The Beauty and the Beast

di fanny_rimes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Segreto ***
Capitolo 3: *** Promessa ***



Capitolo 1
*** Incontro ***


Pacchetto scelto: Strada
- Genere o sottogenere: soprannaturale o thriller o introspettivo 
- Azione: nascondersi
- Oggetto: macchina
- Immagine:http://s681.photobucket.com/user/Jens_wall/media/Rain/dark_and_foggy_streetjpg.jpg.html
- Citazione: “l’oscurità è un ottimo posto in cui nascondersi”






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Incontro




Chicago, 1930
Damon stava sorseggiando tranquillamente il suo Bourbon, quando qualcosa attirò la sua attenzione: qualcosa con lunghi capelli bruni elegantemente raccolti sulla nuca scoperta, un viso piccolo dalla pelle olivastra e occhi coloro cioccolato che ammiccarono con malizia nella sua direzione, convincendolo ad abbandonare il suo whisky per avvicinarsi al piccolo tavolino in ferro a cui la ragazza era seduta.
Indossava un abito bianco che lasciava molto poco all'immaginazione e con la punta delle dita — fasciate da lunghi guanti candidi — giocherellava distrattamente con le perle che portava al collo.
«Una donna come te non dovrebbe starsene qui tutta sola» disse, non appena le fu abbastanza vicino da far sì che la sua voce fosse udibile al di 
sopra delle note del sax che riempivano la stanza.
«E immagino che tu stia per mettere fine a questa mancanza» rispose, accavallando le gambe con fare disinvolto e mostrando con fin troppa audacia che la lunghezza della sua gonna era poco consona alle leggi in vigore in città. Dopotutto, il solo fatto che si trovasse in quel club clandestino stava a dimostrare la sua scarsa attitudine a rispettare le regole.
Un cameriere passò loro accanto reggendo un vassoio e Damon afferrò due calici di champagne prima di accomodarsi accanto a lei.
«Mi sembra solo assurdo che una donna così bella non abbia un'orda di uomini al seguito.»
La giovane piegò le labbra in un sorriso seducente, poi prese un sorso dal bicchiere. «Forse stavo solo aspettando l'uomo giusto a farmi compagnia, signor...»
«Salvatore. Damon Salvatore.»
La donna si portò di nuovo il bicchiere alle labbra.
«Posso sapere anch'io il tuo nome?»
«Mi chiamo Katherine.»


«Sono lì dentro da ore.» Rebekah azionò il grammofono, tentando di coprire il coro di gemiti e cigolii provenienti dal piano di sopra.
«Gelosa?» commentò suo fratello, senza preoccuparsi di nascondere il divertimento nella sua voce.
«Non essere villano, Niklaus» s'intromise il maggiore. «Nostra sorella ha ragione.» Si alzò dal divano, lisciando una piega invisibile sul suo abito dal taglio perfetto. «È ora che quella ragazza lasci questa casa, non possiamo permetterci di attirare troppa attenzione, e Damon si sta lasciando dietro una scia di cadaveri che potrebbe destare sospetti. Inoltre, non sono d'accordo sul fatto che porti in casa nostra le sue donne.»
Rebekah lanciò un'occhiata di riconoscimento ad Elijah e un'altra carica di disprezzo all'altro fratello, che proruppe in una sonora risata. «Oh, andiamo. A quanto pare il proibizionismo vi ha resi più moralisti di quel che ricordavo.» Si avvicinò al mobile bar su un lato della stanza per versarsi da bere. «Dopotutto, Damon è un amico. E le persone dovrebbero essere contente quando i loro amici si divertono.»
In quel momento, un tonfo sordo, seguito da un fracasso assordante, si udì dal piano di sopra.
Nessuno dei tre ebbe il tempo di fare un solo passo, che scorsero la figura di Damon rotolare dalle scale e fermarsi gemente al centro della stanza.
«Tu, insignificante vampiro, volevi usare la compulsione per sbarazzarti di me.» La donna in cima alle scale aveva gli occhi iniettati di sangue: i capelli scuri fluttuavano nell'aria come scompigliati da un vento invisibile.
Rebekah scorse con disgusto i chiari segni rossi lasciati dai denti del vampiro sul suo petto, sul collo e sui polsi e si costrinse a non immaginare su quale altra parte del corpo lui l'avesse morsa.
«In realtà, la mia idea iniziale prevedeva di dissanguarti a morte, ma Elijah non è d'accordo con l'idea di disseminare cadaveri per la casa» fu la risposta beffarda del bruno, che tentò di alzarsi dal pavimento con uno scatto.
La donna sollevò appena una mano e una nuova forza lo immobilizzò a terra.
«Qualcuno vuole darmi una mano?» imprecò tra i denti.
«Hai portato una strega a casa nostra e ora chiedi il nostro aiuto? Be', credo che tu te la sia cercata.» La voce di Rebekah si alzò di qualche tono, mentre faceva ripartire il grammofono con la chiara intenzione di non intervenire.
«Mi spiace, Barbie, non avevo idea che fosse una strega, altrimenti l'avrei mollata con più gentilezza» replicò piccato.
