Save You

di Darkunk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Save Me ***
Capitolo 2: *** See Me ***
Capitolo 3: *** Meet Me ***



Capitolo 1
*** Save Me ***


Save You 

Capitolo: 1 Save Me

-Ametista?- 
Una voce fanciullesca mi svegliò dal mio sonno.
Roteai la testa giusto quel poco che mi bastava per parlare con il mio interlocutore, nonché uno dei miei migliori amici presenti in questo postaccio.
-Si, Mihael?-
-Dov'è Mail?- 
Tentennai. 
-Ehm...non lo so. Forse è già in servizio.-
La rabbia cominciò a trapelare su i suoi lineamenti. Mihael era molto suscettibile quando Mail non gli era affianco, ed era una cosa che mi rendeva piuttosto felice. Adoravo il legame che si era instaurato in questi anni di sofferenza, perché non tutti in questo luogo oscuro potevano avere un supporto come ce l'avevamo noi tre. 
Strinsi la mano della persona accanto con forza.
Forse non si notava, ma anche io ero preoccupata per Mail.
-Coraggio. Oggi attueremo il nostro piano.-
Il biondo annuì con convinzione, stringendo a sua volta la mia, di mano.
-Giusto. Oggi spaccheremo il culo, a quei bastardi.-
Lo guardai un po' disgustata per il linguaggio scurrile usato, ma non dissi niente. Era forse il bambino più volgare che avessi mai incontrato, ma in fondo, mi piaceva proprio per questo. La brandina su cui dormivamo era piuttosto larga, ora che Mail non c'era. Mi avvicinai di più a Mihael, fino a quando le nostre spalle non combaciarono.
Non avrei mai voluto lasciare quella mano e quel calore, ma quando la voce roca e minacciosa della guardia di servizio intonò "Ametista Rain, un cliente l'aspetta", non potei fare altro che abbandonare una delle poche persone che comprendeva davvero la mia situazione in quell'angolo marcio che era la nostra camera da letto, seguire la persona alta e imponente che mi bloccava la vista dall'uscita e sperare che tutto andasse bene.

                             ***
Tutto avvenne tre anni fa.
Stavo camminando mano nella mano di mio padre, l'unica figura famigliare che mi era rimasta.
Mi aveva promesso che saremmo andati al Brighton Pier*, unico parco di divertimenti vagamente vicino a casa nostra. Ad un certo punto, appena entrati al lunapark dei miei sogni, ritrovai la mano che doveva essere intrecciata a quella di mio padre al mio fianco.
"Resta qui." Mi disse, "Torno subito".
Rimasi ferma ed immobile per tutto il giorno, attaccata dai morsi di fame e dalla voglia di andare in bagno, ma lui non tornò.
Quando realizzai che non sarebbe più arrivato, era ormai troppo tardi.
Mi ero rannicchiata piangente ad uno stand di donuts, con l'odore dolciastro di quelle stramaledette ciambelle che mi pervadeva le narici, misto all'aroma di lacrime salate.
Poi, verso sera, quello che  allora sembrava il primo barlume di speranza di quella pessima giornata, apparse.
Un uomo sulla trentina in un pesante giaccone nero e con occhiali da sole,   cominciò a parlarmi.
Risposi banalmente a diversi si è no, finché codesto mi prese per la manica e mi portò con se'.
A quei tempi ero troppo piccola, troppo ingenua, troppo distrutta dalla situazione per ribellarmi. Avevo solo 5 anni.
Mi fece salire sul suo furgone, usando come scusa che mi avrebbe portato in un posto migliore, e partimmo dove scoprì dopo essere una grande cantina di Londra.
Da quel giorno, la mia vita cambiò.
Mi facevano fare cose che non capivo e che facevano male a gente losca e orribile. Passavo giornate a fare cose che persone più grandi di me volevano che facessi.
Cose così brutte che mi facevo schifo solo a pensarle. 
Ma sono stata più fortunata di altri, perlomeno: avevo sia Mail che Mihael, migliori amici per la vita, abbandonati come me.
Avevamo quasi tutto in comune, e avrei potuto dire che tutto il male che mi si è parato davanti non è venuto per nuocere. Sorrisi al pensiero, mentre soddisfai l'ultimo cliente di quella giornata, facendolo addormentare.

