Crazy little thing called Love.

di Pomponella_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Step1, come a little closer. ***
Capitolo 3: *** Get me a lift ***
Capitolo 4: *** Rain. ***
Capitolo 5: *** Drunk ***
Capitolo 6: *** You're not alone ***
Capitolo 7: *** I'm not yours. ***
Capitolo 8: *** My special guest ***
Capitolo 9: *** hide-and-seek ***
Capitolo 10: *** Fireworks. ***
Capitolo 11: *** This is me. ***
Capitolo 12: *** You make me crazy. ***
Capitolo 13: *** Confessions. ***
Capitolo 14: *** Any other world. ***
Capitolo 15: *** Say nothing ***
Capitolo 16: *** It hurts. ***
Capitolo 17: *** I'm proud of you, Mika. ***
Capitolo 18: *** Six years later. ***
Capitolo 19: *** Shut up, I love you. ***
Capitolo 20: *** From Grace Kelly to the Origin of Love ***
Capitolo 21: *** Marry You. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


~~“Michael, sono tre ore che aspetto, ma dove sei?!” continuava a ripetermi al telefono, con voce seccata. Giusy, la mia ragazza; non la smetteva di urlare. Okay, forse non aveva proprio torto.. le avevo detto che sarei andato a prenderla alle 19.30 ed erano le 20.30.. la puntualità non è mai stata il mio forte.
“Sono quasi a casa tua, calmati.” Risposi cercando di giustificarmi, con voce fredda.
Ripresi a correre, fino a farmi mancare il respiro ed in cinque minuti mi trovai davanti a lei, con il fiatone e la lingua che arrivava a terra per la stanchezza.
“Ciao amore!” mi si avvicinò, mi baciò dolcemente le labbra alzandosi sulle punte. Sorrise.
Nulla. Come sempre. Avevo sentito spesso le discussioni fra i miei compagni di classe su questa cosa.. la descrivevano sempre come una cosa fantastica, dicevano che baciare fosse una cosa piena di fuochi d’artificio.
Io invece sentivo semplicemente le sue labbra, fredde e impregnate di rossetto alla fragola, sulle mie. Niente. Neppure una miccetta. A lei piaceva, a me invece sembrava quasi darmi fastidio. Non che non fosse una bella ragazza, ma non ero sicuro di provare quello strano sentimento: l’amore. Non ci ero mai riuscito con nessuna.
Ma a quanto pare dovevo. Dovevo stare con una ragazza così sarebbero stati tutti più felici.
Si, tutti tranne me.

“Perché hai fatto tardi… di nuovo?” mi interrogò dopo essersi staccata da me. una tipa dagli occhi chiari ed i capelli di un colore nero scurissimo, raccolti in una cosa laterale.
“Scusami, mi sono messo a suonare e non mi sono accort…”
“Ecco, lo sapevo! Tu e quel dannato pianoforte!” Urlò sbattendo i piedi a terra e guardandomi male, manco volesse uccidermi. “Smettila di perdere tempo dietro a quel coso! Sii maturo per una buona volta e vedi di pensare alle cose importanti. Hai 18 anni.. e che cazzo!” sbuffò ancora.
Strinsi i denti. La rabbia mi stava attraversando tutto il corpo. Partiva dalla punta dei piedi per poi arrivare a quella dei capelli, ricci e scompigliati come sempre.
“Si, okay. Ho capito. Ora sono qua. Possiamo cambiare discorso?!” dissi con un filo di voce.
“Si, decisamente. Vorrei godermi la serata.”
“Appunto.”
Si voltò, guardando le scale impazientemente. Aggrottai la fronte.
“Ehm.. ma possiamo andare?”
Strinse la borsetta e si riuscì persino a sentire il rumore delle sue unghie che sfregavano l’oggetto.
“No, sto aspettando un’altra persona.”
“Ma bene.” Incrociai le braccia, poggiandomi al muro.
“Senti, vuoi continuare a comportarti così per tutto il tempo?” strinse i pugni.
“Hei, avete finito di litigare?” si interruppe una voce alle nostre spalle.
Mi girai di scatto ed il mio sguardo si perse in quello di un ragazzo dai capelli tendenti al biondo scuro.
“Senti, non ti impicciare!” ribatté la mora. Poi sospirò. “Michael, lui è Andrew, mio cugino. Per stasera è con noi.. devo presentargli una mia amica.”
“Ehm si, guarda.. è lei che vuole conoscere me. Io sto benissimo anche così.”
“Ma che gentleman..” replicò lei sarcastica mentre il biondo chiudeva il portone di casa, ridendo sotto i baffi.
Lo guardai ancora, al che la sua espressione che poco prima sembrava così sicura di sé, adesso era circondata da un colore rosso porpora.. e questo non fece altro che mettere in risalto i suoi occhi di un colore azzurro cielo, fissi sulle sue converse verde olivastro.
“Beh, quindi viene con noi..?” lo guardai con la cosa dell’occhio.
“Perché, ti dà fastidio?” alzò di nuovo gli occhi, buttandoli nei miei. Dove lo aveva ritrovato tutto quel coraggio?
Non appena i miei occhi scuri andarono a scontrarsi contro i suoi, il mio cuore accellerò per due secondi, per poi rimettersi a battere normalmente. Piegai la testa all’indietro, chiudendo gli occhi. Non mi era mai successo prima.
“Andy, smettila!” urlò Giusy afferrandolo per un braccio.
“Se vuoi me ne vado, non disturbo eh!?” ci guardò entrambi, stringendo i denti.
“No! Ho detto a Jessica che saresti venuto! Per cui chiudi il becco e cerca di essere carino!” lo ammutolì.
Si fissarono per un momento, con sguardo omicida… io sentendomi totalmente a disagio, feci finta di nulla.
La mora si girò e cominciò a camminare, aspettandosi che la seguissimo.
Feci per raggiungerla, ma mi sentii afferrare il braccio. Lui, di nuovo.
“Senti.. scusami per prima.” Aveva di nuovo quell’espressione imbarazzata.
“Tranquillo..” risi “Lei fa di peggio..”
Rise anche lui.
“Ma davvero tu stai con mia cugina?”
“Fatti sentire e t’ammazza.” Sussurrai “Dai, raggiungiamola.”
Fece spallucce. “Si, forse è meglio per entrambi.”
Camminammo per un po’, uno affianco all’altro, senza guardarci e senza parlarci. Così, in silenzio.. un silenzio piacevole, per la prima volta.
Lei, davanti a noi, continuava a borbottare.
“Forse è meglio se vai e la raggiungi.” Suggerì.
“E tu?”
“E io vi seguo. Devo prepararmi ad essere gentile e carino per la sua amica..” ancora la testa bassa.
Mi grattai la nuca. “Ma tu sei carino.” Sussurrai, rendendomi conto solo dopo di ciò che avevo detto.
Lui intanto era arrossito, di nuovo e mi fissava, incredulo.
“Cioè.. ehm.. io volevo dire…”
“Michael, muoviti e raggiungila.” Ordinò con tono freddo.
Lo guardai ancora, per poi andare via, tutto con lo stomaco sottosopra. Ma perché?!
“Eccomi.” Affiancai la mora.
“Cerca di evitarlo. Lui non mi piace.”
Restai in silenzio, ingoiai a vuoto.
“È un infantile cronico, un idiota.”
“Gli vuoi bene…” dissi sarcastico.
“Uno stupido..” continuò a farfugliare. Cercai di ignorarla.
Si avvicinò, mettendosi a braccetto con me e poggiandosi sulla mia spalla, sospirando e cacciando vapore dal naso, a causa del freddo.
Eccola di nuovo quella vicinanza che tanto mi infastidiva. Feci finta di nulla e proseguii.. con la mia.. ragazza attaccata al braccio.

“Jess!!”  urlò correndo verso la sua amica. Una tipa magra come un grissino, poggiata su due tacchi a spillo e con una maschera di trucco. Spalancai gli occhi.
“Oh.. mio… dio..” sussurrò il biondo dietro di me, portandosi una mano nei capelli. Cominciai a ridere, forse per la faccia della tipa… o per quella di Andy, che mi guardò come per chiedermi aiuto e poi si decisa a raggiungere sua cugina, pochi secondi dopo.. con faccia rassegnata.

 

 
*IL CANTUCCIO DELLA PAZZA DALL’ALTRA PARTE DELLO SCHERMO*
Salve a tuttii! Come potete vedere, sono tornata all’attacco con una Mikandy! (Poveri voi)
 
Come (mi auguro tutti) avete potuto capire, il titolo della ff è preso da una canzone dei Queen che amo alla follia e che credo possa descrivere a pieno ciò che sto per scrivere (sorry per il gioco di parole). Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere se volete che continui o se devo andarmene via e partire per Katmandu e non farmi più vedere lol.
No, sul serio, la smetto di fare l’idiota.
Tante coccole e tanti bacini.

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Capitolo 2
*** Step1, come a little closer. ***


~~“Eh si, sono appena tornata da un viaggetto a Parigi, fatto con il mio papy. Lì si che sono sviluppati! Altro che qui a Londra! E ho comprato una magnifica collana di perle! È fighissima, dovete proprio vederla!” continuava a blaterare Jessica, giocherellando con i suoi lunghi capelli biondi. Eravamo seduti ad un tavolo, in un ristorante, aspettando che ci servissero. Giusy pendeva letteralmente dalle labbra dell’amica; io ed Andrew continuavamo a fare finta di ascoltare mentre ci scambiavamo delle occhiate che nessuno dei due riusciva ad interpretare. Era talmente divertente vederlo girare gli occhi in su per poi sorridere ed annuire come un cretino ogni volta che la logorroica si girava a guardarlo.
La nostra attenzione fu attirata dal cameriere che ci aveva appena portato da mangiare.
“Oh finalmente!” urlò la bionda sbuffando. “Vieni Giù, devo lavarmi le mani e sistemarmi il trucco!”
Detto ciò, le due sparirono dietro la porta della toilette.
Rimanemmo di nuovo soli, il biondo tirò un sospiro di sollievo e poi guardò me; ridemmo insieme pensando alla reale situazione mentale della tipa che la mora si era portata appresso quella sera.
“Beh, ti piace?” continuai ridendo
Silenzio. Abbassò lo sguardo per poi rialzarlo e mettersi a fissare il suo piatto.
“Ha.. ha un bel culo.” Buttò fuori, senza muovere un muscolo. Mi guardò, forse aspettandosi che mi mettessi a ridere; non lo feci.. assunsi invece una faccia seria e buttai anche io lo sguardo a terra. Mi dava fastidio.
Mi dava fastidio??
Si. Mi dava fastidio il fatto che le avesse guardato il culo. Non ne capii il motivo.
E quel nostro silenzio piacevole, divenne improvvisamente imbarazzante.
“Ehm.. e quindi suoni il piano?” chiese dopo un po’, iniziando a mangiare.
“Si.. ad.. orecchio.” Balbettai tenendo la testa bassa.
“Ah.. figo.” Masticò ancora. “A Giusy non piace, eh?”
“A quanto pare..”
“A lei non piacciono un sacco di cose.” Fece spallucce.
Solo allora mi accorsi di quanto poteva essere stranamente adorabile in quella posizione.
“Eccooci!” le sentii ad un tratto. Loro, le uniche capaci di urlare anche i un locale. Si sedettero.
La mora cominciò a guardare suo cugino con odio. “Potevi aspettarci per mangiare. Fai schifo, sei proprio un maiale.”
Alzò lo sguardo. “Stai perdendo colpi con i tuoi insulti, cugina.” Vidi un guizzo nei suoi occhi che non fece altro che ipnotizzarmi. Aveva un piccolo sorrisetto ricurvato sulla guancia sinistra. Come se volesse sfidare la tipa che lo aveva appena rimproverato.
“Dai, so che se ti concentri puoi fare di meglio..” concluse guardando me, che come Jessica, stavo cercando di soffocare una risatina, con scarsi risultati.
Lo sguardo della mia ragazza prese fuoco, mi guardò. “Che cazzo mi ridi te??”
Si rigirò e si sedette, ricominciando a ciarlare con la bionda. Rimasi zitto. Non avevo proprio tanta fame. Era come se il mio stomaco si fosse chiuso. Giocavo con la forchetta, nel mio piatto, sotto gli occhi di Andy, fissi su di me.
Mi sentii tirare verso la mora, che mi stampò un bacio sulle labbra, sorridendo, senza pronunciare una parola.
Il mio corpo si irrigidì improvvisamente. Nulla, anzi forse sempre peggio, considerando la presenza del ragazzo davanti a me, che aveva avuto la mia stessa reazione e poi aveva curvato la testa in giù, e aveva fatto finta di guardarsi intorno, quasi come se non volesse vederci.
Dopo quel bacio, non proferì parola. Si era improvvisamente spento e non potei fare a meno di guardarlo, ogni cinque minuti, mentre le voci delle ragazze non facevano altro che cercare di richiamare la mia attenzione.. con scarsi risultati.
Continuava a stare lì, lo sguardo fisso sul pavimento, senza più appetito o voglia di provocare. E non parlò più per il resto della serata.
Si limitava a guardarmi, ogni volta che sua cugina mi sfiorava come per chiedermi il motivo di quel suo comportamento.

“Buonanotte Michael..” sussurrò, avvicinandosi a me e afferrandomi il braccio. Mi sorrise leggermente.
“Buonanotte Andrew..” ricambiai.
Fece per allontanarsi, le nostre mani si sfiorarono. La mia era calda, essendo stato costretto a tenere quella della mora per tutto il tempo, la sua invece era fredda.. come il ghiaccio. Ci guardammo.
“Oh, amore, io accompagno un attimo Jessica alla macchina, mi fai il piacere di portare st’idiota a casa? È
poco lontano da qua. Io torno subito.” Ci interruppe lei.
“Non sono un bambino e tu non sei mia madre.”
“È tardi, non aggiungere altro.” Comandò di nuovo.
La bionda si buttò fra le braccia del biondo, ridendo, producendo un suono simile al verso di un’oca.
“Alla prossima eh..” gli fece qualcosa che somigliava ad un occhiolino, poi andò via.
Ci trovammo ancora, un ennesima volta.. da soli.
Feci spallucce. “Beh, allora, che faccio.. ti accompagno?”
Mi guardò con la coda dell’occhio “Non ti va..?”
“Cos.. no.. cioè si.. cioè..”
Rise ancora.
In quel momento il rumore di un tuono attraversò il cielo. Voleva piovere.
“Alla prossima.. Michael.” Si mise il cappuccio
“Andrew..” esitai.
Si girò, aspettando che continuassi.
“Puoi chiamarmi Mika.. se vuoi.”
Sorrise, guardando in basso. Poi i suoi occhi si tuffarono di nuovo nei miei.
“Va bene.. Mika.” Mise le mani nelle tasche della felpa. “Ci vediamo..”
Lo vidi allontanarsi, lungo la strada illuminata solo dalla fioca luce di un vecchio lampione.
Mi girai e prendendo a calci una lattina, mi avviai verso casa.. mentre delle gocce di pioggia cominciarono a bagnare il terreno su cui camminavo.
Avevo i brividi.. per il freddo.. o forse per altro.
--
Girai la chiave nella serratura ed entrai in casa, in punta di piedi. Silenzio e buio totale. Mi precipitai nella mia stanza e mi infilai a letto.
“Allora, come è andata?” mi sussurrò qualcuno, facendomi sobbalzare.
Una piccola figura, stesa nel letto accanto al mio, mia sorella Yasmine.
“Hei..” mi strofinai gli occhi “sei ancora sveglia..”
“Volevo aspettarti.” Si stiracchiò. “Allora, come va con Giusy?”
Mi portai una mano alla fronte, spalancando gli occhi. “Oh cazzo.” Non l’avevo aspettata!
Corsi a prendere il cellulare e controllai: 5 chiamate perse da lei.
Ecco che riprese a suonare.
“Oh Yas, aiutami!” tremai “Che faccio?”
“Ma sei idiota? Rispondi e subito!” si portò le lenzuola in testa.
Mi portai l’oggetto all’orecchio “P-pront..”
“MICHAEL MA DOVE SEI??” la sua voce mi perforò un timpano.
“Giusy.. sono a casa.. ma pensavo che…”
“SEI A CASA?? NON VOGLIO SAPERE CHE COSA PENSAVI! NE PARLIAMO DOMANI A SCUOLA.”
“B-buonanott..” troppo tardi, aveva già attaccato.
Mia sorella, una tipa dai capelli castani e gli occhi scuri, intanto se la rideva come una matta. Mi tirò una coperta.
“Sei un casino Mika.”
La afferrai al volo.
“O preferisci che ti chiami Michael?”
Buttai gli occhi in aria. “Ah no, ti prego. Odio quando mi chiamate così.”
“Ma Giusy lo fa..”
“Ma con Giusy è diverso. A lei Mika non piace.”
Si alzò e venne a sedersi affianco a me, guardandomi con un’aria severa ma anche dolce che solo lei riusciva ad assumere.
“Fratellino..  ma tu sei Mika. Se a lei non piace, come puoi sperare che ti ami per quello che sei?”
Feci spallucce, guardando da un’altra parte. Silenzio.
“Ma tu.. tu la ami?”
Mi rigirai, puntando i miei occhi nei suoi. Avevo bisogno di parlarne con qualcuno.
“Non lo so Yas. Forse non è amore.”
Cambiò subito espressione, aspettando che continuassi.
“Non mi piace quando mi tocca, quando mi bacia. Ci sto male e mi sento tanto a disagio.”
“Sai, vero, che devi parlarne con lei?”
“Ma la farò soffrire.” Mi tirai il piumone fin sotto al mento.
Lei sospirò. “Ma ne vale la pena continuare così? Senti.. Se vuoi che la tua felicità sia sacrificata per qualcuno, assicurati almeno che per te questo qualcuno sia speciale. È se lo è davvero, fidati, sarai felice anche tu.” Si mise a giocare con le mani.
Non replicai. Forse aveva ragione… senza forse.
Mi fece il labbruccio. “Va beh, io vado a letto Mika, buonanotte.” Si rinfilò nel suo letto
“Notte.” Mi distesi anche io e rimasi in silenzio.
Chiusi gli occhi.
Il mio ultimo pensiero fu Andrew, mi chiesi se fosse tornato a casa, cosa stesse pensando.. Pensai al suo sorriso timido e sorrisi spontaneamente.
Poi crollai.

 

*Cantuccio della pazza dall’altra parte dello schermo*
Ma salve! Eccomi con il secondo capitolo, spero vi piaccia anche questo. Spero vi sia piaciuto questo lato un po’... saggio.. di Yasmine hihu.
Vi ringrazio per i commenti dolci e coccolosi che avete lasciato sotto al primo capitolo, sono felice di ricevere tutto questo amore ** (ma chi ti credi di essere?!) No okay, bando alle ciance (?), penso di pubblicare il prossimo capitolo questo sabato (esticazzi).
See you! <3

 

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Capitolo 3
*** Get me a lift ***


~~Correvo, quel maledetto autobus non voleva fermarsi.. anzi, sembrava quasi che l’autista lo stesse facendo apposta.
“Aspetta!.. Ti preg..” inciampai e ruzzolai a terra, trovandomi seduto sul marciapiede. Lo zaino si rovesciò.
“Ma vaffanculo!”
Mi rialzai e andai a sedermi sul ciglio della strada, con la cartella fradicia ed i capelli fuori posto. Non potevo essere talmente sfortunato! Sbuffai, imprecando ancora.
Ero già pronto per mettermi in cammino, sarei arrivato a scuola prima o poi (più poi, che prima..), quando un mezzo a due ruote si fermò proprio davanti a me.
“Mika?”
Alzai lo sguardo, mi trovai davanti all’espressione divertita di un tipo dai capelli del colore del grano e gli occhi del colore del cielo.
“Andy!” mi alzai di scatto.
“Perché sei qui?” si guardò intorno. “E.. perché il tuo zaino sembra un biscotto appena uscito da un bagno in una tazza di latte?” rideva.
Guardai i miei libri, o almeno.. ciò che ne rimaneva. “Ho perso il bus.”
“Sfigato..” arricciò il naso.
“Grazie, sei molto d’aiuto eh..”
Mi tirò un pugnetto sulla spalla e si spostò in avanti. “Ma chiudi la bocca e sali. Ti do un passaggio.”
I miei occhi si illuminarono. Guardai il sedile, poi guardai lui.
“Andrew, ma..”
“Muooviti! Non avrai paura, vero?” un’espressione bastarda gli si stampò sul viso.
“Se non guidi come un pazzo omicida no..” conclusi ridendo, mentre montavo sullo scooter, dietro di lui.
“Tieniti forte.” disse soltanto. Accellerò di botto.. d’istinto circondai i suoi fianchi e lo strinsi più forte che potevo, poggiando la testa sulla sua schiena. Il mio mento era poggiato sulla sua spalla, ma io ero troppo spaventato per provare imbarazzo e per rendermi conto di ciò che stavo facendo. Prendemmo un rettilineo.
“Paura?” si girò leggermente, a guardarmi.
I nostri nasi si sfiorarono. Nelle narici mi entrò un dolcissimo profumo. Lui aveva lo stesso odore dei libri nuovi. Rimasi a fissarlo.. come se fossi ipnotizzato. Sorridemmo.
“No..” sussurrai. “Non ho paura.”
Sospirò. “Beh allora veloci, sennò facciamo tardi!” Aumentò la velocità. Sentii l’aria che mi scompigliava i capelli, mentre i suoi si muovevano leggermente essendo molto corti. Cominciai a ridere.
Forse dovevo perdere l’autobus più spesso.

“Grazie del passaggio Andrew.” Scesi dal veicolo. “..oh sai che non conosco neanche il tuo cognome?”
“Dermanis. Andrew Dermanis.” Abbassò lo sguardo. “Ed il tuo invece?”
“Penniman.” Mi sistemai lo zaino in spalla.
“Mh.. va bene allora, Penniman.” Rise. “Ora vado, che ho scuola anche io. A presto..” mise in moto e partì, mentre io andavo via, un’ennesima volta.. con lo stomaco sottosopra.
Mi avviai per raggiungere la mia classe, dove Giusy mi stava aspettando. E grazie alla pazzia del biondo.. potevo dire di essere persino in anticipo.

“Buongiorno a tutt..”
Uno schiaffo mi ammutolì. Mi portai una mano sulla guancia.
“Sei un idiota!” era lei.. si. Sembrò che volesse uccidermi. “Come hai fatto a dimenticarti di aspettarmi?”
“Scusa, va bene?!” urlai anche io stavolta, evitandole di parlare. “Non avevo capito di doverti aspettare. Ho accompagnato Andy e poi sono andato a casa.”
Cominciò a picchiettare con le unghie sul banco, pur sapendo quanto mi desse fastidio. Fece una smorfia.
“Hai perso pure il bus.”
“Che fai, adesso mi controlli pure?”
“No idiota, semplicemente lo prendo con te e non ti ho visto.” Si sedette, incrociando le braccia. “Chi ti ha accompagnato?”
Spalancai gli occhi e ingoiai a vuoto. Mi tornò in mente l’immagine di me ed il biondo sullo scooter.
“Cazzo, mi rispondi?? Con chi sei venuto?”
“Con Andrew.”
“Con Andrew.” Ripeté, come per realizzare. “Ti avevo chiesto di lasciarlo stare.”
Sbuffai. “Mi ha dato soltanto un passaggio, Giusy!”
“Non mi interessa, Michael!” sbatté un libro sul pezzo di legno davanti a lei. “Tu non devi frequentarlo.”
“Ma perché?!” la mia voce rimbombò ovunque “Non capisco proprio perché contin..”
“È FROCIO!” sbraitò, facendomi chiudere il becco. Tutti si girarono a fissarci, con gli occhi sbarrati. Silenzio assoluto.
“Mio cugino è frocio.” Mi guardò un’ultima volta, con rabbia. Poi corse fuori, lasciandomi lì, senza parole.
Mi sedetti. Proprio allora entrò la prof, seguita dalla mora, che venne a sedersi accanto a me, senza guardarmi.

L’ultima campanella suonò, finalmente. Lei non mi aveva parlato per tutta la mattinata; si era spostata in un banco vuoto, lontano da me e più volte l’avevo beccata a lanciarmi occhiatine omicide.
Corsi il più veloce che potevo, raggiungendo la fermata e guardandomi intorno. La vidi, era lì, a parlare con il suo solito gruppetto di amiche in cui, come avevo imparato di recente, c’era anche Jessica.
Mi avvicinai, cercando di ignorare gli sguardi altrui. Le afferrai il braccio, si girò in malo modo.
“Che cosa vuoi?”
Anche le altre mi fissavano ora. Arrossii.
“Ehm.. posso parlarti?”
Si allontanò, congedando il suo gruppo che aveva già ricominciato a spettegolare.. su di me ovviamente.
Ci avviammo per una stradina, decisi a tornare a casa a piedi.
“Sei ancora nervosa?” sempre con la testa bassa.
“No amore..” si mise sottobraccio “Ma non voglio che lo vedi più.”
-Amore. Mi aveva chiamato di nuovo in quel modo.-
Feci una risatina sarcastica, ignorando il tutto. “Solo perché è gay?”
Annuì, decisa; con un’espressione strana in volto, come se la cosa per lei fosse scontata.
“Spero che tu stia scherzando, Giusy. Io non ci vedo niente di male.”
Non rispose.
“E poi che pensavi.. che presentandogli una ragazza avrebbe cambiato idea?” avevo un’aria di rimprovero. Era la prima volta che mi rivolgevo a lei così.
“Sono cazzi miei e della mia famiglia. Ora basta.”
“No invece. Lui è mio amico adesso.” Annunciai con aria decisa.
Alzò lo guardo e puntò i suoi occhi nei miei.
“Michael, fatti vedere ancora una volta con lui e.. tra noi è finita.” Concluse con tono freddo. Sistemò la spallina dello zaino e andò via, cambiando strada. Rimasi a guardarla, finché non la vidi svoltare l’angolo e sparire. 
Presi anche io la strada di casa, pensando a ciò che mi aveva detto. Sarebbe davvero stata capace di mollarmi per quel motivo?
Non capivo il suo modo di ragionare, ma la cosa che più mi fece pensare fu il fatto che non avevo paura che mi lasciasse.
Forse era vero:
forse non la amavo e non l’avevo mai amata sul serio.
E.. forse, se ci fossimo lasciati, sarebbero stati tutti dispiaciuti per noi. Beh, tutti tranne me.. ancora una volta.
Pensai al biondo, a quando i nostri nasi si erano sfiorati. Mi vennero i brividi. E quando lo avevo tenuto per i fianchi.. non avevo provato disagio, anzi, addirittura era sembrato piacermi.
Mi piaceva stare vicino a lui. Mi piaceva parlarci, mi piaceva guardarlo ridere.
E pensai che non mi sarebbe interessato delle conseguenze. Dovevo rivederlo. Dovevo anche parlargli del discorso fatto con Giusy.
E, stranamente.. anche qualcosa dentro di me, un qualcosa che avrebbe detto di no sempre e a tutto, si convinse che invitare Andrew ad uscire sarebbe stata la cosa migliore.

