Shining Shadows

di Danail
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genesi ***
Capitolo 2: *** La chiamata ***
Capitolo 3: *** Notizie dal mondo ombrato ***
Capitolo 4: *** Ricordi ***
Capitolo 5: *** Il figlio della dea ***
Capitolo 6: *** Half Wolf ***
Capitolo 7: *** Forest' Sons ***



Capitolo 1
*** Genesi ***


“Raqalis, Raqalis, Raqalis, svegliati. Vivi, ama, pensa. Che gli alberi crescano e i pokemon si sviluppino. Che le acque siano consacrate”
(cit. adattata).

In principio, quando l'Universo era ancora ai suoi inizi non esistevano Spiriti ben distinti, ma solo uno, che non era altro che lo Spirito dell'Universo, ancora neonato. Non si sa come, ma mano a mano che l'Universo s'espandeva e si creavano mondi, piccole schegge di questo immenso spirito si staccavano per abitare in questi mondi. Alcune erano più grandi delle altre, così da creare mondi adatti alla vita. Un mondo di questi era proprio il nostro. Queste schegge dello spirito originario, dopo eoni di inattività, presero coscienza di sé e dell'ambiente che le circondava. Il nostro spirito, dunque, cominciò a modellare il nostro pianeta per renderlo adatto alla vita. Ma non poteva fare tutto da solo.
Staccò da sé una scheggia. Il nuovo spirito era fatto di fuoco, impetuoso e istintivo. Lo chiamò Doleman, e gli affidò le terre emerse, il fuoco e il magma.

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Ma un solo spirito non bastava. La Terra ancora non lo soddisfaceva: il magma colava, la terra s'espandeva, per soddisfare Doleman. Quindi staccò una seconda scheggia.

Lo spirito era più calmo e chiaro, intelligente ed intuitivo. La chiamò Reminas, e le affidò gli Oceani, i Mari e tutti i corsi d'acqua. Piovve, e la Terra quindi si colmò di fresca acqua. Ma acqua e terra ancora non bastavano.

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Lo spirito staccò una terza scheggia. Il giovane spirito era allegro, pronto a darsi da fare, pieno d'energia. La chiamò Minar, e gli affidò la cura della natura e delle sue piante. Minar creò foreste, prati, boschi dove prima c'era la nuda terra. Diede vita dove prima non c'era.

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Lo spirito creò una quarta scheggia: lo spirito era come Minar, ma più irrequieto. Lo chiamò Falesius, e gli disse di completare l'opera della sorella. Falesius creò gli animali e i pokemon, compreso l'uomo. Ma allora Falesius non immaginava come sarebbe diventato.
Inquieto e sempre in movimento, creò i tuoni e i fulmini, dotando la Terra di luci diverse a quelle delle stelle.

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Una quinta scheggia si staccò dallo spirito: potente e silenzioso, infido e preciso, fu chiamato Solone. Gli fu incaricato di creare e dare vita ai pokemon minerale, e di infondere energia agli oggetti inanimati. Intelligente e riservato, lo spirito riusciva a memorizzare tutto ciò che imparava.

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Ci fu anche una sesta scheggia: lo spirito era estremamente curioso e aveva una smisurata sete di conoscenza. Fu chiamata Lawana. Le fu incaricato di infondere il raziocinio in ogni animale e pokemon, a seconda delle loro possibilità e capacità. Fu così che ogni essere vivente poté pensare ed essere consapevole di sé.

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Alla fine, si staccò la settima scheggia. Lo spirito era particolare: s'appassionava per tutto. Fu chiamata Sira. Il suo compito fu d'infondere un'anima a tutti gli esseri viventi. E fu così che ogni essere che vive può provare emozioni.
Volubile come l'aria, Sira fu incaricata di controllare i venti.

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Sette spiriti erano stati creati, e con loro gli elementi che ancora oggi esistono. Lo spirito, stanco, scivolò in un sonno profondo. Ma prima di cadere nel suo letargo, lo Spirito incaricò i Sette di badare al mondo, finchè non si sarebbe risvegliato. Ad ogni dose di Bene ce né anche un'equivalente di Male, era così che l'Universo si teneva in equilibrio. Lo stesso spirito era per metà benigno e metà maligno, di conseguenza anche gli spiriti che aveva creato, e ancora tutte le creature e gli elementi da loro creati erano permeati da forze del bene e del male, in perenne lotta tra loro. Il Grande Spirito avvertì i sette fratelli di questo, li raccomandò di non interferire con gli eventi del mondo se non quando strettamente necessario: solo con le esperienze dirette s' impara. Solo quando una delle due potenze stesse per soccombere all'altra, dovevano intervenire. I Sette lo ascoltavano attentamente, per poi salutarlo un'ultima volta quando lo Spirito li mandò via.

Mentre scivolava nel sonno, l'ombra pensò che il Bene non avrebbe creato problemi, perchè il Male è sempre vicino a lui...

I Tre Spettri erano svegli...



Quando lo Spirito s'addormentò del tutto, i Sette presero forma di pokemon. Per riconoscersi, presero una forma simile. Ognuno poi personalizzava il proprio corpo da pokemon. Dopotutto non sapevano ancora dell'esistenza dell'uomo. Animali e pokemon vivevano in simbiosi, e i Sette abitavano gli elementi che più trovavano adatti a loro. I pokemon e gli animali crescevano, si evolvevano, e ogni tanto una nuova specie si distingueva dalle altre. Millenni dopo, l'uomo cominciò ad evolversi, e si accorse della presenza dei Sette. Nonostante ogni civiltà ne venerasse solo qualcuno, gli spiriti non si lamentarono. Ma quando l'uomo cominciò a rovinare tutto in nome di un bene superiore, combattendosi, stuzzicando i pokemon leggendari (che non erano altro che incarnazioni dei Sette) allora era il momento di agire...

Il resto è Storia. Anche quella che sto per raccontarvi.

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Capitolo 2
*** La chiamata ***


Capitolo 2

"Max, corri".

Il Monte Pira stava franando dietro di loro. La furia cieca che li aveva posseduti prima era sparita. Groudon e Kyogre stavano combattendo tra loro, causando il caos totale. Il Monte stava implodendo. Ivan cercava una via d'uscita tra i cunicoli creati dal Team Magma. Era addolorato per la perdita di Ada e Alan, finiti chissà dove. Max, dietro di lui, cadde per non rialzarsi. "MAX!!" lo chiamò Ivan, inutilmente. Un altro terremoto. Ivan raccolse Max da terra: non era molto pesante. Se lo caricò sulla spalla e ricominciò a correre. Vedeva la luce in lontananza. Un altro terremoto, più forte ora. Il tetto del cunicolo cominciò a sgretolarsi e spaccarsi. Ivan, con uno scatto, raggiunse l'uscita. Un secondo dopo il cunicolo franò. Si allontanò per sicurezza, e posò Max per terra, sulle macerie del vulcano.

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Sembrava addormentato. Ivan tremava per lo sforzo compiuto, ma era riuscito a salvarsi la pelle. Represse un sospiro di sollievo. Ma Max non si risvegliava. Era pallidissimo. Ivan gli toccò il viso per svegliarlo. Non poteva... Il suo rivale era freddo, freddo e bianco come il marmo. E come la morte. Un filo di sangue, rosso come i suoi capelli, scorreva dalla bocca. Gli occhi, un tempo verdi, ora erano vuoti, senza vita. Come il resto del corpo: senza vita.

Ivan gridò, un grido di pura disperazione, e si svegliò.

Scosso dal sogno, troppo realistico per essere tale, cominciò a riprendere possesso di sé. Anche se erano passati dieci anni, la morte di Max continuava a perseguitarlo. Appena riuscì a calmarsi, guardò fuori alla caverna dove si era rifugiato: i primi raggi solari tingevano il cielo notturno. Piano piano, i ricordi riaffioravano: si era accampato lì per la notte insieme ai suoi pokemon. Mightyena, Sharpedo e gli altri dormivano ancora, in fondo alla caverna. In lontananza si vedeva il mare. Ivan si trovava a Sereal, una regione ancora sconosciuta per lui, ma non per molto. Appena avesse trovato del tempo, l'avrebbe esplorata come si deve.

Ma dopo la Terza Guerra, non ne aveva avuto, di tempo. Hoenn si era impegnata ad aiutare le regioni distrutte, mandando il Team Idro ad aiutarle. Ivan andava orgoglioso di questo: in quanto Corsari, erano abituati alla vita di mare, ed erano ottimi navigatori. In più, i suoi amati Okeanos stavano aumentando, e ciò gli permetteva di introdurli nel suo Team. Ivan non sapeva da dove venissero quei pokemon, ma non gli importava più di tanto.

Mentre i suoi pokemon pian piano si svegliavano, Ivan ripeté mentalmente le distinzioni tra Okeanos, per rilassarsi:

sono creature che abitano vicino a bacini d'acqua, principalmente mari, laghi e grandi fiumi. Gli Okeanos che abitavano il mare venivano chiamati Leviatani: agili e veloci, avevano un corpo serpentiforme senza zampe. Per compensare questa loro mancanza, potevano circa otto o nove paia di ali, tutte distribuite lungo il corpo. Sulle ali c'erano delle piccole zampette munite di quattro dita, che permettevano all'essere di poggiarsi a terra o di aggrapparsi a qualcosa. In guerra si usavano per attacchi veloci, ma non prolungati, in quanto i Leviatani sono fragilissimi. In tempo di pace, si usano per il trasporto leggero e veloce.

Quelli di lago invece erano terribilmente resistenti. Venivano chiamati Dragoni perché più simili a molti pokemon Drago. Dotati di quattro zampe massicce, di una testa resistente e di un corpo lento ma resistente, erano adatti per attacchi pesanti e continui. Le due ampie ali gli permettevano di stare in volo anche per giorni. Si usavano anche per il trasporto pesante e come guardiani.

Il terzo gruppo era quello degli Okeanos di fiume, più rari sa trovare degli altri due. Non avevano un nome specifico, e molti si riferiscono a questa specie chiamandoli semplicemente Okeanos. Si presume che siano un incrocio tra Leviatani e Dragoni, in quanto presentano i corpi e le ali leggeri e veloci come quello dei Leviatani e la resistenza dei Dragoni: muniti di una struttura relativamente minuta e zampe corte con ali immense, potevano volare poco meno velocemente dei Leviatani e poco meno dei Dragoni. Un ottimo mix, insomma. Peccato che era difficile da ottenere.

Mightyena lo distolse dai suoi pensieri leccandogli gioiosamente il viso.

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“Ehi Migthy, va bene basta così” disse ridendo Ivan, cercando di togliersi di dosso il pokemon che gli faceva le feste. Dopo che ritirò Mightyena, Sharpedo e Weezing nelle loro Pokeball, si avvicinò alla sua Crobat per mandare un messaggio. Il pokemon, intuendo i pensieri del suo allenatore, cominciò a lamentarsi.

“Lo so, lo so che non sei un pokemon diurno, ma devi portare questo messaggio alla base. È per avvertire tutti che sto arrivando”

Crobat emise un flebile lamento per poi partire. Il sole era già alto quando Ivan sganciò dalla cintura uno strano flauto di legno dipinto e si mise a suonarlo.

Sembrerebbe un comportamento strano, ma in realtà la musica di quello strumento particolare è un richiamo per gli Okeanos, unico per ogni creatura. Di lì a poco, infatti, un Dragone annunciò il suo arrivo ruggendo. Era un essere immenso: era alto circa quattro metri, le dure scaglie sfumavano dal blu chiaro al nero, e le ali blu screziate di bianco e viola arrivavano ai tre metri d'apertura. Gli occhi giallo-arancio erano grandi come la mano di Ivan. Lo spettacolo era terribile e magnifico allo stesso tempo. Il Dragone s'aggrappò sul pendio del monte, vicino all'apertura della grotta e al suo padrone.

“Buono, Thuban, buono” gli disse con affetto, mentre il Drago lo leccava con la lingua biforcuta.

“Max sarebbe sorpreso vedendomi accarezzare una creatura così bella” pensò. Ma Max non era lì...

Ivan s'arrampicò sul collo di Thuban e si mise in sella. Afferrate le scaglie sporgenti davanti a lui, cominciò a condividere i suoi pensieri col drago. La simbiosi era una delle caratteristiche degli Okeanos: le loro menti potevano unirsi a quelle umane per creare un'entità unica, condividendo i pensieri ed emozioni.

Volare aveva sempre appassionato il Corsaro. Era la sua attività preferita, dopo il nuoto. Mentre volava insieme a Thuban, riscaldato dai giovani raggi solari, gli era difficile ripensare agli incubi, anche se in un certo senso gli mancava Max e i suoi discorsi troppo lunghi. Dopo la sua morte, il nuovo Capo Magma dovrebbe essere Ottavio, e la sua vice Rossella... ripensando alla ragazza, Ivan si sentì avvampare. Thuban lo richiamò alla realtà con un pizzico di divertimento.

Attraversarono Sereal in un'ora, puntando verso sud est, dritti a Hoenn. L'oceano che separava le due regioni sembrava immenso. La calma che regnava in quella parte di pianeta era quasi innaturale, se si pensava che solo un anno prima una guerra infuriava proprio sopra quel mare.

Dopo circa tre ore di viaggio, finalmente Hoenn apparì all'orizzonte.

Thuban fece uno scatto in avanti, ansioso di rivedere i suoi amici Eltanin, il Leviatano di Ada, e Rasta, l'Okeanos di fiume di Alan. Hoenn si avvicinava sempre di più, finché Ivan non scorse il faro di Porto Selcepoli, le navi del Team Idro e gli abitanti che si affaccendavano al mercato. Thuban fece due larghi giri sulla città per poi atterrare sulla spiaggia. Le persone non ci facevano caso, ormai si erano abituate ai traffici del Team Idro. Ma la cosa che sorprese Ivan, quando scese dal dragone, era la totale assenza delle sue reclute dalle navi. Doveva essere successo qualcosa di grave, o di straordinario. O forse entrambe le cose: Ivan aveva imparato ad aspettarsi di tutto dalla vita. Era probabile che il Team si fosse riunito provvisoriamente al Museo Oceanografico, e Ivan si diresse al edificio. Non si sbagliava: il Team era stipato tutto lì dentro, e c'era molta confusione. Ma quando Ivan fece il suo ingresso, le reclute tacquero all'istante e gli facevano spazio per farlo passare. Sapeva che al piano di sopra Ada stava tenendo un discorso, perché sentiva la sua voce tesa dalle scale.

Quando Ivan comparve, calò un silenzio di tomba.

“Alla buon'ora, Ivan” gli disse irritata Ada. Dietro di lei, Alan salutò con un sorriso il suo capo.

“Che succede?” chiese agitato Ivan. Ada portava dietro la schiena le sue due falci, un'arma che aveva imparato ad usare di recente, ma se le portava dietro solo quando un pericolo era alle porte.

“E' quello che ho appena detto al nostro Team”. Ada inspirò profondamente, per alleviare la tensione. Dopo un attimo di silenzio che parve un'eternità, la donna rispose tremando.

“Raqalis ha chiamato. La Terza Guerra non è finita affatto, Ivan. Kelsett è ancora vivo, con i suoi seguaci d' ombre”.

Ivan spalancò gli occhi per il terrore. Kelsett era il fanatico che comandava il Team Kigen, che aveva provocato un olocausto solo per perseguire un folle ideale. Si sentì morire dentro.

“Ivan, hai capito bene. Siamo stati chiamati a combattere, ma non da soli: i gruppi delle altre regioni ci aiuteranno...”

Ada poggiò una mando sulla spalla destra di Ivan, per fargli sentire il suo appoggio. Ivan aveva perso la sua famiglia a causa delle Ombre, le aveva viste mentre bruciavano la sua casa, mentre uccidevano i suoi genitori e suo fratello quando lui aveva solo quattro anni. Le reclute assistevano in silenzio. Alan lo osservava con curiosità, Ada con tristezza. Aspettavano una risposta da lui. Ivan sapeva di non aver scelta, anche se più avanti se ne sarebbe pentito.

“Aiutiamo Raqalis. Questa è anche la nostra guerra. Partiamo” mormorò.

Le reclute esultavano, ansiose di rendersi utili.

“E' quello che mi aspettavo, Capo” gli disse Alan, dandogli una manata sulla spalla.

“Partiremo tra tre giorni, Ivan” lo informò Ada “Una piccola parte del Team resterà qui ad Hoenn, mentre il resto s'imbarcherà sulle nostre navi. Noi li guideremo, come al solito”. Ada sorrise per tirar su di morale il suo Capo, ma con scarso successo. Anche se cercava di non darlo a vedere, Ivan si sentiva morire. Prima gli incubi su Max, poi questo...


Con gran sorpresa di tutti, il Team Idro era già pronto dopo due giorni, così Ivan pensò di dare il terzo giorno libero alle sue reclute. La mattina della partenza una folla si era riunita a Porto Selcepoli: da Iridopoli a Ferrugipoli, da Bluruvia a Forestopoli, tutta Hoenn era venuta a dare il suo sostegno. I tre Okeanos erano eccitati, non riuscivano a star fermi. Le persone riunite intonavano canti e suonavano: la tradizione voleva che le partenze per lunghi viaggi fossero accompagnate da feste gioiose.

Da sopra Thuban, Ivan poteva osservare le navi ormeggiate e allo stesso tempo il Porto.

Dopo un po', i canti si smorzarono e la gente si divise per far passare il Campione Rocco, che si avvicinò al Corsaro.

“Ivan” gli gridò, per farsi capire anche dalla folla dietro di lui.

“Il Team Magma è già partito, ma noi auguriamo anche al Team Idro buona fortuna. Che Kyogre e Reminas sostengano le tue navi e Sira i tuoi Dragoni, Ivan”.

Ivan sorrise. Gli auguri dei Corsari. Tipico di Rocco.

“Altrettanto, Campione” gli rispose.

“Avanti, andiamo” gridò Ivan al suo Team, e si collegò a Thuban. Il Dragone ruggì e si sollevò in aria seguito a ruota da Eltanin e Rasta. Le navi tirarono le ancore, issarono le vele e partirono con loro. Il viaggio sarebbe durato tutto giorno: Raqalis era più a nord di Sereal, e le navi non erano veloci come gli Okeanos. Ivan liberò la sua Crobat, ripresa due giorni fa. Ada e Alan liberarono i loro pokemon volanti, e lo stesso fecero le reclute sulle navi. Ben presto l'aria si riempì di versi di pokemon alati, e le imbarcazioni di quelli terrestri. Il mare intorno a loro si popolò dei pokemon acquatici, come lo Sharpedo di Ivan.

Quei suoni familiari rilassarono un poco il Corsaro, ma non gli tolsero il peso che si portava in cuore.

Il viaggio durò come previsto, ma non fu noioso. Era raro che il Team viaggiasse compatto, e questo permetteva di scambiarsi informazioni più o meno recenti da ogni angolo del mondo conosciuto. Alan riuscì a scoprire che cosa ne fosse di Elisio, grande amico d'infanzia dei tre: dopo il crollo della sua arma (“ma perché deve crollarci tutto in testa?” borbottò Ivan) Elisio era riuscito a salvarsi cadendo in una trappola che aveva costruito tempo fa e che si era dimenticato.

Il Team Flare era già arrivato a Raqalis, insieme al Plasma.

Ivan sorrise: si ricordava del piccolo N, affezionato ai pokemon quanto lui. In un certo senso gli ricordava suo fratello. Sapeva che il ragazzo per un periodo si era fermato a Raqalis insieme a un bambino chiamato Lino, che pareva essere il fratellino.

Cyrus e il suo Team non si erano ancora decisi a partire. Con lui Ivan non aveva legato molto, forse perché troppo simile a Max, mentre Giovanni e il Team Rocket sembravano letteralmente spariti dalla faccia del pianeta.

Il resto delle notizie non interessavano al Corsaro, riguardavano le Leghe delle varie regioni e a Ivan non interessavano, in quel momento.

Il sole tramontò, inondando il cielo con la sua luce rossa, e le stelle s'accesero pian piano. Un quarto della luna risplendeva già. Scese la sera, e sulle navi le lucette delle lanterne ricordavano tanti Lampent. Dopo due ore dal tramonto, Ada riuscì a vedere le primi luci delle città costiere di Raqalis. Dato che lei ed Eltanin erano avanti alla flotta, la notizia ci mise un po' a circolare. Il porto fissato per l'arrivo è quello di March Brume, una città divisa in due: la parte alta su un promontorio e quella bassa, dove si trovava il porto, davanti alla baia. Le due parti erano collegate da una seggiovia.

Eltanin cominciò a compiere dei giri sopra la città, in attesa del resto della flotta. Intanto molti abitanti della città uscirono dalle loro abitazioni: dopo i primi attimi di sgomento, riuscirono a riconoscere la creatura e la acclamarono. Eltanin ruggì festoso. Ai suoi ruggiti si unirono quelli di Thuban e Rasta, e finalmente il resto del Team Idro entrò a March Brume.

Eltanin e gli altri due Okeanos atterrarono appena fuori dalla città, poco prima dei campi.

I tre capi del Team entrarono velocemente in città, lasciando i loro destrieri liberi per i cieli.

Nonostante le acclamazioni della folla, Ivan riuscì a sussurrare ai suoi due Tenenti

il luogo dove verranno accolti.

“Ci vediamo con la Campionessa Damson al Museo Navale domani” e indicò un edificio imponente.

“Dormiamo li?” disse eccitato Alan. Tutti e tre erano appassionati di mare, ma il gigante più di tutti.

“Certo Alan! Hanno preparato tutto”.

I tre si avviarono verso il museo, mentre la gente si disperdeva, sicura che la guerra finisse presto. Anche Ivan lo sperava, ma non si sentiva affatto rassicurato.

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“Ivan, Capo, svegliati” disse una voce allegra, mentre qualcuno lo scuoteva. Ivan brontolò e si girò dall'altra parte. L'altro sospirò.

“Uh guarda, il Team Magma”.

“Cosa? Dove?” esclamò Ivan, alzandosi di scatto. L' idrofilo si guardò intorno. Erano ancora al museo, e le reclute del Team Idro erano già uscite dai loro sacchi a pelo e stavano finendo di prepararsi. A svegliarlo era proprio una recluta, che ridacchiava.

“Be, finalmente ti sei svegliato. Comunque, sono Hana, una delle ultime arrivate”

“Piacere di conoscerti, Hana” rispose assonnato Ivan.

“Partiremo fra poco per Asan, la capitale. Le navi resteranno qui a March Brume, gli Okeanos ci seguiranno volando. Raggiungeremo la capitale con il treno.” continuò Hana.

“La capitale non era Rilian?” disse Ivan, massaggiandosi la testa, confuso.

