Cuando Llueven Estrellas - Quando Piovono le Stelle

di BlueOneechan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Avviso:
Questa storia è ispirata alle light novel High Speed! e High Speed! 2 di Koji Oji; a Free!, 
Free!Eternal Summer e al restante materiale ufficiale prodotto da Kyoto Animation.
I personaggi e l’idea originale non mi appartengono.
La seguente  fan-fiction è scritta senza scopo di lucro.

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QUANDO PIOVONO LE STELLE
CAPITOLO 1

Haruka cacciò un breve sbadiglio, socchiudendo gli occhi ancora assonnato, camminò verso la finestra della propria camera, quella che dava su una splendida vista della baia. S’affacciò col muso di fuori per sentire il fresco vento autunnale accarezzargli il viso, un brivido gli sfiorò la schiena. Osservò per un attimo il mare; anche se i giorni tornavano a farsi più freddi, l’acqua continuava a fingere di essere tranquilla. Chiuse la finestra e diede un’altra occhiata alla sveglia sul comò; mancavano ancora quindici minuti alle sette.

Con passo lieve, Haruka raggiunse il bagno, si spogliò e si buttò sotto la doccia, chiudendo gli occhi per sentire il leggero e caldo liquido scendere dalla testa per tutto il corpo. La sensazione non era paragonabile al piacere di immergersi nella vasca da bagno, gli mancavano quei giorni in cui poteva passare ore immerso nell’acqua. Ma in questi anni Haruka semplicemente non aveva abbastanza tempo –né era la priorità – di trovare uno spazio nell’arco della giornata per goderne.

Fu una doccia veloce. Si asciugò e si vestì con un completo comodo e caldo per i giorni freddi. Quando uscì nel corridoio diede uno sguardo all’orologio; erano già le sette, aveva qualcuno da svegliare. Così salì le scale ed entrò in quella che, anni prima, era stata la propria camera; schivò un paio di giocattoli sul pavimento e si avvicinò al letto, allungò la mano per scuotere il corpicino avvolto tra le lenzuola.

— Sakura, sono le sette — lo richiamò Haruka con gentilezza — È ora di alzarsi. 

Le labbra sottili di un bambino di otto anni si aprirono per cacciare uno sbadiglio, mentre le sue braccia si stiracchiavano goffamente tra le lenzuola. I capelli rossi erano arruffati sopra la fronte, coprivano per un attimo gli occhi che iniziavano ad aprirsi.

— Buongiorno, papá. — disse il bambino ancora assonnato, specchiando i suoi occhi azzurri in quelli di Haruka. Balzò in piedi dal letto, un po’ impacciato perché mezzo intorpidito, e si ritrovò con la coperta ai suoi piedi. Dalla sua nuova posizione, depositò con affetto un bacio sulla guancia di suo padre.  Lo faceva ogni qualvolta si svegliava, e Haruka non poteva evitare abbozzare un lieve sorriso sulle sue labbra.

C’era una differenza di quasi ventitré anni tra Haruka e Sakura. Il piccolo era nato in un giorno di primavera, quando i ciliegi erano nel loro pieno splendore, i giorni erano soleggiati e si avvicinava l’estate. Quelli erano stati tempi d’oro, quando viaggiava per il mondo, saliva sul podio e riceveva innumerevoli medaglie per i suoi successi nel nuoto. Furono giorni nei quali Haruka era capace di competere e sfidare, così come di incoraggiare e amare chi aveva al suo fianco. Quando Sakura nacque, por un breve periodo, il suo mondo fu perfettamente completo.

Haruka cucinava sempre la parte principale del pranzo la sera prima, così la mattina mentre suo figlio si vestiva nella propria stanza, lui finiva di preparare il bento per entrambi. Faceva parte della routine che aveva preso da quando Sakura era entrato alle elementari. Poi, facevano colazione insieme e guardavano la televisione per qualche minuto; andavano al bagno, si lavavano i denti e infine si preparavano per uscire di casa.

— Fa freddo! — esclamò Sakura una volta fuori di casa, sfregandosi le mani nel mentre smuoveva i piedi.

— Vieni, mettiti questo — disse Haruka, avvolgendo una sciarpa attorno al collo di suo figlio.  —Va meglio adesso? 

— Sí! 

Nel periodo autunnale il vento era più forte e freddo del solito, a volte dovevano chiudere gli occhi e la bocca, soprattutto quando camminavano lungo la costa. Sakura affondò il viso nella sciarpa e si attaccò ancora di più al corpo di suo padre in cerca di protezione. A mani giunte, entrambi si avviavano verso la scuola.

— Dopo la scuola andrò al club. — gli annunciò Sakura.

— In queste ultime settimane sei stato più motivato del solito. 

— È perché l’allenatore ha iniziato a dire che sono il più veloce di tutti nel club. Ma voglio essere molto più veloce, ecco perché devo continuare a nuotare — aggiunse il bambino sviando lo sguardo verso i suoi piedi, attento ai prossimi passi che doveva compiere.

— Mentre basterebbe solo che sentissi l’acqua… — commentò con  la voce in un sussurro che sfumava nel vento e lo sguardo perso verso l’orizzonte. Sakura lo guardò in silenzio, osservando come la malinconia si appropriava degli occhi di Haruka.

Le porte della scuola Elementare di Iwatobi erano già aperte e un numero imprecisato di piccoli alunni entravano di corsa nell’edificio, cercando riparo dal vento che sembrò farsi più forte in quel punto. I rami degli alberi, ormai quasi senza foglie, frusciavano tra di loro emettendo sonori scricchioli; né c’erano fiori, solo arbusti sempreverdi che mai si arrendevano al cambio delle stagioni.

Haruka cacciò un sospiro. La vista attuale della scuola, il vento e le foglie secche, gli evocavano un senso di nostalgia per i suoi giorni da studente, quando si recava la mattina insieme a Makoto e la sua maggiore preoccupazione era come evitare le insistenze di un certo bambino dai capelli rossi ossessionato dalle staffette.

Erano passati quasi vent’anni da allora. Adesso le cose erano così diverse…

— Comportati bene. Stai attento in classe e non parlare quando la maestra sta spiegando, va bene? — disse Haruka nel mentre si chinava a ordinare una ciocca rossa dalla testa di suo figlio.

— Va bene! E tu non fare tardi quando mi vieni a prendere al club questo pomeriggio, va bene? — rispose Sakura imitando suo padre, aggiustandogli l’ultimo bottone della giacca.

— D’accordo. — sorrise Haruka. Diede un paio di pacche sulla testa del bambino e poi lo vide entrare correndo a scuola insieme ai suoi compagni.

L’ora del pranzo del secondo anno delle Elementari Iwatonbi era un momento di tranquillità e divertimento; i bambini cacciavano i loro piccoli e colorati bento e li posavano sopra il banco.
Oggi era il Giorno delle Verdure, così la maestra passava per l’aula assicurandosi che tutti i pasti ne contenessero una grande quantità.

Il bento di Sakura era blu con dei delfini stampati sopra, gliel’aveva dato suo padre un po’ di tempo fa. Dentro c’era mezzo pezzo di sgombro e una gran varietà di verdure perfettamente ordinate, per il quale ricevette un complimento dalla maestra; in caso contrario, lei avrebbe telefonato con discrezione a Haruka e lo avrebbe sollecitato a comprendere il fabbisogno alimentare di cui hanno bisogno i bambini delle elementari. Questo era successo un paio di volte, quando Haruka aveva la testa da un’altra parte e si confuse nel preparare il pranzo.

— Anche oggi quel pesce! — esclamò un bambino notando ironico il pasto del rosso. Il suo nome era Aiko Aihara e dal primo anno era compagno di banco di Sakura. Litigavano tutto il tempo, a volte finendo per piangere, ma stranamente finivano sempre per cercarsi l’un l’altro.

— Sakura-chan, non ti annoi a mangiare questo tutti i giorni? — gli domandò una bambina, Sora Minami. Si era trasferita da Tokyo da alcuni mesi e la maestra aveva chiesto a Sakura di aiutarla ad ambientarsi in classe; il bambino aveva accettato con riluttanza, ma finalmente avevano finito per essere amici.

—E’ sgombro e a me piace — dichiarò Sakura accigliandosi, poi inarcò un sopracciglio e sorrise sornione —Il mio papà è il migliore nel cucinare lo sgombro. Scommetto che nessuno dei vostri papà conosce così tante ricette come il mio! 

—Il mio papà non sa cucinare — rispose Sora penseriosa.

—Nemmeno il mio. 

— Sì! Vedete? Il mio è il migliore! Lui può fare tutto! — esclamò Sakura con entusiasmo, chiudendo gli occhi e battendosi il petto con orgoglio. Al suo fianco, Aiko lo osservava con gli occhi sgranati, un segno di domanda marcava la sua espressione:

— Ma, questo è perché tu non hai la mamma, vero, Sakura-chan

Quelle parole sgonfiarono l’orgoglio di Sakurra; non lo faceva star male sentire la verità, quanto il sentirsi diverso dal resto dei suoi amici. "Sí ho la mamma, ma dorme in cielo"  furono le parole che attraversarono in silenzio la mente di Sakura. E anche se Aiko e Sora si distrassero e il tema della conversazione cambiò subito, il piccolo restò in silenzio e non volle partecipare alla chiacchierata per un bel po’.

 

Iwatobi DolphinS era rinomato per essere uno dei maggiori negozi dedicati al materiale da bricolage e giardinaggio della città. Riceveva centinaia di clienti al giorno. Molti anni fa, Haruka e i suoi amici vi si erano recati varie volte per comprare il materiale per riparare la piscina della scuola; era in quel posto dove Haruka si spogliava e cercava di entrare negli acquari, facendo innervosire Makoto e provocando le risate di Nagisa. Adesso, da cinque anni, Haruka era uno dei migliori commessi di DolphinS.

— Nanase-san, che gliene pare di questo colore? È per la cameretta dei miei nipoti — chiese una signora anziana mostrando la palette di colori che pendeva a parete.

— Le consiglio questo altro colore. Potrebbe combinarlo con quest’altro, anche.— disse Haruka, segnalando un tono bluastro.

— Ah, ma il blu è per i maschietti è uno dei bebè è una bambina. Sono gemelli, guardi — disse la donna cacciando dalla propria borsa una fotografia e mostrandola con orgoglio a Haruka. Sopra si vedevano un paio di bebè all’incirca di cinque mesi, con copertine azzurre e rosa per differenziarli.

— Siete una nonna fortunata — commentò ammirando la fotografia. Non poté evitare di abbozzare un sorriso; quell’immagine gli ricordava i tempi in quei era solito passare ore contemplando il suo bebé. Sakura era incantevole allora.

— Sono la donna più felice del mondo! — esclamò contenta la signora — Anche se sarà complicato; mio figlio e la sua fidanzata studiano all’università, così mi occuperò io dei due bambini. Non voglio che diventando genitori debbano rinunciare ai loro sogni. 

— Sarebbe un peccato… — disse in un borbottio, avvertendo un lieve sapore amaro in gola.

Anche se erano già passati otto anni, i ricordi restavano dolorosamente vividi. Quella telefonata mentre gareggiava in Europa, quando ascoltò attonito come con voce tremante gli annunciava tra le lacrime che le cose avevano raggiunto il limite e che il bambino sarebbe stato accudito da Makoto e Gou finché Haruka non sarebbe ritornato a Tokyo. Nonostante cercò di risolvere il problema, nessuno dei suoi sforzi funzionò. Trascorse due anni vivendo nella capitale, sopravvivendo con l’aiuto economico dei suoi genitori mentre accudiva Sakura, mentre, frustrato, cercava di andare avanti con la sua carriera di nuotatore. Ma ogni sforzo fu inutile. Haruka si ritirò e tornò a Iwatobi con suo figlio tra le braccia, il cuore spezzato e i sogni infranti.

Ora Haruka continuava da DolphinS, con lo stesso lavoro che aveva ottenuto appena tornato a Iwatobi. Gli c’era voluto un po’ di tempo per abituarsi all’idea di passare dalle competizioni internazionali a un lavoro ripetitivo in una piccola città, ma si era visto costretto a farlo per il bene di suo figlio. Non era affatto pentito di quel sacrificio, tutto il contrario, la sua felicità dipendeva assolutamente dal benessere di Sakura.

— E mi dica, Nanase-san,avete un figlio, vero? — domandò l’anziana.

— Sí, ne ho uno, piccolo. È il mio bene più prezioso . 

Le lezioni di nuoto di Sakura si tenevano due volte a settimana, ma Goro Sasabe, il proprietario del club di nuoto, gli permise di andare quando voleva. Haruka non aveva dato divieti a suo figlio, gli permetteva di andare a nuotare sempre bastava che non percorresse da solo il tragitto dalla scuola al club, alla fine dei conti, Sakura aveva solo otto anni e, secondo Haruka, era ancora molto piccolo per camminare da solo per le strade. Ma per fortuna di Sakura, Aiko abitava molto vicino al club, così dopo la scuola era abituato ad appoggiarsi alla madre del suo amico per accompagnarli alla piscina.

Sakura era molto socievole ed estroverso. Parlava durante tutto il cammino verso il club e continuava durante le lezioni di nuoto. Chiudeva la bocca solo quando entrava in acqua e passava da un estremo all’altro della piscina, ma quando risaliva in superficie ricominciava a parlare, vantandosi della sua velocità e insistendo con chi dei suoi compagni volesse sfidarlo.

— Sei proprio uguale a tua madre, Sakura! — Goro rideva divertito, in piedi su un lato della piscina; anche se era abbastanza vecchio, continuava a seguire attivamente la formazione dei suoi piccoli nuotatori.

Dopo le parole dell’allenatore, Sakura storse appena la bocca e poi non disse altro.
Aveva provato centinaia di volte con Goro di parlargli di sua madre, ma l’uomo finiva sempre per evitare, sviando la conversazione, lasciando il piccolo pieno di domande. L’unica risposta di Goro era  "se vuoi sapere di tua madre, devi chiederlo a tuo padre",  lasciando Sakura ardere di irritazione.

Quando le lezioni di nuoto finirono, Sakura guardava impaziente l’ingresso del club. Camminava da un lato all’altro, parlava coi bambini che incontrava al suo passaggio e osservava i portachiavi di animali marini appesi alla scrivania della reception. Di queste possedeva la collezione completa dopo aver insistito tanto con Goro per averli, che stremato, accettò; il suo preferito era un delfino rosa che portava sempre attaccato allo zaino.

—Papá! — gridò con entusiasmo quando vide Haruka avvicinarsi in direzione delle porte di vetro. Si lanciò tra le braccia di suo padre non appena lo vide attraversare la soglia della reception.

— Mi dispiace, Sakura. Ho tardato di alcuni minuti. — si scusò Haruka prendendo in braccio il figlio.

— Non importa. — il bambino mosse la testa da un lato all’altro con un enorme sorriso, allungando le braccio attorno al collo del padre in attesa del prossimo movimento che già conosceva a memoria: Haruka si girava verso la parete, dove erano appesi tutti i ritratti dei membri passati e attuali del club, dava una rapida occhiata alle foto, e poi avrebbero lasciato il club. Si trattava di una routine che Haruka eseguiva ogni volta che entrava lì dentro e anche stavolta non fece eccezione.

Sakura aveva notato questo strano comportamento già da tempo, era come se Haruka si assicurasse che le fotografie stessero in ordine, che nessuna soverchiasse o mancasse. Aveva domandato a suo padre cos’era che cercava tanto, ma non aveva ricevuto nessuna risposta. E quando Sakura si prese il disturbo di osservare una per una tutte le fotografie, non aveva scoperto nulla che richiamasse la sua attenzione; c’erano solo ritratti di gente sconosciuta, e quelle che richiamarono la sua attenzione erano una di Haruka insieme a Makoto, Nagisa e Rei al campionato nazionale studentesco, e un paio di Haruka con medaglie internazionali.

Durante la strada verso casa, il vento aumentava, spingendo con forza dietro le schiene, mentre l’aria si faceva sempre più fredda.

Haruka aveva aggiustato la sciarpa di Sakura, ma lui non la smetteva di lamentarsi per il freddo; protestava perché le sue orecchie erano gelate e perché si sarebbe preso un raffreddore, era sul punto di iniziare a piangere esclamando che non poteva nuotare mai più. Haruka sospirò rassegnato e storse la bocca di lato; Sakura era così esagerato e melodrammatico, che Goro aveva ragione quando diceva che era uguale a una certa persona.

— Cambiati e mettiti a letto. — gli ordinò Haruka una volta arrivati a casa.

— No, prima devo fare un bagno —disse il piccolo lasciando il suo zaino in un angolo.

— Per caso non hai detto che ti sentivi di avere il raffreddore? Va’ in camera tua. Ti porterò del latte caldo — concluse Haruka con fermezza mentre si avviava verso la cucina. Poi ridacchiò appena sentì i passi di suoi figlio mentre saliva le scale. Sakura era troppo impulsivo.

Il piccolo entrò nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Era infastidito perché non poteva farsi un bagno, ma era anche convinto che un piccolo raffreddore avrebbe potuto porre fine alla sua carriera di nuotatore. Si tolse i vestiti subito e indossò il suo pigiama coi disegnini; si chinò sotto il letto per raccogliere un quaderno e una matita che conservava lì, poi si mise tra le comode e calde lenzuole del suo letto.

Il quaderno che Sakura teneva tra le mani era logorato dall’uso. Sulla copertina c’erano degli adesivi di bollicine e stelle e nel mezzo una grande luna con un delfino rosa accanto. Era come se avesse ricreato un cielo connesso col mare.

Aprì il quaderno e andò avanti tra le pagine fino all’ultima scritta. Posizionò correttamente la matita blu tra le sue piccole dita, cominciando a sporcare il foglio con la sua scrittura infantile.

— Ciao, mamma — sussurrò Sakura. Le parole che pronunciava erano le stesse che scriveva sul quaderno —  A scuola mi comporto bene. Ho fatto tutti i compiti. La maestra non mi ha sgridato per aver parlato in classe — Fermò la mano per un attimo, dubbioso. Sapeva usare l’hiragana, ma faceva errori di ortografia e aveva problemi nello scrivere frasi complesse — Mi hanno detto un’altra volta che non tengo la mamma. É stato Aiko-chan, ma non mi importa. Lui non sa che parlo tutti i giorni con la mia mamma. 

Sakura si fermò un’altra volta. Volse lo sguardo verso l’esterno e osservò dalla finestra il buio della notte che stava per iniziare. Il silenzio della casa amplificava il suono del vento che colpiva la finestra. Le stelle poco a poco sparivano tra le nubi che attraversavano il cielo.

Pare faccia freddo lassù — disse Sakura in un sussurro cacciando un sospiro, poi scrisse sul quaderno — Non ci sono più stelle. Se hai paura, vieni a dormire da me. Papá e io ci prenderemo cura di te. Ti voglio bene, mamma.

La matita di lato, il quaderno chiuso, un dolce sorriso e un tenero bacio posato sulla copertina del quaderno.

Haruka entrò di proposito dopo aver assistito alla scena da fuori la cameretta, attraverso lo spiraglio dato dalla porta socchiusa. Abbozzò un sorriso che dedicò a suo figlio e entrò per avvicinarsi a dargli un bicchiere di latte caldo appena fatto.

— Stavo parlando con mamma — gli disse Sakura mettendo da parte il quaderno — Le ho detto di scendere a dormire con me. Le nuvole stanno coprendo la luce delle stelle, in più fa freddo e potrebbe prendersi il raffreddore. —

— I fantasmi non prendono il raffreddore, Sakura — dichiarò Haruka con tono scherzoso, sedendosi sul letto accanto al figlio—. E mamma non era affatto debole, infatti, quasi mai prendeva un raffreddore. Non aveva nemmeno paura del buio. —

— Davvero? Mamma è forte e coraggiosa, è perfetta! — esclamò  Sakura spalancando gli occhi meravigliato — Scommetto che era anche molto bella. —

—Sì, lo era — rispose Haruka serafico.

—E che altro? Dimmi di più sulla mamma. Tu non mi racconti nulla e io voglio sapere tutto. 

— Nuotava. —

— Questo lo so! Che altro? —

— Piangeva per tutto, come te. 

— Ah?! Io non sono un frignone! —

— Oggi hai quasi pianto per un raffreddore. — ricordò Haruka con uno sguardo un po’ beffardo. Sakura si accigliò infastidito —Era uno scherzo Saku. Non prendertela —Si chinò verso suo figlio lasciandogli un lieve bacio sulla fronte —Vado a farmi un bagno. Faccio subito così ti aiuterò coi compiti. —

"I fantasmi non prendono il raffreddore" si ripeté Haruka in mente mentre lasciava la stanza del figlio. Si odiò per continuare ad alimentare una bugia. "Forte e coraggiosa, eh?" si domandò in silenzio con rabbia crescente.

Quando entrò nella propria camera, aprì l’ultimo cassetto dell'armadio dove custodiva dei documenti importanti che a Sakura era assolutamente proibito guardare. Lì, tra tante cose, Haruka custodiva una fotografia; era rovinata dalle tante volte che l’aveva accartocciata con rabbia, gettata via, e tornato a raccoglierla. Era una foto di Sakura, quando aveva due mesi, avvolto in una copertina rosa , stretto tra le forti braccia di sua madre, quel ragazzo dallo sguardo triste scomparso otto anni fa .

— Non ti perdonerò mai, Rin. —

Haruka appallottolò la foto un’altra volta con rabbia e la lanciò contro il muro. Anche se voleva nasconderlo, la ferita nel suo cuore, era ancora aperta.

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A metri d’altezza sopra la capitale, un aereo cacciava le ruote per iniziare l’atterraggio. Il viaggio da Sídney era lungo e anche se i passeggeri erano stanchi, la realtà era chetutti erano molto ansiosi di mettere piede sul suolo giapponese. Tutti tranne un uomo che sentiva un turbine di ricordi tormentargli la testa. Non voleva scendere dall'aereo, in più si era pentito del viaggio, ma ormai era troppo tardi e non poteva più tornare indietro. Doveva accettare che adesso si trovava in Giappone e distava solo poche ore da Tokyo, la città dove pensava vivessero Haruka e il bambino che aveva abbandonato. Così si tranquillizzò quando l’aereo atterrò, perché era sicuro che a Iwatobi non si sarebbe imbattuto in nessuno dei suoi ricordi…

Almeno era quello che Rin si sforzava di credere. Ma lui non sapeva che, nel comprare quel biglietto aereo, si era aggiudicato anche un modo per tornare al suo passato e a tutte le cose ancora irrisolte.

Continua…

 

Note dell’autrice: Questa storia aspetta le vostre recensioni! Grazie mille per aver letto!

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Note dell’autrice: Prima di tutto, voglio ringraziare quanti hanno letto il primo capitolo e in particolare coloro che hanno trovato il tempo di lasciare un commento. Grazie davvero per le recensioni, mi sono servite per motivarmi e soprattutto per sapere quali erano i punti forti o deboli, così da migliorarli o correggerli. È per questo motivo che le vostre opinioni sono così importanti per me.

Note della traduttrice: Chiedo scusa a tutti per l'immenso ritardo nell'aggiornamento, non posso promettervi una periodicità precisa ma vi confermo il mio impegno a tradurre fino alla fine questa fan-fiction; così come quello di correggerla qualora trovassi eventuali errori o imprecisioni.
Come sempre, vi consiglio di fare un confronto tra le due versioni - trovate il link alla storia originale nella scheda autrice - per eventuali critiche costruttive da pormi nelle recensioni.
Buona lettura!

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QUANDO PIOVONO LE STELLE
CAPITOLO 2

 

I ripidi scalini di pietra che conducevano al santuario Misagozaki si rivelavano un corridoio perfetto per le correnti d’aria che vagavano per il luogo. Il vento autunnale si portava via le ultime foglie marroni che pendevano dagli alberi del santuario, e le trascinava giù per le scale e attraverso i passaggi labirintici delle case tra i monti.

La casa della famiglia Nanase si trovava a metà del sentiero per il santuario, per questo in autunno alcune foglie di solito si accumulavano davanti la porta. A Haruka non lo infastidiva ma si era abituato a raccoglierle in un angolo –con la stessa scopa di legno che anni fa apparteneva a sua nonna– e le metteva in dei sacchetti di plastica che poi gettava nei bidoni dell’immondizia. Era una routine alla quale Haruka non era molto abituato, di solito raccoglieva le foglie ogni tre o quattro giorni al massimo. Ma questa mattina si erano accumulate, perciò le tolse subito da davanti la porta.

—Così tante! —esclamò Sakura con gioia appena uscito di casa. Pigiò le foglie con ambo i piedi saltandoci sopra, sentendo il crepitio di queste spaccarsi sotto le sue scarpe. A Sakura piaceva farlo, infatti a volte saliva verso il santuario solo per giocare con le foglie secche che si accumulavano lì.

—Attento, le stai sparpagliando — disse Haruka uscendo dal portico. Camminò per l’esterno dando un’occhiata verso il cielo. Le nubi giunte durante la notte permanevano in alto, colorando il cielo di diversi toni di grigio. Si poteva prevedere che oggi avrebbe fatto più freddo di ieri—. Aspettami qui un momento, Saku.

Mentre lo lasciava divertirsi con le foglie secche, Haruka rientrò in casa. Salì al secondo piano, nella camera di suo figlio e controllò nell’armadio. Già non c’erano più gli abiti leggeri che Sakura usava nei periodi estivi, sostituiti da cappotti e maglioni adatti per l’inverno. Haruka ispezionò per un attimo il mobile finché non trovò il suo obiettivo. Un cappello di un delicato colore giallo, di lana, troppo grande per la sua testa che Sakura usava durante i giorni freddi.

—Il cappello che mi ha regalato Gou-san! —esclamò il piccolo entusiasta quando vide suo padre uscire di casa con il cappello tra le mani. Si avvicinò a Haruka inchinandosi con la testa più vicino aspettando gli venisse collocato il cappello. Appena sentì la testa coperta, Sakura tirò i bordi e si nascose ulteriormente nel cappello— Quando verrà a casa, papá?

—Per Natale, credo —rispose Haruka mentre chiudeva la porta di casa. Poi si voltò verso suo figlio e prese la sua piccola mano.

—Manca ancora molto a Natale—si lamentò Sakura.

