa, vero?»

«No, Usa. Mi rifarò quando ci alleneremo. Preparati.»

Se la metteva così... «Come vuoi. Non sarò clemente.»

«Brava.»

Lui la premiò con un bacio rapido, ma lei lo premiò trattenendolo. Con le mani sui suoi capelli bagnati, premette la bocca contro la sua, nella maniera più dolce che conosceva.

Si staccò. «Usciamo.»

Lo aveva reso felice. «Dove?»

«In giro. Forse al cinema?» Lo trascinò in un girotondo. «Oggi festeggiamo!»

«Che cosa?»

«Io e te. Senza motivo.»

Lo intenerì, e per dargli un momento per riprendersi, si abbassò a recuperare il phon per lui. «Tieni. E sappi che un giorno potrai fare lo stesso.»

«Hm?»

«L'acqua sulla testa. Io non mi lamenterò.» Si mise una mano sul cuore.

Mamoru attaccò la presa alla corrente. Esitò ad accendere il phon. «Scelgo oggi.»

«Impaziente.»

«Più tardi, quando torniamo.»

Che stava pianificando?

Lui indicò la vasca alle loro spalle. «Sotto la doccia. Siccome dovrò essere io a versare l'acqua, meglio se ci togliamo entrambi i vestiti.»

In silenzio, lei indietreggiò verso la porta. «Che maniaco.»

«Parla quella che sta ridendo.»

Si finse offesa. «Ho imparato dal migliore.»

E, siccome per quel giorno aveva deciso di mettere in pausa lo studio - di qualunque tipo - chiuse piano la porta. «Datti una mossa.»

Tornò felice in salotto e mise via i libri.

Per far pace anche con loro, li baciò sulle copertine. «Mmuah! Non preoccupatevi, ci rivediamo domani! Questo pomeriggio vado in giro con Mamo-chan, poi torniamo qui a fare gli hentai insieme...» Ridacchiò. «Dedico la giornata all'amore, capite?»

«Parli da sola?!»

Oltre il rumore del phon, gli lanciò una linguaccia. «Muoviti, o me ne vado senza di te!»

Sospirando di gioia, si abbandonò felice sulla moquette.

 


 

NdA: Sono arrivata ad avere un'idea per questa raccolta, dopo anni che non la riprendevo, per processi mentali troppo contorti per essere spiegati :D

Spero che vi sia piaciuta. A me è piaciuto riscoprire anche Usagi e Mamoru, dopo tanto tempo che non mi dedicavo a loro in momenti felici e spensierati come questi (NdUsagi: insomma!)

ellephedre

 

 

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Capitolo 6
*** Temporale ***


Oltre le stelle - scene 7

Episodio 7 - Temporale

Stava per diluviare.

Il vento spazzava l’aria a ondate, facendo tremare la finestra. Lo scroscio di una pioggia lontana si avvicinava, incombeva e ancora non cadeva.

Stava per colpirli l’inferno della natura, e loro erano chiusi in una stanza ad aspettare che li risparmiasse.

La finestra era aperta, l’anta tirata in avanti sul bordo superiore, per lasciar correre un soffio d’aria durante la notte calda.

Non stava arrivando un tifone, ma quel temporale produceva suoni di terrore - uno spavento melodico, ritmico, persistente, che teneva ad annunciarsi.

Nel letto, Usagi non si mosse.

Era solo pioggia, si disse. Solo elettricità generata da nuvole cariche. Ma le faceva paura.

Sembrerà così la fine.

Non sapeva da quale parte della sua coscienza venisse quell'idea. Credeva nel bene, nella gioia, nella speranza che ogni persona creava per sé, ma percepiva con tutta se stessa che esisteva qualcosa di diverso e maligno, inevitabile, a cui non voleva avvicinarsi. Forse un giorno avrebbe conosciuto tali orrori.

Per questo mi fanno paura i temporali.

