The Ties That Bind Us

di williewildcat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo incontro ***
Capitolo 3: *** Segni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


~~Nda: nessuno dei personaggi mi appartiene, tranne Alex… Anche se avrei voluto possedere un assassino…
Ho notato che Kadar non ha abbastanza importanza nel gioco e… come posso dire? Ho un debole per i ragazzi coi capelli scuri e gli occhi chiari… Ma invece di accoppiarlo a qualche altro tizio di AC… Ho pensato che una brunetta sarebbe stata adatta…;) Ci saranno anche altri personaggi di AC più avanti.
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Boston…

Un’altra maledetta notte.
Un’altra maledetta notte ad avere a che fare con gente stupida! Ma questa città era piena solo di stupidi? Alex buttò la borsa sul divano mentre sbatteva la porta dietro di lei. Stava davvero iniziando ad odiare il suo lavoro. Aspetta, ma lei lo odiava già! Lo odiava davvero profondamente!
Non avrei dovuto accettare la proposta di Desmond di restare con lui.
Si sbottonò la camicia e poi si sfilò i pantaloni.
Ancora… non puoi lasciarti andare ancora! E’ per questo che stai in uno stupido appartamento frequentando regolarmente gente idiota!
Emise un ringhio di esasperazione e angoscia quando s’inciampò nei suoi stessi piedi. Riuscì a mantenere l’equilibrio ruotando di fianco e afferrando il brodo del tavolo, prima di dare una facciata a terra. Scosse la testa in segno di disappunto per se stessa mentre si risollevava. Alex si sorprese di essere arrivata a questo punto senza cadere tra le braccia della morte. Era passato quasi un anno da quando il corpo di Clay era stato ritrovato al Porto Interno di Boston. Il Boston PD aveva recuperato il corpo distrutto del suo amato, rimasto incastrato in una serie di trappole per aragoste, da un peschereccio. Il corpo era così mal ridotto che non si riuscivano a distinguere i forti lineamenti della mascella o del naso, un tempo ben evidenti. L’unico modo per accertarsi che fosse lui era attraverso l’impronta dentale.
Il caso rimase irrisolto fino ad oggi.
Avevano trovato pochi indizi. Il suo portafoglio, le chiavi e l’orologio erano spariti facendo pensare ad un furto. Ma Alex non poteva non sospettare che qualcosa non andasse. Continuava ad avere la sensazione che ci fosse qualcosa sotto. Qualcosa che era stato nascosto o trascurato. Ma perché la polizia avrebbe dovuto nasconderlo? Clay non era una persona importante o un criminale che avrebbe potuto sollevare uno scandalo! E sapeva badare a se stesso. No, qualcosa non andava.
Alex aveva trascorso ore, giorni e, sì, anche settimane a leggere i rapporti della polizia, che erano tutti cancellati in alcune righe. Neanche i registri pubblici erano di qualche aiuto. Le sue richieste erano sempre state respinte per uno stupido motivo o per un altro, citando qualche legge che per decifrarla serviva un mago. Oh, e non dimentichiamo quei bei blocchi di lettere che le agenzie governative amavano mandare. Quelle che con così tante educate parole dicevano, “Non te lo diciamo, stronza”.
Eppure si era rifiutata di cedere e ha continuato le sue ricerche. I vicoli ciechi erano più comuni delle strade aperte, e questo aumentava i suoi dubbi e la sua rabbia. Quando fece irruzione nell’ufficio del capo della polizia esigendo delle risposte, il leader l’aveva prontamente fatta scortare fuori da due grossi sergenti e lui, con calma e arroganza, aveva informato la donna sconvolta che se avesse ancora mostrato lì la sua faccia in quel modo l’avrebbe subito arrestata.
Neanche i giornali avrebbero potuto aiutarla. Era come se quando menzionava il nome di Clay Kaczmarek loro se ne sarebbero voluti andare o, se qualcuno le dava una mano, erano gesti inutili, come tutti quegli articoli che le avevano scannerizzato e dato un centinaio di volte. E ovviamente anche loro cercavano di persuaderla dalla ricerca.
“So che stanno nascondendo qualcosa,” continuò a togliersi la camicia e poi il reggiseno, seguito dai calzoncini mentre si avviava verso il bagno.
La doccia alleviò un poco la tensione, ma lei rimase sotto il getto d’acqua, non volendo uscire dalla cortina di vapore che riempiva quel piccolo spazio. Le sue mani artigliarono le piastrelle mentre sentiva riaffiorare dolorosi i ricordi. Le sue lacrime scivolavano, con le gocce d’acqua, lungo il corpo, cadendo a terra in una cosa sola. In uno scatto improvviso Alex prese a colpire il muro più e più volte, ignorando il  crescente dolore alla mano. Alzò anche l’altra colpendo con entrambe.
“MELEDETTI’” Urlò. “PERCHE’ ME L’AVETE PORTATO VIA!?”
Alex si volto appoggiando la schiena alla parente e lasciandosi scivolare contro le piastrelle lisce e bianche, finché si ritrovò rannicchiata sul pavimento della doccia. Alex si sentì improvvisamente fredda all’interno, mentre la rabbia veniva sostituita dal dolore.
“Sono così sola”
“Qual è la missione?”
Alex spalancò gli occhi. Il suo cuore prese a martellare quando quelle voce accentata parlò di nuovo.
“Mio fratello non m’ha detto nulla. Solo che devo essere onorato dell’invito.”
Era sicuramente la voce di un uomo. Ma pareva fosse proprio al suo fianco. Come se…
Era proprio qui…
Alex si voltò di scatto a destra ma non vide nessuno.  Le sue dita scostarono la tenda della doccia e guardò nel resto del bagno. Era vuoto, fatta eccezione di lei. Poggiò le mani contro il muro e si costrinse ad alzarsi lentamente, mentre si sforzava di ascoltare per avvertire qualsiasi movimento al di là della porta del bagno.
“Bell’uccisione”
La sua mano chiuse immediatamente l’acqua. Gli unici rumori nella stanza provenivano dal suo petto e dallo sgocciolare dell’acqua.
“La fortuna favorisce la tua lama.”
Ok, chiunque fosse questo stronzo stava per passare una brutta notte. Inoltre, chi diavolo parlava in quel modo? La fortuna favorisce la tua lama! Per favore, chiunque parli in questo modo dovrebbe finire in mezzo alla strada a calci!
Senza scostare la tenda, Alex si sporse per prendere l’asciugamano appoggiato su un mobiletto. Non si curò di asciugarsi, tanto l’aria calda che entrava dalle finestre avrebbe fatto evaporare le piccole perle d’acqua sulla sua pelle. Uscì dalla doccia e prese a camminare in punta di piedi, cosa che aveva preso da Clay. Si era sempre chiesta perché si muovesse in quel modo. I suoi piedi la portarono verso la camera che una volta condivideva con lui, e prese la spada nascosta nello scomparto sotto le molle del letto. Clay aveva insistito perché lei la tenesse sempre lì.
“Perché tenere questa dannata cosa? Il quartiere non è così male. Voglio dire, a parte Krav Maga che grida come un pazzo!”
“Non si sa mia chi potrebbe decidere di entrare Lexi.”
La sua voce aveva un tono davverio serio. Era come se Clay temesse per la sua sicurezza e la sua vita. Ma perché avrebbe dovuto preoccuparsi? Alcune parti di Boston erano grezze, ma da quando le parlò quel giorno fu come se qualcosa di più oscuro stesse per accadere. Qualcosa di sinistro in agguato nel buio. Qualcosa che Clay temeva molto. Ma chi o cosa? Certo, poteva essere uno stupido e arrogante, ma questo era un lato di lui che non aveva mai visto prima.
Davanti a lei qualcosa balenò, facendola gelare. I muscoli si tesero mentre reggeva la spada. Clay le aveva insegnato ciò che sapeva, che era totalmente diverso da ogni sua abilità.
“Allora, mostrami come disarmare.”
La coppia aveva passato ore nel parco nei caldi giorni di primavera, e in casa quando d’estate faceva troppo caldo. Entrambi sarebbero finiti per respirare affannosamente, mentre il sudore gli incollava i vestiti alla pelle. E Clay le avrebbe sorriso in quel modo che lei amava. E gli si adattava splendidamente.
“Whoa! Calma super girl! Ho bisogno della mano!”
Gli aveva quasi tagliato la mano quel giorno.
Alex scosse la testa avvertendo una presenza e si appiattì contro il muro. Il suo cuore si bloccò quando lo vide. Era un uomo! Bene, quel povero bastardo stava per passare una pessima notte.
Seguì la sagoma nella direzione in cui si era mossa, tenendosi pronta a colpire. L’intruso aveva le spalle al muro, non poteva andare da nessuna parte. Il soggiorno era un vicolo cieco e l’unica uscita era la porta d’ingresso. Se fosse scappato avrebbe sentito la porta aprirsi o la finestra.
Quando arrivò l’accolse il silenzio.
Il bastardo si nasconde!
Entrò nella stanza trattenendo il fiato per cogliere qualsiasi movimento. L’orologio a pendolo, che si muoveva costantemente avanti e indietro, era l’unico disturbo alle orecchie. Guardò cautamente dietro ogni angoli, aiutandosi con le luci che arrivavano dalla strada e quella del bagno. Niente. Neanche sotto il divano o le sedie.
“No”, tonò al centro della stanza continuando a cercare freneticamente l’intruso. “No, è impossibile.”
Alex er sbalordita. Stava vedendo cose che non c’erano?
“No”, disse. “No, io ho visto la figura di un uomo, ed era solida. So che non sono pazza…”.
