Golden Age di missimissisipi (/viewuser.php?uid=175347)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Ice Palace ***
Capitolo 2: *** Slapsgiving ***
Capitolo 3: *** Sirius doesn’t live here anymore ***
Capitolo 4: *** How to lose unemployment in ten days ***
Capitolo 5: *** My best friend’s roommate ***
Capitolo 6: *** The inglorious intruder ***
Capitolo 1 *** The Ice Palace ***
The wolves
they howled for my lost soul
I fell down a deep black hole
He left me for another lady
She poured the drinks and she poured the power
Diamond girl who could talk for hours
He left me for another lady
New York, Paloma
Faith
1. The Ice
Palace
“Sirius”
ripeto con tono scocciato “muovi
quel culo. So che mi stai sentendo”
Alzo
il passo e attraverso un incrocio, facendo ben attenzione a non farmi
investire
da uno sconosciuto folle con più caffeina in corpo che
sangue, di corsa, e per
aggiunta di prima mattina.
“Sono
da te fra due minuti esatti e giuro che se non sei perfettamente
presentabile
entro quell’arco di tempo io ti—cristo”
Se
il karma esistesse, in questo preciso istante, starebbe ridendo. Il mio
cellulare morto non mi darebbe affatto fastidio se non fosse per questa
scomoda
e patetica situazione in cui sono infilata. Congratulazioni, Lily.
Mormoro
qualcosa di impreciso e mi affretto ad arrivare di fronte
all’enorme portone di
Roden Street, maestoso nella sua eleganza data dal marmo chiaro e,
invece,
curioso se osservato con me nelle vicinanze.
“Rispondi,
rispondi, rispondi—“
“E’
aperto” – replica una voce assonnata
quanto ironica, alterata dal citofono e macchiata da un non so che di
metallico
che mi fa, comunque, percepire l’interezza della sua ironia
– “Entra pure”
Non
ricordo con precisione a quali nuovi insulti la mia mente abbia dato
origine,
ma ventisette secondi dopo la porta d’ingresso bianca
dell’appartamento del mio
migliore amico era spalancata. Ed io ci sono entrata senza ritenere un
gesto
assurdo guardarla aperta per lasciarvi entrare chiunque, anche un
possibile
ladro e maniaco con manie di sadismo—
“Curioso”
prorompe nell’istante esatto in cui i suoi occhi scorgono la
mia figura “come
ogni qualvolta tu debba vedermi la mia segreteria si riempia di
quattordicimila
messaggi”
“Ciao
anche a te”
Si
passa una mano fra i capelli, spettinandoli e facendomi storcere il
naso. Il
mio sguardo è puntato già
sulla sua
camicia bianca con alcune asole aperte, la cravatta blu sulle spalle
mentre un
forte odore di dopobarba maschile mi inebria le narici.
Le
sue dita sono intente a dare un aspetto più elegante alla
camicia che indossa,
e le mie sono passate, quasi senza che me ne accorgessi, ad annodare
quella
cravatta disordinata, tanto che lo faccio sbuffare, divertito.
“La
tua sciarpa” esclama a un tratto, quando io mi sono fatta
indietro e rovisto
fra le giacche nella cabina armadio. Il mio cipiglio stranito deve
farlo
parlare prima ancora che apra bocca, perché
“l’hai dimenticata qui” continua
poco dopo, “…l’altra sera”
“La
maratona di Modern Family”
Annuisce,
distratto. “Ti sei addormentata qui”
“E
la tua vicina di casa pensa che siamo una qualche coppia di amici con
benefici”
Sento
la sua risata dall’altra stanza, profonda e che assomiglia
vagamente ad un
latrato. Cane. “Già, soprattutto dal momento che
ho rifiutato il suo flirtare gratuito
dicendo che avevo una
relazione”
Sgrano
gli occhi, “Stai scherzando? E’ per questo che da
un po’ di tempo non mi
rivolge nemmeno più la parola?”
Il
bastardo ride daccapo, muovendosi sino a raggiungere la sua stanza e
annuire
compiaciuto di fronte al capo meraviglioso che gli ho silenziosamente
proposto.
“Non è colpa mia se ha frainteso, io non ho
specificato né che tipo di
relazione né chi oltre me ne fosse coinvolto”
“Platonica”
borbotto, estraendo dalla mia borsa un vestito azzurro e iniziando a
spogliarmi, “Con la tua motocicletta”
Percepisco
la sua figura rimanere bloccata in quella posizione per un
po’, il tempo
necessario per far aderire il mio corpo a quell’abito del
colore del cielo.
“Non
c’è bisogno di essere gelosi”
– fa, sorridendo sghembo – “Saresti la
ragazza
perfetta se non fosse strano averti
intorno in quel modo”
Adesso
ghigna. Un cuscino lo colpisce in pieno viso.
“E
tu saresti l’uomo dei miei sogni se non fossi
tu. E poi” mi schiarisco la voce e tento di
assumere un tono
serio, “Smettila di guardarmi il fondoschiena!”
“Madre
Natura ha fatto un bel lavoro… e, comunque, puoi dirla, la
parola con la c… c,
u, l—“ Lo schiaffeggio, il volto ormai in fiamme,
una gradazione che fa
simpaticamente concorrenza ai miei capelli composti da onde morbide.
“Abbiamo
un matrimonio a cui partecipare”
Oggettivamente,
la sala ricevimento prenotata da Petunia per il suo matrimonio
è qualcosa di
puramente mozzafiato. Tutto inondato dal colore bianco e le sue
infinite
gradazioni, meno che le vetrate ed il verde della vegetazione
all’esterno.
Mentre, se fossi costretta a dare un parere più che
soggettivo, direi senza
dubbio che è qualcosa più
che mozzafiato.
Penso al concetto di lussuria e questo scenario che ho di fronte non
può
nemmeno avvicinarsi all’ idea. Tutto è
schifosamente impeccabile, a partire
dall’atteggiamento degli invitati, per arrivare alla musica
di sottofondo, una
melodia calzante a pennello per mia sorella.
Mi
volto verso Sirius, immerso in un mondo che gli suona velatamente
famigliare,
con gli occhi che trapelano una malcelata malinconia dei
bei tempi andati. Mi sembra persino strano pensarlo, ma lui
appartiene a un mondo del genere, fatto di lusso e un fascino
retrò anni 30,
con imprenditori la cui vita dipende dalla finanza e al cui cospetto vi
è un
sigaro profumato e una donna in un tailleur rosso, che non ha nulla a
che
vedere con la moda tipicamente androgina e libertina degli anni venti.
“Pensi
servano alcolici? O tua sorella preferisce evitare inconvenienti quali
sbronze
colossali e opta unicamente per acqua, vino bianco e champagne, per
rimanere
schifosamente brilli?”
“Non
che ci importi”
– ribatto incrociando
le braccia sotto il seno e muovendo lo sguardo rapidamente fra gli
invitati,
nella vana speranza di imbattermi nei miei genitori nel minor tempo
possibile –
“Scommetto quello che vuoi che hai una fiaschetta di whiskey
da qualche parte”
“Sorvolo
magnanimamente sul tuo essere vaga nella posizione della mia compagna
per
questa giornata—giusto perché la condividerai con me”
Una
chioma bionda stretta in uno chignon nient’affatto severo fa
capolino nella mia
visuale, costringendomi a prendere un respiro profondo perché
sa tanto di casa ed emana quel vago senso di sicurezza che
solo i tuoi genitori possono darti. Sirius deve aver capito,
perché si avvicina
al buffet—o ad un mio familiare lontano che lo idolatra,
ovviamente.
“Lily!”
– il tono sorpreso potrebbe anche offendermi se non fosse per
quello che è
successo – “Tesoro! Non pensavo saresti
venuta… hai già parlato con papà?
Petunia…?”
Scuoto
il capo, lasciando oscillare i miei capelli mossi su cui si posa il suo
sguardo. Stessi occhi smeraldini, e daccapo il senso di
familiarità e affetto
che divampa a partire dal mio petto e si dirama nel resto del corpo.
“Volevo
parlarti… Io, ehm, stavo ripensando alla mia scelta:
Castlebury—”
“Lily?”
Un
corpetto senza spalline ricamato che si apre su una gonna morbida, a
balze,
semplice nella sua eleganza. Petunia.
Degli
occhi della stessa sfumatura di quelli di papà mi scrutano
nervosi, mi fanno
sentire quasi un peso e, per la
seconda volta nel giro di poco tempo, mi ritrovo a incrociare le
braccia sotto
il seno, percependo il calore familiare far posto a una sensazione di
disagio.
“Congratulazioni”
– mormoro quasi sconnessa, accennando un sorriso –
“Il tuo vestito è molto
bello, e la location non è da meno—“
“Cosa
ci fai qui?!”
“Petunia…”
“No,
mamma, questo è il mio
matrimonio e
non ricordo di aver avuto una qualche conferma da parte di Lily Evans”
“Ho
trascorso un brutto periodo e pensavo che venendo avremmo
potuto-“
“Cosa?
Riagganciare i rapporti? Essere una famiglia?”
“Petunia”
“E’
il mio matrimonio” ripete, cauta, con un tono così
basso da far trattenere il
respiro “Puoi persino esserti imbucata con quello
squinternato del tuo amico, ma non
sono affatto costretta
a tollerare la tua presenza. O
la tua
voce.”
Chiunque
abbia detto che le parole feriscono come coltelli, avrebbe dovuto avere
un
qualche premio. O una vita stralunata, maniera più o meno
gentile per definire
un’esistenza triste, dettata da una turbolenza soprattutto
interiore. In questo
momento vorrei sotterrare la testa in giardino, magari accanto ad una
bella
pianta che non fiorisce, oppure finire per avere gli occhi lucidi data
la birra
che Sirius mi avrebbe offerto in una serata qualsiasi, movimentata
dalla tv
accesa di fronte al divano su un canale prettamente noioso.
Non
so se Petunia sia la voce della ragione, la mia coscienza, una dura
verità, una
menzogna bella e grande o un fantasma del mio passato, presente e,
chissà,
futuro, che interviene quando meno lo desideri nella tua vita.
“Va
bene”
Mamma
mi rivolge uno sguardo implorante, in netto contrasto con quello
d’ira del
sangue del mio sangue.
Forse
va davvero bene così.
Un
sorriso presuntuoso è stampato sulle labbra di Vernon,
l’uomo che ha tagliato
via mia sorella dalla mia già precedentemente rovinata
famiglia… oppure, da un
altro punto di vista, si potrebbe dire esattamente l’opposto:
un nuovo membro è
stato solennemente accettato ed entrato a far parte del mio insieme di
consanguinei. Tiro su con il naso, dimostrando la mia
pateticità a tutti i nani
dal giardino nascosti da qualche parte, ai due bicchieri di champagne
vuoti e
al vestito costato un sacco ormai sporco d’erba.
“Non
mi avvicinerei se non fossi
tu”
La
sua figura si poggia per terra, al mio fianco, e lo percepisco
sorridere
freddamente anche senza davvero guardarlo. Elimino con il dorso delle
mani lacrime
bollenti che avevano solleticato il mio viso, apparendo sempre
più sciocca.
Cosa credevo?
“Tua
zia Celeste ha detto che vuole essere invitata al nostro
matrimonio” – sussurra
Sirius al mio orecchio come se fosse un segreto di chissà
che importanza. Sobbalzo
alla vicinanza ma mi rilasso nel momento in cui realizzo cosa abbia
detto – “Ma
penso di averla traumatizzata raccontandole dei nostri futuri figli,
capelli
rossi e occhi grigi, disordinati cronici e futuri esattori delle
tasse”
“Voglio
tornare a casa”
Chiude
la fiaschetta nelle sue mani. C’è solo silenzio,
poi. “Pensavo che questa fosse
la tua casa”
“Non
più”
________________________________________________________________________________________
Seera! Uhm, non so da dove
iniziare, ho un sacco di cose da dire! Sicuramente parto con il
ringraziare chiunque sia arrivato qui nella lettura, dal momento che
credo molti siano restii nell'accettare/leggere Muggles!Au qui su Efp
:)
E' un progetto a cui sono
dedita da molto tempo, ne sono incredibilmente affezionata per un sacco
di ragioni e doverlo abbandonare perchè io perda la voglia
di scrivere (uhm ho molti dubbi per quanto riguarda il mio stile, ma
anche l'idea in generale... cioè, a me piace, ma il non
piacere altrui finirà per devastarmi if you know what i
mean) mi ucciderà, ecco ahah vi chiedo di essere pazienti e
provare a leggere qualche capitolo prima di decidere che non vi piaccia
del tutto (questo primo è breve e confusionario, mentre gli
altri due - più o meno - introduttivi, e la figura di james
non apparirà nel prossimo, ad esempio), soprattutto dal
momento che è una storia puramente incentrata sul
cambiamento, sul viaggio di Lily come persona e sul rapporto che si
crea fra i vari personaggi, sulle relazioni, quindi: vedetelo un po'
come una di quelle serie tv, tipo how i met your mother, the big bang
theory, friends e varie...
ci sono un sacco di
novità, ecco, rispetto alla norma: vale a dire che sirius,
ad esempio, non conosce ancora james e remus, in più
è il migliore amico di lily; l'ambientazione si sposta
dall'inghilterra all'america dei nostri anni, un sacco di personaggi
compariranno più avanti, saranno quasi diluiti nel corso
della storia, e daccapo, le loro relazioni non saranno
strettamente quelle canon/usuali etc
lily ha preso una scelta nel
suo passato più recente che la spingerà a
cambiare, e a muoversi: più in avanti tornerà
Castlebury come città e verranno spiegate molte cose
relative all'amicizia sirius/lily... ringrazio The Carrie Diaries per
aver creato questa cittadina perchè me ne sono innamorata e
fa proprio per i Sily! ahahah poooi, seppure james e lily siano i
protagonisti della fic, anche gli altri personaggi avranno una
storyline importante, nonostante debbano lasciare i jily sempre sotto
il riflettore :)
(inserisco il pairing jily fra
i dati e non tutti gli altri perchè sono coppie che si
creeranno, ma o non per molto o comunque non sono importanti e non
voglio svelarvi il finale, ecco)
la
canzone di Paloma Faith è un po' la colonna sonora della
fic! spero piaccia e ammalii come a me piace e mi ha ammaliata!:)
il titolo del capitolo è ideato da quel gran uomo che
Fitzgerald è (my man<3)
You
have a place in my heart no one else ever could have.
— F.
Scott Fitzgerald, The
Ice
Palace
vi lascio con i vestiti delle
due evans!
http://41.media.tumblr.com/e5033355caf307464fd99193ebb997f1/tumblr_ne2g5jttYc1qa48jlo1_250.png
http://24.media.tumblr.com/eb1fae5c2bad8807e2387bd0ef020712/tumblr_n4teieqoKl1tro58oo2_250.jpg
a presto, spero! un bacio
enorme<3<3
fede
il mio ask.fm
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Slapsgiving ***
In the morning
when you wake up,
You won't have much but you'll have enough
When you are weakest I'll be strong enough for you,
Dreams, the ones where you are fearless
Sleep like a
baby tonight, U2
2.
Slapsgiving
150
W. 85th, Upper West Side, New York
Con
il semestre iniziato qualche settimana
fa, tutta la mia routine ruota attorno ad un solo indirizzo da
ricordare. Castlebury
è definitivamente alle spalle, e con lei la mia famiglia, il
matrimonio di
Petunia Dursley
e l’appartamento di Sirius a Roden Street. Mezz’ora
di tragitto e
siamo catapultati in un mondo che non sembra avere capo né
coda: un flusso
costante di persone che camminano e vivono le proprie vite, che
ignorano la mia
complicata ed io ritorno magicamente a respirare.
Maneggio
con difficoltà il pacco marrone
della spesa, le chiavi del loft in cui vivo con il mio amico assente ed
il
telefono con cui comunico in tempo reale con il suddetto amico-assente.
“Non posso
crederci: ti stai davvero lamentando?”
Sbuffo
di fronte al suo tono divertito,
facendo tintinnare le chiavi e rispondendo con tono pacato:
“Sì—si da il caso
che sia il mio primo Ringraziamento da sola, e, non per fare la
sentimentale-”
“No di certo”
“-ma
credevo che l’avremmo trascorso
assieme. Sai, migliori amici, coinquilini e tutto…”
“Sto studiando”
“Mhm,
beh, fai attenzione, non vorrei che il
tacchino inesistente si bruci nel forno che ovviamente manca nella tua
stanza
del dormitorio”
“Lily-“
“Lo
so” – respiro piano, poggiando la busta
sul tavolo della cucina e passando una mano dai capelli –
“Sono infantile.
Guarderò la partita, cambierò canale quando la
telecamera inquadrerà la Macy’s
Parade
e ringrazierò non so cosa per entrambi”
La
sua risposta arriva istanti dopo,
riempiti unicamente dal silenzio che mi fa schifosamente sentire sola.
Più di
quanto non lo sia effettivamente.
