Stay Strong, Warrior ...

di The Writer Of The Stars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi e l'inizio dell'incubo ... ***
Capitolo 2: *** Il "Quasi Primo Chilo" ... ***
Capitolo 3: *** Lonely ***



Capitolo 1
*** Ricordi e l'inizio dell'incubo ... ***


Ricordi …
 
La gente si affolla, compatta, sui marciapiedi del centro in questo primo vero week-end estivo. Un miscuglio colorato di turisti frettolosi, studenti che recuperano le energie tra un esame e l’altro, famiglie con borse e passeggini e persone, come lei, che si accontentano di gironzolare senza una meta.
Ma l’indolenza non è ammessa. Non oggi. Ha un appuntamento, deve sbrigarsi a raggiungere il parco con le giostre, quello dove giocavano da bambini, ma il tempo è così bello …
Non riesce a trattenere un sorriso  immaginandola predica che le toccherà sorbire da Heiji. Lui, che non rispetta mai gli orari, si aspetta da lei una puntualità assolu …
Si blocca come inchiodata al suolo.
Incapace di distogliere lo sguardo dalla ragazza che avanza verso di lei. È ancora a dieci metri di distanza eppure, anche da laggiù, ammanta di un velo opaco il mondo intorno a sé, sbriciolando il suo recente equilibrio, attirandola a lei come la fiamma viva incanta la falena.
Prima registra la curva del suo gracile collo che si spezza sul delicato osso della clavicola, la punta sporgente della spalla un tempo arrotondata, poi i suoi occhi smeraldini passano molto rapidamente a cercare le braccia, la vita, le caviglie.
Per avere conferma di ciò che la sua anima ha già capito.
Nel suo petto, un orologio impazzito si mette a battere colpi forti e dolorosi.
Sofferenza, eppure anche …
Lei indossa un top bianco e dei jeans troppo larghi. Esageratamente larghi. Tutti i vestiti sono sempre troppo larghi per lei.
Zigomi pronunciati, guance scavate, enormi occhi di un azzurro slavato che le divorano il viso. Arriva alla sua altezza, e Kazuha si siede, anzi si accascia su una panchina, incapace di sostenere la visione della sua fragilità.
Della sua bellezza.
È un uccello morente, più vicina a spiccare il volo di quanto lei non lo sia mai stata. Sente un dolore.
Uno squarcio.
Una ferita mai rimarginata.
La ragazza si è allontanata. Percorre la strada buia oltre le parole, una strada di cui raggiungerà presto l’estremità. I battiti del suo cuore rallentano, il respiro torna regolare. Kazuha si appoggia con la schiena alla panchina e chiude gli occhi.
Ricordi …
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Kazuha Toyama amava la scuola di danza. Amava preparare la sua borsa, infilandovi dentro il body ligiamente pulito e stirato da lei stessa, l’asciugamano e le scarpette morbide, e  crescendo poi, anche quelle da punta. Amava arrivare venti minuti prima della lezione, così da potersi preparare con tutta calma, guardando mano a mano le sue amiche arrivare, e allo scoccare preciso delle 16.30, fiondarsi all’interno della sala prove, pronta per la lezione. Amava il sorriso compiaciuto con cui la sua maestra, la signorina Hikari,la accoglieva ogni volta che la vedeva entrare, e adorava cominciare a fare da sola riscaldamento, in attesa delle sue compagne. Amava il liscio parquet della sala prove, le sbarre di legno chiaro e resistente e la scatola contenente la pece*, in quell’angolino della sala, messa lì quasi come se dovesse essere nascosta. Adorava il suo posto alla sbarra, quello che ormai aveva delineato da anni, seconda partendo da destra. Amava eseguire ogni posizione con calma, seguendo la dolce melodia dei brani classici che Hikari metteva su per la lezione. Amava provare balletti su balletti, amava indossare con tutta calma le sue fidate scarpette da punta e allacciarle con delicatezza e lentezza, estranea al mondo al di fuori di sé. Amava provare variazioni su variazioni, perché quando ballava si sentiva bene; libera, leggera, come i suoi sogni. Ed era bello sollevarsi su quelle vecchie scarpette logore, dal gesso ormai consumato, sentendosi a due metri dal cielo. Le piacevano gli sguardi di approvazione che le lanciava la sua insegnante nel vederla ballare, e in certo senso anche quelle un po’ invidiose di alcune delle sue compagne. Sapeva di avere un qualcosa in più rispetto alle altre, e non perché si sentisse superiore a loro tecnicamente, ma perché quando ballava era felice. Ogni volta che la musica partiva, inevitabilmente sulle sue labbra si delineava un adorabile sorrisetto, che le conferiva un aspetto sereno, quasi etereo nei momenti in cui volteggiava spensierata. Heiji glielo aveva fatto notare una volta, al termine di uno spettacolo.
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“Ti piace tanto, vero?” le aveva chiesto facendo riferimento alla danza, sorridendo sicuro. Kazuha si era limitata ad annuire, sollevando leggermente gli angoli della bocca.


