Cherry Blossom - Profumo di Ciliegie

di La_Sakura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Mi sveglio con la gola secca e una sete tale da farmi sognare cascate d’acqua fresche e cristalline, credo sia colpa dell’eccessiva dose di salsa di soia che ho ingurgitato durante la cena, così decido di alzarmi e cercando di non fare rumore per non svegliare i miei fratelli, apro la porta che dà sul corridoio. Mentre scendo le scale noto che dal piano inferiore giunge una fioca luce, così sempre silenziosamente mi dirigo verso la cucina.
«Mamma?»
La vedo sussultare appena, forse l’ho spaventata.
«Tesoro, che ci fai sveglia? Domani è un giorno importante, devi riposarti.»
«Potrei dirti la stessa cosa…» mormoro dolcemente, accarezzandole la testa e gettando un occhiata sul tavolo davanti a lei: sta sfogliando degli album di foto.
«Mi ero immersa nei ricordi… Sono le foto di voi da piccoli. Lo sai che la tua prima parola è stata…»
«Sì, lo so… - la interrompo arrossendo e sedendomi accanto a lei - È stata booru, e indicava Tsubasa, che giocava sempre a calcio in giardino… - ripeto il tutto a memoria, sorridendo, mentre le immagini della nostra infanzia si rincorrono nella mia mente - E io, pur di stare con lui, ho iniziato ad appassionarmi a questo sport. Un vizio di famiglia, direi.»
Mia madre sorride e mi mostra una foto: avrò avuto circa un anno, sono seduta in giardino, accanto a me mio fratello maggiore mi mostra con orgoglio il pallone.
«Ogni volta che vostro padre partiva per un viaggio tu piangevi disperata, allora Tsubasa ti portava in giardino e iniziava a palleggiare, e tu ti perdevi ore e ore a guardarlo. In un attimo è diventato il tuo punto di riferimento, come se tu provassi a sopperire alla lontananza di papà cercando certezze in tuo fratello.»
«Già… - mormoro voltando le pagine, cercando la foto che mamma ci scattò quando arrivammo a Nankatsu - Da qui in poi è cambiato tutto.»
«Il trasferimento ha decisamente cambiato le nostre vite, quella di tuo fratello in primis, ma anche la tua, non puoi negarlo. E sono convinta che l’abbia cambiata in meglio.»
Mi allontano appena da lei e faccio aderire la schiena alla sedia, gettando leggermente la testa indietro. Se ripenso a questi ultimi anni, devo decisamente concordare con mia mamma: la nostra vita è cambiata radicalmente da quando ci siamo trasferiti qui, ma sul cambiamento in bene o in male, ho ancora qualche dubbio.
«Eri piccolina, fisicamente; parlavi poco, sorridevi ancora meno. Solo tuo fratello era in grado di tirare fuori la tua vera essenza, facendoti sfogare correndo dietro al pallone, ma quando siamo arrivati qui il calcio ha preso il sopravvento e lui era sempre più lontano da te.»
Mi alzo per aprire il frigorifero perché mi accorgo di non avere ancora bevuto, e parlare a bassa voce mi ricorda quanto sia secca la mia gola: l’acqua fresca scivola giù per l’esofago e mi disseta, mentre la mia mente vaga e mi ritrovo improvvisamente a ricordare il giorno in cui Tsubasa ha iniziato a parlare del suo sogno.
 
«E quindi com’è finita?»
Papà è interessato al mio racconto, mi osserva accarezzandosi il mento con la mano destra: è appena tornato dal suo viaggio e io sono così felice di averlo qui a casa.
«Ha sfidato Wakabayashi lanciando la palla dalla Terrazza del Tempio!»
«È stato un gran tiro!» esclama Tsubasa, sentendosi preso in causa e raggiungendoci in cucina. Io annuisco mentre apparecchio la tavola, e poso davanti a lui le sue bacchette.
«Ishizaki è rimasto mezz’ora a bocca aperta.» ridacchio divertita ripensando a quel ragazzino, il primo che ho conosciuto quando ho seguito Tsubasa per sfuggire al trasloco.
«Anche il tiro sotto al bus non è stato male.» continua lui, facendomi l’occhiolino mentre si appropria di una boccata di riso senza farsi vedere da mamma.
«Nah, la cosa che ho preferito è stata vederti dribblare tutti quei palloni gonfiati della Shutetsu!»
«Sacchan!» mi rimprovera mamma, l’appellativo con cui ho descritto i ragazzi non le è piaciuto.
«E Wakabayashi non l’ha presa bene, dovevi vederlo come si era arrabbiato!» continuo, ignorandola.
«Ma ammettilo… - Roberto arriva in cucina e, scompigliandomi i capelli sulla testa, si siede a tavola - il momento migliore è stato quando lui - e indica mio fratello con le bacchette - ha tentato di riprodurre il mio tiro in rovesciata ed è cascato a terra.»
Ricordando la scena scoppio a ridere, seguita dal brasiliano e dalla mamma: Tsubasa, imbarazzato, si accarezza la nuca e arrossisce, cercando di giustificarsi con la scarsa esperienza.
«Hai ragione. - dice Roberto quando finalmente riesce a smettere di ridere - Ma diventerai un grande campione, sei riuscito a copiarla al terzo tentativo.»
«E lo farò venendo con te in Brasile, Roberto!!»
Sentendo quelle parole, mi blocco per un attimo: di cosa sta parlando mio fratello? Guardo la mamma che, però, continua a scaldare le verdure nella padella, ignorandomi.
«Brasile?» chiedo allora, voltandomi verso mio fratello.
«Esattamente! Roberto mi porterà con lui per farmi diventare un calciatore professionista! Ha chiesto il permesso a mamma e papà, e loro hanno accettato!»
E, e, e… E io dov’ero? A me nessuno ha chiesto niente… stringo le bacchette così forte che ho quasi paura di spezzarle, così le appoggio al mio posto e, con la scusa di andare a lavarmi le mani scappo in bagno. Ma con la coda dell’occhio vedo mamma che mi osserva mentre mi allontano, e mi rendo conto che non se l’è bevuta…
 
Torno a sedermi accanto a mia madre e rivedo le foto delle varie partite di calcio che Tsubasa ha disputato; ho sempre avuto la passione per la fotografia, e l’ho immortalato più e più volte: lo sguardo fiero e determinato, il sudore sulla fronte, la grinta che traspare.
«È sempre stato il mio mondo, forse sopravvalutavo la sua presenza nella mia vita, ma ero convinta di non essere in grado di concludere nulla senza il suo supporto. Così, quando è arrivato Roberto Hongo e io mi sono resa conto che il sogno di Tsubasa non includeva anche me, ho dovuto rimboccarmi le maniche e cercare la mia strada.»
 
Roberto Hongo ha stravolto completamente le nostre vite: forse mamma non se ne rende conto, e forse neanche papà… Tsubasa men che meno, ma quest’uomo ha preso una decisione (col consenso dei nostri genitori) che riguarda il futuro di mio fratello. Lo porterà in Brasile.
Ho guardato più e più volte la cartina del mio atlante per capire dove si trova questo posto, con l’aiuto di papà ho calcolato la distanza in chilometri, e ho solo capito che sono tanti. Dovrà salire su un aereo per arrivare là, e ci metterà tante ore. Mi sono rabbuiata quando ho terminato le mie considerazioni, e papà mi ha subito fatto sedere sulle sue ginocchia.
«Tuo fratello ha un grande sogno, e per realizzarlo deve compiere un grande viaggio.»
«Ma non può realizzarlo da qui, il suo sogno?»
«Vedi, è talmente grande, che per realizzarlo deve fare dei sacrifici. Sai cosa sono i sacrifici, Sakura?»
Ci penso un attimo su, poi scuoto vigorosamente la testa da destra a sinistra in segno di diniego.
«I sacrifici sono gesti che si compiono, anche se fanno soffrire, per il nostro bene o il bene delle persone che amiamo.»
Ci penso un attimo su poi lo fisso negli occhi:
«Anche tu fai sacrifici quando sali sulla Eiko Maru?»
Vedo i suoi occhi coprirsi di un velo lucido, come se fossero lacrime, poi li chiude e annuisce.
«Esatto: quando sono lontano dalla mamma, da te e da Tsubasa, per me è un sacrificio, perché siete il mio cuore e la mia anima, e starvi lontano è doloroso. Ma lo faccio perché così posso guadagnare i soldini per mandarvi a scuola, o per comprare i vestiti, e da mangiare.»
Annuisco, e mi riprometto di non piangere più quando papà ripartirà, perché sta facendo un sacrificio.
Mamma ci raggiunge e quando vede l’atlante aperto sulla cartina del Sud America mi sorride, appoggiandomi una mano sulla testa.
«Che fate qui? La cena è quasi pronta.»
«Papà mi ha fatto vedere dove andrà Tsubasa! - esclamo fingendo entusiasmo - Sono tanti chilometri e dovrà fare dei sacrifici.»
La vedo sorridere ulteriormente, anche se i suoi occhi non lo fanno: ogni volta che parliamo del sogno di mio fratello la bocca della mia mamma sorride, ma i suoi occhi no. Non mi piace perché sembra quasi triste, così scendo dalle ginocchia di papà e mi aggrappo alla sua gonna per abbracciarla.


Ed eccoci qui... qualcuno avrà già conosciuto Sakura, per altri sarà una scoperta, spero piacevole. 
La storia è terminata, e dopo averci pensato a lungo, ho deciso di pubblicarla (grazie anche a chi, in privato, mi ha sostenuto, dato consigli e quant'altro)
I ringraziamenti arriveranno al momento opportuno, per ora vi auguro buonanotte e... a presto ;) 
Sakura chan 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Parlare con mamma sta scoperchiando il vaso di Pandora, ma ormai abbiamo iniziato e non posso tirarmi indietro. Gli ultimi eventi mi hanno condizionato particolarmente, e nonostante faccia fatica a riconoscermi, ho iniziato a percorrere una strada che non posso abbandonare.
«La partenza di Roberto è stata una benedizione per te.» dice all’improvviso, e mi sento in colpa. In effetti, sì, fui molto felice quando Roberto decise di andare in Brasile senza mio fratello, non lo nascondo, ma non smisi di odiarlo, anzi. Forse quell’episodio ha rafforzato la pessima opinione che una bambina di dieci anni aveva maturato sull’uomo che voleva portarle via il suo mondo. Ma nonostante avesse deciso di andarsene da solo, non potevo voler bene a colui che aveva infranto i sogni di mio fratello.
«L’ho sempre considerato un personaggio ambiguo. Ha preso una decisione, per poi revocarla senza avere il coraggio di prendersi le proprie responsabilità e dirlo in faccia.»
«Non credo che per lui sia stato facile, Sacchan. Devi anche considerare che lui voleva molto bene a Tsubasa, e gliene vuole tuttora.»
 
Arrivo all’aeroporto e scendo dal taxi al volo: mamma mi chiama ma io corro all’interno dell’edificio per cercare mio fratello. La calca è impressionante, picchio contro alle persone mentre mi guardo intorno. Sbuffo, sperando che, sì, sperando che Roberto non sia partito davvero.
«Dannazione!» esclamo. Mamma mi ha appena raggiunta e mi accarezza la testa.
Poi mi volto, e lo vedo. A testa bassa, incurante di ciò che lo circonda, Tsubasa cammina verso di noi, anzi, verso l’uscita dell’aeroporto. Quando arriva a pochi passi da me noto gocce salate che gli solcano il viso e la consapevolezza che Hongo non ha mantenuto la sua promessa si fa strada dentro di me. Sento gli occhi pizzicare, le gambe si muovono da sole e corro ad abbracciarlo.
Lui si accorge della mia presenza dopo pochi istanti, come se si risvegliasse in quel momento dal suo stato catatonico.
«Sacchan… lui se… se n’è andato…»
«Mi dispiace fratellone… mi dispiace…»
E mentre lui scoppia a piangere per la delusione, io lo faccio perché posso percepire il suo dolore, il dolore per una promessa infranta. Tsubasa ha messo tutto sé stesso in questo progetto, ha votato la sua vita a questo sogno, e Roberto se n’è andato fregandosene di tutto ciò.
Mamma sorveglia la scena e ci attira a sé, al suo petto, come faceva quando eravamo piccoli e ci ammalavamo. Ma ora, l’unico ad essere ammalato, l’unico ad avere una ferita da risanare è Tsubasa.
 
«E poi sia Misaki che Wakabayashi se ne sono andati, e questo credo che sia stato un altro duro colpo per lui.»
Annuisco, mamma ha ragione. Ma la partenza di Misaki è stata un duro colpo anche per me, perché non feci nemmeno in tempo a confessargli la mia cotta… sono riuscita giusto a mettere il mio kanji su quel pallone che Tsubasa gli ha calciato senza riuscire a dargli la lettera che gli avevo scritto per svelargli i miei sentimenti. Che sciocca, se ci ripenso… ridacchio pure mentre mi viene in mente che quella lettera è ancora in qualche cassetto in camera mia. Devo farla sparire.
«Sì, è stato un peccato vederli partire, anche perché la Nankatsu era davvero forte con loro due.»
«Ma hanno vinto altri due campionati di fila anche senza di loro.» mi fa notare lei.
«Per poi perdere senza Tsu-chan…»
E si torna lì, gira che ti rigira il Brasile esce dalla porta ed entra dalla finestra.
Volto lo sguardo verso la parete dove mamma tiene la vetrinetta con le foto e i trofei di mio fratello: là al centro campeggia la foto di quando è partito. Ce la fece nostro padre, prima che accompagnassi Tsubasa alla fermata dell’autobus. Lui non voleva ma io avevo puntato i piedi, facendo pure leva sul suo senso di colpa, come una vigliacca bambina capricciosa quale ero. Ma avevo fatto bene.
                     
