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di _Hyperion_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Past ***
Capitolo 2: *** Present ***
Capitolo 3: *** Future ***



Capitolo 1
*** Past ***


AVVERTENZA PER CHI NON HA MAI LETTO UNA MIA STORIA (come se ne avessi scritte tante..): so scrivere decisamente meglio (*si para il culo mostruosamente*).

~~Martedì 10 settembre 2002

Caldo. Faceva un fottuto caldo. A Londra in Settembre. Probabilmente sarebbe finito il mondo di li a poco. Dal canto mio, me ne stava accasciata in canotta e pantaloncini sul mio banco di scuola aspettando l’insegnante della prima ora. Come primo giorno di scuola era già noioso, di fatto l’unica novità sarebbe stato il corpo docenti in quanto i compagni di classe erano quasi tutti gli stessi dell’anno precedente sebbene il grado di scuola fosse salito. Essendo per metà francese (anzi, a dirla tutta: per un quarto), ero stata costretta ad iscrivermi ad un Lycèe a Londra. Per mia fortuna le prime tre ore passarono in fretta, l’unica nota di divertimento erano le occhiatacce che i rigidi insegnanti parigini rifilavano al mio abbigliamento; ma io ero così: non mi davo arie, ero solo un po' trasgressiva e le regole non mi piacevano affatto.
Suonata la campanella della pausa, uscii in corridoio con Harriet, la mia migliore amica da sempre, per dare un’occhiata alla nuova scuola e il brusio tipico della ricreazione mi avvolse, però quel giorno c’era qualcosa di strano, molti ragazzi ridevano e uno in particolare, a noi sconosciuto si avvicinò dicendo: “ehi belle bimbe, l’avete sentita la novità?” e vedendo i nostri sguardi confusi aggiunse con fare misterioso: “E’ tornato..” e sghignazzando se ne andò scuotendo la sua chioma bionda ormai fuori moda.
“Chi è che è tornato, Alexandra?”
“Non lo so, Harry. Ma proviamo a chiedere, sono curiosa!”
Così, trascinando la povera amica, mi avvicinai ad un ragazzo che, se non si ricordavo male, avrebbe dovuto frequentare il terzo anno.
“Ehi, ehm ciao” diamine, non mi ricordavo neppure il nome “Sai, ho visto che siete tutti agitati e un tizio mi ha detto che è arrivato qualcuno.. è famoso? Oppure molto popolare, insomma ne state parlando tutti, immagino”
Dal canto suo, il ragazzo mi squadrò per poi iniziare a ridere compulsivamente e vedendo che non mi scomponeva, anzi sembravo capircene ancor di meno mi disse : “Si vede che siete di prima, pivelline! Ma che popolare e popolare, è tornata quella checca di quinta! L’anno scorso ha saltato scuola perché non è capace di leggere e mammina l’ha tenuto a casa ma se vuole uno straccio di diploma l’ultimo anno se lo deve fare! Anche se dubito che lo passerà” e continuò a ridere per poi aggiungere fissando i miei occhi azzurri e poi quelli nocciola di Harriet “però voi, bamboline fareste meglio a stargli alla larga, non si sa mai che vi passi i pidocchi con tutti quei ricci! Dovreste frequentare gente più seria, tipo me…”
“Ma certo! Tu dicci il nome intanto” ribattei con non-chalance.
“E chi se lo ricorda! I froci non sono miei amici!” e vedendo il nostro sguardo truce, si affrettò ad aggiungere “Qualcosa Penniman, non so... Miguel, Michelle.. non mi stupirei se avesse anche un nome da donna” e con questo girò i tacchi e se ne andò.