“Si, è così. Da cosa l’hai capito?” gli aveva chiesto, curiosa. Heiji aveva sorriso furbamente, prima di rispondere con dolcezza.

“Dal modo in cui sorridevi mentre eri su quel palcoscenico …” aveva detto, e le guance di Kazuha si erano immediatamente imporporate di un adorabile sfumatura di rosso, che Heiji non aveva detto, ma aveva trovato meravigliosa.
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Suo padre l’aveva iscritta a danza quando aveva quattro anni. La scelta era stata dettata non dalla passione o dalla voglia di Kazuha di cominciare una nuova attività, ma da una necessità famigliare e come un aiuto per la piccola. La madre di Kazuha era infatti venuta a mancare solo un anno prima a causa di un brutto incidente d’auto, e nonostante il dolore, il signor Toyama credeva che la piccola bambina avesse bisogno di socializzare con qualche sua coetanea e di distrarsi un po’ da tutte quelle lacrime. Così l’aveva iscritta a danza. All’inizio Kazuha aveva odiato suo padre per quella scelta; detestava dover eseguire i duri esercizi che l’insegnante spiegava loro a lezione e le sue compagne non erano poi tanto simpatiche. Poi un giorno, aveva per caso visto alla televisione un balletto classico. Era “Coppelia”, se lo ricordava ancora. Si era innamorata di quel balletto, e aveva così cominciato a vedere la danza in modo diverso, con meno severità. Poi se ne era innamorata.

E così era arrivata a diciassette anni in punta di piedi, con un dolce sorriso stampato in volto. Aveva sempre amato la danza, ma non l’aveva mai vista come una costrizione, o un’ossessione. Era la sua passione, la amava, ma non credeva certo che l’avrebbe portata su quella strada buia. Non lo credeva. Ma poi era cambiato tutto.


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Verso inizio novembre, durante una delle lezioni con la signorina Hikari, era venuto a far loro visita il signor Tadaki. Il signor Tadaki era un uomo sulla trentina, dai tratti del viso belli ma indubbiamente falsi; dietro ai suoi modi di fare effeminati ed estremamente melliflui, si celavano tanta malignità e sadismo. Era un coreografo ed un ex ballerino piuttosto famoso, e il giorno in cui la signorina Hikari aveva annunciato loro che sarebbe venuto a farle visita e ad assistere ad una loro lezione, erano rimaste alquanto sorprese. Tutte le ragazze sembravano entusiaste che un talent scout del calibro del signor Tadaki venisse ad assistere ad una loro lezione, ma Kazuha non era stata molto convinta. Si sentiva strana, quasi spaventata dalla prospettiva di venir giudicata da un coreografo di tale livello. Per questo quando quel giorno, durante la lezione di classica era entrato mettendosi a scrutare una ad una le ragazze con occhio indagatore, si era sentita infastidita. Aveva poi chiesto ad ognuna di loro di eseguire un assolo, per poter mostrar lui le effettive capacità delle allieve e obbligatori miglioramenti. Oppure solo per guardarci il fondoschiena, le aveva sussurrato Sakura, sua compagna di lezione e grande amica. Kazuha aveva sorriso un poco, ma il sorriso era scomparso nel momento in cui era toccato a lei esibirsi dinanzi a quel pervertito. Si era esibita con una variazione di Esmeralda che conosceva alla perfezione, e la sua esecuzione era stata molto buona, giacché non aveva commesso alcun errore o altro. Dopo la lezione si erano spostate nello spogliatoio per cambiarsi, e nemmeno il tempo di entrare, che subito si era resa conto di aver dimenticato di nuovo lo scalda cuore in sala prove. Era una cosa che le capitava regolarmente e per la quale le sue compagne la prendevano sempre in giro: dopo ogni lezione, lei continua a danzare ancora per un po’ nella sua testa, e finché non ha rimesso i piedi per terra, non riesce a prestare attenzione alle futili cose materiali …

Era uscita dallo spogliatoio. Il salone si trova alla fine del corridoio, e se aveva sorpreso la conversazione della signorina Hikari e del Signor Tadaki, era stato più per eccesso di discrezione che per invadenza. Sapeva infatti che sarebbero stati intenti a discutere riguardo quanto avvenuto a lezione, e non aveva intenzione di disturbarli. Ma quando stava per oltrepassare la soglia, una frase l’aveva inchiodata sul posto e non aveva potuto fare a meno di ascoltare.

“Ha veramente un talento speciale.” Ha detto Hikari.

“ è vero” ha convenuto Tadaki.“Ha un collo del piede perfetto e si muove con grande fluidità. Perché non si è mai candidata per l’American Ballet?”

Vi era solo lo spessore della parete a separarli, e le parole le arrivarono senza ostacoli, attraverso la porta aperta. Kazuha si sentì arrossire, inconsciamente. Di chi stavano parlando?