“E' un capoluogo, una seconda capitale. Asan è la città maggiore di Raqalis e di Felimath, l'isola più grande. Rilian è la città principale di Doorn, la seconda isola più importante. Ora però preparati”. E Hana se ne andò lasciandolo solo.

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Ivan si preparò in fretta, raccattando le poche cose fuori dal suo bagaglio. Già mezz'ora dopo erano tutti sul treno verso Asan.

Alan, Ada e Ivan erano nello stesso vagone, insieme a qualche altra recluta. Scherzavano e ridevano come al solito, ma Alan percepiva una sottile tensione. Ivan era nervoso, e questo lo aveva capito da tempo, ma l' Idrotenente non poteva farci niente. Anche se erano stati educati a combattere, a nessuno dei tre piacevano i conflitti. Ada, come al solito, si era portata dietro le sue due falci d'acciaio, che ogni tanto tintinnavano. Sembravano le falci di alcuni dipinti che raffiguravano la Morte.

Arrivarono ad Asan prima del previsto. La stazione era proprio davanti uno dei tanti ponti della metropoli, il Paxbird Bridge, in onore dell'omonimo pokemon. Era bianco e aerodinamico, proprio come il Pokemon Pace. Alla fine del ponte c'era uno strano edificio rosso che sembrava un ristorante. Aveva ampie vetrate, e all'interno si scorgevano tavoli e piattaforme su cui gli allenatori combattevano. Due bracieri accesi decoravano l'ingresso. Doveva essere la Palestra di Asan di tipo Fuoco, pensò il gigante.

“Alan, di qua” lo richiamò Ivan. Alan si mise vicino tra Ada e Ivan, e il Team li seguiva nel loro modo chiassoso ma ordinato. Le persone si fermavano ad osservarli, curiosi ed ammirati, per poi riprendere le loro faccende.

Dopo una breve camminata tra le vie della città, arrivarono alla Sede della Coalizione: un edificio bianco ed immenso, assomigliava a quello che si trovava nella capitale di Altyerre, di Teyrnas e di Sereal. Tre elementi simili a vele erano accostati insieme per formare un'unica cosa.

L' entrata era ampia, così il team poté entrare senza fatica e senza scomporsi.

L' interno sembrava più piccolo a causa della gente che lo riempiva.

“Ivan! Ragazzi!”. Alan riconobbe subito il Capo Flare.

“Elisio, da quanto tempo” esclamò Ivan felice. I due si abbracciarono calorosamente, per poi cominciare a parlare.

“Guarda, c'è Cyrus” mormorò Ada. Alan guardò nella direzione da lei indicata: il Capo del Team Galassia parlava con i suoi Tenenti.

Alan sentì qualcuno toccarlo timidamente. Si girò e si accorse che era N, il figlio di Ghecis.

“Ehi, ciao”. Il gigante era costretto ad abbassarsi per farsi sentire dal ragazzo.

“Da quanto siete qui?” chiese curioso N.

“Siamo arrivati oggi. Vuoi andare a salutare Ivan?”

“Certo!” rispose entusiasta il ragazzo. Alan gli indicò dov'era, e N lo raggiunse di corsa.

Ivan aveva accolto per un po' di tempo N quando questo era partito con i suoi pokemon da Unima, insegnandogli molte cose.

Alan, da quando N se n'era andato da Hoenn, non aveva più avuto sue notizie, tranne che si fosse recato a Raqalis.

E infatti eccolo lì.

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All'improvviso Ada diede una gomitata ad Alan, che sussultò per la sorpresa.

“Ahia, Ada! Che succede?”

La Corsara gli indicò un punto vicino alla parete di destra. Alan rimase come pietrificato.

Rossella e Ottavio erano lì in disparte, soli, senza parlare con nessuno se non con tra loro. Ottavio si voltò e li vide.

“No, no...” il gigante indietreggiò di qualche passo, mentre i due Magmatenenti li raggiungevano. Max era morto, e non volevano parlarne, soprattutto con i due Tenenti. Non voleva che la colpa venisse addossata ancora al Team Idro.

Ma i due li raggiunsero in fretta.

“Ciao” disse allegramente Ottavio. Alan e Ada si guardarono.

“Ehm... “ cominciò il Magmatenente. Era ben diverso dall'Ottavio che Alan ricordava, ma non cambiava molto per il gigante.

“Ci dispiace per Ivan, ma noi non c'entriamo niente. Ve lo assicuriamo” completò timidamente Rossella.

“Ma di cosa state parlando?” disse confusa Ada.

“Bhe, Ivan... è morto” rispose pazientemente Ottavio. Forse pensava che, per il dolore, i due idrofili fossero impazziti.

“Morto?” risposero insieme i due Idrotenenti. La situazione stava diventando surreale: era Max quello morto, non Ivan.

Ottavio e Rossella ne erano certi: Alan e Ada erano pazzi.

“Si, certo, e io cosa sono? Uno zombie, forse?” urlò Ivan, che si sistemò tra i suoi Tenenti.

I due magmosi erano profondamente sorpresi, ma Ivan cambiò discorso.

“Bene, Ottavio, immagino che dovrei congratularmi con te”

“Per cosa?” chiese cauto Ottavio.

“Ovvio. Max è ormai passato all'altro mondo, quindi tu sei il Capo Magma, al posto suo” insisté Ivan.

“Veramente io...” ma Ottavio venne interrotto da una voce fredda e familiare.

“Vedo che la Morte ci ha risparmiati entrambi” e Max comparve a fianco dei suoi collaboratori.

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Capitolo 3
*** Notizie dal mondo ombrato ***


Max era stupito di trovare il rivale ancora vivo. Dopo dieci anni dal crollo del Monte Pira erano accadute molte cose...
Il Capo Magma aveva riflettuto molto su come era riuscito a uscire dal vulcano: ricordava solo i cunicoli bui e pieni di gas che si sgretolavano. Ivan doveva averlo raccolto da terra quando era svenuto. Un atto stupido, certo, ma coraggioso. Max non l'avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma da allora aveva cominciato a rivalutare il suo nemico. Si era risvegliato dopo cinque giorni di agonia nella sua stanza: i gas gli avevano paralizzato i muscoli provocando una morte apparente.
Incubi orrendi avevano popolato il suo sonno: corpi deformati, ossa, spettri, incendi e gli esseri più disgustosi abitavano la sua mente.
Rossella e Ottavio, da fedeli Tenenti che erano, lo avevano assistito assiduamente, e per questo Max li aveva premiati molto volentieri.
A differenza del Team Idro, che Hoenn aveva accolto come sua flotta navale, il Team Magma si nascose, cambiò nome e si mise ad aiutare le imprese e le aziende in via di sviluppo.
Un colpo di tosse, amplificato dagli altoparlanti, lo riportò alla realtà.
In fondo all'edificio c'era un palco con un rialzo, dietro al quale c'era Damson, la professoressa pokemon e la Campionessa Raqaliana.
Era come la ricordava Max: si erano incontrati qualche anno fa quando Damson e la sua famiglia erano a Hoenn...
Alta e fiera, la lunga chioma rosso vivo incorniciava un volto dai tratti fini e risaltava gli occhi azzurri.
Però... Max si sporse in avanti per vederla meglio.
“Si, Max, è incinta” anticipò Rossella, felice per la giovane.
Max sorrise: l'arrivo di un bambino potrebbe sollevare il morale in guerra.
Dietro a Damson, c'erano sua sorella Paula, la naturalista, e i gemelli Kali e Merry, poco più che ragazzini. Insieme a loro, i Capipalestra e la Lega erano schierati in ordine. I rappresentanti del resto della Coalizione erano al lato del palco di legno.
Dopo che il brusìo iniziale cessò, Damson cominciò a parlare.
“Amici, colleghi, Team, sapete già perchè siete qui: la Terza Guerra non è ancora finita” disse diretta, senza inutili preamboli.
“Kelsett è riuscito a uscire dal Mondo di Luxor indenne, anzi rafforzato. Ha acquisito poteri che non posso immaginare, tra qui quello di evocare le Ombre dal regno di Luxor. I suoi piani sono gli stessi di quando ha scatenato la guerra: liberare i Demoni per liberare il mondo dai pokemon che lui ritiene esseri demoniaci e creati per errore dallo Spirito”.
Si sentirono delle voci parlottare piano, concitate e impaurite.
Max se lo ricorda bene: Kelsett, in un'ideale distorto di mondo puro, libero da esseri malvagi, aveva finito per contaminarlo ancora di più, provocando stragi e massacri.
Kelsett vedeva nei Pokemon la reicarazione del demonio, per lui il semplice avvicinarsi a loro è motivo di disprezzo. Anche se sembra un paradosso. Ma tutte le forme di vita sono un paradosso, una contraddizione, anche esseri come le Ombre.
Max odiava le Ombre.
Nella Strage degli Innocenti gli avevano portato via suo fratello minore.
Non soddisfatti, i demoni avevano ucciso brutalmente i suoi genitori davanti a lui.
Le loro grida, i loro cormi martoriati... coperti di sangue... quelle scene ancora erano vivide nella sua mente. Erano passati trentaquattro anni, eppure certe cose non si possono rimuovere...
Il pianto del suo fratellino... l' incendio... la casa in crollo... e poi la trave che lo travolse, e che lo separò da suo fratello...
Max si accorse che stava stringendo troppo la sua tunica, e Ottavio, intuendo i suoi pensieri, gli poggiò la mano sulla spalla cercando di confortarlo.
“Tutti voi siete stati chiamati a uno scopo preciso. Noi della Coalizione cerchiamo più persone possibili che siano state a contatto con i Pokemon leggendari. Crediamo che queste persone abbiano ereditato esperienze uniche, se non addirittura un frammento dei poteri di questi Pokemon. Per questo, voi Team siete stati convocati. Alcuni di voi si sono integrati alla perfezione...” Lo sguardo di Damson indugiò per un attimo sul Team Idro e sul Team Magma.
“Altri un po' meno...” e Damson guardò Giovanni e il Team Rocket.
A Max non era mai piaciuto Giovanni. Non aveva etica, neanche in quello che faceva. Lui e Ivan rispettavano perlomeno i loro subalterni, erano leali, mentre Giovanni non aveva rispetto per niente e nessuno. Era cattivo, malvagio, quasi come Kelsett.
“... ma noi contiamo in egual modo su tutti voi. Oltre ai Team, ci sono i miei colleghi, gli studiosi dei nostri pokemon. La loro esperienza ci aiuterà a risvegliare i leggendari. Uno dei nostri obbiettivi è questo: combattere a fianco dei nostri amici pokemon, leggendari e non, risvegliando la magia che è in tutti noi”.
Altro brusìo, stavolta più speranzoso. Max sorrise lievemente: aveva passato gran parte della sua vita a studiare quella grande energia primordiale che risiedeva in ogni elemento, che viene comunemente definita magia.
Guardò Rossella e Ottavio. Loro erano la sua unica famiglia, i primi che l'avevano accolto veramente dopo la morte della sua famiglia naturale e l'abbandono di quella adottiva. Anche loro avevano una grande esperienza magica, ma perchè provenivano da famiglie che la praticavano da millenni. Infatti le loro erano le cosiddette famiglie delle Foreste, le famiglie che componevano i gruppi semi indigeni ancora presenti nelle Regioni...
Max sospirò: gli mancavano le verdi foreste di Teyrnas in compagnia del suo grande gruppo.
“Ognuno di voi può sviluppare il grande potenziale che ha dentro. Ci vorrà tempo, e di certo sarà dura per chi non si è addestrato. Molti dei presenti sanno già manipolare la magia a proprio piacimento, e sono ad un livello molto avanzato. Per questo verrete affiancati da queste persone, affinchè possiate difendervi e poi distruggere il nemico.
Inoltre, tra di voi sei individui determineranno le sorti della guerra”.
Silenzio di tomba.
Dopo attimi interminabili, venne spezzato da Elisio.
“Chi sarebbero queste persone?” chiese cauto.
“Abbiamo solo una specie di descrizione a proposito, lasciata da Luxor” spiegò la scienziata.
Max ricordava come lei e la sorella Paula avevano incanalato le potenze dei due Spettri Hearam e Fenaltir, assumendosi il ruolo di Guardiana Bianca e Guardiana Nera. Entrambe erano entrate, insieme a Kali, Merry e pochi altri, nel mondo oscuro di Luxor. Sapeva che era lo stesso mondo del ribelle Giratina, ma quello di Luxor era uno stato più profondo. Trovarono Kelsett che cercava di catturare il Pokemon, ma questo, sfruttando l'oscurità, lo inghiottì.
“Avrete già sentito la storia: prima che Luxor ci riportasse nella nostra dimensione lasciò un messaggio:
Uno col simbolo dell'Inizio, che l'Oceano ritrova.
 Uno col simbolo della Fine, che la Terra reclama.
 Una che col canto ammalia e nel mare dimora.
 Una che brucia e rigenera nel Cielo infinito.
 Un fratello con un'armatura d'acciaio, che inganna e schiaccia negli antri marini.
 Un fratello con una pelliccia di rame, che sbrana e dilania nella notte più chiara.
 Solo essi salveranno Raqalis e il mondo dall'incombente Oscurità”
Damson sospirò.
“Noi pensiamo che si riferisca al linguaggio delle rune e alla capacità di alcuni uomini o donne di trasformarsi in animali, pokemon o esseri mitologici. Ci sono rari casi di licantropia a Raqalis e ad Altyerre, e solo due presenti qua, ma nessuno rientra nei requisiti”.
Max era sorpreso: due licantropi? Non sapeva molto di questa malattia, aveva dimenticato i pochi accenni fatti quando era giovane.
“Chiunque di voi che noti atteggiamenti da mutaforme è pregato vivamente di segnalarlo. Ne va delle sorti del pianeta”.

Ada ascoltò con attenzione il resto del discorso della Campionessa, che per fortuna non era eccessivamente lungo. Sapeva dell'esistenza di quella forza che anima tutto lo spazio intorno a lei e i metodi per manipolarla. Nella sua lunga vita da guerriera e Corsara l'aveva imparata e applicata molte volte, anche se ben poche per combattere.
Lei era nata con un grande potenziale: sua madre era una Guaritrice, suo padre un licantropo.
A dieci anni era riuscita persino a guarire coi suoi poteri il le deformità di Ivan, una cosa notevole, se si considera che all'epoca Ivan aveva un occhio cieco e metà viso deformato a causa del attacco delle Ombre.
Anche la famiglia del Corsaro era stata colpita dalla Strage degli Innocenti, estinguendola.
Lui si era salvato nascondendosi tra le radici di un albero, scampando ai demoni.
L'unica traccia della ferita era la cicatrice scura a X sulla faccia, ma questa non lo imbruttiva affatto.
Alla fine del suo discorso Damson congedò tutti tranne i Capi dei Team e professori delle altre regioni.
Ada osservava gli scienziati: il calmo Oak, l'indaffarato Elm, l'allegro Birch, l'impertubarbile Rowan, la determinata Aralia e il giovane Platan. A loro si aggiungevano Ebany, da Sereal, Charles, da Altyerre, e Blackthorn da Teyrnas.
“Colleghi, Capi, guidate le vostre regioni e i vostri Team verso il castello di Cair Syltherin. Sarete stanchi per il lungo viaggio, domani decideremo il da farsi”.
“Ancora viaggi... “ si lamentò Max.
“Avanti nerd, ne abbiamo di strada da fare!” rise sadico Ivan.
“Tranquilli, non è molto lontano da qui” aggiunse Eskraas, il capopalestra Fuoco di Asan.

Effettivamente il castello non era troppo da Asan.
Ma ciò che colpiva Rossella non era tanto la distanza, ma l'estrema allegria che la compagnia aveva: i due fratelli Osmos, Eskraas e Frjals, entrambi capipalestra, suonavano accompagnati da canti dei vicini. Draganak, della palestra Drago, e gli altri ragazzi della Lega danzavano con ritmo veloce, facendo svolazzare i lembi dei vestiti. Era una festa di suoni e colori, che faceva ricordare alla donna gli anni della giovinezza, passati nelle Foreste di Teyrnas.
Quanto gli mancavano quei tempi...
Guardò Max: il Capo Magma osservava divertito le danze. Ottavio cercava di canticchiare.
Senza pensare, Rossella afferrò le mani del suo capo e cominciò a guidarlo tra i danzatori.
“R-Rossella che fai?” urlò spaventato Max, ma lei non lo stava a sentire, e accennò qualche passo. Tutti quelli vicini a loro, mentre camminavano, battevano le mani a ritmo, e Max non potè fare a meno che continuare a danzare con Rossella.
La Magmatenente era al settimo cielo: era dal Rituale che non faceva niente di simile (e son passati quasi vent'anni). Ben presto anche il Team Idro si unì alla festa.
Del tutto dimentichi della guerra, delle rivalità, di tutti i loro conflitti, tutti si unirono ai due Team, perfino il tetro Cyrus, che era rimasto per tutto il tempo in silenzio, accennò a un sorriso. Ghecis non ne voleva sapere niente, mentre N, felice di scoprire le tradizioni di Raqalis, si unì ai due fratelli Fuar, Kali e Merry.
Nella confusione, Rossella perse di vista Max e Ottavio. In compenso andò a sbattere contro Ivan, finendo a terra.
“Oh, scusami, non ti ho vista” disse gentilmente il Corsaro, porgendogli la mano per aiutarla ad alzarsi.
Rossella avvampò, anche se non era affaticata. E non faceva neanche caldo. S'aggrappò al braccio forte di Ivan, che la trascinò letteralmente in piedi. Lo guardò negli occhi: verdi come foglie, forti, coraggiosi, proprio come quelli di Max.
“Guarda, il secco sta più avanti. Lì” rispose Ivan, prima che lei potesse formulare la domanda.
Rossella si diresse in quella direzione, facendosi largo tra la folla, trattenendosi dal non voltarsi e guardare Ivan, imbarazzata.

Ivan la guardò allontanarsi con un sorriso sulle labbra.
“Non ti è passato, eh?” sospirò Ada, fingendosi rassegnata.
“No, ancora no. E non penso che se ne voglia andare” rispose l'idrofilo, felice come non mai.
Si sentiva sollevato dal fatto che Max era ancora vivo, i sensi di colpa erano quasi spariti, e ora sperava di passare un po di tempo in più con Rossella.

Dopo mezz'ora di cammino, finalmente il castello si stagliò fiammante all'orizzonte, illuminato dai caldi raggi del sole morente.

Kelsett guardava il gruppo radunato dalla Coalizione dallo schermo della sua base sotterranea. Tutti allenatori di quei demoni. Kelsett era profondamente disgustato. Non solo c'erano pericolosi mezzosangue in giro (tra cui i licantropi) ma anche gli uomini puri s'abbassavano a loro, allevando esseri tanto demoniaci quali i pokemon. Ma questo sarebbe finito presto. Le ombre che lui evocava pian piano erano sempre più forti. Alcune necessitavano di un corpo, quindi catturava pokemon per usarli come ospiti. I loro versi disperati mentre venivano posseduti era musica per lui. Le ombre più complesse richiedevano corpi umani, e lui progettava di usare i mutaforme.
Non manca molto ormai...

Nota dell'autrice:
Salve a tutti!!
Sono appena al terzo capitolo e già la storia riscuote successo. Sono felicissima di questo *^* *commossa*
(Si, sono una ragazza).
Nella storia ho inserito, oltre che alle regioni classiche, anche Sereal, Teyrnas, Raqalis e Altyerre. In realtà solo le ultime due sono gestite da me: ad Altyerre ci sto lavorando insieme ad amici, mentre Raqalis è solamente mia.
Forse qualcuno l'ha notato, ma io amo inserire elementi dei libri che leggo (le isole Doorn e Felimath, Syltherin, Cair ecc).
Passando alle cose serie...
Ho aggiornato le info sulla storia a causa dei capitoli che scriverò più avanti, e che ancora devo aggiustare...
Al prossimo capitolo!!
-Danail

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Capitolo 4
*** Ricordi ***


Cap 4 Nei giorni successivi vennero organizzate molte riunioni per fare il punto della situazione. Nelle prime due Damson presentò la Regione e la Lega.
I capipalestra, come al solito otto, avevano età variabili, ma si trovavano comunque in sintonia.
La prima Capopalestra, Draganak, aveva circa quindici anni ed era specializzata in pokemon Drago.
Vivace come i suoi draghi, organizzava tutto l'organizzabile.
La seconda, Eileen, non dimostrava più di diciassette anni ed era specializzata in pokemon Elettro. Di solito sta in compagnia di Draganak.
Poi veniva Zenit. Che dire, un tipi alquanto eccentrico. Appena ventenne, Zenit era un appassionato di pokemon Terra. Ottavio ci fece amicizia subito, anche se certe sue stravaganze lo lasciavano perplesso.
Il quarto capopalestra si chiamava Menion. Molto silenzioso, assomigliava vagamente a Rocco. I suoi genitori erano scomparsi da poco, lasciandogli sulle spalle il fratello di appena dieci anni, Quentin. Entrambi avevano fatto amicizia con il Team Idro, soprattutto con Ivan, visto che Menion era specializzato in pokemon Acqua.
Il quinto Capopalestra era quello che più affascinava Ottavio. Era Eskraas, grande amante dei pokemon Fuoco, era stato morso da un lupo mannaro prima del risveglio di Luxor. Ma avere una metà lupo sembrava non pesargli affatto. Tipo allegro, lui e Ottavio chiacchieravano molto. Inoltre era lui il padre del bambino che Damson portava in grembo.
Il sesto era quello più inquietante. Si chiamava Koden ed era specializzato in pokemon Erba. La cosa che spaventava Ottavio era l'occhio e il braccio destro del uomo: erano entrambi fatti di metallo, e il braccio era collegato al cervello tramite cavi esterni. Il capopalestra gli aveva spiegato che il suo Laitili, un pokemon carnivoro a forma di pianta, in un impeto famelico gli aveva tranciato di netto l'arto e trafitto l' occhio. Ottavio ricordava bene la furia dei Laitili...
Il settimo, Frjals, era il fratello maggiore di Eskraas. Grande appassionato di pokemon Volante, era anche un inventore: aveva costruito lui le protesi di Koden.
L'ottavo capopalestra... be, in verità erano due capipalestra, la coppia Celia e Aaron. I due riuscivano a integrare le loro squadre alla perfezione, nonostante i tipi diversi: mentre Celia prediligeva i pokemon Psico Aaron era innamorato dei pokemon Spettro.
Conoscerli tutti era un grande onore per il Magmatenente, ma un onore ancora più grande era conoscere i Superquattro: la prima, Elsa, era la nipote di Koden. Fredda e lucida come i suoi pokemon Ghiaccio, sapeva come risolvere ogni problema che le si presentava davanti.
In Ju, la seconda Superquattro di Lotta, era sempre ad allenarsi con i suoi pokemon. In quei giorni Ottavio la vedeva sempre in cortile a fare ginnastica e praticare arti marziali. A volte Alan le faceva compagnia.
Il terzo Superquattro, Quanel, di tipo Roccia, era il fratello di Zenit, ma a differenza sua era solitario e insondabile, come i suoi pokemon minerale.
L' ultima Superquattro si chiamava Darkness e allevava pokemon Buio. Fatalista e cinica, era una dei maggiori studiosi di simboli religiosi di Raqalis.
Ottavio spesso si confondeva coi nomi, generando divertimento e risate. Ma nonostante questo, la tensione aleggiava: interi villaggi e città venivano evacuati da attacchi dell' ultimo momento, e le notizie di morti erano all'ordine di giorno.
“Ciao Ottavio”. La voce di Ivan lo riscosse.
“Ciao Ivan...”
“Scusami se ti disturbo, ma è da quando siamo arrivati qui che cerco di parlare con Max, ma lui sembra evitarmi!”
Ottavio lo guardò sospettoso. Ivan, l'eterno rivale di Max, che voleva parlargli?
Il Capo Idro se ne accorse, e si affrettò a rispondere.
“No, Ottavio, mi hai frainteso! Non voglio parlargli da rivale! Anzi, è proprio questo di cui volevo parlargli... Io e il mio Team non vogliamo più essere rivali di nessuno”.
Ottavio era sorpreso. Ma dopotutto, anche lui s'era stufato di quell'assurdo conflitto.
“Se vuoi... ti aiuto. Devi solo aspettare nella mia camera, ok?”
“Grazie mille, Ottavio!” lo ringraziò riconoscente l'idrofilo.

