Sua

di Altair13Sirio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Da sola ***
Capitolo 2: *** Mattino ***
Capitolo 3: *** Timore ***
Capitolo 4: *** Notte ***
Capitolo 5: *** Inseguita ***
Capitolo 6: *** Sicurezza ***
Capitolo 7: *** Video ***
Capitolo 8: *** Malata ***
Capitolo 9: *** Risveglio ***
Capitolo 10: *** Assalite ***
Capitolo 11: *** Salve ***
Capitolo 12: *** Rabbia ***
Capitolo 13: *** Partenza ***
Capitolo 14: *** Domande ***
Capitolo 15: *** Sfogarsi ***
Capitolo 16: *** Riposo ***
Capitolo 17: *** Paura ***
Capitolo 18: *** Pericolo ***
Capitolo 19: *** Slender ***
Capitolo 20: *** Ritorno ***
Capitolo 21: *** Studio ***
Capitolo 22: *** Premure ***
Capitolo 23: *** Visita ***
Capitolo 24: *** Quotidianità ***
Capitolo 25: *** Pausa ***
Capitolo 26: *** Domenica ***
Capitolo 27: *** Sincerità ***
Capitolo 28: *** Ospitalità ***
Capitolo 29: *** Scoperta ***
Capitolo 30: *** Antipatie ***
Capitolo 31: *** Felicità ***
Capitolo 32: *** Morte ***
Capitolo 33: *** Orrore ***
Capitolo 34: *** Sollievo ***
Capitolo 35: *** Incubo ***
Capitolo 36: *** Rimorso ***
Capitolo 37: *** Vacanza ***
Capitolo 38: *** Incontro ***
Capitolo 39: *** Errore ***
Capitolo 40: *** Conforto ***
Capitolo 41: *** Suicidio ***
Capitolo 42: *** Confusione ***
Capitolo 43: *** Sabato ***
Capitolo 44: *** Risveglio ***
Capitolo 45: *** Grazie ***
Capitolo 46: *** Scuola ***
Capitolo 47: *** Oscurità ***
Capitolo 48: *** Dolore ***
Capitolo 49: *** Paura ***
Capitolo 50: *** Shopping ***
Capitolo 51: *** Destino ***
Capitolo 52: *** Alex ***
Capitolo 53: *** Villa ***
Capitolo 54: *** Dubbi ***
Capitolo 55: *** Posseduta ***
Capitolo 56: *** Luce ***
Capitolo 57: *** Protezione ***
Capitolo 58: *** Assassina ***
Capitolo 59: *** Scusami ***
Capitolo 60: *** Conseguenze ***
Capitolo 61: *** Disagio ***
Capitolo 62: *** Furto ***
Capitolo 63: *** Ricercatore ***
Capitolo 64: *** Volantinaggio ***
Capitolo 65: *** Addio ***
Capitolo 66: *** Ricordi ***
Capitolo 67: *** Convinzioni ***
Capitolo 68: *** Complicazioni ***
Capitolo 69: *** Cena ***
Capitolo 70: *** Fuga ***
Capitolo 71: *** Sua ***



Capitolo 1
*** Da sola ***


La ragazzina si era persa. No: sapeva dove andava. La sua presunzione l’aveva portata a prendere quella strada, ad inoltrarsi nel bosco… Aveva portato con sé una torcia elettrica; sapeva già da prima che avrebbe fatto tardi… Era vestita leggera, una gonna corta nera e una camicia stretta nera a maniche corte, con una cravatta rossa per completare la stranezza del suo abbigliamento. La gonna sembrava strappata e la camicia era molto leggera, così che si intravedesse una magliettina, rossa come la cravatta, che copriva la pelle pallida. I capelli neri lunghi ondeggiavano a ogni passo. Aveva delle scarpe con tacco alto, che probabilmente non avrebbe dovuto usare per camminare in quella foresta; le usava per coprire la sua statura. Era molto bassa, nonostante la sua età, per questo sembrava ancora una bambina.
Sembrava piccola e innocente, ma lui sapeva che con un piccolo incentivo sarebbe stata capace di bruciare il mondo. Lui la stava osservando da quando era entrata nella foresta. Scelta ardita, ma rischiosa; una condanna a morte, a suo parere.
Aveva trovato la prima e la seconda pagina senza problemi. Si mostrava sicura di sé, non lasciava trasparire la paura. Ma lui percepiva tutti i suoi sentimenti, i suoi stati d’animo, e sentiva una certa inquietudine e confusione. Aveva assunto delle bevande alcoliche, alla festa da cui stava tornando, ma non così tanto da farla andare in tilt, altrimenti non avrebbe perso tempo con le pagine. Cominciò a farsi notare dopo la terza pagina, quando la ragazza, per la paura, cominciò a parlare da sola.
Si mimetizzava con gli alberi, appariva e spariva rapidamente, per lasciarle solo il dubbio, se ciò che aveva visto era reale o no… Pensò di finirla lì, ma quando la vide raccogliere la quarta pagina, quando lesse la frase che riportava, sentì il suo respiro affannarsi, i suoi battiti cardiaci aumentare; aveva paura! Era quello che aveva cercato, quindi poteva continuare fino a far salire la tensione al culmine…
La ragazza aveva raccolto altre due pagine. Stava arrivando. Si era mostrato sempre più frequentemente, rapido come un lampo, ma incessante e sempre più vicino. La ragazza si guardava intorno spaventata, respirando a fatica e girando lo sguardo velocemente, nel dubbio che le stesse sfuggendo qualcosa. Vide così la settima pagina, voltandosi. Era caduta dal ramo di un albero. La guardò rapidamente, forse nemmeno lesse cosa c’era scritto sopra, e poi si voltò di nuovo. Un lampo la accecò per un istante. Era l’immagine di qualcosa molto grande e vicino.
Sussultò. Rimase immobile a fissare il buio e cercò di ristabilire la respirazione. Il suo sguardo cambiò e la ragazza si voltò, più risoluta e decisa ad uscire da lì, a tornare a casa.
La vide camminare a passo svelto, senza guardarsi intorno, come se non guardare aiutasse in qualche modo… Voleva uscire al più presto da lì, ma voleva anche dimostrare a qualunque cosa fosse in quella foresta che lei non era spaventata, che era più forte… Forse era tardi per assumere un atteggiamento simile, ma a quel punto volle vedere fino a dove si sarebbe spinta, e continuò a seguirla fino ai margini del bosco.
Per la ragazza fu un sollievo vedere che i raggi della Luna non venivano più filtrati dai rami degli alberi. Si sentì euforica, e accelerò il passo, per uscire da lì al più presto possibile. Si fermò proprio sul confine, dove gli alberi finivano improvvisamente e il prato verde continuava per una ventina di metri; poi cominciava l’asfalto.
Un suono proveniente da terra l’aveva fatta sussultare; un suono di carta stropicciata. Abbassò lo sguardo lentamente e vide l’ottava pagina. La paura la assalì per un attimo, si ritrovò a tremare e in quel momento avrebbe tanto desiderato di indossare qualcosa di più… Si chinò lentamente e raccolse l’ultima pagina.
 
NON GUARDARE O TI PRENDERA’
 
Per un attimo la ragazza rimase immobile, incerta sul da farsi. Perché si sarebbe dovuta voltare per guardare, qualunque cosa ci fosse lì ad aspettarla… Aveva paura di voltasi, voleva solo andare a casa. In quel momento avrebbe tanto voluto stringersi a suo padre, lasciarsi accarezzare la testa da sua madre… Ma non era possibile…
Si voltò lentamente, dopo aver preso un lungo respiro, mantenendo uno sguardo risoluto. Nell’ombra del bosco non c’era niente. Non sapeva perché non usò la torcia, forse perché non voleva vedere quello che si poteva nascondere nel buio. C’erano solo alberi e rami. Si chiese se quelle pagine non le avesse lasciate qualcuno che aveva intenzione di farle uno scherzo.
Scosse la testa sospirando e si voltò, andando verso la città e portando con sé le pagine.
Non era scappata… Si era voltata e lo aveva affrontato, in un certo senso… Lo aveva guardato, nonostante il messaggio le dicesse di non farlo… Era stata coraggiosa… Era una ragazzina coraggiosa…
La guardò mentre si avviava verso la città illuminata al chiaro di Luna. Era una ragazzina speciale…
L’avrebbe tenuta d’occhio.

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Capitolo 2
*** Mattino ***


Kate schiacciò con forza la sveglia zittendola velocemente, accompagnata da un suono di carta stropicciata. Il braccio ricadde poi verso terra, lungo il materasso. Quello era il suono più fastidioso che aveva mai sentito in tutta la sua vita. Ogni mattina era la stessa storia, anche quando si poteva permettere di restare a letto a dormire, doveva alzarsi presto. Grugnì infastidita e girò la testa dall’altro lato, affondando una guancia nel cuscino. Con un occhio socchiuso vide la luce che penetrava nella stanza tra le tende alle finestre. I lunghi capelli corvini le coprivano il viso. Voleva dormire ancora. Dopo la nottata precedente non aveva voglia di nient’altro, se non del suo letto.
Era andata a una festa organizzata dai rappresentanti della sua scuola. Era stata una perdita di tempo. Era tornata a casa frastornata e stanca; si era chiesta se non le avessero messo qualcosa nella bevanda che aveva ordinato. Il luogo dove aveva avuto luogo la festa era lontano dalla città e non aveva avuto un passaggio, quindi per tornare in fretta a casa aveva deciso di prendere la strada del bosco. L’atmosfera che c’era lì però l’aveva inquietata e si era immaginata diverse cose impossibili, forse per la stanchezza, o per l’alcol… Era tornata a casa tardi, portando con sé un mucchio di pezzi di carta scarabocchiati che aveva poggiato sul comodino. I suoi genitori già dormivano e lei aveva con sé le chiavi, quindi era entrata senza farsi notare e si era subito messa a letto, sprofondando in un sonno molto pesante. Era passata la notte, e Kate sentiva una tempia pulsare.
Il telefonino squillò.
Kate si girò nel letto infuriata e cercò di raggiungerlo con la mano, tastando sul comodino un paio di volte con forza prima di riuscire e prenderlo. Si girò sulla schiena e guardò lo schermo. Era un messaggio dalla sua amica Jennifer. Ma Kate aveva sonno, non voleva alzarsi dal letto in quel momento, quindi fece cadere il telefonino sul comodino e si girò dall’altra parte.
<< Katherine, tesoro, la colazione è pronta! >> Chiamò una voce dal piano di sotto; era sua madre. Kate biascicò un’imprecazione e si alzò dal letto, sbattendo i pugni sul cuscino. Sembrava che quella mattina nessuno volesse lasciarla dormire.
Saltò goffamente giù dal letto e cercò le pantofole con gli occhi chiusi, la mente annebbiata. Quando le trovò si mise a camminare verso la porta, evitando i vestiti, i libri e i mobili che erano sparsi in giro per la sua camera; conosceva la posizione esatta di ogni ostacolo nella stanza, viveva sempre in quel disordine. Le dava sicurezza, il suo disordine, mentre quando sua madre metteva in ordine la stanza la ragazza si sentiva persa.
Uscì dalla stanza e percorse il corridoietto fino alla rampa di scale che la portò al piano di sotto. Mentre scendeva le scale sentì una corrente d’aria passarle in mezzo alle gambe nude che la fece rabbrividire; sua madre doveva aver aperto le finestre per far entrare un po’ d’aria fresca, e lei non aveva addosso nient’altro se non una lunga maglietta bianca che le raggiungeva le ginocchia.
Andava sbandando, con gli occhi socchiusi e i capelli che le coprivano il viso; sapeva bene dove mettere i piedi per raggiungere la cucina dove sua madre le aveva preparato la colazione.
La donna era ben vestita e già pettinata. Stava armeggiando con qualcosa in uno scaffale, e quando sentì il suono strascicato delle pantofole di Kate si voltò mostrando un sorriso smagliante.
<< Katy, tesoro! >> La accolse raggiungendola. Le prese un braccio e si offrì di accompagnarla fino al tavolo. Kate ritrasse il braccio bruscamente e scosse la testa gemendo. Andò a sedersi da sola e lentamente aprì gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte.
<< Qualcuno ti ha detto per caso di svegliarmi questa mattina? >> Chiese seccata fissando la tazza di caffelatte fumante di fronte a sé. Sua madre sospirò.
<< Ho solo pensato che ti avrebbe fatto piacere se ti avessi preparato la colazione. >> Disse con il sorriso sulle labbra la donna. Kate prese a bere il latte a piccole cucchiaiate, rimanendo in silenzio. Sua madre tamburellava con le unghie lunghe su un mobile della cucina accanto al lavandino facendo girare lo sguardo per la stanza. << Questa notte io e tuo padre non ti abbiamo sentita arrivare… >>
<< Ho fatto tardi. Avevo le chiavi. Sono andata a letto subito. >> Scandì Kate in modo automatico con lo sguardo puntato sulla sua tazza. Sua madre annuì sollevata.
<< E ti sei divertita? >> Chiese.
Kate brontolò qualcosa esasperata e disse:<< Sì. >> In tono provato. Sua madre sorrise di nuovo.
Passarono alcuni minuti durante i quali le due non si rivolsero la parola. Poi sua madre tirò un sospiro e parlò:<< Oggi ho preferito svegliarti prima per avvertirti, Katherine. >> Disse. Kate non alzò gli occhi dalla sua tazza, che ora aveva superato la metà. Sua madre aspettava qualche segno per poter continuare, ma non ne arrivarono, quindi riprese a parlare. << Io e tuo padre oggi lavoreremo fino a tardi, quindi dovrai prepararti il pranzo da sola, e forse anche la cena… >> Kate non annuì. << Se non ce la fai puoi chiedere aiuto al vicino, il signor Tucker, oppure puoi andare a mangiare qualcosa al bar, o prendere qualcosa da asporto… >>
<< Ho capito. >> Sibilò la ragazza interrompendola. Sua madre deglutì e si sistemò i vestiti.
<< Bene. >> Disse sorridendo un’altra volta. Andò da Kate e la baciò sulla fronte, scompigliandole un po’ i capelli. << Ci vediamo questa sera, tesoro mio. >> Le mormorò dolcemente. Kate cercò di sottrarsi almeno alla mano della madre, ma fu tutto inutile.
La seguì con lo sguardo mentre usciva dalla stanza e sentì la porta chiudersi con forza.
Kate sospirò infastidita. Odiava quando sua madre le scompigliava i capelli a quel modo, specialmente la mattina, appena sveglia, e non voleva che la chiamasse a quel modo; “Katy” era un nome così fastidioso e infantile… Lei non era più una bambina, anche se la sua statura e i suo lineamenti suggerissero il contrario…
Finito il latte, ripose la tazza nel lavandino e fece scorrere un po’ l’acqua. Si voltò e andò a prendere il telefono; ormai che era sveglia, tanto valeva guardare che cosa le aveva scritto Jennifer.
Il messaggio diceva: “Ciao, sei sveglia? Pensavo di uscire e di andare insieme in qualche bar per fare colazione insieme!” Nel messaggio era inclusa una faccina sorridente che non lasciava dubbi sullo stato d’animo di Jennifer. Kate sorrise nonostante il malditesta che la tormentava da quando si era svegliata. Rispose al messaggio dicendo che sarebbe arrivata in venti minuti e salì le scale per andare in bagno a sciacquarsi la faccia.
Arrivata nel bagno, Kate appoggiò la testa al mobiletto al lato del lavandino, di fronte allo specchio e rimase a fissarsi per qualche istante, stanca. Sospirò e si abbassò sul lavandino, facendo uscire l’acqua e cominciando a sciacquarsi il viso, strofinando vigorosamente sugli occhi per svegliarsi totalmente. Mentre si lavava la faccia ripensò alla sera precedente, quando tornando dal bosco le era sembrato di vedere delle strane forme dietro agli alberi; aveva trovato anche delle pagine nel bosco, quella notte, ma non aveva capito cosa fossero, e in quel momento non ricordava nemmeno cosa riportassero scritto sopra né dove le avesse messe…
Quando alzò la testa per guardarsi allo specchio sentì come un colpo alla testa. Sentì il suono di un vetro infranto e all’improvviso si crepò lo specchio di fronte a lei, una fitta nella testa difficile da descrivere e vide qualcosa alle sue spalle, nell’angolo, riflesso nello specchio rotto. Un ombra, una figura nera alta e gobbuta, la cui testa, se esistente, era nascosta dalla crepa sullo specchio. Fu un attimo, tanto che le sembrò di essersela immaginata. Come il suono del vetro infranto e la fitta alla testa, che come era venuta era sparita. Non c’era niente di diverso attorno a lei, lo specchio era intatto, quindi cosa era successo?
Si era immaginata qualcosa; le capitava spesso di fantasticare su qualunque cosa, ma mai le sue fantasie erano state più reali…
Scosse la testa e si sciacquò di nuovo il viso, pensando di essersi lasciata suggestionare dalle sue stesse fantasie.
Kate tornò in camera sua per trovare dei vestiti adatti per uscire quella mattina; si guardò intorno mentre camminava nella stanza e adocchiò dei fogli di carta ingialliti sparsi sul suo comodino. Non li aveva notati prima, quando era andata a prendere il telefono. Erano i fogli che aveva trovato nel bosco la notte prima. Erano inquietanti. C’erano delle immagini disegnate sopra con del carboncino nero e delle scritte calcate con forza.
 
NON GUARDARE  O TI PRENDERA’
 
Assieme a questa frase c’era una X in alto a destra del foglio e l’immagine di un omino stilizzato sotto alla scritta.
 
GUARDA SEMPRE NIENTE OCCHI
 
Al centro di questa pagina c’era un cerchio barrato con delle X. Quell’idea fece venire i brividi a Kate.
 
AIUTAMI
 
Questa pagina rappresentava solo la scritta. Non vi erano illustrazioni su di essa.
Altre pagine erano invece prive di messaggi, come quella rappresentante decine di alberi molto alti, e in mezzo ad essi una figura molto simile a un albero, ma con fattezze più umane.
Un’altra pagina aveva disegnata al centro una figura umana molto alta, le braccia lunghe e un apparente completo da uomo. Il messaggio era semplice.
 
NO NO NO NO NO NO NO NO NO NO NO NO
 
Un’altra pagina rappresentava un piccolo cerchio, che a Kate fece venire in mente la Luna, accompagnato da una scritta.
 
NON PUOI CORRERE
 
TI SEGUE
 
Rappresentava un'altra volta un omino stilizzato accanto a un albero, la cui altezza superava di poco quella dell’uomo del disegno.
L’ultima pagina era il disegno di quello che sembrava un albero molto approssimativo accompagnato da una scritta confusa e calcata con forza sul foglio che aveva l’aria di una richiesta disperata.
 
LASCIAMI IN PACE
 
Kate alzò lo sguardo dalle pagine che aveva raccolto la sera precedente. Che diavolo è questa roba? Si chiese. Leggere quei messaggi l’aveva messa in uno strano stato di inquietudine che non aveva mai sentito prima, come se avesse un mattone sul petto, e ogni battito del suo cuore e ogni respiro fossero una sofferenza immane.
Scosse la testa sospirando. Dovrei smetterla di vedere tutti quei film dell’orrore… Pensò. La sua mente andò a tutte le notti in bianco con la sua amica Jennifer  passate a guardare film vietati ai minori. La divertiva vedere tutte quelle scene disgustosamente crude e macabre, in un certo senso…
Si ricordò così di Jennifer. La sua amica la stava aspettando al bar, doveva sbrigarsi. Trovò un paio di jeans attillati e una maglietta leggera nera e uscì di casa mettendosi il telefono in tasca.
Era una mattina di sole, un’ottima giornata per uscire e fare una passeggiata, stare insieme con gli amici o anche andare al mare da soli… Si stava avvicinando l’estate, e Kate non vedeva l’ora che arrivassero quelle giornate in cui si sarebbe potuta finalmente tuffare a mare senza doversi preoccupare di fare presto a casa, di dormire a sufficienza per la scuola.
A Kate non piacevano molto le giornate soleggiate, in realtà… Preferiva quando il sole era oscurato dalle nubi, e il cielo prometteva tempesta. Ma l’estate stava per arrivare, quindi si sarebbe dovuta accontentare… A volte si chiedeva se ci fosse qualcosa di sbagliato in lei, ma preferiva non pensarci e continuare a vivere la sua vita in modo spensierato.
Per fortuna, qualcuno si stava godendo quella mattinata di sole, e infatti, il signor Shaun Tucker, vicino di casa di Kate, era in giardino a curare le sue piante. Non appena la ragazza ebbe chiuso la porta dietro di sé, l’uomo alzò lo sguardo attirato dal suono della porta e salutò sorridente la ragazzina. Fece un ampio gesto con la mano mentre riprendeva il fiato e salutò:<< Buona giornata, signorina Kate. >>
Kate non riuscì a rispondere in tono scontroso a quell’uomo, e arrossì rispondendo al saluto. Si limitò comunque a un piccolo saluto con la mano e si avviò per la sua strada, mentre Tucker tornava ad occuparsi del suo giardino.
Shaun Tucker era un uomo sulla cinquantina ben portata, portava spesso un paio di occhiali, anche se al momento non li indossava. I suoi capelli castano cenere e i suoi occhi solari non davano l’idea di persona che lui era, né tantomeno la sua barba ispida, che gli dava un aspetto trasandato e poco serio. Ma aveva dei modi di fare molto originali, con i quali si era conquistato la simpatia dei vicini. Anche Kate era affascinata da quell’uomo, sempre così disponibile e cordiale, che si chiedeva se fosse normale… Tutti gli adulti la trattavano come una bambina e non parlavano con lei; nessuno la capiva, a parte il suo vicino. Anche se non avessero mai parlato molto profondamente, l’uomo aveva sempre dimostrato di saper capire a fondo le persone, e a volte aveva dato a lei degli utili consigli… Niente di importante, certo, ma dalle piccole cose si capivano le cose più importanti sulle persone, come diceva Shaun Tucker.
Era una bella giornata, come aveva detto il signor Tucker; il Sole splendeva nel cielo e non trasmetteva un caldo eccessivo, come le torride giornate estive, e all’ombra si otteneva sollievo dal caldo. Non era una di quelle giornate di primavera in cui si continuava a sentire un freddo pungente nonostante il Sole. A Kate non dispiaceva quel tempo…
Ogni estate Kate si lamentava del troppo caldo; passava giornate intere con indosso una leggera vestaglietta e il costume da bagno, tuttavia aveva sempre caldo. D’inverno la ragazza girava per casa con maglioni pesanti e jeans lunghi e stretti, avvolta in una coperta pesante che prendeva lei stessa da uno scaffale alto dell’armadio dei suoi genitori; tanto se non fosse stato per lei nessuno l’avrebbe usata. D’estate la ragazza dormiva tanto nel suo letto, spesso rimanendo mezza nuda dal caldo, beveva moltissimo, non importava se si trattasse di acqua o bibite rinfrescanti, e andava spesso al mare con Jennifer, quasi sempre e solo con lei, e tornava a casa tardi. Durante l’inverno Kate si chiudeva in casa, intirizzita nei suoi vestiti che le davano un senso di protezione, a bere camomille e a dormire spaparanzata sul divano.
Kate non era esattamente una ragazza attiva… Non frequentava molto i suoi amici, a parte Jennifer, sua migliore amica, sincera e disposta a tutto per lei; non brillava a scuola, ma le importava poco. Si impegnava a sufficienza, ma con poco interesse… Era totalmente disinteressata. A volte lei stessa si fermava e si chiedeva cosa volesse… Litigava con i suoi genitori, era incontentabile, ma semplicemente finiva per ignorare questo suo atteggiamento, dicendo che era fatta così, e che non si potevano cambiare le persone…
Non aveva molti sogni. Al momento pensava fosse normale non pensare al futuro, alla sua età, ma alcuni suoi amici sembravano avere già le idee chiare. Persino Jennifer sapeva cosa voleva fare da adulta.
Kate era arrivata alla caffetteria dove si erano date appuntamento con Jennifer. La vide seduta a un tavolo appoggiata contro il vetro del locale, seduta scomposta, come sua abitudine, intenta a guardare il telefonino. Forse stava mandando un messaggio a Kate per chiederle dove fosse, quindi lei si affrettò. Raggiunse la finestra della caffetteria e bussò piano vicino alla testa di Jennifer.
La ragazza si voltò di scatto e non appena vide il viso dell’amica le sue labbra si allargarono in un sorriso contento e i suoi occhi azzurri luccicarono. Kate sorrideva come non aveva ancora fatto quella mattina: era contenta di vedere la sua amica, voleva scambiare quattro chiacchiere con lei, come facevano sempre, in modo spensierato, senza preoccupazioni. Si diresse quindi alla porta della caffetteria, impaziente di abbracciare Jennifer.
Jennifer era una ragazza magra e simpatica, sempre pronta a dare una mano e anche molto paziente. Le piaceva portare i capelli lunghi e vestiva spesso con abiti chiari e leggeri.
<< Pensavo di trovarti in stato peggiore di così. >> Disse Kate entrando nel locale mentre Jennifer si alzava per salutarla. La guardò indignata prima di ridacchiare.
<< Che cosa intendi dire? Mi sembrava che quella che ha bevuto come un cammello ieri fossi tu! >> Rise mentre Kate si sedeva di fronte al suo posto, anche lei vicino alla finestra.
<< Ma che dici? Ho preso solo un bicchierino di… Qualunque cosa fosse! >>
Le due ragazzine scoppiarono a ridere mentre la poca gente attorno a loro faceva finta di niente.
<< Comunque ieri non ti ho più vista, dopo che quel ragazzo mi ha abbordata… >> Disse pensierosa Jennifer. Kate si scrollò un po’ la maglietta.
<< In realtà la festa ieri non era un granché… Ho pensato che ti stessi divertendo con la tua nuova compagnia, così ho pensato di andarmene. >> Rispose con calma controllando il posto su cui si era seduta, sperando che non ci fossero briciole o rimasugli di cibo.
<< Smettila di controllarti intorno! Ho scelto questo posto perché era il più pulito, conoscendoti… >> Le disse scherzosa sorridendo in modo furbo. Kate ammiccò all’affermazione dell’amica, però era vero; Kate era una ragazza piuttosto puntigliosa e testarda, la minima imperfezione sul tavolo la avrebbe fatta sbuffare infastidita, oppure la più piccola briciola sulla panca dove era seduta la avrebbe fatta saltare sulla sedia. A volte si chiedeva come Jennifer la sopportasse… Jennifer controllò lo schermo del suo telefono e continuò a parlare:<< Comunque, quel ragazzo di ieri sera non era niente di ché… Mi ha letteralmente portata via e ha cominciato a parlarmi di lui e della sua famiglia, e dei suoi passatempi… >>
<< Un vero gentiluomo… >> Commentò Kate ridendo sotto i baffi.
<< Non mi ha lasciata parlare neanche un secondo! >> Si lamentò esasperata Jennifer, e fece una faccia disperata che fece scoppiare di risate la amica. << E non era nemmeno tanto carino, altrimenti gli avrei dato un po’ di tempo in più… >>
<< A me non sembrava male… >> Commentò Kate seguendo con un dito le venature del legno del tavolo a cui le due ragazze erano sedute. Arrivò una ragazza con un cappellino della caffetteria in testa e un grembiule bianco sopra i vestiti che chiese loro cosa volessero ordinare.
<< Per me una tazza di cioccolata calda. >> Ordinò Jennifer alzando un dito in alto. Kate ci pensò un po’ su. Aveva appena fatto colazione, e non sentiva tanta voglia di prendere qualcos’altro, però non voleva sembrare il tipo di persona che andava là per occupare il posto e basta… Pensò qualche secondo e poi ordinò una tazza di cioccolata calda a sua volta.
La ragazza che aveva preso gli ordini annuì e disse che sarebbero arrivate in pochi minuti. Detto questo si voltò e andò verso il bar. Le due ragazze ripresero a chiacchierare.
<< Non ti sembrava male? >> Chiese Jennifer sorridendo. << Bé, secondo me non ti sarebbe piaciuto tanto, se lo avessi visto bene… >>
Kate rise.
<< Ma in fondo a te piacciono i ragazzi un po’ strani… >> Mormorò Jennifer sorridendo furbamente e guardandola con occhi allusivi. << Come Joseph Price, dell’altra classe… >>
Kate alzò lo sguardo e sorrise imbarazzata.
<< Ma davvero…? >> Mormorò Kate coprendosi la bocca e osservando la ragazza che tornava con le due tazze di cioccolata su un vassoio. Ringraziò la ragazza e si concentrò sulla sua cioccolata.
Jennifer scattò all’improvviso e disse:<< A proposito di Joseph, lo sai che è sparito? >>
Kate alzò lo sguardo interrogativa. << Davvero? >>
Jennifer annuì. << Non si sa dove sia finito, e con lui altri sei ragazzi dell’altra classe… >> Kate abbassò lo sguardo pensierosa.
<< Strano… >> Mormorò.
<< E nella faccenda è immischiato anche Alex Huges… >> Borbottò Jennifer poco interessata.
<< Chi? >> Chiese Kate guardandola confusa.
<< Dai! Alex, il ragazzo dell’altra classe! Non te lo ricordi? >> Kate non aveva idea di cosa Jennifer stesse dicendo. La sua amica fece roteare una mano lasciando perdere. << Lo hanno trovato qualche giorno fa nella vecchia villa abbandonata, da solo insieme a una videocamera con la memoria piena. >>
<< Che ci faceva lì? >> Chiese Kate confusa.
<< Non si sa niente… La polizia lo ha trovato in stato confusionale, non parlava con nessuno e sembrava essere terrorizzato da qualcosa… >> Rispose Jennifer bevendo un po’ dalla sua tazza.
Kate guardò la sua cioccolata con un po’ di inquietudine. << Che cosa c’era nella videocamera? >> Chiese.
Jennifer scosse la testa. << Non si riesce a capire un cavolo. >> Fece piegando la testa di lato. << Ci sono le riprese di questo ragazzo, Alex, e poi vengono inquadrati i sette ragazzi scomparsi… E’ piuttosto lungo, se lo cerchi su Internet lo trovi senz’altro. Qualcuno lo ha già caricato in rete. Non si capisce molto, come ti ho già detto, però a parte alcuni discorsi che sembrano inutili, ci sono diversi momenti in cui la ripresa sembra quasi tagliata, cancellata dalla memoria, e la telecamera non funziona bene… >> Mosse la mano destra mimando una ghigliottina sull’altra mano, mentre parlava.
<< E i sette ragazzi sono…? >> Fece Kate lasciando continuare Jennifer.
La ragazza strinse le spalle. << Tutti della loro classe. Oltre ad Alex e Joseph ci sono Kate Parker, la bionda dell’altra classe, William Walker, il suo fidanzato, Larry Taylor, quel ragazzone dai capelli rossi, Andrej Evans, quel tipo strano, Luke Scott e Felix Arv… Arvid… >> Si inceppò mentre pronunciava l’ultimo nome.
Kate ricordava il cognome del ragazzo, e si inceppò a sua volta tentando di anticipare l’amica. << Kjel… Kjellberg? >>
Jennifer spinse in avanti la testa con vigore, smuovendo i lunghi capelli e puntando l’indice contro Kate. << Esatto! >> Sbottò entusiasta per essersi risparmiata di dover nominare quel nome così difficile. << Il ragazzo Svedese. >> Aggiunse. Kate annuì. Si ricordava il nome del ragazzo proprio per la sua particolarità. Appoggiò la guancia alla mano e sospirò, chiedendosi cosa fosse successo a quei ragazzi.
<< E non si sa niente? >> Chiese scuotendo rapidamente la testa.
Jennifer strinse le spalle. << Alex non ha parlato. Sembrava terrorizzato da qualcosa, e le riprese non sono state molto di aiuto, come ti ho detto… >>
<< Terrorizzato da qualcosa… >> Ripeté Kate pensierosa. << Si dice che la vecchia villa fosse stregata… >> Mormorò cercando di dare una spiegazione all’enigma.
<< Ma è un racconto dell’orrore, una favola! >> Rise Jennifer alzando una mano. Bevve un po’ di cioccolata dalla sua tazza. << Non vorrai dirmi che hanno incontrato qualche fantasma! >> Rise.
Kate rise a sua volta; in realtà non credeva molto nel soprannaturale, anche se spesso fosse un ottimo spunto per inventare storie, la interessava, proprio perché misterioso e incerto, faceva spesso riflettere… Ma questo non significava che credesse pienamente nelle storie di fantasmi. La divertivano, semplicemente… << Che strano… >> Mormorò sovrappensiero, destando l’attenzione di Jennifer, che la fissò interrogativa. << Ieri sera, tornando dalla festa, ho preso il sentiero nel bosco per tagliare strada e tornare a casa più rapidamente. Non è durato molto, ma per tutto il tempo che sono stata lì mi è sembrato che qualcuno mi stesse osservando da lontano, che qualcuno mi stesse pedinando… >>
<< Inquietante… >> Borbottò Jennifer con la tazza alla bocca.
<< Poi per la strada ho trovato delle pagine… >> Mormorò mantenendo lo sguardo basso. Jennifer inarcò un sopracciglio. Kate annuì senza aspettare che glielo chiedesse e alzò lo sguardo. << Dei fogli di carta con sopra degli strani disegni e dei messaggi… >> Alzò la mano e fece scorrere un dito dell’altra sul suo palmo.
<< Davvero? >> Chiese Jennifer stupita mantenendo a mezz’aria la tazza di cioccolata. Kate annuì sorridendo leggermente, non sicura di esserne autorizzata. La situazione era ben strana, ma non le sembrava così seria… << Sei sicura che non fosse lo scherzo di qualcuno? >> Chiese Jennifer. << Magari di quell’idiota di Trevor… >>
<< Era ancora alla festa quando me ne sono andata, e comunque nessun altro avrebbe osato prendere quella strada, a parte me. >> La precedette Kate tornando a concentrarsi sulle venature del tavolo. Jennifer sorrise, fingendo di essere offesa.
<< Giusto. Kate la suprema è l’unica con abbastanza palle da attraversare un bosco oscuro e inquietante! >> Esclamò in modo solenne allargando le braccia e alzando gli occhi al cielo. Kate rise e la spinse con un braccio in modo scherzoso.
<< Oppure l’unica incapace di provare emozioni! >> Ribatté ridendo e facendo scoppiare Jennifer dalle risate.

 

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Capitolo 3
*** Timore ***


Le due ragazze rimasero a chiacchierare parecchio nella caffetteria, poi pagarono le loro consumazioni e uscirono, decidendo che avrebbero fatto una passeggiata, guardando qualche vetrina dei negozi, chiacchierando spensieratamente e fermandosi davanti alla vetrina della pasticceria. Sia Kate che Jennifer, infatti, erano molto golose; ogni volta che uscivano era immancabile la sosta alla pasticceria della città. Gli bastava restare ad ammirare per alcuni minuti tutti quei dolci che ogni giorno venivano sfornati nella cucina di quel posto, ma raramente entravano a comprare qualcosa… Alcune volte si erano messe all’opera per cuocere un dolce tutto loro, di solito a casa di Kate, ma i risultati non erano mai stati molto incoraggianti…
Dopo una mattinata passata a camminare avanti e indietro per le strade e le piazze della città, a chiacchierare e a sognare tutti quei dolci che avevano visto, Kate e Jennifer si salutarono, e ognuna andò verso casa sua. Jennifer doveva fare poca strada rispetto a Kate, dato che casa sua era più centrale rispetto a quella dell’amica, mentre Kate avrebbe dovuto attraversare il corso prima di raggiungere la strada dove avrebbe trovato la sua casa, assieme alle altre dei suoi vicini…
Kate era una ragazza solitaria e nonostante stesse appena tornando da una passeggiata con la sua amica, la solitudine la prese di nuovo con sé, facendole temere la folla e i luoghi aperti. Così preferì prendere delle stradine secondarie, piuttosto che seguire la strada principale per arrivare a casa. Così avrebbe fatto prima e sarebbe rimasta rilassata.
Era qualcosa che non sapeva spiegarsi: quando era con la sua amica, Kate non aveva nessun problema a relazionarsi con la gente, a passeggiare per le strade affollate… Quando rimaneva da sola, ecco che improvvisamente si sentiva persa, ogni estraneo era una minaccia e le strade affollate diventavano delle giungle impraticabili. Sapeva che c’era qualcosa che non andava in lei, ma non poteva farci niente, se la sua natura era quella significava che avrebbe dovuto conviverci.
Le piaceva girare per i vicoli, nel silenzio. Era passato mezzogiorno, quindi la gente cominciava a tornare a casa per pranzare, ed era proprio quello che stava facendo lei. Non c’era nessuno in quelle stradine, e questo le dava ancora più sicurezza, anche se a una persona normale non sarebbe piaciuta quell’atmosfera… Una ragazzina, da sola, in una stradina poco frequentata, a un orario morto come quello si sarebbe dovuta sentire impaurita, avrebbe dovuto desiderare di arrivare a casa il più in fretta possibile, per evitare di fare qualche brutto incontro. Anche se la città dove viveva Kate era un posto piccolo, non bisognava mai ignorare i pericoli…
Ma a Kate non importava se qualcuno la stesse seguendo; aveva una lingua abbastanza tagliente da poter riuscire a scampare da qualunque situazione, anche se non era in grado di lottare contro un uomo più grande e forte di lei… Ma perché le stavano entrando in testa questi pensieri? Tornare a casa da sola non l’aveva mai preoccupata, mai! La sera precedente era tornata a casa attraversando una foresta inquietante e non aveva sentito niente. Adesso perché stava pensando a quello? Aveva malditesta… Forse la stanchezza l’aveva confusa…
Kate cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca di qualcosa che non c’era; qualcosa che si sarebbe aspettata di vedere, ma che non sapeva riconoscere… Che diavolo le stava succedendo? Si girò di scatto, guardando una scala antincendio pensando di trovarci qualcuno sopra, poi si voltò e adocchiò una finestra chiusa; le sembrava di aver percepito un movimento dietro di essa…
La tensione stava crescendo e nella sua testa cominciarono a nascere suoni che non c’erano realmente. Sentì di nuovo quello strano suono simile a quello di un vetro che si infrange e quella dolorosa fitta alla testa, ma questa volta era diverso: il suono era più rapido e sembrava essere più forte; mentre prima sembrava che uno specchio si fosse scheggiato, adesso sembrava che lo stesso specchio si fosse distrutto in mille pezzi che però non erano caduti, e la fitta durò più a lungo della prima volta. Questa volta la fitta non scomparve come aveva fatto prima, ma si affievolì lentamente, rimanendo una presenza costante nella testa di Kate, che si mise le mani alle orecchie e chiuse gli occhi piegandosi verso il basso. La testa le faceva male e non capiva cosa le stesse succedendo, poi aprì gli occhi, incapace di restare ferma ad aspettare il nulla e vide in fondo al vicolo una figura alta e nera; era la stessa cosa che aveva visto in casa sua, ma questa volta l’immagine era più vivida: aveva fattezze umane, nonostante l’altezza fosse eccessiva, e il colore della pelle troppo pallido ricordava un manichino di quelli che si vedevano nei negozi di abbigliamento, anche perché indossava proprio un abito insolito, un completo da uomo con una cravatta rossa. Le gambe e le braccia erano molto più lunghe del normale, ma Kate non riuscì a vedere niente sul suo viso; nessun tratto somatico, niente che potesse farle riconoscere quell’essere…
Sentì una voce roca alle sue spalle. Un lampo la accecò per un istante e quando riacquisto la vista, l’essere in fondo al vicolo non c’era più. La testa le faceva ancora leggermente male, ma lasciò andare le mani e raddrizzò lentamente la schiena. Si voltò e vide un uomo vestito con abiti sporchi e vecchi che la guardava in modo strano:<< Ti sei persa, piccolina? >> Chiese con un sorriso inquietante.
Kate lo fissò impassibile. Per favore, no… Pensò annoiata. L’aveva scambiata per una bambina, sicuramente. Dal suo sguardo aveva già capito che quell’uomo voleva una preda, ma aveva scambiato lei per quello che cercava. << Senti, non è il momento adatto… >> Disse alzando una mano e strofinandosela alla fronte. << E poi non sono chi tu pensi. >> Aggiunse seccata.
Quell’uomo però non cambiava espressione. Fece un passo verso Kate, cosa che la fece sbuffare.
<< Ascoltami, sono ben oltre la fascia di età che stai cercando, quindi mi dispiace dirtelo, ma hai proprio scazzato alla grande. >> Disse seccamente mettendosi la mano al fianco e spostando il peso da una gamba all’altra. L’uomo però non sembrava ascoltare. Continuava ad avanzare mantenendo quell’espressione inquietante che lo caratterizzava. Kate cominciò a sentirsi a disagio, e cominciò a indietreggiare. Forse a quell’uomo non importava molto dell’età delle sue vittime. Forse si era cacciata in un guaio, alla fine.
<< Posso aiutarti io a ritrovare la strada di casa… >> Mormorò quello alzando le mani. Quel gesto, unito a quella frase fece tremare di terrore Kate.
<< Trovo la strada di casa da sola, grazie. >> Cercò di tagliare corto lei, ma l’uomo continuava ad avanzare e a spingerla verso un muro.
<< Io sono tuo amico, non devi avere paura. >> Disse sorridendo quell’uomo. Il suo tono sembrava suggerire sicurezza, ma il suo sguardo era spaventoso, la sua mente era già a quando avrebbe strappato i vestiti di dosso a Kate.
Perché? Pensò Kate disperata. Si accorse di non poter andare da nessuna parte quando sentì il muro dietro la sua schiena. Imprecò sottovoce, maledisse sé stessa per la sua arroganza e fissò con orrore l’uomo che si avvicinava lentamente a lei. Gli occhi fissi su di lei. Le mani puntate verso di lei. Voleva proprio lei.
Kate chiuse gli occhi e pregò che l’uomo la risparmiasse, che riacquistasse il buon senso, o che almeno non ci mettesse troppo a fare quello che voleva fare, ma ormai aveva capito che non sarebbe sfuggita alla follia di quell’uomo: il suo petto si alzava e si abbassava rapidamente, il suo cuore batteva all’impazzata, e il sudore colava dalla sua fronte. Era pallida e all’improvviso le sembrò di essere diventata più piccola. Si chiese che cosa stesse facendo l’uomo, se le fosse addosso, o se si stesse ancora avvicinando. La paura di ritrovarselo davanti era grande, ma la paura di non sapere cosa stesse facendo era ancora più grande, e Kate decise di aprire gli occhi.
Aprì prima uno e poi l’altro occhio, scoprendo così che l’uomo si era fermato. Era immobile a pochi metri da lei, e fissava con occhi terrorizzati il muro dietro di lei. Sembrava aver visto qualcosa di terribile. Kate si guardò dietro, alzò lo sguardo sopra la sua testa, cercando di capire cosa avesse visto l’uomo, ma niente attirò la sua attenzione. A un certo punto quello fece un passo indietro, seguito da un altro passo. Poi si girò e scappò urlando, lasciando allibita Kate.
La ragazza si era salvata per un pelo. Forse quel tipo era scappato da un manicomio, altrimenti non si sarebbe spiegata la sua reazione, però si cominciò a guardare intorno con circospezione, pensando che forse qualcosa di pericoloso c’era davvero in quel vicolo.
Non vide niente, ma si mise a correre, desiderando di arrivare a casa più in fretta possibile. La sua corsa non fu molto lunga, ma raggiunse casa sua con il fiatone. Infilò la mano in tasca e prese le chiavi della porta. Cercò di infilare la chiave nella toppa, ma quella le cadde. Kate imprecò di nuovo e si piegò per raccoglierla. Sentì una presenza alla sua destra quando si fu rialzata, e cercò di aprire la porta più in fretta possibile. La aprì e sarebbe entrata, se una voce non l’avesse fatta sobbalzare.
<< Kate? >> Era una voce conosciuta, quella del vicino, che era appena uscito di casa sua e la stava guardando confuso con una tazzina di caffè in mano. Kate si voltò ansimando; per un attimo aveva pensato che si trattasse di qualche essere strano, invece era solo il suo vicino, la persona più gentile del mondo. Lo fissò un po’ sollevata mentre riprendeva fiato e quello le rivolse uno sguardo interrogativo. << C’è qualcosa che non va? >> Chiese piegando la testa e inarcando un sopracciglio.
Kate scosse la testa ansimando. << No… >> Sussurrò senza voce. << No. >> Ripeté con più forza. In realtà c’era un casino nella sua testa, non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma non aveva intenzione di riordinare le idee ora o di parlarne con qualcuno. Voleva solo chiudersi in casa sua, l’unico posto dove nessuno l’avrebbe potuta spaventare. << Va tutto bene… Solo… >>
Tucker la guardò confuso e con un mezzo sorrisetto.
<< E’ solo che ho una gran fame e vorrei mangiare al più presto. >> Disse tutto ad un fiato. Tucker annuì sospirando.
<< Quindi è per questo che correvi… Bé, non posso biasimarti. >> Disse guardandosi l’orologio. << Di solito sono io quello che pranza tardi, ma a quanto pare oggi mi hai battuto. >> Sorrise e fece per aprire la sua porta.
Kate sorrise non comprendendo cosa il vicino volesse dire. Era ancora confusa, la testa le faceva male da morire e i polmoni continuavano a chiedere aria. Aprì lentamente la porta salutandolo e si infilò in casa sua, sbattendo la porta e appoggiandocisi con la schiena.
Trasse un sospiro di sollievo dopo che ebbe chiuso a chiave e si sentì le gambe cedere. Scivolò così lungo la porta fino a cadere a terra, dove riprese fiato. Si guardò le gambe distese sul pavimento e aspettò che smettessero di tremare. In casa sua almeno era al sicuro.
Sentì una corrente d’aria fresca accarezzarle il viso. Si sentì sollevata mentre quel vento rilassante la sfiorava delicatamente. << Un momento. >> Disse all’improvviso aprendo gli occhi. Sua madre aveva aperto le finestre quella mattina. Erano rimaste aperte da allora.
Kate si rialzò di corsa e scappò in cucina, dove trovò una finestra spalancata, le tende svolazzavano ai lati. La chiuse senza perdere tempo, facendo sbattere le ante e corse nell’altra stanza. Nel soggiorno non c’erano finestre aperte, quindi passò a quella successiva. Il salone aveva due finestre alte di cui una era aperta; la ragazza scattò per chiuderla e uscì da lì salendo le scale di corsa. Nel bagno le finestre venivano lasciate quasi sempre chiuse, e nelle camere da letto la madre di Kate le apriva la mattina. La ragazza passò prima in camera dei suoi genitori; la finestra era aperta. La raggiunse rapidamente scavalcando il letto matrimoniale e chiuse le ante che conducevano al balcone. Scappò dalla stanza e corse in camera sua, per assicurarsi che anche lì le finestre fossero ben chiuse. Le tende si agitavano per il vento e sentì un suono di carta stropicciata non appena raggiunse la porta. Saltò in mezzo al disordine e si lanciò praticamente contro le ante del balcone per chiuderle. Per sua fortuna non si fece niente cadendo, e non sbatté col viso al vetro, ma fece un gran fracasso quando urtò un mobile alla sua sinistra. Kate ritirò la mano e gemette infastidita, imprecando contro quel mobile. Vide qualcosa cadere da sopra di esso e frantumarsi contro il pavimento, spargendosi per tutta la stanza. Kate ritrasse mani e piedi e sussultò lanciando un urletto acuto.
Rimase immobile ad osservare i cocci di quel qualcosa che ancora non aveva identificato. Ne approfittò per riprendere fiato; dopo la corsa fino a casa, Kate aveva avuto poco tempo per respirare, ed era scappata subito dopo per chiudere le finestre.
<< Oh, no… >> Mormorò sconfortata quando capì cosa si era rotto. Si mise in ginocchio e si abbassò per vedere da più vicino i cocci. Era una vecchia statuetta di una ballerina a cui Kate teneva molto. Era un regalo di suo nonno. Ce l’aveva da moltissimo tempo, era sempre rimasta lì con lei, e anche se sembrava essersene dimenticata, per lei quella piccola statuetta significava molto. Era l’unico ricordo di suo nonno che aveva… Nonostante tutte le fotografie e i cimeli, quelle cose per lei non significavano nulla. Le piccole cose, come quel vecchio regalo che le aveva fatto all’età di quattro anni, cariche di affetto e felicità, erano per lei i veri ricordi.
Si sentì molto triste ora che si era rotta quella vecchia statuetta. Tutto perché le era venuto un attacco di panico. Ripensò alla sua reazione mentre raccoglieva i cocci. Un attacco di panico… Si sentì stupida per aver agito in modo così impulsivo per una semplice fantasia! L’uomo che aveva incontrato doveva avere dei problemi mentali e si era sicuramente immaginato qualcosa, ma la sua paura aveva contagiato Kate, che credendo nell’esistenza di qualche pericolo era scappata terrorizzata a rinchiudersi a casa. E ora aveva rotto la sua statuetta. Si sentì proprio una stupida, si diede della idiota più volte, poi, una volta raccolti tutti i frammenti della ballerina, li ripose sul mobile. Non voleva buttarli, erano troppo importanti per lei.
Suo nonno era l’unico adulto che sembrava averle sempre voluto bene incondizionatamente; quando se n’era andato Kate aveva pianto tanto. Aveva vissuto i momenti più belli della sua vita con lui, le aveva dato quelle sensazioni che con i suoi genitori non aveva mai ricordato. Secondo lei, se fosse stato ancora in vita, sarebbe stato anche l’unico a trattarla come un’adulta, non come una bambina, come facevano tutti.
Kate si diresse verso l’uscita, scoprendo così cos’era quel rumore di carta stropicciata: il vento aveva fatto cadere tutte le pagine che aveva riposto sul comodino quella mattina e si erano sparse per tutto il pavimento. L’inquietudine e il timore di una presenza oscura in quel posto si fecero di nuovo vivi in Kate. La ragazza raccolse lentamente le pagine e le portò con sé in giro per la casa.
Ispezionò con attenzione tutte le stanze, assicurandosi che ci fosse solo lei in casa; poi andò nel salone dove di solito tenevano qualche festa, dove lei e la sua amica Jennifer avevano passato la maggior parte delle loro notti in bianco, dove si riposava quando non c’era nessuno in casa; dove c’era anche un vecchio caminetto che i suoi genitori non accendevano mai.
A Kate piaceva bruciare le cose. La affascinava vedere come gli oggetti venissero consumati lentamente dal fuoco, e ogni tanto trovava qualche pezzetto di carta da buttare, prendeva il suo accendino e gli dava fuoco, e restava lì immobile a fissare quel frammento di carta finché la fiamma non si estingueva, e della carta non restava che cenere.
Non sapeva perché volesse farlo, ma quelle pagine la avevano inquietata dal primo momento in cui le aveva viste. Prese l’accendino che teneva sempre in tasca e provò ad accenderlo. Mentre lo accendeva guardò un’altra volta le pagine. Sembravano pesare più di quanto dovessero. Le sembrò che la stessero guardando. Distolse lo sguardo e si concentrò sull’accendino, che finalmente si accese. Avvicinò la carta alla fiammella e la accese per un angolo, poi gettò i fogli nel caminetto, osservandoli mentre si consumavano e si cancellavano.
Sono solo dei pezzi di carta… Pensava mentre li guardava bruciare. Non significavano niente, come anche il senso di inquietudine che l’aveva accompagnata lungo la via per casa e la reazione di quell’uomo di fronte a… Niente. Non c’era niente in quel vicolo. Non c’era mai stato niente, né lì, né nel bosco, né in casa sua. Era solo un’invenzione della sua mente dovuta alla comparsa di quelle strane pagine.
Kate si perse nelle fiamme nel caminetto fissandole intensamente, guardando la carta che si comprimeva e si combureva lentamente… Ma in realtà non si stava consumando. La carta non stava bruciando e non sembrava nemmeno ritrarsi a causa del fuoco; era immobile. Le fiamme ricoprivano le pagine e avevano un aspetto ben vivo, ma quelle non ardevano.
Kate indietreggiò lentamente, spiazzata da quella scena. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Corse in cucina a prendere dell’acqua. Tornò nella stanza con una bottiglia d’acqua tra le mani e la versò sulle fiamme, provocando così un gran fumo che fece tossire la ragazza e le fece lacrimare gli occhi. Quando il fumo se ne fu andato da lì, Kate scoprì con orrore che le pagine, nonostante il fuoco e l’acqua subito dopo, erano ancora lì, intatte, una sopra l’altra; si poteva leggere benissimo ogni singola lettera sopra di esse.
Presa dallo sconforto, la ragazza avvicinò timidamente una mano ai fogli di carta, temendo di bruciarsi, ma quando ebbe afferrato le pagine scoprì che non solo erano intatte, ma la loro temperatura era perfettamente normale, e la carta non era neanche umida. Sembravano le pagine di un quaderno nuovo di scuola, ancora intatte e perfettamente lisce.
Le allontanò dal viso e le fissò con terrore. << Che diavolo è questa roba? >> Disse tremando. Sperava che le stesse pagine potessero darle una risposta. Non si sarebbe sorpresa se all’improvviso avessero parlato con lei. Voleva solo sapere che diavolo stava succedendo.
Ma nessun tipo di risposta venne dalle pagine, che rimasero silenziose e misteriose, quasi come se la stessero osservando, come se volessero capire che tipo di persona fosse Kate.
Il tipo di persona che non si arrende! Fu la risposta che si diede da sola, e all’improvviso sentì un moto di rabbia salirle in corpo. Alzò la mano sinistra all’altezza della destra e cominciò a tirare e a strappare la carta. Stava funzionando! Le pagine si stavano strappando, non erano indistruttibili.
Kate non si fermò finché non ebbe reso quelle otto pagine a innumerevoli, minuscoli coriandoli. Poi li lanciò in aria, fissandoli mentre scendevano lentamente a terra. Si scoprì affaticata da quel gesto. Aveva il fiatone e il suo cuore aveva ricominciato a battere all’impazzata, forse perché sentiva di aver fatto qualcosa che non doveva fare…
Kate fissò i frammenti delle pagine caduti a terra con sguardo feroce e respirò a fondo. Annuì soddisfatta e si voltò, uscendo dalla stanza a testa alta, lasciando quella confusione lì a terra.

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Capitolo 4
*** Notte ***


Kate non uscì più quel giorno. Non aveva nessuna intenzione di tornare lì fuori e farsi mettere in testa altre strane idee. Rimase a casa a riposarsi, sonnecchiando sul divano, mandando qualche messaggio agli amici, di tanto in tanto, giusto per fare quello che faceva sempre, qualcosa di normale… Forse non voleva dare l’impressione agli altri che stesse cercando di evitarli, di restare da sola. Ma la verità era che quel giorno Kate non uscì più di casa, e si strinse a sé stessa il più possibile, nascondendosi sotto una coperta abbastanza pesante da darle una sensazione di protezione. Rimase per la maggior parte del tempo in quella posizione fino a sera, quando dovette per forza alzarsi per prepararsi qualcosa da mangiare.
Erano quasi le nove, a Kate sembrava di aver cambiato tutto, di essersi svegliata ancora addormentata quella mattina, nonostante si fosse svegliata presto e anche abbastanza attiva… Ora riusciva a capire il senso delle parole del vicino: lui aveva degli orari diversi da loro, sia pranzo che cena erano spostati più avanti di loro, e quando Kate era tornata a casa, inspiegabilmente si erano fatte le due del pomeriggio. A lei non era sembrato che fosse passato tutto quel tempo, in circa venti minuti sarebbe dovuta tornare a casa senza problemi, anche con l’aggressione di quel giorno, non avrebbe perso più di venti minuti… Kate non sapeva spiegarsi quel salto di tempo… Era passato da poco mezzogiorno, quando lei e Jennifer si erano divise per andare ognuna a casa propria, e Kate era tornata a casa alle due… Non aveva idea di cosa fosse successo. Tuttavia, quel giorno non aveva mangiato. Dopo quel brutto incontro e la sua rocambolesca fuga la fame le era passata completamente, senza più tornare per tutto il resto della giornata. Solo ora cominciava a sentire uno stimolo… Mangiò comunque poco.
Non aveva voglia di restare sveglia col buio. Fuori dalle finestre si immaginava cose spaventose da quel pomeriggio, e l’oscurità non fece che aumentare la sua inquietudine. Non aveva voglia di restare sveglia a guardare la televisione o a mandare messaggi ai suoi amici. Voleva dormire. Così Kate salì le scale che portavano in camera sua, lasciando tutto senza lavare niente e spegnendo le luci dietro di sé.
Mentre saliva i gradini la ragazza si sentiva un peso sempre più opprimente al petto. Non riuscì a capire cosa fosse. A metà della rampa le mancò l’aria; si abbassò in avanti e si strinse una mano al petto, boccheggiando. Quella scala le sembrò una montagna. Si appoggiò al corrimano mentre avanzava lentamente, respirando a fatica e barcollando. A un certo punto sentì una nuova fitta alla testa che la fece urlare. Strinse i denti e continuò a salire, pregando che tutto quello passasse una volta finita la rampa di scale.
E fu così. Non appena mise il piede sul piano superiore, il dolore alla testa scomparve, il peso al petto svanì, e Kate perse l’equilibrio cadendo in avanti senza sentire più quella spinta opprimente che la teneva inchiodata alla rampa di scale.
Kate rimase a terra. Non provò a rialzarsi, perché era esausta. Era finalmente libera di respirare, e riempì di aria nuova i suoi polmoni martoriati. Rimase lì a terra, sul bordo della rampa di scale, respirando immobile, mantenendo gli occhi chiusi, pensando, forse. A mano a mano che passavano i minuti, Kate cominciò a chiedersi se quel dolore, quel peso se li fosse immaginati. Non sentiva più niente relazionato a quei fenomeni; la testa era in perfette condizioni, e riusciva a pensare perfettamente a qualsiasi argomento, mentre il suo petto aveva ripreso ad alzarsi e abbassarsi normalmente. Non sapeva se il suo corpo avesse avvertito quello che aveva avvertito lei, se il suo cuore si fosse messo a battere con più forza a causa di quel dolore, se le sue gambe si fossero davvero indebolite… Si chiese se non fosse stata tutta la sua immaginazione.
Kate si rialzò lentamente da terra. Si sentiva patetica. Si raddrizzò con espressione delusa e tornò a camminare verso la sua camera, zoppicando ogni tanto, come a volte faceva quando era stanca.
La sua camera era avvolta nell’oscurità. Kate accese la luce e avanzò lentamente verso il letto, già pronto ad accoglierla. Si fermò di fronte ad esso, allargò le braccia e si lasciò cadere su di esso, rimbalzando debolmente. Sentì come se qualcuno la stesse fissando da dietro la finestra. Alzò lo sguardo fissando la finestra con indifferenza, si alzò in fretta e andò ad abbassare le serrande. Rimase così chiusa dentro la sua camera, sicura di essere al sicuro. Si diresse alla porta e chiuse anche quella, per isolarsi dal resto della casa e del mondo. Sospirò appoggiandosi alla porta. Spense la luce e raggiunse in fretta il comodino, dove accese la sua abat jour, temendo il buio che regnava lì dentro.
Rimase qualche istante a fissare la lampada che illuminava solo una piccola parte della stanza. Quella luce calda e tenue le dava un senso di protezione, di sicurezza che poche volte aveva sentito prima. In quel momento, forse fu proprio quella che la fece rincuorare. Kate si lasciò sfuggire un sorriso e si girò. La ragazza si spogliò in fretta gettando i vestiti sulla sedia davanti alla sua scrivania e si buttò a letto, nascondendosi sotto le coperte il più velocemente possibile. Voleva dormire, voleva scappare da lì per dimenticare quella giornata.
Ma il suo sonno non fu esattamente sereno.
Nel silenzio della notte, la ragazza continuò a girarsi e rigirarsi nel letto, in cerca del sonno che non arrivava. Voleva dormire, ma i pensieri continuavano a sfuggirle nella testa e finiva per spostare la mente a qualcos’altro, qualcosa che la manteneva sveglia. Le sembrava di avvertire un rumore dietro la porta, sentiva il vento soffiare fuori dalla finestra
Si chiese come fosse quella notte vista dal suo balcone. Ripensò a quello che le era capitato quel giorno. Cose incredibili, ridicole, in un certo senso. Non avrebbe mai reagito a quel modo, se non fosse stato per la notte precedente e quelle maledette pagine… Ma ora era finita la sua inquietudine; le pagine erano strappate e non sarebbero mai più entrate nella sua testa.
Kate assunse un’espressione di pace interiore, assaporando quel momento di serenità e aspettò di addormentarsi.
Ma una volta preso sonno cominciò a sognare cose strane. Era da sola, nel buio. C’era una luce bianca sopra la sua testa, molto più sopra… Sembrava un Sole che non illuminava, perché il luogo dove si trovava era completamente avvolto dall’oscurità, o forse era una stanza con i muri dipinti di nero pece, ma lei stava camminando, e non percepiva nessun punto in cui il suo girovagare potesse arrestarsi. A mano a mano che camminava in avanti, il pavimento si riempì di fogli di carta vecchi e ingialliti. A ogni passo ce n’erano sempre di più, ma Kate continuava ad avanzare, incapace di controllare i suoi movimenti. A un certo punto si ritrovò a camminare su quei fogli, non vide più il pavimento. I piedi nudi scivolavano sulle pagine bianche. Questa era una particolarità del suo sogno: era scalza. Aveva un corpetto nero con dei bordi bianchi e una gonna nera corta che si allargava in tutte le direzioni, i suoi capelli erano ben curati e aveva un leggero trucco sul viso, ma non aveva nessun tipo di scarpe. Nonostante quello, non sentiva niente. Non aveva freddo, nonostante le gambe nude, e la carta non le dava fastidio; semplicemente, non sentiva più nulla in tutto il suo corpo.
Continuava ad avanzare senza nessuna imperfezione nella sua camminata, la schiena perfettamente dritta e lo sguardo fisso di fronte a sé. Non aveva idea di dove stesse andando, sembrava che la scia di pagine non finisse mai. Poi, senza che se ne rendesse conto, Kate raggiunse la fine. C’erano le pagine che sembravano allargarsi verso i lati e formare una specie di cerchio, dentro alla quale Kate si fermò. Continuava a fissare il vuoto, poi dietro di sé ci fu come un’esplosione, i fogli di carta cominciarono a volare in giro per il luogo scoprendo dei disegni e delle scritte dall’altra parte di essi. Ma Kate non sembrava turbata da quell’improvvisa confusione. Nonostante tutti i fogli si fossero sollevati come spinti dal vento, e ognuno di quei fogli portasse sopra dei disegni con del carboncino nero e delle scritte che sembrassero dei messaggi di morte, Kate non ne guardò nemmeno uno. Era confusa? Era distratta? No. Era concentrata. Si concentrava sull’oscurità.
Non ne fu sicura, ma nella direzione in cui continuava a guardare avvistò una sagoma in lontananza, nera, alta, ma confusa… Non riuscì a vedere niente, non capì a che cosa somigliasse. Poi calò il buio. Non c’era niente, questa volta. Lei era sparita, le pagine erano sparite, quella figura oscura forse non era nemmeno mai esistita…
Kate aprì gli occhi di scatto, scoprendo di essere ancora in camera sua. Era girata sul lato destro del letto e guardava i raggi di luce azzurra riflessi dalla Luna che filtravano nei buchi delle serrande alla finestra. La luce sul comodino era spenta. Non ricordava di averla spenta. Sentì dei rumori fuori dalla stanza, al piano di sotto. Delle voci, qualcuno stava salendo le scale.
Erano i suoi genitori, che erano finalmente tornati da lavoro.
<< E’ a letto? >> Chiese suo padre. Kate sentì la porta cigolare e sua madre sbirciò dentro. Sapeva che era lei perché faceva sempre così.
<< Sta dormendo. >> Rispose la donna.
<< Meglio così… >> Disse suo padre andando verso la loro camera da letto. << Per una volta non è rimasta in piedi fino a tardi. >> Commentò brusco.
Sua madre stava sorridendo, Kate lo sapeva. Sapeva che ogni sera che lei e suo marito tornavano tardi dal lavoro lei andava, si affacciava in quella stanza e dava la buonanotte a sua figlia, da lontano per non svegliarla. Kate aveva un sonno molto pesante, ma ogni volta che si avvicinava sua madre lei si svegliava… << Buonanotte, piccola mia. >> Sussurrò la donna prima di richiudere la porta.
Kate si sentì stanca. Più stanca di prima. Ora che erano tornati i suoi genitori era di nuovo in compagnia, ma si sentiva anche in gabbia. Si strinse nelle coperte, sperando finalmente di poter dormire serenamente.

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Capitolo 5
*** Inseguita ***


La notte di Kate non fu caratterizzata da altri incubi, ma la ragazza non dormì bene. La mattina arrivò rapidamente, dopo una notte movimentata. Kate si era rigirata su sé stessa tutta la notte, cercando forse qualche tipo di protezione. Ma c’era solo il silenzio ad attenderla. La mattina si era alzata tutta scombussolata. Era andata a lavarsi in bagno e si era sentita come se non fosse sola. I suoi genitori giravano per la casa vestendosi e preparandosi alla loro giornata di lavoro, ma lei non intendeva quello per compagnia.
Aveva sentito fortemente una presenza dietro di sé in ogni momento, da quando si era svegliata. Oltretutto, appena sveglia aveva avuto la tremenda sorpresa di ritrovarsi sul comodino tutte e otto le pagine che era sicura di aver strappato. Inizialmente non ci aveva fatto molto caso, anche se il fatto l’aveva irritata un po’, ma a mano a mano che si svegliava cominciava a sentire ansia. Decise di portare i fogli con sé a scuola e così uscì di casa senza fare neanche colazione, lasciando confusi i suoi genitori.
Si era alzata di cattivo umore quel giorno. Passava sui marciapiedi lanciando occhiate minacciose a chiunque le passasse vicino, senza sapere esattamente perché. Anche lungo la strada sentì come se due occhi si fossero attaccati a lei, e non ci fosse modo per liberarsene.
Mentre andava a scuola, a un certo punto le venne un attacco di panico. Le era sembrato che qualcuno la stesse seguendo, e da quel momento aveva cominciato a guardarsi intorno con circospezione. Aveva notato un uomo alto, magro, calvo e ben vestito che sembrava seguirla da un po’. Aveva una valigetta in una mano, mentre l’altra ondeggiava a ogni passo. Sembrava un po’ troppo concentrato su di lei, perché sembrò seguire la sua stessa strada. Quando lo vide accelerare e avvicinarsi sempre di più le venne meno il respiro. Era sempre più vicino e lei si era fermata in mezzo al marciapiede. Aveva aspettato il momento opportuno, ora stava andando a prenderla per portarla via, forse, oppure la voleva uccidere lì, ma c’era della gente. E perché avrebbe dovuto volerla uccidere? Forse voleva derubarla, ma un uomo ben vestito come quello non sembrava proprio il tipo che andava a rubare alla gente, ma in fondo lei cosa poteva saperne…
Sapeva solo che quell’uomo era sempre più vicino, sempre più determinato a prenderla. Kate si pietrificò aspettando che arrivasse. Ma non appena le fu dietro le girò intorno con disinvoltura ed entrò in un edificio lì accanto.
Kate riprese a respirare gradualmente. Forse anche il suo cuore si fermò in quell’istante. Era la banca… Quell’uomo era un impiegato della banca… Si sentì sollevata quando capì che quell’uomo non era nessuno con cattive intenzioni, e riprese a camminare, ma non per questo si sentì meno osservata.
Una volta a scuola non indugiò nel cortile come faceva di solito, chiacchierando con i compagni, ma entrò direttamente nell’edificio, sperando che potesse confortarla un po’, in cerca di protezione.
Kate era seduta al suo solito banco pieno di scritte, disegni fatti durante le ore di noia e citazioni che l’avevano particolarmente colpita. Ognuno di quei segni su quel banco l’aveva fatta sognare per un po’ di tempo, poi aveva perso il suo interesse, mantenendo comunque un certo sentimento di gratitudine a quelle cose che le avevano dato dei bei sogni, dei bei momenti…
Quando sentì la campanella suonare e gli alunni cominciare a fluire nella scuola e nelle rispettive classi, Kate attese l’arrivo dei suoi compagni, che si mostrarono sorpresi a vederla già lì. Doveva suscitare una gran pena, in quell’angolo buio, da sola, con lo sguardo basso e vuoto… Jennifer andò a sedersi accanto a lei senza esitazioni. << Che hai? >> Chiese piegando un po’ la testa e cercando di intercettare il suo sguardo.
Kate alzò lo sguardo debolmente. Sembrava stanca. Scosse la testa lentamente chiudendo gli occhi. << Tutto a posto. Solo un po’ di malditesa… >> Rispose sforzandosi di sorridere.
Jennifer non sembrò molto convinta di quella risposta, ma lasciò perdere; se Kate avesse voluto confidarsi con lei, lo avrebbe fatto.
Nella classe c’era un vocio fastidioso, ma Kate non lo sentiva. La sua mente era in subbuglio. Stava cercando di dare un senso a quello che le era capitato; perché era così spaventata? Quando in classe entrò il professore sussultò.
L’uomo indossava un abito nero e una cravatta rossa. Disse che quel giorno si era dovuto vestire a quel modo a causa di un impegno che lo avrebbe occupato subito dopo quell’ora con loro. Gli alunni non furono molto contenti del fatto che il loro insegnante si fosse preoccupato di andare a fare lezione da loro nonostante l’impegno. Ma Kate, non appena vide quel completo, non rispose più delle sue azioni.
Si alzò dal suo banco urlando e corse verso la porta, aprendola e fuggendo nei bagni. I suoi compagni rimasero a bocca aperta. Il professore non sapeva cosa dire, era rimasto a fissare la porta aperta con espressione sbalordita.
Jennifer guardò prima l’insegnante, poi la porta dove Kate era sparita e poi si alzò:<< Professore, posso andare con lei? Credo che Kate non stia molto bene… >> Prima ancora che l’uomo potesse concederle di uscire dalla classe, Jennifer era già alla porta. Sparì anche lei nel corridoio inseguendo Kate.
Il professore era sbalordito. Si sedette lentamente e si passò una mano sulla fronte sudata.
Kate era nei bagni delle ragazze. Era di fronte a un lavandino, aveva aperto l’acqua. Il suo viso bagnato gocciolava. Jennifer entrò nel momento in cui Kate si sciacquò un’altra volta. << Dimmi che lo hai fatto per saltare l’interrogazione. >> Disse incredula richiudendo la porta dietro di sé.
Kate la guardò esausta e chiuse l’acqua. Jennifer la fissò mortificata, guardando ogni goccia d’acqua che colava dal suo viso.
<< Cosa c’è? >> Chiese preoccupata facendo qualche passo verso di lei.
Kate scosse la testa abbassando lo sguardo. Si teneva al lavandino, forse per paura di non riuscire a reggersi in piedi. << Non lo so… >> Disse stancamente. Non sapeva quello che stesse facendo, non sapeva cosa le stesse succedendo. Kate si sentiva male, ma non voleva ammetterlo, e aveva paura di qualcosa che forse nemmeno esisteva. Il pensiero stesso la fece star male. Si coprì la bocca con la mano e scattò verso uno dei gabinetti. Jennifer fu dietro di lei quando vomitò. La amica la aiutò a mantenere l’equilibrio, le tenne i capelli e cercò di confortarla in qualche modo, ma era impotente di fronte quella situazione.
Kate stava tremando. Era paura? Freddo? La tensione? Si tirò su respirando a fondo come se fosse rimasta sott’acqua per tutto quel tempo e si appoggiò a Jennifer. Sospirò debole e andò a sciacquarsi di nuovo al lavandino.
<< Kate. >> La chiamò la sua amica. << Che cosa ti è successo? >> Chiese preoccupata. Se c’era qualche problema Jennifer doveva saperlo.
Kate si spostò i capelli dal viso e sospirò ancora scombussolata. << Si dice che la scuola sia il posto più sicuro dove potremmo stare… >> Mormorò Kate tenendo lo sguardo basso. Jennifer annuì.
<< Credo di sì… >> Disse incerta; quello era ciò che gli era sempre stato detto.
Kate alzò lo sguardo, assumendo un’espressione implorante. << E allora perché io non mi sento per niente al sicuro? >> Chiese con voce spezzata.
<< Che cos’hai Kate? >> Chiese Jennifer avvicinandosi. Kate indietreggiò spaventata.
<< Continuo a vederlo dappertutto! >> Fece Kate esasperata muovendosi di scatto. << Prima incontro un pazzo in un vicolo e improvvisamente questo scappa terrorizzato da qualcosa, poi vado a casa e mi sento osservata per tutto il tempo… Ho passato una notte di merda, questa mattina un tizio mi ha fatto morire dallo spavento solo per il suo abbigliamento, e poi il prof…! >> Si era messa le mani ai capelli mentre parlava e gesticolava. Tirò un lungo respiro, filtrando l’aria coi denti e fissò un angolo della stanza.
Jennifer non aveva idea di cosa stesse parlando la ragazza. << Hai bisogno che ti porti qualcosa…? >> Chiese guardandola intimorita.
Kate la guardò stranita. << Sì… >> Mormorò stancamente. << Se potessi portarmi la mia bottiglietta d’acqua… E anche delle cose che ho portato nello zaino… >>
Jennifer scosse la testa. << Che cosa? >>
Kate la guardò ansimando. << Dei fogli di carta… >> Disse riacquistando un po’ la calma. << Sono otto, portali tutti… Voglio mostrarteli. >> Jennifer la guardò confusa, ma dopo un attimo di smarrimento annuì e uscì dal bagno per andarle a prendere quello che aveva chiesto, lasciando sola Kate in quel bagno.
La ragazza entrò di corsa nella classe sfilando rapidamente tra i banchi; si mise a cercare nello zaino dell’amica, alla ricerca della bottiglia d’acqua e dei fogli che Kate le aveva chiesto.
<< E’ tutto a posto, Jennifer? >>Chiese il professore alzandosi dalla cattedra e guardando la ragazza mentre rovistava disordinatamente nello zaino.
Jennifer avrebbe detto decisamente di no, ma annuì. Una volta trovate le pagine le nascose dietro la schiena e mostrò invece la bottiglia d’acqua. << Kate ha bisogno di un po’ d’acqua. Sono venuta a prendergliela. Non dovrebbero esserci problemi… >> Disse cercando di sfuggire dalla situazione.
<< E… Perché la reazione di prima? >> Chiese il professore ispezionandola con lo sguardo.
Jennifer alzò un dito e aprì la bocca. << Quello… Non lo so ancora, posso assicurarle però che non era per saltare l’ora! >> Ridacchiò, suscitando le risa dei compagni e un sorrisetto sul professore, quindi Jennifer si avvicinò alla porta e uscì.
Si appoggiò alla porta per richiuderla e tirò un sospiro di sollievo. Guardò quelle pagine che teneva in mano. Perché aveva preferito nasconderle? Non capiva, ma a un certo punto aveva sentito come un bisogno di mantenere segreta la cosa. Tornò nel bagno sospirando, camminando velocemente.
Quando Jennifer ebbe raggiunto la porta, sentì un urlo acuto e smorzato provenire da dentro i bagni. Spalancò la porta allarmata e trovò Kate accasciata a terra, spinta contro un muro che fissava con orrore uno dei gabinetti. Scattò da lei offrendole appoggio. << Kate! Che è successo? >> Chiese mentre aiutava l’amica a rimettersi in piedi.
Kate tremava. Rivolse un altro sguardo inquieto al gabinetto e tirò un lungo respiro. << Ho visto… Qualcosa… >>
<< Che cosa? >> Chiese Jennifer facendo girare lo sguardo da Kate al gabinetto. Non c’era niente, questo era sicuro.
Kate fissò il muro ansimando. << Non lo so… >> Disse esausta. << Forse me lo sono immaginato… >>
Jennifer tirò un sospiro si sollievo mettendosi una mano al petto e cominciò ad esaminare i fogli che aveva portato, mentre Kate beveva dalla sua bottiglia. Bastarono pochi secondi per leggere quei messaggi, e alla fine la ragazza non seppe che dire.
<< Che cosa sono queste pagine? >> Chiese continuando a fissarle confusa.
Kate richiuse la bottiglia e disse:<< Sono le pagine che ho trovato nel bosco la notte che sono tornata dalla festa. >>
Jennifer le fissò strabiliata per alcuni istanti. << Ma… Che cosa diavolo significherebbero? >> Chiese agitandole. Kate le riprese lentamente.
<< Vorrei saperlo anche io… >> Mormorò stanca. << Ieri le ho bruciate… >>
Jennifer sussultò. << Le hai…! >>
<< Poi le ho bagnate, e infine strappate… >> Mormorò con sguardo assente Kate. Alzò lo sguardo e fissò la sua amica. << Ma la mattina dopo erano sempre lì. Intatte, perfette… >> Jennifer non credeva a quello che stava sentendo.
La ragazza rimase diversi minuti ad aprire e chiudere la bocca, alzando e abbassando le mani, nell’intento di formulare una frase sensata, ma non riuscì nel suo intento, e rimase immobile mettendosi la mano sulle labbra. Kate stava comunque aspettando una domanda. << Cosa facciamo? >> Chiese Jennifer alzando lo sguardo. << La scuola è un posto sicuro. Se c’è qualche pericolo, non arriverà qui di certo… >>
<< Poco fa l’ho visto, Jennifer! >> Esclamò Kate allungando una mano verso il gabinetto da dove era fuggita.<< E anche prima, in classe. Era ovviamente un segno! Non sono al sicuro, se non a casa mia. >> Disse sperando che l’amica potesse capire.
Jennifer abbassò lo sguardo e si mise a pensare. << E cosa vuoi fare, quindi? >>
Kate la fissò addolorata. << Ho bisogno di aiuto! >>
<< Ti posso aiutare io, Kate! >> Disse Jennifer mettendosi le mani sul petto. << Dimmi che ti serve. >> La pregò.
Kate fissò l’amica. Voleva aiutarla, lo sapeva, ma Kate non voleva coinvolgerla… << Non mi serve niente… Io… Non mi sento molto bene. >> Disse mettendosi una mano alla fronte e sbandando verso un lavandino. Jennifer la raggiunse preoccupandosi. << L’unico posto sicuro è a casa mia… >> Mormorò sudata. << Devo ottenere un permesso per uscire. >>
Jennifer era accanto a lei, la fissava dispiaciuta. << Sei sicura? >> Chiese.
Kate alzò lo sguardo fissando intensamente la sua immagine riflessa nello specchio. << Sì. >> Disse ansimando.
Jennifer tornò in classe dicendo all’insegnante e ai compagni che Kate non stava molto bene, e che avrebbe preferito tornare a casa. L’insegnate volle andare di persona ad accertarsi che la ragazza non stesse troppo male, ma Jennifer preferì trattenerlo per evitare altri incidenti, dicendo che era meglio se Kate restava un po’ sola fino a quando non sarebbe uscita. Il professore accettò allora di mandare le due ragazze a telefonare a casa di Kate, ma dimostrando una certa perplessità. La ragazza lo ringraziò e tornò di corsa da Kate, che fortunatamente non ebbe nessun brutto incontro nell’attesa. Le disse che potevano andare a telefonare, e la ragazza si mostrò un po’ sollevata.
Una volta spiegata la situazione ai bidelli, Kate prese quel vecchio telefono che tenevano nel loro ufficiò e digitò il numero, pregando che i suoi genitori fossero ancora a casa. << Fa’ che ci siano… Fa’ che ci siano… >> Continuava a ripetere sottovoce. Quando però sentì la segreteria telefonica attivarsi, sospirò affranta. Mentre il messaggio registrato andava avanti, Kate richiuse la telefonata e abbassò lo sguardo basso.
<< Sono già a lavoro. >> Disse con voce debole, troppo esausta per mostrarsi anche irritata.
Jennifer la guardò preoccupata. << E adesso?>> Chiese. << Non c’è nessun altro che puoi chiamare? >> Fu la domanda automatica di Jennifer.
Kate non ci aveva pensato. Non ci aveva mai pensato. Tutte le volte che si era sentita male non aveva potuto fare niente, se non restare a scuola, perché i suoi genitori erano sempre stati a lavoro. Ma chi altri avrebbe potuto chiamare?
Nella sua mente si formò un nome: Shaun Tucker. Kate si sforzò di ricordare il numero e cominciò a digitarlo nel telefono, sperando che il suo vicino fosse ancora in casa.
Prima il telefono squillò un paio di volte, poi si sentì un suono come di carta stropicciata, e poi una voce:<< Pronto? >> Era Tucker.
Kate si sentì sollevata nel sentire la sua voce come mai si sentì prima. Prese un respiro e chiese:<< Signor Tucker…? >>
<< Kate? >> Rispose subito l’uomo dall’altra parte della cornetta. Aveva riconosciuto subito la voce della ragazza. << Che succede, non sei a scuola? >>
Kate si sentì un po’ impacciata a parlare in quel modo col suo vicino. << Ehm… Sì, però non mi sento molto bene… >> Disse cercando di fare una voce stanca. << Ho provato a chiamare a casa, ma i miei devono essere già usciti… >>
Tucker sembrò annuire dall’altra parte. << Già, se ne sono andati qualche decina di minuti fa… >>
<< Ecco, signor Tucker… Mi sento davvero molto male… >> Mormorò Kate ansiosa. << Vorrei chiederle, se non è di troppo disturbo, se potesse venire a prendermi lei a scuola… Non glielo avrei chiesto se non fosse stato urgente… >> Cercò di assumere un tono stanco, nonostante non ce ne fosse bisogno.
Kate non sentì niente dall’altra parte del telefono. Pensò che il suo vicino non fosse affatto contento di sentirle chiedere quella cosa, che stesse riflettendo sul riattaccare il telefono, e perse un po’ le speranze dopo qualche secondo. Ma poi sentì di nuovo la sua voce:<< Certo, Kate. Non c’è problema. >> Disse amichevolmente.
Kate si sentì sollevata. << Dice davvero? >> Chiese raggiante.
<< Sicuro! Aspettami lì, arriverò in dieci minuti. >> Rispose accondiscendente il signor Tucker.
Kate sospirò incredula. << Grazie, grazie mille signor Tucker! >> Disse grata all’uomo rigirandosi nella zona.
Tucker sembrò ridere. << Non c’è problema. >> Dopodiché riattaccò il telefono.
Kate riabbassò il telefono e rivolse lo sguardo a Jennifer, che la fissava in attesa di un segno. << Allora? >> Chiese spazientita.
Kate annuì. << Arriva. >> Si limitò a dire sorridendo. Non poté non suscitare un sorriso sulla sua amica, che si sentì sollevata e serena, ora che sapeva che Kate sarebbe andata a casa.
<< Bene. >> Disse annuendo. << Allora andrò a dire al prof che stanno per venire a prenderti. >> E fece qualche passo fuori dall’ufficio. << Tu resta qui e riposati, non ti preoccupare. >> La rassicurò Jennifer. Kate annuì sorridendo e si sedette su una sedia libera. Nell’ufficio, che poi era una piccola stanza con una larga scrivania e una finestra che dava sul corridoio, non c’era nessuno, ma non lontano da lì c’erano alcuni bidelli, e questo la rassicurò un po’.
Non ci volle molto perché il signor Tucker arrivasse. Non appena Kate lo vide attraverso la porta a vetri dell’entrata, si sentì sollevata. L’uomo la salutò con la mano e sorrise amichevolmente. Kate alzò a malapena la mano e sorrise stancamente.
Il signor Tucker indossava un paio di jeans dall’aspetto usato e una giacca verde sopra a una vecchia maglietta bianca a maniche corte scurita col tempo. Non portava gli occhiali. Si guardò intorno come spaesato e si fermò di fronte alla finestra dell’ufficio, dove stava seduta Kate. << Buongiorno signorina. >> Disse sorridente. << Sto cercando una ragazzina piccola e graziosa, con dei lunghi capelli neri e degli occhioni neri che fanno perdere la percezione del tempo e dello spazio. L’ha per caso vista? >>
Kate ridacchiò coprendosi un po’ la bocca, mentre un bidello si avvicinava con sguardo interrogativo. << Chi è lei? >> Chiese guardandolo corrucciato.
Tucker si voltò e sorrise cordialmente. << Sono venuto per prendere la ragazza, si sentiva male. >> Disse rimanendo con la schiena perfettamente dritta.
<< E lei chi è? >> Chiese di nuovo il bidello senza fidarsi.
Tucker alzò una mano e gliela porse. << Shaun Tucker, piacere di conoscerla. Sono il vicino di casa della ragazza, e a quanto pare l’unico che poteva venire a prenderla. >> Il bidello guardò con sospetto la mano dell’uomo, prima di stringerla con poca convinzione. Lanciò un’occhiata interrogativa alla ragazza, che annuì, quindi la fece andare.
Kate si alzò dalla sua sedia e prese lo zaino, dirigendosi verso il signor Tucker. << Lascia Kate, te lo porto io… >> Disse cordialmente Tucker avvicinandosi e prendendo lo zaino da una cinghia. Kate non avrebbe voluto lasciarlo, ma alla fine glielo diede. Non era molto pesante, ma immaginò che fosse un modo per mostrarle che ci teneva a lei.
Così Tucker portò fuori dalla scuola Kate, la accompagnò fino alla sua automobile e la fece sedere davanti, sul posto del passeggero, mentre sistemava lo zaino della ragazza sul sedile posteriore. Poi richiuse lo sportello posteriore e andò a sedersi al suo posto. Sbuffò e si girò verso Kate.
<< Hai la febbre? >> Chiese.
Kate lo guardò confusa. Scosse la testa, ma con poca convinzione. << Non lo so… >> Mormorò stanca. << Forse è solo suggestione, ma non mi sento molto bene… >>
<< Suggestione? >> Chiese Tucker inarcando un sopracciglio.
Kate si ricordò di non poter parlare con leggerezza di quello che le stava capitando a chiunque. Si fece piccola piccola sul suo sedile e chiese:<< Dimentichi quello che ho detto… >>
Tucker la fissò perplesso, ma girò lo sguardo annuendo e mise in moto l’automobile. Mentre partivano, l’uomo si guardò intorno con circospezione, controllando che la strada fosse libera. << Sai, ho pensato di prendere la macchina per non farti stancare… Se hai detto di stare male, allora è meglio non farti fare troppi sforzi. >>
Kate annuì. << E’ molto carino da parte sua… >>
<< Figurati. >> Disse sorridendole. << Sei come una figlia per me. >> Disse senza pensarci troppo su. Lo disse con una leggerezza tale da stupire Kate, che rimase senza parole a fissarlo. Kate non ci aveva mai pensato, ma effettivamente passava molto tempo con il signor Tucker; era un uomo molto cordiale e disponibile, spesso la ragazza andava a mangiare da lui quando i suoi genitori non erano a casa, chiedeva aiuto a lui, quando non riusciva a comprendere qualcosa dei compiti della scuola, e lui riusciva sempre a farle capire tutto. Si spiegava in una maniera semplice ma profonda, comprensibile a tutti, e aveva sempre un’aura di mistero attorno a sé… Era davvero una persona squisita.
<< Grazie per essere venuto a prendermi… >> Mormorò Kate appoggiata allo sportello, rivolgendo lo sguardo assonnato al marciapiede e alle vetrine dei negozi che scorrevano lentamente, fermandosi di tanto in tanto.
<< Non dirlo neanche. >> Rispose Tucker senza spostare lo sguardo dalla strada. << Se non ti senti male è ovvio che non puoi stare a scuola! E’ una fortuna che tu ti sia ricordata il mio numero di telefono… >> Mormorò trattenendo un colpetto di tosse.
Kate si voltò verso di lui, sorridendo. << Non porta gli occhiali? >> Chiese la ragazza, cercando di fare conversazione in qualche modo.
Tucker scosse la testa. << Quando guido sono un impiccio, e inoltre non mi servono a molto… >> Kate si voltò di nuovo verso il finestrino, mentre il signor Tucker continuava a parlare. Fece scorrere lo sguardo sulle vetrine di un negozio di abbigliamento, mentre l’automobile rimaneva ferma a un semaforo. Notò alcuni manichini vestiti in modo diverso: ce n’era uno con un abito lungo nero, in una posizione atta a mostrare tutte le sue pieghe, davanti e dietro, e poi ce n’era un altro che indossava un abito che aveva già visto da qualche parte… Un corpetto nero con i bordi bianchi abbinato a una gonna nera che andava ad allargarsi in tutte le direzioni. Inizialmente pensò che fosse carino, le sarebbe piaciuto provarlo, ma poi ci ripensò, e si ricordò di aver sognato di indossare quell’abito proprio quella notte.
Doveva essere un caso. Sicuramente lo aveva già visto tempo addietro e quella notte aveva riprodotto quell’abito perché doveva esserle rimasto impresso nella mente. Ma poi vide un terzo manichino accanto a quello, poco più indietro: aveva una posa apatica e sembrava posare lo sguardo sul manichino lì vicino; indossava un completo nero da uomo e portava una cravatta rossa al collo.
Kate cominciò a perdere il controllo; sarebbe impazzita se Tucker non avesse mosso l’automobile appena scattato il semaforo.
Una volta che vide la vetrina scivolare via, Kate si rigirò sul suo posto e si mise una mano sopra il viso, cercando di controllare la respirazione che era andata fuori controllo e di fermare le sue gambe e le mani, che tremavano all’impazzata.
La stava inseguendo.

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Capitolo 6
*** Sicurezza ***


<< Vieni dentro, ti darò qualcosa per alleviare il malditesta… >> Disse il signor Tucker richiudendo lo sportello dell’automobile e avviandosi verso la sua porta trasportando lo zaino di Kate.
<< Io… Non ho detto di avere malditesta… >> Contestò Kate allibita.
<< Ah, davvero? >> Chiese Tucker sorridendo. << Allora l’ho intuito. >> Rispose girandosi verso la casa, suscitando un sorriso nella ragazzina, che lo seguì con calma. Come poteva dirgli di no?
La casa di Shaun Tucker era simile a quella di Kate, ma aveva un aspetto più fresco, più giovane. I colori ai muri erano più vivaci e i mobili erano tenuti perfettamente in modo da sembrare appena fabbricati. Tucker girò a sinistra, dirigendosi nella cucina, e Kate lo seguì, volgendo lo sguardo alle scale che portavano al piano di sopra.
Nella cucina Tucker si avviò verso un mobiletto in un angolo, poggiando delicatamente lo zaino di Kate su una sedia; aprì l’armadietto e si mise a rovistare, mentre intanto Kate esaminava la stanza. Quella cucina era molto diversa da quella di casa sua… Nonostante le dimensioni della stanza fossero le stesse, i mobili e i colori erano diversi, c’era tutta un’altra aria. Era già stata in casa di Tucker, ma ora che ci pensava non si era mai soffermata ad esaminare le stanze, specialmente quelle al piano di sopra…
Tucker si ritirò dall’armadietto a mani vuote e si appoggiò con una mano al tavolo, mentre Kate si guardava intorno. << Pensavo che forse non è un’ottima idea darti qualcosa senza sapere cos’hai… >> Disse piegando la bocca e guardandosi intorno. << Ti senti molto male? >> Chiese.
Kate piegò la testa di lato. << A scuola ho vomitato… >> Mormorò ripensando a poco tempo prima, quando sentiva dentro di sé un peso immane, una presenza costante alle sue spalle. << Adesso mi sento un po’ meglio, ma mi sento debole… >>
Tucker la fece sedere e borbottò qualcosa posandole una mano sulla fronte. << Sei calda. >> Disse togliendo la mano. << Ma non dovrebbe essere qualcosa di grave. >> Disse voltandosi. << Facciamo così, ti preparo qualcosa per calmarti e poi ti riposi un po’, va bene? Quando tornano i tuoi genitori gli parlo io… >>
<< I miei genitori sono a lavoro, non torneranno prima delle sei… >> Rispose prontamente Kate raddrizzando la schiena. Tucker si voltò incredulo.
<< I tuoi genitori lavorano molto, vero? >> Chiese con un sopracciglio inarcato.
Kate annuì costernata. Tucker sospiro e tornò a rovistare in un altro mobiletto. I due rimasero in silenzio per un po’ di minuti. Kate si guardava intorno, mentre Tucker armeggiava con qualcosa su un piano da cucina. La ragazza sentì crescere la curiosità di vedere le altre stanze al piano di sopra, si era chiesta come fosse quella casa, rispetto alla sua, ma forse sarebbe sembrato maleducato girare per le stanze, ficcando il naso in cose che magari non la riguardavano. Pensò allora che sarebbe andata a vedere il bagno. Chiese al signor Tucker se potesse andare il bagno e lui la lasciò andare indicandole dove fosse.
<< Grazie. >> Disse Kate uscendo dalla cucina e incamminandosi su per le scale. A destra dopo le scale, in fondo al corridoietto, era la stessa stanza di casa sua, mentre una delle due porte a sinistra doveva portare alla camera da letto del signor Tucker; l’altra Kate non aveva idea di dove portasse… Forse era un’altra stanza da letto per gli ospiti, oppure uno studio… Qualunque cosa fosse, Kate si era ripromessa di non ficcanasare in giro: avrebbe solo guardato il bagno e ne avrebbe approfittato per fare pipì.
Il bagno era piastrellato alle pareti con piastrelle verdi e bianche, il pavimento era bianco e c’era un gradino che rialzava la zona dove c’erano la doccia e il gabinetto; il lavandino era su un mobile bianco con degli sportellini di sotto, e di sopra stava appeso uno specchio ovale. In fondo alla stanza, c’era una finestra con i vetri opachi e gli infissi in legno; era ben chiusa.
Kate chiuse a chiave la porta del bagno e si diresse verso il gabinetto, sentendo ogni passo scuoterla mentre si addentrava nel bagno. Si guardò intorno, per assicurarsi di essere sola lì dentro e si sedette sul gabinetto, girando lo sguardo per la stanza.
Pensò a come sarebbe stato orribile se avesse avuto un altro brutto incontro in quell’istante. Probabilmente avrebbe fatto un casino incredibile, avrebbe finito per rompere qualcosa e il signor Tucker sarebbe accorso subito, allarmato dalle sue urla, magari sfondando la porta, e trovandola lì per terra, mezza nuda in una pozzanghera giallina, spaventata a morte e con la faccia rossa dalla vergogna. E come avrebbe potuto spiegare la sua reazione? Poteva forse dire di aver visto un uomo in smoking che la guardava nell’angolo del bagno?
E poi non è uno smoking! Pensò Kate corrucciando la fronte mentre si asciugava con della carta igienica. Si sentì sorpresa dal notare che non era successo nulla di sgradevole mentre era rimasta in bagno. Tirò la catenella e andò a lavarsi le mani.
Kate uscì dal bagno quasi preoccupata. Non era successo niente!
Una volta tornata al piano di sotto, Kate trovò il signor Tucker in piedi di fronte al tavolo, gli occhiali sul viso, con una tazza tra le mani in cui girava dentro un cucchiaino. Nella stanza c’era un gradevole profumo di camomilla. L’uomo sorrise non appena la vide entrare e posò la tazza sul tavolo. Kate guardò la camomilla con sguardo confuso.
<< Servirà a rilassarti, poi ti riposerai un po’. >> Disse sorridendo.
Kate sorrise leggermente sedendosi e avvicinando a sé la tazza; cominciò a bere a piccoli sorsi. Il signor Tucker la osservava con calma mentre beveva la sua camomilla.
<< Che cosa hai mangiato questa mattina? >> Chiese all’improvviso sorprendendola e facendola fermare dal bere.
<< Cosa? >> Chiese Kate tossicchiando.
<< Hai detto di aver vomitato, può darsi che sia stato qualcosa che hai mangiato a colazione. >> Spiegò con calma il signor Tucker.
Kate ripensò a quella mattina, alla sua fretta di uscire di casa e al fatto di non aver mangiato nulla. << Io… Non ho preso nulla. >> Disse pensierosa.
<< Davvero? >> Chiese stupito Tucker. << Avresti dovuto mangiare qualcosa, invece… >>
<< Non mi sentivo molto bene neanche prima, ma pensavo che sarebbe passato in fretta… >> Cercò di giustificarsi Kate. Tucker sospirò scuotendo la testa.
<< Allora… >> Cominciò Tucker assumendo un’espressione amichevole. << Come va a scuola? >>
Kate annuì bevendo un altro po’ di camomilla. << Tutto a posto… >> Mormorò senza staccare gli occhi dalla tazza. Era quello che diceva a tutti quanti ogni volta che le chiedevano della scuola. Era quello che volevano sentire, e le risparmiava inutili prediche e discussioni fastidiose. Però Tucker non era tutti quanti. Lui era un uomo che trattava Kate non come se fosse al di sopra di sé, né più in basso, ma allo stesso modo come trattava i suoi genitori, come trattava gli altri vicini… Era uno di cui sentiva di potersi fidare. << Però… >> Mormorò turbata, riprendendo così la frase di poco prima. Tucker la guardò interrogativo; forse aveva intuito che Kate aveva qualcosa da dire. La ragazza dondolò un po’ le gambe che non raggiungevano il pavimento, seduta com’era sulla sedia. << Quando è entrato il professore mi sono spaventata… >> Mormorò non sapendo cosa dire.
Tucker la guardò aggrottando la fronte. << Perché? >> Chiese con calma.
Kate esitò guardando la tazza immobile di fronte a sé. << Mi ha fatto paura… Era diverso dal solito… Il suo abbigliamento… >> Mormorò senza sapere se volesse dire tutta la verità o solo una parte.
<< Com’era vestito? >> Chiese Tucker avvicinando una mano al mento.
Kate deglutì ripensando a quel modo di vestire che l’aveva perseguitata in quei giorni. << Era… Formale. >> Si limitò a dire con voce spezzata.
Tucker assunse un’espressione incredula. << Formale? Allora è un bene che mi sia messo le prime cose che ho trovato questa mattina… >> Disse allargando le braccia e guardandosi i vestiti.
Kate sorrise e gli rivolse uno sguardo grato. << Lei è vestito perfettamente in ogni occasione, signor Tucker. >> Disse sincera. Tucker era sempre ben vestito, ai suoi occhi, oppure stava bene anche con dei pessimi abiti, ma sembrava sempre perfetto.
Tucker sorrise. << Ti ringrazio, ma lo so che non dici sul serio… >> Rise camminando un po’ avanti e indietro. Quando fu tornato al suo posto tornò serio. << Comunque è strano questo fatto… >> Mormorò tra sé e sé. << A volte gli avvenimenti passati influenzano la nostra mente, facendoci accostare un determinato oggetto, un colore o una melodia, a qualcosa di spiacevole o gradito, a seconda dei casi… >> Spiegò gesticolando con una mano. << Ti viene in mente qualche evento passato che ti ha turbata e che potrebbe implicare un abito formale? Può essere anche un evento remoto e dimenticato… >>
Kate pensò per qualche secondo. Scosse la testa, certa di non avere mai avuto problemi con quel tipo di abbigliamento. << Questa teoria chi l’ha inventata? >> Chiese sorridendo, interessata alle conoscenze del signor Tucker, cercando di cambiare argomento.
Tucker assunse un’espressione lusingata e si appoggiò a un ripiano della cucina. << Io. >> Disse con calma, senza però nascondere un certo orgoglio.
<< Bé, è interessante come ipotesi… >> Mormorò Kate abbassando lo sguardo. Tornò a bere la sua camomilla, ma poco dopo Tucker tornò a parlare.
<< Ho notato che in automobile avevi assunto una strana inquietudine… >> Disse guardandola con la coda dell’occhio. << E ho notato che dall’altra parte della strada c’era un negozio di abbigliamento, e nella vetrina era esposto un completo da uomo… >>
Kate gli rivolse uno sguardo spaventato. << Già… >> Mormorò sentendosi in colpa. Se n’era accorto, aveva sentito come tremava tutto il suo corpo alla vista di quel completo, aveva sentito come ansimava e come restava immobile, paralizzata di fronte a quella visione. Tucker assunse un sorriso dolce e si avvicinò, abbassandosi alla sua altezza.
<< Kate, sai che ti puoi fidare di me; se c’è qualche problema, qualunque tipo di problema, sai di poter sempre contare su di me. >> Disse scrutandola con occhi gentili. << E’ successo qualcosa di spiacevole? >>
Kate lo fissò con sguardo atterrito. I suoi occhi erano fissi su di lei, cercava di leggere quello che il suo viso voleva dire, ma non ci riusciva; quella ragazza era un mistero per tutti, e per quanto potesse essere intelligente Shaun Tucker, non poteva leggerle nel pensiero. Rifletté a lungo se parlare con Tucker o no. Alla fine Kate si arrese al suo sguardo apprensivo e sospirò.
<< Ieri, tornando a casa, ho incontrato un uomo in un vicolo… >> Tucker annuì serio, lasciandola continuare. << Era… Pazzo, credo… Credo che mi volesse… >>
Tucker le risparmiò quella parte e chiese:<< C’era qualcosa di insolito nel suo modo di fare, di comportarsi? >> Kate gli rivolse uno sguardo pieno di gratitudine. Aveva capito le intenzioni dell’uomo.
<< Era strano… >> Disse insicura lei. << Parlava da solo e non ascoltava le mie parole. Si avvicinava sempre di più con quel suo sorriso inquietante stampato in faccia… >>
<< E com’era vestito? >> Chiese Tucker a un certo punto, interrompendo la ragazza.
Kate alzò lo sguardo scuotendo la testa. << Non indossava un completo, se è questo che vuole sapere… >> Spiegò. << I vestiti sembravano piuttosto vecchi e sporchi… Ho pensato che fosse scappato da un manicomio… >> Aggiunse guardando da un’altra parte.
Tucker annuì serio di nuovo. << E come ne sei uscita? >> Chiese curioso.
Kate strinse le spalle. << Sono stata fortunata. >> Disse senza spiegarsi il motivo della sua fortuna. << Prima ho cercato di parlargli, di convincerlo ad andarsene mostrandogli che non avevo paura di lui, ma poi sono rimasta paralizzata, e quell’uomo si è avvicinato molto… Mi ha messo tanta paura, ma… >> Si fermò per un attimo, ripensando al momento in cui aveva visto l’uomo scappare urlando. << E’ fuggito. >> Disse. Tucker inarcò un sopracciglio. << Come se fosse stato terrorizzato da qualcosa, è scappato. >>
Tucker respirò sollevato. << Cavolo, non lo hai definito pazzo per caso… >> Disse sventagliandosi con una mano per farsi un po’ di aria. Improvvisamente nella stanza l’atmosfera si era fatta pesante.
Kate sospirò, riprovando il sollievo che l’aveva percorsa per un attimo quando lo aveva visto scappare. << Poi sono corsa a casa, temendo che potesse tornare, ed è stato lì che mi ha trovata… >> Disse ricordando a Tucker il loro incontro del giorno precedente. Tucker annuì. << Una cosa strana, prima di incontrare quell’uomo erano appena le dodici e mezza, ma quando sono tornata a casa… >>
<< Erano passate le due… >> Concluse Tucker con una mano a coprire la bocca. Kate annuì, stupita dell’intervento del vicino. Tucker le rivolse uno sguardo serio, preoccupato, poi però sorrise e disse:<< Probabilmente lo spavento ti ha scossa, il tempo ti è sembrato passare in fretta, mentre magari quell’uomo è rimasto per molto più tempo di quanto credi. >> Spiegò con il sorriso sulle labbra.
In effetti, Kate non era stata a contare i secondi che erano passati, e dopo la fuga dell’uomo era rimasta immobile per un periodo di tempo indefinito, nemmeno lei era sicura di quanto tempo fosse passato, dalla fuga dell’uomo a prima che decidesse di darsi a sua volta alla fuga. Sorrise grata al signor Tucker, pensando che parlare di quel brutto incontro l’avrebbe aiutata un po’ a rilassarsi. << Grazie, signor Tucker. >> Sussurrò con vocina flebile.
Tucker rispose con un sorriso amichevole. << Se succede qualcosa, tu puoi venire da me quando vuoi, d’accordo? >> Le disse, facendole capire di poter contare su di lui.
Kate annuì riconoscente e tornò a bere la camomilla, finendola questa volta.
Quando Kate ebbe finito l’ultima goccia di camomilla, Tucker le chiese come si sentiva. << Meglio. >> Rispose lei sorridendo. << Sia… Dentro che fuori… >> Facendo sorridere l’uomo, che la invitò ad andare a dormire un po’ per riprendere le forze. Kate pensò che aveva ragione. Era ancora mattina, si era svegliata presto quel giorno e quella notte non aveva nemmeno dormito bene. Si sentiva davvero esausta. Stava per dirigersi verso la porta per andare a casa sua a dormire con la sua calma, quando Tucker la portò al piano di sopra, quasi sollevandola da terra.
<< Puoi dormire qui. >> Disse senza perdere il suo sorriso. Kate non voleva essere un peso, disse che sarebbe andata a casa sua a dormire e che se avesse avuto bisogno, avrebbe chiamato, ma Tucker insistette perché la ragazza dormisse da lui.
Così la portò nella camera da letto, dove un letto matrimoniale simile a quello dei suoi genitori occupava parte della stanza, mentre dall’altro lato c’era un armadio marrone chiaro, e una scrivania con un piccolo televisore di sopra all’angolo. Le pareti erano dipinte di giallo e il pavimento era in parquet, proprio come da Kate. Il letto sembrava comodo e le coperte bianche la attiravano, ma Kate cercò di contestare un’altra volta.
<< Kate, ti giuro che se dovessi darmi fastidio, te lo direi. >> Rispose lui. << Questo significa che puoi restare e fare come a casa tua! >> Disse emozionato allargando le braccia. Detto questo si allontanò lentamente, dirigendosi verso la porta. << Se vuoi accendere la televisione, il telecomando è sul comodino, se ti dà fastidio la luce dalle finestre posso abbassare le serrande… >> Scattò verso le finestre e cominciò a tirare la corda delle serrande. Quando fu poco più in basso della metà Kate gli disse di fermarsi, lo ringraziò ancora senza più sapere cosa dire. Tucker notò la sua timidezza, non sapeva più come ringraziarlo per tutte le sue premure, quindi sorrise e indietreggiò.
<< Se hai bisogno di qualcosa, ti basta chiamare. Io sarò nell’altra stanza. >> Disse cominciando a chiudere la porta e muovendo la testa di lato.
<< Grazie ancora. >> Disse Kate sorridendo, quindi Tucker chiuse la porta lasciando Kate da sola.
La ragazzina si lasciò cadere sul letto sospirando. Rimase immobile a fissare il soffitto per alcuni minuti, poi si guardò intorno, nel timore che potesse spuntare qualcosa di spaventoso, qualcosa di cattivo; ma nella stanza non c’era nulla. Una volta che si fu convinta della sicurezza della stanza da letto, Kate si rimise a sedere sul letto e si tolse le scarpe: prima la scarpa destra, poi quella sinistra.
Lentamente, la ragazzina si mosse lungo il letto oscillando piano fino a mettersi al centro di esso. Si girò di lato, volgendo le spalle alla porta e chiuse gli occhi sorridendo.
Il signor Tucker era davvero una brava persona.

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Capitolo 7
*** Video ***


Kate si svegliò contorcendosi nel letto, stiracchiandosi e mugolando come una bambina. Si stropicciò gli occhi e cercò di capire perché non riuscisse a vedere niente. Poi vide una luce venire da una buca rettangolare e da tanti altri forellini più sopra, e capì di essere nella camera da letto del signor Tucker.
Non ricordava l’ultima volta che aveva dormito così bene. Si guardò intorno, cercando di capire che ora fosse, qualche punto di riferimento, ma era troppo buio per vedere qualcosa, e lei era ancora addormentata.
Si rigirò più volte nel letto, scoprendo di essersi nascosta sotto la coperta durante il sonno e si alzò con la schiena, cercando di orientarsi nel buio. Si era addormentata girata verso la finestra, quindi a sinistra doveva esserci la porta. Si girò e cominciò a spostarsi sul letto a saltelli; raggiunse il bordo e fece scendere piano un piede per assicurarsi che ci fosse il pavimento, senza sapere esattamente perché…
Quando sentì il parquet sotto il piede, attraverso il calzino che indossava, si concesse un sospiro di sollievo, e abbassò anche l’altra gamba, mettendosi a sedere sul bordo del letto. Cercò le scarpe, ma non le trovò; il buio le impediva di orientarsi, e la mente era ancora annebbiata. Lasciò perdere e si alzò in piedi, barcollando un po’. Camminò in avanti, verso dove doveva esserci la porta, e infatti la trovò, sbattendoci contro.
<< Ahi! >> Si lamentò quando la sua testa si fu scontrata con la porta di legno. Abbassò la maniglia e la aprì lentamente, traballando mentre con dei piccoli passetti si spostava e si infilava nello spazio che si apriva.
Uscita dalla stanza e richiusa la porta dietro di sé, Kate fu investita da una luce naturale che sembrava provenire dal piano inferiore. Si tenne una mano sulla fronte, dove aveva sbattuto e scese le scale con gli occhi semichiusi, dirigendosi verso la cucina, da dove sentiva provenire dei rumori.
Trovò il signor Tucker impegnato a cucinare, un gran fumo nella stanza, come la sentì arrivare, la salutò alzando una mano e sorridendo, tornando subito ai fornelli. << Ti sei svegliata in tempo… >> Disse lui senza staccare gli occhi dalla cucina.
Kate si guardò intorno: la tavola era apparecchiata per due, e qualunque cosa stesse cucinando Tucker, era per due persone; in più aveva un buon odore…
In realtà Kate non avrebbe voluto disturbare oltre il signor Tucker e se ne sarebbe voluta andare a casa sua e prepararsi qualcosa da mangiare da sola, ma l’uomo era così insistente che la ragazzina si ritrovò seduta a tavola prima di poter completare la frase.
Così Kate mangiò con Tucker, chiacchierando di qualche argomento futile, congratulandosi più volte per la sua cucina e ringraziandolo ancora una volta per la sua ospitalità. Tucker continuava a sorridere e a dire che non era un problema ospitarla, poteva andare da lui quando voleva.
Dopo pranzo, Kate rimase a parlare un po’ con il signor Tucker, ma alla fine trovò una scusa per potersi ritirare in casa sua, dicendo di sentirsi meglio e che la cordialità del signor Tucker era stata molto gradita, l’aveva aiutata ad alleggerire la mente.
<< Allora se stai meglio vai pure a casa, ma se hai bisogno di qualunque cosa, chiamami. >> Disse il signor Tucker accompagnando Kate alla porta. Kate continuava ad annuire sorridendo, contenta che quell’uomo si preoccupasse per lei, ma le sembrò un po’ eccessivo. Forse non lo era, ma Kate era fatta così, un po’ sospettosa…
Raggiunse la porta di casa sua sospirando e infilò la chiave che portava sempre con sé nella serratura. Una volta aperta la porta entrò dentro e la richiuse alle sue spalle.
Quando Kate fu chiusa in casa sua, si concesse un sospiro di sollievo, senza sapere perché; in fondo era stata bene a casa di Tucker, più di quanto stesse a casa sua. Cercò di non pensare più alle strane cose che aveva visto e fece qualche passo in avanti, lasciando cadere lo zaino a terra.
Si guardò intorno; la casa di Tucker era molto più accogliente, ora che l’aveva esaminata bene… Salì le scale per andare in bagno e sciacquarsi la faccia, per svegliarsi del tutto e tornò giù con il viso ancora umido. Raggiunse lo zaino che aveva gettato in un angolo e cominciò a rovistarci dentro, in cerca delle otto pagine che aveva portato con sé a scuola.
Quando afferrò i fogli di carta e li tirò fuori da lì, Kate sentì all’improvviso una inspiegabile oppressione. Come se solo toccare quelle pagine avesse proiettato un ombra di angoscia sul suo cuore. Li esaminò con meticolosità, cercando di carpirne i segreti, alla ricerca di tracce che la potessero aiutare a capire che cosa si era posto di fronte a lei.
Non capiva. Perché aveva avuto quelle visioni? Erano reali o era tutto frutto della sua mente? Era stressata oppure era completamente andata?
Le pagine non sembravano volerle dare nessuna informazione; avrebbe dovuto scoprire da sola il mistero. Si diresse verso le scale, ma passando davanti alla cucina notò una lucina lampeggiare: era il telefono di casa, doveva aver registrato la sua chiamata di quella mattina, ma il numero che si leggeva nel piccolo schermo era il numero due. Così Kate si avvicinò lentamente, fissando con diffidenza il telefono e premette il pulsante che faceva ascoltare i messaggi lasciati nella segreteria telefonica.
Il primo era vuoto, Kate aveva visto giusto. Premette di nuovo il pulsante per andare avanti. Sentì un suono acuto e costante e dopo la voce di una donna cominciò a parlare:<< Kate, sono mamma. Volevo dirti che anche oggi faremo tardi, forse io e tuo padre dovremo restare tutta la notte a lavorare… >> Era sua madre. Avrebbe dovuto immaginare che ci sarebbe stato qualche imprevisto; succedeva sempre dopo una giornata lunga di lavoro, che sua madre e suo padre dovessero passare un’altra giornata in ufficio. Kate imprecò andandosene dalla stanza, mentre il messaggio si chiudeva.
<< Sempre la stessa storia…! >> Diceva infastidita salendo le scale. << Pensano sempre e solo al lavoro! >> Kate entrò in camera sua e lasciò scivolare le pagine sulla scrivania. Spostò un mucchio di vestiti da sopra di essa e si sedette dopo averli buttati sul letto. Accese il computer con un tocco e attese che la macchina si avviasse. Girò lo sguardo verso la finestra e sperò di poter passare il resto della giornata in santa pace.
Quando il computer si fu acceso e fu pronto per quello che Kate voleva fare, la ragazza si mise a cercare informazioni su Internet riguardanti allucinazioni, vecchie leggende metropolitane e mostri vestiti con abiti eleganti. Dubitava di trovare qualcosa, le sue ricerche sembravano la cosa più stupida che potesse cercare su Internet, ma incredibilmente, riuscì a trovare un collegamento a una pagina che sembrava parlare proprio della sua città.
Con un po’ di timore, Kate spostò lentamente il mouse sul collegamento e raggiunse una pagina di qualche sito di blog su misteri e fenomeni paranormali. Stava per chiudere la pagina, pensando che si trattasse di stupidaggini, ma quando vide che sulla pagina era caricato un video di diverse ore, la ragazza si ricordò di quello che le aveva detto Jennifer il giorno prima.
Sette ragazzi erano scomparsi, e un ottavo era stato ritrovato nella vecchia villa della città, che sembrava essere proprio l’argomento centrale di quell’articolo.
“Questa villa sarebbe infestata, dicono molti abitanti della città.” Diceva l’articolo. “Una vecchia storia riguardante una ricca famiglia e la tragedia che la colpì.” Kate aveva sentito parlare di quella leggenda, la storia del bambino scomparso da casa propria e degli strani disegni che furono ritrovati sulle pareti della villa
… La conoscevano tutti lì. Scese più in giù con lo sguardo, sapendo già quello che raccontava l’articolo, e raggiunse un punto che sembrava interessante.
“Questo essere alto, magro, dalla carnagione pallida e il viso privo di tratti somatici è rimasto nascosto in questa villa per cinquant’anni. Questi otto ragazzi hanno voluto sfidarlo, risvegliandolo e documentando il fatto. Peccato per loro, che il mostro non avesse voglia di scherzare…” Kate sentì il respiro bloccarsi, quando pensò a quello che aveva letto, quello che le aveva raccontato Jennifer e il modo in cui andava a finire la storia.
Saltò l’articolo scritto e si fiondò sul video, ansiosa di conoscere meglio i fatti, vivendoli.
Il video partiva con una ripresa della villa che Kate aveva visto decine di volte; le riprese erano traballanti e poco precise, fatte da una mano inesperta. Vide inquadrati i volti di otto ragazzini della sua stessa età, e mentre venivano nominati, si ritrovò a sussurrare i loro nomi:<< Alex, Larry, Luke, William, Katherine, Joseph, Andrej, Felix… >> Erano i ragazzi di cui le aveva parlato Jennifer.
Il video proseguiva con i ragazzi che entravano nella villa e cominciavano a esplorare le stanze di quella antica dimora. Poi trovavano una sistemazione in una vecchia camera da letto e cominciavano a cazzeggiare. Kate stava cominciando a infastidirsi da quella situazione, ma poi Alex cominciò a raccontare una storia. Era la stessa storia che Kate aveva sentito fino alla noia; tra i ragazzi della sua età era ancora molto interessante e divertente parlare di quella vecchia leggenda, ma Kate la trovava vecchia, appunto, e noiosa. Tutte le leggende che conosceva finivano male in qualche modo, non c’era mai qualcosa di diverso; immaginò che quando il suo insegnante parlava degli schemi di una storia fosse questo a cui si riferisse…
Kate aveva sempre sentito parlare di quella storia, di quel mostro che infestava la villa, ma non aveva mai approfondito le sue conoscenze, e rimase paralizzata quando scoprì che l’aspetto del mostro era lo stesso descritto nell’articolo, ma fu ancora più scioccata quando scoprì il nome dell’essere.
Slender Man.
Quel nome era spaventoso. Kate non sapeva perché, ma quelle due semplici parole la mettevano in uno stato di inquietudine e angoscia che raramente aveva provato. Continuò a seguire il video.
I ragazzi continuavano a scherzare tra di loro, a parlare e a fare proposte, cose alla quale Kate non prestò molta attenzione. Poi però i ragazzi decisero di andare via da quella stanza; non aveva capito bene perché, ma quando li vide fare la fila, capì che erano andati al bagno. Mentre aspettavano, la telecamera si concentrò su una finestra da cui pendevano delle lunghe tende che ondeggiavano, e all’improvviso ci fu un’interferenza che interruppe la registrazione e spaventò Kate, che credette si trattasse di un problema del suo computer. Ma l’interferenza era avvenuta al momento della ripresa, era parte del video.
Dopo di quello però la scena cambiò, inspiegabilmente. C’era la ragazza, Katherine, che parlava un po’ intimidita. Kate non capì cosa fosse successo, ma continuò a seguire la scena. Sembrava accennare alla scuola che stava per finire, e diceva che non si sarebbero più visti dopo le vacanze. Allora arrivò Alex che propose di non perdersi di vista, di continuare a stare insieme come grandi amici e di passare l’estate e gli anni seguenti insieme. Allungò una mano verso il centro, proprio in quel momento ci fu un’altra interferenza che fece saltare Kate sulla sedia. La scena era cambiata di nuovo. Cominciava a sentirsi presa in giro da quel video.
I ragazzi sembravano litigare, ma la registrazione era rovinata, i suoni arrivavano a tratti, e le immagini si bloccavano e ripartivano, si sgranavano, e poi tutte le interferenze che rendevano insopportabile quel video… La scena continuava a cambiare. Si sentivano suoni sovrapposti, poi alcune parole confuse, ogni tanto si riusciva a captare una mezza frase sensata, se si faceva bene attenzione, le immagini erano sfocate, mosse, ma anche in quel video c’erano momenti di “lucidità” per la telecamera che registrava, e Kate riusciva a riconoscere il viso di uno o due ragazzi che venivano inquadrati, notando che lentamente, dopo ogni interferenza, i ragazzi cominciavano a diminuire…
A mano a mano che passavano le ore Kate si sentiva sempre più oppressa, quel video la lasciava sospesa sempre più, le metteva ansia, la lasciava a bocca aperta. Non stava capendo niente, ma era poco importante; i ragazzi avevano incontrato qualcosa di terribile in quella villa. L’unica altra spiegazione era che tutto quello che fosse un montaggio, il video una farsa e la sparizione dei ragazzi una balla colossale: cosa che Kate non si sarebbe aspettata neanche dai peggiori delinquenti che conosceva…
Era passato parecchio tempo, il video era diventato incomprensibile: le interferenze bloccavano le immagini ogni istante, i suoni arrivavano confusi, sovrapposti, graffiavano i timpani di Kate, che si era messa le cuffie per cercare di captare meglio alcuni suoni. A un certo punto la registrazione si ripulì, il video ricominciò a scorrere senza quasi più interferenze, il suono tornò comprensibile, e Kate vide Alex che alzava la videocamera e la puntava su di sé.
Sembrava spaventato, era stanco ed era seduto a terra, da qualche parte. Una luce laterale illuminava il suo viso in modo inquietante. Disse il suo nome, spiegò il motivo per cui era venuto nella villa con i suoi amici; era un gioco, una specie di prova di coraggio per passare una notte diversa con gli amici, ma qualcosa, tutto era andato storto. Sembrava disperato, abbassò la testa addolorato. Quando la rialzò allarmato parlò della leggenda che avvolgeva quel luogo, quando sembrò cominciare a dire qualcosa di importante, ecco che ricominciarono le interferenze, fastidiose e irritanti, che spezzarono le parole del ragazzo. Sembrò alzare la voce, sembrò gridare qualcosa a chi guardava il video, ma le interferenze erano sempre più forti, non si vedeva quasi più niente. Kate intravide la testa del ragazzo alzarsi verso l’alto, fissando qualcosa sopra di sé e poi spalancare la bocca. Le interferenze coprirono ogni suono, rendendo impossibile comprendere qualsiasi cosa.
Da quel momento in poi, lo schermo divenne nero e le cuffie si ammutolirono. Kate cercò di capire cosa fosse successo, e scoprì che il video stava continuando. Decise di saltare le diverse ore di buio, e raggiunse la fine del video, vedendo dei piedi camminare davanti alla videocamera caduta a terra, delle voci che cercavano di chiamare qualcuno, poi un paio di scarpe si avvicinavano alla videocamera e questa veniva sollevata, inquadrando il viso di un uomo di circa trent’anni. Compariva poi un altro uomo più anziano accanto ad esso e la registrazione terminava lì, dopo che il primo uomo ebbe premuto un pulsante sulla videocamera.
Sotto al video l’articolo finiva dicendo che le autorità avevano smentito la possibilità dell’esistenza dell’essere, quello che cercavano loro erano prove concrete della sparizione dei ragazzi. Alex, l’unico sopravvissuto, era stato portato in ospedale per accertarsi delle sue condizioni di salute, sia fisica che mentale. Sembrava che il ragazzo continuasse a ripetere una canzoncina monotona e cantilenante, che non faceva che gasare i sostenitori della teoria dello Slender Man.
Kate lesse ad alta voce le parole del ragazzo:<< Non ha gli occhi ma ti guarda sempre… Ti segue senza fermarsi mai… Se ti prende tu hai perso… Vince sempre solo lui… Non è un gioco, è la morte… Più tu scappi più sei lì… Lui è un uomo alto e magro… Non ha occhi, bocca e naso, ma ha grandi, grandi mani… Se ti prende tu sei morto… >> Kate rimase immobile. Sentiva come se quelle parole fossero indirizzate a lei. Si girò di scatto, guardando la porta della sua camera. Si era mossa. Aveva sentito il cigolio che aveva prodotto e si era spaventata. Si appoggiò allo schienale della sua sedia e sospirò stancamente. Non è vero, non lasciarti condizionare… Pensava, sperando di riuscire a convincere sé stessa.
Con un po’ di esitazione, tornò a leggere la fine dell’articolo, nonostante non volesse più andare avanti, nonostante volesse solo chiudersi a chiave in quella camera, chiudere tutte le finestre e serrande e nascondersi sotto le coperte del suo letto.
“Ancora non ci sono stati sviluppi sulla situazione di Alex né nelle ricerche dei ragazzi scomparsi, ma le famiglie hanno chiesto di rispettare la loro privacy, pregando per il ritrovamento dei loro figli.”
Kate alzò lo sguardo dallo schermo. Gli otto ragazzi, la villa, il mostro.
Era vero. No, era falso. Non esisteva nessuno Slender Man. Era assurdo! Ma lei lo aveva visto! Erano allucinazioni, ma dovute a cosa? E tutte le cose che le stavano capitando in quei giorni… Che senso avevano? Lei non aveva mai fatto niente di male per meritarsi una simile tortura, da chiunque arrivasse. E se fosse stato uno scherzo? Uno scherzo dei suoi compagni di classe, tutti quanti, Jennifer compresa, con la complicità del loro insegnante. Cominciava a sentirsi una vittima di uno scherzo di pessimo gusto. Non riusciva a credere che Jennifer le avesse fatto quello!
Kate si alzò dalla scrivania e si avviò fuori con occhi di fuoco, ma fu attirata da una luce proveniente dalla scrivania. Il suo telefono si era acceso. Era arrivato un messaggio. Lo prese e lo guardò; era Jennifer.
Vai al diavolo! Pensò ributtando il telefono dove lo aveva preso.
Uscì dalla stanza e scese le scale tenendosi la testa con una mano. Si sentiva stanca. Era sconvolta, non riusciva a credere di aver provato tutto quello per uno stupido scherzo! Andò in cucina per bere un po’ d’acqua.
Kate prese un bicchiere di vetro e lo posò su un ripiano della cucina. Raggiunse il vano dove tenevano l’acqua e afferrò una bottiglia di plastica. Con cautela cominciò a versare l’acqua, sperando che non si versasse. Sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi.
Le sue mani tremavano per il nervosismo, la bottiglia era pesante, lei non era mai riuscita a sollevare una bottiglia d’acqua grande come quella, era troppo debole. Stava pensando che forse era stata un po’ affrettata nel giudizio; magari Jennifer era stata raggirata come lei, cominciava a pensare di perdonarla… A un certo punto urtò in bicchiere con il collo della bottiglia, quello roteò e cadde dal ripiano, frantumandosi in decine di schegge. Kate strillò spaventata, perse l’equilibrio e cadde a terra. Parò le mani di fronte a sé per proteggersi il viso e si schiantò sul pavimento duro della cucina.
Gridò di dolore quanto le decine di schegge si conficcarono nelle sue mani e nelle sue braccia.
<< Merda! >> Ringhiò trattenendo un altro grido. Cercò di rialzarsi senza ferirsi ulteriormente, ma appoggiò i gomiti sul pavimento, e altre schegge la colpirono. Kate trattenne un lamento stringendo i denti e si rialzò cercando sostegno da un ripiano. Dopo istanti di lotta disperata, la ragazza riuscì a rimettersi in piedi e guardò il casino che aveva combinato.
Sul pavimento erano sparsi dappertutto frammenti di vetro, nel punto dove era caduta lei c’erano macchie di sangue e più in basso c’era la bottiglia che continuava a versare l’acqua a terra. Kate inveì contro la bottiglia e si allontanò dalla scena facendo attenzione a non muovere le braccia. Salì le scale e raggiunse il bagno, dove si controllò allo specchio per vedere la situazione delle sue braccia.
Kate aprì bene le mani e vide i vetri conficcati nella sua carne. Strinse i denti quando li vide e girò lo sguardo, sentendo come una spinta che la costringeva a non guardare. Era piena di sangue, e continuava a uscire!
Doveva fare molta attenzione. Doveva estrarre i vetri dalle sue mani e dopo passare alle braccia, ma non riusciva a farlo, non ne trovava il coraggio. Strinse i denti e avvicinò le dita della mano sinistra al palmo della mano destra. Afferrò tremante una scheggia e tirò con cautela. Sentì il vetro graffiarla in profondità e smuovere la carne, una fitta acuta e insopportabile. Ma la ragazzina non si fermò. A mano a mano continuò ad estrarre la scheggia finché non fu uscita.
Le tremavano le mani, ed era solo una, ancora. Dovette fare molta attenzione mentre tirava via le schegge dalla sua carne. Quando fu riuscita a liberare una mano, Kate cominciò a tirare le schegge nell’altra mano con più rapidità, ansiosa di togliersi quel dolore di dosso. Più andava avanti e più le sue mani tremavano e lei non riusciva più a concentrarsi per tirare le schegge. Per liberare la seconda mano ci volle il doppio del tempo che ci aveva impiegato per liberare la prima, e poi dovette passare alle braccia e ai gomiti, cosa che si rivelò complicata.
Quando Kate toglieva una scheggia dalla sua carne, inizialmente sentiva un dolore acuto che le faceva digrignare i denti, poi quando la scheggia era fuori sentiva un leggero sollievo, ma subito dopo i piccoli tagli cominciavano a bruciare e sanguinare, rendendola sempre più affaticata e imprecisa.
Quando anche l’ultima scheggia fu fuori, Kate la lasciò cadere nel lavandino, seguendola con lo sguardo mentre riprendeva fiato. Si esaminò le mani, i tagli erano sottili, ma profondi. Era ancora piena di sangue.
Kate si controllò le gambe per essere sicura di non essersi tagliata; lì almeno i jeans l’avevano protetta.
Si appoggiò al lavandino, pentendosi subito di quel gesto non appena sentì i tagli pulsare, e si fissò allo specchio. Era stanca e stordita. Non sapeva che ora fosse, ma era tardi. Probabilmente avrebbe dovuto disinfettare le ferite, ma invece si girò e raggiunta la doccia aprì l’acqua calda.

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Capitolo 8
*** Malata ***


Jennifer era in camera sua. Aveva cenato con sua madre e suo fratello, adesso si stava riposando, sperando che Kate rispondesse ai suoi messaggi. Non aveva saputo più niente da quando l’aveva lasciata a scuola, prima che arrivasse il suo vicino di casa a prenderla. Jennifer sperava che non le fosse successo niente, sperava che Kate si fosse ripresa, ma perché non aveva risposto ai suoi messaggi per tutto il giorno?
Posò il telefono sul comodino e si mise a fissare il muro, sospirando lentamente. Sentiva dei rumori dall’altra stanza, il volume del televisore era molto alto, Jennifer non aveva intenzione di andare nell’altra stanza; avrebbe voluto sapere subito cosa fosse successo a Kate, perché non le rispondeva…
A un certo punto il suo telefono cominciò a vibrare, poi partì la suoneria. Jennifer sobbalzò spaventata e lo guardò per un attimo. Era Kate. Allungò una mano per prenderlo, ma si spinse troppo fuori dal letto e cadde a terra. Alzò il braccio nonostante fosse caduta e afferrò il telefonino, rispose alla chiamata e lo portò all’orecchio.
<< Kate! Come sono felice di sentirti! Come stai, ti senti meglio dopo oggi? >> La salutò Jennifer rigirandosi a terra, cercando di alzarsi. Dal telefono non arrivò nessuna risposta; c’era solo un continuo rumore di acqua che scorre. << Kate? >> Chiamò Jennifer rialzandosi. << Mi senti? >>
Una debolissima voce, un sospiro venne fuori dal telefonino. << Aiutami… >>
<< Eh…? >> Chiese Jennifer senza capire.
<< Ti prego… >> Esalò di nuovo Kate. << Aiutami… >>
<< Kate? >> Ripeté Jennifer confusa. << Cosa c’è? >>
<< Aiutami… >> Ripeté la ragazza. << Ti prego… >> Sembrava sul punto di mettersi a piangere, se non lo aveva già fatto.
Jennifer cominciò a farsi prendere dal panico. << Kate, non capisco. Che succede? >> Chiese allarmata cominciando a muoversi avanti e indietro. << Stai male? >>
<< Lo vedo… >> Sussurrò debolmente Kate dall’altra parte del telefono. << Lo vedo dappertutto… >>
Jennifer respirò profondamente cercando di calmarsi. << Cosa vedi? >> Chiese cercando di far parlare Kate chiaramente.
Kate sembrò esitare per rispondere. Jennifer sentì un gemito provenire dal telefonino e si sentì improvvisamente terrorizzata. << Mi dispiace Jennifer… Mi dispiace per quello che ho detto… Quello che è ho pensato… >>
<< Kate… >> Mormorò sconvolta Jennifer. Non capiva niente.
<< Scusami… >> La pregò la ragazza dall’altra parte del telefono. Jennifer non capiva di cosa stesse parlando. << Per favore… >> Mormorò Kate disperata. << Aiutami… >>
Jennifer non sapeva cosa dire. << D’accordo, arrivo… Non… Non ti preoccupare. >> Cercò di suonare rassicurante, ma in realtà nemmeno lei riusciva a capire cosa stesse succedendo. Kate continuava a piangere, ma sembrava aver capito. Jennifer chiuse la chiamata e fissò il telefonino allibita. Che diavolo era successo?
 
*
 
Kate era raggomitolata sotto la doccia, la schiena contro il muro e l’acqua che continuava a scorrere sopra la sua testa. Aveva le gambe chiuse nelle braccia e la testa nascosta in mezzo ad esse, i capelli bagnati le scendevano lungo le spalle, la schiena…
Non capiva cosa fosse successo. Non capiva cosa la avesse colta in quello stato d’animo. Era terrorizzata. Dopo essersi messa sotto la doccia aveva cominciato a sentire crescere dentro di sé un’inquietudine che mai aveva sentito prima. Continuava a guardarsi intorno mentre si sciacquava il corpo, pensando di vedere delle ombre negli angoli del bagno, dietro la finestra o anche dietro al vetro della doccia. Si sentiva oppressa da una presenza invisibile che continuava a spingerla in un angolino. Le mancava il respiro, le tremavano le gambe; stava forse impazzendo?
Aveva chiamato Jennifer, le aveva chiesto di andare da lei, ma pensava che non sarebbe venuta. Era tardi, era buio, Kate era stata cattiva con lei… Perché sarebbe dovuta andare a salvarla?
Sentì dei rumori provenienti dal piano di sotto. Un'altra allucinazione? A un certo punto si spalancò la porta, ma Kate non vide chi c’era lì. Continuò a tenere bassa la testa, per paura di vedere qualcosa che non le sarebbe piaciuto.
Il signor Tucker rimase allibito quando vide quella scena: c’era la ragazzina nuda, raggomitolata in un angolo della piccola doccia che cercava di scomparire, mentre l’acqua della doccia le cadeva addosso costantemente. Sembrava volersi nascondere, non voleva guardare da nessuna parte se non nel buio, dove sapeva che non avrebbe potuto trovare niente di brutto. << KATE! >> Esclamò stupito. La ragazzina non rispose al suo richiamo.
Dietro di lui si fece strada Jennifer, la ragazzina che lo aveva chiamato, dicendo che Kate aveva un problema. << KATE! >> Urlò a sua volta correndo dall’amica. Si inginocchiò davanti a lei, spostando un po’ il pannello della doccia per vederla meglio. << Kate, che cos’hai? >> Gridò disperata. Kate sembrò non sentirla nemmeno. Lentamente alzò lo sguardo, fissandola con occhi gonfi e lucidi, gli occhi di una disperata.
Il signor Tucker si avvicinò lentamente a Kate e Jennifer, abbassandosi a sua volta. << Kate. >> Disse con calma. La ragazza si voltò lentamente verso di lui. La guardò con occhi atterriti. << Che ti succede? >>
La ragazzina sembrò assumere un’espressione terrorizzata quando sentì la voce dell’uomo, ma stava solo ricordando. << Sento voci… >> Disse con voce debole e spezzata. << Vedo le ombre… Freddo… Caldo… >> Stava tremando come una foglia, era demoralizzante.
Tucker allungò una mano e tastò la fronte della ragazza. Era calda, ma ritirò subito la mano quando sentì l’acqua gelida della doccia cadergli addosso. La scosse un po’ e guardò Kate pieno di dispiacere. Sospirò e si alzò in piedi. Chiuse l’acqua, e Kate sembrò mettersi a tremare ancora di più. Chiese a Jennifer di spostarsi e si accovacciò per prendere in braccio Kate. La tirò fuori dalla doccia e si guardò intorno mentre la ragazza non smetteva di tremare in braccio a lui, cercando però di aggrapparsi all’uomo, di trovare un po’ di conforto nel suo corpo. I suoi occhi spalancati riflettevano l’orrore dentro di lei.
Tucker si guardò intorno, poi allungò il mento verso un accappatoio pesante appeso a un appendiabiti e chiese a Jennifer di prenderglielo. La ragazza scattò subito per prenderlo e lui adagiò delicatamente Kate sulla tavoletta del gabinetto, facendola sedere per qualche secondo mentre riceveva l’accappatoio. In quel lasso di tempo – pochi secondi – in cui Kate rimase seduta là, si strinse in sé stessa il più possibile, tremando all’impazzata.
Tucker le mise addosso l’accappatoio in modo frettoloso e la sollevò di nuovo, avviandosi verso l’uscita. << Non ti preoccupare Kate. >> Diceva. << Adesso ti porto al sicuro. >>
Scese le scale con cautela, ma mantenendo una velocità costante e raggiunse la porta della casa, che era rimasta socchiusa dopo che lui e Jennifer erano entrati di corsa con le chiavi che i genitori di Kate avevano dato al signor Tucker.
<< Dove la porta? >> Chiese Jennifer quando capì che non sarebbero rimasti in quella casa.
<< A casa mia. >> Rispose lui spostando la porta e voltandosi un attimo verso Jennifer.
<< Perché? >> Ribadì lei andandogli dietro preoccupata.
<< Perché lì ho tutto quello che serve! >> Rispose con voce potente alzando il cappuccio dell’accappatoio a Kate e lanciandosi fuori. Jennifer chiuse la porta con la chiave che si portò dietro per evitare di restare chiusi fuori e si lanciò dietro a Tucker, che era già lontano. << Devi resistere qualche secondo, piccola… >> Le sussurrò mentre attraversava il giardino della ragazza. << Non ti farà nulla, te lo prometto! >>
Kate tremava visibilmente, era incontrollabile, ma riuscì ad annuire debolmente, nonostante il freddo, la paura, il dolore, per far capire che si fidava di lui. Kate aveva le braccia alzate e le mani immobili chiuse a pugno di fronte alla faccia coperta dal cappuccio; Tucker la teneva con un braccio dalla schiena, con l’altro le teneva sollevate le gambe, che dondolavano inerti a ogni passo dell’uomo. Era in una posizione rigida, come se avesse paura che un singolo movimento le avrebbe fatto del male.
Tucker raggiunse la porta di casa sua e disse a Jennifer di prendere le chiavi che aveva in tasca e di aprire. Quando furono dentro le disse di richiudere la porta immediatamente e si mise a correre su per le scale con Kate ancora in braccio che si nascondeva. La portò nella stanza da letto e la fece sdraiare sul letto.
Le tolse il cappuccio da sopra il viso e la vide prendere un respiro profondo, come se non avesse respirato fino a quel momento. Kate era ancora bagnata, ma sudava visibilmente. Cominciò ad ansimare.
<< Ragazzina… >> Disse Tucker chiamando Jennifer, che stava entrando nella camera in quel momento. Lui non spostò gli occhi da Kate sdraiata sul suo letto, e disse:<< Vai sotto a prendere dell’acqua per Kate. >>
Jennifer annuì e scappò fuori dalla stanza. Tucker non perse tempo, e non appena la ragazzina fu fuori dalla stanza si alzò in piedi e aprì un cassetto del comodino; ci frugò dentro per qualche secondo e ne tirò fuori una siringa che esaminò alla luce di una abat jour. Si mosse rapidamente e afferrò il braccio sinistro della ragazzina, su cui notò esserci dei tagli insanguinati; non era il momento di farsi delle domande. << Stai ferma, per favore… >> Sussurrò cercando di calmarla quando la sentì dimenarsi. << Pizzicherà solo un secondo… >>
Kate si dimenava piagnucolando, stringeva le palpebre e digrignava i denti, muoveva le gambe in modo disordinato sbattendole sul letto, picchiava il braccio destro sul letto e cercava di liberarsi dalla stretta al braccio sinistro, immobilizzato da una forza ferma e potente. Non riconosceva la voce di Tucker, non capiva cosa la avesse afferrata e pensava che il suo petto fosse schiacciato da un peso che le impediva di respirare. Era la febbre. Si lamentò ancora di più quando sentì qualcosa di sottile e freddo penetrare la carne del suo braccio, pensando che qualcuno le stesse facendo del male; una sua grande paura erano gli aghi.
Cominciò a muovere ancora di più il braccio, cercando di far scivolare via l’ago, sperando che uscisse dalla sua carne, senza sapere che avrebbe potuto peggiorare la situazione con la sua avventatezza. Per fortuna Tucker fu capace di tenerle fermo il braccio, in modo da iniettarle nelle vene tutto il liquido che era contenuto nella siringa.
Kate gemette mentre Tucker le iniettava il liquido nelle vene. Lo sentì scorrere dentro il suo braccio, mescolarsi al suo sangue e spargersi nel corpo dopo pochi minuti. Non appena sentì il freddo liquido entrare dentro il suo braccio, la ragazza si irrigidì trattenendo il respiro, ma un secondo dopo acquistò più calma e i muscoli si rilassarono, dalla sua gola provenne solo un lento sospiro di sollievo e il suo petto cominciò ad alzarsi e abbassarsi regolarmente.
Tucker poté concedersi un sospiro di sollievo e per poco le sue gambe non cedettero. Si appoggiò al comodino e rivolse un sorriso riconoscente a Kate, che cominciò a sospirare debolmente. Sembrava dormire, ma era ancora cosciente a metà. Arrivò Jennifer allarmata con in mano un bicchiere di vetro pieno d’acqua e Tucker le rivolse uno sguardo rassicurante. Senza farsi notare nascose la siringa nel comodino su cui era seduto. Ricevette il bicchiere dalla ragazza e si avvicinò a Kate.
<< Kate. >> Sussurrò dolcemente sfiorandole la testa con una mano. << Vieni qui, bevi un po’. >>
La ragazza gemette debolmente e seguendo la mano di Tucker che la guidava alzò la testa. Tucker le fece alzare le mani e Kate strinse le dita attorno al bicchiere, una volta che lo ebbe toccato. Le avvicinò piano il bicchiere alle labbra e lei bevve un sorso d’acqua con cautela, facendo attenzione per evitare di trovare ostacoli durante l’operazione. Abbassò il bicchiere, lasciando metà dell’acqua, che Tucker prese in mano e passò a Jennifer, e si riabbassò sul letto, sempre sostenuta dal braccio del signor Tucker. L’uomo la aiutò poi a sfilarsi di dosso l’accappatoio e lei si girò su un fianco.
<< Brava, bava… >> Le sussurrò l’uomo con dolcezza accarezzandole la testa. Kate sembrò sorridere leggermente mentre lui faceva quello, mosse un po’ la testa ed espirò profondamente. Il signor Tucker sospirò e cominciò a tirare la coperta dal lato dove non c’era Kate, poi la fece spostare gentilmente per passargliela di sopra, coprendo il suo corpo nudo e infreddolito.
Jennifer fissò la sua amica mentre si raggomitolava nel letto e si addormentava con la calma di un cucciolo. << Come ha fatto? >> Chiese guardando Tucker.
L’uomo le rivolse uno sguardo interrogativo. << Ha la febbre alta, ma non c’è bisogno di somministrare medicinali. >> Si abbassò di nuovo sul comodino e continuò a parlare. << Sai, quando siamo malati, i nostri sensi captano in modo amplificato tutti gli stimoli, i suoni, gli odori… Ma questi stimoli arrivano al nostro cervello in modo disordinato, e questo provoca solo un gran malditesta… >>
<< Non ho mai sentito una teoria così stupida. >> Rispose schietta Jennifer.
Tucker sorrise. << Infatti è solo una teoria… >> Disse guardando verso il buio. << Se si prova a isolare gli altri stimoli e ci si concentra su uno solo di essi, allora il malato può sentire quello che abbiamo da dirgli. Hai visto quando le ho dato l’acqua, Kate ha semplicemente seguito la mia mano che le dava una leggera spinta, ha preso il bicchiere da sola… >> Tucker sembrava avere ragione. Kate aveva ascoltato le sue parole da quando era arrivato. Forse era solo un caso, ma in passato le aveva parlato del signor Tucker come una persona degna di fiducia, una persona di cui lei, personalmente, si fidava. << Mentre tu eri andata a prendere l’acqua ho cercato di calmare Kate, l’ho rassicurata… >>
<< E ci è riuscito… >> Concluse Jennifer guardandolo dubbiosa.
Tucker annuì e si voltò guardando Kate. << Ognuno di noi è in grado di sconfiggere una malattia da solo, o al massimo con l’aiuto di qualcuno vicino… >> Si voltò e si poggiò un indice sulla tempia. << E’ tutto qui dentro. >> Disse.
Jennifer sospirò incerta su cosa pensare. << Quindi adesso che si fa? >> Chiese preoccupata.
Tucker si voltò di nuovo verso la ragazzina addormentata. << Non resta che sperare che se la cavi. >>
Il viso della ragazzina mentre dormiva aveva assunto un’espressione angelica, calma. Sorrideva leggermente, respirava lentamente senza problemi, e rimaneva immobile, come se avesse trovato la posizione perfetta per il suo sonno.
<< Sei un maledetto enigma, ragazzina… >> Mormorò Tucker guardandola con un sorriso provato.