“Forse ha paura della lontanaza.”ha ipotizzato Hikari. “Frequentare l’American Ballet significa trasferirsi a New York, in un altro paese, addirittura continente. Non è una decisione che le famiglie prendono volentieri.”

“è un peccato. Quella ragazza ha un vero potenziale e, anche se le tue lezioni sono di altissimo livello,, avrebbe tutto da guadagnare a danzare con ballerini al suo pari.”

“Lo so, ma i suoi genitori non sono d’accordo.”

“Ha provato a convincerli?”

“No. L’avrei fatto, ma Utako non vuole.”

Utako! Certo,Utako! Era ovvio che stessero parlando della ragazza dai tratti slavi e dal fisico perfetto, la regina delle nevi, come la chiamavano tutti. Quella ragazza era eccezionale, era scontato fosse lei l’oggetto dei loro discorsi. Si sentì una stupida nel aver pensato anche solo per un minuto di essere lei la tanto elogiata ballerina. Decisa a mettere fine a quel momento, perché origliare era una cosa che lei odiava,prese un profondo respiro, raddrizzando la schiena e preparandosi ad entrare chiedendo scusa per l’interruzione e recuperare il golfino. Ma non ebbe il tempo di muoversi.

“E Kazuha?” ha proseguito Hikari. “Cosa ne pensa di lei?”

“Kazuha?”

“Si, alla sbarra era la seconda dopo Utako. Ha un sorriso meraviglioso mentre danza.”

“Ah si, ho capito di chi stai parlando. È vero,ha un bel sorriso, ma finisce lì! Un bel sorriso. Ha le gambe corte e almeno cinque chili di troppo sul sedere: è questo che le impedisce di muoversi correttamente.”

“Lei è troppo duro!” ha esclamato Hikari.“è vero, Kazuha ha delle forme piuttosto prosperose, ma ha un’ottima tecnica e un’interpretazione e una mimica incredibile quando balla.”

Allora Tadaki  fece una risatina ambigua, sinistra. Derisoria.

“Non sono duro. Esigente e perfezionista si, ma duro no!Come studentessa di liceo quella ragazza va benissimo, ma come ballerina è troppo grassa. La forma fisica prevale sulla tecnica o sul piacere di danzare, non puoi sostenere il contrario. Chiaramente a lei non lo direi mai, ma non vedo perché dovrei nascondere a te quello che penso.”
Ogni parola era stata una pugnalata. Kazuha barcollò all’indietro, alla disperata ricerca di un po’ d’aria che non raggiungeva più i suoi polmoni, finché non era inciampata in una sedia e vi si era lasciata cadere. Lo sapete cosa prova un uccello colpito dagli spari del cacciatore, quando il suo corpo trafitto da mille ferite non gli risponde più, quando le sue piume strappate dai pallini volteggiano in aria intorno a lui, quando le sue ali spezzate penzolano giù, ormai inutili?
Soffre.
Soffre e cade a terra.
 
Quella stessa sera rientrò a casa sua barcollando, ancora sconvolta. Resasi conto che suo padre non fosse ancora rientrato, si chiuse in camera sua, spogliandosi e rimanendo solo in mutandine e reggiseno. Si posizionò davanti al grande specchio in camera sua, rimirando la propria figura.
Il viso: aveva un viso bello, dai tratti delicati, di una dolcezza eterea. Gli occhi erano verdi, grandi e profondi, da potersi specchiare in essi. I capelli color cioccolato erano alquanto comuni, non erano speciali, ma aveva notato che legandoli nella sua classica coda alta, lasciando alcuni ciuffi sparsi sulla fronte, la sua figura otteneva un che di speciale, un misto tra una diligente studentessa e una ragazza un po’ selvaggia. Heiji le aveva detto una volta che sembrava quasi una bambina, con quegli occhioni enormi e quel fiocco colorato tra i capelli. Sapeva che era un complimento, e ripensandovi, arrossì un poco, come accadeva ogni volta che l’immagine di Heiji passava nella sua testa.
Passò al busto, non notando nulla di cui vergognarsi; la pancia piatta, la pelle diafana e delicata, il seno prosperoso ma non ingombrante per una ballerina. Tutto perfetto.
Guardando più in giù … fece una smorfia. Iniziavano le note dolenti. Avvolse un metro alla vita e guardò il numero che risultava. Le sue misure erano più che normali, certo non erano perfette, ma non erano nemmeno un disastro!
Ancora più in giù, poi … nella famiglia Toyama le donne sono robuste. Questo conferiva loro un certo fascino, una mescolanza di femminilità e rusticità, che pur mancando di erotismo, le caratterizza per … poche balle! Ho il sedere grosso. Impossibile sostenere il contrario, pensò. Palpò quella massa colpevole. Voluminosa, ma soda. Scosse la testa. Sarebbe più giusto dire “pienotta” o “cicciottella”. Un borbottio sommesso proveniente dal suo stomaco la destò da quei pensieri, costringendola a lanciare uno sguardo all’orologio. Le 21,30. Avrebbe dovuto fare cena, ma … strinse i pugni con foga, decisa; era troppo grassa? Bene, sarebbe dimagrita! Pensò, infilandosi la camicia da notte e scivolando sotto le coperte. Per quella sera, il suo stomaco avrebbe fatto a meno della cena.