La rabbia della strega esplose in tutta la sua furia, sollevando una violenta raffica che distrusse gran parte dell'arredamento.
«Brutta stronza» gridò la vampira, muovendosi per attaccare mentre il suo prezioso disco finiva in mille pezzi, ma venne sbalzata all'indietro, sbattendo violentemente contro la parete alle sue spalle.
«Bene, bene, bene» disse la donna, avvicinandosi di qualche passo al vampiro. «Mi conquisti col tuo fascino da cattivo ragazzo, poi mi porti qui e, dopo esserti divertito tutta la notte, cerchi di scaricarmi usando la compulsione.»
Damon fece una smorfia tentando nuovamente di rimettersi in piedi, ma senza successo. «Innanzitutto, credo tu ti sia divertita tanto quanto me» rispose con un ghigno. «Inoltre, la compulsione avrebbe funzionato benissimo se tu non fossi stata una strega.» Damon emise un verso seccato.
«Dal momento che non sembri affatto pentito della cosa, ho deciso che meriti una punizione.»
«Io credo che tu abbia già fatto abbastanza» s'intromise Klaus, guardando furioso il corpo della sorella accasciato contro la parete.
La strega non si scompose. Gettò un'occhiata di disprezzo ai due originali e riprese a parlare: «Non vi consiglio di intervenire.»
«Spiacente, strega» commentò l'ibrido. «Ma non credo di aver bisogno dei tuoi consigli.» Scattò verso la donna, ma un violento dolore alla testa lo costrinse ad accasciarsi al suolo. Si strinse la testa tra le mani, urlando, mentre la vista si annebbiava e le forze venivano meno.
«Io non ci proverei» aggiunse la strega rivolta all'altro fratello che si era appena mosso verso di lei, prima di tornare a voltarsi verso Damon.
«Tu credi che le donne abbiano come unico scopo quello di soddisfarti, pensi di essere irresistibile e di avere il diritto di trattarci esclusivamente come fonte di cibo e di piacere.» Fece una pausa, arricciando le labbra come se stesse rincorrendo un pensiero e, subito dopo, sorrise compiaciuta. «Ed è per questo che la tua maledizione riguarderà proprio una donna. Il tuo cuore arido è ciò che ti ha condotto a questa situazione ed è per questo che, per rompere l'incantesimo, il tuo cuore dovrà imparare ad amare.»
Damon emise un verso derisorio. «Amare? Sul serio?»
«Oh, credimi, quella sarà la parte meno difficile. Per spezzare l'incantesimo, dovrai anche fare in modo che la ragazza di cui ti innamorerai, si innamori a sua volta di te.»
«Be', spero che la tua maledizione abbia una scadenza a lungo termine» commentò l'altro.
La figura della strega fu avvolta da una nuova folata di vento e, quando parlò, la sua voce risuonò distorta alle loro orecchie. «Ti concedo cento anni per trovare qualcuno che ti ami, prima che l'albero lasci cadere i suoi fiori.» Sul lucido pavimento di legno comparve la sagoma di un'enorme e rigogliosa quercia. «Quando tutti i fiori saranno caduti, il tuo tempo scadrà. Non potrai lasciare questa casa, finché le parole "ti amo" non ti libereranno dall'incantesimo.»
«Be', amico, spero per te che tu sappia sfruttare alla svelta il tuo fascino» commentò l'ibrido. «Perché non passerò qui i prossimi cento anni.»
Ma la strega non aveva ancora terminato. «Nessuno di voi potrà uscire di qui» aggiunse. «Avrete una quantità di sangue sufficiente a sopravvivere per i prossimi cento anni. Trascorso questo lasso di tempo... be', sapete cosa succede ad un vampiro che smette di nutrirsi, vero?» commentò con un sorrisetto malvagio che le deformò i tratti del volto.
Stavolta fu Elijah a scattare verso la donna, ma non appena la sua mano la sfiorò, un turbine di vento scaturì dalle sue mani, scaraventandolo dall'altra parte della stanza.
«Anzi» proseguì la donna. «Voglio rendere le cose ancora più divertenti.» Il tono della sua voce cambiò ancora. «Umani, vampiri, licantropi o streghe non riusciranno a vedere questa casa. Sarete invisibili agli occhi delle altre creature.»
Stavolta una nota di panico si avvertì nella voce di Damon. «Tu sei pazza. Come faremo a spezzare l'incantesimo, allora?»
«Credo che la cosa non mi riguardi» fu l'arida risposta della strega, prima che sparisse nel nulla. Elijah corse alla porta, che rimase sigillata, poi provò con le finestre. Niklaus si scagliò contro la parete di cemento, tentando di abbatterla, ma non riuscì nemmeno a scalfirla.
Assalito dalla rabbia, si lanciò contro Damon, ancora disteso sul pavimento. «Dammi una sola ragione per cui non debba ucciderti all'istante» ringhiò, stringendogli le mani alla gola.
«Perché sono l'unico che può farvi uscire di qui» sussurrò l'altro in un gemito.
«Hai sentito quella maledetta strega, è impossibile sciogliere l'incantesimo.»
Fu Elijah a rispondere: «Ogni incantesimo ha un punto debole, fratello, dovresti saperlo. Dobbiamo solo scoprire quale sia e uscire di qui.»


