Il risveglio dei ghiacci

di Hug my fears
(/viewuser.php?uid=95315)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: La strada è lontana ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Perdersi ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: La strada è lontana ***


 

 

Ogni riferimento a personaggi e fatti reali è puramente casuale. Questo racconto è stato inventato dalla sottoscritta in persona, ma si fonda sul romanzo storico “La prigioniera dell'inverno” di Serge Brussolo e di essa è il sequel. I personaggi principali non sono quindi di mia invenzione, ma la loro storia è scritta di mia mano, indipendentemente e senza un vero collegamento dalla reale volontà dell'autore stesso.

 

Il racconto riprende dalla conclusione del libro, ma saranno presenti vari nessi con quest'ultimo per facilitare la concreta comprensione dell'intera storia per chi non ha letto il libro a cui essa si allaccia.

 

 

 


 

 

Questa storia è adatta a chi viaggia con la fantasia.

 








 

 


 

Possa la strada venirti incontro,
possa il vento sospingerti dolcemente,
possa il mare lambire la tua Terra 
e il Cielo coprirti di benedizioni.
Possa il sole illuminare il tuo volto 
e la pioggia scendere lieve sul tuo tempo.
Possa La Grande Dea Madre 
tenerti sul palmo della Sua mano 
fino al nostro prossimo incontro.

 (Preghiera Celtica)

 

 

 

 

 

 

Fehu rappresenta 
la prosperità e la fortuna,
materiale o morale.  

 


 