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Capitolo 9
*** Risveglio ***


Kate aprì gli occhi dopo diverse ore di vuoto assoluto. Non capiva dove si trovasse, non vedeva niente, ma era calma; non si sentiva in pericolo, la sua testa era leggera come dopo una dormita rilassante, senza preoccupazioni. Era girata su un fianco, nascosta da una pesante coperta. Non voleva alzarsi o muoversi in alcun modo; non voleva lasciare quella pace. Si rese conto di essere nuda quando sentì la coperta strofinare contro le sue gambe. Lentamente, la ragazza mosse una mano per tastarsi il petto, confermando quel sospetto. Cosa era successo la sera prima?
Kate si girò con cautela sull’altro fianco e scoprì di non essere sola nel letto; con lei c’era distesa sopra, addormentata, la sua amica Jennifer. Che ci faceva lì? Avvicinò lo sguardo per confermare quel suo dubbio; era lei.
Allora Kate alzò la testa con fatica e cercò di intravedere qualcosa nell’oscurità, ma non riuscì a capire né dove fosse, né come ci fosse arrivata. Dopo aver sollevato la testa sentì una voce di un uomo che le parlava:<< Ti sei svegliata, finalmente. >> Era la voce del suo vicino di casa, il signor Tucker.
Kate era ancora frastornata per rispondere, ma l’uomo non ebbe bisogno di un segno di riconoscimento da parte della ragazza; sembrava vederla perfettamente.
<< Ti senti meglio? >> Chiese calmo dall’oscurità.
<< Dov’è, signor Tucker…? >> Mormorò debolmente Kate. Si sentirono dei passi, e il signor Tucker si avvicinò al letto. Si sedette accanto a Kate e le sorrise; adesso riusciva a vederlo.
<< Ieri sera mi hai fatto spaventare. >> Disse con calma. << Stai meglio ora? >>
Kate guardò prima il signor Tucker, strizzando gli occhi per riconoscerlo, poi girò lo sguardo intorno a sé, cercando di capire dove fosse e cercando di ricordare cosa le fosse successo la sera prima, ma era inutile, non ci riusciva. << Che cosa mi è successo? >> Chiese tornando a guardare il signor Tucker.
L’uomo sospirò. << La febbre era salita. Molto. >> Rispose stringendo le spalle. << La tua amica è venuta da me allarmata e mi ha chiesto di venire con lei a casa tua; diceva che l’avevi chiamata dicendo cose senza senso e pregandola di aiutarti… >> I ricordi cominciarono a venire alla mente di Kate; l’acqua bollente che cadeva sulla sua schiena, il freddo che provava in contrasto con quella sensazione, il timore di essere presa e portata via da qualcosa di invisibile, il senso di oppressione e paura che le era comparso dopo essere entrata nella doccia… Si era sentita male, oppure era qualcos’altro? << Quando siamo arrivati ti abbiamo trovata sotto la doccia, accovacciata per terra, terrorizzata… >> Il signor Tucker sospirò di nuovo. << Ti ho portata a casa mia e ho cercato di calmarti, credo di esserci riuscito… >> Disse piegando le labbra in un sorriso.
Kate sorrise imbarazzata e si mise una mano sulla tempia. << Quindi ho dormito qui… >> Disse guardandosi intorno.
Tucker annuì. << La tua amica ha insistito perché potesse dormire con te, per tenerti d’occhio. >> Disse facendo un cenno verso Jennifer, ancora addormentata. Anche Kate si voltò verso di lei e sorrise grata alla sua amica per essersi preoccupata così per lei.
Kate abbassò poi lo sguardo e si rese conto di essere ancora nuda. Emise un verso di imbarazzo e cercò di nascondersi nella coperta, diventando improvvisamente rossa. Tucker sembrò ricordarsi di qualcosa; si alzò e si addentrò nell’oscurità, tornando qualche secondo dopo con tra le mani dei vestiti. << I tuoi genitori mi hanno dato questi, da farti indossare quando ti saresti svegliata. >> Li posò sul letto e Kate aggrottò la fronte, pensando ai suoi genitori.
<< Loro non c’erano. >> Disse seria.
<< Lo so. >> Rispose calmo Tucker.
<< Non ci sono mai… >> Continuò Kate.
Tucker la fissò con la coda dell’occhio e andò a sedersi accanto a lei di nuovo. << Sai Kate, i tuoi genitori sono davvero delle brave persone e ti voglio molto bene… >> Kate sapeva che stava per cominciare una predica.
<< Dicono così, ma poi non ci sono mai quando ho bisogno di loro! >> Ribatté adirata.
Tucker annuì comprensivo. << So che può essere difficile, so che a volte vorresti che non lavorassero, oppure che la smettessero di mostrarti il loro amore, ma durante la crescita ci sono cose come questa che vanno accettate in un modo o nell’altro. Una ragazza come te, carina, simpatica, buona, ha difficoltà ad accettare un comportamento simile, e fa fatica a comprenderne il motivo. >> Disse accarezzandole una guancia. << Loro vogliono il meglio per te, sei tutto per loro; se dovessero perderti non hai idea di quanto soffrirebbero. >> Kate lo fissò negli occhi, desiderando che dicesse la verità. << I genitori sono quelli che si prendono cura di noi sempre, e che non ci abbandoneranno mai, ricordalo Kate. Anche se dovesse sembrarti strano, loro verranno da te. >> Si alzò rivolgendole uno sguardo dolce.
<< Non lo hanno mai fatto… >> Disse Kate incrociando le braccia offesa.
Tucker sospirò alzando gli occhi al cielo. << A volte i genitori sono diversi da come li vorremmo, non hanno sempre la possibilità di venire da noi… >> Si allontanò dal letto con fare abbattuto.
Kate gli rivolse uno sguardo confuso. << Signor Tucker… >> Lo chiamò. L’uomo si girò rivolgendole uno sguardo interrogativo, difficile da vedere nell’oscurità. << Grazie… >> Mormorò. << Lei mi ha salvata… >>
Tucker sorrise gentilmente. << Non è un problema, Kate. >> Rispose voltandosi e uscendo dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé, in modo che Kate potesse rivestirsi da sola.
Mentre Kate si rivestiva con gli abiti che le aveva dato il signor Tucker, Jennifer si svegliò strofinandosi gli occhi. << Kate…? >> Chiese un po’ frastornata. Alzò la testa strizzando le palpebre. << Stai meglio? >> Chiese avvicinando il viso per controllare che fosse davvero lei.
Kate annuì sorridendo. << Grazie per essere venuta. >> Disse tirandosi su un paio di jeans stretti.
Jennifer sorrise. << Siamo amiche. Avresti fatto lo stesso per me… >> Mormorò mettendosi a sedere sul letto.
Kate si infilò rapidamente una maglietta nera e fissò Jennifer che si stiracchiava sul letto. << Ti devo dire una cosa… >> Mormorò seria. Jennifer la guardò interrogativa.
<< Cosa? >> Chiese voltandosi. Kate la raggiunse e si sedette accanto a lei. La guardò con occhi pieni di serietà.
<< Ieri, dopo aver mangiato con il signor Tucker sono andata a casa mia e mi sono messa al computer  e ho cercato quel video… >> Disse guardandola negli occhi.
Jennifer non capì. << Quale video? >> Chiese confusa piegando la testa di lato.
Kate continuò a parlare. << Il video di quei ragazzi, Jennifer. Quelli che hanno passato la notte nella villa. >> Disse con tono più forte.
Jennifer spalancò la bocca. << Ah… Quello… >> Mormorò tra sé e sé. << E quindi? >> Chiese interessata. << Cosa ne pensi? >>
Kate alzò la voce spazientita. << Penso che…! >> Si fermò pensando che Tucker la avrebbe potuta sentire. << Penso che mi ha terrorizzata! >> Esclamò a bassa voce.
Jennifer indietreggiò stupita. << Che cosa? >> Le sfuggì un sorrisetto. << Mi stai prendendo in giro? >>
<< Jennifer, ti dico che c’è qualcosa in questa città, qualcosa di sbagliato e mostruoso che è rimasto nascosto per molto tempo. >> Scandì Kate temendo che Tucker potesse arrivare da un momento all’altro.
<< Di che parli? >> Chiese Jennifer, chiedendosi perché stessero sussurrando.
Kate prese un bel respiro prima di mettersi a spiegare. << C’è qualcosa… Qualcosa che mi segue da quella notte… >> Mormorò tremando. << Un essere che tutti conoscono ma nessuno ha mai visto. La leggenda che cercavano Alex e i suoi amici, e l’hanno trovata. >>
Jennifer la guardò stranita; non ci capiva più niente.
<< Slender Man. >> Sussurrò Kate, sentendo la pelle incresparsi una volta pronunciato il nome della creatura. << Questo essere mi sta tormentando… La febbre era dovuta a lui… La sua… >> Faticò a trovare la parola che cercava. << Influenza mi sta rendendo pazza! >> Quando pronunciò quelle parole si sentì liberarsi da un peso.
<< Kate, mi stai mettendo paura! >> La avvisò Jennifer piegando indietro la testa. << Quello che dici non ha senso! >>
<< Devi credermi! >> Esclamò Kate in rimando all’amica, sperando che comprendesse come si sentisse in quel momento. << Che fine credi che abbiano fatto i ragazzi del video? >>
Jennifer alzò un dito aprendo la bocca, ma rimase in silenzio, non sapendo cosa contestare.
Kate sospirò. Era in una situazione difficile anche lei. << Lo so che sembra impossibile, lo so che sembra tutto una cazzata, Jennifer. Vorrei che fossero solo allucinazioni dovute a una febbre sconosciuta, ma sono sicura che quel mostro mi stia osservando, che mi stia seguendo, e che ha seguito anche quei ragazzi, a suo tempo! >> Le posò le mani sulle spalle fissandola dritta negli occhi, pregando perché le credesse.
Jennifer non sapeva che cosa dire. << Perché proprio te? >> I suoi occhi mostravano tutto il suo sgomento.
Kate scosse la testa. << Non lo so. >> Disse tristemente. << So che in qualche modo dovrò affrontarlo… >>
Jennifer la guardò dispiaciuta. Le mise una mano sulla spalla a sua volta. << Puoi contare su di me! >> Le disse con sguardo deciso. << Davvero! >> Aggiunse per farle capire che era seria, ma Kate la guardò sorridendo e scuotendo piano la testa.
<< No. >>Mormorò ancora sorridendo. << Lo farò da sola, quando accadrà. >>
<< Kate…! >> Protestò Jennifer.
Kate la bloccò posandole un dito sulle labbra. << Volevo solo dirti la verità… E sapere se mi avresti creduto… >> Jennifer rimase allibita. << Per il resto non lo dovrà sapere nessuno. >>
Jennifer si guardò intorno. << Nessuno? >> Chiese.
<< Nessuno. >> Ripeté Kate con sguardo serio.
<< Ma Kate, non puoi farcela da sola! >> La pregò l’amica. << Nemmeno qualcuno molto vicino? >>
<< Chi mi è vicino, a parte te, Jennifer? >> Chiese esasperata Kate alzando gli occhi al cielo.
Jennifer si guardò intorno ancora una volta. << Il signor Tucker. >> Rispose a voce ancora più bassa. Aveva ragione; Tucker era sicuramente una delle persone più vicine a lei, più dei suoi genitori. Si era sempre occupato di lei, anche per le cose più infime, e sarebbe stato l’uomo più adatto con cui parlare di quella cosa. Si sarebbe preso cura di lei, sicuramente, inutilmente. Kate sapeva che se glielo avesse detto le avrebbe creduto, ma pensava che sarebbe stato inutile, avrebbe solo allungato il suo tormento e posticipato l’inevitabile.
<< Non mi crederà. >> Disse tagliando corto. Dopo aver pensato per alcuni secondi, sembrò strana la sua reazione così decisa e schietta. << E’ un adulto, gli adulti non possono capire… >>
Jennifer rimase con la bocca mezza aperta, un’espressione di delusione in viso. Si sentiva impotente in quella situazione, non poteva fare niente per aiutare la sua amica, in più lei le aveva detto di starne fuori. << Cosa posso fare? >> Chiese. Kate stava per rimproverarla di nuovo, ma lei si corresse. << Per farti stare meglio, intendo… >>
L’espressione arrabbiata di Kate si addolcì e la ragazza sorrise grata all’amica. Sospirò abbassando lo sguardo, poi guardò la finestra con la serranda calata e un raggio di luce che filtrava sotto di essa illuminando parte della camera. << Usciamo. >> Disse in fretta alzandosi e cominciando a muoversi avanti e indietro per la stanza. << Ho bisogno di aria fresca… >> Jennifer annuì sorridendo e la seguì alzandosi dal letto.
Una volta fuori dalla camera da letto, Kate e Jennifer scesero le scale e trovarono il signor Tucker nella cucina, intento a preparare la colazione per le due ragazze. Quando si voltò Kate vide delle profonde occhiaie sul suo viso. Nonostante tutto, apparve sempre sorridente e amichevole.
<< Siete uscite, finalmente! >> Esclamò tornando ai fornelli. << Vi stavo preparando la colazione, immagino che avrete fame, specialmente tu, Kate. >>
Jennifer sembrò lieta della ospitalità del signor Tucker, mentre Kate sembrò riluttante nel prendere posto a tavola. Jennifer la guardò preoccupata, immobile, sulla soglia della stanza. Tucker si voltò.
<< Cosa c’è, Kate? >> Chiese. << Non dirmi che non hai fame… >> Mormorò sorpreso.
Kate rivolse uno sguardo inespressivo a Jennifer, che tentò di convincerla ad unirsi a lei a tavola, dopo sarebbero uscite insieme. Scosse la testa sorridendo leggermente. << No, sono solo un po’ frastornata. >> Disse dondolandosi un po’ e raggiungendo l’amica al tavolo, che sorrise lieta.
Tucker si voltò di nuovo. << Spero che vi piacciano le frittelle… >> Disse sollevando una padella e portando due piatti al tavolo. Ci versò sopra delle frittelle con sciroppo d’acero che fecero venire l’acquolina in bocca a Jennifer, e che stimolarono anche la fame di Kate. Alzò lo sguardo sorridendo riconoscente a Tucker, che rispose con un sorriso gentile, e chiese:<< Lei non mangia? >>
Tucker ridacchiò. << Ho assaggiato qualcosa durante la preparazione… >> Kate rise a quell’affermazione. Non seppe perché, ma rise di gusto, come non rideva da tempo…
Cominciò a mangiare le frittelle con calma, senza staccare gli occhi dal piatto, ma a un certo punto il signor Tucker attirò la sua attenzione.
<< Kate, ieri sera avevi degli strani tagli sulle braccia… >> Mormorò indicandole la mano con cui brandiva la forchetta. Kate si ricordò di essere caduta sui vetri e di essersi dovuta estrarre tutte le schegge rimaste conficcate nella carne la sera prima.
<< Oh, è vero… >> Alzò il braccio sinistro e lo esaminò. Niente. Non c’era nessun segno di ferite, tagli o altro che potesse rimandare all’episodio della sera precedente. Che cosa…? Pensò Kate. Era sicura di essersi ferita, sentiva ancora il dolore dei vetri che si muovevano nella sua carne, allora perché lì non c’era niente? La pelle era chiara e liscia come quella di un neonato, non c’era il minimo segno di imperfezione, Kate non aveva mai visto il suo braccio così perfetto.
Lasciò cadere la forchetta sul piatto ed esaminò l’altro braccio, girandolo da un lato e dall’altro, finendo per fissare la mano e le dita: anche quello era immacolato.
<< Stavi dicendo…? >> Chiese Tucker avvicinando un po’ il viso.
Kate balbettò qualcosa di incomprensibile, boccheggiò confusa e stordita, poi alzò lo sguardo verso Tucker, che la fissava con uno strano sorriso amichevole. Perché era strano? << Ni… Niente… >> Mormorò la ragazza confusa.
Tucker avrebbe potuto ribattere, ma lasciò perdere ed indietreggiò, guardando la ragazzina con sguardo serio, poco convinto. Anche Jennifer la fissava interrogativa, masticando delle frittelle, cercando di capire di cosa stessero parlando.
Kate abbassò lo sguardo, fingendo di concentrarsi sulle sue frittelle, e in poco tempo sentì gli sguardi allontanarsi da lei. Allungò gli occhi verso la sua mano destra, poggiata sul tavolo e non vide una singola imperfezione su di essa.

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Capitolo 10
*** Assalite ***


Kate e Jennifer erano per strada. Avevano girovagato per tutto il giorno chiacchierando come se non fosse successo nulla negli ultimi giorni, come se fossero tornate alle loro normali vite. Nonostante Kate glielo avesse chiesto per non sentirsi peggio, non riusciva a fare a meno di guardarsi costantemente intorno, notando particolari normalmente insignificanti che rendevano la sua passeggiata spensierata un incubo. Forse era solo stressata e in realtà intorno a lei non c’era nulla, ma non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero di quell’essere che la fissava, da dietro una vetrina, sopra a un tetto, tra i rami di un albero. Lo vedeva dappertutto, ma poi si rendeva conto di essersi sbagliata, e cercava di non pensarci più, ma tutto questo la faceva pensare ancora di più…
Erano da sole, passeggiavano lungo il corso, a quell’orario non c’era più nessuno, e in più era un giorno della settimana qualunque… Era tardi, si era fatto buio. Stavano passeggiando un altro po’, prima di dividersi e andare ognuna a casa propria, pensavano che sarebbe andato tutto bene.
Stavano mangiando dei gelati che avevano preso in una gelateria, qualche minuto prima. Chiacchieravano allegramente leccando il loro gelato di tanto in tanto. Passeggiavano con calma, non avevano fretta. Kate non voleva dare l’impressione di sentirsi seguita, aveva chiesto a Jennifer di non parlare più di quella cosa e lei aveva obbedito, non poteva menzionarlo proprio lei, ma ci fu un momento in cui non poté più stare in silenzio.
<< Domani hai intenzione di venire a scuola? Posso dire che ti sei sentita male e non verrai per qualche giorno… >> Diceva Jennifer gesticolando con la mano sinistra mentre con l’altra teneva alto il suo gelato.
<< Jennifer, ho paura che non siamo sole! >> Sbottò all’improvviso Kate voltandosi verso l’amica. Jennifer la guardò con un sorrisetto sorpreso.
<< Cosa? >> Chiese senza capire cosa intendesse.
Questa volta Kate si sentiva davvero inseguita, non da qualcosa di incerto, di paranormale, ma qualcosa di concreto e reale. Voltò lentamente la testa e vide quattro figure alte e incappucciate in fondo alla strada. Deglutì facendo un piccolo cenno verso i quattro uomini che se ne stavano lontani a fissarle nell’ombra. Quando Jennifer li vide cercò di non perdere la calma. << Mi è successo anche l’altro giorno… >> Mormorò Kate cominciando ad ansimare. Jennifer la guardò interrogativa. << Quando ci siamo lasciate ho incontrato un uomo… Era fuori di testa, senza dubbio… >>
<< Ed eri da sola… >> Mormorò Jennifer sentendosi in colpa per aver lasciato Kate tornare a casa da sola la mattina passata.
<< Non sarebbe cambiato niente. >> Cercò di dire Kate in risposta per non far preoccupare l’amica.
Jennifer sospirò e si voltò un’altra volta. Il gruppo si era mosso. Erano in riga lungo tutto il viale, camminavano alla stessa velocità e si avvicinavano lentamente. Erano inquietanti nei loro movimenti rari e essenziali.
<< Che cosa facciamo? >> Chiese Kate cominciando a perdere la speranza. Non era la prima volta che incontravano qualcuno con cattive intenzioni, ma Kate non aveva mai avuto più paura di quella sera…
Jennifer sentì la paura di Kate. Si voltò e cercò di non farla preoccupare. << Seguimi. >> Disse affrettando il passo. Kate era attaccata all’amica. Si infilarono in un vicolo per tagliare la strada e sparire dalla vista degli inseguitori. Continuarono a camminare in fretta senza voltarsi. Jennifer non sapeva dove stessero andando, l’importante era allontanarsi da lì e raggiungere la casa di una delle due ragazze il prima possibile.
Sussultarono entrambe quando uno degli incappucciati comparve da dietro un angolo spingendole al muro. Sotto il cappuccio si celava un ghigno perverso. Sia Kate che Jennifer persero i loro gelati, che si spiaccicarono a terra con un suono stranamente comico, nonostante la situazione.
<< Scappavate? >> Chiese quello respirando profondamente e posando gli occhi sulla povera Jennifer. Mentre Kate rimaneva in silenzio, incapace di reagire in qualunque modo, la sua amica fissava con occhi terrorizzati l’uomo che aveva di fronte. Avrà avuto poco più di venti anni, non era un uomo maturo. Si chiese perché proprio loro…
Arrivarono gli altri tre ragazzi correndo, chiamandolo. Anche loro erano più o meno della sua stessa età. << Le hai prese? >> Chiese il primo, mentre gli altri due si fermavano poco più indietro.
Quello che le aveva bloccate annuì ghignando. << Tremano come delle foglie. >> Disse prendendo Jennifer per una spalla e spingendola contro all’altro ragazzo. Quello la afferrò al volo e le rivolse lo stesso sorriso perverso dell’altro ragazzo. Jennifer non cambiò la sua espressione nemmeno per un istante. Era terrorizzata, pregava perché quei suoi occhi spaventati la potessero salvare da quei mostri, ma sembrava che gli uomini vedessero solo il suo corpo.
Gli altri due ragazzi si avvicinarono e cominciarono a strattonarla, ad esaminare il suo viso e a tirarle i vestiti, contendendosela come se fosse una merce. Kate si accorse di quello che stava succedendo in quel momento e allungò un braccio urlando:<< Lasciatela stare! >>
Il ragazzo che le aveva fermate tornò a guardarla sbatté una mano contrò il muro, costringendo Kate a guardarlo. << Sei coraggiosa…? >> Era una domanda o un’osservazione? Kate lo fissò con occhi spaventati trattenendo il respiro. Quello sorrise compiaciuto. << Mi piaci… >> Sussurrò con occhi sempre più impazienti. Posò una mano sulla giacchetta grigia che si era messa prima di uscire e cominciò a tirarla via.
<< Ti prego… >> Mormorò Kate alzando una mano nel tentativo di fermare quel pazzo. Lui non la ascoltò. Nel vicolo si sentivano le grida di Jennifer che tentava di liberarsi dalla stretta dei tre uomini che l’avevano accerchiata e le stavano strappando i vestiti di dosso. Perché a lei? Perché si stavano accanendo tutti contro Jennifer, mentre lei era sola con quell’uomo calmo e paziente, uno a cui piaceva creare la tensione… Perché stava succedendo tutto quello?
L’uomo gettò a terra la giacchetta di Kate e cominciò ad accarezzare le braccia della ragazzina. << Non ci vorrà molto, vedrai… >> Mormorò quello quando ebbe raggiunto la spalla di Kate. La ragazzina rabbrividì al pensiero di quello che stava per succedere. Sentì la maglietta tirare, gliela stava per togliere.
Kate chiuse gli occhi per non vedere, per non sentire. Udì la risata divertita del suo assalitore, lo divertiva vederla in quello stato. Avvicinò la mano alla sua vita passandoci sopra un dito, poi scese più giù…
Ci fu un urlo. Non era Kate, non era Jennifer. Era l’uomo che stava di fronte a Kate. Aveva appena sbottonato i pantaloni della ragazzina quando a un tratto sentì come una lama fredda, sottile e affilata, passargli attraverso il polso. Kate aprì un occhio, spaventata dalla situazione non avrebbe mai pensato a una scena simile: il ragazzo si teneva l’avambraccio mozzato con la mano sinistra, mentre la sua mano destra cadeva a terra inerte. Le sue urla strazianti destarono i tre ragazzi che si erano avventati su Jennifer e sovrastarono i lamenti della stessa ragazza.
Kate rimase lì immobile a fissare il ragazzo che si fissava incredulo il polso e continuava a urlare. Fece qualche passo indietro, allontanandosi da Kate e il suo sguardo fu attirato da qualcosa lontano, fuori dal vicolo. Si sentì un sibilo acuto e potente che sovrastò ogni suono e scosse il vicolo buio. Uno stridio che entrò nella testa di Kate e che graffiò i suoi timpani.
Si alzarono delle ombre dalla fine del vicolo. Erano tante, sottili, lunghe. Kate non seppe dire se provenissero tutte dallo stesso punto o no, ma ne vide una scivolare ai piedi del ragazzo e stringergli una caviglia. Lo strattonò con forza e quello cadde a terra sbattendo con la testa. Si girò e tentò di aggrapparsi a qualcosa per non essere trascinato via, ma con una mano sola era difficile…
Gridava, urlava chiedendo pietà, piangeva, chiamava i suoi amici e li pregava di aiutarlo, ma loro non si muovevano. Anche Kate era paralizzata; non sapeva esattamente come reagire di fronte a quella situazione, se esserne triste o felice…
Il ragazzo riuscì ad agganciarsi a una mattonella sporgente del vicolo, arrestando così la forza misteriosa, ma subito dopo sentì uno strattone, e il suo corpo fu trascinato lungo tutto il vicolo e portato lontano.
Kate era paralizzata, le spalle al muro e le mani alla bocca per non gridare; il cuore le andava a mille. I tre uomini attorno a Jennifer erano sconvolti. Fissavano il fondo del vicolo con occhi sgranati, nel tentativo di avvistare il loro amico, ma niente; si sentivano solo le sue urla, che si affievolivano a poco a poco… Jennifer era in uno stato penoso: i vestiti strappati e lacerati erano ormai pochi stracci sulla sua pelle, i capelli lunghi scompigliati le erano finiti davanti alla faccia, e le lacrime le avevano lasciato dei veri e propri solchi sul viso; l’avevano colpita sotto all’occhio sinistro, aprendole una ferita da cui era sceso del sangue fresco. Non capiva cosa stesse succedendo. Era sconvolta.
A un certo punto gli assalitori avvistarono qualcosa in fondo al vicolo, delle ombre che sembravano avvicinarsi. Uno di loro lasciò andare Jennifer e indietreggiò terrorizzato, mentre gli altri due esitarono ancora un po’. Quando le ombre scattarono improvvisamente verso di loro, anche quelli lasciarono andare Jennifer e si diedero alla fuga, inseguiti dalle ombre. E le loro urla si sentirono per diversi minuti. Strazianti, spaventose, Kate poteva sentire il loro dolore arrivare fino a lei e farla tremare.
Che cosa era successo?
Quando la ragazza si fu resa conto di essere rimasta da sola, non perse tempo e scattò verso l’amica, sdraiata per terra. Le mise una mano dietro alla testa e le strinse una mano inerte. << Jennifer! Jennifer! >> Chiamò pregando per lei.
La ragazza bionda respirava lentamente, a fatica, sembrava sul punto di morire. Sbatté le palpebre un paio di volte, come se quel semplice gesto fosse un enorme sforzo per lei e lottò per mantenere lo sguardo fisso su Kate. << Kate… >> Mormorò debolmente.
Kate stava per piangere. Anzi, stava già piangendo. << Jennifer…! >> Affondò la testa sul suo petto. Jennifer sembrò lieta di quella dimostrazione di amore, ma non bastò a farla sentire meglio. Kate alzò la testa, felice che la sua amica fosse ancora lì con lei. << Adesso… Adesso ti porto dal signor Tucker… >> Singhiozzò. << Vedrai che saprà aiutarti… >>
Jennifer annuì a fatica e lasciò che Kate la aiutasse a rimettersi in piedi. Dopo svariati tentativi, riuscirono nel loro intento, Jennifer mantenne un equilibrio stabile e Kate le offrì appoggio. Cominciarono a fare qualche passo. Kate adocchiò la sua giacchetta per terra, vicino al muro del vicolo. Si avvicinò e una volta raggiunta si chinò per prenderla. Era sporca. Sporca di sangue. E poco distante da lì c’era una mano in una pozzanghera di sangue rosso intenso.
Kate cercò di non guardarla e si voltò verso la sua amica, alla quale coprì la visuale. La aiutò a mettersi la giacchetta, dato che i suoi abiti erano diventati meno di niente, e lei la ringraziò per quello. Kate non riuscì a rispondere; era come se avesse un nodo alla gola. Le offrì la spalla e si avviarono, lentamente, sorreggendosi a vicenda.
Perché? Si chiedeva mentre camminavano. Le sue gambe non avevano ancora smesso di tremare dall’inizio di tutto quello. Perché a Jennifer tutto questo… E a me niente? Perché ne sono uscita intoccata? Perché Jennifer ha dovuto subire questo trauma e io… Kate fissò la pozza di sangue.
Perché è successo tutto questo?
Kate e Jennifer raggiunsero la casa del signor Tucker più in fretta possibile, ma Jennifer non riusciva a reggersi in piedi dallo spavento, e oltretutto continuava a ripetere di sentire dolore all’anca; Kate non riusciva ad aiutare Jennifer più di quanto stava già facendo, era debole e spaventata, anche se in condizioni migliori dell’amica.
Durante il tragitto sarebbe potuto succedere di tutto, qualcun altro avrebbe potuto aggredirle, ma non accadde niente; nonostante a Kate fosse sembrata un’eternità, la strada tra quel nefasto vicolo e la casa del suo vicino scivolò via, lentamente, ma senza problemi, se non una crescente tensione avvertita da Kate.
Il signor Tucker si stava rilassando nel salone guardando distrattamente un po’ di televisione quando le due ragazzine bussarono alla sua porta con fare precipitoso. L’uomo andò ad aprire senza immaginare cosa si sarebbe trovato davanti. Quando Kate lo guardò con occhi imploranti mentre Jennifer si appoggiava alla sua spalla, l’uomo per poco non gridò dallo spavento. Kate non perse tempo ed entrò in casa, spostando davanti a sé un Tucker allibito.
<< Che vi è successo? >> Chiese seguendole mentre Kate portava Jennifer sul divano del salone, dove stava seduto poco prima Tucker.
Kate fu riluttante a raccontare cosa era successo. << Siamo state aggredite… >> Disse mentre aiutava Jennifer a sdraiarsi sul divano. Il signor Tucker accorse per aiutarla.
<< Da chi? >> Chiese quando si fu abbassato all’altezza di Jennifer, inerte sul divano.
<< Erano dei ragazzi… >> Mormorò rapidamente, cercando di non ripetere quell’esperienza.
Tucker la guardò preoccupata. << Che cosa volevano? Soldi? >> Abbassò lo sguardo e guardò Jennifer: i suoi vestiti strappati, la ferita sul viso non lasciavano dubbi… Abbassò la testa digrignando i denti. << Bastardi…! >>
Kate non volle ripensare a prima; voleva solo aiutare Jennifer. << Non… Non sono riusciti a farci niente… >> Disse incerta la ragazzina senza distogliere lo sguardo da Jennifer, a cui stava togliendo i vestiti.
Tucker la guardò. << Che vuoi dire? >>
Kate non rispose subito; fissò di fronte  sé per alcuni minuti, prima di formulare la risposta. << Siamo riuscite a scappare in tempo… >>
Tucker sospirò frustrato, forse aveva intuito che nel tono di voce di Kate c’era qualcosa di strano, ma non era il momento di mettersi a discutere. Si concentrò su Jennifer. << Le hanno fatto del male? >> Chiese.
Kate lo guardò intensamente. << A parte la violenza fisica? >> Chiese con voce irrtata. Lo fissò con occhi stupiti. Forse era isterica in quel momento, ma Tucker era piuttosto intontito. L’uomo scosse la testa sospirando, scusandosi per la sua domanda stupida, ma subito fu Kate a sentire il bisogno di scusarsi. << Vado a prendere da bere… >> Disse Kate alzandosi. << Dice di sentire un dolore all’anca, non so che cosa fare… >>
Tucker cercò di rassicurarla. << Non ti preoccupare Kate. Ci penso io ora… >> Non si voltò nemmeno a guardarla mentre usciva dalla stanza per raggiungere la cucina.
Kate entrò di corsa nella cucina e prese la bottiglia d’acqua più vicina che trovò, afferrò un bicchiere da un ripiano e si fermò un secondo a respirare. Solo ora si accorgeva di qualcosa di diverso nell’aria; da quando avevano cominciato a scappare, Kate aveva percepito qualcosa, un suono costante che non le aveva abbandonate un solo istante, se non quando erano entrate in casa di Tucker: un lento e ritmico battito, come se qualcuno avesse colpito un tamburo con calma, dando la giusta potenza nei colpi… Forse Kate se l’era sognato, o forse no, forse stava male e non lo sapeva, ma si rese conto di non sentirlo più da quando si trovava in quella casa.
Riempì il bicchiere d’acqua e lo portò a Jennifer. La sua amica era in stato migliore di prima, sembrava aver riacquistato la capacità di riordinare i pensieri. Tucker le sussurrava parole di conforto e le massaggiava i polsi.
<< Tieni Jennifer. >> Disse Kate avvicinandosi. << Bevi qui… >>
La ragazza alzò lo sguardo stanco e accettò il bicchiere portandolo lentamente alle labbra. Bevve poco, poi lasciò il bicchiere a Kate, che lo avvicinò al petto.
Tucker sembrava spossato. Sospirò profondamente e si allontanò da Jennifer, andando da Kate. << Tu stai bene? >> Le chiese.
Kate era sconvolta, quello che aveva visto era impossibile, orribile, ma non poteva raccontarlo a Tucker. Annuì dopo aver pensato un po’ alla risposta e si mise a raccontare. << Erano in quattro… Mentre tre di loro si sono avventati su Jennifer, il quarto è rimasto con me; ha cercato di spogliarmi, ma c’è stato… >> Sospirò cercando un modo per giustificare la loro fuga senza mettere in mezzo fenomeni paranormali e mostri. << Non ha avuto il tempo di farmi niente… Non posso dire lo stesso per Jennifer… >> E allungò una mano verso la sua amica.
Tucker sospirò debolmente. << E come siete scappate? >> Adesso doveva rispondere fino in fondo, non poteva evitare la domanda; Kate avrebbe dovuto comunque dire qualcosa riguardo alla loro fuga, in ogni caso…
<< Eravamo in un vicolo buio, ma… Ma c’era della gente che passava… E’ passato un gruppo di ragazzi poco più grandi di noi che sono intervenuti attaccando i nostri aggressori… >> Kate si sentì così male, pensando di stare mentendo a Shaun Tucker. << Incredibilmente sono riusciti a metterli in fuga… E’ una fortuna che non siamo passate da un incubo a un altro… >> Mormorò Kate cercando di fare la parte della vittima, fingendo di aver subito quasi un trauma. Tucker annuiva comprensivo mentre lei parlava. << Poi ce ne siamo andate… Non… Non volevo che ci seguissero quei ragazzi, così gli ho detto che mi sarei occupata io di Jennifer e… >> Non aveva più idea di come continuare. Per sua fortuna Tucker la interruppe; forse perché non voleva far provare altro dolore alla ragazza, oppure perché aveva capito che Kate mentiva…
<< D’accordo… >> Mormorò l’uomo. Le mise le mani sulle spalle. << Sei stata coraggiosa. >> Disse guardandola con occhi fiduciosi. << Ora mi occupo io di lei, tu riposati. E’ un miracolo che stiate bene entrambe… >>
Kate annuì sorridendo a Tucker e andò da Jennifer; si abbassò su di lei e affondò il viso sul suo petto, stringendola con più forza possibile. Jennifer rispose con un debole movimento della mano, con cui le cinse le spalle.
Poi Kate andò di sopra, lasciando Jennifer nelle mani sicure di Tucker, che la avrebbe aiutata. Sapeva che Tucker era una persona di cui ci si poteva fidare, forse l’unica persona, ma non riusciva a non smettere di pensare a Jennifer, dolorante, sconvolta… Mentre saliva le scale che portavano al piano superiore se lo chiese di nuovo.
Perché?

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Capitolo 11
*** Salve ***


Kate aveva dormito di nuovo in casa di Tucker. Anche quella notte i suoi genitori erano dovuti rimanere a lavoro fino a tardi, e dopo che Tucker si fu accertato che Jennifer non avesse riportato danni gravi dopo l’aggressione, chiamando la madre della ragazza per rassicurarla, anche lei passò la notte in quella casa con la sua migliore amica.
Stranamente Kate non ebbe incubi quella notte… Non sognò proprio niente, passò una notte tranquilla, rilassante, e alla mattina si sentì stranamente serena, come se niente di tutto quello fosse accaduto; in fondo si erano salvate per un pelo, è vero, ma quello che era successo dopo l’aggressione aveva sconvolto di più Kate. Diversamente per la sua amica, Jennifer non aveva neanche assistito a quell’orrore, quelle ombre che mettevano in fuga i tre ragazzi che l’avevano spinta a terra e che trascinavano via il primo del gruppo.
Si girò un paio di volte nel letto prima di alzarsi; sbatté le palpebre per cercare di riconoscere qualcosa nel buio, ma niente. Poi sentì Jennifer accanto a sé che respirava beatamente, le mani sotto la testa, girata su un fianco, e la testa reclinata leggermente verso il basso. Sembrava così serena in quel momento… Kate non voleva disturbare il suo riposo, quindi si mosse lentamente uscendo dalle coperte e si mise in piedi, pronta ad uscire da quella stanza. Si stiracchiò un po’ e si avviò alla porta, scivolando con le calze sul parquet ben curato della camera da letto.
Kate chiuse la porta con cura dietro di sé, facendo attenzione a non fare rumore. Sentiva delle voci dal piano di sotto, conversazioni amichevoli e animate; erano un uomo e una donna. Passo a passo, Kate scese le scale lentamente, temendo di trovare qualcosa di indesiderato al piano di sotto. In cucina non c’era nessuno, questo significava che i due erano nel salone; l’uomo era il signor Tucker, Kate aveva riconosciuto la voce, mentre la donna ci mise un po’ a riconoscerla, ma quando fu entrata nella stanza, camminando con la schiena dritta, gli occhi annebbiati e con indosso il suo vecchio pigiama rosa che sua madre aveva portato lì in caso avesse dovuto dormire di nuovo lì, giusto per fare una pessima figura, la ragazza riconobbe la madre di Jennifer.
<< E allora quel tizio mi ha chiesto come facessi a sapere tutte quelle cose sul suo conto. >> Fece Tucker sorridendo amabilmente alla signora Kutner.
La donna sorrise e chiese:<< Che gli ha risposto? >>
Tucker rise. << “La sua carta di identità è appesa alla sua giacca, signore!” >>
Tutti e due risero di gusto del racconto di Tucker. Kate era stupita. Non aveva mai visto la signora Jane Kutner ridere, specialmente a quel modo…
Tucker si accorse di Kate fissa sulla soglia della stanza e la salutò. << Oh, Kate, sei sveglia! >> Le fece segno con  la mano di avvicinarsi e lei fece qualche passo. Perfetto. Pensò lei. Indossava quello stupido pigiama che non sopportava ed era proprio di fronte a degli sconosciuti! Quasi sconosciuti… Comunque era imbarazzante per lei indossare quella cosa!
La ragazzina stava per andare a sedersi sulla poltrona libera, mentre i due adulti erano sul divanetto della stanza, ma la signora Kutner si alzò e raggiunse Kate in un attimo, stringendola in un abbraccio che la stupì. << Grazie al cielo state bene… >> Mormorò addolorata. Kate si sentì nel posto sbagliato. Non era lei quella che aveva bisogno di un abbraccio, non era lei quella che era stata quasi violentata da tre mostri la sera precedente. La madre di Jennifer si abbassò e sorrise a Kate. << Jennifer come sta? >> Chiese sperando in una risposta positiva.
Kate sfoggiò un sorriso rassicurante e fece un cenno verso le scale. << Sta ancora dormendo, ma non sembrava turbata; è sicuramente stanca… >>
La signora Kutner la strinse di nuovo e sussurrò qualcosa:<< Grazie… Grazie per averla aiutata… >> Kate non capì di cosa stesse parlando, e tirò indietro la testa fissandola con un sopracciglio inarcato per chiederle cosa intendesse. La signora Kutner sorrideva ancora. << Sei stata tu a portare mia figlia qui. Da sola! >> Le era davvero molto riconoscente. << Probabilmente è stata la scelta migliore. >> Detto questo si voltò verso il signor Tucker, che si schiarì un po’ la gola imbarazzato.
<< Ho fatto solo il mio dovere, signora… >> Minimizzò lui sorridendo.
<< Lei ha salvato mia figlia. >> Disse rialzandosi e raggiungendolo. Tucker non poté che sorridere.
<< Vuole andare a vedere come sta? >> Chiese alzando un pollice.
<< No, per carità! >> Fece lei. << Lasciamola dormire. Ha avuto una brutta disavventura e deve riposarsi! >> Tucker annuì accondiscendente e andò da Kate.
<< Hai dormito bene? >> Chiese gentilmente. Kate si limitò ad annuire. << Nessun brutto sogno riguardo all’accaduto di ieri? >> Chiese preoccupato. Questa volta Kate scosse la testa.
<< Ho dormito perfettamente, come se fossi in una teca di cristallo. >> Rispose la ragazzina ridacchiando. Tucker sorrise.
<< Ne sono felice. >> Rispose. Le passò davanti per andare a prepararle la colazione, ma la ragazza lo trattenne da un braccio.
<< Grazie… >> Mormorò la ragazzina sorridendo a quell’uomo così gentile. Tucker non dovette rispondere, si limitò a farle un cenno con la testa sorridendo.
Kate andò dalla signora Kutner, che le chiese come si sentisse. << Sto bene… >> Mormorò. << Non sono riusciti a farmi niente, ma Jennifer ha passato un momentaccio… >> La signora Kutner annuì.
<< Lo so tesoro, lo so. >> Disse la donna con una nota di tristezza nella voce. Kate ripensò alla scena che si era aperta ai suoi occhi quando era entrata nella stanza, totalmente inaspettata.
<< Quando è arrivata lei…? >> Chiese confusa. << Ha parlato con il signor Tucker? >>
La signora Kutner sorrise e si mise una mano sulla guancia. << Il signor Tucker è un uomo così buono… Nello stesso istante in cui lui mi ha accolta in casa, questa mattina, quando sono venuta per controllare che Jennifer stesse bene, mi sono sentita meglio; riesce a rassicurare la gente con parole così semplici, e poi mi ha fatto quasi dimenticare la disavventura di voi ragazze con la sua simpatia… >>
<< E’ uno di cui fidarsi… >> Sussurrò Kate girando lo sguardo verso la cucina. La madre di Jennifer annuì.
<< E’ così divertente… >> Il signor Tucker entrò nella stanza mentre le due finivano la conversazione e si rivolse a Kate.
<< Kate, ho pensato che non volessi fare colazione con qualcosa di troppo pesante, quindi ti ho preparato una semplice tazza di caffelatte. >> Sorrise. << Spero non ti dispiaccia. >>
Kate scosse la testa. << Non si preoccupi signor Tucker. >> Disse accondiscendente cominciando ad andare verso l’altra stanza.
<< Naturalmente preparerò qualcosa anche a Jennifer non appena si sarà svegliata, a sua scelta! >> Aggiunse rivolgendosi alla signora Kutner.
<< Grazie ancora per la sua disponibilità, signor Tucker. >> Disse la donna sorridendogli.
<< Non c’è problema, e mi chiami pure Shaun. >> Disse lui avvicinandosi e tenendole una mano. Kate cercò di capire cosa stesse succedendo in quella stanza al momento. La signora Kutner ribatté ridacchiando.
<< Se lei mi chiama Jane, allora non c’è problema! >>
<< Di sicuro non vi fate problemi se c’è gente che dorme! >> Disse una voce femminile irritata. Kate, Tucker e la signora Kutner si voltarono insieme, scorgendo Jennifer sulla soglia della stanza che li guardava male.
<< Jennifer! >>
<< Tesoro! >> Esclamò la madre correndo da lei. La ragazzina era avvolta in una lunga coperta bianca che strisciava a terra e si strofinava gli occhi con un pugno. I lunghi capelli biondi le ricadevano davanti agli occhi azzurri e la sua espressione corrucciata fissava specialmente sua madre. Quando la donna si fu gettata addosso alla figlia, stringendola in un abbraccio forte e affettuoso, Jennifer spalancò gli occhi come se fosse uno di quei pupazzetti che venivano strizzati e cercò di sottrarsene imbarazzata.
Kate e Tucker sorrisero di fronte a quella scena. << La mamma di Jennifer ride? >> Chiese la ragazzina sottovoce facendosi sentire dall’uomo, che allargò il suo sorriso soddisfatto.
Il padre di Jennifer era morto in un incidente quando lei aveva solo sei anni. Da allora sua madre era stata sempre più abbattuta e, per un periodo, depressa. Vestiva sempre di nero, o quasi negli ultimi tempi; quel giorno aveva una gonna blu scuro e una camicia nera con sottili righe verticali bianche. Su un attaccapanni all’entrata si poteva vedere il suo cappotto lungo e nero, e ai piedi portava delle scarpe basse e comode, non molto formali. Era sempre stata preoccupata per i suoi due figli, alla quale aveva cercato di dare tutte le attenzioni possibili, nonostante il lavoro e gli impegni, la difficoltà di doverli crescere da sola… E aveva fatto un buon lavoro, a parere di Kate. A volte finiva per confrontare quella donna da sola con due figli a cui badare ai suoi due genitori, tutti e due forti e sani, incapaci di dedicare poche ore alla loro unica figlia…
<< Mamma, sono mezza nuda e ho freddo… Smettila di baciarmi, per favore! >> Esclamò Jennifer cercando di sottrarsi a quella situazione. Sua madre aveva visto che stava bene, ma non la voleva lasciare; chissà quanta paura aveva avuto…
Sembrava essere tornato tutto alla normalità, non c’era niente di cui aver paura, le due ragazze si erano salvate e avrebbero fatto più attenzione da quel momento in poi… Ma c’era un pensiero fisso nella mente di Kate che non la abbandonava in nessun modo; era qualcosa di strano, aveva come un presentimento… Perché si erano salvate? Che cosa era successo esattamente in quel vicolo, la sera prima? Kate non sapeva darsi una risposta, e continuava andare avanti con un peso sul petto…
 
*
 
Kate aprì la porta di casa sua e vi entrò dentro. Sospirò libera quando si fu chiusa dentro, pensando di essere stata sballottata avanti e indietro in quegli ultimi giorni, senza poter realmente trarre un sospiro di sollievo. E tuttavia non poteva ancora.
Jennifer e sua madre erano rimaste in casa di Tucker per un po’, e di certo lei non si era sottratta alla situazione, ma quando loro se ne furono andate – Jennifer era spossata, aveva salutato Kate con un forte abbraccio affettuoso, carico di gratitudine – anche Kate preferì tornare a casa sua, senza ignorare le solite raccomandazioni del signor Tucker.
Una volta dentro casa sua cominciò a dare un’occhiata in giro; non entrava lì da quando era stata male, si chiedeva se fosse cambiato qualcosa… Non l’avrebbe sorpresa se avesse trovato ancora i frammenti del bicchiere di vetro che le era caduto l’altro giorno, quando si era sentita male, ma trovò il pavimento della cucina perfettamente in ordine; forse sua madre si era messa a spazzare per terra, per una volta.
Salì le scale e andò in camera sua. La ragazza si tolse le scarpe e la maglietta lanciandola in un angolo e si lasciò cadere sul letto, espirando seccata. Finalmente poteva starsene per conto suo per tutto il tempo che voleva; poteva dormire sul suo letto, poteva restare in silenzio ad ascoltare solo il suo respiro. Le piaceva riposarsi a quel modo: sdraiata sul suo letto, con una leggera canottiera addosso, per poter respirare meglio e chiusa da sola in casa.
Sono successe così tante cose… Pensò fissando il soffitto. E ancora non me ne spiego una…
Kate chiuse gli occhi. Si ricordò l’ultima volta che era entrata in quella stanza, dopo aver visto il video dei ragazzi scomparsi in quella villa; non avrebbe più rivisto quelle immagini, nemmeno sotto tortura! Tutte quelle sequenze le mettevano una inquietudine in corpo e un peso sul petto che non la abbandonavano più; la facevano sentire osservata.
Si tirò su con la schiena e fissò il muro con decisione. Non ricominciare con questa storia! Si ordinò. Non c’è niente che ti segue, che ti spia o che vuole farti del male! I suoi pensieri la distraevano per poco dai suoi timori. Subito dopo ripensava a quello che era successo negli ultimi giorni, la sua febbre, i pericoli a cui era scampata inspiegabilmente… Niente aveva più senso.
C’era qualcosa di strano anche lì dentro, nella sua camera da letto. Si guardò intorno, ma inizialmente non notò niente di strano; poi lo vide.
Sulla sua scrivania c’era la statuetta della ballerina che le aveva regalato suo nonno tanti anni prima; la stessa statuetta che era sicura di aver rotto l’altro giorno urtando il mobile su cui era poggiata. Rimase a fissarla per alcuni istanti, allibita, poi scese dal letto e si avvicinò alla scrivania, temendo che si trattasse di una qualche trappola.
Era intatta. Era uguale a prima dell’incidente. Che cosa era successo? Perché era lì, sulla sua scrivania?
Kate prese tra le mani quella statuetta. Si sentiva felice, sapendo che quel suo caro ricordo era ancora intatto, ma allo stesso tempo era confusa e aveva paura…

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Capitolo 12
*** Rabbia ***


Kate era seduta al suo posto a tavola. Suo padre era a capotavola, mentre sua madre stava seduta di fronte a lei. Mangiavano silenziosamente, i due adulti erano stanchi dopo quella giornata di lavoro e non sembravano molto intenti a conversare, nemmeno con la loro unica figlia, alla quale non avevano chiesto niente. Non sapevano nemmeno del fatto dell’altra sera. Non sapevano niente, e tuttavia non volevano sapere niente.
Kate non aveva fame. Nella sua testa c’era una tale confusione che aveva preso il sopravvento su tutto in lei, le sue emozioni, i suoi bisogni… Continuava a pensare a quello che le era successo, a quelle otto pagine di carta che aveva buttato in camera sua senza preoccuparsi del disordine e alla statuetta di suo nonno… Come diavolo era possibile?
Forse l’unica spiegazione plausibile era che Kate non avesse mai rotto la statuetta; se l’era solo immaginato quando aveva urtato quel mobile, e poi non si era accorta della sua distrazione. Chissà perché, ma Kate non ci credeva per niente in quell’ipotesi.
<< Allora Katy, che cosa hai fatto oggi a casa del signor Tucker? >> Chiese sua madre simulando un sorriso.
Kate sentì quell’odioso nome e la guardò con occhi cupi, senza nemmeno alzare la testa. << Niente. >> Rispose tornando a guardare il suo piatto. Sua madre sembrò contrariata. Kate sospirò. << Sono tornata a casa non appena Jennifer e sua madre se ne sono andate. Volevo restare un po’ da sola… >>
<< Che cosa intendi? >> Chiese suo padre smettendo di mangiare e guardando la ragazzina. Sua madre gli lanciò un’occhiata avversa e lui la guardò interrogativo.
Kate non si curò del loro litigio silenzioso e continuò a parlare:<< Avevo bisogno di riordinare un po’ le idee… >>
<< Bé, non mi sembra che tu sia stata molto occupata in questi giorni. >> Disse suo padre pulendosi la bocca con un tovagliolo. << Non sei andata a scuola neanche una volta dall’inizio della settimana… >>
Kate mantenne la calma. Non aveva né la forza né la voglia di cominciare una lite, nonostante suo padre preferisse farlo… << Non mi sentivo particolarmente in vena di andarci… >> Rispose con calma.
<< Hai saltato la scuola per tre volte questa settimana! >> Ribatté lui con forza.
<< Bé, non lo avrei fatto se non fossi stata male! >> Esclamò rapidamente Kate allargando le braccia e assumendo un’espressione incredula. << Credi che mi sia divertita in questi giorni? >>
Suo padre le mandò uno sguardo minaccioso. << Non alzare la voce con me! >> Scandì autoritario. Doveva essere irritato.
<< Io alzo la voce con chi cazzo mi pare! Ho rischiato di venire stuprata e a voi non interessa un cazzo di me! >> Urlò Kate alzandosi dalla sua sedia e gridando a squarciagola. Sua madre spalancò gli occhi allibita, mentre suo padre li serrò ancora di più.
<< Abbassa i toni, signorina! >> Esclamò l’uomo sul punto di esplodere.
<< NO! >> Gridò Kate. << Siete sempre fuori, non vi importa niente di me e… Quando ho bisogno di aiuto… Voi non ci siete! >> Kate si sentiva tradita dai suoi genitori; l’avevano lasciata sola, sempre, anche nei momenti più difficili, e non avevano nemmeno cercato di farle capire che le erano vicini.
<< Katy, tesoro… >> Cercò di calmarla sua madre, ma lei la interruppe.
<< No! Non provare a dirmi che mi vuoi bene! >> Esclamò Kate puntandole un dito contro. << Oggi, quando la madre di Jennifer è venuta a casa di Tucker, ha dimostrato tutta la sua preoccupazione non solo per sua figlia, ma anche per me! E non hai idea di come sia stata forte quella donna, nonostante la paura! >> Sua madre e suo padre ascoltavano guardandola con delusione. << Il signor Tucker si è preso cura di me in questi giorni. Quando stavo male ho chiamato lui, perché sapevo che voi eravate a lavoro e non vi sareste mossi da lì neanche se fossi morta a scuola! E poi è stato lui a farmi stare meglio, a darmi da mangiare, a farmi ridere! >> Kate stava gettando contro i suoi genitori tutta la rabbia che aveva accumulato, li stava mettendo a conoscenza dei suoi pensieri, delle conclusioni a cui era giunta guardando il mondo intorno a sé. << In pratica, voi siete le persone meno adatte al ruolo di genitori! Al vostro posto ci dovrebbero essere delle persone forti e comprensive come loro! >>
Suo padre sbatté un pugno sul tavolo, facendo tremare tutto ciò che vi era posato sopra. A Kate faceva paura quando suo padre faceva così. Non l’aveva mai picchiata, ma ogni volta che alzava la voce in quel modo particolare che stava per fare oppure quando sbatteva il pugno sul tavolo o su qualunque altra superficie a portata di mano la ragazza sapeva che non sarebbe stato bello. << Non ti permetto di parlarmi così. >> Disse con voce apparentemente calma. Kate cercò di dimostrarsi noncurante, ma non ci riuscì. << Lavoriamo per assicurarci che tu abbia tutto, non ti facciamo mai mancare nulla e tu ci ripaghi urlandoci contro e insultandoci, dicendo che non siamo adatti a fare i genitori? >> La madre della ragazza faceva girare lo sguardo preoccupata da suo marito alla figlia.
<< C’è una cosa che non mi avete mai dato, e non importa quanti soldi abbiate nei portafogli o quante cose mi regaliate. >> Disse Kate. Non disse altro perché suo padre non la lasciò continuare.
<< Bene. >> Disse l’uomo. << Questo è il tuo punto di vista. Scommetto che non riusciresti a vivere senza di noi. >>
<< Io riesco a vivere perfettamente senza di voi! Ho dovuto imparare a vivere senza di voi, dato che voi non ci siete mai stati! >> Ribatté la ragazza esasperata. Credevano davvero che fosse lei dalla parte del torto?
Suo padre mantenne la calma, diversamente da come si sarebbe aspettata Kate, e disse:<< Allora vediamo… >> Piegò un labbro guardando sua moglie, che ricambiò con un sopracciglio inarcato. << Io e tua madre domani dovremo partire per un viaggio di lavoro. >> Disse tornando a fissare sua figlia. << Staremo via una settimana. Così ci potrai dimostrare di sapertela cavare anche da sola. >>
Kate fissò suo padre a metà tra la confusione e la rabbia. Prese dei profondi respiri e gli lanciò uno sguardo truce; poi si voltò e uscì a passi rapidi dalla stanza dando un pugno alla porta.
Kate si rintanò in camera sua e si chiuse a chiave. Non accese nemmeno la luce; i raggi della Luna che filtravano dalla finestra erano sufficienti per lei. Si sentiva il mondo crollarle addosso, era sola, più di quanto immaginasse. Si sentì perdere d’aria e andò alla finestra. Aprì lentamente le ante e uscì sul piccolo balcone, da cui poté ammirare il cielo stellato illuminato dalla Luna. Kate sospirò affranta e tornò dentro.
La ragazza guardò la statuetta di una ballerina posta sulla sua scrivania. La afferrò e la strinse al petto, come se quella piccola cosa potesse in qualche modo alleviare il suo dolore. Era sempre stato così; il regalo di suo nonno l’aveva sempre rincuorata, facendole pensare che al mondo c’era gente che le voleva bene; ma di fronte alla discussione appena conclusa con i suoi genitori sembrava essere tutto sbagliato.
Kate si spogliò e si mise addosso una lunga maglietta per andare a dormire. Diede un’occhiata alla statuetta, che sembrò risponderle in qualche modo e salì sul letto; poi si mise sotto le coperte e si girò di lato, dando le spalle alla porta, fissando la finestra aperta per alcuni secondi. Poi, quando cominciò a sentire le palpebre sempre più pesanti, lasciò che gli occhi si chiudessero, e si nascose più che poté sotto la sua coperta.
Da fuori la pallida Luna vegliava sul suo sonno.

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Capitolo 13
*** Partenza ***


Kate guardava i suoi genitori che caricavano le valigie nel cofano dell’auto. Lei era sulla porta di casa, con ancora indosso quella lunga maglietta che aveva usato per dormire. Sentiva freddo alle gambe, scoperte da sotto le ginocchia, e il pavimento del portico di casa era freddo.
L’espressione della ragazzina era di disappunto; i suoi genitori la stavano lasciando da sola un’altra volta, non sapeva nemmeno perché le importasse così tanto di loro, a quel punto… Strizzava le palpebre per vederli meglio nella luce del Sole mattutino. Cercava di capire se avessero davvero intenzione di partire o se stessero facendo una prova, se volessero dimostrare che lei li avrebbe pregati di restare. Non sarebbe mai successo. Continuava a ripetersi questo la ragazza.
A un certo punto suo padre sbatté lo sportello del portabagagli e si girò verso la figlia in attesa sulla soglia della porta; sua madre andò da lei a baciarla. << Torniamo presto, Katy. >> Le diede un bacio sulla guancia a cui Kate tentò di sottrarsi e le sorrise dolcemente, prima di rivolgerle le spalle e dirigersi verso l’auto. Suo padre aprì lo sportello del conducente ed entrò in auto, seguito dalla moglie che si sedette accanto a lui.
Il motore rombò e con calma la macchina si allontanò dalla casa. Kate rimase a fissarla finché la luce del Sole non fu insopportabile e si voltò entrando in casa. << Stronzi… >> Borbottò mentre tornava dentro. Sbatté la porta dietro di sé e si ritrovò da sola in casa sua. Kate si guardò intorno. Aveva già fatto colazione, ma non sarebbe andata a scuola nemmeno quel giorno…
Lentamente allungò una gamba in avanti e fece un passo, poi un altro, e finì per continuare a camminare fino a raggiungere le scale; salì le scale e andò in bagno per lavarsi.
Kate era furiosa. Ancora una volta i suoi genitori erano scappati; si erano tirati indietro, fuggendo ai loro doveri, lasciandola da sola. Ci era abituata da quando era una bambina, quando la lasciavano con i nonni o con una babysitter o in uno di quegli insulsi asili per bambini, dove lei non faceva altro che starsene da sola per via della sua natura solitaria. L’avevano sempre scaricata a qualcun altro. Anche negli ultimi giorni lei era stata lasciata alle cure di Shaun Tucker, anche se indirettamente. E ora credevano davvero che non sarebbe riuscita a cavarsela da sola? Kate pensò che fossero stupidi per non aver mai visto come la loro figlia si comportasse in modo più maturo di loro…
Chiuse l’acqua del rubinetto e si guardò riflessa nello specchio: i capelli bagnati le scendevano sulle spalle e le coprivano i lati del viso, gli occhi fissavano torvi la sua stessa immagine riflessa e le labbra serrate non si muovevano di un millimetro.
Ce l’aveva con loro per averla abbandonata di nuovo. Ma perché così tanto? Perché quella volta non era un semplice periodo di pace e tranquillità da sola, senza nessuno a darle fastidio; quella volta lei era da sola. Non poteva confidarsi con nessuno, come sempre, ma aveva effettivamente qualcosa da dire a qualcuno, o sarebbe scoppiata. Lo aveva già detto a Jennifer, ma non si sentiva ancora libera; in ogni caso era una cosa che non poteva dire a nessuno, quindi si sentiva ancora peggio, pensando di aver fatto una stupidaggine parlandone con Jennifer.
La ragazzina continuò a vagare per la casa, finendo in camera sua. Chiuse la porta per abitudine e si sfilò di dosso quella maglietta più grande di parecchie taglie; la gettò sul letto e si mise a cercare dei vestiti nuovi. Quando li ebbe trovati gettò un’occhiata fuori dalla finestra accostata controllando che non ci fosse nessuno e parò davanti le tende. Si vestì in fretta con un paio di pantaloncini di jeans corti e una maglietta rosso scuro a maniche corte e uscì dalla stanza, ma mentre apriva la porta sentì un suono di carta stropicciata che la fece tornare indietro.
Si girò e vide sul comodino alcune delle otto pagine che aveva trovato nel bosco alcune notti prima. Si guardò intorno e ne vide un’altra sulla sua scrivania, poi tre ai piedi del letto e una in mezzo alla stanza. Sembravano chiamarla… Si avvicinò e le raccolse una alla volta. Ne mancava una. Si guardò intorno confusa, chiedendosi dove fosse andata a finire e poi la scorse: sotto alla porta, era stata quella a fare quel rumore che l’aveva fatta tornare indietro. Era finita lì casualmente oppure era stata messa lì? Kate la sfilò da sotto la porta e la esaminò, cercando di capire se fosse stata maneggiata prima. Era perfettamente intatta, come tutte le altre, nonostante tutto quello che gli avesse fatto nei giorni passati.
Kate si guardò intorno. Di nuovo quella sensazione di essere osservata. Controllò fuori dalla finestra, ma non vide nessuno; decise comunque di chiuderla, poi uscì dalla stanza ripiegando le pagine e mettendosele in tasca. Sapeva cosa fare. Scese le scale e raggiunse la porta. Uscì di casa chiudendo per bene a chiave e si mise a camminare a passi rapidi e decisi, diretta verso la foresta.

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Capitolo 14
*** Domande ***


Kate aveva messo un paio di scarpe da ginnastica comode per poter riuscire a camminare bene nei sentieri pieni di ciottoli e rami del bosco. Mise un piede su una roccia sporgente e si appoggiò al tronco di un albero alla sua destra mentre si sollevava. Scese poi dalla roccia poggiando l’altro piede a terra e si guardò intorno. Cosa stava cercando non lo sapeva nemmeno lei. Era semplicemente uscita e si era diretta là. Là dove era cominciato tutto…
Continuava a camminare avanti, inoltrandosi sempre di più nella foresta, che da quella notte era cambiata parecchio… Forse era stata l’oscurità a darle quell’aspetto sinistro che l’aveva spaventata tanto, ma con il giorno quel posto era completamente diverso: gli alberi rigogliosi non incutevano timore mentre il vento scuoteva i loro rami e i suoni degli animali nascosti nella flora attorno a lei davano un senso di sicurezza che non si avvertiva durante la notte, nel silenzio e nel buio, dove anche un solo fruscio poteva far destare i sensi e mettere paura. Adesso, invece, si sentiva bene. C’era una fresca brezza che le accarezzava il volto, e mentre si guardava intorno apprezzava le bellezze di quel bosco. Ma lei non era lì per passeggiare.
Voleva trovare delle risposte alle troppe domande che ronzavano nella sua testa. Cercava qualcosa che forse non avrebbe dovuto cercare, ma non poteva semplicemente ignorare tutto quello che le stava accadendo; doveva andare avanti, a quel punto.
La ragazza chiamò:<< Ehi! >> Con l’intento di attirare l’attenzione di qualunque cosa potesse essere lì in ascolto. << Sto cercando la persona che ha lasciato in giro per questo bosco… >> Mise una mano in tasca e ne tirò fuori le otto pagine spiegazzate. << Queste pagine. >> Si fermò guardandosi intorno. Cercava di scorgere il minimo movimento; sapeva che la stavano osservando. Riprese a camminare, indirizzando lo sguardo di fronte a sé. << So che mi segui. >> Disse. << E mi hai anche spaventata… >> Ma che diavolo dico, mi ha terrorizzata! Fu il suo commento alla sua stessa affermazione. << Sono venuta qui per cercarti. >> Disse continuando a camminare. << Non ho… Cattive intenzioni… Voglio solo… Parlare. >> Disse incerta la ragazza guardandosi intorno, controllando se ci fosse qualcuno ad osservarla. << Chiederti perché fai questo… Perché mi fai del male… >> Non era del tutto vero che le aveva fatto del male.
Kate continuava a camminare in avanti, guardandosi intorno e chiamando di tanto in tanto, per controllare se ciò che cercava stava arrivando. Ma era sempre sola. Non voleva incontrarla oppure non era lì in quel momento? Camminando raggiunse un torrente.
L’acqua scorreva rapidamente, infrangendosi contro alcuni sassi che emergevano da essa e scontrandosi con alcuni rametti di alberi pendenti. Si sentiva un continuo scroscio che non faceva che crescere nelle orecchie di Kate. Non sapeva se stesse diventando sempre più forte o se fosse solo la sua immaginazione, ma non sarebbe riuscita a sopportarlo a lungo. Decise di guadare il torrente, e si mise a ispezionare la superficie in cerca di zone sicure su cui passare senza bagnarsi.
C’era una roccia obliqua su cui, con un po’ di attenzione, sarebbe potuta salire senza cadere in acqua, e poi da lì avrebbe dovuto saltare su un’altra roccia, e poi su un tronco che l’avrebbe portata dall’altra riva. La ragazza inspirò profondamente e si avvicinò alla riva; allungò una gamba fino alla roccia obliqua e tastò con la punta del piede la pietra un paio di volte prima di decidere di scendere lì. Si spinse in avanti con il busto e raggiunse la roccia anche con l’altro piede; scivolò un po’ e Kate si ritrovò ad ondeggiare ridicolmente per cercare di non cadere in acqua. Quando ebbe acquistato stabilità, mantenendo le braccia larghe e la schiena inarcata in avanti, tirò un sospiro di sollievo e rimase a fissarsi i piedi. C’era del muschio sulla roccia, non lo aveva notato. Decise di fare con cautela il prossimo passo, e calcolò bene la distanza tra lei e la seconda roccia. Quella era più liscia, non c’era muschio che l’avrebbe fatta scivolare, ma Kate avrebbe dovuto saltare per raggiungerla… Non pensava che non sarebbe riuscita a saltare fino a là, piuttosto la preoccupava l’atterraggio, durante la quale avrebbe perso l’equilibrio e sarebbe potuta cadere. Inspirò di nuovo e piegò le ginocchia, facendo una prova; si rialzò e annuì decisa, così si abbassò di nuovo e saltò diretta verso la roccia, sperando di raggiungerla e di atterrare senza problemi. Fu così. Kate si stupì di non essere scivolata questa volta e lasciò andare l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento. Ridacchiò isterica e raddrizzò la schiena; allungò una gamba verso il tronco che portava fino all’altra riva e ci si poggiò sopra. Portò l’altra gamba su di esso e non appena ebbe lasciato la roccia su cui era prima, il legno cedette al suo peso, facendola finire in acqua.
Kate lanciò un grido mentre finiva in acqua. Il torrente non era profondo, ma l'acqua era fredda. Kate si guardò intorno mentre il legno che aveva distrutto le galleggiava accanto; era marcio; avrebbe dovuto prevederlo… E ora era lì, col sedere per terra, a mollo e i vestiti tutti bagnati. Avrebbe voluto piangere, ma a che sarebbe servito? Invece si alzò con fare infastidito ed esclamò irritata:<< Vaffanculo! >> Calciando via il legno.
Ed eccola lì, bagnata e infreddolita. Sarebbe dovuta tornare a casa, ma non voleva mollare proprio in quel momento; pensava che qualunque cosa la stesse perseguitando, le stesse mandando quella sfortuna per testarla, per vedere se fosse davvero intenta a scoprire la verità. Però aveva freddo. Stava tremando e adesso il venticello che prima le dava sollievo la faceva intirizzire dal freddo.
<< Merda… >> Si lamentò. << Che cavolo sto facendo qui? >> Si chiese stringendosi nelle braccia, cercando di concentrare il calore corporeo, sperando che non se ne fosse già andato tutto… << Non c’è niente qui fuori! Non c’è niente nella mia testa! Mi sono immaginata tutto, sono un’idiota! >> Si batté i pugni sulla testa scuotendola e stringendo le palpebre per convincersi di essersi immaginata tutto. Era allo stremo, ormai.
Mentre diceva quelle cose sentì come un movimento alle sue spalle, seguito da un fruscio. Kate si voltò e spalancò gli occhi, cercando di capire cosa avesse prodotto quel suono.
C’erano diversi cespugli secchi, e qualunque cosa, anche un piccolo animale avrebbe potuto causare quel suono passandoci in mezzo. Magari era stato il vento, magari era caduto qualcosa da un albero ed era atterrato proprio in mezzo ai cespugli. Kate avrebbe preferito non saperlo; indietreggiò impaurita, ritraendosi in sé stessa, tenendo le mani vicine al viso, forse sentendosi più protetta così. Sentiva dei passi. Li sentiva chiaramente, nonostante fossero smorzati e disturbati dagli altri suoni della foresta. Ora che le veniva in mente, tutti i suoni che aveva sentito fino a prima, eccetto l’acqua che scorreva, erano spariti; la foresta sembrava essersi ammutolita di colpo. Forse era a causa della sua sfuriata, che aveva fatto fuggire gli animali nelle vicinanze, ma a Kate sembrava che qualcos’altro, qualcosa di superiore e spaventoso, stesse imponendo quel silenzio. E quel qualcosa si avvicinava sempre di più. Sentiva i suoi passi, era dietro il rialzo che costeggiava le due rive del torrente.
Da dietro l’altura Kate vide spuntare il signor Tucker, indossava abiti leggeri, dai colori chiari e dall’aspetto un po’ vecchio. Aveva sul viso i suoi occhiali e scrutava intorno a sé con occhi indagatori, un po’ stralunato; si sorprese quando vide Kate, quasi a terra e tutta tremante, con in viso un’espressione atterrita.
<< Cielo…! Kate! >> Esclamò sorpreso e scivolò giù dall’altura. << Che ci fai qui? >> Le chiese aiutandola ad alzarsi. Kate riprese a respirare quando l’uomo ebbe preso la sua mano.
<< Io… Stavo facendo una passeggiata… >> Rispose la ragazzina sollevata; era contenta di vedere Tucker, lui non era di certo una minaccia, ma forse avrebbe voluto andare fino in fondo a quella storia, o forse no…
<< Qui? Da sola? >> Chiese di nuovo Tucker guardandola stupito. Alzò lo sguardo e avvistò il torrente. << E sei caduta in acqua. >>
Kate annuì piano, stanca. << Ogni tanto… Mi piace uscire e andare da qualche parte, lontano, da sola, dove nessuno può dirmi cosa… Cosa fare… >> Mormorò Kate, non sapendo se stesse dicendo la verità oppure una grossa bugia.
Tucker la guardò dispiaciuto. << Capisco che tu voglia sentirti libera, ma non dovresti buttarti nel torrente senza portarti qualcosa per asciugarti… >> Commentò togliendosi la camicia e rimanendo con una maglietta grigia. Avvolse Kate nella sua camicia per farla asciugare. Kate lo ringraziò tremando mentre l’uomo faceva un passo indietro.
<< E lei… Che ci faceva qua? >> Chiese a stento la ragazza, accorgendosi del freddo che penetrava nelle sue ossa.
Tucker sorrise mostrando un cestino che la ragazza non aveva ancora notato. << Cercavo funghi. >> Rispose senza difficoltà. << Non sono stato molto fortunato, però… >> Aggiunse guardando dentro al cestino vuoto con un po’ di disappunto. Kate sorrise alla vista della sua espressione comica. Tucker sorrise, vedendo di essere riuscito a far riprendere un po’ la ragazza. << Bé, direi che la priorità ora non sia più quella di trovare dei funghi, ma portarti al caldo! >> Detto questo fece qualche passo in direzione di Kate. La ragazza cercò di rifiutare l’aiuto del vicino.
<< Tornerò a casa da sola, non c’è problema. >> Disse allungando una mano mentre si teneva addosso la camicia con l’altra.
Ma Tucker insistette. Si mise accanto a lei e le posò una mano sulla spalla. << Non ti preoccupare. In fondo non mi sono mai piaciuti tanto i funghi… >> Detto questo fece l’occhiolino alla ragazzina, che non riuscì a non sorridere, e la condusse lontano da quel torrente nel bosco, lasciando dietro di sé qualunque cosa ci fosse nella foresta.

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Capitolo 15
*** Sfogarsi ***


Tucker portò Kate a casa sua, per l’ennesima volta, e la fece sedere di fronte al caminetto acceso; i suoi vestiti erano fradici, le andò a prendere qualcosa da indossare finché non si sarebbero asciugati e la lasciò sola per potersi cambiare.
Kate era da sola, nella stanza del caminetto. Ora che la guardava meglio, quella stanza le sembrava enorme. Era la stessa stanza in cui aveva portato Jennifer, la sera della loro aggressione, e la stessa dove aveva incontrato la madre della sua amica, ma non aveva mai guardato con attenzione quel luogo.
Lei era seduta su una poltrona di fronte al caminetto, poco distante dal televisore, e guardandosi intorno esaminava il resto della stanza: c’era un lungo tavolo dietro al divano, posto al centro della stanza, che continuava lungo tutta questa; in fondo c’era un mobile dall’aspetto antico, e sopra di esso, appeso al muro, un orologio in legno con un grosso pendolo in ottone che oscillava ritmicamente sotto di esso. A Kate non erano mai piaciuti gli orologi a pendolo. Non sapeva perché avesse questa avversione contro quei mucchi di ingranaggi ticchettanti che a ogni ora facevano un fracasso infernale… Semplicemente non le piacevano, e per sua fortuna i suoi genitori non ne avevano uno in casa.
Al lato destro della stanza, alla sinistra di Kate, che era girata dando le spalle al resto della stanza, c’erano due finestre alte che portavano fuori in giardino. In mezzo ad esse c’era una credenza con tazze e piatti di porcellana posti al suo interno. Era un posto carino, pensò la ragazza, ma non aveva ancora visto dei libri. Sembrava una domanda strana, ma molte volte Kate aveva visto il signor Tucker leggere un libro, e a meno che non leggesse sempre lo stesso libro in continuazione, pensò che dovesse avere una libreria ben fornita. Però questa non era né in quella stanza, né nella sua camera da letto… Ipotizzò che fosse nell’ultima camera che non aveva mai esplorato, lo studio del signor Tucker, al piano di sopra, ma non voleva ficcare il naso in giro. Se le sarebbe capitato di dare un’occhiata, allora le sarebbe bastato…
Kate cominciò a cambiarsi, controllando che fuori dalle finestre non ci fosse nessuno a spiare, ma non diede molto peso a quelle finestre luminose; in casa di Tucker le cose prendevano un aspetto diverso… Tutto era più familiare e stranamente sicuro.
Tucker era riuscito a trovare solo dei suoi vestiti di quando era giovane di cui si era dimenticato. Erano un paio di pantaloni larghi a zampa di elefante e una t-shirt bianca molto più grande della taglia di Kate. Si sentì un po’ ridicola con quei vestiti addosso, ma sapeva che tanto non sarebbe dovuta andare da nessuna parte. Si guardò in uno specchio appeso al muro sinistro della stanza e sospirò. Poi uscì dalla stanza chiamando il signor Tucker.
L’uomo era in cucina; arrivò subito. Kate gli disse che si era cambiata e lui entrò nella stanza prendendo i suoi vestiti bagnati, dicendo che si sarebbe occupato lui di asciugarli, e la invitò a rimettersi un po’ di fronte al camino. Kate accettò l’invito, nonostante in quel periodo dell’anno le sembrasse un po’ strano scaldarsi di fronte al camino; non obiettò perché si sentiva ancora bagnata e infreddolita. Così andò a sedersi sulla poltrona di prima, allungando le mani verso il fuoco scoppiettante.
Le fiamme avevano un senso di sicurezza tale che Kate si sentiva come in un abbraccio caldo e affettuoso, cosa che le mancava; non lo aveva mai avuto un abbraccio come quelli lì, se non da suo nonno, forse, ma era stata troppo piccola per potersene ricordare…
Sospirò nostalgica, ricordando quei giorni in cui tutto era più bello, più semplice… Non aveva niente di cui preoccuparsi, perché anche quando non c’erano i suoi genitori, qualcun altro era lì ad occuparsi di lei, a stringerla, a trasmetterle affetto, come suo nonno. Poi, dopo la sua morte, Kate era rimasta sola. Nessuno la guardava nel modo in cui la guardava suo nonno, nessuno passava più del tempo con lei… Dovette crescere in fretta, diventando indipendente e cinica; poche cose, come la compagnia di Jennifer rivelavano la vera Kate: una ragazza dolce e solitaria, che amava i dolci e a cui piaceva chiacchierare senza un valido motivo, ma che diventava silenziosa e timida con la presenza di uno sconosciuto, o anche di un’altra persona che conosceva ma con cui non era molto in confidenza…
Poi, un giorno arrivò Shaun Tucker. Quell’uomo così gentile, dolce ed eccentrico l’aveva guardata e giudicata per quello che era realmente; aveva visto dentro la sua anima, saltando la sua apparenza ingannevole di ragazza disubbidiente. Lei se ne era innamorata. Ovviamente non si era letteralmente innamorata di quell’uomo, solo della sua personalità, nel senso che la sua personalità la attraeva tanto da farla sentire bene quando c’era lui… Neanche lei sapeva spiegare bene quello che sentiva quando Tucker era con lei, ma sapeva che era bello… Si sentiva come se potesse dirgli tutto quanto, confidarsi con lui e ricevere anche consigli. Tucker era il tipo di persona che la ragazzina aveva cercato dalla scomparsa di suo nonno.
Tucker tornò nella stanza e sorrise a Kate che allungava le mani verso il fuoco. << Va meglio? >> Chiese sedendosi su un’altra poltrona accanto a Kate. La ragazzina sorrise e annuì. L’uomo la guardò. << Hai ancora i capelli bagnati… >>
<< Non c’è bisogno… >> Si affrettò a dire Kate. << Non sono un problema. >>
<< Come non sono un problema? >> Chiese stupito Tucker. << Sono un problema, finché sono bagnati non sono asciutti, e se non sono asciutti ti verrà più freddo di quanto tu possa credere, e ti farà male il collo! >> La ragazza lo fissò con un sopracciglio inarcato, cercando di non sorridere per il tono di voce stranamente ovvio del vicino. Tucker la guardò strabiliato. Trattenne una risata sconcertata e disse:<< Hai dei capelli lunghissimi... >> Kate non riuscì a trattenere un sorrisetto dopo l'affermazione così stupita del suo vicino. L’uomo prese quel sorriso come un cenno, e sorrise a sua volta. << Ti vado a prendere un asciugacapelli… >>
Kate gli sorrise mentre si avviava fuori dalla stanza e a un certo punto sentì il bisogno di fermarlo. << Signor Tucker! >> L’uomo si bloccò sul ciglio della porta e si voltò guardandola con occhi spalancati. Kate si bloccò fissandolo con la bocca mezza aperta. Si sentiva come frenata, che cosa aveva?
<< Sì, Kate? >> Chiese il signor Tucker sorridendo gentilmente.
Kate mantenne lo sguardo basso pensando a quello che voleva dire, e quando lo rialzò tirò un grande respiro. << Grazie. >>
Tucker sorrise, i suoi occhi erano gioiosi mentre contemplavano la ragazzina infreddolita seduta davanti al fuoco. Si voltò e uscì dalla stanza. Kate lo seguì mentre spariva dalla sua vista; cosa significava quel sorriso? Cosa significava il suo “grazie”?! Era grata a Tucker per averla aiutata ed essersi preso cura di lei sempre, ogni volta che aveva avuto bisogno di aiuto, ma sembrava come se avesse paura di dirgli qualcosa, come se si fosse pentita di averlo chiamato.
Il signor Tucker tornò poco dopo con in mano un asciugacapelli rosso e il cavo elettrico nell’altra mano, arrotolato su sé stesso. Kate fece per alzarsi, ma Tucker la fermò facendola sedere di nuovo e disse che le avrebbe asciugato i capelli lui. Kate non era molto sicura, non voleva essere un tale peso, ma Tucker insistette. Così Kate tornò a sedersi di fronte al fuoco, mantenendo lo sguardo basso, imbarazzata.
Tucker accese l’asciugacapelli dopo averlo collegato a una presa elettrica e cominciò a sventagliare i lunghi capelli della ragazza, facendo attenzione a non bruciarla con eccessivo calore. Kate si sentiva strana adesso. Perché era così schiva? Stava facendo di tutto per evitarlo, dopo che lui aveva fatto tutto quello per lei. Era forse perché voleva dimostrare ai suoi genitori che sapeva cavarsela da sola? Oppure non si fidava più di lui? Come poteva pensare una cosa del genere; non fidarsi più di Shaun Tucker equivaleva a non fidarsi più di sé stessi… Però c’era qualcosa che aveva paura di dire…
<< C’è qualche problema? >> Chiese all’improvviso Tucker passando una mano sui capelli di Kate, destandola dai suoi pensieri con un leggero sussulto.
<< Ah…! No, è che… >> Kate non poteva nascondere la sua inquietudine a Tucker, era troppo sveglio per non accorgersi che era turbata. << Il fatto è che… Ieri ho litigato con i miei genitori. >> Spiegò Kate mantenendo lo sguardo basso. Tucker borbottò qualcosa in assenso e la lasciò continuare. << Mi hanno detto che oggi sarebbero partiti per un viaggio d’affari… >>
<< I tuoi genitori sono parecchio impegnati, eh? >> Commentò Tucker puntando l’asciugacapelli dietro al collo della ragazza. Kate sospirò.
<< Già. >> Si limitò a dire. << Sono sempre impegnati… >>
Tucker aveva capito che c’era qualcosa che non andava, lasciò continuare Kate.
<< Non mi ascoltano mai. >> Disse Kate irritata muovendo piano la testa, ricordandosi di non potersi muovere molto. << Fanno quello che vogliono e io vengo sempre informata all’ultimo istante! >>
Tucker annuì. << Forse non vogliono che tu ti preoccupi. >> Kate fece un verso di negazione con la gola.
<< Se mi volessero bene allora non dovrei venire qui da lei per ogni problema. >> Rispose seccamente. Forse aveva detto qualcosa di poco gentile, qualcosa che non avrebbe dovuto dire. << Sono… Infantili. >>
<< Tu non vieni qui per ogni problema. >> Si intromise Tucker sorridendo, nonostante lei non lo potesse vedere. Kate non capì. << Sei una ragazza responsabile, matura, affronti sempre il problema. E’ quando non sei abbastanza forte per superarlo che chiedi aiuto alle persone di cui ti fidi. >> Fece una pausa muovendo l'asciugacapelli da destra a sinistra sulla testa di Kate. << E non c'è niente di male in questo! >> Concluse con voce amichevole. Non aveva tutti i torti, ma Kate non avrebbe voluto ammettere di essere matura in quella circostanza.
<< Lei è troppo buono con me, signor Tucker… >> Mormorò girando di poco la testa. << Dovrebbe pensare un po’ più a sé stesso. >>
Tucker rise. << E a che serve pensare a me stesso, se posso pensare a te? >> Kate non capiva proprio la logica di quell’uomo.
<< Capisco il suo desiderio di aiutare il prossimo… >> Cominciò la ragazza mentre Tucker prendeva una ciocca di capelli e la sventolava con l’asciugacapelli. << Ma non comprendo la sua totale devozione a questo bisogno! E’… Troppo disponibile! >> Sembrò quasi che Kate stesse per arrabbiarsi con Tucker per quel motivo.
<< E’ perché, una volta finito il lavoro, mi piace vedere il sorriso di quelli che aiuto. >> Rispose naturalmente il signor Tucker, smettendo di puntare l’asciugacapelli sulla testa di Kate per qualche secondo. Kate non riusciva a spiegarselo in ogni caso. Non le sembrava giusto che tutti quanti ricevessero aiuto dal signor Tucker, che rispondeva sempre incondizionatamente di sì, e poi nessuno lo aiutasse quando ne aveva bisogno lui…
Mentre Kate era persa nei suoi ragionamenti, e Tucker semplicemente la fissava imbambolato, accarezzandole lentamente i capelli ancora bagnati con una mano, la ragazza sentì un bruciore pungente alla spalla destra. Quando se ne accorse saltellò sulla poltrona e lanciò qualche richiamo spaventato. Tucker si rese conto di aver puntato l’asciugacapelli sulla spalla della ragazza per troppo tempo e allontanò l’apparecchio subito, chiedendole scusa. Kate si strofinò rapidamente con la mano sinistra sulla spalla, mentre Tucker spegneva l’asciugacapelli e si avvicinava a lei.
<< Accidenti, mi dispiace Kate… Ero sovrappensiero e… >> Esaminò rapidamente la spalla della ragazza e alzò lo sguardo. << Ti vado a prendere una pomata per la scottatura. >> Kate lasciò andare un sorriso incredulo quando lo sentì e cercò di fermarlo, dicendo che non era niente. Mentre l’uomo andava a prendere qualcosa nell’altra stanza, Kate spostò la manica della t-shirt per esaminare la scottatura: vide la pelle arrossata e annerita al centro del cerchio regolare che aveva creato l’apparecchio; se la toccava con un dito sentiva la pressione attorno ai punti colpiti, ma lì era come se avesse conficcato un ago sottile che copriva ogni altra sensazione. E poi vide un’altra cosa: il cerchio di pelle arrossata, così come si era formato, svanì lentamente, restringendosi sempre di più, come se venisse risucchiato da qualcosa, come anche il dolore pungente, che la abbandonò in un attimo. Prima che Kate se ne accorgesse, la sua spalla era tornata chiara e intatta, la pelle liscia sembrava non essere mai stata toccata.
Quando Tucker rientrò nella stanza con della pomata bianca sulle dita, Kate si stava guardando la spalla. << Non credo che serva, signor Tucker… >> Mormorò attonita.
Tucker borbottò qualcosa di incomprensibile e si avvicinò a lei, ma quando vide la spalla immacolata della ragazzina si fermò stupito. Indietreggiò e rimase a fissarla per qualche istante con occhi stupiti. << Bé, a quanto pare sei di ferro, ragazza mia! >> Commentò un po’ sconcertato.
Kate fece pressione con un dito sulla pelle. << Non fa più male… >> Mormorò innocentemente.
Tucker avrebbe giurato di aver visto quella spalla arrossata per la scottatura, ma ora non ne era più tanto sicuro come prima. Boccheggiò confuso e si diresse alla sua sinistra, tenendo sempre le dita con la pomata tese. Si fermò dopo aver fatto qualche passo e tornò indietro. Alzò un dito trattenendo il respiro e aprendo la bocca. << Questa te la metto comunque… >> Concluse con un mezzo sorriso mostrando le dita sporche di crema, suscitando un sorriso anche in Kate, che lasciò che l’uomo le applicasse la pomata sulla spalla.
<< Grazie signor Tucker. >> Disse la ragazza riconoscente, nonostante sembrasse non essersi fatta niente. In realtà si era davvero bruciata, e la manica annerita della sua t-shirt lo testimoniava, ma era successo di nuovo… Era successo proprio come con i tagli sulle braccia…
Kate finì di asciugarsi i capelli da sola, con il consenso del signor Tucker, che non sembrò fidarsi più delle proprie mani dopo quell’accaduto, a sua detta, terribile. Kate continuava a rassicurarlo, dicendo che non era successo niente. Era così premuroso, anche troppo…
Dopo essersi asciugata i capelli in pochi minuti, la ragazzina ringraziò di nuovo il signor Tucker per la sua disponibilità e la sua ospitalità, dicendo che sarebbe tornata a casa a riposare un po’.
<< Non ti preoccupare per i tuoi vestiti. >> Disse Tucker facendo un cenno laterale con la testa. << Appena si asciugano te li porto io. >>
Kate lo ringraziò di nuovo per le sue premure e si avviò verso la porta. La aprì lentamente, ma Tucker la fermò.
<< Kate… >> La chiamò piano tenendo le mani in tasca. Kate si voltò guardandolo con sguardo interrogativo. Tucker inspirò. << I tuoi genitori ti vogliono bene, lo sai. >> La ragazza si sentì come in colpa non appena sentì quelle parole, e abbassò lo sguardo costernata. << Magari non ci saranno abbastanza, ma ti vogliono bene; tengono a te più delle loro stesse vite. >> Kate annuiva piano, debolmente; non avrebbe voluto ammetterlo, ma a volte sembrava proprio che fosse così, e Tucker non sbagliava mai. << Comunque, se dovessi avere bisogno… Di qualunque genere di aiuto… >> Tucker sembrò incerto sulle parole da utilizzare, parlava lentamente, con cautela. << Io ci sarò sempre. >> Concluse sorridendo sinceramente. Quel viso sorridente, gli occhi verdi tendenti al grigio di quell’uomo così buono, l’innocenza di quelle parole lasciarono Kate spiazzata, commossa.
Per alcuni secondi la ragazza rimase immobile, con gli occhi spalancati e la bocca mezza aperta, stordita dalla frase del vicino. Poi, sentendo la debolezza crescere in lei, il coraggio venirle meno e le lacrime salire, forse per quella situazione così incasinata in cui si era ritrovata tutto a un tratto, la ragazzina si lanciò contro l’uomo, abbracciandolo in lacrime. << Grazie… >> Sospirò tra i singhiozzi. << Grazie, signor Tucker… >>
Tucker non si era aspettato quella reazione, fu spiazzato anche lui. Nessuno si sarebbe mai aspettato una reazione simile proprio da Kate, solitamente fredda e distaccata, anche se con le persone amiche diventava più solare e amichevole. Non sapendo come rispondere, anche lui nuovo a simili dimostrazioni di affetto, abbassò lentamente una mano e la picchiettò piano sulla testa di Kate, accarezzandole i capelli con l’altra, dicendole che non c’era niente per cui piangere.
Ma Kate voleva piangere, per una volta, senza un motivo preciso, per liberarsi dal peso che le opprimeva il petto, per dimostrare che anche lei provava dei sentimenti come tutti, e che anche lei poteva essere debole…

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Capitolo 16
*** Riposo ***


Kate si era chiusa in casa, con l’intenzione di restare lì e non uscire più; voleva restare al sicuro in casa sua, ignorando i suoi timori e i richiami dell’esterno. Era stanca, e non era passata neanche mezza giornata. La sua camminata nel bosco l’aveva fatta pensare; si era sentita tesa e osservata per tutto il tempo che era stata lì, nonostante non ci avesse fatto caso in un primo momento; i suoni improvvisi la facevano saltare, e il silenzio la metteva in tensione. Poi era arrivato Tucker, e i suoi timori, tutto quello che l’aveva messa in soggezione e l’inquietudine, erano spariti tutti. Quell’uomo era capace di rassicurarla in qualsiasi situazione semplicemente sorridendole, oppure rivolgendole uno dei suoi sguardi strambi. Era il suo salvatore. Anche quando la ragazza si sentiva persa, terrorizzata e incapace di pensare, lui riusciva a farle riacquistare la calma e il sangue freddo. Era un amico, se n’era accorta solo negli ultimi tempi, dopo che era venuto a prenderla a scuola; non aveva fatto domande, non aveva inventato scuse per non andare; era andato da lei tempestivamente e l’aveva portata a casa, assicurandosi che stesse bene e rassicurandola…
Ma qual è il mio problema? Si chiese Kate fissandosi le dita della mano destra; era sdraiata sul letto dei suoi genitori, più comodo e spazioso del suo. Non era che il suo letto fosse scomodo, ma quel lettone matrimoniale con le sue coperte voluminose era morbido e accogliente agli occhi di Kate, sembrava abbracciarla quando ci si sdraiava sopra…
La luce dalla finestra illuminava le sue unghie lunghe e ben curate. Kate non metteva lo smalto alle unghie, come la maggior parte delle ragazze che conosceva, per la semplice ragione che non le piaceva. Colorare o lucidare le unghie per lei non aveva senso; pensava che le ragazze che lo facevano volevano solo essere viste, volevano dimostrare di essere qualcuno di diverso, e non si accorgevano che così finivano per essere tutte uguali. A Kate non piaceva quella loro falsità, il non accettarsi per quello che erano… Lei era unica, e sapeva di esserlo. Però poi guardava la sua mano sinistra, le unghie corte tenute così per emulare i chitarristi, e pensava di essere anche lei un po’ come loro, dato che non sapesse niente di musica… Ma le piacevano le unghie a quel modo, asimmetriche… Jennifer sapeva suonare la chitarra, aveva scoperto da lei che i chitarristi tenevano le unghie della mano destra lunghe mentre nella mano sinistra le tagliavano… E le era piaciuto.
Ogni volta che Kate rifletteva, finiva per divagare. Si era distratta dai suoi pensieri e si era fissata sulle sue unghie; si sentì una stupida per non riuscire a mantenere concentrato il suo pensiero su un singolo argomento. Ma forse era solo stanca… Forse era annoiata… Sospirò abbassando la mano sul suo petto e alzando gli occhi al cielo. Perché ho bisogno di tanto conforto? Si chiese riprendendo il filo del pensiero di prima. Ripensò a tutte le volte che era stata rassicurata, anche indirettamente dal signor Tucker, semplicemente con un sorriso o una parola dolce. Da che cosa voleva confortata?
Kate rimase a fissare il soffitto bianco. Era così vuoto… Vuoto come la sua vita… Ora non fare la depressa! Si ammonì. La tua vita va benissimo, e non hai bisogno di niente! Sapeva di avere bisogno di molte cose, invece, ma le bastava quel poco che aveva, e forse era quello il suo problema: Kate aveva l’appoggio della sua migliore amica e la comprensione di Shaun Tucker, ma non aveva nemmeno l’affetto dei suoi genitori! Era una ragazza solitaria, nessuno voleva stare con lei, conoscendo il suo carattere, ma ancora peggio, le sue compagne avevano cominciato a parlare non appena avevano capito che tipo di ragazza era, poco tempo dopo essersi conosciute; erano sorti pettegolezzi e bugie sul suo conto che l’avevano isolata ancora di più. Era una ragazza impopolare, di quelle che passavano e che nessuno vedeva, o di cui tutti ridevano e parlavano alle spalle… Ma a lei andava bene così, o almeno diceva questo… Se coloro con cui passava grande parte della sua giornata erano dei falsi bugiardi, allora preferiva stare da sola, contando sui pochi veri amici che aveva e che non l’avrebbero mai tradita.
Kate sospirò di nuovo. E chi dice che non ti tradiranno mai? Si chiese sconfortata. Era insopportabile, si era chiesta più volte come Jennifer fosse ancora sua amica, sempre più attaccata a lei per giunta! E si chiedeva anche come facesse Tucker a non odiare tutte le volte in cui lei chiedeva aiuto, anche per una stupidaggine.
Era impossibile non pensare all’eventualità di restare sola, ma Kate continuava a pensare che non potesse accadere, perché aveva trovato delle persone davvero molto, troppo buone. Ma a volte non riusciva a fare a meno di pensarci. Se avesse dovuto perdere sia Jennifer che Tucker, per qualsiasi motivo, allora cosa le sarebbe rimasto? Forse era una visione troppo pessimista del futuro, ma Kate non riusciva a pensare alla sua vita senza quelle persone… Come quando c’era suo nonno…
Ripensando a suo nonno la ragazza girò la testa e finì per posare lo sguardo sulla porta che conduceva fuori, dove c’era anche la sua camera; e ripensando alla sua camera pensò a ciò che c’era dentro e a quello che vi era accaduto dentro. Ripensò quindi alla statuetta di suo nonno; ancora non capiva cosa fosse successo. La statuetta era caduta, ne era sicura, ed era anche sicura del fatto che si fosse frantumata in decine di pezzi, che aveva poi posto sul mobile su cui era poggiata prima; ma il giorno precedente l’aveva ritrovata lì, nello stesso punto di prima, immacolata, come se niente di tutto quello fosse mai accaduto. Ci pensò un po’ su, e notò che la situazione era molto simile a quella delle sue ferite: quando era caduta sui vetri, Kate si era procurata diversi tagli, che il giorno dopo erano spariti, come se non fossero mai esistiti. E anche la scottatura con l’asciugacapelli, era sparita prima ancora che Tucker potesse fare qualcosa…
Un momento. Kate si mise a sedere sul suo letto e fissò il muro. Perché quelle ferite sono guarite? Rimase immobile pensando alle diverse spiegazioni: non poteva essersele immaginate, perché il dolore c’era stato, e anche tanto dolore; aveva estratto tutti i frammenti di vetro che si erano conficcati nella sua carne, ma poi non aveva nemmeno disinfettato le ferite; e non poteva essersene occupato Tucker quella sera stessa, dopo averla calmata dalla febbre, perché sarebbero dovute comunque rimanere delle piccole cicatrici, qualcosa che testimoniasse il fatto. Invece la sua pelle era liscia e perfetta, non presentava nessun segno di quell’accaduto.
Kate ripensò poi alla sera in cui lei e Jennifer erano state aggredite. Come diavolo ne erano uscite? Fece mente locale, ricordando gli accaduti di quella sera: lei e Jennifer erano state inseguite da quei quattro uomini, e si erano infilate in un vicolo per tentare di seminarli, ma erano state intercettate; a quel punto il ragazzo che sembrava essere il capo del gruppo aveva lasciato la sua amica agli altri tre, mentre lui era rimasto con Kate. La ragazzina rabbrividì ripensando alle dita di quel mostro sulla sua pelle. Si era già rassegnata, non aveva nessuna possibilità di sfuggirgli, ma poi era successo qualcosa di impossibile: un’ombra, o qualcosa che sembrava esserlo aveva mozzato la mano di quel ragazzo, e subito dopo, mentre lei assisteva a quella scena con occhi atterriti, come anche gli amici del ragazzo, quello era stato trascinato via da altre ombre. I suoi amici erano scappati, seguiti da quelle stesse ombre, e lei non aveva idea di cosa gli fosse successo dopo che fossero spariti.
Se l’erano cavata, lei e Jennifer, ma sarebbe stato più esatto dire che erano state salvate, ma da chi? All’improvviso un pensiero le saltò in mente senza rifletterci su molto. Da qualcuno che non vuole che mi accada nulla di male. Si sorprese della rapidità con cui si rispose. E chi poteva volere il suo bene? Shaun Tucker? Ma quello che aveva visto non era qualcosa di umano… Se fosse riuscita ad accettarlo, avrebbe detto anche che non era qualcosa di naturale…
Le venne in mente un’idea folle. Kate scese dal letto con un salto e raggiunse rapidamente l’uscita della stanza, aggirando il letto matrimoniale. Una volta fuori scese le scale e andò in cucina, mettendosi a cercare negli scaffali dove tenevano le posate. Dopo aver rovistato tra forchette e cucchiai, la ragazza trovò i coltelli; lucenti e affilati, avevano un aspetto invitante e destabilizzante allo stesso tempo. Ne prese uno appuntito e ben affilato, la lama scintillò quando lo avvicinò allo sguardo. Lo esaminò, come cercando qualche imperfezione nel metallo, poi alzò la mano sinistra e la fissò intensamente. La pelle chiara e morbida era liscia e si potevano vedere bene tutte quelle linee che descrivevano la vita di ognuno, o almeno così dicevano i chiromanti e tutti quelli che credevano a quelle stupidaggini…
Kate girò lo sguardo tornando al coltello; le mise paura. Se c’era qualcosa che voleva tenerla al sicuro, significava che se si fosse ferita quello l’avrebbe curata. Ma era solo un’ipotesi…
La ragazzina avvicinò il coltello al palmo della mano sinistra; la sua mano destra tremava e non riusciva a tenerla ferma. Non doveva fare un lavoro di precisione, ma avrebbe preferito possedere una mano più ferma; ogni volta che Kate doveva fare qualcosa di preciso, la sua mano sbandava da una parte all’altra, rendendole impossibile qualunque lavoro di precisione, mentre quando non si concentrava la sua mano rimaneva immobile. Adesso era anche la paura a farla tremare; aveva paura di sbagliare, di fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare…
Kate non si era mai tagliata con un coltello da cucina, né tantomeno intenzionalmente. Sfiorò il palmo della mano con la punta del coltello, ma non sentì niente, capendo che doveva mettere più forza nell’operazione. Inspirò profondamente e trattenne il respiro, spingendo la lama sulla sua pelle.
Il dolore non arrivò subito; il suo sistema doveva prima rendersi conto di quello che stava accadendo, poi sentì qualcosa come una fitta, la sensazione che si prova quando ci si punge con uno spillo, ma prolungata e collocata più in profondità. Del sangue fluì lentamente fuori dalla ferita mentre la lama continuava ad affondare nella carne. Era più forte di quello che si sarebbe aspettata; pensava di poterlo gestire, ma era stato diverso da quello che immaginava, e la lama le sfuggì quando scattò la mano involontariamente, allargando la ferita e rendendola molto più che un semplice taglietto lineare di qualche centimetro, liberando uno schizzo di sangue che raggiunse una parete e sporcò la maglietta e il braccio sinistro di Kate; era diventato un graffio profondo e irregolare, una linea divisa quasi a metà da un’altra linea più corta che si scontrava contro di essa in modo trasversale. Kate lasciò andare il coltello e si afferrò il polso con la destra, tenendo ferma la mano e esaminandola. Cercò di non pensare al dolore e respirò affannosamente, cercando di concentrarsi sul suo respiro.
Bene. Pensò pentendosi di quello che aveva fatto. La ferita cominciava a bruciare a contatto con l’aria. Il sangue fuoriusciva lentamente dalla ferita sottile ma profonda e cominciò a scolare dalla sua mano. Kate la fissò preoccupata filtrando l'aria tra i denti, poi uscì dalla stanza mantenendo la mano all’altezza del suo viso e salendo le scale appoggiandosi al corrimano con l'altra mano sana. Entrò in camera sua e si chiuse dietro la porta, poi si gettò sul letto e si girò sulla schiena.
Guardò la ferita sulla mano sgocciolarle sui vestiti; aveva lasciato una scia di sangue dalla cucina fino a lì. Si posò il palmo sul petto, sporcando di rosso la maglietta che le aveva dato Tucker, e sentì il suo petto alzarsi e abbassarsi rapidamente mentre riprendeva fiato. Fissò il soffitto con occhi vuoti, cercando di ignorare il dolore pulsante alla mano e chiuse gli occhi, sentendo la stanchezza avere il sopravvento sul suo corpo.
 
*
 
Kate non voleva aprire gli occhi. Stava così bene sul suo letto, senza nessuna preoccupazione, nessun timore… Era nella stessa posizione in cui si era addormentata, con la mano sinistra sul petto, mentre le gambe dritte si allungavano sul letto e il braccio destro usciva leggermente dai bordi. Gli occhi chiusi facevano sembrare che stesse dormendo, ma in realtà era vigile; si era svegliata da qualche minuto ed era rimasta in quella posizione, in attesa di qualcosa. Forse voleva solamente restarsene a dormire, o forse non voleva scoprire se la sua mano era guarita, ma la scomparsa del dolore aveva già recato una risposta alla sua domanda…
Decise di aprire gli occhi, e sbatté le palpebre un paio di volte per riuscire a mettere a fuoco la situazione; si era fatto più buio, quanto aveva dormito? La ragazza si mise a sedere con difficoltà, lamentandosi per un dolore alla schiena che sentì in quel momento. Inspirò ed espirò abbassando lo sguardo sulla sua mano, ancora poggiata sul petto, la maglietta aveva una grossa macchia di sangue al centro, proprio dove aveva messo la mano; quella era la prova che la ferita c’era stata.
Timidamente, la ragazzina allontanò la mano dal suo petto, nascondendo il palmo nel pugno, quasi come se non volesse scoprire la verità. Trattenne il respiro e aprì la mano di colpo, scoprendo il suo palmo liscio e intatto, sporco di rosso sangue secco.
E’ vero… Pensò fissando la sua mano illesa. C’era qualcosa che la guardava, che la difendeva.
All’improvviso sentì di non essere sola; Kate girò la testa rapidamente da una parte all’altra e scese dal letto. La ragazza chiuse la finestra che dava sul suo balcone e abbassò le serrande con impeto, uscendo poi dalla stanza; si accertò che le finestre fossero ben chiuse in tutte le stanze e abbassò tutte le serrande della casa, rimanendo nell’oscurità. Una volta sicura di essere ben protetta raggiunse la porta e la chiuse a chiave.
<< Mi guarda… Qualcuno mi guarda… >> Sussurrava ansimando mentre si girava. Appoggiò la schiena alla porta ed espirando scivolò giù lungo di essa, finendo per accovacciarsi a terra, nascondendo la testa tra le gambe, sperando di essere al sicuro, pregando di essere da sola.

 

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Capitolo 17
*** Paura ***


<< Posso venire a parlare con te? >>
Questa era la domanda che Kate fece al telefono alla sua migliore amica Jennifer. Perché? Le aveva chiesto lei stessa di stare fuori da quella faccenda così incasinata, ma adesso era lei ad andare a chiederle aiuto. Si sentiva sola, impaurita a tal punto da non sapere più cosa volesse veramente. Voleva parlare con qualcuno dell’angoscia che la opprimeva, ma allo stesso tempo non voleva mettere in pericolo nessuno, né sembrare una folle. E l’unica persona che poteva capirla appieno era la sua migliore amica, con cui condivideva tutto, alla quale diceva tutto. Forse Kate voleva semplicemente non restare da sola, cercava qualcuno con cui passare un po’ di tempo, per non pensare ai problemi.
Così Kate, dopo aver riacquistato la calma ed essersi assicurata che non ci fosse nessuno attorno alla casa, chiamò l’amica e le chiese di poterle parlare.
<< Cosa è successo, Kate? >> Chiese Jennifer dall’altra parte del telefono; intuiva che c’era qualcosa che non andava, dal suo tono di voce sembrò allarmata. << Hai una voce strana… >>
Kate aveva una voce sommessa mentre parlava con la sua amica; teneva il telefono vicino all’orecchio destro, e la mano sinistra era premuta sull’orecchio sinistro, come se avesse bisogno di isolarsi dal silenzio che la circondava. Era nel buio, e stranamente quella situazione la costringeva a parlare a bassa voce, come se ci fosse qualcuno che non voleva svegliare. << Devo… Devo parlare con qualcuno… >> Disse in fretta con voce flebile, come se non volesse dire troppo al telefono, temendo quasi che qualcuno stesse ascoltando la loro conversazione.
<< Non capisco Kate! >> Disse sconcertata Jennifer. << Stai male? >>
Kate scosse la testa spostando un ciuffo di capelli di fronte al suo viso; si ricordò che Jennifer non poteva vederla e sussurrò quasi senza voce:<< No… >> Ansimava in preda all’inquietudine, sembrava quasi sul punto di svenire. << Ho solo bisogno di… Di parlare con qualcuno… >>
Jennifer sembrò confusa al telefono; dopo un lungo periodo di esitazione la voce della ragazza tornò nel telefono più sicura di sé:<< Va bene Kate, dimmi dove vuoi che ci incontriamo, arrivo subito… >>
Kate sussurrò un:<< Grazie. >> Di sollievo, seguito da Jennifer che le diceva di indicarle dove andare senza preoccuparsi. Kate esitò guardandosi intorno, nonostante nell’oscurità non potesse vedere niente. << Incontriamoci alla caffetteria dell’altra volta… >> Mormorò debolmente. Jennifer accettò dall’altra parte del telefono. << Ma… >> Kate la fece attendere qualche secondo prima di completare la frase, incerta su come farlo. << Dopo andiamo in un posto dove non c’è nessuno… Un posto sicuro… >>
Jennifer sembrò insicura sul significato della richiesta dell’amica, ma accettò comunque, dicendo che sarebbe arrivata subito. << Non ti preoccupare, Kate. >> Disse cercando di rassicurarla. << Andrà tutto bene. >>
Kate annuì ripetendo più volte:<< Sì. >> Come se non volesse sentirselo dire. Poi chiuse la chiamata e abbassò il telefono, rimanendo a fissarlo con occhi persi; l’ombra la avvolgeva, era avvolta nel suo abbraccio inquietante, e Kate non si sentiva per niente a suo agio in quella situazione, nonostante volesse lei stessa quel buio. Ora la ragazza voleva andare via da lì, casa sua, il posto che avrebbe dovuto offrirle protezione e sicurezza, ora era il luogo da cui voleva fuggire.
Si diresse verso la porta mettendosi il telefono in una tasca posteriore dei pantaloni e aprì la porta girando la chiave nella toppa; lentamente, Kate scostò la porta, e la luce del sole calante del pomeriggio la investì, facendole immediatamente alzare una mano per coprirsi gli occhi. Non sapeva cosa fosse più rassicurante e cosa fosse più inquietante, cosa fosse benefico e cosa le recasse del male: la luce o l’oscurità.
Kate chiuse la porta di casa debolmente, quasi riluttante a lasciare quel luogo sicuro, nonostante avesse appena pensato il contrario; il fatto era che, diversamente dal resto della città, Kate sapeva che a casa sua era ben protetta, o almeno poteva nascondersi senza timore, ma ormai non era più così… Dopo aver visto quelle pagine intatte dopo averle strappate con le proprie mani, dopo aver visto la statuetta di suo nonno intatta dopo averla vista cadere a terra e rompersi in mille pezzi, dopo essersi tagliata con un coltello da cucina e aver visto la sua mano tornare illesa come se niente fosse, allora Kate aveva capito che nemmeno a casa sua si poteva considerare sola… In quanto alla sicurezza, doveva ancora capire se tutto quello che le stava succedeno era un bene o un male

Uscì quindi di casa e si avviò lungo il giardino, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada di fronte a sé. Non voleva guardarsi intorno e vedere qualcosa che l’avrebbe spaventata, non voleva fermarsi a parlare con la gente, non voleva fare niente, se non raggiungere la caffetteria alla quale si era data appuntamento con Jennifer il più presto possibile.
Per la strada si sentiva gli occhi di tutti addosso, ma non si fermava a chiedersi perché, non provava nemmeno a rivolgergli occhiate minacciose per farli andare via; il suo sguardo infossato era fisso di fronte a sé, in un cipiglio sull’orlo dell’ira. La ragazza non pensava a niente, ma nella sua testa si formavano automaticamente pensieri di odio su quelle persone che la guardavano e che parlavano di lei da lontano. Perché era così? Aveva qualcosa di strano? Il suo modo di avviarsi li spaventava, o forse era solo il suo sguardo? Oppure era qualcosa nel suo aspetto, qualcosa che non gli piaceva e che quindi consideravano anormale, diverso?
<< ANDATE AL DIAVOLO TUTTI QUANTI! >> Gridò fuori di sé voltandosi verso un gruppo di persone che aveva incrociato sul marciapiede, i quali sguardi si erano posati su di lei sconcertati. Come si era voltata verso di loro, si girò di nuovo tornando a camminare rapidamente verso la sua destinazione, senza curarsi delle loro reazioni. Qualunque fosse il motivo dello stupore dei passanti che la vedevano, a lei non interessava; voleva solo arrivare in fretta da Jennifer per poterle parlare e rilassarsi un po’.
Ma perché voleva parlarle? Le aveva chiesto di restare fuori da quella storia, ma ora era stata proprio lei a chiederle di aiutarla… Era stata la paura a prendere il sopravvento su di lei, o forse cominciava a delirare, come quando era stata male e aveva chiamato Jennifer parlando senza senso… Cominciava a chiedersi se fosse stata una buona idea chiamarla, se non avesse prima dovuto trovare una spiegazione logica a quello che le era successo, senza allarmare la sua amica per niente, magari
… Cominciava a pentirsi di quello che aveva fatto, e sul suo viso di dipingeva un'espressione sempre più triste.
Con questi pensieri e quel viso Kate raggiunse la caffetteria senza nemmeno accorgersene ed entrò con sguardo vuoto sfilando rapidamente tra i tavoli; avvistò Jennifer seduta allo stesso tavolo dell’altra volta e si avvicinò rapidamente ad esso.
Jennifer quando la vide le rivolse un sorriso amico, un sorriso rassicurante, ma subito dopo la sua espressione cambiò, sgomenta, come se avesse visto qualcosa di spaventoso. << Kate! >> Esclamò intimidita spalancando gli occhi. Kate non capì cosa volesse e la guardò con espressione di rimprovero. Jennifer rimase immobile a fissarla per alcuni secondi mentre la ragazza si sedeva.
Kate si sedette scivolando leggermente tra il tavolo e il sedile e abbassò lo sguardo sulla superficie di legno piena di venature scure; nonostante la situazione, si irritò nel vedere che proprio di fronte a lei c’era una macchia di caffè sul tavolo. Poi Kate alzò lo sguardo verso Jennifer, che continuava a guardarla con la bocca aperta.
<< Kate…? >> Chiese piegando un sopracciglio. Kate la guardò interrogativa, sospirando subito dopo. << Che ti è successo? >> Fu la sua domanda dopo che si fu ricomposta.
Kate non capì come potesse sapere che aveva avuto una brutta esperienza; era vero che l’aveva chiamata lei per parlarle e chiederle aiuto, ma Jennifer non poteva sapere che cosa le fosse successo, e allora perché le stava facendo quella domanda? Forse vedeva nei suoi occhi che c’era qualcosa che non andava, oppure la conosceva troppo bene per sapere che c’era un problema. Mentre Kate pensava a questo, la sua amica alzò lentamente un dito, puntandolo contro il suo petto; così, la domanda di Kate ebbe una risposta, molto diversa da quella che si aspettava la ragazzina.
Al centro della sua maglietta c’era una larga macchia di sangue, Kate se n’era dimenticata. Fino a quel momento aveva avuto la testa occupata dal pensiero della sua incredibile guarigione, e si era completamente dimenticata di tutto il sangue che aveva perso e che aveva lasciato in giro per casa… Poteva essere così sbadata?
<< Oh… >> Mormorò la ragazzina piegando la testa in basso e tendendo la maglietta con le dita per vedere meglio la macchia sul suo petto. << Me n’ero scordata… >> Lasciò andare la maglia e cercò di non concentrarsi troppo sulla macchia di caffè sul tavolo. << Non ti preoccupare: è sangue mio. >> Disse in tono rassicurante. Jennifer inarcò un sopracciglio guardando Kate sconvolta. Come faceva a dire quella cosa con quella calma in quella situazione?
<< Cosa? >> Scandì Jennifer quasi sussurrando e avvicinandosi a Kate, cercando di capire qualcosa di quello che stava succedendo. Anche Kate non capì la sua domanda, e allora si ricordò della situazione.
La ragazza sussultò e si guardò intorno. Tutti i dubbi, le sue paure, tornarono a galla. << Che cazzo sto dicendo…?! >> Esclamò trattenendosi e piegando in avanti la schiena. << E’ successo un casino, Jennifer. Un casino! >>
<< Cosa dici? >> Chiese Jennifer guardandola ancora confusa. Kate si guardò intorno.
<< Non lo so. >> Disse. << Non so se posso dirtelo o se posso farlo qui… >> Mormorò continuando a guardarsi intorno nervosa. << Meglio trovare un posto sicuro e parlare con calma. >> Concluse rapidamente alzandosi e allontanandosi dal tavolo. Jennifer la seguì con lo sguardo strabiliata e Kate si girò a fissarla. Fece un rapido movimento con la mano per farla venire e disse tra i denti:<< Muoviti! >>
Jennifer scosse la testa come per destarsi e si alzò in fretta, seguendo la richiesta dell’amica, che fu fuori non appena vide Jennifer alzarsi.
L’amica le corse dietro cercando di farle rallentare il passo, ma Kate continuava a camminare senza guardarsi intorno, fissando lo sguardo di fronte a sé. Si fermò dopo che Jennifer le ebbe tirato il braccio per la terza volta. Si voltò e scandì decisa:<< C’è un posto sicuro dove possiamo parlare? >>
Jennifer si fermò all’improvviso sussultando e riprendendo fiato e la guardò confusa. << In casa mia saremo al sicuro… >> Disse incerta; che cosa poteva dire? Non poteva saperlo perché non sapeva che cosa intendesse Kate per “sicuro”. Da cosa si dovevano nascondere?
<< Ne sei certa? >> Chiese Kate prendendola per le spalle. Jennifer rimase spiazzata da quella domanda; vide meglio il viso della sua amica: era sudata e spaventata, gli occhi spalancati e le mascelle serrate indicavano che era sul punto di perdere la ragione. Le stava succedendo qualcosa di strano, qualcosa mai successo prima, e Jennifer era l’unica persona a cui potesse chiedere un po’ di conforto.
La ragazza annuì decisa. << Sì. >> Disse guardandola dritta negli occhi. La prese per una mano, l’espressione di Kate cambiò in sorpresa quando lo fece. Jennifer cominciò a tirarla e le disse eccitata:<< Devo mostrarti una cosa! >> Sembrò essere cambiata completamente dopo quella risposta.
Kate non capì più niente; mentre la sua amica la tirava correndo lungo il marciapiede con fare gioioso, rivolgendole parole amichevoli e rassicuranti, lei cercava di farle domande, chiederle cosa stesse dicendo. Era già cambiato qualcosa in lei.
Fu con rapidità e senza troppi dubbi o timori che le due ragazze raggiunsero la casa di Jennifer, dove Kate era già stata tante volte. Entrarono rapidamente, Jennifer diede una voce per informare chi era dentro che era tornata e subito dopo arrivò la signora Kutner ad accoglierla; la donna assunse un sorriso gentile quando vide anche Kate assieme a sua figlia. Jennifer evitò con destrezza i convenevoli di sua madre e trascinò Kate al piano di sopra, in camera sua.
Kate stava ancora riprendendo fiato dalla corsa mentre Jennifer chiudeva la porta dietro di loro. Poi raggiunse un armadio sulla destra e cominciò a rovistarci dentro, alla ricerca di qualcosa.
La camera di Jennifer non era piccola; al centro vi stava un letto alto e accanto ad esso c’era un comodino di legno con sopra una abat jour e una foto del padre della ragazza. A terra c’era il parquet scuro, molto simile a quello della camera di Kate. Di fronte al letto, al muro opposto, spostata poco più a destra, c’era un mobiletto con sopra un piccolo televisore e collegata ad esso c’era una console per videogiochi con la quale le due ragazze si divertivano ogni tanto, e sopra quel televisore c’erano alcune mensole sulla quale vi erano disposti diversi giornalini e libri in ordine dal meno al più recente. L’armadio in cui Jennifer stava rovistando in quel momento era accanto a quel mobile, dal lato della porta. A destra, in fondo alla stanza, c’era una finestra che dava la vista su un giardino molto carino da vedere; sotto la finestra c’era una scrivania dove Jennifer studiava, e lì all’angolo della scrivania c’era un computer portatile chiuso.
Kate alzò lo sguardo verso Jennifer girata di spalle e le chiese:<< Che diavolo stai facendo? >> Ancora con il fiatone. Non riuscì a sembrare adirata.
Jennifer si voltò tenendo tra le mani un abito leggero celeste con alla vita una fascia bianca legata da un fiocco dello stesso colore. Kate non capì. << Guarda! >> Disse eccitata la sua amica mostrandoglielo da più vicino. Kate continuava a fissarla con un sopracciglio inarcato, incapace di capire il senso di tutto quello. Jennifer continuò a parlare poggiandosi il vestito sul busto e cercando di vedere come le stava. << Mia madre mi ha portato a fare compere l’altro giorno, e mi ha regalato questa meraviglia! >> Era contenta come un bambino di fronte a un nuovo giocattolo…
Jennifer sorrise voltandosi verso lo specchio e assunse un tono dolce. << Pensavo che dopo tutto quello che ci è successo, dovremmo pensare ad altro e dimenticarci dei problemi… >>
Dimenticarci dei problemi. Kate aveva finalmente capito dove volesse arrivare l’amica; stava cercando di aiutarla a non pensare ai problemi, la stava aiutando. Proprio quello che cercava lei! Kate aveva chiamato Jennifer perché spaventata, non sapeva bene cosa volesse fare una volta incontrata la ragazza, ma non appena la sua amica l’aveva vista, aveva capito subito cosa fare, e aveva preso la situazione in pugno senza far preoccupare la sua amica.
Kate sorrise dolcemente avvicinandosi a Jennifer. << Hai proprio ragione… >> Disse tenendole su l’abito sulle spalle e sorridendole in riflesso nello specchio. << Ti sta benissimo. >>
Jennifer si voltò felice e abbracciò Kate, sapendo di averla rincuorata un po’ comportandosi come sempre, come se tutto quello che le aveva tormentate non fosse mai accaduto; in fondo era questo il compito di un’amica: bisognava supportarsi a vicenda, esserci nei momenti più bui.

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Capitolo 18
*** Pericolo ***


Kate e Jennifer passarono il pomeriggio insieme, chiuse in camera di Jennifer a chiacchierare, a giocare ai videogiochi e sgraffignando qualcosa dalla cucina della madre di Jennifer. Si divertirono come facevano sempre, giocando e scherzando senza preoccuparsi di quello che stava fuori e pensando solo all’istante. Kate era grata a Jennifer per quello, per averla trattata come l’aveva sempre trattata, non come una persona a cui si deve compassione, ma come un’amica.
Kate stava facendo il solletico a Jennifer. Erano sul letto della ragazza e si contorcevano convulsamente, una cercando di tenere ferma l’amica, e l’altra cercando di sfuggire alla sua presa. Ridevano a crepapelle e a volte il respiro gli veniva meno per le troppe risate. Tutte e due le ragazze erano rosse in faccia per lo sforzo.
<< Basta…! >> Esalò appena Jennifer tra le risate scuotendo la testa e sbattendola sul suo letto. << Basta ti prego! >>
La sua voce era sforzata e acuta, a Kate faceva ridere troppo quando la sua amica era in quello stato; dopo un ultimo attacco alla pancia di Jennifer decise di lasciarla andare, facendola respirare un po’. Anche Kate era esausta, nonostante fosse stata lei a fare il solletico a Jennifer e non il contrario. Rimasero alcuni istanti ad ansimare sonoramente immobili sul letto, a lanciarsi sorrisetti di sfida e occhiate divertite.
Come avevano cominciato a farsi il solletico? Kate se n’era quasi dimenticata… Stavano parlando di un argomento un po’ imbarazzante per Kate, e dato che Jennifer non la smetteva di parlare sempre di più, la ragazzina aveva cominciato a farle il solletico per farla calmare e al contempo cambiare l’argomento. Parlavano di ragazzi, quelli che secondo loro erano i più carini della loro classe, anche se antipatici…
<< Spero che tu abbia imparato la lezione! >> Disse Kate puntandole contro un dito. << Pensa se fosse entrata tua madre mentre parlavamo, o tuo fratello! >> Scherzò lanciandole addosso un cuscino.
Jennifer si parò dal lancio e si tirò su ancora stravolta. << Già, perché nessuno può sapere di quello che prova Kate la suprema! >> Kate si girò dall’altro lato chiudendo gli occhi e alzando il mento mostrandosi indignata. Jennifer si avvicinò strisciando sul materasso e di conseguenza facendo ondeggiare l’amica accanto a lei. << Domani ci sarai a scuola? >> Chiese con voce più calma accostandosi accanto a lei.
Kate girò leggermente e guardò l’amica con occhi stupiti. << Non lo so… >> Disse Kate. Non le importava molto della scuola, sinceramente, ma sapeva di essersi permessa troppe volte il lusso di mancare in quella settimana. Si sarebbe dovuta scusare con il professore, avrebbe dovuto giustificare tutte quelle sue assenze, ma Kate aveva paura di avere un’altra ricaduta se fosse uscita di casa. Aveva paura di vedere di nuovo il completo da uomo. Si voltò sorpresa. << Ma perché, tu sei andata a scuola dopo quello che ci è successo? >>
Jennifer sembrò sentirsi in colpa per quello; abbassò lo sguardo un po’ imbarazzata e mormorò:<< Oggi sì… >>
Kate era sconvolta. C’era mancato poco perché Jennifer non venisse violentata da tre giganti, e due giorni dopo di quell’accaduto lei era tornata a scuola come se niente fosse. Anche Kate era lì quella sera, e lei ne era uscita illesa, mentre Jennifer era stata ferita e spaventata a morte; la sua amica avrebbe avuto molte più ragioni di lei per restare a casa. << Sei troppo dedita alla scuola, tu… >> La prese in giro sorridendo confusa. Jennifer rise al suo commento e si dondolò sul materasso tenendo le gambe incrociate. Era vero. Jennifer non aveva mai avuto problemi a scuola, si era sempre impegnata abbastanza da ricevere sempre buoni voti, e a Kate stupiva il fatto che lei continuasse a frequentarla, nonostante il suo disinteresse per lo studio e il suo carattere chiuso e diffidente. Doveva essere troppo buona per ignorarla volontariamente; Jennifer era davvero una buona amica.
<< Diciamo che l’ho fatto anche per giustificare le tue ultime assenze… >> Disse Jennifer con un sorrisetto. Proprio come diceva Kate: Jennifer era un’ottima amica.
<< Sei anche coraggiosa… >> Mormorò Kate abbattendosi. << Più di me, di sicuro… >>
Jennifer la guardò interrogativa e si avvicinò di nuovo a lei. << Che dici? >>
Kate non sapeva cosa volesse dire e cosa volesse tenere nascosto alla sua amica. Sapeva che non poteva parlarle dei suo timori, era stata portata lì proprio per dimenticarsi di quei problemi, però non poteva nascondere di ammirare la sua amica per il suo coraggio e la sua forza. Sospirò. << I miei genitori mi hanno lasciata sola a casa. >> Disse abbattuta. Quello glielo poteva dire.
<< Cosa? >> Chiese stupita Jennifer posandole una mano sul braccio e cercando di intercettare il suo sguardo, ma Kate sfuggì a quello.
<< Per lavoro. Me lo hanno detto ieri sera, sono partiti questa mattina stessa. Sono degli stronzi che non sanno affrontare i problemi! >> Si sfogò la ragazza alzando lo sguardo scuotendo la testa rapidamente.
<< Kate! >> La ammonì Jennifer aggrottando le sopracciglia. Non le piaceva sentire la gente parlare male dei propri genitori. Kate si voltò ricordandosi di stare parlando con Jennifer: lei aveva perso suo padre, e le dava molto fastidio chi non apprezzava i propri genitori.
<< Scusa… >> Mormorò costernata. << Lo so che ti dà fastidio, ma… E’ la verità. >> Disse a voce bassa Kate. << Sono dei vigliacchi, i miei genitori… >> Jennifer la guardò sbuffando, spostando così un ciuffo di capelli che le andava davanti al viso.
<< E tu che gli hai detto? >> Chiese ignorando quello che aveva detto precedentemente l’amica. Kate sospirò.
<< Mi sono arrabbiata. >> Rispose con tono ovvio Kate, ma poi ci ripensò. << Però non gli ho detto niente, perché non avevo altro da dire… Me ne sono andata in camera mia senza dire niente. >> Jennifer sospirò esasperata.
<< Non gli hai detto nulla, quindi… >> Disse sbattendosi la mano sul viso. Kate alzò un dito e la interruppe.
<< Ho detto tutto quello che avevo da dir loro, solo che quella notizia mi ha spiazzata… >> Disse con voce incerta verso la fine.
<< E cosa gli hai detto? >> Chiese Jennifer girando la testa verso di lei.
Kate ripensò a quando si era infuriata con i suoi genitori, la sera prima, e gli aveva spiattellato tutto quello che pensava di loro, la paura che aveva provato negli ultimi giorni e il fatto che non ci fossero mai. << Gli ho detto che non sono dei buoni genitori. >> Disse con calma. Jennifer sembrò scioccata da quello che la sua amica aveva appena detto.
<< Kate! >> Disse portandosi le mani alla bocca e spalancando gli occhi. << Sei impazzita!? >> Le chiese incredula.
<< E’ la verità Jennifer! >> Ribatté Kate proteggendo la sua idea. << Non ci sono mai stati per me, e continueranno a non esserci nonostante tutto questo casino! >> Diede un pugno sul materasso facendo girare lo sguardo lungo la parete della camera. Sospirò. << A volte vorrei avere una madre come la tua… >> Forse aveva sbagliato totalmente a dire quello, ma era la verità, e Kate voleva essere sincera con Jennifer, voleva dirle ciò che pensava, e pensava che la signora Kutner fosse un’ottima madre, affettuosa e sempre attenta, una madre che ascoltava. Jennifer si era avvicinata a lei intanto. << Tua madre è dolce, è buona… Si fa in quattro per far stare bene te e tuo fratello e nonostante tutto ha sempre la forza di sorridere, di prestare attenzione a ciò che le dite, e voi le date tante soddisfazioni… >>
<< Kate… >> Mormorò Jennifer alzando una mano e posandola sulla sua spalla.
Kate si sottrasse ala mano dell’amica e continuò:<< So che non si possono cambiare i genitori, ma vorrei tanto una madre apprensiva come la tua… >>
Jennifer la guardava triste, ma la lasciò continuare, sapendo che Kate sarebbe stata meglio così.
Kate si era estraniata dal mondo, parlava a voce bassa con tono debole, sconsolato, e il suo sguardo si era fissato su un angolo della stanza. << E come padre… >>
La porta della camera da letto si aprì spinta da una piccola figura con grandi occhi castani e capelli chiari spettinati.
Jennifer alzò lo sguardo sorpresa mentre Kate si zittiva all’istante rivolgendo gli occhi stanchi verso il fratellino della sua amica. << Jamie! >> Sbottò Jennifer alzandosi dal letto. << Che ci fai qui? >>
Jamie la guardò con occhi scontrosi e le disse con voce offesa:<< Mi avevi promesso che mi aiutavi a fare i compiti oggi! >>
Jennifer sembrò cadere dalle nuvole e si sbatté una mano sulla tempia. << E’ vero… >> Mormorò con tono assente fissando il muro. Si voltò verso Kate sorridendo un po’ incerta. << Me n’ero totalmente dimenticata… >> Kate sorrise in risposta alla sua amica; Jennifer era sempre stata un po’ sbadata.
Jamie era un bimbo di sette anni non molto alto e molto grazioso; i suoi grandi occhi innocenti erano come uno specchio per Kate, ogni volta che lo guardava si sentiva incapace di provare rabbia. Aveva anche un bel caratterino con la quale faceva testa a quello della sorella e Kate si era sempre chiesta da chi ne prendessero nella loro famiglia. Jamie era in seconda elementare, non era stato a scuola per molto tempo, ma sembrava piacergli, sicuramente aveva più entusiasmo di Kate alla sua età. Jennifer e lui si stuzzicavano spesso, la sorellona lo chiamava in tutti i modi più ridicoli che potesse ideare e parecchie volte sembravano litigare come cani e gatti, ma Kate sapeva bene quanto si volessero bene i due fratellini, come vivessero l'uno per l'altra

<< Ti ho aspettata tutto il pomeriggio e tu in realtà te n’eri dimenticata! >> Aggiunse Jamie incrociando le braccia offeso. Jennifer si avvicinò chiedendogli scusa.
<< Scusami piccolo mostriciattolo! >> Gli disse in tono dolce. << Adesso vengo da te, solo… >> Girò la testa guardando Kate incerta.
Kate adocchiò un orologio appeso al muro poco distante dal letto e vide l’ora: erano quasi le otto e mezza. Si alzò dal letto e disse a Jennifer di non preoccuparsi. << Sarà meglio che vada. >> Aggiunse con un sorriso rassicurante.
<< Sei sicura? >> Chiese l’amica guardandola con un sopracciglio inarcato.
Kate annuì. << Preferirei tornare presto prima che per strada resti solo io… >> Aggiunse cominciando a camminare verso la porta. Quando raggiunse Jamie, vide che il fratellino di Jennifer la stava fissando con occhi sgranati. Kate lo guardò confusa, cercando di capire cosa avesse.
<< Che ti sei fatta? >> Chiese continuando a guardare la macchia di sangue sulla sua maglietta bianca. Kate se n’era dimenticata un’altra volta. Sospirò sconfortata, pensando di non essere meno sbadata di Jennifer e cercò di trovare una scusa.
<< E’ che mi sono sporcata a pranzo con del pomodoro… >> Disse pensando che il bambino ci sarebbe cascato.
<< A me non sembra pomodoro. >> Disse onestamente il fratellino di Jennifer inarcando un sopracciglio e guardando con sospetto quella macchia rossa sulla maglietta di Kate. Kate avrebbe dovuto prevederlo, sapeva quanto fosse perspicace quel bambino. Gli scompigliò i capelli affettuosamente e gli sorrise.
<< Sei un bimbo intelligente, Jamie. >> Disse prima di raddrizzare la schiena. Jennifer sorrideva un po’ incerta dietro di lei, tenendo le mani ai fianchi.
<< Non eri quella che preferiva stare da sola per strada? >> Chiese sapendo già la risposta di Kate.
La ragazza raggiunse la porta e si voltò appoggiandosi al bordo di quella. << Credo di aver cambiato opinione sulle strade buie e vuote. >> E detto questo sorrise scherzosamente, senza dare peso a ciò che aveva detto. Anche Jennifer sorrise, capendo che nonostante tutto, sia lei che Kate erano uscite dalla loro brutta esperienza piuttosto bene.
Kate si congedò da Jennifer e la sua famiglia e si lasciò la loro casa alle spalle, avviandosi verso casa sua. Aveva fatto buio, i lampioni in fila sui marciapiedi erano tutti accesi e brillavano di una luce arancione che a Kate piaceva tanto… Passavano poche macchine per strada, ancora meno gente passeggiava sul suo stesso marciapiede; la situazione cambiò quando Kate ebbe raggiunto il centro della città, e si ritrovò in mezzo a decine di persone che passeggiavano chiacchierando spensieratamente e ignorandola. Lei sfilava in mezzo a loro senza nemmeno guardarli.
Una volta uscita dal centro Kate vide la gente cominciare a diminuire di nuovo, ma più lentamente, le strade erano più trafficate in quella zona della città, la gente usciva dalle case per andare in giro, oppure si ritirava dopo una passeggiata, con l’intento di cenare a casa. A Kate piaceva vedere quella gente che si muoveva avanti e indietro, entrava nei palazzi e nei locali, la gente che attraversava la strada e le macchine che scorrevano rapide nelle strade larghe e illuminate. Non le piaceva tanto passarci in mezzo, forse, ma quella sera si sentiva diversa; un po’ con la testa tra le nuvole…
Mentre tutti si fermarono di fronte al semaforo rosso, Kate continuò a camminare per raggiungere l’altro lato della strada. Era soprappensiero, non vide la luce rossa scattare, e non sentì nemmeno le voci che la chiamavano dietro di lei dicendole di fermarsi. L’unica cosa che la destò da quella sua confusione fu il clacson potente e improvviso di un camion in strada che sfrecciava verso di lei.
Kate girò lo sguardo e spalancò la bocca spaventata non appena vide il camion dirigersi verso di lei, poi si voltò e si accucciò a terra con le mani sulla testa gridando e chiudendo gli occhi. Un gesto scontato, ma anche inutile; nonostante il camion stesse frenando non sarebbe riuscito a fermarsi in tempo. Fu allora che Kate udì un rumore assordante dietro di sé.
Stava ancora aspettando l’arrivo del camion, ma un improvviso e innaturale silenzio le fece credere che fosse successo qualcosa. La ragazzina decise di aprire gli occhi e di alzare lo sguardo per capire cosa fosse accaduto, e scoprì che il camion che la stava per investire era stato tranciato a metà, la parte superiore era volata sopra la sua testa e aveva slittato per parecchi metri più in là, mentre la base, che comprendeva parte della carrozzeria e del rimorchio e tutte le ruote, si era come inchiodata lì a pochi metri da Kate, che accucciata a terra e spaventata guardava incredula quella scena.
Che è successo? Si chiese con una semplicità che suonò strana in quella situazione. Sentiva il cuore battere lentamente, ma ogni battito era ben marcato e scuoteva il suo corpo ogni volta. Sentì voci attorno a sé, lontane e sommesse, ma ogni altro suono era cessato di colpo.
La ragazza non si mosse di un centimetro finché non fu arrivato un vigile allarmato a controllare cosa fosse successo; si abbassò su di lei e le offrì una mano per farla alzare. << Sta bene, signorina? >> Le chiese con voce preoccupata mentre Kate rimaneva a fissare i resti del camion immobili di fronte a loro. Il vigile era giovane, sembrava essere alle prime armi, non sapeva molto come comportarsi in quella situazione, ma probabilmente nessuno lo avrebbe saputo…
Kate fissò con occhi atterriti ciò che restava del camion e fece qualche passo avvicinandosi. << Che cosa è successo? >> Chiese terrorizzata con voce spezzata. Alzò lo sguardo verso il posto del conducente, ma non vide niente lì; decise di avvicinarsi per accertarsi delle condizioni di chi stesse guidando quel camion, ma quando ebbe raggiunto lo sportello sentì come una spinta che la allontanava da lì; sapeva che c’era qualcosa che non avrebbe voluto vedere.
Trattenendo il respiro e ignorando i richiami del vigile sconcertato quanto lei, Kate aprì con timore lo sportello. Dentro a ciò che restava dell’abitacolo c’era il corpo morto del conducente: un uomo sui cinquant’anni stempiato e muscoloso, i vestiti imbrattati di sangue e una grossa ferita sulla tempia sinistra, messa in bella vista, da cui scendeva copioso del sangue; altre due larghe ferite, simili a quella sulla testa, si trovavano sul collo e sulla spalla dell’uomo, e tutte quante erano lunghe e profonde, dirette verso la schiena del morto. Gli occhi dell’uomo, nonostante fossero vuoti e privi di espressione, erano puntati su Kate. Dall'abitacolo proveniva un forte e pungente odore di sangue.
La ragazzina sentì un urlo salirle dai polmoni e indietreggiò coprendosi la bocca, mentre gli occhi cercavano di guardare da un’altra parte. << Mio Dio… >> Mormorò terrorizzata. Scosse la testa incredula, cominciò a respirare affannosamente e a scuotere la testa; non voleva credere a ciò che era successo. << No… >> Disse indietreggiando ancora mentre il vigile cercava di avvicinarsi a lei. Quello le prese una mano cercando di calmarla, ma lei si liberò e disse di nuovo:<< No! >>
Kate fece due passi indietro continuando a guardare verso il corpo, poi si voltò e scappò, desiderando di arrivare a casa più in fretta possibile.
Le aggressioni sventate, le ferite che si rimarginavano e adesso quell’incidente alla quale era miracolosamente scampata non erano dei casi! Kate aveva dimenticato le sue paure per qualche ora quando era con Jennifer, ma adesso tornava tutto a galla; era una preda così ambita che il suo cacciatore non voleva che le accadesse nulla. E che cosa le sarebbe successo una volta fattosi vivo il cacciatore? Cosa avrebbe visto peggio di quello? Nella sua testa continuavano a comparire gli occhi del conducente morto su quel sedile macchiato di sangue che fissavano lei, la incolpavano per averlo ucciso. Era stata colpa sua in fondo; se non fosse stata talmente stupida da continuare a camminare non sarebbe successo niente, mentre adesso correva in mezzo alla gente spingendo via quelli che non riusciva ad aggirare; non voleva guardare negli occhi nessuno, voleva nascondersi, voleva isolarsi dal mondo intero, lasciando indietro tutti i problemi e i timori che la perseguitavano.
Prima che potesse rendersene conto, Kate si ritrovò nella strada di casa sua; quella strada con ai lati quelle villette tutte uguali all’esterno e i loro giardini ben curati. Tutto quello avrebbe dovuto rincuorarla un po’, farla sentire a casa, ma l’oscurità e ciò che era appena successo, la paura di avere ancora qualcuno alle spalle la facevano continuare a correre a testa bassa, desiderosa di nascondersi nella sua paura.
Non vedeva dove andava, nonostante sapesse dove andare, ma all’improvviso Kate diede una testata a qualcosa che la spinse indietro. Oltre a un suo gemito irritato la ragazza sentì anche un’esclamazione di sorpresa e dolore. Non le importava chi avesse colpito, Kate si alzò in fretta e si rimise a correre, ma una mano la afferrò dal polso e lei cercò di dimenarsi.
<< Ehi Kate, ferma! Dove vai? >> Era la voce di Tucker. Che diavolo ci faceva Tucker lì fuori a quell’ora? Kate non voleva parlare con nessuno, nemmeno con Tucker, quindi continuò a dimenarsi sperando di riuscire a liberarsi, ma la stretta del vicino era salda.
L’uomo riuscì a bloccarla tenendola dalle spalle e la fece fermare; la guardò dritto negli occhi e le chiese se ci fosse qualche problema. Lei scosse la testa rapidamente e cercò di dimenarsi di nuovo, ma senza risultato; lui continuava a tenerla ferma. << Mi lasci! >> Esclamò Kate furiosa oltre che spaventata. Tucker non capiva cosa le avesse preso.
<< Kate! >> La chiamò con più forza, attirando la sua attenzione. La ragazza si fermò e lo fissò con occhi lucidi. << C’è qualcosa che non va? >> Chiese sperando che questa volta lei lo ascoltasse.
Kate singhiozzò tristemente e abbassò lo sguardo. << Ho paura… >> Mormorò cominciando a piangere. << Non voglio… Non voglio tutto questo… >> Si mise la testa fra le mani e la scosse debolmente.
<< Cosa? Tutto questo cosa? >> Chiese Tucker ansioso di conoscere il problema. Ma Kate questa volta tacque. Si limitò a scuotere la testa piano pregandolo di lasciarla andare. A quel punto Tucker non poté più sopportare di vederla in quel modo e la lasciò andare; le chiese se avesse bisogno di qualcosa, ma Kate lo ignorò e si avviò a passi lenti e pesanti verso casa sua, con sguardo assente.
Kate raggiunse il suo giardino e lo attraversò in pochi secondi senza distogliere lo sguardo dalla porta di casa sua; pochi passi e sarebbe stata al sicuro a casa, protetta dalle mura di quel luogo, o almeno così sperava… Non diede nemmeno uno sguardo al signor Tucker immobile sul marciapiede che la guardava preoccupato; questa volta voleva stare completamente da sola, e nessuno avrebbe potuto confortarla dopo quello che era successo, che aveva visto…
Chiuse la porta dietro di sé e rimase appoggiata ad essa per qualche minuto, nascondendosi nell’oscurità della casa. Kate si nascose il viso tra le mani e lottò per non piangere. Quando finalmente la sua mente si fu rimessa in sesto e la ragazza fu riuscita a calmarsi, Kate riuscì finalmente a pensare.
<< Ho ucciso quell’uomo. >> Furono le parole che uscirono dalla sua bocca senza esitare dopo aver staccato le mani dal viso. Kate sapeva che era così; anche se involontariamente o indirettamente, lei aveva causato la morte dell’autista di quel camion. Questo perché non era stata attenta e quindi aveva attraversato la strada con il semaforo rosso e il camion le era venuto addosso mettendola in pericolo e di conseguenza quella cosa che la seguiva aveva fermato e distrutto il camion per evitare che la ferisse. Era colpa sua, e non riusciva a trovare nessun altro punto di vista.
Lentamente si portò di nuovo le mani al viso e si coprì gli occhi; si sentiva tremendamente a suo agio in quell’oscurità, perché sapeva che nessuno poteva vedere la sua vergogna, nemmeno lei. Si accasciò a un angolo e si mise a piangere in silenzio, pregando che quello fosse solo un brutto sogno.
Ma era la realtà.

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Capitolo 19
*** Slender ***


Kate non sapeva come, ma riuscì a trovare la forza di salire le scale e nascondersi in camera sua. Dopo essersi spogliata e messa la solita lunga maglietta, si mise sul letto e si nascose sotto le coperte, cercando di non muoversi più, nel tentativo di scomparire. Aveva paura. Una paura così grande da farla tremare in ogni istante e tale da impedirle di prendere sonno e abbandonare così quel mondo che la stava tanto terrorizzando. I raggi della Luna filtravano tra le serrande alla finestra e illuminavano il parquet liscio che risplendeva sotto di essi. Sentiva dei rumori provenire da fuori dalla sua camera, oltre i vetri della finestra; c’era il vento che soffiava e smuoveva ogni cosa incontrasse nel suo cammino, qualcosa picchiettava sui vetri della finestra; aveva paura, e sapeva che era autorizzata a quello.
Sentiva come dei fruscii in camera sua, qualcosa sembrava solleticarle i piedi… Stringeva le palpebre, pregando che in quel modo potesse riuscire a tenere lontano qualunque pericolo ci fosse in agguato, ma allo stesso tempo la curiosità la consumava e il desiderio di sapere che in camera sua non ci fosse niente di brutto la stava facendo impazzire. Come poteva assicurarsi di essere davvero da sola, se non guardava intorno a sé? Ma Kate aveva paura, non voleva vedere quello che si nascondeva nell’oscurità della sua camera; questo significava che pensava ci fosse qualcosa lì dentro; no, era solo una misura precauzionale, in realtà Kate sapeva benissimo di essere al sicuro. E allora perché aveva paura di aprire gli occhi?
Non ho paura, è solo… Kate non riuscì a dare una buona motivazione a quel suo comportamento. Ho paura… Concluse rilassando i muscoli contratti che la facevano sentire tutta tesa e abbattendosi per la sua debolezza. Era ridicola, non sapeva nemmeno controllare le sue emozioni. Ma voleva dimostrare a sé stessa che si sbagliava, che non aveva paura, che se lei diceva di essere da sola lì, allora era da sola per davvero!
Così Kate aprì gli occhi di colpo. Ma la sua testa si era ritirata sotto le coperte nel frattempo; non si era nemmeno accorta di averlo fatto… Aveva proprio paura di quello che avrebbe potuto trovare lì davanti a sé… Ma non avrebbe rinunciato. Ormai sarebbe andata fino in fondo.
Lentamente Kate alzò le mani e afferrò il bordo della coperta, fermamente, in modo da essere sicura di non sbagliare; la ragazza si preparò ad abbassarla per uscire allo scoperto. Perché doveva lasciare quel suo nascondiglio così caldo e protetto? Perché doveva uscire da lì e magari farsi spaventare a morte da un’ombra quando era sicura di essere da sola in quella camera da letto?
Perché era testarda! Era una stupida testarda che non voleva sentire ragioni, e quando si metteva in testa una cosa doveva portarla a termine, perché era testarda, e nessuno lo sapeva meglio di lei!
Kate trattenne il respiro e strinse con più forza le coperte, affondando le unghie in esse; stava tremando. Era davvero così spaventata per un po’ di vento? Si rese di conto di non aver cenato; forse il suo corpo si era indebolito a causa di quello e ora si stava ribellando. O forse era solo paura. Ma lei non aveva paura, non c’era niente di cui avere paura lì!
Senza indugiare oltre, Kate tirò via le coperte dal viso e spalancò gli occhi per esaminare la sua stanza. Se ci fosse riuscita… Era così buio che a parte le strisce orizzontali di luce lunare che filtravano dalle serrande, Kate era impossibilitata a vedere altro. Strizzò le palpebre per vedere meglio, ma servì a poco: c’era la sua scrivania con sopra il suo computer e poi la statuetta di suo nonno, al suo solito posto su quel mobile da cui era caduta tempo addietro; e poi a sinistra c’era l’armadio, e Kate non notò niente di strano in esso, come anche alla porta, i comodini e la finestra… Però, a guardare meglio, vicino alla finestra c’era qualcosa, nell’angolo. Un’ombra nera e alta, immobile, che se ne stava lì a fissarla. Kate non volle credere a ciò che stava vedendo, e in quel momento le tornarono in mente le parole di quel ragazzo: "Lui è un uomo alto e magro
… Non ha gli occhi, bocca e naso, ma ha grandi, grandi mani…" Quella cantilena assillante le tornò in testa in quel momento, non appena vide un uomo alto e magro, vestito con un completo nero e con al collo una cravatta nera, mentre la sua pelle era bianca e il suo viso era vuoto. Le braccia scendevano fino a terra, la schiena era piegata per poter stare nella stanza di Kate. Il viso era puntato su di lei.
Ci vollero alcuni secondi perché la mente di Kate elaborasse una reazione; secondi in cui Kate rimase a fissare quell’essere gobbuto nell’angolo della sua stanza, che, nonostante la totale mancanza di tratti somatici, sembrava fissarla con insistenza a sua volta.
<< AAAH!!! >> Fu l’urlo veloce e acuto di Kate, che sembrò comunque molto meno spaventata di quanto fosse in realtà; il suo urlo sembrò una reazione di sorpresa, più che di terrore. Contemporaneamente, la ragazza si spinse indietro, forse cercando di allontanarsi, credendo che quell’essere alto e magro lì davanti a lei stesse per attaccarla, e cadde dal letto, sbattendo con la testa al pavimento. Si lamentò strofinandosi con forza una mano sulla testa e si girò con la faccia rivolta verso terra, chiudendo gli occhi e piangendo disperata.
Ecco. Era vero. L’essere che aveva visto per tutti quei giorni era arrivato, e l’avrebbe uccisa, proprio come aveva ucciso gli amici di Alex; o forse l’avrebbe ridotta nello stesso stato del ragazzo, sarebbe impazzita? Come si chiamava quella creatura, comunque? Slender Man. Un nome terrificante, orribile, descriveva pienamente il mostro. Piangendo Kate si mise a pregare. Non era molto religiosa, ma in quel momento sentì come se fosse l’unica cosa che potesse fare, l’unica cosa che potesse darle un minimo di conforto e un barlume di speranza.
<< Ti prego… Ti prego Dio, sono una ragazza cattiva, è vero, non rispetto mai i miei genitori e tratto male tutti quanti… Mi merito questa punizione, ma ti prego, non voglio morire, non voglio perdere la ragione, mi comporterò bene, farò tutto quello che mi diranno mamma e papà, verrò in chiesa anche tutti i giorni se necessario! Ti prego, ti prego, ti prego… >> Non sapeva cosa dire per farsi risparmiare; la paura l’aveva sopraffatta, ormai delirava… Sentiva i passi di quell’essere farsi sempre più vicini, la sua testa pulsava fortemente e ogni singolo respiro era un’impresa immane. Kate era abbastanza sicura di sentirsi come avvolta dalle fiamme, stretta in una morsa la cui forza aumentava sempre di più. Voleva andare via da lì, voleva uscire all’aperto e respirare aria fresca, voleva correre via dal mostro, voleva abbracciare sua madre e chiederle scusa per tutto quello che aveva detto e fatto.
Ogni secondo ancora in vita era una tortura per Kate; sapeva che non sarebbe uscita viva da lì, o tuttavia non sarebbe più stata la stessa, ma ormai sperava solo che passasse tutto in fretta, non voleva più sentire quel peso su di sé, voleva che quel mostro facesse ciò che voleva e che poi la abbandonasse. Ma l’essere indugiava; probabilmente ci provava molto piacere nel vederla soffrire in quel modo, le sue lacrime erano ciò che bramava di più, dopo il suo sangue, naturalmente, e le sue grida di dolore sarebbero state una melodia inebriante per le sue orecchie. Ma non aveva orecchie… Ma le sembrava il momento di porsi questo tipo di dubbi? Stava per morire e si chiedeva se quella cosa avesse le orecchie! Sicuramente non aveva un cuore, ma possedeva una mente diabolica e perversa, capace di estrarre l’orrore più grande da ogni più piccolo corpo…
Kate sentiva ancora la presenza dell’essere dietro di sé, ma era passato troppo tempo, la paura si era – anche se di poco, pochissimo – affievolita, e una certa curiosità era nata in Kate, che aveva cominciato a chiedersi se non avesse sognato quella figura. No, lui era ancora lì, e stava aspettando una mossa falsa della ragazzina per ucciderla nel modo più atroce che lei potesse immaginare; forse l’avrebbe uccisa nel modo che temeva di più Kate, la morte peggiore che potesse mai avere, ma qual era? Kate non si era mai posta il quesito “come non vorresti mai morire?” Non aveva mai pensato che si sarebbe ritrovata faccia a faccia con la morte così presto… Comunque probabilmente non sarebbe riuscita a sopportare una morte per soffocamento
… La mancanza di aria, il bisogno di respirare ma l'impossibilità nel farlo, la sensazione di impotenza che si doveva provare… Kate non voleva provare niente di simile… Uccisa accoltellata sarebbe stato doloroso, e forse anche lento, ma non avrebbe mai sperimentato il dolore che si provava nell'essere lì e non poter fare nulla… Se fosse stata fatta a pezzi, probabilmente sarebbe stato orribile da vedere, e incredibilmente doloroso, ma Kate sapeva che non sarebbe sopravvissuta alla fine di quel tipo di morte; se ne sarebbe andata prima… Quindi sarebbe stato più doloroso, ma meno intenso di un soffocamento. E poi si chiese se fosse morta sgozzata; anche quella doveva essere una tortura… Il dolore della ferita misto alla propria debolezza, l'incapacità di vivere di fronte alla sua stessa fine… C'erano così tante possibilità, e lei era così spaventata… Ma quel mostro non avrebbe potuto provarle tutte, e nemmeno conoscere la sua più grande paura, vero?
Tutto taceva, ma sapeva che era lì, stava aspettando il momento in cui si sarebbe girata per controllare che fosse ancora lì e allora l’avrebbe uccisa, ma la curiosità la stava consumando lentamente, si sentiva spaventata, ogni parte del suo corpo tremava dal terrore, sentiva le braccia e le gambe formicolare, e un’aria gelida proveniente da chissà dove che si insinuava fin dentro le sue ossa la stava davvero irritando, oltre a farla gelare.
Cosa doveva fare? Se avesse alzato la testa, se avesse osato muoversi, Slender Man l’avrebbe uccisa, ma se avesse aspettato quell’essere l’avrebbe assassinata lo stesso, dopo averle fatto perdere la ragione con tutta quell’attesa. E se avesse provato a scappare? Se fosse riuscita a chiudere la porta della camera da letto dietro di sé e se fosse stata in grado di scendere le scale abbastanza in fretta, girare la chiave per uscire di casa, correre in giardino e raggiungere la casa del suo vicino dove chiedere aiuto, forse sarebbe anche potuta riuscire a salvarsi… O forse non sarebbe nemmeno riuscita a stare in piedi dalla paura; Kate si era sempre reputata una ragazza difficile da spaventare, ma quando succedeva qualcosa che la terrorizzava per davvero, quando si trovava in una situazione critica, non pensava più a niente, non riusciva a coordinare nessun movimento e finiva per restare immobile a fissare il pericolo che si avvicinava sempre di più. E' difficile affrontare le vere emergenze, vero? Fece una vocina sarcastica nella sua testa. Sapeva di essere incapace di uscire da una situazione come quella, sapeva anche di essere condannata a morire là dentro. Cosa doveva fare? Cosa doveva fare?
Il cuore batteva all’impazzata, Kate era schiacciata con il viso a terra, nel tentativo di nascondersi, ma non voleva nascondersi più; sentì come un impulso di alzarsi e urlare, fare qualcosa per l’ultima volta, prima dell’oblio, ma aveva paura. Non credeva di poter essere in grado di fare qualcosa, qualsiasi cosa, dopo quello che aveva visto.
Smettila di tremare, fifona! Si disse stringendo le palpebre. Senza preavviso aprì gli occhi e si voltò sulla schiena, pronta ad affrontare il mostro. Perché lo aveva fatto? Voleva dimostrare a sé stessa di non avere paura, ma lì non c’era nessun mostro a fissarla. Kate si guardò intorno confusa. Non capiva… Lo aveva visto nell’angolo, la stava fissando, aveva sentito la sua presenza dietro di lei… Oppure se l’era immaginato?
Non si sentiva ancora totalmente al sicuro; mise le mani sui bordi del letto e lentamente fece capolino con la testa per controllare che non ci fosse niente nemmeno nel resto della stanza. Quando però lo vide sempre in quell’angolo si spaventò e lanciò un altro urletto, nascondendosi di nuovo dietro al letto. << Ti prego non farmi del male… >> Mormorò tremando. Si rese conto di essere rimasta lì per molto più tempo di quanto si sarebbe aspettata, quindi, quando Kate fu riuscita a controllare il suo corpo e a farlo smettere di tremare, provò ad affacciarsi di nuovo dal bordo del letto.
Il mostro era ancora lì, ma era immobile; non si muoveva si un centimetro, e neanche sembrava interessato a farlo; il suo viso vuoto era puntato verso di lei, e sembrava guardarla con interesse. Kate si sentì a disagio in quella situazione, sentendo lo sguardo dell’essere su di sé, ma sembrò non avere nessuna cattiva intenzione, se non metterle paura. E a poco a poco la paura si alleggeriva.
Kate stupì sé stessa quando riuscì a raccogliere il coraggio necessario per tirare fuori la voce. << Chi… Chi sei? >> Chiese scandendo le parole per bene. Aspettò invano una risposta; l’essere continuava a fissarla senza volere nient’altro in cambio. << Slender Man…? >> Balbettò Kate cercando di stabilire un contatto con l’essere; non potevano rimanere in quella posa per tutta la notte.
Quando Kate ebbe pronunciato il nome della creatura, quello sembrò sussultare per un secondo; forse aveva fatto qualcosa… Kate riprovò a parlargli.
<< Sei tu che… Che mi segui dall’altra notte… Vero? >> Chiese senza muoversi dalla sua postazione dietro al letto. L’essere non sembrò recepire quel messaggio. Kate adocchiò una pagina di quelle che aveva trovato nel bosco e la afferrò rapidamente mostrandola al mostro. << Queste sono tue, vero? >> La sventolò tenendola alta in aria; il mostro sembrò attirato da quel foglio di carta. << Le hai lasciate tu in giro per quel bosco, l’altra notte? >> Dall’essere non arrivò nessun tipo di risposta, di nuovo. Kate si sentì presa in giro. << Rispondimi! >> Esclamò stringendo le dita attorno alla pagina.
Il mostro sussultò leggermente all’esclamazione di Kate. Era forse possibile che fosse riuscita a intimorirlo? No… Ma forse era riuscita a stabilire un contatto.
L’essere sembrò esitare un po’, abbassò lo sguardo e rimase a fissare il terreno con il suo viso vuoto. Kate prese quel gesto come un’affermazione, quindi si sentì quasi incoraggiata a continuare a parlare. << E sei tu che mi perseguiti da allora. >> Il mostro mosse piano la testa, facendola tornare subito dopo al suo posto. Era lui che l’aveva terrorizzata fino a quel momento, che l’aveva fatta star male e che le aveva riempito la testa di cose orribili. << E le ferite che si rimarginano… >> Mormorò Kate non sicura di voler sapere quella cosa. Anche questa volta non ci volle molto perché l’essere confermasse i suoi dubbi. Kate si sentì un grande peso sul petto, come se quel desiderio di sapere la verità fosse sparito, e la sua più grande paura adesso fosse proprio la verità; prima di incontrare il mostro, la ragazzina poteva dirsi di essersi immaginata tutto, che non c’era niente a perseguitarla, ma adesso aveva avuto una risposta, e le sue paure erano diventate tutto a un tratto realtà.
Kate si sentì venire meno. Boccheggiò in cerca di ossigeno e esalò:<< Perché? >> Gli occhi le divennero lucidi e in pochi istanti la ragazzina si ritrovò a piangere di fronte a quell’essere alto e inquietante, che rimase lì immobile a fissarla. Aveva anche ucciso un uomo per lei. << Che cosa vuoi da me, per tenermi così lontano dai pericoli? Che cosa vuoi farmi di così orribile da non volere che nessuno mi tocchi!? >>
Slender Man era lì immobile che la fissava, sembrava dispiaciuto, ma quella sua posizione passiva e quel suo viso piatto non davano molti indizi sullo stato d’animo dell’essere… Ma forse un mostro come quello non poteva provare emozioni, poteva solo desiderare di uccidere. Doveva essere così. Ma perché lei non era ancora stata uccisa come gli amici di Alex? Aveva forse in mente qualcosa di diverso? Voleva divertirsi prima di trucidarla barbaramente?
Nella sua testa si formarono delle parole. Kate non sentì una voce, ma comprese perfettamente una frase, come se le si fosse impressa nella mente. Mi dispiace.
Le lacrime smisero improvvisamente di scendere e Kate rivolse lo sguardo verso Slender Man, che non si era mosso per niente da prima. << Cosa…? >> Mormorò lei spaventata.
Altre parole comparirono nella mente di Kate. Non volevo metterti paura. Volevo solo tenerti al sicuro. A quel punto Kate non capì più niente. Quindi quello era il modo in cui Slender Man comunicava con gli altri, ammesso che comunicasse mai con gli altri
 E se non voleva metterle paura allora perché aveva causato quella malattia e tutte le allucinazioni… Però ripensandoci, il mostro l’aveva anche salvata da diverse situazioni di pericolo, come quando lei e Jennifer erano state aggredite, e anche la mattina dopo aver trovato le pagine, Kate avrebbe scommesso che era stato lui a far fuggire quell’uomo nel vicolo.
La ragazza si mosse piano a terra. << Tenermi al sicuro…? >> Chiese incredula con voce tremante. << Ma perché…? Chi sei tu, e… >> Si sentì vacillare per un istante. << Chi sono io per ricevere questo trattamento da te? >> Si premette le mani al petto indicando sé stessa, sperando di poter capire perché fosse tanto importante per quel mostro.
Nella testa di Kate avvenne qualcosa di molto simile a una tempesta: la confusione che regnava, la paura dell’ignoto e il dolore della perdita, ogni sensazione la faceva tremare e sussultare dalla paura; fuori dalla sua mente, avveniva qualcosa di strano. Da dietro la schiena del mostro fuoriuscivano delle ombre nere che si espandevano sui muri della stanza, mentre ogni oggetto, ogni mobile nella camera cominciava a tremare come durante un terremoto; si sentiva un forte vento nonostante tutte le finestre fossero chiuse e l’aria gelida investì il corpo di Kate, suscitando in lei solo un sospiro debole. Nonostante tutta quella confusione, né Kate né Slender Man si spostarono di un millimetro, e rimasero perfettamente nella stessa posizione in cui erano prima. La stessa Kate non avvertì niente di tutto questo, forse a causa della confusione nella sua testa che l’aveva estraniata dal mondo, oppure perché tutto quello non era reale, ma una semplice illusione… Non lo sapeva, ma visto da fuori, faceva paura.
Tutto quanto si fermò all’improvviso, non si sentì più il vento, la terra smise di tremare e la testa di Kate si alleggerì, come se fosse stata riempita di acqua e poi svuotata di colpo. Io sono Slender Man. Fu la frase che si formò questa volta nella mente della ragazza, che sentì un certo timore crescere in lei da quel momento. Lo fissò con occhi spaventati.
<< Perché mi perseguiti? >> Gli chiese con una nota di timore nella voce. Slender Man non si mosse, ma in qualche modo sembrò confuso o indignato dalla domanda della ragazza.
Tu sei speciale, giovane ragazza. Fece la voce nella sua testa. Kate si sentì mancare di nuovo. Che cosa aveva di così speciale da diventare tanto importante per quel mostro? Come se le avesse letto nel pensiero, l’essere le parlò di nuovo. Tu sei senza paura. Fece la voce. Ma che stava dicendo? Kate si sentiva come se da un momento all’altro potesse mettersi a piangere a dirotto. Sei diversa da qualunque altro umano. A quell’affermazione Kate ne approfittò per parlare.
<< Quindi vuoi uccidermi in un modo speciale? >> Chiese quasi assumendo un tono scontroso. Slender Man non si mosse, ma le parole che comparvero nella sua mente negarono quella eventualità.
No. Disse. Sei speciale. Voglio tenerti al sicuro, in modo che nulla possa farti del male o ucciderti, rendendo così il mondo più vuoto.
Che razza di parole… Pensò Kate. Sembrava che si stesse rivolgendo a qualcosa di divino… << E perché allora mi hai tormentato a quel modo per tutto questo tempo? >> Chiese Kate con astio nella voce alzando lo sguardo. << La malattia e le allucinazioni… >>
Slender Man rimase immobile un’altra volta. Questa volta la risposta tardò a venire. Erano parte del processo. Disse alla fine dopo aver fatto aspettare Kate parecchio.
<< Quale processo? >> Chiese Kate con un po’ di coraggio ritrovato.
Slender Man la fissò a lungo, poi il suo viso si girò e guardò verso la finestra. E’ per questo che sei speciale. Fece la voce ignorando la domanda della ragazza. L’alta figura si mosse lentamente verso l’ombra, quando fu quasi completamente sparito in essa lasciò un ultimo messaggio alla ragazza. Tu non hai paura di me.
Subito dopo rimase il silenzio nella stanza. Kate si ritrovò a fissare un angolo vuoto, sentiva la testa vuota, come se avesse dormito una giornata intera, ma stranamente sveglia. Sentì il suo corpo cominciare a tremare e cercò un appoggio. Lo trovò nel comodino, alla quale si appoggiò con tutta la forza che aveva, e lentamente si accasciò a terra, tremando di paura e mettendosi a piangere, accucciata con la schiena al muro.

