Generazione di fenomeni

di mattmary15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazioni ***
Capitolo 2: *** Azzurro e oro ***
Capitolo 3: *** Incomprensioni ***
Capitolo 4: *** Una frase di troppo ***
Capitolo 5: *** Nessuno vuole soffrire davvero ***
Capitolo 6: *** Perchè proprio io non l'ho capito? ***



Capitolo 1
*** Presentazioni ***


Presentazioni


Non c’era mai stata partita.
Taiga era arcistufo di stracciare tutti i ragazzi che al campetto gli venivano incontro con l’aria di chi la sa lunga per poi cadere al tappeto dopo un paio di slam dunk ben assestati urlandogli contro l’epiteto “mostro”.
Tra poco sarebbe cominciato il liceo e sperava che, almeno lì, qualcuno conoscesse i fondamentali del basket.
Chiuse la cerniera della tuta e riprese il pallone arancione. Si mise a correre palleggiando verso casa. Faceva ancora fatica a chiamarla così dato che ci si era trasferito da solo. Dio quanto gli mancavano gli States!
Si fermò al solito Maji burger e comprò una buona dozzina di panini.
Ebbe, per un istante solo, la sensazione di essere osservato. In realtà ebbe la sensazione che qualcuno guardasse il suo pallone. Si voltò con il suo solito piglio cattivo, pronto ad attaccare bottone ma non c’era nessuno. Sul tavolino davanti a lui era rimasto solo un bicchiere semivuoto di milkshake.

Il primo giorno di scuola, nel cortile del liceo Seirin, c’era una gran confusione. La maggior parte degli studenti stava cercando di scegliere le attività extrascolastiche che avrebbero riempito i loro pomeriggi.
Taiga trovava tutta quella confusione estremamente inutile. Come si faceva a non avere le idee chiare su cosa piaceva e cosa no? Certo lui non era la persona che si sarebbe arrovellata in questo genere di problemi. Lui seguiva sempre il suo istinto e il suo istinto urlava una sola parola: basket.
Perciò si iscrisse al club senza troppi convenevoli e, nella parte dove veniva chiesto perché volesse praticare quello sport, fece solo un segno con la matita.
Anche quella era fatta.
La giornata scolastica fu noiosa e la resse solo per poter calcare di nuovo un campo dove ci fosse il parquet per terra. Certo lo street basket poteva dare soddisfazione, però indossare una maglia e giocare una vera partita era un’altra cosa. Si guardò intorno e diede una rapida occhiata ai suoi compagni. Non sembravano niente di che. Probabilmente era su un altro livello rispetto a loro e doveva essersene accorta anche la stramba ragazza che faceva da loro allenatrice.
Tuttavia, invece che interessarsi a lui, la coach cercava un certo Kuroko Tetsuya. Fu in quel momento che avvertì la stessa sensazione provata al Maji burger qualche giorno prima. Si sentiva gli occhi di qualcuno addosso. Scoprì presto che quella era la sensazione che si provava ad essere osservati da Kuroko.
Fu anche la prima volta che sentì parlare della cosiddetta ‘generazione dei miracoli’. Forse c’era qualcuno in Giappone che poteva dargli filo da torcere, anche se faceva fatica a credere che quel piccoletto potesse dargli qualche pensiero.
Fu per chiarirsi questo dubbio che Taiga Kagami lo sfidò nel campetto del parco e per poco non fu tentato di strangolare quel moccioso dopo pochi tiri. Non solo questo presunto ‘fenomeno’ non era fisicamente all’altezza di reggere un confronto con un giocatore nemmeno lontanamente simile a lui, ma era anche incapace di centrare il canestro. Per questo lo bollò senza mezzi termini.
“Non credere alle sciocchezze che ti dicono a scuola sull’impegno che premia tutti. Se non hai il talento e gli attributi giusti, resterai sempre una mezza sega.”
Fu nell’istante stesso in cui terminò la frase che si rese conto che Kuroko aveva un paio di occhi incredibili. Avevano la capacità di guardargli dentro e si sentì, improvvisamente, disarmato davanti a lui.
“So di non essere come te. Ciò non sminuisce ciò che sono. Io sono un’ombra.”
Kagami dovette attendere diversi giorni e sedute di allenamento per scoprire cosa significava quella frase e cosa rappresentava, per uno come lui, avere dalla propria parte uno come Kuroko.
C’erano volute partite di allenamento come quella contro Kise Ryouta e incontri ufficiali come quello con  Shintori Midorima due membri della famigerata generazione dei miracoli, per far capire a Kagami quanto fosse importante la presenza di Kuroko o la sua assenza, dipende da come la si voleva vedere.
Comunque, nonostante la loro amicizia crescesse, insieme al feeling con tutto il resto della squadra, Kagami sentiva che il suo legame con Kuroko continuava a rimanere ancorato ad una delle prime battute che aveva scambiato con il ragazzo.
“Tu sarai la mia luce. Più è forte la luce, maggiore si fa l’ombra che l’accompagna.”
Nel dirgli quelle cose, Kuroko era stato estremamente serio il che era da lui fino ad un certo punto. Kagami aveva imparato che il piccoletto era un tipo deciso ma quasi mai si imponeva né a parole né con i comportamenti.
Aveva imparato a convivere con quella presenza, con quella sua ‘assenza’. Fu proprio quando cominciò a dare per scontato il suo legame con Kuroko che qualcosa cambiò. Qualcosa si insinuò fra loro. Qualcosa di minaccioso, un’altra presenza o assenza, si fece largo nella loro vita di ogni giorno e Kagami provò la brutta sensazione di non capire più cosa passasse nella mente di Kuroko. Avrebbe scoperto presto che quella presenza, quella assenza, quella sensazione portavano tutte il nome di Daiki Aomine.

“Kurokocci, non posso credere alle mie orecchie! Non glielo hai detto?”
La voce di Kise normalmente si trovava nella gamma alta dei toni che può assumere la voce umana. A Midorima dava notevolmente fastidio. Quella mattina il loro incontro era stato veramente fortuito. Midorima aveva pensato che forse dipendeva dalla pessima posizione che il cancro aveva nell’oroscopo di Oha Asa se si era trovato di fronte alla stessa colonna di scarpe di Kise nella Foot locker di zona. Il ragazzo lo aveva subito salutato con quel suo nomignolo odioso.
Un istante dopo, la voce di Tetsuya Kuroko li aveva sorpresi alle spalle facendoli saltare come due canguri. Ovviamente il ragazzo era lì prima di loro e si rigirava tra le mani un paio di reebok.
Erano finiti a fare un giro per la via dei negozi come ai tempi delle medie. Kuroko sembrava triste e Kise lo aveva costretto a sputare il rospo. Era perciò venuto fuori che Kuroko non aveva mai parlato a Kagami di Aomine e la prossima partita del Seirin sarebbe stata proprio contro l’accademia Touou.
Midorima si aggiustò gli occhiali sul naso e parlò con voce ferma.
“Non vedo quale sia il problema. Kagami non ha bisogno di conoscere il passato della vita di Kuroko.”
“Kagamicchi diventerà pazzo se scoprirà che Kurokocchi lo ha scelto come luce perché somiglia ad Aominecchi!”
“Io non l’ho scelto per questo Kise-kun!” si affrettò a rispondere a l’ombra del Seirin.
“Vuoi forse negare che siano simili? Io trovo che Kagamicchi abbia molte cose in comune con Aominecchi!”
“Sono due teste calde.” Disse Midorima.
“Sono due creature istintive!” lo rimbeccò Kise.
“Sono due giocatori fisici.” Ripeté Midorima.
“Sono due amanti delle sfide!” ripeté Kise.
“Sono due somari!” continuò Midorima e Kise rise.
Anche a Kuroko scappò un sorriso ma durò solo un istante.
“Avrei dovuto parlargliene prima. Ha ragione Kise-kun. Ora Kagami-kun si arrabbierà.”
“Non è ancora troppo tardi Kurokocchi! Diglielo oggi stesso. “
“L’oroscopo dell’acquario è pessimo oggi.” Intervenne Midorima.
“Sei cattivo Midorimacchi! Non dovresti augurare la malasorte a Kurokocchi!”
“Non preoccuparti Kise-kun, io non credo a queste cose.” Disse Kuroko facendo un piccolo inchino per salutare “Vi auguro una buona serata.” Concluse allontanandosi il numero undici del Seirin.
“Tienitelo per te quel maledetto oroscopo la prossima volta!” urlò Kise in direzione di Midorima.
“Sappi che l’oroscopo di Oha Asa è accuratissimo. Fossi in te terrei in debito conto che per i gemelli è previsto un susseguirsi di complicazioni in questi giorni e terrei a portata di mano l’oggetto portafortuna di oggi.”
La faccia di Kise si arricciò in una smorfia di dolore pensando alla cattiva sorte che gli stava predicendo Midorima e lo allontanò con uno spintone bonario.
“Ma smettila Midorimacchi!”
“Fa come vuoi. Sappi che se vorrai allontanare la cattiva sorte dovrai procurarti un indumento di un amico. Una felpa per la precisione!”
Kise lo guardò e un sorriso sornione sostituì la smorfia.
“Perché non me la presti tu la felpa?”
“Perché io non indosso felpe!”
Kise lo squadrò da capo a piedi e pensò che in effetti Midorima non aveva proprio il suo gusto in fatto di abiti.
“Te ne regalerò una per il tuo prossimo compleanno, Midorimacchi e, con questo gesto di generosità, ti saluto perché mia madre mi aspetta per cena. Me ne vado sprezzante delle tue nefaste predizioni!”
Midorima lo guardò allontanarsi e prese la via di casa non senza essersi sistemato gli occhiali sul naso.
Quando Kuroko raggiunse la palestra del Seirin, capì che il posto dell’acquario nell’oroscopo di Oha Asa doveva essere l’ultimo.
Riko aveva organizzato una sessione di allenamento serale e tutti avrebbero dormito a casa di Hyuuga. Ad attenderlo in palestra si era presentata Momoi, la manager della generazione dei miracoli attualmente in forza alla Touou.
“Tetsu-kun!” aveva urlato sbattendogli i seni prosperosi sul viso generando invidia di tutta la squadra “Che bello rivederti Tetsu-kun!”
“Momoi-san, cosa fai qui?”
“Tetsu-kun, non sei contento di rivedermi?”
“Certo, Momoi-san. Solo non mi aspettavo di vederti qui. Non a pochi giorni dalla partita con il Touou.”
“In effetti sono qui proprio per questo! Non volevo rivederti direttamente sul campo! Ci incontreremo da avversari ma ci tenevo a darti il mio in bocca al lupo di persona!”
“Ehi, ma ci prendi in giro?” La voce che si intromise nella conversazione era quella di Kagami “Tu stai con la Touou e vieni a dirci che auguri buona fortuna a Kuroko?”
Momoi rimase a bocca aperta. Aveva raccolto un sacco di dati sulla nuova luce di Kuroko ma vederlo di persona era davvero impressionante. Sorrise.
“Perdonami. Io sono Satsuki Momoi e sono la fidanzata di Tetsu-kun! Tu devi essere Kagami Taiga!”
Taiga sollevò un sopracciglio. Da quando Kuroko aveva una fidanzata? E poi, come faceva a sapere chi era lui? Si innervosì e a Kuroko non sfuggì.
“Kagami-kun, Momoi-san non è la mia fidanzata. Era la nostra manager all’epoca della Teiko.”
“Tetsu-kun sei crudele!” piagnucolò Momoi “Fai sempre così. Ti dedichi completamente alla tua luce e ti dimentichi di me!”
L’ultima frase non sfuggì né a Kuroko, né a Kagami che si chiese subito che cosa significasse. Kuroko la calmò subito.
“Momoi-san, non volevo offenderti. Ho raccontato la verità. Ora dovremmo allenarci.”
Momoi sorrise seguendo uno dei suoi soliti cambiamenti di umore e abbracciò di nuovo Kuroko.
“Non fa niente, Kuro-chin. E poi Dai-chan mi sta aspettando!”
A quelle parole Kuroko si sentì tremare le gambe e la sua espressione non sfuggì neppure a Kagami.
“Perché non vieni fuori un momento così vi salutate?” continuò Momoi.
“Non è il caso.” Le rispose Kuroko.
“Come vuoi. A Mine-chan avrebbe fatto piacere.”
“Aspetta un attimo!” intervenne Riko “Non starai parlando di Daiki Aomine?”
Satsuki sorrise annuendo e tutti i ragazzi del Seirin balzarono all’indietro mentre Riko mimava un esorcismo. Kuroko sospirò.
“Fermi tutti!” intervenne di nuovo Kagami “Chi diavolo è Daiki Aomine?”
Kuroko avrebbe voluto parlare per primo. Per una volta nella vita avrebbe voluto avere la presenza per attirare l’attenzione su di se, tuttavia Momoi lo gelò.
“Dai-chan è la luce di Kuro-chin!”
Se Kagami avesse potuto lanciare quella ragazza con quegli assurdi capelli rosa dentro l’anello arancione come una palla da basket, quello sarebbe stato il momento per farlo. Gli aveva dato sui nervi dal primo istante in cui era entrata in palestra chiedendo di Kuroko ma quello era troppo.
“Momoi-san! Aomine-kun e io non giochiamo più insieme.”
La ragazza guardò in terra e, per la prima volta, mostrò un’espressione triste.
“Lo so, Tetsu-kun, scusa. E’ stato più forte di me. Ora io vado.” Disse correndo via.
Kuroko si sentì un verme e, d’istinto, le corse dietro non accorgendosi che Kagami fece lo stesso con lui. Il risultato fu il terribile fato pronosticato da Oha Asa.
Nel cortile fuori dalla palestra del Seirin, per la prima volta nella loro vita, Daiki Aomine e Taiga Kagami si ritrovarono l’uno di fronte all’altro.
Kuroko, in mezzo, si sentì come se una tigre feroce e affamata e una pantera in procinto di attaccare si stessero contendendo un lauto pasto.
Momoi cercò di rimediare.
“Dai-chan, non saluti Kuro-chin? Lui invece è Kagami-kun.”
“Non mi serve sapere chi è. Andiamo Satsuki.”
“Aomine-kun…” accennò Kuroko.
“Tetsu mi dispiace…” fece Momoi “Scusa.”
“Ehi, razza di imbecille! Kuroko ti ha salutato. Sei sordo o cosa?” urlò Kagami mettendo una delle sue grandi mani sulla spalla di Kuroko.
Aomine si voltò di scatto con uno dei suoi peggiori ghigni sul viso.
“Non c’è niente che valga la pena di ascoltare. Mi sembra che abbiamo finito qui.”
Kuroko ritrovò un po’ di orgoglio. Non voleva essere trattato in quel modo davanti a Kagami.
“Non c’è bisogno di essere così maleducati. Volevo solo salutare Momoi-San. Grazie per essere venuta.”
“Anche gli scriccioli hanno la voce adesso?” lo incalzò Aomine.
“Perché non la smetti tu?” di nuovo Kagami.
“Chi ti ha chiesto niente?” il ghigno di Aomine.
“Ancora parli?” il tono di sfida di Kagami.
“Certo che sei fastidioso per essere una nullità!” la reazione di Aomine.
“A chi stai dando della nullità? Si può sapere chi cazzo credi di essere?”
Kuroko lo tirò per la maglia e Aomine rise.
“Vuoi sapere chi sono? Io sono quello che ti ha lasciato il posto. E lasciatelo dire. Non sei all’altezza. Ma questo te lo potrà confermare Kuroko. Ci vediamo Tetsu. Non credevo che saresti caduto così in basso.”
Né Kuroko, né Kagami riuscirono a controbattere. Quando Aomine e Momoi furono usciti dal loro campo visivo, Kuroko si voltò a guardare Kagami e si gelò.
“Kagami-kun…”
“Devi confermarmi qualcosa, Kuroko?”
“Kagami-kun, non è come pensi tu.”
“Non sono così stupido da credere che tu non abbia giocato con altri prima che con me. Però quello parlava di qualcos’altro. Così io avrei preso il suo posto? E non ne sono all’altezza?”
“Kagami-kun, non è così…”
“Non è così, cosa? Era la punta di diamante della Teiko, giusto?”
“Sì..”
“Giocavi per lui…”
“Sì.”
“E’ per lui che hai creato il passaggio razzo.”
“Sì.”
Kagami strinse i pugni.
“Eri la sua ombra.”
“Sì.”
“E’ più forte di me?”
Kuroko lo guardò con occhi che supplicavano di non costringerlo a dare quella risposta.
“E’ più forte di me?” urlò questa volta Kagami.
“Sì.”
Kagami si voltò.
“Kagami-kun, questo non significa che la tua luce sia meno forte della sua. La luce di Aomine-kun è come un faro nella notte, la luce di Kagami-kun è come…”
Kagami sollevò una mano come per fermarlo e Kuroko tacque.
“Sono stanco di queste stronzate. Luce, ombra, miracoli. Io voglio solo giocare a basket, perciò fammi il piacere Kuroko: lasciami in pace.”
Si allontanò senza vedere che il volto di Kuroko si rigava di lacrime che l’ombra pensava di non dover versare mai più dopo tutta la sofferenza provata con Aomine.