Ivan non aspettò a lungo: dopo neanche dieci minuti Max entrò brontolando come il suo solito. Chiuse la porta alle sue spalle senza accorgersi di Ivan, ma quando si girò per poco non si prese un colpo.
“Cosa ci fai qui?” disse Max quasi urlando.
“Dobbiamo parlare” rispose semplicemente Ivan.
Max cercò di calmarsi, prima di rispondere.
“Ottavio mi ha ingannato... Ivan, non abbiamo niente da dirci”.
“Tu forse non puoi dirmi niente. Ma io si!” disse affrettatamente il Corsaro.
“Ascoltami Max: non voglio essere più il tuo rivale. Il Team Idro non vuole più essere il rivale del tuo. Ormai i nostri obbiettivi, i nostri ideali sono cambiati, e non si scontrano più tra loro. Noi siamo la marina di Hoenn, voi i sostenitori delle sue imprese, insieme possiamo fare grandi cose!
Max, io... non voglio più portarti rancore. Né a te, né a Rossella, né a Ottavio. A nessuno. Ho già parlato ai miei tenenti, e sono entrambi molto felici di collaborare con voi. Anche loro sono stanchi di questa rivalità. Max, voglio che non mi guardi più come un rivale, piuttosto come un amico. Sento che tra noi due c'è un legame, Max, e non un legame da rivali. Io...”.
Ma Ivan si fermò. Non sapeva cosa pensare di Max, ma ormai era troppo tardi. E poi, lo voleva come suo amico, come ai vecchi tempi.

Max osservava il suo nemico mentre parlava. Ivan non era mai stato bravo con le parole, e questo l'idrofilo lo sapeva, per questo puntava sulla sincerità.
La sua presunta morte aveva scosso Max nel profondo, come la sua finta morte aveva scosso Ivan. Si, forse il Corsaro aveva ragione...
“Ivan!” lo interruppe all'improvviso.
“... Si?”
“Per cosa lo fai?”
“Per noi”

Ivan stava per rispondere “Per Rossella” ma si trattenne. Non voleva coinvolgerla. Optò per qualcosa di più generico per convincere il rivale. Ivan sentiva, in un qualche angolo profondo della sua anima, che lui e Max avevano un legame. Un legame profondo. E il suo istinto non sbagliava mai.

Max esitò. I gesti di Ivan, i suoi impercettibili movimenti, la sua espressone gli facevano capire quanto ci tenesse.
“Non posso decidere sul momento. Ma penso che una tregua faccia bene ad entrambi”.
Max gli tese la mano, in segno d'amicizia.
Ivan tratteneva a stento la sua gioia: strizzò la mano esile di Max con una forza tale da spezzarla quasi.
“G-grazie” balbettò.
“Non ringraziarmi...”. Max sorrise, sadico. Gli piaceva vedere Ivan che gli chiedeva qualcosa e di come ringraziava dopo. Ma la sensazione di piacere lasciò posto a qualcos'altro. Qualcosa che Max pensava di aver dimenticato.

A pranzo Max era più distratto del solito. Guardava sempre in direzione del Team Idro. Dopo la strana alleanza con Ivan, un pensiero fisso torturava la mente del Capo Magma: Ada.
La Corsara, come al solito, rideva e scherzava insieme a Ivan, Alan e alcune reclute. Dopo il loro arrivo a Raqalis, i due team avevano cominciato a fondersi: reclute di team diversi si riunirono, innamorate.
Max sospirò. Aveva sempre avuto un debole per l'Idrotenente, anche se negli ultimi tempi ha provato a rimuovere il suo ricordo. Ma non ci riusciva: la donna lo affascinava sempre di più.
Si accorse che ancora non aveva preso ancora nulla da mangiare. Non che avesse fame, ma era un motivo per avvicinarsi ad Ada.
Si prese quel poco che gli andava e stava per tornarsene al tavolo, impettito come sempre per far colpo, ma una delle dispettose reclute Idro gli fece lo sgambetto, facendolo cadere proprio davanti ad Ada.
Max sentì delle risatine e il rimprovero di Ivan in Alteyran, la sua lingua.
Rosso per la vergogna e per la figuraccia, cercò di rialzarsi.
“Ti aiuto”.
La voce di Ada lo fece sussultare, e riuscì solo a balbettare un “O-ok” per l'imbarazzo.
La Corsara si mise davanti a lui, così vicina che Max poteva vedere le singole ciglia senza sforzo.
Lo scienziato pregava silenziosamente che nessuno pensasse che il suo rossore dipendeva da lei.
“Ecco!” sussurrò Ada, quando finirono di buttare i cocci di qualche stoviglia rotta.
“La prossima volta stai più attento... le nostre reclute sono... ehm... molto dispettose, vero Kirk?”
disse lei, fulminando la recluta che aveva fatto cadere Max.
“Avanti, Ada, era solo uno scherzetto!”
“La prossima volta risparmiati dal farlo”.
Max si allontanò in fretta, più silenziosamente possibile. Gli altri Team non avevano notato il suo incidente, continuando a mangiare e chiacchierare indisturbati.
Si rimise a sedere nel tavolo del suo Team, vicino a Rossella e davanti a Ottavio, e mangiò quello che era rimasto a testa bassa.
“Max?”.
Max alzò la testa per guardare il suo Magmatenente.
“Sì, Ottavio?”.
“Se posso chiedere... non è che ti sei preso una cotta per Ada?”.
Rossella per poco non si strozzò con l'acqua che stava bevendo.
“Max!” sussurrò, sgranando gli occhi.
Max arrossì ancora di più, fino a colorarsi come i suoi capelli.
“Io... non è vero” rispose impettito.
“È solo che... che io e Ivan abbiamo raggiunto un accordo, ma... mi imbarazza ancora stare vicino a loro dopo... tutte le nostre liti” balbettò confuso.
Era una mezza verità: è vero che non si era abituato alla loro caotica presenza, ma era soprattutto Ada a metterlo a disagio. Quella “cotta” durava da... prima della fondazione dei Team.
“Uhm... se lo dici tu...” rispose poco convinto Ottavio, che ritornò a mangiare.
Rossella lanciò una breve occhiata a Ivan e, con un sospiro, tornò al suo pasto.

Dopo pranzo Ebany li condusse in una zona del castello che i due Team non avevano mai visto. Con loro c'erano anche Platan ed Elisio, i due inseparabili amici.
“Di qua, ragazzi” li guidò Platan
“Io ed Elisio vogliamo illustrarvi meglio la megaevoluzione” spiegò, girandosi radioso verso il Capo Flare, che sbuffò.
“E di come possiamo impiegarla” completò Ebany.
Passarono davanti a una specie di crocevia: dal corridoio da dove provenivano se ne intersecava un secondo, come a formare una T.
Nel mezzo, due colonne racchiudevano una frase scritta in runico, decorata da strane incisioni.
Ottavio si sporse per vedere meglio.
Ivan si girò verso Alan, che aveva già interpretato la scritta e la guardava sovrappensiero.
Il Capo Idro, a malincuore, ricordò le circostanze in cui Alan imparò quel linguaggio...
L'idrofilo distolse lo sguardo per tornare sulla scritta. Faticava ancora con le rune. Ma una voce le interpretò per lui.
“Mene mene tekel upharsin” lesse Ottavio.
“E' una frase biblica. Riassumendola, dice questo:  sei stato pesato con la bilancia e risulti mancante”.
Alan trasalì.
“Giusto. Lo scrisse di nascosto Cedric Hufflepuff rivolto a Cair Syltherin. Negli ultimi suoi anni, Cair divenne piuttosto crudele...” cominciò Ebany.
“Tu. Sai. Leggere. Le rune!!” disse col fiato corto Alan, rivolto a Ottavio.
“Si certo” rispose lui vagamente sorpreso.
“Le ho imparate da piccolo. Mio padre mi insegnò a usarle per incanalare la magia che contengono”.
Alan s'irrigidì, strinse i denti pugni come per trattenere qualcosa.
“Alan...” disse dolcemente Ada, che gli strinse dolcemente un braccio.
“Ho... detto qualcosa di sbagliato?” chiese mortificato Ottavio.
“No, ma è meglio se li lasciamo un po' soli...” disse sbrigativo Ivan, e fece segno alla compagnia di continuare senza di loro. Ottavio non capiva cosa aveva ricordato ad Alan.

Quando Ada fu certa che se ne siano andati, tornò ad occuparsi di Alan.
Il gigante aveva le lacrime agli occhi.
“Alan, lo sai che non è stata colpa tua. Non lo è mai stata. Eri costretto, lo sai bene”.
Gli poggiò le mani sul collo per fargli sentire la sua vicinanza.
“Ada... ogni volta... lo rivedo in lui. Ogni volta...” singhiozzò Alan.
Prese fiato, e continuò a parlare.
“Io... non merito di stare qua, rivedo il suo corpo in mezzo a tutti gli altri... a causa mia...”
Ormai l'Idrotenente piangeva senza fermarsi.
A vederlo, ad Ada gli si spezzò il cuore.
“Su, Alan... so che era molto importante per te. Ma se sei sopravvissuto, ci sarà un motivo, no? Siamo qui per combattere i veri nemici, i veri assassini. E sicuramente tu non sei loro”.
Ada si lasciò abbracciare, sentiva le lacrime calde di Alan bagnarli la maglietta.
Per lei, il gigante non era semplicemente un subalterno. Era un amico. Un fratello. Si erano sostenuti a vicenda per tutta la vita, anche prima di Ivan.
“Non ti abbandono, Alan, come lui non ti abbandona. Ricordalo”.
Per fortuna, dopo quell'affermazione Alan si calmò un poco.

Quando i due tenenti rientrarono, le spiegazioni erano già piuttosto avanti.
Platan ed Ebany stavano spiegando i nuovi utilizzi delle Pietrachiavi, ma Rossella già sapeva qualcosa in merito. In quei dieci anni lei e Max avevano studiato per bene la megaevoluzione, accennando, nei loro studi, ad alcuni metodi sperimentali.
Ma non si erano spinti molto su quel settore.
Quindi, i primi minuti li aveva impiegati a guardare di nascosto Ivan.
No, Max non avrebbe approvato. Per niente.
Ma Rossella non poteva farci nulla: il suo interesse per il Corsaro era troppo forte.
Era da quando avevano sostenuto insieme il duro addestramento militare che lei si era “interessata” a lui. Ma, visto che Rossella si era finta un uomo per imparare a combattere insieme a Max e Ottavio, lui non aveva ricambiato.
L'entrata di Alan e Ada interruppe i suoi pensieri.
Rossella non aveva mai visto Alan in lacrime. Se è per questo, non aveva visto nessuno del Team Idro piangere. Sembravano sempre pervasi dall'allegria e dalla confusione.
Si chiedeva cosa fosse successo al gigante di tanto terribile, e perché Ottavio, leggendo le rune, glielo avesse ricordato.
Alan si mise in fondo al tavolo, vicino a Elisio, che gli diede una pacca sulla spalla per consolarlo.
La riunione durò ancora una mezz'ora, e non era stata affatto noiosa.
Rossella aveva ricordato studi dimenticati, ed era soddisfatta. Ma continuava ad essere preoccupata per Alan.
Lo vide sparire velocemente nei meandri della fortezza.
Lo stava per seguire, spinta dalla curiosità, ma Ottavio la fermò.
“Rossy, forse è meglio se ci parlo io...”
“Sei sicuro?”
“Certo! Dopotutto, voglio sapere cosa ho sbagliato...”.
Ottavio guardò per un attimo il corridoio deserto, dove poco prima Alan era sparito.
“Perché non vai da Ivan? Max ha stretto un'alleanza con lui... e sai...”.
Rossella arrossì un poco.
Aveva capito cosa voleva intendere il suo collega.
Magari stare più tempo con lui è un ottimo modo per appianare i rancori.
Fischiettando, si avviò al grande salone dove si riunivano tutti per svagarsi, mentre Ottavio s'incamminò al lato opposto.

“Nessuno sa quanto hai sofferto, quanto hai pianto, quanto hai combattuto e quante cose ti sei lasciato alle spalle per vivere.
Nessuno sa di te e del tuo passato. Nessuno, finché tu non apri il tuo cuore, e sveli segreti che nessuno prima conosceva tranne te. E solo allora tutto sembrerà più leggero, senza peso. Perché solo quella persona che, come te, ha sofferto, pianto e combattuto tanto da quasi morire, solo lei potrà capirti, potrà compatirti, potrà amarti.
Solo gli opposti e gli uguali si attraggono”.
Alan ripeteva mentalmente questo frammento di un vecchio libro. Scritto in runico, ovviamente.
Era il pezzo preferito di entrambi...
Il gigante si era arrampicato su un tetto di un corridoio che collegava due torri a Ovest, e guardava il sole che pian piano scivolava all'orizzonte.
Lo spettacolo era uno dei più belli che Alan avesse mai visto: i raggi solari coloravano sia le bianche mura della fortezza e inondavano la gola su cui s'affacciavano. Sul fondo della rupe, un fiume scorreva senza interruzioni. Da quelle altezze, si vedeva solo un nastro blu impreziosito da riflessi rossi e oro dovuti al tramonto.
Alan lo trovava estremamente rilassante.
All'improvviso, sentii qualcuno chiamarlo con una certa urgenza. Non era altri che Ottavio, che cercava di arrampicarsi nel tentativo di raggiungerlo.
Alan ridacchiò per i goffi tentativi del Magmatenente, ma scese a dargli una mano.
Ottavio gli era sempre piaciuto, si ficcava sempre nei guai, e riusciva a farlo ridere come nessuno.
Gli infondeva un'allegria anche nei momenti più bui. Come...
Sì, pensò Alan, Ottavio è la mia ancora di salvezza.
“Ciao, Alan! Grazie per avermi aiutato!” ansimò Ottavio.
Alan ridacchiò mentre il Magmatenente riprendeva fiato.
“Come hai fatto a trovarmi? E come mai sei venuto a cercarmi?” chiese quando Ottavio si riprese.
“E' semplice: ti conosco da anni, e cerchi sempre i posti più alti e difficili da trovare e raggiungere.
Ti ho cercato perché volevo scusarmi per prima. Se ho detto qualcosa che ti ha offeso, ti prego, perdonami!”
Alan era colpito. Ottavio non si era mai rivolto a lui in quel modo, neanche quando erano all'addestramento insieme.
“No, Ottavio, non è colpa tua. Le tue parole non mi hanno offeso in nessun modo. Solo che mi hanno riportato alla mente un episodio della mia vita...”.
La voce del gigante si spense come una fiamma al vento.
È qualcosa di estremamente doloroso, pensò Ottavio, guardando quel volto triste. È un peccato, è così bello...
“Te la senti di raccontarmelo? Magari ti posso dare una mano. Max e Ivan sono riusciti a ottenere una tregua...”.
Alan guardò quel faccione sorridere, fiducioso. Era tenerissimo.
“Si, Ivan me l'ha detto. Era proprio felice”.
Sospirò.
“Ottavio, non è un bel ricordo. I sensi di colpa mi dilaniano come i Mightyena sbranano una Miltank”.
E l'Idrotenente cominciò a raccontare.

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Capitolo 5
*** Il figlio della dea ***


Capitolo 5 Comiciò molto tempo fa, quando ero ancora un bambino.
Sono cresciuto in un grande gruppo di Corsari, sai, quelle popolazioni nomadi che si spostano di regione in regione.
Insomma, marinai senza una terra.
La famiglia a capo del mio gruppo era la famiglia Kordula, quella di Ada, e ci guidava ovunque.
Insieme alle altre famiglie che componevano il nostro gruppo prendevano le decisioni.
Ciò ci permetteva di prendere decisioni unanime e rapide.
Ora: in tutte le famiglie Corsare i bambini vengono addestrati molto presto nell'arte del combattere, e non si facevano distinzioni di sesso.
Io e Ada ci addestravamo spesso insieme, anche se gli esercizi che praticavamo non erano pesanti. Dopotutto, eravamo ancora troppo piccoli.
Nonostante mi allenavo tutti i giorni con lei, ero ancora di corporatura gracile, anche se adesso non sembra.
Ero esile, e per questo alcuni ragazzi più grandi mi prendevano di mira.
Anche se avevo una discreta praticità con coltelli e pugnali, quei ragazzi riuscivano a maltrattarmi quando non ne avevo.
Ada cercava di difendermi e chiamare aiuto, ma senza successo.
Erano ragazzi furbi, e sapevano quanto erano dure le punizioni a riguardo.
Per questo si dileguavano appena gli adulti venivano a controllare, e non avevo prove che effettivamente erano stati quei ragazzi a pichhiarmi.
Lo so, Ottavio, ti sembra assurdo. Ma perchè mi guardi come sono adesso, che sono cresciuto.
Allora avevo solo cinque anni, cosa ti aspetti a quell'età?
Quei ragazzi erano il doppio di me.
Era un giorno di quelli che lo conobbi.
Era un ragazzino che ogni tanto incrociavo nel mio percorso d'addestramento.
Quel giorno il solito gruppo di bulli mi avevano legato con delle corde spessissime a un albero, e cercavo di tagliarle, invano...

"Aspetta, ti aiuto!".
Un ragazzino si avvicinò a me. Mi era familiare, ma non ricordavo il suo nome.
Aveva una piccola lama, di quelle che si usano per finire un animale o un pokemon morente.
Con quel coltello, stava tagliando le corde che m'imprigionavano.
"Perchè non ti ribelli a quelli?" mi chiese.
"Perchè sono più forti" risposi, mogio.
"Allora penso che ti dovrò aiutare anche in futuro" rispose lui, sorridendo.
Tagliò l'ultima corda, liberandomi.
"Grazie" gli dissi, grato.
"Oh, di nulla. Comunque, come ti chiami?"
Lo osservai. Aveva occhi scurissimi, come i capelli.
"Mi chiamo Alan. Alan Haejo".
"Io sono Sirius Nelum" e il ragazzino mi tese una mano, che strinsi volentieri.
"Sirius... benedetto da Sira".
"Giusto. Il mio nome significa questo. Sono nato sotto la sua stella".
Mi ricordai di Ada.
"Voglio farti conoscere la mia amica. Vieni" dissi, acchiappandolo per una mano.

"Ada! Ada" gridavo, mentre mi trascinavo Sirius.
Volevo farlo conoscere alla mia migliore (e unica) amica.
La bambina era intenta a costruire qualcosa con la creta. Forse un nuovo bersaglio.
"Alan, cosa succede?".
Si era tagliata i capelli, notai.
Peccato, mi piaceva la sua chioma rossiccia.
"Voglio farti conoscere il mio amico. Si chiama Sirius Nelum".
"Piacere, Sirius. Mi fa piacere che sei amico di Alan".
Sirius sorrise, timido. I Kordula erano temuti da tutti.
Ma non in senso negativo: ogni membro di quella famiglia trasudava carisma da ogni poro.
Esmeralda Kordula, la mamma di Ada, era una guerriera formidabile, come testimoniano numerose cicatrici, ma era contemporaneamente una donna affettuosa e dolce.
Rudolf Tìre, il padre di Ada, era un licantropo, e affiancava Esmeralda nei combattimenti e negli addestramenti.
Era lui ch mi insegnò a seguire le tracce, ad ascoltare i versi dei pokemon e distinguerli, insomma, le basi della spravvivenza.