Nota autrice:
E nonostante abbia una long in corso nella sezione di Dragon Ball, da brava masochista quale sono, cominciò una storia a capitoli anche in questo fandom. Lo so, sono pazza. Ma, anche se non trovo praticamente mai il tempo di aggiornare, ho comunque deciso di provare questo “esperimento” e di buttarmi in una nuova avventura … ah povera me, la vedo male …  By the way, vorrei fare alcune precisazioni su questa nuova storia. Allora, personalmente pratico danza classica da ormai undici anni, ed è una delle mie passioni più grandi. Tempo fa leggevo in Internet un articolo riguardo ballerine che per colpa di questa meravigliosa arte soffrono di problemi alimentari. È così, purtroppo. Per quanto stupenda questa attività sia, alle volte può davvero compromettere la salute di coloro che la praticano. Il mondo della danza può purtroppo diventare il regno dell’apparenza, dove non si sfugge ai severi canoni della perfezione fisica: la snellezza del corpo, le forme longilinee, le linee pulite. Spesso alcune ballerine vengono travolte dal fantasma della perfezione, si scoprono disposte a pagare qualsiasi prezzo pur di diventare leggere, eteree, fino a perdersi tra i sentieri chiaroscuri dei loro stessi sogni. Sia chiaro, fortunatamente non è questo il mio caso (anche se a volte la pena del peso ha sfiorato anche me, lo devo ammettere), e mi era venuta in mente una mezza idea in cui Kazuha pratica danza classica e viene travolta anche lei da questo fantasma della perfezione fisica. Poi una mia amica, grande fan di Demi Lovato, mi ha fatto ascoltare alcune sue canzoni ( non so se conoscete la storia di Demi, non sono una sua fan ma la ammiro molto per aver superato tutto quello che ha passato) e mi sono decisa a buttarmi in questa nuova avventura. Questo era il primo capitolo, come avete notato si delinea già da subito la situazione iniziale di Kazuha. Qui non ho usato specifici termini della danza (a parte pece, che poi spiegherò qui sotto) ma probabilmente dai prossimi capitoli compariranno alcuni nomi che alle non ballerine non risulteranno forse chiari … in ogni caso, don’t worry, inserirò personalmente noti esplicative a fine capitolo. ;)E niente, credo di aver detto tutto. So che con questa storia tratterò un tema alquanto delicato e spero di riuscire a farlo nella miglior maniera possibile, senza offendere la sensibilità di nessuno … se così dovesse avvenire, mi scuso profondamente già da ora.  Vi chiedo inoltre già da ora perdono se non riuscirò ad aggiornare con regolarità, ma purtroppo il tempo per scrivere sta diventando davvero poco … io ci proverò in ogni caso. ;)
Al prossimo capitolo!
TWOTS

*Pece:Noi la chiamiamo pece, ma si chiama pece greca o colofonia, è una resina vegetale, gialla solida, trasparente, residuo della distillazione delle trementine (resine di conifere). 
Si presenta in pezzi di color ambra, con le punte la schiacciamo e inizia a diventare polvere biancastra. Ha un odore di pino, appunto di resina degli alberi.  serve per non scivolare mentre balliamo, non solo con le punte ma anche con le mezze, è abbastanza appiccicosa.

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Capitolo 2
*** Il "Quasi Primo Chilo" ... ***


Un debole raggio di sole si infiltrò con prepotenza dalle persiane socchiuse, illuminando di una tenue luce la delicata camera da letto. Un getto di luce più forte si scontrò con un viso di porcellana, destando l’angelo a cui il volto apparteneva. Kazuha mugolò qualcosa di indefinito, alzandosi a sedere infastidita dal risveglio. Si passo le dita sottili sulle palpebre ancora chiuse, stropicciandole con forza prima di aprire con lentezza gli occhi. Le sue iridi smeraldine appannate dal sonno impiegarono qualche attimo per mettere a fuoco l’ambiente circostante, ma quando ebbero appurato che quella che la circondava altro non era che la sua stanza, un senso di tranquillità avvolse il suo animo. Il suo sonno era stato alquanto disturbato, dire che aveva faticato ad addormentarsi sarebbe un eufemismo. Sentì le palpebre abbassarsi con lentezza, quando un brontolio sommesso giunse alle sue orecchie, come a volerla richiamare da quel gesto d’abbandono. Abbassò lo sguardo, puntandolo verso il ventre che reclamava nutrimento. Dalla notte precedente non aveva ancora toccato cibo, ed andava bene, perché doveva dimagrire. Ma adesso non poteva di certo cedere alle tentazioni del palato, altrimenti lo sforzo della sera precedente non sarebbe valso a nulla. Prese un respiro profondo, ignorando bellamente i gemiti di pietà del suo stomaco. Poi, con un balzo felino, scese dal comodo letto, avvicinandosi alla armadio e aprendolo. Restò qualche secondo davanti l’immagine che lo specchio le proponeva, percependo quasi, assurdamente, di aver già perso peso. Era assurdo, non era possibile. Ma chi meglio avrebbe potuto dirle ciò, se non la bilancia? Era ormai a pochi passi dall’aprire la porta del bagno, quando, un’occhiata noncurante lanciata all’orologio da parete, le ricordò che era già nettamente in ritardo per la scuola. Si vestì in fretta, indossando la divisa scolastica, lanciando di tanto in tanto occhiate fugaci alla porta serrata del bagno in camera sua. Poi, dopo aver legato i capelli nella solita coda e recuperato la sua cartella scolastica, lanciò un ultimo sguardo alla porta, annuendo con severità. Si sarebbe pesata quella sera, al suo ritorno. La sfida con la bilancia era per ora rimandata.
 
