Un lungo viaggio

di Fanny Jumping Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un ritorno inaspettato ***
Capitolo 2: *** Tormenti e dubbi ***
Capitolo 3: *** Gettati e ripescati ***
Capitolo 4: *** Un passaggio per l'Oriente ***
Capitolo 5: *** Identità svelata ***
Capitolo 6: *** L'uragano ***
Capitolo 7: *** L'arrembaggio ***
Capitolo 8: *** Accordi e disaccordi ***
Capitolo 9: *** La meta è vicina ***



Capitolo 1
*** Un ritorno inaspettato ***


CAPITOLO 1: UN RITORNO INASPETTATO

La Perla Nera, la nave conosciuta con terrore da svariati anni in tutti i Caraibi, si era lentamente inabissata.
A nulla erano valsi i tentativi della sua ciurma, forse l’unica ad aver avuto il coraggio e la lucidità di sfidare il kraken delle maree. Quel mostro dagli enormi tentacoli aveva inesorabilmente portato a termine il compito per cui era stato richiamato dal crudele padrone degli oceani cui obbediva, trascinando lo splendido veliero nelle profondità marine.
E con esso scompariva un pezzo di storia della pirateria.
Nessuno aveva osato proferire parola dopo l’accaduto, ma soprattutto dopo che Elizabeth aveva raccontato ai compagni di come fosse stata volontà del capitano, Jack Sparrow, morire con la sua nave.
Nessuno aveva ribattuto a quelle parole poiché tutti si erano pentiti di aver giudicato quel pirata un uomo vile, egoista e sempre pronto a fuggire davanti al pericolo. Egli invece era stato eroico e altruista, offrendo la sua vita per risparmiare quella degli ultimi compagni di avventure sopravvissuti alla furia assassina di quella creatura mostruosa.
Mentre la scialuppa, mossa quasi inconsciamente dalle bracciate di Pintel e Ragetti, attraversava l’ampia distesa di acqua salata, un silenzio pesante continuava a serpeggiare tra gli uomini a bordo che evitavano di guardarsi negli occhi per non mostrare gli uni agli altri che avevano versato qualche lacrima. Infine raggiunsero la foce di un fiume, quando già era calata la notte, un fiume dalle rive nascoste e in parte ostruite dalla lussureggiante vegetazione tropicale.
Non avevano deciso espressamente di scegliere quel luogo come riparo e consolazione dalla tristezza e dal senso di colpa che stringeva i loro cuori, ma in qualche modo lo trovarono, come sospinti da una qualche forza che aveva già deciso la rotta.
Anche lì regnava una calma quasi irreale, nessuna increspatura nelle acque, nessun suono dalla terra circostante. Quelle che da lontano apparivano come decine di lucciole si rivelarono poi donne che reggevano delle candele, con visi funerei, visione quasi spettrale che atterrì ancora di più i viaggiatori della scialuppa: sembrava che anche lì fosse giunta notizia di quanto era accaduto.
La porta della palafitta si aprì ancora prima che bussassero e la sua proprietaria li accolse all’interno, senza proferire parola, ma scrutando ognuno degli ospiti dritto negli occhi.
Will, Elizabeth, Gibbs, Pintel, Ragetti, Cotton presero posto in angoli diversi della stanza, tenendo sempre lo sguardo chino a terra. Poi Tia Dalma portò loro da bere una bevanda dal gusto gradevole e indistinto e di temperatura piacevolmente calda.
Allora Gibbs si limitò a pronunciare le poche parole: - Il capitano non ce l’ha fatta.
L’enigmatica donna gli poggiò una mano sulla spalla e poi si spostò lentamente, bisbigliando all’indirizzo di Elizabeth che non riusciva più a trattenere lacrime silenziose: - È per il freddo … e per il dolore – offrendole un bicchiere di quello stesso infuso.
La chiromante si avvicinò con passi silenziosi a Will Turner. Il ragazzo continuava a conficcare e poi staccare il pugnale dal manico bianco e nero donatogli dal padre su di un tavolo, scandendo tale gesto con ritmo costante, quasi fosse un orologio. Le parole di Tia Dalma lo distolsero da quel movimento ipnotico: - È un peccato: lo so che pensavi che con la Perla potevi catturare il diavolo e liberare l’anima del padre tuo.
Senza guardarla né chiederle come facesse a conoscere le sue intenzioni, rispose con un velo di rabbia e di malinconia nella voce: - Non importa, ormai. La Perla è morta, e con lei il suo capitano.
Subito si fece avanti Gibbs: - Sì, e il mondo già sembra aver perso un po’ della sua luce. Ci ha imbrogliati tutti, fino all’ultimo – pronunciò con rancore – ma alla fine ha avuto il sopravvento la sua vena d’onestà.
Non poteva giurare di conoscerlo a fondo, ma aveva sempre creduto in quel lato del suo carattere che Jack Sparrow, da pirata, aveva cercato sempre di nascondere. E lo ammirava per questo, perché non era malvagio nell’animo come tanti altri uomini che aveva conosciuto, soltanto forse un po’ troppo orgoglioso e sicuro di sé e sprezzante delle capacità degli altri. Con commozione il marinaio alzò dunque il bicchiere dicendo: - A Jack Sparrow!
- Non ci sarà un altro capitan Jack! – gli fece eco Ragetti con pari emozione nella voce.
- Era un pirata gentiluomo, questo era! – aggiunse Pintel.
- Era un brav’uomo – affermò seccamente Elizabeth, senza riuscire a concludere quel brindisi bevendo, come avevano fatto tutti gli altri.
Will la aveva osservata tutto il tempo stando attento che lei non lo notasse, cosa assai semplice dal momento che la ragazza sembrava essere ricaduta in un torpore insolito: non sembrava più la fanciulla solare, forte e piena di vita di cui si era subito innamorato. I suoi occhi brillavano ma per le lacrime, le sue labbra che adorava veder sorridere erano rimaste serrate, le sue mani si tormentavano, la sua pelle era ancora scurita dalla polvere da sparo e teneva tutto il corpo raccolto, quasi come non volesse essere guardata.
Lui si sentiva impotente ma quelle ultime parole, pronunciate come un singhiozzo, lo avevano fatto risvegliare dallo stato di collera e di sconforto che lo aveva invaso dopo la vista di quel bacio che ora, aveva capito, era stato un bacio d’addio. Lei era sempre stata attratta dalla vita del mare e dai pirati, più volte glielo aveva confessato. E Will sapeva che, pur amandola più della sua vita, non avrebbe sopportato di vederla infelice, proprio per causa sua. Ormai era lei tutto quello che gli restava e per lei avrebbe tentato e patito qualsiasi cosa. Capiva però che forse non c’era più nulla da fare.
Fu così, solo per tentare di consolarla che, con il tono di voce, dolce e pacato che era solito assumere quando le parlava, bisbigliò alzandosi in piedi: - Se qualcosa si potesse fare pur di riaverlo … Elizabeth …
- Tu la faresti? – irruppe Tia Dalma spiazzandolo con quella domanda che suonava inopportuna, per poi puntare il suo sguardo indecifrabile e indagatore su Elizabeth: - E tu che faresti? – la esortò aspettando una risposta, una reazione.
Poiché nessuno dei due giovani aveva accolto la sua provocazione, alzò il tono, interpellando gli altri pirati che erano lì: – Che cosa sarebbe disposto a fare ognuno di voi? Fareste vela ai confini del mondo e ben oltre, pur di riavere il brillante Jack e la sua preziosa Perla? – aggiunse sorridendo compiacente, cosa che gettò ancora di più nel dubbio i presenti.
Fu mastro Gibbs il primo a dare la sua risposta: - Sì! – asserì deciso, mettendosi in luce. Lo seguirono uno dopo l’altro Ragetti, Pintel e Cotton, che diede il suo assenso tramite il fido pappagallo.
Tia Dalma tornò allora ai due fidanzati dai quali non aveva ancora ricevuto alcuna asserzione.
- Sì – parlò Elizabeth con un filo di voce, accompagnandolo con un cenno del capo. Will, che aveva aspettato fosse lei a pronunciarsi per prima, a quel punto espresse anche lui, se pure con rammarico e poca convinzione, il suo sì.
- D’accordo! – concluse quindi la sacerdotessa sempre con il sorriso – Ma se dovrete sfidare le infestate e arcane coste dei confini della terra, allora vi occorrerà un capitano, uno che conosca bene quelle acque – e così dicendo volse lo sguardo verso delle scale che conducevano ad un piano superiore, non notate prima dai pirati, che ora, uno dopo l’altro copiarono l’enigmatica donna.
Tutti si radunarono proprio alla base degli scalini e udirono dei passi di qualcuno che stava scendendo: dapprima videro soltanto degli stivali consunti ma, poco a poco, l’ignota figura si mostrò del tutto.
Un’espressione di stupore misto a paura si stampò sui loro volti: era un antico nemico che tutti credevano passato a miglior vita, il Capitano Barbossa. Accompagnato dalla sua affezionata scimmietta abbarbicata sulla spalla sinistra, il redivivo pirata, come fosse inconsapevole delle sconvolte emozioni che aveva suscitato nei presenti, li incitò: - Orsù, ditemi: che ne è stato della mia nave? – e ridendo fieramente diede un morso ad una succosa mela verde, segno tangibile della ritrovata corporeità.
- C … capitan Barbossa?! – esclamò timoroso Pintel.
- Siete proprio voi? Come avete fatto a fuggire? Noi siamo stati tutti catturati – aggiunse piagnucolando Ragetti.
- Siamo finiti in prigione – ribatté corrucciato Pintel.
- Ma poi siamo anche evasi – precisò compiaciuto il compare, indietreggiando mentre il Capitano si faceva strada in mezzo a loro, scrutandoli con una certa insistenza uno per uno.
- Non è fuggito … era morto! – li informò attonita Elizabeth, guardandolo dritto nelle pupille acuminate, non riuscendo a muoversi.
- Jack gli aveva sparato – precisò allibito Will, mantenendo gli occhi spalancati per l’incredulità.
- Aveva detto la verità – ribadì Gibbs con ammirazione, riferendosi all’amico scomparso.
- Già! E devo dire che è stato molto preciso: un solo colpo, dritto al cuore – tornò a parlare con il consueto sprezzo il redivivo Barbossa.
- Ma allora come fate a essere qui? – domandò con insistenza Pintel.
- Quando si hanno le giuste amicizie … - si limitò a rispondere sibillino quello, volgendo un sorriso riconoscente a Tia Dalma che lo ricambiò, stendendo le labbra scure.
- Voi signora … lo avete resuscitato? – azzardò ad interrogarla Ragetti.
- Si chiama voodoo – lo corresse seccata quella, allargando le braccia a indicare tutte le bizzarre ampolle e cianfrusaglie che infestavano la sua baracca.
- Basta parlare di me! – urlò di colpo il Capitano, rosso d’irritazione – Vi avevo posto una domanda e nessuno ha ancora avuto il fegato di rispondermi! – si lamentò battendo il pugno su un tavolo.
I presenti si guardarono l’un l’altro, aspettando che qualcuno raccogliesse mostrasse l’intenzione di esaudire quella richiesta perentoria. Fu Will a prendere la parola: - La Perla Nera è stata trascinata negli abissi dal kraken – riferì con amarezza, inviando un rapido sguardo verso Elizabeth, che stava in piedi con i pugni serrati e le labbra tremanti – e con essa il suo capitano. Jack aveva la macchia nera – concluse con scabrezza.
Barbossa non si dimostrò molto sorpreso dalla rivelazione: - Ah, capisco, un debito non saldato, vista la fine che ha fatto – constatò sarcasticamente. – C’è un solo modo per poterlo recuperare: occorre raggiungere un mondo al di là di questo, lo scrigno.
- Lo scrigno?! – chiesero in coro Pintel, Ragetti e Gibbs, accendendosi di curiosità.
- È il luogo in cui vengono confinate le anime di coloro che non hanno saldato i loro debiti di sangue con Davy Jones – spiegò torvamente Tia Dalma.
- Ma come ci arriveremo? – domandò con curiosità Gibbs, al quale intrigavano le storie impregnate di risvolti sovrannaturali.
- Seguendo le indicazioni delle carte nautiche – rispose semplicemente Barbossa, instillando nuova speranza in quel mal assortita combriccola di marinai.
Non tutti però si sentirono confortati. Will, in particolare, aveva il sentore che si trattasse di un nuovo viaggio pericoloso che non escludeva la possibilità di un fallimento e non si sentiva del tutto pronto a rischiare la vita per un uomo che in fondo lo aveva soltanto ingannato ed era perfino riuscito a derubarlo dell’unico tesoro che aveva: l’amore di Elizabeth.
Capitan Barbossa aveva notato che in quel ragazzo qualcosa fosse cambiato da quando lo aveva conosciuto, ma non poteva mettersi a discutere, lo credeva l’unico capace di aiutarlo validamente fra quelli rimasti. Fu perciò che gli si rivolse diretto: - Dal vostro sguardo intuisco una certa perplessità, mastro Turner! Sono ancora molte le cose che non conoscete di questo mondo, ma sono sicuro che avrete modo di apprenderne qualcuna nel lungo viaggio che ci aspetta da qui a Singapore.
- Singapore? – esclamò stupita Elizabeth.
- Sì, miss, è lì che dovremo andare. Suddette carte sono infatti custodite in un tempio antico e appartengono a Capitan Sao Feng, un mio vecchio amico – la informò sogghignando.
- Sembra tutto troppo facile! – bisbigliò Pintel a Ragetti, guadagnandosi un’occhiataccia del veterano capitano.
- Capitan Barbossa c’è un’altra cosa che dovete sapere – lo interruppe Turner, richiamando la sua attenzione prima che rimproverasse i due – Jack Sparrow ha tentato di annullare il suo debito mettendosi alla ricerca del forziere di Davy Jones e minacciando di ucciderlo.
- Bé è tipico di Jack fuggire le responsabilità. Ma immagino che questa volta non ci sia riuscito – attestò quello con la consueta dissacrante ironia.
- Effettivamente noi lo avevamo trovato – iniziò Elizabeth, messa da parte l’aria di rassegnazione – ma poi è stata un’altra persona ad impossessarsene: James Norrington.
- Non ho l’onore di conoscerlo – ribatté Barbossa incuriosito e sospettoso.
- Lavora per la Compagnia delle Indie Orientali – gli fece sapere Will con stizza.
- La Compagnia era sulle tracce del forziere ancora prima di noi: mira al controllo del mare e con l’Olandese Volante al suo servizio è molto probabile che l’otterrà – riconobbe con rabbia Gibbs.
Barbossa ebbe uno scatto di collera: - Pezzo di idioti! E che cosa aspettavate a dirmelo?!
- Questo cambia qualcosa? – chiese timidamente Ragetti.
- Non del tutto in verità – affermò il redivivo pirata, mettendosi a camminare nervosamente avanti e indietro – Vuol dire solo che la nostra missione sarà duplice.
- Perché? – esclamò Pintel, facendosi portavoce dei dubbi degli altri.
Tutti pendevano dalle labbra di Barbossa che esitava a esprimersi, aumentando la loro apprensione.
- Considerando la situazione che si è instaurata, bisognerà convocare un nuovo Consiglio della Fratellanza e per farlo occorrerà la presenza di tutti e nove i pirati nobili – decretò stentoreo, lanciando un’occhiata furtiva alla fattucchiera.
Soltanto Gibbs ed Elizabeth afferrarono il senso delle sue parole, al che Will domandò alla fidanzata, che gli pareva particolarmente informata su questo genere di argomenti: - Che cos’è il Consiglio della Fratellanza?
- È un’assemblea generale cui prendono parte tutti i pirati del mondo attraverso i loro rappresentanti, i pirati nobili, e viene riunita quando bisogna discutere dei problemi riguardanti la sorte della pirateria stessa – illustrò la ragazza con straordinaria sicurezza.
- Vedo che siete ben informata, Miss, i miei complimenti – esclamò il Capitano, realmente sorpreso dalle sue conoscenze – Ma dato che stabiliremo un rapporto di collaborazione, mi farebbe piacere conoscere il vostro nome, quello vero naturalmente – le si rivolse poi con tono affabile.
La ragazza accennò un sorriso e poi gli rivelò nome, cognome e provenienza, sotto lo sguardo contrariato di Will che non riusciva a decifrare la strana intesa creatasi tra i due, un tempo nemici giurati. Ma un attimo dopo si dette dello stupido: ormai erano tutti dei fuorilegge e gli uomini come Barbossa erano gli unici cui potevano rivolgersi. Perciò accantonò le sue vacue riflessioni e si apprestò ad ascoltare quali sarebbero state le prossime mosse stabilite dal Capitano, sebbene non trascurò la possibilità di poter tentare di agire per conto suo.
- A questo punto devo rivelarvelo – cominciò con serietà Barbossa – Jack Sparrow era uno dei pirati nobili. Questo significa che la sua presenza è indispensabile per riunire il consiglio, a meno che lui non abbia lasciato a qualcuno il suo pezzo da otto …
Tutti si guardarono con aria interrogativa, poi si rivolsero ad Elizabeth che era stata l’ultima ad aver visto il Capitano, ma questa rispose un secco no che non nascondeva un certo imbarazzo.
Hector sbuffò: non aveva certo voglia di salvare l’antico odiato rivale, ma la situazione lo costringeva ad un forzato atto di eroismo. In ciò i suoi pensieri coincidevano perfettamente con quelli di Will. Entrambi, inoltre, avevano uno scopo nascosto nel volersi cimentare in quel recupero: il giovane Turner sperava di ottenere il controllo della Perla Nera e quindi di poter sfidare nuovamente Davy Jones e ucciderlo per salvare suo padre dall’eterna dannazione; Capitan Barbossa sapeva che solo liberando la dea del mare dalla sua prigione corporea avrebbe avuto la speranza di restare tra i vivi.
Per tutti e due, quindi, Jack costitutiva un prezioso strumento ma anche un ostacolo: Will non aveva idea di come avrebbe reagito una volta avutolo di nuovo davanti, dopo quello che era successo tra lui ed Elizabeth; Barbossa non avrebbe avuto scrupoli ad ucciderlo, ma prima doveva sapere quale fosse il suo pezzo da otto, cosa che si prospettava non facile data l’estrema abilità del pirata nell’ingannare impunemente i suoi avversari.
Mentre era calato di nuovo un silenzio di attesa ritmato solo dal ticchettio delle unghie del Capitano sul legno consunto della tavola, Elizabeth studiava il suo fidanzato con angoscia: aveva una strana espressione sul viso, dura e nervosa, e i suoi occhi scuri erano fissi alla lama del pugnale di suo padre che continuava a roteare tra le mani, assorto in chissà quali pensieri che lei non voleva o non sapeva decifrare, nonostante credeva di conoscerlo molto bene.
Tia Dalma, che si era allontanata da qualche minuto, rifugiandosi nel retro dell'abitazione, ricomparve, non sentita, a rompere quella tensione: - Mentre il caro capitano progetta quel che dovrà essere, immagino che qualcuno di voi senta il bisogno di ristorarsi – parlò volgendo lo sguardo ad Elizabeth, che però non la notò poiché si era fermata davanti ad una finestra affacciata sul fiume.
- Vi ringrazio, signora! In effetti abbiamo una fame! - proruppe con una grassa risata Pintel.
- Credo che si stesse rivolgendo a Miss Swann – lo ammonì sottovoce Gibbs.
Fu direttamente la padrona di casa ad avvicinarsi alla ragazza e, poggiandole una mano sulla spalla: - Venite con me, credo che sentiate il bisogno di cambiarvi e riposare un po' – la convinse a seguirla con tono gentile.
Elizabeth tentennò perché voleva ascoltare quello che avrebbe detto Barbossa, ma poi decise di accettare, riconoscendo che aveva davvero bisogno di un po' di ristoro perché sentiva la testa scoppiarle e tutte le membra indolenzite. La sacerdotessa la guidò nel retro del capanno, dove, con sua sorpresa, la giovane notò una vasca da bagno già colma d'acqua calda e sali profumati la cui essenza risaliva insieme al vapore. Nella stessa stanza c'erano anche un letto e un armadio con le ante aperte, in cui erano appesi diversi vestiti dalle fogge e dai colori piuttosto insoliti.
- Potete rimanere qui, se volete, e usare tutto ciò che trovate. Nessuno entrerà e così avrete modo di riflettere da sola sul vostro destino – mormorò poco dopo Tia Dalma e così dicendo si congedò, chiudendo la porta.
Elizabeth era rimasta un po' turbata sia dall'ambiente sia dalle parole enigmatiche della donna. Si sedette sul letto dalla struttura in legno rossiccio modellata con motivi marini; cominciò a togliersi i vestiti ancora un po' umidi ed entrò nella vasca cercando di mettere da parte le preoccupazioni della giornata ...


- Dobbiamo trovare un passaggio per Singapore. Proveremo a raggiungere Tortuga e da lì ci faremo indicare quali navi fanno rotta in Oriente – stabilì con consumata oculatezza Barbossa.
- Navi della Compagnia delle Indie Orientali – suggerì di rimando Gibbs.
- Non possiamo muoverci troppo liberamente, visto che siamo tutti condannati al capestro! - esternò Will, che non si fidava troppo dell’incredibile incoscienza di quei pirati.
- Proprio per questo, mastro Turner, ci muoveremo su navi della Compagnia. Se l'Olandese Volante è nelle loro mani, le prime navi a correre rischi nel navigare verso Oriente sono proprio quelle dei pirati – spiegò velocemente Barbossa, sicuro di non poter essere contraddetto.
- Ma il mare è grande, capitano! - buttò lì Pintel, mettendo invece in dubbio il suo proposito.
Ragetti non mancò di appoggiarlo: - Ha ragione, ed è più facile che ci scoprano a bordo di una nave della Compagnia che a bordo di navi pirata!
- Per una volta sono d'accordo con loro due – ammise a malincuore Will e anche Gibbs, pur temendo di inimicarsi un uomo della sua risma, annuì.
Al che Barbossa restò indispettito: aveva forse perduto il suo carisma di Capitano o quelli davanti a lui erano gli uomini più permalosi e malfidati che avesse mai incontrato?
- A spasso sull'asse! – gracchiò quasi in spregio il pappagallo di Cotton, mentre il suo padrone si era appisolato su una sedia.
- Ci sarebbe un’altra opzione, ma dovete tener conto che non possiamo sapere quale situazione troveremo – ritentò di guadagnarsi il loro benestare il redivivo pirata. Al suo piglio intraprendente tutti quanti si misero sull'attenti – Sbarcheremo a Maracaibo e da lì proseguiremo via terra fino all'Oceano Pacifico, coprendo il resto del viaggio a bordo di qualche mercantile diretto per l'Oriente che magari parta da Panama. In questo modo sfuggiremo al controllo della Compagnia, che certamente provvederà in primo luogo a liberare il mare dei Caraibi dalla piaga della pirateria. Che ne pensate?
Appena il suono delle sua ultima frase si spense, gli parve di riuscire a sentire i pensieri degli interlocutori vorticare.
- Io penso che sono troppo stanco per pensare – esordì tuttavia Pintel, mentre Ragetti lo appoggiò sbadigliando e irritando così il Capitano.
- Faremo quello che dite voi! – acconsentì spicciamente Will – In fondo siete quello che ha maggiore esperienza. Io sono solo un fabbro, sapete – aggiunse seccato, conficcando il pugnale sul tavolo con una grinta che piacque a Barbossa nonostante lo avesse al tempo stesso un po' inquietato. Avrebbe dovuto guardarsi le spalle da quel ragazzo: era più pirata di quanto non credesse!
- E sia! - disse Gibbs alzando il pugno per aria.
- Partiremo domattina all'alba – decretò allora Barbossa.