Chigago, 2015

Elena tentò per l'ennesima volta di mettere in moto la sua auto, ma tutto ciò che ottenne fu un sommesso gorgoglio.
«Dannazione!» imprecò, sbattendo un pugno contro il cruscotto e afferrando il telefono che aveva lanciato sul sedile accanto un attimo prima. La batteria era andata.
Con un sospiro di frustrazione, gettò un'occhiata sconsolata fuori dal finestrino. Aveva iniziato a piovere, e una leggera nebbiolina si stava addensando lungo i margini della strada deserta che si allungava di fronte a lei.
Auto in panne, telefono fuori uso e un inquietante temporale estivo in arrivo: quanti film dell'orrore aveva visto che iniziavano proprio allo stesso modo?
Un brivido le corse lungo la schiena. «Coraggio, Elena. Va tutto bene» disse tra sé e sé, spalancando lo sportello e tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa. «Sono cose che succedono quando si decide di fare un giro in macchina nel bel mezzo del nulla in piena notte. Si spostò sul ciglio della strada, incamminandosi alla luce tenue dei lampioni nella speranza che qualche altro insano di mente avesse la sua stessa pessima idea di passare per quel posto deserto, o di riuscire a trovare un'area di rifornimento.
Aveva percorso appena un chilometro, quando l'inconfondibile rumore di un motore la distolse dai suoi pensieri tetri.
Si voltò di scatto verso i fari luminosi che si avvicinavano, sporgendo il pollice. L'autista parve ignorarla, ma a un tratto inchiodò di colpo, fermandosi a qualche metro da lei con uno stridio di freni.
Elena si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Aveva i vestiti ormai zuppi e i capelli bagnati le si erano appiccicati fastidiosamente al viso.
«La ringrazio, la mia auto si è fermata un po' più indietro e il mio telefono non funz-»
Non appena l'uomo all'interno dell'auto abbassò il finestrino, Elena venne investita da un odore acre di alcol e tabacco. Un sorrisetto lascivo gli deformava il volto paonazzo. «Ehi, splendore, vuoi compagnia?» Il tizio si sporse un po' in avanti, tentando di afferrarle la mano posata sullo sportello.
«Sono solo... ho solo bisogno di un telefono, la prego.» Un passaggio era decisamente fuori discussione. Non avrebbe messo piede in quell'auto nemmeno morta.
«E perché dovrei darti il mio telefono?» L'uomo pareva decisamente confuso.
Lei si sposto una ciocca umida dal viso e tentò di apparire tranquilla. «Ho bisogno di chiamare un carro attrezzi. Se lei fosse così gentile da prestarmi il suo cellulare solo un secondo...»
Non riuscì a terminare la frase, perché il tizio aveva spalancato lo sportello e adesso si trascinava goffamente fuori dalla macchina. «Ho un'idea: io sarà gentile con te, se tu sarai gentile con me per i prossimi dieci minuti. Che te ne pare?»
Elena rimase impietrita, mentre l'uomo si avvicinava. Senza indugiare oltre, la ragazza lanciò un grido: «Stia lontano da me» gli intimò, indietreggiando verso il margine nella strada. La sua scarpa sprofondò in una pozza fangosa e per poco non si ritrovò per terra.
Lo sconosciuto non parve per niente intimorito, anzi. Pur barcollante, distese le braccia verso di lei nel tentativo di afferrarla. Elena si rese conto che gridare non sarebbe servito a niente: non c'era nessuno nei paraggi, nessuna auto nelle vicinanze né, tantomeno, una qualche abitazione.
Tentò di scacciare la sensazione di terrore che le aveva attanagliato lo stomaco e prese a correre verso il piccolo bosco che costeggiava la strada.
“Devo trovare un posto dove nascondermi”, fu il suo unico pensiero, mentre si lanciava attraverso gli alberi e il terreno fangoso, verso l'interno del bosco, lì dove la vegetazione era così fitta che nemmeno la pioggia riusciva a penetrarvi.
Si fermò a ridosso di un tronco, tentando di regolarizzare il respiro e tendendo le orecchie nel tentativo di cogliere qualche rumore.
Un gufo bubolò poco distante e per poco Elena non si lasciò scappare un grido. In lontananza riusciva a sentire il lieve scroscio della pioggia e il rumore delle foglie al vento, ma nient'altro. Emise un sospiro di sollievo e, solo in quel momento, si accorse dell'imponente costruzione che si ergeva alle sue spalle. Più che una casa pareva una reggia, anche se le pessime condizioni in cui era ridotta e il degrado in cui si trovava il giardino le fecero supporre fosse disabitata.
“Magari riesco ad entrare, comunque”, pensò, avvicinandosi con cautela, cercando di fare meno rumore possibile.
I gradini di legno scricchiolarono sotto le sue scarpe e la maniglia d'ottone dell'enorme porta d'ingresso, sporca e scrostata, le scivolò tra le mani non appena tentò di abbassarla. Si ritrovò all'interno di un ampio salone. La luce della luna s'insinuava a fatica attraverso i versi opachi e Elena riuscì a scorgere solo un grosso divano in perfette condizioni e un mobile colmo di bicchieri sporchi. Si voltò in direzione di una lunga scala che conduceva al piano superiore, ma proprio mentre si avvicinava al primo gradino, un'ombra scura si proiettò sul muro di fronte a lei.
Si voltò di scatto, ritrovandosi a fissare un paio di occhi di ghiaccio.
«Katherine» sussurrò il loro proprietario, arricciando le labbra in un'espressione rabbiosa.
«No.» Elena indietreggiò, sbattendo contro il corrimano. «Sono... mi chiamo Elena. La mia macchina si è fermata a qualche chilometro da qui e...» Il ragazzo continuava a fissarla con occhi gelidi.
«Come sei entrata?»
«Mi spiace.» Deglutì con forza, mente il cuore cominciava a martellarle forte nel petto. «La porta era aperta, credevo che la casa fosse disabitata. Volevo solo ripararmi dalla pioggia.»
Per un attimo, il giovane parve confuso. Il suo sguardo indugiò sul viso di lei, gli occhi ridotti a due piccole fessure e la fronte corrugata, come se non potesse credere a ciò che stava vedendo.
Elena gettò un'occhiata veloce alla porta. Un paio di metri la separavano dall'uscita e, se avesse corso veloce, forse ce l'avrebbe fatta ad uscire di lì.
Si piegò leggermente per scartare il ragazzo, poi scattò verso l'altra parte della stanza. Le sue dita sfiorarono il legno e, per un istante, credette di avercela fatta. Ma poi qualcuno la afferrò per le spalle, mandandola a sbattere contro la parete con una tale violenza da toglierle il fiato.
«Katherine.» Di nuovo quel nome, ma stavolta a pronunciarlo era stata una giovane donna dai lunghi capelli biondi. Aveva le pupille dilatate e gli occhi iniettati di sangue e — Elena avvertì le gambe cederle dal terrore — dalle labbra socchiuse spuntavano quelle che parevano essere zanne.
La ragazza le strinse una mano intorno alla gola, impedendole di respirare.
«No!» Mentre la testa diventava sempre più leggera e i polmoni sembravano voler esplodere da un momento all'altro, qualcuno urlò. «Quella non è Katherine, Rebekah. Le somiglia ma... non è lei.»
D'un tratto la presa si allentò ed Elena si accasciò al suolo, portandosi le mani al collo e tossendo con forza alla ricerca di ossigeno.
«Se questa non è Katherine, come ha fatto ad entrare?»
«Non lo so. Ma se la uccidi non lo sapremo di certo.» Damon si chino sulla ragazza, che si rannicchiò contro la parete ormai in preda al terrore. «Come sei entrata qui?» ripeté.
«Io... stavo scappando da un uomo e... cercavo un posto per nascondermi. Ti prego, non farmi del male» mormorò tra le lacrime.
Il giovane scosse la testa, piegando le labbra in un breve sorriso di scherno. «E ti sei addentrata in un luogo sconosciuto, di notte, nel bel mezzo del nulla? Una scelta stupida, direi.»
«Magari avrà pensato che l'oscurità fosse un buon luogo per nascondersi» intervenne la bionda.
«Be', si sbagliava. L'oscurità è solo un ottimo posto per incontrare creature maledette.»
L'altra afferrò un lembo della sua giacca per attirare l'attenzione del ragazzo, scuotendolo con forza. «Potrebbe essere lei, Damon. La ragazza che spezzerà la maledizione. Lei ci vede!»
Elena emise un gemito sommesso. «Vi prego, lasciatemi andare»
Damon la guardò per un istante, allungando una mano per sfiorarle il viso in una leggera carezza da cui lei si ritrasse con un brivido. «Mi spiace, Elena, ma credo proprio che per un po' resterai con noi.»

 

                                                                                                                                                                                                         
Damned Again: A quanto pare, in questo periodo ho una fissa con le maledizione. Dopo Elena, quindi, stavolta torna a Damon che stavolta ha giocato a fare il bello e dannato con la donna sbagliata. Negli ultimi giorni sono abbastanza stressata e ho tante, troppe cose da fare, eppure impegnarmi a scrivere questi ultimi due giorni mi ha torata un po' su di morale.
È solo un prologo e un accenno di storia per ora, ma spero di avervi incuriosite almeno un po'.
Baci
♥ Fanny
 

 

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Capitolo 2
*** Segreto ***


Pacchetto scelto: Rosso
- Azione: ridere
- Oggetto: vino
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- Citazione: “Dietro un bel viso può nascondersi un'anima glaciale o un'anima sola, perché la bellezza non corrisponde a felicità.”



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Segreto


 