—Non manca molto, solo un mese —rispose con calma incamminandosi verso le scale.

Una volta lì, Haruka poté sentire la brezza fredda che passava rapida sopra gli scalini di pietra che conducevano al santuario Misagozaki. Insieme al vento passarono un gruppo di foglie secche che svolazzarono in giro prima di perdersi tra le case; solo una si posò sulla giacca di Sakura, che cacciò una risatina di gioia prima di prenderla e lasciarla andare nell’aria. Il bambino seguì col suo sguardo azzurro il tragitto curvilineo della foglia, per poi alzare il viso verso Haruka e sorridergli teneramente.

Haruka ricambiò il sorriso, gli era impossibile non farlo di fronte agli incantevoli gesti di suo figlio, ancor più quando appariva così adorabile con quel cappello giallo che gli copriva quasi tutta la testa.

Era divertente il fatto che non restava alcuna traccia dei capelli rossi di Sakura, quasi completamente nascosti sotto il cappello. Questo appariva come qualcosa di buffo, ma al bambino non importava, anzi adorava quel cappello giallo come si trattasse di un tesoro.

Gou Matsuoka glielo aveva regalato durante una visita a casa di Haruka. Era inverno e nevicava da alcuni giorni, così quel cappello andava a meraviglio al piccolo. Gou lo aveva messo indosso a Sakura poi gli prestò uno specchietto; il piccolo osservava sé stesso soddisfatto poi quando vide la donna affianco dello stesso specchio. "Non abbiamo più la testa dello stesso colore, ora la mia è gialla", aveva commentato Sakura allegro, anche se i suoi capelli erano di un tono più chiaro di quelli di Gou. Lei sorrise tesa, limitandosi a guardarlo in silenzio mentre nella sua mente si ripetiva: "Non deve sapere che sono sua zia. Non dovrà  'mai'  sapere che sono sua zia". Questo accadde due anni fa.

—Voglio che Gou-san venga a trovarci prima di Natale —insisteva Sakura mentre saliva le scale con suo padre.

—È una decisione sua —disse Haruka in fretta con tono tagliente—. Cammina più svelto, Saku. Farai tardi a scuola—aggiunse per distrarre suo figlio e cambiare discorso.

Assolutamente, non gli piaceva parlare di Gou davanti a Sakura, così come lo disturbavano le visite che lei gli faceva. Non che a Haruka gli desse fastidio la sua presenza, tutto il contrario, provava un grande affetto per lei nato dalle esperienze condivise assieme durante gli anni della scuola e, soprattutto, dal sostegno offertegli da lei quando Rin se ne andò. Tuttavia, la più grande paura di Haruka era che in un modo o nell’altro l'argomento Rin sarebbe uscito fuori raggiungendo le orecchie di Sakura. Era cresciuto credendo alle parole di Haruka: sua madre era morta quando era piccolo, e  Gou era solo una buona amica di famiglia.
La situazione era deprimente e Haruka si odiava per mandare avanti una bugia così crudele, ma dire a Sakura che Rin lo aveva abbandonato era mille volte peggio. Haruka preferiva mantenere il segreto solo per continuare a proteggere il sorriso di suo figlio.

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Sopra, in altro nel cielo, non si riusciva a vedere null’altro che quelle enormi nubi grigio scuro. Erano ferme lì da ore, impedendo di vedere l’azzurro tra esse.
Nonostante il vento non si fermava, le nuvole continuavano a restare apparentemente immobili, accatastate come fossero un cumulo di cenere di cotone.

—Sta per venire a piovere… —mormorò Rin quasi in un sospiro, con gli occhi spenti persi verso il cielo e le ciocche di capelli rossi mosse dal vento gelido.

—Vieni, entriamo in casa—disse Gou girando la chiave dell’automobile, una macchina un po’ piccola che era riuscita a comprare coi suoi risparmi, e con la quale era andata a prendere suo fratello all’aeroporto di Tottori. Dalla stessa tasca cacciò anche la chiave per entrare in casa.

Posando la valigia sopra la spalla, Rin smise di guardare il cielo e si preparò ad entrare dopo sua sorella. I suoi passi erano lenti e timorosi, come un ospite che entra per la prima volta.

Il pavimento sotto i suoi piedi lo divideva dal giardino alla casa. C’erano alcuni arbusti sempreverde, ma già tutti i fiori erano spariti. Il vecchio albero vicino alla finestra, quello che sosteneva il peso di Rin e dei suoi amici quando erano piccoli, aveva i rami completamente vuoti, nemmeno una foglia pendeva da loro. Ai suoi piedi, vicino a una radice che sbucava in superficie, uno spazio vuoto al posto di quella che anni fa era sede di una statuina di delfino.

—So che era speciale per te, te la donarono al club di nuoto. Ma i colori si erano stinti col tempo. Era inutile — spiegò Gou dalla soglia di casa, notando lo sguardo di suoi fratello fisso nell’angolo dove un tempo c’era il delfino—. Vieni, entra.

Rin annuì con la testa, in silenzio, entrando in casa. Il delicato calore dell’interno lo avvolse subito e l’aroma caratteristico di casa piano giunse alle sue narici, erano dettagli che col passare del tempo Rin non poteva dimenticare. Le sedie della sala erano nella stessa posizione che ricordava, la scala con una piantina sul primo gradino; il semplice altare con gli incesi era ancora al suo posto, l’orologio che subito segnò mezzogiorno e le foto appese alle pareti non erano cambiate.

Tutto era uguale a come Rin ricordava, soprattutto quel mobile in legno in un angolo della sala, non aveva nulla di straordinario nella struttura, ma sopra di esso giacevano alcune fotografie molto importanti per sua madre. La foto del matrimonio con Toraichi Matsuoka, quella di Rin da piccolo che sosteneva Gou quando era neonata, la foto di entrambi il primo giorno di scuola, quelle che furono scattate durante alcuni compleanni e alcune di Kyou Matsuoka.

Tuttavia, c’era una fotografia che Rin non ricordava di aver visto lì l’ultima volta che si trovò a casa. Era un’immagine di sé stesso accanto a una finestra, con lo sguardo perso e malinconico, stringeva tra le mani una copertina rosa che copriva un bambino di appena due mesi.

—S-Sakura… —scappò un sospiro tra le labbra di Rin, mentre sentiva il suo cuore e il suo stomaco stringersi in una morsa. Uno spiacevole e amaro nodo iniziava a formasi in gola al ricordo che questa fotografia fu scattata da Haruka otto anni fa, giorni prima che decideste di prendere un volo per l’Australia con l’intento di ricominciare la sua vita.

—Sakura è già molto grande, lo sai? —commentò Gou con dolcezza, sorridendo triste nel vedere la reazione del fratello— È stata una fortuna che Haruka ci ha permesso di mantenere i contatti con Sakura. Mamma e io credevamo ti avrebbe denunciato quando te ne scappasti in Australia, e sai, servono soldi per accudire un bambino. Una denuncia significava rendere pubblico il fatto che Sakura era figlio di due uomini, noi lo prevedemmo e pregammo Haruka di non intentare nessuna azione legale contro di te, non volevamo continuasse a farti pressioni. Haruka rispose che non avrebbe fatto nulla contro di te, nemmeno accettò il denaro che gli offrimmo per suo figlio. L’unica cosa che ci chiese fu che Sakura non doveva sapere della tua esistenza, né che io sono sua zia e che mamma è sua nonna. In tutti questi anni abbiamo finto di essere amici della famiglia Nanase, questo è l’unico modo per poterci avvicinare a Sakura —spiegò con calma, notando come gli occhi rossi di Rin vibravano leggermente facendosi lucidi mentre osservava in silenzio la foto di suo figlio.

—Capisco… —fu l’unico commento che emise Rin con voce tremula, le lacrime pronte a uscire.

—Sakura è molto bello, ti assomiglia tanto —continuò Gou con un leggero sorriso. Tuttavia , la sua espressione sparì nel momento in cui Rin allungò la mano per prendere la fotografia e porla con l’immagine rivolta verso il basso, in modo da non vederla—. Fratello…

—Non voglio sapere nulla di Haru né di Sakura, ti prego —chiese Rin, facendo un grande sforzo per non irrompere in un pianto—. Loro non sono più parte della mia vita. Ho viaggiato da Sydney a Iwatobi per riunirmi con te e mamma. Se volevo sapere di Haru e Sakura, non avrei preso l’areo verso sud e me ne sarei rimasto a Tokyo, dove vivono.

—Tokyo? —chiese Gou dubbiosa.

Tutto si fece chiaro in mente quando si ricordò che otto anni fa Haruka e Rin avevano affittato un appartamento nella capitale mentre facevano parte della squadra di nuoto nazionale. Quando Sakura compì due mesi, Rin se ne era andato in Australia credendo che suo figlio e Haruka vivevano nello stesso appartamento. Naturalmente sempre in affitto, ma questo era durato fino ai due anni seguenti. Rin ignorava che Haruka e Sakura si erano trasferiti a Iwatobi, e continuavano a vivere lì finora.

Le sirene nella testa di Gou si attivarono subito. Né Rin, né Haruka dovevano vedersi, ma adesso si trovavano nella stessa città. Era solo questione di tempo prima che si rincontrassero.

—Fratello, Haruka e Sakura vivono a-…

—Gou,non voglio sapere nulla di loro —ripeté Rin con ancora più decisione nella voce, continuando.

E anche se Gou cercava di parlare per spiegargli la situazione, Rin era fermo all’idea di non ascoltare nulla che includesse Sakura e Haruka.
Purtoppo, ognuna delle parole di Gou si perdevano nell’aria.

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Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere quando fu mezzogiorno. Il cielo era pieno di nuvole cariche d’acqua a sufficienza, così bastarono solo alcuni minuti perché iniziarono a formarsi piccole pozzanghere nel giardino della scuola Elementare Iwatobi.

I piccoli alunni pranzavano all’interno dell’edificio sotto lo sguardo dei rispettivi maestri. Alcuni bambini cantavano canzoni sulla pioggia, altri si entusiasmavano all’idea di tornare presto a casa e mettersi a letto per ascoltare il suono delle gocce, c’erano alcuni che iniziavano a piangere per timore di un possibile temporale. E poi, con un motivo completamente diverso, c’erano Sakura e il suo migliore amico Aiko Aihara.

Entrambi pranzarono con fretta eccessiva, posarono i loro bento vuoti dentro gli zaini e uscirono correndo dall’aula per sfruttare i minuti liberi che gli restavano.
Sebbene Sora Minami, la ragazza del gruppo, gli aveva ripetuto più e più volte le parole dette dalla maestra “è proibito uscire a bagnarsi sotto la pioggia", i due avevano solo una parola scritta nei loro occhi: divertimento.

Era stata un’idea di Sakura uscire nel cortile e correre sotto l’acqua e, come sempre, Aiko lo aveva seguito nel gioco senza pensarci due volte.
Si sfidarono a chi accumulava più acqua nella mano, saltarono felici sopra le pozzanghere, e si presero per mano facendo un girotondo ridendo ad alta voce.
Erano letteralmente inzuppati, compresi i calzini e il costume da bagno che era abituato a indossare. Quando videro la maestra furiosa cercarono di nascondersi dietro il tronco di un alberso di ciliegio senza foglie, ma era già troppo tardi.

Li sgridò severamente, li mandò all’infermeria per cambiarsi d’abito e chiamò per telefono i loro genitori. Sakura iniziò a piangere quando ascoltò i rimproveri di Haruka attraverso la cornetta; al suo fianco, Aiko era nelle stesse circostanze ascoltando la ramanzina di sua madre.

Si fecero promettere che non avrebbero più disobbedito agli ordini dei loro maestri, per questo dopo la fine della chiamata Sakura e Aiko si tennero per mano e si inchinarono, promettendo tra le lacrime che mai andranno a bagnarsi sotto la pioggia.

Finite le lezioni, la signora Aihara arrivò a scuola a prendere suo figlio e Sakura. Portò due ombrellini per i bambini insieme a alcuni rimproveri. Anche se lei era una donna abbastanza gentile, stavolta si comportava in modo freddo e distante. Sakura e Aiko restarono in assoluto silenzio per tutto il tragitto, ascoltavano solo le parole della signora Aihara e la pioggia che colpiva i finestrini dello scuolabus.

L’unico istante nel quale Sakura aprì la bocca per parlare fu quando –dopo essere uscito dallo scuolabus e camminato per alcuni isolati– passarono davanti all’Iwatobi SC Returns, che si trovava di poco vicino a casa di Aiko.

—Me ne vado al club. Addio—disse Sakura con la voce soffocata, sviando dal cammino per dirigersi al club. Ma, i suoi passi si fermarono quando la sua mano venne afferrata dalla signora Aihara.

—Mi dispiace, Sakura-kun. Ma tuo padre mi ha chiesto di non farti andare alle lezioni di nuoto questo pomeriggio—disse la donna, stringendolo con delicatezza.

—M-Ma… —balbettò Sakura senza riuscire a formulare nessuna supplica.

—Te ne starai a casa nostra finché tuo padre non finisce il turno.

Con gli occhi azzurri spalancati e le labbra tremule per la notizia improvvisa, Sakura si bloccò un istante, osservando con frustrazione da lontano come alcuni dei suoi compagni entravano nell’edificio.

Quello era il primo giorno, dopo molto tempo, che non era in contatto con la sua tanto amata acqua.

Quando due ore dopo suonò il campanello di casa della famiglia Aihara, un brivido percorse il corpo di Sakura. Prese lo zaino e il suo capello giallo, e scese le scale fino al primo scalino.
Lì la madre di Aiko stava ricevendo Haruka nell’ingresso di casa, parlando dello sfortunato incidente dei suoi figli e consegnandogli i vestiti umidi di Sakura. Dopo un breve scambio di parole e un sguardo triste complice tra Sakura e Aiko – che lo osservava dalla scala– padre e figlio uscirono dalla casa.

Un ombrello blu che Sakura non aveva mai visto fu aperto da suo padre davanti ai suoi occhi. Quella mattina Haruka era uscito da casa senza ombrello, Sakura pensò che probabilmente aveva ottenuto quegli ombrelli al suo lavoro nel Iwatobi DolphinS. Un attimo dopo, Haruka allungò verso Sakura un ombrello dello stesso colore ma molto più piccolo. Il bambino dubitò un momento, dopodiché lo prese con ambo le mani, lo aprì e iniziò a camminare accanto a suo padre.

Era molto strano camminare insieme a Haruka quando appena un’ora prima lo aveva sgridato per telefono. Sakura lo osservò per un secondo, poi abbassò la testa per evitare il suo sguardo, cercando di distrarsi con le gocce d’acqua che gli rimbalzavano sulle scarpe.

—Non devi disobbedire alla tua maestra, Sakura —parlò subito Haruka con stoica tranqullità, senza voltare lo sguardo da suo figlio.

Sakura non disse nulla, manteneva lo sguardo a terra sentendosi colpevole.
Alzò i suoi occhi azzurri solo un paio di minuti dopo, quando raggiunsero l’angolo di una strada conosciuta da dove si poteva intravedere l’Iwatobi SC Returns. Gli occhi  blu di Sakura si posarono subito sull’edificio, sentendosi all’improvviso ansioso nel sapere che lì dentro c’erano i suoi compagni e la piscina che tanto adorava. Camminarono per alcuni metri senza che lui togliesse gli occhi di dosso al club, superato l’angolo diede un lieve sospiro di rassegnazione finendo per abbassare la testa,  lo sguardo mesto, senza sapere che suo padre lo osservava dall’alto.

—Sai che non mi piace sgridarti, Saku, e non voglio che tu smetta di nuotare —disse Haruka fermandosi di botto. Notò come gli occhi di suo figlio iniziarono subito a inumidirsi—. Hey, non piangere —gli parlò con dolcezza.

—Non sto piangendo—singhiozzò il piccolo, asciugandosi gli occhi con la mano.

Sakura era molto sensibile ed era abituato a piangere spesso, senza dubbio era una delle caratteristiche più evidenti che aveva ereditato da Rin. Haruka non poté evitare di sentirsi dispiaciuto, così, chiuse l’ombrellino di Sakura, con un braccio lo prese per la vita, lo strinse per bene e senza difficoltà lo prese in braccio. Con la mano libera continuava a sorreggere l’ombrello, l’ombrellino che adesso aveva chiuso e la busta con gli abiti bagnati di Sakura.

—Io volevo solo giocare con l’acqua —rispose Sakura nascondendo il viso nel collo del padre. Anche se Sakura di solito era esagerato nelle sue cose, le grida erano timide, singhiozzava piano, dando lievi sospiri.

—Lo sò… —rispose con calma. Haruka comprendeva perfettamente suo figlio, anche lui da bambino correva sotto la pioggia restandone bagnato; in più, nei giorni di neve, si era nascosto in un igloo improvvisato che aveva costruito insieme a Makoto.
Ma, prodotto di quei giochi per Haruka erano più volte delle influenze grave—Sei fortunato che gli alunni delle elementari hanno un cambio extra a scuola in caso di emergenza. Staresti all’ospedale se fossi rimasto con i vestiti bagnati.—

—E non potrei più nuotare —aggiunse Sakura con le lacrime sulle guance, alzando lo sguardo verso l’Iwatobi SC Returns che stava dall’altro lato della strada.

—Questo è molto peggio che mancare al club per un giorno, no? —chiese Haruka con gentilezza. Sakura concordò con la testa in silenzio poi sentì il tocco di un bacio sulla guancia— Torniamo a casa, Saku.

Sakura appoggiò la testa sulla spalla del padre. Quasi non singhiozzò per la stranda verso la stazione degli autobus, adiacente alla stazione ferroviaria di Iwatobi. Mentre Haruka lo prese in braccio, attento a non calpestare le pozzanghere d’acqua per terra, Sakura era più interessato a guardarsi intorno, le poche persone e veicoli che transitavano per il luogo.

Fu per questo motivo che Sakura si rese conto con facilità di quella piccola e conosciuta auto che si muoveva a velocità prudente, che passò a un isolato di distanza senza fermarsi. Il piccolo conosceva il proprietario di quell’auto, quella distratta dell’amica di suo padre. Sakura alzò la testa pronto a dire a Haruka che Gou era passata da quelle parti.

Ma, le intenzioni di Sakura sfumarono quando non riuscì a trovare la donna da nessuna parte, vide solo l’immagine sfocata di un uomo sconosciuto che per tutto il tempo manteneva gli occhi fissi sulla strada dove stava guidando. Mentre tutto ciò che veniva registrato dagli occhi azzurri del piccolo fu l’affascinante colore rosso dei suoi capelli e la strana emozione che lo invadeva dentro lasciandolo stordito.

La vettura passò lungo la strada e si perse sotto la pioggia, lasciandosi dietro un meravigliato Sakura che non capiva il perché delle proprie emozioni.
Accanto a lui, senza nemmeno aver fatto caso all’automobile, Haruka si fermò confuso senza sapere perché, da un momento all’altro, il suo cuore aveva cominciato a battere con più forza.

Il magnetismo di Rin, col passare del tempo, restava ancora intatto.

Continua…

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Note dell’autrice:

Mille grazie per aver letto fin qui! Spero vi sia piaciuto questo capitolo, le basi sono già state poste e da qui in poi la storia inizierà ad andare avanti da sola. In questi due capitoli ho voluto mettere a fuoco il rapporto tra Haruka e Sakura, come potete vedere, sono molto uniti. Haruka ha cresciuto da solo suo figlio, per questo tende a essere iperprotettivo. Nel caso di Rin, lo presenterò poco a poco, così da farvi conoscere le sue paure e, soprattutto, il perché del suo comportamento; già sappiamo la gravità a cui arriva Rin quando è depresso, lo abbiamo visto nella prima serie di Free! :(

Voglio chiarire alcuni dettagli presenti nel capitolo:

- Il santuario di Misagozaki citato all’inizio NON è una mia idea, dal momento che viene citato più volte in High Speed! ed è vicino alla casa di Haruka. Nella realtà il santuario si chiama Tajiri.

-Parlando di quando Rin entra a casa osservando lo spazio dove c’era un delfino giocattolo. Questo viene menzionato nell’Original Drama del Character Song Duet Series Volume 4, Haruka Nanase & Rin Matsuoka [Free! Iwatobi Swimming Club]. Secondo la traccia, Rin lo ha ottenuto nello stesso modo di Haruka al club di nuoto, poi Gou lo ha messo in esposizione all’ingresso di casa. Nella mia storia il delfino già stava da tempo in giardino.

- Kyou Matsuoka è la nonna di Rin e appare in High Speed! 2. Sempre nel romanzo, lei si riferisce a suo figlio come Toraichi Matsuoka. Pertanto, Toraichi è il padre di Rin.

- L’igloo al quale si fa riferimento (quello che Haruka aveva costruito insieme a Makoto quando erano bambini e nel quale si era ammalato), è menzionato nella traccia 1 del Drama CD Volume 1 - Iwatobi Samegara Suiei-Bu Godo Katsudo Nisshi [Free! Eternal Summer].

Vi prego, datemi commenti e critiche con rispetto. Come ho già detto, le vostre parole sono preziose per me :)

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Note dell’autrice: Vi ho portato un nuovo capitolo, spero vi piaccia. Ringrazio per la collaborazione LadyPaule nel betaggio di questo capitolo.  Inoltre, grazie mille per le recensioni, mi rendono felice e i consigli come sempre sono molto utili. Grazie, davvero!

Note della traduttrice: Eccoci qui con un nuovo capitolo. Che ve ne è parso del secondo?
Mi scuso fin d'ora se la traduzione sia ancora troppo letterale in alcuni punti, spero col tempo di migliorare.
Cerco di mantenermi il più fedele possibile al testo fatta eccezione per qualche licenza grammaticale quale la sostituzione dei pronomi di colore di capelli (il rosso, la rossa, il moro...) coi pronomi nominali e qualche modifica per rendere le frasi più scorrevoli.
Detto questo, vi lascio alla lettura.

 

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QUANDO PIOVONO LE STELLE

CAPITOLO 3

 

Guidare per le strade di Iwatobi è sempre stata un’esperienza rilassante e divertente. Essendo una città relativamente piccola, non erano molti i veicoli che transitavano nei dintorni. La maggioranza degli abitanti preferiva usare le biciclette o semplicemente camminare per muoversi, mentre l’uso delle automobili e autobus dipendeva principalmente da quelli che viaggiavano nelle zone più urbane come Tottori, la capitale della prefettura.

C’era un treno che attraversa la prefettura. Proveniva da nord-est, al di là dei boschi della stazione di Igumi; passava per la costa di Higashihama, e poi virava a sud attraversando i vasti campi di Iwatobi, tra i quali si trovava la seguente stazione.

La stazione ferroviaria di Iwatobi si trovava a due isolati da una delle strade principali della città, tutt’intorno, da un lato gli orti della zona rurale e dall’altro gli edifici della zona urbana. C’erano zone residenziali nei dintorni, con case di medie dimensioni e piccoli giardini, in una di queste abitava Aiko Aihara, l’amico di Sakura. Nelle altre zone c’erano anche negozi e servizi, come l’ Iwatobi SC Returns,la biblioteca comunale, la banca e l’ospedale, tra gli altri.

—Ti ho lasciato l’auto per farti distrarre. Non dimenticare di venirmi a prendere! —gli aveva detto Gou due giorni prima, e, dopo aver lasciato le chiavi dell’automobile a Rin, era entrata nel vecchio edificio dell’Ospedale Iwatobi.

Gou si preoccupava della stabilità emotiva del fratello, per questo la spaventava il fatto che Rin passasse le serate piovose e solitarie in casa, chiuso in sé stesso, annegando tra i ricordi. Era sicura che almeno, lasciando l’auto a Rin, gli avrebbe offerto un mezzo per distrarsi in qualche modo. L’unica condizione era che lui doveva stare fuori dall’ospedale quando lei finiva il suo turno.

Gou lavorava all’Ospedale Iwatobi, alla sezione di fisioterapia. Da bambina, grazie a Rin e suo padre e poi grazie al club di nuoto della scuola, era stata in contatto col mondo dello sport. Era cresciuta presenziando ai tornei e a tutto quanto si relazionava alla preparazione pre e post gare: allenamenti di routine, regimi alimentari, fitness, recupero medico e così via.

Conosceva molto bene l'ambiente sportivo. A ciò si aggiungeva che lei era un’esperta quando si trattava di muscoli. La sua passione per il sistema muscolare l'aveva portato a scegliere una professione in cui si sentiva felice circondata da corpi perfetti.

Perché Gou, sebbene lavorasse nell’ospedale servendo un gran numero di pazienti, aveva ancora uno stretto legame con l’Iwatobi SC Returns, essendo una delle maggiori collaboratrici di Goro Sasabe, in più aveva anche cooperato al recupero di Sousuke, il migliore amico di suo fratello.

Gou era felice e adempiva con orgoglio al suo lavoro. Lo stipendio che guadagnava non era altissimo, ma le permetteva di vivere dignitosamente insieme a sua madre, concedersi qualche sfizio di tanto in tanto, viziare il suo nipotino Sakura e, adesso che Rin era tornato a Iwatobi, appoggiarlo economicamente nelle sue necessità e non solo emotivamente.

Questo è il motivo per cui Rin era responsabile dell’auto di Gou, per potersi distrarre e svuotare la mente nei suoi primi giorni ad Iwatobi, anche se in realtà non veniva usata spesso. Tuttavia, al contrario di quel che Gou e sua madre si aspettavano, Rin aveva preferito restare a casa ravvisando in scatole di vecchi oggetti o semplicemente guardando la pioggia dalla finestra.

Tuttavia, la sera Rin dovrebbe stare fuori dall’ospedale ad aspettare sua sorella.
Erano due giorni che faceva questo, veniva un’ora prima e lasciava l’auto nel parcheggio. Lì aspettava paziente con l’autoradio sintonizzata sulla stazione locale, gli occhi fissi nel nulla, i pensieri intrisi nei ricordi del passato.

Ma, questo giorno era diverso. La pioggia era cessata da un paio d’ore, perciò non era necessario che Rin restasse in auto. Esitò per qualche minuto se scendere o meno, ma alla fine aprì la portiera e tastò il suolo sotto i suoi piedi. L’aria gelida gli sferzò subito il viso, l’odore di terra bagnata gli penetrò il naso e, per un istante, sembrava come se il suo mondo si fosse espanso.
Dalla sua nuova posizione, col cielo grigio esteso sopra la testa, poteva apprezzare gli edifici circostanti, i giardini e le colline distanti popolate di alti pini.

