Un lungo viaggio di Fanny Jumping Sparrow (/viewuser.php?uid=60955)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un ritorno inaspettato ***
Capitolo 2: *** Tormenti e dubbi ***
Capitolo 3: *** Gettati e ripescati ***
Capitolo 4: *** Un passaggio per l'Oriente ***
Capitolo 5: *** Identità svelata ***
Capitolo 6: *** L'uragano ***
Capitolo 7: *** L'arrembaggio ***
Capitolo 8: *** Accordi e disaccordi ***
Capitolo 9: *** La meta è vicina ***
Capitolo 1 *** Un ritorno inaspettato ***
CAPITOLO 1: UN RITORNO
INASPETTATO
La Perla
Nera, la nave conosciuta con terrore da svariati anni in tutti i
Caraibi, si era lentamente inabissata.
A nulla erano valsi i
tentativi della sua ciurma, forse l’unica ad aver avuto il
coraggio e la lucidità di sfidare il kraken delle maree.
Quel mostro dagli enormi tentacoli aveva inesorabilmente portato a
termine il compito per cui era stato richiamato dal crudele padrone
degli oceani cui obbediva, trascinando lo splendido veliero nelle
profondità marine.
E con esso scompariva
un pezzo di storia della pirateria.
Nessuno aveva osato
proferire parola dopo l’accaduto, ma soprattutto dopo che
Elizabeth aveva raccontato ai compagni di come fosse stata
volontà del capitano, Jack Sparrow, morire con la sua nave.
Nessuno aveva
ribattuto a quelle parole poiché tutti si erano pentiti di
aver giudicato quel pirata un uomo vile, egoista e sempre pronto a
fuggire davanti al pericolo. Egli invece era stato eroico e altruista,
offrendo la sua vita per risparmiare quella degli ultimi compagni di
avventure sopravvissuti alla furia assassina di quella creatura
mostruosa.
Mentre la scialuppa,
mossa quasi inconsciamente dalle bracciate di Pintel e Ragetti,
attraversava l’ampia distesa di acqua salata, un silenzio
pesante continuava a serpeggiare tra gli uomini a bordo che evitavano
di guardarsi negli occhi per non mostrare gli uni agli altri che
avevano versato qualche lacrima. Infine raggiunsero la foce di un
fiume, quando già era calata la notte, un fiume dalle rive
nascoste e in parte ostruite dalla lussureggiante vegetazione tropicale.
Non avevano deciso
espressamente di scegliere quel luogo come riparo e consolazione dalla
tristezza e dal senso di colpa che stringeva i loro cuori, ma in
qualche modo lo trovarono, come sospinti da una qualche forza che aveva
già deciso la rotta.
Anche lì
regnava una calma quasi irreale, nessuna increspatura nelle acque,
nessun suono dalla terra circostante. Quelle che da lontano apparivano
come decine di lucciole si rivelarono poi donne che reggevano delle
candele, con visi funerei, visione quasi spettrale che
atterrì ancora di più i viaggiatori della
scialuppa: sembrava che anche lì fosse giunta notizia di
quanto era accaduto.
La porta della
palafitta si aprì ancora prima che bussassero e la sua
proprietaria li accolse all’interno, senza proferire parola,
ma scrutando ognuno degli ospiti dritto negli occhi.
Will, Elizabeth,
Gibbs, Pintel, Ragetti, Cotton presero posto in angoli diversi della
stanza, tenendo sempre lo sguardo chino a terra. Poi Tia Dalma
portò loro da bere una bevanda dal gusto gradevole e
indistinto e di temperatura piacevolmente calda.
Allora Gibbs si
limitò a pronunciare le poche parole: - Il capitano non ce
l’ha fatta.
L’enigmatica
donna gli poggiò una mano sulla spalla e poi si
spostò lentamente, bisbigliando all’indirizzo di
Elizabeth che non riusciva più a trattenere lacrime
silenziose: - È per il freddo … e per il dolore
– offrendole un bicchiere di quello stesso infuso.
La chiromante si
avvicinò con passi silenziosi a Will Turner. Il ragazzo
continuava a conficcare e poi staccare il pugnale dal manico bianco e
nero donatogli dal padre su di un tavolo, scandendo tale gesto con
ritmo costante, quasi fosse un orologio. Le parole di Tia Dalma lo
distolsero da quel movimento ipnotico: - È un peccato: lo so
che pensavi che con la Perla potevi catturare il diavolo e liberare
l’anima del padre tuo.
Senza guardarla
né chiederle come facesse a conoscere le sue intenzioni,
rispose con un velo di rabbia e di malinconia nella voce: - Non
importa, ormai. La Perla è morta, e con lei il suo capitano.
Subito si fece avanti
Gibbs: - Sì, e il mondo già sembra aver perso un
po’ della sua luce. Ci ha imbrogliati tutti, fino
all’ultimo – pronunciò con rancore
– ma alla fine ha avuto il sopravvento la sua vena
d’onestà.
Non poteva giurare di
conoscerlo a fondo, ma aveva sempre creduto in quel lato del suo
carattere che Jack Sparrow, da pirata, aveva cercato sempre di
nascondere. E lo ammirava per questo, perché non era
malvagio nell’animo come tanti altri uomini che aveva
conosciuto, soltanto forse un po’ troppo orgoglioso e sicuro
di sé e sprezzante delle capacità degli altri.
Con commozione il marinaio alzò dunque il bicchiere dicendo:
- A Jack Sparrow!
- Non ci
sarà un altro capitan Jack! – gli fece eco Ragetti
con pari emozione nella voce.
- Era un pirata
gentiluomo, questo era! – aggiunse Pintel.
- Era un
brav’uomo – affermò seccamente
Elizabeth, senza riuscire a concludere quel brindisi bevendo, come
avevano fatto tutti gli altri.
Will la aveva
osservata tutto il tempo stando attento che lei non lo notasse, cosa
assai semplice dal momento che la ragazza sembrava essere ricaduta in
un torpore insolito: non sembrava più la fanciulla solare,
forte e piena di vita di cui si era subito innamorato. I suoi occhi
brillavano ma per le lacrime, le sue labbra che adorava veder sorridere
erano rimaste serrate, le sue mani si tormentavano, la sua pelle era
ancora scurita dalla polvere da sparo e teneva tutto il corpo raccolto,
quasi come non volesse essere guardata.
Lui si sentiva
impotente ma quelle ultime parole, pronunciate come un singhiozzo, lo
avevano fatto risvegliare dallo stato di collera e di sconforto che lo
aveva invaso dopo la vista di quel bacio che ora, aveva capito, era
stato un bacio d’addio. Lei era sempre stata attratta dalla
vita del mare e dai pirati, più volte glielo aveva
confessato. E Will sapeva che, pur amandola più della sua
vita, non avrebbe sopportato di vederla infelice, proprio per causa
sua. Ormai era lei tutto quello che gli restava e per lei avrebbe
tentato e patito qualsiasi cosa. Capiva però che forse non
c’era più nulla da fare.
Fu così,
solo per tentare di consolarla che, con il tono di voce, dolce e pacato
che era solito assumere quando le parlava, bisbigliò
alzandosi in piedi: - Se qualcosa si potesse fare pur di riaverlo
… Elizabeth …
- Tu la faresti?
– irruppe Tia Dalma spiazzandolo con quella domanda che
suonava inopportuna, per poi puntare il suo sguardo indecifrabile e
indagatore su Elizabeth: - E tu che faresti? – la
esortò aspettando una risposta, una reazione.
Poiché
nessuno dei due giovani aveva accolto la sua provocazione,
alzò il tono, interpellando gli altri pirati che erano
lì: – Che cosa sarebbe disposto a fare ognuno di
voi? Fareste vela ai confini del mondo e ben oltre, pur di riavere il
brillante Jack e la sua preziosa Perla? – aggiunse sorridendo
compiacente, cosa che gettò ancora di più nel
dubbio i presenti.
Fu mastro Gibbs il
primo a dare la sua risposta: - Sì! –
asserì deciso, mettendosi in luce. Lo seguirono uno dopo
l’altro Ragetti, Pintel e Cotton, che diede il suo assenso
tramite il fido pappagallo.
Tia Dalma
tornò allora ai due fidanzati dai quali non aveva ancora
ricevuto alcuna asserzione.
- Sì
– parlò Elizabeth con un filo di voce,
accompagnandolo con un cenno del capo. Will, che aveva aspettato fosse
lei a pronunciarsi per prima, a quel punto espresse anche lui, se pure
con rammarico e poca convinzione, il suo sì.
- D’accordo!
– concluse quindi la sacerdotessa sempre con il sorriso
– Ma se dovrete sfidare le infestate e arcane coste dei
confini della terra, allora vi occorrerà un capitano, uno
che conosca bene quelle acque – e così dicendo
volse lo sguardo verso delle scale che conducevano ad un piano
superiore, non notate prima dai pirati, che ora, uno dopo
l’altro copiarono l’enigmatica donna.
Tutti si radunarono
proprio alla base degli scalini e udirono dei passi di qualcuno che
stava scendendo: dapprima videro soltanto degli stivali consunti ma,
poco a poco, l’ignota figura si mostrò del tutto.
Un’espressione
di stupore misto a paura si stampò sui loro volti: era un
antico nemico che tutti credevano passato a miglior vita, il Capitano
Barbossa. Accompagnato dalla sua affezionata scimmietta abbarbicata
sulla spalla sinistra, il redivivo pirata, come fosse inconsapevole
delle sconvolte emozioni che aveva suscitato nei presenti, li
incitò: - Orsù, ditemi: che ne è stato
della mia nave? – e ridendo fieramente diede un morso ad una
succosa mela verde, segno tangibile della ritrovata
corporeità.
- C …
capitan Barbossa?! – esclamò timoroso Pintel.
- Siete proprio voi?
Come avete fatto a fuggire? Noi siamo stati tutti catturati –
aggiunse piagnucolando Ragetti.
- Siamo finiti in
prigione – ribatté corrucciato Pintel.
- Ma poi siamo anche
evasi – precisò compiaciuto il compare,
indietreggiando mentre il Capitano si faceva strada in mezzo a loro,
scrutandoli con una certa insistenza uno per uno.
- Non è
fuggito … era morto! – li informò
attonita Elizabeth, guardandolo dritto nelle pupille acuminate, non
riuscendo a muoversi.
- Jack gli aveva
sparato – precisò allibito Will, mantenendo gli
occhi spalancati per l’incredulità.
- Aveva detto la
verità – ribadì Gibbs con ammirazione,
riferendosi all’amico scomparso.
- Già! E
devo dire che è stato molto preciso: un solo colpo, dritto
al cuore – tornò a parlare con il consueto sprezzo
il redivivo Barbossa.
- Ma allora come fate
a essere qui? – domandò con insistenza Pintel.
- Quando si hanno le
giuste amicizie … - si limitò a rispondere
sibillino quello, volgendo un sorriso riconoscente a Tia Dalma che lo
ricambiò, stendendo le labbra scure.
- Voi signora
… lo avete resuscitato? – azzardò ad
interrogarla Ragetti.
- Si chiama voodoo
– lo corresse seccata quella, allargando le braccia a
indicare tutte le bizzarre ampolle e cianfrusaglie che infestavano la
sua baracca.
- Basta parlare di me!
– urlò di colpo il Capitano, rosso
d’irritazione – Vi avevo posto una domanda e
nessuno ha ancora avuto il fegato di rispondermi! – si
lamentò battendo il pugno su un tavolo.
I presenti si
guardarono l’un l’altro, aspettando che qualcuno
raccogliesse mostrasse l’intenzione di esaudire quella
richiesta perentoria. Fu Will a prendere la parola: - La Perla Nera
è stata trascinata negli abissi dal kraken –
riferì con amarezza, inviando un rapido sguardo verso
Elizabeth, che stava in piedi con i pugni serrati e le labbra tremanti
– e con essa il suo capitano. Jack aveva la macchia nera
– concluse con scabrezza.
Barbossa non si
dimostrò molto sorpreso dalla rivelazione: - Ah, capisco, un
debito non saldato, vista la fine che ha fatto –
constatò sarcasticamente. –
C’è un solo modo per poterlo recuperare: occorre
raggiungere un mondo al di là di questo, lo scrigno.
- Lo scrigno?!
– chiesero in coro Pintel, Ragetti e Gibbs, accendendosi di
curiosità.
- È il
luogo in cui vengono confinate le anime di coloro che non hanno saldato
i loro debiti di sangue con Davy Jones – spiegò
torvamente Tia Dalma.
- Ma come ci
arriveremo? – domandò con curiosità
Gibbs, al quale intrigavano le storie impregnate di risvolti
sovrannaturali.
- Seguendo le
indicazioni delle carte nautiche – rispose semplicemente
Barbossa, instillando nuova speranza in quel mal assortita combriccola
di marinai.
Non tutti
però si sentirono confortati. Will, in particolare, aveva il
sentore che si trattasse di un nuovo viaggio pericoloso che non
escludeva la possibilità di un fallimento e non si sentiva
del tutto pronto a rischiare la vita per un uomo che in fondo lo aveva
soltanto ingannato ed era perfino riuscito a derubarlo
dell’unico tesoro che aveva: l’amore di Elizabeth.
Capitan Barbossa aveva
notato che in quel ragazzo qualcosa fosse cambiato da quando lo aveva
conosciuto, ma non poteva mettersi a discutere, lo credeva
l’unico capace di aiutarlo validamente fra quelli rimasti. Fu
perciò che gli si rivolse diretto: - Dal vostro sguardo
intuisco una certa perplessità, mastro Turner! Sono ancora
molte le cose che non conoscete di questo mondo, ma sono sicuro che
avrete modo di apprenderne qualcuna nel lungo viaggio che ci aspetta da
qui a Singapore.
- Singapore?
– esclamò stupita Elizabeth.
- Sì, miss,
è lì che dovremo andare. Suddette carte sono
infatti custodite in un tempio antico e appartengono a Capitan Sao
Feng, un mio vecchio amico – la informò
sogghignando.
- Sembra tutto troppo
facile! – bisbigliò Pintel a Ragetti,
guadagnandosi un’occhiataccia del veterano capitano.
- Capitan Barbossa
c’è un’altra cosa che dovete sapere
– lo interruppe Turner, richiamando la sua attenzione prima
che rimproverasse i due – Jack Sparrow ha tentato di
annullare il suo debito mettendosi alla ricerca del forziere di Davy
Jones e minacciando di ucciderlo.
- Bé
è tipico di Jack fuggire le responsabilità. Ma
immagino che questa volta non ci sia riuscito –
attestò quello con la consueta dissacrante ironia.
- Effettivamente noi
lo avevamo trovato – iniziò Elizabeth, messa da
parte l’aria di rassegnazione – ma poi è
stata un’altra persona ad impossessarsene: James Norrington.
- Non ho
l’onore di conoscerlo – ribatté Barbossa
incuriosito e sospettoso.
- Lavora per la
Compagnia delle Indie Orientali – gli fece sapere Will con
stizza.
- La Compagnia era
sulle tracce del forziere ancora prima di noi: mira al controllo del
mare e con l’Olandese Volante al suo servizio è
molto probabile che l’otterrà –
riconobbe con rabbia Gibbs.
Barbossa ebbe uno
scatto di collera: - Pezzo di idioti! E che cosa aspettavate a dirmelo?!
- Questo cambia
qualcosa? – chiese timidamente Ragetti.
- Non del tutto in
verità – affermò il redivivo pirata,
mettendosi a camminare nervosamente avanti e indietro – Vuol
dire solo che la nostra missione sarà duplice.
- Perché?
– esclamò Pintel, facendosi portavoce dei dubbi
degli altri.
Tutti pendevano dalle
labbra di Barbossa che esitava a esprimersi, aumentando la loro
apprensione.
- Considerando la
situazione che si è instaurata, bisognerà
convocare un nuovo Consiglio della Fratellanza e per farlo
occorrerà la presenza di tutti e nove i pirati nobili
– decretò stentoreo, lanciando
un’occhiata furtiva alla fattucchiera.
Soltanto Gibbs ed
Elizabeth afferrarono il senso delle sue parole, al che Will
domandò alla fidanzata, che gli pareva particolarmente
informata su questo genere di argomenti: - Che
cos’è il Consiglio della Fratellanza?
- È
un’assemblea generale cui prendono parte tutti i pirati del
mondo attraverso i loro rappresentanti, i pirati nobili, e viene
riunita quando bisogna discutere dei problemi riguardanti la sorte
della pirateria stessa – illustrò la ragazza con
straordinaria sicurezza.
- Vedo che siete ben
informata, Miss, i miei complimenti – esclamò il
Capitano, realmente sorpreso dalle sue conoscenze – Ma dato
che stabiliremo un rapporto di collaborazione, mi farebbe piacere
conoscere il vostro nome, quello vero naturalmente – le si
rivolse poi con tono affabile.
La ragazza
accennò un sorriso e poi gli rivelò nome, cognome
e provenienza, sotto lo sguardo contrariato di Will che non riusciva a
decifrare la strana intesa creatasi tra i due, un tempo nemici giurati.
Ma un attimo dopo si dette dello stupido: ormai erano tutti dei
fuorilegge e gli uomini come Barbossa erano gli unici cui potevano
rivolgersi. Perciò accantonò le sue vacue
riflessioni e si apprestò ad ascoltare quali sarebbero state
le prossime mosse stabilite dal Capitano, sebbene non
trascurò la possibilità di poter tentare di agire
per conto suo.
- A questo punto devo
rivelarvelo – cominciò con serietà
Barbossa – Jack Sparrow era uno dei pirati nobili. Questo
significa che la sua presenza è indispensabile per riunire
il consiglio, a meno che lui non abbia lasciato a qualcuno il suo pezzo
da otto …
Tutti si guardarono
con aria interrogativa, poi si rivolsero ad Elizabeth che era stata
l’ultima ad aver visto il Capitano, ma questa rispose un
secco no che non nascondeva un certo imbarazzo.
Hector
sbuffò: non aveva certo voglia di salvare l’antico
odiato rivale, ma la situazione lo costringeva ad un forzato atto di
eroismo. In ciò i suoi pensieri coincidevano perfettamente
con quelli di Will. Entrambi, inoltre, avevano uno scopo nascosto nel
volersi cimentare in quel recupero: il giovane Turner sperava di
ottenere il controllo della Perla Nera e quindi di poter sfidare
nuovamente Davy Jones e ucciderlo per salvare suo padre
dall’eterna dannazione; Capitan Barbossa sapeva che solo
liberando la dea del mare dalla sua prigione corporea avrebbe avuto la
speranza di restare tra i vivi.
Per tutti e due,
quindi, Jack costitutiva un prezioso strumento ma anche un ostacolo:
Will non aveva idea di come avrebbe reagito una volta avutolo di nuovo
davanti, dopo quello che era successo tra lui ed Elizabeth; Barbossa
non avrebbe avuto scrupoli ad ucciderlo, ma prima doveva sapere quale
fosse il suo pezzo da otto, cosa che si prospettava non facile data
l’estrema abilità del pirata
nell’ingannare impunemente i suoi avversari.
Mentre era calato di
nuovo un silenzio di attesa ritmato solo dal ticchettio delle unghie
del Capitano sul legno consunto della tavola, Elizabeth studiava il suo
fidanzato con angoscia: aveva una strana espressione sul viso, dura e
nervosa, e i suoi occhi scuri erano fissi alla lama del pugnale di suo
padre che continuava a roteare tra le mani, assorto in
chissà quali pensieri che lei non voleva o non sapeva
decifrare, nonostante credeva di conoscerlo molto bene.
Tia Dalma, che si era
allontanata da qualche minuto, rifugiandosi nel retro dell'abitazione,
ricomparve, non sentita, a rompere quella tensione: - Mentre il caro
capitano progetta quel che dovrà essere, immagino che
qualcuno di voi senta il bisogno di ristorarsi –
parlò volgendo lo sguardo ad Elizabeth, che però
non la notò poiché si era fermata davanti ad una
finestra affacciata sul fiume.
- Vi ringrazio,
signora! In effetti abbiamo una fame! - proruppe con una grassa risata
Pintel.
- Credo che si stesse
rivolgendo a Miss Swann – lo ammonì sottovoce
Gibbs.
Fu direttamente la
padrona di casa ad avvicinarsi alla ragazza e, poggiandole una mano
sulla spalla: - Venite con me, credo che sentiate il bisogno di
cambiarvi e riposare un po' – la convinse a seguirla con tono
gentile.
Elizabeth
tentennò perché voleva ascoltare quello che
avrebbe detto Barbossa, ma poi decise di accettare, riconoscendo che
aveva davvero bisogno di un po' di ristoro perché sentiva la
testa scoppiarle e tutte le membra indolenzite. La sacerdotessa la
guidò nel retro del capanno, dove, con sua sorpresa, la
giovane notò una vasca da bagno già colma d'acqua
calda e sali profumati la cui essenza risaliva insieme al vapore. Nella
stessa stanza c'erano anche un letto e un armadio con le ante aperte,
in cui erano appesi diversi vestiti dalle fogge e dai colori piuttosto
insoliti.
- Potete rimanere qui,
se volete, e usare tutto ciò che trovate. Nessuno
entrerà e così avrete modo di riflettere da sola
sul vostro destino – mormorò poco dopo Tia Dalma e
così dicendo si congedò, chiudendo la porta.
Elizabeth era rimasta
un po' turbata sia dall'ambiente sia dalle parole enigmatiche della
donna. Si sedette sul letto dalla struttura in legno rossiccio
modellata con motivi marini; cominciò a togliersi i vestiti
ancora un po' umidi ed entrò nella vasca cercando di mettere
da parte le preoccupazioni della giornata ...
-
Dobbiamo trovare un passaggio per Singapore. Proveremo a raggiungere
Tortuga e da lì ci faremo indicare quali navi fanno rotta in
Oriente – stabilì con consumata oculatezza
Barbossa.
- Navi della Compagnia
delle Indie Orientali – suggerì di rimando Gibbs.
- Non possiamo
muoverci troppo liberamente, visto che siamo tutti condannati al
capestro! - esternò Will, che non si fidava troppo
dell’incredibile incoscienza di quei pirati.
- Proprio per questo,
mastro Turner, ci muoveremo su navi della Compagnia. Se l'Olandese
Volante è nelle loro mani, le prime navi a correre rischi
nel navigare verso Oriente sono proprio quelle dei pirati –
spiegò velocemente Barbossa, sicuro di non poter essere
contraddetto.
- Ma il mare
è grande, capitano! - buttò lì Pintel,
mettendo invece in dubbio il suo proposito.
Ragetti non
mancò di appoggiarlo: - Ha ragione, ed è
più facile che ci scoprano a bordo di una nave della
Compagnia che a bordo di navi pirata!
- Per una volta sono
d'accordo con loro due – ammise a malincuore Will e anche
Gibbs, pur temendo di inimicarsi un uomo della sua risma,
annuì.
Al che Barbossa
restò indispettito: aveva forse perduto il suo carisma di
Capitano o quelli davanti a lui erano gli uomini più
permalosi e malfidati che avesse mai incontrato?
- A spasso sull'asse!
– gracchiò quasi in spregio il pappagallo di
Cotton, mentre il suo padrone si era appisolato su una sedia.
- Ci sarebbe
un’altra opzione, ma dovete tener conto che non possiamo
sapere quale situazione troveremo – ritentò di
guadagnarsi il loro benestare il redivivo pirata. Al suo piglio
intraprendente tutti quanti si misero sull'attenti –
Sbarcheremo a Maracaibo e da lì proseguiremo via terra fino
all'Oceano Pacifico, coprendo il resto del viaggio a bordo di qualche
mercantile diretto per l'Oriente che magari parta da Panama. In questo
modo sfuggiremo al controllo della Compagnia, che certamente
provvederà in primo luogo a liberare il mare dei Caraibi
dalla piaga della pirateria. Che ne pensate?
Appena il suono delle
sua ultima frase si spense, gli parve di riuscire a sentire i pensieri
degli interlocutori vorticare.
- Io penso che sono
troppo stanco per pensare – esordì tuttavia
Pintel, mentre Ragetti lo appoggiò sbadigliando e irritando
così il Capitano.