Camminiamo l’uno di fianco all’altra, senza parlare. Mi tiene la mano come quando ero più piccola, e quando arriviamo alla fermata del bus, la stringe con forza senza voltarsi verso di me. Le lacrime ricominciano a scorrere copiose e appena appoggia la sua valigia a terra mi getto sul suo petto e comincio a piangere disperata.
«Tsu-chan…»
«Non piangere Sacchan… andrà tutto bene…»
«Mi mancherai… tanto… come farò… da sola…»
«Non sei sola… hai la mamma… e tutti i ragazzi della Nankatsu… e poi è rientrato anche Taro.»
Mi blocco di colpo e sento le gote avvampare, mentre lo vedo chinare lo sguardo su di me e le sue labbra si curvano in un ghigno sarcastico. Perché lui sa che Misaki è stato l’oggetto della mia prima cotta. Mi allontano leggermente da lui mi asciugo le lacrime col dorso della mano, poi estraggo un fazzoletto dalla tasca e mi soffio il naso. Sento dei passi che si avvicinano: mi volto e mi trovo davanti Sanae. Anche Tsubasa sembra sorpreso: so che l’ha chiamata per dirle che sarebbe partito e che non voleva nessuno, eppure lei è lì.
Perché so che lo ama? Perché nei suoi occhi leggo lo stesso sguardo di mamma quando saluta papà prima di un viaggio... e all’improvviso mi sento di troppo.
Osservo la scena, cercando di farmi da parte per lasciare che si salutino, poi l’autobus arriva, e le mie lacrime ricominciano a scendere copiose.
«Abbi cura di te, Sacchan…» mi dice, accarezzandomi una guancia. Annuisco decisa, cercando di sorridergli. E mentre lo vedo salire, sento Sanae urlargli ciò che vorrei dirgli anche io.
«Realizza il tuo sogno, fratellone…» mormoro, e appena scompare dalla mia vista, sento le braccia di Sanae che mi circondano le spalle e entrambe ci lasciamo andare ad un pianto ininterrotto.
 
«Sono poche le occasioni in cui hai puntato i piedi facendo i capricci, sai? Direi che si possano contare sulle dita di una mano. Fammi pensare…» e si picchietta un indice sulle labbra sottili alzando gli occhi al cielo come per riflettere.
«Quando ti hanno regalato la prima bambola. - dice convinta - Non la volevi perché non potevi giocarci con Tsubasa.»
«Quando mi è stata data la divisa diversa dalla sua, a scuola…» mormoro, sapendo che mi sto tirando la zappa sui piedi da sola.
«Ah sì, hai ragione. Anche quando ci siamo trasferiti a Nankatsu non eri molto entusiasta.»
«Non mi andava l’idea di cambiare scuola, ma non ho fatto capricci…»
Improvvisamente lo sguardo di mia madre si illumina e si sporge sul tavolo verso di me, prendendomi le mani tra le sue.
«Sai quando ti sei comportata veramente da ragazzina viziata, facendomi dubitare delle mie qualità di genitore?» ma sorride mentre lo dice.
«Kamisama mamma… non dirlo…»
«Oh sì, invece… il Torneo di Parigi!» esclama con enfasi.
Avvampo per la vergogna e appoggio la fronte sul bordo del tavolo: in quell’occasione ho dato proprio il peggio di me, ha ragione lei…
 
«Ancora non riesco a crederci: sei riuscita a convincere Katagiri a lasciarti venire a Parigi! Ma come hai fatto, Sacchan?»
Sinceramente, sono stupita anch'io. Non mi aspettavo che lui e Mikami mi dessero il benestare, ma non posso raccontare a Tsubasa ciò che ho detto loro. Sono scoppiata a piangere davanti a entrambi, dicendo che sarebbe stata una delle ultime occasioni in cui avrei potuto passare del tempo con mio fratello, e loro... beh, mi hanno accordato il permesso di seguire la Nazionale fino a Parigi, per il Torneo.
Siamo arrivati da poco tempo, ma già questa città mi piace tantissimo. Siamo usciti da soli, io e Tsubasa, per fare una corsetta, accompagnati dal suo immancabile amico pallone. Il sole sta tramontando sulla capitale francese, e il cuore scoppia di gioia, non riesco a credere di essere davvero qui, ora. Il ritmo di corsa che sta tenendo Tsubasa è leggero, sa bene che non sono allenata quanto lui, e che faticherei a stargli dietro. È davvero premuroso, sarà dura abituarsi alla sua assenza una volta che se ne andrà in Brasile. Scaccio quel pensiero, non voglio rattristarmi ora, così scuoto la testa e fisso l’orizzonte, quando il mio cuore perde un battito. Non può essere… Tu-tum…
Non mi accorgo neanche di essermi fermata, noto appena Tsubasa che prosegue la sua corsa.
«Sei fuori forma, Sacchan! Quando torniamo a casa studieremo un programma di allenamento apposta per te!»
Se ne dev’essere accorto anche lui, perché i due si superano e si fermano, immobili. La palla rotola via, anzi, entrambi i palloni lo fanno. Si voltano, e si riconoscono: Taro e Tsubasa si sono appena rincontrati sotto la Tour Eiffel. E il mio cuore si è fermato. 

«Se non sbaglio è stato poi lì che hai conosciuto il nipote di Madame Deville, dico bene?»
Prendo l’album azzurro e lo sfoglio, facendole vedere le foto che ho scattato proprio in occasione di quel torneo.
«Sì, è stato lì. Ma abbiamo interagito poco, io più che altro dovevo stare vicino a Katagiri e non disturbare.»
«Mi sembra giusto.» annuisce lei.
«Io volevo solo… - mormoro, tornando a fissare la foto della partenza, e sento un nodo che mi si forma in gola – Volevo solo stare con Tsubasa il più a lungo possibile… se ne sarebbe andato…»
«Mi spiace, tesoro, so quanto hai sofferto… avevi una paura folle che tuo fratello si dimenticasse di te.»
«Era una paura irrazionale, la stessa che mi prendeva da piccola quando papà partiva per i viaggi. Gli uomini Ozora sono tutti girovaghi, speriamo che non sia lo stesso per Daichi.»
La vedo ridere sotto i baffi e penso a quanto sia bella, nonostante gli anni. Penso a quanto ha sofferto quando Tsubasa è partito, e a quanto sono stata egoista nelle mie scelte, anche se lei me le ha sempre appoggiate.
«Non siamo stati dei figli facili per te, eh mammina?»
«Siete degli Ozora, anche nelle tue vene scorre sangue girovago, che ti credi? - mi dice, prendendomi in giro - Ma sei più impulsiva, più “testa calda” diciamo. E pensare che da piccola quasi non parlavi.»
«In effetti il cambiamento c’è stato quando sono rimasta qui da sola: senza la supervisione di Tsubasa sono diventata… Anego
Scoppiamo a ridere entrambe, e d’istinto ci voltiamo verso le scale per sentire se per caso abbiamo svegliato gli altri occupanti della casa; non sentendo rumori, ci torniamo a voltare verso l’album e guardiamo altre foto.
«Quando sei diventata manager della Nankatsu ho capito subito che dovevi avere qualche motivazione particolare, oltre al fatto che l’ultimo anno delle medie per te è stato tremendo, data la lontananza di tuo fratello.»
«Memore delle vicende tra lui e Sanae?» e mentre lo dico, arrossisco vistosamente, perché anche mia mamma sa alla perfezione per chi palpitava il mio cuore quando decisi di affiancare Sanae e Yukari come manager.
«Ad ogni modo è stato un bene, mi sono avvicinata molto a lei.» e con lei intendo proprio Sanae.
Non ci siamo mai parlate tanto, prima del “fatidico giorno”: io ero solo la sorellina di Tsubasa, per tutti, quindi passavo inosservata, cosa che non mi dispiaceva. Dopo la partenza invece, quell’appellativo ha iniziato a pesarmi, un po’ come pesava a Sanae essere “la fidanzata di”, quindi se lei ha, a tratti, riesumato aspetti della vecchia Anego, io li ho assimilati e mi sono trasformata.
Così, una volta giunta alle scuole superiori, mi sono iscritta al club, sia per stare accanto alle mie nuove amiche, sia per Taro. Sorrido mentre mamma mi indica la foto che scattò a me e lui durante una festa.
«Si vede dai tuoi occhi, che eri innamorata di lui…»
«Bella fregatura…» mormoro, distogliendo lo sguardo.
«Sakura… non abbatterti. Ma soprattutto, non arrenderti: se è vero amore, trionferà.»
«E se non lo fosse?»
«In quel caso, beh, soffrirai… ma ne uscirai fortificata. Sei ancora giovane, hai tutta la vita davanti…»
Distolgo lo sguardo da lei e torno a osservare la fotografia…
 
«Ti manca molto, vero?»
«Uh?» sollevo la testa dalle divise che sto piegando e vedo Misaki che mi osserva, appoggiato allo stipite della porta della lavanderia, le braccia incrociate, il sorriso sulle labbra.
«Tsubasa.»
Inevitabilmente le mie labbra si piegano in un sorriso carico d’affetto, come ogni volta che si parla di lui. Finisco di piegare l’ultima divisa e la posiziono insieme alle altre dentro l’armadio.
«È strano non averlo intorno, soprattutto qui sul campo da calcio.»
«Quando arrivi qui, prima degli allenamenti, ti soffermi ad ammirare il campo da calcio; la sera, prima di andare a casa, sistemi le divise, e inevitabilmente ti soffermi di più sul suo numero…»
«Quando Sanae me lo permette!» scherzo, cercando di allentare la tensione. Lui ride e si scosta dalla porta per farmi passare.
«Alla fine penso che sia più facile per me che per lei… - continuo, mentre ci avviamo verso l’uscita del complesso sportivo - E credo che lei stia peggio di quanto dia a vedere.»
«Come sta Daichi?»
Mi volto verso di lui e sorrido apertamente:
«Sta bene! È tremendo! Mamma dice che ha preso il peggio da me e Tsubasa! È molto vivace.»
«Tsubasa l’ha visto?»
«Oh sì, gli mando sempre delle foto. Poi penso che per le vacanze di primavera andremo a San Paolo.»
«Ti andrebbe… - mormora appena, una volta giunti al bivio tra casa mia e casa sua - Ti andrebbe di… andare a prendere un gelato insieme?»
Arrossisco di colpo, sento proprio le guance avvampare mentre quasi la cartella mi scivola via dalle dita: faccio forza sul manico e cerco di balbettare una risposta perché lui è lì che la aspetta.
«Si… si può fare…» mormoro. Lui si gratta la nuca imbarazzato e si fissa la punta delle scarpe.
«Allora se… se vuoi sabato possiamo andare in centro.»
Gli sorrido, devo avere una colorazione del viso tendente al rosso vivo, tipo ustione da spiaggia. Lui sorride a sua volta e si incammina verso casa, anzi, corre proprio, come se non avesse neanche appena finito di fare allenamento. Sospiro portandomi una mano sul cuore e sento che batte all’impazzata: mi ha chiesto di uscire…



Eccoci di nuovo! 
E qui abbiamo ben due eventi particolari nella storia di Sacchan: la partenza di Tsubasa *sigh* e... il primo appuntamento con Misaki xD
L'impostazione della storia non mi permette di entrare molto nei dettagli ma... non temete, c'è un tempo per tutto ^^ non rimarrete a bocca asciutta!
Ringrazio di cuore chi si è soffermato a leggere, chi ha recensito e chi esprime sempre così tanto affetto.
Vi voglio bene
Sakura 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


«Oh, mi ricordo bene il giorno in cui sei tornata a casa dicendo che Misaki ti aveva chiesto di uscire.» ridacchia, e io, come sempre quando si parla di lui, mi sento avvampare, e mi manca quasi il respiro.
«Non capisco perché vi divertiate tanto a prendermi in giro, proprio voi che siete la mia famiglia.» e con voi intendo lei, papà e Tsubasa.
«Perché quando si tratta di lui arrossisci come una dodicenne, Sacchan. E sei molto bella.»
Abbasso lo sguardo e sorrido imbarazzata, non mi sono mai considerata bella: carina, simpatica, divertente magari, ma bella proprio no.
La vedo soffermarsi su una pagina in particolare, e quando mi allungo curiosa, scopro che sono le foto della nascita del piccolo Daichi. Sento le mie labbra che si allargano automaticamente in un sorriso carico d’affetto mentre vedo la foto di lui nella culla, appena nato, che stringe le manine a pugno e pare sul punto di piangere disperato.
«Questo sì che è stato un evento inaspettato.» mormoro, mentre scorro le foto scattate in ospedale.
«Ma opportuno.» aggiunge mia madre, e poche pagine dopo si blocca sulla foto della mia partenza. Sento una morsa che mi stringe il cuore, ma mia madre mi accarezza una mano e mi sorride dolcemente.
«Hai fatto bene, Sakura, non sentirti in colpa. Hai avuto un’occasione unica e l’hai colta, sarà molto importante per il tuo futuro.»
Annuisco, stringendole la mano e appoggiando la testa sulla sua spalla. 
 