Aveva timore dei suoi stessi incubi, anche se a diciotto anni compiuti non era più una bambina.

Si strinse nelle braccia all’arrivo del primo lampo, una luce nell’oscurità del mattino plumbeo.

Dietro di lei, Mamoru mosse un braccio contro il suo stomaco.

Il tuono fece tremare il cielo sopra le loro teste.

«Usa?»

Fu un sollievo sentirlo parlare. «… ciao.»

Sveglio, lui ascoltò il rumore della tempesta. «… piove. Vuoi che chiuda la finestra?»

Sì. No.

Mamoru teneva la mano sul suo fianco, le dita vigili. «Sei rigida.»

«Sono suoni spaventosi.»

Lui si mise a sedere. «Basta chiudere.»

Lei afferrò una manica della sua maglietta. «Aspetta.»

Vide nel volto di lui il riflesso di un nuovo lampo.

Si aggrappò al suo pigiama, in attesa del rimbombo. Mamoru tornò a sdraiarsi accanto a lei mentre colpiva.

«Vuoi avere paura, Usako?»

Si concentrò sulla voce calda di lui, morbida. «No. Voglio sentirlo passare.»

Mamoru guardò il cielo. «Da quanto è cominciata?»

«Non lo so. Mi ha svegliato il vento.»

Gli occhi di lui erano paziente. «Potrebbe passare un’ora.»

Ne era consapevole, ma… «Per favore. Puoi… aspettare con me?»

Mamoru la guardò. La studiò. «Che cos’hai?»

Lei scosse la testa. «Voglio sentirlo andare via.» Non aveva senso, ma lo desiderava.

In silenzio, lui contemplò i rumori della pioggia che iniziava a cadere, un acquazzone violento, furioso.

«È la città che si fa il bagno.»

«Cosa?» Sorrise.

«Ha fatto un gran caldo. Tokyo si scioglieva al sole ma era testarda, non ne voleva sapere dell’acqua. Perciò eccola, tutta insieme in una volta.»

Usagi ebbe in testa l’immagine di una matrona in kimono che, sotto il getto della doccia, metteva il broncio e si agitava.

Rise.

Mamoru era contento. La abbracciò, premendo le labbra contro la sua fronte.

Lei fu scossa da un brivido quando sentì l’eco di un nuovo tuono, ma non ci badò. Era al sicuro, a posto. Le dita di Mamoru le sfioravano la base della nuca, creando piccoli tremolii di piacere.

Come una gatta, arricciò le dita dei piedi.

«Non sforzarti di affrontare tutto, Usagi. A volte puoi distrarti.»

Lei provò a pensare. «Questa è un'inquietudine che mi porto dentro da tanto.»

«Forse fa parte di te.»

Non voleva pensarlo, anche se lui non lo aveva inteso in maniera negativa.

Mamoru cercò di farsi guardare. «Va bene anche se non diventi matura in tutto.»

Il vento fuori dalla stanza creò un soffio rabbioso e Usagi inspirò col naso, per inebriarsi dell'odore di lui e dimenticare.

Lo stava facendo di nuovo. Stava scappando.

«Vuoi che non cresca troppo, Mamo-chan?» Era una cosa tenera. «Così puoi ancora consolarmi.»

«No. Non mi piace che tu ti senta in colpa se non riesci a superare proprio tutte le paure che hai. Piano piano, Usa. C'è tempo.»

Sì, forse aveva ragione lui.

In un moto di coraggio, si voltò verso la finestra. «Voglio vedere il cielo azzurro che torna.»

Per un po', Mamoru fece silenzio. «Sai, in realtà non se n'è mai andato.»

«Hm?»

«Il cielo chiaro è sopra di noi, oltre le nuvole. Su un aereo, vedresti il sole che brilla e sotto di te una distesa grigio-bianca che si estende per chilometri. Ne vedresti anche la fine. È tutto... relativo, solo una questione di dove ci si trova quando uno guarda. Anche questo temporale è bagnato dal sole sulla schiena. Solo che noi siamo troppo in basso per vederlo.»