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Capitolo 2
*** Azzurro e oro ***



Azzurro e oro



Kise arrivò a casa in orario ma, quando riconobbe la sagoma che lo aspettava fuori dalla porta, si rese conto che l’oroscopo di Midorima forse non era da sottovalutare.
“Akashicci, che ci fai qui?” Niente poteva essere definito ‘complicazione’ più di Akashi Seijuro.
Il ragazzo dai capelli scarlatti si voltò e lo fissò sorridendo con quel suo sguardo imperante.
“Salve, Kise. Hai un momento per me?”
“Dimmi pure. Vuoi entrare?”
“No, grazie. Ci vorrà solo un minuto.”
“Dimmi allora.”
“Sono venuto a dirti di sbrigarti.”
Kise piegò leggermente la testa di lato con un’espressione che Akashi trovò tenera. Non capiva.
“La prossima partita del Kaijo sarà con la Touou. Spero che, per allora sarai pronto, copycat.”
“Guarda Akashicci che la Touou deve ancora giocare con la Seirin!”
“Vinceranno.”
“Kurokocchi…”
“Il legame tra Kuroko e la sua nuova luce non è ancora troppo saldo. Aomine li dividerà inesorabilmente.”
Kise si rattristò. Perché tutti dovevano vedere solo distruzione e cattiveria in Aomine?
“Non essere triste per loro, copycat. Pensa a te stesso!”
“Tu pensi che io possa battere Aomine?”
“So che lo batterai. Solo se ti sbrigherai però. Dipende da quanto tu sia disposto a sacrificare.”
“Akashicci, io non capisco. Credevo che tu fossi convinto che Aomine fosse il migliore di noi.”
“Non ne sono più così convinto, copycat.”
“Smettila di chiamarmi così, Akashicci.”
“Copycat, invece ti sta bene. Credo che da oggi in poi ti chiamerò così. Fa in fretta a crescere gattino. Sei ancora troppo insicuro. Fossi in te, io mi staccherei da quell’animale pericoloso di Daiki e capirei, una volta per tutte, che non c’è posto nel suo mondo che per Kuroko. E’ buffo sai? Nonostante lui fosse l’ombra, sei sempre stato tu quello messo da parte da Aomine.” Disse avvicinandosi a Kise e carezzandogli la guancia. Gli occhi del numero sette del Kaijo erano sbarrati. Allora davvero Akashi sapeva leggere il cuore delle persone? Perché ora, dopo tutto quello che avevano passato, dopo che la squadra della Teiko si era sfaldata sotto i suoi occhi da imperatore, riapriva quella finestra nel suo cuore? Kise pensò che l’avesse fatto per un suo sollazzo personale. Eppure aveva centrato il punto. Lui adorava Aomine ma Aomine non aveva sempre solo concesso a Kuroko il suo tempo e le sue attenzioni? Quando la mano di Akashi lasciò la sua guancia, Kise sorrise di sfida.
“Ti chiederei se hai una felpa da prestarmi Akashicci ma siccome so che non credi nella fortuna, mi limiterò solo a chiederti che cosa devo fare.”
“Ma è semplice, copycat. Devi copiarlo. Replica Aomine e diventerai il più forte.” Concluse incamminandosi nella direzione opposta dalla quale era venuto lui.
“Copiare Aomine.” Si disse per niente convinto che sarebbe stato facile.

Il ritiro serale fu un fallimento. Kuroko non azzeccò un passaggio e Kagami fini più di una volta con la faccia contro il canestro.
Il giorno dopo nessuno sembrava avere dormito a sufficienza e Riko diede a tutti il pomeriggio libero. Kuroko era letteralmente sparito e Kagami ne approfittò per scoprire qualcosa di più su Aomine Daiki. Era davvero così forte? Si ricordò che ad averglielo nominato la prima volta era stato Midorima, così raggiunse il liceo Shutoku. Lì dovette aspettare la fine degli allenamenti e una buona dose di scambi ridicoli tra Midorima e Takao. Per un attimo, mentre li ascoltava prendersi bonariamente in giro, si ritrovò a pensare che dovevano sembrare così lui e Kuroko  prima che la partita con la Touou e il suo asso si avvicinassero al loro mondo.
Ottenne finalmente di parlare con Midorima e questi lo ascoltò senza dire una parola. Il ragazzo accarezzò una ranocchia verde di ceramica e si sistemò gli occhiali sul naso.
“Ma fai sul serio?” chiese Kagami riferendosi all’oggetto portafortuna.
“Oha Asa non sbaglia mai. Ti consiglio di non sottovalutare l’oroscopo!”
“Non sono qui per l’oroscopo. Sono qui per Daiki Aomine. Voglio sapere cosa c’è stato tra lui e Kuroko.”
Kagami non s’accorse di avere usato una frase che aveva poco a che fare con il basket e molto con la natura del rapporto che aveva cercato di instaurare con Kuroko. Midorima invece parve afferrare immediatamente il succo del discorso e si fece, se possibile, ancora più serio.
“Non è compito mio dirti cose che riguardano Kuroko e Aomine.”
“Avanti! Se non volevi dirmi niente perché mi hai fatto raccontare tutta la storia?”
“Sono cose personali!”
“Anche quelle che ti ho raccontato io!” rispose Kagami deciso a non voler mollare come era sempre nella sua natura.
“Ti dirò solo quello che credo non sia privato. La generazione dei miracoli è nata per la volontà di uno solo di noi. Gli equilibri all’interno della squadra erano ben diversi prima che questa persona scoprisse le nostre attitudini e le sviluppasse. Aomine era una persona molto diversa da ora. E stato il primo ‘miracolo’ a palesarsi. Il suo rapporto con Kuroko era molto simile a quello che lui ha con te ora. Erano poco compatibili fuori dal campo ma sul parquet erano come un solo giocatore. Luce ed ombra se vuoi usare le parole che piacciono a Momoi. Poi è arrivato Kise. Devi sapere che il talento di Kise è speciale. Noi tutti abbiamo cominciato a giocare a basket da ragazzini. Kise ha cominciato alle medie senza conoscere neppure i fondamentali. Kise ha preso subito una maglia da titolare scalzando Kuroko.”
Kagami lo interruppe.
“Kuroko ha sempre parlato molto bene di Kise e Kise adora Kuroko.”
“Sono affini. Amici ideali. Entrambi semplici e disponibili. Oserei dire che hanno entrambi un’enorme generosità di carattere. Io li trovo insopportabili.”
“Cosa c’entra tutto ciò con Aomine?”
“Kise è diventato l’alter ego di Aomine. Il suo sfidante naturale. Kise ha spinto in avanti Aomine. Kuroko è rimasto indietro. Kise non l’ha fatto di proposito.”
“Mi stai dicendo che il rapporto tra Kuroko e Aomine era speciale e che Kise l’ha rovinato?”
“Sei uno stupido Kagami. Hai ascoltato ma non capito.”
“A chi hai dato dello stupido?”
Midorima lo fissò dritto negli occhi da dietro gli occhiali e gli rispose severamente.
“A te. Ho solo detto che Kise ha spinto Aomine a far sbocciare più velocemente il suo talento. Il risultato è stato che Aomine è diventato nettamente più forte di tutti noi. Quella che era una squadra è diventato un gruppo ristretto. Ognuno aveva il suo compito. Kuroko è stato usato per far emergere ancora di più il talento di Aomine. Credo che questo lo abbia ferito. Credo che questo abbia ferito anche Aomine. Allontanandolo da tutti noi. Soprattutto da Kise che è rimasto sospeso, incompleto. Credo che Kuroko e Kise non provino rancore l’uno per l’altro perché sono consapevoli di avere entrambi perso.”
Kagami guardò Midorima perplesso.
“Ancora non hai capito. Aomine ha lasciato la squadra. Un giorno c’era e il giorno dopo non c’era più. Il giorno prima era la luce di Kuroko, il giorno dopo gli ha detto che era inutile, di lasciarlo in pace. Il giorno prima insegnava a Kise una delle sue giocate, il giorno dopo gli ha detto che non aveva tempo da perdere. Kuroko si è iscritto alla Seirin perché voleva una squadra con cui giocare, non un gruppo di ragazzi da servire. Sono stato molto sorpreso di vedere che c’era un tipo come te nella Seirin.”
Kagami si guardò i pugni stretti.
“Allora è vero che mi ha scelto per la mia somiglianza con Aomine.” Disse a voce bassa.
“Sei davvero idiota. Non credo che Kuroko veda una grande somiglianza tra te ed Aomine. Glielo hai chiesto?”
La verità raggiunse Kagami come un pugno nello stomaco.
“No. Gli ho detto di lasciarmi in pace.”
Midorima si sistemò di nuovo gli occhiali sul naso.
“Forse non dovresti prendertela poi tanto di essere accomunato ad Aomine se ti comporti come lui.”
Colpito e affondato, Kagami non rispose.  Midorima si alzò e fece per andarsene.
“Midorima, aspetta. E’ davvero così forte?”
“Lo è. Ma non dovresti concentrarti su Aomine. Da solo non lo puoi battere.”
L’asso dello Shutoku aveva detto l’ultima frase con il solo scopo di aiutare quello del Seirin. Probabilmente lo aveva fatto stare solo peggio. Voleva dirgli di concentrarsi su Kuroko e non su Aomine. Anche se quel ragazzino invisibile non gli piaceva, sapeva che aveva accusato molto l’abbandono da parte del compagno di squadra. In cuor suo però sapeva che Kagami non aveva completamente sbagliato. Kise era stato realmente responsabile dell'allontanamento di Aomine da Kuroko, però lui l’aveva visto accadere e sapeva che la colpa non era stata di Kise. Aveva scelto Aomine. Midorima tornò verso la palestra e Takao gli corse incontro sorridendo. Kuroko non si meritava di essere abbandonato per la seconda volta si disse decidendo, per quella volta, di non far pedalare Takao per tutto il tragitto.

Kuroko se ne era stato tutto il pomeriggio da solo disteso sul prato del lungofiume.
Desiderava solo trovare un modo di mettere a posto le cose con Kagami. Sapeva di aver sbagliato a non parlare a Taiga di Daiki. Nei suoi pensieri si concedeva di chiamarli per nome. Forse, inconsapevolmente, aveva tenuto di proposito lontano Kagami da Aomine per evitare che, entrando in contatto, i due mondi si sovrapponessero e la storia si ripetesse dal principio. Aomine era stata la sua luce. In molti sensi. Gli aveva dato modo di scoprire che la passione per qualcosa poteva superare qualsiasi ostacolo. Gli aveva fatto capire quanto la determinazione possa spingere una persona verso un obiettivo per quanto lontano esso sia. Se non fosse stato per Aomine, non avrebbe avuto una sola possibilità di affinare il suo talento e farsi strada nella squadra di basket della Teiko. La generazione dei miracoli non era ancora nata. Esisteva solo in forma embrionale. A quel tempo lui e Aomine erano una ‘coppia’ in molti sensi. La loro amicizia era fondata su un legame molto strano. Non andavano propriamente d’accordo su niente tuttavia si cercavano continuamente. Indubbiamente l’intervento di Akashi li aveva avvicinati inesorabilmente ma se per Aomine era stato il basket il punto di contatto con Kuroko, per Kuroko era stata la forza di Aomine ad attrarlo.
Tetsuya, che da sempre era una persona schiva e accomodante per quanto niente affatto priva di personalità, trovava che l’irruenza e la capacità di imporsi di Daiki fossero splendide qualità. Al suo fianco passare inosservato era quasi normale. A volte i ragazzi non notavano neppure Momoi tanto i loro sguardi venivano catalizzati da quelle spalle larghe e da quel ghigno irriverente. Più di tutto però era il suo portamento ad intimidire. Avanzava nel cortile della scuola o nei corridoi come se non gli importasse niente di essere lì. In realtà era come se camminasse in un mondo a parte separato da quello di tutti gli altri. Ogni suo gesto indicava sicurezza ma Kuroko sapeva che non era così. Nulla negli atteggiamenti di Aomine voleva ostentare sicurezza. Semplicemente Aomine era se stesso. Sicuro oltremodo in campo, schivo e riservato fuori. Kuroko ne apprezzava entrambi gli aspetti. In più sembrava che Aomine con lui si comportasse  esattamente al contrario di come faceva con gli altri. In campo, dove stava sempre un passo avanti agli altri,  rimaneva accanto a lui, pronto a sostenerlo se falliva in presenza degli altri ‘miracoli’; fuori dal campo dove sembrava incapace di frequentare chiunque, lasciava che Kuroko gli rimanesse affianco. Alla sua ombra, Kuroko aveva imparato a sentirsi libero di esprimere i suoi sentimenti e a godere del tepore di quella luce. Aomine sapeva essere gentile e con lui lo era spesso. Era stato questo suo lato che conosceva solo lui ad imprimersi nel suo cuore.
Kuroko strinse un ciuffo d’erba e fissò il cielo che si stava colorando di giallo per il tramonto.
Quello era il colore di Kise.
A Kuroko Kise piaceva molto. Ora poteva dirlo con estrema sicurezza. Lo adorava, come la maggior parte di tutti coloro che lo conoscevano. All’epoca però lui non era piaciuto a Ryouta. A Ryouta era piaciuto subito Daiki e, per quanto questi non lo avesse voluto ammettere, Ryouta aveva colpito subito Daiki. E non solo lui.
Akashi aveva fissato tutti e due gli occhi su di lui e aveva visto il suo futuro. In qualche modo aveva spinto Kise verso Aomine per fare in modo che la Teiko diventasse imbattibile. Così era stato. Eppure Aomine non aveva reagito come Akashi si aspettava. Si era isolato o forse era andato troppo in là rispetto agli altri. Ad ogni modo, Kuroko sapeva che Aomine aveva sofferto il distacco esattamente come lui. Anzi il doppio perché si era allontanato volontariamente sia da lui che da Kise. In cuor suo, Kuroko sapeva che Aomine aveva trovato in Kise molto più di un degno avversario. Vi aveva trovato un compagno. Kise lo passava a prendere al mattino e si preoccupava della sua colazione, lo costringeva ad allenamenti sfiancanti e a one to one senza fine, si preoccupava che avesse i compiti del giorno successivo. Stava semplicemente al suo fianco, cosa che Kuroko faceva senza farsi notare e che Kise faceva facendo in modo assordante. Aomine aveva sempre dimostrato di preferire il suo modo di fare sgridando continuamente Ryouta, invece Kuroko sapeva che quello era semplicemente il modo di Aomine di comunicare con lui.
All’allontanamento di Aomine ogni membro della generazione dei miracoli aveva reagito a proprio modo.
Lui era letteralmente sparito. Kise aveva invece lasciato che il tempo scorresse. Si era diplomato e aveva preso la sua strada. Il suo viso era finito, nel giro di un paio di mesi, su tutti cartelloni e sui muri delle fermate della metropolitana. Kuroko si chiese se anche quello non fosse un modo di Kise di far notare la sua presenza.
Ad ogni modo, riflettere su queste cose non serviva a risolvere i suoi problemi. Come poteva ricucire lo strappo nel suo rapporto con Kagami?
Quello sciocco non lo aveva neanche lasciato parlare costringendolo a dire solo ‘sì’ e ‘no’. Certo anche lui ci aveva messo del suo. Paragonare Aomine ad un faro nella notte! Stupido. Avrebbe fatto meglio a mentire anche se non era nella sua natura. Comunque quella loro separazione sarebbe durata ancora per poco dato che la partita con la Touou si avvicinava. Lentamente si alzò e prese la via di casa. Domani, forse, le cose si sarebbero sistemate. Oppure no. Lui doveva semplicemente fare la sua parte. Questo pensò mentre il sole si eclissava allungando la sua ombra a dismisura. 

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Capitolo 3
*** Incomprensioni ***


 

Incomprensioni
 


Quando la sirena segnò la fine della partita tra Touou e Seirin molte cose finirono in pezzi.
Così come aveva predetto Akashi.
La partita era finita con la vittoria di Aomine. Sul campo. Il ragazzo non sembrava goderne fuori. Aveva osservato tutto il tempo Kuroko e Kagami lottare e non comprendeva il motivo di quella determinazione. Vincere significava vincere. Fine. Tutto l’impegno che Kuroko aveva messo nel voler tentare di fargli capire che il basket era un modo di legare le persone era semplicemente ridicolo. In fondo il basket lo aveva allontanato da tutti e non lo legava più ad un bel niente.
Inoltre era infastidito dal modo in cui era stato affiancato più volte a Kagami. Lo aveva fatto Kuroko e dopo anche Momoi. Se il suo rapporto con Kuroko era stato, in qualche modo speciale e meritava perciò di essere salvato, perché si ostinavano tutti a volerlo paragonare a quello che adesso Tetsuya aveva con quel rosso?
Alla fine non valeva la pena di salvare niente.
Fu nell’istante preciso in cui pensò questa cosa che una figura vestita di grigio si materializzò davanti ai suoi occhi.
“Vai già via, ne Aominecchi?”
Da quanto tempo non vedeva Kise? Sembrava un’eternità e, allo stesso tempo, un giorno solo. Kise era diventato più alto anche se non quanto lui. Le sue spalle si erano fatte più larghe. Portava lo stesso taglio di capelli delle medie e l’orecchino sul lobo sinistro.
Non era poi molto cambiato. Sempre quel suo modo allegro di aggiungere il suffisso ai nomi delle persone che ammirava. Ad ogni modo, dritto in fondo al corridoio con entrambe le mani in tasca, non sembrava lo stesso Kise di sempre.
“Che dovrei rimanere a fare?”
“Non sei stato affatto gentile con Kurokocchi!”
“Era una partita, non una rimpatriata.”
“Quindi ora tocca a noi due.”
“Se passerai il turno.”
“Non sarà un problema.”
“Vedremo.”
“Sarai antipatico con me come lo sei stato con Kurokocchi?”
“Se significa batterti, lo sai che lo sarò. Considerami pure antipatico.”
“Mi domando se ti rendi conto della cattiveria delle cose che dici, Aominecchi.”
“Smettila di chiamarmi così.” Aomine lo superò senza guardarlo negli occhi e raggiunse l’uscita. Le parole di Kise lo raggiunsero alle spalle.
“Questa volta ti batterò!”
Aomine sorrise pensando che Kise non era poi davvero cambiato. Le parole che gli aveva rivolto erano quelle di sempre. Gli avrebbe dimostrato sul campo che era destinato comunque a perdere. Non si voltò per ribattere. Non vide Kise, le sue mani fuori dalle tasche, i suoi pugni stretti.
Durante la strada però, sotto una pioggia battente, non poté trattenersi dal pensare all’ex compagno di scuola. Quando i suoi occhi avevano assunto quel colore così intenso? Quando la linea del collo e delle scapole si era fatta così matura? Quando aveva preso ad atteggiarsi a quel modo, mani in tasca e sorriso sghembo sul viso? Quando il tono della sua voce si era fatto così tagliente?
Ripensò all’ultima volta in cui gli aveva parlato alla Teiko. Gli aveva urlato in faccia di lasciarlo in pace e il ricordo del volto dell’altro, lacrime agli occhi, lo aveva tormentato per mesi. Forse la separazione da Kise era stata più dura per lui della separazione da Kuroko.
La presenza di Tetsu era fatta di piccoli gesti e silenzi. Nell’allontanarlo aveva perso la sua ombra. Con l’ombra aveva perso la sua interezza. Si era sentito spezzato.
La presenza di Ryouta era invece cadenzata da sorrisi chiassosi e urla, di gesti d’affetto eclatanti e simpatici siparietti che riempivano tutta la sua giornata. Allontanato Kise, aveva perso la spensieratezza di quel periodo. Si era sentito svuotato.
Portò lo sguardo alla sacca che portava a tracolla. Sul fondo di quella borsa, sotto calzini sporchi, tuta e divisa numero cinque, sotto qualche rivista e bottiglietta d’acqua, stava un oggetto che aveva abbandonato lì da molto tempo. Aveva svuotato quella borsa mille volte eppure l’aveva lasciato sempre lì dentro. Un portafortuna come quelli di Midorima? Sorrise scuotendo il capo. Era un segno di debolezza. Il segno della sua debolezza. E adesso Kise era riapparso dal nulla a ricordargliela. Quando raggiunse casa era ormai completamente fradicio. Il cellulare lo avvertì della chiamata in arrivo illuminandosi.
“Dai-chan dove sei finito?” La voce di Momoi trillò dall’altro lato.
“Oi Satsuki, sono a casa.”
“Sei andato via da solo?”
“Che domande fai?”
“Credevo avresti aspettato Tetsu-kun!”
“Tsk!”
“Dai-chan!”
Fu più per far smettere di strillare Momoi che per vera intenzione che Aomine parlò.
“Ho visto Kise.”
Il silenzio interlocutorio della ragazza gli diede ragione anche se gli sembrò strano che non gli chiedesse nulla.
“Oi Satsuki, ci sei?”
“Anche io ho visto Kise.”
Stavolta fu Aomine a non trattenere la curiosità.
“Era con Kuroko?”
“Perché me lo chiedi?”
“Mi ha rimproverato di aver esagerato con lui. Forse è passato a consolarlo?”
“In verità l’ho visto insieme a Kagami-kun.”
Alle parole di Momoi, Aomine sentì il suo cervello dichiarare black-out. Che cazzo ci faceva Kise con quell’arrogante mezza sega?
“Daiki, ci sei?”
“Sono stanco Satsuki, ho sonno. Ti lascio.” Disse chiudendo la chiamata e lanciando il cellulare nella cesta dei panni sporchi.