Una donna dai capelli castani e gli occhi neri come la pece le gettò con grossolanità degli abiti asciutti ai piedi e la incitò a cambiarsi con rapidità. L'avrebbe aspettata all'esterno della cabina, pronta a darle già dei compiti in cucina da dover assolvere per sdebitarsi con loro di esser stata portata in salvo.
Marion indossò i nuovi panni e uscì guardandosi intorno con aria cupa. Il capo le portò una brocca con dell'idromele e le indicò la porta per le cucine.
Una volta arrivati a destinazione, questi uomini mi venderanno al mercato degli schiavi senza batter ciglio pensò Marion mentre scendeva le scale con esitazione.
Le ritornò alla mente l'abbazia di Saint-Thélème da cui era stata portata via con forza solo qualche mese prima, scampando alla morte e alla furia omicida di quei guerrieri vichinghi solo per ritrovarsi a partire in un'altra avventura, senza possibilità di scelta o di fuga. Ricordava i monaci trucidati sotto l'altare della cappella e le donne violentate sui drakar¹, che piangevano e urlavano mentre quegli uomini abusavano di loro più e più volte.
Chiuse gli occhi per un istante e il suo volto tornò nitido nei suoi pensieri. Lo aveva visto per la prima volta su quella possente nave da guerra ed era stata quasi colpevole della sua morte quando lo avevano legato ad un remo per un'intera giornata perché da incosciente l'aveva desiderata troppo. Ricordava la prima volta che avevano fatto l'amore insieme. Erano passate solo poche notti, ma lei non aveva mai smesso di desiderarlo da quel giorno. Ma il momento più bello e indimenticabile fu quando lo toccò per la prima volta e potè percorrere i lineamenti nudi e decisi dei suoi pettorali.
Marion era stata scambiata per una maga, l'unica in grado di poter interagire con gli déi.
I vichinghi erano arrivati lì, tempo addietro, sulle coste normanne solo per prendere lei. Le erano state accuratamente chiuse le mani in un paio di guanti di ferro perché quelle erano mani sacre che potevano solo scolpire e toccare le statue degli déi norreni. Divenne una figura di notevole rilievo in quella tribù di barbari e selvaggi, finché non fu data per morta e bruciata su una pira funeraria.
Ma Marion era sopravvissuta anche a quello, anche ad una finta morte e ai vari tentativi di vendetta mandati avanti da Boulba, la megera del clan.
Ora si trovava schiava di altri uomini, verso una destinazione sconosciuta e lontano dall'unico uomo che poteva salvarla.
Knut si sarebbe accorto della sua mancanza? Sarebbe andata a cercarla? Marion conosceva già la risposta. Quel giovane uomo, che aveva cinque anni in meno di lei, l'avrebbe ritrovata. Doveva solo attendere il suo arrivo.
La donna dagli occhi neri come la pece la strattonò per un braccio e la riportò alla realtà. Le indicò una montagna di piatti sporchi posti all'interno di un catino e le ordinò di pulirli tutti prima che arrivasse la sera, poi cominciò a canticchiare una strana cantilena e si allontanò lasciandola da sola.
Marion, senza alcuna possibilità di scelta, incominciò il lavoro e continuò a vagare con la mente. Pensò alla vecchia Svénia, la donna che le era stata affidata per imparare la lingua e i costumi di quella gente e che le era morta sotto gli occhi senza che lei potesse fare niente per evitarlo. Svénia, nonostante tutto, era stata la sua unica amica per tutta quell'avventura e rimpianse con tutta se stessa di non averla più con sé, perché le cose di sicuro sarebbero andate in maniera diversa.
Pensò a Rök, il capo della tribù che aveva mandato i suoi guerrieri più fidati alla sua ricerca dall'altra parte del globo, e a sua madre, Wanaa, la grande maga veggente che era rimasta intrappolata sotto una valanga per anni e anni e che lei stessa aveva riportato alla luce, scavando tunnel nei ghiacciai e riportando il suo corpo congelato alla luce del sole. Entrambi erano ormai morti; Rök si era unito alla madre, congelandosi anche lui nel freddo della notte.
Infine, ma senza volerlo per davvero, pensò a Ragnaar, l'uomo che l'aveva spinta da quella scogliera e che l'aveva condotta a quell'amaro destino di schiavitù.
Ragnaar fu un grande capo, così Svénia le aveva raccontato, ma accecato dall'invidia uccise sua moglie, Wanaa, e fu artefice dell'infausta sorte della sua tribù. Rök era un bastardo, non suo figlio, ma lasciò che sia lui a portare avanti il popolo, mentre Ragnaar pianificava di nascosto la sua vendetta su quel mezzosangue. Provò ad ucciderlo quasi ogni notte, ma Rök era protetto da qualche dio lassù e si svegliava sempre prima che il finto padre potesse assassinarlo nel sonno.
Ora che era congelato vivo, Ragnaar non aveva avuto la sua vendetta su quel figlio bastardo, frutto del tradimento della moglie, ed era impazzito tutto ad un tratto. Non furono da meno le sue continue paranoie. Il vecchio capo credeva che la moglie sarebbe tornata per ucciderlo, perché era stato lui stesso a toglierle la vita facendo cadere una valanga nella caverna all'interno della quale Wanaa stava avendo una delle sue solite visioni, dopo il morso velenoso di alcune vipere.
Marion ebbe un sussulto e si fermò dal fare ciò che stava facendo. Il suo giovane guerriero sarebbe stato in pericolo, lei non poteva restarsene lì senza tentare un'ultima volta di andarsene.
La cabina in cui si trovava aveva un piccolo vetro circolare che dava sul mare. Marion si affacciò e cercò di guardare verso il basso, alla ricerca di una lancia da salvataggio per potersela svignare. La piccola imbarcazione in legno era posizionata proprio sotto di lei ed era l'unica ancorata alla grossa nave mercantile su cui era.
L'attenzione fu distolta da dei passi che si avvicinavano sempre di più. Marion sobbalzò e tornò al suo posto, indaffarata a lavare l'ultima serie rimasta di piatti sporchi. I passi si fermarono proprio alle sue spalle e una voce brusca la allontanò definitivamente dai suoi pensieri.
«Hai finito, Glynne?» domandò l'uomo in quell'accento nordico che lei doveva ancora imparare bene.
Marion si voltò e restò in silenzio, posando l'ultimo piatto pulito e asciugato sul tavolo alla sua destra. La donna dagli occhi neri arrivò di fretta, salutò con riverenza l'uomo rimasto nell'ombra e si dileguò di nuovo. Tornò qualche secondo più tardi trascinandosi dietro una grossa pentola, all'interno della quale c'era una miscela giallognola fumante.