«Se non è Katherine, allora perché le somiglia tanto?»
«Come fa a vederci?»
«Elijah aveva ragione, l'incantesimo ha una falla.»
Elena aveva riacquistato i sensi da qualche secondo, ma si costrinse a restare perfettamente immobile, sdraiata su quello che pareva essere un soffice divano ad ascoltare quelle voci che si accavallavano in una miriade di domande che non riusciva a comprendere. Chi era Katherine e, soprattutto, perché tutti continuavano a dire che lei le somigliava? Perché tutto quello stupore per il fatto che lei li vedesse? Di che incantesimo parlavano?
Anche ad occhi chiusi, Elena aveva imparato a distinguere quelle voci diverse tra loro. C'era un'unica ragazza, la stessa che l'aveva aggredita poco prima; gli uomini, invece, erano almeno tre: uno di loro aveva un marcato accento inglese, un altro una voce bassa e composta. E poi c'era quella profonda e un po' roca del giovane dagli occhi azzurri.
«La ragazza è sveglia» udì dire e, trattenendo un gemito di paura, schiuse appena le palpebre. Quegli occhi color acquamarina erano a pochi centimetri dai suoi ed Elena scattò a sedere sui soffici cuscini, rannicchiandosi terrorizzata contro lo schienale e stringendosi le ginocchia al petto. Il giovane stava per parlare, ma un secondo ragazzo gli si affiancò, interrompendolo.
Elena si guardò intorno, accorgendosi che, come aveva intuito, nella stanza c'erano altre quattro persone oltre a lei.
«È davvero identica a Katherine» commentò l'uomo dall'accento inglese, osservandola con un sorrisetto a mezza bocca. «La strega ha detto che umani, vampiri, licantropi o streghe non sarebbero riusciti a vederci» disse a nessuno in particolare, poi si chinò per osservarla un po' più da vicino. «Quindi cosa sei?»
Elena si ritrovò a deglutire, mentre gli occhi blu dell'uomo la fissavano con una perturbante curiosità e le parole sembrarono morirle nella gola. Vampiri, licantropi... di che diavolo stava parlando?
Se non avesse visto la sua amica Bonnie praticare piccoli incantesimi da quando, durante l'estate, sua nonna l'aveva informata che la loro famiglia discendeva dalle streghe di Salem, avrebbe pensato di essere finita tra un gruppo di malati di mente. Eppure aveva visto il volto perfetto e bellissimo di quella ragazza trasformarsi in qualcosa di mostruoso. Quelli non erano normali esseri umani.
«Siete streghe?» Elena trovò a stento il coraggio di parlare. Il giovane di fronte a lei fece una smorfia e qualcuno alle loro spalle emise un verso disgustato.
«Allora cosa siete?» insisté, rivolgendo a lui la stessa domanda che lui le aveva fatto poco prima.
Fu il ragazzo dagli occhi di ghiaccio a parlare: «Vedi, Elena, forse non è il caso che tu sappia questo. Per quanto mi spiaccia ammetterlo, abbiamo tutti bisogno di te. E non è il caso che tu ti spaventi.»
«Forse avreste dovuto pensarci prima di aggredirmi e rinchiudermi qui» rispose con un'audacia che la stupì. In realtà stava pensando a quelle parole. Sapere cos'erano l'avrebbe spaventata...
«Credo che abbiamo iniziato col piede sbagliato» continuò l'altro. «Non vogliamo farti del male» aggiunse, ma il luccichio crudele in fondo ai suoi occhi la informò che l'idea non gli sarebbe dispiaciuta. «Quindi faresti a tutti un gran favore se tu facessi amicizia con nostro caro amico Damon.» Avvolse un braccio attorno alle spalle del bruno, che in tutta risposta si scostò con un lieve strattone.
«Non mi serve una balia, Klaus» disse con un ghigno, avvicinandosi un po' di più alla ragazza per osservarla meglio.
Era bellissimo, si ritrovò a pensare Elena, stupendosi di quel pensiero decisamente assurdo data la situazione in cui si trovava.
«Forse stiamo correndo un po' troppo» s'intromise l'altro uomo nella stanza.
Elena alzò lo sguardo verso di lui. Era in disparte, su un lato della stanza e, come gli altri tre, era vestito in modo impeccabile. Si infilò entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni scuri. «Dovremmo lasciarle il tempo di ambientarsi, e fare le presentazioni, magari. La ragazza è spaventata e non credo che questo torni a nostro favore, non pensi?»
«Correndo un po' troppo?» Klaus si posò la punta delle dita sulle tempie, come a voler bloccare un forte mal di testa, poi strinse gli occhi per qualche secondo. Un attimo dopo, aveva afferrato l'enorme tavolo in mogano accanto a lui, scaraventandolo dall'altra parte della stanza e mandandolo in mille pezzi. «Più di ottant'anni bloccato in questa casa e tu vieni a dirmi che sto correndo un po' troppo!» Dalle sue labbra fuoriuscì un verso che, alle orecchie di Elena, parve il ringhio di una bestia. Il suo viso si rilassò di colpo. «Vuoi che faccia le presentazioni? Bene. Questo, Elena, è mio fratello Elijah» disse indicando l'uomo elegante accanto alla parete. «E quella è mia sorella Rebekah.» Fece una pausa. «Ma non devi preoccuparti di loro. Le uniche persone su cui dovrai concentrarti sono il nostro Damon e me.»
«Cos'è che volete?» La voce di Elena venne fuori come un sussurro roco.
«Te l'ho detto. Vogliamo solo che vuoi due diventiate amici.» Sulle sue labbra si allargò un sorriso che le mise i brividi. «In caso contrario, ti strapperò il cuore dal petto con le mie mani.»

«Questa sarà la tua stanza.» Elijah la condusse in una enorme camera da letto al primo piano. Un grosso baldacchino capeggiava al centro della stanza pressoché spoglia; solo un armadio in legno e un'elegante toilette completavano l'arredamento.
«Per quanto tempo resterò qui?» chiese lei, stringendosi nelle braccia mentre un brivido freddo le correva lungo la schiena.
«Spero per poco» rispose l'altro con calma.
«Mi farete del male?» Per qualche strano motivo, quell'uomo era l'unica persona a non metterle paura.
Elijah prese un piccolo respiro, poi scostò lo sgabello imbottito ai piedi della toilette e vi si sedette.
«Klaus a volte può sembrare un tantino...» Fece una pausa, alla ricerca della definizione giusta.
«Crudele e senza cuore?» intervenne l'altra.
«Non è così cattivo come vuole far credere di essere.»
Elena si appoggiò sul soffice copriletto, prendendo a tormentarsi una ciocca di capelli. «Tu sei diverso» si scoprì a rivelare. «Non mi fai paura ma, nei loro occhi, invece... c'era qualcosa.»
Elijah aggottò appena le sopracciglia. «Di chi parli?»
«Di tuo fratello. E di Damon. È come se i loro sguardi fossero completamente vuoti, come se a quei corpi bellissimi mancasse qualcosa. Sono...» Emise uno sbuffo. «Sto parlando a vanvera, come al solito.»
L'altro però la invitò con un cenno della testa a continuare.
«Sembrano così soli e tristi.» Un sorriso amaro le si dipinse sul viso. «È assurdo, vero?»
«No, non lo è. Dietro un bel viso può nascondersi un'anima glaciale o un'anima sola, perché la bellezza non corrisponde a felicità. Niklaus, Damon e Rebekah... e io stesso non abbiamo mai avuto una condotta irreprensibile, e questo ci ha cambiato nel profondo. Ma non è da tutti riuscire a cogliere la tristezza di uno sguardo.» Si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta. «Forse sei davvero la nostra speranza.»
«Klaus ha detto che siete intrappolati qui da più di ottant'anni. È questa la maledizione di cui parlavate? È stata una strega?»
Elijah annuì piano.
«Perché credete che io possa fare qualcosa? Non so nulla di incantesimi.»
«Non importa.»
«Ditemi cosa volete che faccia e lo farò.»
«Non è così semplice, Elena.»
«Voglio tornare a casa.» Una lacrima silenziosa le rigò una guancia, poi la vista le si appannò di colpo.
Aveva tentanto di mantenere la calma, di non farsi prendere dal panico, sperando che fosse tutto uno scherzo, un brutto sogno. Ma adesso iniziava a temere che non sarebbe più uscita di lì.
«Dovresti riposare» mormorò lui. «Rebekah ti porterà qualcosa da mangiare e più tardi ti aiuterà a prepararti.»
«Prepararmi per cosa?»
«Per la cena di stasera.»
Elena si morse un labbro e si costrinse ad annuire, ma non appena la porta si chiuse alle sue spalle, tutto quello che riuscì a fare fu lasciarsi cadere sul materasso e piangere.