- Faremo quello che
dite voi! – acconsentì spicciamente Will
– In fondo siete quello che ha maggiore esperienza. Io sono
solo un fabbro, sapete – aggiunse seccato, conficcando il
pugnale sul tavolo con una grinta che piacque a Barbossa nonostante lo
avesse al tempo stesso un po' inquietato. Avrebbe dovuto guardarsi le
spalle da quel ragazzo: era più pirata di quanto non
credesse!
- E sia! - disse Gibbs
alzando il pugno per aria.
- Partiremo domattina
all'alba – decretò allora Barbossa.
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Capitolo 2 *** Tormenti e dubbi ***
CAPITOLO 2: TORMENTI E
DUBBI
“Cerca te! Non
la nave, né noi! … Lo capisci che non
c'è altro modo? ... E non mi pento!”
Con queste poche parole, dure, essenziali e quanto mai
schiette, se pure non del tutto sincere, Elizabeth Swann era riuscita a
condannare l’inafferrabile Jack Sparrow a morte.
Le era parso il modo migliore, il più semplice, il
più efficace per salvarsi. Era un piano che aveva concepito
e messo in atto in pochi secondi; aveva agito per il bene suo e di
Will.
Non avrebbero mai fatto in tempo a raggiungere la terraferma se ci
fosse stato anche lui.
“Piratessa”, si era limitato a soffiarle Jack, e
non aveva usato un tono adirato, né offensivo, al contrario,
le era parso un complimento.
Glielo aveva detto sorridendo, come faceva spesso quando la scrutava
con quegli occhi scuri, profondi, seducenti, facendola vacillare in
ciò che stava facendo, ma non abbastanza da convincerla a
ripensarci.
Lo aveva lasciato ammanettato lì, alla sua amata nave, ed
era corsa via velocemente verso la scaletta per raggiungere gli altri,
senza neanche voltarsi. Si era sforzata di non far trasparire il
disgusto che provava per la vigliaccata che era riuscita a commettere,
ma le aveva fatto ancora più male ritrovarsi di fronte Will
che la squadrava con aria severa e disillusa, come non aveva mai fatto
prima di allora. E il modo in cui le aveva domandato dove fosse Jack
...
Quelle immagini angoscianti, quelle parole celate continuavano a
ripresentarsi nella sua mente, mentre se ne stava distesa sul letto, e
non le davano pace. In fondo, si diceva, aveva soltanto anticipato la
sua dipartita: era condannato, aveva un debito con quel terrificante
Davy Jones, e parecchi altri con la giustizia, benché fosse
sempre riuscito ad evitare di pagarli.
Non era questo che la faceva star male, o almeno, non solo questo:
aveva volutamente deciso di toglierselo di torno perché si
era accorta che l’aveva raggirata per tutto il tempo, aveva
usato lei e Will solo per i suoi meschini scopi, non si era fidato di
loro.
“Brava! Hai
scoperto che il tuo senso dell'onore, della decenza e della
moralità non è tanto diverso dal mio! Mi hai
ingannato anche tu, ma non ci credo che non ti piacevo neanche un po',
Lizzie … Già, ti ha mai chiamata così
il tuo William? Siamo uguali, devi avere il coraggio di ammetterlo
… ”
Le sembrava di sentirlo con quella sua solita voce
beffarda, e forse aveva anche ragione.
Si era divertita a stuzzicarlo fingendo (?) di cedere al suo fascino,
sicuramente indiscutibile; quel gioco lui lo aveva preso sul serio ed
era stato facile così ingannarlo, ripagandolo con la sua
stessa carta. Aveva dubitato per un attimo di provare qualcosa per lui,
ma nella prospettiva di dover scegliere chi salvare non aveva avuto
esitazione a scegliere Will. E aveva capito di non aver sbagliato
quando aveva incrociato di nuovo il suo sguardo sulla scialuppa, anche
se non aveva capito il perché di quel suo atteggiamento.
Un'altra preoccupazione l'assillava: li aveva forse visti mentre si
baciavano? E se così fosse stato, come avrebbe potuto
spiegargli quello che la aveva spinta ad agire in quel modo? Avrebbe
amato un'assassina? …
Will era uscito da quell’asfissiante palafitta e si era
fermato sullo stretto balcone antistante la porta d'ingresso, spinto
dal forte bisogno di cercare un po’ d’aria fresca.
Le misteriose donne piangenti che avevano trovato al loro arrivo erano
scomparse e tutto intorno predominava il buio più assoluto.
Il cielo era però trapunto di stelle e illuminato dalla luna
piena. L'ultima volta che l'aveva veduta era solo una falce: era
passata una settimana. Una settimana in cui erano successe tante cose
che avevano sconvolto la sua tranquilla esistenza come e più
dell'anno precedente: aveva ritrovato suo padre, aveva incontrato il
leggendario Davy Jones scoprendo che, sfortunatamente, era davvero un
demonio, aveva forse perduto l'amore della persona che amava di
più al mondo. Era di nuovo lontano da casa, di nuovo fra
rozzi e gretti pirati, uno di loro e non più uno che li
combatteva. Mille domande lo tormentavano, voleva parlarne con
Elizabeth, ma non era tipo da fare scenate davanti a tutti.
“Dov'è
Jack?”, aveva usato un tono duro.
“Ha scelto di
restare e di darci una chance”, aveva risposto
lei con voce pressoché indecifrabile, ma senza riuscire a
nascondere l'emozione nei suoi occhi velati.
Al suo posto avrebbe agito esattamente allo stesso modo: allora
quell'uomo non era poi tanto diverso da lui, non quanto credeva ... In
realtà Jack aveva una cosa in più rispetto a lui:
era più pirata. E per questo lei alla fine si era accorta di
preferirlo? Era convinto che gli avrebbe raccontato tutto, prima o poi.
D'altra parte non sapeva neanche chi incolpare: effettivamente tutta la
loro storia era stata sin dall'inizio intrecciata con quella dei
pirati; se non fosse successo tutto quello che era successo un anno
prima, tutto sarebbe stato diverso. E in qualche modo c'entrava
comunque Jack Sparrow.
Barbossa non era tipo da impicciarsi dei fatti degli altri, tuttavia,
dopo essere riuscito a convincere gli uomini ad accettare il suo piano,
volle interrogare Gibbs sul perché quei due giovani si
trovassero con loro. Se lei era davvero la figlia del governatore di
Port Royal, come gli aveva detto, e lui un semplice fabbro,
perché mai erano rimasti coinvolti in quella situazione?
Erano forse spie?
- Mastro Gibbs – cominciò allora, rivolgendosi al
marinaio che stava per addormentarsi.
- Capitano – rispose quello trattenendo uno sbadiglio.
- Sapreste dirmi qualcosa di quei due? - chiese restando vago.
- Quelli? Li abbiamo sorpresi mentre tentavano di rubare la Perla e
alla fine sono rimasti a bordo con noi. Avevamo perso altri uomini
– spiegò Gibbs riferendosi a Pintel e Ragetti che
sonnecchiavano su delle poltrone.
Barbossa non capì ma evitò di fare altre domande:
in fondo Jack Sparrow era sempre stato un tipo strano e quei due
piccioncini probabilmente dovevano aver maturato qualche problema con
la legge per essersi uniti a lui.
La notte trascorse più o meno tranquilla e alle prime luci
dell'alba, come stabilito, la ciurma si mise in moto. Will era rimasto
in quelle ore fuori dall'abitazione e il Capitano, dopo aver messo
fretta agli altri spingendoli a prendere posto nella scialuppa, gli si
avvicinò facendolo scattare come una molla: gli
puntò subito il pugnale contro, a pochi centimetri dal viso.
Jack, la scimmia scappò urlando.
- Vedo che siete sufficientemente sveglio, signor Turner –
disse allora senza accennare alcuna smorfia di turbamento –
Siamo pronti a partire – aggiunse poi indicandogli
l'imbarcazione ormeggiata sotto.
Il ragazzo sgranò gli occhi e senza parlare si diresse per
le scalette ma, prima di poggiare il piede sul primo gradino,
tornò indietro con gran fretta ed entrò nella
palafitta. Aperta la porta si scontrò con Tia Dalma alla
quale chiese con ansia: - Dov'è Elizabeth?
- Vi raggiungerà fra un attimo – lo
rassicurò la donna prendendogli una mano che lui ritrasse
immediatamente per poi uscire urtando dei vasi che pendevano dal
soffitto. Alla qual cosa la sacerdotessa non diede molto peso,
sorridendo, come sempre. Gli altri, invece, avendo sentito il rumore
dall'esterno, lo guardarono con aria interrogativa quando
uscì. Ma lui fece finta di non notarlo e, dopo essersi
seduto vicino alla prua della barca, diede le spalle a tutti e
restò immobile con la vista perduta nella laguna.
- Cosa è successo? - esclamò Elizabeth
precipitandosi nella stanza da cui aveva udito provenire il trambusto.
C'erano tanti oggetti sparsi nel pavimento, poco identificabili data la
penombra.
- Se siete pronta, possiamo andare. Ci stanno aspettando – la
esortò la veggente, non permettendole di replicare e
affidandole un sacco con vestiti e provviste.
Barbossa salì per ultimo e ordinò a Ragetti e
Pintel di remare mentre lui si eresse a prua. Continuarono a risalire
il fiume verso nord e dopo circa mezzora giunsero ad una baia, a tutti
sconosciuta, dove si trovava un battello, non molto grande e parecchio
malandato, con due alberi e una fila di remi sui lati.
Il Capitano, senza fornire spiegazioni, li incitò a salire e
per ultimo di issare a bordo la scialuppa. Discostate le fronde che lo
avevano ricoperto, si mise a controllare il timone verificando che
funzionasse ancora.
Will ed Elizabeth osservavano tutto con stupore mentre gli altri si
davano da fare, liberando le vele e rafforzando sartie e cime,
cosicché si meritarono il rimprovero di Barbossa: - Se siete
qui vedete di rendervi utili! - urlò al loro indirizzo.
Allora mastro Gibbs si affrettò ad impartire loro dei
compiti per evitare che stessero con le mani in mano. In meno di un'ora
fu tutto pronto per salpare le ancore e l'imbarcazione, mossa dai remi,
lasciò la baia per raggiungere il mare aperto dove le vele
si gonfiarono presto al vento conferendole una discreta
velocità.
Capitan Barbossa si soffermò a lungo a consultare delle
vecchie carte nautiche per tentare di stabilire una rotta, potendosi
aiutare solo con la posizione del sole.
- Di notte sarà più semplice – gli
suggerì Gibbs.
- So esattamente dove andare, non temete – lo
aggredì quello tirando fuori una bussola, un compasso e un
astrolabio da una piccola cassetta di legno, mettendoli bene in vista
anche agli occhi di Will che si era nel frattempo avvicinato al timone.
Entrambi lo lasciarono al suo ruolo senza più immischiarsi.
Il giovane, rimasto da solo sul ponte, passeggiava nervosamente da
poppa a prua ormai da qualche ora quando si decise a scendere
sottocoperta in cerca della fidanzata.
Elizabeth si era sistemata in una cabina e da lì non era
più uscita dopo la partenza. Si decise a bussare alla sua
porta.
- Va tutto bene, Elizabeth? - domandò con apprensione.
- Sì – si sentì rispondere dopo qualche
secondo, dopodiché la porta si aprì e se la
trovò davanti. Aveva indosso un abito dai tanti colori, sul
turchese, con frange, merletti e ricami che si soffermò a
guardare. Sembrava una principessa, ai suoi occhi, nonostante tutto.
- Me lo ha prestato lei – si giustificò la ragazza
abbassando lo sguardo – Ma credo che dovrò
cambiarmi. Il signor Gibbs mi ha assicurato che faremo rifornimento di
tutto il necessario, non appena sbarcati a Tortuga – concluse
attendendo una risposta che le permettesse di capire come stesse lui.
Aveva un'aria distrutta, forse non aveva dormito. Continuava a
guardarla senza parlare e lei si sentiva ancora più a
disagio. Ad un certo punto decise di cambiare atteggiamento e con tono
seccato lo ammonì: - Bene, io torno sopra coperta; tu puoi
sistemarti pure nella cabina accanto – e così
parlando uscì alla svelta.
Barbossa aveva lasciato il timone al marinaio Cotton e stava discutendo
in disparte con Tia Dalma quando la fanciulla giunse sul ponte.
Entrambi le lanciarono uno sguardo che non riuscì a
decifrare ma che certo non le sembrò affatto amichevole.
Cosa nascondevano? Intanto che cercava di capirlo la sua attenzione fu
richiamata dagli altri marinai che battibeccavano come sempre, mentre
Gibbs tentava di fare da paciere.
- Ti ho detto che le ho già sistemate io quelle corde! -
gridava Pintel.
- Eppure hai dimenticato questa: guarda che nodo! Sembra fatto da un
principiante – lo accusava Ragetti mostrandogli come lo
avesse facilmente sciolto.
- Miss Swann – la chiamò Barbossa con un cenno del
capo.
- Si, capitano – rispose lei avvicinandosi, ostentando
sicurezza.
- Volevo parlarvi – la invitò lui conducendola
vicino alla prua – Giacché vi accingete ad
accompagnarci, desidererei sapere se ci sareste utile ... Insomma, se
avete qualche capacità per cui prendere in considerazione
l'opportunità della vostra presenza –
proferì con tono derisorio – Che avete fegato l'ho
potuto constatare sin dalla prima volta che vi ho incontrato ... -
dichiarò con maliziosa ammirazione, avanzando verso di lei.
- Ho imparato a maneggiare la spada – lo informò
la ragazza ritraendosi alquanto infastidita dal modo di fare del pirata
– Me lo ha insegnato Will; so usarne anche due alla volta
– specificò con orgoglio.
- E come mai la figlia di un governatore si interessa tanto di armi e
pirati? - incalzò scettico lui – Potreste vivere
nell'ozio e nel lusso – le fece notare.
- Ho letto molte cose sulla vita del mare e sui pirati,
perché mi è interessato, sin da piccola
– si difese lei, ma era chiaro che il Capitano volesse sapere
per quale motivo aveva lasciato la sua vita di comodità e
privilegi per unirsi a simile gente, ben lontana dal suo rango.
- Capisco – si limitò, però, a
rispondere il pirata allontanandosi e lasciandola di stucco –
Sapete rammendare? - tornò a chiederle poi, con tono
divertito.
- Come?! - esclamò la ragazza spalancando gli occhi.
- Vedete se riuscite a riparare quella vela. Quei due non sono ancora
stati capaci di metterla a posto – le ordinò
riferendosi a Pintel e Ragetti.
- Come volete, capitano, ci proverò –
affermò lei un po' offesa, accingendosi ad aiutare quei due
pirati imbranati.
Qualche ora dopo il sole era già tramontato e il cielo
iniziava a ricoprirsi di stelle; poche lanterne facevano luce sul
ponte.
Will andò incontro al Capitano che era tornato al timone ed
era intento a calcolare la posizione degli astri per stabilire la
latitudine.
- Ah, mastro Turner! Stavo giusto per farvi chiamare. Non vi siete
fatto vedere tutto il pomeriggio – lo ammonì,
accorgendosi del suo arrivo.
- Sono stato nella stiva – gli comunicò quello,
con tono nervoso.
- Ah! - fiatò lui, senza alzare gli occhi dalle carte
illuminate dalla luce di una lanterna a olio.
Will, spazientito da quel fare spocchioso, inveì contro il
bucaniere: - Non ci vuole un esperto navigatore per capire che questa
imbarcazione non sosterrà ancora a lungo il mare aperto! Lo
scafo è consunto, potrebbe crearsi una falla da un momento
all'altro!
- Vi ringrazio per avermelo ricordato, lo sapevo già
– dichiarò con tranquillità quello,
continuando a tracciare linee con compasso e carboncino –
Infatti non intendo arrivare fino a Tortuga con questa barcaccia,
cercheremo di farci dare un passaggio. Perciò tenete gli
occhi ben aperti – gli raccomandò con un cenno
ambiguo.
- Siete pazzo! Non abbiamo abbastanza armi, né cannoni.
Basterà un solo colpo per farci andare a fondo! -
ribatté il ragazzo, infervorato dalla rabbia avendo intuito
la sua allusione.
- So anche questo, mastro Turner! E ho già pensato a tutto
– sbraitò il pirata, irritato dall'atteggiamento
di sfida assunto dal giovane – Ora però vorrei
sapere chi siete davvero.
- Lo sapete benissimo – replicò lui, voltandosi e
adombrandosi.
- So che siete il degno figlio del fu Sputafuoco Bill e che siete molto
innamorato di quella ragazza; ricordo ben cosa avete rischiato per lei
... ma poi disgraziatamente sono morto e non conosco il resto
della storia – sostenne con vago sarcasmo il Capitano,
piazzandosi davanti a lui a braccia incrociate.
Will sbuffò, e arrendendosi alla sua insistenza,
iniziò a raccontare: - Quando siamo tornati a Port Royal io
e lei ci siamo fidanzati – s’interruppe, assalito
dai ricordi, poi proseguì lentamente – Una
settimana fa stavamo per sposarci quando ci hanno arrestati con
l'accusa di aver aiutato Jack Sparrow ad evitare la forca.
- Aveva tanto valore la sua morte? - si chiese Barbossa con tono
sprezzante.
- La Compagnia delle Indie Orientali sta intensificando la caccia ai
pirati, ultimamente – gli fece sapere il giovane, tacendo il
vero motivo d’interesse di Lord Beckett per Sparrow.
- Voi dunque vi siete dati alla macchia. Ma perché mai
volete salvarlo? – insistette a interrogarlo il pirata,
tentando di trovare il bandolo della matassa.
- Ci occorre anche lui per combattere l'Olandese volante e la Compagnia
delle Indie Orientali, no? Mio padre è schiavo di Davy Jones
e io intendo uccidere quel mostro per liberarlo –
spiegò con candore.
- Voi invece che vantaggio otterreste nel farlo ritornare dallo
scrigno? - incalzò poi Turner.
- Mi ha ucciso e si è ripreso la mia nave, e io intendo
ucciderlo per vendicarmi – affermò con altrettanta
schiettezza l'uomo di mare.
- Ma … non avrete la Perla, comunque – lo
pressò il ragazzo cercando di farlo sbilanciare per
apprendere di più: si era fatto dei progetti ma non aveva la
certezza di poterli realizzare.
- Ebbene, dovete sapere che la Perla si trova nello scrigno con
Sparrow. È per essa che quello stupido si è
indebitato con Jones, perciò la recupereremo insieme a lui.
Vi è chiaro?
- Sì – replicò Will con una nuova luce
nel volto e un sorriso a labbra strette che il capitano
ricambiò, pur non cogliendone il motivo.
“Ora
confabulano fra di loro. Non riesco proprio a capirli!”,
pensò Elizabeth, che aveva assistito da lontano al dialogo
dei due, senza poterne cogliere le parole.
- Cosa ti tormenta Elizabeth Swann? - irruppe Tia Dalma, facendola
sobbalzare.
- Non ... non vi avevo sentito arrivare – balbettò
la ragazza, accennando a ritrarsi.
- È fascinoso, eroico e i suoi occhi brillano come stelle
nella notte quando vi guarda … –
pronunciò con voce languida la misteriosa donna.
- Di chi parlate? - sussurrò lei, dandole le spalle per non
mostrare gli occhi gonfi per le lacrime che aveva pianto poco prima.
La veggente le riservò un’occhiata colma di
stupore:- Del vostro William. Perché, pensavate a qualcun
altro? – domandò con finto imbarazzo.
A Elizabeth si mozzò il fiato in gola: - Io ... -
singhiozzò appoggiandosi alla parete sottostante il balcone
del timone.
- Oh, il cuore di una donna è pieno di segreti, di sogni e
di fantasie che a volte sfuggono al nostro controllo ... e
così li facciamo soffrire. Gli uomini non riescono mai a
capirci fino in fondo, sono troppo fragili e razionali. Credono di
essere in grado di gestire sempre tutto, senza mai fallire –
sostenne con una certa durezza Tia Dalma, pur accarezzandole i capelli
e avendo assunto un'espressione mesta. Quindi con la stessa silenziosa
andatura con cui si era presentata, si allontanò, svanendo
sotto coperta.
La ragazza era ancora confusa dal discorso della sacerdotessa, che le
aveva dato ancora una volta l'impressione di leggere nei suoi pensieri,
quando si vide venirle incontro il fidanzato.
- Elizabeth, tieniti pronta. Lasceremo questa nave non appena ne
apparirà all'orizzonte una migliore – la
avvisò sbrigativamente, per poi voltarsi.
- Che significa? - protestò lei, afferrandolo per un braccio.
- Tu ti fidi di Barbossa? - le chiese avvicinandosi al suo viso e
immergendosi nei suoi occhi.
- E tu? - replicò la ragazza impassibile, volendo indagare
sul suo punto di vista.
- Non abbiamo altra scelta – sospirò contrariato
lui, scuotendo la testa e andandosene.
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Capitolo 3 *** Gettati e ripescati ***
fanfic cap 3
Capitolo
3: Gettati e ripescati
-
Capitan Barbossa: a poppa di tribordo! - furono queste parole a
destare Elizabeth la mattina seguente. Le aveva pronunciate Will con
una certa eccitazione. La ragazza salì in fretta sul ponte.
-
Non vi accontentate di poco, mastro Turner –
sentenziò
Barbossa scorgendo con il cannocchiale un galeone spagnolo da quattro
alberi – Tutti gli uomini sopra coperta! - urlò
poi, al che
Gibbs si affrettò a richiamare gli altri che ancora
dormivano
nelle loro brande.
-
Signori: abbiamo trovato il nostro pesce da far abboccare –
affermò
il capitano quando tutti furono giunti sul ponte, indicando con un
ampio gesto del braccio il veliero poco lontano.
-
Con tutto il rispetto signore: altro che pesce, quella lì
è
una balena! - sostenne Pintel riferendosi alla grande mole
dell'imbarcazione – Andrà a finire che
sarà quello lì
a mangiare noi! - aggiunse preoccupato.
-
Ti sbagli:le balene non mangiano gli uomini e nemmeno i pesci,
è
un errore comune – lo ammonì Ragetti con aria da
saputello.
-
Lo dicevo in senso figurato, come dici tu –
ribatté il
compare infastidito dal vizio di quel pirata di doverlo correggere
sempre.
-
Non succederà nulla se l'esca che gli prepareremo
sarà
abbastanza allattante – assicurò Barbossa
guardando
rapidamente i componenti della ciurma e soffermandosi su Miss Swann.
-
Non vi azzardate a mettere nel mezzo Elizabeth! - lo sgridò
adirato Will che se ne era accorto.
-
Sempre a pensare male voi, eh? - commentò il pirata
divertito
dal rapido accalorarsi del giovane.
-
Cosa volete che faccia, capitano? - si fece avanti la ragazza
sfidando la pazienza del fidanzato che la osservava con occhi di
fuoco.
-
Voglio che torniate a vestirvi da uomo – riferì
quello
sorridendo – Due donne sono troppe per una barca –
concluse
facendo ammutolire tutti.
-
Esattamente come pensate di agire, signore? - chiese Gibbs.
-
Sapete recitare una parte? - domandò quello; tutti si
guardarono l'un l'altro senza sapere cosa dire.
-
Ho sempre voluto lavorare al teatro o al circo –
esordì
Ragetti – ma poi... - si interruppe per la torva occhiata del
capitano.
-
Che dovremmo recitare? - sbottò Pintel.
-
Saremo dei poveri pescatori scampati al naufragio della propria
imbarcazione e in cerca di un passaggio. Faremo affondare questo
battello non appena avremo finito di raccogliere tutto il necessario
– spiegò brevemente l'interpellato - Voi due
potreste
fingere di essere figli miei – propose ai due fidanzati
– Perciò
vedete di rimettervi quei vestiti che indossavate l'altro giorno
–
ordinò alla fanciulla.
-
Ma non so dove... - protestò quella.
-
Li ho presi io – affermò Tia Dalma interrompendola.
-
Lei sarà la mia signora – li informò
riferendosi alla
bruna veggente.
-
E noi? - chiese Pintel.
-
I miei marinai, cos'altro vorreste fare?! - lo riprese il Capitano.
-
Ma allora cosa cambia?!Lo siamo già! - protestò
Ragetti.
-
Sì, ma farete i marinai di un peschereccio –
puntualizzò
il capitano lasciandoli comunque delusi. - Avanti, sbrigatevi ora! -
comandò.