“…Grandioso”
la sua nota ironica
sembra perfino stonare in questo contesto, ma sorrido comunque,
cosciente che
lui non potrà vedermi “Quasi ti invidio”
“Ci
sentiamo presto, allora?” sono certa di
suonare più disperata di quanto non voglia sembrare di
esserlo, ma spero che
lui non noti tutto questo, troppo preso dal suo studio.
“Sicuro, Lils”
Apro
il frigorifero, prendendo una bottiglia
di vino rosso e osservandola come se fosse l’unica mia
compagna per questa
giornata. Stappandola, realizzo amaramente che è esattamente
quello
il suo compito, oggi.
La
verità è che non so cosa credevo
settimane fa: l’idea di lasciare Castlebury mi ha sconvolta a
tal punto che
immaginavo una vita a New York che non ho. Basti pensare a Sirius, che
mi è
stato vicino sempre, ed adesso è a costruirsi il suo
futuro… ho solo un amico a
distanza e un appartamento mezzo vuoto. Niente aspettative oramai,
niente vita
meravigliosa o amiche alla Carrie Bradshaw che si rispettino.
Un
rumore, subito dopo, mi distrae. Come un…
bussare.
Mi
sposto allora in soggiorno, ma vedo tutto
fermo. Tutto vuoto, qualche scatolone dato il mio recente trasloco ed
è tutto
nella norma. Poi sento daccapo il rumore. Cosa…?
“Aiuto!”
I
miei occhi saettano nella direzione delle
finestre, fino a che non arrivo nella mia stanza e… beh, la
vedo.
Una
ragazza dai capelli biondi, raccolti
disordinatamente in una coda di cavallo alta, che indossa una camicia a
quadri
nera e rossa e batte furiosamente la mano contro il vetro della mia
finestra. Esattamente quella che da sulle scale antincendio.
“Grazie
al cielo c’è qualcuno”
“Ehm…”
“Ciao!”
la voce è squillante ma non del
tutto fastidiosa. E’ forse una delle prime volte in cui
questa casa si riempie
di un rumore… vivace. Ed è sicuramente
–nonché auspicabilmente- la sola volta
in cui abbia avuto accesso alle scale blu in ferro battuto, che, nelle
ultime
sei settimane in questo loft, non ho affatto visto data la tenda
bordeaux volta
a coprire la finestra. E la luce notturna di New York, paradossalmente.
“Sono
del 3B, piacere! Dorcas Meadowes”
Tende
la mano come se fosse un incontro
casuale fra vicini di casa, e non fra sconosciuti nel bel mezzo fra la
mia
camera e l’esterno, tra di noi frapposto solo il muro della
mia abitazione.
“Appartamento
6B, Lily Evans”
Qualsiasi
cosa abbia detto le fa sgranare
gli occhi improvvisamente: “Sei la ragazza di Black,
allora!”
“Cosa?
No! No,
io—”
“Consiglio
da nuova amica: dai una pulita a
tutta la casa. Pavimento incluso”
“Non
voglio saperlo” – ribatto prima ancora
che possa spiegare – “L’immagine mentale
del mio migliore amico
che fa attività
fisica
nella casa che abito da un mese e mezzo è
sicuramente qualcosa che voglio evitare di avere in testa, specialmente
dal
momento che non so come distrarmi per l’intera
giornata”
Scoppia
in una risata improvvisa, portando
una mano a coprire la bocca e scusandosi l’attimo dopo.
“Mi…
mi dispiace” – chissà perché
non ne
sono del tutto sicura. Risata inopportuna. – “Ma ho
appena realizzato e… quindi
sei quella Lily
Evans!”
“Dovrebbero
essercene altre?”
“Migliora amica e
tutto”
parla fra sé e sé “Io e Sirius abbiamo
avuto modo di parlare. E
potrebbe aver nominato il tuo nome un paio di volte. Volta in
più, volta meno”
Smette
di gesticolare e si guarda attorno,
prima di parlare daccapo e proporre qualcosa che, anche se la conosco
da cinque
minuti scarsi, sono certa sia qualcosa
tipicamente
suo.
“Hai da fare, oggi?
Perché
il mio coinquilino ha invitato un paio di amici a casa
nostra senza avvisarmi – motivo per cui scappavo
da lui, nel caso
te lo fossi chiesto – ma adesso ci sto ripensando…
quindi, se non hai piani
potresti stare da noi! Prometto di non fare allusioni a Black che…” gesticola
furiosamente, e alza un
sopracciglio per enfatizzare il concetto silenzioso. “Ti
va?”
***
Se questa mattina, mentre
facevo la spesa per il mio primo ringraziamento da sola, mi avessero
detto che
avrei conosciuto una tipa decisamente fuori di testa abitante nel mio
stesso
palazzo e che avrei condiviso l’intera giornata con lei, non
avrei creduto ad
una sola parola. E bisogna anche partire dal presupposto che io non sia
una
tipa scontrosa o antipatica, sappiatelo: semplicemente, mi definisco
diffidente. E ordinaria. Schifosamente nella norma.
Nonostante la prima,
stramba impressione che abbia avuto di Dorcas, si può dire
che è molto più
tranquilla e spontanea di quanto
sembri; il suo appartamento ha un je ne
sais quoi che non mi fa storcere il naso ed, anzi, parla di
semplicità e
gentilezza. E’ una sensazione familiare e al contempo
sconosciuta, non so
spiegarlo. E’ come se un’aura di giusto
aleggiasse qui dentro, assieme alla confortante consapevolezza di non
poter
essere mai soli o in errore.
“Dork,
dov’eri finita?”
La bionda chiude la porta
alle sue spalle e sbuffa, “Non ti riguarda—e non
chiamarmi Dork, quante volte
te l’ho ripetuto?”
“Senti, Frank
è appena
uscito per comprare del vino non scadente e sarà qui fra
poco: non potresti
fingere solo per oggi che vada
tutto
bene? Oh” il ragazzo
bruno smette
improvvisamente di parlare con la sua coinquilina, credo, e rivolge la
sua
totale attenzione a me. “Fammi capire” –
ritorna su Dorcas – “Io
non posso invitare i miei amici
mentre tu sì? Non avevamo
condiviso
l’essere totalmente sinceri ed eguali quando abbiamo deciso
di pagare metà
affitto a testa?”
Mentre la ragazza al mio
fianco si passa una mano fra i capelli e fugge via dalla vista del suo
coinquilino, mi prendo qualche istante per osservare suddetto
coinquilino. La sua carnagione a metà fra il
chiaro e
l’olivastra si intona perfettamente con gli occhi e i capelli
mossi e scuri,
che tendono a dargli un aspetto tendenzialmente amichevole e
affascinante, come
se il suo accento del sud non bastasse a dare questa idea.
“Stammi a
sentire” –
inizia Dorcas tornando svelta di fronte a lui, ma non superandolo
nemmeno di
una spanna, data la sua altezza – “Lei è
la mia offerta di pace: vada per
Frank, Alice e persino quel viscido di Amos Diggory, ma punto numero
uno:
dev’esserci anche Lily perché, punto numero due,
è nuova, Black l’ha
abbandonata qui e l’ho salvata dallo spendere un
ringraziamento miserabile, quindi,
punto numero tre…” prende un respiro profondo,
sorridendo appena e facendomi
stupire delle potenzialità di questa ragazza “Non
roviniamo la mia festa
preferita. Pace?”
Il coinquilino—
davvero,
ha un’espressione normalissima
sul
volto, il che deve farmi comprendere una sola cosa, ossia che conosce
Dorcas da
davvero molto tempo, perché io non riuscirei a starle dietro
per nessuna
ragione al mondo—scoppia a ridere prima di stringere il suo
mignolo e sigillare
un accordo di pace.
Tuttavia, questo non
può
che farmi sentire… bene.
“Quando mi hai detto
che
Benjy avrebbe cucinato, non pensavo a questo, parlando di
tacchino” – esordisce Frank sedendosi sul
divano, esattamente fra
Amos e la sua fidanzata, rivolgendosi proprio a quest’ultima
– “ma posso
perdonarti solo perché
hai comprato
la mia birra preferita…”
Si sporge a darle un bacio
sulla guancia ma lei lo scansa divertita: non ha trovato alcun vino,
per cui ci
siamo accontentati di un semplice panino con fette di tacchino comprato
dal supermarket
in fondo alla strada e una birra fredda sorseggiata con calma su questi
divani
in pelle, ormai consunti, pronti a guardare il football come da
tradizione.
“E’
proprio un cafone,
Alice, non so come tu faccia a baciarlo—e a starci insieme,
ovvio”
La bionda dal taglio corto
e quasi androgino ridacchia e getta la testa all’indietro,
prima di parlare:
“Ci sto insieme per altre sue qualità, ovvio”
Quando Benjy –il
coinquilino, comunque- inizia a tossire e il fidanzato arrossisce, lei
si
affretta a specificare, diventando rossa in volto e facendo scoppiare a
ridere
me e Dorcas: “No, intendo—dai,
su—la
gentilezza, il romanticismo…”
“Sì,”
replica Dorcas
divertita, prima di mordere il suo panino “la grandezza del suo cuore”
“E non dimentichiamo
il
voler farti—come dire, farti
star
bene?”
Lei e Amos si beccano un
cuscino in testa. E, davvero, mi sto divertendo.
C’è Alice che è riservata ma
è
dolce e un sacco di altri aggettivi che non riuscirebbero a dare
un’idea di
lei. E’ simpatica, sì, ma anche bella e curiosa,
proprio come il fantomatico
uomo con cui Dorcas vive, e che la conosce da un paio
d’anni—stessa cosa per
Frank, esuberante, allegro ma con un sacco di difetti… e
potrei continuare
all’infinito, descrivendoli tutti pur conoscendoli da un paio
di ore, perché mi
stanno ospitando, facendomi dimenticare dei miei problemi e questo
è un
grandissimo dono, per me, ora come ora.
“Perché
hai colpito anche
me, scusa? Io non ho esplicitamente detto nulla!”
“Dork-Ass”
la riprende
Benjy, lievemente brillo, “puoi anche non trovare ogni scusa
per avercela con
Amos”
“Beh, grazie tante
amico, ma
falla parlare”
Alice sposta lo sguardo su
di me, deglutendo la sua bevanda e alzando le spalle: “Potrebbero essere andati a letto insieme
e il mattino seguente Amos
potrebbe essersene andato senza
lasciare traccia di lui”
“Ed io
potrei essere incazzata”
“Come vu—potresti volere, Dorkie”
Sbotta, “Non
chiamatemi
così!”
Frank abbassa il volume
del televisore e sgranocchia una patatina: “Quindi
Lily… come conosci Black?”
Mi rendo conto pochi
attimi dopo che tutta l’attenzione del soggiorno è
rivolta su di me, il che mi
fa soltanto imbarazzare; mi passo una mano fra i capelli, cercando le
giuste
parole.
“Oh santo cielo, ti
è
successo lo stesso di Dork-Ass?”
“Cosa vi ho detto
riguardo
quel nome?”
“Lasciatela parlare,
per
l’amor del cielo!”
Rido sommessamente e mi
porto la bocca della bottiglia alle labbra, saggiandone un
po’. “Nulla di tutto
questo – lo dico e prestano tutti attenzione a me, adesso
– lo conosco da una
vita ed è il mio migliore amico…
nonché la mia unica famiglia”
“Sembra
fantastico” – fa
Dorcas con una traccia di… ironia?, scherno? nella sua voce
– “e per questo
direi di brindare: a noi, un po’
disastrati…”
“…che non
sappiamo
cucinare” aggiunge Frank, rimbeccando Benjy. “Con
un futuro incerto davanti a
noi” continua Alice, dando la parola ad Amos: “Che
abbiamo Black come amico”
Benjy ed io alziamo la
nostra bottiglia di birra in segno solenne, prima di bervi, daccapo e
continuare la nostra serata all’insegna del Ringraziamento,
pur senza un pranzo
degno di questo nome e familiari indispensabili.
A: +44 7094652
Non puoi andare avanti
così
Da: +44 7094652
Lo so
*il
ringraziamento cade il quarto giovedì di novembre negli
states
Bonjouuur!
Mi
scuso in anticipo per il ritardo nel postare e per la lunghezza di
questo capitolo, è prettamente introduttorio e per questo
allungarlo sarebbe stato inopportuno, a mio parere! Stiamo entrando
nella storia e mi spiace dire che per poco poco, ancora, non avremo
fisicamente presenti né Sirius, né tantomeno
James! In cambio, però, ci sono nuovi personaggi, aka gli
amici/coinquilini (anche se è errato definirli
così) di Lily!
Il titolo del capitolo è preso da più episodi di
How I met your mother, e lo schiaffo è morale e lo riceve
Lily, in quanto credeva, come si è capito, che avrebbe
trascorso il ringraziamento con il suo amico (ho avuto una mezza idea
di farlo spuntare alla fine, stile principe azzurro nelle commedie
cliché, ma il mio cervello e Sirius stesso hanno riso per
dieci minuti perchè, ovviamente, che cosa mi viene in mente?
tzé)
più
storylines si sviluppano in questo capitolo, e sono curiosa di sapere
quali pensate che siano :)) (questa deve essere una faccina meno
gentile e più curiosa, ecco)
Spero
che comunque vi piaccia e se è così, vi prego di
farmelo sapere:
come sapete (se avete letto le note autore precedenti) ho un sacco di
dubbi su questa storia, in più il mio tempo scarseggia per
la fine
della scuola e se ne trovo un po' lo dedico alla scrittura, quindi
anche a questa storia, anche se meno di quanto io stessa vorrei! Credo
che chi scrive lo sappia, ma anche se così non fosse
sappiate che un
silenzio vale più di mille parole, ed un paranoica come me
inizia a
farsi i complessi mentali ahahahah
vi
lascio con delle gif dei vari personaggi, così che avrete
un'idea di come io li immagino!
a
presto, spero, un bacio!
fede
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Sirius doesn’t live here anymore ***
So
you can keep me
Inside the pocket
Of your ripped jeans
Holdin' me closer
'Til our eyes meet
You won't ever be alone
Wait for me to come home
Photograph,
Ed
Sheeran
3.
Sirius
doesn’t live here anymore
In Mangia,
prega, ama la protagonista vive
una situazione di completo disagio prima di intraprendere quello che
sarà il
suo viaggio strabiliante alla ricerca di sé stessa: vorrei
poter fare qualcosa
del genere anche io, tuttavia mi rendo conto che la mia, di situazione,
è più
tragica che altro—almeno psicologicamente parlando.
E’ proprio per questo che
Sirius mi manda emails da più settimane con annunci di
lavoro, è per questo che
Dorcas tende a sorvolare sull’argomento da un po’
di tempo a questa parte (ci
conosciamo esattamente da otto giorni e lo stesso arco di tempo
è privo di una
conversazione riguardante gli impieghi)… Sirius è
in piena sessione di studi, non
lo vedo da un pezzo e, nonostante la sua assenza, mi rendo sempre
più conto che
vivere con la mancanza di una figura come la sua potrebbe ancor meglio
aiutarmi
a sopravvivere in questa giungla.
“Ehi,
rossa”
Il fatto che
Dorcas si presenti nei momenti più assurdi del giorno non mi
stupisce più: lo
dimostra questa mattina, ore 7.43 di un venerdì qualunque,
colazione alla mano
e sguardo non impressionato (nonché non impressionabile) di
fronte alla mia
condizione mattutina; la osservo tutta pimpante mentre va in cucina e
mi
riempie un bicchiere di latte freddo, per poi farsi spazio sul divano
accanto a
me, un groviglio di coperte ad avvolgermi e lasciarmi pochi centimetri
per
respirare.
Buon
giorno, New York! si
dilunga
in notizie più o meno inutili, al che il mio sguardo da
ragazza decisamente
non-mattutina trova più interessante focalizzarsi sul
cornetto al cioccolato
nella busta celeste con la frutta sorridente che la 3B mi porge
allegra—non che
sia un grinch delle mattine e trovi assolutamente strano ed impensabile
che un
essere umano possa mai essere pronto per il sorgere di un nuovo giorno,
ma il modo con cui Dorcas
è pronta e
sveglia e in azione mi manda fuori di testa. Santo cielo.
“Amos ieri sera
ha chiamato” prorompe qualche attimo dopo, mentre la mia
bocca è totalmente
piena di cioccolato, “Non me lo aspettavo”
Continua a
parlare, ed ha capito che non riuscirò a risponderle pur
volendo: “Non è un
appuntamento, capito? E’
un
caffè
fra… quasi amici. Ho accettato. E per dimostrare come non ci
sia nessun secondo
fine a questo incontro, mi ha proposto di invitare anche
Benjy”
Annuisco lenta,
mentre un lampo di insicurezza fa capolino nei suoi occhi chiari.
Palpabile
come la sicurezza che rimarrò chiusa fra queste mura sino a
che qualcuno non mi
trascinerà con forza oltre la porta, mi rendo conto che
questa sua incertezza
nell’agire è qualcosa che tenta di soffocare il
più delle volte e questo un
tentativo di riuscita andato a male.