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Capitolo 20
*** Ritorno ***


Kate non dormì più quella notte. Non provò nemmeno a mettersi a letto; sapeva che il sonno non sarebbe venuto, e forse nemmeno la notte dopo… Quello che aveva visto quella notte era stato abbastanza per non farla dormire più per il resto della sua vita. Una volta arrivata la mattina si ritrovò rannicchiata accanto al suo letto con la testa reclinata e nascosta in mezzo alle gambe, strette tra le braccia. Aveva gli occhi rossi e il suo viso pallido la faceva sembrare un cadavere; in qualunque modo cambiasse la sua espressione, appariva sempre come una ragazza esausta, annoiata, o arrabbiata, a seconda di chi la osservasse. Ovunque posasse lo sguardo vedeva sempre ombre. Era spaventata, non sapeva nemmeno se sarebbe stata capace di alzarsi in piedi senza dover temere di ritrovarsi quel mostro alle spalle. Ma si alzò.
Lentamente, controllando i dintorni, Kate raggiunse la porta della camera e uscì da lì, continuando a guardarsi intorno per controllare che la casa fosse libera. Raggiunse il bagno e andò a sciacquarsi la faccia per bene, cercando di perdere quell’aspetto tremendo che le aveva dato quella notte in bianco.
Mentre si guardava allo specchio, Kate esaminava la stanza riflessa in esso, cercando di vedere qualche anormalità. Era così concentrata nella sua ricerca che quando a un certo punto cadde una boccetta di deodorante dalla sua mensola, schioccando sonoramente a ogni colpo che diede al pavimento, la ragazza sussultò sollevando la testa e sbattendo a uno scaffale. Indietreggiò stringendo i denti e tenendo chiusi gli occhi e uscì dalla stanza senza dire una parola. Le mani premute sulla testa sembravano contenere anche la sua rabbia.
Era stufa di avere paura. Era stufa di doversi guardare le spalle tutto il giorno, sapendo che avrebbe trovato qualcosa di spaventoso, qualcosa di innaturale ad osservarla. Andò in camera sua e si vestì in fretta con quello che trovò; non poteva mettersi i vestiti che aveva indossato il giorno precedente: erano sporchi di sangue, e si sorprese di come avesse girato per la città con indosso quella roba senza preoccuparsene minimamente. Era vero che aveva avuto altre cose per la testa, ma in quel momento gli abiti sporchi di sangue le sembrarono una questione molto importante. Forse stava cercando di concentrare la mente su altro, di dimenticare la notte precedente, ma più pensava a quei vestiti sporchi di sangue, più le tornava in mente che quel sangue era il suo, ed era fuoriuscito da un taglio che si era inflitta lei stessa, di sua volontà, per confermare la sua teoria sull’esistenza di un essere che la osservava.
Kate sospirò. Devi tornare sempre su quel punto? Si chiese da sola delusa dalle sue riflessioni che l’avevano riportata a pensare a Slender Man.
Ecco. Slender Man. Un nome che temeva tremendamente. Ora ci pensava come se fosse una cosa normalissima. Perché le era venuto così spontaneo pensare a quel nome? Lo temeva, non voleva sentirlo. E allora perché adesso ci stava pensando con così tanta forza? Le vennero in mente le parole che l’essere le aveva rivolto la sera prima: “il processo”, che cos’era? Era qualcosa che aveva a che fare con le apparizioni di Slender Man? Forse quando qualcuno vedeva l’essere cominciava a diventare paranoico e a vedere cose che non c’erano… Chissà… L’unica cosa certa era che Kate non avrebbe più potuto stare in pace con sé stessa nemmeno per qualche minuto.
Voleva uscire. Voleva andare via da quella casa che le stava togliendo il respiro. Ma dove andare?
Pensò alla casa del suo vicino; quando lei aveva bisogno di conforto lui era sempre pronto ad aiutarla, ma quella volta era diverso, lei non poteva dire nulla a nessuno. Allora pensò di andare da Jennifer, forse la ragazza avrebbe potuto aiutarla a tirarle su il morale, ma era a scuola… Sembrava che Slender Man stesse cercando di lasciarla totalmente sola, priva di alternative, così da dover restare chiusa in casa sotto il suo occhio vigile. Ma non gliel’avrebbe data vinta! Era ancora presto. Si girò su sé stessa in cerca dello zaino di scuola e lo avvistò in un angolo. Lo sollevò rapidamente e lo gettò sulla sedia, prima di mettersi a cercare dei libri. Ne prese un po’ e li butto dentro allo zaino senza neanche guardarli. Per quanto non le piacesse la scuola, voleva davvero andarci, forse per sfuggire da quell’incubo, oppure solo per vedere qualche faccia amica, ma comunque sarebbe andata via da lì.
Dopo essersi messa lo zaino sulle spalle scese le scale correndo, fermandosi nell’entrata, dopo aver visto qualcosa che la fece spaventare; c’era un’ombra sul soffitto, mentre scendeva, ma una volta saltato l’ultimo scalino quell’ombra era sparita. Kate aveva sentito una scossa al petto, come se stesse per svenire da un momento all’altro, ma fu lieta di sentire l’aria fluire nei suoi polmoni mentre rimaneva a fissare quel soffitto con occhi terrorizzati e la bocca mezza chiusa.
Sospirò scuotendo la testa. Smettila. Si disse. Non è da te comportarti in questo modo.
Detto questo Kate si avviò verso la porta e la aprì con decisione, fermandosi con un piede fuori dalla casa e rivolgendo un ultimo sguardo minaccioso al soffitto. Poi sorrise soddisfatta, dopo aver constatato che non c’era niente e uscì chiudendo la porta dietro di sé.
A scuola Kate ci arrivò senza problemi, non si guardò troppo intorno, pensando che tutto quello che aveva fatto fino a quel momento fosse la cosa sbagliata: se sapeva che qualcosa la seguiva avrebbe dovuto fingere che la cosa non le importasse, ignorando così quell’essere e continuando come se nulla fosse. Forse era inutile, se Slender Man era capace di leggere nel pensiero delle persone, come era parso a Kate la sera precedente, allora sarebbe stato poco utile, ma almeno avrebbe aiutato lei a non perdere la testa.
Quando fu arrivata in classe, con qualche minuto di ritardo, i suoi compagni si stupirono di vederla lì, e si spaventarono nel vedere una strana ombra nel suo sguardo. Più di tutti si stupì Jennifer, che si alzò ignorando tutti quanti e si avvicinò all’amica, prendendola da una mano e conducendola al suo posto nell’angolo. Sorridendo le chiese:<< Come stai? >>
Kate esitò a rispondere a quella domanda. Si guardò intorno con aria stanca, lanciò un’occhiata alla cattedra ancora vuota e poi tornò a guardare l’amica. << Abbastanza bene. >> Disse accennando un leggero sorriso. Si portò una mano alla testa e scostò lo sguardo socchiudendo gli occhi mentre appoggiava la schiena allo schienale della sedia. << Anche se non ho dormito molto bene stanotte… >>
<< E’ successo qualcosa? >> Chiese Jennifer guardandola seria. Kate la guardò confusa.
<< Perché me lo chiedi? >> Chiese con un sorrisetto di preoccupazione; aveva visto qualcosa nel suo sguardo?
Jennifer dondolò la testa un po’ di lato. << Hai uno sguardo… Strano… >> Mormorò fissandola negli occhi. A Jennifer non sfuggiva mai niente, bastava che osservasse la faccia di Kate per qualche secondo perché potesse capire che qualcosa non andava.
Kate si stropicciò gli occhi, distogliendo così lo sguardo da Jennifer. << Ripensandoci, non ho dormito affatto, stanotte… >> Mormorò con tono debole. Sorrise a Jennifer sperando che la ragazza capisse che era tutto a posto e la lasciasse in pace, ma invece di sorridere in risposta, Jennifer la guardò con occhi dubbiosi. Non era tutto a posto, e Jennifer lo sapeva. Questo tentativo di nasconderle la verità fece sentire in colpa Kate, che avrebbe voluto chiederle scusa, ma in quel momento entrò il professore, e gli alunni si alzarono per salutarlo.
<< Buongiorno, ragazzi. >> Disse muovendosi rapidamente verso la cattedra; poggiò una borsa al lato di questa e si fermò un attimo ad osservare la classe. Kate avrebbe voluto nascondersi dietro la schiena di qualche compagno, non sapeva perché, ma quando il professore la ebbe adocchiata quello sorrise e cominciò a parlare:<< Kate! Finalmente sei tornata. >> Disse amichevolmente. Kate rimase in silenzio sorridendo incerta. << Come ti senti? >> Chiese il professore. Probabilmente era solo preoccupato per lei, come era ovvio che fosse, ma quella domanda sembrò a Kate mirata a offenderla.
<< Sono stata male in questi giorni, ma adesso sto bene… >> Rispose cercando di rendere quella conversazione più corta possibile.
Il professore annuì comprensivo e disse:<< E sei riuscita a studiare in questi giorni? Hai chiesto gli argomenti a qualcuno? >>
Perché questo terzo grado? Si chiese Kate sentendosi come in una gabbia che si stringeva sempre di più. << Purtroppo non sono riuscita a fare niente… >> Mormorò nervosa dondolandosi sulle punte, cercando qualche sguardo amico nella classe; ma era il posto sbagliato dove cercarli.
Il professore sembrò deluso; abbassò lo sguardo e si sedette al suo posto. In fondo la verità era che a lui interessava solo quello: se aveva studiato. Qual era il problema se Kate si sentiva in trappola, se aveva paura di guardare fuori da una finestra e di trovarci un gigantesco manichino a fissarla con insistenza.
<< Forse avresti dovuto provare a sforzarti a telefonare a un tuo compagno… >> Mormorò il professore mantenendo lo sguardo sulla studente.
Credi che sia stata una settimana facile per me? Erano i pensieri di Kate mentre il professore le parlava.
<< Sai, abbiamo fatto alcune cose importanti durante la settimana… >> Continuò quello sospirando.
Come se me ne importasse! Pensò automaticamente Kate. E poi, come al solito, le cose importanti le fai solo quando non ci sono io!
<< Immagino che tu non abbia nemmeno i compiti che avevo assegnato… >> Disse con tono affranto. Kate scosse la testa fissandolo negli occhi. << E quelli per lunedì? >> Chiese spiazzandola. A cosa gli interessavano ora i compiti di lunedì? Lei li aveva fatti, ed erano giusti, lo sapeva, ma a cosa potessero servirgli ora, Kate non ne aveva idea…
La ragazzina si mise a cercare nel suo zaino, sperando di trovare il quaderno con gli esercizi per lunedì svolti; li aveva fatti venerdì con Jennifer, non era tanto stupida da sprecare una domenica o un sabato a mettersi a studiare. Inoltre, Kate pensava che di venerdì, dopo essersi riposata un po’ dalla scuola, ovviamente, lavorasse meglio che di sabato e domenica, per il fatto che il suo cervello fosse già “in funzione” e predisposto a studiare… Nonostante la sua pigrizia, quella era una cosa che aveva sempre fatto.
Kate continuava a rovistare, ma ogni secondo che passava senza che avesse trovato il quaderno la lasciava senza respiro, si sentiva sempre più in trappola. Non c’è… Fu il suo pensiero quando ebbe tirato le mani fuori dallo zaino. << Non c’è… >> Mormorò incredula. << Il quaderno… L’ho scordato… >> Non solo non riusciva a credere al fatto che avesse dimenticato il quaderno, ma quella stupidaggine stava per scatenare una tempesta, e Kate si sentiva soprattutto infuriata con la fiscalità del professore.
Il professore sospirò esasperato; sembrava aspettarsi una reazione così. La verità era che Kate quella mattina non aveva proprio pensato a cosa mettere nello zaino, aveva preso un mucchio di libri e ce li aveva buttati dentro senza nemmeno sapere di che materia fossero. Ma ovviamente il professore l’avrebbe presa come una stupida scusa premeditata. << Non va bene così, Kate… >> Disse scuotendo la testa.
Kate sapeva che era inutile ribattere; il professore voleva una battaglia, ma rispondendo lei avrebbe perso.
<< Non so cosa fare con te. >> Disse come se fosse la fine del mondo. << Dopo una settimana che non ti sei fatta vedere, arrivi all’improvviso e non porti nemmeno i compiti per l’altra volta… Io non pretendo che tu sappia la lezione del giorno, non ti sto chiedendo di farmi vedere i compiti che avevo assegnato quando non c’eri. Ti sto solo chiedendo di farmi vedere quelli che avresti dovuto mostrarmi lunedì, prima che “ti sentissi male”. >> Il modo in cui disse l’ultima parte della sua frase irrito Kate particolarmente. La stava trattando come una bugiarda!
<< Creda quello che vuole, prof. >> Disse lanciandogli un’occhiata minacciosa, ma in fondo senza valore. << Io sono stata male. >>
Il professore ricambiò lo sguardo minaccioso di Kate fissandola dritta negli occhi, aspettando il momento in cui avrebbe distolto lo sguardo, incapace di sostenere il suo. Ma questo non accadde. Kate non aveva intenzione di dargliela vinta; era più forte di lui. << E perché non hai portato il quaderno oggi? >> Chiese senza staccarle gli occhi di dosso.
Kate non si mosse e scandì bene le parole:<< E’ stata una settimana di merda. Sono rincoglionita oggi. >> Non pensò molto alle parole da usare, forse; forse voleva suonare sicura di sé, come per dire che non le importava nulla di quello che pensava il professore in quella situazione. Kate era stata perseguitata per una settimana da un mostro senza faccia e il professore pensava che fosse stata tutta una scusa per non andare a scuola. E sì, lui non poteva immaginare la verità, ma non le importava, era un adulto idiota come tutti gli altri, che pensavano solo ai loro interessi e alle loro squallide e patetiche vite piene di complessi e rimorsi. Non si guardò intorno, ma Kate sapeva che tutti quanti la stavano fissando con occhi increduli, alcuni ridevano, altri non credevano a quello che stava accadendo. Jennifer la fissava preoccupata. Lei sapeva cosa era successo, non voleva che passasse guai per una cosa di cui non era colpevole.
Il professore si schiarì la gola senza mostrarsi sorpreso. << E posso chiederti come è stata la tua settimana, se mi è concesso? >> Il suo sguardo allusivo le diede sui nervi. Avrebbe voluto mettersi a urlare contro il professore dicendogli tutto quello che pensava di lui, e sapeva che sarebbe stata capace di lasciarlo senza parole,  ma non voleva ferire Jennifer, che insieme a lei era stata una vittima quella settimana, o in qualche modo metterla in mezzo; ma in particolare non voleva più continuare con quella farsa.
Strinse le spalle e guardò da un’altra parte poco interessata al professore. << Io ho detto quello che dovevo dire. >> Jennifer le rivolse uno sguardo spaventato mentre diceva così.
Il professore sorrise deluso. Annuiva piano fissandola con occhi delusi. << Non so da dove derivi questa tua aggressività Kate, ma non mi piace. >> Prese la penna e si mise a scrivere sul registro di classe. << Per ora ti faccio una nota, quando poi tua madre verrà a parlare con me vedremo di chiarire la questione. >>
Kate si sedette tenendo le braccia incrociate e guardando il muro con in viso un’espressione offesa. << Faccia quel che vuole. Tanto i miei sono totalmente disinteressati a quello che mi succede, non solo a scuola. >>
Jennifer continuava a guardarla preoccupata; era sicuramente successo qualcosa, ma Kate non sembrava volerne parlare. Forse si sarebbe aperta dopo, ma intanto questo suo silenzio era stato deleterio per lei. Nonostante sembrasse indifferente a tutto quello, Jennifer sapeva che la ragazza si sentiva male per quello che era appena successo.
Bastardo. Idiota. Stronzo. Fallito. Questi erano i pensieri di Kate in quel momento. Si sentiva come se lo odiasse, quel suo professore.
 
*
 
Jennifer si sedette accanto a Kate dopo essere andata a prendere un paio di succhi di frutta per sé e per l’amica. Kate non si era mossa dal suo posto; non aveva fatto nulla per tutta la mattinata, poi all’arrivo dell’intervallo aveva tirato un sospiro di sollievo ed era andata a sedersi alla finestra, fissando la strada fuori con occhi malinconici. Jennifer le passò uno dei succhi e tenne l’altro per sé, rimanendo a fissarla con occhi preoccupati.
<< Stai bene? >> Chiese dopo parecchi istanti di silenzio. Kate spostò lo sguardo verso di lei come se si fosse accorta della sua presenza solo il quel momento. << Da come parlavi ieri mi sembrava che non avessi intenzione di venire a scuola oggi… >> Mormorò bevendo un po’ di succo dalla cannuccia.
Kate si accorse del succo alla pesca che le aveva portato Jennifer e allungò una mano verso di quello. Lo aprì lentamente e ne bevve un sorso. << Grazie… >> Mormorò con voce roca dopo che ebbe bevuto.
Jennifer sorrise e le chiese se ci fosse qualche problema.
Kate scosse la testa sorridendo leggermente e socchiudendo gli occhi. << No… Niente… E’ solo che oggi non mi sento molto bene… >> Continuò a dire nel tentativo di rassicurarla. << Non ho dormito per niente questa notte. Ho un sonno pazzesco… >> Mormorò appoggiandosi la testa alla mano. Rivolse lo sguardo di nuovo alla finestra rimanendo in silenzio.
Jennifer continuava a non essere convinta delle parole di Kate, nonostante sembrasse solo un po’ stanca. << Come è andata ieri sera? >> Chiese cercando di intercettare il suo sguardo. << Durante il ritorno a casa. >> Aggiunse quando Kate ebbe alzato la testa.
Male. Kate pensò immediatamente a quello, ma non poteva dirlo a Jennifer; non poteva dirlo a nessuno. Voleva dimenticare l’incidente di quella sera. << Quando sono uscita da casa tua mi sono resa conto di essere a pezzi. Non ho nemmeno prestato attenzione a dove mettevo i piedi. Ero così stanca che una volta a casa mi sono buttata subito nel letto senza mangiare niente… >> Kate cercò di avere un tono amichevole mentre parlava, ma non ci riuscì molto.
<< Oggi stai meglio? >> Chiese Jennifer volendosi subito accertare che la sua amica stesse bene.
Kate sorrise e annuì piano tenendosi la fronte con una mano. << A parte il sonno, sì. >> Sussurrò gentilmente.
Jennifer non credeva a una singola parola dell’amica. Non era perché non si fidasse, ma sapeva quando Kate non stava bene, le bastava guardarla negli occhi per capirlo… E se Kate non stava bene, ma cercava di nasconderlo, significava che aveva bisogno di aiuto ma non lo voleva. Che tipo di aiuto poteva darle? Non sapeva cosa le fosse successo, e avrebbe potuto peggiorare la situazione. Pensò che doveva comunque provare ad aiutare Kate.
<< Sai, il professore è stato un vero idiota. >> Disse dopo aver tratto un lungo sospiro. Kate la fissò inespressiva, sapendo che avrebbe cercato di tirarle su il morale. << Come ci si può aspettare che dopo una settimana di assenze come la tua si torni a scuola freschi e attivi e con tutti i compiti fatti? >> Sorrise sperando di suscitare anche in Kate la stessa reazione. << E’ stupido! >>
Kate la fissò a lungo prima di piegare un labbro in un sorriso stanco. << In fondo è anche colpa mia… >> Mormorò abbassando lo sguardo. Non si sentiva davvero in vena di parlare molto quel giorno; aveva la voce debole e continuava a scostare lo sguardo. << Tecnicamente sono stata bene e in grado di studiare, ma semplicemente non ci ho pensato… >>
<< Non potevi pensarci! >> Esclamò Jennifer felice che l’amica avesse risposto. << Tutte e due siamo state… Impegnate. >> Deglutì mentre diceva quello. Era stata una settimana particolare per entrambe. << Credimi, non fa niente. Oggi pomeriggio ti aiuto io con i compiti e poi andiamo a prenderci un bel gelato a quella gelateria che ti piace tanto, okay? >> Jennifer le fece l’occhiolino sorridendo furbamente mentre le diceva quelle cose. Kate sorrise alla proposta dell’amica, ma pensò che forse casa sua non fosse un ottimo posto dove portare altre persone ora…
<< Lascia stare… >> Mormorò facendo un movimento orizzontale con la mano. << Ci penserò da sola; in fondo è un mio problema… >> Disse con voce stanca cercando di concludere lì la conversazione.
<< Non c’è nessun problema! >> Ribatté Jennifer ammiccando. << Insieme faremo ancora prima e poi avremo tutto il finesettimana libero! >>
Kate non voleva portare Jennifer in casa sua con quel mostro che la controllava. Aveva paura che potesse succedere qualcosa di brutto. Ma perché doveva isolarsi per colpa di quell’essere? Voleva andare a studiare con Jennifer, ma aveva paura che il mostro potesse seguirle anche fuori da casa sua. Tuttavia, in casa di Jennifer c’erano più persone che in casa sua, vuota e tetra; sarebbe stato meglio che stare da sole… Meglio ancora, se le due ragazzine fossero andate in biblioteca a studiare, allora non ci sarebbero stati problemi, in un luogo pubblico, dove c’è sempre qualcuno…
Jennifer era in attesa di una risposta da parte di Kate. La ragazzina esitò qualche secondo bevendo il suo succo. Sentì il suono della campanella mentre pensava. L’amica sembrò delusa da quel suono. << Oh, no… E’ finito… Cavolo! Speravo di potermi rilassare ancora un po’… >>
Nel frastuono causato dalla campanella e dalle decine di ragazzi nel corridoio che si affrettavano a tornare nelle loro classi, Kate lasciò andare la cannuccia e prese un bel respiro. << Forse potremmo andare in biblioteca… >>
<< Eh? >> Fece Jennifer girandosi. Non aveva capito bene che avesse detto.
Nella classe cominciarono ad entrare alcuni ragazzi e ragazze. Kate si avvicinò di più per farsi capire bene, ora che il frastuono era entrato anche nella classe, assieme a quei ragazzi. << Potremmo andare a studiare in biblioteca, se a te va bene. >> Scandì bene le parole accennando un piccolo sorriso.
Jennifer ascoltò con occhi interessati, poi, quando Kate ebbe finito la frase, sorrise complice, felice della proposta di Kate.

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Capitolo 21
*** Studio ***


Le due ragazze erano entrambe con le teste reclinate sui libri. Kate scarabocchiava con la matita sull’angolo della pagina mentre Jennifer si picchiettava la penna sulle labbra leggendo con attenzione.
Dopo la scuola erano andate a mangiare a casa di Jennifer; Kate avrebbe preferito un posto più affollato, ma la signora Kutner fu felice di ospitare la ragazzina a pranzo. Dopo aver mangiato le ragazzine rimasero un po’ in camera di Jennifer a riposarsi, chiacchierando un po’, giocando a qualche videogioco… Prima di andare in biblioteca si volevano riprendere dalla mattinata di scuola, ma c’era anche un altro motivo: il fatto che Kate preferisse aspettare era perché così potessero trovare un orario più affollato, per non rimanere da sole in biblioteca o in strada.
Kate non riusciva a concentrarsi, comunque… Con tutte le cose che passavano per la sua testa in quel periodo, non riusciva proprio a focalizzare quelle parole, quei ragionamenti e le formule e le date… Era troppo. Troppo a cui dare conto. Kate non voleva quel peso. Voleva tornare a una settimana prima, quando giocava con Jennifer e chiacchierava senza timore di dire qualcosa di sbagliato; quando i suoi genitori erano sempre assenti, ma la loro assenza non la metteva in un tale stato d’animo; quando il signor Tucker era sempre cordiale e disponibile, ma lei non dovesse sentirsi in debito con lui per ogni piccolo favore…
Lentamente, Kate si era accasciata sul libro e aveva chiuso gli occhi, smettendo di pensare per un momento. I suoni cominciavano a diventare più confusi e attutiti, il suo respiro era lento e sereno… Si sarebbe potuta addormentare su quel libro, avrebbe potuto dormire e forse Jennifer non se ne sarebbe nemmeno accorta… Pensò di farlo, di dormire. Pensò di volersi riposare per un po’, solo un pochino… Non sarebbe stato un problema, in fondo.
Ma mentre il sonno cominciava a cullarla, nel buio, Kate vide chiaramente il viso bianco e vuoto di Slender Man comparire all’improvviso seguito da un suono metallico e graffiante che entrava nella sua testa.
Kate sussultò aprendo gli occhi. Sospirò affranta. Non poteva nemmeno chiudere gli occhi che lui compariva… Perché le stava succedendo tutto quello?
<< Bene, allora, non so che hai capito tu ma io… >> Jennifer alzò lo sguardo dal libro facendo roteare la penna tra le dita e scoprì Kate con la testa poggiata sul libro, la mano rilassata aveva lasciato andare la matita e gli occhi sembravano concentrarsi sulla carta davanti ad essi. << Ti sei addormentata? >> Chiese sorpresa piegando la testa di lato per cercare di intercettare il suo sguardo.
Kate fissò il bianco vuoto della carta… Era bianco come la pelle di Slender Man… Aveva un’espressione affranta in viso. Sospirò. << No… Ho solo bisogno di una pausa… >> Mormorò alzandosi da sopra il libro e posandosi la mano sulla tempia. Sospirò profondamente e rimase in quella posizione per un bel po’. Jennifer la guardava con occhi preoccupati, sapeva che non era solo quello il problema.
<< Sei sicura di sentirti bene? >> Chiese continuando a guardarla. Kate fece una smorfia, ma scostò la mano dal viso e la agitò come per dire a Jennifer di non preoccuparsi. La ragazza si sentì inutile, incapace di aiutare la sua amica. << Se ti sentivi male non saresti dovuta venire a scuola questa mattina… >> La rimproverò mettendo in ordine i libri e quaderni che erano sparpagliati sulla scrivania.
Kate aprì leggermente gli occhi dopo aver sentito quelle parole. Perché era andata a scuola quella mattina? Voleva stare lontana da casa sua, voleva stare con della gente – strano da parte sua. Era tutta una scelta presa per non pensare a Slender Man, per non stargli vicino…
Kate spostò la testa di lato e sospirò di nuovo. << Volevo solo… Incontrare qualcuno… >> Mormorò spostandosi un ciuffo di capelli dal viso. << Mi sentivo in gabbia, sempre chiusa in casa… E volevo pensare ad altro… >>
Jennifer capì cosa intendeva. << Passare una noiosa giornata di scuola è la mossa migliore per pensare a qualcos’altro! >> Disse con tono scherzoso mentre giocherellava con la matita tra le dita, suscitando un sorriso in Kate.
<< Anche quella discussione con il prof… >> Mormorò la ragazzina abbassando la testa. << Mi ha fatto bene, in un certo senso… >>
Jennifer annuì. << Capisco… >> Disse sorridendo leggermente. << Bé, se volevi una giornata movimentata potevi chiamare me. >> Disse sorridendo sempre di più. Kate le rivolse uno sguardo perplesso. << Devo ancora scontarmi quel solletico di ieri, lo sai! >> Disse con un tono di voce eccitato. Alzò le mani e piegò e rilassò le dita rapidamente facendo una faccia che fece scoppiare Kate dalle risate. Jennifer si alzò e si avvicinò rapidamente a Kate. << Vieni qui! >> Le disse con un sorriso inquietante stampato in faccia. Kate si spaventò a vederla in quel modo e si alzò dalla sua sedia per sfuggirle, ma prima che potesse allontanarsi fu raggiunta e bloccata. Jennifer cominciò a farle il solletico alla pancia e sotto le ascelle, mentre lei si contorceva e spalancava la bocca in silenzio per non fare rumore.
<< Ti prego…! >> Esalava Kate senza fiato mentre Jennifer la tormentava. << Ti prego non in biblioteca! >>
<< Ah, no, no! Non la scamperai così facilmente! >> Rispose Jennifer continuando a fare il solletico a Kate, che intanto era finita a terra. Cercava di non scoppiare a ridere per non fare un casino infernale, ma dalla sua gola cominciavano a venire fuori dei suoni rochi e strozzati, e non riusciva più a trattenersi; oltretutto aveva davvero bisogno di respirare.
Così Kate si dimenò e tirò un bel respiro prima che Jennifer potesse di nuovo afferrarla. A quel punto non riuscì più a trattenersi; le risate arrivarono all’improvviso, uscendo a forza dai suoi polmoni e riverberando in tutta la sala vuota. Presto sarebbe arrivato qualcuno a controllare cosa stesse succedendo.
<< TI PREGO, BASTA!!! AHAHAHAHAHAHAH!!! >> Kate riuscì a malapena a gridare quelle parole prima di tornare a ridere a crepapelle, senza tuttavia ottenere qualcosa dall’amica, che sembrò prendere ancora più gusto nel farle il solletico.
Jennifer rideva deliziata mentre faceva il solletico a Kate; ormai la ragazzina era finita completamente a terra, e Jennifer le era salita di sopra. << Allora ti piace? Ti piace essere solleticata senza pausa fino a perderti d’aria? >> Chiedeva continuando a ridere la sua amica. << Voglio che mi chiedi scusa per l’altro giorno, e poi  ti lascio andare! >> Disse con voce calma. Era chiaro che si stesse prendendo la rivincita dal loro incontro del giorno prima, quando Kate le aveva riservato lo stesso trattamento.
Tra le risate e i sospiri affannati, Kate cercò di formare la frase:<< Va bene…! Va bene! >> Continuava a ridere senza riuscire a riprendere fiato a sufficienza; doveva arrangiare qualche respiro e alcune parole smorzate tra le risate. << Ti chie… Ah! >> Strinse le palpebre cercando di trattenere le risate, senza riuscirci. << Ti chiedo…! AHAHAHAHAHAHAH! >> Per Jennifer la sua risata era come una melodia risanante; in quel momento la sua voce era diventata più acuta di quanto fosse normalmente e le risate erano ben distinte l’una dall’altra. Jennifer stava godendo in modo  smodato al solo sentire le risate dell’amica. << Scusa!!! >> Gridò Kate contraendo i reni per trattenere le risate. Subito dopo ricominciò a ridere a crepapelle. Jennifer sorrise come una matta e si fermò per un istante fissandola con occhi avidi. Kate poté quindi respirare, finalmente. Fu sollevata dal fatto che Jennifer l’aveva lasciata andare, ma lo sguardo della ragazza suggeriva che non era ancora finita.
Kate era sdraiata a terra e Jennifer le era di sopra con un’espressione estasiata in viso. All’improvviso le mani di Jennifer ripresero a contorcersi solleticando il ventre di Kate. Immediatamente, la ragazzina reagì cercando di respingere le mani dell’amica, ma non solo Jennifer era più forte di lei, ma era anche in una posizione più vantaggiosa, mentre Kate era mezza bloccata dal corpo dell’amica. Le risate ripresero con più forza di prima, questa volta Jennifer si mise a parlare; anche lei rideva:<< Non posso fermarmi ora! >> Diceva, e contemporaneamente continuava a solleticare sempre più forte la sua amica. << Ah! Sì! Kate, è fantastico! >> Continuò ad alzare la voce, urlando e gemendo come se la situazione fosse diversa da quello che era in realtà.
<< AHAHAHAHAHAH!!! >> Le risate di panico di Kate e quelle estasiate di Jennifer si mischiarono; i loro gemiti di affanno e di piacere divennero una cosa sola. In quel momento Kate si sentì davvero in imbarazzo; sapeva che sarebbe arrivato qualcuno e le avrebbe beccate in quella situazione equivoca.
Sei rincretinita o cosa? Si chiese Kate rivolgendosi a Jennifer mentre la sua amica continuava a farle il solletico. Nonostante stesse andando in panico e le facesse male la pancia per tutte quelle risate, nonostante stesse per fare una figuraccia colossale in biblioteca, nonostante odiasse il solletico, Kate si stava divertendo, in fondo

Jennifer urlò come se avesse raggiunto un orgasmo. Che situazione di merda! Fu il commento di Kate all’urlo di Jennifer.
La ragazza lasciò andare Kate e sospirò stanca, come se fosse spossata. Anche Kate si mise a respirare a fondo, ma la sua stanchezza era reale; si chiese come avesse fatto a non farsi la pipì addosso con tutto quel solletico.
<< Oh, Kate! >> Sospirò Jennifer in tono provocatorio, un po’ come se stesse recitando. << Ti amo! >> Si abbassò su di lei e le prese il viso tra le mani. La fissò negli occhi con sguardo languido. Kate ricambiava con un’espressione seccata. A quella vista Jennifer non riuscì a trattenersi e si mise a ridere di gusto. Scivolò su un fianco e si sdraiò accanto a Kate stiracchiandosi contenta. << Non è stato bello? >> Chiese ridacchiando.
<< Di merda… >> Rispose secca Kate fissando il soffitto. Alla sua risposta Jennifer rise ancora di più. Kate girò lo sguardo e la fissò sorridendo leggermente. << Sei così infantile… >> Jennifer ammiccò.
<< Non ci posso fare niente! >> Esclamò divertita. << Sei la mia amata Kate! >> Disse con voce incredibilmente innocente. Kate trattenne una risatina; voleva evitare di ridere ancora.
<< Finirà che un giorno ci crederai anche tu alle stronzate che dici! >> Per tutta risposta Jennifer si strinse al braccio tremante di Kate e sorrise ancora di più.
Avrebbero dovuto dare un sacco di spiegazioni all’uomo che sarebbe andato a controllare che stesse succedendo, ma Jennifer non sembrava preoccuparsene, mentre Kate era troppo stanca per farlo. E poi si sentiva molto più libera ora… Si sentiva leggera, come se tutte le preoccupazioni se ne fossero andate dal suo corpo assieme a quelle risate. Era così; Jennifer era sempre in grado di sollevarle l’animo, non importava quanto fosse triste o stanca…
Era la migliore amica che potesse desiderare.

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Capitolo 22
*** Premure ***


Kate tornò a casa dopo che le due ragazze ebbero deciso di rimandare lo studio a un’altra volta; avevano fatto un baccano incredibile, e la biblioteca era ansiosa di liberarsi di loro, quindi evitarono di peggiorare la situazione.
Si salutarono e andarono ognuna a casa propria, e Kate fu molto felice di arrivarci senza nessuna complicazione. Quando fu di fronte alla porta di casa, Kate si mise una mano in tasca per estrarre le chiavi; era molto stanca, non pensava che si sarebbe più mossa da lì, ma qualcosa fece tornare attivi tutti i suoi sensi, un particolare che la spaventò: la porta non era chiusa a chiave.
Era chiaramente percepibile, non appena mise la chiave nella toppa capì che la porta era stata aperta precedentemente e non richiusa come aveva fatto lei quella mattina; c’era un’altra chiave dall’altra parte.
Lentamente, cominciando a sudare, Kate girò la chiave e aprì piano la porta, che scricchiolò sinistramente, rovinando così la sua possibilità di non farsi sentire. C’era silenzio dentro, e sembrava che non ci fosse stato nessuno lì, ma Kate sapeva che era cambiato qualcosa da quella mattina. Fece un passo in avanti; girò lo sguardo dalla porta della cucina a quella del salone lentamente, cercando di intravedere qualcosa di insolito da lì, ma non fu tanto fortunata… Era tutto immacolato.
Avanzando lentamente Kate si sfilò lo zaino da una spalla e lo afferrò saldamente con la mano destra; era poco, ma era la cosa più pesante e pericolosa che aveva a portata di mano in quel momento, poteva usarlo per difendersi da un eventuale assalitore… Ma perché si stava preoccupando così tanto? Probabilmente era stata una sua distrazione, quella di non chiudere la porta quella mattina, e ora si stava spaventando perché in quella casa regnava un silenzio innaturale, ma era sempre così quando Kate tornava a casa dopo la scuola. Che cosa poteva essere, allora, che la stava facendo spaventare così tanto? Era forse l’ora? Era più tardi del solito, ma non le sembrava un così grande problema… Se lo avessero saputo i suoi genitori che era rincasata alle cinque e mezza, probabilmente l’avrebbero sgridata, ma loro non c’erano, e a lei non interessava di loro in quel momento.
E se la sua paura fosse dovuta alla presenza di Slender Man? Oh no, ci stai pensando di nuovo! Si rimproverò schiaffeggiandosi piano la fronte con la mano libera. Però era vero che avesse paura di quell’essere e che la controllasse. Era a causa sua se adesso credeva nella presenza di un intruso in casa sua. Probabilmente era così. Lei era sola, si era dimenticata di chiudere a chiave la porta quella mattina e Slender Man continuava a guardarla, facendola sentire a disagio. Perfetto! Pensò sarcastica abbassando lo zaino fino a farlo scivolare a terra.
All’improvviso, dalla porta del salone sbucò un uomo vestito con una maglietta a maniche corte nera e un paio di pantaloni di tuta blu scuro. Era il signor Tucker. << Kate!!! >> Gridò afferrandola dalle spalle e facendola spaventare.
Kate strillò e alzò la mano destra cercando di colpirlo con lo zaino, ma quello tornò indietro flosciamente dopo aver raggiunto l’altezza del viso di Tucker, rendendo solo la situazione molto imbarazzante. Il signor Tucker fissò lo zaino che saliva e scendeva a terra prima di tornare a guardare Kate.
<< Kate! >> Esclamò di nuovo. << Dove sei stata? >> Chiese preoccupato.
Kate cercava di allontanarsi dall’uomo, ma non appena capì chi fosse si rilassò. << Signor Tucker…? >> Chiese confusa. << Che ci fa qui? >>
Tucker le chiese di nuovo:<< Dov’eri? >>
Kate gli rivolse uno sguardo disorientato. Si guardò intorno, chiedendosi se non avesse sbagliato casa, e poi rispose:<< Sono andata a scuola… >> Credendo di aver fatto qualcosa di sbagliato. Tucker sembrò come svegliarsi da un sogno.
<< Oh. >> Fu la sua reazione. Il suo sguardo cambiò in un lampo, e finì per fissarla con occhi confusi, quasi impauriti. << Ah! >> Disse dopo lasciando andare lentamente le spalle di Kate. Sorrise imbarazzato. << Pensavo che non saresti andata, e… Ieri sera sembravi spaventata… E dopo che non ti ho visto per tutta la mattinata ho pensato che stessi male, e sono venuto a controllare, ma non c’era nessuno… >> Si mise una mano dietro la testa e girò su sé stesso guardandosi intorno. << Mi sono preoccupato… >>
Kate si sentì quasi in colpa. << Mi dispiace… >> Mormorò abbassando lo sguardo. << Ieri… Mi sono comportata male… >> Disse mantenendo lo sguardo basso.
Tucker la guardò con occhi dispiaciuti. << E’ successo qualcosa? >> Chiese cercando di intercettare lo sguardo della ragazzina, ma lei continuava a tenere la testa bassa.
Kate esitò alcuni istanti; stava pensando a cosa dire a Tucker riguardo la sera precedente. << C’è stato un incidente mentre tornavo a casa. >> Disse. Tucker assunse una faccia preoccupata. << C’era tanta gente… A un semaforo mi sono fermata quando è scattato il rosso, ma una ragazza non lo ha fatto. >> Disse con voce tremante. << Forse era distratta, forse stava guardando il cellulare, però non si accorse del camion che le stava per andare addosso… >> Mentre diceva questo, Kate cominciò a tremare di paura; doveva ammetterlo: era davvero brava a mentire. << Per evitarla il conducente ha cercato di sterzare, ma il camion si è ribaltato e… >> Si interruppe mettendosi una mano alla bocca.
Tucker si abbassò alla sua altezza piegando le ginocchia e le mise le mani sulle spalle:<< Ehi, non fa niente! E’ tutto a posto ora. >> A quelle parole, sentendo che Tucker si stava davvero preoccupando per lei, Kate si sentì molto triste e cominciò a singhiozzare. Di fronte a quella reazione Tucker non poté fare altro se non abbracciare Kate per cercare di farla calmare. << Calmati ora… >> Faceva. << Ora è tutto a posto… >>
Kate si sentì ancora più in colpa con quell’abbraccio; dimostrava quanto Tucker ci tenesse a lei e mentirgli era davvero brutto…
Tucker le rivolse un sorriso amichevole quando sentì che la ragazza aveva smesso di piangere. Cercò di cambiare argomento per far stare un po’ meglio Kate. << Sono contento che tu sia uscita oggi. >> Era sincero. << Come mai sei tornata solo a quest’ora? >>
Kate si asciugò le lacrime che erano scese dai suoi occhi e inspirò col naso tappato, cercando di assumere un aspetto più composto e sereno. Si sforzò di sorridere, sapendo che Tucker stava cambiando argomento proprio per quel motivo. << Sono andata a studiare in biblioteca con Jennifer, e… Insomma… >> Quello che era accaduto in biblioteca era piuttosto imbarazzante, quindi Kate si vergognava un po’ a raccontare tutto quanto, ma alla fine ridacchiò dicendo che erano state cacciate. << Diciamo che non avevamo tanta voglia di studiare. >> Spiegò con un sorrisetto scherzoso, mostrando anche di essersi rilassata.
In un primo momento Tucker sembrò sorpreso, ma poi anche lui sorrise e annuì. << Capisco. >> Disse sorridendo. << E… Tutto bene a scuola? >> Chiese. Quella frase fece bloccare Kate, che si sentì quasi spinta a un angolo.
Non voleva mentire di nuovo a Tucker, però non pensava che l’accaduto di quella mattina fosse un così grande problema, in fondo… << Più o meno… >> Disse incerta distogliendo lo sguardo.
<< In che senso? >> Chiese Tucker alzando lo sguardo.
<< Bé, diciamo che il periodo di malattia non ha giovato molto ai miei studi… >> Disse girando gli occhi.
Tucker sorrise annuendo piano e rivolgendo un mezzo sguardo di rimprovero alla ragazza. << Ho capito. >> Disse. << Problemi? >>
Kate si schiarì la voce. << Un sacco. >> Ammise con tono colpevole, ma un po’ eccitato, presentando un sorrisetto furbo. Tucker sorrise e le accarezzò la testa. Si alzò e si voltò camminando avanti.
<< Se è successo qualcosa, magari posso provare a parlare io con i tuoi maestri. >> Mormorò senza guardarla. << Potrei spiegare loro che non è stata una settimana facile per te… >> Disse dopo essersi fermato.
Kate lo fermò. << No. >> Disse. << Non vorrei sembrare una in cerca di compassione! >> Spiegò allarmata alzando una mano verso l’uomo. Tucker si voltò e la guardò con la coda dell’occhio stupito.
<< Allora posso dire qualcos’altro? >> Chiese con un sorrisetto.
Kate sospirò esasperata. Voleva aiutarla troppo, in quella situazione. Era davvero troppo buono. << Vedremo… >> Mormorò. << Per il momento voglio riposarmi senza pensare alla scuola. >> Disse facendo qualche passo verso la cucina e lasciando andare lo zaino che aveva tenuto fino a quel momento.
Tucker annuì voltandosi. << Bella idea. >> Detto questo si diresse verso la porta e prese le chiavi che aveva lasciato lì prima. << Oh, e scusami per aver fatto irruzione così… >> Si scusò aprendo leggermente la porta. Kate era sulla soglia della porta della cucina con una mano appoggiata al bordo; gli rivolse un sorriso gentile.
<< Non si preoccupi. E’ bello sapere che c’è gente che si preoccupa per me… >> A quelle parole Tucker sorrise ancora una volta e la salutò uscendo definitivamente di scena.
Kate lasciò andare un sospiro di sollievo quando Tucker fu uscito. Perché si sentiva sollevata? La presenza di Tucker non era mai stata un fastidio, era sempre stata bene con lui. E allora perché si sentiva come se fosse in trappola? Forse perché l’uomo era venuto in casa sua senza preavviso e l’aveva spaventata, ma non era sua intenzione; lui voleva solo accertarsi che stesse bene… E perché voleva accertarsi che stesse bene? In fondo lui non poteva sapere di Slender Man. Probabilmente si era solo preoccupato per non averla vista quella mattina, e poi la sera precedente… Doveva averlo davvero preoccupato con il suo atteggiamento isterico… E gli aveva anche mentito in quel modo… Perché era diventata così?
Qualunque spiegazione riuscisse a darsi, la risposta era sempre la stessa: Slender Man era il motivo della sua paura, era il motivo delle sue bugie a Tucker, era il motivo della paura che aveva provato verso Tucker per un istante. La sua insicurezza, la sua paura di ciò che doveva essere familiare e amichevole, ciò che aveva sempre visto con occhi contenti, adesso la faceva preoccupare. Tutto quanto perché c’era un mostro che la guardava costantemente.
Kate girò su sé stessa guardandosi intorno spaventata; era lì, lo sentiva. L’aveva aspettata, oppure era andato a scuola con lei e poi in biblioteca, e poi aveva vegliato su di lei lungo la strada di casa? E che cosa aveva intenzione di fare ora?
<< Ci sei? >> Chiese incerta. La sua voce risuonò nelle stanze vuote di casa sua; nessuna risposta. Non sapeva bene se quella fosse una buona notizia o no…
Tormentata dai dubbi, Kate non poté fare altro che mettersi a camminare, dirigendosi verso la sua stanza. Una volta lì, la ragazza si tolse le scarpe e salì sul suo letto, sdraiandocisi sopra. Stava dormendo un sacco in quei giorni, non faceva altro. E nonostante tutto, ogni giorno era sempre più stanca…
Sospirò.
Fissando il soffitto, lentamente, le sue palpebre cominciarono a calare. La sua vista si annebbiò finché non divenne tutto buio e i suoi occhi furono ben chiusi. In quello stato, con il braccio sinistro steso lungo il fianco e quello destro sporgente dal letto, Kate si addormentò. La gamba sinistra era distesa, mentre la destra era leggermente rivolta verso l’altra, e il viso sembrava sereno. Si addormentò, desiderando di non doversi più muovere da lì; desiderando di poter riposare senza preoccupazioni.

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Capitolo 23
*** Visita ***


Kate era sdraiata a terra. Indossava un abito nero, gonna corta, corpetto con i bordi bianchi, l’aveva già visto. Era scalza, i suoi capelli si sparpagliavano per terra in tutte le direzioni. La gamba sinistra era distesa e leggermente inclinata verso l’altra, mentre la destra era più esterna, il ginocchio toccava con la coscia sinistra e il piede era proiettato verso fuori. Le sue braccia erano in due posizioni differenti: il braccio sinistro scendeva lungo il fianco, mentre il destro era rivolto verso l’esterno; leggermente piegato, il gomito puntato verso le gambe, il braccio continuava verso sopra e ancora più in fuori, fino a raggiungere la mano, rilassata e inerte. Era immobile; non era in grado di muovere nessuna parte del suo corpo, ma era cosciente. Respirava regolarmente, il suo petto si alzava e si abbassava con ritmo regolare, sentiva l’aria entrare nei suoi polmoni e poi uscire; sentiva anche il sangue che scorreva nelle sue vene, non aveva idea di come fosse possibile… Era perfettamente conscia, ma era comunque incapace di muoversi.
Era in una grande sala bianca, o forse era all’aperto, ma che razza di posto poteva essere quello, se fosse stato all’aperto? Non sembrava esserci un sorgente di luce precisa, il bianco però era abbagliante, non riusciva a tenere lo sguardo fisso per molto tempo; quello era un problema: dato che era impossibilitata a muoversi, Kate non riusciva nemmeno ad alzare una mano per coprirsi gli occhi, ma non riusciva nemmeno ad abbassare le palpebre, era come se fosse stata paralizzata completamente. Ma perché? Dov’era? Che stava succedendo? Impiegò tutte le forze che aveva per provare a muovere le braccia, a spingersi in alto, ma non riuscì a muoversi di un millimetro. Quella sensazione di impotenza era orribile; cominciò ad ansimare in preda al panico. Era stata rapita? L’avevano drogata? Perché le stava succedendo tutto quello?
Più cercava di lottare, più si sentiva debole; non riusciva a fare niente, poteva solo muovere gli occhi. La voce non usciva dalla sua gola e ogni secondo che passava si sentiva sempre più soffocare. Sentiva uno strano odore. Un odore metallico e caldo, in qualche modo… Si sentì bagnata all’improvviso; i suoi vestiti, le braccia, le gambe, era bagnata di qualcosa di caldo e denso… Era una sensazione orribile. Cercò di guardarsi il petto per capire cosa fosse, ma non ci riuscì. Tentò uno sforzo, ma alla fine dovette rinunciare. Si abbandonò alla convinzione di non poter fare niente e cominciò a piangere. Sentì le lacrime solcarle il viso e cadere dai lati della sua faccia. Era bruttissimo. Cosa era successo? Non riusciva nemmeno a pensare, forse a causa della situazione, o forse il suo blocco non era solo fisico…
A un certo punto qualcosa cambiò; sentì come una calamita che la tirava su, ma il suo corpo non si mosse: cambiò la sua visuale, che fu trascinata verso l’alto e lentamente fu ruotata, lasciando a Kate la visione del suo corpo disteso per terra, su un pavimento bianco.
Era come aveva immaginato: la gamba sinistra era distesa, mentre la destra toccava con il ginocchio l’altra e poi si volgeva verso l’esterno, e mentre il braccio sinistro scendeva lungo il fianco corrispondente, l’altro braccio si allontanava dal suo busto. In viso, la ragazza aveva un’espressione terrorizzata, spiazzata, ma sicuramente, immutabile. Sembrava morta, se Kate non avesse potuto ancora sentire il suo corpo come se fosse perfettamente sveglia. Ma c’era una cosa in particolare che spaventò molto la ragazzina.
Giaceva in una pozza di sangue. O meglio, il sangue non era del tutto liquido, ma parte di esso era coagulato, e aveva reso il terreno ruvido e scintillante. Altro ancora, il suo vestito – era quello che aveva sognato di indossare precedentemente e che poi aveva visto in una vetrina in seguito – era imbrattato di sangue; anche sulle sue braccia e gambe c’erano macchie di sangue, ma quel sangue non apparteneva a lei, ne era sicura. Non sembrava avere nessuna ferita dove c’era sangue, e non sentiva nessun dolore, nonostante non potesse più tanto essere sicura di possedere il controllo dei suoi sensi.
In qualunque modo la si guardasse, quella vista era terrificante. Kate urlò. Il suo grido acuto echeggiò nella enorme stanza vuota, ma il suo corpo non si mosse.
Kate aprì gli occhi urlando e alzandosi sulla schiena. Il suo urlo continuò per alcuni secondi, dopo vide le pareti della sua stanza, e la ragazza smise di urlare. Ansimava con forza, il cuore le batteva all’impazzata, sudava copiosamente, aveva caldo e tremava tutta. Era stato tutto un sogno. Solo un sogno…
Rimase sul suo letto per diversi minuti, non seppe dire quanto tempo passò. Quando il suo respiro cominciò a tornare regolare, il cuore tornò a battere normalmente, l’aria attorno a sé si fece più fresca e riuscì a riprendere il controllo delle sue membra, Kate fu di nuovo capace di pensare.
Un sogno… Quelle parole continuavano a rimbombare nella sua testa. Era davvero un sogno? O solo qualcosa di… Diverso? Era l’unica parola che riusciva a trasmettere bene  l’idea di Kate riguardo a quello che aveva visto. Un incubo. Si convinse poco dopo. Era un incubo. Non aveva avuto incubi da un po’, nonostante nelle ultime notti non avesse dormito bene… Sì. Probabilmente era solo un incubo.
Si guardò intorno. Era buio. I raggi della Luna colpivano in pieno i vetri e illuminavano il pavimento di una luce azzurrina rilassante. Sospirò vedendo quella luce. Poi nell’angolo vide una figura nera e immobile, e saltò sul letto dallo spavento.
Kate lanciò un altro urlo quando riconobbe la sagoma di Slender Man e la sua schiena sbilanciata la tirò giù dal letto. Kate si schiantò contro il parquet e si fece male alla testa. Si lamentò strofinandosi la nuca e cercò di rialzarsi aggrappandosi alle coperte del letto, che finì per tirarsi addosso. Quando fu ricoperta da quelle, Kate sospirò pazientemente, cercando di non perdere la calma per la sua sfortuna. Stringendo a sé la coperta voluminosa, Kate si appoggiò con una mano al comodino e si alzò lentamente, nascondendosi dietro alla coperta che striscò per terra e lasciando scoperta solo parte della faccia per poter osservare Slender Man, che nel frattempo, non si era mosso da lì.
Cercò di non mostrare la sua ansia, ma il suo cuore batteva così forte che probabilmente l’essere avrebbe potuto sentirlo.
Insicura, la ragazzina fece qualche passetto laterale per uscire da lì e raggiunse i piedi del letto, sempre con molta cautela. Poi, con ancora più prudenza, Kate fece un piccolo passo verso il mostro. Curvò la schiena mentre si avvicinava, come pronta a scattare via in caso di pericolo. Fece un altro passo e notò che Slender Man si limitava a fissarla lì. Kate si strinse sempre più alla coperta e lo guardò con occhi lucidi. Trattenne il respiro e chiese con voce tremante:<< Che vuoi? >>
Slender Man la fissò senza dare nessuna risposta. Sembrò ricevere in ritardo la domanda, e si mosse piano per rivolgersi totalmente verso di lei. A quel gesto, Kate si spaventò e si mosse di scatto verso sinistra, urtando la scrivania e facendo cadere da essa una piccola biglia di vetro che era lì sopra; Kate non sapeva nemmeno come ci fosse arrivata lì…
Slender Man la seguì con lo sguardo finché non si fu fermata contro il muro; allora piegò con cautela le ginocchia, inarcando ancora di più la schiena, e allungò un braccio verso di essa, raccogliendola con le sue lunghe e sottili dita. Dopo aver portato la biglia all’altezza del suo petto e dopo aver raddrizzato la schiena – per quel che poteva – Slender Man sembrò esaminare per un istante la piccola biglia di vetro con dentro delle onde colorate che a Kate piacevano tanto. Poi, l’essere si girò verso Kate e allungò la mano con la biglia. La ragazzina si ritrasse per un istante assumendo un’espressione terrorizzata, ma un secondo dopo capì l’intento del mostro. Delle parole si formarono nella sua mente.
Ti è caduta questa.
Riacquistando lentamente il controllo del suo respiro, Kate esaminò la mano bianca e perfettamente liscia dell’essere su cui si posava la minuscola biglia. Respirando con calma, Kate allungò con cautela la mano destra tremante, mentre la sinistra stringeva ancora di più la coperta. In una frazione di secondo, la ragazza afferrò la biglia dalla mano di Slender Man e la portò al petto trattenendo il respiro. Senza dire niente, Slender Man ritrasse la mano e tornò in quella sua posa passiva a fissare Kate. Le trasmetteva un senso di oppressione tremendo; lo fissava con occhi sospettosi, cercando di capire cosa volesse da lei, ma niente arrivava da lui.
Kate aprì la mano contenente la biglia e la fissò qualche secondo. Era una normalissima biglia di vetro, non c’era niente di anormale, quindi pensò di poter escludere l’idea che si trattasse di una trappola. Rivolse uno sguardo più sicuro, ma non meno sospettoso all’essere e riportò la biglia al petto, come se fosse qualcosa che le potesse dare coraggio. Decise di riprovarci:<< Che vuoi? >>
Questa volta Slender Man sembrò recepire la domanda e sembrò pensare a una risposta. Come immaginò Kate, le parole presero forma nella sua mente senza che dovesse sentirle. Ti ho detto che voglio proteggerti.
Kate sospirò pazientemente; sapeva di non essere autorizzata a perdere le staffe con quel mostro, ma pensava che non le avrebbe fatto niente, finché sarebbe rimasta lì, calma. << Perché continuo ad avere incubi? >> Chiese inarcando leggermente la schiena in avanti e puntando un dito verso il suo letto sfatto.
Slender Man rivolse lo sguardo verso il letto con l’atteggiamento di chi non sembra capire. Tornò a guardare Kate e disse: Sono parte del processo.
Kate mise più forza nella voce. << Quale processo? >> Sbottò scuotendo in avanti la testa. Slender Man esitò a questa domanda. << Rispondimi! >> Lo incitò Kate piegandosi ancora più in avanti. Quella richiesta sembrò sorprendere Slender Man, che sussultò. Dopo pochi secondi le parole nella mente di Kate spiegarono tutto.
Il processo di rigetto della mente umana a
 Me.
Kate rimase allibita da ciò che aveva sentito. << Cosa…? >> Mormorò confusa e spaventata.
Sapevo che non avresti compreso subito. Fece Slender Man senza muoversi. Girò piano la testa e si mise a spiegare meglio. Io non sono come un normale essere umano. Non appartengo a questo mondo. La mia influenza ha diversi effetti sulla mente umana, diversi ma simili, a seconda dei soggetti. L’essere tornò a guardare Kate. La ragazza avrebbe giurato di aver visto un sorriso sul viso vuoto del mostro. Alcuni di questi effetti sono piuttosto divertenti.
Che razza di mostro era presente in camera sua con lei? Kate si sentì intrappolata con un essere pericoloso e folle; chissà perché non le fosse venuto prima quel presentimento…
Slender Man sembrò aspettare un qualche segno da lei per confermargli ciò che aveva appena detto, ma l’unica risposta che ebbe da Kate fu un passo indietro. Slender Man lasciò perdere e andò avanti.
Tu sei diversa da tutti gli altri. Disse alzando lentamente la mano destra e puntando il dito lungo e scheletrico contro di lei. Kate sentì l’oppressione di quel dito su di sé, come se con quel semplice gesto potesse riuscire a immobilizzarla.
<< Che vuol dire? >> Chiese Kate senza accorgersi di essersi messa a tremare da quando quel dito si fosse alzato. << Come sarei diversa dagli altri? >> Si strinse ancora di più alla coperta, sperando che le potesse dare qualche protezione.
Slender Man notò il suo timore e abbassò il dito. Di solito, la maggior parte dei soggetti che viene in contatto con me ha allucinazioni, sviluppa sintomi di malessere e subisce lesioni gravi e non al cervello. Kate ascoltava atterrita la spiegazione di Slender Man. Molto spesso queste lesioni costringono il soggetto a uccidersi o a uccidere chi è con lui. Le menti più forti si oppongono, e sono quelle le prede migliori… Sembrò perdersi per un istante nei suoi pensieri, ma subito dopo tornò a fissare Kate negli occhi. Altre volte la mente del soggetto si arrende, si spezza, e la preda perde la sua razionalità. Si fermò.
Kate cercò di ignorare la nausea che quelle parole le stavano provocando. << Tutto questo cosa c’entra con me? >> Chiese rivolgendogli uno sguardo minaccioso, o almeno provandoci.
Slender Man mosse la testa da destra a sinistra. Niente. La tua mente è diversa da ogni altra; è libera da vincoli. Per questo non riesco in nessun modo a condizionarti.
Kate non capiva. Non le sembrava giusto. << Se la mia mente è diversa dalle altre, allora perché sto avendo gli Incubi? >> Era furiosa, perché quell’essere le stava rovinando l’esistenza.
Slender Man non si scompose. Nonostante la tua mente sia superiore a quella dei normali umani, il mio potere è infinitamente più grande e la mia influenza ha dei leggeri effetti su di te…
Kate lo guardò incredula. << ”Leggeri”? >> Chiese abbattendosi. << Non riesco più a dormire per colpa tua! Ovunque vada ho paura di essere attaccata da qualcosa che non esiste! >>
Slender Man si affrettò a rassicurarla. Questo non succederà, perché veglierò su di te.
<< Non c’entra la mia sicurezza! >> Esclamò Kate affranta. << Mi sento come in una gabbia! >> Si sentiva la testa scoppiare, non voleva avere a che fare con tutto quello. Si fece coraggio e fece un passo in avanti allentando la stretta sulla coperta e alzò una mano puntando un dito contro Slender Man. << Mi stai facendo impazzire! >>
Slender Man sembrò non sapere bene come rispondere. Rimase solo a guardare il dito sottile di Kate che lo puntava e forse si chiese come rispondere a quell’accusa. Non stai impazzendo. I tuoi sensi sono diventati solo più acuti…
<< E questo che significa? >> Chiese Kate disperata allargando le braccia facendo cadere la coperta a terra. Non avrebbe indietreggiato questa volta. << Dovrei rallegrarmi del fatto che sono ancora viva? La mia vita andava già abbastanza da schifo prima che sbucassi tu, e ora dovrei sopportare anche queste visioni? >> Sospirò facendo oscillare la testa abbattuta. << Non ce la faccio… >> Mormorò infine appoggiando la testa al muro alla sua sinistra. Rimase in quella posizione per alcuni istanti, in attesa di una risposta da Slender Man. L’essere se ne stava lì fermo a fissarla; forse lo divertiva vederla in quello stato, a lottare con i suoi stessi pensieri, in cerca di una via di fuga inesistente… Sicuramente il suo obiettivo era quello di vederla soffrire, farla soffrire sempre di più e poi portarle via la vita, dopo dell’anima e la ragione.
<< Di’ qualcosa… >> Lo supplicò Kate, capendo che non avrebbe risposto. Si voltò dando lo sguardo alla parete opposta e scivolò lungo l’armadio fino ad arrivare a terra. Voleva una risposta: se avesse intenzione di tormentarla per il resto della vita oppure se quella pazzia avrebbe avuto una fine; nel caso la risposta fosse la prima, Kate avrebbe almeno saputo che non c’era modo di uscirne e si sarebbe rassegnata, ma se ci fosse stata una speranza per salvarsi da tutto quello, Kate avrebbe provato di tutto per farlo avverare…
Le parole dal mostro vennero inaspettate, ma Kate non gli credette. Quello che ti sta succedendo non era stato previsto. Si tratta della reazione del tuo cervello alla mia presenza, non si tratta di qualcosa di intenzionale. Kate sospirò afflitta. Significava che ogni volta che Slender Man sarebbe stato nei paraggi lei avrebbe sofferto di quel malessere, e quindi non sarebbe rimasta serena mai più… Però la tua mente ha già avviato un processo di assuefazione. Già in questo momento noterai che il malditesta è diminuito dal primo giorno che hai cominciato a manifestare i sintomi.
Quelle parole furono come una medicina per Kate. Significava quindi che una possibilità di tornare alla normalità c’era. Ma forse la normalità non sarebbe tornata comunque… Alzò lo sguardo un po’ sollevato e chiese:<< Spiegati meglio. >>
Slender Man non se lo fece dire un’altra volta e si avvicinò di più a Kate, spaventandola un po’. L’essere si appoggiò allo stesso armadio alla quale era poggiata la schiena della ragazzina e scivolò giù verso di lei, accovacciandosi accanto a lei. Più il tuo organismo viene esposto alla mia influenza, più questo ci si abitua, e alla fine dovresti non sentire più differenza da prima.
Non era una risposta chiara; non era quello che sperava Kate, nemmeno… Ma era qualcosa. Sapeva che poteva tornare a stare bene, a ignorare quella paura che la attanagliava da quel sabato sera passato a una festa…
Kate inspirò con il naso chiuso; non si era accorta di essersi messa a piangere. Quando si era accasciata a terra le lacrime erano fuoriuscite dai suoi occhi senza che lei se ne accorgesse… << Come con l’alcol…? >> Chiese strofinandosi un occhio con un dito. Aveva fatto un paragone piuttosto semplice, il primo che le era venuto in mente, ripensando alla festa del sabato scorso. Incredibilmente, Slender Man girò lo sguardo verso di lei e annuì piano.
Kate non sapeva se rallegrarsi per quella notizia, ora. Sapeva che si sarebbe potuta stabilizzare, in un modo o nell’altro, ma sapeva anche che Slender Man, dicendole quello, non l’avrebbe lasciata in pace tanto presto… In fondo, se l’essere avesse dovuto perdere interesse in lei, avrebbe potuto ucciderla e finirla lì, quindi forse era meglio così… Forse…
La ragazzina si strinse le gambe in mezzo alle braccia pensando. Lo Slender Man era accanto a lei e non si muoveva. Sospirò stanca, pensando che non sarebbe riuscita a dormire, dopo quell’incubo. C’è qualche problema? Chiese l’essere girando piano la testa verso di lei.
Kate reagì di sorpresa e scattò la testa per fissare il mostro con occhi stupiti spalancati. Assunse poi un’espressione sconsolata. << No… Non puoi fare niente per gli incubi, vero…? >> Chiese dopo un attimo di esitazione. Slender Man sembrò titubante.
La soluzione migliore è aspettare. Disse. A Kate sembrò che gli dispiacesse risponderle così. Dopo aver sentito quello, la ragazzina scese un po’ con la schiena e si strinse a sé stessa infreddolita, distendendo di poco le gambe. Assunse un’espressione debole, stanca, e abbassò la testa, sperando che Slender Man non le facesse nulla durante il suo sonno.
Il suo respiro rallentò e divenne più profondo, le sue dita si irrigidirono attorno le spalle e il battito del suo cuore fu l’unica cosa che la fece sussultare leggermente.
Lentamente le sue palpebre calarono e tutto divenne buio.

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Capitolo 24
*** Quotidianità ***


Kate si mosse piano, cercando di sciogliere i muscoli indolenziti senza causare danni. Si sentiva tutta rattrappita, il collo le faceva male, la schiena e il sedere non erano da meno. Allungò le braccia per stiracchiarsi e si rese conto di avere addosso la pesante coperta del suo letto. Assunse un’espressione confusa e aprì gli occhi per vedere dove fosse.
La ragazzina era accovacciata ai piedi dell’armadio della sua stanza, sentiva il freddo parquet sotto i suoi piedi scalzi e la schiena premuta contro l’armadio. Per questo le faceva male la schiena, che era stata curva per tutta la notte, come il collo reclinato in avanti, e indossava ancora i vestiti che aveva messo il giorno precedente, quindi i Jeans che aveva indossato avevano premuto sul pavimento tutta la notte, adesso le formicolavano le gambe e il fondoschiena le faceva male come non le era mai successo.
Mugolò qualcosa e fece un verso di stanchezza cercando di girarsi su un fianco; la coperta che aveva addosso le impediva movimenti liberi. Si stiracchiò un'altra volta e rilassò i muscoli per qualche secondo, posando gli occhi sulla coperta bianca che le copriva le gambe. Era sicura di non essersi messa la coperta addosso quella notte. Era sicura di essersi addormentata lì, dov’era adesso, ma la coperta non c’era. La coperta le era caduta a terra la sera prima, quando stava parlando con Slender Man…
Kate si schiaffò la mano in faccia sospirando. Adesso ricordo. Pensò seccata. Slender Man era rimasto accanto a lei quando si era addormentata, poi, forse notando che la ragazza stesse tremando, doveva aver preso la coperta e gliel’aveva messa addosso per proteggerla dal freddo che proveniva dal pavimento. Un gesto gentile, da parte di un mostro…
Kate si alzò rivoltando la coperta e si guardò intorno. La stanza era vuota, era da sola. Esaminò il letto e notò che sembrava essere passato un tornado sopra di esso. Durante il sonno, prima di svegliarsi e incontrare Slender Man, Kate doveva essersi dimenata parecchio a causa del suo incubo… Il cuscino era storto e ammaccato, un angolo penzolava fuori dal letto, e un lenzuolo bianco leggero era lasciato cadere a terra, mentre resisteva ancora aggrappato ai due angoli posteriori del letto. Di solito Kate dormiva in modo piuttosto agitato, e le era capitato più di una volta di avere a che fare con un letto completamente sconquassato, ma durante la notte non le era sembrato di muoversi per niente… Era strano, diverso dal solito…
Uscì dalla stanza e si avviò verso la cucina, scendendo piano le scale che portavano al piano di sotto. Una volta lì si guardò intorno, poi alzò lo sguardo ed esaminò il soffitto. Non c’era niente di anormale lì sopra, dove il giorno precedente Kate aveva avvistato una strana ombra che la osservava in silenzio… Doveva preoccuparsi, o era un buon segno? Decise di lasciar perdere ed entrò in cucina, dove si preparò una tazza di latte per svegliarsi.
Stranamente, quella mattina Kate si sentiva tutta indolenzita e debole, ma la sua mente era attiva, sveglia, come se non avesse nessun problema dovuto alla notte pesante che aveva avuto. Si scottò con il latte bollente quando cercò di berlo e lo ripose sul tavolo aspettando. Sospirò facendo girare lentamente lo sguardo lungo le pareti della cucina.
<< Ci sei? >> Chiese alzando poco la testa. Quella situazione, fingere che non fosse successo nulla, la stava facendo impazzire. Sapeva che lui era lì e che la stava guardando, quindi avrebbe fatto meglio a mostrarsi.
Un sibilo provenne da un angolo del soffitto; ci fu qualcosa di sottile e nero che sfiorò la spalla sinistra di Kate mentre la ragazza avvertiva un movimento dietro di sé. Cercò di non reagire a quel gesto e provò a rimanere perfettamente immobile, la schiena diritta e ben aderente allo schienale della sedia, ma non riuscì a trattenere un brivido. Forse l’essere era anche in grado di leggere nella sua mente, quindi quello che stava facendo per nascondere il suo timore era probabilmente inutile…
<< Sei qui… >> Mormorò Kate guardando con la coda dell’occhio la figura nera che sembrava calarsi dal soffitto. Ora si sentiva un po’ più sollevata, nonostante la presenza del mostro la mettesse in soggezione… Slender Man non disse niente; il silenzio fu la sua risposta. Kate reagì di conseguenza, rimanendo a sua volta in silenzio.
La ragazza riprese a bere il suo latte ignorando l’enorme uomo pallido che la fissava dietro di sé. Sentire lo sguardo di quell’abominio la faceva stare male, era come se fosse nelle mani di un pervertito e che stesse abusando di lei in ogni momento che rimaneva da sola. Era una orribile sensazione.
<< Non ce la faccio. >> Disse Kate posando la tazza sul tavolo mantenendo la calma, nonostante desiderasse mettersi a urlare per cercare aiuto e scappare da quella casa, che ormai non poteva più considerare un luogo sicuro. Tamburellò piano le dita sul tavolo, poi alzò le mani all’improvviso e le sbatté su di esso alzandosi dalla sedia. << Non ce la faccio! >> Ripeté girandosi verso Slender Man, nel tentativo di fargli comprendere la situazione. Quello la guardava con la sua solita faccia vuota, Kate non poteva capire cosa stesse pensando: era come parlare a un muro!
Qual è il problema? Chiese rimanendo immobile. Kate rabbrividì quando le parole attraversarono la sua mente. Indietreggiò mettendosi le mani alla testa e stringendo le dita tra i capelli; era come se un filo metallico le attraversasse il cervello in un istante.
<< Non riesco a stare calma con te nelle vicinanze! Sei… Qualcosa di innaturale, non dovresti esistere! Ho paura di te! >> Esclamò tutto a un fiato senza pensare. Con quella frase avrebbe anche potuto scatenare l’ira di Slender Man, avrebbe potuto giocarsi la possibilità di vivere ancora. Ma andò tutto bene. Slender Man non sembrò prendersela; e come avrebbe potuto dirlo, Kate?
La mia presenza ti mette a disagio? Chiese rimanendo immobile. Kate aveva paura di aver detto troppo; se si fosse infuriato l’avrebbe uccisa in un istante. Certo, sarebbe stato un modo per finire quella storia…
<< Ho… Paura. >> Disse Kate stringendosi le braccia come per difendersi da Slender Man. << Ho paura che alla fine, quando sembrerà tutto passato, allora tu mi ucciderai… >> Kate prese fiato pensando a cosa dire. << E’ la tua natura… >>
Slender Man se ne stava a guardarla impassibile. Era sempre lì, immobile, vuoto, silenzioso, non voleva rispondere a Kate perché aveva visto giusto? Oppure non sapeva come risponderle? Kate pensava che ci volesse molto più di quello per lasciare senza parole lo Slender Man.
<< Dimmi che l’altra notte mi hai detto la verità! >> Lo supplicò spingendosi verso di lui. << Dimmi che il mostro che rapisce e uccide i bambini nei boschi vuole solo proteggermi! >> Kate voleva una risposta; glielo aveva detto tante volte, ma a lei non bastava sentire quella strana scusa, voleva sapere anche perché lui, Slender Man, un mostro senza cuore attratto solo dal sangue e dal dolore, si fosse così fissato con lei, perché era così speciale ai suoi occhi?
Slender Man sembrò leggere nella sua mente mentre rimaneva in silenzio. Non appena i pensieri di Kate si furono placati e il suo sguardo si fu fermato sulla faccia bianca dell’essere, quello parlò. Come al solito, le parole si formarono nella mente di Kate, senza una provenienza sicura. Vuoi sapere perché ho scelto te?
Kate adesso fissava il mostro con occhi furenti; annuì rapidamente senza staccare lo sguardo da lui, quasi come se avesse paura di perderlo. Certo che lo voleva! Per quanto potesse essere terribile la verità, avrebbe preferito morire conoscendola, che morire ignorante. Non si sarebbe mai pentita delle sue scelte!
Slender Man spostò la testa guardando la finestra chiusa da cui entravano dei raggi di sole dorato e si mise a parlare. Ti ho detto che sei speciale…
<< Perché? >> Scandì seccata Kate interrompendolo. Non voleva più cadere nei suoi giochetti. Slender Man sembrò divertito da quella reazione, e tornò a guardare Kate. Lo sguardo vuoto del mostro era difficile da sostenere; oltre alla sensazione di insicurezza che trasmetteva solamente guardarlo, dopo un po’ di tempo passato in quella posizione, la testa della ragazza cominciava a pulsare e il suo sguardo si sfocava sempre di più; doveva essere l’influenza di Slender Man.
Slender Man recepì il messaggio e si sbrigò a spiegare a Kate perché fosse così speciale. Te l’ho già detto: non hai paura di me. E continui a dimostrarlo ogni secondo che passa. Kate sentì lo sguardo invisibile di Slender Man che la scrutava avido, e si sarebbe potuta benissimo immaginare un sorriso perverso su quel suo viso vuoto. E’ intrigante. Disse avvicinandosi a Kate piegando la schiena in avanti. Continuò a parlare dopo essere tornato al suo posto. E’ la prima volta che succede una cosa del genere, e sono interessato…
Kate sentì un brivido lungo la schiena e cercò di non mostrare la sua espressione atterrita; parlò cercando di mantenere un tono autoritario, riuscendoci poco:<< Sarei quindi una specie di esperimento? >>
Slender Man rispose in fretta alzando una mano. No. Sei qualcosa di prezioso, un fiore delicato da tenere con cura.
Se Kate avesse mai dovuto descrivere sé stessa, non avrebbe mai usato l’espressione “fiore delicato”, per quanto potesse sembrare esatta. Si sentì in una posizione scomoda, sentendo parlare Slender Man a quel modo di lei. Rimase in silenzio cercando di pensare a una buona domanda, ma l’essere la precedette.
So che pensi che io sia un mostro assetato di sangue, e, effettivamente è vero… Slender Man fece scorrere lo sguardo dal basso all’alto, fino a incrociare quello spaventato di Kate. Ma anche io posso provare sentimenti. E io provo qualcosa per te; qualcosa come un’attrazione, non riesco a rimuovere la tua immagine dalla mente. Si mise una mano al petto. Mi è successo, in passato. Innamorarmi di una certa preda, il suo aspetto, la sua personalità vivace e spensierata… Qualcosa di raro, nel mondo degli umani… Ma diversamente da te, il mio desiderio era quello di possedere quel corpo. Detto questo puntò un dito scheletrico contro Kate, che indietreggiò intimorita sentendo la pressione di quel dito su di sé. Distolse lo sguardo dopo pochi istanti riprendendo a parlare. Così fu. Ridussi in mille pezzi quel corpicino, fu qualcosa di… Grandioso… Sembrava parlare dell’orrore che aveva fatto come se fosse stata un’opera d’arte. Era disgustoso.
Kate, senza accorgersene, aveva indietreggiato fino a sbattere con il tavolo; dopo essersi guardata le spalle, aveva continuato a muoversi lentamente verso dietro, fino a raggiungere un angolo, mettendosi in trappola da sola. Slender Man, di conseguenza, aveva avanzato seguendola, ma fermandosi a metà strada, forse volendo lasciarle il suo spazio. Nonostante gli occhi di Kate fossero spalancati per l’orrore e la ragazzina stesse cercando di farsi minuscola per sparire, continuò a parlare di quel suo vecchio “amore”.
Era una ragazzina, proprio come te, forse un po’ più giovane, ma aveva un aspetto diverso… I capelli erano più corti dei tuoi, e il loro colore era quello del sole; i suoi occhi blu erano grandi e belli. Anche la sua natura era diversa dalla tua: era una ragazza più aperta, piena di amici con cui confidarsi e amava i suoi genitori alla follia, ma quando mi incontrò perse totalmente la testa, si chiuse in casa e smise di parlare… Slender Man sembrò incupirsi qui. Perse la sua solarità, il suo amore per la vita. Voleva solo finirla. Non era più interessante… E la uccisi. Dopo aver tratto piacere nel diventare parte della sua vita, provai piacere nell’entrare nella sua mente e distruggergliela completamente, anche se ciò fu deludente… Alla fine le tolsi la vita con un semplice tocco. La tenni un po’ con me, sperando che potesse tornare ciò che era prima ai miei occhi, ma ormai era solo un corpo morto, non aveva niente di interessante in sé che mi avrebbe potuto stregare come prima… Sembrava nostalgico mentre parlava di quelle cose. Sembrava dispiaciuto… Alla fine, dopo aver conservato il suo corpo morto per alcuni giorni, cominciai a provare dell’odio verso di lei. Quella frase spiazzò Kate, che si sentì come se fosse un avvertimento rivolto a lei. Lui stesso cominciò ad avere un aspetto più minaccioso e adirato, nonostante non si muovesse di un millimetro. Era morta. Io l’avevo uccisa perché mi aveva tradito! Mi aveva raggirato!
Kate cercò di non far notare la sua inquietudine e chiese:<< Come ti aveva raggirato? >> Ovviamente la sua voce ebbe un suono spezzato quando uscì.
Slender Man fissò intensamente Kate per pochi secondi, poi abbassò lo sguardo fino a guardare il pavimento sotto i suoi piedi e in quel momento Kate notò i suoi pugni stringersi. Mi aveva fatto credere di essere speciale. Mi aveva fatto perdere la ragione con la sua natura solare, la sua vita felice, facendomi credere che ci fosse posto anche per me in essa. Ma quando mi mostrai a lei, reagì diversamente, respingendomi e nascondendosi, perdendo tutta quella apparente perfezione che la circondava…
Kate rimase in silenzio. Continuava a guardare le mani di Slender Man, che sembrava ricordare con rabbia quella povera bambina alla quale aveva rovinato la vita.
E la uccisi, perché l’unico piacere che potevo trarre da lei ormai era quello di vedere il suo dolore. Disse allentando le strette ai pugni. Tornò a fissare Kate, nonostante non avesse occhi con cui guardarla. Kate lo fissava sempre più disgustata dalla perversione di quell’essere mostruoso. Non era ciò che credevo. Disse sembrando sconsolato. Non era una ragazza perfetta, una capace di guardarmi senza vedere un mostro. Era una ragazza con una mente semplice, che aveva paura di me come chiunque altro.
A quel punto Kate decise di prendere al volo l’occasione, anche se folle:<< Io ti vedo come un mostro. >> Ammise senza vergogna, senza timore, e senza nemmeno rabbia; disse semplicemente quello che pensava, e sapeva che era inutile provare a mentire a Slender Man.
Si sarebbe aspettata una reazione incontrollabile, questa volta Slender Man si sarebbe dovuto arrabbiare per forza, e Kate si chiese perché stesse facendo di tutto per farlo infuriare, ma sorprendentemente, l’essere mantenne la calma. E’ per questo che tu sei speciale. Disse senza scomporsi. Già; la sua mancanza di timore verso quel mostro capace di ucciderla in un solo istante. Kate cominciava a pensare che forse, Slender Man fosse solo alla ricerca di qualcuno che lo trattasse alla pari, o anche che lo trattasse come un essere inferiore… Effettivamente, Kate stava dimostrando una certa impertinenza nei confronti di quell’essere, era la sua natura che la spingeva a comportarsi così, non voleva dimostrarsi inferiore a nessuno! E Slender Man si era innamorato di quella sua caratteristica? Interessante…
Sei diversa da quella ragazzina di tanto tempo fa. Disse con estrema calma. Sei diversa in molte cose, la tua famiglia non è felice come la sua, e non hai molti amici, pur volendo, alla fine non riesci a confidare a nessuno i tuoi segreti… Aveva ragione. Kate si sentì debole, incapace di cambiare strada, qualunque cosa provasse a fare. Era talmente debole che si bloccava sempre quando poteva dire la verità, quando poteva ricevere aiuto da qualcuno… Ma non è la tua vita che mi affascina, né tantomeno il tuo aspetto. Spiegò Slender Man alzando e abbassando rapidamente un dito per puntarlo contro Kate. E’ il tuo coraggio, la tua mancanza di paura che mi attira e mi fa avvicinare a te.
Kate lo guardò impaurita. Ma lei non voleva avvicinarsi a lui, era probabilmente quello che avrebbe voluto rispondere, ma non lo fece. Accadde qualcosa prima che potesse rispondere in qualunque modo. Slender Man la guardò con attenzione, come se fosse confuso, e disse: Stai bene?
Kate scosse la testa confusa e gli rivolse uno sguardo interrogativo. << Perché? >> Ovvio che non stava bene! Un mostro altro almeno tre metri si era insediato in casa sua e la seguiva da giorni senza mai staccarle gli occhi di dosso! Non poteva stare bene!
Nel tuo corpo sta avvenendo qualcosa di insolito… Disse pensieroso. Hai un’emorragia interna.
La parola “emorragia” fece rabbrividire Kate, che si sentì improvvisamente a disagio e cercò di capire di cosa stesse parlando.
Presso la tua zona pubica. Aggiunse Slender Man continuando a fissarla ingobbito. Kate si sentì crollare il mondo addosso. Si mise istintivamente una mano in mezzo alle gambe, come per coprirsi e diventò rossa in viso in un istante. Si accovacciò a terra e strinse i denti nascondendo il suo viso dietro i lunghi capelli neri che scendevano verso terra.
Cazzo! Imprecò in silenzio Kate scuotendo la testa incredula. Che cazzo, proprio ora! Si rialzò rapidamente e uscì dalla stanza salendo le scale dirigendosi verso il bagno.
Kate si chiuse a chiave in bagno e si abbassò i pantaloni rapidamente, cercando di mantenere la calma. C’era del sangue sull’assorbente che aveva messo dentro alle mutandine; per fortuna aveva funzionato a dovere. << Merda! Merda! Merda! Merda! Merda! >> Continuava a ripetere stizzita scuotendo la testa. Doveva succedere proprio in quel momento? << Perché…? >> Si chiese sconsolata tenendo la schiena piegata in avanti e la testa bassa, mantenendo lo sguardo fisso sulle sue mutande.
Kate si sarebbe messa a sbattere i pugni da qualche parte, se non fosse stata in una situazione tanto incasinata. Non se la sarebbe presa tanto, se Slender Man non fosse stato lì con lei; in fondo, la sua presenza era capace di rendere pessima qualunque situazione, anche un semplice momento di quotidianità… Però, forse era meglio così, piuttosto che avere come spettatore a quella scena un altro ospite… O peggio ancora, avrebbe potuto non accorgersi di quello che era successo e avrebbe potuto peggiorare la situazione più tardi, magari in presenza di qualcun altro, chiunque altro! In un certo senso, doveva essere grata a Slender Man, per quello…
Sapeva che era una cosa normale, che avrebbe dovuto imparare a conviverci, ma ogni volta che a Kate venivano le mestruazioni, la ragazzina andava in panico. Si spaventava a vedere quel sangue senza un motivo preciso, nonostante il sangue in sé non le facesse nessun effetto, ma era il fatto che uscisse dal suo corpo a spaventarla di più…
Improvvisamente sentì la voce di Slender Man nella sua testa e capì che era dietro di lei. Stai bene? Fu la sua domanda. Kate saltò per lo spavento e lanciò un urletto voltandosi e coprendosi in mezzo alle gambe con una mano, mentre incrociava le ginocchia e cercava di nascondere il suo corpo il più possibile.
<< Girati…! Vai via! >> Esclamò irritata senza muoversi di un centimetro da quella sua ridicola posizione. Slender Man però non si voleva muovere.
Hai perso sangue. Avanzò piano e piegò di lato la testa. Kate ringhiò stizzita e cercò di fermarlo.
<< Sì, lo so! E non c’è niente di cui preoccuparsi, quindi vai via! >> Ma Slender Man sapeva che non era così. Il suo respiro era affannato, aveva continuamente bisogno di aria per mantenere la calma, e il suo battito cardiaco aveva accelerato dal momento in cui si era accorta di quello che era successo. Sulla sua fronte si poteva avvistare già qualche gocciolina di sudore, aveva brividi in tutto il corpo, mentre sul resto del suo corpo scoperto, le gambe e le braccia, i peletti si rizzavano per il freddo e la tensione; lo spavento di essere stata colta in quella situazione da un mostro senza faccia era naturale.
Slender Man rimase immobile a fissarla, probabilmente confuso. Il tuo respiro è affannato. Il tuo cuore ha aumentato i battiti, tremi e stai cominciando a sudare. Sei sicura di stare bene?
Kate ringhiò di nuovo abbassando lo sguardo, imprecando tra i denti. Alla fine sospirò arrendendosi e chiese solo, cercando di sembrare più carina e sconsolata possibile:<< Potresti solo girarti? >>
Slender Man sembrò non comprendere il motivo della sua richiesta, ma acconsentì a voltarsi, così che Kate potesse tornare a occuparsi del problema. Sei stata ferita? Chiese l’essere facendola sussultare mentre si cambiava.
Kate trattenne un’esclamazione e girò piano la testa senza respirare. Guardò con occhi confusi l’essere alto e magro che se ne stava girato verso il muro a un angolo del bagno e sbuffò seccata, nonostante fosse sollevata dal fatto che si fosse girato. << No. E’ una cosa normale. >> Disse senza entrare nei particolari e tornando a salirsi le mutandine pulite più in fretta possibile.
E’ normale che tu perda sangue all’improvviso senza un motivo preciso? Chiese incredulo Slender Man senza voltarsi. Kate alzò gli occhi al cielo.
<< E’… Normale e basta. >> Rispose cercando di chiudere il discorso lì. Era una cosa di cui si vergognava un po’, inoltre stava parlando con un mostro di un fatto intimo, era una situazione piuttosto insolita…
Slender Man tacque per alcuni secondi, forse stava ragionando; il suo corpo non si muoveva minimamente in quei secondi di silenzio, mentre una persona normale si sarebbe sicuramente mossa, anche impercettibilmente, a causa del proprio respiro, avrebbe leggermente tremato per il freddo che poteva esserci nella stanza… Lui sembrava un morto. Era questa la sensazione che trasmetteva Slender Man. Morte. Non si poteva dire che fosse esattamente morto, ma aveva qualcosa di vuoto, di spento… Chiunque lo avesse visto lo avrebbe chiamato un “morto”. Dire che era vivo non era nemmeno corretto…
Non lo capisco. Disse semplicemente dopo una rapida riflessione che a Kate sembrò durare molto più di qualche secondo. La ragazza si voltò di nuovo, questa volta esasperata dal rifiuto di accettare la natura umana da parte di Slender Man.
<< E’ così è basta! >> Esclamò questa volta chiudendo il discorso e girandosi un’altra volta per salirsi i jeans. Dopo che Kate si fu rivestita si controllò allo specchio: aveva un aspetto orribile, a suo parere; sembrava traumatizzata, stanca, arrabbiata e anche rincretinita. L’unica emozione che non notò e che avrebbe creduto di vedere sul suo viso fu la paura. Perché non era spaventata? Era forse perché si stava “abituando” a quel tipo di vita? L’orrore e la tensione non la toccavano più? Sospirò aprendo l’acqua e sciacquandosi il viso per svegliarsi una volta per tutte.
Dopo aver chiuso l’acqua, Kate si asciugò rapidamente e si voltò, trovandosi di fronte la gigantesca sagoma di Slender Man che la fissava; doveva aver capito che Kate si era rivestita e si era girato. Dopo un iniziale sgomento, Kate riprese fiato e rivolse un’occhiataccia all’essere:<< Ti avevo detto di girarti! >> Squittì con voce acuta.
Slender Man non rispose a quella sua ammonizione e continuò a fissarla. Il tuo corpo ha un problema? Chiese mantenendo lo sguardo fisso sul suo viso, ora spaventato da quella presenza pressante dell’essere.
<< Che… Cosa? >> Balbettò incredula Kate fissandolo con occhi atterriti. << No, sto benissimo! >> Esclamò in risposta cercando di farlo stare calmo.
Perché hai perso sangue? Chiese Slender Man alzando il viso, guardandola come se fosse inferiore a lui in quel momento. Kate si sentì davvero infuriare.
<< Non c’è nessun problema! E’ semplicemente… Qualcosa che il mio corpo perde, e nel farlo perdo un po’ di sangue! >> Si mise a gridare la ragazzina muovendosi di scatto. << Non c’è niente che non va! >> Esclamò alla fine sperando che Slender Man afferrasse il concetto.
L’essere la guardò sospettoso, poi chiese: Ti fa male? Quella domanda irritò Kate, ma la fece imbarazzare allo stesso tempo, e la ragazza si accorse di essere rossa da un pezzo.
<< No! Cioè, più o meno… Non male… >> Non seppe come rispondere alla domanda e continuò a blaterare cose senza senso.
Eri irritata e spaventata quando è successo. Se è qualcosa di fastidioso, qualcosa che non vuoi, posso eliminarlo. Non avrai più problemi. Disse Slender Man piegando la schiena in avanti e puntando un dito verso il suo bacino, mentre il viso restava fisso sulla faccia sempre più spaventata di Kate.
Una singola imprecazione si formò nella mente di Kate quando capì cosa le aveva offerto Slender Man. Cazzo! Subito cercò di non farsi prendere dal panico e cominciò a parlare a Slender Man per non fargli fare nulla. << No, no! Non voglio che tu lo faccia, mi serve…! >> Esclamò agitata scuotendo le mani di fronte a sé per indicare di non fare niente. Slender Man la fissò in silenzio alzando piano la testa. Sembrò capire e non disse nulla, forse sconcertato dalla reazione di Kate, ma sicuramente confuso da quella sua scelta.
Lentamente, il mostro si girò e uscì dalla stanza, sapendo che Kate lo avrebbe fatto subito dopo. La ragazzina sospirò sollevata e fissò la porta che si richiudeva da sola. Sospirò di nuovo, infastidita. Ci tengo alle mie ovaie! Esclamò nella sua mente, piuttosto adirata con Slender Man.
Uscita dal bagno, Kate trovò Slender Man che la guardava da in fondo alle scale. Lei gli rivolse uno sguardo adirato e si diresse verso la sua stanza sbattendo la porta dietro di sé.
Slender Man rimase lì.
Suonò il campanello all’improvviso e Kate uscì dalla sua stanza tutta agitata e spaventata. Si fermò in cima alle scale e fissò con odio l’essere che non si era mosso da dov’era. << Vai via! >> Gli ordinò cominciando a scendere le scale di corsa. Slender Man la seguì con lo sguardo e le chiese perché. Kate si mise a spingerlo e continuò a dire:<< Nasconditi! >>
Slender Man girò la testa e avvistò la porta; si era accorto che c’era qualcuno lì fuori, ma aveva pensato che Kate non avrebbe aperto. Tornato nella sua posa solita, Slender Man disse: Va bene. E sparì senza fare un suono.
Kate ruzzolò a terra. Si lamentò per la caduta e si alzò acciaccata dirigendosi alla porta. << Maledetto mostro…! >> Imprecò tra i denti mentre si avvicinava. Guardò rapidamente attraverso lo spioncino sulla porta e riconobbe il signor Tucker che attendeva di fronte alla porta dondolandosi avanti e indietro rapidamente; aveva qualcosa tra le mani. Kate sospirò sollevata e aprì la porta all’istante, salutando il signor Tucker con accoglienza.
<< Ciao Kate. >> Disse il vicino sorridendo. Aveva uno sguardo strano, come stanco… << Ti ho portato i tuoi vestiti bagnati… Cioè, sono asciutti ora, prima erano bagnati! >> Disse alzando le braccia mostrando quella maglietta a maniche corte rossa e i pantaloncini di jeans che aveva messo il giorno che era uscita nella foresta. Se li era completamente dimenticati, dopo tutto quello che le era successo in quei giorni. Tucker assunse un tono colpevole. << Me ne ero dimenticato… >>
Kate ammiccò e lo invitò ad entrare. << Non si preoccupi, signor Tucker. Se vuole saperlo, me ne ero dimenticata anche io! >> Disse continuando a sorridere e suscitando una risata in Tucker.
<< Allora siamo pari. >> Disse sorridendo. << Li ho lavati, asciugati e stirati. Dove te li metto? >> Aggiunse girando su sé stesso alla ricerca di un posto dove poter mettere i vestiti.
Kate aprì la bocca sorpresa e si portò una mano sulla guancia. << Ma non doveva, signor Tucker. Non ce n’era davvero bisogno… >> Tucker scosse la testa.
<< No, no… Non è un problema. >> Disse sorridendo gentile.
Kate sorrise di nuovo grata a quell’uomo di essere così buono e si avvicinò per prendere i vestiti. << Li porto io al loro posto. >> Disse. Tucker indietreggiò portando i vestiti al petto.
<< No! Dimmi solo dove devo portarli. >> Era un po’ troppo insistente, però…
<< Signor Tucker, non è un problema se faccio qualche scala con dei vestiti tra le braccia…! >> Protestò Kate a voce alta.
Tucker adocchiò le scale e sorrise furbamente guardando il piano superiore. << Qualche scala, eh? >> Fece con tono furbo, e si mosse verso le scale, evitando agilmente la piccola ragazzina in mezzo alla strada.
No! Kate non avrebbe voluto farlo andare in giro per la casa così, pensava che se avesse visto Slender Man avrebbe potuto fare una brutta fine. Lo seguì correndogli dietro.
<< Immagino che vadano in camera tua, vero? >> Chiese Tucker senza attendere una risposta per dirigersi verso la camera da letto della ragazzina.
<< Signor Tucker, no! >> Gridò Kate allungando un braccio verso di lui quando lo vide aprire la porta.
Nella camera di Kate non c’era niente che non andava, a parte la solita baraonda onnipresente alla quale Kate non faceva più caso, e alla quale nemmeno Tucker sembrò dare molto peso. Kate lo vide posare i vestiti sul letto e portare le braccia ai fianchi espirando soddisfatto. << Bene. >> Disse guardando Kate accanto a lui che fissava il letto confusa. << Non è successo niente, visto? >> Fece con tono scherzoso. Kate invece si sarebbe aspettata di trovare Slender Man nascosto lì dentro…
A un certo punto la ragazza si ricordò di aver preso in prestito dei vecchi vestiti del signor Tucker quando lui aveva preso i suoi bagnati. << Signor Tucker, i suoi vestiti! >> Esclamò schiaffeggiandosi una guancia preoccupata.
<< I miei vestiti? >> Chiese lui inarcando un sopracciglio; strano che non se li ricordasse. << Oh! >> Disse dopo un secondo. << E’ vero. >>
Kate non sapeva come dirlo, ora. I vestiti di Tucker si erano sporcati di sangue, non poteva restituirglieli così, come se non fosse successo niente. Doveva inventare una scusa, senza però mentire, perché era stufa di mentire a Tucker. << Il fatto è che… Li ho sporcati, per sbaglio. >> Disse incerta Kate sperando di non averli lasciati in giro per la camera. Tucker piegò il labbro in un sorrisetto e inarcò un sopracciglio trattenendo una risatina.
<< Kate… >> Cominciò con tono scherzoso.
<< Lo so, mi dispiace! >> Reagì di istinto Kate piegando più volte le ginocchia, inscenando una piccola discussione comica. Tucker interpretò quella frase come una goffa scusa da parte di una ragazzina imbarazzata; pensò a cosa potesse essere successo di tanto imbarazzante da farla reagire in quel modo. In realtà quella di Kate era una reazione di panico data dal pensiero di essere stata scoperta, di cui si pentì subito, capendo che Tucker stava ancora scherzando. Si ricompose spostandosi un ciuffo di capelli dal viso e cercando di non far notare il suo rossore.
<< Non ti preoccupare, Kate. >> Disse Tucker sorridendo ancora. << Me ne occuperò io. >>
<< No! >> Scattò Kate pestando involontariamente un piede a terra. Aveva spalancato gli occhi e aveva gonfiato il petto. Cercò di regolare il tono della sua voce e mantenne fisso lo sguardo su Tucker. << Rimedierò io al mio errore. >> Disse restando immobile. Tucker cercò di ribattere, ma Kate spalancò gli occhi neri rivolgendogli uno sguardo quasi minaccioso. << Questa volta faccio io qualcosa per lei. >>
Tucker la fissò sorpreso, e dopo aver tratto un sospiro rassegnato annuì. << Va bene, allora. >> Disse voltandosi e dirigendosi verso la porta. << Se vuoi proprio ripagarmi in qualche modo, allora… Immagino che non possa rifiutare l’offerta. >> Disse girandosi e tenendo una mano sul corrimano del pianerottolo.
Kate era rimasta nella sua camera e gli teneva gli occhi puntati addosso. Mosse piano la testa da destra a sinistra facendo capire a Tucker che non avrebbe accettato altre obiezioni e l’uomo sospirò di nuovo.
<< D’accordo… >> Disse scendendo per le scale. Kate lo seguì dopo che ebbe messo i piedi su di esse. Lo accompagnò alla porta dicendogli di non preoccuparsi, si sarebbe occupata lei dei suoi vestiti; per una volta era lei a rassicurare lui. Detto questo chiuse la porta salutando un’ultima volta il signor Tucker, che se ne tornò a casa sua.
Chiusa la porta Kate ci si appoggiò sopra e tirò un sospiro di sollievo. Tra i vestiti sporchi di sangue, il disordine che regnava nella sua camera e Slender Man in agguato, Kate aveva veramente sudato freddo in quei pochi minuti.
<< I vestiti… >> Mormorò pensierosa. Scattò spingendosi con le mani dalla porta e si mise a correre su per le scale. << I vestiti! >> Gridò in preda al panico. Doveva pulirli e lavarli e asciugarli e poi riportarli al proprietario senza nemmeno una macchia.
Raggiunta la sua camera, Kate cominciò a rovistare nel disordine alla ricerca di quella t-shirt e di quei vecchi pantaloni a zampa di elefante che le aveva prestato Tucker. Li cercò sulla sedia, sotto il letto, negli angoli, controllò di non averli messi per sbaglio nell’armadio, ma niente. Non li trovava. Poi si girò e si ritrovò davanti l’enorme sagoma di Slender Man con una mano alzata più o meno all’altezza del viso della ragazzina, e in essa la ragazza poté riconoscere la t-shirt e i pantaloni di Tucker.
<< AH! >> Gridò spaventata sobbalzando e portandosi una mano al cuore sospirando. Tirò un grande respiro incredulo quando vide i vestiti di Tucker nella mano del mostro; poi alzò lo sguardo verso Slender Man e lo guardò arrabbiata. Gli strappò quei vestiti dalla mano e si voltò verso la porta per uscire dalla stanza.
Doveva lavare quei vestiti per eliminare ogni macchia di sangue, il suo sangue. Kate non sapeva nemmeno se sarebbe bastato metterli in lavatrice oppure se il sangue fosse più difficile da eliminare sui tessuti, ma una macchia come quella che aveva lasciato sul petto della t-shirt non sarebbe uscita tanto facilmente.
La ragazza fece partire la centrifuga dopo aver infilato gli abiti dentro la lavatrice pregando che funzionasse e uscì dalla stanzetta rivolgendo un ultimo sguardo speranzoso all’elettrodomestico in fondo al sottoscala.
Kate sospirò uscendo dal sottoscala dove tenevano un piccolo ripostiglio per mettere qualche attrezzo in più, vecchie cose che Kate non sapeva nemmeno di avere in casa… Slender Man era sulle scale che la guardava. << Non guardarmi così! >> Gli fece scontrosa. << Questo è tutto colpa tua! >>
Non vedo come. Disse Slender Man scendendo un paio di scalini, seguendo la stessa traiettoria di Kate.
<< Tutto è causato da te! >> Ribatté Kate girando verso la cucina e mettendosi le mani in testa. << Se non mi fossi tagliata allora non avrei sporcato i vestiti del signor Tucker, e perché mi sono tagliata? Perché dovevo capire che cosa stesse succedendo! E perché credi che avessi i vestiti di Tucker quel giorno? Ero andata nel bosco a cercare te e avevo bagnato i miei! >> Kate si versò dell’acqua in un bicchiere di vetro mentre continuava a parlare. Slender Man era fermo davanti alla porta della stanza che ascoltava. << Non sarei venuta a cercarti se non mi avessi perseguitata per tutta la settimana, non avrei preso una nota a scuola se non fosse stato per te…! >>
A un certo punto Slender Man prese la parola: Chi ti avrebbe salvata da quegli uomini in strada?
Kate si immobilizzò. Si voltò tenendo il bicchiere in mano; se fosse stata più forte avrebbe potuto frantumarlo, per quanto stesse stringendo il vetro. Ripensando a quegli uomini che avevano aggredito lei e Jennifer, Kate avrebbe dovuto mostrare della riconoscenza verso Slender Man, forse avrebbe dovuto trattarlo meglio… Forse non era quello che credeva… No. Era un mostro, un assassino spietato che uccideva solo per divertimento, e quei ragazzi che avevano aggredito le due ragazze erano stati trucidati con piacere da quell’essere mostruoso; non le importava se lo aveva fatto per salvare lei, era un mostro.
Kate gli rivolse un’occhiataccia e bevve rapidamente l’acqua che si era versata nel bicchiere. Come poteva pensare di farla cadere in quella stupida trappola e farle credere di essere in qualche modo “buono”? Si appoggiò con la schiena al mobile della cucina e guardò Slender Man con occhi impassibili. << Credi che avrei corso quel rischio se non avessi avuto altro per la testa? >> Chiese mantenendo la calma.
Slender Man sembrava divertito da quella sua risposta. Ogni occhiataccia di Kate era una prova in più sulla sua specialità. Lui la seguiva proprio per quel suo comportamento irriverente verso di lui; in quel momento Kate si chiese se trattandolo diversamente avrebbe potuto fargli cambiare idea su di lei, e magari lasciarla in pace, ma quando ripensò alla storia della prima ragazzina che aveva invaso la mente di Slender Man, Kate preferì continuare a comportarsi come faceva di solito, per evitare di finire come lei… Non sapeva cosa fare, ma sentì la voce di Slender Man di nuovo nella sua testa. Io invece credo che senza di me sarebbe andata molto diversamente… Kate spalancò gli occhi sorpresa, come se Slender Man le avesse letto nel pensiero. Cercò di ricomporsi e continuò a guardarlo con occhi dubbiosi. Primo di tutti quell’uomo nel vicolo, quella domenica mattina…
Già… Quell’uomo che era scappato urlando dopo aver visto qualcosa prima che potesse fare del male a Kate. Quel qualcosa era Slender Man, e l’aveva salvata da un folle, mettendole però molta paura. Si ricordò di quella corsa disperata verso casa, con il presentimento di essere seguita da qualcuno e con il desiderio di nascondersi in casa il più presto possibile. Solo in seguito avrebbe scoperto che casa sua non era un posto sicuro, ma quello era uno dei tanti dettagli di quella incredibile vicenda… Sospirò sentendosi in qualche modo in colpa per essere stata scortese con Slender Man; ma perché le dispiaceva? Quello era un mostro senza cuore e lei non doveva provare rimorso per averlo respinto, voleva che uscisse dalla sua vita. << Bé… >> Mormorò incerta lei tenendo il bicchiere di vetro di fronte al viso, concentrandosi sulla poca acqua rimasta in esso. << Forse è vero… Però… >> Kate non sapeva come contestare il ragionamento dell’essere. Quello lo notò.
Però…? Chiese avvicinandosi piano. Si stava divertendo a farla dubitare e a metterla con le spalle al muro senza una via di uscita. Kate lo notò e gli rivolse un’altra occhiataccia offesa.
Lasciò perdere quello che stava cercando di dire e si girò per posare il bicchiere vicino al lavandino. Quando si fu voltata Slender Man era più vicino; molto vicino… Kate sussultò un po’ riprendendo fiato subito dopo. << Che cavolo fai? >> Chiese scontrosa guardandolo male e facendo un passo verso di lui.
Slender Man la fissava con la testa reclinata in basso, la schiena era perfettamente dritta nonostante ciò. Voi umani avete così tanti bisogni inutili… Disse continuando a fissarla. Kate lo fissò confusa. Devi bere e mangiare per poter vivere. Se ti ammali hai bisogno di cure o potresti morire… Perdi sangue senza un motivo preciso…
<< E quindi? >> Chiese Kate. << E’ semplicemente come siamo fatti noi umani! >> Ribatté cercando di far valere la sua posizione. Se Slender Man avesse ribattuto come credeva lei, lo avrebbe preso a colpi di bicchiere.
Io credo che sia un fastidio inutile. Commentò il mostro fissando il bicchiere che aveva posato Kate. Lo afferrò rapidamente con un tentacolo nero e lo alzò alla sua altezza. Se tu me lo lasciassi fare, potrei renderti migliore, perfetta… Disse semplicemente. Kate se l’era aspettato. Avrebbe voluto prenderlo a pugni su quella sua faccia piatta.
La ragazzina non lo lasciò neanche finire e lo spinse via avviandosi verso l’uscita dalla stanza. << Ma fammi il piacere…! >> Borbottò fingendo un sorrisetto. Si stava in realtà chiedendo cosa diavolo avesse fatto per meritarsi quella tortura. Si chiese se ci fosse un modo per uscire da quella situazione, e uscire dalla stanza fingendosi sicura sembrava la scelta migliore…
Slender Man la seguì, ovviamente. Kate si diresse nel salone e si stravaccò sul divano di fronte al televisore. Prese il telecomando e lo puntò verso il televisore premendo un tasto a caso. Lo schermo si accese e fu visibile un programma di televendite che Kate cacciò subito; passò su un canale dove stavano trasmettendo un talk show e gli ospiti parlavano di politica, dei conflitti nel resto del mondo e di altri argomenti che a Kate non interessavano molto… Premette un altro pulsante e sullo schermo comparvero delle scene di un film di avventura: il protagonista stava scalando una parete rocciosa e doveva spostarsi lateralmente lungo di essa per aggirare una sporgenza che gli bloccava la strada.
Slender Man si sedette sul divano assieme a lei, molto lontano dalla ragazza, che sdraiata su un fianco fece in modo di occupare più spazio possibile con le gambe per farlo stare lontano; l’essere si sedette proprio nello spazio rimasto tra i suoi piedi scalzi e il bracciolo del divano, che poi non era tanto stretto; purtroppo per Kate, la sua statura questa volta non l’aveva aiutata… Di fronte a quella situazione, con Slender Man capace di sedersi perfettamente nello spazio tra i suoi piedi e il bordo del divano, Kate preferì ritrarre i piedi e rannicchiarsi il più possibile per stare lontano da Slender Man. Fortunatamente l’essere non si avvicinò a lei e non notò la sua espressione tesa.
Che cos’è? Chiese Slender Man riferendosi al film che stavano vedendo. Kate non si girò a guardarlo e rimase a fissare lo schermo con sguardo annoiato, poggiando la testa sulla mano destra appoggiata all’altro bracciolo del divano
<< Un film. >> Rispose con poca intenzione di dare altre informazioni. << L’ho visto un sacco di volte, però… >> Aggiunse sbuffando.
Però lo guardi. Disse Slender Man senza spostare lo sguardo dallo schermo. Suscitò un sorrisetto nella ragazza, che cominciò a spiegare il perché di quella situazione.
<< Bé, la mattina non c’è molto in televisione, e in più è sabato… Sono piuttosto noiosi i programmi del sabato. >> Disse alzando il braccio sinistro verso il televisore per poi lasciarlo ricadere sul divano. Sospirò annoiata senza muovere lo sguardo dal televisore di fronte a sé.
Slender Man era concentrato a sua volta sullo schermo, ma non sembrava molto interessato alle avventure del protagonista del film; si voltò piano guardando Kate, che si accorse di quel gesto, ma preferì ignorarlo mantenendo lo sguardo fisso. Silenziosamente, Slender Man scrutò il suo corpo scorrendo dai piedi fino ad arrivare al viso; quel visetto delicato e arrabbiato, era lui il motivo della sua arrabbiatura. C’era qualcosa nel suo viso, nei suoi occhi, che lo aveva stregato, l’aveva lasciato senza più il controllo di sé, solo il desiderio di guardare quella piccola ragazzina e il bisogno di difenderla.
Kate si voltò verso di lui squadrandolo scontrosa. << Che fai, mi guardi? >> Lo fulminò con lo sguardo, causando come reazione, lo spostamento della testa del mostro, che tornò a fissare il televisore senza dire una parola.
Passarono alcuni minuti in quella posizione, con Kate arrabbiata che guardava il film con poco interesse e Slender Man che scrutava di nascosto la ragazzina lì accanto, mantenendo il viso puntato sullo schermo.
Senza accorgersene, o forse sperando che Kate non se ne accorgesse, Slender Man si avvicinò piano a lei. Quando fu a poca distanza da lei, la ragazzina sussultò e con un rapido movimento delle gambe scese dal divano raddrizzando la schiena istantaneamente. Infastidita spense il televisore e uscì dal salone, lasciando Slender Man sconcertato.
Kate avrebbe voluto che i vestiti di Tucker fossero già pronti, ma era passato troppo poco tempo, la lavatrice stava ancora girando. Tornò in camera sua e si sdraiò sul letto dopo aver preso un giornalino da una mensola, mettendosi con la testa ai piedi del letto, e facendo dondolare le gambe avanti e indietro mentre leggeva qualche pagina a caso da quel fumetto in bianco e nero che aveva afferrato. Stava semplicemente cercando di ignorare la presenza di Slender Man facendo cose normali, ma ogni gesto dell’essere la faceva irritare sempre di più. Inoltre le faceva male la testa. La presenza del mostro cominciava a farle male, e forse era anche quello il motivo della sua irritabilità; non riusciva a pensare senza finire per ripetere che odiava Slender Man e che avrebbe fatto di tutto per non averlo tra i piedi. Proprio mentre pensava queste cose l’essere si materializzò in camera sua facendola sobbalzare dallo spavento.
Kate sospirò e abbassò la testa appoggiandosela a una mano mentre chiudeva gli occhi, cercando di far passare in qualche modo il malditesta. Slender Man la guardò e chiese: Stai male?
Kate sospirò di nuovo e assunse un’espressione seccata guardando il muro di fronte a sé. << Sì, sto male. Ed è colpa tua! >> Disse schietta.
Mi dispiace molto. Disse Slender Man. Ti ho detto che ci vorrà un po’ di tempo per abituarti alla mia presenza. Kate non sapeva davvero che dire. Da come parlava, Slender Man sembrava essere intenzionato a restare lì con lei per molto tempo, ma Kate non voleva continuare a vivere in quel modo. Fino ad ora era stata da sola in casa, non aveva dovuto preoccuparsi di nascondere Slender Man a nessuno, tranne al signor Tucker pochi minuti prima, ma quando i suoi genitori sarebbero tornati che avrebbe fatto? Come si sarebbe comportata?
Slender man se ne stava fermo a scrutarla, ma probabilmente era capace di leggerle nella mente, e forse stava proprio facendo quello in quel momento. O forse era solo palese il dubbio di Kate e si era dipinto sul suo viso senza che se ne accorgesse. Qualcosa ti preoccupa? Chiese a un certo punto, facendola sussultare di nuovo. Kate prese un altro sospiro profondo e affondò il viso nel materasso morbido del suo letto. Si chiese come rispondere a quella domanda; una risposta affermativa avrebbe spinto Slender Man a chiedere dei dettagli, e una risposta negativa sarebbe suonata come una bugia anche a un idiota.
<< Sì. >>Disse Kate emergendo dal materasso. Non aveva scelte.
E…? Fece Slender Man esortandola a parlare.
Kate lo sapeva che lo avrebbe fatto. << Sarò onesta: non so come giustificare la tua presenza a tutte le altre persone presenti nella mia vita. >> Disse Kate girandosi sulla schiena e rivolgendo uno sguardo serio a Slender Man; non arrabbiato, serio…
Non ce ne sarà bisogno. Disse Slender Man alzando un dito. Come hai visto, posso perfettamente nascondermi senza essere notato e non sarà un problema nascondermi a queste altre persone… Kate sapeva che Slender Man era capace di sparire, lo aveva visto quando Tucker era entrato nella sua stanza, ma non era ancora convinta di quella cosa.
<< Non è questo il fatto! >> Scese dal letto e cominciò a camminare avanti e indietro spiegando il suo punto di vista:<< Se la gente si rende conto del fatto che parlo con un mostro, se si accorgono che c’è qualcosa di insolito nella mia vita, non sarà tanto facile nasconderti. >> Lo guardò dispiaciuta. << Credimi: ci sono persone alla quale non posso mentire. >> Jennifer, il signor Tucker, erano le persone che vedevano attraverso qualunque copertura, che riconoscevano un sorriso vero da uno falso fatto solo per tranquillizzarle, e poi non pensava di poter mentire loro così tanto… Nascondergli una cosa del genere… Però come avrebbero potuto prenderla se glielo avesse detto?
Slender Man si limitò a fissare Kate mentre camminava avanti e indietro a testa bassa per la stanza chiedendosi cosa fare. Se pensi di non potergli mentire, allora di’ loro la verità. Disse con calma rimanendo a fissarla.
Kate si immobilizzò e lo guardò stupita. << Dici sul serio? >> In risposta, l’essere annuì. Kate rimase a fissarlo confusa per qualche secondo, poi riprese a camminare in cerchio. << No, sarebbe una follia… Come potrebbero accettare una cosa simile? >> Che cosa voleva che le dicesse, esattamente?
Mentre continuava a girare, Kate non notò il fatto che stesse accelerando sempre più, la sua traiettoria era traballante e lo spazio nella stanza non era molto… Kate non aveva mai avuto un equilibrio eccezionale, e in quella situazione l’unica cosa a cui riusciva a pensare era il gigantesco mostro di tre metri nella sua stanza. All’improvviso urtò con un ginocchio un piede del suo letto e inciampò; riuscì a girarsi e rivolgere la schiena al pavimento, cadendo all’indietro. Lanciò un grido di sorpresa, preparandosi a ricevere una botta alla schiena, ma a un certo punto la sua caduta si arrestò.
Kate dallo spavento aveva chiuso gli occhi; li aprì piano scoprendo così che sopra la sua testa c’era il viso di Slender Man, vuoto come sempre, che la fissava, e oltre a quello notò una pressione dietro la schiena che prima non c’era. Capì quindi di essere stata salvata da Slender Man prima che potesse cadere a terra. Bé, era un gesto carino, in qualche modo… Lo guardò: piegato in avanti, una gamba piegata mentre l’altra si stendeva lungo il pavimento, una mano su un fianco e l’altra sotto la schiena di Kate a sorreggerla contro la forza di gravità; era a testa in giù dal suo punto di vista. Che razza di equilibrio poteva avere quell’essere, in quella posizione?
Kate assunse un’espressione spaventata e Slender Man la sollevò con delicatezza fino a farla restare in piedi. Kate lo guardò confusa boccheggiando come un pesce; stava arrossendo. Cercò di nascondere il viso con una mano e disse con voce tremante:<< Andrò a vedere se la lavatrice ha finito… >> Detto questo si rivolse verso l’uscita e raggiunse il pianerottolo da cui scese rapidamente.
Kate riprese fiato una volta che fu nell’oscurità del sottoscala; poté riordinare i pensieri, finalmente. Aveva sicuramente fatto una pessima figura, non che a Slender Man importasse qualcosa… Ma che cosa avrebbe dovuto dire? Non voleva ringraziare quell’essere per niente! Voleva che se ne andasse via dalla sua vita; aveva fatto anche troppi danni.
Spense la lavatrice e tirò fuori i vestiti del signor Tucker pregando che fossero puliti. Neanche per sogno. Kate guardò la t-shirt e vide ancora la macchia di sangue più chiara e sbiadita di prima, ma ancora visibile e, in qualche modo, inquietante… Dovrò lavarla a mano… E metterci molto impegno. E sperare che funzioni. Kate preferì non pensare quell’ultima cosa, per evitare di portarsi sfortuna.
Così Kate portò la maglietta di Tucker in bagno e la gettò nel lavandino cominciando a riempirlo di acqua. Mentre l’acqua saliva di livello, Kate prese una spugna e versò della candeggina nel lavabo. Non sapeva nemmeno lei cosa stesse facendo, esattamente… Fermò il getto e cominciò a strofinare con forza la spugna al tessuto della maglietta; fortunatamente era bianca e non ci sarebbero stati problemi con il colore. Cercò di strofinare con tutta la forza che aveva nelle braccia, ma la macchia sembrava restare sempre lì; se l’avesse lavata subito, forse se ne sarebbe andata più facilmente, ma ormai era tardi per piangersi addosso, l’unica cosa che poteva fare era strofinare più forte.
Slender Man si affacciò nella stanza e fece qualche passo in direzione di Kate, girata di spalle concentrata sulla t-shirt da pulire. Che stai facendo? Chiese una volta fermatosi accanto a lei e adocchiata la maglietta immersa nell’acqua mista a candeggina.
<< Sto cercando di rimediare al guaio che hai combinato! >> Rispose infastidita Kate mentre si rigirava quella maglietta tra le mani.
In realtà io ho fermato l’emorragia e curato la ferita. Sei stata tu quella che ha deciso di tagliarsi il palmo della mano e di tenercelo sopra il petto durante il sonno… Rispose giustificandosi Slender Man. Sembrava impossibile discutere con quell’essere…
Kate ribatté seccata:<< Sì, ma se non ci fossi stato tu non mi sarei tagliata! >> Detto questo continuò a strofinare ancora più forte. Slender Man si zittì; sembrava impossibile contrastare la logica di quella ragazza… Osservò la maglietta e allungò un braccio per prenderla. Kate gli diede una manata sul polso dicendo:<< Ah, no! Non fai niente tu! >> Ma lui continuò ad avanzare, afferrando la t-shirt e portandosela all’altezza del viso, mentre Kate le saltellava intorno infastidita reclamando la maglietta.
Slender Man fissò la t-shirt per qualche secondo, poi la macchia sbiadita di sangue se ne andò; fu come aspirata dal viso dello Slender Man, che la restituì pulita a Kate.
La ragazzina la fissò incredula e si voltò verso Slender Man. Ancora una volta… ancora una volta l’aveva aiutata, e lei non sapeva che dire. Le sue labbra si piegarono in un’espressione mesta e i suoi occhi divennero lucidi; era come in lotta con sé stessa per trattenersi dal dire “grazie”. Non voleva ringraziare quel mostro; era sbagliato farlo, lui traeva piacere dal dolore altrui e uccideva bambini senza rimorso!
Le tremarono le labbra, indecisa se mormorare un ringraziamento oppure lasciar perdere; l’aveva tirata fuori da una situazione piuttosto difficile in fondo…
Prima che Kate potesse dire o fare qualcosa, Slender Man si voltò e le disse: Non c’è di che. Lasciandola lì a bocca aperta e con la maglietta grande appoggiata al petto.

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Capitolo 25
*** Pausa ***


Il campanello suonò delicatamente. Dopo qualche secondo si sentirono dei passi affrettati e il signor Tucker aprì la porta a una Kate sorridente con tra le mani i suoi vecchi vestiti, lavati e stirati con cura.
<< Kate! >> Esclamò il signor Tucker quando la vide. << Sei incredibile! >> Kate sorrise e fece un passo avanti dopo essere stata invitata dal vicino ad entrare. Tucker prese i vestiti e li ripose su un mobile prima di tornare da lei. << Come hai fatto a sporcarli, comunque? >> Chiese con un’espressione perplessa.
Kate piegò la testa di lato. << Oh, bé, sa non è che fossero proprio sporchi… >> Borbottò facendo guizzare gli occhi da una parte all’altra con un sorrisetto furbo in viso. << Ma mi andava di restituirle i vestiti ben lavati, per fare qualcosa in cambio… >> Assunse un’espressione innocente e graziosa con cui convinse Tucker. L’uomo sorrise e si voltò guardando un po’ in giro.
<< Sei stata molto gentile… >> Disse facendo passi lenti e calmi. Kate si avvicinò piegando in avanti la schiena e tenendo unite le mani dietro la schiena.
<< E’ stato bello fare qualcosa per lei, per una volta… >> Mormorò dolcemente. Tucker la guardò con la coda dell’occhio e piegò il labbro in un sorriso. Fece qualche passo verso la cucina.
<< E’ ora di pranzo ormai… Vuoi restare a mangiare qui? >> Chiese fermandosi sulla porta e poggiando una mano sul bordo. Kate non avrebbe voluto disturbare Tucker, avrebbe risposto che se ne sarebbe andata a casa sua e si sarebbe arrangiata, ma l’uomo la precedette. << So che sei da sola a casa, e, francamente, mi farebbe piacere un po’ di compagnia… >> Mentre diceva questo teneva lo sguardo basso, come se gli dispiacesse chiederglielo. Era solo?
Già. Shaun Tucker era sempre stato solo in quella casa, aveva sempre vissuto da solo e Kate non lo aveva mai visto uscire a pranzare o a cenare con qualche amico o parente… L’unica che andava a visitarlo era lei, e la signora Kutner che era venuta quel giorno dopo l’aggressione di Kate e Jennifer… E lì Kate aveva visto quanto piacevole fosse per Tucker avere ospiti; l’atmosfera era allegra e Tucker era riuscito a far sorridere persino la mamma di Jennifer, che non rideva da molto tempo, dopo la morte del marito… Tucker era una persona squisita e avrebbe meritato molto di più di quello che aveva nella vita, ma non sembrava dar peso alla cosa. Come avrebbe potuto negare l’invito, Kate?
La ragazzina annuì piano e disse:<< Va bene, resterò qui con lei per pranzo. >> Quando ebbe sentito questo, il viso di Tucker si illuminò e rivolse un grande sorriso a Kate.
<< Bene allora. >> Disse entrando in cucina. << Sarà pronto tra poco. Intanto puoi andare di là ad aspettare. >>
Kate sorrise di nuovo a Tucker ed entrò nel salone, dove prese posto a sedere sul divanetto di fronte al televisore. Si sentivano diversi suoni metallici provenire dalla cucina, poi un forte clangore di qualcosa che cadeva a terra e i seguenti colpi rapidi mentre questo qualcosa rimbalzava fino a fermarsi a terra. Kate sentì Tucker smorzare un’imprecazione per poi rassicurare la ragazzina nella stanza accanto:<< Acc…! Tutto a posto, non è successo niente! >> Kate alzò piano la testa guardando attraverso la porta. Si sentì un gran baccano di altri oggetti metallici che cadevano a terra e Tucker esalò affaticato:<< Sto ancora bene…! >>
Ma quei rumori preoccupavano Kate. << Signor Tucker, vuole che venga a darle una mano? >> Chiese alzando la testa e dando una voce attraverso la stanza.
<< No, no, Kate! Non ti preoccupare. >> Fece Tucker dalla cucina. Si sentirono un paio di tonfi secchi e poi un gemito di Tucker. << Tu resta pure lì, ho tutto sotto controllo! >>
Kate non ne era tanto sicura, sinceramente… Comunque seguì il consiglio di Tucker e si sedette composta sul divanetto. Sapeva che, mentre Tucker era impegnato in cucina, nel salone sarebbe comparso improvvisamente Slender Man e avrebbe approfittato di quel tempo da soli. Ma invece non accadde nulla. Slender Man non arrivava, e Kate cominciava a sentirsi quasi preoccupata… Che l’obiettivo del mostro fosse cambiato? O forse preferiva non mostrarsi se nella stessa casa erano presenti altre persone? Forse stava preparando qualcosa per Kate, ma la ragazzina avrebbe preferito non pensarci, quasi come se avesse dovuto scartare un regalo di natale dentro la quale era stata nascosta una testa umana.
La ragazza rabbrividì e scacciò dalla mente quel pensiero; decise di godersi quei pochi minuti liberi da timori e da quella confusione che aveva regnato nella sua testa dalla sera precedente. Sapeva che non sarebbe durato, che presto Slender Man sarebbe tornato e le avrebbe riempito la testa di quei pensieri pesanti e fastidiosi, ambigui e dolorosi… Perché dolorosi? Kate non sapeva perché aveva usato quel termine, ma aveva sentito qualcosa quando Slender Man le aveva parlato; qualcosa di doloroso, un’oppressione che le toglieva il fiato, e la testa le faceva male ogni secondo passato con lui…
Ora che le veniva in mente, la testa non le faceva più male; da quando era uscita di casa ed era andata da Tucker. Slender Man si era volatilizzato? Guardò una finestra. Non era in casa, avrebbe percepito la sua presenza, e Kate pensava che anche da fuori avrebbe potuto darle dei segnali, farle male… Ma lui non voleva farle male, lo aveva detto. E lei ci aveva anche creduto? Preferiva credere che si fosse incantato con lei, piuttosto che l’avesse scelta come prossima vittima…
Certo che sono davvero insopportabile quando faccio così… Sbuffò Kate girando lo sguardo dall’altra parte, dimenticando Slender Man. Quando si metteva a contestare i suoi stessi ragionamenti non riusciva a sopportarsi nemmeno lei; se Slender Man aveva detto che voleva difenderla perché avrebbe dovuto mentire? A meno che non avesse qualche piano subdolo in mente e fosse intento a ucciderla dopo aver conquistato la sua fiducia e dopo averle fatto credere di essere buono… Non sarebbe successo. Non si sarebbe fatta prendere in giro, non sarebbe diventata la sua marionetta… Marionetta… E se fosse stato quello il suo piano? Se Slender Man stesse cercando di assoggettare Kate per farla diventare la sua schiava, la sua bambola con cui giocare, un pupazzo vuoto, privato dell’anima e della ragione che seguiva ogni suo ordine… Kate era sicura che fosse capace di farlo. Sapeva che era così.
La ragazza sospirò sollevata. Ora che la testa era più leggera riusciva a pensare meglio, e pensieri sensati prendevano forma nella sua mente; riusciva a pensare ai pericoli che Slender Man poteva rappresentare per lei, mentre prima vedeva solo quella figura nera davanti a lei che la scrutava e si comportava in modo galante per ammaliarla. Era tutto un trucco… Doveva stare attenta…
Il baccano proveniente dalla cucina la destò dai suoi pensieri. C’era stato un altro “crollo” in cucina. Si chiese cosa diamine stesse succedendo di là. Rumori di pentole, posate, padelle e recipienti di plastica che si schiantavano a terra e rimbalzavano e ruotavano decine di volte prima di fermarsi, e ogni volta che sembravano finire, ecco che ricominciavano, strisciavano, cadevano e rotolavano. Kate si alzò dal divanetto e chiamò preoccupata:<< Signor Tucker? E’ sicuro di avere tutto sotto controllo? >>
Dal salone Kate sentì ansimare il signor Tucker e si avvicinò piano alla porta della cucina, temendo che fosse successo qualcosa. Uno strano silenzio regnava ora nella stanza, e Kate non poté che inquietarsi. Lentamente fece capolino nella stanza poggiando una mano al bordo della porta; per terra erano versate posate argentate e lucenti, poi c’erano delle padelle e qualche scodella di plastica, poi pentole grandi e piccole, e tutte si concentravano verso il fondo della cucina, oltre il tavolo da pranzo. Kate si affacciò e vide un Tucker stremato e mezzo stordito con in testa una pentola e in mezzo alle gambe il coperchio, disteso in mezzo a decine di utensili e recipienti da cucina. << Ehi
 >> Fece senza fiato l'uomo, mostrando un mezzo sorrisetto stremato.
<< Signor Tucker! >> Esclamò Kate con un tono più da rimprovero che preoccupato; quella scena sembrava stranamente comica, e Kate non riuscì a trattenere un sorrisetto mentre si avvicinava al vicino per aiutarlo a rialzarsi.
Anche Tucker sorrise. << Non trovavo questa pentola… >> Ridacchiò alzando un indice e picchiettandolo sulla pentola che aveva in testa. Kate sorrise e si piegò su di lui per aiutarlo a rialzarsi.
<< E’ sicuro di sapersela cavare? >> Chiese mentre lo sorreggeva. Tucker si appoggiò anche al tavolo per rialzarsi e annuì con vigore. Subito dopo perse la presa dallo spigolo del tavolo e cadde a terra trascinando con sé anche Kate, che lanciò un urletto spaventato subito prima di atterrare sul petto del vicino, togliendogli tutta l’aria che aveva nei polmoni. Le pentole e le posate a terra emisero un altro clangore metallico più rapido questa volta. Dopo quel capitombolo, Kate non riuscì a trattenersi e si mise a ridere di gusto mentre Tucker riprendeva fiato. La sua risata contagiò anche lui.
<< Forse mi farebbe comodo una mano… >> Bofonchiò Tucker alzando e abbassando il suo petto mentre Kate liberava una sonora risata proprio addosso a lui.
La ragazzina si tirò su guardandolo con occhi gioiosi; Tucker le rispose con un sorriso imbarazzato e poi si alzarono entrambi, facendo attenzione a dove mettevano i piedi e le mani.
Era così, Tucker era sempre capace di strapparle un sorriso nei momenti più pesanti…
 
*
 
Kate stava sparecchiando la tavola. Tucker le aveva fatto i complimenti una volta finito il pranzo; diceva che era un’ottima cuoca. Lei aveva risposto che semplicemente aveva imparato a cucinare per necessità, essendo rimasta sempre da sola, dopo la morte di suo nonno, e molte volte si era messa a sperimentare con la sua amica Jennifer.
<< Ah, Jennifer… >> Disse Tucker prendendo un piatto e posandolo nel lavandino mentre Kate gliene porgeva altri due. << La tua amica come sta? >> Chiese alludendo all’accaduto di quattro giorni prima.
Kate si girò rapidamente e lo guardò rassicurandolo. << Si è ripresa piuttosto bene, è molto forte! >> Disse annuendo. Tucker annuì pensieroso tornando ai piatti. Kate pensò qualche secondo prima di parlare. << E dovrei ringraziarla da parte sua… Non solo per averla aiutata… >> Disse appoggiandosi al tavolo da cucina. Tucker girò la testa e le rivolse uno sguardo confuso. << Per come è riuscito a rassicurare sua madre… E’ stato molto carino… >> Disse incerta Kate sorridendo onestamente.
Tucker si girò appoggiandosi al mobile della cucina. << Vuoi dire per come l’ho distratta quando è venuta qua da me? >> Chiese sorridendo. Kate annuì.
<< Quella donna aveva bisogno di rilassarsi da molto tempo, le serviva qualcuno che la facesse sorridere… >> Rispose la ragazza scrutando attentamente Shaun Tucker, finendo per fermarsi sui suoi occhi.
<< Bé, sono felice di aver aiutato! >> Rispose ammiccando.
Continuarono a sparecchiare e a lavare i piatti e i bicchieri che avevano usato, poi Kate sentì il bisogno di andare al bagno; chiese il permesso al signor Tucker di salire la piano di sopra e lui la lasciò andare senza problemi. Mentre era in bagno Kate si mise a pensare per qualche minuto a Slender Man e a come fosse sparito. Non lo aveva più visto dal momento in cui aveva lasciato casa sua per andare da Tucker. Si chiese di nuovo se non fosse cambiato qualcosa, e si ripeté ancora una volta che stava diventando paranoica: doveva essere felice del fatto di essere da sola per un po’, senza quell’essere a fissarla e ad ammalarle la testa con la sua “influenza”… Forse era la presenza di Tucker che scoraggiava il mostro ad avvicinarsi, e Kate fu tentata dal chiedere ospitalità al vicino ancora un po’, ma sentì come se non dovesse testare la pazienza di Slender Man, così, una volta uscita dal bagno scese le scale e andò a ringraziare Tucker dell’invito e a dirgli che sarebbe tornata a casa.
<< Se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiedere. >> Le disse per l’ennesima volta Tucker mentre la accompagnava alla porta. << E se per qualche motivo preferissi non restare da sola in casa, puoi sempre venire da me… >> Aggiunse appoggiandosi alla porta mezza aperta.
Kate sorrise e annuì ringraziandolo ancora una volta:<< Lo farò senz’altro. >> Disse mettendo un piede fuori di casa.
Mentre Kate attraversava rapidamente il giardino, il signor Tucker, che era rimasto a guardarla mentre tornava a casa la chiamò:<< Kate! >> Disse. La ragazzina si girò chiedendogli cosa volesse con lo sguardo. Lui appoggiò la testa alla porta e mormorò:<< Grazie. >>
La ragazza ammiccò in risposta e si diresse verso casa. In quel momento le sembrò ovvio il motivo di quel suo ringraziamento, ma avvicinandosi alla porta di casa, Kate cominciò a dubitare; aveva pensato che Tucker lo avesse detto per ringraziarla dei vestiti lavati, senza pensare bene a come lo aveva detto: sembrava come felice della visita di Kate mentre la seguiva con lo sguardo, il suo sorriso mentre appoggiava la testa a quella porta di legno era… Genuino. La stava ringraziando per essere rimasta con lui lì? Prima che potesse realizzarlo, Tucker si era già rinchiuso in casa e lei non poté rivolgergli un ultimo sguardo per capire meglio cosa intendesse.
Kate aprì la porta con calma. L’idea di tornare in casa sua non la eccitava molto, perché sapeva che una volta rimasta da sola sarebbe comparso lui, e quella pace che l’aveva accompagnata durante il pranzo sarebbe svanita… E fu così.
Non appena ebbe richiuso la porta dietro di sé, Kate sentì un ronzio nella testa e subito tornò quella sensazione di stanchezza che aveva pervaso la sua mente dalla sera precedente. Sospirò e si voltò verso la porta; alzò lo sguardo dopo aver visto il nero del completo e rivolse uno sguardo impotente alla faccia bianca del mostro.
<< Ciao, Slender Man. >> Disse con occhi stanchi.

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Capitolo 26
*** Domenica ***


<< Tu stai bene, vero? >>
<< Sì, mamma. Il signor Tucker si prende cura di me quando ho bisogno di aiuto, ma di solito mi arrangio da sola. >>
La madre di Kate rimase in silenzio qualche secondo prima di tornare a parlare con la figlia. << D’accordo tesoro, allora le cose vanno bene a scuola? >>
Quella parte sarebbe stata un po’ difficile da dire. Kate inspirò a fondo e cercò le parole giuste:<< Veramente… Venerdì sono andata a scuola, però ero ancora un po’ malata e… >>
<< Non ti sarai sentita male di nuovo? >> Esclamò preoccupata la madre dall’altra parte del telefono. Kate si affrettò a rassicurarla.
<< No, no. Sto benissimo, però mi sono un po’… >> Si schiarì la gola. << Arrabbiata con il professore… >>
La madre di Kate rimase in silenzio per alcuni istanti. Stava pensando; pensava a come reagire a quella notizia. << Ti sei rivolta male al professore? >> Chiese con voce stranamente calma, ma con una punta di fastidio.
Kate sospirò, sapendo che era delusa. << Sì. Mi ha fatto una nota. >> Disse senza troppe cerimonie. Dall’altra parte del telefono la mamma di Kate sospirò. Sapeva che lo avrebbe fatto. Riuscì ad immaginarsela che si metteva la mano libera sulla fronte e pesava con cura il fatto che le aveva appena raccontato la figlia.
Dopo un’attesa che per Kate fu rapida, ma che per sua madre sembrò durare ore, la donna riprese a parlare:<< D’accordo. Lo dico io a tuo padre, cercherò di non farlo arrabbiare troppo… >>
<< Va bene… >> Mormorò Kate ansiosa di abbassare il telefono.
<< Quando torniamo andremo a parlare con il professore. >> Puntualizzò la donna. Kate fece roteare gli occhi e acconsentì con un tono infastidito. << Non ti preoccupare… >>
<< Non mi preoccupo. >> Rispose secca Kate guardando il muro di fronte a sé.
<< Va bene. >> Mormorò sollevata la madre. << Ci vediamo presto a casa… Ancora qualche giorno… Ciao Katy. >>
<< Sì… Ciao. >> Disse in fretta Kate abbassando la cornetta e interrompendo così la chiamata. Ancora quel nome fastidioso. Ancora quella sua falsa preoccupazione. Ancora quel suo finto senso del dovere e quel suo comportamento da “buona” che aveva sempre assunto con lei. Ancora e ancora e ancora, sempre le stesse cose!
Kate lanciò un’occhiataccia a Slender Man, che la guardava da un angolo della stanza e si mosse rapidamente dirigendosi verso la porta della cucina. Sabato era passato rapidamente, non aveva fatto nulla per colpa di quel maledetto mostro, e la domenica era arrivata dopo una notte agitata e piena di incubi; stranamente, al risveglio, Kate non era riuscita a ricordare nemmeno uno di quegli incubi… Aveva passato la mattinata in solitudine, cercando di ignorare il malditesta e la martellante presenza di Slender Man, ma la ragazza non era riuscita a rimanere calma, e a quel punto era arrivata la chiamata a casa sua. Sua madre voleva sapere come stava, gentile da parte sua, nonostante non gliene importasse niente di lei… Ipocrita fu la prima parola che venne in mente a Kate quando ebbe alzato la cornetta del telefono per rispondere a sua madre.
Kate rovistava in qualche mobiletto in alto, cercando qualcosa che la aiutasse a combattere il dolore alla testa; Slender Man entrò nella stanza piegandosi per passare dalla porta e si fermò a pochi passi da lei. Kate era visibilmente infastidita, non solo a causa del malditesta, ma la chiamata di sua madre l’aveva messa di cattivo umore.
<< Dove diavolo è quel cazzo di coso?! >> Scandì irritata Kate aprendo e richiudendo i mobiletti sbattendo gli sportelli. Cercava qualcosa per far cessare quel malditesta, ormai non lo sopportava più, era stremata.
Non è stata una telefonata piacevole? Chiese Slender Man seguendola con lo sguardo mentre apriva tutti i cassetti della cucina. Kate grugnì in risposta e si concentrò nella ricerca. Una madre dovrebbe essere il punto di riferimento per una ragazza come te. Continuò Slender Man.
<< Bé, non è così per me! >> Esclamò Kate richiudendo con forza un cassetto e lasciandosi cadere su una sedia. Sospirò appoggiandosi la testa alla mano e si coprì gli occhi. Non ce la faceva più. Sua madre, Slender Man, si chiese chi dei due fosse più fastidioso. Solo sentire la voce della donna le aveva intensificato il malditesta, però era Slender Man a provocarglielo in partenza, quindi non sarebbe stato esatto dare la colpa di quella confusione a sua madre. Però non voleva parlarle… Come non voleva parlare a Slender Man… Perché doveva esserci tutta quella confusione nella sua testa? Perché doveva lottare da sola contro tutto quello?
Kate scostò le dita da sopra un occhio e fece girare lo sguardo; Slender Man non c’era più. Era andato via? Ma lei sentiva ancora quel ronzio alla testa, si sentiva esausta fisicamente e psichicamente… Forse le era rimasto in testa per così tanto tempo da non andarsene più via? Sospirò di nuovo. O forse stava diventando pazza? Sarebbe stata la migliore notizia della settimana.
Sentì uno spostamento fuori dalla stanza, poi la sagoma di Slender Man comparve e attraversò la porta; ecco una caratteristica di quel mostro: non faceva rumore. Era silenzioso, almeno quando voleva, nemmeno i suoi passi facevano rumore. Chissà come, però, Kate si era abituata a quel suo silenzio, e aveva trovato un modo diverso per individuarlo: sembrava avvertire i suoi movimenti anche se non fosse capace di vederlo; era un segno che si stava abituando alla presenza dell’essere, una parte di quel processo di cui parlava lui?
Stretta in un tentacolo oscuro che fuoriusciva da dietro la sua schiena, Slender Man teneva ben salda e in alto una scatoletta di compresse per il malditesta.
Erano nel bagno. Disse con tono smarrito mostrando la scatola a Kate. La ragazza guardava il mostro allibita. L’aveva spostate lui per fare finta di essere gentile con lei? No… Erano sempre state lì. Se lo ricordava ora, quando ogni mattina le vedeva nel mobiletto del bagno vicino al lavandino.
Slender Man si sedette mentre Kate sospirava di nuovo strofinandosi la fronte con il palmo. Lui poggiò la scatoletta sul tavolo e fissò Kate. Non stai bene? Chiese.
Kate si stropicciò gli occhi per costringersi a guardare davanti a sé e rispose:<< No. Non sto bene. >> Si tenne con le mani sul tavolo e rivolse uno sguardo astioso a Slender Man. << Ed è tutta colpa tua! >> Cercò di incolparlo, ma la sua voce non sembrò per niente minacciosa, anzi, subito dopo le venne un colpo di tosse e Kate cercò di riconquistare la sua compostezza.
Si alzò con calma e riempì un bicchiere in cui sciogliere una delle medicine. La gettò là dentro sollevando qualche piccola goccia d’acqua. Vide la compressa cominciare a sfrigolare, per poi sciogliersi nell’acqua. Kate prese un bel respiro prima di bere quell’acqua. Non aveva un brutto sapore, era fresca… Una cosa che la distingueva dalle altre persone era che, diversamente da molti, le medicine non le avevano mai dato fastidio, le piacevano gli sciroppi, quelle pilloline che andavano ingoiate con l’acqua le ricordavano delle mentine, e una volta da piccola aveva aperto una pillola di plastica, quelle che contenevano la medicina di dentro e che, normalmente, dovevano sciogliersi una volta ingoiate; era rimasta delusa da quello che aveva trovato dentro di essa, ma era rimasta comunque sorpresa…
Kate posò il bicchiere e si mise una mano sulla fronte, come per sostenersi la testa. Va meglio? Echeggiò la voce di Slender Man nella sua testa.
Eccolo… Pensò seccata Kate alzando lo sguardo prima di girarsi. Slender Man si era alzato e se ne stava dritto di fronte a lei.
Adesso stai meglio? Chiese guardandola intensamente.
Kate si sforzo di non sembrare irritata o stanca; forzò un sorriso e mimò un piccolo inchino, non sapeva bene perché. << Ci vuole un po’ prima che funzioni. >> Rispose con quel leggero sorriso falso che aveva assunto per rassicurare Slender Man. Rassicurarlo? Perché, era preoccupato per lei? No, lei voleva solo che non la assillasse. Non le importava niente se lui si preoccupava. << Dobbiamo aspettare. >> Disse aprendo di più le palpebre e fissando con più intensità Slender Man; il suo silenzio l’aveva un po’ preoccupata…
Slender Man alzò lo sguardo e fissò fuori dalla finestra. Allora aspettiamo. Disse tornando a fissare Kate. Quello sguardo vuoto su di sé era qualcosa di insopportabile, un peso immane che Kate non riusciva a ignorare in nessun modo. La inquietava ogni secondo di più, la testa le faceva più male quando Slender Man la guardava dritta negli occhi, era orribile.
 