                           ****
-Be'? Tutto pronto?- sussurrai a Mail, quando ci ritrovammo a mangiare la brodaglia che ci servivano a metà mattinata. 
-Hm-Hm- mugugnò di risposta e, senza farsi vedere dalla guardia di controllo, alzò la maglietta, tirando fuori un plicco di foto di ragazzi sotto abusi.
Le sfoggiò come fossero un premio a me e a Mihael, sorridendo a trentadue denti.
-È stato semplice, a dire il vero. Dopo mesi che quel porco mi sfruttava scattando addirittura foto con il pc, sono riuscito mentre dormiva dopo l'ennesimo lavoretto a scoprire tutte le sue password e a stampare queste...-
Mi buttai senza dare troppo nell'occhio su di lui.
-Sei stato grandissimo, Mail!-
-Grande, fratello!-
Sussurrò poi Mihael, grattandogli la testa con fare amichevole.
-Non è niente di che, ragazzi-
Disse lui imbarazzato.
-Ho solo fatto quello che Ametista mi ha suggerito. Sei tu, il vero genio-
-Ma va'!- la buttai lì scherzando, ma avrei tanto voluto sprofondare per il complimento.
Finimmo di mangiare per poi intrufolarci nelle nostre camere, come tutti gli altri bambini del resto, in attesa di altri ordini. 
-Bene-
Disse Mihael, leggermente nervoso.
-Adesso che facciamo?-
-Be'...adesso dobbiamo contattare la polizia, in qualche modo. Dopotutto, ora abbiamo le prove.-
Ragionò subito Mail, sventolando l'unica fonte di salvezza.
Restammo minuti a pensare a qualche idea intelligente, finché non mi venne l'illuminazione.
-Possiamo inviarle per posta!-
Mi guardarono attoniti per un po', scoppiando poi a ridere.
-Wow, Sherlock. Come se non fosse ovvio che non ci beccano, se usciamo da qui come se niente fosse.-
Presi il gruppo di foto e le lanciai in faccia al rosso e al biondo, per poi riprendere il discorso.
-Dico sul serio! Hai presente la cassetta delle lettere di fianco all'uscita? Potremmo lasciare un messaggio sul retro di una di queste foto che dica dove siamo e, prima di salire sul furgone che ci porta a casa del cliente, spedire le foto alla polizia. Non per altro, Mail, tuo padre era un poliziotto, no? Ti ricorderai la via della centrale...
-Quello si, Ametista, però non abbiamo ne' francobolli ne' buste. Sarebbe impossibile.-
Cancellò tutta la speranza da me creata.
Stavo quasi per sospirare un "hai ragione" quando Mihael prese il discorso.
-In realtà,- deglutì, prima di continuare -i francobolli ce li abbiamo. Per fare uno scherzo al capo ho rubato una busta sulla sua scrivania, contenente un paio di francobolli. Avete presente, no? Quelli che usa per inviare le ricevute e roba varia.- 
Si abbassò all'altezza del materasso, e da sotto di esso comparvero diverse cose. Soldi, penne, orologi e tra quelli anche i francobolli.
Io è Mail eravamo pietrificati.
-E...quand'è che l'avresti presi?- sbottò il rosso.
-Due settimane fa', credo. Ma il suo piano me li ha fatti ritornare in mente.- 
Me li gettò fra le mani, con espressione atona. Ero troppo sorpresa per rimproverarlo dal suo gesto attentato.
-È deciso, Ametista.-
Mi disse.
-Usciremo da qui.-
       
                            **** 
Ci vollero tre settimane per far si che il mondo per Ametista Rain, Mihael Keehl e Mail Jeevas cambiasse radicalmente, ancora una volta.
Non mi ricordai nulla di quello che accade da quella mattina in poi, finché, nel putiferio generale, causato dai poliziotti, Mihael non mi prese per la spalla e mi portò dove erano tutti i sopravvissuti. 
Di quel giorno ricordavo la paura.
La paura che mi assaliva, la paura che forse la polizia non ce l'avrebbe fatta, che non  sarei sopravvissuta.
Mi accorsi allora che forse non avrei più rivisto Mail e Mihael, ed era una cosa troppo brutale da pensare che la mia testa sfiorò solo raramente, quell'idea.
Chi ce l'aveva fatta da non essere sparato dalle guardie si era rintanato in una stanza dove un poliziotto, con un assurdo accento spagnolo, aveva detto di rimanere fino a quando sarebbe finito tutto.
Ed io ero una delle pochissime, insieme a Mail e a Mihael, ad avere l'anima in corpo.
Ma in quel momento era quasi come se non lo fossi.
Non facevo altro che stringere fino a quasi far fermare la circolazione le mani a miei più grandi amici, e dal momento che non si lamentavano, ero decisa a non lasciarle.
Le parole di mio padre echeggiavano nella mente.
"Resta qui" 
E si cavolo, qui, con Mail e Mihael sarei voluta restare.