E’ ferita, ma
soprattutto, per la prima volta, sono convinta di intravedere un lato
di Dorcas
che non immaginavo avrei mai visto—o comunque così
presto, perché stiamo
ponendo le fondamenta per un legame e mi sembra di essere caduta
dall’impalcatura: daccapo, non credevo che questa Dorcas
colpita da un
qualsiasi ventenne di nome Amos potesse esistere.
Deglutisco
rendendomi conto di quanto il cioccolato sia benefico alla mia
esistenza,
“Benjy cosa dice?” domando in poco più
di un sussurro.
Alza le spalle
scrollando i capelli sulle scapole, “Non gliel’ho
detto”
“Potrebbe
rifiutare?” indago fermando lo sguardo sul volto della bionda
non-più-iperattiva. Ride,
al che mi
sembra più ansiosa di quanto creduto e mi pervade una strana
voglia di prendere
a schiaffi un perfetto sconosciuto solo per averla resa
così… non sono nelle
condizioni giuste per prendere una posizione, perché faccio
parte della vita di
queste persone da meno di due settimane, ma lo spirito di coraggio
mirato ad
annientare i nemici e combattere le ingiustizie sembra avere la meglio
su di
me, dimostrando come Amos, seppure sono certa sia un bravo ragazzo, sia
il
cattivo della situazione.
“Ben accetta. Eccome se accetta. Sarebbe in grado di
renderla l’uscita migliore del decennio o quella peggiore del
secolo” inclina
il capo e fa vagare lo sguardo sul volto della conduttrice di Buon giorno, New York!
“Non è solo lui che mi
preoccupa. E’
tutto il resto”
“Amos”
“Cosa?”
“Tieni a lui? C’è una
parte di te che nonostante tutto è ancora
legata a lui?” sembra rifletterci un attimo “Ne
varrebbe la pena?”
Assottiglio gli
occhi ed è lampante la sua risposta. La conduttrice di Buon giorno, New York! forza una risata
ed io ho la vaga
impressione che sia ora di cercarmi un lavoro.
“Posso procurarti
un colloquio con il mio capo, se desideri” – la
voce di Alice è squillante e
riesco a percepirla comunque anche se sono nella mia stanza e lei in
soggiorno
a ripulire il pianoforte – “Certo, il non avere un
degree non è incoraggiante,
ma potresti essere un’assistente… una
segretaria”
Afferro uno
scatolone dalla mia camera da letto e lo porto in soggiorno,
poggiandolo sul
piccolo tavolo basso posto fra il divano e le tre poltrone circostanti.
“Ti ringrazio,
ma—”
“Scusami, devo
rispondere” soffia imbarazzata, nella mano un cellulare
squillante. Annuisco
sorridente e lei ricambia, prima di poggiarlo sull’orecchio e
voltarsi,
passando una mano fra i capelli.
“Ehi…”
si
schiarisce la gola “Cosa? Dove
sei?”
Mi volto a
guardarla, anche se è di spalle, perchè ad un
tratto la sua voce si è incrinata
e tinta di una sfumatura più preoccupata che non mi piace
affatto… “No, io
non—arrivo subito”
Chiude la
telefonata, mi sveglio e fingo di guardare da tutt’altra
parte. Ma—beccata. Sei un
genio, Lily.
“Qual è
il mezzo
più veloce per arrivare al san Mungo?”
In questo momento
mi sento Sirius e la cosa non dovrebbe farmi sentire così
bene, dovrebbe
terrorizzarmi, e per questo mi odio per aver immaginato il mio migliore
amico
sorridente nella mia testa. Soprattutto
in questo evidente caso di emergenza. “Prendo le chiavi
dell’auto”
La 144esima Est
non è la strada più difficile da raggiungere, in
una qualsiasi giornata di
autunno a New York: tenendo conto che alla guida ci sono io,
però, e che il
periodo delle festività natalizie è davvero
vicino, non c’è da stupirsi se un
semplice tragitto di un quarto d’ora sia lievitato
leggermente; non importa
quanto mi sia scusata con Alice, lei mi ha rivolto un mezzo sorriso e
un grazie sincero, al che ho deciso
di
prenderle un caffè—davvero, è il minimo
che possa farle. So che è al quarto
piano, e so che c’è stato un incidente in cui non
è coinvolto Frank –grazie al
cielo- ma questo non è sufficiente perché possa
rimanere tranquilla.
Con poche falcate
riesco a raggiungere il distributore e poggio una mano sulla vetrata,
spingendo
con l’altra i tasti per ottenere un caffè
macchiato senza zucchero.
(Non commenterò
il fatto che c’è qualcuno a cui piaccia questa
bevanda senza zucchero: avevo
provato a contestare Dorcas l’altro giorno ma il suo sguardo
illuminato da una
non voglia di ribattere mi aveva
accecata, per cui sono stata zitta… Proprio come oggi,
durante la mattinata,
quando avevo offerto un caffè Alice e lo farò
anche adesso. Da notare l’ironia
secondo cui ogni persona con cui ho a che fare da quando mi sono
trasferita a
New York preferisca il senza zucchero al mio semplice cucchiaino e
mezzo)
È un bip
e afferro il bicchiere, iniziando a
far girare il cucchiaino in plastica mentre raggiungo con lentezza la
mia amica…
i corridoi sono pressoché deserti e questo favorisce la
conversazione con un
tono di voce mediamente alto fra Alice e non so chi sia fuori con lei,
in
attesa.
“James?”
“Dov’è?”
Sono ad una
distanza improponibile da lei, nel senso che se volessi potrei
raggiungerla in
un batter d’occhio e porgerle il caffè, ma non lo
faccio e la mia non azione si
spiega perché la voce calda e rabbiosa dello sconosciuto
basta a mettermi in
guardia e identificare la futura conversazione come privata, nonostante
io sia
qui e stia chiaramente ascoltando.
“Sta facendo dei
controlli, o almeno Peter mi ha detto questo… sono arrivata
quando mi ha
chiamato, lui era preoccupato e sono corsa—”
“E Peter?
–
domanda nervosamente – lui
dov’è?”
“E’ con
lui –
spiega Alice con pacatezza – si da il caso che fosse
l’ultimo ad averlo
chiamato e i dottori l’hanno contattato una volta arrivati al
cellulare di
Remus… va tutto bene, James”
Non so chi
diamine siano Remus, Peter o James ma la loro preoccupazione
–che in un attimo
è diventata anche mia per via di Alice- mi fa nascere un
blocco, un ostacolo
alla bocca dello stomaco, come un qualcosa difficile da deglutire
perché se c’è
qualcosa che ho capito in questi minuti in cui sono qui è
che il legame che
stringe queste persone è forte, indistruttibile…
mi fa rabbia pensare che a
pochi passi da me c’è tutto quello che
vorrei—un’amicizia strepitosa, un farei
di tutto purchè tu stia bene e mi
do della stupida per aver diretto la mia mente verso Sirius: non
è che ce l’abbia
con lui –sarei infantile a farlo- ma l’unica cosa
vagamente paragonabile al
nervosismo del ragazzo con cui Alice discuteva è il mio,
quando Sirius a sette anni
si sbucciò un ginocchio sporcando il vialetto della sua
abitazione di troppo
sangue… è lo stesso di quando a sedici anni
provai a guidare, che lui annientò
con due stupide parole di conforto… lo stesso della sera del
Prom, dei
pomeriggi in biblioteca nella speranza di scrivere una lettera di
raccomandazione per il college, lo stesso dopo le discussioni con
mamma, papà e
Petunia che si è ripresentato al matrimonio di
quest’ultima.
Ma Sirius non
c’è
e la colpa, a dirla tutta, sarebbe solo la mia. Non voglio piangerci
sopra e
urlare facendo i capricci, solo perché il mio migliore amico
non c’è in questo momento di
difficoltà. L’avevamo
previsto, no? Ne avevamo parlato e avevamo addirittura archiviato la
discussione.
“Non riesco a non
far nulla” dice quella stessa voce calda e nervosa, al che io
mi sveglio dalla
posizione di guardia e riprendo ad ascoltare con attenzione
“Vuoi qualcosa da
bere?”
Un paio di passi
rapidi si avvicinano nella mia direzione ed io mi siedo rapidamente
sulla prima
panca vuota che incontro, in quei cinque secondi scarsi di vantaggio
che ho su
di lui—non mi volto nemmeno una volta verso la figura che
cammina sulla mia
sinistra, fingendo di essere in uno stato di trance totale dovuta al
mio caro
nella stanza posta di fronte a me, ovviamente vuota…
Riprendo fiato
rendendomi conto di averlo trattenuto fino ad allora quando porgo la
bevanda
ancora calda ad Alice, che mi ringrazia daccapo, mi sorride e inclina
il capo
timidamente, un gesto che sembra dire ‘non
dovevi’.
Lascio andare la
testa all’indietro fino a che non sfiora il muro.
***
Ho le gambe
incrociate sul divano rosso di Ben e Dorcas quando la voce squillante
di quest’ultima
mi richiama dal mio osserviamo i ritagli
di giornale nella speranza di trovare un lavoro: non so
quanto la mia
espressione sia divertente (tenendo conto dei capelli spettinati e
della penna
che li tiene stretti in una crocchia che ha miserabilmente fallito) ma
il suo
sorriso si illumina maggiormente quando mi guarda e si siede al mio
fianco.
“Ben è
uscito a
prendere il cinese, non può sentirci” –
prorompe incrociando anche lei le gambe
atletiche, un attimo prima di passarsi una ciocca bionda dietro
l’orecchio – “Ne
abbiamo parlato, ha detto di sì e anche che se tutto questo
è importante e può
funzionare, allora attiverà i suoi superpoteri e la
renderà la migliore uscita
del secolo”
Il suo è un
rapidissimo flusso di parole, fatto sta che nel frattempo sembra
divertita e
terrorizzata e io riesco a comprendere ogni singola parola pronunciata.
Osservo
con attenzione come le sue sopracciglia di corrughino quando sta
dicendo
qualcosa di importante o complicato e le fossette agli occhi quando li
socchiude o ride… è questo l’effetto di
avere una persona importante al proprio
fianco, quindi? Capace di manovrare la tua espressione ed i tuoi
sentimenti con
un semplice sì, no, capisco?
La
guardo ancora e giungo alla conclusione che sono felice che abbia
qualcuno come
Benjy nella sua vita. Ognuno merita quel tipo di persona per
sé.
“E’
grandioso,
Dorcas” mormoro
davvero contenta per
lei, al che il suo sorriso diviene più ampio e allegro.
“Ho parlato anche
con Amos, dovremmo vederci domani, forse a colazione, forse a
pranzo… puoi
darmi un consiglio su cosa indossare prima che tu cada nel tuo
inarrestabile
stato di sonno?”
“Ehi!”
“Niente cornetto
al cioccolato se mi contesti!”
bonsoirrrr!
grazie a tutti coloro che si ricorderanno di me e della storia: non ho
aggiornato prima causa scuola, problemi vari e fine di
himym (nonostante mi fossi spoilerata, ho pianto da morire)...
mi scuso e spero che questo capitolo vi piaccia! non è molto
lungo, perchè non siamo ancora entrati nella vicenda, ma
pian piano arriviamo a parlare di Dorcas/Amos, Dorcas e l'amicizia con
Benjy, Alice, Alice ed i suoi amici (see what I've done there? ehehe)
Lily/Sirius, Lily/Dorcas, Lily/tutti quelli che respirano... che ne
pensate? inizialmente non era così che i personaggi di james
o remus o peter dovevano essere presentati barra abbozzati, ma mi sono
resa conto che avrei dovuto scrivere di loro (più o meno)
verso il capitolo cinque... meglio prima che mai, no? in più
ho cambiato un po' la trama nella mia testa, e questo in ospedale
è un momento importante, perciò!
lily sta pian piano dicendo addio alla sua dipendenza da Sirius:
accetta di buon grado la sua assenza ad inizio capitolo, pensando che
possa aiutarla mentre a metà/fine capitolo ritorna sui suoi
passi di disperazione barra triste realizzazione... spero sia ben resa
l'importanza della loro amicizia, anche perchè iniziamo a
vedere scorci di quest'ultima grazie alle parole di lily (il ginocchio
sbucciato, il prom, l'auto etc) che porteranno pian piano a capire
meglio il prologo/primo capitolo, ossia la lite con i genitori e
petunia ed il suo conseguente trasferimento a NY! qualcuno di voi ha
già idee? :)
non ho ancora trovato il prestavolto ideale di amos, per questo vi
lascio con Dorcas, una delle persone più vicine a Lily!
grazie a tutti coloro che mi
hanno lasciato meravigliose parole nelle recensioni, spero di
ritrovarvi anche qui e di essere all'altezza delle vostre aspettative!
in più invito i lettori silenziosi a dare un parere anche
brevissimo, perchè è qualcosa di nuovo un AU
senza magia e sono sempre molto curiosa di sapere cosa ne pensiate,
come stia procedendo etc :)
un bacio e a presto,
fede
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** How to lose unemployment in ten days ***
Survival of the
richest,
the city’s ours until the fall
They’re Monaco and Hamptons
bound
But we don’t feel like
outsiders at all
We are the new American
High on legal marijuana
Raised on Biggie and
Nirvana
We are the new Americana
New
Americana, Halsey
4.
How to lose unemployment in ten days
“Cosa
ne pensi
di questa?”
A
Dorcas
brillano gli occhi mentre stringe fra le mani una sciarpa blu in un
tessuto
che, a prima vista, appare morbidissimo e sembra fatto apposta per
avvolgere il
collo.
Mi
avvicino di
qualche passo e l’affianco, entrambe che fissiamo un pezzo di
stoffa che
costerà più di trenta dollari, dando
un’occhiata all’interno della boutique in
cui siamo entrate.
E’
il periodo
che più amo durante l’anno ma ovviamente da
settembre la mia vita è un
districato insieme di fili e nodi che ha offuscato il mio passato:
eccomi
allora, costretta a spendere ore in giro per New York alla ricerca di
un regalo
per una persona che ho visto sì e no un paio di volte,
chiaramente più
importante per Dorcas; lei e Amos sono usciti un’altra volta,
da soli, dalla
fantomatica uscita a tre con Benjamin che, da quanto mi stava
raccontando fino
a cinque minuti fa, è stata piuttosto imbarazzante. E
adorabile. Non ho ancora
compreso come questi due aggettivi riescano a qualificare
un’uscita mattutina
– io dormivo. Chiaramente
dormivo – ma lei ne è soddisfatta e non posso far
altro che annuire e darle
ragione.
“Beh,
è
splendida” – e come darle torto? Potrei utilizzare
questa sottiletta di stoffa
come cuscino e dormire per tre giorni di seguito –
“Ma come regalo di Natale
per Amos? Non saprei”
Rotea
gli occhi
al cielo, facendo scrollare i lunghi capelli biondi che hanno la forma
di onde
morbide e il fastidio che le mie parole le hanno provocato basta a
farmi
sorridere spontaneamente, gli occhi puntati sul volto chiaro della mia
amica
con le guance rosee per la frustrazione.
“Non
capisco
perché tu ce l’abbia con lui” ribatte
con un tono di voce aspro, per poi
rimettersi a osservare le sciarpe “E comunque
no—non sarebbe per Amos. Per
Benjy”
“Oh”
“E’
il mio
migliore amico da quando eravamo entrambi nel pannolino: posso spendere
venticinque dollari e novantanove per lui, no? E poi”
– stringe i denti,
fintamente arrabbiata – “Se mi avessi ascoltata,
avresti capito che io e Amos
siamo in una relazione… semplice. Siamo quasi
amici”
Infilo
le mani
nelle tasche del giaccone, facendo qualche passo indietro per dare
un’occhiata
più ampia al negozio ma mantenendomi ad una distanza decente
da Dorcas perché
possa parlare con un tono di voce basso e lei possa sentirmi.
Brooklyn
nel
periodo natalizio sembra essere un’enorme palla per addobbare
gli abeti:
incolpo senza problemi il suo essere piena di palazzi costituiti da
un’infinità
di mattoncini rossi e l’energia sprizzante che i suoi
abitanti emanano, ossia
il giusto equilibro fra il colore dell’addobbo ed il motivo
particolare
stampato su di esso.
Inoltre,
sembra
avere la strana capacità di dare vitalità ad ogni
suo negozio e ai quartieri
circostanti, quindi non mi stupisco più di tanto se persino
nel Bronx, negli
Hamptons, a Soho, TriBeCa e Manhattan si condivida
quest’atmosfera splendida.
“Quindi
niente
sciarpa fantastica per Amos, d’accordo”
“Oh,
Cristo,
Lily” esclama su di giri “Adesso capisco
perché–”
Ma
si blocca
improvvisamente e così facendo cattura tutta la mia
attenzione in un battito di
ciglia. “Adesso capisci
perché cosa?”
Rimango
a
osservarla per il tempo necessario a capire che non
replicherà e non riuscirò a
cavarle quelle parole di bocca.
Muove
la testa e
poggia l’intero palmo della mano sulla sciarpa, come per
tastarne la
morbidezza. “Nulla, lascia stare”
Esattamente.