«Aiutami!» strillò la cuoca contro la giovane, che fu costretta ad andare ad aiutarla.
Superarono l'uomo misterioso e Marion lo guardò per tutto il tempo, cercando di scorgerne i lineamenti, ma fu inutile. Le due donne gli sfilarono accanto e furono subito nella sala adiacente alla cucina. Tutti i marinai si erano radunati lì dentro per la cena, seduti a caso lunga un'intera tavolata già allestita. Gli uomini battevano forchetta e coltello sul tavolo spazientiti da quell'attesa. L'intera stanza era gremita di persone. C'era così tanto baccano che Marion riusciva a malapena a sentire i comandi impartitigli dalla cuoca che si trovava vicino a lei.
Glynne era probabilmente il nome di quella donna. Aveva finito di riempire l'ultima ciotola quando si udirono dei passi arrivare da una rampa di scale. All'improvviso calò il silenzio e tutti si ricomposero, sistemandosi meglio sui loro posti. Marion ripensò a Rök e a quanto anch'egli veniva temuto, sia dai giovani che dai più anziani. Poi si voltò all'indietro e scorse la figura di un uomo che stava percorrendo il centro della sala per raggiungere gli ufficiali della nave, posti in una posizione rialzata e distante rispetto ai semplici marinai. Era quello l'uomo che l'aveva scambiata per la cuoca?
Marion adesso potè guardarlo per bene, mentre questo prendeva posto di fianco al vecchio capo. Era molto più giovane di quest'ultimo, aveva lunghi capelli castani che gli ricadevano oltre le spalle e una folta barba sul mento. Si guardava intorno circospetto, volgendo lo sguardo da un lato all'altro della grossa sala. Il volto era burbero e severo, anche a causa di due profonde cicatrici che gli rigavano il sopracciglio e la guancia. La sua stazza era possente e somigliava in tutto ad un orso, ma era proprio in quel suo lato selvaggio che si celava un certo tipo di fascino misterioso.
L'uomo puntò il suo sguardo negli occhi di Marion e lei si sentì mancare il respiro. Smise di guardarlo e tornò a seguire le faccende della cuoca, pregando di non venir mai scelta per soddisfare i piaceri sessuali di quell'uomo. Non lo avrebbe potuto sopportare, non voleva essere una schiava da letto; lei voleva un solo uomo, che però non era lì a proteggerla.
Knut, ti prego, trovami pensò trattenendosi dal piangere. Era spaventata, lo era sempre stata ma non aveva mai avuto modo di darlo a vedere, perché non poteva mostrarsi debole con degli sconosciuti o si sarebbero avventati su di lei come avvoltoi e l'avrebbero sottomessa con un semplice schiocco di dita, senza nemmeno esitare un secondo.
Glynne si avvicinò e le toccò una spalla, distogliendola ancora una volta da quei pensieri che continuavano a tornarle in mente. Marion la seguì fino alla cucina e lì consumarono insieme la loro cena. Più tardi, ripuliti i piatti e messi da parte gli avanzi, la cuoca scortò Marion fino ad una cabina e la lasciò da sola, richiudendosi la porta alle spalle.
La giovane perlustrò la stanza senza toccare niente, senza neanche cercare una luce per illuminarla. L'unica illuminazione proveniva dall'esterno, dalla luna, i cui bianchi raggi entravano attraverso una grande finestra rettangolare.
Marion sentì un rumore alla sua sinistra e vide un'ombra muoversi alle sue spalle, poi fu accesa una fievole luce e lei si voltò, non era sola e quella non era nemmeno la sua stanza. Adesso poteva vederla, era piuttosto grande e sistemata fin troppo bene per lasciarci dormire una come lei. Alla parete era appoggiata una grossa ascia con finimenti in oro, lavorati con molta attenzione e cura.
Notò, distesa sul letto, la figura di un grosso uomo alzato sui gomiti che la stava scrutando già da un bel po' di tempo.
Indietreggiò allora andando a sbattere contro una sedia in legno e cominciò a tremare dalla paura. Aveva riconosciuto quell'individuo. La fiamma della candela tremolava sospinta dal vento e subito furono visibili le due terrificanti cicatrici che solcavano quel volto oscurato e Marion notò anche la presenza di un sogghigno beffardo. Cercò allora di raggiungere la porta, lanciandosi in una disperata corsa, ma non fece in tempo a raggiungerla che l'uomo le si parò dinnanzi in tutta la sua possenza e la bloccò con le sue grandi mani, almeno il doppio delle sue.
«Dove pensavi di andare?» parlò allora l'uomo, trascinandola verso il letto.
«Non sono una schiava da letto!» disse Marion come meglio poteva, frenando la sua disperazione.
«Ah sì? Questo lo decideremo dopo»
L'uomo si avventò su di lei con tutto il peso del suo corpo. Marion cominciò a scalciare per cercare di liberarsi, ma fu tutto vano. Tutte le botte che prendeva sembrava come non sentirle, come se un grosso orso venisse infastidito da una piccola e misera formica. Si mise allora a strillare, ma a lui non importava nulla, potevano anche sentirla gridare in tutto il mondo, avrebbe continuato lo stesso quello che aveva in mente di fare. Le allargò dunque le gambe e cominciò a slacciarsi i pantaloni, ma fu in quel momento che a Marion parve di sentire la voce di Dio in persona. Una voce d'uomo irruppe alle sue spalle rimproverandolo. L'uomo si alzò e si risistemò le brache, Marion ebbe il tempo di allontanarsi, portandosi le mani sul petto in segno di difesa. Il vecchio capo aveva raggiunto il giovane, più alto di stazza, al centro della stanza.
«Che sta succedendo qui?» gli strillò contro «Rollo, lo sai come funziona sulla mia nave. Se le ragazze non vogliono venire a letto con te, tu non puoi costringerle! È chiaro?»
Il vecchio portò Marion fuori dalla stanza e si scusò per quello che le era appena capitato. Le disse che Rollo era un vichingo mercenario che da anni assoldava per le traversate in mare, era un ottimo guerriero ma un selvaggio uomo le ripeteva, mentre la scortava alla sua vera stanza.
Quando fu lasciata sola, Marion cadde in ginocchia e pianse finché non fu notte fonda. Si chiuse in stanza e si accasciò sul pagliericcio che doveva fare da letto. Crollò qualche istante più tardi, stravolta e turbata da tutto quello che le stava accadendo. Quella notte, dopo tante di serenità, fece un incubo terribile e sognò Wanaa, ricoperta di serpi e con gli occhi rossi di rabbia.