Lui era così logico.

«Perché ridi?»

«Mi piacerebbe avere la tua mente.» Non sempre, ma a volte sì. Mamoru non aveva mai paura di nulla.

«Io non ti vorrei tanto razionale. Tu hai paura perché sei capace di sognare. I sogni a volte sono incubi. Ma con l'immaginazione tu vai in posti dove io non posso arrivare.»

Non era vero. «Mi hai raccontato di bellissimi sogni, Mamo-chan. Questa notte ne hai fatto qualcuno?»

«Non ricordo. Quando dormi da me, sogno poco.»

Ehi. Era una frecciata? «Mi dispiace.»

Lui udì il suo tono piccato. «Guarda che il motivo è semplice. I miei sogni sono già reali quando sei qui, perciò...»

Oh. Quella era una cosa così dolce... Una folata di vento freddo la colpì alla schiena e lei si rifiutò di darla vinta al temporale. Tirandosi su, si alzò. «Andiamo a fare colazione.» Era una bella domenica mattina. Non si sarebbe abbandonata alla tristezza solo perché fuori il tempo era terribile.

Guardò Mamoru, sorrise. «Anche tu sei il mio sogno, Mamo-chan.» Si avvicinò alla finestra, la chiuse.

Spostò la tenda, per non guardare più oltre il vetro. 

«Cominciamo la nostra giornata insieme, su! Ho tanta fame.»

Si diresse in cucina, felice.

Episodio 7 - Temporale - FINE

 


NdA: Ogni tanto l'ispirazione giunge così, da un temporale pomeridiano. 

Avevo le sensazioni di Usagi. Le ho esplorate, mi ci sono immersa. Ammetto che avevo una sorta di fascinazione per ciò che provavo, perché il brutto tempo è in grado di creare una colonna sonora davvero inquietante.

Volevo rendere la sensazione in una storia e così è nata questa mini-one-shot, quasi una flash-fic :)

Grazie di aver letto!

ellephedre

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Capitolo 7
*** Sciolti ***


Sciolti

 

 

Episodio 6 - Sciolti 

 

Erano biondi, morbidi, di solito profumati e lunghissimi. Ma Mamoru non li aveva mai visti completamente sciolti.

All'altro capo del tavolo Usagi smise di masticare il riso, divertita dalla sua attenzione. «Cosa c'è? Ho qualcosa nei capelli?»

«No. Pensavo che non li lavi mai a casa mia.»

Usagi rimuginò tra sé. «Già. Ma è un'operazione lunga e non molto divertente. Ne faccio il mio momento di relax personale.»

Per lui fu come una sfida. «Posso assistere?»

Lei non credette alle sue orecchie. «Ti interessa?»

«Mi è venuto in mente che non li ho mai visti fuori dalle code.»

«Davvero?» Usagi scoppiò in un sorriso. «Hai ragione! Be', i miei capelli sciolti sono come una specie di manto. Quando sono in vena mi metto a girare nella mia stanza e li faccio svolazzare in tondo, come una principessa.»

A volte lei parlava come se nemmeno lo fosse mai stata.

Usagi si stava mordicchiando le labbra. «Mi troverai molto diversa senza le code. Ma se vuoi vedermi...»

Lui annuì.

«Allora prepara un film.»

Cosa c'entrava la tv? 

«Ci metto tanto a pettinarmi. Di solito faccio partire una bella musicassetta romantica... e canticchio.»

Lui cercò di non sorridere.

«Vedi che mi stai già prendendo in giro?» Ma Usagi non era offesa, rideva con lui. «Okay, non conoscerai la tua Usagi in veste di cantante.»

«Ogni tanto canticchi anche qui» le ricordò lui.

«Eh, ma quando sono a casa da sola, e Luna non c'è, mi scateno in grandi interpretazioni!» Usagi portò alla bocca un inesistente microfono. «La-là! Non urlo solo perché se no mi sentono tutti.»