Nonostante
siamo
nel pieno di Dicembre, un pallido sole ha deciso di mostrarsi chiaro
nel cielo
e rendere questa giornata tipicamente pre-invernale più
calda del previsto,
rendendo impossibile uscire di casa ricoperti da cappelli e guanti.
È un po’
strano abituarsi così presto ad un nuovo ambiente: nemmeno
per un attimo – che
non fosse più lungo di un paio di minuti,
s’intende – ho pensato a riferirmi al
Natale come un’usanza degli Evans, nella casa degli Evans,
nella città
residenziale degli Evans, a Castlebury, Connecticut.
Ho
pensato a
come addobbare la casa, a come posizionare l’albero di
Natale, a fare la spesa
per la vigilia e a come trascorrere il capodanno in compagnia. Ho
dedicato un
po’ del mio tempo a confrontare i miei piani con quelli di
Sirius (“Sto pensando di rimanere
qualche giorno in
più per gli ultimi test, ma a Natale sono da te”)
ma mai, nemmeno per
un’ora, ho avuto nostalgia di casa. Il che mi rende una
stronza colossale, come
direbbe Dorcas, o una ragazza maturata che ha ufficialmente superato lo
svezzamento con la propria inutile famiglia, usando il lessico di
Sirius.
Qualsiasi
delle
opzioni sia, sono contemporaneamente sollevata dal fatto di aver scelto
la via
giusta e terrorizzata perché potrei non essermi resa conto
dell’errore
commesso.
“Ti
dicevo,
quindi, che ci siamo visti per pranzo e programmiamo un’altra
uscita allo
stesso orario la settimana prossima, dal momento che le nostre pause
pranzo
lavorative coincidono e i nostri posti di lavoro sono abbastanza
vicini”
Il
cambiamento
repentino del discorso mi abbatte un po’, ma ora come ora non
mi va di litigare
o di intavolare una lunga discussione che non vedrà
sicuramente fine…
Annuisco
ancora
poco convinta, ma non dico nulla quando la seguo al ricevitore di cassa
per
comprare la sciarpa blu che donerebbe, effettivamente, a Benjy.
Proferisco
parola qualche attimo dopo, però, quando ci incamminiamo fra
le avenue gremite
di gente che come noi, ha deciso di trascorrere una piacevole
mattinata a fare spese. Nel mentre noto con piacere che
il sole si è nascosto dietro alcune nuvole. Ah,
l’inverno.
“E
Amos?”
“Amos
cosa,
esattamente?”
Scrollo
le
spalle e mi lascio distrarre da una vetrina con capi vintage che
catturano il
mio sguardo per due minuti scarsi: “Come lo…
vedi?”
Dorcas
mi si
affianca e poi sospira rumorosamente, dando un’occhiata alla
busta e mordendosi
il labbro inferiore con i denti.
“Non
vorrei
sperarci troppo” – inizia sorridendo –
“Ma interessato? Genuinamente? Ha uno
sguardo attento e sembra prestare attenzione a ogni cosa che dico,
anche
stupida perché ci sono momenti in cui riesce a farmi dire
cose stupide… non che
io lo faccia, di solito”
“Certo
che no”,
rido.
Si
passa una
ciocca di capelli dietro l’orecchio ed è in quel
preciso momento che colgo la
sua felicità. Voglio dire, Amos potrebbe essere davvero
buono per lei. Te ne
rendi conto, guardandola. Vedendo come sia speranzosa, incredibilmente
attenta
al suo comportamento, rischiando di diventare paranoica e, se conosco
Dorcas
Meadowes da almeno un po’ di tempo a questa parte, so che
è tutto fuorché
paranoica.
“O
mio dio”
esclama a un tratto, sgranando gli occhi. “Inizia a piovere,
Lily!”
“Piove, Lils!” Non faccio
neanche in
tempo ad alzare lo sguardo verso il cielo che una goccia mi coglie alla
sprovvista, finendo su di una palpebra.
A Castlebury non sono mai avvenuti con
tanta frequenza i cambiamenti climatici improvvisi e quello
è sempre stato un
dettaglio che ho costantemente odiato della mia città: la
sua tendenza a
rimanere inalterata nel tempo, come se nulla potesse variare nonostante
il
passare dell’età. È per anche questa
ragione che la detesto fermamente: è come
se avesse spinto ogni suo cittadino a conservare con ovvietà
– nemmeno con
cura, per proprio volere
– tradizioni antiche che chiaramente
non possono e non riescono a funzionare oggi giorno.
Afferro Sirius per un braccio e lo
trascino via con me, sotto la grondaia di casa Evans, trattenendo a
stento un
insulto. Allora lui scoppia a ridere, liberandosi dalla mia stretta
gentile e
togliendosi delle gocce sulla fronte passando la mano su di essa.
“Che irriverente” ride ancora
ed io
sposto lo sguardo dal giardino adiacente la mia casa a lui in un batter
d’occhio, “Faresti meglio a non farti sentire da
nessuno o potrebbero davvero
dire che ho una cattiva influenza su di te”
Corrugo le sopracciglia, mentre questi secondi
vengono riempiti dal rumore via via più insistente della
pioggia. “Ma tu hai una
cattiva influenza su di me”
È il primo fine settimana dopo il mio
sedicesimo compleanno e Sirius sta rispettando il patto che abbiamo
stretto a
quattordici anni, vale a dire l’età in cui ci
siamo conosciuti: fino al suo
compleanno, ossia il giorno in cui eravamo a tutti gli effetti
coetanei, lui
avrebbe dovuto esaudire un mio desiderio per ogni settimana…
un modo più
gentile per dire che anche le ragazze sanno farsi valere, che anche
loro
possono essere dei capi… un fanculo
sussurrato alle convenzioni sociali nocive
della nostra città. Credo che Sirius mi abbia sempre
venerato come una sorta di
sorella minore – maggiore, in realtà- ideale, e
non abbia mai contestato questo
stupido gioco perché… beh, mi vuole bene. Affetto
fraterno e tutto. Non che io
lo costringa a servirmi da mangiare o farmi da schiavo, quindi non
è che gli
dispiaccia più di tanto.
Anzi, credo che la maggior parte delle
volte si diverta.
Sirius smette di ridacchiare e poggia un
gomito sulla mia spalla, data la sua altezza che sovrasta la mia di
quasi
quindici centimetri. “Non possiamo più uscire,
dannazione”
“Intendevi dire scappare, vero?”
Notando che lui non dice nulla, mi giro
nella sua direzione e lo osservo sino a che il suo sguardo non incrocia
il mio:
“Sai che possiamo stare a casa, no? Non devi per forza
tornartene in quella
villa modestissima dove dimori”
L’accenno di sorriso che rompe la linea
severa delle sue labbra mi rassicura: so che, per quanto ci scherziamo
sopra,
non è esattamente la più felice delle emozioni
sentirsi il responsabile del
repentino cambiamento di una pacata ragazzina come me, ma deve sapere
che i
miei genitori non lo odiano davvero ed è solo Petunia il
vero, grande problema.
“Black, sei del tutto bloccato con me,
adesso. Non puoi andar via”
I suoi occhi grigi mi scrutano con una
nota di divertimento e non posso fare a meno di sentirmi soddisfatta
perché è
tornato il Sirius di sempre. Ed io sono davvero affezionata al Sirius
di
sempre.
Sposta il gomito dalla posizione in cui
è
stato fino ad adesso, lasciando comunque riposare una mano sulla mia
spalla.
“Beh, Fiore, credo proprio che dovrai
aiutarmi a studiare Biologia”
Io
e Dorcas ci
siamo rifugiate in men che non si dica nel primo bar aperto, tenuto
conto che i
commessi dei negozi avevano iniziato a guardare ogni pseudo nuovo
cliente con
un sopracciglio alzato, per non parlare del modo con cui sbuffavano
all’acqua
nei loro locali.
“A
proposito di
regali” – esordisce poggiando la borsa sul bancone
del locale – “Non dovresti
farne qualcuno anche tu?”
“E’
il tuo modo
gentile per suggerirmi un regalo per te, Dork?”
“Lily…”
nel
richiamarmi non trattiene un sorriso ed io ricambio svelta.
“Intendo
dire,
sai” – alza le spalle e si toglie la giacca color
mostarda – “Sirius magari e,
non ne ho idea, la tua famiglia…”
“No”
incrocio le
gambe e distolgo lo sguardo da quello indagatore tipico della mia amica.
Il
posto dove
siamo finite non è affatto male: ad iniziare
dall’odore che percepisco, ossia
un misto fra i prodotti generalmente consumati all’interno di
un bar, più cose
dolci e alimenti tipici del Brunch. Il pavimento è un
meraviglioso parquet
color noce e il rivestimento sui muri è una carta da parati
particolare,
decorata con piccoli motivi che paiono più doodle che altro.
Per il resto,
tutto bianco, e dove non c’è il bianco
c’è una vetrata che da sull’esterno o un
quadro pieno di foto o cartine geografiche, mappe di città o
metropolitane.
Sulla mia destra, scorgo persino la mappa della Tube di Londra.
Il
mio no perentorio deve averla
turbata,
perché adesso mi osserva con le sopracciglia corrugate e le
labbra strette in
una smorfia, simile ad una linea dura e preoccupata.
“Mi
spiace”
sussurro, una mano già a spostare i capelli dietro
l’orecchio “Non mi va di
parlarne, adesso”
“L’adesso mi rincuora”
Non
faccio in
tempo a replicare che un ragazzo dal lato opposto al bancone cattura la
nostra
attenzione con un sorriso dolce e i capelli simili al mio stesso
colore, forse
di qualche sfumatura più chiari.
“Posso
portarvi
qualcosa, donzelle?”
“Un
caffè,
grazie”
Io
impiego
qualche attimo in più per rispondere, improvvisamente a
corto di parole. “Cosa
fate, esattamente? Perché vado matta per il salato, ma se
avete dei dolci…”
Il
ragazzo ride
e si asciuga le mani allo strofinaccio che fra le dita. “In
effetti siamo un
bar, una caffetteria ed una via di mezzo. Per i brunch e gli spuntini
pomeridiani, temo”
“Splendido.
Lascio scegliere alla casa, per questa volta”
Con
un altro
rapido sorrisetto, sparisce oltre la porta in vetro e non passa nemmeno
un
secondo che lo rivediamo… dall’altro lato del
locale?
“Dork,
non è
appena…?”
“Buon
pomeriggio
donzelle, posso portarvi qualcosa?”
La
mia amica si
muove sullo sgabello e poggia i gomiti sul banconi, ostentando
indifferenza. “Hai
già preso le nostre ordinazioni”
Lui
alza gli
occhi al cielo, quasi dello stesso colore della t-shirt nera che
indossa.
“Dannato Gideon, sempre a rubarmi i
clienti…”
Non
capiamo un
bel nulla fino a che compare, alla sua destra, la sua esatta copia. Oh cristo—
“Come,
prego?”
Sono
due. Sono
gemelli. Entrambi dietro il bancone: stessa espressione, stessi
capelli,
persino stessa maglia.
“Io
sono Gideon,
ho preso le vostre ordinazioni” sorride, mentre il ragazzo al
suo fianco
prosegue, “Fabian. Purtroppo suo gemello”
“Se
ci sono io
al bancone, perché prendere le loro ordinazioni? Il locale
è tutto pieno”
Quello
schiocca
la lingua sul palato: “Perdonami se per una volta volevo
avere io l’onore di
parlare con delle ragazze carine”
Se
non Dorcas,
almeno io mi rendo conto di arrossire.
“Siamo
solo noi
due, Prewett—finché non c’è
il terzo cameriere non puoi permetterti di farci
perdere clienti”
Fabian
Prewett
alza gli occhi al cielo. “Sempre il responsabile,
duh?”
Non
posso fare a
meno di prestare attenzione ad ogni singola parola che pronunciano. Ho
davvero
sentito bene?
Mi
schiarisco la
voce e mi sporgo in avanti, imitando gli stessi movimenti che Dorcas ha
compiuto poco fa. “Terzo cameriere, ho sentito
bene?” ripeto, questa volta a
voce alta e con più convinzione.
Adesso
come
minimo mi diranno che c’è ed è in
ritardo, tenendo conto della mia sfortuna…
“Sì,
al corrente
stiamo cerc—” aggrotta la fronte e sgrana di poco
gli occhi “tu
vorresti…? Sapresti lavorare?”
“Passa
alle
domande serie, Gideon: hai esperienza?”
“No”
rifletto
rapidamente, ma aggiungo subito “A meno che servire tua
sorella maggiore per
undici anni non valga come esperienza, pensandoci—ma sono
sveglia. Attenta”
Per
i successivi
due minuti e mezzo mi sento osservata e spogliata di ogni barriera
interposta
fra me ed i miei interlocutori. Entrambi assumono la stessa espressione
pensierosa, che si scoglie nell’attimo in cui alzano le
spalle e pronunciano: “Ti
offriamo una giornata di prova…”
“Lily”
“Lily. Durante il periodo natalizio
sarà
più che sufficiente. Domani mattina, qui, apertura alle ore
nove, va bene?”
“Sì,
ovviamente.
Non vi deluderò, davvero”
Gideon
– o era
Fabian? – accenna un sorriso che non fa che infondermi una
vaga e calorosa
speranza, che divampa nel petto e mi fa tornare ad amare questo momento
preciso
dell’anno.
Quando
mi volto
nella direzione di Dorcas, la trovo che sorride in un modo familiare e
quasi…
materno, ma distoglie subito lo sguardo e si passa una mano fra i
capelli.
Abbiamo appena cenato e ci siamo
rintanati nella mia camera al secondo piano, relativamente
più piccola rispetto
a quella di mia sorella, quando Sirius mi pone quella domanda:
“Credi nelle
vite parallele, Lily?”
Si trova sdraiato a pancia in su sul mio
letto, mentre io sono oltre il bordo della finestra, praticamente
seduta sul
tetto della nostra villetta, intenta ad osservare come il buio abbia
preso
pieno possesso di Castlebury.
Volto il mio collo nella sua direzione e
lo scorgo pensieroso con gli occhi aperti ad ammirare il soffitto della
mia
stanza. I capelli neri che dovrebbe davvero tagliare sono sul mio
piumone e le
sue mani riposano sicure sul suo busto.
Avvicino le gambe al petto e le cingo con
un braccio per poi replicare.
“No. Dovrei?”
Non dà alcun segno di avermi sentita e
lascio che una folata di vento mi investa e faccia rabbrividire.
“Non ti dà speranza pensare
che adesso,
in un altro mondo, siamo diversi ma liberi? Felici?”
“E’ un’illusione,
Sirius. È come credere
nella magia”
Si mette a sedere e i suoi occhi grigi mi
trafiggono, mi sorpassano facendomi sentire sciocca per la risposta che
ho
dato.
“E se tu avessi torto?”
Il venticello mi spettina i capelli e non
posso fare a meno di notare l’aura di speranza che gli
aleggia attorno, come se
lui dipendesse irrevocabilmente da quell’appiglio, come se
non potesse farne a
meno.
Al che, “Potrei” ribatto
abbassando
lievemente le sopracciglia. Lui allora scuote la testa ed i lunghi,
insopportabili capelli, riprendendosi e schioccando addirittura la
lingua sul
palato, come se fosse appena uscito da
un’assurdità.
Mi sposto di una decina di centimetri
sulla destra, lasciandogli abbastanza spazio per affiancarmi e nel giro
di
pochi minuti è al mio fianco che imita la mia stessa
posizione.
“Immagina” dice fra le risate,
“Che siamo
dei maghi e siamo invincibili”
Mi poggio contro il muro.
“Così la fai
sembrare una storia per bambini…” –
storco il naso – “Non siamo invincibili ma
proviamo ad esserlo. E magari c’è un cattivo che
ha la meglio su tutti. E
moriamo in battaglia”
“Lily Evans” sussurra
flebilmente al
vento che ci dà fastidio “Hai davvero una pessima
immaginazione”
Quando
usciamo
dal locale, noto con una punta di divertimento che non sono neanche a
conoscenza del nome del posto in cui probabilmente lavorerò.
Mentre
indossiamo le giacche, io e Dorcas, quasi in simultanea, ci voltiamo a
guardare
l’insegna e mormoriamo il nome come se fosse
un’incredibile sorpresa.
“Three
Breadsticks…”
“Chissà
perché non
mi stupisce”
Dorcas,
nel
muoversi, dà una sbirciata all’orologio e spalanca
gli occhi: “E’ quasi ora di
pranzo, dannazione! Avevo promesso a Benjamin che avremmo mangiato
assieme…
Succede poche volte al mese e io devo scordarmelo! Dannazione”
Si
riveste e
aggiusta gli indumenti che indossa con velocità, poi si
sporge su di me e mi
lascia un piccolo bacio sulla guancia. “Grazie per
l’aiuto, 6B!”
Scappa
dalla mia
visuale e io sospiro mentre mi gusto la momentanea sensazione di essere
sola ma
non davvero sola,
sono unicamente su una strada di fronte ad un locale più che
apprezzabile, con i capelli rossi in tutte le direzioni per via della
giacca
che li elettrizza.