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“ … Così ho detto: “il mio nome è Heiji Hattori. E sono il più grande detective dell’Ovest, e .. Kazuha, mi stai ascoltando?”
Kazuha alzò di colpo lo sguardo dal terreno, colta di sprovvista.

“Eh? Dicevi?” chiese spesata, come appena riemersa da uno stato di trance nel quale, era effettivamente caduta. Heiji la guardò storto, aggrottando le sopracciglia preoccupato.

“Ti stavo raccontando di quel caso che ho risolto ieri, ma a quanto pare non ti interessa molto.” Kazuha fece un cenno di diniego con il capo, sorridendo dispiaciuta.

“Scusa, è colpa mia. Ero solo un po’ sovrappensiero.” Disse, cercando negli occhi di Heiji un perdono alla sua mancanza. Heiji distese un poco i tratti del viso, senza però smettere di fissarla con una certa serietà.

“Tranquilla, non preoccuparti. Però sei strana oggi.” Disse diretto senza tanti giri di parole. Kazuha si sentì avvampare, preoccupandosi; che voleva dire?

“S- Strana? In che senso, scusa?” chiese timorosa. Heiji si portò le braccia dietro la nuca, alzando gli occhi verso l’alto e senza smettere di camminare per le vie affollate di Osaka.

“Nel senso che sei strana. A lezione eri distratta, ti perdevi continuamente. E poi a pranzo non hai mangiato nulla.” Rispose serio, voltando il capo per guardarla. Cercò di frugare all’interno delle iridi smeraldine della sua migliore amica, alla ricerca di una qualche risposta. Ma Kazuha prontamente spostò lo sguardo altrove, rivolgendolo al terreno del marciapiede che si susseguiva sotto i suoi piedi.

“Stanotte ho dormito poco, colpa del raffreddore, perciò stamattina avevo sonno. E poi prima di uscire di casa ho fatto una colazione molto abbondante, non avevo molta fame prima.” Rispose, mordendosi il labbro inferiore, mentendo, perché in realtà quella mattina non aveva toccato cibo. Heiji continuò a scrutare il suo viso abbassato per diversi secondi, prima di capitolare. Infondo sapeva quanto Kazuha fosse lunatica alle volte, non c’era nulla di strano.

“Sarà come dici tu, ma non sono molto convinto …” disse però, senza nascondere il suo dubbio. Kazuha sobbalzò, cercando di convincere Heiji che non ci fosse affatto alcun problema.

“Heiji è la verità, non ho niente, sto benissimo.” Ripeté seria, sperando che ciò bastasse a convincere il detective dell’Ovest. Heiji sbuffò, poco convinto.

"Va bene, ho capito. Senti, cambiando argomento, oggi hai lezione di danza?” chiese a bruciapelo. Kazuha sobbalzò per l’ennesima volta, prima di annuire con celerità.

“Si, alle 16,00 ma credo resterò un po’ di più. Devo provare alcuni balletti con Hikari.” Disse, mentendo nuovamente, perché in realtà aveva deciso che sarebbe rimasta a provare da sola, fino a che le gambe l’avrebbero sostenuta. Doveva diventare migliore.

“Oh, capisco. Posso chiamarti- non so, verso che ora finisci- stasera?” le chiese. Normalmente a quelle richieste diventate ormai un’abitudine Kazuha arrossiva impercettibilmente, accettando sempre entusiasta ed attendendo la fine della giornata solo per sentire il suo telefono squillare e per legger quel”Heiji” sullo schermo del display. Ma stava cambiando tutto, e senza nemmeno rendersene conto, Kazuha si ritrovò a liquidare il suo migliore amico con tono piatto e freddo.

“Non credo ti convenga, dovresti restare sveglio fino a tardi. È meglio che tu vada a dormire, non avrebbe senso aspettarmi.” Disse con tono diretto, eppure nelle sue corde vocali registrò un leggero tremolio. Aveva scostato lo sguardo, ma riuscì comunque a percepire l’espressione di sconcerto mista a delusione che si era generata nel volto di Heiji.