Mentre
tutti si affrettavano alla messa in atto del piano, chi raccogliendo
armi e provviste, chi ammainando le vele, chi tenendo d'occhio la
nave avvistata, si innalzò un'onda improvvisa che fece
rovesciare l'imbarcazione scagliando l'intero equipaggio in acqua.
-
La scialuppa!Non dobbiamo perderla! - si affrettò a
strillare
Barbossa agli uomini cercando di restare a galla. Pintel e Ragetti si
diressero con grandi bracciate a recuperarla mentre Will, Cotton,
Marty e Gibbs tentavano di afferrare armi e bagagli sballottati dalle
onde.
-
È l'Olandese Volante! - urlò con terrore Gibbs.
- Dov'è
Elizabeth? - domandò preoccupato Will dopo che, nella
confusione generale si era infine accorto che non era con loro.
Nessuno sapeva rispondergli, essendo inoltre continuamente incalzati
dal Capitano che, arrivato alla scialuppa, li incitava ad affrettarsi
a raggiungerlo. Will continuava ad urlare il nome della fidanzata e
ad immergersi per assicurarsi che non fosse finita a fondo. Cotton e
Marty gli lanciarono una cima e lo tirarono verso la barcaccia
issandolo a bordo.
-
È meglio che restiamo qui – intimò
Barbossa agli
altri, data la vicinanza dell'Olandese Volante, ma il giovane Turner
si tuffò di nuovo in mare.
-
Dove credete di andare? - lo richiamò il Capitano.
-
Deve essere rimasta a bordo! - rispose lui dirigendosi verso il
battello che era rimasto sul pelo dell'acqua, seppur capovolto; non
gli importava se quei pirati lo avrebbero abbandonato, lui non
avrebbe abbandonato di certo l'amata.
L'Olandese
tirò fuori tutti i cannoni che aveva e in pochi minuti del
galeone restarono solo fumo e tavole di legno sparse, i cadaveri
galleggianti tra le onde.
Nel
frattempo Elizabeth aveva tentato con ogni mezzo di uscire dalla
cabina ma la porta si era bloccata. Credeva che fosse ormai giunta la
fine, rivide in un attimo tutta la sua vita e pensò che
probabilmente non sarebbe andata in paradiso. Le lacrime le
annebbiarono la vista e prostrarono le sue energie quando
sentì
dei colpi provenire dall'esterno. Rispose battendo sulla parete. Era
sicura che fosse Will. Pochi minuti che le sembrarono interminabili e
lo vide dall'oblò con un fucile tra le mani. Capì
all'istante quali fossero le sue intenzioni e così gli fece
cenno con la testa, allontanandosi dalla porta della cabina. Solo
dopo capì anche che sarebbe stato inutile, pensiero che
toccò
parimenti il ragazzo: non aveva considerato che la polvere bagnata
rendeva inutilizzabile quell'arma...
Il
tempo passava, non sapeva più cosa fare; provò
con
l'ormai inseparabile pugnale conficcandolo nella serratura, ma
l'acqua rendeva tutto più difficile e il boato dei cannoni
dell'Olandese sembrava scandire quegli attimi incitandolo ad essere
più veloce. Elizabeth dall'interno provava ugualmente a
liberarsi. D'un tratto l'imbarcazione si rovesciò e, senza
capire come, il giovane riuscì ad aprire la porta e liberare
la fanciulla facendo appena in tempo a lasciare il battello che
colò
a picco.
Elizabeth,
ancora impaurita, lo stringeva con tutte le forse mentre lui con un
braccio nuotava per avvicinarsi alla scialuppa: - Grazie –
bisbigliò con un filo di voce, lui la guardò
senza
rispondere, ma con espressione più sollevata.
-
Eccoli lì! - urlò con gioia Gibbs quando li vide,
e in
breve la ciurma mosse i remi verso di loro. Will fece salire per
prima lei e poi fu aiutato da Pintel e Ragetti a salire a sua volta.
Incrociò lo sguardo di Tia Dalma che gli sorrise abbassando
il
capo.
-
Ci avete fatto prendere uno spavento, bambolina! - affermò
Pintel non appena la ragazza si sedette facendola arrossire.
-
Mi dispiace – si difese con un po' di vergogna – Mi
stavo
cambiando...si è rovesciato tutto...Cosa è
successo? -
domandò al Capitano. Quello non proferì parola ma
si
voltò verso l'Olandese. Elizabeth si sentì
raggelare il
sangue nelle vene al ricordo di ciò che avevano passato
qualche giorno prima a causa di quella nave maledetta, ma un' altra
sagoma all'orizzonte attirò la sua attenzione.
-
Dovremo aspettare la prossima nave – asserì il
Capitano con
stizza.
-
Barbossa – anche Will notò qualcosa indicando con
il dito un
punto. Allora questo afferrò il cannocchiale, si
alzò
in piedi e restò qualche secondo ad osservare nella
direzione
indicata.
-
Il kraken! - sussurrò con terrore Ragetti ai compagni.
-
Batte bandiera inglese – dichiarò il redivivo
pirata – E
si sta avvicinando all'Olandese, ma non sembra stia per attaccarla.
Appurato
che si trattava di una nave, Pintel guardò male il compare
sospirando.
- Giusto
oggi doveva passare di qua quel dannato Davy Jones! -
imprecò
Gibbs.
-
Dobbiamo avvicinarci – affermò Barbossa.
-
Ha ragione – dissero in coro Will ed Elizabeth dopo essersi
accorti
della reticenza degli altri. A malincuore presero i remi e si
apprestarono a ridurre le distanze tra loro e le due navi, evitando,
però, di esporsi troppo.
-
Se ci vedono ci fanno fuori subito! - constatò Pintel.
-
Tanto se non lo faranno loro ci penseranno gli squali – lo
incoraggiò il marinaio dall'occhio di legno – Sai
quanti ce
ne sono in queste acque?E mangiano gli uomini loro! - aggiunse. Le
sue parole giunsero alle orecchie della ciurma che , istintivamente,
si ritrasse dai fianchi dell'imbarcazione.
-
Fermatevi – ordinò Barbossa quando si trovavano ad
una
distanza che gli consentiva di poter vedere abbastanza chiaramente
cosa stesse accadendo tra le due navi. - Chi è quel
damerino?
- domandò poco dopo aver sbirciato nel cannocchiale.
Will
afferrò lo strumento e guardò a sua volta: un
uomo
elegantemente abbigliato con tanto di parrucca e cappello alla guida
di un nutrito gruppo di soldati dal costume nero. Soffermandosi
sull'albero maestro notò che accanto alla bandiera
britannica
ne sventolava un'altra nera con la sigla IEC. Giunse così
alla
risposta: - È Lord Cutler Beckett –
dichiarò passando
il cannocchiale ad Elizabeth. È il rappresentante della
Compagnia delle Indie Orientali. Ci ha arrestati lui.
-
Conosce la storia del forziere!Per questo voleva la bussola di Jack:
gli serviva per trovarlo – sostenne la ragazza riconsegnando
l'oggetto al Capitano.
-
Staranno trovando un accordo,è probabile –
osservò
Barbossa.
-
Cosa facciamo? - intervenne Gibbs, quando le due navi si furono
allontanate. L'Olandese si era immersa provocando una nuova ondata
che però non li toccò.
-
Dobbiamo affrettarci a trovare una nave. Se non fosse per loro due
avremmo potuto farci dare un passaggio anche da quello lì
–
asserì l'uomo riferendosi alla giovane coppia.
-
Potevate lasciarci morire allora! - si adirò Will.
-
Non fosse stato per noi non avreste neanche saputo di Beckett! -
soggiunse Elizabeth parimenti irritata.
-
È inutile che continuate ad accusarvi l'un l'altro
– si
intromise inaspettatamente Tia Dalma – Sono tante le navi che
solcano il mare oggigiorno. Dobbiamo solo aspettare –
concluse ed
allora restarono in silenzio e tesero lo sguardo in ogni direzione
attorno in attesa di vele in vista.
Pintel
e Ragetti in realtà cominciarono presto a parlottare fra di
loro del più e del meno, a bassa voce per evitare di
innervosire Barbossa; il quale rimase tutto il tempo attaccato al
cannocchiale. Lui, una volta capitano della grandiosa Perla Nera,
animata da una ciurma di dannati che incuteva paura al solo nominarla
e che aveva saccheggiato i Caraibi in lungo e in largo per un
decennio, indisturbata, si trovava ora alla guida di un gruppetto mal
assortito che faticava a tenere unito e che non era riuscito a
sottomettere completamente al proprio comando. D'altra parte capiva
la loro mancanza di fiducia: a turno aveva cercato di ucciderli
praticamente tutti e, in quanto a Tia Dalma, le sue intenzioni non
erano mai troppo chiare e sapeva che doveva ben guardarsi da lei,
nonostante lo avesse aiutato. Tuttavia aveva un'alta considerazione
di sé ed era perciò sicuro che avrebbe potuto
rendere
quegli sfiduciati nuovamente ligi ai suoi ordini; dopotutto erano
abituati ad essere comandati. Lo stesso non valeva per quei due
ragazzi: da quel poco che era riuscito ad estorcere loro e osservando
il loro comportamento, aveva capito che non erano facilmente
addomesticabili e gli sembrava che nascondessero qualcosa.
Perciò
si propose di continuare ad indagare sul loro conto facendo
attenzione a non mostrare troppo i suoi dubbi.
Il
sole stava calando e presto l'oscurità li avrebbe avvolti;
la
situazione stava diventando pericolosa perché non avendo
alcun
tipo di lucerna, rischiavano di venire travolti se una qualche
imbarcazione più grande si fosse trovata a passare di
lì.
Nessuno parlava più da almeno un'ora, si sentivano bruciare
gli occhi per essere rimasti a fissare l'orizzonte sforzandosi di
scorgervi qualche sagoma di nave, ma la rassegnazione e la stanchezza
avevano ormai preso il sopravvento sui loro animi. Iniziavano
già
a socchiudere le palpebre quando un sussulto improvviso fece
sobbalzare la scialuppa. Era stato Gibbs che si era alzato di scatto
in piedi:- Ma che ti prende?!Per poco finivamo tutti a mollo! - gli
urlò contro Pintel e la scimmia lo imitò.
-
Guardate là! - disse con esultanza il marinaio.
Barbossa
afferrò il cannocchiale e pronunciò sollevato: -
Finalmente! - era un piccolo brigantino.
-
Arriveranno in tempo a vederci? - chiese Will avvicinandosi al
Capitano. - Si sta facendo buio – aggiunse preoccupato.
Già
Cotton e Marty avevano iniziato a remare mentre Ragetti agitava le
braccia per tentare di farsi notare da quelli dell'equipaggio.
-
Allora: lasciate parlare me quando saremo più vicini
– si
raccomandò Barbossa.
-
È un peschereccio – notò Will vedendo
che gli uomini
a bordo erano intenti a sollevare delle reti – Non saranno
più
di una decina.
-
Questo gioca a nostro favore – affermò il redivivo
pirata –
Sicuramente non saranno pronti ad attaccarci. Quante armi abbiamo?
-
Quattro spade, tre fucili e tre pistole – rispose Gibbs dopo
aver
controllato.
-
Bene! - dichiarò con un'espressione soddisfatta il Capitano,
poi spostando gli occhi verso la giovane aristocratica: - Fortuna che
siate
riuscita a cambiarvi d'abito, ma si capisce comunque che siete una
donna. Dovreste coprirvi il volto – le consigliò.
-
Ho pensato io a questo – lo informò Tia Dalma
porgendo alla
ragazza un vecchio cappello di paglia che tirò fuori da una
sacca che aveva portato con sé da casa.
-
Sei molto preziosa Cali...Tia Dalma – la ringraziò
il pirata
destando il sospetto del giovane Turner che sia accorse dello strano
tentennamento dell'uomo nel pronunciare quel nome correggendosi. Ma
erano ormai vicini all'imbarcazione e se volevano che quel piano
desse i suoi frutti dovevano restare concentrati e uniti.
-
Come vi avevo detto prima fingeremo di essere dei pescatori che hanno
perduto la propria barca; voi è meglio che stiate muta Miss
Elizabeth, restate al vostro posto anche voi signor Turner.
Sarò
solo io a prendere la parola. E nascondete le armi per quanto
possibile – li ammonì il Capitano togliendosi il
cappello
piumato.
-
Secondo me siamo in troppi – asserì il pirata
dall'occhio di
legno. - Non ci prenderanno mai a bordo tutti quanti.
-
Avete ragione, mastro Ragetti – gli rispose Barbossa
sorridendo.
-
Grazie, Capitano – fu la risposta di quello con un tono
velato
d'orgoglio.
-
Perciò voi e Pintel salirete dopo, non fatevi vedere
–
ordinò con voce sarcastica.
-
Come?! - protestò Pintel.
-
A mollo! - scandì il Capitano spazientito e quelli
ubbidirono
gettandosi in acqua e nascondendosi dietro la poppa della scialuppa.
-
Vi lanciamo una cima, non preoccupatevi! - furono le prime parole dei
marinai del peschereccio non appena avvistarono i sette sulla
barcaccia. Will e Cotton si affrettarono a raccogliere la corda e a
legarla alla punta sporgente della prua.
-
Sia ringraziato il cielo! Voi giungete come una miracolosa visione e
noi che eravamo ormai preda della disperazione! –
esordì
Barbossa con una voce che suonava agli altri manifestatamente falsa
per la sua esasperata commozione.
-
Bene e ...si, vi abbiamo visti e pescati. È il nostro
mestiere! - affermò quello che sembrava essere il capo di
quella ciurmaglia.
-
Siamo anche noi dei pescatori, io sono John, questi sono i miei figli
Billy e Dan, e lei è la mia consorte Sandy – la
presentò
velocemente il pirata meravigliando chi lo seguiva per la sua
prontezza di inventiva. - Ah, e gli altri sono i miei compagni,
marinai che lavorano con me – aggiunse riferendosi a quelli
che non
aveva nominato. Furono aiutati a salire a bordo uno per uno
-
Siete naufragati, eh? .- domandò quello che aveva parlato
prima. Io sono Charlie comunque – affermò
stringendo la mano
a Barbossa.
È
la prima volta che vi capita una cosa del genere? Guarda come sono
spaventati i ragazzi! - sghignazzò un uomo dalla pelle cotta
dal sole e senza denti, dando una pacca sulla spalla ad Elizabeth che
teneva la testa bassa per non farsi vedere in volto dagli
sconosciuti.
Will
stava per scattare rispondendo con una spinta altrettanto forte a
quel marinaio che si era permesso di toccare la fidanzata, ma Gibbs
intervenne mettendosi davanti : - Lasciatelo stare il ragazzino,
è
muto sin dalla nascita, poverino! Ma gli siamo tutti affezionati! -
esclamò sospingendo la ragazza verso Will che la cinse con
un
braccio la spalla lanciando un sorriso forzato agli uomini
dell'imbarcazione. Poi notò che Barbossa gli rivolse un
rapido
sguardo di intesa, abbassando di colpo la testa verso la cintura in
cui teneva nascosta la pistola e allora si scostò
velocemente
da Elizabeth e tirò fuori la sua arma, contemporaneamente al
capitano che però fu il primo a fare fuoco verso uno dei
pescatori. Pochi secondi dopo Pintel e Ragetti salirono a bordo con
le spade e si innescò un combattimento tra pirati e marinai
che cercavano di difendersi con le fiocine e gli altri strumenti da
pesca. Resesi conto di non poter avere la meglio su quegli abili
combattenti il comandante del peschereccio, l'unico a non essere
stato ancora disarmato, urlò con paura : - Chi siete? Cosa
volete da noi?
-
Tutto ciò che avete. Siamo pirati – rispose
semplicemente
Barbossa.
-
E abbiamo una missione da compiere – gli fece eco Will
disarmando
il marinaio sotto lo sguardo divertito degli altri compagni di
viaggio.
-
Legateli e portateli via – comandò il maturo
filibustiere.
-
Una donna! - esclamò stupito uno degli uomini mentre
Elizabeth
gli stringeva una corda attorno alle braccia assieme a Cotton. -
Questo ti fa sentire ancora più umiliato, eh? Razza di
screanzato! - lo canzonò la ragazza dandogli poi un calcio
con
cui si vendicò dalla spinta di prima.
-
Qui non c'è il gabbio – asserì Pintel
con stupore
risalendo da sottocoperta.- Dove li mettiamo signore?
-domandò
al capitano.
-
Dove volete! Basta che mi li togliete di torno! - rispose il
filibustiere dirigendosi verso il timone seguito da Will ed
Elizabeth, oltre che dalla fida scimmia.
-
Ci penso io - si offrì Gibbs afferrando per un braccio uno
dei
marinai che era annodato con gli altri, e così dicendo li
portò insieme ai compagni sottocoperta sistemandoli nella
stiva, incurante delle loro proteste.
-
Quanto ci vorrà per arrivare a Tortuga? - chiese Will al
comandante.
-
Non meno di due giorni – fu la sua risposta mentre
organizzava gli
strumenti di navigazione che era riuscito a portare con sé
salvandoli dalle onde.
-
Se non altro abbiamo cibo assicurato – osservò
Elizabeth
guardando le reti da pesca ricolme rimaste sul ponte.
-
Già – sostenne Barbossa fermandosi a fissare anche
lui le
reti – Stasera mangeremo – aggiunse per poi
rimettersi a
governare il timone. In realtà la cena non fu un gran che,
dato che nessuno della ciurma sapeva cucinare e che mancava a bordo
qualsiasi tipo di condimento; ognuno mandò giù
comunque
la propria porzione, almeno per mettere fine al mal di stomaco dovuto
al quasi completo digiuno dei giorni precedenti. Dopo mangiato le due
donne beneficiarono del “privilegio” di poter
occupare loro le
uniche due cabine disponibili che dovettero sistemare come meglio
poterono; infatti non erano certo adatte a dormirci : piuttosto si
trattava di depositi in cui era stata risposto materiale di vario
tipo, tazze, piatti , ami, barattoli con esche, bottiglie...
Dopo l'infelice e stupida frase della volta scorsa,
ora cancellata ma Dj Kela sa di che parlo, avevo seriamente pensato di
non aggiungere contributi personali al capitolo limitandomi a
postarlo....
Ma quando mai i pirati sono seri!Allora eccomi qui a ringraziare tutti
coloro che leggeranno, e a dirvi che sono aperta a commenti e critiche
( sia positive che negative) e che non intendo lasciare la
storia incompleta!
Ciao a tutti, a presto!
|
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Capitolo 4 *** Un passaggio per l'Oriente ***
fanfic cap 4
Un
passaggio per l'Oriente
In
seguito a quanto era accaduto il giorno precedente in quel mare, la
comparsa dell'Olandese, l'affondamento del galeone spagnolo, l'arrivo
della nave della Compagnia delle Indie Orientali, Barbossa e gli
altri non si sentivano tranquilli, al punto da decidere di rimandare
le ore di sonno per restare in allerta.
Will
non perse l'occasione per parlare da solo con l'antico nemico che
ancora stentava a considerare un alleato.
-
Mastro Turner, non vi hanno assegnato una cabina? - gli
domandò
quello non appena lo vide comparire al suo fianco con l'aria di uno
che non sapesse bene cosa fare in quel momento.
-
Sì, ma non è abbastanza grande – gli
comunicò
il ragazzo.
-
Vi aspettavate un letto matrimoniale?! - ribatté il pirata
con
tono irriverente. Il giovane restò interdetto e offeso da
quella battuta che metteva in dubbio il suo onore, così
replicò con voce stizzita: - Io ed Elizabeth non siamo
sposati!
-
Oh...e allora? - continuò l'uomo con la stessa intonazione
di
prima. Will comprese che ci provava gusto a vedergli perdere la
pazienza, perciò preferì cambiare immediatamente
discorso e atteggiamento: - Mi diceste che ho ancora tante cose da
imparare di questo mondo . Sono pronto ad ascoltarvi –
affermò
incrociando le braccia.
“Ne
avreste davvero tante”pensò Barbossa non capendo
come mai se
quei due erano stati ad un passo dalle nozze, sembrava che cercassero
di evitarsi invece di stare insieme.
-
Chiedete pure, allora – disse poi mostrandosi disponibile
anche se
un po' sospettoso per le possibili domande che quel pirata in erba
gli avrebbe rivolto.
-
Quel consiglio della Fratellanza...come facciamo a riunirlo? - fu la
prima questione da lui mossa.
-
Cantando una canzone – si limitò a proferire il
capitano.
-
Una canzone?! - esclamò Will dopo qualche secondo sentendosi
preso in giro. Gibbs, che era nel frattempo sopraggiunto
iniziò
a cantare: - Yo oh, la gloria corre nell'aldilà, nel volto
vivo o morto lei ti seguirà...
Neanche
nei suoi sogni più assurdi avrebbe mai immaginato di
trovarsi
in una situazione simile: dovevano affrontare una potente flotta
guidata dall'Olandese Volante richiamando in aiuto altri pirati
(quelli che sarebbero scampati alla persecuzione attuata dalla marina
britannica!) mettendosi semplicemente a cantare! E cosa avrebbero
potuto fare poi tutti insieme, ammesso che si fossero realmente
trovati d'accordo?Non sarebbero stati mai organizzati e validi come
gli esperti soldati arruolati sulle navi della marina britannica e
della Compagnia delle Indie Orientali! Avrebbe voluto esternare tutte
queste considerazioni ma non gli sembrò utile farlo in quel
momento, per non far vacillare il già fragile equilibrio che
si era creato tra lui e quei filibustieri. Voleva inoltre credere che
avessero qualche idea per sperare tanto di riuscire a sbaragliare gli
avversari, o comunque , di sopravvivere.
-
Inizieremo a cantare a Tortuga? - chiese con poca convinzione.
-
Se farete tutto quello che vi ordino ci saranno buone
possibilità
di riuscita – dichiarò Barbossa scrutandolo con
sguardo
diffidente . Il giovane reagì facendo cenno di sì
con
la testa, tenendo gli occhi bassi e i denti stretti.
Durante
quella notte e nel giorno successivo soffiò un forte vento,
nonostante il mare fosse calmo, che conferì all'imbarcazione
una velocità maggiore del previsto, tanto che, dopo appena
un
giorno e mezzo di navigazione, fu avvistata la sagoma dell'isola di
Tortuga. Era primo pomeriggio quando Marty, appollaiato sull'albero
più alto, comunicò alla ciurma l'avvistamento,
rompendo
il silenzio che regnava a bordo e inducendo l'equipaggio ad
affrettare le operazioni necessarie all'approdo e all'ancoraggio.
Will,
non sapeva bene perché, aveva la sensazione che in tutto
ciò
c'entrasse in qualche modo quella donna misteriosa che si faceva
chiamare Tia Dalma, che Barbossa aveva portato con sé
apparentemente senza un motivo e con la quale si appartava a
discutere evitando che le loro parole giungessero alle orecchie degli
altri. Si era fermato a guardarla mentre tirava fuori dalla
scollatura dell'abito un grande ciondolo metallico a forma di cuore,
quando fu scosso dalla voce del Capitano : - Andate a chiamarla voi
Miss Swann o preferite che mandi qualcun altro?
-
Vado io – affermò scendendo velocemente
sottocoperta.
Proprio nelle scalette incrociò la ragazza: - Siamo arrivati
–
le comunicò.
-
Sì, l'ho sentito – rispose lei distogliendo lo
sguardo verso
il boccaporto, al che lui la fece passare e continuò a
scendere. Elizabeth si interrogò sul perché lo
avesse
fatto dato che,una volta sul ponte, si era accorta che erano
già
tutti lì, ma tanto ormai erano giorni che il suo
comportamento
le appariva insolito. Era come se fosse tormentato da un qualcosa di
cui non le voleva parlare e non poteva fare a meno di pensare che si
trattasse di suo padre: incontrarlo dopo tanti anni aveva
probabilmente riaperto in lui un dolore che a lungo aveva tentato di
trascurare per costruirsi una vita onesta e serena. Stava a lei in
quel momento consolarlo, rassicurarlo, ma non riusciva più a
guardarlo negli occhi dopo quello che aveva fatto: gli aveva mentito,
aveva agito con la mentalità egoista e opportunista di un
vero
pirata, proprio quel genere di condotta che Will odiava. Lui aveva
salvato Jack dalla forca, rischiando la vita e la libertà,
dopotutto; lei, invece, lo aveva lasciato al kraken, con l'inganno
per di più. Mentre ripensava a ciò, tremando per
il
rimorso e la rabbia, il fidanzato risalì rapidamente e come
una furia si scagliò contro Barbossa: - Dove sono finiti?