La sua voce vacillò sull’ultima parola. Non stava perdendo la testa! O forse sì? Alex aveva subito gravi depressioni dopo la morte di Clay, ma non aveva mai visto ombre nere nel suo appartamento. Stringendo ferocemente la spada in mano, Alex corse in bagno.
Quasi strappò via lo sportello dell’armadietto dai cardini arrugginiti mentre prendeva una bottiglia dallo scaffale in alto. Ignorò il suono delle altre bottiglie che cadevano nel lavandino mentre armeggiava maldestramente col tappo. Scosse forte la bottiglia aspettando che una pillola le cadesse sul palmo della mano. Alex se la gettò in gola, deglutendo a secco. Cosa che si dimostrò un grande errore visto come si era incollata nella parte posteriore della trachea. Rapidamente, Alex aprì il rubinetto e mise la testa sotto il getto. Cinque sorsi erano quello che ci voleva per spingere giù il valium.
Tirò su la testa in cerca di aria, chinando il capo all’indietro per farla passare meglio ai polmoni. Lentamente riportò giù la testa, aprendo gli occhi. Ciò che vide la immobilizzò sul posto.
Si lasciò sfuggire un piccolo guaito vedendo, riflesso nello specchio, l’uomo in piedi alle sue spalle. Alex si fece coraggio e si voltò, ma non vide nessuno. Tornò lentamente a guardare lo specchio per trovare l’uomo che guardava dritto verso di lei. Non si muoveva ne parlava, ma era lì. A poco a poco la curiosità superò la paura mentre Alex osservava il suo aspetto.
I capelli corti e neri erano spettinati. Il colore della pelle era simile a quello delle mandorle, ma non per il sole. No, era il suo colore naturale. Aveva un lieve accenno di barba sul mento e sopra al labbro superiore che accentuava la forma forte della mascella e i lineamenti tesi. Le sue labbra erano perfette, da baciare e impeccabili. Aveva dei vestiti strani, sicuramente non di questo secolo. Chi diavolo indossa i leggins!? Peggio ancora, gli stivale che arrivavano fino alle ginocchia! E quel sudario bianco o qualunque cosa sia? E cosa c’era sulla fascia rossa? C’era una fila di coltelli e una spada alta quasi quanto lei che la fece subito tremare. Di certo non erano oggetti che una persona di quest’epoca si portava in giro. Tutta l’FBI gli sarebbe addosso. Eppure sembrava tutto stranamente familiare e, forse, anche confortante. Perché la pensava così?
Non aveva mai visto nessuno vagamente somigliante a quest’uomo eppure le sembrava di avere davanti una persona di famiglia o un innamorato! E si sentiva… costretta ad avvicinarsi a lui. Il suo cuore batteva contro le costole mentre inclinava leggermente verso destra e stringeva gli occhi per concentrarsi.
Gli occhi…
I suoi occhi erano sensazionali! Erano così in contrasto con la pelle abbronzata, ma ad Alex non importava. Completavano perfettamente i suoi lineamenti.
Mozzafiato…
Belli…
Espressivi…
Ad Alex sembrava stessero cercando qualcosa, qualcosa in fondo alla sua anima. E lei li lasciò fare. La barriera tra di loro venne abbattuta con uno sguardo. Un piccolo sorriso affiorò sulle sue labbra per la prima volta dopo quell’incontro.
Inconsciamente si leccò le labbra mentre sollevò la mano verso l’immagine. Avvertì una strana sensazione quando la pelle calda toccò il vetro. Piccole scosse di elettricità le partirono dal basso, seguendo la spina dorsale e invadendo tutta la schiena. Nello stesso istante il fantasma nello specchio aveva imitato il suo gesto, alzando la mano per incontrare la sua.
Il modo intorno a lei si sciolse lasciandola sola con quel misterioso individuo.
Kadar…
Quella voce accentata le risuonava nella mente. E lei sorrise sentendo quel nome. Era il suo?
Quando le loro mani s’incontrarono attraverso il vetro, l’oscurità la travolse. La vista si oscurava, poi s’illuminava, poi di nuovo si oscurava, e il suo corpo si inarcò e tremò violentemente. Alex afferrò il lavandino, ma il suo corpo era diventato pesante e la trascinò verso pavimento.
Kadar…
Clay…
La sua voce tremò mentre perdeva le forze. Sentì il buio consumarla ed ebbe la sensazione di cadere.
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Kadar Al-Sayf urlò scattando a sedere sulla paglia che gli faceva da letto. Il cuore gli tuonava nel petto, inondando le orecchie col suono dello scorrere del sangue. Il sudore gli inumidì i vestiti facendo incollare il tessuto alla pelle, nonostante l’aria fresca della notte. I capelli si erano appiccicati alla fronte. Vagò con lo sguardo per la stanza, vedendo suo fratello Malik e il compagno Assassino Altair Ibn-La-Ahad dormire sonni tranquilli. Entrambi erano immersi sotto l’argentea luce lunare che aveva sommerso i loro giacigli. Nessuno dei due si era mosso o aveva fiatato.
Come avevano fatto a non sentire le sue urla?
Quel sogno era così reale! Poteva ancora vederla davanti a lui!
La donna era lì e lo stava fissando, come se lo conoscesse. I suoi capelli erano come la seta più bella venduta dai mercanti di strada. La sua pelle era più chiara della sua, quindi doveva avere origini europee. Ed era abbellita da gocce d’acqua che la facevano brillare come un diamante. Il suo corpo era coperto solo da uno strato di stoffa, mentre se ne stava davanti a un bacino di qualche tipo. La sua bocca si aprì leggermente, come se volesse dire qualcosa ma non ci riuscisse.
Ma erano stati gli occhi.
Quella bella e stregante espressione che le dominava gli occhi color zaffiro, che avrebbe potuto scambiare per il Mediterraneo. Poteva sentire il suo dolore .Sentì una stretta al petto e alla gola mentre si guardavano l’un l’altra attraverso un unico pannello di vetro. Con quella barriera tra loro gli pareva si trovassero n due modi diversi. La sua pelle era umida dove una lacrima era scivolata verso il basso. Ricordava la sua mano premuta contro il vetro e i suoi occhi che lo pregavano di fare lo stesso. Kadar si sentì attratto da lei e sollevò la mano verso la sua, completando quel legame. Aveva persino maledetto la barriera che li separava. Ma quel prezioso legame che si era creato si frantumò. Era come sotto un incantesimo mentre la guardava scivolare a terra.
Alexandra…
Si ritrovò a sorridere a quel nome. La sua proprietaria aveva una voce celestiale, forse era un angelo.
Poi il sorriso scomparve.
Cosa significava? Era stato coinvolto in qualche sorta di stregoneria? Se forre stati i templari, in qualche modo, a farlo accadere? Forse era qualcosa di diverso? Doveva saperlo! Questo sogno doveva significare qualcosa!
Kadar…
La sentì di nuovo chiamare il suo nome, era come incantato. Quando aprì la bocca per rispondere la voce si bloccò in fondo alla gola.
“Kadar”, sentì il fratello sbadigliare e mettersi a sedere scrocchiando le ossa mentre raddrizzava il corpo. A differenza di lui, Malik era un Assassino di alto rango, e indossava abiti simili ad Altair: bianchi con la stessa cintura e sudario. Quelli di Kadar erano grigi.
“Kadar, cosa ti affligge?”
“Sono stato svegliato da un suono”, mentì. “Ho pensato fosse un intruso o un Templare.”
Malik si alzò in piedi, prese la sua spada e scrutò i dintorni. Altair invece, a differenza del fratello maggiore, rimase sul suo mucchio di fieno affondandoci la spada con colpi vivaci ma poco profondi. La sua lama riemergeva pulita ogni volta. Poi passò all’altro mucchio e ripeté l’azione. Questa volta la sua spada colpì qualcosa di solido.
“Ah,” ritrasse il braccio tirando fuori un grosso topo morto infilzato sulla punta della lama. “Sembra sia questa la fonte delle tue ansie, fratello”. Alzò un sopracciglio leggermente divertito.
“Certo,” annuì. Malik si accorse della bugia e che non era il topo che lo preoccupava. Lui sapeva che i Templari non conoscevano il posto in cui si trovavano. Suo fratello l’aveva ingannato. Poteva vedere lo sguardo distratto nei suoi occhi, anche al chiarore della luna. Ma il maggiore degli Al-Sayf scelse di aspettare la luce del giorno per affrontare la questione.
“Ora riposati,”suo fratello maggiore lo rimproverò con leggerezza. “Se no il nostro corpo e la nostra mente cederanno domani.”
Kadar si rigirò sul cumulo paglia, ascoltando il fratello mentre sistemarsi sul mucchio accanto a lui. Fissò il soffitto della stalla, cercando di ritrovare il sonno che il corpo desiderava. La sua mente era persa, persa in un altro luogo.
La ragazza, Alexandra, lo stava ossessionando. La disperazione nei suoi occhi cobalto era come una pugnalata al petto. La voglia di aiutarla gli rodeva l’anima facendogli contorcere lo stomaco, lasciando che la sua mente si concentrasse solo su quegli occhi. Tutto il resto non contava, neanche la missione in cui era stato mandato con il fratello e Altair.
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Abstergo, Italia…

“Mi dispiace Lexi…”
Clay Kaczmarek pensò con dolore e rimpianto. Affondò il viso nel cuscino per evitare che le telecamere registrassero la sua sofferenza. Giurò che quei bastardi non l’avrebbero visto così. La sua mente stava scivolando tra i ricordi del passato, rifiutandosi di distinguere il passato dal presente. Maledisse Lucy aver tradito tutti loro. Dopo che ebbe quella conversazione con la donna, Giunone, riuscì a capirlo.