                            ****

Il baccano finì dopo un'ora, ma a mio parere, sembrava che non si fosse mai fermato.
A dar conferma di ciò, un poliziotto sporco di sangue entrò, facendomi  rivivere le scene di prima.
-Qualcuno, fra voi, è stato fondamentale per risolvere il caso-
Nessuno fra noi sembrava intento a parlare. Quel poliziotto sembrava minaccioso, e, con i vestiti coperti di sangue, faceva uno strano effetto.
Una frase si proiettò nella mente:
"non parlare"
Il silenzio regnò sovrano, così il personaggio inquietante riparlò, con più convinzione.
-Abbiamo ricevuto delle prove decisive per rintracciarvi, e siamo certi che è stato qualcuno di voi 16 a consegnarcele. Chi è stato?-
"Non Parlare"
Sentì improvvisamente la mano destra abbandonare un'altra mano, e fui certa che Mihael non c'era più.  
-Sono stato io-
Avrei voluto ribattere, ma...
"Non. Parlare."
Altro calore se ne andò, e un'altra mano s'appoggiò ad un fianco.
-Anche io-
La voce di Mail tremava, ma mai quanto il mio corpo.
Erano successe troppe cose insieme, e il fatto che due delle persone più importante di sempre se ne stessero andando peggiorava solo la situazione. 
Non sapevo se volessero che mi unissi a loro, ne' se lo facevano per  mettermi al riparo.
L'unica frase che mi rimbombava in testa era "NON PARLARE",
e effettivamente così feci.
Non potevo sapere che non avrei mai potuto dire "addio" a Mihael e a Mail, ne' che quella sarebbe stata l'ultima volta che gli avrei rivisti.
-Molto bene. C'è qualcuno che vuole parlare con voi due.-           

                            *****

Da lì in poi, fu un susseguirsi di eventi.
Ma non avrei mai potuto immaginare, che in quel frangente di attimi, potessi incontrare la persona che avrei mai amato più in assoluto.
Avvenne tutto per caso.
La polizia ci stava scortando verso l'ambulanza, per constatare se avessimo riportato ferite gravi. Io, impalata e bianca come un cencio, stavo camminando verso le luci rosse e blu, quasi mummificata.
Poi, girai la testa verso sinistra, per vedere se Mail e Mihael fossero nei paraggi, quando vidi parcheggiata una limousine nera.
Incuriosita, mi avvicinai, e potei notare il tutto e il niente.
Un ragazzo, più o meno sui quindici anni, seduto in maniera insolita sul sedile della macchina posteriore, stava parlando con un vecchietto dall'aria innocua.
Riuscì a sentire qualche frase.
E fu una frase, che mi fece incamminare verso di loro.
-Complimenti, Lawliet. Sei riuscito a risolvere il tuo primo caso con successo! Hai salvato la vita a più di venti bambini.-
-Grazie, Wammy, ma preferirei che non mi chiamassi con il mio vero nome, in pubblico. Per precauzione-
"Hai salvato"
"Hai salvato"
"Hai salvato"
"Hai salvato"
-Mi hai salvata-
Sussurrai, flebile. Ma non abbastanza perché non mi sentissero.
Mi guardarono, con espressione sorpresa.
Non se l'aspettavano, evidentemente.
-Tu...mi hai salvata.-
Mi avvicinai verso quel ragazzo con le lacrime agli occhi, e sentì che le mie gambe stavano per cedere. Ma l'avrei raggiunto. Lui mi aveva salvata.
Caddi in ginocchio.
Prima di svenire, riuscì a vedere delle infermiere portarmi via gridando -È sotto shock!- 
E ad urlare, con tutto il fiato in gola,
-Mi hai salvata-







Angolo autrice:
Emh.... (Che vergogna, mio dio)
Salve! Sono nuova nel fandom di Death Note, quindi per favore non ammazzatemi subito di critiche...
(Be', se è giusto, fatelo, ma tenente conto che so i vostri nomi, cognomi e volti...)
Ho veramente paura di una cosa: cadere nell'OCC. Quindi, se credete che stia per farlo, non esitate a dirmi quello che pensate veramente.
Ci tengo che tutti i personaggi siano Ic.
Pubblicherò il prossimo capitolo la prossima Dominica (sempre se volete) 
Sayounara!