Scappa
dalla mia
visuale e io sospiro mentre mi gusto la momentanea sensazione di essere
sola ma
non davvero sola, sono unicamente su una strada di fronte ad un locale
più che
apprezzabile, con i capelli rossi in tutte le direzioni per via della
giacca
che li elettrizza.
Prendo
la metro
per tornare a casa e mi godo un po’ di quella malinconia che
si cela sotto le
falcate veloci dei Newyorkesi, che corrono perennemente e si impelagano
in
traffico e problemi solo per non arrivare a fine mattinata o giornata
come me,
seduti da soli su un sedile usato e intenti a osservare la band di
turno nella
metropolitana o il bambino e la sua mamma nel vagone che hanno
conversazioni
che sfiorano l’assurdo.
Quello
che
differenzia me, però, dalla massa confusa di abitanti di
questa città, è che
una volta di fronte al mio palazzo nell’Upper West Side, io
prendo l’ascensore
e inserisco le chiavi nella toppa della porta, per poi gettare tutto
sul divano
e aspettare un qualsiasi cenno di vita dal cellulare, dalla tv o da
Dorcas –
che non ha ancora del tutto imparato a usare le scale normali e non
quelle
antincendio – perché oltre me non
c’è alcun essere vivente che esala un respiro
particolarmente più stanco dei precedenti. Non
c’è nessun gatto, nessun cane,
nessun intruso nella terrazzina che si raggiunge dalla finestra del
soggiorno e
non c’è nemmeno il pranzo pronto.
Non
mi viene da
piangere se ci penso, perché mi dico che è il
processo a cui devo essere
sottoposta per potermi davvero definire adulta. Non posso piangere
perché tra
poco più di un mese è il mio compleanno e sono
più grande, e i grandi non
bagnano i pigiami di lacrime.
Ho
quasi
diciannove anni e sono in una delle città più
grandi al mondo seduta sul
divano, con uno scatolone pieno di addobbi natalizi di fronte alla
camera del
mio migliore amico e coinquilino che non c’è
perché è fuori a crearsi il futuro—Buon giorno, New York! Mi dà
il consueto
saluto con le notizie del giorno e il rumore del
citofono mi fa sobbalzare.
“Sì?”
“Posta”
Riconosco
la
voce del postino e questo basta per farmi scrollare di dosso la
sensazione di
nostalgia che mi ha posseduta.
È
tutto un
flusso di cose che faccio senza quasi rendermene conto: mi lego i
capelli in
una coda, prendo le chiavi e scendo giù a vedere la posta,
urtando con una
gomitata piuttosto violenta anche un signore entrato dal
portone…
“Non
ti si può
fare neanche una sorpresa” dice la voce alle mie spalle.
Spalanco
gli
occhi e anche la bocca che vado a coprire con una mano.
“O
mio dio”
Il
cuore
martella più forte quando ride e dice “Fino a un
po’ di tempo fa preferivi
Sirius…”
Lo
afferro dalla
sciarpa e lo avvicino a me, stringendolo in un abbraccio che spero non
abbia
mai fine.
ho
lottato fino all'ultimo per vedere se inserire o meno sirius ahhahahahh
ma la fangirl che è in me ha avuto la meglio, anche
perchè sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo che
poteva terminare soltanto con un cuore come lui!!! (voi non avete idea
di come io lo immagini per via di tutti gli headcanon che ci sono su
tumblr. you just don't get it) anche perchè credo di avervi
fatto abbassare la guardia - sirius doesn't live here anymore, lily che
riesce ad essere via via più sicura anche se sola, sirius
che non è tornato per il ringraziamento etc :) - con i
capitoli precedenti! insomma, alla fine doveva tornare
perchè è natale e al college, fino a prova
contraria, ci sono le vacanze natalizie! ho avuto un paio di problemi
dovuti al fatto che pensavo a termini in inglese e non riuscivo a
tradurli in italiano al meglio, tipo cheeky e un paio che ora mi
sfuggono (typical). amos è un bravo ragazzo e infatti sta
mandando avanti questo suo rapporto con dorcas, ma più
avanti avremo modo di riaverlo fisicamente e potrete adorarlo come lo
adoro io. che dire...
i flashback!! ne prevedevo uno sirius/lily importante, stile prima
guida/prom/cavolate varie ma invece la pioggia mi ha ispirata e ho
scritto di questi ricordi della stessa giornata! ditemi se vi
piacciono e se non sono confusionari, perchè ne avrei in
mente altri... :)
poi i tre manici di scopa: come ho detto ad alcuni dei lettori, sto
traslando eventi e dati di hp nel mondo normale, senza magia! un
esempio è stato remus nel capitolo precedente che nei libri
è un lupo mannaro e qui ha un problema (sapremo di lui
più avanti) e il nome del bar/caffetteria/ristorante che
è stato ispirato da una catena di locali nel regno unito (si
chiamano the breakfast club) e prende il nome da un gioco di parole: i
tre manici di scopa, nella versione originale, per chi non lo sapesse,
si traduce con three broomsticks mentre qui lo troviamo come three
breadsticks (tre grissini, ossia in italiano fa abbastanza schifo
ahahha)
fabian e gideon prewett, i fratelli di molly weasley, li immagino come
eddie redmayne !!
un'ultima cosa!! vi invito a passare dalla mia long jily ambientata ad
hogwarts (ho scritto mille parole del nuovo capitolo fino ad ora) e
dirmi cosa ne pensate! eccola qui, si chiama Hooked
on a feeling
grazie mille per tutto, a chi recensisce o legge soltanto! sono stra
curiosa di sapere i vostri pareri circa questo capitolo!! un bacio
fede
twitter -
ask
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** My best friend’s roommate ***
Too late honey
This ice breaking
Words out on the street
Too late baby
The fate is saying
He's a real player
But he's gonna come home to me
5. My best
friend’s roommate
Quando
ti svegli perché senti un vago
rumore di tazze e non hai ancora realizzato che hai di nuovo un
coinquilino, di
solito torni a dormire per la felice, tiepida realizzazione, ma se sei
Lily Evans
e chi armeggia con la porcellana a pochi metri da te è
Sirius Black, allora
decidi di metterti ritta sul letto, attenta. Soprattutto
perché sei certa che
abbia sibilato qualche insulto impronunciabile e in grado di far
arrossire
persino i gatti, se capissero gli umani.
Non
che abbia mai avuto un gatto,
comunque.
E
questa precisa ragione spinge il mio
corpo ad alzarsi con lentezza estenuante, il mio cervello a far
sì che indossi
le pantofole e mi ricopra con il plaid sul mio letto. La sveglia
rumorosa alle
mie spalle – mentre mi allontano con una celerità
in grado di far ridere le più
oziose tartarughe – mi ricorda che alle nove devo essere per
la mia giornata di
prova al Three Breadsticks, armata di buona volontà e
speranza. Questa
soprattutto.
Scelgo
con cura le parole da usare quando
noto che la cucina puzza di caffè bruciato e una tazza, nel
lavello, pare esser
rotta: Sirius è ancora di spalle e non sembra percepire in
alcun modo la mia
presenza, coperto da una semplice camicia alzata sino agli avambracci,
i
capelli spettinati, più lunghi di quanto li ricordassi.
Sono
davvero indecisa se buttarla sul
ridere perché è appena tornato e non è
rientrato su quella carreggiata che è la
sua routine con me, ma mi oriento in senso fortemente bellicoso quando
scorgo,
con una rapida e indolore occhiata, un cellulare sul bordo del bancone,
in
chiamata e vivavoce.
“Merda,
ho dimenticato dove sia lo
zucchero”
Una
risata calda ed odiosa gli risponde
vagamente alterata per via della telefonata, ed io mi faccio indietro
di
qualche passo senza neanche accorgermene. Il mio coinquilino si passa
una mano
fra i capelli per poi incrociare le braccia al petto, il tutto
meticolosamente
in silenzio. Come se non fosse mai tornato.
“Io
mi preoccuperei per la tua cucina” –
fa scrupolosa la voce maschile – “Voglio dire, non
vivi con qualcuno? Non pensi
sia diritto di ogni persona dover usufruire delle proprie ore di
sonno?”
Qualcuno.
Sirius vive solo con qualcuno.
Un
altro impercettibile passo verso la
mia stanza.
Black
non riesce a trattenere una risata
a metà fra l’isterico ed il latrato. “Se
Lily è ancora la ragazza che ho
conosciuto anni fa, allora sta’ certo che sta dormendo.
Soltanto un uragano
potrebbe svegliarla, amico. Ho dovuto letteralmente farla rotolare
giù dal
letto per far sì che arrivasse puntuale alla cerimonia del
diploma”
Nell’istante
esatto in cui sto per
tradire la mia non-presenza – perché
non
è esattamente quello che è successo,
vorrei correggerlo - la voce maschile
tossisce per poi pronunciare in modo del tutto insolente il mio nome:
“…Lily?”
“Merda.
Merda—non dovevi saperlo”
“Lily”
“James,
dimenticati quello che ho detto.
Potrebbe essere un soprannome. Un nome per confonderti. Potrei parlare
di
Remus”
Mi
maledico perché conosco quel ragazzo
in piedi di fronte al piccolo lavello della piccola cucina da tanti,
lunghissimi anni e sono in grado di capire che sia veramente pentito e
agitato
per il solo aver pronunciato il mio nome. Quattro sciocche lettere.
Storco il
naso alle altre parole che rivolge a James,
a James che cambia argomento e
all’argomento che, apparentemente, diviene un certo Remus.
Non
ho idea di chi stiano parlando—a dire
il vero non so neanche con chi il mio amico stia parlando, se quel mio
coinquilino sia dispiaciuto dall’essere tornato a casa e se
sia sempre lui.
Sempre lo stesso, sempre quello che ho avuto al mio fianco.
So
solo che non mi importa della tazza
rotta, né della puzza di caffè bruciato. Realizzo
che voglio prepararmi per
andare a lavorare. Solo questo.
Una
piccola, minuscola parte di me,
mentre Sirius afferra il cellulare togliendo il vivavoce, formula una
riflessione dolorosa e vagamente ingiusta: preferivo
quest’ambiente vivo solo
della mia essenza, preferivo le scatole chiuse di fronte alla sua
stanza, il
solo odore del cornetto di Dorcas, la sola voce di Buon
giorno, New York! a riecheggiare fra queste mura.
Richiudo
la porta alle mie spalle,
osservo le lancette farsi sempre più insistenti con il loro
ticchettio ed apro
l’armadio, alla ricerca degli abiti da indossare.
Preferivo
la sua assenza.
Cappotto
in lana color verde acqua, crop
top nero, mom jeans e audacia sono gli indumenti che premono sulla mia
pelle
nivea nel tragitto che va dalla mia stanza al quasi futuro luogo di
lavoro: ciò
che non avevo calcolato, tuttavia, sta proprio negli ostacoli a forma
di
persone-care che incontro nel mezzo, ossia Sirius Black con le dita che
passano
sul bordo del bicchiere fra le mani dinoccolate.
Alza
lo sguardo non appena metto piede
fuori dalla mia camera, uno sprazzo di sorriso ad ammorbidirgli quella
striscia
sottile data dalle sue labbra. Ma tutto questo dura poco più
di un attimo,
bruscamente interrotto dal cipiglio interrogativo che fa capolino fra i
suoi
lineamenti; una rapace occhiata ai miei abiti – un frammento
di me si chiede se
non si aspettasse un pigiama enorme ed un plaid addosso – e
le labbra si
schiudono in un battibaleno.
“Dove—dove
stai andando?”
Scrollo
le spalle, non mantenendo un
contatto visivo. Invece, ciò che cattura la mia attenzione
è il mobiletto basso
frapposto tra divano e poltrone, sul quale è poggiato un
piattino con delle
chiavi.
“Un
colloquio di lavoro”
Non
ho bisogno di voltarmi a guardarlo
per capire che sia sorpreso: il suo successivo silenzio, vagamente
interrotto
dal suo ticchettare le unghie contro il bicchiere, mi lascia immaginare
mentalmente la sua reazione.
Le
afferro.
“Non
me l’hai detto”
Orgoglio
personale prima della felicità
altrui: Sirius Black, signori e signore. Non rispondo sino a che con un
paio di
falcate ho raggiunto la porta dell’abitazione; con una mano
sulla maniglia,
sono certa che i miei occhi verdi si tingano di grigio:
“Troppo impegnato a
parlare con James?”
Generalmente,
non mi reputo drammatica,
fatalista o che dir si voglia—mi piace pensare di aver
ereditato questo lato
dal re del dramma per eccellenza, e trovo anche piuttosto ironico il
fatto che
questo aspetto di me venga a galla solo quando si tratta di Sirius.
Adesso,
tanto per dirne una, si tratta di lui. C’è una
possibilità del quarantacinque
per cento che nel giro di dieci minuti mi penta di quanto detto trenta
secondi
fa, ma ora sono convinta del fatto che lui mi abbia ferito –
davvero, Sirius?
Non parlare ai tuoi amici della tua coinquilina? Non voler far sapere
della mia
sola esistenza? – e nulla potrebbe alleviare questo dolore se
non il semplice
ricambiare, il classico rispondere con altro dolore.
“…Lily”
Infilo
con lenta e pacata discrezione le
chiavi nella mia borsa, facendole tintinnare contro qualche cerniera o
oggetto
metallico che vi è all’interno. È
esattamente in quel momento che lascio
trapelare nel mio sguardo, nella mia espressione un po’ di
quel dolore che ha
influenzato il mio tono di voce. Non vorrei farlo – mi dico
sempre che sono
orgogliosa, ferma sulle mie posizioni, capace di ostentare sentimenti
che non provo
– ma vorrei solo avere indietro il mio migliore amico. O
vorrei essere stata
capace di andare avanti come lui ha fatto. Vorrei essere dotata di
questa
magica, fatale capacità di potermi scrollare di dosso il mio
passato, la mia
famiglia, la mia Petunia, ma la
verità è che ho ancora soltanto diciotto anni. E
sono incapace, ingestibile.
Lascio
che sia lui a chiudere la porta.
“Quindi”
– ricapitola la voce armoniosa
di Fabian, il grembiule appena stretto in vita e verde scuro, in totale
contrasto con la maglia bianca ed i jeans neri che indossa –
“Il bancone non è
altro che il tuo punto di riferimento: prendi le ordinazioni dei tavoli
dispari, se sono tutti pieni, e le dai a chi è ha il proprio
turno qui dietro,
dove mi trovo io in questo preciso istante”
Annuisco
e fisso il mio sguardo
sull’ambiente stranamente familiare e accogliente del Three
Breadsticks. Noto
con la coda dell’occhio due foto incorniciate e appese alla
parete, fra le
mensole piene di bottiglie e cimeli che, grazie alle lampadine a led
diffuse in
ogni angolo del locale, creano piacevoli giochi di luce. Una delle due
ritrae
quello che credo sia il team al completo: lo immagino per via di Fabian
e
Gideon, posizionati centralmente rispetto alle altre cinque, sei
persone
indossanti tutti lo stesso completo. Armati tutti di sorrisi smaglianti
e
sinceri, percepisco una certa ed insistente ansia vorticare nel mio
stomaco,
come se volesse mettermi in guardia. Come se, paradossalmente, volesse
mostrarmi un frammento di ciò che potrei essere, un
frammento di un ambiente in
cui potrei incastrarmi alla perfezione. Sirius, il bastardo,
l’avrebbe chiamata
ansia da prestazione.
“Puoi
dedicarti alle ordinazioni più
facili se hai tempo e se riesci”
–
percepisco quasi il suo tono di sfida nel sorrisetto accennato che
curva le sue
labbra sottili – “I prodotti fondamentali li
abbiamo qui, negli scomparti
perfettamente ordinati grazie a mio fratello”
La
seconda foto, realizzo mentre inclino
di poco il volto che ricambia il sorriso di Fabian, ha come soggetti
due
signori piuttosto giovani, anche piuttosto simili. Uno ha
l’espressione felice
e compiaciuta sul proprio volto, emblema della realizzazione, emblema
di una
certezza che si è ottenuta e non si perderà
più. L’altro passa semplicemente il
braccio attorno alle spalle del suo familiare, immagino.
Un’impellente
curiosità quasi mi spinge a fermare il discorso giusto e
sensato di Fabian per
rispondere a questa sciocca, imprudente domanda. Chi sono quei due
signori?