“Ma …”

“Tranquillo, fidati. Ci vediamo domani.” Lo interruppe nuovamente, essendosi accorta di aver raggiunto ormai la sua dimora. Si affrettò ad entrare in casa, correndo senza voltarsi, lasciandosi alle spalle un Heiji alquanto confuso e deluso. Non avrebbe mai voluto comportarsi così, ma non aveva avuto scelta; Heiji avrebbe potuto capire cosa era avvenuto il giorno precedente, e non aveva proprio voglia di sentire una ramanzina sul fatto che non avesse toccato cibo. È stato solo per un giorno, pensò. Solo un giorno, si ripeté, chiudendosi il portone di casa alle spalle. Come era successo allora che quel giorno fosse divenuto poi settimane, mesi e infine quasi un anno?
 
 
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“Kazuha! Tieni in dentro il sedere!” il comando era stato sferzante, urlato con lo stesso tono con cui, qualche secondo prima, Hikari aveva rimproverato Utako per la posizione del braccio o Sakura per il collo infossato nelle spalle. Quella critica o un’altra equivalente l’aveva già sentita mille volte, ma mai, fino a quel momento, era riuscita a coprire la musica e offuscare il suo piacere di danzare. L’impatto di quelle parole su Kazuha fu quasi fisico e il dolore che hanno prodotto concreto. Trasalì, sbagliando un battu, incasinandosi con il passo successivo e non riuscendo più a prendere il ritmo. Il suo equilibrio si era incrinato.
 
“Ricominciamo tutto da capo, ragazze!”

Hikari spense lo stereo e si piazzò di fronte a loro. Di fronte a lei.

“Che succede, Kazuha? Conosci questa sequenza di passi alla perfezione. Concentrati, per la miseria! Glissade,saut de chat, detournè, sissone, assemblè! E cerca di essere leggera, leggera, leggera …”
 
Kazuha rimase interdetta. Si stava forse sbagliando, o lo sguardo di Hikari indugiava sui suoi fianchi? Se l’era solo immaginata quella smorfia di vago rimprovero che si era disegnata sul viso della sua insegnante? Il signor Tadaki l’aveva convinta che era una cicciona buona a nulla? Prima che potesse porsi altre domande, Hikari fece una mezza piroetta e gli accordi di Coppelia invasero la sala.

“Ai vostri posti. Cinque , sei, sette, otto …”
Lasciandosi trasportare dalla musica, si mise a danzare, tentando di ritrovare quell’armonia benefica che l’aveva sostenuta fino ad allora.
Non ha funzionato.
Per la prima volta da anni, la magia non aveva effetto, l’incantesimo si era rotto. Il cielo la richiamava ancora a sé, ma il suo corpo era inchiodato a terra.
Non era più un uccello.
 
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Quella sera tornò a casa verso le 23,00, stremata. Era stanca e aveva fame, ma mai l’avrebbe ammesso. Perciò quando, aperta la porta di casa si era trovata davanti lo sguardo preoccupato e allo stesso tempo sollevato di suo padre, aveva sorriso radiosamente, come sempre.

“Sono rimasta a provare alcuni balletti alla scuola … scusa se non ti ho avvisato, me ne ero dimenticata …” aveva detto, prima di fiondarsi in camera, dopo aver augurato la buonanotte al genitore. Suo padre l’aveva guardata leggermente irritato, ma non aveva detto nulla, perdonando così quella mancanza.

“Buonanotte, tesoro …” aveva detto solamente con tranquillità, guardando sua figlia salire con celerità le scale che portavano al piano superiore e fiondarsi in camera da letto. Sembrava non essersi accorto di nulla. In fondo, cosa c’era da sapere? Non mangiava solo da un giorno. Basta, niente più …
 
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Con un gesto meccanico salì sulla bilancia ultrapiatta che troneggiava in bella evidenza davanti al portasciugamani del bagno. Il numero che era apparso le aveva fatto aggrottare le sopracciglia, perciò scese, ripetendo l’operazione dopo pochi secondi. Il cursore digitale esitò un po’ prima di ritornare a zero ma, dopo qualche secondo, lo stesso numero di chili di prima si visualizzò in verde, strappandole un sorriso stupefatto.
In un giorno aveva perso novecento grammi.
Quasi un chilo!
 