L'ora di svegliarsi venne sancita da uno squillo di tromba. Marion si svegliò di soprassalto e qualcuno venne a bussare ripetutamente alla sua porta. Si alzò per andare ad aprire e fu inondata da alcuni raggi di luce che la accecarono per qualche secondo.
Fu portata di nuovo nelle cucine, ad attenderla c'era Glynne con un sorriso beffardo in volto. Marion decise di non rivolgerle parola e cominciò a darsi da fare. Quella donna l'aveva portata nella tana dell'orso consapevole di quello che le sarebbe potuto accadere, dunque dedusse che non poteva fidarsi di lei. Doveva trovare un modo per andarsene e qualcuno volentieroso di aiutarla o non sarebbe mai uscita viva da quel luogo. 

 



 




APPENDICE

[1] drakar: anche chiamate skoeiô, sono lunghe e possenti imbarcazioni vichinghe usate per la guerra marittima e per le lunghe esplorazioni. Sono strette e slanciate, caratteristiche che conferiscono alla nave grande velocità. 

 

NOTE
 

Ho il grandissimo onore di presentarvi la mia nuova storia, basata come ho già detto su un libro che ho letto proprio in questi giorni “La prigioniera dell'inverno” di Serge Brussolo. Mi sono subito appassionata al racconto ed essendo finito, come posso dire, letteralmente di cacca mi sono messa in testa di dovergli dare io un finale coi controfiocchi! Il libro ha avuto davvero poco successo e lo scrittore Brussolo, di origine francese, ha avuto grande fama soltanto nel suo paese, dove è conosciuto per un'altra saga di romanzi da lui scritti. 
Anche se nessuno di voi ha letto il libro, farò in modo che non sia necessario collegarlo allo stesso. Durante il corso della storia farò trapelare le cose più importanti che vanno sapute sotto forma di pensieri o di flashback, come ho fatto con questo primo capitolo, ma la trama principale è completamente diversa. 
Spero che questa prima parte vi abbia incuriositi e spronato a recensire e a leggere come andrà a svilupparsi il racconto. Mi auguro di trovarvi in tanti per la pubblicazione del prossimo capitolo. 
Un enorme saluto, a presto. 