“Verso
le undici arriverà mio fratello, e
nel corso del pomeriggio – non ricordo se dopo la pausa
pranzo – ci delizierà
della sua presenza quell’adorabile ragazza che è
Lucinda McLaggen”
“Come,
prego?” inarco le sopracciglia al
solo sentir quel nome impronunciabile, allora lui scrolla le spalle,
scocciato
e spiega con riluttanza: “E’ una delle prime
ragazze che hanno lavorato per
questo posto. E’ assurdo pensare come faccia a non perdere il
posto, è
scorbutica ed eccentrica e piace solo ad A—”
Lo
scampanellio proveniente dalla porta
annuncia la presenza di un altro essere vivente nel locale. Fabian
prende un
respiro profondo e mormora, più a sé stesso che
ad altri: “Anche questa
giornata ha inizio”
Al
contrario di quanto si possa pensare,
è Dorcas la mia prima cliente. Ha i capelli legati in
un’alta coda di cavallo,
un filo di trucco sul viso magro e stanco e indossa il cappotto meno
adatto
alla stagione che io abbia mai visto. Si guarda lo smalto rovinato,
incrocia le
gambe sullo sgabello dove siede e arriccia le labbra quando le dico che
no, non puoi ordinare un alcolico prima
delle dodici, al che lei ordina un caffè doppio e
tenta anche di flirtare
in modo blando con Gideon, nella speranza che glielo corregga. I
gemelli
potrebbero anche sembrare infinitamente disinibiti e malandrini, ma
– e sì, lo
sono anche – non cedono.
“La
convinzione che hai” – fa Dorcas,
ticchettando le dita contro il ripiano in legno –
“che tutto possa sempre
andare per il verso storto…”
“E’
una legge di Murphy, in realtà”
Mi
ignora. “Non sai quanto mi costi dirlo
– soprattutto di prima mattina dopo una mezza giornata
lavorativa schifosa,
soprattutto dato il mio orgoglio: ma hai ragione. Voglio
dire,” ride
istericamente, “guarda me”
“Tutto
bene con Amos? Mi avevi detto che
avreste dovuto uscire assieme”
“Paradossalmente,
Lilykins, non è lui il
mio problema”
“Non
chiamarmi Lilykins”
replico, una punta di disperazione nella mia voce, “Neanche
fossi un’ubriaca marcia alle sette di mattina prima
dell’unico colloquio di
lavoro che ha ottenuto negli ultimi mesi”
Si
blocca per pochi istanti, l’arco di
tempo necessario a trangugiare il suo caffè doppio.
“…hai reso l’idea”
“Lily,
due cappuccini ed un Earl Grey”
“Subito”
Dorcas
osserva Fabian andar via dal
bancone, ma è un attimo ed il suo sguardo carico di
tristezza fa ritorno sul
mio esile corpo. Mi vede lavorare ed allora esala un profondo respiro,
si
stropiccia gli occhi e torna a parlare. “Non ho nulla contro
Amos, davvero.
Riusciamo a vederci spesso e anche se non ne abbiamo ancora parlato
– voglio
dire, soprattutto dopo ieri sera - ci comportiamo come una coppia e
anche se
questo, fino a poco tempo fa, mi avrebbe terrorizzata, mi va bene. Non
sta
facendo il principe azzurro—romantico fino al disgusto e
sentimentale come una
zitella- ma ridiamo, mi offre birre e, come ti ho già
annunciato, abbiamo copulato”
“Non
l’hai detto davvero”
“Dovresti
andar fiera del mio lessico
spregiudicatamente aulico che sto utilizzando in questa situazione
drammatica”
“E
non me l’hai annunciato!”
“Sì,
invece! Ho chiaramente detto soprattutto dopo
ieri sera”
Fabian
fa capolino al mio fianco, un
vassoio vuoto sul palmo della mano sinistra. Ritira il mio lavoro con
un mezzo
sorriso sulle labbra e con la mano destra mi dà piccole
pacche sulla spalla.
Dorcas
abbassa il tono di voce: “Il
problema non è Amos. Il Problema è
Benjamin”
“Come,
scusa?”
“Questa
mattina ci ha, ehm, visti ed ha
reagito in maniera
eccessiva. So che avrei dovuto avvisarlo, ma, in mia discolpa, avrebbe
potuto
accorgersene. Insomma, non credo di essere stata particolarmente silenziosa di notte, e comunque non
abbiamo mai fissato delle vere e proprie regole su chi invitiamo per un
pigiama
party poco innocente”
“Oh
santo cielo”
“Ed
è probabilmente per questo che si è
infuriato! Voglio dire, probabilmente dovrei organizzargli un
appuntamento al
buio con qualcuno! O trovare qualcuno che possa farlo rilassare! Non
voglio
neanche immaginare da quanto non vada a letto con qualcuno, dio.
Persino tu
saresti una candidata proponibile per questi affari: conosci Benjy, no?
Che ne
dici di allontanarti dalla pressante routine di solitudine aiutando un
am-”
“Dorcas!”
“Hai
ragione,
probabilmente non avreste molta sintonia a letto—fatto sta
che Frank ed Alice
stasera passano a prenderci per un’uscita, però
Benjy ed io non abbiamo ancora
parlato ed è capace di addormentarsi sul divano
o—non lo so! Sul mio letto,
così da dare inizio ad una stupida lite…
è così cocciuto, sai? Mi ricorda un
sacco te, sotto alcuni aspetti”
Si
passa una mano nella coda, corrugando
le sopracciglia in modo da farla apparire terribilmente a disagio e
sovrappensiero,
ma poi si guarda attorno, lasciando che il locale a metà fra
l’indie e l’hipster
che trovo immancabilmente accogliente ci avvolga e culli con la sua
atmosfera
rilassante.
Deve
calmarsi, perché noto come i suoi
respiri si fanno regolari e le labbra più distese, meno
afflitte da quella
confusione che lei e Benjy creano con la loro perenne incomprensione.
Anzi, non
è che non si capiscano: è che lo fanno
così bene, così spesso da, la maggior
parte delle volte, sorvolare su principi base dell’amicizia e
convivenza. Un
giorno, mentre Dorcas mi raccontava di una conversazione fra lei ed il
suo
migliore amico, non ha mancato di specificare che lei era nella doccia,
lui
seduto sul wc, il pc sulle gambe e solo una tenda di plastica che
dovevano sostituire
al più presto interposta fra loro.
“A
volte mi sembra che non parliate
davvero: litigate e basta, trovate un accordo tacitamente mentre vi
ignorate perché
nessuno fra voi ha compiuto il primo passo verso una tregua. Trascinalo
con voi
quattro, oggi. E poi rimani a casa solo con lui. Dio solo sa quanto
avete
bisogno di trascorrere un po’ di tempo di qualità
insieme”
La
sua reazione mi colpisce: nessun colpo
di scena inaspettato, nessuna sciocca replica, niente se non un lieve
annuire
con il capo, più convinto che altro comunque, un
sì risoluto e un cenno di capo
verso i gemelli. “Sembrano più simpatici di quanto
avessi creduto. Non credo di
avertelo detto, ma mi fa piacere vederti così bene in un
ambiente tanto nuovo”
Torno
a casa attraversando le strade più
rovinate del quartiere, osservando il pub sottostante la scalinata
nera, spessa
e vittoriana che annuncia l’ingresso verso
l’appartamento che, ora come ora,
occupa solo Sirius. E’ ridicolo come spesso si dispensino i
migliori consigli
in un momento così complicato, così bisognoso di
essere districato attraverso
quegli stessi consigli. Non che mi dispiaccia aver messo il broncio
nelle
precedenti ore, né sono convinta di aver fatto la scelta
sbagliata agendo d’istinto,
ma. Ammetterlo mi fa sentire una ragazzina incosciente e volubile, che
cambia
idea ogni tre per due, e so che questo fa tutto parte del pacchetto di
ragazza
quasi scappata di casa, rifugiatasi a casa del suo migliore amico e
piena di
insicurezze: è che Sirius, nonostante il dramma, le parole
capaci di
fracassarmi l’anima – non pensavo si potesse
persino essere capaci di farlo –
ed il suo essere maledettamente un Black, mi è mancato.
Per
pochi minuti valuto se sedermi su
questi gradini e attendere un segno degli dei come in The Kings of
Summer, ma
reputo questa possibilità alquanto remota e sciocca nel
momento in cui, nella
mia direzione opposta, di fronte a me, vedo Sirius Black e due buste
traboccanti di cibo.
Lo
vedo imprecare – lo fa sempre quando
non riesce a fare qualcosa, tipo cogliere qualcuno di sorpresa
– e incrocio le
braccia sotto il seno, lo sguardo accusatorio che risponde a quello
colto alla
sprovvista del coinquilino bastardo.
“Non
sapevo a che ora finissi” fa, le
labbra screpolate ed i capelli scuri come la notte che cala lentamente
su New
York. “Quindi ho pensato—voglio dire, in
realtà non è proprio una mia idea—di
preparare qualcosa nel frattempo. So che tra i due è
difficile capire chi abbia
del talento nel cucinare… magari talento no, ma
predispozione poco naturale? Inclinazione
divina? Ma ci sto provando. Devi ammettere che sei incredibilmente
testarda,
più sentimentale di una soap opera e…”
adesso scoppia a ridere, le buste che
per poco gli sfuggono di mano.
“Cosa
c’è di divertente?”
Scuote
il capo, avviandosi con cautela e
lentezza verso le scale.
“E’
che se tu sapessi…”
Afferro,
con una scontrosità maggiore di
quanto volessi far trapelare, una delle due buste, facendolo sorridere
come un
accusato appena scarcerato e capace di respirare, per la prima volta
dopo
tempo, aria fresca e satura di libertà.
“Vorrei
poter iniziare dall’inizio”
“Hai
un’ora di tempo”
“Perfetto”
Si
toglie il cappotto dopo che poggiamo
le buste sul bancone in cucina, si passa una mano fra i capelli e
mormora,
scomposto e con la voce bassa e roca: “Che l’ora
abbia inizio”
Rimango
a sentirlo anche quando si blocca
per trovare un coltello, un cerotto – perché,
obiettivamente, in questo campo
facciamo entrambi molta pena e un taglio è la minore lesione
che possiamo
causare – ed è sul punto di scoppiare in lacrime
di fronte ad una cipolla.
(A
mio avviso, rimane un buffone di prima
categoria)
“Ho
conosciuto i miei coinquilini durante
il primo giorno al campus, senza che me ne accorgessi: ho gettato del
caffè
bollente su Peter, condiviso una fiaschetta di scotch con Remus e dato
un pugno
a James. James, beh—è un bastardo. Un grande
bastardo. Con la sua inclinazione
verso l’avere successo con il suo apparente inesistente
sforzo, l’abilità di
far cadere ogni professore ai suoi piedi sorridendo e mostrandosi
genuinamente
interessato a piccoli, futili dettagli da loro amati. La
verità è che non è un
arrogante bastardo di merda—scusa il francesismo, Lils, sono
da troppo abituato
ad essere circondato da maschi alfa e beta e gamma che mi fanno perdere
la
testa. Non in quel senso, non guardarmi così. Allora.
Dicevo”
“James
è un arrogante e bastardo
di merda, grazie tante”
“Sì,
quindi. Non è affatto così. E’ solo
sveglio, un po’ egocentrico, fallimentare con le ragazze
seppure ne abbia persino
viste un paio con lui e leale. Ha un senso dell’umorismo
pessimo ma capace di
far ridere Remus, è un bastardo amato dalla famiglia,
lievemente viziato dai genitori
ed è un amico grandioso. Dov’è il
sale?”
“Non
ne ho mai avuto bisogno, Benjy mi ha
sempre prestato il suo. Sai che mi piacciono le cose dolci”
“Cristo,
Lily, mi chiedo come tu sia
sopravvissuta qui dentro”
“Sei
incredibilmente simile a James, non
credi? Con l’unica differenza che tu sei anche un
buffone”
“Beh,
non puoi esserne certa. Potter non
è così male: so di averlo descritto rendendolo
tanto sfigato quanto
strafottente, ma è anche altro. Il punto è che ho
mentito. E’ fallimentare solo
con le ragazze che gli interessano e non gli danno corda,
perché il bastardo è
capace di ammaliare persino metà corpo studentesco e un
quarto del numero dei
docenti, uomini compresi. Ma non lo fa. Voglio dire, pur essendo un
ragazzo, è
chiaro che abbia un certo—charme,
sì,
ed è incredibilmente d’aiuto con le sue amiche. Ed
è il genere di persona per
cui impazziresti, se tu avessi un genere di persona e se tu impazzissi
per i
ragazzi in modo assurdo”
“Quindi
secondo te io impazzisco per i
ragazzi?”
“Non
avrei alcun problema nei tuoi
confronti se fossi diventata lesbica durante la mia assenza. Potresti
persino
presentarmi qualcuno”
“Sirius,
sei un maiale. E per la cronaca,
no, ma diventerei lesbica solo per
dimostrarti che, in quel caso, avrei più successo io con le
donne rispetto a te”
“Sempre
maledettamente sfacciata: capito
cosa intendo? Lo faresti andar fuori di testa. Ma è chiaro
che, da bravo
migliore amico quale sono, ho a cuore solo te, almeno in questo campo.
E’ per
questo che ho detto loro – a Remus, Peter e James –
di vivere semplicemente con
qualcuno. Sai cosa sarebbe successo se avessi rivelato il tuo nome? Il
tuo
aspetto fisico? Ahia, non darmi pugni. James avrebbe mosso
l’intera America per
conoscerti. Ecco perché stamattina sono impazzito: non solo
gli ho parlato di
te, Lils, ma adesso lui sa che sei una Lils. Chiamalo istinto
protettivo da
fratello maggiore, non lo so. Il coglione potrebbe – non lo
so, non so come
funzionino le relazioni, lo sai – farti innamorare, metterti
incinta, sposarti. Cristo. Non lo
dimostro, ma sai che…
beh”
“Come,
prego?”
“Non
farmelo dire per farmi suonare come
un perdente”
“Mi
vuoi bene, Sirius?
“Mhm,
sì”
“Non
voglio una pizza con le cipolle”
“D’accordo,
ma dato che è l’ora della
verità, c’è un problema”
“Anche
Peter e Remus andrebbero pazzi per
me?”
“Remus
sì, ma in un altro modo. Ti
piacerebbe davvero: è la tua versione maschile. Ma non
è questo il punto… è
James il punto”
“Il
problema, vorrai dire”
“Ecco
perché non ho un major in scrittura
creativa; non sono in grado di raccontare storie. Sono piuttosto certo
di
averti parlato di lui come un maniaco non maniaco, don Giovanni,
perdente,
affascinante, dai capelli spaventosamente disordinati, un po’
testardo e pieno
di talento…”
“Non
esattamente”
“Il
punto—problema, d’accordo,
problema—è
che ha avuto un diverbio con i suoi. Piuttosto serio, aggiungerei. Non
lo
chiederei se non fosse strettamente necessario ed urgente, e so che
c’è ancora
un aspetto meritevolmente caritatevole in te, dal momento che sono qui
a
parlarti e sono ancora al tuo fianco, ma lui ha bisogno di me. James
è il
fratello che avrei sempre voluto, quello che Regulus non è
mai stato. Io e te viviamo
insieme adesso, per cui mi sembra giusto chiederti se possiamo farlo
stare da
noi per qualche giorno. Tra un po’ è Natale, Lils.
Non hai mai voluto
trascorrere il Natale senza compagnia, da piccola, ricordi? E sai cosa
significa litigare con la tua famiglia. Lo sappiamo entrambi abbastanza
bene,
aggiungerei. Quindi,
duh…”
“Non
me lo stai chiedendo davvero”
“E’
gelosia quella che scorgo nella tua
bellissima voce? Sai che rimarrai sempre la mia preferita, la migliore
amica
più bella che io abbia mai avuto, la sorella che non ho mai
voluto, la ragazza
con i capelli rossi più belli di tutta l’America,
i cui occhi sono
incredibilmente simili a smeraldi costosissimi?”
“Ecco
perché non hai un major in
scrittura creativa: fai davvero pena con le parole. Fra
l’altro, l’adulazione non
ti porterà da nessuna parte”
“Lils.
Andiamo, so che non hai interpretato una splendida crocerossina alle
medie per
nulla”
“Stavi
sul serio sanguinando: non ho mai
creduto che un naso potesse perdere così tanto sangue nel
giro di quindici
minuti”
“Se
non ricordo male, dieci minuti. Sette
al massimo, in realtà. Tutta colpa di Rosier: i destri di
quel ragazzino erano
assurdi. Lily, farei qualsiasi cosa per te. Fra l’altro,
chissà, potresti
davvero piacere a James—e James potrebbe davvero piacerti
e—no, scherzavo. Giuro.
Potrebbe rimanere anche pochissimo. Potrebbe risolvere tutto con la sua
famiglia
in mezza giornata e ci sarebbe persino la remota possibilità
che tu non lo incrocerai
mai. Non ti sembra grandioso?”
“No?”
“Lily,
Lily, Lily. Qualcosa mi dice che
ti ho convinta”
“Il
tempo sta per scadere! Inforniamo le
pizze?”
Sbuffa
sonoramente, andando a sciacquarsi
le mani. Pochi minuti dopo, è al mio fianco ad aiutarmi ad
infornare queste
cose che, generalmente, abbiamo definito, durante il corso della
preparazione,
pizze.
Quando
le sforniamo più bruciate di
quanto ci piacerebbe ammettere, conveniamo che mangiarle sul divano sia
la
scelta più azzeccata della giornata.