Scuola finiva alle 17 così gli alunni erano costretti a pranzare nella putrida mensa oppure per i più fortunati che abitavano nella vicinanze, a casa propria. Ad esempio Harry. Così mi ritrovavo a mangiare con gente diversa ogni volta, per di più ragazze che si fingevano mie  amiche o che comunque conoscevo da poco. Una giornata di novembre la mensa era quasi deserta e quando finii di riempirmi il vassoio di porridge e frittata, non ci misi molto ad individuare il personaggio più preso di mira dalla scuola. E anche il più eccentrico. Il ragazzo dimostrava tutti i suoi quasi 20 anni: barba appena fatta e smoking abbinato però a converse nere e un  papillon rosso. Decisi che già mi piaceva. Sembrava una caricatura, un personaggio direttamente uscito dai cartoni animati. Lui, ignaro dei pensieri che gli stavo rivolgendo, era seduto da solo infondo alla mensa intento a mescolare, quasi meccanicamente quella che lontanamente assomigliava ad una zuppa.
‘tentar non nuoce’ pensai e mi avvicinai piano piano.
“Ehi, ciao! Io sono Alexandra!”. Il ragazzo sobbalzò vistosamente e alzò la marea di ricci castani per posare gli occhi, contornati da occhiali con montatura verde e arancio, su di me.
“Ah, ciao” balbettò poco convinto.
“Tu sei Penniman vero? Ehm mi sfugge il nome però!” tentai senza darmi per vinta.
“Michael, mi chiamo Michael. Come mai non lo sai? Insomma, tutti sanno chi sono io” rispose amaramente lui.
“Oh, sai io sono nuova in questo istituto, è il mio primo anno” e con noncuranza mi sedetti di fianco al ragazzo pensando ‘ Al diavolo quello che diranno gli altri, questo merita una possibilità! Non mi pare così male’
“Ho capito. Bene, Alexandra, cosa ti piace fare?” chiese lui annoiato.
“Disegnare, mangiare, nuotare e cantare” elencai felice della domanda. Sentendo la parola cantare gli occhi di Michael si illuminarono, fece per ribattere qualcosa ma la prima delle tre campanelle suonò e lui si alzò di fretta scusandosi imbarazzato “Devo andare ma, bhe se vuoi domani, o tutti i giorni se è per questo, io sono sempre qui, sai.. da solo” e sul volto gli si aprì un bellissimo sorriso mentre notavo quanto fosse alto e esageratamente magro. Nell’istante in cui lui si voltò, lo chiamai un ultima volta: “Michael?”. “Si?”. “Mi piacciono anche papillon rossi” e lui con il viso proprio del color del suo farfallino si allontanò senza riuscire a trattenere un sorriso.

Per i 4 seguenti mesi, ad ogni pausa pranzo, ci incontravamo e mentre mangiavamo,  Michael mi raccontava  dei suoi grandi sogni, tra i quali, fare teatro. Io, dal canto mio, lo ascoltavo imbambolata.
Qualche volta i ci incontravamo nel dopo scuola, sempre a casa mia però e il giovane Penniman non volle mai spiegarmi il perché. Ero felice in quel periodo anche se tutti i miei amici quasi non mi rivolgevano la parola e mi prendevano in giro quando difendevo il mio nuovo compare. Harriet era l’unica che mi era rimasta accanto, ringraziando il cielo.