Da quel momento Sirius e Ada divennero i miei compagni di giochi. Non importava se stavamo su una nave o sulla terraferma, noi eravamo sempre insieme. Pian piano i bulli non mi colpirono con i loro dispetti, Sirius era sempre al mio fianco per proteggermi.
Ero felice con lui.
Mi ricordo quando cominciò a insegnarmi le rune.
Già sapeva leggere e scrivere, e mi prestava i pochi libri che aveva sull'argomento.
Io ero appassionato di rune e scrittura. Sirius m'insegnò a leggere e a scrivere sia con l'alfabeto corrente che con quello runico.
Sono praticamente bilingue: parlo una lingua morta e una corrente.
Dopo alcuni mesi ormai leggevo e scrivevo con naturalezza. Ovviamente, anche Ada imparò, ma le rune non le piacevano.
"Sai, Alan? Penso che da grande diventerai qualcuno d'importante" mi disse una sera.
"Cosa?".
"Si, diventerai qualcuno famoso e importante. Me lo sento. E non vedo l'ora che ciò accada, per vederti."
Sorrisi. Il mio migliore amico, che m'incoraggiava sempre.
Io, Sirius e Ada pensavamo anche di fare qualcosa per i pokemon acquatici, da grandi.
Vedevamo i mari inquinati, i pokemon morire, e gli Okeanos diminuivano a vista d'occhio a causa della distruzione del loro habitat.
Eravamo piccoli, e volevamo espandere il mare per le nostre creature.
E Sirius voleva vedere tutto ciò avvenire.
Ma non ci riuscì. Per causa mia.
Ci avevano narrato le leggende di Raqalis, tra cui quella dei due Guardiani.
Forse la conosci anche tu, Ottavio.
Ci sono due leggendari a guardia del mondo oscuro di Luxor, si chiamano Hearam e Fenaltir.
Hearam è lo spettro del ghiaccio, e Fenaltir è lo spettro del veleno.
Questi due guardiani devono avere degli ospiti umani, che canalizzano e rafforzano i loro poteri.
Se uno degli ospiti vacilla, il potere del leggendario diminuisce e si crea una piccola frattura tra il nostro mondo e quello dei Demoni.
Proprio in quel periodo, in circostanze misteriose, vennero uccisi entrambi i Guardiani umani.
Si creò una frattura così grande che moltissimi demoni uscirono fuori, causando la cosìdetta "Strage degli Innocenti".
Eravamo ad Altyerre quando successe. Si aprirono varie fratture in tutto il mondo, anche ad Altyerre, per questo i demoni ci raggiunsero.
Vennero uccisi molti bambini, uomini e donne. Molte famiglie, come quelle di Max e Ivan, vennero spezzate.
I demoni pian piano vennero scovati e uccisi, e si riuscì, dopo mesi di puro terrore, a trovare due Guardiani abbastanza forti e arginare la cosa.
I demoni arrivarono anche al nostro campo, di notte, mentre tutti dormivamo.
Uccisero le guardie in silenzio e passarono alle nostre case.
Mi svegliai di soprassalto a causa delle grida.
Sono orfano, per questo dormivo insieme ad Ada e alla sua famiglia.
Fuori si sentivano scoppi e grida, versi innaturali e comandi.
Esmeralda balzò in piedi e recuperò le sue armi.
Rudolf ci prese in braccio, visto che eravamo ancora mezzi addormentati.
Si trasformò in lupo e con noi sul dorso ci portò al riparo.
Vedevo sagome scure prendere forma, fiamme che divoravano le nostre casette, uomini e donne del gruppo combattere i demoni che avanzavano.
"Sono troppi" pensai, spaventato.
Eravamo quasi arrivati, quando mi ricordai di Sirius.
"Rudolf, Rudolf, dobbiamo cercare Sirius!".
Il lupo ci posò in una grotta nascosta, dove molte persone si erano rifugiate, e riprese forma umana.
"Piccolo Haejo" disse "Cercheremo anche lui, tranquillo. Bada ad Ada, vado a cercare tutti quelli che non possono combattere"
Detto ciò, riprese la forma di lupo, e tornò fuori.
Passai tutta la notte abbracciato ad Ada. Tremavo per la paura e per il freddo.
Sentivo pian piano le grida spegnersi, insieme all'incendio.
All'alba, la calma tornò a regnare sul nostro campo.
Piano piano, io e le altre persone nascoste strisciammo fuori.
Lo spettacolo era devastante: il terreno, una volta ricoperto di verde erba, in quel momento era disseminato di cadaveri e di macerie annerite.
Cominciammo ad aiutare: accatastavamo i corpi dei demoni e li bruciavamo, seppelivamo i nostri compagni.
Nell'aria si sentivano pianti e grida di dolore: madri che avevano perso i figli, bambini che avevano perso i genitori, fratelli che si erano persi.
Io avevo sempre la paura di trovare, tra i corpi martoriati, quello di Rudolf, di Esmeralda, o, peggio ancora, quello di Sirius.
Per fortuna, i genitori di Ada ci trovarono dopo un pò di tempo.
Rudolf si avvicinò nella sua solita forma da lupo nero. Appena riprese forma umana, ci strinse a sè in un abbraccio consolatorio.
Si, io e Ada eravamo troppo spaventati e distrutti.
Piansi.
Dopo un pò ci raggiunse Esmeralda, con ancora in mano due falci d'acciaio.
Le stesse falci che ora Ada usa.
"Alan, ho trovato tua sorella. E' viva" mi sussurrò.
"Dov'è?" chiesi ansioso.
Mia sorella, Nala, viveva in un'altra zona del campo, e non ci vedevamo spesso.
Lei è molto più grande di me, e a quel tempo dava una mano a chi ne aveva bisogno.
"Laggiù" mi disse Esmeralda, indicandomi un piccolo gruppo di persone.
Corsi verso di esse, lasciando i Kordula da soli.
"Nala, Nala!" chiamai, tra le lacrime.
"Alan!".
Mia sorella mi sollevò da terra, stritolandomi in un abbraccio.
"Credevo fossi morto..." disse lei, sollevata.
Lei mi ha voluto sempre molto bene, anche se abbimo dieci anni di differenza.
Dopo che ci calmammo, le chiesi di Sirius.
"Alan, non lo so... i suoi genitori lo stanno ancora cercando. Si è letteralmente volatilizzato".
Vedendo la mia faccia, cercò di consolarmi.
"Non hanno trovato il suo cadavere, è ancora lì da qualche parte".

Nei giorni successivi accaddero molte cose.
Vennero trovate molte persone, morte o vive.
Sia le prime che le seconde venivano accolte da grandi pianti, anche se di tipo differente.
Ma la cosa che lasciava atterriti erano quelli "formati a metà".
Io li chiamavo le Ombre Lucenti: erano esseri ancora vivi, ma senza più un'anima.
Questi esseri, pokemon o umani che siano, di solito presentano varie mutilazioni, che ben presto vengono rimpiazzate da proppaggini nere, dovute all'insediamento di demoni all'interno del corpo.
Era terribile vedere che, come facevano con i pokemon, i demoni potevano insediarsi nei corpi umani.
In quei giorni, vennero uccise molte Ombre Lucenti, soprattutto pokemon.
Ma queste particolari Ombre non mancavano in forma umana.
Fu proprio uno di quei giorni che mi segnò veramente.
Ero da solo con Rudolf intento a riparare qualche coltello, quando il licantropo sentì un' Ombra Lucente strisciare alle nostre spalle.
Prima che il semi demone si avventò su di me, Rudolf mi prese in braccio e cominciò a correre.
I licantropi sono molto più forti, veloci e resistenti del normale, e riuscimmo ad allontanarci in fretta.
Sentivo i sibili dell'ombra farsi sempre più lontani.
Non volevo guardarla, mi bastavano già i racconti dei guerrieri.
Quando l'Ombra non si vedeva più, Rudolf mi posò su una pietra.
La sua faccia era terrorizzata.
Non l'avevo mai visto così.
"Alan... hai visto chi era quell'Ombra?".
Feci di no con la testa, spaventato.
Rudolf sembrò lievemente sollevato.
Inspirò per calmarsi.
"Ok... ok... torniamo al campo".
Il lupo mannaro sembrava profondamente turbato.
"Rudolf... hai tu il mio Carvanha?" chiesi, mentre camminavamo verso il campo.
"Oh... si certo" mi rispose, distratto. Mi porse una pokeball che conteneva il mio amico pokemon.
Lo liberai all'istante. Averlo vicino mi confortava molto.
Il Carvanha girava intorno a me, festoso, felice di vedermi con lui.
Arrivammo dove i Kordula si erano sistemati.
"Rudolf! Lo hai visto anche tu?" gridò atterrita Esmeralda, appena ci vide.
"Visto cosa, mamma?" chiese curiosa Ada.
Ma la guerriera non rispose.
"Si, l'ho incrociato prima con Alan, ma lui non l'ha visto".
Alludevano all'Ombra Lucente.
"Avete visto chi è?" chiesi.
Ma i due preferirono non rispondere.
"Dobbiamo ucciderlo in fretta" mormorò lei, guardandomi.
Rudolf  assentì.

Le Ombre Lucenti sono intelligenti.
Accedono alla memoria del loro ospite.
Torturano coloro che gli erano più cari.
Per questo il semi demone venne da me.
Si presentò quello stesso pomeriggio.
Lo sentii arrivare, e feci appena in tempo ad afferrare un coltello che l'Ombra sfondò l'entrata del nostro rifugio di fortuna.
Solo più tardi scoprii che era la stessa lama che Siurius aveva usato per liberarmi.
Quando era tardi.
L'Ombra si scagliò su di me, senza darmi il tempo di riconoscerla.
Si muoveva con un'agilità spaventosa, contando che gli mancava il braccio sinistro e la gamba destra.
Dalle dimensioni potevo dedurre che l'ospite era un ragazzino.
 Rabbrividì al pensiero di uccidere un mio coetaneo.
Ma se non lo facevo, il semi demone avrebbe fatto lo stesso con me.
Peggiorando la situazione.
L'Ombra Lucente si scagliò su di me con un maggiore impeto, con l'intento di mordermi e immobilizzarmi.
Quei demoni non conoscono limiti, e potevano uccidere a mani (ammesso che ne avevano, di mani) nude.
L'unico modo di ucciderli e liberare il corpo da quell'anima nera bisognava colpirli al cuore.
Mi abbassai, schivando di striscio il suo assalto.
Cercai di sfruttare quell'occasione per colpirlo, fallendo.
Lo ferì solo al fianco.
Il demone mi fece cadere afferrandomi una caviglia, e in un attimo fu sopra di me.
Il volto era irriconoscibile, il demone lo stava consumando pian piano.
Ma lo trovavo familiare.
Stava per darmi il colpo di grazia, mordendomi il collo finchè le vene principali non fossero esplose, quando piantai il coltello nel bel mezzo del petto.
E' come vedere la mia azione alla moviola: lentamente, vidi l'arma attravesarlo da parte a parte.
Sembrava un arto di un Bisharp.
Il demone gridò, riversandosi su un lato, sconfitto.
Tirai fuori la lama dal quel corpo morto, e guardai curioso la sua trasformazione.
Quel giorno avevo ucciso il mio primo demone!
Dovevo essere contento.
Eppure l'inquietudine non mi passava. Non dovevo provare sollievo, nel trovarmi ancora vivo?
Capii quello che avevo fatto solo quando non ci fu più nessuna traccia del demone.

Nala entrò di corsa, seguita a ruota da molti membri del gruppo, compresa la famiglia Nelum. Ma la scena che gli si parò davanti era la più surreale che avesse mai visto.
"Alan!" mormorò, col fiato mozzo.
Avevo ucciso l'ultimo demone. E l'unica persona che amavo veramente.
"Nala, l'ho ucciso io" mi sentii dire.
Sentivo la mia voce lontana, come se provenisse da un altro mondo.
Mi avevano trovato con un pugnale insanguinato inginocchiato vicino al corpo di Sirius Nelum.

Ottavio, non tenterò di giustificare il mio atto. Dopo quel momento la mia vita prese una piega molto triste. Ero inconsolabile, e pian piano mi rinchiudevo in me stesso.
L'arrivo di Ivan al campo mi cambiò profondamente, ma non penso di riuscire a dimenticare quello che ho fatto.

Nota dell'autrice:
Eccomi di nuovo qua, a pubblicare il quinto capitolo.
Il passato di Alan mi ha dato modo di definire l'ambiente da cui il Team Idro proviene, per darmi modo di spiegare alcuni comportamenti che adotteranno in futuro.
Piano piano cerco sempre di dare un profilo psicologico completo ai personaggi (visto che nei videogiochi esso è assente).
Ho scritto questo capitolo partendo da due spunti: il primo è l'attaccamento di Alan nei confronti di Ivan e il motivo di questo grande affetto.
Il secondo è il passato di un crittografo inglese che ha decodificato i messaggi nazisti durante la seconda Guerra Mondiale, Alan Turing.
Perchè ho scelto proprio lui?
Per vari aspetti che ricordano tanto il nsotro Alan: entrambi comprendono linguaggi apparentemente difficili (quello runico e quello della criptografia), tanto per fare un esempio senza fare spoiler :P
Questo è solo uno dei tanti spunti su cui la storia e il capitolo stesso si basano.
Ovviamente, all'interno del capitolo ci sono altri riferimenti...
Bene, al prossimo capitolo!!
-Danail

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Capitolo 6
*** Half Wolf ***


Cap 6 Scric, scric, scric.
Max ascoltava in silenzio la neve scricchiolare sotto i suoi passi. I due Team procedevano in mezzo alla foresta serpeverde.
Tutto era imbiancato dalla brina. Sembrava una foresta magica.
Davanti a lui c'era Ada, forte e sinuosa come una Persian.
Dietro a lui c'era Ivan e Rossella.
Sembrava che i due avessero qualcosa in comune.
Ai lati del gruppetto, Alan e Ottavio schizzavano in silenzio tra gli alberi, proteggendoli da eventuali attacchi laterali.
Con loro c'erano alcune reclute scelte.
Max guardò la figura nera del gigante farsi strada tra gli alberi.
Chi l'avrebbe mai detto?
Max non pensava che Alan si fosse portato questo macigno nel cuore.
Ivan e Ada gli avevano raccontato la sua storia.
Rossella e Max ne erano rimasti profondamente colpiti.
Ma avevano cercato, a modo loro, di dargli conforto. Con scarso successo.
Max, triste, tornò a guardare Ada. Sentiva le sue due falci tintinnare lievemente...

Ottavio guardava i Mightyena e i Kerberion che li scortavano.
Erano davvero pokemon maestosi.
Mentre camminava insieme alle sue reclute, pensava ad Alan e alla sua storia.
E a quello che era successo dopo che Alan gliela aveva raccontata...

"Alan... io... non so che dire. Eri costretto! Non è colpa tua!"
"Vorrei tanto che fosse così..." disse il gigante, profondamente addolorato.
Ottavio si chiedeva la natura di quell'amicizia.
Un'intuizione lo folgorò. E se...
"Alan, tu lo amavi" disse dolcemente.
Non aveva sospettato che Alan fosse gay, ma in quella situazione gli pareva ovvio.
Ma non voleva giudicare Alan per quello.
"Mi dispiace..." sussurrò, avvicinandosi ad Alan per confortarlo.
Lui gli sorrise, con gli occhi lucidi, e avvicinò il suo viso al suo.

Alan si era stupito da solo in quel momento.
Senza pensarci, aveva rivelato a Ottavio quello che provava.
Ma il Corsaro ritornò sulla missione affidata.
Al presente.
Viaggiavano in formazione per raggiungere la città più a nord di Raqalis, una città chiamata Ravenclaw.
La città dei Danail neri.
Damson era riuscita a scoprire, attraverso informatori, che un'attività insolita di Demoni si stava sviluppando vicino alla città, e aveva mandato i due Team a provvedere.
Alan sapeva per esperienza che quei mostri erano intelligenti.
Si sarebbero nascosti in corpi umani e pokemon. Quindi, massima vigilanza.
Guardò i pokemon che li guidavano: i Mightyena di Hoenn e i Kerberion di Teyrnas.
Ma, senza volerlo, il suo sguardo si spostò sulla figura indistinta di Ottavio.
Il Magmatenente, dalla loro "chiaccherata" sulle torri ancora non aveva deciso.
Ma Alan era sicuro di una cosa: non avrebbe fatto la stessa fine di Sirius.
Perchè ora era diverso.
Lui era preparato.

I due erano ormai vicinissimi.
Ottavio poteva vedere le ciglia di Alan, sentire il suo respiro sulla sua pelle.
Non che la cosa gli dispiacesse. Anzi.
La vicinanza di lui lo faceva fremere.
"Alan..."
"Non dire niente, Ottavio".
Sentì le calde labbra dell'altro posarsi sulle sue, e non ebbe la forza di opporsi.
Ma forse non voleva neanche.
Una sua parte gli gridava che era sbagliato, ma l'altra voleva decisamente godersi quell'effusione, e quest'ultima aveva decisamente la meglio.
Sentì le braccia di Alan abbracciarlo per stringerlo a sè.
Ottavio represse un brivido di piacere quando il bacio si fece più intenso.
Si sentiva benissimo...
Sentiva la lingua di Alan farsi strada tra le sue labbra.
E fu quello che lo riscosse.
"A-Alan..."  balbettò, scosso.
Il gigante si separò da lui, confuso.
"Alan, non sono io la soluzione. Posso confortarti, ma io... io non sono Sirius"

Ada si fermò, e fece segno alla compagnia di fare altrettanto.
La foresta pian piano si stava diramando, e in lontananza si vedevano le bianche mura di Ravenclaw, che si mimetizzavano nella neve e nello stesso tempo si stagliavano contro il cielo azzurro, come un leggero bagliore all'orizzonte.
I pokemon si sparsero tutt'intorno.
"Qualcosa non quadra" sussurrò la guerriera.
Percepiva qualcosa d'anormale intorno a lei.

"Lo so, Ottavio. Per questo mi piaci. Perchè non sei lui" rispose Alan.
Ottavio non sapeva cosa pensare.
Quel bacio non se l'aspettava proprio, ma non poteva dire che gli era dispiaciuto.
Mille domande gli affollavano la mente, ma non riusciva a darsi delle risposte.
"Alan, guardami... Ti meriti più di me" disse, non avendo idea di come continuare.
"Ottavio, lo sai che non è vero. Vali più di quanto pensi, e forse lo sai già. Forse non ti piace il tuo aspetto, ma a me non importa. A me basta che sei tu, Ottavio. Che rimani quello che sei. E' da tempo che non provo quello che sto provando per te".
Il sole era già tramontato da un pezzo, e le prime stelle si stavano accendendo.
Ottavio era chiaramente confuso, non sapeva cosa dire.
Alan si era aperto completamente a lui, il suo rivale da più di dieci anni, rivelandogli un amore che sembrava sconfinato.
Alan non lo vedeva come una copia di Sirius, ma come un nuovo inizio.
Vedeva in lui un modo per redimersi, per riparare ciò che aveva fatto.
E lo faceva nel modo che riteneva più giusto: amarlo.

"Ada, che succede?" sussurrò piano Max.
La Corsara era concentrata a sondare l'ambiente attorno a loro.
Aveva notato qualcosa di anomalo.
"Ha percepito qualcosa" mormorò Ivan.

Alan si era fermato.
Aveva sentito qualcosa.
Si voltò appena in tempo per schivare una massa informe, che gli sfiorò il braccio.
immediatamente, nel punto di contatto esplose un dolore straziante.
Alan gridò la prima runa di protezione che gli venne in mente, che risplendè per un attimo nell'aria.
Una strana forza si avvolse intorno alla compagnia.
Le masse nere ci andarono a sbattere contro: alcune sembravano una vorticosa nebbia nera, altri si erano impossessati di corpi putrefatti, rendendoli più ripugnanti.

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"Ombre!"
pensò.
I demoni riuscirono a sfondare la protezione, ma quella manciata di secondi che la runa donò non furono sprecati.
Ada aveva recuperato le falci, che ora mulinavano con grazia e velocità, falciando letteralmente i demoni che le si avventavano conto.
Le lame brillavano, intrise di magia pura, e ferivano, mutilavano, uccidevano qualsiasi cosa nera che capitasse nella loro traiettoria.
I Kerberion ruggivano, mentre, insieme ai Mightena, attaccavano i demoni con le loro mosse.
Nella confusione della mischia, si sentivano i loro versi di trionfo, di gioia, o versi feriti, di morte.
Alan combatteva mormorando rune a rapido effetto, che si incidevano sulle masse dei demoni per bruciarli.
Ma gli esseri erano davvero troppi.
Alan non si accorse di uno che, nel corpo di un Grovyle, si era arrampicato su un albero e si stava per lanciare addosso a lui.
Non avrebbe fatto neanche in tempo per sollevare la spada che usava per gli attacchi ravvicinati.
Vide solo la massa scura dell' Ombra precipitare verso di lui, e fu allora che accade un miracolo.
Ottavio spinse via Alan e gridò contro il demone. Il grido prese forma, un'onda distruttiva talmente potente da disintegrare il demone e bruciare il corpo del pokemon, che cadde in verticale, dove il salto si era interrotto.
Alan lanciò uno sguardo grato a Ottavio e continuò a combattere con maggior vigore.
I demoni stavano scemando, ma Alan era ferito in più punti. Il sangue gli offuscava la vista, e le forze stavano diminuendo.
Una ferita alla testa colava sangue.A
Le gambe gli stavano cedendo.
Ormai non riusciva a vedere il resto della squadra, era così concetrato a sopravvivere...
Evocava rune sempre più deboli, i colpi erano sempre meno precisi...
Un secondo urlo lo riscosse, ma era Max a gridare.
Alan si fece strada tra corpi e oscurità, si tagliava una via per raggiungere e aiutare il Capo Magma, qualunque cosa gli stia succedendo.
Si era legato troppo a lui, ormai. Prima Ivan che ci soffriva, arrivando a sognarlo. Poi Ottavio.
Vide il corpo di qualcosa che assomigliava a un Fenrir grigio, un pokemon che si trovava solo a Raqalis, ma alcuni demoni lo assaltarono di nuovo e Alan li schivo per un pelo.

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Sentiva le urla di Max e i versi della cosa, evidentemente lo scienziato si stava difendendo bene.
Le grida dei due contendenti pian piano scemarono, così il numero dei demoni, che sparirono con la stessa rapidità di com'erano venuti.
Alan era ricoperto di sangue, suo e non suo, ma era rimasto in piedi, con attorno corpi spezzati di esseri ormai irriconoscibili, corpi senza arti, senza un pezzo o senza testa.
Alan aveva molto autocontrollo, ma riusciva a stento a trattenere il vomito.
Quei corpi senza una forma gli davano il voltastomaco.
Gli ultimi demoni si dissolsero, fuggendo con dei sussurri.
Nessuno li inseguì.