*
 
Il malditesta era passato, per il momento, ma sarebbe tornato. Kate lo sapeva.
Era sdraiata sul suo letto e si teneva una mano sulla fronte, le gambe allargate erano ben distese sulle coperte e il braccio sinistro penzolava inerte da fuori il materasso. Slender Man era in un angolo, la fissava…
Le palpebre della ragazzina sbatterono un po’. Il pomeriggio stava passando lentamente, e Kate avrebbe voluto tutto tranne quello. Doveva trovare un modo per uscire da lì, per salvarsi…
Con rapidità, sorprendendosi per il suo istantaneo risveglio, Kate si mise a sedere sul letto spalancando gli occhi e puntando lo sguardo sul muro di fronte a sé. Slender Man sembrò sorpreso da quel suo movimento improvviso e sussultò piano.
Kate guardava il muro con occhi strabiliati, come se si fosse accorta di qualcosa. << Devo andare. >> Disse.
Slender Man la seguì con lo sguardo mentre scendeva dal letto e si allacciava delle scarpe da ginnastica ai piedi. Dove vai? Chiese facendo un passo verso di lei.
Kate sapeva di non poter mentire a Slender Man, perché avrebbe capito se fosse stata sincera o no. << Devo vedere la mia amica. >> Disse in fretta raddrizzando la schiena e rivolgendo un’occhiata veloce all’essere. << Le devo parlare. >> Detto questo si avviò verso la porta, ma la domanda di Slender Man la fece fermare proprio sulla soglia.
Le devi parlare di noi? Kate rimase paralizzata a sentire quella cosa. Noi. Credette che il suo cuore avesse mancato un battito. Si voltò lentamente, dandosi il tempo di elaborare quello che aveva sentito. I suoi occhi spalancati mostravano l’orrore che aveva provato nel sentire quella domanda. Quando il suo sguardo si fu posato sull’uomo senza volto, Kate cambiò espressione.
<< Non c’è nessun “noi”. >> Disse rivolgendoli uno sguardo duro. << Ci sono io. E poi ci sei tu. >>
Slender Man la ascoltava con attenzione, attendendo la fine del discorso.
<< E tu ti sei insinuato nella mia vita con prepotenza, mi hai terrorizzata. Noi due non abbiamo niente da condividere! >> Concluse con sguardo deciso. Il suo sguardo era così intenso che avrebbe potuto bucare la faccia di Slender Man in quel momento.
Slender Man la fissava impassibile. Kate non capì se avesse recepito il messaggio, oppure se ogni volta che gli parlava, quel mostro la ignorava.
<< E io devo parlarle di te. >> Aggiunse per essere più decisiva. Detto questo uscì dalla stanza a grandi passi con aria altezzosa.

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Capitolo 27
*** Sincerità ***


Kate aspettava seduta al solito posto nella caffetteria. Aveva chiamato Jennifer chiedendole di raggiungerla il prima possibile. Si sentiva al sicuro in un luogo affollato, la presenza della gente la distraeva dai pensieri più cupi, e anche la testa non le faceva tanto male… Non sapeva dove fosse nascosto Slender Man, se fosse capace di rendersi invisibile oppure se si fosse allontanato… Era solo contenta di non vederselo davanti ogni volta che si voltava.
Guardò con serenità la gente che chiacchierava seduta ai tavoli attorno al suo, le persone dietro al bancone del bar… Era da un po’ che non si rilassava, che non si concedeva un minuto per pensare e guardarsi intorno… Tutte quelle cose che le erano successe in quella folle settimana le avevano preso tutto il suo tempo, i suoi pensieri… Voleva far riposare il cervello, e ora che riusciva a pensare meglio voleva dire la verità a Jennifer, perché voleva che lei fosse al corrente della situazione. Non sapeva bene cosa sarebbe successo dopo, non sapeva quale sarebbe stata la reazione della sua amica di fronte a quella terribile cosa che aveva da dirle, ma sapeva che avrebbe dovuto essere sincera con lei e dirle la verità.
Quando la sua amica entrò nel locale la salutò ammiccando e scuotendo vigorosamente una mano. Jennifer si sedette in fretta di fronte a Kate e le sorrise tenendole le mani. << Sono contenta di vederti… E vedere che stai bene. >> Disse Jennifer sorridendo benevolmente all’amica.
Kate non ebbe la forza di sorridere come faceva lei, ma riuscì a piegare un labbro, mentre un’espressione di stanchezza compariva sul suo volto. << Ciao Jennifer. >> Disse piano guardando le mani dell’amica che stringevano le sue. Probabilmente aveva capito che Kate aveva bisogno di sostegno semplicemente vedendola in quello stato. Non riusciva a sostenere nemmeno il suo sguardo

<< Pensavo che fossi arrabbiata con me per quella figuraccia che ti ho fatto fare in biblioteca l’altro giorno, perché poi non ci siamo più sentite… >> Disse Jennifer cercando di intercettare lo sguardo di Kate abbassando la testa.
Kate se n’era totalmente dimenticata. Venerdì, dopo la scuola, le ragazzine erano andate in biblioteca per studiare, ma lo studio era stato sostituito dalla follia di Jennifer, che aveva fatto una scenata molto imbarazzante nel bel mezzo della biblioteca. Poi le due ragazze si erano divise, e Kate non aveva più parlato con Jennifer, ma non perché non volesse; quando era tornata a casa si era dimenticata di tutto e si era messa a dormire, poi la notte si era svegliata e aveva incontrato di nuovo Slender Man, e poi la mattina dopo era stata piuttosto movimentata… Il resto del sabato Kate aveva cercato di ignorare Slender Man, cercando di fare quello che faceva di solito, ma non era andata molto bene, e alla fine della giornata era a pezzi. La ragazzina simulò un sorriso rassicurante. << Ma che dici? E’ stato come uno schiaffo appena svegliata, mi ci voleva proprio quell’attimo di follia! >> Era stata la cosa più divertente che aveva fatto nella settimana, probabilmente

Jennifer sorrise eccitata. << Allora forse dovrei farlo più spesso… >> Ridacchiò divertita. Kate cercò di trattenerla e vide di cambiare argomento prima che divagassero.
<< In questi giorni non ti ho chiamata perché ho avuto un problema. >> Disse seria, causando l’improvvisa scomparsa del sorriso di Jennifer, che capì che la cosa era seria.
<< Che cosa è successo? >> Chiese preoccupata. Kate sospirò puntando un dito sul tavolo. L’unghia lunga ticchettò sul legno.
<< Devi promettermi che non darai di matto, prima. >> Disse Kate seria. Jennifer cambiò espressione in confusa e cercò di chiederle perché, ma l’amica continuò. << E’ una cosa seria. Riguarda tutto quello che mi è successo in questi ultimi giorni… >> Disse alzando una mano per dire a Jennifer di lasciarla parlare.
<< Vuoi dire… Quelle pagine e la malattia… >> Jennifer conosceva solo una parte di quella storia. Kate avrebbe voluto dirle di più, ma c’era qualcosa che la frenava, come se sapesse che non poteva dirlo alla sua migliore amica… Ma allo stesso tempo, proprio perché lei era la sua migliore amica, doveva dirglielo!
La ragazzina fece uno sforzo immane per poter andare avanti. << Non so se lo ricordi… La sera che siamo state aggredite da quei maniaci… >> Non poteva ricordare. << Non sono stati dei ragazzi a salvarci da loro. >> Disse a voce bassa, vergognandosi di averle tenuta nascosta la verità.
Jennifer non sembrò molto sorpresa dalla confessione di Kate, ma sulla sua faccia si poteva leggere chiaramente la sua confusione. Aspettò un chiarimento da parte dell’amica.
Kate prese un lungo sospiro prima di cominciare a parlare. << C’è un mostro che vive nel bosco fuori la città, che va in giro a lasciare pagine a chi incontra e a inseguire le sue prede. Le sue prede muoiono tutte, alla fine, oppure impazziscono. >> Gli occhi di Jennifer si spalancarono dall’orrore. << Sabato scorso, nel bosco ho incontrato questo mostro, l’ho affrontato, in un certo senso… >> Kate abbassò lo sguardo dispiaciuta. << Mi ha perseguitato da quella notte… >>
Jennifer era sconvolta. Era successo qualcosa di davvero serio alla sua amica, e lei non aveva fatto niente per aiutarla; questo era il suo pensiero. Si avvicinò a Kate per consolarla. << Mi dispiace Kate… Se avessi saputo… >>
<< No. >> Disse risoluta Kate, senza però rifiutare le mani dell’amica che si posavano sulle sue spalle. << Tu sei stata di grande aiuto. Ti ricordi quando ti ho chiamata spaventata, chiedendoti di incontrarci qui? >> Jennifer annuì. << Quel sangue sui miei vestiti era il mio. Stavo perdendo la testa e dovevo parlare con qualcuno, ma quando sono arrivata stavo per ripensarci. Poi tu mi hai portata a casa tua e mi hai fatto dimenticare i miei problemi. >> Sorrise dolcemente. << Ti sono molto grata per la tua gentilezza. >>
Jennifer non capiva le parole dell’amica; la confondeva. << Perché hai perso tutto quel sangue? >> Chiese alzandosi e sedendosi accanto a Kate per esserle più vicina.
Kate non sapeva da dove cominciare. C'erano così tante cose da raccontare che ora non riusciva a riportarne alla mente nemmeno una
Il suo sguardo si concentrò sul tavolo di legno davanti a lei e cominciò a scorrere lungo le venature scure che lo percorrevano. << Inizialmente non capivo che cosa stesse succedendo… I tagli sulle braccia che scomparivano sono stati l’accaduto che mi ha fatto intuire qualcosa… >> Jennifer ricordò quella mattina, dopo che Kate era stata malata, quando il signor Tucker le chiese se si fosse ferita alle braccia. << Ero caduta su dei vetri quel giorno, e sono andata subito in bagno a togliermi le schegge dalle braccia. >> Spiegò Kate. Jennifer digrignò i denti al pensiero. << Il giorno dopo le ferite non c’erano più. >> Kate alzò anche un braccio per mostrare a Jennifer di non avere nessun segno di quell’accaduto sul suo corpo. Jennifer studiò stupita il braccio liscio di Kate. << C’era qualcuno che teneva alla mia salute. E questo qualcuno era in grado di curare le mie ferite. >> Disse ritraendo il braccio.
Jennifer la guardò con un sopracciglio inarcato. << Chi può essere in grado di fare cose del genere? >> Chiese temendo la possibile risposta.
Kate era seria. Quando rispose il suo viso sembrò quello di una ragazza morta. << Slender Man. >> Furono le due parole che uscirono dalla sua bocca. Jennifer non capì quello che disse la ragazza in un primo momento. << Il mostro del bosco mi segue. >> Spiegò dopo. << Sembra che si sia “innamorato” di me. >> Disse con voce tremante, ma cercando di mantenere il controllo di sé. << Non vuole che mi accada nulla. Per questo ha mandato via l’uomo nel vicolo, domenica scorsa, e ha rimarginato le ferite dei vetri. Ci ha salvate da quei ragazzi martedì sera, e giovedì ha richiuso un taglio che mi ero fatta con un coltello per capire cosa diavolo stesse succedendo! >> Si era dimenticata dell’incidente di venerdì, ma pensò che sarebbe stato meglio non dire nulla a Jennifer di quell’accaduto.
Jennifer la guardò sconvolta scuotendo piano la testa. << Perché…? >> Chiese con voce flebile.
<< Non lo so. >> Rispose Kate respirando profondamente. << Non lo so, ma so che non mi lascerà andare… Dice che io sono speciale. >>
Jennifer la guardò con occhi confusi. << In che senso “speciale”? >> Chiese ormai senza riuscire a capire più niente.
Kate sospirò chiudendo gli occhi, poi alzò le palpebre e guardò Jennifer con stanchezza. << Jennifer… Questa cosa mi sta distruggendo i nervi. >> Appoggiò il gomito al tavolo e si sostenne la testa con la mano. << Ogni volta che lo vedo sento come se la mia testa dovesse scoppiare. Ha detto che è un processo di assimilazione alla sua presenza o qualche cazzata del genere e che dovrebbe passare col tempo, ma Jennifer… >> Si voltò e il suo sguardo cambiò; era terrorizzata. << Non voglio che questa cosa continui! >>
Jennifer non sapeva proprio che dire. Era la prima volta che rimaneva senza parole di fronte a Kate, senza qualcosa con cui tirarle su il morale, senza un’idea per aiutarla… Era qualcosa che andava oltre la sua portata, pensava Kate, e probabilmente questa volta non sarebbe riuscita ad aiutarla e l'avrebbe abbandonata, ma quando la sua amica parlò riuscì a sorprenderla ancora una volta. << Vieni da me. >>
Kate spalancò gli occhi e portò indietro la testa. << Cosa? >> Chiese confusa; aveva recepito solo una parte del messaggio, e quella piccola parte che aveva capito era arrivata confusa alle sue orecchie e deviata da altri pensieri
<< Vieni a dormire da me! >> La incitò con più vigore l’amica, con un leggero sorriso incerto che le nasceva sul viso.
Kate la guardò incredula. << Eh? >> Fece inarcando un sopracciglio ancora un po' confusa.
<< Se non riesci più a sopportarlo, allora allontanati da lui! Se sarai lontana da casa e non ti troverà, forse potrebbe dimenticarsi di te… Forse… Forse potremmo… >> << Jennifer. >> La voce di Kate bloccò istantaneamente quella di Jennifer, che la fissò preoccupata, triste. Kate scosse la testa abbassando la mano che aveva alzato per calmare Jennifer.
<< Non funzionerà. >> Disse con semplicità a voce bassa.
<< Perché? >> Chiese Jennifer rifiutandosi di capire. << Ti posso nascondere io…! >>
Kate scosse piano la testa abbassando le palpebre. << No, Jennifer. Non puoi nascondermi da lui. >> Jennifer la guardò sconfortata. Probabilmente aveva capito, ma non voleva ammetterlo; aveva sempre pensato che ci fosse una via di fuga a tutto. Povera, innocente Jennifer…
<< Perché…? >> Chiese con voce rotta. Si sarebbe messa a piangere, e Kate sapeva quanto fosse difficile farla piangere. Jennifer era una ragazza forte, dall’aspetto fragile, forse, ma era più forte di molte persone adulte e mature. Quando sembrava felice nonostante le circostanze, Jennifer in realtà soffriva dentro; non mostrava mai il suo dolore, forse pensando che non dovesse infastidire le altre persone con i suoi problemi, e nemmeno quando era da sola, lei non si liberava con le lacrime; diversamente da Kate e molte altre persone, la ragazza cercava di trovare una soluzione, cercava di riprendersi. Anche quando la situazione era stata davvero difficile per lei, come quando una volta alle scuole elementari fu presa in giro per non avere nessuno a cui consegnare il regalo della festa del papà… Era stata una cosa davvero cattiva da parte dei loro compagni, ma Jennifer non si era mostrata abbattuta, né tantomeno triste; bensì aveva preso tutti gli strumenti necessari e aveva costruito il regalo più bello della classe. Solo Kate sapeva che, quello stesso giorno, la bambina era andata al cimitero a consegnare il regalo alla tomba del padre, e nemmeno lì aveva pianto. Jennifer era una persona troppo forte per gli altri, ed era troppo umile per ammetterlo. Kate doveva molto a quella sua forza. Anche se il dolore la stesse corrodendo, lei non si tirava mai indietro dall’aiutare qualcuno, dal regalare un sorriso… Se si stava mettendo a piangere in quel momento, significava che Kate l’aveva combinata grossa…
La ragazzina cercò di assumere il tono più dolce che poté e accarezzò la guancia dell’amica con una mano. << Lui mi segue. E’ sempre con me, non importa dove vada… >> Jennifer alzò lo sguardo incredula, capendo finalmente quello che Kate le stava dicendo; non c’era un posto dove fosse al sicuro. << In questo momento, ad esempio, io riesco a sentire quel ronzio che sento ogni volta che è nei paraggi, anche se affievolito… Questo vuol dire che non è vicino, ma ci vede… E ci sente. >>
Gli occhi di Jennifer si riempirono di orrore, la ragazza impallidì alle parole dell’amica, ma non si guardò intorno, nonostante la curiosità di sapere dove fosse l’essere la consumasse. << Lui… E’ qui? >> Chiese puntando un dito a terra e avvicinandosi a Kate abbassando la voce.
Kate annuì decisa. La reazione di Jennifer fu strana; dopo un brivido iniziale, la ragazza chiuse gli occhi e cominciò a respirare profondamente con la bocca cercando di non dare retta al piede sinistro che batteva nervosamente sul pavimento. Dopo alcuni minuti passati in quella posizione, Jennifer riuscì finalmente a riacquistare la calma e tornò a guardare Kate negli occhi.
<< Quindi… Che facciamo? >> Chiese sforzandosi di mantenere lo sguardo sugli occhi di Kate.
Kate la guardò dritta negli occhi. << Non possiamo fare niente. >> Disse disfattista. << Ci tenevo a farti conoscere la verità, ma in realtà non possiamo fare niente. >>
Jennifer era una ragazza troppo positiva, sempre in cerca di una possibilità, mentre Kate era una ragazza troppo pessimista, sempre pronta ad arrendersi di fronte alle difficoltà, nonostante volesse provare a lottare. Questa era la differenza più grande che c'era tra le due amiche.
Jennifer la squadrò incredula. << Non puoi dire sul serio… >> Mormorò abbattuta.
Kate non voleva essere troppo dura con lei, ma dovette farlo:<< Ci sta guardando in questo momento. >>
Quella frase così diretta colpì Jennifer come uno schiaffo; divenne bianca in viso e sembrò non riconoscere più Kate come sua amica. << Dici sul serio? >> Chiese, questa volta senza riuscire a trattenersi dal guardarsi intorno.
Kate annuì. << Ci guarda e ci sente. Te l’ho detto. >> La testa di Kate cominciava a pulsare sempre di più; la pressione di Slender Man su di lei stava aumentando, il che significava che si stava avvicinando. << E… Non so se parlartene sia stata una buona idea… >> Mormorò tenendosi una mano sulla tempia e mostrandosi affaticata. Le palpebre le si abbassavano da sole, la testa le girava, non riusciva a restare concentrata.
Jennifer sembrò preoccupata. << Perché non dovrebbe essere stata una buona idea? >> Chiese indignata. Kate la guardò interrogativa; era troppo confusa per cercare di capire cosa volesse dire. << Hai voluto farmi sapere quello che ti sta succedendo. Avevi paura e volevi un aiuto, qualcosa a cui aggrapparti. E’ normale che sia venuta da me. >>
Kate abbassò di nuovo lo sguardo. << Ma… Potrebbe essere pericoloso… >> Mormorò sentendosi in colpa per la sua scelta di parlare a Jennifer.
<< E’ un rischio che dobbiamo correre! >> Sbottò Jennifer stringendole una mano quasi come se volesse trasmetterle energia nel corpo. << Se dici di non riuscire più a sopportare la presenza di… Slender Man… Allora vieni da me! >> Jennifer sembrò in difficoltà quando dovette pronunciare il nome del mostro, come se fosse una parola proibita. << Hai detto che adesso quel ronzio che senti è affievolito a causa della presenza di più persone, no? Se torni a casa sarai sola e vulnerabile all’influenza di Slender Man, ma se vieni con me… >>
<< Jennifer, ti prego… >> Mormorò debolmente Kate tenendosi ancora di più la testa. Slender Man era più vicino di prima.
<< No. >> Obiettò con tono entusiasta Jennifer; le luccicavano gli occhi mentre parlava, era davvero convinta di ciò che diceva. << Vieni a casa mia, c’è mia madre, c’è Jamie, andremo a scuola insieme… >>
<< Ma… >> Kate era esausta. Non riusciva nemmeno più a pensare; prima, quando era sola, l’influenza di Slender Man non era così opprimente, forse perché ci stava facendo l’abitudine, ma ora che stava tornando, anche se a poco a poco, era molto più forte di prima; forse il motivo risiedeva in quei pochi minuti di pace che aveva avuto prima dell’arrivo di Jennifer alla caffetteria. << E’ pericoloso… >> Disse a stento Kate senza alzare gli occhi dalle proprie gambe.
Jennifer sospirò delusa. << Guardati, Kate. >> Disse a un certo punto, destando l’attenzione dell’amica. E in quel momento, quando i loro sguardi si furono incrociati, il dolore alla testa scomparve, per un istante, ma fu bellissimo. << Sei allo stremo, non riesci nemmeno a guardare una persona quando le parli. Come credi di poter uscire da questo tunnel senza l’aiuto di qualcuno? >>
Kate la guardò sconvolta. Aveva ragione.
Jennifer le spostò la mano premuta contro la tempia e le posò sopra la sua. << Fatti aiutare. >> Le disse con voce dolce e sguardo triste. Kate si perse nei suoi occhi azzurri mentre l’amica le rivolgeva quello sguardo, sperando di poterla convincere a lasciarsi aiutare. In realtà Kate stessa voleva essere aiutata, ma non voleva essere un peso per qualcuno; Jennifer non c’entrava niente in quella storia, per quale motivo avrebbe dovuto rischiare la sua vita e quella della sua famiglia per aiutare lei? Kate, in confronto alla sua migliore amica, non valeva niente, non valeva il rischio…
Perché sono la tua migliore amica. Fu la risposta che si formò nella mente di Kate. Eccolo, il motivo. Kate sapeva che Jennifer le avrebbe risposto così, se glielo avesse chiesto, oppure si sarebbe beccata uno schiaffo su una guancia, perché a quel punto avrebbe davvero fatto arrabbiare la sua amica.
La ragazzina sentì il petto sobbalzare e gli occhi inumidirsi non appena la testa ebbe ripreso a pulsare. Cominciò a piangere e si gettò addosso a Jennifer, che la accolse in un abbraccio caloroso. << Portami via, Jennifer… >> Piangeva. << Portami via da questo incubo… >>
Mentre Jennifer cercava di rassicurarla accarezzandole il retro della testa e stringendola forte, Kate sentiva che l’influenza di Slender Man, un po’ si era affievolita…

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Capitolo 28
*** Ospitalità ***


Kate era seduta sul letto di Jennifer, guardava la sua amica che andava avanti e indietro per la stanza cercando qualcosa da darle per dormire. Erano tornate subito a casa di Jennifer senza passare prima dalla casa di Kate, e così la ragazzina era rimasta senza vestiti per la notte e il giorno dopo. Non erano state molto previdenti.
<< Questo lo mettevo qualche anno fa… >> Disse Jennifer porgendole un piccolo pigiama azzurro chiaro e sedendosi accanto a lei. << Dovrebbe andarti, visto che sei più piccola di me… >>
Kate lo prese e se lo mise in mezzo alle gambe incrociate. << Dici che non do fastidio? >> Chiese guardando l’amica preoccupata.
<< Ma che dici! >> Esclamò Jennifer ridendo. << Mia madre era contentissima di averti qui con noi, a cena! Ogni volta che resti da sola a casa si preoccupa un sacco per te. >> Spiegò alzandosi e sfilandosi la maglietta di dosso. In effetti la signora Kutner si mostrava sempre molto cordiale e contenta di ospitare Kate in casa sua.
Eppure Kate si sentiva in colpa. Sentiva come se avesse dovuto arrangiarsi, senza essere un peso per nessuno, e poi non aveva detto niente a nessuno del suo trasferimento, neanche al signor Tucker… << Avrei dovuto lasciargli un biglietto… >> Mormorò tra sé e sé attirando l’attenzione di Jennifer che intanto si stava spogliando.
<< Eh? >> Chiese voltandosi.
Kate mantenne lo sguardo basso e sospirò. << Ah! Jennifer… >> Mormorò imbarazzata. << Mi sono venute… >> Disse con sguardo eloquente.
Jennifer la guardò con la bocca mezza aperta. << Ah! >> Disse sorpresa, leggermente divertita.
<< Tu sei fornita… >> Borbottò Kate senza completare la frase, lasciandole intendere di cosa stesse parlando.
<< Non ti preoccupare, ci penso io! >> La interruppe l’amica prendendo un pacchetto di plastica rosa da un cassetto. Glielo porse sorridendo e Kate lo accettò ringraziando. << Se ne hai bisogno non esitare a chiedere. >> Disse con un sorriso stampato in faccia. Detto questo riprese a mettersi il suo pigiama addosso. Era bianco con qualche striscia rosa ai bordi delle maniche corte e i pantaloni erano grigi. Kate abbassò lo sguardo fissando quel pacchetto rosa che le aveva dato Jennifer con tanta facilità. Rispetto a Jennifer, lei aveva cominciato lo sviluppo prima, e nonostante tutto, aveva sempre l’aspetto di una bambina: era bassa, i suoi tratti erano molto delicati e il suo seno non aiutava molto a farla sembrare più adulta… Kate non desiderava così tanto di invecchiare… Era solo stufa del fatto che tutti la trattassero come una bambina, a causa del suo aspetto, per la maggior parte dei casi, ma anche semplicemente per il fatto che fosse considerata “troppo piccola” per alcuni argomenti… Quella discriminazione la faceva infuriare.
Jennifer guardò Kate concentrata sul pacchetto di assorbenti. << Da quant’è che ti sono venute le mestruazioni? >> Chiese per informarsi. Kate alzò lo sguardo ripensando al giorno precedente.
Prima di rispondere esitò un po’. << Me ne sono accorta ieri, a casa, per fortuna… >> Gettò il pacchetto accanto a sé sul letto e cominciò a spogliarsi per mettersi il pigiama.
<< Se fossi stata fuori sarebbe stato un bel problema. >> Commentò Jennifer con un sorrisetto divertito, ripensando a quella volta che le due ragazze erano state in biblioteca e alla somiglianza di quella situazione con ciò di cui stavano parlando ora.
Kate guardò il pacchetto di plastica rosa dopo aver gettato la maglietta sul letto. << Slender Man era con me… >> Mormorò provocando l’inquietudine di Jennifer.
<< Dici sul serio? >> Chiese stupita. << E… Che cosa hai fatto? >>
Kate pensò alla sua reazione quando l’essere le aveva fatto notare il suo stato; era stato lui ad accorgersene… << Me lo ha detto lui… Che stavo perdendo sangue. >> Disse con tono tetro. Jennifer spalancò gli occhi sconvolta. << Sono scappata in bagno a cambiarmi, ma lui è ricomparso lì… Non ha il minimo rispetto della privacy altrui! >> Commentò infastidita.
Jennifer aveva assunto un’espressione che era una via di mezzo tra la sconvolta e la divertita. << Se n’è accorto lui… E poi ti ha seguita in bagno… >> Ripeté incerta.
Kate annuì. << Sembrava non capire che ciò che faceva era poco opportuno… >> Disse seccata sfilandosi i pantaloni senza alzarsi dal letto.
Jennifer la guardò con la bocca aperta per qualche secondo prima di mettersi a ridere e coprirsi la bocca con una mano. << Scusa, ma non riesco a rimanere seria pensando a te mezza nuda che ti nascondi da un mostro! >> Cinguettò tra le risate sussultando a ogni respiro. << E’ ridicolo! >> Disse abbassando le mani e liberando gradualmente le risate.
Kate la guardò con un sopracciglio inarcato dopo essersi infilata i pantaloni del pigiama; quando l’aveva vissuta lei quella scena non le era sembrato molto divertente, ma ora che ci ripensava era stato piuttosto comico, oltre che paradossalmente imbarazzante… Si mise a ridere piegandosi in avanti, come per cercare un sostegno. << Si è offerto di fermare l’emorragia… >> Disse tra una risata e l’altra. << Non so come avrebbe pensato di farlo, ma ho preferito non lasciarglielo fare! >>
Kate continuò a ridere tenendo la testa bassa; Jennifer sospirò e sorrise all’amica, ma quando ebbe alzato la testa il suo sorriso scomparve. Sembrò preoccupata. << Kate…? >> Chiese avvicinandosi piano.
Kate sorrise interrogativa; le avrebbe chiesto cosa volesse, ma all’improvviso sentì un dolore acuto alla tempia sinistra e dovette premerci sopra la mano con forza per attutirlo. Il suo sguardo si fece più affaticato e a un certo punto si sentì bagnata sotto al naso. Alzò un dito e toccò lì dove aveva sentito del liquido colarle da una narice: era sangue. << Ahi. >> Disse atona e con poca forza stringendo i denti e tenendo chiuso l’occhio destro cercando di alleviare il dolore. Ecco qual era il problema.
Che era successo? Solo ripensare a Slender Man l’aveva messa in quello stato? Si era dimenticata dell’influenza dell’essere – che era rimasta sempre costante durante la giornata, anche se debole – e i suoi ricordi avevano alterato quel equilibrio precario che si era formato dopo ore di assuefazione? Oppure quelle risate erano state troppo violente per la sua mente stressata, il suo corpo indebolito, e la pressione di Slender Man era tornata a galla facendo leva su quella sua debolezza?
Jennifer si avvicinò inginocchiandosi davanti a Kate e si guardò intorno spaventata. << Ah… Aspetta, tieni questo! >> Disse disorientata afferrando un pacco di fazzoletti sul comodino e porgendone uno all’amica.
Kate accettò il fazzoletto e lentamente, debilitata dal dolore alla testa, lo aprì. Si soffiò il naso con forza, scoprendo di aver lasciato una larga macchia di sangue sul fazzoletto, e altro sangue continuava a colare dal suo naso.
<< No… No, no… Merda! Questo non lo aveva detto… >> Si lamentò la ragazzina cominciando a farsi prendere dal panico. Era un disastro; ogni volta che qualcosa andava storto, lei andava in tilt, perdeva il sangue freddo di cui si era sempre vantata tanto e cominciava a respirare con fatica, ad agitarsi in cerca di spazio… Si sentiva inutile, ogni volta che perdeva la calma.
<< Che cosa? >> Chiese allarmata Jennifer alzando lo sguardo dal fazzoletto insanguinato. << Chi ti ha detto cosa? Slender Man? >> Per Jennifer era ancora faticoso pronunciare il nome del mostro, ma ci stava facendo l'abitudine, anche per non perdere tempo in quella situazione, non ci fece molto caso.
Kate continuò a stringere la tempia sinistra piegandosi in avanti sempre più; ora lo sentiva, il potere del mostro su di lei. Aveva pensato di poterlo ignorare, di poterlo sconfiggere, ma quel sangue le aveva ricordato quanto fosse debole e quanto poco potesse fare per contrastare il potere dell’uomo dal completo nero. Era una piccola ragazzina, senza alcun potere, e in un modo o nell’altro, sarebbe finita come voleva lui…
<< Devo… Devo andare in bagno un attimo… >> Mormorò Kate alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta. Jennifer non poté che lasciarla andare, dicendole di chiamarla se avesse bisogno di aiuto. La ragazzina percorse rapidamente la strada tra la camera di Jennifer e il bagno e vi si chiuse dentro. Aveva addosso solo i pantaloni del pigiama di Jennifer e il suo piccolo reggiseno nero; sarebbe stato difficile spiegare la situazione alla madre di Jennifer o a suo fratello se l’avessero trovata lì, oltre che molto imbarazzante… Una volta lì, Kate cominciò a sciacquarsi il viso al lavandino e a soffiarsi il naso sempre con più vigore; il sangue non si fermava. Kate si sentì disperata. Che stava succedendo?
Merda… Pensò guardando il sangue scivolare via trasportato dall’acqua del rubinetto. Merda! Merda! Merda! Merda! Chiuse l’acqua e si voltò respirando profondamente. Si appoggiò al muro accanto al lavandino e si sedette a terra. Questo non sta accadendo… Non può accadere così…
Chiuse gli occhi e respirò. Respirò cercando di riacquistare la calma e la sicurezza che la compagnia di Jennifer le aveva portato e che aveva perso ripensando a Slender Man.
Ma il dolore aumentò improvvisamente, ricordandole quello di uno spillo spinto con forza sulla pelle e attraverso la carne. Lo sentiva nella testa, dentro di sé, le pulsava la tempia e dallo sforzo cominciava a sudare. La respirazione non si stabilì, divenne ancora più irregolare e incontrollabile, e Kate sapeva perché, ma non volle pensarci.
Aprì gli occhi senza esitare, e di fronte a sé si trovò l’enorme figura di Slender Man a fissarla con insistenza; la sua grande ombra proiettata sul suo piccolo corpo esile. La sua faccia si tinse di orrore e cominciò a tremare, temendo di farsi la pipì addosso dallo spavento. Slender Man era di nuovo vicino a lei, troppo vicino, e non ne era più abituata… Il dolore era insopportabile, non riusciva a tenere alto lo sguardo. E ancora una volta era mezza nuda di fronte a quel mostro!
Mi dispiace vederti in questo stato… Disse Slender Man continuando a fissarla.
Col cazzo! Pensò Kate credendo che il mostro potesse sentirla. Sei tu la causa di tutto questo! Sei tu che mi fai del male! Non la stava proteggendo, le stava rendendo la vita un inferno…
Slender Man sembrò aver letto nella sua mente, e in effetti Kate sapeva che era così. Mi dispiace molto… Volevo solo stare vicino a te…
<< Puoi anche andare via! >> Rispose acida Kate cercando di rialzarsi. << Non puoi stare qui! >>
Slender Man annuì comprensivo. Sarebbe un guaio se dovesse vedermi qualcuno…
<< Infatti! >> Sbottò Kate cercando di raccogliere tutte le sue forze per parlare solamente. << Quindi vai via! Mi sto per sentire male! >> Fece appoggiandosi al lavandino e cercando di tenere dritta la schiena, mentre l’occhio destro era bloccato sotto le palpebre.
Sembrò che Slender Man recepisse il messaggio, e come era comparso, dopo che Kate ebbe sbattuto le palpebre, scomparve dalla sua vista, uscì da quella stanza, lasciandola sola. Kate poté notare con sollievo che la pressione alla testa stava diminuendo e si lasciò andare a un lungo sospiro, cadendo a terra esausta.

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Capitolo 29
*** Scoperta ***


Kate era seduta sulla sua solita sedia al suo solito posto a scuola, la schiena poggiata alla parete e un gomito sul banco, l’altro braccio stava in bilico sullo schienale della sedia.
Quella notte non aveva dormito troppo male, un po’ meglio delle notti precedenti… La presenza di Jennifer aveva aiutato molto a calmarla; nonostante la visita di Slender Man la sera prima, Kate era riuscita a non perdere la speranza e a tornare nella camera dell’amica senza mostrare nessun segno della visita del mostro. Aveva detto a Jennifer che stava meglio e si erano messe a letto; tutte e due strette nel letto della ragazza, abbracciate, cercando di darsi forza l’un l’altra… E quell’abbraccio aveva trasmesso a Kate un po’ di forza, con la quale aveva respinto gli incubi, almeno per una notte, e alla mattina non aveva avuto quel forte malditesta della sera precedente, e solo un leggero ronzio persisteva ancora nella sua testa.
Le due ragazzine erano andate a scuola insieme chiacchierando e scherzando allegramente, senza preoccuparsi di quella cosa che avevano deciso di non menzionare. Arrivate a scuola si erano messe ai loro posti e avevano aspettato l’arrivo dell’insegnante, ma il professore tardava quella mattina.
<< E che cosa farai per i compiti? >> Chiese Jennifer allarmata; Kate non aveva studiato nemmeno quella volta, e i compiti vecchi erano rimasti a casa di nuovo.
Kate si stava esaminando le unghie della mano sinistra quando alzò lo sguardo. Ci pensò su qualche secondo. << Sembra che io sia fottuta… >> Mormorò con semplicità, mostrandosi disinteressata a quell’argomento. Jennifer non seppe se sorridere a quella sua affermazione oppure preoccuparsi; il modo in cui l’aveva detto lasciava capire che non le importava di quello, ma quanto poteva permetterselo?
Mentre gli alunni chiacchieravano spensieratamente, provocando un leggero brusio nella classe, dalla porta fece il suo ingresso una figura più bassa e larga del solito; non era il loro insegnante, bensì il preside della scuola, vestito di grigio e con un paio di occhiali da vista appesi al collo, che li scrutò tutti con occhi infossati.
I ragazzi si alzarono all’istante in segno di saluto, sorpresi da quella visita, ma il preside fece un lieve cenno con la mano, invitandoli a sedersi. Kate e Jennifer si guardarono confuse; c’era qualcosa di strano nello sguardo dell’uomo.
<< Buongiorno ragazzi. >> Disse serio tenendo le mani unite dietro la schiena.
I ragazzi risposero all’unisono al saluto. Il preside annuì piano al loro saluto.
<< Temo che oggi non avrete la vostra solita lezione con il professor Anderson… >> Cominciò con voce amareggiata. I visi dei ragazzi si illuminarono non appena sentirono quelle parole; cominciarono a volare sguardi e occhiate eccitate nella classe. Kate invece non si sentì come loro; di solito, quando gli veniva annunciata l’assenza di un professore – e di certo non dal preside in persona – significava che sarebbe stato mandato un supplente o qualcun altro a vegliare sulla classe fino alla fine dell’ora, dando così un’ora di riposo agli alunni, molto spesso, durante la quale Kate si sarebbe rilassata chiacchierando con Jennifer, o anticipandosi alcuni compiti per casa, in momenti particolari… Ma quella volta c’era qualcosa di diverso in quell’annuncio… Il resto della classe era sollevato dalla notizia, ma Kate aveva un brutto presentimento…
Il preside deglutì mentre i ragazzi nella classe si scambiavano sguardi compiaciuti. << So che solitamente questa è una buona notizia per voi… >> Disse alzando lo sguardo e fissandolo in un punto imprecisato di fronte a sé. << Ma questa volta è diverso… Questa volta… >> Il preside prese un grande respiro. Kate lo sentì arrivare. << Il vostro professore è stato ritrovato morto in casa sua questa mattina. >>
Ecco. L’aveva detto. Kate non sapeva perché, ma lo aveva sospettato dal momento in cui il preside era entrato in classe. All’improvviso i sussurri e i sorrisi si fermarono; nella classe non ci fu il minimo suono. Tutti gli occhi erano puntati sul preside che aveva appena dato quella terribile notizia. A quel punto Kate sentì l’impellente necessità di fare una domanda, di accertarsi di qualcosa.
<< Signor preside, come è morto il professore? >> Chiese alzando rapidamente un braccio e alzandosi dalla sedia, incapace di restare seduta. Le parole uscirono in modo naturale, sorprendendo anche Kate, che sentì un brivido dopo averle pronunciate.
Il preside sembrò in difficoltà di fronte a quella domanda e si asciugò la fronte sudata e arrossata con una mano prima di rispondere alla ragazzina. << Il signor Anderson è stato ritrovato nel suo appartamento privo di vita… A una prima occhiata poteva sembrare che si fosse assopito sulla sedia della cucina, ma quando la vicina è andata da lui cercando di svegliarlo, ha scoperto con orrore le sue condizioni. >> Spiegò l’uomo. Deglutì di nuovo, come se avesse un nodo alla gola. << Numerose ferite da taglio sono state rinvenute nell’addome e nel petto, mentre il viso era stato ripetutamente graffiato… Inoltre erano presenti parecchie contusioni dove la carne non era stata… Aperta. Sembra che gli si fosse rotto il polso destro, e anche il femore destro è stato spezzato… Non si è certi di quando tutto questo sia successo. >> Da quel momento in poi, Kate smise di ascoltare le parole del preside. Aveva saputo quello che doveva sapere: il metodo dell’omicidio. Era stato sorprendentemente esauriente; che cosa poteva essere stato a colpire con così tanta forza il suo professore e quale arma avrebbe potuto ferirlo così? E chi avrebbe potuto fare una cosa così brutale? Kate non avrebbe voluto pensarci, non avrebbe voluto credere a quello che le venne in mente, ma non riuscì a ignorarlo.
Slender Man.

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Capitolo 30
*** Antipatie ***


<< Ho paura, Jennifer. >> Disse Kate voltandosi verso l’amica che la guardava con occhi spaventati. << Hai sentito cos’ha detto il preside ‘stamattina. Hai sentito anche tu in che condizioni era il prof! >>
Jennifer tratteneva il respiro e fissava Kate preoccupata. << Kate, non sappiamo cosa sia successo! >> Cercò di ragionare. << Potrebbe essere stato un tentativo di rapina. >>
Kate si girò e cominciò a camminare avanti e indietro per il bagno delle ragazze pensando ad alta voce. << Non è stata una rapina… Era diverso… Sembrava un avvertimento, una minaccia… >>
Jennifer fece roteare gli occhi. << Kate! >> La chiamò esasperata cercando di farla ragionare. << Chi avrebbe potuto fare una cosa del genere, e perché? >> Chiese scuotendo le braccia. Kate si fermò e guardò l’amica. << Ragiona! >> La incitò quando fu riuscita ad attirare la sua attenzione.
Kate sembrava avere di fronte un fantasma; aveva gli occhi spalancati pieni di orrore, vedeva la morte davanti a sé. << Lui. >> Disse con voce sommessa.
Jennifer avvertì un brivido lungo la schiena, ma preferì ignorarlo. << Stai andando in paranoia! >> Esclamò tagliando l’aria con il braccio destro.
Kate ribatté rapidamente tornando a camminare in cerchio. << Pensaci, Jennifer! >> Esclamò fissando lo sguardo sul pavimento dove metteva i piedi. << Ha detto che vuole proteggermi da tutto! Il professore è stato aggressivo con me, venerdì mattina, e io ho provato odio verso di lui… Non lo volevo morto, ma in quel momento desideravo parecchio che sparisse dalla mia vista. Slender Man ha visto i miei pensieri e i miei desideri soppressi e ha deciso di agire per proteggermi, uccidendolo! >> Mentre spiegava, Kate continuava a camminare e a gesticolare ampiamente. Era tremendamente sicura di quello che stava dicendo, e quella cosa non faceva che alimentare le sue paure.
<< Ma perché?! >> Esclamò esasperata Jennifer scuotendo la testa. << Perché ha dovuto ucciderlo? >>
Kate si fermò e la guardò spaventata. << Perché non sa fare altro. >> Disse in tono tetro. Si avvicinò e le prese le mani. << E’ estremamente pericoloso, vuole farmi credere di poter provare emozioni, ma in realtà vuole uccidermi, vuole farmi soffrire, lo so! >> Pronunciò le parole rapidamente con un filo di voce fissando negli occhi Jennifer, cercando un po’ di conforto. Jennifer non ci mise molto a rincuorarla.
<< Non lo farà! >> Disse annuendo decisa. << Finché starai con me non potrà avvicinarsi a te. >>
Kate avrebbe tanto voluto dirle cosa era successo la sera prima nel bagno di casa sua, quando era rimasta sola per pochi minuti, ma non ci riuscì; non voleva spaventarla così, dicendole che casa sua non era un posto più sicuro di qualunque altro luogo. Per lei era importante che lì Kate si sentisse protetta, ma la ragazza non poteva fare a meno di pensare che fosse tutto inutile.
<< Prima o poi… >> Disse muovendo piano la testa da sinistra a destra. << Prima o poi lo farà… >>
Jennifer spalancò gli occhi terrorizzata e rimase a bocca aperta indietreggiando piano; mentre la ragazza cercava un modo per rispondere che rassicurasse l’amica, nel bagno entrò una ragazzina poco più alta di Kate, i capelli biondi andavano fino a sotto le spalle e gli occhi di ghiaccio congelavano l’anima. Indossava vestiti leggeri, una camicetta bianca con qualche decorazione rosa e una gonna corta blu che ondeggiava a ogni passo. Era Becky Johnson, una bulletta del terzo anno, come loro, che si divertiva a prendersela con i più piccoli; nonostante l’apparenza piccola e ingenua, la ragazzina era un vero demonio. << Salve, sfigate. >> Si annunciò entrando a passi rapidi nel bagno, muovendo ampiamente le spalle a ogni passo.
Kate e Jennifer non risposero; l’espressione delle due ragazze cambiò rapidamente, in particolare quella di Kate, che dall’essere spaventata, finì per fissare con disprezzo la compagna appena entrata. Jennifer invece fu meno infastidita, ma solo perché in quel momento stava ancora pensando a cosa le aveva detto Kate, e in più era di spalle.
Kate la seguì con lo sguardo fino a una delle porte dei bagni, alla quale la ragazza si mise a bussare con insistenza. << Muoviti, so che sei lì dentro! >> Esclamò battendo con forza la mano sulla porta.
Kate sentì un sentimento di disgusto mentre la ragazza si faceva aprire la porta da una ragazzina più piccola del secondo anno sulla quale aveva messo gli occhi da quando era arrivata. La ragazzina aveva lisci capelli neri, corti rispetto a quelli che portavano di solito le ragazze, non superavano le spalle, e un paio di sottili occhiali con una larga montatura blu sopra ai suoi occhi scuri e impauriti. Si chiamava Karen Smith. Aprì la porta guardandosi intorno con timore, quando vide il ghigno perfido di Becky Johnson trasalì; era tornata a tormentarla un’altra volta.
<< Come va oggi, Karen? >> Chiese Becky con calma, tirandola fuori dal bagno a forza. Karen balbettò qualcosa cercando di rispondere, ma era già terrorizzata. Ogni giorno quella maledetta troietta era pronta a tormentarla…
<< Be… Bene, Becky… Stavo… Stavo per tornare in classe, ora… >> Balbettò tremante la ragazzina mentre Becky teneva una mano sulla porta del bagno, bloccandole la via di fuga.
La puttana sorrideva spavalda e si guardava intorno, assicurandosi che ci fosse un pubblico ad assistere. << Perché tanta fretta? >> Chiese sorridendo perfida a Karen; le accarezzò la guancia e continuò a parlare. << Mi piace come sei vestita oggi, hai seguito i miei consigli? >>
Karen manteneva lo sguardo basso, cercando di non incrociare gli occhi di ghiaccio della principessina di fronte a lei. << S… Sì… Più o meno… >>
Becky scese con lo sguardo sulla camicetta bianca di Karen, facendo scorrere in cerchio sul suo petto l’indice sottile e munito di artiglio verde luminoso. << Hai fatto bene. >> Disse con voce meno amichevole questa volta. << Quella orribile magliettina variopinta non si poteva nemmeno vedere… >>
<< A… Avevi ragione, Becky… >> Rispondeva impotente Karen tenendo sempre lo sguardo basso. Kate sentì un moto di disgusto nel sentire la risatina fastidiosa della ragazza che era con loro nel bagno.
Dopo essersi liberata della sua risatina, Becky tornò seria e abbassò di più lo sguardo, concentrandosi sui pantaloni di Karen. << Ma vedo che ti ostini a indossare cose del genere… >> Mormorò delusa.
Karen balbettò una scusa. << I… I jeans mi piacciono… Sono comodi, per me… >>
Becky ammiccò innocentemente picchiettando la spalla della ragazzina di fronte a lei. << Non fa niente, è già qualcosa che ti sei decisa a indossare qualcosa di decente! Col tempo migliorerai. >>
Karen abbassò lo sguardo imbarazzata, sperando di essere scampata alla tortura e ringraziò incerta. A un certo punto Becky notò una cosa sulla testa della ragazzina più piccola. La sua espressione cambiò in disappunto e allungò rapida una mano per afferrare la molletta con sopra un fiocco rosa tenuta per fermare i capelli dall’andare davanti al viso di Karen. La tirò senza preoccuparsi di fare male alla ragazzina, che si lamentò mettendosi le mani ai capelli, cercando di fermarla.
<< Questa cos’è? >> Chiese quando la ebbe tirata via dai capelli di Karen. Guardò il piccolo fermaglio stretto tra le sue dita e rivolse uno sguardo incredulo alla ragazzina. << Porti ancora questa merda sulla testa? >> Sbraitò con voce stridula.
Karen si massaggiava la testa. << E’… Lo tengo per fermare i capelli… Me lo ha dato mia madre… >>
Becky stava cominciando finalmente a divertirsi; era quello che cercava, un regalo da poter distruggere. << E tu lo hai messo per farle piacere? >> Chiese sorridendo al fermaglio.
Karen rispose balbettando. << Sì… No, cioè… Mi piace… >>
A quel punto Becky cominciò a parlare interrompendola:<< Quindi indossi le cose orribili che tua madre ti regala, ma non segui i miei consigli per avere un aspetto decente! >>
<< Io… >>
<< No! Non ti importa di piacere alla gente, vuoi essere sempre la solita, brutta e fuori moda, Karen Smith! >> A quel punto Becky era una macchina da guerra inarrestabile; Kate si sentì disgustata nel sentire le sue stupide motivazioni. Karen cercava inutilmente di spiegarsi, ma Becky voleva solo urlare. << Credi che qualcuno possa volere te come amica se continui a vestirti così di merda? Se continui a dare retta a mammina nessuno vorrà stare con te, resterai sola! I tuoi genitori vogliono solo tenerti con loro per sempre, quando saranno vecchi e rincoglioniti allora dovrai occuparti tu di loro, e poi finirai di nuovo sola, e allora sarai tu quella che sarà diventata rincoglionita! >>
Becky, con un movimento rapido, gettò il fermaglietto a terra e lo calpestò con la sua scarpa, rompendolo. Karen la guardò impotente, non provò nemmeno a fermarla, e quando vide i pochi resti di quel regalo di sua madre, scappò in lacrime dal bagno. Becky, che sembrava infuriata, non appena vide Karen mettersi a piangere scoppiò a ridere malignamente.
Puttana! Kate non riuscì più a trattenersi e scattò verso la ragazza, che quando la vide sembrò spaventarsi. La spinse al muro e le conficcò le unghie nelle spalle. << COME CAZZO OSI TRATTARE COSI’ QUELLA POVERETTA?! >> Gridò in preda all’ira. Becky sembrò spaventata, ma quando ebbe riconosciuto la piccola Kate tornò spavalda e sicura di sé.
<< Mia cara Kate, lo sai che faccio questo per il suo bene. Devo temprare il suo carattere… >> Kate ringhiò rabbiosa interrompendola. << STRONZATE! >>
Jennifer arrivò per cercare di calmare Kate, prima che arrivasse qualche bidello e finissero nei guai, ma la ragazzina era fuori di sé; quel giorno, lo era particolarmente, e quell’accaduto era stato come il fiammifero che aveva acceso la miccia per lei…
<< SEI UNA PUTTANA SENZA RITEGNO A PRENDERTELA CON UNA BAMBINA! >> Sbraitò Kate continuando a strattonarla e a tenerla inchiodata al muro. Becky invocò l’aiuto di Jennifer, che seppur disgustata, stava cercando di allontanare Kate.
<< Jennifer, amica cara, cerca di far ragionare la tua amica. >> Le chiese con tono calmo. Era tutta una tecnica, la sua, una tattica per scoraggiare l’avversario, facendo credere di essere più forte.
<< Andiamo Kate, non vale la pena di prendersela con questa stupida…! >> Cercò di convincerla Jennifer, ma Kate si liberò dalla presa dell’amica e spinse un’altra volta Becky al muro.
<< Se succede un’altra volta una cosa del genere, non ci sarà raccomandazione che ti salverà dalla mia furia! >> La guardò dritta negli occhi mentre scandiva le parole. << E farai meglio a guardarti bene le spalle! >> Concluse lasciandola andare dopo averla spinta un’ultima volta.
Becky Johnson era lì, immobile. Aveva avuto paura, sicuramente, ma non lo mostrava; continuava a sorridere con quella sua faccia fastidiosa e a parlare di stare agendo con buoni propositi. Kate si voltò lasciandola là e uscì dai bagni, mentre Jennifer dava un’ultima occhiata alla ragazza prima di seguirla per cercare di calmarla.
Era una giornata di merda.
<< Dove vai? >> Chiese Jennifer affrettandosi dietro a Kate, sperando che l’amica le rispondesse.
Kate guardava dritto davanti a sé mentre camminava nel corridoio della scuola, era visibilmente infuriata; stavano succedendo troppe cose che mettevano a dura prova il suo autocontrollo e la sua sanità mentale, e quella cosa che era appena successa in bagno, nonostante fosse niente in confronto a quello che le era accaduto durante l’ultima settimana, l’aveva fatta esplodere; avrebbe voluto riempire di botte quella stronza di Becky Johnson, solo che sarebbe probabilmente finita dal preside, e mentre lei avrebbe ricevuto un’altra nota disciplinare, quella troietta non avrebbe passato nessun problema, perché era stata raccomandata dal primo anno, essendo la nipote del preside.
<< Pensavo che l’avresti fatta a pezzettini… >> Mormorò un po’ divertita Jennifer. << Giuro, avevi l’aspetto di una che vuole veramente fare del male! >> Jennifer non sapeva se quella fosse una cosa buona o cattiva; il fatto che Kate reagisse così a scuola non poteva essere una buona cosa, ma nemmeno cattiva, considerato il fatto che si trattasse di una giusta causa… Anche se non era stato proprio per Karen che Kate si era infuriata così tanto…
<< Voglio ancora picchiarla tanto! >> Disse a denti stretti Kate continuando a camminare senza distogliere lo sguardo. << Però, ripensando a quello che stavo per fare, ho capito che sarebbe stato inutile e deleterio per il mio rendimento scolastico… >>
Jennifer annuì sollevata. << Per una volta hai pensato! >> Disse con tono scherzoso. Kate non rise. L’amica non capì se se la fosse presa oppure se semplicemente non avesse inteso la battuta… La vide entrare in una classe scivolando sul pavimento liscio tenendosi dalla porta mentre passava sotto di essa.
Nella classe vuota c’era una ragazzina minuta dai capelli neri corti che se ne stava in silenzio a testa bassa, girata verso il muro. Era Karen Smith. Kate si fermò sulla soglia della porta per qualche secondo; la sua espressione mutò, addolcendosi e diventando più compassionevole. Dopo aver preso un bel respiro per calmarsi, la ragazzina si avvicinò a Karen.
<< Ehi… >> Mormorò poggiandole leggermente una mano sulla spalla. Karen trasalì e si voltò spaventata. Quando vide il viso di Kate sembrò spaventarsi ancora di più. Ma Kate aveva un’espressione che ispirava fiducia al momento. << Mi dispiace molto per quello che è successo prima… Sarei dovuta intervenire prima… >> Mormorò sedendosi accanto a lei continuando a fissarla negli occhi. Karen sosteneva a fatica il suo sguardo, mentre con gli occhi gonfi continuava a strofinarsi il naso. Jennifer era dietro Kate, in piedi, ad osservare la scena.
<< Non… Non fa niente… >> Mormorò insicura Karen, temendo di sbagliare. << Ci sono abituata… >>
Stava tremando. Kate scosse la testa dispiaciuta. << Non va bene… >> Disse. << Non dovresti lasciare che Becky ti tratti in questo modo. >> Cercò di darle coraggio.
Karen alzò lo sguardo sconfortata. << Tanto a che serve? >> Chiese. << Anche se dovessi parlare con qualcuno, nessuno muoverebbe un dito, e risponderle significherebbe essere picchiata… >> Era davvero senza nessuna via di fuga, senza speranza… E aveva ragione, in parte. Se avesse reagito, Becky e le sue amiche l’avrebbero picchiata, le avrebbero insegnato a stare al suo posto, mentre se avesse parlato con qualche professore, probabilmente avrebbe solo ricevuto una voce da qualcuno che le avrebbe detto che Becky era stata “richiamata”…
Quella stronza vincerebbe comunque… Pensò Kate fissando il suo sguardo nel vuoto. Ma non era il momento per mettersi a pensare. Sorrise alzando lo sguardo e costringendo Karen a guardarla negli occhi. << Se dovesse succedere di nuovo, Karen, parla con me. >> Disse sorridendo rassicurante.
Dal viso stanco e afflitto di Karen emerse un sorriso incredulo; non succedeva tanto spesso che qualcuno le parlasse così, che le si offrisse aiuto. << Grazie Kate… >> Mormorò riconoscente e con fiducia ritrovata. << Sei molto gentile… >> Disse strofinandosi un occhio commossa.
<< Non ci pensare nemmeno. >> Rispose Kate sorridendo e alzandosi. << Andrà tutto bene. >>
Karen annuì commossa, ringraziando ancora una volta Kate per la sua gentilezza, prima che la ragazzina si voltasse e lasciasse la classe seguita da una Jennifer compiaciuta dalla condotta dell’amica.
<< Come pensi di fare per aiutarla? >> Chiese mentre tornavano nella loro classe.
Kate le rivolse uno sguardo incerto. << Non lo so. >> Rispose. << Ma almeno questa volta non sarà sola… >>
Jennifer annuì chiudendo gli occhi. << E’ già qualcosa. >>
Kate tornò a guardare davanti a sé, e dopo un istante di silenzio fece scontrare il pugno della mano destra con il palmo della sinistra:<< E la prossima volta le spaccherò il culo, a quella troia! >> Esclamò ghignando adirata, spaventando Jennifer per il suo cambio di umore improvviso.
Sembrava quasi essersi dimenticata dei dubbi che l’avevano assalita prima…

 

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Capitolo 31
*** Felicità ***


Kate e Jennifer chiacchieravano lungo la via di casa; stavano parlando di come fosse andata la giornata, si lamentavano dei compiti che gli erano stati assegnati e di quanto avessero fame. Kate sembrava aver dimenticato che quella mattina il preside era venuto in classe loro a dargli la notizia del decesso del loro insegnante. Dopo aver incontrato Becky nel bagno delle ragazze, sembrava aver dimenticato tutto quello che la preoccupava; era un bene?
Non aveva sentito nessuna interferenza nella sua mente quella mattina, forse si era abituata a quella leggera presenza dell’essere, come le aveva detto lui? O forse Slender Man aveva deciso di concederle una pausa… Kate non ci pensava, ma voleva scoprire cos’era successo al signor Anderson, perché fosse morto, e sapeva già a chi avrebbe dovuto rivolgere quelle domande…
<< Ho una fame incredibile, è come se fossi stata a scuola il doppio del tempo oggi! >> Commentò Jennifer mettendo la mano sulla porta di casa sua; Kate era dietro di lei che sorrideva annuendo. Anche lei aveva fame, ma non avrebbe voluto lamentarsi di quel fatto.
Jennifer aprì la porta ed entrò in casa chiamando sua madre per accertarsi che ci fosse. << Siamo tornate. >> Disse a voce alta.
Nella casa c’era una leggera nebbiolina di vapore, probabilmente la madre di Jennifer stava cucinando qualcosa e non aveva aperto le finestre per arieggiare; un invitante profumino pervase le narici delle due ragazzine quando ebbero chiuso la porta dietro di loro. Da una porta sfrecciò il fratellino di Jennifer che corse ad abbracciare la sorella, fermandosi subito dopo aver visto che Kate era con lei. Abbassò lo sguardo imbarazzato e salutò la ragazzina. Kate rise scompigliandogli i capelli chiari prima che il bambino tornasse nella stanza da cui era venuto. Quella era un’accoglienza che non aveva mai avuto a casa, e che non avrebbe mai immaginato di ricevere…
<< Jennifer, siete arrivate? >> Chiese la voce un po’ distratta della madre di Jennifer dalla cucina.
Jennifer rispose di sì lasciando andare lo zaino su una sedia; Kate invece rimase ferma al suo posto seguendola con lo sguardo.
<< Abbiamo un ospite oggi… >> Disse la mamma di Jennifer dall’altra stanza. Jennifer si fermò prima di fare qualche scenata imbarazzante di fronte a un estraneo.
<< Chi è? >> Chiese facendo un piccolo passo indietro verso Kate, che non si era mossa.
Un ospite?
Dalla porta della cucina fece capolino il signor Tucker con indosso un grembiule da cucina marrone e un’espressione contenta in faccia, nonostante le occhiaie nascoste dagli occhiali. << Ciao ragazze! >> Salutò sorridente sorprendendo tutte e due le ragazze. Tucker era andato a casa di Jennifer? Era da sabato che non lo vedeva, non gli aveva detto nulla del fatto che stesse andando a dormire dalla sua amica, e ora che ci pensava, era stata piuttosto avventata…
Tucker tornò nella cucina dalla madre di Jennifer e continuò a parlare da là. << Mi hai fatto un po’ preoccupare domenica, Kate. >> Disse con tono amichevole. << Quando sono venuto a casa tua per vedere come stavi, non è successo niente. Mi sono spaventato… >> Kate entrò nella cucina con Jennifer, trovando il signor Tucker e la signora Kutner davanti ai fornelli, occupati a cucinare. << Sono entrato per controllare che ci fossi, ma non ho trovato nessuno, allora mi sono preoccupato… >>
Kate si fermò vicino al signor Tucker, che si girò mostrando un sorriso gentile.
<< Siete state un po’ precipitose, avreste potuto lasciarmi un messaggio. >> Disse continuando a sorridere. Non aveva un tono arrabbiato, non la stava rimproverando; sembrava solo preoccupato per lei.
Kate abbassò lo sguardo vergognandosi per la sua imprudenza. << Ha ragione… Mi dispiace, sono stata una sciocca… >>
Tucker non perse tempo e la rassicurò. << Non ti preoccupare, in fondo sapevo che saresti stata al sicuro! >> Tornò ad occuparsi della cucina e lanciò un’occhiata allusiva alla mamma di Jennifer, che sorrise distrattamente in risposta. << So che non andresti mai a cacciarti nei guai, soprattutto se dovessi essere con la tua amica. >> Kate guardò Jennifer con un’espressione confusa; non capiva ancora che ci faceva lì l’uomo.
La madre di Jennifer si girò rivolgendo lo sguardo alle due ragazze. << Avreste dovuto pensare bene a quello che facevate. >> Disse facendo sentire in colpa Kate e Jennifer, anche se senza volerlo. << E’ bello averti qui Kate, ma avresti dovuto pensare con più attenzione a cosa fare. Anche i tuoi genitori si preoccuperanno… >>
A quelle parole la ragazzina alzò lo sguardo severa, ma non volle sembrare scortese:<< Quello non sarà un problema. >> Disse dopo un attimo di esitazione in cui pensò con calma alle parole da usare. Jennifer capiva cosa volesse dire, sua madre invece no, mentre Tucker poteva bene immaginarlo.
Dopo alcuni istanti di silenzio imbarazzanti, la signora Kutner si schiarì la voce e spiegò perché Tucker fosse andato lì:<< Il signor Tucker… Shaun, è venuto da me immaginando che tu fossi con Jennifer; l’ho invitato a restare fino al vostro arrivo, e alla fine abbiamo deciso di pranzare tutti insieme! >> Disse correggendosi dopo aver nominato il cognome dell’uomo, che le lanciò un’occhiata divertita.
Kate si sentì come una luce accendersi nel petto, un fuoco che la riscaldò. << E’… Bello! >> Disse sentendosi veramente contenta per quello. Era davvero bello; era a casa della sua migliore amica, circondata da persone buone e anche il signor Tucker era lì con loro; era fantastico!
Al commento di Kate, Tucker si girò sorridendo leggermente. La signora Kutner si rivolse a Jennifer dicendole di chiamare Jamie. << E’ quasi pronto. >> Disse. La ragazza scattò subito a chiamare il fratellino, mentre Kate si guardava intorno nella cucina. Comparve Tucker che le consigliò il posto dove sedere al tavolo di legno che stava al centro della stanza. Kate accettò gentilmente e si sedette con leggerezza. Arrivarono poi Jennifer e Jamie; la ragazza si sedette accanto all’amica, mentre il ragazzino prendeva posto a capotavola; i due adulti presero il pranzo da distribuire sulla tavola e poi si sedettero. La signora Kutner al lato accanto a Jamie, Tucker a quello accanto a Kate.
Erano tutti insieme, le persone che volevano bene a Kate e alla quale lei voleva bene. Le persone che la facevano sentire parte della loro famiglia, che erano la sua famiglia. A guardarli in quella situazione, avrebbero potuto sembrare una normale famiglia felice…
Kate non sentiva più nemmeno l’influenza di Slender Man… Era… Felice…?

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Capitolo 32
*** Morte ***


Jennifer si voltò verso la porta dopo essersi infilata il pigiama e si avvicinò ad essa. << E’ stato gentile da parte del signor Tucker portarti vestiti e libri da casa. >> Fece fermandosi controllandosi a uno specchio per qualche secondo.
Kate annuì. Era seduta sul letto di Jennifer, indossava quel pigiama che le aveva prestato Jennifer e teneva lo sguardo basso. << Mi dispiace averlo fatto preoccupare… >> Mormorò sentendosi ancora in colpa.
Jennifer si voltò sorridendo. << E’ stata anche colpa mia. Ti ho spinta io a venire subito a casa mia senza pensarci. >> Fece scorrere lo sguardo dalla testa ai piedi di Kate. << Direi che questo stratagemma ha funzionato. >> Commentò sorridendo contenta che l’amica stesse meglio di quando l'aveva chiamata, domenica.
Kate alzò lo sguardo e annuì sorridendo. << Sì. Ora sto molto meglio. >> Disse rassicurandola. A parte qualche timore, stava meglio.
<< Sai che puoi contare su di me se dovesse succedere qualcosa… >> Fece Jennifer con tono di qualcuno che voleva essere messo al corrente di cosa succedeva. Sembrò preoccupata, ma era solo il modo in cui disse quella frase, per assicurarsi che Kate capisse che poteva confidarsi con lei su qualunque cosa.
Questa volta Kate annuì senza dire niente, accompagnando il gesto da un largo sorriso chiuso. Si sentiva in colpa per non aver detto a Jennifer dell’incontro della sera precedente con Slender Man, ma non voleva allarmarla inutilmente; in fondo, da quando erano andate via da scuola, non aveva sentito più niente… Significava che la loro idea stava funzionando… Giovedì sarebbero tornati i genitori di Kate, e così sarebbe potuta tornare a casa senza temere di essere avvicinata da Slender Man con la stessa facilità dei giorni precedenti…
Jennifer annuì compiaciuta. Si mosse verso la porta e la aprì. << Vado un attimo in bagno, devo… Fare una cosa. >>
<< Certo. >> Disse Kate con un sorrisetto. << Bevuto troppa acqua? >> Chiese lanciandole un’occhiata furba mentre Jennifer richiudeva la porta, rispondendo con un sorriso simile al suo.
Così era ancora una volta da sola; ma la casa era piena di gente. C’era Jennifer nel bagno, la madre di Jennifer era nella stanza accanto, mentre il suo fratellino era dall’altra parte del corridoio fuori dalla stanza; cosa sarebbe potuto succedere in quei pochi minuti di solitudine? Kate si preoccupava troppo, doveva essere un po’ più positiva, e specialmente non pensare a Slender Man…
Sentì un leggero malditesta arrivare come un suono lontano, diventare sempre più intenso ogni secondo che passava e finire per costringerla a tenersi una mano premuta contro la tempia sinistra per alleviare il dolore. Maledizione!
Come se lo avesse chiamato lei, Slender Man comparve nella stanza non appena ebbe sbattuto le palpebre. Ormai non si spaventava più quando se lo vedeva comparire davanti a quel modo, e poi non aveva la forza per reagire come faceva di solito. Slender Man rimase di fronte alla porta da cui era uscita Jennifer poco prima e continuò a fissarla finché Kate non riuscì più a restare in silenzio e dovette sfogarsi, cercando di ignorare il dolore. << Sei un vero bastardo, lo sai? >>
Volevo sapere solo come stessi. Disse innocentemente Slender Man rispondendo prontamente all’insulto della ragazza. Sentire quella voce nella sua mente la irritava ancora di più. Un momento. Una voce? Non era una voce. Perché pensava fosse una voce? Erano solo le parole che voleva dire Slender Man che comparivano nella sua testa. Quel mostro non aveva una voce!
Kate sospirò. Erano bastati pochi secondi in compagnia di quel mostro per perdere la testa. Si piegò in avanti e si schiacciò le dita contro la fronte, cercando di non pensare a tutto quello. Se Slender Man era lì, allora avrebbe dovuto cogliere l’occasione al volo. << Hai ucciso il mio insegnante. >> Disse alzando lo sguardo severa. Slender Man sembrò essere sorpreso della sua accusa.
Come lo hai capito? Chiese.
<< Perché? >> Chiese lei in risposta ignorando la sua domanda. << Perché lo hai fatto? >> In quel momento Kate si sentiva così arrabbiata con lui, che se avesse potuto farlo, lo avrebbe colpito.
Quel giorno avevano parlato poco di quello che avevano scoperto a scuola, a pranzo lo avevano menzionato alla signora Kutner e al signor Tucker, ma dopo di quello lo avevano dimenticato… E ora quel ricordo era piombato nella sua mente con forza, spingendo tutto fuori, senza lasciare spazio a nient’altro. Era la cosa più importante in quel momento.
Dopo un lungo silenzio, l’essere sembrò arrendersi all’insistente sguardo di Kate, fisso su di lui senza timore, e cominciò a parlare: Il giorno che sei tornata a scuola avete avuto una lite. Ti ha danneggiata, e sarebbe stato capace di fare anche altro…
<< Fare cosa? >> Chiese incredula Kate. << Era il mio insegnante, ci teneva a me. Era mia la colpa! >> Disse cercando di fare ragionare quel mostro; ma era inutile, vedeva solo quello che voleva vedere.
Dai tuoi pensieri, la situazione sembrava diversa. Disse semplicemente fissandola senza timore. Aveva letto i suoi pensieri? Sapeva quello che aveva pensato durante la sua lite con il professore, ma… In quel momento era fuori di sé, era arrabbiata e stressata; era ovvio che non potesse pensare ad altro che al fatto che fosse colpa del suo insegnante! Ma avrebbe dovuto pensare con più cautela. Tutti gli insulti che gli aveva mandato nella sua mente, tutti i pensieri per convincersi che fosse solo un pezzente senza valore… Era stata lei a condannarlo.
Kate abbassò la testa abbattuta. Non voleva più vivere. Aveva già ucciso due uomini, e continuando così, chissà quante altre vite avrebbe stroncato quell’essere per lei… Ma arrendersi significava morire… Si ricordò di quella ragazzina di cui le aveva parlato, di come si fosse arresa alla paura, e di come lui l’avesse uccisa per vendicarsi. Anche Slender Man era incapace di vedere altri punti di vista oltre al suo, ma lasciarsi andare alla disperazione non avrebbe aiutato nessuno, l’avrebbe solo portata alla morte. Forse Kate poteva fare qualcosa… Forse, se Slender Man diceva di essere davvero così innamorato, allora l’avrebbe ascoltata, e quindi avrebbe potuto convincerlo a smettere di uccidere… Forse avrebbe potuto ammansire quella bestia…
Alzò lo sguardo timorosa e lo guardò dal basso verso l’alto, cercando di mantenere un certo distacco. << Quindi… Lo hai ucciso. >> Slender Man non lo negò. << Ma… Perché uccidi? >>
A quella domanda Slender Man sembrò confuso. E’ quello che faccio per divertirmi. Disse con semplicità, provocando un moto di disgusto e paura in Kate. Come si poteva fermare un mostro simile?
Kate continuò timorosa. << Quindi… Non è una necessità, vero? >> Chiese incerta, pensando che Slender Man non avrebbe mai ammesso una cosa simile. Sorprendentemente, invece, lo fece.
No, non devo uccidere per necessità. Disse mettendosi una mano al mento bianco. Ma senza uccidere esseri umani, la mia vita sarebbe vuota… Inutile. Spiegò facendo raccapricciare la povera ragazza costretta a sentire quelle cose. Erano i ragionamenti di un serial killer!
Sempre nel timore di dire qualcosa di sbagliato e scatenare la collera del mostro, Kate chiese:<< Quante persone hai ucciso nella tua… Vita? >> Se si poteva chiamare così, l’eternità…
Slender Man non sembrò in difficoltà di fronte a quella domanda, solo un po’ sorpreso; ci mise un po’ a rispondere, forse perché stesse calcolando il numero esatto, ma Kate avrebbe voluto una risposta rapida; quell’attesa la stava uccidendo. Quando sembrò sul punto di dirlo, Kate alzò una mano e ritrasse la testa chiudendo gli occhi, dicendo che non voleva più saperlo. Slender Man non capì perché avesse cambiato così di colpo idea, ma non insistette. Kate sospirò affranta e tornò a guardare con timore Slender Man.
<< Ne hai uccise tante, vero…? >> Slender Man la guardò senza scomporsi.
Sì. Fu la risposta che diede rapidamente.
Kate si sentì mancare. << E nessuna aveva un… Buon motivo per morire… Vero? >> Conosceva già la risposta, ma non voleva crederci finché non l’avrebbe sentito da lui. Era ovvio che avesse ucciso tutte quelle persone per divertimento, per piacere, ma cos’era “piacere” per quel mostro?
Questa volta Slender Man non rispose, deludendo Kate, che rimase in attesa di una risposta.
Non posso risponderti chiaramente. Disse avvicinandosi di un passo, spaventando Kate. Sono tutti morti, ora, per il mio piacere o per la mia rabbia. Questi non sono buoni motivi?
Kate si sentì disgustata. << Certo che no! >> Esclamò inorridita. << Uccidere è sbagliato! E tu… Tu lo fai per divertimento senza neanche pensarci! >>
Quell’uomo nel camion l’ho ucciso per te. Rispose rapidamente Slender Man, ricordandole l’uomo che stava per investirla con un camion, giovedì sera, e facendola sentire ancora più male. Il tuo insegnante l’ho ucciso per te. Erano entrambi dei pericoli per te.
Kate alzò lo sguardo di fuoco verso di lui e lo fissò dritto dove avrebbe dovuto avere gli occhi. << Non è giusto! >> Scandì infuriata.
Slender Man non si mosse, divertito dal vedere quella piccola umana sostenere il suo sguardo, nonostante il malditesta che le causasse quel gesto e tutta la confusione che le stava invadendo la mente. Ma è divertente. Disse Slender Man dopo un lungo silenzio in cui i due si fissarono intensamente, Kate con odio, Slender Man compiaciuto. Se mi lasci mostrarti quello che intendo, capirai molto meglio.
Kate non capì cosa intendesse; stava per chiedergli che cosa volesse dire, quando la sua testa cominciò a pulsare violentemente, sentì come una forza spingerla indietro costringendola a schiacciarsi contro il letto mentre degli spilli le si conficcavano nella testa da ogni lato, dandole un dolore incredibilmente acuto e realistico, nonostante non stesse accadendo niente. Delle immagini cominciarono a scorrerle davanti agli occhi, a sostituirsi a ciò che vedeva; erano immagini cupe, buie, dove un colore bluastro prevaleva, come se sotto la luce della Luna. Erano confuse e intricate, c’era qualcosa di strano, sbagliato in loro, qualcosa che Kate non riusciva a focalizzare, e comunque sentiva di non volerlo fare…
Cercò di gridare, di ribellarsi, ma riusciva solo a contorcersi sul letto conficcandosi le unghie nella testa cercando di fermare quella sofferenza e allargando la bocca oltre la sua portata, in un lungo e silenzioso urlo di dolore. Perché stava facendo tutto quello? Che cosa gli aveva fatto di male per meritare quella tortura? I suoi pensieri furono schiacciati da altri pensieri non suoi, disperazione, dolore e paura divennero parte della sua anima, entrandoci chissà come e rendendola come un morto. Le immagini cominciarono a schiarirsi, a diventare più definite, e così Kate cominciò a riconoscere delle persone; dei corpi umani sdraiati su un pavimento di legno, oppure lungo una strada sterrata circondata da vegetazione, tutti morti; alcuni erano a pancia in su, altri erano riversi verso terra, ne vide uno che galleggiava in un fiume con gli arti ben allargati, e un altro con una ferita alla tempia e una grande macchia di sangue sul terreno accanto alla testa e su una roccia appuntita poco distante da lì; c’erano uomini, donne, bambini… Tanti bambini. Vide il piccolo corpo di un ragazzino che non avrà avuto più di otto anni appeso a testa in giù a un ramo di un albero, il sangue colava dallo stomaco aperto e raggiungeva il viso fino a cadere nella terra nera sotto di lui; una bambina con un vestitino rosa era a terra con un lungo graffio sulla schiena dalla quale usciva il sangue; una ragazzina dai capelli castani era accovacciata in un angolo, la testa nascosta in mezzo alle gambe e le braccia incrociate, in preda alla paura; un bambino di dieci anni era stato trafitto in pieno petto ed era stato appeso dai polsi a dei rami di un albero; lo sguardo nei suoi occhi era incredulo, aveva la bocca mezza aperta… Sembrava come se non avesse capito di essere morto, mentre il suo busto scendeva verso terra e quei tentacoli sottili gli stringevano i polsi tenendolo sospeso, pendente da quei rami neri di un albero spettrale…
E poi comparirono altri visi, altri corpi. C’era un ragazzo robusto dai capelli rossi che sembrava essere stato schiacciato da qualcosa; era sdraiato con le braccia larghe e lo sguardo fisso; aveva delle ferite alle costole, al bacino, alla fronte… Il sangue scendeva da quelle ferite e formava una pozza sul pavimento di legno… E poi con la velocità di un lampo cambiò la scena, e Kate vide un ragazzo più magro, i capelli castani; aveva un tubo che gli usciva dal petto e il sangue schizzava da esso. Gli occhi terrorizzati erano spalancati e la testa era reclinata di lato, inerte, morto. Pendeva da quel tubo come una marionetta. Kate non ebbe il tempo di capire cosa stesse vedendo che un altro lampo fece sparire quella scena e le mostrò un’altra scena ancora più terribile: c’era un ragazzo biondo non molto grande; l’espressione che riuscì a dare per descrivere il suo corpo era “intricato”. Era a terra in un giardino incurato, vecchio, e giaceva in una pozza di sangue; aveva le ossa rotte e la sua posizione era terribilmente rivoltante. Kate avrebbe voluto distogliere lo sguardo da quella vista terrificante, ma era costretta a tenere gli occhi aperti, o forse li aveva già chiusi e quell’immagine era stampata nella sua mente, in ogni caso riuscì a vedere gli occhi spalancati e arrossati del povero ragazzo che sembrava aver visto la morte in faccia proprio prima di morire… E poi vide un ragazzo pallido disteso a terra con un largo buco sullo stomaco e gli occhi fissi al cielo, la bocca semiaperta come se stesse per piangere… Poi un altro lampo portò via quell’immagine, e Kate vide una ragazza bionda e magra appesa a un soffitto, sorretta da diverse decine di spuntoni metallici e lignei che le attraversavano il corpo, tutta la schiena fino a dietro la nuca, come le gambe e le braccia, che in parte pendevano inerti. Sembrava terrorizzata. Dopo quella ragazza, Kate vide il corpo morto di un ragazzo dai capelli neri e i vestiti tutti strappati; era pallido come un morto, la pelle era lacerata e i suoi occhi erano scomparsi sotto il sangue, come se qualcuno avesse cercato di cavarglieli; la mano sinistra era fasciata con della stoffa strappata e aveva un aspetto orribile, maciullata, avrebbe detto Kate, le dita di entrambe le mani erano piene di sangue; era accasciato contro una parete, aveva una grande ferita in testa e sembrava dolorante, ma era morto… Un’altra immagine si sovrappose a quella del ragazzo dai capelli neri, e fu un ragazzo di piccola statura, gracile e biondo, con occhi azzurri; il suo aspetto esteriore era tremendamente in contrasto con il suo aspetto corrente: gli occhi pieni di lacrime e la bocca spalancata con orrore, il braccio destro mozzato, come se fosse stato strappato con forza e grondante sangue, il petto era stato aperto dall’interno e sembrava che le sue caviglie fossero state stritolate con forza… Un’altra immagine di un ragazzo dai capelli corti neri con le mani davanti agli occhi spalancati e iniettati di sangue, con un’espressione sofferente e terrorizzata in viso passò davanti a Kate come un lampo, spaventandola.
Dopo quelle immagini, Kate vide anche un uomo seduto su una sedia di legno. Era abbandonato allo schienale e la testa pendeva senza vita, come la mano destra; sembrava che qualcuno lo avesse accoltellato rupetutamente con ferocia e gli avesse graffiato con rapidità e leggerezza il viso con la stessa lama, mentre dove non c’erano tagli si potevano vedere bene lividi scuri e larghi, la gamba destra era distesa e inerte, mentre sembrava che la sinistra avesse un po’ di dinamicità in più…
Come se fosse stato solo un sogno, tutto quello che Kate aveva visto e sentito, tutte quelle emozioni di dolore, odio, tristezza e paura se ne andarono lasciandola cosciente di sé, capace finalmente di muoversi, scoprendo così di essersi raggomitolata sul letto, con la testa nascosta nelle braccia e le gambe portate quasi al petto per cercare protezione. Kate stava ansimando fortemente; era stato come se fosse stata investita da un treno, ma che dopo aver sentito il dolore dell’impatto avesse scoperto che si era trattato tutto di un sogno… Cercò di alzare lo sguardo, vedendo che Slender Man era ancora là a fissarla. Hai visto? Le chiese compiaciuto. Sapeva che era compiaciuto perché le aveva fatto male, perché aveva visto il dolore di tanta gente… Scoprì di essersi messa a piangere.
Kate sentì come se fosse sul punto di piangere. Si gettò con la testa sul materasso, cercando di nascondere il viso. << Sei un mostro! >> Gli disse. << Tutte quelle persone… Tutte le vite che hai stroncato e le menti che hai distrutto… >>
Slender Man sembrò non capire il suo dolore. Non li conoscevi. Perché ti disperi tanto?
Kate lo fulminò con lo sguardo. << Non li conoscevo, ma come è successo a loro potrebbe essere successo a qualcuno a cui tengo! >> Esclamò alzandosi dal letto. << I ragazzi che ho visto erano quegli otto ragazzi che sono scomparsi alcuni giorni fa, non è vero? >> Alex, Joeph, Katherine, William, Luke, Larry, Andrej e Felix. << Li hai uccisi tu… In quel modo così orribile… >> Balbettò tremante. << E l’ultimo era il mio professore… >>
Slender Man rimaneva in silenzio.
<< Li hai uccisi senza pietà solo per divertirti… >> Mormorò sconfortata. Come poteva fermarlo?
Ci fu un lungo silenzio. Kate pensava a cosa dire per cercare di controllare Slender Man, e allo stesso tempo si chiedeva dove fosse finita Jennifer. La sua amica avrebbe potuto tirarla fuori da quella situazione, dandole il tempo per pensare, ma non accadde; era ancora lì con lei, Slender Man, in quella stanza silenziosa, che sembrava aver perso tutta la sua atmosfera familiare dopo l’arrivo del mostro… Doveva fare qualcosa, ora, altrimenti se ne sarebbe pentita.
Kate assunse uno sguardo deciso e fissò Slender Man con rabbia. << Hai detto che sono importante per te. >> Disse assicurandosi che l’essere capisse bene quello che voleva dire. << Hai detto che ti sei innamorato, giusto? >> Slender Man annuì piano. Kate si sentì disgustata nel sapere che quella cosa la amasse. << Se tieni davvero a me, allora smettila di uccidere! >> Ordinò senza distogliere lo sguardo nemmeno per un secondo. Sapeva quello che voleva, e se fosse riuscita ad ammansirlo, allora forse avrebbero potuto provare qualcosa…
Slender Man sembrò confuso. Non uccidere? Chiese piegando di lato la testa. Ma se è qualcosa che mi diverte… Cercò di dare un senso a quel suo divetimento.
<< No! >> Lo interruppe non ammettendo repliche. << Uccidere è sbagliato, e se vorrai ancora vedermi, dovrai smettere di ammazzare innocenti! >>
Slender Man non rispose; Kate pensava che lo avrebbe fatto, ma prima di poter scoprire se avesse ragione, la porta della stanza si aprì e l’essere gigantesco sparì istantaneamente. Jennifer fece capolino sorridente scusandosi per l’attesa.
Kate la guardò stranita; se n’era dimenticata. Rivolse lo sguardo a dove c’era la figura di Slender Man, un secondo prima, ma non c’era più niente lì.
<< Ci ho messo un po’ più del previsto. >> Disse Jennifer pimpante richiudendo la porta dietro di sé. << Tu devi andare in bagno, per caso…? >> La guardò con più attenzione e notò qualcosa di strano nel suo sguardo, nel suo aspetto. << Kate… Ti senti bene? >> Chiese avvicinandosi piano.
Kate non si sentiva affatto bene, avrebbe voluto rispondere così, ma non sarebbe stata la risposta più giusta da dare in quella situazione… Non voleva far preoccupare Jennifer, ma era ovvio che stesse male, lo si poteva vedere subito! Non voleva mentirle.
Kate prese un profondo respiro e parlò con voce debole. << E’ stato qui. >> Ammise con voce colpevole. << Slender Man è stato qui. >>
Jennifer la guardò incredula. << Cosa? >> Chiese credendo di non aver capito bene, ma era così. Kate non si stupì di dover ripetere due volte la frase.
<< Slender Man è venuto a farmi visita anche questa sera. >> Jennifer era incredula. La guardò con occhi stupiti.
<< Ma… Come è possibile? >> Chiese guardandosi intorno per un attimo.
Kate non voleva parlarne per molto, decise di essere diretta. << E’ rimasto qui fino a un attimo prima che entrassi. >> Quella frase fu uno shock per la sua migliore amica, che si portò una mano al petto come se fosse stata trafitta da una lama. << Ha ucciso lui il professore… E anche i ragazzi dell’altra classe… >>
Jennifer si sedette accanto a lei. << Oh, no… Kate… >> Sembrava costernata, cercò di confortare Kate, ma non sapeva proprio come fare.
Intanto Kate stava per mettersi a piangere. << E’ stato qui anche ieri… >> Disse con fatica. Non avrebbe mai voluto dirglielo, a meno che non fosse stato davvero un problema. Kate aveva pensato che sarebbe riuscita a dimenticarlo, a lasciarlo indietro, ma come poteva dimenticare quello che era successo quella sera?
Jennifer si portò le mani alla bocca, spaventata. << Perché non me lo hai detto prima…? >> Chiese tristemente. Adesso si sentiva tradita, e Kate sapeva che ne aveva tutto il diritto. << Avrei potuto fare qualcosa… >> Mormorò ancora incredula della notizia.
<< Mi dispiace… >> Disse Kate singhiozzando. << Non sapevo che fare… Avevo paura… >>
Jennifer la abbracciò, cercando di non farla piangere. << Non fa niente, Kate… Adesso non ti lascio più da sola… >> Sussurrò con voce rassicurante.
<< Scusa… >> Continuava a piangere Kate stringendosi a Jennifer.
Rimasero in quella posizione per una decina di minuti, prima che Kate potesse trovare la forza per lasciare l’amica e farle un sorriso di ringraziamento. A quel punto però Jennifer sembrò preoccupata per lei. << Kate… >> Disse guardandola perplessa. Kate non capì cosa avesse. Il viso di Jennifer si incupì. << Stai sanguinando… Di nuovo… >> Disse alzando un dito e puntandolo contro il suo viso.
Kate si rese conto del sangue che colava un’altra volta dal suo naso; doveva essere stato Slender Man, durante la sua visita. Era stata peggio dell’altra volta, l’aveva sottoposta a uno stress ancora più forte del solito; Kate si stupì del fatto che la sua testa fosse ancora integra…
Jennifer si alzò e accompagnò Kate nel bagno per sciacquarsi. Questa volta insieme.

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Capitolo 33
*** Orrore ***


Kate seguiva con noia la lezione. Il metodo di spiegare della sua professoressa non era molto emozionante, in più, la stessa insegnante sembrava scossa; la scomparsa improvvisa del signor Anderson aveva lasciato tutti con qualche timore, e la gente che non sapeva la verità sulla vicenda non poteva che avere paura di ciò che era successo. Chi avrebbe voluto far del male a quell’uomo, in fondo? Era un bravo insegnante, era amichevole con gli alunni, Kate lo aveva odiato solo in quel momento, quando le era sembrato che si fosse messo contro di lei… Ed era colpa sua se adesso era morto.
Quel pomeriggio si sarebbe svolto il funerale del suo ex professore; si era chiesta cosa avrebbe dovuto fare, se andare a dare il suo ultimo saluto a quell’uomo – in fondo, le aveva voluto bene – oppure nascondersi, evitando così di essere riconosciuta come la colpevole di tutto quello… Ma sarebbe stato un comportamento da vigliacchi, scappare così di fronte a tutto quello… Avrebbe dovuto fare uno sforzo e andare al funerale… Glielo doveva…
Jennifer e lei lo avevano saputo quella mattina, una volta arrivate a scuola; all’entrata era affisso un manifesto dove vi erano l’orario e il luogo del funerale. Ne avevano parlato poco; Jennifer sapeva che non era un argomento molto gradito a Kate, ma la ragazzina non aveva fatto altro che pensarci fino a quel momento. Il senso di colpa la stava consumando, e sapeva anche che non avrebbe potuto fare niente per rimediare.
La mattinata era stata noiosa e confusa, le voci e i rumori entravano nella testa di Kate rimbombando e confondendosi gli uni con gli altri, procurandole solo un gran malditesta alla quale non poteva fare altro che abituarsi. Era così da giorni, Slender Man le stava rendendo la vita una tortura; anche quando non c’era la ragazza non riusciva più a pensare in modo sensato. Immagino che mi si sia già fritto il cervello… Pensava ironica, cercando di non preoccuparsi troppo, ma purtroppo era un vero problema quello: la sua capacità di attenzione era calata notevolmente, la scuola non era l’unico posto dove non era più in grado di mantenere la concentrazione, ma anche a casa sembrava non stare bene; vuoti di memoria, confusione, più volte le era capitato di inciampare nei suoi stessi piedi dopo aver perso il controllo delle sue gambe per qualche istante… Non andava per niente bene. Si trattava di qualcosa pericoloso, e non solo psichicamente; a lungo andare, la ragazza perdeva sempre di più la concentrazione, avrebbe potuto finire per svenire in piedi, o inciampare di nuovo e ferirsi gravemente… Slender Man non l’avrebbe messa in pericolo, ma la stava mettendo in pericolo in ogni istante, così. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era che prima o poi la sua mente si sarebbe abituata alla presenza dell’essere, e il processo di assimilazione sarebbe finito… Sperava che accadesse il prima possibile.
Nonostante la confusione in testa, il vuoto che le dava un aspetto catatonico, Kate sentì l’urlo che echeggiò nei corridoi della scuola. Era un urlo acuto, stridulo, che entrava nella testa e non usciva più, come un’immagine particolarmente macabra, traumatizzante…
Kate alzò la testa come se fosse stata fortemente strattonata e si guardò intorno. << Che è successo? >> Chiese a voce bassa. Non che qualcuno avrebbe potuto sentirla; mormorii molto più forti si erano diffusi nella classe prima della sua domanda. Jennifer sembrava spaventata. La voce che avevano appena sentito, era qualcuno che conoscevano? Era difficile dirlo da un urlo così acuto, anche un uomo avrebbe potuto emetterlo, ma Kate aveva il terribile sospetto di essere coinvolta anche in quello…
La professoressa stava spiegando alla lavagna quando l’urlo interruppe la lezione; si avvicinò alla porta come per accertarsi di cosa stesse succedendo, ma si fermò a metà strada sentendo dei passi rapidi e marcati farsi sempre più forti; qualcuno stava correndo, e si avvicinava.
Ci fu un colpo alla porta e tutti gli alunni nella classe sobbalzarono. Poi la maniglia si piegò ed entrò nella classe una ragazzina dai capelli corti neri e con degli occhiali addosso, più giovane di loro di un anno. Karen Smith sembrava sconvolta.
<< Kate…! >> Esclamò interrompendosi in un attimo guardando tutta la classe con spavento, persa in quell’ambiente nuovo. Voleva a Kate? Quando la ebbe adocchiata in fondo alla stanza – anche grazie ad alcuni compagni che si voltarono verso di lei, confusi – sembrò in parte sollevata e la chiamò di nuovo. << Kate! >> Disse con voce smorzata. << E’… Ho… Non so… C’è… >> Balbettò qualcosa di incomprensibile gesticolando con rapidità, puntando le dita dietro di sé e muovendosi rapidamente, sudando copiosamente. Che diavolo era successo?
<< Ti prego… Aiutami… >> Mormorò in lacrime dopo essersi bloccata. Kate lanciò rapidi sguardi a Karen, poi a Jennifer e infine alla sua professoressa, chiedendole con lo sguardo di poter andare da Karen. Ottenne il permesso da un cenno della donna e la ragazzina si alzò in fretta raggiungendo Karen con impeto.
<< Karen, cos’è successo? Stai male? >> Chiese abbassandosi su di lei, nonostante Karen fosse più alta. La ragazzina del secondo anno non riusciva a smettere di piangere, ma riuscì a dare qualche risposta smorzata.
<< Sì… No… >> In ogni caso, Kate non capiva niente…
<< Si tratta di Becky? >> Chiese menzionando la ragazza che la molestava continuamente, pensando che fosse per quello che fosse venuta da lei così disperata. Cosa diavolo poteva averle fatto questa volta per farla piangere e urlare così?
Karen annuì nei pianti e continuò a singhiozzare senza sosta. << Lei… >> Kate la interruppe, cercando di rassicurarla.
<< Non ti preoccupare. Lei dov’è ora? >> Chiese cercando di calmare la ragazzina. Non sapeva bene cosa fare, una volta saputo dove fosse Becky Johnson, ma voleva comunque trovare un modo per far capire a Karen che voleva aiutarla. E andare a cercare di parlare con quella puttanella era un ottimo inizio, ma forse avrebbe preferito picchiarla senza pietà…
Karen sembrava essersi calmata un po’, ma era ancora molto scossa. << In bagno… In bagno… >> Mormorò alzando una mano puntando verso la porta dietro di sé. Il bagno dove si erano incontrate il giorno prima.
<< Me ne occupo io, Karen! >> Disse rassicurandola. Kate guardò la sua professoressa chiedendole il permesso di poter uscire, e la donna, di fronte a quella situazione non poté fare altro che lasciarla andare.
Le avrebbe spaccato la faccia. Kate si sentiva una furia, non sapeva nemmeno cosa era successo, ma voleva ammazzare di botte quella troia. Mentre camminava a passi rapidi e decisi, sentì qualcuno correrle dietro. << No! >> Disse. Era Karen. << Non andare! >> La afferrò da un braccio.
Kate la guardò confusa. << Non mi farà del male, non ti preoccupare. >> Rispose con un sorriso, ma Karen non la lasciò andare. Continuava a tirarla. Kate sospirò fermandosi. << Perché non mi dici cos’è successo? >> Chiese guardandola apprensiva. Sapeva che di lei poteva fidarsi.
Karen la guardò con occhi terrorizzati. << Eravamo in bagno… >> Disse spaventata. << Becky mi stava parlando di qualcosa… Sui miei voti… >> Mormorò richiamano alla memoria quella scena di pochi minuti prima che sembrava averla terrorizzata. << Mi ha picchiata… >> Disse mettendosi a piangere.
Kate si sentì più debole quando la vide in quello stato. << Mi dispiace molto, Karen… >> Mormorò avvicinandola a sé. << Ha superato il limite… >>
Ma Karen non aveva finito di parlare. Era successo ancora qualcosa? << Mentre mi picchiava… >>Mormorò insicura. << Qualcosa l’ha afferrata… >> Il cuore di Kate mancò un battito a quelle parole. << Qualcosa di nero… Non ho visto bene… >>
<< Che cosa è successo? >> Chiese di nuovo Kate, più seria che mai.
Lo sguardo di Karen si annebbiò e le sue lacrime ricominciarono a scendere. << Io… Lei… >>
Kate si liberò in fretta dalla stretta di Karen e si voltò verso il bagno; cominciò a correre a perdifiato senza guardarsi intorno, senza pensare, senza pregare perché si stesse sbagliando, perché sapeva che i suoi sospetti erano giusti.
Nei bagni delle ragazze c’era silenzio. Kate arrivò stanca e sudata nonostante la strada dalla classe al bagno fosse stata poca. Silenzio. Non le piaceva per niente.
C’era qualcosa di anormale in quel silenzio, qualcosa di inquietante. C’era un suono debole che riverberava qualche istante dopo essere stato generato; erano gocce di qualcosa che cadevano.
Una porta dei bagni era chiusa, mentre tutte le altre erano socchiuse; Kate riusciva a vedere bene dentro a quei bagni con la porta socchiusa, ma la porta centrale, quella chiusa, bloccava la visuale, impedendo di vedere dentro al bagno. Era da lì che proveniva quel suono.
Con uno strano calore in petto, come se si fosse creato un vuoto nei suoi polmoni, la ragazza mise un piede davanti all’altro per arrivare davanti alla porta. Sembrava in perfette condizioni, non c’era niente di anormale; quanto avrebbe voluto dire così…
Con il cuore impazzito, la ragazzina mise la mano sulla maniglia e scostò piano la porta. Chiuse gli occhi; non era sicura di voler vedere oltre ad essa, sapeva di avere ragione. Era finita. Le pareti del bagno erano bianche, mentre al pavimento vi erano delle mattonelle azzurre; non apparve così quel bagno.
Tutto nel piccolo bagno era dipinto di rosso; c’era una puzza terribile di ferro e qualcos'altro che Kate non riuscì e non volle identificare, mentre dal gradino del bagno scolava sangue come un ruscello. Il gabinetto, le pareti, tutto quanto era stato ricoperto, e tuttavia non c’era niente che potesse dare l’impressione che fosse stata assassinata una ragazza lì dentro; se non fosse stato per la puzza rivoltante, chiunque avrebbe potuto pensare a uno scherzo di pessimo gusto di qualche studente idiota che si era divertito imbrattare tutto con della vernice rossa. E invece no. Era sangue. Sangue umano. Sangue di una ragazzina che Kate aveva odiato. Ricopriva tutto, sembrava essere stato schiantato contro il muro, come se fosse scoppiato in tutte le direzioni.
Non c’era traccia del corpo, non c’era un segno di riconoscimento da parte dell’assassino; ma qualcosa c’era. Una cosa era rimasta, di quella povera ragazza che Kate aveva inconsciamente condannato.
La testa di Becky Johnson era nel gabinetto, sporca di sangue, gli occhi di ghiaccio erano diventati vuoti, ma spalancati e fissi sulla ragazzina di fronte a sé, sembravano guardare nell’animo di Kate, incolpandola di tutto quello, e la sua bocca mezza aperta sembrava trasmettere confusione, o terrore, a seconda di come si volesse interpretare…
Kate non riuscì a trattenersi dal vomitare quando vide quell’orribile spettacolo.

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Capitolo 34
*** Sollievo ***


A Kate faceva male la testa. Pensava che andare al funerale del suo insegnante l’avrebbe aiutata a sentirsi un po’ meglio con la coscienza, ma in realtà i sensi di colpa erano tornati ancora più forti dopo aver visto sfilare davanti ai suoi occhi la bara del signor Anderson seguita dai suoi familiari addolorati. Che cosa poteva aver portato via la vita di quell’uomo, che di male non aveva mai fatto niente, che aveva sempre voluto bene ai suoi studenti e che sembrava essere stato brutalmente assassinato da dei barbari? Una bambina.
Kate si sentiva niente più che una bambina in quel momento; guardando i suoi abiti di taglia piccola, le persone attorno a lei molto più grandi e adulte, molto più intelligenti… Lei si sentiva una bambina indifesa, ma che voleva far credere agli altri e a sé stessa di non esserlo, e nel tentativo di farlo, faceva male alla gente… Era proprio così… Ed era una stupida.
Kate era da sola. Seguiva con lo sguardo il carro funebre che portava via il corpo del suo vecchio professore sperando di ricevere un messaggio di perdono da parte del defunto.
Jennifer si era allontanata un attimo per parlare al telefono con sua madre e avvertirla sui piani delle due ragazze; pensavano di passeggiare un po’ dopo il funerale, per poter svegliare le loro menti annebbiate e stanche. Era stata una giornata dura. Kate ancora non riusciva a credere a quello che era successo, ciò che aveva visto nei bagni…
Becky Johnson era stata brutalmente assassinata. Adesso le dispiaceva terribilmente anche per lei, nonostante l’avesse odiata per davvero… Solo la testa della ragazza era stata ritrovata nel bagno, mentre il resto del corpo sembrava essere stato portato via, ma secondo Kate, era stato molto più probabilmente polverizzato in un secondo, e parte di esso era ancora sui muri di quel bagno, fatto a pezzi talmente piccoli che non si potevano vedere ad occhio nudo…
Tutti gli studenti erano stati mandati a casa subito dopo la scoperta, dopo aver chiamato i genitori di tutti quanti per farli venire a prendere. I docenti, dopo, avevano cercato di capire cosa fosse successo, naturalmente con l’aiuto della polizia, che comunque non poteva fare nulla riguardo a quell’orrore. Nessuno poteva. Erano stati avvertiti i genitori di Becky; Kate non avrebbe voluto essere nei panni della persona che li aveva dovuti chiamare, dir loro che la loro adorata unica figlia era stata ritrovata morta nei bagni della scuola, il luogo più sicuro che potesse esserci per una ragazza della sua età, e che solo la sua testa era stata rinvenuta… Kate non lo invidiava davvero…
Mentre Kate pensava a quella tremenda giornata, qualcuno si avvicinò a lei e attirò la sua attenzione, salutandola con un sorriso amichevole, anche se un po’ stanco. << Ciao Kate. Sei venuta anche tu? >> Era Tommy Schmidt, un compagno di classe di Kate e Jennifer; era un ragazzo simpatico, gentile e disponibile, diverso dagli altri ragazzi, secondo Kate, che cercavano solo di farsi notare e di far vedere quanto fossero "grandi".
<< Tommy…? >> Chiese Kate un po’ frastornata dopo qualche secondo di esitazione. Il ragazzo sorrise sollevato.
<< Mi sembrava che non mi avessi riconosciuto. >> Ridacchiò scherzando. Kate abbassò lo sguardo dispiaciuta.
<< Non mi sento molto bene… >> Mormorò per scusarsi.
Tommy sapeva cos’era successo quella mattina a scuola, sapeva cosa Kate aveva visto. Non si sarebbe aspettato di vederla lì, in quella situazione. << Ehi, non ti preoccupare, stavo scherzando! >> Cercò di tirarla su di morale. Kate si sforzò di assumere un sorriso grato. Tommy era uno dei pochi ragazzi della sua classe con cui era piacevole intrattenere un dialogo. Cercava sempre di trovare qualcosa per far sorridere la persona con cui parlava, ma in quella situazione Kate non si sentiva in vena di ridere… Non sarebbe stata intenzione di Tommy farla ridere, in quel momento, in ogni caso…
Kate guardò Tommy sorridendo leggermente, cercando di non far notare la sua stanchezza. << In questi giorni ho dormito male… Sembra che non possa più rilassarmi in pace… >> Disse cercando di cambiare il discorso, senza notare di essere sempre sullo stesso punto.
<< Cavolo, neanche io dormo tanto dopo quello che è successo al prof… >> Mormorò il ragazzo girando lo sguardo verso la fine della strada dove si era allontanato il carro funebre con la bara del professore. << Ultimamente stanno succedendo un sacco di cose in città, non è esattamente un momento felice… >>
Kate annuì piano tenendo lo sguardo basso. Non riusciva a sostenere il suo sguardo.
<< L’altro giorno, per esempio, ho sentito che c’è stato un incidente in pieno centro. >> Continuò Tommy guardando Kate. << Un camion ha quasi investito una ragazza, ma inspiegabilmente è stato… Tranciato a metà. >> Kate sentì come se fosse stata colpita al cuore quando sentì quelle parole. Stava parlando di quello che le era successo alcuni giorni prima. << Il conducente è morto. La ragazza era sconvolta. Dicono che sia scappata correndo… >>
<< Ho sentito qualcosa al riguardo. >> Rispose fredda la ragazza mantenendo lo sguardo fisso di fronte a sé. Tommy annuì costernato.
Rimasero in silenzio per qualche istante, Kate fissava il vuoto, mentre Tommy si guardava intorno, osservando gli edifici circostanti con i suoi occhi castani. Poi riprese a parlare, cercando di cominciare un altro dialogo con Kate. << Tutte queste stranezze… Sono incredibili. Hai saputo di Alex Huges? >> Chiese alzando un dito verso di lei.
Kate annuì pensierosa. << Ho… Visto un video. >> Rispose incerta.
Tommy annuì. << Anche io l’ho visto. Cavolo, fa paura… >> Commentò girandosi verso la stessa direzione in cui era rivolta Kate. << Conoscevo Alex, era un bravo ragazzo… Adesso sembra un pazzo da rinchiudere in manicomio… >>
Kate scosse la testa confusa. << Che cosa? >> Chiese cercando di capire meglio.
Tommy mosse le mani. << Sono andato a trovarlo in ospedale, qualche giorno fa. Era messo male, a malapena mi riconosceva… >>
Kate lo guardò confusa. << E’ in ospedale…? >> Mormorò incredula.
Tommy annuì di nuovo. << Sì, anche se non sembra star male, almeno fisicamente… Non riescono a tirargli fuori nessun tipo di informazione, continua solo a blaterare di… >> Tommy assunse una faccia strana. << Buio e… Incubi… E pagine e molta roba inquietante, ma che non aiuta nelle indagini… >> Si fermò.
Kate lo guardò interessata. << Non sono state rinvenute tracce dei suoi amici, vero? >> Chiese. No, certo che no; lei lo sapeva.
Tommy scosse la testa. << No. Niente di niente. Stanno setacciando tutta la città, la polizia si è informata su tutte le conoscenze delle famiglie dei ragazzi scomparsi e ha seguito ogni pista possibile, ma tutto porta a un buco nero… >> Buco nero. Quelle parole rimasero nella mente di Kate come se fossero bloccate. A Tommy piaceva tirare fuori elementi misteriosi e sovrannaturali anche quando si parlava di arte antica… Era un vero appassionato di fantascienza, anche se Kate ci capisse molto poco, spesso finiva per parlarle continuamente di quella roba… Era divertente sentirlo parlare a quel modo di quelle cose che gli piacevano mentre nei suoi occhi si poteva intravedere uno strano luccichio, come se si stesse davvero divertendo in quel momento. E la sua stessa situazione era un buco nero: la ragazzina andava incontro alla fine, attirata da essa e incapace di opporsi, sarebbe stata risucchiata.
Kate si sentì molto più oppressa di prima; era la prima volta che avrebbe preferito ignorare Tommy. Forse era l’atmosfera oscura del funerale che aveva inquietato persino lui, così da renderlo poco interessante, oppure era lei che stava perdendo sensibilità e diventava sempre più vuota… A causa di Slender Man? Forse.
Jennifer tornò indietro e salutò Tommy appena lo vide. << Sei venuto anche tu? >> Chiese con un leggero sorriso sulle labbra.
Tommy annuì sorridendo alla ragazza. << Mi sembrava il minimo, per il prof… >> Rispose guardando la strada per un attimo. Jennifer annuì triste.
<< Già… E’ stato uno shock per tutti… >> Guardò Kate tristemente, notando il suo sguardo perso nel vuoto. In qualche modo, Jennifer avrebbe voluto comunicare a Tommy le condizioni di Kate, quindi cercò di mandargli qualche segnale con lo sguardo.
Il ragazzo notò i movimenti degli occhi dell’amica e le rivolse uno sguardo confuso senza capire; prima che Jennifer potesse riuscire a far comprendere la situazione a Tommy, Kate alzò lo sguardo sospirando. << Possiamo parlare di qualcos’altro? >> Chiese stancamente. << Sono esausta, non ne posso più di questa roba… >>
Jennifer sospirò abbattuta e Tommy guardò Kate con dispiacere, capendo di non aver aiutato in nessun modo l’amica. Era un ragazzo di buon cuore, in più Kate gli era simpatica molto più di altre persone, per questo cercò di rimediare. << Oh! Al cinema è uscito un nuovo film che si prospetta essere grandioso! >> Esclamò eccitato tutto a un tratto. Kate alzò lo sguardo sorpresa da quel suo cambio di tono. Si mise una mano in tasca e ne estrasse tre biglietti del cinema. << Volevo chiedervi se vi andava di venire con me questo sabato… >>
Kate guardò la mano del ragazzo che stringeva i biglietti con su scritto il nome del cinema e il titolo del film, poi alzò lo sguardo verso il viso sorridente di Tommy. Era grata al ragazzo per averla invitata a passare una serata tranquilla, ma sentiva come se non avesse dovuto accettare l’invito, come se solo fare quello lo avrebbe potuto mettere in pericolo. Non voleva che quello che era successo con il signor Anderson e con Becky Johnson si ripetesse. Sapeva che bastava uno sguardo per mandare Slender Man a uccidere gente, e non avrebbe mai voluto mettere in pericolo anche Tommy.
Stava per rifiutare, ma Jennifer si intromise violentemente mettendosi in mezzo e sgranando gli occhi di fronte ai biglietti. << Ho sentito parlare di questo film! Deve essere fantastico! >> Esclamò esterrefatta girando rapidamente la testa verso Kate prima di tornare a rivolgersi verso l'amico. Tommy ammiccò alla sua dichiarazione. Jennifer si girò verso Kate e cominciò a tirarle un braccio ripetendo con voce cantilenante:<< Ti prego, Kate, ti prego! Andiamoci, andiamoci, andiamoci! >>
Sotto le insistenti moine di Jennifer e gli occhi da cucciolo di Tommy, Kate non poté rifiutare l’invito e accettò suo malgrado, temendo di aver fatto un grosso errore.
<< D’accordo allora! >> Disse contento Tommy. << Allora facciamo per le sette? E poi magari ci mangiamo una pizza insieme? >> Chiese sperando di ottenere un altro consenso. Questa volta Kate fu irremovibile.
<< Penso che solo il film sia sufficiente. >> Disse con tono pacato la ragazzina alzando una mano ma sorridendo, dimostrando di essere contenta di quell’invito.
Tommy sorrise e annuì. << Va bene. >> Disse. << Ci vediamo domani, allora! >> Disse salutandole e cominciando ad allontanarsi dopo aver lasciato due biglietti a Jennifer. Kate alzò la voce per chiamarlo.
<< Tommy! Non li vuoi tenere tu i biglietti? >> Chiese; in realtà avrebbe voluto chiedergli di più quanto costassero, ma pensò che Tommy glieli avesse regalati senza farsi troppi problemi.
Il ragazzo si voltò. << Teneteli voi. Non ve li dimenticate, eh! >> Disse alzando un dito e sorridendo alle ragazze. Kate sorrise imbarazzata in risposta. Non pensava di essere smemorata come stesse insinuando il suo amico… Ma ripensandoci, sia lei che Jennifer erano una coppia di sbadatone incredibili!
Le due ragazze si voltarono per allontanarsi da lì. Cominciarono a parlare. << Devi essere sempre così infantile? >> Chiese Kate leggermente infastidita dall’atteggiamento di Jennifer di pochi minuti prima.
Jennifer rise. << Ma dai! L’ho fatto per te! Sei sempre così moscia, distrarti un po’ ti farà bene! >> Si voltò per controllare dove fosse Tommy Schmidt. Tornò a parlare con Kate con tono più sommesso. << E poi l’ho fatto anche per lui; non hai visto come ti guarda? >> Chiese mostrando un sorriso radioso e dando una gomitata all’amica.
<< Cosa? Tommy? >> Chiese lei. Si voltò ridendo incredula. << Non credo proprio! Può avere di più senza problemi. >> Commentò controllandosi le spalle più volte, come se temesse di essere seguita o di essere sentita da Tommy, ormai lontano. L'idea che potesse piacere a qualche ragazzo l'aveva abbandonata da tempo, quando gli altri avevano cominciato a vederla coem la "cattiva" della scuola, e ormai le sembrava impensabile che qualche ragazzo potesse anche solo pensare a lei.
<< Ma è intelligente. >> Aggiunse furbamente Jennifer, lasciando senza parole Kate, che alzò gli occhi al cielo e rimase a pensare con attenzione a quello che aveva appena sentito dalla sua amica.
Alla fine, era riuscita a dimenticare le paure, grazie ai suoi amici.

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Capitolo 35
*** Incubo ***


Kate era sdraiata a terra, in una strana stanza bianca e apparentemente senza limiti. Indossava un abito nero, corpetto nero dai bordi bianchi e gonna corta che andava ad aprirsi in tutte le direzioni. I suoi lunghi capelli si sparpagliavano sul pavimento bianco, dove la sua testa era pesantemente poggiata. Si sentiva intorpidita, stanca, ma i suoi sensi erano incredibilmente vividi. Era cosciente del suo corpo?
Non c’era niente intorno a lei, niente che potesse farle capire dove fosse e nessun odore che le avrebbe potuto dare qualche indizio. La luce proveniente dal cielo – o il soffitto? – bianco la abbagliava e la costringeva a strizzare le palpebre.
Aveva già vissuto quella scena. Era già stata in quel posto. Un mondo vuoto… Lo aveva già visto, in un sogno… Ma questa volta era diverso, riusciva a sentirlo nelle proprie ossa. Il suo petto si alzava e si abbassava nervosamente, ma era lei a controllarlo. I suoi occhi guizzavano da una parte all’altra in cerca di qualcosa che la aiutasse a capire che stesse succedendo, ed era lei a muoverli. A un certo punto ebbe un brivido, e le sue braccia e le sue gambe tremarono in risposta. Era viva, non come l’altra volta…
Una volta resasi conto di potersi muovere di sua volontà, Kate scattò in piedi, cercando di capire dove fosse continuando a guardarsi intorno. Era uno spazio vuoto e immenso, non pensava di aver mai visto nulla del genere. C’era qualcosa di strano, però… Come se da lontano si sentisse una presenza stringerla in quel punto dov’era lei. Come se lo sguardo di qualcuno la stesse mettendo a disagio…
Notò qualcosa a terra; una piccola macchia rossa sul pavimento bianco. Sembrava sangue.
Kate non seppe perché, ma ci posò sopra la mano, coprendo la piccola macchia con tutto il palmo. Sentì come un soffio di vento sotto di essa, ma l’aria sembrava entrare dentro la sua stessa mano. Quando ebbe alzato di nuovo il palmo non c’era niente a terra; il pavimento era di nuovo indistinguibile. Girò la sua mano per esaminarla; non aveva niente di strano: le sue sottili dita erano bianche e lisce, la pelle era morbida e la sua mano sembrava ancora quella di una bambina… Non c’era niente di diverso in lei, e allora perché si sentiva estranea a quella sua mano?
Lentamente, senza controllare i propri movimenti, Kate cominciò a camminare verso il vuoto, lentamente, con il braccio sinistro teso, come se avesse qualcosa di diverso nella mano che non volesse toccare… Camminare a quel modo verso il vuoto senza sapere dove si stesse andando… Quella sensazione di impotenza la faceva sentire debole e sola. Perché stava continuando a camminare? Perché era così calma? Perché non si fermava a pensare un attimo?
Capì che in qualche modo non era più padrona dei suoi movimenti, in parte. Kate riusciva a respirare di sua volontà, e gli occhi guardavano dove voleva lei; le dita delle mani si stendevano e si piegavano come voleva lei, e lo faceva continuamente, proprio per accertarsi che fosse lei a controllare il suo corpo. I suoi fianchi oscillavano a ogni passo, la testa sembrava dondolare inerte e le gambe continuavano ad andare avanti da sole… Non ci capiva più niente; se fosse stata cosciente, perché avrebbe dovuto camminare verso il vuoto senza fermarsi mai?
Sorprendentemente, dopo una attesa che fu interminabile per Kate, dopo aver percorso una distanza impossibile da definire e dopo aver cominciato a sentire la stanchezza per tutto quel camminare, raggiunse un muro.
Era bianco e indistinguibile, come il pavimento, sembrava brillare anch’esso come il soffitto; se non si fosse fermata da sola probabilmente si sarebbe schiantata contro di esso. Invece, dopo aver arrestato la sua marcia, la ragazza aveva alzato lentamente la mano sinistra e aveva sfiorato la superficie liscia con la punta dell’indice. Dopo il suo braccio era caduto lungo il fianco inerte, come se fosse stato alzato come una marionetta e fosse stato poi lasciato andare.
Mentre Kate cercava di capire che stesse succedendo, il suo viso cambio; la sua espressione mutò automaticamente in un’espressione di rabbia. I suoi occhi furiosi fissavano quel punto del muro che aveva sfiorato con il dito e un ghigno adirato comparve sulla sua faccia.
Inavvertitamente, il braccio sinistro di Kate si alzò di nuovo, ritraendosi questa volta, e poi sferrò un pugno al muro, schiantando le sue nocche contro di esso. Quel gesto inaspettato e incontrollabile spaventò Kate che temette di farsi del male. Quando però il pugno colpì la parete, la ragazza non sentì dolore, ma la sua mano si bagnò all’istante. Dal punto in cui Kate aveva colpito il muro, schizzò fuori del sangue verso tutte le direzioni.
Kate era terrorizzata e incredula; non capiva che diavolo fosse successo. Si guardò la mano con occhi atterriti, tenendola lontana come se non volesse toccarla; grondava sangue dalle nocche e dal palmo, ora, ma non c’erano ferite su di essa. Il sangue non era suo… Vide le macchie di sangue che erano schizzate sul suo abito e si sentì sporca, come se volesse uscire dal suo corpo. Che diavolo stava succedendo?
Di nuovo sentì una rabbia irrefrenabile e il suo braccio tornò a muoversi da solo. Colpì di nuovo e con maggiore forza lo stesso punto di prima, facendo esplodere altro sangue dalla sua mano. Colpì di nuovo la parete e vide la macchia centrale allargarsi sempre di più a ogni colpo; gli schizzi raggiungevano la distanza di alcuni metri, e sembrava che quel luogo stesse finalmente prendendo forma…
Dopo un’apparente stanchezza dovuta al troppo impeto, Kate indietreggiò voltandosi. Abbassò lo sguardo e si inginocchiò poggiando delicatamente la mano destra sul pavimento. Adesso sul suo viso c’era un sorriso innocente. Con le dita cominciò a disegnare linee e a lanciare altri schizzi di sangue a terra, continuando a sorridere come una bambina che disegnava nonostante nella sua testa stesse urlando per cercare di fermarsi.
Quando il pavimento dove Kate era inginocchiata fu coperto da una larga macchia indefinita di sangue e molte ditate rosse, la ragazzina si alzò continuando a guardarsi intorno. Si avviò al muro opposto a quello che aveva imbrattato inizialmente e ci schiaffò sopra le mani, premendo con forza su di esso. Lentamente, cominciò a trascinare le mani verso il basso, lasciando due macchie rosse continue e parallele. Quando contemplò il suo operato stava ridendo. Rideva come una matta.
Si voltò di scattò lasciando roteare le braccia e rilasciando altro sangue dalle mani, che andò a finire ovunque nella stanza, che adesso aveva assunto dimensioni stranamente più piccole di quello che aveva pensato Kate; non era più grande di cinque metri quadrati, e nonostante le pareti non fossero state ricoperte completamente di sangue, la ragazza era in grado di capire dove si trovasse.
Il soffitto era ancora bianco, nonostante qualche macchia qua e là; Kate smise di ridere e guardò con disappunto quel bianco splendente. Strattonò la mano sinistra liberando uno schizzo di sangue che imbrattò anche il soffitto, facendo sorridere soddisfatta Kate.
Dopo aver contemplato lo scempio che aveva fatto, dopo aver ricoperto la stanza di sangue non suo, dopo essersi imbrattata abiti e viso di quel sangue, la ragazzina si abbassò e trovò uno spazio bianco su cui far scivolare rapido un dito; si mise a scrivere. Scriveva dei nomi. Nomi di morti.
Anderson. Il suo professore, ucciso da Slender Man a causa sua. Era stata una sorpresa spiacevole, la notizia della sua morte, ma Kate aveva cercato di vedere il lato positivo della situazione: non sarebbe stata più sgridata da quel bastardo.
No!
Johnson. Becky Johnson, la stronzetta che per anni aveva tormentato decine di studentesse più piccole e deboli, quella troia meritava la morte più di chiunque altro in quella scuola, Kate non si sentiva per niente dispiaciuta per aver trovato la sua testa nel cesso, anzi era contenta di averla potuta vedere in quello stato…
Smettila…
Hudson. Non conosceva quel nome. Kate non sapeva come, ma sentiva che quel nome appartenesse a quel camionista che era morto nell’incidente i venerdì, quando Slender Man l’aveva salvata. Era stata colpa sua, dell’uomo… Lui non aveva frenato, lui le era andato incontro…
Non è vero…
Smith. Davis. Williams. Non conosceva nemmeno quei tre nomi, ma Kate sentì di nuovo di sapere a chi appartenessero: erano tre dei quattro ragazzi che avevano cercato di violentare lei e Jennifer in quel vicolo, ma Slender Man li aveva messi in fuga. Erano i tre che lei aveva visto scappare via terrorizzati, ma ora sapeva che erano morti… Non era una grande perdita; dei rifiuti come quelli non meritavano di vivere.
Sta’ zitta!
A un certo punto, la ragazza cominciò a scrivere sulle superfici libere nomi che non associava ai morti, ma alle persone a cui teneva… Capì che continuando così avrebbe causato anche la loro morte.
Jennifer. Non avrebbe mai voluto fare del male a Jennifer, Kate era sicura di questo, e se Slender Man le avesse fatto qualcosa lo avrebbe ucciso lei stessa, se ne fosse stata in grado… Ma più andava avanti quella storia e più sembrava che Jennifer non potesse sopportare tutto quel peso che Kate stava riponendo in lei; non era invincibile, non era una roccia, in fondo… Non poteva aiutarla per tutto, e Kate sapeva che a un certo punto le avrebbe chiesto troppo, e Jennifer l’avrebbe abbandonata… Il dolore avrebbe distrutto Kate, e a vederla in quello stato, Slender Man sarebbe andato a punire la traditrice…
Non sei tu questa!
Tucker. Tucker era la versione buona di Slender Man; si prendeva cura di lei, le voleva bene, era ovvio che non sarebbe stato visto di buon occhio dal mostro! Ma in fondo, perché Tucker doveva essere così insistente e fastidioso? Perché doveva essere tanto premuroso da far sentire in colpa Kate? Non voleva che si prendesse cura di lei…
Chiudi il becco!
Kutner. La mamma di Jennifer. Che cosa c’entrava lei in tutto questo? Kate aveva detto che le sarebbe piaciuto avere una madre come lei, quindi perché sarebbe dovuta morire? No, era tutto troppo insensato, la signora Kutner non aveva fatto mai niente di male a Kate, non aveva mai interferito nella sua vita a tal punto da poter suscitare l’ira di Slender Man! Perché era lì? Era perché teneva a lei? Perché con l’amore che provava verso di lei avrebbe potuto portare via Kate al mostro?
Kate si inginocchiò stringendosi la testa tra le mani. Non capiva più niente, le faceva male la testa e il sangue non smetteva più di colare dai suoi palmi e dalle sue dita. Le scritte sui muri e sulle pareti sembravano vorticare, colavano verso il basso e si deformavano. Nonostante Kate stesse urlando e soffrendo, le sue urla somigliavano a risate di piacere, e il dolore la rinvigoriva.
<< Perché… Io… Non voglio tutto questo… >> Piangeva cercando di smettere di ridere. << Non è… Giusto… >>
Le sue risate si facevano sempre più forti, a Kate sembrava di morire e sentiva che la testa le sarebbe esplosa. Non ce la faceva più. Voleva uscire da quella tortura, voleva andarsene.
<< BASTA!!! >> Gridò con tutte le sue forze, riuscendo a vincere sulla forza che le controllava il corpo e spalancando gli occhi per vedere qualunque cosa ci fosse di fronte a sé. E in un attimo Kate si sentì scuotere, sussultò e rotolò di lato, cadendo a terra sul pavimento della camera di Jennifer.

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Capitolo 36
*** Rimorso ***


<< Becky Johnson era una troia, e io non mi rovinerò la vita per colpa sua. >> Dichiarò Kate poggiando la schiena al banco della cucina avvicinando la tazza di camomilla al mento mentre Jennifer chiudeva la porta della cucina. Il risveglio agitato della ragazza aveva spaventato l’amica, che aveva deciso di portarla in cucina per farla calmare e farsi dire cosa era successo. Kate le aveva detto a malapena che aveva avuto un incubo, volendo evitare ogni cenno al presentimento sulla morte di chiunque altro.
<< Kate… >> Mormorò Jennifer preoccupata tornando dall’amica. Kate bevve un piccolo sorso dalla tazza e abbassò lo sguardo triste. Si sentiva una persona orribile, odiava sé stessa per quel suo cinismo.
Sospirò stancamente. << Non devi rimproverarmi, Jennifer… Ho capito… >> Si scusò debolmente con l’amica per il suo sfogo. << Ma ora che una persona è morta non significa che debba diventare immediatamente una santa! >>
Jennifer la interruppe. << Kate! >> Disse con voce decisa. << Becky Johnson non era una brava persona, indubbiamente, ma non la conoscevamo intimamente. Chissà per quale ragione si comportasse così con tutti gli altri! Magari si sentiva una pezzente dentro e cercava di aumentare la sua autostima trattando da pezzenti gli altri, oppure è sempre stata sola e ha cercato l’amore nel modo sbagliato… >>
Kate alzò un dito infastidita. << Non dirmi queste cazzate, Jennifer! Questa roba succede solo nei film! >>
<< Non sto cercando di giustificare il suo comportamento… >> Cercò di dire Jennifer.
<< Stai dicendo che è colpa mia? >> Chiese Kate perdendo la voce per un attimo. << Che sono stata io a ucciderla? >>
<< No, non lo farei mai… >> Disse Jennifer alzando le mani per calmare l’amica. << Ma se nel tuo sogno dicevi di scrivere i nomi delle vittime di Slender Man, vuol dire che tu stessa ti senti colpevole di ciò che è successo… >> Jennifer aveva ragione, era una buona ipotesi. Era ovvio che Kate si sentisse in colpa per la morte del suo insegnante, e non poteva non pensare al fatto che se Becky era morta era stato a causa dell’odio provato nei suoi confronti. Ma perché doveva stare così male per lei? La sua morte era una liberazione, in fondo… No, non è così… Ecco che ricominciava a provare quelle sensazioni del suo sogno; cominciava a pensare come un mostro, come Slender Man…
Kate guardò Jennifer negli occhi; la luce della candela che Jennifer aveva acceso rendeva tutto più oscuro e confuso. Il malditesta si sentiva, era ormai una costante nella testa di Kate, ma non era forte come in precedenza… Si sentiva meglio dei giorni passati. Non sapeva se il motivo di quel suo stato fosse la lontananza del mostro da lei o parte del processo di cui lui le aveva parlato… << Nel sogno ridevo, Jennifer… >> Mormorò impaurita. << Ridevo estasiata dal vedere quello scempio che avevo fatto… Le persone che ho ucciso… Ne gioivo… >> Sentì le lacrime colarle dagli occhi e cercò di fermarle, di nascondere il suo viso per non farle vedere all’amica, ma fu tutto inutile. Jennifer vide le sue lacrime e non seppe come reagire a quella scena. << Io non voglio diventare come quella… >> Disse scuotendo la testa. << Non voglio dipingere il mondo di sangue… >>
La ragazza si avvicinò trattenendo il respiro e cercò di calmare l’amica. << Era un sogno, Kate. Un incubo! Non è ciò che vuoi, ma ciò che temi! >> Le mise le mani sulle spalle e la strattonò piano cercando di farle comprendere la situazione. Era ovvio che Kate non volesse quello, ma la paura che si avverasse quella situazione, che la ragazza divenisse folle a tal punto dal provare piacere dalla morte, la terrorizzava…
Kate si asciugò le lacrime con un dito. << Hai ragione…. >> Mormorò abbozzando un sorriso. << Non ero io quella… >> Quella sensazione l’aveva avuta sin dal primo momento, di non essere la stessa del sogno.
Jennifer continuò sorridendo, confortata dal sorriso dell’amica. << E’ ovvio che tu abbia paura di quello che sta succedendo, ed è probabile che se avessi controllato le tue emozioni, sia il signor Anderson che Becky Johnson sarebbero ancora vivi. >> Quella frase fece tornare i sensi di colpa in Kate, che si sentì trafiggere il cuore. Prima che potesse tornare a piangere, Jennifer riprese a parlare:<< Non possiamo farci niente! Può darsi che Slender Man li avrebbe uccisi comunque, oppure che sarebbe successo in un altro modo… >> Sembrava che faticasse a nominare il mostro. << Ma ormai sono andati, Kate. So che può sembrare un modo di pensare piuttosto cinico, ma non puoi fare più niente per loro, se non ricordarli e, se ti senti davvero colpevole delle loro morti, non ripetere gli stessi errori di prima… >> Aveva ragione. Kate si sentiva la causa delle morti di Becky e del signor Anderson, ma il suo rimorso non li avrebbe riportati in vita. Avrebbe dovuto vivere con quel peso e cercare di controllarsi meglio la prossima volta…
Kate sospirò sconsolata. Bevve un altro po’ di camomilla dalla sua tazza e la ripose vuota nel lavandino. << Hai ragione, Jennifer… Mi dispiace per aver detto… Cose brutte… >> Si scusò con sguardo basso.
Jennifer sorrise amichevole. << Ehi, lo sai che ho sempre ragione, no? >> Le mise un braccio attorno alle spalle e la tirò a sé, dirigendosi verso l’uscita dalla cucina.
Kate si fermò a guardare la candela sul tavolo; la fiamma tremolante la attirava e le dava un senso di protezione. Quella vista scaldava il cuore… Si avvicinò e ci soffiò sopra, spegnendola, prima di tornare da Jennifer per andare a letto.

 

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Capitolo 37
*** Vacanza ***


Kate e Jennifer erano nella camera di Jennifer, sdraiate entrambe sul letto a rilassarsi, chiacchierando con calma. Non sarebbe stata proprio la cosa più facile da fare, in quella situazione, ma Kate stava male, Jennifer era esausta… Non c’era scuola e le due ragazze avevano tutta la mattinata per riposarsi, e così avevano deciso di fare. Se ne stavano spaparanzate sul letto, una da una parte e una dall’altra, e parlavano senza un filo logico, seguendo quello che gli veniva in mente.
La scuola era stata chiusa per la morte di Becky. Le indagini erano in corso, e gli alunni non potevano stare lì dopo quello che era successo… Sarebbe stato difficile per tutti passare la mattina in quell’edificio, ora… Molti avrebbero preso quella giornata come un semplice giorno di vacanza, ma Kate si sentiva stanca, incapace di fare qualsiasi cosa. Voleva solo stare in casa, ferma, scambiando qualche parola con Jennifer, senza dover pensare al motivo per cui erano rimaste a casa quel giorno. Ma più provava a ignorare il motivo del loro riposo, più Kate ricominciava a pensare a Becky Johnson, al signor Anderson e a Slender Man… Gli incubi che le aveva dato dovevano avere qualche senso, no?
Jennifer lanciava in aria una pallina da baseball e poi la riprendeva quando tornava a terra; continuava così da una decina di minuti, senza mai fermarsi, facendo fare alla pallina sempre la stessa traiettoria, raggiungendo sempre la stessa altezza. Jennifer era una ragazza dinamica, le piacevano gli sport, sapeva il fatto suo quando si giocava, ed era brava a lanciare la palla… Kate era molto diversa da Jennifer, in quel campo: la ragazzina preferiva sempre evitare di giocare a qualsiasi sport, pensando di non esserne capace e conoscendo a malapena le regole. Ecco che spesso, per farle compagnia, Jennifer si sedeva sul bordo della palestra con lei invece di andare a giocare durante le ore di educazione fisica a scuola… Kate si sentiva in colpa anche per quello, per non poterle dare quel divertimento che sperava… Ma Jennifer sembrava sempre contenta di quello che aveva, anche quando poteva sembrare insufficiente. Anche in quel momento, Kate non si stava nemmeno sforzando di fare qualcosa di divertente con la sua amica, ma lei non se ne stava lamentando.
<< Non ti andrebbe di fare una passeggiata…? >> Chiese Jennifer con calma lanciando la pallina un’altra volta prima di stringerla nella mano e tenerla davanti ai suoi occhi.
Kate, che era sdraiata dall’altra parte del letto, mormorò qualcosa valutando l’idea dell’amica. << Vorrei… >> Rispose fissando il soffitto bianco. << Ho solo paura… Di… >> Kate rimase immobile, Jennifer lanciò la pallina un’altra volta prima di rivolgerle lo sguardo confusa. Kate sospirò. << Non so nemmeno io di cosa ho paura… Potrei aver davvero bisogno di una passeggiata… >> Mormorò stanca.
Jennifer piegò il labbro e si mise a sedere sul letto, avvicinandosi a Kate con piccoli saltelli. << Lo sai che non può succedere niente, vero? >> Chiese. Kate non ne era tanto sicura. << Voglio dire, se Slender Man dice di tenere alla tua salute, allora non lascerà che ti accada nulla di brutto! E credo che valga lo stesso per le persone a cui tieni… >>
Kate interruppe l’amica con occhi atterriti. << No! >> Disse con voce troppo alta. << A lui non interessa di me. Lui vuole solo trarre il massimo piacere dal mio dolore prima della mia morte, e lo farà uccidendo tutti quelli che fanno parte della mia vita! >>
Jennifer la guardò terrorizzata, ma la sua frase la fece infuriare, e la ragazza le lanciò uno schiaffo con cui la fece sbilanciare e cadere sul letto. << Non dire stronzate! >> Esclamò infuriata mentre Kate si rialzava e si stringeva una mano sulla guancia arrossata. Jennifer era davvero furiosa; respirò profondamente cercando di mantenere la calma, ma le fu impossibile a quel punto. << Sei davvero una stupida! >> Disse. << Se sai davvero come andranno a finire le cose, allora perché te ne stai lì senza reagire, senza fare niente? Se sai che siamo in bilico tra la vita e la morte, perché non fai qualcosa? Parlagli! Digli di lasciarti stare! Che non lo vuoi più vedere, porca miseria! Qualcosa! >>
Kate si mise a piangere mentre Jennifer le urlava quelle cose, e l’amica non andò da lei per consolarla. << Hai ragione Jennifer… Ma cosa posso fare io…? >> Lei non le aveva detto della parte del suo sogno in cui scriveva anche il suo nome con il sangue; ma più guardava la sua amica, più a Kate sembrava impossibile che Jennifer potesse morire uccisa da Slender Man. E poi era proprio sicura che l’avrebbe uccisa? Fino a quel momento sembrava che Slender Man avesse cercato di proteggerla, nonostante la malattia e il dolore che, a sua detta erano “involontari”. Quindi cosa doveva pensare Kate? Slender Man era forse più buono di quanto sembrasse, e andava compreso piuttosto che allontanato? La ragazzina non voleva pensare a una cosa del genere… Ma forse era quella la cosa giusta da fare? Provare a ragionare col mostro era una possibilità, qualcosa da provare, nonostante potesse essere pericoloso…
Kate alzò lo sguardo verso Jennifer e la guardò sorpresa, incredula di esserci arrivata da sola. << Jennifer! >> Disse con ritrovato vigore. << Devo affrontarlo! >>
Jennifer la guardò confusa. << E io che ho detto fino ad ora? >> Chiese sbuffando. Kate si avvicinò e le prese le mani trattenendo un sorriso.
<< Non c’è un modo per mandarlo via, ma forse c’è un modo per domarlo! >> Disse fiduciosa all’amica. Jennifer non seppe esattamente cosa rispondere. << Gli devo parlare! >>
Adesso era strano: Kate non aveva mai mostrato tanta voglia di incontrare Slender Man, doveva essere qualcosa di serio… << Calmati, però… >> Disse cercando di farla rilassare. << Adesso no… Non credo che saresti in grado di sopportarlo. >>
Kate guardò Jennifer contrariata. << Perché? >> Chiese.
Jennifer sospirò guardandosi intorno. << Sei stanca, non riusciresti a sopportare la sua forza su di te. >> Disse ragionevole. In effetti Kate pensava che se l’essere si sarebbe dovuto materializzare lì in quel momento, si sarebbe accasciata a terra dal dolore.
<< Hai ragione… >> Mormorò abbassando lo sguardo, maledicendosi per essere tanto fragile.
Jennifer riuscì a farla sorridere di nuovo:<< Andiamo a fare una passeggiata, ti schiarirà le idee. Ci penseremo domani a Slender Man, insieme. >>
Kate inizialmente si mostrò sorpresa, avrebbe contestato l’offerta di Jennifer, se non avesse saputo di essere in svantaggio con l’essere, quindi sospirò e sorrise accettando di uscire a fare una passeggiata, a rilassare la mente.
Slender Man lo avrebbero affrontato il giorno dopo, insieme.