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Capitolo 2
*** Tormenti e dubbi ***


CAPITOLO 2: TORMENTI E DUBBI

“Cerca te! Non la nave, né noi! … Lo capisci che non c'è altro modo? ... E non mi pento!”

Con queste poche parole, dure, essenziali e quanto mai schiette, se pure non del tutto sincere, Elizabeth Swann era riuscita a condannare l’inafferrabile Jack Sparrow a morte.
Le era parso il modo migliore, il più semplice, il più efficace per salvarsi. Era un piano che aveva concepito e messo in atto in pochi secondi; aveva agito per il bene suo e di Will.
Non avrebbero mai fatto in tempo a raggiungere la terraferma se ci fosse stato anche lui.
“Piratessa”, si era limitato a soffiarle Jack, e non aveva usato un tono adirato, né offensivo, al contrario, le era parso un complimento.
Glielo aveva detto sorridendo, come faceva spesso quando la scrutava con quegli occhi scuri, profondi, seducenti, facendola vacillare in ciò che stava facendo, ma non abbastanza da convincerla a ripensarci.
Lo aveva lasciato ammanettato lì, alla sua amata nave, ed era corsa via velocemente verso la scaletta per raggiungere gli altri, senza neanche voltarsi. Si era sforzata di non far trasparire il disgusto che provava per la vigliaccata che era riuscita a commettere, ma le aveva fatto ancora più male ritrovarsi di fronte Will che la squadrava con aria severa e disillusa, come non aveva mai fatto prima di allora. E il modo in cui le aveva domandato dove fosse Jack ...
Quelle immagini angoscianti, quelle parole celate continuavano a ripresentarsi nella sua mente, mentre se ne stava distesa sul letto, e non le davano pace. In fondo, si diceva, aveva soltanto anticipato la sua dipartita: era condannato, aveva un debito con quel terrificante Davy Jones, e parecchi altri con la giustizia, benché fosse sempre riuscito ad evitare di pagarli.
Non era questo che la faceva star male, o almeno, non solo questo: aveva volutamente deciso di toglierselo di torno perché si era accorta che l’aveva raggirata per tutto il tempo, aveva usato lei e Will solo per i suoi meschini scopi, non si era fidato di loro.

Brava! Hai scoperto che il tuo senso dell'onore, della decenza e della moralità non è tanto diverso dal mio! Mi hai ingannato anche tu, ma non ci credo che non ti piacevo neanche un po', Lizzie … Già, ti ha mai chiamata così il tuo William? Siamo uguali, devi avere il coraggio di ammetterlo … ”

Le sembrava di sentirlo con quella sua solita voce beffarda, e forse aveva anche ragione.
Si era divertita a stuzzicarlo fingendo (?) di cedere al suo fascino, sicuramente indiscutibile; quel gioco lui lo aveva preso sul serio ed era stato facile così ingannarlo, ripagandolo con la sua stessa carta. Aveva dubitato per un attimo di provare qualcosa per lui, ma nella prospettiva di dover scegliere chi salvare non aveva avuto esitazione a scegliere Will. E aveva capito di non aver sbagliato quando aveva incrociato di nuovo il suo sguardo sulla scialuppa, anche se non aveva capito il perché di quel suo atteggiamento.
Un'altra preoccupazione l'assillava: li aveva forse visti mentre si baciavano? E se così fosse stato, come avrebbe potuto spiegargli quello che la aveva spinta ad agire in quel modo? Avrebbe amato un'assassina? …

Will era uscito da quell’asfissiante palafitta e si era fermato sullo stretto balcone antistante la porta d'ingresso, spinto dal forte bisogno di cercare un po’ d’aria fresca.
Le misteriose donne piangenti che avevano trovato al loro arrivo erano scomparse e tutto intorno predominava il buio più assoluto. Il cielo era però trapunto di stelle e illuminato dalla luna piena. L'ultima volta che l'aveva veduta era solo una falce: era passata una settimana. Una settimana in cui erano successe tante cose che avevano sconvolto la sua tranquilla esistenza come e più dell'anno precedente: aveva ritrovato suo padre, aveva incontrato il leggendario Davy Jones scoprendo che, sfortunatamente, era davvero un demonio, aveva forse perduto l'amore della persona che amava di più al mondo. Era di nuovo lontano da casa, di nuovo fra rozzi e gretti pirati, uno di loro e non più uno che li combatteva. Mille domande lo tormentavano, voleva parlarne con Elizabeth, ma non era tipo da fare scenate davanti a tutti.

“Dov'è Jack?”, aveva usato un tono duro.
“Ha scelto di restare e di darci una chance”, aveva risposto lei con voce pressoché indecifrabile, ma senza riuscire a nascondere l'emozione nei suoi occhi velati.
Al suo posto avrebbe agito esattamente allo stesso modo: allora quell'uomo non era poi tanto diverso da lui, non quanto credeva ... In realtà Jack aveva una cosa in più rispetto a lui: era più pirata. E per questo lei alla fine si era accorta di preferirlo? Era convinto che gli avrebbe raccontato tutto, prima o poi. D'altra parte non sapeva neanche chi incolpare: effettivamente tutta la loro storia era stata sin dall'inizio intrecciata con quella dei pirati; se non fosse successo tutto quello che era successo un anno prima, tutto sarebbe stato diverso. E in qualche modo c'entrava comunque Jack Sparrow.
Barbossa non era tipo da impicciarsi dei fatti degli altri, tuttavia, dopo essere riuscito a convincere gli uomini ad accettare il suo piano, volle interrogare Gibbs sul perché quei due giovani si trovassero con loro. Se lei era davvero la figlia del governatore di Port Royal, come gli aveva detto, e lui un semplice fabbro, perché mai erano rimasti coinvolti in quella situazione? Erano forse spie?
- Mastro Gibbs – cominciò allora, rivolgendosi al marinaio che stava per addormentarsi.
- Capitano – rispose quello trattenendo uno sbadiglio.
- Sapreste dirmi qualcosa di quei due? - chiese restando vago.
- Quelli? Li abbiamo sorpresi mentre tentavano di rubare la Perla e alla fine sono rimasti a bordo con noi. Avevamo perso altri uomini – spiegò Gibbs riferendosi a Pintel e Ragetti che sonnecchiavano su delle poltrone.
Barbossa non capì ma evitò di fare altre domande: in fondo Jack Sparrow era sempre stato un tipo strano e quei due piccioncini probabilmente dovevano aver maturato qualche problema con la legge per essersi uniti a lui.
La notte trascorse più o meno tranquilla e alle prime luci dell'alba, come stabilito, la ciurma si mise in moto. Will era rimasto in quelle ore fuori dall'abitazione e il Capitano, dopo aver messo fretta agli altri spingendoli a prendere posto nella scialuppa, gli si avvicinò facendolo scattare come una molla: gli puntò subito il pugnale contro, a pochi centimetri dal viso.
Jack, la scimmia scappò urlando.
- Vedo che siete sufficientemente sveglio, signor Turner – disse allora senza accennare alcuna smorfia di turbamento – Siamo pronti a partire – aggiunse poi indicandogli l'imbarcazione ormeggiata sotto.
Il ragazzo sgranò gli occhi e senza parlare si diresse per le scalette ma, prima di poggiare il piede sul primo gradino, tornò indietro con gran fretta ed entrò nella palafitta. Aperta la porta si scontrò con Tia Dalma alla quale chiese con ansia: - Dov'è Elizabeth?
- Vi raggiungerà fra un attimo – lo rassicurò la donna prendendogli una mano che lui ritrasse immediatamente per poi uscire urtando dei vasi che pendevano dal soffitto. Alla qual cosa la sacerdotessa non diede molto peso, sorridendo, come sempre. Gli altri, invece, avendo sentito il rumore dall'esterno, lo guardarono con aria interrogativa quando uscì. Ma lui fece finta di non notarlo e, dopo essersi seduto vicino alla prua della barca, diede le spalle a tutti e restò immobile con la vista perduta nella laguna.
- Cosa è successo? - esclamò Elizabeth precipitandosi nella stanza da cui aveva udito provenire il trambusto. C'erano tanti oggetti sparsi nel pavimento, poco identificabili data la penombra.
- Se siete pronta, possiamo andare. Ci stanno aspettando – la esortò la veggente, non permettendole di replicare e affidandole un sacco con vestiti e provviste.
Barbossa salì per ultimo e ordinò a Ragetti e Pintel di remare mentre lui si eresse a prua. Continuarono a risalire il fiume verso nord e dopo circa mezzora giunsero ad una baia, a tutti sconosciuta, dove si trovava un battello, non molto grande e parecchio malandato, con due alberi e una fila di remi sui lati.
Il Capitano, senza fornire spiegazioni, li incitò a salire e per ultimo di issare a bordo la scialuppa. Discostate le fronde che lo avevano ricoperto, si mise a controllare il timone verificando che funzionasse ancora.
Will ed Elizabeth osservavano tutto con stupore mentre gli altri si davano da fare, liberando le vele e rafforzando sartie e cime, cosicché si meritarono il rimprovero di Barbossa: - Se siete qui vedete di rendervi utili! - urlò al loro indirizzo.
Allora mastro Gibbs si affrettò ad impartire loro dei compiti per evitare che stessero con le mani in mano. In meno di un'ora fu tutto pronto per salpare le ancore e l'imbarcazione, mossa dai remi, lasciò la baia per raggiungere il mare aperto dove le vele si gonfiarono presto al vento conferendole una discreta velocità.
Capitan Barbossa si soffermò a lungo a consultare delle vecchie carte nautiche per tentare di stabilire una rotta, potendosi aiutare solo con la posizione del sole.
- Di notte sarà più semplice – gli suggerì Gibbs.
- So esattamente dove andare, non temete – lo aggredì quello tirando fuori una bussola, un compasso e un astrolabio da una piccola cassetta di legno, mettendoli bene in vista anche agli occhi di Will che si era nel frattempo avvicinato al timone.
Entrambi lo lasciarono al suo ruolo senza più immischiarsi.
Il giovane, rimasto da solo sul ponte, passeggiava nervosamente da poppa a prua ormai da qualche ora quando si decise a scendere sottocoperta in cerca della fidanzata.
Elizabeth si era sistemata in una cabina e da lì non era più uscita dopo la partenza. Si decise a bussare alla sua porta.
- Va tutto bene, Elizabeth? - domandò con apprensione.
- Sì – si sentì rispondere dopo qualche secondo, dopodiché la porta si aprì e se la trovò davanti. Aveva indosso un abito dai tanti colori, sul turchese, con frange, merletti e ricami che si soffermò a guardare. Sembrava una principessa, ai suoi occhi, nonostante tutto.
- Me lo ha prestato lei – si giustificò la ragazza abbassando lo sguardo – Ma credo che dovrò cambiarmi. Il signor Gibbs mi ha assicurato che faremo rifornimento di tutto il necessario, non appena sbarcati a Tortuga – concluse attendendo una risposta che le permettesse di capire come stesse lui. Aveva un'aria distrutta, forse non aveva dormito. Continuava a guardarla senza parlare e lei si sentiva ancora più a disagio. Ad un certo punto decise di cambiare atteggiamento e con tono seccato lo ammonì: - Bene, io torno sopra coperta; tu puoi sistemarti pure nella cabina accanto – e così parlando uscì alla svelta.
Barbossa aveva lasciato il timone al marinaio Cotton e stava discutendo in disparte con Tia Dalma quando la fanciulla giunse sul ponte. Entrambi le lanciarono uno sguardo che non riuscì a decifrare ma che certo non le sembrò affatto amichevole. Cosa nascondevano? Intanto che cercava di capirlo la sua attenzione fu richiamata dagli altri marinai che battibeccavano come sempre, mentre Gibbs tentava di fare da paciere.
- Ti ho detto che le ho già sistemate io quelle corde! - gridava Pintel.
- Eppure hai dimenticato questa: guarda che nodo! Sembra fatto da un principiante – lo accusava Ragetti mostrandogli come lo avesse facilmente sciolto.
- Miss Swann – la chiamò Barbossa con un cenno del capo.
- Si, capitano – rispose lei avvicinandosi, ostentando sicurezza.
- Volevo parlarvi – la invitò lui conducendola vicino alla prua – Giacché vi accingete ad accompagnarci, desidererei sapere se ci sareste utile ... Insomma, se avete qualche capacità per cui prendere in considerazione l'opportunità della vostra presenza – proferì con tono derisorio – Che avete fegato l'ho potuto constatare sin dalla prima volta che vi ho incontrato ... - dichiarò con maliziosa ammirazione, avanzando verso di lei.
- Ho imparato a maneggiare la spada – lo informò la ragazza ritraendosi alquanto infastidita dal modo di fare del pirata – Me lo ha insegnato Will; so usarne anche due alla volta – specificò con orgoglio.
- E come mai la figlia di un governatore si interessa tanto di armi e pirati? - incalzò scettico lui – Potreste vivere nell'ozio e nel lusso – le fece notare.
- Ho letto molte cose sulla vita del mare e sui pirati, perché mi è interessato, sin da piccola – si difese lei, ma era chiaro che il Capitano volesse sapere per quale motivo aveva lasciato la sua vita di comodità e privilegi per unirsi a simile gente, ben lontana dal suo rango.
- Capisco – si limitò, però, a rispondere il pirata allontanandosi e lasciandola di stucco – Sapete rammendare? - tornò a chiederle poi, con tono divertito.
- Come?! - esclamò la ragazza spalancando gli occhi.
- Vedete se riuscite a riparare quella vela. Quei due non sono ancora stati capaci di metterla a posto – le ordinò riferendosi a Pintel e Ragetti.
- Come volete, capitano, ci proverò – affermò lei un po' offesa, accingendosi ad aiutare quei due pirati imbranati.
Qualche ora dopo il sole era già tramontato e il cielo iniziava a ricoprirsi di stelle; poche lanterne facevano luce sul ponte.
Will andò incontro al Capitano che era tornato al timone ed era intento a calcolare la posizione degli astri per stabilire la latitudine.
- Ah, mastro Turner! Stavo giusto per farvi chiamare. Non vi siete fatto vedere tutto il pomeriggio – lo ammonì, accorgendosi del suo arrivo.
- Sono stato nella stiva – gli comunicò quello, con tono nervoso.
- Ah! - fiatò lui, senza alzare gli occhi dalle carte illuminate dalla luce di una lanterna a olio.
Will, spazientito da quel fare spocchioso, inveì contro il bucaniere: - Non ci vuole un esperto navigatore per capire che questa imbarcazione non sosterrà ancora a lungo il mare aperto! Lo scafo è consunto, potrebbe crearsi una falla da un momento all'altro!
- Vi ringrazio per avermelo ricordato, lo sapevo già – dichiarò con tranquillità quello, continuando a tracciare linee con compasso e carboncino – Infatti non intendo arrivare fino a Tortuga con questa barcaccia, cercheremo di farci dare un passaggio. Perciò tenete gli occhi ben aperti – gli raccomandò con un cenno ambiguo.
- Siete pazzo! Non abbiamo abbastanza armi, né cannoni. Basterà un solo colpo per farci andare a fondo! - ribatté il ragazzo, infervorato dalla rabbia avendo intuito la sua allusione.
- So anche questo, mastro Turner! E ho già pensato a tutto – sbraitò il pirata, irritato dall'atteggiamento di sfida assunto dal giovane – Ora però vorrei sapere chi siete davvero.
- Lo sapete benissimo – replicò lui, voltandosi e adombrandosi.
- So che siete il degno figlio del fu Sputafuoco Bill e che siete molto innamorato di quella ragazza; ricordo ben cosa avete rischiato per lei ... ma poi disgraziatamente  sono morto e non conosco il resto della storia – sostenne con vago sarcasmo il Capitano, piazzandosi davanti a lui a braccia incrociate.
Will sbuffò, e arrendendosi alla sua insistenza, iniziò a raccontare: - Quando siamo tornati a Port Royal io e lei ci siamo fidanzati – s’interruppe, assalito dai ricordi, poi proseguì lentamente – Una settimana fa stavamo per sposarci quando ci hanno arrestati con l'accusa di aver aiutato Jack Sparrow ad evitare la forca.
- Aveva tanto valore la sua morte? - si chiese Barbossa con tono sprezzante.
- La Compagnia delle Indie Orientali sta intensificando la caccia ai pirati, ultimamente – gli fece sapere il giovane, tacendo il vero motivo d’interesse di Lord Beckett per Sparrow.
- Voi dunque vi siete dati alla macchia. Ma perché mai volete salvarlo? – insistette a interrogarlo il pirata, tentando di trovare il bandolo della matassa.
- Ci occorre anche lui per combattere l'Olandese volante e la Compagnia delle Indie Orientali, no? Mio padre è schiavo di Davy Jones e io intendo uccidere quel mostro per liberarlo – spiegò con candore.
- Voi invece che vantaggio otterreste nel farlo ritornare dallo scrigno? - incalzò poi Turner.
- Mi ha ucciso e si è ripreso la mia nave, e io intendo ucciderlo per vendicarmi – affermò con altrettanta schiettezza l'uomo di mare.
- Ma … non avrete la Perla, comunque – lo pressò il ragazzo cercando di farlo sbilanciare per apprendere di più: si era fatto dei progetti ma non aveva la certezza di poterli realizzare.
- Ebbene, dovete sapere che la Perla si trova nello scrigno con Sparrow. È per essa che quello stupido si è indebitato con Jones, perciò la recupereremo insieme a lui. Vi è chiaro?
- Sì – replicò Will con una nuova luce nel volto e un sorriso a labbra strette che il capitano ricambiò, pur non cogliendone il motivo.

Ora confabulano fra di loro. Non riesco proprio a capirli!”, pensò Elizabeth, che aveva assistito da lontano al dialogo dei due, senza poterne cogliere le parole.
- Cosa ti tormenta Elizabeth Swann? - irruppe Tia Dalma, facendola sobbalzare.
- Non ... non vi avevo sentito arrivare – balbettò la ragazza, accennando a ritrarsi.
- È fascinoso, eroico e i suoi occhi brillano come stelle nella notte quando vi guarda … – pronunciò con voce languida la misteriosa donna.
- Di chi parlate? - sussurrò lei, dandole le spalle per non mostrare gli occhi gonfi per le lacrime che aveva pianto poco prima.
La veggente le riservò un’occhiata colma di stupore:- Del vostro William. Perché, pensavate a qualcun altro? – domandò con finto imbarazzo.
A Elizabeth si mozzò il fiato in gola: - Io ... - singhiozzò appoggiandosi alla parete sottostante il balcone del timone.
- Oh, il cuore di una donna è pieno di segreti, di sogni e di fantasie che a volte sfuggono al nostro controllo ... e così li facciamo soffrire. Gli uomini non riescono mai a capirci fino in fondo, sono troppo fragili e razionali. Credono di essere in grado di gestire sempre tutto, senza mai fallire – sostenne con una certa durezza Tia Dalma, pur accarezzandole i capelli e avendo assunto un'espressione mesta. Quindi con la stessa silenziosa andatura con cui si era presentata, si allontanò, svanendo sotto coperta.
La ragazza era ancora confusa dal discorso della sacerdotessa, che le aveva dato ancora una volta l'impressione di leggere nei suoi pensieri, quando si vide venirle incontro il fidanzato.
- Elizabeth, tieniti pronta. Lasceremo questa nave non appena ne apparirà all'orizzonte una migliore – la avvisò sbrigativamente, per poi voltarsi.
- Che significa? - protestò lei, afferrandolo per un braccio.
- Tu ti fidi di Barbossa? - le chiese avvicinandosi al suo viso e immergendosi nei suoi occhi.
- E tu? - replicò la ragazza impassibile, volendo indagare sul suo punto di vista.
- Non abbiamo altra scelta – sospirò contrariato lui, scuotendo la testa e andandosene.