-
Prego? - rispose quello cadendo dalle nuvole e accarezzando la
scimmietta.
-
Dove sono quei marinai? - ripeté con sdegno.
-
Abbiamo dovuto alleggerire il carico – si
giustificò il
filibustiere con una espressione tra l'ironica e la dispiaciuta che
lasciò sia Will che Elizabeth scioccati. Il pirata colse il
loro sgomento e aggiunse: - Se volete stare dalla nostra parte non
dovete avere scrupoli a togliere di mezzo ogni possibile ostacolo!
La
giovane aristocratica si sentì molto colpita da quelle
parole:
rispecchiavano quello che aveva pensato nell'istante in cui con un
bacio aveva incatenato Jack all'albero maestro per evitare che la sua
presenza potesse mettere a rischio la vita sua e di Will.
-
E quei marinai costituivano un ostacolo per voi? - domandò
Turner con disprezzo.
-
Mettiamola così: adesso nessuno sa che siamo a Tortuga
–
spiegò con tranquillità il Capitano e nessuno si
schierò dalla parte del fabbro.
Tortuga
era sempre lo stesso porto di mare infestato da delinquenti di ogni
sorta, uomini, giovani e vecchi, senza futuro, menomati, ubriachi,
reietti e donne, ora elegantemente vestite, ora dai costumi volgari,
che vendevano il loro corpo anche in pieno giorno. L'aria era
appestata dall'intenso odore dell'alcol e del sudiciume, le stradelle
ricoperte da una spessa melma marrone e viscida in cui quella
gentaglia talvolta riposava, senza curarsi minimamente della propria
salute.
I
nove appena sbarcati si trovarono ad attraversare quelle vie
maleodoranti e brulicanti di ladri, taglia gola e donnacce che
cercavano di ostacolare il loro cammino con proposte e minacce che
essi evitarono finché giunsero ad una baia semi deserta dove
erano ancorate poche barche e un veliero dalla colorazione
sgargiante, probabile bottino di un arrembaggio.
-
Io vado a negoziare per la nave, voi pensate al resto –
stabilì
Barbossa.
-
Dobbiamo rubare? - domandò Elizabeth.
-
Se questi non vi basteranno, sì – rispose il
pirata
lanciandole un sacchettino di cuoio che una volta aperto si
rivelò
pieno di pietre, gioielli e qualche moneta. A Ragetti, Pintel e Gibbs
si illuminarono gli occhi alla vista di tanto luccichio.
-
Voi farete a modo vostro – li ammonì il Capitano,
così
si formarono due gruppi, uno composto da Pintel, Ragetti, Cotton e
Marty e l'altro formato da Will, Elizabeth, Tia Dalma e Gibbs. Questi
ultimi camminarono insieme per qualche metro non vedendo attorno a
loro altro che bettole, ostelli e uomini che spingevano carretti con
pesce e carne, così che, stanco e nauseato da quel posto,
Will
si decise a chiedere: - Signor Gibbs dove dobbiamo andare per trovare
un po' di armi e vestiti di ricambio?
-
Sinceramente, ragazzo, io conosco solo le taverne di questo luogo
–
affermò facendolo sbuffare; voltandosi si scontrò
con
una donna con ricci capelli rossi, un trucco accentuato e un vestito
verde scuro con ricami gialli: - Ciao! - lo salutò con
enfasi,
guadagnandosi lo sguardo ingelosito di Elizabeth.
-
Ti ricordi di me? - continuò quella appoggiando una mano
alla
spalla sinistra del giovane e sbattendo le ciglia.
-
No, mi dispiace; deve avermi scambiato per qualcun altro –
obiettò
imbarazzato.
-
Non è vero!Sei stato qui poco più di una
settimana fa.
Cercavi Jack Sparrow. Lo hai trovato poi? - gli chiese la donna
accompagnando le sue parole con molteplici moine.
-
No, non l'ho ancora trovato, signora – si ritrasse Turner
allontanandosi.
-
Bé, neanche qui è più venuto
– dichiarò
quella con tono dispiaciuto – Comunque io sono sempre a
disposizione – disse ancora. Will fece improvvisamente dietro
front
sotto lo sguardo contrariato della fidanzata e tornò dalla
donna chiedendole: - Voi vivete qui, giusto?
-
Sì – affermò lei con aria interessata,
alzandosi il
corsetto.
-
Allora sareste in grado di indicarci chi potrebbe venderci armi,
abiti e provviste? - la sollecitò con tono speranzoso.
-
E tu cosa mi daresti in cambio? - fu la sua replica mentre lo
squadrava dalla testa ai piedi. Elizabeth prese cinque penny e li
mise in mano alla donna che già l'aveva infastidita sin
troppo
con il suo atteggiamento provocante nei confronti del fidanzato: -
Questi vi bastano? - quella li contò e li
conservò
dentro il bustino, poi parlò: - Proseguendo sempre dritto
fino
ad una locanda che si chiama “Pecora nera” girate a
sinistra, poi
a destra e troverete chi vi aiuterà. Si chiama Bruce lo
Storpio. Desiderate altro?
-
No, grazie. Ci è stata utilissima! - concluse Gibbs con un
inchino e un sorriso, copiato da Will, quindi i quattro si
allontanarono seguendo l'indicazione ricevuta e in pochi minuti
giunsero ad una casupola che cadeva a pezzi e apparentemente vuota.
Mastro Gibbs batté il pugno sulla porta pronunciando il nome
suggerito dalla donna incontrata e allora si avvertirono dei rumori
dall'interno e apparve un uomo, non molto alto, robusto, con i
capelli grigi, lunghi ed estremamente sporchi che si reggeva su una
stampella, essendo privo della gamba sinistra.
-
Quanto avete con voi? - esclamò non appena uscì
fuori.
Elizabeth nascose la sacca e sé stessa dietro Will che
ribatté: - Dipende da quello che avete voi. Ci occorrono
nove
pistole, dieci spade, molte munizioni e anche vestiti.
-
Di qua – si limitò a dire l'uomo rientrando in
casa. I
quattro lo seguirono e videro che in realtà quella non era
una
casa ma solo una facciata perché all'interno c'era una vera
armeria con tanto di fabbri al lavoro e armi accatastate un po'
ovunque. Gibbs, Will ed Elizabeth cominciarono a scegliere ognuno la
propria sciabola mentre Tia Dalma restò impassibile al
centro
del cortile in cui i raggi del sole trapelavano dalle fessure del
soffitto realizzato con tavole di legno. Messo da parte quanto
serviva, i pirati si apprestarono a pagare lo Storpio.
-
Se mi lasciate le donne vi posso dare anche tutta la baracca. Lo
sapete quanto mi fruttano?Non ce ne sono così belle qui! -
propose questo ridacchiando sguaiatamente.
-
Anche se ti uccido ora posso ottenerla – lo
minacciò Will
con il pugnale alla gola, dopodiché gli sganciò
due
pietre e se andò insieme agli altri tenendo stretta a
sé
Elizabeth per un braccio. La ragazza era sempre più stupita
da
quanto stesse cambiando quel timido fabbro che una volta stava sempre
con gli occhi bassi e usava un tono pacato con chiunque; il suo nuovo
temperamento la affascinava e allo stesso tempo la impauriva: come
avrebbe reagito di fronte alla sua dichiarazione di colpevolezza per
la morte di Sparrow? Nel dubbio si strinse a lui guardandolo di tanto
in tanto senza riceverne l'attenzione e continuarono a camminare
così
sottobraccio fino a quando arrivarono alla baia dove avevano lasciato
Barbossa. Poco dopo li raggiunsero anche Pintel, Ragetti, Cotton e
Marty, carichi di cassette contenenti bottiglie di liquore, carne
essiccata e barattoli con altro cibo sottolio o sottaceto. Il maturo
filibustiere, nonostante tutta la sua abilità nel convincere
gli interlocutori ad assecondarlo, sembrava non fosse ancora giunto
ad un accordo definitivo con il proprietario della nave, col quale
ancora stava discutendo animatamente.
-
Non capite?E' una questione di vita o di morte! Bisogna unire i nove
pezzi da otto! - gli sentirono gridare. Tia Dalma strappò
dalle mani di Elizabeth il sacchettino con monete e pietre preziose e
, ponendosi tra Barbossa e l'uomo con cui questo stava parlando, gli
disse con voce suadente: - Non ci vedrete neanche, capitano –
porgendogli il borsellino con il contenuto bene in vista. Al che
l'uomo sorrise: - Capitan Claude Dumont, al vostro servizio, madame
–
facendole il baciamano. Barbossa alzò gli occhi al cielo e
poi, per non farsi vedere un po' irritato con la sacerdotessa che
aveva d'un colpo buttato via tutti quei preziosi, rivolse un finto
sorriso a quel pirata francese e aiutò gli altri a caricare
quanto avevano preso sulla nave di questo che si chiamava Tempete.
Una volta tornati a bordo anche i suoi uomini, Dumont fece salpare il
veliero; concluse le manovre di partenze i marinai iniziarono a
scrutare uno per uno gli ospiti facendo commenti che non riuscivano a
capire dato che parlavano in francese. Il che metteva in agitazione
Pintel e Ragetti che temevano qualche scherzo nei loro confronti, non
meno di Will che invece temeva per Elizabeth dato che, pur essendosi
vestita da pirata, aveva comunque attirato l'attenzione di quelli a
bordo. Per questo cercò di non perderla di vista restandole
accanto e con le dita pronte ad impugnare la spada o la pistola che
teneva entrambe appese alla cintola, insieme al pugnale.
-
Venite qui monsieurs! - lo richiamò il capitano Dumont
assieme
a Barbossa e lui controvoglia lo raggiunse. Quell'uomo sulla
cinquantina con la pelle olivastra, i capelli lunghi fino alle
spalle, grigio scuri e lisci, baffi sottili e lunghi e un vestito
composto da pantaloni verde chiaro, gilet rosso, camicia bianca e
giacca giallo ocra, era l'unico a parlare un po' di inglese, seppur
intervallandolo con parole della propria lingua. Mentre si avvicinava
al timone Will chiese a Barbossa perché li avesse
interpellati
entrambi e quello rispose: - Così non avrete a ridire che vi
nascondo qualcosa, come avete fatto le altre volte – il
ragazzo non
seppe se credergli o no, ma comunque lo seguì.
-
E a proposito di misterì, posso sapere il vostro nome,
monsier? - domandò il capitano che aveva udito il dialogo
tra
i due.
-
William Turner – replicò quello e il francese
ripeté
il nome con il suo accento. Poi cominciò: - - - Vi faremo
sbarcarè a Maracaibo e da lì poi potete
proseguire via
terra per Panamà, come avete sgià
stabilitò –
disse mostrandogli la posizione della località citata sulle
carte.
-
Tutto qui! - proruppe il ragazzo aspettandosi un discorso assai
più
lungo.
-
Oh, la vostra pulzellà: meglio non stia sottocoperta da
sola.
Non posso garantirvi nulla...- sostenne il filibustiere con
espressione ambigua.
-
Che vuol dire? - esclamò preoccupato il giovane.
-
I miei uomini: sono sensibili al feminin charme...Sto schersando, mon
amì!State tranquillo, monsier Turner. Eravate voi a mettere
paura ai mie marines, piuttosto! Con tutte quelle armi in vista! Mi
sono venuti a dire che stava per esserci un ammutinamento!
-
Non succederà nulla di questo, capitan Dumont – si
intromise
Barbossa, timoroso che il passaggio ottenuto potesse saltare per
colpa di quel mozzo sospettoso che non capiva come comportarsi in
determinate situazioni, lasciandosi prendere solo dalle proprie
preoccupazioni.
-
Lo spero per voi, Barbossà: siamo noi in maggioranza qui
–
concluse Dumont lasciandoli andare. Il redivivo pirata voleva
rimproverare privatamente il fabbro per averli messi a rischio di
passeggiata sull'asse, ma quando si girò quello non era
più
sul ponte, a differenza degli altri uomini del suo gruppo che stavano
collaborando con i marinai francesi. Per non dare ancora più
nell'occhio rinunciò a cercarlo e si affacciò al
parapetto insieme alla scimmietta.
Will
venne a sapere da Gibbs che la fidanzata era stata sistemata in una
cabina accanto a quella del Capitano e, nonostante le rassicurazioni
di quello, volle lo stesso controllare di persona che stesse bene,
senza però farle capire che l'aveva cercata di proposito.
Bussò alla porta ed entrò: lei era seduta su uno
stretto letto ricoperto da un pesante drappo azzurro e la cabina
aveva altri pochi mobili tra cui un piccolo armadio in legno chiaro,
una poltrona di velluto viola e uno specchio opaco con una cornice in
bronzo. Dopo una rapida occhiata all'ambiente si rivolse alla
ragazza: - Mi dispiace, non sapevo fossi qui – si
scusò.
-
Sono appena arrivata – affermò accingendosi a
sistemare le
poche cose che aveva portato fra l'armadio e dei ganci che pendevano
dal soffitto.
-
Andrò a sistemarmi in un'altra cabina – le disse
facendo per
andarsene.
-
No – fermò lei – Voglio dire:non credo
che ce ne siano
altre libere. Puoi restare qui – gli propose - Mi sono
sentita così
sola in questi giorni. - concluse con voce flebile sperando di
convincerlo a rimanere e parlare.
-
Ti manca? – le domandò lui senza guardarla,
dandole le
spalle.
-
Si,molto. Forse avrebbe potuto aiutarci – il fabbro
serrò i
pugni e si girò;
-
Ne dubito – dichiarò con tono scettico.
-
Dubiti di mio padre? - gli chiese offesa, al che Will cercò
di
correggersi: - Dubito che glielo avrebbero permesso – lei
abbassò
la testa. La gelosia ormai gli aveva annebbiato la mente:non aveva
pronunciato il nome di Jack Sparrow facendole quella domanda, eppure
aveva pensato che lei stesse parlando proprio di quel pirata. Si
avvicinò alla ragazza poggiandole una mano sulla spalla.
Elizabeth vagheggiò che volesse aprirsi con lei ma
restò
delusa quando gli sentì dire: - Vado a chiamare Tia Dalma.
Ti
farà compagnia lei – concluse per poi uscire dalla
stanza.
“Cerchi di ricomporre i pezzi, ma hai saputo distruggere in
pochi
giorni quello che avevamo costruito in tanti anni”
pensò
Turner risalendo sopra coperta. Lì trovò Gibbs
che
beveva dalla sua bottiglietta tascabile e qualche altro marinaio
francese intento a governare le vele.
-
Dov'è lui? - disse rivolgendosi a Gibbs.
-
Barbossa?È stato invitato dal Capitano a cenare con lui - lo
informò. - Non vi fidate ancora?
-
Ha gettato mio padre nell'oceano, e io questo non lo dimentico
–
sostenne Will con rabbia – Voleva uccidere anche me per
liberarsi
di quella maledizione, come potrei avere fiducia nei suoi confronti?
-
Bé...vedi Will...fra pirati le alleanza si stringono e si
rompono con facilità, a seconda della situazione –
spiegò
il marinaio – E in questa situazione Barbossa è il
migliore
alleato che potesse capitarci. È astuto, abile e conosce
bene
le rotte che dovremmo seguire.
Il
ragazzo a quelle parole si rassegnò: d'altronde senza la
guida
di quel filibustiere non avrebbe saputo cosa fare, come muoversi in
quel mondo che stava cambiando in fretta ed era pieno di insidie.
Così, approfittando della buona disposizione di Gibbs a
parlare e della momentanea assenza di Barbossa, si risolse a chiedere
al bonario marinaio dei chiarimenti circa un argomento che lo
lasciava ancora perplesso: - Cosa sapete dirmi del consiglio?
-
La Fratellanza? - l'uomo domandò sottovoce, il ragazzo
annuì.
- La sua origine si perde nel tempo delle prime esplorazioni del
nuovo continente – iniziò mantenendo la voce bassa
e un tono
misto di mistero ed entusiasmo. Will capì, conoscendolo, che
probabilmente la metà delle cose che avrebbe riferito
sarebbero corrisposte al vero, lo ascoltò comunque con
attenzione.
-
Stanchi delle continue guerre, delle epidemie e delle ingiustizie,
alcuni uomini coraggiosi decisero di vivere sul mare, liberi,senza
leggi, senza Stato, senza padroni. La scoperta di giacimenti d'oro e
d'argento e di altri prodotti sconosciuti aveva alimentato la
presenza di navi nel mar dei Caraibi,spagnoli, portoghesi, olandesi,
che divennero facili prede degli avventurieri del mare. La presenza
di navi pirata cominciò a preoccupare non poco anche gli
inglesi e fu così che Henry Morgan, uno dei più
grandi
filibustieri di tutti i tempi, capì che l'unico modo per
evitare uno scontro in cui avrebbero vinto le marine del vecchio
mondo, era inventare un sistema di regole che tenesse uniti fra loro
i pirati in caso di pericolo per la loro esistenza: il codice. Si
dice che sia custodito alla Baia dei Relitti, il luogo in cui si
terrà il consiglio della Fratellanza...
Mentre
Gibbs raccontava comparvero sia Barbossa che Tia Dalma e si fermarono
alle spalle dei due ad ascoltare. Will li notò ed ebbe paura
che il capitano lo sgridasse ancora una volta per aver fatto domande
scomode, invece quello gli sorrise e si allontanò con la
donna
a braccetto.
- Vuoi
sapere la storia del primo consiglio? - lo richiamò il
marinaio vedendolo distratto. Ma poi udì il brontolio dello
stomaco del ragazzo e allora cambiò domanda: - Vuoi mangiare
qualcosa? - data l'insistenza del pirata al suo rifiuto, alla fine
accettò di seguirlo sottocoperta.
Ciao a tutti!Ecco il quarto capitolo, annuncio a
tutti i lettori che siamo giunti a metà storia. Grazie a
stelly sisley e a tutti gli altri che hanno letto, mi farebbero piaceri
altri commenti. Qui c'è un personaggio nuovo di mia
invenzione che riserberà alcune sorprese...se volete sapere
leggete il prossimo capitolo che spero di pubblicare presto, anche se
ora sarà più difficile perchè devo
dare alcuni esami.
Ancora un saluto e , visto che è la
prima volta che pubblico nel 2009, buon anno a tutti!
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Capitolo 5 *** Identità svelata ***
Ciao a
tutti!Chiedo scusa per la
prolungata assenza, ma ho dovuto preparare un esame e non ho avuto
tempo da dedicare alla fanfiction. In questo nuovo capitolo ho cercato
di dare spazio al nuovo personaggio da me inventato oltre che ai
classici. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. Buona lettura, a
presto!
Capitolo
5: Identità svelata
C'era
molto schiamazzo nella parte della nave adibita a mensa, tanto che
Elizabeth esitava ad entrare e perciò Will e Gibbs la
incontrarono
nei corridoi; quest'ultimo la invitò a seguirli e
così cenarono. I
due fidanzati non scambiarono una parola mentre intorno a loro
regnava baldoria, musica e canzoni rozze. Terminato il pasto la
ragazza si ritirò nella sua cabina mentre Will
restò a parlare con
Gibbs. Si chiuse la porta alle spalle, non c'era neanche la chiave;
delle calde lacrime le rigarono le guance: si era sentita
terribilmente fuori posto in quei due giorni in mezzo a quegli
uomini. E ripensò alle parole di Barbossa: -
“Potreste vivere
nell'ozio e nel lusso”... Ma quella non le era mai parsa vita
vera:
era tutto fondato sull'apparenza, al contrario sul mare erano
soltanto le doti di ciascuno a rendersi necessarie per la
sopravvivenza. Così quando partecipava ad una qualche
noiosissima
cerimonia, data in onore di un rampollo di una qualche importante
famiglia, che aveva ricevuto un prestigioso incarico, politico o
militare, lo faceva solo per accontentare suo padre. Suo padre. A
stento aveva acconsentito di farle sposare un semplice fabbro,
attirandosi i commenti maligni degli altri aristocratici, ma
l'avrebbe mai perdonata per essersi unita a dei fuorilegge rifiutando
la possibilità di tornare in Inghilterra?D'altra parte non
poteva
neppure immaginare di dover restare in un paese che ormai non sentiva
più suo con l'angoscia di non sapere niente di Will, o
peggio,
scoprire che era stato giustiziato. Lo avrebbe seguito ovunque, non
voleva perderlo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui; ma lui ne era
cosciente? Per il modo in cui si comportava le sembrava di averlo
già
perduto. Era vero, continuava a difenderla letteralmente a spada
tratta, ma forse lo faceva solo perché era proprio del suo
carattere: non aveva più ricevuto alcun gesto di affetto da
parte
sua, né una parola che non riguardasse la <<spedizione>>
che stavano compiendo con Barbossa. Guardandosi attorno notò
che
qualcuno aveva portato un tavolino e vi aveva appoggiato un bacile ed
una brocca con dell'acqua che utilizzò per lavarsi il viso.
Pensò
che, seppure pirati, quegli uomini conservavano un briciolo di
cortesia. Poi si distese sul letto e, oppressa dai ricordi, dai dubbi
e dalle vane speranze sul loro futuro, infine si addormentò.
Qualche
ora più tardi aprì gli occhi: sentiva una luce
colpirle le palpebre
e quando ebbe messo a fuoco si accorse che era un raggio di sole
riflesso dalla lama di una spada. Non la sua: l'aveva lasciata vicino
al letto, era un'altra appesa ad un chiodo della parete. Con
meraviglia e felicità scoprì che era quella di
Will: lui era
scomodamente sistemato sulla poltrona di velluto viola,
chissà da
quanto tempo, e lei sorrise pensando che era la prima volta che
dividevano la stessa stanza per dormire. Mentre faceva questa
considerazione vide che stava per svegliarsi e allora chiuse gli
occhi. Il ragazzo si stiracchiò, sentì i suoi
passi avvicinarsi a
lei, lentamente, non voleva farsi sentire. Si diresse verso
l'oblò
aprendolo e facendo entrare la fresca brezza del mattino.
Avvertì
che si chinava su di lei: sfiorò con la punta delle dita il
palmo
della sua mano poggiata sul cuscino e con altrettanta delicatezza le
scostò i capelli dal collo. Il suo cuore iniziò a
battere più
forte quando percepì la sua vicinanza e il suo odore di
salsedine a
pochi centimetri dal suo viso.
Si
soffermò a guardarla: sembrava più tranquilla ora
rispetto a
quando, qualche ora prima, si era deciso a trascorrere lì la
notte
anziché restare sul ponte a prendere umidità.
Contemplò la dolce
forma delle sue labbra ed ebbe voglia di baciarla ma si trattenne
ricordando che l'ultima volta era stato Jack Sparrow a farlo,
così
si allontanò prendendo la sua spada e uscendo. Elizabeth si
alzò
sedendosi non appena se ne fu andato; si passò le dita fra i
capelli
che lui aveva toccato e restò per qualche secondo a
respirare più
forte, come non aveva potuto fare prima, per non fargli capire che
era sveglia. Le aveva fatto piacere trovarlo lì con lei,
perciò
scelse di fingere di non essersene accorta, sperando che quello che
era successo si ripetesse.
Sul
ponte c'era agitazione e le prime due persone che Will vide furono
Barbossa e Tia Dalma, impegnati in un'accesa discussione di cui colse
alcune parole:
-
Mi avevi assicurato che non ci sarebbero stati problemi! - sbraitava
il pirata.
-
È questo il massimo che posso fare finché
sarò costretta in questo
corpo! - ribatteva la donna con altrettanto fervore.
-
Dovrai impegnarti di più, allora! - replicò il
filibustiere con
tono minaccioso.
-
Altrimenti cosa farai? - lo incalzò quella per nulla
intimorita,
anzi quasi canzonandolo. Gibbs venne incontro a Will e questo subito
gli chiese, mentre i due si zittirono: - Che sta succedendo?
-
Velè in vista e bandiera inglese! - rispose Capitan Dumont
guardando
nel cannocchiale.