—Avevo dimenticato questa vista… —mormorò Rin, dopo aver riempito i polmoni di aria fresca e cacciato un sospiro rattristato.

Assicurò l’auto e camminò dal lato dell’ospedale verso la strada. Mancava ancora un’ora prima che Gou terminasse il suo turno, perciò Rin poteva sgranchirsi le gambe camminando per i dintorni. Le piogge avevano intimorito molti, così poteva andare avanti tranquillo senza il timore di sentirsi osservato. Camminò per il marciapiede con occhi attenti come se avesse appena scoperto quel luogo, con il cuore che batteva dalla voglia di andare avanti, di tornare a ricongiungersi con le strade che aveva lasciato otto anni fa.

==========00000==========

 

Con una matita blu, Sakura disegnò una lineetta sopra il suo quaderno. A questo si aggiunsero tante altre, tutte dello stesso colore. Era la pioggia che cadeva dall’unica nuvola grigia che aveva disegnato. Prese altri pastelli e lasciò che le mani si muovessero al suono dei ricordi: una lunga strada vicino la stazione degli autobus, un giovane padre con suo figlio tra le braccia e in lontananza una piccola auto dai tratti deformi. L’ultima matita che Sakura prese fu la rossa, con la quale finì di colorare i capelli del bambino e i capelli del conducente dell’auto.

—Finito! —esclamò soddisfatto, poi si voltò verso il lato dove c’erano altri quattro disegni. Sospirò con rassegnazione e guardò l’orologio appeso al muro dell’aula, Haruka sarebbe venuto a prenderlo solo tra due ore.

La Scuola Elementare Iwatobi non era molto lontana da casa, gli ci volevano solo un paio di minuti per arrivare a scuola la mattina con suo padre. Sakura conosceva il tragitto alla perfezione, non era difficile ed era pieno di persone conosciute; poteva tornare a casa da solo, però, Haruka non glielo permetteva. Pertanto, ogni giorno dopo le lezioni Sakura aspettava la madre di Aiko e, loro tre insieme, si muovevano verso il centro, dove la signora Aihara lasciava Sakura all’Iwatobi SC Returns, poi tornava a casa insieme a suo figlio. La fine delle lezioni di nuoto coindideva con l’arrivo di Haruka al centro, che tornava dal suo lavoro al DolphinS.

Questa era la loro routine quotidiana, che a volte affliggeva Sakura, poiché non capiva perché suo padre era tanto reticente all’idea di lasciarlo solo, come credesse che il bambino scomparisse o potesse abbandonarlo. Quella paura era –agli occhi di Sakura– del tutto ingiustificata e lo irritava che adesso, a causa di questo timore, doveva aspettare tutto solo dentro la scuola. Perché? Perché era il secondo giorno che Aiko non veniva in classe per essersi preso un raffreddore dopo aver corso insieme a lui sotto la pioggia, per questo, non c’era nessuno che potesse accompagnare Sakura al club di nuoto.

Era una catena di cause e conseguenze che Sakura detestava. Si sentiva profondamente frustato e, anche se cercava di distrarsi coi disegni, la verità era che per la testa lo attraversava l’idea di star abbassando le sue prestazioni nel nuoto per non potersi allenare. Aveva indosso il suo costume da bagno, ma non gli serviva a nulla, perché questo sarebbe stato il terzo giorno che mancava al club –il primo fu per il rimprovero di Haruka, il secondo per l’assenza di Aiko– fu così che Sakura iniziò ad andare nel panico. Se non poteva nuotare, non poteva progredire e, come risultato,non poteva realizzare il sogno tanto agognato.

Tornò a guardare l’orologio, mancava ancora molto perché Haruka facesse il suo ingresso a scuola. Girò lo sguardo verso fuori, il cielo era grigio ma non c’erano tracce di pioggia. Questo gli causò ancora più angoscia. Se non stava piovendo e aveva tutto il tempo libero del mondo, perché non poteva essere felice con la sua amata piscina?

Sakura non ce la faceva più. Aveva otto anni, considerava sé stesso un ometto, conosceva la strada verso il club e, in più, non stava piovendo. Raccolse i suoi disegni nello zaino e lo caricò sulle spalle, si mise il cappello giallo che gli aveva regalato Gou e senza pensarci un secondo di più, uscì correndo a tutta velocità dalla scuola.

Correva e correva come se la sua vita dipendesse dai suoi passi. Senza dubbio Sakura non aveva ereditato da Haruka la lentezza su terra, piuttosto era come Rin, sprizzava forza ed energia da tutti i pori. I suoi passi sembravano quasi non toccare terra, come se volasse. Non ci volle nulla nell’attraversare i vicoli davanti al porto di Iwatobi; arrivò al lato della spiaggia e prese la scorciatoia che di solito prendeva insieme a Aiko e sua madre e si addentrò per la strada principale che attraversava Iwatobi, quella che passava sia attraverso i campi che verso il centro cittadino.

Gli ci vollero venti minuti per raggiungere il centro. Superò il Family Mart, dove nelle serate estive suo padre andava a prendergli i ghiaccioli azzurri, la banca e anche il municipio. Ma, subito inziò a sentire  gocce leggere iniziare a cadere sul suo viso. Alzò lo sguardo verso il cielo e notò che le nuvole si erano tinte di un grigio più scuro. In meno di un minuto, la pioggia autunnale invase tutta la zona.

Sakura andò nel panico. L’ Iwatobi SC Returns era appena ad alcuni isolati di distanza, perciò se continuava a correre sarebbe finito di certo per bagnarsi tutto, il quale –secondo la prospettiva di Sakura– significava un raffreddore che avrebbe finito di sicuro la sua carriera nel nuoto. Così, terrorizzato, cercò con lo sguardo un posto dove potersi rifugiare. La prima cosa che notarono i suoi occhi fu un tettuccio che sporgeva dalla facciata di un vecchio negozio, con un bel giardino accanto ma senza fiori. Sakura raggiunse il tettuccio e si riparò sotto di esso, pregando in silenzio, frustrato, per la fine della pioggia.

E così stava, con gli occhi chiusi e i pugni stretti, quando sentì una leggera spinta alle spalle che lo fece barcollare.

—Oh, mi dispiace, piccolo —Sakura sentì la pacata voce mascolina sopra di lui, poi lo sentì cacciare uno sbuffo adirato, lamentandosi per la pioggia improvvisa. Sapere di non essere l’unico arrabbiato per il maltempo lo faceva sentire risollevato distraendolo un attimo dai suoi crucci.

Per questo, si girò curioso di lato, cercando di riconoscere chi era al suo fianco.
Con somma sorpresa,  si alzò quando notò il colore rosso dei capelli dell’uomo che l’accompagnava, con ciocche cadenti a ogni lato del viso che contrastavano con la pelle pallida.
Sakura non riusciva a evitare di spalancare la bocca dalla sorpresa, inoltre ricordava quell’uomo, lo aveva visto due giorni prima e non riusciva a toglierselo dalla testa, e adesso che lo aveva sotto i suoi occhi, poteva sentire il suo cuore battere più forte. Il desiderio di nuotare in piscina era stato automaticamente dimenticato.

Rin storse la bocca infastidito. L’auto di Gou si trovava nel parcheggio dell’ospedale a un paio di isolati di distanza, perciò camminare sotto la pioggia torrenziale non era una buona idea.
Fu lì, quando sentì lo sguardo insistente su di lui, notò, con la coda dell’occhio, il bambino di fianco che lo osservava quasi rapito.

—Ho detto"mi dispiace" —ripeté Rin con calma senza prestare ulteriore attenzione a Sakura, aspettando che gli togliesse gli occhi di dosso, ma lui lo ignorò e continuò a guardarlo. Rin cacciò uno sbuffo che si perse nel suono della pioggia, gli dava fastidio essere osservato in silenzio, perciò si voltò verso il piccolo per affrontarlo con gentilezza.

Fu in quell’istante che Rin sentì una strana fitta al petto, quando vide gli occhi di Sakura: un azzurro così brillante ma anche così puro, trasparente e chiaro come acqua. Era inevitabile: provò una voragine di sensazioni dentro di sé.

L’ immagine di Haruka cominciò ad affiorare subito nella sua testa insieme a quella del bambino che aveva abbandonato. Riviverono in lui ricordi sconnessi di momenti vissuti otto anni fa, in particolare tutti quei sentimenti provati dal vedere il test di gravidanza, al tenere il bambino tra le braccia e poi dirgli addio quando aveva solo due mesi. Tutto fu così doloroso e rapido, che Rin si sentì nauseato per un istante e con un crescente nodo alla gola. Ma era confuso, non capiva perché lo prendevano così tante emozioni alla sola vista di un bambino sconosciuto.

Fece uno sforzo per non bloccarsi all’istante e girò la testa da un lato all’altro, respirando profondamente. Non gli piaceva nulla di tutto ciò, sentiva la necessità di scappare, ma scappare da cosa?

Afferrò con fermezza la busta che conteneva alcuni panini per lui e Gou, senza esitazione andò dritto sotto la pioggia, non più disposto a rimanere nello stesso posto.

Non c’era altro suono tranne quello dell’acqua che cadeva ovunque e dei suoi passi pesanti sopra le pozzanghere. Per questo gli fu facile riconoscere il suono alle sue spalle, erano passi leggeri che provenivano dietro di lui.

—Ehi, che stai facendo? —chiese Rin girandosi verso Sakura. Il bambino si fermò all’istante e lo osservò un po’ nervoso, ma in silenzio.

Rin si voltò e continuò a camminare. Non avanzò di due metri quando si fermò prima dei passi che erano ricominciati.

—Mi stai seguendo? —domandò accigliato, iniziando a perdere la pazienza. Sakura negò con un cenno del capo—. Torna a casa, piccolo —disse con severità
tentando di nuovo di andare per la propria strada, ma i passi nell’acqua continuavano a farsi sentire.

Ehi, mi stai seguendo! Che diavolo vuoi? —chiese irritato, intimidendo Sakura. Per la nuova espressione sul volto del bambino, Rin intuì che lo aveva spaventato. Decise di contare mentalmente fino a dieci per ritrovare calma e pazienza— Hey, non devi stare qui sotto la pioggia, torna a casa tua… o per caso non sai tornarci? —domandò pacato, ma Sakura restò in silenzio— Maledizione, perché non dici nulla?!

—Papá dice che non devo parlare con gli sconosciuti —rispose alla fine dopo averci pensato su. Era assurdo, perché aveva disobbedito a Haruka non rimanendo a scuola, ma adesso si preoccupava di non parlare con gli sconosciuti.

—Non devi parlare con gli sconosciuti, eppure, mi stai seguendo—disse Rin alzando un sopracciglio, aspettandosi una risposta che non arrivò. Sospirò rassegnato, osservando le gocce che scorrevano dal cappello giallo attaccato al viso di Sakura; non c’era alcuna traccia dei suoi capelli rossi. Andiamo, ti accompagno a casa.

Sakura gli rivolse un enorme sorriso di improvvisa felicità. Non aveva idea perché, ma anche se sapeva che non doveva parlare con gli sconosciuti, in fondo al cuore sentiva tanta fiducia e sicurezza stando con Rin. E non solo per il fatto di attirarlo per il colore dei suoi capelli, come dire, era molto contento nel sapere che adesso c’era un rosso in più a Iwatobi oltre a sé stesso, Gou e la signora Matsuoka, ma più importante era il forte sentimento di vicinanza che gli provocava la presenza di Rin.

—Dove abiti? —chiese l’uomo.

—Verso il porto—rispose Sakura con naturalezza indicando la costa.

Rin diede una rapida occhiata al suo orologio da polso. Mancavano circa venti minuti perché Gou finisse il suo turno all’ospedale, la stessa quantità di tempo che gli serviva per tornare dal porto. Se si affrettava, poteva riuscire a lasciare il bambino a casa sua e arrivare puntuale a prendere sua sorella.

—Andiamo, ti accompagno a casa —insisté. Anche se la presenza di Sakura continuava a inqueitarlo, sentiva che non poteva lasciarlo da solo sotto la pioggia.

—Ma ci torno da solo.

—E come? Sta piovendo e non va bene camminare per strada in un giorno così. Inoltre, i tuoi genitori saranno preoccupati.

L’immagine di Haruka subito si palesò nella mente di Sakura. Rin aveva ragione, suo padre si preoccuperà nel non trovarlo a scuola, senza sapere dove stava. Provò d’improvviso inquietudine e un leggero rimpianto per aver seguito il suo istinto, ma, sentiva che non era stato invano, dal momento che aveva conosciuto l’uomo dai capelli rossi. Ma quell’uomo continuava a essere uno sconosciuto, pertanto, non poteva permettere che lo accompagnasse a casa rischiando che Haruka si incontrasse con lui. Come punizione poteva aspettarlo che gli togliesse il permesso di continuare ad andare all’Iwatobi SC Returns, e quella sarebbe stata una tragedia per lui.

—Posso tornarci da solo, dico davvero. Sono grande e posso prendere l’autobus, ho un po’ di soldi per quello —disse indicando la propria tasca. Gli occhi di Rin si mossero nella direzione indicata, in effetti, ad alcuni isolati di distanza, superando l’ospedale, si trovava la stazione degli autobus di fronte la stazione ferroviaria di Iwatobi.

Rin sbuffò rassegnato, si strinse nelle spalle e dopo aver detto un veloce “come vuoi", si affrettò a camminare verso la stazione, dicendo a Sakura di seguirlo. Considerando quanto era bagnato e la presenza inquietante del bambino, l’unico desiderio di Rin in quel momento era di sbarazzarsi di lui. Il piccolo lo aveva fatto sentire in un modo che non riusciva a spiegarsi e anche se la sua presenza non poteva definirsi molesta –giacché il bambino lo stava solo guardando– c’era qualcosa in lui che continuava a smuovere le sue emozioni.

Si fermò proprio davanti alla stazione, mentre il bus arrivava.

—Sei sicuro di poter tornare? —Rin non era affatto sicuro che il bambino davvero potesse tornare da solo a casa. Sakura annuì, deciso a dimostrare che poteva difendersi da solo.— D’accordo. Adesso, ascoltami bene —Rin si inchinò per raggiungere l’altezza di Sakura e poterlo guardare negli occhi. Alla vista del suo sguardo così vicino non poteva evitare di sentire una morsa nel petto—Non parlare con nessuno finché non arrivi a casa, va bene? E obbedisci ai tuoi genitori, non andare mai in giro da solo.

Con un entusiasta "sí" e un sorriso innocente, Sakura si voltò e raggiunse l’autobus mentre era fermo, salì e cercò un sedile vicino al finestrino che desse verso Rin. Non poteva cancellare un sorriso di gioia dal suo volto, sentendosi orgoglioso di sé perché un adulto gli aveva dato fiducia. Così alzò il braccio e agitò la mano da un lato all’altro. Era adorabile, soprattutto nel tirare il cappello giallo coprendosi fin quasi agli occhi.

Rin lo salutò con un leggero movimento della mano, inespressivo, mentre vedeva l’autobus tirare dritto verso la via principale, da qui avrebbe girato verso Nord dritto per la zona costiera di Iwatobi. Quando il pullman sparì, Rin alzò una mano e rimosse i capelli umidi incollati alla fronte, restò immobile, ripassando nella mente l’assurda situazione che aveva appena vissuto.

—Che diavolo era quello? —si domandò, in piedi sotto la pioggia, con ancora in mano la busta con i panini che aveva comprato e che sicuramente erano tutti bagnati. Sghignazzò, felice di essersi trovato in una situazione tanto illogica.

Quando Rin rientrò in auto, Gou attraversava le porte dell’ospedale. I suoi sensi fini si tesero nel vederlo tutto bagnato, ma poi sorrise compiaciuta notando la freschezza nello spirito di suo fratello. Non sapeva a cosa si doveva questo cambio d’umore, non glielo chiese per rispetto,ma senza dubbio quella variazione nel suo stato d’animo era evidente solo guardandolo.

In quanto a Sakura, una volta che raggiunse il porto di Iwatobi si affrettò ad addentrarsi nei vicoli e scendere gli scalini di pietra che portavano verso casa sua. Chiamò al cellulare Haruka per avvisarlo che non c’era bisogno di venirlo a prendere a scuola, si ingegnò per non rispondere a tutte le domande di suo padre in quel momento. Fece un bagno e si mise a letto.

Scriveva nel suo diario per parlare con sua "madre", le parlò emozionato della sua grande avventura e le spiegò che era diventato un bambino grande. Era così felice di cosa aveva vissuto, che l’arrivo di Haruka non lo intimidì affatto. Non avrebbe detto a suo padre dell’esperienza vissuta, né che aveva parlato con un estraneo né di essere scappato da scuola. Non sentiva la necessità di farlo, perché Haruka stranamente non gli chiese nulla; la gioia di Sakura era così strabordante, che Haruka non se la sentì di rovinare il momento con domande inopportune. Suo figlio era sano e salvo a casa, questo era ciò che davvero importava; forse, il giorno dopo, gli avrebbe chiesto qualche spiegazione, ma per adesso preferiva sdraiarsi accanto al suo piccolo e giocare un po' con lui.

Continua…

 

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Note dell’autrice:

Grazie per aver letto! Spero vi sia piaciuto. Chiarisco alcune cose sopra questo capitolo:

- La città di Iwatobi è ispirata a Iwami, una vera città Giapponese ubicata nella prefettura di Tottori. La capitale della prefettura ha lo stesso nome, Tottori. Nella fan-fiction NON ho cambiato le posizioni geografiche. Inoltre altri luoghi reali come le stazioni ferroviarie di Igumi e Higashihama, precedenti a quella di Iwami (Iwatobi). In più, a Iwami la stazione ferroviaria è situata tra i campi e la zona urbana dove stanno i servizi principali, come l’ospedale dove lavora Gou.

- La professione di Gou è stata inventata per questa fanfiction, NON è canon. Non ho trovato materiale che parla dei propositi di Gou per il suo futuro, perciò se più avanti scoprirò altro, cambierò i paragrafi che si riferiscono alla professione che ho inventato. Naturalmente quelli NON rilevanti per la storia, così che il cambiamento non abbia alcuna influenza sullo sviluppo della trama.

- In quanto alla personalità di Sakura, credo che possa arrivare a essere molto insistente e impulsivo a modo suo, proprio come lo era Rin da bambino. Tanto in High Speed! Come in Free! Si può notare quanto Rin sia insistente (soprattutto con Haruka) e impulsivo quando si tratta delle sue emozioni. Quando sente qualcosa nel cuore, Rin semplicemente agisce... se ne è andato con Haruka in Australia! Chi altro lo avrebbe fatto? :3

- Riferendomi al Family Mart, come il posto dove Haruka compra il ghiacciolo azzurro a Sakura. NON è una mia invenzione, esiste nella realtà e in Free! è il posto Haruka e Makoto comprano i ghiaccioli azzurri quando escono da scuola in estate.

- Infine, voglio solo dire che c’è un collegamento tra l’iperprotezione di Haruka e il senso di abbandono che ho menzionato brevemente in questo capitolo. Ha un trauma riguardo l’abbandono, NON l’ho inventato io, lo hanno detto i produttori di Free! Ed è legato alle due stagioni dell’anime quanto alle due novel di High Speed! Non mi fermerò su questo tema, perché lo svilupperò nel corso dei capitoli, ma spero che possiate intuire di che si tratta.

Reviews, prego! :)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Note dell’autrice: Dico davvero, vi ringrazio moltissimo per le recensioni e  i messaggi privati che ho ricevuto, mi fanno molto felice e mi incoraggiano a continuare questa storia.

Note della traduttrice: Spero quanto prima di ricevere qualche recensione costruttiva, sapete, non sono molto sicura di come sia la traduzione e se ho fatto degli errori, un consiglio mi farebbe piacere tanto quanto ricevere nuovi pareri.
Chiedo scusa per il ritardo nel pubblicare il nuovo capitolo ma ho avuto un calo di voglia di tradurre, scusate.
Spero possiate godervi questa storia, nel frattempo mi organizzo con la traduzione dei prossimi capitoli.

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QUANDO PIOVONO LE STELLE

CAPITOLO 4

 

Il sabato a casa Nanase iniziava abbastanza tranquillo. Haruka si alzava prima per fare con calma un bagno. Faceva colazione in solitudine e poi saliva in camera sua per cambiarsi d’abito. Solo quando raggiungeva la propria stanza, quando sentiva dei veloci passetti sul pavimento in legno, lo avvertivano che suo figlio si era appena svegliato e stava correndo da lui. Tutti i sabati era lo stesso, Sakura dava un salto sul letto di Haruka e rideva contento rotolandosi tra le lenzuola, allungando le gambe per coprire tutto lo spazio.

—Dovevi restare qui e giocare tutto il giorno con me —esclamò il piccolo ancora nuotando tra le lenzuola.

—Sai che non posso, Saku —rispose Haruka con calma, in piedi in un angolo della stanza mentre si aggiustava la camicia e gli altri vestiti davanti allo specchio—. Il sabato è un giorno di lavoro come qualunque altro —aggiunse.

Questo lo aveva appreso da molti anni. Quando era un nuotatore olimpico era abituato ad allenarsi tutto il tempo, quasi senza alcun giorno di riposo. Più avanti, quando si trovò costretto a lasciare il nuoto per poter crescere suo figlio, gli fu facile abituarsi all’idea di lavorare quasi tutti i giorni della settimana per ottenere il denaro necessario ad entrambi. Di fatto, il suo attuale lavoro al DolphinS era così, orario part-time ma che si estendeva dal lunedì al sabato, in particolare per adempire alle responsabilità della casa e alla cura di Sakura. Viveva da diversi anni con la stessa routine settimanale, quindi non era più un peso, anche se ci sono stati dei momenti –come tutti i sabati mattina– dove semplicemente desiderava buttarsi a letto e dormire un altro po’ insieme a suo figlio.

—Torna presto, papà —disse Sakura dal letto, osservando suo padre.

—Ci proverò —fu la semplice risposta di Haruka, che adesso guardava il suo riflesso con immensa concentrazione. Mosse i capelli da un lato, dubitò per un istante, poi li cambiò di lato,tutto per dargli una forma adeguata e avere un aspetto migliore. Tutto questo procedimento fu notato da Sakura.

—Che stai facendo? —chiese preoccupato, vedendo come suo padre si agghindava davanti allo specchio.

—Vado a trovare Tanaka-san. Debbo essere presentabile —rispose Haruka con la sua caratteristica indifferenza.

—È una donna? —chiese Sakura quasi con orrore.

—Sí.

Questa semplice affermazione di Haruka attirò le ire del piccolo. Sakura balzò in piedi, si avvicinò al padre e si aggrappò stretto ai suoi pantaloni, colpendolo con dei pugnetti mentre i suoi occhi iniziavano a inumidirsi.

—Le fidanzate sono proibite! —gridò con forza, guardando con rabbia suo padre— Non puoi avere una fidanzata! Non puoi!

—Ehi, Sakura, calmati.

—Non voglio che mi dai un’altra mamma! —continuò gridando furioso, con le lacrime già sul bordo degli occhi.

Haruka alzò un sopracciglio e diede un sospiro di rassegnazione. Conosceva perfettamente il tipo di capricci di suo figlio,così mise la mani nel borsello e cacciò il telefonino, cercò una tra le fotografie e la mostrò a Sakura.

—Lei è Tanaka-san —pronunciò Haruka. L’immagine ritraeva una vecchina felice mentre mostrava un’ampia stanza—. È la nonna di due gemelli e ha chiesto alcuni consigli da DolphinS per il rifacimento della cameretta dei suoi nipoti. Come nostro cliente più fedele, non possiamo rifiutare la sua richiesta —spiegò con assoluta calma, vedendo come Sakura lo guardava in assoluto silenzio.

Era così che si comportava ogni qualvolta Haruka insinuava qualche –per minimo che fosse– rispetto per una donna. Sakura era terribilmente geloso, ma non perché voleva ottenere tutto l’affetto del padre, solo perché lui aveva una sola madre: quella che stava in cielo e con la quale parlava tutti i giorni. Qualsiasi donna che si avvicinava a Haruka risultava essere una minaccia per Sakura, che non esitava ad assumere un atteggiamento freddo e a volte sgarbato di fronte a lei. L’unica eccezione alla regola era Gou, che Sakura accettava come una specie di seconda madre, forse per il fatto di averla conosciuta da prima dei suoi primi ricordi; grazie a suo padre, il bambino sapeva che lei si era presa cura di lui fin da quando era un bebé, perciò era cresciuto osservando la distanza tra lei e Haruka, che non risultava affatto minacciosa.

—Impara a controllare la rabbia, piccolo maleducato—lo rimproverò Harare dandogli un paio di colpetti sulla testa. Sebbene un tempo aveva pianificato di cambiare questi atteggiamenti di Sakura, la verità era che non poteva colpevolizzarlo del tutto. Alla fine dei conti, gran parte del carattere impulsivo del bambino era eredità di Rin.

—Mi dispiace—disse a voce bassa Sakura, poi corse verso il letto di padre e si nascose tra le lenzuola, vergognandosi del proprio atteggiamento.

Haruka lo osservò attraverso lo specchio. Anche se a momenti lo divertiva il comportamento di suo figlio, sapeva che non doveva ridere per non approvare tale condotta, così finì di sistemarsi in silenzio. No passò molto tempo quando l’uomo si trovava vicino al letto per salutare Sakura e dargli alcune istruzioni.

—Ehi, Sakura-…

—Lo sò — lo interruppe, in seguito ripeté come fosse un robot—: "Lo sgombro è nel frigo. Non uscire di casa fino al mio ritorno, ma in caso di qualcosa di insolito vai da Tachibana-san" —rispose seccato e con voce monotona. Conosceva alla perfezione le frasi di suo padre.

Le istruzioni di ogni sabato era un’altra delle cose che facevano parte della routine di entrambi. Anche se Sakura le sapeva a memoria, Haruka si preoccupava di ricordarle ogni settimana, adesso con più attenzione sapendo che suo figlio a volte prendeva decisioni da solo, come fece un paio di giorni fa quando tornò da scuola in un giorno di pioggia.