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Capitolo 3
*** Gettati e ripescati ***


fanfic cap 3

Capitolo 3: Gettati e ripescati

- Capitan Barbossa: a poppa di tribordo! - furono queste parole a destare Elizabeth la mattina seguente. Le aveva pronunciate Will con una certa eccitazione. La ragazza salì in fretta sul ponte.
- Non vi accontentate di poco, mastro Turner – sentenziò Barbossa scorgendo con il cannocchiale un galeone spagnolo da quattro alberi – Tutti gli uomini sopra coperta! - urlò poi, al che Gibbs si affrettò a richiamare gli altri che ancora dormivano nelle loro brande.
- Signori: abbiamo trovato il nostro pesce da far abboccare – affermò il capitano quando tutti furono giunti sul ponte, indicando con un ampio gesto del braccio il veliero poco lontano.
- Con tutto il rispetto signore: altro che pesce, quella lì è una balena! - sostenne Pintel riferendosi alla grande mole dell'imbarcazione – Andrà a finire che sarà quello lì a mangiare noi! - aggiunse preoccupato.
- Ti sbagli:le balene non mangiano gli uomini e nemmeno i pesci, è un errore comune – lo ammonì Ragetti con aria da saputello.
- Lo dicevo in senso figurato, come dici tu – ribatté il compare infastidito dal vizio di quel pirata di doverlo correggere sempre.
- Non succederà nulla se l'esca che gli prepareremo sarà abbastanza allattante – assicurò Barbossa guardando rapidamente i componenti della ciurma e soffermandosi su Miss Swann.
- Non vi azzardate a mettere nel mezzo Elizabeth! - lo sgridò adirato Will che se ne era accorto.
- Sempre a pensare male voi, eh? - commentò il pirata divertito dal rapido accalorarsi del giovane.
- Cosa volete che faccia, capitano? - si fece avanti la ragazza sfidando la pazienza del fidanzato che la osservava con occhi di fuoco.
- Voglio che torniate a vestirvi da uomo – riferì quello sorridendo – Due donne sono troppe per una barca – concluse facendo ammutolire tutti.
- Esattamente come pensate di agire, signore? - chiese Gibbs.
- Sapete recitare una parte? - domandò quello; tutti si guardarono l'un l'altro senza sapere cosa dire.
- Ho sempre voluto lavorare al teatro o al circo – esordì Ragetti – ma poi... - si interruppe per la torva occhiata del capitano.
- Che dovremmo recitare? - sbottò Pintel.
- Saremo dei poveri pescatori scampati al naufragio della propria imbarcazione e in cerca di un passaggio. Faremo affondare questo battello non appena avremo finito di raccogliere tutto il necessario – spiegò brevemente l'interpellato - Voi due potreste fingere di essere figli miei – propose ai due fidanzati – Perciò vedete di rimettervi quei vestiti che indossavate l'altro giorno – ordinò alla fanciulla.
- Ma non so dove... - protestò quella.
- Li ho presi io – affermò Tia Dalma interrompendola.
- Lei sarà la mia signora – li informò riferendosi alla bruna veggente.
- E noi? - chiese Pintel.
- I miei marinai, cos'altro vorreste fare?! - lo riprese il Capitano.
- Ma allora cosa cambia?!Lo siamo già! - protestò Ragetti.
- Sì, ma farete i marinai di un peschereccio – puntualizzò il capitano lasciandoli comunque delusi. - Avanti, sbrigatevi ora! - comandò.
Mentre tutti si affrettavano alla messa in atto del piano, chi raccogliendo armi e provviste, chi ammainando le vele, chi tenendo d'occhio la nave avvistata, si innalzò un'onda improvvisa che fece rovesciare l'imbarcazione scagliando l'intero equipaggio in acqua.
- La scialuppa!Non dobbiamo perderla! - si affrettò a strillare Barbossa agli uomini cercando di restare a galla. Pintel e Ragetti si diressero con grandi bracciate a recuperarla mentre Will, Cotton, Marty e Gibbs tentavano di afferrare armi e bagagli sballottati dalle onde.
- È l'Olandese Volante! - urlò con terrore Gibbs.
- Dov'è Elizabeth? - domandò preoccupato Will dopo che, nella confusione generale si era infine accorto che non era con loro. Nessuno sapeva rispondergli, essendo inoltre continuamente incalzati dal Capitano che, arrivato alla scialuppa, li incitava ad affrettarsi a raggiungerlo. Will continuava ad urlare il nome della fidanzata e ad immergersi per assicurarsi che non fosse finita a fondo. Cotton e Marty gli lanciarono una cima e lo tirarono verso la barcaccia issandolo a bordo.
- È meglio che restiamo qui – intimò Barbossa agli altri, data la vicinanza dell'Olandese Volante, ma il giovane Turner si tuffò di nuovo in mare.
- Dove credete di andare? - lo richiamò il Capitano.
- Deve essere rimasta a bordo! - rispose lui dirigendosi verso il battello che era rimasto sul pelo dell'acqua, seppur capovolto; non gli importava se quei pirati lo avrebbero abbandonato, lui non avrebbe abbandonato di certo l'amata.
L'Olandese tirò fuori tutti i cannoni che aveva e in pochi minuti del galeone restarono solo fumo e tavole di legno sparse, i cadaveri galleggianti tra le onde.
Nel frattempo Elizabeth aveva tentato con ogni mezzo di uscire dalla cabina ma la porta si era bloccata. Credeva che fosse ormai giunta la fine, rivide in un attimo tutta la sua vita e pensò che probabilmente non sarebbe andata in paradiso. Le lacrime le annebbiarono la vista e prostrarono le sue energie quando sentì dei colpi provenire dall'esterno. Rispose battendo sulla parete. Era sicura che fosse Will. Pochi minuti che le sembrarono interminabili e lo vide dall'oblò con un fucile tra le mani. Capì all'istante quali fossero le sue intenzioni e così gli fece cenno con la testa, allontanandosi dalla porta della cabina. Solo dopo capì anche che sarebbe stato inutile, pensiero che toccò parimenti il ragazzo: non aveva considerato che la polvere bagnata rendeva inutilizzabile quell'arma...
Il tempo passava, non sapeva più cosa fare; provò con l'ormai inseparabile pugnale conficcandolo nella serratura, ma l'acqua rendeva tutto più difficile e il boato dei cannoni dell'Olandese sembrava scandire quegli attimi incitandolo ad essere più veloce. Elizabeth dall'interno provava ugualmente a liberarsi. D'un tratto l'imbarcazione si rovesciò e, senza capire come, il giovane riuscì ad aprire la porta e liberare la fanciulla facendo appena in tempo a lasciare il battello che colò a picco.
Elizabeth, ancora impaurita, lo stringeva con tutte le forse mentre lui con un braccio nuotava per avvicinarsi alla scialuppa: - Grazie – bisbigliò con un filo di voce, lui la guardò senza rispondere, ma con espressione più sollevata.
- Eccoli lì! - urlò con gioia Gibbs quando li vide, e in breve la ciurma mosse i remi verso di loro. Will fece salire per prima lei e poi fu aiutato da Pintel e Ragetti a salire a sua volta. Incrociò lo sguardo di Tia Dalma che gli sorrise abbassando il capo.
- Ci avete fatto prendere uno spavento, bambolina! - affermò Pintel non appena la ragazza si sedette facendola arrossire.
- Mi dispiace – si difese con un po' di vergogna – Mi stavo cambiando...si è rovesciato tutto...Cosa è successo? - domandò al Capitano. Quello non proferì parola ma si voltò verso l'Olandese. Elizabeth si sentì raggelare il sangue nelle vene al ricordo di ciò che avevano passato qualche giorno prima a causa di quella nave maledetta, ma un' altra sagoma all'orizzonte attirò la sua attenzione.
- Dovremo aspettare la prossima nave – asserì il Capitano con stizza.
- Barbossa – anche Will notò qualcosa indicando con il dito un punto. Allora questo afferrò il cannocchiale, si alzò in piedi e restò qualche secondo ad osservare nella direzione indicata.
- Il kraken! - sussurrò con terrore Ragetti ai compagni.
- Batte bandiera inglese – dichiarò il redivivo pirata – E si sta avvicinando all'Olandese, ma non sembra stia per attaccarla.
Appurato che si trattava di una nave, Pintel guardò male il compare sospirando.
- Giusto oggi doveva passare di qua quel dannato Davy Jones! - imprecò Gibbs.
- Dobbiamo avvicinarci – affermò Barbossa.
- Ha ragione – dissero in coro Will ed Elizabeth dopo essersi accorti della reticenza degli altri. A malincuore presero i remi e si apprestarono a ridurre le distanze tra loro e le due navi, evitando, però, di esporsi troppo.
- Se ci vedono ci fanno fuori subito! - constatò Pintel.
- Tanto se non lo faranno loro ci penseranno gli squali – lo incoraggiò il marinaio dall'occhio di legno – Sai quanti ce ne sono in queste acque?E mangiano gli uomini loro! - aggiunse. Le sue parole giunsero alle orecchie della ciurma che , istintivamente, si ritrasse dai fianchi dell'imbarcazione.
- Fermatevi – ordinò Barbossa quando si trovavano ad una distanza che gli consentiva di poter vedere abbastanza chiaramente cosa stesse accadendo tra le due navi. - Chi è quel damerino? - domandò poco dopo aver sbirciato nel cannocchiale.
Will afferrò lo strumento e guardò a sua volta: un uomo elegantemente abbigliato con tanto di parrucca e cappello alla guida di un nutrito gruppo di soldati dal costume nero. Soffermandosi sull'albero maestro notò che accanto alla bandiera britannica ne sventolava un'altra nera con la sigla IEC. Giunse così alla risposta: - È Lord Cutler Beckett – dichiarò passando il cannocchiale ad Elizabeth. È il rappresentante della Compagnia delle Indie Orientali. Ci ha arrestati lui.
- Conosce la storia del forziere!Per questo voleva la bussola di Jack: gli serviva per trovarlo – sostenne la ragazza riconsegnando l'oggetto al Capitano.
- Staranno trovando un accordo,è probabile – osservò Barbossa.
- Cosa facciamo? - intervenne Gibbs, quando le due navi si furono allontanate. L'Olandese si era immersa provocando una nuova ondata che però non li toccò.
- Dobbiamo affrettarci a trovare una nave. Se non fosse per loro due avremmo potuto farci dare un passaggio anche da quello lì – asserì l'uomo riferendosi alla giovane coppia.
- Potevate lasciarci morire allora! - si adirò Will.
- Non fosse stato per noi non avreste neanche saputo di Beckett! - soggiunse Elizabeth parimenti irritata.
- È inutile che continuate ad accusarvi l'un l'altro – si intromise inaspettatamente Tia Dalma – Sono tante le navi che solcano il mare oggigiorno. Dobbiamo solo aspettare – concluse ed allora restarono in silenzio e tesero lo sguardo in ogni direzione attorno in attesa di vele in vista.
Pintel e Ragetti in realtà cominciarono presto a parlottare fra di loro del più e del meno, a bassa voce per evitare di innervosire Barbossa; il quale rimase tutto il tempo attaccato al cannocchiale. Lui, una volta capitano della grandiosa Perla Nera, animata da una ciurma di dannati che incuteva paura al solo nominarla e che aveva saccheggiato i Caraibi in lungo e in largo per un decennio, indisturbata, si trovava ora alla guida di un gruppetto mal assortito che faticava a tenere unito e che non era riuscito a sottomettere completamente al proprio comando. D'altra parte capiva la loro mancanza di fiducia: a turno aveva cercato di ucciderli praticamente tutti e, in quanto a Tia Dalma, le sue intenzioni non erano mai troppo chiare e sapeva che doveva ben guardarsi da lei, nonostante lo avesse aiutato. Tuttavia aveva un'alta considerazione di sé ed era perciò sicuro che avrebbe potuto rendere quegli sfiduciati nuovamente ligi ai suoi ordini; dopotutto erano abituati ad essere comandati. Lo stesso non valeva per quei due ragazzi: da quel poco che era riuscito ad estorcere loro e osservando il loro comportamento, aveva capito che non erano facilmente addomesticabili e gli sembrava che nascondessero qualcosa. Perciò si propose di continuare ad indagare sul loro conto facendo attenzione a non mostrare troppo i suoi dubbi.
Il sole stava calando e presto l'oscurità li avrebbe avvolti; la situazione stava diventando pericolosa perché non avendo alcun tipo di lucerna, rischiavano di venire travolti se una qualche imbarcazione più grande si fosse trovata a passare di lì. Nessuno parlava più da almeno un'ora, si sentivano bruciare gli occhi per essere rimasti a fissare l'orizzonte sforzandosi di scorgervi qualche sagoma di nave, ma la rassegnazione e la stanchezza avevano ormai preso il sopravvento sui loro animi. Iniziavano già a socchiudere le palpebre quando un sussulto improvviso fece sobbalzare la scialuppa. Era stato Gibbs che si era alzato di scatto in piedi:- Ma che ti prende?!Per poco finivamo tutti a mollo! - gli urlò contro Pintel e la scimmia lo imitò.
- Guardate là! - disse con esultanza il marinaio.
Barbossa afferrò il cannocchiale e pronunciò sollevato: - Finalmente! - era un piccolo brigantino.
- Arriveranno in tempo a vederci? - chiese Will avvicinandosi al Capitano. - Si sta facendo buio – aggiunse preoccupato. Già Cotton e Marty avevano iniziato a remare mentre Ragetti agitava le braccia per tentare di farsi notare da quelli dell'equipaggio.
- Allora: lasciate parlare me quando saremo più vicini – si raccomandò Barbossa.
- È un peschereccio – notò Will vedendo che gli uomini a bordo erano intenti a sollevare delle reti – Non saranno più di una decina.
- Questo gioca a nostro favore – affermò il redivivo pirata – Sicuramente non saranno pronti ad attaccarci. Quante armi abbiamo?
- Quattro spade, tre fucili e tre pistole – rispose Gibbs dopo aver controllato.
- Bene! - dichiarò con un'espressione soddisfatta il Capitano, poi spostando gli occhi verso la giovane aristocratica: - Fortuna che siate riuscita a cambiarvi d'abito, ma si capisce comunque che siete una donna. Dovreste coprirvi il volto – le consigliò.
- Ho pensato io a questo – lo informò Tia Dalma porgendo alla ragazza un vecchio cappello di paglia che tirò fuori da una sacca che aveva portato con sé da casa.
- Sei molto preziosa Cali...Tia Dalma – la ringraziò il pirata destando il sospetto del giovane Turner che sia accorse dello strano tentennamento dell'uomo nel pronunciare quel nome correggendosi. Ma erano ormai vicini all'imbarcazione e se volevano che quel piano desse i suoi frutti dovevano restare concentrati e uniti.
- Come vi avevo detto prima fingeremo di essere dei pescatori che hanno perduto la propria barca; voi è meglio che stiate muta Miss Elizabeth, restate al vostro posto anche voi signor Turner. Sarò solo io a prendere la parola. E nascondete le armi per quanto possibile – li ammonì il Capitano togliendosi il cappello piumato.
- Secondo me siamo in troppi – asserì il pirata dall'occhio di legno. - Non ci prenderanno mai a bordo tutti quanti.
- Avete ragione, mastro Ragetti – gli rispose Barbossa sorridendo.
- Grazie, Capitano – fu la risposta di quello con un tono velato d'orgoglio.
- Perciò voi e Pintel salirete dopo, non fatevi vedere – ordinò con voce sarcastica.
- Come?! - protestò Pintel.
- A mollo! - scandì il Capitano spazientito e quelli ubbidirono gettandosi in acqua e nascondendosi dietro la poppa della scialuppa.
- Vi lanciamo una cima, non preoccupatevi! - furono le prime parole dei marinai del peschereccio non appena avvistarono i sette sulla barcaccia. Will e Cotton si affrettarono a raccogliere la corda e a legarla alla punta sporgente della prua.
- Sia ringraziato il cielo! Voi giungete come una miracolosa visione e noi che eravamo ormai preda della disperazione! – esordì Barbossa con una voce che suonava agli altri manifestatamente falsa per la sua esasperata commozione.
- Bene e ...si, vi abbiamo visti e pescati. È il nostro mestiere! - affermò quello che sembrava essere il capo di quella ciurmaglia.
- Siamo anche noi dei pescatori, io sono John, questi sono i miei figli Billy e Dan, e lei è la mia consorte Sandy – la presentò velocemente il pirata meravigliando chi lo seguiva per la sua prontezza di inventiva. - Ah, e gli altri sono i miei compagni, marinai che lavorano con me – aggiunse riferendosi a quelli che non aveva nominato. Furono aiutati a salire a bordo uno per uno
- Siete naufragati, eh? .- domandò quello che aveva parlato prima. Io sono Charlie comunque – affermò stringendo la mano a Barbossa.
È la prima volta che vi capita una cosa del genere? Guarda come sono spaventati i ragazzi! - sghignazzò un uomo dalla pelle cotta dal sole e senza denti, dando una pacca sulla spalla ad Elizabeth che teneva la testa bassa per non farsi vedere in volto dagli sconosciuti.
Will stava per scattare rispondendo con una spinta altrettanto forte a quel marinaio che si era permesso di toccare la fidanzata, ma Gibbs intervenne mettendosi davanti : - Lasciatelo stare il ragazzino, è muto sin dalla nascita, poverino! Ma gli siamo tutti affezionati! - esclamò sospingendo la ragazza verso Will che la cinse con un braccio la spalla lanciando un sorriso forzato agli uomini dell'imbarcazione. Poi notò che Barbossa gli rivolse un rapido sguardo di intesa, abbassando di colpo la testa verso la cintura in cui teneva nascosta la pistola e allora si scostò velocemente da Elizabeth e tirò fuori la sua arma, contemporaneamente al capitano che però fu il primo a fare fuoco verso uno dei pescatori. Pochi secondi dopo Pintel e Ragetti salirono a bordo con le spade e si innescò un combattimento tra pirati e marinai che cercavano di difendersi con le fiocine e gli altri strumenti da pesca. Resesi conto di non poter avere la meglio su quegli abili combattenti il comandante del peschereccio, l'unico a non essere stato ancora disarmato, urlò con paura : - Chi siete? Cosa volete da noi?
- Tutto ciò che avete. Siamo pirati – rispose semplicemente Barbossa.
- E abbiamo una missione da compiere – gli fece eco Will disarmando il marinaio sotto lo sguardo divertito degli altri compagni di viaggio.
- Legateli e portateli via – comandò il maturo filibustiere.
- Una donna! - esclamò stupito uno degli uomini mentre Elizabeth gli stringeva una corda attorno alle braccia assieme a Cotton. - Questo ti fa sentire ancora più umiliato, eh? Razza di screanzato! - lo canzonò la ragazza dandogli poi un calcio con cui si vendicò dalla spinta di prima.
- Qui non c'è il gabbio – asserì Pintel con stupore risalendo da sottocoperta.- Dove li mettiamo signore? -domandò al capitano.
- Dove volete! Basta che mi li togliete di torno! - rispose il filibustiere dirigendosi verso il timone seguito da Will ed Elizabeth, oltre che dalla fida scimmia.
- Ci penso io - si offrì Gibbs afferrando per un braccio uno dei marinai che era annodato con gli altri, e così dicendo li portò insieme ai compagni sottocoperta sistemandoli nella stiva, incurante delle loro proteste.
- Quanto ci vorrà per arrivare a Tortuga? - chiese Will al comandante.
- Non meno di due giorni – fu la sua risposta mentre organizzava gli strumenti di navigazione che era riuscito a portare con sé salvandoli dalle onde.
- Se non altro abbiamo cibo assicurato – osservò Elizabeth guardando le reti da pesca ricolme rimaste sul ponte.
- Già – sostenne Barbossa fermandosi a fissare anche lui le reti – Stasera mangeremo – aggiunse per poi rimettersi a governare il timone. In realtà la cena non fu un gran che, dato che nessuno della ciurma sapeva cucinare e che mancava a bordo qualsiasi tipo di condimento; ognuno mandò giù comunque la propria porzione, almeno per mettere fine al mal di stomaco dovuto al quasi completo digiuno dei giorni precedenti. Dopo mangiato le due donne beneficiarono del “privilegio” di poter occupare loro le uniche due cabine disponibili che dovettero sistemare come meglio poterono; infatti non erano certo adatte a dormirci : piuttosto si trattava di depositi in cui era stata risposto materiale di vario tipo, tazze, piatti , ami, barattoli con esche, bottiglie...

Dopo l'infelice e stupida frase della volta scorsa, ora cancellata ma Dj Kela sa di che parlo, avevo seriamente pensato di non aggiungere contributi personali al capitolo limitandomi a postarlo....
Ma quando mai i pirati sono seri!Allora eccomi qui a ringraziare tutti coloro che leggeranno, e a dirvi che sono aperta a commenti e critiche ( sia positive che negative) e che non intendo lasciare la storia incompleta!
Ciao a tutti, a presto!

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Capitolo 4
*** Un passaggio per l'Oriente ***


fanfic cap 4

Un passaggio per l'Oriente

In seguito a quanto era accaduto il giorno precedente in quel mare, la comparsa dell'Olandese, l'affondamento del galeone spagnolo, l'arrivo della nave della Compagnia delle Indie Orientali, Barbossa e gli altri non si sentivano tranquilli, al punto da decidere di rimandare le ore di sonno per restare in allerta.
Will non perse l'occasione per parlare da solo con l'antico nemico che ancora stentava a considerare un alleato.
- Mastro Turner, non vi hanno assegnato una cabina? - gli domandò quello non appena lo vide comparire al suo fianco con l'aria di uno che non sapesse bene cosa fare in quel momento.
- Sì, ma non è abbastanza grande – gli comunicò il ragazzo.
- Vi aspettavate un letto matrimoniale?! - ribatté il pirata con tono irriverente. Il giovane restò interdetto e offeso da quella battuta che metteva in dubbio il suo onore, così replicò con voce stizzita: - Io ed Elizabeth non siamo sposati!
- Oh...e allora? - continuò l'uomo con la stessa intonazione di prima. Will comprese che ci provava gusto a vedergli perdere la pazienza, perciò preferì cambiare immediatamente discorso e atteggiamento: - Mi diceste che ho ancora tante cose da imparare di questo mondo . Sono pronto ad ascoltarvi – affermò incrociando le braccia.