Elena si strinse nell'asciugamano, mentre Rebekah finiva di acconciale i capelli.
«Ci è voluto un miracolo per coprire quelle occhiaie» si lamentò la ragazza alle sue spalle, lanciandole un'occhiata seccata attraverso lo specchio.
Elena osservò la propria immagine riflessa, anche se, in quel momento, non le importava nulla del suo aspetto. Se se ne stava seduta lì a farsi arricciare i capelli solo perché quella ragazza — o qualunque cosa fosse — le faceva paura.
Rebekah le appuntò un'ultima forcina, poi emise un verso che pareva compiaciuto.
Elena si avvicinò un po' di più allo specchio, mentre l'altra apriva l'armadio: i capelli raccolti sulla nuca erano stati acconciati in morbide ciocche ondulate. Le sopracciglia sottili mettevano in risalto gli occhi leggermente truccati dalle ciglia lunghissime e le labbra rosse brillavano sul viso pallido di cipria.
«Questo può andare, direi» disse la ragazza alle sue spalle, avvicinandosi con un abito scuro ricoperto di paillette.»
«Già» commentò con non troppa enfasi. «Forse solo un tantino... fuori moda?»
Rebekah arricciò le labbra in un'espressione contrita. «Be', scusami tanto, ma non ho avuto molte occasioni per fare acquisti negli ultimi anni. Ora sbrigati» la liquidò, uscendo dalla stanza a passo svelto.

Venti minuti dopo, Elena era seduta davanti allo stesso tavolo in mogano che — ci avrebbe giurato — Klaus aveva mandato in pezzi qualche ora prima.
Damon sedeva alla sua destra, a capo tavola e, da quando era entrata nella stanza, non le aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
«Gradisci del vino?» le chiese in tono gentile.
Lei annuì, anche se quella gentilezza le parve in qualche modo forzata. Dopotutto, quel ragazzo la teneva lì contro il suo volere, non aveva battuto ciglio quando Klaus l'aveva minacciata di morte e, da quanto aveva intuito, se si trovava in questa situazione dipendeva in qualche modo esclusivamente da lui. Altrimenti perché l'avrebbero costretta a mettersi in tiro per quella che aveva tutta l'aria di essere una cenetta romantica?
Buttò giù tutto d'un fiato il contenuto del suo bicchiere poi, senza aspettare che l'altro se ne occupasse, lo riempì ancora.
La tavola era piena di pietanze di ogni tipo e, nonostante tutto, Elena iniziò ad avvertire i morsi della fame.
«Devo dedurre che neanche tu hai in mente di informarmi su quello che avete intenzione di fare con me?» disse al secondo bicchiere, con un'audacia che la stupì, forse scaturita dall'alcol.
«Direi che le tue deduzioni sono esatte» commentò l'altro, portandosi la forchetta alle labbra e fermandosi a masticare con calma.
«Per quale motivo non mi dite cosa devo fare e mi lasciate andare?»
«Perché non è una cosa che puoi decidere di fare. Né io né tu possiamo.»
«Come pensate che io possa esservi d'aiuto, allora?»
Un po' stordita dal vino, urtò con il gomito il bicchiere, rovesciandone il contenuto sul proprio abito.
Damon scattò in piedi, afferrando un tovagliolo per aiutarla.
«Non toccarmi» protestò lei, scivolando all'indietro e producendo un fastidioso stridio mentre la sedia strofinava sul pavimento.
«Io...» Fissò la macchia scura che si allargava sulla stoffa, all'altezza del ventre e d'un tratto il panico le attagliò lo stomaco. «Volete che noi due diventiamo amici, organizzate tutta questa messa in scena della cena e... Oh, mio Dio. Mi costringerai a fare sesso con te, vero? Avete bisogno di un erede o qualcosa del genere? Oppure volete organizzare uno di quei riti esoterici in cui gli altri si accoppiano con la vittima sacrificale...» Si alzò dalla sedia, allontanandosi dal tavolo, mentre Damon la fissava.
Aveva così paura che le mancava il fiato e il cuore le batteva all'impazzata.
Prese a correre in direzione delle scale, ma l'altro fu più veloce. La afferrò per i polsi, bloccandola contro una parete. «Sta' calma» le ordinò, fissando lo sguardo in quello di lei. Elena vide le sue pupille dilatarsi, inghiottendo le iridi chiare e una strana sensazione di tranquillità la convinse a smettere di agitarsi per liberarsi dalla sua presa.
Damon inclinò la testa da un lato, piegò un labbro in un sorriso asimmetrico e, senza alcuna ragione, scoppiò a ridere. Una risata profonda, spontanea, che lo portò a pensare che erano passati anni dall'ultima volta che aveva riso così di gusto.
Elena lo fissò, sconvolta e confusa da quella reazione.
«Sei una ragazza strana, Elena» commentò lui, riprendendo fiato. «Non voglio accoppiarmi con te. Non che la cosa mi dispiaccia» si affrettò ad aggiungere, correndo con lo sguardo sul suo corpo.
Elena fu attraversata da uno strano brivido e, quando gli occhi di ghiaccio di lui tornarono nei suoi, si ritrovò a mordersi un labbro.
«Ma non credo che al momento servirebbe a qualcosa» continuò. «E non voglio avere un erede — nessuno di noi può avere figli — né tantomeno sacrificarti su un altare nel bosco. Anche perché mi è impossibile attraversare la porta d'ingresso, come avrai capito.»
Elena parve stranamente imbarazzata.
«Allora cosa?»
«Voglio che ti innamori di me» confessò, mentre il suo sguardo si scuriva ancora una volta.
«Innamorami di te? Come potrei innamorarmi di te? È colpa tua se sono qui.»
Damon emise un verso seccato, poi strinse i denti con rabbia. «A quanto pare la compulsione non funziona. Dovevo immaginarmelo, maledetta strega!»
Elena aggrottò la fronte. «Di cosa stai parlando?»
«Di niente. Dimentica quello che ti ho detto.»
Elena batté le palpebre. «Quindi? Cosa vuoi da me?» chiese ancora.
«Se ti raccontassi i dettagli, questo potrebbe influenzare in qualche modo le tue scelte» rispose il bruno, lasciando finalmente andare la ragazza che, però, restò immobile contro la parete.
«Le mie scelte?» Elena tentò di trattenere le lacrime. «Sono conciata come una diva degli anni trenta, sto cenando a lume di candela con uno dei miei rapitori, sono rinchiusa in una casa maledetta da una strega e ti preoccupi di non influenzare le mie scelte? Quali scelte? Non ho deciso io di restare qui. Voglio andare a casa, voglio tornare dalla mia famiglia e dai miei amici.» Nonostante gli sforzi, le lacrime avevano cominciato a rigargli il viso, rovinando il duro lavoro di make-up di Rebekah.
Damon le avvolse il viso con le mani, avvicinandosi tanto a lei che Elena credette stesse per baciarla. Lasciò scivolare i pollici sulle sue guance, asciugandole le lacrime e Elena scorse di nuovo quelle ombre scure e tristi in fondo ai quei due pezzi di cielo color acquamarina.
«Mi dispiace, Elena» disse. «Mi spiace davvero. Ma sei l'unico modo che ho per salvarmi la vita ed uscire di qui. Non posso lasciare che tu te ne vada.»
«Bene.» Lei si sostò dalla sua presa con uno strattone. «Spero tu voglia scusarmi, ma mi è passata la fame.»
Senza aggiungere altro, si diresse su per le scale. Non si voltò a guardare indietro, nemmeno quando lo udì emettere un grido di rabbia e, quella che sarebbe dovuta essere la loro cena, si infranse sul pavimento in un mare di cocci e rifiuti.

