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di gingersnapped
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** About ***
Capitolo 2: *** Qualcuno su cui contare ***
Capitolo 3: *** Concessioni ***
Capitolo 4: *** Appoggi ***
Capitolo 5: *** Vacanze ***
Capitolo 6: *** Giochi infantili e fiabe ***
Capitolo 7: *** Cambi di prospettiva -male version- ***
Capitolo 8: *** Cambi di prospettiva -female version- ***



Capitolo 1
*** About ***


About 



Hiccup Horrendous Haddock III era tutto fuorché orrendo, come invece suggeriva il suo nome. Aveva i capelli castani con calde sfumature ramate che certe volte –al contrario di Hiccup stesso- non sembravano disposti a collaborare, dato il loro scarso ordine. Era alto, con dei grandi occhi verdi magnetici, così limpidi e luminosi che sembravano risplendere di luce propria. Era più intelligente di quasi tutti quelli che aveva mai incontrato, e aveva un’andatura molto particolare: una camminata timida, non molto sicura di sé, svelta, la quale sembrava suggerire che avesse un sacco di cose da fare.

Merida Dunbroch era una ragazza non convenzionale. Non le importava del suo aspetto fisico, o almeno fingeva che non fosse così. Era di statura media, aveva un fisico asciutto grazie ai numerosi anni di tiro con l’arco e altri sport che la rendevano più forte di una qualsiasi ragazza. Aveva dei capelli ribelli, che sembravano rispecchiare esattamente il suo carattere: ricci, rossi, al sole sembravano quasi prendere fuoco, e ne andava talmente fiera che li lasciava crescere senza tagliarli o legarli, come invece voleva sua madre.

Lui pensava che lei fosse troppo impulsiva, e si sentiva in dovere di darle continuamente dei consigli perché sapeva che ne aveva bisogno, che in fondo aveva anche bisogno di lui.

Lei rifletteva sul fatto che si conoscessero praticamente dalla nascita, e pensava che il moro avrebbe dovuto capire che lei non ascoltava di proposito i suoi consigli perché non voleva ammettere che lui era l’unica persona di cui avesse veramente bisogno.
 

Jackson Overland Frost era il tipico adolescente che si nascondeva dietro una maschera. Ogni mattina, dopo aver indossato i suoi amati jeans a sigaretta e la sua felpa blu –dello stesso colore dei suoi occhi-, indossava anche la maschera che più lo allontanava dai sentimenti: il sarcasmo. Sembrava la sua unica arma di difesa, ma appena vedeva il caldo sorriso di una persona in particolare, si scioglieva, come la neve al sole.

Rapunzel Corona era di una bellezza che rasentava la perfezione. I suoi occhi verdi erano illuminati da ogni sentimento positivo che possa esistere, le sue ciglia erano talmente lunghe che sembravano pettinare l’aria, i capelli biondi splendevano di luce propria. Ma ciò che la rendeva quasi perfetta era il suo carattere, così squisitamente buono, così caritatevole, eppure così ingenua.

Lui sapeva che era innamorato di lei, e odiava decisamente questo fatto.

Lei voleva pensare di voler provare solo amicizia nei suoi confronti, e cercava continuamente di voler nascondere ogni pensiero d’amore nei suoi confronti.
 


Questa però, non è una raccolta d’amore. Questa è una raccolta di come questi quattro amici si innamorarono –e alcuni scoprirono più tardi di esserlo già in precedenza. Questa è una raccolta di giorni normali resi speciali da momenti e da parole, oppure da un semplice gesto.
 

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Capitolo 2
*** Qualcuno su cui contare ***


Mericcup
 


Non era certo da Merida piangere. Era, ovviamente, caratteristico della ragazza litigare con Macintosh che stava prendendo in giro un bambino che solo soletto si era trovato costretto a passare di lì, ed era sempre caratteristico prendere le difese di un bambino che neanche conosceva, solo che non era da lei correre via, non era da lei scappare e piangere una volta raggiunto un corridoio deserto. Non aveva mai dato peso alle parole di quel pallone gonfiato, solo che quella volta era diverso. Tutto era diverso.
“Sappiamo entrambi che sei sola, Dunbroch. La tua famiglia non ti vuole, neanche più quelli che credevi amici ti vogliono.”
E sembrava tutto così dannatamente vero. Tutti la evitavano da giorni ormai: nessun abbraccio da Rapunzel, nessuno scherzo da Jack. Credeva persino di essersi dimenticata  di che colore fossero gli occhi di Hiccup. Strinse le ginocchia al petto, soffocando un singhiozzo.
Ad un certo punto la rossa sentì dei passi, e avvertì qualcuno che si sedette accanto a lei.
“Certo che questi corridoi deserti sono affollati per emarginati e ribelli”, commentò sarcasticamente un ragazzo, con una voce fin troppo familiare.
“Chiunque tu sia, vattene”, biascicò lei, la voce impastata di pianto, non riconoscendo il ragazzo.
“Che hai, Merida?”
A quel punto lei aprì gli occhi e si ritrovò a poca distanza dai suoi quelli verdi del moro che conosceva da tantissimo tempo ormai.
“Niente, Hiccup. E adesso, vattene!”
“No, non me ne vado. Tu non piangi, ma lo stai proprio facendo. Perché?”
“Senti, Hic, vattene prima che ti faccia sparire in un altro modo”, soffiò lei, troppo scossa per risultare anche un minimo intimidatoria.
“Dovrai inventartene uno allora, perché io non mi muovo da qui”, disse lui, pacato, con un sorriso mite stampato sulle labbra fini. “Ho visto che parlavi con Macintosh prima..”
Merida spalancò gli occhi. “Non mi parli da giorni e poi mi vedi parlare con Macintosh?”
“No..è che.. certo, se-sembrereb-bbe.. oh, insomma, è per una buona causa!”, cercò di giustificarsi Hiccup, ricevendo lo sguardo scettico della rossa.
“Non mi parli per una buona causa? Dimmela, allora”, disse arrabbiata.
“Non posso.”
Merida sospirò, e una lacrima le scese sulla guancia rossa. “Ho capito”, disse, alzandosi.
“Aspetta, dove vai?”, chiese Hiccup, alzandosi anche lui.
“Me ne vado in posto dove posso rimanere sola, quindi senza di te!”
“Ma tu non sei sola, non lo sei mai. Hai me, per esempio, e hai Punzie, e Jack, e quelle tre pesti dei tuoi fratelli, e i tuoi genitori..”
“E dove siete stati in questi giorni? Perché mi avete lasciato sola-“
“Non è vero!”
“Si, invece. Ha ragione Macintosh, nessuno mi vuole più..”, sussurrò Merida, con gli occhi che ricominciavano a lacrimare.
“Quindi è stato quell’idiota a farti venire in mente un’idiozia del genere?”, chiese Hiccup, abbracciandola contro la sua volontà, visto che la rossa cercava di divincolarsi. “Siamo sempre qua, e ti vorremo sempre. Solo che..”disse il moro, accarezzandole i capelli dolcemente.
“Solo che cosa?”
La scostò leggermente, in modo da potersi guardare. “Doveva essere una sorpresa, e lo sarebbe stata se tu.. ecco, noi ti stiamo preparando una festa.”
La ragazza sgranò gli occhi, sorpresa. “Voi mi avete fatta sentire malissimo per una stupida festa?!”
“Non chiamarla così, altrimenti non so proprio cosa ti farebbe Rapunzel.”
“Siete così stupidi. Tutti voi. Io non voglio una festa, io voglio voi, adesso e per sempre”, disse lei, incredula ancora a tutta la vicenda.
“Hai creduto alle parole di Macintosh che tu una volta hai chiamato nullità tonante e cretino fosforescente. Chi è la stupida?”
“Hai dimenticato cretino con qualche lampo d’imbecillità”, aggiunse lei, dopo un po’. “E comunque sembrava avere così ragione..”
“La prossima volta che pensi che Macintosh abbia ragione tu-“
“Prima mi do uno schiaffo e poi lo picchio?”, propose la rossa, facendo ridere Hiccup.
“No. Vieni da me e ne parliamo.”
“Non penso succederà nuovamente, insomma, è pur sempre un cretino con qualche lampo d’imbecillità.”
“Allora questo sarà un invito potenziale.”
Merida si asciugò le ultime lacrime che aveva con le maniche della maglietta, e abbracciò di slancio il moro.
“Grazie, Hic.”
“Di nulla. E adesso, andiamo alla festa.”
Stavano per girare l’angolo quando videro Elsa, la cugina più grande di Rapunzel, con gli occhi gonfi correre quasi addosso a loro.
“Scusatemi”, disse, con la voce rotta dal pianto, sparendo appena ne ebbe l’occasione in quel corridoio deserto.
“Visto? Questi corridoi deserti sono così affollati”, disse nuovamente il moro, facendo alzare gli occhi al cielo alla rossa.
“Mi vuoi portare a questa festa o no?”
“Ti devi fingere sorpresa però.”
“Hiccup!”
 