—Comportati bene, d’accordo?

—Lo so! —esclamò con rabbia, senza uscire dal suo nascondiglio sotto le lenzuola.

Haruka non trovò altra scelta che sospirare rassegnato; non valeva la pena mettersi a discutere con suo figlio in quel momento, soprattutto quando era già ora di andare al lavoro.

Così si separò da Sakura ricevendo un rabbioso "stammi bene" come risposta, e uscì di casa di fretta in direzione della stazione.

Siccome non era un giorno di scuola, Haruka si poteva permettere di prendere l’autobus vicino casa. Sebbene il tragitto per DolphinS non fosse così lungo, il giorno era piuttosto freddo; c’era il sole ma quasi non riscaldava, e in più regnava l’umidità residua di dopo i giorni di pioggia.

Arrivò al lavoro prima del solito, perciò ebbe tempo sufficiente per correggere i dettagli delle visite che avrebbe fatto insieme agli altri impiegati. Questa era parte dei compiti che corrispondevano a Haruka di tanto in tanto. Come supervisore di una delle sezioni di DolphinS, doveva occuparsi di ottenere una buona amministrazione. Quando tutto fu pronto, la squadra che doveva andare alle case dei clienti prese uno dei furgoni della ditta.

La prima tappa fu di fronte al porto di Ajiro, a casa della signora Ume Tanaka. La casa si trovava in uno stretto passaggio che si affacciava su un piccolo tunnel. Non era la prima volta che vedeva questo settore di Iwatobi, era stato lì in varie occasioni, poi ne aveva sentito parlare da Rin di questo posto, di quanto gli piaceva correre per quelle strade quando era bambino, in più – a quanto pare – anche suo padre aveva giocato per i dintorni durante l’infanzia

Con la strana sensazione di stare attraversando i ricordi remoti di Rin, Haruka e le tre persone che lo accompagnavano entrarono a casa di Ume. La donna li accolse con cordialità e gli spiegò la sua situazione familiare: suo figlio minore era diventato padre di due gemelli, ma lui e la sua fidanzata studiavano ancora all’università; Ume si è offerta di accudire i bambini mentre i ragazzi continuavano i loro studi, per questo la casa necessitava di una serie di cambiamenti per i suoi due piccoli abitanti. La missione della squadra di DolphinS era consigliare l’anziana nel processo.

—Vorrei che Nanase-san si occupi della stanza dei bambini—chiese Ume con un dolce sorriso.

Era da tempo cliente di DolphinS e aveva notato i buoni consigli che le aveva dato Haruka riguardo le decorazioni; anche se le loro opinioni erano abbastanza semplici, Haruka riusciva a incantare tutti quando prendeva una matita e un foglio di carta e iniziava a plasmare le sue idee. Col passare del tempo, l’attitudine artistica del giovane non era sparita.

Mentre il resto della squadra si dedicava a altre parti della casa, Haruka seguì Ume verso la stanza. Era una camera relativamente piccola nella quale c’erano solo un mobiletto e un paio di culle, e anche se mancava di disegnini, si poteva sentire il tipico profumo delicato che sprigionavano le stanze dei bambini.

Non poté evitare di provare nostalgia dentro di sé, ricordando quella stanza speciale del suo appartamento a Tokyo. Era stata la stanza di Rin all’inizio, fino a quando lui non decise di trasferire le proprie cose nella camera di Haruka. Ricordava di aver girato insieme a Rin svariati centri commerciali della città, cercando pitture adatte per colorare i muri e discutendo se i disegni dovevano essere squali rossi o delfini azzurri. Finalmente, si erano decisi per dipingere delfini rosa per tutta la parete, ma nel procedimento finirono per aggiungersi disegni di petali di ciliegio che cadevano sopra un mare sereno. Era una idea strana all’inizio, ma risultò essere piuttosto adorabile una volta che la cameretta fu pronta.

—Le pareti avranno delfini rosa e celesti —parlò d’impulso, e in seguito cacciò un documento con la palette di colori che DolphinS offriva. Li mostrò a Ume, che restò subito incantata all’idea.

Per Haruka non era difficile dare consigli di questo tipo, possedeva doti artistiche e in più l’esperienza gli aveva insegnato a parlare nel modo giusto. Era facile, doveva semplicemente fare riferimento ai propri ricordi e adattarli  un po' alla realtà dei gemelli. Gli piaceva questo, più i ricordi che aveva di quel periodo – prima della partenza di Rin– erano belli, più il suo petto si riempiva di una piacevole sensazione di calore.

—Vedo che vi smuove parlare di questi temi —commentò all’improvviso la donna, osservando sorridente il giovane—. Nanase-san è una persona inespressiva, ma posso vedere nei suoi occhi l’emozione che gli suscita quando si parla di bambini —aggiunse, questa volte sorprendendo un po’ Haruka—. Avete un figlio piccolo, non è così?

—Sí —rispose insicuro, chiedendosi nella sua testa se per caso avesse mostrato qualche espressione particolare sul viso che rivelava i sentimenti che stava provando in quel momento.

—Immagino che stare qui, nella stanza dei miei nipoti, le susciti molti ricordi. Noi genitori di solito custodiamo nel nostro cuore ogni momento che passiamo insieme ai nostri figli. È gratificante vederlo crescere sano e forte dopo tutti gli sforzi che avete fatto per lui.

Haruka la osservò per un istante in silenzio, sentiva come se si trovasse di fronte la propria nonna. Era come se Ume potesse attraversare i suoi occhi e leggere direttamente la sua anima, quella che custodiva un patrimonio di ricordi dalla gioia di sapere che avrebbe avuto un figlio con la persona che più amava, passando per la felicità di tenere per la prima volta Sakura tra le  braccia, alla soddisfazione attuale di sapere che è stato capace di crescere da solo quella piccola creatura. Era una sensazione ineguaglabile e, anche se il dolore per la perdita di Rin era ancora presente, la gioia che gli provocava il sorriso di Sakura era sempre più forte.

—Alla fine, ne è valsa tutta la pena —rispose con dolcezza, anche se fuori mostrò un piccolo sorriso, dentro di sé si sentiva immensamente felice.

Dopo aver visitato la signora Tanaka, la squadra si diresse a casa di una coppia di clienti più all’interno della zona di Iwatobi. Fu piuttosto estenuante per Haruka seguire il ritmo del suo lavoro, per di più nella sua mente continuavano a transitare innumerevoli scene della propria vita che gli impedivano di mantenere la concentrazione. Anche così, si ingegnò per mantenere la compostezza e finire il viaggio al meglio, ritornarono da DolphinS e redassero le relazioni relative ai materiali di cui avevano bisogno tra le altre cose. Per fortuna, non c’era molto lavoro da fare all’interno del negozio, perciò Haruka finì in fretta i propri compiti e si ritirò subito a casa. Aveva cose importanti da fare.

Tornò a prendere l’autobus, questa volta di ritorno dal settore portuario di Iwatobi, poi a piedi di fretta tra le strade verso la collina, raggiungendo gli scalini di pietra che conducevano verso casa sua e il santuario Misagozaki. La consueta corrente d’aria che circolava per il luogo smosse ognuno dei suoi capelli mentre saliva rapidamente, mentre un paio di foglie secche gli volavano attorno. Quando fu di fronte a casa inalò profondamente, riempendosi di aria fresca e purificante, donandogli un aspetto fresco e riposato.

—Sono tornato —disse entrando in casa, si accorse di un leggero cambiamento nel suo solito modo di parlare. Oggi sembrava più felice, più vivo.

—Benvenuto, papá —disse Sakura apparendo in un baleno dalla cima delle scale, sosteneva un borsone sportivo e mostrava un grosso sorriso sulle sue labbra —Andiamo?

—Certo che sì.

Non importava che Haruka era tornato da poco dal lavoro, nemmeno importava era un po’ esausto per le visite ai clienti. Quello che davvero importava era una certa routine del sabato che per niente al mondo doveva cambiare.

Per questo tipo di routine indossava il costume da bagno durante il fine settimana, perché sapeva che il modo migliore per passare il suo scarso tempo libero con suo figlio era nuotando insieme nella piscina dell’Iwatobi SC Returns. È nell’acqua dove poteva dimenticarsi davvero del resto del mondo, dei suoi ricordi opprimenti, delle preoccupazioni che lo tormentavano tutto il giorno. Così come è nell’acqua dove poteva sorridere ampiamente mentre ammirava il nuoto del suo piccolo.

Questa, senza dubbio, era la soddisfazione maggiore che poteva ricevere da suo figlio.

Al di là di come stava crescendo energico e forte Sakura, quello che più inorgogliva Haruka era sapere che aveva trasferito a suo figlio il fervente amore per l’acqua. Non sapeva se era ereditario o semplicemente una conseguenza dell’educazione che aveva ricevuto Sakura da quando aveva appena un mese. Haruka sapeva solo che il bambino si completava perfettamente con l’acqua, e anche se era abbastanza competitivo, la verità era che l’accoglieva e si donava a lei come se entrambi fossero parte dello stesso essere.

—Papá! —gridó Sakura entusiasmato al massimo, tirando l’uomo per un braccio obbligandolo a tuffarsi in piscina.

E giù, in quella visione azzurrina che corrispondeva a una realtà di pura acqua, Sakura sorrise e pronunciò dalle sue labbra, piano, "grazie" sciogliendosi in bolle che si persero verso la superficie. Lí, circondati da uno spazio che da sempre apparteneva a loro due, Haruka lo abbracciò con forza sentendo contro la sua pelle il contatto di quel bambino col quale condivideva lo stesso sangue.

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In mezzo a una stanza di medie dimensioni, dai colori chiari e con una bella vista sulla città, Rin si alzò in piedi e tirò l’elastico sotto il suo mento, collegato al cappellino che gli copriva la testa. Teneva tra le sue mani un grosso pennello, diede uno sguardo di sfida a Haruka e sorrise mostrando i suoi denti affilati. Davanti a lui, Haruka era nelle stesse condizioni, con un cappello bianco a coprirgli la testa e il pennello in mano.

—Preparati per la tua sconfitta, Haru —esclamò pieno di fiducia.

—Questo è da vedersi, Rin —rispose l’altro con sguardo deciso.

—Ti pentirai di avermi impedito di dipingere squali rossi.

—E tu ti pentirai di proibirmi di dipingere delfini azzurri.

Uno scambio di sguardi assassino, un rapido conteggio da uno a tre, e dopo un disperato tentativo di tracciare due fini linee rosse vicino a due stampi di plastica rosa con la sagoma di un delfino. Rimasero così per un po, disegnando in silenzio e con calma sulle pareti, finché Rin si mise ad infastidire accarezzando col suo pennello il viso di Haruka, che non ci pensò su a prendere il suo e sfregarlo sul viso di Rin. A questo seguirono una serie di attacchi reciproci e risate per vedere chi si sporcava più dell’altro, il quale scatenarono una pioggia di gocce di pittura rosa sulle pareti.

—Guarda cosa hai fatto! —accusò Haruka mentre schivava e rispondeva agli attacchi dell’altro.

—La colpa è tua! —si difese Rin, nelle stesse condizioni.

E anche se si accusarono reciprocamente, tanto l’orgoglio quanto il divertimento che provarono gli impedirono di fermarsi.

La breve lotta non finì fin quando il pennello di Rin cadde subito a terra. Lui si era allontanato cercando di schivare una pennellata di Haruka ed era finito per inciampare in un barattolo di pittura celeste, cadendo bruscamente sul pavimento coperto da vecchi giornali.

—Stai bene? —chiese molto preoccupato Haruka, posando il pennello e chinandosi verso l’altro. Non gli importava che la vernice celeste si sparpagliasse per i giornali e raggiungesse la base della parete.

—Sí… —rispose Rin teso, si poteva sentire il timore nella sua voce. Alzò piano la mano e la poggiò sulla pancia, accarezzando la zona piatta che ancora non aveva iniziato a gonfiarsi— Non è stato un colpo forte, ma anche così ho avuto paura.

—Spero tu stia bene —disse Haruka, posando con delicatezza la mano sopra la pancia dell’altro—. Vuoi andare all’ospedale?

—No… cioé, non lo so… Non capisco queste cose —rispose angustiato, osservando il proprio corpo che recentemente aveva iniziato a riscoprire. Mosse la mano un altro po’ sulla propria pancia, chiedendosi per l’ennesima volta come ci era giunto un piccolo essere umano in quel punto, come mai nessuno si era accorto che il suo corpo era sempre stato diverso. Si sentiva di nuovo strano, diverso da tutti gli altri—. No so cosa devo fare adesso, né cosa mi accadrà, né dove andrò a finire.

—Rin…

—Ho tanta paura, Haru. Tutto questo è così nuovo per me, che mi terrorizza —disse con voce rotta dal pianto, chinando la testa di fianco per nasconderla sul petto di Haruka.

—Anche per me lo è, è stato tutto così improvviso —confessò, stavolta accarezzando con tenerezza la testa dell’altro—. Ma, ho già cominciato ad allenarmi di più, a partire dalla prossima settimana aumenteranno le ore di pratica a tutta la settimana, sabato e domenica.

—Ma questo vuol dire che mi lascerai solo —mormorò Rin con voce flebile.

—No. Significa che farò del mio meglio per starvi accanto … A te e al bambino. Lo prometto.

—Haru… —sorrise Rin, i suoi occhi non tardarono a inumidirsi del tutto.

Nel suo stato di gravidanza, le emozioni variavano e sbocciavano con più frequenza di prima— Grazie per essere qui.

Anche Haruka non disse più nulla, un bel sorriso si formò sulle sue labbra sottili. Abbracciò con delicatezza Rin, sentendo il tocco delle guance macchiate di pittura, gli fece capire che non c’era null’altro di cui essere grato, perché solo stando al suo fianco era immensamente felice.

—Le macchie sulla parete… Sembrano petali di ciliegio, anche se alcuni sono deformi e devono essere corretti —parlò subito Rin, con la voce che lentamente tornava alla sua solita vivacità.

—E la pittura celeste che si è rovesciata macchiando la base della parete. Sarà una piscina o un mare —aggiunse Haruka. Rin cacciò una risata gioiosa all’istante—Ehi, perché ridi? —domandò serio.

—Perché esageri. Quello che hai versato ha appena toccato il muso e già vuoi creare un mare con questo —continuò ridendo Rin, mentre alzava la mano per disegnare col dito indice un cuore rosa sulla guancia di Haruka—. Spero che nostro figlio sia orgoglioso di avere un padre tanto creativo e fanatico dell’acqua.

—Anche a lui piacerà l’acqua —si difese all’istante.

Anche se Haruka ancora non conosceva il bambino sapeva perfettamente che il destino di lui e suo figlio si sarebbe legato a quella profondità blu che tanto amava. Sorrise teneramente mentre nei suoi occhi apparve un bellissimo brillio d’illusione.

—Nuoteremo insieme per sempre.

Continua…

 

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Note dell’autrice:

Questa volta parlerò riguardo il riferimento al porto Ajiro, il quale è un luogo reale di Iwami. Ho anche menzionato un tunnel nel quale giocava il padre di Rin quando era bambino. Questo tunnel esiste, sta nel settore di Ajiro, e viene mostrato nell’episodio 07 di Free! Iwatobi Swimming Club, precisamente durante l’incubo di Rin, nel quale vede Toraichi Matsuoka correre nella direzione di quel punto.

A tutti quelli che si sono presi il disturbo di leggere, grazie mille!
Aspetto con ansia i vostri commenti e critiche costruttive.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Note dell’autrice:

Stavolta ho tardato molto a pubblicare un nuovo capitolo, e il motivo è semplice: mi sono dedicata a fare un disegno che mi ha preso troppo tempo. L’immagine si collega al capitolo 4 di questa storia, la scena dove Rin e Haruka dipingono la stanza di Sakura. Per vedere il disegno inserite questo link di Pixiv:

www.pixiv.net/member_illust.php?mode=medium&illust_id=48343162

Inoltre, devo ringraziare ognuno di voi lettori. Sono particolarmente grata a coloro che hanno contribuito con alcuni messaggi per incoraggiarmi, sollevando i loro dubbi o arricchendo la storia. Ho inviato un messaggio privato di ringraziamento agli utenti registrati, ma devo ringraziare anche coloro che non posseggono un account in questo sito ma hanno lasciato lo stesso un messaggio: nana chan, Free, Alice, laodisea, SakuraKiss, zero, Macka, anche Liliana che mi ha scritto su Facebook ma non conosco il suo nome utente e MiraKo che sta traducendo questa FanFic (spero abbia successo nel suo progetto), grazie mille!

Infine, il disegno che ho realizzato con molto amore per chi segue la mia fic, spero vi piaccia.

Godetevi la lettura.

Note della traduttrice
Eccoci giunti al quinto capitolo. Prima di tutto voglio ringraziare BlueOneechan per avermi citato nei ringraziamenti del capitolo originale. Piano piano sto ottenendo buoni risultati col mio progetto e presto gliene farò partecipe (spero apprezzi). Inoltre ne approfitto per ringraziare Sasha98: sono un'autodidatta di spagnolo e sapere da parte di una prolifica e simpatica scrittrice che perdipiù studia al linguistico di aver fatto un buon lavoro mi ha emozionato. Comunque sappi: sono sempre aperta a un confronto (futuro betaggio) della mia traduzione di Cuando Lluevan Estrellas.

 

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QUANDO PIOVONO LE STELLE

CAPITOLO 5

 

La prima mattina di dicembre iniziò con vento freddo e un manto grigio che lentamente coprì il cielo. Le previsioni del tempo alla televisione avevano annunciato che le piogge sarebbero arrivate nel pomeriggio, così i piccoli porti di Iwatobi già si stavano preparando in caso di tempesta.

—Abbiamo tanti canali televisivi e tu preferisci vedere questa rete locale senza nulla di interessante —commentò Gou scherzosa da un lato della sala, mentre metteva alcuni oggetti personali nella sua borsa da lavoro.

—Sei pronta? —chiese Rin con calma, anche se questo tono annoiato era diventato così comune in lui.

—Tra un minuto! —disse energica allontanandosi in fondo al corridoio.

Rin era di nuovo in solitudine con solo il suono della televisione come compagnia.

Guardò per un attimo il telegiornale, c’era la stessa giornalista che continuava a parlare della situazione del porto. Prese il telecomando e cambiò canale facendo zapping; notizie internazionali, gare sportive, un programma di cucina, un documentario sugli animali...

Rin sospirò annoiato. Da qualche tempo non c’era nulla di interessante alla TV. Non ne è mai stato un appassionato, ma quando era più giovane gli piacevano i canali sportivi e musicali. Adesso non lo attirava nulla, non aveva alcun interesse né niente gli causava curiosità.

Lo stesso si applicava ad altri aspetti della sua vita.

Ricordava quando anni fa passava i suoi giorni liberi sollevando pesi e correndo per esercitarsi, o girando per centri commerciali quando voleva. Adesso non faceva nulla di questo, semplicemente passava i giorni ad Iwatobi seduto insieme alla propria solitudine cercando di dimenticare i ricordi amari, ammirando le nuvole grigie d’autunno e chiedendosi quando diavolo uscirà il sole.

—Sono pronta! —annunciò Gou dalla porta, indossando un impermeabile e portando con sé un ombrello. Prese la borsa che sempre portava al lavoro e la posò sulla spalla.

Uscendo di casa il vento la colpì bruscamente scompigliando i suoi capelli rossi da un lato. Sembrava che la pioggia iniziasse prima del pomeriggio. Presero l'auto, Rin sempre al volante per accompagnare sua sorella all’ospedale.

Era passata una settimana da che il giovane era tornato a casa di sua madre.I primi giorni erano stati un po’ tesi, prodotto dal ritrovarsi con la città che l’aveva visto crescere e tutti i ricordi che gli venivano in mente, ma ora si sentiva più a suo agio. La signora Matsuoka e Gou erano molto gentili e si preoccupavano per lui, gli dimostravano il loro amore in ogni istante, non lo giudicavano e non gli facevano domande che potevano turbarlo, anzi lo capivano e gli davano l’appoggio incondizionato di una madre e di una sorella, rispettivamente.

Ma, Rin era consapevole che le cose non potevano durare così in eterno. Anche se entrambe le donne insistevano che non doveva preoccuparsi di problemi di denaro, Rin non sopportava di continuare a vivere ancora a lungo a spese della madre e della sorella.

—Stavo pensando che dovrei trovare un lavoro —dichiarò all’improvviso, tenendo le mani sul volante.

—Eh? Fratello, sai che non è necessario.

—È necessario —la corresse Rin, pacifico—. Non sono tornato a casa per essere un peso né un parassita tuo o di mamma.

—Ma non lo sei! —aggiunse subito Gou— Mamma e io siamo felici di riaverti. Sappiamo che tutto questo è stato molto difficile per te, è per questo che non vogliamo farti alcuna pressione. Ma, avere un lavoro non è una cattiva idea se prendi in considerazione che può tenerti la mente distratta.

Rin osservò brevemente l’amabile sorriso di sua sorella, poi restò in silenzio e tornò a mettere gli occhi sulla strada. Aveva ragione, con un lavoro teneva lontani i cattivi pensieri che lo affliggevano. Era lo stesso che era abituato a fare in Australia, aiutava Russell con la sua attività ogni giorno e così richiudeva nell’oblio tutti quei ricordi dolorosi.

—Troverò un lavoro. Ho deciso.

Prese la curva che portava alla costa di Uradome e poi avanzarono verso l’immensa spiaggia. In lontananza si notavano alcuni pescherecci che si dirigevano verso il porto per proteggersi dalle future piogge pomeridiane. Il tempo stava peggiorando.

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Di solito, i banchi dell’aula di seconda elementare erano disposti seguendo una fila perfetta. Il posto della piccola Sora Minami era accanto a una delle sue compagne di classe più vicino. Anche se entrambe erano bambine responsabili e si sforzavano nel prestare attenzione alla maestra, molte volte le era impossibile concentrarsi a causa del mormorio che sempre sentivano alle loro spalle. Dietro di loro c’erano i posti di Sakura e Aiko, che per nessun morivo chiudevano le loro bocche per smettere di parlare, in particolare Sakura. Solo quando la maestra li scopriva e li sgridava, i bambini restavano in silenzio per un attimo, ma dopo un po’ ritornavano a parlare.

Ma, c’erano occasioni in cui i banchi venivano disposti in modo diverso, in gruppi di quattro o sei alunni. In questo modo, il banco di Sora si trovava di fronte a quello della sua amica, ma allo stesso tempo affianco c’era quello di un chiassoso Sakura, che adesso doveva alzare un po’ di più la voce per parlare con Aiko, che era di fronte a lui.

—…Sono sicuro che i tuoi genitori diranno di sì —disse Sakura sorridendo, senza alcuna intenzione di fare il suo compito.

—Non è questo, non voglio andarci. Non mi interessa —rispose Aiko con voce annoiata, tracciando linee a caso sul suo quaderno in bianco.

—L’allenatore Sasabe ti accetterà, è una bravissima persona —rispose Sakura, ignorando le parole dell’amico—. Guarda, io vado al club tutti i giorni, ma tu puoi venire il martedì e il giovedì per iniziare.

—Ma-…

—Non ti preoccupare. Ci sono anche altri ragazzi che hanno paura dell’acqua.

—Non ho detto che mi fa paura, è solo che non voglio nuotare —rispose seccato.

—So che lo vuoi —insisté sorridendo.

—Non voglio.

—Vuoi.

—Non voglio, nuotare è noioso! —gridò quelle parole carico di rabbia, destando con esse l’ira di Sakura.

—Cosa hai detto?! —gridò indignato alzandosi dalla sedia— Non puoi saperlo se nemmeno ci hai provato!

—Nanase-kun! Che stai facendo? —La voce della maestra concluse il litigio. Le energie di Sakura svanirono del tutto, sentiva il viso diventare rosso di vergogna di fronte allo sguardo di tutti i suoi compagni— Hai finito il compito?

—Ancora no —rispose a voce bassa, la verità era che non aveva scritto nulla sul suo quaderno. La maestra ritornò ad occuparsi dei suoi affari e il resto della classe tornò alle sue attività. Sakura tornò a sedersi dando uno sguardo d’odio ad Aiko, e allo stesso tempo, ricevendo lo sguardo freddo di Sora—. Che c’è? —domandò infastidito guardando la ragazza che era al suo fianco.

—Fa’ silenzio, ok? —gli chiese con un sorriso forzato.

Si, Sakura si rivelava essere davvero problematico.

Il giorno di scuola passò lento. I bambini poterono uscire in cortile solo durante le prime ore della giornata, ma poi, quando il vento gelido si fece più persistente, i maestri decisero di chiudere le porte per l’esterno.

Le prime gocce iniziarono a cadere dopo il pranzo, perciò Sakura le osservò affascinato all’interno dell’aula. Stavolta non insiste col suo amico per uscire a correre sotto la pioggia. L’ultima volta aveva ricevuto una bella ramanzina da parte di Haruka che gli aveva anche vietato di andare al club a nuotare, in più Aiko era stato sgridato da sua madre e aveva preso un raffreddore. Questa volta non si sarebbe ripetuto.

Quando le lezioni terminarono, Sakura indossò il suo solito cappello e uscì correndo dall’aula insieme a Aiko, sfidandosi a chi arrivava primo all’uscita di scuola; ovviamente, la discussione della mattina era stata dimenticata. La madre di Aiko aspettava sorridente fuori dall’edificio, con un ombrello alzato sopra la testa e un altro paio che pendevano dalla sua mano.

—Le lezioni all’Iwatobi SC Returns no si sospendono nemmeno nei giorni di pioggia —commentò la signora Aihara appena furono vicino all’autobus.

—È una piscina con acqua temperata, perciò si può usare tutto l’anno —spiegò Sakura.

—Sei molto interessato al nuoto, Sakura-kun. Suppongo provenga dai tuoi geni —sorrise la donna —. Nanase-kun fu una persona molto famosa nei suoi giorni come nuotatore professionista. In quegli anni mio marito e io non eravamo fidanzati, ed eravamo abituati a tifarlo in televisione quando partecipava alle gare internazionali.

—Papà ha girato tutto il mondo e ha vinto molti premi —esclamò con orgoglio.

