Amrâdu adad

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Amrâdu adad

Tante volte, sedendo negli alloggi di Dís a Ered Luin, Thorin aveva rimuginato sul fatto che lei – una principessa della stirpe di Durin – avrebbe meritato stanze ben più lussuose.
Oggi, però, la sua mente non aveva spazio per quel genere di pensieri. Oggi, quel genere di pensieri gli sembrava triviale.
All’esterno della montagna si era fatto buio da qualche ora, e lui si sentiva esausto come se non dormisse da anni.
Quel giorno era partito all’alba con una manciata di altri Nani. Avrebbe dovuto trattarsi di una semplice battuta di caccia, ma quando erano stati attaccati si era trasformata in una carneficina.
I loro avversari, seppur cruenti e rabbiosi, erano in svantaggio numerico e completamente disorganizzati, e alla fine i Nani erano riusciti a prevalere.
Alcuni di loro erano rimasti feriti, però, e il cognato di Thorin era stato ucciso da un colpo d’ascia alla testa. Era stato proprio lui a trovare il corpo, e ancora lo rivedeva nella propria mente. Quei capelli biondi inzuppati di sangue, quegli occhi scuri vitrei e sbarrati…
Non aveva una memoria precisa del viaggio di ritorno, ma sapeva che era stato lento e difficoltoso. Ciò che ricordava bene era il momento in cui era arrivato alla porta di sua sorella.
Dís gli aveva aperto reggendo il piccolo Kíli con un braccio, e Fíli aveva fatto capolino da dietro la gonna della madre con aria curiosa.
Nel vedere l’espressione di Thorin, Dís era impallidita.
Le sue labbra si erano dischiuse, ma poi lei aveva abbassato lo sguardo su Kíli – impegnato a mangiucchiare felicemente un cavallino di pezza – e si era sforzata di ricomporsi.
Aveva posato a terra il suo secondogenito, ed aveva detto a Fíli di andare in camera col fratello.
Il bambino biondo aveva guardato Thorin ma non aveva protestato, limitandosi a prendere la mano di Kíli e a fare come aveva detto sua madre.
«Dov’è?» aveva chiesto Dís, con voce incrinata, non appena i suoi figli erano scomparsi nell’altra stanza.
Quando Thorin le aveva spiegato quanto era accaduto, lei non aveva né pianto né urlato. Era diventata ancora più pallida, invece, e si era premuta una mano sulla bocca come per cercare di contenere lo strazio.
Riguardando indietro, Thorin avrebbe preferito che si fosse accasciata tra le sue braccia singhiozzando, poiché il dolore nel suo sguardo muto era stato devastante.
Adesso, Dís si trovava a preparare il corpo di suo marito per il funerale – aveva rifiutato con fermezza che se ne occupasse qualcun altro – e a vegliare su di lui secondo le tradizioni.
Prima di andarsene, aveva parlato a lungo con Fíli e Kíli, cercando di spiegare loro cos’era successo, e li aveva messi a letto.
Thorin chiuse brevemente gli occhi, sfiorando la benda che gli avvolgeva la mano. Un taglio sul palmo era l’unica ferita che avesse riportato. La cosa lo assillava: suo cognato era morto, lui non avrebbe dovuto star bene.
Non che avesse mai avuto uno stretto rapporto col marito di sua sorella – anzi, all’inizio era stato riluttante a concedere la mano di Dís ad un Nano di origini tanto modeste – ma pian piano era giunto a considerarlo parte della famiglia.
Ed ora Dís aveva perso il suo sposo, e Fíli e Kíli sarebbero cresciuti senza un padre.
Thorin sfiorò il tessuto rattoppato del divano su cui era seduto. Ricordò l’eterno ottimismo di suo cognato, il suo incrollabile buonumore, l’orgoglio e l’amore con cui guardava sua moglie e i suoi figli.
Con occhi assenti, fissò un ciocco di legno che anneriva nel focolare.