Lo spogliatoio del Seirin si era svuotato. Kuroko restava seduto su una panca con un asciugamano sulla testa.
Kagami, alle sue spalle, rimaneva immobile. Avrebbe voluto allungare una mano sulla testa del compagno e togliergli quell’asciugamano che, sapeva, serviva solo a nascondere le lacrime. Avrebbe voluto tirare Kuroko a se e stringerlo. Dirgli che non era la fine, che ci sarebbe stata un’altra occasione per vincere.
Questo pensiero però gli ricordò che Kuroko gli aveva tenuto nascosto il suo legame con Aomine. Che tutto quello che aveva fatto con lui non era servito per renderlo il miglior giocatore del Giappone, bensì per dare ad Aomine modo di capire cosa si era perduto voltandogli le spalle.
Strinse entrambe le mani sulla tracolla e aprì la porta. A quel rumore Kuroko si scosse e l’asciugamano gli cadde un po’ più indietro lasciando intravedere gli occhi rossi dal pianto.
“Io vado.” La voce di Kagami era fredda. Kuroko non rispose e Kagami si sentì autorizzato ad infierire.
“Forse questo è tutto quello che potevamo fare insieme. Forse abbiamo toccato il nostro limite.”
“Kagami-kun…”
Tetsuya credette di aver detto il suo nome a voce alta ma il silenzio dell’altro glielo fece dubitare.
“Mi dispiace di non essere alla sua altezza.” Disse improvvisamente in tono rassegnato “Aveva ragione la tua amica a dire che è lui la tua luce. Sareste perfetti insieme.”
Kuroko sgranò gli occhi che si riempirono di lacrime. Queste rimasero in bilico sulle sue ciglia sottili fino a che il rumore della porta che si richiudeva le spinse giù lungo le guance arrossate. Tetsuya strinse i pugni e sorrise della sua ingenuità. Come aveva potuto pensare che le cose, in un modo o nell’altro, si sarebbero sistemate? Si ritrovò a soffrire più di quando era stato Aomine ad abbandonarlo e comprese, in quell’esatto momento, che fingere con tutti e con se stesso che Kagami fosse stato un sostituto di Aomine, si era rivelato un errore. Si era innamorato. Questa volta davvero. E aveva perso tutto. Di nuovo alla fine di una partita di basket. Come poteva immaginare in quel momento che anche il viso di Kagami era rigato di calde lacrime? Lacrime per una sconfitta umiliante sul campo e fuori. Per l’americano essere stato battuto in partita era già di per sé motivo di rabbia feroce. Essere stato addirittura scalzato dal cuore di Kuroko per la stessa persona che in partita lo aveva surclassato era impossibile da sopportare.
Provò ad asciugarsi il viso con la manica della tuta e tirò su col naso. Mai e poi mai si sarebbe fatto vedere da Kuroko in quello stato. In realtà non avrebbe voluto farsi vedere da nessuno in quelle condizioni e invece si accorse di lui troppo tardi per rimediare.
Kise se ne stava in piedi dall’altro lato del corridoio con un fazzoletto in una mano tesa verso di lui.
“Non devi fare così Kagamicchi. Non davanti a Kurokocchi.”
“Che ne sai tu? Lasciami perdere.”
“Ne so più di quanto vorrei. Vieni con me.” Kagami accettò il fazzoletto e lo seguì fuori.
La pioggia bagnò subito la giacca grigia di Kise che si fece mano a mano più scura.
“Ero passato per dire qualcosa di carino a Kurokocchi. Non ho ascoltato la vostra conversazione di proposito. Però mi ha fatto capire che avevi più bisogno di lui di una parola gentile.”
“Io non ho bisogno di nulla.”
“E’ fastidioso vero?” chiese Kise alzando lo sguardo al cielo tempestoso. La pioggia gli bagnò gli zigomi e scese lungo il collo insinuandosi sotto il colletto della camicia.
“Cosa?”
“La sensazione che Aominecchi e Kurokocchi siano perfetti insieme.”
Kagami abbassò lo sguardo.
“Io non credo che siano perfetti insieme, se devo essere sincero. Forse però parlo per invidia.” Disse Kise.
Kagami rialzò lo sguardo su di lui. Sentì per la prima volta da che conosceva quello strano tipo una nota triste nella sua voce. Un’amarezza che glielo faceva sentire affine.
“Tu invidioso di quell’Aomine? Mi sembri una persona decisamente migliore di lui!”
Kise lo guardò perplesso e poi scoppiò a ridere.
“Guarda che non avanzo alcuna pretesa su Kurokocchi! Anzi, personalmente, dopo avervi visto insieme, credo che insieme a te, Kurokocchi sarebbe davvero felice.”
Kagami non era il tipo che afferrava al volo le cose e ci mise il tempo necessario al tuono per raggiungere il fulmine per ricordare le parole di Midorima e comprendere ciò che Kise aveva detto.
“Tu invidi Kuroko? Tu e quell’Aomine?” Kise rise di gusto.
“Guarda che è un segreto! Se non ti avessi piangere come un bambino, non sarei mica stato qui a dirti i fatti miei!”
“Allora siamo due imbecilli a correre dietro a quei due.”
“Non credo che Kurokocchi sia innamorato di Aominecchi. Non più almeno. Dovresti avere più fiducia in te stesso. Credo che Kurokocchi desideri solo chiudere un capitolo della sua vita rimasto in sospeso.”
“Onestamente non ne ho idea. Kuroko non parla molto. Men che meno di Aomine. A me non aveva detto neppure della sua esistenza.”
“Non è facile parlare di Aominecchi.”
“E perché mai?”
“Perché Aominecchi è Aominecchi. Lui non è mai troppo gentile, simpatico, intelligente, sensibile, disponibile. Tuttavia è sempre stato il tipo che ti guarda le spalle, che col sarcasmo sottolinea le cose, che con lo sguardo dice più di mille parole, che ti fa uno sgambetto per farti cadere evitando che però ti colpisca qualcosa in testa, che ti costringe ad uscire quando tu vorresti chiuderti in casa a piangere.”
“Non è la persona che ho visto in campo oggi.”
“La solitudine lo ha cambiato.”
“Facile giustificazione.”
“Non credo ci sia stato niente di facile nel vedere gli altri allontanarsi da te. In fondo Kurokocchi ha trovato te. Chi può dire che ne sarebbe stato di lui diversamente?”
“Io avrei salvato Kuroko?” Kise annuì.
“Non lo so. Tu non lo gli sei stato vicino?” Il sorriso di Kise si fece amaro.
“Io ero solo una copia.”
“Di chi?” chiese Kagami.
“Devo davvero dirtelo?” Kagami si lasciò sfuggire uno sbuffo e si strinse nelle spalle.
“Allora siamo due sostituti!” Kise rise e gli passò un braccio intorno al collo.
“Male che vada ci consoleremo a vicenda!”
Kagami si sentì davvero più sollevato. Forse non era pronto ad accettare il comportamento di Kuroko, ora però sapeva che poteva parlarne con qualcuno.
“Kise.”
“Dimmi.”
“Mi faresti un piacere?”
“Fagli il culo anche per conto mio e di Kuroko quando ci giocherai!”
“A condizione che tu sia buono con Kurokocchi. Non merita di soffrire daccapo.”
“Ma tu per chi fai il tifo?”
“Per tutti! Sono miei amici!”
“Tu sei malato!”
“Lo so, Kagamicchi! Andiamo ora, siamo fradici!”
Kagami gli corse dietro sotto la pioggia battente. Avrebbe voluto tornare nello spogliatoio del Seirin e dire a Kuroko che non era solo però era troppo presto. Far passare la notte era la cosa giusta. E lui non voleva più sbagliare. Per il bene di Kuroko e del suo cuore.

La notte non siamo le stesse persone del resto del giorno. Di notte le persone osano essere ciò che sono davvero. Al riparo dalla luce del sole, diventano fragili o sfacciate, prede o cacciatori, angeli custodi o demoni tentatori.
La notte Kuroko era un gran chiacchierone. Ovviamente perché nessuno lo ascoltava. Rideva o piangeva di se stesso lasciando libero sfogo alle sue emozioni. Kise invece di notte tornava ad essere il bambino che non era mai stato e si raggomitolava sotto le coperte per il timore di mostri invisibili. Kagami restava immobile nel suo letto fissando il soffitto, incapace di dare libero sfogo alle sue energie come faceva durante il giorno. Aomine si agitava tra le lenzuola.
Quella notte in particolare nessuno di loro dormì.
Kuroko ripensò alle parole di Kagami. Ogni volta che provava ad immaginare quel ragazzo che diventava un asso del basket e che lo lasciava indietro, sentiva la morsa di una bestia invisibile allacciargli il cuore.
Non fece altro che immaginare un finale diverso al momento in cui Kagami lasciava lo spogliatoio. Riuscì a cambiarlo ben sette volte. Nella prima lui si voltava con gli occhi pieni di lacrime e gli diceva che non era perfetto insieme ad Aomine ma solo insieme a lui. L’imbarazzo di proseguire il finale da un momento simile lo costrinse a riavvolgere il nastro. Kagami apriva allora la porta e lui gli correva dietro e lo stringeva per trattenerlo e posargli la testa sulla schiena. Anche questa immagine fu considerata impensabile e scartata. Immaginò perciò di piazzarsi davanti alla porta ed impedire a Kagami  di uscire. Si figurava di guardarlo negli occhi e dirgli che si sbagliava riguardo a lui ed Aomine. Arrossì nel letto e capì che non ci sarebbe mai riuscito. Immaginò ancora di rimanere seduto e di chiamarlo per nome chiedendogli di non farlo soffrire dicendo cose assurde. Rise di se stesso. Nelle ultime tre versioni della storia Kagami veniva bloccato sulla porta da Nigou, da Riko che lo obbligava a scusarsi con lui e infine, quando decise che era ora di alzarsi, immaginò che una enorme meteora si schiantasse sul palazzetto facendo scomparire entrambi e quell’orribile situazione.
Anche Kagami, immobile nel suo letto, immaginò più e più volte un modo di scusarsi con Tetsuya. Sapeva che parlare con lui sarebbe stato complicatissimo. Immaginò una possibile conversazione.
‘Kuroko devo parlarti.’
‘Kagami-kun.’
‘Volevo parlarti di ieri.’
‘Non devi dire niente Kagami-kun.’
‘Forse ho esagerato.’
Forse? Era stato un totale idiota! A questo punto che avrebbe potuto dire Kuroko?
‘Non fa niente Kagami-kun. In fondo avevi ragione tu. Dovevo capirlo prima che Aomine è migliore di te!’
No! No e poi no! Non avrebbe mai detto una cosa simile.
‘Non fa niente Kagami-kun. Ho sbagliato a comportarmi così. Tu sei più importante di Aomine!’
Anche se gli sarebbe piaciuto, neanche questo sarebbe stato da Kuroko.
Taiga scosse la testa e guardò la sveglia che segnava le tre e cinquantadue.
Non avrebbe chiuso occhio quella notte. Domani avrebbe provato a parlargli. Forse non era ancora abbastanza forte in campo per battere quell’Aomine ma, nella vita, non avrebbe perso Kuroko.
Si alzò e raggiunse il frigo per bere un bicchiere di latte. Avrebbe riso nel sapere che anche Aomine era in giro per la sua casa a piedi nudi, incapace di riposare? Avrebbe riso nel sapere che quell’Aomine stava pensando a lui?
Pensava alle parole di Satsuki e al fatto che la ragazza lo aveva visto con Kise.
Aomine aveva battagliato con le lenzuola tutta la notte e aveva perso. Quelle maledette avevano continuato ad attorcigliarsi al suo corpo sudato tutto il tempo. E per tutto il tempo lui non aveva pensato che a Kise. Perché poi? Perché doveva continuare a sentire tanta ansia per il fatto che alle finali dell’Inter-High lo avrebbe rivisto? Perché? Possibile che dopo, aver preso il suo posto nel cuore di Kuroko, quel maledetto Kagami gli avesse rubato anche l’amicizia di Kise?
Prese il cartone del latte dal frigo e bevve avidamente. Si asciugò le labbra con il dorso della mano. Cercò il cellulare in lungo e in largo per la casa e si ricordò solo dopo un quarto d’ora che l’aveva lanciato nel cesto della biancheria sporca. Lo recuperò e controllò se ci fossero messaggi. Niente. Sorrise amaramente. Una volta chiuso il telefono in faccia a Satsuki, chi avrebbe dovuto cercarlo?
Tornò a letto e si distese senza coprirsi. Al diavolo pure le lenzuola. Al diavolo tutto e tutti. Soprattutto Kise.
Avrebbe giocato e vinto. Di nuovo. Per affermare la sua superiorità e la sua indipendenza.
"L’unico che può battermi, sono io." Sussurrò cercando forza in se stesso. Al buio, però, la magia non gli riuscì.