Un pomeriggio uggioso di maggio i ci ritrovammo in un bar di Londra.
“Mi sono accorto che da quando ti conosco parlo solo io, però sono curioso di sapere i tuoi progetti”
“Ma io adoro ascoltarti!” dissi con una punta di timidezza “Però se ci tieni tanto… dopo il liceo andrò alla scuola d’arte se mamma e papà mi lasciano! Sai, adoro disegnare”
“Davvero?? E me lo faresti un disegno?” mi implorò lui.
“Oh.. okay! Dammi un  po' di tempo.. te lo porterò quando sarà pronto”. Sorrisi sinceramente felice della richiesta.
Così il giorno dei risultati degli esami dei ragazzi di quinta, lo aspettai fuori dall’istituto. Quando lo vidi arrivare, rigorosamente in pantaloni verdi e bretelle, gli corsi incontro.
“Allora?? Come è andata? Dai, dimmelo, dimmelo!”
“Massì, l’ho passato. Col minimo dei voti, ma lo sai che mi interessava solo il diploma per poter andare al College di Musica..” disse a mo di giustifica lui.
“Ma va benissimo! Sei stato bravissimo!”. E saltando, gli schioccai un bacetto sulla guancia.
“Senti, ti devo dire una cosa..”
“No! Prima io!” risi, interrompendolo “vieni come me, forza!” e mi misi a correre trascinandolo fino alla riva del Tamigi, ci sedemmo  in un porticciolo abbandonato, lasciando ciondolare le gambe a pelo d’acqua.
“Ehm ehm!” annunciai con fare comico “Ecco il disegno..” e estrassi lentamente dalla borsetta un foglio formato A4 piegato a metà per poi consegnarlo al mio amico che, stupito, lo aprì.
Una grande O si dipinse sulla bocca di Michael nel vedere se stesso disegnato sul quel pezzo di carta. Era identico! Incredibile! Avevo utilizzato un semplice carboncino nero e gli avevo lasciato una piccola dedica: “Ehm me la puoi leggere tu? Sai, è un po' piccola..” chiese imbarazzato e io, ricordandomi della sua dislessia,  subito eseguii la richiesta: “O certo, certo! ‘A MICHAEL, PORTALO SEMPRE CON TE, CON AFFETTO LEXIE’”
“Grazie mille, davvero! Lo terrò sempre con me” disse lui emozionato e dopo un momento di silenzio ripresi “Ma ora dimmi ciò che volevi.. ti ho interrotto ancora fuori scuola..”
Facendo un evidente sforzo sovraumano, lui mi disse “Prima dammi un bacio”
“Cosa?”
“Sì, dai. Da amici, solo per questa volta.. poi ti dico tutto, promesso”
Rossa come un pomodoro, mi  avvicinai e posai le mi labbra su quelle di Michael: “Ecco” dissi subito dopo.
Lui sorrise timidamente e poi sospirando e diventando più cupo, disse “E’ un addio, questo, Alexandra” al che io strabuzzai gli occhi e chiesi: “che intendi dire?”. “Il college è dall’altra parte della città e dovremmo trasferirci da qui, pensavo accadesse a settembre ma mamma ha deciso di partire prima..”
“Prima? Prima quando?” chiesi tremando.
“Domani.”
“Ma sei il mio migliore amico, non puoi farmi questo. Non puoi!” strillai colpendolo con i pugni. Forse ero troppo infantile e pensavo solo a me stessa ma non mi importava, avrei sentito troppo la sua mancanza.
“Io.. mi dispiace..”.
“No, non è vero! Altrimenti rimarresti qui con me!” Mi alzai e me ne andai via correndo mentre le lacrime mi rigavano il viso.
“Alexandraaaa!”



Angolo autrice Beatrice (che.ridere.):
mmh, no una long proprio non ce la faccio.. però dai.. ho preparato tre capitoli (Non potete capire: 5 mesi! Aiuto). Spero vi possa piacere, è quasi una 'What if?' in cui vorrei descrivere il carattere di Mika fuori dai riflettori e dai teatri. Alexandra è ovviamente completamente inventata, e nella mia testa è davvero molto simpatica :)
Detto questo, ci si rivede fra qualche giorno per il proseguo. Questions bene accette!
Hola chicos! :*
 

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Capitolo 2
*** Present ***


~~Giovedì 10 settembre 2009
“Alexandraaaa!”