Clay,
Ho visto le registrazioni della sicurezza di ieri sera. So che vuoi delle spiegazioni. Speravo di parlartene un po’ per volta, per portarti dalla mia parte, me è troppo tardi.
William ci sta usando. In questa guerra. In questa guerra contro i Templari, e non si cura delle vite che danneggia. Noi non siamo persone per lui. Come possiamo fidarci di una persona così? Clay, tu fra tutti dovresti capire.
L’Abstergo si preoccupa di aiutare le persone. Loro capiscono le realtà del mondo, i suoi limiti.
Ma so di non poter dire che ora cambierai idea.
Ho cancellato le registrazioni della sicurezza. Vidic non scoprirà la tua violazione. Ho promesso di proteggerti, ma non posso lasciarti andare. William e gli altri non devono saperlo.
Mi dispiace.

-Lucy
Li ha traditi! E se avesse parlato ai Templari di Alex? L’avrebbero cacciata e tormentata, convinti che sapesse qualcosa sul Frutto dell’Eden. Se Lucy fosse tornata dagli Assassini, non si poteva sapere cosa sarebbe stata in grado di fare! Dio, perché non aveva fatto di più per proteggere Alex? William si era rifiutato di fargli avere qualsiasi contatto con lei la notte in cui se n’era andato.
Non deve saperlo Clay! E’ per la sua sicurezza! Meno sa, meglio è.
Chi la proteggerà ora, William? Non è un’assassina!
Dobbiamo iniziare la missione, Clay. Sapevi cosa comporta essere un assassino. I rapporti ci distraggono.
Clay ricordava ogni cosa di quella notte. Ogni tocco, bacio, carezza, gemito di piacere. Aveva deciso di andarsene in tarda notte, dopo che Alex si fosse addormentata. Clay le aveva scritto un biglietto dove diceva di essere corso al negozio perché avevano lasciato fuori un paio di cose. Prima di andarsene  si era seduto sul bordo del letto, memorizzando l’immagine della bruna che dormiva sonni tranquilli, nel letto che avevano condiviso in quegli ultimi tre anni. Allungò la mano e le accarezzò la guancia, sentendola muoversi sotto il suo tocco. Clay si chinò per darle ultimo bacio e partì. Infilò una loro foto al parco in una borsa, dove sarebbe rimasta.
“Addio Lexi,” sussurrò. “Ti amerò per sempre.”
Quella fu l’ultima volta che la vide.
Sapeva cosa doveva fare.

Il prossimo aggiornamento sarà un Kadar/Alex… Il POV di Clay è nella storia perché Alex è ancora determinata a scoprire perché sia morto.

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Capitolo 2
*** Primo incontro ***