 
Jackunzel 

 
Rapunzel guardò nuovamente l’orologio. Erano soltanto le 11 e 10 e lei aveva un pranzo con Flynn soltanto alle 14 e 00. Cosa fare? La sua stanza era già pulita, i libri erano sistemati e i compiti tutti svolti. La soluzione era chiamare Merida? La bionda dubitava che con una bella giornata come quella l’amica non sarebbe corsa a fare equitazione e tiro con l’arco. Avrebbe potuto vedere un film, ma alla televisione non facevano niente al momento, e dopo già cinque minuti si era stufata di fare zapping, pigiando annoiata il tasto per cambiare canale. E poi non avrebbe dovuto neanche preoccuparsi dell’abbigliamento perché l’aveva scelto il giorno prima con Anna, la sua dolce cugina, e Merida, che annoiata aveva detto a ogni maglietta, gonna o pantaloncino “bello” senza guardarlo veramente. Guardò il vestitino corto in panno bianco, adatto per la primavera, e il resto degli accessori rosa. Sarebbe stato tutto assolutamente perfetto se non fosse così annoiata. I suoi occhi puntarono nuovamente le lancette dell’orologio. 11 e 13. Guardò nuovamente il vestito accuratamente scelto, e decise di uscire prima del previsto, passeggiando per le vie assolate della città.
E così, raggiunto il parco, fu felicissima quando vide Jack in compagnia di due bambini, un maschio e una femminuccia, più piccola.
“Jack!”, esclamò infatti, avvicinandosi.
“Ciao Punzie”, salutò lui, leggermente in imbarazzo. “Jamie, Sophie, io sono qui, non allontanatevi”, disse ai bambini, tornando a prestare attenzione alla bionda.
“Che ci fai così in ghingheri al parco? Il bianco non è di certo il colore adatto per andare qui”, le chiese Jack, infilando le mani nella tua tipica felpa.
“Ho un pranzo pomeridiano con Flynn, quindi sono venuta qui a passarmi il tempo”, rispose la bionda.
“Un pranzo pomeridiano?”, ripeté Jack, stranito, esternando tutto ciò con una smorfia molto eloquente. Si sedette su una panchina lì vicino, in modo di avere la visuale libera per poter osservare i due bambini. “Non sono neanche le 12.”
“Non ci vedremo prima delle 14, ha dei compiti da finire”, spiegò la bionda, seguendo lo sguardo dell’amico. Un attimo prima sembrava arrabbiato e adesso rideva a crepapelle.
“Cosa? Ha disertato il vostro appuntamento per i compiti?”
“L’ha solo posticipato”, lo corresse lei, alzando gli occhi al cielo. “E comunque ne sto approfittando per farmi una bella passeggiata. È una bella giornata dopotutto.”
Jack sorrise. “Suppongo.”
“Come fai a dirlo? La primavera è meravigliosa, adoro aprile”, disse lei, chiudendo gli occhi e beandosi della luce del sole che le riscaldava la pelle.
“Vieni, facciamoci una passeggiata”, propose Jack, alzandosi.
“E i bambini?”
“C’è Toothiana, più in là. E poi c’è anche Bunnymund. Se la caveranno” , rispose lui, stringendosi nelle spalle.
La ragazza lo seguì, e camminò accanto a lui mentre la portava in un sentiero ombreggiato che terminava verso una fontana. “È bello, questo parco.”
“Hai ragione”, accordò lei. “Allora, di cosa vogliamo parlare?” 
 
Dopo un po’ ridevano a crepapelle, seduti sul bordo di quella fontana vuota, ma comunque magica.
“E poi mi ha detto: ‘avanti Frost, sfidami se hai il coraggio’ e io gli ho risposto: ‘temo che perderesti, Bun’”, concluse Jack, guardando la bionda tenersi la pancia per le troppe risate. Era assolutamente stupenda con quelle gote arrossate per il troppo riso, gli occhi verdi in quel modo sembravano ancora più splendidi, e i ciuffi biondi che sfuggivano dalla treccia erano divini.
“Sei assolutamente pazzo, Jack”, commentò lei, ridendo ancora. “Povero Bunnymund che deve sopportarti!”
“Se lo meritava!”, esclamò l’albino, e allo sguardo indagatore della bionda fu costretto ad aggiungere :“Almeno quella volta.”
“Perfetto, adesso tocca a me. Primo libro che hai letto.”
“Non me lo ricordo. Probabilmente uno di quel tipo, lì, Stilton”, rispose Jack, molto vago.
“Quel tipo, anzi quel topo si chiama Geronimo Stilton!”, esclamò Rapunzel per poi ridere di nuovo. “Il primo libro che ho letto è stato La piccola principessa. Sarah era così buona e gentile e così intelligente che desideravo essere come lei.”
“Ma lo sei già”, le fece notare Jack. Al che lei assunse una postura fintamente regale e con accento fintamente inglese disse “Ma non sono una principessa.”
“Okay, ora di nuovo il mio turno. Ehm, sì, lo so. Amico o amica preferito”, disse lui, sorridendo malignamente.
“Jack, non puoi farmi questo! Io..passo!”
“Non è possibile passare in questo gioco”, la informò il ragazzo, e Rapunzel si morse un labbro.
“Maschio o femmina?”
“Entrambi.”
“Presenti esclusi?”
“Assolutamente no.”
“Sei un ragazzo orribile”, scherzò lei, guardando il cielo. Chi era più importante tra Merida, Hiccup e Jack? Merida era la sua amica per eccellenza, anche se non condividevano poi così tanti interessi. Quello che lei reputava piacevole, come una passeggiata al tramonto, o osservare le nuvole, erano tutte attività che la rossa trovava estremamente noiose e viceversa, tutto ciò che Merida riteneva piacevole, come cavalcare senza sella in un bosco pieno di ostacoli e duellare con spade medievale, erano attività che spaventavano a morte la bionda. C’era Hiccup, che era la sua controparte maschile. Non c’erano bisogno neanche di parole, si intendevano con il solo sguardo, verde nel verde. Passavano pomeriggi interi a parlare dei loro libri preferiti, a scambiarsi opinioni e metodi per disegnare. E poi c’era Jack. Il suo cuore fece un tonfo sordo, per poi battere leggermente più veloce. Jack era il più buon farabutto che avesse mai incontrato, da quando anni fa si erano conosciuti e da allora –Rapunzel questo lo sapeva bene- niente era stato più lo stesso. Ma per lei erano tutti importanti allo stesso modo come amici.
“Non posso scegliere. Siete per me più di quanto io sia per me stessa”, rispose Rapunzel.
“Okay, tocca a te.”
“Non hai risposto!”
“Jamie. Sì, proprio Jamie. Voi siete la mia famiglia, ma Jamie è il mio amico preferito.”
Rapunzel disegnò con le labbra una ‘o’ di sorpresa.  “Nuovo argomento. Primo amore.”
“Passo.”
“Non è possibile passare in questo gioco”, lo canzonò lei, ripetendogli quelle stesse sue parole.
“Allora esercito il diritto di non giocare più.”
Rapunzel aggrottò le sopracciglia, pensierosa. “Sei impossibile! E poi ci conosciamo da sempre, sono la tua famiglia Jack”, disse lei, non evitando di canzonarlo alla fine.
“Ti basta sapere che è bionda?”
“È Elsa?”, chiese la (bionda) ragazza.
“Non parlerò più”, disse lui, cupo.
“Oh mio Dio! È Elsa!”, esclamò lei, un’espressione indecifrabile sul viso.
“E sentiamo, quale sarebbe il tuo?”
“Oh, è semplice. Hercules. Io e Merida avevamo una cotta pazzesca per lui qualche anno fa.”
“Cosa?”, domandò Jack tra le risate.
“Eravamo giovani e..”
“..in preda agli ormoni a quanto pare!”
Rapunzel fece una smorfia, e gli diede uno scappellotto. “Ho un altro turno allora, per questa tua bravata.”
“Avresti dovuto informarmi che il tuo primo amore fosse così ridicolo!”
Lei lo ignorò. “Primo bacio.”
“Questo te lo concedo. È stata Merida, curiosamente.”
Rapunzel non riuscì a trattenere la sorpresa e cacciò un urlo, gli occhi verdi increduli. “Cosa?!”
Jack rise, per poi assumere quel suo sorriso malizioso. “È stato due anni fa, e non è stato neanche poi un granché.”
“Ma perché? Lei non me l’ha mai detto! Raccontami tutto!”
“Non ricordo bene.. Era estate ed era il periodo in cui Hiccup-“
“Si era preso una cotta per Astrid”, concluse la bionda.
“Esattamente. E poi lei mi ha detto che-“, iniziò Jack ma si fermò. E se Merida non avesse detto a Rapunzel quello che aveva detto a lui? D’altronde non le aveva neanche raccontato del bacio.
“Che cosa?”, domandò avida di curiosità Rapunzel.
“Niente, lascia stare.”
“Jack, andiamo. Me lo devi. “
“Merida mi aveva appena detto che era stracotta di Hiccup.”
“Ma questo lo sapevo!”
“E io le ho detto che se mai avrebbe voluto dirglielo avrebbe dovuto anche baciarlo. Poi lei mi ha baciato e ha detto:’così?’ e io le ho suggerito di farlo durare più di due secondi cronometrati.”
“Non ci posso credere che il tuo primo bacio è stato Merida! È..”
“Capitato e basta. Tu, invece? Sempre primo bacio.”
“L’anno scorso, con Flynn”, rispose lei, sorridendo al ricordo. “Era sera, ed eravamo su una barca, ed eravamo circondati dalle lanterne ed era tutto perfetto. Era il mio primo appuntamento, ed è stato romantico, più di quanto tu possa dire. Tu e Merida..”
“Sì, io e Merida ci siamo baciati perché lei voleva baciare Hiccup che in quel momento stava baciando Astrid, però è stato un bel bacio”, disse Jack.
“Ma non perfetto. Quello mio e di Flynn lo è stato. Dio stesso ha sorriso.”
Un silenzio amichevole cadde tra loro, senza risultare eccessivamente fastidioso.
“Smettila di guardarmi così”, disse poi lei, un sorriso che emergeva tra le labbra ma che tentava di nasconderlo.
“Così come?”, chiese lui, sperando di sembrare innocente.
“Come se sapessi tutto di me.”
“Ma io so adesso tutto di te. Conoscevo un sacco di cose prima, e adesso le conosco tutte. Abbiamo giocato a dirci qualcosa di noi per due ore”, disse l’albino. Rapunzel quasi scattò in aria.
“Due ore? E adesso, che ora è?”
“Quasi le 14..”
Fu proprio in quel momento che realizzò che la ragazza si era fermata a parlare con lui perché aveva del tempo da impiegare aspettando l’ora in cui lei e Flynn avrebbero potuto fare il loro pranzo pomeridiano, e l’albino desiderò non aver detto niente. Ma ormai aveva parlato, e la bionda si era alzata.
“Sarà meglio che vada”, disse. “Grazie della compagnia.”
“Figurati.”