—È così, lui e l’altro ragazzo. Il suo nome era Matsu-... —restò un momento in silenzio, mentre cominciava a vagare tra le preziose immagini che apparivano nella sua testa, ma lei sapeva che c’erano certe cose che non potevano essere nominate— Matsuda Rintaro, credo. Ah, mi dispiace, sono una frana coi nomi —si scusò con un sorriso falso—. Be’, lui era sempre insieme a Nanase-kun. Erano una coppia invincibile! Ottenevano il primo posto in tutte le competizioni.

—Sul serio esisteva qualcuno di così grande come il mio papà? —chiese il piccolo emozionatissimo.

—Sí. Ma questo ragazzo abbandonò le gare prima di Nanase-kun, credo che si ammalò gravemente o una cosa del genere. Non ho mai più sentito parlare di lui.

—Papà non mi ha detto nulla di Matsuda Rintaro. Lui evita sempre di parlare del suo passato alle olimpiadi —disse un po’ deluso.

—Be’, Nanase-kun deve avere i suoi motivi —rispose lei stringendosi nelle spalle.

L’ autobus si fermò alla stazione e la signora Aihara coi due bambini scesero in strada, aprendo gli ombrelli e ponendoli sopra le loro teste. La pioggia era aumentata di poco, ma non era ancora abbastanza forte da inquietare le persone che transitavano per le vie. Così camminarono piano verso ovest, dove si trovava la casa di Aiko e anche l’ Iwatobi SC Returns.

E fu qui, con la pioggia scrosciante davanti ai suoi occhi, che Sakura distinse da lontano quella conosciuta testa rossa che talvolta si celava tra gli ombrelli d’altra gente. Non poté evitare di sorridere ampiamente, emozionandosi all’istante, ma Rin era a un isolato di distanza nella direzione opposta a quella in cui stava camminando. Ringhiò quasi in silenzio, sentendosi in trappola per la presenza della madre di Aiko che gli camminava accanto; Sakura sapeva molto bene che la donna non gli avrebbe permesso di stare con un estraneo. Sentendosi profondamente frustrato, continuò il suo tragitto verso l’ Iwatobi SC Returns.

Una volta che arrivarono al club, Sakura restituì l’ombrello alla madre di Aiko, ringraziandola con un bel sorriso sincero. Salutò la donna e l’altro bambino, ed entrò nell’edificio trascinando i piedi. Aveva sentimenti contrastanti, da un lato voleva nuotare, ma dall’altro voleva uscire fuori correndo per cercare Rin. Si fermò all’ingresso, osservando la hall vuota, senza tracce di Goro Sasabe né di nessuno degli altri allenatori che frequentavano il posto, probabilmente tutti erano nel lato della piscina. Sakura era solo, in piedi con la porta alle sua spalle e con un orologio sotto ai suoi occhi che gli indicava che tra un quarto d’ora iniziavano la lezione di nuoto.

—Quindici minuti… —mormorò da solo, pensieroso, poi sorrise entusiasta — Ci vorranno solo quindici minuti.

Senza pensarci due volte, Sakura uscì di corsa dal club. Vide di spalle Aiko e sua madre da lontano, ma prese il cammino opposto al loro. Corse sotto la pioggia sottile, sentendo le goccioline scendere dal viso alle labbra, che abbozzarono un enorme sorriso di entusiasmo e aspettativa Incontrò Rin in un punto vicino a dove lo aveva visto prima, guardando una bacheca appesa al muro di un piccolo negozio. Sentendo le farfalle nello stomaco, decise di avvicinarsi a passi lenti che riflettevano uno strano misto di timidezza e ansietà.

—Ciao —disse Sakura posando entrambe le mani dietro la sua schiena, sentì che le guance gli arrossirono leggermente..

—Ciao —rispose Rin distrattamente senza levare la vista dagli annunci. Ma, prima di sapere dell’insistente presenza del piccolo, voltò lo sguardo per vedere di chi si trattava. Sbatté le palpebre un paio di volte nel vedere quello stalker e i suoi brillanti occhi azzurri—. Questo è un deja vu… —esclamò l’uomo, portandosi una mano in fronte e sospirando rassegnato.

—Non ci vediamo da quattro giorni —disse il piccolo.

—Lo so, ti ricordo perfettamente. Sei apparso dal nulla e hai iniziato a seguirmi.

—È stato divertente, non ho mai seguito qualcuno —rise Sakura—. Oggi ti ho visto da lontano e sono venuto correndo fin qui.

—Sei uno stalker, eh? —chiese Rin alzando un sopracciglio, anche se il bambino scuoté la testa di lato senza capire— In ogni caso, sei completamente bagnato. Vieni qui —gli ordinò allungando il suo ombrello per coprirlo—. Dove stanno i tuoi genitori?

—Al lavoro—rispose avvicinandosi all’uomo—. Tu che ci fai qui?

—Aspetto mia sorella che lavora all’ospedale.

—Ma, l’ospedale sta là —Sakura segnalò un enorme edificio ad alcuni isolati di distanza.

—Lo so, ma sto cercando annunci di offerte di lavoro.

—Perché non hai un lavoro?

—Perché sono tornato da poco a Iwatobi.

—Dov’eri prima?

—Allora sei davvero uno stalker! —esclamò frustrato accigliandosi— Devo portarti di nuovo a casa?

—Non è necessario.

—Perché no?

—Perché tengo le lezioni al club.

—Quale club?

—Ah! Anche tu sei uno stalker! —esclamò con vivacità cacciando una risata.

Rin lo osservò perplesso per un istante, l’aveva risposto per le rime. Abbozzò un piccolo sorriso e diede un paio di colpi sulla testa del piccolo.

—Non è giusto! —disse l’uomo divertito.

Camminarono un paio di isolati insieme, Sakura più vicino a Rin per evitare di bagnarsi con la pioggia. Anche questa era una scusa, perché la verità era che a lui non importava di bagnarsi in quel momento. Il fatto di stare insieme a lui era più importante, il delicato calore che irradiava il suo corpo lo faceva sentire protetto; era un calore immenso che gli riempiva tutto il petto e che poteva sentire solo quando abbracciava Haruka.

D’altro canto Rin, che all’inizio si era sentito un poco a disagio con la repentina presenza del piccolo, adesso si sentiva più a suo agio a camminare con lui. Gli sembrava che Sakura fosse fastidioso, ma non poteva negare che era tremendamente adorabile e che gli provocava una strana sensazione di volerlo avere al suo fianco. Questo, al contempo, lo faceva sentire stupido, che tipo di idiota provava sentimenti per un bambino che aveva visto appena due volte?

—Ti accompagnerò al club, d’accordo? Dimmi dove sta’.

—Sta’ girando per questa via, è l’ Iwatobi SC Returns —rispose Sakura indicando col dito in direzione del club.

—Davvero? Grande! —esclamò Rin i colpo interessato, mentre il piccolo lo osservava con curiosità— Andavo a quel club quando ero bambino!

—Davvero? Grande! —lo seguì Sakura meravigliato, imitandolo di nuovo.

—Aah, ricordo che l’allenatore Sasabe era terribile, ma era un eccellente allenatore. C’è ancora al club?

—Si, è l’allenatore più vecchio. Lui dice che sono il più veloce —rispose con orgoglio.

—Se Sasabe ha detto così, è perché deve esserlo davvero —commentò Rin, il sorriso di Sakura si ingrandì per il complimento.

—Ehi, perché non vieni al club a vedermi nuotare? —chiese esaltato.

—Non posso, devo trovare un lavoro il prima possibile. Ti lascerò al club e tornerò a cercare tra i manifesti degli annunci —rispose pacato, notando in lontananza l’edificio dell’Iwatobi SC Returns.

—Ah, che peccato… Ma sarai ancora qui domani?

—Credo. Devo aspettare mia sorella tutti i giorni —rispose con tono annoiato. Solo dopo fu consapevole delle intenzioni del bambino —. Ehi, non dirmi che verrai a spiarmi anche domani… —dedusse ad occhi socchiusi. Sakura alzò le spalle con un sorriso e un’ espressione innocente sul viso.

Giunsero insieme alle porte del club. Sakura lo salutò affettuosamente, poi entrò correndo nell’edificio, preoccupato perché la lezione stava per iniziare. Rin da fuori, osservava con nostalgia la facciata del club, ripassando nella sua mente i momenti di quando era bambino e entrava correndo insieme a Haruka, Nagisa e Makoto. Erano stati giorni così felici, nuotando insieme a loro e divertendosi nell’acqua, che era impossibile dimenticare la piacevole sensazione che gli provocava al cuore.

Diede un ultimo sguardo al club prima di voltarsi e allontanarsi per le strade sotto la pioggia.

Il giorno dopo, anche se la pioggia si era fatta più abbondante e fragorosa, Sakura si ingegnò per scappare dal club e cercare Rin nei dintorni. Lo trovò fuori dall’ospedale mentre leggeva un giornale, non dubitò ad avvicinarsi a lui. Stavolta, Rin lo salutò amabile, in fondo lo sapeva da prima che lo cercava per raggiungerlo.

E anche se Rin era molto concentrato nel controllare la sezione delle offerte di lavoro, il piccolo Sakura aspettava in silenzio affianco, osservando attentamente ogni movimento da lui eseguito.

—Maledizione… Non c’è nulla! —sbuffò Rin con rabbia, chiudendo di colpo il giornale e mettendolo sotto il braccio.

—Perché hai problemi nel trovare un lavoro? Tutti ne hanno uno.

—Tutti hanno un lavoro perché sono buoni in qualcosa. Io, invece, non sono buono a nulla —disse brontolando. Aprì il suo ombrello e camminò sotto la pioggia, Sakura lo seguì di lato—. Ho passato otto anni sprecando il mio tempo. Avrei dovuto studiare qualcos’altro.

—Non hai finito la scuola? Potresti venire in classe con me.

—Non essere stupido, certo che l’ho finita. Volevo dire… Argh, non ho alcuna spiegazione da darti —rispose infastidito—. Semplicemente, devo trovare un lavoro.

—Sai? Stamattina quando stavo andando a scuola, ho visto alcuni pescatori abbandonare le loro barche al porto. Forse potresti prenderne una e andare a pescare.

Un brivido immediato percorse la schiena di Rin, sentiva la tensione accumularsi nei muscoli. Si bloccò, sentiva l’acqua allargarsi sotto i propri piedi, si voltò verso il bambino per osservarlo con attenzione.

—Non stavano abbandonando le loro barche, le stavano proteggendo dalle piogge —spiegò serio, poi si chinò fino ad arrivare alla sua altezza—. Dimmi una cosa… ti sembra che ho la faccia di un pescatore?

—Eh? —Sakura abbassò la testa senza capire la domanda.

—Mio padre era un pescatore. Lo diventò quando vide che non poteva realizzare i suoi sogni. Sai cosa gli successe? È morto — il bambino spalancò gli occhi con somma sorpresa prima della confessione —. Un giorno uscì a pescare e lo colpì una tempesta… È come una maledizione della mia famiglia, tutti gli uomini muoiono giovani in mare. Mio padre, mio nonno, il mio bisnonno… Adesso mi chiedo se mi aspetta lo stesso destino: morire da pescatore proprio come mio padre.

Quando Rin finì di parlare, Sakura continuava ad osservarlo in silenzio, con gli occhi spalancati e ora leggermente lucidi. In quell’attimo, Rin si pentì di aver parlato di qualcosa di così deprimente di fronte a un bambino che aveva iniziato a scoprire il mondo ed era ancora pieno di vita. Non era giusto per lui, trasferirgli le proprie preoccupazioni con temi tanto profondi come il destino e la morte.

—Tsk… Dimentica cosa ho detto, d’accordo? —gli domandò Rin ora più calmo.

Ma Sakura negò piano con la testa. E, quando Rin pensò che lui si sarebbe messo a piangere, quello che si rivelò, in realtà, fu un bel sorriso formatosi sulle sue labbra delicate.

—Anche la mia mamma è morta —gli confidò parlando con dolcezza. Rin spalancò gli occhi, del tutto sorpreso.

—M-Mi dispiace…

—No, fa niente. È morta quando ero neonato, quindi non ricordo nulla di lei. Ma le parlo tutti i giorni.

—Parli con lei?

—Sí. Le scrivo su un diario, anche se lei non risponde —rispose triste. Poi scosse la testa da un lato all’altro, e tornò a rallegrarsi—. Tu come parli col tuo papà?

—Mmm… Penso a lui, credo.

—Non hai un diario?

—Anch’io ne ho uno, ma non lo uso per parlare con mio padre. Lo uso per registrare i miei momenti belli e anche per sfogarmi.

—Be’, allora quando pensi al tuo papà, chiedigli di proteggerti dalle tempeste quando vai a pescare.

—Non farò il pescatore.

—Ma, hai detto che volevi fare il pescatore come tuo padre.—

—Non ho detto questo! —esclamò all’istante, Sakura scoppiò a ridere.

Osservò per un istante il bambino, che manteneva il suo sorriso luminoso anche dopo aver parlato della sua defunta madre. Ci voleva forza per reagire così, l’uomo lo sapeva molto bene perché da bambino si comportava allo stesso modo, mostrandosi sempre felice nel ricordare suo padre.

E ora Rin iniziava a sentire che c’erano molte cose in comune tra lui e quel bambino.
Inoltre, quel piccolo stalker era come il suo ritratto da bambino, e forse è per questo che gli provocava un vortice di sensazioni nel petto.

Rin gli sorrise con tenerezza e questa volta fu lui che si strinse di più a Sakura per proteggerlo col suo ombrello

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Quando Rin raggiunse l’inizio della corsia, posò la sua mano contro la parete e sollevò il torso di botto. Prese un respiro profondo, sentendo l’acqua scorrergli dal viso e ascoltava gli applausi e le acclamazioni della squadra nazionale. Accanto a lui, uno dei suoi colleghi festeggiava energico l’essere arrivato primo stabilendo un nuovo record.

Uscì dalla piscina con difficoltà, affannando e barcollando un po’. Si sentiva nauseato, l’odore di cloro era così forte che gli provocava la nausea.

—Rin, stai bene? —chiese Haruka preoccupato raggiungendolo. Aveva i capelli leggermente umidi frutto di una sua precedente gara.

Ma ottenne solo silenzio alla sua domanda, inoltre Rin non aveva ancora iniziato a rispondere quando l’allenatore si trovò davanti a lui, accigliato e con un espressione di rimprovero sul volto. Haruka si allontanòdi alcuni metri per lasciarli parlare.

—Matsuoka, cosa ti succede? Di nuovo all’ultimo posto —esclamò l’uomo severo.

Rin abbassò lo sguardo all’ instante, sentendosi colpevole—. Dimmi cosa ti sta succedendo, i tuoi tempi sono sempre più bassi. Per caso hai smesso di allenarti? Guarda i tuoi addominali, non sono più definiti. In più, stai trascurando la tua dieta perché stai ingrassando.

—Ho avuto qualche problema —disse con voce flebile, il suo orgoglio cadeva a pezzi.

—Non so che tipo di problemi tieni, ma questo pregiudica la squadra. La stagione estiva nell’emisfero inizierà presto, tutti si stanno preparando per le gare, ma tu sei l’unico a cui si stanno abbassando i livelli.

—Lo risolverò presto.

—Spero di sì. Voglio vederti brillare di nuovo, Matsuoka.

—Sí, allenatore.

Quando l’uomo si allontanò verso il resto della squadra, Rin si portò una mano alla bocca e si diresse verso lo spogliatoio. Si chiuse in uno dei bagni e iniziò a vomitare, l’odore del cloro gli impregnava il naso e le parole dell’allenatore gli risuonavano in testa.

Da qualche settimana provava questi malesseri. Credeva che quei sintomi sgradevoli sarebbero finiti al quarto mese, ma aveva l’impressione che ogni volta erano più forti; lo affliggevano soprattutto il mattino, lo facevano sentire stanco e lo deconcentravano.

—Mi stai causando alcuni problemi, figlio —mormorò Rin debolmente, accarezzando la pancia che iniziava a gonfiarsi.

Si alzò piano e uscì dal bagno respirando profondamente. Si pulì la bocca con l’acqua del lavandino, bevendone un po’ per togliere il sapore amaro, mentre ascoltava i passi a piedi nudi di qualcuno che si avvicinava.

—Rin, come ti senti? —Haruka sembrava piuttosto preoccupato.

—Non molto bene. Le nausee arrivano ogni volta, davvero non sopporto l’odore della piscina —disse rammaricato, sempre con la testa inclinata verso il rubinetto—. Non credevo sarebbe stato così terribile. Voglio che questo finisca presto, ma manca ancora molto…

—Il tempo che il tuo corpo si abitui ai cambiamenti, almeno così ha detto la dottoressa.

—Giusto. Perché io sono un uomo, niente di tutto questo dovrebbe accadermi. Non è giusto per me —In seguito alzò la mano e la posò sulla fronte—. Grande, adesso comincia a farmi male la testa…

—Sarà meglio che torni a casa a riposare.

—No, resto qui, non voglio continuare a interrompere i miei allenamenti. Hai visto la mia ultima gara, il mio rendimento è troppo basso. Devo ritrovare il mio livello se voglio partecipare alle prossime gare.

Chiuse il rubinetto e si fermò a guardarsi allo specchio, notando la pelle pallida e i segni di fatica sul viso. Abbassò lo sguardo verso il riflesso della sua pancia, notando la piccola ombra che circondava la curva crescente.

—L’allenatore ha notato che il mio corpo sta cambiando… Haru, cosa farò? — chiese terrorizzato, alzando entrambe le mani per coprirsi il volto. All’improvviso iniziò a singhiozzare angosciato.

—Rin… —Haruka l’ osservò un momento dubbioso, non sapendo come reagire. Non era bravo con le parole, così preferì avvicinarsi a lui e accoglierlo in un abbraccio. Sapeva di aver fatto bene quando sentì la fredda e umida pelle del viso di Rin affondare nell’incavo del suo collo.

—Mi sforzo ogni giorno, ma non ottengo nulla. Non posso allenarmi bene, sono sempre stanco e le nausee vengono tutto il tempo —disse con voce roca, afferrandosi al corpo di Haruka—. Non voglio smettere di nuotare, voglio continuare a gareggiare con te, ma con questi malesseri non andrò da nessuna parte. Se non posso continuare con questo, finirà tutto per me. L’unica cosa che so fare è nuotare… Haru, cosa farò? Trasferirmi in Australia e aiutare Russell? Diventare un pescatore come mio padre? Questo non è il mio sogno, non è il sogno per il quale ho lottato.

Quelle parole attivarono un campanello d’allarme in Haruka. Non sopportava vedere di nuovo Rin smettere con il nuoto, non dopo tutto quello che avevano raggiunto insieme.

—Non devi smettere di nuotare —disse qualcosa di disperato—. Devi solo riposare alcuni mesi, quando nascerà il bambino tutto tornerà come prima. Lascia fare a me, mi prenderò io cura di tutto —Si scansò di poco da Rin, prese il suo viso con ambo le mani, posando con tenerezza un bacio sulle sue labbra—. Adesso, smettila di piangere e torna a casa. Hai bisogno di riposare.

—Va bene… —rispose un po’ più calmo, asciugandosi con una mano le lacrime sulle guance— Torni a casa con me? Accompagnami, non voglio stare solo.

Haruka storse la bocca di lato.

—Rin, sai che non posso. Devo allenarmi per i campionati —rispose a disagio, vedendo come il viso dell’altro si alterava.

—Ma, Haru…-

Le parole si interruppero quando ascoltò la voce dell’allenatore chiamare Haruka da fuori dello spogliatoio. Entrambi si separarono all’istante l’un l’altro per salvare le apparenze, mentre Rin si asciugava gli ultimi segni del suo pianto.

—Devo tornare in piscina—disse Haruka, cercando di non cedere allo sguardo disperato di Rin che gli chiedeva di restare al suo fianco—Questo è il lavoro che abbiamo scelto. Lo farò bene per te e per il nostro bambino.

Rin era di nuovo in bagno, notando crescere il groppo in gola al vedere come i passi di Haruka lo superavano sempre, sentendo i suoi sogni iniziare a svanire davanti ai suoi occhi.

Continua…

 

==========00000==========

 

Note dell’autrice:

L’Mpreg mi sembra davvero bello, ma, penso anche che abbia le sue difficoltà e tristezze. In questo capitolo ho approfondito un po’ di più questo aspetto, collegandolo direttamente coi sogni e le aspettative dei nostri amati nuotatori. Da un lato, Rin è troppo sconvolto e dall’altro Haruka volendo assumersi bene il suo ruolo di padre, alla fine dei conti lo stesso ha turbato Rin.

D’altra parte, Rin e Sakura sono sempre più uniti :3
 

Infine, passiamo a quello che NON è mio:

- Riferimento a Rin che passa i suoi giorni liberi sollevando pesi, correndo e facendo shopping. Questa informazione appare in Free! Iwatobi Swimming Club - Character Interview Vol.1 (Rin Matsuoka).

- La costa di Uradome esiste a Iwami. In Free! È quella spiaggia immensa che appare sempre, dove Haruka e Makoto corrono di notte.

- Il padre di Rin (Toraichi Matsuoka) era un pescatore, lo dicono nelle novel High Speed! 1, High Speed! 2 e anche in Free! Inoltre, proprio come detto in questo capitolo, il padre, il nonno e il bisnonno di Rin morirono in mare quando erano giovani. Questa informazione la trovate precisamente nel Capitolo 11 di High Speed! 2.

- I diari sono all’ordine del giorno per Rin. Lui ne ha uno perfino quando stava alla Samezuka, proprio come afferma Nitori nella Treccia 12 del secondo Drama CD della prima stagione: Iwatobi Koko Suiei-Bun Katsudo Nisshi 2.

Grazie mille per aver letto.

Aspetto i vostri commenti con opinioni e critiche costruttive, mi servono molto per poter continuare la storia!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Note dell’autrice: Grazie infinite per tutti i bei messaggi che ho ricevuto, e anche a coloro che si sono avvicinati da poco alla storia. Un ringraziamento speciale a Lady Destiny 99 per tutto l’incoraggiamento che mi ha dato in questi giorni nella pubblicazione di questo capitolo :)

Note della traduttrice: Vi ringrazio per l'attesa. Grazie a chi si è preso la briga di recensire e di aspettare con pazienza ogni ritardo negli aggiornamenti, accettando le eventuali modifiche nell'adattamento per rendere il testo più scorrevole. Per quanto possibile ho sempre cercato di mantenermi fedele.

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QUANDO PIOVANO LE STELLE
CAPITOLO 6

 

Sakura Nanase non era un tipo del tutto affidabile quando si trattava di quel tipo di denaro.

Quando ne otteneva una certa quantità, lo spendeva subito in complementi d’arredo e cose inutili, per questo i suoi investimenti si trovavano a un punto morto. Tuttavia, certe volte accadeva un miracolo e si ritrovava ricco. Lo aveva accumulato con pazienza e aveva fatto sforzi sovrumani per non spenderlo. E adesso, che era stato finalmente in grado di ottenerne una notevole quantità, poteva sorridere soddisfatto, investendolo in una nuova casa. Si, Sakura Nanase possedeva molte case e, a otto anni, poteva dire con orgoglio che era il signore e padrone di una crescente città sottomarina.

— Sakura, la cena è pronta. —

La voce lontana di Haruka fu quasi impercettibile alle orecchie del bambino. La sua attenzione era focalizzata al videogioco davanti ai suoi occhi di una comunità sottomarina, i cui abitanti erano pesci che non nuotavano ma che ironicamente camminavano con gambe umane sul fondo del mare. Ma a Sakura non gli importava, lui si divertiva costruendo case e facendoli interagire tra di loro. Era riuscito a far accoppiare diversi pesci degli abissi, ma aveva un giovane pesce maschio dalle squame rosse, solo.

— Ah, non gli piace nessuno…— brontolò Sakura frustrato mentre pigiava con le sue piccole dita i tasti del joystick, comandando al pesce di iniziare una conversazione con alcune femmine del luogo. Ma era invano, perché il personaggio non aveva un carattere amabile e finiva sempre per discutere col resto del branco.

Il rumore della porta della sua camera si sentì in un angolo e, subito, la figura slanciata di Haruka fece la sua comparsa nella stanza. Sopra i suoi abiti indossava quel vecchio grembiule di colore blu che tanto gli piaceva e che, nonostante gli anni, rifiutava di disfarsene.

—Ehi, Sakura, ti ho chiamato. Che stai facendo?— chiese curioso, ma poi volse lo sguardo verso il televisore e seppe di cosa si trattava.

—Sto giocando a "Animal Crossing! Le profondità del mare. Tre".— rispose Sakura serio e in fretta, molto concentrato dai suoi problemi.

Anche se la bocca di Sakura era storta di lato, angustiato per il cattivo carattere del suo pesce preferito, i suoi occhi subito si infiammarono di aspettativa quando notò i leggeri cambiamenti nella sua città. L’ambiente oscuro tipico del fondale marino iniziava a illuminarsi poco a poco. Un evento stava per accadere.

—Papà, guarda!— chiamo subito con entusiasmo, allungando la mano per indicare la televisione.

—Northern Stoplit Loosy-kun!— esclamò Haruka piacevolmente sorpreso nel vedere il pesce speciale che ora appariva sullo schermo: un Malacosteus blu che camminava per le strade con espressione annoiata, illuminando tutto il luogo con una luce brillante che emanava dai suoi occhi. Quel personaggio era l’attrazione principale del videogioco che a Haruka piaceva da anni, perciò aveva comprato un paio di t-shirt con l’immagine del pesce per lui e per suo figlio, così come anche un peluche.

—Infine è apparso Northern Stoplit Loosy-kun. È l’unico col quale il mio pesce rosso si trova bene.— commentò Sakura, senza allontanare lo sguardo dalla televisione —Guarda, là sta’ il mio pesce imbronciato in un angolo ma, quando giunge la luce del Malacosteus, uscirà per incontrarsi con lui.

—Sono buoni amici.— commentò Haruka vedendo come entrambi i pesci iniziavano una conversazione.

—Mmm… Si, ma… —disse dubbioso, mentre vedeva formarsi una bolla sopra la testa del pesce rosso, mostrando subito un cuoricino — È strano, perché sempre, ogni volta che parlano esce questo cuore, ma ai pesci che sono amici non escono i cuori.—

—Forse si piacciono.— disse Haruka con naturalezza.