Alla fine, la stanchezza ebbe la meglio su di lui. Dopotutto, tra la marcia e la battaglia, senza contare i danni emotivi, quel giorno era stato davvero sfibrante.
Quando riaprì gli occhi con un sussulto, l’aurora era vicina, e Fíli lo guardava con le mani appoggiate sul suo ginocchio.
«Fíli?» domandò Thorin, con voce impastata. Si passò il dorso della mano sull’angolo delle labbra. «Come mai sei in piedi? Dov’è tuo fratello?»
«Dorme».
Thorin strizzò gli occhi. Ma certo.
Dopotutto, Kíli era ancora molto piccolo. Aveva da poco imparato a camminare, e i suoi lunghi monologhi erano tanto vivaci quanto incomprensibili.
Thorin supponeva che avrebbe dovuto esser grato del fatto che fosse troppo giovane per risentire di quanto era appena accaduto… Tutto ciò che riusciva a pensare, però, era che probabilmente da qualche anno a quella parte Kíli non avrebbe più serbato alcun ricordo di suo padre.
«Non so dov’è amad» gli disse Fíli.
«Si sta… occupando di alcune cose» rispose Thorin, raddrizzando la schiena. «Tornerà quando sarà mattina».
«Oh». Suo nipote lo guardò da sotto in su. «E quando torna adad?»
Il cuore di Thorin sprofondò. Era probabile che ci sarebbe voluto un po’ di tempo, prima che il bambino capisse pienamente cos’era accaduto. «Fíli… Tuo padre non tornerà».
Fíli aggrottò la fronte. «Perché no?»
Thorin lo guardò, e in quel momento desiderò che ci fosse qualcun altro, qualcuno che sapeva come spiegare le cose ad un bambino. Ma non c’era nessun altro, e in più Fíli era suo, persino più suo di quanto non lo fosse Kíli.
«Tuo padre è morto».
Fíli lo guardò con la fronte aggrottata. Evidentemente quelle parole – che peraltro aveva già sentito sulle labbra di sua madre – non gli erano chiare. E allora? Non può tornare se è morto? sembrava voler chiedere. Invece, fece segno di no con la testa, poi il suo labbro inferiore tremò e lui parve esitare.
Thorin notò che il bambino occhieggiava le sue gambe in maniera inequivocabile. Mentre Kíli – quel piccolo impudente – non si faceva problemi ad arrampicarsi in grembo allo zio, Fíli pareva nutrire una certa soggezione nei suoi confronti.
Thorin, allora, si chinò in avanti e lo prese su, issandolo sulle proprie ginocchia. Fíli si girò di lato e si rannicchiò contro di lui, appoggiandogli un orecchio sul petto come per ascoltargli il cuore.
Ci fu un istante di silenzio, riempito soltanto dal crepitio del fuoco.
«Zio Thorin?» chiese poi Fíli, con voce minuscola. «Ho fatto qualcosa di brutto?»
Thorin credette di aver capito male. «Come?»
Il bambino tenne la testa bionda appoggiata contro il suo petto mentre riformulava la domanda: «Sono stato cattivo? Adad è andato via perché sono stato cattivo?»
Thorin rimase immobile per un istante, poi sollevò il mento del bambino per guardarlo in faccia.
«Fíli, non è colpa tua» gli disse, con la massima serietà. «Tu non hai fatto niente di male».
Il bambino tirò su col naso. «Davvero?»
A Thorin si strinse il cuore. Gli permise di tornare ad appoggiare la testolina, e gli accarezzò i capelli biondi in modo un po’ impacciato. «Davvero. Tuo padre è stato ucciso».
Fíli rimase zitto, e Thorin maledisse le proprie parole goffe e forse troppo dirette. Non ci sapeva fare con i bambini.
Quando Fíli si mise a tremare, lui raggelò, poi lo avvolse nelle proprie braccia, cercando di offrirgli conforto e calore.
Fíli si aggrappò alla sua camicia consunta e nascose il viso contro il suo petto.