 

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Capitolo 3
*** Concessioni ***


Mericcup





“Sono stanca”, sbuffò Merida, una mano sulla guancia rosea, l’altra sui capelli per far sì che non le cadessero davanti agli occhi. L’angolo sinistro della bocca di Hiccup si alzò in un sorriso che tentava in tutti i modi di nascondere: non era assolutamente dalla ragazza starsene ferma e concentrata per quasi un intero pomeriggio a svolgere gli esercizi di matematica. Ovviamente, la minaccia di sua madre di distruggerle l’arco, l’oggetto che preferiva di più al mondo, se non fosse migliorata in quella materia aveva sortito i suoi effetti.
“Dai, mancano ormai pochi esercizi..”, provò a rispondere lui ma la ragazza si era già alzata e dopo essersi stiracchiata accuratamente, si ritrovò a girovagare nella stanza dell’amico.
“Dai, Merida, finiamo questi esercizi e poi facciamo quello che vuoi”, cercò ancora a dissuaderla, ma la ragazza alzò i suoi occhi acquamarina al soffitto. Aveva temuto per tutto il pomeriggio che si comportasse in quel modo, esattamente da Merida e a quanto pare i suoi timori non erano del tutto infondati.
“Sono stanca, Hic”, ripeté lei, “e poi credo di aver capito il procedimento.”
“Ah, si? E perché non me lo dimostri svolgendo questo esercizio?”
Lei sorrise, bofonchiando un “magari dopo”, e posò lo sguardo, adesso malizioso, sul primo cassetto del mobile accanto al letto del moro. Hiccup deglutì, la faccia bianca come un lenzuolo.
“Merida, non apri-“, provò a fermarla, ma era troppo tardi. Sul suo volto si dipinse una curiosa espressione di stupore, per poi venire rimpiazzata da una sana risata.
“Ti pieghi i calzini”, riuscì a dire, tenendosi la pancia per le troppe risate.
Hiccup sentì le guance cosparse di lentiggini bruciare dall’imbarazzo, maledicendosi mentalmente per aver acconsentito a studiare matematica con lei, o semplicemente, per essersi piegato i calzini. Quindi, con un’espressione infastidita, guardò la ragazza, sperando che capisse quanto fosse poco opportuna la sua constatazione, e che non aprisse il secondo cassetto, dove ad essere piegate erano le mutande. Non era sicuro che avrebbe retto dall’imbarazzo.
“Oh, come sei carino quando sei imbarazzato! Aggrotti le sopracciglia in modo buffo!”, commentò lei, prendendolo sempre in giro, e dimenticandosi momentaneamente di frugare negli altri cassetti. Le orecchie del moro diventarono ancor più rosse, dello stesso colore dei capelli di Merida.
“E se te la facessi pagare?”, le chiese Hiccup, fingendo sempre di essere infastidito.
“Ti pieghi i calzini, Hic. Perdonami se non tremo di fronte al tuo cospetto”, rispose lei, allargando le braccia. Fu allora che il moro si alzò, avvicinandosi lentamente alla ragazza con aria solenne –finalmente l’aveva superata in altezza, l’estate scorsa, e ogni volta con un sorriso soddisfatto si compiaceva del fatto che ormai lei arrivava alle sue spalle- e con le braccia conserte si parò di fronte a  lei.
“Ti concedo un solo tentativo per redimerti.”
“Non ci penso nemmeno”, bisbigliò lei, con uno sguardo di sfida. E fu proprio allora che lui la prese e la spinse sul letto, facendole il solletico proprio perché sapeva che non lo sopportava. E lei iniziò a ridere, così tanto che le spuntarono le lacrime agli occhi. Dopo circa un paio di minuti, il moro decise di concedere alla ragazza un po’ di pace.
“Sei terribile!”, esclamò, una frase che contrastava non poco con la sua espressione, ancora sorridente, e il suo tono di voce. Hiccup, di conseguenza, sorrise.
“Ti avevo detto che te l’avrei fatta pagare”, si giustificò lui, e Merida fece una smorfia.
Sembravano stare così bene in quel momento: almeno Hiccup stava veramente bene. E sempre Hiccup stava lentamente realizzando di star da ormai cinque minuti sopra la rossa, in una posizione che sarebbe apparsa equivoca –forse proprio perché lasciava poco spazio ai fraintendimenti come quello- e che ancora non si erano staccati. Merida affondò i suoi occhi chiari, finalmente sorridenti e vivaci dopo un intero pomeriggio di mortorio con gli esercizi di matematica, su quelli verdi del moro, e poi realizzò anche lei. Le guance, anche le sue ricoperte di lentiggini come se qualcuno le avesse spruzzate del succo alla pesca, si arrossarono e posò lo sguardo altrove. 
“Hic, sei un tantino pesante. Non è che potresti..?”, chiese, dissimulando il tono di sempre, e Hiccup si spostò immediatamente, sdraiandosi sul letto accanto a lei, rendendosi conto di essere stranamente stanco.
Merida rimase in silenzio, persa nei suoi pensieri. Era sempre stato così facile stare con Hiccup, eppure ultimamente era così tremendamente difficile. Non era mai stata attenta ad impegnarsi troppo, a misurare le parole, o ad arrovellarsi il cervello per capire cosa gli passasse per la testa. Soprattutto lei non si nascondeva. Lei lo aveva sempre messo a parte dei propri sentimenti, solo che in quel frangente..non ci capiva molto neanche lei.
“Sai, sono rimasti gli ultimi esercizi di matematica..”, disse lui, interrompendo quel silenzio che si era formato. Immaginò Merida alzare gli occhi al cielo, infastidita. La ragazza lo colpì sul petto, sbuffando sonoramente.
“Non ci pensar nemmeno.”
“E cosa vuoi fare?”
La rossa alzò il busto, guardando Hiccup rimanere fermo a guardare il soffitto. Si guardarono per pochi secondi, poi Merida si sdraiò nuovamente accanto a lui.
“Niente”, rispose.
“E niente sia.”
 


 
Jackunzel 

 



 
“Andiamo al cinema?”
Accontentata. Almeno, in parte. Ovviamente l’invito della bionda era rivolto non solo all’albino, ma anche a Hiccup e Merida che con la scusa di studiare matematica –che per Jack non stava comunque né in cielo né in terra, tanto era ridicola- avevano declinato quella proposta e questo era il motivo per cui quel pomeriggio Jack e Rapunzel si ritrovavano soli al cinema a guardare un film romantico. Come sapeva Jack che era un film romantico senza sapere il titolo e senza aver visto la locandina? Semplicemente perché lo aveva scelto lei, e nell’ultimo film che erano andati a vedere tutti assieme, Jack avrebbe potuto giurare di aver visto Merida piangere.
“Ti è piaciuto il film?”, chiese lei, gli occhi verdi lucidi, appena le luci si riaccesero in sala.
“Certo”, si affrettò a rispondere Jack, anche se di quel film aveva visto soltanto i primi cinque minuti, ovvero fino alla prima rottura. Lei si alzò, ed insieme uscirono dal cinema.
“Grazie per essere venuto, anche se non è il tuo genere preferito”, lo ringraziò lei, poggiando la testa sulla spalla dell’albino.
“Scherzi? Adoro vedere film in cui i ragazzi si lasciano e si rimettono assieme e si lasciano di nuovo”, commentò lui, facendola ridere. E in quell’attimo, nella sua testa immaginò le voci di Merida e di Hiccup dargli consigli, come nel film che avevano appena visto assieme.
Chiedile se a lei è piaciuto il film, sussurrò Hiccup nella sua mente.
Ovvio che le è piaciuto, ribatté seccata Merida, chiedile piuttosto come sta. Dopotutto è andata a vedere un film romantico con te piuttosto che con il suo fidanzato.
Jack, sorpreso e anche abbastanza sconvolto dalle voci dei suoi amici nella sua testa –soprattutto perché quella di Merida sembrava più assennata di Hiccup-  decise di seguire i suggerimenti.
“Così.. c-come stai?”, chiese, titubante, e la bionda rimase in silenzio. Quando i loro sguardi si incrociarono, Jack notò che gli occhi verdi della ragazza erano colmi di lacrime che aspettavano di traboccare.
Abbracciala!, esclamarono unanime Merida e Hiccup. L’albino si avvicinò per darle un abbraccio ma lei fece un passo indietro.
“Se mi abbracci non credo che riuscirò più a smettere di piangere”, lo intimò, ma Jack la abbracciò lo stesso.
“Scusami”, disse lei, sempre tra le sue braccia, “ma va così male con Flynn e non so perché.”
“Sicura di non sapere il perché?”, sussurrò Jack, accarezzandole la testa.
Tanto vale che ti dichiari stasera, idiota, non ti sembra?, domandò Merida, mentre Hiccup alzò gli occhi al cielo. Perché diavolo devi insultarmi anche nei miei pensieri, rossa?, pensò l’albino, aspettando la risposta della bionda. Rapunzel sbatté un paio di volta le lunghe ciglia, con qualche lacrime incastonata tra esse, e cercò più volte di rispondere alla domanda. Lo sapeva? Forse sì, ma non voleva dirlo. Eppure ci aveva sperato, aveva davvero sperato che ci fosse qualcosa tra lei e Flynn, oltre al mero romanticismo che poteva vedere solo lei. Ricordava con estrema precisione l’ultimo bacio con Flynn: le sue labbra erano calde. Era delicato, senza pretese ed accorto, si muoveva lentamente ed aspettava il via libera da lei. Ricordava anche il bacio sembrava peccare di romanticismo ed era una fortuna, perché il suo animo era decisamente romantico. E lei non se lo sarebbe mai aspettata da un ragazzo come Flynn, che faceva lo spavaldo e l’arrogante. Ovviamente per lei il romanticismo era una buona cosa però una voce fastidiosa le suggeriva continuamente che la sua mente non avrebbe dovuto vagabondare. Si chiese come sarebbe stato baciare un altro ragazzo che non fosse Flynn, immaginando le sue labbra non calde ma gelide, quasi percependo un gesto appassionante. E, in cuor suo, aveva desiderato più di una volta che gli occhi castani, caldi e sorridenti di Flynn fossero stati blu, gelidi e magnetici come quelli di…
“Accompagnami a casa, Jack.”
 

 
Le classiche conversazioni tra amici che non vorresti fare ma che capitano continuamente


 
“Allora, avete studiato matematica alla fine?”, chiese Rapunzel a Merida, e così Jack a Hiccup, la prima durante l’ora di arte, il secondo durante fisica, distraendo il moro da una lezione che avrebbe reputato interessante se solo l’avesse ascoltata.
I due annuirono, e questo servì da espediente per raccontare cosa fosse successo quel pomeriggio.

“Penso che Hiccup sia così strano”, iniziò a raccontare la rossa, macchiandosi distrattamente la faccia con i colori a tempera “e non perché si piega i calzini, no.”
“Si piega i calzini?”, chiese Rapunzel, e la ragazza annuì, accennando ad un sorriso.
“È una cosa carina”, commentò la bionda, e Merida continuò.
“Lo credo anch’io! Hiccup è strano per il semplice motivo che prima era esattamente dove doveva stare, adesso è, invece, dove nessuno può trovarlo.”
La bionda si fermò a guardare l’amica, la mano con il pennello in aria, e puntò gli occhi verdi, perplessi, in quelli acquamarina di lei. “Non credo di aver capito.”

“Sapevo esattamente cosa avrebbe fatto”, disse Hiccup, abbandonandosi all’idea di seguire la lezione e rassegnandosi al fatto di venir rimproverato in quell’ora, “sapevo esattamente cosa avrebbe fatto eppure il fatto che l’abbia fatto mi ha sorpreso.”
Jack alzò un sopracciglio, scettico. “Cosa?”
Hiccup alzò gli occhi al cielo, cercando le parole esatte. “Prima era prevedibile, nella sua imprevedibilità. Adesso è diventata imprevedibile nella sua prevedibilità che continua ad essere imprevedibile.”
“Secondo me sei tu ad essere impazzito”, commentò l’albino.
“Grazie per il supporto, Jack. Tu sì che sai sempre come tirarmi su di morale”, disse fortemente sarcastico il moro.