Il professor Yamamoto, il docente di francese, mi ha convocata nel suo ufficio: sono un po’ in ansia ma ho la coscienza abbastanza pulita, i miei voti in francese sono eccellenti.
«Avanti. Ah Ozora, la stavo aspettando. Prego si accomodi.»
Mi siedo di fronte a lui e rimango rigida in attesa di sentire ciò che mi vuole dire, mentre con le mani stringo l’orlo della gonna scarlatta della mia divisa.
«Il suo ultimo compito in classe è stato impeccabile.» osserva, ripescandolo dalla sua cartellina.
«Grazie, Yamamoto-sensei.»
«Lei è al corrente del fatto che nella nostra scuola è possibile fare degli scambi?»
«Scambi? Di che tipo?»
«Frequentare il penultimo anno di scuola all’estero.»
Il mio cuore si è fermato per un attimo, ho percepito il contraccolpo.
«All’estero?» mormoro, ancora incredula.
«Lei partirebbe a fine agosto, e rientrerebbe a giugno dell’anno successivo, giusto in tempo per riprendere i corsi dell’ultimo anno e sostenere gli esami.»
Sono ancora incredula e osservo il professore con la bocca spalancata: lui sorride e mi allunga un opuscolo. Abbasso lo sguardo giusto in tempo per leggere Paris e la voce mi muore in gola.
«Kami…»
«Ho intenzione di mandarla a Parigi, Mademoiselle Ozora. Se non sbaglio si è già recata là quando ha accompagnato suo fratello al torneo di calcio.- annuisco tenendo gli occhi fissi sull’opuscolo, ipnotizzata dalla Tour Eiffel e dal Sacré-Coeur –Di tutti i miei studenti, lei è certamente la più meritevole. Non manderei nessun altro.»
Deglutisco a fatica mentre apro il depliant e inizio a leggere avidamente le informazioni sulla ville Lumière, uno dei posti che amo di più al mondo.
«Sono onorata, Yamamoto-sensei… ma devo parlarne con i miei genitori.»
«Su questo non ci piove!- esclama ridendo –Ma dati i suoi voti, sarebbe un peccato non cogliere quest’occasione. Noi le garantiamo la sistemazione presso una famiglia francese e l’iscrizione al migliore istituto superiore. Lei dovrà solamente andare a scuola e impegnarsi a fondo.»
Alzo gli occhi verso il professore, che mi sorride conscio di avermi già convinto a partire. Questa proposta non poteva capitare in un momento migliore, non me la lascerò scappare!
 
«Io adoro Daichi, ma in quel momento mi sentivo… soffocare. Avevo bisogno di andarmene.»
Mamma annuisce, ben sapendo che c’entrava pure Taro in quella decisione: ero convinta che il mio rapporto con lui fosse in stallo, e credendo che un periodo di riflessione facesse bene a entrambi, avevo scelto di andarmene.
«Paradossalmente Tsubasa è stato quello che ha reagito peggio, alla notizia della tua partenza. La vostra litigata è stata epocale.»
«Ero furibonda: lui era partito per il Brasile a tempo indeterminato, e si lamentava della mia scelta di frequentare un anno di scuola all’estero.»
«Credo che riversasse su di te il suo senso di colpa per aver abbandonato la famiglia: gli è dispiaciuto non essere vicino a Daichi durante i suoi primi anni di vita.»
«Gli ho dato dell’egoista maschilista… credevo facesse quel discorso perché sono una donna.»
«Ad ogni modo, penso che quella discussione abbia giovato ad entrambi.»
Guardo mia mamma con aria scettica, mentre lei si alza per prendere un pacchetto di pop corn dalla credenza per poi aprirlo e sistemarlo sul tavolo. Inizio a mangiucchiare, consapevole che quello spuntino notturno ammazzerà il mio riposo.
«Sakura, hai notato come hai forgiato il tuo carattere lontana da tuo fratello?»
Rimango con la manciata di pop corn a mezz’aria, mentre cerco di capire dove vuole andare a parare.
«Se n’è andato che avevo 14 anni, età dello sviluppo e dei cambiamenti.»
«So che non vuoi sentirtelo dire, ma fino a quel momento hai vissuto nella sua ombra.»
«Mmh..»
«In parte è stata anche colpa mia, ho permesso che lui diventasse il tuo faro, il centro del tuo mondo. Per te non era solo il fratello maggiore, era il tuo confidente, il tuo migliore amico, il tuo tutto. La sua partenza ti ha destabilizzato, ma ha anche fatto sì che la vera Sakura uscisse dal guscio e dicesse “Ehi, ci sono anch'io. Mi chiamo Ozora ma non sono Tsubasa.”»
Lo so che mia mamma ha ragione, quindi non dico nulla e scelgo la via del silenzio. Lei sorride, sapendo di avermi fatto capire come stanno le cose: sfoglia un’altra pagina e ci ritroviamo immerse nei miei ricordi parigini.
«Hai attaccato le foto che ti spedivo?»
«Certo! - conferma, entusiasta - Eri meravigliosa: guarda com’eri serena e sorridente.»
«È stata davvero un’esperienza fantastica. La famiglia Deville mi ha trattato come se fossi stata una figlia. Senza contare le persone che ho incontrato…»
 
L’aeroporto Charles de Gaulle è immenso, e all’improvviso sento un senso di angoscia impossessarsi di me: e se non ci fosse nessuno ad attendermi? E se fosse una famiglia di pazzi furiosi? E se…
Prendo la mia valigia e con decisione mi dirigo verso l’uscita: il controllo passaporti mi ha portato via una buona mezz’ora e non voglio far attendere oltre la mia famiglia ospitante.
Osservo la ressa cercando un cartello che contenga il mio nome, o il nome della mia scuola, quando in lontananza scorgo una signora bionda che parla con un signore alto e moro: costui ha in mano una cartellina con su il nome della scuola che devo frequentare, così mi dirigo verso di loro a passo deciso.
«Buongiorno.- li saluto, con la voce tremante –Sono Ozora Sakura. Lei è Monsieur Verdier?»
«Ben arrivata!- esclama l’uomo allungando la mano verso di me –Spero che il viaggio sia andato bene.»
Annuisco e rispondo alla sua stretta nel modo più deciso possibile, per non lasciar trapelare la mia ansia.
«Ti presento subito Madame Deville: sarà la tua mamma adottiva per quest’anno scolastico.»
Mi inchino verso di lei e la vedo sorridere, così mi ricordo che non siamo in Giappone e mi sollevo immediatamente, arrossendo.
«Non ti preoccupare, ti adatterai molto presto agli standard europei.» mi dice, facendomi l’occhiolino.
Li seguo fuori dall’aeroporto, continuando a guardarmi intorno ancora incredula per l’esperienza che sto vivendo: tutto mi sembra così magnifico, i colori, gli odori, il cielo terso senza nubi…
 
«Madame Deville è stata una magnifica mamma adottiva: mi aveva imposto ferree regole che però sono servite.»
«In fondo dovevi trattarla come una madre, no? È stato giusto così.»
«Ammettilo: quando ti ho parlato delle regole un po’ sei stata contenta.»
«Eccome! - ammette mia madre - Aiutare in casa e andare bene a scuola erano cose che facevi già. Ma il fatto di guadagnarsi piccole “promozioni” facendo lavoretti extra, beh, quella è stata un’idea geniale.»
«Già, tipo la scheda telefonica per l’estero, o le uscite… però hai ragione, quando ottenevo quelle cose ero fiera di me stessa.»
«Devi esserlo: sei cresciuta. Non è da tutti compiere un passo di quel tipo.»
«Solo noi Ozora…» mormoro, tornando indietro di una pagina nell’album e fissando una foto che ritrae me, Tsubasa e Daichi in spiagga a San Paolo.
 
«Quindi parti… sei decisa.»
«È già tutto pronto. - asserisco, fissando Daichi che gioca con la sabbia - Devo solo aspettare che arrivi la data stabilita.»
«Sei nervosa?» mio fratello si siede accanto a me sul bagnasciuga e inizia a fissare un punto indefinito all’orizzonte.
«Altroché, ma sono anche tranquilla. Avrò un referente, là, Monsieur Verdier, e la famiglia presso cui alloggerò è una di quelle storiche, da quando hanno iniziato gli scambi.»
«Mi spiace aver alzato la voce con te, sorellina…»
«E a me dispiace averti dato dell’egoista… - rispondo a mia volta appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre Daichi si avvicina a noi e ci porge le formine piene di sabbia - So che non lo sei, e che per te è pesante stare lontano da noi.»
«Da te no, da lui sì!» mi prende in giro, fingendo di mangiare la sabbia nella formina e ruotando il dito più volte sulla guancia per far capire al nostro fratellino che ha “gradito lo spuntino”.
«Stupido.» rispondo, dandogli una leggera gomitata.
Mi perdo anch’io ad osservare l’orizzonte e la mia mente vaga, così non sono sicura della domanda che mi ha posto mio fratello.
«Mh?»
«Taro. Taro Misaki.» ripete con più convinzione. Arrossisco, è strano come quel nome mi provochi sempre questa reazione, e cerco di dissimulare il mio disagio.
«Sta bene, ti saluta.»
«Sacchan…»
Riconosco il tono di rimprovero, così abbasso lo sguardo sulla sabbia su cui sono seduta e mi mordo il labbro inferiore.
«Non capisco come mi devo comportare per far funzionare la cosa…»
«State insieme?»
La domanda a bruciapelo di mio fratello mi spiazza.
«Da quando sei così diretto?»
«Devo esserlo, altrimenti con te non cavo un ragno dal buco. Allora?»
«Ma tu con lui non ci parli? Non è il tuo migliore amico?» arrossisco mentre con le dita inizio a disegnare cerchi nella sabbia.
«Ti imbarazzi a parlare con me? Con il tuo fratellone? Col primo a cui hai confidato la tua cotta?» scoppia a ridere divertito, e io sono qui a sperare che un’onda anomala arrivi e mi trascini via.
«Mi imbarazzo a parlare di ‘ste robe, Tsu… tu di Sanae non me ne parli mai.»
Ho colpito nel segno, ma lui dissimula l’imbarazzo con una scrollata di spalle:
«Tra noi va tutto bene, cerchiamo di vivere la cosa in maniera serena. Ci vogliamo bene.»
«Pensi che un giorno la sposerai?»
Lo sento sospirare con lo sguardo perso nel vuoto.
«Wow… mi sa che sei proprio cotto a puntino.»
«Ma non stavamo parlando di te??» esclama all’improvviso, tornando coi piedi sulla Terra, e io mi rendo conto che non posso più sviare: sembra un caprone, ma dal punto di vista sentimentale è messo meglio di me.
«Non so, cioè… vado agli allenamenti, torniamo a casa insieme… ogni tanto usciamo a prenderci un gelato, da soli o in compagnia della squadra…»
«Vi siete baciati?»
«Tsubasa!» urlo, e stavolta mi sento proprio avvampare per l’imbarazzo. Daichi, sempre seduto vicino a noi, ripete il nome del fratello maggiore senza distogliere l’attenzione dalle conchiglie.
«Allora?» mi incalza.
Annuisco, e lui sorride.
«Però… - aggiungo, cercando le parole per spiegargli ciò che è successo - quando gli ho parlato di Parigi, ha reagito in maniera… distaccata.»
Lui si fa serio e mi osserva.
«Credevo che sarebbe stato entusiasta della cosa e invece mi ha solo detto che sarebbe stata una bella esperienza e un ottimo biglietto da visita nel mio curriculum.»
«Non vuole che tu parta.»
Dici così perché hai parlato con lui? Dimmelo, Tsu… dimmi che hai parlato con lui e non vuole che io me ne vada… ti ha detto che mi ama? Che vuole stare con me?
«E tu che ne sai…» dico infine, scoraggiata.
«Sono o non sono il fratello maggiore? Quindi sono anche quello più saggio!»
Si volta verso di me e mi fa l’occhiolino: gli sorrido, e lo abbraccio forte, facendogli perdere l’equilibrio. Scoppiamo a ridere volando lunghi distesi sul bagnasciuga: Daichi non perde tempo e ci raggiunge, appoggiandosi anche lui su di noi.