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Capitolo 2
*** See Me ***


                     See Me

Se avessi dovuto dire cosa fosse successo quel giorno, non lo avrei mai saputo spiegare.
Tutto quello che ero in grado di ricordare era il letto d'ospedale, intriso di disinfettante e chissà quale altro farmaco, e di una zuccherosa infermiera con un parrucchino ridicolo che mi aveva fatto mente locale di ciò che era accaduto.
Mi disse che, qualcuno di noi fanciulli, era riuscito ad inviare prove a carico del maniaco che ci sfruttava per la gioia del suo portafoglio, e che finalmente, sarei stata libera.
Tuttavia, non riuscivo ad essere felice. 
-Dove sono Mihael Keehl e Mail Jeevas?-
-Mi spiace cara, non ho idea di chi stai parlando. Qui non risiedono nessun Mihael Keehl o Mail Jeevas.-

Dovevo essere stata un bel peso. Perseguitai varie infermiere per sapere dove fossero finiti i miei due migliori amici, se li avessero portati in un'altro ospedale, o se li avessero semplicemente spediti in qualche orfanotrofio. E ne davo atto, i medici facevano di tutto per garantirmi una risposta, ma niente. 
Mihael e Mail sembravano scomparsi dalla faccia della terra.

Mi definivo, tutto sommato, una persona abbastanza forte, ma nel sapere che le uniche persone che mi avevano sostenuto per tre lunghi anni non ci sarebbero state più, non aveva fatto altro che farmi scoppiare in un pianto silenzioso per un'intera nottata. 

Provai successivamente con un'altra domanda, sperando in una risposta soddisfacente. 
-So che è stato un detective a farci uscire da lì...mi sa dire chi è?-
-Un detective privato, se non erro. Ma non le so dire di preciso di chi si tratta.-
Quella seconda affermazione mi aveva formato un'altra crepa interiore.
Ma era mai possibile che non sapessero niente di niente?

Rimasi in ospedale per due giorni, poi, mi trasferirono in un'orfanotrofio non troppo lontano.

Era un posto piuttosto accogliente, ma nonostante ciò, non riuscì a farmi nessun amico. Per carità, nessun bambino mi trattava male o altro (anche perché, dopo quello che era accaduto, non sarebbero vissuti un minuto di più dai tanti schiaffi che avrebbero preso), ma erano nettamente inferiori al mio modo di pensare. Non riuscivo mai a fare un discorso serio con nessuno di loro.

Venni adottata due anni dopo da due  persone che imparai ad amare più tardi, Koushun Aru e Sarah Leyshon.

Avendo in casa un genitore di origini giapponesi, imparai per l'appunto il giapponese, e, nel giro di due anni, lo sapevo a menadito, sia nel parlato, che nello scritto.

Feci le scuole medie in Inghilterra, e forse, quell'arco scolastico fu il più tranquillo e pacifico della mia vita. 
Poi, per ragioni lavorative, ci dovemmo trasferire in Giappone, nella regione del Kanto. Lì continuai  le superiori, e per me fu quasi drammatico un cambiamento scolastico così radicale. Le scuole giapponesi erano molto diversi da quelle inglesi, e come unico punto comune che riuscì a trovare, fu la presenza dell'ennesima uniforme.

Ovviamente, abbandonai il mio vero cognome, Rain, per far posto a quello del mio nuove padre, Aru. 
Non mi dava così tanto fastidio. Era come abbandonare una vita per cominciarne una nuova 
Ormai rientrava nel mio stile di vita.

                            ****
-Aru. Aru. ARU!-
Sbuffai. Non mi piaceva essere chiamata dai compagni quando il professore spiegava, anche perché se mi avesse vista parlare con qualcuno, la mia media si sarebbe sicuramente abbassata. D'altronde, fra poco avrei fatto il test d'ammissione per l'università, e che dire...Ci tenevo ad essere preparata. Ma non era nella mia indole essere scontrosa con le persone, perciò accennai un sorriso tirato alla ragazza affianco e sussurrai un:
-Che c'è?-
-Passa questo a Megumi, per favore-
Presi il foglietto dalle sue mani per passarlo alla diretta interessata, ma non prima di leggere con una rapida occhiata il soggetto della conversazione.