Non
penso a Buon giorno, New York! che mi
– anzi, ci – aspetta domattina, semplicemente
perché prospettare una mattinata,
una diversa giornata con Sirius al mio fianco non è il mio
proposito. Vivo nel
presente, decidendo di rubargli un po’ di cibo ed un sorso
dalla sua birra al
limone, ovviamente imbevibile.
Non
mi piace sapere di essermi sbagliata,
sapere che ci sia qualcuno di così arrogante e spocchioso
come James al mondo,
capace di rubarmi il migliore amico mentre sono a casa. Non mi piace
sapere che
sono sempre ed irrimediabilmente così accondiscendente
quando si tratta di
Sirius, quando si tratta del Natale, della famiglia, di aiutare
qualcuno così
disperatamente bisognoso di una mano, per quanto si tratti di James
Potter.
Però, con la tv
accesa, addormentati
sullo scomodissimo divano, mi dico che va bene così, almeno
per ora.
Bonsoir!
Non
c’è scusa che tenga e lo so (forse the raven
cycle, star wars, the secret history, lo studio, lucky blue
smith)—intanto buon
natale e buon 2016 a tutti! Sono felice di aver trovato la voglia e
l’ispirazione
di continuare questa storia a me a cuore—voglio dire, deve
accadere ancora così
tanto!! Mi andrebbe di spoilerarvi mucho, ma non lo faccio
perché quello che ho
progettato e prospettato con maniacale cura, tipica di una tipa come
me,
dovrebbe accadere nel prossimo capitolo o nel successivo ancora. Non ho
ancora
deciso:)
Piuttosto,
vi rivelo il nome del chapter six: the
inglorious intruder.
C’è
sirius e c’è lily e c’è
james, anche se
indirettamente, ci sono le storyline dei miei amati personaggi
secondari –
Benjy, Amos e Dorcas, Fabian e Gideon, importantissimi per
l’esito della storia
– e spero che questo capitolo vi sia piaciuto!!
So
che non è esattamente un lungo capitolo, so che
non è il migliore che io abbia mai scritto, so che ha ancora
la struttura e l’impalcatura
un po’ cliché e mi spiace, ma ora stiamo entrando
nella storia vera e propria!
Comunque
sia, spero che il capitolo sia all’altezza
delle vostre aspettative, specialmente dopo tanto tempo.
Grazie
a chiunque sia arrivato fin qui e a chi ha
il tempo e la voglia di lasciarmi recensione: grazie davvero!!
Un
bacio e spero a presto! :-)
Potete
trovarmi tanto su twitter
quanto su tumblr
e
ask!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** The inglorious intruder ***
6. The inglorious intruder
Come sfoglio
l’ultima, inesorabilmente sconfortante pagina del
libro, esalo un respiro che non mi ero neanche resa conto di aver
trattenuto.
Il sole fa capolino rispetto all’alto palazzo che non
permette, a questa
altezza, di avere una completa e mozzafiato visuale del sole che sorge,
al che,
sulla terrazza dell’appartamento di Sirius, posso scorgere
soltanto gli istanti
meno giovanili della stella attorno a cui ruotiamo.
Il vento che spira
nella direzione opposta alla mia impiega
pochi attimi per farmi raggelare – e nemmeno il maglione
così grande e spesso
riesce ad innescare quel processo di autoconservazione secondo cui il
mio corpo
rimane comunque più caldo dell’ambiente a me
circostante. Impiego un minuto – o
forse due, non riesco ad avere un totale controllo su di me quando si
tratta
del tempo che spreco ad osservare gli infiniti dettagli della vita che
scorre
decisa attorno a me – prima di prendere un respiro profondo,
aria fresca e
newyorkese e mattutina, pregna di effimera speranza che caratterizza il
genere
umano, consapevole che la giornata è sulla giusta
carreggiata verso la routine
quotidiana che non stanca mai. Soprattutto se si considerano le
costanti, le
variabili, le infinite possibilità che una x
nell’equazione può permettere.
Mentre scendo gli
scalini in ferro e produco quel rumore metallico
fastidiosamente piacevole, noto, nonostante lo splendido dispiacere
della
finestra, perennemente ostile nei confronti di chi cerca disperatamente
di
ignorarla e veder oltre, che Sirius è ancora a letto,
essendo la cucina ancora
integra ed il soggiorno ancora intatto.
Fiondarsi nella sua
stanza, armata di cuscino in caso debba
ricorrere all’autodifesa, non è il modo migliore
per dare avvio ad una
giornata, secondo il parere di Sirius, adesso sveglio, mugolante,
possessore di
un’espressione a dir poco dolorante.
Buffone.
“Lily”
– esordisce, la voce ovattata dal fastidio e dal sonno
– “Vai via”
“Tra un
po’ dovrei essere a lavoro – ti ho ripetuto almeno
dieci volte che mi hanno presa – e sai quanto odi fare
colazione da sola.
Dorcas oggi dormirà fino a tardi perché
è la sua giornata libera, per questo
non mi aspetto la sua colazione, quindi… sai che la mia
ultima scelta sarai
sempre e solo tu”
“Che
gentile” mugola, le labbra storte e le mani che vanno poi
a coprire il viso. Ed ecco un’altra cuscinata che lo
colpisce, inaspettata.
“Sirius,
andiamo”
“Ho visto
abbastanza volte Frozen per realizzare che tu non
sei Anna, Lils. Sei Hans delle isole del sud”
“O mio
Dio” – faccio, la testa improvvisamente leggera per
il
ritorno di quel ricordo – “Te lo ricordi!”
“E’
un insulto” replica in un sussurro, gli occhi grigi che si
abituano alla luce della stanza.
“Se fra
cinque minuti non ti vedo in cucina, non sarà solo
James il povero senzatetto nel periodo natalizio…”
Un fruscio, il
rumore delle lenzuola che si spostano per fare
spazio al suo corpo scoperto, il busto ritto e pronto a muoversi.
“Buffone”
Si schiarisce la
voce, “Preferisce i prequel di Star Wars alla
classica trilogia, ma ti assicuro che è un bravo ragazzo. Sa
anche cucinare”
Piccola pausa. Il
bastardo sa cosa sto per chiedergli, a
giudicare dalla stanca espressione compiaciuta.
“Quanto li
preferisce?”
“Abbastanza
da suonare insopportabile” ammette, il sorriso che
non va via dalle labbra, “Ma—ti ho già
detto che sa cucinare? La settimana
scorsa ha fatto dei muffin. Muffin, Lils—esattamente
come quelli che si vendono”
“Che ne
dici di prepararmi la colazione, allora? Ho
fame”
Sbuffa.
“Niente lusinghe, duh?”
In risposta, riceve
un’altra cuscinata in faccia.
505
degli Arctic Monkeys risuona nel locale, una melodia inadatta
all’orario –
voglio dire, è ancora relativamente presto
– ma d’altronde Fabian mi aveva avvertito
(“Se credi di poter scegliere la
musica di sottofondo, Evans…” – aveva
sorriso malandrino, prima di scuotere il
capo – “Dovrai guadagnarti il nostro rispetto. Io e
Gideon ci occupiamo di
questo compito da molto più tempo di quanto i nostri
colleghi desiderino
ammettere, ma cosa ci vuoi fare? I
nostri gusti musicali sono deliziosi”
“Strepitosi,” aveva rincarato la dose
Gideon) quindi mi lascio andare ad un lungo e silenzioso sospiro mentre
decido
che in fin dei conti non è così male. Potevano
scegliere di peggio.
Trattenendomi dallo
sbadigliare apertamente, poggio i gomiti
sul bancone e osservo con discrezione ogni azione della coppia
accomodatasi al
tavolo tre, lui con le mani sprofondate nelle tasche del parka scuro ed
il
busto completamente spalmato sul divanetto in pelle che occupa; lei con
un
abito a motivo floreale, perfetta; è esattamente il mio
opposto: i gemelli
hanno appena iniziato il turno, come me, salutandomi con una mano nei
capelli –
facciamo nel mio cespuglio di capelli— rendendoli ispidi,
come se la
pioggerella che mi ha incrociata nel tragitto casa-Three Breadsticks
non
bastasse.
Comunque, siamo solo
noi cinque: i gemelli, la coppia al
tavolo tre ed io. Non male come primo, uggioso giorno di lavoro.
“Avete
già scelto cosa ordinare?” sento la voce di Gideon
chiedere, un sorriso gentile stampato sulle labbra ed il linguaggio del
corpo
analogo, che non lo tradisce. Tutto in perfetto ordine. Il ragazzo
corruga i
sopraccigli e si volta nella direzione del gemello, estraendo le mani
dalle
tasche, che vanno subito ad afferrare un tovagliolo di carta.
Mentre tento di
sentire la risposta dei due, Fabian cattura la
mia attenzione, fischiettando nella mia direzione.
“Tutto
okay a casa?”
Percepisco la mia
fronte aggrottarsi istintivamente. “Come,
prego?”
Stira le labbra,
rimane in silenzio per qualche frazione di
secondo, come per ponderare le parole. “Ieri eri
qui” – spiega con voce atona.
Quando nota che la sua dichiarazione non sortisce alcun effetto su di
me,
prosegue – “Voglio dire, è successo
mentre parlavi con la tua amica. La ragazza
bionda. Ci sei sembrata delusa” ci riflette su, non
incrociando il mio sguardo
“scocciata”
“Forse”,
ammetto, stranamente colpita dalla loro attenzione.
“Il mio coinquilino – più migliore amico
che coinquilino, a dire il vero – è
tornato dal college per le vacanze di Natale. Apparentemente non saremo
soli,
quest’anno… un suo amico ha avuto problemi con la
famiglia e noi lo ospiteremo.
Più pudding natalizio per tutti: non vedo
l’ora”
Deve rendersi conto
del mio sarcasmo perché la sua risposta è
data da una risata strozzata che, senza neanche pensarci troppo,
scatena una
mia di risata. “Non pensarci, Evans” –
fa, la voce divertita e gli angoli delle
labbra inclinati verso l’alto – “Pensa ai
cupcakes” li indica. “Ho sentito dire
che non hai neanche idea di cosa sia la farina”
“Ehi!”
– ribatto, fintamente offesa – “Si
dà il caso che io
sappia cosa sia, grazie tante! È solo che spesso si confonde
con lo zucchero…”
Sospira, un broncio
che appare sul suo viso. “Grazie per
avermi fatto perdere una scommessa”
“Come,
prego?”
Poggia i gomiti sul
bancone e mi incita ad avvicinarmi, cosa
che faccio un attimo dopo. “E’ il nostro passatempo
preferito: scommetto cinque
dollari che quei clienti hanno appena ordinato un cappuccino ed un Earl
Grey
con muffin ai mirtilli”
Aggrotto la fronte.
“Cinque dollari che non l’hanno fatto”
“Visto?”
– esclama, la voce più alta di un’ottava
– “Sei già
una di noi. Adesso, io e Gid abbiamo scommesso su di te. Il saper
cucinare o
meno è il primo interrogativo sulla lista e beh, Evans, mi
hai appena fatto
perdere sette dollari”
“Aspetta
un secondo… Evans? Come fai a sapere il mio
cognome?”
Un sorriso
malandrino fa capolino sul suo volto: “I maghi non
svelano mai i propri segreti, Evans”
Gideon sbadiglia
ponendosi di fronte a noi, una mano che
cautamente va a coprire la bocca spalancata. “Cappuccino,
Earl Grey, muffin ai
mirtilli” – fa, la voce atona, le palpebre che
lottano per chiudersi – “Come
ogni newyorkese di prima mattina”
“Non
l’avrei mai detto” Se non conoscessi Fabian, direi
che
dietro queste parole si cela un sottile e pungente sarcasmo, ma. Sgrano
gli
occhi una frazione di secondo dopo, quando Fabian sta già
sorridendo e mi ha
dedicato un occhiolino.
“Lo
sapevi!”
Alla mia
esclamazione, il suo sorriso si allarga. “Non abbiamo
mai avuto regole, per cui…”
“…per cui scommetti
sapendo già di vincere”
“E’
il prezzo da pagare per essere la nuova ragazza. E per
avermi fatto perdere sette dollari, ma questo già lo sai,
no?”
Gideon sembra appena
risvegliarsi, nell’esatto istante in cui
Fabian si mette a lavoro per preparare la colazione della coppietta.
“Cosa?
Quale delle scommesse hai perso?”
Fabian sospira
appena, replicando con un vago: “Non sa
cucinare”
Il
gemello assonnato,
in risposta, ghigna. “Sono in debito con te, Evans”
Dopo questa
– ma soprattutto dopo aver alzato gli occhi al
cielo lasciato impossessare un sorriso si impossessi delle mie labbra
screpolate - passo a pulire il bancone sulla destra, bloccandomi
tuttavia
qualche istante dopo. Sono sicura che la mia espressione facciale sia
un
curioso cipiglio di fronte a quella che mi sembra essere la fotografia
più
distratta e caotica che abbia mai visto. È chiaro che si
tratta dei lavoratori
del Three Breadsticks – ci sono Fabian, Gideon ed un ammasso
di persone di età
differente e totalmente, incondizionatamente diverse fisicamente. Come
avevo
già capito in precedenza, qui ci sono tante foto e qui,
soprattutto, c’è un
clima comparabile a quello di una grande famiglia affiatata.
Eppure—c’è
qualcosa che disturba, in questa foto. In maniera positiva, chiaramente.
“Ah”
– esordisce Gideon, il tono di chi ha tutte le risposte
–
“La nostra troupe. Avrai tempo per conoscerla, sta’
tranquilla”
“Sono
tutte brave persone” – continua Fabian, indaffarato
con
le bevande – “Il proprietario più di
tutti”
Non faccio altro che
annuire lentamente, le fronte non più
corrugata.
“Lils,
luce dei miei occhi, la mela alla mia crostata, lo
zucchero al mio caffè…”
“Sirius
Orion Black, cosa hai combinato?”
Sento la sua voce
tentennare in sottofondo, l’insicurezza che
si fa metallica ed i miei passi verso casa più veloci. Avevo
finito il turno
quando Lucinda McLaggen era entratata nel Three Breadsticks, il naso
rosso e
gli occhi simili a due fessure. Si era tolta la giacca in un batter
d’occhio e
aveva tentato per poche decine di secondi di trovare, attorno a lei, il
suo
grembiule. O meglio: il grembiule del terzo impiegato. Quando non
c’era
riuscita, notando con poca grazia che lo stavo indossando io, aveva
sbuffato,
urlato “Prewett!” all’aria, incurante
della pacifica e tranquilla atmosfera del
locale e Fabian le si era messo di fronte, visibilmente scocciato.
“Perché” – aveva
sibilato, la voce tagliente e sprezzante – “Lei
sta indossando il mio grembiule?”
A corto di parole,
non ero riuscita a risponderle a tono—a
risponderle in primo luogo, anzi. “Si dà il caso
che lei lavori qui, Lux” –
Fabian aveva alzato i sopraccigli in modo divertito –
“Direttive dall’alto, se
sai cosa intendo”
“Sta’
zitto. Zitto. Tu” si era poi rivolta a me, gli occhi
azzurri e limpidi così chiaramente infuriati.
“Turno finito, non trovi? E’
mezzogiorno passato”
C’è
da dire che in meno di trenta secondi mi aveva innervosito
e mi aveva condotta senza troppi giri di parole sulla via errata che,
nel giro
di pochi minuti, mi avrebbe resa una quasi diciannovenne incazzata. E a
giudicare dalle liti con Sirius e Petunia – Petunia
più di tutti – una lite con
Lily Evans, stereotipo della ragazza dalla chioma rossa infallibile e
irascibile, non avrei reagito con la cautela e gentilezza che mi
contraddistinguono nel novanta percento dei casi rimanenti.
“Ci
vediamo domani, Fabian? Stessa ora, giusto?”
“Esattamente,
Evans” Ignorando Lucinda, salutando con un gesto
rapido della mano Gideon, ero uscita. E sulla strada di casa, Sirius
Black
chiama. Lily Evans non fa altro che rispondere.
“Ricordi
la nostra conversazione di ieri, giusto? James
Potter, no?” – annuisco impercettibilmente, sulle
labbra una mezza smorfia.
Anche se non può osservare la mia reazione, prosegue
– “Beh, dobbiamo
festeggiare! A casa c’è un nuovo
arrivato!”
“Non so se
ringraziarti perché stai tentando invano di
prepararmi psicologicamente all’arrivo del tuo amico
chiaramente psicolabile o
iniziare da adesso ad urlarti contro perché non sono ancora
convinta che questa
faccenda possa avere un seguito-”
Mi blocca. “Lils”
Prendo un respiro
profondo, “Lo so. McLaggen mi ha fatto
innervosire. Ho fame. Non ti sopporto. Una serie di fattori mi rende
particolarmente insopportabile adesso”
Passano pochi
istanti prima che senta la sua risposta piena
d’affetto, “Neanche io ti sopporto,
Evans”, ma il rumore di sottofondo che
noto, incredibilmente simile ad una risata, mi porta a chiedergli:
“Sono in
vivavoce, vero?”