Ne avreste davvero tante”pensò Barbossa non capendo come mai se quei due erano stati ad un passo dalle nozze, sembrava che cercassero di evitarsi invece di stare insieme.
- Chiedete pure, allora – disse poi mostrandosi disponibile anche se un po' sospettoso per le possibili domande che quel pirata in erba gli avrebbe rivolto.
- Quel consiglio della Fratellanza...come facciamo a riunirlo? - fu la prima questione da lui mossa.
- Cantando una canzone – si limitò a proferire il capitano.
- Una canzone?! - esclamò Will dopo qualche secondo sentendosi preso in giro. Gibbs, che era nel frattempo sopraggiunto iniziò a cantare: - Yo oh, la gloria corre nell'aldilà, nel volto vivo o morto lei ti seguirà...
Neanche nei suoi sogni più assurdi avrebbe mai immaginato di trovarsi in una situazione simile: dovevano affrontare una potente flotta guidata dall'Olandese Volante richiamando in aiuto altri pirati (quelli che sarebbero scampati alla persecuzione attuata dalla marina britannica!) mettendosi semplicemente a cantare! E cosa avrebbero potuto fare poi tutti insieme, ammesso che si fossero realmente trovati d'accordo?Non sarebbero stati mai organizzati e validi come gli esperti soldati arruolati sulle navi della marina britannica e della Compagnia delle Indie Orientali! Avrebbe voluto esternare tutte queste considerazioni ma non gli sembrò utile farlo in quel momento, per non far vacillare il già fragile equilibrio che si era creato tra lui e quei filibustieri. Voleva inoltre credere che avessero qualche idea per sperare tanto di riuscire a sbaragliare gli avversari, o comunque , di sopravvivere.
- Inizieremo a cantare a Tortuga? - chiese con poca convinzione.
- Se farete tutto quello che vi ordino ci saranno buone possibilità di riuscita – dichiarò Barbossa scrutandolo con sguardo diffidente . Il giovane reagì facendo cenno di sì con la testa, tenendo gli occhi bassi e i denti stretti.
Durante quella notte e nel giorno successivo soffiò un forte vento, nonostante il mare fosse calmo, che conferì all'imbarcazione una velocità maggiore del previsto, tanto che, dopo appena un giorno e mezzo di navigazione, fu avvistata la sagoma dell'isola di Tortuga. Era primo pomeriggio quando Marty, appollaiato sull'albero più alto, comunicò alla ciurma l'avvistamento, rompendo il silenzio che regnava a bordo e inducendo l'equipaggio ad affrettare le operazioni necessarie all'approdo e all'ancoraggio.
Will, non sapeva bene perché, aveva la sensazione che in tutto ciò c'entrasse in qualche modo quella donna misteriosa che si faceva chiamare Tia Dalma, che Barbossa aveva portato con sé apparentemente senza un motivo e con la quale si appartava a discutere evitando che le loro parole giungessero alle orecchie degli altri. Si era fermato a guardarla mentre tirava fuori dalla scollatura dell'abito un grande ciondolo metallico a forma di cuore, quando fu scosso dalla voce del Capitano : - Andate a chiamarla voi Miss Swann o preferite che mandi qualcun altro?
- Vado io – affermò scendendo velocemente sottocoperta. Proprio nelle scalette incrociò la ragazza: - Siamo arrivati – le comunicò.
- Sì, l'ho sentito – rispose lei distogliendo lo sguardo verso il boccaporto, al che lui la fece passare e continuò a scendere. Elizabeth si interrogò sul perché lo avesse fatto dato che,una volta sul ponte, si era accorta che erano già tutti lì, ma tanto ormai erano giorni che il suo comportamento le appariva insolito. Era come se fosse tormentato da un qualcosa di cui non le voleva parlare e non poteva fare a meno di pensare che si trattasse di suo padre: incontrarlo dopo tanti anni aveva probabilmente riaperto in lui un dolore che a lungo aveva tentato di trascurare per costruirsi una vita onesta e serena. Stava a lei in quel momento consolarlo, rassicurarlo, ma non riusciva più a guardarlo negli occhi dopo quello che aveva fatto: gli aveva mentito, aveva agito con la mentalità egoista e opportunista di un vero pirata, proprio quel genere di condotta che Will odiava. Lui aveva salvato Jack dalla forca, rischiando la vita e la libertà, dopotutto; lei, invece, lo aveva lasciato al kraken, con l'inganno per di più. Mentre ripensava a ciò, tremando per il rimorso e la rabbia, il fidanzato risalì rapidamente e come una furia si scagliò contro Barbossa: - Dove sono finiti?
- Prego? - rispose quello cadendo dalle nuvole e accarezzando la scimmietta.
- Dove sono quei marinai? - ripeté con sdegno.
- Abbiamo dovuto alleggerire il carico – si giustificò il filibustiere con una espressione tra l'ironica e la dispiaciuta che lasciò sia Will che Elizabeth scioccati. Il pirata colse il loro sgomento e aggiunse: - Se volete stare dalla nostra parte non dovete avere scrupoli a togliere di mezzo ogni possibile ostacolo!
La giovane aristocratica si sentì molto colpita da quelle parole: rispecchiavano quello che aveva pensato nell'istante in cui con un bacio aveva incatenato Jack all'albero maestro per evitare che la sua presenza potesse mettere a rischio la vita sua e di Will.
- E quei marinai costituivano un ostacolo per voi? - domandò Turner con disprezzo.
- Mettiamola così: adesso nessuno sa che siamo a Tortuga – spiegò con tranquillità il Capitano e nessuno si schierò dalla parte del fabbro.
Tortuga era sempre lo stesso porto di mare infestato da delinquenti di ogni sorta, uomini, giovani e vecchi, senza futuro, menomati, ubriachi, reietti e donne, ora elegantemente vestite, ora dai costumi volgari, che vendevano il loro corpo anche in pieno giorno. L'aria era appestata dall'intenso odore dell'alcol e del sudiciume, le stradelle ricoperte da una spessa melma marrone e viscida in cui quella gentaglia talvolta riposava, senza curarsi minimamente della propria salute.
I nove appena sbarcati si trovarono ad attraversare quelle vie maleodoranti e brulicanti di ladri, taglia gola e donnacce che cercavano di ostacolare il loro cammino con proposte e minacce che essi evitarono finché giunsero ad una baia semi deserta dove erano ancorate poche barche e un veliero dalla colorazione sgargiante, probabile bottino di un arrembaggio.
- Io vado a negoziare per la nave, voi pensate al resto – stabilì Barbossa.
- Dobbiamo rubare? - domandò Elizabeth.
- Se questi non vi basteranno, sì – rispose il pirata lanciandole un sacchettino di cuoio che una volta aperto si rivelò pieno di pietre, gioielli e qualche moneta. A Ragetti, Pintel e Gibbs si illuminarono gli occhi alla vista di tanto luccichio.
- Voi farete a modo vostro – li ammonì il Capitano, così si formarono due gruppi, uno composto da Pintel, Ragetti, Cotton e Marty e l'altro formato da Will, Elizabeth, Tia Dalma e Gibbs. Questi ultimi camminarono insieme per qualche metro non vedendo attorno a loro altro che bettole, ostelli e uomini che spingevano carretti con pesce e carne, così che, stanco e nauseato da quel posto, Will si decise a chiedere: - Signor Gibbs dove dobbiamo andare per trovare un po' di armi e vestiti di ricambio?
- Sinceramente, ragazzo, io conosco solo le taverne di questo luogo – affermò facendolo sbuffare; voltandosi si scontrò con una donna con ricci capelli rossi, un trucco accentuato e un vestito verde scuro con ricami gialli: - Ciao! - lo salutò con enfasi, guadagnandosi lo sguardo ingelosito di Elizabeth.
- Ti ricordi di me? - continuò quella appoggiando una mano alla spalla sinistra del giovane e sbattendo le ciglia.
- No, mi dispiace; deve avermi scambiato per qualcun altro – obiettò imbarazzato.
- Non è vero!Sei stato qui poco più di una settimana fa. Cercavi Jack Sparrow. Lo hai trovato poi? - gli chiese la donna accompagnando le sue parole con molteplici moine.
- No, non l'ho ancora trovato, signora – si ritrasse Turner allontanandosi.
- Bé, neanche qui è più venuto – dichiarò quella con tono dispiaciuto – Comunque io sono sempre a disposizione – disse ancora. Will fece improvvisamente dietro front sotto lo sguardo contrariato della fidanzata e tornò dalla donna chiedendole: - Voi vivete qui, giusto?
- Sì – affermò lei con aria interessata, alzandosi il corsetto.
- Allora sareste in grado di indicarci chi potrebbe venderci armi, abiti e provviste? - la sollecitò con tono speranzoso.
- E tu cosa mi daresti in cambio? - fu la sua replica mentre lo squadrava dalla testa ai piedi. Elizabeth prese cinque penny e li mise in mano alla donna che già l'aveva infastidita sin troppo con il suo atteggiamento provocante nei confronti del fidanzato: - Questi vi bastano? - quella li contò e li conservò dentro il bustino, poi parlò: - Proseguendo sempre dritto fino ad una locanda che si chiama “Pecora nera” girate a sinistra, poi a destra e troverete chi vi aiuterà. Si chiama Bruce lo Storpio. Desiderate altro?
- No, grazie. Ci è stata utilissima! - concluse Gibbs con un inchino e un sorriso, copiato da Will, quindi i quattro si allontanarono seguendo l'indicazione ricevuta e in pochi minuti giunsero ad una casupola che cadeva a pezzi e apparentemente vuota. Mastro Gibbs batté il pugno sulla porta pronunciando il nome suggerito dalla donna incontrata e allora si avvertirono dei rumori dall'interno e apparve un uomo, non molto alto, robusto, con i capelli grigi, lunghi ed estremamente sporchi che si reggeva su una stampella, essendo privo della gamba sinistra.
- Quanto avete con voi? - esclamò non appena uscì fuori. Elizabeth nascose la sacca e sé stessa dietro Will che ribatté: - Dipende da quello che avete voi. Ci occorrono nove pistole, dieci spade, molte munizioni e anche vestiti.
- Di qua – si limitò a dire l'uomo rientrando in casa. I quattro lo seguirono e videro che in realtà quella non era una casa ma solo una facciata perché all'interno c'era una vera armeria con tanto di fabbri al lavoro e armi accatastate un po' ovunque. Gibbs, Will ed Elizabeth cominciarono a scegliere ognuno la propria sciabola mentre Tia Dalma restò impassibile al centro del cortile in cui i raggi del sole trapelavano dalle fessure del soffitto realizzato con tavole di legno. Messo da parte quanto serviva, i pirati si apprestarono a pagare lo Storpio.
- Se mi lasciate le donne vi posso dare anche tutta la baracca. Lo sapete quanto mi fruttano?Non ce ne sono così belle qui! - propose questo ridacchiando sguaiatamente.
- Anche se ti uccido ora posso ottenerla – lo minacciò Will con il pugnale alla gola, dopodiché gli sganciò due pietre e se andò insieme agli altri tenendo stretta a sé Elizabeth per un braccio. La ragazza era sempre più stupita da quanto stesse cambiando quel timido fabbro che una volta stava sempre con gli occhi bassi e usava un tono pacato con chiunque; il suo nuovo temperamento la affascinava e allo stesso tempo la impauriva: come avrebbe reagito di fronte alla sua dichiarazione di colpevolezza per la morte di Sparrow? Nel dubbio si strinse a lui guardandolo di tanto in tanto senza riceverne l'attenzione e continuarono a camminare così sottobraccio fino a quando arrivarono alla baia dove avevano lasciato Barbossa. Poco dopo li raggiunsero anche Pintel, Ragetti, Cotton e Marty, carichi di cassette contenenti bottiglie di liquore, carne essiccata e barattoli con altro cibo sottolio o sottaceto. Il maturo filibustiere, nonostante tutta la sua abilità nel convincere gli interlocutori ad assecondarlo, sembrava non fosse ancora giunto ad un accordo definitivo con il proprietario della nave, col quale ancora stava discutendo animatamente.
- Non capite?E' una questione di vita o di morte! Bisogna unire i nove pezzi da otto! - gli sentirono gridare. Tia Dalma strappò dalle mani di Elizabeth il sacchettino con monete e pietre preziose e , ponendosi tra Barbossa e l'uomo con cui questo stava parlando, gli disse con voce suadente: - Non ci vedrete neanche, capitano – porgendogli il borsellino con il contenuto bene in vista. Al che l'uomo sorrise: - Capitan Claude Dumont, al vostro servizio, madame – facendole il baciamano. Barbossa alzò gli occhi al cielo e poi, per non farsi vedere un po' irritato con la sacerdotessa che aveva d'un colpo buttato via tutti quei preziosi, rivolse un finto sorriso a quel pirata francese e aiutò gli altri a caricare quanto avevano preso sulla nave di questo che si chiamava Tempete. Una volta tornati a bordo anche i suoi uomini, Dumont fece salpare il veliero; concluse le manovre di partenze i marinai iniziarono a scrutare uno per uno gli ospiti facendo commenti che non riuscivano a capire dato che parlavano in francese. Il che metteva in agitazione Pintel e Ragetti che temevano qualche scherzo nei loro confronti, non meno di Will che invece temeva per Elizabeth dato che, pur essendosi vestita da pirata, aveva comunque attirato l'attenzione di quelli a bordo. Per questo cercò di non perderla di vista restandole accanto e con le dita pronte ad impugnare la spada o la pistola che teneva entrambe appese alla cintola, insieme al pugnale.
- Venite qui monsieurs! - lo richiamò il capitano Dumont assieme a Barbossa e lui controvoglia lo raggiunse. Quell'uomo sulla cinquantina con la pelle olivastra, i capelli lunghi fino alle spalle, grigio scuri e lisci, baffi sottili e lunghi e un vestito composto da pantaloni verde chiaro, gilet rosso, camicia bianca e giacca giallo ocra, era l'unico a parlare un po' di inglese, seppur intervallandolo con parole della propria lingua. Mentre si avvicinava al timone Will chiese a Barbossa perché li avesse interpellati entrambi e quello rispose: - Così non avrete a ridire che vi nascondo qualcosa, come avete fatto le altre volte – il ragazzo non seppe se credergli o no, ma comunque lo seguì.
- E a proposito di misterì, posso sapere il vostro nome, monsier? - domandò il capitano che aveva udito il dialogo tra i due.
- William Turner – replicò quello e il francese ripeté il nome con il suo accento. Poi cominciò: - - - Vi faremo sbarcarè a Maracaibo e da lì poi potete proseguire via terra per Panamà, come avete sgià stabilitò – disse mostrandogli la posizione della località citata sulle carte.
- Tutto qui! - proruppe il ragazzo aspettandosi un discorso assai più lungo.
- Oh, la vostra pulzellà: meglio non stia sottocoperta da sola. Non posso garantirvi nulla...- sostenne il filibustiere con espressione ambigua.
- Che vuol dire? - esclamò preoccupato il giovane.
- I miei uomini: sono sensibili al feminin charme...Sto schersando, mon amì!State tranquillo, monsier Turner. Eravate voi a mettere paura ai mie marines, piuttosto! Con tutte quelle armi in vista! Mi sono venuti a dire che stava per esserci un ammutinamento!
- Non succederà nulla di questo, capitan Dumont – si intromise Barbossa, timoroso che il passaggio ottenuto potesse saltare per colpa di quel mozzo sospettoso che non capiva come comportarsi in determinate situazioni, lasciandosi prendere solo dalle proprie preoccupazioni.
- Lo spero per voi, Barbossà: siamo noi in maggioranza qui – concluse Dumont lasciandoli andare. Il redivivo pirata voleva rimproverare privatamente il fabbro per averli messi a rischio di passeggiata sull'asse, ma quando si girò quello non era più sul ponte, a differenza degli altri uomini del suo gruppo che stavano collaborando con i marinai francesi. Per non dare ancora più nell'occhio rinunciò a cercarlo e si affacciò al parapetto insieme alla scimmietta.
Will venne a sapere da Gibbs che la fidanzata era stata sistemata in una cabina accanto a quella del Capitano e, nonostante le rassicurazioni di quello, volle lo stesso controllare di persona che stesse bene, senza però farle capire che l'aveva cercata di proposito. Bussò alla porta ed entrò: lei era seduta su uno stretto letto ricoperto da un pesante drappo azzurro e la cabina aveva altri pochi mobili tra cui un piccolo armadio in legno chiaro, una poltrona di velluto viola e uno specchio opaco con una cornice in bronzo. Dopo una rapida occhiata all'ambiente si rivolse alla ragazza: - Mi dispiace, non sapevo fossi qui – si scusò.
- Sono appena arrivata – affermò accingendosi a sistemare le poche cose che aveva portato fra l'armadio e dei ganci che pendevano dal soffitto.
- Andrò a sistemarmi in un'altra cabina – le disse facendo per andarsene.
- No – fermò lei – Voglio dire:non credo che ce ne siano altre libere. Puoi restare qui – gli propose - Mi sono sentita così sola in questi giorni. - concluse con voce flebile sperando di convincerlo a rimanere e parlare.
- Ti manca? – le domandò lui senza guardarla, dandole le spalle.
- Si,molto. Forse avrebbe potuto aiutarci – il fabbro serrò i pugni e si girò;
- Ne dubito – dichiarò con tono scettico.
- Dubiti di mio padre? - gli chiese offesa, al che Will cercò di correggersi: - Dubito che glielo avrebbero permesso – lei abbassò la testa. La gelosia ormai gli aveva annebbiato la mente:non aveva pronunciato il nome di Jack Sparrow facendole quella domanda, eppure aveva pensato che lei stesse parlando proprio di quel pirata. Si avvicinò alla ragazza poggiandole una mano sulla spalla. Elizabeth vagheggiò che volesse aprirsi con lei ma restò delusa quando gli sentì dire: - Vado a chiamare Tia Dalma. Ti farà compagnia lei – concluse per poi uscire dalla stanza. “Cerchi di ricomporre i pezzi, ma hai saputo distruggere in pochi giorni quello che avevamo costruito in tanti anni” pensò Turner risalendo sopra coperta. Lì trovò Gibbs che beveva dalla sua bottiglietta tascabile e qualche altro marinaio francese intento a governare le vele.
- Dov'è lui? - disse rivolgendosi a Gibbs.
- Barbossa?È stato invitato dal Capitano a cenare con lui - lo informò. - Non vi fidate ancora?
- Ha gettato mio padre nell'oceano, e io questo non lo dimentico – sostenne Will con rabbia – Voleva uccidere anche me per liberarsi di quella maledizione, come potrei avere fiducia nei suoi confronti?
- Bé...vedi Will...fra pirati le alleanza si stringono e si rompono con facilità, a seconda della situazione – spiegò il marinaio – E in questa situazione Barbossa è il migliore alleato che potesse capitarci. È astuto, abile e conosce bene le rotte che dovremmo seguire.
Il ragazzo a quelle parole si rassegnò: d'altronde senza la guida di quel filibustiere non avrebbe saputo cosa fare, come muoversi in quel mondo che stava cambiando in fretta ed era pieno di insidie. Così, approfittando della buona disposizione di Gibbs a parlare e della momentanea assenza di Barbossa, si risolse a chiedere al bonario marinaio dei chiarimenti circa un argomento che lo lasciava ancora perplesso: - Cosa sapete dirmi del consiglio?
- La Fratellanza? - l'uomo domandò sottovoce, il ragazzo annuì. - La sua origine si perde nel tempo delle prime esplorazioni del nuovo continente – iniziò mantenendo la voce bassa e un tono misto di mistero ed entusiasmo. Will capì, conoscendolo, che probabilmente la metà delle cose che avrebbe riferito sarebbero corrisposte al vero, lo ascoltò comunque con attenzione.
- Stanchi delle continue guerre, delle epidemie e delle ingiustizie, alcuni uomini coraggiosi decisero di vivere sul mare, liberi,senza leggi, senza Stato, senza padroni. La scoperta di giacimenti d'oro e d'argento e di altri prodotti sconosciuti aveva alimentato la presenza di navi nel mar dei Caraibi,spagnoli, portoghesi, olandesi, che divennero facili prede degli avventurieri del mare. La presenza di navi pirata cominciò a preoccupare non poco anche gli inglesi e fu così che Henry Morgan, uno dei più grandi filibustieri di tutti i tempi, capì che l'unico modo per evitare uno scontro in cui avrebbero vinto le marine del vecchio mondo, era inventare un sistema di regole che tenesse uniti fra loro i pirati in caso di pericolo per la loro esistenza: il codice. Si dice che sia custodito alla Baia dei Relitti, il luogo in cui si terrà il consiglio della Fratellanza...
Mentre Gibbs raccontava comparvero sia Barbossa che Tia Dalma e si fermarono alle spalle dei due ad ascoltare. Will li notò ed ebbe paura che il capitano lo sgridasse ancora una volta per aver fatto domande scomode, invece quello gli sorrise e si allontanò con la donna a braccetto.
- Vuoi sapere la storia del primo consiglio? - lo richiamò il marinaio vedendolo distratto. Ma poi udì il brontolio dello stomaco del ragazzo e allora cambiò domanda: - Vuoi mangiare qualcosa? - data l'insistenza del pirata al suo rifiuto, alla fine accettò di seguirlo sottocoperta.

Ciao a tutti!Ecco il quarto capitolo, annuncio a tutti i lettori che siamo giunti a metà storia. Grazie a stelly sisley e a tutti gli altri che hanno letto, mi farebbero piaceri altri commenti. Qui c'è un personaggio nuovo di mia invenzione che riserberà alcune sorprese...se volete sapere leggete il prossimo capitolo che spero di pubblicare presto, anche se ora sarà più difficile perchè devo dare alcuni esami.

Ancora un saluto e , visto che è la prima volta che pubblico nel 2009, buon anno a tutti!

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Capitolo 5
*** Identità svelata ***


Ciao a tutti!Chiedo scusa per la prolungata assenza, ma ho dovuto preparare un esame e non ho avuto tempo da dedicare alla fanfiction. In questo nuovo capitolo ho cercato di dare spazio al nuovo personaggio da me inventato oltre che ai classici. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. Buona lettura, a presto!