 

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Capitolo 38
*** Incontro ***


Kate e Jennifer erano sedute sul letto di Jennifer. Si guardavano negli occhi, tese. Non sapevano come farlo…
<< Come facciamo? >> Chiese Jennifer. Kate non ne aveva idea. Evocare lo Slender Man… Non le era mai passato per la mente di fare una cosa del genere, era sempre stato lui a presentarsi da lei, ma adesso era diverso… Kate voleva incontrare Slender Man, ma lui sembrava riluttante a farsi vedere, quasi come se adesso volesse farsi desiderare.
Quel bastardo… Pensò riguardo all’essere la ragazzina continuando a fissare lo sguardo sull’amica. << Si è sempre manifestato senza che lo volessi, adesso si fa aspettare…! >> Mantenne la calma per non fare troppo rumore e Jennifer la guardò preoccupata. << Forse vuole venire solo quando sono da sola? >> Chiese a sé stessa, dando poco conto all’alzata di spalle di Jennifer. Kate si indispettì. << Non gli darò la soddisfazione di farsi desiderare da me! >> Disse incrociando le braccia.
Jennifer era nervosa; quell’attesa stava rendendo la situazione sempre più inquietante, e qualcuno a quel punto avrebbe potuto pensare che Slender Man fosse solo frutto dell’immaginazione di Kate, ma non lei. Credeva davvero alle parole della sua migliore amica, sapeva che non avrebbe mai fatto un simile scherzo, specialmente a lei… E poi, ora che erano lì, la ragazza cominciava ad essere curiosa, a voler vedere questo mostro di cui parlava tanto Kate, scoprire come fosse fatto, che cosa fosse realmente…
Fu forse per alleggerire l’atmosfera che assunse un sorrisetto e disse sporgendosi in avanti e alzando gli occhi al cielo:<< Slend, se ci sei, batti un colpo! >> Kate la guardò basita. Jennifer sostenne il suo sguardo continuando a sorridere furbamente. << Che c’è? >> Chiese come se non fosse successo niente.
Kate indugiò su cosa dire. << Slend…? >> Chiese alla fine senza sapere che dire. Jennifer sembrava molto soddisfatta di quel nome che si era appena inventata.
<< E’ più carino di Slender Man, e più facile, sicuramente… Almeno abbassa la tensione. >> Disse alzando un dito e puntandolo contro il viso di Kate, sulla quale era nato un sorriso leggero proprio a causa di quel nome.
Kate cercò di nascondere il suo sorriso, ma finì per ridere ancora di più, riuscendo almeno a rilassarsi. Forse era proprio quello a cui mirava l’amica, aiutarla a calmarsi per poter affrontare l’essere con più facilità; lei sarebbe stata lì ad aiutarla, ma anche quello sarebbe stato un buon aiuto.
Kate sospirò sorridendo e ricomponendosi sul letto. Il suo sguardo era fisso sulle sue gambe incrociate; erano entrambe sedute a quel modo, ma Kate aveva la schiena inarcata in avanti, abitudine che aveva avuto da molto tempo, mentre Jennifer aveva la schiena ben dritta. La ragazzina si era chiesta più volte come facesse la sua amica a mantenere la schiena perfettamente diritta in ogni situazione; ogni volta che ci provava lei, dopo poco cominciava a sentire un peso su di sé, e la schiena si piegava da sola. Kate non aveva problemi di postura, quando camminava la sua schiena aveva un aspetto normale, non le dava fastidio tenerla dritta, ma quando si sedeva le veniva automatico piegarsi in avanti in cerca di un appoggio, o semplicemente per sentire meno fatica…
<< D’accordo! >> Disse decisa. << Riproviamoci! >> Chiuse gli occhi e inspirò profondamente. << Slender Man, ti ordino di mostrarti a noi, immediatamente! >> Disse con tono autoritario, ma calmo. Poi inasprì la voce. << Adesso! >>
Quando Kate aprì gli occhi vide una grande ombra proiettata su sé e Jennifer. La sagoma di Slender Man era davanti alla finestra e, come al solito piegato per poter stare nella stanza dal soffitto troppo basso per lui, fissava le due ragazze con il suo viso vuoto.
Quando lo vide, Jennifer rimase paralizzata, mentre Kate ebbe solo un sussulto, essendo ormai abituata alle sue apparizioni. Ciò che non riuscì a sopportare fu invece il dolore alla tempia sinistra che cominciò a tormentarla non appena vide l’essere. Era ricominciata, dopo aver quasi dimenticato la fatica, il dolore e la paura, adesso era di nuovo lì di fronte a Slender Man, dopo avergli chiesto lei stessa di venire da loro. Era forse impazzita? Adesso avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì.
Entrambe le ragazze sembravano terrorizzate; gli occhi spalancati pieni di paura per la vista del mostro, i visi impalliditi all’istante e le schiene spinte indietro per allontanarsi il più possibile da Slender Man. Le labbra di Kate tremavano impercettibilmente, nel tentativo di dire qualcosa, ma si era bloccata alla vista dell’essere, e il peggio era che non aveva idea del perché! Forse il fatto che Jennifer fosse lì con lei l’aveva spiazzata, perché non aveva idea di come comportarsi adesso, contemporaneamente con Slender Man e Jennifer. La sua amica, però, nonostante lo spavento iniziale, sembrò trovarsi rapidamente a suo agio, oppure stava solo cercando di non mostrarsi impaurita ad entrambi i presenti.
<< Ciao, Slend… >> Disse alzando una mano piano e piegando un labbro in un sorriso, nonostante gli occhi conservassero il terrore di prima. Slender Man mosse piano la testa verso Jennifer, facendole sentire una strana pressione con quel semplice gesto. Non pensava che sarebbe stato così… << Quindi… Questo sei tu… >> Disse incerta senza distogliere lo sguardo da lui. Fece toccare tra loro più volte le punte delle dita e i palmi ben aperti, mostrandosi un po' nervosa. << Non mi aspettavo che fossi così… >> Lasciò la frase incompiuta, temendo di dire qualcosa di troppo, anche dopo aver sentito un colpetto della mano di Kate sulla sua. Voleva dirle di non parlare troppo o che non c’era bisogno di mostrarsi coraggiosa?
Kate si schiarì la voce, incerta su come cominciare. << Slend… >> Cominciò cercando di assumere un tono di rimprovero. Aveva intenzione di non fare la parte della ragazzina impaurita. << Hai ucciso quella ragazza! >> Disse subito senza girarci intorno. Slender Man rivolse lo sguardo verso di lei, e Kate si sentì peggio non appena lo fece. << Becky Johnson. >> Aggiunse per non farlo confondere; sapeva che era difficile che accadesse, ma chissà quante altre ragazze aveva ucciso prima, di cui avrebbero potuto parlargli…
Slender Man sembrò sorpreso del fatto che Kate volesse parlargli proprio di lei. Da quello che aveva visto, gli era sembrato che non le importasse molto di lei. Ma non fu di quello che parlò lui. Pensavo volessi tenermi più lontano possibile. La voce fredda e vuota risuonò sia nella testa di Kate che in quella di Jennifer, facendo sobbalzare dalla paura la seconda ragazza, che si mise le mani alle orecchie pensando di avere qualcosa dentro la testa.
Kate ringhiò infastidita. << Non provare a fare questi giochetti con me e dimmi perché hai ucciso Becky! >> Jennifer si stupì di come Kate riuscì a mntenere la calma dopo aver sentito quella voce dentro di sé; in realtà, nemmeno Kate riusciva a ignorarla, ma aveva altre cose per la testa a cui pensare, il disagio di avere una voce nella propria testa era niente a confronto. Una voce… Ma prima di quel giorno lei non aveva mai sentito la voce di Slender Man! Si era sempre trattato di parole materializzatesi nella sua mente, di quale voce stava parlando? Solo ora si rese conto di sentire una voce, al posto delle solite parole vuote e prive di espressione

Pensavo che odiassi quella ragazza. Rispose con calma lui. Di nuovo quella voce gelida e calma. Non se lo stava immagginando, era vero! Slender Man adesso aveva una voce! E come mai? Forse quel processo di cui le aveva parlato stava facendo sentire i risultati?
Mentre questi pensieri prendevano posto nella mente di Kate, la ragazza cercò di non divagare, restando concentrata sulla situazione e cercò di rispondere a Slender Man. Ma era confusa… << Non… Non la odiavo a tal punto da desiderare la sua morte! >> Rispose strofinandosi la fronte con una mano.
Ne sei sicura? Chiese Slender Man avvicinandosi di un passo. Entrambe le ragazze piegarono la schiena indietro a quel suo gesto. Ho sentito i tuoi pensieri, ciò che hai provato in quei pochi minuti in cui le hai parlato, quel giorno; era tuo grande desiderio fare del male a quella ragazza.
<< Non volevo ucciderla! >> Esclamò fuori di sé Kate. Era così snervante dover cercare di ragionare con Slender Man.
Anche con quell’uomo, il tuo insegnante. Mi sembrava che pensassi che fosse un fallito, che non meritasse di vivere… Disse Slender Man avvicinandosi un altro po’.
Kate rimase a bocca aperta. << Io… Io non ho mai pensato questo… >> Disse girando lo sguardo incredulo verso la sua amica. Jennifer la guardava confusa; pregò che le credesse.
Slender Man era calmo. Forse non consciamente. Ma desideravi di vedere soffrire entrambi, almeno una piccola parte di te; la parte più oscura e nascosta della tua personalità… Kate respirò profondamente. Una parte nascosta della sua personalità? Qualcosa che neanche lei poteva conoscere, come il contrario di quello che lei credesse di essere?
Kate esitò balbettando. << Se… Se credi di potermi far dubitare così… Se credi di riuscire a farmi cambiare idea… >>
Slender Man parlò senza che Kate ebbe finito di pronunciare la sua sconclusionata frase. Sto solo riportando quello che ho visto e sentito. In entrambe le situazioni ho visto una ragazza arrabbiata, desiderosa di distruggere tutto ciò che la circondava, e ho sentito l’odio per quelle persone; mai ho sentito una tale forza in nessun altro essere umano… Stava mentendo. Non poteva essere vero. Kate non aveva desiderato la morte di Becky e del signor Anderson.
La ragazza rimase senza parole, cercando inutilmente di rispondere all’essere. Fu Jennifer a pensare a qualcosa per difendere la sua amica. << Magari ti sei sbagliato! >> Disse con tono un po’ troppo insolente, secondo Kate. Sembrava un ragionamento troppo semplice riguardo a una cosa troppo seria per potervi essere associata, ma stranamente, ci stava perfettamente. Era impossibile che Slender Man sapesse tutto, anche lui poteva sbagliarsi, e Jennifer glielo aveva appena fatto notare.
Ne dubito seriamente. Rispose con compostezza lui.
<< E io dubito della tua sicurezza! >> Rispose Jennifer sostenendo il suo sguardo. I due rimasero per alcuni istanti a fissarsi intensamente, istanti che fecero sudare Kate dal nervosismo. Jennifer stava alzando la testa contro Slender Man, il suo intento era quello di fargli capire che doveva lasciare in pace la sua migliore amica, oppure di regolarsi su come comportarsi con lei, perché se avesse fatto qualcosa che non doveva, si sarebbe arrabbiata molto… In quel senso, Jennifer sembrò incredibilmente coraggiosa a Kate, per quei pochi minuti in cui rispose a Slender Man.
Anche l’essere notò il coraggio della ragazza e si portò una mano al mento sostenendosi il braccio con l’altra mano. Sei molto simile a Kate. Disse alzando lo sguardo, distogliendolo per primo. Non mi sorprende il fatto che siate grandi amiche, nonostante l’amicizia sia solo una parola insensata…
<< Puoi tenerti per te le tue riflessioni sull’animo umano! >> Ribatté Jennifer con più aggressività questa volta. Kate non riusciva a credere a quanto fosse figa la sua amica in quel momento!
Slender Man sussultò leggermente all’attacco di Jennifer. Abbassò lo sguardo verso le due ragazzine e mise a confronto i loro visi. Certo. Hai ragione. Disse con calma riportando le braccia lungo i fianchi.
Kate era strabiliata da come Jennifer si fosse rivolta a Slender Man; quasi non le sembrava vero. Per una volta non aveva lasciato che le bugie dell’essere la contagiassero, perché la sua amica era stata al suo fianco in quella battaglia. Avrebbe davvero voluto poter fare qualcosa per lei…
In quel momento fece irruzione nella stanza il fratellino di Jennifer. I suoi occhi luminosi, il suo sorriso contento e la sua voce speranzosa avrebbero spezzato il cuore di Kate, qualche minuto dopo. << Ehi, Jenny…! >> Disse senza concludere la frase. Aveva un foglio di carta in una mano; gli scivolò a terra quando ebbe visto la figura alta e scura del mostro. I suoi occhi divennero opachi e pieni di terrore, e il suo sorriso scomparve istantaneamente. In un attimo, il corpicino del bambino crollò a terra inerte.
Tutti e tre i presenti nella stanza avevano sussultato quando il ragazzino era entrato. Jennifer fu più rapida a reagire, che fece un salto dal suo letto per cercare di afferrare il fratellino durante la caduta, mentre Kate reagì in ritardo, voltandosi e ordinando a Slender Man di andarsene. Quello però non sembrava interessato a voler sparire e rimaneva a guardare con sufficienza la scena.
<< Jamie!!! >> Urlò Jennifer spaventata quando lo vide cadere all’indietro. Si iginocchiò accanto a lui e lo afferrò tirandolo a sé, ma lo sguardo del bambino era perso nel vuoto.
Kate girò rapidamente la testa da Jennifer e suo fratello a Slender Man. Assunse un’espressione infuriata e urlò a Slender Man cercando di colpirlo con le mani. << Slend, che diavolo hai fatto?! CHE COSA HAI FATTO?!?! >>

 

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Capitolo 39
*** Errore ***


Il bambino era troppo debole. Non poteva resistere all’influenza di Slender Man.
La signora Kutner aveva portato Jamie subito all’ospedale, seguita da Kate e Jennifer terribilmente spaventate. I medici avevano dovuto agire prontamente per salvarlo. Crisi respiratoria, avevano detto, ma Kate sapeva che non era solo quello…
Slender Man era scomparso dopo che la mamma di Jennifer era arrivata nella stanza di corsa, spaventata dalle urla delle due ragazze. Jamie era andato lì per mostrare alla sorella un disegno, ma nella confusione nessuno lo aveva guardato… Kate si era ritrovata in un attimo a urlare contro un muro, mentre dietro di sé Jennifer si disperava per le condizioni del fratello.
Adesso la signora Kutner era di fronte a un vetro ad osservare il suo figlio più piccolo sdraiato in un letto di ospedale e con una macchina attaccata per permettergli di respirare. Gli occhi rossi pieni di lacrime non si staccavano da quel corpicino immobile, la tensione che aveva in corpo si poteva vedere facilmente dai suoi gesti: aveva la mano destra a coprire la bocca, mentre il braccio sinistro era davanti al busto come a sostenerlo, le gambe non stavano ferme nemmeno un secondo, e tutto il busto ruotava in continuazione. Jennifer era accanto a lei; il suo corpo era più stabile, almeno non sembrava che potesse crollare con un semplice tocco, ma le tremavano le gambe e a stento riusciva a trattenere le lacrime; la ragazza non riusciva più a parlare senza mettersi a piangere.
Kate era accanto alla sua amica. Spostava lo sguardo dalla stanza bianca in cui era rinchiuso il bambino alle due donne – perché sicuramente Jennifer poteva essere definita una donna adulta, per lei – alla sua sinistra.
<< Che cosa è successo…? >> Mormorò con voce spezzata la madre di Jennifer. << Quando Jamie è caduto, che cosa gli è successo? >> Girò lo sguardo verso sua figlia, che non riuscì a trattenere le lacrime dopo aver visto il viso disperato di sua madre, quindi la domanda si rivolse a Kate subito dopo di lei. La ragazza non aveva idea di come rispondere a quella domanda. Avrebbe voluto raccontare la verità alla madre di Jennifer, ma dirle che aveva portato un mostro assassino in casa sua non le sembrava una grande idea, in più non pensava che le avrebbe creduto, anche se in quella situazione alla signora Kutner sarebbe andata bene qualunque spiegazione…
<< Non ne ho idea… >> Rispose la ragazzina con sguardo basso. Gli occhi della sua migliore amica e di sua madre erano puntati su di lei e lei non riusciva nemmeno a guardarle in faccia. << Quando è entrato nella stanza si è… Bloccato… Non so perché… >>
La sua risposta non fece che provocare un altro pianto della signora Kutner, che tornò a fissare con dolore la finestra trasparente.
Nel corridoio sopraggiunse all’improvviso Shaun Tucker. << Jane! >> Esclamò preoccupato muovendosi rapidamente verso la donna. La signora Kutner si rivolse verso di lui e si abbandonò al suo petto. Il signor Tucker fu sorpreso da quella reazione e cercò di calmare la donna, che intanto aveva cominciato a piangere con più forza. << Ho fatto più in fretta che potessi… Cos’è successo al piccolo Jamie? >> Chiese alzando lo sguardo verso la finestra. Jennifer lo guardò cercando di fermare le lacrime, mentre Kate aveva un’espressione terrorizzata in volto.
<< Non lo so… Non lo so… >> Rispondeva la signora Kutner tra le lacrime. << Ha solo… Smesso di funzionare… >> Cercò di trovare un termine più soddisfacente ma non ci riuscì e tornò a piangere tra le braccia di Tucker. Lo sguardo dell’uomo si fermò sul bambino privo di sensi nell’altra stanza. Non riuscì a dire nulla per consolare la signora Kutner, che intanto continuava a piangere e a dire cose senza senso, cercando di darsi una spiegazione per ciò che era accaduto.
Mentre i tre erano distratti, fu Kate a notare un uomo in camice bianco dai capelli neri corti venirgli incontro a passi rapidi. Si voltò e lo anticipò chiedendogli come stesse Jamie. << Il bambino è stabile, non temete. >> Rispose alzando una mano per rassicurare la signora Tucker, che gli fu addosso in un secondo. << Tuttavia, oltre a una insufficienza respiratoria, abbiamo riscontrato anche un attacco cardiaco e una emorragia interna. >> La signora Kutner si sarebbe messa a strillare se il dottore non l’avesse tranquillizzata. << Abbiamo risolto tutto, signora. >> Disse rapidamente. Sospirò abbassando lo sguardo. << Quello che non riusciamo spiegarci è un danno cerebrale che abbiamo scoperto poco dopo il vostro arrivo. >>
<< Che cosa? >> Sbottò incredulo Tucker.
<< Lei è il padre? >> Chiese il dottore voltandosi verso di lui.
Tucker sembrò disarmato da quella domanda. << Ehm… No, sono… Un amico di famiglia. >> Rispose con un po’ di ritardo.
La signora Tucker sembrò sconvolta quando sentì quella notizia. << Suo figlio non è più in pericolo di vita, signora. >> Continuò il dottore passandosi una mano tra i capelli. << Ma non sappiamo cosa abbia provocato quella lesione, e non sappiamo quali potrebbero essere le sue conseguenze… >> Disse con sguardo costernato. << Dobbiamo solo aspettare, per il momento. >>
La signora Kutner scoppiò a piangere abbandonandosi di nuovo alle braccia del signor Tucker, che cercò di rassicurarla senza successo. Jennifer cominciò a respirare a fatica, come se stesse perdendo l’aria e cercò appoggio a Kate. Mentre lei cercava di consolare l’amica, e l’uomo cercava di fare altrettanto con la donna, il dottore si congedò da loro, lasciandoli nelle loro paure in mezzo a quel corridoio vuoto e freddo.
Dopo che Tucker e Kate furono riusciti a calmare la signora Kutner e Jennifer, cominciarono a fare il punto della situazione. << Non sappiamo cosa sia successo esattamente, potrebbe essere solo un piccolo incidente, il dottore ha detto che… >> Ma Jane Kutner non lo ascoltava. Continuava a ripetere a voce bassa:<< Un bambino così dolce, così sano… >> Provocando solo una grande depressione in Tucker, che sospirò sconsolato. Poi però sembrò ricordarsi di una cosa e si rivolse verso Kate. << Kate. >> Disse. La ragazza si girò verso di lui chiedendo cosa volesse con lo sguardo. << I tuoi genitori sono tornati a casa. Non gli avevi detto che eri andata da Jennifer? >> Chiese preoccupato con tono leggermente da rimprovero.
Kate lo guardò per qualche secondo senza capire di cosa parlasse, poi si ricordò e si diede uno schiaffo su una tempia. Era giovedì, i suoi genitori sarebbero tornati quel giorno dal loro viaggio di lavoro, e si era totalmente dimenticata di loro. << E’ vero… >> Mormorò incredula di essersi scordata quella cosa. Tucker sospirò stanco.
<< Sei proprio smemorata… >> Mormorò abbattendosi. Diede un’occhiata triste alla signora Kutner e poi a Kate. << D’accordo, gli ho parlato io, vogliono che torni a casa questa sera. Ti posso accompagnare io tra poco, poi torno subito qui. >> L’ultima parte della frase era diretta più alla signora Kutner che a Kate, ma la ragazza non ci fece caso. Vide annuire piano la donna con la testa bassa e lui si abbassò alla sua altezza, seduta su una panca nel corridoio. << Torno subito, Jane. >> Disse a bassa voce con tono dolce. << Non ti lascio da sola. >> Le accarezzò un guancia sperando che alzasse lo sguardo per fargli capire che stava bene, ma l’unica cosa che ottenne fu un altro debole cenno. Così Tucker si rialzò sospirando e accarezzando la testa di Jennifer, per dirle di farsi coraggio, poi mise una mano sulla spalla di Kate e la portò con sé via da lì.
Prima di andarsene, Kate rassicurò Jennifer dicendole che si sarebbe occupata lei del problema – e sapevano entrambe di cosa stesse parlando – e si scusò per non poter restare, quindi seguì Tucker fino a fuori l’ospedale, dove entrarono nella macchina e ci si chiusero dentro. Lì Tucker sospirò abbandonando la schiena al sedile e guardando con sguardo vuoto il vetro di fronte a sé. Si piegò poi in avanti e si mise una mano in faccia, strofinandosi il viso furiosamente, come per svegliarsi da un sonno che lo stava ancora rallentando. Kate rimaneva nel sedile accanto al suo a fissarlo preoccupata.
<< Che razza di situazione… >> Mormorò spostando le dita in modo da poter vedere il parcheggio buio dell’ospedale; nonostante i lampioni accesi, sembrava essere tutto nero lì fuori. << Jamie era con voi quando si è sentito male? >> Chiese Tucker muovendo rapidamente gli occhi alla sua destra. Kate si sentì interrogata.
<< Sì. >> Rispose preoccupata. << Non so cosa sia successo. Stava sorridendo, correva, poi a un certo punto la sua espressione è cambiata ed è caduto a terra… >> Disse rapidamente sentendo la tensione crescere a ogni secondo.
Tucker tolse la mano dalla faccia e la unì all’altra girando la testa verso Kate e appoggiandola ad esse. << E hai notato qualcosa mentre Jamie cadeva? Qualcosa… Qualcosa di… Strano, forse? >>
Kate scosse la testa intimorita dal tono aggressivo di Tucker. << E’ tutto strano in questa vicenda… >> Rispose incerta su cosa dire. Sapeva perfettamente che era stato Slender Man a provocare il malessere del bambino, ma non poteva dirlo a Tucker, doveva parlare con l’essere e chiarire le cose da sola.
<< Ti è sembrato che rivolgesse lo sguardo su qualche punto in particolare… O ha provato a dire qualcosa prima di cadere? >> Insistette Tucker avvicinandosi di più a Kate seduta lì vicino.
La ragazza si sentì quasi spaventata da Tucker. << Eravamo nella camera di Jennifer, non… Non so cosa abbia potuto provocare quella… Reazione… >> Disse cercando di accontentare Tucker, vedendo che però l’uomo sembrava volere di più. Le sue parole e il modo in cui le pronunciava non erano convincenti. << E’ stato un attimo…! >>
All’improvviso Tucker le afferrò le spalle e si mise a gridare. << Ti prego, Kate! Ho bisogno di qualcosa! >> Disse spalancando gli occhi e mostrando la paura in essi. Il dolore della signora Kutner aveva contagiato lui più di chiunque altro; si era affezionato molto a lei in quei giorni, dopo averla conosciuta quella mattina di mercoledì, una settimana prima, e di conseguenza si era affezionato anche a Jamie e Jennifer. Kate sapeva che era il dolore a farlo agire così, ma quel Tucker le stava facendo paura. Lui stesso se ne rese conto subito dopo aver alzato la voce. La stretta alle spalle di Kate si allentò, la sua espressione si incupì e abbassò lo sguardo. << Scusami, Kate, io… >> Mormorò qualcosa senza riuscire a completare la frase. << Io sono… Stanco… >> Concluse strofinandosi una mano sulla fronte. Si voltò e mise una mano sullo sterzo. << E’ che… Tutto questo è… Inspiegabile, per me. Non so cosa stia succedendo, mi sento inutile… >>
Kate lo guardò cercando di intercettare il suo sguardo, ma l’uomo continuava a tenere la testa bassa. Allungò piano una mano verso di lui per confortarlo, ma Tucker si mosse mettendo la mano sinistra sullo sterzo e abbassando la destra per infilare le chiavi nel meccanismo di avviamento e mise in moto la macchina. La ragazza, quando sentì tremare i sedili, tornò al suo posto e si allacciò la cintura rapidamente. Sembrava che Tucker non volesse ricevere perdono da lei, oppure era talmente distratto non aver notato la mano di Kate che si avvicinava a lui.
In ogni caso, la macchina lasciò l’ospedale.

 

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Capitolo 40
*** Conforto ***


<< I tuoi genitori mi hanno chiesto di riportarti a casa il più presto possibile. >> Disse Tucker mentre l’automobile si infilava nella via dove vivevano loro. Kate sbuffò incrociando le braccia.
<< Ovviamente si preoccupano per me, ma non pensano di venire a prendermi di persona! >> Disse a voce alta, sapendo che Tucker avrebbe cercato di ribattere in qualche modo. Infatti l’uomo fu un po’ contrariato dall’affermazione della ragazza.
<< Kate, cerca di comprenderli… Sono appena tornati da un viaggio stancante… Non sapevano dove fossi… >> Kate lo interruppe.
<< Quindi io sono meno importante del loro riposo, giusto! >> Non voleva sentire ragioni. Quando c’erano di mezzo i suoi genitori, Kate entrava in una sorta di modalità difensiva da cui non usciva in nessun modo… Trovava sempre qualcosa con cui ribattere. Tucker sospirò tornando a concentrarsi sulla strada.
Le menti di entrambi erano occupate dal pensiero per la famiglia di Jennifer, se Jamie si sarebbe ripreso, cosa sarebbe successo in seguito… Kate aveva paura a fare previsioni, ma non riusciva a pensare a nulla di buono, sapendo la verità… Tucker sembrava brancolare nel buio. Forse avrebbe voluto investigare sulla faccenda, ma non avrebbe trovato nulla di utile, perché il tutto era stato causato dallo Slender Man, e lui non poteva sapere niente di lui…
Mentre la macchina si avvicinava al cortile della casa di Kate, Tucker e la ragazzina avvistarono i due adulti di fronte alla porta in attesa dell’arrivo della macchina. << Sai come comportarti con loro? >> Chiese Tucker girando lo sterzo.
Kate non staccò gli occhi dai suoi genitori. << Riguardo al fatto che sono andata da Jennifer senza dir loro niente? Probabilmente non gliene frega niente, ma mi faranno un casino insopportabile… >> Rispose secca mentre la macchina si fermava. Non aveva idea di come affrontarli, probabilmente si sarebbe comportata come sempre.
La ragazza scese dalla macchina e chiuse lo sportello. Subito sua madre arrivò ad abbracciarla e le chiese come stesse. << Ci sei mancata, tesoro mio! >> Disse baciandole la fronte. Piccola com’era, Kate avrebbe voluto diventare ancora più piccola pur di non doversi subire tutte quelle smancerie.
Anche Tucker scese dall’auto. << Gliel’ho riportata come promesso, signora, tutta intera. >> Scherzò sorridendo e barcollando piano. La mamma di Kate sorrise e ringraziò Tucker. Al gruppo si avvicinò il padre di Kate.
<< Kate. >> Disse con tono adirato, pronto a esplodere. Kate sapeva già che sarebbe stata una riunione spiacevole. << Perché non ci hai detto niente? >> Chiese cercando di mantenere la calma.
<< Ciao anche a te, papà. >> Rispose noncurante lei. Suo padre alzò un dito puntandolo contro di lei.
<< Non rivolgerti con quel tono! Ci hai fatto davvero preoccupare! >> Disse velocemente.
Kate roteò gli occhi di lato e sbuffò vistosamente. << Sono solo andata dalla mia amica, visto che voi mi avevate abbandonata! >>
Suo padre fece finta di non sentire l’ultima parte della sua frase e riprese a parlare. << E che cosa sarebbe successo a scuola mentre noi non c’eravamo? >> Chiese alludendo alla sua nota di venerdì mattina.
Kate si era quasi dimenticata di quella stupidaggine; in confronto a tutto il resto,  quella non era niente. << Di tutto. >> Rispose senza pensare bene a cosa stesse dicendo.
<< Esatto, signorina! >> Esclamò suo padre annuendo vigorosamente. << Ma come ti è saltato in mente di rivolgerti così con l’insegnante? Perché diavolo lo hai fatto? >> Tucker stava assistendo alla scena; lui sapeva di cosa stavano parlando, era stato il primo a sapere di quel fatto, e anche se fosse a conoscenza della morte del signor Anderson, non pensava che i due fatti potessero essere correlati.
A un certo punto Kate scoppiò in urla. << PERCHE’ NON NE POSSO PIU’ DI QUESTA MERDA! >> Gridò voltandosi e spalancando gli occhi. Suo padre fu colto alla sprovvista da quella reazione e indietreggiò un po’. << Prima lo stupro, poi il professore rompicoglioni, il suo omicidio e la morte di una compagna, e poi Jamie! CHE CAZZO VOLETE TUTTI DA ME?!?! >> Gridò fuori di sé. Suo padre cercò di ribattere, ma la ragazza fu più veloce. << Hai mai provato a telefonarmi una volta in questi sette giorni per sapere come stessi? Ti è mai passato per la testa il pensiero che tua figlia potesse star passando un brutto momento? Certo che no! Perché stavi lavorando! >> Continuò a gridare in faccia a suo padre. Mentre sua madre cercava di calmarla, suo padre aspettava che finisse di gridare, e Tucker sperava di poter intervenire per spiegare la situazione.
<< ORA BASTA! >> Abbaiò l’uomo squadrando la figlia con occhi furiosi. << Vai in camera tua, ho finito di parlare con te! >> Disse alzando un braccio e puntandolo verso la casa.
<< Bene! >> Esclamò Kate. << Almeno non dovrò più sentirti dire stronzate! >> Continuò a sbraitare mentre si dirigeva verso la sua casa a passi rapidi e pesanti. Suo padre avrebbe ribattuto, se non fosse stato per sua moglie, che gli afferrò piano la mano e scosse piano la testa, convincendolo ad arrendersi.
Mentre Kate spariva in casa, Tucker le rivolgeva un ultimo sguardo dispiaciuto. Si rivolse poi a suo padre e assunse una faccia di disappunto. << Ben fatto signore. >> Disse sarcastico. << Davvero molto comprensivo. >> Mimò un falso inchino e tornò alla sua macchina mentre l’uomo si voltava a mandargli uno sguardo assassino.
<< Fuori da casa mia, pazzo! >> Scandì quello a denti stretti facendo fermare Tucker davanti allo sportello aperto dell’auto. Lui gli rivolse uno sguardo noncurante ed entrò nella sua macchina richiudendo lo sportello con forza e mettendola in moto, tornando in strada e ripercorrendo la strada che aveva fatto prima, per tornare all’ospedale.
Kate sbatté con violenza la porta della sua camera e saltò sul letto senza nemmeno togliersi le scarpe. Rimase qualche secondo a guardare il muro, poi, afferrò il cuscino e lo scagliò via per la rabbia, facendolo finire addosso a Slender Man, di cui si accorse solo in quel momento. << Slend…! >> Esclamò spaventata. Non si aspettava di vederlo lì. E perché mai? Doveva proprio parlargli. << Hai fatto del male a Jamie! >> Disse adirata assumendo un’espressione furiosa. Slender Man la guardò in silenzio.
Non è stato intenzionale.  Disse la voce mentre Slender Man si avvicinava al letto di Kate. La ragazza gli fece segno di restare dove fosse. Il bambino è entrato nella stanza proprio mentre c’ero io, era troppo debole per poter sopportare la mia influenza, e una reazione simile era inevitabile.
<< Perché non sei uscito? >> Chiese a metà tra la rabbia e la tristezza. Per colpa sua adesso non sapevano se il fratellino di Jennifer si sarebbe ripreso.
La risposta di Slender Man fu talmente semplice che sembrò onesta. Anche se fossi uscito, non avrei potuto evitare ciò che è successo.
Kate rimase alcuni secondi a fissare incredula l’essere in piedi davanti alla sua finestra. Cominciò a sentire una forza premere alla sua testa, e cercò di scacciare l’influenza dello Slender Man, che cercava di entrare nella sua testa, confonderla e ipnotizzarla. Scese dal letto e si lanciò addosso a Slender Man colpendolo con la mano destra su dove avrebbe dovuto trovarsi lo stomaco. << Bugiardo! Non è vero! Avresti potuto evitarlo se solo avessi voluto! >> Lo colpì di nuovo, cercando di fargli male in qualche modo, ma Slender Man sembrava semplicemente non sentire quei colpi. << Jennifer ti ha tenuto testa durante la nostra conversazione e tu hai deciso di punirla riversando la tua rabbia su suo fratello! Sei solo un bastardo vigliacco! >> Continuò a gridargli contro di tutto, ma Slender Man sembrò non sentire quelle cose.
Puoi pensare quello che vuoi, ma ti giuro che non è stato intenzionale; non farei mai qualcosa che possa ferirti, e questo vale non solo fisicamente, ma anche sentimentalmente. Le parole di Slender Man sembrarono arrivare a Kate come dolci e comprensive, ma in realtà erano solo cose dette per farla cadere nella trappola. E nonostante lei lo sapesse, suonarono tremendamente reali alle sue orecchie.
Finì per abbandonarsi al sostegno di Slender Man piangendo, lasciando che le mani grandi e sottili dell’essere le cingessero le spalle. Erano fredde, morte, lente, ma in qualche modo, trasmettevano un senso di protezione a Kate. Una sensazione simile… All’amore…
 

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Capitolo 41
*** Suicidio ***


Il giorno successivo Kate ricevette una notizia terribile, che non si sarebbe mai aspettata di ricevere.
Fu totalmente inaspettata, era in giardino a dondolarsi su una vecchia sedia a dondolo che aveva tirato fuori di casa e si stava riposando al sole. Il signor Tucker non era tornato a casa l’altra notte, era rimasto all’ospedale con la signora Kutner e Jennifer, e Kate avrebbe tanto voluto andare per dar loro il suo supporto, ma pensava di essere indesiderata, essendo lei la causa di ciò che era successo. I suoi genitori, ovviamente, erano a lavoro; quella mattina non li aveva neanche salutati, aveva aspettato che se ne andassero di casa per uscire dalla sua stanza e prepararsi. Aveva messo dei vestiti leggeri, faceva caldo quel giorno, quindi aveva preso un paio di pantaloncini corti e una maglietta aderente grigia. Già, l’estate era quasi arrivata, e lei non vedeva l’ora che la scuola finisse e che cominciasse finalmente il tempo di divertirsi al mare e di dormire dalla mattina alla sera, come piaceva a lei. Assaporava il pensiero di quei giorni come se fosse un dolce,  ma quella volta era diverso; finita la scuola non ci sarebbero state le solite vacanze spensierate, non sarebbe andata al mare con Jennifer pensando solo a divertirsi, non si sarebbe rilassata come aveva pianificato, perché nella sua vita era entrato Slender Man, e aveva cambiato tutto quanto.
Ed eccolo lì, sotto al portico di casa sua, ad osservarla su quella sedia a dondolo, mentre andava avanti e indietro lentamente, con chissà quali pensieri su di lei che gli passavano per la mente… A volte Kate si chiedeva cosa pensasse di lei, cosa desiderasse da lei, ma preferiva cambiare argomento e concentrarsi su qualcos’altro, per non inorridire di fronte a una possibile verità… Il fatto era che Kate aveva una grande immaginazione, e se per caso avesse dovuto pensare a qualcosa di troppo, avrebbe potuto non dimenticarlo più e rimanerne segnata…
Quel giorno si stava riposando in giardino, ma sentiva come se fosse un errore, come se restare lì a non fare niente fosse la cosa più stupida e egoista che potesse fare, dopo aver buttato Jennifer e la sua famiglia in quella situazione, quindi decise di alzarsi dalla sua sedia a dondolo e di uscire da lì.
Quando fu sul marciapiede rivolse un’occhiataccia all’essere che rimaneva a fissarla dall’ombra del portico e si incamminò. Era stata una stupida a cadere nella sua trappola, la sera prima. Era stata debole e aveva ceduto alle smancerie di Slender Man, credendo alle sue colossali bugie. Con la mente riposata, quella mattina si sentiva davvero un’idiota per aver lasciato a quella cosa di toccarla, di abbracciarla… Anche solo pensare di aver creduto che potesse provare qualcosa per lei, era una sensazione rivoltante.
Slender Man si teneva a debita distanza da lei, la seguiva in silenzio, nascondendosi alla sua vista e a quella dei passanti, ma era lì, sempre pronto a colpire la sua mente fragile e instabile, pronto ad approfittare di qualunque difficoltà della ragazza per farla dubitare di tutte le sue convinzioni. Kate sapeva che si stava divertendo molto, che ricordava con perverso piacere il momento in cui era riuscito ad abbracciare il corpo della ragazza, il momento in cui aveva finalmente superato il primo ostacolo per entrare nella sua vita. Ma lei non voleva che questo accadesse, si rendeva conto dell’errore che aveva fatto, e si era ripromessa di non cadere mai più in quella stupida trappola.
Quando fu arrivata all’ospedale, la ragazza si mise a cercare la stanza dove era stato ricoverato Jamie la sera prima, ma non ricordando dove fosse, finì per perdersi nei corridoi dell’ospedale. Fortunatamente incontrò il signor Tucker con un paio di caffè tra le mani che camminava lungo uno dei corridoi. Aveva lo sguardo vuoto e stanco, le occhiaie, che proprio il giorno precedente sembravano essersi alleviate, erano tornate più scure di prima, suggerendo che l’uomo avesse passato l’intera notte sveglio. Per poco non si accorse della ragazzina, che dovette chiamarlo un paio di volte per attirare la sua attenzione. << Kate! >> La salutò sorpreso di vederla lì. << Che ci fai qui? >> Chiese, come se non fosse suo diritto preoccuparsi per il piccolo Jamie.
Kate cercò di comprenderlo; era stanco. << Sono venuta a vedere come sta Jamie… E Jennifer. >> Aggiunse con sguardo basso, sentendosi inadeguata al ruolo di amica. Tucker però sorrise di fronte alla sua vergogna. << Ci sono novità? >> Chiese poi per evitare di indugiare troppo su quel punto.
Il signor Tucker sospirò stanco e si mise a camminare lungo il corridoio con Kate dietro di lui. << Jamie non dà segni di ripresa, è ancora attaccato a quelle macchine… >> Mormorò un po’ scettico. Lo sentì mormorare qualcosa di strano. << Se solo riuscissi a capire cosa è successo… >>
Kate continuò a parlare, cercando di evitare che il signor Tucker divagasse. << La signora Kutner? >>
Tucker alzò lo sguardo. << Ho cercato di tenerla su di morale, rassicurarla, in qualche modo, ma io sono il primo a non credere all’operato dei dottori… >> Quell’affermazione lasciò confusa Kate, che si chiese cosa intendesse con quello. << E’ rimasta sveglia tutta la notte, senza mai smettere di piangere, come se sapesse già che suo figlio era condannato… >>
Kate puntò lo sguardo di fronte a sé, sentendosi in colpa per averli lasciati lì da soli. << E’ il dolore di una madre. Credo che nessuno tra noi lo abbia mai sperimentato… >>
Tucker sospirò guardando con tristezza la fine del corridoio. << Prega di non doverlo mai provare. >> Le disse con stanchezza.
Continuarono a camminare in silenzio fino alla fine del corridoio, quando poi girarono a destra per entrare in un corridoio più corto che portava a una rampa di scale. << Invece Jennifer come sta? >> Chiese Kate desiderosa di sapere le condizioni dell’amica. Sarebbe stato un errore non informarsi su quello, e non voleva arrivare impreparata da lei, senza sapere cosa aspettarsi.
<< Anche lei è tesa, ovviamente… >> Rispose Tucker. << Sono riuscito a farla addormentare questa notte, non so come… Ma dubito che sia riuscita a riposare… Durante il sonno si agitava tremendamente, parlava di cose senza senso e si svegliava di continuo. >>
<< Incubi? >> Chiese Kate. Tucker la guardò con la coda dell’occhio.
<< Di certo, non sogni. >> Rispose senza aggiungere altro mentre finivano di salire su per la rampa di scale ed entravano in un corridoio dove, sedute su una panca a un lato, c’erano Jennifer e sua madre. Quando Kate avvistò la sua amica accelerò il passo e sperò di poterla raggiungere senza complicazioni. Quando Jennifer la vide a sua volta, si alzò e le andò incontro correndo.
Le due ragazze si abbracciarono con forza; Kate doveva molto a Jennifer, stava cercando di ripagare il suo debito in qualche modo, trasmettendole un po’ di coraggio in quella situazione. << Scusa per non essere rimasta… >> Cercò di dire Kate mentre la ragazza abbandonava la testa sul suo petto.
<< Grazie per essere qui… >> Disse lei senza nemmeno lasciarle concludere la frase. << Grazie… >>
Ancora una volta, Jennifer aveva stupito Kate. Pensava che non l’avrebbe più voluta vedere per quello che era successo – Slender Man era entrato nella loro stanza perché lei aveva voluto incontrarlo – ma invece capì quanto la sua amica fosse sollevata dalla sua visita. Aveva bisogno di aiuto in quella situazione, e Kate era un’ancora per lei.
Tucker porse un caffè alla signora Kutner, che ringraziò con sguardo stanco e voce sommessa, mentre raggiunse le due ragazzine per consegnare l’altro caffè a Jennifer. << Lei non prende niente, signor Tucker? >> Chiese Kate stupita del fatto che Jennifer prendesse il caffè, ma non lui.
L’uomo rispose alzando le spalle. << Sono abituato a dormire poco. Un caffè non farebbe alcuna differenza… >>
Kate rimase a pensare a Tucker che di notte si mettesse a lavorare a qualche strambo progetto, o che programmasse la giornata seguente, o che semplicemente pensasse a cosa fare per aiutare lei e chiunque altro chiedesse il suo aiuto. Arrivò a chiedersi del tutto se quell’uomo dormisse la notte.
Guardò Jennifer prendere un piccolo sorso dal bicchiere di plastica; le sue mani tremavano spasmodicamente, la ragazza non riusciva nemmeno ad avvicinare il bicchiere per bere il caffè. << Jennifer… >> Mormorò Kate intenta a offrirle di andare via da lì. Fu interrotta da qualcosa.
Nel corridoio entrò un gruppo di persone, infermieri, che spingevano un lettino su cui era distesa una ragazza. Dietro di loro correvano due persone sconvolte, probabilmente i genitori della ragazza. Andavano di fretta; Kate e Jennifer si fecero da parte per lasciarli passare, e la ragazzina riuscì a scorgere il viso della ragazza nel lettino, anche se per un istante solo. Era Karen Smith, con un grosso segno scuro attorno al collo, e quelli che seguivano il lettino preoccupati dovevano essere i suoi genitori. Cosa le era successo? Kate riuscì a vedere che era stata applicata una qualche specie di macchina al suo corpo per permetterle di respirare, ma non capì cosa potesse esserle successo.
Come fu arrivato, il gruppo scomparve in un lampo, lasciando Kate e Jennifer a bocca aperta. << Hai visto anche tu? >> Chiese l’amica per assicurarsi che non si trattasse di un’allucinazione. Kate annuì e si avvicinò ai due genitori della ragazza, che si erano fermati di fronte a una porta che era stata chiusa subito dopo che gli infermieri furono entrati. La madre di Karen stava piangendo, mentre il padre la stringeva a sé e cercava di calmarla.
<< Scusate… >> Mormorò Kate avvicinandosi intimorita. Jennifer era a pochi passi dietro di lei. << Siete i genitori di Karen? >> Chiese sapendo già la risposta.
La madre si girò verso la ragazzina, ma non riuscì a parlare e fu il padre a rispondere. << Sì. Siete sue compagne? >> Chiese un po’ sollevato dal vedere qualcuno amichevole, in quell’ambiente così freddo e distante.
<< Sì, più o meno… >> Rispose Kate guardando Jennifer accanto a sé. << Che… Cosa è successo a Karen? >> Chiese temendo di fare quella domanda.
I genitori della ragazzina si voltarono entrambi verso il vetro della stanza in cui era stata portata la figlia e sembrò che per un momento sarebbero scoppiati entrambi in lacrime, ma poi il padre si voltò verso le due ragazze e rispose:<< L’abbiamo trovata in camera sua… Aveva una corda legata al collo… >> La sua voce si spezzò e l’uomo non riuscì più ad andare avanti. Kate non glielo chiese. << Scusate… >> Fece con voce rotta, cercando di trattenere i singhiozzi.
<< Non fa niente… Mi dispiace molto… >> Disse Kate. << Avvisatemi se dovessero esserci novità… >> Si assicurò Kate ricevendo un piccolo cenno da parte del padre della ragazzina.
Kate si voltò a guardare attraverso il vetro della stanza e vide la ragazzina attorniata da infermieri che la controllavano, che le attaccavano al corpo delle macchine e che si preparavano per operarla. Il corpo inerte della ragazzina era lì, di fronte a tutti, in uno stato pietoso, in balia di quegli infermieri che non avevano idea di che cosa fare… Kate rimase a guardare il vetro finché una infermiera non lo ebbe oscurato con delle persiane provocando un urlo di terrore da parte della madre della ragazza.

 

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Capitolo 42
*** Confusione ***


Kate portò Jennifer fuori dall’ospedale, con l’intenzione di farla rilassare un po’ e parlarle in privato. La portò così a fare una passeggiata, nonostante Jennifer avesse espresso il desiderio di non volersi allontanare troppo dall’ospedale per non rischiare di mancare qualunque aggiornamento sulle condizioni di Jamie.
Mentre passeggiavano lentamente tra i giardini dell’ospedale, respirando profondamente – Jennifer aveva bisogno di aria dopo una notte intera passata nei corridoi dell’ospedale – Kate cercò un modo per cominciare a parlare. Menzionò la ragazza che avevano appena visto dentro, Karen:<< Il papà di Karen ha detto che l’hanno trovata… Impiccata in camera sua… >> Quella parola diede a entrambe le ragazze un brivido alla schiena, e Kate si chiese perché avesse scelto proprio quell’argomento per cominciare a parlare.
Jennifer annuì in silenzio.
Kate capì che non avrebbe commentato, quindi continuò a parlare. << Mi chiedo che cosa sia successo… >> Mormorò costernata.
<< Suicidio. >> Disse in fretta Jennifer. Quella parola risuonò nella testa di Kate, e il fatto che proprio Jennifer l’avesse pronunciata la sconvolse. Sentì un altro brivido lungo la schiena dopo averla sentita. Jennifer sembrava sicura di quello. Si voltò a guardare Kate con occhiaie profonde che prima lei non aveva notato. << E’ stata lei ad assistere alla morte di Becky, a scuola, un’esperienza sconvolgente, di sicuro, per un tipo come lei. O è impazzita finendo per vedere quella scena ovunque, oppure qualcuno l’ha spinta a farlo, convincendola che fosse l’unico modo per liberarsi di quell’orrore… >> Kate fu sconvolta dal fatto che quelle parole così ciniche stessero uscendo dalla bocca della sua migliore amica, e sapeva che si trattava di un momento particolare, ma fu stupita comunque. In ogni caso, Jennifer stava suggerendo che Slender Man avesse ucciso Karen Smith.
Non poteva darle torto. Se Karen era venuta a contatto con Slender Man, era molto probabile che avesse influenzato la sua debole mente e, come Jamie, avesse avuto effetti devastanti sulla sua psiche, portandola al suicidio. Suicidio… Quella parola stava già diventando comune nel suo vocabolario… Nonostante sentisse ancora un brivido quando la pronunciava, si stava già abituando a sentirla. Che Slender Man fosse la causa di ciò?
In passato la parola “suicidio” non aveva mai toccato la vita di Kate. Non ne era mai entrata a contatto, se non attraverso qualche film o storia dell’orrore, ma la ragazza aveva sempre pensato di poterla sopportare; ora che ne era messa davanti, era davvero difficile non mettersi a tremare udendola…
Kate sospirò pensando alla rapidità con cui aveva accettato quella cosa. << Quindi credi che Karen si sia... >> Deglutì e decise di cambiare termine. << Uccisa per causa di Slender Man…? >> Non suonava certo meglio

Jennifer sembrava calma, ma c’era rabbia nei suoi occhi. << E’ entrato nelle vite di tutti noi, ormai. Non ce ne rendiamo conto finché non accade qualcosa di eclatante, ma è così, e questa volta è toccato  Karen. >>
Kate deglutì, sapendo dove volesse arrivare. Completò lei le sue riflessioni:<< E se Jamie si salverà, toccherà a qualcun altro di noi… >>
Jennifer annuì assumendo un’espressione addolorata. Sembrava che stesse per mettersi a piangere e Kate andò a sostenerla, notando il tremore delle sue gambe. La portò a sedersi su una panchina e si sedette accanto a lei. << Ho parlato con Slender Man… >> Cominciò cercando di farla smettere di piangere. Jennifer non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, occupata a strofinarsi gli occhi con forza. << Non so quanto ci sia di vero, ma mi ha detto che quello che è successo non è stato intenzionale. >>
<< E tu ci credi?! >> Sbottò all’improvviso Jennifer aprendo gli occhi e alzando la voce. Kate si spaventò da quella reazione, ma non si sorprese; la sua amica aveva tutto il diritto di infuriarsi, ma sembrò come pentirsi di aver alzato la voce con Kate, e il suo stato d’animo si intravide nello sguardo spaventato che assunse subito dopo. Stava per scusarsi, ma Kate si mise a parlare, sperando che Jennifer non pensasse che lei fosse arrabbiata.
<< Non credo alle sue parole, Jennifer. E’ solo… Un mostro che vuole vedermi soffrire prima di darmi il colpo di grazia, e lo sta facendo portando dolore intorno a me! >> Disse cercando di dare forza alle parole, ma senza esagerare per non far credere all’amica di essere arrabbiata. << Non so cosa succederà, Slender Man non me l’ha detto… >> Jennifer le rivolse un’occhiataccia dopo che ebbe detto quella frase. << Ma non ci resta che attendere e sperare per il meglio. In fondo è quello che faremmo anche se non ci fosse Slender Man in mezzo… >>
Jennifer sembrò risentita. << Non esattamente. >> Disse chiudendo gli occhi. Ora sembrava calma, la rabbia sembrava essere andata via per davvero, e quella calma era davvero innaturale per una situazione del genere. Se ne stava in quella posa, con le gambe unite e le mani poggiate su di esse. << Se non ci fosse stato Slender Man, allora sì, non avremmo potuto fare altro che pregare e chiederci il perché di ciò. >> Disse con calma. Aprì gli occhi guardando Kate nei suoi. << Ma Slender Man c’era. E io non riesco a non pensare al fatto che avrebbe potuto non esserci. >> Ecco perché la rabbia sembrava essere svanita: nella sua voce e nei suoi movimenti non c’era niente di anormale, Jennifer si comportava come quando era calma, forse perché era riuscita a controllarsi, ma i suoi occhi andavano a fuoco, erano delle fiamme che avrebbero bruciato il mondo intero, se le avesse liberate…
Kate sospirò, capendo di aver perso qualcosa della sua amica. << Non so se questo sia un buon momento, ma… Domani è sabato… >> Mormorò la ragazzina sperando di poter distrarre l’amica un po’. Jennifer la guardò incenerendola. Nonostante ciò, lei continuò:<< Ti ricordi dell’appuntamento con Tommy? Pensavo… Se ti andasse, magari potremmo andare a vedere quel film con lui…? >> Si sentiva una nullità per chiederle quella cosa, anche se era finalizzato a distrarre la sua amica dai problemi. Jennifer la fissò intensamente, quasi come se le stesse chiedendo che cosa diavolo avesse in testa. Era furiosa, lo sapeva. Non le avrebbe più parlato dopo quello. Come poteva pensare Kate che dopo quello che era successo, dopo che suo fratello era stato ricoverato con urgenza all’ospedale, lei volesse andare a divertirsi al cinema, come se niente fosse mai accaduto?
Kate si preparò alla sfuriata dell’amica; strinse le palpebre e si fece indietro con la schiena, si preparò a ricevere un addio, una qualche minaccia, ma invece quello che ricevette fu un abbraccio. Sentì le braccia di Jennifer chiudersi attorno alle sue spalle e aprì gli occhi, scoprendo che la ragazza aveva affidato tutta sé stessa al sostegno dell’amica. Sentì un piccolo sospiro, poi un sussurro:<< Grazie, Kate. >> E nient’altro. Solo la testa di Jennifer poggiata sul suo petto che si muoveva piano, contemporaneamente alla cassa toracica di Kate.
Quella fiducia inarrestabile quasi la fece piangere. Non si sentiva degna di Jennifer. Perché doveva essere così buona?

 

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Capitolo 43
*** Sabato ***


Sabato arrivò rapidamente, la giornata passò senza altre novità, e Kate fu felice di quello; non le andava di ricevere altre pessime notizie, quel giorno. La mattina di sabato si alzò presto con Jennifer accanto a sé. La sua amica era venuta a dormire da lei, dato che sua madre sarebbe rimasta all’ospedale per tutto il giorno. Fortunatamente, i genitori di Kate non ebbero nulla in contrario da dire alla figlia, per una volta. Nonostante fossero dei completi idioti, avevano compreso la situazione di Jennifer in quel momento, erano disposti ad ospitarla per qualche giorno in casa loro. Tuttavia, quando Kate aveva chiesto ai suoi il permesso di far restare Jennifer, aveva notato suo padre alzare lo sguardo infastidito, nonostante subito dopo avesse accettato con un sorriso rassicurante sulle labbra. La sua ipocrisia la stava facendo impazzire.
Le due amiche avevano passato una mattinata tranquilla, per fortuna. Erano rimaste in casa, anche se Kate avrebbe voluto stare lontana dai suoi genitori, che avevano il giorno libero. Però Jennifer non voleva lasciare la stanza di Kate, che stranamente le dava un senso di protezione che invece Kate non aveva mai provato prima. Passarono la mattina a parlare, pensando di poter far sembrare quel sabato una giornata normale passandola come sempre… Non c’erano compiti per casa da fare, l’ultima settimana di scuola era praticamente saltata, e l’ultimo giorno i loro professori non avevano avuto il tempo di lasciar loro dei compiti – in ogni caso, non lo avrebbero fatto, nella situazione corrente – così le due ragazze avevano avuto tutta la giornata libera. A pranzo erano scese in cucina a mangiare con i genitori di Kate, una situazione che per fortuna non degenerò in un’altra lite solo per la presenza della ragazza a tavola. Kate non pranzava quasi mai con i suoi genitori; anche quando loro erano a casa, spesso lei preferiva uscire e andare da Jennifer, incontrarsi per pranzare prima di andare a studiare insieme da qualche parte, o semplicemente rimaneva in silenzio per tutta la durata del pasto, perfettamente immobile sulla sua sedia, per poi schizzare via dalla cucina una volta terminato di mangiare. Kate si sentiva fortunata a non dover pranzare con i suoi ogni giorno, però quelle poche volte che accadeva che dovesse mangiare con loro, la ragazzina si sentiva come in trappola, spinta a un angolo, incapace di respirare e di muoversi; superava ogni pranzo in famiglia con difficoltà, sentendone ogni istante gravare sulla sua psiche, forse anche peggio dell’influenza di Slender Man, ormai onnipresente nella sua vita. Anche durante il pranzo, infatti, Kate poté sentire la forza di Slender Man indebolirla, nonostante fosse circondata da persone. Ma non era stato così quando aveva pranzato con la famiglia di Jennifer… Lì era circondata da persone che le volevano bene, alla quale ricambiava il sentimento, e in quella situazione, quel giorno che rimase nella mente di Kate come uno dei giorni più belli della sua vita, la ragazzina non aveva sentito per niente la pressione di Slender Man. Perché? Perché la forza dei suoi amici l’aveva protetta, l’aveva aiutata a respingere la forza del mostro? Oppure quella situazione piena di vitalità l’aveva distratta talmente da farle dimenticare di Slender Man?
Kate si sentì libera quando poté uscire dalla cucina assieme a Jennifer, e tornarono subito in camera sua. Lì rimasero fino alle sette, quando dovettero uscire per andare al cinema con Tommy. Era il momento che avevano aspettato per tutta la giornata, un paio d’ore di svago, niente pensieri, solo tre amici e un film da vedere – qualcosa di spettacolare, a detta di Tommy. Kate si era sentita sempre più eccitata al pensiero di quell’appuntamento. Inizialmente non aveva voluto andarci, ma ora era grata a Jennifer per aver insistito. Si sarebbero divertite, avevano tutti bisogno di un po’ di distrazione, dopo tutto quello che era successo…
Incontrarono Tommy sul corso; si erano accordati di incontrarsi per strada e di raggiungere il cinema insieme. Passeggiando si raccontarono di come erano andate le cose durante la settimana; la scuola era stata chiusa per un bel po’, e Tommy diceva di essere andato fuori città ad osservare il cielo con suo padre. Raccontava del telescopio con cui aveva guardato le stelle come se si trattasse di una dea, i suoi occhi sognanti mentre parlava dei crateri della Luna erano una visione impagabile. Nonostante Kate non capisse molto di cosa Tommy stesse blaterando, le piaceva sentirlo parlare a quel modo di quello che aveva fatto durante la sua settimana libera; era divertente vedere quanto davvero gli piacesse quello che faceva. I problemi arrivarono quando Tommy chiese a Kate e Jennifer cosa avevano fatto nella loro settimana libera. Mentre Jennifer si bloccò fissando il vuoto di fronte a sé, Kate prese la parola dicendo di non aver fatto niente di particolare, niente di interessante come quello che aveva fatto lui, incitandolo a raccontare di più. Senza saperlo, Tommy aveva proiettato un’ombra su Jennifer.
In quel buffo schema, Jennifer in mezzo a Tommy e Kate, rispettivamente alla sua sinistra e destra, i tre arrivarono al cinema con pochi pensieri per la testa; fortunatamente Kate era riuscita a tranquillizzare Jennifer prima della catastrofe e le chiacchiere di Tommy l’avevano aiutata a rilassarsi e a sorridere un po’. Contemporaneamente, Kate cercò di capire quanto di vero ci fosse in ciò che aveva affermato Jennifer l’ultima volta che avevano incontrato Tommy, prestando attenzione ai movimenti del ragazzo per vedere se ci fosse qualcosa di strano che facesse intendere un interesse in lei, ma Kate non notò niente di strano… Evidentemente la sua amica aveva un sesto senso in grado di farle vedere cose che a lei sfuggivano, o lei non era abbastanza sveglia per rendersi conto dei tentativi di Tommy di fare colpo su di lei. Adesso si stava facendo troppe idee…
Entrarono nel cinema pronti a passare qualche ora di totale riposo, con niente di cui preoccuparsi se non di addormentarsi in sala, ma da come Tommy parlava del film, quell’eventualità non sarebbe stata un problema. Kate non aveva mai avuto problemi al cinema, le piaceva vedere film lì, dove poteva sentirsi quasi dentro ad essi, grazie agli effetti sonori diffusi in tutta la sala, e vedeva solo film che le piacevano, quindi non si era mai addormentata, anche grazie all’allenamento con Jennifer durante le lunghe notti estive, a guardare film dell’orrore rimanendo sveglie fino all’alba… Per Jennifer, invece, la situazione era un po’ diversa; la ragazza aveva un sonno pesante, come Kate, ma lei aveva più difficoltà a resistere alla stanchezza: quando le si abbassavano le palpebre, non c’era nulla da fare. Spesso Kate era rimasta sveglia a guardare film dell’orrore per tutta la notte, mentre appoggiata a lei stava una Jennifer in stato catatonico. Doveva anche trattarsi di un fatto personale: Jennifer era una ragazza molto più attiva di Kate, utilizzava di più il periodo di veglia, si stancava di più, si stressava molto più di quanto mostrasse… E tuttavia era sempre pronta a dire di sì, a sorridere e ad aiutare un amico in difficoltà… Kate era grata alla sua amica per esserci sempre, ma a volte pensava che Jennifer dovesse riposare un po’ di più…
Quando furono nella sala, Kate capì che forse si sarebbe addormentata al cinema per la sua prima volta. Che film stavano per vedere? Un film di fantascienza, e in quel momento desiderò di aver prestato più attenzione ai discorsi di Tommy. Grandioso.
 
*
 
Kate rise alla battuta di Tommy.
<< Perché tutto questo sforzo, se per risolvere la situazione bastava fare così? >> Chiese incredulo Tommy agitando rapidamente le mani davanti a sé. Il film era finito, era piaciuto molto a Kate, anche se inizialmente aveva avuto qualche difficoltà nella comprensione. Jennifer continuava a guardarla e a sorridere. Stavano uscendo dal cinema, assieme agli altri visitatori che avevano visto il film con loro.
<< Bé, non ci sarebbe stato un film se avessero fatto come dici tu! >> Disse Jennifer ridendo. Stavano discutendo su come si sarebbe potuto sviluppare il film se i personaggi avessero scelto un’altra strada molto più facile di quella scelta.
<< Sì, invece! Avrebbero potuto sviluppare la trama su ciò che è accaduto dopo il viaggio! >> Ribatté competitivo Tommy.
<< Avrebbero potuto esserci dei fattori che rendevano impossibile il piano, magari… >> Ipotizzò Jennifer.
<< A me non risulta. >> Rispose ridendo Tommy.
Kate era piuttosto confusa. La trama del film era stata abbastanza complicata, aveva dovuto fare uno sforzo per comprenderla appieno, nonostante la ragazzina si vantasse sempre di essere molto perspicace e attenta… Intervenne cercando di far smettere i due litiganti:<< Per favore! Sto ancora cercando di capire quello che è successo alla fine, non mi fate impazzire con le vostre ipotesi! >>
Jennifer e Tommy risero guardandola e poi si rivolsero degli sguardi complici, annuendo soddisfatti.<< Sei contenta di essere venuta? >> Chiese Jennifer allungando la testa mettendosi davanti a Tommy, in mezzo a loro due.
<< Perché lo chiedi a me? Io volevo venire sin dall’inizio! >> Disse Kate mentendo spudoratamente mostrandosi indignata alla richiesta dell’amica.
Jennifer sghignazzò. << Sì, come no… >> Disse sottovoce irritando Kate.
<< Ti ho sentita! >> Alzò la voce la ragazzina.
Tommy cercò di calmarle ridendo. << Non vi scaldate! L’importante è che siate venute; sono contento che abbiate accettato l’invito. >> Disse alzando le mani per distanziare le due ragazze.
Kate guardò il ragazzo e sorrise. << Sì. Anche io sono felice di essere venuta. >> Jennifer tossicchiò subito dopo la frase dell’amica, attirando un’occhiataccia su di sé. Comunque era vero: anche se inizialmente Kate avrebbe preferito declinare l’invito, adesso si sentiva sollevata nell’aver accettato, e capiva che i suoi timori non avevano senso. Avrebbe tanto voluto andare a mangiare una pizza assieme a Tommy e Jennifer, adesso… Sospirò. << Accidenti, avrei voluto portare un po’ di soldi, così saremmo potuti andare a prendere una pizza insieme… >>
Jennifer sorrise furbamente. << Non era già abbastanza il film? >> Chiese ricordandole le sue parole quando aveva accettato l’invito.
<< Non è un problema, offro io, ragazze! >> Disse subito Tommy. Forse non aveva nemmeno i soldi necessari per pagare da mangiare a tutti e tre, ma Kate cominciò subito a dirgli di non preoccuparsi.
<< Non importa, ormai è fatta. Ci vediamo lunedì, Tommy. >> Disse scuotendo piano le mani.
<< Sei sicura? Guarda che non c’è nessun problema… >> Tommy non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che Kate rifiutò un’altra volta. A quel punto Tommy si offrì di accompagnarle almeno a casa, giusto per essere di aiuto. Dato che Kate e Jennifer tendevano a evitare situazioni simili a quella, in cui loro due giravano per le strade da sole, accettarono senza troppi problemi.
Lungo la strada i tre chiacchierarono e scherzarono quasi come se gli orribili avvenimenti degli ultimi giorni non fossero mai accaduti. Arrivarono a casa di Kate prima ancora che se ne potessero rendere conto e le due ragazze ringraziarono Tommy per averle accompagnate fino a lì, nonostante fosse molto lontano da casa sua.
<< Non preoccupatevi. E’ un piacere fare un po’ di strada in più con voi. >> Rispose quando Jennifer gli fece notare la lontananza di casa sua.
<< Ci rivediamo lunedì a scuola, Tommy. >> Disse Kate sorridendo mentre cominciava già a rivolgersi verso casa sua.
<< Sì. A lunedì Kate! >> Poi salutò anche Jennifer, ancora rivolta verso di lui e si girò verso la strada, incamminandosi. Si voltò dopo aver fatto qualche metro e alzò la mano agitandola vigorosamente per salutarle. << Rifacciamolo qualche volta! >> Disse a voce alta allontanandosi.
Kate sorrise e rispose:<< Contaci! >> Dopodiché aspettò che Jennifer la raggiungesse per poter tornare a rivolgersi verso la casa.
Mentre entravano in casa, Jennifer si rivolse a Kate con un sorrisetto furbo. << Allora, lo hai notato? >> Chiese con tono allusivo.
Kate si girò rapidamente inarcando un sopracciglio. << Che? >>
<< Lo sai… >> Disse quella continuando a ghignare e gironzolarle intorno.
<< Ma dai! >> Ribatté Kate salendo le scale per arrivare in camera sua. Quella sera non le era sembrato che Tommy cercasse di farsi notare, pensava che le parole di Jennifer fossero tutte baggianate.
<< Mi prendi in giro? >> Fece indignata la ragazza quando glielo disse Kate. << Non ti ha staccato gli occhi di dosso un solo istante! >>
<< A me non risulta. >> Rispose calma Kate prima di entrare in camera sua, usando le stesse parole di Tommy.
Jennifer era incredula. << Allora sei cieca! >> Le disse seguendola nella stanza e rimanendo sulla soglia della porta. << Usi pure i suoi stessi termini! >> Protestò alzando le mani verso l'amica. Kate sorrise facendole la linguaccia, con l'intento di farle capire di non essere interessata alle sue obiezioni e si sedette sul letto. Jennifer la raggiunse e vi schiaffò la testa sopra. << Allora, pensi che Jamie stia meglio? >> Chiese cambiando istantaneamente tono e espressione. Kate lo sapeva: sapeva che per tutta la serata, l’unico pensiero fisso nella mente della sua amica era stato suo fratello, ma non poteva risponderle.
<< Il signor Tucker ha detto che se ci fossero stati miglioramenti avrebbe chiamato. Per ora non è successo niente… >> Jennifer si abbatté e rimase a fissare la coperta del letto con sguardo sconsolato. Kate cercò di consolarla. << Ehi, non ti preoccupare! Sono sicura che andrà tutto bene. >>
Jennifer alzò lo sguardo. << Dici sul serio? >> Chiese con voce triste. Kate annuì sorridendo. Non poteva saperlo davvero, ma non voleva distruggere le speranze di Jennifer dicendole che suo fratello era condannato. Non avrebbe mai detto una cosa del genere.
I genitori di Kate erano già a letto, non si erano disturbati ad aspettare che le ragazze tornassero; tipico da parte loro, in fondo Kate era perfettamente autonoma e in grado di cavarsela da sola. Si sentì sollevata nel sapere che non avrebbe dovuto cenare con loro. << Scendiamo a mangiare? Sto morendo di fame… >> Disse alzandosi dal letto e raggiungendo la porta. Jennifer annuì e la seguì stiracchiandosi. << Sì, a chi lo dici! >> Disse uscendo dalla stanza con lei.
Era stata una giornata tranquilla, Kate non aveva sentito dolore o stanchezza in modo eccessivo, sembrava che Slender man avesse voluto lasciarla in pace per quel sabato, e si era anche divertita con Jennifer e Tommy. Nonostante il ragazzo fosse all’oscuro di tutto, era stato di grande aiuto per tutte e due le ragazze; aveva aiutato Kate a rilassarsi e aveva aiutato Jennifer a distrarsi. Era stata una bella giornata, Kate era contenta che fosse andata così…
E tutti i loro problemi, tutto quanto, per un attimo, sembravano essere scomparsi…

 

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Capitolo 44
*** Risveglio ***


Domenica Kate si svegliò con un brutto presentimento. Improvvisamente, dopo aver aperto gli occhi, sentì come se in casa non ci fosse nessuno a parte lei. Nonostante Jennifer stesse ancora dormendo accanto a lei, nello stesso letto, la ragazzina si sentì sola in quella stanza  e nel resto della casa. Fece girare lo sguardo lentamente, dalla porta alla sua sinistra alla finestra a destra, da cui entravano raggi di luce mattutina. Non seppe perché lo fece; temeva che fosse successo qualcosa di brutto, aveva un peso nel petto che non la lasciava per nessuna ragione. Era inquietante, non voleva quella sensazione nel suo corpo.
Si alzò dal letto cercando di non svegliare Jennifer e uscì rapidamente dalla stanza in punta di piedi. Nel pianerottolo fuori dalla camera c’era silenzio. I suoi genitori stavano ancora dormendo, si era svegliata presto, lo notò dal colore della luce del sole che entrava dalle finestre. Scese al piano di sotto, cercando di capire cosa ci fosse di strano in quella mattina. In cucina trovò un silenzio innaturale, ancora più inquietante che in camera sua. Si aggirò nella stanza un po’, prima di capire perché si sentisse così.
Kate sentì una leggera pressione alla tempia sinistra che andò ad aggravarsi ogni secondo di più. Sospirò triste, ricordando la sua situazione e si voltò, avvistando Slender Man davanti alla finestra della cucina, immobile e composto, come al solito, che la guardava. Era da tempo che non lo vedeva, se ne rendeva conto solo ora, però, stranamente, il dolore alla testa era minore delle altre volte; di solito, quando smetteva di incontrarlo per molto tempo, al suo ritorno, il dolore aumentava. Questa volta era diverso: Kate sentiva poco fastidio, anche se abbastanza da farla affaticare. Non seppe bene perché, ma quella notizia non le piacque per niente.
Sono venuto ad avvisarti. Disse la voce di Slender Man nella sua testa quando la ragazza fu in grado di mantenere lo sguardo fisso su di lui.
<< Che vuoi? >> Chiese aspra Kate, facendo intendere di avercela con lui.
Slender Man indugiò un po’ sulla risposta. Girò prima lo sguardo verso la zona in cui si sarebbe dovuta trovare la stanza della ragazza, al piano di sopra, poi tornò a fissare Kate e parlò: Il bambino sta per svegliarsi. Porta la tua amica da lui. Kate rimase a bocca aperta; non si sarebbe aspettata di ricevere quella notizia da Slender Man. In quel caso, il suo presentimento si sarebbe rivelato errato, perché non poteva essere una brutta notizia il risveglio di Jamie. In un attimo, Kate fu fuori dalla stanza, ma Slender Man la fermò chiamandola.
L’essere la guardò titubante, come se avesse difficoltà a pronunciare le parole; alla fine, dopo aver esitato parecchio, disse: Spero veramente che vada tutto bene. Un attimo dopo era sparito.
Kate rimase allibita davanti a quella scena. Senza pensare più a Slender Man, la ragazzina si fiondò su per le scale, decisa a buttare giù dal letto Jennifer per portarla all’ospedale, per assistere insieme al risveglio di Jamie. Per la prima volta si sentiva grata a Slender Man, anche se non sapeva perché, esattamente…
Kate entrò con impeto nella stanza e tirò via le coperte per svegliare la sua amica in fretta. Quando quella si svegliò confusa chiedendo cosa stesse succedendo, Kate le disse di sbrigarsi a prepararsi; dovevano muoversi. Praticamente le lanciò addosso i vestiti e la costrinse a infilarsi le scarpe. Non ebbero nemmeno il tempo di fare colazione; Kate spinse la sua amica giù per le scale e la fece uscire di casa, tra le domande che le pose e le vaghe risposte che lei le diede.
In pochi minuti le due ragazze furono all’ospedale; nonostante Kate non avesse detto niente a Jennifer, la ragazza cominciava a sospettare che ci fossero sviluppi sulla situazione del fratellino, quindi una volta arrivate lì davanti, Jennifer si mostrò più accondiscendente a seguire l’amica e addirittura entusiasta nell’entrare nell'edificio. Quando Kate e Jennifer furono nel corridoio dove era situata la stanza di Jamie, dove ormai si erano accampati la signora Kutner e il signor Tucker, Jennifer corse incontro alla mamma e la strinse con forza, nello stupore della donna. << Jamie come sta? >> Chiese lei sperando in qualche buona notizia, ormai sicura di quello.
Ma la madre infranse le sue speranze. << Purtroppo non abbiamo ancora risposte… >> Mormorò mostrandosi delusa. L’espressione speranzosa di Jennifer sparì dal suo viso, e la ragazza si voltò verso l’amica, inarcando un sopracciglio.
Anche Kate sembrò confusa, ma non perse ancora le speranze. Fece segno a Jennifer di avvicinarsi e le parlò lontano dagli altri, dicendole della visita di Slender Man quella mattina e di ciò che le aveva detto.
<< Pensavo che dovessi stare lontana da Slender Man! >> Ribatté Jennifer quando sentì quello e si arrabbiò un poco sapendo che Kate era venuta a contatto con il mostro, mostrando così anche di preoccuparsi ancora per lei, nonostante tutto quello che le fosse capitato.
<< Non è troppo, una piccola visita di qualche minuto! Specialmente se è per aiutare te! >> Rispose a tono Kate, cercando di mantenere la voce bassa come la sua amica, per non farsi sentire dagli adulti lì vicino. Jennifer si sentì grata all’amica per quello che aveva fatto, anche se una parte di lei avrebbe voluto che l’amica restasse lontana da Slender Man…
Con la speranza di vedere Jamie svegliarsi da un momento all’altro, le due ragazze rimasero ad attendere nel corridoio, assieme ai due adulti. Inizialmente la speranza schizzava fuori dalle ragazzine rendendole attive e vivaci, come se fossero sicure che il fratellino di Jennifer si sarebbe risvegliato e riabilitato completamente, ma dopo un po’ di tempo, l’eccitazione diminuì, e mentre Jennifer continuava ad aspettare con pazienza, Kate cominciò a chiedersi se non fosse stata imbrogliata…
Più i minuti passavano e diventavano ore, più il timore di essere stata raggirata da Slender Man si faceva grande in Kate, che temeva una reazione incontrollabile della sua amica a quella situazione. Jennifer avrebbe potuto infuriarsi incolpandola di averle mentito, avrebbe potuto non volerla più vedere per aver giocato così con la vita di suo fratello, ma lì Kate sarebbe rimasta in svantaggio, essendo stata raggirata anch’essa da Slender Man. Era così? Anche Slender Man poteva mentire? Quell’essere maligno e sadico era capace di archittetare tranelli contorti e uccidere chiunque si mettesse sulla sua strada pur di arrivare al suo scopo. E qual era il suo scopo lì? Allontanare Jennifer da Kate per poter rimanere l’unico punto saldo nella vita della ragazzina, questo era ciò a cui mirava, Kate ne era sicura, ma non avrebbe lasciato che attuasse il suo piano, non lo avrebbe permesso!
Nonostante Kate fosse decisa a non darla vinta a Slender Man, non aveva idea di come giustificarsi con Jennifer; erano passate troppe ore perché Jamie potesse risvegliarsi, Kate era stata presa in giro, e con lei anche Jennifer, che sarebbe uscita devastata da quella giornata. Kate intercettò lo sguardo confuso e innocente di Jennifer, che giustamente si era aspettata di vedere suo fratello aprire gli occhi e uscire da quell’incubo in cui era finito, ma era rimasta delusa, anche se ancora non aveva realizzato il fallimento e il raggiro… Kate sentì il cuore accelerare quando i suoi occhi si posarono su di sé; dicevano chiaramente: “che cosa succede?”
Kate non lo sapeva che cosa stava succedendo, o meglio sapeva cosa era successo, ma non sapeva che cosa sarebbe successo. Sapeva che era stata imbrogliata e che doveva scusarsi con la sua migliore amica per averla delusa, e sapeva che avrebbe dovuto regolare i conti con Slender Man, ma non sapeva se ci sarebbe riuscita, al loro prossimo incontro; peggio di tutto, non sapeva più se Jamie si sarebbe risvegliato.
Kate fece un passo in direzione di Jennifer; il sole stava tramontando, la giornata era passata senza che nessuna delle due ragazze se ne accorgesse. << Jennifer… >> Mormorò Kate avvicinandosi all’amica. La ragazza guardava con occhi spalancati nella stanza del fratello, attraverso il vetro trasparente sulla parete. << Mi dispiace… >> Sussurrò a bassa voce. Jennifer non rispose; era davvero arrabbiata. Kate sospirò, sapendo di non poter riacquistare la fiducia che Jennifer aveva sempre riposto in lei, ma sperando di poter risolvere quel malinteso. << Siamo state raggirate entrambe. Slender Man mi ha usata per illuderti e portare in te altro dolore e delusione, ma lo ha fatto soprattutto per allontanarci l’una dall’altra! >> Cercò di farsi comprendere dall’amica, sapendo di non poter essere convincente. << So di non poterti chiedere di perdonarmi… >> Disse chiudendo gli occhi. << Ma voglio solo farti sapere che non era mia intenzione ferirti. >> Kate concluse il suo discorso tornando a guardare negli occhi dell’amica, sperando che questa le desse qualche risposta, che almeno le rivolgesse lo sguardo.
Ma lei non la guardava. Jennifer era distratta da qualcosa che stava avendo luogo nella stanza davanti ai suoi occhi; era incredula. << Non è possibile… >> Mormorò non riuscendo a trattenere un sorriso estasiato. Dall’altra parte del vetro, suo fratello Jamie stava aprendo gli occhi. I macchinari che erano stati collegati al suo corpo avevano cominciato a dare dei segnali e subito un infermiere era corso a controllarlo incredulo.
Anche la mamma di Jennifer se ne accorse. Senza che le fosse concesso di entrare, la donna spinse via la porta e fece irruzione nella stanza, con al seguito Jennifer e Tucker, increduli. Jamie era ancora in uno stato simile al sonno, ma si muoveva, sbatteva le palpebre e si guardava intorno. Sua madre cominciò a ricoprirlo di baci, mentre Jennifer lo stringeva ancora incredula, cercando di capire se stesse sognando o se quella fosse la realtà. Kate rimase sulla soglia della porta, a fissare confusa la scena, mentre Tucker faceva lo stesso con più esntusiasmo.
L’uomo si girò sorridendo a Kate, suscitando così in lei un sorriso incerto. Quella sua reazione forse insospettì Tucker, forse no, ma fece alzare lo sguardo a Jennifer, che la fissò con un sorriso pieno di gratitudine. Kate vide le lacrime sul suo viso, e capì di averla aiutata, per una volta, di essere stata lei l’amica, anche se il suo gesto era stato qualcosa di effimero, perché in fondo Jamie si sarebbe risvegliato comunque… Jennifer non riusciva a smettere di piangere, ma né Kate, né sua madre, né il signor Tucker la fermarono, perché piangere in quella situazione non era una cosa brutta, non era un male. E nei pianti Jennifer rivolse di nuovo lo sguardo verso la sua amica e le sorrise in un modo che a Kate sembrò quasi estraneo, un sorriso carico di felicità e speranza, un sorriso che quasi parlava.
“Grazie Kate.”

 

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Capitolo 45
*** Grazie ***


Kate si svegliò con calma quella mattina. Jennifer era rimasta con sua madre, ora che Jamie si era risvegliato voleva restare ad aiutare e occuparsi di lui. Kate le aveva detto che si sarebbe occupata lei di spiegare la situazione a scuola; era lunedì, e la scuola era stata riaperta. Pensava che sarebbe stata una giornata difficile, la sua migliore amica non era più con lei, ma stranamente, ora non aveva più tanta paura di incontrare Slender Man, né di affrontare una nuova giornata di scuola…
Quando fu in cucina, Kate si preparò una tazza di latte velocemente, con l’intenzione di fare in fretta quella mattina… I suoi genitori erano già a lavoro, quindi non doveva preoccuparsi di fare presto per evitarli, ma non voleva fare tardi a scuola proprio quel giorno…
Mentre faceva colazione, la figura di Slender Man comparve sulla soglia della porta; Kate sapeva che sarebbe arrivato, quasi sorrise quando lo vide comparire proprio come aveva immaginato. Gli rivolse uno sguardo lieto, ma che faceva capire chi era il capo in quella situazione, giusto per continuare a tenere una certa distanza tra loro.
<< Jamie si è risvegliato. >> Disse alzando lo sguardo dalla sua tazza e sorridendo leggermente per un nanosecondo. In un istante, Kate si pentì del suo gesto.
Lo sapevo già. Rispose ingenuamente Slender Man. Era ovvio che lo sapesse, lo aveva detto lui a Kate, quindi probabilmente si stava chiedendo perché lei glielo avesse appena detto.
Kate esitò, sapendo che Slender Man avrebbe continuato a rispondere come una macchina, in modo ovvio. Era difficile parlare con lui quando faceva così… << E’ che… Ieri ho cominciato a dubitare di quello che mi avevi detto… >>
Slender Man abbassò lo sguardo piegando un po’ la testa di lato. Non ti avrei mai mentito, lo sai.
Sì, come no. Commentò nella sua testa la ragazzina bevendo il latte dalla tazza e squadrando l’essere con occhi ridotti a fessure. << Ci ha messo più tempo del previsto. >> Rispose con calma riponendo la tazza sul tavolo.
Ti ho solo detto che il bambino si sarebbe risvegliato. Non ho detto quando. Precisò con tono ovvio Slender Man. Kate sapeva che avrebbe risposto così e sbuffò un po’ divertita. Slender Man notò il suo divertimento. Che c’è? Chiese alzando lo sguardo.
Kate si alzò dal suo posto e sollevò la tazza. << Niente. >> Disse tenendo lo sguardo basso e posando la tazza nel lavandino. Dopo averla sciacquata con l’acqua, la ragazza uscì dalla stanza e salì al piano di sopra per lavarsi.
Mentre era in bagno, Slender Man aspettò fuori, quasi come se ormai avesse imparato a stare al suo posto, a non invadere la sua privacy. Dopo che si fu lavata e vestita, Kate uscì dalla sua stanza a passi rapidi ma rilassati, nonostante un leggero malditesta di cui aveva imparato a ignorare gli effetti. Trovò Slender Man davanti alla porta ad attenderla. Aveva in una mano il suo zaino scolastico, e Kate si girò confusa per capire come mai lo avesse lui; pensava di averlo in camera sua, ma poi si ricordò di avere l’abitudine di lasciarlo tutte le mattine all’entrata; Slender Man doveva averlo preso per darglielo. E infatti, quando fu scesa, l’essere alzò la mano porgendole lo zaino, che accettò quasi sorridendo al mostro.
Buona giornata, Kate. Disse lui piegando la testa verso di lei.
Kate lo guardò un po’ intimorita da quella situazione, ma per battere la paura diede un colpetto al fianco di Slender Man. << Sì. >> Disse piegando un labbro. << Grazie, Slend. >>
Detto questo, Kate girò attorno all’uomo alto e uscì di casa, chiudendo a chiave la porta dietro di sé.

 

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Capitolo 46
*** Scuola ***


Kate fece la strada per la scuola scortata da Slender Man, in un certo senso: l’essere l’aveva seguita da lontano, osservandola con attenzione e controllando che attorno a lei non ci fossero pericoli che avrebbero potuto mettere a repentaglio la sua vita. Quando era arrivata a scuola, Slender Man aveva dovuto nascondersi per non farsi notare, ma capì che non avrebbe avuto bisogno di spiare Kate da così vicino, quindi decise di lasciarla in santa pace per un po’ di tempo, senza allontanarsi troppo, però…
Tommy salutò Kate con un largo sorriso quando entrò in classe. << Abbiamo finito di riposare, eh? >> Disse scherzando. La risposta di Kate fu però cupa e inquietante, e lasciò spiazzato il ragazzo.
<< Avrei preferito rimanere a scuola, piuttosto che non venire per la morte di qualcuno… >> In effetti, Kate aveva ragione: avrebbe preferito andare a scuola, se avesse potuto evitare la morte di Becky Johnson, ma forse il messaggio fu incompreso da Tommy, oppure fu semplicemente inaspettato.
<< Già… >> Rispose incerto Tommy spostando lo sguardo. << Indubbiamente sarebbe stato meglio… >> Kate cercò di capire cosa ci fosse nel suo sguardo; era come se avesse paura di guardarla negli occhi, aveva qualcosa di strano quel giorno, Tommy…
<< Stai bene? >> Chiese senza preoccuparsi tanto di essere indiscreta. << Hai uno strano aspetto oggi. >> Disse priva di tono. Anche lei si sorprese del modo in cui parlò.
Tommy alzò lo sguardo interrogativo. << Cosa? Ah, no, non ti preoccupare, è solo che ho dormito poco bene ultimamente… >> Disse il ragazzo imbarazzato. Aveva un aspetto stanco, ma Kate avrebbe detto che stava bene, nonostante tutto.
Tommy fece uno sforzo per incrociare il suo sguardo, ma sembrò davvero difficile per lui mantenere quella posizione. Kate si sentì come indesiderata, o qualcosa del genere, come se la sua presenza lo mettesse a disagio. << Sei sicuro di stare bene? >> Chiese avvicinandosi e alzando una mano per posargliela sulla fronte.
Tommy non si sottrasse al tocco di Kate e sospirò. << Forse… >> Disse chiudendo gli occhi mentre Kate gli tastava la fronte. << Ma non preoccuparti per me! Tu, piuttosto, sembri pallida… >> Disse cambiando discorso e tono di voce, mostrandosi più sicuro di sé. Kate cercò di deviare quella domanda.
<< Che dici? Io sono sempre pallida! >> Disse ridacchiando, sapendo di non avere del tutto ragione. Abbassò lo sguardo un po’ in colpa per aver tentato di mentire a Tommy e lui notò il suo stato d’animo.
<< Ehi, cosa c’è, Kate? >> Chiese cercando di incontrare il suo sguardo, questa volta. Kate alzò lo sguardo pensando di dover parlare a Tommy di qualcosa importante.
<< E’ che… >> Si fermò per un istante. << Jennifer oggi non può venire. >> Disse rapidamente cambiando tono, da profondo a più solare, anche se poco vivace. << Suo fratello… E’ stato piuttosto male, e ora che sta meglio vuole restare a occuparsi di lui. >> Disse velocemente, come se volesse uscire da quella situazione più in fretta possibile.
Tommy la guardò preoccupato. << Niente di grave, spero… >> Chiese alzando una mano alla vita.
Kate gli lanciò uno sguardo mesto. << Più o meno… Tu hai notato qualcosa in lei, sabato, quando siamo usciti insieme? >> Chiese per controllare se fosse tanto evidente la situazione dell’amica.
Tommy abbassò lo sguardo confuso e si mise a pensare. << Sabato? >> Chiese inarcando un sopracciglio. << No, mi pare che stesse bene. >>
Kate sospirò, incerta se essere felice o triste di quella notizia. Quando Tommy le chiese altre informazioni, Kate si rifiutò di dargliele. << Ti potrò dire di più quando ci avrò capito qualcosa anch’io, di questa incredibile vicenda… >>
Era strano. Si sentiva come se Slender Man non fosse più un segreto, qualcosa da nascondere, ma adesso si prendeva pure la libertà di fare quel tipo di dichiarazioni con chiunque, quasi come se si fosse abituata a quella situazione e non potesse aspettare più fino alla fine; in fondo tutta quella vicenda le stava stravolgendo la vita, si stava stancando di pazientare e nascondersi fino alla fine di tutto… Voleva tornare a vivere la sua vita normale, e forse quello era l’unico modo: continuare come se fosse tutto normale, ignorando la situazione, come se fosse diventata parte della sua stessa vita.
<< D’accordo, Kate. >> Tommy non insistette e si voltò salutandola con la mano. << Ti parlo dopo, ora sta arrivando la prof… >> Ancora quella sensazione. Ancora una volta Kate sentì come se Tommy si sentisse a disagio a sostenere il suo sguardo, a solo stare accanto a lei. Cos’aveva di strano quel giorno? Prima Kate pensò che fosse Tommy, a non sentirsi bene, ma poi un’altra ipotesi si fece spazio nella sua mente.
E se fosse stata lei, ad essere diversa? Se ci fosse qualcosa di diverso nel suo sguardo che facesse sentire a disagio Tommy e tutti gli altri facendogli desiderare di starle lontano? Abbassò lo sguardo e finì per posarsi sulla sua mano; la portò al volto e si tastò il lato destro della faccia, cercando di capire se fosse cambiata, se fosse sempre lei…
 
*
 
<< Tommy! >> Chiamò Kate correndo verso il ragazzo che se ne stava vicino a un pilastro nel corridoio. Tommy girò lo sguardo verso di lei e sorrise. Ottima reazione. << Mi stavo chiedendo… >> Disse pensierosa quando lo ebbe raggiunto. Non sapeva bene di cosa gli avrebbe parlato, voleva solo provare a vedere se Tommy si sarebbe ancora comportato in modo strano, come quella mattina. << Hai detto di aver visitato Alex Huges, tempo fa, giusto? >> Chiese aggiustando il suo tono di voce e la sua espressione, cercando di sembrare interessata, più che confusa.
Tommy annuì. << Volevi chiedermi qualcosa al riguardo? >> Chiese staccandosi dal muro e guardando verso di lei.
Kate annuì pensando in fretta a cosa chiedergli. Si sentì come messa in trappola e cominciò a sentire caldo mentre si guardava intorno in cerca di qualche spunto; attorno a loro passavano rapidi ragazzi e ragazze, mentre altri stazionavano lungo le pareti, conversando a voce piuttosto alta, come se volessero farsi sentire da tutti. Alla fine Kate scelse una qualsiasi proposta e decise di aprire la bocca:<< Mi stavo chiedendo se per caso potessi aiutarmi a visitarlo… >>
Tommy sembrò sorpreso. << Chi, Alex? Perché, lo conoscevi? >>
Kate scosse la testa guardando Tommy con occhi ingenui. << No, però sono curiosa, e vorrei capire di più di questa storia… >> Tommy sembrò sconcertato.
<< Sarà difficile. Ti ho detto che per poco non riconosceva me, quando sono andato a trovarlo… Potrebbe reagire male… >>
Kate a quel punto fece un sorrisetto e guardò furbamente Tommy; con voce dolce disse:<< Non se mi accompagni tu… >>
Tommy divenne rosso in faccia a quel punto e si schiarì la voce un paio di volte. << Sì… Forse sarà meglio che venga anch’io… Ehm… >> Adesso stava cercando di guardare da un’altra parte, come prima, ma Kate era abbastanza certa che non fosse per lo stesso motivo di prima; sembrava voler cambiare argomento. Forse Jennifer non si sbagliava poi così tanto, riguardo a Tommy… << Comunque, sai, mi stavo chiedendo una cosa… >>
<< Sì…? >> Chiese Kate continuando a stuzzicarlo con sorrisetti e vocina dolce. Si stava divertendo.
<< L’altro giorno, quando, sai, è successa… Quella cosa… Una ragazza è venuta a cercarti in classe… Chi era…? E perché è venuta da te, dopo… >> Sembrò in difficoltà; tra l’imbarazzo e la delicatezza dell’argomento che aveva scelto, Tommy procedette nella conversazione con cautela.
Kate perse il sorriso e si ricordò immediatamente di Karen. << Oh. >> Fece spalancando gli occhi. << Karen è una ragazza più piccola che Becky tormentava sempre… >>
Tommy annuì interessato. << E questo cosa ha a che fare con te? >> Chiese tornando a guardarla seriamente negli occhi.
Kate si sentì in colpa senza bene sapere perché, e ricordare Karen la fece stare ancora peggio. << Avevo promesso a lei che sarei stata dalla sua parte, se Becky l’avesse infastidita ancora… Era… Sola… >> Capì perché si sentisse così in colpa: Karen aveva recentemente cercato di uccidersi, e lei non l’aveva aiutata in nessun modo; si era completamente scordata di lei, dopo aver lasciato la scuola, quel martedì da incubo… Sospirò sconfortata. << Sono… Un mostro… >>
<< Che cosa? >> Chiese Tommy senza capire di cosa parlasse. Kate abbassò lo sguardo.
<< Non ci sono stata, quando ha avuto bisogno di me… Lei… Lei ha cercato di uccidersi, Tommy! >> Non sapeva perché si stesse sentendo così in quel momento, aveva come un peso enorme sul petto, e nessun pensiero sembrava in grado di aiutarla.
Tommy sbalordì quando sentì quello. << Cosa? Ma… >> Si bloccò pensando con attenzione a cosa dire per aiutare Kate. << Non potevi saperlo, Kate… Chissà cosa le passava per la mente, quando lo ha fatto, no…? E… E poi se parli così, significa che è ancora viva, no? >> Anche lui non sapeva cosa dire in quella situazione; la notizia del tentato suicidio di Karen lo aveva spiazzato, nonostante non la conoscesse; era stata completamente inaspettata.
Kate evitò di mettersi a piangere e annuì piano. << Penso tu abbia ragione… >> Però sembrò poco convinta di quello. Anche Tommy se ne rese conto e cercò di rimediare in fretta.
<< Ehi, senti… >> Le mise le sue mani sulle spalle e lei alzò lo sguardo. << Dimentichiamoci di tutti questi problemi, d’accordo? Ho sentito che presto verrà organizzata un’altra festa, manca poco alla fine della scuola, potrebbe essere l’ultima che  faranno; che ne dici se ci andiamo insieme, io, tu e Jennifer? >>
Kate si sforzò di sorridere a quella proposta. Di solito preferiva evitare le feste, a meno che non ci fosse anche Jennifer e non le facesse una marea di moine per poterci andare, ma pensava che anche se la sua migliore amica non sarebbe stata disponibile, avrebbe potuto andarci con Tommy, si sarebbe potuta divertire anche con lui… << Uhm… Non ne sapevo niente… >> Disse a voce bassa cercando di non far notare la voce rotta.
Tommy sorrise. << Se vuoi, posso andare a informarmi… >>
Kate ci pensò rapidamente e annuì, causando la rapida reazione di Tommy: il ragazzo si staccò da lei e sorrise di nuovo, dicendole che si sarebbe informato, prima di voltarsi e inoltrarsi nel corridoio pieno di gente. Ancora una volta, Tommy diede quella strana sensazione a Kate: il modo in cui si era rapidamente congedato da lei, come se n’era andato… Sembrava che qualcosa l’avesse fatto allontanare da lei…
Kate lo guardò sparire in mezzo agli studenti e sbatté le palpebre rapidamente, chiedendosi cosa significasse quella sensazione. Io gli faccio paura? Si chiese tornando a guardarsi la mano ancora una volta.
Kate andò in bagno; forse si stava solo immaginando cose che non esistevano. Decise di sciacquarsi la faccia per bene e si controllò con attenzione allo specchio. Non sembrava esserci niente di strano, niente di innaturale, a una prima vista, ma poi si fermò a guardare i suoi occhi; quegli occhi neri e profondi, erano diversi… Notò una strana luce, un riflesso confuso che la inquietò istantaneamente; immediatamente, senza sapere perché, Kate sentì una repulsione verso quello sguardo, come se fosse impossibile per lei guardare quei suoi stessi occhi. Si allontanò dallo specchio e lottò per non distogliere lo sguardo; era come se odiasse quell’immagine, oppure che provasse grande timore verso di essa. Senza sapere perché, Kate continuò a muoversi come se impossessata, finendo per abbassare lo sguardo sul lavandino, e per non far vedere a sé stessa di essere stata battuta, tornò a sciacquarsi il viso con più vigore, come se stesse cercando di lavare via qualcosa.
Stancamente, alzò lo sguardo. Questa volta non vide niente nel suo riflesso; era solo l’immagine di una ragazza stanca, spaventata e confusa. La sua attenzione fu attirata da qualcosa fuori dalla finestra. Inaspettatamente, si ritrovò la faccia bianca di Slender Man che la fissava. Le venne un colpo quando lo vide, ma la sua preoccupazione fu quella di nasconderlo.
Scattò verso la finestra e la aprì, chiedendogli infuriata cosa ci facesse là. Notò così che si stava sorreggendo con i suoi tentacoli; anche con la sua normale altezza, Slender Man non sarebbe riuscito a raggiungere le finestre della scuola, al secondo piano, dove era Kate.
Sto controllando che tu stia bene. Disse innocentemente Slender Man quando lei le fece la sua domanda.
<< Ma non puoi stare qui! >> Ribatté preoccupata lei sbracciandosi, tentando di farlo andare via. Cercò di mantenere un tono basso, nonostante cercasse di far capire all’essere di essere arrabbiata. << Devi andare via! >>
Slender Man sembrò non capire completamente il perché di tutta quella preoccupazione, ma sembrò non avere nulla in contrario a lasciarla lì. Va bene. Disse con calma.
<< Vai via!!! >> Ringhiò Kate spingendolo di sotto. << Ci vediamo poi a casa, aspettami là! >> Gli disse per farlo andare via.
<< Kate! >> Kate sobbalzò e si spinse indietro, chiudendo all’istante la finestra e voltandosi verso la voce che l’aveva chiamata. Era Tommy, che la guardava confuso davanti alla porta dei bagni.
<< Ehm, sì, Tommy? Cosa c’è? >> Chiese nervosamente Kate cercando di riordinarsi per non dare l’impressione di aver fatto qualcosa di strano; stava sudando terribilmente in quel momento.
Tommy la guardò divertito e continuò a parlare. << Ho chiesto gli orari agli organizzatori della festa! >> Disse alzando una mano, riferendosi alla festa di cui avevano parlato poco prima.
<< La… Festa? >> Chiese Kate confusa.
Tommy la guardò incredulo. << La festa di cui ti ho parlato! Ci sei Kate? >> Scherzò Tommy sorridendo, incredulo che la ragazza si fosse già dimenticata di quella conversazione.
<< Ah… Ah!!! La festa! >> Fece Kate alzando la voce senza accorgersene. << No, scusa, avevo altro per la testa, ma… >> Si bloccò guardando il ragazzo davanti a sè, a pochi metri da lei. << Che ci fai nel bagno delle ragazze…? >> Chiese puntando un dito verso il pavimento sotto di lui.
Tommy si guardò i piedi e poi alzò lo sguardo. Arrossì e fece alcuni passi indietro, uscendo dal bagno. << Va bene, sono fuori. Ora però devi venire qui tu, altrimenti non posso parlarti. >> Disse con tono comico. Kate ridacchiò e si avvicinò alla porta, trovandovi un Tommy imbarazzato.
<< Dimmi pure. >> Fece Kate appoggiandosi al bordo della porta.
Tommy annuì e si ricompose. << La festa sarà questo sabato, nello stesso locale dell’ultima, sai dov’è? >>
Kate annuì. << A che ora sarà? >>
Tommy pensò per qualche istante. << Hanno detto che dalle nove sarà tutto aperto, mi sa che ci sarà un po’ di casino… >>
Kate sorrise. << Lo dirò a Jennifer, poi ti farò sapere cosa farà lei, ma credo che verremo entrambe! >>
<< Ci conto! >> Fece Tommy sorridendo.
A un certo punto, suonò la campanella della fine dell’intervallo. Entrambi i ragazzi alzarono lo sguardo e tornarono a guardarsi contemporaneamente. Risero.
<< D’accordo, meglio tornare in classe. >> Disse Tommy girandosi e alzando una mano per salutare Kate. << Ci vediamo in classe, Kate! >>
Kate sorrise. << Sì, arrivo! >> E lo seguì per i corridoi fino alla loro classe.
Ancora una volta Kate aveva avuto l’impressione che Tommy sentisse una repulsione verso di lei, proprio come prima lei l’aveva provata per sé stessa… Non capiva bene cosa fosse, che cosa ci fosse di diverso nel suo sguardo, ma avrebbe dovuto scoprirlo. Avrebbe dovuto parlare con Slender Man.

 

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Capitolo 47
*** Oscurità ***


Quando Kate tornò a casa, Slender Man la accolse con calore, dicendole di essere contento che fosse tornata; come se lui non l’avesse seguita per tutta la mattinata, persino nei bagni della scuola, Kate se l’era ritrovato fuori dalla finestra.
<< Ascoltami, Slend: la nostra relazione sta diventando un po’ troppo movimentata! Se vuoi restare con me, va bene, ma dovresti imparare a non invadere i miei spazi! >> Disse Kate, non molto felice di vederlo. Slender Man, quando Kate si rivolse a lui in questo modo, sembrò confuso.
Ho fatto qualcosa di sbagliato? Chiese alzando un dito e puntandoselo al viso.
Kate rispose esasperata. << Non puoi presentarti così a scuola mia! Cosa direbbe la gente se vedesse un tizio gigantesco appeso alla finestra di una scuola, sorretto da dei tentacoli che gli escono dalla schiena? >> Esclamò esasperata, incredula che l’essere non capisse la precarietà della loro situazione. Slender Man non sembrò capire ancora.
Volevo vedere come stavi. Si giustificò pacatamente.
Kate annuì respirando profondamente. << E quello è molto gentile da parte tua, ma a scuola non potrebbe mai succedermi niente, quindi la tua preoccupazione era infondata! >> Cercò di mantenere un tono calmo, per far capire a Slender Man cosa intendesse.
Slender Man abbassò lo sguardo confuso e cercò di trovare una risposta decente. Non ne avevo idea. Disse alla fine.
Kate sospirò di nuovo. << Non fa niente. >> Detto questo si allontanò dall’entrata e andò nel salone, dove si lasciò cadere sul divano.
Slender Man la seguì lentamente, mantenendosi a una minima distanza. Qualcosa non va? Chiese.
Kate sbuffò e si tastò la fronte con una mano, mentre alzava le gambe per potersi stendere sul divano. << Sono un po’ stanca… Oggi è stata una giornata strana… >>
Slender Man la guardò cercando di intercettare il suo sguardo. In che senso “strana”? Chiese. Si sarebbe seduto sul divano, se Kate non ci si fosse sdraiata sopra, impedendoglielo volutamente…
Kate pensò alcuni secondi mantenendo lo sguardo basso; c’era qualcosa che le stava sfuggendo, e non ricordava cosa fosse: aveva deciso di fare una cosa, quando era scuola, una volta tornata a casa, ma di cosa si trattava? Alzò lo sguardo fissando la faccia bianca di Slender Man, e quando notò che lui continuava a fissarla negli occhi, si ricordò del comportamento di Tommy quella mattina. << Slend… >> Disse con tono flebile. << C’è qualcosa di diverso in… Me…? >> Chiese timorosa; aveva paura di scoprirlo, in realtà, ma sapeva che se c’era qualcosa di diverso in lei, allora doveva saperlo, doveva essere conscia del suo stato e, nel caso fosse cambiato qualcosa, comprendere se fosse un bene o un male.
Slender Man la guardò qualche secondo prima di rispondere. Non credo di capire cosa intendi. Disse scuotendo piano la testa da destra a sinitra. Kate sapeva che avrebbe risposto così, ora non restava che capire se fosse sincero…
Sospirò. << C’è qualcosa di diverso… Nel mio sguardo, o nella mia personalità? Qualcosa che prima non c’era, e che potresti aver portato tu? >> Kate stava pregando perché l’essere rispondesse di no, perché dicesse che quella sensazione che aveva avuto per tutta la mattina non fosse stata altro che la sua immaginazione.
Spostò lo sguardo, per non guardare in faccia Slender Man mentre le dava quella risposta, finendo per fissare il pavimento con espressione sconsolata.
Slender Man sembrò pensare con cura alla risposta, ma quando entrarono le parole nella testa di Kate, quelle sembrarono essere quasi scontate. La mia influenza può cambiare profondamente l’animo e la mente di un soggetto normale. Kate lo sapeva questo. Ma quello non è il tuo caso, poiché tu sei diversa da qualsiasi essere umano. Kate sapeva anche questo, anche se non le sembrava di poter essere davvero così unica… Tuttavia, la tua mente, il tuo corpo, la tua anima, possono assimilare la mia influenza, col tempo, rendendoti più simile a me…
Questo lo… Kate si fermò mentre pensava a quella cosa; questo non lo sapeva, non completamente. Alzò lo sguardo, incredula e adirata. << Questo non me lo avevi detto! >> Lo accusò alzando il tono di voce.
Slender Man sembrò non capire. Che cosa non ti ho detto? Chiese innocentemente.
Kate saltò via dal divano e gli puntò un dito contro. Quello indietreggiò con la pancia e piegò il collo in giù per fissare la punta dell’indice di Kate.
Kate non vacillò questa volta. << Che cosa mi renderebbe più simile a te? >> Chiese tenendo fisso lo sguardo su Slender Man. L’essere spostò lo sguardo lentamente dal dito della ragazza ai suoi occhi, e raddrizzò la schiena.
Non si tratta di niente di drastico, non temere. La rassicurò cercando di suonare amichevole, ma Kate non gli credette. Con il tempo, la tua mente e il tuo corpo si abituano alla mia presenza, assimilando gli effetti della mia influenza, rendendoti più simile a me. Non cambia niente nell’aspetto né nel modo di pensare… Sei sempre umana, ma hai una resistenza maggiore alla mia influenza, e il tuo potere psichico è aumentato.
Kate sgranò gli occhi. Questo che cazzo significa? Si chiese cominciando a tremare. Quella cosa le fece una paura enorme, pur senza sapere di che cosa si trattasse esattamente. << Potere… Psichico? >> Chiese cercando di mantenere la calma, senza abbassare il dito, quasi come se fosse un’arma.
Slender Man sembrò mettersi a ridere. Non preoccuparti. Non sei in grado di leggere nella mente delle altre persone, ma puoi controllare meglio i tuoi pensieri, resistere di più alla mia influenza e comunicare con me. Per un attimo Kate aveva creduto di essere diventata qualche strano ibrido dai poteri sovrannaturali, ma in qualche modo la spiegazione di Slender Man la calmò, e abbassò finalmente il dito. In fondo, non le interessava comunicare con quell'essere

<< Quindi… Cosa c’è di diverso? >> Chiese sperando in una risposta chiara e definitiva. Slender Man sembrò frustrato dal fatto che Kate non avesse ancora capito. << Il mio amico oggi mi ha guardata in modo strano, come se fossi diversa… >> Spiegò con tono cupo.
Slender Man incrociò le lunghe braccia. Diversa? Chiese. Inarcò la schiena in avanti e le chiese di non muoversi, avvicinò il viso a quello di Kate molto più di quanto la ragazzina gli avrebbe concesso, ma nonostante il disagio, Kate cercò di sopportare quella situazione. Slender Man sembrava fissare nel profondo della sua anima, proprio attraverso i suoi occhi neri. A un certo punto tornò indietro. Che cosa aveva visto? Kate forse non lo avrebbe voluto sapere, ma per lo stesso motivo di prima, fece di nuovo la stessa domanda:<< C’è qualcosa di diverso in me? >>
Slender Man sembrò incerto se dire a Kate cosa aveva visto o no, ma dopo una lunga riflessione, si mise a spiegare. Nei tuoi occhi c’è una traccia dell’influenza… Disse alzando una mano e spiegando come se fosse un professore universitario. Un segno visibile di ciò che non lo è. E’ come una macchia di oscurità, compare e scompare, casualmente.
Kate trasalì quando sentì quella spiegazione. Una macchia nei suoi occhi? Come era potuto succedere? Come lo avrebbe spiegato ai suoi genitori, o al signor Tucker, o a chiunque altro, quando se ne sarebbero accorti? E se quella macchia si fosse allargata? Se crescesse col passare del tempo condiviso con Slender Man? Cosa avrebbe fatto?
Kate aveva immaginato cosa sarebbe potuto succedere da quel momento in poi, ma forse si trattava di qualcosa di semplice e talmente insignificante da passare inosservato ai più… Ma Tommy se n’era accorto, o era stato qualcos’altro?
Posso comprendere i tuoi dubbi. Disse Slender Man attirando la sua attenzione. Anch’io ne sono sorpreso. Non ci sono variazioni in ciò che ho detto precedentemente, comunque. Tu sei sempre umana, e la tua mente è più forte. Kate alzò lo sguardo confusa.
<< Quindi che cosa fa questa cosa? >> Chiese disperata puntandosi l'indice sull'occhio sinistro. Aveva paura.
Slender Man la fissò negli occhi, cercando di farle coraggio. Gli esseri umani che vedono la macchia ne sono impauriti, ma non ha altri effetti sulla loro mente.
Kate trattenne il respiro, fissando la faccia bianca dell’essere con la bocca mezza aperta. Si voltò e si accasciò a terra nascondendo il viso tra le ginocchia e cominciando a piagnucolare come una bambina; un lungo e acuto lamento soffocato uscì dal suo petto, e le lacrime cominciarono a bagnare i suoi occhi.
Se può essere di aiuto, la macchia non è sempre visibile… Aggiunse Slender Man, cercando di confortare un po’ la ragazzina. Era impossibile; Kate si sentiva come se le stesse crollando il mondo addosso, non riusciva più a sopportare tutta quella pressione su di sé, e ora anche quella cosa l’avrebbe annientata! Era diventata qualcosa che agli uomini faceva paura, era qualcosa che li disgustava e li faceva scappare via! Non sapeva se sarebbe riuscita a vivere con quel peso…
Kate non osò alzare lo sguardo dal suo nascondiglio, dove si era rintanata. Non voleva nemmeno rischiare di incontrare lo sguardo di Slender Man, l’essere che le aveva cambiato la vita così drasticamente, l’origine di tutti i suoi dubbi e timori, nonostante potesse anche essere in grado di confortarla… Non voleva nemmeno incontrare il suo di sguardo, riflesso in qualche specchio
 Non voleva altre pessime notizie, voleva solo rimanere lì ranicchiata a piangere.
Sono diventata un mostro…?

 

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Capitolo 48
*** Dolore ***


Kate aveva la testa piena di dubbi e paure, temeva che la sua amica non sarebbe più riuscita a guardarla negli occhi, dopo quello che aveva scoperto da Slender Man; temeva che nessun altro sarebbe più riuscito a guardarla o ad avvicinarsi a lei senza provare disgusto, rabbia o paura…
Nonostante la sua situazione, Kate aveva appena ricevuto un messaggio di Jennifer, chiedendole di raggiungerla all’ospedale dove era ricoverato suo fratello; il piccolo Jamie si era svegliato, ma la tortura per Jennifer e sua madre sembrava non essere ancora finita…
Kate raggiunse subito l’ospedale, non voleva far aspettare la sua amica, e quando la vide seduta in quel corridoio, lo sguardo rivolto verso la parete opposta, dove c’era la stanza del fratello, ebbe l’impulso di salutarla ad alta voce, di sorriderle, ma qualcosa la fermò: la sua posa, con la schiena eretta e le braccia incrociate al petto, e i suoi occhi arrossati, assieme al cipiglio infastidito, le fecero capire che Jennifer non avrebbe risposto al saluto con piacere.
Quando arrivò accanto a lei, Jennifer sembrò quasi non accorgersi di lei. << Ehi… >> Disse piano Kate alzando una mano, cercando di capire cosa avesse.
Jennifer espirò dalle narici abbassando le palpebre per un secondo e girò lo sguardo verso la sua amica, in piedi alla sua destra. Gli occhi della ragazza tornarono a fissare il vetro della stanza di fronte a loro. << Continua a stare lì, continua a provarci… >> Sussurrò con astio nella voce. Kate non capì di cosa stesse parlando, quindi cercò di guardare attraverso il vetro della stanza.
Nella camera dove era ricoverato Jamie, c’era la signora Kutner seduta accanto al letto del bambino, sembrava parlargli, ma lo sguardo vuoto del ragazzino faceva capire che le sue parole non lo raggiungevano. Che cosa?
<< Prova sempre a parlargli, a farsi sentire in qualche modo da lui… >> Continuò Jennifer, questa volta con la voce rotta dal pianto, come se stesse per scoppiare in lacrime. Ma il suo sguardo era di ghiaccio.
Kate guardava confusa e spaventata la finestra di fronte a sé, cercando di capire quale fosse il problema con Jamie.
<< Lei continua a sperare, perché non sa niente… >> Disse Jennifer staccando le braccia e posandole sulla panchina su cui era seduta. << Noi invece sappiamo, Kate. Sappiamo cosa gli è successo… >> Alzò lo sguardo. Gli occhi di Kate incontrarono i suoi, e la ragazzina si rese conto che Jennifer stava già piangendo. << E sappiamo che non tornerà mai più. >> Concluse piangendo. << Non è vero? >> Chiese dopo cercando una risposta negli occhi dell’amica. Kate non sapeva che cosa rispondere; perché Jamie stava così? Non si era ancora ripreso da quello che era successo?
No.
Quando era stato ricoverato, i dottori avevano detto che aveva riscontrato danni al cervello. Non era possibile che fosse successo qualcosa di grave, vero?
No.
Kate girò lo sguardo verso il bambino; gli occhi opachi e spenti erano rivolti verso di lei, ma non la vedevano. Erano vuoti, privi di vita. Jamie non avrebbe più sorriso come un tempo, i suoi occhi non avrebbero brillato più ogni volta che Jennifer gli sarebbe stata accanto, non sarebbe più stato lo stesso bambino felice e sorridente che era un tempo.
Slender Man.
<< E’ colpa mia, vero…? >>
Kate girò lo sguardo allibita verso la sua amica. Jennifer aveva la testa reclinata verso il basso, stringeva i pugni poggiati sulle sue gambe e il suo corpo sussultava irregolarmente. << Che stai dicendo?! >> Esclamò Kate senza capire cosa dicesse la sua amica. Se si sarebbe dovuta attribuire la colpa di quello che era accaduto a qualcuno, Kate si sarebbe fatta avanti subito, ma Jennifer l’aveva preceduta, lasciandola di stucco.
<< E’ colpa mia se Slender Man ha colpito mio fratello, non è vero? Se non avessi cercato di rispondergli, se non avessi sostenuto il suo sguardo con tanta decisione… >> Jennifer lasciò la frase a metà, cominciando a piangere troppo forte per potersi controllare.
Kate si sedette accanto a lei mettendole una mano attorno alle spalle. << Non provare a dirlo nemmeno per scherzo! >> Le fece tristemente. Kate non sapeva se Slender Man avesse agito per vendicarsi del comportamento di Jennifer oppure se tutto quello che era accaduto fosse stato solo uno sfortunato incidente, ma non avrebbe lasciato che Jennifer si annientasse per il senso di colpa. << Quello che è successo, è successo perché Slender Man era nel posto sbagliato al momento sbagliato! E’ colpa mia se lui era in camera tua, quel giorno! Sono io quella che ha fatto questo a Jamie! >>
Jennifer scosse la testa e si nascose il viso tra le mani. << Io ti ho convinta a chiamare Slender Man quel giorno…>> Non andava bene; era un continuo ping-pong di confessioni, entrambe le ragazze volevano prendersi la colpa di ciò che era successo, ma ognuna continuava a dire qualcosa di più grande… Jennifer non si sarebbe arresa, per poter trovare qualcosa che avrebbe distratto la sua attenzione dall’attuale stato di suo fratello; Kate voleva alleggerire il peso che gravava sulle spalle dell’amica, prendendosi la colpa di ciò che era accaduto, ma sapendo che sarebbe stato inutile…
Jennifer sospirò. << Mi stanno venendo in mente tutte le volte… Tutte quelle volte che l’ho trattato male, quando eravamo piccoli… >> Kate alzò lo sguardo cercando di vedere attraverso le mani dell’amica. Jennifer spostò le mani dal viso, e Kate scoprì che uno strano sorriso nostalgico le era comparso sul volto. << Tutte quelle volte che gli ho fatto qualche dispetto, per gelosia… >> Guardava di nuovo nella stanza del fratello. << Non gli ho mai chiesto scusa per la mia cattiveria… E non lo potrò fare mai… >> Tornò a nascondere il viso sotto alle mani, ma questa volta Kate la anticipò e la costrinse a guardarla negli occhi.
A primo impatto, Jennifer sembrò confusa e disorientata quando Kate le afferrò il viso, ma poi i suoi occhi lucidi si fermarono su quelli dell’amica, decisi, quasi come se la stessero rimproverando. << Io ti prometto che ci riuscirai. Gli chiederai scusa. >> Disse guardandola dritta negli occhi. Era una promessa, voleva riuscire ad aiutarla sul serio, non sapeva come ancora, ma lo avrebbe fatto.
Jennifer la guardò impaurita, quasi come se sapesse che quello che le stava promettendo fosse impossibile da avverare, ma il suo sguardo si sciolse e la ragazza si abbandonò a un abbraccio dell’amica. << Oh, Kate…! >> Pianse stringendola più che poteva.
Kate non poté fare altro che accogliere il suo corpo e stringerla con forza, cercando di darle un po’ di coraggio così. Doveva parlare con Slender Man e chiarire quella situazione, trovare un modo per rimettere a posto le cose, ma al momento, l’unica cosa che poteva fare era confortare la sua amica, aiutare Jennifer.
Perché loro erano amiche, nonostante lei stesse forse diventando un mostro, nonostante potesse incuterle paura, non avrebbe mai abbandonato la sua amica. Sarebbe sempre rimasta al suo fianco, pronta a sostenerla, e così avrebbe fatto Jennifer, o almeno era quello che sperava Kate…
Dopo tutto quello che ti ho fatto, Jennifer, non mi sorprenderei se mi abbandonassi…

 

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Capitolo 49
*** Paura ***


Quella sera i genitori di Kate cenarono in silenzio. Sembrava che sentissero il desiderio della ragazzina di non parlare con loro, di non essere disturbata per nessuna ragione, oppure, quell’oscurità nei suoi occhi aveva contagiato anche loro…
Il fatto era che Kate non riusciva nemmeno a concentrarsi sulla cena; mangiava, ma la forchetta le scivolava tra le dita tremanti, e molto lentamente portava il cibo alla bocca e lo ingoiava quasi con fatica. I pensieri affollavano la sua mente e la confondevano, tanto da farle assumere una faccia addormentata, con lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi opachi.
Il suo aspetto inquietante preoccupò sua madre, che dopo aver cercato aiuto dal marito, si lanciò nel tentativo di aprire una conversazione con lei:<< Katy, non hai fame? >> Chiese protraendosi in avanti sulla sedia, entrando di sbieco nel campo visivo della figlia.
A Kate non diede nemmeno fastidio il modo in cui la madre la chiamò; scosse la testa piano mentre il pugno sinistro si spingeva contro la sua guancia per sorreggerla. << Sono stanca… >> Disse con poca vitalità. Non voleva dire molto ai suoi genitori, perché sapeva che non l’avrebbero capita, ma non voleva nemmeno negare di stare male.
<< In effeti non sembri stare molto bene… Sei pallida… >> Disse la madre, sollevata dal fatto che la figlia avesse risposto.
Kate sospirò un po’ infastidita, sperando che la madre non stesse aspettando una risposta, ma quella rimase in attesa, sorridendo come per dirle che poteva rivelarle tutto quanto. Sospirò di nuovo e scosse la testa alzandosi dal suo posto. << Non ho molta fame… Credo che andrò in camera mia… >> Mormorò stancamente senza nemmeno rivolgere lo sguardo ai suoi genitori.
Sua madre rimase allibita, mentre suo padre la squadrò infastidito, credendo che la ragazza non volesse semplicemente mangiare, e pensando che si sarebbe chiusa in camera sua a giocare al computer, a guardare film dell’orrore o altre cose poco concesse da lui a quell’ora della sera… La conoscevano davvero poco… Non sapevano che se lei si comportava così significava che non stava bene per davvero… << Più tardi vengo a rimboccarti le coperte…? >> Fece la madre di Kate sporgendosi dalla tavola, sperando in una risposta della figlia, ma lei  scomparve fuori dalla porta, dirigendosi verso la camera da letto.
Perché si sentiva così? Perché tutta quella stanchezza? Che cosa aveva fatto per stancarla così tanto? Era la colpa di aver portato la disperazione nella famiglia della sua migliore amica? Oppure il pensiero di dover incontrare Slender Man di nuovo, per parlare con lui, e quindi provare di nuovo quella sensazione terribile di terrore, il dolore, la stanchezza… Però, da un po’ di tempo, gli incontri con Slender Man erano diversi… Non si sentiva più male come all’inizio… A volte le piaceva avere qualcuno con cui liberarsi, alla quale dire tutti i suoi segreti, sapendo che non li avrebbe scoperti nessuno… Era piacevole…
Ma che sto dicendo? Si fermò a metà della rampa di scale e guardò dritto davanti a sé. Che diavolo sto dicendo? Alzò piano le mani tremanti e se le fissò incredula. Sono io a pensare questo…?
Scattò sulle scale e finì la rampa in pochi passi, correndo fino alla sua stanza e chiudendocisi dentro. Doveva pensare. Doveva capire. Doveva parlare.
<< Slender Man! >> Kate lo chiamò senza neanche pensarci un attimo. Si sorprese lei stessa, della velocità con cui le parole uscirono dalla sua bocca, e con altrettanta velocità, lo Slender Man apparve nella sua stanza.
C’è un problema? Chiese dietro di lei, mantenendosi a una certa distanza.
Eccome se c’era un problema! Kate si voltò guardandolo male e gli posò la punta dell’indice sul completo nero. << Io odio stare con te, va bene? La tua presenza è deleteria per la mia salute mentale! >>
Slender Man annuì, assecondando la ragazza. D’accordo. Disse senza problemi. Non si mostrò infastidito, né triste, tutto quello gli era indifferente, forse perché conosceva i pensieri di Kate?
La ragazzina si voltò mettendosi le mani alla testa e digrignando i denti; anche la reazione priva di emozioni di Slender Man era insopportabile. << E allora perché ho questi pensieri? Perché… >> Rimase in silenzio accovacciandosi a terra e abbassando la testa. Non riusciva a capire perché sentisse quella strana attrazione verso Slender Man. Si sentiva attratta da Slender Man? Era davvero così? Voleva passare del tempo con lui? Ma le faceva male stare con lui, più tempo passavano assieme e più il cervello della ragazza si avvicinava al punto di non ritorno…
No… Non voglio stare con lui… Pensò lasciandosi andare la testa. Alzò lentamente lo sguardo. Mi fa male… Ma… Un’espressione disperata comparve sul suo viso e Kate comprese di essere cambiata, davvero, questa volta. Mi piace troppo…
La ragazzina si voltò nascondendo la sua paura all’essere e cominciò a parlargli. << Jamie non riconosce più la sua famiglia! >> Disse ricordandosi del fratellino della sua migliore amica; per fortuna aveva quell’argomento di cui discutere, altrimenti Slender Man avrebbe insistito sulla sua reazione di prima.
Ci mise un attimo a reagire a quella dichiarazione. Avevo detto che non sapevo come sarebbe stato al risveglio. Si giustificò Slender Man immobile.
Kate digrignò i denti. Era ingiusto! << Tu… Tu…! >> Camminò avanti e indietro per la stanza tirandosi i capelli. << Non puoi tirarti fuori da tutto con un semplice “non lo sapevo”! >> Esclamò voltandosi verso di lui. Slender Man la fissò immobile. Stava per dire qualcosa, ma Kate alzò un dito e lo fulminò con lo sguardo. << E non dire che non è stato intenzionale! >>
Non servirebbe a niente farlo. Disse Slender Man allargando le braccia.
<< Esatto, perciò stai zitto! >> Ribatté Kate tornando a girare avanti e indietro per la stanza.
La ragazzina continuò a girare per la stanza come una ossessa, fermandosi ogni tanto a sospirare e cercare di pensare. Voleva parlare di qualcosa, voleva tenerlo occupato per evitare che cominciasse a fare domande scomode, ma la verità era che voleva tenere occupata sé stessa dall’avvicinarsi a lui…
Hai notato un cambiamento nel modo in cui ti guardano le persone? Chiese all’improvviso, prendendo Kate alla sprovvista, che si fermò a guardarlo confusa.
No. Pensò. Non aveva avuto il tempo di notare cambiamenti, Jennifer le era sembrata normale quando era andata a trovarla all’ospedale e la sera non parlava mai con i suoi genitori, quindi non ci sarebbe stato nemmeno il modo per scoprirlo… << Mi è sembrato tutto quasi normale… >>
Quasi? Chiese Slender Man girandosi.
Cosa voleva, che fosse tutto normale? Era ovvio che la sua giornata fosse incasinata, ed era ovvio che non potesse essere tutto quanto normale, per quanto potesse sforzarsi di accettarlo! << Non è molto normale avere qualcosa dentro di te capace di allontanare la gente, sai? >> Fece Kate piegando di lato la testa.
Mi dispiace. Rispose con calma Slender Man. Era così fastidioso non vederlo mai scomporsi per niente! Faceva sparire tutta la rabbia di Kate in un attimo, facendole abbandonare il pensiero di litigare con lui.
Kate si mise le dita sulla fronte e cercò di concentrarsi. Perché ogni volta che voglio parlare con Slender Man finisco per evitarlo? Si chiese. << Lascia perdere… >> Disse voltandosi e alzando una mano. << Sono stanca, voglio pensare… >>
A cosa? Chiese invadente Slender Man.
<< Devo aiutare la mia amica! >> Ribatté adirata Kate voltandosi verso di lui con rapidità. Si calmò respirando profondamente. Doveva trovare un modo per distrarla, finché non sarebbe riuscita a far tornare Jamie come prima. << Tu non puoi aiutare suo fratello, vero? >> Chiese Kate scuotendo la testa ancora prima che Slender Man glielo confermasse. << Certo che no… >> Mormorò abbassando lo sguardo e mettendosi una mano al mento.
Penserai domani a lei. Disse Slender Man avvicinandosi. Kate si voltò puntandogli contro un dito.
<< No! Ci penserò adesso, e tu te ne starai lontano! >> Fece sorridendo nervosamente. Slender Man strinse le spalle.
Come vuoi, ma credo sia inutile continuare a riflettere sulla stessa cosa se non si hanno altre idee… Aveva ragione, fino a un certo punto; era ragionando che si raggiungeva una soluzione, ma Kate era stanca, non avrebbe trovato niente senza altri indizi, consigli o aiuti…
Sbuffò infastidita. << Vado a dormire… >> Disse girandosi verso il letto. << Tu non ti avvicinare! >> Fece puntandogli l’indice contro per l’ultima volta.
Slender Man annuì piano e rimase lì a fissarla mentre Kate girava attorno al suo letto. Si sentì in soggezione con lui a fissarla in quel modo, e alla fine gli chiese di andarsene dalla sua stanza.
<< E’ inquietante avere qualcuno che ti guarda mentre dormi. >> Spiegò sospirando, sperando che Slender Man comprendesse la sua situazione.
Slender Man si guardò intorno. Capisco. Disse, poi si voltò e sparì, lasciando Kate da sola, che si sentì sollevata nel perdere quella strana sensazione dentro di sé.
Kate sospirò sconfortata abbandonandosi al letto. Che cosa devo pensare…? Quella sensazione che sentiva da un po’ di tempo, quando Slender Man entrava nella sua stanza; cos’era?

 

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Capitolo 50
*** Shopping ***


Kate aveva parlato a Jennifer della festa, l’altro giorno, quando l’aveva chiamata all’ospedale, e nonostante Jennifer non sembrasse molto interessata a divertirsi a una festa, Kate era riuscita a convincerla a venire, e si erano messe d’accordo per andare a comprare dei vestiti da indossare alla festa. Così, Kate era andata a prenderla all’ospedale, dopo la scuola, e l’aveva portata in giro, cercando di tirarle su il morale, parlandole di quale tipo di vestito avrebbe potuto scegliere e raccontandole alcuni aneddoti divertenti accaduti a scuola durante le sue assenze.
<< In realtà io avrei voluto mettere il vestito nuovo che mia madre mi ha comprato la settimana scorsa… >> Commentò Jennifer con tono neutrale mentre Kate la trascinava per la strada, con tra le mani un bicchiere di frappé al cioccolato comprato in un bar poco prima. La ragazza non l’aveva quasi toccato, mentre Kate aveva già finito il suo, e ora si portava appresso il bicchiere vuoto in cerca di qualche cassonetto dove gettarlo.
<< Allora mi aiuterai a scegliere il mio! >> Rispose con vitalità Kate, girandosi mentre camminava. Stava cercando in tutti i modi di tenere alto il morale dell’amica, ma lei non era brava come Jennifer in quelle cose, non sapeva come aiutare gli altri a stare meglio…
Sul viso di Jennifer affiorò un sorrisetto che la ragazza cercò di nascondere bevendo dalla cannuccia del suo gelato. << Va bene… >> Mormorò quasi divertita, girando lo sguardo da un’altra parte, come per fingere di sopportare il comportamento infantile dell’amica.
Kate si fermò in mezzo alla via e si girò verso un negozio di abbigliamento. << Questo mi ispira! >> Esclamò tirando Jennifer da un braccio e gettando il suo bicchiere vuoto in un cassonetto lì vicino all’entrata del negozio.
Dentro al negozio, Kate si mise a gironzolare, guardando i vari vestiti appesi agli scaffali con una concentrazione quasi comica, con Jennifer che le andava dietro senza staccarle gli occhi di dosso e reggendo ancora il suo frappé, dalla quale beveva di tanto in tanto. Kate cominciò a prendere abiti a caso e a provarli, chiedendo ogni volta il parere dell’amica, la quale però sembrava poco propensa ad aiutarla. Prima la ragazzina tirò fuori dagli scaffali un abitino verde corto, con il lato frontale sinistro colorato di nero, e con una linea ondulata a delimitare il colore scuro, con un laccio verde chiaro che girava attorno al collo di chi lo indossava e una gonna corta stretta che si interrompeva morbidamente a metà della coscia; quando lo vide, Jennifer fece una faccia strana, come se avesse appena visto qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di vedere, e scosse la testa dicendo a Kate che quel colore così sgargiante non le donava molto. Dopo la reazione poco convinta di Jennifer, Kate tornò indietro e si cambiò con un lungo abito rosso, con un’unica spallina a sinistra e una larga gonna a strascico. Quell’abito, secondo Jennifer, era troppo formale per il tipo di festa alla quale sarebbero andate, e forse Kate avrebbe dovuto cercare qualcosa di meno serio… << Ti fa sembrare più grande, però! >> Commentò Jennifer ridacchiando e suscitando una reazione incerta in Kate; alla ragazzina piaceva sembrare più grande, a causa del suo aspetto, ma nonostante capitasse raramente, non le piaceva essere considerata vecchia! Tornò nel camerino e uscì poco dopo vestita totalmente diversa: magliettina corta a vita scoperta con sopra scritta una frase equivoca, pantaloncini di jeans strappati e scarpe da ginnastica blu e bianche; per completare l’opera, si era anche messa un paio di occhiali da sole sul viso e un cappellino a strisce in testa. Jennifer scoppiò a ridere quando la vide, non potendo credere che Kate si fosse abbigliata così; a Kate infatti non piaceva quel genere di vestiti, non l’avrebbe mai comprato, ma probabilmente tutte le sue scelte e i suoi gesti erano mirati a far sorridere la sua amica, e sembrava che ci stesse riuscendo.
<< Ma come ti sei vestita? >> Chiese Jennifer alzandosi dal comodo divanetto da attesa su cui era seduta. << Non sei per niente credibile, e togliti questi cosi: sei ridicola! >> La rimproverò ridendo e tirandole via dal viso gli occhiali da sole.
Kate rise e abbassò lo sguardo un po’ imbarazzata, continuando comunque a sorridere. << Quindi non funziona? >> Chiese togliendosi il cappellino dalla testa e facendo un sorrisetto innocente, come se si stesse difendendo da un’accusa.
<< Sei pessima! >> Commentò sorridendo Jennifer.
A Kate piaceva andare a fare shopping con Jennifer, si divertivano sempre molto, anche quando non compravano nulla, a loro bastava stare insieme e non pensare a niente… Era la prima volta che Kate riusciva a usare lo shopping come diversivo per far rilassare la sua amica, e si sentì orgogliosa nell’esserci riuscita.
Dopo aver girovagato per il negozio, provando vestiti a caso senza avere l’intenzione di comprarli, Kate fu attirata da un vestito particolare, che accese qualcosa in lei…
Era un vestito nero, con un corpetto nero e dai bordi bianchi, con la gonna corta che andava ad aprirsi in tutte le direzioni. Sentì come se quel vestito la stesse chiamando, come se le fosse appartenuto già da tempo, e dovesse averlo a qualsiasi costo.
<< Ehi, Jennifer… >> Disse staccando il vestito dall’appendiabiti a cui era appeso. << Che ne dici di questo? >> Chiese girandosi e mostrandolo con occhi opachi. Era come assente, in quel momento, come se non pensasse più, ma sapeva una cosa: voleva quel vestito.
Jennifer lo guardò un momento. << Uhm… Sembra carino. >> Subito dopo Kate andò a provarselo senza perdere tempo.
Quando la ragazzina uscì dal camerino – pochi minuti dopo – Jennifer rimase a bocca aperta vedendo il vestito. Kate indossava quel vestito perfettamente, sembrava essere fatto su misura per lei, ed era proprio come lei, misterioso, oscuro, ma piccolo e indifeso… << Kate… >> Mormorò senza fiato Jennifer che continuava a guardare a bocca aperta l’amica. << Ti sta benissimo… >>
Kate si piegò di lato guardandosi le gambe e il busto. << Sto… Bene? >> Chiese quasi in ritardo, avendo già ricevuto un parere. Il suo tono di voce era insicuro, tremante, come se avesse paura di prendere quel vestito. << Sento… Qualcosa… >> Mormorò continuando a guardarsi. << Come se questo abito mi appartenesse già… >>
Jennifer sorrise. << E’ perfetto per te! >> Rispose alzandosi dal suo posto e raggiungendola. Kate rispose al sorriso con un altro sorriso, più piccolo di quello dell’amica, e quasi imbarazzato per il complimento.
Preferì non dirlo a Jennifer: quel vestito lo aveva sognato. Lo aveva sognato in uno dei suoi incubi. Eppure, Kate sentiva che fosse molto importante…

 

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Capitolo 51
*** Destino ***


Kate stava in piedi di fronte all’armadio, dove aveva riposto il vestito che aveva comprato quel pomeriggio. Slender man era in un angolo della stanza, la guardava aspettando che parlasse, perché sapeva che voleva dire qualcosa.
Kate aveva quasi paura di fare quella domanda, dovette prendere un bel respiro per calmarsi e asciugarsi il sudore sulla fronte che le venne per il nervosismo prima di voltarsi verso l’essere e di mostrargli il vestito nero che aveva comprato. << Sai qualcosa di questo vestito? >> Chiese rapidamente cercando di non far sentire il tremore nella sua voce.
Slender Man scrutò il vestito tra le mani di Kate da lontano. E' molto grazioso. Commentò mantenendo fisso lo sguardo su Kate. Perché me lo chiedi?
Kate sapeva che Slender Man avrebbe finto di non sapere nulla, ma si limitò a sbuffare e a mostrarlo meglio all’uomo smilzo. << Guardalo, non ti ricorda qualcosa? >> Chiese cercando di mantenere la calma, tenendo sempre un tono di superiorità.
Slender Man rimase a fissare il vestito nero senza rispondere, come se stesse cercando di scovare la risposta tra le sue pieghe.
<< Ho sognato questo vestito, più volte! >> Sbottò Kate infastidita dal comportamento di Slender Man. Era sempre così, fingeva sempre di essere un idiota, di non capire mai che cosa volesse dire Kate, ma poi sapeva ogni cosa su di lei, su quello che aveva fatto e su come si sentiva. << Tu me lo hai fatto sognare! >> Esclamò strattonandolo un po’ per attirare l’attenzione dell’essere su di esso.
Slender Man sembrò pensare a qualcosa, con una mano sul mento, poi si girò verso Kate: Lo hai visto in uno dei tuoi incubi? Chiese.
Kate sbuffò di nuovo. << Sì! Nei tuoi incubi! >> Lo accusò sempre con tono arrabbiato.
E quindi? E’ un problema? Chiese insaspettatamente, lasciando Kate senza parole. In effetti non sapeva perché fosse così infastidita, ma il fatto che quel giorno si fosse sentita quasi attirata dal vestito tanto da comprarlo l’aveva lasciata confusa, e voleva una spiegazione.
<< E’… Strano… >> Mormorò Kate alzando il vestito alla sua altezza e scrutandolo. << Mi sento come se fossi… Destinata a questo vestito… >> Sussurrò vergognandosi di ciò che aveva detto.
“Destino”? Chiese Slender Man girando la testa. Si avvicinò a passi lenti. Credimi, Kate: ognuno ha un proprio destino, e sono piccoli segnali come questi che ci fanno capire quale sia. Le mise una mano fredda sulla spalla e Kate provò ribrezzo per un attimo, per aver lasciato che quell’essere disgustoso la toccasse, ma poi sentì quasi come se non le importasse, anzi, quel freddo sulla spalla era piacevole…
Kate guardò il vestito confusa. << Come può un vestito guidarmi al mio destino? >> Chiese inarcando un sopracciglio.
Hai detto di averlo sognato: potrebbe essere importante, oppure potresti semplicemente averlo visto da qualche parte e la tua mente lo avrebbe assimilato, rendendolo importante… Spiegò Slender Man, senza preoccuparsi di far comprendere a Kate ciò che aveva detto. Potrebbe esserti semplicemente piaciuto molto, ma potrebbe anche essere importante e nascondere segreti inimmaginabili… Disse indicandolo con l’indice della mano sinistra. La cosa buffa è che a volte siamo noi a forgiare il nostro stesso destino… Se dovessi indossarlo, potrebbe succedere qualcosa di importante, ricordatelo.
Quelle parole fecero venire i brividi a Kate.
Le era sembrato così profondo, che per un attimo Slender Man non le era sembrato più il mostro spietato e senza cuore che era, ma una persona dolce e gentile, quasi come Shaun Tucker… Significava che poteva essere qualcosa di molto importante, come poteva benissimo essere una stupidaggine, e non avere senso. In pratica non era cambiato niente, le era solo stato detto quello che avrebbe potuto significare… Pensò che fosse già qualcosa; conoscendo Slender Man, si sarebbe aspettata una risposta criptica e poco sensata, ma aveva cercato di spiegarsi questa volta…
Kate sospirò stancamente riponendo il vestito nell’armadio. Destino… Pensò mentre chiudeva le ante e si voltava verso il letto. Mentre si spogliava continuò a pensare a quella parola, a chiedersi quale fosse il suo di destino. Rimanere con Slender Man per sempre? Pensò inorridita da quell’idea. Sarebbe stato insopportabile, orribile, spaventoso, pericoloso… Ma una piccola parte di lei era intrigata da quel pensiero di una vita piena di sorprese e suspance, di dubbi e paure, ma lei non voleva crederci… Guardò l’alto essere pallido e nero girato di spalle verso l’angolo, tutto ingobbito – quando Kate si spogliava gli diceva di voltarsi, e lui finiva in quella posizione ridicola. Che cos’ha a che fare Slender Man con me? Si chiese cercando di intravedere qualcosa oltre a quella figura immobile. Che cos’ha a che fare Slender Man con le vite di tutti in città? Si chiese di seguito, alzando lo sguardo pensierosa. Come ci è arrivato? Sapevo che era una leggenda e si nascondeva da qualche parte, ma quella storia girava da più di cinquant’anni… E poi niente. Tornò a guardare Slender Man nell’angolo della sua stanza. Perché è tornato ora?
Kate aveva bisogno di qualche indizio, testimonianza o prova… Cosa sapeva di Slender Man? Sapeva che era rimasto con lei per circa tre settimane, sapeva che uccideva la gente che veniva coinvolta con lei, sapeva che prima di incontrare lei, il suo unico scopo era quello di uccidere prede che trovava in giro… E prima? Nella sua mente comparirono delle immagini, il ricordo di un video visto tempo addietro. Un video girato dalla videocamera di un suo coetaneo, nella villa abbandonata della città, nella quale era coinvolto Slender Man, almeno secondo chi ci credeva.
Alex! Esclamò nella sua testa rendendosi conto di aver mancato qualcosa per tutto quel tempo. Doveva parlare con Alex Huges, il ragazzo che era stato portato in ospedale dopo essere stato ritrovato da solo e in stato confusionale nella villa abbandonata. Tommy Schmidt le aveva detto di conoscerlo, era andato a trovarlo all’ospedale, e lei gli aveva chiesto di poterlo incontrare.
Kate pensò che fosse arrivato il momento di andare a trovare Alex. Aveva delle domande da fargli. Loro due erano simili, nonostante non si fossero mai conosciuti, avevano qualcosa in comune: entrambe le loro vite erano state toccate dalla gelida mano di Slender Man.

