incasinati da morire belli da vivere

di WRitE_Of_uS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** e se quel giorno non ti avessi incontrato? ***
Capitolo 2: *** ci sono alcune storie che già sai come vanno a finire, eppure le inizi lo stesso. ***
Capitolo 3: *** dolce notte ***
Capitolo 4: *** Farfalle ***



Capitolo 1
*** e se quel giorno non ti avessi incontrato? ***


Buongiorno inverno, e buongiorno alla neve che hai portato. Buongiorno alla pioggia che continua a cadere instancabile. 3 messaggi sul telefono. Dove sei? Ti sto aspettando! Corri in oratorio che poi andiamo a pattinare. Erano le 3.30 del pomeriggio e io non me ne ero neppure accorta, avevo continuato a dormire indisturbata per tutto quel tempo.
Mi alzai subito dal letto e mi buttai sotto la doccia bollente, l'acqua scendeva lungo la mia schiena e in quel momento pensai che sarei potuta restare li per delle ore, ma non potevo, il mio migliore amico mi stava aspettando. Uscii contro voglia dalla vasca e mi misi addosso le prime cose che mi capitarono sotto mano, un maglione, un paio di leggins e delle scarpe comode e facili da sfilare.  Presi la sacca consumata dei pattini e l'appoggiai sulla spalla destra, pensai a quante volte il pattinaggio mi aveva salvato la vita, a quante volte quei pattini vecchi e graffiati, fossero l'unica cosa in grado di farmi tornare il sorriso.  Ognuno nasce con un proprio fine, ognuno di noi è destinato a diventare qualcuno,  c'è chi lo scopre prima, chi lo capisce con il tempo. Io non ne avevo idea.
Avevo imparato a prendere la vita un pò come veniva, a non dipendere dalle aspettative e in un certo senso avevo perso me stessa. Mi ero smarrita e non sapevo esattamente chi o cosa stessi cercando. Almeno non ancora.
Uscii di casa dopo aver dato un saluto veloce a mia madre, mi chiusi la porta alle spalle e aprii l'ombrello. 
Corsi in mezzo alla pioggia per raggiungere in tempo il pullman, che per poco non mi chiuse le porte in faccia. Mi sedetti  sul primo posto libero che trovai e infilai gli auricolali nelle orecchie sparando la musica a tutto volume,per soffocare il rumore dei miei inutili pensieri. Guardavo le goccioline scivolare lungo il vetro e mi ricordai di quando ero piccola, di quando nella macchina di mio padre sceglievo una goccia, e speravo che sarebbe stata più veloce rispetto alle altre.
Erano altri tempi, altri problemi, tutte cose all'altezza di una bambina di 5 anni che fa una gita in macchina con il papà. Chiamarlo babbo era un affronto, il nostro era un rapporto particolare, passavamo poco tempo insieme, ma quando stavo con lui mi sentivo una piccola principessa protetta dal suo valoroso eroe. Sentivo una distanza, però, non colmabile da nessun ponte, da nessun compromesso, era una voragine che alla fine ci separò. Mio padre andò via di casa, problemi con la mamma mi diceva. La sua assenza era quasi impercettibile, ormai ero abituata al suo lavoro e  tutti gli altri fattori che lo tenevano lontano da me, ma faceva comunque male. Non poterlo più considerare come facevo una volta.
Il pullman si fermò ed io raggiunsi l'oratorio. Nicolò aveva il viso chino sullo schermo luminoso del telefono, mi misi di fronte a lui sperando che notasse la mia presenza.
<< Sei passata prima per l'Indonesia?>> chiese in tono sarcastico.
<< Mi sono svegliata tardi scusami>>.
<< si ma chi dorme non piglia pesci, quindi il pattinaggio salta>>. 
Mi prese per una mano e mi trascinò dentro, il campetto da calcio era pervaso da ragazzi in pantalonncini che correvano dietro un pallone.
Lui era li, seduto sugli spalti, sorridente come sempre.

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Capitolo 2
*** ci sono alcune storie che già sai come vanno a finire, eppure le inizi lo stesso. ***