A Thorin mancò il fiato. Il bisogno di rassicurare suo nipote era così intenso da essere quasi un dolore fisico, ma non conosceva né le parole né i gesti più adatti.
Temeva che, se solo avesse allentato la presa, Fíli avrebbe tremato più forte, così non si azzardò nemmeno ad accarezzarlo. Si limitò a tenerlo stretto, mentre le ore si trascinavano lente una dopo l’altra.
Quando sopraggiunse la mattina e i cinguettii degli uccelli arrivarono sino a loro, il bambino aveva smesso di rabbrividire.
Thorin, però, sospettava che si trattasse di un sintomo di stanchezza, non di un’improvvisa tranquillità.
Si frugò la mente alla ricerca di qualcosa da dire, e si schiarì la gola. «Andiamo a controllare tuo fratello?»
Subito, Fíli non rispose. Poi, però, sollevò il viso dal petto di Thorin per guardare suo zio negli occhi ed annuì.
Provando un certo sollievo, Thorin si alzò in piedi, reggendo il bambino. A quel punto, si diresse nella stanza dei figli di Dís… e per poco non gli venne un colpo nel vedere che entrambi i giacigli erano vuoti.
Poi Fíli indicò il pavimento, e Thorin abbassò lo sguardo.
Kíli era raggomitolato sul tappeto morbido che si trovava tra i due letti. Aveva una coperta appallottolata vicino ai piedi, un dito in bocca, ed era profondamente addormentato.
Thorin mise giù Fíli, ricordando che Dís gli aveva parlato delle abitudini notturne del suo secondogenito.
A quel che pareva, quasi tutte le notti Kíli rotolava dal proprio letto al pavimento, dove seguitava a dormire come se nulla fosse. Ogni tanto, Fíli si svegliava e scendeva dal letto a sua volta, per poi rimettersi a dormire abbracciato al suo fratellino.
Vista la frequenza con cui questo accadeva, la loro madre aveva sistemato sul pavimento di pietra un tappeto spesso e morbido ed una coperta.
Thorin osservò Fíli avvicinarsi al suo fratellino e chinarsi su di lui. Sembrava un po’ meno agitato di prima.
Quasi avesse percepito la sua presenza, Kíli si stiracchiò e aprì gli occhi. Vedendo il fratello torreggiare su di lui, sorrise radiosamente ed allungò le braccia. Si aggrappò al collo di Fíli, obbligandolo a chinarsi di più, e a quel punto gli stampò un bacio sonoro sulla guancia.
Fíli emise uno squittio di protesta, ma il più piccolo rise – una risata a dir poco deliziata.
Alle orecchie di Thorin, suonò al contempo come un balsamo e come un dolore.
Poi Fíli ricambiò l’abbraccio, e si rotolò sul tappeto insieme a Kíli. Erano avvinghiati l’uno all’altro, e i capelli biondi di Fíli e gli occhi scuri di Kíli – che ora cercava di liberarsi – saltarono all’occhio di Thorin.
Per un momento, un raggelante momento che gli tolse il fiato, a Thorin parve di vedere del sangue insudiciare i ciuffi dorati di Fíli, e gli occhi splendenti di Kíli gli parvero privi di vita. Poi il più piccolo strillò e l’altro lottò per tenerlo fermo, e quell’attimo terribile passò.
D’impulso, Thorin si avvicinò ai suoi due nipoti. I due bambini si fermarono un attimo, stretti l’uno all’altro, e lo guardarono ad occhi sgranati.
Lui, allora, prese la coperta lì accanto, e con un gesto fluido la avvolse attorno a quei due furfanti. «Vi ho presi!»
La risata argentina di Kíli esplose subito, e stavolta fu accompagnata da quella di Fíli.
Thorin attirò bambini e coperta contro il proprio petto… e mentre Kíli si dimenava con un anguilla senza smettere di ridere, Fíli diede una manata al braccio dello zio.
