Riscatto

di lapoetastra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: il passato ***
Capitolo 4: *** Capitolo finale: riscatto ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Joseph camminava per strada.
Il borgo era deserto, completamente ammantato dalle lunghe ombre che la luce della luna produceva sui muri delle case addormentate.
Non c’era anima viva, in giro, e lui aveva fame.
Tanta fame.
Sapeva che se avesse voluto continuare a vivere si sarebbe dovuto nutrire, ma intorno non si vedeva nessuno.
Continuava ad avanzare, con il passo felpato che quasi non si percepiva, a contatto con il duro asfalto, ed i capelli neri spettinati dal fresco vento settembrino.
Un suono attirò la sua attenzione, facendolo voltare di scatto come un predatore che ha appena fiutato la sua preda.
C’era qualcuno che si muoveva, nell’oscurità.
Un uomo non particolarmente giovane, a giudicare dal suo respiro pesante e dal suo passo altalenante.
Joseph scrutò nel buio notturno con i suoi occhi che erano in grado di percepire ciò che sfuggiva allo sguardo dei comuni mortali, e lo individuò.
Come aveva immaginato, si trattava di un anziano pescatore, che passeggiava intirizzito di fronte alla porta della sua misera baracca.
Joseph lo osservò da lontano, cercando di capire cosa ci facesse un uomo di quell’età fuori ad un’ora così tarda.
Quando non resistette più agli impulsi della fame, gli si avvicinò silenziosamente, senza produrre il più piccolo rumore, tant’è che l’anziano non si accorse di nulla.
Gli arrivò alle spalle e, nonostante il buio, Joseph si accorse di come il suo viso apparisse tirato e stanco, con un fitto reticolo di rughe intorno agli occhi e la bocca corrucciata come se fossero stati anni che non avesse visto l’ombra di un sorriso.
Joseph, che nella sua lunga vita aveva visto migliaia di persone, si rese conto che la maschera sul volto dell’uomo non era causata dalla stanchezza o dal semplice sonno, bensì dal dolore e dalla preoccupazione cocente.
Forse era gravemente malato, forse aveva paura della morte.
Non era in grado di dirlo con certezza.
Comunque, qualunque fosse stato il dilemma che così terribilmente affliggeva l’uomo, esso sarebbe terminato presto, insieme a tutte le sue sofferenze.
Joseph, ancora invisibile nell’ombra, si preparò ad attaccare, agile come una lince e silenzioso come un gatto.
< Papà? Papà! >
Quel grido lo distolse dal proprio intento.
< Georgie… che cosa ci fai qui fuori a quest’ora di notte? >, lo rimproverò il pescatore, con voce stanca.
Ma il bambino non lo ascoltava.
Il suo sguardo, dolce e luccicante a causa dell’elevata temperatura, era fisso su qualcosa alle spalle del padre.
Joseph, per conto suo, non riusciva a staccare gli occhi da quelli penetranti del fanciullo, puntati dentro ai suoi.
I ricordi affiorarono involontari nella sua mente.
 
Rickon sta male.
Ha la febbre alta.
Vomita, non riesce a mangiare.
Ed è sempre più debole.
Il padre lo veglia preoccupato giorno e notte, a malapena dorme, e quando lo fa i suoi sogni sono dominati da incubi sulla morte del bambino.
Rimane lì, al suo capezzale, a guardare il suo viso farsi sempre più pallido e scavato, a stringere la sua piccola mano sempre più fredda.
< Joseph… vieni via >, gli sussurra moglie, cercando di tirarlo per un braccio.
Ma Joseph è una roccia, e non accenna a muoversi.
Deve essere lì quando…
Ma la donna non capisce, e se ne va sfastidiata.
Non le importa nulla di lui, e benché meno di Rickon.
Non è suo figlio, del resto.
La vera madre del piccolo è morta di parto, ed ora Joseph è sempre più convinto che la sua nuova sposa abbia tanto insistito per unirsi a lui in matrimonio più per i suoi soldi che per il suo amore.
La lascerà, un giorno.
Ma non è questo il suo problema principale, adesso.
Rickon, il suo adorato fanciullo, sta morendo di febbre gialla, la peggiore malattia che si possa contrarre, di cui non esiste cura.
Bisogna solo aspettare, e pregare che l’infezione regredisca da sola.
Nessuno ci spera molto.
Ed ora anche Joseph sa che non c’è più niente da fare per Rickon, nonostante ciò sia difficile da accettare.
C’è solo un’ultima, singola speranza.
E Joseph vuole investire in essa tutte le sue ultime forze.
Una mattina si decide, e parte.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