“Nel senso che lui adesso è chiuso in sé, non mi dice mai niente, non è affatto collaborativo e io..”
“Sei innamorata”, concluse Rapunzel, semplicemente. Questa volta fu il turno di Merida a bloccarsi e a rimaner ferma, riflettendo.
“No, io non sono innamorata di Hiccup”, disse, scuotendo la testa. Rapunzel posò i suoi occhi indagatori sul capo della rossa.
“E come fai ad esserne sicura?”
“Se ne fossi innamorata, cosa che non sono, sarebbe diverso.”
“Ma è già diverso!”

“Vi piacete, che c’è di male ad ammetterlo?”, chiese Jack.
“Non ci piacciamo!”, esclamò Hiccup, e allo sguardo dell’amico aggiunse: “A me piace lei, ma io non piaccio a lei.”

“Sicura che non ti piaccia Hiccup?”
“Ovvio che mi piace”, rispose Merida, prima di diventare rossa quanto i suoi capelli. “N-non in q-quel sen-senso”, si affrettò a dire. “E anche se mi piacesse in quel senso, rimango sempre io quella che non piace a lui, almeno in quel senso.”

“E perché non glielo dici?”
“E tu perché non glielo dici a Rapunzel?”
“Non cambiare argomento”, lo accusò Jack.
“Questo era completamente pertinente.”

“Sicura che tu non piaccia ad Hiccup?”
La rossa alzò gli occhi al cielo, sbuffando, ma Rapunzel non voleva affatto far cadere la conversazione.
“Insomma, se non glielo dici non lo saprai mai!”
“Facciamo così: io glielo dico ad Hiccup quando tu molli quel Flynn e ti dichiari a Jack.”
Rapunzel arrossì all’istante. “C-cosa? Che c’entra Jack adesso?”

“Si vede lontano un miglio che sei cotto di lei”, continuò Hiccup, neanche preoccupandosi di tenere bassa la voce per non farsi rimproverare dal professore.
“Cosa? Vedi male”, rispose l’albino.
“No, è lei a vederci male, per non accorgersene.”
“Frost! Haddock! La vogliamo smettere?”, urlò il professore, richiamandoli all’attenzione.

“C’entra. Voi due sì che vi piacete reciprocamente.”
La bionda abbassò gli occhi verdi, e si limitò a sussurrare un “non è così” che Merida non comprese appieno. Rimasero per qualche minuto in silenzio, non sapendo esattamente cosa dire.
“Io non parlerò più di te e Jack se tu non parlerai più di me ed Hiccup”, propose lei, e l’altra timidamente annuì.

“Argomento chiuso”, sussurrò poi Jack, quando il professore riprese a spiegare.
Per sempre”, aggiunse Hiccup, ritornando a guardare la lavagna.

Peccato che il per sempre di Hiccup fosse destinato a durare non più di qualche giorno.
 

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Capitolo 4
*** Appoggi ***





Mericcup



Strane abitudini 



Hiccup non era abituato a molte cose. Non era abituato, ad esempio, ad accompagnare la tazza calda di caffè con i biscotti , oppure ad avere un dialogo con il padre, o ancora ai saggi assurdi del professor Pitch. Quell’uomo sembrava divertirsi nell’assegnare loro, piccoli e indifesi alunni, saggi impossibili, a cui mettere come voto finale una (meravigliosa) F piena di ghirigori. Rimase ancora più sorpreso quando quella volta vide una A sul suo compito, il voto più alto che avesse mai preso con quel professore. Al suo fianco Merida sospirò per l’ennesima F. Il professore camminò tra i banchi con aria compiaciuta, per poi fermarsi davanti a Hic.
“Congratulazioni, signor Haddock”, disse con la sua tipica voce cavernosa, molto bassa.
“Grazie”, fece di rimando il moro, balbettando. Merida guardò sospettosa l’amico, e quando il professore si allontanò, ne approfittò per tempestarlo di domande.
“Cos’hai scritto?”, chiese inizialmente, ma vedendo che il ragazzo la ignorava (cosa che non sopportava) s’infastidì.
“Hic!”, lo richiamò, dandogli un pizzicotto. Il moro si girò, esalando un breve lamento, e alzò gli occhi al cielo, come a voler ringraziare qualcuno di averlo reso così calmo e paziente. Merida, dal momento che l’amico ancora non rispondeva, spalancò la bocca oltraggiata, vedendosi costretta a  strappargli il compito dalle mani e leggerlo.
“Che stai facendo?”, chiese lui, guardandola di sbieco con i suoi occhi verdi.
“Sto cercando di scoprire quale sia l’invenzione che può dare maggiori benefici per l’umanità”, rispose lei, iniziando a leggere il saggio di Hiccup con grande interesse. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, curioso anche lui di sapere cosa avesse scritto la rossa per meritarsi una F, e prese in mano il suo compito, cercando di decifrare la sua scrittura disordinata. Andando avanti nella lettura, Hiccup si mise a ridere, facendo diventare rossa quanto i suoi capelli la ragazza.
“Che c’è da ridere?”, domandò, sbuffando. Hiccup rise di più.
“Scusa”, riuscì a dire tra le risate, “ma è assurdo. Perché inventare una macchina che zittisca i genitori dovrebbe dare maggiori benefici per l’umanità?”
“Credimi, li darebbe.”
Hiccup fece spallucce, cercando di rimanere serio ma scoppiò nuovamente in una risata.
“Oh, andiamo!”, esclamò Merida, zittendosi quando il professore le lanciò un’occhiata ammonitrice.
“Dimmi cos’hai scritto tu per prendere una A.”
“È facile. Gli antisettici”, rispose Hiccup, e dato lo sguardo non propriamente convinto di Merida fu costretto a spiegare. “Tutte le misure igieniche. Joseph Lister, 1895. Prima degli antisettici non c’era igiene, specie in medicina. Quindi la gente moriva per le infezioni post-operatorie la cui percentuale era altissima.”
Merida continuò a guardarlo concentrata, gli occhi acquamarina fissi sui suoi verdi. “Quindi.. il sapone?”, chiese infine. La spontaneità e la semplicità con cui la ragazza lo disse fece sorridere Hiccup.
“Sì”, confermò, “il sapone.”
“La mia invenzione era più originale”, commentò, restituendogli il compito. “Avrebbe potuto mettermi almeno una D”, disse la rossa, sperando che per l’ennesimo brutto voto la madre non decidesse di non farle fare più tiro con l’arco o equitazione. Hiccup fece una strana espressione, guardandola attentamente con i suoi caldi occhi verdi (solo quelli di Hiccup riuscivano ad infonderle quello strano calore, al contrario di quelli di Rapunzel che sembravano pieni di luce) ma non disse nulla. La ragazza, sentendosi in imbarazzo, arrossì vistosamente, abbassando lo sguardo.
“Che c’è?”, soffiò, mostrandosi irritata.
“Non so come dirtelo”, incominciò lui, fissando un punto imprecisato dell’aula, e suscitando in Merida quel pizzico di curiosità che le fece posare gli occhi nuovamente su di lui, “ma il professor Pitch insegna fisica. Come pensi che una macchina che zittisca i genitori potrebbe interessargli?” 
La rossa arricciò il naso, vedendo che Hiccup sembrava molto divertito da quella situazione.
Oh, andiamo!
“Potrei iniziare a picchiarti”, disse lei, dimenticandosi completamente della lezione e degli sguardi del professore.
“Non lo faresti mai”, commentò lui, sicurissimo. Si conoscevano da sempre.. non avrebbe osato, giusto?
“Oh, si che lo farei. E lo sai.”
“Signorina Dunbroch”; ad interromperli fu proprio il professore che, avvicinandosi di soppiatto li aveva colti completamente disattenti. “Visto il suo pessimo voto e la sua cattiva condotta..”
“Cattiva condotta?”, ripeté la ragazza, bofonchiando ciò in direzione di Hiccup che si limitò ad alzare le spalle, non sapendo esattamente cosa rispondere.
“..le assegnerò un tema extra da svolgere a casa. Lo sviluppo del progresso dal XVIII secolo fino ai nostri giorni. Buon divertimento”, concluse il professor Pitch, aggiungendo un sorriso forzato alla fine del discorso. Merida era ancora rimasta scioccata: dopotutto non stava facendo nulla di male!
“Professore, cos’ho fatto di male?”, chiese lei, non nascondendo nella voce un certo tono di accusa. Il professore la guardò attentamente e con aria curiosa, come se fosse la prima alunna a ribattere ad una delle sue punizioni.
“Stava distraendo il signor Haddock.”
“Professore, in realtà stavamo parlando insieme”, disse con voce flebile (pure fin troppo) Hiccup. Merida lo guardò soddisfatta, come se il moro avesse fatto la cosa giusta nel parlare in sua difesa, ma quando volse il suo sguardo al professore, vide che questo sorrideva ad Hiccup in un modo fin troppo inquietante.
“Non mi interessa”, sibilò, evidenziando queste parole. Merida sbuffò, già rassegnata al prendere un’altra F.
Appena il professore si girò, Hiccup ne approfittò per ridere sommessamente.
“Oh, piantala.”


 
Jackunzel



Ricordi

 
 
Rapunzel fece un piccolo sbadiglio, spegnendo la televisione con l’unica mano libera. L’altra, infatti, era intrappolata tra le braccia di Jack, che le dormiva accanto. E seduto accanto a Jack, dormiva Hiccup, in una maniera molto più composta rispetto all’albino. Merida arrivò in quell’esatto momento con le coperte, e le posò delicatamente sui due ragazzi quando Jack appoggiò la sua testa sulle ginocchia di Rapunzel, la quale ne approfittò per liberarsi il braccio. La rossa sorrise della scena, sedendosi nel divano vicino.
“Ricordi?”, chiese semplicemente lei, mentre Rapunzel cominciava ad accarezzare i capelli di Jack con delicatezza.
“Cosa?”
“Quando ci siamo conosciuti tutti quanti.”
“Come non potrei”, rispose sussurrando la bionda, tornando indietro con la memoria fino a qualche anno fa.

