The Servant's Story

di Zenya Shiroyume
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue-The Servant and The Princess ***
Capitolo 2: *** Act I-Corrupted Kingdom, Warrior of Red ***
Capitolo 3: *** Act II-Impossible Love, King of Blue and Maiden of Green ***
Capitolo 4: *** Act III-The Sounds of Bells, Goodbey Again ***
Capitolo 5: *** Final Act-Rebirthday ***



Capitolo 1
*** Prologue-The Servant and The Princess ***


"Le campane della chiesa stanno suonando...
Questo suono mi riporta alla mente tanti ricordi. È tutto tale e quale al giorno del nostro incontro... Il cielo è limpido, il sole splende alto e l'aria salmastra è così frizzantina... Non posso fare a meno di sorridere ripensando a quei tempi lontani, solo che a differenza di allora, le campane non scoccano per un incontro, ma per una morte...”

 

“Ne è passato di tempo dall'ultima volta che ho visto questo posto... Saranno dieci anni ormai...”

Mi fermai accanto alla fontana posizionata al centro del giardino, da cui partivano due sentieri che si intersecavano a croce.

Chiusi gli occhi dinnanzi al maestoso castello, dimora della famiglia reale che controlla questo regno, il Regno del Sole, dove il colore giallo domina su tutti gli altri.

 

Mi era mancato questo posto, non sopportavo più questa lontananza...

Fui separato dalla mia famiglia per andare oltremare, nella Terra del Blu, dove vivono i guerrieri più potenti, per diventare abbastanza forte da proteggere la Principessa.

Mi allenai tantissimo, sin da quando avevo quattro anni. Feci di tutto per diventare forte abbastanza, dando tutto me stesso, versando lacrime e sangue per svolgere questo compito.

 

Finalmente sono tornato alla mia terra natia, col compito di proteggere Lei.

 

Respirai profondamente l'aria salmastra tipica del Regno. I miei polmoni si riempirono della brezza marina e del profumo dei gelsomini di cui era pieno il giardino in cui mi trovavo.

L'aria era calda, sebbene fosse mossa dal vento, desideravo potermi togliere il mantello, ma non potevo...

Ripensai quindi a Lei e sentii le labbra inarcarsi in un lieve sorriso.

Fu la prima volta dopo dieci anni...

 

Riaprii gli occhi e mi avviai verso la scalinata che conduceva all'interno.

 

Il cielo era limpido, il sole splendeva alto e l'aria era così frizzantina. Tutto pareva così immobile, irreale, quasi fosse uscito fuori da un sogno.

A breve le campane avrebbero scoccato il mezzogiorno.

A breve avrei incontrato la Principessa...

 

*****

 

“Vostra Maestà, c'è qui un uomo che chiede di essere ricevuto!” annunciò la corpulenta guardia armata di alabarda.

La lunga arma e la scintillante armatura d'ottone mettevano soggezione, tanto da farmi ricredere sulla mia presenza lì, ma sapevo che solo io avrei potuto proteggerla.

 

“Fallo entrare...” fece una voce femminile dal tono autoritario.

Ebbi un tuffo al cuore.

“Entra! -intimò l'uomo- Ti tengo d'occhio!”

Deglutii e attraversai la grande porta della sala da ballo.

 

Procedevo lentamente, i miei passi rimbombavano pesantemente nella grande stanza ovale.

L'ambiente era ampio, decorato con raffinatissimi drappeggi e arazzi che rappresentavano le scene cruciali della storia del Regno. La luce era soffusa, i raggi del sole filtravano attraverso le delicate tende d'organza dorate, riflettendosi sul lucido marmo beige. La parete opposta alla porta della sala era dominata da un enorme dipinto di una bellissima donna riccamente vestita. In mano teneva uno scettro e sorrideva. La dolcezza di quel viso benevolo contrastava con il cupo sfondo nero.

 

Di fronte al dipinto, c'era Lei, intenta a scrutarne ogni singola sfumatura, ogni piccolo dettaglio, ogni minuscolo particolare.

Il cuore mi martellava nel petto, come se volesse fuggire.

La fissavo intensamente, con la bocca secca e impiastrata, incapace di dire una parola.

 

Rivolsi anche io uno sguardo al quadro. Il viso della donna infondeva un meraviglioso senso di calma.

Inspirai profondamente e mi decisi finalmente di rivolgere la parola alla persona che, da quel momento in poi, avrei protetto a costo della mia vita.

 

“Assomigliate moltissimo a vostra madre...”

La Principessa si girò, sentii il cuore fermarmisi in gola.

Cercai di mantenere la calma, ma la sua efebica bellezza mi colpì con una forza pari a quella di un uragano.

Il viso era delicatissimo, ben proporzionato. Ogni piccolo particolare era perfetto.

I capelli erano lunghi fino alle spalle, morbidi, color del grano ed erano legati con un nastro di seta bianca, in perfetto contrasto con il ricco abito di velluto nero e oro.

Gli occhi erano grandi, azzurri come il cielo estivo. Erano autoritari, severi e imparziali; in quel momento esprimevano diffidenza e curiosità: dopotutto erano gli occhi di una quattordicenne.

 

“Ne sono consapevole...” replicò freddamente.

Sorrisi di nuovo, sapendo bene che le mie labbra erano l'unica parte del mio viso visibile da sotto il cappuccio.

“Che cosa desideri?” chiese lei tornado a contemplare il dipinto.

“Sono qui per proteggervi!” dissi diretto.

“Non ne ho bisogno, sei piuttosto gracilino... -fece con un leggero sarcasmo nella voce- E comunque le mie guardie sono addestrate proprio per questo.”

“Capisco... -mi avvicinai di più- Principessa, vorrei farle una domanda.”

Si voltò di nuovo nella mia direzione, questa volta più interessata.

“Parla!”

“Avete un fratello?” chiesi cercando di mantenere la voce il più neutrale possibile.

Le guance di lei si tinsero di un delicato rossore.

“Non ho idea di cosa tu stia parlando! -replicò la Principessa con tono evasivo- Chi diavolo sei per parlarmi di questo?!”

 

Non risposi immediatamente. Continuavo a studiare il suo viso, per capire cosa le passasse per la mente: confusione, nostalgia, rabbia e solitudine...

Abbassai il cappuccio del mio logoro mantello.

“È da molto che non ci vediamo, sorellina...”

Il suo volto divenne paonazzo, i suoi grandi occhi azzurri si inumidirono, in essi vi era il riflesso di un ragazzo le cui fattezze erano identiche alle sue.

Mi inchinai e le porsi la mano sinistra, tenendo la destra sul cuore.
Le campane della chiesa suonarono, imprimendo nella mia mente quel momento.

“Da oggi sarò il tuo servo, e tu la mia Principessa... Ti ricordi il mio nome?”

“Sì che me lo ricordo... Len..."



 

B-Bene, questa è la prima storia che scrivo sui Vocaloid >//<
Voglio iniziare col dire che questa storia ha scalciato parecchio per venir fuori, soprattutto perché ne sto scrivendo un'altra che tratta di tutt'altro.
Inoltre, questa storia nasce come mio piccolo esperimento letterario (?), perché questa, a differenza dell'altra fic, sarà scritta in prima persona dall'inizio alla fine e analizzerà a fondo la psicologia di Len.
Spero vi sia piaciuta e mi scuso fin da subito per eventuali errori o incomprensioni >//< il caldo fa brutti scherzi xD

Al prossimo aggiornamento e grazie a tutti 

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Capitolo 2
*** Act I-Corrupted Kingdom, Warrior of Red ***


Nota: nonstante non abbia messo l'avvertimento "incest" alla storia, in questo capitolo vi è un leggero passaggio che fa riferimento appunto all'incesto.


In un regno lontano lontano, devastato dalla guerra e dalla corruzione, regnava una giovane Principessa di soli quindici anni. Tutti la temevano, nessuno osava andare contro il suo volere, perché ciò che desiderava l'otteneva.

La chiamavano demone, ma a me non importava... Perché anche se il mondo intero fosse diventato suo nemico, io sarei stato lì per proteggerla... Sarei diventato persino un diavolo, cosicché lei potesse continuare a sorridere...”

 

“Ahahaha, fa' silenzio!” ordinò Rin malignamente alla donna davanti a lei.

“Vostra Maestà, la sto implorando di ascoltare le nostre preghiere... Stiamo morendo di fame e-”

“Voglio ricordarti che il Regno è stremato dalla guerra con il popolo delle Montagne Purpuree!” interruppe la Principessa con freddezza. I suoi occhi erano autoritari e non davano segno di cedimento.

La discussione durava ormai da parecchi minuti, la mia sorellina continuava a mantenere la posizione e non sembrava voler concedere alla donna ciò che chiedeva. Era difatti impossibile farlo, tutte le risorse del Regno dovevano essere usate per impedire l'invasione del popolo Viola.

La contadina di fronte a noi ruggì sommessamente, come se cercasse di trattenere la rabbia, poi mi rivolse un'occhiata feroce.

Notai che non era del nostro regno, aveva qualcosa di diverso. Il suo abbigliamento mi fece pensare che forse fosse un'avventuriera, oppure una mercenaria. Indossava infatti un vecchio mantello macchiato di terra che cadeva pesantemente sulle spalle, da cui spuntavano pezzi di un'armatura rossastra sui gomiti e sulle anche.

Era una donna bella, sui vent'anni circa, dalla corporatura robusta e dalle forme pronunciate, cosa assai strana viste le terribili condizioni in cui versava il popolo. Aveva i capelli castani, con lievi sfumature rossastre; erano corti e ispidi, come quelli di un uomo, sembrava li avesse tagliati con una vecchia lama arrugginita: probabilmente l'aveva fatto rinunciando alla sua vita e alla sua femminilità per il bene di qualcuno.

Mi guardava con ferocia, con i suoi grandi occhi color argilla come se mi stesse accusando di essere lì, pareva mi stesse incolpando per il mio silenzio e per il mio disinteresse.

Fa' qualcosa! Falla ragionare!” mi urlavano i suoi occhi, ma come umile servo della Principessa non potevo far altro che sottostare al volere di Lei.

Sentivo il cuore battere forte, mi sentivo in colpa...

Il mio compito consisteva nello stare dietro le quinte, nell'ombra, per proteggere la mia amata sorellina...

Rin si alzò dal suo trono e, coprendosi le labbra col delicato ventaglio dorato, si diresse verso la finestra alla sua destra per godersi, anche solo per un istante, la luce del tramonto. Sorrisi nel vedere il suo volto illuminato da quel sole ambrato. Provai un incredibile senso di calma, lo stesso che provai un anno e mezzo fa, quando mi ricongiunsi a Lei.

Osservavo ogni suo movimento, con la guardia alzata, pronto ad agire in qualunque momento.

Fu in quell'istante che venni accecato da un anomalo raggio di luce proveniente dall'interno della stanza.

Notai, prima di chiudere gli occhi, una scintillante lama viaggiare velocemente verso la gola di Rin.

Tutto pareva estremamente lento, ma sapevo di aver pochi secondi per agire; sbattei velocemente le palpebre e altrettanto rapidamente estrassi la mia spada larga dal suo fodero.

 

Uno schizzo di sangue colpì violentemente il pavimento di marmo lucente.

 

“Len!” urlò la mia gemellina terrorizzata.

La lama della mia avversaria premeva dolorosamente contro la mia guancia sinistra provocandomi un fastidioso bruciore, mentre il colletto blu cobalto della mia giacca si tingeva del mio sangue.

Gli occhi della donna erano sgomenti, sorpresi dal mio intervento, una perla di sudore le bagnava la tempia destra, mentre la mia arma minacciava pericolosamente la sua gola.

Entrambi respiravamo affannosamente, cercavo di mantenere la calma, di non mostrare la mia paura e la mia preoccupazione... Non volevo che la mia Principessa assistesse a scene del genere.

“Len, stai bene?”

“Sta' indietro!” intimai a Rin.

La donna continuava a fissarmi con rabbia, sentii la lama premere di più sulla guancia.

“Non farei movimenti azzardati se fossi in te... -sibilai cercando di mantenere la voce ferma e controllata, poi mi rivolsi alle guardie- Portatela via!”

I due grossi cavalieri ai lati del trono arrivarono in pochi secondi e impedirono alla donna di muoversi.

La giovane avventuriera venne trascinata via e cacciata fuori dal castello: in quel momento non ebbi alcuna intenzione di rinchiuderla, qualcosa dentro di me me lo impediva...

Prima che la donna attraversasse la porta, i suoi occhi mi fulminarono nuovamente.

Di nuovo quel senso di colpa...

“Mi dispiace...” dissi con un filo di voce. Un'altra occhiata che pareva una pugnalata mi colpì al cuore.

“L-Len? Perché non l'hai fatta rinchiudere?! -fece la mia Principessa rabbiosa- Sarebbe bastata una tua parola per condannarla!”

Sussultai, tornando con i piedi sulla Terra, e risposi con un sorriso: “Non me la sentivo...”

“Tsk, sei troppo buono...” bofonchiò, gonfiando le guance e mettendo il broncio come una bambina piccola.

La sua faccia mi fece ridere di gusto, poi sentii una leggera fitta al viso.

“E adesso perché ridi?!”

“Niente, sei buffa.” dissi pulendomi la ferita con la manica.

Rin sbuffò infastidita, faceva sempre così quando la prendevo in giro.

“Però vorrei solo che tu sia te stessa, e non il demone che tutti credono...” mormorai, poggiandomi al bracciolo del trono per la stanchezza. Sentivo le gambe pesanti, il cuore continuava a battere forte per la tensione e la guancia pulsava fastidiosamente.

“Sono stata cresciuta così, e mi hanno insegnato a governare questo regno col pugno di ferro... Da sola...” rispose tornando a contemplare il tramonto.

Scossi la testa, in segno di disapprovazione.

“Non sei sola... Sono tornato apposta per questo... Perché qualsiasi cosa accada, io ci sarò per proteggerti.”

 

*****

 

“Che sollievo!” dissi stiracchiandomi di gusto. La mia stanza si stava lentamente riempiendo del caldo vapore che usciva dal bagno, rendendo la luce della lanterna ancora più soffusa, mentre sulle pareti scolorite, danzavano ombre tremolanti.

Afferrai l'asciugamano dalla sedia e me lo poggiai sulle spalle nude, strofinandolo sui capelli, stando attento a non toccare la ferita, poi la mia mente tornò a quella donna e a quello che stava per fare a Rin...

Non mi sarei mai perdonato se le fosse successo qualcosa...

Mi avviai verso la finestra e osservai il cielo carico di nuvole... Mi sentii impotente di fronte a tanta grandezza, a tanta potenza... Sentii come se non fossi in grado di adempiere al mio compito.

Scossi la testa e chiusi le tende: probabilmente a breve si sarebbe scatenato un temporale e non avevo voglia di essere svegliato dai fulmini.

Mi gettai sul letto, con la pesantezza di un masso, senza curarmi di asciugarmi completamente i capelli. Poi voltai la testa verso il comodino e afferrai un libro regalatomi dal mio migliore amico, il Re della Terra del Blu, Kaito.

Ripensai agli anni che trascorsi sotto la sua guida, ai suoi insegnamenti e agli allenamenti che mi avevano reso il guerriero che sono adesso. Ritornai a quei giorni di risate e combattimenti, al nostro apprendistato insieme e a tutta la comprensione che mi aveva sempre dimostrato.

Nei suoi confronti, provavo solo gratitudine: per me era come un fratello.

 

Sfogliavo pigramente le pagine, assaporando ogni parola delle Leggende del Blu sfregando le dita sui delicati fogli di carta decorata. Lessi per ore, senza mai smettere, senza che Morfeo mi avvolgesse tra le sue spire.

Un tuono mi fece sobbalzare, poi un pensiero fece capolino nella mia testa: tra poche ore sarebbe stato il mio compleanno... E anche il compleanno di Rin... Il primo che avremmo festeggiato insieme...

Mi sedetti posando il libro sulle lenzuola stropicciate e umide, gettando l'asciugamano a terra. Un lampo illuminò la stanza. Un tuono fece tremare le finestre. La fiamma della lampada a olio si stava lentamente estinguendo.

Dovrei farle un regalo, ma cosa? Cosa potrei darle?”

Un altro lampo. Un altro tuono. La pioggia cadeva pesantemente, in grosse gocce che facevano tintinnare il vetro della finestra.

“L-Len...”

Una vocina spaventata attirò la mia attenzione. Mi girai verso la porta e vidi Rin in piedi, sulla soglia della mia stanza, nella sua veste da notte di seta bianca ricamata d'oro, che la faceva sembrare un essere etereo e fatato.

“Che cosa c'è?” chiesi preoccupato.

L'ennesimo boato. La mia gemellina si mise le mani sulle orecchie, poi si strinse i gomiti al petto, facendosi piccola piccola.

“P-posso d-dormire c-c-con te?” balbettò terrorizzata.

Sorrisi e mi spostai verso il muro, facendole spazio. Come una bimba, corse da me e mi abbracciò forte.