 

 

*Cantuccio della pazza*
Saalve, eccomi con il nuovo capitolo! Spero vi piaccia. *si nasconde dietro il computer*
Vorrei ringraziare chi recensisce, ma anche quelli che segretamente vengono a leggere la mia piccola stupida storiella senza farsi tanto notare. Io vi veeeedo OuO
No, okay, seriamente, se riuscite a lasciarmi un commentino, anche corto corto, mi aiutereste molto.
Perché con un commento TU puoi fare la differenza. #Commenta. E contribuisci a salvare questa povera sociopatica iperattiva. *saltella e lancia fiori in aria*
Ci rivediamo (?) mercoledì.
*Si rannicchia in un angolino*
 Tante coccole e tanti bacini. :D

 

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Capitolo 4
*** Rain. ***


Tornai a casa, trascinando i piedi e cercando di trovare la chiave essendo solo. La mia famiglia era partita per un viaggio a Dublino al quale non avevo voluto assolutamente partecipare. Viaggiare con una famiglia come la mia era impossibile.. senza contare le numerose figure di merda che mia madre ci procurava ogni volta.
Aprii il portone ed entrai. In casa regnava uno strano silenzio. Era sicuramente dovuto all’assenza dei miei fratelli Paloma, Jasmine, Fortunè e Zuleika.
Mi buttai sul divano, addentando un panino. Mi misi a fissare il vuoto. La frase di Giusy mi girava ancora in testa. Avrebbe potuto lasciarmi.
Fuori, il cielo grigio di Londra aveva cominciato a partorire delle piccole goccioline di pioggia che si attaccavano alla finestra e scendevano giù lentamente. Le guardai, restando ipnotizzato dal loro strambo danzare su quel pezzo di vetro, andando sempre più in basso, lasciandosi andare poi sul pavimento del balcone.
Il tempo in quella metropoli era sempre stato così, sempre grigio e asfissiante.
Asfissiante, si. Proprio come lo erano i baci della mora, il suo corpo sul mio, la sua vicinanza.. Grigio. Come io mi sentivo ogni qualvolta che lei provava ad avere un contatto con me.
Proprio allora un’idea mi balenò in testa.
 Mi buttai sullo sgabello del pianoforte e iniziai a pigiare dei tasti, cercando di mettere insieme una piccola sinfonia.. alternandomi con lo scarabocchiare frasi su un foglietto.

“Is it really necessary
  every single day?
You make me more ordinary
in every possible way..”

Erano perfette, le parole prendevano per mano la melodia e cominciavano a danzarci, rendendo quella.. canzone?... magnifica.
La mia fronte era intrisa di sudore, mi tirai su le maniche e decisi di proseguire.

“More than this..
Whatever it is,
baby, I hate days like this!
Caught in a trap
I cannot go back..
baby, I hate days like this!”

Provavo, provavo e riprovavo e man mano che andavo avanti, la canzone si faceva sempre più mia, andava a scolpirsi dentro di me per potervici restare per sempre.
Non era la prima volta che mi esprimevo con la musica, ma pensai che non fosse mai successo che io lo facessi per qualcuno in particolare.
Ma poi infondo.. lei non l’avrebbe mai ascoltata.. o voluta ascoltare. Odiava il pianoforte. Odiava tutto ciò che mi facesse stare davvero bene. Le lancette dell’orologio giravano, il tempo passò subito. Forse il giorno più breve di tutta la mia vita.
Mi misi a letto, soddisfatto.. e chiusi gli occhi.

Era davanti a me, lo guardavo e lui guardava me. Continuava a stringermi a sé. I suoi occhi erano illuminati soltanto dalla fioca luce della luna. Sorrise. Mi sentii talmente strano.. per un momento stentai a credere che fosse felicità.
Tenevo la testa bassa, quando mi sentii afferrare per il mento e tirare su. Mi ritrovai faccia a faccia con lui. Non parlava. Si limitava a squadrarmi con le sue pupille color azzurro cielo.
Respirava su di me.
Era tutto così strano.. ma così bello.
Portai una mano nei suoi capelli biondi, mentre mi accarezzava dolcemente la guancia. Non mi ero mai sentito così bene. Volevo che non smettesse più.
“MICHAEL!” un urlo strozzato. Quella voce, così autoritaria, femminile, scandita. Avrei saputo riconoscerla ovunque. Giusy.
Vidi il ragazzo davanti a me, sparire nel nulla. Cominciò a mancarmi il respiro ed il buio stava prendendo sopravvento. Provai a chiedere aiuto ma fu come se non avessi voce. L’oscurità mi stava inghiottendo..

Urlai ancora, emettendo stavolta un forte acuto. Spalancai gli occhi.
Mi ritrovai sul mio letto, con le coperte aggrovigliate, buttate in terra ed il collo pieno di sudore.
Era solo un sogno.. o forse un incubo.
Mi misi seduto, poggiandomi al muro e accovacciandomi.
Pioveva ancora.
Mi strofinai gli occhi. Ma cosa avevo sognato? Non capii cosa mi stesse succedendo.
Pensai a lui, toccandomi le labbra, chiudendo lentamente gli occhi. Era proprio come pensavo.


“Ciao Michael.” Mi salutò freddamente appena entrai in classe. Aveva deciso di sedersi accanto a me stavolta..
“Senti Giù, non potresti chiamarmi Mika? Lo fanno tutti.”
“A me non piace.” Addentò una barretta ai cereali e si poggiò al muro con quell’aria da menefreghista che odiavo a morte. Stava tentando di farmela pagare così?
“.. e a me non piace Michael.”
Si rimise in equilibrio e lanciò la barretta in aria. “Mio dio, smettila di fare il bambino! Ti ho sempre chiamato così, mi dici qual è il problema adesso?”
Come sempre stavamo dando spettacolo. Un’altra cosa che detestavo ma che a quanto pare lei amava.
Mi alzai, spingendo la sedia, che cadde all’indietro. Pensai alle parole di Yas.
“È questo il problema! Sei tu! A te non va bene nulla di me! Ciò che mi fa stare bene a te fa schifo, e lo fai apposta, lo so bene! ..pensando poi che tutto si possa risolvere con un bacio!£
Mi fissava, con gli occhi sbarrati, non osava replicare.
“Ma non puoi! Non puoi trattarmi come piace a te. Io non sono come gli altri, io non sono un giocattolo: mettitelo in testa! Io sono Mika! E se non ti va bene, meglio smetterla di prenderci in giro.”
Afferrai il mio zaino, lo misi in spalla e uscii dalla classe. Beh a quanto pare avrei fatto un'altra assenza. Ma era l’ultimo dei miei pensieri. In quel momento volevo soltanto stare il più lontano possibile da lei.
Vidi il gruppetto di amiche della mora, fissarmi con sguardo indagatorio.
“Ma dove vai?” chiesero all’unisono
Non mi girai, proseguii, uscendo da scuola.
Non avevo intenzione di vederla per tutta la giornata, anzi anche di più. Cominciai a correre. Lacrime.
Ero stanco di lei.
Ero stanco di fare quello che dicevano gli altri.
Per una volta anche io dovevo essere felice.
Mi alzai il colletto della giacca, c’era un vento abbastanza forte. Andai a sedermi in un vicolo, in silenzio.
Avevo bisogno di parlare con Andy. Il problema era che non sapevo né come, né dove trovarlo.
E se non l’avessi più rivisto.. no! Non poteva essere possibile!
Cominciai a girare in lungo ed in largo, nei posti in cui eravamo andati poche sere prima.

Raggiunsi la fermata, stremato. Tutta la mattinata l’avevo passata a cercarlo. Mi sedetti sul marciapiedi.. per un momento sperai che passasse di lì.
Mi alzai, per tornare a casa, rassegnato ma proprio allora un bus si fermò affianco a me e scese una ragazza dagli occhi chiari.
No, lei no.
Aumentai il passo. Non avevo assolutamente voglia di vederla, né di fare un’ “amabile conversazione fra fidanzatini in crisi”. Mi correva dietro, niente da fare.
“Michael..” le mancava il fiato “Aspetta, ti prego..”
Il fatto che continuasse a chiamarmi ancora così, mi convinse che ignorarla e continuare a camminare sarebbe stata la cosa migliore.
..quando mi si piazzò davanti. Non sembrava pentita, anzi sembrava quasi che la colpa fosse mia.
“Mi aspetti in fermata e poi te ne vai? Che senso ha?”
Beh, peccato che non fossi lì per lei.
La guardai ancora e mi decisi a proseguire. Ma nulla, non voleva andarsene.
“Spiegami perché ti stai comportando come un bambino!” mi strattonò “RISPONDIMI!”
Feci come se non avesse proferito parola. Cominciò a scendere una grossa quantità di pioggia.. lei urlava, continuava ad ordinare di fermarmi.
Sistemai ancora una volta il colletto, mentre nella mia testa frullava la mia canzone.

“When it rain and rain and rain and rains
 When it rain and rain and rain and rains
 When it rain and rain and rain and rains
 When it rain and rain and rain and rains
 More than this,
 baby, I hate days like this…”

Mi fermai all’improvviso, afferrandole il braccio.
“Vattene a casa, Giusy.”
Mi fissò per degli interminabili secondi. I suoi occhi erano talmente pieni di odio.
“Meglio chiuderla qui.” Conclusi con voce decisa. Non ero mai stato più convinto di una mia decisione.
Un lampo squarciò il cielo in due. Si girò e corse via. Era fradicia a causa della pioggia. Beh.. anche io lo ero.
Il mio viso era diventato rosso, forse per la rabbia o per l’agitazione, per la vergogna. I miei ricci, bagnati, scendevano ed andavano ad appiattirsi sulla fronte.
Mi misi a correre e raggiunsi casa mia, chiudendomici a chiave dentro. Mi attaccai al piano e ripresi a suonare. L’unico modo per stare bene.
L’unico modo per evitare di pensare a lei, che mi aveva costretto ad essere ciò che non ero per così tanto tempo.
L’unico modo per evitare di pensare al biondo.. che sembrava essere diventato il mio pensiero fisso.
Ero fottutamente fottuto.

 

 

 

 

*ANGOLINO DELLA PAZZA*
Buonaseeeeera gente.
Okay, questo capitolo, dite cosa volete, ma per me era fondamentale. Ho sempre pensato a come possa essere nata Rain.. e ho cercato di adattare la nascita della canzone a questa ff! ..Vi prego non mi uccidete.. *si ripara dietro una padella*
Spero vi sia piaciuto e vi ringrazio per le recensioni dolci e MOOOLTO NESECCARIE che mi avete lasciato.
Se non avete capito c’è un messaggio subbbbbbliminale
-basta una piccola recensione per far felice un’idiota come me. Potete farlo? Grazie in ogni caso ehehe-
Okay, mi volatilizzo!!
Al prossimo capiiitolo – che pubblicherò sabato- !! (se volete)
tante coccole e tanti bacini
*se ne va saltellando*

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Capitolo 5
*** Drunk ***


~~Era passata una settimana, aveva piovuto per tutto il tempo.
La mia famiglia era tornata a casa ma Zuleika e Fortunè (i più piccoli) non avevano fatto altro che lamentarsi perché avrebbero preferito restare a Dublino.

Una settimana che non vedevo lui.
La mora invece, la vedevo tutti i giorni a scuola. Più di una volta aveva cercato di farmi ingelosire, mettendosi a flirtare con qualcuno davanti a me.. peccato che a me non interessasse minimamente.
Era successo anche che una del suo gruppetto fosse venuta a parlarmi, dicendomi quanto avessi fatto male a lasciarmela scappare.
Non volevo che si facessero i cavoli miei, ma dovevo aspettarmelo.
Mi buttai sul letto, sbuffando, mentre mia sorella Jasmine era seduta sulla scrivania ed era impegnata a disegnare. Rise.
“Molto allegro oggi.” Disse tracciando delle linee sul foglio con un sottile pennarello.
“Come gli altri giorni.” Feci spallucce.
Annuì, venne a sedersi  accanto a me. “Oh, che hai?”
“Ci siamo lasciati, Yas.” Abbassai lo sguardo.
“Oh.. ma.. non è quello che volevi?”
“Si che lo è..” mi misi a giocherellare con i suoi capelli scuri. “Il problema è che..” esitai. Presi un grosso respiro. “.. c-che ora non mi lascia in pace.”
“Dopo un po’ diventerai bravo ad ignorarla, fidati.” Mi guardò. I suoi occhi erano come i miei, anzi forse ancora più scuri.
Presi un grosso respiro, senza staccare il mio sguardo dal suo. Dopo un po’ fu lei ad arrendersi e ad abbassare la testa.
“A me piace un’altra persona.” Buttai fuori tutto ad un tratto.
Lei spalancò la bocca, poi mi guardò, con la coda dell’occhio ed uno sguardo bastardo in volto. Faceva quasi paura.
Mi tirò a sé, mettendosi con le gambe incrociate.
“Dai! Dai! DAI! Raccontami!”
Più che un’incitazione, somigliava ad un ordine.
“Che ti deve raccontare???” un’altra voce ci raggiunse. Ci girammo: era Paloma, la sorella più grande.
Si butto anche lei, sul letto. Non avevo più via di scampo.
“Voglio saperlo anche io!” scalciò, come una bambina. La più piccola la spinse. “Ma fatti i fatti tuoi!”
Incrociò le braccia. “Ma anche io sono sua sorella!”
Rimasi in silenzio, a guardarle.. si stavano praticamente scannando. Cominciai a camminare, lentamente, verso la porta. Ero quasi arrivato..
“MIKA, DOVE PENSI DI ANDARE?!”
Urlarono all’unisono prendendomi per le braccia e tirandomi sul letto. Sembravano essersi schierate contro di me. non potevo scappare.. e non potevo mentire:  se ne sarebbero accorte subito.
“Vabbè, che hai lasciato Giusy lo sapevamo..” iniziò il resoconto la più piccola.
“No, aspetta oh, io non sapevo niente! E mannaggia!”
“Eddai, ora lo sai.. chiudi la bocca!”
“No, zitta, fallo parlare!”
“Ma sei tu che stai parlando!”
Urlai, ammutolendole. Avevo emesso un acuto abbastanza forte. “Smettetela. Ma sapete stare cinque, dico CINQUE minuti insieme in una stanza senza uccidervi o prendervi a capelli?!”
Le fissai. Effettivamente stavano davvero per tirarsi i capelli a vicenda.
Sbuffai e proseguii. “A me piace una persona..” presi a giocherellare con le mani, arrossendo. “Cioè, non so se sia proprio quello.. so solo che quando siamo insieme ho tutto lo stomaco sottosopra, mi tremano le gambe.. e poi…”
“Ha.ha.ha. Carino lui. Sei cotto.” Sentenziò Paloma guardandosi le unghie.
“Si, decisamente cotto.” Confermò la seconda, impassibile.
Le odiai. Le odiai perché avevano ragione.
“Mika, stasera esci con me!” annunciò mia sorella, mettendosi una collana.
Ero steso a letto, morto di sonno e di stanchezza. Mi presi il tempo per realizzare ciò che aveva appena detto.
“E da quando in qua ti porti il tuo fratellino in giro?” le lanciai un cuscino, mancandola, purtroppo.. Lo raccolse e me lo ritirò, prendendo poi una boccetta di profumo e spruzzandoselo addosso.
“Dai, appunto, approfitta della mia gentilezza..” fece mezzo giro, specchiandosi. “..Aah! Voglio che ti sfoghi, va bene?”
“OH MY FUCKING GOD!” feci finta di sgozzarmi.
“Mika, niente storie: tu stasera esci con Yasmine!” urlò la maggiore dall’altra stanza.
Non potevo crederci, erano davvero d’accordo su qualcosa. Mi misi seduto, alzando le braccia, come in segno di resa. Le due stronze si diedero un cinque mentre io filavo in bagno, per lavarmi e vestirmi. Sentii urlare un “Mamma! Stasera Mika viene con me!”, poi sparii dietro la porta.

Non avevo messo nulla di speciale; una camicetta delle mie, abbastanza colorata, con un paio di jeans e le mie amatissime converse rosse.
Mia sorella mi portò in un posto importante, non fece altro che ripetere quanto fosse figo e frequentato a Londra finché non ci arrivammo. Una discoteca, in parole povere.
Non amavo molto la confusione, ma ero intento a divertirmi.. o almeno ci avrei provato.
Cominciammo a ballare, canzoni movimentate, poi lente. Yas non la smetteva di ridere.
Iniziò a girarmi la testa, mi girai in cerca della mora, per informarla. Ma nulla, lei era impegnata a ballare con un tipo che mi aveva presentato poco prima: Luke.
Andai a sedermi in un tavolo, tenendomi la testa fra le mani. Mi girava e non poco. Era come se mi mancasse l’aria. Mi veniva da vomitare, non riuscivo a respirare regolarmente.
Maledette discoteche, maledetto me.
Cominciai a correre, spintonando gente e rischiando di cadere tre volte, tenendomi la mano sul petto sentendo, man mano che andavo avanti, il mio battito che aumentava.
Mi buttai fuori, prendendo un’enorme boccata d’aria. Mi poggiai ad una panchina, per “riprendere coscienza”.
Mi misi poi, a passeggiare con la mano in tasca. Con l’altra mandai un messaggio alla mia accompagnatrice:

“Io torno a casa, sono a pezzi.”

Chiusi il cellulare, proseguii. Presi una delle tante scorciatoie, trascinando i piedi.. Non ce la facevo più.
Udii, ad un tratto, delle voci che ridacchiavano.
“Ma guardalo come sta.” Diceva uno, con voce divertita. Mi affacciai dall’angolo e vidi tre ragazzi, messi in cerchio, abbastanza robusti.
“Sperava di scappare il frocetto..  Adesso pagami le birre.”
Notai allora che ai loro piedi c’era un ragazzo. Non potevo crederci.
“ANDY!” urlai.
I tre si girarono. Cazzo, che avevo fatto.
Si girarono, dirigendosi verso di me. “E tu chi sei? Il suo ragazzo?”
Rimasi muto, strinsi i pugni e li guardai dritti negli occhi. Da dove l’avevo cacciato tutto sto coraggio eh???
“Andatevene.”
“Prima pagami le birre di quello. Sennò meniamo anche a te.”
Risero ancora. Avrei tanto voluto tirargli un pugno nelle gengiv.. Penniman! Stai fermo, che sennò le prendi pure te!!
Infilai una mano in tasca e ne cacciai un biglietto da £30, tremando.
“V-va bene..no??”
Afferrarono i soldi e iniziarono a ridere. Mi sentii tirare in pugno nella pancia e qualcuno mi sfilò gli altri soldi che conservavo nella tasca destra. Poi fui scaraventato fra dei bidoni dell’immondizia.
Scapparono via.
Avrei tanto voluto fare qualcosa, ma la mia dose di coraggio mi era bastata per tre secondi.. Ero debole, maledettamente debole.. ed ero andato nel panico.
Mi alzai, ignorando ogni tipo di dolore. La mia unica preoccupazione non ero io..
Corsi verso il biondo che, seduto a terra, balbettava robe incomprensibili. Lo aiutati ad alzarsi. Era visibilmente ubriaco.
I suoi occhi socchiusi, uno dei due era circondato da un colorito violaceo.. dovevano averlo picchiato. Quell’idea mi fece salire la rabbia. Non riuscivo a sopportare il fatto che qualcuno l’avesse toccato.. per fargli del male.
“Andrew, mi senti? Come stai?”
Buttò il suo sguardo, debole, nel mio. Le sue pupille erano dilatate.. e le guance rosse come dei papaveri.
“Mika… ti ho cercato dappertutto!” sembrava così indifeso, così fragile.
Borbottò ancora qualcosa. Era bevuto come una spugna. Aveva un occhio nero, era debole e continuava a dire cose senza senso e a singhiozzare… eppure era così bello.
Si poggiò a me e cominciammo a camminare.
“M-ma d-dove ti sei cacciato??” chiese con la voce rotta a causa dell’alcool.
Si fermò, girando la testa verso di me che contemporaneamente feci lo stesso. I nostri nasi si sfiorarono, sentii l’odore del suo alito.. birra.
“S-sei bellissimo stasera.” Sorrise leggermente. Arrossii, abbassando lo sguardo.
“Sei ubriaco, Andy.” Risposi con voce spenta.
Fece una smorfia, come per smentire ciò che avevo appena detto.
“Ti ho cercato o-ovunque… sono andato in giro per tuuuuutta Londra!” allargò le braccia per rendere ancora di più l’idea. “…m-ma tu non c’eri..”
Mi prese per le guance, tirandomi un’ennesima volta verso di lui. Di nuovo vicini. Mi avrebbe fatto impazzire.
“Ma finalmente ti ho trovato!” concluse mostrando un sorriso enorme, come se fosse la cosa più bella del mondo. “Non mi lasciare maaaaai più!”
Non c’era bisogno che me lo dicesse, non l’avrei mollato per nulla al mondo ora che lo avevo ritrovato.
Pensai che se fosse tornato a casa, i suoi lo avrebbero disconosciuto come figlio.. decisi quindi di farlo restare da me, nonostante l’idea risultasse taanto stramba e soprattutto taaanto imbarazzante.
Ero sicuro che mia madre stesse dormendo, così come Zuleika e Fortunè; dovevo solo sperare che Paloma stesse facendo lo stesso.
Entrammo furtivamente dal portone.. lui continuava a straparlare.. gli tappai la bocca e lo spinsi contro il muro, premendomi su di lui e facendo entrare a contatto i nostri corpi.
Ero arrossito, per fortuna lui non poteva notarlo.
Ma non mi creava disagio, non era come con Giusy.
“Zitto, ti prego; sveglierai tutti!”
Gli afferrai un braccio, facendolo appoggiare anche alla mia spalla. Lo lasciai precipitare sul mio letto, a peso morto. Si addormentò.
Gli misi una coperta addosso. Mi sedetti affianco a lui, giocherellando con le dita e guardandolo, mentre ispirava ed espirava lentamente.
Sorrisi. Chissà cosa sarebbe successo se non lo avessi trovato..
“Ma cosa cazzo..?”
Saltai in aria, notando con orrore che mia sorella maggiore si era svegliata, era in piedi e stava fissando me ed il biondo.. manco fossimo stati due alieni.
“Shhh, Pal, non urlare!” le ordinai a bassa voce.
“CHI-È-QUESTO?” sussurrò anche lei stavolta. “E cos’è quel rossore che hai sulla gota?”
“Lui è Andrew..” abbassai la testa.
“Andrew?” ripeté, come per esigere una spiegazione.
“È il cugino di Giusy. L’ho.. diciamo.. trovato mentre tornavo a casa. Era ubriaco fradicio e stavano per picchiarlo.. non potevo lasciarlo lì.”
Spalancò la bocca, strofinandosi gli occhi.
“..le hai prese pure tu..”
“Non è nulla.” Mi coprii la guancia.
“Yas dove sta?”
“Con uno..”
“Ah bene..” lanciò gli occhi in aria. Si risedette lentamente. “E pensavi che non me ne sarei accorta?”
Feci spallucce. “Te lo avrei spiegato domani..”
“Ah bene..” –di nuovo-
Rimanemmo in silenzio. Mi girai verso di lui e lo guardai, tirando in su le labbra e sistemandogli la coperta.
“Ehm.. Mika..?”
OPS.
“S-si?” ingoiai a vuoto.
“È lui?” un sorrisetto le nacque sul viso. Si morse le unghie. Faceva come me.
Attimi di quiete, parvero secoli. Sudavo freddo, avevo terrore.. tanto.
“Si. È lui.” Confermai tutto ad un fiato.
“Ah beeene!”  -ancora una volta?- cominciò a sghignazzare, soffocando la risata nel cuscino. La guardai malissimo.
Avrebbe sicuramente iniziato a prendermi in giro. Dovevo aspettarmelo.. Sospirai, buttando lo sguardo a terra.
“Se lui ti fa stare bene, non vedo cosa ci sia di male.” Sorrise, spiazzandomi.
Poi spalancò le braccia e mi fece segno di raggiungerlo. “Vieni qua, idiota.”
Mi buttai affianco a lei, stringendola forte.  
“È pure abbastanza figo, cosa vuoi di più?”
Ridemmo.
“Vuoi dormire con me stanotte?” poggiò il mento sulla mia testa.
“Posso?”
“Poiché non hai altra scelta..” sospirò, indicando il ragazzo che ronfava beatamente nel mio lettino.
“Se proprio insisti..”
Ci infilammo sotto le coperte. Questa cosa non la facevamo da quando eravamo bambini.. quei tempi in cui ero tormentato dagli incubi e lei, vedendomi tremare come una foglia, mi ospitava nel suo letto.
Le volevo bene. Un bene assurdo.

 

 

 

*ANGOLINO DELLA PAZZA*
Eccomiii *Saltella e lancia fiori e cioccolatini*
Perdonatemi il ritardo, vi scongiuro! *si inginocchia e prega in aramaico*
Spero che questo capitolo vi piaccia eheh <3

--Questa è per la mia Nana: VISTO, HO PUBBLICATO! HAA!--

Voglio ringraziare tutti quelli che sopportano i miei ritardi e i miei scleri in questi tempi e soprattutto tutti quelli che mi lasciano commenti carini, ma anche tutti voi che segretamente continuate a leggere… si, anche voi siete essenziali OuO
#MaICommentiFannoBeneAllaSalute
No okay, ora basta.
Al prossimo capitolo! (Mercoledì :D)
Tante coccole e tanti bacini!
Ps: Buon San Valentino…. In ritardo anche questo, sì..