< Chi sei? >
La domanda del bambino riscosse Joseph dai suoi ricordi, riportandolo alla realtà.
Georgie era ancora lì, fermo, con gli occhioni puntati innocentemente nei suoi.
Curiosi, ma non impauriti.
Il padre, intanto, si era voltato anch’egli verso di lui, e lo scrutava minacciosamente, stringendo forte la mano pallida del piccolo.
< Io… io mi chiamo Joseph >, rispose il vampiro, cercando di sorridere rassicurante. < E tu? >
< Io sono Georgie >, mormorò il bambino, abbracciando forte il fianco del genitore, che lo cinse protettivamente con un braccio.
< Che cosa ci fate a quest’ora di notte in giro, Messer Joseph? >, domandò l’uomo, squadrandolo con diffidenza.
Poi, resosi conto di essere stato palesemente sfacciato, avvampò, ma non accennò a distogliere lo sguardo accigliato.
Joseph, in tutta risposta, sorrise affabile.
< Soffro di una grave forma di insonnia >, rispose, ammiccando. < E poi la notte è la mia parte del giorno preferita. >
Il bambino lo ascoltava a bocca aperta.
< Avevo anche io un figlio della tua età, sai? >, gli rivelò il vampiro, chinandosi alla sua altezza ed accarezzandogli dolcemente una guancia.
Il suo dito freddo quasi rimase scottato dall’elevata temperatura del fanciullo, ardente di febbre.
< “Avevate”? Cosa significa? >, intervenne incuriosito il padre, lasciando per un attimo da parte la propria diffidenza.
< Mio figlio è… morto. Di febbre gialla. Non… non ho potuto fare niente. >
Joseph appena udì l’uomo accanto a sé trattenere il fiato.
Poi i ricordi presero nuovamente il sopravvento.
 
 
Joseph sa che lui è l’unico che può salvare il suo Rickon.
Il prezzo da pagare è alto, ne è consapevole, ma farebbe di tutto pur di permettere al figlio di continuare a vivere.
La grotta è buia e scura, e Joseph non vede ad un palmo dal naso.
Vorrebbe chiamare la creatura che la abita, ma ha terribilmente paura, e la gola gli si è completamente seccata.
Non serve parlare.
L’essere sa che lui è lì, riesce a percepire il suo calore vitale, ad udire il sangue caldo pompato con ritmo forsennato dal cuore impazzito.
In un secondo, silenziosamente, gli è vicino, ed annusa con fare animalesco il suo profumo da umano.
< Che cosa ci fa qui un bocconcino come te? >, domanda la creatura, e la sua voce è nient’altro che un sibilo roco all’orecchio destro di Joseph. < Ti sei.. perso? >
< No, io… io sono venuto qui di mia volontà >, balbetta l’uomo, ormai completamente terrorizzato.
< E che cosa ti conduce al mio cospetto? >
< Mio figlio sta… sta morendo. Di febbre gialla. Dovete aiutarlo, ve ne prego >, spiega Joseph, tremando, domandandosi se sia meglio oppure no inginocchiarsi in segno di reverenza.
Alla fine rimane in piedi, immobile come una statua di gesso.
< Se anche io decidessi di aiutarti, questo ti costerà un prezzo, lo sai vero? >, chiede la creatura, sogghignando.
< Sì, io… farò tutto ciò che vorrete, ve lo giuro. >
L’essere si allontana con un agile balzo da lui, provocandogli brividi sul collo dove appena un attimo prima erano poggiate le sue dita lunghe e fredde.
< Non voglio che tu faccia qualcosa. Voglio solo che tu mi dia qualcosa. >
< Tutto ciò che volete. >
< Dovrai darmi la tua anima. Una morte per una vita. >
Il gelo invade il cuore di Joseph.
Non credeva che la creatura sarebbe potuta arrivare a tanto, nonostante dentro di sé un po’ lo temesse.
È una scelta difficile, ma  vuole andare fino in fondo.
< D’accordo. >, risponde fermamente.
< Ma oggi sono particolarmente generoso >, sogghigna la creatura volteggiandogli attorno. < Ho deciso che ti lascerò comunque continuare a vivere al fianco del tuo bambino. Certo, non sarai più lo stesso, ma almeno vivrai. >
Joseph non ci crede.
< Io non so cosa… grazie! Vi ringrazio dal più profondo del cuore >, esulta, con le lacrime agli occhi dalla gioia.
< Aspetta, non ho finito. >
Le parole dell’essere smorzano la sua felicità.
< Quando ho detto che non saresti stato più lo stesso, non stavo scherzando. >
Non che Joseph lo abbia pensato, del resto.
< Diventerai una creatura della notte, proprio come me. Il Sole ti ucciderà, per questo potrai uscire solo al suo calare. E per sopravvivere, l’unica tua fonte di sostentamento sarà il sangue. >
Joseph è immobile, paralizzato dall’orrore.
Non può accettare un simile compromesso, è davvero troppo.
< No.. io.. no. Vi prego, prendete la mia vita, in cambio di quella di mio figlio, ma non fatemi diventare un.. un.. >
< Un vampiro >, lo aiuta la creatura.
< Io non posso. Vi prego, ci deve essere un’altra cosa che… >
< Basta! >, urla il mostro, facendo tremare le rocciose pareti della grotta. < Sono stufo di sentire i tuoi piagnistei e le tue implorazioni. Questo è il prezzo che devi pagare se vuoi che io salvi tuo figlio. Altrimenti non se ne fa niente. >
< Lo salverai veramente? >, sussurra Joseph, disperato.
< Lo giuro. >
< D’accordo, allora. Accetto. >
La creatura sorride, trionfante.
< Non ti preoccupare, la mutazione non inizierà subito, ma fra qualche giorno. E guarda il lato positivo. Se diventi un vampiro, sarai immortale, proprio come me >, sibila suadente.
< Non mi importa. Voglio solo che il mio bambino guarisca >, mormora Joseph con le lacrime che per la seconda volta gli rigano le guance.
< Lo farà, vedrai. Mi adempierò a rispettare il mio giuramento >, sussurra il vampiro, avvicinandosigli con passo felpato.
< Bene. Allora io… cosa devo fare? Devo… >
Non fa in tempo a terminare la frase che la creatura gli si getta al collo, affondando famelicamente i canini appuntiti nella giugulare pulsante.
Per Joseph tutto diviene buio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: il passato ***