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Capitolo 4
*** Una frase di troppo ***



Una frase di troppo


Forza di volontà. Taiga credeva di possederne in quantità illimitata ma si rese presto conto che per tenere a distanza Kuroko ne serviva ancora di più. Il ragazzo dalla scarsa presenza era sparito per un po’. In effetti partecipava agli allenamenti ma sembrava aver affinato la capacità di dileguarsi ogni qualvolta i palloni da basket venivano riposti. Lui era combattuto tra il desiderio di far tornare le cose come prima e l’imbarazzo di mettere le cose in chiaro. Che significava poi mettere le cose in chiaro? Parlare con Kise lo aveva aiutato ma affrontare Kuroko, spiegargli che teneva al legame con lui più che vincere contro qualsiasi rivale non era cosa affatto facile. Nel frattempo i giorni passavano e arrivò quello della partenza per il campo estivo. Riko, predisponendo per lui un allenamento speciale separato dagli altri, involontariamente lo aiutò a concentrarsi solo sul basket e per un po’ accantonò la ‘questione Kuroko’.
Inoltre nel campo estivo la Seirin si era ritrovata a dividere la pensione con lo Shutoku e, come se non bastasse il chiodo fisso di Aomine a sollecitare i suoi nervi, Kagami si era ritrovato di nuovo faccia a faccia con quello spocchioso di Midorima.
“A quanto pare, non sei migliorato affatto!” gli disse una sera mentre si allenava nel campetto vicino alla pensione.
“Questo lo credi tu! La prossima volta che incontrerò quel maledetto Aomine, non perderò!” gli rispose lui agitandogli un pugno sotto il naso.
“Non mi riferivo solo al tuo modo di giocare Bakagami!”
“Ah davvero? E a cosa allora?” fece eco Kagami cui bastava poco per fargli saltare i nervi.
“Nella vita ti comporti come sul campo! Uno schiacciasassi. Attento però, finirai con lo schiacciare anche quelli che sono intorno a te.” Disse Midorima sistemandosi gli occhiali sul naso “Fino a che ti limiterai a schiacciare, sarai sempre fermato. Tutti si aspettano solo questo da te. Non credi sia giunto il momento di impegnarsi sul serio? Kuroko non aspetterà per sempre!”
Midorima lo lasciò da solo a riflettere e lui sentì l’urgenza, impossibile ormai da contenere, di vedere Kuroko e chiarirsi con lui.  Tornò alla pensione ma Kuroko non c’era. Dove poteva essere finito quel benedetto fantasma?
Poiché non riusciva a liberare il cervello, decise che la maniera migliore per dare sfogo alla sua rabbia fosse fare ancora un po’ di attività fisica così raggiunse la spiaggia e si mise a correre.
La sua ombra si materializzò al suo fianco senza che se ne accorgesse.
“Kagami-kun posso correre con te?” Kagami non rispose ma accorciò il passo perché il ragazzo potesse rimanergli affianco. Kuroko sorrise. “Mi spiace, Kagami-kun. Io avrei dovuto parlarti prima.”
Kagami lo interruppe.
“Non sei tu a doverti scusare. Io non volevo ferirti quando ho detto che quello che abbiamo fatto contro la Touou fosse il nostro limite. Mi sentivo pieno di energia da sfogare. Se fosse stato possibile rigiocare subito la partita, lo avrei fatto. Forse, però, le cose sarebbero andate nello stesso modo perché non avevo ancora capito.”
“Capito cosa, Kagami-kun?” Kagami si fermò e afferrò Kuroko per le spalle.
“Che per vincere devi continuare a correre affianco a me. Da solo, non posso vincere ma soprattutto non voglio vincere. A che serve se tu piangi? Non voglio più vederti piangere, Tetsuya!”
Il cuore di Kuroko decise di giocargli un brutto scherzo e il ragazzo lo sentì salirgli in gola. Kagami, vedendolo sgranare gli occhi, lo mollò immediatamente e si fece tinta unita con i suoi capelli. Kuroko s’intenerì nel vederlo incapace di uscire da quella situazione e lo tolse d’impiccio.
“Grazie, Kagami-kun. Io resterò al tuo fianco. Sempre. Non permetterò a niente e a nessuno di separarci. E non mi fermerò. Darò il mio massimo e diventerò più forte. Non avere paura di diventare il miglior giocatore del Giappone. Quando ti volterai indietro, io sarò sempre lì a sostenerti, Taiga.” Kagami, che stava ancora cercando di dissimulare sicurezza, sussultò e si fece serio.
“Non mi volterò indietro”, disse di getto e Kuroko abbassò lo sguardo “perché io non ti lascerò indietro Tetsuya, tu sei il mio compagno!” Kuroko sollevò il capo e arrossì.
“Il tuo compagno, Kagami-kun?”
“Sì, cioè non in quel senso, cioè non che io non ci abbia pensato, cioè io non ci ho mai pensato, insomma siamo compagni, o no? Dannazione, Kuroko, perché devi sempre fraintendere?” fece Kagami in un crescendo di tono e rossore.
“Io non ho detto niente!”
“Appunto! Qualche volta potresti dire la tua, no?”
“Io sarei onorato di essere il tuo compagno”, fece Kuroko guardando Taiga dritto negli occhi.
“Onorato? Onorato? Che cazzo vuol dire onorato? Felice, disgustato, indifferente, innamorato ma non onorato!” urlò gesticolando Kagami.
“Innamorato.”
“Cosa?” chiese Kagami bloccando ogni azione in esecuzione, persino respirare.
“Tra le cose che hai detto è quella che si avvicina di più a come mi fa sentire essere il tuo compagno.”
“Tu sei innamorato?” Kuroko annui.
“Di te.”
“E lo dici così?” gridò isterico Kagami.
“E come dovrei dirlo, Kagami-kun? Tu come lo diresti?” Il cervello di Kagami dichiarò la resa totale. Si lasciò cadere sulla sabbia e scoppiò a ridere passandosi le mani nei capelli.
“Io non lo so,” sollevò il capo a guardare il ragazzo dai capelli chiari con uno sguardo talmente tenero che Kuroko non aveva mai visto “forse direi semplicemente che sei il mio compagno.”
Kuroko gli posò una mano sulla testa in un gesto che non avrebbe mai potuto fare se Taiga fosse stato in piedi.
“Per me va bene”, disse Kuroko guardando il mare. Kagami gli prese la mano e la strinse incapace di osare di più.
“Anche per me. Rimani al mio fianco, Tetsuya, non indietro. Accanto a me.” Kuroko gli porse il pugno come faceva in campo e Kagami lo toccò con il proprio mentre il cielo si riempiva di stelle.

La mattina successiva lo Shutoku aveva già lasciato la pensione quando Riko aveva messo in fila i ragazzi per fare l’ultima cosa prevista dal programma del campo estivo.
“Non torniamo a casa?” chiese Junpei.
“No! Prima ci rimane una cosa da fare. Qua vicino si gioca la semifinale dell’Interhigh tra Kaijo e Touou. Vi va di andare a vedere l’incontro?” chiese Aida. Non ci fu bisogno di mettere la cosa ai voti. 
Raggiunto il palazzetto, i ragazzi del Seirin presero posto. Kuroko era più silenzioso del solito e Kagami gli diede un colpetto al fianco col gomito.
“Cos’hai?”
“Hai visto la faccia di Kise-kun?” fece Kuroko senza muoversi. Kagami guardò verso la panchina del Kaijo e vide che Kise sembrava stranamente teso. Non aveva il solito sorriso che gli si dipingeva sul viso quando stava per scendere in campo. Forse era concentrato sulla partita? Poi lo vide. Un solo unico sguardo di Ryouta alla panchina della Touou. E anche se Kagami era davvero un tardone con le questioni sentimentali, capì. Per lui era stato relativamente facile mettere a posto le cose con Kuroko. In fondo stavano dalla stessa parte. Per Kise la situazione era completamente differente. Cosa avrebbe fatto lui se si fosse ritrovato Kuroko dall’altra parte della linea di centrocampo?
“Tutto bene, Kagami-kun?”
“Sì. Pensavo per la prima volta che non deve essere stato affatto facile per te ritrovarti a giocare contro i tuoi ex compagni. Dev’essere stata dura anche psicologicamente giocare contro Aomine.”
“Perché dici questo proprio adesso?”
“Perché non credo che sarà facile per Kise, giocare contro di lui. Psicologicamente, intendo.”
“Kise ha sempre ammirato Aomine. Per lui è la sfida più importante”, disse Kuroko e Kagami non se la sentì di continuare quella conversazione. Era diventato involontariamente confidente del biondo cestista e non voleva tradire quella confidenza improvvisa ma gradita.
Strinse i pugni sulle ginocchia e vide le squadre entrare in campo.

Kasamatsu era preoccupato. Prima di lasciare lo spogliatoio, Kise aveva pregato i suoi compagni di lasciargli provare a fare una cosa. Lo aveva detto in modo talmente determinato che, per la prima volta, Yukio aveva sentito che Kise era davvero un membro della famigerata generazione dei miracoli.
Adesso che entravano in campo sapeva che doveva fidarsi di lui. Se volevano battere la Touou era l’unico modo. Tuttavia Kasamatsu era preoccupato. Preferiva il Kise distratto e sempre allegro da riempire di calci a quella specie di concentrata macchina da punti che aveva affianco in quel momento. Anche il suo allenatore se n’era accorto e aveva deciso di accontentare Kise.
La partita cominciò con un Aomine stranamente deciso a darci dentro dal primo minuto. L’ace della Touou, inoltre, sembrava avere in mente solo il confronto con Kise e più si accorgeva che questo gli sfuggiva volontariamente, più s’inferociva e centrava canestri impossibili. Il divario tra le maglie nere e quelle blu si accentuava ad ogni minuto che passava.
“Sei ridicolo, Kise. E tu volevi battermi? Quando te ne farai una ragione, sarà sempre troppo tardi!” esclamò Aomine sputando in faccia a Kise tutta la frustrazione per quel comportamento strano del numero sette azzurro.
“Pensa alla partita!” Lo difese Kasamatsu. Quando Aomine era a distanza di sicurezza, parlò a Kise. “Quanto ti serve ancora? Il divario si sta facendo troppo grande.”
“Ci sono quasi. Passami la palla. Ci provo.”
“Bene allora,” disse sottovoce poi gridò alla squadra “andiamo!”
Mancava poco alla fine del primo tempo e, dopo l’ennesimo punto di Aomine, Kasamatsu passò subito la palla a Kise. Il biondo numero sette toccò la palla con un gesto fluido della mano e Imayoshi sussultò. Aveva riconosciuto il gesto con cui Kise aveva afferrato la palla. Era la stessa tecnica usata da Aomine. Kise lo fronteggiò e con una finta che Imayoshi sapeva perfettamente essere identica a quella usata dal numero cinque della sua squadra, lo lasciò sul posto. La palla però sfuggì a Ryouta e finì fuori campo proprio mentre la sirena suonava la fine del tempo.
“Troppo lento”, disse Kise e Imayoshi comprese mentre il numero sette si allontanava dal campo. Aomine lo vide allontanarsi dal suo gruppo e si chiese che diavolo stesse passando per la testa di quel maledetto.
Sugli spalti Kuroko si alzò e si affrettò a seguire Kise. Kagami gli diede un po’ di vantaggio poi gli andò dietro.
Kise aveva bisogno di respirare. Il cuore stava per scoppiargli nel petto. Copiare Aomine. Così aveva detto Akashi. Avrebbe richiesto un sacrificio, aveva detto. Che sacrificio? Lui si stava impegnando al massimo ma non ci riusciva. Aomine era davvero troppo forte. Era davvero troppo forte? Si rese conto, mentre il vento gli carezzava il viso, che non se lo era mai davvero domandato. Lo aveva sempre dato per scontato che fosse il più forte. Perché lo ammirava, perché gli voleva bene. Perché lo amava. Sorrise della sua stupidità.
In quel momento si accorse di Kuroko.
“Che stai facendo, Kise-kun?”
“Kurokocchi! Mi hai spaventato. Tu che ci fai qui?”
“Sono preoccupato per te.”
“Davvero, Kurokocchi?” esclamò con un’espressione felice Ryouta.
“Sì.”
“E perché?”
“Stai cercando di copiare Aomine?” Kise si portò una mano alla faccia.
“Te ne sei accorto?” Kuroko annuì “E credi sia impossibile?”
“Credo che tu possa farcela se è quello che vuoi.” Kise cambiò espressione.
“Credi che io possa vincere?”
“Non lo so.” Kise sorrise.
“Kurokocchi, a volte potresti anche mentire a fin di bene, sai? Lascia stare. Ce la metterò tutta. Tu fai il tifo per me, ok Kurokocchi?” disse voltandosi e tornando dentro il palazzetto. Dietro l’angolo quasi si scontrò con Kagami.
“Anche tu?”
“Ho seguito Kuroko”, disse Kagami.
“Geloso?” lo punzecchiò Kise.
“No. Abbiamo parlato.” Kise guardò il pavimento e Kagami strinse un pugno “Scusa.”
“Sono felice che tu e Kurokocchi vi siate chiariti. Ora però devo andare.”
“Kise, aspetta!”
“Sì?”
“In bocca al lupo”, fece Kagami allungando un pugno verso il ragazzo. Kise sentì qualcosa tirare nel petto.
“Scusami, Kagamicchi, non posso. Non adesso.” Kagami annuì e lo vide andare via.
“Proverà con tutte le sue forze anche se questo significa lasciarlo andare per sempre” disse Kuroko prendendo nella sua la mano di Taiga.
“Non deve farlo.”
“Se vuole confrontarsi alla pari con lui, deve dimenticare che Aomine ha un posto così importante ne suo cuore”, disse Kuroko.
“Se lo fa, sarà Aomine a perdere.” Kuroko guardò la sua luce negli occhi e capì che Kagami aveva maledettamente ragione. Aomine poteva vincere la partita ma se avesse perso l’amicizia di Kise per sempre ne valeva la pena?
Tornarono a sedersi sul fischi d’inizio del secondo tempo. Aomine fece altri due punti spettacolari. Sembrava giocasse col solo intento di umiliare Kise.
“Te l’ho già detto. Non sei all’altezza. Credi che anche se sono pieno di falli e tu hai fatto qualche giocata decente, mi tirerò indietro? Posso schiacciarti anche in questa situazione!” Lo derise Aomine e Kise si guardò le scarpe.
“Hai ragione. Non posso batterti finché, nel mio cuore, rimani su un piedistallo. Da questo momento, smetto di ammirarti. Da questo momento in poi non ti guarderò più come fossi la persona più importante per me.” Aomine non riuscì a fare il passo successivo. Che cazzo stava dicendo quel moccioso insolente? Che avrebbe smesso di ammirarlo? Che avrebbe smesso di essergli amico? Che avrebbe smesso di volergli bene? Che cazzo stava dicendo? Strinse un pugno.
“Fa come vuoi. Tanto l’unico che può battermi sono io.”
La partita riprese e la palla finì di nuovo a Kise.
“Hai detto che l’unico che può batterti sei tu. Che accadrebbe allora se ti ritrovassi di fronte un altro te stesso?” Kise abbassò lo sguardo e sorrise lanciandosi alla destra di Aomine il quale non riuscì ad impedire la fuga del suo avversario. Kise lo aveva copiato perfettamente ed era andato a canestro. La rabbia di Aomine divenne incontrollabile. Intendeva ridicolizzarlo? Si concentrò al cento per cento e comunque Kise continuò a copiare tutti i suoi movimenti recuperando punti su punti per il Kaijo.
Fu proprio mentre cominciava a pensare che si stavano avvicinando inesorabilmente alla Zone che se ne accorse. Nell’ultima giocata, Kise si era fatto male. Adesso ogni movimento sembrava costargli il doppio della fatica eppure non mollava. Continuava a copiarlo. Ed era bellissimo. Non si era mai fermato a guardarlo in quel modo. L’eleganza dei suoi movimenti, la semplicità con cui eseguiva giocate impossibili e i suoi occhi. I suoi occhi di oro fuso che scintillavano sotto la fronte imperlata di sudore. Perse la giocata e il Kaijo si ritrovò tra le mani la palla che poteva cambiare il destino della partita. Le mani erano quelle di Ryouta.
“Cosa farebbe lui?” si ritrovò a pensare il biondo “Andrebbe a destra? No, fingerebbe e poi andrebbe a sinistra. Non posso sbagliare, è l’occasione che aspettano tutti. Devo farlo per la squadra. Già, ha ragione Kuroko, qui non c’è in gioco solo la mia sfida con lui, c’è in gioco la voglia di vincere di tutti.” Diede uno sguardo a Kasamatsu e passò la palla.
La palla però, non arrivò a Kasamatsu. Aomine, col suo sorriso beffardo, gliela buttò fuori dal campo.
“Alla fine, hai fallito. Non che tu non ci abbia provato! Vedi, io non avrei mai passato la palla ed ero certo che tra noi rimarrà questa differenza. Tu ragioni come Kuroko. Hai perso, Kise.”
Le parole di Aomine lo trafissero come coltelli pronti a riaprire ferite mai davvero guarite. Lui era come Kuroko agli occhi di Aomine? Aveva perso?
Lo scappellotto di Yukio arrivò forte alla nuca.
“Muoviti, difesa!” Kise sorrise. La partita non era finita. Si lanciò a difendere la propria area e lottò per tutto il resto del tempo anche se non potette fare più nulla per impedire la sconfitta. Quando l’arbitro decretò il finale, Kise rimase a terra. Durante il secondo tempo aveva capito che il sacrificio cui si riferiva Akashi non era solo sentimentale ma anche fisico. Il suo corpo non era ancora pronto per quel tipo di gioco ma lui non aveva voluto tirarsi indietro. Ora che la partita era finita le sue gambe non volevano saperne di muoversi.
Aomine e Imayoshi erano ad un passo da lui. Aomine guardava fuori dal campo. Non voleva farsi vedere in quello stato e provò, senza risultato a rimettersi in piedi. Le lacrime gli sgorgarono dagli occhi per la rabbia e l’umiliazione. Quanto avrebbe desiderato le braccia forti di Kagami in quel momento! Bugiardo. Mentiva. Avrebbe voluto solo che Aomine gli tendesse una mano come quando passavano i pomeriggi ad allenarsi alla Teiko. Fu allora che lo senti. Il capitano della Touou stava parlando con Aomine.
“Quello non è tuo amico? Non dovresti aiutarlo? Magari dirgli qualcosa.”
“Non c’è niente che un vincitore possa dire ad un perdente.”
Kise avrebbe voluto urlare, alzarsi, scappare da lì e urlare. Maledette gambe che non ne volevano sapere. Aomine gli lanciò un’occhiata e lo vide piangere. Sentì una fitta al petto e immaginò di muoversi e tirarlo su dicendogli di smettere di piangere come una femmina. Fu allora che lo vide.
Kasamatsu si avvicinò deciso e si chinò per tirarlo su. Aomine vide le sue mani afferrare il torace di Kise e far aderire il corpo di Ryouta al proprio. Lanciò lontano l’asciugamano che gli aveva passato Sakurai e lasciò la palestra.