Lui cominciò a ridere tanto che gli vennero i crampi allo stomaco.

Usagi tirò fuori la lingua. «HMM! Dispettoso! Cattivo!»

«Voglio vederti!»

Lei scossa perentoria la testa.

Mamoru si calmò. «Ti prego. Per favore.»

Usagi era allegra. «Be'... se me lo dici mille volte...»

Così era esagerato.

Gli occhi di lei si accesero. «Te lo farò dire mille volte.»

«Ah, sì? Come?»

Lei si strofinò le mani. «Mi verrà in mente.»

Felice per la prospettiva, Mamoru tornò a mangiare.

  

Quel sabato sera Usagi era ufficialmente a dormire a casa di Rei - così aveva detto a sua madre ed era quello che la signora Tsukino doveva credere. Mamoru era segretamente convinto che Ikuko-san conoscesse la verità e l'idea lo rassicurava: gli sembrava di avere una sorta di approvazione per il tempo che passava con Usagi. La giornata piena che si concedeva insieme a lei - una volta ogni due o tre settimane - non nasceva da una completa bugia.

Anche quel sabato avevano trascorso il pomeriggio fuori, poi avevano scelto di cenare in casa. Erano le nove di sera e Usagi si preparava all'operazione di lavaggio della propria chioma.

«Mi dispiace» gli disse lei mentre approntava gli asciugamani. «Se devo fare questa cosa, non possiamo fare il bagno insieme.»

Era uno scherzo? «Perché?»

«Be', non riempirò la vasca d'acqua. Mi limiterò a fare una doccia rapida per poi lavare i capelli.»

Mamoru non capì. «Posso aiutarti.»

«Quello non si chiama aiuto, Mamo-chan.» Usagi ridacchiò e sollevò una coda. «Sai, c'è un motivo se questi sono così belli. Mentre li lavo mi ci dedico completamente, non posso distrarmi. Altrimenti li annodo, li tiro, oppure li lavo male.»

«Ah.»

Lei sorrise trionfante. «Preparo l'acqua calda per te? Dopo che avrò finito ci vorrà una vita per asciugarli. Mentre tu fai il bagno io starò qui col phon. Così non perdiamo tempo.»

Per cosa? Ma invece di domandare, Mamoru annuì.

Aveva chiesto lui di assistere a quel rito privato. Voleva osservarlo, perciò avrebbe lasciato a Usagi qualunque decisione.

  

Quando aveva comprato la casa, si era assicurato che la vasca da bagno fosse più grande di quella del suo precedente appartamento. Aveva pensato a se stesso - non era piacevole non poter allungare completamente le gambe mentre si rilassava nell'acqua calda - ma anche il pensiero di Usagi aveva avuto la sua parte. Ogni volta che lei dormiva a casa sua facevano la doccia insieme e quella era diventata una piccola e fantastica routine. Allargare l'esperienza a un bagno in due, in una vasca in cui non fossero schiacciati come sardine, non era una possibilità a cui lui aveva voluto rinunciare.

In quel momento Usagi era seduta su uno sgabello e separava le ciocche bionde con le dita, per asciugarle meglio. La maggior parte dei suoi capelli era avvolta in un grosso turbante. Dell'immagine che lei gli stava presentando per Mamoru era piacevole soprattutto il senso di intimità. Faceva un bagno e a pochi passi di distanza Usagi asciugava i capelli guardandosi allo specchio. Era come vivere già insieme a lei.

Non parlavano - Usagi non poteva sentirlo sopra il rumore del phon - e lui ne era quasi contento. Poteva osservarla mentre lei era assorta e concentrata.

Non è facile, sei sempre in movimento.

Usagi indossava un accappatoio rosa pallido, le gambe che uscivano dall'apertura tra i lembi. Con le ciabatte disegnava inconsciamente piccoli cerchi sul pavimento, le dita dei piedi che danzavano di vita propria. Lei spostò una ciocca di capelli sollevandola in aria, sopra la testa, per asciugarla con l'aria calda da ogni lato.