Sentii il cuore iniziare a battere freneticamente, le sue mani calde stringevano febbrilmente la mia schiena nuda, mentre le sue lacrime scendevano sul mio petto.

Afferrai con gentilezza il suo mento e le sollevai il viso, in modo da guardarla negli occhi.

Il mio naso sfiorava il suo, le sue labbra erano a pochi millimetri dalle mie... Era talmente vicina da riuscire a sentire il suo tiepido respiro in bocca...

Le sorrisi e, dopo averle dato un bacio sulla fronte, la feci sdraiare accanto a me.

“G-grazie...” mormorò tra i singhiozzi.

“E perché? È mio compito proteggerti! -dissi facendo accomodare la sua testa nell'incavo del mio collo- Adesso dormi...”

Rin annuì e poggiò la mano sul mio cuore, per poi chiudere gli occhi con un sorriso sereno.

 

Passarono diversi secondi, minuti, ore...

Non riuscivo a capire se mi fossi addormentato o meno, se stessi ancora pensando o sognando. Mi sentivo leggero, intontito, non sentivo il mio corpo. Dovevo essere in uno stato di dormiveglia.

Il rumore della pioggia era diventato un suono sordo, ovattato, quasi inconsistente; era diventato un surreale sottofondo al respiro regolare di Rin. Sapevo di tenere la mano sul suo braccio, che si alzava e abbassava scandendo il suo battito e il suo respiro.

Le regalerò qualcosa che la renda felice...” pensai muovendomi nelle tenebre.

Sentii la mia mano scivolare sulla vita della mia Principessa. La strinsi a me.

Pareva un sogno, non capivo se fossi sveglio o meno. L'unica certezza era che Lei era lì con me, dormiva tra le mie braccia, dopo dieci anni vissuti lontani l'uno dall'altra.

Un brivido mi percorse la schiena, i miei occhi si spalancarono.

Sentii Rin mugolare. Temevo si stesse per svegliare. Mosse la testa verso l'alto, le sue labbra si posarono sulla base del mio collo.

L'osservai per un paio di secondi, cercando di controllare le mie emozioni. Averla lì mi rendeva felice, ma allo stesso tempo, mi sentivo in colpa per non esserci stato per così tanti anni, per non aver mai avuto la possibilità di giocare con lei e proteggerla dalle paure dell'infanzia.

La stanza si illuminò di una tenue luce azzurra che si posò sul viso di Rin.

Mi voltai allora verso la finestra. Aveva smesso di piovere, il cielo era limpido, una bellissima luna piena brillava alta circondata da miliardi di stelle.

Le baciai la fronte e passai le dita tra i suoi capelli dorati.

Buon compleanno, Principessa... Ti voglio bene...”

 

*****

 

Uscii di nascosto dalla mia stanza alle prime luci dell'alba, senza svegliare Rin, che dormiva beatamente nel mio letto.

Giravo scalzo per il castello, con la paura di fare troppo rumore e svegliare qualcuno.

Il castello pareva deserto, gli unici suoni erano quelli dei miei piedi e del fruscio del mio mantello.

Dovevo girare come un civile, non sembrare un nobile, perciò indossai la stessa camicia e gli stessi pantaloni con cui mi presentai davanti alla Principessa la prima volta.

“Dove stai andando?!” fece un vocione che mi fece sobbalzare.

Mi voltai e vidi una delle guardie che usciva dalla propria stanza stropicciandosi gli occhi.

“Sto andando in paese per una commissione. Rin sta dormendo nella mia stanza, potresti occuparti tu della Principessa? Grazie!” dissi velocemente correndo verso il giardino, dove mi infilai le scarpe.

 

“Eccomi nel Borgo...”

Scesi da cavallo e mi avviai all'interno del paese, destreggiandomi tra pozzanghere e pantani, per cercare il regalo più adatto alla mia principessa.

Facevo fatica a camminare, mentre i paesani mi squadravano dalla testa ai piedi, diffidenti.

L'aria era fredda, il cielo era di un azzurro pastello talmente delicato da sembrare un dipinto, mentre le nuvole della notte prima avevano lasciato spazio al sole.

Mi guardavo attorno senza fare troppo caso alle varie botteghe, come se mi fossi dimenticato del motivo per cui ero lì. Non riuscivo a concentrarmi sul regalo, la mia attenzione era completamente rivolta alle condizioni del popolo.

V'erano pochissimi uomini, molti dei quali feriti o troppo vecchi per combattere, c'erano soprattutto anziane donne con in grembo bambini piccolissimi, tutti vestiti di abiti logori e sudici. Le giovani erano costrette ai lavori più duri, come pulire le stalle dei cavalli e trascinarsi dietro lunghe e pesanti tavole di legno per riparare le proprie abitazioni.

Sentii il cuore stringersi in una morsa, poi notai una ragazzina di circa dodici anni cadere a causa del peso del legno.

Mi alzai il cappuccio si sotto gli occhi, in modo da non mostrare la mia somiglianza con Rin e corsi dalla bambina per aiutarla.

“Ce l'hai?” chiesi afferrando la trave sorridendole.

La ragazzina mi fulminò con lo sguardo, allo stesso modo della donna del giorno prima. Provai la stessa identica sensazione, lo stesso senso di colpa...

Tentennai e indietreggiai di qualche passo.

“Che cosa vuoi?! Lasciami stare!” urlò la bambina, attirando l'attenzione di un grosso uomo zoppo, che a prima vista doveva essere il padre.

“Che cosa stai facendo a mia figlia?” fece prendendo una grossa mannaia arrugginita da un mucchio di legname.

D'istinto poggiai la mano sull'elsa della mia spada poi, dopo aver deglutito pesantemente, risposi: “Ho visto che era in difficoltà... Volevo solo aiutare...”

Notai che intorno a noi s'era formato un piccolo gruppo di curiosi, molti dei quali mi fissavano diffidenti. Tra la folla notai un viso famigliare, ma non potei accertarmene che la grossa lama calò verso di me. Rotolai senza pensarci a destra, tenendo il cappuccio con le dita.

“Sparisci, gli stranieri non sono accetti qui!”

Sospirai, guardando quelle persone così distrutte dalla guerra, così arrabbiate per quello che mia sorella stava facendo. Con la coda dell'occhio vidi di nuovo quella figura, che decisi di seguire facendomi strada attraverso la folla.

 

“Che diamine mi viene in mente? Ha tentato di uccidere Rin, perché la sto cercando?” dissi con un filo di voce fermandomi in mezzo alla strada.

Ero in quel Borgo per una ragione ben precisa, non per interferire con la vita delle persone, ma per trovare un regalo di compleanno per la mia sorellina...

Udii un cinguettio. Mi voltai e i miei occhi si posarono su una gabbietta che custodiva una coppia di canarini gialli.

Mi avvicinai a loro e sorrisi.

“Ti interessano?” mi chiese una vecchietta dall'aspetto fragile e infermo seduta accanto a una bancarella.

“E-ehm, sì...”

“È per qualcuno di importante? Puoi dirlo alla nonna...” fece dondolandosi in avanti.

“Sì, è per mia sorella. Oggi compie gli anni...” risposi vago, diventando rosso.

“Allora sono tuoi, te li vendo per cinque monete d'argento...” disse come se si aspettasse che rifiutassi il prezzo che mi aveva proposto. Nessuno probabilmente avrebbe pagato un prezzo simile per due uccellini.

Mi chinai davanti a lei, mantenendo il viso nascosto, e tirai fuori dalla tasca dei pantaloni cinque monete d'oro che posai tra le sue dita raggrinzite. Il suo viso rugoso si illuminò alla vista di tanto denaro.

“Non è molto, ma può usare questi soldi per la sua famiglia...” mormorai sorridendo.

La vecchia si avvicinò a me, cercando di scrutare il mio volto e chiese: “Perché, giovanotto?”

“È il minimo che possa fare...” dissi allontanandomi e prendendo la gabbietta, mentre una strana sensazione si impossessò di me. Rabbrividii, controllandomi intorno, nonostante ci fosse solo la venditrice a guardarmi.

“Sei tanto gentile...” sentii alle mie spalle.

 

Camminavo soddisfatto del mio regalo, guardando di tanto in tanto i due animaletti.

Speriamo che le piacciate... -pensai tra me e me- Mi dispiace solo per il brusco viaggio che dovrete affrontare...”

“Sei davvero ipocrita, sai?” fece una voce femminile di mia conoscenza.

Mi voltai e vidi la donna che aveva attentato alla vita di Rin, seduta a terra in un vicolo, avvolta dal suo mantello rossastro.

“Che cosa vuoi? Non ti basta che non ti abbia fatto rinchiudere?” risposi mettendomi sulla difensiva, pronto a estrarre la spada.

“Certo, fai il buon samaritano, ma non impedisci a quel demone di ridurci in questo stato...”

Sentii un ruggito salirmi in gola: “Io non ho alcun potere...”

“Tu sai che succede qui?” chiese diretta, ignorando le mie parole.

Scossi la testa, non ne avevo idea. Non sapevo quanto fosse grave la situazione.

“Bene, vieni con me...” disse amaramente, alzandosi e dirigendosi all'interno del vicoletto.

La seguii, controllando i miei uccellini, in modo da non sballottarli troppo.

“Come ti chiami?” le chiesi ad un certo punto, mentre lentamente abbandonavamo la zona del mercato.

“Meiko, della Contea Rossa...” rispose fredda.

“I-io sono Len...”

“Non mi interessava...”

Digrignai i denti infastidito, ma mi limitai a seguirla. Non potevo fidarmi di lei, perciò continuavo a tenere la mano poggiata sull'elsa della spada.

I due canarini cinguettavano freneticamente, rendendo l'atmosfera carica di tensione ancora più opprimente.

“Eccoci...” disse scavalcando un muretto che delimitava un cimitero. Feci lo stesso, facendo attenzione alla gabbietta.

“Vieni...”

Obbedii. Camminavamo lentamente tra diverse tombe, tutte sovrastate da pesanti travi di legno legate a croce con della corda.

Rabbrividii. Ero sempre più nervoso, il cuore batteva veloce, mentre la tensione cresceva sempre più, così come la mia stretta sull'arma.

Facevo fatica a camminare tra i vari pantani, il terreno era scivoloso a causa del temporale della notte prima. Intanto il cielo si stava ricoprendo di pesanti nuvole trasportate da un gelido vento.

Notai tantissime tombe scavate da poco, la terra era smossa e svariati cumuli di terriccio erano sparsi per tutto il campo. Provai una fitta al cuore... Tutto questo era dovuto alla guerra?

“Siamo arrivati...”

Meiko mi distrasse dai miei pensieri e mi mostrò una piccola tomba, ornata da un mazzolino di fiori selvatici.

La donna fissava la piccola croce con tristezza e frustrazione. Teneva i pugni stretti, tanto da farle male, mentre i suoi grandi occhi color argilla si riempivano di lacrime.

“Questa è mia sorella. Io e lei abbiamo viaggiato per tutto il continente, in cerca di un posto migliore. Questo regno era perfetto per noi, fino a quando non è salita al trono Lei e questo conflitto è iniziato... -fece una lunga pausa, guardando il cielo- Abbiamo cercato di aiutare tutti, eravamo amate dal popolo, al primo posto c'era la solo loro felicità, non la nostra...”

Si mosse verso di me e mi prese la guancia ferita con la mano sinistra, guardandomi con disgusto. Con l'altra mano mi abbassò il cappuccio e mi sciolse i capelli. Non capivo cosa stesse succedendo, fissavo il suo viso, pietrificato. Nei suoi occhi c'era il mio riflesso, che in quel momento pareva molto di più quello di Rin, e tanto, tanto odio...

“Vi assomigliate così tanto da rivoltarmi lo stomaco...”

Indietreggiai per il dolore, e per trattenermi dall'attaccarla.

“È morta a causa di questa maledetta guerra, a causa di questa stupida carestia... Quindi è morta per colpa tua e della tua 'Principessa'...”

Quelle parole mi fecero sentire come se il mondo mi fosse caduto addosso. Mi sentivo in colpa, impotente e messo alle strette.

“N-non so c-che dire...” mormorai.

Si inginocchiò sulla tomba della sorella e poggiò la mano sulla croce.

“Non mi importa delle tue parole, volevo solo farti capire per cosa stai lottando... Tu stai lottando per il bene di quel demone, io perché questa guerra finisca... E non ho intenzione di fermarmi per nessun motivo... Nessuno... Riporterò la pace a qualsiasi costo...” disse mentre una leggera pioggerellina iniziò a cadere su di noi.

 

*****

 

“Dove diavolo è finito Len? Come ha potuto abbandonarmi così?!”

Sentivo la voce di Rin chiamarmi attraverso le stanze del castello. Sapevo era arrabbiata con me, ma avevo già un modo per farmi perdonare.

Mentre mi dirigevo verso mia sorella, non potevo non pensare alla conversazione con Meiko e a quello che mi aveva mostrato.

 

Sono certa che un giorno ci rincontreremo, e quello sarà il giorno della resa dei conti... Vedremo chi dei due raggiungerà i propri obiettivi... E chi dei due sopravviverà a questo massacro...”

 

Quelle furono le ultime parole che mi rivolse, prima di lasciarmi solo in quel cimitero.

Cercai di non pensarci, almeno per un paio d'ore, per non insospettire la mia Principessa. Non potevo presentarmi col muso lungo per il suo compleanno.

Sospirai e cercai di sfoggiare il sorriso più convincente di cui ero capace.

Mi guardai attorno... Il lusso di quel castello ora pareva così opprimente, orribile, frivolo... Noi vivevamo in un luogo meraviglioso, mentre tutti gli altri vivevano nella povertà e nel dolore...

Scossi la testa e, nascosta la gabbietta sotto ad una coperta di lino bianca, entrai nella stanza di Rin.

“Eccoti! Dove ti sei cacciato?!” fece arrabbiata, con le guance rosse come peperoni.

Sorrisi, senza rispondere.

“Che cos'hai lì?” chiese acida.

“Sono andato a fare una passeggiata.”

“Con questo temporale?!”

Mi avvicinai e mi inginocchiai di fronte a lei, baciandole la mano.

“Che ti prende oggi?!” bofonchiò esasperata.

Sorrisi, piegando la testa di lato, poi tirai via la copertina.

I due piccoli canarini ricominciarono a cantare felici. Gli occhi di Rin si illuminarono, esprimendo sorpresa e incredulità.

“Buon compleanno, Principessa!”

Caddi a terra, col peso della mia gemellina addosso, che mi stringeva forte.

Ricambiai il suo abbraccio e fu allora che ripensai al mio giuramento di proteggerla a costo della mia stessa vita.



Angolo autrice ^_^
Rieccomi con il primo atto di questa song-fic ^_^
So di averci messo parecchio per pubblicarla, ma ho avuto da fare con gli esami e la mia altra storia >//<
Comunque, scrivendo ho notato che le tematiche affrontate sono descritte più di quanto mi ero prefissata all'inizio, perciò ho deciso di alzare il rating, ma so che non importa a nessuno xP
By the way, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate voglia di farmi sapere se ci son cose che posso migliorare >//<
Un bacione e alla prossima (^_^)//

 

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Capitolo 3
*** Act II-Impossible Love, King of Blue and Maiden of Green ***


Che stai facendo?” chiese la mia Principessa perplessa, disegnando minuscoli cerchietti nella sabbia calda.

Guardai la piccola bottiglia di vetro allontanarsi tra i flutti, mentre le onde che la sostenevano mi rinfrescavano i piedi e la dolce brezza mi scompigliava i capelli.

La bottiglia galleggiava pigra tra i riflessi del sole, che in quel momento parevano migliaia di stelle.

Sto esprimendo un desiderio, dovresti provarci anche tu...” risposi, continuando a fissare quella lontana linea dove cielo e mare si mescolavano.

E perché dovrei?” chiese con superbia, stringendosi le braccia al petto.

Il mio desiderio di rivederti si è avverato...” risposi ingenuamente, come se la risposta fosse stata più che ovvia.

Mi diede le spalle. Piegai la testa di lato, confuso.

Non ne ho bisogno! -poi si girò verso di me, sfoggiando un radioso sorriso- Perché so che ci sarai sempre tu, Len, a garantirmi tutti i miei desideri!”

 

Il Villaggio del Verde brulicava di vita, la zona del mercato era ricca e movimentata. Era chiaro che quel luogo non fosse stato minimamente toccato dalla guerra, dopotutto era sotto il controllo del Re delle Terre del Blu, nazione assolutamente neutrale alle nostre faccende.

L'aria era calda e il profumo del mare permeava le numerose vie, mentre il sole brillava alto in un cielo privo di nuvole, impedendo a chiunque di trovare almeno un piccolo rifugio dalla calura estiva.

“Leeeen! Posso togliermi questo stupido mantello?” chiese Rin in uno sbuffo insofferente da bambina infastidita.

Sospirai, voltandomi verso di lei, che si agitava in continuazione la mano davanti al viso, in cerca di un po' di frescura.