Il Sole gli fa bruciare gli occhi, accecandolo con la sua abbagliante luminosità.
Joseph esce dalla grotta con passo malfermo, traballando leggermente.
Tutto gli appare più chiaro e distinto, adesso, come se i suoi occhi fossero in grado di notare i più piccoli dettagli e particolari.
L’uomo sa che quello è uno dei poteri dei vampiri, nonostante la sua trasformazione sia solo alla fase iniziale, e che quando essa sarà terminata sarò in grado di fare cose incredibili.
Questo lo emoziona e lo incuriosisce, ma ora la sua mente è completamente invasa da una felicità pura ed assoluta, che da tempo immemore non ha avuto il privilegio di provare.
Perché sta tornando a casa, e questa volta, appena varcata la soglia, non si ritroverà in un altro mondo, fatto solo di morte e dolore.
No, questa volta, al suo arrivo, troverà gioia ed incredulità.
Il sacrificio delle sua anima, infatti, permetterà al piccolo Rickon di guarire dalla febbre gialla e di tornare a giocare con gli altri bambini, come avrebbe sempre dovuto essere.
Joseph sente che il vampiro nella grotta ha rispettato il suo giuramento, e che tutto si risolverà nel migliore dei modi.
Arriva a casa, un lussuoso palazzo che simboleggia l’opulenta ricchezza della sua famiglia.
Corre, sale le scale che conducono agli appartamenti superiori, verso la camera del figlio.
È  convinto si sentire risate ed urla di gioia, ma intorno a lui c’è solo silenzio, crudo ed assordante.
Nessuno si muove, tutti sono spariti.
Entra nella stanza del figlio, ed una corrente di aria calda, viziata, malata, lo investe, facendolo quasi soffocare.
Vede la moglie seduta sul letto, di spalle.
Sta accarezzando piano la fronte pallida di Rickon.
Il bambino non sta meglio.
Quando la donna si accorge della presenza del marito, si alza di scatto e gli si avvicina.
Joseph può vedere le lacrime che brillano come preziosi diamanti sulle sue lunghe ciglia.
< Mi dispiace, Joe >, sussurra lei, piano, quasi a non voler svegliare il piccolo. < Se n’è…andato. >
Rickon non sta dormendo.
E non è svenuto.
È morto.
Joseph corre dal suo bellissimo bambino, scuotendolo per le esili spalle ed urlando forte il suo nome.
È freddo, ora.
La consapevolezza di quanto accaduto colpisce l’uomo come un pugno nello stomaco, ed egli urla, un grido di disperazione lanciato contro il cielo, carico dell’orrore che gli ha invaso il cuore e la mente, avvolgendo entrambi come una cortina di ghiaccio.
 