~~Boston… Presente…
Alex sedeva appollaiata sul bordo del divano, ignorando il moderato volume del televisore a pochi passi di distanza. Pioveva ora, sulle finestre brillavano costantemente delle gocce mentre scivolavano verso il basso. Nelle sua mani c’era una tazza di tiepido tè verde. Solo l’idea di preparare il caffè le aveva fatto diventare la lingua amara. La sua mente era stata sopraffatta, cancellando dal suo corpo il bisogno di nutrirsi. Alex prese un debole sorso mentre lottava per ricordare il sogno che l’aveva assalita dopo essersi risollevata dal pavimento del bagno.
“Dove diavolo sono?”
Alex non riusciva a vedere dove fosse, con i dintorni mascherati da un velo di oscurità. Allungò le braccia e si voltò lentamente di 360 gradi. I suoi sforzi furono vani dato che sentì solo il vuoto.
“Ok, questo non buono. Svegliati Alex… sveglia sveglia… svegliati svegliati…”
Un flash improvviso le accecò la vista, facendola finire a carponi con uno squittio di dolore.. Alex si coprì gli occhi con entrambe le mani, mentre il suo corpo venne avvolto da un lieve calore che la coprì come una coperta.
“Alzati…”
Alex sentì i piedi e le gambe obbedire. Le sue mani scesero sui fianchi mentre apriva cautamente gli occhi. L’intensità della luce era diminuita, e quando aprì gli occhi vide chi  si era rivolto a lei. Era senza parole alla vista di una donna in piedi di fronte a lei. Era più alta e con forme forti, ma decisamente femminili. Il suo viso era bello e forte. Il suo vestito era strano, però: fluenti vestiti di una bella stoffa erano trascinati dietro di lei e ricoprivano tutta la sua forma atletica. Un copricapo di qualche tipo le adornava la testa. Forse apparteneva ad una famiglia reale o di rilievo. Setosi fili color cioccolato sfioravano la schiena e le spalle, quasi come se danzassero con le vesti in un dolce valzer. Il suo equilibrio era aggraziato e sembrava camminare in aria, dato che i suoi piedi non toccavano il suolo.
“Tu chi sei?”
Le sue labbra rosa scuro si incurvarono in un sorriso triste.
“Ci hai dimenticato…”. Come se Alex dovesse saperlo.
“La tua mente è offuscata,” la donna si avvicinò di un passo.
“Beh, sono caduta nel mio bagno dopo aver visto uno strano ragazzo nel mio specchio quindi credo si possa dire che è offuscata.”
“Sei necessaria. Il momento della battaglia si avvicina.”
“Che battaglia? Boston sta cadendo a pezzi? Gli Yankees hanno fatto di nuovo pareggio?”
La donna tese il braccio e accarezzò lievemente la guancia di Alex, ignorando i suoi tentativi di fare della leggera ironia.
“Cercalo, il destino della spada”
“Ora puoi parlare chiaro? Quale destino della spada? Quale battaglia?”
“La chiave…”
“Ok, ora stai dicendo sciocchezze!”
“La Croce… Quelli che la portano non faranno di tutto per fermarti e prenderai la chiave.”
“Beh, se sapessi dov’è potrei anche andare a cercarla.”
“Fidati di questo,” le sue dita fredde si posarono sul suo cuore. “Ti chiamerà.”
“Ok, quindi trovo la chiave, tengo d’occhio La Croce ma per cosa esattamente?” Alex sentì la testa cominciare a girare per comprendere quel discorso criptico.
“I Templi e il Gran Tempio, la nostra conoscenza e il potere. La Croce non può averli.”
“Dov’è questo Gran Tempio?”
“La sfera ti guiderà.”
“Ora basta,” Alex roteò gli occhi. “Parla inglese, va bene?”
“Il discendente del Profeta ti troverà. Sono i legami che ci uniscono e ci porteranno fuori dalle tenebre. Ascolta le mie parole piccola Mera, perché c’è chi vuole vedere l’umanità caduta.”
“Vuoi dire La Croce, giusto?”
“Sì,” La donna sorrise, ma questa volta con calore. “Gli altri sono caduti per errori passati come verità. Che le mie parole siano messaggio di speranza.”
“Capito,” Alex non era sicura di dove o come interpretare quella strana conversazione.
“La spada ti troverà.”
“Ancora una volta con quel buffo parlare.” Alex si sentiva come se stessero girando in tondo.
“Stai bene, piccola Mera…” la donna si chinò per darle un casto bacio sulla fronte.
Alex sospirò e si alzò, sentendo il mal di testa iniziare a pulsare al centro della fronte. Controllò l’ora sull’orologio prima di tornare nella doccia.
Sto perdendo la testa…
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Gerusalemme… 1191
“Sei silenzioso Kadar,” Malik notò il cambio d’umore di suo fratello. Era insolito per suo fratello minore non cavalcare al fianco di Altair. Normalmente avrebbe tormentato il Maestro Assassino con il suo interrogatorio. In realtà, Malik era interiormente sollevato da questo cambiamento perché lui detestava l’atteggiamento di Altair. Kadar avrebbe ignorato i consigli e le parole di Malik riguardo l’arroganza e l’impudenza che Altair insegnava al giovane Al-Sayf, e questo lo preoccupava profondamente. Agli occhi del fratello, Altair non poteva sbagliare.
“Non ho riposato bene.”
“Perché mi hai ingannato quando ti ho chiesto cosa non andava?”
Kadar sentì il cuore fermarsi. Malik capiva quando stava mentendo.
“Non volevo che ti preoccupassi. Ho avuto un incubo, niente di che.”
“Ma perché l’inganno? Non mi sarei arrabbiato se me l’avessi detto.”
Kadar si morse la lingua, insicuro su in che modo poteva dire a suo fratello di aver visto una strada donna o se ne poteva parlare tranquillamente.
“Questa missione è troppo importante per preoccuparsi dei miei sogni, fratello.” Rispose Kadar. “Che missione è comunque?”
“Tutto quello che devi sapere è che dovresti essere onorato d’essere stato invitato.”
Kadar sbuffò è guidò il cavallo fino al fianco di Altair, sperando che il Maestro Assassino avrebbe risposto alle sua domanda. Suo fratello era un severo seguace del Credo, a differenza dell’altro che poteva scatenarsi e trascurarlo in ogni sua mossa. Questo è ciò che creò una frattura tra Malik e Altair. Attenzione contro impulso, orgoglio contro umiltà.
“Siamo arrivati,” Altair smontò seguito dai fratelli. Il Tempio di Salomone si trovava sul monte Moriah.
Era costantemente sorvegliato quindi era impossibile passare dall’ingresso principale. Il Maestro Assassino sapeva che le guardie avrebbero impedito l’accesso a chiunque, specialmente agli Assassini.
“Come si entra?” Kadar guardò l’uomo dagli occhi dorati.
“Seguitemi.”
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Alex uscì dalla doccia e guardò lo specchio con sollievo. Kadar coi suoi brillanti occhi azzurri non c’era. Forse se l’era solo immaginato, dopotutto. Ma perché le lasciava un senso di malinconia e vuoto il pensiero che potesse essere un trucco. Parzialmente soddisfatta della sua auto-diagnosi, Alex andò a vestirsi ed era decisa a godersi la sua giornata senza fare nulla.
Un tuono rimbombò nella città, e i lampi illuminavano le stanze e i corridoi scuri.
“Un modo perfetto per trascorrere la giornata: in casa”