 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II: Perdersi ***




Il giorno successivo a Marion si presentò l'occasione che stava cercando. Da una coltre di nebbia in lontananza apparve un vascello e i marinai cominciarono a pregare i loro déi con più fervore. Alla giovane parve di sentire la parola pirati e subito dopo, sulla knorr, scese un silenzio tombale. Armati di scudi e di asce gli uomini si prepararono alla battaglia. Rollo raggiunse la poppa della nave solo poco dopo, brandendo la sua grande ascia nella mano destra e una di medie dimensioni in quella sinistra. Marion lo guardò con disprezzo e ammirazione, come guerriero doveva godere di un'ottima reputazione e le cicatrici sul suo volto ne erano probabilmente la prova. I vichinghi esibivano i loro segni di guerra con onore, e più cicatrici portavi più venivi considerato importante nella tribù. Ma Rollo forse non ne aveva più una di tribù. Svénia le aveva parlato di alcuni guerrieri banditi che, per sopravvivere, si vendevano come mercenari e di altri che, unici superstiti di un intero clan andato distrutto, erano fuggiti per riprendersi la vita che era stata loro negata.
Nel frattempo la nave nemica si stava avvicinando con rapidità. Marion si nascose dietro una grossa cassa. Avrebbe aspettato il momento più opportuno, quando tutti erano distratti dalla guerriglia, per rubare una scialuppa e scappare via. Voleva tornarsene a casa, ma quella era davvero la sua casa? Era Knut che voleva rivedere più di chiunque altro e sperava con tutta se stessa che non gli fosse successo niente.
Adesso mi starà cercando, ne sono sicura pensò con dispiacere.
Quel giovane ragazzo le era sempre stato accanto, aiutandola quando ormai tutti l'avevano abbandonata. Ma Knut, proprio come tutti gli altri, aveva temuto la sua presenza e il suo potere, eppure non aveva mai preso una reale distanza da lei.

Marion tese le mani verso di lui, i palmi rivolti verso il cielo, in modo da fargli i nodi ben stretti che tenevano chiusi i suoi guanti.
«Tagliali!» ordinò.
Non ce la faceva più ad aspettare e a vivere in quel modo, Marion voleva toccare il suo corpo più di qualsiasi altra cosa.
«Tagliali!» ripeté.
Knut aveva paura, ma gli era stata lanciata contro una sfida e le sfide si accettano sempre. Il giovane esitò per qualche istante, infine afferrò il coltello e tranciò i lacci. Non poteva sottrarsi a quella provocazione.
Marion si rammaricò, era stata sciocca a fargli quella richiesta, ma ormai era troppo tardi. Si strappò via i guanti e li lanciò a terra.
Per la prima volta, poté posare i palmi sul petto di Knut. Era passato davvero troppo tempo dall'ultima volta che aveva toccato qualcuno. Quella sensazione di calore umano le strappò un leggero sorriso sulle labbra. Avvertì un leggero spasimo sotto di lei; Knut aveva chiuso gli occhi, si preparava a morire, perché le mani di quella "strega franca" potevano bruciare le persone. Lei poteva soltanto toccare le statue dei loro déi.

Marion fu intenerita dal suo coraggio e lo baciò con passione. Quella volta fu lei a guidarlo mentre facevano l'amore.
Knut ci mise un po' di tempo a capire che lei non era mai stata una strega. Le guardava le mani con sorpresa, ancora indeciso se toccargliele o meno.
Marion credeva che Knut la avrebbe odiata ora che era tornata ad essere una donna come tutte le altre, perché lui l'aveva amata e desiderata per una semplice sfida. Lui era l'uomo che era riuscito a conquistare una "strega".
Infine, dopo quell'esitazione iniziale, Knut si inginocchiò davanti a lei e la aiutò a rimettersi i guanti.
«Dobbiamo essere prudenti» mormorò baciandole la tempia «Ragnaar non dovrà scoprirlo. Sarà il nostro segreto!»