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Capitolo 5
*** Nessuno vuole soffrire davvero ***


 

Nessuno vuole soffrire davvero


Erano passati diversi giorni dalla fine dell’Interhigh. Kuroko e Kagami avevano preso la decisione di migliorare insieme ma Kagami, dopo la sconfitta di Kise, aveva confidato a Kuroko di voler andare in America per rivedere la sua vecchia allenatrice e capire come ampliare i propri margini di miglioramento in vista della Winter cup.
Kuroko aveva compreso le necessità del compagno ma, in cuor suo, era dispiaciuto all’idea che proprio nel momento in cui il loro rapporto sembrava aver fatto un passo in avanti, Taiga avesse deciso di allontanarsi da lui.
Parlarne apertamente era fuori questione. Non voleva dare a vedere a Kagami che pensava di poter vantare una qualche sorta di pretesa su di lui e non sapeva neppure cosa fare per fargli comunque sapere che gli sarebbe mancato.
Involontariamente fu Riko ad andare in suo soccorso. La ragazza organizzò una festa proprio a casa di Taiga che abitava da solo e non doveva dare conto a nessuno. Hyuuga, che sapeva quanto la ragazza potesse essere letale ai fornelli, la spedì con Kuroko e Mitobe a fare la spesa mentre lui e Teppei rimasero a dare una mano all’ace della Seirin che aveva dimostrato in varie occasioni di avere una buona inclinazione alla cucina.
Kuroko era uscito dal konbini un po’ prima degli altri che stavano scegliendo dei gelati quando lo vide. Era dall’altra parte della strada e lo fissava sorridendo. Portava la giacca della tuta sulle spalle e teneva le braccia incrociate sul petto.
Kuroko aspettò il segnale verde del semaforo e attraversò.
“E’ un piacere rivederti, Tetsuya.”
“Akashi-kun, cosa ci fai qui?”
“La mia squadra sta sostenendo le visite mediche nella clinica laggiù. Sai, è quella del padre di Shintaro.”
“Capisco.”
“In realtà ti ho visto entrare e siccome era da qualche giorno che avevo in mente di parlare con te, ho lasciato gli altri e ho aspettato che uscissi.”
Kuroko sapeva bene che non era nello stile di Akashi aspettare qualcuno così lo guardò dritto negli occhi e gli fece la fatidica domanda sapendo che stava di certo per essere coinvolto in qualcosa.
“Come mai volevi parlarmi?”
“Si tratta di Copycat.” Kuroko, se possibile, si fece più serio. Aveva ancora davanti agli occhi il modo in cui Kise aveva lasciato il campo dopo la semifinale dell’Inter-high. Aspettò che Akashi continuasse. “E’ nella clinica del padre di Shintaro. Lo hanno ricoverato dopo la partita contro Aomine. Lo sapevi?”
Kuroko scosse la testa. In effetti aveva pensato più volte di chiamarlo ma l’evoluzione del suo rapporto con Kagami, lo aveva distratto. Akashi continuò.
“Non vuole vedere nessuno. Non vuole fare la terapia riabilitativa per il ginocchio. Se continua in questo modo, non sarà facile per lui riprendere a giocare. Forse ha deciso di lasciare il basket.”
“Te l’ha detto lui?” Akashi scosse il capo.
“Credo che non sarà facile per lui accettare la sconfitta, stavolta. Credeva di potercela fare. Io stesso gli ho detto che era pronto.”
“Tu cosa?” chiese Kuroko sentendo una sottile rabbia insinuarsi sotto pelle. Akashi li conosceva meglio di chiunque altro. Sapeva quanto Kise fosse legato, nel bene e nel male, ad Aomine. Perché lo aveva spinto contro di lui?
“Gli ho detto che a mio parere era pronto a superare Aomine. L’ho avvertito che la cosa avrebbe richiesto un sacrificio. Sono stato chiaro con lui.”
“Perché lo hai fatto? Tu sai bene che Kise-kun, in realtà, non ha mai voluto superare Aomine-kun. Tutto ciò che ha sempre voluto è stare al suo fianco.” Kuroko si stupì della semplicità con cui lo disse. Era facile spiegare le emozioni altrui, più difficile lavorare sulle proprie. Akashi sorrise.
“Questo mi piace di te, Tetsuya. Sei sempre pronto ad accettare le cose come stanno. Io no. Daiki non ha mai guardato veramente Ryouta. Probabilmente, se sapesse che lo ha spezzato una volta per tutte, finalmente riuscirebbe a vederlo davvero. Non desideriamo giocare sempre con il giocattolo che si è rotto forse?” Kuroko strinse i pugni e mostrò tutta la sua rabbia.
“Kise-kun non è un giocattolo. Nessuno ha il diritto di giocare con i suoi sentimenti. Men che meno tu, Akashi-kun! Non si tratta di una partita di basket ma della sua vita!”
“Preferivi che Kise rimanesse per il resto della sua esistenze attaccato ad uno stupido sogno che non è realizzabile? Almeno adesso ha capito che Aomine non ha alcun rispetto dei suoi sentimenti.” Mentre terminava la frase un lampo attraversò lo sguardo imperante di Akashi e Kuroko percepì una parte del suo modo di vedere.
“L’hai fatto perché volevi che Kise-kun odiasse Aomine-kun!” Akashi sorrise maliziosamente.
“Aomine non meritava il rispetto di Kise. Non ha mai voluto il suo affetto. Non ha voluto neppure il tuo!”
“E soprattutto non ha voluto il tuo, giusto Seijuro?” disse Tetsuya.
“L’ho reso il giocatore più forte del Giappone. Ho trasformato il suo acerbo talento in una totale supremazia. Gli ho consegnato un’ombra che lo ingigantisse di fronte a qualsiasi avversario. Gli ho trovato un compagno in grado di  gonfiare il suo ego. Lui ha voltato le spalle a tutto. A me! Credevi che questa cosa non avrebbe avuto conseguenze?”
“Le conseguenze le sta pagando Kise-kun”, esclamò Kuroko.
“Per ora. Conto che tu farai sapere ad Aomine quali sono stati gli effetti della sua splendida personalità su Kise”, disse Akashi voltandosi e tornando verso la clinica.
“Akashi-kun, aspetta! Non parlerò con Aomine-kun. Non gli dirò un bel niente. Non sarò l’ennesima marionetta nelle tue mani.”
“Avete sempre fatto tutto quello che ho voluto. Non smetterete mai di farlo. Potete allontanarvi ma come i pianeti col sole, girerete sempre intorno a me. Io vi ho guardato tutti dentro. So cosa c’è nel vostro cuore. Se Aomine non salverà Kise, nessuno potrà farlo. Credimi.”
Akashi non aspettò una risposta e Kuroko non ebbe il tempo di aggiungere altro perché i suoi compagni lo raggiunsero. Lui s’accorse però che sotto il portico della clinica una persona che conosceva sembrava aspettare qualcosa o qualcuno. Chiese a Riko di tornare all’appartamento di Kagami senza di lui e attraversò l’incrocio.
La persona che sembrava in attesa di qualcosa altri non era che Kasamatsu, il capitano del Kaijo.
“Kasamatsu-senpai”, fece Kuroko avvicinandosi a lui.
“Kuroko, giusto?” gli rispose il numero quattro del Kaijo.
“Sei qui per Kise-kun?”
“Tu come fai a saperlo?”
“Me ne ha parlato una persona che conosce il medico di Kise-kun. Come sta?” disse Kuroko guardandolo negli occhi. Kasamatsu non riuscì a sostenere lo sguardo.
“In convalescenza. Vengo qui tutti i giorni ma non sempre riesco a vederlo. A volte è in terapia.”
“Cosa dice il dottore?”
“Lo sforzo durante la partita della settimana scorsa è stato eccessivo. Le sue gambe hanno ceduto. Il medico dice che è preoccupato soprattutto per il ginocchio e la caviglia destra. Però non ha niente di rotto.”
“Meno male,”sospirò Kuroko ma l’espressione di Kasamatsu non cambiò “forse però sei preoccupato per qualcos’altro, senpai?”
“Non mangia e, di conseguenza, le medicine non fanno effetto. Prima non sono stato sincero con te quando ho detto che non riesco a vederlo tutti i giorni. In realtà è lui che non vuole vedermi. Così vengo qui, chiedo notizie all’infermiera, mastico amaro e me ne vado.”
“Mi dispiace, senpai. Forse gli serve un po’ di tempo per metabolizzare l’ultima partita.”
A quelle parole, Kasamatsu strinse i pugni e sbottò.
“Metabolizzare cosa? Che quell’Aomine è imbattibile o che è uno stronzo? Kise farebbe bene a cancellare dalla sua vita una persona del genere.”
“Aomine-kun è affezionato a Kise-kun”, disse Kuroko ma si ritrovò addosso Kasamatsu che lo afferrò per il bavero della maglia e lo tirò a sé.
“Affezionato? Quello è un pezzo di merda e io non sopporto che Kise si autodistrugga per colpa sua perché, se tu e la fottuta generazione dei miracoli non ve ne siete accorti, è quello che sta succedendo!” Kuroko sgranò gli occhi “Io non permetterò che Kise si lasci andare, a costo di venire qui tutti i giorni e restare fuori dalla sua porta. Non importa quante volte mi caccerà, io resterò. E se ci tiene alla sua incolumità sarà meglio che quell’Aomine non si faccia mai più vedere, lo dico anche a te.”
“Perché a chi l’hai già detto?” chiese Kuroko risistemandosi la maglia.
“A quel tizio con gli occhi di diverso colore. E’ stato in ospedale. Kise è stato male dopo che lui gli ha parlato. A voi non interessa quale sia l’effetto che avete su Kise. Io, poi, devo raccogliere i pezzi.”
“Sono spiacente, Kasamatsu-senpai. Ti prometto che, per quanto mi riguarda, non farò nulla che possa ferire Kise-kun. Non dirgli neppure che mi hai visto. Ti prego, però, di farmi avere sue notizie. D’accordo?”
Kasamatsu si calmò e annuì. Kuroko tornò a casa di Kagami dove, nel frattempo, i ragazzi della Seirin avevano preparato la cena.
A fine pasto, Kagami si accorse prima degli altri che Kuroko era sparito e non come suo solito ma letteralmente. Lo trovò sul balcone che guardava nel vuoto. Le sue emozioni e quelle che immaginava provasse Kise in quel momento, lo stavano sopraffacendo. Kagami gli posò una mano sulla testa e gli scompigliò i capelli chiari.
“Kagami-kun?”
“Che ci fai tutto solo qua fuori?”
“Gli altri hanno mangiato così tanto che si sono addormentati sul pavimento”, rispose Kuroko.
“Tu invece hai mangiato poco a niente. Credevo ti piacesse la mia cucina!”
“Ho gradito molto tutto quello che hai cucinato, Kagami-kun.”
“Dalla tua faccia non sembra. Devi dirmi qualcosa, Kuroko?”
“Perché me lo chiedi?” Il rosso si passò una mano dietro la nuca e cominciò a dire frasi sconnesse come faceva sempre quando era in imbarazzo. Ad un certo punto si fermò e sbuffò “Insomma hai l'espressione di uno che deve sputare il rospo.”
“Dovrei sputare un rospo, Kagami-kun? Non è una bella immagine!”
“E’ un modo di dire, Kuroko! Ma perché devi sempre prendere tutto alla lettera? Significa che devi dire una cosa di cui ti riesce difficile parlare.”
“In effetti è così”, disse il ragazzo guardando di nuovo nel vuoto e stringendo la balaustra con entrambe le mani “e ci penso già da qualche giorno. Oggi però ho deciso che non ha senso tenermi le cose dentro. A volte ci facciamo mille problemi a parlare e poi accade che le cose importanti ci scivolano via dalle mani. Io non voglio perdere Kagami-kun.” Kagami sussultò.
“Non vuoi che parta?” chiese Taiga.
“No. Cioè, certo che voglio che parti. In realtà vorrei che non partissi ma non che rinunciassi al tuo allenamento speciale. E’ complicato.” Kagami sorrise e guardò, questa volta con la sicurezza che di solito usava solo sul campo da basket, il più piccolo.
“Non è complicato, stavolta. Lo capisco persino io che normalmente sono un testone. Ti dispiace che parta. E io ne sono felice, sai? Ho pensato di chiederti di venire con me, ad certo punto. Poi però ho capito che, se ti avessi portato in America col sottoscritto, avrei passato tutto il tempo in giro con te e addio allenamento. Sappi però che ho deciso di rinviare la partenza. Mentre eravate al konbini, il capitano ha detto che sarebbe stato bello fare un fine settimana al mare. Così abbiamo organizzato una vacanza e io non rinuncerei a passarla con te per niente al mondo!”
Gli occhi di Kuroko avevano assunto dimensioni enormi mentre Kagami parlava e, senza pensare a quello che stava facendo, si getto tra le sue braccia nascondendo il suo viso contro il petto del suo compagno. Kagami ricambiò la stretta e respirò il profumo dei capelli di Kuroko che sapevano di vaniglia.
“Grazie, Kagami-kun.”
“Grazie a te, per avermi confidato i tuoi sentimenti.”
“Non volevo che la mia paura ci allontanasse.”
“Anche se succedesse, io verrei a riprenderti ovunque. Però ho una domanda da farti. Cos’è successo oggi che ti ha convinto a parlarmi? Non dirmi che è stata la zuppa di miso!” Kuroko si staccò un po’ da lui senza smettere di stringere la sua maglietta e sentire il calore del suo corpo sotto le dita sottili.
“Si tratta di Kise-kun. E’ in ospedale.” Kagami si rabbuiò e, mettendo entrambe le mani sulle spalle di Kuroko, lo allontanò un poco da sé e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
“E’ per quello che è successo nella partita tra Kaijo e Touou?” Kuroko annuì “Sta molto male?”
“Fisicamente non credo ma ho saputo che non mangia e rifiuta la terapia.” Kagami si fece ancora più serio.
“Da chi l’hai saputo?”
“Da Akashi-kun.”
“Sarebbe il capitano della generazione dei miracoli, giusto?”
“Sì. E, se lo conoscerai, non ti piacerà come Kise-kun o Midorima-kun.”
“Peggio di Midorima?” chiese con ironia Kagami per stemperare la tensione.
“Non c’è paragone fra i due. Akashi-kun sa sempre ciò che pensi. A volte ho avuto la sensazione che prevedesse il futuro. Ha creato lui a generazione dei miracoli. Inoltre c’è un’altra cosa che non ti piacerà.”
“Che altro?”
“Pensa che noi tutti gli apparteniamo. Io, Kise, Aomine, Midorima e Murasakibara.”
“E’ pazzo?”
“A volte lo sembra. Purtroppo non lo è.”
Kuroko passò quasi un’ora a spiegare a Kagami la personalità complessa di Akashi e quello che lui pensava avesse fatto a Ryouta per metterlo contro Aomine. Kagami, dal canto suo, sapeva con certezza quello che Kise provava per Aomine e immaginava in preda a quale angoscia si trovasse ora il biondo. Non solo aveva rischiato l’orgoglio di atleta nel tentativo di misurarsi con chi riteneva migliore in assoluto ma aveva messo sul piatto della scommessa anche i suoi sentimenti. E Aomine li aveva calpestati entrambi. Da perfetto idiota qual era.
“Sei certo che non bisogna dire ad Aomine che Kise sta molto male per causa sua?” chiese a bruciapelo Kagami. Non voleva tradire la confidenza di Kise ma sapeva che effetto benefico avrebbe avuto su di lui un gesto di affetto da parte dell’altro. Kuroko scosse il capo.
“Conosco Aomine-kun. Anche se è tiene a Kise, ora è arrabbiato.”
“Arrabbiato?” urlò Kagami “Lui è arrabbiato? Kise è in ospedale e lui è arrabbiato?”
“Sì, Kagami-kun. Un po’ come te quando non mi hai lasciato spiegare che tra me e Aomine non c’era nulla.”
“Non è la stessa cosa!” mise il broncio il rosso.
“Aomine non voleva che Kise lo sfidasse così. Ora crede di avere perso il suo rispetto, ne sono certo.”
“Ti dirò la verità, Kuroko. Anche se non ti piacerà ascoltarla. Non credo che Aomine meriti il rispetto di Kise. In fondo da quanto tempo Kise sta provando ad abbattere quel muro che quel tizio ha alzato intorno a sé? E poi, sarò sincero fino in fondo, a me sembra che preferisca te a Kise.” Dicendo queste parole Taiga abbassò lo sguardo.
Kuroko non era il tipo che cercava spesso il contatto fisico con altre persone ma, in quel momento, sollevò una mano e la posò delicatamente sulla guancia di Kagami. Il rosso sussultò.
“Kagami-kun sei geloso?”
La voce di Taiga uscì piano, in un soffio.
“Sì. Sono geloso da quel giorno in cui lui disse che mi aveva lasciato il suo posto.”
“Migliorerebbe se ti dicessi di non esserlo?”
“No. Non credo. Ti da fastidio?” Kuroko scosse il capo.
“Niente di quello che fa parte di te mi da fastidio. E’ già un po’ che me ne sono reso conto. Anche se fai tanta confusione e non hai tatto, anche se arrivi subito alle conclusioni senza ascoltare, anche se parli senza riflettere il più delle volte, anche se mangi quanto tutta la squadra e mi lascerai solo durante l’estate, tutto quello che fai, mi provoca una sorta di pungente felicità. Io non sono avvezzo a manifestare i miei sentimenti per cui sentire così forte le cose, per me è insolito.  E il merito è tuo, Kagami-kun.”
“Dici sempre cose imbarazzanti, lo sai Testuya?”
“Dillo ancora.”
“Dici sempre cose imbarazzanti.”
“No, stupido. Il mio nome.”
“Tetsuya. Tetsuya. Tetsuya. Posso dirlo tutte le volte che vuoi.”
Kuroko sollevò lo sguardo e aprì appena le labbra. Taiga si avvicinò deciso a cogliere quel momento quando la porta del balcone si spalancò costringendo il ragazzo ad allontanarsi dal viso di Kuroko di scatto. Hyuuga, completamente ubriaco, si sbracciava cercando il bagno.
Kuroko si offrì di accompagnarcelo e Kagami rimase a smaltire l’eccitazione che faceva fatica a passare. Era stato a un passo dal baciare Kuroko. Maledetto capitano. In quel momento però, con l’aria fresca della sera sul viso, gli tornarono in mente le parole di Kuroko su Kise. Il ragazzo lo aveva consolato la sera in cui aveva litigato con Kuroko. Aveva promesso a quest’ ultimo che non avrebbe riferito ad Aomine delle condizioni di Kise ma non che non avrebbe fatto un tentativo per tirare su il biondo. Rientrò in casa e tornò a giocare con i suoi amici.