Ci sono alcune persone che in un modo o in un altro ti segnano. Lasciano un pezzetto più o meno grande e se ne prendono a loro volta un'altro. Così sei più piena degli altri e più vuota di te stessa. Tommaso ne era un esempio, ogni volta che lo vedevo mi sentivo strana, diversa. Non era come aver le farfalle nello stomaco, no, per quelle avrei avuto l'insetticida. La mia era, piuttosto, una costante sensazione di insicurezza ogni qualvolta incrociava il mio sguardo, mai nessuno mi aveva fatto sentire in quel modo.  Nessuno mai era stato in grado di farmi dubitare di me stessa, ma lui si, forse perchè del suo giudizio mi interessava davvero. 
Era seduto tranquillamente sugli spalti, un piede puntato sul gradino sottostante e l'altro stretto tra le mani nel tentativo di allacciarsi le stringhe. Il suo solito sorriso gli attraversava il viso, e in quel momento avrei potuto affermare di non aver mai visto nulla di così perfetto. 
<> rinvenni dal mio stato di trans quando udii la voce interrogativa di Nicolò. 
<>
<< Ce la fai a scendere il gradino o devo portarti in braccio?>>
Ero rimasta immobile sul gradino che dava sul campo, stringevo forte il braccio del mio migliore amico e non riuscivo a staccarmene.
Il freddo penetrava fin sotto lo spesso strato di vestiti e al tatto risultava pungente e insistente.
<< Possiamo entrare dentro ? Ho un pò freddo.>>  il ragazzo fece un piccolo cenno di assenso e mi invitò a seguirlo all'interno dell'oratorio. Lo seguii, misi un passo dopo l'altro nella sua direzioni, ma il viso e la mente continuavano a fissare il verde campo di gomma dove Tommaso giocava. Pochi attimi dopo, mi ritrovai nel bar dell'oratorio con una cioccolata calda tra le mani.
<< Ho dato a Tommaso il tuo numero!>>
<< Come scusa?>>
<>.
Grazie. Pensai. Ero felice, ma non dovevo lasciarlo trasparire, cercai di imporre a tutti i muscoli del mio corpo l'immobilità. I miei occhi, però, parlavano. Erano i classici occhi di una bambina che ha ottenuto il gioccattolo tanto ambito.
Nicolò si mise una mano nei riccioli mentre con gli occhi profondi guardava lo schermo di qualche chat, nessuno mi conosceva come lui.
Conosceva ogni mio più piccolo particolare, a volte perchè gliene parlavo, altre volte trovava il modo di scoprirlo. 
Alzò il suo sguardo indirizzandolo sul mio viso...
<< Lo so che sei felice>>  sorrise leggermente e a quel punto risi anche io, ma risi di gusto, di quelle risate che puoi condividere solo con gli amici veri, quelli che ci sono sempre stati e sempre ci saranno.
<< Andiamo a casa Bombolina! Ti accompagno io >>.
Passeggiamo per le strade della città finchè non arrivammo sotto casa di mio padre, quel week-end sarebbe spettato a lui. 
Io e mio fratello eravamo un boomerang, una serie di spostamenti da una casa all'altra, un week-end sei dentro un altro fuori.
Abbracciai forte Nico, un po' per il freddo, un po' perchè gli volevo veramente bene. Aprii il portone del palazzo, chiamai l'ascensore. 1,2,3,4,5 piani. Presi le chiavi e aprii la porta, feci un passo per entrare e il mio cellulare si agganciò automaticamente al wi-fi dell' appartamento. Sentii un leggero trillo provenire dalla scatoletta metallica, era un messaggio: Ciao sono Tommaso.

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Capitolo 3
*** dolce notte ***


Metaforicamente parlando potremmo riassumere la vita di un individuo in un bivio. Destra, vivi in un modo. Sinistra,vivi in un altro.

Sostanzialmente non esistono strade sbagliate, dipende da come il singolo individuo affronterà il percorso.

Ci sarà quello apparentemente più tortuoso e contorto, che ci porterà a guardarci indietro, a cercare di capire in cosa abbiamo sbagliato. La risposta potrebbe essere scontata per molti, ma irraggiungibile per altri.

                  -HAI SBAGLIATO QUANDO HAI PENSATO DI NON POTERCELA FARE-

Allora ci riproviamo, ancora e ancora, finché non si arriva al massimo delle proprie capacità. Perché si inizia una cosa, se poi si sa già come andrà a finire? Forse perché a volte si crede davvero di poter vincere la battaglia contro se stessi, ma un esercito non può essere composto solo da una persona. 

Per vincere una guerra bisogna essere almeno in due.

Quindi eccomi li, sulla soglia della porta con il cellulare stretto tra le mani. Un piccolo sorriso sul viso e troppa agitazione nel trovare qualcosa di intelligente da scrivere. Tipo… 

<< Ehi!>> si quello poteva andare.

La conversazione andò avanti, nulla di particolare, infondo non ci conoscevamo. Ci siamo salutati si e no due volte, ma la prima volta che l’ho visto…me la ricordo bene. Eravamo sul pullman durante la gita di seconda media, lui era circa due file davanti a me. Stesso sorriso, stessa luce negli occhi, stessa voglia di vivere. La sua vitalità e la sua allegria, forse, erano le cose che mi piacevano di più. Probabilmente perché riuscivano a far felice anche me. La sua felicità come causa della mia.