Quello fu l'istante preciso in cui Marion capì che si era sbagliata fin dall'inizio sul suo conto. Knut la amava e l'avrebbe protetta sempre.
Quel dolce ricordo le fece scappare una lacrima, sapeva che il suo giovane uomo la stava cercando in lungo e in largo. Lei doveva solo andargli incontro.
Le sue riflessioni furono interrotte dallo scontro tra le due navi. Il mercantile tremò sotto i suoi piedi, scosso da quell'imponente nave da guerra. Marion sapeva che non sarebbero mai riusciti a tentare la fuga, perché quel drakar era molto più veloce della loro imbarcazione. Dopo la botta, un'orda di guerrieri pirati saltò sulla nostra poppa con l'aiuto di liane e cominciò la battaglia. I pirati si avventarono con furia sui marinai, uccidendoli un paio con il primo semplice attacco. Si scagliarono con così tanta forza che alcuni indietreggiarono, altri scapparono via. Poi ad un tratto arrivò Rollo, il grande vichingo mercenario, e la situazione si capovolse. Riusciva a combatterne tre alla volta e ad ucciderli senza dar segno di alcuna difficoltà. Roteava con maestria sopra la testa la sua ascia più grande e con quella più piccola parava gli attacchi nemici, per poi sferrar loro contro con forza l'attacco caricato in alto. Marion non aveva mai visto combattere con così tanto vigore qualcuno e ne rimase affascinata, ma doveva sbrigarsi, era arrivato il momento per lei di andarsene. Strisciò sulle ginocchia per un lungo tratto, guardandosi le spalle e controllando attorno a sé più volte, perché non doveva venire scoperta o si sarebbe messa male per lei. Gattonò fino alla sporgenza della nave e guardò giù, dove doveva trovarsi l'imbarcazione che l'avrebbe portata in salvo, lontana da quegli sconosciuti. L'unico dilemma era capire come si sarebbe calata fin laggiù e decise allora di controllare se lì vicino qualcuno aveva lasciato una corda, ma non trovò nulla.
Non posso buttarmi nel vuoto e sperare di caderci dentro pensò lei. Provare sarebbe stato troppo rischioso e lei non poteva sbagliare. Non avrebbe avuto una seconda occasione.
Si affacciò per controllare la situazione, non si sentiva più il rumore di spade e scudi spezzare il silenzio. Una grossa figura si sporse verso di lei e la tirò fuori dal suo nascondiglio. Fu trascinata con così tanta forza che cadde a terra al primo passo.
«Ehi, dolcezza» pronunciò l'uomo con astio «dove credevi di andare?»
Marion riconobbe quella voce e si voltò verso di essa. Rollo era proprio davanti a lei, con le vesti completamente macchiate di sangue ed una cicatrice fresca a perforargli il volto. La giovane si rialzò e guardandosi attorno capì cos'era appena successo. I pirati erano stati sconfitti, altri erano riusciti a scappare, ma cosa più importante la avevano sorpresa mentre cercava una via di fuga. Il vecchio si avvicinò a loro, ancora tremante ed impaurito, e ordinò ad alcuni marinai di legare Marion e di riportarla nella sua stanza.
«Non farmi pentire di averti salvato dalle grinfie di quel mercenario!» le disse all'orecchio, prima che si allontanasse «Perché la prossima volta lo lascerò fare»
Marion fu rinchiosa nella sua stanza per i restanti giorni di viaggio. Quotidianamente le veniva portato del cibo e vestiti profumati per cambiarsi. Al quinto giorno della sua prigionia la nave si fermò. Era appena passata l'alba quando Marion venne svegliata e portata con forza a poppa. I raggi del sole le bruciarono gli occhi; passò un po' di tempo prima che riuscì ad abituarsi a tutta quella luce. Quando finalmente li aprì, vide davanti a sé la terraferma. L'aria cominciò subito ad essere fredda, ma Marion si era oramai abituata a quell'ambiente rigido e gelido. Si erano fermati in quello che doveva essere un porto commerciale, le risultò facile riconoscerlo. Molte navi simili a quella in cui si trovava lei erano ormeggiate al molo, con marinai che lavoravano senza sosta per trasportare varie merci da vendere o scambiare.
Il capitano si avvicinò a lei e sogghignò soddisfatto. «Ci hai portato fortuna in questo viaggio» disse «Adesso sei libera di andartene»
«Dove ci troviamo?» Marion si guardò attorno titubante.
«Siamo in Russia» rispose il vecchio con scherno «Questo è un piccolo villaggio mercantile nella regione subartica»
Come farò a tornare indietro, adesso? pensò la giovane con preoccupazione.
Nessuno si sarebbe offerto di darle un passaggio senza ricevere niente in cambio, ma lei doveva tentare lo stesso. Doveva ritornare da Knut.