“Lo sai che non puoi... Nessuno deve sapere chi sei.”

“Ma se vestita così sembro una normale popolana?” replicò, quasi urlando.

La squadrai da capo a piedi.

Il suo morbido e raffinato fiocco di seta bianca era stato sostituito da una vecchia bandana di flanella giallastra, scolorita ormai dal tempo, mentre il suo ricco abito di velluto nero e oro era stato rimpiazzato da una vecchia veste marrone, presa in prestito da una delle domestiche.

“Lo so, però io già attiro l'attenzione, se il popolo vedesse anche te, sarebbe un bel problema... Qui siamo degli stranieri, dopotutto...”

L'ennesimo sbuffo della mia sorellina. Mi dispiaceva veramente vederla in quello stato, ma dovevo fare tutto ciò che serviva per proteggerla.

Mi guardai attorno, controllando ogni passante, come se ognuno di loro fosse un potenziale nemico, poi udii lo scorrere dell'acqua.

Al centro della piazza v'era una massiccia fontana di marmo da cui sgorgavano vivaci getti d'acqua fresca. Tutt'attorno, c'erano donne intente a far provviste e mercatini ricchi di frutta e verdura.

Sentii Rin sospirare sollevata e la vidi correre verso quella fonte, come se in pochi secondi avesse recuperato tutte le energie.

Sorrisi, lasciandomi andare per un po': di certo non le sarebbe successo nulla.

“Vado a prenderti qualcosa da mangiare!” le urlai dall'altro capo della piazza.

Lei non sembrò farci caso, tanto era intenta a godersi l'acqua fresca, immergendo più volte le mani in quello specchio cristallino e portandosele al viso.

Allora mi voltai in cerca di qualcosa di buono da comprarle, nonostante l'idea di allontanarmi non mi piacesse per niente.

 

Ero stato più volte nel Villaggio del Verde durante il mio addestramento, me lo aveva mostrato Kaito.

Mi piaceva passare il tempo lì, scorrazzando di qua e di là tra le bancarelle e la spiaggia, dove spesso sognavo di tornare dalla mia sorellina.

Allora la mia mente tornò veloce a quel giorno nel Borgo del nostro Regno, a quella ragazzina e all'odio nei suoi occhi, ma soprattutto alla conversazione avuta con Meiko e a ciò che mi aveva mostrato.

 

È morta a causa di questa maledetta guerra, a causa di questa stupida carestia... Quindi è morta per colpa tua e della tua 'Principessa'...”

 

Dopo ciò che vidi quel giorno, la differenza tra il Dominio di Rin e quello del Re del Blu mi apparve lampante.

La nostra gente viveva nel dolore e nella paura, mentre il Villaggio del Verde brulicava di vita e il popolo era felice.

Già, quella gente sorridente che mi accolse anni addietro. Sentii la nostalgia farsi spazio nel mio cuore.

Camminando tra quelle bancarelle, i ricordi del mio apprendistato cominciarono a riaffiorare con una tale forza da sembrare incredibilmente recenti.

I giorni delle scorrazzate e delle risate vissute assieme a Kaito parevano accompagnarmi nella mia ricerca di cibo per Rin.

Ovunque mi girassi, ricordavo ogni singola avventura passata fuori dal castello, dalla mela rubata di nascosto alla capra lasciata fuggire per sbaglio.

Mi girai per controllare che la mia sorellina stesse bene, quando un dolcissimo profumo mi invase i polmoni.

Fu allora che notai un piccolo banchetto di legno colmo di dolci fatti in casa; a gestirlo, c'era una giovane donna dai capelli verdi con un bimbo in braccio.

La riconobbi immediatamente: l'ultima volta che la vidi, aspettava il suo primo figlio.

“Buongiorno” feci abbassandomi verso i prodotti esposti, quasi assaporandoli con gli occhi.

Nella mia testa, v'era l'immagine del me bambino intento nella medesima azione.

“Len? Sei davvero tu?” chiese la venditrice stropicciandosi gli occhi con fare teatrale, dopo aver messo il piccolo su una seggiola.

Sorrisi annuendo, poi mi voltai nuovamente verso la mia Principessa.

Vederla tanto felice, fuori dal castello e libera dai suoi compiti, mi levava un peso dal cuore.

“Ne è passato di tempo...” mormorai senza distogliere lo sguardo dalla mia gemella, che nel mentre si godeva l'acqua fresca della fontana.

“Eh già! -fece lei, preparando prontamente un sacchetto di carta- Cosa desideri? I tuoi soliti dolcetti?”

Annuii, rispondendo al suo grosso sorriso.

“Spero piacciano anche alla tua amica...” disse distraendomi dai movimenti esperti e precisi delle sue mani.

Sussultai. Non volevo parlasse di Rin, tanto meno che le rivolgesse la parola.

“Sicuramente! Dopotutto le tue brioche sono le migliori!”

“Adulatore! -replicò sventolando una mano per aria, in segno di imbarazzo, mentre con l'altra mi porgeva il sacchetto- Comunque, fatti vedere più spesso!”

Sorrisi nuovamente, salutando con la mano.

Subito mi diressi verso la Principessa, ma non potei trattenermi dal prendere uno di quei deliziosi dolcetti e azzannarlo.

Fu una sensazione meravigliosa.

In qualche modo, fu come tornare bambino, con le mani appiccicose di zucchero e la bocca sporca di briciole.

Sorrisi compiaciuto. Di certo Rin li avrebbe apprezzati.

Avvicinai nuovamente il dolce alle labbra, ma sentii la terra mancarmi da sotto ai piedi a causa di un impatto.

Vidi una mano piccola e esile afferrarmi saldamente il polso, poi il suono del sacchetto che colpiva il terreno.

“Mi dispiace! Ti ho fatto male?” chiese una soave voce femminile.

Un brivido mi attraversò dal cuore allo stomaco. Fu una sensazione strana, mai provata prima, ma allo stesso tempo era incredibilmente famigliare.

Parve la stessa emozione che provai rivendendo Rin... No, era più forte.

Alzai allora gli occhi dal mio spuntino ed eccola lì.

Il mio cuore mancò un battito, ne fui certo, mentre il mio equilibrio cedette ancora, o almeno fu quello che avvertii io, visto che i miei piedi erano saldamente ancorati al suolo.

Non riuscii a descrivere quello che provai. Non ci riesco tuttora...

Una giovane donna dai lineamenti quasi angelici.

L'ovale del viso era delicato e ben definito, quasi fosse dipinto dal più grande di pittori.

Gli occhi, incredibilmente innocenti, erano grandi e pieni di vita, azzurri come due zaffiri.

Invece, le labbra, di un delicato rosa pastello, affioravano su una pelle bianca come la neve. Il tutto era incorniciato da una meravigliosa chioma verde acqua, domata da due codini dall'aspetto quasi infantile, mentre svariati ciuffi le cadevano disordinatamente sulla fronte.

Si mise a ridere. Una risata dolce e sincera che mi fece battere forte il cuore.

Probabilmente fu la mia faccia a farla ridere tanto. Lo capii dalla sua espressione, ma non riuscii a muovermi tanto ero abbagliato da quel volto.

Emise un altro risolino, per poi iniziare a frugare in una vecchia sacca di tela da cui estrasse un elegante fazzoletto di seta.

“Ehi, ti sei incantato?” chiese pulendomi il viso dallo zucchero e dalle briciole, come fa una madre con il suo bambino che si è appena sporcato con la merenda.

Non mi accorsi minimamente della sua mano, fino a quando non sfiorò la mia guancia.

Sussultai a quel gesto del tutto inaspettato e avvertii il mio corpo scattare all'indietro.

“Preferisci darti una sistemata da solo?” chiese porgendomi quel quadratino di stoffa bianco, che dondolava pigro dalle sue esili dita.

La fissai per un istante, che però parve interminabile. Il mio cuore non accennava a calmarsi con i suoi battiti irregolari, per certi versi così spaventosi, eppure così piacevoli.

Appena riuscii a distogliere lo sguardo mi chinai a raccogliere quel che rimaneva del mio spuntino. O almeno era quella la mia intenzione: in quel momento volevo solo nascondere il mio viso paonazzo.

Per la prima volta, sentii di non avere il controllo della situazione. Per proteggere Rin dovevo avere tutto sotto controllo, ma di fronte a lei tutto sembrava fin troppo irrazionale.

“Mi dispiace per quelli -disse indicando il mio sacchetto, facendomi sussultare ancora- Posso ricomprarteli, se vuoi...”

Scossi la testa.

“Il denaro non mi manca, di questo puoi stare tranquilla...”

Rise nuovamente. Non la biasimai: infatti le mie parole non suonarono ferme e composte come mi aspettavo, bensì sembrarono un buffo ammasso di suoni biascicati.

“Mi chiamo Miku, tu?” fece porgendomi la mano, sempre avvolta nel suo fazzoletto di seta.

Cercai ovviamente di rispondere, ma avvertii una fastidiosissima secchezza sul fondo della gola, come se avessi appena mangiato una pagnotta vecchia di giorni.

“È da molto che non ci si vede... Len...”

Ebbi un tuffo al cuore. A presentarmi fu una voce maschile che non mi sarei mai aspettato di sentire. Una voce che mi ha accompagnato per dieci lunghi anni.

“Kaito!”

 

*****

 

Rin sorrideva come un angelo, il suo volto illuminato dai riflessi del sole che si specchiava nella massiccia fontana.

Pareva felice di parlare con Kaito, sembrava esserne quasi attratta, per non dire infatuata.

Non l'avevo mai vista ridere a quel modo con degli sconosciuti, soprattutto perché i suoi tutori l'avevano abituata a diffidare di chiunque; Lei, il fiore del male, colei che veniva considerata un demone da tutti, in quel momento aveva sul volto il più angelico dei sorrisi.

Mi girai a guardare il viso del mio vecchio commilitone, che si allargava in un'espressione parecchio divertita.

Da quando lasciai la sua dimora, il suo aspetto rimase tale e quale a come lo ricordavo: alto, sempre più di me, atletico e dal portamento fiero; i capelli corti e scompigliati, blu come l'oceano più profondo.

Esattamente come immaginavo fosse un vero Re, eppure anche lui, come Rin, nascondeva la propria identità al popolo indossando abiti ordinari.

“Vi assomigliate davvero moltissimo!” fece poi, soffermandosi su di me in cerca di dettagli che mi differenziassero da Rin, mentre il delicato volto di Miku, la sua dama di compagnia, spuntava da dietro la sua spalla come un grazioso spiritello.

Sul volto di lei, il suo sorriso continuava a risplendere, e ogni volta che incontravo quei suoi meravigliosi occhi azzurri, il mondo intero sembrava fermarsi. Come se ci fossimo solo io e lei...

“Già -mormorai distratto, come se le mie parole uscissero dalla bocca di qualcun altro- Piuttosto... Tu e Miku da quanto vi conoscete?”

Kaito ci pensò per alcuni istanti, facendo sporgere il labbro inferiore come un bambino, poi rispose:”Ci siamo incontrati più o meno qualche settimana prima che tu partissi... Non te l'ho detto perché avevi altro a cui pensare.”

“Mio padre è il capo villaggio ed è stato lui a mandarmi al castello...” aggiunse immediatamente lei, impedendo al Re di finire il discorso.

Il viso del mio caro amico si allargò in un enorme sorriso di felicità, come se quell'incontro fosse stata la cosa migliore che gli fosse mai capitata, poi notai sul volto della ragazza un velo di malinconia dovuto sicuramente alla mancanza della sua famiglia, oppure rabbia, causata forse dalla perdita della propria libertà per stare al fianco di un estraneo.

Fu allora che capii, o almeno in parte, quello che c'era tra loro.

Lui l'amava, più di qualunque altra cosa, anche più del suo stesso regno, eppure lei, per quanto Kaito cercasse di renderla felice, non riusciva a ricambiare i suoi sentimenti.

Provai una stretta al cuore.

Di fronte a me c'erano due persone intrappolate in un circolo vizioso dove nessuno dei due è veramente felice... Dove entrambi desiderano qualcosa di inafferrabile...

Come fai a essere così cieco?, pensai. Non vedi che lei desidera qualcosa di diverso?! Io potrei offrirle di meglio...

Immediatamente cercai di scacciare quei pensieri scuotendo la testa.

Non potevo aver pensato davvero quelle cose. Non ne avrei avuto motivo... Dopotutto la conoscevo solo da poche ore.

“Len, va tutto bene?” chiese Rin, sfiorandomi la mano destra.

“S-sì, sì certo!” la sua voce mi riportò subito con i piedi sulla Terra.

Mi sto solo infatuando della donna del mio migliore amico, avrei voluto aggiungere.

Di nuovo quella fastidiosa secchezza sul fondo della gola e quel senso di disagio.

La mia Principessa si avvicinò per scrutare ancora più a fondo il mio volto, ma subito mi alzai e dissi, sbrigativo: “Ho fame, vado a prendere da mangiare!”

Non attesi il suo responso. Mi allontanai a passo veloce, impettito, rigido.

Volevo metter ordine tra i miei pensieri, solo quello. Avevo bisogno di stare solo per pochi minuti.

Non sarebbe dovuto succedere... Devo solo pensare alla sicurezza della Principessa, non posso pensare a cose futili come l'amore.

Intanto, la voce di Kaito mi chiamava e mi invitava a tornare da loro, ma in quel momento avevo solamente bisogno di riflettere.

 

Il sole aveva appena iniziato a tramontare e la calma aveva preso il sopravvento tra le vie, frenetiche poche ore prima, che lentamente si tingevano dei colori del crepuscolo.

È strano quanto il tempo passi veloce quando ti diverti... O ti innamori...

“Basta! Basta!” urlai colpendomi nuovamente le guance per scacciare quel pensiero.

Dovevo smetterla, dovevo impedire alla mia mente di andare in quella direzione.

“Tutto ciò non ha nulla di logico...”

“Cosa non ha nulla di logico?”

Mi irrigidii, quasi mi congelai a quella voce. Accanto alla mia ombra se n'era formata un'altra, minuta e filiforme.

“Che cosa ci fai qui?!” chiesi senza accorgermi di stare ancora urlando.

“Sei un tipo strano. Sua Maestà non ha mai accennato al fatto che fossi tanto divertente.”

Bella. Bellissima. Quella sua espressione divertita, quel suo sorriso... Mi sembrava di essere l'unico uomo sulla faccia della Terra che potesse goderne.

“Eh! Non sembri molto sveglio, però!” fece ridendo, per poi afferrarmi la mano e tirarmi verso le ultime bancarelle rimaste.

“Che diavolo stai facendo?” replicai puntando i piedi. Non volevo essere trascinato ulteriormente in una situazione irrimediabilmente fuori dal mio controllo.

La mia priorità era Rin, e lo sarebbe sempre stata.

“Niente! Volevo solo passare del tempo da sola con te!”

Scrollò le spalle, poi piegò la testa di lato, in attesa della mia risposta.

“E, e p-perché dovresti?” riuscii a balbettare appena.

Si allontanò di qualche passo, volgendo gli occhi come zaffiri al cielo ambrato.

“Ho notato che la Principessa gode immensamente della compagnia di Sua Maestà. Dovrebbero stare un po' soli...”

Ci furono circa dieci secondi di silenzio.

“E poi, anche io trovo piacevole la tua presenza... Molto più di quanto immagini...”

Riprese a camminare, con le mani giunte dietro la schiena, e nell'aria, la sua voce iniziò a diffondersi con una dolce nenia.

La seguii, estasiato da quella melodia, come un marinaio attirato dal canto delle sirene.

Non parlai. La sua presenza sembrava aver assoggettato la natura attorno a sé con la sua bellezza.

Non interruppi quella canzone, le sue note infondevano una profondissima quiete.

“Oggi sono stata meravigliosamente con te -disse fermandosi- Credo sia stata la giornata più bella della mia vita...”

“Non sei felice con Kaito?”

La mia domanda fu molto diretta, forse anche un po' brusca, ma Miku non sembrò offendersi.

“Mi ha chiesto di sposarlo... Strano, vero? Un Re innamorato dell'umile figlia del capo villaggio... Non lo trovi buffo?”

Si voltò verso di me e nei suoi occhi vidi la malinconia. No, non è felice, mi risposi da solo.

“F-Forse...” balbettai ancora, mentre il mio cuore rispondeva con battiti sempre più irregolari. Lei fece spallucce, come se non mi avesse sentito.

“Non mi piace la vita di corte, piena di regole e precetti... Ma non riesco ad andarmene... Non voglio spezzare il cuore di Sua Maestà, che è sempre stato tanto buono con me... Mi capisci?”

Annuii, poi una nuova pausa, più lunga.

Intanto, Rin e Kaito continuavano a chiacchierare amabilmente, esattamente come si confà a dei nobili del loro rango.

“Sua Altezza la Principessa dovrebbe stare al suo fianco, non io... Io sono come un pesce fuor d'acqua, ma con te è diverso... Con te sto bene, riesco ad essere me stessa.”