Poco a poco, smisero di agitarsi, e ai gridolini si sostituirono degli sbadigli assonnati. Non fu una sorpresa. Sì, era mattina, ma dopotutto Fíli si era svegliato prima dell’alba, e Kíli certo non si alzava col sole.
Cautamente, Thorin permise ai due bambini di rannicchiarsi sul tappeto.
«Zio?» biascicò Fíli, mezzo addormentato. «Non voglio stare senza adad».
Thorin respirò bruscamente, ma prima che potesse pensare a una risposta il bambino era già sprofondato nel sonno.
Lui tese una mano verso i suoi capelli biondi, poi la ritirò con una stretta al cuore. Rimase semplicemente lì, in ginocchio accanto ai suoi nipoti addormentati.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo passò, ma ad un certo punto udì un rumore, e voltandosi vide Dís sulla soglia della stanza.
Sua sorella era di un pallore spettrale, e il dolore le segnava il volto. Si era tagliata la barba scura in segno di lutto, notò Thorin, ora era molto corta. Più corta persino della sua, che lui non lasciava crescere in memoria di coloro che erano periti tra le fiamme di Smaug.
Senza dir nulla, Dís venne a sedersi sul pavimento accanto al fratello. Non lo guardò, posando invece gli occhi sui propri figli.
Fíli e Kíli erano stretti l’uno all’altro, le boccucce semiaperte, il respiro regolare.
«Non hanno ancora compreso quanto è accaduto, vero?» sussurrò Dís, la voce roca.
Prima che Thorin potesse rispondere, lei inclinò il viso per osservare Fíli, e venne percorsa da un tremito.
«Dís?» chiamò sommessamente suo fratello.
Lei girò la testa verso di lui e lo guardò con aria desolata. «Gli somiglia così tanto» si limitò a dire, la voce incrinata.
Thorin esitò. «Lo so».
Dís si passò una mano sul volto. «Voglio che partecipino anche loro» disse poi. «Al suo funerale, intendo». I suoi occhi azzurri, di solito così sicuri, parvero improvvisamente incerti. «Sei d’accordo? O forse sarebbe meglio se non lo vedessero. Pensi…»
«No, credo sia giusto» la interruppe Thorin. «Devono dire addio al loro padre».
Lei gli rivolse un sorriso tremulo, e andò a poggiare la testa sulla sua spalla. Thorin rimase immobile, respirando il suo odore familiare e desiderando con tutto se stesso di poter alleviare il suo dolore.















Note:
A quel che pare, non posso proprio astenermi dal scrivere su questa famiglia.
Il titolo, a prova del fatto che la mia originalità fa davvero schifo, significa ‘la morte del padre’.
Mi auguro con tutto il cuore di non aver scritto idiozie (sì, sono molto preoccupata, va bene?). Grazie per aver letto :)
Quasi dimenticavo! Pubblicherò la seconda e ultima parte questo sabato, il 28 febbraio.

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Seconda parte

Il funerale si tenne quello stesso giorno.

La cripta delle Montagne Azzurre aveva un soffitto a volta alto nemmeno un terzo dei saloni di Erebor, e la sua costruzione era stata ultimata solo due anni prima.
Il corpo del defunto era steso su un piccolo altare di marmo. Dís aveva lavato ed intrecciato i suoi capelli e i suoi baffi, sistemando le ciocche bionde in modo che nascondessero lo squarcio nel cranio, e lo aveva vestito col suo abito più bello. Infine, gli aveva poggiato la spada sul petto immobile, chiudendo l’elsa nella sua presa già rigida.
Ora lei si trovava in piedi di fianco all’altare, con Thorin alla propria sinistra e i figli alla propria destra.
Fíli stava dritto sulle sue gambette, mentre Kíli era stato messo in braccio ad un Nano chiamato Bifur.
Inizialmente, Thorin si era meravigliato della scelta di Dís. Bifur non era della stirpe di Durin, e in più – come conseguenza dell’accetta che sporgeva dalla sua fronte, una vecchia ferita di guerra – parlava solo in antico Khuzdul e si muoveva in modo nervoso e scoordinato.