Capitolo 5: Identità svelata

C'era molto schiamazzo nella parte della nave adibita a mensa, tanto che Elizabeth esitava ad entrare e perciò Will e Gibbs la incontrarono nei corridoi; quest'ultimo la invitò a seguirli e così cenarono. I due fidanzati non scambiarono una parola mentre intorno a loro regnava baldoria, musica e canzoni rozze. Terminato il pasto la ragazza si ritirò nella sua cabina mentre Will restò a parlare con Gibbs. Si chiuse la porta alle spalle, non c'era neanche la chiave; delle calde lacrime le rigarono le guance: si era sentita terribilmente fuori posto in quei due giorni in mezzo a quegli uomini. E ripensò alle parole di Barbossa: - “Potreste vivere nell'ozio e nel lusso”... Ma quella non le era mai parsa vita vera: era tutto fondato sull'apparenza, al contrario sul mare erano soltanto le doti di ciascuno a rendersi necessarie per la sopravvivenza. Così quando partecipava ad una qualche noiosissima cerimonia, data in onore di un rampollo di una qualche importante famiglia, che aveva ricevuto un prestigioso incarico, politico o militare, lo faceva solo per accontentare suo padre. Suo padre. A stento aveva acconsentito di farle sposare un semplice fabbro, attirandosi i commenti maligni degli altri aristocratici, ma l'avrebbe mai perdonata per essersi unita a dei fuorilegge rifiutando la possibilità di tornare in Inghilterra?D'altra parte non poteva neppure immaginare di dover restare in un paese che ormai non sentiva più suo con l'angoscia di non sapere niente di Will, o peggio, scoprire che era stato giustiziato. Lo avrebbe seguito ovunque, non voleva perderlo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui; ma lui ne era cosciente? Per il modo in cui si comportava le sembrava di averlo già perduto. Era vero, continuava a difenderla letteralmente a spada tratta, ma forse lo faceva solo perché era proprio del suo carattere: non aveva più ricevuto alcun gesto di affetto da parte sua, né una parola che non riguardasse la <<spedizione>> che stavano compiendo con Barbossa. Guardandosi attorno notò che qualcuno aveva portato un tavolino e vi aveva appoggiato un bacile ed una brocca con dell'acqua che utilizzò per lavarsi il viso. Pensò che, seppure pirati, quegli uomini conservavano un briciolo di cortesia. Poi si distese sul letto e, oppressa dai ricordi, dai dubbi e dalle vane speranze sul loro futuro, infine si addormentò.
Qualche ora più tardi aprì gli occhi: sentiva una luce colpirle le palpebre e quando ebbe messo a fuoco si accorse che era un raggio di sole riflesso dalla lama di una spada. Non la sua: l'aveva lasciata vicino al letto, era un'altra appesa ad un chiodo della parete. Con meraviglia e felicità scoprì che era quella di Will: lui era scomodamente sistemato sulla poltrona di velluto viola, chissà da quanto tempo, e lei sorrise pensando che era la prima volta che dividevano la stessa stanza per dormire. Mentre faceva questa considerazione vide che stava per svegliarsi e allora chiuse gli occhi. Il ragazzo si stiracchiò, sentì i suoi passi avvicinarsi a lei, lentamente, non voleva farsi sentire. Si diresse verso l'oblò aprendolo e facendo entrare la fresca brezza del mattino. Avvertì che si chinava su di lei: sfiorò con la punta delle dita il palmo della sua mano poggiata sul cuscino e con altrettanta delicatezza le scostò i capelli dal collo. Il suo cuore iniziò a battere più forte quando percepì la sua vicinanza e il suo odore di salsedine a pochi centimetri dal suo viso.
Si soffermò a guardarla: sembrava più tranquilla ora rispetto a quando, qualche ora prima, si era deciso a trascorrere lì la notte anziché restare sul ponte a prendere umidità. Contemplò la dolce forma delle sue labbra ed ebbe voglia di baciarla ma si trattenne ricordando che l'ultima volta era stato Jack Sparrow a farlo, così si allontanò prendendo la sua spada e uscendo. Elizabeth si alzò sedendosi non appena se ne fu andato; si passò le dita fra i capelli che lui aveva toccato e restò per qualche secondo a respirare più forte, come non aveva potuto fare prima, per non fargli capire che era sveglia. Le aveva fatto piacere trovarlo lì con lei, perciò scelse di fingere di non essersene accorta, sperando che quello che era successo si ripetesse.
Sul ponte c'era agitazione e le prime due persone che Will vide furono Barbossa e Tia Dalma, impegnati in un'accesa discussione di cui colse alcune parole:
- Mi avevi assicurato che non ci sarebbero stati problemi! - sbraitava il pirata.
- È questo il massimo che posso fare finché sarò costretta in questo corpo! - ribatteva la donna con altrettanto fervore.
- Dovrai impegnarti di più, allora! - replicò il filibustiere con tono minaccioso.
- Altrimenti cosa farai? - lo incalzò quella per nulla intimorita, anzi quasi canzonandolo. Gibbs venne incontro a Will e questo subito gli chiese, mentre i due si zittirono: - Che sta succedendo?
- Velè in vista e bandiera inglese! - rispose Capitan Dumont guardando nel cannocchiale.
- Dovremo prepararci ad affrontarli – suggerì Elizabeth che era nel frattempo salita sopra coperta; il fidanzato le rivolse uno sguardo rapido come se volesse carpire se per caso avesse un modo diverso di guardarlo, avendo scoperto che aveva dormito lì con lei, ma la ragazza abbassò subito gli occhi e allora parlando al capitano francese disse: - Quanti cannoni avete?
- Ma insommà!Questa è la mia nave! - esplose quello, offeso dalla presa di posizione dei due giovani – Descido io come agire!
- Avete ragione, monsieur Dumont – lo appoggiò Barbossa rimproverando con una occhiata sia Will che Elizabeth – Vi ascoltiamo – aggiunse.
- Dobbiamo cambiare rotta – stabilì il francese, gli altri restarono senza parole – Se continuiamo a spingersci verso il golfo sci prenderanno! Invece se andiamo verso est...
- Torneremo indietro! - constatò con incredulità Will.
- Ma Singapore è in oriente, no? - affermò il capitano.
- Ci vorrà molto tempo! - si intromise Pintel.
- Ullallallà!La mia nave è veloscissima...al massimo... due mesi – esclamò il filibustiere con ottimismo, accingendosi a manovrare il timone. A quel punto Barbossa cambiò espressione e contegno e con forza gli trattenne un braccio: - Codardo di un francese! Te la fai sotto perché quelli hanno due file di cannoni? - lo provocò.
- Mi sombra un motivo più che buono! - osservò quello – E poi mi sembrava vi fosse clar che qui c'è moi le Capitan! - aggiunse irritato. Will e Gibbs temettero che Barbossa volesse impugnare la pistola, perciò si affrettarono a farlo allontanare, afferrandolo per le braccia insieme ai marinai della Tempete.
- Pronti alla manovra, capitano – asserirono Pintel, Ragetti e Marty.
- Toute a gauche! - allora ordinò quello e tutti si mossero seguendo i marinai francesi che erano stati gli unici a capire quelle parole. Poi il bucaniere chiamò Barbossa in disparte: - Non vi faccio mettere in scella solo per rispetto del vostro grado precedonte, capitano – lo ammonì fingendosi serio; l'uomo fece una smorfia di disappunto e poi restò saldamente aggrappato alla ringhiera. “Io l'avrei fatto, invece”, pensò.
Il trealberi compì la manovra con lentezza ma una volta rigiratosi cominciò a filare sulle onde con maggiore impeto; anche il veliero inglese era veloce e presto iniziò ad incalzarlo.
- Non è certo la Perla Nera! - disse Pintel mentre stringeva una cima rivolgendosi a Ragetti impegnato nello stesso compito.
- Se ci prendono ci impiccano tutti! - esclamò quello – Speriamo che non usino corde troppo lunghe. Perché ho sentito storie di uomini rimasti appesi per il collo anche ore prima di morire strozzati!
- Qui nessuno sarà impiccato se vi date una mossa! - urlò Gibbs – E smettila con queste storie!
- Ma io non ho paura di morire, solo dovrei confessarmi prima – ribatté il pirata dall'occhio di legno; le sue parole restarono inascoltate mentre la nave inglese riduceva sempre di più le distanze.
- Una volta rasgiunto l'Osceano vedrete come filerà velosce! - gridò il capitano francese. Ma il veliero che li seguiva era ormai a pochi metri e aveva aperto il fuoco.
- Sempre che ci arriviamo all'Oceano – constatò amaramente Barbossa.
- Perché non vuole usare i cannoni?Abbiamo molte munizioni! – sostenne Will avendo udito ciò che aveva detto il pirata. Quello scrollò le spalle, poi, come assalito da un'improvvisa scossa, si diresse a grandi passi verso il timone strappandolo dalle mani di Dumont, il quale finì per terra a gambe all'aria. Allora dichiarò: - Assumo io il comando oggi! - e così dicendo iniziò a dare ordini a destra e a sinistra con la consueta animosità riuscendo ad ottenere il consenso dello stesso capitano francese che traduceva per i suoi marinai. Will pensò che quell'uomo era portato per gli ammutinamenti, mentre Elizabeth ammirò la sua capacità di destreggiarsi in una situazione che sembrava ormai segnata. Ma nessuno dei due capì cosa lo spingesse davvero a mettere in gioco la sua vita: audacia?incoscienza?gusto del rischio?Non potevano sapere che, paradossalmente, era proprio la voglia di vivere ad indurlo ad un tale atto di sfida: Calipso era stata molto chiara: o l'avrebbe fatta ritornare come prima o sarebbe tornato nel mondo dei morti. Era un'occasione troppo importante e unica per mettersi a subire passivamente la vigliacca condotta del pirata francese. E infatti poco dopo decise di far mettere in funzione i cannoni, dato che il veliero inglese era riuscito, nonostante gli sforzi fatti, ad affiancarli. Ben pochi colpi giunsero, in verità, a segno perché il vento continuava a sospingere le imbarcazioni e nessuno dei due capitani aveva voluto gettare l'ancora. Dopo qualche minuto una palla di cannone ebbe un ruolo decisivo andando ad abbattere un albero della nave avversaria che perse così velocità e restò quindi indietro.
- Non ci daranno più fastidio! – annunciò trionfante Barbossa alla ciurma e al Capitan Dumont che si era avvicinato: - Credete che riusciremo ad arrivare fino al Capo di Buona Speranza o dovremo fare una sosta prima? - domandò a questo.
- Guardate che è a voi che davano la casccia. Io non ho mai dato fastidio a nessuno – sostenne il francese riprendendo il timone come se nulla fosse accaduto. Ci fu un mormorio,poi Ragetti esclamò: - Davvero?
- Scertamente! - asserì quello con sicurezza.
- Perché, voi non siete un pirata che ruba forse? - chiese Barbossa poco convinto dal modo di comportarsi del francese. La sua risposta fu inaspettata.
- No,infatti! Se non ve ne siete accorti non ho neppure una bandiera mia.
- Come?! - disse con stupore Will dopo aver dato una rapida occhiata all'albero maestro che era privo di qualsiasi vessillo.
- Sono un agente al servizio di sua maestà cattolicissima il re di Francia Luigi... - mentre parlava un'espressione preoccupata si stampò sui loro volti.
- Frena, amico! - irruppe Pintel – Ci hai preso in giro!
- Perché eravate a Tortuga? - incalzò Barbossa.
- Il mio re mi ha mandato nei Caraibi per controllare la situazione di queste isole a cui anche lui è interessato. E Tortuga è l'unico porto in cui è possibile attraccare e comprare ciò che si vuole a buon prezzo e senza pagare alcuna tassa agli inglesi! - spiegò sorridendo l'uomo.
Barbossa alzò gli occhi al cielo non capacitandosi di quanto facilmente si fosse abbassato a chiedere aiuto a quello sconosciuto che non aveva alcun interesse in comune con lui: ora capiva perché aveva mostrato tanta resistenza ad accoglierli a bordo e perché non capiva il discorso della Fratellanza.
- Che intendete fare di noi? - proferì Elizabeth mentre gli altri guardavano il filibustiere che li aveva cacciati in quella situazione con avversione.
- In fondo sono in debito con voi... - iniziò il francese - ...persciò potrei anche prendervi a bordo con me – Pintel, Ragetti e Gibbs, che avevano già immaginato un destino peggiore, spalancarono occhi e bocca in un sorriso di sollievo ma il loro capitano fu pronto a frenare quell'entusiasmo: - Non possiamo accettare, abbiamo una missione da compiere – sostenne con serietà.
- Si, me lo avete già detto: dovete arrivare a Singapore il prima possible. Anche io devo andare in Orientè perché la mia seconda tappa è l'India, ma prima passeremo per Scittà del Capo – asserì con tono amichevole il francese.
Quelle parole convinsero ancora di più la ciurma superstite della Perla a restare ma Barbossa, non avendo ancora digerito lo smacco, tornò ad attaccare il capitano che si mostrava stranamente disponibile: - Potremo anche accettare di prolungare la nostra permanenza a bordo della Tempete, ma prima gradirei che ci metteste a parte di un paio di cose.
L'uomo abbassò il capo in segno di riconoscenza delle motivazioni di sospetto del pirata e allora pronunciò: - Vi invito a discutere sotto coperta. E può seguirci anche la vostra amica – concluse alludendo a Tia Dalma per la quale sembrava avere un debole; quella lo ringraziò con tono vezzoso.
- Vorrei venire anch'io – si intromise Will.
- Va bene – disse inaspettatamente Barbossa – e può anche Miss Swann – aggiunse. Il capitano non si oppose e così tutti e quattro scesero nella cabina personale del comandante dove la sera precedente Barbossa e Tia Dalma avevano cenato ma che era sconosciuta a Will ed Elizabeth. I due giovani si soffermarono ad osservare la grande quantità di oggetti che vi era raccolta: sulle pareti campeggiavano molte carte geografiche incorniciate, spade, pistole di vario tipo, quadri con paesaggi di campagna che l'uomo dichiarò di aver dipinto personalmente quando si trovava nella sua amata Francia. Dal tetto scendeva un lampadario di bronzo a dieci braccia, e vi era un tavolo abbastanza lungo, di forma rettangolare, con sei sedie attorno. Il francese li fece accomodare e poco dopo giunse un suo marinaio che portò un vassoio con cinque bicchieri e una bottiglia di liquore che nessuno, però, si risolse a bere, a parte il capitano che dopo averlo sorseggiato asserì: - Excellent!
Barbossa, spazientito da quel temporeggiare, prese la parola con arroganza: - Primo: perché volete continuare ad aiutarci?Siamo nove persone, non una, nove. C'è una taglia su ognuna delle nostre teste!
- Anche sulle vostre mademoisselles? - chiese divertito l'uomo mentre entrambe le donne abbassarono gli occhi.
- Volete venderci? - tornò a chiedere il pirata.
- Non mi permetterei mai! - rispose quello, quasi scandalizzato.
- E secondo – si frappose Will – perché dite che è a noi che quegli inglesi davano la caccia?Voi navigate senza bandiere e potreste essere scambiato benissimo per un pirata.
- Insommà!Se avessi avuto cattive intensioni... - il francese restò per qualche secondo in silenzio come se volesse cercare le parole più opportune; poi riprese – Perché dovrei considerarvi nemisci?Non state dalla parte degli inglesi, anzi li danneggiate e questo al mio re piace – spiegò.
- Ma sapete benissimo che anche quando ci sarete voi a governare questi mari, i pirati non vi daranno tregua – ammise Elizabeth.
- Quello si vedrà – asserì l'uomo con spavalderia mentre Barbossa fece un sorriso che esprimeva una sorta di ironica compassione nei suoi riguardi.
- Non avete risposto alla mia domanda, capitan Dumont – si fece avanti nuovamente Turner.
- C'erano degli uomini che vi seguivano a Tortuga; me lo hanno riferito i miei marinai – precisò. - Non ve ne siete accorti?
Will abbassò lo sguardo e per un attimo gli tornò in mente che sì, tra la folla aveva notato qualcuno che gli sembrava familiare, ma non ci aveva dato peso; dopotutto era stata la terza volta che metteva piede in qual posto. Ora riuscì a collegare quel volto ad un nome: era l'agente di Beckett, Mercer...Elizabeth lo osservava in attesa che dicesse qualcosa ma restò muto.
- Un' ultima domanda – tornò a parlare Barbossa – Come mai mi avete lasciato fare prima, al timone?
- Vedete monsier, io sono un gentiluomo di campagna. È da meno di un anno che possiedo questa nave e non posso dire di essere espertò di battaglie navali come voi – dichiarò con un tono velatamente adulatore, ma il bucaniere lo guardò con diffidenza. - Non ho più nulla da dirvi persciò, se volete andare...
- Sì, ce ne andiamo – disse il maturo pirata e con lui si alzarono Will ed Elizabeth.
- Io resto qui – annunciò Tia Dalma scambiando uno sguardo di complicità con il capitano francese che sorrise lusingato.
Gli altri tre non dissero niente e uscirono risalendo sopra coperta. Subito Gibbs e gli altri si avvicinarono per sapere cosa si fossero detti e Miss Swann si offrì di raccontare loro tutto dopo aver avuto il permesso da Barbossa. Will si rivolse a quest'ultimo che si era affacciato al parapetto, con lo sguardo perso tra le onde: - Ci possiamo fidare?
L'uomo si voltò lentamente: - Arrivati a Città del Capo cambieremo nave. E comunque vi suggerisco di stare all'erta – lo ammonì rigirandosi.
- Quel vostro amico di Singapore... - ricominciò il ragazzo nonostante il filibustiere mostrasse poca voglia di conversare.
- Sao Feng? - domandò seccamente.
- Sì. Andremo da lui per informarlo di quanto sta per accadere, giusto?
- Giusto! - rispose l'uomo sempre più spazientito dalle continue domande del giovane.
- E tutti gli altri pirati nobili come verranno a saperlo? - continuò quello.
- Con la canzone. Ci ho già pensato io – disse bruscamente. - Ma...che fine ha fatto Jack? - esclamò poco dopo allontanandosi per cercare la scimmietta, sua unica compagna fedele su quella nave.

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Capitolo 6
*** L'uragano ***


Ciao a tutti! Mi dispiace per aver fatto trascorrere tanto tempo ma sono stata molto impegnata, ora però conto di aggiornare più spesso (promessa da pirata!) Ringrazio stellysisley che forse è l'unica ad avere la pazienza di leggere questa mia fanfic (forse un pò lunga) e quanti altri sono solo lettori.
Una piccola nota: il titolo si riferisce soprattutto allo stato d'animo dei protagonisti, ho provato a dare spazio un pò a tutti, questa volta. 

Buona lettura!


Capitolo 6: L'uragano

La settimana seguente la Tempete navigava già nelle agitate acque dell'Oceano Atlantico, in direzione sud est. Il cielo era nuvoloso e il vento carico di acqua che ben presto si riversò con grande forza. Tuoni e lampi squarciavano il cielo e facevano vibrare l'imbarcazione.
Elizabeth e Tia Dalma erano le uniche due persone ad essere rimaste sotto coperta perché il capitano aveva richiesto l'aiuto di tutto l'equipaggio per manovrare la nave sbattuta dalla burrasca. Non erano sole, però.
Barbossa aveva in realtà preferito godersi l'ospitalità del comandante e così aveva pensato bene di farsi cullare dalle onde che facevano sobbalzare il veliero standosene a sonnecchiare sulla branda di una cabina vuota, in compagnia della scimmietta che, invece, era piuttosto agitata dalla tempesta e saltellava per tutta la stanza in cerca di qualcosa da rubare, come era stata educata a fare molti anni prima. Un bel momento il bucaniere si stufò e la rimproverò di smetterla per poi pentirsi, e allora uscì dall'alloggio. Nei corridoi incontrò la bruna veggente che si allontanava dalla cabina del capitano.
- Allora? - domandò, fermandola prima che potesse dileguarsi.
- È a posto – rispose quella infastidita, voltandogli le spalle.
- Solo perché ti fa la corte? - la schernì l'uomo poggiandole una mano sulla schiena.
- Non farmi domande se poi non dai credito alle mie risposte!E comunque, la prossima volta, evita di prendere iniziative – gli consigliò puntandogli l'indice contro. - È di animo buono, ma anche molto orgoglioso – concluse rientrando nella cabina e sbattendo la porta; Barbossa salì sul ponte sbuffando.
Elizabeth aveva udito la breve conversazione fra i due dalla sua stanza. Quella Tia Dalma la incuriosiva molto: più di una volta le era parso che sapesse sondare il suo animo e poi sembrava che esercitasse un fascino oscuro sugli uomini, li attraeva e respingeva con un solo sguardo, riuscendo sempre a farsi rispettare. Ma quando stava sola a guardare il mare sembrava triste; teneva spesso in mano un ciondolo: forse aveva perduto qualcuno che amava...Le sarebbe piaciuto parlarle, magari confidarsi con lei, ma ogni volta che ci aveva provato la donna si era ritratta e alla fine aveva rinunciato ad altri approcci.
Anche Tia Dalma soffriva: lei era la dea del mare, in altri tempi avrebbe potuto decidere a suo piacimento come far muovere quelle onde, se travolgere quella nave o condurla in un porto sicuro, quale prezzo chiedere ai naviganti per la vita. Ora tutto questo era in mano di Davy Jones: lui forse la aveva ingannata, promettendogli il suo cuore per conquistarne i poteri, non la aveva cercata più, e ora si divertiva a fare il signore degli oceani, giudice severo delle anime dei marinai. Perduta la sua umana forma, lui era divenuto più potente, lei, al contrario, aveva dovuto mascherarsi da veggente, nascondersi in una palude che per molti anni era stata meta di naviganti, stanchi o in cerca di risposte, che la consideravano solo una donna attraente, con conoscenze grandi e misteriose, nulla più. Per questo non tutti erano sopravvissuti dopo averla incontrata, ma qualcuno era anche tornato più di una volta e aveva goduto dei suoi favori. Se avevano limitato le sue capacità di cambiare forma e governare le acque, non avevano potuto privarla del suo speciale rapporto con il mare. Riusciva a percepire quello che vi accadeva e così, dopo una visione, aveva deciso quella notte di mettersi in viaggio per andare a recuperare il corpo di quel pirata che era morto in una grotta senza lasciare a nessuno quell'importante oggetto da cui dipendeva la sua possibilità di riscatto da quella vita mortale che le andava stretta da troppo tempo.
Sopra coperta la pioggia sferzante rendeva ogni movimento più faticoso: le corde sfuggivano dalle mani ancor prima di essere sistemate a dovere e il legno del ponte era così scivoloso da far cadere più volte i marinai che non riuscivano a stare in piedi e spostarsi eseguendo gli ordini del capitano. Le vele stavano per squarciarsi e continue onde si riversavano all'interno dell'imbarcazione.
- È ovvio che una qualche forza si oppone al nostro viaggio! - esclamò Ragetti.
- Sì, è il vento! - ribatté Pintel, molto più concreto del compare che negli ultimi tempi lo voleva convincere a credere nel soprannaturale.
- Ci sta tirando indietro!Dovremo rinunciare! - gridò Gibbs, ma il capitano sembrava molto più sicuro di sé questa volta: - È solo una tempesta, uomini!E a breve scesserà!
- Non credo, signore! - si fece avanti nuovamente il marinaio – Si sta formando un uragano!
- Un altro! - si lamentarono in coro Marty e il pappagallo di Cotton, già reduci da una violenta burrasca che aveva colpito la Perla pochi mesi prima.
- Sottocoperta!Sottocoperta! - gracchiava ancora il pappagallo andandosi a nascondere con l'aiuto del suo padrone.
La nave rollava paurosamente e il velame si stava sciogliendo dai pennoni.
- Io vado a chiamarlo! - affermò Will non appena un'asta cadde in mare staccandosi da uno degli alberi e mancando per poco degli uomini.
- Dove credi di andare mozzo! - urlò Dumont accorgendosi che il ragazzo stava allontanandosi – Mi servi qui!Bloccate tutti i boccaporti! - Turner fece finta di non sentirlo e inaspettatamente Barbossa comparve, non intromettendosi nella gestione della situazione ma apprestandosi ad aiutare come un semplice marinaio. Con sorpresa di Will e degli altri che,notando che il pirata aveva lasciato il suo cappello, credettero che avesse infine accettato la sua condizione di sottoposto a bordo.
Elizabeth era rimasta nella sua cabina, seduta sul letto con le ginocchia al petto e la schiena appoggiata al cuscino contro il muro: era la prima volta che si trovava nel mezzo di un temporale in mare aperto e provava una certa inquietudine; tuttavia si convinse di dover superare anche quella paura e allora, barcollando a causa del continuo beccheggiamento della nave, uscì, decisa a salire sopra coperta. Ma quando raggiunse il primo boccaporto lo trovò chiuso, e così anche gli altri. Sentiva le urla degli uomini francesi non riuscendo a capire le parole anche a causa dei tuoni. A quel punto Tia Dalma si affacciò dalla cabina in cui alloggiava mandandole uno sguardo indecifrabile, la intravide appena data la fioca luce prodotta dalle poche lampade a olio attaccate con ganci al soffitto. Senza parlare rientrò e richiuse la porta senza far rumore, quasi fosse una visione.
Sfiduciata la ragazza si sedette sui gradini della scaletta in attesa che tutto finisse. Il temporale si protrasse ancora un paio d'ore e i suoni provenienti dall'esterno erano sempre gli stessi: rombi, onde che si infrangevano, ordini gridati in francese, pioggia battente; poi il silenzio. Temette il peggio, cominciò a battere i pugni sul boccaporto perché qualcuno la sentisse e dietro di lei giunse di nuovo la misteriosa veggente. Finalmente voci allegre, canti, calpestio; un marinaio aprì bruscamente il boccaporto e senza neanche degnare d'attenzione le due donne scese in gran fretta.
- Nous avons gagnè, mes amis! - dichiarava contento il comandante mentre tutti i suoi marinai improvvisavano balli e canzoni.
Una volta sul ponte Elizabeth cercò il volto del fidanzato: lo stavano trascinando in buffe danze di ringraziamento per lo scampato pericolo, invogliandolo anche a bere un po' del vino che il capitano aveva offerto a tutti, ma si voltò nella sua direzione come se la avesse sentita e, restando fermo per qualche secondo, rispose al suo sorriso, anche se per poco.
Tia Dalma andò incontro a Dumont: - Complimenti, capitano!Siete riuscito a salvarci in modo ammirevole! - si congratulò stringendogli le mani.
- Voi madame, siete il mio portafortuna! - ricambiò quello, lusingato dalle parole di adulazione della donna. Barbossa invece la guardò con sospetto e allora quella tirò a sé il francese continuando a parlargli da un'altra parte. Il pirata quindi strappò di mano una bottiglia di liquore ad una marinaio e andò a scolarsela passeggiando dal lato opposto ai due.
Quando rimase da solo, Elizabeth si avvicinò a Will: - Dovresti cambiarti o prenderai un raffreddore – gli suggerì amorevolmente fissandolo negli occhi. - E inoltre sarai stanco, puoi dormire nella mia cabina, se vuoi – aggiunse.
- Ormai ci sono abituato...a restare con abiti bagnati, intendo – replicò lui con un po' di imbarazzo, a malincuore, fingendo di non aver sentito il sincero affetto con cui la ragazza aveva pronunciato quelle parole. - Non fa freddo – concluse.
- Lo sai, il capitano Dumont mi ha invitata a cena, insieme a Tia Dalma e Barbossa – lo informò lei non appena il ragazzo distolse lo sguardo. - È un uomo molto cortese – affermò cercando di sbloccarlo.
- Non farlo attendere, allora, o potrebbe offendersi – fu la sua risposta.
- E tu resti qui? - incalzò la ragazza poggiandogli una mano sulla spalla.
- Mi sono offerto per il turno di notte – dichiarò con fermezza Will.
- Buonanotte, allora! - disse allontanandosi innervosita la fanciulla. Non capiva perché si comportasse in quel modo, sembrava quasi fossero tornati indietro, doveva aspettarsi che da un momento all'altro avrebbe ricominciato a chiamarla Miss Swann, come in passato. Ma quello che non sopportava era non sapere il motivo del suo allontanamento. Di chi era la colpa? Aveva visto qualcosa?
Will in cuor suo provava un grande sconvolgimento. Starle vicino ogni volta ricreava dentro di sé un vortice di emozioni, come un uragano: era felice e allo stesso tempo adirato perché si sentiva preso in giro, voleva allontanarla perché fosse libera di vivere anche senza di lui, ma desiderava anche stringerla tra le sue braccia. Chi amava davvero?Jack Sparrow contava qualcosa per lei?Sarebbero bastate queste due semplici domande per placare il suo tormento ma non aveva ancora trovato il coraggio di farle e si sentiva come un pezzo di legno trascinato senza meta dalle onde dell'oceano in tempesta.
Un'altra settimana si trascinò lentamente. Anche Barbossa aveva i suoi grattacapi: non era certo entusiasta di stare agli ordini di quel capitano che non era neanche un pirata!Pensava e ripensava alla Perla Nera, a come la avrebbe facilmente riconquistata, alle future rotte che avrebbe intrapreso...C'erano ancora tanti posti che voleva vedere, tanti tesori ancora da scoprire e depredare...Ma erano giunti a metà del viaggio e se voleva affrettare il giorno della raggiunta libertà doveva ancora tenere a freno la sua indole di trasgressore e fare buon viso a cattivo gioco. Solo che il gioco era retto da lei e non era affatto sicuro che lo avrebbe fatto vincere. Oltretutto lo irritava il modo in cui negli ultimi giorni si era avvicinata a quell'uomo e la sua totale mancanza di impegno per facilitare quella traversata...
Mentre pensava a ciò gli si avvicinò Elizabeth: - C'è un limite di tempo per salvare Jack Sparrow dallo scrigno? - chiese dopo un'iniziale esitazione a rivolgergli la parola.
- No, non credo – rispose mentre la scimmietta gli salì sulla spalla destra rosicchiando della frutta secca che aveva probabilmente rubato. - Ma il tempo corre contro di noi – riprese il pirata dopo aver accarezzato l'animale – Avete visto,no?Come ci danno la caccia?
- Che cosa farete per batterli...voi pirati nobili? - domandò ancora la ragazza.
- Questo non posso dirlo. Prima dobbiamo riunirci. E dobbiamo essere tutti – specificò al che la sua interlocutrice si rabbuiò e trascinando i passi si allontanò da lui.
Due sere dopo Will passeggiava insonne sul ponte: era una notte senza luna ma le lanterne accese garantivano un minimo di visibilità, almeno per spostarsi. Il fruscio del vento portò fino alle sue orecchie un mormorio indistinto che sembrava provenire da poppa. Alcune candele si erano consumate e quella parte della nave era più buia. Con circospezione si avvicinò tenendo la mano destra saldamente attaccata al pugnale e quella sinistra pronta ad impugnare la pistola, fece un rapido salto e fu subito alle spalle di quelle ombre che gridarono impaurite:
- Ah, siete voi – affermò non appena li riconobbe.
- Abbassa quel coltello! - gli urlò Pintel mentre Ragetti ancora scosso lo abbracciava.
- Vi ha mandati Barbossa per controllarmi? - li interrogò sedendosi su un barile e riponendo le armi.
- No, ci ha mandati Dumont per aiutarti – lo informò Marty.
- Possibile che tu veda complotti ovunque, ragazzo? - lo ammonì Gibbs.
- Me lo avete detto voi, no?Fra i pirati le alleanze si sfasciano facilmente – rispose Turner.
- Sì, ma non essere tu il primo a farlo – ribatté il marinaio.
- Di che parlavate? - domandò allora il giovane, dopo che erano rimasti tutti muti.
- Ci stavamo intrattenendo con la storia di Barbanera – spiegò il pirata con l'occhio di legno.
- Avevamo appena iniziato – specificò Gibbs – Dove vai? - lo richiamò poi vedendo che si stava alzando come se avesse notato qualcosa di importante.
- Me lo racconterete un'altra volta, devo andare – si limitò a dire svanendo dalla loro vista. Senza farsi troppe domande gli uomini tornarono a chiacchierare.
Anche quella era stata una giornata piatta per Elizabeth, e così, anche se era ancora presto, dopo cena si era ritirata nella sua cabina, come sempre, e come le altre volte, stando da sola, era stata travolta dai sensi di colpa, dalle paure, dalla malinconia. Stava distesa a letto con gli occhi aperti quando la porta della sua stanza si aprì e si richiuse velocemente. Agguantò subito la spada che teneva vicino a sé e con uno scatto la puntò contro lo sconosciuto invasore:
- Dannazione Will!Mi hai fatto prendere uno spavento! - urlò senza riuscire a controllare i nervi a fior di pelle che le facevano mantenere il braccio ancora teso contro il ragazzo, il quale sussurrò un po' irritato: - Abbassa la voce – la giovane piantò di nuovo la sciabola nel pavimento e incrociò le braccia tremando.
- Posso restare? - chiese lui con un tono più sereno e a voce bassa.
- Certo – asserì la ragazza senza guardarlo e senza manifestare alcun sentimento. Lui si voltò appoggiando la guancia alla porta. - Solo che... - riprese lei avvicinandosi – Non avevi il turno di guardia? - domandò sembrandogli strana quella sua visita.
- Shh! - la zittì lui girandosi di colpo e poggiandole due dita gelide sulle labbra – Non voglio che ci sentano – bisbigliò accompagnando quelle parole ad un breve ma intenso sguardo che la avvolse dalla testa ai piedi. La fanciulla spalancò gli occhi: - Che hai intenzione di fare? - esclamò sempre più stranita.
Will avvertì lo smarrimento nella sua voce ma disse semplicemente: - Spiarli – attaccando nuovamente l'orecchio alla porta. Elizabeth si chiese in mente “Chi?” poi copiò il fidanzato e si fermò con lui ad origliare riconoscendo quelle voci.
- Si può sapere che ci trovi in quel francese? - a parlare era Barbossa.
- Lo faccio per te – rispondeva con tono sdolcinato Tia Dalma – Credi che saresti ancora a bordo, altrimenti? - aggiunse con un filo di scherno.
- Smettila! - alzò la voce l'uomo – E vedi di usare qualcos'altro, non solo il tuo bel corpo. Stiamo perdendo tempo!
- Io non appartengo a nessuno, tanto meno a voi! - ribatteva la donna.
- Ma sarai libera solo grazie a me!Ricordatelo!In ogni momento. Mi sto mettendo tutti contro per te! - concluse il pirata, poi si sentì sbattere una porta. Tia Dalma si dovette convincere: Barbossa aveva ragione, purtroppo, era prigioniera.
- Ti aiuterò – gli promise con amarezza da dentro la cabina.
- Bene! - asserì lui allontanandosi. Qualche scricchiolio sui gradini, poi tornò il silenzio.
- Hai sentito? - proferì Will alla fidanzata che era rimasta al suo fianco ad ascoltare insieme a lui – Quei due nascondono qualcosa. E visto che con me non vogliono parlare, andrò a chiedere a Gibbs: quello sa sempre tutto – e senza dire altro lasciò la ragazza da sola.
Una volta aperta la botola che permetteva di risalire sul ponte, Will si ritrovò circondato dai suoi compagni di viaggio che gli puntarono addosso le armi osservandolo con facce serie e minacciose. Li scrutò uno per uno non riuscendo a capacitarsi del motivo di quel gesto, quando Barbossa si fece avanti: - Vi stavo giusto aspettando, mastro Turner – disse porgendogli una mano per aiutarlo a salire. - Abbiamo una nave da prendere!
Non aveva minimamente tenuto conto della sua opinione né dello scombussolamento che quel suo arrivo nel bel mezzo della notte aveva provocato nel suo cuore. Dopo l'iniziale delusione Elizabeth, mentendo a se stessa, prese una decisione: d'ora in avanti avrebbe fatto a meno dell'amore, ci aveva provato ma forse non faceva per lei; avrebbe imparato a cavarsela da sola, come si addice ad un vero pirata. Mentre stava distesa, in attesa di addormentarsi, si sentì premere una mano sulla bocca: - Alzatevi, prendete le vostre cose e seguitemi senza fare domande!