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Capitolo 6
*** You're not alone ***


Aprii gli occhi, lentamente. Spostai lo sguardo dall’altra parte del letto per cercare la figura di mia sorella. Nulla, non c’era. Mi misi seduto, restando sotto le coperte, guardandomi intorno.
Sul comò c’era un biglietto:

Mi sono avviata prima stamattina, devo andare in università. E tu anche oggi salti la scuola, eh?
Mi ha chiamata Yas, è a casa di un’amica.. almeno così mi ha detto.
Ps: Mamma è ancora in casa, attento con Andy.. ho chiuso la porta a chiave, ce n’è un doppione nel mio cassetto.


 

Lo richiusi, sospirai. Mi girai alla mia sinistra. Nel mio letto c’era ancora lui, sembrava non essersi mosso di un centimetro. Se ne stava lì, di lato e si abbracciava il cuscino.
Scesi dal letto e con calma, a carponi, mi avvicinai. Mi sedetti accanto a lui, guardandolo. Si riusciva a sentire anche il suono del suo respiro. Era sottile, dolce. Le sue labbra erano curvate all’insù, sorrideva. Sorrideva come solo lui sapeva fare.
Quasi quasi mi dispiaceva svegliarlo. Mi tirai su le maniche del pigiama, intento ad alzarmi.. ma non resistetti e mi rimisi ad osservarlo.
Si era spostato leggermente, ora la sua mano penzolava giù dal letto. Cominciai a giocare con le sue dita, facendo attenzione a non farmene accorgere, sorridendo, ad ogni leggero tocco. Aveva le unghie mordicchiate, proprio come le mie.. ma le sue erano decisamente meno.. distrutte delle mie. Portai lo sguardo più su, aveva la manica alzata e sul suo braccio si poteva scorgere una piccola, strana voglia marroncina.
Mi soffermai infine sul suo volto. Un naso abbastanza piccolo e una bocca semi-socchiusa, umida, che espelleva aria ad intermittenza. Il tutto contornato dai suoi capelli chiari che, scompigliati, gli scendevano sulla fronte.
Mi morsi il labbro, pensai alla sera prima. Era ridotto proprio male.
Le sue guance erano ancora leggermente rosse. Alzai la mano, portandola all’altezza del suo viso e gli toccai la fronte.. non scottava.
Saltai in aria, sentendo qualcuno bussare, ripetutamente ed insistentemente. Oh cazzo. Mia madre.
Balzai in piedi, guardandomi intorno.
“Mica, ma che succede??” si, era proprio lei. “Ma perché hai chiuso a chiave?”
“Mamma, io… non entrare!!” mi abbassai i pantaloni e mi sfilai la maglietta velocemente. Corsi alla porta e la aprii, leggermente, tenendo un piede dietro di essa per evitare che mia madre potesse spalancarla.. lo avrebbe fatto, la conoscevo bene.
Tirai fuori solo una parte della testa, mostrando un sorrisetto innocente.
“Eehi.. sono nudo.” Sussurrai.
“Ah, buongiorno!” lei invece urlava. “Ma che mi sussurri??”
“N-niente.. ho sbagliato.”
“Ma non ci vai a scuola oggi?”
“No, ehm… è chiusa.” Cercai di sembrare convinto.
“Ah..” aggrottò la fronte. “Devi uscire?”
Annuii.
Cominciò a picchiare con le dita sulla porta. “Io vado a prendere tuo padre in stazione, è quasi arrivato. I bambini sono con me.”
“V-va bene” un altro sorrisetto idiota.
Si allontanò e la vidi aprire il portone dell’appartamento. “Ciao Mica!” urlò. Poi sparì.
Tirai un grosso sospiro, mi portai le mani sui fianchi.
“Che culo..” mi soffiai sul ciuffo.
“M-mika?” disse una voce alle mie spalle.
Mi voltai, sorrisi. Si era finalmente svegliato.. forse per colpa di mamma e della sua finezza.
“Buongiorno Andy!”
Continuava a fissarmi, con gli occhi sbarrati. Era arrossito, sembrava una fragola. Giocherellava con la coperta.
“P-perché sei nudo?”
Abbassai la testa, per guardarmi.. e solo allora mi accorsi di essere ancora in mutande..
“OH MY… aspetta eh..” ora eravamo due fragole. Mi coprii con il lenzuolo di Paloma, infilandomi velocemente il pigiama, mentre lui rideva sotto i baffi, cercando di non farsi notare.
Si grattò la nuca, scompigliandosi ancora i più i capelli. “Sono prevedibile se ti chiedo come ho fatto ad arrivare qui?”
“Ehm… si.. t-ti ci ho portato io.. ti ho trovato ieri sera mentre tornavo a casa.”
Si toccò l’occhio, facendo una smorfia. Era ancora nero. “M-mi fa male..”
Mi buttai, quasi su di lui.. prendendolo per i polsi. “Fermo, non lo toccare!” ovviamente solo in seguito mi accorsi della mia reazione esagerata e mi allontanai leggermente, senza mollarlo però. “Aspetta, ci mettiamo su qualcosa..”
Corsi in cucina, presi un sacchetto di ghiaccio e lo raggiunsi. Lo presi per mano stavolta, lui rimase seduto a fissarmi, mentre gli premevo l’oggetto sull’occhio.
“C-come me lo sono fatto?”
“Degli idioti.. dicevano che non gli avevi pagato le birre..”
Il suo sguardo si poggiò sulla mia guancia. Si liberò subito dalla mia presa e mi accarezzò il volto. Abbassai lo sguardo.
“Hanno picchiato anche te!” urlò. Sembrava nervoso.
Gli presi la mano, allontanandola con decisione. Accompagnò il movimento, come per scusarsi per quello che aveva appena fatto.
Gli sorrisi, stringendogli un dito, che era ancora rimasto sul mio palmo. “Io sto bene, non preoccuparti.”
Tornai sul suo occhio nero. “Sei tu che stai messo proprio male.”
“Ti ho cercato dappertutto.” Mi interruppe. Come se non volesse parlare della sera prima, come se avesse paura di aver fatto qualcosa di sbagliato..
Rimasi in silenzio, fissandolo.
“Anche io.”
“Tu e Giusy vi siete mollati… vero?” cominciò a giocherellare con la manica della sua camicia.
Non risposi.
“Andy, io…”
“Mika, lo so che lei mi odia. E so che ti ha detto che sono gay.” Si vedeva chiaramente che stava trattenendo le lacrime. “Mio padre non mi parla per questo, lo sai? Anche se viviamo insieme.. non mi rivolge mai la parola.”
“E... tua madre?”
“Mia madre non c’è più, Mika.”
Buttai a terra il sacchetto di plastica e alzandomi, lo tirai verso di me. Lo strinsi più forte che potevo, mentre lui affondava la testa nel mio collo, iniziando a singhiozzare.
Mi uccideva. Mi uccideva vederlo in quel modo. Gli passai una mano sulla schiena, spingendolo sempre di più contro di me, come se non volessi lasciarlo più.
Restammo lì, in silenzio. Io non mollavo lui e lui non si staccava da me.
Lo presi per le spalle, allontanandolo leggermente, in modo che potesse guardarmi. Sentii il suo respiro pesante e quasi mi sentii male quando i suoi occhi si incatenarono ai miei.
La sua faccia era gonfia di lacrime.
“Ehi..” gli passai un dito sulla guancia, asciugandogliele. “Ci sono io adesso, va bene?”
All’inizio sarebbe potuta sembrare una cosa talmente ridicola da dire.. ma io non riuscii a proferire altro. Anche se non ci conoscevamo benissimo, anche se non sapevo bene cosa provavo per lui.. ero sicuro di volergli restare vicino. Perché ne aveva bisogno, più di chiunque altro.
“Ora sorridi, dai.” Sussurrai ancora.
Le sue labbra si curvarono in su, all’unisono con le mie.
Ci guardammo per un po’.
“T-ti va una crepe?”
Annuì, emettendo una risata sottile.

C’era un vento abbastanza forte e Andy non aveva nulla addosso, se non la sua camicetta.
“Hai freddo?” chiesi guardandolo tremare come una foglia.
Incrociò le braccia, curvandosi. “N-no tranquillo.. S-sto bene.”
“Ma smettila!” gli appoggiai la mia giacca sulle spalle. “..ecco.”
Si coprì per bene. “Non c’era bisogno.. sul serio.”
“Si certo..” lo spinsi con la spalla “Ma cammina, va!”
Fece una smorfia, riavvicinandosi. Rimanemmo ancora una volta con gli sguardi attaccati.
“Vedi di non sbattere contro un palo, che sennò pure l’altro occhio ci rimane secco!”
Ridemmo. La sua risata era rumorosa, ma sembrava il suono più bello del mondo.

“Potevi almeno lasciare che pagassi io..” mi disse mordicchiando la sua crepe.
“Ma zitto e mangia.”
Ci sedemmo su una panchina, fissando il vuoto, in silenzio.
Dopo un po’ ci guardammo ed il biondo spalancò gli occhi e ricominciò a ridere.
“Che c’è?” feci spallucce.
Non rispondeva, si teneva la pancia, cercando di trattenersi.
Lo spinsi. “Dai dimmi che c’ho?”
“Sei pieno di cioccolata qui!” mi indicò l’angolo della bocca.
“Ma dove??” mi passai la lingua sulle labbra.
“Noo aspetta..” rise ancora “Qui..” avvicinò il suo pollice alle mie labbra ed iniziò ad accarezzarmele, ripulendomi.
Sussultai,  arrossendo, guardando lui che intanto aveva arricciato il naso  e mi teneva la mano.
“..ecco..” si allontanò.
Mi guardò, lo guardai. La mia mano era rimasta ancora accanto alla sua.
“Ehm…io.. forse è meglio che ora vada..” si alzò, rosso come un peperone.
“Andy..”
Mi guardò.
“Io.. ehm.. non ho neanche il tuo numero..”
Sorrise, aprii la mano. “Hai il cellulare?”
Annuii e glie lo porsi. Digitò qualcosa e me lo restituì.
Abbassai lo sguardo, sorrisi debolmente.
“Ci rivediamo allora..”
“Si, ma sul serio stavolta..”
Annuimmo.
Ci separammo, prendendo strade diverse. Cominciai a toccarmi le labbra, il punto in cui si era posato il suo piccolo pollice.
“Ehi, Mika…!” era di nuovo lui. Lo vidi correre verso di me, ridendo. “Questa è tua.” Mi porse la giacca.
“..G-grazie di tutto.”
Si rigirò e si dileguò, iniziando a correre e prendendo una stradina.
Rimisi l’indumento ed un profumo incredibilmente familiare mi entrò nelle narici.. il suo.
Lo strinsi a me e proseguii.

 

 



 

*ANGOLO DELLA PAZZA*
Salve a tutti! E buon mercoledì! (?)
Spero che anche questo piccolo stupido capitolo vi piaccia, ho voluto giocare un po’ sulla figura di Andy. *si nasconde dietro al pc evitando i pomodori*
Ovviamente io non lo conosco e ho provato a costruire un personaggio strano, con una storia particolare, se volete che aggiunga qualcosa non esitate e fatemelo sapere!  U.u
Un’altra avvertenza, fino a sabato prossimo, (28 febbraio 2015) non potrò pubblicare poiché non sarò a casa. Quindi il prossimo capitolo dovrebbe essere online per il 2 Marzo *si guarda intorno aspettando che gli lancino qualcosa addosso* perdonatemi se vi faccio aspettare! *ma chi ti credi di essere?*
Come sempre, ringrazio quelli che continuano a seguire e a recensire!
Cause all I need  are you <3 *lo dice cantando underwater*
Okay, plachiamoci.
Piccolo appunto: Ho scritto “Mica” perchè ho letto da qualche parte che mamma Joannie chiamava così il nostro ricciolino e lo chiama tutt’ora così. (o almeno spero lol)
Beh allora.. tante coccole e tanti bacini!

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Capitolo 7
*** I'm not yours. ***


~~“Allora ragazzi, voglio che andiate tutti a pagina 560, c’è una riflessione molto importante..”
Ero ancora in classe, mancava poco all’uscita. Mi poggiai sul banco sbuffando.
Guardai fuori.
Era passata un’altra settimana. Con l’unica differenza che stavolta, Andy lo avevo visto. Quasi tutti i pomeriggi.
Avevo addosso la giacca che gli avevo prestato, il giorno che aveva dormito da me. Non avevo dato a nessuno il permesso di toccarla, c’era ancora il suo profumo. Ogni volta che la mettevo, un brivido mi percorreva la schiena e quel profumo di.. buono.. andava a coccolare il mio olfatto. E mi ricordava di quella sera.
Mi ricordava il suo sorriso da ubriaco fradicio; mi ricordava il suo straparlare continuo a causa della sbronza, la sua voce rotta dall’alcool.. ma sempre adorabile. Mi ricordava di quanto riuscisse ad essere bello anche sotto effetto di una bevuta allucinante.
E poi quello che mi aveva detto.
Mi girai, notando che uno sguardo era poggiato su di me: Giusy.. ancora.
Buttai i miei occhi nei suoi. Erano sempre più pieni di odio. Come se avessi fatto qualcosa di illegale, come se l’unica vittima fosse stata lei.
Alzò ed abbassò la testa velocemente, come per chiedermi cosa volessi. Ma cosa vuoi tu, che mi guardi da tre ore?!
Tornò a scarabocchiare.
Lei non sapeva che mi stavo vedendo con suo cugino, non doveva saperlo. Era solo una dei tanti che non facevano altro che rendergli la vita complicata. Che aspettavano che facesse un errore, per andare ad ingigantirlo e farlo sentire sbagliato. Un sentimento di odio mi attraversò tutto il corpo.
Non dovevano fargli del male.
Mi morsi leggermente le labbra, sorrisi. Lui era strano. Capace di mandarmi in confusione.
Incrociai le braccia e ci poggiai la fronte.

Finalmente la campanella. Mi alzai e cominciai a riordinare la mia roba con calma, mentre gli altri uscivano. Mi piaceva essere ultimo, preferivo evitare la confusione. Misi lo zaino in spalla e lasciai la classe.
Mi sentii afferrare per il polso e qualcuno mi tirò indietro. Mi girai, ritrovandomi davanti a due occhi chiari ed una frangetta nera.
“Giusy. Cosa vuoi?” era odio quello che poteva leggere nei miei occhi.
Mi spinse stavolta, contro il muro, premendosi su di me, spostando la sua gamba e appoggiandola fra le mie. Quasi come se volesse stuzzicare.. la mia intimità.
Mi irrigidii, mentre la vedevo avvicinare le labbra al mio viso. Volevo che si fermasse, ma era come se non riuscissi a reagire, come se mi avesse pietrificato con lo sguardo. Poggiò la sua fronte sulla mia e si morse il labbro. Il corridoio era vuoto ormai.
“Non lo so..” si spostò leggermente, soffiando sul mio collo; sentii i suoi denti duri, freddi, che mordicchiavano il mio lobo. “..tu? Tu cosa vuoi?” rise leggermente, con un tono di malizia.
Poggiai le mani sul suo petto e con decisione, la allontanai spingendola in avanti. Mi guardò male, ma io ancora di più.
“Non voglio questo.” Sguardo di ghiaccio, fisso su di lei.
Strinsi i pugni. Pensai che la odiavo. La odiavo perché voleva impormi ciò che non avrei mai voluto.
Cominciò a tirarmi a pugni sul petto, urlando. Come se stesse  bussando ad una porta che non voleva aprirsi.. e che purtroppo, non si sarebbe mai aperta per lei.
“Tu sei il mio ragazzo! Sei mio! MIO! CAZZO SMETTILA DI FARE L’IDIOTA!” urlava. Le sue parole mi entravano in testa, martellandomi le tempie, distruggendomi i nervi.
Continuò, fino a farmi quasi male.
La afferrai per i polsi, tirandole le braccia e portandole all’altezza delle sue spalle, per farla calmare.
Soffocò un altro urlo, fiondandosi sulle mie labbra, su di me, iniziando a baciarmi, tenendomi per il mento.
Feci una smorfia di disgusto, allontanandola ancora, per far si che non si avvicinasse più.
“Non sono tuo.” La fissai. Le era colato tutto il trucco, mentre il suo zaino giaceva a terra.
“Non lo sono mai stato.”
Mi girai, avviandomi verso l’uscita; scesi le scale, correndo. Volevo andare via.
Pioveva, forte. I capelli, ricci, mi si appiattivano sulla fronte. Ripresi a correre, veloce, sempre più veloce, fino a farmi terminare il fiato. Non avrebbe dovuto.
Salii in fretta le scale della mia palazzina, buttandomi contro il portone del mio appartamento, infilandomici dentro.
Mi poggiai al muro, lasciandomi scivolare giù, respirando affannosamente e tenendomi le mani nelle tasche.
Ma cosa voleva fare? Cosa sperava che sarebbe successo?
Il fiatone non voleva placarsi, mi sentivo lo stomaco ribaltato. Iniziai a tossire. Parve vollero salirmi conati di vomito. Colpa della corsa appena fatta, oppure colpa di.. altro?
“Mika? Sei tu?” mia madre, era in cucina.
Corsi in bagno, tenendomi la pancia. Un’altra tosse secca.. rigettai.
“Mika, è pronto se vuoi venire a tavola.” Venne a chiamarmi lei.
Io ero impegnato a sciacquarmi la faccia, per rinfrescarmela, essendo diventato rosso porpora.
La ignorai, mentre lei non riuscì a fare a meno di notare il mio tremare continuo. Avevo freddo. Tanto freddo.
“Che hai?” mi afferrò per la spalla, squadrandomi con occhi indagatori.
“Niente mamma.. tranquilla.” Mi asciugai la fronte, cercando di frenare quel tremolio insistente.
“Ma..” iniziò portandomi una mano sulla fronte e facendo poi una smorfia che non interpretai. “..Forse hai la febbre.”
Arricciai il naso, con disapprovazione. “Ho solo bisogno di riposar..”
“Si! Si! Io intanto prendo il termometro.”
Quanto era cocciuta.

“Visto! Ti avevo detto che avevi la febbre!” agitò lo strumento che segnava 37 gradi e mezzo, in segno di vittoria.
Per tutta risposta, tossii e mi infilai il pigiama.
“Dai, ti lascio riposare.”
“Grazie.”
Uscì, chiudendo la porta dietro di sé. Mi raggomitolai nella coperta e chiusi gli occhi.
Stavo cercando di prendere sonno, ma nella mia testa non faceva che ripetersi la stessa maledetta identica scena. Le sue gambe magre che si facevano spazio fra le mie, le sue labbra gelide, impregnate di rossetto che avevano cercato un contatto con la mia bocca.. fallendo miseramente. E quei suoi occhi chiari, circondati dal trucco ormai colato.
Mi sentii percorrere da un brivido. Strinsi i pugni nel lenzuolo ed un’altra tosse secca mi usci dalla gola.
Perché ero stato con lei?
Perché per tutto quel tempo avevo provato a convincermi che mi piacesse, quando sapevo sin dall’inizio di non poter essere felice insieme a lei? Perché mi ero sempre sforzato di fare ciò che faceva stare bene gli altri e non avevo mai pensato a me?
Io con lei non stavo bene, non ci riuscivo. Volevo essere felice anche io, senza farmi condizionare. Volevo essere me stesso. Volevo essere Mika.
Poggiai la testa al muro, tirandola leggermente in su e sospirando. Mi guardai intorno e il mio sguardo si posò sul mio pianoforte. La sua cassa era di un colore chiaro, tempestata di adesivi colorati, brillava alla fioca luce del giorno. E sullo sgabello.. beh, sullo sgabello c’era la mia giacca.
Quella che aveva messo Andrew.
Quella che io mettevo tutti i giorni.
Quella che, pur essendosi inzuppata d’acqua tutti i giorni, aveva ancora il suo profumo.
Il suo profumo..
Lui.
Afferrai il cellulare, ignorando delle chiamate perse e alcuni messaggi. Digitai un numero che ormai avevo imparato a memoria..
“Pronto?!”
Sussultai, sorrisi. “Andy.”
“Mika.”
Attimi di silenzio.
“Come stai?” iniziò, interrompendo quel minuscolo momento di quiete.
Amavo il silenzio, ma non sarebbe mai potuto essere piacevole quanto la sua voce.
“…ho la febbre.” Risi
“Ah bene, ecco perché quella voce da bradipo!”
“Ha. Ha. Ha. sto ridendo, eh.” Feci una smorfia
“Allora fra un po’ sono da te.”
“No, che poi t’ammali anche tu..”
“Senti, sono già in strada.”
Sbuffai. Ecco un altro cocciuto.
“Allora, che faccio, vengo?” esitò
“E va bene!” cedetti “Ti aspetto.”
“Grazie dell’udienza Mr. Penniman, sono da lei in pochissimo tempo!”
Attaccò, senza neanche darmi il tempo di salutarlo. Buttai il cellulare sul piumone, con un sorriso enorme stampato in volto. Mi passai una mano nei ricci castani.
“Mika, io scendo con i bambini; se ti sale la febbre, ti ho lasciato delle gocce sul tavolo in cucina!” sentii urlare ancora.
Più che una casa, la mia sembrava un mercato.
“Va bene!” risposi alzando anche il la voce.
Rimasi muto e dopo un po’, sentii sbattere la porta.. e nell’appartamento tornò il mio dolce e amato silenzio.

 


*ANGOLINO DELLA PAZZA*
Buonassera/giorno/pomeriggio (dipende da quando leggete lol)
Sono tornataaaa yee *lancia coriandoli*
*sente i grilli*
*passa una palla di polvere*
Okay, spero che questo capitolo vi piaccia. È un po’.. particolare, lo so. Ma non avevo molte idee D: *si nasconde dietro al pc evitando i pomodori*
Come sempre vi prego di lasciare un commentino che fa sempre bene, al prossimo capitolo!
See you!

 

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Capitolo 8
*** My special guest ***


~~“Arrivo subito!” urlai infilandomi le pantofole. Era sicuramente lui, che suonava al campanello.
Mi precipitai alla porta, aprendola senza tanti complimenti.
Mi aspettavo di incrociare il suo sguardo del colore del cielo, di vedere la sua chioma bionda.. e invece.. beh invece no.
“Ciao fratellino! Aspettavi qualcuno??”
Paloma. Sbarrai gli occhi e la guardai dall’alto al basso. Aveva i capelli raccolti in una coda, leggermente scompigliati, ed il suo solito sorriso stampato in faccia. Vidi, però, un tono di malizia nel suo sguardo.
Si spostò leggermente e da dietro di lei spuntarono due occhi azzurri ed una faccia rossa dall’imbarazzo.
Andy. Continuava a sorridere, grattandosi la nuca, non sapendo se guardare me o mia sorella.
“Beeh?!” rise lei “Non ci presenti nemmeno?” squadrò prima me, poi lui.
“Ehm io..” feci una smorfia
“Seh addio Mika!” mi passò una mano davanti alla faccia, come per riportarmi alla realtà “Tanto noi ci siamo già presentati, vero?”
Il biondo annuì, arrossendo ancora di più.
Continuammo a fissarci, lì sull’uscio della porta. Ovviamente il sottoscritto era il più ridicolo. Ma non solo per il pigiama con gli orsetti che avevo dimenticato di cambiarmi.. anche perché il capolavoro era completato dai miei capelli dello stesso volume di uno straccio per lavare a terra e dalla mia faccia pallida come non so che a causa della febbre.
“Okay, forse tu non mi avevi mai visto prima… MA IO SII!” urlò la mora con entusiasmo. Sembrò l’unica a non essere a disagio in quel momento e continuò come se nulla fosse a sbraitare. “La sera che Mika ti ha portato qui, c’ero anche io ovviamente! Eri ridotto come no stracci.. no, forse questo non dovevo dirlo.” Si grattò la nuca e rise.
“Comunque eri ubriaco fradici.. no.. nemmeno questo andava detto.. Va beh, io entro che fa freddo!”
Mi portai una mano nella fronte, facendola scivolare fino nei capelli.
Viva Paloma e la sua finezza!
Lo guardai, abbassò la testa. “Se vuoi.. cioè.. se hai da fare con lei passo un altro giorno..”
“No!” gli afferrai il polso e lo tirai verso di me. non riuscì a fermarsi prima e sbattè contro il mio petto.
“S-scusami..” sussurrò leggermente. Si allontanò, guardandomi. Anche io feci lo stesso.
Gli strinsi il polso con decisione. “Resta.”
Portò la sua mano sulla mia e sorrise, annuendo. Rimanemmo a fissarci ancora. Era la cosa più bella del mondo.
“Allora.. entriamo?”
Ridemmo.
“Certo.”
Lo lasciai andare per primo e lo seguii, chiudendo la porta alle mie spalle. Si guardava intorno, senza dire nulla. Sorrisi a quella vista tanto dolce..
“MIKAAA?! MAMMA MI HA LASCIATO QUALCOSA DA MANGIARE? HO UNA FAAME!” barrì un elefante correndo per casa.. ah no.. era solo mia sorella. E ci aveva interrotti di nuovo.
Non che tra noi stesse succedendo qualcosa in particolare, ma si era creata la nostra solita atmosfera di silenzio.. ed era piacevole.
Sbuffai, mentre il biondo si teneva la pancia a causa delle risate.
“Si Pal.” Cercai di restare calmo. “È nel frigo.. credo..”
“Aah perfetto!” corse in cucina, saltellando sotto i nostri occhi. Lui continuava a ridere.
Il campanello suonò di nuovo. Mi girai di scatto, aggrottando la fronte.
“Beh..?” chiese la ragazza con la bocca piena di qualcosa che assomigliava ad un pezzo di carne. “Vai ad aprire?”
Eseguii il suo ordine e mi trovai davanti una donna non troppo alta, dai capelli scuri.
“M-mamma… già t-tornata?” balbettai
“Veramente no..” rispose di fretta, ignorando Andrew (grazie al cielo).
“Ho un problema.” Per mano teneva mio fratello e mia sorella* che al suo contrario, squadravano il biondo dalla testa ai piedi.
“Che problema?” chiedemmo in coro io e Paloma, che continuava a mangiare.
“Fra poco al negozio verrà una cliente importante.. non voglio che i bambini combinino qualche disastro. Potreste tenerli voi, per favore?”
“EEEH NO!” urlò la maggiore, infastidita. “Io devo uscire. Parlane con lui!”
Il suo sguardo si poggiò su di me, così come quello di mia madre.
“Mika.. mi faresti questo piacere?” piegò la testa leggermente a destra.
Feci spallucce. “V-va bene..”
Vidi i due piccoli sorridere e gli feci segno di entrare in casa, mentre la donna che poco prima gli teneva la mano, mi stava stampando dei baci in faccia.
“Grazie! Grazie! Grazie!” urlò stringendomi, evitando che mi dimenassi. “Ora scappo! A stasera!” detto questo, iniziò a correre e sparì, nella tromba delle scale.
Chiusi la porta, i miei fratelli minori mi fissavano. Ricambiai lo sguardo, sorridendo.
Zuleika aveva due codini, che raccoglievano i suoi folti capelli castani; gli occhi di un colore scuro particolare. Fortunè invece, aveva gli occhi più chiari e i capelli leggermente ricci e scuri.. proprio come me.
Aprii bocca, cercando di proferire parola..
“Il bagno è mioo!” Paloma.
Okay, avevo la conferma: il suo passatempo preferito era interrompermi mentre parlavo. Aspettai che fosse sparita e la mia attenzione tornò sui i due.
“Allora, io devo.. ehm.. fare i compiti con Andrew, voi riuscite a stare buoni per un po’?”
“Che è Andrew?” chiesero all’unisono. Guardai il biondo, che non aveva smesso di guardarci nemmeno per un secondo. Mi raggiunse e tirò fuori la mano, porgendogliela.
“Piacere, io sono Andy.”
“Io sono Zuleika.” Si mise davanti lei, stringendogliela.
“Io Fortunè.” Sorrise l’altro, afferrando stavolta solo il dito del tipo affianco a me.
Si guardarono per un po’ e decisi che, per quel momento, non poteva esserci scena più adorabile.
“Va beeene, allora noi andiamo a vedere i cartoni!” conclusero insieme. E andarono a sedersi nel salotto.
“Andiamo, vieni.” Dissi invece io, prendendo l’ospite per il braccio. Annuì e mi seguì.
Vedemmo mia sorella uscire dal bagno e superarci, entrando nella stanza prima di noi e afferrando la sua borsa.
“Io esco! A staseera!” sorrise. Poi guardò il biondo. “Fate i bravi..” gli fece l’occhiolino.
Ecco, in quel momento sarei voluto sprofondare a vita sotto terra.
“Ehehe..” Cercai di sorridere, senza sembrare un bradipo.. tentativo fallito.
Uscita mia sorella di casa, raggiungemmo la mia camera. Il mio letto era sfatto, ma mi buttai su di esso senza problemi, intimando Andy di imitarmi. Non voleva muoversi. Per giocare, gli afferrai il braccio e lo tirai. Inevitabilmente mi finì addosso.
Ci spostammo leggermente, rossi come non so cosa, e ci mettemmo seduti. Rimanemmo in quel modo per un po’, fissando entrambi il vuoto.
“Mika..” la sua voce.
“Dimmi..”
“Mi chiedevo se..” abbassò la testa facendo un grosso respiro. “Cioè.. se ti va..”
Lo guardai. Il suo sguardo era fisso su un oggetto bianco, tempestato di adesivi. Il pianoforte.
Gli presi la mano, zittendolo. Mi seguì e andai a sedermi  sullo sgabello, lasciando uno spazio anche per lui, che continuava a fissarmi, sorridendo.
Diedi una pacca allo spazio vuoto e si sedette vicino a me, facendo entrare a contatto la mia spalla con la sua. Un brivido mi percorse. Guardai i tasti, sorridendo.
Silenzio. Stava aspettando che iniziassi a suonare?
Le mie mani iniziarono a sfiorare quei delicati pezzi bianchi, dando vita ad una melodia, la mia melodia. Quando fui certo di ciò che volevo fare, lasciai che la musica si affiancasse alle parole. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare.
Rain.
La canzone che avevo scritto quando io e Giusy ci eravamo lasciati. Pensando a quando fosse sbagliato per me stare con lei. Pensando a quanto tempo avevo passato a far finta di essere ciò che non ero.