 E ancora “Alexandra, svegliati!”
“Si, Joy, sì. Sono sveglissima! Che c’è, abbiamo clienti?”. Sarcastica.
“Forse! C’è una piccola folla proprio qui fuori, probabilmente sono stati attirati da qualcosa o da qualcuno.. magari entrano! Vado a vedere!” cinguettò la bionda ossigenata.
Caldo. Faceva un fottuto caldo. A Londra in Settembre. Probabilmente sarebbe finito il mondo di li a poco. Dal canto mio, me ne stava accasciata in canotta e pantaloncini dietro il bancone del negozio in cui lavoravo. Probabilmente ancora per poco, dato che Joy, la proprietaria, era sommersa dai debiti e gli affari andavano piuttosto male. Improvvisamente ebbi uno stranissimo Deja-vu che fu interrotto dalla voce più eccitata che mai di Joy, già di ritorno. “Lexie, o mio dio. Tu non ti rendi conto! Sta entrando qui! O mio dio fa qualcosa, truccati, fatti bella! Insomma, renditi presentabile!”
“Grazie mille per i complimenti, cara. Innanzitutto dimmi chi diavolo sta entrando e augurati che compri qualcosa” le risposi pensando che alla fine non ero poi così male anche senza essere ricoperta da tonnellate di trucchi come lei.
“La popstar, Mika! Sta entrando qui! Da noi! E ovviamente gli regalo tutto, cosa vuoi che gli facci pagare!”
“Fico”, conoscevo alcune canzoni di Mika ma non volevo dare a vedere a Joy la mia curiosità e poi lei non poteva pensare di regalargli tutto, già eravamo messe male..
Tornai a disegnare cerchietti su un block notes mentre urla, probabilmente di fans, provenivano dal di fuori del negozio. Era già capitato che qualche personaggio famoso entrasse da noi per po' uscirne immancabilmente a mani vuote.. erano i pochi che apprezzavano i nostri particolarissimi capi d’abbigliamento.
I miei pensieri furono interrotti dalla voce stranamente bassa di Joy: “Alexandra Ellie Lewis, lui ti sta fissando da 10 minuti e tu disegni scemenze senza degnarlo di uno sguardo?”
Ma di che diavolo parlava? Alzai gli occhi e li posai sulla figura immobile che mi fissava a 5 metri di distanza, incastrata tra due scaffali. Effettivamente, l’uomo sui venticinque mi guardava, ma non sapevo esattamente il perché, magari aveva bisogno di un consiglio su che cravatta abbinare all’elegante vestito nero che indossava. Una strana sensazione accompagnata da un prurito alla base della nuca, si impossessò dei me, così chiesi sottovoce al mio capo: “Perdona la mia ignoranza, ma è lui?”. Non ci fu bisogno di alcuna riposta, mi fulminò direttamente con gli occhi.
Così mi avvicinai, notando il fascino del personaggio che avevo di fronte.
Quegli occhi. Li avevo già visti, ma dove? I ricci corti, ma neanche troppo, mi ricordavano prepotentemente qualcosa …
“Salve” dissi neutra.
Lui, paonazzo, per tutta risposta frugò nella borsa a tracolla ed estrasse un foglietto spiegazzato da un’agenda. Lo aprì e me lo mostrò. Vidi un disegno a carboncino di un ragazzino giovane e riccioluto con occhiali e orecchino. Poi lessi la dedica e risi isterica prima di portarmi una mano alla bocca.
“Michael!!” urlai finalemente.
“Ma allora sei tu, Lexie! Mio Dio, ti ricordi?”. La sua voce, come il suo aspetto, era cambiata: molto più profonda e sensuale.
Non ci potevo credere!
Ci guardammo per un attimo: lui ventiseienne famoso e amato, io ventunenne quasi disoccupata.
Improvvisamente si avvicinò Joy, della quale mi ero dimenticata l’esistenza: “Ma allora lo conosci!”.
Non potei fare altro che allargare le braccia e sorridere.