 

                                                                                                                                                                                                         

Damned Again: Sono un po' in ritardo, lo so. Ma il pc ultimamente fa strani scherzi e temo che da un momento all'altra sia costretta a dovergli dare l'ultimo triste addio (distruggo un pc all'anno, ma ogni volta è dura da accettare). 
Detto questo. Avendo passato il primo turno del contest a cui questa storia partecipa, ecco a voi il secondo capitolo! (Non temete, la porterò a termine comunque, anche se mi fanno fuori dal contest!) XD
No aggiungo altro, solo i miei ringraziamenti a LilyStel, PrincessOfDarkness90, Simiale72, Danila_ians e ire_39 per le loro reensioni e a tutti quelli he hanno inserito questa breve storia tra le seguite e le preferite.
Baci
♥ Fanny
 

 

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Capitolo 3
*** Promessa ***


Pacchetto scelto: Urano
- Azione: arrabbiarsi
- Oggetto: terra
- Immagine:https://encrypted-tbn2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcStfCgIdZK3uJZVF1sayWa8noeiBF0jO-CkWtuxGF9VOJexoR_uCA
- Citazione: È molto più sicuro essere temuti che amati.



 
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Promessa


 

«Mi annoio.» Rebekah sbuffò sonoramente, gettando da una parte la lima per le unghie e stirandosi la schiena.
Elijah sollevò appena lo sguardo dalla scacchiera, tutto preso dall'ennesima partita contro il fratello.
«Ho detto che mi annoio» ripeté l'altra stizzita.
«Oh, ti prego, sta' zitta» replicò Klaus in tono seccato.
Damon, in piedi accanto alla finestra, non riuscì a trattenere una risatina.
«La cosa ti diverte?» Rebekah incrociò le braccia al petto, poi si lasciò cadere contro la spalliera del divano. «E pensare che io un'idea per passare il tempo ce l'avrei...» aggiunse, indirizzandogli un'occhiata maliziosa quando lui si voltò a guardarla.
«Buongiorno, Elena. Dormito bene?»
La ragazza si era appena affacciata in cima alle scale e trasalì nel sentir pronunciare il proprio nome, anche se era stato Elijah a parlare.
«Sì, grazie» mormorò. «Io...» Si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbassando lo sguardo quando gli occhi di Damon si sollevarono su di lei. «Avrei un po' fame.»
Scese gli scalini, mentre Elijah si alzava dalla sua seduta imbottita, ma Damon fu più veloce.
«La colazione è sul tavolo» la informò.
Elena fece per mormorare un grazie, ma poi ci ripensò. Anche se erano gentili con lei, restavano pur sempre i suoi rapitori.
Si diresse verso la sala da pranzo, la stessa dove lei e Damon avevano cenato — o almeno ci avevano provato — la sera precedente.
Sulla superficie era distesa una lunga tovaglia di lino, su cui capeggiavano piatti e teiere.
«Chi è che ha preparato tutto questo?» chiese, aggrottando la fronte.
Dalla caffettiera si levava un sottile sbuffo di vapore e il bacon e le uova ancora sfrigolavano nel loro vassoio d'argento.
Allungò un dito per sfiorare un croissant: soffice e caldo.
Damon si voltò verso Elijah, come a voler chiedere il suoi aiuto e lui gli rivolse un cenno d'assenso in risposta.
«Credi nella magia, Elena?» le chiese, mentre lei scostava una sedia per accomodarsi al tavolo.
La ragazza restò un attimo in silenzio. «Credo in quello che vedo» rispose poi. «E in questa casa ho visto strane cose.»
L'altro incrociò le braccia al petto, poggiando una spalla contro lo stipite dell'ampio arco che collegava il salone alla sala da pranzo. «Che tipo di strane cose?» chiese con una smorfia.
«Ho visto il volto di Rebekah trasformarsi, la prima sera che sono entrata qui. E sono certa che Klaus abbia mandato in frantumi proprio questo tavolo... senza contare che ho visto la mia migliore amica praticare qualche incantesimo» confessò.
Carezzò piano la stoffa soffice della tovaglia. «E ho visto voi, intrappolati in questa casa. A meno che non siate degli psicopatici, sono coinvolta io stessa in una magia, o sbaglio?»
Damon piegò l'angolo delle labbra in un sorriso. «Touché» commento. «Quindi non sarà difficile per te immaginare che questo cibo abbia iniziato a comparire da quando hai messo piede qui dentro.»
Elena scosse la testa. «Sono comparsi dei vestiti anche nel mio armadio» lo informò. «E altri oggetti sulla toeletta.»
Afferrò un croissant, ma ne portò alla bocca solo un pezzettino. Parlare di Bonnie le aveva chiuso di nuovo lo stomaco. Aveva paura che non l'avrebbe mai più vista, che non avrebbe avuto più il tempo di riabbracciare suo fratello Jeremy o di ridere per le uscite assurde della sua amica Caroline.
Sollevò lo sguardo sull'enorme finestra a bovindo che si affacciava sul giardino. «Ha iniziato a piovere» commentò ad alta voce, osservando le piccole goccioline battere sul vetro.
Damon si scostò con un balzo dalla parete, Elijah e Klaus scattarono in piedi facendo stridere le loro sedie contro il pavimento e Rebekah si materializzò a qualche centimetro dal suo viso.
«Cosa c'è?» le chiese Elena, paralizzandosi sulla sua seduta.
«Tu vedi oltre le finestre?»
L'altra annuì, mentre la bionda si voltava verso gli uomini presenti con un sorriso trionfante. «Ho appena trovato un altro modo per passare la mattinata.»

«Ha smesso di piovere» mormorò Elena qualche ora più tardi, guardando fuori dalla finestra ed osservando le verdi foglie degli alberi.
«E c'è il sole?»
«Appena qualche raggio tra le nuvole.»
Damon chiuse gli occhi, come a voler assaporare la sensazione di calore sulla pelle che però non era in grado di sentire.
Rebekah sonnecchiava serena sul divano, mentre Elijah e Klaus avevano ripreso la loro partita a scacchi.
La ragazza poggiò i polpastrelli contro il vetro freddo, perdendosi tra i suoi pensieri.
«A cosa pensi?» le chiese lui.
Elena si sorprese a riflettere che i suoi occhi avevano lo stesso colore delle pozze d'acqua piovana in cui si riflettevano i tenui raggi del sole. Ma erano vuoti, distanti.
«Alle persone che in questo momento si stanno preoccupando per me» confessò.
Il vampiro distolse lo sguardo. «I tuoi genitori?»
Scosse la testa. «I miei genitori sono morti. Pensavo ai miei amici e a mio fratello.»
«Anche i miei genitori sono morti» rispose. «E ho un fratello anch'io ma... non lo vedo dal 1864.»
Elena sussultò a quelle parole. «1864?»
Sul viso del ragazzo si dipinse un sorriso amaro. «Lo so, sono ancora molto affascinante nonostante i miei anni.»
«Credevo che aveste smesso di invecchiare a causa dell'incantesimo.»
«Abbiamo smesso di invecchiare molto tempo fa, Elena.»
La ragazza aggrottò la fronte. «Pensavo che foste esseri umani colpiti da una maledizione.»
«Be', non lo siamo.»
La ragazza restò in silenzio per qualche istante. «Klaus ha detto che gli esseri umani non possono vedere questa casa. Perché io l'ho vista? Sono come voi?»
Damon si lasciò sfuggire una lieve risata. «No, non lo sei.»
«Allora cosa sono?»
«Non lo so.»
«E voi cosa siete?»
Lui fece per rispondere, ma la voce di Elijah li interruppe: «Una Doppelgänger.»
Entrambi si voltarono a guardarlo.
«Cosa?» chiesero entrambi.
«Ho dato un'occhiata ai vecchi libri di mia madre durante questi anni e credo di poter affermare che tu sia una Doppelgänger.»
«Sono il fantasma di qualcun altro?» Elena si strinse nelle braccia, mentre un brivido freddo le correva lungo la schiena.
Elijah scosse la testa. «Quella è solo una credenza. Sei solo la copia perfetta di qualcuno vissuto in passato. Ed è questa l'unica cosa che ti rende diversa da un normale essere umano.»
«È per questo che somiglio tanto a Katherine? Sono la sua copia?»
Fu Damon ad annuire. «Be', a quanto pare la strega aveva davvero commesso un errore con il suo incantesimo.»
«Non mi avete ancora detto cosa siete voi?» continuò lei.
Ancora una volta Damon provò a parlare, ma Elijah lo zittì con un'occhiata. «Credo che tu non sia ancora pronta per questo.»