Mamoru le guardò il viso nel riflesso dello specchio. Usagi era cambiata molto, riuscendo a rimanere sempre uguale.

Le sue labbra erano identiche a quando lui l'aveva conosciuta, tre anni prima: rosa, un poco paffute, delicate nel disegno, sorridenti. Eppure, in qualche modo, erano diverse nella maniera in cui le stavano nel viso.

Osservando ancora, lui capì. I singoli tratti non erano cambiati. Era l'intero volto di lei a essere mutato nella forma, leggermente. Usagi aveva meno guance e il suo mento sembrava più sottile. Gli zigomi erano maggiormente visibili e il naso si era definito in angoli dolci, prima quasi inesistenti. Lei non era dimagrita, ma un po' di grasso infantile era sparito dalla sua faccia. Ora, più che graziosa, era bella, anche se per lui lo era sempre stata.

Lei spense il phon. «Mamo-chan?»

«Hm?»

«Se non ti muovi a uscire dalla vasca, non potrai aiutarmi a pettinare i capelli.»

«Eh?»

Lei si voltò. «Credevi di dover solo assistere? Non sai quante volte ho sognato che ci fosse qualcuno ad aiutarmi coi nodi. E ora...» Sollevò allusivamente le sopracciglia.

Sorridendo, Mamoru stiracchiò le braccia. «Esco.»

 

Sistemandosi sul divano, in salotto, Usagi lo invitò a sedersi accanto a lei. «Preparati» disse toccando i bordi dell'asciugamano che aveva sulle spalle. «Ci sei? Ta-da!» Fece ricadere sulla schiena, quasi fino al pavimento, tutta la massa di capelli che aveva tenuto raccolta, una lunga cascata dorata di morbidezza.

Toccandola, Mamoru si sorprese. Era più come una nuvola vaporosa, non esattamente ordinata.

«Hai visto? Per questo li tengo legati. Sciolti vanno dappertutto.»

Lei stava già separando le ciocche e lui si spostò in avanti, per guardarla in faccia.

Usagi sorrideva. Tirò via la frangia dalla fronte. «Senza questa mi riconosceresti ancora?»

«Sì.» Non potendo farne a meno, le diede un bacio veloce. Si prese un momento per osservare il modo in cui i capelli le cadevano ai lati del volto. «Così sei... più dolce.»

«Un altro motivo per legarli. Come faresti a resistermi altrimenti?» Usagi gli impedì di baciarla ancora spazzandolo in volto con un voluminoso ciuffo biondo. «Su, su, c'è da poco da scherzare. Al lavoro!»

Mamoru tenne in mano la ciocca che lei gli aveva passato.

Usagi lanciò un'occhiata alla tv spenta. «Oh, non hai messo il film.»

«Posso resistere senza.»

Divertita, Usagi contemplò la sua attenzione. «Cosa ti prende oggi? Non fai che... guardarmi.»

«Hm. È un problema quando ti guardo troppo, o troppo poco...»

Lei gli premette un dito sul petto, forte. «Ehi. Non mi distrai, sai?»

Lui si arrese. «Voglio solo guardarti.»

Usagi lo valutò. Nell'accorgersi dell'intensità del suo proposito prese colore sulle guance, giusto un poco. «Okay.» Cominciò a passare la spazzola sui capelli. Si dimenticò per diversi secondi di quelli che lui teneva in mano. «Ehm... se ci sono dei nodi, scioglili piano con le dita.»

«Di là ho un pettine.»

«Può aiutare.»

Mamoru andò a recuperarlo.

Di ritorno, più che osservare, lavorò. Divisi in due code i capelli di lei erano ordinati e gestibili. Sciolti, il loro reale volume si palesava in tutta la propria massa e difficoltà.