"More than this
baby, I hate days like.."

Mancava solo una parola, si.. ma non la pronunciai. Alzai le mani, abbassando la testa, tornando alla realtà. La stupida, cruda realtà. Quella in cui non andava bene quello che ero.
Sentii i miei occhi farsi sempre più umidi, fino a che da essi non uscirono delle piccole lacrime.
Il biondo mi fissava. Non avrei voluto piangere davanti a lui.
Mi asciugai le guance e cercai di sorridere.
“Scusami Andrew.. io non..”
Non riuscii a terminare la frase che lo sentii vicino più che mai. I nostri petti entrarono a contatto. Per un momento sembrò quasi che i nostri cuori ed i nostri battiti stessero danzando insieme. Mi stava abbracciando?
Mi stava abbracciando. E sembrò l’unica cosa di cui avevo bisogno. Come se avesse capito già tutto.
Avevo bisogno di lui.
“L’hai… scritta per Giusy, vero?” sospirò leggermente. Rimase poggiato sulla mia spalla. Io misi la mia testa sulla sua.

 

 

(*Nella ff, Zuleika e Fortunè hanno solamente 2 anni di differenza)

*ANGOLINO DELLA PAZZOIDE*
Ma salve a tuuuutti! Come state? Eccomii! *Oh no è tornata st’idiota*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, spero abbiate apprezzato la finezza di Paloma e soprattutto il pigiama con gli orsetti di Mika… -dico io, ma ve lo immaginare? xD – eee.. chiedo scusa per la suspance finale, anche se non sono molto brava a creare situazioni del genere :’)
Chieedo umilmente perdono. Ma mi farò perdonare.. credo D:
Aaaaanywaay.. ringrazio chi sta continuando a leggere e recensire e come sempre vi prego di lasciarmi un commentino per farmi sapere cosa ne pensate, ma anche per prendermi a pomodori in faccia (se succede, vi capisco. Anche io vorrei prendermi a padellate.)
Beh, come sempre ci rivediamo (?) mercoledì con il prossimo capitolo!
Tante coccole e tanti bacini.

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Capitolo 9
*** hide-and-seek ***


~~Sospiri. Questo riempiva il silenzio in quel momento.
Aspettava una mia risposta.. anche se eravamo entrambi sicuri di sapere ciò che avrei detto.
“Si. È per Giusy.” Buttai fuori tutt’un fiato.
Si allontanò, costringendomi ad alzare la testa dalla sua spalla; si rimise in piedi, continuando a guardarmi negli occhi.
Che dolce piacere.
“Non.. non la ami..”
Non riuscii a capire se si stesse trattando di una domanda o di un’affermazione.
“Non l’ho mai amata, Andrew. Mi sono raccontata delle cazzate per tutto questo tempo.”
Tenni la testa bassa. Mi avvicinai a lui, di nuovo. Come per paura che andasse via. Volevo che restasse con me, in tutti i sensi.
“Mika..”
“Andy..”
A separarci c’era solo lo sgabello del pianoforte. Mi sembrò di sentire il suo profumo, tanto dolce. Sorrise. BUM! Un altro colpo al cuore. Quanto poteva essere perfetto.
Cercai di farmi ancora più vicino, lui sembrò non essere contrario. Anzi, mi prese la mano, arrossendo..
“MIKAA!”
Balzai indietro e mi girai verso la porta, da dove proveniva la vocina che mi aveva chiamato: Zuleika.
“Di-dimmi..” balbettai imbarazzato.
Si, effettivamente la situazione non era una delle migliori..
“Io e Fortunè vogliamo giocare a nascondino!” sorrise, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i codini.
“E.. giocate, no?”
“No! Giocate anche voi!!”
Mi girai per guardare il biondo, che intanto se la rideva. Risi anche io.
“Zuleika, stiam-..”
“Tanto lo so che non stavate studiando, anzi, a me sembra che stavate facendo altro.. quindi, se la smetti di fare l’idiota e vieni a giocare.. ci fai un grande piacere, fratellone.” Concluse il tutto con un sorrisetto bastardo mentre la risata del ragazzo dietro di me si zittì improvvisamente.
A quel punto, non sapevo se ridere per l’espressione imbarazzata-terrorizzata che aveva appena assunto lui, oppure se rimanere sconvolto per il “discorsetto” che mia sorella, di appena 7 anni, mi aveva fatto.
Feci spallucce, cercando appoggio in Andy. “Va bene.. giochiamo..”
“Fooortunèè!!” urlò correndo in cucina “Giocano! Però conti tu!”
Il piccolo sbuffò, ormai rassegnato e abituato agli ordini della sorella, e mettendosi testa contro il muro, iniziò a contare.
“Uno.. due.. tre..”
Iniziammo a correre, cercando un posto dove nasconderci. Andy era già sparito, mentre mia sorella era intenta a nascondersi fra le tende, dietro il divano.
“Cinque.. sei.. sette..”
Mi guardai intorno, confuso e impanicato. Poi ebbi un’idea: il ripostiglio!”
“Otto.. nove..” sentii soltanto.
Aprii la porta e mi ci infilai, chiudendola alle mie spalle e ridendo. Come se fossi tornato bambino. Mi girai... e prima che potessi rendermene conto, una mano mi tappò la bocca e venni spinto contro il muro, mentre un dito ed una bocca sorridente mi fecero segno di restare in silenzio. Andy.
I miei occhi si scontrarono con i suoi. Mi tolse la mano dalle labbra. Eravamo fronte a fronte e mi stava praticamente.. schiacciando. Grazie ripostiglio stretto.
I nostri nasi si sfioravano e riuscii persino a sentire il suo dolce respiro.
La piccola lampadina appesa al soffitto era spenta.. ma la stanza era lo stesso leggermente illuminata grazie alla presenza di una finestrella, che assomigliava più ad un condotto per l’aria, che filtrava la poca luce che il cupo cielo di Londra riusciva a produrre.
Non voleva muoversi.. e neanche io.
Sentivo i bambini chiamare i nostri nomi.. ma non sarei voluto uscire di lì per nessuna ragione al mondo.
Avvertii la sua mano fredda che sfiorava la mia. Glie la afferrai, lasciando che le due si intrecciassero. Sussultò, sorrise. Io abbassai lo sguardo, mi sentii afferrare per il mento. Voleva che continuassi a guardarlo. Così feci.
Si premette ancora di più contro di me, facendo si che i nostri corpi aderissero al massimo. Ecco, eravamo seriamente vicini. Le sue labbra tremavano mentre io non riuscivo a fare a meno di mordermi le mie.
“Mika.. io..” sussurrò leggermente. Lo vidi chiudere gli occhi.
Lo feci anche io…
..Ma fui costretto a riaprirli.
Mi trovai la sua mano sul petto. L’altra era ancora debolmente intrecciata alla mia.
Mi allontanò, non so se bruscamente, mentre teneva la testa bassa e guardava il suo cellulare, che stava squillando.

Chiamata da: Giusy.

Sentii un tuffo al cuore, ricordandomi di poche ore prima.
Rialzò lo sguardo, non capii la sua espressione. Respinse la chiamata.
“I-io.. d-devo andare…” si staccò totalmente da me e raggiunse la porta.
Fece per uscire di casa. Corsi verso di lui, lo afferrai per un braccio, guardandolo. Non capivo.
I bambini, che un attimo prima si vantavano di averci trovati, ora fissavano la scena senza dire nulla.
Mi spinse con l’altra mano, scosse la testa. Nei suoi occhi mi sembrò di poter scorgere un particolare luccichio.
“T-ti chiamo io..”
Cercai di replicare, ma non ci riuscii. Fu come se le parole si fossero bloccate in gola, come se non potevo tirarle fuori. Lui era già per le scale.
Lo guardai ancora. Sulla guancia c’era una piccola lacrima.
Piangeva..
Piangeva?
Piangeva. Forse per colpa mia?
Chiusi la porta.
“Mika..” mi chiamarono i bambini. Mi girai, aspettando che continuassero.
“Perché è.. andato via così?”
Li guardai, finsi un sorriso. In realtà in quel momento avrei voluto solo urlare. “Andate a vedere i cartoni..”
Mi trascinai poi in camera.

Ero sul letto, a giocare con la manica del mio pigiama. Il mio pensiero fisso era lui. Quello che aveva fatto, quello che era successo e… quello che stava per succedere.
Oh, se quel cellulare non avesse squillato.
Pensai alle sue labbra, così rosse, così piccole. E quel suo profumo strano. Eravamo lì, uno sull’altro. E si, stavamo per baciarci. Non avrei potuto desiderare altro, a dire il vero.
Sospirai, buttandomi sullo sgabello del piano.
Bussarono alla porta. Ah.. quando dovevano, non lo facevano però.
“Avanti.”
Due codini spuntarono da dietro quel pezzo di legno, seguiti da due occhioni scuri, un naso a patatina ed un piccolo sorriso. Sempre lei, la mia sorellina.
“Posso?”
Sorrisi, le feci segno di raggiungermi e si sedette sulle mie ginocchia, mentre pigiavo alcuni tasti, dando vita ad una melodia improvvisata in quel momento. Lei aveva arricciato il naso e mi fissava, in modo strano. Alzò le sopracciglia, feci finta di niente.
“Fratellone..”
“Mh?”
“Maa..” accarezzò la cassa dello strumento, per poi fulminarmi con uno sguardo divertito. “..a te piace Andy, vero?”
Le mie mani sfuggirono, suonando per sbaglio due note bassissime. La mia faccia prese fuoco. Si vedeva tanto?
“Ehm.. m-ma cosa diicii..” allungavo le vocali. Ecco, ero fottuto.
Scosse la testa, mentre i suoi capelli fecero destra-sinistra. Mise il suo ditino minuscolo sul mio naso. “Non le sai dire le bugie, Michael..”
Sbuffai.
“A me piace Andy, è simpatico. E poi quando tu lo vedi sorridi sempre..”
Abbassai la testa, mi prese per le guance, costringendomi a guardarla. “..E a me piace quando sorridi. Fai sorridere anche me..”
La guardai per un po’. Sorrideva. Come se fosse stata la cosa più bella del mondo. E aveva ragione: lui era la cosa più bella del mondo.
La abbracciai, ma mi spinse e si staccò, con aria autoritaria. “Non ti preoccupare, vi faccio fidanzare io! Sono bravissima!”
Iniziai a ridere anche io. Ci scambiammo uno sguardo d’intesa.. poggiai le dita sui tasti ed iniziai a suonare.
“Si! Più forte!” ordinò, spostandosi sulla cassa del piano, portando il ritmo mentre batteva la mano sulla gamba.
Fortunè, avendo sentito il ritmo della canzone, ormai familiare a tutti e tre, ci raggiunse e, sedutosi accanto a Zuleika, iniziarono a cantare..

“Don’t stop me now!”

Era una canzone dei Queen, riusciva sempre a metterci di buon umore, a darci una carica pazzesca.
Avrei voluto mantenere per sempre quella spensieratezza, quella specie di filosofia di vita che solo i bambini riuscivano ad avere. Sorridevano, anche quando sembrava impossibile. Gli adulti volevano impartirci tanti, troppo insegnamenti; ma pensai che sarebbe bastato metterli davanti ad un sorriso di un bambino, per fargli capire quanto fosse bello vivere a modo loro..
“Heii! I Penniman in concerto?” chiese una quarta voce dalla porta della camera. Mia madre.
Tolsi le mani dal pianoforte e le sorrisi.
“Ciao mamma..”
“Tutto bene?”
Mi alzai, chiudendo lo strumento, facendo l’occhiolino ai miei due fratelli che andavano via ridendo.
“Si. Adesso si.”

 

 


*ANGOLINO DELLA PAZZA*
Maa  buonaseraaa (perché adesso è sera lol)
Spero che lì da voi vada tutto bene (?) e che questo capitolo vi sia piaciuto.
Speravate in qualcos’altro, dite la verità eheh *evita i pomodori a mo’di matrix*
Vi giuro che mi faccio perdonare.. fra qualche capitolo.. forse..
Dehehehe – okay stop.
No, sul serio, mi fa piacere leggere i vostri commentini carini e vedere che la storia è seguita <3
Come sempre, il prossimo capitolo sarà caricato sabato! Non dimenticatevi di lasciare una piccola recensione che, come sempre, mi fa piacere ricevere!
Ci tengo a darvi un piccolo incoraggiamento, poiché questi sono gli ultimi mesi di scuola, per cui è dura. Ma su! Noi ce la possiamo fare!
*Okay, basta, torna alla realtà*
Alla prossima cari!
Tante coccole e tanti bacini! <3

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Capitolo 10
*** Fireworks. ***


~~Tenevo la testa poggiata sul banco, aspettavo solo il suono della campanella. Non ne potevo più.
Avevo chiesto ad Andrew di vederci il prima possibile.. ma purtroppo non avevo ricevuto risposta. Avevo paura che non volesse più vedermi e nello stesso tempo non riuscivo a spiegarmi perché stesse succedendo. Ed il mio umore era letteralmente a terra.
Erano passati tre giorni. E al sol pensarci mi venivano i brividi. Stavo per baciarlo.. o meglio, lui avrebbe baciato me se non fosse stato per quella maledetta telefonata.. oltretutto da parte della ragazza che in quel momento mi stava fissando con aria colpevole.
Non volevo assolutamente che il mio sguardo si incrociasse con il suo. Ero ancora tanto incazzato per quello che aveva tentato di fare con me.
Guardai fuori, sbuffando. Il tempo scorreva lentamente.. forse troppo.

Grazie al cielo, la giornata finì e ci ricomponemmo per uscire. Vidi che Giusy si era fermata, affiancandosi alla porta, e mi guardava. Forse mi stava aspettando.
Non avevo voglia di parlare con lei.
Misi a posto in fretta e mi buttai tra l’altra gente, abbassandomi, per non farmi notare da lei che probabilmente pensava che fossi ancora in classe.
Percorsi il corridoio, cercando di confondermi con il resto della scolaresca.. invano. Uscii da scuola.
Continuavo a guardare dietro di me, temendo che potesse raggiungermi. Come se stessi giocando ad acchiapparello. Scesi una rampa di scale e mi voltai ancora una volta. Ignorai i soliti sguardi e i commenti che sentivo alle mie spalle. Del tipo “Ma che sfigato che è diventato.”, “Certo che è strano forte!” ed infine “Ma come ha fatto una come Giusy a mettersi con uno così?”
Ad un certo punto mi sentii mancare la terra sotto i piedi.. qualcuno doveva avermi fatto lo sgambetto. Inciampai, ruzzolando a terra. Caddi a pancia in giù, con un urlo strozzato, mentre il mio zaino si rovesciava.
Le risate generali. Ecco, soltanto quello ci voleva. Cercai di rialzarmi, mettendomi seduto.. ma non ci riuscii. Mi ero fatto male la gamba destra.
Intanto la gente intorno a me non faceva che deridermi e scattarmi foto. Mi coprii il volto con le mani.
Facevo fatica a respirare. Odiavo stare al centro dell’attenzione.. in quel modo poi.
Non era la prima volta che mi trovavo in una situazione simile.
Mi ricordai di quando ero più piccolo.. succedeva tutti i giorni. Potevo avere si e no dieci anni.. ma ero la preda preferita di tutti.
Mi tornarono a mente i nomignoli, i pestaggi, i pianti soffocati.

Michael -Lo sfigato- Penniman.

Le mie pupille iniziarono ad inumidirsi. Non potevo piangere, non in quel momento.
“Mika!!” vidi un qualcuno buttarsi vicino a me, afferrarmi e stringermi il braccio, mentre i cercavo di riprendere a respirare regolarmente.
Era lui. Lui, Andy? Ma che cavolo ci faceva lì?
Cercai di mettere a fuoco la situazione, lo sentivo pronunciare ripetutamente il mio nome, ma le parole mi si erano letteralmente bloccate in gola.
“Muoviti, vieni qui.” Mi afferrò la mano. Mi girai a guardarlo, stava raccogliendo i libri che mi erano caduti dallo zaino e li stava rimettendo a posto.
La gente si era completamente ammutolita, alcuni avevano deciso di andarsene.. altri invece, mi guardavano ancora.. ma senza dire più nulla.
Mi alzai, tirando con me lo zaino.
Cominciò a tirarmi, io zoppicavo. Dopo un po’ di metri, feci resistenza, per far sì che ci sedessimo su un muretto. Così facemmo. Era vicino a me, molto vicino.
“Andy, che ci fai qui?” fu l’unica cosa che riuscii a dire.
“Perché hai fatto così?!” urlò, ignorando la mia domanda.
“C-così come?”
“Ti eri bloccato!” lo disse come se fosse stata la cosa più brutta dell’universo. “Stavi per piangere, ti mancava l’aria..”
Mi prese per le guance, mi avvicinò a lui.
“Ti prego, non farlo più. Ho pensato che ti saresti sentito male.” Chiuse gli occhi, stringendoli.
“M-mi hanno fatto lo sgambetto.. credo.” Mi grattai la nuca. Poi mi concentrai su di lui. “Ma tu che cosa ci facevi davanti alla mia scuola?!”
“Volevo… anzi, dovevo parlarti.” I suoi occhi rimasero incatenati ai miei.
“Non hai risposto il mio messaggio.”
Il suo sguardo precipitò a terra.
“Tu adesso hai da fare?” cambiò discorso. Lo ringraziai segretamente.
Scossi la testa.
“Ti va se andiamo a.. a mangiare qualcosa insieme?” buttò fuori tutto ad un fiato.
Annuii. “Si, anche io.. dovrei parlarti.”
Sorrise, mi porse un braccio. Mi ci appoggiai e lentamente mi alzai. Mi portò un braccio intorno ai fianchi, per aiutarmi a camminare. Sussultai.
“Panino?” chiese, assicurandosi che fossi ben appoggiato a lui.
“Panino.” Concordai.

Ci poggiammo alla panchina, ridendo.
“E comunque il mio hamburger era poco cotto!” protestò il biondo.
Avevamo appena finito di pranzare in un fast food e lui non aveva fatto altro che lamentarsi di quanto il suo panino fosse schifoso, scatenando una mia risata incontrollabile.
“Ma smettila di piagnucolare!” gli feci una smorfia
“Parli bene tu! Il tuo pane non era gommoso! E la tua carne non era cruda!”
“Chiudi la bocca!” urlai ridendo.
“No! Devo protestare! Se non lo faccio io, non lo farà nessun..-“
Gli tappai la bocca. “Aaah, dolce silenzio.” Sussurrai.
Scosse la testa e mi morse un dito, facendomi allontanare la mano. Iniziò a ridere. Prima urlai per il dolore, poi scoppiai anche io in una fragorosa risata.
Ci calmammo entrambi. Riprese a sorridere, a fissarmi.
Lo guardai anche io, lasciando che i miei occhi scuri si perdessero nei suoi, chiari e di un azzurro indescrivibile.
“Perché mi guardi?” rise.
Sospirai. “Zuleika ha detto che le piace quando sorridi.”
Abbassò lo sguardo, tirando in su le labbra e cacciando aria dal naso. “Che dolce che è..”
Continuai a guardarlo, la mia mano si spostò sulla sua.
“Anche a me piace quando sorridi.”
Si girò a fissarmi, lo imitai. Mi morsi le labbra e non potei fare a meno di notare che le stava guardando, con le pupille dilatate.
“S-scusa se.. sono scappato.”
Ingoiai a vuoto. “Perché lo hai fatto?”
“Non lo so, Mika. Non lo so..” scosse la testa. “Ho avuto.. paura.. quando ho visto la telefonata.. non volevo..”
“Non volevi cosa?” mi allontanai stavolta, stringendo i pugni. “Non.. non volevi.. baciarmi?”
“Cosa? No! Aspetta!” mi afferrò il polso. Continuai a guardarlo, confuso.
“Io avrei.. tanto voluto. Solo che Giusy, i tuoi fratelli.. e non sapevo se tu..”
Non riuscii a percepire in quale istante, ma le sue labbra si poggiarono dolcemente sulle mie.
Aveva rinunciato a spiegare.
Sentii un dolcissimo sapore, ricambiando il bacio, portando le mani sui suoi fianchi. Fu come se dentro di me stessero esplodendo migliaia di fuochi d’artificio. Eccoli finalmente.
Continuava a baciarmi, io a baciare lui.
Sentii la sua mano scompigliarmi i capelli ricci. Il suo respiro era irregolare, lo potevo sentire benissimo. Il suo naso si affianco al mio e le nostre labbra continuavano a rimanere unite. E stavo bene, questa fu la cosa che mi colpì di più. Non era come con Giusy, no.
Era la stessa sensazione che provavo nel suonare, nel sentire le note musicali che mi accarezzavano dolcemente. Sorrise sulla mia bocca.
Okay, stavo per impazzire. Lo strinsi ancora a me.
Infine, lo allontanai lentamente, ma gli afferrai il braccio. Mi guardò confuso.
“Ti prego.. non scappare stavolta.” Sussurrai poggiando la mia fronte sulla sua.
Ridemmo insieme. E pensai che non poteva esserci suono più dolce.
Fece spallucce.
Era la cosa più bella del mondo. La mia cosa bella.