Parlammo della scuola, degli amici che avevamo in comune, di come Nicolò fosse stato bravo a dargli il mio numero perché a suo parere ero molto simpatica.
<< La settimana prossima do una festa a casa di mio padre, ti andrebbe di venire?>> mi cadde un pallina dell’albero in testa mentre digitavo quel messaggio. Stavo allestendo la casa come se dovesse diventare una sala eventi. Mio padre mi aveva dato il permesso di organizzare una festa di natale nel suo appartamento, e quindi mi stavo dando da fare in modo che fosse tutto impeccabile. Dal corridoio provennero alcuni passi.

<< che fai?>> era papà nel suo pigiamone, non me ne ero accorta, ma intanto era calato il buio.

<< cerco di appendere le palline senza uccidermi>>  ridemmo insieme per un attimo.
<< Io e Gaggo ordiniamo la pizza, la vuoi anche tu?>>

<>

Un trillo, un messaggio.
<< Provo a vedere, ma credo di essere impegnato>>

Aveva tutta l’aria di essere una scusa mal architettata, c’era qualcosa che non andava e io me lo sentivo.

C’era qualcosa dentro di me che urlava “Scappa! Sei ancora in tempo.” 

Ma io non volevo scappare, volevo restare, sapevo che in un modo o in un altro ne sarebbe valsa la pena.
Un altro trillo << ci vediamo domani a scuola…se vuoi>>

<>

Il campanello suonò ma alla porta, ma alla porta non c’era nessun principe azzurro pronto a salvarmi, ne Tommaso pronto a rivelarmi il suo immenso amore nei miei confronti. 

Sulla porta c’era il ragazzo della pizza con i cartoni in mano e un casco in testa.
<< Sono 20 euro>> fu la cosa più romantica che riuscì a dire.

Papà gli porse una banconota azzurra in mano  e richiuse la porta.

<>

Terminata la pizza salutai mio fratello e mio padre e andai in camera mia con la scusa di dover terminare i compiti. Mi chiusi la porta alle spalle e mi gettai sul letto, spensi le luce e il resto del mondo che mi circondava. Ero sul punto di spegnere il telefono, quando mi arrivo un messaggio che sarebbe stato l’ultimo della giornata.
<< Buonanotte Irene>>

<< Buonanotte Tommaso>>.

 

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Capitolo 4
*** Farfalle ***


I raggi del sole entrarono lentamente nella stanza e si posarono sul mio viso. Aprii gli occhi e realizzai che il lunedì era già arrivato. La mia attenzione fu catturata dai numeri digitali sulla sveglia. 7:15. 

Saltai giù dal letto e mi precipitai n cucina.  

I fornelli presero fuoco  e la macchina del caffè rilasciò il bollente, aromatico liquido. Riempii la tazza e ingoiai il fluido, sentendo passare il calore dalla lingua, alla gola, fino allo stomaco.
<< Buongiorno Ieie>>  sulla porta della cucina spuntò mio fratello. 

Aveva le guanciotte rosse e lo sguardo assonnato, il piccolo orsacchiotto sotto il braccio e i capelli scompigliati. Gli andai incontro per salutarlo, e gli stampai un bacio sulla fronte.

<< Buongiorno piccolo mio>>

Gli accarezzai il viso e mi diressi in bagno.

7:50. La scuola stava per cominciare. Mi precipitai giu dalle scale e spalancai il portone. Mi ritrovai all’ incrocio tra la via di casa e quella della scuola. Un ragazzo con i capelli neri mi passò davanti. Il suo sguardo incontrò il mio, conoscevo quegli occhi. Fui sul punto di emettere un suono, “Ciao”, ma un attimo prima che le mie labbra si schiudessero, lo sguardo del ragazzo tornò a fissare il vuoto davanti a se. 

Tommaso aveva finto di non vedermi, era riuscito a farmi sentire invisibile. Nella mia testa cominciarono a sorgere  una marea di domande, alle quali non riuscivo a trovare risposta, o forse semplicemente non volevo.
Dio solo sa come mi ero sentita.

Cinque ore dopo, i libri si chiusero, il portone si aprì e decine e decine di studenti sbucarono chiassosamente dal vecchio edificio. Le vacanze di natale non erano più un semplice conto alla rovescia, ci si erano materializzate davanti agli occhi.

Arrivò anche il mio momento di varcare le porte dell’effimera libertà. Abbracci, auguri e saluti, tutti da persone che probabilmente non avrei visto per il resto delle vacanze. Tommaso era qualche gradino più sotto rispetto a me. All’improvviso si girò nella mia direzione provando a salutarmi con un sorriso luminoso. Quanto potevano essere falsi quei sorrisi.