«Tua madre mi ha fatto vedere delle foto di quando eri bambina» le disse. Ricordava di aver pensato che Usagi fosse la fotocopia di Chibiusa. «Avevi già i tuoi...» Mini-odango. «Chignon.»

«Sono stati un'idea di mamma. Non so se avrei fatto crescere tanto i capelli se non mi avesse abituata a legarli qui dietro sulla testa così in alto. In questo modo sono comodi, non mi finiscono in faccia.» Per qualche momento Usagi non disse più nulla. «Alla fine, è tutta una grossa coincidenza, no? O forse destino.»

Mamoru non capì.

Usagi abbassò la spazzola. «Questa è la pettinatura della mia vita passata. Anche ora tenere i capelli così lunghi mi fa sentire... regale.»

Davanti al suo silenzio, Usagi spiegò. «Non lo faccio per questo. Amo i miei capelli così come sono, ma... Ti ho mai detto che dopo le battaglie più importanti, per qualche giorno, i capelli mi crescono più velocemente? Sono costretta a tagliarli da sola perché non arrivino fino al pavimento.»

«Non me l'avevi detto.» Perché?

Usagi scrollò piano le spalle. «Non avevo paura. Era bello sentirmi pervasa dall'energia che avevo usato, solo che... Non volevo che nessuno di voi si facesse troppe speranze.»

«Su cosa?»

Usagi era quieta. «Sulla possibilità che, per magia, diventassi una raffinata principessa. Andiamo, non ho nemmeno mai imparato a pattinare.»

Lei sceglieva di concentrarsi su quel particolare inutile? In ogni caso... «Nessuno di noi ti vuole più 'principessa', Usa.» Non pensavano a quella pettinatura come a qualcosa che la legasse al passato. Per tutti loro quei due chignon erano semplicemente una cosa da... Usagi.

Forse per lei era diverso, perché aveva visto quel modo di tenere i capelli su un'altra donna, la sua antica madre.

Usagi era assorta. «Il paragone non è inevitabile? Voglio dire... sono Serenity. Ho in me lo spirito di ciò che ero un tempo e sento che io e lei siamo uguali. Mi piace perché è stato come ritrovare una parte di me che non sapevo che mi mancasse, ma... Non ho i ricordi di Serenity, o le sue esperienze. Nel futuro verso cui andiamo sarebbe stato utile per me nascere più... regale. Più nobile.»

Era un discorso che Mamoru non poteva sentire. «Non so se mi saresti piaciuta.»

Usagi comprese le sue intenzioni. «Sì invece. Come Endymion ti sei innamorato di me.»

«Di Serenity. Io - Mamoru - ero interessato a una ragazza che mi faceva ridere.» Era nato anche lui diverso, forse apposta per incastrarsi meglio con lei.

Usagi aveva arricciato le labbra, indecisa tra un sorriso e una smorfia. «Sarebbe un complimento?»

«Sì. Mi facevi ridere così tanto che ti pensavo più di quanto fossi disposto ad ammettere.»

«Questo è bello.» Lei si girò per schioccargli un bacio sulla guancia. «Il tuo amore è basato sull'allegria.»

Su tante altre cose, troppe. Ma tornando ai capelli... «Questi sono solo tuoi, Usagi. Li sto ammirando per questo.»

Usagi rise. «Ammiri e non pettini. Non finiremo mai così.»

Concordando, Mamoru riprese a lavorare.

  

«Allora...» mormorò lui.

I capelli di Usagi erano asciuti, pettinati e legati in due code basse da un paio di fiocchi che lei aveva tirato fuori dalla borsa.

Sistemata contro la sua spalla Usagi guardava la tv, rapita da un film che avevano scelto per caso girando tra i canali.

«Aspetta...» Usagi si concentrò sul bacio tra i due personaggi della pellicola. Batté felice le mani. «Quanto mi piacciono queste cose!»