 


*ANGOLINO DELLA PAAZZA*
Salve a tuttiii! Ve l’avevo detto che mi sarei fatta perdonare u.u
Fatemi sapere cosa ne pensate perché seriamente ho tentennato tanto prima di decidermi a pubblicarlo. Spero vivamente che vi piaccia, è uno dei capitoli a cui tengo di più.
Fatevi anche vivi con le recensioni che fanno sempre taaaaanto bene a me e alla mia piccola stupida storiella.
Ora mi dileguo! Come sempre, a mercoledì!
Taaaaantissime coccole e taaaanti bacini. (Visto che oggi sono romantica *^*)

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Capitolo 11
*** This is me. ***


~~“Sono tornato!” urlai mentre entravo dalla porta, zoppicando.
Raggiunsi mamma in cucina.. ma un omone dai capelli sbiaditi, il naso all’ingiù e gli occhi scuri mi si piazzò davanti. Aveva un’espressione felice in volto ed in mano reggeva un giornale.
“Papà!”
“Michael!” mi abbracciò
Non c’era molto, a causa del lavoro. Doveva viaggiare molto.. e averlo a casa era (quasi) sempre piacevole.. Escludendo le volte che lui e la mamma si mettevano a discutere e ad urlare per sciocchezze. In quel caso però, ogni volta che si riappacificavano, tutta la famiglia vinceva un viaggio.*
“Che hai fatto alla gamba?” mi squadrò cambiando subito espressione.
Una donna dai capelli neri raccolti in una piccola coda nascosta dietro una retina, ci raggiunse, preoccupata. “Cosa? Che è successo?” agitò il mestolo che aveva in mano.
“Sono solo caduto.. ora fa meno male di prima..” dissi vago.
“E.. chi ti ha accompagnato?” continuò ad interrogarmi la donna.
“..Andy. Abbiamo pranzato insieme.”
“Andy..” ripeté dietro di me, grattandosi la chioma scura. “Aah!” urlò facendomi sobbalzare. “Quel ragazzo biondino?”
“È un tuo compagno di scuola?”  si intromise l’altro
Mi sentii avvampare. “S-si.. diciamo..”
Sentii una risatina alle mie spalle. Zuleika.
“Mika! Sei tornato!” mi abbracciò, arrivandomi alla pancia.
“Tutto bene?” la feci arrampicare e la presi in braccio.
Mi si avvicinò all’orecchio, sghignazzando mise le mani intorno ad esso, a mo’ di coppa.
“Profumi di.. Andy..” sussurrò.
Ecco, arrossii ancora di più e la lasciai scendere facendole segno di stare zitta, mentre lei ricambiava con un occhiolino. Mi accorsi solamente dopo che i miei stavano fissando la scena senza dire nulla.
“Ei, ehm… Io v-vado a fare i compiiti..” annunciai, dileguandomi dietro la porta della mia stanza.
Buttai lo zaino a terra e sospirai.
“Hei tu, ciao!!” urlarono due voci. Alzai la testa e le trovai sedute sul letto accanto al mio, impegnate a giocare a carte.
Una aveva aggrottato la fronte e sorriso; l’altra, essendo di spalle, si era girata.. anche lei per guardarmi. Yasmine e Paloma.
“Come mai sei tornato a quest’ora?” disse la prima, fissandomi con la coda dell’occhio.
“Maa che domande..” rise l’altra “..era con il biondino.” Si vide chiaramente che mi stava prendendo in giro.
Le ignorai. Un sorriso mi nacque spontaneo in viso e mi portai un dito sulle labbra, mordendomele.
Le due mollarono le carte, lanciandole in aria, e iniziarono a scrutarmi con lo sguardo. Quattro occhioni enormi puntati su di me.
“Ma state insieme ora?” Paloma si era avvicinata ancora di più a me che intanto ero andato a sedermi sul letto. Si spostò sul tappeto, ingoiai a vuoto.
“No..” mi guardai intorno “..si..” alzai le spalle, arricciando il naso. “Ma che ne so!”
Intanto anche Yas si era avvicinata, intuendo che la situazione si stesse facendo interessante.
“Ma.. come non lo sai?!” sbuffarono all’unisono
“Ho detto che non lo so! È lui che mi ha baciato! Ma sono andato via poco dopo, non m..”
“ASPETTA, COSA?! TI HA BACIATO?!” urlarono guardandosi e buttandosi affianco a me. Addio poveri timpani.
“Ahia!! La gamba! Vi prego!” protestai.
Paloma mi prese per le spalle e i suoi occhi richiamarono subito l’attenzione dei miei.
“Parla!”
Mi liberai, scuotendomi e le tappai la bocca. “Zitte che mamma e papà vi sentono, cazzo!”
“Ma dove?” - “Ma quando?” continuarono ignorando i miei avvertimenti e le mie suppliche.
Mi arresi, raccontandogli tutto ciò che era successo, sin dal giorno precedente, mentre loro rimasero ad ascoltare con la bocca aperta.
Descrissi tutto. Anche il suo dolce sapore, il modo in cui aveva sorriso sulle mie labbra. Il tutto senza una punta di disagio. Era magnifico come riuscisse a farmi sentire quel ragazzo. Era la cosa più dolce del mondo.
Anche le due ascoltatrici lo erano, di sicuro. Perché non se ne fregavano del fatto che Andrew fosse un ragazzo. Gli importava solo che mi rendesse felice. E ci riusciva. Eccome se ci riusciva.

Mamma aveva preparato una cena abbastanza abbondate. Ma non era poi tanta roba.. avrebbe solamente fatto sfigurare qualsiasi pranzo di Natale-Pasqua-Capodanno che io avessi mai fatto..
In quel periodo era raro avere papà a cena, essendo impegnato per lavoro in giro per l’Europa..
“Si, insomma.. il progetto è a metà. Se andiamo avanti così finiremo molto presto!” concluse uno dei suoi lunghi discorsi, soddisfatto.
Addentò un pezzo di pollo, poi guardò noi che gli sorridemmo. Non sapevamo cosa dirgli.. almeno io. Non mi ero mai interessato a ciò che faceva e ne avevo intenzione di farlo. Io non volevo stare dietro ad una scrivania a scrivere. Io volevo cantare, suonare.. volevo riempire gli stadi. Sarei tanto voluto essere capace di trasmettere alla gente quello che provavo, che pensavo, attraverso la musica. E pareva che, secondo mio padre, quel tipo di vita non facesse per me.
“E voi che mi raccontate ragazzi?”
Non dicemmo nulla. Alzai la testa e mi guardai intorno pregando, con lo sguardo, Yasmine di dire qualcosa.
“Michael, con quella ragazza.. Giusy, giusto? Come va?”
“Mika.” Lo corresse una vocina: Zuleika. La ringraziai, sorridendole. Papà era l’unico a chiamarmi con il mio nome intero e.. andandone fiero, poiché era esattamente identico al suo. Questa cosa non faceva altro che infastidire me, ma soprattutto la mia sorellina.
“Ehm, si.. Giusy..” abbassai lo sguardo, mentre mie sorelle si scambiavano sguardi divertiti.
“Ci siamo lasciati, papà.” Buttai fuori.
Lasciò cadere la forchetta nel piatto, il silenzio calò nella sala da pranzo.
“Non lo sapevo, Mika. Mi dispiace..” alzò lentamente la testa mia madre.
Sospirai. “A me no.” Sorrisi. “Almeno adesso.. sono libero di fare quello che voglio.”
Fu allora che gli occhi dell’uomo a capotavola si poggiarono su di me. Sembrava nervoso.. come se quella risposta gli avesse dato fastidio.
“Michael!” tuonò, facendomi sobbalzare. “Ma ti rendi conto di che discorsi fai?!”
“Ma.. se a lui va bene così..” ci interruppe la mamma “non puoi costring..”
“No!” sbatté una mano sul tavolo. I bicchieri tremarono, mentre tutti gli altri commensali si girarono a guardarlo.
“Non capisci! Non capisce nessuno qui! Sii maturo per una volta! Cosa ne vuoi fare della tua vita, eh?!”
“Ma cosa stai dicendo?!” si alzò una Paloma innervosita, usando un tono che non aveva mai usato prima d’ora con lui. “Solamente perché ha dei sogni? Tu da giovane non avevi sogni, papà?”
“Era diverso.” Ribatté. “Io non volevo fare ciò che voleva fare lui! Non sarei mai voluto essere.. una pop star internazionale!” fece delle smorfie, facendomi innervosire ancora di più.
“No, non era diverso!” Continuò Yas. “Mika ha un sogno e secondo me ha anche tutte le qualità che bastano per realizzarlo! Cosa ti costa credere in lui??”
“Smettetela di chiamarlo Mika! E restate con i piedi per terra, vi prego! Ma che credete? Che un giorno andremo tutti insieme ad un suo concertino? Siate realisti!” sbuffò di nuovo.
“Tu sei esattamente come lei.” Dissi tenendo la testa bassa, con i denti stretti. Sentivo la rabbia attraversarmi l’intero corpo. Strinsi anche i pugni.
Si erano ammutoliti tutti e mi fissavano, a bocca spalancata.
Buttai i miei occhi nei suoi, con decisione e.. con una freddezza che sorprese anche me, mentre mi alzavo in piedi.
“Non accetti che io sia.. me, che non sia come gli altri, che non voglia essere come te!” urlai puntandogli un dito contro. “E non fai altro che cercare di fermarmi, di cambiarmi!”
Continuavo a guardarlo con odio. Come se il mio cervello si fosse stancato di subire e avesse voluto ribellarsi.
“Io non sono quello che tu pensi che io sia! Io sono Mika!” il mio pugno precipitò sul tavolo. “E se non ti va bene, credo che ti convenga solo cambiare idea. Perché io le mie non le cambio certamente per te.” Conclusi.
Lui non riusciva più a controbattere.
Pensai alle parole con cui io e la mora ci eravamo lasciati. Faceva male pensare al fatto che mio padre, l’uomo che mi aveva cresciuto, la pensasse esattamente come lei.
Io però, intanto, avevo deciso. Volevo solamente essere.. me.
Spinsi la sedia che cadde a terra e lentamente –a causa della mia maledetta gamba dolorante- raggiunsi la mia camera, sbattendo con violenza la porta e buttandomi a letto, con gli occhi pieni di lacrime e soprattutto.. di rabbia.

 

*è una cosa che Mika ha dichiarato in un intervista (tranquilli, anche a me fa ridere se immagino la situazione lol).

*ANGOLINO DELLA PAZZA* 
Maaa salvee! Non mi picchiate, vi scongiuro! Ci tengo tantissimo a dirvi che non ho la minima idea di come sia fatto realmente papà Penniman, ma in questo momento, mi serviva un suo lato serio e autoritario.. o quasi. Eheh Mika non si fa mettere i piedi in testa da nessuno..  ;P
E la frase “Io non sono quello che tu pensi che io sia!”.. dovrebbe ricordare We are golden.. no? *si gratta la nuca*
Comunque, si, questo non è uno dei capitoli più belli *(ah, perché? Ci sono capitoli belli?)*
Mi farò perdonare.. credo :D
Fatemi sapere che ne pensate, lo sapete che i commentini sono sempre i benvenuti..
Beh, allora, see you  (?) on Saturday!
Tante coccole e tanti bacini :3

 

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Capitolo 12
*** You make me crazy. ***


~~Aprii gli occhi, di scatto. Mi misi velocemente a sedere, strofinandomi gli occhi e sbadigliando. Era stato il cellulare a svegliarmi, continuava a vibrare a causa di una chiamata in arrivo. Lo afferrai, con la vista ancora ovattata, controllando che non avesse svegliato nessuno nella stanza e constatando che, fortunatamente, Yas e Paloma dormivano ancora.
Sbadigliai ancora una volta e mi decisi a rispondere.
“Pronto..?” sussurrai con la voce impastata di sonno. Raggiunsi il bagno, in punta di piedi. La gamba faceva già meno male.
“Mika..” fu inconfondibile quel tono di voce e quella dolcezza.
“Andy..” sorrisi.
Mi piaceva dire il suo nome.
“..Stavi dormendo?”
“No, stavo ballando la macarena..” sbuffai guardandomi allo specchio e ridendo.
“Ma come siamo divertenti..” aveva appena fatto una smorfia.
Intanto io avevo preso a fissare i miei ricci, scompigliati come se avessi appena tolto la testa da un frullatore.
“Voglio proporti una cosa.” Annunciò uscendo da un breve silenzio.
“Sentiamo.” Mi sedetti a terra, giocherellando con il tappeto.
“Sono le sei di domenica mattina, ma.. se un ragazzo, con in mano due cornetti e due caffè.. venisse sotto casa tua e ti chiedesse di passare la giornata con lui, tu accetteresti?”
Aggrottai la fronte, grattandomi la nuca. “Eh? Cosa vuoi dire?”
Rise. “Scendi idiota, sennò salgo io.”
“OH, ma tu..”
Chiuse la chiamata, non permettendomi di continuare. Mi alzai, mi guardai ancora una volta allo specchio e le mie labbra si curvarono immediatamente in su.
-Due giorni prima avevo litigato con papà.. e non ci eravamo parlati per tutto il giorno seguente. La mattina dopo, lui era partito per Dublino ed io avevo fatto di tutto per evitare di salutarlo. Ero arrabbiato, non poco.. e nemmeno lui sembrava avere tanta voglia di scambiare due chiacchiere con me..-

“Ce ne hai messo di tempo per scendere!” protestò, vedendomi spuntare dal portone della mia palazzina.
“Scusa se ho una gamba distrutta!” feci una smorfia
“Esagerato lui..” buttò gli occhi al cielo, ridendo.
Si avvicinò, prendendomi la mano, lasciando che si intrecciasse con la sua; annullò le distanze fra le nostre fronti e successivamente fra le nostre labbra, baciandomi dolcemente.
Ricambiai, assaporando ogni centimetro di quella bocca, così piccola e rossa. Poggiai poi, l’altra mano sul suo petto, mentre la sua riposava sul mio fianco.
“Buongiorno.” Sussurrò affiancando il suo naso al mio.
Era meraviglioso. Riuscire finalmente a stare così vicino ad una persona senza la minima punta di imbarazzo, di disagio. E mi ringraziai per ciò che ero riuscito a fare, per il fatto che fossi riuscito ad accettarmi ed essere felice a modo mio.. con lui.
Con Andy.. che intanto si era allontanato, facendomi cenno di seguirlo.
“Maa.. il cornetto ed il caffè?” sbuffai
Fece spallucce. “Ho mentito.” Rise “Ci sono solo io, non avevo nulla con me..”
“Stronzo!” gli tirai un colpetto sulla spalla, rimanendo affiancato a lui.
Camminammo per un po’, immobili, spalla a spalla. Sentii la sua mano fredda, morbida, afferrare la mia. Lo guardai, con un filo di insicurezza.
Mi morsi le labbra. “Andy, e se qualcun..”
“Non me ne frega niente.” Rispose con decisione, puntando i suoi occhi chiari nei miei. “E poi.. sono le sei del mattino.. chi vuoi che ci veda?” mi strinse ancora più forte.
Raggiungemmo un mezzo a due ruote, di un colore blu scuro. Il suo motorino.
Tirò fuori due caschi, soddisfatto, e me ne infilò uno. “La sicurezza prima di tutto.” Risi.
Ci montammo su e mi strinse a lui.
“Dove andiamo?”
Mise in moto. “Ti fidi di me?” Partì, senza neanche attendere risposta.
Okay, tieni ancora gli occhi chiusi, ma attento.” Sussurrò ridendo al mio orecchio.
Continuavo a camminare, avevamo lasciato il motorino da tanto, in un parcheggio su una collinetta.. e da allora mi aveva costretto a non guardare.
Eravamo in un boschetto, ne ero più che sicuro.. dato che, camminando, avevo sentito il rumore di alcune foglie infrante sotto i miei piedi.
“Mi spieghi dove cavolo siamo?” risi
“Noo, zitto e aspetta!” soffiò sul retro del mio collo, essendo dietro di me. un brivido mi percorse.
“Okay, ci siamo eh!” annunciò, stringendomi le spalle. “Al mio tre, apri gli occhi.”
“Ho paura..”
“Uno.. due.. tre!”
Le mie palpebre potettero finalmente spalancarsi e davanti a me vidi una casetta, abbastanza piccola, costruita su una quercia su cui era poggiata una vecchia scaletta di ferro. Sembrava ben costruita, con tanto di finestre e di una piccola porticina, serrata a malapena con un lucchetto.
“Ma cosa diavolo è?” domandai stupito
“Vieni..” disse lui, conducendomi su per la scala. Mi aiutò a salire e quando finalmente ci trovammo davanti alla porta, tirò fuori una piccola chiave e la aprì, soddisfatto.
Proprio come all’esterno, era piccola e modesta. Ospitava soltanto un lettone con le coperte, un tavolino su cui erano poggiati alcuni libri di favole, ed un tappeto colorato.
Mi fece entrare, chiudendo la porta alle sue spalle. Non riuscivo a parlare, non avevo mai visto un posto simile.
“Beh?” mi girai a guardai il biondo che aveva appena parlato, poggiandosi contro il muro. “..come ti sembra?”
“È.. strana..” feci una piroetta.
“Strana?” ripeté con disapprovazione
Mi riavvicinai a lui, poggiandomi sul suo petto. “..Mi piacciono le cose strane.”
Sorridemmo.
“È tua?”
Si andò a sedere sul letto, tastando le coperte. “Mia nonna e mio nonno l’hanno costruita per mia madre, quando era piccola. Mi ci portava sempre lei. Ci mettevamo qui..” sorrise con tenerezza, abbracciando un cuscino. “..e mi raccontava le fiabe.”
Alzò poi lo sguardo verso di me. Notai che i suoi occhi si erano improvvisamente fatti lucidi e stava mordendosi le labbra, per trattenere le lacrime. Mi sedetti accanto a lui e gli presi il mento fra le dita, avvicinandolo a me, lasciando che le nostre labbra si sfiorassero ancora. Lo sentii sorridere su di me.
Ci staccammo, lentamente. Sospirò.
“Non c’è cibo, né elettricità. È solo una piccola casetta.. con la porta distrutta.” Rise. “Io ci vengo sempre però.. E come se ci fosse lei qui.”
Doveva tenerci, e non poco. Come per me con la musica, quella casetta era la sua cosa speciale.
“Mika..” si girò di scatto, verso di me, lasciando che i nostri sguardi si incatenassero. Posò una mano sul mio fianco.. infine arrossì.
“Mi chiedevo se.. devo farti la domanda formale.” Ingoiò a vuoto
Mi guardai intorno, poi tornai su di lui, aggrottando la fronte. “Ma.. che domanda?”
“Devo chiederti formalmente se..” mi strinse ancora di più, i suoi occhi non volevano lasciare i miei. “..se vuoi stare con me?”
Risi. Non era una risata normale però. Era un qualcosa che non aveva mai provato, una stranissima sensazione, lo stomaco sottosopra.. una felicità indescrivibile. Chiusi gli occhi, sorridendo , arricciando il naso.. per poi riaprirli e trovare il biondo nella stessa posizione di prima.
Ancora non riuscivo a dire nulla. Abbassai la testa, ridendo ancora, mentre i miei occhi cominciarono a farsi umidi. Era la cosa più vera che mi fosse mai capitata.
Mi lasciai andare sulle sue labbra, su di lui, facendo in modo che ci stendessimo sul letto. Poggiai le mani sul materasso, alzandomi leggermente, in modo che potesse guardarmi.
“Si Andy. Voglio stare con te.” Sussurrai sulle sue labbra.
Mi tirò a se, lasciando che il suo corpo aderisse con il mio, facendomi sussultare. In un secondo ribaltò le posizioni.. ero io quello sotto di lui adesso. Portò una mano sotto la mia maglietta, in modo che il mio corpo potesse entrare a contatto con le sue dita, fredde. Mi sfilò dolcemente la maglietta, dandomi il tempo per fare lo stesso con lui. Riprese a baciarmi, mentre mi sbottonava il pantalone.. cercando, ad ogni bottone, di sfiorare più pelle possibile, gemendo soddisfatto quando notò il mio rigonfiamento nei boxer.
Venne poi il mio turno. Cominciai a baciargli il collo, facendo viaggiare le mani sul suo busto, sul suo bacino, fino a sfilargli tutti gli indumenti che gli erano rimasti addosso. Scesi più giù, lasciando una scia di baci sul suo petto, iniziai a mordicchiargli i capezzoli.
Sussultò, gemette.. era passione quella che si intravedeva nei suoi occhi. Era meraviglioso.
La sua schiena si inarcò e mi spinse al suo fianco, sdraiandosi ancora una volta su di me. Sorrisi, malizioso, nel vedere che le sue labbra si stavano divertendo a ricoprire di baci la mia pancia.
Scese più giù.. dando inizio ad una tortura..  maledettamente piacevole.
Nella stanza c’era il silenzio. Veniva interrotto, di tanto in tanto, dal suono dei nostri respiri, dei nostri gemiti.
Mi guardò intensamente. Allora capii.
“Andrew..”
Mi guardò.
“È la prima volta.. per me.” annunciai con un tono insicuro. Lo vidi curvare le labbra in su, con dolcezza. Si riavvicinò, lentamente.
“Non preoccuparti.” Soffiò sul mio ciuffo. “Non.. ti farò male.”
Mi strinse le mani. Lo sentii entrare dolcemente dentro di me.
Urlai..
Iniziò a baciarmi il collo, come per alleggerire il male che mi stava facendo. Spinse ancora.. e quella sensazione di dolore, si trasformò immediatamente in piacere.. immenso piacere.
Fu così che le nostre figure, per un momento, diventarono una. 
Mi sentii completo. Continuava a spingere e.. stringendoci, arrivammo al culmine insieme, senza lasciare che le nostre labbra si mollassero e facendo intrecciare le mani, riempiendo l’uno gli spazi dell’altro.
Uscì lentamente, per poi poggiarsi affianco a me.. la sua testa nell’incavo del mio collo. Sospirammo.
Era stupendo sentirlo in quel modo affianco a me, mi faceva sentire.. bene.
Lui era bellissimo.
Sollevò le coperte, poggiandole sui nostri corpi ormai esausti e stringendomi ancora di più.
“Mika?”
“..Si..?”
“Ti amo.”
“Anche io ti amo, Andrew.”
Risposi lievemente. Dopo di che, cullato dal dolce suono del suo respiro, mi addormentai.

 


*ANGOLO DELLA PAZZA*
Ma salveee e buon primo giorno di primaveraaa!
Mi vergogno come una ladra.. Perdonatemi, non avevo mai scritto una parte lemon.. e penso anche che questa sia venuta una cacchina maaa.. dettaglii (??)
Spero che vi piaccia, almeno un po’ *li prega in ginocchio*
Fatemi sapere che ne pensate, i commentini fanno sempre piacere, lo sapete u.u
Alla prossima allora eheh (mercoledì)
Tante coccole e tanti bacini!

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Capitolo 13
*** Confessions. ***


~~“Qual è il tuo sogno?” chiese sussurrando, mentre lasciavo che giocasse con i miei ricci.. accoccolandomi affianco a lui.
Ci eravamo appena svegliati e non aveva lasciato che mi alzassi, pregandomi di restare con lui.
Mi girai a guardarlo, poggiando il mento sul suo petto.
“Io voglio cantare, Andy.” Buttai fuori tutto ad un fiato. Mi guardò ancora, con fare affascinato, aspettando che proseguissi.
“È da quando ero bambino. Ho sempre amato la musica, tutto ciò che riesce a farmi provare.. Un giorno vorrei tanto essere capace di trasmetterlo agli altri.. attraverso la mia voce, attraverso le mie canzoni.”
Rimase un attimo in silenzio, lo vidi avvicinarsi, sorridere e baciarmi dolcemente la fronte.
“Io.. so che succederà. Mika, sarà così. Non ti arrendere.”
Alzai lo sguardo, con un tono di malinconia. Non avrei mai mollato, di certo.. ma avevo sempre paura di restare deluso dalle mie aspettative. Sospirai.
Aggrottò la fronte, avendo sicuramente percepito la mia insicurezza.
“Heei..” mi fece sedere, affiancandosi a me e guardandomi con decisione. I suoi occhi. Già da tempo avevo deciso che non potevano essercene di più belli. Due profondi pozzi azzurri.
“Ti amo.” sussurrò, sorridendo.
Lo strinsi a me, sentendolo rabbrividire al mio tocco. “..anche io.”
Tornammo a stenderci, sempre uno vicino all’altro, stringendoci.
“E tu?” mi soffiai sul ciuffo.
“Eh? Io cosa?” rise distrattamente.
Gli tirai una cuscinata. “Qual è il tuo sogno?”
Esitò. “Mi piacerebbe girare il mondo.”
“Oh.. wow.” Spostai la testa sul suo braccio, prendendolo per il mento e facendolo voltare verso di me.
“Si..” un altro grosso sospiro.
“Che hai?” mi alzai leggermente.
Mugugnò. “Dobbiamo andare..”
Mostrai una faccia sconsolata. “Di già?! Ma quanto abbiamo dormito?”
Ridemmo.
“Tanto.” Annunciò, alzandosi. “Dai, vestiamoci..”
Lo osservai. Ogni lineamento del suo corpo.. gli addominali, l’ombelico, le spalle abbastanza ampie. Quei suoi capelli scompigliati, chiari.. e quell’espressione assonnata..
Si infilò la maglietta.. e notando il mio sguardo posato su di lui, rise. “Che c’è..?” si grattò la nuca.
“Nulla.” Feci spallucce. “Non posso.. guardarti?”
Mi tirò un cuscino, facendo una smorfia. “Muoviti, vestiti!”
Mi alzai, ridendo. “Agli ordini..” sbuffai. E mi infilai gli indumenti che, poche ore prima, erano stati buttati in terra..

“Fermati qui..” gli sussurrai all’orecchio, stringendolo ancora. Annuì, fermando il motorino e lasciandomi scendere.
“Allora.. ci vediamo domani?” inclinò la testa, senza staccarmi lo sguardo di dosso.
Mi avvicinai, lasciandogli un piccolo bacio all’angolo delle labbra.
“Ci vediamo domani..” concordai timidamente.
Poi mi avviai verso casa.
Non riuscivo ancora a realizzare. Era così strano. Erano tutti sentimenti nuovi, sensazioni imprevedibili. Cose che avevo sempre date per scontate senza averle mai provate sul serio.