A pochi chilometri dal palazzo, in una grotta scavata nella montagna, il vampiro sorride.
È stupito, sorpreso dell’ingenuità e stoltezza di quell’uomo, così sciocco da credere di poter stipulare un compromesso con una creatura della notte.
Sogghigna ancora, risentendo sulla punta della lingua il dolce gusto del sangue di Joseph, leggermente amaro a causa della paura che dilagava nel suo giovane cuore pulsante.
Si è nutrito di lui, e l’ha trasformato in un mostro, proprio come se stesso.
Sono anni che ha atteso quel momento, e quando finalmente gli si è presentata l’occasione non se l’è lasciata di certo scappare.
Perché trasformando Joseph in un vampiro, si è guadagnato la libertà, la possibilità di uscire da quella grotta buia ed umida che per tempo immemore è stata la sua dimora.
Una strega l’ha rinchiuso lì, anni ed anni prima, quando ha scoperto il mostro che si celava dietro il suo aspetto umano, con un sortilegio che si sarebbe sciolto solo quando lui avesse morso il collo di un'altra persona.
La maga era convinta che non si sarebbe mai liberato, in quanto la grotta è difficile da raggiungere persino per gli scalatori più in gamba.
Ma si è sbagliata.
Eccome.
Il vampiro sorride a quei ricordi, appartenuti ad un'altra vita, lontani anni luce dal presente.
Una volta giunta la notte, tenebrosa e sicura, se ne va, esce, e si dirige silenziosamente verso il bosco sottostante, alla ricerca di qualche animale di cui nutrirsi.
Non gli è mai piaciuto il sangue umano.
 
 
I giorni passano, lenti ed inesorabili.
Gli anni trascorrono.
Joseph continua a vivere nel suo palazzo, quella lussuosa dimora in cui aleggia ancora la presenza del piccolo Rickon, rapito alla vita troppo presto.
L’uomo, diventato ormai completamente una creatura della notte, rimane per tutta la durata del giorno rinchiuso nella sua maestosa camera da letto, con le tende di raso tirate per evitare ai raggi del Sole di trovarlo ed ucciderlo, rendendolo niente più che un misero mucchietto di cenere.
Non lascia avvicinare nessuno, neanche la moglie, di cui non è mai stato davvero innamorato.
Esce solo di notte, per cacciare, uccidere innocenti persone e bere il loro sangue caldo e viscido, che è come nettare per il suo palato.
I servi gli portano ogni momento vassoi colmi di qualsiasi prelibatezza, ma lui non ha bisogno di carne o dolciumi per sopravvivere, perciò prende quelle leccornie succulente e le porta a qualche barbone che girovaga senza meta, lasciandolo gustarsi il suo ultimo lauto pasto prima di lacerargli senza rimorso la carotide.
Il tempo se ne va, e tutti i suoi cari inevitabilmente invecchiano e muoiono.
Il palazzo rimane completamente vuoto e silenzioso.
Joseph, ancora giovane e bello, non ha più dolore da donare alle anime della sua famiglia, in quanto esso è stato speso del tutto alla morte di Rickon.
Pensa al piccolo ogni giorno, ed ogni notte, dopo essersi sfamato, va alla ricerca di quel vampiro che si è preso la sua anima e non ha rispettato il patto, lasciando morire un bambino indifeso.
Vuole ucciderlo una volta per tutte, fargliela pagare come merita.
Ma non lo trova mai, e la grotta è sempre disabitata.
Con il tempo ha smesso di cercarlo.
Si è ripromesso, però, che prima o poi riuscirà a vendicare il suo amato Rickon.
Lo ha giurato.
E lui rispetta sempre le sue promesse.
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo finale: riscatto ***