—Piacersi? Sarebbe rarissimo!— rise Sakura divertito —Il mio pesce è un maschio e anche Northern Stoplit Loosy-kun lo è. Non possono piacersi.—

—Perché no? È un peccato se si piacciono tra loro?— domandò pacato. Il suo sguardo non era di rimprovero, in realtà voleva sapere cosa pensava suo figlio.

Sakura lasciò perdere l’attenzione dalla televisione e andò da suo padre, sollevando un braccio e portandoselo dietro la testa per grattarsi la nuca.

—Non lo so…—disse confuso — L’ho sentito l’altro giorno da alcuni ragazzi al club. Loro sono grandi, vanno al liceo, dicono che è molto strano e brutto che due ragazzi si piacciano… Ma non so perché.— rispose franco.

—Non far caso a ciò che dicono gli altri, Saku. Uno non sceglie chi amare, ma è il cuore che ti guida verso quella che è la nostra persona speciale. Se il pesce rosso e Northern Stoplit Loosy-kun si piacciono, allora lascia che siano liberi. Non c’è nulla di brutto né di strano in questo.— disse Haruka con gentilezza abbozzando un piccolo sorriso vedendo che Sakura lo osservava con occhi spalancati pieni di curiosità. Allungò la mano e smosse alcune ciocche rosse che gli cadevano sopra la fronte. —Bene, metti in pausa il gioco e scendiamo a cenare.—

Il bambino annuì piano, in silenzio e obbedì al padre mettendo in pausa in gioco , lasciando il joystick sopra il letto. Diede un’ultima occhiata allo schermo del televisore, vedendo come stavano fermi a conversare il pesce rosso e il blu Northern Stoplit Loosy-kun, con il cuore ancora sopra le loro teste.

Il ricordo dei ragazzi all’Iwatobi SC Returns gli attraversò la mente per un attimo.
Prima, agli occhi innocenti di Sakura, quei ragazzi di quattordici anni già erano grandi, presto saranno adulti rispettabili, cosicché le loro parole erano cariche di una certa maturità. Al contempo, a Sakura attirò la sua attenzione quando negli spogliatoi li ascoltò parlare sopra quel loro amico che, fidandosi della loro amicizia, gli aveva confidato che si era dichiarato a un altro ragazzo.
Non è che Sakura andasse in giro origliando le conversazioni altrui, lui voleva solo prendere l’asciugamano dalla borsa quando li ascoltò ridere su quanto fosse 'strano' e 'brutto' un possibile amore tra due maschi.

Ma, adesso, suo padre ribaltava tutto questo e gli spiegava in un paio di frasi che l’amore era libero. Le parole di Haruka erano sempre legge, ma non riusciva ad evitare di sentirsi confuso nel non comprendere del tutto cosa significava amare un altra persona.

Sakura si fermò a metà scala, allungò il braccio per tirare la camicia di Haruka, che si fermò voltandosi di scatto verso il bambino.

—Papà, ti piacciono i ragazzi?—

Nonostante gli sfuggì dalle labbra con leggerezza con un tono molto innocente, di fronte a lui, Haruka spalancò gli occhi e lo osservò stordito; sbatté le palpebre un paio di volte per assimilare la domanda improvvisa. Non credeva che suo figlio gli avrebbe fatto quella domanda così presto, seppure, tenendo conto dell’età di Sakura, era normale che il bambino iniziasse a interrogarsi su argomenti molto profondi, soprattutto se ne aveva sentito parlare da qualcuno nel proprio ambiente.

—Uhm…—

Haruka si mosse un po’ a disagio sopra il gradino nel quale si era fermato, tenendo su di sé lo sguardo trepidante del figlio, lo stesso sguardo che gli aveva dato quando gli domandò un paio di anni fa "Papà, come nascono i bambini?". In quella situazione Haruka, anche se era completamente confuso, aveva optato per raccontargli la verità con parole sincere, senza storie su cicogne né altre storielle. Però gli aveva raccontato una verità a metà, perché nella sua spiegazione incluse come nascono i bambini in situazioni normali, senza riferirsi nemmeno un istante al caso particolare di Sakura. Si sentì male nel non rivelargli tutto, ma il bambino restò soddisfatto della risposta ed era andato a giocare senza fare altre domande.

Tuttavia, questa volta la situazione era più complicata, perché Haruka non aveva una risposta semplice che un bambino di otto anni potesse comprendere. Non era gli piacessero davvero le donne, o gli uomini, o entrambi, o nessuno. Era che lui non si interessava ad alcuno; lo attirava solo quella persona speciale con la quale riusciva a formare un vincolo emotivo forte a sufficienza da risvegliare il suo desiderio sessuale. Stando all’università gli avevano detto che era 'demisessuale', ma lui non era del tutto sicuro di questo. La sola cosa che sapeva era che aveva incontrato una persona capace di svegliare la fiamma nascosta nel suo petto, e questa persona era la stessa che con lui aveva messo al mondo il bambino di fronte a sé.

—Ricordi che ti ho detto che uno non può scegliere chi amare?— rispose Haruka cercando di parlare senza esitazione. Non voleva che Sakura pensasse che fosse imbarazzante parlare di questo argomento —Mi piace qualcuno che diventa speciale per me, non importa chi sia… Penso di essere come Northern Stoplit Loosy-kun… o qualcosa di simile.—

Sakura sbatté le palpebre un paio di volte, forse stava elaborando la notizia dentro la sua mente. Le parole di suo padre stavolta furono un po’ difficili da capire, ma almeno gli avevano chiarito una cosa: l’amore era libero, e tanto i pesci del suo videogioco come il ragazzo del suo club erano liberi di amare chi consideravano speciali per loro. Lo aveva detto suo padre, perciò doveva essere così. Ovviamente Sakura non pensò nemmeno di chiedergli se la sua mamma era un uomo o una donna; questa domanda era irrilevante perché, ovvio, tutte le "madri" sono donne, no?

Sakura sorrise gioioso e finì di scendere le scale insieme a Haruka, che sospirava sollevato per essersi liberato di una piccola ma pericolosa domanda.

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Dopo cena, Rin si accasciò esausto sul divano della sala da pranzo. Si sentiva un poco stanco dopo aver passato tutto il giorno da un luogo all’altro in cerca di lavoro. Come se non bastasse, quel piccolo ficcanaso dal cappello giallo era sfiancante. Anche se non era molto il tempo che avevano passato insieme quella sera, il portare alla memoria i ricordi di suo padre e della presunta “maledizione” che lo porterebbe a morire in mare, gli avevano provocato un leggero mal di testa.

Ma, non poteva negare che la presenza di quel bambino non gli dispiaceva. Era vero, lo considerava uno stalker fastidioso, ma si rivelò essere anche molto divertente. Il bambino diceva cose graziose, alcune senza senso o dal suo punto di vista infantili, erano riuscite a far cacciare a Rin almeno un paio di sorrisi e risate. E questo era tanto, perché era da molto tempo che non rideva insieme a qualcuno.

—Vedo che sei contento.— commentò Gou ironica, guardandolo fuori dal corridoio.

Solo allora Rin notò il sorriso assurdo che aveva sul proprio viso. Tornò serio, distogliendo lo sguardo, imbarazzato.

—Non è nulla.— disse di botto, mentre sua sorella entrava in sala da pranzo e gli si sedeva affianco.

—Per caso hai trovato lavoro?— domandò curiosa.

—No. Gli annunci di lavoro cercano solo persone con studi specifici e io non ho nulla di questo.— rispose Rin storcendo la bocca. All’improvviso si raddrizzò un attimo sullo schienale, si guardò da tutti i lati assicurandosi che sua madre non si trovasse nei dintorni, poi parlò a voce bassa:

— Forse dovrei trovare lavoro al porto, sai, come pescatore.—

Un brivido attraversò tutto il corpo di Gou, che si incupì immediatamente.

—Certo che no!— replicò Gou arrabbiata, a voce bassa— È pericoloso e lo sai. Inoltre, mamma si dispererà. Né lei né io vogliamo che ti succeda lo stesso che è successo a papà e agli altri uomini della famiglia.

—Allora, che dovrei fare?— domandò adirato, tornando al suo tono normale— Ho già cercato in tutti gli annunci di lavoro e non hanno nulla per me.

Gou lo osservò pensierosa per un istante, poi curvò le labbra in un sorriso sornione mentre cacciava il telefonino. Sotto gli occhi curiosi del fratello, Gou iniziò a scrivere alcune parole nell’apparecchio, poi in un attimo apparve una mappa sullo schermo.

—Cos’è questo?— domandò, osservando confuso la direzione esatta che mostrava. Era un luogo nella città di Tottori, ad alcuni chilometri a sud di Iwatobi.

—È un piccolo negozio che ha aperto da alcuni mesi. Siccome non hai ancora trovato lavoro e non hai nulla da fare, domani andrai qui.— rispose Gou facendogli l’occhiolino.

—Non voglio andare in città.— si lamentò.

—Ci andrai.— insisté lei con fermezza, ma senza perdere il suo dolce sorriso— Domani, dopo avermi accompagnato all’ospedale, vai a questo negozio e ritira un pacchetto speciale che hanno per me, e non ti azzardare ad aprirlo!

Rin non aveva alcuna possibilità di andare contro le decisioni che prendeva Gou. Non sapeva se perché lei era davvero perspicace o per il semplice fatto che era sua sorella minore e lui tendeva ad accontentarla in tutto, ma il fatto era che lei otteneva sempre cosa voleva. Perciò, dopo aver notato il suo tenero sorriso pieno di malizia, non si preoccupò neppure di contraddirla; sospirò rassegnato tenendosi tutti i rimproveri che ricevé.

Pertanto, il giorno dopo Rin rimase in silenzio quando Gou gli consegnò un pezzo di carta con un indirizzo annotato sopra. Dopo averla lasciata all’ospedale, intraprese il percorso verso sud di Iwatobi per prendere la strada principale che lo avrebbe condotto a Tottori.

Accompagnato da un bel sole nel cielo e dalle tracce di pioggia ancora sul marciapiede, arrivò alla capitale della prefettura, una grande città con una quantità considerevole di persone e veicoli che transitavano per le strade. Doveva solo accedere al GPS dell’automobile per iniziare a cercare l’indirizzo indicatogli da Gou.

Quando il GPS lo avvertì che era giunto al luogo indicato, Rin si fermò, scese dall’auto e guardò la palazzina davanti ai suoi occhi. Era una costruzione abbastanza recente con vari locali commerciali al primo piano, uno dei quali era una piccola libreria.

—Che diavolo a che fare Gou con un negozio di libri?— si chiese Rin, alzando un sopracciglio, assicurandosi fosse davvero questo il posto che cercava. Non si era sbagliato, così guardò il foglietto con l’indirizzo che sua sorella gli aveva consegnato e si decise a entrare.

Fu allora che capì tutto, il perché del sorriso di lei la sera prima insieme alla sua insistenza nel volere che fosse Rin a prendere il pacchetto speciale. Tutto aveva un senso quando vide la figura di quel giovane conosciuto altissimo, dagli occhi turchesi e le spalle larghe. Non riuscì ad evitare di portarsi la mano alla bocca per la sorpresa.

—Sousuke!— esclamò stupito, con gli occhi spalancati e il cuore che all’improvviso iniziò a battergli forte. Attirò l’attenzione del cassiere, poi vide Sousuke voltarsi verso di lui con un enorme sorriso sul volto.

—Ti stavo aspettando, Rin.— disse con dolcezza, trasmettendogli quel calore quasi dimenticato che tanto confortava l’altro. Allungò il pugno chiuso e, senza perdere il suo bel sorriso, lo colpì leggero contro il pugno di Rin, i cui occhi umidi minacciavano di far uscire un paio di lacrime di emozione.

Quando Rin lasciò il Giappone – otto anni fa– lui e Sousuke si mantennero in contatto tramite l’invio di lettere, come facevano da bambini. Era come se la storia si ripetesse e, anche se Sousuke questa volta insisté che comunicassero per email, finalmente finì per accettare lo stile più tradizionale dell’amico. Si riunirono in Australia per qualche festività, le volte in cui Gou e sua madre invitarono Sousuke all’altro capo del mondo per andare a trovare Rin. Il legame tra entrambi gli amici mai si era perso nonostante, purtroppo, le visite si fermarono nel momento in cui Sousuke trovò un lavoro i cui giorni liberi erano incompatibili con quelli di Gou e della signora Matsuoka. Dal suo ultimo incontro erano già passati tre anni.

—Non ci vediamo da tempo.— commentò Rin, ammirando il viso dell’amico. Sembrava che gli anni non fossero passati per Sousuke; aveva ancora lo stesso taglio di capelli, il corpo tarchiato che gli dava un aspetto minaccioso, e quel sorriso spontaneo che aveva conquistato tanti.

—Stupido, perché non mi hai avvisato che saresti tornato a Iwatobi?— lo rimproverò bonario.

—È stata un’idea di Gou.— si giustificò Rin
—Sono riuscito a prendermi le ferie questa settimana e la prima cosa che ho pensato era di venire fin qui per vederti. L’ho detto a tua sorella perché non sapevo se era una buona idea dirtelo; sai, sei molto bravo a fuggire da qualcuno.— disse con naturalezza, toccando deliberatamente il punto debole di Rin.

—Di che parli? Io non sto scappando da nessuno. Per questo sono tornato.— spiegò con una certa monotonia nel tono di voce, ascoltando al contempo la risatina di gioia che usciva dall’amico. L’umorismo irriverente che di solito fioriva in Sousuke non era cambiato col tempo.

E anche se Rin era ancora corrucciato per via del commento, la verità era che subito rilassò la sua espressione e abbozzò un leggero sorriso sulle labbra. Non poteva negare che vedere il suo amico era sempre un’esperienza gratificante. Insieme a Sousuke aveva vissuto momenti molto significativi quando studiavano insieme alle Elementari Sano e poi all’Accademia Samezuka; gli aveva dato consigli quando lui e Haruka iniziarono a uscire insieme; lo aveva appoggiato incondizionatamente durante la gravidanza; ed è stato al suo fianco durante tutto il processo di abbandono e volo a Sydney, pur essendo del tutto contrario la decisione di Rin. Si, Sousuke era il suo migliore amico e uno dei pilastri fondamentali che sostenevano la propria vita.

Il negozio nel quale si trovavano era della madre di Sousuke, lo aveva aperto di recente e per quel giorno suo figlio l’aiutava con la gestione. Anche se era in vacanza e era tornato il giorno prima da Tokyo, non lo disturbava affatto passare i suoi giorni liberi lavorando per aiutare sua madre. E a Rin questo piaceva, perché da bambini ammirava quella scintilla che manteneva sempre in attività l’amico; non importava se qualche volta cadeva esausto e sconfitto, Sousuke sempre aveva la forza di rialzarsi e andare avanti.

Parlarono a lungo in piedi, appoggiati alla cassa, venendo interrotti di tanto in tanto dall’arrivo dei clienti. Ricordarono con nostalgia i loro amici e risero ricordando i bei momenti vissuti con loro. Tutto andava bene, con un’atmosfera leggera e rilassata, finché Sousuke iniziò coi suoi soliti commenti e la faccia serena di Rin iniziò a irrigidirsi.

—Così non stai scappando da qualcuno, eh? Allora, credo che hai già parlato con Nanase.—chiese con perspicacia dando uno sguardo interrogativo all’amico. Rin schioccò la lingua e distolse lo sguardo.

—Ogni tanto, mia madre e Gou cercano di parlarmi di lui, ma io non le ascolto —rispose mantenendo lo sguardo di lato. Un pizzico di rancore e tristezza si posò nel cremisi dei suoi occhi

—In ogni caso, Haru starà passando la sua vita con qualcun altro.—

—Lo dici come se non conoscessi a Nanase. La prima volta che andasti in Australia, quando eravamo bambini, lui ti ha aspettato per anni.—

—Le cose sono diverse adesso. Inoltre, sono già passati otto anni da quando me ne andai, è un tempo sufficiente perché lui abbia trovato qualcun altro. Deve avermi già dimenticato.— Rin strinse i pugni con forza sotto la cassa.

—Ma, tu lo hai dimenticato?—

Le ciocche rosse si mossero davanti la sua faccia nel momento in cui il ragazzo abbassò ancora di più lo sguardo. Restò in silenzio per un istante, sentendo il colpo amaro della nostalgia dentro di lui.

—Haru fa parte del passato.— La voce gli uscì sottile come un filo, appena udibile.

—E Sakura?… Anche lui fa parte del passato?—

Stavolta, come se le parole di Sousuke contenessero aghi, Rin sentì come se il cuore si contrasse in una fitta acuta. Fu inevitabile sentire il nodo che cominciava a formarglisi subito in gola.

—…Anche lui lo è.—disse quasi in un sussurro.

—La convinzione nelle tue parole è sorprendente. —disse con evidente sarcasmo, ma mantenendo il suo atteggiamento stoico —Vedo che il ricordo di Sakura ancora ti perseguita. Sai come si chiama questo, Rin? Rimorso. E non sarai capace di liberartene fin quando non ti decidi ad affrontare le cose.— parlò con assoluta serietà.

—Sakura non mi perdonerà mai… — disse con voce soffocata.

—Non lo saprai fin quando non ci provi.—

—Non credo di essere capace di provarci.—

—Allora, continui a fuggire.—

—Ti prego, smettiamola di parlarne.— Rin chiuse gli occhi, probabile cercava di trattenere le lacrime che minacciavano di iniziare a scendergli per le guance.

Con questo Sousuke capì che, ancora una volta, il discorso non avrebbe portato da nessuna parte. Sospirò rassegnato e scosse la testa da un lato all’altro, chiedendosi per l’ennesima volta quando verrà il giorno nel quale Rin vorrà riconsiderare l’argomento.

—Torneremo su questo argomento più tardi— avvertì l’uomo con delicatezza, vedendo come l’amico annuiva in silenzio strofinandosi piano gli occhi. Dopodiché, Sousuke si girò da una parte, raccolse un pacco che era a terra e lo posò sopra il bancone —. Prima che me ne dimentichi… Questo è per Gou.—

—È vero, lei è stata molto insistente e mi ha chiesto di non aprirlo.— rispose Rin con la voce ancora debole, ma già più calmo. Avvicinò la scatola a lui e la ispezionò con cura — Cos’è?—

—Non ti viene in mente nessuna idea? —chiese scherzoso — È una raccolta mensile di riviste con uomini muscolosi seminudi, consegnata direttamente da Tokyo.—

—Dovevo capirlo… — esclamò seccato portandosi una mano sulla fronte. Questo era il vero motivo per il quale sua sorella era così entusiasta.

Rin passò il resto della giornata facendo compagnia a Sousuke nel nuovo negozio di famiglia. Quando arrivò l’ora di pranzo, il negozio fu chiuso momentaneamente e entrambi i ragazzi uscirono a pranzare in un ristorante vicino.

Rin avrebbe dovuto lasciare Tottori dopo pranzo, in più le sue intenzioni erano di arrivare all’ospedale di Iwatobi un’ora prima che Gou terminasse il suo lavoro. Era quel che faceva sempre, gli piaceva essere più che puntuale. Inoltre, si stava formando una piccola routine: Rin sapeva che un certo ometto dal dolce sorriso lo stava aspettando inquieto, questo, in qualche modo, lo faceva essere ansioso.

Nonostante, l’insistenza di Sousuke insieme alle sue domande come "perché sei così disperato per andare prima all’ospedale?" iniziavano a intimidirlo, perché non c’era modo per Rin di accettare che stava davvero iniziando ad appassionarsi al suo piccolo stalker.

Le intenzioni di Rin per arrivare prima furono finalmente represse, perciò accettò con riluttanza di restarsene a Tottori insieme all’amico.

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A molti chilometri di distanza da dove si trovava Rin, un eccitato Sakura si separava da Aiko, il suo migliore amico, ed entrava ansioso all’Iwatobi SC Returns. Notando la hall vuota del club, sorrise vittorioso al pensiero di avere una nuova opportunità per scappare e andare a riunirsi con quel rosso sconosciuto che tanto ammirava. Sentì quel formicolio che sempre gli accarezzava lo stomaco quando era nervoso, iniziò a correre oltre la porta a vetri.

Il sole toccò la sua pelle e i suoi capelli rossi ondeggiavano al vento. Ma, il bel sorriso sulle sue labbra sparì del tutto quando sentì che lo zaino dietro la schiena veniva tirato all’interno del club, impedendogli di continuare a uscire fuori dall’edificio.

—Dove credi di andare, Nanase Sakura?

Il bambino tremo tutto il tempo nel quale voltava lo sguardo per affrontare il suo sequestratore. Goro Sasabe, il proprietario e capo allenatore dell’Iwatobi SC Returns, lo osservava dall’altro.

—Ah… Uhm… —cercò di parlare Sakura, ma le parole non gli uscivano da bocca. No che era terrorizzato, è solo che semplicemente non aveva considerato l’opportunità di essere scoperto così all’improvviso.

—La lezione inizierà tra un quarto d’ora, su vatti a cambiare.—

Trascinando i piedi, Sakura, riluttante entrò nel club, senza prima voltarsi e dare uno sguardo all’ospedale in lontananza. Là dovrebbe esserci quel uomo dai capelli uguali ai suoi, o almeno era quello che credeva lui. Sospirò pesantemente e seguì gli ordini dell’allenatore.

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Rin prese il borsone sportivo che stava sopra il tavolo del suo appartamento, e ne estrasse una semplice maglietta bianca. Non era della sua taglia, era molto più ampia, e in condizioni normali di certo non lo avrebbe usato non aderendogli al corpo. Ma, tenendo conto della situazione che stava vivendo, quegli abiti più larghi gli erano piuttosto utili.

—Ah, grande!— esclamò Rin contento, prendendo la maglia per i bordi e tirandola piano sopra la sua pancia gonfia.

—L’ho usata solo una volta, quindi è come nuova.— specificò Sousuke, seduto all’altro capo del tavolo.

—Va a cambiarti. Vogliamo vederti risplendere.— disse Gou con un sorriso.

Rin annuì e si allontanò dalla sala per un attimo. Mentre era nella sua stanza, si tolse la strettissima maglietta nera che indossava – quella che tanto gli piaceva ma con essa copriva appena il proprio corpo – e la sostituì con la bianca di Sousuke. La pancia si sentiva finalmente libera sotto la stoffa morbida e larga. Sopra si mise una delle giacche che si trovava sul letto. Una volta che fu pronto, uscì dalla camera e tornò in sala.

—Ti sta alla perfezione!— esclamò Gou meravigliata.

—Ti sta benissimo.— la seguì Sousuke.

Le guance rosse e lo sguardo voltato di lato indicavano che Rin era un po’ imbarazzato. Tuttavia, quei dettagli sul suo viso sparirono nel momento in cui sentì le mani di Gou appendersi al suo braccio destro, poi, Sousuke appendersi al sinistro; il sorriso sul viso di entrambi era machiavellico.

—Ehi, che vi succede?— domandò Rin confuso.

—Oggi ti accompagniamo.— disse Gou entusiasta — Andiamo a fare shopping!—

—Aaah?! — esclamò Rin impaurito— Io non andrò da nessuna parte!—

—Ma, ti è sempre piaciuto lo shopping— rispose Sousuke.

—Non è vero!— mentì d’istinto —Maledizione! Lasciami, Sousuke!—

—Fratello, il bambino sta crescendo e presto la roba di Sousuke-kun smetterà di starti bene. Hai bisogno di vestiti per i prossimi mesi.—

— Andrò a compare qualcosa in seguito.— disse Rin, cercando di sfuggire dalla morsa della sorella e dell’amico.

—Si non vuoi uscire adesso, almeno vorrai farlo in un secondo momento. Approfittane ora, che puoi usare i miei vestiti per nascondere la pancia.—

—No.—

—Fratello…—

—No.—

—Andiamo, Rin, nessuno lo noterà.—

—Ho detto di no!

E, anche se Rin cercò di liberarsi disperatamente, l’intuito di Gou e Sousuke finì per essere più forte.

Con i muscoli tesi e lo sguardo completamente a terra, Rin diede un primo passo verso l’esterno dell’edificio. Attese immobile un instante, con sua sorella e il suo migliore amico a ciascuno dei lati; anche se non lo trattenevano più per le braccia, si sentiva ancora con le spalle al muro.

Era la prima volta, in tre settimane, che Rin lasciava il suo appartamento. Da che si era ritirato dalla Nazionale di nuoto si era recluso deprimendosi da solo. Haruka si alzava molto presto ogni giorno per andare ad allenarsi, e tornava intorno alle sette di sera. Talvolta, Sousuke e Gou andavano a trovarlo e passavano la sera insieme a lui, ma entrambi dovevano concentrarsi sui loro studi e non avevano tutto il tempo da dedicare a lui. Per lo stesso motivo, Rin si stava isolando da tutti sempre di più. Qual era il motivo? La sua pancia gonfia di cinque mesi, piuttosto che causargli tenerezza, gli provocava vergogna e per questo si prendeva la briga di nasconderla.

—Non avere paura. I vestiti di Sousuke-kun nascondono abbastanza il tuo corpo.— disse Gou ammiccandogli e prendendogli la mano per rassicurarlo. Rin le diede una fugace occhiata obliqua, poi tornò a guardare a terra.

—Haru non mi obbliga a fare queste cose.— commentò avvilito.

—Perché Nanase è un cretino che è assente tutto il giorno.— replicò subito Sousuke.

—Ehi, non lo chiamare così. Haru sta lavorando sodo per me e il bambino.— rispose offeso.

—Sai che non dubito delle buone intenzioni di Nanase, so che si sta sforzando per ottenere il denaro per mantenervi, ma non mi sembra corretto che sia assente per tutto il tempo.—

Rin schioccò la lingua contrariato, ma preferì non dire nulla. Non aveva voglia di iniziare una discussione per strada, né tanto meno di richiamare l’attenzione dei passanti. Ricevere lo sguardo di tutti peggiorava solo le cose.

Giunsero a una strada tranquilla senza molta affluenza di persone, sempre camminando senza fretta seguendo il ritmo lento di Rin. Quando finalmente si trovarono di fronte al negozio che cercavano, gli occhi di Gou brillarono di emozione mentre quelli di Sousuke si voltarono a disagio; insieme a loro, Rin impallidì del tutto.