Era il primo giorno di scuola del primo anno del liceo e si sentiva profondamente sola. Si era appena trasferita, e tutti i suoi amici non erano lì con lei, e quell’edificio così imponente le faceva paura. Rimase ferma, lì davanti, mentre tutti entrarono, anche i ritardatari. Due ragazzi, un maschio e una femmina, attirarono la sua attenzione, forse perché accidentalmente l’avevano urtata.
“Scusami”, le disse qualche secondo dopo la ragazza, proprietaria di una voluminosa chioma rossa. “Andiamo Hic, di questo passo arriveremo domani a scuola”, commentò subito dopo, rivolta al ragazzo dietro di lei che camminava tranquillamente.
“Chissà perché”, replicò il ragazzo sarcasticamente subito dopo, alzando gli occhi –verdi esattamente come i suoi- al cielo, e rivolgendole un sorriso di cortesia quando le passò accanto.  
Dopo che anche questi ultimi ritardatari entrarono, Rapunzel rimase sola. Non se la sentiva di entrare e le gambe, che non la smettevano di tremare, non rispondevano ai suoi comandi.
“Non entri?”, le chiese qualcuno, e la bionda sobbalzò.
“C-come scusa?”, fece lei, torturandosi una ciocca dorata e girandosi verso la fonte della voce. Era un ragazzo con i capelli sorprendentemente chiarissimi, sembravano bianchi e candidi come la neve, e degli occhi magnetici blu.
“Non entri?”, ripeté quello, alzando le sopracciglia e indicando la scuola, come se la ragazza non fosse in grado di capire.
“Io non..”, cercò di rispondere lei, ma il respiro le si strozzò in bocca, impedendole di continuare. Il ragazzo, notando la ragazza in preda del panico, aggrottò le sopracciglia, confuso.
“Sta’ tranquilla”, disse semplicemente. “Neanch’io entro.”
La bionda lo guardò perplessa, guardando nuovamente la scuola e poi il ragazzo.
“Io sono Jack Frost”, si presentò quel ragazzo con quell’aria così curiosa, atteggiandosi e porgendole la mano. Rapunzel la strinse, non potendo evitare di ridacchiare.
“Che c’è?”, domandò lui, facendo un sorriso che la Rapunzel di allora catalogò come malandrino.
“Che strano nome”, rispose lei, affrettandosi ad aggiungere “voglio dire, sembra quello di un supereroe.”
Jack accentuò quel sorriso ancor di più. “Chi ti dice che non lo sia?”
La bionda ridacchiò. “Comunque io sono Rapunzel.”
“Piacere Rapunzel”, disse lui, facendo un breve inchino alquanto buffo. “Perché non entri?”
“Perché ho paura”, rispose lei, senza neanche pensarci. “Tu?”
“Perché io sono Jack Frost.”
“E quindi?”, chiese lei, aggrottando le sopracciglia confusa come se non riuscisse a collegare queste due cose.
“Perché sono un supereroe e devo stare sempre all’erta.”
“Dico seriamente io!”
“Anch’io! Per esempio, adesso sto cercando di salvare una donzella in pericolo”, spiegò lui, facendole l’occhiolino. Rapunzel abbozzò un sorriso, ma rimase ferma a guardare la scuola.
“Dovrei entrare.”
“Dovresti.”
“Dovresti farlo anche tu.”
“Dovrei, sì.”
“Lo farai?”
Jack non rispose, non scomponendosi.
“Tu lo farai?”
Rapunzel si morse il labbro inferiore.
“Potremmo farlo insieme”, suggerì lei, alzando i suoi grandi occhi verdi su di lui. Adesso aveva un amico, ne era assolutamente certa. Non era ancora in grado di capire che cosa la spingesse a fidarsi tanto di quel ragazzo (erano gli occhi forse?), ma percepiva nel petto un calore travolgente, che la convinse ad allargare ancor di più il sorriso.
“Già, lo possiamo fare”, accordò lui.
Ed entrambi, insieme, fecero il primo passo verso l’edificio.

Rapunzel ricordava esattamente come aveva incontrato Merida, poi, durante la lezione di spagnolo –lingua, tra l’altro, per cui era negata- e di come l’aveva salvata da una sospensione, ed Hiccup in biblioteca, ma quello, l’incontro con Jack, era certamente quello che le stava più a cuore. 

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Capitolo 5
*** Vacanze ***


Mericcup





Hiccup si soffermò a guardare quel paesaggio meraviglioso. Il sole pian piano si ergeva sempre più in alto, diventando man mano più caldo, mentre si faceva spazio nel cielo, di un azzurro incredibile, senza nemmeno una nuvola. Questo calore era filtrato dalle foglie dei grandi ed immensi alberi che si trovavano lì e che venivano mosse da un leggero venticello, vagamente fresco. Si voltò sorridente verso la sua accompagnatrice, che ricambiava lo sguardo senza l’entusiasmo del moro.
“Seriamente stiamo andando a pesca, Hic?”, gli chiese, delusa, guardando le canne da pesca che lui teneva in mano.
“Mi hai scoperto!”, esclamò lui, sarcasticamente. “Mi sono portato queste fino a qui per farti un semplice scherzo”, aggiunse, gesticolando con la mano che teneva le canne da pesca e guardando sorridendo la rossa, che aveva perso l’ombra di qualsiasi sorriso.
“Avevi detto che mi portavi a caccia”, disse semplicemente lei, camminando speditamente davanti a lui. D’altronde, non era mica lei che aveva uno zaino enorme contenente esche e tutto il materiale adatto alla pesca e non solo: conosceva fin troppo bene Merida, tanto da sapere che non si era portata qualcosa da bere o da mangiare perché c’era lui.
“Beh, tecnicamente la pesca è una caccia”, commentò lui, cercando di starle al passo. Merida smise di camminare immediatamente, girandosi verso Hiccup che, carico com’era, sembrava essere ritornato il ragazzino imbranato di qualche anno addietro.
“Mi stai prendendo in giro?”, domandò, le sopracciglia rosse corrucciate e gli occhi chiarissimi che lo fissavano con fare interrogativo.
“Sono troppo vecchio per tirarti i capelli”, rispose semplicemente lui, sorridendo e superandola. La rossa rimase lì per lì a sbattere le ciglia –rigorosamente ramate- per un paio di secondi, poi riprese il cammino.
“Neanche da piccolo mi tiravi i capelli, però”, ribatté lei, soddisfatta dell’affermazione.
“Questo perché tu li tiravi a me.”
“Te li tirerei pure adesso per non avermi detto che andavamo a pesca”, brontolò lei, poco dopo. “E bada a te perché sono più lunghi”, aggiunse, ripensando alle due treccine che aveva sul lato destro.
“Cos’hai contro la pesca?”
“La pesca è noiosa!”
“Credimi, è molto divertente certe volte”, commentò lui, ridacchiando tra sé chissà per quale pensiero.
“Spiegamelo”, disse lei, sedendosi su un tronco d’albero lì vicino caduto per terra. Hiccup si girò a guardare l’amica –così ostinata a non farsi piacere la pesca- con i suoi grandi occhi verdi.
“Dai, Merida, abbiamo già perso del tempo prezioso e..”, tentò di spiegare lui, volgendo lo sguardo al ruscello dove dovevano ancora arrivare.
“Allora ammetti che la pesca è noiosa?”
“Cosa? No!”, esclamò lui, esasperato.
“Dimostramelo.”
“Lo farei se riuscissi a farmi arrivare al posto dove pescare.”
“Non vedo l’ora di andare in vacanza con Punzie”, disse Merida, alzandosi e seguendolo verso il sentiero.
“Anch’io”, mormorò lui. Tra Merida e Jack non sapeva proprio chi fosse il peggiore: voleva bene ad entrambi, molto, però solo Odino sapeva quanto erano capaci di fargli perdere le staffe. La vacanza con l’amica bionda invece si configurava come un riposo da tutte le preoccupazioni.
Finalmente, dopo quelle che perfino a lui parsero ore, iniziarono a pescare. I primi tentativi di Merida furono terribili, ma non per questo meno divertenti di quanto si aspettava. Rise di gusto quando vide l’amo impigliarsi tra i fitti capelli di Merida –e quando fu costretto a ricorrere alle forbici per liberarlo-, e rise ancor di più quando la rossa si arrampicò su uno dei tanti alberi perché non aveva legato l’amo correttamente ed era volato fin lì, finché non cadde in acqua perché il ramo su cui era salita non aveva retto il suo peso.
“Merida, va tutto bene?”, chiese lui avvicinandosi, preoccupato, avendo visto la brutta caduta che la ragazza aveva fatto. Questa sbatté i suoi occhi acquamarina un paio di volte, sistemandosi i capelli all’indietro affinché potesse vedere qualcosa e si ritrovò quelli di Hiccup puntati su di lei, densi di timore. E proprio gli occhi verdi del moro mutarono, cambiando dalla completa paura per l’amica al sollievo e al divertito, visto che lei l’aveva schizzato e trascinato con sé nell’acqua gelida. I due risero come se fossero ritornati bambini, passando la mattinata a rincorrersi e dimenticandosi della pesca per un po’.
“Torniamo a casa?”, domandò poi lei, verso l’ora di pranzo, strizzando la maglietta completamente zuppa d’acqua.
“Ma se non abbiamo neanche pescato!”, rispose Hiccup, strizzando anche la sua e ritornando alle canne da pesca. La rossa sbuffò, alzando gli occhi acquamarina al cielo.
“Non vorrai già mollare?”, la stuzzicò Hiccup. Dopo anni di amicizia, conosceva perfettamente i punti deboli della rossa, e l’orgoglio era sicuramente uno di quelli. Infatti, la ragazza si girò immediatamente verso di lui con la bocca spalancata, come se avesse ricevuto uno dei peggiori oltraggi.  
“Beh, se la metti su questo piano..”, borbottò lei, dirigendosi verso lo zaino e prendendo arco e frecce. Hiccup la guardò stranito.
“Intendi colpirmi?”, le chiese, divertito. Lei assottigliò gli occhi, e incoccò la freccia puntandola verso l’acqua. Dopo solo un tentativo riuscì nella sua impresa, alzando il bel pesce con la sua freccia.
“Sei ancora convinto che non so pescare, Hiccup?”, chiese lei, sorridendo beffarda. Hiccup sorrise, alzando le mani in alto come se si stesse consegnando ad un poliziotto.
“Nossignora”, rispose e si misero a ridere insieme.
 