 

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Capitolo 52
*** Alex ***


Mercoledì mattina Kate andò a scuola con lo sguardo di Slender Man puntato addosso, come sempre, e si sedette al suo posto come se non ci fosse niente di anormale. In realtà stava semplicemente aspettando il momento giusto per parlare con Tommy; si era ricordata di avergli chiesto di farsi accompagnare da Alex Huges qualche volta. In realtà, quando lo aveva fatto, Kate non aveva tanto pensato a perché glielo avesse chiesto, ma adesso capiva che era stata fortunata a scegliere proprio quell’argomento per parlare con Tommy. Slender Man avrebbe detto che era stato il destino… Era buffo come pensasse a Slender Man con tanta leggerezza in quel momento, nonostante volesse mantenere le distanze e cercasse in ogni modo di mostrarsi superiore. Ma la verità era che, a volte, la presenza di Slender Man poteva rivelarsi piacevole.
Riuscì ad avvicinare Tommy nell’intervallo, tirandolo dalla manica prima che uscisse dalla classe e portandolo al suo banco all’angolo, più appartato degli altri.
<< Ti ricordi quando ti ho chiesto di farmi incontrare Alex Huges? >> Gli chiese Kate aprendo le mani come per mostrargli una cosa. Tommy era un po’ stralunato dal fatto che fosse stato tirato via da dov’era e fatto sedere a un posto dove normalmente non si sarebbe seduto. Comunque annuì chiedendole perché gli stesse parlando di quello adesso. << Ho bisogno di parlare con lui, devo fare una cosa e devo assolutamente parlargli! >>
Tommy notò il tono affrettato nella sua voce e cercò di calmarla. << Calma, Kate! Non ti preoccupare, posso portarti io da lui. >> Disse con tono amichevole.
Il viso di Kate si illuminò. << Dici sul serio? >>
<< Certo. Hai qualcosa da chiedergli? >> Disse in risposta Tommy sorridendo.
Kate rimase un attimo a pensare a come rispondere a quella domanda. << E’… Una cosa importante… Non so se te la posso dire, mi dispiace… >> Mormorò abbassando gli occhi costernata.
Tommy sembrò un po’ deluso da quel fatto, ma sorrise subito dando una pacca a Kate, facendole capire che non era un problema:<< Ehi, non preoccuparti! Se è un segreto non c’è nessun problema, spetta a te decidere se rivelarlo a qualcuno… >> Si alzò dalla sedia. << In ogni caso, se dovessi avere bisogno di qualcuno alla quale appoggiarti, io sarò sempre a tua disposizione. >> Concluse sorridendo e facendo un piccolo cenno alla ragazzina, che alzò lo sguardo incredula della gentilezza del ragazzo.
<< Grazie, Tommy… >> Mormorò Kate senza alzarsi dal suo posto. << Davvero… >>
Tommy sorrise alzando una mano. << Nessun problema! Quando vuoi visitare Alex, basta dirmelo. >>
Kate ci pensò un attimo. << Va bene oggi pomeriggio? >> Chiese pensierosa.
Tommy annuì. << Certo! >> Fece con tono amichevole girandosi. << Allora ci vediamo poi, Kate! >> Si congedò alzando la mano come al solito.
<< Un momento! >> Lo fermò Kate allungandosi più che poté sul banco e afferrandolo dalla maglietta. Tommy si girò guardandola interrogativo. << Il fatto è che… Dovrebbe essere una cosa segreta… >> Mormorò Kate, senza sapere bene perché stesse dicendo questo. << Se potessimo andarci senza farci notare… >>
Tommy sembrò contrariato. << Vuoi infiltrarti all’ospedale e fare visita a un paziente di nascosto? >> Fece incredulo. Kate sapeva che si trattava di qualcosa di sbagliato, ma sperava che Tommy potesse comprendere. Si fece piccolissima sulla sua sedia, mentre lo sguardo del ragazzo gravava su di lei. A un tratto, la voce di Tommy si fece solare e il suo viso si illuminò. << Mi piace! >> Esclamò eccitato.
Kate alzò lo sguardo confusa. << Che cosa? >> Fece senza riuscire a credere che Tommy fosse entusiasta di quello. << Sei davvero così contento di infrangere le regole dell’ospedale? >>
<< Sarà emozionante! Entreremo in azione come due spie senza farci notare e scivoleremo fuori come comuni visitatori! >> Disse stringendo i pugni e dondolando avanti e indietro. Kate non avrebbe detto che a Tommy sarebbe piaciuto così tanto mettersi nei guai, ma a quanto pare era più “selvaggio” di quanto dasse a vedere…
<< D’accordo, allora… >> Mormorò la ragazzina sollevata dal fatto di poter contare su di lui. << Ci vediamo dopo… >> Disse per congedarlo.
<< Sì, a dopo! >> Fece rapidamente Tommy sorridendo prima di girarsi e uscire dalla classe.
Kate lo guardò uscire dalla classe in silenzio; ancora una volta aveva sentito come se Tommy cercasse di respingere la ragazza, come se provasse paura o disgusto verso di lei, e Kate sapeva anche perché, ma nonostante tutto, si stupì per come si fosse comportato con lei, superando la repulsione e rimanendo con lei fino alla fine, per capire cosa aveva da dire.
Tommy era forte e importante…
 
*
 
All’uscita da scuola Tommy raggiunse Kate per andare insieme a mangiare qualcosa. Dopo aver pranzato rapidamente decisero di aspettare un po’ prima di andare all’ospedale e si misero a passeggiare spensieratamente chiacchierando su cose poco importanti. Nonostante quelle chiacchierate non dessero nessuna informazione utile a Kate né fossero mirate a farla sentire meglio, riuscirono a farla stare bene, come se per un attimo si fosse dimenticata di Slender Man, della salute di Jamie, dei suoi genitori e tutti i problemi che le stavano rendendo la vita un inferno… Tommy era probabilmente una delle poche persone che conosceva con cui Kate riusciva a sentirsi bene per davvero, riusciva ad aiutarla anche senza volerlo, senza sapere niente della situazione…
<< E come mai vuoi incontrare Alex? >> Chiese Tommy girando la testa di scatto verso Kate. Kate non avrebbe voluto mentire di nuovo a Tommy ma, nonostante non potesse rivelargli il motivo della sua visita, avrebbe voluto dirgli di più.
Finse di essere colta di sorpresa, mentre invece si aspettava quella domanda dal primo momento in cui aveva chiesto a Tommy di accompagnarla da Alex; in fondo, era con il curioso Tommy che stava parlando! << Sto… Facendo una ricerca… >> Decise di nascondere la verità in modo non troppo evidente; in fondo stava davvero facendo una ricerca. << Voglio scoprire cosa è successo ad Alex e ai suoi amici, quella notte… >>
Tommy borbottò incerto. << Buona fortuna con quello… Nessuno è riuscito a tirare fuori una parola sensata da quel ragazzo… >>
Kate si sforzò di sorridere, nonostante la situazione non richiedesse un sorriso. << Io so tirare i fili giusti. Credimi: sono più preparata di quanto tu possa pensare. >> Lo rassicurò lanciandogli un’occhiata languida.
Tommy scosse la testa sorridendo. << Non l’ho mai dubitato! >> Disse allargando le braccia.
Kate rivolse lo sguardo davanti a sé. Rimase un po’ in silenzio; voleva dire di più. << Tu… Credi nel destino…? >> Chiese senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Tommy piegò un labbro. << Destino? >> Chiese. Kate annuì pensierosa. Il ragazzo alzò lo sguardo inspirando profondamente. << Non ci ho mai pensato molto attentamente, in realtà… >> Mormorò fissando gli occhi sulle poche nuvole che occupavano il cielo. << Io credo che sia una sorta di sinonimo di futuro… Solo che è… Personale! >> Disse con fatica, come se stesse cercando di esprimersi al meglio. << E’ il nostro futuro, ma è anche il futuro che ci costruiremo noi, in base alle nostre scelte… >> Kate continuava a guardare davanti a sé, nonostante Tommy le rivolgesse lo sguardo più volte, in cerca di qualche segnale per continuare. Alla fine scosse la testa abbassando lo sguardo abbattuto. << Non ha senso quello che ho detto… >> Borbottò continuando a camminare con la schiena piegata in avanti.
Kate cercò di rassicurarlo e gli alzò contro una mano, facendolo fermare. << No, no! In realtà ho capito tutto! >> Cercò di dire. Lo guardò dritto negli occhi e lo tenne fermo con le mani piantate bene sulle spalle, per evitare di farlo scappare a gambe levate, conoscendo anche la sua natura movimentata. << E’… La prima volta che capisco completamente quello che dici… >> Mormorò confusa e anche un po’ contenta di quello.
Tommy sorrise raggiante. << Davvero? >> Chiese spalancando gli occhi eccitato. Probabilmente si stava chiedendo se Kate lo avesse mai ascoltato davvero, prima.
Kate sorrise e annuì, facendo sorridere  ancora di più il ragazzo.
<< E’ proprio quello che pensavo io… Ma non sono mai riuscita a concretizzarlo, perché non sono abbastanza… Intelligente. >> Spiegò senza lasciarlo andare.
Tommy si liberò dalla stretta di Kate e respirò a fondo. << Tu sei molto più intelligente di quanto credi. >> Le disse facendole l’occhiolino.
Kate scosse la testa, senza smettere di sorridere. << No, Tommy, non direi. >> Fece riprendendo a camminare in avanti. Tommy la seguì un po’ confuso dalla sua risposta. La ragazzina riprese a parlare proprio mentre il ragazzo la raggiungeva. << Vedi, sento come se fosse il mio destino, scoprire cosa è successo ad Alex. E se ci provo, sono certa che arriverò da qualche parte! >> Disse senza voltarsi. Tommy era accanto a lei che ascoltava confuso.
<< Bé, se senti che è la cosa giusta da fare, allora andiamo. >> Disse piegando la testa di lato, indicandole di avviarsi. Kate lo guardò sorpresa.
<< Davvero possiamo? >> Chiese eccitata.
Tommy rise. << E allora perché ti avrei detto di sì? >> Chiese alzando lo sguardo e allargando le braccia.
Kate avrebbe tanto voluto ringraziare Tommy per la sua gentilezza, avrebbe voluto dirgli che era molto contenta di avere un amico come lui, ma invece rimase muta come un pesce a fissarlo, finché non si fu girato e la ebbe afferrata da un polso per farla muovere da lì. << Forza, Kate! Andiamo! >> La incitò costringendola a muovere le gambe. A quella provocazione, Kate sorrise divertita e accelerò il passo, poi si mise a correre, con Tommy che manteneva la velocità necessaria per rimanere accanto a lei. << Vuoi una sfida? >> Chiese ridendo dello sforzo impiegato dalla ragazzina per superarlo.
<< Ridi, tanto non ne avrai tempo quando ti avrò stracciato! >> Rispose a tono lei continuando a correre. Tommy cominciò a correre con più impeto.
<< Oh, allora è una gara? >> Chiese senza staccare gli occhi da lei.
Kate cominciava già ad ansimare. << Guarda avanti e pensa a correre! >> Esclamò cercando di provocarlo. << Potresti ritrovarti dietro senza accorgertene! >>
Perché stavano facendo una cosa così infantile, tutto ad un tratto? Kate non ne aveva idea, Tommy l’aveva tirata da un braccio e quella sua fretta sembrava volerla sfidare, quindi lei aveva risposto alla sfida; purtroppo Kate non era mai stata veloce come avrebbe voluto, e nemmeno la sua resistenza era molto alta… Questo portò al risultato di vedere una Kate arrancante dietro a un sudato Tommy, che nonostante la stanchezza cercava di mostrarsi ancora fresco, raggiungere l’ospedale dove era ricoverato Alex.
Kate si piegò in avanti e si appoggiò alle ginocchia. << Possiamo dire… Che siamo pari… >> Ansimò esausta lei mentre cercava di prendere nei polmoni più ossigeno possibile. I suoi capelli neri arrivavano a terra, quando si piegava così.
Tommy saltellò un po’ prima di fermarsi. Anche lui era stanco, ma cercava di non farlo notare. << Davvero? >> Chiese respirando profondamente. << Perché se vuoi io posso continuare… >> La prese in giro mettendosi le mani ai fianchi.
Kate soffiò via l’aria come se volesse spegnere una candela. << Se l’avessi saputo mi sarei messa qualcosa di più comodo… >> Bofonchiò guardando il paio di jeans stretti che aveva messo quella mattina. Sempre meglio di una gonna… Pensò, preferendo che Tommy non sentisse quell’ultima parte dei suoi ragionamenti. Sarebbe stato imbarazzante mettersi a correre con una minigonna addosso, sventolando così in faccia a Tommy e a qualunque altro passante il proprio sedere.
Il ragazzo si spostò dalla sua posizione e le offrì la mano. << Ce la fai? >> Chiese sorridendo. Kate alzò lo sguardo all’improvviso e perse l’equilibrio, cadendo all’indietro. Tommy cercò di afferrarla in fretta e finirono a terra entrambi, lei sdraiata di schiena e lui con un ginocchio appoggiato all’asfalto, mentre con le mani sorreggeva le spalle di Kate.
La ragazzina scoppiò a ridere. << Non ce la faccio…! Nemmeno le mie gambe vogliono più muoversi! >> Tommy ridacchiò in seguito alla fragorosa risata di Kate. La ragazza aveva avuto una strana sensazione quando aveva alzato la testa, e la sua vista si era improvvisamente appannata, facendole così perdere l’equilibrio. La testa si era messa a girare tanto da farle venire la nausea, in modo diverso da quando Slender Man si avvicinava a lei; sentiva il mondo ruotare attorno a sé! Solo ora stava riacquistando la vista e l’equilibrio – grazie al sostegno di Tommy – e si rese conto della situazione imbarazzante in cui erano i due ragazzi: lei sembrava essere svenuta lì in mezzo alla strada, e Tommy sarebbe potuto apparire preoccupato, se qualcuno non l’avesse visto in faccia; in più erano di fronte all’ospedale. Kate preferì rialzarsi in fretta prima che qualcuno interpretasse male la situazione…
<< Oh… Aiutami a rialzarmi… >> Fece con tono intontito dando qualche pacca sulla spalla di Tommy per farsi capire meglio. Tommy la tirò su continuando a ridere e quando Kate fu di nuovo in piedi le chiese se stesse bene.
Kate non si era mai vista come una ragazza atletica, evitava di mettersi in situazioni simili, anche se correre a perdifiato per strada le era piaciuto… Da quando aveva incontrato Slender Man, il suo corpo sembrava essersi indebolito, e di questo sembrò accorgersi solo quando si fu rialzata. Si lasciò sorreggere da Tommy finché non ebbe riacquistato completamente l’equilibrio e la sua vista non fu tornata normale. Si rese conto che nella sua testa era comparso un fischio dal momento in cui era caduta, e solo ora riuscica a sentire bene i suoni attorno a lei, prima attutiti…
Kate sospirò massiaggiandosi la fronte. << D’accordo… Sto meglio ora… Tu ce la fai? >> Si girò preoccupandosi per Tommy; non era necessario doversi preoccupare per lui, dato che nonostante l’affaticamento sembrava ancora in ottimo stato… Il ragazzo non brillava particolarmente negli sport come nelle materie scolastiche, ma non era nemmeno debole come avrebbe potuto far sembrare; non era un attaccabrighe e preferiva evitare di andare alle mani con dei compagni dalla diversa opinione, ma Kate ricordava di averlo visto sistemare un ragazzo più grande che lo aveva minacciato con una semplice mossa, pochi mesi dopo l’inizio del loro primo anno a scuola; nonostante sembrasse innocuo e indifeso, non solo era fornito di una buona abilità oratoria con cui scoraggiare i bulli, sapeva anche difendersi bene, probabilmente con qualche tecnica di karate o roba simile alla quale Kate era totalmente estranea…
Tommy sorrise furbo, come per sfidarla ancora. << Vorresti fare un’altra corsa, forse? >> Chiese piegando la testa. Kate scosse rapidamente la testa scuotendo le mani, dicendo che ne aveva avuto abbastanza di correre. Quindi Tommy sorrise di nuovo e si voltò verso l’ospedale. << Allora possiamo andare… >> Mormorò guardando verso una finestra sul muro bianco dell’edificio.
Kate si mise accanto a lui e annuì pensierosa. << Sì. >> Gli fece eco. << Andiamo. >>
Dentro all’ospedale c’era poca gente, meno del solito, ma non fu difficile entrare senza farsi notare; nessuno li fermò chiedendoli per cosa fossero venuti. Quando arrivarono nel reparto dove era ricoverato Alex, Kate non vide più nessuno camminare nei corridoi. Si rese conto di essere nello stesso ospedale dove il fratellino di Jennifer era stato ricoverato, e sperò di non dover incontrare la sua amica, non perché non volesse, ma non sarebbe riuscita a reggere il suo sguardo. Mentre i due ragazzi raggiungevano la stanza dove era ricoverato il malato, Kate pensava a cosa gli avrebbe detto: non aveva realmente pensato a cosa dirgli, quali domande fosse meglio fargli, e ancora di più, non sapeva se Alex le avrebbe mai risposto! Stava procedendo a tentativi, ma era tutto quello che poteva fare; non sapeva più cosa provare, ormai. Doveva sapere di più su Slender Man!
<< Eccolo… >> Mormorò Tommy fermando Kate con una mano e alzando un dito verso il vetro di una stanza lì davanti.
La stanza era bianca, tutto era bianco, le pareti, i mobili, il letto… Sul letto stava seduto un ragazzo dai capelli corti neri, gli occhi scuri fissavano il vuoto di fronte a sé e sembravano essere persi in un mondo che Kate e Tommy non riuscivano a vedere… Il pigiama bianco che indossava il ragazzo arrivava fino alle ginocchia, ma la coperta del letto copriva le gambe, così da lasciare libero solo il busto; le braccia erano poggiate lungo i fianchi, immobili. Alex respirava debolmente, come un piccolo e fragile cucciolo, incapace di muoversi di sua volontà; le sue labbra si muovevano impercettibilmente, in continuazione, come se stesse dialogando con qualcuno invisibile.
A quella vista, Kate si paralizzò. << Sembra… Diverso da come me lo aspettavo… >> Mormorò senza sapere cosa dire. Tommy annuì abbassando il braccio che aveva alzato per fermare la ragazzina.
<< Già… E’ sempre uno shock… >> Sussurrò fissando serio il ragazzo nella stanza, che sembrava essere chiusa ermeticamente; le finestre erano chiuse, oscurate da persiane bianche e ben chiuse.
Non c’era nessuno lì intorno a cui potessero chiedere qualcosa, non c’era nessuno che tenesse d’occhio Alex… In realtà, sarebbe stato meglio così, ma improvvisamente, l’essere soli spaventò la ragazzina. Tommy fece segno a Kate di stargli dietro e spinse piano la porta della stanza; dopo aver fatto qualche passo ed essere arrivato al centro della stanza, Tommy si fermò raddrizzando bene la schiena e fissando lo sguardo sul ragazzo di fronte a lui; Kate avanzò timorosa nascondendosi dietro di lui.
Alex sembrò non vederli nemmeno, quando entrarono, continuò a guardare davanti a sé come se non ci fossero. << Ciao, Alex… >> Lo salutò poco convinto Tommy. Rivolse un’occhiata delusa a Kate e lei ricambiò stringendo le spalle, dopo aver visto che il suo saluto non aveva avuto alcun effetto. Tommy fece un passo avanti. << Questa è una mia amica. >> Continuò ad avvicinarsi alzando una mano verso Kate, immobile a pochi passi dal letto. << E’ venuta per parlare con te… >> Cercò di farsi notare mettendosi accanto a lui, ma Alex continuò a non vederlo. << Non ti ricordi di me? Sono Tommy! >> Disse mettendosi una mano sul petto.
Niente di quello che Tommy disse servì a smuovere Alex di un centimetro; continuava a fissare il muro bianco e a muvoere spasmodicamente le labbra, sussurrando qualcosa di incomprensibile. Vedendolo in quello stato così disperato, Kate si sentì talmente triste e depressa da voler rinunciare e andarsene via, lasciandolo nella sua disperazione, ma invece decise di provare a farsi sentire. Si avvicinò con passi decisi e si mise accanto a lui, dal lato opposto del letto dove c’era Tommy. << Alex. >> Disse con tono deciso. Il ragazzo non la degnò di uno sguardo. << Mi chiamo Kate. Io so chi sei. >>
Dopo aver sentito il nome di Kate, gli occhi del ragazzo cambiarono; l’aspetto opaco che c’era in loro sembrò illuminarsi un po’ e i bulbi ruotarono rapidamente verso di lei. << Kate…? >> Mormorò con voce tremante. La sua bocca rimase mezza aperta, ma si fermò. Kate fu contenta di essere riuscita a stabilire un contatto con quel ragazzo, ma sembrò durare molto poco: non appena ebbe incrociato il suo sguardo cominciò a gridare terrorizzato e a dimenarsi come un pazzo. << KATE! NO! AHHH! E’ QUI! >>
Tommy e Kate scattarno contemporaneamente per bloccare il ragazzo; Tommy per evitare che agitandosi ferisse Kate, e lei perché voleva continuare a parlargli. << Mi chiamo Kate, ma non sono quella Kate! >> Esclamò premendogli una mano sulla bocca. Alex continuò a dimenarsi, nonostante la ragazza e il suo amico lo avessero immobilizzato. << Devi ascoltarmi, Alex! >> Sbottò lei cercando di sovrastare la voce del ragazzo attutita dalla sua mano. << Conosco la tua storia, so cosa hai visto, ho bisogno delle tue risposte! Alex! >> Continuò ad alzare la voce, finendo per sorprendere anche Tommy, che non aveva idea di cosa stesse parlando la ragazza. Alex non voleva smettere di agitarsi, però, e Kate non sarebbe riuscita a trattenerlo per sempre; non voleva dire troppo in presenza di Tommy, e oltretutto temeva per la psiche di Alex se avesse detto qualcosa di troppo traumatico, ma sembrava aver già lasciato un segno profondo nella mente del ragazzo, e ormai non aveva altre alternative se usare tutto ciò che aveva a sua disposizione per scoprire la verità.
<< Alex! Hai visto Slender Man, non è vero? >> Urlò Kate quasi nell’orecchio di Alex, facendolo zittire istantaneamente. Dopo aver sentito il nome della creatura, Alex sembrò rimanere scioccato, come se davanti ai suoi occhi fosse comparso un fantasma.
Si girò lentamente verso Kate e sibilò balbettante:<< S… S… S… Slender Man…? >>
Kate lo guardò dritto negli occhi e annuì. Sapeva che lui riusciva a vedere l’ombra nei suoi occhi, sapeva che gli avrebbe incusso terrore, ma secondo lei le sarebbe stato utile, in qualche modo…
<< Tu… >> Mormorò sgranando gli occhi, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal viso di Kate, e soprattuto dai suoi occhi che trasmettevano l’oscurità che Slender Man aveva proiettato nel suo cuore. Loro erano simili.
<< Io so cosa hai passato. >> Disse Kate seria, sperando che potesse confortare in qualche modo il ragazzo. In realtà, Alex non sembrava capire niente, tranne tutto quello legato a Slender Man, e i suoi occhi spaventati, nonostante sembrassero seguire con attenzione la ragazzina, in realtà indicavano il suo desiderio di fuggire. << Alex. >> Lo chiamò di nuovo Kate. Il ragazzo fu scosso dai brividi e alzò la testa terrorizzato. << Cosa è successo ai tuoi amici? >> Chiese Kate con tono dolce. << Larry, William, Luke… >> Non appena Kate cominciò ad elencare i nomi dei ragazzi scomparsi, Alex girò lo sguardo terrorizzato verso di lei e cercò di dimenarsi. << Alex, dimmi cosa è successo quella notte, in quella villa… >>
Alex non voleva ascoltare le parole di Kate, avrebbe potuto saltare via dal letto e scappare dall’ospedale, se Tommy non fosse stato lì a trattenerlo.
Kate abbassò lo sguardo stanca. << Cominciamo un poco alla volta… >> Mormorò. << Cosa è successo… A Larry? >>
Dopo aver pronunciato il nome del ragazzo, Alex si bloccò e tornò a fissare terrorizzato la ragazza, che questa volta ricambiò con uno sguardo deciso, cercando di fargli capire di essere disposta a tutto pur di farlo parlare. Quando Kate notò il suo interesse dopo aver pronunciato quel nome, si sentì un po’ sollevata e riprese a parlare, come per spingerlo a prendere la parola.
<< Sì, Larry Taylor, il tuo amico che tutti chiamavate “il Gigante Buono”, uno dei ragazzi scomparsi quella notte, dopo che tu sei stato ritrovato da solo nella villa abbandonata… >> Kate sapeva che quei ragazzi non potevano essere vivi, aveva visto i loro cadaveri, attraverso Slender Man, ma doveva sentirlo da Alex, voleva delle prove che quei ragazzi fossero stati tutti uccisi da Slender Man, quella notte, e cosa fosse successo esattamente in quella casa stregata.
Alex girò la testa e abbassò lo sguardo lentamente, fissandolo sulla propria coperta; nonostante l’espressione di sforzo sembrava essersi calmato un poco, Tommy si era concesso di allentare la presa su di lui. << Larry… Larry è morto… >> Sussurrò spaventato Alex, senza alzare lo sguardo da dove lo aveva fissato.
Kate si sentì crollare il mondo addosso dopo aver sentito quella notizia che sapeva già. << Come è morto, Alex? >> Chiese. Voleva dettagli.
Alex aprì la bocca sconvolto e fissò Kate; forse si stava chiedendo perché gli stesse facendo quelle domande, forse si chiedeva chi fosse o forse non si stava chiedendo niente, perché la sua mente era diventata vuota, ma sembrò pensare a qualcosa, quei pochi istanti in cui fissò Kate negli occhi. << Larry… Larry è morto… >> Mormorò di nuovo come se si trovasse da un’altra parte. << Schiacciato da una libreria…! >> Il suo tono si fece cantilenante e la sua voce divenne fastidiosa. Sembrava aver preso una botta in testa. Le sue labbra si piegarono in un sorrisetto divertito, folle.
Kate non riuscì a credere a ciò che sentì, e anche Tommy sussultò confuso. << S… Schiacciato? >> Balbettò deglutendo nervosamente.
Alex annuì. << Però non è arrabbiato, dice che è contento che io mi sia salvato… >> Continuò alzando un dito. In quel momento sembrava che Alex stesse per scoppiare a ridere, ma una parte di lui era sull’orlo della disperazione, i suoi occhi avevano una strana ombra.
Kate rivolse uno sguardo incredulo a Tommy, che ricambiò confuso; lui non aveva idea di cosa stessero parlando. << E… Tu parli con Larry…? >> Tornò a rivolgersi verso Alex, che annuì allargando le palpebre. In quel momento, Alex poté sembrare anche un ragazzo normale, senza nessun problema… Kate mormorò qualcosa riguardo al ragazzo, che aveva perso la ragione, ma poi tornò a parlargli:<< Dimmi qualcosa degli altri… >> Alex non sembrò sentirla. << William? >> Chiese interessata.
Dopo aver sentito il nome del ragazzo, Alex si illuminò di nuovo e guardò verso Kate. << William… William è triste… >> Mormoròr sconsolato. << Si sente… Solo… E… Ha paura… >> Si girò e si tastò il petto con una mano. << Gli fa male qui… >>
Kate si avvicinò forzando il tono. << Di cosa ha paura, Alex? >> Chiese. Alex non rispose. Rimase in silenzio a guardare il muro. << Alex! >> Kate tentò di convincerlo a palrare, ma dalla bocca del ragazzo uscirono deboli lamenti e i suoi occhi si inumidirono. << Lascia stare, non importa! >> Disse scuotendo le mani, ma Alex aveva smesso di ascoltarla. << Parlami di Luke, anche lui era con te, vero? E’ morto anche lui? >> Chiese avida di sapere cosa fosse successo; quel suo tono non le piacque, e non piacque neanche a Tommy, alla quale sembrò diversa. Parlare di quelle cose con una tale leggerezza non era normale…
<< Luke… >> Alex alzò lo sguardo spaventato. << Non riesco… A sentirlo… >> Kate non capì.
<< Non lo senti…? >> Chiese confusa; sembrava strano che si sorprendesse del fatto che non lo sentisse, piuttosto del fatto che sentisse gli altri…
Alex ignorò la domanda di Kate e continuò a parlare con voce bassa e sguardo perso nel vuoto:<< Lui… Non parla… Ha paura… Tanta paura… >>
Kate aveva bisogno di più informazioni, voleva sapere perché Alex fosse in quello stato:<< Perché Luke ha paura? Alex, perché non parla? >> Chiese a voce alta.
Alex scosse la testa mantenendo gli occhi fissi. << Lui… Lui è morto… >> Mormorò quasi con una punta di eccitazione nella voce. L’angolo delle sue labbra si piegò e cominciò a ridacchiare. << Eh eh… Lui è morto… Caduto… Spiaccicato… >>
Kate impallidì quando gli occhi opachi di Alex si posarono sul suo viso, e si sentì male nel sentire quelle cose; si rese conto di vivere come in un deja vu, sapeva di aver visto quei cadaveri, schiacciati, impalati… Slender Man le aveva mostrato le morti di quei ragazzi, e ora lei stava chiedendo all’unico sopravvissuto di ricordarle. Che egoista… << Alex… >> Mormorò Kate abbassando lo sguardo. Le dispiaceva un sacco di dovergli far ricordare tutto quello, ma Alex sembrava non notare nemmeno il suo dispiacere; c’era solo lui, quel poco di cervello che gli era rimasto, e il suo corpo, fragile e indifeso. E poi c’erano i suoi “amici”. Sì, i suoi amici… << Che cosa è successo ad Andrej? >> Continuò a fargli domande, non le importava; doveva sapere.
Alex spalancò gli occhi terrorizzato. << Andrej… >> Mormorò perso; forse stava cercando di ricordare cosa era successo al suo amico, oppure stava semplicemente ripetendo il suo nome perché gli sembrava strano… << Morto… La paura lo ha ucciso… >>
<< La paura? >> Lo incalzò Kate.
<< Aveva paura… Codardo… >> La sua espressione si inasprì, Alex finì per assumere un vero e proprio cipiglio adirato. << Fottuto vigliacco… >> Continuò a dire come se fosse una cosa rimastagli impressa quando era ancora sano di mente.
Kate guardò Tommy inarcando un sopracciglio, che rispose stringendo le spalle, poi tornò a parlare con Alex:<< Perché Andrej è un vigliacco? >>
Alex sembrò parlare con qualcuno di invisibile davanti al suo letto, come se la domanda fosse arrivata da lì. << Perché Andrej è scappato. >> Rispose con tono quasi serio, seccato. Sembrava aver riacquistato la coscienza per un attimo, ma poi tornò silenzioso e vuoto come prima.
Kate abbassò lo sguardo pensierosa. Cercava di mettere insieme i pezzi, mentre Alex fissava il muro e Tommy la guardava in attesa di un’altra domanda; lui non stava capendo niente di tutto quello, nonostante stesse cominciando ad avere paura di quella situazione – e anche a sentirsi eccitato – volle aspettare alla fine di quella discussione per poter chiedere delucidazioni a Kate.
Sembrava che Alex non avrebbe risposto più chiaramente di così, e i ragionamenti di Kate duravano un po’ troppo, quindi Tommy cercò di smuovere la ragazza:<< Forza, Kate, fagli un’altra domanda! >> Nonostante fosse tutto così inquietante, la cosa lo intrigava un po’… Sentire di nuovo il nome di Kate, però, mandò Alex in panico e si voltò verso la ragazzina con occhi terrorizzati.
<< Kate… >> La afferrò dalle spalle e cominciò a strattonarla. << Ti prego Kate, perdonami! >> Si mise a urlare a Kate cose che la ragazza non capì. Tommy lo afferrò di nuovo e cercò di allontanarlo da lei tirandolo con tutta la forza che aveva; sembrava che Alex nascondesse una forza incredibile, quasi come se dopo aver perso la testa fosse diventato più forte di un normale essere umano, ma forse era dato semplicemente dal fatto che non avendo una coscienza non riusciva a trattenersi…
Dopo aver lottato per alcuni istanti precari, Tommy riuscì a tirare via Alex, e Kate fu in grado di liberarsi dalla stretta del ragazzo impazzito. Mentre Tommy lo bloccava, Kate lo guardò spaventata, confusa; cosa poteva aver innescato una simile reazione in lui? Cosa poteva essere successo quella notte, nella villa abbandonata per far nascere in Alex questo sentimento verso quella “Kate” scomparsa? << Ti prego, Katherine… >> Mormorò con le lacrime agli occhi. << Perdonami… >> Si piegò su sé stesso e si nascose il viso tra le ginocchia, cominciando a piangere disperato.
Kate alzò lentamente lo sguardo verso Tommy, e il ragazzo fece lo stesso; quando i loro sguardi si furono incrociati, la ragazza disse:<< Meglio non fargli sentire più il mio nome… >>
Tommy annuì sudato e allentò la presa su Alex.
Kate cercò di attirare di nuovo l’attenzione del ragazzo, questa volta con più difficoltà:<< Ehm… Alex? >> Si schiarì la voce e pensò bene a quali parole usare. << Ascoltami, per piacere, ho bisogno di sapere cosa è successo agli altri tuoi amici. >>
Alex alzò poco lo sguardo e la scrutò con la coda dell’occhio. << Amici…? >> Sussurrò spaventato senza muoversi di un millimetro.
Kate sorrise amichevolmente. << Sì. I tuoi amici. Cosa gli è successo? >> Per un attimo Kate pensò che sarebbe riuscita a far parlare Alex, ma poi, dopo essersi scambiati una lunga occhiata, il ragazzo tornò a nascondersi da lei. A quel punto Kate cercò di non perdere di nuovo la sua attenzione e lo tirò da un gomito. << No! Alex, dimmi di Joseph! >>
Alex alzò di nuovo lo sguardo come prima. << Eh?! >> Fece atono. Stranamente, quella sillaba risultò più espressiva di qualunque altra cosa detta dal ragazzo.
Kate sorrise sollevata dal fatto che fosse tornato a guardarla. << Joseph. Era tuo amico, no? >> Joseph era quel ragazzo che piaceva a Kate, tempo fa; se Jennifer non le avesse menzionato il suo nome non l’avrebbe interessata tanto la vicenda di Alex. Purtroppo, ad Alex sembrò non piacere tanto quel ragazzo.
<< Joseph… Amico…? Io…? >> Raddrizzò la schiena e guardò con occhi seri la ragazza. << Joseph… Mi odia… Io… Non sono suo… Amico… >> Quelle parole, nonostante venissero pronunciate balbettando e con voce tremante, sembrarono cariche di odio e tristezza contemporaneamente; Kate si sentì minacciata e allo stesso tempo dispiaciuta da esse. << Joseph… Ha lottato, ma… Nessuno… Nessuno… >> Sembrò non riuscire a completare la frase, come se ogni volta che ci provasse, le parole gli si bloccassero in gola. << Nessuno è… Più forte… Di lui… >>
Kate voleva che lui le dicesse chiaramente di chi stesse parlando. << Di chi? >> Chiese. << Di chi non è più forte? >>
Alex guardò di nuovo Kate, questa volta terrorizzato, forse a causa dell’oscurità negli occhi della ragazzina; poi si nascose il viso e ricominciò a piangere. Sembrò cominciare a ripetere una cantilena a bassa voce e piagnucolando; né Kate, né Tommy capirono cosa dicesse. Tommy scosse la testa stringendo le spalle, come per comunicare a Kate che gli sembrava inutile continuare.
<< Ho sentito che ogni volta che fa così, non risponde più a niente e nessuno. >> Fece disfattista. << Credo che non otterremo più niente da lui… Faremmo meglio ad andare via, prima che arrivi qualcuno a controllare
>> Disse guardandosi intorno. In effetti erano stati piuttosto fortunati a non incontrare nessuno che bloccasse la loro avanzata nei corridoi, e forse avrebbero dovuto accontentarsi, ma Kate non si sentì soddisfatta ad andarsene da lì a quel modo. C’era ancora una cosa che non aveva chiesto ad Alex, e voleva sapere quale sarebbe stata la sua risposta; inoltre doveva sapere di più su cosa sapeva di Slender Man!
<< Aspetta. >> Mormorò alzando una mano verso Tommy, che si fermò dopo aver fatto qualche passo verso la porta. << Un’ultima cosa… >> Sussurrò avvicinandosi ad Alex accovacciato sul suo lettino e sperando di riuscire a farsi sentire. Era impossibile che l’immagine del ragazzino biondo dagli occhi azzurri come il ghiaccio non fosse rimasta impressa nella mente del ragazzo; era così poco comune, un’immagine che trasmetteva sicurezza, semplicità… Felix, il ragazzo svedese, non poteva essere stato dimenticato da Alex. Kate aprì la bocca per parlare:<< Alex. >> Cominciò con voce tremante. Alex sembrò non sentirla, continuava a mormorare qualcosa di incomprensibile. << Ti ricordi di Felix? >>
Nella stanza il tempo si fermò, nulla si mosse più e i tre ragazzi rimasero immobili come se gli fosse vietato respirare. Tommy faceva guizzare i bulbi oculari da Kate ad Alex, davanti a lei, e la ragazza stessa rimaneva al suo posto, perfettamente immobile, in attesa di una risposta; si rese conto di sudare dalla tensione e pregò che quell’interminabile momento passasse; solo quando Alex, che era rimasto a fissare il vuoto alla sua sinistra, cominciò a urlare disperato, il tempo riprese a scorrere.
<< AAAAAAH!!! E’ QUI!!! VUOLE UCCIDERMI!!! >> Urlò fuori di sé, come se lo stessero uccidendo. << FELIX! LO SENTO! E’ SU DI ME! NON RIESCO A TOGLIERMELO DI DOSSO! >> Sì alzò dal letto con un balzo e cominciò a correre in tondo nella stanza; travolse Kate e arrivò all’altro lato del lettino, dove Tommy lo spinse di nuovo sul suo giaciglio, per farlo stare zitto. Ma il ragazzo si mise a urlare ancora di più dopo quel gesto, e cominciò a tirare le coperte del letto con le unghie.
Kate si rialzò a fatica e si tappò le orecchie spaventata; cominciò a guardarsi intorno preoccupata, sicura che le urla del ragazzo avrebbero attirato un esercito di infermieri e dottori nella stanza. Anche Tommy si guardava intorno digrignando i denti; lui sapeva già da prima che sarebbe successo qualcosa del genere, ma nonostante tutto era rimasto lì con Kate. << Cosa facciamo? >> Strillò Kate cercando di sovrastare le urla sguaiate di Alex.
Tommy si girò verso la porta; presto sarebbe arrivato qualcuno. << Dobbiamo uscire, altrimenti saremo nei guai! >>
Kate urlò seccata. << Siamo già nei guai! >>
<< SI VUOLE RIPRENDERE LA SUA MANO! E’ COLPA MIA SE LUI E’ MORTO! MI VUOLE UCCIDERE!!! >> Alex continuava a urlare disperato, sembrava come se qualcuno stesse cercando di strangolarlo, si agitava, gridava e si guardava intorno in cerca di un aiuto. All’improvviso si alzò sul letto e corse fino ai suoi piedi, saltando in lungo e raggiungendo la parete, su cui cominciò a battere con forza mani e testa.
<< Andiamo! >> Esclamò Tommy. Ma sarebbero stati visti se fossero usciti dalla porta. Kate si guardò intorno; non potevano uscire dalla finestra, erano troppo in alto, a meno che non avessero avuto un aiuto…
<< Tommy! Tu ti fidi di me? >> Chiese in fretta.
<< Eh?! >> Fu la risposta del ragazzo. << Che razza di domande sono adesso? >>
<< Tommy! >> Ripeté Kate. << Se usciamo dalla porta ora verremo bloccati di sicuro, e non possiamo permetterlo! >>
<< Non capisco… >> Commentò confuso il ragazzo mentre Kate si avvicinava.
<< Devi fidarti di me: usciremo dalla finestra! >> Tommy sussultò incredulo.
<< Dalla finestra? Stai scherzando? >> Kate scosse la testa nervosa.
<< Devi fidarti di me… >> Mormorò incerta. Stava per fare qualcosa di cui si sarbbe potuta pentire, ma non poteva lasciare che qualcuno scoprisse che erano là; dovevano scappare ora.
Tommy guardò la finestra, poi Alex che si dimenava sul muro e infine Kate. << Va bene, mi fido di te, andiamo! >> Concluse in fretta, sapendo di avere poco tempo.
Kate sospirò sollevata. << Grazie. >> Lo ringraziò. << Giuro di raccontarti tutto quanto quando sarà il momento opportuno… >>
<< Non ti preoccupare! >> Cercò di tagliare corto lui spingendola dalla schiena.
Kate annuì decisa e andò alla finestra, aprendola. Salì sul bordo, spaventando Tommy. << Un ultimo favore… >> Mormorò. << Puoi chiudere gli occhi? >>
A Tommy sembrò una strana richiesta quella, ma accettò, non avendo molto tempo per pensarci, sapendo che prima o poi Kate gli avrebbe spiegato tutto, e vedendo Alex dietro di sé, intento a buttare giù da dei ripiani intere confezioni di medicine, strumenti chirurgici e altre cose che avrebbero dovuto calmarlo e farlo sentire più a casa, pensò di non avere molta scelta…
Il ragazzo salì accanto a lei e chiuse gli occhi. Kate prese la mano di Tommy e gliela strinse con forza. Aveva paura. Aveva paura di stare facendo un errore. Sapeva che era una cosa da niente per Slender Man salvarli da lì, ma temeva che sarebbe andato storto qualcosa. Prese un respiro profondo e mise avanti un piede, lasciandosi trascinare dalla forza di gravità, e portando dietro di sé Tommy.
Slender Man, salvaci! Urlò nella sua mente, mentre insieme precipitavano. Se il suo potere psichico era aumentato, come diceva Slender Man, significava che fosse in grado di comunicare con lui anche telepaticamente, o almeno così sperava…

 

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Capitolo 53
*** Villa ***


Kate sospirò lentamente. Aveva ancora i brividi per il salto di pochi minuti prima; si era totalmente affidata a Slender Man in quella circostanza, non riusciva a crederci… Tommy era vicino a lei, si stava sciacquando il viso sudato a una fontana pubblica, mentre Kate aveva già fatto e si era seduta su un gradino lui non riusciva ancora a credere a quello che era successo, e continuava a buttarsi acqua fredda in faccia, per controllare che fosse sveglio – o vivo.
I due ragazzi avevano saltato dalla finestra dell’ospedale; così facendo erano riusciti ad evitare di essere scoperti, ma Kate aveva dovuto chiamare in aiuto Slender Man, e sapeva che avrebbe dovuto spiegare le cose meglio a Tommy, che adesso era confuso più che mai.
<< Di’ un po’… >> Cominciò ansimando incredulo il ragazzo. << Cosa diamine è successo quando abbiamo saltato? >> Si girò con la faccia gocciolante. Kate lo guardò a sua volta con sguardo provato. << E come mai ci siamo ritrovati a terra senza un graffio, tutto a un tratto? >>
Kate abbassò lo sguardo imbarazzata. << E’ complicato… >> Mormorò piegando le labbra. << Sai, il motivo per cui ho voluto fare una visita ad Alex… E’ una cosa piuttosto seria… >>
<< Sì? >> Le fece eco lui. << Quella cosa che non potevi dirmi, giusto? >> Kate si sentì in colpa per averlo tenuto all’oscuro di tutto, specialmente dopo aver sentito il tono con cui disse quella cosa. Sembrava infastidito dal fatto che Kate non si fidasse di lui.
<< Voglio essere sincera con te… >> Mormorò guardando in basso; non sarebbe riuscita a sostenere lo sguardo di Tommy. << Però se vuoi sapere la verità, devi sapere prima che si tratta di una cosa pericolosa, potrebbe non piacerti! >> Lo avvertì alzando lo sguardo, trovando finalmente il coraggio per farlo.
Tommy sembrò sorpreso dall’avvertimento della ragazza. << Dici sul serio…? >> Mormorò incredulo. Kate sostenne il suo sguardo più che poté, cercando di mostrargli di essere seria. Il ragazzo si mise una mano alla bocca e girò lo sguardo. << In ogni caso, credo di esserci già dentro… Quindi non vedo perché debba tirarmi indietro! >> Sorrise e si sedette sul gradino con Kate. << Se c’è qualche problema, Kate, sai di poter contare su di me! Racconta, magari posso aiutarti… >>
Kate pensava che non avrebbe mai potuto aiutarla, ed era anche abbastanza sicura del fatto che l’avrebbe respinta con disgusto e paura, una volta scoperta la verità, ma sorrise e si alzò. << Andiamo da una parte, vieni… >> Gli fece segno con una mano di alzarsi. << Ti racconterò tutto strada facendo. >>
I due ragazzini si avviarono per le strade della città, diretti dove solo Kate sapeva; al momento, Tommy era troppo concentrato su quello che la ragazza aveva da dirgli, per preoccuparsi di dove stessero andando. << Alex e i suoi amici hanno passato una notte nella vecchia villa abbandonata, lo sapevi? >>
Tommy annuì tenendosi le mani in tasca. << E’ dove è stato ritrovato lui. Ma degli altri non ci sono tracce… >> Commentò senza spiegarsi come facesse Kate a parlare anche per gli amici di Alex. Il ragazzo che avevano incontrato gli aveva parlato dei suoi amici, ma potevano davvero credere alle parole di un folle?
Kate sospirò con pazienza. << Ho… Visto quello che gli è successo… In un certo senso… >> Mormorò senza spiegarsi troppo. Tommy era ancora confuso, ma Kate sapeva che non lo sarebbe stato così tanto, una volta finito di raccontare tutto. Era un ragazzo intelligente, avrebbe capito. << Conosci la leggenda? >> Chiese per accertarsi che Tommy avesse delle conoscenze di base sulla materia, prima di avventurarsi in profondità nella vicenda.
<< Quella della villa? So quello che sanno tutti, che è stata abbandonata dalla famiglia che la abitava dopo la scomparsa di un bambino… >> Commentò lui stringendo le spalle.
Kate annuì. << Giusto. E sai a cosa è stata attribuita la colpa della sparizione del bambino? >> Chiese, sapendo di ricevere in risposta una battuta sarcastica.
Tommy aprì la bocca per qualche secondo. << Ah… Slender Man, giusto? >> Disse rapidamente girando lo sguardo un po’ diverito verso Kate. Lei lo guardò triste. << Non mi piace molto parlare di queste cose, in realtà… >> Commentò passandosi una mano sul viso. << Sai, preferisco credere in cose con un senso logico e che abbiano prove concrete con cui presentarsi, non semplici… Fantasmi o spiriti… >> Fece in tono sbrigativo agitando le mani. << Però è interessante parlarne a volte. >> Concluse sorridendo a Kate.
Kate abbassò lo sguardo pensierosa. << Slender Man… Prima di poche settimane fa, nemmeno io ci credevo tanto… >> Tommy notò il suo sconforto.
<< Ehi, su col morale! >> Le fece allungando una mano verso di lei e posandogliela sulla spalla. << Non è mica una cosa vera! E poi, vorresti dirmi che Alex e gli altri sono venuti a contatto con questa… Entità? >> Trattenne una risata e scosse la testa piano. << Alex è sempre stato un tipo originale, potrebbe aver archittettato un bello scherzo, mentre i suoi amici se ne stanno nascosti da qualche parte, in attesa di sorprendere tutti, e lui finge di essere diventato pazzo…! >> Ridacchiò un po’ con poca convinzione, zittendosi dopo pochi secondi; neanche Tommy credeva tanto alla sua teoria, che aveva tirato fuori adesso. Sospirò. << La verità è che siamo tutti confusi, non abbiamo idea di cosa stia succedendo, e la nostra mente, pur di trovare una spiegazione, attribuisce la colpa di ciò a qualcosa che non riusciamo a spiegarci! >> Disse con tono più duro guardando avanti. Sospirò di nuovo. << Come quella storia di Becky Johnson… >>
Kate si voltò come se avesse sentito qualcuno chiamarla e spalancò gli occhi. << Becky Johnson? Adesso lei cosa c’entra con tutto questo? >> Lei c’entrava molto più di quanto volesse far credere, ma non pensava che qualcuno avesse potuto pensare davvero a Slender Man in quella situazione.
Tommy si diede dei colpetti alla tempia con le dita. << Bé, dopo aver trovato solo la testa di una ragazzina nei bagni della scuola, senza nessuna traccia di un possibile killer, e anche data la strana e improbabile morte della poveretta, la gente ha cominciato a chiedersi se ci fosse davvero qualcosa di umano in ciò che l’ha resa in quello stato… E’ difficile spiegarsi una cosa come quella… Sai di che parlo… >> Tommy si fece cupo tutto a un tratto, mentre parlava. Tirare fuori dal nulla quell’argomento e ricordare la situazione in cui tutti erano finiti quel giorno non era molto piacevole, sembrava essersi depresso all’improvviso a causa di quello.
Kate si sentì strana a parlare con tanta leggerezza di quel fatto, ma capì cosa intendesse il suo amico. << Quindi qualcuno ha ipotizzato che il mostro Slender Man potesse aver ucciso Becky? >> Chiese senza guardarlo in faccia.
Tommy piegò la testa per rispondere. Kate rimase in silenzio guardando la strada mentre camminavano. Passarono alcuni minuti senza che i due proferissero parola; la discussione aveva raggiunto un punto morto e Kate non sapeva come riprenderla. Però aveva detto a Tommy che gli avrebbe dato delle risposte, e lo voleva ancora fare.
<< E se ti dicessi che quelle persone non hanno poi così torto…? >> Chiese guardandolo cupamente con la coda dell’occhio.
Tommy la guardò serio, non credeva tanto a quelle cose. << Ovvero? >> Chiese per una conferma.
Kate sospirò. Lo stava per fare, per davvero! Stava per dire a Tommy la verità su quello che le era capitato in quei giorni, e lui non le avrebbe mai potuto credere, non dopo avere affermato quelle cose poco prima. << Slender Man. >> Disse, desiderando di potersi fermare. << Esiste davvero, e di fronte a te c’è la sua attuale preda. >> Si fermò e si girò completamente verso di lui. Tommy si bloccò e la guardò incredulo. Kate sapeva che avrebbe ricevuto una fragorosa risata come risposta, oppure degli insulti e delle urla terrorizzate, ma non sarebbe mai potuto accadere che Tommy accettasse quella cosa.
<< Eh? >> Fece il ragazzo piegando la testa di lato. I suoi occhi erano confusi, la sua espressione sembrava dire: “non ho capito bene”, e forse non aveva davvero capito bene, ma Kate si sentì solo presa in giro quando dovette ripetere quello che aveva detto.
<< Slender Man esiste. Lui mi perseguita. >> Quando pronunciò quelle parole le vennero i brividi, le spalle si misero a tremare e il suo battito cardiaco accelerò. Si sentiva davvero male nel parlare di Slender Man con altre persone, soprattutto sapendo che non le avrebbero creduto. Quando pronunciò quel “lui”, poi, fu come se stesse parlando di qualcosa molto più umano e normale, quasi come se non fosse qualcosa di terribile il fatto che Slender Man la perseguitasse. Perché stava diventando così?
Tommy spalancò gli occhi incredulo. Dopo un attimo di smarrimento, si guardò intorno e prese Kate dal polso. << Forse sarebbe meglio parlare di queste cose in un luogo più appartato. >> Disse, lasciando Kate incredula del fatto che non fosse scappato additandola come pazza.
La ragazza annuì sul punto di mettersi a piangere. << Sì… >> Disse. << Seguimi, ti racconto tutto… >> Cercò di liberarsi dalla stretta del ragazzo sul polso, ma invece di lasciarla andare lui scese di più e le strinse con forza la mano, quasi per trasmetterle forza. Kate si girò sorridendogli, ringraziandolo mentalmente per essere rimasto lì.
<< Se sei nei guai, io farò di tutto per aiutarti. >> Disse Tommy sorridendo a sua volta.
Kate quasi arrossì dopo aver sentito quelle parole. << Grazie… >> Mormorò, incapace di guardarlo in faccia. << Prima di tutto, devo chiederti una cosa. >> Si fermò e lo bloccò tenendolo dalle spalle. Lo guardò dritto negli occhi. << Guardami. >> Gli ordinò rimanendo seria. Tommy fissò lo sguardo sugli occhi neri di Kate, ma dopo alcuni istanti cominciò a sentirsi strano, affaticato, e desideroso di guardare da un’altra parte. << Da quanto tempo è così? >>
Tommy scosse la testa mettendosi una mano alla fronte. << Così, cosa? >> Chiese senza capire; lui non sapeva come mai si sentisse male ogni volta che cercasse di guardare Kate negli occhi, non poteva immaginare che fosse proprio il suo sguardo, quello che lo rendeva in quello stato.
<< Ogni volta che mi guardi vorresti distogliere lo sguardo, non è vero? >> Chiese Kate pazientemente, sapendo che avrebbe dovuto prendere le cose con calma, se avrebbe voluto che Tommy capisse tutto.
Tommy si sentì come colto il fallo e cercò di rimediare, nel frattempo continuando a guardarsi intorno. << Non… Non è che… >>
<< E’ tutto a posto. >> Si affrettò a rassicurarlo Kate. Cominciò a camminare. << Vieni, ti spiego perché… >>
I due ragazzini tornarono a passeggiare con calma, diretti solo dove Kate sapeva, e durante il loro tragitto, la ragazzina spiegò con cura ciò che le era capitato in quelle ultime settimane, partendo dalla notte di sabato in cui incontrò Slender Man per la prima volta.
<< All’ultima festa della scuola tu c’eri, vero? >> Chiese.
<< Certo. Mi ricordo che ci siamo anche visti lì. >> Rispose calmo Tommy. Kate non seppe confermare quella affermazione. Non ricordava quasi niente di quella sera, e se avesse visto Tommy lì, forse avrebbe anche tentato di ignorarlo…
<< Non credo di ricordare molto di quella sera, a parte ciò che è accaduto dopo… >> Fu la sua risposta. Tommy la ascoltava con attenzione. << Quando me ne sono andata, ho preso una strada diversa, una scorciatoia attraverso il bosco… >> Sospirò ricordando quella notte in cui venne a contatto con il mostro. << Mi sono sentita osservata, c’era qualcosa che mi seguiva… Ed era Slender Man. >>
Tommy rimase senza parole. << Slender Man…? >>
Kate continuò a raccontare, senza fare caso al suo commento incredulo. << Da allora non mi ha mai lasciata un solo istante; mi ha sempre osservato da lontano, nascondendosi nell’ombra, come uno stalker, solo che questo è diverso da tutti gli altri… >> Tommy aspettava che gli fosse concesso di parlare. << Dice di volermi proteggere, mi ha detto che vede qualcosa di speciale in me, e vuole rimanere con me, ma io non ci credo… Non del tutto… >> Stava vacillando proprio mentre spiegava tutto a Tommy. << Mi ha protetta in diverse situazioni, anche poco fa è stato lui a salvarci. >> Tommy sussultò, ma si trattenne dal commentare. << Ma mi ha anche fatto del male… >> Nella mente di Kate passarono tutti quei momenti in cui l’essere aveva fatto del male alla ragazza, anche se involontariamente, o indirettamente; ogni volta che entrava nella sua testa con prepotenza, dopo aver ucciso persone vicine a lei, quando aveva fatto del male a Jamie… << Ti ricordi quella ragazza che ha rischiato di venire investita, alcune settimane fa, ma che miracolosamente si è salvata? >> Chiese alzando lo sguardo. << Ero io. Slender Man ha ucciso il conducente di quel camion per salvarmi. >>
Tommy spalancò gli occhi incredulo. << Ma… Davvero…? >>
Kate tornò a parlare. << La morte del signor Anderson è stata anche opera sua; chi altri avrebbe potuto causargli tali ferite? E Becky Johnson è morta a causa mia… Probabilmente è a causa di ciò che ha visto, che Karen ha cercato di uccidersi… >>
Tommy si girò rapidamente verso di lei. << Ehi, adesso non esagerare! >> Cercò di tirarle su il morale. << Non sei responsabile delle azioni di un mostro folle! >>
Kate alzò lo sguardo quasi infastidita, senza sapere bene perché. << E’ stato a causa dell’odio che provavo per lei che lui l’ha uccisa. >> Rispose con semplicità. Kate sapeva bene perché fosse morta Becky Johnson, così come lo sapeva riguardo il signor Anderson e Karen Smith, non aveva intenzione di tornare indietro e riesaminare tutto quanto, dopo essere arrivata alla conclusione che non avrebbe potuto evitare tutto quello. << Ma non importa; ormai è fatta, e quello che posso fare è cercare di trattenere Slender Man in modo che non faccia più del male a nessuno. >>
Tommy rimase con la bocca aperta. << Eh… E’ da te… >>
Kate si girò verso di lui contrariata. << Dici sul serio? >> Chiese poco convinta di quello. Ma Tommy annuì in sua risposta, facendole dubitare della sua stessa essenza; Kate non si era mai considerata una ragazza interessata agli altri, era una che viveva per sé, non si considerava altruista, ma nemmeno estremamente egoista… Era strano, a parte Jennifer, nessuno le aveva mai detto qualcosa di simile… Trattenne un sorrisetto isterico. << Dici sul serio? >> Ripeté senza riuscire a credere alle sue orecchie.
Tommy rise alla sua seconda domanda e si mise davanti a lei, come se sapesse la strada, ma poi si rese conto di dover seguire Kate e quindi tornò accanto a lei. << Comunque, adesso dobbiamo concentrarci su questa cosa: cosa vuoi fare per rendere lo Slender Man meno pericoloso? >>
Kate si guardò intorno poco convinta che quelle fossero le parole esatte. << Non sto cercando di renderlo meno pericoloso… Slender Man è pericoloso, non importa cosa faccia; ma se riesco a renderlo mansueto, se riesco a insegnargli che uccidere è sbagliato, allora potrei anche sopportare il dolore… >> Sospirò abbassando lo sguardo. << Avrei fatto qualcosa di buono, in quel caso… >>
Tommy allungò un braccio verso di lei e le toccò piano il gomito. << Ehi, cosa sinifica “sopportare il dolore”? Che cosa ti ha fatto? >>
Kate alzò lo sguardo tristemente e sentì che avrebbe dovuto distoglierlo, per non fare del male a Tommy con l’oscurità nei suoi occhi, ma il ragazzo sembrò non curarsi di quella repulsione che lo colpì nel momento stesso in cui incrociò il suo sguardo; voleva sapere se lei stava bene. << Io… >> Kate non sapeva bene cosa dire in quel momento.  Sospirò liberandosi di un peso nel petto. << Diciamo che non è stato facile, stare insieme a Slender Man nei primi tempi… Era… Doloroso… >> Confessò ripensando a quei momenti in cui aveva pensato che la sua testa sarebbe scoppiata per il dolore che le aveva causato l’influenza di Slender Man. << Per persone normali è difficile rimanergli vicino senza… Conseguenze… >>
<< Le persone normali? >> Chiese Tommy confuso.
Kate annuì in silenzio. << Mi ha detto che sono speciale, e che quando sto con lui non accade quello che accade di solito… >>
Tommy ebbe paura di fare la sua domanda:<< E cosa accadrebbe, di solito? >>
Kate lo guardò di nuovo negli occhi. << Stando a quello che mi ha detto, i normali umani vengono segnati così tanto da perdere la ragione, e finiscono per uccidere sé stessi o chi gli sta accanto. >>
Tommy era sgomento. << “Normali umani”…? >> Mormorò a voce bassa. << Che… Cosa significa? >> Kate si rese conto in quel momento di aver assunto un tono molto più simile a quello di Slender Man che di chiunque altro; nonostante il mostro non dovesse avere un tono di voce, Kate si sentì quasi come se fosse Slender Man a parlare dalla sua bocca. Si mise una mano alla bocca; non riusciva a credere di avere detto una frase simile.
<< Oh mio Dio… >> Mormorò spaventata. Era davvero diventata così, un mostro? Ormai parlava come Slender Man, stava dalla parte di Slender Man, accettava qualunque cosa dicesse Slender Man e si affidava a Slender Man. Ma era ancora concentrata sulla sua missione di redimerlo, era ancora sulla strada giusta, non si era allontanata troppo. << Scusami… >> Mormorò con voce spezzata. Si sentiva come se avesse insultato Tommy, e non solo lui, ma anche Jennifer, suo fratello, Karen Smith, il signor Tucker e la sua famiglia… Si sentiva un mostro.
Tommy sembrò non capire di cosa Kate dovesse scusarsi. << E se dovessi incontrarlo io, cosa succederebbe, allora? >> Chiese con tono un po’ instupidito. Era per questo che aveva reagito in quel modo strano, all’affermazione di Kate; non aveva afferrato quello che aveva detto lei, solo che le altre persone non potevano stare vicino a Slender Man; era stata lei a credere di aver detto qualcosa di orribile, mentre Tommy non lo aveva neanche notato. Era davvero un mostro, allora?
<< Scusami…? >> Fece con tono distratto dopo aver scosso la testa con vigore per allontanare i pensieri. Non aveva capito cosa aveva detto Tommy e avrebbe gradito risentirlo.
<< Hai detto che Slender Man ha strani effetti sulle persone, ma poco fa lui ci ha salvati entrambi dallo schiantarci a terra; se lui era là, perché io non mi sento diverso? >> Ecco cosa intendeva Tommy, adesso capiva.
In effetti era strano il fatto che l’influenza di Slender Man non avesse avuto alcun effetto su di lui, o su Jennifer, che era venuta a contatto con l’essere anche in modo più drastico di lui. << Non ne ho idea… >> Mormorò mettendosi una mano al mento. L’unica risposta che le venne in mente fu che l’essere stesse cercando di trattenersi per non provocare danni sulla mente dei suoi amici. Espose i suoi ragionamenti a Tommy.
<< Sarebbe una buona notizia, in quel caso! >> Commentò lui. << Significherebbe che stai facendo progressi nel renderlo buono! >>
<< Oppure potrebbe essere la tua mente a non essere abbastanza semplice per lui… >> Commentò disfattista Kate, facendo sparire l’ottimismo di Tommy.
<< Ehi, non essere così pessimista! >> Si lamentò lui.
Kate sapeva di essere sempre stata insopportabile, quando si era trattato di fiducia, ottimismo e buoni propositi, ma non riusciva a fare a meno di pensare al futuro con pessimismo, quasi come se tutto ciò che la attendesse fosse oscurità e disperazione. << Scusami… E’ solo che bisogna essere sicuri di ogni cosa, con lui… >> Cercò di recuperare la ragazzina, senza però riuscire a guardare l’amico negli occhi.
<< Non importa. >> Disse Tommy dandole una pacca sulla testa. Perché lo fece? Kate si sentì estremante in imbarazzo dopo aver ricevuto quella pacca, non era un cagnolino! Probabilmente il motivo per cui lo fece fu che tenendo la testa bassa, Kate sembrava ancora più piccola di quanto fosse, e quello doveva aver innescato qualche istinto paterno o fraterno o simile in Tommy, che aveva quindi dato quella pacca sulla testa di Kate per farla stare meglio. Alla ragazzina non piaceva molto ricevere pacche in testa, ne riceveva spesso, data la sua statura, specialmente quando doveva conoscere qualche adulto troppo espansivo, come i colleghi di lavoro dei suoi genitori, che allungavano le mani e continuavano a darle pacche sulla testa, quasi come se avessero l’intenzione di renderla ancora più bassa. C’era stato un periodo, quando era più piccola e non poteva rimanere a casa da sola troppo spesso, che venisse trascinata dai suoi genitori a cene e eventi, spesso organizzati dal loro lavoro, e lì capitava spesso che la famiglia incontrasse persone, vecchi amici o colleghi di lavoro di cui Kate non sapeva assolutamente niente e di cui non avrebbe potuto fregarle di meno, che dopo aver salutato i suoi genitori con falsità – reciproca – passassero a salutare lei, dicendole quanto fosse cresciuta, o quanto fosse piccola, o quanto fosse carina o simpatica, o timida, o gentile, per poi darle qualche pacca sulla testa, facendosi odiare ancora di più da quella piccola Kate di qualche anno prima. Adesso Kate si sentiva lontana anni luce da quegli anni, ed era felice di poter rimanere a casa quanto volesse, o uscire da sola senza dover essere accompagnata da un adulto annoiato… E nonostante fosse cresciuta, diventando più adulta di quanto tutti potessero credere, era ancora considerata una bambina indifesa…
<< Andiamo. >> Disse Kate girandosi e riprendendo a camminare. Tommy le fu dietro, e in pochi minuti raggiunsero la loro destinazione: la villa abbandonata.
Nella villa si entrava dopo aver attraversato un giardino che un tempo doveva essere stato così rigoglioso da essere l’orgoglio del giardiniere, ora era un ammasso di erbacce lasciate crescere senza freno, in mezzo alla quale si ergevano alcuni alberi morti e rinsecchiti, dall’aspetto spettrale, come anche il resto della casa: la villa si estendeva in altezza per tre piani, contando quello a terra, ma la torre si stagliava ancora più in alto, sottile e inquietante, come se ci fosse qualcuno ad osservare i due ragazzi da lì. Kate scavalcò il cancelletto e superò il giardino senza curarsi tanto dei dintorni; raggiunse il portone della villa e cercò di spingerlo, ma era pesante, e lei non era abbastanza forte. Chiese aiuto a Tommy, che dopo qualche tentativo, riuscì a dare la spinta necessaria per smuovere la porta e permettere a Kate di entrare.
Erano state effettuate delle indagini, ultimamente, dopo il ritrovamento di Alex nella villa e la scomparsa dei suoi amici, quindi l’interno era un po’ in disordine – non che potesse essere in buone condizioni, dopo cinquant’anni – ma Kate cercò di non farci caso; non era importante quello che che aveva fatto la polizia lì dentro, nessuno era riuscito a cavare un ragno dal buco in quel mistero, e sapeva che quello che cercava lei era rimasto lì sin dall’inizio.
<< Kate… Che stiamo cercando? >> Chiese Tommy ammirando l’entrata sfarzosa della villa; ai lati della stanza si estendevano delle scalinate che portavano al piano superiore, mentre in mezzo c’erano un grosso mobile e uno specchio rotto.
<< Seguimi. >> Disse alzando un dito. << Indizi. >> Aggiunse poi per rispondere alla domanda di Tommy. In realtà non sapeva nemmeno lei perché fosse venuta lì; pensava che avrebbe visto qualcosa che gli altri non avevano visto per tutto quel tempo; era davvero presuntuosa, ma sapeva anche di poter capire cosa non avrebbero potuto notare, i “normali umani”.
Kate cominciò a camminare su per le scale. Camminava rapidamente, si guardava intorno con gli occhi che guizzavano da una parte all’altra della casa, in cerca di qualcosa di strano, diverso, ma ogni cosa che vedeva sembrava essere rimasta ferma per mezzo secolo, sembrava quasi che non ci fosse stato nessuno lì in quegli ultimi giorni; Kate e Tommy esplorarono le stanze, passarono in una stanza da letto messa a soqquadro dalla polizia, per poi passare a una cucina piena di sporco e ruggine, ispezionarono persino degli sgabuzzini e i bagni, ma niente sembrò fuori posto, e Kate cominciava a dubitare di sé stessa.
Perché sono venuta qui, prima di tutto? Si chiese dopo aver ispezionato anche l’ultima stanza, una libreria polverosa, piena di mobili vuoti e tarlati.
<< Sembra tutto in ordine… >> Mormorò Tommy, pur sapendo che Kate non stesse cercando un disordine “ordinario”. Kate non sembrava ascoltarlo, era come in trance, alla ricerca di qualcosa che avesse ignorato; sembrava stressata. Il suo stato preoccupò Tommy, che si avvicinò a lei e le mise una mano sulla spalla. << Kate, non hai un bell’aspetto… Forse dovremmo andare via, prima che questo posto cominci a farci brutti scherzi… >> A un tratto la mente di Kate fu attraversata da una scossa elettrica, e la ragazza spalancò gli occhi stupita.
<< Vedo tutto! >> Esclamò a un tratto spaventando Tommy. Il ragazzo avrebbe chiesto di cosa stesse parlando, ma la ragazza partì subito come alla ricerca di qualcosa e lui dovette inseguirla.
Tornarono all’entrata, Kate sembrava in estasi. << Qui è cominciata la notte… >> Mormorò piegando le labbra. Si voltò verso Tommy che correva giù per le scale. << Hanno esplorato la casa e sono finiti in una camera da letto… >> Tornò a correre su per le scale, e Tommy riprese a inseguirla, finché non raggiunsero la camera da letto che avevano ispezionato prima; qui riprese a parlare da sola:<< Sono rimasti qui per parecchio tempo, ma poi si sono rialzati, dovevano andare al bagno, i ragazzini… >> Dopo aver dato un’occhiata alla stanza vuota, Kate tornò nei corridoi, raggiungendo il bagno, ma si fermò davanti alla porta, invece di entrare. Il suo respiro sembrava affannato. Dopo aver fissato per qualche istante la porta del bagno, la ragazzina tornò indietro, correndo nel corridoio, quasi come se non avesse una meta, ma si fermò a metà strada dal bagno alla camera da letto. Fissò l’oscurità con occhi spalancati, spauriti, mentre Tommy la raggiungeva annaspante. << Qui è dove è cominciato l’incubo… >> Mormorò con voce stridula. Tornò a correre come un’ossessa e raggiunse un grande salone. << Qui… Si sono resi conto della stronzata che stavano facendo… >> Sussurrò quasi senza voce. A poco a poco che andava avanti, Kate sembrava allontanarsi sempre di più da lì, e la sua voce e il suo tono sembravano cambiare; non sembrava più lei, per qualche motivo. Tornò a correre, questa volta diretta all’entrata; Tommy non fece più domande, aveva capito che ormai doveva semplicemente seguire Kate, aspettando che la ragazza riprendesse a parlare con lui di sua scelta, una volta finiti i ragionamenti.
All’entrata, Kate si fermò sulla rampa da dove si entrava nella casa, affacciandosi al bordo e guardando con occhi spalancati la porta; sembrava avere visto un fantasma, e il suo commentò spiazzò Tommy:<< Oddio… >> Mormorò spaventata. << E’ l’inizio del gioco… Nessuno sfugge! >> Si voltò, quasi investendo Tommy e tornò a correre, questa volta dirigendosi di nuovo verso il bagno. Mentre correva sussurrava frasi senza senso, almeno secondo Tommy. << Avevano paura… Erano spaventati… Volevano scappare, ma le loro opinioni contrastavano… >> Si fermò davanti alla porta del bagno, di nuovo, ma dopo alcuni secondi, questa volta la aprì, rimanendo a fissare con occhi orripilati il gabinetto. Tommy si fermò dietro di lei, allungando il collo per capire cosa ci fosse di strano in quella stanza, e poi aspettò un suo commento, oppure che ricominciasse a correre. Ma questa volta Kate si mise le mani alla testa e cominciò a piangere, spaventando il ragazzo, che cercò di calmarla.
<< Ehi… >> Cercò di avvicinarsi lui. << Stai bene? >>
Kate non sembrava ascoltarlo, in ogni caso. << No… Mi scoppia la testa, perché hai fatto questo…? >>
Tommy cercò di cingerle la schiena con il braccio sinistro, per farla sentire un po’ più al sicuro, ma Kate scoppiò in grida infuriate. << NO! E’ quello che si merita! Tutti se lo meritano! Sono morti, e gli sta bene! >> Subito si voltò dando una spallata a Tommy e avviandosi per i corridoi. Cominciò a vagare per la casa come una pazza, urlando cose strane. << Stavano male! Litigavano! Non erano amici! >> Scese e risalì le scale un paio di volte, con Tommy che le andava dietro, ormai instupidito da tutte le cose che stavano accadendo; Kate non sembrava più lei, gli occhi sembravano doverle schizzare fuori dalle orbite e il suo corpo tremava come una foglia sul punto di cadere a terra, sembrava che fosse sul punto di sgretolarsi; rideva, piangeva, urlava, correva e si fermava a pensare con lo sguardo perso nel vuoto, era tutto troppo strano.
Una volta salita al piano di sopra ed entrata nella camera da letto, si fermò fissando con occhi spalancati la finestra a ghigliottina, sopra una piccola scrivania di legno. << La finestra! >> Esclamò quasi sbattendo la porta. << La fottuta finestra… >> Il suo tono nascondeva rabbia, quasi come se odiasse a morte quella finestra. << Perché lo hai fatto? >> Chiese avanzando lentamente verso di essa. << E’… Doloroso… >> Mormorò sul punto di mettersi a piangere di nuovo. Si sporse per vedere fuori dalla finestra, attraverso il vetro sporco, come se cercasse di vedere qualcosa a terra nel cortile. Sembrava voler rimanere lì per molto, ma invece si voltò all’improvviso e tornò a camminare con impeto, uscendo dalla stanza, in cui Tommy non era neanche entrato. Questa volta cercò di afferrarla non appena uscì dalla porta, ma la mancò, e dovette inseguirla di nuovo.
Continuando a vagare per i corridoi, Kate si fermò di tanto in tanto, come per osservare una scena invisibile. << Codardo… Bastardo… >> Sussurrava a denti stretti mentre camminava. << Vigliacco di merda! Muori! >> Ma subito dopo aver detto quelle cose sembrava pentirsene e sussurrava sconfortata:<< No… >> Continuò a camminare finché non raggiunse uno sgabuzzino e ci si chiuse dentro. Tommy non seppe se seguirla o rimanere fuori, e senza sentire nessun suono dallo stanzino, decise di bussare, chiedendole cosa stesse facendo.
<< FUORI DAI PIEDI!!! >> Fu la risposta della ragazza, che con voce roca e rabbiosa sembrò buttare tutto il suo astio addosso al ragazzo. Dopo un silenzio di qualche secondo, che preoccupò ancora di più Tommy, Kate uscì dallo sgabuzzino con sguardo triste e cominciò a piagnucolare:<< Mi dispiace, scusami… >> Tommy non capì se quelle scuse fossero rivolte a lui o a qualcun altro invisibile in quel corridoio, ma il dispiacere di Kate durò poco, e lei tornò a correre nei corridoi, con più foga di prima. A un certo punto la ragazza si fermò e rimase a fissare il pavimento. Ansimava. Era ovvio che fosse stanca, si era messa a correre senza una ragione per tutto l’edificio, e anche Tommy non era al massimo della forma. Ma Kate non stava prendendosi una pausa dalla corsa; a un certo punto alzò lo sguardo tremante e si fermò dopo aver visto qualcosa sul soffitto. Si mise le mani alla testa e si inginocchiò, cominciando a urlare disperatamente. << NO! NO! BASTA! PER FAVORE! >> Supplicava disperata. Sembrava soffrire, ma Tommy non capiva per cosa stesse soffrendo; sembrava che riuscisse a vedere cose che lui non vedeva, e a quanto pare erano cose orribili.
Kate sbatté i palmi sul pavimento e cominciò a gridare con voce roca e sorriso malefico stampato in volto. << LA PUTTANA E’ MORTA! ERA QUELLO CHE SI MERITAVA! >> Subito dopo si rialzò scivolando con i piedi e tornò a correre per i corridoi, questa volta ridacchiando durante tutta la corsa. I due ragazzi passarono rapidamente attraverso un corridoio e qui Kate disse qualcosa tra le risate:<< Non fare l’eroe! Ihihihihihih! >>
Dopo una lunga corsa che sembrò seguire sempre la stessa strada, Kate e Tommy raggiusero una stanza con un grosso caminetto e la ragazza aprì la porta quasi sfondandola. Sembrava seccata. << Brutti bastardi, non sanno stare al loro posto! >> Ma subito dopo cambiò espressione e fissò il caminetto con occhi pieni di orrore. << E’… Orribile… >> Mormorò terrorizzata. << Perché hai fatto una cosa del genere… >> Sorrise di nuovo, voltandosi e dirigendosi verso la porta. << Perché devono imparare! Tutti devono imparare a temermi! Insolenti vermi! >> Uscì dalla stanza, seguita da Tommy, ormai sconcertato e in attesa di un attimo di calma per poter parlare, e tornò a camminare lungo i corridoi della villa; quel luogo era enorme, eppure lo avevano percorso più volte in pochi minuti. All’improvviso, Kate inciampò nel corridoio; le sue gambe si incrociarono tra loro e la ragazza si schiantò a terra, senza che Tommy potesse fare niente per bloccarla. Cominciò a piangere come una bambina. << Basta…! >> Sospirava sconsolata tra le lacrime. << Non ce la faccio… Mi fa male! Ho paura! >> Questa volta Kate sembrava essere tornata in sé, sembrava quasi che quelle cose che aveva detto prima non potessero uscire dalla bocca di quella ragazzina piangente in quel momento, Tommy si sentì straziato da quella scena e cercò di abbassarsi per aiutarla a rialzarsi e calmarla, ma prima che la sfiorasse, Kate si girò e strisciò via sulla schiena, allontanandosi da Tommy come se fosse qualcosa di disgustoso; poi si rialzò e scappò via, infilandosi in una porta e sbattendola dietro di sé. Tommy le fu dietro, e in poco tempo fu anche lui in una stanza buia con una scala a chiocciola che andava verso l’alto; non avevano controllato quella stanza, ma immaginavano entrambi dove portasse; era il luogo dove era stato trovato Alex.
Kate era in piedi in mezzo alla stanza della torre; attorno a lei erano sparse decine di fogli di carta con disegni fatti con un carboncino nero, diversi messaggi inquietanti e tanti pezzi di carta strappati e ingialliti dal tempo; sembravano messi apposta lì, come se fossero attratti dal corpo della ragazzina.
<< Kate…! >> La chiamò sorpreso Tommy entrando nella stanza. Kate era in uno strano stato d’animo; aveva stampato in faccia un ghigno inquietante, e i suoi occhi spalancati sembravano fissare qualcosa di invisibile, ma molto concreto per lei.
<< Credevi di scappare, piccola merda? >> Sussurrò sghignazzando. << Credevi di sfuggire a me? >> Il suo tono si indurì quando si colpì il petto con il palmo della mano. << Ma ora hai quello che ti meriti: la disperazione! >> A quel punto Kate cominciò a ridere in un modo che Tommy non aveva mai sentito, se non in qualche film; sembrava godere di qualcosa di sbagliato e tragico, era completamente persa nel suo mondo, sembrava che per lei Tommy non ci fosse neanche. La sua risata continuò a crescere e il suo sguardo continuò ad alzarsi; sembrò illuminarsi, ma era una luce sbagliata, era una luce oscura…
Dopo aver raggiunto il picco di potenza, dopo essere passata da ridere a urlare, Kate si ammutolì rapidamente, abbassando le braccia e rilassando le spalle, assumendo la posa passiva che aveva spesso. Sembrava calma, non emetteva alcun suono, e il suo petto si alzava e si abbassava normalmente, non sembrava nemmeno stanca dopo tutte quelle corse nella villa. Era davvero finita? E cosa era successo, esattamente?
Tommy fece un passò verso di lei, sperando che potesse aiutarlo a capire qualcosa. << Kate… >> Mormorò incerto alzando un braccio. Non appena sentì pronunciare il suo nome, la ragazza si voltò fulminandolo con lo sguardo e caricandolo alzando un dito verso di lui.
<< CHE COSA VUOI, STUPIDO UMANO? NON HO BISOGNO DI TE! >> Quella frase spiazzò Tommy, che rimase immobile; non era come prima, quando Kate gli aveva urlato dallo stanzino; non aveva capito male, e non aveva urlato una semplice frase apparentemente senza senso. Questa volta era diretta personalmente a lui; Kate lo stava ancora fissando con quegli occhi neri e scintillanti, incutendogli paura e rimorso per aver tentato di parlare. Dopo qualche secondo, però, il suo sguardo si fece più morbido, gli occhi della ragazzina si spensero e quel ghigno malefico sparì, per farsi sostituire da un’espressione addolorata, triste e spaventata. I suoi occhi si inumidirono rapidamente e dalla sua bocca mezza chiusa uscì un lamento tremolante.
<< Scusami… Scusami Tommy, io… Io non so che mi abbia preso… >> Si portò le mani agli occhi e cominciò a strofinarseli per bloccare le lacrime, arrossandoseli inutilmente. << Mi dispiace… >> Mormorava piangendo e singhiozzando.
Tommy fu spiazzato da quel cambiamento di umore così rapido e non seppe come reagire; sarebbe stato più facile rispondere alla sfuriata di un attimo fa, ma ora era rimasto bloccato di fronte a quella scena. La abbracciò stringendola più forte che poté; gli sembrava l’unica cosa sensata da fare, per trasmetterle un po’ di calore, per farle sapere che le era vicino. Inizialmente Kate non capì perché il ragazzo la stesse abbracciando, e pensò di sottrarsi a quel gesto, ma come sentì la stretta di Tommy farsi sempre più forte, abbandonò l’idea di rifiutarlo e lasciò che la sorreggesse tra le sue braccia; improvvisamente, le sue gambe avevano ceduto, e Kate si era sentita stanca e debole, oltre che spaventata. << Mi dispiace… >> Continuava a mormorare.
Ma Tommy ignorava le sue continue scuse e continuava a stringerla, sussurrandole parole dolci, parole di incoraggiamento, dicendole che non importava cosa avesse detto. << Non eri in te in quel momento, si poteva vedere benissimo. Non devi scusarti. >>
Anche se Kate non fosse stata realmente in sé durante la sua sfuriata, qualcosa di sincero in quelle urla c’era stato: in effetti, Kate aveva pensato a cosa dire, prima di urlare a Tommy, quasi come se avesse voluto dire lei tutto quello che aveva detto. Era come se avesse solo ricevuto una spinta per dire quello che pensava.
Si sentiva da schifo. Era davvero un tale mostro?

 

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Capitolo 54
*** Dubbi ***


Kate e Tommy avevano deciso di dividersi per quel giorno; la ragazza voleva evitare di fare altri danni, e aveva detto a Tommy che si sarebbero rivisti il giorno dopo a scuola; in effetti si incontrarono là, ovviamente, ma nessuno dei due volle accennare a quello che era accaduto il giorno prima; tutti e due avevano paura di provocare qualche reazione indesiderata nell’altro, nonostante Kate sentisse il bisogno di doversi liberare e Tommy desiderasse sapere di più su quella storia.
<< In poche parole, credo che la mia volontà abbia ceduto a quella di Slender Man. >> Disse all’improvviso Kate sentendo la campanella dell’intervallo suonare.
Tommy la guardò confuso. << Che cosa? >> Chiese incredulo. << E che cosa avrebbe provocato quelle tue reazioni? >>
Kate lo guardò interrogativa. << Quali reazioni? >> Chiese confusa; non ricordava completamente quello che aveva fatto il giorno precedente. Tommy glielo raccontò.
<< Correvi avanti e indietro per la casa, dicendo cose strane, urlando, piangendo, prima ridevi e poi ti disperavi… Non capivo proprio cosa ti stesse succedendo. >> A sentire quelle parole, Kate si fermò un istante a ripensare alla giornata passata. C’erano dei vuoti che non riusciva a colmare, non capiva da dove venisse quell’oscurità nei suoi ricordi.
<< Oh, no… >> Mormorò mettendosi una mano alla testa. << Ecco… >> Capiva molte cose adesso, e ricordava quello che era successo il giorno prima.
Aveva in mente la situazione: era come se ci fossero due scene sovrapposte nella stessa stanza; c’era lei in mezzo a tutto, ma mentre da una parte vedeva Tommy che la guardava con occhi atterriti, dall’altra c’era Slender Man che dava la caccia ai ragazzi che erano venuti nella villa alcune settimane prima; li aveva visti morire, aveva visto i loro corpi martoriati e le loro vite abbandonarli. Si era sentita parte di tutto, nonostante non ne avesse fatto parte, ed era stata colpita in profondità da ciò che aveva visto.
Kate si strofinò le dita sulla fronte e corrucciò lo sguardo. << Scusami… Mi sta venendo un po’ di malditesta… >> Mormorò chiudendo gli occhi e appoggiando la testa su una mano. Tommy avvicinò il viso a quello della ragazza per controllarla.
<< Sei sicura di stare bene? >> Chiese preoccupato.
Kate sospirò profondamente e alzò lo sguardo annuendo. << Sì, sto bene. Più o meno… >> Mormorò sorridendo, poi assunse un’espressione più seria. << Ieri la personalità di Slender Man e la mia si sono fuse, in qualche modo. >> Spiegò facendo scorrere le dita in cerchio sul banco. Alzò lo sguardo per controllare se stesse arrivando il loro professore, poi tornò a parlare. << Lui mi ha mostrato quello che ha visto quando Alex e i suoi amici sono arrivati alla villa; li ha uccisi, Tommy. Tutti quanti. >>
Tommy sgranò gli occhi stupefatto. Dopo un periodo di silenzio decisamente troppo lungo, il ragazzo cercò di ricomporsi e disse:<< Quindi? >> Kate lo guardò aspettando una risposta. << Sono davvero morti? Cosa facciamo allora? Non dovremmo dirlo a qualcuno? >> Chiese stringendo le spalle.
Kate scosse la testa amareggiata. << Non possiamo. Chi ci crederebbe, in ogni caso? Se andassimo dalla polizia a dire di aver visto un mostro uccidere dei ragazzi, pensi che ci crederebbero? >> Kate aveva ragione, Tommy se ne rese conto. << Come minimo riceveremmo una risata in faccia, se non dovessero prenderci per pazzi e mandarci in un manicomio! >> Sbottò Kate infastidita. Tommy sapeva che aveva ragione, ma sapere la verità su ciò che era successo e tenerla nascosta gli sembrava sbagliato; glielo fece presente. Kate rispose mettendogli la mano sinistra sopra alla sua. << Non sempre possiamo dire la verità, perché gli altri non sarebbero pronti a crederci. >>
Tommy abbassò lo sguardo deluso; capiva la situazione, ma non riusciva ad accettare quel modo di reagire a tutto quello che era successo; anche il comportamento di Kate gli sembrava strano. Era diversa.
 
*
 
Kate tornò a casa da sola, ripensando a quello che era successo negli ultimi giorni e sperando di poter trovare una spiegazione certa e rassicurante, ma ogni volta che ci provava, finiva per concordare col fatto che Slender Man sembrava aver preso il controllo su di lei, quel giorno alla villa, e la cosa non poteva non inquietarla.
Stava per aprire la porta di casa, aveva praticamente infilato le chiavi nella toppa, quando dalla casa accantò uscì un Tucker frastornato e trasandato, con la barba lunga e le occhiaie profonde che lasciavano intendere che non avesse avuto il tempo nemmeno per dormire, che la salutò amichevolmente dal suo portico. Lentamente scese le scale e raggiunse la staccionata che divideva i giardini delle due case; Kate sorrise ed estrasse le chiavi dalla serratura, dirigendosi da lui per salutarlo.
<< Buongiorno, signor Tucker. >> Lo salutò sorridente Kate coprendosi gli occhi dal Sole.
Tucker sembrò appoggiarsi alla staccionata con tutto il suo peso. << Ciao, Kate. >> Disse piegando un labbro in modo quasi impercettibile; sembrava stanco. << Non abbiamo avuto molto tempo per vederci, in questi giorni… >> Mormorò tristemente.
Kate abbassò lo sguardo annuendo. << Sta ancora andando avanti e indietro tra casa e ospedale? >> Chiese tornando a guardarlo, curiosa sulle condizioni del fratellino di Jennifer.
Tucker sospirò. << No, oggi no… >> Mormorò scuotendo la testa. << Il ragazzo è… Perso in qualcosa che nessuno riesce a comprendere… >> Disse senza spiegarsi bene. << Pensavo di poterci capire qualcosa, ma niente ha più senso, ormai… >> Si piegò sulla staccionata e si nascose la testa tra le mani, in attesa che Kate parlasse.
<< Non si stressi troppo. >> Gli consigliò con tono dolce. << E’ qualcosa di troppo complicato, quello che sta succedendo… >> Kate abbassò lo sguardo di nuovo, sentendosi in colpa per fingere di non sapere niente. << Vorrei capirci qualcosa anche io… >> Mormorò in tono innocente e risentito; era davvero brava a recitare, non si era mai resa conto di quanto sapesse nascondere la verità e la sua conoscenza di essa. E si sentiva davvero male per continuare a mentire a Tucker in quel modo spudorato, ma allo stesso tempo, si sentiva anche più euforica per riuscire a scamparla ogni volta.
Tucker si staccò dalla staccionata bianca e si sforzò di sorridere. << Non te ne fare una colpa; l’ingenuità a volte è la cosa migliore. >>
Kate alzò lo sguardo confusa e notò che Tucker stava guardando da un’altra parte mentre diceva quelle cose. << Cosa significa? >> Chiese lei avida di conoscere il senso di quelle parole; era strano come adesso che Tucker avesse accennato alla sua poca conoscenza della situazione, le fosse nato il desiderio di sapere tutto.
Tucker sorrise scuotendo la mano come per smuovere l’aria. << Sai, a volte è meglio rimanere all’oscuro di alcune cose, per non rimanerne impressionati, credendo che il mondo sia quello che vediamo… L’innocenza si perde con l’età, quando si comincia a crescere… >> Mormorò alzando lo sguardo e sospirando profondamente. La guardò con la coda dell’occhio e la indicò con un dito. << Più o meno alla tua età. >>
Kate assunse un sorrisetto furbo. << Sta insinuando qualcosa? >> Chiese piegandosi in avanti e mettendo le mani ai fianchi.
Tucker sorrise sinceramente. << Spero che con te accada il più tardi possibile, Kate. >>
La ragazzina sorrise innocentemente, felice che Tucker le avesse fatto un simile augurio, ma consapevole anche del fatto che fosse inutile; la ragazzina aveva già perso la sua innocenza, e ormai la sua vita era un casino dove l’ingenuità di un bambino non aveva spazio. << Grazie. >> Sussurrò nonostante tutto. Era contenta che Tucker tenesse a lei in quel modo.
L’uomo sorrise di nuovo e si voltò. << Buon pranzo, Kate. Se hai bisogno di qualcosa, vieni pure da me, lo sai. >> Le rivolse uno sguardo amichevole e gentile prima di dirigersi verso casa sua.
<< Grazie, signor Tucker. >> Mormorò Kate, quasi incapace di rispondere. Lo seguì con lo sguardo finché non fu entrato in casa sua e non lo poté vedere più, dopodiché, anche lei tornò alla sua porta e ci infilò dentro la chiave di casa, entrando e chiudendola dietro di sé, facendo qualche giro nella serratura per sentirsi più sicura.
Una volta dentro, Kate si liberò il petto soffiando fuori tutta l’aria che poté, e si appoggiò alla porta per sostenersi. Purtroppo non fu abbastanza, e finì per scivolare a terra, come ogni volta che si appoggiava a quella porta. Rimase seduta a terra per alcuni minuti, fissando il vuoto. Come aveva fatto a mentire a Tucker in quel modo? E non solo, si era sentita bene nel farlo, si era divertita! Adesso sentiva un peso sulle proprie spalle, una depressione che la costringeva a rimanere a terra, causata dalle sue continue bugie a tutti. Non era una brava ragazza, non lo era mai stato, o almeno era quello che credeva, e di certo non lo era adesso che stava succedendo tutto quello; non era innocente, però era ingenua: continuava a sbagliare.
<< Perché nessuno riesce a vedere che mento…? >> Mormorò afflitta tenendo lo sguardo basso. Avrebbe voluto che qualcuno uscisse dalla folla e le urlasse contro che stava prendendo in giro tutti quanti, che era una strega malefica e spietata, e a quel punto sarebbe stata meglio, perché gli altri avrebbero capito con chi avevano a che fare, e avrebbero finalmente smesso di credere alle sue menzogne.
Sono… Un mostro…

 

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Capitolo 55
*** Posseduta ***


Slender Man non si fece vedere fino a sera inoltrata; non lo vedeva da tempo, e si era stupita che non si fosse presentato a lei la sera dopo aver visitato la villa abbandonata. Kate però aveva molte domande da fargli, e avrebbe voluto incontrarlo il più presto possibile. Quando comparve nella sua camera, dopo che si fosse messa già la solita magliettona bianca con cui dormiva, la spaventò, come al solito, e lei lo colpì più forte che poté. Era arrabbiata con lui.
<< Perché non sei venuto ieri notte? >> Chiese imbronciata guardandolo dal basso, dove si trovava lei.
Slender Man era composto come sempre e niente sembrava toccarlo minimamente. Rispose in modo tagliente, infastidento Kate: Volevi vedermi? Normalmente, quella domanda avrebbe ricevuto una risposta affermativa dall’altra persona, ma qui si stava parlando di Kate e Slender Man, lei non voleva vederlo; voleva solo fargli delle domande!
La ragazzina digrignò i denti e gli diede uno schiaffo sul fianco, dove poteva arrivare al massimo con la sua altezza. << Chiudi il becco! >> Sbottò ringhiando prima di voltarsi. << Volevo farti delle domande, e tu non ti sei presentato! Compari sempre nei momenti meno opportuni e sparisci quando ho bisogno di te! >> Assunse un tono offeso e incrociò le braccia come una bambina capricciosa.
Quindi volevi vedermi? Ripeté Slender Man con più decisione e un briciolo di divertimento nella voce.
Kate si girò a metà e gli intimò di nuovo:<< Sta’ zitto! >> Poi si girò e nascose il rossore appena fiorito sulle sue guance. << Ora rispondi alle mie domande e non fare giri di parole! >>
Slender Man annuì in silenzio, probabilmente godendo come un matto di quella situazione in cui lui riusciva a mettere in imbarazzo la fredda e risoluta Kate, che di solito trattava il potente Slender Man al pari di un insetto.
<< Dimmi cosa è successo l’altro giorno, quando siamo andati alla villa abbandonata. >> Disse rapidamente con tono autoritario. Non era una richiesta; era un ordine!
Slender Man sembrò riluttante a dare una risposta chiara a Kate, ma quando la ragazzina si voltò fulminandolo con uno sguardo assassino, decise di parlare. L’altro giorno volevi delle risposte, se non sbaglio. Kate annuì piano, facendogli segno di continuare. Quella casa è stata la mia dimora per decenni; è come inoltrarsi all’inferno per un normale umano, ma per una come te… Si mise una mano al mento e la squadrò intrigato. La tua mente e il tuo corpo sono ben abituati alla mia presenza, ormai; è come se fossi piena di questa mia… Presenza. Quell’espressione inquietò un po’ Kate, che indietreggiò. Ormai non sei più una normale umana, sei più vicina a me che a chiunque altro, e questa nostra vicinanza è stata ingrandita dal luogo, ieri, dove la mia traccia è rimasta per anni…
<< Vai al punto e dimmi perché ho dato di matto in quel modo! >> Sbottò Kate stufa di sentire cose che la spaventassero.
Slender Man annuì. Certo. Praticamente, il luogo e la tua mente stanca e instabile hanno dato vita a una situazione singolare in cui non sei stata più una umana, non completamente; le nostre coscienze si sono fuse e tu hai cominciato a confondere la tua esistenza con la mia, rivedendo, attraverso i miei ricordi, ciò che accadde in quella villa. La tua mente però era in conflitto con la mia, estranea, e ha cercato di riprendere il controllo sul proprio corpo, senza però riuscire a prevalere finché non ho deciso io di lasciarti andare. Slender Man fissò Kate con insistenza. In un certo senso, potremmo dire che siamo stati una cosa sola, per pochi attimi.
Kate tirò fuori la lingua disgustata e si voltò, rivolgendo a Slender Man uno sguardo schifato. << Sei un bastardo! Sei stato tu a farmi tutto quello, non si è trattato di una casualità; mi hai stuprata! >> Esclamò puntandogli un dito contro con estrema drammaticità. Neanche Kate sapeva come avesse potuto tirare fuori il termine “stupro”, ma era proprio così che si era sentita.
La risposta di Slender Man fu impeccabile, come al solito, senza possibilità di replicare: Volevi delle risposte; volevi sapere come erano andate le cose, quella notte, e ti ho mostrato tutto.
Kate abbassò lo sguardo addolorata. << E’ stato… Orribile… >> Mormorò tremante. Quello che aveva visto l’aveva davvero spaventata, non riusciva ancora a calmarsi, nonostante esternamente sembrasse serena.
Quello che hai visto non ti ha traumatizzata, fidati. La rassicurò Slender Man rapidamente, quasi come se avesse letto nella sua mente ancora prima che lei potesse pensare. In effetti Kate pensava che ciò che aveva visto l’avesse potuta segnare profondamente, ma non aveva voluto tirare fuori termini come “traumatizzata”, semplicemente perché non le piaceva; se avesse pensato che una cosa l’avesse traumatizzata, si sarebbe lasciata condizionare, ma se invece l’avesse affrontata con diffidenza e razionalità, pensava che prima o poi, quella sensazione di “sporco”, quella paura di rivedere quelle crude scene ogni volta che abbassava le palpebre, e quello strano sapore amaro in bocca, sarebbero passati. Era così che avrebbe voluto affrontare quella situazione, ma non ci riusciva, aveva troppa paura.
<< Come fai a dirlo? >> Chiese leggermente scontrosa.
Non vorresti indagare sulla cosa, in quel caso. Rispose rapidamente lui. Kate si sentì come se fosse stata appena colpita nello stomaco. Vorresti solo dimenticarlo.
Sotto sotto, Slender Man aveva ragione; Kate voleva sapere cosa le fosse successo, ma allo stesso tempo voleva dimenticare ciò che aveva visto, ma non a tal punto da rinunciare a scoprire la verità. Abbassò lo sguardo abbattuta. << Hai ragione… >> Mormorò sconfitta. << Però… Non farlo mai più… Va bene? >> Chiese con voce flebile, facendosi piccola piccola. Era stata un’esperienza che non voleva ripetere; forse perché pensava che fosse pericolosa per la sua sanità mentale, o forse perché non volesse avere altre persone dentro la sua testa. Negli angoli più remoti della sua mente, però, c’era un altro motivo per cui Kate non volesse più che succedesse quella cosa.
Si era sentita euforica, il giorno precedente. Quando Slender Man aveva preso il controllo del suo corpo, era vero, lei si era sentita male, e aveva desiderato che se ne andasse, non era lei a controllare le sue azioni, ma contemporaneamente si era divertita a fare quello che aveva fatto, e che non avrebbe potuto fare se fosse stata in sé; non avrebbe urlato a Tommy, perché non avrebbe mai fatto una cosa del genere a un suo amico, non avrebbe mai urlato quelle cose sui ragazzi scomparsi, perché non ne avrebbe avuto il diritto, ma era stata libera di farlo, perché non era lei a farlo direttamente; quella libertà le era piaciuta, l’aveva assaporata come un dolce gustoso, e che però era finito troppo presto; ne voleva ancora, ma sapeva che era deleteria per lei, e non avrebbe potuto permettere che accadesse di nuovo; non poteva cedere ai suoi istinti, non poteva cadere in tentazione solo per una temporanea, frenetica e inebriante libertà. Non importa quanto fosse piacevole, quanto la bramasse, quanto pregasse per averla, quanto impellente fosse il bisogno di averla.
<< Non mi sento bene… >> Mormorò Kate mettendosi una mano alla testa e appoggiandosi al bordo del letto.
Ti fa male la testa? Si preoccupò lo Slender Man piegando la schiena verso di lei.
Kate scosse la testa. << Non proprio… E’ un… Malessere strano… >> Mormorò senza voler dire la verità; che si sentiva un mostro.
Slender Man raddrizzò la schiena. Vuoi che ti aiuti a liberartene?
Kate aveva dimenticato la capacità di Slender Man di curare un malessere – in un modo del tutto oscuro a lei. Precedentemente si era offerto di eliminare il ciclo mestruale dal suo corpo, cosa che aveva rifiutato con disdegno in quel momento, ma adesso aveva completamente messo da parte quell’accaduto e, a dir la verità, era un po’ curiosa su cosa facesse esattamente. << No… >> Rispose con tono moscio. << Credo di meritarmelo… >>
Incerto su come rispondere a quell’affermazione, Slender Man si avvicinò e, lentamente, si sedette accanto a Kate, mettendole un braccio attorno alle spalle. Mi rattrista vederti soffrire. Le disse dopo che ebbe posizionato la testa della ragazza sul suo petto. Kate si lasciò manovrare senza protestare; era stanca, non sarebbe nemmeno riuscita a respingere i tentativi di Slender Man di avvicinarsi a lei. E poi stare così vicini era una sensazione strana, nuova; nonostante il corpo di Slender Man fosse freddo come il ghiaccio, quella sua stretta emanava un calore piacevole, faceva stare bene Kate, che si spingeva ancora di più su di lui.
Kate si sistemò meglio per stare più comoda, finendo per girarsi completamente verso Slender Man e abbracciarlo leggermente con il braccio sinistro, mentre il destro rimaneva inerte dietro la schiena dell’essere. Raccolse le gambe fino a farcele stare sopra le ginocchia di Slender Man, e la testa rimase poggiata sul suo petto.
Un tentacolo nero e sottile accarezzava delicatamente la testa di Kate, nell’attesa che si addormentasse. Il respiro di Kate la faceva ondeggiare lentamente, mentre Slender Man rimaneva immobile come una roccia, quindi sempre stabile, pronto a sorreggere il corpo della ragazzina in qualunque momento. Era possibile che Slender Man non fosse il mostro spietato che le era sembrato inizialmente? Adesso sembrava un essere in cerca di affetto, capace di dispensarne a sua volta, che teneva a lei e voleva che stesse bene. E lei cosa provava per lui?
Amore? Odio? Rabbia? Paura? Non lo sapeva più, ormai… La sua testa era piena di pensieri, era confusa e spaventata. Ma sapeva che ci sarebbe stato lui, il suo Slend, ad aiutarla e proteggerla.

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Capitolo 56
*** Luce ***


<< Mia madre mi ha mandata a casa. >> Sussurrò Jennifer fissando il muro della sua camera da letto. Era seduta sul letto, con mani unite davanti alla bocca e i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo vuoto e triste, sembrava aver pianto, ma non lo avrebbe mai ammesso. << Ha detto che non c’è niente da fare per me, lì. Sono inutile… >> Si nascose il viso tra le mani cercando di non mettersi a piangere. << Mi odia… E’ colpa mia, e lei lo sa… >>
Kate era andata a trovarla non appena aveva saputo che la sua amica era tornata a casa. Non appena uscita da scuola aveva ricevuto un messaggio al telefono, da parte del signor Tucker; diceva di aver accompagnato a casa la ragazza, ma che sembrava stare molto male; si era preoccupato per lei, e aveva chiesto a Kate di andare a rincuorarla un po’. La ragazzina era andata a casa della sua amica subito, senza nemmeno passare a casa, l’aveva raggiunta ed era rimasta con lei tutto il pomeriggio.
<< Non dire così! >> Cercò di rassicurarla lei, dopo aver visto il suo sguardo spegnersi per l’ennesima volta.
<< Cosa dovrei dire? >> Chiese Jennifer alzando lo sguardo e inasprendo il tono di voce. << C’ero io quando Jamie è stato male, e mia madre ha continuato a farmi domande su di lui, e io le ho sempre risposto allo stesso modo, mentendole! >> C’era dell’astio nella sua voce, ma forse non era intenzionale. << Le ho detto di non sapere niente, le ho detto sempre la stessa cosa, e lei ha sempre continuato ad assediarmi, chiedendomi sempre più particolari su quello che è successo, e io non ho potuto fare altro che mentire, dicendo di non ricordare niente, che lo shock era stato troppo forte, che sono rimasta terrorizzata da quello che è successo! >> Kate si sentiva terribilmente in colpa per aver messo la sua amica in quella situazione. << La verità, però, è che io ricordo tutto di quel giorno, so tutto, ho visto tutto, e questa è la mia punizione per averle mentito… >> Mormorò abbassando lo sguardo sconsolata, senza però ammorbidire il proprio tono di voce. << Mi merito il suo odio, mi merito tutto quello che sta succedendo, non mi lamenterei se dovessi morire… >>
Kate si sentì insultata da quella frase e alzò la voce. << Non devi nemmeno pensarlo! >> La rimproverò. << Quante volte mi hai tirato su di morale, quando ero arrabbiata con i miei genitori? E quante volte mi hai aiutato, quando ero in difficoltà? Quante volte sei stata una luce nel buio, che ha scacciato via la paura per me? Tu non sei una ragazza che si arrende! Tu non meriti tutto questo! >> Si premette le mani al petto, odiandosi per aver alzato la voce con Jennifer. << Io mi meriterei tutte queste disgrazie! Dovrei esserci io nel letto di tuo fratello, e tu non dovresti disperarti per quello! >>
<< Kate, non… >> Jennifer cercò di ribattere, di dire a Kate che si sbagliava, ma non era possibile: era lei che si sbagliava, questa volta.
<< No! Tu non capisci quanto sia fastidioso essere sempre nel torto, ma venire sempre giustificata! >> La interruppe subito, alzando la voce per sopraffarla. << Non hai idea di cosa significhi vedere tutte queste disgrazie che accadono per causa tua e non puoi far nulla per rimediarvi! E nonostante tutto, tu resti sempre illesa e sana, sapendo che gli altri stanno molto peggio di te… >> Questa volta Jennifer non cercò di ribattere; voleva sentire cosa aveva da dire Kate, fino alla fine. La sua natura la portava a prendersi la responsabilità di tutto, ma questa volta era troppo dura per farcela, e ora che Kate le stava urlando contro, un po’ si sentiva il cuore più leggero.
<< E poi… Vedi la tua amica che sta male… E tu stai bene… >> Kate ansimava, quasi come se avesse corso a perdifiato. << Ogni cosa brutta si abbatte su di lei e sulla sua famiglia, e tu non sai perché ciò accada, perché non accada a te! >> La guardò dritta negli occhi piangendo, suscitando un desiderio di piangere anche in Jennifer. <> Si strofinò un braccio sul muso, cercando di nascondere il fatto che stesse già piangendo. << Non sai come chiederle scusa… Come dirle che vorresti fare qualcosa… Ma non puoi… Perché sei solo inutile e cattiva! >> Abbassò lo sguardo singhiozzando. << Non sai quanto sia dura. Smettila di essere così… Buona, e incazzati! Riversa la tua rabbia su di me, così che possa prendermi ciò che mi merito! >> Alzò la voce e spalancò gli occhi puntati su Jennifer, che la guardava in silenzio a sua volta con gli occhi spalancati. << Arrabbiati, Jennifer! Dimmi che è tutta colpa mia e che non mi vuoi più vedere! E forse così potrò smettere di portare disgrazie alla tua famiglia. Almeno non ti farei soffrire più… >> Abbassò lo sguardo di nuovo e si abbandonò alle lacrime. << Ti prego… >> Mormorò piangendo.
Le due ragazze rimasero lì ferme per alcuni istanti, Kate a piangere rannicchiata per terra, e Jennifer a fissarla impassibile, forse incredula del fatto che l'amica si fosse messa a urlare a quel modo con lei. Nessuna di loro aprì bocca per parecchi minuti, sapendo che non fosse il caso. Kate si sentiva male anche ora, dopo aver urlato a Jennifer: era stata mandata là per farla stare meglio, e lei le aveva urlato contro, dicendole di smetterla di piangersi addosso, praticamente; era diventata insensibile, non era più nemmeno in grado di fare l’amica. Sono terribile.
A un certo punto Jennifer si alzò, lentamente, e raggiunse Kate; si inginocchiò fino a raggiungere la sua altezza e la abbracciò. << Scusami, Kate. >> Mormorò piangendo. Le lacrime le solcarono il viso e la ragazza cercò di fermarle, ma alla fine lasciò perdere e si mise a prendere profondi respiri. << Scusami… Non volevo farti sentire così… >>
Kate scosse la testa piano e mise una mano per spostare il braccio dell’amica. << Non è colpa tua… E non mi merito la tua compassione… Né il tuo perdono… >>
<< Non dire così… >> Mormorò Jennifer guardandola triste. << Anche se è successo tutto questo, e tutto è partito da te, in un certo senso, non significa che io non ti voglia bene! >> Spiegò tenendoci a precisare l’ultima parte. << Non potrei mai odiarti, sei l’unica che rimane sempre dalla mia parte, qualunque cosa accada! >> La costrinse a guardarla negli occhi, e in quel momento Kate ebbe paura che Jennifer potesse provare paura del suo sguardo, ma quello non accadde; sembrava che quella ragazza fosse immune a quel “marchio”.
<< Ma io… Non sono capace di fare l’amica… >> Mormorò Kate ancora in lacrime.
<< Tu sei molto più brava di chiunque altro, come amica. >> La rassicurò Jennifer abbracciandola. << Non significa essere spigliati, o saper dare buona compagnia… Non bisogna per forza essere divertenti e vivaci, per essere buoni amici. E’ quello che si prova per gli altri, preoccuparsi per loro è importante! >> Sorrise benevola e si toccò il petto con le punte delle dita. << Poco fa mi hai spinto a prendermela con te, perché sapevi che non ce la facevo più, era troppo difficile andare avanti da sola. Tu ti sei preoccupata per me, mi hai spinto a reagire! E’ questo che fa un’amica: ti aiuta a vedere la luce nel buio più profondo. >>
Kate inspirò a fatica. << Io… L’ho fatto perché non ce la facevo più a vederti stare male… Volevo che quella visione deprimente passasse, che le carte in tavola si rivoltassero, così che potessi essere io a piangere miserabilmente, e tu fossi quella arrabbiata. Non volevo più sentire questo senso di colpa opprimente… >> Scosse la testa, cercando di far capire a Jennifer che si sbagliava. << Era egoismo il mio! >>
<< Non per me. >> Rispose semplicemente Jennifer stringendo di più l’amica tra le sue braccia. << Sei la mia luce, Kate, e per me è importante che tu continui a splendere così… >>
Kate sentì l’abbraccio di Jennifer stringersi, la testa dell’amica poggiarsi sulla sua spalla e scoppiò a piangere, quando fu sicura di non poter essere più vista. << Tu sei la mia luce, Jennifer… >>

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Capitolo 57
*** Protezione ***


Kate stava tornando a casa. Era rimasta con Jennifer fino a sera, facendole compagnia e parlando di cose poco importanti, giusto per alleggerire la tensione che si era creata in quella casa; le aveva anche chiesto se volesse andare da lei a dormire, ma la ragazza aveva rifiutato, dicendo che se la sarebbe cavata da sola. Era forte, e Kate sapeva che sarebbe riuscita a superare quel momento, ma avrebbe avuto bisogno di aiuto, e lei avrebbe dovuto essere lì, quando sarebbe stato il momento.
Era ormai tardi mentre la ragazzina tornava a casa; non c’era gente per le strade, e come al solito, Kate preferiva i vicoli poco frequentati alle strade trafficate. Durante la giornata Kate e Jennifer avevano parlato della festa scolastica, che avrebbe avuto luogo il giorno successivo; Kate era riuscita a convincere l’amica ad andarci, e si era voluta accertare che Jennifer non l’avrebbe piantata in asso proprio all'ultimo momento; si trattava di un evento molto importante per la ragazza, che le avrebbe permesso di svagarsi e rilassarsi almeno un po’, e Kate voleva che ci venisse ad ogni costo. La ragazzina aveva parlato dell’abito che aveva comprato alcuni giorni prima e di come ancora non lo avesse provato per controllare che le stesse bene; sembrava quasi che tutto fosse tornato alla normalità, ma Jennifer era rimasta in un silenzio cupo durante la chiacchierata.
Nonostante Kate fosse sola mentre tornava a casa, nella sua testa sembrava quasi che ci fossero più persone a discutere con tanta foga da farle venire il malditesta. Tutti gli eventi degli ultimi giorni l’avevano scossa particolarmente, la confusione regnava sovrana nella sua testa. Cercava di connettere tutto quanto e dare un senso logico a quella fila di eventi inspiegabili che l’avevano coinvolta; sapeva di avere la risposta a portata di mano, se non l’aveva già ricevuta. Doveva solo sforzarsi un po’ e trovarla… Ma tutto quello sforzo la stava davvero stancando.
Non era sola nemmeno all’esterno; in fondo, Slender Man era sempre con lei, non la abbandonava mai un solo istante, perché avrebbe dovuto farlo quella sera?
Kate sentì un ticchettio irregolare, strascicato; sembrava che ci fosse qualche strano marchingegno nelle vicinanze, o forse si trattava di semplici gocce d’acqua che battevano su qualche superficie metallica…
Tutto a un tratto, la ragazzina si sentì a disagio e desiderò di arrivare a casa più in fretta; una strana aria fredda sembrava essere calata sulla città all’improvviso, facendole venire i brividi, e tutto sembrava più cupo; non ricordava nemmeno di essere mai passata di lì. Accelerò il passo, per uscire da lì più in fretta possibile. Non aveva paura, non si stava immaginando cose che non esistevano, era solo prudente, e quella strana atmosfera le aveva ricordato quella notte quando lei era stata aggredita assieme a Jennifer.
Cavolo… Adesso tiro fuori ricordi simili… Pensò fermandosi e mettendosi una mano sul viso. Ho davvero bisogno di riposo. Commentò chiudendo gli occhi per un secondo. In fondo perché ripensare a quell'accaduto? Era passato, e grazie al cielo, sia lei che Jennifer stavano bene. Grazie a Slender Man, poi

Il ticchettio tornò a farsi sentire, questa volta più insistente, più rapido e forte, le entrava in testa come se qualcuno le stesse infilando una siringa nell’orecchio. Odiava le siringhe. Non le piacevano per niente. Erano la cosa meno rassicurante che potesse immaginare, e pungevano, il dolore restava anche dopo averla estratta, bruciava in continuazione, gli aghi si infilavano fino in profondità nella carne, le sembrava quasi di sentirselo adesso.
Ci fu uno stridore, come se qualcuno stesse facendo strisciare una lama su una parete. Poi sentì dei passi. Non erano suoi passi, c’era qualcun altro lì con lei. Non era Slender Man, i suoi passi non facevano rumore, e se ne sarebbe accorta se l’essere le avesse camminato accanto.
Era una sola persona, il suo passo era disordinato, zoppicante e strascicato, ed era seguita da quel fastidioso ticchettio che ormai aveva penetrato la mente di Kate. A un tratto, una risata profonda e rauca echeggiò nel vicolo.
Kate stava cominciando a guardarsi intorno con nervosismo, sicura di non essere più da sola, ma sperando che tutto fosse un semplice malinteso.
<< Diciassette giorni… >> Disse qualcuno mentre quel ticchettio continuava a farsi sentire. Un’ombra fece sobbalzare Kate, che adesso aveva davvero paura. Quell’ombra le passò davanti, facendole fare un salto indietro per allontanarsene. La figura era sottile e affilata, ma era ingobbita e storta, in equilibrio precario. << Diciassette giorni del cazzo… >> Scandì di nuovo la voce. Questa volta Kate alzò lo sguardo per cercare di avvistare chi stesse parlando, e scorse una figura oscura dietro un angolo. Era un uomo alto, stava appoggiato con la schiena al muro e aveva un braccio alzato, la mano ferma davanti al viso. La faccia era nascosta da un cappuccio scuro.
<< Kate… >> Canticchiò in tono amichevole. << Ti voglio uccidere, Kate… >> Disse sempre sorridendo. La ragazzina rimase immobile a fissare la figura girata, sembrava non essere concentrato su di lei, ma la voce parlava a lei, non c’erano dubbi. << Voglio vedere le tue interiora spiaccicate sul pavimento e voglio sentire le tue ossa spezzarsi… >>
Le stava mettendo paura, ma poteva benissimo essere uno scherzo, oppure un altro pazzo che ci provava con lei, quindi decise di mostrarsi coraggiosa e alzò la voce:<< Chi diavolo sei? Fatti vedere! >>
La sua voce sembrò non raggiungere nessuno, riverberando sorda per alcuni istanti nel vicolo, e Kate si chiese se l’avesse davvero sentita. Nel vicolo l’unico suono che si sentiva era quel ticchettio strascicato alla quale ormai Kate si era abituata. Quando la ragazzina stava per ripetere la sua battuta, ecco che dalla figura si levò un’altra risata, trattenuta, inquietante.
<< Sei coraggiosa… Proprio come ti ricordavo! >> La figura si mosse e uscì allo scoperto, mostrando così che la mano di fronte al viso non c’era in realtà; al suo posto c’era una strana lama sottile e uncinata, una protesi che si muoveva a scatti, ticchettando di tanto in tanto. Sotto al cappucciò dello sconosciuto c’era un ghigno perfido, le sembrava di aver già vissuto quella scena, solo che negli occhi di quell’uomo, questa volta c’era odio.
Vedere quella persona in faccia, finalmente, le diede una strana sensazione, e Kate sentì di volersi allontanare da lui. Il suo viso era giovane, ma tempestato di ferite e cicatrici recenti: un taglio largo attraversava trasversalmente il viso, passando per il naso storto, che sembrava essere stato rotto da poco; le labbra erano piene di tagli sottili, ma a un angolo della bocca c’era una lunga e larga cicatrice che raggiungeva l’angolo del sopracciglio sinistro; l’occhio stesso era arrossato e le palpebre erano più chiuse dell’altro. C’era un’altra cicatrice che attraversava il lato destro del viso, partendo dalla fronte, sfiorando l’occhio destro e continuando giù, oltre il mento e il collo, scomparendo sotto ai vestiti.
Quell’uomo sembrava tenersi in piedi a stento, era storto e un piede sembrava non poggiare correttamente a terra. Il cappuccio nascondeva la testa e i vestiti non davano altri indizi su di lui. << Indossi la stessa giacchetta di quella sera… >> Mormorò facendo passare il suo sguardo lungo tutto il corpo della ragazzina, paralizzata dalla paura. << Che carina che sei… >> Commentò sorridendo quasi come un vecchio amico.
Kate abbassò lo sguardo per guardarsi la giacchetta grigia che indossava; non capiva ancora chi fosse quell’uomo, e perché sembrasse conoscerla così a fondo. Alzò lo sguardo accigliato per non far trasparire il suo timore.
Quello rise di nuovo. << Sarai ancora più carina quando avrò finito con te, piccola stronzetta odiosa! >> L’ultima parte della frase fu pronunciata quasi come un ringhio, il tono dell’uomo cambiò completamente, e in un attimo Kate si sentì minacciata.
<< Chi sei? >> Chiese con più forza, sperando che lo sconosciuto rispondesse questa volta. Ma l’uomo rimase in piedi di fronte a lei, mantenendo lo sguardo basso, facendo ticchettare quel suo arto metallico con insistenza.
<< Pensavo ti ricordassi di me… In fondo eri speciale… >> Sussurrò quasi deluso. << E’ per questo che ho scelto te. >> Disse alzando lo sguardo e fissandola dritto negli occhi. Kate non sapeva se in quel momento potesse vedere la macchia di oscurità nei suoi occhi, se fosse stato così, sarebbe potuta sfuggire a quella situazione incutendogli paura, ma l’espressione di quel tizio rimase impassibile. A un tratto si sfiorò il viso con la punta dell’uncino e assunse un’espressione sofferente. << Guarda cosa mi hai fatto. >> Piagnucolò addolorato. Tirò via il cappucciò mostrando le numerose cicatrici sul volto, e facendo così vedere che in testa non restava nessun capello; forse gli erano stati rasati, o forse li aveva persi, tuttavia la sua testa appariva piena di cicatrici più sottili e superficiali delle altre sul viso, ma si trattava comunque di una vista orribile. << Non solo mi hai portato via una mano, mi hai anche costretto a un’esistenza da lebbroso! Emarginato dal mondo per le mie condizioni, sono merda agli occhi di tutti! >> Alzò la voce facendo un passo verso Kate, che indietreggiò a sua volta, per mantenere la distanza. << E’ colpa tua, strega, e sono venuto qui per prendermi la mia vendetta! >>
Kate si guardò intorno, cercando di avvistare qualcuno che potesse aiutarla, o una via di fuga vicina; in quelle condizioni, lo sconosciuto non sarebbe stato in grado di seguirla, forse…
La ragazzina avvistò un varco alla sua sinistra, vicino a dove era l’uomo; non pensò ai pericoli, non pensò di tornare indietro da dove era arrivata, non pensò di chiamare aiuto, si lanciò e basta. Scattò come una lepre in fuga per infilarsi nella stradina stretta prima che lo sconosciuto potesse placcarla, ma senza nemmeno che se ne accorgesse, il lupo la bloccò nella sua morsa, lanciandosi contro di lei e stringendola con tanta forza da farle mancare l’aria.
<< Te ne vai di già, Katy? >> Chiese quello ghignando. Era nei guai, e ormai lui sapeva della sua paura. Era stata imprudente, si era praticamente consegnata al boia, ma forse la forza di un uomo in quelle condizioni poteva essere molto precaria e il suo equilibrio facile da spezzare… Provò a dimenarsi, ottenendo solo una stretta ancora più soffocante. Le apparenze ingannavano sul serio in quella situazione
<< Non ti lascerò andare! Sei mia, ora, e questa volta andrò fino in fondo! >>
Kate sentì le braccia dell’uomo fare pressione sulle sue e sul suo torace; lo sentì restringersi sotto la stretta dell’assalitore e una fitta le attraversò il costato quando cercò di respirare; si sentì soffocare, la vista si annebbiava e l’unica cosa che riusciva a distinguere ormai era il ghigno bianco sul viso in ombra dell’uomo che stava cercando di ucciderla, e lei ancora non capiva cosa volesse da lei.
E se fosse stato un malinteso? Se quell’uomo l’avesse scambiata per un’altra persona? O se fosse ubriaco o matto? Ma aveva pronunciato il suo nome più di una volta, lo aveva sentito bene, e i suoi movimenti potevano essere scambiati per quelli di un ubriaco, ma non le dava quell’impressione nel suo tono di voce… Un momento. A un certo punto un ricordo balenò nella sua mente, accendendosi come una lampadina, e mettendole ancora più paura. Questo è l’uomo che mi ha aggredito, quella sera con Jennifer! E’ lo stesso uomo che ho visto venire trascinato via da una forza misteriosa… E’ ancora vivo?
Kate alzò lo sguardo terrorizzata, incontrando quello del suo assalitore. Quello la vide e sorrise ancora con più gusto. << Oh, adesso ricordi, eh? >> Disse rafforzando la stretta. << Come sta la tua amichetta? Spero che gli altri non l’abbiano sconquassata troppo. Ma in fondo di che mi preoccupo? Sono sicuro che quella troietta ne fosse abituata quanto te! >>
Fino a quel momento Kate era rimasta in silenzio, non aveva risposto per paura di peggiorare la sua situazione, ma quando sentì quel pezzente nominare Jennifer e darle della “troietta”, allora si sentì bruciare come mai aveva sentito prima. << Bastardo! >> Azzardò un insulto Kate, mettendoci tutto l’odio e la forza che aveva ancora in corpo, pentendosene subito dopo aver sentito le proprie ossa scricchiolare per la stretta del mostro. Kate gridò di dolore, sperando che qualcuno potesse sentirla, cercando di dimenarsi allo stesso tempo, sapendo che fosse tutto inutile. Non riusciva a respirare e il dolore la stava bruciando come se fosse circondata da fiamme; sentiva la testa appesantirsi e la concentrazione svanire, era stanca e avrebbe voluto svenire per non assistere più a quell’orrore. Ma era solo l’inizio.
Quello lanciò un urlo soddisfatto e divertito e la lasciò cadere a terra dolorante, contemplando il corpo tremante della ragazzina che cercava di recuperare aria prima che quello potesse ricominciare. << Questa volta non c’è il tuo amichetto… >> Mormorò mettendosi una mano al fianco mentre l’altra slacciava la cintura dei pantaloni.
Kate lo guardò dolorante. << Slend… >> Mormorò piangendo. L’altra volta era stato lui a salvare lei e Jennifer dallo stupro, lui aveva portato via quel ragazzo a cui aveva tagliato la mano e aveva poi ucciso gli altri tre che erano con lui; le aveva salvate, senza dubbio, era stato provvidenziale il suo aiuto, ma questa volta le circostanze erano diverse: lei era sola, e anche il suo assalitore era da solo; inoltre, sembrava essere riuscito a salvarsi da Slender Man, la prima volta, quindi forse ci sarebbe riuscito di nuovo, se non fosse stato in grado di cacciarlo del tutto. E questa volta Slender Man non c’era a controllarla ogni secondo e in ogni luogo; aveva imparato a rispettare la sua privacy, non si preoccupava più tanto per lei come all’inizio, forse perché pensava che la ragazzina fosse in grado di difendersi meglio, ora che era “cresciuta”. Era condannata, a quel punto. L’uomo stava per fare qualcosa da cui Kate sarebbe rimasta per sempre segnata, se non fosse morta subito quella sera.
E fu così, da un momento all’altro, prima che quel ragazzo potesse mettere le sue manacce su Kate, che tentava inutilmente di rialzarsi, che qualcosa lo afferrò e lo lanciò indietro, contro un muro di mattoni; il sorriso perverso di quel folle scomparve in un istante, e dalla sua bocca si levò un grido di sorpresa. Kate, in un primo momento non capì cosa fosse successo, poi vide comparire tra sé e il suo assalitore la figura alta e snella di Slender Man. Lo sguardo dell’essere era fisso sul mostro che si rialzava da terra, e nonostante la sua posa fosse sempre la stessa, passiva e neutrale, incusse timore e trasmise una rabbia intrattenibile persino a Kate.
L’uomo guardava con occhi spalancati la figura nera che si era eretta tra loro due. << NO! >> Gridò infuriato rialzandosi. << Non succederà di nuovo, mostro! >> Puntò un dito contro Slender Man con fare drammatico. << Se dovrò morire, prima farò a pezzi quella puttana! >> Gridò fuori di sé scattando a destra per aggirare l’essere immobile di fronte a sé. Prima che potesse raggiungere Kate, però, il ragazzo fu bloccato da un tentacolo nero e sottile di Slender Man, che fuoriuscì dal centro della schiena dell’essere e lo spinse di nuovo indietro, facendo pressione sullo stomaco.
Il ragazzo fece un balzo indietro, tornando a sbattere con un muro; nonostante sembrasse un semplice tocco leggero, in realtà Slender Man avrebbe potuto abbattere un edificio con quella forza; il ragazzo non riuscì più a rialzarsi, in effetti, dopo essersi scontrato con la parete.
Lentamente, Slender Man si avvicinò all’uomo a terra, ergendosi in tutta la sua statura, proiettando una enorme ombra su di lui. Lo fissò con odio, nonostante non si potesse vedere il suo viso. Quello rispose terrorizzato, ma cercò di mostrarsi più forte, forse sarebbe riuscito a sfuggirgli, facendo credere di non avere paura di lui. Non aveva capito che era già morto.
Slender Man lo afferrò con una mano al collo e lo sollevò lentamente da terra; quello cercò di dimenarsi e di liberarsi dalla stretta alla gola, inutilmente. Quando fu più in alto della testa dell’essere, sei tentacoli comparvero all’improvviso dalla schiena di Slender Man e gli si conficcarono nello stomaco, tutti insieme. Il ragazzo si bloccò per un istante, con in viso un’espressione incredula; sembrava non aver capito ancora cosa lo avesse afferrato. Del sangue colò dalla sua pancia per alcuni secondi, poi, con un raccapricciante suono di strappo, Slender Man allargò la fessura in cui aveva infilato i tentacoli e sventrò l’uomo. Quello urlò dal dolore; un urlo che non si sentiva spesso, che nessun film dell’orrore avrebbe potuto imitare, perché solo uno che sta provando la sensazione della morte può emetterlo. Subito dopo di quello, Slender Man smembrò il ragazzo, che smise di urlare un secondo prima, e sparse i suo resti per il vicolo.
Tutto quello era accaduto di fronte agli occhi di una ragazzina di tredici anni, spaventata e confusa, che non riusciva ancora a darsi una spiegazione a tutto quello. Guardava con occhi orripilati la figura alta e nera dello Slender Man mentre si girava verso di lei, le macchie di sangue sul suo completo erano un particolare inquietante, a suo parere, mentre quelle sul suo viso bianco erano terrificanti: lì si poteva vedere benissimo che si trattava di sangue vero, non poteva essere confuso con qualcos’altro, come sui vestiti scuri.
Slend le tese una mano piegandosi verso di lei; Kate era seduta a terra, quindi dovette curvare di molto la schiena, ma il suo braccio lungo non ebbe difficoltà a raggiungere il corpicino della ragazzina. Per un attimo Kate si chiese se accogliere la mano dell’essere, ma poi il suo sguardo si posò sulla pozza di sangue dietro di lui, sui disgustosi resti di quel ragazzo che aveva tentato di farle del male, e lei provò immediatamente tanta paura per quell’essere che nulla aveva di umano.
<< L’hai… Ucciso… >> Mormorò guardando incredula il corpo del morto; non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Avrebbe ucciso te. Te l’ho detto che non lascerò che ti accada nulla di male. Rispose Slender Man rimanendo in quella posizione scomoda.
Kate si sentì sporca. Era sporca di quel sangue, si guardò le mani e se le vide rosse, era nuda, di fronte all’orrore. Ora capiva cosa fosse successo, e quanto avesse rischiato, ma non riusciva ad accettare quella sensazione; si sentiva male, come se fosse stata lei a infilare le proprie mani nella carne del malcapitato e ad aprirlo in due; le sembrava di averlo colpito con le sue mani, di avergli afferrato il collo lei stessa. Si sentiva orribilmente, come se lo avesse ucciso lei, quell’uomo.
Ma non l’ho ucciso io… Pensò guardandosi le mani tremanti. Slender Man lo ha ucciso… E’ stato lui. Tecnicamente era stato Slender Man a uccidere quell’uomo, e se fosse morto in modo diverso, probabilmente Kate non si sarebbe sentita così male; ma c’era una cosa che non riusciva a ignorare: Slender Man è venuto a salvare me, l’ho chiamato io! Sono stata io a ordinargli di ucciderlo… Guardò confusa la faccia sporca dello Slender Man. Quello sembrò sorpreso.
Che c’è? Chiese. Poi sembrò accorgersi di qualcosa e raddrizzò la schiena. Scusa… In un secondo, tutte le macchie di sangue sui suoi abiti sparirono, e quelle sulla sua pelle sembrarono amalgamarsi ad essa; anche il sangue che si era riversato a terra e sulle pareti, e persino il cadavere a pezzi del ragazzo, sparirono, dissolvendosi. Si sistemò il completo scrollandoselo con una mano, e infine si aggiustò la cravatta, come un vero signore. Poi tornò a guardare Kate e a tenderle la mano. Così va meglio? Chiese in tono amichevole.
Kate lo guardò con timore negli occhi; era spinta contro un muro, incerta se avvicinarsi o no a quell’assassino; in fondo, anche lei era un’assassina… Cosa c’era di diverso tra loro, a quel punto? Lei era stata in pericolo, e Slender Man era arrivato per proteggerla, aveva solo difeso lei, non era come quando aveva ucciso Becky Johnson o il signor Anderson; quello non era stato un omicidio insensato; c’era stato un motivo più che valido per fare quello che aveva fatto. Mi ha salvata.
Lentamente, la mano di Kate si alzò verso quella di Slender Man. Kate sentì qualcosa come una scarica quando sfiorò la pelle fredda e ruvida dell’essere, ma allo stesso tempo fu pervasa da un calore sconosciuto. La ragazzina si spinse in avanti e abbracciò con tutte le sue forze Slender Man, che sorpreso ci mise un po’ per rispondere all’abbraccio.
Kate si mise a piangere e Slender Man non seppe come consolarla. << Grazie… >> Mormorava tra le lacrime. << Grazie… Slend… >>

 

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Capitolo 58
*** Assassina ***


Kate era di nuovo in quel vicolo buio. La Luna illuminava la sua pelle chiara e il freddo pungente non la smuoveva minimamente. Era in piedi, in mezzo all’oscurità. Guardava con un ghigno un angolo del vicolo, e sembrava godere di ciò che vedeva.
C’era nell’aria un forte suono di ansimare. Qualcuno respirava a fatica e cercava di muoversi, di andare via da lì. Non era lei. Era qualcun altro. Qualcuno che sembrava in difficoltà. Quei respiri provenivano dall’oscurità di quell’angolo che la ragazza stava fissando con tanta attenzione. Non si vedeva bene chi fosse, perché la luce della Luna non illuminava in quel punto, ma lei sapeva di chi si trattava.
Lentamente ma con passo deciso, la ragazza si avvicinò a quello, che cercò di sfuggirle strisciando via. Sembrò pregarla di lasciarlo andare, ma lei non ascoltò nemmeno quello che le disse. La ragazzina allungò un braccio e afferrò quella persona dal collo, tirandola a sé e portandola alla luce. Così riuscì a vedere il suo viso, finalmente: era il ragazzo che l’aveva aggredita, era spaventato e disperato. Piangeva in modo patetico, e le sue cicatrici sembravano semplici disegni sul suo viso, che appariva in pessime condizioni a causa della poca luce e del suo corrente stato d’animo.
Quello la supplicò di risparmiarlo, cercò di dire qualcosa, ma la sua voce non uscì dalla sua gola, stretta dalle dita magre di Kate. Lei lo sollevò in aria continuando a sorridere malignamente e lo fissò intensamente, come se volesse leggergli nella mente.
Era patetico. Un uomo più grande di lei non le era mai sembrato tanto ridicolo, e lei non si era mai divertita tanto nel vederlo. Il suo sguardo si fece più cattivo, e dopo aver aumentato la stretta al massimo, lo spinse contro un muro, facendolo gridare di dolore. Quello sembrò piegarsi a metà dopo aver sbattuto con la parete, ma non era ancora finita, né  per lui, né per lei. Lui doveva soffrire ancora, lei doveva divertirsi ancora.
Il ragazzo rimase in piedi, stranamente, mentre la ragazza lasciava andare il suo collo; quello si sentì immediatamente meglio, quando poté tornare a respirare, cercò di riprendere aria velocemente, ma prima che potesse accorgersene, Kate si avventò su di lui conficcandogli le unghie nello stomaco, spingendo con forza sovrumana. Quello gridò e raddrizzò la schiena all’istante, cercando di dimenarsi per liberarsi da quella morsa agghiacciante. Come era possibile che Kate gli stesse facendo così male? Non era tanto forte, non poteva trattare così un adulto! Ma ci stava riuscendo, e la sensazione inebriante che le trasmetteva tutto quello era impagabile.
Come faceva a non riuscire a divincolarsi e sfuggirle in quelle condizioni? Kate non lo stava bloccando, era lì con le dita conficcate nella sua carne e non c'era niente che lo bloccava. Era come se un'altra Kate incorporea lo stesse tenendo attaccato al muro, bloccandogli i polsi e le caviglie, per evitare che si dimenasse.
A un certo punto Kate cominciò a mettere più forza nelle sue dita, cominciò ad allargare la ferita che aveva aperto poco prima conficcando le unghie nella carne dell’uomo. Rise di gusto mentre quello urlava per il dolore e quando vide il sangue zampillare da quella ferita e macchiarle le mani si sentì ancora più determinata ad avanzare. Le sue mani penetrarono nella carne di quell’uomo quasi spontaneamente, facendolo gridare ancora di più e sorprendendo persino Kate.
Un attimo dopo, la ragazza si ritrovò a strappare via la carne del ragazzo, venendo inondata dal suo sangue, che impregnò i suoi abiti del suo colore e odore, macchiandole il viso e dandole un aspetto inquietante. Rise di quella vista, ma fu interrotta dalle urla del ragazzo, che si contorceva cercando di coprire l’enorme ferita con le mani. Infastidita, rivolse un’occhiataccia a quello, prima di dare uno strattone con il braccio, tagliandogli la gola con l’unghia dell’indice e zittendolo istantaneamente.
Il malcapitato si accasciò a terra, e prima che potesse schiantarsi con il pavimento, Kate lo attaccò un’altra volta con le unghie, graffiandogli il viso e facendolo cadere all’indietro. Era morto, non si muoveva più, e una pozza scura si allargava sotto al suo corpo. Kate rideva estasiata, era tutta imbrattata di sangue e la puzza di ferro la circondava, ma a lei non interessava; tutto quello le dava più vita ed ebbrezza. Si sentiva forte per una volta, si sentiva vera per essersi mostrata per come era realmente, e si sentiva viva per avere ucciso.
Le sue risate si confusero in urla, e a poco a poco non riuscì più a distinguerle. Improvvisamente Kate sobbalzò, alzando la testa e gridando disperata.
Era in camera sua, nel suo letto, avvolta dall’oscurità. Non stava sognando, questa volta era vero. Si nascose il viso dietro alle mani e cominciò a piangere. Lentamente le spostò, assumendo una posizione di preghiera e cominciò a singhiozzare.
<< Non sono un’assassina… >> Mormorò ansimando.
<< Non sono un’assassina… >> Cercava di convincere sé stessa della sua innocenza, quando sapeva benissimo di essere colpevole più del peggiore dei serial killer.
<< Non sono un’assassina… >> Era stato così vero, quando aveva ucciso quel ragazzo, nonostante si fosse trattato solo di un sogno; ma lei non aveva fatto niente, era stato Slender Man a uccidere per lei!
<< Non sono un’assassina… >> Per lei aveva ucciso, e non una volta sola. Lei era stata la causa della morte di molte persone in quella città. Ormai vi si era abituata

<< Non sono un’assassina… >> Non ci credeva più nemmeno lei alle sue parole
<< Non sono un’assassina… >> Era un'assassina.

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Capitolo 59
*** Scusami ***


Kate aveva appena finito di prepararsi per la festa, si guardava allo specchio in camera sua.
Indossava quell’abito nero che aveva comprato alcuni giorni prima con Jennifer, lo stesso abito che aveva sognato in uno dei suoi incubi e che l’aveva attirata come una trappola. Slender Man era seduto sul suo letto e la guardava interessato. Ti sta molto bene. Commentò girando la testa da una parte all’altra. Tremò quando sentì la sua voce nella sua testa.
Kate si voltò verso Slender Man e gli sorrise. << Grazie. >> Disse. << Oggi sarò a una festa, Slend. >> Cominciò con tono più costernato. << Se vorrai seguirmi, dovrai evitare di farti notare; nasconditi, non comparire per nessun motivo, a meno che non te lo dica io! >> Slender Man annuì. << E non fare scenate in mezzo alla gente se dovesse succedermi qualcosa, va bene? Non ci saranno pazzi maniaci alla festa, quindi puoi stare tranquillo. >> Volle assicurarsi che Slender Man capisse specialmente quell'ultima parte delle sue raccomandazioni.
D’accordo. Rispose Slender Man con tono di chi aveva capito. Annuì una seconda volta per rassicurare la ragazzina. Sei tesa? Chiese sapendo già di ricevere una risposta affermativa.
Kate sospirò spossata. << Sì. >> Rispose sinceramente abbassando lo sguardo. Andò a sedersi sul letto accanto a lui e sospirò di nuovo. << Oggi sarà una serata difficile… Dovrò cercare di aiutare Jennifer a rilassarsi, e allo stesso tempo dovrò preoccuparmi che non accada niente di brutto… Non posso sbagliare
… >>
Te la caverai. In fondo è solo una festa. Disse Slender Man facendole alzare lo sguardo per ricevere un sorriso di ringraziamento. << Già… Grazie. >>
Quello era il giorno che Kate aveva aspettato per tutto quel tempo, senza sapere bene perché… Voleva divertirsi con i suoi amici senza doversi preoccupare di pericoli o imprevisti, tragedie eccetera, però aveva uno strano presentimento, come se qualcosa sarebbe andato storto
 Ma in fondo, era così per tutto ultimamente, e una festa non poteva essere così dura.
Kate tirò un grande respiro e si alzò stringendo i pugni. << Bé… E’ ora di andare. >> Commentò guardando la porta. Si voltò sorridendo a Slender Man e disse:<< Tu fai il bravo. >>
Quello annuì e rimase seduto sul letto finché Kate non fu uscita.
Kate andò a piedi fino a casa di Jennifer, dove la trovò già pronta ad attenderla in salotto. Indossava l’abito celeste che le aveva regalato sua madre dopo la loro disavventura di alcune settimane prima; le stava benissimo, sorrideva, e aveva trattato i capelli in qualche modo per renderli più voluminosi e morbidi.
<< Jennifer… Sei bellissima! >> La salutò Kate quando la ragazza le aprì la porta. E non lo diceva solo per farla sentire meglio!
Il suo sorriso era sincero e rilassato; in fondo era lei quella che aveva detto che bisognava pensare ad altro quando si stava male, e doveva esserselo ricordato giusto in tempo. << Grazie… >> Rispose imbarazzata. << Stavo aspettando di indossare questo vestito per… Qualcosa di speciale… >>
Kate sorrise sinceramente. << Vedrai, ci divertiremo. >>
Insieme lasciarono la casa e si avviarono a piedi verso il luogo dove avrebbe avuto luogo la festa. Kate chiese a Jennifer se preferisse prendere la scorciatoia attraverso il bosco, oppure la strada normale, che si presentava come un lungo marciapiedi in una strada illuminata da diversi lampioni dalla luce giallastra. L’amica disse che non le dispiaceva fare un po’ di strada in più, aggiungendo che sarebbe stata più frequentata di un sentiero nel bosco, così presero la strada più lunga, ma diversamente da quello che avevano pensato, non trovarono nessuno lungo la strada.
Erano da sole in strada, non passavano automobili, e il fischio del vento tra i rami degli alberi adiacenti alla strada metteva in soggezione. Jennifer cominciava a chiedersi se avesse sbagliato a scegliere quella strada, ma Kate la rassicurava, dicendole che non sarebbe successo niente. << E’ impossibile che succedano cose brutte ogni volta che usciamo da sole, non ti pare? >>
Il sorriso di Kate sembrava sicuro, la stessa ragazzina era certa che sarebbe andato tutto liscio, nonostante Jennifer fosse un po’ preoccupata dalla situazione, ma in fondo solo pensando molto negativamente si sarebbe potuti finire in una situazione pericolosa…
Le due ragazze erano in una piazzola di sosta della strada; mancava ancora poco e sarebbero arrivate alla festa, si sarebbero potute rilassare e divertire, non si sarebbero dovute preoccupare di niente, ma prima di arrivare lì, c’era quella strada buia e inquietante da percorrere… Non ci avrebbero messo molto, in ogni caso, e Kate non pensava nemmeno a un eventuale pericolo. Si erano fermate per alcuni minuti perché Kate era inciampata e si era rotta un tacco.
<< Come va? >> Chiese Jennifer guardando l’amica seduta sul bordo dell’asfalto a guardarsi la scarpa rotta.
<< Non mi sono fatta male, ma la scarpa è andata… >> Mormorò rattristata. Era la prima volta che le capitava una cosa del genere, e se fosse stata nelle vicinanze di casa sua, non si sarebbe nemmeno preoccupata tanto. Sospirò; sapeva che Jennifer avrebbe potuto proporre di tornare indietro per quel piccolo incidente, avendo poca voglia di partecipare alla festa, quindi decise di reagire prima che l’amica potesse dire qualsiasi cosa. << Vabbé… Andrò alla festa scalza! >> Si tolse l’altra scarpa e si alzò rapidamente, saltellando sulle punte dei piedi, sentendosi libera dopo aver tolto le scomode scarpe col tacco.
<< Ma che dici? Non puoi fare tutta la strada a piedi nudi! >> Fece Jennifer ridendo. << Ti lamenterai per tutta la sera. >>
<< Se lo faccio, prendimi a sberle. >> Rispose sorridente lei, cominciando a incamminarsi. Jennifer la guardò sorridendo, scuotendo la testa piano come per dire che fosse impossibile trattare con lei. Kate si girò e ammiccò divertita.
All’improvviso si sentì un rombo provenire dalla strada, seguito dal suono di un clacson e delle voci maschili. Kate si girò e si vide puntati addosso i fari di un’automobile. Non riuscì a vedere bene finché la macchina non fece una derapata e si mise parallela alla piazzola in cui erano Kate e Jennifer. C’erano tre ragazzi dentro a un’auto sportiva; non avranno avuto più di venti anni e sembravano tutti troppo vivaci; forse venivano proprio dalla festa a cui erano dirette loro, forse venivano da un’altra festa, o forse erano solo dei ragazzi che si erano divertiti per conto loro, finendo per esagerare…
<< Ehi, belle! Non volete venire a spassarvela con noi? >> Fece uno seduto sul sedile del passeggero. Dal suo tono di voce, si poteva benissimo intuire che non era sobrio. Lo sguardo di quei ragazzi, però, nonostante potesse sembrare distratto e divertito, mise paura a Kate, che vide dei mostri rabbiosi, pronti a prendere quello che volevano con la forza.
Kate si girò verso Jennifer, lanciandole un’occhiata incerta; l’amica le avrebbe detto di non rispondere a quei tre, per nessun motivo.
<< Ehi! Quanto volete per venire a bordo? >> Fece di nuovo quello appoggiandosi allo sportello con fare sguaiato. I tre ragazzi scoppiarono a ridere di gusto di quella battuta, e Kate si trattenne dal mettersi a urlare contro a quegli idioti. Furono i continui cenni di Jennifer a farla rimanere in silenzio, girata di spalle, stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi. Avrebbe mantenuto la calma, per Jennifer.
<< Andiamo via… >> Mormorò Jennifer prendendo Kate per una mano e trascinandola lentamente via da lì.
Ma i tre ragazzi non demorsero, e questa volta fecero sgommare l’auto per mettersi rapidamente davanti alle due ragazze, bloccandogli la strada. << Andiamo, non siate timide! Ci divertiremo! >>
Kate stava a guardare Jennifer che cercava di girare intorno all’auto. A un certo punto il braccio di uno di loro cercò di afferrarle i capelli, e Jennifer lanciò un urlo di sorpresa. Kate urlò a sua volta, attirando l’attenzione di quei tre. Li fissò con odio, con l’intento di far vedere bene i suoi occhi. Dopo un po’ che si fissarono, quello che guidava girò lo sguardo e disse:<< Bah! Andiamocene, queste stronze non sanno proprio divertirsi… >>
Quello non avrebbe dovuto dirlo. Poteva chiamare lei una stronza, Kate lo avrebbe anche accettato, ma il ragazzo aveva parlato al plurale, includendo in quella categoria di “stronze” anche Jennifer, e Kate non lo poteva permettere. << Se non veniamo è perché l’unica cosa con cui ci si potrebbe divertire in quell’auto è la leva del cambio! >> Fece all’improvviso con tono malizioso. Kate si stava divertendo, mentre i ragazzi giravano lo sguardo increduli e Jennifer la guardava preoccupata.
Il ragazzo che aveva parlato prima guardò divertito i due amici, poi si fece sfuggire un sorrisetto. Rise e si girò verso lo sportello. Lo aprì e uscì dalla macchina, continuando a ridere. << Ne sei davvero sicura, troietta? >> Chiese facendo sparire il suo sorriso e squadrando la piccola Kate con occhi malvagi.
Jennifer sapeva che la discussione sarebbe degenerata e si mise in mezzo ai due per cercare di convincere lo sconosciuto a demordere. << Per favore, perdonala! Noi non… >>
Quello però la spinse via con un braccio, ringhiandole contro parole offensive. << Ehi! >> Urlò Kate dopo che Jennifer fu caduta a terra. << Tu non la tocchi! >> Gli disse facendo un passo in avanti e puntandogli contro l’indice.
Il ragazzo la guardò con la coda dell’occhio prima di voltarsi totalmente verso di lei. << E tu chi sei, per impedirmelo? >>
<< Una ragazza incazzata! >> Rispose Kate con tono minaccioso, guardandolo con calma, nascondendo la sua furia. La sua postura era dritta e composta, la testa era leggermente reclinata in avanti, e sembrava controllare ogni singolo muscolo del suo corpo, ma stava lottando per trattenere quel desiderio di sferrare un pugno in faccia allo sconosciuto, come anche le gambe tremanti dalla paura.
Il ragazzo si voltò ridendo agli amici, prima di tornare a ringhiare verso Kate. << Forse vuoi insegnata una lezione… >> Sussurrò infuriato, nascondendo a malapena l’ira che stava per assalirlo.
<< NO! Ti prego… >> Lo supplicò Jennifer rialzandosi da terra e tirandolo da un braccio. Quello la spinse via con una spallata e a quel punto tirò fuori dalla giacca di pelle un coltellino.
Kate, quando si vide puntata contro la lama, a pochi centimetri dal proprio ventre, si sforzò di mantenere il sangue freddo, e rivolse uno sguardo divertito al ragazzo; piegò un labbro e sussurrò:<< Tutto qui? >> Quella frase fece infuriare ancora di più il ragazzo, che alzò il coltello con l’intento di abbassarlo su Kate, oppure di spaventarla. Qualunque fosse la sua tattica, quel tizio non avrebbe dovuto fare nulla, perché in questo modo condannò sé stesso.
Da dietro la schiena di Kate su erse un’ombra; come se fosse un’estensione dell’ombra della ragazza, la figura alta e nera di Slender Man sovrastò il corpo di tutti i presenti, lasciando a bocca spalancata sia Jennifer che lo sconosciuto, compresi i suoi amici. Una mano bianca afferrò il polso armato dell’aggressore, che perse istantaneamente il coltello e cominciò a dimenarsi come un forsennato, preda della paura e incapace di capire cosa stesse succedendo.
<< Hai sbagliato a insultare la mia amica. >> Sussurrò Kate con un sorrisetto e una strana ombra negli occhi. << Per aver tentato di farci male, questa è la tua punizione. >>
Mentre quel ragazzo urlava, l’altra mano di Slender Man guizzò rapida come un fulmine per coprirgli la bocca, zittendolo all’istante. In quel modo, l’unica cosa che quello sventurato poteva usare per comunicare era la vista. E nei suoi occhi si vide il terrore più puro, il terrore di qualcuno che, incapace di comprendere cosa gli stesse succedendo, lo avrebbe divorato da dentro.
Cercò di urlare più forte, forse riuscì addirittura a smorzare una supplica, ma a un tratto, Slender Man gli spezzò il collo con un semplice gesto, spegnendo la sua vita come una candela.
Jennifer fissava terrorizzata la scena, mentre Kate guardava con divertimento la vita abbandonare il corpo dello sconosciuto; a pochi metri da loro, i due restanti ragazzi guardavano esterrefatti l’enorme sagoma nera di Slender Man, che ancora teneva sollevato il corpo del loro amico.
Il sorriso compiaciuto di Kate si trasformò in una smorfia inquietante senza che lei se ne accorse, e il suo sguardo si spostò lentamente dal viso del morto a quelli increduli dei suoi due amici. Un pensiero si formò nella sua mente e raggiunse Slender Man come un messaggio chiaro; Kate avrebbe affermato di non averlo voluto, di non aver mai nemmeno pensato a quella cosa, ma in quel momento, ciò che raggiunse la mente di Slender Man fu un solo ordine.
Uccidili.
Non appena l’ordine arrivò a Slender Man, l’essere cominciò a muoversi in avanti, lentamente, mettendo un piede di fronte all’altro, mandando avanti prima una spalla e poi l’altra; la schiena, leggermente inarcata verso le prede, aveva un aspetto troppo armonioso, che non si addiceva allo Slender Man, il demone del terrore, ma allo stesso tempo trasmetteva un senso di devastazione che avrebbe fatto tremare la terra. Si mosse così lentamente che sembrò che il tempo fosse rallentato; Kate fremeva dal desiderio di vedere i corpi martoriati di quei due ragazzi tremanti dalla paura; erano così spaventati adesso, così indifesi che avrebbero ritirato subito il loro titolo di “uomini” pur di salvarsi il culo.
Prima che Slender Man potesse avvicinarsi all’auto per compiere il suo dovere, il ragazzo che era seduto sul sedile accanto a quello del guidatore, che aveva un aspetto più fresco del suo amico ormai morto e sembrava essersi reso conto con chiarezza del pericolo, saltò al voltante e fece partire l’auto con un rombo assordante, accompagnato da uno scricchiolio di gomme fastidioso che fece digrignare i denti a Kate; era inutile scappare, avrebbero pagato anche per quello.
Non appena la macchina si mise in moto e cominciò a voltarsi, Slender Man allungò la gamba sinistra, poggiandola a terra con maggiore forza e sbilanciando in avanti il proprio busto, piegando lateralmente la spalla destra e ritirando il lungo braccio; con una rapida falciata dalla potenza inaudita, Slender Man fece ruotare il braccio verso sinistra, rilasciando dal fianco un tentacolo che si estese fino all’auto e la colpì con violenza, facendola ribaltare più volte, travolgendo la barriera dall’altro lato della strada, per poi continuare attorno al corpo del mostro stesso, finendo per ritirarsi in esso dopo aver compiuto un giro completo.
Il rumore dell’auto che si capovolgeva ripetutamente fu indimenticabile, Kate fu estasiata da quella scena e si mise a saltellare ghignando. << Sì! >> Esclamò eccitata. << Questo è quello che si meritano quei bastardi! >> Urlò allungando il braccio, imitando il movimento di quello di Slender Man, ma ritirandolo rapidamente dopo aver raggiunto metà strada. << Non è vero, Jennifer? >>
Kate si girò verso la sua amica, ma a quel punto tutto cambiò.
Jennifer era in piedi, gli occhi tristi puntati sul rottame dell’auto, arenatosi nello spiazzo erboso appena fuori dalla strada; la postura della ragazza era innaturale: la sua schiena era piegata in avanti, ma il bacino si puntava indietro, e l’equilibrio della ragazza era sbilanciato indietro; anche le sue gambe, una avanti e una dietro, avevano un aspetto strano, teso. Stava sudando, ma non faceva tanto caldo, e una lacrima le scendeva dall’occhio destro. Nel suo fianco destro, invece, si era appena aperta una ferita talmente sottile da passare inosservata, ma talmente profonda da aver raggiunto quasi metà del fianco, e il suo abito celeste si era già macchiato di rosso con il suo sangue.
<< Ah… >> Esalò prima di cadere, perdendo l’equilibrio precario che aveva acquistato poco prima.
<< JENNIFER!!! >> Urlò Kate lanciandosi da lei per aiutarla. La afferrò per le spalle e la strattonò nel tentativo di farla rimanere cosciente. Poi la strinse con forza al petto, cercando di trasmetterle più calore, come se fosse rilevante… << Jennifer… Non lasciarmi… Parlami… >> Piangeva singhiozzando senza sosta. Era ferita, cosa poteva dirle?!
Slender Man si girò e vide Kate accasciata sul corpo inerme di Jennifer; preferì rimanere in disparte, per evitare di peggiorare la situazione.
Mentre piangeva, Kate si rese conto che Jennifer era ancora viva, si muoveva e respirava a fatica. Alzò lo sguardo e vide i suoi occhi azzurri che esprimevano dispiacere, ma anche perdono. La ragazza si sforzò di alzare il braccio destro, e Kate, quando capì cosa volesse fare, abbassò il viso per permetterle di avvicinarsi. Le mise la mano dietro la testa e la tirò a sé. << Scu… >> Mormorò senza voce. << Scusami… >>
Quella frase spezzò il cuore di Kate. Scusa? Per cosa? Era Kate che doveva chiedere scusa per quel suo errore! Era tutto colpa sua!
La ragazzina guardò in faccia l’amica, cercando di scovare qualche indizio, ma vide solo un leggero sorriso. << Che cosa… Jennifer… >> Non riusciva più a parlare, la voce le si smorzava in gola, le parole arrivavano a metà, le lacrime le coprivano la vista, il suo trucco le era ormai colato tuto lungo il viso, non sapeva nemmeno che aspetto avesse a quel punto, e non le importava. << Scusa di cosa, Jennifer?! >> Alzò la voce incredula. Non era possibile che la sua amica avesse trovato ancora una volta un motivo per addossarsi la colpa di tutto quello.
Jennifer sorrise dolcemente, nascondendo una smorfia di dolore. << Mi dispiace… Di non essermi accorta… Prima… Di quello che stava succedendo… >> Sussurrò perdendo un’altra lacrima da un occhio. << Avrei potuto aiutarti… Ma non ci sono riuscita… >>
Kate la guardò con terrore. Era di quello che si stava preoccupando: era per lei che chiedeva scusa. Non le importava che stesse morendo, le dispiaceva che non fosse riuscita ad aiutare Kate prima di quel momento. La ragazzina la strinse con forza. << Tu mi hai aiutata, Jennifer… Mi hai aiutata… >>
Jennifer non disse niente; lasciò che le braccia dell’amica si stringessero attorno a lei.
<< Non andare via, Jennifer… Ho ancora bisogno di te… >> Mormorava Kate addolorata. << Non lasciarmi… >>
<< Mi dispiace… >> Rispose Jennifer a quella sua supplica. Non poteva restare. Era impossibile. << Non vorrei… Andare neanche io… >> Confessò mettendosi a piangere dopo. << Ho… Paura, Kate… >> Cercò di alzare le braccia per abbracciare l’amica a sua volta. << Ho paura… >>
<< Resta con me… >> Sussurrò Kate. << Non temere, non ti lascerò andare via… >> Disse con voce dolce per far stare meglio la sua amica.
Jennifer rimase in silenzio per alcuni secondi, facendo venire a Kate il dubbio se fosse già morta, ma il suo respiro affannato c’era ancora, il suo fiato era sul suo orecchio, e la sua voce flebile era ancora udibile. << Ho freddo… Kate… >> Mormorò debolmente la ragazza, facendo piangere ancora di più l’amica.
<< Non… Non è niente… >> Cercò di rassicurarla Kate, piangendo. Jennifer le aveva sempre tirato su il morale quando ne aveva avuto bisogno, e ora Kate non sapeva proprio cosa fare. Si sentiva inutile, non era mai stata di aiuto alla sua amica; aveva causato lei la sua morte, ma avrebbe cercato di fare quello che avrebbe fatto lei, e le avrebbe parlato come se tutto quello non importasse, come se non ci fosse un domani. << Sai… >> Mormorò per controllare in che condizioni fosse la sua voce. << E’.. Strano che tu abbia freddo… Proprio in questo periodo dell’anno… >> Disse senza pensare bene a quello che stesse dicendo. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e tornò a guardare l’amica, sorridendole leggermente. << E’ quasi arrivata l’estate… >>
Jennifer sorrise. << Già… >>
Kate guardò da un’altra parte. << Chissà se verrò promossa, quest’anno… Io… >> Tornò a guardare il viso sorridente dell’amica. << Io passo sempre a stento… >> Mormorò piagnucolando, schiacciando la fronte contro il petto di Jennifer. << Sei tu quella brava… >> Jennifer chiuse gli occhi per qualche istante. << E chissà… Magari riusciremo a capire come stanno le cose tra me e Tommy, no…? >> Chiese sperando che l’amica rispondesse. Per non farle chiudere gli occhi, Kate continuò a parlare. << E poi… E poi potremmo trovare un ragazzo anche a te… Così staremo insieme tutta l’estate, e… >> Non volle arrendersi. << E io ti prometto che aiuterò Jamie a riprendersi… Tornerà a sorriderti e a chiederti di aiutarlo con i compiti… E tu sarai là, pronta ad aiutarlo, come la brava sorella maggiore che sei sempre stata… >>
Jennifer inspirò profondamente e con serenità, prima di rilasciare l’aria che aveva nei polmoni, facendo restringere la sua cassa toracica e chiudendo infine gli occhi, senza mai perdere il sorriso.
<< E… E… E io ti porterò in giro tutta l’estate… Andremo sempre al mare e ci divertiremo sempre… Ti prego, Jennifer… >> Ormai Kate stava lottando per una partita già persa. Si mise a piangere e si piegò sul corpo esanime dell’amica. Nascose il viso sul suo petto, mentre la testa si reclinava indietro a causa della forza di gravità, che agiva ormai su una Jennifer stanca di lottare, senza più forze.
Era finita. Era finita, come le vite di quei ragazzi, come l’anno scolastico, come la loro amicizia… Era davvero finita, questa volta, e Kate dovette accettarlo. Quando se ne rese conto, scoppiò in lacrime, senza più riuscire a fermarsi. La voce le rimaneva in gola e la strozzava, le usciva solo un lamento infantile, cercava aria ma si sentiva il piombo nel petto, faceva caldo, ma il suo corpo era diventato freddo, trasmessole da Jennifer, e il dolore al cuore era sempre più forte, nonostante non se ne fosse ancora accorta… Piangeva sul corpo di Jennifer, piangeva sul suo vestito nuovo, sulla sua ferita, su quel suo sangue che si era espanso e aveva sporcato anche il suo di vestito. Piangeva come credeva che non avrebbe mai fatto; non pensava che fosse possibile sentirsi così male, non aveva mai provato un simile dolore, e non avrebbe voluto più provarlo!
Perché Jennifer era morta? Era colpa sua, di Kate! Lei aveva ordinato a Slender Man di uccidere quei ragazzi, ed era stato il tentacolo del mostro a ferire mortalmente la sua amica. Ma come era potuto succedere? Pensava che Slender Man fosse più preciso di così, pensava che non potesse sbagliare! Slender Man non avrebbe mai commesso un errore simile, e non avrebbe nemmeno ucciso Jennifer di sua volontà, sapendo che avrebbe aperto una ferità talmente grande nel cuore di Kate, da non poterla più guarire.
Quindi…? Cos’era quella sensazione che aveva invaso il suo corpo da quando aveva visto Jennifer in piedi, con quella ferita sul fianco? Non può essere una coincidenza. Non lo era. Non era una coincidenza, perché non sarebbe mai potuta accadere una cosa simile, così stupida e tragica allo stesso tempo!
Sono stata io…? Era stata lei a desiderare quello? Anche se inconsciamente, Kate aveva desiderato che quei ragazzi morissero, ma nonostante non fosse stato esplicito, aveva sempre sentito un tipo di avversione verso di loro che avrebbe potuto indicare il suo desiderio di vederli morti. E se aveva desiderato la morte di quegli sconosciuti, perché non avrebbe potuto desiderare, anche inconsciamente, senza nemmeno pensarci né accorgersene, la morte della sua migliore amica?
Ma non aveva senso. Perché avrebbe dovuto? Perché no? La sua sete di sangue era tale, che la ragazza aveva voluto spingersi ancora di più, in un campo che non aveva ancora visto, una sensazione che non aveva ancora provato, e che adesso l’aveva dissetata.
Uccidili? Non si riferiva ai ragazzi, non soltanto. Poteva essere rivolto a tutti i presenti, tutti quelli che avevano assistito alla scena e che avevano visto Slender Man. Se fosse stato così, allora perché non si sarebbe potuto rivolgere a tutto il mondo? Perché non avrebbe potuto sterminare l’intera razza umana, per liberarsi di quel suo desiderio di morte, rimanendo sola con il suo Slender Man, a quel punto? Perché aveva provato quel dolore… Il dolore che aveva colpito i familiari del signor Anderson, i genitori di Becky Johnson, e tutti gli altri che avevano perso qualcuno… Era orribile. Non avrebbe mai voluto che quello accadesse. Ma era successo, ormai, e quella cosa avrebbe portato a delle conseguenze; il dolore non sarebbe stato solo suo…
Kate alzò la testa dal petto della sua amica. Guardò avanti, con le lacrime che le avevano completamente devastato il trucco, e aprì la bocca. << Jennifer è morta. >> Disse ad alta voce senza staccare lo sguardo dall’oscurità. Sembrava che non si rivolgesse a nessuno in particolare, che semplicemente parlasse da sola. Forse voleva convincersi di quello o forse stava cercando di pronunciare quella frase senza mettersi a piangere; ma la sua voce tremante la tradiva e quella morsa alla gola tornava non appena provava ad aprire bocca. Abbassò di nuovo lo sguardo e avvicinò le labbra al viso di Jennifer. << Mi dispiace. >> Sussurrò senza più voce. Poi le diede un bacio sulla fronte e si allontanò lentamente da lei. Rimase in ginocchio a guardarla per qualche minuto, prima di rialzarsi e rivolgere lo sguardo davanti a sé, nel buio della notte.
 