Il ticchettio dell’orologio riempiva l’aria in modo triste. Il tempo non passava mai in quel posto.
Ricordava di aver letto un libro in cui un signore era entrato in ospedale per un semplice controllo e aveva sentito dire che i degenti venivano divisi nei vari piani in base alla gravità della loro malattia. Questi, felice di essere al piano di quelli che sono considerati di passaggio, un giorno viene trasferito al piano inferiore. Comincia perciò a preoccuparsi e intristirsi perché, nei giorni a venire, viene trasferito sempre più giù. In realtà il motivo dei trasferimenti non ha a che fare con la sua salute ma lui si fa talmente influenzare dalla storia che, alla fine, non riuscirà mai più ad uscire da quell’ospedale.
I suoi compagni di squadra gli avevano portato ogni genere di gadget per fargli passare il tempo. Libri, psp, cruciverba, mp3. Ryouta però restava quasi sempre fermo a guardare fuori dalla finestra.
Lui a che punto della storia era? Si era già convinto che non sarebbe mai più uscito da quel posto oppure era ancora in grado di rimettersi in piedi?
No. Non lo era. Aveva smesso di mangiare e non si alzava già da tre giorni.
Non era stato difficile. Non aveva fame e non aveva voglia di fare niente altro che dormire. Il fatto che la sua famiglia vivesse all’estero lo aveva aiutato ad isolarsi completamente.
L’unica cosa difficile era stata allontanare Kasamatsu. A quel pensiero una lacrima spinse all’angolo degli occhi per uscire. Il suo senpai non si allontanava mai da lui. Anche se a calci, lo rimetteva sempre in sesto.
Stavolta Kise non voleva. Non voleva essere aiutato a superare quello che gli era successo. Sapeva che se avesse trovato la forza di riprendere a camminare e poi a correre e poi a saltare e poi a centrare il canestro, questa volta avrebbe significato dire davvero addio a ciò che era stato fino ad allora. Cestinare tutto. Aomine compreso.
Risentì nella sua mente quelle parole ‘Un vincitore non ha nulla da dire ad un perdente’ e stavolta le lacrime furono più forti della sua miserabile forza di volontà.
Perché? Perché doveva amare uno come Aomine? Non sarebbe stato mille volte più bello innamorarsi di uno come Kasamatsu o Kuroko?
Si tirò sulla testa le bianche coperte per far credere all’infermiera che gli aveva portato la cena che stesse dormendo.
Le luci della città entravano dalla finestra incuranti del suo stato d’animo e gli facevano presente che là fuori la vita andava avanti lo stesso. Kise strinse il lenzuolo e, di colpo, lo sollevò. Le sue gambe erano ancora lì. Immobili. Il suo cellulare trillò. L’ennesimo messaggio dall’agenzia che lo incoraggiava a riprendersi perché c’erano mille servizi fotografici per i quali aspettavano solo lui. Ripose il telefono e provò a muovere le gambe. Il dolore fortissimo che sentì attraversare la gamba destra lo sconvolse.
Fino a quel momento aveva creduto di essere sempre a tempo per rimettersi in piedi. Quella improvvisa debolezza gli fece talmente paura che si rigettò la coperta addosso e chiuse gli occhi.
Doveva solo dormire. Dormire e dimenticare tutto.

La mattina seguente Taiga si alzò di buon’ora. Scrisse un messaggio a Kuroko in cui gli chiedeva di raggiungerlo al negozio di articoli sportivi per comprare un costume nuovo per le undici.
Fino a quell’ora aveva tutto il tempo di far visita a Kise.
Raggiunse la clinica e si fece dire il numero della stanza di Ryouta Kise. Non gli piacque per nulla l’espressione triste che assunse il volto dell’infermiera nel sentire quel nome.
La camera di Kise era al settimo piano della clinica e dava sul parco che c’era di fronte. Kagami bussò ma non rispose nessuno. Aprì la porta e scoprì che Kise dormiva.
Era pallido e gli occhi sembravano cerchiati come se non riposasse da giorni. Ciò che lo sconvolse di più furono le braccia. Erano molto più magre dell’ultima volta in cui lo aveva visto giocare e l’interno del gomito destro era completamente viola per via dei buchi praticati dai medici per le flebo. Anche in quel momento ne aveva una attaccata al braccio. Kise sembrava completamente abbandonato a se stesso, inerme.
Strinse i pugni per la rabbia. Lui si sarebbe ma ridotto in quel modo se Kuroko lo avesse abbandonato, ferito, umiliato? Forse no. E Kuroko? Kuroko si sarebbe ridotto così se lui gli avesse mai fatto del male? Scosse la testa cercando di scacciare l’immagine di Kuroko in un letto d’ospedale e si avvicinò. Si sedette sulla sedia vicino al letto e aspettò.
In quel momento, forse per il rumore, Kise aprì lentamente gli occhi.
“Kagamicchi.”
“Ancora quello stupido soprannome?”
“Che ci fai tu qui?” chiese cercando di simulare un sorriso.
“Tu che ci fai qui!” esclamò Kagami. Kise sorrise, questa volta sinceramente.
“Non lo vedi?”
“Sì, lo vedo e devo ammettere che da te non me lo aspettavo.”
“Forse mi hai giudicato male. Molti si aspettano da me cose che non so fare. Eppure lo sanno tutti che sono solo una copia.”
“Non ti ho affatto giudicato male, Kise,” disse Kagami “è che pensavo che non avresti mai smesso di lottare per ciò in cui credi.”
“A volte si perdono tutte le certezze, Kagamicchi.”
“In quei momenti, un buon amico può dartene di nuove.” Kise pianse. In silenzio e Kagami desiderò avere la capacità di Kuroko di dire le cose come stanno senza preoccuparsi dell’imbarazzo.
“So che, almeno tu, sei riuscito a mettere le cose a posto con Kurokocchi. Ne sono felice.”
“A volte le cose non vanno come temiamo. La paura ci fa fare tanti errori. Avevi ragione tu e torto io. Ora non potresti seguire tu stesso quel consiglio e avere fiducia?” Kise tornò a guardare il vuoto.
“Fiducia in che cosa?”
“In te stesso. Tu non sei solo una copia. Il tuo talento non è tutto ciò che sei.” Kagami avrebbe voluto continuare ma Kise lo zittì.
“Io non posso. Non capisci? Io ho provato a demolire me stesso perché i miei sentimenti sono talmente radicati in me che ho pensato che se mi fossi lasciato andare, ad un certo punto, avrei trovato il punto in cui sta la linea di separazione tra me e lui.” Kise sorrise lasciando uscire altre lacrime “Sai cosa ho scoperto? Che per quanto possa strappare via pezzi di me, non riesco a liberarmene, Kagamicchi! Anche adesso che non mi riconosco più allo specchio, io trovo ancora pezzi di Daikicchi. Ci crederesti? Mi scopro a ricordare alcune cose che forse neppure lui sa di se stesso. Lo sai, ad esempio, che quando scrive si sporca sempre il polsino della camicia d’inchiostro? Non si accorge di scartare i piselli nella zuppa di riso. Fa rimbalzare la palla a terra almeno tre volte prima di iniziare a giocare.”
Mentre Kise parlava, piangeva e mentre Kise piangeva, Kagami sentiva un groppo in gola formarsi poco a poco. Non s’accorse neppure di essersi alzato e di aver raggiunto Kise a letto. Lo sollevò dai cuscini sui quali era abbandonato e lo strinse. Forte. Talmente forte che Kise, quel Kise, avrebbe potuto spezzarsi tra le sue braccia se non fosse già spezzato, piegato in due come il ramo di un albero secco scosso dal vento.
Kise si attaccò alla maglia di Kagami come se quella fosse ciò che aveva di più prezioso al mondo.
“Io non sono bravo con le parole e ora avrei solo voglia di dare talmente tanti di quei pugni a quell’Ahomine però, ascoltami, non puoi fare così. Non è la strada giusta per smettere di soffrire.”
“E se io non volessi smettere di soffrire?” Le parole di Kise si piantarono nella mente di Kagami come una lama.
“Nessuno vuole davvero soffrire. Nessuno. Non tu. Vedrai, presto andrà meglio.”
Kasamatsu irruppe nella stanza in quel momento e Kagami si allontanò da Kise non appena intuì che, se non l’avesse fatto, il capitano del Kaijo lo avrebbe preso a pugni.
“Che ci fai tu qui?” chiese acido.
“Sono venuto a trovare Kise.”
“Kise ha bisogno di riposo e tranquillità, l’ho già detto a quell’altro!” disse e Kagami capì che si riferiva a Kuroko.
“Non c’è bisogno di arrabbiarsi. Me ne stavo andando”, disse il più alto mentre Kise tornava a guardare fuori dalla finestra.
Kagami li lasciò soli ma sentì che Kise stava chiedendo a Kasamatsu di andarsene. Il suo viaggio in America poteva aspettare qualche altro giorno e così anche la vacanza al mare. Doveva dimostrare a Kise che quello che gli aveva detto era vero. Nessuno desidera soffrire. Soprattutto nessuno desiderava che lui soffrisse. Non Kise che era sempre gentile e generoso con tutti.
Prese il cellulare e fece il numero di Kuroko.

Due giorni dopo era tutto pronto. Kagami non pensava che avrebbero acconsentito tutti. Certo sapeva che non era facile dire di no a Kuroko ma aveva capito che tutti ci tenevano davvero.
La casa al mare del padre di Riko era grande abbastanza da poterli ospitare tutti. Hyuuga e Teppei erano partiti per primi per fare in modo di preparare le camere. Loro partivano quella mattina. Kuroko sembrava lo stesso di sempre ma Taiga sapeva che era felice. La sua borsa era la più grande di tutte. Kagami gli aveva visto metterci dentro almeno quattro paia di creme solari e persino un maglioncino. E dire che andavano al mare! Nella sua borsa c’era a malapena l’asciugamano!
Alla fermata si erano fatti trovare Midorima e Takao. Il primo con l’aria spocchiosa con cui Kagami aveva imparato a conoscerlo, il secondo con un sorriso a tutta faccia. Momoi, la stramba amica di Kuroko, era bellissima nel suo completo da mare e Izuki non faceva che riempirla di complimenti. Lei però continuava a starsene attaccata, come una cozza allo scoglio, al braccio di Kuroko. Di Momoi però, Taiga non era geloso. Alla stazione c’erano anche Moriyama, Hayakawa e Kobori che rideva per la caduta che Hayakawa aveva appena fatto. Mitobe e Koganei già mangiavano i bento della giornata.
Raggiungere la spiaggia e la casa di Riko dopo il viaggio in treno pieno di risate e scherzi ai danni del più suscettibile della compagnia e cioè Midorima, fu una passeggiata.
Verso le sette di sera la compagnia era tutta riunita nel grande salone. Il messaggio di Kasamatsu arrivò facendo sussultare tutti.
‘Ci siamo quasi’, diceva solo. Il capitano del Kaijo aveva convinto Kise che il giorno stesso delle sue dimissioni dall’ospedale sarebbe stato opportuno un controllo presso uno specialista. Kise, che aveva cavalcato l’onda dell’indifferenza per tutto il tempo passato in ospedale, si era lasciato caricare sulla sedia a rotelle e poi sul taxi per farsi portare appena fuori città.
Quando Kasamatsu spinse la sedia fino alla porta della casa di Riko, Kise cominciò a sospettare qualcosa.
“Sei sicuro che sia questo lo studio medico?”
“Certo che lo sono! E fidati! Sono o non sono il tuo senpai?”
“Sarà ma sembra un’abitazione privata.”
Kasamatsu aprì la porta che non risultò chiusa a chiave e spinse la carrozzella fin dentro un salone che era completamente buio.
“Ma che razza di posto è questo?” fece Kise voltandosi a cercare Kasamatsu che era sparito “Senpai?”
Qualcuno accese tutte le luci e Kise si portò istintivamente le mani sugli occhi. La voce di Momoi trillò forte.
“Bentornato Kise-kun!”
Kise spostò le mani e aprì lentamente gli occhi. Di fronte a lui, oltre alla squadra del Kaijo al completo, se ne stavano Momoi stretta a Kuroko, Midorima e Takao e tutta la formazione della Seirin, allenatrice compresa.
Tutti avevano la tenuta da mare e delle corone di fiori intorno al collo e cocktail di frutta con buffe bandierine in mano. Sembravano tutti felici di vederlo. Nessuno sembrava notare che fosse seduto su una sedia a rotelle, che avesse dieci chili in meno dell’ultima volta che lo avevano visto e che fosse pallido come un cencio. Kise fu quasi accecato tanta era la luce che facevano i loro occhi sorridenti. Kagami sorrideva più di tutti gli altri messi insieme. Kise ricordò l’abbraccio in cui l’aveva avvolto la volta che era andato in ospedale. ‘Nessun vuole davvero soffrire’, aveva detto.
“Kise-kun, siamo contenti che tu sia qui con noi, sai?” disse Kuroko.
“Un po’ di aria di mare ti farà bene”, intervenne Midorima.
“Scusami se ti ho ingannato”, disse invece Kasamatsu.
“Non accetto queste scuse”, disse Kise guardandosi le gambe e, per un istante, tutti pensarono che stesse per arrabbiarsi “Non se non date anche a me una di quelle coroncine. Sono così carine!” fece il biondo e Momoi se la sfilò dal collo e corse a dargliela stringendolo forte.
“Ma guarda che fortunato!” esclamò Izuki e tutti risero.
La serata trascorse serenamente e tutti si preoccuparono di organizzare nei minimi dettagli la giornata al mare dell’indomani.
“Kise, la tua camera è di sopra, perché non provi ad alzarti?” chiese Kasamatsu e Kise parve perdere la serenità che sembrava aver riacquistato per un po’.
“Forse è stanco per la giornata piena di emozioni”, intervenne Kuroko che voleva dare all’amico una via d’uscita da quella situazione scomoda. Chiaramente Kise non sembrava intenzionato a fare un tentativo davanti a tutti. Midorima non era dello stesso avviso perché lo incalzò.
“Mio padre dice che non hai niente che non va. Devi solo sforzarti.”
Incredibilmente fu Kagami a levare Kise d’impaccio.
“E’ meglio se fa un tentativo domani in acqua. Per stasera lo porto su io”, disse sollevando Kise che divenne rosso come un peperone “Non ti ci abituare comunque, principessa!” gli disse salendo le scale lontano da occhi e orecchie indiscrete.
“Mai visto Kagami tanto gentile!” esclamò Riko e Kuroko sentì qualcosa tirare dentro. Kise lo aveva già allontanato da Aomine. Possibile che stesse accadendo di nuovo? Anche Midorima stava pensando la stessa cosa ma, quando si girò a cercare Kuroko con lo sguardo, del ragazzo ombra non c’era più traccia.

 

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Capitolo 6
*** Perchè proprio io non l'ho capito? ***



Perchè proprio io non l'ho capito?


Ricevere una telefonata di Midorima non era una cosa frequente per Aomine.
“Pronto?”
“Non sono certo di fare la cosa giusta a chiamarti, Aomine, ma dato che è fatta, lasciami parlare. Ti manderò un messaggio con un indirizzo non appena chiuderò la telefonata. Se tieni ancora un minimo al rapporto con Kuroko e Kise, ti consiglio di venire subito.”
“Venire? Tu sei lì con loro?” chiese Aomine sempre più confuso.
“Per l’appunto, e non mi piace quello che sta succedendo qui. Ho l’impressione che se tutti si stanno adoperando per tenerti lontano da Kise, forse tu e lui avete ancora qualcosa da dirvi.”
Aomine ingoiò a vuoto. Che voleva dire che tutti si stavano adoperando per tenerlo lontano da Kise?
“Parto appena attacchi”, disse con il tono più grave che gli uscì.
“Aomine.”
“Sì?”
“Non farmi pentire di averti chiamato. Anche se non condivido il loro modo di fare, anche se li ritengo sciocchi sentimentali, nessuno ha il diritto di calpestare le loro emozioni” fece Midorima mentre guardava Takao giocare con Izuki. Era stato proprio quel buffo ragazzo con le sue sciocche emozioni ad aver scalfito la corazza d’indifferenza che aveva indossato dopo le scuole medie. Era stato Takao una volta a dirgli ‘Shinchan, non importa quanto tu mi tenga a distanza, io rimarrò sempre al tuo fianco. A me va bene così. Mi basta che non ti dia fastidio, per il resto puoi trattarmi come ti pare. In fondo stare al tuo fianco mi rende felice anche se mi tratti nel modo peggiore che ti riesce e mi fai sempre pedalare la mattina!’
Kuroko era come Takao. Non chiedeva nient’altro che stringere forte le loro mani. Mantenere un legame.
Kise era come Takao. Credeva nella forza dell’amicizia.
“Midorima”, disse Aomine “stai ancora parlando di me? Non rispondere, non importa. Io non ho capito un cazzo di quello che sta succedendo ma non mi piace essere accusato senza sapere per cosa.”
Midorima mise giù e dopo qualche minuto Aomine ricevette via sms l’indirizzo. Non passò neppure da casa. Raggiunse la stazione e prese il biglietto. L’istinto lo aveva sempre guidato. Non lo avrebbe tradito stavolta.