A quanto pareva, però, mettergli in braccio un bambino era il modo giusto per farlo diventare quieto e delicato. Kíli sembrava tranquillo, e fortunatamente non sembrava interessato all’oggetto che spuntava dalla fronte del Nano adulto.
Nella cripta si trovavano anche altre persone: i guerrieri che avevano partecipato alla battaglia in cui il marito di Dís aveva perso la vita, e coloro che avevano lavorato con lui in miniera.
Balin, il calmo e compassionevole Balin, affiancava Thorin e dirigeva la cerimonia.
Si trattava per lo più di preghiere rivolte a Mahal, ma anche di qualche invocazione a Durin, siccome il morto aveva sposato una principessa della sua stirpe.
Thorin cercò di non pensare a Frerin, e al fatto che per lui non c’era stata alcuna tomba. Il suo corpo era bruciato su una pira insieme ad un centinaio di altri.
Col procedere della cerimonia, Thorin si ritrovò a guardare a più riprese verso i propri nipoti.
Kíli si era messo a mangiucchiare la barba ruvida di Bifur, che bizzarramente sembrava gradire la cosa.
Fíli era silenzioso, e seguiva ogni gesto di sua madre ad occhi sgranati. Non aveva nemmeno risposto al sorriso gentile che gli aveva indirizzato Balin. Thorin avrebbe dato l’anima per sapere cosa stesse pensando il bambino.
In quanto a Dís, all’inizio della cerimonia aveva mormorato qualcosa ai figli, e riuscì a mantenere un regale autocontrollo per quasi tutta la sua durata.
Quando iniziarono a spostare il corpo del defunto verso la tomba che lo attendeva, però, Kíli smise di masticare i capelli di Bifur e si girò a guardare cosa stava succedendo.
Come notò la sagoma immobile di suo padre, si mosse e chiamò «da!». Nel silenzio, la sua voce infantile risuonò nitida ed argentina.
Thorin sentì che, accanto a lui, Dís tratteneva bruscamente il respiro, per poi rompere in un singhiozzo strangolato. In una mossa istintiva, le circondò le spalle con un braccio, e colse gli occhi azzurri e spaventati di Fíli.
Dís si ricompose in fretta, osservò senza lacrime mentre suo marito veniva calato nella sua tomba e due Nani si facevano avanti per sigillarla.
Guardando il profilo di sua sorella, Thorin intonò a bassa voce una delle canzoni del popolo di Erebor, una canzone che parlava di viaggi, addii, e ricordi incancellabili. Balin fu il primo ad unirsi a lui, e una dopo l’altra si aggiunsero le voci degli altri presenti.
Dís guardò Thorin per un momento che a lui parve interminabile, quindi si girò verso Bifur tendendo le mani. L’altro districò le dita di Kíli dalla propria barba e lo restituì a sua madre.
Fíli le si avvinghiò alle gambe, e Dís gli accarezzò la testolina con una mano e gli disse che suo padre si era recato nelle Aule di Mandos, e avrebbe incontrato i loro padri, e Mahal si sarebbe preso cura di lui. Poi si raddrizzò, e anche lei – le labbra vicine all’orecchio di Kíli – si unì al canto.
Forse, sperò Thorin, in un inizio di consolazione.

Nei giorni seguenti, visitò sua sorella non appena i suoi doveri nei confronti del popolo ed il suo lavoro alla fucina glielo permettevano.
Talvolta Dwalin lo accompagnava, per la gioia di Fíli e Kíli. Thorin non si capacitava di come i due bambini, anziché essere intimoriti dalla stazza del guerriero, gli dedicassero sguardi che rasentavano la venerazione.
Il funerale sembrava aver impressionato Fíli, che spesso si chiudeva in lunghi silenzi, forse cercando di afferrare un concetto come mai più. In quanto a Kíli, un paio di volte aveva gironzolato per la casa chiamando «da!» a gran voce, ma era facilmente distraibile, e sembrava che i suoi ricordi iniziassero già a sbiadire.