—È un negozio… di… maternità —parlò quasi in un filo di voce con voce strascicata, sentendo un dolore amaro all’interno.

Gou strinse con forza la mano del ragazzo in segno di fiducia, entrambi insieme a Sousuke entrarono nel negozio. Nessuno di loro tre era stato in un negozio come quello prima, perciò camminavano con passo esitante senza sapere bene cosa fare una volta dentro. Tuttavia, nonostante l’incertezza che li accomunava, ognuno di loro aveva diverse reazioni: Gou osservava intenerita i vestiti da bambini e prema-man appesi alle grucce, Sousuke si sentiva alieno a tutto questo e si teneva un po’ distante dai fratelli, e Rin… Rin manteneva la faccia bassa, schivando lo sguardo di tutti e sentendo dei crampi nei muscoli frutto di tanta tensione.

—Tutto è così bello… — esclamò Gou ammirando estasiata tutto quanto la circondava mentre teneva la mano di suo fratello.

—Andiamocene da qui, non voglio che qualcuno mi veda.— disse Rin a voce bassa, senza alzare lo sguardo.

Per la sfortuna di Rin, una dei commessi aveva notato la presenza del trio. Da una fiancata del negozio, la donna si avvicinò sorridente ai giovani. Immediatamente, Rin sfilò la mano da Gou, incrociò le braccia sopra la pancia e si voltò verso Sousuke, avvicinandosi a lui in un tentativo disperato di nascondersi.

—Uhm… Cerco dei vesti premaman.— disse Gou un po’ nervosa, senza sapere come chiedere consiglio sopra il suo ordine.

—È per te?— chiese la donna con cordialità.

—No, è un regalo per…—

—Ah, è per lei —interruppe la donna con gioia indicando Rin, mentre le espressioni di Gou e Sousuke si irrigidirono.

Rin sentì una fitta dolorosa contro il suo stesso orgoglio. Rimase immobile per un attimo, stringendo i pugni sul braccio dell’amico, sentendo l’ira scorrere in ognuna delle sue vene. Essere preso per una donna era così sgradevole.

—A che mese siete? —chiese la donna, ma Rin restò in silenzio senza nemmeno guardarla in faccia.

—…È al quinto mese.— rispose Gou un po’ nervosa notando il disagio del fratello.
Deglutì un po’ di saliva e prese una veloce boccata d’aria per non lasciarsi prendere alla sprovvista dalla situazione; con voce che prendeva confidenza, parlò: —Mi scusi, ma mia sorella è un po’ impaurita e si intimidisce in queste situazioni. Possiamo vedere gli abiti per conto nostro?—

Mantenendo il suo gentile sorriso, la donna accolse la sua richiesta e le indicò i passi da seguire una volta che avevano scelto gli abiti, dopodiché si allontanò dai giovani. Solo allora, Gou e Sousuke poterono respirare normalmente.

—Ci eravamo vicini—commentò l’uomo con sollievo.

—Affrettiamoci per poi uscire presto da qui, d’accordo? —aggiunse Gou.

Rin, con lo sguardo a terra, annuì muovendo debolmente la testa e, stando sottobraccio a Sousuke, raggiunse la sorella tra le grucce piene di vestiti.

In una situazione normale, Rin sarebbe stato del tutto entusiasta girovagando per i reparti alla cerca di qualche capo che richiamasse la sua attenzione; l’ avrebbe preso con cautela e se lo sarebbe provato nel camerino, mantenendo sempre quel sorriso raggiante che mostrava i suoi denti da squalo. Questo è cosa faceva il Rin Matsuoka di prima, quello che camminava con lo sguardo in alto pieno di energia, quello che aveva speranze e sogni da realizzare, quello che –anche se gli piacevano i ragazzi– camminava fiero e sicuro della sua virilità.

Ma, nella sua situazione attuale, tanto la mente di Rin come i suoi sentimenti avanzavano a passi veloci le aree più buie dentro di lui, quel luogo dove abitavano ricordi dolorosi e spaventosi, come la morte di suo padre e la prima volta in Australia. La mente e i sentimenti di Rin stavano cambiando in conseguenza delle trasformazioni che soffriva ogni giorno il suo corpo, dell’umiliante fallimento nella Nazionale di nuoto e, soprattutto, dell’amara assenza di Haruka.

Prese una delle magliette premaman che Gou gli portò e camminò barcollando verso i camerini. Si tolse di scatto la roba di Sousuke e si guardò allo specchio davanti ai propri occhi. Con lo sguardo pieno di afflizione, toccò la pancia nuda e l’accarezzò delicatamente, cercando angosciato di connettersi con quella persona che gli cresceva dentro. Un sottilissimo calcetto lo colpì nel fianco richiamando la sua attenzione, chiedendogli uno dei suoi sorrisi felici. Solo allora Rin sospirò di sollievo, quando scoprì che il cuore gli batteva ancora emozionato nel sentire il suo adorato figlio.

Cercando di contenere la voglia di piangere, le sue delicate labbra si curvarono piano. Dopo tutto, quella personcina con la quale condivideva il sangue era l’unico degno di uno dei sorrisi più belli ma anche più tristi di Rin.

Continua…

 

Note dell’ autrice:

Da una parte, Haruka educa un curioso Sakura che inizia a scoprire il mondo. Dall'altra, la comparsa di Sousuke, che come Gou è stato testimone di tutta la situazione; il suo ruolo sarà fondamentale.

Devo fare una dichiarazione: questa storia non mostrerà legami romantici tra Sousuke e Rin, così come tra Makoto e Haruka. Lo chiarisco perché probabilmente ci saranno momenti molto sentimentali tra loro, ma dal mio punto di vista loro non sono nulla di più che migliori amici.

Ora, passiamo alle citazioni…

- "Animal Crossing! Le profondità del mare" è un videogioco tipo The Sims che menziona Haruka nel secondo speciale: FrFr! Reclutando membri per il club! Lì si fa riferimento a Ookuchin-hosoe-son-kun [オオクチンホソエソンくん], il protagonista del videogioco, che è citato anche nella Traccia 4 del Drama Free! Ano Natsu no long slow Distance. Inoltre, ho citato che nel gioco di Sakura c’era un pesce rosso mentre stava conversando con Ookuchin-hosoe-son-kun appariva un cuore. Che ci crediate o no, questo non l’ho inventato io, dal momento che è davvero apparso nel secondo FrFr!, controllate! :)

- Como ho già detto prima, Tottori nella vita reale è la capitale della prefettura dove è ubicata Iwami (Iwatobi). Alcuni fans credono che l’ Accademia Samezuka si trovi a Tottori.

- La Scuola Elementare Sano è la scuola dove Rin, Sousuke (e anche Kisumi) frequentavano quando erano bambini. Nell’inverno del sesto anno Rin si è trasferito alla Scuola Elementare Iwatobi. Informazione da High Speed!, High Speed! 2 e anche Free!

- Quando Rin era bambino e si trasferì in Australia, mantenne i contatti con Sousuke attraverso delle lettere, ma Rin poco a poco smise di scrivere perché si stava deprimendo per colpa del suo fallimento. Infine, si persero di vista fino alla loro riunione alla Samezuka. Queste informazioni provengono da Free! Eternal Summer e da High Speed! 2.

- A Rin gli piace fare shopping, l’ho detto nell’altro capitolo, ed è un’informazione ufficiale da Free! Iwatobi Swimming Club - Character Interview Vol.1 (Rin Matsuoka).

Tantissime grazie per aver letto! Aspetto con ansia i vostri pareri su questo capitolo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Note d'autrice: Dopo una piccola "crisi" con questo capitolo, finalmente lo pubblico con la gioia di aver ricevuto molte buone recensioni e messaggi privati, che senza dubbio mi motivano a continuare a scrivere, grazie mille!
La mia crisi era dovuta perché questo capitolo ha un certo sentimentalismo che a volte mi faceva alzare e andare a fare una passeggiata per schiarirmi un po’ le idee. Be’, forse non tutti provano lo stesso, ma ho cercato di fare tutto il possibile per trasmettere quel sentimento che, spero, noterete tra le mie parole.

Note della traduttrice: Ahhh, quanto tempo è passato da quando ho aggiornato? Tantissimo.
Chiedo scusa per aver trascurato la traduzione, ma in questo periodo sono stata trascinata in un nuovo fandom (Yuri on Ice) che mi ha portato a leggere e scoprire tante bellissime fan-fiction (soprattutto Victuri) e a riportarmi alla scrittura di storie dopo un periodo di crisi.
Ma bando alle ciance e parliamo di questo capitolo: i feels che mi ha regalato. In alcuni punti mi sono commossa. ç_ç
Ma quanto può essere patato il nostro Sakura?
Riguardo gli aggiornamenti, spero non ve la prendiate se appaiono quando capita. Mancano ancora altri capitoli prima di una lunga pausa in quanto l'ultimo aggiornamento è del 26 Gennaio 2018 (BlueOneechan, aggiorna! 'Sto fandom aspetta a te!). 
Come sempre vi rinnovo l'invito a esprimere i vostri commenti sulla storia e in particolare a offrirmi critiche costruttive sulla traduzione. Sono un'autodidatta di spagnolo e i vostri suggerimenti, soprattutto quelli per rendere più scorrevole il testo, sono ben accetti.

 

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QUANDO PIOVONO LE STELLE

CAPITOLO 7

 

Quella mattina iniziò con un cielo nuvolo e una brezza fredda proveniente dal mare. Così si presentava ogni giorno durante gli ultimi giorni d'autunno. Per questo, nel momento in cui Haruka aprì la porta di casa, l’aria gelida si intrufolò di getto, infilandosi per i corridoi. Sentì un brivido a causa del cambio di temperatura, perciò si sistemò la sciarpa attorno al collo, coprendosi parte della bocca.

Al contrario di suo padre, Sakura sembrava il freddo non lo colpisse affatto. Semplicemente era uscito correndo non appena la porta era aperta, solo per saltare entusiasta sopra le foglie secche che si erano accumulate davanti casa. Le udiva crepitare sotto i piedi ad ogni salto e poi le sparpagliò da tutte le parti, lasciandosi andare a delle risatine acute.

—Oggi sei molto vivace.— commentò Haruka scendendo gli scalini mentre tendeva una mano a Sakura.

—Perché oggi pioverà e succedono sempre delle cose belle quando piove.— rispose Sakura con gioia, correndo verso il padre per raggiungere la sua mano tesa —A scuola cantiamo canzoni e appaiono un sacco di lumache in giardino.—

— Questo è molto bello, eh? La raccolta di lumache…— gli disse Haruka bonario, ricordando quanto si divertiva Sakura a farle competere in gare di velocità —Ma non è più tempo di lumache. Loro in inverno 'dormono'.—

—Dormono in inverno?— chiese Sakura incuriosito —E quando si sveglieranno?—

—In primavera, quando fioriscono i fiori e gli alberi di ciliegio. —

—Per il mio compleanno! Ovunque ci sono sempre tanti petali di ciliegio.— esclamò emozionato —Ma manca ancora molto; prima di questo, deve prima piovere durante l’inverno, in più la mamma deve venire da noi.— aggiunse felice e un po' incantato, senza accorgersi dell’espressione seria che, de un momento all'altro, cominciò ad apparire sul volto di Haruka.

—Sempre con questa storia… Perché la mamma dovrebbe venire in inverno?— gli domandò l'uomo molto attento alla risposta di suo figlio. Sakura sorrise sornione portandosi un dito alla bocca.

—È un segreto!—

Haruka girò lo sguardo di lato per nascondere il proprio disagio. Era sempre penoso ascoltare Sakura parlare così speranzoso di sua madre; ogni anno, nel periodo tra autunno e inverno, il bambino diventava più felice del solito dicendo che forse sua madre sarebbe venuta a fargli visita. Haruka non aveva idea da dove avesse preso questa idea così strana, le volte che glielo aveva chiesto Sakura si era limitato a cacciare una risata giocosa e a dire che era un segreto tra lui e la mamma.

—Se mamma non viene quest’anno, dovrò aspettare il prossimo. Ma, nell'attesa, posso continuare a parlare con lei tutti i giorni.— disse indicando lo zaino che portava sulle spalle.

—Hai portato il tuo diario a scuola?— domandò Haruka con un tono un po' critico.

Sakura si ammutolì all'istante dopo aver visto lo sguardo di disapprovazione del padre.
Alzò entrambe le mani afferrando i bordi del cappello, tirandolo con forza verso il basso per coprirsi gli occhi – e parte del naso – per evitare così il suo sguardo. Sapeva che era proibito portare oggetti inutili a scuola.

—Mi dispiace.— rispose con riluttanza, in un misto di fastidio e tristezza —Voglio solo stare con la mamma.—

Haruka lo osservò attentamente per un istante. Non voleva aggiungere alcun commento solo per non irretirlo, così continuò a camminare con lui.

Anche se il tempo passava, anche se quasi non si toccava l’argomento, l’ombra di Rin era sempre presente. Sakura nemmeno lo ricordava, gli era stato vicino solo nei suoi primi due mesi di vita, tuttavia, si sforzava ogni giorno nel cercare in qualche modo di connettersi disperatamente con lui. E questo, a Haruka faceva troppo male, perché nel profondo sapeva di aver creato un fantasma che ingannava il suo bambino e, peggio ancora, aveva gettato le basi perché Sakura si ingannasse da solo, credendo pieno di speranza che sua madre scendesse dal cielo per ricongiungersi con lui.

Per l’ennesima volta nella vita, Haruka provò un forte rancore per sé stesso. Dire a suo figlio che il suo altro padre lo aveva abbandonato quando era solo un bebè, era una verità che aveva custodito fin dall'inizio. Ma non poteva farci nulla; a questo punto, la verità avrebbe finito per distruggere Sakura.

—Papá…—

Ascoltò la voce di suo figlio e sentì la sua piccola mano aggrapparsi alla propria con dolcezza. Quando abbassò lo sguardo rivide la faccia di Sakura, che aveva sollevato il cappello fino all'altezza della fronte e adesso lo scrutava con espressione preoccupata. Haruka, capì, allora, che il risentimento di un attimo prima si era manifestato in qualche modo sul proprio viso.

—Non è niente.— gli disse cercando di apparire normale, accarezzando con il pollice la calda e piccola mano del suo bambino

Le finestre dell’aula della seconda elementare erano chiuse ermeticamente, concentrando il calore all'interno. A causa di ciò i vetri che davano sul giardino erano appannati, però erano anche decorati da un sacco di disegni creati sopra il vapore che si formava. C’erano farfalle, faccine sorridenti, auto, cuori, palloni da calcio… I bambini disegnavano con entusiasmo durante la ricreazione mentre aspettavano l’inizio della prossima lezione. Posavano l'indice sopra il vetro e tracciavano linee mentre facevano lavorare la loro immaginazione.

Sakura non era estraneo a quella attività improvvisa. Si divertiva molto a passare il tempo in piedi vicino alla finestra, col braccio allungato nel mentre disegnava stelle. Ne aveva create tante, tutte di grandezza simile, e sebbene alcune erano un po’ deformi, la verità era che la maggior parte aveva una perfetta simmetria.

—Quante stelle! —esclamò Sora contenta, osservando la creazione del suo amico.

—Sono come le stelle del mio diario.— le rispose, alitando sul vetro per iniziare a disegnare sulla parte superiore della finestra. In effetti, il diario di Sakura aveva sulla copertina un sacco di adesivi a forma di stella.

—Perché non disegni qualcos'altro? Qualcosa che ti piace.—gli chiese la bambina con la sua vocina acuta.

—Mi piacciono le stelle.— le rispose Sakura con un'alzata di spalle. — Mi piacciono anche i delfini, ma solo quelli di colore rosa.— Il diario di Sakura teneva sulla copertina anche un adesivo di un delfino rosa.

—Delfini rosa? Devono essere bellissimi!—

—Lo sono davvero!— disse emozionato, chiudendo gli occhi e abbozzando uno dei suoi bei sorrisi.

Insieme al suono della porta che si apriva, si udirono i passi della maestra di musica che faceva il suo ingresso in aula. I bambini si allontanarono dalle finestre e si precipitarono ai loro banchi. Sakura non tardò a raggiungere il suo posto insieme ad Aiko, il suo migliore amico, che aspettava paziente le istruzioni della maestra.

Nonostante, delle istruzioni precise tardarono ad arrivare, subito il suono delle prime gocce di pioggia che battevano sui vetri distrasse l’attenzione dei bambini. Alcuni di loro tornarono ad avvicinarsi ai vetri per osservare il giardino che poco a poco iniziava a bagnarsi, mentre altri, come Sakura, Aiko e Sora, iniziavano brevi ed animati dialoghi sulla pioggia.

—Cosa ne pensate se, prima di iniziare la lezione, cantiamo la canzone della pioggia?— suggerì giovale la giovane maestra.

Come c’era da aspettarsi, gli occhi di Sakura brillarono d’entusiasmo. Proprio come al resto dei suoi compagni, gli piacevano molto le canzoni per bambini, perciò fece i salti di gioia e sorrise insieme ai suoi due amici.

—Io voglio cantare! —gridò entusiasta, in coro con gli altri bambini.

Sakura conosceva alcune canzoni sulla pioggia, le aveva imparate guardando la televisione, altre gliele avevano insegnate a scuola, e in più altre le aveva cantate insieme a Haruka durante le sere piovose. Erano melodie semplici e innocenti che, come a ogni bambino, richiamavano la sua attenzione e lo incitavano a cantare, battere le mani e ballare.

Ma, era ovvio che Sakura non conosceva tutte le canzoni, ce ne erano molte che mai aveva ascoltato. Per questo, il suo bellissimo sorriso ed entusiasmo svanirono lentamente appena giunse alle sue orecchie quella nuova canzone. Era la prima volta che l’ascoltava, e più che sentirsi sopraffatto per non riuscire a tenere il ritmo, quello che davvero lo colpì erano le parole della canzone.

Giorno di pioggia, giorno di pioggia,mi piace. La mamma verrà col mio ombrello, pitch! pitch!,chap chap, run run run! — cantava la maestra allegra insieme a tutti i bambini — Con lo zaino sulle spalle, insieme a mia madre. Da qualche parte suona la campanella, pitch! pitch!, chap chap, run run run! —

Sakura rimase quasi in silenzio, muoveva appena le labbra per cantare. Come poteva farlo, se la canzone parlava di una realtà che gli era del tutto sconosciuta?
Non aveva sua madre insieme a lui, lei presumibilmente era in cielo, per questo la canzone gli provocava disagio e un po’ di tristezza nel paragonarsi al resto dei compagni.

Accanto a lui, Aiko cantava pieno di spirito; ovvio, aveva una madre dolce e apprensiva che sempre lo proteggeva, in particolare nei giorni di pioggia. Dopo di lei, Sora continuava con la testa in alto cantando fiera; anche se lei mai aveva parlato di sua madre, tutti sapevano che apparteneva a una famiglia tranquilla e accogliente. Ma Sakura non aveva nessun altro che Haruka, perché perfino i suoi nonni vivevano in un’altra città e lo visitavano ogni tanto.

Ancora una volta, Sakura si sentì diverso e lontano dalla realtà dei suoi compagni. Storse la bocca di lato seccato, la voglia di cantare se ne era sfumata del tutto.

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Nonostante il suolo fosse bagnato, le gocce che cadevano dal cielo erano leggere e per il momento non venivano seguite dal vento. Il mare non era in subbuglio; probabilmente col trascorrere del giorno, se la pioggia persisteva e il vento si presentava, c’era il rischio di una tempesta. Tuttavia, il porto di Iwatobi era ancora in fermento. Sebbene la maggioranza dei pescatori navigava ancora in acque vicine, c’era un piccolo gruppo che già attraccava le proprie navi al molo. Era questi ultimi che Rin osservava attentamente dall'auto di Gou; li vedeva muoversi in fretta da un lato all'altro portando gli ormeggi di alcune imbarcazioni.

La vibrazione del telefonino disturbò la sua concentrazione. Lo cacciò dalla tasca e controllò il nuovo messaggio in entrata. Era di sua sorella che rimproverava ancora Rin per la nuova decisione presa.

"Spero che non sei andato al porto come hai detto la sera scorsa. Dovevi chiedere a Sousuke-kun un lavoro nel negozio dei suoi genitori. Mamma sarà molto-…"

Rin smise di leggere il messaggio, chiuse il cellulare e lo posò di nuovo in tasca. Aveva dei motivi per non chiedere al suo migliore amico se era possibile lavorare nel negozio di Tottori.

I genitori di Sousuke stimavano molto Rin, lo conoscevano da quando era bambino, per questo esisteva una fiducia creata col tempo che permise al ragazzo di farsi coraggio e fargli partecipi della sua gravidanza. Non che avesse il bisogno di dirglielo, ma la casa di Sousuke era uno dei pochi luoghi in cui Rin si sentiva a suo agio, senza il timore di essere giudicato a causa della sua bizzarra condizione. Il signore e la signora Yamazaki lo appoggiarono durante il periodo, gli diedero regali per il bambino e cercarono di distrarlo quando era depresso.

Tuttavia, la sua crudele fuga in Australia costituì una sgradita sorpresa per entrambi, alla fine dei conti, si trattava dell’abbandono di un figlio. Tentarono di farlo ragionare, ma l’ostinazione e la testardaggine di Rin furono sempre più forti. Alla fine, quando persero i contatti con lui, fu inevitabile che si formasse una certa delusione; Rin lo sapeva molto bene, lo aveva avvertito nel leggere le parole di Sousuke nelle lettere che si inviavano.

Pertanto, Rin sentiva che chiedere lavoro ai signori Yamazaki gli avrebbe causato solo disagi. Era sicuro che entrambi, nonostante tutto, lo avrebbero accolto con un sorriso, ma non dopo avergli corrisposto uno dei peggiori, se non il peggiore, lato della loro personalità.

—Non si meritano di sopportare un imbecille come me.— mormorò mentre si sistemava la giacca attorno al collo, apprestandosi a scendere dall'auto.

La brezza gelida smosse le ciocche rosse che gli cadevano sulla fronte, l’odore del mare, del pesce e del legno bagnato dei piccoli pescherecci giunse alle sue narici. Camminò lungo la costa, sentendo la pioggerella colpirgli delicatamente il viso, guardava da tutte le parte senza sapere a chi rivolgersi. Si avvicinò a un pescatore che si trovava vicino alla banchina, sentendosi stupido ed ignorante, cercò di in intentare un dialogo con il vecchio davanti a sé.

—…Così ti sei svegliato una mattina e hai deciso di diventare un pescatore.— commentò il vecchio con una certa diffidenza, appena ascoltata la breve spiegazione del giovane —Sei sicuro che è ciò che desideri davvero? Sei un ragazzo di città, lo si capisce solo guardandoti.— domandò squadrando da capo a piedi Rin.

—Ho bisogno di lavoro. Tutti i posti da cui mi sono presentato cercando persone con studi specifici, ma io non so nulla.— spiegò Rin strizzando gli occhi, alcune gocce d'acqua gli si conficcarono sulle ciglia. Dinanzi a lui, il pescatore non si preoccupava dell’acqua che gli cadeva sulla faccia.

—Essere pescatore richiede molto sforzo e conoscenza. Cosa ti fa pensare che un tipo che 'non sa nulla’ possa diventare un pescatore?— Il sospetto era ancora presente nella voce e nello sguardo.

—Imparo in fretta. Ho solo bisogno di un po’ di tempo. —rispose Rin mantenendo la calma, anche se iniziava a sentirsi a disagio sotto lo sguardo dell’anziano.

Sebbene Rin non conosceva del tutto cosa comprendeva il lavoro di un pescatore, la verità era che contava su alcuni ricordi e nozioni delle esperienze che aveva vissuto il suo defunto padre. Da bambino lo aveva visto uscire di casa alle prime ore del giorno, e tornare molto tardi, completamente esausto. Ricordava di aver sentito le mani ruvide di suo padre, segnate da alcune cicatrici di ferite provocatosi durante la pesca, a volte aveva visto la sua espressione dolorante frutto del dolore ai muscoli della schiena, collo o polsi.

A ciò si sommava il fatto che suo padre passava pochissimo tempo in casa. Di fatto, le occasioni per giocare con lui erano minori se si paragonava agli altri bambini, perciò molte volte Rin si sentiva solo e diverso da tutti, soprattutto perché portava sulle spalle la responsabilità datagli dal padre: Abbi cura di Gou e della mamma mentre non ci sono, d’accordo?". Certo, era una frase detta in un tono leggero e giocoso, perché Rin allora aveva solo cinque o sei anni, ma per un bambino rappresentava una vera e propria sfida.

Nonostante tutto il tempo trascorso, erano ricordi che non potevano essere cancellati.

—Ho alcune nozioni di come funzionano le cose qui al porto. Mio padre era un pescatore di Iwatobi —disse d’istinto, notando un leggero cambiamento nello sguardo dell’anziano. Sembrava che adesso il pescatore lo prese un po’ più sul serio —È morto insieme ad altri pescatori in una tormenta più di vent'anni fa. Il suo nome era Toraichi Matsuoka.—

—So a quale tormenta ti riferisci, figliolo. Ancora non riesco a dimenticare quella tragedia, il mare si prese i migliori — parlò il vecchio stavolta con gentilezza, mentre la sua espressione si rilassava e le labbra rugose si curvarono abbozzando un sorriso gentile —. Conoscevo Toraichi Matsuoka.— Gli occhi di Rin si spalancarono dalla sorpresa, all'improvviso la pioggiarella già non lo molestava sulle ciglia —.Era uno dei più giovani del gruppo di pescatori, un uomo energico e pieno di vita. Aveva un sorriso particolare. I suoi denti erano come quelli di uno squalo, ma l’allegria che trasmetteva era come quella di un delfino. —

—Ricordo che mio padre era sempre sorridente nonostante la stanchezza e la fatica— commentò Rin con voce un po’ mesta, mentre nella sua mente apparvero alcuni ricordi preziosi che ancora custodiva. Suo padre che sollevava in braccio lui e Gou, quando tornava la sera, abbracciandoli e baciandoli con affetto.