Lui era d'accordo: stava aspettando qualcosa di simile nella realtà, per loro due. «Non avevi detto che mi avresti fatto pregare?»

«Hm?»

«Prima. Poi abbiamo lavorato in tandem sui tuoi capelli per... be', per non perdere tempo.» Erano state le parole di lei.

Usagi sbatté ripetutamente le palpebre, per un attimo confusa. «Giusto. Hm... Finiamo di vedere il film.»

Mamoru attese con pazienza.

Ai titoli di coda, Usagi spense la tv. «Bella storia, vero?»

Lui annuì per riflesso: non aveva seguito molto la trama, ma non gli era dispiaciuto starsene tranquillo a guardare la televisione assieme a lei.

Usagi si era voltata per guardarlo. «Dobbiamo parlare, Mamo-chan.»

Interdetto dal tono serio, Mamoru ascoltò.

«Quando ti ho fatto quei discorsi invitanti... ecco, mi riferivo al futuro. Parlavo in generale. Non possiamo stare una sera senza pensare a certe cose? Non apprezzi la mia compagnia senza altri fini?»

Eh? «Ma...»

«Voglio dire, da quando la nostra relazione si è fatta così sessuale? Dov'è finita la dolcezza? Non è bello stare semplicemente insieme?»

Incredulo, Mamoru cercò i suoi occhi. «Non... Io-... Cosa

Usagi lo ammonì con un dito. «Dobbiamo risolvere. Cominciamo da questa notte.» Si alzò dal divano e camminò verso la stanza. «Dormirci su ci farà bene.»

Mamoru rimase a fissare la moquette. Prima di seguirla cercò di nascondere una tonnellata di confusione.

Da dove era saltato fuori quel discorso? Metà delle volte era stata lei a cominciare!

O lui davvero era stato troppo insistente? Aveva sbagliato da qualche parte? O Usagi era affetta da qualche momentanea crisi ormonale che-

Depresso cominciò a uscire dal salotto e la trovò in piedi sulla porta del corridoio. Lei stava provando con tutte le proprie forze a non ridere. «Ci sei cascato.»

Lui spalancò la bocca.

Usagi saltellò e corse in camera. «Ci sei cascato!»

Senza nemmeno pensare lui la inseguì. Rimbalzarono insieme sul materasso. «Era questa la tua idea?»

Giocosa, lei mantenne le distanze. «No, me n'ero completamente dimenticata! Ma tu hai sempre in testa la stessa cosa, buh! Così impari!»

«Io?!» Ridendo, Mamoru ricadde con la schiena sul letto.

Dopo un momento Usagi lo solleticò sulla faccia con la punta di una coda. «Ehi.»

Lui le sfuggì col naso.

«Guarda cosa faccio per farmi perdonare.»

Mamoru aprì gli occhi proprio mentre un fiocchetto gli cadeva sulla guancia. «Li sciogli?»

Lei annuì e gli riversò sul petto metà della propria chioma, salendogli sopra con le gambe, una da una parte all'altra dei suoi fianchi. Andò a slegare l'altra coda. «Dovremo stare attenti. Dovrai essere molto delicato con me.»

Lui la fece chinare in avanti. Coi suoi capelli si creò un meraviglioso rifugio biondo, con un vago profumo di fragola.

Usagi stava sbottonando piano il pigiama. «Ti piacciono?»

Come fa a essere una vera domanda? Non c'erano parole per esprimerlo. Si sollevò col torso, le prese la testa tra le mani. «Ti dimostro quanto.»

E per il resto della notte non parlarono.

 

Episodio 6 - Sciolti - FINE

 


 

NdA: Per l'idea, ringrazio due recensioni di EricaB e cri88 rispettivamente a 'Dentro di noi' e 'Red Lemon'.

Questa è una piccola storia che ho scritto un po' per esercizio, un po' perché quando ho una bella idea che mi ispira e fa contento qualcuno, sono felice di scriverla :)

Spero che vi sia piaciuta.

 

ellephedre

 

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