-
Dovremo prepararci ad affrontarli – suggerì
Elizabeth che era nel
frattempo salita sopra coperta; il fidanzato le rivolse uno sguardo
rapido come se volesse carpire se per caso avesse un modo diverso di
guardarlo, avendo scoperto che aveva dormito lì con lei, ma
la
ragazza abbassò subito gli occhi e allora parlando al
capitano
francese disse: - Quanti cannoni avete?
-
Ma insommà!Questa è la mia nave! - esplose
quello, offeso dalla
presa di posizione dei due giovani – Descido io come agire!
-
Avete ragione, monsieur Dumont – lo appoggiò
Barbossa
rimproverando con una occhiata sia Will che Elizabeth – Vi
ascoltiamo – aggiunse.
-
Dobbiamo cambiare rotta – stabilì il francese, gli
altri restarono
senza parole – Se continuiamo a spingersci verso il golfo sci
prenderanno! Invece se andiamo verso est...
-
Torneremo indietro! - constatò con incredulità
Will.
-
Ma Singapore è in oriente, no? - affermò il
capitano.
-
Ci vorrà molto tempo! - si intromise Pintel.
-
Ullallallà!La mia nave è veloscissima...al
massimo... due mesi –
esclamò il filibustiere con ottimismo, accingendosi a
manovrare il
timone. A quel punto Barbossa cambiò espressione e contegno
e con
forza gli trattenne un braccio: - Codardo di un francese! Te la fai
sotto perché quelli hanno due file di cannoni? - lo
provocò.
-
Mi sombra un motivo più che buono! - osservò
quello – E poi mi
sembrava vi fosse clar che qui c'è moi le Capitan! -
aggiunse
irritato. Will e Gibbs temettero che Barbossa volesse impugnare la
pistola, perciò si affrettarono a farlo allontanare,
afferrandolo
per le braccia insieme ai marinai della Tempete.
-
Pronti alla manovra, capitano – asserirono Pintel, Ragetti e
Marty.
-
Toute a gauche! - allora ordinò quello e tutti si mossero
seguendo i
marinai francesi che erano stati gli unici a capire quelle parole.
Poi il bucaniere chiamò Barbossa in disparte: - Non vi
faccio
mettere in scella solo per rispetto del vostro grado precedonte,
capitano – lo ammonì fingendosi serio; l'uomo fece
una smorfia di
disappunto e poi restò saldamente aggrappato alla ringhiera.
“Io
l'avrei fatto, invece”, pensò.
Il
trealberi compì la manovra con lentezza ma una volta
rigiratosi
cominciò a filare sulle onde con maggiore impeto; anche il
veliero
inglese era veloce e presto iniziò ad incalzarlo.
-
Non è certo la Perla Nera! - disse Pintel mentre stringeva
una cima
rivolgendosi a Ragetti impegnato nello stesso compito.
-
Se ci prendono ci impiccano tutti! - esclamò quello
– Speriamo che
non usino corde troppo lunghe. Perché ho sentito storie di
uomini
rimasti appesi per il collo anche ore prima di morire strozzati!
-
Qui nessuno sarà impiccato se vi date una mossa! -
urlò Gibbs – E
smettila con queste storie!
-
Ma io non ho paura di morire, solo dovrei confessarmi prima –
ribatté il pirata dall'occhio di legno; le sue parole
restarono
inascoltate mentre la nave inglese riduceva sempre di più le
distanze.
-
Una volta rasgiunto l'Osceano vedrete come filerà velosce! -
gridò
il capitano francese. Ma il veliero che li seguiva era ormai a pochi
metri e aveva aperto il fuoco.
-
Sempre che ci arriviamo all'Oceano – constatò
amaramente Barbossa.
-
Perché non vuole usare i cannoni?Abbiamo molte munizioni!
–
sostenne Will avendo udito ciò che aveva detto il pirata.
Quello
scrollò le spalle, poi, come assalito da un'improvvisa
scossa, si
diresse a grandi passi verso il timone strappandolo dalle mani di
Dumont, il quale finì per terra a gambe all'aria. Allora
dichiarò:
- Assumo io il comando oggi! - e così dicendo
iniziò a dare ordini
a destra e a sinistra con la consueta animosità riuscendo ad
ottenere il consenso dello stesso capitano francese che traduceva per
i suoi marinai. Will pensò che quell'uomo era portato per
gli
ammutinamenti, mentre Elizabeth ammirò la sua
capacità di
destreggiarsi in una situazione che sembrava ormai segnata. Ma
nessuno dei due capì cosa lo spingesse davvero a mettere in
gioco la
sua vita: audacia?incoscienza?gusto del rischio?Non potevano sapere
che, paradossalmente, era proprio la voglia di vivere ad indurlo ad
un tale atto di sfida: Calipso era stata molto chiara: o l'avrebbe
fatta ritornare come prima o sarebbe tornato nel mondo dei morti. Era
un'occasione troppo importante e unica per mettersi a subire
passivamente la vigliacca condotta del pirata francese. E infatti
poco dopo decise di far mettere in funzione i cannoni, dato che il
veliero inglese era riuscito, nonostante gli sforzi fatti, ad
affiancarli. Ben pochi colpi giunsero, in verità, a segno
perché il
vento continuava a sospingere le imbarcazioni e nessuno dei due
capitani aveva voluto gettare l'ancora. Dopo qualche minuto una palla
di cannone ebbe un ruolo decisivo andando ad abbattere un albero
della nave avversaria che perse così velocità e
restò quindi
indietro.
-
Non ci daranno più fastidio! – annunciò
trionfante Barbossa alla
ciurma e al Capitan Dumont che si era avvicinato: - Credete che
riusciremo ad arrivare fino al Capo di Buona Speranza o dovremo fare
una sosta prima? - domandò a questo.
-
Guardate che è a voi che davano la casccia. Io non ho mai
dato
fastidio a nessuno – sostenne il francese riprendendo il
timone
come se nulla fosse accaduto. Ci fu un mormorio,poi Ragetti
esclamò:
- Davvero?
-
Scertamente! - asserì quello con sicurezza.
-
Perché, voi non siete un pirata che ruba forse? - chiese
Barbossa
poco convinto dal modo di comportarsi del francese. La sua risposta
fu inaspettata.
-
No,infatti! Se non ve ne siete accorti non ho neppure una bandiera
mia.
-
Come?! - disse con stupore Will dopo aver dato una rapida occhiata
all'albero maestro che era privo di qualsiasi vessillo.
-
Sono un agente al servizio di sua maestà cattolicissima il
re di
Francia Luigi... - mentre parlava un'espressione preoccupata si
stampò sui loro volti.
-
Frena, amico! - irruppe Pintel – Ci hai preso in giro!
-
Perché eravate a Tortuga? - incalzò Barbossa.
-
Il mio re mi ha mandato nei Caraibi per controllare la situazione di
queste isole a cui anche lui è interessato. E Tortuga
è l'unico
porto in cui è possibile attraccare e comprare
ciò che si vuole a
buon prezzo e senza pagare alcuna tassa agli inglesi! -
spiegò
sorridendo l'uomo.
Barbossa
alzò gli occhi al cielo non capacitandosi di quanto
facilmente si
fosse abbassato a chiedere aiuto a quello sconosciuto che non aveva
alcun interesse in comune con lui: ora capiva perché aveva
mostrato
tanta resistenza ad accoglierli a bordo e perché non capiva
il
discorso della Fratellanza.
-
Che intendete fare di noi? - proferì Elizabeth mentre gli
altri
guardavano il filibustiere che li aveva cacciati in quella situazione
con avversione.
-
In fondo sono in debito con voi... - iniziò il francese -
...persciò
potrei anche prendervi a bordo con me – Pintel, Ragetti e
Gibbs,
che avevano già immaginato un destino peggiore, spalancarono
occhi e
bocca in un sorriso di sollievo ma il loro capitano fu pronto a
frenare quell'entusiasmo: - Non possiamo accettare, abbiamo una
missione da compiere – sostenne con serietà.
-
Si, me lo avete già detto: dovete arrivare a Singapore il
prima
possible. Anche io devo andare in Orientè perché
la mia seconda
tappa è l'India, ma prima passeremo per Scittà
del Capo – asserì
con tono amichevole il francese.
Quelle
parole convinsero ancora di più la ciurma superstite della
Perla a
restare ma Barbossa, non avendo ancora digerito lo smacco,
tornò ad
attaccare il capitano che si mostrava stranamente disponibile: -
Potremo anche accettare di prolungare la nostra permanenza a bordo
della Tempete, ma prima gradirei che ci metteste a parte di un paio
di cose.
L'uomo
abbassò il capo in segno di riconoscenza delle motivazioni
di
sospetto del pirata e allora pronunciò: - Vi invito a
discutere
sotto coperta. E può seguirci anche la vostra amica
– concluse
alludendo a Tia Dalma per la quale sembrava avere un debole; quella
lo ringraziò con tono vezzoso.
-
Vorrei venire anch'io – si intromise Will.
-
Va bene – disse inaspettatamente Barbossa – e
può anche Miss
Swann – aggiunse. Il capitano non si oppose e così
tutti e quattro
scesero nella cabina personale del comandante dove la sera precedente
Barbossa e Tia Dalma avevano cenato ma che era sconosciuta a Will ed
Elizabeth. I due giovani si soffermarono ad osservare la grande
quantità di oggetti che vi era raccolta: sulle pareti
campeggiavano
molte carte geografiche incorniciate, spade, pistole di vario tipo,
quadri con paesaggi di campagna che l'uomo dichiarò di aver
dipinto
personalmente quando si trovava nella sua amata Francia. Dal tetto
scendeva un lampadario di bronzo a dieci braccia, e vi era un tavolo
abbastanza lungo, di forma rettangolare, con sei sedie attorno. Il
francese li fece accomodare e poco dopo giunse un suo marinaio che
portò un vassoio con cinque bicchieri e una bottiglia di
liquore che
nessuno, però, si risolse a bere, a parte il capitano che
dopo
averlo sorseggiato asserì: - Excellent!
Barbossa,
spazientito da quel temporeggiare, prese la parola con arroganza: -
Primo: perché volete continuare ad aiutarci?Siamo nove
persone, non
una, nove. C'è una taglia su ognuna delle nostre teste!
-
Anche sulle vostre mademoisselles? - chiese divertito l'uomo mentre
entrambe le donne abbassarono gli occhi.
-
Volete venderci? - tornò a chiedere il pirata.
-
Non mi permetterei mai! - rispose quello, quasi scandalizzato.
-
E secondo – si frappose Will – perché
dite che è a noi che
quegli inglesi davano la caccia?Voi navigate senza bandiere e
potreste essere scambiato benissimo per un pirata.
-
Insommà!Se avessi avuto cattive intensioni... - il francese
restò
per qualche secondo in silenzio come se volesse cercare le parole
più
opportune; poi riprese – Perché dovrei
considerarvi nemisci?Non
state dalla parte degli inglesi, anzi li danneggiate e questo al mio
re piace – spiegò.
-
Ma sapete benissimo che anche quando ci sarete voi a governare questi
mari, i pirati non vi daranno tregua – ammise Elizabeth.
-
Quello si vedrà – asserì l'uomo con
spavalderia mentre Barbossa
fece un sorriso che esprimeva una sorta di ironica compassione nei
suoi riguardi.
-
Non avete risposto alla mia domanda, capitan Dumont – si fece
avanti nuovamente Turner.
-
C'erano degli uomini che vi seguivano a Tortuga; me lo hanno riferito
i miei marinai – precisò. - Non ve ne siete
accorti?
Will
abbassò lo sguardo e per un attimo gli tornò in
mente che sì, tra
la folla aveva notato qualcuno che gli sembrava familiare, ma non ci
aveva dato peso; dopotutto era stata la terza volta che metteva piede
in qual posto. Ora riuscì a collegare quel volto ad un nome:
era
l'agente di Beckett, Mercer...Elizabeth lo osservava in attesa che
dicesse qualcosa ma restò muto.
-
Un' ultima domanda – tornò a parlare Barbossa
– Come mai mi
avete lasciato fare prima, al timone?
-
Vedete monsier, io sono un gentiluomo di campagna. È da meno
di un
anno che possiedo questa nave e non posso dire di essere
espertò di
battaglie navali come voi – dichiarò con un tono
velatamente
adulatore, ma il bucaniere lo guardò con diffidenza. - Non
ho più
nulla da dirvi persciò, se volete andare...
-
Sì, ce ne andiamo – disse il maturo pirata e con
lui si alzarono
Will ed Elizabeth.
-
Io resto qui – annunciò Tia Dalma scambiando uno
sguardo di
complicità con il capitano francese che sorrise lusingato.
Gli
altri tre non dissero niente e uscirono risalendo sopra coperta.
Subito Gibbs e gli altri si avvicinarono per sapere cosa si fossero
detti e Miss Swann si offrì di raccontare loro tutto dopo
aver avuto
il permesso da Barbossa. Will si rivolse a quest'ultimo che si era
affacciato al parapetto, con lo sguardo perso tra le onde: - Ci
possiamo fidare?
L'uomo
si voltò lentamente: - Arrivati a Città del Capo
cambieremo nave. E
comunque vi suggerisco di stare all'erta – lo
ammonì rigirandosi.
-
Quel vostro amico di Singapore... - ricominciò il ragazzo
nonostante
il filibustiere mostrasse poca voglia di conversare.
-
Sao Feng? - domandò seccamente.
-
Sì. Andremo da lui per informarlo di quanto sta per
accadere,
giusto?
-
Giusto! - rispose l'uomo sempre più spazientito dalle
continue
domande del giovane.
-
E tutti gli altri pirati nobili come verranno a saperlo? -
continuò
quello.
-
Con la canzone. Ci ho già pensato io – disse
bruscamente. -
Ma...che fine ha fatto Jack? - esclamò poco dopo
allontanandosi per
cercare la scimmietta, sua unica compagna fedele su quella nave.
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Capitolo 6 *** L'uragano ***
Ciao a
tutti! Mi dispiace per aver fatto trascorrere tanto tempo ma sono stata
molto impegnata, ora però conto di aggiornare più
spesso (promessa da pirata!) Ringrazio stellysisley che forse
è l'unica ad avere la pazienza di leggere questa mia fanfic
(forse un pò lunga) e quanti altri sono solo lettori.
Una
piccola nota: il titolo si riferisce soprattutto allo stato d'animo dei
protagonisti, ho provato a dare spazio un pò a tutti, questa
volta.
Buona lettura!
Capitolo 6: L'uragano
La
settimana seguente la Tempete navigava già nelle agitate
acque
dell'Oceano Atlantico, in direzione sud est. Il cielo era nuvoloso e
il vento carico di acqua che ben presto si riversò con
grande forza.
Tuoni e lampi squarciavano il cielo e facevano vibrare
l'imbarcazione.
Elizabeth
e Tia Dalma erano le uniche due persone ad essere rimaste sotto
coperta perché il capitano aveva richiesto l'aiuto di tutto
l'equipaggio per manovrare la nave sbattuta dalla burrasca. Non erano
sole, però.
Barbossa
aveva in realtà preferito godersi l'ospitalità
del comandante e
così aveva pensato bene di farsi cullare dalle onde che
facevano
sobbalzare il veliero standosene a sonnecchiare sulla branda di una
cabina vuota, in compagnia della scimmietta che, invece, era
piuttosto agitata dalla tempesta e saltellava per tutta la stanza in
cerca di qualcosa da rubare, come era stata educata a fare molti anni
prima. Un bel momento il bucaniere si stufò e la
rimproverò di
smetterla per poi pentirsi, e allora uscì dall'alloggio. Nei
corridoi incontrò la bruna veggente che si allontanava dalla
cabina
del capitano.
-
Allora? - domandò, fermandola prima che potesse dileguarsi.
-
È a posto – rispose quella infastidita,
voltandogli le spalle.
-
Solo perché ti fa la corte? - la schernì l'uomo
poggiandole una
mano sulla schiena.
-
Non farmi domande se poi non dai credito alle mie risposte!E
comunque, la prossima volta, evita di prendere iniziative –
gli
consigliò puntandogli l'indice contro. - È di
animo buono, ma anche
molto orgoglioso – concluse rientrando nella cabina e
sbattendo la
porta; Barbossa salì sul ponte sbuffando.
Elizabeth
aveva udito la breve conversazione fra i due dalla sua stanza. Quella
Tia Dalma la incuriosiva molto: più di una volta le era
parso che
sapesse sondare il suo animo e poi sembrava che esercitasse un
fascino oscuro sugli uomini, li attraeva e respingeva con un solo
sguardo, riuscendo sempre a farsi rispettare. Ma quando stava sola a
guardare il mare sembrava triste; teneva spesso in mano un ciondolo:
forse aveva perduto qualcuno che amava...Le sarebbe piaciuto
parlarle, magari confidarsi con lei, ma ogni volta che ci aveva
provato la donna si era ritratta e alla fine aveva rinunciato ad
altri approcci.
Anche
Tia Dalma soffriva: lei era la dea del mare, in altri tempi avrebbe
potuto decidere a suo piacimento come far muovere quelle onde, se
travolgere quella nave o condurla in un porto sicuro, quale prezzo
chiedere ai naviganti per la vita. Ora tutto questo era in mano di
Davy Jones: lui forse la aveva ingannata, promettendogli il suo cuore
per conquistarne i poteri, non la aveva cercata più, e ora
si
divertiva a fare il signore degli oceani, giudice severo delle anime
dei marinai. Perduta la sua umana forma, lui era divenuto
più
potente, lei, al contrario, aveva dovuto mascherarsi da veggente,
nascondersi in una palude che per molti anni era stata meta di
naviganti, stanchi o in cerca di risposte, che la consideravano solo
una donna attraente, con conoscenze grandi e misteriose, nulla
più.
Per questo non tutti erano sopravvissuti dopo averla incontrata, ma
qualcuno era anche tornato più di una volta e aveva goduto
dei suoi
favori. Se avevano limitato le sue capacità di cambiare
forma e
governare le acque, non avevano potuto privarla del suo speciale
rapporto con il mare. Riusciva a percepire quello che vi accadeva e
così, dopo una visione, aveva deciso quella notte di
mettersi in
viaggio per andare a recuperare il corpo di quel pirata che era morto
in una grotta senza lasciare a nessuno quell'importante oggetto da
cui dipendeva la sua possibilità di riscatto da quella vita
mortale
che le andava stretta da troppo tempo.
Sopra
coperta la pioggia sferzante rendeva ogni movimento più
faticoso: le
corde sfuggivano dalle mani ancor prima di essere sistemate a dovere
e il legno del ponte era così scivoloso da far cadere
più volte i
marinai che non riuscivano a stare in piedi e spostarsi eseguendo gli
ordini del capitano. Le vele stavano per squarciarsi e continue onde
si riversavano all'interno dell'imbarcazione.
-
È ovvio che una qualche forza si oppone al nostro viaggio! -
esclamò
Ragetti.
-
Sì, è il vento! - ribatté Pintel,
molto più concreto del compare
che negli ultimi tempi lo voleva convincere a credere nel
soprannaturale.
-
Ci sta tirando indietro!Dovremo rinunciare! - gridò Gibbs,
ma il
capitano sembrava molto più sicuro di sé questa
volta: - È solo
una tempesta, uomini!E a breve scesserà!
-
Non credo, signore! - si fece avanti nuovamente il marinaio –
Si
sta formando un uragano!
-
Un altro! - si lamentarono in coro Marty e il pappagallo di Cotton,
già reduci da una violenta burrasca che aveva colpito la
Perla pochi
mesi prima.
-
Sottocoperta!Sottocoperta! - gracchiava ancora il pappagallo
andandosi a nascondere con l'aiuto del suo padrone.
La
nave rollava paurosamente e il velame si stava sciogliendo dai
pennoni.
-
Io vado a chiamarlo! - affermò Will non appena un'asta cadde
in mare
staccandosi da uno degli alberi e mancando per poco degli uomini.
-
Dove credi di andare mozzo! - urlò Dumont accorgendosi che
il
ragazzo stava allontanandosi – Mi servi qui!Bloccate tutti i
boccaporti! - Turner fece finta di non sentirlo e inaspettatamente
Barbossa comparve, non intromettendosi nella gestione della
situazione ma apprestandosi ad aiutare come un semplice marinaio. Con
sorpresa di Will e degli altri che,notando che il pirata aveva
lasciato il suo cappello, credettero che avesse infine accettato la
sua condizione di sottoposto a bordo.
Elizabeth
era rimasta nella sua cabina, seduta sul letto con le ginocchia al
petto e la schiena appoggiata al cuscino contro il muro: era la prima
volta che si trovava nel mezzo di un temporale in mare aperto e
provava una certa inquietudine; tuttavia si convinse di dover
superare anche quella paura e allora, barcollando a causa del
continuo beccheggiamento della nave, uscì, decisa a salire
sopra
coperta. Ma quando raggiunse il primo boccaporto lo trovò
chiuso, e
così anche gli altri. Sentiva le urla degli uomini francesi
non
riuscendo a capire le parole anche a causa dei tuoni. A quel punto
Tia Dalma si affacciò dalla cabina in cui alloggiava
mandandole uno
sguardo indecifrabile, la intravide appena data la fioca luce
prodotta dalle poche lampade a olio attaccate con ganci al soffitto.
Senza parlare rientrò e richiuse la porta senza far rumore,
quasi
fosse una visione.
Sfiduciata
la ragazza si sedette sui gradini della scaletta in attesa che tutto
finisse. Il temporale si protrasse ancora un paio d'ore e i suoni
provenienti dall'esterno erano sempre gli stessi: rombi, onde che si
infrangevano, ordini gridati in francese, pioggia battente; poi il
silenzio. Temette il peggio, cominciò a battere i pugni sul
boccaporto perché qualcuno la sentisse e dietro di lei
giunse di
nuovo la misteriosa veggente. Finalmente voci allegre, canti,
calpestio; un marinaio aprì bruscamente il boccaporto e
senza
neanche degnare d'attenzione le due donne scese in gran fretta.
-
Nous avons gagnè, mes amis! - dichiarava contento il comandante
mentre tutti i suoi marinai improvvisavano balli e canzoni.
Una
volta sul ponte Elizabeth cercò il volto del fidanzato: lo
stavano
trascinando in buffe danze di ringraziamento per lo scampato
pericolo, invogliandolo anche a bere un po' del vino che il capitano
aveva offerto a tutti, ma si voltò nella sua direzione come
se la
avesse sentita e, restando fermo per qualche secondo, rispose al suo
sorriso, anche se per poco.
Tia
Dalma andò incontro a Dumont: - Complimenti, capitano!Siete
riuscito
a salvarci in modo ammirevole! - si congratulò stringendogli
le
mani.
-
Voi madame, siete il mio portafortuna! - ricambiò quello,
lusingato
dalle parole di adulazione della donna. Barbossa invece la
guardò
con sospetto e allora quella tirò a sé il
francese continuando a
parlargli da un'altra parte. Il pirata quindi strappò di
mano una
bottiglia di liquore ad una marinaio e andò a scolarsela
passeggiando dal lato opposto ai due.
Quando
rimase da solo, Elizabeth si avvicinò a Will: - Dovresti
cambiarti o
prenderai un raffreddore – gli suggerì
amorevolmente fissandolo
negli occhi. - E inoltre sarai stanco, puoi dormire nella mia cabina,
se vuoi – aggiunse.
-
Ormai ci sono abituato...a restare con abiti bagnati, intendo
–
replicò lui con un po' di imbarazzo, a malincuore, fingendo
di non
aver sentito il sincero affetto con cui la ragazza aveva pronunciato
quelle parole. - Non fa freddo – concluse.
-
Lo sai, il capitano Dumont mi ha invitata a cena, insieme a Tia Dalma
e Barbossa – lo informò lei non appena il ragazzo
distolse lo
sguardo. - È un uomo molto cortese –
affermò cercando di
sbloccarlo.
-
Non farlo attendere, allora, o potrebbe offendersi – fu la
sua
risposta.
-
E tu resti qui? - incalzò la ragazza poggiandogli una mano
sulla
spalla.
-
Mi sono offerto per il turno di notte – dichiarò
con fermezza
Will.
-
Buonanotte, allora! - disse allontanandosi innervosita la fanciulla.
Non capiva perché si comportasse in quel modo, sembrava
quasi
fossero tornati indietro, doveva aspettarsi che da un momento
all'altro avrebbe ricominciato a chiamarla Miss Swann, come in
passato. Ma quello che non sopportava era non sapere il motivo del
suo allontanamento. Di chi era la colpa? Aveva visto qualcosa?