Vorrei poterti rimanere vicino. Di nuovo quei pensieri, pensieri che non avrei mai espresso perché privi di senso.

“Grazie per avermi ascoltata! -si avvicinò e poggiò le labbra sulla mia guancia destra- Sei carino quando ti piace una ragazza.”

Mi irrigidii, imbarazzato, e non mi accorsi che Miku mi aveva lasciato solo tra gli ultimi mercatini.

Sul viso, intanto, il punto su cui aveva lasciato quel bacio emanava un piacevole calore.

Non appena mi ripresi, corsi anch'io dalla mia Principessa e fu allora che capii meglio ciò che Miku mi aveva confidato: Kaito, ancora seduto accanto a Rin, teneva il volto della sua dama di compagnia con la delicatezza di un fiore e le labbra erano posate timidamente su quelle di lei.

Dal canto suo, Miku era immobile, rigida e rispondeva debolmente all'amore di qualcuno che non amava e questo Kaito lo sapeva.

Entrambi sapevano ed entrambi non avevano la forza per prenderne atto.

Provai una fitta al petto. Non è amore, non è amore, continuavo a pensare. Quello che provo non è amore... E non è giusto nei confronti del mio migliore amico...

Distolsi lo sguardo e vidi Rin stringere i pugni attorno alla ruvida stoffa del suo abito.

Soffriva, lo capii subito: dopotutto tra gemelli certe cose si colgono al volo.

Riconobbi senza ombra di dubbio il suo dolore, la sua infatuazione...

Era lo stesso dolore che provavo io...

 

*****

 

Passarono due giorni dalla nostra visita al Villaggio del Verde e il ricordo di Miku si faceva sempre più forte. Per quanto poco tempo fosse passato, non potevo fare a meno di pensare a lei, distraendomi dai miei compiti di servo della Principessa.

“Non è amore...” mormorai per la milionesima volta attraverso i numerosi corridoi del castello.

Mi muovevo lentamente verso la stanza di Rin, i miei piedi strusciavano sul folto tappeto rosso, mentre le tazzine di porcellana colme di tè alla rosa tintinnavano ad ogni mio passo.

Oltre a quegli unici suoni, nel palazzo regnava il silenzio; nemmeno il resto della servitù sembrava fare il minimo rumore.

In quel silenzio la mia mente vagava da un estremo all'altro: da una parte il sorriso di Miku mi alleggeriva l'animo, donandomi una quieta e felicità, mentre dall'altro, l'espressione di dolore della mia amata gemella mi faceva sentire impotente e sembrava voler scacciare il ricordo del bacio lasciato da lei.

Di certo quello che aveva visto l'aveva ferita, non serviva essere dei geni per capirlo.

Sospirai. Non avrei potuto farci niente in nessun caso.

Lei, come me, si stava infatuando di qualcuno che non l'avrebbe mai ricambiata, per un motivo o per l'altro.

Senza accorgermene, mi ritrovai nella stanza di Rin, illuminata dalla tenue luce del sole che filtrava dalle tende d'organza.

Oltre a quel delicato filtro di tessuto mosso dal vento, la Principessa sedeva ad un tavolino tondo ad ammirare un cielo privo di nuvole.

Mi guardai attorno. Ancora silenzio, calma, perfezione e sfarzo, troppo diverso da quello che c'era fuori. Di tanto in tanto i canarini rompevano la quiete di quella stanza troppo perfetta.

Scostai la tenda e Rin mi accolse con la sua solita battuta: “Oh, è già l'ora della merenda?”

La sua voce era bassa, triste e diversa dal suo solito tono vivace e spensierato, mentre i suoi occhi erano arrossati e gonfi.

“La merenda di oggi consiste in tè alle rose e brioche!” risposi sorridendo, come se seguissi un copione nato dalla routine che avevamo costruito dal nostro ricongiungimento.

Attesi in silenzio il suo sorriso di risposta che però non arrivò mai, perciò, poggiato il vassoio sul tavolo, mi chinai all'altezza del suo volto per guardarla negli occhi.

“Perché piangi?”

Rin sussultò e voltò la testa di lato. Non le chiesi nulla, dovevo solo aspettare che fosse lei a parlarmi.

“Quella donna! -urlò poi alzandosi- Come può il Re amare una misera popolana?!”

Non risposi, dopotutto anche io continuavo a pormi una domanda simile.

Come posso innamorarmi della donna del mio migliore amico?

La Principessa si diresse verso il parapetto del balconcino e vi poggiò le mani. La vidi singhiozzare, le sue spalle che si alzavano e abbassavano in preda a violenti spasmi.

“Deve sparire! Voglio che sparisca!” urlava con la voce rotta dal pianto.

Se sparisse, tutto tornerebbe come prima, pensai. Sarebbe stata la cosa migliore, soprattutto per Rin.

“Vuoi che la uccida?” chiesi atono.

Si girò di scatto, nei suoi occhi colmi di lacrime c'era lo stupore e il terrore.

“Lo faresti davvero? -fece, quasi tremando- M-Ma t-tu provi qualcosa per lei? E il Re?”

Respirai profondamente. L'avevo spaventata e colta alla sprovvista, ma non volevo soffrisse.

“Non voglio che lei mi porti via anche te... Per colpa sua, Sua Altezza non mi amerà mai... E Len si allontanerà da me...” mormorò col viso abbassato, cercando di non farsi sentire.

Se sparisse, tutto tornerebbe come prima... Ma sarei riuscito a far del male a Miku?

Scossi la testa e Lei mi guardò intensamente, cercando di capire, perciò mi alzai e mi inchinai, poggiando la mano destra sul cuore.

“Se il mondo intero diventasse tuo nemico... Se il mondo intero ti facesse soffrire... Cancellerò tutte le tue sofferenze. Diventerò anche un demone se necessario, in modo che tu possa essere felice e continuare a sorridere...”

 

*****

 

Avevo passato tre giorni a meditare sul da farsi, la Principessa aveva espresso il suo desiderio e io avevo risposto alla sua richiesta, solo e soltanto per la sua felicità. Eppure allora non riuscii a fermare le lacrime, quella notte stessa mi sembrava di aver perso totalmente il controllo di me, ma nonostante tutto ciò, volevo arrivare in fondo per il bene di Rin.

Il vento spirava leggero tra le fronde degli alberi, mentre il frinire delle cicale scandiva lo scorrere del tempo in attesa di Miku.

Il cielo, blu come il mare più profondo, era illuminato da migliaia di stelle simili a tante isole.

Ero sul retro del Castello del Blu, accanto ad un pozzo vicino al quale mi piaceva leggere prima che io e Kaito diventassimo amici.

Il mio passo era nervoso, i miei piedi si scontravano spesso contro pietre e dossi, facendomi perdere l'equilibrio. Non riuscivo a calmarmi, il mio cuore batteva talmente forte da farmi male.

Alzai lo sguardo verso il cielo. Non c'era una nuvola, la luna mi illuminava con la sua dolce luce argentea e la mia ombra si allungava fino a incontrare la bocca del pozzo.

Intanto, da sotto il mantello, le mie dita stringevano un pugnale la cui elsa riportava lo stemma del Regno di mia sorella.

Mi chiedo se verrà davvero...

Ripensai alle decine di fogli stropicciati sotto la mia scrivania, ognuno riportante parole confuse, sbagliate, poco chiare. Passai la notte in bianco per trovare le parole giuste per incontrarla. Molte di quelle lettere sembravano bigliettini d'amore scritti da un dodicenne, mentre altre condanne a morte riportate nero su bianco.

Fu forse una delle notti più lunghe della mia, fu talmente difficile scrivere una semplice lettera, mettere su carta delle normali parole, che alla fine si rivelarono un banalissimo “Voglio vederti.”

Riuscirei davvero a farle del male? Questa domanda continuava ad assillarmi, ma cosa avrei potuto fare?

Per Rin avrei fatto di tutto, non avrei permesso a nessuno di farla soffrire... Era la mia unica certezza.

Mi prenderò tutte le responsabilità che questo mio gesto comporterà. Ogni cosa che la riguarderà sparirà per sempre, il fuoco cancellerà anche la città della mia infanzia... Ho deciso.

“Scusa il ritardo!”

Eccola, pensai riponendo l'arma nel suo fodero. Mi girai e di nuovo venni colpito dalla sua bellezza e dalla dolcezza nei suoi occhi.

“Non preoccuparti...”

Dannazione, la mia voce! urlai dentro di me. Perché non riesco a fingere almeno un po' di contentezza?!

“Len, stai bene?” chiese Miku avvicinandosi.

“Devo parlarti...” annunciai solenne, volendo concludere quella faccenda il più velocemente possibile.

Miku piegò la testa di lato, confusa. Non avevo la forza di guardarla in faccia, quel suo sguardo innocente e quel suo sorriso minavano il mio autocontrollo.

“La Principessa è innamorata del Re... -mormorai, muovendomi lento verso il pozzo- Soffre molto...”

“Lo sospettavo, ma anche tu stai male, vero?”

Ebbi un tuffo al cuore, che subito riprese a battere freneticamente.

“A c-che ti r-riferisci?”

“A quello che provi nei confronti di Sua Maestà. L'ho visto che ti piaccio, ma allo stesso tempo non vuoi tradire la sua amicizia. Non è così?”

Mi morsi il labbro inferiore e strinsi i pugni.

“E se anche fosse?” chiesi, sempre più frustrato e arrabbiato per quello che stavo facendo.

Sentii i suoi passi farsi sempre più vicini, poi le sue mani strinsero la mia, dolcemente.

“So quello che devi fare... Lo accetto...”

La sua voce era tranquilla, come se avesse già previsto tutto. La mia vista iniziò ad appannarsi e i miei occhi a riempirsi di lacrime. Con un gesto quasi fulmineo la strinsi a me, il suo cuore che batteva all'unisono col mio.

“C-come faccio a farti del male?” mormorai all'incavo del suo collo.

“L'ho accettato da tempo, qualsiasi cosa il destino mi avrebbe riservato...” disse accarezzandomi la schiena.

“Come f-fai a dirlo?” ormai le mie lacrime scorrevano pesanti sulle mie guance, per poi cadere sulla spalla della donna che tenevo stretta a me.

“Perché sei tu...” la sentii aumentare la stretta, quasi volesse rimanere con me per sempre.

Respirai profondamente, ripensando al piccolo plotone di soldati che la mia gemella mi aveva affiancato, con il compito di distruggere il Villaggio del Verde. Non mi opposi alla sua decisione, l'accettai per il semplice fatto che così tutto ciò che avrebbe riguardato Miku sarebbe sparito sotto a una coltre di cenere.

Sei un mostro, fece la mia coscienza e automaticamente afferrai l'elsa dell'arma.

“P-Perdonami...” mormorai chiudendo gli occhi.

Il mio braccio descrisse un ampio arco e il pugnale calò violento nella schiena della mia amata.

La sensazione della lama nelle sue carni fu atroce, un ricordo destinato ad accompagnarmi per il resto della mia esistenza.

Desideravo non farla soffrire, nella mia testa l'immaginavo cadere in un sonno profondo e tranquillo, ma non fu così.

Emise un gemito e il suo respiro si fece immediatamente più corto. Le sue esili mani stringevano il mio mantello di tela e tremava. Teneva gli occhi serrati e le sue guance si facevano sempre più pallide, eppure lei continuava a sorridere.

A differenza mia, non versò una singola lacrima. La guardai negli occhi.

Lei era sempre stata pronta e non aveva paura, anzi, fu lei a darmi il coraggio di non cedere proprio in quel momento.

“G-Grazie...” fece con un filo di voce.

“P-Perché mi r-ringrazi?” chiesi facendola sedere a terra, con la schiena poggiata al pozzo, macchiato dal suo sangue.

“P-Perché così n-non s-starò più male... L'unico rimpianto che ho è non avuto la possibilità di stare con te...”

Mi morsi di nuovo il labbro e cercai di guardare altrove, ma lei mi prese il viso e con le ultime forze che le rimanevano, mi baciò piano sulle labbra.

Sentii il suo respiro, il suo calore, prima che la vita abbandonasse il suo corpo. Un altro ricordo marchiato a fuoco nella mia mente, che forse avrebbe placato la mia anima destinata all'inferno.

“A-anch'io avrei voluto stare con te... Perdonami...”

.

.

.

.

.

Tutto ciò che faccio, lo faccio per te... Rin...

Angolo Autrice
Allora, come va? Ho ricaricato il capitolo perché nella stesura del seguito mi sono ritrovata troppi buchi di trama che non avrei voluto riempire con troppi flashback, perciò ecco il capitolo modificato e completo ^^ Spero vi piaccia e che abbiate voglia di farmi sapere se ci sono errori o cosette che potrei migliorare, anche perché la stesura del prossimo capitolo potrebbe andare per le lunghe a causa dell'università :P
Comunque buona lettura e un bacione ^^//

 

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Capitolo 4
*** Act III-The Sounds of Bells, Goodbey Again ***


Il vento aveva smesso di soffiare, le stelle continuavano a brillare alte e la luna illuminava come un riflettore le mie mani macchiate di rosso.

Nascosta sotto al mantello, una larga chiazza si stava asciugando sulla mia camicia bianca. Nelle narici, il metallico odore del sangue di lei pareva soffocarmi, dandomi il voltastomaco.

In lontananza, seppure ormai impossibile da percepire, sentivo le spade dei soldati che Rin mi aveva affiancato cozzare contro quelle che, forse, erano delle guardie di Kaito e il fuoco divorare la città in cui avevo trascorso parte della mia infanzia.

“Deve essere la mia immaginazione... -mormorai al mio cavallo, i cui zoccoli scandivano il ritmo dei miei passi stanchi- Non manca molto a casa, dopotutto...”

L'animale scosse la testa con uno sbuffo, quasi fosse infastidito.

“Troviamo un posto per dormire, sono esausto anche io... Sei stato bravo a compiere un viaggio di due giorni in un uno...”

Le parole scemarono sulle mie labbra secche, per non dire aride, e il bacio di Miku subito investì la mia mente come un uragano e trafisse il mio cuore ormai in frantumi.

Guardai nuovamente le mie mani alla tenue luce della luna.

Queste sono le mani di un assassino, pensai. Per te, Rin, ho accettato le fiamme dell'Inferno.

“Forza...” mormorai all'animale, portandolo verso una tremolante luce giallognola, che filtrava dalla sudicia finestra di una taverna a metà strada dal nostro Regno e l'inizio del dominio di Kaito.

Appena venni colpito dalla luce, le chiazze sulla mia camicia ripresero a risaltare con forza, come se pulsassero, e una spettrale vocina nella mia testa parve accusarmi più e più volte del mio gesto.

Quel che è fatto, è fatto, fece la mia coscienza amaramente, poi persi l'equilibrio e caddi al centro di quel riflettore, spinto da un ometto con un braccio solo. Non lo vidi in faccia, ma la sua ombra mi rivelò la sua grave menomazione.

“Levati dai piedi!” urlò con la sua sgraziata voce da cornacchia.

Mi coprii velocemente per nascondere gli inquietanti disegni di morte che decoravano la mia camicia, poi cercai di parlare, ma le mie parole si fermarono sul fondo della mia gola.

L'uomo era già entrato e sembrava aver creato parecchio scompiglio nel locale già rumoroso di suo. Mi rialzai e legai le briglie del cavallo a un palo vicino.

Sospirai e appena varcai quella soglia venni colpito da un nauseante odore di cibo avariato, fumo e muffa, il tutto condito dal sudore dei commensali. La stanza, dalle rivoltanti pareti color ocra, era rettangolare e sul fondo c'era una scala nascosta da un lurido bancone. Ovunque mi girassi, v'erano pesanti tavole di legno dalla superficie rovinata e sporca di grasso e terra e, intenti a mangiare, c'erano solo anziani e uomini feriti dalle precedenti battaglie del Regno. Intanto, l'uomo che mi aveva spinto girava tra le tavolate spifferando qualcosa a ogni ospite, che puntualmente alzava la testa in segno di sorpresa e sgomento.

Camminavo piano, respiravo il meno possibile e la mia mente era sgombra da ogni pensiero... Forse l'unico che opponeva resistenza al mio desiderio di estraniamento era il ricordo del bacio di Miku.

Un bacio dolce, eppure tagliente come la lama di un rasoio, tenero, eppure pesante come un macigno.

Non mi accorsi di essere arrivato davanti all'oste, finché non provai un conato di vomito di fronte alla brodaglia che teneva all'altezza del bacino.

“Che cosa vuoi?” chiese roco, senza degnarmi di uno sguardo.

Ricacciai quell'orribile sensazione deglutendo, infine risposi: ”V-Vorrei una stanza...”

La mia voce era debole, non riusciva ad emergere dal rumore generale, eppure lui mi sentì: “Quanto vuoi restare?”

Mi sistemai il cappuccio fin sotto gli occhi: “Solo una notte, posso pagare adesso...”