Aprii la porta, lentamente. Sentivo ancora il suo profumo su di me, come se fossimo ancora insieme.. in quella casetta.
“MIKA!” urlò qualcuno. Sembrava una voce disperata, proveniente dalla cucina.
Un forte rumore di passi e la figura di una donna bruna mi raggiunse all’uscio.
“Ma dove diavolo eri?!” mi abbracciò, asciugandosi le lacrime “Abbiamo provato a chiamarti, ma avevi lasciato il cellulare qui!” sospirò, boccheggiando.
Spalancai la bocca, non sapendo cosa dire. Avevo dimenticato di avvisarli.  Sempre il solito idiota..
“Sei tornato!” urlarono i bambini buttandosi fra le mie braccia. Zuleika si appese al mio collo, aveva i capelli scompigliati e gli occhi rossi.
“Stupido idiota! Non farlo mai più!” prese a pugni il mio petto.
Mi sentii morire a vederla così. Non avrei mai voluto farli spaventare. E non ero ancora riuscito a proferire parola.
Mia madre mi puntò un dito contro, afferrandomi il polso, stringendolo forte.
“Dove – sei – stato?” scandì bene, guardandomi dritto negli occhi. I suoi erano scuri, come la pece.
Aprii bocca, ma le parole mi si strozzarono in gola.
“Ooh, ma sei tornato!” ci interruppero altre due voci. Le mie sorelle maggiori.
“Te l’avevamo detto, mamma, che era tutto okay.” Arricciò il naso Paloma.
“Non mi interessa.” Le zittì con aria fredda. “Piuttosto, chiamate vostro padre e ditegli che è tornato.”
Mi guardai intorno, ricordandomi della partenza di mio padre, pochi giorni prima. Non avevo intenzione di pensarci. La mia rabbia nei suoi confronti era ancora tanta.
“Allora?! Dove sei stato??”
Deglutii. Poi guardai Paloma, Zuleika e Yas. Non avrei potuto mentirle, se ne sarebbe accorta subito. Le tre, avendo interpretato in pieno il mio pensiero, annuirono socchiudendo gli occhi.. poi si dileguarono. Fortunè le imitò.
La mia faccia iniziò a prendere un colorito estremamente.. porpora.. e la fronte si riempì di sudore.
“Sono andato con.. Andy.” Buttai fuori, senza riuscire a guardarla in faccia.
Poi alzai lo sguardo, incrociando il suo.. che si era fatto incerto.
Stava battendo a terra con la punta della sua pantofola, tenendo le braccia incrociate. No, nulla di buono.
“Andy.” Ripetè.
Oh cazzo. Mi morsi le labbra.. era strano quel nome pronunciato da lei.
“A-andy.” Confermai sospirando, cercando di sembrare tranquillo. No, non stava funzionando.
“Vieni qui.” Ordinò, sedendosi sul divano. Avevo paura, il cuore stava per uscirmi dal petto.
Mi sedetti anche io, con lo sguardo basso, le gambe che mi arrivavano al petto, pur essendo i piedi poggiati a terra. Quanto potevano essere lunghe?
La donna continuava a squadrarmi ed io, pur provandoci non riuscivo a fare lo stesso.
“Mika..”
Deglutii, sentii i battiti aumentare.. per un momento sembrò che la mia cassa toracica stesse per rompersi.
Vedevo una certa preoccupazione nei suoi occhi, mista a dolcezza. Un’espressione che solamente lei sarebbe riuscita a fare.
“Chi è Andy?”
Mi raddrizzai, temendo di poter dare una risposta che avrebbe potuto scatenare in lei qualche reazione inaspettata o peggio, esagerata.
Pensai però di dover essere sincero con lei. Infondo era mia madre. L’unica persona che mi era sempre stata veramente accanto, quella che mi aveva capito, in ogni situazione.. che non aveva mai mollato e che mi aveva aiutato a rialzarmi ogni volta che non ci ero riuscito da solo, insegnandomi ad inseguire i miei sogni e a crescere. Era stato proprio grazie a lei che io ero diventato Mika.
“Mamma, Andy è una persona che mi rende felice. L’unico che riesce a farmi provare dei sentimenti veri.. quelli che prima d’ora non ero mai riuscito a provare.” Accennai prontamente, d’improvviso, mentre le stringevo la mano. Volevo tanto che riuscisse a sentire quello che provavo io per quel ragazzo.
“Lui.. lui è il mio primo vero amore.” Conclusi sottovoce, sorridendo; mentre una piccola ciocca di capelli mi scendeva sulla fronte, cercando di richiamare la mia attenzione.
Infine, una piccola lacrima andò a rigarmi la guancia.
Mi ritrovai le sue grandi braccia, ancora una volta, intorno al mio busto. Ricambiai, abbracciandola forte, sentendola singhiozzare. Sorridemmo, ci allontanammo leggermente affinché potessi guardarla. Anche le sue guance erano bagnate.
“No, anche tu, no..” dissi ridendo, pulendole le guance con il pollice, lentamente.
Rimase in silenzio per un po’, tirando su col naso. I suoi occhi si erano come illuminati. Aveva un’espressione indecifrabile. Non seppi dire se fosse felice o se stesse provando a mostrare qualche altra emozione. Avevo bisogno che parlasse, per capirlo.
“Sono felice che tu sei felice.” Mi passò una mano fra i capelli, sospirando. “Non mi importa con chi, non mi interessa come. Se stai bene tu, sto bene anche io.. amore mio.” Concluse debolmente.
“Mamma, te ne prego, non dire nulla a papà.” Mi morsi le labbra.
Un suo dito si posò sul mio naso, la sua risata echeggiò per il piccolo salotto.
“Sarà il nostro segreto.” Si alzò, continuando a guardarmi.
Le afferrai la gonna, richiamando la sua attenzione. Era una cosa che amavo fare da piccolo, per sentirmi al sicuro. Per avere la certezza che fosse rimasta affianco a me.
“Joannie..” risi. Non la chiamavo mai per nome.
“Mh?”
Vidi il suo volto illuminato di felicità ed uno sguardo che trasmetteva complicità.
Era una delle cose più preziose che avevo.
“Sei la mamma migliore che ci sia.”

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Capitolo 14
*** Any other world. ***


~~Entrai velocemente dalla porta e mi guardai intorno, tirando un sospiro di sollievo. Non ero in ritardo (una volta tanto).
Erano ancora tutti in corridoio.. cominciai a camminare, a passo svelto e testa bassa; andai a sedermi sulle scale, con il mio quaderno per i disegni fra le mani. Mi misi a scarabocchiare qualcosa con la matita, cercando di non far caso agli sguardi e ai vari commenti idioti a cui non sarei mai riuscito ad abituarmi totalmente, e soprattutto ignorando Giusy, poggiata al muro pochi metri più a destra e impegnata a discutere con il suo gruppetto.
Era stato impossibile non notare lo sguardo omicida che mi aveva lanciato appena mi aveva visto spuntare dall’angolo. Non capivo perché si comportasse così; come se dalla parte del torto ci fossi stato io, come se fosse stato un reato quello di aver deciso di essere io quello felice.. per una volta.
Iniziai a scarabocchiare qualcosa, a scrivere alcuni versi per riuscire a metterli insieme e a pensare ad una melodia.
Notai una chioma scura avvicinarsi a me.. e molto velocemente. Lei. Mi fissava con odio mentre le sue amiche, da dietro, stavano a guardarla con la bocca spalancata.
Mi alzai, stringendo il quaderno fra le mani.
“Senti, non voglio parl..”
Mi tirò uno schiaffo, abbastanza forte, sulla guancia destra. Mi ammutolii.
“Tu fai schifo.” Sussurrò stringendo i denti. Non dissi nulla, mi morsi il labbro restando impassibile.
“Tu mi fai schifo! Mi fai totalmente schifo!” urlò questa volta.
L’attenzione di tutti si era spostata su di noi. Erano lì, fermi, lo sguardo fisso verso la ragazza mora, lì davanti a me.
“Tutte quelle stronzate! Mi hai fatto credere che fossi io ad essere sbagliata! Che idiota che sono..” rise istericamente “Ma poi ho capito..! Si, Michael, adesso è tutto più chiaro.” Si scompigliò i capelli scuotendo la testa con forza e puntandomi un dito contro.
“Ti ho visto, lo sai? Ti piace limonarti mio cugino, non è vero?!” 
Si sentirono alcuni sospiri di stupore.
Io ero rosso come un peperoncino ed il cuore aveva accellerato  i battiti, sembrò volesse evadere dalla cassa toracica.
“Ladies and Gentlemen.. Michael Holbrook Penniman è frocio!” agitò le mani, facendo una smorfia di disgusto. Mi strappò il quaderno dalle mani e me lo rilanciò colpendomi in volto.
Indietreggiai, portandomi una mano sul punto in cui mi aveva colpito. Le labbra, continuavo a stringerle fra i miei denti e gli occhi erano diventati lucidi e cercavano in ogni modo di non far uscire fuori alcuna lacrima. Le parole mi si erano bloccate in gola.
La spinsi, guardandola con delusione.. o forse paura.
Mi voltai, iniziando a correre.. inciampai, a causa della mia gamba ancora dolorante. No. Di nuovo.
Fu allora che il corridoio divenne dimora di un coro di risate. Non facevano altro che indicarmi e tenersi la pancia, ridendo a crepapelle.
Mi sentivo schiacciato, come se non potessi e non riuscissi a fare più nulla. Panico, ancora una volta.
Mi rialzai, ma non riuscivo a camminare. Era orribile: bloccato. Come un topo in gabbia. Piegai la testa indietro, mentre due lacrime mi rigavano le guance. Ed erano tornate quelle risate, quel prendersi gioco di me.. non fece altro che riaprire una ferita che avevo pensato di poter chiudere molto tempo prima, quando mi ero trasferito e mi ero giurato di riuscire a cominciare una nuova vita.. una vita senza prese in giro.
Mi poggiai con una mano al muro. Avevo la testa che stava per esplodermi.
Strinsi i pugni, tenendo la testa bassa, raggiunsi l’uscita più velocemente che potei e uscii fuori, dando il via libera alle lacrime che fino ad allora avevano tanto insistito per uscire.

Girai la prima mandata della porta ed in un attimo questa si aprì.
Mi ci infilai dentro, sbattendola dietro di me, con forza. Mi poggiai al muro freddo, asciugandomi le guance e lasciandomi scivolare giù, stringendo le gambe al petto e respirando rumorosamente, con la gola infuocata ed il volto rosso.
A casa a quell’ora non c’era nessuno.. mia madre in negozio, le mie sorelle ai corsi e i bambini a scuola.
Poggiai la fronte sulle ginocchia, annaspando.. lanciai il quaderno degli appunti contro la parete.
Proprio allora lo schermo del mio cellulare di illuminò. Un messaggio.
Era a terra, di fianco a me. lo raccolsi e lo lessi.

“Hei, buongiorno.. Spero vada tutto bene, io sono a scuola. Oggi non ho da fare, se vuoi ci vediamo.
Ti chiamo dopo, okay?
Andy X”

Ributtai l’oggetto dove lo avevo raccolto. Ma come ci aveva visto Giusy? E soprattutto dove?
Non volevo pensarci. In generale, non avevo voglia di pensare.
Nella mia testa erano tornati, ancora una volta, ricordi orribili che credevo di aver cancellato per sempre.
Mi ricordai dei pugni, dei calci, delle pestate.. di quando ero piccolo. Delle prese in giro, degli isolamenti, i nomignoli.
Le lavate di testa nei cessi della scuola. Le lattine, che ogni mattina mi tiravano dietro. Oggetti semplici, di alluminio.. che però facevano più male di mille coltelli.
Mi tornarono in mente i pomeriggi passati a piangere, chiuso nella mia stanza; la sensazione di non sentirsi adatto, il sentirsi uno stupido errore.. ogni giorno.. sempre di più.
 Urlai.
Mi trascinai al pianoforte, canticchiando con malinconia un motivetto che avevo scritto a 13 anni, ma che non avevo mai abbinato alle parole. Mi ero limitato a comporlo e suonarlo, senza lasciare che trovassi un testo adatto.
Tenni la testa bassa. Iniziai a riprodurlo, premendo debolmente alcuni tasti. La musica mi entro in testa e sembrò accentuare quelle scene.. ma nello stesso tempo riuscì a cullarmi, a farmi sentire protetto.
Fu spontaneo, alcune parole cominciarono a giocherellare nella mente, fino ad arrivare sulla punta delle mie labbra.. per poi spingersi a vicenda, affinché le pronunciassi..


“In any other world,
you could tell the difference.
And let it all unfurl
into broken remenance.

Smile like you mean it..
..and let yourself let go..”


Era incredibile. Le parole sembravano essere rimaste nascoste dentro di me per anni e aver deciso improvvisamente di uscir fuori.

 

“Take a bow,
play the part
of a lonely, lonely heart..
Say goodbye to the world
you thought you lived in..”


Continuai, lasciandomi andare con il dolce suono che quei tasti producevano.
Era tutto ciò che avevo sempre voluto dire, ma non avevo mai trovato le parole per dirlo. Respiravo lentamente, la musica danzava all’unisono con i battiti del mio cuore. Le guance invece, continuavano a mantenere un colore rossiccio e ad ospitare delle piccole gocce salate, che scendevano giù dai miei occhi.. e cadevano sullo strumento.
Non volevo pensare a quanto tempo stavo impiegando seduto lì.
Volevo soltanto suonare e non preoccuparmi di nulla in quel momento.. pur sembrando impossibile.
Cessai di premere quei tasti soltanto quando sentii il mio battito decellerare. Ma rimasi immobile, a occhi chiusi, a mordermi il labbro inferiore.. fino a farso sanguinare leggermente.
Un sapore metallico mi penetrò le papille gustative, mentre un’ultima lacrima si faceva spazio fra le mie gote.
Mi alzai e, dopo qualche passo, mi lasciai precipitare sul mio letto. Affondai il volto nel cuscino cercando di non piangere ancora.
Missione fallita.
Strinsi a me il cuscino e sospirai a singhiozzi. Rimasi alcuni minuti in quella posizione, finché il mio corpo e la mia mente non furono prigionieri del sonno. Lasciai rilassare ogni mio muscolo, contratto a causa dello stress, e mi addormentai.

 

 

*Angolino della paazza*
SALVE TESORI. Come state?? Io sto benee
Scusate se l’altra volta non ho scritto nulla qui sotto, ma non sapevo cosa dire.. il capitolo doveva avere un’atmosfera particolare e.. dai commentini carini e dolciosi che ho ricevuto, ci sono riuscita! Grazie a tutti! Vi adoro! <3
Per la scena lemon.. beh, l’avevo detto che non ero moolto brava lol.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia. Non è molto allegro, da quello che potete vedere.. ma ha anche lui un suo significato importante..
Come voi tutti sapete, il nostro piccolo giraffo ha avuto un periodo.. molto brutto..
Questo capitolo, in un certo senso, parla di una delle canzoni più intense e piene di significato che lui abbia scritto. Any other world.
Ora, volevo spendere due paroline per questo testo, perché ci tengo e perché è importante.
Se vi va di leggere, potete proseguire.. se non vi va, beh grazie di essere arrivati fin qui. Lol.
Allora, sin dall’inizio, mi sono sempre sempre chiesta di cosa parlasse veramente quella canzone. Mi ha sempre fatta sentire in modo particolare e seppure avessi letto il testo milioni di volte, non riuscivo a spiegarmi perché fosse così importante per lui e soprattutto perché –come è successo più di una volta- Mika piangesse quando la cantava in live.
Dopo tante taaante tante ricerche, ho scoperto il vero significato. E allora mi ha toccata ancora di più. Infatti adesso non riesco a non ascoltarla senza piangere.
Per terminare, voglio dirvi che sono davvero fiera di lui e della persona che è riuscita a diventare, nonostante tutto ciò che ha dovuto passare.
Tante coccole e tanti bacini, come sempre.

Ps: I commentini fanno sempre piacere, you know. **

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Capitolo 15
*** Say nothing ***


~~Sobbalzai, evitando di poco un attacco di cuore. Ero appena stato svegliato da una pazza che si era buttata sul mio letto con la delicatezza di un elefante. Paloma.
Mi tirò una cuscinata ridendo, mentre io ero impegnato a strofinarmi gli occhi e quindi, a mettere a fuoco la situazione. Sentivo le palpebre pesanti, la testa pulsare ed un fastidioso formicolio si era impossessato delle mie gambe.
Mi mossi, mettendomi seduto.
“Pal.. che ore sono?” sbadigliai.
La mora davanti a me rise e poi diede un’occhiata al quadrante del suo orologio.
“Le nove di sera, dormiglione. Mamma mi ha mandata a chiamarti, la cena è pronta.”
Un altro sbadiglio.
“Mio dio, Mika. Hai dormito per tutto il pomeriggio. La tua vita è uno spasso eh?!”
Mostrai un sorriso ironico ma dentro di me qualcosa tremò. Non volevo parlare con nessuno di ciò che mi era successo. Infondo se avessi aspettato un po’ di tempo, se ne sarebbero dimenticati tutti.. no?
Afferrai il cellulare. 3 chiamate perse da Andy, 2 messaggi.. sempre suoi. Ne aprii uno.

Stasera passo a prenderti alle 21.30, niente scuse. Andrew X.

Sospirai, sorridendo leggermente.
Una risatina idiota richiamò la mia attenzione. Dimenticavo, mia sorella era ancora lì. Guardò in alto, poi il suo sguardo precipitò su di me.
“Sorridi anche ai suoi messaggi adesso, eh..?”
Cercai di ignorarla. Lessi l’altro messaggio.

È inutile non rispondere, Penniman. Tanto sotto casa tua ci vengo lo stesso. Dai, oggi offro io, promesso. X

Risi stavolta. Mi alzai, ignorando ogni tipo di dolore, e mi diressi in bagno mentre la bruna, che era rimasta a fissami per dei minuti immensi, ora mi chiedeva informazioni riguardo i messaggi che avevo ricevuto seguendomi per il corridoio come un cagnolino.
Mi misi davanti allo specchio, sistemandomi (si fa per dire) i capelli e cambiandomi la giacca. Indossai una camicia e ci abbinai uno dei miei papillon.

“Io ceno fuori.” Annunciai, raggiungendo la mia famiglia in sala da pranzo.
“Ma.. ma come?!” si alzò mia madre mentre Paloma andava a sedersi. “Dove vai?”
“Sono con un amico..” sussurrai sperando non avessero sentito. Mi guardai i mocassini, poi rialzai lo sguardo. Quello che vidi avrebbe potuto imbarazzare chiunque. Quattro facce bastarde: le mie sorelle.. e mia madre. Guardarono me, poi si guardarono tra di loro ridendo sotto i baffi. L’unico che sembrava non aver capito nulla, era mio fratello. Mi fissava, con una faccia confusa… e continuava a grattarsi la testa aggrottando le ciglia.
“Che cosa.. mi sono perso?” giocava con la forchetta.
Zuleika non riuscì a trattenere una risata, nonostante i calci che le erano stati tirati da Yasmine da sotto il tavolo.
“Ehm.. non faccio tardi, promesso.” Cambiai discorso.
Stampai un bacio sulla guancia di mia madre e, di corsa, infilai una giubbino ed uscii.
Scesi le scale lentamente, ridendo a causa dell’espressione che poco prima avevo visto stampata sulla faccia di Fortunè.
Uscii in strada, sistemandomi il papillon al collo. Mi guardai intorno, di lui neanche l’ombra.
Non potevo crederci.. per una volta ero io quello in anticipo.
“Che pensavi, che fossi in ritardo, eh?” una voce alle mie spalle mi fece sussultare.
Mi girai, vidi quel sorriso, quegli occhi chiari e quei capelli.. del colore del grano.
“Hei..” le mie labbra si curvarono in su. Mi avvicinai a lui e gli poggiai una mano sul petto. Tentai di fare mie le sue labbra, ancora una volta.. ma si spostò, facendomi la linguaccia.
Lo fissai confuso, se la rideva. Mostrò un’espressione severa.. ma si vide subito che avesse intenzione di prendermi in giro.
“Non rispondiamo più alle chiamate, ai messaggi..” incrociò le braccia facendo il labbruccio.
Mi grattai la nuca. “Mi ero addormentato..”
Si poggiò al muro, sbuffando. “Sei un ghiro.”
Gli tirai un pugnetto. “Tu vai a dormire e ti svegli con le galline.”
Si avvicinò leggermente, poi sempre di più, schiacciandomi contro un muro e poggiandosi a me. Lasciò affiancare i nostri nasi, poi puntò i suoi occhi nei miei.
Amavo quella vicinanza, quel sentirmi suo.
“Allora siamo pari.” Soffiò sulle mie labbra. Gli presi la mano destra, mentre con l’altra gli cingevo il fianco. Guardai in giù seguendo il movimento della sua sinistra che dolcemente si appoggiava sul mio petto. Sospirò, lo guardai, senza muovermi di un centimetro. “Che c’è.”
Si morse le labbra. “Voglio un bacio.”
Lasciai che la mia bocca si poggiasse sulla sua, mentre affondava la mano nei miei capelli.
Non appena ci staccammo, mi afferrò la mano con decisione. Iniziammo a camminare, mi affiancai a lui.
“Dove andiamo?”
“Boh, devo ancora decidere.”
Lo spinsi. “Ah, TU devi decidere?”
Annuì, autoritario. Lo guardai per un po’ ed iniziai a ridere. “Sei uno scemo!”
“No senti, niente storie!” protestò. “Io pago? Allora decido io dove mangiare!”
Incrociai le braccia e mi soffiai sul ciuffo. “Non ci sai proprio fare..”
Ridemmo.
“Ho trovato! C’è un bar vicino casa mia, fanno dei frullati buonissimi!” annunciò soddisfatto.
“Significa che andiamo lì?”
Annuì, deciso.

“Due cappuccini con panna e caramello.” Dissi al cameriere, mentre il biondo si guardava intorno soddisfatto.
Alzai lo sguardo ed iniziai a fissarlo. Aveva lo sguardo acceso, sorrideva.
Gli sorrisi anche io, fingendo però. Nella mia testa continuava a ripetersi la scena che avevo vissuto la mattina; pensavo alle parole di quella che ormai era la mia ex ragazza, al suo volto pieno di disgusto.. allo schiaffo che avevo ricevuto, alle risate..”
“Hei, sei vivo?!” mi schioccò le dita davanti agli occhi, ridendo.
Feci una smorfia, scossi la testa velocemente, come per risvegliarmi e tornare alla realtà.
Poggiò una mano sulla mia e mi osservò, piegando la testa. “..stai bene, vero?”
Lasciai che i miei occhi si tuffassero nei suoi. Non doveva saperlo. Infondo non era grave ed ero sicuro che con il tempo sarebbe passato tutto. Non volevo si preoccupasse per me solo per quello, volevo solo che fosse felice.. magari insieme a me.
Esitai. Poi sospirai e gli presi anche l’altra mano.
“Si, sto bene.” Infondo stavo cercando di convincere entrambi.. specialmente me.
“Perfetto.” Sussurrò.
“Oh, ecco i cappuccini..” annunciai mentre due tazze fumanti ci venivano portate. Ringraziai segretamente la cameriera che, interrompendoci, fece sì che cambiassimo discorso.

 

*Angolino della pazza*
Salve, okay, questo capitolo non è niente di che..
Scusate se non ho pubblicato mercoledì, ma ho avuto una serie di problemi con la connessione e con il computer che ha deciso di rincoglionirsi proprio in quel momento. Baah.
Perdonatemi! *si mette in ginocchio e prega in aramaico*
Questo capitolo non è nulla di che.. Ma il prossimo sarà.. NON DEVO SPOLERARE SH.
Solamente volevo accentuare un po’ la figura del tenero Fort, che mi sembra sempre fuori dal mondo (Si. Ho una cotta per lui, ma non glielo dite pls..) spero lo apprezziate hihu :D
Ora scappo! A mercoledì! E buona Pasqua!
#commentinigraditiye #ciau #tantecoccoleetantibacini

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Capitolo 16
*** It hurts. ***