Erano passati sette lunghi anni ma di certo non mi ero dimenticata di lui, o meglio: non mi ero dimenticata di Michael Penniman, nerd diciannovenne. Ma adesso chi mi trovavo davanti? Una popstar egocentrica e piena di se, oppure il ragazzino alto e magro con una tonnellata di boccoli in testa (ora quasi del tutto comparsi)?
Bella domanda.
Lo fissai estremamente convinta che dovesse essere lui il primo a parlare.
“Bhe, non mi dici niente?” chiese dopo due minuti abbondanti in cui era calato il gelo.
 “Pensavo fosse tuo dovere spiegare o raccontarmi qualcosa dato il pasticcio lo hai combinato te..”  sussurrai facendo riferimento all’ultimissima volta in cui ci eravamo visti.
Sfoderò un sorriso sincero che notai essere una delle cose che non aveva perso nel diventare adulto “Ricordo benissimo quanto fui stronzo all’epoca, però ora non mi conosci quindi…” ghignò per poi continuare “ti va di prendere un caffè con me, ora?”
Stavo ragionando su: uno, Michael Penniman non aveva mai, e dico mai, chiesto ad una ragazza di uscire anche solo per una cioccolata calda, al tempo del liceo, esclusa me e due, non potevo abbandonare così il negozio, quando Joy che nel frattempo si era abbassata oscenamente la scollatura della canottiera, venne in mio soccorso cinguettando: “Ma certo, caro, Alexandra accetta volentieri e spontaneamente l’invito!”.
Lui rise di gusto e quindi disse: “Bene, te la riporto fra mezz’ora, quaranta minuti al massimo. Nel frattempo preparami impachettati questi quattro completi” disse a Joy indicando alcuni dei capi più strani e allo stesso tempo costosi che avevamo esposti e aggiunse “quando torniamo te li pago, tranquilla. Mi piacciono molto” e mentre mi prendeva per un braccio con l’intento di trascinarmi fuori di lì, lanciai un occhiata al mio capo che ancora annuiva incredula. Tra me stessa pensai che probabilmente stava già mandando a quel paese il proposito di regalare a Michael tutto ciò che avrebbe voluto.
L’effetto dell’enorme popolarità del mio accompagnatore si ripercosse su di noi, nello specifico su di me, non appena varcammo attaccati la soglia della boutique. Se inizialmente una ventina di giovani fanciulle si avvicinarono calpestandosi i piedi a vicenda e per nulla decise ad ascoltare i richiami per nulla convinti delle loro madri distanti pochi metri, per avere un autografo o una foto dal loro idolo, quando mi notarono si fermarono quasi impietrite. Vistosamente imbarazzata alzai la testa non trovando lo guardo di Michael che, dal canto suo, se la rideva di gusto. Non capii il perché ma quando lui alzò una mano per salutare il gruppetto di  fans, le ragazze iniziarono a parlare non troppo a bassa voce fra di loro, alcune ridendo isteriche altre lanciandomi sguardi di puro odio. Riuscii a captare qualcosa tipo “fidanzata” e “ingiustizia”, ma prima che potessi anche solo pensare di chiarire l’errore, un grosso Land Rover accostò di fronte a noi e Michael mi aprì la portiera posteriore, una volta seduta si mise al mio fianco sussurrandomi di lasciarle perdere.
Circa una decina di minuti dopo arrivammo ad un bar, e giuro, nonostante vivessi a Londra da sempre, non avevo mai visto quel posto in vita mia. Era collocato al piano interrato di un lussuoso hotel a cui non avevo mai fatto caso; non appena entrammo potei ammirare la magnificenza del posto: sembrava una sala da ballo di un palazzo asburgico, mi resi conto che, se non fossi stata accompagnata da Michael, probabilmente non mi avrebbero nemmeno fatta entrare. Mentre cercavo di non essere accecata dal riflesse dei lampadari di oro e vetro sentii il mio compre riassumere la storia del locale, che appresi essere di proprietà di un qualche chef pluristellato. Le cose vanno fate bene oppure non vanno fatte proprio, sembrava essere la  filosofia di vita della persona che si stava sedendo di fronte a me ad un tavolo collocato infondo alla sala.