Seduta al tavolo della sala da pranzo, Elena sbocconcellava della carne dal suo piatto, mentre Damon la osservava in silenzio.
«Raccontami di tuo fratello» disse d'improvviso.
Damon aggrottò le sopracciglia. «Stasera sei in vena di fare conversazione?»
«Credevo che per uscire alla svelta di qui io e te dovessimo conoscerci meglio — o fare amicizia, come ha detto Klaus — perciò... ho deciso che sia un bene collaborare.»
«Scelta intelligente» commentò l'altro con un sorrisetto, anche se il suo sguardo parve incupirsi. «Non c'è molto da dire: abbiamo litigato anni fa, non ci siamo più parlati per decenni, io ho incontrato la persona sbagliata, la compulsione non ha funzionato e... il resto lo sai.»
«Cos'è la compulsione?»
Damon ci pensò su un momento. «È il potere di entrare nella mente delle persone... e di fargli fare quello che vogliamo.»
Elena lasciò andare le sue posate, che sbatterono sulla porcellana del piatto con un tonfo sordo. «Tu riesci a fare una cosa del genere?» esclamò a bocca aperta.
Lui annuì.
«Perché non mi avete ancora costretto a fare quello che volete che io faccia?»
«Perché non funziona.»
Elena assunse un'espressione indignata. «Hai provato ad entrare nella mia testa?»
«Mi sembrava l'avessi appena proposto.»
«Ma tu l'hai fatto senza il mio permesso!»
Stavolta Damon non riuscì a trattenere una risata. «Quindi non ti dà fastidio che ti obblighi a fare qualcosa, ma solo che prima non abbia chiesto il tuo parere? Sei davvero una strana ragazza.»
«Be'...» Si accorse che stava arrossendo. La stava deliberatamente prendendo in giro o sbagliava? «Hai provato a usare la compulsione su Katherine? Per questo siete finiti intrappolati qui dentro?»
«In un certo senso.» Versò del vino nel suo bicchiere e si portò il calice alle labbra.
Elena gli rivolse un cenno per esortarlo a proseguire.
«Ho usato la compulsione su di lei per convincerla ad andarsene dopo che avevamo passato la notte insieme» confessò con un sospiro.
«Be', non c'è da stupirsi se ti ha scagliato contro una maledizione.»
Damon posò il bicchiere sulla tavola e piegò la testa di late per indirizzarle un occhiata a metà tra il divertito e il perplesso. «Stai dicendo che me lo sono meritato?»
«È proprio quello che sto dicendo, sì.» Rispose al suo sguardo con uno di sfida, arricciando le labbra con espressione contrita. «Perché non dirle semplicemente la verità?»
«Perché la verità l'avrebbe fatta arrabbiare ancora di più.»
Elena sospirò rassegnata. «È così che facevi di solito? Ti divertivi con loro e poi le costringevi ad andarsene?»
«Non proprio» mormorò l'altro, poi prese un altro sorso di vino.
«Hai intenzione di raccontarmelo o devo dire a Klaus che stai facendo di tutto per sabotare la nostra conversazione?» chiese con un sorrisetto.
Damon rise di nuovo. «Quando ho finito con loro, sono così spaventate da me che mi basta farle dimenticare quello che è successo. Nonostante la compulsione, il ricordo rimane incastrato nelle loro menti e... semplicemente mi stanno alla larga» confessò tutto d'un fiato, evitando di guardarla.
«Ed io che credevo che fossi tipo da crearti un harem di donne adoranti e innamorate» tentò di sdrammatizzare, ma in realtà quelle parole le avevano messo i brividi.
«Non voglio che nessuna donna si innamori di me» rispose l'altro, ed Elena colse di nuovo quel bagliore triste nei suoi occhi.
«Perché? Nessuno vuole starsene da solo...»
Damon la interruppe. «Perché è più facile» sussurrò, più a sé stesso che alla ragazza.
«Più facile?» domandò l'altra.
«È più facile essere temuti che amati.» Gettò sul tavolo il tovagliolo che stringeva tra le mani, poi si voltò a fissare Elena, che lo osservava con espressione confusa. «Io sono un mostro, Elena. Non merito l'amore di nessuno e... non ho amore da dare.»
«Non esistono persone che non meritino amore.»
Lui emise un verso, un sospiro amaro e rassegnato. «Prima di venire qui avresti detto anche che non esistono esseri come noi.»
«Non so neanche cosa siete.»
«E hai già paura. Se tu sapessi in cosa sei coinvolta, probabilmente preferiresti morire piuttosto che startene qui con me a chiacchierare di amore.»
Elena avvertì le lacrime affacciarsi agli angoli degli occhi. «Io so solo che mi tenete prigioniera qui per una ragione. E anche se non so quale sia, so che lo state facendo per salvarvi e che nessuno di voi mi ha mai fatto del male.»
«Ma Klaus te ne farebbe!|» scattò con rabbia. «E anche Rebekah se sapesse che in realtà non puoi aiutarci.» Si passò le mani sul viso, tentando di calmarsi. «E forse anche Elijah con i suoi stupidi sani principi.»
«Ma tu no.» La voce le scivolò dalle labbra in un sussurro. «Tu non mi faresti del male, vero?»
Damon scosse la testa. «Se solo ci fosse un modo per farvi uscire tutti di qui. Quella maledizione era destinata a me... e ha coinvolto tutti voi.»
«Vedi, avevo ragione.» La mano di Elena si mosse a sfiorare quella di lui. Non sapeva perché lo stesse facendo, né perché non si tenesse lontana come lui continuava a ripeterle. La verità era che, nonostante tutto, lei non ne aveva paura. L'unica cosa che provava era soltanto un innaturale e sconsiderato desiderio di arginare la tristezza che leggeva nei suoi occhi.
Quello non era un mostro. Era soltanto una persona sola.
«Riguardo a cosa?» chiese lui, guardando quelle dita che sfioravano le proprie come se potesse assorbirne il calore.
«Ti dispiace per me. E per i tuoi amici. Hai ancora amore da dare, solo che hai dimenticato come si fa.» Gli rivolse un sorriso. «Qualunque cosa vuoi che faccia la farò. Vi aiuterò. Fidati di me.»
Sul volto del vampiro si dipinse una smorfia. «Be', non dovresti» le rivelò, poi si allontanò da lei, dirigendosi verso le scale e lasciandola sola.