<< Buone vacanze Ire!>>  era arrivato uno dei soliti e simpaticissimi bivi, ripagalo con la stessa moneta o passaci sopra. Personalmente ho sempre trovato le scelte troppo convenzionali, e poi… sono una donna.  Se la vendetta andava servita fredda, io gliel’avrei servita gelata.

<< Grazie!>> 

Impassibilità e indifferenza, nulla può ferire di più
 
                                                         DUE MESI DOPO

Le vacanze volarono e con queste anche il 2013. 

“Anno nuovo, vita nuova”, che poi alla fine non cambia mai nulla, si continua nello stesso identico modo. 

A volte si perdono delle persone, altre volte se ne trovano di nuove. Poi ci sono quelle che non avresti voluto incontrare, quelle che sono piombate nella tua vita solo per portare scompiglio. Fanno le valigie  e come ladri, partono nella notte senza più restituire ciò che hanno preso.

Di Tommaso non avevo più notizie, dopo la fine della scuola ci eravamo sentiti per un paio di settimane, poi anche il nostro incrocio aveva preso strade diverse.

Mi ero affezionata, forse però era solo un mio problema. Dovevo imparare a non attaccarmi subito alle persone, anche perché non si può dipendere dagli altri. Le persone se ne vanno, ma tu resti e l’unica persona sulla quale puoi contare per rimettere a posto i cocci sei te stessa.
Davanti a me c’era solo strada, una serie interminabile di asfalto e macchine, una monotonia che rispecchiava perfettamente il mio stato d’animo. Grigio. Un grigio infinito. La radio risuonava nelle mie orecchie e compensava il muto suono della pioggia. “ Ciò che non ti uccide ti rende più forte”. Ciò che non ti uccide ti lascia in vita, e personalmente credo più vulnerabile di prima.
<< Quanto manca?>> guardai il navigatore: mancava tanto.
<< Poco Ieie, è la ventesima volta che me lo chiedi>>.
Ogni volte che facevamo un viaggio, quella era la mia frase preferita.  Mi stampai un piccolo sorriso sulla faccia e finsi che l’attesa non mi pesasse, invece mi stava lacerando. Odiavo aspettare, così come odiavo i momenti di pausa perché la maggiore parte delle volte non portano a nulla di buono. 

Eravamo diretti a Jesi per un impegno lavorativo di mio padre: una partita.

Quando il lavoro chiama… meglio correre! Meglio ancora se dietro ad un pallone dea basket. Era il presidente di una squadra sportiva, di conseguenza partite in giro per l’Italia ogni due settimane con ingresso gratuito.

Arrivammo giusto in tempo davanti al palazzetto, giusto in tempo per salutare delle persone importanti, per chiarire le ultime cose con l’allenatore e per prendere posto sulle gradinate.

Quando ero piccola per poco non mi ci trasferivo nel palazzetto. Mi ricordo tante persone e rampe di scale che parevano enormi ai miei piccoli occhi. Prendevamo i nostri biglietti, io mamma e papà, mio fratello non c’era ancora. Mi sedevo sempre in mezzo ai due, papà mi insegnava i nomi dei giocatori e le tattiche di gioco, mentre  mamma esultava ogni volta che mettevamo a segno un punto. In fondo, però, si vedeva che lo faceva solo per far contenti me e papà.

Poi la società fallì, così come la nostra famiglia.

Mio padre comprò la squadra, ma per noi ormai non c’era più niente da fare, era il capolinea.

…<< Come le dicevo, questa è mia figlia>> un uomo con i capelli bianchi mi porse la mano ed io, per cortesia, gliela strinsi.
<< Molto piacere…>> …chiunque tu sia.

I due cominciarono a parlare delle squadre, delle possibilità di vittoria, sul futuro della società. Decisi di tirarmene fuori.

<>

Tecnica infallibile. Mi allontanai dai due e per rendere più realistica la simulazione, presi il cellulare tra le mani. Feci per metterlo all’orecchio quando mi accorsi di un messaggio.

Tommaso: Ciao.

Io: cosa vuoi?

Tommaso: mi manchi 

Io: non credo

Tommaso: scusa se ti ho fatto aspettare, ma ci tengo troppo a te e non vederti anche solo per 3 secondi… mi terrorizza

Quelle parole mi incasinarono l’ esistenza, quelle parole furono in grado di abolire ogni tipo di difesa che mi ero costruita. Con lui ero vulnerabile, con lui ero fragile. Uno strano movimento salì dalla pancia fino alla bocca dello stomaco, somigliava ad un formicolio, ma era molto più insistente. A volte nessun insetticida è abbastanza potente, e non è possibile anestetizzare i propri sentimenti. Le farfalle nello stomaco erano una prova che quel ragazzo mi avrebbe sconvolto la vita, le farfalle sanno sempre tutto.

<< mi sei mancato anche tu>>

Quel giorno perdemmo la partita, ma io vinsi molto di più.

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