Kagami non era una cima nell’arte di capire le situazioni al volo. In effetti bisognava fargli il disegnino di alcune cose affinché le capisse. Quando Kuroko si alzò e corse a tuffarsi in acqua, lui che aveva bisogno dei sottotitoli, non capì la faccia che fecero i suoi compagni. In effetti sapeva che Kuroko non amava il sole e che non era un campione di nuoto. Tutte le volte che Riko li costringeva ad estenuanti sedute di allenamento in piscina, Kuroko finiva sempre con l’essere soccorso. Aveva la strabiliante capacità di affogare in un metro d’acqua.
Lui, ancora vicino a Kise che rifiutava di mangiare persino l’anguria con il pretesto che fosse piena di sabbia, fu raggiunto da una gomitata di Midorima. Kise abbassò gli occhi e parlò.
“Non insistere Kagamicchi, piuttosto perché non raggiungi Kurokocchi?”
“Sta facendo il bagno,” rispose il rosso “tu piuttosto, non vorresti provare a nuotare?”
“Io no, davvero. Ti ringrazio molto ma credo che sia meglio che raggiungi Kurokocchi. Va da lui. Non era la vostra vacanza questa?”
A quelle parole, Kagami si scosse. Improvvisamente il viaggio in America, il fatto che fosse già passato un giorno di quella vacanza senza che lui e Kuroko potessero passare un po’ di tempo da soli, il comportamento scostante di Tetsuya, gli caddero addosso in modo inquietante.
Si alzò e raggiunse l’acqua.
“Midorimacchi” fece allora Kise “mi accompagneresti fino alla sedia a rotelle?” Midorima si sistemò gli occhiali sul naso e tossì per schiarirsi la voce.
“Dovresti camminare.”
“Per favore!” si lagnò Kise.
“Dovrei dirti di no.”
“Non costringermi a chiederlo di nuovo a Kagamicchi.”
“Per l’amor del cielo! Va bene. Aggrappati alle mie spalle.”
“Midorimacchi.”
“Sì?”
“Credi che Kurokocchi sia arrabbiato con me?”
“Dovrebbe.”
“Ma io non ho fatto niente!”
“Stai usando il suo ragazzo.”
“Non lo sto usando!” si difese inizialmente Kise poi si fermò a riflettere avvicinandosi con il volto all’orecchio di Midorima “Vuoi dirmi che quei due si sono messi insieme ufficialmente?”
“Se per ‘ufficialmente’ intendi che l’hanno sbandierato ai quattro venti, allora no. Però si vede che il loro rapporto è cambiato.”
“Lo hai notato anche tu, vero?”
“Io sì, tu invece hai finto di non saperne niente!”
“Non è vero! Sono stato io a dire a Kagamicchi che doveva avere fiducia nel suo rapporto con Kurokocchi!”
“Non urlarmi nell’orecchio e smettila di usare quel suffisso fastidioso. E lascia in pace Kagami. Intesi?” disse Midorima adagiando Kise sulla sedia a rotelle. Kise si guardò le ginocchia.
“Capito.”
“Bene. Ti chiamo Kasamatsu così ti accompagna a casa”, disse l’asso dello Shutoku.
“No!” esclamò Kise sollevando di scatto lo sguardo sull’amico “Per favore, no. Ho bisogno di stare un po’ solo. Da qui a casa di Aidacchi la strada è breve. Ci metterò pochi minuti, ok?”
“Ok, ok.”
“Grazie Midorimacchi e, se vuoi il mio consiglio, dovresti dimostrarti più affettuoso con Takaocchi. Lui lo è con te!”
“Non lo voglio il tuo consiglio. Tu predichi bene e razzoli malissimo. Rifletti su questo”, disse Midorima allontanandosi.
Kise fece scivolare la sedia a rotelle lungo la banchina. Notò che Kagami aveva raggiunto Kuroko. Parlavano. Era certo che, qualunque cosa si fosse frapposto tra quei due, nulla li avrebbe divisi. Sorrise davvero felice per Taiga e Tetsuya. Erano davvero perfetti insieme, complementari. Luce ed ombra. Quel pensiero lo rattristò.
Invece di tornare a casa di Riko, si allontanò e raggiunse il porticciolo. Le barche bianche e blu luccicavano sull’acqua che le agitava appena. I gabbiani riempivano il bagnasciuga e facevano confusione.
A Kise tornò in mente una gita del suo secondo anno alla Teiko. Aveva conosciuto da poco i suoi compagni di squadra e la scuola aveva organizzato una gita al mare. Quella volta aveva disobbedito ai professori e persino ad Akashicci. Era scappato alla spiaggia con Aomine.
Si rese conto di non riuscire più ad usare il suo solito vezzeggiativo quando si trattava di nominare lui. Era come se la sua mente volesse continuare a mettere distanza tra loro. Kise sapeva che per quanto il suo cervello galoppasse, non sarebbe mai riuscito a fuggire da Aomine. Si concesse perciò di rievocare quel ricordo. L’odore del mare, delle reti delle barche da pesca piene di pesce, il colore della linea dell’orizzonte, quello degli occhi di Aomine. Il suono del verso dei gabbiani e quello della risata di Daiki.
Il suo modo di lanciare le pietre facendole rimbalzare sul pelo dell’acqua. Come faceva a non ricordare cosa aveva mangiato al mattino e a riportare a galla certe immagini?
Improvvisamente davanti ai suoi occhi passò la scia veloce di un sasso che rimbalzò una, due, tre, quattro volte sulle onde. Un tiro da maestro. Si voltò e il cuore gli si fermò in gola.
Aomine se ne stava in piedi qualche metro dietro di lui lanciando e riafferrando un sasso. Ai suoi piedi un borsone da allenamento. Come poteva essere lì? Si era materializzato da uno dei suoi sogni ad occhi aperti? Soprattutto cosa avrebbe fatto ora? Aveva fatto di tutto perché non sapesse in che stato era ridotto e invece ora era di nuovo ai suoi piedi, schiacciato dentro quella sedia a rotelle.
Aomine camminò fino al suo fianco ma non lo guardò. Lanciò il sasso che teneva in mano. Anche questo fece quattro salti sulla superficie liquida e poi sprofondò al di sotto di essa.
“Che ci fai qui?” chiese Kise che, nonostante l’imbarazzo, non riusciva ad accettare il silenzio.
“E tu? Che ci fai qui, tu?” Kise rimase spiazzato ma non intendeva dare spiegazioni delle sue condizioni.
“Io sono in vacanza!”
“Non mi sembra che tu abbia la faccia di uno che sta in vacanza.”
“Certo! E’ perché sono in convalescenza.”
“Convalescenza da cosa?”
“Non sono affari tuoi!” A quelle parole, Daiki lo fissò dritto negli occhi.
“Sono affari di Kuroko, invece?”
“Lascia fuori Kurokocchi da questa storia!”
“Oi, Kise! Se hai qualcosa da dire, dimmela in faccia!”
“Io non ho proprio niente da dirti, Aomine!” urlò Kise stringendo le ruote della sedia di metallo. Aomine s’irrigidì.
“Ho fatto il viaggio senza neanche passare da casa a cambiarmi. Satsuki mi ha mentito. Tetsu mi ha chiuso il telefono in faccia. Shintaro mi ha fatto la predica. Si può sapere che diavolo ti è successo? Perché sei seduto su quella cosa?” Kise rise masticando amaro. Davvero toccava a lui dare una spiegazione? Dopo quello che era successo all’Inter-high?
“Nessuno ti ha chiesto di venire”, disse Kise voltandosi a guardare il mare “e dopotutto, un perdente cosa avrebbe da dire ad un vincitore?”
Le parole di Kise furono come una doccia fredda sulla testa di Aomine. La cattiveria prese piede in lui.
“Figurati! Non che mi aspettassi qualcosa di diverso da te! Ma c’è qualcosa per cui hai davvero lottato nella tua vita, Kise?”
“Non sono affari tuoi.”
“C’è qualcosa che t’interessi davvero?”
“Non sono affari tuoi.”
“Smettila di dire sempre la stessa frase. E alzati da lì!” gridò Aomine afferrando per le braccia Kise e tirandolo verso di sé.
“Lasciami!”
“Alzati da lì!”
“Ti ho detto di lasciarmi!” fece Kise che non riuscì più a trattenere le lacrime “Mi fai male, Aomine!”
Daiki lo lasciò andare posandolo sulla sedia a rotelle. Si girò e raggiunse il borsone. Il cielo si era fatto di fuoco e il sole stava sprofondando nel mare all’orizzonte. Aomine si caricò in spalla la borsa e si guardò i piedi. Prese il telefono e chiamò Midorima.
“Kise è al porto. Vieni a prenderlo. No, non lo accompagno io. Torno a casa. Sbrigati”, concluse riattaccando “Shintaro sta arrivando. Io me ne vado.”
Kise non disse nulla e Aomine lo prese come il segno che Midorima si era sbagliato. Lui e Kise non avevano più nulla da dirsi. Mentre risaliva i gradini del porticciolo però si fermò. Kise  non aveva nulla da dirgli ma lui una cosa l’aveva proprio sulle labbra. Gliele incollava impastandogli la bocca. Quasi gli impediva di respirare. Si voltò e cacciò tutto fuori come si fa quando si è trattenuto troppo il fiato.
“Se alla fine di quella partita ti avessi detto che non aveva importanza il fatto che avessi perso perché avevi fatto comunque del tuo meglio, ti sarebbe stato bene? Rispondi sinceramente!”
Kise fu colto in contropiede. Stava già concentrando tutte le sue forze nell’impedirsi di crollare. Non riuscì a dire la verità ma neppure a mentire.
“Probabilmente no.”
“Appunto. Non c’è nulla che un vincitore possa dire ad un perdente per consolarlo.”
Aomine si voltò e si allontanò lasciando Kise con gli occhi sgranati a fissare il punto in cui fino ad un attimo prima era lui. Passò del tempo, Kise non avrebbe saputo dire quanto. Quando i lampioni della marina si accesero, Midorima spuntò da dietro i cespugli che nascondevano il viottolo sterrato che portava alla strada. Vedendo Kise, si allarmò e corse da lui.
“Kise, che è successo?”
Il ragazzo se ne stava immobile con i pugni stretti contro la stoffa dei pantaloncini del costume a bagno, il viso rigato di calde lacrime, l’espressione totalmente assente.
“Ha detto che non c’è nulla che un vincitore possa dire ad un perdente per consolarlo. Per consolarlo, capisci Midorimacchi? Per tutto questo tempo io mi sono odiato per non essere stato alla sua altezza e per essere stato disprezzato e lui invece viene fino a qui, non so come mi trova, e mi dice che non pensava potesse consolarmi, non credeva che avrebbe potuto farlo. Capisci?”
Midorima si sentì in colpa per avere esposto Kise a quel semplice modo di ragionare di Aomine. Lui aveva capito sin dall’inizio che Daiki non aveva inteso respingere Kise, né pensava che non gli importasse più della loro amicizia. Lo aveva chiamato apposta. Tuttavia aveva sottovalutato l’effetto che la verità avrebbe fatto su Kise.
“Se uno di noi ti avesse detto che Aomine non voleva offenderti ma che semplicemente non è capace di manifestare i suoi sentimenti, ci avresti creduto?” Kise scosse il capo.
“In quel momento l’ho detestato. Credevo avesse voluto umiliarmi davanti alla mia squadra.”
“Non voleva che pensassi che aveva compassione di te.”
“E perché proprio io non l’ho capito?” piagnucolò Kise.
“Perché tu avresti voluto solo che ti raccogliesse da terra. Che ti tendesse la mano. Non sempre le persone come Aomine fanno ciò che vorrebbero. Non ero convinto che venisse, oggi. Ero quasi certo che mi riattaccasse il telefono in faccia.”
“Allora sei stato tu a dirgli che ero qui.” Midorima annuì.
“Invece ha corso. Dov’è andato piuttosto?”
“A casa, credo. Ha detto così.”
“Non credo che potrà farlo. L’ultimo treno è partito da un pezzo.”
“Midorimacchi, tu torna a casa e avvisa Kasamatsu senpai che sto bene. Sono certo che sia preoccupato. Io devo andare in un posto. Vuoi?”
“Ok. Fa attenzione però.” Kise si asciugò le lacrime con la stoffa della maglietta e accennò un sorriso.
“So che non vuoi i miei consigli per questo userò uno dei tuoi. Tu predichi bene e razzoli male. Rifletti su questo.”
Kise si allontanò e Midorima pensò che forse il talento di quel ragazzo non si limitava solo a copiare certe azioni ma anche le emozioni altrui. Decise che quella sera stessa avrebbe parlato a Takao.

Perché non riusciva proprio a tenergli il muso?
Kuroko fingeva di prestare molta attenzione al libro che aveva davanti al viso ma, in realtà, continuava a fissare Kagami che mangiava delle patatine ascoltando musica con delle cuffie enormi. Takao giocava con la psp mentre Riko e Satsuki si stavano sfidando a mahjong.
Kasamatsu faceva avanti ed indietro nervosamente. Teppei, che stava lavando i costumi da bagno con Hyuuga, lo rimproverò.
“Non devi essere così nervoso. Midorima è andato a prenderlo alla spiaggia. Avrà perso la strada.”
“Quando torna sì che gliele suono!” rispose Kasamatsu.
Kuroko si chiese che fine potesse aver fatto Kise. Guardò di nuovo si sottecchi Kagami e si soffermò sulle sue labbra. Arrossì e si coprì ancor più il volto con il libro. In quel momento la porta si aprì.
“Bentornato Shin-chan!” urlò Takao lanciando la psp sul divano e correndo da lui.
“E Kise?” chiese Kasamatsu ancor più irritato di prima.
“Mi ha chiesto di tranquillizzarti. Doveva andare in un posto prima di rientrare.”
“E tu non potevi andare con lui? Non sta bene e si è fatto buio! Non sa ancora usare bene la carrozzella, potrebbe farsi male!”
“Non ha voluto che lo accompagnassi e vorrei ricordarti che Kise non è ferito. Può benissimo camminare se lo desidera”, rispose seccato Midorima.
“No che non può camminare! Tu non eri con lui quando è stato ricoverato in ospedale! Non ha neppure la forza di stare in piedi!”
In quel momento Kagami sbuffò. Si sfilò le cuffie e le lasciò ricadere sulla sedia. Si alzò e si mise entrambe le mani sui fianchi.
“Mi sembra che state tutti esagerando. Kise forse ha bisogno di aiuto in questo momento ma non è uno sprovveduto. Dov’è andato?” chiese rivolgendosi a Midorima.
“Non lo so.”
“Ma è assurdo? Davvero non hai idea di dove sia andato?” fece Kasamatsu ringhiando contro Midorima.
“Ehi! Calmati tu!” s’intromise Takao “Shin-chan non ha fatto niente di male!”
“Non credevo di arrivare un giorno a dire una cosa del genere ma ha ragione Kagami. Kise non è un bambino e non è così tardi. Se la caverà”, disse Hyuuga.
“Io ho un’idea” fece Kuroko ma nessuno, come al solito, si accorse di lui.
“Ki-chan potrebbe essere andato al konbini a comprare un gelato, ne va pazzo!” esclamò Momoi.
“Io ho un’idea” provò ad insistere Kuroko ma neppure Riko, che suggerì di chiamarlo sul cellulare, notò la voce del ragazzo ombra.
“Volete. Stare. Zitti. Tutti?!” gridò Kagami “Kuroko ha un’idea.” Tutti si voltarono a cercare il numero undici del Seirin.
Kuroko sentì una sorta di piccola felicità montargli dentro. Kagami lo vedeva. Non era come ai tempi della Teiko quando, se partiva una litigata, nessuno più si rendeva conto della sua presenza. Parlò con tranquillità.
“Penso che qualcuno di noi potrebbe uscire a cercarlo. Tanto per far stare tranquillo Kasamatsu senpai.”
“Io vado a cercarlo!” disse Kasamatsu.
“Non credo che sia il caso” fece subito Midorima attirando l’attenzione di Takao a cui non sfuggivano mai alcuni piccoli segnali nel comportamento del suo senpai che rivelavano disagio.
“E perché?” replicò Kasamatsu.
“Perché sei troppo agitato,” intervenne Takao “spaventeresti Kise!”
Kasamatsu si ammutolì e Midorima ringraziò mentalmente il compagno che gli prestava preziosi assist anche fuori dal campo. Si appuntò mentalmente un altro motivo per cui doveva assolutamente parlargli.
“Andremo io e Kagami. Puo andar bene, Kasamatsu-senpai?” Il capitano del Kaijo annuì.
Kagami accompagnò velocemente in strada Kuroko.
“Grazie al cielo, Kuroko! Non avrei resistito un minuto di più in quella stanza.”
“Lo immaginavo, Kagami-kun. Ora però ci tocca davvero cercarlo, Kise-kun.”
“Nessuno dice che non possiamo farlo passeggiando con calma”, rispose Kagami indicando la via che da casa Aida, scendeva verso il mare.
Le stelle ormai brillavano nel cielo come lucciole sopra uno specchio d’acqua. Lo sciabordio del mare dettava il rimo dei loro passi. Kagami, come gli capitava spesso in queste situazioni, cominciò a provare una punta d’imbarazzo e rimase silenzioso. Osò però afferrare la mano di Kuroko ed intrecciare le proprie dita alle sue. La stretta di Kuroko lo aiutò a sentirsi meno a disagio.
“Stamattina ti sei arrabbiato perché ti ho trascurato, vero? Mi dispiace. Non credevo che ti avrebbe dato fastidio vedermi aiutare Kise. In fondo l’ho fatto perché sei tu che me l’hai reso simpatico. Forse però non ti è così simpatico come sembra. Voglio dire, alla Teiko ti ha creato problemi, cioè forse è stato Aomine, cioè magari non so che cosa sto dicendo. E’ che Midorima mi ha fatto pensare che forse all’inizio non andavate d’accordo. Uffa! Perché m’incasino sempre?” Kagami abbassò lo sguardo a cercare il volto di Kuroko e rimase spiazzato dal trovarci dipinto un dolce sorriso.
“Sai, ho sempre pensato che, se ti avessi spiegato, avresti capito. La verità è che anche se a casa tua ti ho chiesto se eri geloso, sono io a esserlo. Non volevo metterti alcuna pressione dopo il rientro dal ritiro, così ho detto che non mi dispiaceva che partissi. Non ti ho detto neppure che mi dava fastidio l’idea di portare qui gli altri e ti ho nascosto anche il fastidio che ho provato vedendoti portare in braccio Kise. Probabilmente perché penso che uno come te non possa trovare molto in uno come me. Forse Kise è più adatto a stare vicino ad una persona espansiva come Kagami-kun. Mi dispiace che debba essere stato Midorima-kun a dirti del periodo alla Teiko ma, credimi, io non lo ritenevo più importante anche se vedere la confidenza che si è creata tra te e Kise-kun mi ha riportato alla mente il modo in cui lui è arrivato in squadra e ha conquistato tutti.” Kuroko prese un respiro e guardò negli occhi Kagami.
“A volte penso a cosa uno come te trovi in uno come me. Poi capisco che non devo riflettere su questo. I sentimenti sono irrazionali. L’ho imparato tanto tempo fa quando desideravo solo fare amicizia e tutto ciò che mi riusciva era allontanare l’unica persona che provava a darmi una mano. Ora so che se penso troppo finisco per sbagliare. Tu, in qualche modo, mi completi. Al tuo fianco, mi sento felice.”
Kuroko saltò su un paio di gradini della scala che portava alla piazza del paese e tirò la maglia di Kagami per avvicinarlo a sé.
“Sei la mia luce, Kagami-kun”, disse Kuroko posando timidamente le labbra su quelle del rosso. Kagami, stavolta non si fece bloccare dall’imbarazzo. Strinse Tetsuya tra le braccia e approfondì il bacio. Quando si staccò da lui, sorrise.
“E tu sei la mia, Kuroko”, fece Kagami stringendolo forte. In quel momento il cellulare suonò.
“E’ il mio,” disse Kuroko “pronto?”
“Sono Midorima.”
“Midorima-kun? Che succede? Kise-kun è tornato a casa?”
“No. Però volevo avvisarti di una cosa. Aomine è venuto a trovare Kise.”
“Aomine-kun?” disse Kuroko attirando l’attenzione di Kagami che stava riallacciandosi una scarpa “Come ha fatto a sapere che eravamo qui?”
“L’ho chiamato io.”
“Quindi Kise-kun è con lui?”
“No, hanno discusso e lui se n’è andato. Credo però che Kise sappia dove possa essere andato considerando che era già troppo tardi per l’ultimo treno.”
“Grazie per avermi avvertito, Midorima-kun.”
Kuroko ripose il telefono in tasca e si ritrovò lo sguardo severo di Kagami addosso.
“Ahomine sarebbe qui?”
“L’ha chiamato Midorima-kun”, disse Kuroko facendosi pensieroso.
“Credo di sapere perché l’ha fatto. Forse però ha sbagliato. Doveva chiamarlo Kise una volta pronto a confrontarsi con lui.”
“Sai, Kagami-kun, che a volte dici cose molto saggie?” Kagami arrossì “Ti sentiresti meglio se ci mettessimo seriamente a cercare Kise-kun?”
“Solo se fa piacere anche a te.” Kuroko gli prese la mano e annuì.
“Vieni, credo di sapere dove siano.” Kagami ricambiò la stretta e lo seguì.