"Che ne pensi di Kira?"

Era da' un po' di tempo che Kira aveva cominciato il suo operato, e non potevo negare che la faccenda mi aveva stimolato un certo interesse. 
Uccidere gente per arresto cardiaco da chilometri  di distanza... Mi sembrava così impossibile che a stento ci credevo.
Ma si erano ottenute diverse prove che no, non era una farsa per fare audience e che no, non era uno scherzo di pessimo gusto di qualche programma TV.
Se dovevo dare qualche opinione personale, non avrei saputo cosa dire. Era già capitato però, che davanti ai miei genitori, rivoltami la stessa domanda, fossi stata costretta a rispondere  un "Credo sia sbagliato".
Ma tutti al mio posto non si sarebbero esposti tanto, soprattutto con i propri genitori.
Vista la mia situazione, sarei dovuta essere felice che nel mondo qualcuno sterminasse i malvagi, ma dal mio punto di vista la consideravo quasi...una resa. Qualcosa come, l'uomo soggiogato dal proprio potere o roba del genere.
Perché alla fine, si parlava proprio di un'uomo, oh almeno, era questo che L diceva.
-Ametista, scusa, ripassi questo a Nokiro?-
-Si, certo-

"Era l'ora che qualcuno cominciasse un compito del genere! Sono sempre stata convinta che la morte sia l'unica soluzione, per quei mostri"

E poi c'era L. L'ennesimo uomo nell'ombra, colui che era riuscito a risolvere una quantità immonda di casi. Mio padre ne aveva parlato più e più volte con furore, a tavola.
Forse credevo più nel suo ideale di giustizia. La morte la vedevo come una cosa troppo orrenda, per essere avvicinata ad un essere un umano, quell'immagine  che dovrebbe essere paragonata alla vita.
Si, forse credevo fosse più conveniente un ergastolo a vita che una morte senza preavviso.

"Hai proprio ragione, Megumi! Certe persone tolgono soltanto aria."

Ma a quanto pare ero l'unica a pensarla diversamente.
-Nakagawami Megumi, Toshima Nokiro, basta passarvi bigliettini, e sopratutto lasciate stare la povera Aru!-
Esclamò il professore, lievemente incavolato.
E lo scambio di bigliettini finì lì, e non seppi mai le loro infinite opinioni in riguardo.
Non che mi interessassero, per carità.      
                            ****
Tornai a casa sfinita, con mille pensieri in testa e domande più o meno importanti.
-Sono a casa-
Mia madre, veloce come un fulmine, si precipitò alla mia persona con un'espressione allegra in viso.
-Ciao, Ametista!-
Sorrisi. Era l'unica persona che riusciva a pronunciare il mio nome correttamente, quasi da renderlo famigliare.
-Ciao, mamma-
-È andato tutto bene?-
-Si, come sempre.-
Era l'allegria fatta a persona, e per di più, aveva il tipico accento British che mi faceva sempre ricordare la mia vera casa. Insomma, era un concentrato di gioia e ricordi.
-Papà è ancora al lavoro?-
Annuì con decisione.
-Lo sai, che con il casino che si è formato, ormai vive al massimo due o tre ore a casa.-
Confermai. 
Mio padre era un poliziotto, e con il senso di giustizia che si ritrovava, non era riuscito a rinunciare al caso Kira. Forse era per questo, che preferivo più L che Kira.
Kira era riuscito a separare mio padre, seppur non quello effettivo, da me.
E probabilmente, il mio subconscio interpretava questa allontanamento come un nuovo addio da parte di una persona cara, come successe dodici anni fa' con il mio padre di sangue.
Si, doveva essere proprio così.
-A be', io vado a studiare.-
-Va bene! Se mi cerchi, sto' facendo una doccia!-
Mi chiusi in camera a chiave, onde evitare disturbi da mia madre, anche se era improbabile, e cominciai a studiare.
Dopo un po' di tempo cominciò a far caldo, così decisi di accendere il condizionatore.
Ma, rivelazione, quest'ultimo non si accese.
Pensando fosse un problema di segnale, avvicinai il telecomando per l'accensione più vicino all'aggeggio.
Ma non si mosse.
Innervosita, presi una sedia, mi ci arrampicai sopra, e provai ad aprire il condizionatore. Pensavo ci fosse un guasto interno.
Quando l'aprì, rimasi scioccata dalla presenza di una telecamera, tra l'altro accesa.