Marion tornò nel suo alloggio per raccimolare quel poco che le era rimasto all'interno di una sacca. Uscì fuori all'aria aperta e le venne incontro una giovane serva che le porse un po' di viveri ed una borraccia riempita d'acqua fresca per il viaggio che la attendeva. Marion la ringraziò e si voltò verso il resto dell'equipaggio che la stava guardando. Si sentì mancare l'aria e per un istante ebbe paura. Non sapeva come avrebbe fatto per ritornare indietro sana e salva. Senza salutare nessuno si avviò verso il pontile, sguardo fisso in avanti, e se ne andò per la sua strada. Gli occhi dei marinai la seguirono per un breve tratto, finchè non furono richiamati dalla cruda voce del loro capitano che li esortava a portare giù le mercanzie. Rollo la guardò intensamente con un ghigno nefasto sul suo volto lacerato, ma Marion tirò dritta seppur con fatica, lasciandosi alle spalle anche quell'avventura.
Il villaggio in cui era arrivata era piccolo ma ben fornito, aveva proprio l'aspetto di uno scalo mercantile. L'aria era fredda ma a quell'ora erano comunque presenti in giro gli abitanti. Tutti si ammassavano nel mercato al centro del villaggio, vagando di tenda in tenda per comprare o vendere qualcosa. Marion decise che per quella notte sarebbe restata a dormire in una locanda e nel frattempo avrebbe trovato un modo per tornare indietro. Non aveva con sé per poter pagare il viaggio di ritorno, ma si sarebbe messa in gioco per ripagare quel favore. Sperava soltanto che nessuno le avrebbe chiesto in cambio favori di tipo sessuale, perché lei non li avrebbe accettati.
Camminò ancora a lungo prima di riuscire a trovare una locanda degna di portare quel nome. Era felice di trovarsi finalmente sulla terraferma. Faceva un passo dopo l'altro assaporando ogni istante, come se fosse passato un secolo dall'ultima volta che ci aveva camminato su.
Entrò all'interno della piccola locanda che portava il nome di “Corno di Sirena” e fu subito sopraffatta da un mesto odore di pollo al brodo. Una donna intenta a spazzare a terra si voltò verso di lei e la raggiunse con la ramazza ancora in mano.
«La locanda è ancora chiusa, torna dopo!» strillò la donna.
«Sto cercando un posto dove dormire...» rispose Marion indietreggiando.
La donna lasciò la scopa appoggiata ad un'asse e si posizionò dietro un lurido bancone in legno.
«Abbiamo solo una stanza libera» disse questa controllando alcune scartoffie ingiallite «Sono 5 monete, 8 se aggiungete anche la colazione»
Marion si guardò intorno.
«Non ho soldi con me, ma posso pagare lavorando per voi...»
La donna rise talmente forte da essere costretta a portarsi le mani sulla pancia. Poi si arrestò e guardò la giovane davanti a sé attentamente, con un beffo sorriso in volto.
«E va bene, puoi cominciare fin da subito. Sistemati nella stanza» fece, dandole le chiavi «poi raggiungimi in cucina. Ah! Dimenticavo. Indossa questi abiti» finì, consegnandole uno strano vestito.