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Ivan guardava la strage intorno a sè.
L'addestramento Corsaro gli era servito, dopotutto.
Molti Mightena giacevano nella neve ormai tinta di rosso, morti.
Alcuni erano irriconoscibili, le ferite erano talmente profonde d riuscire a vedere le ossa.
I Kerberion erano stati più fortunati, anche se qualcuno giaceva senza vita.
Gli ultimi pokemon rimasti in vita vagavano senza un'apparente meta. Forse temevano un secondo attacco.
Ada stava cercando di curare una recluta, ferita sulla spalla.
Ivan si avvicinò a una ragazza a terra. Perdeva sangue dal fianco destro: un'artigliata che partiva dal petto per finire dietro la schiena l'aveva immobilizzata.
La divisa nera, fornita da Raqalis, con stampato sulla clavicola sinistra il simbolo del Team Idro, era lacerata da più punti.
"Capo... ti ricordi di me?" ansimò la ragazza.
Ivan la guardò: Hana, la recluta che l'aveva svegliato al museo.
"Ehi, Hana" gli sorrise il Capo Idro. Nonostante la ferita, nonostante il dolore, il volto della ragazza manteneva quella fierezza caratteristica di tutti i Corsari.
Ivan era orgoglioso della forza del suo Team.
Mentre curava Hana col poco che sapeva dell'arte della guarigione, pensò a come i demoni li avessero scoperti.
Una trappola, ne era sicuro.
Pian piano i frammenti della breve battaglia gli tornarono alla mente: le falci di Ada che ferivano e uccidevano, la nebbia vorticosa che tradiva la presenza dei spiriti maligni, e poi le urla. I versi innaturali dei demoni, dai fischi di quelli incorporei ai versi dei pokemon deformati dalle ombre dentro di loro.
Uvan rabbrividì: i suoi amati pokemon...
Si ricordò come Ottavio uccise l'Ombra Lucente semplicemente urlando: manipolare la magia usando la voce.
"Capo, hai visto la cosa che ha attaccato Max?" chiese Hana, dopo che lui le fasciò il fianco con le divise strappate delle reclute morte.
Ivan non osava guardare chi era morto, forse non avrebbe retto.
Avrebbe visto, in quei corpi morti, le sue reclute?
Al solo pensiero si sentì morire.
"Cosa?" sussultò Ivan. Aveva sentito le grida di Max, ma non aveva pensato al perchè di quelle urla.
"Si! Una specie di Fenrir -sai, quei pokemon a forma di lupo, che stanno qui a Raqalis- ha attaccato dall'alto Max. Ma effettivamente, era molto più grande di un normale Fenrir... e poi questi pokemon non formano branchi con le loro pre evoluzioni, i Garmr?" riflettè lei.
"Hana, dobbiamo cercarlo!" grudò lui, disperato.
"In queste condizioni?" rispose lei, scettica, indicando i sopravvissuti.
"E comunque, Alan e Ottavio sono andati a cercarlo. Vedrai, lo troveranno" continuò, cercando di consolarlo.
Ivan era a pezzi. I sensi di colpa lo attanagliavano, e pregava per la vita di Max.
Un pensiero gli attraversò la mente: Rossella.
La sua amata Rossella.
Il Cosaro balzò in piedi e gridava il suo nome mentre la cercava nella radura, rossa di sangue.
"Ivan, sono qui". La Magmatenente comparve all' improvviso al suo fianco.
Aveva uno sguardo profondamente triste.
"M-mi hanno detto di Max..." balbettò, cercando di trattenere il pianto. Chiuse gli occhi, cercando di fermare le lacrime.
"Rossy... vedrai, lo troveremo..." le sussurrò dolcemente Ivan.
Dimentico di tutte le loro precedenti rivalità, di tutto quello che avevano passato, senza averlo premeditato strinse a sè la ragazza.
I sentimenti correvano, il suo cuore era in fiamme.
La Magmatenente rabbrividì, ma ricambiò l'abbraccio.
Si sentiva sicura e protetta con lui.
Se sapessero che cosa li accomunava...
"Lo troveremo, stai tranquilla. Fosse l'ultima cosa che farò, lo troverò" mormorò Ivan, guardando le mura della città lontana.
"Lo troverò".
Sentì la sua mano sfiorargli il fianco destro, e una fitta di dolore lo fece sussultare.
"Ivan! Sei..." esclamò Rossella, ritraendo la mano velocemente. Era coperta di sangue.
Ivan guardò il punto dove la tenente lo aveva toccato. Effettivamente era ferito, ma non era grave: un semplice graffio superficiale.
"Non è niente, ho subìto cose ben peggiori" la tranquillizzò.
Non era del tutto falso: la ferita non era niente, se paragonata a un'artigliata che una volta il suo Thuban gli aveva inflitto.
Rossella fece scivolare la mano pulita in quella di Ivan che, sorpreso, rabbrividì.
"Ivan, io..." cominciò lei, rossa in viso.
"Ehi, voi due" gridò Ada, distante "Venite ad aiutarci".
Rossella corse verso l'Idrotenente, rossa in viso.
Ivan sospirò, felice di quella fiamma che, in mezzo a tante difficoltà, ardeva come non mai.

"La metamorfosi ti cambia.
Radicalmente.
In pochi attimi non sei più te stesso.
Diventi qualcosa che non conosci.
Ed è bene che di domini in fretta, che impari a gestirti.
Dopo che hai appreso ciò, ti si aprirà un mondo completamente nuovo e pieno d'insidie.
Ma non aver paura, lupus, ci sarà una guida con te".
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Riemerso dall'oscurità che lo avvolgeva, Max sentii una voce familiare pronunciare queste parole.
Aprì con fatica gli occhi, solo per vedere un mondo tutto sfocato.
Si sentiva malissimo, si sentiva bruciare da dentro.
Era come essere divorato da un incendio.
Voleva parlare, chiedere a quello che gli aveva parlato come lo aveva chiamato, e mille altre cose.
Ma non ce la fece, e il buio tornò ad avvolgerlo.

"Come sarebbe a dire, Max è scomparso?"
Elisio era veramente pericoloso, da arrabbiato.
"Elisio, calmati..." tentò Platan, senza successo.
"Augustine, abbiamo perso un membro importante, come posso calmarmi?"
Ada osservava la scena seduta sul bordo del letto di Ivan.
L'idrofilo, nonostante le proteste, era stato fasciato ai fianchi, e ora indossava una semplice camicia bianca che copriva le bende.
Si erano stabiliti in un hotel di Ravenclaw, vicino alla Palestra di Celia e Aaron.
Con la Squadra, composta dai membri rimanenti dei due team, c'erano anche Elisio, il professore di Kalos e Cyrus.
Quest'ultimo non aveva mai fatto una buona impressione su Ada: era un tipo molto strano e tetro, però la Corsara doveva ammettere che era molto intelligente.
Poi era venuta anche Paula, la ricercatrice, che ora parlava piano con Ottavio e Alan in un angolo della stanza.
Rossella si era seduta su un altro letto, e muoveva nervosamente le gambe.
Ada sapeva quanto la Magmatenente era fragile, e a quanto tenesse a Max.
In cuor suo, sperava che Ivan gli infondesse più sicurezza.
"Io penso" cominciò Cyrus, col suo strano tono "che quello sia un licantropo, e che ci avesse aspettato apposta".
Tutti lo guardarono.
"Un... cosa?" chiese sorpreso Platan.
"Effettivamente, ci sta" disse Paula.
"Non può essere un Fenrir: questi pokemon si spostano in branchi, composti da tre o più adulti e le loro cucciolate di Garmr. Dalle vostre descrizioni, risulta che quello era l'unico essere non demone che assomigliava vagamente a un lupo".
Rossella abbassò lo sguardo.
Poverina, pensò Ada, dover sostenere un'angoscia del genere...
"Poi è decisamente fuori misura. I licantropi sono più grandi dei Mightyena e dei Fenrir, e sono avversari temibili anche per i Kerberion".
Calò il silenzio. Ma Ada sapeva cosa stavano pensando tutti.
Finalmente Ivan espresse il pensiero generale, che aleggiava come una spessa cortina di fumo tossico.
"Che fine farà?" chiese, sforzandosi di mantenere un tono fermo.
Paula sospirò, tremolante.
"Non lo so, Ivan. I risultati sono imprevedibili. L'ipotesi più probabile è che muoia sbranato. Se sopravvive, ed è stato morso -cosa che dò per certa- potrebbero esserci tre possibilità: o che muoia comunque entro pochi giorni dal morso, che sopravviva senza effetti collaterali o che si trasformi in licantropo. Quest'ultima ipotesi è quella che avviene più spesso.Un esempio lampante è Eskraas...".
Scese di nuovo il silenzio, interrotto solo dal flebile singhiozzo di Rossella.
Ada si voltò verso Ivan per non guardare, ma vide che anche lui versava qualche lacrima.
Dopotutto, nè Ivan nè Max auguravano all'altro una fine così atroce.

Passarono cinque giorni a Ravenclaw, per eseguire delle ricognizioni.
Cinque lunghi giorni, passati tra la neve e il gelo, con il cuore pesante.
Ivan si era rimesso subito, era abituato a cose ben peggiori.
Setacciavano fuori, vicino alle mura, e vicino alle foreste.
Cinque giorni senza trovare nulla.
Molti abitanti di Ravenclaw li aiutarono.
Gli allenatori della Palestra li aiutarono con i loro pokemon Psico e Spettro, in assenza di Celia e Aaron.
Ma neanche i più potenti Onjollum e i più furbi Ghosdime riuscirono a trovare un indizio.
Forse le loro megaevoluzioni potevano riuscirsi, ma solo i due Capipalestra riuscivano a gestire quella trasformazione.
Cinque albe e cinque tramonti si susseguirono.
Ma tracce di Max, o in qualche modo di una creatura simile a quel lupo grigio nulla.
Il sesto giorno si prepararono per tornare a Cair Syltherin.
Tutti avevano il lutto in cuore.
Alan richiamò con un fischio il Talonflame che aveva iniziato ad addestrare qualche anno fa.
Aveva richiamato il pokemon per le ricerche, ma ormai non poteva più aiutarli.
Erano già alla porta sud, e stavano per ripartire.
Ma il pokemon, di solito puntualissimo, arrivò dopo un quarto d'ora.
"Non possiamo aspettare all'infinito... " disse spazientita Ada.
Ma dopo pochi attimi Talonflame comparve all'orizzonte.
Come una freccia, il pokemon Ardifiamma si portò sopra il gruppo, compiendo ampi cerchi e gracchiando, eccitato.
"Credo che ha trovato qualcosa d'importante" osservò Alan.
Il pokemon, dopo un paio di giri a vuoto, sfrecciò sulla spalla del gigante.
"Allora, cosa hai trovato?" chiese paziente Alan.
"Taaaaal" cantò Talonflame, mostrando, tra gli artigli, una ciocca rosso fuoco e il distintivo Magma.
"Talon!" gracchiò
.
Alan sgranò  gli occhi.
"Talonflame, appena torno a Hoenn mi dedico alla cura della tua specie".
Si voltò raggiante verso il gruppo.
"Talonflame non è riuscito a seguire la pista. Ma Max è vivo".

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"..."

"... chi sei...?"
"Lo sai, Max. Mi senti?"
"...!!!"
"Bravo, ci sei arrivato. Mi sorprende poter parlare con te, nonostante tu sia mezzo morto".
"... PERCHE' L'HAI FATTO! TRADITORE!"
"Uh, avanti. Io non la penserei così, se conoscessi la verità".
"LA VERITA' E' QUESTA! GUARDA COSA HAI FATTO!! A ME, A RAQALIS, ALLA TUA FAMIGLIA!!"
"Max..."
"MAX UN CAMERUPT!! ORA MI ASCOLTI!!"
"Non ho voglia di sentire le tue lagne. Appena ti riprenderai, me ne andrò. Capirai più avanti. Addio, Max, è stato un piacere conoscerti. Ricordati quello che ti ho appena detto, qiando ti risveglierai io non ci sarò più. Ti renderai conto del motivo del mio gesto solo quando tutto sarà al suo posto".
"NON TI AZZAR..."
"..."
"... no... aspetta..."
...
 
"Come  sarebbe a dire, non possiamo andarlo a cercare? Oh, ma insomma, è il mio Capo!"
"Ottavio, lo sai, ber il bene suo è meglio se lasciamo fare a Eskraas".
Damson aveva mandato il Capopalestra a cercare Max. Dopotutto, lui era uno tra i licantropi più adatti  a quel compito.
Trasformatosi in un lupo bianco rigato di nero, annusò brevemente ciò che Talonflame aveva trovato, e partì di corsa.
Ottavio colse un'occhiata del lupo rivolta a Ivan, come a dire "troverò il tuo amico".
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All'improvviso sentì Alan abbracciarlo da dietro.
Nonostante tutto, avvertì una sensazione di calore nel basso ventre.
"Vedrai, lo troverà." gli sussurrò dolcemente.
Era da più di una settimana che Max era scomparso. Ottavio era sconfortato.
Sette giorni senza risposte.
"Ottavio..." gli sussurrò Alan.
"Quando vuoi... possiamo parlare...?"
Ottavio sapeva a cosa si riferiva.
Non aveva riflettuto sulla cosa, ma era giunto comunque a una conclusione.
Che avrebbe aiutato entrambi.

...

Nonostante l'agilità e la forza fossero aumentate, la foresta sembrava volerlo trattenere, ferendolo.
Radici lo facevano inciampare, rami bassi lo graffiano, e ostacoli di ogni genere gli si paravano continuamente davanti.
La neve, poi, gli offuscava la vista.
Non ci voleva.
Quanto tempo aveva dormito?
I suoi lo stavano cercando?
La creatura si fermò, e guardò il cielo, ben sapendo che era inutile.
Le nuvole coprivano il cielo, rendendo impossibile l'orientamento.
L'essere aveva provato a seguire gli odori, ma era così confuso da  sbagliarsi in continuazione.
Si rifugiò in una piccola rientranza nel terreno, approfittando della neve per riposarsi un pò.
Voleva ricongiursi alla sua famiglia.
Ma l'avrebbero accettato così?
Emise un breve ululo di sconforto.
Come poteva andare peggio di così?

...

Eskraas si considerò fortunato a essere un lupo bianco: le sottili venature nere unite al candido manto gli avevano assicurato una perfetta mimetizzazione nelle tempeste di neve.
Nonostante nevicava, si era allenato parecchio dalla sua trasformazione.
In quei mesi di presunta pace aveva affinato udito e vista, e ora vantava di una discreta esperienza "lupesca".
La neve copriva le tracce: sebbene fosse difficile seguirlo (se mai qualcuno o qualcosa vorrebbe farlo) era anche vero che così perdeva le tracce di Max.
Eskraas si fermò di botto, e cominciò a guardarsi attentamente intorno.
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Lo aveva sentito.
Era passato di là.
Ma l'odore svanì subito dopo.
Ma apparte un' insignificante rientranza nel terreno, c'erano alberi e solo alberi.
Senza segni di licantropi o un qualcosa che testimoniasse un passaggio di forme di vita.
Stava per ripartire, deciso a seguire quella traccia che lo sentì.
Un breve uggiolio di tristezza, proveniente dalla rientranza.
Si affacciò, e nella poca luce che filtrava da fuori, scorse una sagoma.
Un lupo dormiente.
L'odore di prima ora era più intenso.
Eskraas lo rionobbe subito: ognuno di noi ha un profumo diverso, e i licantropi sono sensibilissimi a queste "traccie".
L'odore, per loro, è la carta d'identità più completa che esista.
Eskraas sorrise lievemente, come solo i lupi sanno fare, felice di aver concluso la sua ricerca.

---POKEDEX DI RAQALIS---
Il pokedex è ancora agli albori, e finora è completo solo sottoforma di schizzi. Le immagini, purtroppo, non si possono caricare, per questo ve le linko qui sotto.
Ghosdime:
https://www.facebook.com/OpalisStudiosRaqalisRegion/photos/a.800310940032484.1073741832.713975101999402/800570910006487/?type=3&theater

Onjollum:
https://www.facebook.com/OpalisStudiosRaqalisRegion/photos/a.800310940032484.1073741832.713975101999402/800570830006495/?type=3&theater

---ALTRI POKEMON---
Kerberion (Teyrnas)
 https://www.facebook.com/teyrnas/photos/a.1423099001253269.1073741828.1423050437924792/1595669590662875/?type=3&theater

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Capitolo 7
*** Forest' Sons ***


Capitolo 7 PICCOLA PREMESSA:
Prima di iniziare, ci tenevo a precisare alcune cose.
Innanzitutto, quando si parla del passato dei personaggi e del loro aspetto esteriore, faccio sempre riferimento alla loro vecchia versione, per esempio Max da bambino non portava ancora gli occhiali, Ada aveva i capelli rossi ecc
Ho adottato questo sistema più per un fattore cronologico: difatti la storia si sviluppa più o meno dopo qualche mese dagli eventi di ORAS, che a loro volta si sono sviluppati dopo dieci anni dagli avvenimenti di RZS. Quindi tutti gli eventi antecedenti a RZS (quindi il passato dei personaggi) che verranno descritti prenderanno come riferimento le old version, mentre gli avvenimenti presenti prenderanno, ovviamente, come modello le new version.
Seconda cosa: come forse avrete capito nella storia il cognome dei figli viene passato dalla madre e non dal padre, così come il simbolo della famiglia. Questo simbolo compare dopo tre mesi dalla nascita su un punto variabile del corpo. Questo simbolo serve a riconoscere la provenienza della persona in caso di smarrimento o simili. Tornerà utile nel corso della storia.

Era notte fonda, e a Cair Syltherin regnava il silenzio più totale.
In cielo si scorgevano le luminosissime stelle e un quarto di luna, oscurato da qualche nuvola vagante.
La pace sembrava regnare nei corridoi delle stanze, nei portici, nei chiostri, nelle torri, insomma, niente e nessuno disturbava la quiete.
Ada però era ancora sveglia, e osservava al di sotto della finestra della sua camera, che dava su un piccolo cortile con una vasca, riempita da una fontana a zampillo.
Ascoltare la fontana e il suo spruzzo era molto rilassante, per la Corsara, ma non era per quello che, a mezzanotte, lei aveva aperto le inferriate per guardar fuori.
Di lì a poco infatti, sarebbe avvenuto uno degli appuntamenti più importanti della vita del suo fidato Alan.
Ada già scorgeva la figura scura del suo gigante, seduta sui bordi della vasca, ad aspettare.
La Corsara tese le orecchie, sorridente.

Ottavio s'incamminava lentamente verso il luogo dell'incontro.
Non era ancora giunto a capo della situazione.
Dentro di sè c'era un turbinio d'emozioni e pensieri sconnessi e senza un'apparente logica.
La cosa che lo confondeva maggiormente era quello che provava stando vicino ad Alan.
Perchè è lo stesso sentimento che, dieci anni prima, provava per Max.
Era qualcosa di strano e inafferabile, come uno Jumpluff che, accompagnato da una leggera brezza, vola senza peso su per le praterie di Jotho.
Ecco, questo era per lui quella sensazione: una fresca brezza marina nel pieno dell'estate.
Ma se quella di Max si era pian piano spenta, quella di Alan persisteva.
Perso nei suoi pensieri, Ottavio raggiuse senza accorgersi al portico con la fontana.
Era molto bello stare lì: lo scroscio rilassante dell'acqua, il venticello fresco, l'ambiente illuminato dalla fioca luce lunare, che creava piccoli riflessi argentei nella grande vasca centrale.
Ottavio si avvicinò per osservare meglio l'opera.
Il corpo della fontana era costituito da due pokemon: Reminas, la dea acquatica, e sotto di lei Kyogre, una delle sue manifestazioni.
La dea era rappresentata come i suoi sette fratelli: un canide (o un felide?) dal corpo nero solcato da linee azzurre. Sulla testa era incastronato uno zaffiro, mentre gli occhi erano fatti di smeraldo.
Tutti i Sette avevano perso quella forma, una specie di grosso lupo con le orecchie (se si posson chiamare così) a cilindro e attraversati da linee che si intersecavano e si incrociavano.
La leggenda vuole che quelle siano le linee della Vita, e ogni spirito le aveva di un colore differente, perchè era solo una parte dello Spirito originario.
Solo quando essi si sarebbero uniti, quelle linee diventeranno bianche.
Era una vecchia leggenda piuttosto diffusa.
Reminas, in particolare, lungo la coda e sulle zampe aveva delle pinne, che la distinguevano dal resto dei fratelli.
Proprio dalla bocca della dea s'innalzava lo zampillo dell'acqua, che si andava a tuffare poi nella vasca.
"Bello, vero?" disse una voce alle sue spalle.
Alan s'avvicinò silenziosamente, come un'ombra. La luce lunare non lo illuminava gran che, ma non ce n'era bisogno: il gigante si vedeva comunque benissimo.
"Reminas, la seconda ad essere nata. Colei che inondò il mondo donandoci l'acqua" disse, a voce bassa.
Rimasero per un pò ad osservare l'acqua che sgorgava, poi Ottavio, impaziente, interruppe quel silenzio che lo opprimeva.
"Alan, senti..."
"Ottavio, lo so che sei confuso. I tuoi gesti, il tuo tono, come ti muovi rilevano il tuo stato d'animo".
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Ottavio rimase senza parole per un momento, poi riuscì a rispondere.
"Si, bhe, hai ragione. Non so cosa pensare... e non riesco a decidere"
"Ho un metodo infallibile per questo. Ma devi essere d'accordo" sussurrò il gigante.
"Ehm... bhè..." cominciò il Magmatenente, non comprendendo completamente le parole dell'altro.
Non finì di dirlo che il Corsaro lo attaccò a una colonna del portico immobilizzandolo delicatamente intrecciando le mani con le sue.
"Rilassati e pensa a quello che provi" gli mormorò, prima di poggiare di nuovo la bocca sulla sua.
Ottavio si lasciò andare completamente, seguendo il consiglio di Alan.
Ma anche se l'idrofilo non gli avesse detto nulla, lo avrebbe fatto comunque.
Ma si, potrebbe funzionare... pensò Ottavio, prima di abbandonarsi completamente alla passione.
Per un attimo dimenticò tutti i problemi che lo affligevano: Max, i demoni, la guerra, tutto scomparve nel giro di un istante, soppiantato da un turbinio di emozioni intensissime.
Dopo un tempo che parve un giorno, un mese, un anno o semplicemente infinito, Alan si discostò di appena qualche centimetro dal viso di Ottavio.
Sentiva il respiro affannato del Corsaro sul suo, vedeva distintamente le vene del collo pulsare violentemente, sentiva il cuore dell'altro battere all'impazzata, come il suo.
Alan fece per dire qualcosa, ma Ottavio non ci pensò due volte ad afferrargli delicatamente la mascella e attirarlo di nuovo a lui, in un secondo, terzo, quarto e molti altri baci.
Quella era la sua decisione.
Se davvero poteva compiere quel viaggio, lo avrebbe fatto con Alan. 
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Ada, dalla sua finestra, controllava l'andamento delle cose.
Sorrise, felice, per il successo di Alan, ricordando alcuni eventi accaduti dieci anni fa.
Sospirò, ed uscì silenziosamente dalla stanza. Non aveva sonno, e forse una gita sui tetti e sulle terrazze del castello Syltherin le avrebbe fatto bene.
Con passo felpato, corse per i corridoi bui e vuoti della fortezza, lasciando le due falci in camera sua.
Nonostante l'oscurità fosse rischiarata solo dalla luce lunare che attraversava le ampie vetrate, non si vedeva molto bene.
Ma l'addestramento Corsaro aveva acuito i sensi della donna, che di lì a poco era già fuori ad arrampicarsi su una torre.
Qualcuno avrebbe detto che era troppo pericoloso anche a provare, ma per lei era una cosa da nulla.
Anche perchè da lassù si godeva di un panorama mozzafiato.
In lontananza di vedevano le luci di Asan, la capitale.
Ada pensò a Hoenn, e a quando ci tornerà.
Con chi ritornerà.
Ma soprattutto, se potrà tornare.
O se dovrà restare lì, magari a terra, circondata da altri cadaveri, fredda come la roccia, con una ferita troppo grave da permettere la vita.
"No" pensò.
"Non andrà così".
E' difficile non pensare alla morte quando si ha visto un compagno sparire.
Con la coda dell'occhio, colse un movimento sul tetto sottostante.
Dalla sua posizione apparentemente instabile, Ada aguzzò la vista.
Non era altri che Ivan, che aveva avuto la sua stessa idea.
Il Capo Idro si era portato un paio di coperte e stava lì, disteso sulle tegole piatte del tetto a guardare le stelle e la  luna, come faceva con lei e Alan quando erano giovani e stavano ancora tra i Corsari. Si sdraiavano su un campo senza erba o sul ponte della nave di turno, a sognare gesta memorabili, a raccontarsi miti e storie fantastiche di draghi e spiriti e creature forti e strane come i pokemon. Parlavano dei pokemon leggendari, e dei loro smisuarti poteri. Parlavano degli Okeanos, finchè venne il giorno in cui tutti e tre riuscirono a instaurare un rapporto d'amicizia con queste nobili creature.
Ada pensò a come Ivan li avesse cambiati: da quando Sirius era morto, Alan si chiudeva sempre di più in sè stesso, divorato dal senso di colpa.
Passarono circa sei anni prima che Ivan, allora tredicenne, arrivasse al campo con una brutta ferita sul viso e ridotto in condizioni pessime.
Dapprima Alan non se ne curò, ma quando Ivan gli salvò la vita al fiume cominciò a considerarlo diversamente.
Un'ombra distolse la Corsara dai suoi pensieri.
Guardò quel corpo che si muoveva furtivamente, e riuscì a distinguere ua seconda sagoma che si avvicinava timidamente a Ivan.
Rossella.
Ada sorrise.
Notte insonne per tutti.
La donna sistemò meglio la sua posizione, in modo da vedere senza essere vista.
Sorrise, pensando che forse quella notte fosse propizia anche per quei due.