Francamente, Thorin non aveva idea di come sua sorella fronteggiasse la situazione senza avere un crollo emotivo.
Avrebbe voluto starle il più vicino possibile, ed iniziò a contemplare l’idea di trasferirsi da lei. In passato aveva già trascorso qualche notte nei suoi alloggi, quando gli era successo di rientrare tardi da un viaggio e di non avere il tempo di aspettare che il fuoco scaldasse ragionevolmente le sue stanze di pietra fredda. In quelle occasioni, aveva dormito in una terza camera da letto che ultimamente Dís utilizzava come ripostiglio.
Non sarebbe stato difficile, però, spostare i vestiti e le pentole di rame che la ingombravano al momento.
L’unica cosa che lo preoccupava era un’eventuale reazione di sua sorella… Dís era fiera, forte e indipendente – come avrebbe accolto la proposta di avere il fratello maggiore in casa propria?
Alla fine, come era già successo innumerevoli volte, lei lo colse alla sprovvista.
«Sai» gli disse, una sera in cui Dwalin non era presente, «potresti venire a vivere qui».
Thorin era appena rientrato dalla fucina, e sedeva al tavolo mentre Dís gli dava le spalle e finiva di preparare la cena. Tacque, sorpreso.
«Potresti usare la solita stanza» aggiunse Dís, «ho già iniziato a liberarla. So che sarai via spesso, ma quando ti troverai qui ti farà bene avere qualcuno che si prenda cura di te. E credo che Fíli e Kíli sarebbero felici della tua presenza».
Thorin si schiarì la gola. Sua sorella era una persona pratica; doveva aver riflettuto sulla situazione e deciso che una mano in più per crescere i bambini le sarebbe tornata utile. «È una buona idea».
Dís si spostò un ciuffo corvino dal volto. «Certo. È una mia idea».
Ma c’era una vena scherzosa nella sua voce, e Thorin quasi si concesse un sorriso.
«Potresti apparecchiare?» chiese poi Dís, mettendo una pagnotta sul tagliere ed iniziando ad affettarla con rapidità e precisione. «Qui è quasi pronto».
Thorin annuì ed andò alla credenza per prendere piatti, posate e bicchieri. Mentre iniziava a disporli sul tavolo, osservò: «Oggi Fíli sembrava… giù di morale».
Aveva visto il bambino solo brevemente, quando Dís aveva chiamato lui e Kíli perché salutassero lo zio, ma prima che sparisse nuovamente in camera col fratello aveva fatto in tempo a notare il suo cipiglio infelice.
«Gli manca il suo adad» rispose Dís, voltandosi per posare le fette di pane sul tavolo ed evitando lo sguardo del fratello. «Oggi più del solito».
Thorin non sapeva cosa dire, così si limitò a finire di apparecchiare.
Quando Dís chiamò a tavola Fíli e Kíli, i due bambini accorsero quasi immediatamente.
Il più piccolo andò a piazzarsi davanti a Thorin, che si era accomodato sulla propria sedia, e gli rivolse un ampio sorriso.
«Su!» reclamò.
«Kíli, adesso si mangia» interloquì Dís, portando in tavola la zuppa. «Non hai fame?»
Il sorriso del bambino si allargò mentre lui annuiva energicamente. «Pappa» concordò. «Su».
Thorin non era per niente sicuro di cosa volesse dire, così scoccò un’occhiata a Dís, che da parte sua gli rivolse un sorriso serafico. «Vuole mangiare sulle tue ginocchia».
Lui scosse la testa, posando una mano sulla spalla esile di Kíli e allontanandolo appena. «Non mi sembra una buona idea».
«Kíli, amrâl, va’ al tuo posto» disse Dís. «Anche lo zio deve cenare».
Kíli, però, fece segno di no. «Su» ribadì.