Devo ammettere che il pezzo della spiaggia, dei tre fratelli Ozora, alla vigilia della partenza di Sacchan, è uno dei miei preferiti. La famosa quiete DOPO la tempesta, dopo le litigate causate dalla scelta di lei di mettersi in gioco. 
Bisogna capire, nel rapporto tra Sakura e Tsubasa, che lui non è per nulla abituato a una sorella che commetta dei colpi di testa. La Sacchan che conosce lui è la classica giapponesina, brava a scuola, ubbidiente, eccetera, eccetera. Ma non ha fatto i conti con la sua voglia di vivere. Vede tutti, attorno a lei, che prendono decisioni che li indirizzano verso il loro futuro. Lei, al momento della partenza per Parigi, ha quasi 17 anni e non ha mai puntato i piedi per ottenere qualcosa, non sa nemmeno di preciso cosa vuole dalla vita. Ma per la prima volta in vita sua, SA che andare a Parigi è la cosa giusta per lei, anche se la reazione di Misaki non è quella idilliaca che si aspettava. 
Sulla reazione di Taro non mi dilungo, verrà il momento di parlarne ^^ 
Ora vi lascio, ho scritto fin troppo! Grazie come sempre di seguirmi, la mia Sacchan vi è grata :* e anch'io lo sono 
Sakura

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Guardo quella foto, noi tre che ci rotoliamo nella sabbia facendoci il solletico, ridiamo a crepapelle, e siamo così uguali, ci assomigliamo così tanto.
«Sai, Sakura, ognuno di noi deve essere consapevole delle scelte che fa.»
Sembrerà una frase senza senso, buttata lì per caso. Ma mia madre sa bene che quell’esperienza ha messo una seria ipoteca sul mio futuro con Misaki, ed è per questo che mi parla di consapevolezza, anche se io di solito preferisco dire “responsabilità”.
«Sono responsabile di ciò che ho fatto, mamma, mi assumo le mie colpe, non ti preoccupare.»
Mamma sospira, e sfoglia le foto di Parigi…
 
Seduta nella “mia” stanza, mi guardo intorno e cerco di ambientarmi: un letto a una piazza e mezzo, una scrivania con un pc, un armadio dove mettere le mie cose, una chaise longue. Molto essenziale. Le pareti sono spoglie, Madame Deville ha detto che posso appendervi ciò che voglio. Accidenti, la devo chiamare Florence. Devo abituarmici. Sento suonare il campanello, poi un rumore indistinto di voci: non ci do peso fino a quando sento bussare.
«Sakura, puoi venire? Vorrei presentarti mio nipote.»
Mentre esco dalla camera inizio a distinguere meglio le voci:
«Et c’est où la p’tite grenouille?»
Grenouille? Mentre entro in sala cerco mentalmente nel mio lessico il significato di quella parola, e quando raggiungo la traduzione rimango basita: mi ha chiamato rana!?
«Sakura, ti presento Louis. Louis, lei è la nostra piccola Sakura.»
Gli stringo la mano, ma mentre ci presentiamo entrambi abbiamo una strana sensazione.
«Ma non ci siamo già conosciuti noi due?» mi chiede lui, con aria sospettosa.
«L’unica volta in cui sono venuta a Parigi è stato in occasione del…»
«Torneo di calcio!- esclama, interrompendomi –Sei la sorella di Ozora?»
Sospiro e annuisco: quell’appellativo mi perseguita.
«Chi l’avrebbe mai detto! Benvenuta a Parigi!» stavolta mi dà una pacca sulla spalla che mi fa vacillare, per poi cingermi le spalle con un braccio e indirizzarmi verso la cucina, continuando a parlare di quel torneo, e di calcio, e di calciatori, e di quanto sia stato bravo lui, il famoso Louis Napoléon. Non ne uscirò viva!
«Adesso è in Brasile per perfezionarsi: si è trasferito là subito dopo il torneo.»
Mi ha fatto accomodare al tavolo e ha apparecchiato per fare una merenda veloce: succhi di frutta, biscotti, merendine.
«Da solo?»
Annuisco bevendo un sorso di succo d’arancia. Lui fa una faccia colpita, più o meno quella che fanno tutti quando si parla di Tsubasa.
«E tu invece? Che ci fai qui?»
La domanda mi coglie impreparata e rimango col biscotto a mezz’aria mentre lo fisso con aria stupita.
«Ehm… hai capito la domanda?»
«Sì, io, ehm… ero la migliore della classe in francese, e il mio insegnante mi ha offerto questa opportunità per migliorare.»
«Congratulazioni. Ne vedremo delle belle.»
 
«Ti hanno aiutato ad ambientarti? Non mi hai mai confessato se è stato difficile adattarsi agli standard occidentali.»
«Beh… già il fatto di non dover indossare la divisa è stato un bene e un male allo stesso tempo. Alla mattina avevo vere e proprie crisi del tipo “Cosa mi metto?”, non c’ero abituata. Poi la scuola era abbastanza esclusiva, quindi i primi giorni mi sentivo a disagio… poi però mi sono accorta che il mio ruolo di gaijin mi permetteva di essere “misteriosa”. Non per le ragazze della mia classe, che se avessero potuto mi avrebbero soffocato... meno male che avevo i miei supereroi
 
«Mi spiace, ma stavolta non la passano liscia.»
«Jacques, per favore...»
«No, Sakura, è ora di finirla. Posso capire le antipatie ma questa è davvero...»
«È solo un gavettone, è acqua - per fortuna, aggiungo mentalmente - Mi asciugherò.»
«Però ha ragione lui.» pure Yves sbuffa, segno che anche la sua pazienza è terminata, e se persino uno come lui è arrivato al culmine, significa che le ragazze hanno esagerato davvero.
«Tanto tra meno di un mese rientro in Giappone, e chi s'è visto s'è visto.» mormorò, cercando di strizzare le maniche del maglione intrise d'acqua. Non sentendoli più fiatare alzo lo sguardo, e incrocio i loro occhi tristi.
«Sapete bene cosa intendo...»
«Sì... certo... - mormora Yves - Però... ci mancherai...»
Mi avvicino a loro e li abbraccio entrambi.
«Siete i miei supereroi, lo sapete vero?»
«Certo! - Jacques mi stringe forte - Che avresti fatto senza di noi in classe?»
«Saresti stata sola e isolata da tutti.» mi prendono in giro. Ma hanno ragione: sono loro che mi hanno accolto quando sono arrivata e mi sono stati vicino, mi hanno aiutato e mi hanno voluto bene. Sarà dura separarmi da loro... anche da loro... perché qui a Parigi lascio una parte di me, un pezzetto del mio cuore.
 
Vedo lo sguardo perplesso di mia madre mentre davanti ai nostri occhi scorrono le foto di Parigi: Tour Eiffel, Sacré-Coeur, Champs Elysées…
«Così Louis era solo un amico eh?»
Arrossisco di botto: possibile che mia mamma ci debba sempre vedere così lungo? Sbuffo e cerco di dissimulare voltando pagina, ma la situazione peggiora perché ci troviamo di fronte alla foto che Florence ha scattato a me e a Louis per la festa di fine anno scolastico. E lui mi tiene così stretta a sé, con la mano appoggiata alla mia schiena lasciata seminuda da quel vestito blu elettrico che la mia famiglia francese ha tanto insistito per regalarmi.
«Forse era qualcosa di più, ma io avevo comunque Taro in testa, e non avevo spazio nel cuore per nessun altro. E sapevo che sarei dovuta tornare in Giappone, non aveva senso iniziare qualcosa che non avrebbe avuto un seguito. Louis… beh, ha lasciato intendere più volte che a me ci teneva, e ci tiene tuttora, come mi ha detto anche al World Youth, ma non è mai sfociato nel sentimentale, non è da lui. Credo che all'inizio sia stato un po' obbligato a starmi vicino, Florence l'avrà sicuramente minacciato... poi un po' si è affezionato...»
«Ami chi non ti ama, e sei amato da chi non ami…» professa mia madre, sospirando triste per la sorte amorosa che mi è toccata.
Torno a fissare la foto, avevo i capelli corti e lisci, erano ricresciuti e arrivavano appena sotto le spalle, e Florence aveva insistito per arricciarli con la nuova piastra che aveva comprato, e il volto truccato leggermente ma in modo che mi facesse risaltare il taglio degli occhi e il loro colore, noisette, come lo aveva definito Louis.
«La sera della festa aveva un po’ bevuto e ha detto cose che secondo me manco si ricorda - torno a quella sera per qualche istante, ricordando con piacere le parole di Louis - ma, no, non era innamorato di me. Assolutamente.» concludo convinta, o cercando di sembrarlo.
«È incredibile come sia te che Sanae siate riuscite a rimanere innamorate per anni della stessa persona nonostante tutte le avversità.»
«Lei però è stata ripagata, io…»
«Non credo che sia stato facile per lei, aspettare tuo fratello per tutto questo tempo.»
«Andiamo mamma! - esclamo, gettandomi sul divano per distendere le gambe - Tsubasa è sempre stato corretto con lei! E onesto! Non ha mai avuto lati ambigui!»
«Perché, Taro sì?»
«Mamma, per favore... vogliamo davvero rivangare il passato? Devo ricordarti cos'è successo durante il World Youth?»
«Ha avuto un incidente in cui ha rischiato la vita.» e le parole arrivano a me come una stilettata.
Kami, il ricordo del World Youth e dell’incidente di Taro è ancora fresco… i ragazzi, incoraggiati da Hyuga, non si recarono a Sendai, ma io sì.
 
«Sei sicura, Sacchan?»
Mio fratello mi osserva con aria preoccupata mentre metto due cose in valigia e mi preparo per andare a Sendai.
«Va tutto bene, Tsu-chan, ce la posso fare.»
Passando davanti allo specchio della camera, mi rendo conto che in realtà non c’è nulla che vada bene: sono più pallida del solito, con gli occhi rossi e due occhiaie profonde mi segnano il contorno occhi.
«Hai pianto tutta notte.»
«Tsu-chan, ti prego…»
Senza aggiungere altro mi abbraccia e io mi crogiolo nel calore di quel contatto che mi è mancato come non mai, negli ultimi tre anni.
«Portagli i miei saluti…»
Annuisco allontanandomi da lui per non scoppiare di nuovo a piangere, afferro la borsa e scendo al piano di sotto, dove mamma e Daichi mi aspettano per accompagnarmi in stazione.
Il viaggio mi sembra infinito, quattro ore di treno durante le quali mi scorrono davanti tutti i momenti che ho vissuto con lui, da quando ragazzino si intrufolò alla nostra partita di calcio contro la Shutetsu, a quando ci siamo baciati la prima volta, sotto al ciliegio del parco, fino a quando sono partita per Parigi e ci siamo messi in “stand-by”.
Le indicazioni di Misaki-san mi sono utilissime per raggiungere l’ospedale, e trovarmelo lì, seduto nella sala d’aspetto mi dà un senso di calma e tranquilla.
«Sakura-chan!» mi saluta con entusiasmo, avvicinandosi a me; rispondo con un inchino sorridendogli.
«Come sta?» vado al sodo, e lui legge la preoccupazione sul mio volto. Mi posa una mano sulla spalla e mi allontana dalle altre tre persone sedute lì con lui (sicuramente la nuova famiglia di sua madre).
«La gamba è messa male, purtroppo, penso tu sappia già che non può giocare il World Youth. - annuisco stringendo i manici dello zainetto - Ad ogni modo, è vivo, e si riprenderà, questo è l’importante.»
«Quando tornerete a Nankatsu potrò aiutarvi, io e mia madre…»
Perché ha distolto lo sguardo? Perché mi sembra di vedere delle lacrime che gli inumidiscono gli occhi.
«Va’ da lui, Sakura-chan… penso sia il caso che voi due parliate…»
«C’è… qualcosa che…»
Con un cenno del capo mi sospinge a entrare nella stanza, così scosto delicatamente la porta e faccio capolino all’interno.
«Si può?» mormoro, cercando di sorridere.
Taro è seduto sul letto, la gamba in trazione, lo sguardo perso e vacuo fisso oltre la finestra. Dopo qualche istante pare accorgersi della mia presenza e si volta verso di me.
«Sacchan…» mormora, con un filo di voce. Mi avvicino a lui e mi siedo sul letto, prendendogli una mano tra le mie.
«Ho fatto una buona azione… - mormora, abbassando lo sguardo - Non dovrei essere premiato?»
«Hai salvato la vita alla tua sorellastra, Taro, è stato un gesto eroico. Guarirai, vedrai, andrà tutto bene.»
«Ma non giocherò il World Youth… non correrò accanto a Tsubasa e gli altri… non potrò partecipare…»
Mi si riempiono gli occhi di lacrime e cerco di trattenerle mentre gli poso una mano su una guancia per infondergli calore. Una goccia salata scorre dai suoi occhi e finisce direttamente sulle mie dita.
«Rimango a Sendai… mamma vuole occuparsi di me…»
Ritraggo la mano come se avessi preso la scossa: ecco cosa voleva dire Misaki-san prima.
«Taro…»
«Lei vuole occuparsi di me, capisci? Vuole stare con me, accanto a me… aiutarmi… starmi vicino…»
Con la morte nel cuore per questa nuova separazione, seppur temporanea, annuisco, e stavolta le lacrime scorrono liberamente senza che io cerchi neppure di trattenerle.
«Torna a casa, Sacchan. - mi dice, con un sorriso - Hai gli esami, il World Youth, tante cose a cui pensare… promettimi che farai il tifo per i ragazzi.»
Mi scappa una risatina, in un momento come questo pensa sempre a sorreggere la squadra, così annuisco e gli regalo un sorriso sincero.
«Così mi piaci, Sacchan.»
Ci guardiamo per un istante, prima di avvicinarci l’un l’altra. Le nostre labbra si sfiorano in un casto bacio che mi fa battere il cuore all’impazzata; mi accarezza una guancia e mi deposita un altro bacio sul naso, poi uno sulla fronte. Io mi aggrappo a lui e lo abbraccio, cercando di infondergli quanta più forza possibile.
«Sono con te…» gli mormoro, appoggiando la fronte alla sua e chiudendo gli occhi per bearmi di quel contatto che mi fa rabbrividire e avvampare allo stesso momento. 