—Toraichi non ha mai smesso di sorridere. All'inizio, lui non sapeva fare nulla qui al porto, era un po’ maldestro ed era scoraggiato per non poter realizzare il suo vero sogno. Ma possedeva uno spirito di adattamento ineguagliabile. Nonostante i suoi timori, non si è mai arreso, mai smise di confidare in sé stesso e mai perse la speranza nel futuro. Tutti i suoi sforzi furono sempre in favore della famiglia.— Cacciò un sospiro leggero, il suo respiro era carico di nostalgia e aneliti passati. Rin lo ascoltava in silenzio, lo sguardo fisso a terra, sentiva le parole dell’uomo colpire ogni punto della propria coscienza —Non posso credere che, dopo tutto questo tempo, finalmente posso conoscere suo figlio. Come ti chiami?—

—Ri-… Rin —rispose titubante. Doveva solo dire il suo nome, ma la domanda lo aveva preso alla sprovvista.

Il pescatore lo squadrò un attimo con attenzione.

—Rin, sei sicuro di voler diventare un pescatore, anche sapendo che tuo padre è morto in mare? — gli domandò con calma. L’uomo non sapeva nulla circa il presunto destino della famiglia Matsuoka, ma aveva ragione esprimendogli i suoi timori. Non tutti avevano la forza sufficiente per affrontare qualcosa che si era portato via la vita di una persona cara.

—Non temo il mare, ma… — restò in silenzio. Era inevitabile che le parole di sua madre e di sua nonna Kyou, gli ritornanrono alla mente: "tutti gli uomini della famiglia Matsuoka vengono presi dal mare".

—Non ne sono sicuro.— concluse—.
  Vedo che non ci hai pensato a sufficienza. Hai parlato della tua decisione con qualcun altro?  domandò allora, dopodiché Rin non rispose. Lo aveva detto solo a Gou, ma lei aveva avuto una reazione negativa — Cosa dice la tua famiglia? Alla tua età dovresti già avere moglie e figli. —

Un’altra volta, quell’ago latente nel cuore di Rin iniziava a pungere.

—Ho un figl-… — Le parole si interruppero subito. Storse la bozza di lato, distogliendo lo sguardo. Quando parlava di Sakura era sempre così complicato…

L’uomo cacciò un sospiro poi volse un’occhiata lontana verso l’orizzonte.

—Ho una barca il cui equipaggio non è ancora completo.— parlò subito con calma, poi rivolse il suo sguardo verso Rin — Ma, ti accetterò quando sarai deciso e dimostrerai che sei davvero figlio di Toraichi. Avete lo stesso colore di occhi, ma noto che lo sguardo che rivolgi al mondo è diverso. Credo che hai anche lo stesso sorriso e allegria di tuo padre, solo che per qualche ragione le hai nascoste da qualche parte. Dimostrami che sei come Toraichi, e solo allora potrai salire sulla mia nave. —

Con queste parole che sparivano nel vento freddo, il pescatore aumentò il passo dirigendosi verso il molo. Rin se ne stava lì, in piedi, immobile, le parole che gli facevano eco nella sua testa. Abbassò lo sguardo verso la sabbia, la pioggia l’aveva inumidita tutta, ma ancora non si era erano create pozzanghere da nessuna parte. Sebbene non potesse vedere il suo riflesso, Rin sapeva molto bene che lo sguardo e il sorriso che mostrava erano molto diversi dalla gioia che mai abbandonava il suo giovane padre.

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Sakura lasciò l’aula con lo sguardo smarrito e i pensieri che vagavano in un luogo lontano da quello in cui si trovava. Avere il suo diario nello zaino, disegnare stelle sulle finestre, cantare quella canzone e sapere che la pioggia presto sarebbe iniziata, era assolutamente una bomba di malinconia e rassegnazione.

Nonostante Aiko lo prese per mano incitandolo a correre per i corridoi sfidandolo a chi arrivava primo al giardino, Sakura gli lasciò la mano, limitandosi ad avanzare con inusuali passi lenti. Appena giunse davanti al portone della scuola, Sakura alzò per la prima volta lo sguardo, fermandosi per ammirare un instante il cielo nuvoloso. Cacciò un breve sospiro, poi, avanzò verso l’esterno. Quando sentì il tocco lieve delle gocce di pioggia, afferrò entrambi i lati del cappello e lo tirò con forza fin quasi a coprire tutta la fronte.

—Sakura-chan, stai bene? — chiese Aiko preoccupato.

—Non è nulla.— rispose con voce mesta, senza fermarsi, lasciando dietro di sé l’amico.

Tuttavia, dopo un po’, dovette farsi da parte appena sentì i passi dell’altro bambino insieme a un sonoro "mamma!". Aiko era partito correndo in direzione di sua madre, la quale lo aspettava –come tutti i giorni– con un bel sorriso fuori da scuola. Teneva nelle mani un paio di ombrelli per entrambi i bambini, lo faceva sempre nei giorni di pioggia e Sakura era abituato a ringraziarla gentilmente. Si trattava di un piccolo rituale che seguivano. Ma, oggi, il sorriso grato di Sakura non si trovava da nessuna parte. I suoi pensieri in quel momento erano focalizzati sulla melodia che aveva ascoltato qualche ora prima.

"Giorno di pioggia, giorno di pioggia, mi piace. La mamma verrà col mio ombrello, pitch! pitch!, chap chap, run run run!"

Nei fatti, fuori da scuola c’era una madre che teneva un ombrello per lui, ma non era sua madre né era Haruka, era quella del suo migliore amico, e questo lo deprimeva ancora di più. Era una situazione che altri giorni sarebbe passata inosservata o, perlomeno, che Sakura preferiva dimenticare. Ma oggi sembrava essere più sensibile del solito, perciò quegli stessi dettagli lo colpivano di più.

Durante il viaggio verso il club fu piuttosto silenzioso. Sakura prese l’autobus e si sedette vicino al finestrino, appoggiando la testa sul vetro, ignorando Aiko che si sforzava, inutilmente di attirare la sua attenzione, prendendogli la mano o picchiettando sulla spalla, ma Sakura non era dell’umore per giocare. Per sua fortuna, la madre del suo amico si manteneva distratta parlando coi genitori degli altri compagni di scuola, perciò non si accorse del suo atteggiamento triste e scostante.

Quando arrivarono all’Iwatobi SC Returns, Sakura sperò di abbozzare un sorriso mentre ringraziava per le attenzioni, Aiko e sua madre; le restituì l’ombrello che gli prestava sempre e poi entrò nell’edificio. Tutto si ripeteva uguale agli ultimi giorni: la hall vuota, le voci lontane degli allenatori e l’orologio che segnava quindici minuti prima della lezione di nuoto. La sensazione sarebbe quella di un perfetto deja vu se non fosse che il suo solito umore e vivacità erano a terra quel giorno. Si avvicinò alla porta di vetro e cacciò la testa fuori. In lontananza, ad alcuni isolati di distanza, poteva vedere l’ospedale. Tornò a dare un’occhiata all’interno del club, ancora nessuno, perciò decise di lasciare il posto e allontanarsi senza un minuto di più.

Il passo era rallentato e privo di sicurezza, nella mente ancora vagavano certe esperienze e pensieri che lo sopraffavano. Attraversò la strada senza molta cautela, passando tra le persone che camminavano senza vederlo e a volte lo spingevano. Si sentiva piccolo e indifeso, e per un istante pensò di lasciar perdere la sua ricerca e tornare al club.

Tuttavia, questa idea svanì nel momento in cui i suoi piedi urtarono contro quella che sembrava essere una scatola di cartone in un angolo del marciapiede. Quando tentò di recuperare l’equilibrio perso, si chinò per vedere di cosa si trattava. Sgranò gli occhi stupito quando, nell’aprire la parte superiore, scoprì all’interno un gattino dal pelo biondo avvolto in una vecchia copertina. Chiuse la scatola di botto con ansia, girò la testa di qua e di là credendo che il proprietario dell’animale potesse essere nei dintorni. Ma nessuno gli prestava attenzione, perciò tornò ad aprire la scatola e si ritrovò col felino, che adesso lo osservava con occhi spalancati da un angolo. Entrambi erano impauriti, quel primo incontro era stato davvero incredibile.

—Che ci fai qui?— chiese Sakura.

Il gatto lo osservo per un secondo, poi si arrampicò per il bordo della scatola e salto sul marciapiede. Sakura indietreggiò di alcuni passi.

—Entra nella scatola.— ordinò calmo, ma il gattino avanzò diretto verso i suoi piedi — Non mi seguire, torna nella tua scatola.— insisté, camminando in giro con il gatto che lo seguiva da dietro.

Si fermarono entrambi, Sakura e il gatto, quando subito si trovarono di fronte a quella figura alta e slanciata che era appena giunta sul posto. Il bambino sgranò i suoi occhi azzurri stupito quando vide lo sguardo di Rin posarsi su di lui.

—Ciao—disse l’uomo con un sorriso timido. Sakura sbatté le palpebre un paio di volte restando in silenzio, poi si sporse di lato per vedere cosa si trovava alle spalle di Rin. L’ospedale dove si incontravano era ad alcuni isolati di distanza —Ti sorprende sia apparso qui, vero? —

—Non ci siamo mai incontrati qui —disse il bambino senza smettere il suo stupore.

—Sí, è che… — Rin se portò una mano alla nuca e la gratto sentendosi un po’ a disagio, distogliendo lo sguardo da un altra parte — Ci stavi mettendo molto, e… uhm… ieri non ho potuto venire in tempo — cacciò un sospiro rassegnato — Credo che volessi vederti.— il leggero formicolio nelle sue guance indicava il sorriso che era apparso.

Sakura non poté evitare di fare un grande sorriso, sentendo le guance arrossire.

— Ieri non ho potuto uscire dal club, così anch’io volevo vederti. —

Una piacevole sensazione di calore si espanse nel petto di Rin al sentirlo parlare, gli portò a cacciare un dolce e lieve sospiro. Se ne era già accorto, quando era di fronte a quel bambino, il proprio corpo, la propria mente e i propri sentimenti reagivano in un modo diverso dal solito.

—Andiamo da un’altra parte per proteggerci dalla pioggia.— suggerì l’uomo. Quel giorno non aveva l’ombrello, perciò i suoi capelli abbastanza umidi iniziarono ad attaccarsi sulla pelle.

—Non posso, ho un gatto che mi sta seguendo.— disse Sakura, indicando il cucciolo dietro di lui.

—Così hai anche tu il tuo stalker — scherzò divertito. Il piccolo storse la bocca di lato; ricordava i primi incontri con Rin, quando si preoccupava di seguirlo e imitarlo e, in cambio, riceveva come risposta quello sguardo cremisi pieno di fastidio —Non ti piacciono i gatti?—domandò curioso.

—Non è questo —rispose il bambino —A casa mia arrivano alcuni gatti a mangiare e io gioco con loro, ma papà li tiene sempre in giardino. Questa è la prima volta che ne trovo uno così piccolo in una scatola. Non voglio lasciarlo solo, che devo fare con lui?—

—Se non puoi portarlo a casa, sarà meglio trovargli un buon posto al coperto e al riparo dal freddo. Se resterà qui, la sua scatola verrà calpestata dalle persone che passano qui e non sarà protetto contro la pioggia.— Rin si chinò verso l’animale, lo prese con delicatezza e lo mise nella scatola —Andiamo a cercare uno spazio adatto a lui. —

Sakura annuì entusiasta e iniziò a seguire l’uomo, che teneva la scatola tra le mani.

Mentre camminavano per un paio di strade, Rin diede del denaro al bambino perché comprasse qualche cibo per cuccioli di gatti in un negozio. Una volta che il mangiare era nelle mani di Sakura, entrambi continuarono a cercare un posto per lasciare il gatto. Sorrisero di gioia quando trovarono una casa abbandonata da un po’, la cui facciata posava su degli scalini, sopra i quali spuntava un tettuccio.

—È perfetto.— disse Rin soddisfatto, posando la scatola sopra lo scalino più altro vicino alla porta —Qui starà al sicuro dalla pioggia. Domani possiamo andare a trovarlo di nuovo per vedere come si trova.—

—Sembra ti piacciano i gatti —commentò Sakura ammirandolo.

—Sì… come dire, io… —Indietreggiò di un paio di passi e scosse nervoso la testa. Non gli piaceva ammettere che era sensibile a certe cose, molto meno quando aveva uno sguardo insistente sopra di lui — Non è che mi piacciono, ma… — strinse gli occhi e sbuffò — E che tu volevi salvarlo e… be’, non potevamo lasciarlo lì indifeso sotto la pioggia. —

— Credo che qui starà bene. — disse chinandosi verso la scatola per accarezzarlo, le sue dita vennero catturate dal gattino che voleva giocare. Sakura cacciò una risata — Che bello! —

— Si, lo è… —  commentò Rin divertito, vedendo come il cucciolo allungava le zampe per giocare e il bambino muoveva le dita per muoverlo. Non poté evitare di riportare alla mente alcuni ricordi di quando era più giovane ed era abituato a salvare gatti abbandonati; era successo varie volte, perfino Makoto lo aveva aiutato in più di un’occasione — Ti senti bene a prenderti cura di loro— evidenziò con un sorriso nostalgico sul viso.

—Vorrei portarlo a casa…— disse Sakura, vedendo come cercava di nascondersi sotto la copertina che lo copriva. Prese un lembo dell’indumento e, delicato, lo allungò sopra al gatto. Le proprie labbra si aprirono in un sorriso di gioia che aveva tenuto per tutto il cammino — Deve sentirsi molto solo ed è anche così piccolo, forse la mamma l’ha abbandonato?—

L’espressione di Rin piano iniziò a cambiare. Anche se voleva mantenere la sua attenzione concentrata sul gatto, le ultime parole del bambino gli si erano conficcate dentro.

— Le madri… non abbandonano i loro figli.— rispose con un tono fermo ma malinconico, sentendo una spiacevole morsa al petto. Adesso erano le sue stesse parole a incidergli la coscienza.

— Allora, la sua mamma è morta?— chiese Sakura con voce tremula.

— Non lo so…— rispose avvilito, sentendo come un sapore amaro che gli saliva in gola. Scosse la testa da lato a lato e inspirò una boccata d’aria per cercare di ricomporsi; prese un poco del cibo che aveva comprato e lo posò nella scatola, poi lo avvolse coperta perché non prendesse freddo —. Bene, è ora della tua lezione di nuoto. Andiamo, ti accompagno al club— disse alzandosi, cercando di nascondere i sentimenti repentini che lo affliggevano.

—Oggi non andrò al club —disse piano, mentre la voce si abbassava e la sua espressione si rabbui un po’—Non ho voglia di nuotare.—

—Perché no? —chiese Rin con una certa preoccupazione. Questa era la prima volta che lo vedeva con un espressione triste.

—Perché non voglio— rispose afflitto, iniziando a innervosirsi e abbassando lo sguardo per evitare quello dell’uomo.

— Ehi, è successo qualcosa? — domandò inchinandosi di nuovo per arrivare all'altezza del bambino — Dimmi che succede, forse posso aiutarti. —

— Aiutarmi? Nessuno può farlo, perché… — Sakura si fermò un istante alzando la testa per incontrarsi con gli occhi rossi di Rin, uno sguardo triste e vuoto, ma che stranamente lo confortava. Sentì un groppo fermarsi in gola e poi il respiro che iniziava a perdere il suo ritmo — Voglio stare con la mamma, ma lei sta in cielo. —

— Ehi, non abbatterti. — gli parlò con dolcezza — La tua mamma ti osserva in ogni istante, sono sicuro che lei pensa sempre a te. Inoltre, le scrivi sempre nel tuo diario, vero? —

— Si, ma è come se parlassi da solo, perché lei non dice nulla.— rispose abbassando di nuovo lo sguardo, ricordando che dentro il suo zaino custodiva il suo prezioso diario —. La invito a dormire con me quando fa freddo, ma non mi è mai venuta a trovare. L’altra notte le ho lasciato una coperta per coprirsi, ma non è venuta a prenderla.— Le lacrime non tardarono a cadere dai suoi occhi azzurri —Mamma vive in cielo con le stelle. Per questo mi piacciono i giorni di pioggia, perché forse possono piovere stelle e mamma potrebbe arrivare al mio fianco.—singhiozzo sommesso, cacciando piccoli sospiri.

—Non piangere… —disse Rin afflitto.

E così, in un impeto, senza fermarsi un attimo a riflettere, l’uomo allargò le braccia e attirò verso di sé il bambino. Lo avvolse in un abbraccio, passandogli una mano per la schiena e l’altra gli teneva con delicatezza la testa.

Era qualcosa che non poteva capire, il proprio essere reagiva alla necessità di tranquillizzare il piccolo. Si sentì ansioso nel notare che un forte desiderio di protezione iniziava a nascergli da dentro. Percepiva le piccole mani di Sakura aggrapparsi al suo petto così come il suo fiato corto contro il proprio collo, e ciò provocava in Rin di aumentare la pressione del proprio abbraccio, sorprendendosi da solo nel sentire nel proprio petto una sensazione che lo portò a chiudere gli occhi e sospirare a lungo.

—Smettila di piangere… — disse stavolta in un sussurro, iniziando a muovere la mano con delicatezza sopra il cappello che copriva la sua testa.

I singhiozzi di Sakura svanivano mano a mano, nel mentre la voce di Rin gli arrivava alle orecchie. Si sentiva ogni volta più calmo, il dolore era sparito e la tranquillità di essere al sicuro confortava dolcemente il suo spirito. Ad occhi chiusi e con le mani strette al petto di Rin, il suo respiro poco a poco riprendeva il suo ritmo normale.

— Ci saranno ancora giorni di pioggia — disse Sakura a bassa voce, tenendo il viso appoggiato sul petto di Rin — Allora anche la mamma potrà scendere dalle stelle.— La sua voce era pacata e quasi non mostrava segni di tristezza, lasciando di nuovo il passo alla speranza.

— Sono sicuro che doveva essere una persona felice e radiosa, e che il tuo sorriso l’hai ereditato da lei.—  aggiunse Rin con dolcezza, senza smettere di accarezzare la testa di Sakura. Le parole gli uscirono da sole dalla bocca — Non essere triste. A mamma non piace vederti piangere… —

Erano otto anni che i loro corpi non erano così vicini, che i loro cuori non erano uno di fronte all'altro in un primo abbraccio che sembrò infinito. Restarono così alcuni minuti, loro due in assoluto silenzio, con solo il suono della pioggia leggera che cadeva sopra il marciapiede, uniti in un abbraccio che era più che altro una necessità per raggiungere il cuore dell’altro. Anche senza esserne coscienti in quel momento, entrambi sapevano molto bene che si appartenevano reciprocamente.

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All'inizio, Haruka non diede importanza a quel colpetto che ricevette all'altezza delle gambe, preferì chiudere gli occhi e continuare a dormire. Ma presto sentì un altro tocco all'altezza della schiena, e poi un altro di nuovo alle gambe. Aprì gli occhi mezzo assonnato e si girò di fianco per vedere cosa succedeva. Con l’aiuto della flebile luce che proveniva dall'esterno della stanza, poté vedere la sagoma di Rin accomodarsi sopra il letto; il viso accigliato e i capelli disordinati tradivano che lui aveva passato un bel po’ di tempo faticando a trovare la giusta posizione.

— Rin, che succede? — chiese Haruka con voce impastata dal sonno.

— Non riesco a dormire.— rispose Rin aprendo gli occhi, dandogli uno sguardo afflitto. — Mi fa male la schiena in alcune posizioni; in altre, non riesco a respirare.—

— Dev’essere la stanchezza. Oggi è stata una giornata frenetica — gli rispose Haruka, la testa posata sul cuscino, mentre osservava con attenzione Rin —Il buono è che gli esami medici di stamattina sono andati bene. —

— Sono andati bene, ma, mancano solo due mesi alla sua nascita e ancora non sappiamo se è un bambino o una bambina. Il nostro bambino non si mette in posa per le ecografie. — disse Rin cacciando una risatina.

— Non importa se è un bambino o una bambina. Voglio solo che nasca sano. —  disse Haruka pacato.

Restarono in silenzio per un istante, uno di fronte all’altro mentre intrecciavano le loro dita sopra al cuscino. Era tanto tempo che non erano in una atmosfera così pacifica come quella, che quasi avevano dimenticato cos’era guardarsi negli occhi e sentire il calore dell’altro.

Haruka e Rin avevano una routine imperfetta, dove la scarsa comunicazione si era trasformata in un abitudine che aveva iniziato a consumare la loro relazione. Ma, a volte capitavano giorni come questo, dove Haruka non doveva presenziare in piscina, né agli allenamenti, né a conferenze con i suoi sponsor, né a gare all'estero, e dove Rin non si deprimeva con pensieri negativi riguardo la propria gravidanza, il proprio genere e identità sessuale, la propria solitudine e il futuro nel nuoto. Giorno come questi capitavano tre o quattro volte al mese, per questo erano giorno sacri nei quali potevano permettersi di godere l’uno dell’altro e dimenticare, fosse anche solo per alcune ore, l’angoscia che provavano giorno dopo giorno.

— Haru... sono molto felice che oggi stiamo noi tre insieme — esclamò all'improvviso Rin con voce dolce e leggera, mentre sentiva il pollice di Haruka accarezzargli la superficie della mano — Anche se credo che è un miracolo che il bambino e io stiamo bene, sapendo che questa è una gravidanza ad alto rischio. —

— È perché te ne sei preso cura perfettamente — gli rispose Haruka, lo sguardo perso sulle loro dita intrecciate —Non vedo l’ora che nasca il nostro bambino…—

— Non essere così ansioso, mancano quasi due mesi — disse Rin —Ma, abbiamo già fatto dei passi avanti. Abbiamo la sua cameretta dipinta e decorata con giocattoli, abbiamo preso una culla, e abbiamo comprato un sacco di roba. —

— La maggior parte delle cose sono rosa. Credi sarà una bambina? — domandò curioso.

—Non lo so. Credo che lo sapremo solo quando nascerà, sembra che il bambino voglia farci una sorpresa — disse divertito. Subito, le sue dita si strinsero un po’ sopra la mano di Haruka, mentre mostrava un'espressione accigliata —Oh, indovina chi si è svegliato…—  disse Rin mentre si portava la mano sulla pancia toccandola con delicatezza.

Haruka si alzò dopo un po, mentre al suo fianco Rin faceva lo stesso, aiutandosi con ambo le mani per appoggiarsi mettendosi seduto sul letto. Nella sua nuova posizione, la pancia sembrava molto più gonfia.

—Si sveglia sempre durante la notte e inizia a scalciare fortissimo, anche se la verità è che tutto il giorno è in movimento. È così vivace!— si lamentò Rin con un piccolo sorriso, mentre sentiva una mano di Haruka muoversi delicata sopra la sua pancia —Riesci a sentirlo?—

Haruka chiuse gli occhi cercando di concentrarsi nel tatto delle proprie mani, palpando con cura la pelle coperta di Rin. Il viso gli si illuminò, l’azzurro dei suoi occhi brillò incantato nell'attimo in cui sentì un colpetto sotto le dita. Fece un po’ di pressione sulla pancia di Rin e, stavolta, il calcetto fu più forte.

—Questi movimenti… I suoi calci sono forti… Sta’ imparando a nuotare.— commentò Haruka con gli occhi che gli brillavano di gioia.

Rin non tardò a cacciare una risata.

—Da dove ti vengono certe idee?— 

—Ohi Rin, dovresti saperlo meglio di me, il bambino è dentro di te.— replicò Haruka risentito per la risata del compagno. Poi tornò a concentrarsi nel sentire suo figlio —Mi chiedo se stia cercando di imparare a nuotare a stile libero…—

—Ma parli sul serio?— Rin tornò a ridere — Credo che sta imparando a nuotare a farfalla, proprio come me.— commentò Rin seguendolo nel suo gioco, anche se, certo, Haruka parlava sul serio.

—Anche tu nuoti a stile libero, qui è più probabile di nuotare a farfalla.— precisò Haruka. Poi sospirò a lungo e abbozzò un leggero sorriso —Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui potremo nuotare noi tre…—

—Noi tre in una piscina piena di petali di ciliegio.— sorrise Rin incantato.

— Il bambino nascerà ad aprile. Per quel momento i ciliegi saranno in fiore. —

—Stupido, ad aprile l’acqua sarà ancora gelata e-…— Rin si fermò di scattò e abbassò la testa verso il pancione —Vorresti nuotare in aprile? Be’, devi aspettare finché sarai più grande— pronunciò scherzoso sentendo i calcetti del bambino —Haru, credo che il bambino sarà un fanatico dell’acqua proprio come-…—

Le sue parole furono nuovamente interrotte, ma questa volta dalle labbra di Haruka che si posarono tenere sopra le sue in un bacio delicato, timido e molto lento. Con le mani intrecciate e i loro tre cuori in sincrono, Haruka gli sussurrò un dolce “grazie”, per poi appoggiare la fronte contro quella del suo amato Rin, ammirandone i lineamenti delicati del suo viso, illuminato appena dalla luce della luna e delle stelle.

—Non importa il luogo né lo stile. Cosa importa è stare insieme noi tre per sempre.—

Continua

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Note dell’autrice:

Credo che a volte non si può andare contro il destino né contro il sangue. I sorrisi emergono dall’anima... Sono una famiglia, che lo vogliono o no le loro vite sono intrecciate e hanno molte cose in comune di quanto possano accorgersi.

Infine, voglio dire che questa storia avrà quattro momenti chiave. Il prossimo capitolo sarà il primo di questi.

- La canzone che cantano i bambini a scuola si chiama "Giorno di Pioggia" [Ame furi - あめふり] è una famosa canzoncina giapponese. La potete trovare su Youtube se la cercate in hiragana.

- Come detto nell’altro capitolo –por chi lo ha dimenticato– il padre e la nonna di Rin si chiamano rispettivamente Toraichi e Kyou. Entrambi i nomi sono menzionati in High Speed! 2

- A Rin piacciono i gatti e in almeno due occasioni ha accudito dei gattini abbandonati, una di queste insieme a Makoto proprio come riferito nel capitolo.
Appare nel materiale ufficiale nella Traccia 10 di Free! Eternal Summer Drama CD Volume 1.

- Rin è specializzato nel nuoto a stile libero e farfalla. È detto nelle due stagioni di Free!,in High Speed! E in molto materiale ufficiale di Kyoto Animation.

Grazie mille per aver letto. Spero che vi sia piaciuto questo capitolo che ho scritto con tanto amore.

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