Iniziai a frugare pigramente sotto al mantello, riluttante a ogni contatto con la stoffa irrigidita dal sangue, e posai sul bancone un sacchetto pieno di monete d'oro.

“Li prenda tutti, a me non servono più...”

“Con piacere!” fece il vecchio, quasi gongolando, come se avessi estinto un debito ormai datato.

Certo che il denaro ne ha di potere, pensai fissandolo mentre metteva al sicuro il suo gruzzoletto.

“Ti faccio preparare la stanza, il cibo lo offre la casa.”

Annuii e allora notai che il brusio s'era fatto più intenso, tanto da riuscire finalmente a cogliere il tema principale, diffuso dall'ometto senza un braccio.

Distolsi lo sguardo e mi ritrovai sotto al naso quella maledetta brodaglia che toccai appena, poi mi misi in ascolto, non per curiosità, perché tanto sapevo già di cosa si trattava, ma per capire a che punto fosse arrivata la sopportazione del popolo.

“La Principessa sta davvero esagerando!” udii ad un certo punto.

“Esatto, cosa vorrà fare con quel plotone?!”

“Sicuramente qualche atrocità! -disse un altro, la cui voce si distingueva a mala pena dal caos della stanza- Li ho visti dirigersi verso le Terre del Blu, hanno preso il sentiero che va verso il Villaggio del Verde!”

“Li ho visti anch'io, ma non chi li guidava!”

Ormai il frastuono era diventato insopportabile e l'aria sembrava più pesante e consumata.

Presto si scatenerà una rivolta... Me lo sento...

Mi girai verso le scale, in attesa che qualcuno venisse a chiamarmi per andare a dormire, perché le mie palpebre diventavano sempre più pesanti.

Ripensai poi a Rin e alla sua ultima richiesta che ovviamente accolsi.

Non permetterò che le venga fatto del male. Mi prenderò le responsabilità di tutte le mie azioni. E delle sue.

“Fate silenzio!” una voce femminile si levò alta tra tutte, con autorità e fermezza.

La riconobbi, non avevo bisogno di conferme, perciò rimasi fermo a fissare un punto ormai indefinito.

Non l'avevo vista quando entrai, ma in quel momento doveva essere in piedi, con le mani poggiate sul tavolo e la postura solenne di un generale, mentre istruisce i suoi uomini per la prossima battaglia.

“Non possiamo più sopportare tutto questo! Se la Principessa ha attaccato un regno vicino, non possiamo permetterle di vivere ancora!”

A quelle parole provai un brivido, come una specie di presagio.

Forse, dopotutto, ci ritroveremo ancora faccia a faccia.

“E tu chi saresti per parlare così, donna?” chiese spavaldo un altro uomo, i cui colpi di tosse erano accompagnati da numerosi versi di consenso.

“Sono una straniera, è vero -replicò Meiko- ma ho vissuto abbastanza qui per non poter più accettare questa tirannia!”

Abbandonai il cucchiaio nella ciotola e ascoltai con più attenzione.

“Non possiamo permetterle di fare quello che vuole, dobbiamo riprenderci il nostro Regno e governarlo in modo da restituire la pace a tutti!”

“E come pensi di fare?” chiese l'oste, riapparendo di fronte a me, mentre le sue mani strofinavano un vecchio bicchiere di vetro crepato.

“Dobbiamo unire le forze! Riunire quanta più gente possibile e attaccare il Castello! Saremo poi tutti insieme a decidere del destino di quel Demone!”

Il silenzio calò tempestivo, non un utensile colpiva i piatti, non un respiro più forte del normale. Niente.

Mi voltai e vidi tutti scambiarsi espressioni di perplessità e interesse. Le sue parole avevano mosso qualcosa in quelle persone, aveva fatto capire loro che il momento di agire non poteva essere ulteriormente rimandato. E aveva ragione.

Anche io devo muovermi.

“Allora?! -fece la guerriera rossa, impaziente di una risposta- Volete continuare a sopportare tutto questo? Volete che i vostri figli siano mandati al fronte per una guerra che non gli appartiene? Allora?!”

“Ovvio che non vogliamo!” fu la risposta unanime della sala.

Sospirai e cercai di farmi il più piccolo possibile, per non farmi notare dalla folla sull'orlo dell'agitazione.

Nei loro occhi notai un barlume di speranza, Meiko aveva mostrato loro cosa fare e questo aveva animato degli spiriti ormai sopraffatti dal dolore e dalla paura.

Una mano si poggiò sulla mia spalla. Sobbalzai e mi voltai di scatto, spaventando la vecchia moglie dell'oste.

“La sua stanza è pronta...”

Annuii e mi alzai, lasciandomi alle spalle le grida di tutti i commensali.

Sarà una notte lunghissima.

 

*****

 

Passai una notte orribile, tormentato da incubi talmente reali che ebbi l'impressione di rivivere quella notte una seconda volta. Scene incredibilmente vivide, suoni talmente reali e ridondanti da farmi desiderare di morire in quell'esatto istante.

Mi risvegliai esausto al cinguettio degli uccellini, che svolazzavano allegri attorno ad un grosso cipresso.

Cercai di muovermi sul durissimo materasso, ma ogni singola parte del mio corpo sembrava pesare tonnellate. Un raggio di sole apparve poi da dietro una nuvola, filtrando tenue dai vetri sporchi e colpendomi agli occhi.

Subito mi portai il lurido cuscino al viso e ripensai alla lunga notte che avevo trascorso. Desiderai fermamente che fosse solo un sogno.

“Se lo fosse stato, adesso sarei al Castello...”

Le mie parole rimasero soffocate nella stoffa, il cui odore di vecchio mi riportava a quello metallico del sangue di lei. Avvertii un leggero calore attorno agli occhi, come se piangessi. Ed effettivamente era così.

Rimasi in silenzio, non osavo lasciare che i singhiozzi uscissero dalla mia bocca e sgombrai la mente da ogni pensiero.

Intanto al piano di sotto, per quanto fosse presto, l'atmosfera era ancora concitata.

Meiko si starà sicuramente preparando all'attacco.

Allontanai il cuscino dalla faccia e vidi l'ombra di un uccellino saltellare sul davanzale.

Sarebbe un bel problema se mi vedesse, verrei attaccato da tutti e non potrei proteggere Rin...

Mi alzai velocemente, stupito da tanta prontezza, nonostante mi facessero male ossa di cui non conoscevo l'esistenza.

Nella stanza vuota, chiusi gli occhi e ripetei il mio giuramento, per darmi la forza di andare avanti e proteggere la persona per cui decisi di alzare la spada sul mio primo amore.

Uscii di soppiatto dalla taverna e salii in groppa al mio cavallo per tornare a casa.

Durante tutto il viaggio continuai a ripensare alle persone che aspettavano fuori l'uscita trionfale di Meiko.

Il Borgo era in subbuglio, tutti avevo sentito dell'attacco al Villaggio del Verde e chiedevano giustizia, chiedevano che la mia sorellina finisse alla ghigliottina e che la pace tornasse.

Non li biasimai per quello, dopotutto le nostre azioni non potevano essere tollerate ma io stesso non avrei tollerato che qualcuno alzasse la sua spada su Rin.

“Sembrano le parole di un ipocrita -mormorai- Io che penso queste cose, quando sono il primo a far del male ad altri...”

 

Ero in viaggio da ore, i raggi del sole erano talmente forti da spaccare le pietre e la stanchezza ricominciava a prendere possesso del mio corpo. Non mi fermai, non ne avevo il tempo.

La Guerriera Rossa stava per fare la sua mossa, avrebbe attaccato a breve la nostra dimora... E poi c'era Kaito...

Ero certo sarebbe venuto anche lui, me lo sentivo dentro... Chi altri avrebbe potuto radere al suolo uno dei suoi territori? Chi altri avrebbe potuto uccidere a sangue freddo la sua futura sposa? Certamente sapeva chi andare a cercare, sapeva chi meritava la sua vendetta...

Mi prenderò tutte le responsabilità che i miei gesti comporteranno...

In lontananza, vidi finalmente le alte mura del Castello del Sole e sapevo che ad attendermi c'era la mia sorellina, preoccupata per la mia assenza prolungata.

Alla mia vista, la sentinella fece aprire l'enorme portone di legno e di nuovo sentii le lacrime rigare le mie guance.

 

“L-Len? Cosa ti è successo?” chiese Rin, il cui bellissimo volto era deformato dal terrore. Lo notai subito, nel riflesso dei suoi occhi, la mia immagine aveva qualcosa di diverso, di inquietante per certi versi.

Come se quello non fossi io, bensì una versione più 'Oscura' uscita fuori da un mondo alternativo.

“Ho esaudito il tuo desiderio...”

“M-Ma t...”

Posai l'indice della mano destra sulle labbra, facendole segno di non dire una parola.

“Va tutto bene, mia Principessa... Sono il tuo servo e per te, se necessario diventerò persino un demone...”

Non riuscii a terminare la frase, Rin mi gettò le braccia al collo e mi strinse forte.

La sentii piangere, ma fui certo di una cosa: quelle non erano lacrime di gioia, eppure non riuscii a capire cosa le provocasse. Ero troppo stanco per interessarmene.

La allontanai un poco e le sorrisi, rassicurandola: “Non preoccuparti, è stata una mia decisione.”

Udii le campane suonare, come quel giorno di tanto tempo fa.

Mi mancano quei tempi, vorrei poter tornare indietro. Ma quel che è fatto, è fatto.

Le sfiorai la guancia destra, sulla manica della mia camicia risaltavano con forza piccole chiazze ramate. Notai Rin rabbrividire, perciò abbassai la mano e mi voltai.

“È quasi l'ora della merenda! Vado a farmi una doccia e poi ti porterò qualcosa di buono da mangiare, ok?”

La lasciai nella sua stanza, al canto dei canarini e andai verso il corridoio, dove incaricai una domestica di preparare qualcosa per Rin.

“Ho delle faccende da sbrigare...” le dissi sbrigativo.

Entrai nella mia camera, che, come ogni singolo luogo del Castello sembrava immobile e innaturale, e mi chinai sul pesante baule in cui conservavo tutti i miei averi.

Notai una vecchia spada di legno tra quel piccolo mucchietto di cianfrusaglie. Subito i ricordi del mio apprendistato riemersero nella mia mente e provai una fitta al cuore.

Kaito aveva fatto tanto per me, mi aveva accolto nella sua casa e mi aveva sempre trattato come un fratello e io, l'assassino della sua sposa, come l'avevo ripagato?

Provai un brivido che mi attraversò le mani, poggiate sulla lama scheggiata, e mi morsi il labbro.

“Lui verrà e me la farà pagare... Non c'è perdono per una persona come me...”

Mi sedetti con la schiena poggiata sul baule e chiusi gli occhi.

 

Era una calda giornata d'estate e sedevo nella carrozza con i miei genitori. Non mi guardavano, né tanto meno mi rivolgevano la parola. Il loro sguardi erano puntati sul veloce scorrere della strada, sulle sfuggenti figure degli alberi che si susseguivano sotto ai raggi del sole di mezzogiorno.

Sapevo sarebbe successo qualcosa di importante, ma quel qualcosa doveva averli scossi talmente da aver paura di parlarmi. Il loro silenzio era opprimente, talmente pesante da far concorrenza all'afa di luglio.

Attesi a lungo che dicessero qualcosa, che mi chiedessero almeno come stavo, ma nei loro occhi c'era solo tensione.

Fu uno dei viaggi più lunghi della mia vita, o forse la pensavo così perché ero solo un bambino? Non ci feci caso, perché la mia mente era indirizzata a tutt'altro: Rin non era con me in quella carrozza e ciò mi faceva sentire a disagio. In quel piccolo e raffinato abitacolo mancava una persona che potevo considerare una parte imprescindibile di me e, mio malgrado, sapevo che non l'avrei rivista per moltissimo tempo.

Una volta arrivati, venni accecato dalla luce del sole del tardo pomeriggio, ma quando i miei occhi si abituarono all'esterno, vidi per la prima volta quel castello, con le sue guglie e le sue grandi vetrate.

Ma la cosa che più mi colpì fu il colore: blu, blu ovunque, come se mi trovassi tra le onde dell'oceano più limpido.

Quel giorno il sole brillava alto e sotto a quella meravigliosa luce estiva c'era lui, una figura minuta in mezzo a due adulti.

“Benvenuti, vi stavamo aspettando!” disse quello che da quel momento in poi chiamai zio, mentre da dietro il suo largo mantello di velluto spuntava il viso di un bambino più grande di me.

Ci guardammo a lungo. Ero esausto dal viaggio, ero preoccupato, non sapevo a cosa stavo andando in contro. Lui intanto mi sorrideva, nei suoi occhi notai una scintilla di eccitazione, forse felicità, ma non ne fui sicuro in quel momento; solo più tardi compresi la profonda solitudine che lo attanagliava, la solitudine tipica di chi non aveva nessun altro con cui condividere i momenti belli della vita.

Io avevo Rin, ma ero lontano, in un posto sconosciuto con dei perfetti estranei.

I miei genitori parlavano con l'altra coppia di adulti, mentre il bambino dai capelli blu come il mare mi guardava, sempre con quell'espressione speranzosa sul volto.

“Vuoi diventare mio amico?” mi chiese con un sorriso. Non risposi ma contraccambiai il suo gesto, senza pensare troppo a quello che sarebbe successo. Già allora desideravo tornare da Rin e non mi importava di nient'altro.

 

Sentii il vecchio pavimento scricchiolare sotto al mio peso e riaprii gli occhi. La stanza era buia, l'aria sapeva di umido e una fresca brezza filtrava attraverso i vecchi montanti della finestra.

Girai la testa per vedere il cielo, che scoprii essere pieno di stelle, poi provai una dolorosa fitta alla base del collo.

“Devo essermi addormentato...” mormorai, cercando di tirare i muscoli indolenziti delle spalle e della schiena, su cui sentivo dei solchi formati dalla pressione col baule.

Mi rimisi in piedi e poggiai le mani sul piccolo davanzale.

Ripensai a quello che doveva essere un sogno, o forse un ricordo voluto dalla mia coscienza e dai sensi di colpa che stringevano in una morsa la mia anima.

Non solo avevo fatto del male ad una persona innocente, la ragazza che per la prima volta mi ha fatto conoscere un tipo di amore che non fosse quello fraterno, ma avevo tradito l'amicizia della persona che mi aveva accolto nella sua dimora.

Sospirai e ripensai alla sua domanda.

“Vuoi diventare mio amico?” ripetei a voce alta, senza curarmi di accendere almeno una delle lampade a olio.

Non ti perdonerà mai, rispose la mia coscienza stizzita. Come pensi possa farlo?

Gettai un occhio alla spada di legno che usavamo per allenarci e scossi la testa, pensando che nessuna persona al mondo avrebbe perdonare un assassino come me.

Mi chinai di nuovo verso l'interno del baule e rovistai ancora tra vecchie cianfrusaglie e ricordi d'infanzia, fino ad incontrare una vecchia camicia bianca e dei pantaloni di tela nera.

Sospirai ancora, l'aria calda emessa dalla mia bocca sfiorò i miei indumenti e sorrisi... O almeno ci provai.

“Non credo che possa essere considerata redenzione... Ma so che almeno Rin non pagherà per le sue azioni...”

 

*****

 

Ignorai quanto tempo passò da quella notte, non mi importava più sapere che giorno fosse, volevo solo dimenticare.

Come si può dimenticare un tale crimine? Come fai ad andare avanti con questo peso?

Abbandonai per l'ennesima volta quei pensieri che mi tormentavano da una settimana a quella parte, in favore di qualcosa di molto più grande e pericoloso.

Ero nella mia stanza, forse l'unico luogo che ancora mi dava un senso di sicurezza, con lo sguardo fisso alla finestra che dava sul giardino, in direzione del grande cancello d'ingresso.

La luce ambrata del tramonto permeava ogni singolo arbusto e cespuglio, i gelsomini bianchi che tanto amavo avevano assunto una deliziosa tonalità dorata, perfettamente in tinta con il colore dominante del Castello, ma qualcosa si imponeva prepotente su quella vista che altrimenti sarebbe stata rinvigorente. Poco fuori il cancello in ferro battuto, attraverso le complicate trame floreali delle sbarre, si intravedeva una folla inferocita, le cui torce andavano a mescolarsi con il tenue bagliore del tramonto.

Ma furono due le figure che più attirarono la mia attenzione. Riuscivo a vederli bene, la mia vista era sempre stata molto acuta e non feci nessun tipo di fatica a riconoscerli.

In piedi, con la spada sguainata, capeggiava una donna dalle curve prominenti e i capelli corti, ispidi, quasi da uomo e gli occhi color argilla rossa (sangue), carichi di determinazione e risentimento. Poi, al suo fianco, c'era un uomo, poco più alto di lei, dai capelli di un blu intenso (lacrime), con gli occhi coperti da una maschera bianca, contornata da interessanti disegni arabescati dello stesso colore della sua chioma.