Ed ecco che in questo capitolo scopriamo chi è il famigerato nipote di Mme Deville, e ci troviamo di fronte alla reazione di Sacchan all'incidente di Taro. Siamo già al periodo WY. *lacrimuccia*
Grazie ancora a tutte voi per il sostegno
Un abbracio 
Saku

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Mamma sparecchia la tavola dai resti del nostro spuntino notturno, e la osservo: ammiro questa donna, ha una forza impressionante, non ha paragoni. Con un marito via per sei mesi all’anno, ha cresciuto tre figli inculcando sani valori e solidi principi… e noi che facciamo? Tsubasa se ne va a 15 anni per il suo sogno, io a 17 scappo in Francia per frequentare la scuola… speriamo davvero che Daichi sia diverso da noi, che il nome serva a qualcosa.
«Stai ripensando al World Youth?»
Annuisco voltandomi a pancia in su, osservando il lampadario e perdendomi nei ricordi di quelle partite al cardiopalma: le ho viste tutte, tranne una… la partita contro l’Uruguay di Hino. Perché volevo vederla con Taro, a Sendai… e invece…
 
Forse avrei dovuto avvisarlo, magari una sorpresa non gli fa piacere… ma ormai sono qui, tanto vale che sfrutti l’occasione.
Mi avvicino alla casa degli Yamaoka quando qualcosa attira la mia attenzione: è Taro quello che sta uscendo furtivamente da lì?
Faccio per chiamarlo, ma quando lo vedo guardarsi attorno con circospezione capisco che sta nascondendo qualcosa, quindi decido di seguirlo di nascosto.
Sembra che stia bene, cammina in maniera lenta ma tranquilla, lo sguardo basso. Cerco di non farmi notare e il fatto che ci stiamo dirigendo verso il centro città di certo mi aiuta, ma devo stare attenta a non perderlo nella folla.
Quando riconosco la capigliatura, impallidisco: Azumi Hayakawa.
Lui la saluta, lei arrossisce appena e accenna un inchino. Gli passa una busta. Parlano, non riesco a capire cosa si dicono, ma se mi avvicino rischio di farmi scoprire.
Quando lei gli prende le mani decido che ho visto abbastanza e mi allontano. L’umiliazione brucia come una sconfitta, mi incammino verso la stazione senza ripassare da casa Yamaoka, non riuscirei ad aspettarlo facendo finta di nulla, sarebbe palese la mia delusione.
Per tutto il viaggio di rientro, in treno, fisso il paesaggio fuori dal finestrino senza vederlo realmente, le immagini scorrono davanti ai miei occhi ma io con la mente sono ancora a Sendai, a quelle mani intrecciate, a quello sguardo pieno di amore che lei gli ha rivolto, che gli rivolge ogni volta che lo vede, che… maledizione!
Non mostro entusiasmo nemmeno quando Daichi mi racconta che abbiamo vinto, e con l’entusiasmo dei suoi quattro anni mi parla di Tsubasa che corre, salta, vola, e segna.
«Sacchan, non hai visto la partita con Taro?»
Non posso mentire a mia madre, così scuoto la testa in senso di diniego: lei si siede sul letto accanto a me e mi accarezza la testa.
«Non era a casa… l’ho seguito e… si è visto con Azumi.»
«Oh Sakura… magari…»
«No, mamma. - scatto in piedi per allontanarmi da quel contatto - Non voglio commiserazione, né pietà. Non voglio nemmeno una spiegazione. Doveva andare così, ha fatto la sua scelta. Non sapeva che sarei andata a trovarlo, è vero, ma ha comunque scelto di vedere lei, e questo significa molte cose. Meglio che io l’abbia scoperto ora, prima di…»
«Prima di cosa, bambina mia, prima di innamorarti di lui? È un po’ tardi…»
Stringo i pugni, dandole le spalle: ha ragione, ha dannatamente ragione, ma io non devo cedere, non sono una debole. Sono una nuova Sakura Ozora, forte e determinata.
«Beh, passerà.» dico convinta. Mamma si alza e si porta dietro di me, posandomi le mani sulle spalle.
«Sì, bambina mia, passerà…»
Mi deposita un bacio sulla nuca e esce dalla stanza, lasciandomi sola.
 
«Non farti il sangue amaro, bambina mia. Domani devi essere in forze e sorridente, lo sai.»
Mi scappa un sorriso perché sono le stesse identiche parole che mi ha detto prima della cerimonia di chiusura del World Youth, prima di quella festa alla villa a cui hanno partecipato tutti i giocatori delle sedici squadre qualificate.
 
«Ozora!»
Potrei riconoscere quella voce, quella cadenza, tra mille altre, e infatti quando mi volto so perfettamente che Napoléon non sta chiamando mio fratello, bensì me.
«La vuoi smettere di chiamarmi per cognome?» lo ammonisco fintamente piccata, mentre mi avvicino a lui per salutarlo. Accanto a lui, Pierre sorride, affascinante come sempre.
«Preferisci che ti chiami grenouille?» mi prende in giro.
«Sakura proprio non ti piace, eh?»
«Nah, non c’è gusto a chiamarti per nome.»
«Complimenti per la vittoria del World Youth.» mi dice Pierre, inchinandosi leggermente e prendendomi la mano per fare il solito gesto del bacia mano.
«Grazie, mi dispiace che non ci siamo scontrati.»
«Possiamo sempre rimediare se vuoi, ho un pallone.»
«Louis! Non ho intenzione di rovinare il mio vestito per umiliarti a calcio.»
I due scoppiano a ridere, mentre il capitano della Nazionale francese mi porge il gomito per accompagnarmi al buffet.
«La partecipazione di Misaki è stata un verso miracolo, per voi: credo sia stato lo sprint finale per aggiudicarvi la vittoria.»
Cercando di non lasciare trapelare nessuna delle millemila emozioni che mi pervadono sentendo quel nome, prendo il calice di vino che Elle Sid mi porge e dopo averlo fatto tintinnare contro i loro, mi inumidisco le labbra.
«Non è ancora del tutto riabilitato, avrà ancora un po’ di strada da fare, ma almeno sa di poter tornare a giocare. È stato davvero un brutto incidente.»
«Ma tu non dicevi che non bevevi?»
Louis cambia argomento, forse intuendo qualcosa: mi volto verso di lui e gli sorrido.
«Sì, prima di conoscere due beoni francesi che mi hanno fatto fare i bagordi più spesso di quanto il mio fisico riuscisse a sopportare.»
I due scoppiano a ridere attirandosi l’attenzione degli astanti, così arrossisco sentendomi osservata.
«Ragazzi, contegno: ci stanno guardando tutti.»
«Ah suvvia, grenouille: non sarai mica diventata timida.»
«Napoléon, il fatto che io ti permetta di chiamarmi con soprannomi discutibili non vuol dire che tu ti possa permettere tutta questa confidenza.»
«Sacchan.» sento Tsubasa che mi chiama e mi volto: ha lo sguardo serio, accanto a lui Soda mi fissa con astio.
«Dimmi.» rispondo, cercando di ricompormi.
«Stiamo andando a cena.»
«Vi raggiungo subito. Ragazzi, vado al tavolo dei vincitori. - finisco il bicchiere di vino d’un fiato sotto lo sguardo attonito di mio fratello - Ci vediamo più tardi.»
«Tieniti libera per un ballo!» mi redarguisce Elle Sid.
«Controllerò il carnet!» gli rispondo, prendendo mio fratello sotto braccio.
«Sei molto in confidenza con “quei due”.»
«Come se non te ne avessi mai parlato, Tsu-chan.»
«Se quel Napoléon allunga le mani, dimmi qualcosa. - si intromette Soda - Ho giusto un conto in sospeso.»
Ridendo, lo tranquillizzo, spiegandogli la situazione, e durante la cena l’argomento viene smorzato da Ishizaki che, come al solito, fa il giullare.
Quando il gruppo inizia a suonare, vedo alcuni membri delle varie Federazioni che si allontanano dalla sala, molto probabilmente per parlare delle prossime gare, magari amichevoli, così mi avvicino a Katagiri-san chiedendogli se, per caso, ha bisogno del mio aiuto.
«Non ti preoccupare, ce la caveremo. Goditi la serata.»
Torno a voltarmi verso il salone, dove alcuni tra i più intraprendenti hanno già iniziato a scatenarsi, ma io ancora non me la sento di lanciarmi in pista. Mi accomodo su un divanetto posto ai lati e Kumi si avventa subito su di me.
«Ma quel Napoléon è davvero carino!» esclama, portandosi le mani a pugno davanti alla bocca come fanno nei manga.
«Carino? Perché non ci hai parlato!» le rispondo ridendo.
«A proposito di parlare… hai avuto modo di chiarire con Misaki?»
«Kumi-chan, ti voglio bene, davvero, ma possiamo evitare l’argomento?»
«Oh, senpai! Dovresti…»
«Dovrei un corno! Basta, per favore! Non vivo in funzione di Misaki, te l’ho già detto.»
Ho esagerato, lo so, ma Kumi quando ci si mette sa essere davvero assillante. Sospiro e le appoggio una mano sul ginocchio..
«Non ce l’ho con te, e capisco perché ti sei votata a questa causa, ma credimi, ormai non c’è più nulla da fare.»
«Ma lui non sa nemmeno perché hai smesso di parlargli. Dovresti almeno spiegargli che…»
«Kumi, no. Non devo spiegare niente a nessuno. È andata così, mettiti il cuore in pace, non sempre c’è il lieto fine nelle storie d’amore.»
«Ma voi due siete così carini insieme…»
Le sorrido, mi dispiace per la delusione che le si è dipinta sul volto, ma ormai ho deciso, e ho pure scelto una strada da percorrere per il mio futuro, il più lontano possibile da Nankatsu.
«Sorellina, mi concedi un ballo?»
Tsubasa davanti a me, mi porge la mano, e con l’altra indica verso l’alto per farmi riconoscere le note della canzone.
«Posso forse non concedertelo, se me lo chiedi con questa canzone?»
Le note di Wonderwall degli Oasis riempiono la stanza, mentre lui mi porta al centro della pista improvvisata e mi tiene una mano sulla schiena.
«Devo dirti una cosa…» mi sussurra all’orecchio, e i miei sensi di sorella si allertano all’istante.
«Oddei Tsu-chan… che hai combinato?»
Lui se la ride, ma arrossisce appena, e nei suoi occhi leggo emozione.
«Ho chiesto a Sanae-chan di sposarmi…»
«Che cosa?!»
«Ssh, non urlare, continua a ballare! Non lo sa nessuno!»
«E quando pensavi di dirmelo!»
«Non potevo dirtelo prima, se avesse rifiutato!?»
«Allora ha accettato?»
Lui annuisce appena, studiando le reazioni del mio volto.
«Kamisama, Tsu-chan: alle zie verrà uno scompenso! Prima te ne vai in Brasile, poi torni e annunci che ti sposi… aspetta un secondo, non è che...» e, distaccandomi appena da lui, alzo un sopracciglio e lo osservo seria.
«Ma no! - esclama arrossendo, anzi, avvampando - Non dobbiamo rimediare a nulla, siamo solo… innamorati. Allora, approvi?»
«Sei qui a cercare la mia benedizione?» lo rimbecco, per non dargliela vinta subito.
«Sei mia sorella, nonché testimone di nozze.»
Oddei… e chi sarà mai l’altro testimone?
«Sei felice?» gli chiedo all’improvviso, puntando lo sguardo nei suoi occhi antracite. Lui annuisce, serio, ma con un’evidente gioia che lo avvolge.
«Allora sono d’accordo. - annuisco - A patto che mi permetti di organizzarti l’addio al celibato!»
«Ma sei una donna!»
«Embè? Sono tua sorella.»
«Tu andrai a quello di Sanae.»
«Non scherziamo! - esclamo allontanandomi da lui e osservandolo con aria terrorizzata - Non ci penso nemmeno!»
«Ma sì, ti divertirai: andrete alle terme, farete il bagno, berrete il tè…»
Simulo un conato di vomito che mio fratello osserva divertito, poi si avvicina a me e mi abbraccia stretto.
«Ti voglio bene Sacchan…»
«Invecchiare ti fa un brutto effetto, stai diventando malinconico e melodrammatico.» lo schernisco, ma rispondo all’abbraccio. Da sopra alla sua spalla noto Sanae che ci osserva, quasi preoccupata, e quando il suo sguardo incrocia il mio arrossisce imbarazzata e ci dà le spalle.
«La tua fidanzata ha capito che me l’hai detto, è diventata bordeaux.»
«Mi raccomando Sacchan, sii buona con lei.»
«Io? - esclamo assumendo un’aria angelica - Ma se sono un cherubino!»
Lui scoppia a ridere e cingendomi le spalle mi indirizza al tavolo del buffet dei dolci.
«Scusate. - una voce in inglese alle nostre spalle ci fa voltare - Posso?» Louis, guardando mio fratello, indica me. Lui annuisce, anche se si fa improvvisamente serio, e molla la presa su di me, tornando al tavolo ma continuando a tenere gli occhi ben puntati su di noi.
«Tutto bene? Hai gli occhi lucidi.» mi chiede, allungando una mano per prendere la mia e posando l’altra a metà schiena.
«Sì, mio fratello mi ha appena confidato una cosa e… sono commossa.»
«Belle notizie spero.»
Annuisco, poi abbasso lo sguardo e appoggio la fronte contro la sua spalla: lui mi stringe un po’ di più a sé.
«Sei stanca?»
«Spossata. E troppe emozioni.»
«Che farai ora?»
«Mi concentrerò sullo studio, pare sia una cosa che mi viene particolarmente bene.»
«Hai già scelto l’università?»
«Non ancora ma… ho la Sorbona ancora lì che frulla in testa.»
«Zia Flo sarebbe entusiasta di rivederti e poi… c’è anche una novità.»
Alzo lo sguardo su di lui, incuriosita: lui mi fissa con l’aria di chi la sa lunga.
«È incinta.»
«Oddei, veramente?! – esclamo allontanandomi da lui e congiungendo le mani, trattenendomi a stento dallo saltellare sul posto – Ma è una notizia magnifica, meravigliosa, e… lei come sta?»
«Un po’ di nausee, ma siamo alla fine del terzo mese e dovrebbero essere passate. Mi ha chiesto di scusarmi con te se non te lo abbiamo detto subito ma hanno voluto aspettare di essere sicuri.»
«Scherzi? Hanno fatto bene! Oh sono così felice!»
Lui annuisce, quindi mi riprende tra le sue braccia e punta lo sguardo nei miei occhi.
«Hanno deciso che se è una femmina la chiameranno come mia madre.»
«Devi esserne orgoglioso.»
«Lo sono…»
Mi rendo conto che, vista dall’esterno, la scena potrebbe essere ambigua, con noi due stretti stretti e i nostri visi così vicini, ma ciò che ci stiamo trasmettendo con lo sguardo è affetto, amicizia pura. Gli voglio davvero bene, nonostante sia una testa calda.
«Devi farmi una promessa…» mi dice improvvisamente, e io trasalisco impercettibilmente.
«Proviamo.»
«Se vieni a Parigi, non è per fuggire.»
Mi scappa una risata sarcastica, e distolgo lo sguardo.
«Sakura, dico sul serio. Non devi scappare dalle difficoltà.» insiste lui.
«Sono cambiate alcune cose, non ho più motivo per scappare. È finita, Louis.»
Lo sento sospirare e delicatamente mi stringe a sé, il mio volto appoggiato a lui, la testa nell’incavo della spalla, il suo profumo che mi pizzica le narici.
«Ne sei sicura?»
«L’ho visto incontrarsi con un’altra.»
«Azumi? – annuisco – Ahi… mi dispiace grenouille…»
Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal nostro ondeggiare, mentre la musica lenta del deejay continua a riempire la stanza con le sue dolci note.
«Credo che tuo fratello voglia la mia testa su un piatto d’argento, probabilmente vuole usarla per testare un nuovo Drive shot
«Lascialo fare, ha deciso di sposarsi, finché non lo dice ai miei posso ricattarlo.»
«Uh, hanno combinato un guaio?»
Sorrido, la pensiamo tutti allo stesso modo.
«No, dice che si amano… penso che non ce la facciano più a stare separati, e sposarsi è la soluzione… mi auguro per loro che duri per sempre…»
«Uh, Ozora, come siamo acide.»
Apro gli occhi (in effetti Tsubasa lancia fiamme dalle pupille) e fisso Louis.
«Solo realista. Di storie come la loro ce ne sono una su un milione.»
«Andrà bene vedrai, e tu sarai una damigella perfetta.»
«Perché, ne hai mai dubitato?»
«Neanche per un secondo! Ora, però, è meglio se ti lascio libera, cedo il mio posto… - mi bacia la fronte - Fammi sapere se tornerai a Parigi.» aggiunge, facendomi l’occhiolino. Io gli sorrido e annuisco.
«Sarai uno dei primi a saperlo.»
«Me lo auguro! Bonne nuit, grenouille.»
«Oyasuminasai.» gli rispondo, accennando un inchino. 