Quando Marion raggiunse la cucina della locanda molti degli ospiti si erano già alzati e affollavano la sala da pranzo. Il vestito che le era stato dato lasciava in mostra molte parti del suo corpo e seminascondeva altre. Alcuni lo notarono e mentre passava la fissarono intensamente. Marion si sentì profondamente a disagio.
La donna le diede vari ordini da portare avanti e si allontanò poi con alcuni piatti. Doveva preparare alcune pietanze, pulire tutto quello che avrebbe sporcato e consegnare ai tavoli i rispettivi ordini. In quella piccola e buia stanza c'erano altre ragazze, alcune anche più piccole di lei, e tutte indossavano lo stesso vestito con colori diversi.
Marion si avvicinò ad una giovane e le rivolse la parola.
«Perché dobbiamo vestirci così?» le chiese.
«Se il nostro corpo piace agli ospiti, possiamo guadagnare qualcosa in più» rispose questa compiaciuta.
«Alcuni degli ospiti possono decidere di portarci nelle loro stanze e noi dobbiamo accontentare ogni loro capriccio» continuò un'altra donna, più matura, mentre finiva di riempire un boccale.
«Se lavoriamo bene, i clienti tornano o pagano qualcosa in più» disse una giovane, poco più di una bambina.
«Se invece ci comportiamo male, ci buttano in strada» continuò la donna.
Marion le osservò stupefatta. Erano almeno cinque donne, tre più giovani delle altre. Quella più matura le parve essere proprio la donna che fino a qualche istante prima le stava parlando. Aveva i capelli neri e lunghi, raccolti in una treccia abbellita da alcune gemme brillanti. Era alta e snella, il seno piccolo e a punta, si muoveva con un portamento regale, ondeggiando con i fiachi ad ogni passo. Si chiamava Arianne.
Le altre giovani erano rispettivamente Freda, Tessa, Elia e Loreza, la più piccola di tutte quante. Lavoravano in quella locanda da qualche anno e si erano sempre trovate bene. La moglie del padrone, Doricea, sembrava burbera, ma in fondo, le dissero, era una brava donna.
«Non voglio andare a letto con nessuno di questi uomini» disse Marion.
Arianne le si avvicinò ondeggiando.
«Allora spera che ti trovino disgustosa. Adesso porta agli ospiti i piatti che hai preparato. Ricorda che qualsiasi cosa loro ti chiedano di fare, tu sarai costretta a farlo. Non parlare se non interpellata e non rispondere in maniera inopportuna, se ti mettono le mani addosso è finita. Neanche Doricea può salvarti in quel caso» fece Arianne, dandole una leggera pacca alla spalla per incoraggiarla «Adesso vai, non farli attendere ulteriormente»
Marion sapeva di essersi cacciata in un'altra situazione orrenda, ma non aveva via di scampo. Knut sarebbe venuta a prenderla, lei lo sapeva. Lei ci sperava.
Quando entrò nella sala da pranzo, ghermita di uomini, tutti gli occhi si puntarono su di lei. Era nuova, lo sapevano anche loro.
Si diresse verso il primo tavolo intimorita. Tre uomini, di cui uno anziano, la ringraziarono dell'ottimo pasto. Uno dei tre seguì i lineamenti del suo corpo semi-coperto con lo sguardo e si fermò sul seno. L'altro uomo cominciò a toccarle la gamba, strusciando la mano con delicatezza. Marion rabbrividì e pregò il Suo Dio e quelli di Knut.
«Lasciate stare la ragazza» grugnì il vecchio.
Gli altri due uomini smisero di darle fastidio e Marion potè allontanarsi. Tornò in cucina di fretta e chiuse la porta alle sue spalle. Si accasciò a terra e cominciò a piangere. Una figura scura le si avvicinò e l'aiutò ad alzarsi in piedi. Era Arianne. La donna le asciugò le lacrime con un morbido fazzoletto.
«Ti ho vista, sei stata brava ed hai avuto fortuna» disse «ma devi continuare il giro. Non preoccuparti del giorno, la maggior parte di loro deve sbrigarsi a consumare il pasto e poi va via. Dovrai aver paura di questa sera. Tornano stanchi e hanno sempre bisogno di qualcuno che li riscaldi a letto»
Marion si risistemò le vesti e tornò ai suoi compiti. Aveva ancora quattro piatti da consegnare.
Non posso andare avanti così, devo tornare a casa pensò la giovane. Tutto quello che le stava accadendo non aveva senso. Magari è destino che io e Knut non staremo mai insieme ma lei non ci credeva più di tanto.
Devo tornare indietro! Devo avvertirlo del pericolo! continuò a pensare Deve esserci un modo! Che qualcuno mi salvi... 




 

 


 

NOTE

 

Buona domenica a tutti. Finalmente, direte, sono tornata con un altro capitolo di questa storia. Spero che il primo capitolo vi abbia interessato a tal punto da voler continuare a leggere cosa succederà. 
Vi chiedo scusa se è passato tanto tempo dal primo, ma ho avuto piuttosto da fare e troppo poco tempo per mettere per scritto le idee. Mi auguro di metterci di meno nello scrivere tutti gli altri. 
Tornando alla storia, come potete aver capito Marion ha una sfiga tremenda. Diciamo che per lei è del tutto normale cacciarsi in strane situazioni, ma vi svelo un segreto: tra poco l'universo smetterà di ritorcersi contro di lei! Nel prossimo capitolo ci sarà un punto di vista differente, che racconterà un'altra parte di storia. Va bene, credo di avervi incuriosito abbastanza. 
Vi auguro una buona Pasqua, a presto. 





 


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3026611