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Capitolo 7
*** L'arrembaggio ***


Salve a tutti!Ecco il penultimo capitolo della mia prima (ma non ultima) fanfiction. Grazie per i complimenti come sempre a stelly sisley e alla mia nuova lettrice summerbest. Spero di non deludervi con questo cap, a presto!

Capitolo 7: L'arrembaggio

- Siamo tutti? - domandò Barbossa sentendo dei passi che si avvicinavano.
- Sì – rispose Tia Dalma rilasciando finalmente il braccio di Elizabeth che aveva trascinato dalla cabina fino al ponte.
- Volete spiegarmi? - chiese la ragazza, ripresasi da quel brusco risveglio.
- Stiamo per lasciare questa nave per quella – spiegò semplicemente il pirata. Il cielo stava rischiarandosi così scorse a prua un grande vascello con quattro alberi nel più alto dei quali svettava una bandiera che non si distingueva bene.
- È roba tranquilla, miss – la rassicurò mastro Gibbs.
- È un mercantile – specificò Will passando un fucile a Pintel.
- Avevate già organizzato tutto! - protestò la giovane notando che gli altri avevano caricato funi, rampini, armi su una scialuppa e che c'erano quattro marinai francesi storditi e legati come salami. - E quando pensavate di dircelo?
- Bé: ora lo sapete! - asserì Barbossa sorridendo e aggiustandosi la cinghia cui era appesa la spada
- E come faremo? - continuò quella rivolgendosi ancora al capitano.
- Come fanno i pirati, miss: con un arrembaggio. Ma forse voi preferite restare a bordo con monsier Dumont... - la stuzzicò lui.
- Certo che no! - rispose risentita.
- Allora... - pronunciò sospingendola verso la scialuppa.
- Ma...il capitano? - chiese ancora la fanciulla dopo aver preso posto a bordo.
- Dormirà ancora qualche ora – affermò Tia Dalma con sicurezza.
- Credo gli abbia dato qualcosa lei – le confidò Will che stava seduto al suo fianco con un'aria insolitamente divertita, mutando poi espressione quando la vide abbassare lo sguardo.
Non c'era molto vento e il mercantile viaggiava ad una velocità moderata, tuttavia fu solo dopo tre tentativi che, con un rampino lanciato da Gibbs, riuscirono ad agganciarsi alla scaletta che pendeva dalla fiancata sinistra della nave. Per assicurare la tenuta Cotton e Marty provvidero a fissare altre due funi. A quel punto Barbossa ordinò a Ragetti di salire per controllare se ci fossero uomini sul ponte. Il pirata rivelò che erano in tre: un timoniere e due marinai di guardia che passeggiavano.
- Ci serve qualcosa per farli distrarre – commentò Will.
- Cantate! - si pronunciò Barbossa dopo qualche secondo rivolgendosi a Gibbs.
- Che?! - esclamò incredulo l'uomo mentre gli altri lo guardavano in attesa che desse una risposta.
- Su, forza – lo incitò Elizabeth poggiandogli una mano sul braccio – Noi intanto andiamo dall'altra parte e proviamo a fermarli in modo che non ci scoprano.
- Noi? - domandò Will non capendo a chi alludesse la fidanzata.
- Sì – dichiarò questa – Io e te – aggiunse con fermezza guardandolo con occhi carichi di ardimento e dolcezza al tempo stesso, una miscela che sin da subito lo aveva fatto perdutamente innamorare di lei, al punto che l'avrebbe seguita ovunque, anche nella più folle e pericolosa delle circostanze.
- D'accordo – disse vedendo le labbra di lei incresparsi in un lieve sorriso. - Come intendi agire?
- Barbossa – cominciò allora, volgendosi verso il capitano che aveva assistito alla presa di posizione della ragazza senza intromettersi ma pronto a risponderle per le rime – Avevo pensato che, mentre voi passate dall'altro lato e attirate la loro attenzione, io e Will potremo sorprenderli alle spalle, stordirli e così permettervi di salire – concluse con la speranza di fare colpo sul filibustiere.
- Idea arguta, miss, ci avevo pensato anch'io. E vi accompagnerò al posto del signor Turner.
- Come?!Perché? - protestò Will.
- Chi mi garantisce che una volta che siete riusciti ad infiltrarvi a bordo non ci ignoriate e proseguiate per la vostra strada? - sbottò il capitano manifestando ancora una volta la sua poca fiducia nei confronti di quei due.
- Come potete pensare che potremmo abbandonarvi?Solo voi potete condurci a Singapore! - sostenne la ragazza tentando di convincerlo della sua buona fede.
- Loro sono giovani e agili, Barbossa – gli intimò Tia Dalma con tono neanche troppo velatamente derisorio. In effetti, da quando era tornato ad essere un normale mortale, aveva constatato con rammarico che le sue forze non erano più quelle di un tempo; per dieci anni era rimasto sospeso tra la vita e la morte, aveva dimenticato cosa fossero il sonno, la stanchezza, il dolore fisico, il caldo, il freddo, la pioggia. Solo la fame e la sete lo avevano tormentato, non un raggio di sole lo aveva riscaldato, il vento non aveva piacevolmente ristorato le sue membra dopo una dura battaglia, i pranzi e le cene non facevano più parte della sua quotidianità. Ma ora cominciava ad avvertire le conseguenze e gli effetti delle innumerevoli ore trascorse alla mercé dell'aria salmastra, ora umida e calda, ora gelida e secca, insieme al riacutizzarsi di ferite che non si era mai preoccupato di curare a dovere.
- Sta albeggiando, ormai – le parole di Gibbs lo riscossero dai suoi pensieri e si accorse che tutti lo stavano fissando.
- Va bene. Andate – disse ai due ragazzi esortandoli ad arrampicarsi sulla scaletta.
- Sganciamoci – ordinò poi alla ciurma che iniziò anche a vogare per spingersi dal lato opposto.
- Bé: io non mi sento vecchio! - asserì Pintel ripensando alle parole di Tia Dalma.
- Neanche io!E poi quelli non hanno mai fatto un arrembaggio! - lo assecondò Ragetti, anche lui offeso perché il capitano non aveva affidato loro quel compito.
- Proprio così – proruppe Barbossa che li aveva sentiti. - Dunque, se si faranno scoprire, gli uomini a bordo saranno troppo impegnati per occuparsi di noi – sostenne con faccia furba e gli altri risero, mente Gibbs capì che il maturo bucaniere non aveva perduto la sua cattiveria o forse la ostentava per far presa su quei disgraziati.
In attesa di un segnale che permettesse loro di capire quando entrare in azione, Will ed Elizabeth erano rimasti aggrappati alla scaletta che pendeva dal lato sinistro, una posizione rischiosa e difficile da mantenere. Will non poteva fare a meno di osservare l'amata, così vicina eppure persa in chissà quali pensieri. Fu più forte di lui rivolgerle la parola: - Elizabeth...io... - la sua voce era appena un sussurro e si spezzò non appena i loro occhi si incontrarono.
- Non è il momento!Vuoi farci scoprire prima del tempo? - lo interruppe lei usando lo stesso volume di voce ma con un timbro autoritario.
- Hai ragione – ammise il ragazzo; voleva sperare che ci sarebbero stati altri momenti in cui dirle che l'amava, al di là di tutto. Trascorsi una manciata di minuti udirono la solita canzone intonata da Gibbs e le voci di quelli sul ponte.
- Hey, Ted: hai sentito? - chiedeva uno con apprensione.
- Sentito cosa? - rispondeva un altro seccamente.
- Una voce – tornò a dire il primo.
- Hai bevuto, amico! - lo derise il compagno.
- Dico sul serio! - affermò quello arrabbiato.
- Noo!È inutile che provi a mettermi paura , Sid! - dichiarò con convinzione l'altro, scettico – Io non ci credo alle storie dei velieri fantasma!
- Era un canto! - specificò il primo.
- Oh!Allora si trattava di una sirena, magari! - lo derise ancora il compagno.
- No!Era una voce brutta...da uomo! - lo informò.
- Una sirena stonata! - continuò quello ridendo divertito.
- Smettila! - lo riproverò il compare, risentito. - Ecco: di nuovo!Lo hai sentito adesso?
Will si sporse dal parapetto tanto quanto bastava a poter vedere cosa stesse accadendo sul ponte. Vide due uomini di spalle che si avvicinavano furtivi al parapetto del lato opposto, mentre un altro stava al timone, posto su un ponte più in alto a poppa, impegnato a consultare carte e strumenti.
- Ora! - affermò Elizabeth che aveva copiato il fidanzato mettendosi anche lei ad osservare la situazione, e così dicendo scavalcò velocemente la ringhiera seguita dal ragazzo.
Avanzando l'uno accanto all'altra raggiunsero il timoniere mentre gli altri due marinai erano ancora distratti a cercare chi stesse cantando. I due lentamente si avvicinarono alle spalle dell'uomo: Elizabeth sguainò la spada e gli pose un braccio attorno al collo, Will estrasse rapidamente la pistola dalla cintura e gliela piantò dritta in mezzo alla schiena facendolo sobbalzare.
- Non una parola e avrete salva la vita – lo ammonì Turner.
- Chi siete?Che volete? - sussurrò il marinaio tentando di voltarsi.
- Provate ad indovinarlo da voi – rispose la ragazza mascherando la voce.
- Bisognerà legarlo e imbavagliarlo – constatò Will.
- E poi penseremo a quei due – aggiunse la giovane dopo aver dato un rapido sguardo al ponte.
- Ma come? - si chiese il ragazzo vedendo comparire sul volto della fidanzata un sorriso arguto.
- Toglietevi i calzoni – ordinò la fanciulla all'uomo.
- Perché?!No! - protestò quello. Will non colse immediatamente le intenzioni della ragazza ma, fidandosi di lei, minacciò il timoniere facendo scattare il caricatore della pistola: - Fate come ha detto e presto! - lo esortò spostando l'arma alla tempia del malcapitato. Al contempo questo fu tirato indietro dalla balconata e spinto verso la parete di legno su cui si aprivano le porte che conducevano nelle cabine di comando, di modo che gli altri non si accorgessero di quanto stava accadendo.
Mentre l'uomo sotto minaccia stava eseguendo quell'ordine che gli appariva bizzarro e umiliante, Elizabeth osservando il pugnale di Will domandò a questo: - Me lo presteresti?
Lui annuì consegnandoglielo: - Va bene – quindi la ragazza strappò dalle mani del marinaio i pantaloni che questo si era appena tolti e li fece a brandelli con la lama ottenendo delle strisce per poi usarne una come bavaglio e un'altra, con l'aiuto del ragazzo, per legare i polsi dell'ostaggio.
- Certo che ne hai letti di libri sui pirati! - esclamò Will stupito e ammirato.
- Abbastanza – rispose lei stringendo un'altra striscia di tessuto attorno alle caviglie di quello che continuava a farfugliare inutilmente e a muoversi al punto da cadere a terra su un fianco.
- Maledetti!Ma tanto fra qualche minuto dovrete vedervela con i miei colleghi!sta per iniziare il nuovo turno di guardia! - riuscì a dire essendosi spostato il laccio che gli bloccava la bocca.
- Dobbiamo sbrigarci allora – dichiarò Will rimettendo a posto il bavaglio. D'un tratto gli altri due marinai, che fino ad allora erano stati distratti a scoprire la provenienza di quella voce che intonava la canzone, si accorsero dei due intrusi e li fermarono sulle scalette della balconata del timone.
- Hey, voi chi siete?! - sbraitò uno al loro indirizzo.
- Che cosa avete fatto a Mark?! - lo seguì l'altro più impaurito.
I giovani estrassero prontamente le sciabole e nello stesso momento videro alle spalle dei marinai del mercantile i loro compagni di viaggio che erano nel frattempo saliti a bordo: - Non vi spaventate signori: vogliamo soltanto invitarvi a cambiare imbarcazione! - pronunciò Barbossa. I due malcapitati si voltarono e, trovandosi circondati dai pirati e disarmati, alzarono le mani terrorizzati dalle pistole e dalle spade puntate contro di loro.
- Stanno per arrivare quelli del nuovo turno di guardia – disse Will. Il capitano fece un cenno e subito Pintel e Ragetti afferrarono i due ostaggi legandoli e imbavagliandoli con quel che restava dei pantaloni del timoniere che porse loro Elizabeth: - Lì ce n'è un altro – li avvertì poi la ragazza. Allora capirono da dove avesse preso quegli insoliti lacci.
- Mettiamoli su quella scialuppa! - ordinò Barbossa, ricevendo l'aiuto di tutti gli uomini. I marinai, impossibilitati a muoversi, furono caricati di peso su una scialuppa che venne calata in mare con l'utilizzo delle apposite funi.
- Entriamo, adesso – suggerì Tia Dalma che durante il tempo dell'operazione era rimasta ad origliare sulla porta della cabina, affiancata da Elizabeth. Con circospezione i pirati si incamminarono dietro la donna che venne immediatamente superata da Barbossa, e proseguirono uno dietro l'altro; a chiudere la fila era Will.
Attenti ad ogni minimo rumore o bisbiglio proveniente dagli alloggi, continuarono a scendere verso la stiva; dentro era buio pesto, le poche torce si erano del tutto consumate o emanavano una luce più che flebile, aumentando il nervosismo di tutti che a stento riuscivano ad intravedere le proprie ombre, le pareti e le scalette che di tanto in tanto si aprivano sotto i loro piedi. Dopo pochi minuti ai loro passi, appena accennati sulle assi di legno, se ne aggiunsero altri, più decisi e svelti che avanzavano avvicinandosi pericolosamente.
- C'è qualcuno! - sussurrò Ragetti.
- Appoggiatevi alla parete – mormorò Barbossa. L'incedere di quello sconosciuto si arrestò di colpo: - Chi c'è? - chiese con un filo di inquietudine. Senza pensarci due volte il maturo filibustiere lo stordì con il calcio della pistola: - Muovetevi! - disse quindi agli altri sospingendoli a correre verso la stiva e richiudendo la porta quando furono tutti dentro.
La ciurma del mercantile stava lentamente risvegliandosi e, man mano che ogni marinaio usciva dalla propria cabina, il brusio aumentava propagandosi fino al fondo della nave. Così alle orecchie dei passeggeri clandestini giunsero le parole degli uomini di bordo: - Che cosa è successo qui? - urlava uno.
- Qualcuno mi ha colpito! - gridava un uomo. Quindi passi veloci che salivano sul ponte e voci sempre più confuse e lontane. Il comandante, constatata la mancanza di una scialuppa e di tre marinai, concluse che c'era stato un ammutinamento, cosa che succedeva abbastanza spesso su quelle navi. Poi, pian piano, tutto tornò alla normalità fra i marinai del mercantile, ma gli animi dei pirati, che si erano nascosti nella stiva restando immobili sul pavimento umido, erano piuttosto agitati.
- Così ce ne staremo qui, come topi! - sbottò Pintel d'un tratto. - Non è un gran miglioramento!
- Neanche io sono contento! - gli fece eco Ragetti – Stavo imparando un po' di francese... - aggiunse con rammarico.
- Quello ci avrebbe venduti! - intervenne Gibbs, piuttosto seccato dallo strano modo di ragionare di quei due che spesso sembrava non capissero la precarietà della loro situazione.
- Aveva dato la sua parola... - tornò a parlare Ragetti dopo qualche secondo.
Ma prima che Gibbs si intromettesse di nuovo ci pensò Pintel ad ammonire il compare: - Dumont non è un pirata!Non ci si poteva fidare! - a quell'ultimo rimproverò seguì un silenzio rotto questa volta da Tia Dalma: – Barbossa, quanto pensi che possiamo restare qui, al buio, tutti insieme? - domandò con insofferenza.
- In effetti stavamo per arrivare; ormai potevamo restare sulla Tempete – asserì Elizabeth.
- Donne! - commentò Barbossa – Vi siete lasciate abbindolare da quel ridicolo cialtrone!
- Avevamo una cabina, almeno – gli fece notare la veggente.
- E aria e luce! - la assecondò la giovane aristocratica.
- Sentite … - cominciò allora il pirata alzando la voce accompagnato dalla scimmietta.
- Non mi sembra il caso di gridare, signore – si fece avanti Gibbs ma tutti vennero interrotti dal rumore di colpi battuti sul legno dello scafo.
- Chi è? - si lamentò il pappagallo di Cotton.
- Siamo sott'acqua – proferì Will e i battiti cessarono.
- Ah, eravate voi, allora – sentenziò Barbossa adirato – Complimenti!Volete farci scoprire?
- Mi pareva che anche voi vi stavate impegnando a fare lo stesso – sostenne quello.
Il filibustiere detestava ammetterlo ma quel giovane fabbro aveva ragione: si era fatto trascinare ancora una volta dalla sua vena irascibile.
- Che proponete di fare? - gli chiese con tono sarcastico, tanto che non si aspettava una risposta tanto seria come invece fu quella di Turner: - Per prima cosa bisogna trovare una lampada così da poter vedere esattamente dove siamo.
- Molto bene – affermò il pirata - Mastri Pintel e Ragetti a questo penserete voi.