“Allora è davvero giunto il momento?” domandai al vuoto.

Credi davvero?, fu la risposta acida di quella parte del mio subconscio che aveva iniziato da poco a imporsi tra i miei pensieri, perché troppo attaccata alla figura di Miku e troppo in colpa a causa delle mie azioni.

“Credevo di avere più tempo...”
Tempo per cosa?

“Per scappare via con Rin, ma non farei alto che alimentare questo senso di colpa e te...” feci, come se stessi veramente parlando con qualcuno fisicamente presente nella stanza.

Tsk, qualunque cosa tu faccia, sai già che sarai destinato all'Inferno. Le tue azioni non possono essere perdonate.

“Hai ragione...” Sentii le labbra inarcarsi in un debolissimo sorriso, immaginando di avere Miku davanti, perché in cuor mio sentivo che era veramente lei a parlarmi.

La voce non disse più nulla, non sembrò nemmeno voler gongolare della sua vittoria, perciò mi preparai a quello che stava per succedere. Afferrai i miei vecchi vestiti e mi diressi nella stanza di Rin, strascicando i piedi per i lunghi corridoi del castello, che quasi sicuramente non avrei più rivisto.

 

Ero di fronte alla porta della sua camera da letto e feci per bussare, ma la mia coscienza decise di intervenire ancora, alimentando quella frustrazione che mi attanagliava da giorni.

Perché continui a volerla proteggere? È per colpa sua che stai così male. È per colpa sua che hai dovuto uccidere Miku.

“Fa' silenzio...” mimarono le mie labbra, senza che alcun suono ne uscisse.

Davvero la sua vita vale più della tua? Davvero i suoi capricci valgono più della tua felicità?

“Stai zitta!” ringhiai violentemente, tanto che mia sorella venne ad aprire la porta.

Intanto, la voce della mia coscienza smise di nuovo di parlare, in attesa di un mio passo falso da additare immediatamente.

“L-Len? Che ti succede? Sei pallido...” fece Rin, nei cui occhi notai una profonda preoccupazione.

Entrai senza risponderle, ormai lo facevo da parecchi giorni, perché una parte di me (forse quella a cui apparteneva quella voce) si era arresa e non sembrava più voler avere a che fare con il mio ruolo di servo. La Principessa cercò di dire qualcosa, ma le sue parole vennero soffocate da un verso di rabbia e rancore.

“Si può saper che cosa ti prende?! Che cosa ti ho fatto di male?!” urlò poi alle mie spalle, mentre la mia attenzione si posava nuovamente alla folla che potevo scorgere dalla finestra.

“Len, ti ordino di rispondermi!”

Sai cosa mi hai fatto? Mi hai reso un mostro!, disse la voce nella mia testa. Mi sforzai con tutte le mie forze per impedirle di prendere il controllo della mia bocca, poi presi un profondo respiro.

“È stata una mia scelta...”

“Come hai detto?!” chiese Rin, sempre più aggressiva. Poggiai la mano destra sul vetro freddo della finestra, allontanando con la sinistra le tende che mi sfioravano le spalle, illuminate da flebili riflessi ambrati. Scossi ancora la testa nella speranza di cacciare quella voce, che solo allora volli ricollegare a qualcuno. Miku? No, era fin troppo lontana dall'essere lei, era fin troppo maligna per essere la dolce ragazza che mi aveva rubato il cuore. Kaito? Forse, ma non ne ero certo.

Chi credi che io possa essere?, interruppe la voce sempre più stizzita, con tono quasi glaciale.

“Len! Non mi hai sentita?!” urlò ancora Rin, avvicinandosi alla mia destra e prendendomi il braccio. La sua stretta era salda, carica di rabbia, ma allo stesso tempo tremava.

“Guarda fuori...”

Indicai meccanicamente il cancello d'ingresso la cui ombra s'allungava sempre più verso il centro del giardino in una lama d'ombra. Indicai la folla, tra cui identificai altre persone incontrate precedentemente, mentre attendevo che la Principessa dicesse qualcosa in merito.

Hai ancora la possibilità di consegnarla a chi di dovere. Hai ancora la possibilità di ricominciare daccapo.

Cercai ancora di dare un nome a quella voce, poi sentii la presa della mia gemella farsi più debole.

“Sono qui per me?”. La sua voce tremava, notai i suoi occhi azzurri inumidirsi e le guance farsi paonazze.

Tsk, lacrime di coccodrillo... Se l'avessi conosciuta prima per quella che è, adesso Miku sarebbe ancora viva e tu non saresti in questo mare di guai...

Ebbi un sussulto che notò anche Rin. Finalmente riuscii a dare un'identità a quella voce che tanto alimentava i miei sensi di colpa.

Hai capito chi sono?

Annuii e lasciai che la voce del me bambino continuasse a infierire. Avevo deciso e non avrei cambiato idea per nessun motivo al mondo. Dopotutto Rin era la cosa più importante che avevo.

La strinsi forte tra le braccia, inebriandomi del suo profumo, assaporando il suo corpo premuto contro il mio, mentre le dita si avvolgevano ai suoi capelli. Le baciai la guancia destra e poi mi decisi a parlarle: “Tutto ciò che abbiamo fatto, tutto il male che abbiamo provocato... Sarò solo io a pagare...”

“Di che stai parlando?” balbettò. Notai un singhiozzo e una lacrima repressa.

L'allontanai e le porsi i miei abiti, più un altro cambio di vestiti messi nel mio sacco da viaggio.

“Tieni, questi sono i miei vestiti. Indossali e scappa!”

Lo vuoi davvero?, chiese il me bambino, con una punta di rammarico. Perché?

Perché è quello che desidero.

Rin non riusciva a capire, così come la voce, allora le sorrisi cercando di tranquillizzarla. La mia mano sfiorò la sua guancia, il pollice le toccava il mento, poi udii un tonfo metallico. I miei occhi guizzarono all'esterno e vidi l'esercito di rivoltosi entrare come un fiume nel giardino, in direzione del portone.

“Sbrigati!”

“M-Ma capiranno che non sono io...”

“Non ti preoccupare... Siamo gemelli e nessuno sa della mia esistenza, nessuno lo noterà. Di questo puoi stare tranquilla.”

La condussi velocemente verso il suo armadio, dove la feci entrare al posto di un suo abito estivo. Mi guardò con aria interrogativa e una lacrima le scese sul viso.

“Non piangere, andrà tutto bene...”

Ne sei davvero sicuro?, chiese insistente la voce, a cui sorrisi mentalmente come se volessi tranquillizzare anche lei. Le urla del popolo si facevano più vicine, sentivo le guardie difendere a spada tratta le stanze che precedevano quelle di Rin. Iniziai a udire lo scoppiettare delle fiamme, numerosi cocci andare in frantumi.

“Aspetta qui dentro finché il castello non si svuota, poi scappa via, verso il porto! Andrà tutto bene...”

Le rivolsi un ultimo sorriso e mi sciolsi i capelli, per poi chiudere l'anta del guardaroba sulla figura spaventata della mia amata gemella.

Addio...

Mi spogliai velocemente per indossare i panni della Principessa e accogliere il suo destino. Mi muovevo meccanicamente, con la mente svuotata da ogni pensiero, nemmeno la voce del me bambino osava dire qualcosa: qualsiasi cosa sarebbe successa, sapevo meritava la più totale austerità. Non mi rendevo pienamente conto di quello che stava succedendo finché non alzai lo sguardo e incontrai il mio riflesso nello specchio.

Nella lunga e stretta lastra di vetro, si stagliava la figura di una ragazza dai capelli biondi, che cadevano leggeri sulle spalle strette al petto. L'abito mi ricadeva fastidiosamente sulle anche, la gonna sembrava tirarmi giù come fosse fatta di ferro e i delicati ricami di filo d'oro mi causavano un leggero prurito.

“Non credevo ci assomigliassimo così tanto...”

Verrai condannato, commentò la mia coscienza abbattuta per non essere riuscita a farmi cambiare idea. Verrai condannato al suo posto.

“Se Rin verrà giudicata come un demone... Beh, allora lo sono anche io, dopotutto nelle mie vene scorre il suo stesso sangue...”

Non hai tutti i torti.

“Sono contento che almeno su qualcosa siamo d'accordo...” sorrisi quando la porta si spalancò violentemente.

La stanza era sommersa da una delicata luce dorata, le ombre degli alberi e dei montanti delle finestre si allungavano creando un disegno modulare sul pavimento di legno. Gli uccellini avevano smesso di cantare, tranne i canarini di Rin, che sembravano soffrire le pene dell'inferno, forse le stesse che avrei sofferto io.

“Benvenuti...” dissi muovendomi verso la gabbietta d'oro, sotto gli occhi inquisitori dei miei ospiti. Gli uccellini saltellavano sulle varie stecche di legno, come piccoli trapezisti gialli, al ritmo dello scoppiettare delle torce. Aprii la porticina e li accolsi sulle mie dita, in attesa che Meiko o Kaito dicessero qualcosa.

I due guerrieri erano immobili, sulla soglia della stanza, con il viso contratto in una smorfia di sgomento.

Sanno che non sei tu quello che cercano... commentò il giovane Len nella mia testa, con lo stesso tono tipico dei bambini spaventati.

“Cosa desiderate?” chiesi portando gli animaletti verso la finestra aperta più vicina. Meiko deglutì pesantemente e mi puntò la spada contro. Provai uno strano senso di sollievo nel vedere che mi aveva riconosciuto, ero felice che non ci fosse Rin al mio posto.

“Sono qui per conto del popolo! Sono qui per riprendere ciò che ci appartiene di diritto!” furono le sue parole, dure e taglienti come la lama che teneva in mano. Dietro di lei si levò un feroce grido di guerra, ma non mi importava molto. Ciò che aveva attirato la mia attenzione era Kaito, che si guardava attorno guardingo, sospettoso, alla ricerca della mia Principessa. I suoi occhi, nascosti dalla sua maschera, erano umidi, lo notai bene, ed erano carichi di odio, che si rifletteva nella mano tremante e stretta sull'elsa della sua spada.

Feci volare via i canarini nel cielo ambrato, ricordando quei pochi anni che trascorsi al fianco di Rin, giocando ad acchiapparella e a nascondino. Sorrisi a quei ricordi così nostalgici, poi mi voltai verso i miei ospiti con un sorriso beffardo e strafottente.

“Allora cosa vuoi fare?”

“Non mi provocare! -ringhiò fendendo l'aria con la spada- Prendetela!”

La donna e il Re del Blu vennero superati da una decina di uomini che mi vennero incontro con catene e funi, che utilizzarono per immobilizzarmi.

Non ti saresti comunque opposto, è vero?

Non ne avrei motivo, visto che ho già accettato il mio destino.

Anche se non sono totalmente d'accordo con quello che stai facendo, ammiro molto il tuo coraggio.

Sorrisi e mi voltai l'ultima volta verso l'armadio in cui era nascosta Rin, con la speranza che scappasse lontano, al sicuro da tutti.

Ti voglio bene, Rin.

 

*****

 

Il cielo era limpido, il sole splendeva alto e l'aria che filtrava dalla finestra era così frizzantina. Avevo trascorso la notte insonne, pensando a dove fosse Rin, a dove si sarebbe diretta appena al sicuro, senza che potessi minimamente immaginare chi avrebbe potuto aiutarla.

Manca poco, vero?, chiese la voce atona, sicuramente spaventata da quello che stava per accadere.

“Non lo so... Hai paura?”

Io sono te, come pensi che mi senta?

Mi lasciai sfuggire una risata, sapevo esattamente cosa provavo e feci quella domanda perché, probabilmente, avevo bisogno di parlare con qualcuno in quella lurida cella.

“Con chi stai parlando?” chiese Meiko apparendo da dietro le sbarre, su cui poggiò le mani avvolte da guanti di cuoio rossastro. La ignorai per pochi istanti, guardando ancora quel minuscolo spicchio di cielo che mi era dato di contemplare. Passai piano le mani sulla gonna e sospirai, sorridendo mentalmente al me bambino, rimasto incantato da quella porzione azzurra.

“Con la mia coscienza... Mi crederai pazza, non è vero?”

“Smettila di parlare al femminile, so che non sei la Principessa!” ruggì la guerriera, l'angolo sinistro delle labbra leggermente inarcato verso l'alto.

“Sapevo che mi avresti riconosciuto... Abbiamo parlato una volta sola, ma da allora i nostri destini si sono irrimediabilmente intrecciati, non è vero?”

Mi chiedo ancora come tu faccia a non avere paura...

Diede un pugno sulle sbarre e ringhiò, furiosa: ”Non dire stupidaggini! Dov'è quel demone?!”

“Ce l'hai di fronte... -risposi pacatamente, seguendo con le dita i leggeri ricami della gonna- Le mie azioni fanno di me un demone a tutti gli effetti.”

“Non era certo così che immaginavo sarebbe finita... Mi avevi dato un'impressione completamente diversa quel giorno, credevo volessi sopravvivere e stare con lei...”

Lo avrei voluto davvero.

Mi alzai e le sfiorai la mano: “Ho fatto cose che non possono essere perdonate, se non con il mio sangue...”

Una scintilla di odio si accese nei suoi occhi, un barlume di rancore mi fece sussultare e rabbrividire; sembrò voler dire qualcosa, ma si morse il labbro per evitare di far uscire quelle parole dalla sua bocca. Scacciò la mia mano e colpì ancora la cella, per girarsi e andarsene indignata.

“E io che volevo chiederti se volessi cambiare idea, se volessi consegnarci quel demone... Sono stata una stupida a crederlo...”

“Immagino avresti fatto lo stesso per tua sorella; da come me ne hai parlato, dovevi volerle molto bene...”

La donna fece dietrofront e mi afferrò per il colletto, limitando le sue mani a quello e non alla mia gola: “Non osare parlare di lei, voglio ricordarti che è morta a causa delle azioni della tua gemella...”

“Mi ricordo bene il nostro incontro, le tue parole mi hanno spinto a continuare a proteggere Rin...”

Ti prego, smettila, fece il me bambino esasperato dalla situazione. Non alimentare ancora di più il suo odio.

Non so cosa mi spinse a parlarle in quel modo, ma stranamente mi sentii alleggerito da un peso che mi portavo dietro da tempo.

“Allora sappiamo entrambi come finirà... -disse allontanandosi- Ho un'esecuzione da preparare...”

La guardai andare verso la sua destra, per uscire dal corridoio su cui dava la cella, e decisi un'ultima volta di fermarla.

“Aspetta! Kaito, l'uomo che ti ha accompagnato... Era un mio caro amico... Ti ha detto se mi ha riconosciuto?”

“Chiediglielo tu stesso.” fu la sua risposta stizzita e indispettita, facendo segno col capo all'uomo nascosto dietro al muro.

“Hai detto bene... Non sono più tuo amico!”

Questo si avvicinò, con fare lento e minaccioso, non aveva più niente di amichevole. Non era più mio amico, né tanto meno quel ragazzo che consideravo come un fratello. Rimase in silenzio, a fissarmi dalla testa ai piedi, dietro a quella maschera teatrale che nascondeva la sua identità ai più. Si muoveva nervosamente avanti e indietro, con le mani dietro la schiena e il respiro corto.

Osai emettere un suono, l'iniziale del suo nome ebbe la fortuna di uscire dalle mie labbra, cosa che il resto della parola non ebbe.

Mi ritrovai a terra, uno strano sapore ferroso mescolato alla saliva mi riempiva la bocca.

“Non sarò gentile come Meiko! Come hai potuto?!” chiese velocemente, con la voce tremante e roca, piena di rancore e odio. Abbassai lo sguardo, non avevo la forza di guardarlo in faccia a causa di quello che avevo fatto. Fissavo i suoi piedi, vicino ai quali cadde la maschera.

“Alzati!”

Obbedii senza riserve.

“Mi odi? Non posso biasimarti... Anch'io provo odio per me stesso...”

Lo sentii stringere i denti, poi la porta si aprì cigolando. Si avvicinò minaccioso, pronto a colpirmi di nuovo, perciò chiusi gli occhi e attesi un pugno che non arrivò mai.

“Smettila di dire scemenze! Come hai potuto fare una cosa del genere?! Come?!”

Mi scosse forte per le spalle con l'intento di farmi male, come se volesse che sputassi quella risposta di cui aveva tanto bisogno.

“Miku non aveva mai fatto del male a nessuno! Era la persona più buona e generosa che avessi mai incontrato... E tu me l'hai portata via!”

“So che quello che ho fatto è imperdonabile... Tutto quello che ho fatto, è stato fatto per la felicità di Rin...”

“Credi che quello sia un buon motivo? Credi sia giusto distruggere la felicità di uno per soddisfare quella di un altro?”

Il tono della sua voce mi fece provare, per la prima volta da quando avevo accettato il mio destino, la paura per quella che è, la paura per la morte.

Sei sicuro sia quella, quella che stai provando?

No, ma ci si avvicina...

“Non è assolutamente giusto, è per questo che sono qui... Per pagare...”