Will
in cuor suo provava un grande sconvolgimento. Starle vicino ogni
volta ricreava dentro di sé un vortice di emozioni, come un
uragano:
era felice e allo stesso tempo adirato perché si sentiva
preso in
giro, voleva allontanarla perché fosse libera di vivere
anche senza
di lui, ma desiderava anche stringerla tra le sue braccia. Chi amava
davvero?Jack Sparrow contava qualcosa per lei?Sarebbero bastate
queste due semplici domande per placare il suo tormento ma non aveva
ancora trovato il coraggio di farle e si sentiva come un pezzo di
legno trascinato senza meta dalle onde dell'oceano in tempesta.
Un'altra
settimana si trascinò lentamente. Anche Barbossa aveva i
suoi
grattacapi: non era certo entusiasta di stare agli ordini di quel
capitano che non era neanche un pirata!Pensava e ripensava alla Perla
Nera, a come la avrebbe facilmente riconquistata, alle future rotte
che avrebbe intrapreso...C'erano ancora tanti posti che voleva
vedere, tanti tesori ancora da scoprire e depredare...Ma erano giunti
a metà del viaggio e se voleva affrettare il giorno della
raggiunta
libertà doveva ancora tenere a freno la sua indole di
trasgressore e
fare buon viso a cattivo gioco. Solo che il gioco era retto da lei e
non era affatto sicuro che lo avrebbe fatto vincere. Oltretutto lo
irritava il modo in cui negli ultimi giorni si era avvicinata a
quell'uomo e la sua totale mancanza di impegno per facilitare quella
traversata...
Mentre
pensava a ciò gli si avvicinò Elizabeth: -
C'è un limite di tempo
per salvare Jack Sparrow dallo scrigno? - chiese dopo un'iniziale
esitazione a rivolgergli la parola.
-
No, non credo – rispose mentre la scimmietta gli
salì sulla spalla
destra rosicchiando della frutta secca che aveva probabilmente
rubato. - Ma il tempo corre contro di noi – riprese il pirata
dopo
aver accarezzato l'animale – Avete visto,no?Come ci danno la
caccia?
-
Che cosa farete per batterli...voi pirati nobili? - domandò
ancora
la ragazza.
-
Questo non posso dirlo. Prima dobbiamo riunirci. E dobbiamo essere
tutti – specificò al che la sua interlocutrice si
rabbuiò e
trascinando i passi si allontanò da lui.
Due
sere dopo Will passeggiava insonne sul ponte: era una notte senza
luna ma le lanterne accese garantivano un minimo di
visibilità,
almeno per spostarsi. Il fruscio del vento portò fino alle
sue
orecchie un mormorio indistinto che sembrava provenire da poppa.
Alcune candele si erano consumate e quella parte della nave era
più
buia. Con circospezione si avvicinò tenendo la mano destra
saldamente attaccata al pugnale e quella sinistra pronta ad impugnare
la pistola, fece un rapido salto e fu subito alle spalle di quelle
ombre che gridarono impaurite:
-
Ah, siete voi – affermò non appena li riconobbe.
-
Abbassa quel coltello! - gli urlò Pintel mentre Ragetti
ancora
scosso lo abbracciava.
-
Vi ha mandati Barbossa per controllarmi? - li interrogò
sedendosi su
un barile e riponendo le armi.
-
No, ci ha mandati Dumont per aiutarti – lo informò
Marty.
-
Possibile che tu veda complotti ovunque, ragazzo? - lo
ammonì Gibbs.
-
Me lo avete detto voi, no?Fra i pirati le alleanze si sfasciano
facilmente – rispose Turner.
-
Sì, ma non essere tu il primo a farlo –
ribatté il marinaio.
-
Di che parlavate? - domandò allora il giovane, dopo che
erano
rimasti tutti muti.
-
Ci stavamo intrattenendo con la storia di Barbanera –
spiegò il
pirata con l'occhio di legno.
-
Avevamo appena iniziato – specificò Gibbs
– Dove vai? - lo
richiamò poi vedendo che si stava alzando come se avesse
notato
qualcosa di importante.
-
Me lo racconterete un'altra volta, devo andare – si
limitò a dire
svanendo dalla loro vista. Senza farsi troppe domande gli uomini
tornarono a chiacchierare.
Anche
quella era stata una giornata piatta per Elizabeth, e così,
anche se
era ancora presto, dopo cena si era ritirata nella sua cabina, come
sempre, e come le altre volte, stando da sola, era stata travolta dai
sensi di colpa, dalle paure, dalla malinconia. Stava distesa a letto
con gli occhi aperti quando la porta della sua stanza si
aprì e si
richiuse velocemente. Agguantò subito la spada che teneva
vicino a
sé e con uno scatto la puntò contro lo
sconosciuto invasore:
-
Dannazione Will!Mi hai fatto prendere uno spavento! - urlò
senza
riuscire a controllare i nervi a fior di pelle che le facevano
mantenere il braccio ancora teso contro il ragazzo, il quale
sussurrò
un po' irritato: - Abbassa la voce – la giovane
piantò di nuovo la
sciabola nel pavimento e incrociò le braccia tremando.
-
Posso restare? - chiese lui con un tono più sereno e a voce
bassa.
-
Certo – asserì la ragazza senza guardarlo e senza
manifestare
alcun sentimento. Lui si voltò appoggiando la guancia alla
porta. -
Solo che... - riprese lei avvicinandosi – Non avevi il turno
di
guardia? - domandò sembrandogli strana quella sua visita.
-
Shh! - la zittì lui girandosi di colpo e poggiandole due
dita gelide
sulle labbra – Non voglio che ci sentano –
bisbigliò
accompagnando quelle parole ad un breve ma intenso sguardo che la
avvolse dalla testa ai piedi. La fanciulla spalancò gli
occhi: - Che
hai intenzione di fare? - esclamò sempre più
stranita.
Will
avvertì lo smarrimento nella sua voce ma disse
semplicemente: -
Spiarli – attaccando nuovamente l'orecchio alla porta.
Elizabeth si
chiese in mente “Chi?” poi copiò il
fidanzato e si fermò con
lui ad origliare riconoscendo quelle voci.
-
Si può sapere che ci trovi in quel francese? - a parlare era
Barbossa.
-
Lo faccio per te – rispondeva con tono sdolcinato Tia Dalma
–
Credi che saresti ancora a bordo, altrimenti? - aggiunse con un filo
di scherno.
- Smettila! - alzò la voce l'uomo – E
vedi di usare qualcos'altro,
non solo il tuo bel corpo. Stiamo perdendo tempo!
-
Io non appartengo a nessuno, tanto meno a voi! - ribatteva la donna.
-
Ma sarai libera solo grazie a me!Ricordatelo!In ogni momento. Mi sto
mettendo tutti contro per te! - concluse il pirata, poi si
sentì
sbattere una porta. Tia Dalma si dovette convincere: Barbossa aveva
ragione, purtroppo, era prigioniera.
-
Ti aiuterò – gli promise con amarezza da dentro la
cabina.
-
Bene! - asserì lui allontanandosi. Qualche scricchiolio sui
gradini,
poi tornò il silenzio.
-
Hai sentito? - proferì Will alla fidanzata che era rimasta
al suo
fianco ad ascoltare insieme a lui – Quei due nascondono
qualcosa. E
visto che con me non vogliono parlare, andrò a chiedere a
Gibbs:
quello sa sempre tutto – e senza dire altro lasciò
la ragazza da
sola.
Una
volta aperta la botola che permetteva di risalire sul ponte, Will si
ritrovò circondato dai suoi compagni di viaggio che gli
puntarono
addosso le armi osservandolo con facce serie e minacciose. Li
scrutò
uno per uno non riuscendo a capacitarsi del motivo di quel gesto,
quando Barbossa si fece avanti: - Vi stavo giusto aspettando, mastro
Turner – disse porgendogli una mano per aiutarlo a salire. -
Abbiamo una nave da prendere!
Non
aveva minimamente tenuto conto della sua opinione né dello
scombussolamento che quel suo arrivo nel bel mezzo della notte aveva
provocato nel suo cuore. Dopo l'iniziale delusione Elizabeth,
mentendo a se stessa, prese una decisione: d'ora in avanti avrebbe
fatto a meno dell'amore, ci aveva provato ma forse non faceva per
lei; avrebbe imparato a cavarsela da sola, come si addice ad un vero
pirata. Mentre stava distesa, in attesa di addormentarsi, si
sentì
premere una mano sulla bocca: - Alzatevi, prendete le vostre cose e
seguitemi senza fare domande!
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Capitolo 7 *** L'arrembaggio ***
Salve a
tutti!Ecco il penultimo capitolo della mia prima (ma non ultima)
fanfiction. Grazie per i complimenti come sempre a stelly sisley e alla
mia nuova lettrice summerbest. Spero di non deludervi con questo cap, a
presto!
Capitolo 7: L'arrembaggio
-
Siamo tutti? - domandò Barbossa sentendo dei passi che si
avvicinavano.
-
Sì – rispose Tia Dalma rilasciando finalmente il
braccio di
Elizabeth che aveva trascinato dalla cabina fino al ponte.
-
Volete spiegarmi? - chiese la ragazza, ripresasi da quel brusco
risveglio.
-
Stiamo per lasciare questa nave per quella –
spiegò semplicemente
il pirata. Il cielo stava rischiarandosi così scorse a prua
un
grande vascello con quattro alberi nel più alto dei quali
svettava
una bandiera che non si distingueva bene.
-
È roba tranquilla, miss – la rassicurò
mastro Gibbs.
-
È un mercantile – specificò Will
passando un fucile a Pintel.
-
Avevate già organizzato tutto! - protestò la
giovane notando che
gli altri avevano caricato funi, rampini, armi su una scialuppa e che
c'erano quattro marinai francesi storditi e legati come salami. - E
quando pensavate di dircelo?
-
Bé: ora lo sapete! - asserì Barbossa sorridendo e
aggiustandosi la
cinghia cui era appesa la spada
-
E come faremo? - continuò quella rivolgendosi ancora al
capitano.
-
Come fanno i pirati, miss: con un arrembaggio. Ma forse voi preferite
restare a bordo con monsier Dumont... - la stuzzicò lui.
-
Certo che no! - rispose risentita.
-
Allora... - pronunciò sospingendola verso la scialuppa.
-
Ma...il capitano? - chiese ancora la fanciulla dopo aver preso posto
a bordo.
-
Dormirà ancora qualche ora – affermò
Tia Dalma con sicurezza.
-
Credo gli abbia dato qualcosa lei – le confidò
Will che stava
seduto al suo fianco con un'aria insolitamente divertita, mutando poi
espressione quando la vide abbassare lo sguardo.
Non
c'era molto vento e il mercantile viaggiava ad una velocità
moderata, tuttavia fu solo dopo tre tentativi che, con un rampino
lanciato da Gibbs, riuscirono ad agganciarsi alla scaletta che
pendeva dalla fiancata sinistra della nave. Per assicurare la tenuta
Cotton e Marty provvidero a fissare altre due funi. A quel punto
Barbossa ordinò a Ragetti di salire per controllare se ci
fossero
uomini sul ponte. Il pirata rivelò che erano in tre: un
timoniere e
due marinai di guardia che passeggiavano.
-
Ci serve qualcosa per farli distrarre – commentò
Will.
-
Cantate! - si pronunciò Barbossa dopo qualche secondo
rivolgendosi a
Gibbs.
-
Che?! - esclamò incredulo l'uomo mentre gli altri lo
guardavano in
attesa che desse una risposta.
-
Su, forza – lo incitò Elizabeth poggiandogli una
mano sul braccio
– Noi intanto andiamo dall'altra parte e proviamo a fermarli
in
modo che non ci scoprano.
-
Noi? - domandò Will non capendo a chi alludesse la fidanzata.
-
Sì – dichiarò questa – Io e
te – aggiunse con fermezza
guardandolo con occhi carichi di ardimento e dolcezza al tempo
stesso, una miscela che sin da subito lo aveva fatto perdutamente
innamorare di lei, al punto che l'avrebbe seguita ovunque, anche
nella più folle e pericolosa delle circostanze.
-
D'accordo – disse vedendo le labbra di lei incresparsi in un
lieve
sorriso. - Come intendi agire?
-
Barbossa – cominciò allora, volgendosi verso il
capitano che aveva
assistito alla presa di posizione della ragazza senza intromettersi
ma pronto a risponderle per le rime – Avevo pensato che,
mentre voi
passate dall'altro lato e attirate la loro attenzione, io e Will
potremo sorprenderli alle spalle, stordirli e così
permettervi di
salire – concluse con la speranza di fare colpo sul
filibustiere.
-
Idea arguta, miss, ci avevo pensato anch'io. E vi
accompagnerò al
posto del signor Turner.
-
Come?!Perché? - protestò Will.
-
Chi mi garantisce che una volta che siete riusciti ad infiltrarvi a
bordo non ci ignoriate e proseguiate per la vostra strada? -
sbottò
il capitano manifestando ancora una volta la sua poca fiducia nei
confronti di quei due.
-
Come potete pensare che potremmo abbandonarvi?Solo voi potete
condurci a Singapore! - sostenne la ragazza tentando di convincerlo
della sua buona fede.
-
Loro sono giovani e agili, Barbossa – gli intimò
Tia Dalma con
tono neanche troppo velatamente derisorio. In effetti, da quando era
tornato ad essere un normale mortale, aveva constatato con rammarico
che le sue forze non erano più quelle di un tempo; per dieci
anni
era rimasto sospeso tra la vita e la morte, aveva dimenticato cosa
fossero il sonno, la stanchezza, il dolore fisico, il caldo, il
freddo, la pioggia. Solo la fame e la sete lo avevano tormentato, non
un raggio di sole lo aveva riscaldato, il vento non aveva
piacevolmente ristorato le sue membra dopo una dura battaglia, i
pranzi e le cene non facevano più parte della sua
quotidianità. Ma
ora cominciava ad avvertire le conseguenze e gli effetti delle
innumerevoli ore trascorse alla mercé dell'aria salmastra,
ora umida
e calda, ora gelida e secca, insieme al riacutizzarsi di ferite che
non si era mai preoccupato di curare a dovere.
-
Sta albeggiando, ormai – le parole di Gibbs lo riscossero dai
suoi
pensieri e si accorse che tutti lo stavano fissando.
-
Va bene. Andate – disse ai due ragazzi esortandoli ad
arrampicarsi
sulla scaletta.
-
Sganciamoci – ordinò poi alla ciurma che
iniziò anche a vogare
per spingersi dal lato opposto.
-
Bé: io non mi sento vecchio! - asserì Pintel
ripensando alle parole
di Tia Dalma.
-
Neanche io!E poi quelli non hanno mai fatto un arrembaggio! - lo
assecondò Ragetti, anche lui offeso perché il
capitano non aveva
affidato loro quel compito.
-
Proprio così – proruppe Barbossa che li aveva
sentiti. - Dunque,
se si faranno scoprire, gli uomini a bordo saranno troppo impegnati
per occuparsi di noi – sostenne con faccia furba e gli altri
risero, mente Gibbs capì che il maturo bucaniere non aveva
perduto
la sua cattiveria o forse la ostentava per far presa su quei
disgraziati.
In
attesa di un segnale che permettesse loro di capire quando entrare in
azione, Will ed Elizabeth erano rimasti aggrappati alla scaletta che
pendeva dal lato sinistro, una posizione rischiosa e difficile da
mantenere. Will non poteva fare a meno di osservare l'amata,
così
vicina eppure persa in chissà quali pensieri. Fu
più forte di lui
rivolgerle la parola: - Elizabeth...io... - la sua voce era appena un
sussurro e si spezzò non appena i loro occhi si incontrarono.
-
Non è il momento!Vuoi farci scoprire prima del tempo? - lo
interruppe lei usando lo stesso volume di voce ma con un timbro
autoritario.
-
Hai ragione – ammise il ragazzo; voleva sperare che ci
sarebbero
stati altri momenti in cui dirle che l'amava, al di là di
tutto.
Trascorsi una manciata di minuti udirono la solita canzone intonata
da Gibbs e le voci di quelli sul ponte.
-
Hey, Ted: hai sentito? - chiedeva uno con apprensione.
-
Sentito cosa? - rispondeva un altro seccamente.
-
Una voce – tornò a dire il primo.
-
Hai bevuto, amico! - lo derise il compagno.
-
Dico sul serio! - affermò quello arrabbiato.
-
Noo!È inutile che provi a mettermi paura , Sid! -
dichiarò con
convinzione l'altro, scettico – Io non ci credo alle storie
dei
velieri fantasma!
-
Era un canto! - specificò il primo.
-
Oh!Allora si trattava di una sirena, magari! - lo derise ancora il
compagno.
-
No!Era una voce brutta...da uomo! - lo informò.
-
Una sirena stonata! - continuò quello ridendo divertito.
-
Smettila! - lo riproverò il compare, risentito. - Ecco: di
nuovo!Lo
hai sentito adesso?
Will
si sporse dal parapetto tanto quanto bastava a poter vedere cosa
stesse accadendo sul ponte. Vide due uomini di spalle che si
avvicinavano furtivi al parapetto del lato opposto, mentre un altro
stava al timone, posto su un ponte più in alto a poppa,
impegnato a
consultare carte e strumenti.
-
Ora! - affermò Elizabeth che aveva copiato il fidanzato
mettendosi
anche lei ad osservare la situazione, e così dicendo
scavalcò
velocemente la ringhiera seguita dal ragazzo.
Avanzando
l'uno accanto all'altra raggiunsero il timoniere mentre gli altri due
marinai erano ancora distratti a cercare chi stesse cantando. I due
lentamente si avvicinarono alle spalle dell'uomo: Elizabeth
sguainò
la spada e gli pose un braccio attorno al collo, Will estrasse
rapidamente la pistola dalla cintura e gliela piantò dritta
in mezzo
alla schiena facendolo sobbalzare.
-
Non una parola e avrete salva la vita – lo ammonì
Turner.
-
Chi siete?Che volete? - sussurrò il marinaio tentando di
voltarsi.
-
Provate ad indovinarlo da voi – rispose la ragazza
mascherando la
voce.
-
Bisognerà legarlo e imbavagliarlo –
constatò Will.
-
E poi penseremo a quei due – aggiunse la giovane dopo aver
dato un
rapido sguardo al ponte.
-
Ma come? - si chiese il ragazzo vedendo comparire sul volto della
fidanzata un sorriso arguto.
-
Toglietevi i calzoni – ordinò la fanciulla
all'uomo.
-
Perché?!No! - protestò quello. Will non colse
immediatamente le
intenzioni della ragazza ma, fidandosi di lei, minacciò il
timoniere
facendo scattare il caricatore della pistola: - Fate come ha detto e
presto! - lo esortò spostando l'arma alla tempia del
malcapitato. Al
contempo questo fu tirato indietro dalla balconata e spinto verso la
parete di legno su cui si aprivano le porte che conducevano nelle
cabine di comando, di modo che gli altri non si accorgessero di
quanto stava accadendo.
Mentre
l'uomo sotto minaccia stava eseguendo quell'ordine che gli appariva
bizzarro e umiliante, Elizabeth osservando il pugnale di Will
domandò
a questo: - Me lo presteresti?
Lui
annuì consegnandoglielo: - Va bene – quindi la
ragazza strappò
dalle mani del marinaio i pantaloni che questo si era appena tolti e
li fece a brandelli con la lama ottenendo delle strisce per poi
usarne una come bavaglio e un'altra, con l'aiuto del ragazzo, per
legare i polsi dell'ostaggio.
-
Certo che ne hai letti di libri sui pirati! - esclamò Will
stupito e
ammirato.
-
Abbastanza – rispose lei stringendo un'altra striscia di
tessuto
attorno alle caviglie di quello che continuava a farfugliare
inutilmente e a muoversi al punto da cadere a terra su un fianco.
-
Maledetti!Ma tanto fra qualche minuto dovrete vedervela con i miei
colleghi!sta per iniziare il nuovo turno di guardia! -
riuscì a dire
essendosi spostato il laccio che gli bloccava la bocca.
-
Dobbiamo sbrigarci allora – dichiarò Will
rimettendo a posto il
bavaglio. D'un tratto gli altri due marinai, che fino ad allora erano
stati distratti a scoprire la provenienza di quella voce che intonava
la canzone, si accorsero dei due intrusi e li fermarono sulle
scalette della balconata del timone.
-
Hey, voi chi siete?! - sbraitò uno al loro indirizzo.
-
Che cosa avete fatto a Mark?! - lo seguì l'altro
più impaurito.
I
giovani estrassero prontamente le sciabole e nello stesso momento
videro alle spalle dei marinai del mercantile i loro compagni di
viaggio che erano nel frattempo saliti a bordo: - Non vi spaventate
signori: vogliamo soltanto invitarvi a cambiare imbarcazione! -
pronunciò Barbossa. I due malcapitati si voltarono e,
trovandosi
circondati dai pirati e disarmati, alzarono le mani terrorizzati
dalle pistole e dalle spade puntate contro di loro.
-
Stanno per arrivare quelli del nuovo turno di guardia – disse
Will.
Il capitano fece un cenno e subito Pintel e Ragetti afferrarono i due
ostaggi legandoli e imbavagliandoli con quel che restava dei
pantaloni del timoniere che porse loro Elizabeth: - Lì ce
n'è un
altro – li avvertì poi la ragazza. Allora capirono
da dove avesse
preso quegli insoliti lacci.
-
Mettiamoli su quella scialuppa! - ordinò Barbossa, ricevendo
l'aiuto
di tutti gli uomini. I marinai, impossibilitati a muoversi, furono
caricati di peso su una scialuppa che venne calata in mare con
l'utilizzo delle apposite funi.
-
Entriamo, adesso – suggerì Tia Dalma che durante
il tempo
dell'operazione era rimasta ad origliare sulla porta della cabina,
affiancata da Elizabeth. Con circospezione i pirati si incamminarono
dietro la donna che venne immediatamente superata da Barbossa, e
proseguirono uno dietro l'altro; a chiudere la fila era Will.
Attenti
ad ogni minimo rumore o bisbiglio proveniente dagli alloggi,
continuarono a scendere verso la stiva; dentro era buio pesto, le
poche torce si erano del tutto consumate o emanavano una luce
più
che flebile, aumentando il nervosismo di tutti che a stento
riuscivano ad intravedere le proprie ombre, le pareti e le scalette
che di tanto in tanto si aprivano sotto i loro piedi. Dopo pochi
minuti ai loro passi, appena accennati sulle assi di legno, se ne
aggiunsero altri, più decisi e svelti che avanzavano
avvicinandosi
pericolosamente.
-
C'è qualcuno! - sussurrò Ragetti.
-
Appoggiatevi alla parete – mormorò Barbossa.
L'incedere di quello
sconosciuto si arrestò di colpo: - Chi c'è? -
chiese con un filo di
inquietudine. Senza pensarci due volte il maturo filibustiere lo
stordì con il calcio della pistola: - Muovetevi! - disse
quindi agli
altri sospingendoli a correre verso la stiva e richiudendo la porta
quando furono tutti dentro.
La
ciurma del mercantile stava lentamente risvegliandosi e, man mano che
ogni marinaio usciva dalla propria cabina, il brusio aumentava
propagandosi fino al fondo della nave. Così alle orecchie
dei
passeggeri clandestini giunsero le parole degli uomini di bordo: -
Che cosa è successo qui? - urlava uno.
-
Qualcuno mi ha colpito! - gridava un uomo. Quindi passi veloci che
salivano sul ponte e voci sempre più confuse e lontane. Il
comandante, constatata la mancanza di una scialuppa e di tre marinai,
concluse che c'era stato un ammutinamento, cosa che succedeva
abbastanza spesso su quelle navi. Poi, pian piano, tutto
tornò alla
normalità fra i marinai del mercantile, ma gli animi dei
pirati, che
si erano nascosti nella stiva restando immobili sul pavimento umido, erano piuttosto agitati.
-
Così ce ne staremo qui, come topi! - sbottò
Pintel d'un tratto. -
Non è un gran miglioramento!
-
Neanche io sono contento! - gli fece eco Ragetti – Stavo
imparando
un po' di francese... - aggiunse con rammarico.
-
Quello ci avrebbe venduti! - intervenne Gibbs, piuttosto seccato
dallo strano modo di ragionare di quei due che spesso sembrava non
capissero la precarietà della loro situazione.