Nota autrice:
Good morning, my dears! Scusate, ma sono tornata poco fa dalla lezione di inglese e ho ancora lo spirito British nelle vene … comunque, passando alla storia, come avete notato siamo al secondo capitolo. Il primo giorno di “dieta” di Kazuha, il quasi primo chilo perso.  Se vi state chiedendo come sia possibile che Kazuha non mangi assolutamente nulla, vi fermo subito, rassicurandovi; dai prossimi capitoli infatti, la nostra ballerina metterà qualcosa sotto i denti (molto poco), ma sarà per non destare sospetti e … vabè, non voglio anticiparvi nulla. Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto, sono quasi timorosa nello scrivere questa storia, ho sempre paura di sbagliare nel trattare l’argomento. Spero bene. ;) Al prossimo capitolo!
Baci
TWOTS

PS: ah, dato che domenica parto per la montagna (finalmente, un po’ di sci *-*) in questo periodo non credo di riuscire ad aggiornare … non so, i miracoli possono sempre accadere, ma dovendo anche occuparmi del nuovo capitolo per l’altra long, temo che dobbiate aspettare un po’ per il prossimo capitolo …

Glissade,saut de chat, detournè, sissone, assemblè, battu: Termini specifici di passi e posizioni della danza. Non sono in grado di spiegarveli così a parole, e non potendo mostrarveli, non so come spiegarvi bene in cosa consistano … perdonatemi. In ogni caso, posso dirvi che sono passi e posizioni che si eseguono solitamente alla sbarra, con o senza punte.  ;)

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Capitolo 3
*** Lonely ***


“Dopo mi sono seduta in cortile, su una panchina al sole,
e ho consacrato tutta la mia intelligenza a rispondere a questa domanda:
 abbiamo bisogno degli altri per essere felici?
Non ho trovato la risposta.”
 

La mattina seguente, prima di andare a fare colazione, Kazuha fece una deviazione veloce verso il bagno. La bilancia la aspettava, sonnacchiosa, al suo posto, e le strizzava affettuosamente il suo unico occhio verde per convincerla che poteva fidarsi di lei. Si tolse le pantofole e la vestaglia, mettendo poi il piede sulla superficie leggermente granulosa di quella che stava per diventare la sua migliore amica.

Un chilo e due! Un chilo virgola due! Milleduecento grammi!

Aveva continuato a perdere peso mentre dormiva. Pensò di non essere mai stata più vicina a credere in un segno del destino, e con un sorriso entusiasta uscì dal bagno, andandosi a cambiare.

La colazione era l’unico pasto che lei e suo padre condividevano insieme. Troppo impegnato con il suo lavoro lui per poter tornare a casa per il pranzo o per cenare insieme secondo i canoni orari. Kazuha non se ne era mai rammaricata troppo infondo, e cercava di far tesoro di quei dieci minuti ogni mattina come se fossero la cosa più preziosa al mondo. Si sedette di fronte suo padre, osservando impassibile la tavola riccamente apparecchiata. Adorava i toast con il miele e la marmellata, e la domenica, quando suo padre le faceva trovare i pancake appena fatti come sorpresa, un gridolino di gioia le saliva spontaneo dalle corde vocali. Ma quella mattina no. Kazuha osservò il pane fresco e di cui solo un paio di fettine erano state tagliate, spostando poi lo sguardo sul vasetto di marmellata ai frutti di bosco, la sua preferita. Stava quasi per afferrare il vaso di vetro quando l’occhio ammiccante della bilancia le ricordò quel chilo e due già perso, quei milleduecento grammi spariti dal suo corpo. Allora i sui occhi smeraldini si adombrarono di decisione, spostando quindi lo sguardo dal pane e concentrandosi su una tazza di latte e cereali. Si sarebbe limitata a quello come colazione, bastava. Suo padre non si accorse di nulla. Era troppo impegnato a leggere il giornale per accorgersi che sua figlia avesse perso un chilo e due in due soli giorni.

Aoko quella mattina è arrivata in ritardo. Era una sua compagna di classe piuttosto simpatica, dal carattere allegro ed esuberante. Erano tutti convinti che fosse malata quando ad un tratto la porta dell’aula si è
spalancata, e i capelli biondi di Aoko hanno fatto capolinea dallo stipite in legno rovinato. Si è scusata con un garbo incredibile e il suo sorriso meraviglioso le è valso la benevolenza del prof d’inglese, che ha fatto cadere nel dimenticatoio ogni proverbiale rimprovero. Un tipo grasso e piccoletto che fosse arrivato in ritardo tutto sudato o un’imbranata qualsiasi che avesse biascicato due mezze parole si sarebbero di certo visti riprendere, ma non Aoko. Il professor Sasami era un uomo irreprensibile che Kazha apprezzava e non si era sicuramente reso conto di essere stato imparziale. È colpa sua se è sensibile al fascino femminile?
Kazuha osservò Aoko correre al proprio posto e studiando quel sorrisetto ancora impresso sul suo volto un enorme malessere e un senso di disprezzo la colsero, come mai le era capitato nei confronti di quella ragazza.

Viviamo in un mondo dove l’apparenza è sovrana. Tanto peggio per quelli che sono belli dentro. Altrimenti come ci si spiega che un professionista qual è il signor Tadaki si sia focalizzato sul suo sedere e non sul piacere che prova mentre balla? Pensò tra sé Kazuha, stringendo i pugni. Poi Heiji le aveva chiesto se potevano condividere il libro d’inglese insieme, dal momento che lui lo aveva scordato a casa. Allora Kazuha sorrise piano, facendo sì col capo e cominciando a seguire la lezione, cercando di dimenticarsi del signor Tadaki, di Aoko e di quell’odioso sorrisetto da conquistatrice.
 