"Oh mio Dio"

Pensavo che mio padre scherzasse quando mi disse, una volta "Se rimani tutto il giorno in camera tua, finirà che ti spierò per sapere quello che fai tutte quelle ore!", ma risultava del tutto improbabile una cosa del genere.

Mi venne naturale.
-MAMMA, C'È UNA TELECAMERA NEL CONDIZIONATORE!-

                            ****
Il risultato fu che volli rimangiarmi tutto un secondo dopo, ma per mia fortuna, fu come aver urlato ad un sordo. Mia madre, sotto la doccia, non sentì proprio niente.
Così, feci la seconda cosa che mi venne più naturale.
Presi il cellulare e chiamai mio padre.
-Ametista! P...-
-PAPÀ, C'È UNA CAZZO DI TELECAMERA NEL  CONDIZIONATORE!-
Non avevo mai usato un linguaggio così scurrile con mio padre, in vita mia.
E che...cavolo, non tutte le adolescenti a quanto ne so si ritrovano spiate con una telecamera! 
-Pensavo stessi scherzando, quella volta. Pensavo ti fidassi di me! -
-Ametista lasciami spiegar...-
Sentì una voce maschile sovrapposi con forza su quella di mio padre, che ruggì qualcosa come:
"Spenga subito il telefono, signor Aru!"
E la chiamata s'interruppe.
Subito venni avvolta da una domanda a cui probabilmente solo mio padre poteva darmi una risposta.
Scrissi un messaggio veloce e lo inviai.

"Papà, non sospetterai mica che Kira sia io?" 
 
Non dissi niente a mia madre, più tardi. Pensavo che avrei solo peggiorato la situazione.
Aspettai tutta la notte, ma non ottenni una risposta. Ma sopratutto, mio padre quella sera non rincasò.

                          ****
Quelle turbe mi perseguitarono la mattina successiva, e, essendo visibilmente preoccupata, sbagliai pure a rispondere al professore.
Ma sinceramente, non mi importava più di tanto.
Le domande che mi ponevo ruotavano tutte attorno ad unico centro: la polizia, con molte probabilità, aveva dei dubbi su di me.
Ma quello che mi premeva di più era sapere quanto mio padre avesse detto sul mio conto, ad altri eventuali agenti (non sapevo quanti fossero).
Il mio passato faceva pensare che fossi la persona ideale per incarnare Kira, su questo non c'era dubbio.
Non avevo mai raccontato dettagliatamente quello che mi era accaduto in precedenza (anche perché, con tutti i farmaci inalati, nemmeno io ricordavo molti fatti), ma avevo fatto giurare ai miei due nuovi genitori che non si sarebbero mai messi a parlare di quello che mi capitó nove anni fa.
L'unica speranza che mi rimaneva era che mantenesse fede a quel patto.





Angolo autrice:
....si, lo so, è un'idea abbastanza idiota, e se volete prendermi in giro potete farlo. Non piangerò >_>
Scemate a parte, ringrazio Midnight Lies per aver commentato e The Fire per aver messo la storia tra le preferite anche se aveva solo un capitolo. grazie, grazie, e ancora grazie.
alla prossima, ci vediamo domenica prossima! (Se volete. SE)
Darkunk 
 


                       

                          

                          












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Capitolo 3
*** Meet Me ***


                       Meet Me


-Ehm...Ametista...-
Megumi mi pungolò un braccio con la matita, urtandomi ancora di più il senso nervoso.
-Che c'è?-
La mia voce era un sibilo. Vidi Megumi arretrare con la sedia, formando una visibile distanza. La sua mano era alzata all'altezza della faccia, in veste di difesa.
Era così evidente il mio nervosismo? 
-Nulla, solo...va tutto bene?-
Sospirai.
-Si, tranquilla.-
No, non stava andando affatto bene.

Quella mattina fu difficilissimo concentrarsi. Entravo in panico ogni tot. secondi, con il pensiero snervante che ero sotto osservazione. L'unico barlume di speranza a cui mi aggrappavo era il sapere che non avevo fatto niente di male, e che la polizia prima o poi l'avrebbe capito.
Forse.

Le lezioni sarebbero finite presto.
Lanciai furtiva uno sguardo all'orologio appeso alla parete, sperando che il prof non mi notasse: lo vedevo come un gesto irrispettoso  nei suoi confronti, che equivaleva ad urlarli che non mi servivano a niente le sue ore. 
Sospirai di sollievo, nel constatare che mancavano appena 5 minuti.
Ce la potevo fare.
Non sarebbe stata un'accusa nei miei confronti a fermarmi.