- Aveva
dato la sua parola... - tornò a parlare Ragetti dopo qualche
secondo.
Ma
prima che Gibbs si intromettesse di nuovo ci pensò Pintel ad
ammonire il compare: - Dumont non è un pirata!Non ci si
poteva
fidare! - a quell'ultimo rimproverò seguì un
silenzio rotto questa
volta da Tia Dalma: – Barbossa, quanto pensi che possiamo
restare
qui, al buio, tutti insieme? - domandò con insofferenza.
-
In effetti stavamo per arrivare; ormai potevamo restare sulla Tempete
– asserì Elizabeth.
-
Donne! - commentò Barbossa – Vi siete lasciate
abbindolare da quel
ridicolo cialtrone!
-
Avevamo una cabina, almeno – gli fece notare la veggente.
-
E aria e luce! - la assecondò la giovane aristocratica.
-
Sentite … - cominciò allora il pirata alzando la
voce accompagnato
dalla scimmietta.
-
Non mi sembra il caso di gridare, signore – si fece avanti
Gibbs ma
tutti vennero interrotti dal rumore di colpi battuti sul legno dello
scafo.
-
Chi è? - si lamentò il pappagallo di Cotton.
-
Siamo sott'acqua – proferì Will e i battiti
cessarono.
-
Ah, eravate voi, allora – sentenziò Barbossa
adirato –
Complimenti!Volete farci scoprire?
-
Mi pareva che anche voi vi stavate impegnando a fare lo stesso
–
sostenne quello.
Il
filibustiere detestava ammetterlo ma quel giovane fabbro aveva
ragione: si era fatto trascinare ancora una volta dalla sua vena
irascibile.
- Che
proponete di fare? - gli chiese con tono sarcastico, tanto che non si
aspettava una risposta tanto seria come invece fu quella di Turner: -
Per prima cosa bisogna trovare una lampada così da poter
vedere
esattamente dove siamo.
-
Molto bene – affermò il pirata - Mastri Pintel e
Ragetti a questo
penserete voi.
|
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Capitolo 8 *** Accordi e disaccordi ***
Un saluto a tutti i lettori!Eh
sì, questo doveva essere l'ultimo capitolo ma, complici gli
studi di storia dell'Africa (pirati barbareschi) e una rinnovata
ispirazione, si è ampliato talmente tanto che ho dovuto
dividerlo in due parti. E mi scuso per averci messo tanto.
Immagino
sarete contente stelley sisley e summerbest: non pensavo vi sarebbe
piaciuto tanto!E a proposito di Will:avete ragione mr Turner
è proprio strambo!Prima si dichiara durante un'impiccagione,
poi pensa al matrimonio durante una battaglia. Tutto questo navigare
gli avrà fatto male?!Mah! A noi piace così!
A presto!
Capitolo 8: Accordi e disaccordi
-
Perché ci avete messo tanto? - si lamentò
Barbossa quando i due
pirati tornarono dal loro incarico quasi un'ora più tardi.
-
Non è stato facile! - si giustificò Ragetti.
-
L'importante è che ce l'hanno fatta –
constatò Elizabeth.
Trasferita
la fiamma nelle altre torce appese alle pareti, scoprirono che il
mercantile trasportava tessuti di lana e cotone riposti in casse di
legno. In una stanza accanto al carico c'era anche la stiva con le
provviste.
-
Queste ci saranno utili questa settimana – osservò
Barbossa.
-
Settimana?! - esclamò Will con evidente preoccupazione. Quel
posto
era talmente stretto che avrebbe dovuto stare quasi gomito a gomito
con gli altri.
-
Ci vorrà tanto? - lo seguì Elizabeth ugualmente
allarmata. Una
vicinanza eccessiva con Will era l'ultimo dei suoi desideri in quel
momento: non voleva che lui o gli altri la vedessero lacrimare quando
ripensava alle sue colpe.
-
Pensate di non poter resistere? -domandò il filibustiere con
tono di
sfida.
Entrambi
abbassarono il capo senza rispondere. Poco dopo Gibbs propose di
organizzare meglio quello spazio in vista della permanenza,
così si
misero ad accatastare le casse con le stoffe in modo da formare quasi
due stanze, una destinata alle donne, l'altra al resto della ciurma.
Tra
il timore di essere scoperti quando qualcuno del mercantile scendeva
a prelevare viveri dalla stiva, e la noia dovuta
all'impossibilità
di stare fuori e guardare il paesaggio, quei sette giorni sembrarono
interminabili. Di tanto in tanto Barbossa si era arrischiato a salire
sopra coperta per accompagnare Tia Dalma che si era lamentata di
sentirsi mancare l'aria, nonostante fossero riusciti anche ad aprire
una fessura nella parte alta dello scafo.
Infine,
in un tardo pomeriggio tiepido e ventoso, a sette giorni esatti
dall'imbarco, i passeggeri clandestini poterono lasciare la nave.
Città
del Capo era un grande porto in cui si scambiava una molteplice
quantità di merci in una molteplice varietà di
lingue. Velieri di
ogni dimensione e provenienza vi gettavano le ancore sostandovi per
un breve periodo, quello necessario a sbarcare il proprio carico ed
immetterne uno nuovo a bordo.
I
nove pirati approfittarono della confusione creatasi in quel momento
per abbandonare, non visti, la nave che li aveva portati sin
lì.
Confondendosi tra la folla si allontanarono dal molo raggiungendo la
zona delle taverne e delle botteghe.
-
Ci divideremo – decise Barbossa senza troppe spiegazioni.
-
Io e la ragazza andiamo lì – dichiarò
Tia Dalma volgendosi verso
una locanda con l'insegna “Dolly Cool” - Abbiamo
bisogno di
ripulirci un po' e di prendere qualcosa per il viaggio –
specificò
quando l'uomo la guardò con diffidenza. - Tranquillo, non
intendo
fuggire – rispose la donna alzando gli occhi al cielo.
-
Meglio così – sorrise lui accompagnando con lo
sguardo entrambe
finché non furono entrate.
-
Voi – disse poi rivolgendosi al marinaio più
vecchio del gruppo –
Com'è che vi chiamate...
-
È Cotton, signore – lo informò Gibbs.
-
Ah, mastro Cotton: restate qui di guardia – gli
ordinò il pirata
ricevendo un “Vento alle vele!” da parte del suo
pappagallo. Un
po' stranito, si mosse – Andiamo noi – e gli altri
lo seguirono.
Ma dopo qualche passo: - Non vi avevo detto di dividerci?
-
Ma che dobbiamo fare esattamente? - domandò Pintel.
-
Dobbiamo derubare qualcuno o non ci faranno salire a bordo di nessuno
di questi vascelli! - sbuffò spazientito il capitano,
scrutando con
attenzione gli uomini che gli passavano accanto e, soprattutto, le
tasche delle loro giubbe.
-
Non vedo il nesso – dichiarò Will mentre gli altri
si erano messi
in allerta.
-
Soldi, ragazzo!Ci servono soldi! - spiegò Gibbs. Il giovane
annuì
con espressione rassegnata: ormai ovunque andavano commettevano
qualche crimine!Mentre faceva queste riflessioni notò a
pochi passi
un uomo di bassa statura col volto solcato dalle rughe, ben vestito,
con tanto di tricorno e guanti, che non gli era sconosciuto. Lo
fissò
per qualche istante e quando si allontanò decise di
pedinarlo. Entrò
in una locanda e, attraversatola, si fermò nel retro;
attorno a Will
si disposero sei soldati della Compagnia delle Indie Orientali che
gli impedirono di tornare indietro. Temette che quella cui si era
recato fosse un'esecuzione vera e propria e si maledisse per
l'imprudenza con cui vi era caduto, ma trovò comunque il
sangue
freddo per parlare: - Voi lavorate per Lord Cutler Beckett, non
è
così?
-
E voi, signore? - fu la risposta di Mercer con tono fastidioso,
voltandosi verso di lui.
-
Vorrei stare dalla vostra parte – affermò il
ragazzo; era
l'occasione giusta per liberarsi dall'alleanza con quei pirati che
aveva mal sopportato.
-
Saggia scelta, signor Turner – disse l'agente e, passandogli
davanti, lo invitò a seguirlo; i soldati li scortarono.
Mercer si
sedette ad un tavolo e ordinò da bere, poi riprese la
discussione
interrotta qualche minuto prima: - Non siete solo, giusto?Dove siete
diretti? - chiese poggiando il bicchiere.
-
Voglio garanzie! - scattò Will, non sapendo più
se stesse agendo
correttamente nei confronti di sé stesso e degli altri.
-
Noi possiamo darvi più garanzie di quei pirati –
sostenne l'uomo –
Ogni condanna a vostro nome sarà ritirata. E ciò
vale anche per la
vostra fidanzata, Miss Swann. Ora tocca a voi – concluse
rimettendosi a sorseggiare il liquore.
In
parte convintosi della reale possibilità di riscattarsi, in
parte
consapevole di non potersi più sottrarre a quell'accordo, si
risolse
ad informarlo: - Siamo diretti a Singapore. Dobbiamo incontrare una
persona che ci aiuterà a riunire il Consiglio della
Fratellanza.
-
Arriverete a destinazione sani e salvi – lo
rassicurò; poi, senza
aggiungere altro, Mercer si alzò e si dileguò tra
la folla,
accompagnato dai soldati della Compagnia.
Ma
Will era soddisfatto: credeva di aver trovato una via autonoma per
raggiungere il suo obiettivo: salvare suo padre e la donna che amava.
Tuttavia, anche se si era lasciato sviare da quella proposta di
collaborazione con quella che, ad ogni modo, rappresentava in quel
momento la legge, era consapevole di dover tornare a vestire i panni
del pirata, che forse stava assumendo più di quanto non
volesse.
Così rapidamente uscì da quel posto e si mise
alla ricerca degli
altri che aveva lasciato intenti a prelevare borsellini e monete
dalle tasche dei passanti. Scrutò con attenzione i volti
degli
uomini che incontrava quando:
-
Dove diavolo vi eravate cacciato? - la voce alterata di Barbossa gli
tuonò alle spalle d'improvviso. Casualmente notò
un sacchettino di
stoffa con delle monete proprio ai suoi piedi: si chinò a
raccoglierlo e quindi, girandosi verso il capitano, glielo
mostrò
sorridendo. L'uomo rispose con quella che gli sembrò una
smorfia di
approvazione, ma poi aggiunse con tono di rimprovero: - È un
po'
poco … visto che vi eravate allontanato da un pezzo ...
Prima
che potesse trovare una giustificazione, fu provvidenzialmente
salvato dall'arrivo di Gibbs che, ancora con il fiatone per la corsa,
annunciò: - Signore, ho trovato due navi che partono per
Singapore,
una fra un'ora e l'altra domani mattina.
-
Prendiamo quella che salpa fra un'ora – decise il capitano
– Non
ci resta che recuperare le signore... - mentre si apprestava a
richiamare gli altri per raggiungere la locanda in cui le due donne
si erano fermate, notò la sacerdotessa, seguita a ruota
dalla
giovane aristocratica e più indietro da Cotton, precipitarsi
verso
di loro come se stessero scappando.
-
Hai trovato la nave? - gli chiese immediatamente Tia Dalma quasi
rimproverandolo.
-
Che vogliono quelli? - domandò Pintel ad Elizabeth scorgendo
un
gruppo di tizi che, armi alla mano, correvano nella loro direzione e
sembravano parecchio furibondi.
-
Ci stavano importunando!Ho dovuto difendermi! - si
giustificò la
ragazza mentre continuavano ad avanzare quanto più
velocemente
possibile tra la folla per distanziarsi dagli inseguitori.
-
Non ci posso credere!Avete scatenato una rissa?! - la sgridò
Barbossa, quasi tentato di lasciarla lì. La ragazza
aprì bocca
senza produrre alcun suono, Will si ritrovò in breve ad
afferrarla
per un braccio per poi spingerla a correre più in fretta e,
contemporaneamente, con una sciabolata e un calcio, atterrò
due
degli inseguitori. Gli altri filibustieri non si fecero scrupoli,
invece, nel tirare fuori le loro pistole e sparare qualche colpo,
giusto perché si creasse il vuoto dietro di loro.
-
Mastro Gibbs: portateci a quella nave! - urlò bruscamente
Will al
marinaio.
-
Di qua! - gridò quello, cambiando repentinamente strada.
Nella fuga
Ragetti si scontrò con un uomo prendendogli
involontariamente il
cappello che passò nelle mani di Pintel prima di finire
sulla testa
di Elizabeth; intanto la veggente si coprì il capo con uno
scialle.
Quando tutti svoltarono a sinistra, nascondendosi dietro delle casse
di legno accatastate, gli inseguitori non se ne accorsero e
proseguirono dritto.
-
Li abbiamo seminati! - esclamò Gibbs ancora incredulo.
Will
restò ad osservare Elizabeth chiedendosi cosa mai avesse
fatto per
tirarsi addosso l'ostilità di quegli uomini. Tia Dalma
sembrò
capire i suoi pensieri: - Ha fatto bene. Se lo meritavano –
disse
con tono aspro.
Il
ragazzo non ebbe il tempo di ribattere che la sua fidanzata
domandò:
- Dov'è Barbossa? - essendosi accorta che il capitano non
era
insieme a loro. Si misero a cercarlo guardandosi attorno e notarono
che stava già trattando con il comandante di un veliero
ormeggiato
lì vicino. Un uomo dai lineamenti mediorientali il cui
aspetto era
poco rassicurante: vestito di nero dalla testa ai piedi, esclusa una
fascia attorno alla vita di color porpora dalla quale pendevano una
scimitarra e due pistole a canna lunga della stessa grandezza, aveva
un ghigno selvaggio stampato sul volto ebano, reso più
inquietante
da una lunga cicatrice ancora rossa che gli attraversava la guancia
sinistra, spuntando da sotto la kefiah.
Barbossa
consegnò all'uomo alcuni sacchettini di monete che aveva
avuto modo
di rubare ma quello restò impassibile finché il
pirata non fu
raggiunto dalla fedele scimmietta che portò altri borsellini
ricolmi
di luccicanti pezzi di metallo. Dopo averne verificato attentamente
il contenuto, il comandante oscuro risalì a bordo
attraversando
lentamente la passerella. Barbossa fece cenno ai suoi di raggiungerlo
e quelli, seppure un po' titubanti, gli obbedirono.
Intanto
che si apprestavano ad imbarcarsi comparve un uomo basso e tozzo,
senza capelli, che doveva essere il primo ufficiale, il quale li
fermò: - Niente donne su questa nave! - li ammonì.
-
Di quali donne parli? - gli rispose Barbossa facendo finta di non
capire.
L'uomo
smascherò entrambe scoprendo loro il capo: - Ordine del
capitano:
lui crede loro portano guai e lascerà a terra anche voi se
le
portate! - cercò di intimorirli. Ma il pirata non intendeva
dargliela vinta: - E se tu non le avessi viste? - gli propose con
tono subdolo.
-
E come può essere possibile? - disse quello mostrandosi
già
corruttibile. E infatti quando Barbossa gli sganciò dei
soldi che
si fece dare dagli altri pirati dichiarò: - Credo di avere
capito! -
e, tutto contento, li nascose dentro la giacca spostandosi dalla
passerella per farli passare. Prima che furono tutti a bordo li mise
ancora in guardia: - Non fatevi scoprire!Ordine del capitano dice:
ogni donna a bordo trovata verrà sgozzata e uomo che sta con
lei
gettato in mare con palle di cannone legate a suo...
-
Abbiamo capito! - lo interruppe Gibbs mentre un'espressione
inorridita si era stampata sul volto degli altri uomini e le due
donne si nascosero nuovamente il volto.
-
E se le lasciamo a terra e torniamo a riprenderle dopo? - propose
Pintel.
-
E se ci imbarcassimo su un'altra nave? - suggerì Will.
-
Già, ma l'altra che va a Singapore è della
Compagnia delle Indie
Orientali – lo informò Gibbs. Nonostante
ciò agli uomini non
sembrò una cattiva idea.
-
Insomma – prese la parola Barbossa, già annoiato
– vi sapete
difendere, mi pare. Perciò se vi aggrediscono rispondete
–
concluse semplicemente.
-
Quali donne?! - continuava a ripetere il luogotenente mentre ridendo
contava il denaro guadagnato.
Mollati
gli ormeggi, gli uomini del vascello si occuparono delle altre
manovre necessarie a salpare, spiegando le vele mogano al vento che
si fece sempre più forte lasciando il porto.
-
Che fai tu qui? - chiese il marinaio di prima a Barbossa che era
rimasto sul ponte con Will, Ragetti e Pintel.
-
Niente. Guardo il mare. Non è permesso? - lo
canzonò il pirata
trovando ridicolo quel suo tentativo di imporsi impaurendoli.
-
Il capitano Hamed Nassim non vuole gente fra i piedi –
asserì
quello – Altrimenti lui si confonde e spara.
Perciò voi andate
sotto.
-
E se io dicessi al tuo capitano che hai fatto salire a bordo due
donne, a chi sparerebbe? - lo sfidò Barbossa tranquillamente.
-
È meglio non farlo arrabbiare quell'uomo... - sostenne
Ragetti
scappando di sotto con Pintel.
-
Allora lui sparerebbe prima me e poi voi! - gli rispose quello.
-
Quindi morirei comunque – osservò il filibustiere
con la solita
flemma.
-
Infatti! - continuò l'altro, ancora intenzionato ad
intimorirli, ma
rimase deluso quando il pirata dichiarò: - Allora resto qui
– e
non insistette più quando vide Jack, la scimmia, illuminata
dalla
luce della luna, restando impressionato dalle sue fattezze
scheletriche, al punto da andarsi a nascondere urlando.
-
Grazie, Jack! - disse il pirata all'animaletto e rimase ad assaporare
la brezza marina.
Will,
invece, chiese quale cabina gli avessero assegnato e preferì
ritirarvisi. Ma la trovò occupata: - Che ci fai qui?
-
Gibbs ha talmente insistito – si difese Elizabeth che, gambe
incrociate, se ne stava su una specie di letto con ancora in testa un
cappello verde scuro a tesa larga – Dice che sarò
più al sicuro
qui – aggiunse, poco convinta.
-
Al sicuro da cosa? - replicò il ragazzo; ormai era
perfettamente in
grado di difendersi da sola, e faceva le sue scelte senza
consultarlo. Piuttosto erano gli altri a sentirsi più al
sicuro
senza di lei, visto il codice che vigeva a bordo.
Anche
lei pensava fosse una risposta stupida. In quel momento si sarebbe
sentita più al sicuro perfino nella cabina del capitano che
non lì
con lui, perché temeva che sarebbe potuto esplodere di
colpo,
d'amore o di rabbia, e sentiva di non essere ancora pronta ad
affrontarlo. Vigliaccamente gli rispose: - Non lo so. Ma non sono
riuscita a contraddirlo – il ragazzo non disse una parola. Si
sedette su una specie di sgabello e si mise ad affilare la lama della
sua spada e di altre che gli avevano affidato i compagni,
ignorandola.
Senza
saperlo ripensarono entrambi alle parole che si erano scambiati il
giorno prima delle nozze. Lei era presa dai preparativi e non lo
aveva quasi notato tra la folla di gente che si trovava nel giardino
della villa. Finché lui non le era andato incontro, un po'
irritato:
- Ero solo venuto a salutarvi, Miss Swann.
-
Will, lo so che tutti questi preparativi possono sembrarti
esagerati, lo penso anch'io. Ma sono la sua unica
figlia!Vuole
che tutto sia fastoso e memorabile – lo aveva
subito raddolcito
lei, prendendogli una mano e accarezzandolo – Però,
pensa:
domani notte, finalmente, saremo solo tu ed io
– il
ragazzo aveva sospirato e sorriso – Sei ansioso?
-
Impaziente, credo sia la parola più adatta!
- gli aveva
sussurrato lui all'orecchio, facendola palpitare – A
domani,
Miss Swann – le aveva detto poi andandosene dopo
averle dato un
lieve bacio sulle labbra...
-
Elizabeth: cosa stiamo facendo?Perché siamo qui? - proruppe
d'un
tratto Will con tono stizzito, riscuotendola dai suoi pensieri.
-
Dobbiamo fermare Lord Beckett e Davy Jones – gli
ricordò lei con
risolutezza. Si parlavano come due estranei, sebbene lo conoscesse a
tal punto da percepire ogni sua vibrazione interiore soltanto
guardando i movimenti delle sue mani e l'espressione dei suoi occhi.
Lui
si alzò in piedi: - Mio padre è un briccone di
pirata della
peggiore specie! - disse, ricordando le parole di Sparrow con
disprezzo e compassione per il genitore – Il tuo è
un uomo onesto.
-
Siamo coinvolti, ormai! - sostenne la ragazza con gli occhi gonfi
come se stesse per scoppiare in lacrime – Non possiamo
tirarci
indietro! - concluse.
Lui
credette che quella fosse la conferma di quanto aveva supposto: ci
teneva davvero a Sparrow. In realtà Elizabeth voleva fargli
capire
che gli era accanto, anche in quel frangente, anche se avrebbe potuto
seguire i consigli di suo padre e lasciarlo. Però ricadde il
silenzio: si tolse il cappello, la giacca che portava e gli stivali,
quindi si mise sotto la coperta lacera dandogli le spalle. Ma,
nonostante la stanchezza, il sonno tardò ad arrivare dato
che Will
era tornato a lavorare su quelle spade e lo faceva ostentando un
certo nervosismo.
Il
giovane si coricò in seguito su una branda agganciata al
soffitto,
vicino all'oblò.
Quella
fu l'ultima volta in cui parlarono faccia a faccia di quell'argomento
prima dell'arrivo a Singapore, dopo due settimane di navigazione che
riservarono comunque altri ostacoli...
|
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Capitolo 9 *** La meta è vicina ***
Sono
un pò emozionata nel pubblicare finalmente l'ultimo capitolo
della mia prima fanfiction sulla mia saga cinematografica
preferita!Ringrazio tutti i lettori e in particolare, come sempre,
stellysisley e summerbest che hanno commentato gli ultimi capitoli.
Nove capitoli non sono molti ma temevo di diventare ripetitiva e poi ho
in mente altre storie (stavolta con Jack). Vi anticipo che ho voluto
lasciare in sospeso Will e Liz perché è
così che li troviamo all'inizio del terzo film. Che altro
dire?Spero che vi piaccia, se volete chiedermi qualcosa che non vi
è chiaro potete contattarmi. Buona lettura e a
presto!
Capitolo 9: La meta è vicina
Sebbene
il luogotenente avesse infine rinunciato ad opprimerli, dopo che
Barbossa aveva sfruttato la sua paura per Jack facendolo tacere o
parlare a suo piacimento, i pirati dovevano ben guardarsi dagli altri
uomini della Ibis, questo il nome della nave su cui avevano trovato
posto. Essi, infatti, apparivano decisamente più pericolosi
e meno
facili da controllare; sempre armati di tutto punto, alcuni di loro
avevano le lame delle spade ancora sporche del sangue dei nemici
affrontati in passato che si era incrostato, e ne facevano motivo di
vanto.
Perciò
la possibilità di muoversi sopra o sotto coperta fu per i
passeggeri
limitata, in particolare dovettero fare parecchia attenzione a non
lasciare che essi notassero le donne.
Will
ed Elizabeth, loro malgrado, erano stati costretti a dividere la
stessa cabina e, sentendosi a disagio, si erano accordati, pur senza
parlarne esplicitamente, a passarvi meno tempo possibile insieme.
Perciò Will stava sopra coperta soprattutto di giorno mentre
Elizabeth restava qualche ora sul ponte di notte, quando c'erano meno
uomini e minor luce a permettere di distinguere i suoi tratti. Anche
Tia Dalma usciva fuori dalla sua cabina con l'oscurità e
sempre
accompagnata da Barbossa, il quale si accordava anticipatamente con
il luogotenente, ormai suo alleato, per evitare guai.
Una
sera, a metà del viaggio, dopo aver cenato con gli altri,
Will tornò
nella sua cabina e , filando direttamente verso la branda, non
notò
subito che non era solo. Rigirandosi dopo qualche minuto la vide di
spalle, stesa sul letto su un fianco: - Non esci stasera?