< Mi… mi dispiace per il vostro bambino >, mormorò Donald, e Joseph si ritrovò per la seconda volta a sbattere le palpebre confuso, riscuotendosi dai ricordi che gli avevano dominato la mente.
< Anche a me >, sussurrò in risposta.
< Dai Georgie, vai dentro, adesso. Fa sempre più freddo qui fuori >, sentì poi dire l’uomo rivolto al piccolo, che lo guardava ancora con gli occhi lucidi per la febbre spalancati.
Il fanciullo annuì, e dopo aver accennato un timido saluto a Joseph trotterellò un po’ traballante all’interno della casa.
< Ha la febbre gialla anche lui >, confidò Donald, piano, come se dicendolo più ad alta voce avrebbe significato accettarlo definitivamente.
Joseph rimase interdetto, fermo, immobile come una statua di marmo.
L’unico gesto che la sua mano fredda riuscì a compiere fu di accarezzare la spalla dell’uomo quando egli scoppiò in un pianto a dirotto, angosciato e privo si speranza, esattamente come quello che aveva fatto trascorrere a lui lunghe notti insonni, tempo prima.
Il vampiro avrebbe voluto piangere con l’anziano uomo, ma le lacrime non volevano arrivare.
Probabilmente le aveva consumate tutte al capezzale di Rickon.
< Le cure… le cure sono troppo costose >, balbettò tra i singhiozzi Donald, quasi a voler giustificare la sua impotenza di fronte alla lenta ed inesorabile decadenza fisica del figlio.
Joseph sussultò.
Non si era ricordato, sul momento, che gli anni erano trascorsi e che la medicina aveva fatto straordinari progressi, nonostante le cure per le malattie più gravi fossero riservate soltanto ai più abbienti.
E Donald di certo non lo era.
Joseph lo fissò a lungo negli occhi, quegli occhi spenti e grigi, e si congedò da lui, promettendogli che tutto sarebbe andato per il verso giusto e che non doveva preoccuparsi di niente.
Scomparendo nel buio della notte che ancora ammantava il piccolo borgo, sorrise.
Aveva giurato, tanto tempo prima, che qualcuno avrebbe pagato per la morte del suo adorato Rickon.
Ed ora era giunto il momento di rispettare quella promessa.
Solo che non avrebbe vendicato il figlio.
Ancora meglio.
Lo avrebbe riscattato.
E poi sarebbe stato libero, libero finalmente di unirsi a coloro che più amava al mondo.
Una volta tornato a casa, costituita ancora dal lussuoso palazzo nel quale aveva da sempre abitato con la famiglia, prese un grosso borsone con le toppe che trovò in un armadio semidistrutto e lo riempì fino a renderlo traboccante.
Una volta terminata l’operazione, uscì nuovamente nella cittadina appena illuminata dalla luce tenue e rosata dell’alba.
 
 
Quella mattina, Donald si svegliò di buon’ora.
Dopo aver baciato dolcemente la fronte sudaticcia di Georgie, ancora addormentato, e le morbide labbra della moglie, uscì di casa.
La giornata si prospettava tiepida e soleggiata, perfetta per andare alla ricerca di buon pesce fresco da mangiare e vendere al mercato cittadino.
Ma non fece neanche in tempo a varcare la soglia che inciampò su qualcosa che gli bloccava la strada.
L’uomo sussultò, guardando in basso.
Ai suoi piedi c’era un borsone.
Enorme.
Liso e scolorito, come se avesse almeno cento anni.
Lo aprì, incuriosito, e rimase a bocca aperta dallo stupore.
Era pieno, completamente ricolmo di monete d’oro, luccicanti e brillanti come diamanti alla luce accecante del Sole mattutino.
Donald lo prese, con mani tremanti.
Era pesante.
Ed era per lui.
Non c’era ombra di dubbio, perché l’aveva trovato sulla porta di casa, e nessuno poteva averlo perso lì.
Doveva essere il dono di qualche benefattore, venuto a conoscenza della condizione precaria della salute del suo bambino.
O forse di un angelo.
O magari di tutti e due insieme.
Non gli importava.
Riusciva solo a pensare che c’era ancora speranza, che avrebbe potuto permettersi le cure per salvare la vita di Georgie.
Con le lacrime agli occhi dalla gioia e dalla sorpresa, Donald rientrò nella sua misera dimora, per condividere con la famiglia la straordinarietà di quel miracolo così gradito ma allo stesso tempo così inaspettato.
Nella sua allegria assolutizzante, non si accorse di ciò che c’era accanto al borsone, sul terreno freddo.
Non che si vedesse chiaramente, in realtà.
Ma c’era un mucchietto di cenere grigia, che già stava iniziando a disperdersi nell’aria primaverile.
Era tutto ciò che rimaneva di colui che aveva finalmente espiato la sua colpa più grande: quella di non essere a riuscito a salvare il proprio bambino.
Ora, però, aveva rispettato il suo giuramento ed evitato che quella immane tragedia capitata a lui anni ed anni prima si ripetesse, spezzando il cuore di un padre e rapendo la vita di un fanciullo innocente.
Era la cenere di un benefattore.
O forse di un angelo.
O magari solo di un vampiro.

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