*
 
Tommy era circondato da gente. Non c’era una persona che sembrasse essere nel posto sbagliato; tutti quanti ballavano e gridavano, bevevano bibite e alcolici, e altri ancora fumavano e vagavano senza meta nel locale. Un po’ come lui, che girovagava in cerca di una persona. Lui spiccava di sicuro, in quel locale, in mezzo a tutta quella gente vestita in modo particolare, con abiti stretti e scintillanti, alla moda; il suo abbigliamento non poteva dirsi comune, in quella folla, e nemmeno il suo umore. Non si stava divertendo, era solo, pensava che sarebbe stato lì con una o due persone, ma a quanto pare gliel’avevano data buca questa volta. Si sentiva triste, a stare lì da solo, senza fare niente. Stava pensando di tornarsene a casa, in fondo non avrebbe fatto altro che perdere tempo, a quel punto.
Cercò di districarsi tra la gente fino ad arrivare all’uscita, ma notò che tutto a un tratto, la folla si era fatta più fitta, come se tutti si stessero stringendo per non farlo passare. Che fastidio. La musica gli rimbombava costantemente nelle orecchie, le luci stroboscopiche gli davano fastidio agli occhi; al ragazzo non piacevano poi tanto quelle feste… Se ci era andato, era perché aveva sperato di poter incontrare delle amiche, ma era da solo, non era mai arrivato nessuno per lui… Si chiedeva se non lo avessero raggirato. Era piuttosto facile, prendersi gioco di un ragazzo come lui, in un posto come quello, ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Cercò di farsi strada tra la gente, ma capì che erano proprio stretti l’uno con l’altro, a malapena riuscivano a muoversi, anzi, erano fermi. E anche la musica si era abbassata tutto a un tratto; non c’era gente che urlava, nessuno ballava, la puzza di fumo c’era ancora, ma le persone che tenevano delle sigarette tra le dita erano immobili, e avevano lasciato che la cenere avanzasse di parecchio senza preoccuparsene. Guardavano tutti da una parte, sembravano esterrefatti, spaventati. Cosa c’era lì in mezzo di così straordinario?
Tommy si alzò sulle punte dei piedi, stendendosi per poter vedere oltre il mare di teste davanti a lui. C’era qualcosa che si muoveva, facendosi strada in mezzo alla gente, che si faceva da parte a sua volta. Qualcosa o qualcuno? Tommy riuscì a infilarsi in uno spazio per guadagnare un po’ di metri e vedere meglio la persona che stava passando in mezzo a tutti loro. A un certo punto vide una figura alta, abbigliata con un completo nero da uomo, con al collo una cravatta rossa e la pelle bianca come la carta. Non aveva faccia. Non c’era proprio niente sul suo viso. Che razza di pupazzo era? Qualcuno doveva aver portato una specie di costume alla festa, forse per impressionare la gente, e infatti c’era una piccola figura accanto a quella alta. Era gracile e bassina, a Tommy sembrò di riconoscerla.
Era una ragazzina dai capelli neri, indossava un vestito nero, con una gonna corta larga, e i bordi bianchi sul corpetto nero stretto. Aveva gli occhi neri, oscuri, incuteva timore, e sembrava guardare storto tutti quanti. Era scalza. Teneva la mano a quella figura alta accanto a lei, e questo fece pensare a Tommy che ci fossero due persone dietro quello strano scherzo. A un certo punto la vide bene in faccia, e la riconobbe.
<< Kate…? >> Disse a voce alta, ma non abbastanza alta da raggiungere le orecchie della ragazzina. Che stava succedendo? Vide la ragazzina fermarsi in mezzo alla pista, girarsi verso l’alta figura nera e mettersi in posa con quella. Era una scena piuttosto strana, confusa e inquietante.
La musica riprese, e i due si misero a ballare lentamente, quasi come se il sottofondo fosse un altro. Lei, la ragazzina in nero, capace di incutere timore nelle anime degli altri con uno sguardo, e lui, il suo strano, alto, e ingobbito cavaliere. Lei lo guardava dove avrebbe dovuto avere gli occhi, e la sua espressione era gioiosa, sembrava innamorata di quel viso piatto. Lui la guardava in viso, ma non si riusciva a capire dove esattamente, a causa della sua mancanza di tratti somatici. Sembravano quasi due persone normali, in mezzo a un mucchio di persone diverse da loro… E niente sembrava toccarli minimamente…

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Capitolo 60
*** Conseguenze ***


A quel punto, l’esistenza di Slender Man non era più un segreto, e non si poteva più nemmeno parlare di una leggenda: Slender Man era un fatto concreto agli occhi di tutti, nessuno sarebbe stato più scettico dopo quello che avevano visto.
Kate faceva colazione in silenzio, mentre i suoi genitori la guardavano con occhi pieni di incertezza, entrambi seduti ai suoi lati, come per chiuderla in trappola. Volevano parlarle. Avevano saputo della sua entrata in scena a fianco dello Slender Man, il mostro della leggenda, ed era ovvio che si fossero preoccupati per quello. Carino, da parte loro, ma anche poco sensato, dato che loro erano le persone che si interessavano meno a lei. In fondo non si erano mai accorti di niente fino a quel momento

I suoi genitori si lanciavano occhiate nervose, non sapendo come cominciare la discussione su quella delicata faccenda. Credevano che Kate non notasse i loro sguardi di sottecchi, concentrata com’era sulla sua tazza di latte al cioccolato; non aveva distolto gli occhi da quando si era seduta, ed essendosi appena svegliata, la sua attenzione avrebbe dovuto essere bassa, e i suoi sensi ancora intorpiditi. Ma in realtà percepiva tutto, come un gatto nella notte. Si sentiva viva come non mai, si credeva in grado di superare qualunque ostacolo, pensava di poter correre senza mai stancarsi; avrebbe voluto usare quella sua capacità per sfuggire ai suoi noiosi genitori, ma invece dovette attenersi alle regole e rimanere sulla sua sedia, a sorseggiare con calma il suo latte al cioccolato, in attesa che uno dei due adulti alzasse la voce per portare altri fastidi nella sua testa.
Suo padre si schiarì la voce mettendosi una mano di fronte alla bocca. << Kate? >> Chiese incerto, non sapendo se la ragazza stesse ascoltando.
Kate non avrebbe voluto rispondere, in fondo non sarebbe cambiato niente, ma si disse che in fondo poteva anche provare ad essere gentile con loro, ogni tanto. << Sì, papà? >> Chiese con una vocina delicata che non riuscì a spiegarsi.
Suo padre sembrò sorpreso di ricevere una risposta tanto cordiale, ed esitò un momento prima di riprendere a parlare. Si schiarì di nuovo la voce, nervosamente, e poi cominciò:<< Ci è stato detto che ieri sera sei andata a una festa, proprio come l’altra volta… >> Quello lo sapevano già da prima

Kate annuì tenendo gli occhi chiusi. Era così, non c’era bisogno di una risposta.
Suo padre lanciò un’occhiata incerta a sua madre. La donna rispose con un’alzata di spalle. Quella ragazzina incuteva timore in quel momento, e il fatto che fosse poco comunicativa con loro non faceva altro che allontanarli ulteriormente. << Abbiamo saputo che… >> Suo padre riprese la parola fermandosi subito. Come poteva dire quella cosa? Non aveva idea di come affrontare la faccenda, e temeva che una mossa falsa avrebbe potuto irritare Kate, e negar loro ogni possibilità di chiarire quella situazione. In realtà, Kate era serena; la ragazzina non avrebbe risposto male ai suoi genitori, quel giorno, non li avrebbe contrariati e non avrebbe cercato di provocarli. Avrebbe voluto dirglielo, ma vederli in quello stato, spaventati dalla loro stessa figlia, senza sapere cosa dire, la divertiva troppo. << A questa festa ti sei presentata con uno strano… Accompagnatore… >> Balbettò suo padre sudando, sperando di aver preso la parola giusta.
Kate appoggiò la tazza mezza vuota sul tavolo e alzò gli occhi sorridente. << Sì. >> Rispose con calma. I suoi genitori sembravano essersi aspettati qualche reazione scomposta, una sfuriata di quelle che aveva la ragazza quando le davano fastidio, e invece avevano ricevuto un sorriso e una risposta gentile. Era davvero strano.
Suo padre boccheggiò qualche secondo, prima di fare la sua domanda. << E… Ci potresti dire dove hai incontrato questo signore? >> Stava sudando, come anche la moglie; temevano che ogni passo li avrebbe fatti sprofondare in un abisso senza fondo. E di cosa avevano paura, poi? Una bambina…
Kate tenne lo sguardo basso per qualche secondo, pensando come rispondere ai suoi genitori. Dopo un po’ alzò la testa e disse ammiccando:<< Lui è il mio amico, Slend! >>
Sembrava che la ragazzina stesse parlando di un amico immaginario, e in fondo sarebbe potuto anche essere così, ma quell’amico immaginario era stato visto da decine di persone, aveva ballato con lei, e a sentire le testimonianze, si trattava di qualcosa decisamente non umano.
<< Kate? >> Si fece avanti la madre, mostrando finalmente un po' di coraggio. Kate la guardò sorridente chiedendole cosa volesse. << Che tipo è… Slend? >>
Kate alzò gli occhi al cielo prima di rispondere. << Un giorno di questi ve lo devo presentare! Sono sicura che vi piacerà un sacco! >> Sembrava che non stessero parlando di una creatura alta tre metri e senza faccia. Sembrava che stessero parlando di un fidanzato della ragazzina, ma non poteva essere così, vero? A quel punto la situazione non avrebbe potuto che peggiorare!
A un certo punto Kate si alzò, dopo aver bevuto quel poco di latte rimasto nella sua tazza. << Ora vado a vestirmi. >> Disse mettendo rapidamente la tazza nel lavandino e facendo scorrere un po’ d’acqua dal rubinetto. Si avvicinò poi a suo padre e lo baciò in testa, lasciandolo senza parole. Poi andò da sua madre e le diede un bacio identico sulla guancia. << Ci vediamo più tardi. >> Sussurrò amorevolmente a entrambi i genitori.
La ragazzina uscì dalla cucina muovendo lateralmente la mano sinistra, per salutare i genitori, quasi come se fosse una bambina di cinque anni. A quel saluto ricambiò solo sua madre, mentre il padre rimase perplesso, a chiedersi cosa stesse succedendo. Anche sua madre però era confusa; Kate non si era mai comportata così con loro, non era normale. Sembrava non essere più lei… Si girò verso il marito a guardarlo sconcertata, e quello ricambiò scuotendo la testa. Era successo qualcosa che aveva cambiato la loro figlia? E si trattava di una buona o una cattiva notizia?
In bagno, Kate si lavò rapidamente, senza pensare a quello che era appena successo nella cucina. I suoi genitori erano preoccupati, ma non c’era niente di cui preoccuparsi; se ci fosse stato qualche problema, lei lo avrebbe saputo. Il fatto era che non conoscendo ancora Slender Man, i due adulti erano spaventati, ma presto avrebbero imparato a volergli bene proprio come lei voleva bene a lui.
La ragazza si vestì in tutta fretta, mettendosi una maglietta aderente nera e un paio di pantaloncini elastici, e uscì di casa salutando vivacemente i suoi genitori. Quel giorno Kate si sentiva davvero bene, tanto da comportarsi in quel modo così sdolcinato con i suoi genitori…
Fuori di casa attraversò il giardino, e prima che potesse uscirne, sentì il telefonino nella tasca vibrare. Kate lo prese perplessa e guardò lo schermo; c’era un messaggio da parte di Tommy Schmidt. Sorrise pensando al ragazzo e lesse rapidamente il testo del messaggio.
“Kate sei a casa? Possiamo incontrarci?” Diceva.
L’espressione di Kate si incupì un secondo, incerta su come rispondere. Alla fine decise di mandare un messaggio dicendo a Tommy di dirle quando e dove incontrarsi.
La ragazzina si rimise il cellulare in tasca e si incamminò tutta contenta, ma fu fermata da una voce familiare, che la fece sorridere. << Kate! >>
Il signor Tucker era appena uscito di casa e le alzava un braccio per chiederle di fermarsi. Lei si voltò sorridendo innocentemente e unendo le mani dietro la schiena. << Salve signor Tucker. >> Cinguettò lei.
Tucker sembrava nervoso, o affaticato. Si sporse alla staccionata del suo giardino mentre Kate si avvicinava dall’altra parte. << Ciao, Kate… >> Mormorò sforzandosi di sorridere. << Stai bene? >> Le chiese istantaneamente.
Kate si sorprese di quella domanda. << Come dovrei stare? >> Chiese lei perplessa.
Tucker sembrò esitare a rispondere; si morse un labbro guardandosi intorno, come se cercasse qualcosa. << Ho parlato con Jane… La signora Kutner. >> Si corresse interrompendosi all’istante. << Mi ha detto che ieri notte Jennifer non è tornata a casa. >>
Kate reagì sgranando gli occhi. << Cosa? >> Chiese incredula.
<< Non lo sapevi? >> Chiese Tucker abbattuto. << Pensavo foste andate insieme a quella festa… >> Nella sua voce si percepì una punta di rimprovero.
Era così. Kate e Jennifer si erano dirette al luogo della festa insieme, spensieratamente, felici di esserci l’una per l’altra, ma a metà strada, era successo qualcosa che la ragazzina non voleva ricordare.
Kate si mise una mano sulla fronte. << Io… >> Mormorò con voce flebile. << Non ricordo bene… >> Finse di essere stanca, che le girasse la testa, qualcosa che potesse garantirle una scappatoia da quella situazione scomoda.
Tucker abbassò lo sguardo e cercò di intercettare quello della ragazzina, che da parte sua, cercò di nascondere. << Sei sicura di stare bene? >> Chiese a quel punto. << Magari hai preso qualcosa, alla festa… Una bibita dal sapore strano…? >>
Kate scosse la testa chiudendo gli occhi. << Non ricordo bene… >> Mormorò stancamente. << E’ come se fosse tutto avvolto dalla nebbia… >> Mentire non la faceva sentire tanto bene, ma la aiutava a sopravvivere, almeno

<< E sei tornata a casa da sola ieri? >> Chiese Tucker inarcando un sopracciglio. Kate guardò da un’altra parte, per non dover subire lo sguardo interrogatorio del vicino. << Ti sei svegliata nel tuo letto, questa mattina? >> Chiese preoccupato.
Kate si girò di scatto e annuì spalancando gli occhi, come per chiedergli se non le credesse. << Sì, ero a casa! Dove mi sarei dovuta svegliare, altrimenti? >> Forse il suo tono suonò un po’ scontroso, ma Tucker non lo notò.
L’uomo sembrò sollevato dal sentire quelle parole e raddrizzò la schiena sospirando. << Lascia perdere… Sono io che sono un po’ confuso… >> Esalò chiudendo gli occhi per un istante. Li riaprì e li posò di nuovo su Kate. << Allora… Ho sentito che ieri c’è stato un po’ di subbuglio alla festa… >> Mormorò cercando di mantenere un profilo basso.
Kate si guardò intorno. << Non saprei bene… Ma molta gente se n’è andata quando sono arrivata io… >> Disse innocentemente.
Tucker strizzò le palpebre di un occhio. << E… Come mai? >> Chiese con l’aria di uno che conosceva già la risposta.
Kate sbuffò sapendo di essere stata messa in trappola. << Sono… Andata alla festa con un amico… >>
<< Che tipo di amico? >> La incalzò Tucker.
Kate digrignò i denti abbassando la testa. Lo avrebbe saputo in ogni caso, e sarebbe stato meglio dirglielo di persona, anche se in quel momento Kate non capì perché fosse tanto importante quella cosa. << Un… Un amico speciale! >>
Tucker sembrò sorpreso, ma non quanto Kate si sarebbe aspettata. << Un amico speciale? >> Chiese portando indietro la schiena.
Kate annuì. << L’ho conosciuto tempo fa in un bosco, e da allora non mi ha mai lasciata sola; può sembrare un essere spaventoso, ma in realtà è buono! Veglia su di me e mi protegge dai pericoli. >> Disse tutto ad un fiato la ragazzina chiudendo gli occhi temendo la reazione del vicino. Tucker la squadrò con un sopracciglio inarcato. << Davvero. >> Aggiunse dopo aver aperto un occhio per controllare come avesse reagito l’uomo.
Tucker la guardò impassibile. << Un amico speciale… >> Mormorò a bassa voce. Fece spostare il peso da una gamba all’altra e si mise una mano sul fianco. << E come si chiama questo tuo amico? >> Chiese con tono annoiato.
Kate lo guardò confusa; non sembrava per niente sorpreso, aveva l’aspetto di uno che sapeva già quello che gli si stava raccontando. << Slend. >> Mormorò con vocina acuta lei.
Tucker si mise una mano sulle labbra, poggiando il gomito nell’altra. Mantenne un’espressione pensosa ed evitò lo sguardo della ragazza. << E’ solo un amico…? >> Chiese alla fine alzando il braccio.
Kate non capì cosa intendesse, ma rispose di sì. << Solo un amico. >> Fece seria.
A quella sua risposta, Tucker annuì in silenzio e si voltò. Rimase qualche secondo senza dire niente, poi mosse piano la testa e fece:<< A più tardi, Kate. >> Dopo di quello si mise a camminare verso la porta di casa sua.
Kate non rispose al saluto, limitandosi a fissare confusa il suo vicino di casa. Era la prima volta che si comportava in modo così freddo con lei, ma era anche la prima volta che lei gli parlava di Slender Man; la notizia poteva averlo scioccato? Tucker era sicuramente un uomo onesto e gentile, ma Kate non lo avrebbe definito anche ingenuo; non pensava potesse essere così impressionabile. Certamente, non capitava tutti i giorni che una ragazzina dicesse di avere un “amico speciale” che vegliasse su di lei, ma dato il tono con cui lei lo aveva detto, pensava che Tucker non si sarebbe allarmato troppo…
Kate controllò di nuovo il telefono rimettendosi in marcia e uscendo finalmente dal giardino. Era arrivato un nuovo messaggio da parte di Tommy; fu felice di sapere che il ragazzo avesse risposto in fretta al suo messaggio, significava che per lui era importante…
<< Non preoccuparti, Tommy… >> Mormorò dopo aver letto il testo del messaggio. << Va tutto bene… >> Decise di mandare un messaggio di risposta al ragazzo per rassicurarlo e si offrì di incontrarlo per parlare. Il messaggio di Tommy aveva un tono di sollievo, e scherzava sul fatto che non fosse morta; principalmente, però, sembrava confuso e chiedeva di sapere cosa fosse successo la notte precedente. In realtà Kate non ricordava nemmeno tanto quello che le fosse capitato la notte precedente, però sapeva che era stato qualcosa di serio.
Senza pensare, la ragazzina attraversò la città e notò subito una differenza attorno a sé: la gente la fissava. Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, dove passava lei si giravano le teste degli altri passanti, tutto solo per fissarla in silenzio. Inquietante. Si sentiva come se la volessero tenere lontana; sembrava che fosse una criminale macchiatasi di un delitto orrendo, emarginata da tutti in ogni modo. A lei sembrava solo un comportamento infantile; non aveva fatto niente di male in fondo!
Ignorando la gente che scappava o che si fermava a fissarla con occhi inespressivi, Kate raggiunse la casa di Jennifer. Si fermò alcuni secondi di fronte al cortile, prima di entrare e raggiungere rapidamente la porta. Dopo aver alzato la mano per un secondo, la ragazza suonò il campanello e attese alcuni secondi, e poi minuti. Non succedeva niente.
Giusto… Pensò abbassando lo sguardo delusa. La signora Kutner era all’ospedale, da Jamie, e Jennifer non sarebbe potuta essere lì. La casa era vuota.
Scuotendo la testa, Kate si voltò accontentandosi di non aver ricevuto nessuna risposta ala porta e si allontanò in fretta dalla casa, un po’ imbarazzata per quella scena muta senza un senso apparente. Probabilmente si era diretta lì senza pensarci, a causa dell’abitudine; era buffo come, nonostante tutto, si fosse ancora diretta a casa di Jennifer…
Kate continuò a passeggiare senza meta ignorando gli sguardi della gente che la circondava, finché all’ora di pranzo non decise di chiamare Tommy per dirgli di incontrarla; si diedero appuntamento in un bar dove avrebbero potuto mangiare qualcosa, nonostante Kate non avesse molta fame, e la ragazzina si avviò con calma al luogo dell’appuntamento. Voleva parlare con lui, più che altro, per rispondere alle sue domande, e poi non aveva voglia di tornare a casa ancora…
Quando fu arrivata, Kate dovette aspettare pochi minuti, per vedere il ragazzo dai capelli castani entrare dalla sua stessa porta e raggiungerla salutandola ampiamente; per qualche motivo, Kate sentì come se quel saluto così amichevole fosse un po’ forzato…
<< Kate! Ma che diamine… >> Fece il ragazzo sedendosi di fronte a lei. Sorrise nervoso e si mise le mani alle tempie, mimando un gesto che rappresentasse l’esplosione della sua testa, accompagnato da un suono fatto con il palato per rendere meglio l’idea. << Hai sorpreso tutti quanti, ieri alla festa! >> Esclamò estasiato, ma un po’ insicuro; Kate riusciva a intuire le sue emozioni, e sapeva che Tommy era nervoso a parlare con lei.
La ragazza cercò di ignorare l’evidente stato d’animo dell’amico, e cercò di mandare avanti il discorso:<< Già… In pochi si presentano a una festa accompagnati da un tizio senza faccia e alto tre metri. >> Guardò da un’altra parte, assumendo un sorrisetto preoccupato.
Tommy sembrava contento, nonostante tutto. Mosse la testa a scatti, facendola ruotare in modo disordinato e agitando velocemente le mani. << Ma dai? E’ stato come ricevere un secchio di acqua gelata in testa! >>
Kate piegò la schiena in avanti sorridendo impercettibilmente. << Deduco che ne sei piacevolmente sorpreso. >> Commentò con uno sguardo provocatorio; si divertiva un mondo a stuzzicare Tommy a quel modo.
<< Bé, è un’ottima notizia, no? >> Fece Tommy allargando le braccia. << Significa che sei riuscita ad ammansirlo! >> Esclamò allargando le braccia.
Kate si appoggiò al tavolino con il gomito e assunse un’espressione di disappunto. << Tu credi? >> Mormorò incerta guardando verso l’uscita.
Tommy girò lo sguardo dalla stessa parte per un secondo, poi tornò a guardare la ragazzina. << Certo! Altrimenti perché lo avresti portato in mezzo a tutta quella gente ieri sera? >> Chiese stringendo le spalle.
Kate sbuffò corrucciando lo sguardo. Non sapeva bene perché, ma si sentiva come se non fosse riuscita ad ammansire niente. << Più che altro… >> Mormorò senza staccare gli occhi dall’uscita. << E’ come se ieri sera mi fossi sentita molto… Vicina a lui… >> Sussurrò con un filo di voce. << Mi sentivo bene, con lui… >> Aveva ammesso di sentirsi bene assieme a Slender Man; non avrebbe mai pensato che lo avrebbe fatto con tanta leggerezza.
Tommy sembrò incerto su come rispondere, non era abbastanza informato su quello per poter dire la sua opinione, quindi rimase in silenzio piegando un angolo della bocca.
Kate rimase in silenzio per alcuni minuti, poi il suo sguardo si spostò dalla porta a vetri che conduceva fuori dal bar, al tavolino su cui si era appoggiata ormai con tutto il busto; vi erano alcune macchie zuccherose di qualche bevanda gassata, e altre impercettibili briciole che un tempo la ragazzina avrebbe notato subito. Assunse una faccia schifata e le cacciò con la mano libera, ma si arrese di fronte alle macchie. Riguardo a quello, si sentì diversa, come se quasi non le importasse più delle briciole che spezzavano l’armonia di un tavolo ben pulito, o di quelle fastidiose macchie che lo rendevano sporco e inguardabile; sembrava quasi che l’arrivo di Slender Man avesse preso il sopravvento su quelle sue piccole fissazioni che un tempo riteneva fondamentali. Era davvero cambiata…
Tommy voleva parlare ancora di una cosa. Cercò di schiarirsi la voce e cominciò a parlare:<< E… Ieri sera non ho visto Jennifer. >>
Kate reagì impercettibilmente, battendo rapidamente le ciglia un paio di volte, poi fece un suono interrogativo con la gola, guardandolo in modo da fargli capire che non si trattava di un argomento di cui avrebbe voluto parlare, ma facendogli segno di continuare.
Tommy notò di aver attirato la sua attenzione e continuò:<< Non doveva venire con te? >> Chiese abbassando la testa per cercare di intercettare il suo sguardo.
<< Sì. >> Rispose atona Kate. Non aggiunse altro, sapendo però che Tommy avrebbe voluto sapere di più. Sospirò, capendo di dover rispondere per forza, e cercò di giustificarsi. << Non ricordo bene perché, ma ieri a un certo punto ci siamo dovute dividere. >> Cercò di sembrare dispiaciuta. << Stamattina ho scoperto che non è tornata a casa. >> Non ci riuscì. La sua voce uscì senza un tono.
Tommy sussultò. << Non hai idea di cosa possa esserle successo? >> Chiese un po’ preoccupato. Kate scosse la testa lentamente imbronciandosi. Sospirò, cercando di sembrare poco desiderosa di parlarne.
<< Era preoccupata di qualcosa… >> Mormorò concludendo lì le sue riflessioni; non voleva dire nient’altro, anche per il fatto che non avesse idea di cosa dire. I due ragazzini rimasero semplicemente lì a guardarsi intorno con aria di imbarazzo, finché non gli fu portato da mangiare – dei semplici panini scelti da Kate – e quindi cominciarono a mangiare in silenzio, con imbarazzo, finché, una volta finito, uscirono dal locale e si divisero, salutandosi e promettendosi di rivedersi presto.
Kate non voleva trattare male Tommy, ma improvvisamente si era sentita distante, diversa da lui, e la sua compagnia non era stata più piacevole come al solito; aveva preferito allontanarsene, piuttosto che rischiare di finire in qualche brutta situazione.
Nel pomeriggio Kate passeggiò senza una meta precisa, finendo per raggiungere l’ospedale dove stavano la mamma di Jennifer e suo figlio Jamie. Non sapeva perché, ma decise di entrare, nonostante non si sentisse a suo agio a stare con la signora Kutner. Passò a salutare e a controllare la situazione del bambino, ma non appena la vide, la signora Kutner le fu subito addosso.
<< Kate! >> La chiamò appena la vide. Le si avvicinò a passi veloci e le mise le mani sulle spalle, controllandola minuziosamente, come se stesse ritornando da una battaglia. << Tu stai bene? >> Chiese affaticata. Kate annuì solo per fare contenta la signora Kutner, ma non capì il motivo di tutta quella premura per lei. << Che cosa è successo a quella festa? >> Le chiese smettendo di controllarla e guardandola negli occhi.
Adesso capiva qual era l’obiettivo della donna: voleva scoprire cosa fosse successo a sua figlia, e perché non fosse tornata a casa quella sera. Kate non l’avrebbe potuta aiutare, ma decise di reggerle il gioco e continuare quella recita imbarazzante. Si finse un po’ confusa e cominciò a parlare:<< Non saprei… Sembrava una serata normale… Io e Jennifer siamo andate alla festa insieme, pensavamo che ci saremmo divertite… >> Abbozzò un sorriso nostalgico. << Ma… Non ricordo cosa sia successo dopo… >> Scosse la testa, distruggendo le speranze di Jane Kutner e imbronciandosi istantaneamente.
La signora Kutner però non avrebbe mollato tanto facilmente. << Ho sentito che alla festa si è presentata una ragazza con uno strano accompagnatore… >> Mormorò timorosa, sperando di non ricevere la risposta che credeva.
Kate la guardò dal basso verso l’alto, prima di rispondere. << Ero io. >> Sussurrò senza nessun tono particolare, scandendo bene le sillabe. << Sono arrivata lì con Slender Man, che è… >> Si fermò alzando le mani. << Non so bene come descriverlo… So solo che Jennifer non era con me, quando sono arrivata alla festa. >>
La signora Kutner scosse la testa disperata. << Non sai come vi siete separate? Voglio dire… Eravate lì insieme, vero? >>
Kate fece un passo indietro. << Mi dispiace… >> Mormorò. << Non riesco a ricordarlo… >>
La signora Kutner era visibilmente sconvolta, ma cercò di mantenere la calma, finché poté; si guardava intorno confusa, muoveva le mani a scatti, come se fosse una macchina sul punto di rompersi. << E… E questo Slender… Man… >> Disse balbettando e tremando. << Come mai… Come mai era con te? >>
Kate abbassò lo sguardo. Sapeva che sarebbe stato difficile da dire, ma in ogni caso lo avrebbero scoperto comunque; sarebbe stato diverso da quando lo aveva detto al signor Tucker, ma stava per dirlo di nuovo. << Lui è mio amico. >> Mormorò con una vocina impercettibile, mantenendo lo sguardo basso. Alla signora Kutner vennero i brividi, quando sentì quelle parole. Un amico? E che razza di amico poteva essere un mostro alto tre metri privo di qualunque espressione?
La signora Kutner sospirò a fatica, come se qualcosa le fosse rimasto in gola dopo aver sentito quella notizia. << E’… Tuo amico…? >> Mormorò con voce spezzata.
Kate la guardò tristemente. Annuì.
La signora Kutner non ce la faceva più: era da sola, era ferita, tutto sembrava esserle contro; non ce la faceva proprio più. << Anche Jennifer è tua amica, Kate… >> Mormorò con le lacrime che le scendevano dagli occhi, rigandole il viso con linee luccicanti. << Ti prego… Aiutami. >> Le disse piegandosi in avanti, verso di lei. Cominciò a piangere con più forza, venendo scossa da violenti singhiozzi di tanto in tanto. << Io non so più cosa fare… Non so più che fare… >> La sua voce si fece sempre più acuta e sforzata. << E’ da ieri che non ho notizie di lei… Che non sento la sua voce… E se le fosse successo qualcosa… Io… Io non so se posso vivere più così! >> A momenti sembrava riacquistare il controllo, ma poi tornava a piangere violentemente, abbassando la testa addolorata.
Kate indietreggiò ancora un po’, cercando di allontanarsi da quella donna in quello stato così misero, ma cercò anche di confortarla. << Mi dispiace… >> Disse con voce debole. Non sapeva cosa dire per farla stare meglio.
La signora Kutner continuò a piangere con più forza. << Ti prego Kate… Non puoi lasciarmi così… >>
<< Mi dispiace… >> Scosse la testa, come per dirle che fosse impotente di fronte a quello che stava accadendo.
La donna alzò una mano verso la ragazzina, cercò di toccarla, ma lei si fece indietro, facendo cadere nel vuoto quella mano magra e pallida. << Ti prego… >> La supplicò ancora la signora Kutner.
Kate la guardò rimanendo immobile per un secondo, poi si girò velocemente e scappò via, con la madre di Jennifer che le urlava disperata di dietro. Non riusciva più a sostenere lo sguardo della donna, non era abbastanza forte per offrirle supporto o una cattiva notizia.
Sei un mostro. Disse una voce nella sua testa.
<< Sta’ zitta! >> Esclamò Kate correndo nel corridoio, stringendo le palpebre e scuotendo la testa come per mandare via quei pensieri. Si tappò le orecchie per non sentire le urla della madre di Jennifer, le voci che la chiamavano attorno a lei e la voce della propria coscienza. Voleva stare da sola. << Sta’ zitta! >>
 
*
 
Kate era a casa. Si era fatto tardi. Aveva vagato per la città senza mai riposarsi, senza mai fermarsi a pensare. Voleva fuggire da qualcosa che non le avrebbe fatto niente. Aveva tradito tutti: Tommy, il signor Tucker, la signora Kutner. Aveva tradito anche la sua migliore amica, ormai: Jennifer.
<< Sono a casa. >> Disse con voce debole dopo aver chiuso la porta dietro di sé. Sua madre le venne incontro preoccupata, dicendo di essere contenta che fosse tornata. << Non c’è bisogno che ti preoccupi per me. Non può succedermi niente. >> Rispose con voce priva di tono lei, senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
<< Hai fame? Vuoi che ti scaldi qualcosa? >> Chiese la donna cercando di ignorare il tono infastidito della figlia, continuando a starle appiccicata, ricoprendola di attenzioni.
Kate scosse la testa. Non poteva farci niente se i suoi genitori erano così; doveva convivere con la loro apprensione. << No. Credo che andrò a letto… >> Mormorò senza nemmeno smettere di camminare, dirigendosi verso la rampa di scale che portava al piano superiore.
Suo padre fece capolino dalla porta del salone e la guardò corrucciato. << Kate? >> Chiamò, ma senza ricevere risposta. La ragazza salì la rampa di scale in silenzio, a testa bassa, come se fosse stata messa in punizione. I due adulti si rivolsero sguardi confusi, stringendo le spalle contemporaneamente.
Kate andò in camera sua senza alzare lo sguardo dai propri piedi. Si sentiva malissimo per quello che era successo quel giorno, ma cosa poteva fare? Anche volendo, non avrebbe potuto raccontare alla signora Kutner cosa era successo la sera prima, era troppo… Appena chiusa la porta della stanza, la ragazza poté scorgere l’alto Slender Man fisso dietro al suo letto. Alzò lo sguardo e assunse uno sguardo addolorato, con cui salutò l’essere. Quello rimase immobile, dandole un cenno impercettibile.
Kate si avvicinò rapidamente a Slender Man e lo strinse con forza, quasi al punto di fargli male. Cercò di non piangere e nascose il viso tra i vestiti dell’uomo smilzo, lasciando che la sua mano glaciale le sfiorasse gentilmente i capelli.
Non ci fu uno scambio verbale, non ci furono suoni; Kate lasciò andare la vita di Slender Man quando si fu sentita rincuorata e lo schivò rapidamente, dirigendosi al suo armadio. Rimase un istante di fronte a esso, guardando il legno con sguardo perso. Poi mise le mani alle maniglie delle ante e lo aprì con forza.
Di fronte a sé si mostrò, nascosto dietro agli abiti appesi e le coperte piegate, il corpo pallido e ferito della sua migliore amica. Gli occhi erano chiusi, l’espressione serena trasmetteva sicurezza e faceva pensare che la ragazza stesse dormendo profondamente; non aveva niente addosso, la sua pelle era perfetta, l’unica sua imperfezione era la sottile ferita sul fianco destro, che era stata pulita. Non vi erano più macchie sul suo corpo: il sangue era stato pulito, e il trucco sul viso era stato rimosso, così da poter mostrare i lineamenti dolci e delicati della ragazza. Il corpo aveva un equilibrio precario, sembrava stare in piedi per miracolo, e nonostante le labbra avessero perso colore e la sua pelle fosse diventata bianca, quella ragazza sembrava ancora bellissima agli occhi di Kate.
Kate sorrise mestamente con le lacrime agli occhi. Sembrava che quella visione fosse l’unica cosa in grado di farla stare meglio. << Ciao, Jennifer. >> Disse con una punta di nostalgia nella voce.
Sei un mostro.

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Capitolo 61
*** Disagio ***


Il giorno dopo Kate andò a scuola come se fosse un giorno normale, ma questa volta dovette affrontare il giudizio di altre persone che le erano più vicine, e soprattutto, dovette cercare di giustificare l’assenza di Jennifer in classe. Sapeva che non avrebbe potuto raccontare una bugia, perché se avesse dato qualche spiegazione, quella avrebbe raggiunto la signora Kutner, in un modo o nell’altro, e non ci sarebbe voluto molto per smascherarla così.
Kate fu accolta con sguardi inquieti e sussurri impercettibili. Mentre attraversava il cortile della scuola nessuno le aveva mai rivolto lo sguardo, ma adesso gli occhi di tutti erano puntati su di lei; allo stesso tempo, temevano di incrociare il suo sguardo. Sapevano cosa era successo alla festa, sapevano che c’era qualcosa di anormale in quella ragazzina così piccola, e lei ne traeva piacere: non si era mai sentita tanto superiore al resto della folla; finalmente era qualcuno per loro, anche se l’unica sensazione che proiettasse sugli altri fosse un estremo disagio.
Attraversò il cortile con un sorrisetto, facendo guizzare gli occhi da una parte all’altra, godendosi le reazioni della gente. C’era chi cercava di ignorarla e chi si spaventava a un suo minimo movimento; altre persone tentavano di sostenere il suo sguardo, inutilmente, ma tutti quanti erano girati verso di lei.
Una volta entrata nella scuola, il solito brusio che avvolgeva la folla ricominciò; dentro ai corridoi dell’edificio, invece, calò il silenzio. Kate sfilava rapidamente nei lunghi corridoi, rivolgendo sorrisetti deliziati e occhiate languide ai suoi compagni; l’unico suono che si sentiva rimbombare nelle sale era quello ritmico dei suoi passi. Tutti quanti si affacciavano alle porte per vederla passare, e Kate stessa si chiese perché, esattamente. Se erano così spaventati dalla sua persona, allora perché volevano vederla tutti? Sembrava che il caos intrigasse molte più persone di quanto immaginasse…
Una volta arrivata in classe, Kate si fermò sulla soglia della porta per guardarsi intorno; non c’erano molti suoi compagni, e quei pochi presenti si erano voltati tremando. Riuscì a vedere il terrore nei loro occhi. Sorrise soddisfatta e andò a sedersi con calma al suo posto, mentre gli sguardi la seguivano senza lasciarla un attimo.
Quando arrivò Tommy, il ragazzo si guardò intorno per controllare cosa stesse succedendo nella classe, e poi andò a parlare con lei, ricevendo occhiate incredule e spaventate.
<< Ma che cosa hanno tutti? >> Disse senza rivolgersi a nessuno in particolare, mentre si sedeva al posto davanti a quello di Kate. La ragazzina sorrise tenendo lo sguardo basso e rispose:<< Non lo so. >> Nascondendo un certo divertimento nella sua voce. Tommy la guardò in modo strano, come se notasse che c’era qualcosa di diverso in lei quella mattina. Scosse la testa come per cambiare argomento e disse:<< Hai saputo niente di Jennifer? >>
Kate alzò lo sguardo in modo impercettibile. << No. >> Rispose. Cercò di mantenere la voce bassa e assunse un tono preoccupato. << Non so cosa le sia successo… >>
Tommy sospirò triste. << Sua madre deve essere preoccupata… >> Mormorò con sguardo basso. Kate si imbronciò quando sentì quelle parole.
<< L’ho incontrata… >> Mormorò con voce tremante fissando lo sguardo sulle proprie mani unite.
Tommy la guardò sorpreso. << Davvero? >> Chiese un po’ sollevato. Sospirò e sorrise, credendo che Kate l’avesse aiutata. << E’ un bene che sia andata a rassicurarla… >> Mormorò mettendosi una mano sul petto.
Ma Kate teneva lo sguardo basso, non si muoveva; si sentiva quasi come se dovesse piangere. << L’ho solo fatta stare peggio… >> Mormorò colpevole.
Tommy si fermò a bocca aperta. << Cosa? >> Chiese senza capire. Kate abbassò la testa come se stesse facendo uno sforzo enorme ed espirò violentemente.
<< Lei mi ha chiesto di dirle dove fosse Jennifer, e io le ho mentito… >> Mormorò senza alzare lo sguardo; i capelli lunghi le coprivano parte del viso e le davano un ombra oscura. Tommy la fissò confuso. << Che cosa? >> Mormorò inarcando un sopracciglio.
Kate alzò lo sguardo mettendosi quasi a piangere. << Le ho detto che non sapevo cosa le fosse successo, che non sapevo dove fosse… >> Abbassò lo sguardo per non doversi confrontare con il ragazzo. << Le ho fatto del male… >>
Tommy sembrò confuso e non seppe come reagire a quella situazione. Cercò di calmarla. << Non piangere… >> Disse allungando un braccio verso le sue spalle. << Non è successo niente… >>
Kate alzò lo sguardo tirando con forza con il naso. << Non è vero! >> Piagnucolò alzando lo sguardo a fatica.
Tommy esitò un poco, senza sapere cosa fare. Cercò un modo per sollevare il morale a Kate, ma non riuscì a trovare niente, e alla fine ripensò a quello che aveva detto la ragazza. << Aspetta, hai detto che le hai mentito? >> Chiese puntandole un dito contro. Kate annuì imbronciata prima di tornare a nascondere la faccia tra le mani. << Quindi sai dove si trova Jennifer? >>
A quella domanda gli occhi di Kate si illuminarono; la ragazza si sentì accaldata improvvisamente e cominciò a sudare mentre il cuore le martellava il petto e i polmoni le chiedevano più ossigeno. Rimase a fissare qualche secondo gli occhi di Tommy, senza mai battere ciglio. << Non posso dirtelo. >> Sussurrò atona senza distogliere lo sguardo da lui.
Tommy rise, non aspettandosi quella risposta. << Come? >> Chiese incredulo. << Che vuoi dire con… >>
<< Non posso dirtelo. >> Ripeté Kate con più forza nella voce. Continuava a fissare Tommy negli occhi, decisa a fargli distogliere lo sguardo e farlo così demordere dal chiedere altro.
Tommy era confuso. Non capiva perché la sua amica fosse cambiata così in pochi secondi, adesso le incuteva timore, ma sapeva che non era intenzionale; sapeva già di quella macchia negli occhi della ragazzina capace di far sentire male gli altri, e non avrebbe ceduto a quella forza misteriosa, volendo dimostrare a Kate di essere forte e capace di aiutarla, degno della sua fiducia. Ma i minuti passavano lentamente, ogni secondo in quella posizione era una tortura, e Tommy si sentì costretto a distogliere lo sguardo, alla fine, sentendo che se non l’avesse fatto sarebbe impazzito. Si mise una mano sulla fronte e abbassò lo sguardo scuotendo piano la testa. Sospirò sorridendo istericamente. << Scusa, non avrei dovuto chiedere… >>
Kate si lasciò sfuggire un sorrisetto compiaciuto quando Tommy si arrese al suo potere. Rimase in silenzio, facendo capire al ragazzo chi comandava.
Tommy però, nonostante la fatica appena superata, si azzardò a chiedere un’altra cosa a Kate. << Dimmi solo una cosa, Kate. >> Mormorò senza spostare la mano dalla propria fronte. << C’entra Slender Man? >>
A quella domanda, Kate spalancò gli occhi in modo minaccioso e lo fissò in silenzio. Si sentì colta in fallo e decise semplicemente di girarsi e ignorarlo. Non avrebbe risposto. Tommy rimase a guardarla preoccupato, temendo che fosse successo qualcosa alla loro amica. Non sapeva come interpretare quel silenzio da parte di Kate: doveva pensare che fosse una buona cosa o una cattiva cosa? E perché la ragazza non poteva parlare?

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Capitolo 62
*** Furto ***


Kate se ne stava sdraiata sul suo letto, la testa adagiata sul cuscino soffice e lo sguardo seccato puntato sul soffitto. Aveva una palla da baseball in mano. Non sapeva nemmeno come le fosse finita in camera, l’aveva vista appena tornata a casa e l’aveva afferrata. Non aveva palloni in casa, non le piacevano molto gli sport, quindi perché avrebbe dovuto avere una pallina da baseball in camera? Era semplicemente comparsa là La osservava con poco interesse, distrattamente. Non suscitava nessuna emozione in lei. La lanciò una volta contro il soffitto, facendola scontrare contro di esso e ricevendola indietro quasi come se qualcuno gliel’avesse lanciata in risposta. La esaminò annoiata facendola ruotare assieme al polso, poi la lanciò di nuovo. Continuò così senza badare al tempo che passava.
Aveva la schiena che aderiva perfettamente al materasso, mentre le ginocchia erano piegate e irte verso l’alto, i piedi, piantati bene sulle lenzuola, si muovevano piano, a seconda dei movimenti che faceva il corpo della ragazza.
Kate afferrò la palla dopo averla fatta rimbalzare sul soffitto per l’ennesima volta. La strinse con fermezza impedendone la fuga, come le sarebbe successo molto probabilmente qualche tempo prima; ora era diventata più attenta, i suoi sensi si erano acuiti ed era diventata più veloce e precisa, grazie a Slender Man. Fissò la palla con attenzione, come se vi avesse notato qualcosa di importante. Senza sconvolgersi troppo, Kate si mise a sedere sul bordo del letto e chiamò:<< Slend! >>
Slender man era in un angolo, seduto goffamente sulla sedia che Kate teneva alla scrivania. Sussultò quando sentì chiamare il suo nome; doveva essersi rilassato, ora Kate lo aveva colto alla sprovvista. Cosa c’è? Chiese con calma girando lo sguardo verso di lei.
Kate soppesò la pallina per qualche secondo prima di alzare lo sguardo e puntarlo sulla faccia bianca dello Slender Man. << Questa è la palla di Jennifer. >> Disse confusa e leggermente infastidita. << Come ha fatto ad arrivare qui? >>
Slender Man la guardò qualche secondo senza rispondere. Kate assunse un’espressione di sufficienza e rimase a fissarlo per alcuni secondi in attesa della sua risposta, sperando che non fingesse di cadere dalle nuvole, come al solito. Già. E’ proprio la sua palla.
Kate sbuffò infastidita e si alzò in piedi, stringendo la palla nella mano destra e tenendola in alto per mostrarla a Slender Man. Si avvicinò a passi lenti all’essere, ondeggiando delicatamente e lanciandogli occhiate che gli dicevano che non era divertente. Fermatasi, la sua espressione si fece seria ed entrambe le sue sopracciglia calarono. << Che cosa ci fa qui la palla di Jennifer? >> Chiese senza tono.
Slender man la guardò qualche secondo, facendo girare lo sguardo a destra e a sinistra. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere possedere qualcosa di lei.
Kate lo guardò seria. Non poteva credere che lo avesse fatto. Si girò verso l’armadio e lo aprì di scatto, mostrando il corpo senza vita dell’amica nascosto nel suo fondo. << Fai sul serio? >> Gli chiese continuando a squadrarlo con sufficienza.
Sì. Rispose con tono ovvio Slend. A Kate sembrava incredibile come quel coso mantenesse il sangue freddo anche in una situazione simile. Richiuse l’armadio e si avvicinò a lui incrociando le braccia. Si sedette a terra proprio al suo fianco e rimase lì a braccia e gambe incrociate, con quell’espressione offesa che con Slender Man non aveva assunto mai prima.
Quello piegò la testa verso di lei protendendosi lentamente in avanti e la guardò senza dire nulla. Probabilmente si stava chiedendo cosa passasse per la mente di quella ragazzina così misteriosa, ma anche no; essendo lui Slender Man, poteva sapere benissimo quello che pensava Kate, ma forse, da qualche tempo, l’essere sembrava aver finalmente imparato le buone maniere, decidendo di non entrare più nella testa della ragazza per mantenere la sua privacy.
Kate girò poco la testa e gli rivolse un’occhiataccia prima di scuoterla e tornare a fissare il vuoto davanti a sé.
C’è qualcosa che non va? Chiese dopo averla vista reagire così. Era ovvio che c’era qualcosa che non andava, ma Slender Man voleva stabilire un contatto con quella Kate arrabbiata, e sapeva che sarebbe riuscito a farla parlare.
Kate sbuffò. << So che non volevi fare nulla di male… >> Borbottò a fatica dondolandosi avanti e indietro. << E che hai pensato che mi avresti fatto felice… >> Sospirò profondamente. << Ma… Sento come se avessi violato qualcosa di sacro! >>
Slender Man rimase allibito, ma non reagì in nessun modo. Che cosa?
<< Ti sei introdotto in casa di Jennifer e le hai rubato la palla. Hai invaso la calma che regna sulla sua dimora adesso, non potrà mai riposare in pace così! >> Spiegò Kate alzando lo sguardo continuando a dondolarsi avanti e indietro.
Slender Man la guardò impassibile, come sempre. Temi che rubare una pallina da una casa possa rovinare il riposo della sua anima? Chiese quasi divertito.
<< Non ridere! >> Lo fulminò lei alzando un dito furiosa. Slender Man reagì mettendosi una mano sul viso, dove avrebbe dovuto avere la bocca, ironizzando ancora di più sulla situazione. << Capisco che avevi buone intenzioni… Ma Jennifer è davvero importante per me, e tu dovresti rispettare la sua memoria! >>
Slender Man abbassò la mano, rimanendo finalmente serio. Sembrava aver capito. Jennifer… Mormorò senza muoversi. E’ stata sicuramente una persona molto importante della tua vita…
<< E’ ancora una persona importante della mia vita! La più importante! >> Ribatté Kate ruotando il busto verso Slender Man.
L’uomo alto la fissò senza parole. Pensi che possa sentirti dopo tutto quanto? Che possa importarle qualcosa di te, ormai?
Kate rimase impassibile; non si sarebbe fatta sviare dalle parole di Slender Man, questa volta. << Lei è la mia luce, e io sono la sua. Senza l’una, l’altra è perduta. Io lo so che lei rimane sempre con me! >> Cercò di marcare bene queste parole, per far capire a Slend il fatto che fosse seria.
Slender Man sembrò quasi sorridere. Alzò lo sguardo puntandolo su un angolo del soffitto e rimase immobile. Se potesse sentirti, cosa le diresti?
Kate lo guardò incredula. Non pensava che Jennifer fosse in grado di sentirla, in qualunque posto si trovasse adesso, le sembrò impossibile, nonostante avesse appena affermato di essere sicura della sua compagnia. Forse Slender Man sapeva qualcosa che lei non sapeva, forse poteva comunicare con i defunti, o forse no. Quella domanda l’aveva presa semplicemente alla sprovvista, tutto qua.
Ridacchiò nervosa. << Bé… Non è che lo sappia… >>
Slender Man la guardò divertito. Solo quello che senti. Disse con calma, come se fosse ovvio che Jennifer l’avrebbe sentita.
Kate si sentì sotto pressione quando Slender Man disse quella cosa, e cominciò a chiedersi che cosa volesse realmente, quale fosse il motivo di quella sua domanda e perché avrebbe dovuto rispondere, ma alla fine rispose e basta. << Le direi che mi dispiace di non essere riuscita ad aiutarla… >> Mormorò tristemente abbassando lo sguardo, ma rialzandolo subito per non sembrare debole. << Ma sono felice per lei, perché ora è in un posto migliore, e non potrà più soffrire. >> Disse l’ultima frase con un largo sorriso ingenuo, come una bimba che dopo aver fatto una buona azione si aspettava un premio. Slender Man rimase immobile a fissarla per qualche secondo. Piano piano, l’essere si spostò sulla sedia e girò lo sguardo verso la finestra; appoggiò il gomito sulla parete e usò la mano come appoggio per il mento, fissando fuori dalla finestra con malinconia.
Un posto migliore…
Quel sussurro da parte di Slender Man, così pensieroso e pieno di angoscia inquietò Kate, che però non volle fare domande; magari si trattava di una semplice riflessione, Slender Man non poteva sapere dove andassero le anime dei morti, non avrebbe mai potuto sapere di cosa si trattasse, e poi lei sapeva con certezza, che il posto dove era stata mandata la sua amica era un posto migliore di quello, dove non avrebbe mai più patito quello che aveva provato sulla Terra.
Non poteva essere diversamente.

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Capitolo 63
*** Ricercatore ***


Kate si stava prendendo il sole in giardino. Aveva ripreso quella vecchia sedia a dondolo che aveva scovato tempo fa, e adesso si riposava senza preoccuparsi di niente. In realtà non c’era molta luce a quell’ora del giorno, Kate si voleva solo rilassare qualche minuto in silenzio, senza dover parlare con persone che si sarebbero sentite a disagio stando accanto a lei; anche stare senza gli occhi di Slender Man puntati addosso era piacevole, di tanto in tanto.
Attraverso gli occhiali da sole, la ragazza diede uno sguardo alla strada: non passava nessuno, il suo quartiere non era mai stato un posto trafficato, e lei ne era sempre stata felice; adesso poi, se ci fosse stata molta gente a passare davanti a casa sua ogni minuto, non si sarebbe potuta godere quella pace, non si sarebbe potuta nemmeno sedere lì in silenzio, perché sussurri e mormorii di ogni tipo si sarebbero alzati al passare di qualcuno.
Era lì, da sola e in silenzio, in pace con sé stessa. I suoi genitori non c’erano e Slender Man se n’era andato chissà dove. Era contenta di avere quei minuti per sé.
Sentì il suono di una porta che sbatteva e poi dei passi rapidi che si facevano sempre più vicini. Kate girò lo sguardo verso la direzione da cui aveva sentito provenire i rumori e avvertì una presenza dall’altra parte della staccionata, immobile, che la fissava. Un attimo dopo si levò una voce familiare che la fece sobbalzare, stranamente:<< Ciao Kate! >>
La ragazza tremò un poco e si raddrizzò sulla sedia, alzandosi gli occhiali da sole. C’era Shaun Tucker che la guardava sorridendo stancamente dall’altra parte della staccionata. Aveva una maglietta arancione e un paio di pantaloni larghi pieni di pieghe e rigonfiamenti, nelle quali tasche teneva le mani immobili. Aveva un aspetto stanco, era pallido e la sua voce era roca. Il suo viso magro sembrava essere invecchiato di colpo, e la barba cresceva senza nessun freno.
<< Signor Tucker! >> Esclamò lei sorpresa di vederlo in quello stato, ma ancora più sorpresa di vederlo. Non era passato molto tempo dall’ultima volta che lo aveva visto, ma la sua mancanza era stata stranamente pesante, quando l’ultima volta si era congedato da lei, lui era sembrato infastidito, offeso o qualcosa del genere…
<< Cosa fai qui fuori a quest’ora? >> Chiese facendo qualche passo in parallelo alla staccionata. Kate si alzò dalla sedia a dondolo e si avvicinò lentamente.
<< E’ il giardino di casa mia, non sono mica in un vicolo buio e isolato. >> Rispose con un sorrisetto mentre Tucker piegava un labbro divertito.
<< Già, hai ragione. Sono io che non sono abituato a vederti in giro… >> Disse scuotendo una mano e mettendosela sulla fronte. Kate sorrise a quella affermazione e rimase in silenzio mentre Tucker si fermava davanti a lei. << I tuoi genitori non ci sono? >> Chiese lui guardando la facciata della casa.
Kate scosse la testa. << Sono a lavoro. >> Ammise con voce innocente. Mentre quello annuiva un po’ confuso, la ragazza notò il suo strano modo di muoversi. << Sembra stanco, signor Tucker… >> Mormorò lei sporgendosi per vederlo meglio.
Tucker scosse la testa. << Non è niente. Non ho avuto molto sonno in questi giorni… >>
<< Dovrebbe riposarsi di più… >> Mormorò Kate inarcando un sopracciglio con una nota di disappunto nella voce. Tucker alzò una mano e la fece sventolare davanti alla propria faccia, sorridendo grato a Kate per essersi preoccupata. << E tutto a posto. >> La rassicurò.
Kate non avrebbe detto che era tutto a posto: Tucker era bianco come un lenzuolo, sembrava un fantasma, e la sua schiena piegata in avanti, le sue occhiaie profonde e la voce bassa dimostravano la sua stanchezza; non stava bene, e c’era qualcosa che lo turbava.
L’uomo fece un lungo sospiro e si guardò attorno mettendosi le mani ai fianchi. Sembrava voler cominciare un discorso, ma non aveva la spinta che gli serviva per partire… All’improvviso aprì la bocca sorprendendo e spaventando Kate:<< Ho parlato con Jane. >> La mamma di Jennifer; lei e Tucker avevano stretto degli ottimi rapporti, dopo essersi conosciuti alcune settimane prima. Arrivavano i guai. << Jamie non migliora, e Jennifer sembra essere sparita. >> Sapeva che la donna gli aveva parlato anche del loro incontro, non avrebbe potuto tralasciare quella parte dove Kate era stata davvero perfida con lei. << Tu sei sicura di non sapere niente…? >>
Lo sguardo che le rivolse Tucker fu quasi dispiaciuto, più che inquisitorio, come se l’uomo sperasse che Kate non sapesse niente per davvero. << Lei cosa sa? >> Chiese rimanendo impassibile a fissarlo negli occhi, ma con una piccola nota di paura nella voce.
La risposta di Tucker fu piuttosto ovvia. << Quello che mi ha raccontato la madre di Jennifer, quindi niente. >> Kate si sentì accusata, dopo quella affermazione. << Andiamo Kate! >> Disse lui infastidito. << Jane Kutner sarà pure una donna disperata, ma io capisco quando mi si nasconde qualcosa. So che quello che hai detto a lei non corrisponde a verità, non potrebbe essere altrimenti! >>
Kate cercò di difendersi. << Come fa a saperlo? >> Non riuscì a sembrare sicura di sé.
Tucker inarcò un sopracciglio e le rivolse uno sguardo deluso. << Kate, ti conosco bene, e so quando dici la verità e quando hai paura di mentire… >> Le sfiorò una guancia con le dita della mano destra. << Se menti, lo fai perché c’è qualcosa che ti spaventa. >> Sussurrò con dolcezza. << Quando dici la verità, significa che vuoi essere aiutata. >>
Kate rimase immobile finché Tucker non ebbe ritirato la mano dal suo viso. Lo guardò tristemente, sperando che non le facesse altre domande. Ma lui continuò.
<< Sai qualcosa di Jennifer? >> Chiese con voce serena l’uomo, guardandola non dall’alto verso il basso, come avrebbe fatto un qualsiasi adulto, ma alla pari, come una donna degna della sua stima e comprensione; questo era ciò che rendeva Shaun Tucker un uomo diverso dagli altri. Le stava chiedendo di dirgli la verità, non la stava forzando.
Kate scosse la testa piano, senza sapere cosa fare. Era spaventata. A quel punto Tucker inspirò profondamente e annuì comprensivo. << Capisco. >> Disse girando su sé stesso, tenendo sempre le mani in tasca. << Vorrei mostrarti una cosa, Kate. >> Disse poco dopo alzando un dito e facendolo altalenare rapidamente in direzione di casa sua. << Potresti venire un attimo da me? >> Chiese gentilmente con un piccolo sorriso amichevole.
Kate non seppe come rispondere, annuì impercettibilmente cominciando a camminare verso l’uscita. << D’accordo… >> Fu la sua risposta poco convinta quando Tucker le rivolse quella domanda.
L’uomo la aspettò finché non fu entrata nel suo giardino, poi le fece strada fino al portico, dove aprì la porta in pochi secondi e la invitò ad entrare. La ragazzina si sentì un po’ preoccupata da quella situazione, senza sapere bene perché, ma cercò di non far notare il suo stato d’animo mentre attraversava la soglia della porta della casa del signor Tucker. Quando lui chiuse la porta, poi, la ragazzina si sentì strana: nella sua mente sentì come una scossa elettrica, la sua testa divenne pesante e i suoi pensieri di annebbiarono. Si mise una mano sulla fronte, per far notare quella cosa a Tucker, pur non sapendo cosa avrebbe potuto fare per aiutarla, ma il suo vicino sembrò non fare caso a quel gesto e si diresse verso la rampa di scale che portava al piano superiore.
<< Non devi preoccuparti di essere sentita, qui. >> Disse cominciando a salire le scale, tenendosi dal corrimano. << Puoi dire tutto quello che vuoi. Siamo soli. >>
Kate si sforzò per raddrizzare la schiena e assumere un’espressione meno sofferente. << Che significa? >> Chiese con voce un po’ troppo tremante. Poteva fare di meglio per sembrare sana.
Tucker si girò quando fu arrivato a metà rampa e rivolse uno sguardo serio e inquietante a Kate. << Significa che Slender Man non può più sentirci. >> Spiegò senza scomporsi. Kate spalancò gli occhi quando sentì quella cosa, senza realmente capire cosa significasse.
<< Eh…? >> Chiese confusa appoggiandosi al corrimano della rampa di scale.
Tucker riprese a salire lentamente e disse:<< Non preoccuparti; ci vorrà poco per riprenderti. Quando stai bene, raggiungimi nel mio studio. >> Detto questo sparì, girando a sinistra ed entrando in una stanza di cui Kate non vide la porta.
A Kate girava la testa, non capiva cosa stesse succedendo; era una sensazione simile a quando, i primi tempi, Slender Man si faceva vivo, esercitando pressione sulla sua mente e facendola stancare con la sua sola presenza. Adesso Slender Man non c’era, cosa stava succedendo quindi? Perché in casa di Tucker si sentiva male, proprio come quando cercava di abituarsi all’influenza di Slender Man, ormai diventata trascurabile con il passare del tempo? In quella stessa casa, tempo addietro, si era sentita meglio, aveva sentito la sua testa alleggerirsi e abbandonare ogni pensiero oscuro; non si era mai sentita così in casa di Tucker. Che stava succedendo?
Era piegata su sé stessa, aveva le mani che stringevano ciuffi di capelli neri e si teneva la testa piegata in avanti, come se non volesse vedere niente attorno a sé. Stava cercando di riacquistare l’equilibrio, le girava la testa, ma il buio la faceva stare meglio, il respiro affannato rallentava ogni secondo che passava e il suo cuore stava correndo per non farla stare male. A poco a poco, quella sensazione di malessere stava svanendo, la sua testa tornava leggera come quando era rilassata, e i pensieri confusi tornavano al loro giusto posto, l’affollamento nella sua mente di stava affievolendo. Cominciò a respirare profondamente, contando ogni secondo passato in quella posizione, e lentamente, cominciò a raddrizzarsi e ad alzarsi in piedi. Si guardò intorno confusa; le pareti le sembravano buie, e dietro a ogni angolo sembrava attenderla un mostro, ma tutto era in realtà molto familiare e rassicurante, solo lei vedeva paura in quelle stanze. E per quale motivo? Era stata là mille volte, aveva sempre considerato quella casa il luogo più sicuro dove potesse stare. Non poteva essere cambiato niente da allora.
Kate sospirò chiudendo gli occhi per un istante e si incamminò sulla rampa di scale, dirigendosi a sinistra non appena ebbe raggiunto il pianerottolo. Vide una porta socchiusa da cui fuoriusciva una flebile luce e intuì che fosse quella la stanza in cui Tucker voleva che lo seguisse. Quella era l’unica stanza della casa che Kate non aveva mai visto; non sapeva cosa ci fosse dentro, e prima di quel momento non se n’era nemmeno preoccupata tanto, ma all’improvviso il desiderio di scoprire cosa nascondesse quella porta si era fatto fortissimo e lei non riuscì a controllarsi. Con occhi avidi spinse delicatamente la porta, dove trovò di fronte a sé una scena inusuale e difficile da comprendere.
Era una stanza con un letto singolo sulla sinistra, accanto ad esso c’era un armadio di legno all’angolo, e poi una cassettiera poggiata parallela alla parete; sopra di essa c’era un grande specchio che mostrava il resto della stanza, prima di tutto, la finestra che dava sul balcone, chiusa e con le persiane ben serrate. La stanza era immersa nella penombra, e l’unica fonte di luce proveniva dalla larga scrivania sulla destra, dove stava seduto il signor Tucker, su cui era poggiata una lampada da lavoro accesa, dalla luce calda e avvolgente. La scrivania era in disordine, piena di carte da lavoro e fotocopie che Kate non riuscì a identificare; c’erano alcune matite spuntate e molti segni di grafite sul legno; ancora, molti graffi e strani segni inquietanti spiccavano sulla grande scrivania. C’era un computer che sembrava essere acceso, nonostante lo schermo nero, da cui si poteva sentire uno strano e continuo ticchettio. I muri della stanza erano pieni di strani segni neri che sembravano essere stati lasciati da un artiglio. Sopra alla scrivania, sulla parete, era fissata una bacheca di sughero con diverse puntine fissate su di essa, fogli con su scritte cose che Kate non riuscì a leggere, fili rossi che andavano da una parte all’altra, collegando documenti e disegni, nomi e ragionamenti che Kate non capì. << Entra pure, Kate. >> La invitò Tucker muovendo una mano.
La ragazzina si mosse lentamente nella stanza, guardandosi intorno confusa e spaventata; c’era qualcosa che non andava, era come se lì dentro ci fosse una atmosfera pesante. Si fermò di fronte a Tucker, che la guardò con aria stanca, e si guardò intorno. Vide così che appesi alla bacheca non vi erano soltanto fogli anonimi, ma anche foto e pagine a lei molto vicine, tutti accompagnati da pezzetti di carta su cui erano appuntate delle cose a matita.
C’erano quelle otto pagine che Kate aveva trovato nel bosco, quella lontana notte di sabato, ed erano tutte collegate con un filo rosso, e facevano da cornice ad altri fogli che sembravano convergere tutti nello stesso punto. Vide una foto di Becky Johnson, in un angolo, poco distante da una delle pagine maledette, sbarrata con un pennarello rosso; un piccolo foglietto a quadri attaccato sotto di essa diceva: “Genitori sconvolti, niente corpo, nessun motivo apparente.” Poco più in alto c’era un’immagine del professor Anderson, anche questa sbarrata di rosso, collegata da un filo rosso alla foto della ragazza; il suo appunto diceva: “Aggressione? Zero tracce. Litigio?” Avvicinandosi al centro della bacheca, c’era un altro filo rosso, che unendo le due foto, ne raggiungeva una terza, rappresentante Karen Smith; questa foto non era segnata dal pennarello, e gli appunti a matita avevano parecchi punti interrogativi su di essi, riportavano solo una parola scritta: “Suicidio???
Dall’altro lato della bacheca c’era una foto divisa a metà della signora Kutner e di suo figlio Jamie; mentre la signora Kutner era stata cerchiata di rosso, l’immagine del bambino era stata sbarrata nettamente dallo stesso pennarello. Gli appunti dicevano: “Famiglia felice, tragedia. Incontro? Possibile non ritorno. Rovina?” Le due foto erano collegate a un filo rosso che schizzava quasi al centro della bacheca, raggiungendo un volantino con sopra stampato il volto di Jennifer; c’era scritto: “AVETE VISTO QUESTA RAGAZZA?” Sullo stesso foglio erano appuntate delle frasi: “In pericolo? Da seguire con attenzione. Scomparsa? Suicidio? Soggetto speciale.
In un angolo alto della bacheca, molto lontano dal centro, c’era una foto di Tommy Schmidt, l’amico di Kate, e un sottile filo rosso lo collegava con il centro. Accanto vi era attaccato un foglietto bianco che sembrava essere stato strappato da una pagina più grande che diceva: “Innocente. All’oscuro di tutto. Da ignorare.
Nella parte superiore della bacheca c’erano due foto vicine, quelle che raffiguravano i genitori di Kate. Entrambi non presentavano segni di pennarello, e le due foto condividevano un foglio a righe attaccato in mezzo a entrambe che diceva: “Inutile. Ignorare.” Da quel foglietto partiva un altro filo che finiva nello stesso punto degli altri, al centro, dove un’altra foto stava immobile, piena di segni di pennarello e appunti a matita scritti da tutte le parti. Era una foto di Kate, e il cerchio rosso attorno ad essa, tutti i fili rossi che convergevano verso di lei e la sua posizione centrale nella bacheca facevano pensare che lei fosse la protagonista di quello strano teatrino.
Tutto sembrava uno spaventoso rito satanico, sembrava che Tucker stesse per fare qualcosa di orribile alla ragazzina, ma se ne rimaneva lì seduto, a guardarla con serietà inquietante, e la sua posa passiva non suggeriva intenzioni malvagie. E poi, quella cosa che aveva detto prima; cosa sapeva lui di Slender Man?
Kate si avvicinò piano, temendo qualche attacco. << Signor Tucker… >> Mormorò insicura. << Che cos’è tutto questo…? >> Chiese alzando lo sguardo alla parete con la bacheca e puntando le mani attorno a sé per indicare quegli strani segni sui muri.
Tucker si guardò intorno quasi come se tutto quello fosse normale; la luce della lampada sulla scrivania gli dava una strana ombra, il suo viso sembrava essere contratto in un ghigno, mentre semplicemente guardava Kate con gentilezza. << Il mio lavoro. >> Disse con semplicità. << Io osservo tutte le persone a cui tengo in questa città, mi assicuro che non gli succeda nulla… >>
Kate si avvicinò senza staccare gli occhi dal viso di Tucker, temendo che potesse cambiare. << E da cosa dovrebbe proteggerli? >> Chiese senza sapere di chi parlasse esattamente l’uomo.
Tucker piegò un labbro e si alzò rapidamente girando attorno alla sedia. Si mise accanto a lei e allungò un braccio sulla bacheca; staccò una delle pagine che Kate aveva trovato nella foresta settimane addietro – pagine che lei credeva di aver nascosto con cura in camera sua – e la avvicinò al viso della ragazza. La pagina con sopra il disegno dello Slender Man circondato da tanti alberi simili alla sua forma si fermò proprio davanti ai suoi occhi confusi, e la voce di Tucker sussurrò:<< Riconosci questa? >>
Kate alzò lentamente le mani tremanti e afferrò con le dita la carta, timorosa di rovinarla stringendo troppo forte. Fissò la pagina per alcuni secondi, sentendo una grande tensione crescere in lei; cosa ci faceva lì quella pagina? Kate pensava di aver nascosto tutte quante quelle pagine in camera sua, non poteva averle trovate nessuno. Come erano finite lì tutte e otto quelle pagine? << Cosa… Cosa ci fa questa qui? >> Chiese tremante mentre stringeva la pagina tra le sue dita.
Tucker non sembrò sorprendersi quando Kate disse quella frase. << La riconosci dunque? >> Chiese di nuovo sedendosi rilassato.
Kate annuì. Alzò lo sguardo e passò una mano sopra a tutte le altre pagine appese alla bacheca. << Tutte quante… Le ho trovate alcune settimane fa nel bosco… >> Si girò di scatto facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli. << Perché le ha lei? >>
Tucker non sembrò preoccuparsi del tono con cui Kate gli rivolse quella domanda; nonostante sembrasse scontrosa, lui sembrò essere sicuro di essere dalla parte del giusto. Sorrise e rispose con calma alla domanda. << Ci sono state così tante occasioni per prenderle, e tu non te ne saresti mai accorta. Ti credi imbattibile, ma dovresti renderti conto che hai ancora molto da imparare. >>
<< Di che sta parlando? >> Chiese Kate spaventata; detta a quel modo sembrava che Tucker sapesse tutto di lei, che la spiasse. << Quando le ha prese? >>
Tucker respirò profondamente prima di rispondere. << Il giorno che ti sei sentita male a scuola. Io sono venuto a prenderti e ti ho portata a casa mia; volevo assicurarmi che stessi bene, ma non potendomi fidare completamente di ciò che vedevo, decisi di controllare nel tuo zaino… >> Qui Tucker fu interrotto da Kate.
<< Ha frugato tra le mie cose?! >> Esclamò infastidita. Non riusciva a credere che Tucker avesse fatto una cosa simile. Le sembrava il gesto più sporco e vile che potesse fare qualcuno, specialmente se quel qualcuno era una persona di fiducia.
Tucker alzò una mano per farle segno di calmarsi. << Non ti preoccupare: qualunque cosa personale ci fosse nel tuo zaino, l’avrei cancellata dalla memoria, se mai l’avessi vista. >> Sorrise divertito, come se stesse dicendo qualcosa di intelligente e sensato. << L’unica cosa che cercavo… >> Disse allungandosi per prendere un’altra pagina dalla bacheca. << Era questa! >> Sembrò soddisfatto quando la mostrò a Kate, ma subito dopo si incupì. << Probabilmente avrei preferito non trovare nulla… >> Ripose la pagina sulla scrivania, assumendo un tono triste. << Avrebbe provato la tua innocenza in tutto questo… >>
Tucker sospirò sconfortato mentre Kate lo guardava incredula. La ragazza guardò prima la pagina che teneva in mano, poi l’uomo, poi di nuovo la pagina e infine la bacheca su cui erano attaccate tutte quelle foto. << La mia innocenza in cosa? >> Chiese esasperata strattonando la fragile pagina nell’aria. << Di che cosa sta parlando, signor Tucker? >> Avrebbe voluto che lui le dicesse la verità, sperando che la verità fosse quella che sperasse di sentire; avrebbe voluto sentirsi dire che tutto quello che sapeva su Shaun Tucker era verità, e che non c’era nessun lato oscuro nella vita di quell’uomo, niente segreti o bugie…
Tucker sembrò essere ferito nell’orgoglio quando sentì quella domanda. << Tutto questo casino, Kate! >> Esclamò con impeto. << Questa serie di morti inspiegabili in città, gente che scompare, la storia di Jamie e adesso anche Jennifer! Speravo che tu non fossi coinvolta, ma… >> Scosse la testa addolorato mettendosi una mano sulla fronte. << E se fossi tu la prossima? Non avrebbe senso… >>
<< Di che sta parlando, signor Tucker? >> Chiese di nuovo Kate avvicinandosi all’uomo. Voleva sentirglielo dire chiaramente, voleva che Tucker le dicesse esattamente il soggetto della loro conversazione. Che cosa lo aveva portato a fare tutte quelle ricerche?
Tucker alzò lo sguardo serio, sembrò spaventato. Le sue labbra si mossero senza produrre suoni, poi esalò terrorizzato:<< Slender Man. >> E tutto fu chiaro.
Kate indietreggiò spaventata; questa volta era lei ad essere spaventata. Sembrò quasi che Tucker percepisse il suo timore e si preoccupò di rassicurarla:<< Non preoccuparti, Kate: lui non può sentirci. Qualunque cosa tu pensi, qualunque cosa tu voglia dire, qui rimarrà segreta. >>
Non era possibile. Niente era segreto a Slender Man. Lui poteva leggere nella mente di tutti, perché con Shaun Tucker avrebbe dovuto essere diverso? Per un attimo Kate credette che l’uomo avesse perso la ragione, ma poi si ricordò di quello che aveva sentito ogni volta che era entrata in quella casa, precedentemente; ogni volta che aveva varcato la soglia della porta di Tucker, la ragazzina si era sentita meglio, era stata bene al livello psichico, e l’influenza di Slender Man era istantaneamente sparita. Quello stesso giorno, lei aveva sentito una grande differenza nella sua mente: adesso riusciva a pensare liberamente, la sua mente era leggera e lontana dai pensieri opprimenti che l’avevano occupata in quegli ultimi giorni, ma all’inizio era stato difficile accettare quella sensazione, e Kate si era sentita male, come se non potesse più sopportare di avere la mente libera da Slender Man. Si era davvero assuefatta così tanto all’influenza di Slender Man? E poi perché accadeva tutto ciò?
Notando la sua espressione confusa, Tucker sorrise. << Te ne sei accorta, finalmente… >> Sussurrò divertito. Kate cercò di fargli una domanda senza parlare; Tucker si alzò lentamente e girò in tondo nella stanza. Posò il palmo della mano su una parete su cui erano stati lasciati quegli strani segni neri e la guardò quasi con nostalgia. Si voltò poi verso Kate e la fissò con serietà. << Questa casa è schermata. >> Disse avvicinandosi a lei con passo deciso.
Kate lo guardò confusa. << Cosa? >> Chiese con tono quasi comico, senza capire cosa intendesse. Tucker sembrò aspettarsi quella reazione. Si sedette di nuovo e sospirò.
<< Sono uno studioso… >> Cominciò a spiegare. << Un… Ricercatore. >> Si corresse dopo. << E sono anni che studio questa leggenda… >>
Kate cercò di intervenire, per far parte di quella conversazione:<< Quale leggenda? >> Chiese intimorita, sapendo già di cosa si trattasse. Non le piaceva quel Tucker, aveva una strana luce negli occhi, la sua voce era bassa e non riusciva a sentirlo bene, ma gli sembrò che il suo tono tremasse.
Tucker si voltò fissando Kate quasi con delusione. << Slender Man. >> Sentenziò solenne. << Sono anni che lo cerco, non hai idea di tutti gli orrori che ha attuato… >> Mormorò scuotendo piano la testa. Kate lo sapeva invece, ma Tucker pensava che Kate lo vedesse innocentemente come un amico immaginario, come una bambina.
L’atmosfera nella stanza si era appesantita, Tucker si era fatto tetro e la voce incuteva timore a Kate. La ragazza lo guardava intimidita, aspettando che facesse qualcosa, sperando che non succedesse niente di brutto. Ma Tucker sorrise come un vecchio amico. << Sei una ragazza buona, Kate… >> Mormorò dolcemente, felice di quello. Kate non capì come mai avesse tirato fuori quell’argomento. << Ti voglio bene, e ti ringrazio per tutta la fiducia che mi dai; per questo voglio avvertirti. Non sei al sicuro. Slender Man è un essere immortale, innaturale, sbagliato e malvagio. Nessuno che lo abbia incontrato ha mai vissuto abbastanza a lungo per poterne parlare, o non ne ha avuto il coraggio... Questo essere uccide senza pietà, senza distinzione di sesso, razza, età o posizione sociale. Uccide e porta disperazione nelle vite di quelli che non muoiono. Non c'è modo di ammansire o eliminare questa mostruosità. Nessun modo. >> Lo ripeté per assicurarsi che Kate lo capisse bene. << Qualunque cosa tu voglia fare, ti prego di desistere; non sei in grado di affrontarlo, non puoi controllarlo! Ti sta solo usando, e quando avrà raggiunto il suo scopo, ti ucciderà! >>
Kate era allibita a vedere come fosse preoccupato per lei Tucker. Non avrebbe voluto raggirarlo, le sarebbe piaciuto fargli incontrare Slender Man e farglielo conoscere meglio se fosse stato possibile, ma dovette attenersi al suo piano originale: mentire. << Oh… Io non sapevo niente di tutto questo… >> Mormorò con tono sconcertato. Si mise una mano sulla guancia e guardò il pavimento. << Non pensavo che fosse cattivo… >>
<< Lo è. Molto. >> Disse secco Tucker quando lei alzò lo sguardo verso di lui. << So bene che non potevi immaginarlo, ma ora che conosci la verità, devi stargli il più lontano possibile! >> Cercò di assicurarsi che Kate avrebbe seguito i suoi consigli.
Kate si mostrò pensierosa; cercava un modo per uscire da quella situazione senza problemi, doveva agire d’astuzia. << Mi ha detto cose belle… Che ero speciale… >>
<< Sono tutte bugie, Kate… >> Disse dispiaciuto Tucker, pensando che Kate si sentisse ferita nel sentirlo. << Tutto quello che ha fatto e detto è stato per indurti a fidarti di lui! E’ un maniaco che prima gioca con la tua mente e poi ti distrugge! >> Sbatté il pugno destro nella mano sinistra per trasmettere meglio l'idea.
Kate rimase in silenzio. Come poteva uscirne indenne senza promettere a Tucker che non avrebbe più visto Slender Man – non solo perché fosse impossibile, ma perché ormai lei aveva deciso che si sarebbe occupata di lui… Fu Tucker a parlare prima che lei potesse dire qualcosa di rassicurante.
<< Odio dovertelo chiedere, ma… Questa volta potresti essere più sincera. >> Kate alzò lo sguardo interrogativa e lo fissò mentre si alzava e attraversava la stanza fino a sedersi sul letto. Sospirò muovendosi un poco per trovare una posizione più comoda e si piegò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia. << Quando Jamie si è sentito male, c’eravate solo tu e Jennifer nella stanza? >> La fissò insistentemente negli occhi, senza mai spostare lo sguardo nemmeno per un secondo. Kate si sentì sotto interrogatorio in quel momento, e avrebbe davvero voluto che quell’oscurità negli occhi che le aveva dato Slender Man incutesse un po’ di timore a Tucker, per fargli distogliere lo sguardo, ma la volontà dell’uomo era più forte di qualunque altra, o forse c’era una qualche protezione anche per quello…
Fu Kate a distogliere lo sguardo, non riusciva più a sopportare gli occhi di Tucker su di sé. Guardare da un’altra parte con nervosismo la aiutò a pensare a una risposta, ma quale altra risposta poteva dargli se non un “certo che sì!” << E’… E’ ovvio, signor Tucker… >> Mormorò Kate rialzando lo sguardo e muovendo rapidamente una mano sul lato per poter attirare la sua attenzione e allontanarla così dal proprio viso. Tucker non si mosse mentre Kate parlò. << Almeno… Credo di esserne sicura… >> Si mise una mano alla fronte abbassando lo sguardo e chiudendo gli occhi. Che diavolo sto dicendo? Si chiese infuriata. Non riusciva più nemmeno a pensare a cose sensate… Forse stava davvero impazzendo, e non riconosceva più la realtà dal falso.
Tucker mormorò qualcosa unendo le mani davanti alla bocca. Rimase immobile a fissare Kate, con l’intenzione di non muoversi finché non si sarebbe calmata, ma quando vide che la ragazza non accennava a ritrovare la concentrazione, decise di prendere la parola. << Non sai nemmeno tu quello che è successo, vero? >>
Kate lo guardò confusa; sembrò quasi che Tucker la stesse aiutando a dare la risposta giusta. Annuì in silenzio, vergognandosi di non aver trovato le parole da sola.
Tucker si alzò di nuovo e si molleggiò sulle gambe spostandosi di qualche metro. << Ormai ti ha così riempita di quei suoi pensieri orrendi che non sai più nemmeno cosa sia giusto e sbagliato! >> Si sentì astio nella sua voce. Kate si sentì piena di vergogna mentre Tucker le faceva notare tutte le cose che le erano capitate. Ma lei conosceva ancora bene e male! Sapeva riconoscere giusto e sbagliato! << Devi fuggire subito da lui, o sarà troppo tardi! >> Si avvicinò molto a Kate e le strinse con forza una mano. Kate si spaventò quando si vide comparire di fronte all’improvviso Tucker a un millimetro dalla faccia.
<< Io… >> Kate non sapeva cosa dire. << Io non posso… >> Mormorò sul punto di mettersi a piangere.
<< Sì che puoi! >> Ribatté Tucker fiducioso. << Tu sei più forte di lui, perché sei una ragazzina speciale! >> Sembrava davvero credere in ciò che le diceva. Come era possibile? Nessuno le aveva mai detto qualcosa del genere credendoci veramente… Era davvero difficile dire di no a quel Tucker così speranzoso…
Kate rimase in silenzio a pensare a un modo per farla franca, ma l’unico modo per calmare il signor Tucker sembrò quello di accettare e dirgli che avrebbe chiuso con Slender Man… Oppure avrebbe provato a fingersi molto ingenua. << Signor Tucker, non deve preoccuparsi per me, posso cavarmela con Slender Man. >> Cominciò cercando di suonare più sicura possibile.
Tucker era contrariato. << Ti prego Kate… Non sai cosa dici… >>
<< No, sul serio! >> Ribatté Kate annuendo vigorosamente. << Slender Man mi ha protetta tante volte dai pericoli, se avesse avuto cattive intenzioni, me ne sarei accorta! >>
<< Tu non nei hai idea… >> Mormorò tremante Tucker. << Non hai idea di cosa è capace quel mostro… >>
Kate ammiccò rassicurante. << Stia tranquillo, signor Tucker; credo di aver insegnato a Slender Man ad essere più buono. >> A quella frase Tucker rimase immobile, forse incredulo di quella notizia. << E poi, se dovesse succedere qualcosa, prometto di chiamarla subito… >> Aggiunse con tono gentile, per ammorbidirlo un po’, assumendo una posa indifesa, unendo le mani dietro la schiena e dondolandosi a destra e a sinistra su una gamba.
Tucker la fissò impassibile per parecchi secondi, a un certo punto Kate cominciò a chiedersi se l’avesse ascoltata, ma poi l’uomo scosse la testa facendo una smorfia dolorante. << E va bene… Ma ricorda, Kate: se noti anche solo un piccolo dettaglio che ti inquieta, chiamami subito! D’accordo? >> Alzò un dito mentre le faceva quella raccomandazione. Kate annuì come una bimba contenta e saltellò verso la porta. Prima che potesse uscire dalla stanza, però, Tucker la chiamò di nuovo, e lei si voltò. L’uomo era seduto alla scrivania e le porgeva con una mano un blocco di fotocopie, tutte uguali a quella appesa alla bacheca con sopra la faccia di Jennifer.
<< Ho pensato che forse dovremmo fare qualcosa… >> Mormorò con sguardo serio, un po’ triste a causa dell’argomento.
Kate guardò con amarezza quelle fotocopie e aspettò alcuni istanti prima di fare qualsiasi cosa.
Tucker spinse un altro po’ le fotocopie verso di lei. << Potresti distribuirle un po’ in giro…? >> Chiese timidamente. Interpretò l’esitanza della ragazzina come una paura verso quell’idea che la sua migliore amica fosse scomparsa, e quindi cercò di consolarla. << So che non è bello pensare a male… >> Mormorò a bassa voce. << Ma questo è meglio che rimanersene fermi a non fare nulla. >>
Kate fissò ancora per alcuni secondi quei fogli, poi alzò lo sguardo con decisione e li prese con sé. << Va bene, signor Tucker. >> Disse senza un tono particolare. << Ha ragione. >>
Prima che la ragazzina potesse allontanarsi da lì, Tucker attirò di nuovo la sua attenzione. << Kate. >> La chiamò con tono tetro. La ragazza si girò sbattendo le palpebre; Tucker era serio. << Sabato, la sera della scomparsa di Jennifer, Slender Man era con voi? >> Chiese fissandola dritta negli occhi.
Kate fu sorpresa da quella domanda, nonosante se la fosse aspettata per tutto il tempo; esitò alcuni secondi, ma questa volta seppe come rispondere:<< Non lo so
… Non ricordo. Potrebbe essere… >> A quella risposta, Tucker girò piano la testa verso la parete di fronte a lui, annuendo in modo sarcastico; probabilmente si aspettava quella risposta.
Dopo quell’ultima richiesta, Kate fu libera di andare via da lì, finalmente, ma a quel punto fu lei ad avere una domanda per Tucker, allungando la sua permanenza in quella stanza. << Mi scusi, signor Tucker… >> Mormorò girandosi solo per metà per guardare l’uomo rimasto seduto alla scrivania. << Quella bacheca e tutti quegli appunti, comprese le pagine rubate a me… >> Non c’era astio nella sua voce, ma Tucker si sentì minacciato. << Tutto quanto è frutto di un meticoloso pedinamento, non è così? >>
Tucker respirò in silenzio mentre soppesava le parole di Kate. Poteva essere un’accusa, oppure una semplice curiosità; in ogni caso, la risposta sarebbe stata una sola. << Sì. Ti ho seguita per controllare i tuoi movimenti e quello che ti accadeva. Così sono riuscito a mettere insieme i pezzi… >>
Kate tornò a guardare la porta, questa volta con sguardo vuoto. Annuì deglutendo e disse freddamente:<< Quindi mi ha spiata. >>
A quel punto Tucker non seppe come rispondere, rimase in silenzio lasciando che Kate comprendesse da sola il motivo di quel suo comportamento. La ragazzina annuì un’altra volta prima di riprendere a camminare. Aprì la porta e si fermò un attimo sulla soglia; prima di chiuderla dietro di sé disse:<< Grazie di tutto, signor Tucker. >>
La porta della casa di Shaun Tucker sbatté violentemente. Kate sospirò esasperata e scese gli scalini del portico rapidamente. Si sentiva tradita, ora aveva capito che tutto quello che aveva sempre creduto sul signor Tucker era falso; era un traditore! Le aveva mentito tutto il tempo, lei gli aveva anche creduto, ma come faceva ad essere così ingenua?
Ecco perché quando Jamie si era sentito male lui non aveva più saputo cosa fare: pur essendo a conoscenza dell’esistenza di Slender Man, la testimonianza di Kate e Jennifer lo aveva allontanato dalla pista, e aveva creduto di essersi perso. Era tutto quanto solo una “ricerca”! Kate era il suo prezioso soggetto e tutti gli altri, Jennifer, Jamie, Becky Johnson, Karen Smith, il signor Anderson, e persino la signora Kutner, erano solo degli esperimenti, dei test andati male. Il suo obiettivo era Slender Man; voleva allontanarlo, esiliarlo dal mondo, o forse era solo per il gusto di ucciderlo e mostrarlo poi come trofeo. In fondo tutti sarebbero stati felici se quel “mostro” fosse morto! Ma non lei…
Kate si fermò sul marciapiede e guardò l’orizzonte; la strada era lunga e desolata, non c’era niente che ostacolasse la sua visuale. Una leggera brezza le scompigliava i capelli e la faceva sentire bene quasi capace di toglierle quel nervosismo che l’aveva colpita in quel momento. Si rese conto che non era il vento a rasserenarla, ma quell’influenza di Slender Man che tornava a farsi sentire, dopo essere stata lasciata fuori dalla casa di Tucker, e che ora voleva tornare a riempire ogni angolo della mente di Kate. E la ragazzina provò un piacere rinvigorente in quel peso, quel dolore acuto alla testa che non la lasciava pensare. Durava un attimo, poi la sua testa di alleggeriva e la ragazza riprendeva a muoversi e a pensare autonomamente, senza che nessuno le alterasse i pensieri. Chiusi gli occhi e si gustò quell’istante più che poté. Si lasciò sfuggire un urletto eccitato a un certo punto, poco prima di scuotere la testa e riprendere l’equilibrio.
Girò lo sguardo verso una finestra della casa di Tucker e la scrutò tristemente, pensando di aver perso un amico. E se aveva perso lui, allora perché non avrebbe potuto perdere anche gli altri che le rimanevano?
Abbassò lo sguardo e guardò con nostalgia i fogli che stringeva nella mano sinistra, su cui era stampata la faccia di Jennifer. Erano tutti uguali, Jennifer sembrava morta in quella foto, Kate non sapeva se fosse a causa della fotocopia oppure se fosse lei a vederla così… Ma non le piaceva.
Jennifer non era così, lei non era mai stata uguale a un’altra; Jennifer era unica, e nessuno avrebbe mai potuto rimpiazzarla. Nessuno l’avrebbe riportata a casa, e tutti se ne sarebbero ricordati. In poco tempo la sua sparizione sarebbe stata associata a Slender Man e a lei.
C’era un problema.

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Capitolo 64
*** Volantinaggio ***


<< Che stai facendo, Kate? >> Chiese una voce familiare che fece sobbalzare la ragazzina. Kate si voltò lasciando stare per un attimo l’albero che aveva adocchiato e si concesse un sorriso mesto per salutare Tommy che l’aveva colta di sorpresa.
La ragazza alzò le spalle e mostrò in una mano tutte le fotocopie con la faccia di Jennifer stampata sopra. << Cerco di fare qualcosa di utile… >> Mormorò fingendosi sconfortata. Doveva sembrare credibile, come se pensasse di non essere abbastanza di aiuto in quel momento.
Tommy Schmidt si avvicinò all’albero e esaminò la corteccia, su cui ancora Kate non aveva fatto niente; infatti, il ragazzo l’aveva interrotta proprio prima che potesse applicare il nastro adesivo alla fotocopia. << Jennifer… >> Mormorò tristemente dopo aver dato una rapida occhiata alle fotocopie che portava l’amica.
<< Già. >> Gli fece eco Kate girandosi verso l’albero e mettendosi accanto a lui. Rimasero a fissare quel legno, come se sulla corteccia di quell’albero ci fosse qualcosa di rilevante, mentre in realtà non c’era niente. Era solo il punto in cui Kate avrebbe affisso un volantino per divulgare la notizia della scomparsa di Jennifer, e infatti, pochi secondi dopo la ragazza completò l’opera appiccicando sopra alla corteccia una fotocopia.
Kate sospirò allontanandosi dall’albero, portandosi dietro le fotocopie, mentre Tommy rimase qualche istante a fissare ancora quella che lei aveva attaccato all’albero. << Ehi… >> La chiamò girandosi poco dopo. << Credi che stia bene? >> Chiese a bassa voce dopo averla raggiunta.
La ragazzina spostò lo sguardo da un’altra parte prima di rispondere. << Io ne sono sicura. >> Disse con voce drammatica. << E’ di Jennifer che stiamo parlando, in fondo! >> Aggiunse sorridendo. Diede un colpetto sul braccio di Tommy e si girò, dirigendosi a un altro albero nel parco. Il ragazzo la seguì.
<< Sì, hai ragione… >> Commentò quando le fu accanto. << Ma questi li hai fatti tu da sola? >> Chiese prendendo un foglio dalle mani di Kate. La ragazza scosse la testa.
<< E’ stato il signor Tucker a stamparli. Io mi sono solo occupata di distribuirli in giro… >> Spiegò con voce debole. Sembrò quasi che si sentisse inutile, ma Tommy la rassicurò senza staccare gli occhi dal foglio.
<< E’ molto più di quanto credi. >> Disse prendendo un’altra direzione e avvicinandosi a un lampione grigio nel prato. Ci girò intorno e ci schiaffò sopra il foglio; mantenendolo premuto con una mano, Tommy si girò verso Kate e le chiese del nastro adesivo. La ragazza glielo porse rapidamente e lui poté fissare la fotocopia al palo. << Anche un piccolo gesto è importante, ricordalo. >> Le disse con tono rassicurante, come per dirle che sarebbe andato tutto bene.
Kate abbassò lo sguardo delusa, ma Tommy le fece alzare di nuovo la testa. Le sorrise in modo genuino, come mai aveva fatto prima; era un sorriso rassicurante, un modo per dirle che sarebbe andato tutto bene e che non c’era da preoccuparsi, ma la cosa che colpì Kate di più di quel sorriso fu la sua insistenza: Tommy era immobile, manteneva gli occhi fissi su quelli della ragazzina, nonostante quell’oscurità che avrebbe dovuto costringerlo a distogliere lo sguardo, e non accennava a spostarsi; piuttosto, era lei a voler distogliere lo sguardo, incapace di sostenere il suo. In quel modo le fece capire che era davvero sicuro di quello che diceva, e che voleva che anche lei ci credesse, così che tutto potesse essere più facile.
Per poter convincere Tommy di averla convinta e di potersi quindi liberare da quello sguardo opprimente, Kate sorrise fiduciosa, facendo così che Tommy la lasciasse andare e indietreggiasse un pochino. Quando fu lontano, la ragazza si rese conto di essersi persa d’aria; per un attimo il suo cuore aveva accelerato e la sua mente si era annebbiata. Che cosa aveva? << Grazie, Tommy. >> Disse con voce acuta la ragazza, cercando di ricomporsi. Il ragazzo la guardò sereno.
<< Nessun problema. >> Rispose col tono di chi aveva tutto sotto controllo. << Jennifer tornerà presto, ma se noi ci diamo da fare, potremo aiutarla a fare più in fretta! >> Detto questo mise una mano attorno alle spalle di Kate e la condusse a un muretto dove avrebbero potuto attaccare un’altra fotocopia. Kate finse di sentirsi sollevata da quel gesto di Tommy e si lasciò guidare.
Una volta arrivati al muretto, il ragazzo si fece passare un altro foglio con un po’ di nastro adesivo e diede le spalle a Kate per fissarlo. << Comunque questa mattina ne ho notati un paio, di questi volantini… Sei stata tu? >>
Kate alzò lo sguardo quando sentì la voce di Tommy. << Eh? Sì, li ho affissi ieri sera, un po’ in giro per la città… >>
Tommy si voltò e la guardò confuso. << E sei uscita di sera per attaccare dei volantini? Non sarebbe stato pericoloso? >>
Kate gli rivolse un’occhiata di sufficienza e piegò un labbro come per chiedergli se dicesse sul serio. Tommy dopo un attimo di esitazione, si ricordò della situazione dell’amica e barcollò un po’ indietro, alzando la testa e sorridendo divertito. << Giusto… >> Mormorò ricordandosi quel particolare. << Ti difende anche dai malintenzionati? >> Chiese poco dopo strabiliato, riferendosi a Slender Man.
Kate annuì in silenzio, imbarazzata. Vista da fuori sembrava che fosse riuscita ad ammaestrare Slender Man grazie a chissà quale abilità e che adesso fosse quasi come un animaletto da compagnia, ma in realtà non aveva fatto proprio niente, e per questo ci teneva a precisare di non essere tanto speciale, in fondo… Era solo che Slend le voleva bene.
Tommy si guardò intorno e sorrise grattandosi il mento. Era anche vero che adesso la fama di Kate aveva fatto in modo che nessuno osasse sfiorarla con un dito, ma era comunque una notizia sensazionale. << Sei fantastica, Kate! >> Esclamò alla fine come se si liberasse di qualcosa che aveva voluto dire per tutto il tempo. Il ragazzo voleva sicuramente far capire a Kate di potersi fidare di lui, e le avrebbe creduto ciecamente, nonostante il loro ultimo incontro non fosse finito molto bene. Il ragazzo, nonostante il comportamento di Kate a scuola, era sempre gentile e fedele, sembrava davvero credere in ciò che diceva.
Kate sorrise a Tommy grata di quella sua fiducia.
 
*
 
Kate era tornata a casa da poco. Aveva passato il resto della giornata con Tommy ad affiggere volantini sulla scomparsa di Jennifer in giro per la città. Era davvero stressata, non riusciva più a pensare seriamente a qualcosa, voleva riposarsi senza doversi preoccupare di nulla, ma sapeva che sarebbe stato impossibile. Ovunque c’erano problemi che l’avrebbero fatta stare sulle spine e che le avrebbero rovinato la giornata. Doveva occuparsi di uno di questi proprio in quel momento.
Stava per salire in camera sua, quando il telefono in cucina squillò. Era sola a casa, a quanto pare i suoi genitori avrebbero fatto tardi di nuovo, e lei avrebbe mangiato da sola, quindi non poteva rispondere nessun altro. Sospirò scendendo dal primo scalino ed entrò in cucina, sfilando nella stanza con grazia prima di afferrare il telefono senza fili riposto nel suo box e guardare il numero di telefono chiamante. Non era un numero salvato nella rubrica, Kate non lo conosceva, ma credeva che si trattasse di qualcuno importante.
Premette il pulsante verde e portò il telefono all’orecchio. << Pronto? >> Chiese automaticamente senza un tono particolare. Le veniva automatico dire così quando rispondeva a una telefonata.
<< Kate? Sei tu? >> Quella voce Kate la conosceva, e non avrebbe voluto sentirla. Era la signora Kutner, che sicuramente chiamava per convincere Kate a dirle qualcosa su sua figlia. La ragazzina non riusciva a credere che fossero tutti quanti così testardi e risoluti, ma avrebbe dovuto comprendere la donna: si trattava di sua figlia, in fondo…
Kate prese un bel riespiro e ignorò il desiderio di sbattere il telefono nel proprio box prima di rispondere. << Signora Kutner? >> Rispose con un’altra domanda senza dare una risposta chiara alla donna, che capì lo stesso.
Kate sentì un sospiro dall’altra parte del telefono; sembrava che la signora Kutner fosse sollevata dal sentire la voce della ragazzina. << Sono felice che abbia risposto tu… >> Mormorò con voce debole.
Kate non sapeva cosa dire. Era felice perché era con lei che voleva parlare, vero? Non le interessava certo se stesse bene o male… Lei voleva solo sapere qualcosa di più su sua figlia. Stava per rispondere, anche se in realtà non sapeva bene cosa dire, ma la voce della signora Kutner arrivò per prima, sorprendendola:<< Volevo ringraziarti. >> Disse la donna con tono gentile.
Kate non si sarebbe mai aspettata quelle parole da Jane Kutner, specialmente dopo quello che era successo all’ospedale, come lei era fuggita di fronte alle suppliche di una madre disperata. << Co… Cosa…? >> Balbettò Kate pensando di non aver capito bene. Per un attimo pensò a uno scherzo, ma poi si ricordò di chi stesse parlando dall'altra parte.
La signora Kutner sembrò sollevata da quel segno di Kate, che aveva almeno reagito alla sua confessione. << So di averti spaventata, l’altro giorno. Devi scusarmi per il mio comportamento… >>
<< La colpa è mia, signora. >> Si sbrigò a precisare Kate per evitare di sembrare insensibile. << Non ho saputo aiutarla, e mi sono fatta prendere dal panico. >> Era vero, in fondo, ma il fatto che fosse veramente colpa sua era perché lei sapeva la verità su quanto era accaduto quella notte e non aveva voluto dirglielo.
A Kate sembrò che la signora Kutner annuisse dall’altra parte del telefono. << Già, capisco che ti senta in colpa per quello, ma sono stata io a forzarti a parlare su qualcosa di cui non sapevi niente. Mi dispiace. >> Quella discussione le sembrò troppo familiare a una delle liti tra Kate e Jennifer su chi avesse più colpa riguardo a qualcosa. Kate non seppe più come rispondere e lasciò andare un mormorio incerto. << Il motivo per cui ti ho chiamata ora è perché ho appena visto in giro per la città dei manifesti. >> Aveva visto le fotocopie. << Ho pensato subito a te non appena ho letto quello che dicevano… >>
Anche questa volta Kate sentì il bisogno di tirarsi indietro:<< E’ stato il signor Tucker, in realtà… >> Mormorò incapace di reggere un’altra discussione con la signora Kutner.
<< Lo so. >> Rispose la donna. << L’ho chiamato subito dopo, e mi ha confermato di averli stampati da solo. Ma tu sei quella che li ha distribuiti ovunque in città! >> “Ovunque” non era il termine che avrebbe usato Kate, e avrebbe voluto dire che Tommy l’aveva aiutata un po’, ma preferì rimanere zitta e ascoltare quello che aveva da dirle la mamma di Jennifer. << Grazie per tutto l’impegno che stai mettendo in questa faccenda. E’ difficile rimanere da sole, ma sono felice di vedere che tu non ti sia arresa, Kate. >>
Kate questa volta sentì il dovere di rispondere:<< Per lei è molto più difficile, signora… >> Forse suonò un po’ impertinente, ma la signora rise pacatamente in risposta a quella affermazione.
<< E’ vero. >> Disse con calma. << Ma il tuo gesto mi ha aiutata a trovare la forza per andare avanti. >> Continuò mantenendo quel tono gentile e sereno che aveva assunto durante tutta la telefonata.
Kate deglutì nervosamente. Non sapeva cosa avrebbe dovuto dire. Non sembrava dover dire nulla, perché era la signora Kutner a volerla ringraziare. Si sentiva male però a rimanere in silenzio, a quel punto. Fu la signora Kutner a finire la chiamata:<< Grazie ancora, Kate. Spero di rivederti presto in circostanze migliori. >>
<< Ah… >> Prima che Kate potesse rispondere a quel saluto, la donna chiuse la chiamata e dal telefono venne solo un suono intermittente e fastidioso. La ragazzina abbassò il telefono nella mano e lo fissò con disappunto. Come diavolo siamo arrivati a questo? Pensò. Come era possibile che adesso la signora Kutner la ringraziasse, dopo tutto quello che aveva fatto alla sua famiglia? Non conosceva la verità, quindi era all’oscuro di tutto, ma era comunque difficile sentire gratitudine per quella ragazzina, dopo tutto quello che era successo, e dopo tutto quello che aveva fatto…
Sospirò stringendo un pugno fino a conficcarsi le unghie nel palmo. Ora sarebbe stato ancora più difficile fare quello che stava per fare.

 

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Capitolo 65
*** Addio ***


Kate era in piedi in mezzo alla sua camera. La schiena dritta e lo sguardo deciso mostravano quanto fosse determinata, i pugni stretti facevano capire quanto sarebbe stato difficile fare quello che voleva fare, ma il suo respiro rilassato era segnale della sua calma: sapeva che non c’era altro modo per uscire da quella situazione, non voleva portare altro dolore alla signora Kutner o a chiunque altro.
Ci aveva pensato tutta la notte senza riuscire a chiudere occhio; per questo aveva distribuito i volantini in città, cercando del tempo per riflettere e trovare un’altra soluzione, anche un modo per alleviare il peso sulla sua coscienza, ma era stato tutto inutile: non c’era altro da fare, lo sapeva già.
Slender Man stava in piedi in un angolo buio. Teneva il collo piegato, come sempre, e le braccia ricadevano inerti lungo i fianchi squadrati, toccando il parquet. Sembrava attendere una spiegazione più chiara, non sapeva cosa volesse fare Kate, gli aveva solo detto che aveva bisogno di lui, quando era entrata nella stanza. Lui era pronto ad aiutarla, ma un certo nervosismo rischiava di farlo spazientire; possibile che si stesse rendendo debole come un umano? O forse era solo quando aveva a che fare con quella ragazzina, che si sentiva più instabile?
Kate guardava con occhi seri il corpo di Jennifer immobile nel suo armadio. Sembrava sapere tutto quanto, non c’era bisogno di dirle niente, lei era al corrente di tutto quello che stava accadendo lì fuori. Kate si sentì intimorita da quell’espressione serena sul viso della sua amica morta. Sembrava viva. Sembrava respirare autonomamente e Kate si sarebbe aspettata di vederla aprire gli occhi e uscire con le proprie gambe da quell’armadio, per raggiungerla e andare ad abbracciarla, come quando erano ancora amiche e si rivedevano dopo una lunga vacanza passata l’una lontano dall’altra. E sarebbe stato molto bello; a Kate non avrebbe importato se quel corpo freddo e irrigidito si fosse improvvisamente animato e l’avesse abbracciata: sarebbe stato comunque un abbraccio pieno di amore, pieno di felicità, che non avrebbe fatto altro che rendere Kate più felice. E la ragazza non si sarebbe nemmeno sorpresa se invece di abbracciarla, quel corpo inanimato avesse tentato di ucciderla; se fosse andata così, per qualche strano motivo, Kate se ne sarebbe rassegnata, perché si sarebbe trattato della scelta di Jennifer, e Jennifer aveva sempre ragione… Se la sua migliore amica l’avesse voluta morta, lei l’avrebbe accontentata con piacere; in fondo si sarebbe trattato solo di un problema in meno…
Ma perché si stava facendo tutti quei problemi? Non era possibile che Jennifer tornasse in vita, nessuno aveva un potere simile e Kate non ci sperava nemmeno: sarebbe stato troppo difficile spiegare quella situazione; che cosa avrebbero potuto raccontare agli altri? Dove sarebbe stata Jennifer in quei quattro giorni in cui era mancata di casa?
Quattro giorni? Pensò Kate fermandosi un attimo a guardare il corpo nudo della sua amica. E’ passato così poco tempo? Le sembrava che fosse passata un’eternità dall’ultima volta che aveva riso e scherzato con lei, quella sera di sabato, dopo essersi tolta le scarpe dichiarando che sarebbe andata alla festa scalza, pur di non tornare indietro. E poi erano arrivati quei ragazzi che le avevano provocate…
Kate si mise una mano sulla tempia; era doloroso ricordare quei momenti, quando Jennifer era stata ferita mortalmente ed era morta poco dopo. Quella notte Kate aveva pianto, ma poi se n’era andata. Slender Man aveva riportato il corpo di Jennifer a casa in un attimo e poi erano andati alla festa insieme. Ecco come erano andate le cose. Era sicuramente passato poco tempo, eppure a Kate sembrava che fosse successo anni addietro…
<< Che stupida che sono… >> Mormorò la ragazza rivolgendo un sorriso mesto al corpo esanime dell’amica. << Mi sono già dimenticata di te e delle promesse che ti ho fatto… >> Nei suoi occhi c’era tristezza, la ragazza avrebbe voluto tornare indietro a quella notte per non dire tutte quelle cose che aveva detto alla sua amica, sapendo che avrebbe infranto ogni promessa, che l’avrebbe abbandonata a quel modo. << Sono stata davvero una stronza, eh Jennifer? >>
Kate… Cercò di chiamarla Slender Man dopo la sua frase, ma la ragazza lo ignorò e chiuse gli occhi per un momento, respirando profondamente.
<< Sto bene, Slend. >> Disse voltandosi verso di lui. << Vorrei solo che fosse andata diversamente… Non sarei costretta a fare questo, ora… >>
Che vuoi dire? Chiese Slender Man. Era forse la prima volta che non aveva idea di cosa avrebbe fatto quella ragazzina: la mente di Kate era imprevedibile, ma fino a quel momento era stato in grado di immaginare cosa volesse fare lei; quella volta era tutto così confuso e diverso, Kate non sembrava più in sé.
Kate girò lo sguardo verso l’armadio in cui era nascosta Jennifer. Lo guardò con nostalgia prima di voltarsi verso l’essere in piedi nell’angolo della stanza. << Come ti sei sbarazzato dei corpi degli amici di Alex? >> Chiese avvicinandosi a passi rapidi.
Slender Man esitò a rispondere. Forse aveva capito cosa volesse chiedere la ragazza e non voleva risponderle.
<< Voglio dire… >> Continuò lei. << Non è stata trovata alcuna traccia del loro passaggio, né tantomeno i corpi… Sei stato tu a farli sparire! >> Concluse puntandogli un dito contro, sfiorando con la punta dell’unghia la sua giacca nera.
Sì. Rispose dubbioso Slender Man, non potendo negare.
<< Non lo fai con tutte le tue vittime? >> Chiese di nuovo Kate subito dopo aver sentito la sua risposta; non voleva lasciargli nemmeno un istante per ripensare a ciò che aveva detto.
Questa volta Slender Man esitò un attimo a rispondere. Molte delle mie vittime, sì. Non tutte, ma… Era vero. Il corpo del signor Anderson era stato ritrovato nella sua stessa casa, e anche quel poco che rimaneva di Becky Johnson, era ancora su quel mondo… Questo perché Slender Man aveva voluto che i loro corpi venissero ritrovati, voleva dare un messaggio. A Kate bastò la prima parte della risposta per decidersi.
<< Bene. >> Disse voltandosi di scatto verso il suo armadio. << Allora ti chiedo questo: fai sparire il corpo di Jennifer. >> Continuò con voce tremante.
Slender Man rimase impassibile, ma in fondo era scosso dalla richiesta della ragazzina; non pensava che Kate avrebbe mai chiesto una cosa del genere. Sei sicura?
<< Non ho finito… >> Mormorò Kate tirando su con il naso. I suoi occhi si erano inumiditi e arrossati; cominciò a respirare con più fatica. << Voglio anche che tu cancelli il ricordo di lei dalle menti di tutti quanti… >> Le lacrime sgorgarono libere non appena concluse quella frase. << Solo io la ricorderò. >> Piegò le ginocchia e si accovacciò a terra coprendosi il viso. Cominciò a piangere senza freni. Slender Man non fece nulla per consolarla, non sarebbe stato opportuno. Dimmi quando sei pronta. Si limitò a comunicarle facendosi da parte e andando in un angolo della stanza per lasciare Kate con Jennifer un’ultima volta.
Nel profondo del suo cuore, Kate ringraziò Slender Man per averle concesso un ultimo saluto con la sua migliore amica e decise di calmarsi. Non appena fu riuscita a controllare i propri spasmi, la ragazzina alzò lo sguardo e raddrizzò la schiena, rimanendo nello stesso punto. Poi, rapidamente raggiunse l’armadio per salutare Jennifer un’ultima volta.
Il corpo della sua migliore amica giaceva immobile in quell’armadio, dove nonostante tutto, aveva molto spazio; gli occhi chiusi della ragazza non si muovevano, se per qualche motivo avesse dovuto aprirli e fissarla, Kate non avrebbe retto quella pressione: si sentiva una traditrice, macchiata di qualcosa imperdonabile. Jennifer stava con le braccia rilassate, parallele ai fianchi, le gambe riuscivano a tenerla in piedi per miracolo e la schiena dritta era poggiata al fondo dell’armadio. Sembrava invitarla ad andare con lei. Kate avrebbe tanto voluto andare via con Jennifer; sarebbe stato meglio che rimanere lì da sola; ma non poteva farlo.
Esitando un po’, Kate avanzò piano verso il corpo della ragazza e allargò le braccia. << Addio, Jennifer. >> Mormorò mentre le sue braccia cingevano le spalle e il collo della sua migliore amica. La strinse con tutto l’amore che aveva per cercare di farle provare quel sentimento, anche attraverso la morte. << Mi dispiace tanto… >> Le sussurrò a un orecchio, quasi mettendosi a piangere.
Dopo un interminabile minuto, Kate si staccò dal corpo morto di Jennifer e indietreggiò. Si coprì la bocca con una mano cercando di non piangere mentre vedeva la ragazza rimanere lì in attesa di essere esiliata dal mondo e dalle menti delle persone per sempre. Slender Man avanzò uscendo dall’ombra e mettendo una strana pressione a Kate, che la fece pentire immediatamente della sua scelta: lei voleva stare con Jennifer, anche se questo le portava guai, anche se significava tradire la sua migliore amica e tutti quelli che le volevano bene. Ma ormai non poteva tornare indietro.
L’uomo in nero si mise in piedi davanti all’armadio, pronto a eseguire gli ordini della ragazzina, ma Kate non riuscì a sopportare quella pressione e si voltò lasciando andare un verso di dolore mentre le lacrime sgorgavano copiose dai suoi occhi.
Andò a sedersi sul letto e rivolse un timido sguardo verso l’armadio, dove Slender Man si stava avvicinando ancora di più. Prima che l’essere coprisse completamente la sua visuale su quella scena, Kate intravide il viso di Jennifer e la sua espressione beata e rilassata. Non sarebbe stata così, se fosse stata cosciente.
Kate scoppiò a piangere. Scusami.

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Capitolo 66
*** Ricordi ***


Shaun Tucker varcò la soglia dell’ospedale portando in un sacchetto di plastica una vaschetta con dentro un pranzo preparato da lui per Jane Kutner; sapeva che la donna non avrebbe fatto niente per mangiare e sarebbe rimasta lì con il figlio, a tentare inutilmente di farlo tornare in sé, senza riuscirci. Lui sapeva che non ci sarebbe riuscita: sapeva che Kate gli aveva mentito; era stata soggiogata da quel mostro, e al malore di Jamie, quel giorno, Slender Man era stato presente, ne era la causa, e non ci si riprendeva da un simile shock. Non c’era modo per Jamie di recuperare la sanità mentale che aveva perso, ma forse si poteva fare qualcosa per raddrizzare la mente piegata del bambino e aiutarlo a vivere la vita che aveva davanti rendendo minime le sue disabilità mentali. Era difficile, ma Tucker avrebbe dato il massimo per aiutare lui e sua madre, che aveva bisogno di aiuto quanto il figlio in quella situazione.
Sorrise quando vide in lontananza il profilo di Jane Kutner, seduta sulla stessa panca di sempre, davanti alla stessa finestra della stessa stanza, a guardare con occhi stanchi e desolati il corpo immobile del bambino addormentato sul lettino bianco della stanza. Quella vista gli dava una tristezza enorme, ma doveva mostrare sicurezza per far stare bene Jane, doveva farle sapere che sarebbe rimasto dalla sua parte, qualunque cosa fosse successa. Quando fu più vicino la chiamò:<< Jane. >> Fece con voce calma. Come immaginato, la donna girò la testa non appena sentì la voce dell’uomo chiamare il suo nome. Era una cosa naturale che tutti facevano. Tucker alzò la mano con il pranzo per lei e sorrise gentilmente. La donna si mostrò sorpresa di quel gesto e gli rivolse uno sguardo allibito mentre lui copriva gli ultimi metri per sedersi accanto a lei. << Ti ho portato qualcosa da mangiare, visto che sapevo che non te ne saresti preoccupata. >> Spiegò con calma poggiando la busta sulle ginocchia. La signora Kutner sembrava essere con la testa tra le nuvole, guardava Tucker con occhi stupiti e la bocca mezza aperta. I suoi lineamenti delicati erano così dolci che la donna non dava l’impressione di aver pianto ininterrottamente per le settimane passate; sembrava così piena di vita nonostante tutte le disgrazie che stessero indebolendo il suo corpo e il suo cuore.
Tucker cominciò a illustrarle cosa le avesse preparato per pranzo, raccomandandole di non stressarsi troppo e di essere positiva, dicendole che tutto si sarebbe sistemato presto. La donna lo stava ad ascoltare con occhi sgranati, senza mai trovare un momento per aprire bocca; quando Tucker smise di parlare e le rivolse un sorriso rassicurante, la donna abbassò lo sguardo imbarazzata e sorrise un poco. << Grazie… >> Mormorò senza sapere cosa dire. << Apprezzo molto le belle parole… >> Disse gentilmente mantenendo lo sguardo basso. << Ma, signore, non credo di ricordare il suo nome. >>
Il petto di Tucker si sentì improvvisamente vuoto e una forte e profonda scossa lo paralizzò per alcuni secondi. Pensava di non aver sentito bene:<< Come? >> Chiese piegando un labbro credendo che la signora Kutner stesse scherzando; non lo avrebbe mai fatto in una situazione del genere, ma voleva esserne sicuro.
La signora Kutner ripeté con pazienza quello che aveva detto prima:<< Apprezzo le sue parole, ma non so chi sia lei, signore… >> Per Tucker quella fu come una pallottola in testa.
Jane Kutner non si ricordava più di lui, era questo quello che stava accadendo in quel momento. Ma come era successo? Non poteva essere vero, Jane non poteva dimenticarsi così di lui! Era possibile che gli stessero facendo uno scherzo? In quella situazione? Tucker non ci avrebbe mai creduto, Jane Kutner non poteva essere impazzita a tal punto da fare una cosa del genere… E se fosse veramente impazzita e avesse dimenticato tutto? Non aveva senso… << Jane… >> Mormorò pensando di essersi sbagliato. Avvicinò le mani al corpo della donna, che piegò indietro la schiena vedendolo reagire così. << Sono io, Shaun Tucker… Ci conosciamo da alcune settimane, quando mi sono preso cura di tua figlia dopo quel brutto incidente… >>
A quelle parole la voce della donna si fece ancora più tagliente e Jane Kutner affermò freddamente:<< Io ho solo un figlio maschio. >>
Sembrò quasi che quelle parole avessero distrutto un vetro che sembrava aver isolato Tucker per tutto quel tempo; che cosa stava dicendo? Si era dimenticata di sua figlia? << No… Cosa dici, Jane? >>
La donna cercò di ignorare il suo sguardo confuso e raddrizzò la schiena. << Mi dispiace signore, ma sta cominciando ad inquietarmi. E dato che non so chi lei sia, le chiedo di andarsene. >>
<< No… >> Continuava a sussurrare lui. Jane Kutner si alzò dalla panca e cercò di allontanarsi. Tucker le andò dietro. << Jane, come puoi non ricordare? >> Cominciò a dire ad alta voce, facendosi notare da tutti i passanti nel corridoio.
<< Signore, la avverto: se questo è uno scherzo per farmi stare ancora peggio, è di pessimo gusto! >> Lo minacciò lei alzando un dito e cercando di allontanarsi ancora. Ora sembrava che Tucker la stesse importunando e che la signora Kutner non avesse idea di chi fosse lui. Nella voce della donna si poteva sentire un cenno di pianto, come se stesse lottando per non mostrare di essere stata ferita dalle dichiarazioni dello sconosciuto.

<< No! >> Urlò infuriato Tucker dopo quella minaccia da parte della donna. << Non può essere! >> Continuò a gridare muovendosi spasmodicamente e sbattendo i piedi per terra. Un infermiere nel corridoio scattò verso di lui quando lo vide reagire a quel modo e dopo aver rivolto una rapida occhiata alla signora Kutner, che stava cercando con lo sguardo qualcuno che la potesse aiutare; placcò l’uomo cercando di allontanarlo da lei. << Non puoi esserti dimenticata di Jennifer! >> Esclamò infuriato mentre la donna approfittava dell’intervento dell’infermiere per allontanarsi da quello sconosciuto. Tucker si dimenò dalla stretta del ragazzo e si mise una mano nelle tasche, tirando fuori un foglio tutto spiegazzato e accartocciato. << Guarda! >> Disse spalancando gli occhi mentre lo apriva, mostrando un volantino di una persona scomparsa con sopra stampata la foto di una ragazzina bionda attorno ai tredici anni, dai lineamenti dolci e gli occhi azzurri. << Questa è Jennifer! Tua figlia! Come fai a non ricordartela?! >>
La signora Kutner non sembrò riconoscere il viso della ragazza e tutto quello che fece fu continuare a indietreggiare, rivolgendo sguardi spaventati a Tucker e all’infermiere dietro di lui. << Vada via… >> Mormorò cominciando ad ansimare in preda al panico.
<< No… >> Fu la risposta di Tucker, che fece un passo verso di lei con l’intento di farla ragionare.
<< Signore… >> Cominciò ad attirare la sua attenzione l’infermiere, che gli mise una mano sulla spalla. Prima che uno dei due potesse fare qualsiasi cosa, la signora Kutner lanciò un urlò disperato chiudendo gli occhi e mettendosi le mani alle orecchie, con l’intento di non voler più ascoltare Shaun Tucker.
<< VADA VIA!!! >> Fu la supplica di Jane Kutner rivolta a Shaun Tucker che lasciò senza parole tutti i presenti. Tucker la guardò sconsolato, deluso, triste; era successo qualcosa durante la sua assenza, e per qualche motivo ora Jane Kutner non voleva più vederlo. Forse era già impazzita, e ora voleva allontanare ogni ricordo che potesse farla stare ancora peggio, oppure era lui quello che aveva perso la ragione, credendo di essere stato parte della vita di quelle persone. Come era possibile? Era davvero pazzo?
Tucker abbassò lo sguardo sconsolato, i suoi occhi non trasmettevano più alcuna emozione. << Io vi consideravo già famiglia… >> Sussurrò con voce rotta. Non si mise a piangere, avrebbe solo peggiorato le cose, ma avrebbe tanto voluto farlo…
Al tocco sul braccio dell’infermiere che era arrivato a soccorrere la signora Kutner, Tucker si mosse, allontanandosi dalla donna senza dire una parola, seguendo le indicazioni del ragazzo senza fare storie.
Fuori l’aria era più fredda di quando Tucker era entrato nell’ospedale; anche quella sensazione era solo frutto della sua immaginazione, oppure quel freddo insolito in una mattinata primaverile era vero? Fortunatamente lo avevano lasciato andare senza bloccarlo lì o fargli domande; non avrebbe saputo rispondere, in ogni caso… Non sapeva più a cosa credere. Guardò a terra, un prato verde e fresco; sembrava vero, ma Tucker avrebbe giurato di sentire delle risate di bambini provenire da quel prato. Non era possibile, era la prova che stesse impazzendo? Eppure, alzando lo sguardo vide un gruppo di bambini dell’ospedale che giocavano tra quei fili d’erba così vispi da sembrare irreali.
Tucker si diede un colpo sulla tempia e scosse la testa con poca decisione. Che stava succedendo? Osservò la strada di fronte a sé, poi alzò gli occhi al cielo e vide delle nuvole bianche coprire di tanto in tanto il Sole. << Maledizione… >> Mormorò affranto abbandonandosi ai lamenti.
 
*
 
<< Fa freddo oggi… >> Commentò Kate stringendosi nelle braccia. Forse avrebbe dovuto mettere qualcosa sopra a quella maglietta col teschio che aveva scelto quella mattina; in fondo si era detta: “farà caldo”!
Tommy le rivolse uno sguardo divertito; sembrava davvero carico quel giorno, come se non avesse nessun pensiero per la testa. << Dici sul serio? >> Chiese ridendo. Voleva farle credere che non avesse freddo, ma Kate non ci cascava: lo vedeva rimanere sul posto immobile come una statua per evitare di disperdere quel poco di calore che aveva accumulato. Era una mattinata ventilata, non era normale, nel cielo diverse nuvole scorrevano rapide, aprendo varchi azzurri e richiudendoli dopo poco; il sole c’era a tratti, e Kate non sapeva cosa pensare di quel tempo.
La ragazzina si girò verso Tommy con sguardo di disappunto. Si fermò e lo fissò, facendolo fermare a sua volta. << Dici sul serio? >> Gli rispose con lo stesso tono che aveva usato lui prima, facendolo ridere. Il ragazzo si avviò per la sua strada, seguito subito dopo da Kate.
Erano appena usciti da scuola, Kate non si aspettava quel tempo strano; quando era uscita di casa per andare a scuola, non le era sembrata una brutta giornata, e ancora non si poteva definire tale, però da come mutasse in fretta il cielo, sarebbe sembrato che quel mercoledì potesse diventarlo…
<< Ehi, senti… >> Mormorò Tommy tirando su lo zaino dalle bretelle. Kate mosse piano la testa verso di lui. << Che ne dici di andare a vedere un film, questo finesettimana? >> Chiese sorridendo amichevolmente, sperando che la ragazza accettasse.
Kate sorrise; era ovvio che Tommy pendesse dalle sue labbra, ma si divertiva a vederlo in quello stato, desideroso di un “sì” da parte sua. << Non ti è bastata l’altra volta? >> Chiese riferendosi al sabato che avevano passato assieme al cinema. << Mi sembra che tu ti fossi particolarmente divertito! >> Ridacchiò sapendo che Tommy avrebbe cercato qualche modo per contestare quella cosa.
<
>> Chiese guardandosi intorno, con il tono di qualcuno che veniva scambiato per qualcun altro.
A quel punto Kate rise, pensando che la stesse prendendo in giro; era ovvio che volesse un altro appuntamento. << Certo
… >> Disse facendo roteare gli occhi con un sorrisetto furbo. << L'altra volta eri così eccitato che dovemmo trascinarti fuori dalla sala, dopo la fine… >> Lì Tommy la interruppe.
<< Quale altra volta? >> Chiese il ragazzo confuso. << Noi non siamo mai andati al cinema. >> Le disse guardandola piegando la testa da un lato. Kate si fermò a guardarlo.
<< Come no… >> Si fermò prima di dire altro, ricordando come fossero andate le cose. Lei non aveva voluto andare al cinema con lui, quella volta. Era stata convinta. << Giusto. Scusa, devo essermi confusa… >> Tommy annuì tornando a camminare. << Comunque ci eravamo dati appuntamento alla festa, sabato! >> Cercò di ribattere per non lasciare che il ragazzo le facesse domande sul cinema.
Tommy roteò gli occhi quando Kate menzionò la festa. << Oh sì, bella la festa, specialmente dopo averla passata da solo come un cane! >> Si lamentò con un po’ di rimprovero nella voce. Non voleva accusare Kate di averlo lasciato solo, il suo tono faceva capire che stesse scherzando. Kate si difese a tono, sempre scherzando.
<< Bé, scusa, ma quando devi insegnare a un essere spietato a trattenersi, non puoi prenderti molto tempo per te! >> Kate piegò la testa verso Tommy e sorrise innocentemente; voleva vedere come avrebbe reagito.
Tommy spalancò gli occhi e piegò un labbro. << Ah, scusa allora! >> Rispose alzando le mani come per difendersi e voltandosi dall'altra parte. I due si misero a ridere e continuarono a camminare con il sorriso sulle labbra. Dopo un po’, però, Tommy riprese a parlare. << No, però ascolta: non sforzarti troppo. So che vuoi proteggere gli altri, ma non spingerti al limite. >> Cercò di raccomandarsi; che carino che era, preoccupandosi per Kate, che non si facesse troppo male.
<< Chi dice che voglio proteggere gli altri? >> Chiese lei con voce bassa e tono disfattista. Tommy la ignorò, credendo che si stesse svalorizzando un'altra volta. In realtà Kate ormai stava benissimo, Slend non le faceva nulla di male, era felice di stare con lui; non si voleva sminuire in qualche modo dicendo che stava facendo tutto quello per salvare gli altri, ma voleva dire la verità e dire che lo faceva anche per un certo piacere personale.
Tommy si fermò e gli chiuse una mano tra le sue, guardandola negli occhi. << Se ho capito bene, è pesante sopportarlo tutti i giorni. Rilassati di tanto in tanto, va bene? >>
Kate era sorpresa; non si aspettava simili parole in un momento come quello, da parte di Tommy. Era sicura del fatto che il ragazzo tenesse a lei, e sapeva bene che l’avrebbe aiutata in ogni modo se lei glielo avesse chiesto, ma non riusciva a crederci in quel momento, come si era imposto in così poco tempo per farle una raccomandazione: di non stressarsi. E il tutto per un appuntamento?
Kate cercò di non mostrarsi sconcertata, nonostante i suoi occhi la tradissero. Sorrise e distolse lo sguardo per recuperare un po' della propria dignità. << Quindi mi stai dicendo che dovrei staccare la spina un momento e uscire con te? >> Chiese con tono divertito, prendendo alla sprovvista il ragazzo.
Lui strinse le spalle facendo andare a destra e a sinistra lo sguardo. << Bé, non è che tu debba sentirti obbligata, ma visto che lo hai nominato, ti andrebbe di andare al cinema, questo… >> Prima che potesse completare di nuovo l’invito, Kate lo zittì mettendogli un dito sulle labbra e gli sorrise. << Va bene. >> Disse con uno sguardo fiducioso, volendogli comunicare la sua felicità per l’affetto del ragazzo.
Tommy sorrise incerto e annuì rapidamente senza dire una parola. Kate tolse il suo dito dalle labbra del ragazzo e tornò a camminare, seguita da lui che andava a una velocità leggermente maggiore, ma che doveva rallentare di tanto in tanto. Kate era pensierosa; non sapeva bene cosa avesse, era come se quei ricordi condivisi con Tommy l’avessero gettata in uno stato di depressione che non avrebbe mai voluto provare; tutti e due gli episodi che avevano ricordato erano stati vissuti da tre persone: Kate, Tommy e una terza persona che ormai non si poteva più nominare. Si sentiva male a pensare a quello, non le sembrava giusto…
Senza accorgersene, Kate pesto un foglio di carta stropicciato sul marciapiede. Era stato trasportato dal vento fino a là, dove poi la ragazza lo aveva bloccato con la scarpa; ancora si agitava, mosso dall’aria che lo aveva portato prima. Kate non sapeva bene perché, ma si fermò a guardarlo, e di conseguenza si fermò anche Tommy, che abbassò lo sguardo confuso. << Che cos’è? >> Chiese mentre la ragazzina si abbassava per raccoglierlo.
Una volta sollevato, Kate fu inondata dal dolore e dai sensi di colpa: era un volantino su una persona scomparsa con sopra una foto di una ragazza bionda dagli occhi azzurri. Quel volto non avrebbe dovuto muoverla così emotivamente; tecnicamente lei non aveva idea di chi fosse quella ragazza, come Tommy, ma non poteva mentire a sé stessa, non riusciva a fare finta di niente.
Mentre Kate nascondeva la propria bocca con una mano per non far notare troppo la sua espressione addolorata, Tommy si sporgeva in avanti per vedere meglio quel volantino. << Chi è? >> Chiese con tono confuso. Giustamente, era confuso: non aveva idea di chi fosse quella ragazza sul volantino ed era sicuro di non averla mai vista da quelle parti.
<< Non lo so… >> Mormorò Kate mantenendo lo sguardo basso e restituendo il foglio al vento, che lo avrebbe portato lontano da lì, dove forse avrebbe ricevuto più considerazione.
Tommy seguì con lo sguardo il foglio di carta che volteggiava via, poi si girò verso Kate per capire come mai la ragazza si fosse fatta così cupa all’improvviso, ma la vide allontanarsi in silenzio, e allora la seguì senza fare domande, capendo che non avrebbe dovuto parlare.

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Capitolo 67
*** Convinzioni ***


Tucker se ne stava sotto al portico di casa; era poggiato con la schiena a una piccola colonna portante del portico e teneva le braccia incrociate. I suoi occhi non si staccavano dalla casa accanto, era concentrato sull’altro portico, sicuro che sarebbe uscito qualcuno da lì che lo avrebbe potuto aiutare.
Era la prima volta che Shaun Tucker si sentiva così perso; non aveva idea di cosa stesse succedendo. Le persone che aveva frequentato fino a pochi giorni prima sembravano non riconoscerlo più, la città era piena di volantini con la faccia di Jennifer stampata sopra, ma nessuno aveva idea di chi si trattasse; persino Jane Kutner sembrava aver dimenticato la sua stessa figlia.
Digrignò i denti quando ripensò a quella cosa: Jane Kutner che non ricordava più il nome di sua figlia. Sembrava una balla. Quella donna non avrebbe mai potuto dimenticare un suo figlio, e lo dimostrava come si stesse penando per Jamie, ma cosa poteva essere successo allora? Tucker aveva fatto un ipotesi: che Jane Kutner fosse stanca di tutte quelle disgrazie che l’avevano colpita, e che dopo aver ricevuto la notizia della scomparsa della figlia, avesse deciso semplicemente di ignorare tutto. Era una donna forte, ma la volontà di chiunque poteva essere spezzata, e tutto quello doveva essere stato troppo da sopportare. Quando l’aveva incontrata, quella mattina, le era sembrata diversa, sconfortata, come se si fosse arresa… E forse era proprio così. Ma Tucker non si spiegava perché avesse dimenticato anche lui. I due si erano incontrati grazie a Jennifer, era per questo che lo aveva rimosso dalla memoria?
Tuttavia, la colpa di tutto quello non era di certo di Jane Kutner, né sua o della ragazza… C’era qualcosa di più grande al di sopra di loro, che tirava i fili di quel teatrino degli orrori, e Tucker era stufo di seguire i suoi ordini; stava facendo proprio come voleva lui, sin dall’inizio, e lo sapeva, ma cosa poteva fare per liberarsi dalle catene? Lui, Jane Kutner, Jennifer e anche Kate, erano tutti quanti delle marionette nelle mani di Slender Man, e quel mostro era capace di ucciderli con un dito, se solo lo avesse voluto. Sapeva che era stato lui a far sparire Jennifer, sapeva che lui aveva traumatizzato Jamie, sapeva che aveva soggiogato Kate e presto l’avrebbe uccisa. Doveva fare qualcosa, e presto!
La tua testa scattò quando sentì la porta della casa accanto aprirsi e seguì con lo sguardo la ragazzina dai lunghi capelli neri che scendeva gli scalini del portico per andare in giardino; lei non aveva idea di quanto fosse in pericolo, ogni secondo della sua vita… << Ehi, Kate! >> Chiamò finalmente staccandosi da quel sottile pilastro di legno dipinto di bianco e alzando un braccio, facendo andare nella tasca l’altra mano.
La ragazzina si girò non appena sentì la sua voce e sorrise cordialmente quando lo vide. << Buonasera, signor Tucker. >> Salutò avvicinandosi alla staccionata che separava le due case. Tucker attraversò con calma il giardino per avvicinarsi, anche se avrebbe voluto correre incontro a Kate per poterle fare tutte le domande che aveva il prima possibile, ma dovette trattenersi: doveva agire con calma, senza destare sospetti.
Tucker girò lo sguardo verso l’orizzonte, guardando per un attimo il tramonto, poi tornò a guardare Kate dopo aver preso un bel respiro. << Ciao. >> Disse semplicemente. << Giornata noiosa? >> Chiese tornando a guardare da un’altra parte.
Kate si girò verso la stessa direzione di Tucker. << Non esattamente… >> Mormorò mettendosi un dito sulle labbra. << Io direi più “strana”. >> Concluse tornando a sorridere a Tucker.
L’uomo annuì; era d’accordo con lei, nonostante intendesse qualcosa di diverso per “strano”. << Già… Davvero strana… >>
Kate si strinse tra le braccia. << Questo freddo è davvero insolito, non me lo aspettavo proprio questa mattina! >> Kate ammiccò ridacchiando mentre finiva la frase.
Tucker si ricordò di quell’aria fredda che aveva investito la città quella mattina e annuì dubbioso. << Già… >> Rimase in silenzio a fissare la ragazzina che ruotava piano il busto. << Ascolta… >> Cominciò incerto; non sapeva come cominciare quel discorso, ma ci doveva provare; sarebbe bastato cominciare a parlare, si sarebbe districato tra le parole con naturalezza. Kate lo guardò interessata non appena disse quella prima parola.
Tucker si passò una mano sul collo e alzò lo sguardo sospirando. << Stamattina sono andato all’ospedale a trovare Jane… >> Si interruppe e dopo aver visto lo sguardo corrucciato di Kate si corresse subito. << La… Signora Kutner… >> Mormorò deluso, sentendosi già perso. << Ma… Quando mi ha visto, non mi ha riconosciuto. Diceva di non conoscermi e di non ricordare neanche Jennifer… >> Spiegò mantenendo lo sguardo basso. << Tu ne sai qualcosa? >> Chiese tirando un lungo respiro alla fine.
Kate lo guardava confusa; sembrava non credere alle sue parole. << Che cosa…? >> Mormorò abbassando la testa.
Tucker prese subito la parola:<< Lo so! E’ pazzesco, vero? >> Commentò agitando le braccia. << Ho pensato che abbia deciso di allontanare tutto quello che le ricordi sua figlia… Per non provare altro dolore, ma… Forse tu ne sai di più… >> Tucker alzò lo sguardo speranzoso verso Kate; una parte di lui sperava che la ragazza confermasse quella sua teoria, ma un’altra parte di lui sperava il contrario, che Kate negasse tutto, perché quello avrebbe significato che la donna si fosse arresa…
Kate stava con un sopracciglio inarcato e la bocca mezza aperta a fissare Tucker. << Di che cosa sta parlando, signor Tucker? >> Chiese spiazzandolo. L’uomo si sentì come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco. << Eh?! >> Chiese con voce tremante.
Kate scosse la testa, assumendo una posa ingobbita. << Non so di chi stia parlando, signor Tucker. E’ sicuro di non essersi confuso? >> Chiese con tono strano. Tucker non l’aveva mai sentita parlare così, non stava mentendo.
Si schiarì la voce e si guardò intorno un paio di volte prima di riuscire a trovare le parole da rivolgere alla ragazzina. << Ehm… Kate? >> Chiese cercando di capire se lo stesse prendendo in giro. << Non ricordi la signora Kutner, la… Mamma di Jennifer…? >> Mormorò con voce impercettibile, temendo quasi che potesse scatenare qualche reazione terribile se avesse alzato la voce. Non poteva aver dimenticato la sua migliore amica. Tucker avrebbe compreso le ragioni di Jane Kutner, ma non quelle di Kate.
Kate scosse di nuovo la testa con sguardo fisso ed espressione ingenua. << Non conosco nessuno. >> Rispose secca disintegrando le certezze di Shaun Tucker.
L’uomo la fissò per un attimo trattenendo il respiro. Si girò mettendosi una mano alla fronte sussurrando:<< Non è possibile… > Poi si girò di nuovo verso di lei e le mostrò lo stesso volantino che aveva mostrato alla signora Kutner quella mattina. << Non riconosci questa ragazza? >> Chiese incredulo, cominciando ad ansimare.
Kate sembrò esaminare con attenzione la foto sulla fotocopia, vi rimase sopra per alcuni secondi che sembrarono non passare mai, ma quando indietreggiò scuotendo la testa distrusse completamente le speranze di Tucker.
L’espressione di Tucker si imbronciò gradualmente. << Dunque anche tu… >> Mormorò abbattuto. << Non riconosci più la tua migliore amica… >> Concluse la frase abbassando del tutto il foglio che teneva in mano. Abbassò lo sguardo fino a guardare a terra sconfortato.
<< Signor Tucker, è sicuro di stare bene? >> Chiese Kate cercando di intercettare il suo sguardo.
Tucker non sapeva cosa fosse peggio: Kate che non ricordava più Jennifer, o il fatto che non gli credesse. << No. >> Mormorò atono. << Scusami. >> Aggiunse con lo stesso tono voltandosi e dirigendosi verso casa.
Kate rimase lì, a guardarlo confusa.
 
*
 
Non appena il signor Tucker ebbe chiuso la porta di casa sua dietro di sé, Kate tirò un sospiro di sollievo e si voltò chiudendo gli occhi per un istante. Era stata fortunata ad avere quella idea improvvisa: se la sua migliore amica non fosse mai esistita, allora lei non avrebbe mai potuto conoscere la sua madre, quindi non avrebbe potuto ricordarsene in quel momento. Si concesse un sorrisetto per la sua abilità nel far sembrare vera una bugia e sospirò di nuovo, sentendosi dieci volte più leggera di prima. Quando Tucker l’aveva chiamata, il suo cuore aveva cominciato a battere all’impazzata e aveva cominciato a chiedersi cosa volesse dirle e a come avrebbe potuto rispondere. Poi, dopo aver sentito la domanda si era sorpresa, ma era riuscita a mantenere il sangue freddo e a uscire da quella situazione. Era stata dura, ma non aveva sudato, almeno…
Ma come fa Tucker a sapere della signora Kutner? Si chiese alzando lo sguardo. Se quello che aveva ipotizzato poco prima era vero, Tucker non avrebbe mai dovuto incontrare Jane Kutner, e quindi nemmeno ricordarsene. E allora perché le aveva parlato di lei? Si voltò a guardare la casa di Tucker per un istante, immaginando che lui fosse dietro a una finestra a spiarla in quel momento. Le faceva pena…
Scosse la testa con superiorità e si avviò verso l’entrata di casa.