 
Jackunzel


 


“Sai, non vado sulla neve da tantissimo tempo”, disse Rapunzel, mettendosi il berretto che le stava porgendo Jack. “L’ultima volta ci sono andata con Anna ed Elsa e abbiamo costruito un pupazzo di neve”, aggiunse, ridendo di gusto al ricordo di Olaf, quel pupazzo di neve venuto su come solo delle bambine potevano farlo, storto e con una testa enorme, ma che amava i caldi abbracci.
“Wow”, fece stupito Jack, “non hai mai fatto pattinaggio sul ghiaccio?”
Rapunzel scosse la testa, lasciando che qualche ciuffo di capelli sfuggisse dal cappello. Jack fece una faccia esageratamente sconvolta, come se fosse davvero grave, facendo preoccupare però seriamente la bionda.
“Elsa faceva pattinaggio. E a volte anche Anna, ma lei non era proprio brava. Mia madre diceva sempre che sarei potuta cadere e farmi molto, molto male”, tentò di giustificarsi lei, mentre Jack si metteva una mano sulla bocca per non ridere apertamente. Lei rimase a guardarlo con i grandi occhi verdi in attesa, non sapendo bene cosa dire o fare. Sembrava una bambina in momenti come quello. Quando smise di ridere, Jack le mise il braccio sulle sue spalle –gesto tipico di Jack- e l’accompagnò alla pista di pattinaggio dove un sacco di persone sfrecciavano l’una accanto all’altra, divertendosi. Anche l’albino guardava divertito la scena, come se quello fosse il suo habitat naturale e si voltò a guardare l’amica che in quel momento aveva assunto un’espressione assolutamente di puro terrore.
“Io non so pattinare!”, esclamò lei, la voce di due ottave più alta del normale. “Questa gente è bravissima, io non so pattinare e cadrò e farò la figura di chi non sa pattinare!”
“Ti insegnerò io, sta’ tranquilla”, disse Jack, cercando di calmarla. “Ho insegnato a pattinare ad Hiccup, figuriamoci se non riesco ad insegnarlo a te.”
“Ma scommetto che non c’era tutta questa gente che quando hai fatto da istruttore ad Hiccup”, sospirò lei, timorosa.
“Non ha importanza questo”, brontolò lui, eludendo la vera risposta. Effettivamente, quando aveva insegnato a pattinare ad Hiccup, non c’era nessuno ma questo non cambiava i fatti: adesso il moro sapeva pattinare, o almeno non cadeva ogni tre secondi. Era un progresso quello. “Punzie, sta’ calma. Queste persone non hanno intenzione di ucciderti e nessuno ti farà molto, molto male. Fidati di me”, aggiunse, porgendole la mano avvolta nel guanto blu che gli aveva portato lei. Lei prese titubante la sua mano, ed insieme entrarono in quella pista di pattinaggio.
“Vedi che riesci a stare in piedi da sola?”, fece lui per incoraggiarla, dopo un bel po’ di tempo, cercando di staccare le loro mani.
“Guai se togli la mano, Jackson Overland Frost”, lo minacciò lei, avvicinandosi ancor di più a lui. “Se cado io, cadrai anche a tu.”
Jack alzò gli occhi al cielo, girando la faccia dall’altro lato affinché la bionda non potesse vedere che era arrossito quando lei aveva pronunciato il suo nome completo.
“E va bene”, disse lui, “però adesso iniziamo a muoverci.”
Camminarono pian piano, lei ben ancorata al suo braccio e lui alquanto contento di averla così vicina –era sempre Rapunzel, la sua dolce Rapunzel per la quale aveva una così non proprio nascosta cotta-, finché lui aumentò la velocità e iniziarono a divertirsi, facendo giravolte e scivolando qualche volta sul ghiaccio, non facendo più caso alla folla attorno a loro. Ad un certo punto la bionda abbandonò la presa salda sul braccio di Jack senza rendersene effettivamente conto volteggiando assieme a lui come se non avesse fatto altro fino a quel momento.
“Sei bravissima!”, commentò lui, fermandosi per ammirare meglio l’amica che, aggraziata come sempre, sembrava danzare con quei pattini. Rapunzel smise di girare, fermandosi pure lei, e si affrettò a raggiungere Jack in men che non si dica.
“Davvero?”, chiese, alzando gli occhi verdi su di lui. Jack si soffermò a guardarla: il capo rivolto verso l’alto, verso di lui, la linea del collo che tirava la pelle candida, le labbra leggermente socchiuse in un sorriso, le lunghe ciglia castane che sembravano pettinare l’aria in quel momento. Pendeva letteralmente dalle sue labbra. Jack fece uno di quei sorrisi così sinceri involontariamente, e vide i suoi occhi verdi illuminarsi più del solito. Pensò che avrebbe potuto vivere solo di questo.
“Non saprei”, disse dopo, riacquistando la sua facciata da malandrino. “Che ne dici di sfidare il maestro?”, domandò, iniziando a pattinare attorno a lei.
“Jack!”, esclamò lei rimproverandolo, ma ridendo anche lei e iniziando a seguirlo. 

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Capitolo 6
*** Giochi infantili e fiabe ***


Mericcup
 




Merida respirò a fondo quell’aria così pura. Si sentiva sempre un po’ su di giri quando si sedeva lì e l’aria le scombinava i lunghi capelli rossi. Si sentiva padrona di se stessa: se si fosse sporta un po’ di più si sarebbe sicuramente spappolata sul cofano di qualche vecchia macchina impolverata, ma lei era ben attenta a non farlo. Sentì aprirsi una porta e dei passi, calmi, dirigersi verso di lei. Si girò, per vedere chi altri poteva salire sul tetto di un vecchio appartamento e vide Hiccup prendere il posto accanto a lei. Si sorrisero. Come potevano conoscersi così bene e non odiarsi?
“Mi vedo costretto a chiederti l’affitto”, disse lui sarcasticamente, facendola ridere. Dopotutto, non si aspettava di certo che lei si rifugiasse sempre nel tetto del suo appartamento quando le andava di allontanarsi dalla sua famiglia.
“Credo di avere qualche spicciolo in tasca”, blaterò lei, continuando quel filone comico. Hiccup si appoggiò allo stesso muretto sul quale lei si era seduta e rimase a guardare il panorama. Il cielo stellato era sopra di loro, nonostante di stelle se ne contassero a malapena tre, e avevano di fronte a loro la città illuminata da qualsiasi fonte di luce immaginabile, brulicante di vita. Merida chiuse gli occhi, respirando a fondo, per poi sbirciare il moro per vedere cosa facesse. Sembrava così assorto nei suoi pensieri.
“Ehi”, lo chiamò lei, “ehi!”, accompagnando il tutto con qualche pizzicotto scherzoso.
“Che c’è?”, chiese, non affatto seccato. D’altronde, era il solito comportamento di Merida.
“Giochiamo?”, propose la ragazza, gli occhi acquamarina improvvisamente brillanti come se le fosse venuta qualche idea geniale.
“Cosa?”, fece lui, ridendo. Tutto ciò era semplicemente assurdo.
“Obbligo o verità?”
“Oh, andiamo! È così..”
“Obbligo o verità?”, ripeté lei, sorridendo serenamente, consapevole che avrebbe partecipato a quel gioco. Hiccup la guardò intensamente con quei suoi occhi verdi, provocandole un brivido lungo la schiena. Nonostante lei fosse seduta su quel muro e lui fosse appoggiato, in quel momento avevano la stessa altezza e la distanza tra di loro non era neanche così tanta.
“Verità”, rispose alla fine il moro. Merida ricambiò lo sguardo, pensando ad una domanda giusta, che potesse mettere a nudo la sua anima. Una in particolare, fra le altre, affiorò nella sua mente ma avrebbe dovuto mettere a nudo anche la sua, di anima. Optò per qualcos’altro di diverso.
“Hai mai ucciso qualcuno?”, soffiò, cercando di rimanere seria ma vedendo la faccia di Hiccup diventare sempre più buffa non riuscì a trattenersi neanche lei dal ridere. “Sii sincero. Contano anche gli incidenti.”
“Sei ridicola”, commentò lui, tra una risata e l’altra.
“Dì la verità adesso”, lo intimò lei, sventolando un dito minaccioso sotto il suo naso lentigginoso. “L’accento di tuo padre è davvero marcato”, aggiunse.
“Che hai da dire sull’accento di mio padre?”, domandò lui, sempre ridendo. “E comunque, no, non ho ucciso nessuno finora. E tu lo sai. Obbligo o verità?”
“Obbligo”, rispose lei, girandosi di più verso il ragazzo. Sembrò soppesare qualcosa nella sua mente, poi decise di rivelarle che cosa avesse pensato.
“Sputa in testa a quell’uomo”, disse semplicemente, indicando un punto imprecisato sotto di loro. La ragazza si sporse con molta attenzione, osservando l’uomo indicato dal moro.
“È tuo padre”, constatò sorridendo beffarda, sputando lo stesso sulla testa rossa dell’uomo. Questo alzò la testa ma, non vedendo nessuno –d’altronde, come poteva? Non solo c’era almeno una dozzina di piano a separarli dal resto del mondo ma erano avvolti pure nella notte- riprese il suo cammino.
“Obbligo o verità?”
“Verità”, scelse nuovamente Hiccup, sorridendo.  
“Sei noioso”, commentò Merida, sbuffando.
“La verità è sempre interessante”, si limitò a replicare il moro. I suoi occhi verdi sembravano più magnetici del solito.
“Allora cosa pensi di me?”, chiese la rossa, assolutamente spontanea, scostandosi i capelli dal viso e sorridendo.
“Sei terribile”, disse semplicemente lui, sorridendo.
“La domanda è seria”, cercò di chiarire Merida, credendo che l’amico avesse frainteso.
“Anche la risposta lo è.”
“Allora forse volevi dire terribilmente buona!”, esclamò lei, fingendo di essere offesa. “Voglio una risposta giusta, Hic. La verità è sempre interessante”, gli fece il verso. Gli occhi del ragazzo si persero tra le vari luci dei palazzi, che iniziavano a spegnersi.
“Penso che sei il gioco che non vincerò mai”, ammise lui. “Da sempre penso che stare accanto a te sia come tuffarsi in un fiume in piena non aggrappandosi a niente. Sei spontanea. Naturale. Terrificante. Vitale. Voglio dire, sei come una qualsiasi persona dovrebbe provare ad essere.”
“Sei un tale poeta!”, fu l’unica cosa che disse lei, prima di mettersi a ridere.
“Non essere così bugiarda”, replicò lui, facendo una smorfia. “È così facile fingere un talento poetico quando le cose che si dicono non hanno senso.”
Merida si strinse nelle spalle, non dicendo nulla al riguardo. “E tu cosa pensi di me?”, le chiese Hiccup, ma lei scosse la testa.
“È tardi”, disse semplicemente lei, scendendo da quel muretto.
“Cosa?”
“È tardi”, ripeté la rossa, accennando ad un sorriso prima di aprire la porta per andarsene.
“Obbligo o verità?”, chiese Hiccup, non muovendosi da quel muro.
“Obbligo”, rispose lei.
“No. Obbligo o verità?”
“Obbligo.”
“No.”
Merida sorrise nuovamente. “Penso che tu sia il mistero che non capirò mai”, sussurrò, sicura che lui riuscisse a sentirla lo stesso. E poi se ne andò.