Thorin trovava stranamente difficile essere duro con Kíli. Così, invece di allontanarlo con più decisione, guardò di nuovo la propria sorella, ma lei gli rivolse un sorriso di scuse che non gli piacque per niente.
«Mi dispiace. È testardo quanto te».
E fu così, grossomodo, che Thorin si ritrovò a dover mangiare con un piccolo Nano appollaiato sulle proprie ginocchia. In cuor suo, sospettava che a Dís piacesse vederlo in difficoltà.
In quanto a Fíli, rimase taciturno per tutta la cena, e da quel poco che mangiò si sarebbe detto che il suo piatto fosse pieno di mele – frutto verso il quale nutriva una sorprendente ostilità.
Alla fine, Dís gli si rivolse con delicatezza. «Fíli?»
Il bambino sollevò lo sguardo dal piatto con una certa titubanza.
«C’è qualcosa che ti preoccupa, lukhdel?»
Fíli lanciò un’occhiata furtiva verso Kíli, che stava cercando di infilarsi in bocca un pezzo di pane decisamente troppo grosso, e rimase in silenzio.
Dís attese, lasciando che si prendesse tutto il tempo che gli serviva.
«Siamo stati io e Kíli» disse infine il bambino, con l’aria di chi confessa un gran peccato. Ci pensò su e si affrettò a precisare: «Soprattutto io».
Thorin spezzò la fetta di pane per Kíli, aggrottando lievemente la fronte e chiedendosi a cosa si riferisse il suo nipote più grande.
«A far cosa?» chiese Dís, con voce incoraggiante.
«A finire la marmellata preferita di adad».
Lei sbatté le palpebre. «Oh».
Fíli si agitò sulla propria sedia. «Ma non lo facciamo più».
«Va bene» disse Dís, con una certa cautela, «sei stato bravo a dirmelo».
Gli occhi azzurri del suo primogenito si rischiararono, speranzosi. «Allora adad torna?»
Thorin quasi si strozzò col proprio cibo, mentre Kíli sbocconcellava il suo pane e gli sbriciolava abbondantemente sui pantaloni.
«Fíli» respirò Dís.
«Prometto che faccio il bravo» insistette il bambino, quasi disperatamente. «Non gli rubo più la marmellata».
Thorin non poté fare a meno di pensare al giorno in cui era morto il marito di Dís. Sono stato cattivo? gli aveva chiesto Fíli.
Forse avrebbe dovuto parlarne con Dís. Aveva visto che suo nipote sembrava turbato da qualcosa, ma non gli era nemmeno passato per la testa che continuasse a considerarsi in qualche modo responsabile della scomparsa del padre.
«Lukhdel, no, non si tratta di questo» gli assicurò Dís, accorata. «Tu sei sempre stato bravissimo».
«Butto» considerò Kíli, che aveva aperto la mano di Thorin e stava esaminando la sua ferita ormai rimarginata.
«Ma…» iniziò Fíli, guardando sua madre con aria terribilmente confusa. «Ma allora perché preferisce stare nelle Aule di Mandos invece che con me?»
Thorin sentì qualcosa di molto simile allo shock, e per un istante nemmeno Dís riuscì a rispondere.
«Fíli, tu… Tu credi sia per questo che adad non torna? Perché preferisce la compagnia di qualcun altro?»
A quel che pareva, il bambino non aveva molti dubbi in proposito. «Loro non gli rubano la marmellata».
Sua madre, allora, si sporse in avanti per prendergli il volto tra le proprie mani ed incontrare il suo sguardo. «Fíli, ascoltami. Ascoltami molto attentamente. Non è così, tu non c’entri».
Lui si corrucciò e, senza distogliere gli occhi da quelli di Dís, allungò una manina a toccarle la barba.
«Non è colpa tua» continuò lei, «te lo giuro su Mahal. Adad non è felice di essere lontano da te. Non voleva andarsene… non ha avuto scelta».