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Capitolo 68
*** Complicazioni ***


Ti ha chiesto di lei? Fece Slend leggermente sorpreso.
Kate annuì continuando a camminare nella stanza. Andava avanti e indietro per la sua camera tenendo le braccia conserte, con gli occhi puntati davanti a sé, mostrando un certo disappunto. Slender Man aveva quasi paura di incontrare il suo sguardo. << La domanda è: “come”? >> Chiese infastidita Kate smettendo di camminare e girandosi verso di lui. Come faceva Shaun Tucker a ricordare tutto quello che avrebbe dovuto dimenticare?
Slend strinse le spalle. Non ne ho idea. I miei poteri non hanno limiti… Era vero, non potevano esserci persone immuni all’influenza di Slender Man, potevano esserci solo persone forti come lei, capaci di sopportare quell’influenza… Ma se Slender Man cancellava la memoria a qualcuno, non c’era via di scampo; era così e basta!
<< Quindi perché Tucker ricorda ancora la signora Kutner? >> Si chiese frustrata Kate puntandosi ripetutamente la mano sulla fronte. << Cosa è successo? >>
Slender Man sembrò avere un’illuminazione. Hai detto che quell’uomo aveva delle protezioni contro di me in casa sua? Kate si girò verso di lui, ricordandosi quelle protezioni di cui le aveva parlato il signor Tucker due giorni prima; lei stessa aveva sentito un cambiamento nell'aria e nella propria mente, appena varcata la soglia della casa del vicino.
<< Può impedirti di cancellargli la memoria? >> Disse incredula Kate avvicinandosi rapidamente a Slend.
Può darsi. Rispose rapidamente lui. Da quello che mi hai detto, sembrerebbe di sì.
Kate rimase a fissare Slender Man in faccia per un attimo. << Non è possibile. >> Disse improvvisamente tornando a camminare avanti e indietro per la stanza. Era vero che Tucker fosse un uomo imprevedibile e pieno di risorse, ma poteva davvero sfidare a quel modo l'autorità di Slender Man?
Le protezioni sono sulla sua casa o su di sé? Chiese Slender Man prendendo la situazione in mano. A Kate sembrò un investigatore che chiedeva informazioni sul colpevole.
<< Non lo so, non lo so! >> Fece Kate strofinandosi la fronte con ferocia. << Sulla casa, credo! >> Sbottò allargando le mani di scatto. << Ma potrebbe anche avercele addosso, non lo so… >> Tornò a girare per la stanza come una dannata. Quella notizia l’aveva sconvolta, poteva compromettere tutto: se Tucker fosse andato in giro parlando di persone scomparse avrebbe potuto destare di nuovo sospetti su Slender Man, e quindi vanificare tutto quanto. Però andare in giro a parlare di un mostro che fa sparire la gente avrebbe potuto renderlo un folle agli occhi di tutti, quindi la gente lo avrebbe ignorato. Inoltre, se avesse parlato di qualche persona scomparsa, nessuno avrebbe mai creduto a Tucker, poiché quella persona non sarebbe mai esistita. La situazione non era tanto tragica, vista con un po’ di razionalità. Poteva tornare a loro favore.
<< Forse non siamo messi molto male… >> Mormorò raddrizzando la schiena e abbassando le mani che aveva affondato tra i capelli. Si lasciò sfuggire un sorrisetto. << Tucker non potrà fare nulla: verrà additato come pazzo se andrà a denunciare la scomparsa di qualcuno. >>
Slender Man prese la parola: E le morti degli ultimi giorni? Si riferiva a Becky Johnson, il signor Anderson, il figlio della signora Kutner… Kate si voltò guardandolo.
<< Non gli crederanno. >> Disse girandosi completamente verso di lui. << Non ci sono prove su di te, e poi
… >> Sorrise malignamente. << Hanno troppa paura per credere a qualcosa di soprannaturale. Sono solo dei vigliacchi impauriti. >> Slender Man non reagì a quella dichiarazione da parte di Kate e rimase ad attendere. << Il povero Tucker finirà per credersi folle a sua volta, dopo poco tempo. >>
Era diabolico. Slender Man avrebbe voluto commentare quei pensieri di Kate, ma si sentì così intrigato da quella ragazzina che non poté fare altro che chiedere: Vuoi che me ne occupi io?
La ragazza si voltò scuotendo una mano. << Non ne vale la pena. >> Disse avvicinandosi alla finestra e guardando attraverso le persiane tenendosi una mano sul mento, mentre l’altro braccio le cingeva la vita. Anche se dall’altro lato della finestra non ci fosse niente, né tantomeno la casa di Shaun Tucker, Kate rimase lì a fissare come se ci fosse proprio il suo vicino, ignaro di tutto quello che stava pensando la ragazza su di lui in quell’istante. << Tucker è innocuo. Si distruggerà da solo. >> Concluse sorridendo.
Slender Man non seppe come reagire a quell’affermazione. In quella circostanza sarebbe stato zitto, ma sentì che Kate non si sarebbe fermata, quindi attese che continuasse, dopo aver finito di contemplare quel Tucker immaginario dall’altra parte della finestra.
<< C’è una cosa più urgente di cui dobbiamo preoccuparci ora. >> Sbottò voltandosi e schioccando le dita in aria. Slender Man la seguì con lo sguardo, sapendo che si sarebbe spiegata a breve. La ragazzina aprì la porta e si fermò con una gamba fuori dalla stanza sorridendo in modo strano. Girandosi e mettendo la testa tra la porta e la guarnizione a lato disse:<< Farti accettare dagli altri! >> Detto questo chiuse la porta rapidamente, lasciando confusione nella testa di Slender Man, che però rimase lì ad aspettare.
Una volta fuori dalla propria camera, Kate tirò un lungo sospiro e riacquistò la compostezza che avrebbe dovuto normalmente avere. Se si fosse presentata in quello stato ai suoi genitori, l’avrebbero creduta strafatta o ubriaca… Dopo essersi liberata con un brivido, Kate riuscì a riacquistare quell’ordine che aveva perso discutendo con Slender Man. Si girò e raggiunse la rampa di scale che portava al piano di sotto.
Mentre scendeva le scale, Kate sentiva i rumori del piano terra raggiungere le sue orecchie rese più sensibili dall’influenza di Slender Man: suo padre era nel salone alla sua sinistra, seduto sul divano a guardare la televisione, mentre sua madre era in cucina, stava armeggiando con delle stoviglie, preparandosi per fare la cena. Kate sentiva i passi della madre violentare i suoi timpani ogni volta che risuonavano liberi nella stanza di sotto: indossava scarpe col tacco, come sempre, e producevano un gran frastuono ogni volta che si muoveva.
Cercò di ignorare quel dolore alle orecchie e scese le scale raggiungendo la cucina, dove la luce del lampadario in alto la accecò per un istante. Sua madre le sorrise quando la vide. << Kate, la cena non è pronta ancora. Cercavi qualcosa? >> Chiese cordialmente rivolgendole lo sguardo per un attimo.
Kate si mise una mano davanti agli occhi per abituarsi alla luce della stanza e si avvicinò alla madre; passare dalla penombra dell'entrata alla luce abbagliante del lampadario in cucina non era facile per lei, nelle sue condizioni, ma in pochi secondi poté abbassare la mano, riuscendo a sopportare quel bagliore. Decise di assumere un sorriso innocente con cui salutare la madre e unì le mani dietro la schiena stendendosi in avanti, cercando di suonare più naturale possibile. << Mamma… >> Disse con vocina acuta simile a quella di una bambina. << Che cosa c’è per cena stasera? >>

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Capitolo 69
*** Cena ***


Le posate tintinnavano delicatamente durante la cena. I due adulti presenti non muovevano gli occhi dai loro piatti, mentre la ragazzina continuava a girare lo sguardo da loro all’ospite che aveva portato quella sera. Si stava davvero divertendo: il suo sorriso era il più genuino che avesse mai assunto, e non stava facendo niente per nasconderlo. I suoi genitori si sentivano minacciati dalla presenza di Slend, ma lei sapeva che non c’era niente di cui preoccuparsi.
Sta andando tutto alla perfezione. Pensò Kate rivolta verso Slender Man, sapendo che il suo amico l’avrebbe sentita. Quello stava con la schiena dritta, perfettamente aderente alla sedia su cui era seduto, molto più piccola di lui sfortunatamente. Teneva la testa alta e lo sguardo dritto, ma quando Kate gli parlò con la mente, le fece un piccolo cenno, per esprimerle il suo consenso.
In realtà, dalla situazione non sembrava che stesse andando tutto bene: i genitori di Kate non degnavano Slender Man di uno sguardo, spaventati com’erano, ma volevano anche parlare, volevano capire cosa fosse successo alla loro figlia e come fare per poterla far rinsavire e allontanarsi da quel mostro… Non capivano che Kate era felice con lui, non voleva lasciarlo. E per questo voleva che loro lo conoscessero come lo aveva conosciuto lei; avrebbero imparato ad apprezzarlo, e dopo sarebbero stati gli altri a conoscerlo, e presto Slend sarebbe stato accettato come un qualunque cittadino.
Probabilmente Slender Man stava esercitando la sua influenza sui genitori di Kate, nonostante avesse promesso di trattenersi; non poteva annullare completamente i suoi poteri, questo Kate lo sapeva, ma poteva fare in modo che i due adulti nella stanza non impazzissero a causa sua. Kate pensò che avrebbero potuto sopportare un po’ di dolore: lei ne aveva provato tanto…
Gli effetti sulle deboli menti dei due umani erano evidenti: il padre di Kate continuava a sudare, mangiando lentamente e bevendo molta acqua, mentre sua madre non riusciva a smettere di tremare, la sua forchetta tintinnava di continuo, a volte si lasciava sfuggire un gridolino, scusandosi con lo sguardo subito dopo, come se avesse fatto qualcosa che non doveva fare. Non avevano ancora capito che Slender Man non era lì per far loro del male, né per valutare la loro condotta con Kate: era andato lì per conoscerli come una persona normale, come se Kate avesse portato a casa un fidanzatino…
Kate fece notare quella situazione a Slend con uno sguardo serio: se continuavano a comportarsi così, non sarebbe andata come voleva Kate. Il suo sorriso sparì nell’istante in cui si rese conto della situazione. Si era anche vestita bene per quella cena; aveva messo quel vestito nero che aveva sognato, quello stesso vestito nero che l’aveva attirata a sé per comprarlo, sapendo che si trattasse di una occasione speciale. Doveva andare bene!
Improvvisamente dal tavolo cadde la forchetta della madre di Kate sollevando un forte tintinnio; la donna urlò un’altra volta, zittendosi subito mettendosi una mano davanti alla bocca e girandosi sulla sedia. Tutti quanti si girarono verso di lei a controllare cosa fosse successo e la donna si ritrovò in imbarazzo molto rapidamente. Sorrise con fare nervoso e cercò di dire qualcosa, ma dalla sua gola uscirono solo dei sospiri rauchi. Si abbassò per raccogliere la forchetta caduta accanto a sé, ma a quel punto trovò la mano di Slender Man a reggere la posata per lei.
Slend si era piegato drasticamente con la schiena per raggiungere il pavimento e afferrare la forchetta con la sua enorme mano; avrebbe potuto semplicemente muovere il braccio più vicino, abbastanza lungo da poter raggiungere anche il posto del padre di Kate, situato nel lato opposto del tavolo, ma preferì fare così, forse perché questo gesto gli avrebbe permesso di ritrovarsi faccia a faccia con la madre di Kate. Infatti il suo viso vuoto e bianco era adesso davanti a quello pallido e contratto della donna, e tra le dita della mano destra stringeva delicatamente la forchetta. Prego. Disse cercando di essere gentile, provocando una forte scossa che attraversò la colonna vertebrale della donna.
<< Grazie… >> Balbettò la mamma di Kate senza mai smettere di sorridere. Era davvero nervosa; si poté vedere in viso tutto il suo terrore non appena fu tornata al suo posto, ma Kate non lo notò: il gesto di Slender Man l’aveva incantata, era rimasta a fissarlo con occhi sognanti mentre si ricomponeva su quella sedia troppo piccola per lui. Era perfetto.
La situazione sembrava essere cambiata; dato che erano riusciti tutti a distendere i nervi, molto lievemente, la madre di Kate cercò di mostrare un po’ di gratitudine verso Slender Man per il suo gesto e parlò:<< Allora, Slender Man… >> Disse tremando non appena pronunciò il suo nome. Rivolse uno sguardo incerto verso Kate, che aveva di nuovo voltato gli occhi verso di lei; sembrava contenta. Lei si schiarì la voce per sembrare più sicura. << Ehm… Gradisci la cena? >> La donna assunse un largo sorriso quando si voltò verso Slender Man e sperò che l’essere non complicasse troppo la situazione.
A quella domanda, Slend girò la testa verso il piatto posto davanti a lui; non aveva toccato ancora niente, ma Kate non avrebbe pensato che non gli sarebbe piaciuta la cucina di sua madre: la donna non era una cuoca formidabile, ma sapeva cavarsela discretamente, e poi non sapeva nemmeno se Slend potesse mangiare… La cena era un pretesto per fargli incontrare la sua famiglia, era ovvio.
Dopo aver fissato a lungo e in silenzio il piatto di polpettone con patate cucinato in fretta dalla madre di Kate, Slend prese la propria forchetta e ne ammirò il profilo prima di portarla sul viso, dove avrebbe dovuto avere la bocca, come aveva visto fare ai genitori di Kate, e se la conficcò nella pelle bianca, senza il minimo fastidio. I due adulti rimasero a guardare quella scena senza parole, incerti su cosa dire. E’ molto buono, signora. Disse con calma girando la testa verso la donna, con ancora la forchetta conficcata nella pelle da cui neanche un rivolo di sangue usciva.
I genitori di Kate si guardarono attoniti, completamente incapaci di capire la logica di quell’essere strano che era entrato in casa loro, mentre Kate si colpiva la fronte con il palmo della mano, imbarazzata dal gesto ridicolo di Slender Man. L’uomo smilzo sembrò rendersi conto della scemenza che aveva fatto e cercò di rimediare, suonando sincero e dispiaciuto: Mi spiace signora, purtroppo io non posso mangiare, e quindi non potrei mai darle un parere sulla sua cucina. Cercò di sembrarle sincero, e nonostante potesse suonare così alle orecchie della madre di Kate, la donna non riuscì ad accogliere le sue scuse come una persona normale. Era una situazione troppo surreale per comportarsi come se niente fosse.
La mamma di Kate cercò di ricomporsi accarezzando il tovagliolo posto alla propria destra e sorrise impercettibilmente. << Non fa niente, Slender Man… >> Mormorò cercando di non far sentire il tremore nella propria voce.
Mi chiami pure Slend. Disse gentilmente lui piegando un po’ la testa.
La donna sorrise più profondamente e fece lo stesso gesto di Slender Man, più lentamente. << Slend. >> Riuscì a pronunciare senza perdere la voce. Dopo di quello tornò a mangiare con gli occhi bassi. In tutto questo, i due spettatori facevano guizzare gli occhi da una parte all’altra: Kate era contenta di vedere che sua madre tentasse di socializzare con Slender Man, mentre suo padre ne avrebbe fatto volentieri a meno.
A un certo punto, dopo che gli sguardi di Kate e Slend furono tornati sui propri piatti, la madre della ragazzina lanciò un’occhiataccia al marito, come per dirgli di provare a fare qualcosa, come stava facendo lei. L’uomo avrebbe preferito di no, temendo chissà quale reazione dell’essere, ma fu costretto a tirare fuori il coraggio e parlare; così, mantenendo lo sguardo sereno sul piatto cominciò:<< E allora, Slend… Da quanto tempo conosci Kate? >>
Per rispondere a quella domanda, Slender Man dovette riflettere un attimo: Venticinque giorni esatti, con questa notte. L’accuratezza della risposta lasciò sbalorditi gli adulti, che rimasero con gli occhi spalancati per alcuni istanti. Ma non è esatto dire che ci conosciamo da allora: in effetti, Kate mi ha conosciuto un po’ dopo del nostro primo incontro…
Kate si girò verso Slender Man e lo interruppe:<< Ora che mi ci fai pensare, stiamo per compiere un mese da quando ci siamo incontrati! >> Esclamò eccitata. << E’ come un anniversario! >> Sorrise contenta a Slender Man, che non poté che ricambiare con un cenno composto. Trascinata da quel suo stesso pensiero, Kate continuò a parlare:<< Lo sai che quest’anno mamma e papà compiranno quindici anni di matrimonio? Non è stranissimo? >> Continuava a sorridere come una bambina.
Slender Man si girò verso la madre di Kate e disse: Sul serio? Tanti auguri! All’augurio la donna sorrise imbarazzata facendo un piccolo cenno con la testa.
<< Pensa a noi due tra quindici anni, chissà come saremo… >> Continuò Kate a voce un po’ troppo alta. Non appena sentì quella cosa, il padre di Kate cercò di cambiare argomento più in fretta possibile.
<< Aspetta Slend… >> Disse fingendo di non essere turbato dall’affermazione della figlia. << Dici che lei non ti ha conosciuto subito… Cosa significa? >> Chiese col tono di una persona ragionevole, unendo le mani come per dire che fosse interessato dall’argomento.
Slender Man si girò verso di lui e si mise una mano sul petto mentre l’altra andava verso l'esterno. E’ semplice, vede: Kate mi ha conosciuto più tardi perché prima non aveva idea di chi io fossi. Io sapevo tutto su di lei, ma lei non sapeva niente di me. Alzò poi un indice come per puntualizzare una cosa. Però è una ragazza molto perspicace: ha sospettato della mia presenza sin da subito!
A quella affermazione i due adulti non seppero come reagire, e si guardarono l’un l’altro confusi. << Quindi… Stai dicendo che… La spiavi? >>
Kate fece roteare gli occhi un po’ imbarazzata. << Papà… >> Disse con tono scocciato. Il padre la guardò interrogativo, poi alzò le mani chiedendo scusa, dicendo che non voleva accusare nessuno di niente.
<< Mi stavo solo chiedendo come vi siate conosciuti… Deve essere stato imbarazzante… >> Cercò di giustificarsi lui girando attorno all’ostacolo.
Kate e Slender Man si guardarono e la ragazzina sorrise divertita. << Mi sono svegliata nel bel mezzo della notte a causa di un incubo e… Slend è venuto a consolarmi. >> Sorrise imbarazzata quando disse quella cosa e si avvicinò un po’ a Slender Man con la sedia, poggiando la testa al suo braccio, dritto e solido come il ramo di un albero.
In realtà il loro primo incontro non era andato esattamente così; Kate non era stata consolata per davvero da Slender Man, l’essere l’aveva spaventata la prima volta che l’aveva visto, e lei lo aveva respinto sperando che la lasciasse da sola, ma ora capiva che in quel momento Slend voleva solo aiutarla e farla sentire meglio con le sue parole, quando aveva cercato di spiegarle chi fosse e cosa le causasse la sua compagnia. Qualcuno che avesse potuto vedere come fossero andate veramente le cose al loro primo incontro avrebbe detto che ora Kate era stata soggiogata dal mostro e che non riusciva più a pensare con la propria testa, ma lei non la pensava così: credeva piuttosto che fosse lui a sottostare alle sue regole, come quando gli diceva di non guardarla mentre si spogliava, o di non seguirla ovunque andasse; Kate era riuscita a trasformare Slender Man in un essere più buono, con tanti sacrifici, e forse c’era ancora molta strada da fare, ma pensava di avere ancora la propria identità ben chiara e le proprie idee salde nella propria mente. Non avrebbe detto di essere influenzata da Slender Man in ogni cosa.
I due adulti si guardarono di nuovo quando Kate si appoggiò a Slender Man sorridendogli in quel modo così sognante e felice; che cosa aveva fatto alla loro figlia, quell’essere?
Suo padre si schiarì la voce:<< Che… Cosa fate solitamente quando siete insieme? >> Chiese guardando prima Kate e poi Slend. Temeva le possibili risposte.
I due lanciarono delle occhiatine divertite prima di lasciare che Kate rispondesse ridacchiando:<< Oh, lui è sempre con me, quindi tecnicamente facciamo tutto assieme, ma… Normalmente ci piace parlare… >> I genitori di Kate sembrarono tirare dei sospiri di sollievo dopo quella dichiarazione e Kate andò avanti. << Anche se agli inizi mi sono dovuta abituare alla sua presenza, e non è stato facile… >> Aggiunse alzando la forchetta e muovendola avanti e indietro. A quel punto i due adulti tornarono a guardarsi. Cosa voleva dire ora?
A quel punto il padre di Kate sembrò richiamare a sé tutte le sue forze per trovare il coraggio di fare la sua domanda a Slender Man. << Slend, ho una domanda per te… >> Disse con calma guardandolo serio. Slender Man si girò verso di lui. << Che cosa fai nella vita? >> Il padre di Kate unì le mani mettendole vicino al viso. Stava rischiando molto, chiedendo a Slender Man cosa facesse, ma Kate sapeva che non avrebbe fatto niente ai suoi genitori; la sua preoccupazione era un’altra: andava bene dire la verità a loro? E come avrebbero reagito se avessero saputo che Slender Man aveva ucciso centinaia di persone nel mondo? Come potevano dirglielo senza che si infuriassero?
Dopo un attimo di esitazione, Kate prese la parola sudando dal nervosismo. << Papà… Slend non è come una persona normale… Non ha un lavoro o… >>
Suo padre si mostrò calmo. << Lo avevo capito, Kate. >> Disse abbandonandosi allo schienale della sedia. Sembrava quasi aspettarsi quella risposta. << Ma per quanto singolare, qualsiasi esistenza deve avere uno scopo. Avrai qualche hobby, delle aspirazioni… >> Finito di parlare unì le mani sotto al mento, intendendo che avrebbe lasciato Slender Man parlare. Ecco che arrivava la parte antipatica di suo padre, quella che faceva andare su tutte le furie Kate e che significava sempre “no”. Se l’uomo si fosse alterato le cose avrebbero potuto complicarsi…
Slender Man sembrò essere colto alla sprovvista da quella domanda; rivolse il suo sguardo all’uomo con calma, in realtà, senza movimenti bruschi o scatti inaspettati, lasciò che i suoi gesti, solitamente grotteschi e inquietanti, apparissero armoniosi e delicati. Mi piace collezionare ricordi da tutto il mondo. Rispose con semplicità alla domanda, quasi deludendo il padre di Kate per la banalità della sua risposta.
<< Davvero? >> Chiese l’uomo spingendosi in avanti sulla sedia.
Slender Man annuì posando una mano sul bordo del tavolo. Avendo molto tempo libero, da sempre, mi piace viaggiare e scoprire i luoghi più affascinanti del mondo, luoghi dove ancora l’uomo non ha messo mano, dove non arriverà mai per rovinare quei capolavori della natura… Concluse la sua spiegazione con un piccolo cenno in direzione del padre di Kate. I due adulti si guardarono attoniti un’altra volta, mentre Kate sorrise soddisfatta verso Slender Man; quello le rispose con un piccolo cenno. In realtà, Kate non sapeva se Slender Man avesse mentito lì, oppure avesse detto la verità; non aveva mai pensato a come fosse Slender Man prima di incontrarlo, se non per il fatto che fosse un assassino, rapitore di bambini… Ora pensava che Slender Man avesse un’anima buona, nonostante le apparenze, e che non fosse stata lei a donargliela… Ora nascevano nella sua testa domande che non aveva mai fatto prima a Slend: cosa aveva fatto prima di rimanere rinchiuso nella vecchia villa della città per cinquanta anni, e dove era stato, quanto aveva vissuto fino ad allora? Per molte altre domande avrebbe dovuto aspettare, mentre a soddisfare la sua curiosità su una di queste ci pensò sua madre.
<< Slend, ma tu quanti anni hai…? >> La donna fece la sua domanda quasi con troppo slancio, temendo di non essere stata molto delicata, ma quando l’essere rispose con calma, la tensione si allentò.
Slender Man sembrò divertito mentre rispondeva guardando dritto verso di lei. In verità non saprei darvi una risposta precisa nemmeno io. Diciamo solo che ho vissuto molto più di voi, e vivrò ancora per molto tempo… Non appena concluse quella frase, i due adulti furono attraversati da un brivido lungo le loro colonne vertebrali; quella semplice informazione che sarebbe potuta sembrare una normalissima formalità, suonò alle loro orecchie come una minaccia.
Dopo aver riacquistato il contegno, il padre di Kate si rivolse alla moglie e le chiese di seguirlo un attimo nell’altra stanza. A quel punto i due adulti si alzarono scusandosi con Slend e Kate e li lasciarono lì. << Stai andando benissimo! >> Si complimentò a bassa voce Kate con eccitazione. << Come fai ad essere così bravo? >>
Ne sei sicura? Chiese Slender Man piegandosi verso la piccola Kate. A me sembra che siano ancora spaventati di me.
<< Questo è normale! Anche io avevo paura di te, i primi tempi. >> Rispose Kate muovendo una mano come per dirgli di non preoccuparsi di quello.
Tu però non volevi saperne di avere a che fare con me. Ribatté lui senza muoversi. E ci è voluto parecchio per conquistare la tua fiducia.
<< Tu non ti preoccupare e continua a comportarti come sai: sei un perfetto gentiluomo, mia madre è già conquistata! >> Disse Kate senza ascoltare le obiezioni di Slender Man, che sembrò non condividere il suo stesso pensiero, pur annuendo con poca convinzione.
I due tornarono con le schiene dritte e attesero il ritorno dei genitori di Kate, che non ci misero molto a riunirsi a loro; quando furono di nuovo nella stanza da pranzo, il padre di Kate le chiese di seguirlo un attimo fuori, mentre sua madre tornava a sedersi al suo posto a tavola e cominciava a intrattenere Slender Man.
<< Cosa c’è, papà? >> Chiese Kate camminando a passi rapidi dietro a suo padre. L’uomo sembrava nervoso. Si girò verso di lei sudando e mettendole le mani sulle spalle.
<< Kate! Che cosa ti ha fatto quell’abominio? >> Chiese terrorizzato sperando che la ragazza tornasse in sé, anche solo per quell’istante.
<< Che cosa? >> Chiese Kate confusa e con un certo scherno nella voce. Cercò di prendere quell’insulto come uno scherzo. << Di che stai parlando, papà? >> Chiese ridendo e cercando di distrarlo per cambiare argomento rapidamente.
I gesti elusivi di Kate non riuscirono a distrarre l’uomo, che insistette. << Kate! Ti sta ingannando! Ti ha riempito la testa con tutte le sue bugie e chissà cos’altro! E’ un mostro, come puoi non vederlo? >>
A quel punto Kate indietreggiò di un passo e rivolse uno sguardo minaccioso al padre. << Come puoi dire cose così cattive? Non lo conosci nemmeno! >>
Il padre di Kate sembrò fare fatica a trovare le parole; o aveva paura, oppure non sapeva cosa dire per convincere la figlia. << Non si deve conoscere un mostro per riconoscerlo! >> La ragazzina lo fissò con diffidenza aspettando una spiegazione che tardò ad arrivare. << Conosco le leggende che girano nella zona, ho sempre vissuto qui, credi che sia stupido? >> Kate continuava ad attendere con le braccia incrociate, decisa a non farsi convincere; era arrivata fino a lì con Slender Man, non poteva lasciare tutto all’improvviso! E poi Slender Man non l’aveva lasciata prima, perché avrebbe dovuto farlo ora? << “Lo Slender Man è un mostro senza volto che rapisce i bambini cattivi e se li mangia!” Questo è quello che ci dicevano da piccoli per non disobbedire. Non ho mai creduto a simili scemenze, fino ad ora… Mi hai dimostrato che tutte le storie sul paranormale che ci raccontavano da bambini sono vere! Di’ un po’, dove l’hai trovato, in una villa abbandonata? >> Sembrò provocarla mentre diceva quelle cose, quasi come se fossero risapute e solo lei ci fosse ingenuamente cascata.
Kate non poteva sopportare di sentirlo parlare così di Slender Man; che diritto aveva lui di giudicarlo a quel modo, non aveva idea di chi fosse realmente, si stava basando su vecchie credenze popolari che non facevano che aumentare la disinformazione e la paura. << Non è vero! >> Esclamò furiosa Kate, senza preoccuparsi di non farsi sentire nell’altra stanza. Suo padre sembrò spaventarsi quando la ragazzina lanciò quell’urlo pieno di rabbia, quasi come se immaginasse che Slender Man sarebbe arrivato a punirlo per averla infastidita. Che stupido! Patetico e fifone! Ecco cos’era realmente un adulto. << Non hai il diritto di dire queste cose! >> Continuò strillando Kate. Stranamente nessuno accorse dall’altra stanza, forse pensando che i due avessero bisogno di sistemare le cose tra loro. << Mi fai schifo! Non hai idea di quello che ho fatto io per accettare lui! E dopo che io vi ho praticamente spianato la strada e difeso sin dall’inizio, quando decido di presentarvelo, voi mi dite che sono pazza! >>
L’uomo sembrò in difficoltà. << Kate, ti prego, abbassa la voce… >>
<< NO! >> Strillò ancora più forte lei facendolo indietreggiare. << Sei solo spaventato da ciò che non comprendi, e non ti sforzi neanche un poco per superare questa paura! >>
<< Sono preoccupato per te, Kate! >> Esclamò il padre cercando di avvicinarsi a lei. Ma la ragazzina sfuggì alle mani del padre, che sembravano cercarla alla cieca nella stanza poco illuminata.
Questa volta Kate abbassò il tono e sorrise sarcastica. << Se foste stati preoccupati, vi sareste accorti da soli di quello che stava succedendo! >> Quella frase sembrò congelare l’uomo, che spalancò gli occhi tristemente. << E’ la verità. Mi avete abbandonata proprio nel momento del bisogno, quando ero completamente vulnerabile, confusa e spaventata. Mi avete liquidata con una scusa… >>
Suo padre si guardò intorno come per cercare una risposta nella stanza. << Il lavoro… >>
<< NON M’INTERESSA IL TUO LAVORO DI MERDA! >> Sbraitò Kate spingendolo con ostilità, interrompendolo ancora prima che potesse cominciare la sua frase. Prima che suo padre potesse trovare uno spazio per intromettersi nel discorso, Kate recuperò ossigeno in fretta e tornò a parlare, sentendo la respirazione farsi più affannata e il battito cardiaco accelerare. << Sono tua figlia! Dovrei importare qualcosa… >> Avrebbe voluto trattenere le lacrime che le stavano scendendo dagli occhi, ma non poté bloccarle, e allora scrollò con forza la testa, facendole schizzare via, nella speranza che il padre non le notasse. << Non sono un trofeo da esibire nei momenti più opportuni, e poi da nascondere quando indesiderato! Anche io ho dei sentimenti nonostante tutti mi credano un mostro! >> Mentre diceva quelle cose, l’espressione di suo padre si intristì; avrebbe voluto fare qualcosa, abbracciarla, dirle che avrebbe tentato di farla stare meglio, ma niente di tutto quello sarebbe servito, Kate non lo avrebbe mai ascoltato, perché lo odiava. << E anche lui… >> Kate alzò un braccio a puntarlo fuori dalla stanza, verso la cucina dove c’era Slender Man seduto con la madre della ragazza. << Anche Slend ha dei sentimenti, anche se sembra un mostro! >> Cercò di suonare convincente, furiosa, ma la sua voce era debole, rischiava di perderla da un momento all’altro, e non sembrava nient’altro che disperata in quel momento.
Il padre di Kate aveva perso ogni volontà di rispondere alla figlia. Se ne stava lì fermo, con le braccia inerti lungo i fianchi, con un’espressione sconsolata stampata in volto, nonostante non avesse niente di cui rattristarsi. Lui non capiva quello che voleva dire lei, non l’aveva mai ascoltata, e non l’avrebbe fatto ora, di sicuro.
Kate rise mestamente. << Ma in fondo che ci parlo a fare con te? >> Chiese senza aspettarsi una risposta dal padre; non l’avrebbe comunque ricevuta. << Sei un adulto, non capisci… Non vuoi capire, perché secondo te, tu hai sempre ragione. >> Il padre cercò di reagire a quelle frasi, quegli evidenti segnali di una mancanza di fiducia nei propri genitori, ma non riuscì a trovare un momento per farlo, né un modo con cui agire. << Anche il signor Tucker… Anche lui è come te, in fondo… >> Mormorò tristemente ripensando a Shaun Tucker e alla delusione che le aveva recato. << Solo che prima io mi fidavo… >> Aggiunse mestamente. << Ora non ho più nessuno. >> Concluse allargando le mani per poi farle ricadere lungo i fianchi.
L’uomo afferrò il senso delle ultime parole e cercò di fare leva su quello per convincere la ragazza a passare dalla sua parte. Nonostante tutte quelle cose che le aveva detto la figlia, lui voleva ancora convincerla ad ascoltarlo. << Che cosa diceva il signor Tucker? >> Kate non rispose; non voleva rispondere. << Che cosa ti ha detto per farti perdere la fiducia in lui? >>
<< Ha detto che Slender Man è un mostro. E anche lui non sa niente! >> Questa volta Kate rispose prontamente, senza nascondere l’astio nella propria voce. << E’ un adulto anche lui… Pensate tutti allo stesso modo! Io non voglio ascoltarvi! >> Si mise le mani a coprirsi le orecchie e si girò dall’altra parte, ignorando il padre.
<< No, Kate, ascolta! >> Esclamò lui facendola girare verso di sé con una mano. << Il signor Tucker ha detto questo. Tu ti fidavi del signor Tucker. Se non vuoi ascoltare me, ascolta almeno lui! >>
Kate si liberò dalla mano del padre e lo guardò con disgusto. << Tu odi il signor Tucker! Perché dovrei starti a sentire? >> Sarebbe stato capace di fare un patto col diavolo pur di raggiungere il suo scopo.
Suo padre sembrava disperato. << Perché la situazione è seria! >> Esclamò contraendo i muscoli del viso. Sembrava davvero spaventato in quel momento, Kate si sarebbe aspettata di vederlo scoppiare dalla pressione da un momento all’altro.
<< No! Voi non volete nemmeno provare ad ascoltare me, quindi farò quello che mi pare, come ho sempre fatto! >> Si voltò per uscire dalla stanza, ma suo padre la chiamò un’ultima volta, facendola voltare infuriata. << Che c’è? >> Chiese rapidamente, facendo intendere di non voler perdere altro tempo.
Suo padre alzò un dito e lo puntò verso di lei. I suoi occhi decisi facevano intendere che quello che stava per dare era un ordine, ma non avevano lo stesso impatto di sempre; aveva paura. << Non voglio vederti assieme a quel mostro. >> Disse puntandole il dito contro. Lo mosse di nuovo verso di lei scuotendo la testa. << Né in casa mia, né fuori… Devi stargli lontana! >>
Kate lo fissò impassibile finché non ebbe finito di parlare, poi si voltò senza neanche degnarlo di una risposta e tornò nella sala da pranzo, dove sua madre e Slender Man aspettavano ai rispettivi posti; mentre Slend stava con la schiena dritta e lo sguardo vigile, controllando attorno a sé di continuo, la mamma di Kate si era fatta più piccola possibile sulla sua sedia, come per nascondersi, o per ignorare il furioso litigio che aveva appena avuto luogo nell’altra stanza.
<< Andiamocene, Slend. >> Disse velocemente Kate entrando nella stanza e girando attorno alla tavola.
Sia Slender Man che la madre di Kate furono sorpresi da quella frase e la donna cercò di trattenerla:<< Tesoro, che dici? Non vuoi un altro po’… >>
<< No! >> La zittì fulminea Kate rivolgendole uno sguardo assassino che incusse terrore nella donna. A sentire quell’urlo, il padre di Kate tornò nella stanza a difendere la moglie.
Kate, forse non è una buona idea… Cercò di ragionare Slender Man senza muoversi dal suo posto. Ma Kate era sicura e non accettava obiezioni. << Ho detto andiamo! >> Ripeté a denti stretti costringendo Slender Man a rialzarsi con lo sguardo. Questa volta l’uomo alto e magro non si oppose e cercò di rivolgere un piccolo saluto alla madre della ragazza, mentre quella si dirigeva verso la porta della stanza. In quel momento sopraggiunse il padre di Kate.
<< Non osare rivolgerti a tua madre con questo tono, signorina! >> Esclamò infuriato puntandole di nuovo il dito contro. Girò attorno al tavolo cercando di raggiungere la figlia, ma lei fu più veloce e aggirò il tavolo al centro della stanza con agilità. << Hai portato un mostro in casa nostra, ci hai sempre mentito e ignorato e ora ti permetti di comportarti così con tua madre? >>
La mamma di Kate cercò di calmare l’uomo; lei aveva capito che non era il caso di far arrabbiare la figlia. << Caro, non importa… Lascia stare… >> Ma le sue suppliche furono inutili contro l’ira del padre.
<< NO! >> Tuonò l’uomo scrollando il braccio che la donna gli aveva sfiorato per poterlo calmare. Non voleva lasciare andare l’occasione per imporre la sua autorità; quando Kate gli disobbediva si sentiva male, si sentiva nessuno, senza realizzare il fatto che fosse “nessuno”. Lo faceva infuriare così tanto, dover abbassare la testa a una bambina, che non poteva rimanere in silenzio; doveva sempre aprire bocca. Non era adatto a fare il padre, ma questo Kate non glielo avrebbe detto, per risparmiare quel minimo di dignità che gli era rimasto… << Tu non vai da nessuna parte adesso! >> Esclamò fuori di sé. La sua voce era forte, ma non intimorì la figlia neanche un po’. << Sei matta! Ti faremo rinchiudere in un manicomio se sarà necessario a salvare te e gli altri! >> Quello non avrebbe dovuto dirlo. Non era lui a dover decidere se fosse matta o no. << Mi hai sentito, Kate?! Puoi scordarti questo atteggiamento strafottente che assumi ogni giorno con i tuoi genitori, dimenticati gli amici e le feste! Non uscirai più di qui se farai un altro passo! >> Stava esagerando. Si stava avvicinando lentamente, probabilmente con l’intento di afferrarla per non lasciarla scappare. Kate avrebbe aspettato ancora un po’ prima di perdere la pazienza, gli avrebbe dato ancora una chance… << E puoi dire addio a quell’abominio del tuo amico, SLENDER MAN! >>
A quel punto Kate non vide più niente. L’ira la accecò completamente e le sue mani si mossero da sole: si girò in un modo che non avrebbe mai creduto possibile e afferrò un coltello posto in cucina, vicino al lavandino; con una forza mai mostrata prima, la ragazza alzò il coltello affilato e lo piantò con rabbia nel tavolo, frapponendo il braccio fra lei e il padre, levando un forte rumore di legno che si spezza e tintinnio di posate. Dalla potenza dell’urto, le stoviglie sul tavolo si mossero; un bicchiere di vetro cadde a terra frantumandosi in mille pezzi. Tutti sussultarono in quell’istante: il padre di Kate fermò la sua avanzata rimanendo impietrito a fissare la mano della figlia che aveva levato il coltello, mentre la madre lanciò un urletto terrorizzato, saltando sulla sedia dove era rimasta sin da prima e portandosi le mani al viso. La reazione di Slender Man fu la più singolare: l’essere inarcò la schiena e spinse in avanti la testa, producendo un sibilo acuto e minaccioso, come un serpente di fronte a un pericolo.
Kate rimase immobile con le dita ancora strette attorno al manico del coltello, fissando il padre con sguardo vuoto; la sua furia sembrava essersi scaricata a terra attraverso quel coltello che aveva affondato nel tavolo da pranzo. Nonostante stesse tremando per la forza che aveva attraversato il suo corpo un attimo prima, il suo respiro intenso era rilassato, non mostrava segni di cedimento, come invece facevano suo padre, in modo contenuto, e sua madre, molto più evidentemente. Le dita sembravano essersi irrigidite in quella posizione, era impossibile staccarle da quel coltello in quel momento, e solo allora nella mente di Kate si fece largo il ricordo di aver già stretto quel coltello, con meno fermezza, tempo addietro, per ferire sé stessa. Questa volta lo aveva usato per spaventare qualcun altro, per dare un colpo di avvertimento, ma chissà se lo avrebbe utilizzato di nuovo per ferire?
<< Se fai un altro passo, dirò a Slender Man di attaccarti. >> Scandì con odio nella voce, senza nemmeno dare il tempo al padre di interpretare quel messaggio. I suoi occhi erano fissi su di lui, la sua espressione neutra faceva capire quanto fosse seria; non voleva utilizzare il termine “uccidere” perché non avrebbe voluto fare quello a uno dei suoi genitori, nonostante provasse un profondo odio verso di loro in quel momento, ma voleva suonare abbastanza minacciosa da fargli capire cosa sarebbe successo in quel caso. Era ovvio, tuttavia, che se Slender Man avesse attaccato, la vittima non sarebbe mai sopravvissuta…
Il padre di Kate rivolse lo sguardo teso a Slender Man, incurvato verso Kate, pronto a scattare come una molla al suo ordine; ma forse non credette che l’avrebbe fatto davvero. Dopo di quello, Kate si voltò e si diresse verso la porta per andare all’entrata della casa e uscire da lì; prima che potesse sparire dalla sua vista, il padre scattò verso di lei per afferrarla, facendo rumore mentre spostava via le sedie per fare più in fretta. Probabilmente pensava che se avesse preso la figlia prima dell’attacco del mostro, si sarebbe potuto salvare.
Errore.
Kate si girò spingendosi delicatamente indietro rivolgendo a suo padre uno sguardo profondamente deluso e allo stesso tempo minaccioso, nonostante la sua compostezza. Il piccolo saltello che fece per allontanarsi dal padre spinto verso di lei la fece sembrare ancora di più una bambina e nello stesso istante in cui si muoveva, i suo pensieri raggiungevano la testa di Slender Man, che alzò un braccio per colpire l’uomo.
Ad assistere a quella scena, partecipando in modo passivo alla discussione, c’era la madre di Kate, che aveva visto tutto quanto; ogni particolare che suo marito o sua figlia non avevano notato a causa della confusione: la posizione della ragazzina rispetto al padre, la lunghezza delle braccia dell’enorme amico di sua figlia, la forza che aveva mostrato Kate un attimo prima, facendo schiantare il coltello sul tavolo, e quella che ancora non aveva sprigionato Slender Man, ma che aveva facilmente intuito grazie ad alcuni segnali. Probabilmente si era anche accorta di quell’oscurità negli occhi di Kate, capace di incutere timore negli altri, ma non aveva detto niente, sperando di essersi sbagliata. Dopo aver assistito attentamente a quello che stava accadendo, dopo aver provato ad impedirlo, fallendo per colpa della testardaggine di suo marito, e dopo aver visto la decisione negli occhi di sua figlia, la donna aveva già capito come sarebbe andata.
Suo marito sarebbe morto.

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Capitolo 70
*** Fuga ***


La madre di Kate aveva già intuito cosa sarebbe successo; suo marito non voleva arrendersi di fronte a sua figlia, e la ragazzina sembrava decisa ad andare fino in fondo; quell’essere che aveva portato in casa loro si faceva sempre più minaccioso e inquietante, e non appena mosse il braccio per colpire l’uomo, lei non esitò neanche un secondo a lanciarsi in mezzo.
<< NO!!! >> La madre di Kate lanciò un urlo sovrumano quando saltò per parare il colpo di Slender Man. In quel modo lei avrebbe subito l’attacco, nella speranza di fermarlo ed evitare così che colpisse suo marito.
Pensava di poterlo salvare, nonostante avesse appena constatato che sarebbe morto con quel colpo. Ma non aveva pensato alla fragilità del suo corpo, alla forza dello Slender Man, alla differenza che c’era tra la muscolatura dell’uomo e la sua, alle intenzioni della figlia… In quel momento aveva agito solo per salvare suo marito, come se avesse avuto qualcosa da farsi perdonare, ma forse c’era qualcosa di più sotto il suo gesto estremo…
Il corpo della donna si frappose tra Slender Man e il padre di Kate proprio al momento giusto, quando il braccio dell’essere stava per raggiungere lo stomaco dell’uomo; essendosi lanciata con una forza insufficiente a raggiungere l’altezza del marito, la donna era posizionata più in basso di lui, il suo petto era all’altezza della mano di Slender Man, e fu lì che questa si scontrò con estrema violenza.
L’impatto produsse un forte schiocco inquietante, capace di far venire i brividi a Kate, che cambiò espressione non appena lo udì; istantaneamente cercò di avvicinarsi, evitando la mole di Slender Man, per vedere cosa fosse successo, ma prima che potesse anche solo muoversi, il corpo di sua madre veniva scaraventato contro un angolo alto della stanza, si schiantava contro le pareti e ricadeva a terra inerte, incapace di muoversi. Ci volle un secondo per capire cosa fosse successo, sia il padre di Kate che lei furono sorpresi, e anche Slender Man si chiese perché avesse colpito la donna… Poi l’uomo scattò verso la moglie urlando il suo nome, mentre Kate rimaneva a contemplare la scena a bocca aperta, sconcertata.
<< RESISTI! >> Urlava lui mentre cercava di sollevarla, di avvicinarla a sé. La donna però provava solo altro dolore quando lui tentava di fare qualcosa; glielo fece intendere emettendo dei gemiti impercettibili non appena la mosse.
Aveva le costole fratturate, proprio sopra al cuore, e dal punto dove il suo petto aveva incontrato la mano di Slender Man colava lentamente del sangue. Kate fu scossa da brividi di terrore quando si rese conto di cosa stava osservando: suo padre che cingeva il corpo di sua madre in fin di vita, in quello stato per colpa sua. Era orribile. Aveva ucciso lei sua madre?
Fece un passo indietro scuotendo la testa, sul punto di avere una crisi. Cosa era successo? << Kate… >> La voce flebile della madre raggiunse le sue orecchie e Kate bloccò le lacrime che stavano per uscire.
<< Mamma! >> Esclamò la ragazzina facendo mezzo passo verso di lei, fermandosi, immaginando che il padre non volesse che si avvicinasse; come poteva lasciarglielo fare, dopo quello che aveva causato… << Scusa… >>
La voce di Kate, spezzata dal pianto, fu interrotta dalle parole confuse e deboli della madre, che sembrò ignorare le sue scuse. << Mi dispiace… Mi dispiace di averti ignorata… >> Ed ecco ancora una volta, una persona che perdeva la vita per colpa sua che le chiedeva scusa; come era possibile tutto questo? << Se ti avessi dedicato più tempo… Se avessi provato a parlare con te, almeno una volta… E chiederti cosa… Cosa stessi provando… >> I suoi occhi erano già rossi da prima di cadere a terra; adesso il suo viso era rigato dalle lacrime, che le erano colate da una guancia all’altra fino al pavimento. Era il dolore che la faceva piangere; Kate avrebbe pensato questo, se non avesse sentito quelle parole rivolte a lei. << Forse… Forse non sarebbe andata così… Se ti avessi trattata meglio… Invece di lasciarti da sola… Se… >> A quel punto si interruppe: la donna non ce la faceva più, piangeva senza nemmeno provare a trattenersi, il dolore che provava al petto doveva essere insopportabile, perché cercava di muoversi il meno possibile, ma ogni spasmo rendeva vana la sua lotta, e ogni secondo la si vedeva stringere i denti e contrarre i muscoli; la voce le si strozzava in gola, e la donna doveva fare uno sforzo immane per tirarla fuori. Kate la vide deglutire più volte prima che potesse ritrovare il controllo sulla propria voce. << Se fossi stata… Una madre… >>
Il padre di Kate stava lì, confuso e spaventato, senza la minima idea di cosa fare per salvare la moglie. Non si poteva fare niente, ma solo lui era quello che non voleva arrendersi. Pensava si potesse ancora fermare la tragedia; forse la fine si poteva tardare, ma a quale scopo? << Non… Non dire cose così. >> Le intimò con voce debole; anche lui stava piangendo. << Vedrai che andrà tutto bene. >> Era bravo a mantenere una voce rassicurante in un momento del genere, ma non era capace di mentire, sfortunatamente. E in ogni caso, nessuno gli avrebbe creduto, a quel punto.
<< Mamma… >> Mormorò Kate ricominciando a piangere. Il sorriso sereno di sua madre le fece ancora più male, perché significava che la donna aveva già capito il suo destino e lo aveva accettato. Kate non voleva che finisse così: non voleva che sua madre morisse odiandola. Ma chi le diceva che la odiasse? Lo sapeva e basta! Era stata lei a ucciderla, e se non fosse successo a lei, la morte sarebbe stata del padre, e non sarebbe cambiato niente! Kate era un’assassina, non poteva tornare indietro, non sarebbe mai stata perdonata. L’unica cosa che poteva fare era andare avanti.
Cominciò a piangere e si coprì il viso con le mani, incapace di sostenere lo sguardo dei presenti. << SCUSAMI!!! >> Urlò uscendo dalla stanza, seguita subito dopo da Slend, con suo padre che le urlava disperato dietro.
Kate sbatté la porta dietro di sé e ci si appoggiò addosso, come per bloccarla; Slender Man comparve davanti a lei, subito dopo che fu fuori di casa. << Perché lo hai fatto? >> Chiese Kate ansimando. Il viso solcato dalle lacrime era contratto in un’espressione di terrore e stava cercando di dare un senso a quello che era appena successo. L’aria fredda della sera la aveva investita non appena era uscita fuori.
Slender Man ruotò il busto per riuscire a vederla. Sembrò contrariato dalla domanda della ragazza. Tu volevi che io lo facessi. Rispose con un leggero astio nella voce.
Kate non era arrabbiata con lui, ma voleva capire perché avesse ucciso sua madre. << Io non volevo che tu uccidessi qualcuno… Non volevo che colpissi mia madre…! >> Per un attimo rischiò di rimettersi a piangere, ripensando alla madre appena morta, ma riuscì a trattenersi e ad alzare lo sguardo. << Avevo minacciato mio padre… >>
Lui ti stava per afferrare. Rispose prontamente Slender Man. E’ stata tua madre a mettersi in mezzo. Aggiunse impassibile, come per tirarsi indietro riguardo a quello che era appena successo nella casa.
<< Lo so… >> Mormorò Kate sentendo l’aria venirle meno. Si piegò in avanti, sperando di riuscire a respirare meglio. << Ma non capisco perché lo abbia fatto… Cosa l’ha spinta a un gesto tanto pericoloso? >> Kate non riconosceva sua madre in quel gesto: la donna non era mai stata coraggiosa, non aveva mai mostrato di tenere tanto a lei, e questo glielo aveva confessato prima di morire, ma perché le era nato quel sentimento proprio ora? Non aveva senso! A Kate non sembrava normale rischiare la vita per un’altra persona; a meno che quella persona non fosse molto importante. E lei era importante per sua madre? La donna avrebbe rischiato la vita per la figlia? Normalmente, una madre avrebbe fatto questo e altro per la figlia, ma quella non era la normalità

Kate rimase immobile per un minuto, a fissare l’orizzonte buio senza realmente vedere nulla. Sua madre aveva appena mostrato di poter fare un gesto estremo come quello, e lei? Lei lo avrebbe fatto per sua madre?
Kate…? Slender Man sembrò notare l’inquietudine di Kate, i dubbi che attraversavano la sua mente alla velocità della luce, lasciandola confusa e incapace di pensare. Aveva paura di scoprire la risposta a quella domanda, e decise di ignorarla, per il momento, rimandando la resa dei conti a un’altra volta. Kate?!
Al secondo richiamo di Slender Man, la ragazza girò lo sguardo verso di lui, sbattendo le palpebre più volte, come per riconoscere la realtà dal sogno e aprì la bocca imbambolata. << Andiamo. >> Disse ancora confusa, cominciando a scendere gli scalini del portico. Slend la seguì tristemente con lo sguardo finché non ebbe poggiato piede sul giardino, per poi raggiungerla. Intuiva che la ragazza era distrutta, ma non voleva darlo a vedere; forse non avrebbe dovuto farlo, per la sua sanità mentale…
Kate, mi dispiace per quello che è successo… Cercò di scusarsi Slender Man, con l’intento di far capire a Kate che non fosse colpa sua quello che era successo. Prima che quello potesse spiegare qualcosa, però, Kate lo interruppe alzando un braccio.
<< Non fa niente, Slend. >> Disse con voce meccanica, impassibile. << E’ successo. Non possiamo fare niente per ignorarlo. Andiamo avanti e basta. >> Parlava a scatti, come se stesse ripetendo all’infinito quelle frasi per autoconvincersi di qualcosa. << Sono stati loro a volerlo. >> Disse a un certo punto, sorprendendo Slend per il suo cinismo: il modo in cui disse quelle parole e la rapidità con cui cambiò pensiero era inquietante; Kate era davvero cambiata dalla prima volta che si erano incontrati.
Arrivati sul marciapiede, Kate si mise le mani ai fianchi e fece ruotare il busto, guardando a destra e a sinistra lungo la strada: stranamente, le luci dei lampioni erano tutte spente, come se ci fosse stato un cortocircuito, e l’unica fonte di luce che poteva illuminare la zona era coperta da un denso strato di nubi, che minacciava di liberarsi sulla città. Da quella mattina, il cielo era decisamente cambiato: quando Kate si era svegliata aveva trovato il sole, ma dopo poche ore si era alzato il vento, e le nuvole avevano coperto la luce; era sceso un freddo innaturale sulla città, che era decisamente aumentato nella sera, e Kate si ritrovò a tremare improvvisamente, forse anche a causa del vestito che indossava. Era troppo leggero per l’esterno, in quelle condizioni. Cercò di non far notare i propri brividi e disse ad alta voce:<< Dove andiamo… >> Non era diretta a nessuno in particolare, voleva soltanto distrarre Slend dal freddo che stava provando per non far credere che fosse debole. E perché adesso si preoccupava tanto di non mostrarsi debole? Non era mai stata debole di fronte a Slender Man, quindi aveva paura di quello che avrebbe pensato lui vedendola in quello stato? Forse avrebbe potuto pensare che non fosse diversa dagli altri, avrebbe potuto cambiare opinione su di lei e abbandonarla, o ucciderla per divertimento, per togliersi una soddisfazione, per prendersi una rivincita su quella ragazzina che lo aveva trattenuto così a lungo dall’uccidere, che gli aveva tolto del tempo prezioso fino a quel momento…
Ma che diavolo sto pensando? Si disse la ragazza, incredula dei propri pensieri. Come poteva pensare che Slender Man l’avrebbe abbandonata così, dopo tutto quello che avevano passato insieme, e tutto quello che lui aveva fatto per lei. Ma in fondo, lui aveva ucciso tante persone vicine a lei, tante persone importanti alla ragazzina, e chi le poteva assicurare che lei non fosse solo un passatempo del mostro senza volto, che una volta finito il divertimento lui l’avrebbe buttata via come un giocattolo vecchio? Adesso cominciava ad avere di nuovo paura di Slender Man, e si chiedeva perché si fosse fidata di lui fino a quel momento. Era un mostro assassino, non uno spirito buono. Perché era con lui? Si voltò a guardarlo per un istante, spaventata. Slender Man ricambiò fissandola intensamente, e fu allora che le sue parole agirono come una medicina per la psiche della povera Kate, distrutta nella mente e nel corpo.
Non devi temere, Kate. Io rimarrò con te fino alla fine! Quelle parole non le aveva mai sentite da Slender Man, e forse da nessun altro prima. In un attimo si ricordò perché si era fidata di Slender Man fino a quel momento, perché nessuno dei due potesse stare senza l’altro, e perché lei si sentisse bene quando stava con lui. Lui la faceva stare bene, era l’unico che la comprendeva davvero, e non lo avrebbe voluto perdere così. Lo amava ed era sicura che fosse lo stesso dall’altra parte; forse aveva letto nella sua mente per poterle dire quelle cose, ma non le importava; non le importava più niente: voleva stare con lui, lasciare che la sua mente fosse invasa dalla sua influenza e sentire quel piacere che le provocava tutto quello. Voleva essere un tutt’uno con lui.
Kate sorrise dolcemente, lasciando intendere di aver apprezzato quelle parole e tornò a guardare la strada. Prima che potesse decidere qualcosa, una voce attirò la sua attenzione.
Ci fu un colpo e poi dei passi veloci e pesanti; dalla casa del suo vicino uscì Shaun Tucker con un fucile tra le mani e lo sguardo infuocato. << Allontanati da lei, mostro! >> Esclamò fermandosi dietro la staccionata e puntando il fucile contro Slender Man. L’essere si frappose tra Kate e Tucker ed emise di nuovo quel sibilo minaccioso. Tucker non si fece intimidire e mantenne il fucile fisso su di lui. Sembrava non aver dormito per niente, aveva occhiaie profonde, i capelli spettinati si muovevano col vento, la barba era in disordine, e non aveva gli occhiali; nonostante Kate lo avesse visto quella mattina, Tucker non sembrava più sé stesso.
Kate non voleva che Tucker sparasse a Slender Man, ma non voleva nemmeno che morisse, quindi cercò di intervenire per calmarlo:<< Signor Tucker, no! >> Urlò alzando un braccio verso di lui; Slender Man cercò di nasconderla dietro di sé dopo quel suo gesto. Non si fidava di Tucker.
<< Kate! >> Esclamò l’uomo non appena la vide sparire dietro la schiena di Slender Man. Tornò a rivolgersi all’essere, senza mai spostare la mira. << Ho detto di allontanarti! >> Gridò con più forza, cercando di intimidire l’uomo senza volto. Non poteva spaventare Slender Man con un fucile; non poteva spaventarlo con niente.
<< Signor Tucker, la prego…! >> Cercò di farlo ragionare Kate. Lei non voleva tutto quello, se avesse dovuto perdere anche Tucker non avrebbe potuto sopportarlo! Era vero che si era sentita tradita dopo aver scoperto la verità, ma non voleva che tutto finisse così. << Non faccia nulla di insensato! >>
Tucker non accennava a indietreggiare; attraversò il cancello del proprio giardino e si posizionò davanti a Slender Man, sul marciapiede. << Sapevo che eri in casa sua, bastardo! >> Sussurrò minaccioso, mostrando i denti come un animale selvaggio. << Sei sempre stato lì, pronto a mettere le mani nelle nostre vite… >>
<< Di cosa sta parlando, signor Tucker? >> Chiese Kate con voce triste; non voleva che accadesse qualcosa di brutto, proprio ora…
Tucker sembrò attirato dalla voce di Kate per un secondo. << E’ stato lui, Kate. >> Disse con convinzione. Continuava a puntare il fucile contro Slender Man, e nonostante tremasse leggermente sembrava sicuro di quello che faceva. Nonostante il suo corpo sembrasse fragile, la sua postura era storta e le gambe sottili non sembravano in grado di sorreggere il corpo, Tucker aveva negli occhi un ardore che Kate non aveva mai visto prima. << Lui ha ucciso il tuo professore! Lo ha ucciso perché ti aveva sgridata. >>
Kate lo guardò confusa. Cosa significava quello, adesso?
<< Ha anche ucciso quella ragazza nei bagni della scuola… >> Sussurrò pensieroso. << L’ha massacrata, quel mostro! E tutto perché lei ti era antipatica. Come fai a stare assieme a un abominio come lui?! >> Urlò facendo tornare in Kate i sensi di colpa con cui aveva lottato già tempo addietro. Ma non si sarebbe fatta cogliere impreparata di nuovo. << E quell’altra ragazza che si è quasi uccisa? E’ stata sempre per colpa sua! >>
Non era stata lei a ordinare a Slender Man di uccidere il signor Anderson; in quel periodo lei lo odiava, l’uomo senza volto, non poteva controllare le sue azioni! Il suo professore era stato imprudente quando aveva deciso di fare quella nota a Kate, avrebbe dovuto pensare bene a quello che faceva, invece di mettersi contro di lei! E riguardo a Becky Johnson, quella troietta si era meritata tutto quello che le era successo! Era sempre stata cattiva con tutti a scuola, l’unico rimpianto che aveva Kate era che non avesse potuto assistere alla sua morte… Le dispiaceva molto per Karen Smith, anche perché la ragazza l’aveva considerata sua amica dopo averla difesa da Becky, ma era stata sfortunata a trovarsi nei bagni, alla morte di Becky. E in ogni caso, se fosse stata un po’ più forte non sarebbe impazzita, finendo per stringere una corda attorno alla propria gola. Era debole, come molti altri in quella città, e Kate non poteva fare niente per persone inferiori come lei.
Tucker respirava profondamente, come se stesse richiamando a sé tutte le sue forze per poter rimanere lì senza impazzire, o scappare via terrorizzato; stava davvero dando il massimo, e quello sorprese molto Kate, specialmente per il fatto che lo stesse facendo per lei. << So che è stato lui a ferire Jamie! Non negarlo, Kate! Sai benissimo anche che il bambino non si riprenderà mai, perché è stato Slender Man a rovinarlo! >> Alzò la voce gradualmente, finendo per urlare contro lo stesso Slender Man, pieno di rabbia. << E con la sua ha rovinato anche le vite di altre due persone molto importanti, Kate! Lo sai! >>
Kate non voleva sentire le sue motivazioni: tecnicamente, il bambino di cui parlava non lo avrebbe mai potuto conoscere, ma non era colpa sua se quello era entrato nella stanza proprio mentre Slender Man era lì! Era stato troppo debole per lui, ed aveva pagato la sua inferiorità a quel modo! Kate non si sentiva colpevole per quello!
<< Ha rovinato la vita di Jane… >> Disse ansimando, ripensando alla donna che aveva dimenticato il suo nome. Sembrò esitare un momento, dopo averla nominata. << Si è distrutta da sola, lei… >> Abbassò lo sguardo sconfortato, per un secondo.
Era proprio come diceva lui: Jane Kutner si era distrutta da sola, dopo la malattia del figlio; Kate non aveva niente a che fare con tutto quello.
Tucker tornò a guardare con odio lo Slender Man, che rimaneva davanti a Kate, con la schiena inarcata verso l’uomo, pronto a reagire al minimo cenno di sfida. << E Jennifer…  Jennifer era la tua migliore amica! >>
Kate si sentì un grande vuoto nel petto non appena udì quel nome. Spalancò gli occhi e cercò di respirare più a fondo possibile. Non sapeva di chi stesse parlando, non voleva saperlo, non voleva ricordarlo e non voleva sentire altro da Tucker. Avrebbe cercato di ribattere, ma l’uomo era troppo forte con le parole, Kate si sentì ancora più oppressa un attimo dopo.
<< Come hai potuto dimenticarla, Kate? Come diavolo hai fatto a dimenticarla?! >> Urlò puntandole un dito contro, non riuscendo a vederla realmente. Sapeva che era dietro a Slender Man, e sapeva che il suo cuore stava soffrendo, ma finché sarebbe rimasta nascosta, lui non avrebbe mai potuto provarlo. << Lei era tutto per te! L’unica che ti avrebbe sostenuta anche adesso! E tu l’hai abbandonata! >> Tucker era furioso. << Ma è stato lui! >> Tornò a guardare Slender Man, innescando un altro sibilo da parte dell’essere. << Lui l’ha cancellata dal mondo! Io lo so! Ricordo tutto! Non puoi raggirarmi così! >> Si toccò un paio di volte una tempia con un dito, prima di tornare a puntare il suo fucile contro Slender Man, che rimaneva sul posto, teso come un cane da guardia.
Kate si tappò le orecchie per non ascoltare più quelle bruttissime accuse di Tucker; che cosa voleva da lei, poi?
<< E cancellando il suo ricordo negli altri, ha cancellato anche il mio nelle menti dei suoi familiari, facendomi sembrare un folle… >> Disse stringendo i denti. << Ma io non sono pazzo! So quello che ricordo! Non puoi ingannarmi! >> Mentre diceva quelle cose però, tremava dal freddo, o dalla paura… Esitò guardandosi intorno. Diede uno strattone con la testa e gridò:<< Non è giusto! >> Kate non riusciva a vedere da dietro la schiena di Slender Man, ma dalla sua voce sembrava che l’uomo stesse piangendo; ed era patetico. << Per me loro erano già una famiglia! Me li ha portati via! >> Gridò sbattendo un piede per terra. << Mi dici a che cosa è servito tutto questo, Kate? Che cosa hai guadagnato, voltando le spalle a tutte le persone che credevano in te? Ti ha promesso qualcosa di più grande lui? >> E indicò lo Slender Man con una mano rabbiosa. << La vita eterna? O il piacere assoluto? Niente di tutto questo si avvererà mai, Kate! Ti sta usando! Lui vuole solo il tuo corpo… E la tua anima, ovviamente! Ti farà a pezzi, proprio come quella ragazzina! >>
Kate non voleva ascoltare le parole di Shaun Tucker. Non era vero quello che diceva; Kate sapeva cosa fosse vero e cosa no, sapeva bene come scegliere la strada da seguire, sapeva cosa aveva fatto, a cosa aveva dovuto rinunciare per un bene superiore, sapeva cosa amava e sapeva che Tucker non sapeva niente! Lui stava solo lanciando accuse a caso, perché era disperato! Non usava più la testa. Se lo avesse fatto, forse avrebbe capito anche lui. Ma era impazzito, ormai…
Tucker ringhiò di nuovo vedendo che Kate non lo ascoltava. << Come ha fatto anche con Jennifer, probabilmente… >> Disse indietreggiando un poco per poi riposizionare la mira del fucile sulla testa di Slender Man. Quella frase non l’avrebbe dovuta dire, probabilmente. << Come ha fatto con tua madre, poco fa, non è vero? >> E neanche quella. Tucker era impazzito, ma il male celato nelle sue parole era vero, era forte, e Kate non lo avrebbe accettato.
<< Ora basta! Non può insinuare che tutto quello che è successo sia stato intenzionale! >> Protestò Kate rimanendo dietro Slender Man, sempre più teso per la situazione.
Tucker non si mosse. << Di sicuro non lo avresti voluto tu, ma lui sì! >> Dopo aver detto quello, Slender Man attese un attimo prima di avventarsi sull’uomo, sollevandolo con una mano e stringendogli la gola. Non appena Kate lo vide muoversi così velocemente verso di lui, urlò terrorizzata:<< NO, SLEND! >> Sperando che quello la ascoltasse.
Slender Man girò lentamente la testa verso Kate, guardandola con la coda dell’occhio. Quest’uomo è pericoloso. Hai sentito quello che ha detto! Le disse senza smuovere le fredde dita strette attorno alla gola dell’uomo.
<< Lo so! >> Esclamò Kate sudando dalla tensione. << Lo so, ma tu non devi dargli ragione comportandoti come un mostro! >> Lo supplicò avvicinandosi. Kate non voleva che Slender Man uccidesse Tucker, ma non voleva nemmeno che il suo vicino le parlasse a quel modo; non sapeva la verità, lui.
Slender Man sembrò valutare attentamente le parole di Kate; nonostante non avesse un’espressione, si poté intuire che stesse lottando per ascoltare la ragazzina; lui voleva bene a Kate, non voleva causarle altro dolore. Tucker, invece, sembrava soffrire molto a causa della stretta dell’uomo alto, ma non si sarebbe mostrato debole proprio in quel momento; digrignava i denti e ringhiava, tenendo ancora il fucile stretto in una mano, puntato però verso terra, e guardava Slender Man con occhi furiosi. << Ah! >> Disse con voce roca. << Finalmente si sta mostrando per ciò che è realmente! >> Stramazzò sbavando, senza poter ingoiare a causa della stretta dell’essere. << Vedrai quello che ti farà, se resterai con lui…! >>
No. La voce di Slender Man colpì con forza le menti di Kate e Tucker, risuonò come il tintinnio di un bicchiere di cristallo in una stanza vuota. Entrambi gli umani furono sorpresi da quella improvvisa parola. Poco dopo Tucker sentì la stretta sulla gola diminuire, e un attimo dopo si ritrovò a terra, incredulo.
Io non sarò un mostro. Disse con fermezza, ma con astio nella voce, mentre guardava intensamente il viso sconvolto di Tucker, che non si sarebbe mai aspettato quella reazione. Il viso di Kate si illuminò, al contrario, felice del fatto che Slend l’avesse ascoltata.
Quello si voltò e raggiunse la ragazzina. Andiamo via. Disse con calma, prendendo Kate per una mano. Lei accolse volentieri la mano dell’amico e gli sorrise mentre quello continuava a guardare in avanti. Non l’avrebbe più delusa, quello era il messaggio che voleva trasmetterle.
Purtroppo, qualcun altro voleva deludere Kate, quella sera. << SLENDER MAN! >> Gridò Tucker alle loro spalle rialzandosi da terra e imbracciando il fucile, pronto a sparare. << NON PENSARE DI PRENDERMI PER IL CULO! >>
Slend e Kate si girarono insieme; la ragazza si sentì tradita un’altra volta dal vicino, che non aveva voluto lasciarli andare, mentre il bisogno che sentì Slender Man fu quello di proteggere la ragazzina. Proprio mentre Tucker puntava la canna dell’arma contro la testa dell’essere, quello afferrava Kate da un braccio e la tirava dietro di sé, per farle da scudo.
Il fucile esplose un colpo che colpì in pieno la testa bianca di Slender Man. Ci fu un forte rumore che spaventò molto Kate, e la ragazzina si tappò le orecchie e chiuse gli occhi, per non vedere né sentire quello che stava accadendo. Si alzò un polverone quando il proiettile colpì la testa dello Slender Man, che ricevette una spinta indietro dalla forza del colpo, e Tucker sorrise soddisfatto vedendo di averlo centrato in pieno. Però il corpo non cadde, né si mosse significativamente. La schiena di Slender Man, piegata indietro, rimase in quella posizione per alcuni istanti, le sue braccia lunghe caddero inerti lungo i fianchi squadrati, dondolando qualche secondo avanti e indietro, e le gambe assunsero una posizione inusuale per l’essere, abituato a tenerle quasi immobili e compatte: una avanti e una dietro, con le ginocchia leggermente piegate. Il fatto che Slender Man non fosse ancora caduto a terra, morto, sorprese poco Tucker, che però assunse un’espressione di terrore non appena la polvere che aveva coperto la testa di Slender Man si fu diradata, e poté vedere il suo viso.
Il viso di Slender Man era completamente liscio, non vi era nessun segno del colpo subito, e lo fissava con odio. Nonostante fosse stato appena colpito in fronte, Slender Man era in piedi di fronte a uno Shaun Tucker paralizzato dalla paura. Fece un passo lungo e deciso verso di lui, stringendo i pugni con forza. Tucker sembrò in difficoltà e sparò di nuovo a Slender Man indietreggiando, colpendolo a una spalla e causando solo uno scatto di questa verso dietro; sparò di nuovo, colpendo il petto dell’essere, senza nemmeno sgualcire il suo completo nero; sparò un’altra volta diretto al petto dell’uomo senza volto, mancandolo di molto però, a causa di una caduta causatagli dal gradino del marciapiede.
Shaun Tucker era a terra; puntava il fucile contro Slender Man, che lo aveva raggiunto e si era messo di fronte ad esso; immobile, i pugni stretti con forza e le gambe parallele, il collo piegato in basso più del normale per guardare in faccia Tucker, che per la prima volta appariva spaventato agli occhi di Kate. La ragazzina lo vide spalancare la bocca con orrore quando cercò di fare fuoco una quinta volta, scoprendo di aver finito i proiettili, e allargare le palpebre fino al limite non appena vide le grandi mani di Slender Man avvicinarsi a lui e afferrarlo dal colletto. Si sentì sollevare con estrema facilità, e mentre il suo corpo si allontanava dal terreno, cercò con lo sguardo quello di Kate, verso la quale allungò un braccio per chiederle aiuto. << Kate…! >> Cercò di supplicarla, ma lo sguardo intristito della ragazzina trasmetteva delusione. Non lo avrebbe aiutato, perché l’aveva tradita ancora una volta; aveva voluto sparare, rischiando di fare del male a lei, pur di provare la natura sanguinaria di Slender Man.
E sì, Slender Man era un assassino, aveva istinti che non sapeva controllare, aveva ucciso tanta gente, ma non significava che non avesse un cuore, che non le volesse bene… Tucker non aveva ancora capito cos’era il legame che si era instaurato tra loro, e Kate dubitava che lo avrebbe mai compreso.
Tu non la guardi! Sibilò Slender Man tirando a sé il corpo di Tucker, avvicinando il viso al suo fino a quasi toccarlo, fissandolo dritto negli occhi con odio. Tu non le parli! Continuò muovendo lentamente la testa a destra e a sinistra. Tu non la tocchi!
Tucker cercò di liberarsi tirando una manica del completo nero, ma non riuscì a smuovere minimamente la presa dello Slender Man. Lui era più forte, più intelligente, e più cattivo.
Kate abbassò lo sguardo con desolazione e chiuse gli occhi, sapendo di non poter fare più nulla per salvare il suo vicino di casa, poiché si era spinto troppo oltre, stringendosi il nodo con le sue stesse mani. Rimase lì, a tre o quattro metri di distanza dai due litiganti, la schiena eretta e la testa reclinata verso il basso, le braccia inerti che scendevano lungo i fianchi, finendo per unirsi in una stretta nervosa in mezzo alle gambe, strette anch’esse; dentro di lei, il suo cuore batteva come non mai, aveva bisogno di aria che in quel momento non riusciva ad ottenere, e ogni parte del suo corpo tremava in modo scomposto, sul punto di perdere il controllo. Non poteva vedere, ma le sue orecchie erano ben aperte: sentì le ultime inutili suppliche di Tucker, prima che Slender Man ponesse fine alla sua vita; sentì le sue urla quando fu colpito da Slender Man, e sentì il sangue schizzare fuori dalle ferite e le gocce rosse ticchettare una a una sull’asfalto; sentì un forte strappo e un gorgoglio mentre Slender Man si sfogava con il corpo ormai privo di vita di Shaun Tucker; sentì un tonfo fiacco prima di un interminabile silenzio. A Kate non piacque neanche un po', quello che sentì

Durante l’esecuzione, Kate aveva cercato di non mostrarsi inorridita o dispiaciuta per quello che stava accadendo, così da sembrare forte, ma non era riuscita a trattenere le smorfie di disgusto e dolore che affioravano sul suo viso mentre sentiva quegli orribili suoni. Il suo corpo era scosso da convulsioni così violente da farla apparire patetica, e sentì che avrebbe potuto vomitare, ma non appena sentì quei passi senza suono di Slender Man andare verso di lei, la ragazzina non riuscì a concentrarsi più su niente, se non sull’immagine di Slender Man imbrattato di sangue con alle spalle i resti disgustosi del povero Tucker. Quando percepì che si fosse fermato proprio davanti a lei, non riuscì più a trattenersi, e Kate cominciò a piangere come una bambina; nello stesso momento cominciò a piovere, con tuoni e lampi a fare da sottofondo a quella scena.
Piangeva, e il suo corpo era scosso da convulsioni violente ogni volta che provava a respirare, cercando quell’aria che le era mancata per tutto quel tempo; ma non riusciva a risolvere niente, i suoi polmoni sussultavano assieme alle sue spalle, e dai suoi occhi scendevano copiose le lacrime amare del dolore per aver perso qualcuno di importante, un’altra volta. Non aveva ancora aperto gli occhi; non osava farlo, per non assistere a una orribile scena che avrebbe potuto segnarla per la vita.
Kate… Mormorò Slender Man dall’alto. Perché piangi? Fu la sua domanda.
Kate cercò di ritrovare un po’ di quella compostezza che aveva avuto durante il massacro del suo vicino, ma non ci riuscì e i suoi tentativi di mantenere il controllo su di sé la resero ancora più patetica. << Io… Io… >> Singhiozzò un paio di volte senza sapere cosa dire. Come faceva a non sapere cosa dire, il suo vicino era stato appena brutalmente macellato in sua presenza! Come poteva non trovare le parole per dire: “ho paura”?
<< E’ che… >> Cercò di inspirare con il naso tappato. << Mi avevano mentito… Tutti quanti… Mi avevano mentito, e ora mi hanno abbandonata… E io… Io non voglio rimanere da sola… Perché è dovuto succedere…? >>
Mi dispiace tanto, Kate. Fu la risposta immediata di Slender Man. Ma Kate alzò la voce.
<< No. >> Disse cercando di risultare credibile. << Dispiace a me… Perché mi fidavo… Mi fidavo di tutti loro… >> Alzò le mani davanti al viso e se le schiacciò contro gli occhi, come per nascondersi dalla vista di Slender Man; non voleva farsi vedere in quello stato, ma era anche un modo per sfogarsi; non riusciva più a stare ferma.
Kate… Slender Man si abbassò alla sua altezza e le accarezzò una guancia con la mano fredda; il tocco della sua pelle fece sussultare Kate, che sentì una strana eccitazione dovuta a quel gesto. Non c’è niente di cui avere paura. Disse con tono dolce.
Kate non capì come, ma aveva capito che la ragazzina aveva paura. E come poteva dirle quella cosa, dopo aver appena ucciso un uomo?!
Andrà tutto bene, finché restiamo insieme non accadrà nulla di brutto a te. La rassicurò Slend, mantenendo la mano sulla guancia sinistra della ragazzina. Se tu lo volessi, potrei rendere tutto questo diverso ai tuoi occhi. Potrei fare in modo che tu non debba vedere tutte queste cose, così da non avere più paura di esse… E potresti riaprire gli occhi.
L’offerta di Slender Man era una cosa seria; non stava scherzando, sarebbe stato capace di alterare la realtà per lei, ma a cosa sarebbe servito? Kate avrebbe vissuto in un sogno per sempre, da quel momento…
<< No. >> Rispose lei allontanando la mano di Slend con la sua, rimpiangendo subito dopo di averlo fatto. << Non potrei mai. Voglio vivere nel presente! Affronterò la paura… >> Dal suo tono sembrò essersi decisa, ma si bloccò subito dopo, stringendo i pugni e deglutendo con fatica. Sembrò come se volesse dire qualcosa di più, ma le mancasse il coraggio. Voleva dirlo chiaramente: “ho paura”. Ma temeva la reazione di Slender Man a quella sua dichiarazione.
Vedendola esitare e farsi del male nel tentare di spiegare le sue emozioni, Slender Man decise di lasciar perdere. Non importa. Disse rialzandosi. Vieni via. Non devi assistere a questo. E detto questo la prese per una mano e la condusse via dalla strada. Quando furono abbastanza lontani da essere sicuri che Kate non avrebbe visto niente di quello che era appena successo, Slend si fermò e si abbassò di nuovo all’altezza di Kate.
Ora puoi aprire gli occhi, Kate. Le sussurrò dolcemente, rimanendo accovacciato di fronte a lei.
L’acqua le colpiva la testa con violenza, e i tuoni le riverberavano nelle orecchie a lungo, mentre l’unica cosa che riusciva a passare attraverso le sue palpebre serrate era la luce abbagliante dei fulmini. I grandi occhi della piccola Kate si aprirono lentamente, timorosi di avere ancora qualche brutta sorpresa, dando un aspetto a tutte quelle cose che aveva solo sentito fino a quel momento; e così la pioggia che le bagnava i capelli assumeva l’aspetto di tante piccole gocce che si scontravano violentemente con il terreno, mentre quei tuoni così fragorosi diventavano il suono degli stessi lampi, che assumevano forme spettrali nel cielo scuro. Quando Kate ebbe sbattuto le palpebre un paio di volte ed ebbe riconosciuto la figura di Slender Man di fronte a sé, non riuscì più a trattenersi e scoppiò in lacrime. Per nascondere il suo nuovo pianto, la ragazzina si buttò al collo di Slend, che la accolse con un po’ di sorpresa tra le sue braccia.
In quel momento Kate avrebbe proprio voluto rilassare i nervi, scaricare tutte le lacrime che aveva accumulato fino a quel momento e urlare più che potesse, ma non ne ebbe il tempo; a un certo punto sia lei che Slend percepirono delle sirene in lontananza. Che cos’era? La polizia? O forse un’ambulanza? E chi li aveva chiamati? Non era ancora finita la loro fuga, dovevano scappare ancora, raggiungere un posto che sarebbe stato sicuro, e forse neanche allora si sarebbero potuti fermare, perché avevano scelto una strada difficile, e non si vedevano soste all’orizzonte.
Dobbiamo andare. Disse Slender Man alzandosi rapidamente.
<< No… >> Piagnucolò Kate stringendosi a lui, ma dovendo mollare la presa dopo poco. << Non ce la faccio più… >> Si lamentò buttandosi a terra.
Ma non possiamo neanche arrenderci ora! Kate sapeva che Slend aveva ragione: se fossero stati trovati lì, chissà quante domande gli sarebbero state rivolte, le avrebbero vietato di vedere Slender Man, reputandolo pericoloso e “innaturale”, l’avrebbero chiusa in manicomio o in un carcere minorile… Tuttavia si sentiva costretta a farlo, e non le piaceva quella sensazione.
<< Lo so… >> Mormorò la ragazzina alzandosi e mettendosi al fianco di Slender Man. Il suo sguardo deciso si rivolse all’orizzonte oscuro, e la sua piccola mano cercò quella di Slender Man. Quando lui sentì la stretta impaurita della ragazzina, cercò di scusarsi per tutto quello che aveva fatto.
Kate, io…
<< Non importa, Slend. >> Rispose secca Kate, quasi come se tutto quello a cui aveva assistito non fosse mai successo. Tutto il dolore che le aveva provocato quello strano essere soprannaturale era sparito, e ormai c’era solo la determinazione di andare via e restare insieme, qualunque cosa accadesse.
Slender Man rimase a fissare la faccia determinata di Kate, prima di rivolgere lo sguardo nella stessa direzione della ragazzina e cominciare a camminare assieme a lei, sotto la pioggia.
 
*
 
Kate e Slend erano nel bosco. Camminando nel tentativo di scappare dalla gente erano finiti lì, dove nessuno li avrebbe disturbati; ma sentivano urla in lontananza, tra un tuono e l’altro; li stavano seguendo ancora. Si sentivano latrati possenti, il ché lasciava intendere che stessero usando dei cani per seguire le loro tracce. A volte Kate udiva il proprio nome, e si sentiva ancora peggio per aver lasciato la città. Non voleva causare altro dolore alla sua famiglia, ai suoi amici… Doveva andare via.
Forza. Fece Slend tirandola dal braccio per farla andare più veloce, ma lei inciampò con una roccia e cadde a terra lamentandosi. Kate! Esclamò preoccupato lui quando la sentì cadere alle sue spalle. Si inginocchiò accanto a lei e la aiutò a mettersi a sedere. Il terreno era pieno di pozzanghere e il terriccio franava sotto i piedi della ragazza.
Kate si guardò le gambe scoperte: aveva le ginocchia graffiate e le scarpe basse che aveva messo quella sera si stavano rompendo; non sarebbe riuscita a correre con quelle cose ai piedi, con tutta quell’acqua. Se le cacciò rapidamente e disse a Slender Man di aiutarla ad alzarsi.
Sei sicura di poter continuare? Chiese lui raddrizzando la schiena mentre la ragazzina usava il suo braccio dritto per rialzarsi.
<< Tranquillo… >> Disse lei ansimando. << Non sono come gli altri. >> Concluse una volta in piedi. Il suo sguardo era deciso, fisso nell’oscurità del bosco, ma il suo viso era stanco; non voleva continuare a scappare, nonostante dicesse diversamente. Le sue gambe tremavano, la terra sotto i suoi piedi era sconnessa e piena di ciottoli e spine da farle male, aveva freddo… Nonostante ciò, voleva continuare ad andare. Perché era così ostinata?
Slender Man annuì e le prese di nuovo la mano, cominciando a camminare rapidamente, seguendo il corso di un ruscello lì vicino, il cui letto si era allargato a causa della pioggia. Non era sicuro dove volessero andare, perché ovunque si voltassero avrebbero trovato qualcuno alla loro ricerca. Era la prima volta che Slender Man non sapeva cosa fare, dove andare… Era confuso. Kate lo seguiva, ma aveva paura. Cosa gli sarebbe successo? Come avrebbero potuto riprendere una vita normale, dopo quello che era successo? Avrebbero dovuto vivere per sempre lontano da tutti, e Kate sarebbe diventata solo un’altra di quelle vittime dello Slender Man, rapite e mai più viste. O forse ci sarebbe stato un modo per tornare a vivere con altra gente – non subito, ma in un futuro non troppo lontano, possibilmente…
Slender Man girò a destra, saltando il ruscello senza fatica, ma Kate non era alta come lui, e le sue gambe erano molto più corte: finì per inciampare di nuovo, nonostante Slend la stesse tirando in alto per farle saltare il corso d’acqua, e la ragazzina si infradiciò tutta. Cominciò a piangere, mettendosi in ginocchio in mezzo al piccolo fiume.
<< Non ce la faccio, Slend! >> Piagnucolò con la testa rivolta verso l’alto e le lacrime che le rigavano i lati del viso. << Non posso più andare avanti… >>
Che succede Kate? Le chiese Slend abbassandosi di nuovo vicino a lei.
La ragazzina singhiozzò alcuni istanti prima di spiegare quello che stava accadendo nella sua testa. << Ho paura. Cosa faremo una volta scappati? Dove andremo? Ormai nessuno riuscirà più a vedere del bene in te, e io… >> Abbassò lo sguardo, cercando di nascondere il proprio viso. << Io non voglio rimanere da sola… >>
Slender Man capì che la ragazzina non sarebbe riuscita a sopportare tutto quello che le stava accadendo e ad andare avanti in quel modo. Ma non voleva rinunciare a lei, quindi si offrì di portarla in braccio, lasciando intendere che l’avrebbe sostenuta in qualsiasi occasione. Ti porto io! Disse mettendole una mano dietro la schiena. Forza. Andiamo! Continuò mentre la sollevava rapidamente da terra.
<< A che serve scappare? >> Chiese Kate scuotendo la testa mentre Slender Man si metteva a correre per il bosco. << Se non ci troveranno ora, ci troveranno un’altra volta… E se non lo faranno, allora rimarremo soli per sempre… >>
Io non ti lascerò sola! Esclamò Slender Man senza rallentare. Kate lo sapeva già, ma non era quello che la spaventava; la solitudine di cui parlava era quella che le avrebbe portato l’isolamento. Non pensava di poter vivere continuando a fuggire.
Era bastato così poco per tramutare i dubbi di Kate e farli uscire allo scoperto, facendole abbandonare l’idea di fuggire assieme a Slender Man. Ma perché non voleva più scappare? In realtà voleva continuare a correre, ma non voleva continuare a vivere nella paura, nel rimorso… Lei voleva una vita normale, come qualsiasi altra ragazzina della sua età. E Slender Man lo aveva capito, ormai… Non poteva far finta di niente.
Si fermarono. Attorno a loro si sentivano latrati sguaiati e urla abbattute. Se avessero continuato a scappare ancora un po’, forse si sarebbero arresi nel cercarli, e sarebbero stati liberi, ma non era quello che voleva Kate.
Non possiamo continuare. Disse Slender Man cominciando ad allentare la presa sul corpo della ragazzina, che ora si stringeva al suo collo.
<< Cosa? Perché? >> Chiese contrariata lei, che voleva continuare a mostrarsi forte, nonostante la scenata di poco prima.
Ci troveranno. Se scopriranno la storia saremo entrambi nei guai: tu verrai messa in un manicomio e io sarò cacciato come un animale pericoloso. Slender Man aveva ragione, e anche Kate lo aveva immaginato, ma quello era solo un altro motivo per continuare a scappare.
<< Non lasciamoci prendere, allora…! >> Cercò di dargli una spinta lei. << Io voglio stare con te…! >> Prima che potesse suonare convincente, Slender Man la mise a terra.
Non possiamo rischiare, Kate. Disse lasciando che la ragazzina si adagiasse piano sul terreno pieno di sterpaglie.
<< Che… >> Kate era incredula. << Che vuol dire “non possiamo rischiare”?! >> Protestò lei guardandolo con occhi spalancati.
Slender Man sembrò in difficoltà quando spiegò la situazione alla ragazzina: Ascolta Kate… Cominciò muovendo una mano su e giù. Non posso costringerti a una vita così, sempre in fuga, isolata dal mondo… Kate lo guardava incredula muovendo piano la testa da destra a sinistra. Non posso nemmeno fermarmi, perché significherebbe rovinare le esistenze di entrambi.
<< E allora non fermarti! Andiamo…! >> Kate fu interrotta dalla mano di Slend, che le coprì interamente la bocca.
Mi dispiace, Kate, ma l’unico modo per far sì che tu viva una vita normale, è quello di dividerci. Disse senza spostare lo sguardo, fisso sugli occhi increduli di Kate.
Non appena poté parlare, la ragazzina non seppe cosa dire. << Ma… Ma… >> Slender Man invece sapeva esattamente cosa dire, e si era ormai deciso.
Mi dispiace molto, Kate. Fece senza rialzarsi da terra, dove stava inginocchiata anche Kate. Devi lasciarmi andare; ti troveranno e potrai dire a tutti che eri sotto il mio controllo, così non ci sarà nessuna punizione per te e io potrò andare via senza dover temere per la tua salute. Kate non riusciva a credere che le stesse dicendo quello; non voleva lasciare Slender Man, e voleva anche restare con la gente, ma non c’era altra soluzione fattibile, se non quella di rinunciare a lui.
<< No… Io voglio stare con te! >> Esclamò tentando di aggrapparsi a lui un’altra volta, ma Slend la respinse.
Non possiamo restare insieme! Esclamò con impeto spingendo Kate dalle spalle. Da qualunque punto la vedi, la nostra relazione non è naturale! Non può essere accettata in nessun caso!
Kate stava per mettersi a piangere di nuovo. << Ma… >> Singhiozzò senza più voce. << Io voglio stare con te… Slend… Io… Io ti amo… >> Piagnucolò attaccandosi al suo petto per cercare consolazione. L’uomo senza volto, però, non si mosse quando la ragazzina cercò il suo abbraccio. Quella passività la turbò, e Kate cercò di capire cosa potesse averla causata.
A un tratto la voce di Slender Man la fece sussultare e come uno spillo le diede un dolore profondo e pungente, che si trasmise a tutto il corpo, dandole violente convulsioni e, stranamente, piacere. Ti amo anche io, Kate. Ma non possiamo stare insieme.
Dopo quell’intenso e brevissimo piacere, la mente di Kate si riempì di pensieri negativi, e cominciò a pensare al futuro, a come sarebbe stato buio e triste senza il suo Slend. Tornò a piangere, e Slender Man questa volta la strinse al suo petto per calmarla. Quell’abbraccio durò più di quanto avrebbe dovuto, ma Kate non avrebbe mai voluto finirlo.
Dopo essersi divisi, Slend la guardò dritta negli occhi dicendole chiaramente cosa avrebbe dovuto fare. Io ti lascerò qui. Arriveranno degli uomini per portarti a casa; una volta qui, tu gli racconterai cosa è successo: gli dirai che sei stata soggiogata da un mostro spietato, che ti ha costretta a dire e fare cose che non volevi, che non sei stata in grado di controllare il tuo corpo in questi ultimi giorni, e che sei felice che se ne sia andato, liberandoti. Dirai che non vuoi più vedere quel mostro e chiederai di essere riportata a casa. Vivi con tuo padre, stai con i tuoi amici, non parlare più di me se non con terrore negli occhi; fingi di essere stata traumatizzata, e tutto quanto andrà bene. Kate non voleva ascoltare quelle parole. Non le sembrava giusto dover lasciare che Slender Man si prendesse tutta la colpa in quel modo, nonostante fosse innocente. La colpa ricadrà tutta su di me, ma non potranno farmi niente! Nessuno sentirà più parlare di me in questo posto, andrò dove non potrò più causarti problemi.
<< Ti prego… >> Mormorava lei, sperando che le sue richieste gli facessero cambiare idea. Ma era tardi per i ripensamenti. Slender Man si alzò in piedi guardandosi intorno.
Devi essere forte. Addio, Kate. Disse rivolgendole lo sguardo un’ultima volta. Grazie per tutto.
Kate rivolse il suo sguardo stremato verso la sagoma nera di Slender Man; la pioggia le rendeva quasi impossibile mantenere lo sguardo puntato verso l’alto, ma non se ne curò. Un attimo dopo chiuse gli occhi abbassando la testa come segno di resa, continuando a piangere. << Addio, Slend. >> Disse con voce debole, sapendo di essere già da sola. << Sarò sempre tua… >> Mormorò mentre un tuono scuoteva la terra.
 
*
 
<< Kate! >> Le urla dei poliziotti nel bosco spaventavano gli animali e si confondevano tra i tuoni e i rumori della natura intorno a loro.
Un cane poliziotto intercettò una traccia e scattò alla ricerca della sua fonte; abbaiando con forza, il pastore tedesco si fece strada tra gli alberi e le rocce nel bosco, scendendo in un fossato, in fondo al quale se ne stava rannicchiata una ragazzina dai lunghissimi capelli neri, con addosso un abito nero con una gonna corta; era bagnata fradicia e piangeva a testa bassa, in silenzio.
Il cane si avvicinò piano a lei, guaendo debolmente, controllando le sue condizioni; poi si voltò e cominciò ad abbaiare ai suoi padroni, ancora lontani, per segnalare la sua posizione. In pochi secondi arrivò un uomo sulla trentina che a grandi passi raggiunse il bordo del fossato, e poi ci si buttò dentro scivolando con agilità. << Sei tu Kate? >> Chiese quando fu a metà strada. Le puntò contro la luce di una torcia elettrica e tirò un sospiro di sollievo quando la vide in faccia. << L’HO TROVATA! >> Cominciò a urlare ai colleghi sparsi per il bosco; poi mandò il proprio cane a radunare gli altri poliziotti e a portarli lì. Dopo che il cane fu partito, si rivolse alla ragazzina, che non si era mossa dalla sua posizione.
<< Povera ragazza. Starai gelando… >> Disse togliendosi la giacca per coprire meglio la ragazzina, esposta alle intemperie. Si abbassò alla sua altezza dopo averle coperto le spalle con la propria giacca e la scosse piano, cercando di attirare la sua attenzione. << Stai bene, Kate? Ehi! Mi senti? >>
L’unica risposta della ragazzina, dopo che ebbe alzato lentamente la testa, fu un leggero cenno, forse causato dalle spinte del poliziotto. In ogni caso, fu sufficiente quello per rassicurare l’uomo, che tirò un altro sospiro di sollievo e girò lo sguardo attorno a sé per controllare che non ci fosse qualcos’altro.
A quel punto sopraggiunsero altri due poliziotti, scortati dal cane del primo uomo, che scese nel fosso, girò attorno alle due figure e poi tornò indietro alla ricerca di altri poliziotti. << Harry! >> Chiamò uno dei due fermandosi sulla soglia del fossato.
Il poliziotto che era con la ragazzina si voltò un attimo. << Ronald! Danny…! L’ho trovata! >> A quell’esclamazione i due scesero subito e quello si fece da parte per fargli vedere il corpo indifeso della ragazzina.
Adesso si stava stringendo la giacca attorno alle spalle, per coprirsi un po’ di più dal freddo, e il suo sguardo era fisso di fronte a sé, rivolto un po’ più in basso dell’orizzonte. Il più anziano dei due appena arrivati cercò di comunicare con lei, ma la ragazzina non diede segni di vita. Continuava a fissare il vuoto di fronte a sé, tremando impercettibilmente per il freddo.
In breve arrivarono molti poliziotti, diverse persone che rivolsero tante diverse domande alla ragazzina; lei non rispose neanche a una di quelle. Sembrava sconvolta, i suoi occhi non si spostavano minimamente, non batteva le palpebre e sembrava non respirare nemmeno. Vedendo che la ragazzina non dava risposte, i poliziotti decisero di rimandare a un altro momento le domande, e cominciarono a dirle di stare calma, rassicurarla, prometterle che sarebbero tornati a casa presto, mentre altri intanto prendevano le loro ricetrasmittenti e dicevano alcune cose incomprensibili a qualcuno, forse chiamando dei dottori o dei veicoli. Continuavano a dire cose senza senso, prive di significato, non essendoci nessun pericolo; e lei non gli prestava attenzione, d’altronde, ma non perché non volesse, ma perché non fosse in grado di pensare ad altro.
Il suo corpo era esposto al freddo pungente di quella notte, aveva i capelli e i vestiti fradici, l’acqua le sferzava il viso ed era inginocchiata a terra, piena di graffi e stanca. Eppure non le importava. Non le importava di niente.
I suoi occhi erano vuoti e tristi. Non vi era neanche dolore, ormai…

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Capitolo 71
*** Sua ***


La ragazza passeggiava lentamente sotto la pioggia con l’ombrello blu alzato sopra il capo. Indossava un giubbotto verde stretto da un laccio ai fianchi con un cappuccio largo dietro al collo; ogni bottone era ben fissato. I suoi stivaletti in pelle marroni schioccavano a ogni passo, alzando schizzi qualora mettesse i piedi in una pozzanghera. Il suo corpo ondeggiava delicatamente mentre avanzava, e manteneva la sua posa senza modificarla minimamente.
Il suo viso era quasi completamente coperto: il colletto del giubbotto era alzato in modo da coprirle le labbra, e i lunghi capelli neri si agitavano mossi dal vento, coprendole la visuale; tra questi spiccava una ciocca cremisi che dal lato sinistro della fronte le scendeva fino alla clavicola. I suoi occhi neri sembravano essere persi nel paesaggio che le si stagliava di fronte, una miriade di luci e negozi ai lati della strada, insegne luminose e passanti occasionali che incrociavano la sua strada, ignorandola come lei ignorava loro. In realtà, quegli occhi neri erano concentrati sui pensieri della ragazza; non stava ammirando le luci colorate che da qualche giorno cominciavano a diminuire per le strade, segnando la fine delle feste che ogni anno portavano tanta gioia a tante famiglie, e non guardava nemmeno le persone che incontrava; non avrebbe potuto interessarle di meno di quelle persone.
Quello a cui pensava la ragazza era qualcosa che non riusciva a spiegarsi, un sentimento che l’aveva assalita da un po’ di tempo e l’aveva fatta ricredere sulle proprie emozioni. La sua mente andava ad anni addietro, quando era ancora una piccola ragazzina che a causa della sua statura veniva scambiata per una bambina molto più piccola; era cresciuta da allora, sicuramente, e nonostante non fosse alta come avrebbe sempre sognato, non si lamentava di quello che era riuscita a raggiungere. Adesso la gente la riconosceva come una donna, com’era giusto che fosse alla sua età, e da donna, si poteva concedere sentimenti che una volta si era proibita…
Anche il suo viso era cambiato: non era più dolce e delicato come una volta; i suoi lineamenti erano sempre gentili con il suo viso, ma la sua espressione era cambiata drasticamente; la ragazza non sorrideva quasi mai, aveva un lieve broncio perenne in faccia, ma questo non significava che fosse insensibile, anzi, una volta conosciuta bene, era molto espansiva. L’unico problema era che non avesse tante persone alla quale mostrare questo lato della sua personalità. Tutti i suoi amici erano andati via, lei era rimasta sola in quella città, ed era stato difficile trovare altre persone con cui instaurare dei buoni rapporti.
Mentre avanzava con la testa fra le nuvole, il suono di un clacson proveniente da sinistra attirò la sua attenzione. C’era un’auto scura dall’aspetto usato che costeggiava il marciapiede, ferma di fronte a lei. Il finestrino del passeggero si abbassò e un volto che non vedeva da molto tempo fece capolino. << Kate, sali! >> Esclamò sorridendo il ragazzo, che aprì lo sportello per facilitarle l’entrata.
Kate si fermò un attimo prima di riconoscere il viso luminoso del suo vecchio amico Tommy e poi si avvicinò ricambiando quel sorriso e richiudendo l’ombrello prima di entrare nell’auto.
Dentro la macchina si stava bene; l’aria condizionata aveva reso l’atmosfera rilassante, e a Kate piaceva molto quella sensazione di stare dentro a un posto al caldo, mentre fuori la pioggia picchiava sui vetri e bagnava qualsiasi cosa fosse allo scoperto. Sospirò e si lasciò andare a un sorrisetto nervoso, rivolgendo un ultimo sguardo prima di voltarsi verso il ragazzo che le sorrideva serenamente.
Il sorriso che affiorò sulle labbra di Kate fu il più spontaneo che ebbe avuto in anni, e lei stessa non avrebbe pensato di reagire così vedendo quel ragazzo dopo tanto tempo. Si spostò una ciocca di capelli dal viso imbarazzata e cercò di trovare le parole per rompere il ghiaccio. << E’ da tanto che non ci vediamo, eh? >>
<< Cavolo… Non so come abbia fatto a stare senza di te tutto questo tempo… >> Commentò Tommy guardandola con occhi sognanti. << Mi sei mancata, Kate. >> Aggiunse con tono rassicurante.
Kate sorrise imbarazzata distogliendo lo sguardo più volte. << Mi sei mancato anche tu, Tommy. >>
L’automobile ripartì e i due vecchi amici cominciarono a parlare. Era passato più di un anno dall’ultima volta che si erano visti, ma a Kate era sembrata una vita: Tommy era il ragazzo con cui si era sempre potuta sentire libera, erano sempre stati assieme, specialmente negli ultimi anni prima di dividersi, dopo le scuole superiori. Le era sempre rimasto vicino, anche nei momenti più bui, e lei gli era stata molto grata per quel suo sostegno; era quel tipo di amico che si poteva definire un “vero amico”, e Kate si sentiva molto fortunata ad averlo incontrato: non aveva molti amici, lei…
Vedere di nuovo Tommy era davvero bello, nonostante lei non sapesse cosa dire; lui invece sembrava pieno di cose da dire, idee, commenti, progetti per il futuro, ma attendeva che fosse la ragazza a partire. Era cambiato, in ogni caso…
Aveva i capelli più lunghi di una volta, a Kate piaceva quel suo taglio, ed era un po’ più muscoloso di prima, ma lo sguardo era la cosa più caratteristica di quel ragazzo: trasmetteva un senso di vita che faceva passare tutti i cattivi pensieri dalla mente di Kate, e sembrava essere diventato ancora più espansivo di quanto già fosse prima. Sicuramente aveva imparato un sacco di cose interessanti all’università, che tuttavia Kate non avrebbe mai capito… Però le mancavano quei tempi quando passavano i pomeriggi a studiare la fisica e a discutere sul loro futuro, su quello che desideravano fare. Tommy diceva sempre di voler diventare uno scienziato e dare le risposte a tutte le domande che si sarebbe posto; ovviamente Kate non fu mai tanto ambiziosa: lei era più realista…
<< Com’è l’università? >> Chiese finalmente alzando lo sguardo mentre Tommy cambiava marcia nell’auto.
Il ragazzo mosse rapidamente le sopracciglia piegando un labbro in risposta. << Grande! Non pensavo che fosse un ambiente così vario e aperto; lì mi sono davvero messo in gioco! >> Disse girando lo sguardo per un attimo.
Kate annuì. Aveva visto alcune foto, quello che era successo a miglia da lì, che aveva coinvolto il suo amico; una volta partito Tommy, lui e Kate non si erano tenuti molto in contatto, entrambi avevano le loro vite adesso, si sentivano dei pesi per l’altro – o almeno questo era quello che passava per la testa di Kate – e quindi gli sembrò più facile andare avanti, ognuno per la propria strada, per quanto triste potesse sembrare. Ogni tanto però Kate vedeva quello che succedeva al suo vecchio amico, grazie ai social network, quindi sapeva dei suoi ottimi voti all’università, delle sue nuove amicizie; aveva visto quanto fosse felice, lontano da lei. Dall’altra parte, invece, Kate sembrava aver perso qualcosa di importante dopo la partenza di Tommy, la sua vita sociale era diminuita di colpo, non le piaceva stare a contatto con la gente, ed ormai si ritrovava sola in una città alla quale sentiva di non appartenere…
<< Sono felice che tu ti trovi bene. Io non posso dire molto di qui, invece… >> Commentò sarcastica, desiderando però di poter sparire da quella città che era stata la sua casa per diciannove anni, ormai.
Tommy rise. << Ah, dai, ci sarà qualcosa di divertente in questo vecchio buco! >> Era davvero eccitato nel rivedere Kate, lo poteva intuire dal suo tono. Era possibile che gli fosse mancata così tanto?
Kate piegò la testa di lato. << Bé… Il festival primaverile era divertente… Quando eravamo giovani. >> Disse con disappunto, cambiando subito la frase che stava per dire; non poteva dire di aver partecipato a manifestazioni o feste che le avevano lasciato dei bei ricordi lì; per quanto le riguardava, adesso Kate si ritrovava ad assistere alla vita che aveva vissuto lei negli anni precedenti, attraverso i ragazzi del presente.
<< “Quando eravamo giovani”! Parli come una vecchia! >> Commentò ridendo con forza il ragazzo. Kate si finse offesa.
<< Oh, grazie! >> Disse ad alta voce, cercando di far ridere ancora di più l’amico. Chissà perché, quando era con Tommy non riusciva a rimanere seria troppo a lungo.
Il ragazzo rise, ma riacquisto l’autocontrollo rapidamente, per non distogliere l’attenzione dalla strada. << Mi fai sentire ancora più decrepito di quanto sia. >> Disse passandosi un dito sotto una palpebra, come per asciugarsi una lacrima che aveva perso a causa delle risate. Il suo sorriso innocente intenerì Kate.
<< Lo stesso vale per me. >> Commentò poggiando la testa al sedile su cui stava seduta.
Sospirò sentendosi invadere dalla nostalgia di quando erano ancora a scuola. Era strano; normalmente, una persona avrebbe avuto un sacco di domande da fare a un amico tornato a casa dopo tanto tempo. Lei invece si sentiva imbarazzata, come se stesse parlando con uno sconosciuto. Si sentiva improvvisamente una pessima amica, avrebbe dato l’impressione di non importarle se avesse continuato a comportarsi in quel modo, ma forse Tommy non ci faceva caso…
<< Vivi ancora con tuo padre? >> Chiese il ragazzo facendo girare la testa da un lato all’altro mentre usciva da un incrocio. Kate alzò lo sguardo sorpresa.
<< No. >> Rispose rapidamente. << Appena finita la scuola me ne sono andata di casa. Non avrei sopportato di stare alle dipendenze di qualcuno a questa età! >> Disse quasi schifata dell’idea di dover vivere con il genitore. Era vero. Kate aveva lasciato suo padre non appena era stato possibile e si era trasferita il più lontano possibile da  casa sua.
<< Quindi hai una casa tua? >> Chiese il ragazzo sorridendo.
Kate piegò la testa. << Ho affittato un appartamento in centro, ma si può dire che ho parecchia libertà… >> Spiegò increspando un labbro pensando alla propria quotidianità. Non era molto diversa da quando era piccola, solo che invece di andare a scuola, la ragazza lavorava. Per il resto, era come se nulla fosse cambiato.
<< Hai un lavoro? >> Chiese Tommy dopo che la ragazza ebbe menzionato l’affitto da pagare.
Kate annuì orgogliosa. << Lavoro in quella pasticceria di cui ti parlavo sempre! >> Rispose ammiccando. << E’ come un parco giochi, per me! >> La ragazza era sempre stata molto golosa di dolci, e spesso aveva trascinato l’amico in quella pasticceria che adesso era il suo lavoro. Tommy ricordava bene quelle volte che fu costretto ad andare con lei in quel posto, facendosi imboccare con gli occhi chiusi dei dolci a caso scelti da Kate; quello scenario era comune per i due ragazzi, che facevano lo stesso quando erano a casa, con le creazioni della ragazza.
<< Ma tu non sai cucinare! >> Esclamò Tommy incredulo, mostrando però con la propria espressione che stesse scherzando. Si voltò verso l’amica inarcando un sopracciglio e spalancando la bocca per tirare fuori quell’esclamazione così avventata che fece ridere la ragazza. Aveva ancora in bocca il sapore dei dolci preparati da lei, e non era un bel ricordo

Kate si perse d’aria per un attimo quando rise. La sua risata suonò come un cinguettio soffocato mentre la ragazza si piegava in avanti per cercare di calmarsi. << In effetti faccio la commessa. >> Rispose un po’ delusa, continuando a sorridere. << Però sto migliorando! Se dovessi assaggiare qualcosa di mio adesso, ne rimarresti sorpreso! >> Lo sfidò con un sorrisetto furbo.
<< Certo. Lo zucchero adesso lo usi? >> Disse lui con tono sarcastico mettendosi comodo sul proprio sedile. Quella domanda innescò una reazione scomposta da parte di Kate.
<< E’ successo solo una volta! >> Esclamò infastidita. Quel giorno che invece dello zucchero, la ragazza aveva utilizzato il sale nell'impasto di una torta non se lo sarebbero mai dimenticato. Chissà quante volte ancora Tommy glielo avrebbe ricordato…
Era passato tanto tempo, ma Kate cominciava a sentire la tensione allentarsi, come se stessero tornando indietro nel tempo, a quando erano ancora amici e si dicevano tutto, senza mai mentire. Che cosa era cambiato da allora? Perché era così difficile parlare con Tommy, adesso? Il fatto che fosse andato via per un anno? Aveva solo fatto la cosa giusta, seguendo i suoi sogni; una cosa che Kate non era stata in grado di fare…
Proprio quel pensiero le fece venire un dubbio: Tommy era mancato per più di un anno, e non era mai tornato prima d’ora. Quando e perché era tornato proprio adesso, all’improvviso? << Quando sei tornato a casa? >> Chiese Kate perplessa. Pensava che non lo avrebbe più rivisto lì, dopo essere partito per l’università.
Tommy sembrò annoiato da come ne parlò:<< Le vacanze. Giusto un paio di settimane, non ho potuto rilassarmi come si deve, in effetti… I miei mi hanno sballottato in giro a incontrare parenti che non vedevo da una vita, e allora queste due settimane si sono trasformate in un incubo… >> Ridacchiò ripensando alle proprie vacanze e mettendosi una mano fra i capelli. << Domani riparto… >> Fece girando la testa verso il portabagagli, dove giaceva una valigia nera ben chiusa. Aggiunse di aver già salutato i suoi genitori, poiché avrebbe dovuto alzarsi presto il giorno dopo. Poi si rivolse con rammarico alla ragazza. << Avrei voluto passare per fare un saluto, ma non ne ho proprio avuto il tempo… >> Era uscito proprio per quello, quella sera.
Kate non lo biasimava per averla evitata; era ancora sorpresa del fatto che l’avesse salutata quel giorno. << Non preoccuparti… Io non pensavo nemmeno di avere un posto nella tua memoria… >> Mormorò abbattuta. Kate non si sarebbe mai identificata come una buona amica; pensava sempre di non sapere nulla dell’altro, di non essere in grado di aiutare, e il fatto di essere rimasta da sola dopo la partenza di Tommy glielo aveva fatto credere ancora di più… La gente era sempre presente per lei, mentre invece lei era sempre stata egoista, parlando sempre e solo dei suoi problemi, di quanto stesse male, senza mai preoccuparsi nemmeno una volta degli altri, di quello che sentissero loro

<< Ma che dici, Kate? >> Chiese incredulo Tommy fermando la macchina improvvisamente. Si girò verso la ragazza e le rivolse uno sguardo perplesso. << Sei la persona più importante per me su questo mondo! Se avessi potuto farlo, sarei rimasto qui con te! >>
Kate fu grata al ragazzo per quelle parole dolci; sorrise, nonostante non ci credesse. << So che non lo avresti fatto… >> Commentò lanciando un’occhiata di sfida a Tommy, che dopo quella risposta sembrò tentennare un po’. La scienza era tutto per lui, non avrebbe mandato tutto all’aria per una ragazza.
<< Forse no… >> Disse annuendo imbarazzato. Era molto sincero, e questa sua qualità piaceva molto a Kate. << Ma avrei cercato di essere più presente! >> Ammise lui. Non importava se stesse mentendo o no; ormai era passata quell’occasione, e Kate poteva solo pensare al presente, in cui le loro strade si erano di nuovo incrociate.
<< In che senso, “più presente”? >> Chiese alzando piano la testa.
Tommy si bloccò trattenendo il respiro.
<< Cosa avresti fatto, se fosse andata a quel modo? >> Chiese Kate muovendosi un po’ sul suo sedile per rivolgersi verso il ragazzo.
Tommy si sentì in trappola, ma non perse il sangue freddo e una volta ripreso a respirare, cominciò a spiegarsi, in modo poco ordinato. << Io… Io non lo so… >> Mormorò inizialmente. Il suo sguardo andava da una parte all’altra dell’abitacolo della macchina; faceva di tutto pur di non incontrare lo sguardo della ragazza, ed entrambi sapevano perché. A un certo punto sembrò stufarsi di quella insicurezza e cominciò a parlare più velocemente:<< Ascolta: io avevo paura. Ho sempre temuto di non essere abbastanza per te… >> Si interruppe. << Di non essere… In grado di aiutarti. >> Continuò con fatica. Sembrava si stesse togliendo un grande peso dal petto. Kate stava ad ascoltarlo sorpresa di quella improvvisa confessione. << Ogni volta che parlavamo credevo di essere fuori tema, di non essere di aiuto… Ma tu continuavi a sorridere a ogni cosa, e ho pensato che forse a qualcosa servivano le mie parole… >>
Kate era affascinata dalle parole di Tommy, era forse la prima volta che lo vedeva così concentrato e profondo durante un discorso. Non pensava che quel ragazzo potesse avere dei dubbi o delle paure…
Tommy strinse un pugno. << Quando sono partito… Ho pensato che tu mi odiassi. >> Come avrebbe mai potuto credere una cosa simile. << Ero l’unico che stava con te, eravamo sempre insieme, e io egoisticamente me ne sono andato, lasciandoti nei casini! >> Non poteva biasimarsi per aver fatto la cosa giusta. Ma di quali “casini” parlava?
<< Tommy… >> Mormorò Kate lasciandosi sfuggire un sorrisetto e scuotendo impercettibilmente la testa. << Io sto benissimo… Sono felicissima di vederti di nuovo, ma non posso certo costringerti a rimanere qui per sempre! >> Disse ragionevole. << Abbiamo tutti le nostre vite, e nessuno può permetterci di intromettersi! >> Cercò di convincere Tommy di non avercela con lui per essere andato via. Lei non era una ragazza vendicativa, si immedesimava molto nell’altro per capire il suo punto di vista.
Tommy però non credette alle sue parole. << Kate. >> Pronunciò il suo nome con drammaticità, come se stesse uscendo dall’ombra. << Non puoi mentirmi. >> Continuò muovendo la testa lateralmente. << So che cosa provi da quel giorno. Sono passati tanti anni, ma la tua mente è ancora debole e il tuo cuore ferito. Non si può dimenticare qualcosa di tanto orribile. >> Stava davvero parlando di quello. Quell’argomento che era stato un tabù per anni, l’unico argomento di cui nessuno dei due aveva mai voluto o potuto parlare; perché lo stava facendo proprio ora? Lo sapeva che Kate non voleva parlarne! Non era bello da ricordare!
<< Tommy… >> Mormorò mettendosi una mano sulla fronte corrucciata e girando la testa dall’altra parte. Non poteva abbandonarla proprio in quel momento, cominciando a dire cose che lei non voleva sentire!
<< Kate, io so quello che hai provato per tutto il tempo! >> Esclamò cercando di non lasciare che la ragazza lo interrompesse. Si spinse in avanti puntando un braccio lontano per dare più enfasi a quella frase. << Ti ha fatto male, e tu hai voluto ignorare la ferita. >>
<< Ti prego… >> La ragazza lo supplicava di non andare oltre. Non voleva sentire altre cose riguardo a quello. Non voleva più provare quel dolore.
Ma Tommy continuava. << No! Guarda come ti ha ridotta la negligenza! Tremi al solo pensiero di quello che accadde sei anni fa! >> Kate tentò di convincersi del fatto che quel tremore fosse dovuto al freddo che le era entrato nelle ossa, ma non fu abbastanza credibile.
<< Non voglio pensarci, Tommy… >> Fu la triste supplica della ragazza che scosse la testa con vigore per convincere l’amico a cambiare argomento. La risposta di Tommy la sorprese.
<< E allora non farlo! >> Esclamò stranamente convinto di quello che stesse dicendo. Kate gli rivolse uno sguardo interrogativo e lui non ci mise molto a spiegarsi. << Tutto questo dolore e questa paura… >> Mormorò con voce tremante. << A cosa serve? Ti opprime solo di più, quando dovresti concentrarti sulle cose belle che ti capitano! >>
Kate muoveva piano la testa, non convinta. << Mi stai dicendo che dovrei… Dimenticare? >> Chiese con più forza di quanto avrebbe voluto. << Devo dimenticare tutto quel dolore? Tutto quello che ho perso? >> Alzò la voce, quasi come se Tommy fosse da incolpare per qualcosa.
Il ragazzo scosse la testa con razionalità, senza scomporsi. << Non dico questo. >> Spiegò con calma. << Quello che è successo… E’ successo tanto tempo fa. >> Disse subito dopo abbassando lo sguardo e cercando di mimare qualcosa con le mani. << Allora non potei fare nulla per aiutarti. Tu sei andata avanti senza mai incolpare nessuno, senza mai chiedere nulla… Hai portato dentro di te questi dubbi fino ad ora… >> Si portò una mano al petto alzando lo sguardo e puntandolo dritto verso gli occhi di Kate. << Voglio aiutarti per davvero, Kate! Lascia che faccia qualcosa per alleviare le tue sofferenze. Smettila di tormentarti per qualcosa di cui non avevi il controllo e condividi quel dolore con me, perché possa non sentirti più sola! >>
Le parole di Tommy erano davvero dolcissime. Kate lo aveva sentito parlare così solo qualche altra volta, e se non stava recitando nella compagnia teatrale della scuola, allora lo aveva fatto prima di quella tragedia, sei anni prima… E quella era la prima volta che la ragazza pensava di prendere seriamente in considerazione le parole del ragazzo, di credergli per davvero. << Tommy… >> Mormorò abbassando lo sguardo imbarazzata, sentendosi indegna di sostenere lo sguardo di quel ragazzo così coraggioso da guardarla dritta negli occhi e dirle quelle cose così forti.
Tommy le prese delicatamente il mento e la costrinse a rialzare lo sguardo, così che potesse tornare ad ammirare i suoi occhi neri. << Kate… >> Disse con dolcezza mentre avvicinava il viso a quello della ragazza. << Non sei sola. >> Detto questo la baciò.
E non fu un bacio di quelli che si danno tra amici, per scherzo, o quelli finti dei vecchi film; era un bacio vero, uno di quelli che Kate non aveva mai avuto prima! Non lo aveva mai sentito con tanta forza, né tantomeno quel sentimento che si era fatto prepotentemente strada non appena le labbra di Tommy avevano incontrato le sue, ricordandole il suo affetto per quel ragazzo, sì, ma non solo quello: qualcosa di più profondo della quale non aveva mai sospettato l’esistenza fino a quel momento; aveva sempre cercato di nasconderlo, credendo di sbagliarsi, o di essere pazza… Ora riconosceva l’amore per il suo vecchio amico.
Quando le labbra dei due ragazzi si furono divise, Kate si sentì quasi delusa dalla effimera durata di quel momento così speciale: era stato un interminabile secondo, e lei sentì come se ne avesse voluto ancora e ancora… Avrebbe voluto non staccarsi mai da Tommy, neanche per respirare, come se sulla terra importasse solo quello ormai; eppure era successo, e lei non poteva vivere di soli baci. Se ne rese conto non appena scoprì di essere senza fiato. La sua mente annebbiata era appesantita da una moltitudine di pensieri che non riusciva a formulare e sul suo viso vi era stampata un’espressione incredula: la bocca semiaperta e gli occhi spalancati, insolitamente lucidi.
La ragazza deglutì chiudendo la bocca, pensando di sembrare stupida. Lo sguardo imbarazzato e un po’ divertito di Tommy le diede quell’impressione. Prese aria più volte, cercando intanto di formulare una frase, qualcosa che potesse dare un senso a quel suo silenzio, ma dalla sua bocca non uscì nulla, e i suoi occhi, per qualche motivo, non riuscirono più a staccarsi dal viso del ragazzo.
Non era la prima volta che Kate baciava Tommy. Era già successo, a sedici anni, quando passavano tanto tempo insieme, tra casa, scuola, biblioteca… Erano in camera di Kate, si stavano rilassando dopo un pomeriggio dedicato allo studio; chiacchieravano del più e del meno, come facevano sempre quando erano insieme; non importava l’argomento, qualunque cosa fosse, veniva da sé… Kate non ricordava neanche come accadde, ma a un certo punto saltò fuori una conversazione su come sarebbe stato baciarsi. I due ragazzi, a quei tempi, non avevano un gran senso del pudore, in più erano molto intimi; questo faceva sì che si dicessero tutto, e che condividessero anche i segreti più imbarazzanti. Kate sfidò Tommy a baciarla, dicendogli che non ne avrebbe avuto il coraggio, ma quel ragazzo di tre anni prima la sorprese, dandole un bacio sulle labbra che non avrebbe impressionato molto Kate, ma che avrebbe comunque lasciato il segno.
Allora, Kate non provò quello che aveva provato adesso; era stata una cosa casuale, quasi accidentale, entrambi i ragazzi erano stati d’accordo su quello, e Kate non provò nulla di tutto quello che aveva sperimentato un attimo prima. In un primo momento non era riuscita a pensare a nient’altro che al coraggio dell’amico che si era fatto avanti con tanta baldanza, ma poi aveva pensato che fosse stato strano, diverso da come se lo sarebbe aspettato, e quando Tommy le ebbe confermato di aver provato la stessa cosa, si promisero di non baciarsi mai più. E tutto continuò come se niente fosse, senza dimenticare, ma mettendo quell’episodio assieme a tanti altri, ricordandolo spesso e volentieri, anche in presenza di altri amici, senza imbarazzo o timore. Sembrava una strana promessa, ma l’avevano mantenuta, fino a quel giorno.
Kate si mise le mani alla bocca spalancando ancora di più gli occhi. Tommy sembrò preoccupato dalla sua reazione e avvicinò la testa come per chiedere cosa avesse. << Mi ero dimenticata della promessa… >> Mormorò con voce sconvolta, facendo ridere Tommy. Erano già tornati come prima, a scherzare e ridere per niente, ma c’era qualcosa di più questa volta; questa volta sapevano entrambi di provare veramente qualcosa per l’altro.
Tommy sembrò perplesso per un attimo, ma poi rise pensando che la ragazza lo stesse prendendo in giro. << Credo sia stato diverso dall’altra volta… >> Mormorò ghignando e ricevendo in risposta un sorriso simile da Kate. In poco il ragazzo tornò serio. << Ascolta, Kate: voglio seriamente essere una figura importante per te! E se questo significa dover venire qui ogni settimana, attraverso tutte le difficoltà, la stanchezza e qualunque altra cosa possa mettersi tra noi, se sarà per aiutare te, per farti stare bene, per stare con te… >> Prese un respiro profondo prima di concludere la sua frase. << Io lo farò. >> Sapeva che lo avrebbe detto. Già dopo aver cominciato a parlare in quel modo, Kate aveva capito cosa voleva dirle. E lei sarebbe stata felice di accettare il suo amore, di tornare a vederlo spesso come un tempo, ma sentiva che non si potesse più tornare a quando erano inseparabili, e per di più, andare anche oltre… Credeva fosse impossibile ricominciare, dopo quel lungo periodo di silenzio tra i due.
Abbassò lo sguardo lusingata. << Ne sono sicura, Tommy… Ma come potremmo andare avanti? >> Chiese tristemente. Dal passato non si poteva scappare, e Tommy stava cercando di convincerla del contrario.
Il ragazzo sorrise come se sapesse esattamente cosa fare per convincere Kate e allargò le braccia con calma. << Semplicemente facendolo: andare avanti! Basta con i rimpianti, i brutti ricordi, il dolore… La nostra vita è quello che è ora grazie a ciò che abbiamo fatto nel passato, ma non resterà così per sempre: siamo noi a forgiare il nostro futuro, e se rimani nel passato, allora non sarai altro che un ricordo. >> Aveva ragione, e Kate si sentì veramente come la descrisse lui: un ricordo, perso in mezzo ad altri ricordi lontani, incapace di scrollarsi di dosso quella storia, credendo di esserne per sempre legata.
Tommy si mise comodo sul suo sedile e poggiò una mano sul volante. << Non ti voglio costringere a fare qualcosa che non vuoi. Ma se credi in me, dammi questa possibilità. >> Mormorò rivolgendole lo sguardo con fiducia. Accese la macchina mentre la mente di Kate elaborava tutto quello che aveva sentito e uscì dal posto in cui si era fermato poco prima. << Ti accompagno a casa. >> Disse poco dopo, facendole alzare la testa improvvisamente. Era l’unica cosa di cui non avevano parlato ancora: andare a casa. Era ovvio che Tommy l’avrebbe accompagnata fino a casa sua, ma fino a quel momento non ci avevano nemmeno pensato; che Tommy fosse uscito quella sera proprio per incontrare Kate e parlarle di quello? Forse voleva confessarle il suo amore, prima di dover ripartire… Era un ragazzo così dolce…
L’automobile scorreva senza problemi sulla strada bagnata. L’aria dentro l’abitacolo era piacevolmente calda, Kate si era anche slegata il giubbotto per evitare di sudare, e il ritmico ondeggiare delle sospensioni le stavano facendo venire sonno. Dopo aver dato le indicazioni a Tommy per raggiungere casa sua, la ragazza non aveva più aperto bocca, limitandosi a fissare il paesaggio di luci che scivolava rapido fuori dal finestrino, soffermando lo sguardo sulle persone che raramente passavano sul marciapiede parallelo alla strada.
Il modo di guidare di Tommy era impeccabile; era così rilassante stargli seduta accanto mentre lui guidava con calma sotto la pioggia. Kate si sentiva protetta da quel ragazzo che in passato aveva significato molto per lei; che potesse tornare a significare qualcosa dopo tutto quel tempo? Kate ne sarebbe stata felice, ma sapeva che non sarebbe stato facile vivere in un modo simile: ci sarebbero stati grandi ostacoli da superare insieme, Tommy avrebbe potuto non sopportare lo stress di dover viaggiare così tanto per vedere lei, Kate avrebbe potuto pensare di non importargli tanto a quel punto… Però il ragazzo aveva ragione a dire che aveva bisogno di aiuto: era così paranoica e pessimista! Magari sarebbe andato tutto bene, Kate avrebbe solo dovuto credere un po’ di più a Tommy e forse le cose si sarebbero fatte da sole.
L’automobile si fermò improvvisamente di fronte a un palazzo grigio e poco illuminato; Kate si sorprese scoprendo di essere già arrivati a destinazione e si guardò intorno delusa: la guida di Tommy l’aveva rilassata anche troppo e aveva perso il senso del tempo e dello spazio. Tommy le sorrise amichevolmente quando spense la macchina. << Vorrei che tu ci pensassi, Kate. So che può essere difficile per te, cambiare non è mai facile! >> Spiegò scuotendo la testa. << Ma in fondo non è meglio affrontare i problemi insieme, piuttosto che per conto nostro, in questo folle mondo? >> Concluse sorridendo sinceramente.
Aveva ragione. Kate aveva già capito tutto prima che Tommy avesse provato a spiegarle perché sarebbe stato meglio accettare la sua proposta, ma sentirlo parlare era così bello, la ragazza sarebbe rimasta seduta su quel sedile per ore, ascoltando la sua voce.
<< Ehm… Già… >> Mormorò imbarazzata, alzando e abbassando la testa come per controllare che non avesse lasciato cadere qualcosa. Una parte di lei avrebbe voluto lasciare la macchina senza dire niente, ma un’altra parte di lei avrebbe voluto non muoversi da lì e dire a Tommy che tutto quello che lui provava per lei era ricambiato. << Grazie per il passaggio, Tommy… >> Si tese verso di lui per baciargli una guancia e il ragazzo non si oppose, rimanendo perplesso da quel piccolo gesto.
La guardò confuso mentre usciva dall’auto, chiudendosi dietro lo sportello. Kate si guardò intorno un po’ spaesata quando fu fuori: la pioggia non cadeva più con forza, l’aria era fredda ma non sentiva più il bisogno di richiudere il giubbotto o aprire l'ombrello, nonostante fosse appena uscita dalla macchina riscaldata. Alzò lo sguardo verso il palazzo in cui abitava. Era così deprimente dover rientrare lì ogni sera da sola, addormentarsi da sola, uscire da sola…
Notò che Tommy esitava a ripartire. Che stesse aspettando qualcosa? Non l’aveva ancora salutata, e la sua faccia imbambolata era ancora lì, a fissarla. Kate si voltò sorridendo. Si appoggiò allo sportello della macchina e prontamente vide il finestrino abbassarsi; Tommy aveva intuito che la ragazza aveva ancora qualcosa da dirgli. << E’ stato davvero bello poter parlare di nuovo con te, Tommy. >> Mormorò appoggiandosi con le braccia allo sportello e infilando la testa dentro l’abitacolo. << Mi ha fatto stare bene… Non mi sentivo così da tanto tempo… >>
Tommy sembrò lusingato. << Non c’è di che, Kate. >> Rispose con calma lui poggiando il gomito sul sedile accanto e mantenendo una mano sul volante.
Kate sembrava imarazzata, come se ci fosse qualcosa che volesse dire, ma che non riuscisse a dire, e Tommy non sembrava volersi muovere da lì, in attesa di qualcosa che non sembrava arrivare. Rimasero in quella posizione a fissarsi imbarazzati finché il ragazzo non rimise a moto la macchina.
<< D’accordo, Kate… >> Mormorò quasi deluso, con tono stanco. << Domani dovrò partire presto, se decidi qualcosa, puoi chiamarmi in qualsiasi momento, va bene? >> Detto quello gli lanciò un sorriso fiducioso prima di tornare a guardare la strada.
Kate si sentì triste. Non voleva che Tommy se ne andasse, voleva dirgli quello che provava per lui subito, o avrebbe perso la sua occasione! Chissà quando si sarebbero rivisti, se non l’avesse fermato ora.
<< Aspetta! >> Esclamò Kate allungando un braccio verso l’automobile. Tommy rimase fermo con una mano sulla leva del cambio e una sullo sterzo. La guardava con un’espressione interrogativa che gli chiedeva cosa volesse dirgli ancora. Forse se lo immaginava, forse non voleva pensare a qualcosa prima di conoscere la verità. Kate lo sapeva cosa voleva dire, e lo avrebbe detto ora.
<< Vuoi… >> Mormorò con voce tremante, diventando tutta rossa in faccia. << Vuoi… Venire su per… Parlare un altro po’? >> Chiese spostando lo sguardo da un’altra parte per non dover incontrare quello di Tommy, che sarebbe stato sicuramente di scherno se l’avesse vista in faccia.
Il ragazzo fu sorpreso. << Sei sicura? >> Chiese senza muoversi dalla sua posizione.
Kate rimase immobile senza staccare il proprio sguardo dalla strada. Annuì piano borbottando qualcosa. << Vorrei… Parlare un po’ per… >> Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi stupiti di Tommy. << Andare avanti…? >> Sussurrò imbarazzata, diventando ancora più rossa in viso. Nonostante il freddo, Kate si sentì sciogliere sul posto, stava andando letteralmente a fuoco e avrebbe voluto spogliarsi istantaneamente per potersi godere quel freddo invernale, anche se non sarebbe servito, probabilmente… Data la sua altezza, doveva stare leggermente piegata per poter incontrare lo sguardo di Tommy dentro l’auto, ma avrebbe voluto raddrizzare la schiena per non poter più vedere gli occhi sognanti del ragazzo, che adesso la stava facendo aspettare con nervosismo.
Dopo una lunga attesa che a Kate sembrò un’eternità, il ragazzo girò le chiavi nel quadro e le sfilò via, uscendo dalla macchina e raggiungendo il marciapiede dove Kate lo guardava incredula. Si mise accanto a lei e le sorrise in modo espansivo, offrendole il braccio. Kate lo guardò confusa prima di appoggiarsi al suo braccio e cominciare a camminare in direzione dell’entrata del palazzo. Quando le luci del palazzo li illuminarono, i due ragazzi furono finalmente in grado di vedersi in faccia per cogliere tutti i dettagli dell’altro. Kate notò così che nello sguardo di Tommy c’era qualcosa di più profondo e saggio di una volta…
Il ragazzo commentò invece i capelli della ragazza. << Non mi ero accorto che ti fossi tinta i capelli! >> Disse sorpreso puntando un dito contro la ciocca rossa al lato della fronte di Kate. In effetti nell’automobile non c’era abbastanza luce per notarlo, e Kate sorrise quando afferrò la ciocca tinta per mostrarla meglio a Tommy.
<< E’ da poco che li ho così… >> Commentò ridendo ingenuamente. << Ho sempre voluto tingermi i capelli in qualche modo particolare, ma ho sempre avuto paura di farlo… >> Disse insicura mentre tirava fuori da una tasca la chiave per aprire il portone del palazzo. Quando furono dentro e si furono richiusi il portone alle spalle, gli chiese:<< Ti piacciono…? >> Con tono timoroso, come se avesse paura della risposta del ragazzo.
Tommy rispose con leggerezza. << Ti stanno molto bene! Mi sarebbe piaciuto vederti con i capelli colorati a scuola; credo che ti sarebbero venuti dietro un sacco di ragazzi… >>
Kate ridacchiò e nascose la bocca dietro alle mani, come per evitare di ridere in faccia a Tommy. << Hai una bella immaginazione… >> Mormorò girando lo sguardo. Tommy si sentì indignato.
<< Credimi: non hai idea di quanto abbia dovuto faticare per tenerti al sicuro, a scuola! >> Esclamò muovendo rapidamente una mano, mentre Kate lo conduceva all’ascensore posto in mezzo alle rampe di scale che la ragazza non si era mai sognata di usare. << Eri una fiamma alle superiori! >> Esclamò lui.
Kate rise di nuovo entrando in ascensore. << Sì, una fiamma ossidrica… >> Scherzò non volendo credere alle parole del ragazzo. << Se fossi stata così popolare, perché sarei rimasta con uno sfigato come te? >> Chiese staccandosi da lui e spostando la mano dalla sua testa ai suoi piedi, come per mostrarlo a sé stesso.
Tommy rise mentre l’ascensore si metteva in movimento. << A parte gli scherzi, è la verità. >> Tornò a sostenere lui con sguardo serio.
<< Sì? >> Chiese Kate ancora poco convinta. << E perché nessuno mi ha mia chiesto di uscire? >> Era sicura che Tommy si stesse sbagliando. Quando erano a scuola la gente ignorava o evitava Kate, chi diavolo avrebbe voluto avere a che fare con una come lei, una folle che aveva portato alla morte la propria madre?
Tommy sembrò avere la risposta pronta. << Perché tu non li avresti voluti. >> Disse con semplicità. << E quindi mi sono occupato di convincerli a lasciarti in pace. >> Sembrava troppo semplice. Per come aveva vissuto a scuola, Kate avrebbe detto di essere sempre stata presa in giro alle spalle, di essere stata coinvolta in pettegolezzi di ogni genere giusto per far fare quattro risate alla gente… E in fondo a lei non interessava: la gente non le interessava, quindi non era rilevante quello che pensassero di lei.
<< E se tra questi pretendenti ci fosse stato un ragazzo che mi piaceva? >> Chiese con un sorrisetto la ragazza, pensando di mettere in trappola Tommy.
<< Non ce n’erano. >> Rispose senza problemi lui. << Hai sempre detto di non sopportare i nostri compagni maschi, reputandoli insulsi pervertiti. >>
Kate rise senza contegno dopo aver sentito le proprie parole attraverso la bocca di Tommy. Era vero, ripensarci la faceva ridere così tanto… << E va bene, ti lascerò vincere questa volta… >> Disse riprendendo fiato mentre si asciugava una lacrima che le era uscita da un occhio per le troppe risate.
Tommy piegò un angolo del labbro superiore quando Kate ammise la sconfitta e tornò a parlare dei capelli della ragazza, l’argomento che aveva scatenato quella discussione. << E… Come mai proprio rossi? >> Chiese mentre l’ascensore si fermava, accompagnato da uno squillo elettronico quando le porte si aprirono.
Kate sorrise guardando Tommy con la coda dell’occhio mentre uscivano dall’ascensore per raggiungere la porta del suo monolocale. Non ricordava spesso il motivo del colore dei suoi capelli. << Oh, mi piaceva… >> Rispose dandogli poca importanza. Tommy forse intuì che ci fosse qualcosa di più che il semplice gusto estetico di Kate, ma non volle chiedere di più, reputando l’informazione poco importante.
Mentre la ragazza cercava di aprire la porta con la chiave difettosa, cercò di dire qualcosa al ragazzo:<< Comunque… E’ stato davvero carino da parte tua, venire a trovarmi… >>
<< Era troppo tempo che non ci vedevamo… >> Rispose calmo lui, non volendo farle credere che fosse un peso per lui essere lì. Era ovvio che sarebbe passato.
<< No, sul serio… >> Mormorò lei una volta che fu riuscita ad aprire la porta. Lei invece non si sarebbe aspettata una visita da parte sua. Entrò in casa e lo invitò a seguirla. Dopo che Tommy fu dentro, Kate richiuse la porta dietro di lui; poi fece scivolare via dalle spalle il pesante giubbotto e lo lasciò cadere a terra, mentre invece poggiò l'ombrello blu ai piedi di un appendiabiti sulla destra.
La stanza era abbastanza spaziosa per una persona, c’era un divano letto al centro della parete opposta, era in disordine e le coperte sembravano esplodere. Kate non era molto ordinata, ma Tommy aveva pensato che sarebbe cambiata un po’ dopo tutto quel tempo… Invece era sempre la solita Kate… Diceva che il suo disordine era “ordine” per lei, ma Tommy non la pensava allo stesso modo
Dalla parte opposta del letto c’era un piccolo televisore vecchio modello, Kate non poteva certo permettersi marche costose o schermi giganti. Il televisore era poggiato su un ripiano moderno in vetro e metallo, diviso in più strati su cui erano catalogati alcuni libri e dischi di musica. Tommy poté notare che la ragazza ascoltava ancora la stessa musica di quando andavano a scuola insieme; a lui non dispiaceva il metal, ma preferiva altri generi musicali meno forti… I libri che la ragazza aveva letto erano pochi, invece, ma erano aumentati dall’ultima volta che li aveva visti lui: quasi tutti erano libri scientifici, che parlavano di fisica quantistica e dell’universo, ma ce n’erano anche un paio sul paranormale e leggende metropolitane… Forse aveva cercato di capire perché fosse successo proprio a lei, quello che era successo
Sulla parete sinistra c’era un armadio a muro bianco, segnato da bordi squadrati neri, mentre l’angolo vuoto era insolitamente immacolato. Dal lato opposto c’era la cucina, e oltre ai fornelli, c’erano alcuni ripiani su cui la ragazza poteva lavorare e un paio di sedie su cui sedersi, e poi un tavolino pieghevole riposto accanto al frigo. Appoggiate alla parete da dove si entrava, sulla sinistra, c’erano una libreria che Kate sembrava aver riempito di cianfrusaglie e ricordini, e una scrivania su cui giaceva il monitor di un computer nero. Tommy ricordava quel computer; vi avevano fatto decine di ricerche a casa di Kate, scolastiche e non. Kate doveva non aver voluto separarsene.
Il pavimento era grigio. In giro per la stanza e su alcune sedie erano sparsi vestiti e diversi accessori per la casa. In fondo alla stanza, sulla destra, c’era una porta scorrevole che permetteva un po’ di privacy nel bagno, di dimensioni assai ridotte.
<< Sono davvero felice… >> Mormorò Kate girandosi verso Tommy dopo aver fatto girare la chiave nella serratura della porta di ingresso. Gli mise le braccia al collo e gli sorrise dolcemente. In quella posa la differenza di statura tra lei e lui era molto evidente, soprattutto perché ora Kate cercava di raggiungere il viso del ragazzo con il suo, ma non ci riusciva; in effetti, Tommy era cresciuto inaspettatamente dopo le medie, mentre Kate non era diventata alta come avrebbe sperato… Non poteva lamentarsi, ma rivedere Tommy così alto di fronte a sé la fece sentire un po’ in imbarazzo e le tornarono in mente i giorni quando andavano ancora a scuola insieme, e lui faceva molto leva sull’altezza per prenderla in giro. Cercò di non far notare le sue guance rosse e ghignò con soddisfazione. << Negli ultimi tempi avevo un dubbio che continuava a preoccuparmi… >>
Tommy sorrise rassicurante, con lo sguardo di uno che sembrava avere tutto sotto controllo. << E quale sarebbe? >> Chiese piegando la testa leggermente di lato e molto di più verso il basso, sul viso di Kate. Il modo in cui sorrideva fece capire a Kate che anche lui ricordava tutti gli scherzi sulla sua statura.
Kate lo lasciò attendere un po’, accarezzandogli dolcemente il collo. Lo guardò come se stesse esaminando una pietra preziosa e poi sorrise con malizia, facendo capire a Tommy chi comandasse. Era sempre stato così: Kate aveva sempre comandato Tommy, lui era stato quasi il suo schiavetto personale quando erano più giovani; quel sorriso era il segnale che Kate volesse divertirsi, e che Tommy non avrebbe potuto fare niente per impedirglielo, praticamente era un interruttore che faceva diventare Tommy docile come un cucciolo e permetteva a Kate di fargli fare tutto quello che voleva. << Mi sono chiesta più volte per cosa stessi vivendo… >> Mormorò perdendo quel sorrisetto e concentrandosi su una ciocca di capelli di Tommy, con cui si mise a giocherellare. << Ero completamente sola, non facevo nulla di produttivo… Non aveva senso. >>
Tommy ascoltava con attenzione; capiva che Kate si fosse sentita molto sola in quell’ultimo anno, e non poteva non dispiacersi per quello che le stava raccontando adesso la ragazza.
<< C’è stato un momento che ho preso in considerazione il suicidio. >> Disse quasi ridendo la ragazza. Tommy ebbe un brivido lungo tutta la colonna vertebrale, pensando a quell’eventualità. Come avrebbe reagito se un giorno avesse ricevuto la notizia della morte di Kate?
Tommy si mostrò dispiaciuto. << Deve essere stata dura per te… >> Mormorò mettendole una mano su un fianco e una dietro la schiena. << Scusami, Kate… Non mi ero reso conto di quanto fosse serio il vuoto lasciato… >> Cercò di confortarla in qualche modo.
Nonostante le scuse del ragazzo, Kate scosse la testa sorridente. << E’ tutto a posto, ora. >> Si avvicinò piano con le labbra a una guancia del ragazzo. Lo baciò delicatamente; la sua pelle era così liscia e morbida, non sembrava quella di un uomo… Si ricordava di aver visto Tommy con la barba, una volta: era stato un tale shock che gli aveva ordinato di non farsela più ricrescere! Era bello vedere che aveva continuato a radersi, nonostante fosse rimasto lontano…
<< Come mai? >> Chiese perplesso il ragazzo rivolgendole lo sguardo corrucciato, non sapendo che la risposta stesse per arrivare.
La ragazza sorrise benevola e lo baciò come aveva fatto prima lui con lei. Adesso però era lei a dettare le regole, era lei che comandava – e a Kate piaceva comandare – e lo baciò come volle lei, lentamente, assaporando ogni istante di quella sensazione inebriante che Kate non aveva mai provato prima e di cui già sentiva di non poter fare a meno. Dopo il bacio che le aveva dato Tommy, Kate aveva atteso questo momento con impazienza, chiedendosi se sarebbe mai arrivato. Ora che era arrivato, finalmente, la ragazza avrebbe voluto che durasse per sempre, che si bloccasse il tempo in quel preciso istante, e che loro non si dividessero mai più.
Sapeva che sarebbe successo, invece. Si sarebbero divisi, anche se avessero dovuto passare tutta la notte attaccati l’uno all’altra, Tommy se ne sarebbe dovuto andare, e lei avrebbe dovuto dirgli addio un’altra volta, con la speranza di rivederlo il più presto possibile… E anche se lui avesse promesso di tornare presto, l’attesa avrebbe distrutto Kate prima di quel momento. Sapeva che non era possibile cambiare le cose – almeno per il momento – quindi avrebbe voluto che quell’istante durasse il più a lungo possibile.
Mentre i due ragazzi si baciavano, le mani di Tommy si cominciarono a muovere, accarezzando gentilmente i fianchi e la schiena di Kate. Allo stesso modo, Kate continuava a scompigliare i capelli del ragazzo, strofinando delicatamente il suo collo. << Kate… >> Mormorò Tommy allontanandosi controvoglia dalle labbra della ragazza. Lei fu sorpresa da quel gesto e lo cercò a bocca aperta, avanzando con la testa, quasi come se non si fosse accorta del cambiamento. << Vorrei che tu ci pensassi bene a… >>
<< Sta’ zitto. >> Sussurrò dolcemente ma con autorità lei. Lo tirò a sé dal colletto e lo baciò di nuovo, meno intensamente di prima, ma con più spinta. Lo lasciò andare dopo quel bacio per dirgli una cosa:<< Io ti amo, Tommy, e non so come abbia fatto a non accorgermene prima… >>
Tommy non riusciva a credere alle parole della ragazza che un tempo era stata la sua migliore amica. E non riuscì a credere nemmeno a come glielo disse: in quel caso, la vecchia Kate sarebbe arrossita, cercando di mantenere una certa dignità e distacco, non si sarebbe mai spinta così tanto fino a dirgli che lo amava con tanto trasporto. Era davvero cambiata, in fondo…
Si baciarono di nuovo, e questa volta Kate lo tirò a sé, cercando di far abbassare la testa di Tommy per poter essere sullo stesso piano e farlo andare dove voleva lei. Mentre lo guidava con passi lenti e corti, il ragazzo sembrò non riuscire più a trattenersi; prese in mano la situazione e cominciò a muoversi più intensamente, stringendo con forza i fianchi magri di Kate e facendole intendere di lasciarsi andare. Kate, in risposta, mordeva le labbra del ragazzo con malizia e si sosteneva dal suo collo. A un certo punto intuì le intenzioni di Tommy e si lasciò sollevare; il ragazzo la prese in braccio per fare in modo che fossero alla stessa altezza. Lei si agganciò al suo busto con le gambe e sorrise divertita quando il ragazzo ebbe uno scatto di sorpresa, dovuto a quel suo gesto. Era strano stare così vicini, attaccati l’uno all’altra, ed entrambi potevano sentire sensazioni insolite, che gli avrebbero portato disagio se non fossero stati loro due…
Tommy doveva aver capito cosa volesse fare Kate, perché avanzò con lei saldamente aggrappata al proprio petto verso il divano letto aperto. Continuavano a baciarsi anche mentre si muovevano, come se non volessero perdere neanche un minuto senza farlo. Erano già là? Erano davvero diventati così intimi, nonostante non si fossero visti per un anno? Ma che importava! Si erano voluti da sempre, sarebbe stato deleterio attendere ancora. Con questo pensiero nella mente Tommy spinse Kate sul materasso pieghevole e le chiuse le vie d’uscita mettendo le mani attorno alle sue spalle per appoggiarsi, dopo essersi disfatto del giubbotto ed averlo buttato per terra.
Kate rise un po’ quando cadde rimbalzando fiaccamente sul divano, ma il suo sorrisetto scomparve quando il viso di Tommy fu a un centimetro dal suo, e sentì improvvisamente una grande pressione su di sé. Era un po’ spaventata, ma sapeva di non avere niente da temere con Tommy. Lui la guardava così serio, però… Sembrava pensare a tante cose, quasi come se lei fosse diventata invisibile. Ma non era così.
Lei era ovunque nella mente del ragazzo, in quel momento, ed era lui ad avere paura per quello che sarebbe accaduto in quella stanza, tra pochi istanti. Temeva di rischiare qualcosa di grosso, come se niente sarebbe potuto tornare come prima, dopo quello… Era come scommettere su una partita di calcio senza conoscere le squadre che si sfidavano; non sapeva come sarebbe andata a finire, e se le cose fossero andate male, rischiava di perdere tutto. L’unica cosa che poteva fare, era sperare che le cose continuassero…
La baciò sulle labbra un’altra volta, questa volta tornando subito a fissarla con serietà, mentre con le mani le sbottonava lentamente la camicetta bianca. << Kate. >> Disse con voce bassa. << Io ti amo, e farò di tutto per aiutarti. >>
La risposta di Kate fu un sorriso innocente, felice. Senza aggiungere altro, il ragazzo abbassò la testa e cominciò a baciarle il petto, dove un piccolo reggiseno nero le copriva i seni.
Tommy sorrise. Si erano visti nudi parecchie volte, il ragazzo sapeva bene che aspetto avesse la ragazza senza vestiti, e lo stesso era per lei; tuttavia era diverso questa volta. << Non sei cresciuta molto… >> La prese in giro, facendola diventare tutta rossa dalla vergogna.
<< Sta’ zitto! >> Esclamò burbera spingendogli la faccia con una mano. Una volta Kate si era lamentata con Tommy di non avere le forme di una ragazza della sua età; nonostante tutte le lamentele, quella Kate non si preoccupava di quello, perché era sicura che aspettando sarebbe finalmente cresciuta e la gente non l’avrebbe più scambiata per una bambina. Quel giorno Tommy però non le aveva creduto e le aveva detto che secondo lui era molto improbabile che potesse crescere ancora, a quell’età; dopo quella sua dichiarazione, Kate era andata su tutte le furie e gli aveva detto che lo avrebbe stupito: una volta diventata maggiorenne lui non l’avrebbe più riconosciuta, a detta di lei. Alla fine fecero una scommessa, ma né Kate né Tommy ricordavano cosa ci fosse in gioco; in ogni caso, Tommy aveva dimostrato di avere ragione ancora una volta. Ma non gli importava…
Il ragazzo sorrise divertito dall’improvviso imbarazzo della ragazza. << Sei bellissima. >> Le confessò con tono dolce mentre tornava a baciarle il petto.
Per Kate fu quasi inaspettata quella dichiarazione; spalancò gli occhi nonostante la sua espressione fosse indifferente e abbassò lo sguardo sulla testa del ragazzo, affondata nel suo petto. Le voleva bene davvero. La amava.
Glielo aveva detto tante volte, ma quella volta era diverso. Kate sentì il cuore cominciare a battere più velocemente, cominciò ad ansimare dalla tensione; oppure era lui a provocarle tutto quello? Era Tommy che la stava facendo sudare e godere con i suoi baci, con le sue parole, tanto da farla gemere e graffiare la schiena del ragazzo per l’eccitazione?
La ragazza gli prese la testa tra le mani e la spinse sul proprio petto, come per proteggerlo. Sospirò cercando di ritrovare l’autocontrollo; anche lui era leggermente provato dopo i graffi causati dal troppo trasporto di Kate. Chiuse gli occhi un momento e poi diede un colpetto sulla spalla di Tommy. Lui alzò la testa e lei si mise a sedere, facendogli fare di conseguenza.
Lo guardava con un sorriso mesto, stanco, debole, ma pur sempre un sorriso. Erano entrambi a gambe incrociate su quel letto, Kate vicino al centro del materasso, Tommy più sul bordo. La ragazza si diede qualche spinta per avvicinarsi al ragazzo e quando fu lì allargò il proprio sorriso.
Gli cinse una spalla con il braccio sinistro, mentre gli posava la mano destra sul petto, poi avvicinò il viso poggiandolo per un attimo alla sua spalla. Lo guardò negli occhi da quella posizione, dal basso verso l’alto, con un’espressione che Tommy non ricordava di aver mai visto in Kate, almeno negli ultimi anni: era felice.
Un attimo dopo, la ragazza si spinse in avanti e lo baciò con passione, spingendo la mano destra sul suo petto, mentre Tommy si lasciava guidare da lei, rimanendo al suo posto con la schiena eretta.
Uno strano suono provenne dal basso e Tommy sentì un improvviso dolore acuto al petto, esattamente dove Kate stava tenendo schiacciata la propria mano. Cosa poteva essere? Cercò di guardare in basso, ma il viso di Kate gli bloccava la visuale, quel bacio stava andando avanti nonostante quello che avvertisse il ragazzo; possibile che si stesse immaginando tutto? Il viso candido di Kate era così carino, i suoi occhi chiusi la rendevano così innocente mentre lo baciava che gli veniva da chiedersi se sapesse davvero cosa stesse facendo. Sentì un altro suono, questa volta meno solido del primo, e il dolore si intensificò. Era impossibile che si stesse immaginando un simile dolore. Emise un gemito quando avvertì una scossa al petto.
Dopo quel suo gemito, gli occhi di Kate si aprirono all’improvviso, incutendogli immediatamente un terrore mai provato prima.
La ragazza cominciò a mordergli le labbra e la lingua con violenza, ghignando malignamente mentre lo fissava con i suoi occhi neri. Per qualche ragione, il ragazzo non riusciva a distogliere lo sguardo; era strano, aveva paura e voleva guardare da un’altra parte, ma perché, prima di tutto, e cosa avrebbe potuto incutergli un tale timore? Era un sentimento che non provava da anni, ma ora che lo stava sentendo, che lo stava spingendo a distogliere lo sguardo, ricordava di averlo provato più volte, sempre con la stessa persona, in diverse situazioni. E come quella notte, stava resistendo. Stava resistendo perché aveva promesso di essere forte per lei, di rimanere dalla sua parte… Ma era troppo forte, e non riusciva a concentrarsi con quel dolore al petto.
Tommy pensava che quella particolarità della sua amica fosse scomparsa, con il tempo, che ogni traccia di quella “oscurità” fosse andata via… Ma forse non era così… Forse era rimasta nascosta per tutto quel tempo, in attesa di tornare in superficie e far preoccupare di nuovo la povera Kate. Non poteva permettere che accadesse di nuovo! Ma perché quello sguardo così divertito? Perché Kate sorrideva mentre lo mordeva e gli graffiava la schiena, facendogli uscire il sangue? Perché quel dolore al petto si acuiva ogni istante di più, e a Kate sembrasse non importare?
Quando sentì di non poter più sopportare quel dolore, Tommy lanciò un segnale alla ragazza, che però non si fermò per chiedergli cosa stesse succedendo, ma continuò a morderlo, quasi come se volesse succhiare via l’anima di Tommy. Cercò di divincolarsi, di colpirle una spalla per dirle di fermarsi, ma Kate continuava con quel suo strano modo di baciarlo, ormai diventato monotono e doloroso.
Non conosceva quella Kate ossessiva e violenta, possibile che fosse sempre stata così ma che non se ne fosse mai accorto? Oppure diventava così solo in una situazione del genere? Forse avrebbe dovuto solo accettarlo, ma avrebbe voluto prima parlarne. << KATE! >> Esclamò alzando le braccia e spingendola via dalle spalle.
Kate era ancora avvinghiata alle labbra di Tommy quando lui la spinse via, ma non ci pensò neanche un attimo ad allentare la presa con i denti, che risultò nello strappare la carne del ragazzo e fargli lanciare un gemito di dolore subito dopo essersi premuto le mani sulla ferita. Solo in quel momento si rese conto di avere qualcosa infilato nel torace: un coltello, e la mano di Kate che lo teneva ben stretto.
Sconvolto, Tommy alzò lo sguardo verso la ragazza, che sorrideva follemente; aveva le labbra macchiate del suo sangue e i suoi occhi erano diventati più inquietanti che mai. Ridacchiò eccitata. << Che cosa c’è, Tommy? Non ti piace? >> Chiese con una vocina acuta, mentre il ragazzo cominciava a sentirsi strano.
Kate attese qualche secondo perché il ragazzo di fronte a lei perdesse conoscenza, poi lo mantenne in equilibrio tirando dal coltello infilato nel suo petto e gli diede un pugno sul viso talmente forte da spingerlo indietro e fargli scivolare via il coltello dalla ferita.
Kate rise elettrizzata, alzando le mani insanguinate come per cercare di dare un contegno alle proprie risate, e sbattendo i piedi sul materasso. Si avvicinò al bordo del divano letto gattonando, stringendo ancora il coltello in una mano, e si affacciò per vedere il corpo esanime del suo amico. La inebriava così tanto fare quella cosa, ma trattandosi di una persona come Tommy, Kate si sentì quasi svenire dall’emozione. Trattenne il respiro per un attimo, dopo essersi liberata con una risata potente; poi si mise le mani ai capelli e tirò con forza, come per dirsi di stare calma. Inspirò ed espirò tra i denti, gemendo debolmente, fissando il muro di fronte a sé.
Lo aveva fatto. Lo aveva davvero fatto! Ma doveva stare calma, non poteva farsi sentire; ma era troppo eccitante! Era troppo emozionata per averlo fatto, non riusciva a trattenersi! E poi perché avrebbe dovuto? Era proprio quello il piacere più grande, se lo avesse frenato se ne sarebbe pentita per sempre: una occasione come quella capitava una sola volta nella vita.
Kate spalancò la bocca e scoppiò in una risata lunga e liberatoria, in preda al delirio, che finì solo quando la ragazza ebbe esaurito il fiato, tra le convulsioni che scossero tutto il suo corpo. Sospirò poi beatamente quando fu finito. Le serviva proprio quella piccola distrazione… Sorrise rilassata e si guardò intorno, ammirando il lavoro compiuto. Aveva sporcato le lenzuola, però… Assunse una faccia di disappunto quando notò le macchie rosse su cui stava seduta. Non si poteva ottenere un piacere simile senza sacrificare qualche piccola cosa, in fondo…
Kate scese dal letto e si inginocchiò accanto al corpo immobile di Tommy. Aveva la ferita sul petto ancora sanguinante, mentre quella sul labbro non era molto di rilievo: il sangue aveva già smesso di affluire là. Gli sorrise come un’amica. << E’ stato bello rivederti, Tommy… >> Mormorò facendo passare lo sguardo dai piedi fino alla testa del ragazzo. << Mi hai fatto sentire come quando eravamo giovani… E molto di più… >> Continuò accarezzandogli la testa.
La ragazza sospirò tornando con la schiena dritta, mentre faceva scivolare le gambe di lato con fare sensuale e si metteva a sedere accanto al cadavere. << E’ un peccato che io abbia già qualcuno che mi faccia stare bene… E io lo amo, anche più di te. >> Il corpo di Tommy rimaneva immobile, come se stesse ascoltando le parole della ragazza. Sentì la necessità di chiarire le cose. << Oh, certo che ti amo, Tommy! >> Rise lei abbassando la testa fino a quasi toccare il viso del ragazzo con la punta del naso. << Solo… Non quanto lui… >> Tornò indietro e mosse di lato la testa, piegando in giù gli angoli della bocca per un minuto. << Non te la prendere. Sarai sempre il numero due, in fondo… >> Ammiccò per concludere.
Rimase lì a fissarlo con nostalgia, ammirando il suo corpo per alcuni minuti. << E’ un peccato che non possa tenerti con me… >> Mormorò facendo scorrere l’unghia dell’indice destro – quella lunga – sul petto del ragazzo. << Sarebbe troppo complicato, sai? >> Avvicinò di nuovo la faccia al viso di Tommy. << Una volta ci ho provato, sai? Sai? >> Chiese con voce eccitata, sorridendo come una matta. << E sai com’è finita, Tommy? >> Ridacchiò in modo stupido. << Non lo so neanche io, perché quella persona in realtà non è mai esistita! >> Esclamò allargando le braccia e ridendo facendo sussultare le spalle ogni volta. Le sarebbe piaciuto tenere qualcosa di lui con sé, però… Ma non avrebbe potuto farlo…
<< Devi avere un cuore bellissimo, Tommy… >> Mormorò con voce sensuale scrutando con attenzione il petto squarciato del ragazzo. Alzò lo sguardo verso i suoi occhi; si puntò una mano sul petto avvicinandosi rapidamente di qualche centimetro. << Io l’ho visto! >> Disse. Era vero. Tommy aveva un cuore meraviglioso, era buono, gentile, amichevole, stava sempre dalla sua parte, e non riusciva a vedere il male nella gente. In fondo erano uguali: neanche lei poteva vedere del male negli altri, non più! E lei sapeva che il cuore di Tommy era pieno di bontà, voleva vederlo, voleva toccarlo, e voleva tenerlo con sé, ovviamente, ma non poteva farlo quello…
Lentamente, la ragazza avvicinò la mano destra alla ferita sul torace del ragazzo; si sentiva tutta eccitata, come una bimba che faceva qualcosa che non doveva fare, e quello rendeva la cosa ancora più eccitante! Con delicatezza, allargò la ferita con le unghie e vi infilò dentro le dita, rapidamente. Cercò a lungo il cuore del ragazzo, tastando prima la carne viscida e poi le sue costole, solide e ferme; avrebbe voluto strapparle via con forza, ma si rese conto di non poter fare una cosa simile: avrebbe fatto un casino tremendo!
Alla fine raggiunse il cuore; lo sentì: ruvido, viscido, era ancora scosso da deboli fremiti, si stava spegnendo… Avrebbe voluto strapparlo via da lì – sì, avrebbe voluto strappare via molte cose dalle interiora di Tommy – ma le venne in mente un’idea migliore: non avrebbe potuto tenerlo, quindi sarebbe stato inutile tirarlo fuori, ma avrebbe tanto voluto vederlo spegnersi nelle sue mani; ma avrebbe sporcato dappertutto e forse non sarebbe neanche riuscita a catturare l’attimo… Ecco perché, invece di lasciare che si fermasse tra le sue mani, avrebbe fatto in modo che si fermasse a causa delle sue mani!
Kate mise lentamente la sua mano attorno al cuore debole di Tommy e sospirò profondamente, cercando di recuperare il controllo ormai perso. Si sentiva tutta elettrizzata, come se stesse per fare qualcosa di vietato, molto pericoloso, ma molto eccitante. Ghignò inspirando con forza prima di stringere con forza la mano destra. Sentì l’interno della mano bagnarsi del sangue caldo di Tommy, la carne viscida sgusciarle via dalle dita in cerca di spazio…
Ridacchiò eccitata, tirando fuori la mano a scrollandola piano per far andare via un po’ del sangue. Ma ce n’era ancora tanto, e Kate non poteva certo farlo andare via tutto…
Fu in quel momento che sentì una fitta pungente alla tempia. Emise un gemito e schiacciò la mano sopra al punto in cui sentì quel dolore, prima di sorridere. Si voltò per cercare, ma non c’era nulla lì; si girò dall’altra parte, guardando nell’angolo vuoto e vide la nera figura di Slend che la fissava, piegato per poter stare sotto il soffitto della stanza, con una posa passiva. La guardava senza mai distogliere lo sguardo. Kate lo salutò sorridendogli e alzò la mano insanguinata per mostrargli il suo lavoro. << Era da tanto che non lo vedevo… >> Mormorò alzandosi e dirigendosi verso di lui. Lo abbracciò sorridendogli innocentemente. Nonostante fosse cresciuta, la sua faccia non riusciva ad andare più in alto del bacino dell’uomo con la cravatta rossa; all’inizio era stato un po’ frustrante, ma in fondo non le importava…
Quando lui le chiese cosa ci facesse mezza nuda, la ragazza rise guardandosi il petto scoperto. << E’ stato lui… Era davvero innamorato, e volevo fargli capire di provare lo stesso per lui. >> A quella risposta, Slender Man sembrò contrariato. << Non fare quella faccia! Lo sai che tu sei la cosa più importante nella mia vita. >> Gli disse prendendogli un braccio e rivolgendogli uno sguardo languido. << Lui era al secondo posto… >> Sussurrò dolcemente cominciando a riabbottonarsi la camicetta.
Non ci sarebbero stati problemi; Tommy aveva detto di aver già salutato i suoi genitori, sarebbe dovuto partire il giorno seguente, molto presto, quindi nessuno lo avrebbe visto, e ci sarebbe voluto molto più tempo prima che qualcuno si fosse potuto accorgere della sua scomparsa. Kate sapeva che sarebbe andato tutto bene, ora Tommy era con lei, Slend era con lei, e tutte le altre persone che aveva ucciso dopo aver finito la scuola sarebbero state con lei. Non era sola come all’inizio, dopo aver perso tutti i suoi amici, quando avevano deciso tutti di lasciarla per seguire le loro strade; lei si era sentita ferita dalle loro scelte, si era sentita abbandonata e non aveva più saputo cosa fare. Ma poi aveva ritrovato una luce.
Aveva tanti amici adesso, tante persone che le volevano bene, che la seguivano di nascosto, che la osservavano da lontano, per assicurarsi che non le accadesse nulla di brutto. E lei li amava, tutti quanti; gli voleva bene come una famiglia, e lei avrebbe ricordato sempre i loro volti, i loro sacrifici per lei, tutto l’amore che le avevano dato dopo essere morti.
Ma più di tutti, lei avrebbe ricordato Slender Man, che l’aveva ritrovata dopo che la ragazza fu rimasta da sola, che le aveva dato quella spinta, quella forza per rialzarsi e trovare una soluzione al suo dolore. Le aveva dato tanto amore, l’aveva fatta sentire viva come un tempo, e lei aveva deciso di ricambiare quell’affetto, trovando delle persone importanti e dandole a lui. Sì, i loro spiriti rimanevano con lei, le facevano compagnia, ma non sarebbe stato esatto dire che lo stesse facendo per sé soltanto; in effetti le bastava la compagnia di Slender Man, dopo tutto quel tempo passato senza di lui. Ma lui aveva bisogno di loro. Lui non aveva ucciso nessuno da quando si erano lasciati, tanti anni prima, e aveva sepolto quel suo desiderio, quel suo bisogno di uccidere per tutto quel tempo; lo aveva fatto perché, nonostante tutto, aveva voluto dimostrare a Kate di essere cambiato, di essere buono. E ci era riuscito. Ma non ce la faceva più a trattenersi. Quindi, Kate, benevola, aveva deciso di alleviare quella sua sofferenza; aveva preso quel vecchio coltello che un tempo ebbe bagnato con il proprio sangue, e aveva ucciso. Aveva ucciso persone a lei care, persone che avrebbe potuto considerare “amici”, ma anche semplici “conoscenti”, gente incontrata per strada, persone che avrebbe considerato “nemici”… Li aveva uccisi tutti quanti e aveva dato i loro corpi e le loro anime a Slender Man, perché potesse alleviare il proprio dolore immergendosi in quello degli altri.
E la sua casa, se non fosse stato per l’azione di Slender Man, sarebbe apparsa agli occhi di chiunque come un mattatoio, una stanza piena di cadaveri, con le pareti imbrattate di sangue anche nei posti più improbabili, e i nomi delle sue vittime scritti con il loro stesso sangue sui muri. Kate stessa avrebbe avuto un aspetto diverso, se non fosse stato per lui: avrebbe avuto uno sguardo diverso in volto, con gli occhi vuoti, un ghigno malvagio, i vestiti rossi, zuppi di sangue, come i suoi capelli, che aveva deciso di colorare a quel modo proprio per poter vedere sempre una parte di quel sangue su di sé, anche se finta.
Ormai non le importava più di niente, del proprio aspetto, dei propri bisogni, della gente… L’unica cosa che importava era lui, perché le aveva dato tutto, e voleva ricambiare in quel modo. Grazie a lui riusciva a non impazzire, che le torturava la mente in ogni istante della giornata, che le faceva provare dolore nelle profondità del proprio corpo, che le dava quel piacere che solo lui sapeva darle… Solo lui riusciva a farle sembrare normale e “felice” tutto quello che la circondava…
Lui la amava, e lei lo sapeva. Per questo era felice. Non c’era niente di cui preoccuparsi, e se ci fosse stato un problema, Slender Man se ne sarebbe occupato, come se ne sarebbe occupata lei se fosse stato necessario.
Si preoccupavano l’uno dell’altra, e stavano bene. Sarebbero rimasti insieme per sempre, con i loro amici. E Kate non avrebbe potuto desiderare nulla di meglio, perché sarebbe stata felice.
Perché lei era sua.

 

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