                             ***

-Signorina Aru?-
Mi girai di scatto appena mi sentì chiamare. Un signore tutto ben vestito, sulla soglia dei settant'anni, si parò alla mia vista.
Teneva in mano delle chiavi, presumibilmente della limousine nera dietro di lui.
Il fatto che sapesse il mio nome non rassicurava affatto, e che per di più sembrava appartenesse ad un ceto sociale più alto del mio, non migliorava la situazione.
-Si?- la mia voce uscì fuori come un sussurro, ma evidentemente non fu un problema, perché rispose meccanicamente alla mia domanda.
-C'è una persona che vorrebbe vederla.- affermò, in tono solenne.
-Mi segua.-
Rimasi sbigottita.
-Cosa? Non ci penso nemmeno.-
L'anziano mi guardò sorpreso dietro i suoi occhiali rigidi.
-Insomma...- mi affrettai ad aggiungere.
-Potrebbe essere chiunque. Io...Io non la conosco.-
Dalla limousine scesero altre due persone, più o meno sulla trentina d'anni, che mi parvero vagamente famigliari.
Una di loro, quello con i capelli afro, prese dall'interno della giacca un distintivo.
Perfetto, ora la polizia era pure venuta a prendermi.
 -Ehi, Ametista!- urlò il secondo agente, il quale sembrava molto più giovane del primo.
-Non ti ricordi me? Sono Tota  Matsuda, collega di Koushun, tuo padre! da quasi cinque anni che non ci vediamo!-
Il nome di mio padre mi tranquillizzò. Probabilmente, li conosceva.
Feci mente locale di quello che mi disse, ma non mi fece ricordare nulla.
Evidentemente, mi era parso così inutile che il mio subconscio lo aveva cancellato.
Matsuda ricevette una pacca non molto gentile sulla testa.
-Sei un idiota, Mastuda! Ryuzaki ci aveva intimato di non usare i nostri nomi al di fuori della centrale! E per i più con un indiziata!-
Quelle parole mi ridiedero l'ennesima conferma: era vero, alla polizia non ero una semplice ragazza. Per la polizia c'era la possibilità che fossi un'assassina.
-Si, scusami, hai ragione.- annuì tristemente il moro, abbassando la testa.
-Ametista Aru, qualcuno di molto importante sospetta che lei sia Kira. La prego di seguirmi in macchina.- 
Annunciò frustrato quello con i capelli afro.
Riluttante, seguì i due agenti e quel vecchio così singolare dentro la limousine nera, accucciando il mio corpo alla portiera. 
La macchina partì a tutta birra, lasciando dietro una coltre di fumo.
Il silenzio fu d'oro per una buona parte del viaggio, finché non mi misi a parlare, tormentata dallo stress.
-Per la cronaca- deglutì, -chi sarebbe questo "qualcuno di molto importante"?- 
L'anziano signore, al volante, mi blandì con un neutrale -Lo scoprirà presto.-
Non potei fare a meno di appoggiare la testa al finestrino, ed elaborare un discorso su come spiegare il mio passato a queste persone, sperando che mio padre fosse stato muto come un pesce.
Avevo l'assurda idea che sarebbe stata la prima domanda posta, che quelle persone volessero solo sapere di più, di più e ancor di più della mia intera esistenza. E senz'altro di domande sulla mia vita precedente me ne avrebbero fatte. Kira doveva aver avuto per forza un brutto riscontro con persone losche per operare in questa maniera, no?