Alex mise il bollitore sul fuoco e recuperò la tazza e la borsa. Quando le sue mani toccarono gli oggetti una visione le colpì la mente con la forza di una mazza da baseball. La sua testa urlava per il dolore acuto in ogni sua parte, si aggrappò al bordo del tavolo per non cadere. I tendini tiravano e la pelle delle dita divenne bianca, priva di sangue. Alex si appoggiò al tavolo mentre scivolava via dal presente.
Aspetta! Deve esserci un altro modo! Non c’è bisogno che muoia!”
Il fratello maggiore, Malik ,lo ammonì, ma Altair lo ignorò e fece inginocchiare il vecchio mentre sfoderava
la lama nascosta e la conficcava nella parte posteriore del collo dell’innocente. Il sangue gli macchiò le vesti e il cappello a strisce dorate che portava in testa. L’odore di rame e ferro si aggiunse a quello della muffa nell’imudità del tunnel. Malik era inorridito da quell’azione mentre Kadar lo elogiava.
Bell’uccisione! La fortuna favorisce la tua lama!”
Non la fortuna, l’abilità”, rispose Altair con orgoglio. “Resta a guardare, potresti imparare qualcosa.”
Certo, ti insegnerà a trascurare tutto ciò che il Maestro ci ha insegnato!” disse Malik, incredulo per un tale disprezzo verso il Credo.
E come avresti fatto tu?” lo sfidò Altair con un sorriso freddo. Malik irrigidì mentre la rabbia cresceva sotto la sua pelle.
Io non avrei mai attirato l’attenzione su noi. Non avrei tolto la vita a un innocente. Io avrei seguito il Credo!”
Nulla è reale, tutto è lecito. Un giorno sarai come me Malik, e capirai il significato di queste parole.” Guardò intensamente Kadar. “Non conta come svolgiamo l’incarico, solo che sia fatto.”
Ma non sono i principi che…” sostenne Malik, ma Altair rudemente lo zittì.
I miei sono migliori.”
Malik scosse la testa e alzò le braccia disgustato, rinunciando. “Vado in avanscoperta. Cerca di non disonorarci oltre.”
Kadar attese che suo fratello girò l’angolo prima di chiedere ad Altair della missione.
Qual è la missione? Mio fratello non m’ha detto nulla, solo che dovrei essere onorato dell’invito.”
Alex ricordò le cose sentite la sera prima. Gli occhi le bruciavano mentre cercava di trattenere le lacrime di dolore.
“Oh Dio, fa qualcosa…”
La sua voce era debole e timida. Le sue ginocchia cedettero e vacillò, rifiutandosi di reggerla più a lungo. Come se qualcuno avesse premuto un pulsante play nella sua testa la visione riprese.
“Il Maestro crede che i Templari abbiano trovato qualcosa sotto il Monte del Tempio.” Altair non trovò nulla di male nel rispondere alla domanda del giovane.
Un tesoro?” l’idea di trovare qualcosa di grande e prezioso gli fece brillare gli occhioni blu.
Non lo so. So solo che il Maestro lo considera importante, altrimenti non mi avrebbe chiesto di recuperarlo”.
“No” sussurrò. Il profondo sentimento di paura e un brutto presentimento le pervadeva il corpo. Qualcosa di brutto stava per accadere. Qualcosa di tragico. “Kadar non farlo…”.
La sala era enorme, con una sporgenza di roccia antica. Sembrava uscita da un film di Indiana Jones. Ponteggi in legno e piattaforme punteggiavano le pareti e gli spazi, mentro sotto erano sparsi strumenti e banchi da lavoro. In un muro dove intricate sculture e alti pilastri troneggiavano fieri, si trovava una grande cassatra due solidi pialastri.
“Lì! Quella dev’essere l’Arca!”, Malik indicò l’oggetto.
“E’... l’Arca…dell’Alleanza?” chiese timidamente Kadar.
“Non essere stupido! Quella non esiste, è solo una favola.” Rispose Altair.
“Allora cos’è?” Kadar si voltò dubbioso verso il suo superiore.

La pesantezza aumentò trascinando Alex a terra. Il suo respiro era affannoso e sentiva il cranio come schiacciato, pronto a rompersi. La fonte della sua agonia mostrò.
“Voglio che superiamo quelle sbarre entro l’alba! Prima sarà nostro, prima potremo rivolgere la nostra attenzione su quelli sciacalli di Masyaf” Un accento pesantemente francese risuonò nella stanza.
“Roberto Di Sable,” Altair riconobbe la voce. “La sua vita è mia.”
“No, dobbiamo recuperare il tesoro e affrontare Roberto solo se necessario!”
“Si frappone tra
noi ed esso! Direi che è necessario.”
Discrezione Altair…”
“Codardia, vuoi dire. E’ il nostro peggior nemico e abbiamo l’occasione di disfarcene!”
“Hai già violato
due principi del Credo. Così violeresti il terzo! Non compromettere la Confraternita.”
“Ti sono superiore, per titolo e per abilità! Non mettere in discussione ciò che dico!”
Kadar sentiva la tensione crescere tra i due uomini come un temporale estivo in avvicinamento.Sotto si sentivano i Templari che lavoravano per arrivare
più vicini al loro obbiettivo.
“Ci condurrai sicuramente
alla morte, Altair!” sibilò Malik, con  gli occhi socchiusi e le mani strette in pugni.
Altair lo ignorò e scese la prima scala, seguito da Kadar e Malik. I Templari erano a conoscenza della loro presenza, anche se erano concentrati sui lavori. Altair scese e si avvicinò con passi silenziosi al centro della stanza, rivelando il trio al nemico.
“Fermi Templari! Non siete i soli ad avere interessi qui!”
“Ah, questo spiega il mio uomo mancante,” ridacchiò il francese calvo. “E cos’è che volete?”
Era vestito come gli altri Templari: abiti grigi sotto, e sopra una tunica bianca con una croce rossa.
“La Croce!” gridò Alex, ricordandosi il sogno della donna. La Croce non era una cosa! Era gente!
“Sangue.” Altair si lanciò contro il Gran Maestro mentre Malik tentò invano di afferrargli un braccio. Roberto era preparato, gli prese il braccio della lama celata prima che potesse arrivare alla gola. L’altra mano catturò l’altro braccio, con una forza maggiore a quella di Altair, che lottava contro di lui. Roberto, però, non fece alcuno sforzo nel tenere a distanza l’Assassino.
“Ti risparmio solo
perché tu possa riferire questo al tuo Maestro: la Terra Santa non è più sua. Dovrebbe fuggire finché può. Altrimenti tutti voi morrete!”
Altair sentì l’aria corrergli addosso prima che il corpo colpì la struttura in legno. Le travi di sostegno caddero, facendo crollare i pilastri di pietra davanti a lui.
“Uomini, alle armi! Uccidete gli Assassini!”
Alex sentì il corpo pervaso dai brividi. Abbassò lo sguardo per notare che i suoi vestiti erano zuppi di sudore. Aveva i capelli appiccicati al collo e alla fronte. Fece un gemito mentre si rialzava su piedi traballanti. Si portò una mano alla testa mentre il rombo sordo del dolore diminuiva il fastidio. La orecchie rimbombavano per il movimento del sangue che le offuscava l’udito.
“Ho bisogno di un’altra doccia”, si avviò verso il bagno togliendosi quelli strati appiccicosi di cotone. Aprì l’acqua ma prima si chinò sul gabinetto per svuotare lo stomaco. Alex gemeva e tossiva mentre l’addome si muoveva senza controllo. Non si mosse finché le contrazioni spastiche non smisero di tormentarla. Ora stava vomitando solo bile e la tristezza cresceva. Alex appoggiò la fronte sul bordo di porcellana per un attimo prima di alzarsi e andare a cercare conforto sotto l’acqua calda.