Ivan guardava le stelle sovrappensiero.
Quel pomeriggio Damson e la sorella gli avevano detto che c'era un nome anche per gli Okeanos di fiume: recentemente, la comunità scientifica li aveva chiamati Kraken.
Dragoni, Leviatani e Kraken.
Ivan sorrise lievemente, al pensiero. Alan era molto felice di quella scoperta.
Ma subito la realtà ripiombò nella sua mente: tre giorni ed Eskraas non tornava con Max.
Il Capo Idro cominciava a perdere le speranze.
Ma no, non potevano abbattersi in quel momento!
Ivan strinse i pugni: no, Max non poteva abbandonarlo.
Proprio ora che forse potevano andar d'accordo!!
Sentì dei passetti leggeri annunciare l'arrivo di un intruso, poi una voce timida da dietro richiamò la sua attenzione.
"Ehm... scusa... posso mettermi vicino a te?" disse la voce tutto d'un fiato.
Ivan ruotò la testa verso l'intrusa, e sobbalzò lievemente dalla sorpresa.
Rossella. La sua amata Rossy.
La guardò per un istante, incantato, poi si accorse che tremava leggermente per il freddo.
Dopotutto non portava la divisa, ma una semplice maglietta bianca che lasciava intravedere di poco le forme e dei pantaloncini grigi che terminavano sulle ginocchia esili.
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"Vieni, dai" le rispose, facendole spazio sotto le coperte e alzandole per farle spazio.
La ragazza si mise vicino a lui, arrossendo.
"Come mai sei venuta qui?" le chiese gentilmente Ivan.
"Bè... non riesco a dormire bene ultimamente... Sono un pò agitata per Max... e ho pensato che venire qui mi calmasse..."
"Anche io sto in pensiero..."
Rossella si girò verso di lui, sorpresa.
"No, Rossella, io e lui possiamo essere solo amici" precisò, imbarazzato.
"Tranquillo... io... non ho nulla in contrario..." balbettò lei, rannicchiandosi su sè stessa per il freddo.
Le coperte non erano sufficientemente pesanti, forse il pirata non soffriva più di tanto la mancanza di calore.
Ivan la osservò per un pò.
"Rossy, potevi dirmi che continuavi a sentire freddo..." le sussurrò, sfiorandola su un fianco per farle capire che voleva stringerla a lui.
Rossella non ci pensò due volte, quel contatto la faceva fremere, e fece scorrere le braccia fini sulle grosse spalle del Capo Idro, mentre Ivan le stringeva dolcemente i fianchi.
La Magmatenente di colpo non sentì più freddo, forse per il calore che il Corsaro emanava, forse per il fuoco che la bruciava dall'interno.
Ivan rabbrividiva sentento il suo corpo al contatto col suo: il viso di lei che affondava nel suo collo, i piedi che sfioravano i suoi, i seni che premevano sul suo petto.
Represse i suoi istinti più bassi e primordiali, non voleva rovinare quel bel momento con lei con cose sconcie.
Per un pò regnò la calma tra i due, confortati un poco dalla presenza dell'altro.
"Sai, Rossella?" mormorò Ivan, interrompendo la pace.
"Noi Corsari, per navigare e volare, ci orientiamo con una costellazione. Guarda" dicendo così indicò il cielo.
Rossella lo guardava mentre indicava delle stelle, alcune molto luminose, altre no. Non sapeva molto di astronomia, solo le basi.
Notò che la costellazione ricordava un serpente alato.
"Noi la chiamiamo il Drago Polare, perchè la testa ci guida verso nord. Ci sono tre stelle principali: Thuban, sulla "testa", Eltanin nel mezzo e Rastaban sulla "coda" ".
"Avete chiamato i vostri Okeanos con nomi di stelle?"
Ivan la guardò.
"Me ne ha parlato una vostra recluta...".
"... si, a me, Alan e Ada sembrava bello chiamarli come le stelle che ci guidano".
Rossella sbadigliò vistosamente, per accoccolarsi più vicino al pirata, infreddolita. Ivan la contemplò per un momento, così fragile e al contempo forte, anche se forse lei non se ne rendeva conto.
Era il caso di dirglielo?
"Ehm, Rossy..." cominciò lui.
"Mh?". La ragazza sollevò gli occhi assonnati verso di lui.
"Ehm... io... volevo darti questo" balbettò imbarazzato.
Dannazione, pensò Ivan. In trentotto anni solo in quel momento doveva confondersi?
Una vita passata a prendere decisioni all'ultimo momento, compiere gesti improvvisi e con la massima scioltezza, e ora che si doveva dichiarare?
Ma non si scompose, aveva comunque una possibilità.
"Volglio regalarti una cosa molto speciale" continuò, porgendo a Rossella una Pokèball.
La ragazza lo guardò, curiosa.
"C'è all'interno un Pokèmon molto caro e significativo per me, ma vorrei che d'ora in poi te ne prendessi cura tu, va bene?"
Rossella annuì, non sapendo bene come fare. Non sapeva se era all'altezza di prendersi cura di una creatura così importante per qualcuno.
"E' un Pokèmon d'acqua?".
"Bè, sì... non è neanche un pokemon raro, a dir la verità... ma quello che rappresenta, per me, è molto importante".
"Grazie..." sorrise grata la Magmatenente. Non pensava che Max avesse qualcosa in contrario se lei teneva un Pokèmon acquatico.
"Dai, ti porto in camera".
Senza attendere una risposta, Ivan avvolse Rossella tra le coperte e la prese in braccio.
Non era troppo pesante, e la trasportò senza fatica su per i tetti, attraverso l'entrata della torre e nella chiara oscurità dei corridoi con passo veloce e leggero.
 Mezza addormentata, Rossella si faceva cullare senza pensieri.
Semplicemente, le sarebbe piaciuto dormire insieme a lui...
Fare cose che solo le coppie fanno...
"Ecco, siamo arrivati" le sussurrò Ivan.
Peccato, pensò con dispiacere la ragazza. Ivan entrò nella stanza buia della donna per adagiarla sul letto matrimoniale. Non c'era molta luce, la finestra era sprangata, ma dei sottili raggi lunari si proiettavano sul pavimento. Oltre a quelli, solo la porta aperta "illuminava" il resto della stanza, decorata con un ampio armadio, una scrivania, e due comodini con due lampade.
"Tieni pure le coperte, me le ridarai domani" le sussurrò, per poi avviarsi verso la porta.
"Ivan" lo fermò lei. Lui si girò.
"Perchè fai tutto questo per me e per il Team Magma? Siamo stati rivali per più di dieci anni".
Ivan riflettè un momento. Rossella dopotutto aveva ragione, perchè ci teneva così tanto a coloro che per molto tempo erano stati i suoi nemici?
La risposta, però, non era così difficile: ricordò gli anni prima dei Team, quando lui, Max e gli altri si addestravano da giovani per entrare in quello che poi sarebbe diventato il Team Rocket. A quanto avevano condiviso in quei due mesi: paure, gioie, sconfitte, ed infine, la serenità di avercela fatta.
Ricordò quando, tanti anni addietro, erano venuti a contatto in modo inconsapevole.
Alle timide occhiate di Ottavio ad Ada, molto tempo fa nelle Foreste delle Isole Hauly.
Erano giovanissimi. Eppure...
Alla fine, lui e Max avevano legato molto, ma quei dieci anni sembrava che avessero cancellato tutto, lasciando posto all'odio e al rancore.
Guardò brevemente Rossella, ricordandosi di quella notte all'addestramento che l'aveva vista per quello che era.
"Perchè lo faccio? Perchè mi sono stufato di questo odio che c'è tra noi. Odio che ci siamo inventati solo perchè avevamo idee diverse. Non voglio più avere a che fare con voi se devo odiarvi ancora. E poi là fuori ci sono dei mostri che possono perfino prendere possesso dei corpi dei Pokèmon e di esseri umani. Rossella, io non voglio ritrovarmi a dover uccidere Max, Ottavio o te solo perchè fuori siete morti  e dentro avete un qualcosa che neanche è di questo mondo. Alan non è ancora uscito dal suo trauma di Sirius, dopo più di trent'anni ancora ne soffre! Io voglio solo un mondo senza quelle... cose... a portar sofferenza e morte ovunque vadano" sbottò.
"Voglio avere sicurezza, pace e certezze per me, Alan e Ada. Avere una ragazza, magari una moglie. Farmi una famiglia. Ma con quelle cose ancora in giro tutto questo non è possibile. Capisci?".
Per fortuna Rossella sorrise.
"Si, capisco".
Ivan voleva anche spiegargli una volta per tutte che era anche per lei. Che voleva un mondo dove lui non avrebbe temuto di vederla soffrire per un lutto, come era capitato al suo Alan. O perlomeno, avrebbe sofferto in misura migliore. Voleva dirglielo, dirgli che nonostante là fuori ci fosse solo la desolazione lui l'amava come non aveva mai amato nessuno.
Ma forse quello non era il momento giusto.
"Ehm, allora... buonanotte".
"Buonanotte, Ivan".
E il pirata se ne andò a dormire, improvvisamente stanco.

Rossella attese per un pò dopo che il Corsaro chiuse la porta, poi afferrò la Pokèball che le aveva regalato.
Un pokemon speciale, aveva detto. Un Pokèmon molto significante, per lui.
Rossella non sapeva se era all'altezza, regalare un pokemon così importante...
Premè il pulsante della sfera per liberare il Pokèmon all'interno, che uscì in un mare di stelle e luci.
Un Pokèmon shiny, pensò la Magmatenente coprendosi gli occhi con una mano.
Appena la luce si affievolì, abbassò la mano e sgranò gli occhi. L'esemplare davanti a lei era un...
"Luv!!".
Il Luvdisc dorato la osservava con i suoi occhietti curiosi.
Rossella lo accarezzò piano, commossa.
I Luvdisc si regalavano tra due coppie particolarmente affiatate, il fatto che Ivan le avesse regalato adirittura un esemplare cromatico...
Alla ragazza gli stavano venendo le lacrime per la felicità, mentre il pokemon Rendezvous si accoccolava vicino a lei.
Aveva letto, in una ricerca, le voci del pokedex riguardante quel Pokèmon, sul fatto che si regalavano alla persona amata come simbolo del proprio sentimento. Aveva letto che se una coppia ne trovasse uno, sarebbe destinata a vivere una passione infinita, e che la colorazione cromatica significasse un cuore puro e privo di malizia.
Rossella si sdraiò sul letto, col musino del Luvdisc vicino alla sua guancia.
Era certa del messaggio che Ivan le aveva mandato.
Si sfiorò le labbra con un dito, pensando a cosa avrebbe sentito se quelle stesse labbra sfiorassero quelle del pirata, che fino a quel momento le sembrava impenetrabile.
Dimentica della situazione critica al di fuori, si addormentò serena.
No, probabilmente Max non avrebbe approvato.  Lei lo sapeva con certezza. Ma non ci poteva far niente, anche se lo volesse non sarebbe riuscita a rifiutare Ivan. E lei non voleva. Aveva vissuto con Max tutta la vita, gli voleva bene come un fratello, e sperava che almento questo lui lo accettasse.
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"Credi che mi accetterano anche in queste condizioni?".
Eskraas osservava Max. Erano ormai davanti al portone della fortezza, avevano superato con successo anche le protezioni mangiche.
"Hanno accettato me, Max. E sto per avere un figlio. Rossella e Ottavio sono due tenenti fedeli, lo sai. E poi, meglio con noi che con Kelsett, non trovi?"
Il Capopalestra sapeva che era una realtà difficile da affrontare. Molti venivano rifiutati.
"Eskraas, loro sono una famiglia per me. Lo sai che non temo solo un rifiuto. Ho paura di fargli del male".
Sotto la luna Max sembrava più magro e ossuto di quanto non lo fosse in realtà. Erano entrambi parecchio stanchi, e Max dava segni evidenti di febbre.
"Pensiamo ad entrare, intanto".
Eskraas pronunciò una runa, che risplendè sul portone massiccio. Mentre si apriva, ricordò con curiosità di Pokèmon chiamati Unown nella regione di Jotho. Che fossero pokemon creati da antichi popoli stilizzando alcune rune?
Chi lo sa. Forse, appena avrà un pò di tempo libero, si metterà a fare una ricerca in proposito.
Sostenendo Max con un braccio, lo accompagnò alla sua stanza, quella più a est, e lo aiutò a cambiarsi e ad adagiarsi sul letto.
Scottava, aveva la febbre alta, ma riuscì ad addormentarsi.
L'indomani avrebbe detto che lo aveva trovato, finalmente. Si trasformò in lupo e si addormentò davanti alla porta.

Rossella si svegliò di buon umore, ma non ricordava perchè.
Si ricordava di una specie di sogno con Ivan. Sorrise al pensiero.
Era stato veramente un bel sogno.
Lo amava, ma non aveva il coraggio di palesare questo sentimento.
Tutti credevano che lei fosse attratta solo da Max.
Si chiedeva il perchè.
Forse perchè la vedevano così attaccata a lui.
Ma non conoscevano il loro passato.
Ma Ivan... per lui la cosa era diversa.
Poi un musino giallo si strofinò contro la sua guancia, attirando la sua attenzione.
Il Luvdisc!
Rossella si girò di scatto, guardando il pokemon che si era addormentato insieme a lei sul suo stesso cuscino, e che ora la leccava affettuosamente per svegliarla.
La donna si mise a sedere, con i capelli viola ancora scompigliati e gli occhi assonnati.
"Dovrai avere fame... dammi il tempo di sistemarmi e andiamo a fare colazione, va bene?".
Luvdisc emise un verso gioioso, Rossella lo accarezzò per un pò per poi lasciarlo libero di scorazzare per la stanza.
"Non lasciare Squame Cuore in giro, ok?" ridacchiò.
Tempo di farsi una doccia e di vestirsi che già Allenatrice e Pokèmon erano fuori dalla camera.
Per fortuna che aveva conservato l'abitudine di svegliarsi presto, molte reclute di vari team si stavano avviando in quel momento per far colazione, insieme a capi e tenenti.
Ma non vedeva Ivan.
Rossella si fece strada tra le reclute e adocchiò Cyrus.
Il capo Galassia le aveva sempre messo paura, a prima vista sembrava un tossico appena uscito dal centro riabilitativo.
Rossella sapeva che era una grande mente, freddo e privo di emozioni quasi come Max.
Ma metteva paura lo stesso.
"Cyruuuus!!" lo chiamò.
"Mh?" lo scienziato si voltò impassibile.
"Hai visto Ivan?".
Cyrus restò un attimo in silenzio prima di parlare. Aveva le occhiaie, aveva passato la notte insonne, ma non dava segni di stanchezza.
"Penso che si sia addormentato in biblioteca. L'ho lasciato lì ieri, e non credo che si sia mosso"
"Ok, gra... no aspetta, cosa ci facevi in piedi?"
"Affari miei" rispose con un tono che non ammetteva repliche, per poi sparire tra la folla.
Rossella lo guardò, perplessa, per poi correre nella biblioteca, al primo sotterraneo con un Luvdisc al seguito, senza badare alle reclute che travolgeva.
Voleva solo vedere Ivan.
Quello era il suo pensiero.
Non si chiese neanche perchè lui fosse lì.
Luvdisc, allegro, cercava di tenere il suo passo, usando Agilità per accelerare.
Dopo un paio di rampe di scale fatte di corsa, Rossella raggiunse la biblioteca, una vastissima sala circolare disseminata di scaffali e tavoli e lanterne.
Le pareti, forse in pietra, erano coperte fino al soffitto da alti scaffali, ricolmi di libri, come quelli che occupavano i lati della sala, formando un corridoio centrare per permettere il passaggio.
Tra uno scaffale e l'altro c'era abbastanza spazio per ospitare una fila di tavoli con sedie.
Regnava il silenzio più assoluto, interrotto solo dal fruscìo dei Prophergy e dei Wisetome, Pokèmon provenienti da Sereal a forma di fogli e di libri.
Luvdisc, rendendosi conto di dove si trovava, rimase in silenzio.
Rossella era meravigliata, tutti quei libri... chissà quanta storia, quante nozioni, quanto sapere contenevano quei volumi.
"Luv!" pigolò piano il pokemon, guidandola verso l'ultima fila di scaffali non addossati alla parete.
Ivan era proprio lì, addormentato su un librone aperto, con i capelli neri spettinati e una pila di volumi ancora da consultare. Russava lievemente.
Rossella rise piano, era così buffo. Si chiese cosa l'avesse spinto ad andare fin laggiù, e cosa cercasse.
Gli sfiorò una spalla, cercando di svegliarlo nel modo meno brusco possibile.
"Ehi, Ivan..."
Sentendo la sua voce e il suo tocco, il possente Corsaro si svegliò di soprassalto.
"Eh? Cosa? Dove?"
"Ivan, sono io, Rossella. Sei in biblioteca" sussurrò lei.
"Oh, già...".
Ivan si ricompose, cercando di darsi un contegno. Poi vide Luvdisc, e il suo piano di essere serio sfumò.
"L'hai... l'hai visto allora...".
"Ivan. E' stupendo...".
Rossella socchiuse gli occhi, afferrando dolcemente la mascella dell'altro e avvicinandosela. Ivan non se lo fece ripeter due volte, si alzò e l'abbracciò sui fianchi, facendo aderire il suo corpo su lei, sfiorando le sue labbra con le sue, chiudendo gli occhi e lasciandosi travolgere.
Sentì il cuore in tumulto, il sangue affluirgli al cervello, e quelle labbra che sapevano di salsedine pian piano affondare nelle sue.
"Capo! Tenente!".
Due voci, una maschile e una femminile, infransero l'atmosfera.
Ivan sospirò, mentre i pokemon di Sereal continuavano indisturbati il loro lavoro.
Si sentirono dei passi veloci su per le scale, e il Capo Idro e la Magmatenente si avvicinarono, incerti.
A un certo punto si sentì uno dei due scivolare e cadere giù per le scale.
Ivan distinse con divertimento un giovane con la divisa Magma, che atterrò malconcio davanti a loro.
Subito il ragazzo si rialzò, cercando di simulare sicurezza, raggiunto poi da una recluta Idro chiamata Thunder.
"Tenente Rossella, signor Ivan, abbiamo una notizia" cominciò con modi professionali.
"Uh, avanti Furl, sii più rilassato" ridacchiò la ragazza.
"Ma Thunder... rimango sempre una recluta Magma, anche se siamo... ehm...".
Il giovane arrossì.
"Siete cosa?" disse Ivan, fingendo un tono minaccioso. Gli piaceva spaventare le reclute Magma.
"Capo, io e lui stiamo insieme. E a quanto vedo non siamo l'unica coppietta Magma-Idro..." rispose lei, guardando maliziosa il Luvdisc che girava vivace intorno a Rossella, che cercava di calmarlo.
"Aehm... cosa ci dovevate dire?" disse affrettatamente la Magmatenente per cambiar discorso.
"Ah, sì. Hanno ritrovato il Capo, Max!" rispose rapido il ragazzo, che doveva chiamarsi Furl.
Non fece in tempo a dirlo che già Ivan er partito in quarta per raggiungere il rivale.
"Ivaaaan!" gridò Rossella, cercando di stargli dietro, seguita a ruota dalle due reclute.
La donna riuscì a stento a raggiungere l'altro, mentre le reclute degli altri team gli facevano spazio, incuriosite.
"Ivan, ci stanno guardando tutti" ansimò Rossella.
"Che vadano da Luxor! Io voglio vedere Maxie!" rispose lui determinato.
Mancava solo un piano, un piano che li separava dalla camera dove doveva dormire Max.
... Ma le persone cambiano.
Ora più che mai.
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...