Michael esordì interrompendo il filo dei miei pensieri: “So per certi che ti stai sbagliando!”, al che lo guardai strabuzzando gli occhi e girandomi convita che stesse parlando con qualcuno dietro di me. Vedendo la mia perplessità si spiegò meglio: “Ho notato il tuo sguardo stupito al limite del contrariato, appena abbiamo messo piede qui dentro, quindi intuendo i tuoi leciti pensieri ci tengo a dirti che sicuramente ti stai sbagliando”.
Perseverai nel mio mutismo, che no era altro che un muto incitamento nel continuare il suo monologo. E così fu: “Ho scelto questo posticino principalmente per tre motivi: il primo è che fanno della crema al limone divina che ti toccherà assaggiare, dato che mentre guardavi in aria ho ordinato”. Pausa studiata. “Il secondo è che parlare in un bar normale non sarebbe anzi, non lo è mai, fattibile per ovvi motivi. Qui è tranquillo, diciamo che non tutti possono entrare”aggiunse studiando le parole e notando il mio disappunto continuò  “bene, ora mi crederai anche qualcosa tipo razziata, se solo sapessi! Ma, ogni cosa a suo tempo! Dicevo, la terza motivazione, cioè quella a cui tengo di più, è che voglio dimostrarti quello che non sono. Nello specifico che non sono cambiato più di tanto dall’ultima infelice volta in cui ci siamo visti”.
“Interessante. E secondo te portarmi in locale di lusso perché altrimenti un branco di adolescenti con gli ormoni a mille ti salterebbero addosso, è il modo migliore?” sputai tutto d’un fiato guardandolo fisso negli occhi.
Fummo interrotti dall’arrivo di due porzioni di quella che doveva essere la famosa crema al limone. La assaggiai e effettivamente meritava molto, non osai chiedere il prezzo però.
Dopo due minuti in cui fummo entrambi occupati a gustare ciò che ci era stato servito, Michael rese la parola: “Immaginavo giusto allora. Il fatti di potermi permettere alcune cose è solo la conseguenza della fatica che ho fatto in questi sette anni in cui non ci siamo visti. I soldi non fanno la felicità, lo so. La musica si però, ed è quello che è successo a me. Credimi se, potessi tornare indietro non mi comporterei mai come ho fatto, di certo però la mia partenza sarebbe avvenuta comunque, se non me ne fossi andato ora non sarei così. Non sarei felice. Ed è questo che voglio farti capire: io sono felice, finalmente!” concluse con una nota di entusiasmo. Per la prima volta da quando lo avevo rivesto, ritrovai sul suo visto quell’espressione da bimbo di cinque anni che pensavo avesse perso e ne fui immensamente felice.
“Sono contenta per te davvero, non avevo dubbi che ce l’avresti fatta. Più che il talento, serve determinazione e tu sei la persona più determinata e testarda che conosco, o meglio, che ho consociuto…”
“Oh no, Lexie! Tu mi consoci, ti mancano solo un paio di dettagli, diciamo e poi sebbene vengo chiamato quasi sempre Mika, il vecchio Michael è sempre entro di me” e mi fece l’occhiolino.
“Come hai fatto a trovarmi? È stato un caso?” domandai curiosa attendendo la riposta che arrivò immediata: “Più o meno, era già da un po che volevo incontrarti ma non sapevo come fare. Poi un giorno mia mamma è passata vicino al vostro negozio e ti ha vista dentro. Inutile dire che ti ha immediatamente riconosciuta, ‘non è cambiata di una virgola’ cito testualmente” disse facendomi ridere.