 
Jackunzel



 

Rapunzel starnutì. Ancora una volta. La sua mano cercò automaticamente la scatola dei fazzolettini, posta sul comodino proprio accanto al suo letto, certa di essersi raffreddata per bene. Sospirò profondamente, portandosi alle labbra la cioccolata calda che sicuramente –anche se non riusciva a sentirne appieno né l’odore né il sapore- era squisita. La bionda sprofondò tra i cuscini e nella calda coperta –ovviamente, dopo essere tornata malata dalle sue vacanze in montagna, non poteva mancare un po’ di pioggia ad accompagnarla- che sua madre le aveva portato, certa di morire dalla noia. Aveva provato un paio di volte a contattare Merida, ma l’amica sembrava essere introvabile. Aveva perfino cercato di contattare le sue cugine, Anna ed Elsa, ma queste erano fuori città. Un’idea le balenò nella mente, come una lampadina che si accendeva: forse Jack era ritornato dalle vacanze raffreddato come lei e non aveva niente da fare. Scrisse un messaggio veloce all’albino, sperando in una sua risposta.
“Ah, sono davvero una pessima persona”, bofonchiò appena inviò il messaggio, tirandosi la coperta fin sopra il volto. “Ho sperato davvero che Jack fosse malato. E adesso parlo pure da sola”, piagnucolò, cercando di seppellirsi sotto le coperte. Qualche decina di minuti dopo o forse di più –la bionda aveva perfino perso la cognizione del tempo- sua madre bussò.
“Fiorellino, hai visite”, cinguettò, con il suo tono più amorevole. Rapunzel non ebbe bisogno nemmeno di guardarsi allo specchio per rendersi conto di non essere minimamente presentabile per chiunque la stesse andando a visitare. I lunghi capelli biondi, arruffati, erano legati in una coda alta dalla quale erano sfuggiti numerosi ciuffi di capelli, gli occhi verdi erano lucidi e umidi come se minacciasse di piangere, il naso era totalmente rosso e le labbra erano pure spaccate.
“Mamma, io..”, cercò di replicare lei, con una voce fortemente nasale, ma la porta si aprì ugualmente.
“Ehi”, la salutò Jack, chiudendo la porta dietro di sé. Rapunzel, che nel frattempo aveva cercato di nascondersi attuando una sorta di mimetizzazione fra i cuscini –tentativo miseramente fallito-, osservò per bene l’albino. Era in perfetta forma. Non un singolo starnuto percuoteva il suo corpo che –l’amico sembrava proprio farsi beffa di lei, debole com’era in quel momento- indossava una maglietta a maniche corte e non la sua solita felpa. Notò, inoltre, che aveva un contenitore tra le mani.
“Tieni”, le disse, porgendoglielo. “È zuppa di pollo. Toothiana ha insistito affinché te lo portassi”, le spiegò, facendola sorridere. “È meglio che la mangi subito, sai? È ancora calda.”
“Grazie, Jack”, lo ringraziò lei, prendendo quel contenitore che era bollente. “Non c’era bisogno che tu venissi, sai?”
“E perdermi questa scena? Mai”, scherzò lui, abbozzando il suo tipico sorriso malandrino.
“Quale scena, scusa?”
“Te con i capelli scombinati! Anzi, aspetta che faccio qualche foto da inviare a Hiccup e Merida”, disse lui, prendendo il telefono.
“Fa’ pure, e se trovi Merida dimmelo”, commentò amaramente lei, spostando i suoi occhi verdi sulla coperta. Jack scattò fulmineo la fotografia, incapace di resistere, e prese la mano dell’amica. Rapunzel si sorprese dal constatare che fossero gelide come sempre e che con quel raffreddore –e febbre annessa- quel contatto era decisamente piacevole.
“Non so dove sia Merida adesso, però immagino che voglia stare da sola. So che ieri ha litigato con i suoi genitori ed è andata da Hiccup e.. A proposito”, si interruppe Jack stesso, nella narrazione dei fatti, ridendo, “pure Hiccup ha litigato con suo padre e..”
“Jack, è una cosa orribile da dire!”, esclamò Rapunzel, spalancando la bocca.
“Giuro, non era questa la cosa divertente. Hiccup ha fatto sputare Merida sulla testa del padre”, spiegò l’albino, ridendo a crepapelle. Questo suo atteggiamento fece addolcire la bionda, che sorrise più per il ragazzo che per il gesto commesso dai due amici.
“Mi dispiace per Merida”, sospirò infine. “Sai, a volte invidio Hiccup”, confessò tristemente. “Può avere Merida tutte le volte che vuole mentre a me.. neanche risponde al cellulare!”
“Fregatene di Merida”, commentò Jack. “Hai me! E io sono molto meglio della rossa!”
Dato che la ragazza abbassò lo sguardo nuovamente sulla sua coperta, Jack si sentì in dovere di aggiungere un “vero?”, non nascondendo una nota di panico.
“Certo Jack”, iniziò a confortarlo Rapunzel con quella sua strana voce nasale, “e ti ringrazio molto di essere qui. Solo che non vedo Merida da tanto, troppo tempo.”
L’albino lasciò la presa con le mani infuocate della ragazza, alzandosi dal letto e iniziando a passeggiare per la stanza. Si scompigliò i capelli bianchi con le mani, evitando che stessero troppo in ordine, e puntò i suoi occhi blu su quelli verdi della ragazza.
“Sappi che il mio cuore adesso è come la carta igienica ad un solo strato bagnata”, disse solamente.
“Oh no, Jack! Mi dispiace veramente tanto! Rimani qui, ti prego”, lo esortò lei, indicando con la mano la sedia sulla quale Jack era stato seduto tutto quel tempo.
“Rimango solo perché sei malata”, disse Jack, parlandole come se fosse ancora arrabbiato. Rapunzel lo guardò tristemente con i suoi grandi occhi verdi che luccicavano chissà se per il raffreddore o per il dispiacere in quel momento.
“Mi racconti una storia?” propose, timida, poggiando la testa sul cuscino.
“Certo. Allora”, qui Jack fece una pausa ancor prima di iniziare, schiarendosi la voce. “C’era una volta una bellissima principessa e uno spirito del divertimento..”
“Sarà una storia d’amore?”, gli chiese immediatamente la bionda. L’albino soppesò attentamente la domanda.
“Non penso che avrebbe potuto funzionare, tra di loro. Sai, lui è sempre uno spirito, più simile ad un fantasma, mentre lei è una principessa e vuol dire che ha obblighi, responsabilità e..”
“Sembri Merida”, lo rimbeccò lei, gli occhi chiusi e le labbra sorridenti. “Le principesse fanno quello che vogliono. Raccontami una storia d’amore, Jack Frost”, disse lei, a voce sempre più bassa e sbadigliando. Non si era accorta di essere così stanca finché Jack non aveva iniziato a raccontare quella sua strana fiaba. Jack riprese la narrazione proprio dall’inizio, arrestandosi quando si accorse che i respiri della ragazzi si erano fatti molto più profondi. L’albino sorrise alla vista della ragazza che era crollata nel sonno così velocemente.
“Magari la prossima volta che sei sveglia”, sussurrò, baciandole delicatamente la fronte.

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Capitolo 7
*** Cambi di prospettiva -male version- ***







Mericcup
 




Certe volte Hiccup si ritrovava a pensare che qualcuno –perché sicuramente qualche entità superiore esisteva- ce l’avesse a morte con lui per fargli andare tutto così male. Mosso da quel sentimento, aprì la porta della propria camera con talmente tanta forza che, al momento di entrare, questa si richiuse sbattendo rovinosamente sul suo naso. Perfetto, si ritrovò a pensare tuffandosi sul letto con il naso dolorante e fissando il lampadario con le pale che ruotavano incessantemente, io odio la mia vita e questa mi odia di rimando. Chiuse gli occhi verdi, cercando di pensare a qualcosa che lo rilassasse e arrossì quando realizzò che la prima persona a cui aveva pensato era lei. E la sensazione più contrastante era che non lo rilassava affatto. In quel momento Hiccup era, infatti, teso come una corda di violino. Si alzò dal letto, sentendo di dover smaltire quella sensazione, quell’impulso in qualche modo e il suo sguardo si posò su una fotografia che teneva in bella vista sulla scrivania. Erano semplicemente loro quattro. Sorrise, vedendo il volto estremamente felice di Rapunzel che abbracciava sia Jack –alquanto imbarazzato e rosso in viso- che Merida, la quale era girata verso di lui con l’accenno di un sorriso. Ricordava perfettamente quando e dove era stata scattata quella foto: a casa di Rapunzel nel periodo natalizio. La bionda aveva convinto i suoi genitori ad invitarli e poi proprio sua madre aveva scattato la foto, facendo l’occhiolino a Jack. L’albino aveva poi tentato di giustificare il rossore del volto con l’eccessivo calore della casa, dovuto al camino acceso. Non era la migliore foto che avevano tutti e quattro insieme, ma ad Hiccup era sempre piaciuto un particolare: gli occhi di Merida, e non perché guardavano lui –come invece sosteneva Jack-. Erano estremamente belli in quella foto, simili al ghiaccio, ma a lui avevano sempre dato la sensazione del fuoco. Non erano affatto rossi, e neanche particolarmente caldi. Non erano luminosi come quelli di Astrid, incredibilmente azzurri, e nemmeno brillavano come erano soliti fare quelli di Rapunzel quando era entusiasta, ma avevano quello straordinario potere di essere familiari e sorridenti e inoltre erano sempre belli da guardare anche dopo una giornataccia, proprio come il fuoco. Hiccup doveva assolutamente smaltire quella sensazione e così, con un gesto impulsivo –passava davvero troppo tempo con lei e con Jack che non erano certi i migliori modelli di vita-, prese il cellulare in mano e digitò il suo numero.
“Pronto?”, rispose Merida immediatamente, con il suo tipico tono di voce sfacciato e ironico, tono che spesso riusciva ad esasperarlo.
Hiccup sorrise, conscio che in quella giornataccia avrebbe ammirato il fuoco.