Kadar gemette mentre cominciava a riprendere coscienza. Gli occhi sfregarono sotto le palpebre prima che li aprisse a ciò che lo circondava. La prima cosa che lo accolse fu la sensazione di un materiale morbido premuto contro la guancia. Si accorse di essere in un posto diverso da prima. Il Tempio di Salomone era sparito! Suo fratello era sparito! Altair era sparito! Roberto di Sable era sparito! Con attenzione si mise a sedere, consapevole del fatto che poteva trovarsi in trappola. Ma aspetta, de Sable li voleva morti! Come poteva essere vivo se…
Apparve un tenue bagliore gli sembrò che qualcosa gli stesse leggendo i pensieri. Kadar si alzò e aggirò il divano, trovando la Mela riposta sotto il tavolo. Strano, non era nel contenitore d’oro in cui l’aveva trovata Malik.

Le sue mani strinsero il Frutto dell’Eden, quando questo cominciò ad essere incandescente nel suo contenitore. Kadar lo aveva afferrato per primo, con Roberto e Malik proprio dietro di lui. Era caldo tra le sue mani, quando scoperchiò la coppa. Cominciò a risplendere prima di un chiaro colore oro, poi divenne sempre più forte e doloroso, costringendo chiunque lo guardasse ad urlare dal dolore e a coprirsi gli occhi. Kadar si sentiva leggero, me pesante allo stesso tempo, mentre un fuoco ardente gli bruciò la mente e l’anima. Le sue grida si ammutolirono quando la luce gli riempì la bocca e la gola.

La Mela lo avevea portato qui. Ma qui dove? E c’era qualcun altro?
L’Assassino s’inginocchiò e recuperò il manufatto, anche se preoccupato che potesse accadere qualcosa. Con sua grande sorpresa e sollievo l’oggetto rimase freddo e silenzioso al tocco delle sue dita. Che cosa aveva innescato la Mela per farle fare ciò? Perché era lì?
Il suo interrogatorio interno fu interrotto da un suono di acqua che scorreva dal fondo del corridoio. Tenendo stretta la Mela, Kadar procedette lungo il corridoio. Le stanze a destra e sinistra erano buie, ma piene di arredi e ornamenti. Né Templari o altri erano presenti. Continuò con trepidazione fino alla porta in fondo al corridoio, trovandola socchiusa. Sbirciò attraverso la fessura ma non vide nessuno, ma poteva sentire suoni di spruzzi d’acqua dietro una tenda blu. Forse era il nemico.
L’istinto gli disse di rimanere nascosto ad osservare. Attese finché l’acqua si fermò e un mano sottile afferrò un asciugamano lì vicino. Pochi secondi dopo la tenda fu scostata e uscì una donna. Kadar vide le gambe e le braccia toniche, il ventre piatto e i seni morbidi. Aveva i capelli appiattiti contro la schiena, impedendogli di vederne il colore. I suoi occhi vagarono in basso per notare che gli unici peli che aveva erano i capelli. Gli ricordava una di quelle statue che erano a Roma o ad Atene. Ma questa donna non è una prostituta, ringhiò una voce nella sua testa.
Kadar non poteva smettere di guardarla mentre si sfregava e asciugava la pelle. Era bella.
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Alex asciugò lo specchio appannato passandoci la mano. Si sentiva meglio ora che si era lavata e aveva lo stomaco vuoto. Le visioni o allucinazioni la stavano davvero tormentando. Forse avrebbe dovuto prendere il treno fina New York City e rimanerci per un po’. A Desmond non dispiacerebbe vederla. L’aveva sempre tormentata per convincerla ad andarci.
Fece un passo indietro e si tolse l’asciugamano da intorno al corpo.
Quando Kadar vide la sua forma agile gli sfuggì un piccolo sussulto dalle labbra.
Alex si bloccò e riavvolse stresso l’asciugamano intorno a lei. Non era sola. Il suo cuore batteva forte, nonostante cercasse di calmarsi mentre apriva la porta su un corridoio vuoto. Tra i suoi vestiti c’era una lama che teneva solo per certi casi, e questo era uno di quelli. Le dita si avvolsero strette intorno all’impugnatura e si sentì rassicurata di avere una qualche protezione.
Camminò in punta di piedi sulla moquette, esaminò ogni stanza senza trovare nulla di strano. C’erano degli oggetti di valore che avrebbero potuto rubare ma erano ancora lì. Alex sentì crescere il disagio mentre si avvicinava al soggiorno. Tenendo pronta la lama scrutò la stanza semibuia in cerca di qualche movimento.
Un colpo le arrivò da dietro.
Alex cadde in avanti perdendo la lama. Alzò lo sguardo per vedere la figura di un uomo in piedi davanti a lei. Non riusciva a vederne le caratteristiche, ma era l’ultima cosa a cui pensare. L’uomo si lanciò verso Alex ma lei rispose calciandolo coi piedi e facendolo cadere sulla schiena con un tonfo. Alex afferrò la lama e si avventò su di lui, mettendosi sopra a cavalcioni, mentre nell’azione l’asciugamano le cadde, esponendogli il suo corpo nudo. Lui le mise le mani intorno al collo per impedirle di accoltellarlo al collo o al torace. Alex si tenne in bilico su di lui, sperando che la sua carne nuda potesse distrarlo. Alex deglutì sentendo la pressione della presa contro la trachea. Lasciò la lama e con l’altra mano gli afferrò il polso. La sua forza non poteva competere con quella sotto di lei, mentre lui cercava di allontanarla.
In un flash riconobbero i volti l’uno dell’altra. Alex improvvisamente si accasciò mentre Kadar si ricordò di quegli occhi suggestivi. Il suo cuore si fermò mentre l’aria si bloccava in gola. Alex si sedette sui talloni e abbassò la lama. Kadar la imitò mentre sentì il suo nome pronunciato in un sussurrò.
“Kadar…”
“Alexandra…”. Kadar battè le palpebre mentre i suoi occhi e la sua mente consumavano l’immagine di fronte a lui.
“Sei tu,” non era sicura di cosa pensare. “Ma…come?”
Quando i suoi occhi si spostarono verso il basso realizzò di essere ancora nuda. Un piccolo sussolto le sfuggì dalle labbra mentre, con le mani, si copriva il petto e l’inguine. Era talmente in imbarazzo che le guance e il collo si colorarono di rosso prima ancora che riuscisse a coprirsi. Armeggiò con asciugamano per coprirsi frettolosamente, quasi inciampando mentre iniziò a corre.
“Scusami”. Se ne andò lasciando l’Assassino stupito sul pavimento.
Kadar rimase seduto in silenzio, ancora in stato confusionale. La donna del suo sogno era qui! Era viva! E la sensazione di vuoto nella sua anima si riempì di calore. Un piccolo sorriso si formò sul suo volto mentre rivedeva mentalmente il loro incontro. E lei era nuda!
Il giovane Assassino si stese all’indietro appoggiando le braccia sul pavimento mentre guardava la Mela, che rimase in silenzio. Era stato portato qui, per lei, per un motivo. Qualunque cosa fosse doveva essere di grande importanza.
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La dottoressa Mitsuko Nakamura amava le sfide.
Aveva ricevuto ordini da Rikkin per un nuovo progetto che Abstergo stava per portare a termine. Otto stava continuando a cercare il prossimo soggetto per il Progetto Animus, lasciandola libera di concentrarsi sul suo compito. Aveva studiato ciò che avevano ottenuto con l’Animus e tutti i soggetti fino al 16, cercando qualcosa di particolare. Qualcosa che trovò solo col Seggetto 16 e nessun altro fin’ora. Erano emersi da delle caratteristiche nel DNA. Precisamente il marchio 2112. Esso si era presentato come un linguaggio della Prima Civilizzazione. I 16 erano discendenti di Adamo, il che significava che c’erano degli altri come loro là fuori. Naturalmente c’erano dei discendenti della Prima Civilizzazione, ma erano rari, speciali si potrebbe dire. Le probabilità di trovare queste persone erano di uno su un trilione.
Naturalmente il Progetto Animus sarebbe continuato senza sosta come sempre, ma c’erano alcuni problemi. La mappa dei Frutti doveva ancora essere tracciata, figuriamoci quella della chiave. Gli Assassini non si sarebbero riposati finché i Templari non fossero stati fermati, e questo non doveva accadere.
Iniziò da Adamo e tracciò le linee di tutti i suoi discendenti. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo, ma li avrebbe trovati. Non potevano nascondersi per sempre.
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“Va bene, cerchiamo di cominciare nel modo giusto”, Alex sedeva di fronte a Kadar, sulla poltrona. L’Assassino era seduto diritto, con i coltelli nella cintura a cingergli la vita.
“Sai che non sarà necessario utilizzarli… almeno non qui”.
Indicò le sue armi e Kadar la imitò indicando la fila di coltelli.
“Sì,” annuì. “Ora sappiamo che sappiamo i nostri nomi possiamo provare a scoprire che cosa ci fai qui.”
Le rispose con un’espressione perplessa dei suoi dolci occhi azzurri.
“E tu non capisci neanche cosa sto dicendo. Fantastico!”
“Alexandra…” si alzò e la indicò.
“Sì, sono io.” Almeno sapeva riconoscerla. “E tu sei Kadar. Questo l’abbiamo già stabilito.”
L’Assassino non poteva capire di cosa stava parlando, ma il suono della voce e i gesti erano abbastanza da capire che era altrettanto frustrata dalla barriera linguistica. Alex guardò la Mela appoggiata al centro del tavolo. Si chinò e la prese tra le mani. Kadar osservò la donna esaminare il manufatto increspando la fronte. Sembrava che l’avesse già visto prima.
Questo lo teneva la donna nel mio sogno… Solo che era luminoso e caldo e…
La Mela iniziò a vibrare e tornare in vita con una luce dorata. Alex non aveva paura, ma la strinse pericolosamente al petto. Qualcosa in lei l’aveva vinta, sentiva il bisogno di proteggerla.
“La Croce…”, mormorò. “La Croce non può averla.”
“L-la Croce…” Kadar ripeté le sue parole. Alex alzò gli occhi verso i suoi per vedere la preoccupazione incombere dietro lo sguardo innocente.
“Sì, la Croce”, annuì. “Delle persone, Kadar… Delle persone la vogliono.”
“La Croce…”, pensò lui. “Templari.”
“Templari? Come i cavalieri Templari?”
“Non cavalieri”, ringhiò Kadar mentre strinse i pugni. “I nemici degli Assassini”.
“Aspetta,” Alex alzò la mano. “Stai parlando inglese! Com’è possibile?”
Kadar inconsciamente si morse il labbro inferiore e indicò la Mela. “Quella”.
“Questa ti fa parlare inglese? Come si chiama?”
“La Mela”, dichiarò semplicemente.
“Bel nome” Alex continuò a sorvegliare l’oggetto. “L’ho vista nel mio sogno. La teneva una donna. Mi ha parlato della Croce e di una battaglia in arrivo.”
Qualcosa scattò nella sua mente, mentrre affondava nella poltrona.
“Potrebbe avere qualcosa a che fare con Clay?” Il suo cuore accellerò.
“Chi è Clay?” L’assassino inclinò la testa curioso.
“Era il mio… fiancé.” Con la Mela in una mano, Alex si alzò e andò verso un tavolo contro il muro. Prese una foto dalla cornice nera e gliela consegnò. Kadar mascherò una pugnalata d’invidia nel vedere un strana immagine di Alexandra tra le braccia di un uomo dai capelli biondi. Sembravano così felici, non si poteva non notare l’amore fra loro.
“E’ stato trovato morto al porto un anno fa. Ho avuto l’impressione che i poliziotti stessero nascondendo qualcosa e quando sono andata a chiedere risposte mi hanno quasi gettata in prigione per non creare problemi.”
Anche se Kadar ignorava il gergo del 21° secolo, capì bene il suo tono. Con cautela posò la foto sul divano. Provava empatia per lei. Aveva subito una grande perdita, proprio come lui aveva perso il fratello nel Tempio di Salomone.
Ma la menzione dei Templari gli fece mantenere il sangue freddo. Alexandra era in pericolo ma non lo sapeva… non ancora. Con la Mela in suo possesso era un prevedibile bersaglio per i Templari. Con la coda dell’occhio vide la Mela illuminarsi ancora una volta.
“Non possiamo lasciare che la prendano”, disse all’improvviso. Alzò gli occhi verso l’alto fino ad incontrare i suoi. Si scambiarono uno sguardo intenso. L’Assassino decise di proteggere la Mela e la bruna dai Templari.
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Warren Vidic passeggiava lungo il corridoio, leggendo i file tra le sue grinfie. Oggi è stata una buona giornata. Il loro ospite si stava riprendendo bene anche se era confuso e disorientato. Ma c’era d’aspettarselo. Era stato un lungo viaggio e gli aveva stancato la mente e il corpo. Era un peccato per il Soggetto 16, però. Era la loro più grande speranza. Ma Nakamura stava già inseguendo diversi candidati per il progetto. Naturalmente certe caratteristiche genetiche erano molto rare, per questo avevano l’urgenza di trovare un candidato idoneo. Se aveva ragione, erano più avanti di quanto avevano previsto. Gli Assassini non sapranno neanche cosa li ha colpiti.