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Capitolo 8
*** Accordi e disaccordi ***


Un saluto a tutti i lettori!Eh sì, questo doveva essere l'ultimo capitolo ma, complici gli studi di storia dell'Africa (pirati barbareschi) e una rinnovata ispirazione, si è ampliato talmente tanto che ho dovuto dividerlo in due parti. E mi scuso per averci messo tanto.
Immagino sarete contente stelley sisley e summerbest: non pensavo vi sarebbe piaciuto tanto!E a proposito di Will:avete ragione mr Turner è proprio strambo!Prima si dichiara durante un'impiccagione, poi pensa al matrimonio durante una battaglia. Tutto questo navigare gli avrà fatto male?!Mah! A noi piace così!
A presto!


Capitolo 8: Accordi e disaccordi

- Perché ci avete messo tanto? - si lamentò Barbossa quando i due pirati tornarono dal loro incarico quasi un'ora più tardi.
- Non è stato facile! - si giustificò Ragetti.
- L'importante è che ce l'hanno fatta – constatò Elizabeth.
Trasferita la fiamma nelle altre torce appese alle pareti, scoprirono che il mercantile trasportava tessuti di lana e cotone riposti in casse di legno. In una stanza accanto al carico c'era anche la stiva con le provviste.
- Queste ci saranno utili questa settimana – osservò Barbossa.
- Settimana?! - esclamò Will con evidente preoccupazione. Quel posto era talmente stretto che avrebbe dovuto stare quasi gomito a gomito con gli altri.
- Ci vorrà tanto? - lo seguì Elizabeth ugualmente allarmata. Una vicinanza eccessiva con Will era l'ultimo dei suoi desideri in quel momento: non voleva che lui o gli altri la vedessero lacrimare quando ripensava alle sue colpe.
- Pensate di non poter resistere? -domandò il filibustiere con tono di sfida.
Entrambi abbassarono il capo senza rispondere. Poco dopo Gibbs propose di organizzare meglio quello spazio in vista della permanenza, così si misero ad accatastare le casse con le stoffe in modo da formare quasi due stanze, una destinata alle donne, l'altra al resto della ciurma.
Tra il timore di essere scoperti quando qualcuno del mercantile scendeva a prelevare viveri dalla stiva, e la noia dovuta all'impossibilità di stare fuori e guardare il paesaggio, quei sette giorni sembrarono interminabili. Di tanto in tanto Barbossa si era arrischiato a salire sopra coperta per accompagnare Tia Dalma che si era lamentata di sentirsi mancare l'aria, nonostante fossero riusciti anche ad aprire una fessura nella parte alta dello scafo.
Infine, in un tardo pomeriggio tiepido e ventoso, a sette giorni esatti dall'imbarco, i passeggeri clandestini poterono lasciare la nave.
Città del Capo era un grande porto in cui si scambiava una molteplice quantità di merci in una molteplice varietà di lingue. Velieri di ogni dimensione e provenienza vi gettavano le ancore sostandovi per un breve periodo, quello necessario a sbarcare il proprio carico ed immetterne uno nuovo a bordo.
I nove pirati approfittarono della confusione creatasi in quel momento per abbandonare, non visti, la nave che li aveva portati sin lì. Confondendosi tra la folla si allontanarono dal molo raggiungendo la zona delle taverne e delle botteghe.
- Ci divideremo – decise Barbossa senza troppe spiegazioni.
- Io e la ragazza andiamo lì – dichiarò Tia Dalma volgendosi verso una locanda con l'insegna “Dolly Cool” - Abbiamo bisogno di ripulirci un po' e di prendere qualcosa per il viaggio – specificò quando l'uomo la guardò con diffidenza. - Tranquillo, non intendo fuggire – rispose la donna alzando gli occhi al cielo.
- Meglio così – sorrise lui accompagnando con lo sguardo entrambe finché non furono entrate.
- Voi – disse poi rivolgendosi al marinaio più vecchio del gruppo – Com'è che vi chiamate...
- È Cotton, signore – lo informò Gibbs.
- Ah, mastro Cotton: restate qui di guardia – gli ordinò il pirata ricevendo un “Vento alle vele!” da parte del suo pappagallo. Un po' stranito, si mosse – Andiamo noi – e gli altri lo seguirono. Ma dopo qualche passo: - Non vi avevo detto di dividerci?
- Ma che dobbiamo fare esattamente? - domandò Pintel.
- Dobbiamo derubare qualcuno o non ci faranno salire a bordo di nessuno di questi vascelli! - sbuffò spazientito il capitano, scrutando con attenzione gli uomini che gli passavano accanto e, soprattutto, le tasche delle loro giubbe.
- Non vedo il nesso – dichiarò Will mentre gli altri si erano messi in allerta.
- Soldi, ragazzo!Ci servono soldi! - spiegò Gibbs. Il giovane annuì con espressione rassegnata: ormai ovunque andavano commettevano qualche crimine!Mentre faceva queste riflessioni notò a pochi passi un uomo di bassa statura col volto solcato dalle rughe, ben vestito, con tanto di tricorno e guanti, che non gli era sconosciuto. Lo fissò per qualche istante e quando si allontanò decise di pedinarlo. Entrò in una locanda e, attraversatola, si fermò nel retro; attorno a Will si disposero sei soldati della Compagnia delle Indie Orientali che gli impedirono di tornare indietro. Temette che quella cui si era recato fosse un'esecuzione vera e propria e si maledisse per l'imprudenza con cui vi era caduto, ma trovò comunque il sangue freddo per parlare: - Voi lavorate per Lord Cutler Beckett, non è così?
- E voi, signore? - fu la risposta di Mercer con tono fastidioso, voltandosi verso di lui.
- Vorrei stare dalla vostra parte – affermò il ragazzo; era l'occasione giusta per liberarsi dall'alleanza con quei pirati che aveva mal sopportato.
- Saggia scelta, signor Turner – disse l'agente e, passandogli davanti, lo invitò a seguirlo; i soldati li scortarono. Mercer si sedette ad un tavolo e ordinò da bere, poi riprese la discussione interrotta qualche minuto prima: - Non siete solo, giusto?Dove siete diretti? - chiese poggiando il bicchiere.
- Voglio garanzie! - scattò Will, non sapendo più se stesse agendo correttamente nei confronti di sé stesso e degli altri.
- Noi possiamo darvi più garanzie di quei pirati – sostenne l'uomo – Ogni condanna a vostro nome sarà ritirata. E ciò vale anche per la vostra fidanzata, Miss Swann. Ora tocca a voi – concluse rimettendosi a sorseggiare il liquore.
In parte convintosi della reale possibilità di riscattarsi, in parte consapevole di non potersi più sottrarre a quell'accordo, si risolse ad informarlo: - Siamo diretti a Singapore. Dobbiamo incontrare una persona che ci aiuterà a riunire il Consiglio della Fratellanza.
- Arriverete a destinazione sani e salvi – lo rassicurò; poi, senza aggiungere altro, Mercer si alzò e si dileguò tra la folla, accompagnato dai soldati della Compagnia.
Ma Will era soddisfatto: credeva di aver trovato una via autonoma per raggiungere il suo obiettivo: salvare suo padre e la donna che amava. Tuttavia, anche se si era lasciato sviare da quella proposta di collaborazione con quella che, ad ogni modo, rappresentava in quel momento la legge, era consapevole di dover tornare a vestire i panni del pirata, che forse stava assumendo più di quanto non volesse. Così rapidamente uscì da quel posto e si mise alla ricerca degli altri che aveva lasciato intenti a prelevare borsellini e monete dalle tasche dei passanti. Scrutò con attenzione i volti degli uomini che incontrava quando:
- Dove diavolo vi eravate cacciato? - la voce alterata di Barbossa gli tuonò alle spalle d'improvviso. Casualmente notò un sacchettino di stoffa con delle monete proprio ai suoi piedi: si chinò a raccoglierlo e quindi, girandosi verso il capitano, glielo mostrò sorridendo. L'uomo rispose con quella che gli sembrò una smorfia di approvazione, ma poi aggiunse con tono di rimprovero: - È un po' poco … visto che vi eravate allontanato da un pezzo ...
Prima che potesse trovare una giustificazione, fu provvidenzialmente salvato dall'arrivo di Gibbs che, ancora con il fiatone per la corsa, annunciò: - Signore, ho trovato due navi che partono per Singapore, una fra un'ora e l'altra domani mattina.
- Prendiamo quella che salpa fra un'ora – decise il capitano – Non ci resta che recuperare le signore... - mentre si apprestava a richiamare gli altri per raggiungere la locanda in cui le due donne si erano fermate, notò la sacerdotessa, seguita a ruota dalla giovane aristocratica e più indietro da Cotton, precipitarsi verso di loro come se stessero scappando.
- Hai trovato la nave? - gli chiese immediatamente Tia Dalma quasi rimproverandolo.
- Che vogliono quelli? - domandò Pintel ad Elizabeth scorgendo un gruppo di tizi che, armi alla mano, correvano nella loro direzione e sembravano parecchio furibondi.
- Ci stavano importunando!Ho dovuto difendermi! - si giustificò la ragazza mentre continuavano ad avanzare quanto più velocemente possibile tra la folla per distanziarsi dagli inseguitori.
- Non ci posso credere!Avete scatenato una rissa?! - la sgridò Barbossa, quasi tentato di lasciarla lì. La ragazza aprì bocca senza produrre alcun suono, Will si ritrovò in breve ad afferrarla per un braccio per poi spingerla a correre più in fretta e, contemporaneamente, con una sciabolata e un calcio, atterrò due degli inseguitori. Gli altri filibustieri non si fecero scrupoli, invece, nel tirare fuori le loro pistole e sparare qualche colpo, giusto perché si creasse il vuoto dietro di loro.
- Mastro Gibbs: portateci a quella nave! - urlò bruscamente Will al marinaio.
- Di qua! - gridò quello, cambiando repentinamente strada. Nella fuga Ragetti si scontrò con un uomo prendendogli involontariamente il cappello che passò nelle mani di Pintel prima di finire sulla testa di Elizabeth; intanto la veggente si coprì il capo con uno scialle. Quando tutti svoltarono a sinistra, nascondendosi dietro delle casse di legno accatastate, gli inseguitori non se ne accorsero e proseguirono dritto.
- Li abbiamo seminati! - esclamò Gibbs ancora incredulo.
Will restò ad osservare Elizabeth chiedendosi cosa mai avesse fatto per tirarsi addosso l'ostilità di quegli uomini. Tia Dalma sembrò capire i suoi pensieri: - Ha fatto bene. Se lo meritavano – disse con tono aspro.
Il ragazzo non ebbe il tempo di ribattere che la sua fidanzata domandò: - Dov'è Barbossa? - essendosi accorta che il capitano non era insieme a loro. Si misero a cercarlo guardandosi attorno e notarono che stava già trattando con il comandante di un veliero ormeggiato lì vicino. Un uomo dai lineamenti mediorientali il cui aspetto era poco rassicurante: vestito di nero dalla testa ai piedi, esclusa una fascia attorno alla vita di color porpora dalla quale pendevano una scimitarra e due pistole a canna lunga della stessa grandezza, aveva un ghigno selvaggio stampato sul volto ebano, reso più inquietante da una lunga cicatrice ancora rossa che gli attraversava la guancia sinistra, spuntando da sotto la kefiah.
Barbossa consegnò all'uomo alcuni sacchettini di monete che aveva avuto modo di rubare ma quello restò impassibile finché il pirata non fu raggiunto dalla fedele scimmietta che portò altri borsellini ricolmi di luccicanti pezzi di metallo. Dopo averne verificato attentamente il contenuto, il comandante oscuro risalì a bordo attraversando lentamente la passerella. Barbossa fece cenno ai suoi di raggiungerlo e quelli, seppure un po' titubanti, gli obbedirono.
Intanto che si apprestavano ad imbarcarsi comparve un uomo basso e tozzo, senza capelli, che doveva essere il primo ufficiale, il quale li fermò: - Niente donne su questa nave! - li ammonì.
- Di quali donne parli? - gli rispose Barbossa facendo finta di non capire.
L'uomo smascherò entrambe scoprendo loro il capo: - Ordine del capitano: lui crede loro portano guai e lascerà a terra anche voi se le portate! - cercò di intimorirli. Ma il pirata non intendeva dargliela vinta: - E se tu non le avessi viste? - gli propose con tono subdolo.
- E come può essere possibile? - disse quello mostrandosi già corruttibile. E infatti quando Barbossa gli sganciò dei soldi che si fece dare dagli altri pirati dichiarò: - Credo di avere capito! - e, tutto contento, li nascose dentro la giacca spostandosi dalla passerella per farli passare. Prima che furono tutti a bordo li mise ancora in guardia: - Non fatevi scoprire!Ordine del capitano dice: ogni donna a bordo trovata verrà sgozzata e uomo che sta con lei gettato in mare con palle di cannone legate a suo...
- Abbiamo capito! - lo interruppe Gibbs mentre un'espressione inorridita si era stampata sul volto degli altri uomini e le due donne si nascosero nuovamente il volto.
- E se le lasciamo a terra e torniamo a riprenderle dopo? - propose Pintel.
- E se ci imbarcassimo su un'altra nave? - suggerì Will.
- Già, ma l'altra che va a Singapore è della Compagnia delle Indie Orientali – lo informò Gibbs. Nonostante ciò agli uomini non sembrò una cattiva idea.
- Insomma – prese la parola Barbossa, già annoiato – vi sapete difendere, mi pare. Perciò se vi aggrediscono rispondete – concluse semplicemente.
- Quali donne?! - continuava a ripetere il luogotenente mentre ridendo contava il denaro guadagnato.
Mollati gli ormeggi, gli uomini del vascello si occuparono delle altre manovre necessarie a salpare, spiegando le vele mogano al vento che si fece sempre più forte lasciando il porto.
- Che fai tu qui? - chiese il marinaio di prima a Barbossa che era rimasto sul ponte con Will, Ragetti e Pintel.
- Niente. Guardo il mare. Non è permesso? - lo canzonò il pirata trovando ridicolo quel suo tentativo di imporsi impaurendoli.
- Il capitano Hamed Nassim non vuole gente fra i piedi – asserì quello – Altrimenti lui si confonde e spara. Perciò voi andate sotto.
- E se io dicessi al tuo capitano che hai fatto salire a bordo due donne, a chi sparerebbe? - lo sfidò Barbossa tranquillamente.
- È meglio non farlo arrabbiare quell'uomo... - sostenne Ragetti scappando di sotto con Pintel.
- Allora lui sparerebbe prima me e poi voi! - gli rispose quello.
- Quindi morirei comunque – osservò il filibustiere con la solita flemma.
- Infatti! - continuò l'altro, ancora intenzionato ad intimorirli, ma rimase deluso quando il pirata dichiarò: - Allora resto qui – e non insistette più quando vide Jack, la scimmia, illuminata dalla luce della luna, restando impressionato dalle sue fattezze scheletriche, al punto da andarsi a nascondere urlando.
- Grazie, Jack! - disse il pirata all'animaletto e rimase ad assaporare la brezza marina.
Will, invece, chiese quale cabina gli avessero assegnato e preferì ritirarvisi. Ma la trovò occupata: - Che ci fai qui?
- Gibbs ha talmente insistito – si difese Elizabeth che, gambe incrociate, se ne stava su una specie di letto con ancora in testa un cappello verde scuro a tesa larga – Dice che sarò più al sicuro qui – aggiunse, poco convinta.
- Al sicuro da cosa? - replicò il ragazzo; ormai era perfettamente in grado di difendersi da sola, e faceva le sue scelte senza consultarlo. Piuttosto erano gli altri a sentirsi più al sicuro senza di lei, visto il codice che vigeva a bordo.
Anche lei pensava fosse una risposta stupida. In quel momento si sarebbe sentita più al sicuro perfino nella cabina del capitano che non lì con lui, perché temeva che sarebbe potuto esplodere di colpo, d'amore o di rabbia, e sentiva di non essere ancora pronta ad affrontarlo. Vigliaccamente gli rispose: - Non lo so. Ma non sono riuscita a contraddirlo – il ragazzo non disse una parola. Si sedette su una specie di sgabello e si mise ad affilare la lama della sua spada e di altre che gli avevano affidato i compagni, ignorandola.
Senza saperlo ripensarono entrambi alle parole che si erano scambiati il giorno prima delle nozze. Lei era presa dai preparativi e non lo aveva quasi notato tra la folla di gente che si trovava nel giardino della villa. Finché lui non le era andato incontro, un po' irritato: - Ero solo venuto a salutarvi, Miss Swann.
- Will, lo so che tutti questi preparativi possono sembrarti esagerati, lo penso anch'io. Ma sono la sua unica figlia!Vuole che tutto sia fastoso e memorabile – lo aveva subito raddolcito lei, prendendogli una mano e accarezzandolo – Però, pensa: domani notte, finalmente, saremo solo tu ed io – il ragazzo aveva sospirato e sorriso – Sei ansioso?
- Impaziente, credo sia la parola più adatta! - gli aveva sussurrato lui all'orecchio, facendola palpitare – A domani, Miss Swann – le aveva detto poi andandosene dopo averle dato un lieve bacio sulle labbra...
- Elizabeth: cosa stiamo facendo?Perché siamo qui? - proruppe d'un tratto Will con tono stizzito, riscuotendola dai suoi pensieri.
- Dobbiamo fermare Lord Beckett e Davy Jones – gli ricordò lei con risolutezza. Si parlavano come due estranei, sebbene lo conoscesse a tal punto da percepire ogni sua vibrazione interiore soltanto guardando i movimenti delle sue mani e l'espressione dei suoi occhi.
Lui si alzò in piedi: - Mio padre è un briccone di pirata della peggiore specie! - disse, ricordando le parole di Sparrow con disprezzo e compassione per il genitore – Il tuo è un uomo onesto.
- Siamo coinvolti, ormai! - sostenne la ragazza con gli occhi gonfi come se stesse per scoppiare in lacrime – Non possiamo tirarci indietro! - concluse.
Lui credette che quella fosse la conferma di quanto aveva supposto: ci teneva davvero a Sparrow. In realtà Elizabeth voleva fargli capire che gli era accanto, anche in quel frangente, anche se avrebbe potuto seguire i consigli di suo padre e lasciarlo. Però ricadde il silenzio: si tolse il cappello, la giacca che portava e gli stivali, quindi si mise sotto la coperta lacera dandogli le spalle. Ma, nonostante la stanchezza, il sonno tardò ad arrivare dato che Will era tornato a lavorare su quelle spade e lo faceva ostentando un certo nervosismo.
Il giovane si coricò in seguito su una branda agganciata al soffitto, vicino all'oblò.
Quella fu l'ultima volta in cui parlarono faccia a faccia di quell'argomento prima dell'arrivo a Singapore, dopo due settimane di navigazione che riservarono comunque altri ostacoli...

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Capitolo 9
*** La meta è vicina ***


Sono un pò emozionata nel pubblicare finalmente l'ultimo capitolo della mia prima fanfiction sulla mia saga cinematografica preferita!Ringrazio tutti i lettori e in particolare, come sempre, stellysisley e summerbest che hanno commentato gli ultimi capitoli. Nove capitoli non sono molti ma temevo di diventare ripetitiva e poi ho in mente altre storie (stavolta con Jack). Vi anticipo che ho voluto lasciare in sospeso Will e Liz perché è così che li troviamo all'inizio del terzo film. Che altro dire?Spero che vi piaccia, se volete chiedermi qualcosa che non vi è chiaro potete contattarmi. Buona lettura e a presto!