“Sempre
perspicace” replica con nonchalance, “Sei un coglione” mormora
un’altra voce,
maschile e imbarazzata. “Sempre perspicace” ripete,
con tono più alto.
Roteo gli occhi al
cielo. “Sono vicina alla metro. Cinque
minuti e sono da te”
“Da
noi”
“Ti
odio”
L’Upper
West Side si mostra
trionfante all’uscita della metropolitana, il poco sole che
c’è filtra dalle
nuvole grigie e probabilmente cariche di pioggia. Come previsto, il
vento spira
ed è anche freddo, abbastanza da farmi raggelare e
rimproverare mentalmente
perché non ho indossato la giacca più pesante,
questa mattina. Mentre procedo
verso l’appartamento, ed in particolare mentre sto per salire
quei quattro
gradoni in pietra scura che fanno da preambolo al portone
anch’esso scuro del
palazzo, un miagolio mi blocca.
Letteralmente.
Mi volto di poco,
capo inclinato e occhi socchiusi a osservare quella meraviglia di gatto
–
gattino, piccolo e grigio, pieno di striature più chiare e
dagli occhi
nocciola, grandi e desiderosi d’amore –
quest’ultimo mi fissa attentamente,
continuando quella conversazione che non mi ero neanche accorta
stessimo
avendo.
Miagola
per una seconda volta,
più convinto e più insistente, mentre con lo
sguardo non mi lascia andare. Vorrei
girarmi, ma. La sua coda si agita poco, lunga e sottile e graziosamente
elegante, e, notando il mio interesse – bugia, rettifico. La
mia attenzione
dovuta al suo fascino – nei suoi confronti si fa avanti di
due soli passi,
dando sfogo al terzo miagolio persuadente della giornata.
“Non
guardarmi così”
I
gatti non possono sorridere,
giusto? Non possono sorridere come se fossero dio sceso in terra e
avessero il
coltello dalla parte del manico, no? In risposta, si fa daccapo
più vicino e
alza il capo quanto basta per continuare a scrutarmi, interessato.
“Sirius
mi ammazzerà”
Apro
il portone lasciando che il
gattino-dai-nuovi-padroni entri per primo.
Busso
alla porta marrone con la
linda indicazione 6B su di essa, prima di afferrare tra le braccia
gattino-dai-nuovi-padroni.
A dispetto di quanto sperassi, è il nuovo coinquilino ad
aprirmi. Non il gatto,
chiaramente. James. James bastardo Potter. James
ti-rubo-l’amico Potter. James
sono-più-bello-di-quanto-sperassi Potter. Ci fissiamo per un
attimo, il tempo necessario
per notare che i suoi occhi sono della stessa sfumatura di quelli del
gattino
fra le mie braccia.
“Ciao”
C’è
una nota di je ne sais quoi
nel modo in cui lo dice, una mano ferma sulla porta e l’altra
sul maglione
rosso che indossa, due dita che vanno ad allargare il collo bordeaux
come se ce
ne fosse bisogno. Mi convinco ad alzare lo sguardo, per un attimo
distratto, e
dopo aver morso l’interno della guancia, con un decisamente
rumoroso “Ciao”
ricambio il saluto.
Gattino
miagola, come se anche
lui si sentisse in dovere di presentarsi. Gatto educato. Già
mi piace—
“Ciao” James ripete, questa
volta con un angolo delle labbra
inclinato verso l’alto e la voce calda, le dita che
solleticano il capo del
micio. Quest’ultimo risponde chiudendo gli occhi e
abbandonandosi alle coccole.
Per una frazione di secondo, penso che Gattino mi abbia delusa.
“E’
tuo?” domanda allora, le
labbra schiuse e gli occhi puntati su di me, luminosi.
“No—voglio
dire, sì. Mi ha
convinto a prenderlo”
“Chi?”
“Il
gatto. Sa essere abbastanza
persuasivo” Potter alza un sopracciglio, non so se curioso o
divertito. Forse
entrambi. Sotto il suo sguardo attento, mi sento arrossire.
“Sono gli occhi”
Le
sue labbra si curvano appena,
mentre fa per prendere Gattino ed io arrossisco maggiormente, convinta
che mi
abbia presa per una maniaca. Che non sono.
“Davvero”
– ribatto allora,
quando noto che si sta trattenendo dal ridere – “Guardalo”
“Non
lo metto in dubbio” spiega
afferrandolo e, per la seconda volta, mi sembra che Gattino sorrida
spensierato
e vincitore.
“Sono
James, comunque”
Mi
porge la mano. Voglio alzare
gli occhi al cielo. Lo so, idiota. Ma. Gliela sfioro comunque. Pur
essendo
cresciuta con Sirius sono sempre stata accogliente ed educata.
Ringrazio la mia
splendida famiglia per quello.
“Lily.
Stanca ed affamata”
E’
il suo turno per arrossire –
ma appena, un semplice rosa che gli tinge il collo – e farsi
indietro,
lasciandomi entrare a casa. “Scusa il disordine,”
spiega, “Sirius ha
apparentemente tentato di
prepararsi
la colazione e l’ho aiutato a, uhm”
“Spegnere
il fuoco? Nascondere il
cadavere?” lascio la giacca sul divano, rendendomi conto che
la sua valigia è
perfettamente intatta di fronte alla porta della camera di Sirius. Il
che
significa che James Potter non sta mentendo ed il disordine che ricopre
la
cucina e parte del salotto è davvero dovuto ad Orion. Che,
per l’appunto,
“dov’è?”
“Credo
spesa. Sai, ricomprare
quello che ha bruciato…”
“Splendido”
“Splendido”,
ripete, annuendo e
puntando daccapo lo sguardo su di me.
“Io
sono nella mia stanza”,
spiego allora, annuendo lievemente il capo e puntando il mento nella
sua
direzione. Vorrei dire, non cercarmi,
non disturbarmi, non farmene pentire, ma “Per qualsiasi cosa
tu abbia bisogno”
sono le mie effettive parole, pronunciate con una delicatezza
facilmente
riconducibile all’incertezza della sua figura, qui, nel mio
soggiorno—come se
mi avesse appena destabilizzata.
Risponde
con un movimento lento
del capo, accennando ad un sorriso che non fa intravedere i denti,
bianchi e
perfettamente allineati.
Per
una volta, vorrei che queste
vacanze terminassero in un battito di ciglia.
Il
pranzo pomeridiano più
imbarazzante del secolo inizia così: io mangio da una
ciotola in porcellana
verde in cucina – quello spazio piccolo e insopportabile
così denominato –
mentre i miei coinquilini, le due persone di sesso maschile con cui
condivido
momentaneamente l’appartamento, siedono con
tranquillità in soggiorno. O
meglio, in quell’ala del soggiorno che funge da sala da
pranzo, con tanto di
sedie acquistate dall’IKEA e tavolo rotondo, accogliente e
spazioso. È esattamente
così che inizia.
Sirius
fa una battuta sul mio
essere meno socievole di Rick Terzo – un ragazzo che ha
frequentato il nostro
liceo tempo addietro, più grande di noi di qualche anno
– al che James Potter tenta
di non chiedere informazioni su questo tale per non farmi incazzare, a
giudicare dall’occhiata che mi ha rivolto in tutto questo.
Il
nostro spiacevole
inconveniente, ossia il silenzio calato fra noi, si rende
più acido dal mio
sgranocchiare rumorosamente e dal telegiornale che continua a
propinarci
notizie insensate e poco interessanti. Se solo Dorcas o Alice fossero
qui…
Il
Problema sorge attimi dopo,
quando il telefono squilla e Sirius, più frettoloso di me
all’inverosimile,
riesce ad afferrarlo prima di me, rispondendo con la caratterizzante
poca
grazia ed un sorriso sornione sulle labbra.
“Pronto?”
Chiunque
sia dall’altro capo del
telefono riesce a catturare la sua attenzione. Il che fa nascere il mio
Problema: in piedi in soggiorno barra sala da pranzo, la mia ciotola
oramai
vuota in cucina e un inquilino fastidiosamente silenzioso a poca
distanza da
me. E’ quello che Dorcas chiamerebbe Pretesto
di socializzazione.
Non
che io ce l’abbia con lui:
voglio dire, fino ad ora non ha fatto nulla di male, ma. È
forse questo il vero
Problema. Mi aspettavo un arrogante bastardo affascinante
sino all’esasperazione, capace di catturare senza
volerlo né sforzarsi l’attenzione del mio migliore
amico e di tutti coloro che
avrebbero spaziato nella sua orbita. Qualcuno da detestare, qualcuno su
cui
sfogare la mia esasperazione. Qualcuno da invidiare, perché
con Sirius e perché
al college, ma alla fine della giornata – della mattinata,
anzi – la situazione
che si pone di fronte ai miei occhi è del tutto ribaltata:
è una persona
riservata, almeno con gli sconosciuti. Grata di essere dove sia. Con
problemi
familiari, tanto da non voler (poter) tornare a casa durante le
festività
natalizie. In questo momento, è più simile a me
di quanto io voglia crederci e
questo è sufficiente perché io mi comporti
così nei suoi confronti.
“Così…”
prorompe ad un tratto, la
voce suadente come ore fa. “Sirius mi dice che siete amici
dall’infanzia”
“Conosco
il bastardo da quando
avevamo undici anni” una pausa. “In retrospettiva,
è stato il primo vero amico che
io abbia mai avuto”
“Ha
detto lo stesso di te”
“Beh,
ha un modo terribile per
dimostrarlo” – ribatto –
“Scommetto che si comporta allo stesso modo con voi”
“Per
lo più… distratto. Non che
non abbiamo tutti capito – Remus prima di tutto –
che sia un sentimentale fino
al midollo” ha lo sguardo puntato sulle sue posate.
Remus?
Perché il nome non mi è
nuovo? “Remus prima di tutto?
Chi è? Non
ricordo se Sirius me ne abbia parlato o meno”
Sirius
alza i sopraccigli, un’espressione
perplessa sul viso, prima di scoppiare in una genuina risata. Io e
James lo
fissiamo per qualche istante.
“Un
nostro amico. Diavolo, che
bastardo. E’ un genio che impreca come non puoi immaginare
ma, di fronte ai
professori, è completamente riservato, educato.
Rispettabile,” scuote appena il
capo. “E’ riuscito a sfuggire dalle punizioni
più di quanto noialtri
desideriamo ricordare…”
“Insomma,”
esclamo, sedendomi ad una delle quattro sedie dell’IKEA.
“Un
tipo fico”
“Un
tipo fico” ripete le mie parole. Per qualche frazione di
secondo
penso che la conversazione si sia esaurita lì. Sono pronta
ad andarmene quasi
soddisfatta, quando procede, questa volta lo sguardo nocciola puntato
nel mio.
“Mi
dispiace di aver fatto irruzione a casa vostra, so quando possa dare
al cazzo non vedere qualcuno a cui tieni per tanto per poi…
non lo so,
ritrovartelo in soggiorno con un problema a cui badare. In questo caso
sono io
il problema. Ma. La situazione a casa è una merda e Sirius
mi ha promesso che avrebbe
fatto il possibile per aiutarmi, in una delle nostre serate sbronze.
Cazzata, lo so, ma se avessi potuto
prevedere…”
sospira. “Non gli avrei chiesto così
tanto”
Per
la seconda volta in questa giornata mi ritrovo a inumidirmi le labbra
e pronunciare parole senza che me ne renda conto. Del tutto. Il che si
pone
come una questione da risolvere al più presto.
“Non è un problema” – esclamo,
facendo affievolire il cruccio sul suo viso – “So
cosa significhi avere
problemi in famiglia”
Ha
le labbra appena schiuse, le sopracciglia disordinate e i capelli
spettinati per via della mano che ci ha appena ficcato dentro e sembra
persino
sul punto di dire qualcosa, quando ci rendiamo conto che Sirius ha
finito la
telefonata e si piazza fra noi con un sorriso malandrino sulle labbra.
“Remus
John Lupin ha appena dato la sua disponibilità per una
serata da
Malandrini. Ci sei?” ed i suoi occhi grigi si focalizzano su
James Potter,
illuminati da una patina che urla RISCHIO e CAZZATE IN ARRIVO. Con
tanto di
caps lock.
Poi,
come risvegliatosi da una lunga dormita, sposta lo sguardo su di me
e dice: “Ci siamo?”
Rimaniamo
per qualche istante
così, fermi ed in silenzio, sino a quando non considero
mentalmente concluso il
pranzo pomeridiano imbarazzante. In realtà, è il
mio amico da quando eravamo
undicenni a concluderlo.
Sirius
tira fuori dalla tasca una
busta di tabacco, ed allora so già l’esito della
nostra serata. Mentre afferra
distrattamente una cartina e infila tra le labbra un filtro, alza lo
sguardo
verso di me: inclinando un angolo delle labbra verso l’alto,
sento James che si
lascia andare ad una breve risata da qualche parte oltre le mie spalle.
Roteo
gli occhi al cielo. Se possibile, il sorriso del mio migliore amico si
fa più
sornione.
“E’
un sì?” chiede con la voce un
po’ impastata dal filtro, le dita che si muovono su e
giù per posizionare al
meglio il tabacco. Il drum prende forma tra le sue mani agili ed abili,
e a me
vengono in mente tutti i pomeriggi in cui ha tentato di preparare una
sigaretta
perfetta – né troppo piena, né troppo
vuota, nel minor tempo possibile –
all’età di diciassette anni. Sì, senza
ombra di dubbio mi vedo un po’
traballante e troppo orgogliosa per rifiutare un giro di shots, ma
soprattutto
troppo ammorbidita dalla familiarità della mia compagnia
– voglio dire, almeno metà
della mia compagnia – per poter
esalare un no categorico.
“Sai
che ho un debole per il
tabacco biologico…” è la mia risposta
sussurrata, capace di dare il via ad una
risata strozzata da parte del coinquilino e del nemico senza gloria.
“Evans”
– dice allora, porgendomi
il primo drum della serata – “E’ colpa
tua se ho iniziato a comprare questo schifo”
“Si
da il caso che questo schifo ti
piaccia, apparentemente” –
ribatto, un sopracciglio innalzato – “Dato che lo
compri da due anni”
“Una
sera mi ha sorpreso mentre
preparavo un drum con il suo tabacco” – inizia
James, la voce tanto incerta
quanto chiaramente divertita – “Mi ha insultato in
Francese”
“Bastardo
sentimentale” commento,
porgendo una mano a Potter. Aggrotta la fronte ma sembra rapidamente
capire, al
che poggia il suo accendino sul mio palmo. Vorrei dirgli che ha la
faccia da
fumatore – bugia – ma sono troppo orgogliosa anche
per mentirgli e dire che in
realtà ho notato da subito il peso della taschina della
camicia. Un peso dalla
forma di un accendino. In fin dei conti, anche Petunia mi ha sempre
definita
come l’osservatrice per eccellenza. Bei ricordi.
“Questo
bastardo sentimentale è
ufficialmente offeso, grazie tante” – si passa una
mano sul viso, la barba che
inizia a crescere e mostrare i suoi limiti – “Posso
dire di sì a Remus, allora?
Peter è dai nonni – spero ritorni con qualcosa di
consistente – per questo
siamo solo noi quattro. Ci divertiremo. O meglio, proveremo a far
divertire
Lily”
“Lo
dici come se fosse qualcosa
di difficile e irripetibile”
“Nah,”
replica, “Ti conosco. So i
tuoi punti deboli” e con il mento indica il tabacco
biologico. “Intendo che
renderemo questa serata la migliore della tua vita”
“Non
so se le tue parole debbano
infastidirmi o meno”
Entrambi
gli inquilini scoppiano
in una divertita risata.
so che sono
terribilmente in ritardo - senza molte scuse poi, se non le solite,
ossia mancanza di ispirazione, scuola e perenne convinzione che quello
che io abbia scritto abbia delle falle assurde - quindi
sì, scusate davvero! ho molto a cuore questa storia,
così come hooked on a feeling, il cui nuovo capitolo di
attualmente 4109 parole non è ancora del tutto completo ma
in dirittura d'arrivo, quindi credo che questi lavori troveranno una
fine. se non scritta, perlomeno mentale. o in forma di "headcanon", nel
peggiore dei casi. ma non voglio arrivare a questo.
non
voglio soffermarmi tanto su ciò che ho raccontato, dico solo
che James mostrerà il suo volto da marauder/good
friend/lily's lover così come Sirius e Lily! queste
sono ancora circostanze un po' strane e imbarazzanti: non si conoscono,
non si sono sciolti, aperti, non si sa ancora nessuna backstory e
quindi vedetelo come intro. come ingresso, come punto di inizio. la
storia di qui migliora e basta :) almeno si spera hahahah
spero
non vi siate del tutto scordati di me!!! anzi apprezzerei come pioggia
al cioccolato dei pareri, dei feedback da parte vostra. sono sempre
terribilmente insicura su quello che ho scritto e su come lo abbia
scritto, quindi un vostro commento non farebbe che rassicurarmi!!
a presto, spero!
per ogni altra cosa, mi trovate su ask, twitter e tumblr!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3013022
|