~~“G-grazie per avermi riaccompagnato.” Sussurrò afferrandomi debolmente la mano.
Eravamo sotto casa sua. Avevo insistito tanto per riportarlo fin lì. Non volevo che andasse in giro da solo.. non dopo quello che era successo. Si, dovevamo stare più attenti. Almeno finché le acque non si sarebbero calmate. Non che io mi vergognassi di lui, anzi, lo amavo con tutto me stesso. Ma sapevo quanto la gente avrebbe potuto fargli male, in tutti i modi.. ed era l’ultima cosa che avrei voluto.
“Allora.. a domani?” chiese mantenendo il suo sguardo nel mio.
“Ovvio.” Lasciai che mi baciasse l’angolo delle labbra.
Mi girai e guardandolo un’ultima volta, mi avviai per una stradina. Sorrisi.
Svoltato l’angolo, feci per riaffacciarmi; volevo controllare che fosse rientrato senza farmi vedere. Dopo essermi accertato che fosse così, mi decisi a prendere la via di casa.
Camminavo lentamente, godendomi l’atmosfera silenziosa e tranquilla. Amavo quella situazione di silenzio che riusciva a crearsi verso quell’ora. Come una sorta di quiete che nessuno sarebbe riuscito ad interrompere.. mi aveva sempre dato questa impressione. Mi concessi anche del tempo per pensare ad Andrew.
Dovevo parlargli di ciò che era successo, della scenata di sua cugina. Ma nello stesso tempo, non avevo voglia di farlo stare male. Vederlo triste sarebbe stata una delle cosa più spiacevoli che potevano capitarmi.
Ero impegnato a ripetermi in silenzio che sarebbe andato tutto bene, che se ne sarebbero dimenticati tutti, con un po’ di tempo, quando mi trovai davanti ad un gruppo di ragazzi.
Non capii se fossero miei coetanei, non conoscevo nessuno di loro. Li fissai per un attimo, con un filo di paura. Erano visibilmente, leggermente brilli.
Vidi spuntare da dietro di loro una figura femminile, abbastanza magra, dai capelli scuri e lisci. Aveva una lunga frangetta e sotto di essa si potevano scorgere due occhi chiari, che alla luce della luna non facevano altro che accentuarsi.
Strinsi i pugni. “Giusy.”
Rise. Anche lei aveva bevuto. “Heei Michael Penniman!” mi si avvicinò, mollandomi uno schiaffetto e tirandomi leggermente il ciuffo.
Ci squadrammo per un attimo. Lei si appoggiò ad uno di quei ragazzi che mi guardò, con perfidia, digrignando i denti in un sorriso malefico. Cercai di restare calmo. Era abbastanza robusto e alto.. quasi quanto me. E i muscoli certamente non gli mancavano. I capelli del colore della cenere erano tirati all’indietro e tendevano a sottolineare il suo mento pronunciato che dava ancora più senso alla sua espressione.. piuttosto sicura di sé.
“Lui è.. Kevin.” Si fissarono. “Il mio.. ragazzo.” 
“A-ah..” dissi con tono freddo, cercando di sembrarle indifferente. Al contrario, dentro di me, stavo trattenendo un urlo strozzato. Che fosse paura? Istinto di sopravvivenza?
Sorrisero per un altro po’.  Poi lui cambiò improvvisamente faccia. Come se avesse avuto un’illuminazione.
“Ma tu sei..” mi si avvicinò, spingendomi sulla spalla con un dito. Indietreggiai, innervosito.
“Tu sei il frocetto!” iniziò a ridere. Tutti gli altri lo imitarono.. anche la mora. Ma nel suo viso potei leggere anche qualcos’altro. Era una cosa che probabilmente non aveva mai provato nei miei confronti in precedenza. Era.. paura.
“Giusy mi ha parlato di te..” mi girò intorno, ridendo ancora. Come se volesse avvolgermi fra le sue spire, come un serpente.
Avevo voglia di correre via, ma non ci riuscii. Come se fossi bloccato. Lo sguardo del ragazzo mi aveva immobilizzato. Tornai sulla ragazza che poco prima aveva riso di me, ma la ritrovai in tutt’altre condizioni.
Si mordeva il labbro, passandosi le mani nei capelli. L’avevo vista già comportarsi in quel modo.. e non significava nulla di buono.
Quando si accorse che lo sguardo del suo ragazzo fosse tornato su di lei, tornò a ridere, come se nulla fosse.
Michael, scappa.
“Lo sai, vero, che non si gioca con i sentimenti altrui?” in un attimo mi ritrovai circondato anche dagli altri.
“D-dai Kevin.. l-lascialo stare.. Cioè lo hai detto anche tu.. è s-solo uno stupido.. frocetto.” Cercò di interromperli di nuovo la voce di Giusy. La guardai ancora. Stava fissando la scena, attonita. Anche lei nel panico.
Socchiusi gli occhi. Lasciai poi che si tuffassero in quelli del suo ragazzo, scuri come la pece.
Lo stavo sfidando? Forse si. Ma in quel momento, il mio pensiero fu Andy. Non volevo gli facessero del male. Non dovevano torcergli nemmeno un singolo capello. Ingoiai a vuoto.
“Siete solo dei vigliacchi.” Sputai ad un tratto.
Mi sorpresi del coraggio che avevo avuto. Non mi era mia capitato di reagire in quel modo davanti ad un tipo di quel genere. Capii che me ne sarei pentito presto.
Iniziò a ridere, mantenendosi la pancia. Aggrottai la fronte, cercando di interpretare quel suo strano gesto.
Ma ad un tratto la mia mente fu costretta a smettere di pensare.
Un pugno mi colpì sullo stomaco. Indietreggiai. Sentii come un vuoto d’aria e tossii, rendendomi conto solamente dopo di ciò che mi era appena capitato.
“Ma che cazzo fai?!” urlò la mora strattonando il tipo che mi aveva appena colpito.
“Tu fatti i cazzi tuoi!” rispose lui in cagnesco, spingendola in malo modo, facendola cadere a terra.
Mi ripresi in un attimo, cercando di raggiungerla.. tentativo fallito. Un altro pugno.
Un altro.
Un altro ancora.
Avevo lo stomaco a pezzi, sottosopra. Tossii ancora, sputando un liquido rossastro. Rabbrividii alla sua vista. Sangue. Mi lasciai crollare, accasciandomi su un fianco. In bocca, un sapore metallico attraversava le mie papille gustative. Dai miei occhi iniziarono a scorrere una grande quantità di lacrime. Dolore.
Solo dolore ed umiliazione.
Sentii altri colpi, forse più forti. Erano calci stavolta. Mi colpivano in volto, in pieno petto, noncuranti delle ferite che avrebbero potuto procurarmi. Provai a stringere i pugni, per cercare di alleviare il dolore.. ma nulla. Chiusi gli occhi, strinsi i denti, ingoiando ancora una volta quel maledetto disgustoso sapore di delusione. Avvertii un ultimo, atroce colpo nella schiena.
Iniziai a sentire la testa pesante, mentre nelle mie orecchie i rumori cominciarono a farsi sempre più ovattate. Sentii un rumore strozzato, continuo.. finché non persi totalmente il senso dell’udito. Lo sentii ritornare solo pochi minuti dopo. Tentai di prendere un grosso respiro, che andò a strozzarsi in un urlo soffocato.
Anche la ragazza stava urlando. Il gruppetto doveva essere scappato, mentre lei cercava di rialzarsi, asciugandosi quel poco trucco colato che le giaceva sulle guance.
Lasciai che i miei occhi vedessero la scena, senza poter fare più nulla, avendo il corpo distrutto.
Eravamo da soli adesso.
Tremai. Mi sentivo calpestato, come una formica.
“Michael!” fu l’urlo che udii prima di vedere la ragazza correre verso di me, buttandosi al mio fianco e mettendo un braccio sotto al mio collo per tirarmi su.
Pronunciò un “Oddio mio..” sussurrato al vedermi più da vicino. Mi strinse a sé, cercando di abbracciarmi. “Ti prego scusami, scusami! Non volevo! Non volevo che ti facessero del male!” continuò a supplicarmi. Sembrò stesse piangendo. Chiusi gli occhi e sentii le sue lacrime cadere sulle mie guance, ormai piene di lividi.
Sospirai, cercando di parlare, ma sentii le mie funzioni vitali azzerarsi.
Mi lasciai andare.
Poi il buio.
 

Take a bow
play the part
of a lonely, lonely heart.
Say goodbye to the world
you thought to lived in.

 




*ANGOLINO DELLA PAZZA*
Salve gente! I’m back, giuro!
Come ho detto anche nell’altro capitolo, ho avuto un po’ di problemini per quanto riguarda il mio pc *desidera di lanciarlo dalla finestra* ed internet, ma fortunatamente un angelo del cielo chiamato papà (lol) ha risolto la situa.
Ma sticazzi di me.. passiamo alla ff.
Okay, okay, okay. Potete anche uccidermi.
“Sparisci per mezza settimana e poi te ne esci con.. QUESTO?!”
Lo ammetto, questo è il capitolo più brutto che io abbia mai scritto. Ma dovevo. Poi capirete tutto.
Buh, spero vi piaccia, anche se è un po’ depresso.. D:
*si nasconde dietro al pc per evitare i pomodori*
Penso che se non ci saranno problemi, pubblicherò domenica mattina/pomeriggio.
E comunque vi ringrazio come sempre per i commentini **
Tante coccole e tanti bacini :*
Al prossimo capitolo! (se vi va lol)

 

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Capitolo 17
*** I'm proud of you, Mika. ***


~~Mi svegliai, senza aprire gli occhi. Sentivo dolore dappertutto, non riuscivo a muovermi. Come se fossi sotto l’effetto di un anestetico molto forte.
Ero in un letto.. di un ospedale, sicuramente. Sentii rinvenire tutti i sensi e proprio in quel momento mi accorsi che qualcuno mi stava tenendo la mano. era calda, morbida; una mano che sarei riuscito a distinguere ovunque. Era Andrew.
La sua testa era appoggiata sulle mie gambe. Dormiva. Si sentii il suo respiro, sottile, che attribuì al silenzio un suono ancor più delicato.
Sorrisi, cercando di aprire gli occhi. No, ancora presto. Rimasi così, rassegnato a dover aspettare.
Nonostante la pessima avventura.. ero felice di essermi risvegliato accanto a lui. Sentii il suo odore penetrarmi le narici.
Ripensai a ciò che mi era successo. I miei ricordi erano abbastanza sfocati. Mi avevano fatto male, tanto male.. di questo ne ero sicuro. Lo avevano fatto perché ero innamorato.. di un ragazzo. Perché amavo un ragazzo con tutto il mio cuore.
E quel ragazzo in quel momento era lì, vicino a me. a tenermi la mano da chissà quanto tempo.
Sentii una porta aprirsi.. qualcuno entrò, avvicinandosi al biondo.
“Andrew..” era mia sorella, Yas. Che bello sentire la sua voce.
Lui non rispose, doveva essere ancora addormentato.
Lo spinse leggermente. “Hei, svegliati, su.”
“Mh..?” un tenero mugolio. Eccolo finalmente. “Che.. che succede?”
“Vieni fuori, dai. Andiamo a mangiare qualcosa.”
“Io.. preferisco restare qui.” La sua mano strinse la mia. Sentii il suo sguardo accarezzarmi. “Mangio dopo.”
Gli mise una mano sulla spalla, sospirando. “Guarda che sta bene. Solo.. deve riprendersi.” Esitò, non capii perché. “Vieni a mangiare qualcosa. Qui ci resta papà.”
Papà? Allora c’era anche lui.
“Sei sicura?”
“Lo sono.”
Ancora silenzio. Sentii una piccola risata, accompagnata da un sospiro. “Andrew, guarda che è fuori pericolo, non devi preoccuparti.”
“L-lo so, Yasmine.” Un grosso respiro. “Okay.. mangiamo qualcosa.”
Si alzò, lo sentii lasciare la stanza, insieme a mia sorella. Cercai di rilassarmi per riuscire ad aprire gli occhi, ma ancora non ci riuscivo. Non mi faceva poi così male.. riuscivo però a percepire la presenza di alcune bende intorno al mio busto, al braccio destro e di un cerotto sulla guancia sinistra.. abbastanza grande.
Mi concedetti alcuni minuti, per respirare lentamente, per concentrarmi su ciò che era successo. Avevo bisogno di ricordare; anche se sapevo che mi avrebbe fatto solo sentire peggio.
Nella mia mente cominciarono a penetrare le sensazioni che avevo provato.. i calci, i pugni nello stomaco, le risate. Quei ragazzi, alti e robusti che mi circondavano, facendomi sentire in trappola. Il panico, la voglia di scappare, la delusione nel non riuscirci.
E poi quella figura sottile, quel nome. Giusy. Mi aveva portato lei lì? E adesso dov’era? Troppe domande.
Eppure non riuscii a non pensarci.
La mia mente si prese un attimo di pausa quando udii un flebile rumore. La porta. Qualcuno entrò, in silenzio.. come se avesse avuto paura di svegliarmi. Lo sentii avvicinarsi, a passi lenti e piccoli. Si poteva avvertire una certa insicurezza in quei movimenti.
Finalmente si sedette sulla sedia affianco al mio letto. Un odore di dopobarba, mischiato al tabacco, mi entrò nel naso. Mi afferrò la mano. La sua non era liscia, anzi, aveva le rughe.
Un sospiro. Allora capii.
Papà.
“Hei.. ehm.. ciao Michael.” Iniziò. Al sentir pronunciare l’ultima parola, mi ricordai della discussione avuta con lui poche sere prima. Era arrabbiato.. ma ora non sembrava esserlo. Il suo era un tono colpevole.
“Ma che colpo mi hai fatto prendere.” Sussurrò, accarezzandomi la fronte, scostandomi i capelli.
Non aveva mai fatto così. Non sembrava nemmeno lui. Oltretutto non capivo perché parlasse con me, pur pensando che dormissi.
“Ho dovuto correre come un pazzo, quando ho saputo quello che ti avevano fatto.” Respirò ancora più profondamente. Che volesse trattenere le lacrime?
“Mi sono comportato così male con te.. ti ho fatto male. Proprio come loro, forse peggio.” Strinse i denti, la sua voce si fece più sottile e tirò su col naso. Non mi era mai capitato di sentirlo in quel modo. Era sempre stato autoritario, sicuro delle sue azioni.. molto spesso testardo ed irremovibile.
“…Ti prego, scusami.” No. Piangeva. Prese anche l’altra mano. Io non potevo fare nulla, se mi fossi mosso, avrei provato troppo dolore.
“Sei sempre stato un bambino speciale..” rise con tenerezza “..Gli altri uscivano a giocare a calcio.. Tu restavi a casa, a suonare il pianoforte.” Ingoiò.
“Scusami. Se non ho mai prestato attenzione a te, a ciò che volevi, a quelle cose meravigliose che facevi.. e che incidevi. Sono stato uno stupido. Volevo un bambino normale, un figlio perfetto.. volevo che fossi come gli altri.
Solo adesso mi accorgo di quanto tempo ho persi. Solo ora mi accorgo di averti imposto sempre delle cose che odiavi, facendoti perdere di vista quello che veramente amavi..”
Anche se fossi stato sveglio, non avrei saputo cosa rispondergli. Lo sentivo piangere, mentre pronunciava quelle dolci parole.
“I sogni sono per i coraggiosi, per i forti. E tu lo sei, Mika.”
Al sentirlo chiamarmi in quel modo, qualcosa in me si risvegliò. Che fosse forza? Non lo sapevo esattamente. Sapevo solo che mio padre mi stava dimostrando di credere in me.. e non poteva esserci gioia più grande per me.
Lasciai che i miei occhi si aprissero, lasciando spazio ad un enorme sorriso, che si stampò sul mio volto.
“Papà.” Sussurrai.
Lo vidi alzare la testa, spalancare la bocca in un sorrisone. I nostri sguardi si incontrarono. I suoi occhi erano umidi, rossi. Stava per chiamare qualcuno, ma gli strinsi la mano e lo zittii.
“Aspetta, ti prego.”
Non riusciva più a parlare.
“G-grazie.” Sorrisi ancora di più. “Io ho bisogno che tu creda in me. Ne ho bisogno, più di ogni altra cosa.”
Mi si avvicinò, circondandomi con le sue braccia robuste.
“Io ci credo in te.” Tirò di nuovo su col naso, sussurrando al mio orecchio, mentre mi arruffava i capelli con una mano.
Ci staccammo, regalandoci un attimo per guardarci per bene.
Il nostro silenzio fu interrotto dallo spalancarsi della porta.
“Mika!” urlò quello che l’aveva appena aperta.
Aveva i capelli scompigliati ed una camicia sgualcita, la stessa che aveva messo la sera prima.. gli occhi lucidi e stava sfoggiando il sorriso più meraviglioso che avessi mai visto. Andy.
Al vedere mio padre, però, sembrò essersi pentito del gesto che aveva fatto. Arrossì, grattandosi la nuca.
“P-passo.. dopo..”
“No. Vieni qui.”
L’uomo ci fissava, con un’espressione indecifrabile. Il biondo si avvicinò timidamente, tenendo lo sguardo fisso su di me. andò a mettersi dall’altra parte del mio letto, di fronte a mio padre.. che non sapeva più dove guardare.
Presi la mano al ragazzo, guardandolo con sicurezza.
“Papà..” sorrisi.
Mi esaminò, aspettando che proseguissi. Presi coraggio.
“Lui è Andrew. Il mio ragazzo.”
Sulla sua faccia si alternarono stupore e soddisfazione. Ingoiò a vuoto, alzandosi. Guardò poi negli occhi il ragazzo, che cercava di sorridergli, ma nello stesso tempo mi stringeva la mano. aveva paura della sua reazione, si vedeva.
La strinsi anche io, accarezzandogliela col pollice. Si tranquillizzò.
Mio padre si prese il mento con una mano.
“Tu..” disse solamente. “Tu ami mio figlio?”
Rimasi senza parole a quella domanda. Il mio ragazzo, invece, si morse le labbra e guardandomi, sorrise.
“Si, signore. Lo amo con tutto me stesso.” La risposta secca.
Vidi il tipo che aveva appena posto la domanda, avvicinarsi a lui, per poi abbracciarlo improvvisamente.
Vedendo che anche esso lo stesse stringendo a sé, sorrisi.
“Io ho bisogno di mio figlio e della sua felicità. E se tu ne sei la causa.. beh.. a me va solo bene.” Concluse facendo spallucce.
Risi ancora, guardandomi intorno ancora una volta. Ero felice.
“Vi amo, ragazzi.”

 

*ANGOLINO DELLA PAZZA*
Buonasssera gente! Come state?
Son in ritardo sks I know, ma scusate.. sono come mika.. la puntualità non è cosa mia D:
Aaaanyway, spero vi piaccia questo capitolo..
La storia non è ancora finita eh :D
Comunque avevo intenzione di scrivere un riappacificazione fra papi e figlio.. eccola!
I commentini sempre graditi, lo sapete <3
A mercoledì!
Coccole e bacinii

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Capitolo 18
*** Six years later. ***


~~Novembre 2006
Erano passati un po’ di anni; sia io che Andy eravamo riusciti a finire la scuola e subito dopo avevamo deciso di trasferirci a Los Angeles, in una casa tutta nostra, non troppo grande.. per permettermi di cercare fortuna in una città come quella.
Avevo trovato lavoro in una piccola rappresentazione, un musical. Amavo l’atmosfera che riusciva a crearsi quando mettevo piede su un palco. In quel momento eravamo solamente io e la musica.. a navigare in un mare di emozione.
Il mio ragazzo era stato ingaggiato come cameraman da un regista alle prime armi. Doveva lavorare un bel po’, ma veniva sempre ricompensato adeguatamente.
Nonostante avessi trovato quel piccolo impiego, non avevo certamente abbandonato il mio sogno.. anzi, continuavo ad andare di casa discografica in casa discografica, in cerca di qualcuno che volesse ascoltare un mio pezzo; ma l’unica cosa che le mie orecchie riuscivano ad udire era “la chiameremo.”.
Ovviamente non succedeva mai.
Non avrei mai avuto intenzione di scoraggiarmi, ma quell’essere rifiutato in continuazione non faceva altro che contribuire a farmi abbassare l’autostima. Inoltre, io ed il biondo non riuscivamo a trovare, durante la giornata, un momento libero da dedicarci. Era preso dal suo lavoro, io dal mio e dai miei progetti. Erano rare infatti, le volte in cui riusciva a tornare a casa presto la sera. In quelle occasioni, io ero impegnato a suonare il piano.. ma era piacevole vederlo rientrare, per poi ammirarlo pochi minuti dopo in pigiama. Veniva a sedersi accanto a me, poggiava la testa nell’incavo del mio collo e lasciava che continuassi, esaminando il movimento delle mie dita sulla tastiera bianca e nera. Si addormentava, si faceva osservare ed infine si lasciava portare a letto borbottando dolcemente dei grazie amore.
Mi mancava parlare con lui, ovviamente. Ma doveva essere solamente un periodo.. le cose sarebbero andate meglio anche sembravo quasi non sperarci nemmeno più.
 

Camminavo per casa, mordendomi le unghie, tremando. Sentivo un vuoto allo stomaco. Avevo un appuntamento con una casa discografica.. si, un’altra. Dopo aver consegnato una delle mie tante demo, avevo ricevuto una strana telefonata e fissato una data ed un luogo da raggiungere per parlarne.
Andy si era immediatamente offerto di accompagnarmi, accoglie do la notizia con l’entusiasmo di un bambino. Entrambi avevamo le dita incrociate, prima io che non riuscivo a credere che un mio pezzo fosse riuscito a piacere a qualcuno.

“Grazie amore.” Accennai, sorridendogli mentre lui era intento a cercare un parcheggio. “Non avrei mai avuto il coraggio di venirci da solo.”
Al termine di quella frase, mi accorsi che aveva appena fermato e spento l’auto. Ora di scendere?
Sentii lo stomaco sottosopra ed ingoiai a vuoto. Lui, vedendomi in quello stato, mi afferrò immediatamente per il mento, voltandomi verso di lui. Nel momento in cui il suo sguardo entrò a contatto con il mio, un’incredibile sensazione di sicurezza mi travolse.
Lo vidi avvicinarsi lentamente, mi concesse ancora una volta di assaporare le sue dolci labbra. Sorrisi a quel contatto e al sentirlo curvarle in su e sospirare.
“Hei..” mi accarezzò la guancia, scostandomi un ciuffo dalla fronte. “Andrà bene, vedrai.”
Gli strinsi la mano e prendendo un grosso respiro, uscii dall’auto.

“Mi scusi..” mi avvicinai alla scrivania di una ragazza bionda. Doveva essere la segretaria. Notai quanto fosse presa a scarabocchiare su un foglietto. Alzò la testa, infastidita come se avessi appena interrotto una cosa importante, e poggiò i gomiti sul pezzo di legno aprendo le mani come per ordinarmi di parlare.
“Sono Mik..-EEH volevo dire.. Sono Michael Penniman. Ho un appuntamento.” Mi grattai la nuca, arrossendo.
La tipa afferrò un telefono e digitò velocemente un numero, attendendo in linea. Mi portai le mani dietro la schiena, dondolandomi, fissando la scena in silenzio. Mi guardò ancora, squadrandomi con un’espressione di superiorità. Le sorrisi, ma la sua faccia non cambiò.
“Signor Williams? Si, qui c’è un certo Penniman che..” la voce dall’altra parte la interruppe e prese a parlare per un po’.
“Va bene, grazie signore.” Concluse infilandosi una gomma in bocca. Mi guardai intorno, mordendomi il labbro inferiore.
Non appena ebbe attaccato, riprese a guardarmi e a masticare insistentemente quella maledetta gomma. Mi avrebbe fatto esplodere i nervi. Respirai lentamente e cercai semplicemente di ignorarla.
“A-allora?” balbettai giocherellando con le dita.
Piegò la testa, lanciandomi un occhiataccia. “Hanno detto che potete salire.” Fece spallucce.
La mia faccia si tramutò in un espressione soddisfatta, sorrisi mostrando un misto di felicità ed ansia. nonostante stesse per farmi innervosire, guardai la bionda con gratitudine. Anche la sua espressione cambiò, stupendomi. Mi sorrise in modo complice.
Infondo eravamo entrambi due ragazzi, in cerca di una carriera. Per un momento questo nostro punto in comune ci fece ridere; mi afferrò il braccio, tutt’ad un tratto, con decisione. Esaminai il suo sguardo.
“Buona fortuna Michael Penniman.”
Chinai la testa, sorridendo timidamente. “Grazie signorina..” sperai che completasse la frase.
“..mi chiamo Emma.”
“Oh.” Risi ancora. Sentendo il verso che avevo appena emesso, anche la ragazza sorrise.
“Spero vada bene.” Concluse congedandomi. Si alzò e cominciò a camminare.. la seguii a passo svelto senza fiatare.
Rimasi davanti alla porta di quell’ufficio, a fissare il pomello della porta. Mi sarebbe bastato girarlo ed entrare.. ma fu come se mi fossi bloccato. Non potevo muovere un muscolo e continuavo ad ingoiare il nulla.
Mi sentii spingere. Delle piccole dita, con delle unghie abbastanza lunghe. Mi girai di venti gradi emettendo un urletto e riuscii nuovamente a scorgere la figura della ragazza che avevo conosciuto pochi minuti prima.
“E muoviti!” sussurrò al mio orecchio un secondo prima di spalancare la porta e spingermici dentro.
Non feci resistenza, ma non appena realizzai di essere davanti al direttore della casa discografica, la mia faccia prese un colore simile a quello di un pomodoro.
“B-buongiorno..” balbettai impanicato.
Alla scrivania c’era un uomo non troppo giovane, ma nemmeno tanto anziano –poteva avere 50 anni- dai capelli del colore della cenere. Quando alzò lo sguardo, potei osservare bene anche il suo volto. Aveva una faccia stanca ed annoiata. Come se fosse stato in cerca di qualcosa che avrebbe potuto dargli una scossa, una volta per tutte.
Dopo piccoli istanti durati secoli, l’uomo mi concesse uno sguardo di benvenuto e mi fece segno di andarmi a sedere di fronte a lui. Proprio nel momento in cui mi appoggiai alla sedia, la porta si spalancò. D’istinto balzai sull’attenti, scatenando una risatina insopportabile nel signor Williams e nell’uomo che ci aveva appena raggiunto.
Dopo un secondo di esitazione, mi risedetti ed il nuovo arrivato mi imitò, posizionandosi però accanto al direttore.
“Dunque..” iniziò a sfogliare un fascicolo. “..Il signor Panniman, giusto?”
“Penniman..” precisai insicuro, mentre cercavo segretamente di fermare un fastidioso tremolio che si era impossessato delle mie gambe e delle mie mani. Maledetta ansia. maledetto me.
“Bene.. abbiamo ascoltato la sua demo..” loro erano tranquilli.
Sorrisi, soddisfatto. Ma il sorriso non fu ricambiato.
“Bah, sinceramente non avevo mai sentito una cosa del genere..” commentò l’uomo alla sua destra “..voglio dire, è talmente bizzarro..” rise.
Io non ci trovai nulla di divertente neanche stavolta.
“Lei di dov’è?” chiese cercando di  sviare il discorso.
Mi grattai la nuca, acchiappandomi ciuffi di capelli a caso. “Ehm.. io.. sono nato a Beirut, in Libano. Ma sono cresciuto a..”
“Quanti anni ha?” mi interruppe
“Venti.. quattro.”
Si guardarono, lanciandosi delle occhiate che non riuscii ad interpretare. Cercai di ignorarle e proseguii.
“Se volete possiamo parlare della canzone, se c’è qualcosa che non va posso sempre portarne..-“
“Abbigliamento molto.. appariscente, signore.” Mi avevano ammutolito di nuovo. Strinsi i pugni.
“Dove prende questa roba? Nei cassonetti? Se canta come si veste non andremo lontano..”
Il signor Williams scoppiò a ridere, cercando solo in seguito di trattenersi. Non poté evitare di ritrovarsi il mio sguardo omicida addosso. Mi alzai, poggiando con decisione le mani sul tavolo.
“Il mio abbigliamento non credo le interessi..” cercai di mostrare un tono pacato, nonostante avessi voglia di spaccargli la faccia. “Sono qui per parlare della mia demo, di certo per non essere vittima delle vostre prese in giro.. Quindi, se per favore vogliamo proseguire..” alzai la voce, stavolta erano loro ad essere rimasti senza parole.
Io, ovviamente, mi resi conto solo allora di quello che avevo fatto e detto.
Si guardarono per un istante e in un attimo vidi le loro facce trasformarsi in delle smorfie divertite.
Ridevano. Di me.
L’ultimo arrivato, si affrettò ad alzarsi e raccogliere una cartella. Me la porse, gustandosi la mia faccia stupefatta.. ma nello stesso tempo disgustata per ciò a cui avevo dovuto assistere.
“La porta è lì, Panniman.” Riuscii a sentirlo dire. Mi precipitai fuori, ignorando il fatto che avesse nuovamente sbagliato il mio cognome e maledicendo chiunque mi venisse in mente in quel momento.
Ritenta. Sarai più fortunato.
 