Dopo il liceo andò alla scuola di danza. Mentre si infilava le calze rosa e il body nero, aveva lanciato una sguardo alla propria silhouette nello specchio degli spogliatoi.
Piccola parentesi: gli specchi nella sala da ballo sono assolutamente indispensabili, ma negli spogliatoi? Non si trovano forse lì unicamente per ricordare a noi, future donne, che l’apparire è la nostra funzione primaria?  Per spingerci a conformarci al modello definito dalla moda e fissato dagli ideali dei coreografi? Pensò tra sé Kazuha, con un sorriso amaro.

Specchi che servono solo a riflettere i nostri desideri e le nostre fragilità …

Si era quindi esaminata e ciò che aveva visto le strappò un sorriso soddisfatto. Era lontana dall’essere magra, anche “snella” era ancora una parola un po’ forte, ma era incontestabile che si fosse assottigliata in alcuni punti. Le altre ragazze saranno pure state più slanciate di lei e di parecchio, però era ancora in piena metamorfosi, non ancora farfalla ma neppure più bruco.
 

Durante la lezione aveva ballato con la solita passione e Hikari non le aveva fatto osservazioni scortesi, eppure non era completamente soddisfatta. Si rendeva perfettamente conto che la sensazione di armonia e levità che l’aveva appagata per tanto tempo mentre danzava era ora solo un pallido riflesso di ciò che avrebbe potuto provare davvero. Liberato dai suoi primi chili superflui, il suo corpo rispondeva con maggiore potenza alle sollecitazioni della mente. Saltò meglio e più in alto di quanto avesse mai fatto, piroettò senza sforzo, prese rincorse audaci, ma questo era solo l’inizio. Il bello doveva ancora venire.
Se si fosse davvero alleggerita, se fosse diventata così forte che niente avrebbe più potuto ferirla, allora sì che avrebbe potuto davvero danzare, pensò tra se con un sorriso vittorioso. E ci credeva davvero.
 

Quella sera a cena mangiò. Aveva preparato del salmone al forno, come piaceva a suo padre, nella speranza di poter cenare insieme a lui. In attesa che arrivasse aveva cominciato a spizzicare il pesce, mangiandone qualche boccone di malavoglia. Sapeva che non poteva di certo non mangiare più, perciò costrinse il suo stomaco a mandare già dieci bocconi di delizioso salmone. Poi aveva lanciato uno sguardo veloce all’orologio, constatando che fossero le dieci passate e suo padre non era ancora rientrato in casa. Sbuffò tristemente, allontanando il piatto con un gesto stanco, spingendolo sulla liscia superficie del tavolo apparecchiato per due. Fissò allora il piatto impeccabilmente pulito e la porzione di pesce di suo padre ancora perfettamente intatta, sentendosi tremendamente sola. Avrebbe voluto chiamare Heiji, giusto per sentire la sua voce, giusto per ricordare a sé stessa che qualcuno c’era sempre e che non doveva buttarsi giù di morale. Ma poi si ricordò che quella sera Heiji aveva gli allenamenti di kendo fino a tardi, perciò non le avrebbe di certo risposto prima delle 23,30, e lei a quell’ora contava di essere già sprofondata sotto le coperte. Si alzò allora da tavola con un profondo sospiro, mettendo il suo piatto sporco all’interno del lavandino e lasciando apparecchiato per suo padre. Si avvicinò alla porta della cucina, osservando un’ultima volta la triste scena di un solitario posto a tavola e di un pezzo di salmone arrosto. Appoggiandosi allo stipite della porta spense allora la luce, uscendo di fretta dalla cucina. E mentre con lentezza saliva le scale, diretta verso la sua stanza, o meglio verso l’occhio ciclopico della bilancia che la attendeva in bagno, si chiese mestamente se abbiamo davvero bisogno di qualcun altro per essere felici. Verso le dieci e trenta si infilò a letto senza udire alcun rumore al piano inferiore, segno che suo padre era ancora fuori in centrale. Si strinse alle coperte con tutta la forza che possedeva, ficcando la testa sotto il cuscino, come faceva da bambina quando aveva paura del buio. Che in realtà così era ancora più buio, ma era un buio piacevole quello, perché almeno nessuno avrebbe potuto vedere la sua espressione triste e le sue lacrime. Chiuse allora gli occhi, aspettando che Morfeo la catturasse tra le sue braccia, delusa da se stessa.

Non aveva trovato la risposta
.
 

Nota autrice:
Eh si, sono viva, tranquilli! Ahhh, ce l’ho fatta ad aggiornare questa storia, alleluia! *parte Hallelujah di Leonard Cohen in sottofondo* Ehm ehm, tornando seri, non ho molto da dirvi riguardo questo capitolo, anche perché vado un po’ di fretta, perciò non mi dilungo più di tanto! ;) Spero che il capitolo vi sia piaciuto, scusate la mia assenza … spero di essere riuscita a farmi perdonare. ;)
Alla prossima!
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