Non è facile spiegare i perché di Sakura, né tantomeno quelli di Taro. Qui, nello specifico, non è Taro che sbaglia, bensì Sakura. Ma perché? Perché è stanca. è esasperata. Prima Parigi, poi Sendai, e adesso quella CAAAAARAAAAA ragazza di Azumi che si intromette e ci mette lo zampino. Stica. 
La odio. È risaputo. Già che l'abbiano presentato come l'Anego francese, mi fa scendere la catena (o la KATANA ahahahhahha ok pessima) 
Poi l'ha relegata da una parte, l'ha fatta risbucare per il WY, un'altra piccola comparsata in un tondino... e scommetti che farà sbucare un matrimonio (magari come con KoxMaki - ma non ditelo a Ai xD TI LOVVO CUGI) dal cilindro? Con buona pace mia, s'intende. 
AD OGNI MODO, c'è e me la devo tenere. Ma a modo mio. E il mio modo sarà... 
Lo scoprirete. Su Rieduschescional Ciannel.
'Mbuto. 
Sakura 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


«Ssh Daichi, fai piano… svegliala con delicatezza…»
Apro un occhio e mi trovo davanti due volti simili che mi fissano divertiti.
«Che state facendo!» esclamo scattando in piedi e mi accorgo che… mi sono addormentata sul divano! Mamma si affaccia dalla cucina e mi sorride dolcemente.
«Non ho avuto cuore di svegliarti, dormivi così bene.»
Scosto la coperta che mi è stata messa e mi strofino gli occhi, mentre Daichi si arrampica sul divano e si siede alla mia destra.
«Neechan!» esclama, abbracciandomi.
«Ehi, cos’è tutto questo affetto?» gli domando, accarezzandogli la testa, mentre Tsubasa si siede alla mia sinistra porgendomi una tazza di caffè.
«Stamattina si è svegliato così, con tanta voglia di coccole.»
«E tu come ti senti, sposino
Lo vedo trasalire mentre beve il suo caffè, e sorrido divertita dalla sua ansia.
«Mi tremano le gambe…» mi confessa.
Mi accoccolo sul divano al suo fianco, posandogli la testa sulla spalla, mentre continuo a coccolare Daichi che se ne sta stranamente calmo e tranquillo insieme a noi.
«Lo sai che tra poco questa casa diventerà un porto di mare?» lo prendo in giro.
«Metteremo il capitano Ozora a gestire il traffico.» ridacchia. Stiamo in silenzio qualche minuto e solo Daichi si accorge (troppo tardi) che mamma ci ha scattato una foto.
«Beh?» esclamo, rimettendomi composta.
«Ho voluto immortalare i miei bambini prima che il primogenito prenda il volo.» ci dice, e noto che ha gli occhi lucidi per l’emozione.
«Andiamo!- esorto quindi i miei fratelli, alzandomi di scatto -Se iniziamo a piangere ora non finiamo più!»
 
La mia predizione è stata tremendamente veritiera: parrucchiera, truccatrice (per me e mamma), fotografo, parenti e amici. Casa Ozora si è trasformata in una bolgia di gente che entra ed esce, urla, ride, si commuove.
Sono in camera mia, continuo a fissare la mia figura allo specchio, stento quasi a credere di essere io.
Mamma ha insistito perché indossassi un furisode rosa pallido, decorato con rami di ciliegio fioriti, i cui petali sembrano essere trasportati dal vento e sono presenti anche nella parte superiore del kimono; l’obi che ha scelto è di un rosso intenso, come le ciliegie mature. Mentre me lo legava in vita, ho provato a chiederle quanto ha speso per comprarlo, ma non ha voluto saperne di dirmi il prezzo. Lo userai anche per il tuo Seijin shiki. Se sarai ancora qui. ha aggiunto poi, facendomi l’occhiolino. Era chiaramente una frecciatina relativa alle mie domande di iscrizione all’università. 
Quasi non mi riconosco, così elegante, così… cavoli, sembro quasi bella!
«Si può?»
Mi volto verso l’ingresso della mia camera e vedo Tsubasa, ed è perfetto nel suo abito scuro, è uno splendore.
«Ehi, e tu chi sei? Che ne hai fatto della mia sorellina?»
«Scemo…» lo apostrofo, arrossendo di imbarazzo. Lui si avvicina, mi cinge le spalle e osserva la nostra immagine riflessa nello specchio.
«Sei bellissima, Sacchan…»
«Anche tu lo sei, Tsu-chan: sei lo sposo più bello che si sia mai visto.»
Lo fisso con orgoglio, e le lacrime mi riempiono gli occhi quando penso che dopo il matrimonio ripartirà, e non da solo, e stavolta sarà per sempre. Perché Tsubasa sta per sposare Sanae.
«Sacchan… - mi stringe a sé - è arrivata questa.»
Mi porge una busta bianca, il mio nome e l’indirizzo sono scritti in romanji, e come la prendo in mano inizio a sentire il cuore battere all’impazzata nel petto.
«L’hai già aperta?»
«Non ne ho bisogno - mi fa l’occhiolino - so già cos’ha c’è scritto. Ti aspetto di sotto, è quasi ora di andare.»
«Non ti farò fare tardi, promesso.»
 
Quando entro in salotto si zittiscono tutti e mi guardano come se fossi un alieno: zia Fuyumi estrae un fazzoletto dalla tasca del suo kimono e si asciuga le lacrime.
«Tsubasa è un uomo ormai, e tu sei una bellissima donna.» dice poi, trattenendo l’emozione. Accenno un inchino per ringraziarla e mi volto verso i miei genitori.
«Possiamo andare?»
Papà si avvicina e mi deposita un bacio sulla fronte coperta dalla frangia, poi mi prende a braccetto.
«Allora andiamo!»
Saliamo sulla limousine che ci condurrà fino alla chiesa, mamma e papà davanti, io Tsubasa e Daichi nel lussuosissimo retro. Tengo in mano il bouquet che mio fratello dovrà consegnare alla sposa non appena arriverà, e lo rimiro, è davvero bellissimo.
«Ancora non ci credo che ti sposi veramente… è un’emozione unica…»
Mi posa una mano sulla mia, così sollevo lo sguardo e incrocio le sue iridi antracite che mi osservano sorridenti.
«La vuoi smettere? Questa non è la fine, è solo un nuovo inizio.»
«Lo so… mi mancherai…»
«Anche tu…»
«Siamo arrivati! Guardate quanta gente!»
«Daichi, aspettami, non correre!» lo redarguisco mentre scendo, ma lui neanche mi ascolta, si è già diretto verso Genzo. Dalla macchina dietro alla nostra vedo scendere Misaki, che ho opportunamente cercato di evitare anche prima, quando era a casa nostra, ma adesso diventerà difficile dato che siamo entrambi i testimoni dello sposo. Infatti mi si avvicina e mi porge il gomito:
«Credo sia superfluo dirti che sei bellissima.»
«Grazie, senpai
Sogghigna mentre con un cenno del capo saluta alcuni membri della mia famiglia.
«Adesso sono diventato un senpai?»
«Lo sei sempre stato, solo che io non ti portavo il dovuto rispetto.» gli faccio l’occhiolino, e lui sembra divertito da questo scambio di battute. Ci posizioniamo accanto all’entrata della chiesa, e lo vedo estrarre un ingombrantissimo telefono cellulare dalla tasca.
«E quello?»
«Me l’ha regalato mia madre, con la scusa di sentirci più spesso. Volevo chiamare Yukari e Ryo e dire che noi siamo in posizione.»
Annuisco e osservo l’interno della chiesa, sobriamente addobbato: qualcuno ha già preso posizione e si è messo a sedere, Daichi corre avanti e indietro e mamma fa fatica a gestirlo, così mi scuso con un gesto e mi allontano da Taro per fermare il mio fratellino.
Quando riesco a prenderlo, Tsubasa si avvicina a noi.
«Siamo scalmanati oggi, eh piccolo?»
«Io voglio giocare…» piagnucola, mentre Tsu lo prende in braccio.
«Senti, facciamo un patto: dammi il tempo di… sistemare le cose qui. - ridacchio, e lui mi guarda male - Poi quando arriviamo al ristorante ti lascio libero di correre, saltare, giocare.»
Ed è proprio mentre siamo lì a convincere Daichi a fare il bravo che arriva la limousine di Sanae. Papà recupera Daichi, io mi avvicino di nuovo a Taro, che nel frattempo è stato raggiunto da Ryo e Yukari, e Tsubasa va ad aprire la portiera.
È meravigliosa, non ci sono altre parole. Ha un candido vestito vaporoso con la gonna ampia e il corpetto aderente ricoperto di perline, che lascia scoperte le spalle, su cui però ha posizionato un velo per poter entrare in chiesa. Riceve il bouquet dalle mani di mio fratello e gli sguardi che si lanciano sono più che eloquenti.
«Direi che possiamo andare!» Ryo mi si avvicina e, come Taro poco fa, mi porge il gomito per poter percorrere la navata della chiesa. Dietro di noi, Yukari e Misaki fanno la stessa cosa. Tsubasa ci raggiunge e, accompagnato da mamma e Daichi, ci precede. Quando arriva in fondo, entriamo anche noi, e l’organista inizia a strimpellare qualche nota, mentre noi raggiungiamo i nostri posti e finalmente Sanae può fare il suo ingresso, accompagnata dalla marcia nuziale.
 