 
Jackunzel




 
A volte Jack pensava che la compagnia di Hiccup lo avesse danneggiato in qualche strano e irreversibile modo. Non riusciva a capacitarsi di certi suoi pensieri o comportamenti romantici che –ne era sicurissimo- non avrebbe mai rivolto a nessuno. Beh, si corresse da solo, a nessuno tranne che a Rapunzel. Ed ecco che le guance dell’albino si imporporavano di rosso, le pupille si dilatavano e il cuore si riempiva di sentimento fino a scoppiare. Odiava decisamente questo aspetto e ancor di più odiava il fatto di non odiarlo completamente. Di certo non avrebbe mai iniziato a comportarsi in modo gentile con tutte le ragazze –non avrebbe mai rinunciato a tirare i capelli a Merida, ad esempio- ma con Rapunzel.. era diverso. Lei era diversa. Ai suoi occhi era come un raggio di sole e questo Jack l’aveva capito durante il loro primo incontro. Probabilmente i lunghi capelli biondi, simili a fili d’oro, avevano contribuito a cristallizzare questa idea nella mente dell’albino, ma la ragazza era riuscita a sciogliere in men che non si dica quella sua corazza che lo allontanava dagli altri. Rapunzel era la chiara visione della speranza nel mondo. Ed era bella, come mai nessuno poteva essere. Possedeva quel tipo di bellezza che ti conquistava sorriso dopo sorriso, abbraccio dopo abbraccio e che ti spingeva a fare lo stesso. A Jack ricordava molto Emma. L’albino scosse la testa, sorridendo, come a voler togliersi quei pensieri che lo intristivano ma che allo stesso tempo lo confortavano e prese un libro. Poi, resosi conto dell’errore, lo allontanò stranito, aprendo invece il portatile che era posto sulla sua scrivania. Sì, la compagnia di Hiccup lo aveva danneggiato davvero se si stava mettendo a fare i compiti la sera per distrarsi. Abbozzò un sorriso vedendo le foto che doveva stampare per conto della scuola: l’anno precedente, per non rischiare di perdere l’anno, aveva consentito di fare le foto alla recita studentesca alla quale avevano partecipato sia Rapunzel che Merida. Doveva ammetterlo, se non fosse stato per Hiccup non sarebbe riuscito a fare nessuna foto e si sarebbe seduto a godersi lo spettacolo per eccellenza, Romeo e Giulietta, reso comico dalle scene della rossa -che aveva lottato per interpretare Mercuzio, un ruolo maschile e, a malincuore, era stata davvero brava-. Rapunzel, invece, aveva interpretato magistralmente Giulietta, senza eccedere nella drammatizzazione o nell’ingenuità del personaggio. Era stata semplicemente perfetta. Riguardò tutte le foto, controllando se fossero tutte buone, e si soffermò proprio su una foto della bionda, da cui traspariva la tragicità della scena e del personaggio. Qualcuno bussò.
“Jack?”, lo chiamò Toothiana, aprendo la porta. “Io sto andando a lavorare. Ti ho lasciato il cibo sul tavolo della cucina ma se hai bisogno di aiuto c’è comunque Sandy a casa. Okay?”
Jack annuì, sorridendo. “Grazie Tooth. E buon lavoro.”
“Grazie.. Oh, che carina!”, esclamò, avvicinandosi al computer di Jack e osservando meglio la foto. L’albino arrossì, cercando di essere il più evasivo possibile.
“È una mia amica, è..”
“Rapunzel, no?”
“Sì, è lei.”
“È davvero carina! Perché non le chiedi di uscire?”
“Perché sono suo amico.”
“E..?”
“..e non sono il ragazzo giusto, ecco”, ammise lui, spostando lo sguardo.
“Certo che lo sei!”, esclamò Toothiana. “E se a qualcuno non sta bene, mandalo da me”, disse, facendogli l’occhiolino. Jack rise, leggermente rincuorato di avere quella sorta di famiglia allargata fantastica.
“Oh, si sta facendo tardi”, disse a malincuore la donna, guardando l’orologio. “Ricorda, la cena è..”
“..sul tavolo della cucina, lo so.”
“E se hai bisogno di qualunque cosa c’è..”
“..c’è Sandy, lo so.”
Toothiana lo guardò attentamente con i suoi occhi violetti, scombinandogli i capelli. “Allora ascolti! Glielo devo dire a Bunnymund che non c’è bisogno di urlare con te”, commentò, scambiando uno sguardo complice con l’albino. La donna se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle e lasciando nuovamente solo il ragazzo.  Jack sorrise, guardando ancora una volta quella fotografia. L’avrebbe fatta pagare in qualche modo a Hiccup. 

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Capitolo 8
*** Cambi di prospettiva -female version- ***






 
Mericcup
 




Merida non sapeva né come né quando, ma iniziava a pensare che qualcosa fosse cambiato. Era semplicemente successo, come un battito di ciglia, così spontaneo, naturale e rapido e adesso aveva iniziato a guardarlo con un occhio diverso. Non che lui non fosse sempre lo stesso –con i suoi occhi verdi e quello sguardo così intelligente-, ma lei sembrava quella che era cambiata. E forse era proprio così. Non ricordava di aver mai provato qualcosa di così forte per qualcun altro, e quell’intensità le ricordava il fuoco. Si lasciò sfuggire un sorriso, pensando che quello era un elemento che aveva sempre attribuito a se stessa e non ad Hiccup, così calmo e riflessivo. Merida era convinta di essere fatta di fuoco: non solo –ovviamente- per i suoi capelli, rossi come fiamme, ma per la sua personalità così forte e decisa e per certi suoi comportamenti che sembravano bruciare dietro di sé ogni cosa. Merida era convinta di essere fatta di fuoco e aveva decisamente amato questo suo aspetto per tanto tempo. A dispetto di tutto lei non si sarebbe mai bruciata, continuava a ripetersi. Ma dovette ricredersi su questo aspetto quando sperimentò il bacio che Hiccup aveva lasciato sulla sua guancia, un bacio più rovente di qualsiasi cosa potesse mai pensare. Non ricordava neanche il motivo per cui gliel’avesse dato. Chiuse gli occhi, come se così potesse godere a fondo di quel contatto e ringraziando mentalmente suo padre e Stoick di essere amici. Se non fosse stato per loro, non avrebbe avuto la certezza di conoscere Hiccup e questo, il loro rapporto, era decisamente una delle cose a cui teneva davvero. Forse –di questo ne era piuttosto sicura ma odiava ammetterlo apertamente anche a se stessa- più di tirare con l’arco. A volte pensava alla loro amicizia come un sollievo, qualcosa che la aiutasse veramente a capire più che il mondo attorno a lei, in continua evoluzione, lei stessa. E, forse proprio in quell’esatto momento, focalizzò che Hiccup era molto più di un amico, molto più di qualsiasi cosa potesse mai pensare.
“Hiccup?”, lo chiamò, per un attimo incerta, aprendo gli occhi acquamarina e facendo un passo indietro. Sarebbe stata così coraggiosa da osare?
“Ti voglio bene”, disse, ancor prima di poter pensare altro. Hiccup la guardò intensamente, i suoi occhi verdi così belli e brulicanti di vita, con una tale profondità che le facevano credere che lui potesse fare qualsiasi cosa e così attenti ad ogni dettaglio che temeva di essere scoperta. Lui sorrise.
“Ti voglio bene anch’io”, disse, e i due si abbracciarono.



 
Jackunzel




 
Talvolta lei pensava che sarebbe semplicemente volata via, lontano, se avesse fatto appena qualche passo fuori da quella piattaforma di legno. Sorrise a quel pensiero, un po’ ingenuo e stupido per la sua età, e fece dondolare le gambe, immerse nell’acqua dandole una sensazione di freschezza e sollievo. Qualcuno prese posto accanto a lei, silenzioso e leggero come uno spirito. Non poteva che essere lui. Per amor di conferma, si girò appena, lasciando che i suoi occhi blu, puri e profondi come quell’acqua, si godessero quella pennellata di verde che lei stava adagiando sopra, come se fossero una tela. Per un attimo e forse anche meno, aveva avuto il timore di vedere un’altra persona, un altro viso e un altro sguardo di cui non era innamorata e di cui –aveva molti dubbi su questo- non lo era mai stata. Era lo stesso timore che le faceva pensare che se avesse fatto qualche altro passo sarebbe volata, piuttosto di cadere nell’acqua. Chissà quand’era stata l’ultima volta che lui aveva guardato, prima di saltare.
“Sei qui”, disse semplicemente Jack, la voce quasi un sussurro. Rapunzel reclinò la testa, approfittandone per poggiare la sua testa sulla spalla dell’albino.
“Anche tu”, replicò lei, prima che lui allungasse il braccio a circondarle le spalle –la classica mossa da Jack-.
“Cosa stiamo aspettando?”
La bionda non rispose subito, e non perché le mancasse la risposta. Aspettava che lo vedesse con i suoi occhi piuttosto di dirglielo. Era uno spettacolo mozzafiato quello a cui stavano assistendo.
“Ora vedrai.”
Un numero spropositato di lanterne si sarebbe innalzato di lì a poco nel cielo, brillando nella notte come se fossero stelle. Si ricordava di quando, più di un anno fa, Flynn aveva preso una barca e l’aveva portata al centro di quel lago per vedere meglio quello spettacolo. Sbarrò gli occhi, pensando che forse Jack stava pensando la stessa cosa. Non poteva permettere che l’albino vivesse un’esperienza ripetuta, già vissuta con Flynn tra l’altro. Non se lo meritava.
“Vieni, andiamo”, disse lei, alzandosi inaspettatamente e ripercorrendo il molo.
“Dove stiamo andando? Non dovevamo aspettare?”, domandò lui, non nascondendo una certa curiosità.
“L’abbiamo fatto.”
“Ma io non ho visto niente”, ammise Jack, raggiungendola in fretta. Rapunzel si voltò, sorridendo e non trattenendosi dall’accarezzare il viso dell’albino.
“È stato meglio così, credimi.”
La bionda non bevve l’incanto di quello scenario così unico e non toccò nemmeno il paradiso, ma decise di non offrire a Dio una ripetizione dello stesso spettacolo*. Si sarebbe annoiato sicuramente.





*In Qualcuno su cui contare Rapunzel e Jack si scambiano delle domande e una di queste era proprio riguardante il primo bacio:
“Non ci posso credere che il tuo primo bacio è stato Merida! È..”
“Capitato e basta. Tu, invece? Sempre primo bacio.”
“L’anno scorso, con Flynn”, rispose lei, sorridendo al ricordo. “Era sera, ed eravamo su una barca, ed eravamo circondati dalle lanterne ed era tutto
 perfetto. Era il mio primo appuntamento, ed è stato romantico, più di quanto tu possa dire. Tu e Merida..”
“Sì, io e Merida ci siamo baciati perché lei voleva baciare Hiccup che in quel momento stava baciando Astrid, però è stato un bel bacio”, disse Jack.
“Ma non perfetto. Quello mio e di Flynn lo è stato. Dio stesso ha sorriso.”

Ho voluto riprendere questo stesso commento per mantenere una continuità.

 

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