L’ospite menzionato è un personaggio di AC ;) e riesco a immaginare Kadar con uno di quei sorrisi da 14enne dopo aver visto una rivista di Playboy.

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Capitolo 3
*** Segni ***


“Non puoi andare in giro vestito così,” Alex indicò i vestiti di Kadar con preoccupazione. “Almeno non a Boston. Qualcuno potrebbe crederti un malato mentale.”
Il giovane assassino rimase in silenzio mentre Alex camminava spostando lo sguardo tra lui e la Mela. Quest’ultima era appoggiata sul tavolino, emettendo solo una volta una debole luce dorata, ma aveva smesso un’ora fa. Kadar passò le mani sui suoi vestiti sporchi e sulla tunica che ricopriva la forma agile, e aggrottò la fronte. Cosa c’era di sbagliato nei vestiti da Assassino? Li aveva sempre messi ed era un onore indossarli. Guardò verso l’alto per vedere l’abbigliamento dell’altra: una camicia verde oliva con le maniche che arrivavano neanche a metà braccio, mostrando forme femminili ma toniche; un materiale sconosciuto le ricopriva i fianchi e le gambe tornite. I suoi occhi scivolarono un po’ più in basso per notare un sedere ben arrotondato. Faceva chiaramente qualche tipo di attività fisica. Trovò quella scelta d’abbigliamento molto particolare. Le donne non indossavano i pantaloni nel suo tempo.
Non notò le lacrime che cominciavano a scivolarle dai lati degli occhi.
“Ho tenuto alcuni abiti di Clay,” prese un respiro profondo prima di crollare. Si portò le mani al volto per coprire la sua espressione di dolore. Anche ora era difficile menzionare il suo nome. La sua voce si ridusse a un sussurro addolorato. “Non ho il coraggio di sbarazzarmene.” Kadar vide le lacrime strisciare giù dai suoi occhi mentre lottava con il passato che riemergeva dal retro della sua mente. “Ma non credo che mi dispiacerebbe”. Fece un mezzo sorriso cercando di rimanere forte. Kadar poteva vedere il dolore in quei bellissimi anelli zaffiro, minacciando di oscurare la luce che emanavano. Non era l’unica ad aver perso qualcuno che amava.”Hai perso qualcuno,” parlò con calma e simpatia. “Qualcuno che amavi profondamente.”
“E mi manca ogni giorno. Ma suppongo che dovrei accettare che la vita non sia così gentile con me. Questo è solo un altro calcio nello stomaco.”
“Perché dici questo?”
Alex sorrise con amarezza alla sua innocenza. “”Non ho preso la strada più semplice, se così si può dire.”
Kadar non insistette ulteriormente siccome Alex stava chiaramente male, rivivendo uno degli eventi forse più dolorosi della sua vita. Si sentì invece costretto ad alzarsi ed andare davanti a lei. Alex alzò i suoi occhi tristi verso quelli più chiari e confortanti di lui. Le tese la mano con sguardo paziente. Lei fece scivolare la mano nella sua, trovando il suo calore sorprendentemente confortevole. La tirò gentilmente e la fece finire tra le sue braccia. Anche la l’aveva conosciuta da poche ore, il giovane assassino sentiva il bisogno di confortarla. Sentì la sua fronte, appoggiata sulla sua spalla, rimbalzare leggermente per i singhiozzi profondi, che le affliggevamo il petto e la gola. Alzò la mano per far scivolare le dita tra i suoi morbidi capelli. La seta più fine sembrava tela in confronto. Kadar pensò al fratello maggiore Malik, chiedendosi se fosse sopravvissuto alla lotta nel Tempio di Salomone. Non aveva ancora mai pensa al più anziano Al-Sayf da quando era arrivato in questa città chiamata Boston. La sua mente era stata occupata con Alex e la Mela, ma ora che il ricordo era affiorato l’angoscia gli sommerse la mente.
“Lo amavo,” lei strrinse le vesti di Kadar finché le nocche le divennero bianche. “Lo amavo e lo hanno portato via me!”
Kadar rispose portando entrambi verso il divano, senza lasciar andare la bruna singhiozzante. Una lacrima gli scivolò lungo la guancia mentre ricordava il fratello col cuore addolorato. Come avrà vissuto il pensiero della sua “morte”.  Eppure sentiva un po’ di conforto in presenza di Alex e ferocemente si aggrappò a quel magro “un po’”. Appoggiò la testa sulla sua spalla, sentendo che iniziava a calmarsi. Kadar continuò a stringerla, forse perché era lui a non essere pronto a lasciarla andare.
“Anche tu hai perso qualcuno”, disse lei tirando su col naso e asciugandosi le lacrime. “Era tuo fratello.”
Kadar riuscì solo a fare un cenno col capo.
“Malik”, balbettò lei, esitante. “Era come te. E gli manchi. Lo sento.”
Fu allora che sentì una leggera pressione sul petto, proprio sopra il cuore, quando la testa della ragazza tornò a riposare accanto alla sua. Guardò verso il basso con quelle acquose orbite azzurre e vide la sua mano appoggiata in quel punto. Alex era caduta in un profondo silenzio. Il giovane assassino allungò il collo in una posizione imbarazzante per vedere che si era addormentata.. Kadar non poté non sorridere. Gli sembrava di rivedere se stesso quando usava il corpo più grosso di Malik per avere conforto quando era spaventato o ferito. Era un sensazione di tepore, che partiva dal cuore fino ad arrivare a braccia e gambe. Un leggero rossore gli ricoprì viso e collo mentre le sue dita continuavano ad accarezzarle i capelli. Si sentiva come se ci fosse un filo che univa i loro corpi, e Kadar non aveva intenzione di mettere in discussione i sentimenti crescenti.
Kadar non voleva muoversi dal divano, ma una sensazione di pizzicore tra il collo e la spalla si rifiutava di lasciarlo stare. La sua spada aveva iniziato ad aggravare il suo disagio puntando contro il suo fianco. Il fastidio iniziale divenne una pressione pungente che aumentava man mano che restava in quella posizione.
Lentamente, come aveva imparato in molti anni di formazione da assassino, Kadar manovrò con cura braccia e busto, mentre le gambe scivolavano verso il bordo del divano. I suoi occhi erano vigili su Alex, per notare un suo qualsiasi cambiamento di postura, non importa quanto minimo. Una persona normale non se ne sarebbe accorta, ma i sensi più fini di Kadar potevano avvertire ogni scossa o movimento. Per fortuna lei non si mosse, e il corpo seguiva i movimenti del suo senza protestare. Kadar sentì gli angoli della sua bocca arricciarsi e un caldo formicolio nel petto.
“Ka…”. La voce stordita riverberò contro il suo petto.
“Shhh”, le sussurrò vicino a un orecchio. Alex era mezza addormentata ma le sue braccia gli stringevano forte il petto. L’assassino si ricordò della grande stanza dove, presumibilmente, lei dormiva , e si avviò nel corridoio, verso l’ultima porta a sinistra.
Il letto era spazioso, per niente simile ai mucchi di fieno, o alla fredda terra, o ai tappeti infestati dalle pulci a qui era abituato uno spietato assassino. Kadar posò Alex su un lato del letto e si fermò ad ammirare l’aura di serenità che le aveva levato dal volto quel velo scuro che l’aveva coperto per la maggior parte del tempo in cui si erano incontrati. Sentì i suo cuore leggero per quanto serena le appariva, mentre era passato al fondo del letto.
“Sai che  quello che stai facendo è considerato illegale in tutti i 50 stati degli Stati Uniti?”
Alex sollevò la testa dal cuscino per incontrare l’espressione stupita dell’altro. Chiaramente il suo tentativo di fare dell’umorismo non era stato capito dall’assassino.
“Non sto facendo niente di male.” Alzò le mani, sentendosi sempre più a disagio mentre stava lì.
“Kadar, vieni qui,” Alex si mise a sedere e accarezzò la parte di letto vuota accanto a lei. I piedi del ragazzo scattarono verso il punto che gli stava indicando. Si piazzò sul bordo del letto, appollaiato come un animale spaventato.
“Rilassati,” sospirò lei. “Il mio senso dell’umorismo non è molto buono. Mi dispiace.”
Alex chinò la testa e chiuse gli occhi, sentendosi in imbarazzo per il suo ultimo errore. Una lieve pressione, seguita dal calore, avvolse la sua mano.
“Non dispiacerti.”, ribatté con dolcezza il ragazzo.
“E’ passato più di un anno e mi ritrovo ancora a svegliarmi urlando, quasi piangendo. A volte di notte, giuro, lo vedo disteso accanto a me. Ma è un miraggio crudele. Ma sai una cosa? Non dovrei scaricare il mio dolore su di te. Non è giusto e…”
“Sei ancora in lutto. E’ naturale sentirsi così. Era qualcuno molto legato a te.”
“Dovremmo essere sposati adesso”, disse tirando su col naso.
Kadar si strofinò la base del collo, senza sapere bene come rispondere. Fu il corpo a farlo. Alex gli si avvicinò, facendo premere insieme i loro fianchi e le gambe, rendendosi conte di quanto le mancasse sentirsi abbracciata, mentre le braccia del giovano si avvolgevano intorno a lei. Kadar la strinse al petto, mentre ondeggiava per cullarla. Cantava piano una vecchia melodia araba, parlando nella sua lingua nativa. Era una delle sue preferite, una di quelle che in certi momenti Malik cantava per lui.
Alex sorrise lievemente e chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dall’incantesimo della melodia. Era davvero bella, e la cosa strana era che ne capiva ogni sillaba, come se stesse parlando inglese. Ma questa aveva una grazia delicata che la lingua inglese non avrebbe mai potuto imitare.
“Non mi lascerai, vero?”
Kadar smise di cantare e incrociò lo sguardo implorante della ragazza.
“No,” si ritrovò ad accarezzare quella morbida seta ancora una volta. “No, non ti lascerò”.
“Sembra che tutti quelli che amo o a cui tengano se ne vadano da me. Sono così sola.”
“No,” sentì la sua voce ringhiare sopra di lei. La sua mano scivolò sulle sue stringendole insieme. “Non sei sola.”
Alex voleva credere che non l’avrebbe lasciata, ma il suo lato pessimista le stava dicendo che invece l’avrebbe lasciata proprio come i suoi genitori, i suoi amici, Clay, e anche Desmond l’aveva lasciata a modo suo.
“Devi riposare Alexandra.” Esordì col suo forte accento.
“Resterai?”
Alex si rannicchiò ulteriormente contro di lui.
“Sì, resterò.” Non intendeva andarsene, ma era felice che gliel’avesse chiesto. Con gentilezza fece sdraiare entrambi sul letto, e Alex poté sentire il piacevole odore di muschio e spezie che emanava. La sua mano si ritrovò di nuovo ad accarezzarle i morbidi capelli e la ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Mi insegnerai?”
Kadar ritrasse il braccio mentre Alex si sistemava più vicina a lui.
“Fammi vedere ciò che sai. Insegnami tutto il possibile.”
Insegnale, figliolo…
Una voce femminile esortò l’assassino.
Aiuatala…Ha bosogno di te…
“Sì,” le promise, e lei gli sorrise con gratitudine e l’abbracciò.
“Grazie.”
Alex sbadigliò e nascose il viso nell’incavo del collo del ragazzo. Kadar sentì il suo cuore battere più veloce per quella vicinanza. Non era mai stato così vicino ad una donna, siccome suo fratello l’aveva sempre dissuaso dall’avere delle relazione con delle donne, perché potevano esser una distrazione o un’arma Templare, che ti seduceva per poi puntarti una lama alla gola.
Ma questa, Alexandra, non lo era. Il suo dolore era genuino, per il dolore di troppe perdite. La Mela aveva risposto positivamente quando lei l’aveva presa in mano. Intanto si era finalmente addormentata.