Chiacchierammo del  più e del meno, arrivando in alcuni momenti a ritrovare la complicità di sette anni prima, sebbene pensai dentro di me che ciò che aveva fatto e detto fin’ora non era ancora completamente sufficiente per dimostrare  che era rimasto il vecchio ragazzo che svevo conosciuto sui banchi di scuola. Improvvisamente mi ricordai di essere al mondo e di avere un pure u lavoro, così guardai l’ora sul display del mio cellulare: erano le cinque di pomeriggio, due ore da quando avevo accettato, Joy in verità, l’invito. E proprio Joy immaginai essere incazzata nera mentre chiudeva infuriata il negozio senza aver guadagnati nulla per l’ennesima giornata di fil trovandosi anche con una dipendente i meno. Lo dissi a Michael che ridendo di gusto comunicò al cameriere di metter la spesa a cono suo e mi fece segno di alzarmi. Mentre uscivamo dal locale mi accorsi per la pria volta delle altre persone che lo popolavano, tutti erano rigorosamente vestiti bene, persino le bariste facevano una figura migliore della mia. Mentre loro portavano dei corsetti (che avrebbero fatto comparire le tette anche a chi proprio non le aveva) e delle lunghe gonne sulla tonalità dell’ocra, io avevo un paio di pantaloncini di jeans abbinati ad una canottiera crema e delle sneaker bianche basse: una sedicenne nel corpo di una ventunenne insomma. Fortunatamente mi salvava il trucco, che però veniva giudicato insufficiente e al limite dell’inesistenza da Joy, che ogni mattina svuotava un tubetto di fondotinta per, a suo dire, rendersi presentabile.
In dieci minuti ero nuovamente al negozio, dopo aver salutato Michael feci per scendere dal Suv quando la sua mano mi bloccò: “Senti” mi disse piano e fui sorpresa nel notare un leggero imbarazzo nella sua voce “ti devi presentare una persona, è piuttosto importante quindi ci terrei che venissi da me a cena uno di questi giorni, sai ho imparato a cucinare”.
Sebbene diffidente pensai che non ci fosse nulla di male ad andare a casa sua a cena: “Penso si possa fare, magari semi lasci un contatto ti faccio sapere quando…”
“Sarebbe questo sabato alle 20” disse velocemente interrompendomi. Rimasi a bocca aperta, quindi aveva già organizzato tutto, convito che avessi sicuramente accettato!
“E questo è l’indirizzo..” aggiunse porgendomi un foglietto. Lo lessi e notai che distava solo pochi chilometri da casa mia: “Bhe, ve bene. Accetto! Ora devo andare, altrimenti il mio capo mi ammazza. Ci vediamo sabato” e un attimo prima che chiudessi la portiera della vettura lo sentii urlare: “Ti mando un Taxi!” così voltandogli la schiena per evitare che vedesse la mia risata trattenuta, alzai il pollice in modo che vedesse che avevo capito.
Non appena entrai nel negozio mi trovai vanti Joy, che anziché essere incazzata mi sommerse di domande tipo “Due ore e non ti ha nemmeno chiesto di sposarlo?” ma mentre stavo per risponderle mi venne in mente un cosa: “Oddio, scusa Joy! Devo avergli fatto passare di mente l’dea di compare i vestiti, mi dispiace molto! Se vuoi sabato gli dico che li hai qui impacchettati e pronti”.
“Ma no, cara! Poco dopo che ve ne siete andati ha telefonato una signora, ha detto di chiamarsi Joannie” sorrisi immaginandomi la signora Penniman invecchiata di sette anni ma sempre gentile e cortese “mi ha chiesto il numero di conto corrente ed ha inviato i soldi necessari per l’acquisto dei capi. Pensa, ne ha addirittura chiesti tre capi per ognuno dei quattro scelti da Mika!” disse saltellando incredula per poi fermarsi e guardarmi intensamente.
“Quindi lo rivedi sabato! O mio dio, Alexandra, o mio dio! È la volta buona che chiudiamo baracca e burattini e diventiamo ricche sfondate!” disse usando in modo inappropriato il plurale.
Ma perché glielo avevo detto?!