“Non ha senso ucciderti adesso, il popolo si aspetta di veder rotolare la testa della Principessa, o perlomeno la tua...”

In quell'istante arrivò un vecchio contadino dall'aria molto trasandata che bisbigliò qualcosa all'orecchio di Kaito. Questo annuì e con un cenno del capo mandò via l'uomo, che, prima di scomparire per il lunghi corridoi delle prigioni del castello, mi lanciò un'occhiata divertita e soddisfatta. Quello che il nostro popolo aveva sempre desiderato stava per accadere, la testa di chi li aveva fatti soffrire così tanto sarebbe rotolata giù negli Inferi.

Il Re del Blu si voltò e mi ordinò di seguirlo.

“Vieni, sarò io a portarti al patibolo...”

“Spero solo che questo possa metterti l'animo in pace...” mormorai, con la speranza che dopo quel pomeriggio lui non avrebbe sofferto più, che la vendetta sanasse quella profonda ferita che gli avevo inferto.

“L'unica cosa che potrebbe ridarmi la pace, sarebbe avere di nuovo Miku al mio fianco.”

Non dissi nulla, ascoltavo i nostri passi riecheggiare sulla pietra, soppesando la possibilità di chiedergli se sapeva ciò che lei provava veramente.

Sarebbe una cosa stupida, commentò la voce nella mia testa, nonostante fosse lei a ricordarmi costantemente quegli ultimi istanti trascorsi con Miku.

Sto per morire, non ho più nulla da perdere.

Una lacrima scese piano, poi Kaito parlò: “Lei per me era tutto. Dopo la tua partenza, ripiombai in quella spirale di solitudine che mi aveva sempre afflitto. Non hai idea di quanto ti invidiassi!”

“Cosa?”

“Stavi tornando da tua sorella, avresti realizzato il sogno di stare di nuovo con lei, come mi raccontavi sempre... Ma non ti sei mai accorto di quanto soffrissi nel sapere che te ne saresti andato senza mai tornare.”

“N-Non credevo s-stessi così male...” mormorai, mentre un nuovo senso di colpa mi accoltellava il cuore.

“Ma poi è arrivata lei... È stato come rivedere la luce... Qualsiasi cosa facesse, la faceva col sorriso. Amava tanto la vita e voleva bene a tutti...”

La sua voce si ruppe, le parole smisero di uscire e i pugni si strinsero nuovamente.

“Lei ti ricambiava?”

Si girò e mi sferrò il pugno che aspettavo da parecchi minuti: “Certo che non mi amava! Da quando vi siete incontrati, non faceva altro che parlare di te! Voleva sapere tutto, voleva che le raccontassi ogni cosa di te... Non pensava più a me...”

“Ha pensato a te fino alla fine, ha detto di aver rinunciato alla sua libertà per renderti felice, nonostante volesse provare a stare con me... Non voleva che nessuno dei due stesse male... Era molto combattuta.”

“Basta così, voglio porre fine alla tua vita il prima possibile!”

 

*****

 

Eccoci qui, non è vero?

“Già, eccoci qui...”

Mi guardo attorno. Sono su una piattaforma di legno costruita appositamente per quest'occasione, al centro del campo di addestramento dei soldati, circondato da una folla di persone urlanti. Ci sono molte più donne e bambini, più giovani tornati dal fronte e tanti anziani. Alzo gli occhi verso il cielo limpido, azzurro e senza nuvole, perfetto per fare una passeggiata. L'aria non è per niente calda, una delicata brezza soffia dal mare e il sole delle tre si riflette sulla lucida lama della ghigliottina.

Meiko mi conduce sul poggiapiedi di fronte alla gogna in attesa del mio collo. Le mani tremano, il mio passo è incerto.

Non potrebbe essere altrimenti, commenta ancora la mia coscienza, l'unica che posso ancora considerare un'amica. Sorrido mentalmente, mentre vengo spinto a forza sull'incavo di legno che mi graffia la pelle.

“Hai qualcosa da dire? Puoi ancora salvarti la vita...”

Scuoto la testa con gli occhi chiusi: “Non tradirò mia sorella... Anche se il mondo intero diventasse suo nemico, io diventerei persino un demone pur di proteggerla...”

“Va bene, al suono delle campane, questa lama calerà su te...”

Annuisco e guardo per un'ultima volta Kaito, che rifiuta di incrociare i miei occhi, forse per quello che ho appena detto, o forse per quello che ho fatto. In ogni caso non importa più.

Ti aspetta solo la morte.

Sospiro, in attesa che il tempo passi. Mancano cinque minuti e l'attesa è snervante.

Vorrei solo poter rivedere Rin...

I miei occhi si chiudono, affaticati dalla luce del sole, le spalle si fanno pesanti e la schiena inizia a far male.

Vorrei che tutto finisse adesso... Non voglio più aspettare...

“Len!”

Una voce chiama il mio nome in mezzo alla folla e i miei occhi si aprono di scatto. Quello che vedo scatena un turbine di felicità e preoccupazione. Rin è di fronte alla piattaforma, con il cappuccio tirato fino a coprirle metà del volto.

Ha le lacrime agli occhi ed è spaventatissima. Trema come una foglia e respira affannosamente, mentre i suoi occhi sono puntati alla pesante lama che pende sopra il mio collo.

“Non aver paura...” faccio senza far uscire un suono. Lei annuisce e si sforza di sorridere, quell'immagine mi rincuora e mi sento bene. Felice.

Le campane suonano. Tutto tace.

Sento la lama fendere l'aria.

“Oh, è già l'ora della merenda?”

.

.

.

.

.

Perdonami... Semmai avessi la possibilità di rinascere, di rivederti sorridere... Beh, mi piacerebbe poter giocare ancora con te...

 

 

Cancellazione dati completata.

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Angolo Autrice ^^"
Beh, che dire? Sempre più lenta e sempre più logorroica... Circa ^^"
Lo so, ormai pubblico ogni morte di papa, colpa degli esami >.< ma finalmente ho trovato il mio giusto ritmo u.u (che infrangerò appena la mia ispirazione deciderà che non ne può più)
Ok, come al solito, spero che il capitolo vi piaccia e che abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate (critiche sempre ben accette!)
Ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito e seguito questa storia e al prossimo aggiornamento!

Un bacione!!
Dark Sun

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Capitolo 5
*** Final Act-Rebirthday ***


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Dove sono?

Che cosa succede?

Qualcosa preme sulla schiena. È freddo e duro, come se fossi steso su una lastra di ferro. Un brivido mi percorre la schiena e sento le ossa congelare.

È davvero freddo quello che provo? Sento davvero?

Voglio alzarmi, ma non capisco se sia davvero necessario...

Sono davvero sdraiato?

“Dov'è il sopra? E il sotto?” chiede la mia voce, che si perde in uno spazio indefinibile. Non mi aspettavo che dei suoni uscissero dalla mia bocca.

Apro gli occhi e non vedo nulla. È tutto nero e non vedo nulla.

I miei occhi si sono davvero aperti? Sono veramente sveglio?

Mi metto a sedere, le mani premono ancora su quella lastra fredda e avverto distintamente i miei muscoli contrarsi in un movimento che credevo meno faticoso.

“Dove sono?” chiedo ancora al nero che mi avvolge come un bozzolo. È tutto così surreale, oserei dire impossibile, come impossibile è la percezione del nero più totale.

Non c'è un filo di vento, un singolo suono, nemmeno quello del mio respiro. Solo nero... È angosciante... Terrificante...

“Come ci sono arrivato qui?”

Mentre le mie labbra si muovono animate da una forza più grande di me, la sensazione di vuoto che mi circonda arriva fin dentro la mia testa e sento l'orrore scorrere come un fremito in ogni singola parte del mio corpo.

Orrore?

Non ricordo, la mia mente è privata di tutto. Anche lì, il nero la fa da padrone. Il panico pervade quello che resta di me, perché sento di non poter parlare di un vero e proprio 'me'... Non so nemmeno se ci sia ancora un Io a cui ricollegare questo corpo, questi pochi e sconclusionati pensieri che ancora mi fanno dubitare della mia esistenza...

Esistenza.

Quella parola fa scattare qualcosa nella mia testa, come un riflesso incondizionato che mi spinge a spostarmi come un fulmine verso destra. In quel frangente, la mia mente viene investita da un flash ambrato, che sa tanto di nostalgia e di qualcosa di passato.

 

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“Ho davvero dimenticato?” chiedo poi, con una scena al tramonto impressa nella testa: una grande stanza, delle ampie vetrate, le tende smosse dal vento e il sole riflesso sul pavimento di marmo.

“Chi c'era con me, quel giorno?” (Una donna...) “E poi? C'era anche qualcun altro?”

Cerco di ricordare, mosso da quella strana sensazione. Cerco di smuovere le mie labbra, gelide, secche e rigide, in modo che pronuncino quel nome che non mi sovviene. Cerco di ricollegare quel nome a qualcosa, ma a cosa? A cosa potrei associare quella parola se non so cosa mi resta del passato?

Che cosa resta effettivamente di esso, se mi sento così svuotato di tutto, come fossi un semplice guscio vuoto?

(Sono morto...?)

Mi pare di udire una voce in lontananza e la mia mente guizza in quella direzione, ma subito perdo il contatto con quel suono e torno al nero. In compenso, il desiderio di provare qualcosa torna come una pugnalata e poggio la schiena sul mio giaciglio di ghiaccio.

Mi è rimasto solo questo? Il freddo?

Ho bisogno di ricordare. Mi sforzo di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa è sufficiente.

Una goccia di sangue.

Il tramonto.

Lei...

 

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I miei occhi si aprono di scatto, dopo un tempo che mi è parso infinito, con un movimento che oserei definire fulmineo.

“Chi è Lei?”

Le mie parole sono deboli e sono guidate dal puro desiderio di parlare con qualcuno, con chiunque in questo Limbo.

“Ho ancora una coscienza?”

È una domanda strana da fare, senza dubbio lo è, ma so di aver trascorso buona parte della mia vita a confrontarmi con essa... Il ricordo della sua forza e della sua prepotenza sui miei pensieri è fin troppo vivido per essere considerato un'invenzione della mia testa.

“Che sia collegata al mio arrivo qui?”

Continuo a porre domande che so non avranno risposte e la frustrazione cresce dolorosamente. Ho addirittura smesso di chiedermi se ciò che mi accade e ciò che provo sia reale (quanto tempo è passato?), oppure un semplice rimasuglio di emozioni antecedenti al nero.

L'unica cosa che posso fare è attendere e aspettare che qualcosa cambi, che qualche ricordo torni per ricollegarsi a quella scena al tramonto, in cui le ombre dominano su tutto tranne che su quel sole morente.

“Mi manca il sole... Vorrei tanto rivederlo...”

Tutto ciò non ti sarà permesso!”

Dal nero più totale riecheggia una voce funesta, con un impeto tale da far tremare ogni fibra del mio corpo, concedendogli il lusso di provare qualcosa di diverso dal freddo.

(sono vivo?)

Lo stesso paesaggio cambia, al tacere di quella voce glaciale. Una debole luce illumina l'ambiente circostante, rivelando una vista ancora più angosciante del solo nero. Difatti, se quello rappresentava l'oblio più totale, allora il grigio è associabile ad una parvenza di luce, raggiungibile ma troppo fuggevole per essere anche solo avvicinata. Credo possa essere considerata la quintessenza della frustrazione...

Alzo quindi gli occhi, in cerca di quella voce capace di provocare un terrore quasi tangibile. Il mio sguardo segue piano quella che sembra essere la volta di una cupola, fino ad arrivare a... A cosa?

Nel punto più alto di quel soffitto, mi pare di vedere una grossa, per non dire enorme chiave, simile a quelle utilizzate per caricare i carillon.

La luce proviene proprio da quell'inusuale oggetto ed è grazie a quel delicato bagliore che ho la possibilità di analizzarne le caratteristiche.

È semplice, costituito da un semplice tubo incassato nella cupola e da due alette tonde, incise da tre cerchi. Non è pretenziosa, né eccessiva: la bellezza di quell'oggetto è data dalla sua semplicità (come quella ragazza?) e dalla sua delicata tonalità verde acqua.

“Cosa ci faccio qui?” chiedo poi alla chiave senza accorgermene, mentre una lacrima inizia a scendere piano, come se stessi parlando a qualcuno che mi è stato portato via con la forza.

Perché è così strano? Così nostalgico?

I tuoi crimini non possono più essere tollerati!”

“Crimini?”

Sono confuso ed inizio a tremare, quando, accanto alla chiave, appare una figura eterea come un fantasma, che subito si sposta a pochi metri da me.

Non riesco a scorgere i suoi occhi, perché coperti da disordinati ciuffi di capelli verde acqua, appiccicati alla fronte da tante gocce di sudore. Le spalle sono ingobbite e curve, appesantite dai due codini che la tirano verso il basso come massi.

Alza un pochino la testa e vedo il suo volto, pallido e scavato, dalla tonalità quasi grigiastra (come un cadavere?). Ha la bocca socchiusa e l'angolo destro delle labbra è macchiato da un rivolo di sangue, poi questa si contrae in un ghigno di odio e rancore.

Non ti sarà concesso nessun tipo di perdono! Le tue azioni non possono essere tollerate!” dice quasi urlando, con il dito accusatore puntato verso di me.

La sua voce è spettrale e riecheggia dolorosamente nelle mie orecchie, ma non ho il tempo di curarmene, che la donna mi mostra il suo ventre, macchiato da una larga chiazza di sangue.

 

Ripristino memoria 30%

 

Senza preavviso, la mia testa si riempie di ricordi, travolgenti come un fiume in piena, e gli occhi mi si riempiono di lacrime.

Sento sulla pelle quell'inconfondibile calore, quel liquido rosso che scende sul mio ventre e ripenso a lei, a quella ragazza che era riuscita a far breccia nel mio cuore.

Il ricordo del sul bacio, dato assieme al suo ultimo respiro, mi fa bruciare le labbra e la sua voce mi assorda.

“Era quella ragazza?” chiedo, cercando nella penombra quella figura cadaverica.

Chi poteva essere, se non lei?, rispondo mentalmente a quella stupida domanda e chiudo gli occhi, nella speranza che quel ricordo si interrompa, ma mi sbaglio e quella scena ricomincia.

Rivedo nuovamente quella notte e lei, stretta tra le mie braccia, mentre descrivo un arco verso il suo corpo. Sento di nuovo quella terribile sensazione del coltello nelle sue carni e lancio un grido verso il cielo, perché temo di non poter fuggire da questa spirale di ricordi.

Mi porto le mani al viso e vedo i miei polsi stretti in un paio di manette, le cui catene si allargano verso i confini di questa cella che posso chiamare Limbo.

“Rosso...” dico piano, spossato da questa prima ondata di dolore, e mi sovviene il volto di un'altra donna. Ha i capelli corti e ispidi, striati da qualche ciocca rossa, e gli occhi color dell'argilla.

“Mi ricordo bene dei suoi occhi...”

Ma non il suo nome... aggiungo nella mia testa e cerco di riflettere, di concentrare la mia attenzione su quel dettaglio, nonostante i ricordi di quell'assassinio continuino a tormentarmi. Faccio fatica, ma cerco di fare del mio meglio, riuscendo a scovare un altro ricordo, molto più debole rispetto a quelli legati alla ragazza di prima.

Sento che il suo nome non ha importanza, o perlomeno non è necessario che me ne ricordi subito, perché mi sovviene la promessa che ci scambiammo in quel cimitero...

“Rosso...” ripeto al vuoto, riuscendo a collegare il colore delle manette alla sofferenza di questa donna.

“Rosso, come il sangue che ha visto scorrere... Per colpa Sua...”

Di nuovo mi sento investire dal dolore e dal rimorso, il cuore si riempie di tristezza e mi accorgo che tutte queste orribili sensazioni sono causate dalle mie azioni, riassunte in quella spirale di scene legate all'unico crimine che mi bombarda la mente. Mi sforzo, ci metto tutto me stesso, ma non riesco a ricordare il perché di tutto questo male. Scuoto la testa e abbasso lo sguardo, voglio evitare di vedere queste angoscianti catene rosso sangue... Avrei voluto non desiderare altre sensazioni oltre al freddo e al nero, mi sarei dovuto accontentare e continuare a vivere (se questo può definirsi tale) nella mia ignoranza e nel nero, senza dover vedere nulla.

Eppure la mia anima non trova conforto, anzi, mi sento pervadere dal senso di colpa quando i miei occhi incontrano un altro paio di manette. Queste sono blu cobalto e stringono le mie caviglie in una morsa simile a quella di un serpente. Anche queste si perdono nell'infinità del mio Limbo. Chissà a cosa sono legato? Ha davvero importanza? Non credo...

A quella vista, sebbene dolorosa come quelle appena avute, non mi sorprendo dell'afflusso di ricordi che mi attacca. L'unica differenza è che il protagonista di queste immagini è un uomo... No, c'è un'altra differenza: è come se queste sensazioni fossero più vecchie, come legate alla mia stessa infanzia.