Vidic sedeva alla sua scrivania, rileggendo i rapporti sul Soggetto16. Avevano fallito nel trovare il luogo in cui i Frutti dell’Eden erano nascosti. Rikkin voleva delle risposte. Nakamura si era chiusa nel suo studio, cercando disperatamente il prossimo candidato per l?animus e il Progetto Uni. Quando si stava cominciando a spargere la voce del ritrovamento di un uomo sulla trentina nel Tiber River erano riusciti a far tacere in tempo le autorità. La maggior parte dei giornalisti aveva parlato di un incidente ad un turista che era andato a passeggiare al porto in una notte buia.
Il telefono sul tavolo squillò e Vidic esitò a rispondere. Tutte le altre volte che era squillato era Rikkin che voleva sapere che fine avessero fatto i risultati delle sue ricerche e Vidic non poteva fare altro che tentare di inventarsi una scusa plausibile.
“E’ tutto il giorno che ci lavoriamo Alan…”
“Sono stanco di sentire le tue stronzate Warren! Metti qualcun altro in quel dannato Animus e dammi i risultati o troverò qualcuno più competente per questo progetto. Sono stato chiaro Warren?”
“Cristallino, Alan… Cristallno…”
Al quarto squillo afferrò il ricevitore e rispose.
“Sì?” chiese semplicemente.
“Warren, sono Nakamura. Penso di aver trovato un altro candidato per il Progetto Animus.”
“Dove?” Vodic saltò sulla sedia. Non voleva crearsi false speranze ma si fidava di Nakamura.
“Il suo nome è Desmond Miles e si trova a New York City, L’abbiamo trovato grazie ad un’impronta digitale ne sistema DMV.”
“Eccellente!” Warren si sentì sollevato e si lasciò sfuggire una risata.
“Abbiamo anche scoperto che non è l’unico che potrebbe tornarci utile.”
“Puoi trovare qualcun altro?”
“Non ancora. La maggior parte di queste porsone hanno cambiato noto e sono emigrate, senza rimanere nella stessa zona troppo a lungo. Come se sapessero di essere cacciati.”
“Interessante,” disse Warren. “Dimmi dov’è e io manderò immediatamente un team a New York. Faccia un buon lavoro.”
“Grazie.”
Vidic sorrideva come un gatto che mangia il canarino. Finalmente Rikkin l’avrebbe lasciato in pace! Prese il telefono e fece scorrere le dita sulla tastiera, come aveva già fatto innumerevoli volte.
“Sì, sono Vidic. Ho bisogno di un team per New York. Abbiamo un obbiettivo da ottenere”.
Lasciò cadere il ricevitore al suo posto e fece un sospiro di sollievo. Le cose cominciavano finalmente ad andare bene. Ma abbe il tempo di riposarsi un po’ che il telefono riprese a squillare.
“Sì?”, gemette.
“Signore, il nostro ospite è sveglio e chiede di vederti.”
“molto bene,” ridacchiò leggermente. Vidic si chiedeva quando questo momento sarebbe arrivato.

Kadar si era addormentato ma la sua mente non si stava riposando. Nei suoi sogni vedeva una scena che pareva svolgersi tra le pagine di un libro.
Alex si trovava sul cornicione del palazzo, afferrando ferocemente la mano di Kadar. Erano circondati da uomini vestiti con uniformi dai segni particolari. I loro volti erano nascosti da cappelli e da caschi. Ma ad attirare l’attenzione di Kadar fu quello in testa al gruppo. Come? Era impossibile!
“Non potete andare da nessuna parte.”

Il pesante accento francese del calve fece gelare il sangue nelle vene al giovane assassino. Il suo ghigno sadico si allargava sempre di più mentre si avvicinava a loro con la spada sguainata. Gli uomini dietro di lui li stavano puntando contro delle strane armi. Alex gli strinse la mano e gli sorrise, e Kadar ricambiò il sorriso, cosa che fece infuriare l’altro. Era vestito con jeans scoloriti e una giacca che gli copriva le spalle larghe., tutto diverso dalla tunica con la croce rossa.
“Mi dispiace Mastro Lindo, ma noi ci congediamo,” disse infine Alex prima che lei e Kadar si lasciassero cadere all’indietro, eseguendo un salto della fede. La ragazza chiese gli occhi mentre un’ondata d’aria l’avvolgeva e  cadeva lungo la facciata in mattoni del vecchio edificio. Le urla stridule del loro inseguitore svanirono quando atterrarono con un tonfo in un bagagliaio aperto. Le ruote e gli ammortizzatori rimbalzarono all’impatto. L’adrenalina le scorreva nelle vene, quando un vecchio materasso assorbì l’impatto ma le fece mancare l’aria nei polmoni. Alex era un po’ stordita, sbatté le palpebre e scosse la testa, mentre Kadar era seduto e la guardava preoccupato.
Andiamo,” si alzarono e presore a correre lungo il marciapiede, cercando di seminare gli inseguitori.

“Tu sai chi era quel tizio? Sembrava conoscerti.”
“Era Roberto di Sable,” Kadar sbuffò il nome del loro odiato nemico. “Era al Tempio di Salomone quando la Mela mi ha portato qui.”
“Cosa? Non dovrebbe essere morto?”
“Sì, ma non lo è.”

“Buona osservazione Kadar,” ringhiò sarcastica mentre giravano l’angolo, infilandosi in un vicolo stretto. Alex ansimava pesantemente in cerca di un po’ d’aria. Le tecniche di respirazione che Kadar le aveva insegnato riuscirono a calmarla.
“Come è arrivato qui?”

“Non lo so Alex,” avrebbe voluto darle un risposta.
“Deve essere l’Abstergo. Solo loro possono fare queste cose.”
“Staranno cercando il Grande Tempio”.

“Cosa? Che grande tempio?” I suoi occhi si spalancarono.
“E’ quello che i templari cercano. Contiene i segreti della prima civilizzazione…”
“L’Occhio,” sbottò improvvisamente. “Vogliono l’occhio.”
“E noi lo prenderemo!”
Roberto si trovava all’entrata del vicolo, e con i soldato bloccava ogni via di fuga. “Sai dell’Occhio, giovane.”
“E tu non l’avrai mai, pelatone.”

Roberto rise a quell’insulto. Kadar si posizionò tra Alex e il nemico, seguendo il suo credo.
“Ma non è commovente? Un piccolo assassino che pensa di potermi fermare.”
L’assassino brandì la sua lama, nascosta sotto la giacca. Alex impugnò un coltello da lancio, pronta ad affondare la lama tra gli occhi del Di Sable.
“Uccidetelo.”

Un uomo sparò un colpo che attraversò l’aria, colpendo il centro del petto dell’assassino. L’impatto riverberò in tutto il corpo.
“NO!” Alex urlò e corse a prendere l’assassino morente tra le sue braccia. Il sangue gli risaliva la gola e gli riempiva i polmoni. Le lacrime le bruciarono le guance e la pelle color oliva  si macchiò di chiazze rosse. Con una mano si coprì le labbra mentre gli accarezzava una guancia. I suoi occhi erano pieni di dolore mentre lei lo pregava di restare.
“Kadar guardami, guardami Kadar. Non… non…”
“Alex… ho fallito…”

“No, non morire!” premette una mano sulla ferita ma il sangue continuava ad uscire. Quegli zaffiri luminosi lentamente si offuscarono, mentre Kadar prendeva il suo ultimo respiro. “Per favore… non lasciarmi…”.
“NO!” Alex gemette si gettò sul suo corpo.
Roberto alzò gli occhi con disgusto e disprezzo.
“Prendetela!” sbraitò contro i soldati. Il primo si avvicinò alla donna ma lei scattò afferrandogli un braccio.Si udì il suonò di un osso che si rompeva, e gli altri non fecero in tempo a reagire che dei coltelli da lancio dì tagliarono l’aria bucando delle fronti. Gli uomini si accasciarono formando un circolo di cadaveri. Un uomo riuscì a raggiungerla e a sbatterla contro un muro, facendole mancare l’aria. Le testa le faceva male, come se un milione di aghi che le perforassero il cranio.
La sua visione si offuscò mentre Roberto le passò davanti. Una mano le afferrò i cappelli, che Kadar aveva accarezzato così tante volte, e tirò.

Sentì il suo alito contro il collo mentre si avvicinava e parlò con tono minaccioso.
“Quando avremo finito con te desidererai la morte.”
Meglio morire che diventare una cavia dell’Abstergo.
I suoni si ovattarono mentre lottava tra la coscienza e l’oscurità. Roberto uscì dal vicolo col suo solito sorriso arrogante.
“Abbandonate il corpo al porto.”

“Sì signore”, l’unico sopravvissuto annuì.

Kadar scattò a sedere senza fiato. Le sue mani corsero freneticamente sul petto, non rtrovano nessuno foro ne sangue sui suoi abiti. Gocce di sudore gli coprivano la fronte e il viso e si asciugò con la manica grigia. Era vivo! Roberto Di Sable era un sogno, anche se estremamente reale. E sia lui che Roberto erano vestiti come Alex. Che fosse un presagio? Doveva essere così! Altrimenti perché avrebbe assistito ad una scena del genere? Era un avvertimento. Qualcosa stava per accadere.
Si voltò a destra, trovando Alex ancora addormentata. Si lasciò fuggire un sospiro di sollievo, e più tranquillo si sistemò sul materasso con le braccia attorno alla vita della ragazza. Kadar non dormì dopo, rimase in ascolto per captare qualsiasi suono potesse annunciare dei guai in arrivo. Il suo cuore si rifiutava di calmarsi per l’adrenalina e la paura. Non era una Maestro Assassino come Altair, ma era ancora un killer altamente qualificato e spietato. Se i Templari erano qui, in questo tempo, Alex era in grave pericolo.
Ma dove potevano andare? Lui non conosceva questo periodo e la sua cultura. Non avrebbe saputo se c’era ancora qualche Assassino nei paraggi o un bureau.
Erano soli contro il nemico.
 

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