"Mai!!! Mai e poi mai!!" gracchiò Max.
Erano tutti riuniti in camera sua: il licantropo Eskraas, il solido Elisio e l'enigmatico Blackthorn di Teyrnas.
"Oh, avanti Max, non sei più un bambino capriccioso. Prima o poi lo verranno a sapere. Non credi che gli piacerebbe saperlo da te?" rispose annoiato Elisio.
Il Capo Flare si era ormai stufato di sentirlo lagnarsi. Va bene che stava subendo qualcosa di irreversibile, ma bisognava tirare avanti.
"Facile per te!! Non sei tu il mostro qua dentro!!" gli gridò di rimando Max, sdraiato sul suo letto, immobile come una statua e vestito con dei semplici vestiti di fibra vegetale.
Max aveva imparato fin da piccolo ad evitare i vestiti di pelle per svariati motivi.
"Guarda che anche io sono nella tua stessa situazione. Sono considerato per caso un mostro dalla mia comunità? No. Sono stato maltrattato e rifiutato? No. Devi capire che tutti ti accetteranno qui a Raqalis. Ormai il cambio di forma è diventato un fenomeno naturale per noi" disse semplicemente Eskraas, che si era seduto sotto a una finestra.
"Oh, certo, vogliamo parlare anche dell' altro licantropo? Cosa gli hanno fatto, eh? L'hanno cacciato a sassate" rispose Max, spaventato.
Un'ombra di dolore passò sul volto del Capopalestra.
"Max, ne abbiamo già parlato. L'hanno cacciato per accuse di tradimento, anche se non vi erano prove sufficienti..."
"E' lui che mi ha ferito" sibilò Max.
Dopo quell'affermazione, per un pò regnò il silenzio.
"Suppongo che non sappiate il perchè dell'attacco, giusto?" chiese Blackthorn.
"Vedete, anche a Teyrnas in passato si raccontavano fenomeni simili con gli Shreddeam e... "
"Blackthorn, sono due cose un pò diverse..." rispose Eskraas.
"Ma ugualmente pericolose" insistè il professore.
"Secondo me c'è un collegamento".
Eskraas fece spallucce.
In quel momento si sentì un vociare assurdo fuori alla porta, e dei colpi potenti alla porta, seguiti dalla voce di Ivan.
"Maaax, ci sei??".
I quattro uomini guardavano la porta, stupiti.
"Che dire, tempismo perfetto" commentò Elisio.
"Vedi, Max? Già ti cercano. Ivan e il tuo Team erano preoccupati per te".
"Pfff, il Team Idro preoccupato per me, il loro rivale. Elisio, alla fine di questa guerra torneremo ad odiarci come prima, ammesso che riusciremo a sopravvivere".
"Max, eventi grossi come le guerre cambiano gli uomini, sconvolgono le loro vite, mettono a nudo verità che neanche sapevamo che esistessero. In guerra è facile legare, c'è una situazione critica in comune, e questi legami si evolvono e maturano diventando più forti di qualsiasi altra cosa. Tu e Ivan avete più cose in comune di quanto pensiate, basta guardarvi".
Max sospirò, poco convinto.
"Pensala come vuoi, Max, ma da questa guerra ne uscirai sicuramente cambiato. Ora, se permetti, io ed Eskraas andiamo a tranquillizzare Ivan e gli altri..."
"E io? Cosa mi consigliate di fare?"
Eskraas lo guardò per un momento.
"Potresti dormire per una buona volta. Dormi sempre pochissimo".
In effetti aveva ragione: Max era abituato a dormire poco e quando ve ne era bisogno...
"Pensa a qualcosa di bello, Max. Che ne so, un episodio del tuo passato particolamente caro".
Così dicendo, i tre uscirono dalla camera, lasciando il Capo Magma da solo con i suoi pensieri.
Un evento particolarmente caro?
Max sorrise lievemente, posando gli occhiali sul comodino.
Oh si, aveva bei ricordi di quando era nelle Foreste delle Isole Hauly.
Continò a sorridere anche mentre scivolava pian piano nel sonno, rivivendo ricordi passati.

"Allora?" chiese in ansia Ivan.
Rossella lo abbracciava su un fianco, guardando Elisio turbata.
"Non sta bene, ma fra poco potete vederlo. Tornate ai vostri compiti" rispose impassibile, e si allontanò seguito dagli sguardi dei due e di alcune reclute curiose.

...

 [...] Da tali studi è emerso che il sonno non è costante, ma costituito da cicli, ciascuno dei quali consta una fase NREM, ovvero "sonno ortodosso", e una fase REM, ovvero "sonno paradosso" poichè sono stati osservati movimenti della pupilla; in quest'ultima fase si hanno i sogni.

Era autunno, e le foglie rosso fuoco cadevano poco a poco dai rami risecchiti degli alberi decidui.
Un occhio esperto avrebbe notato sicuramente un bambino di circa cinque anni appollaiato su un ramo.
Come ci era arrivato?
Non lo sapeva neanche lui.
Max guardava le foglie danzare per poi cadere.
Non voleva ricordare.
Ricordare il "prima".
Da quell'incendio i ricordi divennero sfumati, confusi, e non sapeva neanche più dov'era, chi era, da dove veniva.
Voleva solo restare lì, nel suo sconforto che neanche riusciva a comprendere.
Perchè?
Perchè proprio a lui?
Si raggomitolò su sè stesso, lasciando che sottili e silenziose lacrime gli rigassero il volto.
Gli mancava la mamma, il papà, ma soprattutto il suo fratellino.
Suo fratello dipendeva totalmente da lui.
E Max non riusciva a capire perchè, invece di aiutarlo, fosse fuggito.
Era spaventato, sì.
Quelle cose scure e cattive erano venute sibillando.
Avevano ucciso i suoi genitori e i loro pokemon senza tanti problemi, incendiando la casa e finendo con i due bambini.
E loro erano riusciti a scappare. O perlomeno solo lui.
Max si strinse ancora di più su sè stesso, singhiozzando.
Aveva sentito le urla di dolore dei suoi genitori e le grida straziate dei pokemon caduti e di quelli che si stavano trasformando in Shining Shadow.
E poi?
Poi ricordava un posto scuro che lo portava lontano, e alcuni che lo abbandonarono lì, mormorando che era troppo debole.
Che sarebbe morto.
Parlavano una lingua che lui conosceva benino, era la lingua di suo padre e ogni tanto gliela insegnava.
Il Teyrn.
Poi un cane dagli occhi di cristallo, e altra oscurità.
Max piangeva senza freni, tanto chi lo avrebbe ascoltato?
Chi lo avrebbe accolto?
Chi ormai gli avrebbe ancora voluto bene?
Chi lo avrebbe voluto?
Forse avevano ragione.
Era troppo debole.
Troppo brutto.
Troppo codardo per essere accettato.
Gli mancava terribilmente la sua famiglia.
Gli mancavano i pokemon con cui lui e suo fratello giocavano.
Piangeva a dirotto, gridando di tristezza.
Una foglia si posò sulla sua testa, incastrandosi tra i capelli rossi del bambino.
Max la prese e la guardò per un momento, asciugandosi le lacrime.
Poi guardò su.
Un gesto naturale, semplice.
Due grandi occhi viola lo stavano osservando e Max sobbalzò dalla sorpresa.
Poi notò che gli occhi avevano in mezzo anche un naso, una bocca, insomma, appartenevano a un altro essere umano.
L'altro saltò per raggiungere il robusto ramo dove Max si era sistemato.
"Ciao!" salutò.
Max lo osservò bene. Era più piccolo di lui, sembrava animato da uno spirito curioso.
Occhi viola scuro vivaci e attenti, viso ben proporzionato e capelli violacei.
Di corporatura era snello ma forte.
"Ciao" ripetè.
Parlava un dialetto strano del Teyrn, ma Max lo sapeva capire ugualmente.
"Ti ho visto mentre piangevi. Cosa ti succede?".
Max non rispose.
Aveva imparato a non fidarsi.
Chi era?
"Hai una famiglia?" continuò.
Max scuotè la testa per indicare dissenso.
"Oh..." l'altro sembrò veramente dispiaciuto.
"Anche da noi capita, a volte. Degli amici miei non hanno la mamma, o il papà, o tutti e due".
Max alzò lo sguardo. Aveva detto "noi"?
"Ma noi Harlain siamo forti!" continuò il bimbo, ergendosi in tutta la sua minuscola statura.
"Ho altri sette fratelli, nessuno di noi è morto, e abbiamo ancora una madre e un padre" disse orgoglioso.
Poi rimase a guardare Max per un pò.
"E tu?"
Max abbassò la testa. Come faceva a raccontare il suo corto passato quando nemmeno lui riusciva a sopportarlo?
"Ok, va bene, non ne vuoi parlare. Ma almeno mi vuoi dire il tuo nome?".
Il bambino gli tese la mano.
"Sai, i grandi fanno così quando si incontrano per la prima volta. Possiamo farlo anche noi due, eh? Io mi chiamo Ottavio Harlain. E tu?"
Max sapeva di quel gesto, e sorrise impercettibilmente.
Afferrò la mano del bambino chiamato Ottavio e gliela strinse.
"Mi chiamo Max"
"Non ricordi il nome della tua famigia?".
Max dissentì una seconda volta.
"Pazienza. Avrai ancora il simbolo della tua famiglia, no? Papà li conosce molto bene, forse ti può aiutare. Vieni, seguimi, ma stai in silenzio e fà quel che faccio io".
Max seguì incerto Ottavio, che con passo veloce s'inoltrava nelle foreste.
Max non si ne era reso ancora conto che si trovava nelle Isole Hauly.
Posti strani, con pokemon altrettanto strani.
Ma affascinanti.
E pericolosi, per gli inesperti.
Ottavio procedeva con passo svelto e sicuro, badando a non lasciare tracce e non fare rumori.
Max lo seguiva come meglio poteva, intimorito dai rumori, dai colori, dagli odori che aumentavano d'intensità mano a mano che entravano nel cuore della foresta.
Sentiva i rumori e i versi dei pokemon e degli animali attorno a lui, eppure Max ancora non riusciva a distinguere un essere da un altro.
Ma dopo un certo punto i suoni cominciarono a decrescere, finchè sbucarono in una minuscola radura coperta completamente dai rami degli alberi, in modo che la luce non filtrasse quasi per niente.
Ottavio, in silenzio, gli fece segno di stare immobile, e iniziò a canticchiare qualche nota incerta.
Doveva essere un richiamo, perchè il bambino ripeteva sempre la stessa melodia sempre più sicuro e più forte.
I suoni del ragazzino si incastravano perfettamente nell'ambiente circostante, senza attirare predatori di alcun genere.
Sembrava che evocava delle immagini fatte per tenere lontani gli intrusi.
...
Max riuscì a prevederlo un secondo prima che accadesse.
Qualcuno lo sollevò da dietro facendo passare le mani sotto le braccia e cominciando a correre, un momento a terra e poi subito dopo arrampicandosi sugli alberi, per saltare magari qualche fosso, qualche stagno, qualche ostacolo.
Max si sentiva stretto a un corpo di qualcuno molto più grande, più agile e più forte di lui.
Vedeva sotto di lui il terreno scorrere a una velocità spaventosa.
Poi, sempre correndo, uscirono all'aperto un una valle troneggiata al centro da un maestoso albero millenario su cui sorgeva una specie di villaggio, protetto damura fatte in pali di legno. L'albero faceva ombra a quasi la maggior parte del villaggio, ma non mancavano gli spazzi per alcuni campi, dove uomini, donne e pokemon lavoravano la terra.
Entrarono da una delle porte principali e il ragazzo che teneva in braccio Max si fermò soltanto davanti a un'apertura delle radici dell'albero, ansimando.
"Bene, Ottavio, ora mi dici chi ho trasportato?" disse il ragazzo con tono beffardo.
Una ragazza sui diciassette anni posò Ottavio a terra.
"Bè, sarà un amico, Kotick" rispose lei.
Il ragazzo che doveva chiamarsi Kotick, che non dimostrava più di quindici anni, la guardò con aria di sfida.
"Ho chiesto a Ottavio, non a te, Alba. Allora?" rispose beffardo.
"E' un mio amico. Si chiama Max, non ha famiglia" rispose tranquillamente lui.
"Oh, povero tesoro" mormorò dispiaciuta la ragazza chiamata Alba.
"Senti, Max, io e questo testone di Kotick siamo i più grandi della famiglia Harlain, e ci tocca sempre badare ai più piccoli come la peste qui presente" indicò Ottavio, che ridacchiò.
"Per noi non è un problema adottarti. Non hai nessuno che si prenda cura di te, no? Non hai un posto fisso, quidi ti va di stare qui?"
Max si guardò intorno. Era un bel posto, le persone lavoravano con energia e brio, fermandosi anche per scambiarsi informazioni o consigli. C'erano persone che evidentemente venivano dalle grandi città, perchè non erano vestite con indumenti naturali.
Kotick corse via, riprendendo le sue attività.
Il sole stava per calare, e Alba accompagnò i due bambini dentro l'albero cavo all'interno.
Era sorprendente come la Natura operasse sulle sue creature, aiutata da una bella dose di magia degli abitanti delle Foreste, che riescono a manipolare attraverso l'energia dei loro pokemon l'ambiente circostante.
Una specie di scala a chiocciola scolpita nel tempo sosteneva l'intera struttura, permettendo anche di salire e scendere con comodo da un piano all'altro.
Altre scale si srotolavano sulle pareti per permettere l'accesso alle stanze del piano.
Dei fuochi fatui illuminavano l'interno, e sembrava che lo stesso albero dentro brillasse debolmente.
Lì non c'erano molte persone, se non qualcuna che usciva da una stanza per poi rietrare in un altra, seguiti da qualche pokemon Erba.
Forse dei medici.
"Venite" sussurrò Alba, conducendoli su una rampa ed aprendo una porta che dava in una saletta che sembrava essere creata direttamente dall'albero e non scavata dalla magia.
All'interno c'era qualche letto a terra, costituito da un semplice materasso vegetale con cuscino e coperte.
C'erano solo due persone in quel momento: un uomo che parlava a una donna al nono mese di gravidanza.
"E' arrivata qui una settimana fa, senza dirci cosa le era successo" spiegò Ottavio perplesso.
"Disse solamente che il padre era scomparso. Te l'ho detto che capita spesso...".
La vocetta di Ottavio interruppe la conversazione tra i due, che si voltarono.
La donna era giovane, ma era molto debole.
Pareva svuotata di ogni energia.
L'uomo, al contrario, era in tipo che infondeva ottimismo e allegria.
Portava un paio di occhiali neri e sottili e vestiti da esploratore.
Doveva essere il padre di Ottavio e dei suoi fratelli.
"Oh, Ottavio, sei già tornato. Chi è il tuo nuovo amichetto?".
"Si chiama Max. Non si ricorda la sua famiglia" rispose in fretta Ottavio.
"Oh, vieni qui".
L'uomo fece segno a Max di avvicinarsi, mettendosi in ginocchio per abbassarsi alla sua altezza.
Gli levò la maglietta sporca che indossava chissà da quanto, mettendo a nudo il corpicino pallido ed esile.
Sulla clavicola sinistra però spiccava un simbolo nero raffigurante due spade incrociate con una lama rivolta verso il basso, sovrapposte a un libro stilizzato aperto. Il tutto era racchiuso in un anello.
L'uomo sembrò colpito.
"I Ravenclaw... Max, non so chi tu sia e da dove provieni, ma hai alle spalle un'ottima famiglia. Ehi, Andromeda, guarda qui, il simbolo dei Ravenclaw! E' da secoli che non ricompare".
La donna rivolse un sorriso stanco a Max.
"La famiglia si estinse tempo fa" mormorò.

Il tempo passò.
La famiglia di Ottavio accolse calorosamente Max, che legò in particolar modo anche con Kotick, anche se era molto fastidioso a volte, e con Toomai, che aveva la sua stessa età.
Capitava molto spesso che l'intera si muovesse nella foresta circostante per cacciare e per istruire i più piccoli.
I più grandi, come appunto Kotick e Alba, erano già esperti e si muovevano silenziosamente, come se facessero parte del sottobosco o dei rami degli alberi, a seconda dei casi.
Max era quello che invece creava più impiccio tra tutti, superando appena Ottavio, che comunque era nato lì.
Gli mostrarono come la conoscenza fosse la chiave di tutto: lo aiutarono a capire e a prevedere i pokemon della zona per evitare i predatori, per richiamarli o scacciarli, gli insegnarono a come vivere in equilibrio.
Nelle giornate di pioggia invece lui, Ottavio e Toomai rimanevano nell'albero per evitare di bagnarsi. In quelle giornate si mettevano a giocare agli enigmi, o a disegnare, oppure la mamma di Ottavio, un'amazzone di tutto rispetto, gli insegnava a interpretare le rune. In verità Max e Toomai non ci capivano un gran che, Ottavio era invece curiosissimo e imparava in fretta. Sempre più spesso si rifugiavano nella stessa stanza dove la donna di nome Andromeda riposava
Era proprio un giorno di pioggia qualunque quando un altro evento segnò Max.
"Allora? Vi ricordate almeno questa?" chiese spazientito Ottavio, disegnando con tratto incerto l'ennesima runa.
"Otty, devi capire che non tutti sono appassionati di rune come te" aggiunse un Kotick alquanto spazientito.
Il ragazzo stava cercando una cartella contenente alcuni studi sui Folieroot del padre, aiutato da Toomai.
Ottavio continuò a disegnare.
"Comunque era la Runa d'Unione" bofocchiò cupo.
"Fà vedere!".
Toomai si era stancato del lavoro e aveva strappato dalle mani del fratellino il foglio.
"Ehi!" gridò Ottavio, cominciano a ricorrerlo in giro per la stanza. I due bambini gridavano, uno per il divertimento e l'altro per la rabbia.
Andromeda li osservava, silenziosa come sempre.
"Ma insomma, la volete smettere?" disse seccato Kotick, afferrando i due bambini.
"Non ci siete mica solo voi! Toomai, dai il foglio a Ottavio".
Max osservava la scena distratto. Capitava che i suoi due amici litigassero.
Toomai restituì il foglio al fratello, che ricambiò con una linguaccia.
Kotick trovò la sua cartella e stava per andarsene, quando un gemito partì dal fondo della stanza.
Un silenzio innaturale calò per la stanza per qualche istante.
Improvvistamente dal corpo della donna una macchia scura si allargava, segno che le lenzuola si erano infradiciate.
Max non capiva, ma Kotick li spedì subito fuori urlando, correndo a chiamare i genitori.
Generò una tale confusione e caos tra i tranquilli figli della foresta che per alcuni minuti Max, Ottavio e Toomai non capirono un gran che.
Poi finalmente riuscirono ad aggrapparsi ad Alba e a farsi dare una spiegazione soddisfacente.
La ragazza li trascinò in un angolo meno rumoroso, non riusciva neanche ad urlare, il popolo sembrava più agitato del solito.
"Che succede?" chiese Toomai.
"Andromeda muore?".
"Forse, fratellino. Sua figlia sta per nascere".

Tre ore.
Tre lunghissime, estenuanti ore.
I tre bambini cercavano di giocare con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Il maltempo stava cessando, ma non potevano uscire ugualmente.
Tre ore.
Tre ore ad aspettare.
Max non capiva bene, era vagamente preoccupato, la donna non sembrava particolarmente forte.
Ma gli avevano insegnato che non era tutto la forza.
La base di tutto era la conoscenza.
E Max lo sapeva.
Se avrebbe saputo difendersi suo fratello sarebbe vissuto.
Per questo pian piano si stava chiudendo in sè stesso, limitando le amicizie a Toomai, Ottavio e alla loro famiglia.
Gli bastavano loro.
Tre ore.
E finalmente qualcosa accadde.
Si sentì, dopo un travaglio doloroso, un ultimo grido, e poi dei singhiozzi di un neonato.
Le persone che erano dentro l'Albero alzarono gli occhi, senza smettere di chiacchierare.
Erano strani, i figli della foresta.
Dalla stanza uscì il papà di Ottavio con le mani completamente lorde di sangue, e fece ai tre bambini segno di entrare.
Dentro la stanza faceva più caldo, e Max notò subito Andromeda con un fagotto tra le braccia da cui provenivano alcuni vagiti sommessi.
La donna sembrava essere ancora più smagrita e debole prima del parto.
Max si avvicinò a lei e al neonato.
"Guardala, Max" mormorò la donna.
Era davvero una bella bambina, era sana, pallidissima e con la prima peluria viola/nera che ben presto avrebbe fatto posto ai capelli veri e propri.
"Non so che nome dargli... il padre era un appassionato del fuoco..." sospirò.
"Max. Prometti che te ne prenderai cura? Vero?"
Max non sapeva che fare. Sentiva le lacrime riaffiorare.
"Oh, avanti Andromeda. Non morirai ne ora ne mai" ribattè il papà di Ottavio mentre si ripuliva le mani.
"Qualunque cosa accada, me lo prometti?"
Max scuotè la testa in segno d'assenso.
"Bene". Andromeda si rilassò per un momento.
"Che ne dici di Fiammetta?".
Max guardò la bambina che dormiva, e un ricordo gli attraversò la mente.
Sua madre.
Che gli parlava di una sorellina.
Ne erano entusiasti, lui e suo fratello.
Non riuscì a trattenersi.
"Ti prego, chiamala Rossella!" sbottò.
Andromeda lo guardava.
Max si asciugò una lacrima.
"E-ecco... Mamma voleva una bambina. Voleva chiamarla Rossella. Ti prego!"
Quel ricordo improvviso lo aveva sconvolto.
Andromeda sorrise debolmente.
"Rossella Jordis... si suona bene. Stalle accanto, Max..."
Andromeda chiuse lentamente gli occhi per sempre.
Max allungò la mano, avvolgendo la manina minuscola della piccola Rossella.
Nel sonno, la piccola gli afferrò il dito, sorridendo come solo i neonati sanno fare.
"Ciao Rossella. Benvenuta fra noi".
La baciò sulla fronte, prima che la portassero nella sua culla.