Kíli, ancora ignaro della serietà del discorso che si stava svolgendo a pochi metri da lui, si sporse sul tavolo nel tentativo di raggiungere il proprio bicchiere. Dopo un istante, Thorin si riscosse ed intervenne per aiutarlo a bere un po’ d’acqua.
«Adad non tornerà più, non può, ma veglierà su di te per sempre, e sentirà la tua mancanza ogni singolo giorno. Ti vuole bene. Sapeva della marmellata, e non gli importava, dico davvero. Non era arrabbiato».
Ci fu un momento di silenzio, poi…
«No?» pigolò Fíli.
Dís gli accarezzò la guancia col pollice. «No».
Finalmente, il bambino diede un piccolo accenno di pianto, e la testa di Kíli si girò verso di lui con uno scatto allarmato.
Dís si alzò, chinandosi sul proprio primogenito e prendendolo in braccio. «Nessuno potrebbe mai decidere di lasciarti, lukhdel. Nessuno».
Lo strinse con più forza, e Thorin fu quasi certo di sentirla soffocare un singhiozzo tra i capelli biondi del bambino, che iniziò a piangere più liberamente.
Guardando la madre e il fratello, Kíli disse qualcosa di incomprensibile, ma il tono era inequivocabilmente preoccupato.
Thorin, allora, gli posò una mano sulla testolina scura e disordinata. «Va tutto bene» gli disse, e si guardò attorno alla ricerca di qualcosa con cui distrarlo.
Prese il proprio tovagliolo e, dopo aver sfiorato il braccio di Kíli per ottenere la sua attenzione, iniziò a piegarlo e a ripiegarlo cercando di dargli la forma di una piramide.
Funzionò: Kíli sbatté le palpebre, e prese a fissare come ipnotizzato le dita di suo zio che si muovevano rapide.
Se gli occhi di Thorin erano concentrati sul suo nipote più piccolo, le sue orecchie erano focalizzate su Fíli e Dís.
Da quanto gli risultava, era la prima volta che sua sorella piangeva la morte del proprio marito… E sperava che quelle lacrime avrebbero fatto bene sia a lei che a Fíli.
Quando la piramide – una piramide un po’ floscia, a onor del vero – fu pronta, Kíli se ne appropriò immediatamente, dopodiché scivolò giù dalle gambe dello zio.
Il primo istinto di Thorin fu di cercare di riafferrarlo, ma poi decise di lasciarlo fare.
Kíli raggiunse la madre e il fratello, e strattonò la gonna di Dís. Quando ebbe la sua attenzione, e anche gli occhi pieni di lacrime di Fíli si furono posati su di lui, alzò la manina per offrire l’origami fatto dallo zio.
Gli angoli che Thorin aveva unito iniziavano già a separarsi, ed ora il tovagliolo stropicciato aveva tutta l’aria del fiore più brutto della Terra di Mezzo.
A quella vista, Dís emise una risata strangolata. Fíli rimase fermo mentre gli ultimi due lacrimoni gli solcavano le guance, quindi si allungò per prendere il tovagliolo da Kíli.
Fu un momento strano.
Thorin vide che gli occhi di sua sorella brillavano, e fu come se l’ottimismo di suo cognato avesse rischiarato la stanza.
Una volta individuata una ferita, era possibile curarla e permetterle di guarire. Anche se non sarebbe mai scomparsa del tutto, avrebbe smesso di fare tanto male.












Note:
Questa seconda parte è stata un parto, spero che il risultato non sia deludente.
(E sì, i Nani hanno un talento per gli origami… non è ovvio?)
Ringrazio di nuovo chi si è preso il tempo di commentare lo scorso capitolo, e mi auguro che anche questo sia stato una lettura piacevole.
Alla prossima!

P. S. Per quanto riguarda le parole in Khuzdul (a parte gli ovvi amad e adad):
amrâl: amore
lukhdel: luce di tutte le luci (mi piace l’idea che sia il vezzeggiativo di Dís per Fíli)

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