La stazione era deserta. Kise riuscì con fatica a raggiungere il binario. La luce dei lampioni illuminava la banchina. Fu la sacca la prima cosa che diede a Kise la certezza che aveva fatto centro. Conosceva talmente bene Aomine da sapere che sarebbe tornato immediatamente in stazione e che, pur scoprendo che non c’erano più treni, non si sarebbe scomodato a cercare una sistemazione per la notte.
Aomine se ne stava seduto ad una panchina con le mani infilate nella felpa della tuta e il cappuccio tirato sulla testa. La sacca era stata gettata ai suoi piedi. Kise fece muovere la sedia a rotelle fino al fianco della panca.
“Aomine,” sussurrò attirando la sua attenzione. Il moro gli gettò appena uno sguardo senza muoversi “non ci sono più treni.”
“Lo so. Prenderò il primo che parte domattina”, mugugnò Aomine.
“Non puoi dormire all’aperto.”
“E a te che importa? Sei stato abbastanza chiaro sul fatto che non abbiamo più niente da dirci. Quell’incapace di Midorima non doveva portarti a casa?”
“Non volevo andare a casa con Midorimacchi.”
“E smettila di storpiare i nomi. Mi da fastidio.”
“Sì, lo so. So essere molto fastidioso”, fece Kise tamburellando con le dita sulle ruote della carrozzella “e anche ottuso, soprattutto se si tratta dei miei sentimenti.”
A quelle parole Aomine piegò le gambe e poggiò i gomiti sulle ginocchia allungando il viso verso Kise. Questi lo prese come la conferma che ora aveva tutta l’attenzione di Aomine e continuò.
“Alla fine della partita ero frastornato. Ci avevo messo tutte le forze che avevo, dato fondo a tutte le mie risorse. Senza riuscire. So che non è una sensazione familiare per te. Riesci sempre in tutto ciò che fai. Io però l’ho sperimentata spesso. Sentirti dire che non avevi nulla da dire ad un perdente, mi ha ferito. Lo so che sono stato immaturo, che avrei dovuto reagire e magari affrontarti ma non ho potuto.” Aomine lo interruppe.
“Perché? Scusa se te lo faccio notare ma ti ho battuto un mucchio di volte. Perché prendertela tanto adesso? Perché metterla così sul personale?” Kise si torturò il labbro inferiore con i denti.
“Akashicci ha detto che ero pronto. Che dovevo fare un sacrificio e provarci seriamente. A batterti, intendo.” Aomine sgranò gli occhi.
“Intendi dire che prima di quella partita non avevi mai fatto sul serio?” Ora gli occhi di Aomine erano due fessure e il suo viso era ad un palmo da quello di Kise. Il biondo si tirò un po’ indietro per prendere un respiro. Aomine scattò in piedi e gli puntò un dito dritto in faccia. “E dì un po’, è questo il sacrificio che dovevi fare per battermi? Finire in ospedale e uscirci su di una fottuta sedia a rotelle? Cazzo Kise, non sapevo niente di tutto questo. Neppure Satsuki mi ha voluto dire niente! Quanto pesi adesso? Cinque anzi no, sette chili in meno?” Stavolta fu Kise a sussultare. Aomine aveva indovinato. Pesava esattamente sette chili meno del suo peso forma. Strinse la stoffa della maglietta.
“Non volevo che lo sapessi. Non volevo neppure che mi vedessi in queste condizioni. Non volevo che ridessi di me, della mia debolezza.”
“Ti pare che stia ridendo?” Kise sollevò lo sguardo e vide la rabbia sul viso di Aomine, gli occhi lucidi “Ti pare che possa ridere del fatto che ti ho ridotto in questo stato o magari che hai deciso di cancellarmi dalla tua vita? Del resto tu hai quel tizio che pare non aspetti altro che aiutarti in questo o quello!” Kise comprese che si riferiva a Kasamatsu. Poteva accettare tutto ma non che offendesse Kasamatsu.
“Avresti potuto tendermi tu una mano piuttosto che definirmi perdente!” urlò allora Kise stringendo i pugni e allontanando la mano di Aomine “Invece dovevi fare la tua solita uscita da primadonna!”
“Io non ti ho definito perdente!” gridò allora Aomine “Tu però ti comporti da perdente rimanendo seduto su quella cosa! Alzati!”
“Non posso.”
“Bugiardo. Alzati!”
“Ti ho detto che non posso. Ti prego, Aominecchi.” A sentirsi chiamare di nuovo col suo nomignolo, Aomine si sentì come se gli avessero tolto una zavorra di dosso.
“Kise, per favore, prova ad alzarti. Devo fare una cosa per cui mi serve che tu stia in piedi.” Il tono della voce di Aomine era profondo e calmo. Kise lo trovò irresistibile. Fece forza sulle ginocchia e le mani e, lentamente, riuscì a trovare la forza per sollevarsi.
“Appoggiati a me”, continuò Aomine e Kise posò le mani sulle sue spalle. Essere occhi negli occhi, respirare la stessa aria di Aomine diede a Kise un senso di vertigine. Non cadde. Le braccia di Aomine lo strinsero a lui in modo forte, quasi prepotente.
“Io non ci so fare con queste cose. Mi hai sfidato e hai perso perché hai scelto di passare la palla a quell’idiota. Se fossi venuto al contrasto, non so come sarebbe andata. Non sapevo di averti fatto del male. Non te ne ho fatto di proposito. Non te ne farei mai di proposito. Sentirti dire che non mi avresti più considerato la persona più importante mi ha dato sui nervi. Tu hai ferito me almeno quanto io ho ferito te.”
“Era quello il sacrificio che dovevo fare. Provare a batterti senza pensare che se vinci tu, in fondo, a me va bene lo stesso.”
“Se mi avessi battuto, a me sarebbe andato bene lo stesso.”
Kise si sciolse dall’abbraccio e fece una di quelle espressioni per cui Aomine rischiava sempre di scoppiare a ridergli in faccia. Piegò la testa di lato e mise una specie di broncio.
“Davvero?”
“No. Non ti avrei parlato per un mese!”
“Aominecchi!” esclamò Kise divincolandosi con l’aria offesa di chi se la sta prendendo molto. Perse l’equilibrio e ricadde all’indietro.
“Stupido, ti farai di nuovo male!”
“Lasciami. Subito.”
“Niente da fare.”
“Ho detto di lasciarmi!” urlò di nuovo Kise.
“Ti ha detto di lasciarlo!” urlò un’altra voce e Aomine si ritrovò addosso Kagami che lo scaraventò a terra finendo poi addosso a lui.
“Bakagami, che cazzo fai!”
“Non ti basta il male che hai già fatto a Kise?” gridò il rosso stringendo il bavero della maglia del moro.
“E tu che c’entri in questa storia? Fatti gli affari tuoi!”
“Basta Kagami-kun! Lascia andare Aomine-kun!” gridò Kuroko che ansimava. Non appena infatti Kagami aveva sentito Kise urlare, si era messo a correre e Kuroko aveva fatto fatica a stargli dietro.
“Kurokocchi, ci sei anche tu!” esclamò Kise.
“Testu, richiama il gorilla, per favore.”
“Proprio tu mi dai del gorilla?” ribatté Kagami “Mister ‘grazia da elefante calpesta sentimenti?”
“Kagami-kun, ora basta!”
“Kagamicchi non ha mica tutti i torti, Kurokocchi!”
“Ma tu da che parte stai?” chiese Aomine a Kise.
“Kagamicchi è stato molto gentile con me.”
“Fin troppo!” disse Aomine togliendoselo di dosso “Fa come ti pare”, concluse risistemandosi la maglia e allontanandosi.
“Aomine-kun, non andartene, aspetta!” fece Kuroko seguendolo.
“Ecco, lo sapevo che finiva così!” sbuffò Kagami “Sta sempre dalla parte di quel maledetto!” riferendosi a Kuroko.
“E’ colpa mia,” disse Kise intristendosi “ ci stavamo chiarendo, però lui la vuole sempre vinta e io mi sono innervosito. Mi spiace.”
“Non è colpa tua. Forse Kuroko, in fondo in fondo, preferisce Aomine.”
“Kagamicchi!” esclamò Kise “Non dire sciocchezze e vai da lui. Sono certa che ha seguito Aomine perché gli ha dato fastidio che hai preso le mie difese. Devi combattere per la persona che ami, sai? Gli equivoci sono sempre dietro l’angolo.”
“Ti dispiace se ti lascio da solo?” Kise scosse il capo e Kagami corse dentro la stazione deciso a riprendersi Kuroko.

Aomine sferrò un pugno contro la macchinetta delle bibite che se ne stava pacifica per conto proprio nella sala d'attesa della stazione.
“Aomine-kun.” La voce di Kuroko gli arrivò timidamente alle spalle.
“Il tuo ragazzo è un idiota!”
“A volte.” Aomine rise.
“Non ti merita.”
“Semmai è vero il contrario. Non sa nascondere la gentilezza. Al contrario di te. Stavolta però dovresti fare uno sforzo. C’è qualcun altro che ha già mostrato a Kise cosa significa poter contare su un’altra persona. Se non ci metti un po’ di buona volontà, lo perderai per davvero”, disse Kuroko con calma.
“Sai cosa me ne importa?!”
“Davvero? Se penso che adesso Kagami-kun sta consolando Kise-kun, non mi sento affatto bene.” Aomine si voltò di scatto.
“Non sono portato per queste cose.”
“Sono certo che a Kise-kun non serve molto per capire che tieni a lui. In fondo è venuto a cercarti da solo, su una sedia a rotelle fino a qui.” Aomine prese un respiro profondo poi si avvicinò a Kuroko e, passandogli accanto, gli posò una mano sulla testa.
“Grazie, Tetsu.” Kuroko sorrise mentre Aomine tornava sul binario.
Nello stesso istante in cui Aomine svoltava per tornare sulla banchina dei treni, Kagami correva nella direzione opposta. Lo scontro fu inveitabile.
“Bakagami, sei una maledizione!”
“Posso dire lo stesso, Ahomine!”
“Se fai soffrire Kuroko, ti ammazzo!” disse Aomine rimettendosi in piedi.
“Pensa per te, idiota, non te lo meriti il bene che Kise ti vuole!” replicò l’altro.
Rimasero a guardarsi negli occhi per un lungo momento poi Aomine sorrise malignamente.
“Se ti vedo di nuovo intorno a Kise, non solo ti ammazzo, ma ti faccio a pezzi e li do in pasto a Nigou.”
“Conserva la sedia a rotelle di Kise perché ti servirà se non lasci in pace Kuroko.”
“Vado”, rispose solo Aomine.
“Anche io” disse Kagami correndo nella sala d’attesa della stazione. Kuroko era ancora in piedi dove l’aveva lasciato Aomine. Kagami gli poggiò una mano sulla testa e gli scompigliò un po’ i capelli.
“Ho fatto di nuovo una cazzata, vero Tetsuya?” disse abbracciandolo e facendo aderire il suo petto alle spalle del più basso.
“Non dire parolacce, Kagami-kun.”
“Mi perdoni?”
“Per la parolaccia?”
“No, per la cazzata.”
“Taiga!” esclamò Kuroko voltandosi. Kagami sorrideva.
“Li aspettiamo o ce ne andiamo?” chiese “Scegli tu.”
“Diamogli un minuto.”
“Ok, nel frattempo resta fra le mie braccia!”
Kuroko non si mosse.

Nel frattempo Kise si strinse nelle spalle. Faceva freddo. Lui non era più rincasato ed era rimasto con solo il costume e una maglietta a maniche corte addosso.
Improvvisamente sentì qualcosa di caldo e morbido finirgli sulla testa. Aveva un odore familiare. L’afferrò e non appena i suoi occhi la riconobbero, questi si riempirono di lacrime. Era la felpa della Nike che aveva dato ad Aomine prima del diploma. In realtà, Aomine gliel’aveva rubata.
Poco prima che finisse la scuola era uscita la pubblicità di una nuova felpa sportiva che usavano i giocatori dell’NBA. Kise aveva blaterato per giorni su quanto la desiderasse e costretto Akashi a dargli il pomeriggio libero del giorno in cui era uscita. Ovviamente aveva obbligato Aomine, l’unico nel loro gruppo cui potesse interessare una cosa simile, a seguirlo. Purtroppo, alla fine del giro dei negozi specializzati, ne avevano trovata solo una. Kise l’aveva indossata con orgoglio per quasi un mese. Poco prima del diploma e dello scioglimento della squadra della Teiko, Aomine aveva preteso che quella felpa fosse la posta in gioco per un one-on-one. Ovviamente aveva vinto. Kise aveva pianto a dirotto ma Aomine era stato inflessibile.
“Ce l’hai ancora?”
“A quanto pare.”
“Mi avevi detto che l’avevi persa, quando hai lasciato la Teiko e te l’ho chiesta indietro.”
“Non volevo ridartela.”
“E l’hai conservata fino ad ora?”
“Se ce l’hai in mano.”
“Grazie.”
“Ti riaccompagno a casa.”
“La sedia si è rotta quando Kagami ci è saltato addosso.”
“Bakagami. Vieni ti porto in spalla.” A Kise s’illuminarono gli occhi. Aomine si sistemò la borsa a tracolla, poggiò la sedia contro il muro e si tirò Kise sulle spalle. Ci misero un attimo a tornare nella sala d'attesa della stazione.
“Guarda chi c’è!” esclamò Kagami.
“Tu, sta zitto. Hai rotto la sedia di Kise.”
“Ma è possibile che è sempre colpa mia?” sbuffò Kagami.
“Andiamo a casa, è già molto tardi” fece Kuroko per smorzare sul nascere un’altra discussione.
“Io sono stufo di stare al freddo e non ho alcuna intenzione di trascinarmi la signorina fino al mare. Perché non ci fermiamo nel ryokan* qui vicino? Ci sono le terme.”
“Sì! Che bello, dai!” esclamò Kise.
“Per me va bene, che ne dici Kuroko?”
“In effetti sono stanco anche io.”
“Allora è deciso!” canticchiò Kise mentre Aomine s’incamminò.
Lungo la strada, Kuroko si fece pensieroso guardando Kise che si stringeva alle spalle dell’asso della Touou.
“Cosa c’è, Tetsuya?” chiese sottovoce Kagami.
“Pensavo.”
“Questo l’ho capito da me. A cosa?”
“A Kise. Sembra felice ora. Mi sento stupido ad essere stato geloso delle tue attenzioni nei suoi confronti.”
“Io sono contento che tu sia geloso.” Kuroko sorrise dolcemente.
“Allora è tutto a posto.”
“Però non mi hai detto cosa c’è!”
“Niente. E’ solo che deve essere molto bello stringersi a quel modo alla persona che si ama”, disse Kuroko.
Kagami si fermò di colpo. Si inginocchiò proprio davanti a Kuroko e gli sorrise. Uno dei sorrisi grandi di Taiga che facevano tanta luce e illuminavano l’anima del numero undici della Serin.
“Salta su!” disse Kagami dando le spalle a Tetsuya.
“Ma io posso camminare.”
“Avanti Kuroko o devo pensare che non mi ami?” chiese Kagami senza rendersi conto di quanto le sue parole avessero fatto avvampare il più piccolo. Kuroko saltò in spalla e strinse le braccia al collo di Kagami.
“Grazie, Taiga.”
“Tieniti forte”, gli rispose l’altro raggiungendo Aomine e Kise.
“Ehi! Che fate voi due?” chiese Kise.
“Kuroko era stanco”, rispose Kagami sorridendo.
“Davvero?” disse Aomine guardandolo con perplessità.
“No, volevo provare che sensazione si prova a stare così stretti alla persona a cui si vuole più bene.”
Kise si strinse ancora di più ad Aomine e gli sussurrò all’orecchio.
“Si prova una gioia infinita.”
Aomine non rispose ma il calore che gli scoppiò nel cuore gli fece imporporare le guance.

Note dell'autrice:
Il ryokan è il tipico albergo giapponese prevalentemente a conduzione familiare. In alcuni sono presenti gli onsen, appunto le terme di cui parla Aomine.
Mi scuso per la lunghezza infinita del capitolo ma volevo portare a compimento questa specie di chiarimento tra le mie due coppie preferite.
Ci rivediamo per scoprire che combineranno nel ryokan? A proposito... Midorima deve ancora parlare a Takao!
Alla prossima!

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