Angolo autrice:
che dire, la puntualità non è il mio forte...
Beatrice.

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Capitolo 3
*** Future ***


~~Sabato 12 settembre 2009
Pensando di aver capito la situazione che mi si sarebbe presentata davanti di li a pochi minuti, optai per un vestito con una scollatura minima e che arrivasse rigorosamente sotto le ginocchia. Inoltre, più che elegante era colorato: sfondo rosa pallido con fiori simili a quelli presenti  nei quadri di grandi artisti classici. Indossai anche un paio di decolté nella stessa tonalità. Raccolsi i capelli e mi truccai poco. Non volevo essere la causa di un fantomatica e soprattutto isterica futura signora Penniman che sbatteva Michael fuori di casa tirandogli appresso anche i vestiti. Risi da sola immaginandomi la scena e poi tornai seria chiedendomi se davvero fosse carino invitami a casa per farmela conoscere, magari le darebbe davvero fastidio. Oppure non era lei che dovevo conoscere., e se non ci fosse stato nessuno oltre a noi due?
Improvvisamente suonò il campanello, così presi velocemente un copri spalle verde e la pochette con il cellulare e le chiavi. Spensi le luci e chiusi la porta d’entrata del mio modesto ma accogliente appartamento, per poi incrociare lo sguardo dell’autista, lo stesso del giovedì precedente, che mi sorrise aprendo la portiera del solito Land Rover nero.
Venti minuti dopo camminavo (con non poca difficoltà, devo ammettere) nel vialetto di una deliziosa villa bianca nella periferia di Londra, notai la mancata presenza di una macchina nel giardino, di conseguenza o Michael era in compagnia della sua signora oppure eravamo solo io e lui.
Poteva  anche trattarsi di un suo famigliare, nello specifico suo fratello minore, dato che l’intero clan dei Penniman abitava a pochi passi da li probabilmente; fu quello che pensai quando, dopo aver bussato alla porta, sentii una voce maschile, sicuramente non appartenente a Michael, in quanto troppo grave paragonata alla sua.
Risposi alla domanda e mi resi conto di non aver capito proprio nulla quando mi ritrovai davanti, beh, di sicuro non Fortunè Penniman.
Alto, decisamente carino, capelli biondo scuro, con una leggera barbetta e occhi profondi azzurro mare. “Mike scendi, veloce che è arrivata la tua ospite!” urlò in un punto imprecisato della casa voltandosi e poi, dopo avermi fatto spazio per entrare nell’immensa villa sulle tonalità del bianco mi rivolse nuovamente la parola: “Bhe, mentre lo aspettiamo.. piacere mi chiamo Andy! Tu sei Alexandra immagino” e mi strinse la mano mentre annuivo.
Probabilmente sembravo una specie di stalker, cafona per aggiunta, dato che lo stavo guardando troppo intensamente e a lungo cercando di collocarlo nella vita di Michael e mentre pensavo al fatto che nessuno aveva mai chiamato Michael ‘Mike’, sentii dei passi veloci accompagnati da una figura longilinea che percorreva le scale centrali al salotto che probabilmente portavano alla zona notte.
“Ah, finalmente vedi casa mia!” mi accolse Michael (Mika? Mike? Vai a saperlo) disse stritolandomi e aggiunse imbarazzato: “oh, vedi che hai già conosciuto Andreas..”. Lanciò un’occhiata di sfuggita a ‘Andy’, carino a presentarsi con il diminutivo.
Calò il silenzio e capendo la situazione al volo cercai di sdrammatizzare: “Bhe Michael, potevi anche dirmelo, mi sarei vestita meglio. Sembro Mary Poppins colorata!”.
“Cioè tu ti sei vestita con quella, ehm.. cosa a fiori del 500 stile mia nonna perché..?”. Mentre mi beccavo tutti questi complimenti, Andreas se la rideva: “Pensava che se si fosse messa un vestitino corto sarei stata gelosa!”, risi anche io e passato l’imbarazzo iniziale, Michael mi presentò bene colui che da 5 anni era il suo ragazzo.
Anche la cena andò bene, sebbene Andy fosse decisamente più bravo e portato della cucina cosa che ovviamente feci notare scatenando l’ilarità generale e le eloquenti occhiatacce di sfida da parte del biondo verso il moro.
Verso le undici, mentre Andreas rispondeva pazientemente ad una lunga telefonata di lavoro, io e Michael ci trasferimmo nella terrazza al primo piano che affacciava nella buia e afosa Londra.
“Allora, che ne pensi?”
“Bhe, è molto simpatico ed è anche un bel ragazzo!”
“No no” mi interruppe Michael ridendo “cosa pensi del fatto che, bhe… che non sia una donna, ecco!”
Sorrisi. “Non penso proprio nulla. Anzi, credo che siate molto carini insieme, sebbene sia la prima volta che vi vedo insieme, mi sembrate perfetti l’uno per l’altro” conclusi.
“Grazie” sorrise imbarazzato “sai, non è semplice. Mamma, le mie sorelle e Fort l’hanno presa bene ma papà no..”
Mi passò per la mente l’immagine dell’austero Michael Penniman che veniva a prendere il figlio a scuola senza rivolgere la parola a nessuno. All’epoca lo giustificavo sapendo del rapimento in Kuwait, ma addirittura non accettare l’omosessualità del figlio..
“Vedrai che se ne farà una ragione” dissi mettendogli una mano sul braccio, dato che alla spalla non ci arrivavo “sette anni fa lo… lo sapevi?”
“Non credo, cioè.. mi piacevi!” disse tutto d’un fiato lasciandomi a bocca aperta “non te ne sei mai accorta fortunatamente, sennò sai che disastro!” aggiunse sogghignando. Pensai con rammarico a quanto fossi stata insensibile all’epoca: “Mi dispiace, ma non ne ho mai nemmeno lontanamete sospettato!”
“Tranquilla, va bene così. Ho rovinato tutto chiedendoti un bacio, ti rendi conto?” mi chiese retorico sorridendo.
“Si, non penso che scorderò mai quel momento!” risposi ridendo.
“Già, bhe come hai visto non sono cambiate molte cose da quando ci siamo visti l’ultima volta.. fatta eccezione per qualche vestito elegante e il fatto che io sia gay… dettagli insomma! Spero verrai ad un mio concerto, saresti l’ospite d’onore”
“Ne sarei felicissima, però quello che spero è che non te ne andrai più via” sospirai, sperando capisse quanto c’ero rimasta male quella volta, infatti lo vidi sorridere dolcemente “Non lo farei mai, dagli errori s’impara, Alexandra, fidati di me, resterò per sempre qui con te” finì abbracciandomi fino a farmi uansi soffocare.
“Che dichiarazione d’amore, signor Penniman!”
“Ah, bhe, sei la mia fidanzatina adesso!”
“Dato che è tutto molto serio, voglio l’anello!”
“Vedremo, vedremo…”.



Angolo Autrice:
nulla da dire se non che non ho niente contro il signor Michael Penniman sr. però da qualche intervista di Mika si è capito che non è proprio al settimo cielo rigiardo alla vita del figlio, ma vai a sapere. La tengo come licenza poetica.
Andy, bhe ci stava dopo svariate storie che ho letto in cui o è cornuto o è stronzo, poveretto.
Grazie mille a chi ha letto, sebbene non sia un gran che di storia :)
Beatrice.
 

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