«Sei proprio sicura che sia qui? La squadra di recupero l'ha cercata in lungo e in largo senza trovare niente e, non per offenderti, ma mi fido di più del fiuto di un cane poliziotto ben addestrato che di... qualunque cosa tu stia facendo.»
«Caroline, per favore, riesci a stare zitta per un minuto» scattò Bonnie, senza riuscire a contenere la propria esasperazione.
Incrociò le gambe e tentò di concentrarsi.
Nel buio del bosco, la bionda mosse un passo per avvicinarsi alle candele che brillavano attorno all'amica, affondando il piede in una pozza di fango. «Potrebbe essere con un ragazzo» disse, guardando con orrore quelle che una volta erano state le sue scarpe preferite,
«Manca da casa da due giorni, la sua auto è stata ritrovata in panne e abbandonata sul ciglio della strada con dentro tutti i suoi effetti personali... come fai a dire una cosa del genere?» Afferrò una manciata di terra e la lasciò cadere sulla cartina spiegazzata aperta davanti a lei. «E poi Elena non sparisce senza avvertire.»
«Be', almeno si può sapere cosa stai facendo?»
«Un incantesimo di localizzazione» confessò.
Caroline piegò la testa da un lato e gettò un'occhiata scioccata all'amica che iniziò a recitare uno strano incantesimo in latino, mentre i granelli di terra prendevano a spostarsi per convergere in un punto vicino al centro della cartina.
«Che succede? Dov'è Elena?» chiese.
Bonnie aggrottò la fronte in un'espressione preoccupata. «Esattamente qui dove siamo noi.»
Istintivamente, la bionda si guardò intorno. «Vuoi dire che è qui vicino?»
«No, voglio dire che è proprio qui, su questa piccola radura» insisté l'altra.
«Be', se è qui perché... Oh, mio Dio.» Si portò le mani alla bocca, spalancando gli occhi azzurri e fissando Bonnie con aria terrorizzata. «Tu credi che... stai dicendo che qualcuno potrebbe averla sotterrata qui...» Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra, mentre spostava lo sguardo sull'ampia distesa di terra sotto i loro piedi.
Bonnie scosse la testa con decisione. «È viva, lo sento. È qui e sta bene. Ed io la troverò, stanne certa.»

Elena si lasciò andare ad un profondo sospiro. Per quanto assurdo, quella serata le era parsa ancora più estenuante della precedente.
Ancora non sapeva in che situazione si fosse cacciata e non capiva per quale motivo Damon la tenesse prigioniera lì se poi rifiutava il suo aiuto. Per non parlare di quel campanello d'allarme che continuava a suonare dentro di lei, alimentato dalla strana tenacia con cui l'altro continuava a volerla terrorizzare.
Sentiva voci maschili provenire dal piano di sopra, ma non riusciva a cogliere che piccole parti del discorso. Pareva stessero litigando.
Scosse la testa esasperata. Bonnie glielo ripeteva sempre che aveva la sindrome della crocerossina. Si mosse verso le scale, quando qualcosa fuori dalla finestra attirò la sua attenzione.
Sembravano luci, fioche e tremolanti, ma evidenti nel buio che regnava fuori dalla casa. Corse verso il fondo della stanza e non riuscì ad evitare di emettere un gemito di felicità.
Lì fuori c'era Bonnie, seduta a gambe incrociate e attorniata da una decina di candele. Accanto a lei, Caroline la fissava immobile.
Senza pensarci, gettò un'occhiata su per le scale. Voleva solo avvertirle che stava bene, poi sarebbe tornata. L'aveva promesso a Damon e avrebbe tenuto fede a quella promessa. Se poteva aiutarli, l'avrebbe fatto.
Scattò verso la porta, provando a chiamare il nome dell'amica mentre la mano si chiudeva sul pomello d'ottone.
Ma non riuscì a parlare, perché qualcosa si abbatté su di lei, mandandola a sbattere sul pavimento e spezzandole il fiato in gola.
La testa cozzò contro il legno del parquet e un senso di nausea le attanagliò lo stomaco. Quando riaprì gli occhi, Rebekah era sopra di lei, il volto dai lineamenti bellissimi deformato in una smorfia orribile.
Stavolta Elena ne fu certa. Di fronte a lei c'era un mostro: un mostro dagli occhi iniettati di sangue e i canini sporgenti e aguzzi come quelli di un predatore pronto ad attaccare.
Improvvisamente ritrovò il respiro e dalla sua gola fuoriuscì un urlo che parve assordante persino alle sue orecchie.
In un attimo la stanza si riempì.
«Che diavolo succede?» Elijah fu il primo a raggiungerli.
«Stava provando a scappare» spiegò Rebekah, senza staccare gli occhi dal corpo di Elena che tremava sotto di lei.
«No, non è vero» mormorò la ragazza terrorizzata. «Volevo solo...»
«Forse se le spezzassi entrambe le gambe sarebbe più sicuro» propose l'altra, mentre dalle sue labbra proveniva quello che a Elena parve un ringhio.
Serrò gli occhi, incapace di parlare. Poi d'improvviso il peso sul proprio corpo si attenuò.
Si costrinse a schiudere chi occhi, mentre la figura di Damon spingeva la bionda contro la parete alle sue spalle.
«Non farai niente del genere» ringhiò contro di lei.
«E cosa proponi di fare? Perdere ancora del tempo con le tue cene inutili?» replicò l'altra senza scomporsi, mentre il vampiro la teneva ferma.
«Credi che costringerla servirebbe a qualcosa?»
«Damon ha ragione» intervenne Elijah. «Portatela in camera. Faremo dei turni per sorvegliarla.»
Non la guardò nemmeno. Sembrava piuttosto occupato a tenere d'occhio suo fratello, che però rimase in silenzio a fissare la scena.
Damon lasciò andare Rebekah e aiutò Elena a rialzarsi.
«Non stavo scappando, te lo giuro.»
Ma il vampiro le rivolse un'occhiata gelida. Nei suoi occhi non c'era più né tristezza né solitudine, ma soltanto rabbia. Una rabbia cieca e pura. La rabbia di chi era stato tradito e deluso da quella che era stata la sua promessa.
Senza aggiungere altro, Elena si lasciò condurre nella sua stanza. Ebbe appena il tempo di gettare un ultimo sguardo alla finestra.
Al di là del vetro poteva ancora intravedere la figura di Bonnie, fioca e indistinta nel buio che la circondava.
Una sagoma solitaria che si aggirava tra gli alberi urlando il suo nome.

 

 

                                                                                                                                                                                                         

Damned Again: Ed ecco il terzo capitolo! Questa storia mi rende sempre più felice per tutti i complimenti che mi avete lasciato, quindi questo capitolo è stata decisamente più facile da scrivere, dato che ero particolramente motivata. 
I ringraziamenti quindi sono d'obbligo: grazie a VALE86STELLA, eli_s,  LilyStel, lils_salvatore, Eulalia_, melissaABATE e skizzino84 per le loro recensioni e a tutti quelli he hanno inserito questa storia tra le seguite e le preferite.
Baci
♥ Fanny
 

 

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