                            ***

L'agente con i capelli ricci, che scoprì chiamarsi Aizawa, per via di una scambio di battute con Matsuda, bussò due volte alla porte dell'hotel dove l'ospite che voleva incontrarmi risiedeva.
Attendemmo pochi secondi, poi ricevemmo un baritonale -Avanti.-
Subito venni soffocata dall'abbraccio    di mio padre, che mi stritolò come se non ci fosse un domani.
-Papà, non respiro-
Si staccò simultaneamente dal mio corpo, rivolgendomi un suo radiante sorriso.
-Scusa se non ti ho risposto al cellulare, ma ho l'obbligo di tenerlo spento.-
-Come mai?-
-Ah, si!- 
Disse, sistemandosi gli occhiali.
-Vieni.-
Mi prese per un braccio e mi trascinò letteralmente in un'altra camera, con un'energia che non gli apparteneva. Doveva essere successo qualcosa di veramente straordinario.
-Questa persona è Ryuzaki, Ametista. Ma tu lo conoscerai come L.-
Mi fece girare da destra a verso sinistra, non ancora ben conscia su chi stavo per vedere.
Quello che vidi mi spiazzò.
Un ragazzo, molto più grande di me ma nemmeno troppo vecchio, sorseggiava una tazza di quello che sembrava te', appollaiato letteralmente sulla sedia. Eppure, per quanto la scena fosse singolare, provai un grande senso di Déjà Vu.
Ci restammo a fissare per un tempo che mi sembrò infinito, finché la mia boccaccia non parlò.
-Scusa, ma noi due...per caso, non ci siamo già incontrati?-
Mi guardò con quella che potrei definire "curiosità", fino a quando un agente che non avevo mai visto espresse il suo pensiero.
-Be', non credo. L non si è mai fatto mai vedere da nessuno se non da noi, quind...-
-Non dica così, Ukita.-
Pure la sua voce, sembrava così famigliare.
-Magari in una vita precedente. È molto comune.- aggiunse poi, con tono neutrale.
Poi si rivolse a me con una sorte di...sorriso? Stiramento di labbra sarebbe più corretto.
-Comunque suo padre ha ragione, signorina Aru. Sono L. Ora, vorrei esporre a lei il motivo di questa convocazione. Si sieda, prego.-
Realizzai in ritardo che era con L, forse la persona più intelligente del creato, e non potei non sentirmi un po' a disagio. Tentai di calmarmi, sedendomi sul divano accanto a lui. 
-Come avrà potuto evincere, sospettiamo che lei sia Kira, signorina Aru. Principalmente perché è una delle persone pedinate dall'agente dell'FBI Raye Penber dal...-
-Sono stata pedinata dall'FBI?!-

La nostra conversazione fu retta da sue spiegazioni e mie domande incredule, da percentuali del mio essere Kira (che comunque, mi disse, erano sotto il 2%), dalle telecamere che erano state necessarie per provare la mia innocenza, ma dal momento che le avevo trovate, sarebbero state rimosse (anche perché mi spiegò, la mia reazione non era nello stile di Kira, e quindi, la mia innocenza sembrava fosse stata quasi riconfermata).
Con mio grande giubilo, non si cimentò su domande personali. Ora bisognava capire se non lo riteneva necessario, se me lo avrebbe chiesto più avanti (sempre se ci fossimo rincontrati) o se tutto quello che faceva me Ametista lo sapesse già. 
-Ci sono altri indiziati, esclusa me e la mia famiglia?-
Si portò il pollice alla bocca.
-Ci sarebbe il figlio del Sovrintendente Yagami, Light Yagami.-
Light Yagami, Light Yagami, Light Yagami...
L'avevo già sentito, da qualche parte.
-Oh, lo conosco!-
L'attenzione di L si prestò su di me.
-Cioè, non lo conosco direttamente, però siamo arrivati entrambi primi alla prova d'ammissione all'università.-
-Umh, capisco-
Arricciò i piedi con fare infantile, aggiungendo.
-Se per caso dovessi entrare all'università, anche se non ci dovrebbero essere dubbi, vista la tua intelligenza...-
Mi fece un poco sorridere. Dire che non mi sentivo intelligente sarebbe come dire che credevo che i maiali volassero, ma a quanto pare L non notò il mio disappunto.
-...potresti seguire Light, sempre che tu voglia, ovviamente. E sempre se hai voglia, potresti anche venire ad aiutare al caso. Potresti esserci utile.-
Mio padre partì in quarta.
-Ma Ryuzaki, ha solo diciassette anni!-
-Ritengo l'età un fattore irrilevante, signor Aru. E poi, non la sto' obbligando.-
Si riconcentrò su di me.
-Ci stai, Ametista?-
-Credo di si. Tanto non ho niente da perdere.-



Angolo:
Ecco un nuovo capitolo, spero vi piaccia. Ho cercato di disegnare la mia idea di come potrebbe essere Ametista.
Lo so, non è proprio il massimo, ma l'ho fatto con il cuore ^^
Ringrazio Midnight Lies per il bellissimo commento.
Davvero, grazie.
Darkunk

---->"http://darkunk.deviantart.com/art/Ametista-Aru-510803882"

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