Elizabeth
si voltò verso di lui sollevandosi leggermente dal cuscino e
scosse
la testa senza guardarlo.
-
Almeno hai mangiato? - trascorsi alcuni secondi le domandò,
tanto
per parlare.
-
Mi ha portato qualcosa Gibbs, poco fa – lo informò
lei restando
poi in silenzio. Will si mise supino, le braccia incrociate dietro la
testa, le orecchie tese ad ascoltare il rumore del mare e i mille
scricchiolii del legno della nave.
-
Stavano per scoprirmi e sono tornata qui – proruppe lei tutto
d'un
fiato. Lui si alzò di scatto mettendosi seduto e per poco
non cadde
a terra: - Ne sei sicura? - le chiese preoccupato. La ragazza
annuì,
poi, piantando gli occhi sul soffitto, spiegò: -
Continuavano a
guardarmi e girarmi intorno e... - non finì di parlare che
udirono
dei pugni battere con irruenza sulla porta.
-
C'è qualcuno qui? - domandò una voce roca. I due
ragazzi si
guardarono l'un l'altro, non sapevano se o cosa rispondere,
così
restarono muti. L'uomo tornò a ripetere la domanda
affiancato da un
altro.
-
Sì!Ci sono io, Turner! - rispose Will a quel punto, temendo
che se
continuavano a tacere quelli avrebbero aperto la porta. Ma non
servì.
-
Possiamo entrare? - chiese quello di prima. Elizabeth si
alzò
silenziosamente da letto e andò ad appoggiarsi alla parete
opposta
all'entrata della cabina, che era talmente spoglia da non offrire
alcun tipo di nascondiglio.
-
Veramente...non sono presentabile! - temporeggio il ragazzo sempre
più in preda al panico e la fidanzata lo guardò
storto mentre
indossava la giacca e nascondeva i capelli, annodandoli, sotto il
cappello.
-
Siamo tutti uomini...o no? - dissero i due marinai dall'esterno con
maggiore sospetto facendo sentire distintamente il sibilo delle lame
estratte dal fodero metallico. Elizabeth istintivamente si
portò
tutte e due le mani alla gola: - Io...Will...io –
cominciò a
singhiozzare; se dovevano proprio morire così voleva dirgli
tutta la
verità che si era tenuta dentro.
-
Non importa – la liquidò il fidanzato con
freddezza senza neppure
guardarla, e impugnò con entrambe le mani la spada tenendola
ben
dritta davanti a sé. Quelli continuavano a parlare nella
loro lingua
aumentando l'agitazione dei reclusi.
Intanto
nello stesso corridoio capitarono per caso Gibbs, Pintel e Ragetti e
notarono i due uomini che, con le scimitarre e facce che facevano
intuire le loro cattive intenzioni, stavano dietro la porta di quella
cabina.
-
Ma non è lì che stanno Will e Miss Elizabeth? -
esclamò Gibbs con
inquietudine, i due pirati abbassarono la testa e fecero per
andarsene: - Ho l'impressione che siano in pericolo. Dobbiamo
aiutarli! - affermò il buon marinaio mettendo le mani avanti
per
bloccare i compari. Pintel fece una smorfia e sbuffò
rivolgendosi
all'amico: - Ragetti: buttaci un occhio!
-
Preferisco non guardare! - replicò quello cercando ancora di
svignarsela.
-
Quello finto, stupido! - lo rimproverò il compare dandogli
un
ceffone talmente forte da farglielo staccare. La sfera di legno
rotolò fino ai piedi dei due minacciosi uomini armati e uno
di loro
gridò: - Una bomba!
Ragetti
si precipitò a raccogliere quell'oggetto, apparentemente
inutile ma
per lui prezioso, difendendolo dai piedi dei due marinai che
tentavano di calciarlo lontano credendo si trattasse di un ordigno: -
È il mio occhio di legno! - ripeteva ad alta voce camminando
carponi. Finalmente i due uomini si tranquillizzarono:
-
Che schifo! - disse uno – Di vetro è meglio!
-
Come lo hai perso? - gli chiese l'altro.
-
Incidenti del mestiere – si schernì il pirata
mentre provava a
rimetterlo.
Gibbs
capì che era il momento buono per liberare i ragazzi e,
incoraggiando Pintel ad unirsi al compare nell'imprevista
chiacchierata, cercò di avvicinarsi alla porta della cabina
in cui
Will ed Elizabeth erano rimasti bloccati.
-
Io la prima volta che ho usato fucile mi sono sparato piede e ho
perso tre dita. Guarda! - rivelò uno togliendosi lo
stivaletto.
-
A me hanno tagliato orecchio con sciabolata –
mostrò loro l'altro.
A distrarre i due marinai della Ibis contribuì pure l'arrivo
della
scimmietta maledetta che rubò prontamente l'occhio al suo
proprietario costringendo gli altri a rincorrerla.
Assicuratosi
che nessuno lo vedesse, Gibbs abbassò la maniglia ed
entrò
nell'alloggio dove i due giovani lo accolsero con sollievo.
-
Grazie, signor Gibbs! - esclamò Elizabeth andandogli
incontro quasi
abbracciandolo.
La
reazione di Will fu meno affettuosa: - Non era “chi indietro
rimane
indietro viene lasciato”? - lo interrogò con
scetticismo quando la
fidanzata non poté sentirlo.
-
Non è che dobbiamo rispettarlo sempre – fu la
replica dell'uomo
accompagnata da un sorriso e il giovane sentì una fitta allo
stomaco: forse aveva fatto male a tradirli, ma senz'altro non tutti
erano come quel mite uomo di mare. Ed ebbe modo di constatarlo subito
dopo, quando sul ponte assistette ad un a scenata di Barbossa, senza
comprenderne il vero motivo: - Jack mi ha portato questo –
inveì
contro Ragetti porgendogli l'occhio di legno.
-
Mi dispiace, capitano. Io ... - balbettò quello cercando di
scusarsi
dopo averlo rimesso a posto, ma il filibustiere gli prese una mano e
gliela torse al contrario, rimandandolo poi sotto con un calcio e
ridendo di gusto.
Appoggiato
con la schiena al parapetto, lo sguardo fisso ma non verso qualcosa
di presente, naufragato in quel mare di pensieri, rimorsi, ambizioni,
Will non si era neppure accorto che Elizabeth era al suo fianco e che
lo stava osservando da un po' interrogandosi su quello che potesse
provare mentre continuava a muovere da una mano all'altra il pugnale
di suo padre. Non era stata capace di dirgli neanche una parola a
proposito. L'unica frase che in quel momento le venne in mente fu
“Mi
dispiace”, ma le sembravano parole banali, insufficienti e
soprattutto ipocrite da parte di una che si era comportata
esattamente come Barbossa con Sputafuoco quando aveva condannato Jack
a morire risucchiato dagli abissi. Si voltò a guardare il
mare
grigio appena increspato dal vento restando con i gomiti appoggiati
alla ringhiera del parapetto, la schiena ricurva, la testa china su
quell'acqua nera che si alternava alla schiuma bianca prodotta dal
contatto con lo scafo. Aveva qualcosa di ipnotico, la stava attirando
senza che ne fosse cosciente e il suo sguardo si spingeva sempre
più
giù...
-
Stai bene? - quando le forti braccia di Will la risollevarono le
sembrò di svegliarsi da un incubo. Gli rispose sì
ma il ragazzo
capì che mentiva, poi entrambi furono distratti dalla voce
di
Barbossa che stava discutendo con il comandante, cosa che mai gli
avevano visto fare prima. Colsero solo poche battute:
-
Siete un pirata a tutti gli effetti, dunque? - si informò il
filibustiere.
-
Certo!Io nato Algeri, in mia famiglia tutti grandi corsari –
rispose Nassim portando la mano sinistra al petto.
-
Allora dovete sapere che la canzone è stata cantata
– gli confidò
Barbossa.
Una
violentissima tempesta tropicale nei giorni successivi
impegnò
l'equipaggio della Ibis sul ponte, così essi non poterono
perdere
tempo ad indagare sugli ospiti, sui quali avevano maturato non pochi
sospetti.
Durante
la forzata permanenza sotto coperta Will aveva preferito sostare
nell'alloggio in cui stavano gli altri uomini e Jack, la scimmia, si
era prestata a fare la guardia nel caso Elizabeth avesse avuto
bisogno di aiuto.
Nell'ultimo
giorno di navigazione i pirati erano rimasti tutto il giorno nelle
brande per recuperare il sonno perduto negli ultimi giorni a causa
del maltempo; tutti tranne Barbossa che era rimasto vigile, in attesa
del sospirato arrivo alla meta.
Quando
furono gettate le ancore si precipitò a richiamare la sua
ciurma con
la consueta delicatezza: - Uscite fuori, babbei!Non avete sentito che
siamo arrivati? - sbraitò irrompendo nella stanza. Uno dopo
l'altro
Gibbs, Cotton, Marty, Pintel e Ragetti si sollevarono da quelle
amache e lasciarono l'alloggio. Nel corridoi c'era già Tia
Dalma
che, viso coperto, non nascondeva una certa fretta, e poco dopo
arrivò anche il luogotenente della Ibis: - Svelti
voi!Capitano
ancora dorme, ma presto lui sul ponte! - li ammonì ed essi
si
affrettarono su per le scalette sospinti da Barbossa.
-
Ah, signore – lo bloccò Gibbs parandoglisi davanti
prima che
mettesse piede sul primo scalino – li avete già
chiamati? - gli
domandò ammiccando alla cabina di Elizabeth e Will.
-
Ah, è vero – sbuffò quello –
Andateci voi – gli disse con un
tono di voce che equivaleva ad un ordine indiscutibile, restando ad
aspettarlo sotto il boccaporto. Gibbs con titubanza si diresse verso
l'alloggio ma, una volta davanti alla porta, si fermò con la
mano
appoggiata alla maniglia. Barbossa, avendo notato la sua esitazione,
in pochi secondi lo raggiunse: - Mastro Gibbs, forse non vi
è
chiaro: dobbiamo lasciare il più presto possibile questa
bagnarola!
- lo rimproverò e, senza il minimo scrupolo,
spalancò la porta
annunciando: - Signori: si scende!
Gibbs
gli venne dietro con gli occhi chiusi ripetendo: - Scusate!Scusate il
disturbo!Scusate l'intrusione!
I
due giovani, seppure frastornati, si prepararono subito ad uscire
dalla cabina facendo attenzione a non dimenticare nulla e seguirono i
due pirati.
-
Che avete agli occhi? - chiese Will a Gibbs non cogliendo che l'uomo
tenesse le mani sul viso per ritegno, ritenendo di essere indelicato.
-
È solo che credevo...Niente! - si affrettò a
ribattere quello dopo
aver ricevuto uno schiaffo da Barbossa, il quale lo canzonò:
- Non
sono sposati! - prima di uscire velocemente per unirsi agli altri.
Non era ancora sorto il sole ma la città brulicava comunque
di
gente, lo notarono già mentre percorrevano la scaletta che
li
condusse a terra.
Singapore,
esotica, fumosa, oscura, umida, fatta di mille canali, viuzze,
sottopassaggi, era proprio come la descrivevano se non peggio: una
città senza regole che ospitava uomini violenti e traffici
di ogni
sorta.
-
Direi che questo ostello andrà bene – si
pronunciò Barbossa
quando furono arrivati ad una palazzina di due piani con le pareti
dipinte di giallo e il tetto con le tegole verdi, ad una buona
mezz'ora di cammino dal molo.
-
Come?Non andiamo direttamente da Sao Feng? - domandò
Elizabeth.
-
Ci serve un piano prima di andare da lui, miss – le
comunicò il
capitano.
-
Ma, non era vostro amico? - investigò Will insospettito da
quella
frase ma il filibustiere sorvolò: - Mastro Gibbs, mastro
Turner, se
sareste così gentili da accompagnarmi – li
invitò lanciando una
pesante sacca a Pintel e Ragetti. Elizabeth si fece avanti: - Ho
pronunciato il vostro nome forse? - la voce di Barbossa fu
aguzza come la punta di una sciabola – Restate con gli altri
– le
ordinò mettendo nelle mani di Tia Dalma alcune monete con
cui
avrebbe dovuto pagare le camere. I tre uomini si incamminarono
silenziosamente per le strade che andavano popolandosi sempre di
più.
-
Sao Feng è il pirata nobile di Singapore –
cominciò a parlare
Barbossa sottovoce – Qui ogni cosa gli appartiene e scommetto
che
saprà già che siamo arrivati.
Fatto
ancora qualche passo Gibbs si azzardò a chiedere: - Ma che
stiamo
cercando?
-
Una mappa della città – replicò il
capitano accelerando il passo.
-
Ma questo Sao Feng non era vostro amico? - tornò a
chiedergli Will.
La reazione del pirata fu brusca: - Non pronunciate quel nome! - lo
mise in guardia con la pistola alla mano – Ve l'ho detto che
ha
spie ovunque. Camminate e non fiatate!
Dopo
qualche minuto Barbossa fermò un passante facendogli una
domanda che
né Will né Gibbs capirono:
- Parla il cinese?! - esclamò con
stupore il ragazzo.
-
A quanto pare... - ribatté il pirata ugualmente sbalordito.
Il
capitano chiese informazioni ad altri tre viandanti prima di condurre
i due compagni dentro una strada strettissima in cui non passava
più
di una persona per volta. Arrestatosi davanti ad una casupola
malandata batté le nocche sulla porta scardinata colpendola
una
prima volta, poi con due colpi veloci, infine con un quarto e ultimo
colpo. La porta finalmente si aprì ma non videro subito
l'inquilino
che vi si nascose dietro per poi uscire allo scoperto una volta
riconosciuta la voce di Barbossa. Era un uomo sulla sessantina, alto
e magro, con baffi e barba talmente lunghi da formare un'unica massa
di peli grigi che gli poggiavano sul petto, la testa allungata era
calva e ricoperta di macchie, gli occhi simili a due fessure
orizzontali. Egli si ritirò dietro quello che sembrava un
bancone di
osteria, quale doveva essere quel posto un tempo. Barbossa
scambiò
delle parole con l'uomo, dapprima con tono amichevole dando
l'impressione di conoscerlo da tempo, poi si fece più serio
e anche
il vecchio assunse un'espressione grave; tirò fuori da un
armadietto
alle sue spalle una bottiglia e quattro bicchieri di vetro verde
poggiandoli sul bancone e sparì nel retro del locale. Il
capitano si
servì da bere sorseggiando lentamente il liquido biancastro.
-
Ho proprio bisogno di sciacquarmi la gola! - dichiarò
contento Gibbs
riempendosi il bicchiere fin quasi all'orlo e buttando giù
il
contenuto in un solo sorso, sotto lo sguardo divertito del
filibustiere e quello schifato di Will. Appena finito di inghiottire
cominciò a tossire talmente forte da diventare paonazzo e il
giovane
Turner, preoccupato, gli diede delle forti pacche sulle spalle per
aiutarlo.
-
Era la prima volta che assaggiavate saké? - lo derise
Barbossa.
-
Sì! - rispose a fatica quello con la voce rauca.
L'uomo
dagli occhi a mandorla ricomparve con penna, calamaio e un foglio di
carta ingiallito; appoggiatolo sul banco iniziò a tracciarvi
delle
linee che formarono un reticolo confuso che Barbossa osservò
con
attenzione per poi commentare: - Bè, non è
cambiata molto
dall'ultima volta che sono venuto.
Pronunciò
ancora qualche parola in cinese e l'uomo disegnò una croce e
un
cerchio su due punti non troppo lontani del foglio che il
filibustiere cercò di sottrargli ma quello lo
fermò bacchettandolo
con la penna. Dopo aver inutilmente protestato il pirata gli
offrì
delle monete ma l'orientale oltrepassò il bancone e,
avvicinatosi a
Will, afferrò un lembo della sua casacca di pelle
cominciando a
strattonarlo; il ragazzo sgranò gli occhi restando immobile:
- Vuole
la vostra giacca – gli spiegò Barbossa non potendo
fare a meno di
ridere per l'espressione spaventata del giovane che fu costretto, in
seguito, a cedere al <<cartografo>>
anche la sua cintura e il gilet ricamato. Ottenuta la mappa il maturo
pirata salutò il conoscente e portò in giro
ancora qualche ora gli
altri due compagni in cerca di armi e vestiti. Ad un tratto si
bloccò: - Quello è il tempio della famiglia Feng,
il luogo più
importante della città – commentò
dinanzi ad un edificio
fastosamente decorato con dragoni e altri animali fantastici dipinti
con vari colori.
Dopo
circa un'ora furono di nuovo all'ostello in cui avevano lasciato gli
altri. Elizabeth era rimasta quasi tutto il tempo affacciata ad una
finestra e non appena riconobbe i tre che facevano ritorno corse ad
avvertire gli altri; Barbossa richiamò tutti in una delle
stanze.
Notando
il volto sbigottito con cui la figlia del governatore guardava il
fidanzato, rimasto in pantaloni e camicia, le si rivolse asserendo: -
Capite perché non vi ho fatto venire? - battuta che non
chiarì
affatto lo sbalordimento della fanciulla, ma subito il pirata riprese
la parola: - Ci servono tre cose per raggiungere lo scrigno: una
nave, una ciurma e le carte nautiche. Ora, le prime due le chiederemo
in prestito a Sao Feng, mentre le carte starà a voi
recuperarle dal
tempio – specificò rivolgendosi a Will.
Lui lo guardò di
traverso: - Perché dovrei rubarle?
-
Perché non ce le darà mai! - sostenne il pirata.
-
Perché? - continuò a chiedere il ragazzo con
spavalderia e Barbossa
trattenne il grilletto solo convincendosi che quel moccioso,
permaloso, ma abile e intelligente, fosse la persona giusta per quel
compito. Pertanto, capendo che non avrebbe accettato senza una
spiegazione convincente, si risolse a confessare: - Sao Feng non
andava molto d'accordo con Sparrow per via di una sua...invasione di
territorio, diciamo così. Perciò dobbiamo fare
tutto entro
stanotte, prima che lo venga a sapere.
Dopo
quella rivelazione i pirati restarono tutto il resto del giorno
chiusi in quella stanza a studiare la mappa della città,
stabilendo
compiti e posizioni di ciascuno. Quando ebbe finito di illustrare
ogni dettaglio del piano Barbossa sembrò più
sollevato ma non del
tutto sereno. Elizabeth, in particolare, notò un'insolita
apprensione nel suo modo di parlare tutte le volte in cui si riferiva
a Sao Feng. Ciò accese la sua curiosità su di
lui; cosa aveva di
tanto spaventoso se perfino un pirata di lunga esperienza come lui
sembrava temerlo?
-
Questi vestiti sono per voi. Metteteli – ordinò il
capitano
lanciando in direzione di Will ed Elizabeth dei panni indistintamente
intrecciati tra loro che essi cercarono di districare.
-
Avete qualche altra domanda da fare? - chiese infine agli altri.
-
Sì – si fece avanti Ragetti –
Perché noi dobbiamo avere sempre
gli stessi vestiti? - domandò risentito, fingendo fosse
quella la
sua reale preoccupazione.
-
Perché voi siete perfetti così! - rispose il
pirata ironico. - Ci
muoveremo tra due ore.
Will
trascorse il breve tempo che lo separava dall'inizio di quella nuova
impresa allenandosi da solo con la sciabola nella stessa camera in
cui tentavano invano di riposare Pintel, Ragetti, Cotton e Marty
finché non entrò Tia Dalma a chiamarlo: -
Barbossa vuole parlarti
prima che tu vada – il giovane, riposta la spada, la
seguì. La
donna entrò nella stanza di fronte lasciando la porta
socchiusa e
lui lentamente la spinse non aspettandosi di trovarsi di fronte
Elizabeth che stava indossando una lunga camicia verde scuro davanti
ad uno specchio.
-
Cercavo Barbossa – le rivelò imbarazzato.
-
È nella stanza accanto – lo informò lei
senza voltarsi,
accingendosi ad acconciare i lunghi capelli in una treccia.
-
Ho sentito che andrai con lui all'incontro con Sao Feng –
continuò
a parlarle.
-
Sì, prenderò una via d'acqua. Un canale
– specificò lei
scrutandolo ancora attraverso lo specchio.
-
Fai attenzione – le raccomandò il fidanzato con
tono amorevole ma
restando distante. Lei si girò guardandolo dritto negli
occhi: -
Anche tu – si limitò a dirgli per poi voltarsi
nuovamente. Lui
uscì.
-
Dovreste dirglielo che lo amate – la voce di Tia Dalma
risuonò a
metà tra un rimprovero e un consiglio.
-
Non ho mai fatto nulla che dimostrasse il contrario –
ribatté la
fanciulla un po' infastidita dall'intromissione della veggente,
pronunciando quelle parole con tono cupo e labbra tremanti mentre
sistemava un paio di pistole nelle tasche interne della giacca
insieme ad altre armi da fuoco.
-
Non sembra che lui la pensi così –
asserì ancora la sacerdotessa
porgendole un cappello di paglia piatto e di forma circolare. La
ragazza legò i due lacci del copricapo attorno al collo
riflettendo
su quelle parole. In quel momento udì la voce di Will che
non era
ancora uscito perché intrattenuto dalle domande di Barbossa
che,
soddisfatto delle sue risposte, trovò qualcos'altro cui
appuntarsi:
- Diamine!Non avete molto del pirata, a parte l'abbronzatura!
–
constatò con sdegno; la ragazza si fermò ad
osservare sull'uscio –
Tirate fuori la camicia, date una svolta all'orlo dei pantaloni e
lasciate che vi metta questo – gli propose mostrandogli un
piccolo
cerchietto metallico dorato. Il ragazzo acconsentì e
Barbossa con
una mossa decisa gli perforò il lobo dell'orecchio sinistro
richiudendo l'orecchino: - L'espressione torva ce l'avete
già, il
bruciore all'orecchio vi aiuterà a mantenerla –
gli disse - Ci
vediamo al molo ovest.
-
Cercherò di esserci – affermò il
giovane scendendo di corsa le
scale che conducevano di sotto. Mentre si avvicinava al tempio Feng
comprese che l'aver accettato quel monile non era servito solo a
rendere il suo aspetto più losco, come si addiceva a quanti
circolavano per quella città, già avvolta nel
buio. Tutti avevano assistito a quel gesto e
immaginò che avesse un significato nascosto: Barbossa e gli
altri lo
avevano infine riconosciuto come uno di loro, a lui spettava il
compito più difficile e non avrebbe voluto deluderli. Ma, a
poco e
poco, il bruciore pulsante dell'orecchio si fece più tenue e
il suo
proposito svanì progressivamente con esso quando scorse
inaspettatamente i soldati della Compagnia che lo seguivano da
lontano e credeva volessero proteggerlo. D'altra parte schierarsi con
loro non era pur sempre un comportamento da pirata?...
-
Se avete finito dovremmo andare – disse Barbossa rivolto alle
donne. Poi affacciandosi nella stanza in cui stava il resto della
ciurma: - Voi altri uscite fra una ventina di minuti. Non dobbiamo
farci vedere insieme – ricordò loro - E ... niente
errori – li
minacciò allontanandosi.
Dopo
circa mezz'ora di cammino il capitano si separò da
Elizabeth
indicandole il canale che avrebbe dovuto percorrere con una leggera
canoa per raggiungere il covo di Sao Feng. Quindi proseguì
via terra
con Tia Dalma.
A
bordo di quell'esile imbarcazione, solcando le acque torbide con quel
lungo remo facendo attenzione a mantenere l'equilibrio, Elizabeth si
sentì forte e fragile, ma soprattutto sola, con tutte le sue
paure,
le sue fantasie, i suoi pentimenti, i suoi sogni. Come in un battito
di ciglia ripercorse con la mente le mille avventure che l'avevano
coinvolta, le persone che aveva incontrato, che aveva amato o odiato,
i luoghi che aveva visto, le cose che aveva imparato, quelle che
aveva fatto e quelle che non avrebbe mai voluto fare, e le parole le
uscirono quasi inconsciamente dalle labbra:
C'è
chi è morto, chi non morì,
altri
vanno per mare,
c'è
chi già sa, la morte è qua,
e
non gli importa niente.
Le
belle speranze mi vuotano il cuor,
io
so sempre chi sono,
una
campana per chi risuona,
per
chi ritrae il perdono.
Yo
oh, la gloria corre nell'aldilà...
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