Capitolo 9: La meta è vicina

Sebbene il luogotenente avesse infine rinunciato ad opprimerli, dopo che Barbossa aveva sfruttato la sua paura per Jack facendolo tacere o parlare a suo piacimento, i pirati dovevano ben guardarsi dagli altri uomini della Ibis, questo il nome della nave su cui avevano trovato posto. Essi, infatti, apparivano decisamente più pericolosi e meno facili da controllare; sempre armati di tutto punto, alcuni di loro avevano le lame delle spade ancora sporche del sangue dei nemici affrontati in passato che si era incrostato, e ne facevano motivo di vanto.
Perciò la possibilità di muoversi sopra o sotto coperta fu per i passeggeri limitata, in particolare dovettero fare parecchia attenzione a non lasciare che essi notassero le donne.
Will ed Elizabeth, loro malgrado, erano stati costretti a dividere la stessa cabina e, sentendosi a disagio, si erano accordati, pur senza parlarne esplicitamente, a passarvi meno tempo possibile insieme. Perciò Will stava sopra coperta soprattutto di giorno mentre Elizabeth restava qualche ora sul ponte di notte, quando c'erano meno uomini e minor luce a permettere di distinguere i suoi tratti. Anche Tia Dalma usciva fuori dalla sua cabina con l'oscurità e sempre accompagnata da Barbossa, il quale si accordava anticipatamente con il luogotenente, ormai suo alleato, per evitare guai.
Una sera, a metà del viaggio, dopo aver cenato con gli altri, Will tornò nella sua cabina e , filando direttamente verso la branda, non notò subito che non era solo. Rigirandosi dopo qualche minuto la vide di spalle, stesa sul letto su un fianco: - Non esci stasera?
Elizabeth si voltò verso di lui sollevandosi leggermente dal cuscino e scosse la testa senza guardarlo.
- Almeno hai mangiato? - trascorsi alcuni secondi le domandò, tanto per parlare.
- Mi ha portato qualcosa Gibbs, poco fa – lo informò lei restando poi in silenzio. Will si mise supino, le braccia incrociate dietro la testa, le orecchie tese ad ascoltare il rumore del mare e i mille scricchiolii del legno della nave.
- Stavano per scoprirmi e sono tornata qui – proruppe lei tutto d'un fiato. Lui si alzò di scatto mettendosi seduto e per poco non cadde a terra: - Ne sei sicura? - le chiese preoccupato. La ragazza annuì, poi, piantando gli occhi sul soffitto, spiegò: - Continuavano a guardarmi e girarmi intorno e... - non finì di parlare che udirono dei pugni battere con irruenza sulla porta.
- C'è qualcuno qui? - domandò una voce roca. I due ragazzi si guardarono l'un l'altro, non sapevano se o cosa rispondere, così restarono muti. L'uomo tornò a ripetere la domanda affiancato da un altro.
- Sì!Ci sono io, Turner! - rispose Will a quel punto, temendo che se continuavano a tacere quelli avrebbero aperto la porta. Ma non servì.
- Possiamo entrare? - chiese quello di prima. Elizabeth si alzò silenziosamente da letto e andò ad appoggiarsi alla parete opposta all'entrata della cabina, che era talmente spoglia da non offrire alcun tipo di nascondiglio.
- Veramente...non sono presentabile! - temporeggio il ragazzo sempre più in preda al panico e la fidanzata lo guardò storto mentre indossava la giacca e nascondeva i capelli, annodandoli, sotto il cappello.
- Siamo tutti uomini...o no? - dissero i due marinai dall'esterno con maggiore sospetto facendo sentire distintamente il sibilo delle lame estratte dal fodero metallico. Elizabeth istintivamente si portò tutte e due le mani alla gola: - Io...Will...io – cominciò a singhiozzare; se dovevano proprio morire così voleva dirgli tutta la verità che si era tenuta dentro.
- Non importa – la liquidò il fidanzato con freddezza senza neppure guardarla, e impugnò con entrambe le mani la spada tenendola ben dritta davanti a sé. Quelli continuavano a parlare nella loro lingua aumentando l'agitazione dei reclusi.
Intanto nello stesso corridoio capitarono per caso Gibbs, Pintel e Ragetti e notarono i due uomini che, con le scimitarre e facce che facevano intuire le loro cattive intenzioni, stavano dietro la porta di quella cabina.
- Ma non è lì che stanno Will e Miss Elizabeth? - esclamò Gibbs con inquietudine, i due pirati abbassarono la testa e fecero per andarsene: - Ho l'impressione che siano in pericolo. Dobbiamo aiutarli! - affermò il buon marinaio mettendo le mani avanti per bloccare i compari. Pintel fece una smorfia e sbuffò rivolgendosi all'amico: - Ragetti: buttaci un occhio!
- Preferisco non guardare! - replicò quello cercando ancora di svignarsela.
- Quello finto, stupido! - lo rimproverò il compare dandogli un ceffone talmente forte da farglielo staccare. La sfera di legno rotolò fino ai piedi dei due minacciosi uomini armati e uno di loro gridò: - Una bomba!
Ragetti si precipitò a raccogliere quell'oggetto, apparentemente inutile ma per lui prezioso, difendendolo dai piedi dei due marinai che tentavano di calciarlo lontano credendo si trattasse di un ordigno: - È il mio occhio di legno! - ripeteva ad alta voce camminando carponi. Finalmente i due uomini si tranquillizzarono:
- Che schifo! - disse uno – Di vetro è meglio!
- Come lo hai perso? - gli chiese l'altro.
- Incidenti del mestiere – si schernì il pirata mentre provava a rimetterlo.
Gibbs capì che era il momento buono per liberare i ragazzi e, incoraggiando Pintel ad unirsi al compare nell'imprevista chiacchierata, cercò di avvicinarsi alla porta della cabina in cui Will ed Elizabeth erano rimasti bloccati.
- Io la prima volta che ho usato fucile mi sono sparato piede e ho perso tre dita. Guarda! - rivelò uno togliendosi lo stivaletto.
- A me hanno tagliato orecchio con sciabolata – mostrò loro l'altro. A distrarre i due marinai della Ibis contribuì pure l'arrivo della scimmietta maledetta che rubò prontamente l'occhio al suo proprietario costringendo gli altri a rincorrerla.
Assicuratosi che nessuno lo vedesse, Gibbs abbassò la maniglia ed entrò nell'alloggio dove i due giovani lo accolsero con sollievo.
- Grazie, signor Gibbs! - esclamò Elizabeth andandogli incontro quasi abbracciandolo.
La reazione di Will fu meno affettuosa: - Non era “chi indietro rimane indietro viene lasciato”? - lo interrogò con scetticismo quando la fidanzata non poté sentirlo.
- Non è che dobbiamo rispettarlo sempre – fu la replica dell'uomo accompagnata da un sorriso e il giovane sentì una fitta allo stomaco: forse aveva fatto male a tradirli, ma senz'altro non tutti erano come quel mite uomo di mare. Ed ebbe modo di constatarlo subito dopo, quando sul ponte assistette ad un a scenata di Barbossa, senza comprenderne il vero motivo: - Jack mi ha portato questo – inveì contro Ragetti porgendogli l'occhio di legno.
- Mi dispiace, capitano. Io ... - balbettò quello cercando di scusarsi dopo averlo rimesso a posto, ma il filibustiere gli prese una mano e gliela torse al contrario, rimandandolo poi sotto con un calcio e ridendo di gusto.
Appoggiato con la schiena al parapetto, lo sguardo fisso ma non verso qualcosa di presente, naufragato in quel mare di pensieri, rimorsi, ambizioni, Will non si era neppure accorto che Elizabeth era al suo fianco e che lo stava osservando da un po' interrogandosi su quello che potesse provare mentre continuava a muovere da una mano all'altra il pugnale di suo padre. Non era stata capace di dirgli neanche una parola a proposito. L'unica frase che in quel momento le venne in mente fu “Mi dispiace”, ma le sembravano parole banali, insufficienti e soprattutto ipocrite da parte di una che si era comportata esattamente come Barbossa con Sputafuoco quando aveva condannato Jack a morire risucchiato dagli abissi. Si voltò a guardare il mare grigio appena increspato dal vento restando con i gomiti appoggiati alla ringhiera del parapetto, la schiena ricurva, la testa china su quell'acqua nera che si alternava alla schiuma bianca prodotta dal contatto con lo scafo. Aveva qualcosa di ipnotico, la stava attirando senza che ne fosse cosciente e il suo sguardo si spingeva sempre più giù...
- Stai bene? - quando le forti braccia di Will la risollevarono le sembrò di svegliarsi da un incubo. Gli rispose sì ma il ragazzo capì che mentiva, poi entrambi furono distratti dalla voce di Barbossa che stava discutendo con il comandante, cosa che mai gli avevano visto fare prima. Colsero solo poche battute:
- Siete un pirata a tutti gli effetti, dunque? - si informò il filibustiere.
- Certo!Io nato Algeri, in mia famiglia tutti grandi corsari – rispose Nassim portando la mano sinistra al petto.
- Allora dovete sapere che la canzone è stata cantata – gli confidò Barbossa.
Una violentissima tempesta tropicale nei giorni successivi impegnò l'equipaggio della Ibis sul ponte, così essi non poterono perdere tempo ad indagare sugli ospiti, sui quali avevano maturato non pochi sospetti.
Durante la forzata permanenza sotto coperta Will aveva preferito sostare nell'alloggio in cui stavano gli altri uomini e Jack, la scimmia, si era prestata a fare la guardia nel caso Elizabeth avesse avuto bisogno di aiuto.
Nell'ultimo giorno di navigazione i pirati erano rimasti tutto il giorno nelle brande per recuperare il sonno perduto negli ultimi giorni a causa del maltempo; tutti tranne Barbossa che era rimasto vigile, in attesa del sospirato arrivo alla meta.
Quando furono gettate le ancore si precipitò a richiamare la sua ciurma con la consueta delicatezza: - Uscite fuori, babbei!Non avete sentito che siamo arrivati? - sbraitò irrompendo nella stanza. Uno dopo l'altro Gibbs, Cotton, Marty, Pintel e Ragetti si sollevarono da quelle amache e lasciarono l'alloggio. Nel corridoi c'era già Tia Dalma che, viso coperto, non nascondeva una certa fretta, e poco dopo arrivò anche il luogotenente della Ibis: - Svelti voi!Capitano ancora dorme, ma presto lui sul ponte! - li ammonì ed essi si affrettarono su per le scalette sospinti da Barbossa.
- Ah, signore – lo bloccò Gibbs parandoglisi davanti prima che mettesse piede sul primo scalino – li avete già chiamati? - gli domandò ammiccando alla cabina di Elizabeth e Will.
- Ah, è vero – sbuffò quello – Andateci voi – gli disse con un tono di voce che equivaleva ad un ordine indiscutibile, restando ad aspettarlo sotto il boccaporto. Gibbs con titubanza si diresse verso l'alloggio ma, una volta davanti alla porta, si fermò con la mano appoggiata alla maniglia. Barbossa, avendo notato la sua esitazione, in pochi secondi lo raggiunse: - Mastro Gibbs, forse non vi è chiaro: dobbiamo lasciare il più presto possibile questa bagnarola! - lo rimproverò e, senza il minimo scrupolo, spalancò la porta annunciando: - Signori: si scende!
Gibbs gli venne dietro con gli occhi chiusi ripetendo: - Scusate!Scusate il disturbo!Scusate l'intrusione!
I due giovani, seppure frastornati, si prepararono subito ad uscire dalla cabina facendo attenzione a non dimenticare nulla e seguirono i due pirati.
- Che avete agli occhi? - chiese Will a Gibbs non cogliendo che l'uomo tenesse le mani sul viso per ritegno, ritenendo di essere indelicato.
- È solo che credevo...Niente! - si affrettò a ribattere quello dopo aver ricevuto uno schiaffo da Barbossa, il quale lo canzonò: - Non sono sposati! - prima di uscire velocemente per unirsi agli altri. Non era ancora sorto il sole ma la città brulicava comunque di gente, lo notarono già mentre percorrevano la scaletta che li condusse a terra.
Singapore, esotica, fumosa, oscura, umida, fatta di mille canali, viuzze, sottopassaggi, era proprio come la descrivevano se non peggio: una città senza regole che ospitava uomini violenti e traffici di ogni sorta.
- Direi che questo ostello andrà bene – si pronunciò Barbossa quando furono arrivati ad una palazzina di due piani con le pareti dipinte di giallo e il tetto con le tegole verdi, ad una buona mezz'ora di cammino dal molo.
- Come?Non andiamo direttamente da Sao Feng? - domandò Elizabeth.
- Ci serve un piano prima di andare da lui, miss – le comunicò il capitano.
- Ma, non era vostro amico? - investigò Will insospettito da quella frase ma il filibustiere sorvolò: - Mastro Gibbs, mastro Turner, se sareste così gentili da accompagnarmi – li invitò lanciando una pesante sacca a Pintel e Ragetti. Elizabeth si fece avanti: - Ho pronunciato il vostro nome forse? - la voce di Barbossa fu aguzza come la punta di una sciabola – Restate con gli altri – le ordinò mettendo nelle mani di Tia Dalma alcune monete con cui avrebbe dovuto pagare le camere. I tre uomini si incamminarono silenziosamente per le strade che andavano popolandosi sempre di più.
- Sao Feng è il pirata nobile di Singapore – cominciò a parlare Barbossa sottovoce – Qui ogni cosa gli appartiene e scommetto che saprà già che siamo arrivati.
Fatto ancora qualche passo Gibbs si azzardò a chiedere: - Ma che stiamo cercando?
- Una mappa della città – replicò il capitano accelerando il passo.
- Ma questo Sao Feng non era vostro amico? - tornò a chiedergli Will. La reazione del pirata fu brusca: - Non pronunciate quel nome! - lo mise in guardia con la pistola alla mano – Ve l'ho detto che ha spie ovunque. Camminate e non fiatate!
Dopo qualche minuto Barbossa fermò un passante facendogli una domanda che né Will né Gibbs capirono: 
- Parla il cinese?! - esclamò con stupore il ragazzo.
- A quanto pare... - ribatté il pirata ugualmente sbalordito. Il capitano chiese informazioni ad altri tre viandanti prima di condurre i due compagni dentro una strada strettissima in cui non passava più di una persona per volta. Arrestatosi davanti ad una casupola malandata batté le nocche sulla porta scardinata colpendola una prima volta, poi con due colpi veloci, infine con un quarto e ultimo colpo. La porta finalmente si aprì ma non videro subito l'inquilino che vi si nascose dietro per poi uscire allo scoperto una volta riconosciuta la voce di Barbossa. Era un uomo sulla sessantina, alto e magro, con baffi e barba talmente lunghi da formare un'unica massa di peli grigi che gli poggiavano sul petto, la testa allungata era calva e ricoperta di macchie, gli occhi simili a due fessure orizzontali. Egli si ritirò dietro quello che sembrava un bancone di osteria, quale doveva essere quel posto un tempo. Barbossa scambiò delle parole con l'uomo, dapprima con tono amichevole dando l'impressione di conoscerlo da tempo, poi si fece più serio e anche il vecchio assunse un'espressione grave; tirò fuori da un armadietto alle sue spalle una bottiglia e quattro bicchieri di vetro verde poggiandoli sul bancone e sparì nel retro del locale. Il capitano si servì da bere sorseggiando lentamente il liquido biancastro.
- Ho proprio bisogno di sciacquarmi la gola! - dichiarò contento Gibbs riempendosi il bicchiere fin quasi all'orlo e buttando giù il contenuto in un solo sorso, sotto lo sguardo divertito del filibustiere e quello schifato di Will. Appena finito di inghiottire cominciò a tossire talmente forte da diventare paonazzo e il giovane Turner, preoccupato, gli diede delle forti pacche sulle spalle per aiutarlo.
- Era la prima volta che assaggiavate saké? - lo derise Barbossa.
- Sì! - rispose a fatica quello con la voce rauca.
L'uomo dagli occhi a mandorla ricomparve con penna, calamaio e un foglio di carta ingiallito; appoggiatolo sul banco iniziò a tracciarvi delle linee che formarono un reticolo confuso che Barbossa osservò con attenzione per poi commentare: - Bè, non è cambiata molto dall'ultima volta che sono venuto.
Pronunciò ancora qualche parola in cinese e l'uomo disegnò una croce e un cerchio su due punti non troppo lontani del foglio che il filibustiere cercò di sottrargli ma quello lo fermò bacchettandolo con la penna. Dopo aver inutilmente protestato il pirata gli offrì delle monete ma l'orientale oltrepassò il bancone e, avvicinatosi a Will, afferrò un lembo della sua casacca di pelle cominciando a strattonarlo; il ragazzo sgranò gli occhi restando immobile: - Vuole la vostra giacca – gli spiegò Barbossa non potendo fare a meno di ridere per l'espressione spaventata del giovane che fu costretto, in seguito, a cedere al <<cartografo>> anche la sua cintura e il gilet ricamato. Ottenuta la mappa il maturo pirata salutò il conoscente e portò in giro ancora qualche ora gli altri due compagni in cerca di armi e vestiti. Ad un tratto si bloccò: - Quello è il tempio della famiglia Feng, il luogo più importante della città – commentò dinanzi ad un edificio fastosamente decorato con dragoni e altri animali fantastici dipinti con vari colori.
Dopo circa un'ora furono di nuovo all'ostello in cui avevano lasciato gli altri. Elizabeth era rimasta quasi tutto il tempo affacciata ad una finestra e non appena riconobbe i tre che facevano ritorno corse ad avvertire gli altri; Barbossa richiamò tutti in una delle stanze.
Notando il volto sbigottito con cui la figlia del governatore guardava il fidanzato, rimasto in pantaloni e camicia, le si rivolse asserendo: - Capite perché non vi ho fatto venire? - battuta che non chiarì affatto lo sbalordimento della fanciulla, ma subito il pirata riprese la parola: - Ci servono tre cose per raggiungere lo scrigno: una nave, una ciurma e le carte nautiche. Ora, le prime due le chiederemo in prestito a Sao Feng, mentre le carte starà a voi recuperarle dal tempio – specificò rivolgendosi a Will. 
Lui lo guardò di traverso: - Perché dovrei rubarle?
- Perché non ce le darà mai! - sostenne il pirata.
- Perché? - continuò a chiedere il ragazzo con spavalderia e Barbossa trattenne il grilletto solo convincendosi che quel moccioso, permaloso, ma abile e intelligente, fosse la persona giusta per quel compito. Pertanto, capendo che non avrebbe accettato senza una spiegazione convincente, si risolse a confessare: - Sao Feng non andava molto d'accordo con Sparrow per via di una sua...invasione di territorio, diciamo così. Perciò dobbiamo fare tutto entro stanotte, prima che lo venga a sapere.
Dopo quella rivelazione i pirati restarono tutto il resto del giorno chiusi in quella stanza a studiare la mappa della città, stabilendo compiti e posizioni di ciascuno. Quando ebbe finito di illustrare ogni dettaglio del piano Barbossa sembrò più sollevato ma non del tutto sereno. Elizabeth, in particolare, notò un'insolita apprensione nel suo modo di parlare tutte le volte in cui si riferiva a Sao Feng. Ciò accese la sua curiosità su di lui; cosa aveva di tanto spaventoso se perfino un pirata di lunga esperienza come lui sembrava temerlo?
- Questi vestiti sono per voi. Metteteli – ordinò il capitano lanciando in direzione di Will ed Elizabeth dei panni indistintamente intrecciati tra loro che essi cercarono di districare.
- Avete qualche altra domanda da fare? - chiese infine agli altri.
- Sì – si fece avanti Ragetti – Perché noi dobbiamo avere sempre gli stessi vestiti? - domandò risentito, fingendo fosse quella la sua reale preoccupazione.
- Perché voi siete perfetti così! - rispose il pirata ironico. - Ci muoveremo tra due ore.
Will trascorse il breve tempo che lo separava dall'inizio di quella nuova impresa allenandosi da solo con la sciabola nella stessa camera in cui tentavano invano di riposare Pintel, Ragetti, Cotton e Marty finché non entrò Tia Dalma a chiamarlo: - Barbossa vuole parlarti prima che tu vada – il giovane, riposta la spada, la seguì. La donna entrò nella stanza di fronte lasciando la porta socchiusa e lui lentamente la spinse non aspettandosi di trovarsi di fronte Elizabeth che stava indossando una lunga camicia verde scuro davanti ad uno specchio.
- Cercavo Barbossa – le rivelò imbarazzato.
- È nella stanza accanto – lo informò lei senza voltarsi, accingendosi ad acconciare i lunghi capelli in una treccia.
- Ho sentito che andrai con lui all'incontro con Sao Feng – continuò a parlarle.
- Sì, prenderò una via d'acqua. Un canale – specificò lei scrutandolo ancora attraverso lo specchio.
- Fai attenzione – le raccomandò il fidanzato con tono amorevole ma restando distante. Lei si girò guardandolo dritto negli occhi: - Anche tu – si limitò a dirgli per poi voltarsi nuovamente. Lui uscì.
- Dovreste dirglielo che lo amate – la voce di Tia Dalma risuonò a metà tra un rimprovero e un consiglio.
- Non ho mai fatto nulla che dimostrasse il contrario – ribatté la fanciulla un po' infastidita dall'intromissione della veggente, pronunciando quelle parole con tono cupo e labbra tremanti mentre sistemava un paio di pistole nelle tasche interne della giacca insieme ad altre armi da fuoco.
- Non sembra che lui la pensi così – asserì ancora la sacerdotessa porgendole un cappello di paglia piatto e di forma circolare. La ragazza legò i due lacci del copricapo attorno al collo riflettendo su quelle parole. In quel momento udì la voce di Will che non era ancora uscito perché intrattenuto dalle domande di Barbossa che, soddisfatto delle sue risposte, trovò qualcos'altro cui appuntarsi: - Diamine!Non avete molto del pirata, a parte l'abbronzatura! – constatò con sdegno; la ragazza si fermò ad osservare sull'uscio – Tirate fuori la camicia, date una svolta all'orlo dei pantaloni e lasciate che vi metta questo – gli propose mostrandogli un piccolo cerchietto metallico dorato. Il ragazzo acconsentì e Barbossa con una mossa decisa gli perforò il lobo dell'orecchio sinistro richiudendo l'orecchino: - L'espressione torva ce l'avete già, il bruciore all'orecchio vi aiuterà a mantenerla – gli disse - Ci vediamo al molo ovest.
- Cercherò di esserci – affermò il giovane scendendo di corsa le scale che conducevano di sotto. Mentre si avvicinava al tempio Feng comprese che l'aver accettato quel monile non era servito solo a rendere il suo aspetto più losco, come si addiceva a quanti circolavano per quella città, già avvolta nel buio. Tutti avevano assistito a quel gesto e immaginò che avesse un significato nascosto: Barbossa e gli altri lo avevano infine riconosciuto come uno di loro, a lui spettava il compito più difficile e non avrebbe voluto deluderli. Ma, a poco e poco, il bruciore pulsante dell'orecchio si fece più tenue e il suo proposito svanì progressivamente con esso quando scorse inaspettatamente i soldati della Compagnia che lo seguivano da lontano e credeva volessero proteggerlo. D'altra parte schierarsi con loro non era pur sempre un comportamento da pirata?...
- Se avete finito dovremmo andare – disse Barbossa rivolto alle donne. Poi affacciandosi nella stanza in cui stava il resto della ciurma: - Voi altri uscite fra una ventina di minuti. Non dobbiamo farci vedere insieme – ricordò loro - E ... niente errori – li minacciò allontanandosi.
Dopo circa mezz'ora di cammino il capitano si separò da Elizabeth indicandole il canale che avrebbe dovuto percorrere con una leggera canoa per raggiungere il covo di Sao Feng. Quindi proseguì via terra con Tia Dalma.
A bordo di quell'esile imbarcazione, solcando le acque torbide con quel lungo remo facendo attenzione a mantenere l'equilibrio, Elizabeth si sentì forte e fragile, ma soprattutto sola, con tutte le sue paure, le sue fantasie, i suoi pentimenti, i suoi sogni. Come in un battito di ciglia ripercorse con la mente le mille avventure che l'avevano coinvolta, le persone che aveva incontrato, che aveva amato o odiato, i luoghi che aveva visto, le cose che aveva imparato, quelle che aveva fatto e quelle che non avrebbe mai voluto fare, e le parole le uscirono quasi inconsciamente dalle labbra:
C'è chi è morto, chi non morì,
altri vanno per mare,
c'è chi già sa, la morte è qua,
e non gli importa niente.
Le belle speranze mi vuotano il cuor,
io so sempre chi sono,
una campana per chi risuona,
per chi ritrae il perdono.
Yo oh, la gloria corre nell'aldilà...

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