 


*ANGOLINO DELLA PAZZA*
 CIAO BELLA GENTEEE! SONO TORNATA! *cori sconsolati si levano dal nulla*
Perdonatemi immensamente per l’assenza, ma ho avuto dei problemoni.. sia personali, sia per quanto riguarda questo pc (dimmerda che butterò nel fuoco appena riesco ad accenderne uno ehehe)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.. ho voluto fare uno strano salto avanti nel tempo.
Beh fatemi sapere cosa ne pensate! Sarò qui felice di vedere le visualizzazioni e i commentini
Cause aall I need iis.. commentini **
No, basta fare l’idiota. Spero davvero di non essere l’unica felice per il mio ritorno lol.
Alla prossima! (Cioè sabato. stavolta sono puntuale hehe)
Coccole e bacini. :D

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Capitolo 19
*** Shut up, I love you. ***


~~“Hei..” fu il suo flebile sussurro.
Ero appena tornato in auto e dalla mia espressione, ma anche dalla violenza con cui avevo aperto e poi richiuso la portiera, si poteva intuire che non fosse andata tanto bene.
Restai seduto, a testa bassa. Fissavo il tappetino nero, stringendo i denti e cercando di sopprimere tutta la rabbia che infestava il mio corpo in quel momento.
Potevo avvertire lo sguardo del biondo poggiato su di me. era dispiacere, tristezza quello che riuscii a udire in quel suo interminabile silenzio.. ma cercai di non farci caso. Lo vidi girare la chiave e mettere in moto, senza accennare parola. Nemmeno io dissi nulla. Non avevo intenzione di far trasparire sentimenti negativi, pur sembrando impossibile. Avevo solamente voglia di urlare, cercando di buttare giù solo un’altra amara delusione.
Non riuscivo a non sentirmi a pezzi. Non ne potevo più.
Mi portai una mano nei capelli, scuotendo la testa e guardando fuori. Cosa mi stava trattenendo dallo scoppiare a piangere? Forse il non voler essere visto dal tipo al volante, forse la voglia di sembrare forte.. o semplicemente il fatto che ormai c’ero abituato.
Notai un movimento improvviso nella sua mano. Dal cambio si spostò sulla mia, cercando un contatto. Lo ignorai, spostandola, rannicchiandomi su di un lato e dandogli le spalle. Cominciai a giocare con le mani. Non vi era più un’atmosfera piacevole.. anzi, la situazione si stava facendo sempre più imbarazzante e stressante.
“È andata male.” Disse solamente, accompagnando la sua dedizione ad un grosso sospiro.
Non aggiunsi nulla, feci spallucce e mi morsi il labbro.
“Ho capito, ho capito..” scosse la testa e alzò le mani, come in segno di resa. “..non ti va di parlare.”
Lo ringraziai segretamente. Forse, finalmente, avrebbe smesso di mettermi a disagio in quel modo. Mi sbagliavo, come sempre d’altronde.
“Magari ..”
“Senti, Andrew, smettila. Non mi va di.. chiacchierare.” Feci una smorfia, ammutolendolo, senza guardarlo. Riafferrò il volante con entrambe le mani.
“È successo ancora.” Precisai. “Non piaccio. Non vado bene. Fallisco in continuazione.” Quelle parole. Continuavo a ripetermele anche dopo averle pronunciate, facendomi sempre più male. Mi distruggevano.. perché erano vere.
“N-non dire così..” balbettò, cercando di rassicurarmi. Per un attimo riuscì anche a farmi tenerezza, ma non appena mi ricordai della mia situazione, assunsi di nuovo un’espressione indefinibile.
“È andata male, okay, ma puoi sempre riprovarci..”
“Mi prendi per il culo, vero?” sbottai.
Aggrottò la fronte, guardandomi bene.. come per realizzare ciò che avevo appena detto.
“Smettila di cercare di farmi sentire meglio.” Incrociai le braccia. “Se dopo tutte ste fottute volte non va bene, non credi che sia io a non andare bene?!” alzai il tono di voce, facendolo sobbalzare; strinsi i denti, digrignandoli.
Non rispose più. Si limitò ad ingoiare a vuoto e sospirare.
Era tornato il mio amato silenzio. Lasciai che i miei occhi si chiudessero e mi lasciai cullare dal movimento dell’auto.. ancora pieno, però, di rabbia, amarezza e delusione.

Entrammo in casa, lui per secondo. Lo sentii sbattere la porta e lo vidi dirigersi in cucina, come se io non ci fossi. Probabilmente aveva intenzione di mettersi a cucinare. Buttai la mia giacca sul piccolo divanetto in salotto e feci per raggiungerlo.
Intanto ero anche riuscito a comprimere e a far quasi sparire dentro di me quella piccola quantità di rabbia che mi aveva spinto a reagire male - anzi, in modo pessimo – poco prima.
Mi affacciai alla porta, ispezionando la cucina. Lui era lì, di spalle.. intento a tagliuzzare un qualcosa.. forse verdure. Cercai di avvicinarmi, poggiandomi al tavolino poco distante dai fornelli, incrociando le braccia. Udii un grosso sospiro.
“Che fai?” gli accarezzai il petto, dolcemente.
Nulla. Nessuna reazione, nessuna risposta. Mi allontanai immediatamente, aggrottando la fronte e piegandomi verso di lui per guardarlo negli occhi. Aveva una faccia spaventosamente fredda ed il suo sguardo cercava di sembrare totalmente perso in quel suo.. tagliare carote.
Sbuffai, portandomi le mani sui fianchi e rimanendo in piedi accanto a lui.
“Mi stai davvero tenendo il broncio?” chiesi ridendo.
Come tutta risposta, il biondo prese una scodella di plastica nella credenza e vi ripose tutte le verdure, passando poi a tagliuzzare del sedano.
“È per prima, vero?”
Un colpo più forte di coltello. Lanciai gli occhi al cielo.
“Non avevo intenzione di trattarti in quel modo..” feci il labbruccio, prendendo un pezzo di carota, buttandomela in bocca.
Anche il sedano andò nell’oggetto di plastica.
“Hei, perfavore..” gli presi le mani, poi il mento. Lo spinsi accanto al frigorifero, poggiandomi su di lui, soffiando sulle sue labbra.
Il suo sguardo si concesse un attimo per perdersi nel mio, ma la sua espressione rimase la stessa. Fredda e distaccata. Cominciai ad ammirare i suoi grandi pozzi azzurri.
Era arrabbiato.. non voleva parlarmi.. ma continuava ad essere di una dolcezza indecifrabile.
“Scusami.” Sussurrai ancora, senza staccargli lo sguardo di dosso.
Poggiai le mie labbra sulle sue, notando con dispiacere che non stesse ricambiando. Mi spostai sul suo collo, iniziando a mordicchiare il suo punto debole. Gemette. E non fece altro che provocarmi una grande soddisfazione. Cercò di ricomporsi, ma non riuscì ad evitare la tentazione di scompigliarmi i capelli. Tornai su, lentamente, e le sue labbra si ricongiunsero con le mie. Eccolo.
Pensai a ciò che era successo. Mi ero comportato in quel modo a causa del colloquio andato male. Perché mi sentivo un fallimento, non adatto a nulla, sbagliato in ogni contesto.
Sulla mia guancia si fece spazio una lacrima. Chiusi gli occhi, strinsi i pugni, allontanandolo.
Lo osservai scuotere la testa, per poi vederlo riavvicinarsi a me. mise una mano sulla guancia, asciugandola con il pollice. Mi sentii circondare il busto dalle sue braccia.. feci lo stesso con lui; lasciò che mi poggiassi nell’incavo del suo collo, stringendomi sempre di più.
Restammo così per un bel po’. Mi resi subito conto di quanto fosse bello cullarlo, averlo vicino, sentire il suono del suo respiro.
Mi prese la mano, conducendomi sul divano, sedendosi accanto a me e baciandomi ancora. Lasciai che si stendesse su di me.
“Sei uno stupido coglione, Mika.”
Gioii nel poterlo finalmente risentire parlare. Poi, rendendomi conto di ciò che mi era appena stato detto, esplosi in una risata rumorosa continuando a giocherellare con i suoi capelli.
Mi tirò uno schiaffetto, poggiandosi con il mento sul mio petto. Sorrise anche lui.. ma subito dopo assunse una faccia seria, richiamando la mia attenzione.
“Ascoltami.” Iniziò, guardandomi dritto nelle iridi. “Tu non andrai bene per gli altri.. ma per me sei perfetto.”
Cercai di rispondere, ma mi zittì. Doveva proseguire.
“Non voglio che ti arrendi. Voglio che continui a provarci, ancora, ancora e ancora. Ci sono tante persone che credono in te.. io per primo. La tua voce è fantastica. Tu sei fantastico.” Annuì con decisione. “Ce la farai, lo so.”
Gli dedicai un enorme sorriso.
“Io, in ogni caso, sono sempre qui.” La sua mano si intrecciò con la mia. Abbassai lo sguardo, per ammirarle. Sembravano completarsi a vicenda. L’una riempiva gli spazi dell’altra.
“Andrew.”
“Mika?”
“Ti amo.”

 

 


*ANGOLINO DELLA PAZZA*
Ma salveee! Eccomi di nuovo! Grazie a san Michele sto riuscendo ad aggiornare come prima
*cori angelici si levano dal cielo*
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, ringrazio tutti quelli che hanno commentato quello precedente, siete la tenerezza aw.
Mi dispiace annunciare che questo sia il terzultimo capitolo, ergo, la ff è quasi finita. *si dispera*
*Non importa a nessuno* *canto dei grilli* *passa una palla di fieno*
No, okay, basta fare l’idiota. Come sempre, aspetto di leggervi tutti (chiunque voglia commentare, anche per sputarmi in faccia hehe)
Al prossimo (e penultimo) capitolo!
Taaaante coccole e taaanti bacini :3

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Capitolo 20
*** From Grace Kelly to the Origin of Love ***


~~2012

“Mi chiedete se sono gay? Vi rispondo di si. Mi chiedete se le mie canzoni parlano di relazioni con uomini? Vi dico si. Ed è solo attraverso la mia musica che ho trovato la forza di venire a patti con la mia sessualità al di là dell’argomento dei miei testi. Questa è la mia vita reale.”

Pronunciai tutta quella frase tutto in un fiato. La pressione dei giornalisti su quella faccenda era diventata davvero soffocante. Ed anche io, all’uscita del mio terzo album, che parlava appunto dell’amore, sentivo il bisogno di rivelarmi per ciò che veramente sono. Dovevo farlo per me, per i miei fan, per Andy.
Mi ero ripromesso sin dall’inizio che sarei stato sincero e trasparente.
Si, ero al mio terzo album. Penso che tutti vi stiate chiedendo cosa diavolo sia successo.. in realtà non lo so neanche io.
In seguito ad un altro ennesimo rifiuto, a causa del mio essere maledettamente.. me, avevo voluto reagire in modo diverso e mi ero ribellato. Avevo scritto una nuova canzone. Una che mi dava energia, provocatoria e divertente: Grace Kelly.
Dopo averla inviata a quella redazione, mi sarei aspettato di tutto.. escluso ciò che mi era capitato.



*flashback*
“Rispondo iooo!” urlai spintonando Andy sul divano. Il biondo sbraitò dal terrore nel vedermi sbucare così alle sue spalle.. ma essendosi abituato ormai ai miei scatti felini improvvisi, si arrese e facendo spallucce si rimise seduto per osservarmi. Sapeva cosa avevo combinato inviando quella canzone a quella gente, ma sin dall’inizio era stato dalla mia parte. Sembrò quasi si fosse divertito nel vedermi e ascoltarmi nel mentre ero impegnato a scriverla.
Ogni tanto avevo udito la sua risatina divertita e anche io avevo riso, pensando alla faccia dei tizi nel momento in cui avrebbero sentito quel pezzo. Sarebbe stata la mia, la nostra rivincita.
“Pronto? Sono Mika Penniman.”
“Aah, signor Penniman, finalmente l’abbiamo trovata!” la voce dall’altra parte sembrava rincuorata. Incrociai le braccia e mi poggiai al muro, lanciando un’occhiata sul mio ragazzo che, preso dalla curiosità, non riusciva a staccarmi lo sguardo di dosso. Se ne stava con il mento fra le mani e la testa inclinata.
Mi grattai la nuca, scompigliandomi la chioma di ricci suri.
Li taglierò prima o poi.. meglio poi, che prima. Pensai. Poi tornai concentrato sulla telefonata.
“S-scusi, ma con chi parlo?”
“Mi sente? L-la linea sembra disturbata!”
“Pronto?! EEEEHI mi sente?” cominciai a fare boccacce, scatenando una risata incontrollata nel biondo.
“Signore, abbiamo sentito il suo pezzo!” disse lei, come per arrivare al punto della situazione.
Quella frase mi entrò immediatamente in testa ed iniziò a martellarmi la mente. Assunsi un’espressione divertita: avevano ciò che si meritavano.
“Guardi, mi fa molto piacere.” Sentenziai ridendo di gusto. Sentii la mia risatina echeggiare per il telefono.
Andy, avendo intuito il mittente della telefonata, balzò in piedi ed in due secondi me lo ritrovai vicino, intento ad origliare ciò che quella donna era pronta a dirmi. Insulti, immaginavo.
Allontanai l’apparecchio dall’orecchio e misi il vivavoce.
“Ci chiedevamo quando le andrebbe di rivederci! È stato un successo! Tutti gli impiegati se ne sono innamorati!”
Spalancai la bocca, perdendomi nello sguardo incredulo del mio ragazzo che, avendo già realizzato tutto, aveva cercato di trattenere un urletto isterico di felicità.
Scossi la testa, credendo di non aver capito bene.
“Scusi.. ma cosa vuol dire?” sulla mia faccia spuntò un sorriso che andò a farsi via via sempre più grande.
“Vorremmo proporle un contratto.”
Mi portai le mani in volto. Non riuscivo a crederci. Pensai che da un momento all’altro la mia sveglia sarebbe suonata e mi avrebbe detto che era tutto un sogno. Il biondo interpretato il mio pensiero, mi pizzicò il braccio e si avvicinò.
“È tutto vero.” sussurrò dolcemente.
“Penniman? Penniman c’è ancora, vero?” la vocina stridula della donna mi risvegliò dalla mia paralisi.
“Si! Si! Sono qui!” urlai con l’entusiasmo a mille.
“Può raggiungerci domani pomeriggio verso le 4?”
Il mio cuore stava per esplodere.
“Certamente si!”
“Oh, la ringrazio infinitamente! E ancora complimenti!” attaccarono.
Mi concessi altri cinque secondi, per rendermi conto della situazione. Fui riportato alla realtà da delle labbra, che si poggiarono  dolcemente sulle mie. Quelle labbra così morbide, così buone.
Le mordicchiai, sorridendo, con una felicità immensa.
Riaprii gli occhi, per ritrovarmi in quelli del ragazzo che mi stava dolcemente torturando in quel momento.
Ci guardammo. Lo vidi annuire ed accompagnare, in seguito, il suo abbraccio ad un urlo di felicità ed eccitazione che mi fece ridere e mi contagiò, oltre ad avermi trapanato un timpano.
“Non. Ci. Posso. Credere.” scandii cominciando a passeggiare per casa.
Sentii ancora una volta le sue braccia cingermi il busto, da dietro stavolta. Mi girai immediatamente lasciando che il mio odorato fosse perforato dal suo dolce profumo.
“Ce l’hai fatta amore.”
E le sue labbra si ricongiunsero con le mie.
*fine flashback*

 

Tornai a casa molto tardi. Era stata una giornata molto ma molto lunga. Infondo..  avevo deciso di fare coming-out ; cosa potevo aspettarmi.. Quei giornalisti mi avevano tenuto con loro per tantissimo tempo. Volevano gli spiegassi il significato di alcune canzoni, che sin dall’inizio avevano provocato dubbi nella gente su quale fosse il mio orientamento sessuale. Come Billy Brown.

“Oh Billy Brown  had lived an ordinary life.
Two kids, a dog and a cautionary wife.
While it was all going according to plan..
then Billy Brown fell in love with another man.”

Cosa c’era di difficile? Parlavo di amore, di come questo poteva condizionare la nostra vita portandoci a fare alcune scelte invece di altre. Rallentai il passo, godendomi la tranquilla atmosfera che riusciva a crearsi di sera, nelle piccole stradine di Londra.
Pensai a quando, per la prima volta, proprio in quella città, i miei occhi avevano incontrato quelli di Andrew. Mi ricordai dell’incredibile insicurezza che vi avevo visto, oltre a rimanere come ipnotizzato dai suoi profondi pozzi azzurri. Erano passati così tanti anni. Eppure lui era ancora qui, accanto a me.
Sorrisi, abbassando la testa e tirai fuori il mio mazzo di chiavi, cercando di aprire il più silenziosamente possibile, la porta di casa.. casa nostra. Mia e di Andy. Una che eravamo finalmente riusciti a comprare insieme.
Poggiai lo zainetto a terra, chiudendo il portone con il piede destro.
Non dissi nulla, lui doveva essere già a letto. Mi tolsi le scarpe e raggiunsi il salotto in punta di piedi. Stavo per distendermi sul morbido divano color crema, quando due braccia mi cinsero la vita. Mi girai.
“Hey.” Sussurrai solo, scompigliandogli i capelli.
Mi baciò fugacemente, per poi staccarsi e sorridermi, con la faccia di un bambino.
“Ma che hai combinato?” prese a ridere.
Feci spallucce, guardando in alto e arricciando il naso.
“Tu sei pazzo.” Mi abbracciò giocherellando con i miei capelli e soffiandomi sul collo.
Quanto mi piaceva. Averlo vicino, stringerlo a me. Baciare le sue labbra, sentirlo ridere e parlare. Sapere che sarebbe rimasto con me nonostante tutto. Pensai che non avrei mai potuto farcela se non fosse stato per lui. Era ciò che mi permetteva di sorridere, quello che mi faceva stare bene più di qualunque altra cosa.
Si, era proprio l’origine dell’amore.

 

 


*ANGOLO DELLA PAZZA*
Salve a tuttii! Spero questo capitolo vi piaccia!
Si, ho lasciato un altro BBB in sospeso ehehe :D
Comunque.. come sempre, aspetto commentini
Ci vediamo con il prossimo capitolo (e ultimo sigh)

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Capitolo 21
*** Marry You. ***


~~“No vabbè, dai, questa me la spieghi, però.” Sbuffò mentre cercavo di tirarlo verso di me.
Stavolta era lui ad avere una benda sugli occhi, pensai.. e sarei stato io a fargli una sorpresa.
Camminavo lentamente, mi fermai aspettando che mi raggiungesse e mi misi dietro di lui, cingendogli i fianchi, indicandogli per bene la strada; non volevo inciampasse o si facesse male. Specialmente quella sera.
“Ecco, questo è l’ultimo scalino.” Sussurrai al suo orecchio, soffiandoci su.
Lo sentii rabbrividire e sorrisi maliziosamente, consapevole del fatto che non potesse vedermi. Adoravo procurargli quelle sensazioni; le stesse che lui riusciva a far provare a me.
“Sei pronto?” chiesi stringendolo a me. Mi prese le mani che avevo poggiato sulla sua pancia per tutto quel tempo.
“Ho paura..” tremò con la voce, accompagnandosi ad una risatina.
“Eeeh addirittura..” lanciai gli occhi in aria. “Okay..” mi feci sempre più vicino. “Uno.. due…” esitai, stringendo i denti in un sorriso.. essendo già in grado di vedere cosa gli avrei mostrato nel giro di istanti. Il mio cuore batteva all’impazzata. Ogni volta, stare vicino a lui, era come entrare in paradiso. Era un contatto particolare il nostro. Nel momento in cui potevamo sfiorarci, non solo i corpi entravano a contatto.. ma le menti, i cuori iniziavano una danza infinitamente piacevole, e mi facevano sentire bene, mi facevano sentire amato come mai era successo nella mia vita.
“..treee!”
Vidi le sue palpebre aprirsi debolmente, mentre la piccola benda di pezza rossa precipitava a terra. Ne approfittai, per ammirare ancora una volta quei suoi grandi occhi, del colore del cielo. Meravigliosi, profondi, dolci. Ne rimasi incantato come sempre.. e nel vedere quel suo sorriso enorme sul volto, insieme ad un’espressione di stupore incredibile, mi riempii di gioia.
Davanti a noi c’era Parigi. Eravamo sul punto più alto della città, dove si poteva ammirare il tutto. Proprio in quel momento, sulla Tour Eiffel, cominciarono ad accendersi delle luci, salendo sempre più su, coprendola interamente e prendendo la sua forma e fornendo uno spettacolo da mozzare il fiato.
Sapevo quanto lui amasse quella città, ma ero anche a conoscenza del fatto che non fosse mai riuscito a vedere quello spettacolo meraviglioso. Mi gustai lo stupore nel suo volto e risi, lasciando che la mia risata echeggiasse per quel luogo, ormai deserto.
Il ragazzo aspettò che la grossa struttura di ferro si fosse spenta e lo vidi girarsi verso di me. Aveva uno dei sorrisi più grandi che fosse mai riuscito a sfoggiare. Ero riuscito a farlo stare veramente bene e non c’era cosa migliore che avessi potuto fare. Lo vidi avvicinarsi, afferrarmi per il colletto della camicia e tirandomi a se. Poggiò la sua fronte sulla mia e i nostri sguardi si incatenarono.
“Te l’ho già detto che sei pazzo?”
Continuai a guardarlo, arrossendo leggermente.
“E non è tutto.” sussurrai.
“Ah no?” si allontanò e incrociò le braccia lanciandomi un’occhiata di sfida.
Scossi la testa, feci spallucce. Mi portai le mani in tasca, cercando quel.. maledetto oggetto. No, non potevo averlo dimenticato.
Avevo già iniziato a maledirmi.. quando le mie dita toccarono un qualcosa. Mi presi un secondo per esaminarlo… si, era proprio lui. Eccolo.
Presi un grosso respiro e lo tirai fuori, nascondendolo dietro la schiena.
“Andy..?”
“Mh?” si girò ancora una volta verso di me. Si era rimesso ad ammirare il panorama notturno. Era così bello.. si, anche Parigi non era male.
“Tu.. ci sei sempre stato..” balbettai a bassa voce, avvicinandomi a lui, per evitare di interrompere quella dolce sensazione di quiete che ci circondava. Decisi di proseguire.
“..Ogni volta che ne avevo bisogno.” Gli afferrai la mano. Abbassò la testa e sorrise anche lui, timidamente.
“Te la ricordi quella sera in cui ci siamo visti la prima volta?” ridemmo, al pensiero di quella strana serata.
“Tu dovevi uscire con Jessica. Quanto volevo essere al suo posto. Quanto ero stupido a negarlo.” Mi misi a fissare il nulla, mentre sentivo il suo sguardo accarezzarmi. Un’altra risatina.
“E poi t’ho trovato ubriaco.” Scossi la testa, pensando a quanto fosse idiota.
“Ero fradicio.. e ti sei pure fatto picchiare.” Mi guardò con gratitudine.
“Ehi!” protestai. “Ero innamorato!”
“ERI??!” domandò puntiglioso, aggrottando la fronte e fingendosi offeso.
Alzai le mani in segno di resa, come per chiedergli scusa. “Sono, sono.”
Sorrise ancora, divertito. Cercai di tornare serio.
“Ti ho promesso che ci sarei sempre stato.” Annuimmo all’unisono.
“Vorrei tanto che fosse così per sempre, se tu me lo permetterai.” Chiusi ancora di più il pugno dietro la schiena.
La sua mente fu colpita come da un’illuminazione. Puntò gli occhi nei miei e si grattò la testa. “Che.. v-vuoi dire?”
Risi e mi allontanai leggermente, tirando fuori anche l’altra mano. Lentamente, presi del tempo per inginocchiarmi su una gamba, mentre l’altra rimaneva ferma, poggiata su un piede. Rialzai la testa e riuscii a vedere l’espressione incredula del mio ragazzo, che intanto aveva portato entrambe le mani sul volto, cercando di nascondere il fatto che i suoi occhi fossero divenuti lucidi. Aveva capito.
Aprii la mano ed un oggettino d’argento, circolare, riuscì finalmente a vedere la luce. Si, era proprio un anello.
“Oh tu..” vidi una lacrima scendere sulla sua gota destra.
“Andrew, amore mio..” ingoiai a vuoto. Mi godetti l’attimo per pensare ancora una volta a noi, al nostro passato, presente e futuro.
Volevo vivere con lui, volevo alzarmi e vederlo accanto a me, dedicarmi del tempo per guardarlo dormire.
Volevo sin incazzasse per il mio essere maledettamente cocciuto, per il mio disordine e le mie strane abitudini. Volevo litigarci, urlare contro di lui, per poi finire per fare la pace facendo l’amore.
Volevo stare con lui, lo volevo per il resto della mia vita.
“Mi vuoi sposare?”
Non ebbi un secondo per realizzare, lo vidi balzarmi addosso e ruzzolammo a terra. Mi strinse a sé, sempre più forte, baciandomi ripetutamente, ridendo.
“Ridillo.”
“Mi vuoi sposare?” pronunciai stavolta con più decisione.
I suoi occhi si illuminarono ancora di più.
“Ancora.”
Ripetei quella frase, finché non fossi sicuro che avesse capito e realizzato per bene.
“Si, Mika.”
Spalancai gli occhi, sorridendo come non mai chiedendogli, io stavolta, di dirlo ancora.
“Io voglio sposarti Mika Penniman.” Confermò, avendo intuito ciò che gli avevo chiesto segretamente di fare.
Era mio e lo sarebbe stato per sempre.

“It’s a beautiful night,
we’re looking for something dumb to do.
Hey baby,
(I think) I wanna marry you.”

 



*ANGOLINO DELLA PAZZA*
MA SALVEEE!
Okay, eccoci alla fine! Spero davvero che questo capitolo, così come l’intera ff vi sia piaciuta. Perdonatemi se questo capitolo non è lungo come gli altri, ma sappiate che avevo intenzione di terminare con una cosa.. particolare.. **
La strofa che ho scritto per ultima viene dalla canzone di Bruno Mars “Marry You”, da cui è tratto anche il nome del capitolo. E ho anche preso ispirazione per il capitolo dal mini-video che Mika ha postato su instagram poco tempo fa, della tour Eiffel illuminata. Ho amato quello spettacolo e spero di poterlo vedere dal vivo un giorno. (Parlo di Parigi, ma anche di Mika ehehe lol)
E comuunque.. Vi voglio ringraziare per non aver smesso di leggere questa stupidissima cosina che mi sono impegnata a scrivere. Volevo dire che ne sto già preparando un’altra che pubblicherò quando sarà finita eheh. (tanto in importa a nessuno, zitta.)
Grazie mille, ancora. Aspetto i commentini per sapere cosa ne pensate.
Vi voglio bene. Mi avete fatta sentire meno sola. <3
It’s been a FUCKING PLEASURE!
Tante coccole e tanti bacini,
Gelato_al_Limonn_

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