«Bella cerimonia, vero?»
Mi volto di scatto, come se fossi stata sorpresa a compiere chissà quale misfatto, e mi trovo davanti il volto sorridente di Misaki. Sorrido appena annuendo, poi torno a concentrarmi sul buffet.
«Hai già assaggiato qualcosa? - gli chiedo, mentre scelgo un paio di tartine posandole sul mio piattino - Io sono un po’ indecisa…»
«Paté d’olive.» e, indicandole, ne prende una e se la mette in bocca, masticando di gusto.
«Ho avuto una pessima esperienza, a Parigi, col paté d’olive: ho comprato la confiture...»
Lo vedo riflettere per qualche secondo, poi diventa rosso e scoppia a ridere, attirandosi l’attenzione di tutti i presenti e soprattutto della mia famiglia. Lo tiro per un braccio cercando di farlo smettere mentre sento le gote avvampare.
«Che fai? Ci guardano tutti!»
«Hai comprato la confettura di olive convinta che fosse paté! E l’hai mangiata?»
«Certo che l’ho mangiata… - abbasso lo sguardo colpevole - E faceva abbastanza schifo… Louis e Elle Sid mi hanno preso in giro per settimane.»
Si asciuga qualche lacrima che gli è scesa per il troppo ridere e, prendendo una tartina con il vero paté d’olive, me la porta davanti alla bocca.
«Avanti, assaggia, questo è buono.»
Credo di aver raggiunto tutte le gradazioni di rosso possibili, mentre lui mi imbocca, e per un attimo sono davvero felice del fatto che Ishizaki sia mezzo sbronzo intento a ballare in mezzo alla pista, perché così non può sfottermi. È incredibile come dopo otto anni, Taro sia in grado di farmi arrossire… anzi, avvampare… no, diciamocelo, vado letteralmente a fuoco quando c’è lui nei paraggi, soprattutto se mi dedica queste attenzioni. Va da sé che, essendo il matrimonio di mio fratello, ed essendo noi due i testimoni dello sposo, dobbiamo interagire un po’ più del solito. E sinceramente la cosa non mi dispiace.
«Come va la gamba?» gli chiedo, per evitare che la conversazione muoia lì e che lui si allontani: ho ancora bisogno di sentire il suo profumo, di percepire la sua presenza accanto a me.
«Continuerò a fare terapie, ma il peggio dovrebbe essere passato… certo è che devo stare attento quando gioco, soprattutto ai contrasti.»
«Niente follie in mezzo al campo quindi, o twin shots…»
«Scherzi? - mi dice, fingendo di inorridire - Quella è la nostra arma segreta, non potremmo mai rinunciarci!»
Sorrido con affetto notando che l’incidente non ha intaccato il suo rinomato buon umore, né la sua volontà. Sollevo lo sguardo e i nostri occhi si incrociano, e il mio cuore perde un battito: Kami, è diventato così bello…
«Sei stanca eh? È stata una lunga giornata.»
«E non è ancora finita. Dopo la cena, appena i parenti se ne andranno, il deejay partirà con la musica giovane, come la chiama mia zia.»
Ride divertito, poi si volta verso la pista dove alcune coppiette, compresi mio fratello e Sanae, stanno ballando un lento che è appena iniziato.
«Ti va di ballare?»
«Que… questa canzone?!» balbetto. In effetti One degli U2 è una delle mie canzoni d’amore preferite ma… ballarla con lui…
Ma lui pare non accorgersi del mio smarrimento e prendendomi delicatamente per mano, mi porta in mezzo alle varie coppie, giusto il tempo di sentire Ishizaki, Urabe e Izawa fischiarci dietro divertiti. Ma appena le sue mani depositano le mie dietro la sua nuca, e le sue si appoggiano delicatamente sui miei fianchi, appena sotto l’obi del mio furisode, tutto il resto svanisce, e ci siamo solo io e lui.
«Da quanto non passavamo un momento così?» chiede lui, più a sé stesso che a me.
«Penso… da prima che io partissi per Parigi…»
Lui si rabbuia, io idem. Per quanto io abbia adorato quell’esperienza, e se tornassi indietro la rifarei mille e mille volte, devo essere sincera nell’ammettere che è stato il punto di rottura tra me e Taro.
«Parigi… le qualificazioni… l’incidente… il World Youth…»
Mi mordo la lingua perché vorrei aggiungere anche Azumi alla lista di ciò che ci ha tenuto separati in questi quasi due anni, ma non lo faccio per rispetto a lui e a quello che li lega: dopotutto lei lo ha aiutato moltissimo durante la convalescenza, e se abbiamo vinto il World Youth lo dobbiamo anche a lei. Un sorriso amaro mi sale alle labbra, essere riconoscente verso una che considero la mia più grande rivale in amore non è il massimo, ma tant’è.
Decido di scacciare i pensieri e godermi il contatto che questi quattro minuti e mezzo di canzone mi regalano, e torno a specchiarmi negli occhi nocciola che tanto amo.
«Che c’è?» mi chiede sorridendo. Scuoto la testa e continuo a sorridere. Lui fa lo stesso e mi stringe un po’ più a sé, continuando a dondolare a destra e a sinistra in quello che assomiglia più al rollio di una barca che a un lento, ma nessuno dei due sembra interessarsene. Come se questo contatto fosse ciò che stavamo aspettando. Come se non ci fosse nessun altro nella stanza. Come se non ci fosse nemmeno più la musica. Un momento… la musica… che fine ha fatto?
Come se mi fossi ripresa da uno stato di trance mi allontano di scatto da lui posando le mani sui suoi avambracci e mi guardo intorno: la canzone è finita, e tutte le altre coppie sono tornate a sedere, siamo rimasti solo io e lui al centro della sala come due deficienti troppo presi l’uno dall’altro. Anche lui sembra essersene accorto perché si passa la mano sulla nuca, imbarazzato.
«Chissà che avevate di tanto importante da dirvi, eh piccioncini
Ora, io voglio molto bene a Ryo, posso dire che si tratta di uno dei miei migliori amici, di quelli che mi sono stati vicino quando Tsubasa è partito per il Brasile e non mi hanno mai fatto sentire sola… ma in questo preciso momento sto immaginando di passargli le mani attorno alla gola e stringere forte, molto forte. Con gli occhi ridotti a due fessure mi volto verso di lui e lo fulmino con lo sguardo, per fortuna Misaki con il suo proverbiale aplomb interviene al mio posto.
«Ishizaki, se anche tu fossi stretto a una così bella ragazza perderesti la cognizione del tempo, ti pare?»
Mi volto verso di lui con lo sguardo sconvolto, e così devono aver fatto tutti quanti perché d’improvviso sento gli sguardi dei ragazzi su di noi. Lui non si scompone e, riaccompagnandomi al tavolo aggiunge:
«Così almeno avranno qualcosa di cui sparlare per gli anni a venire.»
Scoppio a ridere mentre lui mi fa accomodare sulla sedia e prende posto accanto a Ryo, ancora incredulo, mentre accanto a me Yukari mi fa l’occhiolino.
 
«Mamma mia, quanto ho mangiato!» Yukari ha fatto aderire la schiena alla sedia e si sta massaggiando la pancia. Sospiro, ha proprio ragione, è stata una mangiata coi fiocchi: d’altronde, né noi Ozora né i Nakazawa hanno badato a spese, per questo matrimonio. Mi sento tirare per la manica del furisode e abbasso lo sguardo, vedendo Daichi che mi guarda con gli occhioni.
«Almeno tu… vieni in giardino con me… a giocare…?»
Gli accarezzo la testa e annuisco, due passi mi faranno bene, così lo prendo per mano e lo conduco fuori.
«Però niente pallone! Non voglio che ti rovini il vestito!»
Ma lui ha già preso la direzione di un gruppo di bambini che stanno giocando in mezzo al parco della villa.
«A noi Ozora non piace seguire le convenzioni, lo sai.»
Tsubasa mi si avvicina e mi posa una mano sul fiocco dell’obi, mentre osserva Daichi che ride e corre con gli altri bambini.
«Mamma mi ucciderà, ma non posso impedirgli di giocare: guardalo, ha il tuo stesso sguardo.»
«Come va? Ti ho vista parecchio presa da Misaki.» e sogghigna. Io abbasso lo sguardo, inutile, qualcuno pronuncia il suo nome e io arrossisco come una scolaretta.
«Abbiamo chiacchierato… tutto nella norma. Ma non gli ho chiesto di Azumi, se è questo che vuoi sapere.»
«Ostinata, eh?»
«No, Ozora. - e gli faccio una linguaccia - Torna pur dentro, ci penso io a Daichi.»
«Il fotografo voleva scattare qualche foto con i familiari, dobbiamo tornare dentro. Coraggio - e mi dà una pacca sulla spalla - Nem mesmo a noite mais escura poderá impedir o nascer do sol
Rientriamo con un recalcitrante Daichi e facciamo le foto con tutti i parenti, testimoni compresi, e le zie con gli occhi lucidi dalla commozione mi strizzano le gote e mi intimano di lasciar passare qualche anno prima di accasarmi, per far sì che si riprendano dallo shock.
«Tranquille, Sakura ha altri progetti.» lancia lì Tsubasa, e io vorrei tanto strozzarlo con le mie mani, perché lo so che vuole sapere se ho aperto la lettera della Sorbona.
Mi volto verso le zie e le vedo sbiancare.
«Ehm… ecco… io…»
«Tranquilla. - mamma si avvicina a me e mi passa un braccio attorno alle spalle - Le ho già avvisate.»
«Di che?!» adesso mi spavento. Papà sbuca alle mie spalle e mi porge la lettera della Sorbona: ma non l’avevo lasciata a casa, in camera mia?
«Sono un papà curioso, non ho resistito. E non parlo il francese ma a occhio e croce direi che ti hanno preso. Brava, Sakura. Siamo fieri di te.»
Con mani tremanti prendo la busta, estraggo la lettera e la leggo d’un fiato, constatando che, sì, mi hanno preso alla Sorbona.
«Mi hanno… mi hanno preso… è solo un pre-test ma… mi hanno preso, Tsu!» e volo tra le sue braccia. Perché è a lui che devo la mia testardaggine, è a lui che devo la voglia di combattere, di non arrendersi e di perseguire il proprio obiettivo. È a lui che devo me stessa. 

Neechan è un modo affettuoso per dire "sorellona", in Giappone i fratelli minori non sempre usano il nome per chiamare i maggiori.
Nem mesmo a noite mais escura poderá impedir o nascer do sol = neppure la notte più scura impedirà al sole di sorgere 


Il penultimo capitolo... Cherry Blossom è una storia corta, ma nella quale ho investito tanto. Da secoli avevo voglia di raccontare di Sacchan, ma non sapevo come fare, poi un giorno ho iniziato a scrivere, di getto, come faccio sempre... e CB ha visto la luce. 
Per i saluti vi aspetto al prossimo capitolo... al varco xD
Bacioni e grazie per il vostro supporto!
Sakura 