Gli anni passarono, e Rossella crebbe in fretta.
Il tempo volò, gli anni passavano.
All'improvviso Max si ritrovò a dodici anni a correre per i sentieri delle Foreste insieme alla famiglia Harlain.
Era nel ristretto gruppo dei battitori, cercavano di catturare un Nahzguard troppo audace.
Si era spinto fino al loro villaggio rovinando i magri raccolti e sbranando le persone incaute.
Già si era portato via due suoi amici, e per poco Rossella, che allora aveva sette anni, non finiva dritta nelle fauci del Pokemon.
Era davvero una faticaccia badare a lei. Era una bambina curiosa ma fragile, non avendo genitori sin dalla nascita si sentiva spesso sola.
Piangeva spesso e Max e Ottavio erano sempre lì a consolarla.
Lei si avvicinava solo a loro, e si calmava subito con la loro presenza.
Ma riusciva ad allontanarsi senza che nessuno se ne accorgesse, e questo era fonte di stress per Max, che ormai la vedeva come una sorellina che non aveva mai avuto.
Sentiva i ruggiti rabbiosi del pokemon quando il secondo gruppo di battitori, con polveri di Parasect e getti d'acqua dei propri pokemon lo facevano deviare.
Max correva fino quasi volare, sentiva il grosso Pokemon correre sul sentiero parallelo al suo senza accorgersi della sua presenza.
Poi qualcosa andò storto.
Non aveva calcolato che il sottobosco finisse su una curva improvvisa del sentiero principale.
Max si ritrovò, prima di rendersene conto, proprio davanti al Pokemon ferito e furibondo.
Nahzguard ruggì incollerito, e appena lo vide si slanciò in avanti e, con un salto formidabile, lo atterrò per ucciderlo e portarlo nella sua tana per mangiarselo in pace.
La violenza con cui sbattè al suolo lo paralizzò, sentiva gli artigli del Pokemon Rovente lacerargli la pelle delle spalle con i potenti artigli.
Sentiva perfettamente il calore opprimente della criniera di fuoco bruciargli la pelle.
Era finita.
Non era riuscito neanche a raggiungere il suo piccolo coltello di rame, assicurato alla cintura.
Lo stava per uccidere.
Chiuse istintivamente gli occhi, ma poi li riaprì subito dopo: voleva guardare la sua morte in faccia.
Gli occhi violetti del Pokemon incontrarono quelli verdi del ragazzino.
Ed esitò.
Max lo guardava paralizzato: quegli occhi trasudavano rabbia ma anche disperazione.
Aveva capito perchè il Pokemon si era spinto fino a loro, incurante del pericolo.
Era rimasto senza parole.
Troppo tardi sentì il fischio di una freccia che colpì in mezzo alle costole del Nahzguard, facendolo ruggire di dolore.
Max, senza curarsi delle artigliate, rincorse il pokemon più velocemente possibile.
Era difficile con le ferite che bruciavano e che colavano sangue.
Ma sapeva che era necessario.
Percepiva gli altri seguirli, se avessero scoperto il nascondiglio del Pokemon avrebbero sicuramente fatto una strage.
Era comprensibile, era periodo di carestia e gli umani non erano i soli a soffrire la fame.
Max perse di vista il Nahzguard, era giunto davanti a una piccola piana dove la foresta finiva di botto.
Da un lato si ergevano delle basse colline in cui delle caverne buie conducevano sottoterra.
Il ragazzino sentiva il resto dei cacciatori avvicinarsi, e doveva fare in fretta.
Le orme irregolari accompagnate da una leggera scia di sangue rivelavano dove il Nahzguard si era rifugiato: in una corta e bassa caverna.
Max in quel momento ringraziò lo Spirito per avergli donato una costituzione esile e minuta.
S'infilò dentro il cunicolo arrivando in una piccola tana dove il Nahzguard si stava lentamente spegnendo.
La freccia lo aveva colpito in un punto vitale.
La criniera di fiamme illuminava debolmente il resto della caverna, rivelando il corpo smagrito e senza vita della compagna, più qualche scheletro dei cuccioli defunti.
Max li guardava triste.
Voleva che un giorno le carestie finissero.
Il maltempo e la terra sterile erano flagelli a cui nessuno poteva sottrarsi.
Se ci fossero stati più continenti...
Se solo ci fosse stata più terra... per accontentare tutti...
Il Nazhguard ruggì debolmente, l'agonia doveva essere straziante.
Gli stava chiedendo il colpo di grazia.
Max afferrò la piccola lama e si avvicinò al Pokemon, sgozzandolo con un taglio preciso e netto.
Veloce e indolore.
Le fiamme della criniera si spensero con la vita del Pokemon.
Max se ne stava per andare come se nulla fosse successo (ormai riusciva a distaccarsi dal dolore della morte) quando udì un miagolio.
Si girò, e fu colto da un bagliore più tenue e piccolo di quello del Nahzguard.
Di nuovo un miagolio, seguito da uno starnuto.
Un Pupguard che mordicchiava l'orecchio del padre per attirare la sua attenzione, non sapendo che quell'attenzione non ci sarebbe stata più.
Era l'unico rimasto della famiglia.
Gli ricordava terribilmente lui.
Solo e sperduto.
Max lo prese delicatamente in braccio, per poi uscire fuori.
Il piccolo, rassicurato dal suo calore, si addormentò placidamente, singhiozzando lievemente ogni tanto.
I cacciatori, appena lo videro, sporco di terra e con il cucciolo Pupguard tra le braccia, non dissero niente.
I figli delle foreste capivano anche senza le parole.
Avevano intuito cosa era successo.
Il Nahzguard sapeva della sua fine, e voleva assicurarsi che l'ultimo cucciolo fosse in mani sicure.
Quello che nessuno capì perchè Max ispirava fiducia a ogni essere vivente.

Passarono altri due anni.
Inutile dire che Rossella si era letteralmente innamorata del cucciolo, e passava la maggior parte del tempo a giocare con lui, o a dargli nomignoli buffi, o semplicemente accarezzarlo finchè non si addormentava.
Ottavio li guardava divertiti, mentre scriveva o traduceva dei testi runici.
Max, ormai quattordicenne, cercava di addestrarlo, ma allevare un Pupguard era semplicemente impossibile.
Prendeva tutto come un gioco.
"Pupguard, seguimi!" gli gridava mentre correva per abituarlo alla caccia, ma poi dopo un breve tratto di eccellente corsa il cucciolo si girava per rincorrersi la coda o per rotolarsi a terra miagolando soddisfatto.
O faceva entrambe le cose, prima l'una e poi l'altra.
Si distraeva facilmente:  mentre inseguiva una preda bastava un pokemon Volante gracchiare nel cielo per distrarlo e farlo ruzzolare, dando al Pokèmon predato la possibilità di fuggire.
Per non parlare dei predatori.
Nelle Isole esistevano Pokèmon tanto rari quanto terribili, che al solo sentirne il nome ti si accapponava la pelle.
Per poco il cucciolo non finì tra le mani di uno di essi.
Per poco.
Ma tutto sommato il Pokèmon stava crescendo bene.
Le regole imponevano che solo e soltanto l'allenatore doveva addestrare i propri pokemon, al massimo poteva essere aiutato da qualche amico di sua spontanea volontà.
Alla fine, oltre a Max anche Ottavio e Rossella finirono per educare il piccolo Pupguard.
Anche se in verità Rossella ci giocava soltanto.
Ma aveva solamente nove anni.
In quei due anni il cucciolo, nonostante tutto, aveva fatto notevoli miglioramenti grazie al lavoro di tutti e tre, sebbene la strada fosse ancora lunga.

I momenti in cui però era difficile tenerlo a bada erano però i Rituali di passaggio.
Questi si svolgevano ogni estate ed erano motivo di grande festa.
I ragazzi che compivano sedici anni prima dei mesi estivi venivano considerati adulti, e sceglievano una prova da affrontare per confermare il loro ruolo nella società del villaggio. O a perderlo.
Le prove erano svariate, alcune facili altre difficili, e la scelta avrebbe influito su quello che il ragazzo o la ragazza avrebbe potuto fare poi.
Max non ricordava in quei quattordici anni che qualcuno avesse fallito la sua prova.
Piuttosto, qualcuno ci era morto, il che era molto meglio.
Se la prova falliva, o che qualcosa la invalidasse, le pene erano severissime.
Il momento migliore era quando il ragazzo che aveva superato la sua prova veniva accolto con molte feste, e Pupguard, tra tutti quei suoni e colori, si eccitava tantissimo.
Capitava spesso e volentieri che il cucciolo si mettesse a ruggire seguendo tutto quello che vedeva muoversi, che siano vesti, piedi, altri pokemon, per lui non faceva distinzione.
E rischiava di incendiare qualcosa.
Iniziava quindi l'estate con i suoi frenetici ritmi.
Max, Ottavio e Rossella solevano andare in punti precisi delle foreste dove avevano costruito dei veri e propri nascondigli sugli alberi, aiutati da un pò di manualità e magia.
"Allora, Max, che te ne pare?" disse un giorno di quelli Ottavio.
Erano dentro a una casetta-albero, e Ottavio era intento a riparare uno Styler rotto che avevano trovato qualche settimana addietro. Da allora non se ne era più staccato.
Max posò il libro che in quel momento stava leggendo per avvicinarsi al suo amico.
Max amava leggere.
Qualsiasi cosa.
Il popolo delle foreste avevano anche una libreria ben fornita, scavata sotto l'Albero principale.
E i contatti con il resto del mondo c'erano, anche se non molto frequenti.
Ottavio aveva fatto veramente un buon lavoro, ma ancora c'erano dei difetti da riparare.
Diede un'occhiata rapida a Rossella, ma la bambina stava come al solito giocando con Pupguard.
"Guarda, devi migliorare questa parte qui... e questa..."
"Max?" lo chiamò Rossella.
La bambina si era distesa sopra Pupguard. I capelli nerastri le scendevano sulle spalle elegantemente.
Era molto carina.
"Dimmi, Rossy".
"Secondo te potrei avere anche io un Pokèmon tutto per me?" chiese dubbiosa.
"Sì, e poi lasci solo il povero Pupuguard?" ribattè ironico Ottavio, mentre apportava le modifiche al dispositivo.
"Non lo farei mai!" rispose affrettatamente lei, sgranando gli occhi.
Il Pokemon Rovente alzò la testa, sentendosi chiamato in causa.
"Mh, voglio proprio vedere" ridacchiò lui.
"Che Pokèmon ti interessa" chiese invece il rosso.
Rossella fece spallucce, tornando a coccolare Pupguard.
"Uno qualsiasi..." disse vagamente.
Pupguard agitava la coda, creando ampi archi nell'aria.
Di colpo s'immobilizzò, volse la testa verso la foresta rizzando le orecchie.
Pareva che avesse sentito qualcosa avvicinarsi.
O allontanarsi.
Rossella lo guardava, vagamente sorpresa da quel cambiamento repentino.
Pupguard emise un basso ringhio, alzandosi di scatto sulle quattro zampette, per poi saltare fuori dal rifugio.
I tre fissarono per un attimo l'uscita dove il pokemon era sparito, attoniti.
"Max, sbaglio o il tuo gatto infuocato è appena saltato da cinque metri?" notò Ottavio.
Rossella rimase a fissare con occhi sgranati l'uscita.
Max non capì il perchè di quel gesto.

I Pupguard cominciano a distaccarsi dagli affetti al momento dell'evoluzione. Scelgono di solito la cima delle cascate o zone rialzate per evolversi, per segnalare ai nemici la loro nuova forza.

L'idea lo folgorò.
L'aveva letta nel libro sulla fauna e flora del padre di Ottavio, che era anche un naturalista.
Senza badare alle grida sorprese dei suoi amici si scaraventò fuori dalla loro casetta per raggiungere un certo posto.
La strada la ricordava, era sempre il solito grande sentiero di due anni fa.
Ormai le Foreste non avevano più segreti per lui.
La dea Minar dopotutto l'aveva accettato già da tempo come parte integrante del suo popolo, sebbene ancora il suo ruolo doveva essere confermato.
Correva, correva.
Non era mai stato un atleta, sapeva che rispetto agli altri era gracile e debole.
Ma Max sapeva di contare su un'altra forza: quella della mente.
Correva.
In un tempo remoto sua madre gliel'aveva detto. La conoscenza è l'unica vera grande forza dell'uomo.
E Max si impegnava con tutto sè stesso per acquisire più conoscenze possibili.
Rallentò per riprendere fiato, oramai il posto non era lontano...
Si mosse con estrema destrezza, a volte essere magrolini era un bel vantaggio.
Saltellò per evitare alcune buche e tane di Pokemon velenosi, si fece spazio tra gli alberi e finalmente sbucò in una radura.
Due anni passati in un attimo.
Era la stessa radura dove un Nahzguard l'aveva condotto per morire.
Dove aveva adottato il suo primo pokemon.
E ora vedeva quello stesso cucciolo, e si rese conto di quanto fossero cresciuti insieme.
Pupguard si ergeva sulla sporgenza sopra l'entrata rocciosa della caverna dove lui era nato, dove all'interno c'erano solo che ossa.
Con tutta la dignità che aveva, mandò il ruggito più potente che avesse mai fatto, prima di essere avvolto da una luce bianca.
Max, al limitare della piana, si coprì in parte gli occhi.
L'energia sprigionata dall'evoluzione poteva accecare, ma lui non voleva perdersi un momento del genere.
Distinse la forma di Pupguard crescere, farsi più grande, crescere, rafforzarsi.
La luce divenne troppo intensa, e Max si vide costretto a ripararsi gli occhi.

...

Uno.

Due.

Tre.

Max tolse le mani da davanti gli occhi, aprendoli.
Nonostante sapesse cosa poteva vedere, rimase comunque a bocca aperta.
Due anni.
Due anni di assidui allenamenti.
Ne è valsa la pena solo per quel momento.
Alla fine erano cresciuti entrambi, lui e Pupguard.
Insieme.
Sulla stessa sporgenza rocciosa, un giovane Nahzguard ruggì, scuotendo la terra.

"Max, sei pronto?"
Max osservò Ottavio dalla sua amaca.
Altri due anni erano passati.
Rossella era diventata una sanissima undicenne piena di vitalità.
Era ormai da tempo che seguiva Max e Nazhguard nelle caccie come seconda battitrice.
Piccola ed esile per la sua età, riusciva ad infilarsi anche negli anfratti più minuscoli senza problemi.
Ottavio, a differenza del resto dei altri quattordicenni, preferiva rimanere a studiare le rune ed aiutare Max e la famiglia negli studi sul campo.
Il rosso non chiedeva di meglio.
Non aveva mai amato i giochi violenti che i suoi coetanei facevano.
Piuttosto, preferiva lo studio, anche se a volte seguiva Ottavio nelle sue strane esplorazioni in giro per le Isole.
Il suo amico crescendo si era fatto più curioso e ardito, ed era capace di rimanere fuori per giorni senza far ritorno.
In quei frangenti Max non lo aiutava, se non per riconoscere meglio i percorsi e le strategie per una migliore sopravvivenza.
Lui dopotutto era più incline ai pensieri astratti, mentre Ottavio tendeva a essere più impulsivo e concreto.
A volte, nelle esplorazioni, Rossella li seguiva.
La lasciavano fare se erano cose semplici, ma se la difficoltà aumentava la rispedivano a casa.
Era testarda, e non sopportava separarsi da Max neanche per un momento.
Lui le voleva bene, preferiva che non si esponesse troppo.
"Chissà, in futuro voi due potreste ritrovarvi insieme con una famiglia" disse un giorno Ottavio ridacchiando.
"Maddai!!" gli rispose il rosso, fingendosi seccato.
Ma vada come vada, Max rimaneva sempre il più studioso del trio.
"Max?".
La voce di Rossella lo riportò alla realtà.
"Pronto per cosa?" chiese distratto, mentre sfogliava un vecchio volume.
"Oh, dai. Si avvicina l'estate, e hai già compiuto sedici anni..."
Max sentì i peli della nuca rizzarsi.
La stagione dei Rituali si stava avvicinando, e anche in fretta. E lui ancora non aveva deciso in che prova cimentarsi.
"Bhè..." balbettò.
"Non hai ancora deciso" disse Ottavio. Era un'affermazione più che una domanda.
"Non so in cosa potrei andar meglio..." rispose triste.
"C'è sempre la hieros. Mal che vada, l'unica ad essere scontenta sarà la tua compagna" rise l'altro.
Rossella spalancò gli occhi, non credendo a quello che aveva sentito.
"Ottavio, lo sai che Max non è tipo da fare certe cose!" lo rimproverò.
Max non sapeva se essere più imbarazzato per quello che aveva detto Ottavio o più sorpreso di Rossella che aveva inteso.
"Signorinella, come fai a sapere certe cose?" domandò Ottavio, sospettoso.
"Toomai mi ha fatto vedere i Folieroot maschi montare le femmine e me lo ha spiegato, dicendo che anche gli umani lo fanno, e che esiste una prova su questo" rispose candidamente Rossella.
"Io lo ammazzo" borbottò Max, alzandosi di scatto.
"Che aspetti? Hai tutto il mio appoggio" aggiunse Ottavio.
"Tooooomaaaaai!!!" gridò Max.
Il fratello di Ottavio era ai piani più alti, intento a rilegare un libro.
"Max, che c'è?"
"Hai detto a Rossella quelle cose!" gli urlò.
"Chi? Io?" gli rispose il coetaneo, fingendo un tono innocente.
"Noooo!!" gridò a sua volta Rossy.
"Oh, bhè, dai Max. Ha undici anni, mica uno!"
"E allora?"
"Max, non sono più una bambina" rispose lei, leggermente seccata.
"Sì, ma..." cominciò il rosso.
Rossella alzò gli occhi al cielo, spazientita.
"Max sei l'unico che non gli va giù. E' una cosa naturale".
Max arrossì, ma non rispose.
Toomai scese giù fino alla loro stanza.
"Ma perchè parlate di queste cose?"
"Ottavio ha proposto la hieros per Max. Come prova".
"Fratellino, no ti facevo così malizioso! La prova dell'accoppiamento per Max!" esclamò il sedicenne, spingendo l'amaca dove Ottavio era adagiato.
Il ragazzo rise, cercando di fermare l'amaca.
"Tornando alle cose serie. Max, hai deciso? Il periodo si sta avvicinando".
Max sospirò, facendo un cenno di diniego, per poi spostarsi sul corpo di Nahzguard.
Il Pokèmon era addormentato nonostante il baccano.
"Mi piacerebbe fare una di quelle prove di cattura, ma non ne ho la fantasia".
"Amico, conviene che te la fai venire, e anche in fretta".

L'estate si avvicinava, con le sue tempeste improvvise e i torridi giorni di sole.
Toomai aveva scelto la prova subacquea.
Le Isole Hualy, in quanto tali, erano circondate dal mare e attraversate da vari fiumi.
Le prove subacquee potevano differire: si poteva catturare in qualche modo un Pokèmon, recuperare qualcosa di difficile, e via dicendo.
Il fratello di Ottavio aveva proposto a Max di scegliere la sua stessa prova, ma il rosso rifiutò.
Semplicemente, non sapeva nuotare.
Dalla separazione dalla sua famiglia provava una fortissima repulsione per l'acqua.
Ricordava quando era piccolo che era caduto in uno stagno e non riusciva a riemergere. L'avevano recuperato appena in tempo.
O forse il nuotare gli ricordava troppo suo fratello.
A lui sarebbero piaciute, le prove acquatiche.
Il mese dei Rituali, agosto, pian piano si avvicinava.
Max cominciava ad aver paura: se non si fosse presentato, cosa poteva succedere?
Qualcosa che sicuramente non era buono.
Era esile, debole, dotato solo di grande conoscenza e arguzia.
Ma quelle in quel momento non gli servivano gran che.
Gli serviva solo un pò di fortuna.
E quella arrivò.
Era una serata simile alle altre, calda e con troppe zanzare.
Il popolo delle foreste aveva rimediato una strana pianta cui l'odore teneva lontani insetti e Pokèmon Coleottero.
Ma c'erano comunque zanzare in eccesso.
Max mangiava sempre con i suoi due amici, molte volte si aggiungevano il fratello e la sorella di Ottavio rimasti tra loro.
C'erano due gemelle, tempo fa, morte entrambe. Una era caduta nelle sabbie mobili che si trovavano nelle paludi, e non riuscì a riemergere. L'altra era morta poco dopo per malaria. Aveva provato ad aiutare la sorella, ma non fece in tempo e si prese la febbre. La sua tomba era tra le altre, al cimitero. Ottavio non ne parlava mai.
Vi era un'altra sorella, di un anno più grande di Max e Toomai. Ma morì l'estate scorsa per una ferita riportata nel Rituale.
E così dei ragazzi Harlain rimanevano solo Alba, Kotick, i ragazzi che undici anni fa avevano trasportato Max nella loro attuale casa, Toomai e Ottavio.
Max li guardava  ridere, avevano superato le morti in maniera esemplare, come le avevano superate i loro genitori.
Fu allora che un'occasione si presentò.
Gli adulti parlavano di qualcosa, sembrava un argomento serio.
"Di cosa staranno mai parlando" mormorò Maxie a Toomai.
"Bho" rispose lui, masticando una fetta di pane.
"Dai, andiamo a sentire".
Il ragazzo fece spallucce e lo seguì.
Si avvicinarono cautamente e, fingendo di parlare fra loro, origliarono la conversazione.
"Vi dico che è terribilmente grosso! Neanche l'Harlain col canto riuscirebbe a calmarlo!"
Max e Toomai si scambiarono un'occhiata sorpresa.
Ottavio era nato con una strana forma di magia interna che prendeva forma col canto.
Il ragazzo riusciva a comunicare le proprie emozioni e i suoi ricordi semplicemente canticchiando, riuscendo a calmare i Pokèmon furiosi, gli animali più aggressivi e le persone affette da febbri talmente alte che scoppiavano a delirare.
Sapevano entrambi che Ottavio intendeva sviluppare questa sua dote, ma in quel momento cosa c'entrava?
"Non metterò mai in mezzo mio figlio, lo sapete. Quel Folieroot è ferito gravemente, per questo è infuriato. Dobbiano catturarlo prima dei Rituali, è pericoloso. Se si avvicinasse?"
"Ma chi verrà? Un Folieroot incollerito non è roba da poco..."
"Mi offro io!".
Max si stupì da solo.
"Ma cosa fai, stupido!".
Tutti si voltarono verso di lui.
Toomai lo guardava con uno sguardo indecifrabile.
"Cos'hai detto, ragazzo?".
A parlare era uno dei cacciatori più esperti.
Max sentì solo in quel momento il silenzio che era calato nella comunità.
Ma era troppo tardi per tirarsi indietro.
"Catturerò io quel Folieroot. Sarà la mia prova per il Rituale. Posso farcela" disse ostinato, ricordandosi in quel momento dello Styler di cattura che lui e Ottavio avevano riparato tempo addietro.
Non osò guardare nè l'amico nè Rossella. Probabilmente lo stavano guardando con disperazione.
Ma ormai era fatta.
"Bene, ragazzo, se proprio ci tieni..." disse noncurante il cacciatore.
E in quel momento Max giurò con sè stesso di non giocare più con la Morte.
Mai. Più.

...

Le imposte filtrarono debolmente le prime luci dell'alba.
Max aprì debolmente gli occhi.
Aveva sognato il suo passato.
Si alzò a sedere, sentendo la testa pulsare terribilmente.
Riuscì ad afferrare gli occhiali e a metterseli senza incidenti.
Decise di risdraiarsi un attimo, non se la sentiva di alzarsi.
Di fronte a lui c'era uno specchio.
Guardò il suo riflesso: un uomo di trentanove anni smagrito e stanco.
Ripensò a quello che era successo vicino a Ravenclaw, portanto la mano sotto la maglietta per sfiorare le cicatrici.
Se ne scordava sempre.
Il suo corpo era quello che era.
Anche con tutti gli sforzi del mondo non aveva forza a sufficienza nemmeno per difendere sè stesso.
Poteva essere intelligente e cauto quanto voleva, ma a volte invidiava Ivan e la sua forza.
Si ricordò della tregua, e sospirò desolato.
Poteva valere per quella situazione critica.
Ma a fine guerra torneranno sicuramente a scannarsi a vicenda.
Si ricordò di Ada, ma anche lei lo aveva odiato. Quindi perchè dovrebbe smettere solo perchè si trovava costretta a combattere a fianco a lui?
Per un attimo Max aveva sperato in una loro vita insieme, seppur remota.
Ma era un sogno futile, lei e lui erano troppo diversi, c'era stato troppo odio tra Idro e Magma per dimenticare così.
Max chiuse gli occhi, triste.
E poi, con quello che era diventato, neanche Ottavio e Rossella non lo avrebbero più voluto con loro.
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