“Ho tradito la sua fiducia...” mormoro quasi piangendo. Ricordo poco, però so di aver fatto qualcosa degna dello stesso Inferno... Ma non so esattamente cosa.

Come per le manette rosse, cerco di fare mente locale, nonostante sia bombardato da scene sempre più dolorose e confuse. Inizio a provare il freddo della pioggia sulla pelle, ma l'aria è secca. Sento la terra fresca e umida sotto ai piedi mentre questi vi affondano, ma mi trovo su un pavimento di pietra.

“Sono vivo?” chiedo allora quando queste sensazioni tornano alla mente, dopo che avevo dimenticato tutto. Faccio prima a non rispondere, il colore delle cavigliere che mi costringono in questa prigione mi ricorda il colore delle lacrime e capisco. Finalmente capisco tutto, o quasi, e scoppio in un pianto disperato.

 

Ripristino memoria 56%

 

Questa è la mia dannazione, la giusta conseguenza alle mie azioni che hanno ferito molte persone, che hanno causato tanto dolore e tristezza in coloro che ho incontrato, ma ancora non capisco cosa mi abbia spinto a comportarmi in questo modo... Posso solo attendere e continuare a subire tutto questo. Fin dal principio, sapevo che la mia anima sarebbe stata destinata all'Inferno.

“Quale principio?” chiedo poi, stendendomi e crogiolandomi nel freddo del pavimento che mi ha accolto finora. Dovrei tentare ancora di ricordare?, penso mentre sento le lacrime scorrere. L'unica cosa che mi rallegra è il fatto di sentirmi ancora umano, poiché prima mi sembrava di aver perso consistenza e coscienza del mio stesso essere.

“Non voglio più ricordare, non ce la faccio più...”

Il tempo continua a scorrere, la mia mente continua a essere attaccata da una terribile spirale di ricordi, tutti legati a tre individui che so di aver ferito, ma ogni tanto sento di poter respirare. Tra le immagini che mi si parano davanti gli occhi, si fanno spazio brevi frangenti di pura pace, illuminati da un sole luminoso e accompagnati da una delicata brezza marina.

Ogni volta che mi ritrovo a contemplare quei momenti, sento che la mia dannazione si placa per pochi preziosi minuti (minuti?) e inizio a sorridere alla figura femminile che mi affianca.

Non capisco chi sia, non ricordo questa ragazza la cui presenza allevia la mia sofferenza. So solo che voglio tornare a quei tempi lontani al suo fianco e poter stare con lei. Ma appena il mio corpo sembra rilassarsi, riparte ancora come un filmato la notte dell'assassinio e di nuovo mi irrigidisco, per poi esplodere in un pianto disperato e in un urlo che implora la pietà di quelle persone protagoniste dei miei incubi.

“Basta!” ripeto per la centesima volta, aspettando la risposta della figura cadaverica mentre mi aggrappo ancora alle immagini con la misteriosa ragazza dai capelli biondi. Per ora, o forse per l'eternità, quella ragazza dai capelli dorati è la cosa più preziosa che mi rimane.

Il circolo continua, il dolore persiste e la sofferenza non mi dà tregua... Voglio solo che tutto ciò finisca il prima possibile, ma so che la punizione che mi merito è eterna.

 

Ripristino memoria 72%

*****

 

Il sole sta tramontando e la mia ombra si allunga sempre più verso la spiaggia, mentre le onde mi lambiscono le caviglie. La brezza marina è piacevole e si mescola al profumo della camicia che indosso. Gli occhi sono umidi e la vista appannata, mentre le mia dita stringono una bottiglia di vetro, la cui meta è il sole che ho di fronte.

Mi giro un attimo e osservo le poche persone che camminano sulla spiaggia. Loro ridono, sono felici e vittoriosi, poiché la testa della Principessa è rotolata. Solo ora comprendo i miei errori e il male fatto. Ciò che più rimpiango è averlo capito troppo tardi, a discapito della persona che più di tutti mi ha voluto bene, se non amata.

La presa delle mie mani si fa più dura e volgo lo sguardo verso il Castello, la mia casa...

No, non lo è più...” dico alle onde, ripensando a tutto ciò che Len ha fatto per me. Come faccio a chiamare quel luogo casa, ora che lui non c'è più? Credevo lo fosse, prima che irrompesse nella mia vita con quel suo modo di fare... Credevo fosse la mia casa, ma da quando lui è arrivato, ho iniziato a pensare che fosse stato lui a darmi quella sensazione di benessere e sicurezza... Rimpiango ogni mia singola azione...

Il suo sorriso e la sua gentilezza mi sovvengono dolcemente alla mente e sento di non poter trattenere le lacrime.

Scuoto la testa e mi dico di resistere. Non posso piangere, non ora almeno! Perché non dovrei piangere?, penso poi, cercando di dare un senso a ciò che mi è rimasto, nonostante abbia trattenuto le lacrime sino al momento fatidico in cui la ghigliottina è calata sulla sua gola.

Per lui... Mi ha chiesto di continuare a sorridere. Volevo che mi vedesse sorridere e che avesse un ultimo bel ricordo...”

Len ha sempre voluto che sorridessi, che fossi felice e ha fatto cose imperdonabili solo per i miei stupidi capricci.

Al diavolo Kaito! Al diavolo quella ragazza! Voglio solo Len qui con me!”

Il mio urlo si perde tra le onde, la mia preghiera pare non riuscire a raggiungere nessuno, è come se i gabbiani stessero portando le mie parole nel nulla. Voglio Len, voglio che torni da me!

Mi stringo nelle spalle, inspirando il profumo del mio gemello e ripenso ancora a lui. I giorni in cui mi arrabbiavo con lui e lui non diceva nulla, semplicemente mi assecondava, il mio compleanno e il suo sorriso quando mi ha dato il mio regalo, la notte che abbiamo dormito insieme e il giorno in cui è ritornato sporco di sangue. I ricordi sono dolorosi e vorrei poter urlare al mondo le mie scuse, vorrei che la mia voce potesse raggiungerlo, ovunque lui sia.

Alzo gli occhi al cielo ambrato e canto. Senza che me ne accorga, dalla mia bocca esce la ninna nanna che eravamo soliti cantare prima che lui partisse. Sento la mia voce tremare ma non riesco a smettere, nelle note che escono dalla mia bocca esce tanto dolore, risentimento e dispiacere.

Vorrei poter tornare indietro e cambiare le cose... Avrei voluto che tutto ciò non non fosse mai accaduto...

Mi siedo nell'acqua fredda e lascio la bottiglia, che viene trasportata dai flutti verso l'orizzonte. La osservo, continuando a canticchiare, e spero che il mio messaggio arrivi, ovunque lui sia, che si trovi all'Inferno o in Paradiso, oppure che mi aspetti in un'altra vita. Desidero solo che il mio messaggio giunga fino a lui, perché se una volta questo gesto mi risultava indifferente, ora rappresenta la mia unica possibilità di redenzione.

Mi dispiace... Perdonami, se puoi...

Mi guardo ancora intorno e mi pare di scorgere la sua immagine accanto alla mia, riflessa nelle onde, ma so che è una mera allucinazione e sorrido, divertita dalla mia stupidaggine e dalla mia stoltezza.

Vorrei poterti raggiungere... Perdonami...”

 

*****

 

“Che succede?”

Lontano, forse lontanissimo, inizio a sentire qualcosa, come una specie di canto. Desidero potermi avvicinare, ma sono incatenato e il mio corpo è troppo pesante. La voce è diversa da quella della ragazza che mi ha condannato, è semplicemente triste, riesco a percepirlo chiaramente.

La canzone procede, pare una ninna nanna e, come i vaghi ricordi della ragazza bionda, dona al mio corpo una pace e una calma che non mi sarei mai aspettato. È come se il freddo se ne fosse andato... È come se la luce che illumina questo luogo venisse da questa lontana cantante...

“Ti prego... Non lasciarmi nel silenzio...” dico alzando lo sguardo e chiudendo gli occhi, beandomi di quelle note che danno la pace alla mia anima.

“Rin...”

Mi sovviene il suo nome e finalmente ricordo tutto: il perché delle mie azioni, il perché di quel dolore e di questa dannazione. Finalmente capisco e mi torna alla mente l'ultimo istante con Rin. Le sue lacrime scorrevano sulle sue guance e sorrideva, nonostante sapesse cosa stava per accadere... Voleva che l'ultima cosa che vedessi fosse il suo sorriso.

Le sono grato per quel gesto e sono felice che sia riuscita a dimostrarsi forte in un momento come quello, eppure mi chiedo dove sia e cosa stia passando. È rimasta sola, non posso proteggerla e desidero fermamente poterla raggiungere. Maledico queste catene e nuovamente lei inizia a cantare. In lontananza, le onde che si infrangono sulla spiaggia fanno da sottofondo alla sua nenia.

Rimango in ascolto, le parole si fanno più chiare, come se avesse aggiunto altri versi.

Mi dispiace, perdonami!, dice la sua voce e io mi aggrappo a lei, chiudendo gli occhi e subendo ancora questa dannazione. Ciò che mi rincuora è sapere il perché, per poter sopportare questo Inferno.

 

Ripristino memoria 97%

 

Dopo aver tenuto gli occhi chiusi un tempo che mi pare interminabile, una debole luce mi costringe ad aprire le palpebre, poiché questa riesce a raggiungere i miei occhi. In alto, accanto alla chiave, discende su di me una piccola luce che sembra una lucciola. Si muove con grazia e mi dona un calore inaspettato, diverso da qualsiasi cosa io abbia provato qui.

“Cos'è?” chiedo e da essa scaturisce un bagliore quasi accecante, doloroso per quanto tempo io abbia passato nelle tenebre. Mentre cerco di capire cosa sta accadendo, sento arrivare un messaggio. Sicuramente il Suo messaggio...

 

Mi dispiace, ti voglio bene...

 

Tutto il tempo che hai trascorso qui è stata la conseguenza delle tue azioni... Ma ciò non significa che tu non possa redimerti!” dice una voce che riconosco e che mi fa tremare, anche se questa volta per la sorpresa. È infatti dolce, come la ricordavo prima di allora, nei miei ricordi. Apro gli occhi e la vedo, sorridente e raggiante, mentre i suoi lunghi capelli sono mossi da una dolce brezza.

Miku mi si avvicina e si china su di me, prendendo entrambe le mie mani e accarezzando le catene rosse che mi costringono qui.

Faremo in modo che le tue azioni ti possano essere perdonate... Dopotutto, qualcuno ti sta aspettando!” dice, mentre gli abiti della notte della sua morte vengono sostituiti da una camicetta senza maniche e una gonna che le arriva a metà coscia. Ha un'aria strana e un tatuaggio sul braccio: 01. Mi chiedo cosa significhi, ma qualcosa attira la mia attenzione.

Le catene cadono e si frantumano in mille schegge brillanti, che si muovono con grazia nell'aria. Le seguo con lo sguardo e lo stesso fa Miku, mentre queste si concentrano in un unico punto, per poi assumere le sembianze della donna a cui le avevo associate.

Eccola là, Meiko, che mi guarda con dolcezza nella sua armatura rosso sangue.

“M-Mi dispiace...” cerco di dire, ma lei subito mi intercetta e parla, mentre nella sua voce manca quel tono minaccioso che mi aveva sempre riservato. Anche i suoi abiti cambiano e vengono sostituiti da una canotta e una gonna rosse. Anche lei, sul braccio ha un tatuaggio, ma non riesco a vederne il numero.

Cambieremo questi fatti. Faremo in modo che tu possa redimerti!”

Sono senza parole e lei continua a sorridere, venendo verso di me e chinandosi, con le mani poggiate sulle cavigliere. Intanto, tutt'attorno, la luce pulsa come fosse viva, con lo stesso ritmo di un cuore che batte. In alto, la molla ha iniziato a muoversi. Sta caricando, penso e poi mi soffermo sulle ultime catene che, come quelle di Meiko, cadono e si polverizzano in una nube azzurrina.

Kaito si materializza a pochi passi da me, con la stessa espressione delle due donne che mi affiancano. Mi guarda senza rancore, fa così strano. Tutto è così strano. Niente più dannazione, niente più solitudine né tanto meno oscurità. L'uomo che ho sempre considerato come un fratello fa qualche passo nella mia direzione e anche lui parla, dicendo qualcosa che per ora mi risulta poco comprensibile.

Non dimenticare ciò che hai fatto, lotta per fare ammenda. Questo è il tuo nuovo compleanno!”

Mi tende la mano e mi aiuta ad alzarmi, per poi indicarmi un punto lontano in questa distesa bianca. Mi dice di guardare attentamente e intravedo una specie di lastra, che solo dopo pochi secondi associo a uno specchio. Ho paura e mi volto verso le ragazze, temo ancora che tutto ciò sia uno scherzo della mia mente: potrei ricadere nelle tenebre da un momento all'altro.

Miku mi guarda e sorride, come se avesse letto i miei pensieri e dice, serena: “Vai! Lei ti aspetta, non c'è più malvagità in questo luogo!”

La mia mano destra passa per l'ultima volta sul mio collo, il ricordo della ghigliottina è ormai lontano, e inizio a correre, sotto lo sguardo clemente di coloro che mi hanno perdonato.

 

“Grazie.”

 

*****

 

La stanza è illuminata da numerose luci, una di esse è puntata direttamente sulla mia testa. Fa caldo e si sente un fastidioso sottofondo meccanico, che viene addolcito dal suono di un carillon. Suona piano e dona all'atmosfera qualcosa di irreale, come fossi appena uscito da un sonno lunghissimo.

Sbadiglio e mentre apro gli occhi, mi accorgo dei numerosi schermi accesi, tutti recanti sagome umane renderizzate da linee verdi. Accanto alle figure, ci sono i nomi delle persone che ho sognato, assieme a dati come età, altezza e altri che non capisco.

“Sto sognando?” mormoro con la voce impastata dal sonno. Voglio muovermi ma mi sento pesante. Questa volta non mi sento costretto e mi rilasso, continuando a fissare i monitor: su uno di essi, vi è il nome di Miku e mi chiedo se stia bene. “Spero proprio di sì...”

Presto sento dei passi e qualcuno parlare. Non capisco esattamente cosa stiano dicendo, parlano di dati e memoria ripristinati. Quando nominano il mio nome, mi irrigidisco e cerco di fare qualcosa. Il discorso mi incuriosisce, discutono di una specie di programma. Credo si chiami “Vocaloid Project” ma non voglio azzardare ipotesi.

All'improvviso, il volto di un uomo mi si para davanti e sussulto. Lo squadro diffidente, ma lui accenna un sorriso e mi porge la mano, che afferro piano, mentre l'altra è occupata da una cartellina. È uno scienziato, penso, ma la cosa che più mi stupisce e che i miei movimenti si fanno più rapidi di quello che mi aspettavo, perciò mi faccio forza e lo seguo.

“Vieni...”

Obbedisco e mi conduce per un lungo corridoio bianco, illuminato da tante lampade al neon. Le pareti sono nude e non ci sono suoni, nemmeno una finestra per poter vedere all'esterno. Dopotutto non mi importa, la curiosità mi spinge ad avanzare.

La fine del corridoio è davanti a me e la porta si apre su due figure.

Una donna con un camice bianco mi guarda teneramente, mentre tiene per mano una ragazza dai capelli biondi, raccolti da un fiocco bianco. La osservo e noto abiti simili ai miei, solo più corti: una canotta bianca e un paio di pantaloncini. Sul braccio ha un tatuaggio, simile a quello che aveva Miku. Il numero è 02 e, anche se non l'ho visto, so di averne uno identico.

L'uomo che mi accompagna mi poggia le mani sulle spalle, l'espressione della ragazza si contrae come se stesse per piangere. Mi chiedo perché. So solo che non voglio che pianga.

“Ti ricordi il suo nome?” chiede lo scienziato.

Lei annuisce e sorride: “Sì, che me lo ricordo... Len...”



Angolo Autrice ^^
Salveeeee! Che cosa è questo? Uh, il capitolo finale di questa fic! 
Avevo detto che sarebbe stato postato verso ottobre? Beh, sono stata colta dall'ispirazione, quindi eccoci qui. Ammetto che sia un capitolo abbastanza complicato e per certi versi strano, sono la prima a dirlo... Ma ehi! Sto parlando dal punto di vista di un morto che è rinato, quindi cos'altro avrei potuto dire? Lasciamo stare e spero che vi sia piaciuto.
Vi ringrazio per avermi seguita fin qui, per aver letto/seguito/ricordato/preferito questa storia. Ringrazio inoltre tutti i lettori silenziosi e coloro che hanno speso parte del proprio tempo per recensire questo mio lavoro e poi boh, ci vediamo alla prossima storia ^^
Nell'attesa della prossima fic, intanto vi lascio questa, la mia piccola originale ^^

"E se non ci fosse un Eroe?"

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Un bacione, 
Dark Sun

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