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Sono seduta su una panchina in pietra nel parco della villa, col naso all’insù osservo la volta celeste piena di stelle, sperando di vederne una cadente per esprimere un desiderio, anche se in realtà non c’è nulla che potrei desiderare di più… o forse sì?
Rabbrividisco appena, nonostante non sia per niente freddo, ma sono ferma in quella posizione da un po’. Improvvisamente sento qualcosa che si posa sulle mie spalle, una giacca: mi volto e davanti a me, in piedi, sorridente, c’è Taro, in camicia, con la cravatta leggermente allentata.
Afferro i lembi della giacca, più per sentire meglio il suo profumo che per altro, e gli faccio cenno di sedersi accanto a me.
«Grazie.» mormoro, riferendomi alla giacca.
Rimaniamo in silenzio ad osservare il cielo illuminato dagli astri, e quasi senza accorgermene faccio scivolare la testa sulla sua spalla: lui non si sposta, anzi, si mette più comodo e passa un braccio attorno alla mia vita, per stringermi a sé.
«Tuo padre dipingerebbe un quadro meraviglioso, con questo panorama.»
Lui annuisce, poi aggiunge:
«Ne ho uno per te, da darti: è Nankatsu vista dalla baia, col Fujisan alle spalle. Starà bene nella tua stanza quando andrai a Parigi.»
Ed ecco la magia che si spezza: nella sua voce c’è una nota malinconica che quasi non comprendo, così mi allontano a malincuore dalla sua spalla e mi giro ad osservarlo.
«Taro…»
«È il tuo futuro Sakura, ed è giusto che tu scelga la strada migliore per te. Ti ho sentito parlare francese con Pierre e Napoléon, e sei straordinariamente brava.»
Abbasso lo sguardo e inizio a mordicchiarmi il labbro inferiore, quello che dice mi fa piacere, ma non posso fare a meno di pensare che sarò lontana da lui, di nuovo. Come dice il detto, Occhio non vede, cuore non duole, magari stando lontana da lui riuscirò a dimenticarlo e senza avere davanti questi dannati occhi nocciola… oddio mi sta fissando…
«Sakura…?»
Kami, ho il cuore che mi sta per scoppiare nel petto: chissà lo sta sentendo anche lui… siamo così vicini…
La sensazione delle sue labbra sulle mie, un’emozione che credevo di aver scordato: chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dal calore e dalla pace che quel contatto mi dona. Vorrei approfondirlo, rendere questo lieve bacio più intimo, ma la voce di mia madre mi riporta alla realtà e così, lesta, mi allontano da lui e scatto in piedi.
«Ah Sakura, ti ho trovato. Gli zii stanno andando via e vorrebbero salutarti. Taro, la riaccompagni tu? Io vado a cercare Koudai.»
Sembra non essersi scomposta, nel vedermi lì con lui, ma si affretta ad andarsene così non ho tempo per sondare il terreno; Taro mi offre il gomito e io ne approfitto, dato che le mie adorate scarpe di cui vado orgogliosissima sembrano essersi rimpicciolite.
Quando rientriamo nel salone zia Haruka mi si para davanti e mi abbraccia.
«Mi stai stritolando, zia…»
«Voglio assolutamente che passi a salutarmi prima di partire, bambolina. Non voglio che te ne vai a Parigi per non so quanto tempo senza dirmi nulla.»
«Lo farò zia, promesso.» la rassicuro. Zio Jiro mi posa una mano sulla spalla e mi fissa dritto negli occhi.
«Sei sicura che sia la scelta giusta, Sacchan?» e con un impercettibile movimento degli occhi indica Taro, che dietro di me sta parlando con Sanae, mentre zia Haruka sta ripetendo a Tsubasa le stesse raccomandazioni che ha fatto a me.
Io arrossisco e gli sorrido, cercando di sembrare quanto più sicura possibile.
«Va tutto bene, zio. Siamo amici.»
«Piccolina - interviene zio Ichiro, con l’aria di chi la sa lunga - puoi mentire ai tuoi vecchi zii, ma almeno non mentire a te stessa: ti brillano gli occhi quando sei in sua compagnia.»
Sospiro profondamente, i fratelli di mia madre quando ci si mettono sanno essere petulanti, ma so che lo fanno perché per loro sono la piccolina di casa (l’unica femmina tra tutti i cugini materni) quindi lo accetto ben volentieri.
«Lasciatela stare! - zio Goro interviene immediatamente, raggiunto da zio Saburo e zio Shiro - Sakura è una donna del nuovo millennio! Lei è proiettata verso il futuro!»
«Goro, tu invece sei proiettato verso il troppo sakè che hai bevuto. - lo schernisce zio Shiro, dandogli una pacca sulla spalla, per poi voltarsi verso di me - Sacchan, abbiamo molta fiducia in te, sappiamo che farai un buon lavoro, all’università.»
«Ma torna a trovarci, ogni tanto!» piagnucola zio Saburo, che è sempre stato il più emotivo.
«Eravate così anche con la mamma, quando eravate piccoli? Perché comincio a capire come mai si sia sposata così giovane!»
I cinque fratelli maggiori di mia madre scoppiano a ridere attirando l’attenzione di Tsubasa che, liberatosi di zia Haruka, stava chiacchierando con zia Fuyumi.
«No, piccola, quello che ha seguito le orme di vostra madre è Tsubasa. - zio Ichiro gli circonda le spalle con un braccio e lo attira a sé - Siamo sicuri che non ci sia nessuna pagnotta in forno?»
A questa affermazione, mio fratello diventa improvvisamente viola e si irrigidisce, mentre io scoppio ridere e non riesco più a trattenermi, divertita. Gli zii fanno davvero fatica a credere che questo matrimonio sia nato solo dall’amore e non da qualche incidente di percorso.
«No, no, certo che no… - finalmente riesce a rispondere, e zio Ichiro pare sollevato - Io e Sanae ci amiamo, per questo abbiamo deciso di sposarci.»
«Vuoi dirci che non avete mai…?»
«Zio Goro!!!» esclama Tsubasa, che ormai è in ebollizione da tanto che è l’imbarazzo.
«Ah, ho capito, non ci racconterai nulla. - pare quasi dispiaciuto - Andiamocene, lasciamo che i giovani si godano la loro festa.»
Ci abbracciano e ci baciano facendoci un sacco di feste, idem le loro mogli, e una volta che levano il disturbo è ora per noi di iniziare la festa.
Faccio un cenno a Tsubasa indicandogli il mio furisode, in modo che capisca che vado a cambiarmi per indossare qualcosa di più comodo, e mi dirigo verso la stanza della villa che abbiamo tenuto a nostra disposizione.
Una volta dentro, mi appoggio alla porta, e sospiro pesantemente: gli zii hanno ragione, non posso mentire a me stessa. Andarmene a Parigi (Di nuovo, mi suggerisce la coscienza, maledetta) invece che stare qui ad affrontare i problemi è come fuggire di fronte a un nemico, ma io ho la consapevolezza di aver già perso.
«Ha ragione Tsubasa…» mormoro, dirigendomi verso il piccolo trolley che mi sono portata dietro. All’interno c’è il mio vestito da seconda serata, come l’ha chiamato mamma, un semplice abito di raso nero che mi arriva al ginocchio, e un paio di sandali bassi dello stesso colore.
Decido di sciogliere i capelli, per lasciarli più liberi, e non appena levo il concio li sento ricadere morbidi sulle spalle: tenerli acconciati così li ha fatti assumere una forma a boccolo che mi piace molto.
Inspiro profondamente un’ultima volta quindi esco dalla mia stanza e torno verso il salone, dove i miei ex compagni di classe stanno smontando gli strumenti mentre il deejay ha già iniziato a dare la carica.
«Dov’eri finita?» mi urla Kumi, strattonandomi per un braccio.
«Sono andata a cambiarmi il vestito, così sto più comoda. Hai già iniziato a bere senza di me?»
Mi porge il suo cocktail e ne bevo un lungo sorso.
«Caipirinha? Mio fratello mi stupisce sempre di più!»
Kumi mi lascia il suo bicchiere e si allontana, lasciandomi sola con quell’alcolico che, già lo so, mi taglierà le gambe.
«Non ti fa bene!» sento sussurrare alle mie spalle. Mi volto di riflesso ma una mano, veloce, mi porta via il bicchiere. Adesso le labbra appoggiate su quella cannuccia non sono le mie, bensì quelle di Taro. E sì, in questo momento vorrei tanto essere quella cannuccia!
«Senti. - punto le mani e cerco di assumere un cipiglio aggressivo - A me non farà bene, ma neanche a te.»
Me lo restituisce dimezzato, e mi fa l’occhiolino. È tutta la sera che flirtiamo, prima ci siamo praticamente baciati… mi porto immediatamente la cannuccia galeotta alla bocca, sia per bere sia per rivivere quel contatto di poco fa, e sento le gote avvampare. Maledetto d’un Misaki, che mi fai?
«Stai bene?»
«Sì, stavo solo… pensando.»
«Non farlo… - mi prende per mano e mi attira vicino a sé - Conoscendoti, rischi di rimuginare troppo.»
Un allarme rosso si è diramato in ogni cellula del mio corpo: siamo talmente vicini che sento il suo respiro sul mio volto, l’odore della cachaça mi solletica le narici.
«Taro… non dovresti… fare così…»
Mi fa l’occhiolino e mi trascina in pista a ballare, come se niente fosse. E io lo guardo e capisco che sono perdutamente innamorata di lui, e questa condizione non cambierà mai.
 
Ho perso il conto di quanto ho bevuto: ho persino fatto una gara con Wakabayashi su quanta birra riuscivo a ingurgitare. E adesso la stanza gira intorno, mamma mia!
Mi sollevo da letto e decido che è meglio fare una passeggiata e approfittarne per prendere una boccata d’aria e magari cercare dell’acqua fresca.
Il giardino all’esterno della villa è meraviglioso, il verde domina e i fiori sembrano tante macchie di colore aggiunte da un sapiente pittore che ha voluto dare il suo tocco alla tela.
Pittore… Misaki-san… Taro.
Il mio cervello sa essere veramente crudele con me, creando queste associazioni. Sospiro e mi siedo nell’erba, puntando i gomiti sulle gambe e prendendomi il viso tra le mani.
Rimango ferma lì, con gli occhi chiusi, ascoltando il mio respiro e cercando di farmi passare il giramento di testa.
«Sakura?»
Una voce mi coglie alla sprovvista, così mi alzo di scatto e avvampo come se fossi stata sorpresa con le mani nella marmellata.
«Taro! Che ci fai qui?»
«Sono sceso a cercare dell’acqua e ho visto una macchia bianca nel prato. - indica la mia camicia da notte - Carina.» sorride poi.
Cerco di coprirmi le gambe, imbarazzata, mentre lui se la ride, bevendo un sorso d’acqua dalla bottiglia.
«Vuoi? - mi chiede poi, porgendomela. Annuisco e mi avvicino di un passo per appropriarmene e bevo avidamente - Bere troppo fa questo effetto.»
«Non ridere, Misaki: non sono ubriaca. Ho solo… esagerato un po’. Ma ci sta.»
«Sì, - annuisce dolcemente - ci sta. È stato un bel matrimonio.»
«Davvero. Sono davvero una bella coppia, e spero che vada tutto bene.»
«Ne hanno passate tante e le hanno superate.»
Lo guardo con aria interrogativa, era una frecciatina?
«Sono stati fortunati, non son mai capitate cose insormontabili.» se vuole giocare, sono pronta. Mi dirigo verso l’interno della villa. Lui mi segue, mi pare un sorrisetto malizioso quello che gli spunta sulle labbra.
«Non esiste nulla di insormontabile.»
«Oh sì, invece. - mi impunto, incrociando pure le braccia - Ci sono cose che non si possono dimenticare.»
«Per tutto il resto c’è MasterCard.»
«Non è da te cadere in battute così scontate, Misaki. Devi essere sbronzo pure tu. - esclamo stizzita - La smetti di prendermi in giro?»
Lui se la ride, cosa che mi fa saltare i nervi. Mi dirigo a passo svelto verso la mia camera, incurante del fatto che lui mi stia seguendo: quando faccio per aprire la porta, lui la blocca con una mano.
«Hai intenzione di elencarmi i motivi per cui sei così tanto arrabbiata con me da non rivolgermi quasi più la parola, se non per flirtare con me?»
«Io non ho flirtato con te, Misaki! Semmai il contrario!»
Lui si avvicina a me e mi spinge contro lo stipite della porta.
«Non l’ho mai negato…»
«Sì… - mormoro in un soffio - Sei decisamente ubriaco… meglio che tu te ne vada a dormire…»
Continuando a fissarmi negli occhi, avvicina le sue labbra alle mie e le sfiora delicatamente: sento una marea di brividi partire dalla base della schiena e percorrere il mio corpo come mille formichine alla ricerca di cibo.
Abbassa la testa sul mio collo e inizia a depositarvi baci leggeri, mentre mi appoggia la mano destra sul fianco e mi attira a sé.
«Co… cos’hai intenzione di fare?» gli chiedo, preoccupata (ma non troppo!) di come potrebbe finire la situazione.
«Niente che tu non voglia…» mi sussurra, stringendomi a sé ed entrando in stanza. Chiude la porta alle mie spalle e mi ci appoggia contro, per poi appoggiare le sue labbra sulle mie e premere con più decisione. Socchiudo le labbra e con la punta della lingua accarezzo le sue: si ritrae appena e mi fissa stupito, per poi rituffarsi su di me e baciarmi con passione.
Perdo il controllo dei sensi, ormai esistiamo solo io e lui, le sue mani che mi accarezzano e fanno volare la camicia da notte per terra, le mie mani che lo spogliano e gli tolgono maglietta e, con un po’ di imbarazzo, anche i boxer. Mi fa stendere sul letto e si sdraia sopra di me, sono imbarazzatissima ma quando mi bacia mi sembra la cosa più normale e naturale del mondo, non mi sento in difetto né in difficoltà. Esplorare la sua bocca, baciare ogni centimetro di quel corpo, sono tutte azioni che compio per la prima volta ma che mi sembrano naturali come respirare.
Si ferma un secondo ad osservarmi, l’eccitazione di entrambi (specialmente la sua) particolarmente visibile.
«Sacchan…» mi sussurra a un orecchio, con voce calda ed eccitata.
«Sì…» rispondo alla sua tacita domanda. Lui mi osserva per cercare anche solo un barlume di incertezza, ma io gli sorrido e gli bacio la punta del naso, per confermare la mia risposta.
E quando lui entra in me, dolore, agitazione ed eccitazione si mischiano in un’unica sensazione indescrivibile…
 
Sono una vigliacca… mi ripeto, sul taxi che mi riporta verso casa. Stamattina, quando mi sono svegliata e l’ho visto lì, addormentato accanto a me, il panico mi ha assalito, e cos’ho fatto? Ho raccolto le mie cose in silenzio e sono fuggita come una ladra.
Non faccio altro che ripensare a questa notte, la nostra notte, che rimarrà per sempre impressa a fuoco nella mia mente… ma non posso e non voglio confrontarmi con lui, avere la certezza che è stato solo un momento di debolezza. Mi asciugo le lacrime e il tassista mi guarda incuriosito dallo specchietto retrovisore, io gli sorrido cercando di risultare credibile.
«Tutto bene, signorina?»
«Sì… - annuisco, spostando nuovamente lo sguardo verso il paesaggio che scorre all’esterno - Sì, tutto bene, sono solo come un bocciolo di ciliegio.»
Lui mi osserva perplesso.
«Prego?»
«Lo sa, no, che i fiori di ciliegio muoiono all’apice della loro bellezza… - lui annuisce - Io sono uguale… cioè, ho appena fatto la stessa fine: ho raggiunto l’apice della felicità, e sono morta subito dopo… morta dentro intendo… stupida Sakura…»
Rimaniamo in silenzio qualche istante, ognuno immerso nei propri pensieri, quando ad un tratto lui riprende la parola.
«Sei una ragazza, puoi ancora rifiorire, a differenza dei fiori di ciliegio. Anche se ti chiami Sakura.» e mi sorride dallo specchietto.
Cerco di sorridergli a mia volta mentre il taxi prosegue la sua corsa: tornerò a fiorire, un giorno o l’altro…
 
FINE


Sakura non si spiega, è così. Impulsiva, irrazionale... scema. Ma paradossalmente è ancora una ragazzina, sebbene abbia 18 anni. E si comporta come tale. 
No, non ha fatto bene ad andarsene via così, senza dire nulla... ma credo si sia sentita sopraffatta da tutto quanto, e sicuramente non se l'è sentita di affrontare Misaki alla luce del sole. Perché la notte, si sa, nasconde le magagne e rende tutto più magico, ma il risveglio ti riporta coi piedi per terra. Lei ama tremendamente Misaki, ma vuole percorrere quella strada, varcare quella porta che si è aprta davanti a lei, e piuttosto che affrontare il tutto a viso aperto, preferisce scappare. Se ne pentirà, eccome se se ne pente! XD 
Ma questa è un'altra storia ;) 

Grazie a tutte coloro che mi hanno seguito con tanto affetto, che mi hanno letto, grazie a chi ha recensito, grazie in particolare ad Agatha e OnlyHope, che hanno seguito la stesura, sebbene a distanza, e mi hanno dato alcune dritte preziosissime per rendere i personaggi il più IC possibile. Vi lascio con un disegno dolcissimo che mi ha regalato la mia Cugi Ai_1978 e che ringrazio infinitamente. 

Stay tuned, il calderone delle ff borbotta ^^ (RL permettendo)

Sakura 

Postilla: sì, nel mio mondo Natsuko è l'ultima di cinque fratelli maschi, e sì, i nomi dei suoi fratelli vogliono dire Primo, Secondo, Terzo, Quarto e Quinto Figlio... che fantasia eh XD 
E il fatto che abbia specificato che Sakura è l'unica femmina tra i cugini materni voleva essere un piccolo omaggio a Minami Ozora. Non mancheranno occasioni di fare interagire le due ragazze, ma mi sembrava carino non eliminarla del tutto qui, sebben questa storia sia nata quando ancora non conoscevo né lei né la sua creatrice.

 


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